If you ever felt...

di Longview
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ...Alone ***
Capitolo 2: *** ...Rejected ***
Capitolo 3: *** ...Confused ***



Capitolo 1
*** ...Alone ***


Hola a todos! Ho voluto cimentarmi in questa... cosa. Non ho idea di cosa ne sia uscito, è la prima volta che scrivo una raccolta, e per di più partendo dal titolo delle singole os. Saranno in tutto undici (Alone, Rejected, Confused, Lost, Anxious, Wrong, Unclean, Ungry, Ashamed, Curious, Used) e credo ne pubblicherò una alla settimana, massimo due. Sarei felice di avere una vostra opinione, un piccolo commentino... anche un semplice "datti all'ippica" (?). Mi scuso in anticipo se c'è qualcosa di strano nell'impostazione del testo, ma purtroppo l'editor di efp non voleva proprio collaborare D:             
Anyway, ora vi lascio alla lettura c: (anche perchè credo che entro trenta secondi  mi andrà a puttane la connessione quindi mi devo sbrigareeeeee D:). 
Ci si vede alle recensioni, pipppppollll (se mai ce ne saranno). 
-Longview   
 
 

If you ever felt…

 

…Alone




Gli esami all’università lo stavano uccidendo. Le sue giornate erano scandite dalla solita routine: la mattina si svegliava, puntualmente si scopriva in ritardo e correva in aula ad attendere che il docente pronunciasse il suo nome, per esaminarlo. Così da due settimane. E il tutto  era condito dalla sua proverbiale ansia, che non lo abbandonava mai da che ne avesse ricordo.
In mezzo agli impegni continui, tra lavoro, studio e lezioni a ogni ora del giorno, difficilmente Gerard riusciva a ritagliarsi del tempo per se stesso o per distrarsi con i suoi pochi amici. Gli sarebbe piaciuto fare uno squillo a suo fratello, sentire come stava e come andavano le cose a scuola, e magari invitarlo a prendere un caffè da lui uno di quei giorni. Ma sapeva che entrambi erano troppo occupati per permettersi di prendersi una pausa.
Non era mai stato un ragazzo con molti amici lui, era una di quelle persone che non amano la compagnia di altri esseri umani. Ma in quei momenti non poteva negare di sentirsi solo. Non gli faceva effetto la solitudine in sé, ma il fatto di non avere nessuno con cui condividere quello che gli succedeva, con cui parlare dopo una dura giornata di lavoro, o con cui riempire il poco tempo libero che aveva senza dover ricorrere alle sue amiche/nemiche di vecchia data, le inutili bottiglie di birra e alcool che lo perseguitavano da anni.
Da ore era chino sui libri, ripassando per l’ultimo esame che avrebbe dato il giorno seguente, conscio che, oltre a quello, aveva da terminare un importante progetto, da consegnare al suo datore di lavoro entro il mattino dopo. Erano le cinque del pomeriggio, e Gerard ebbe l’improvvisa realizzazione di essere nella merda. Si strofinò a palmi aperti gli occhi, nel tentativo di far sparire tutta la stanchezza come per magia, e magari di far tornare indietro di qualche ora le lancette dell’orologio.
Voleva che tutto andasse per il meglio, ma non era una cosa possibile. Improvvisamente si sentì pervadere da uno strano senso d’ansia, che gli opprimeva il torace e non lo lasciava respirare. Aveva un gran bisogno di vomitare, sentiva distintamente tutte quelle orribili sensazioni che, ne era abbastanza certo, lo stavano portando ad avere un attacco di panico, spingere nell’esofago, o forse lungo la trachea, e che si stavano preparando ad esplodergli nella cassa toracica.
Prese qualche respiro profondo; il suo pensiero costante in quel momento era quello di non perdere tempo, ma non sapeva come sarebbe riuscito ad uscire da quella situazione senza l’aiuto di qualcuno.
Calde e pesanti lacrime presero a cadere dai suoi occhi oliva, piene di angoscia e stress. Avrebbe voluto smettere, nascondere i suoi sentimenti a una presenza immaginaria, forse a se stesso, o magari ricevere un abbraccio -si sentiva patetico, ma era quello che voleva-, qualche parola di conforto sussurrata nell’orecchio. Ma continuava ad essere solo, in quell’appartamento. Avrebbe tanto voluto che una certa persona fosse lì con lui…

Il suono del campanello della porta d’ingresso lo fece saltare in piedi con uno scatto, facendo ribaltare la sedia su cui era seduto. Vide le sue mani tremare, ma dovette farsi forza e asciugare le lacrime, riacquistando, almeno in parvenza, un po’ di calma. Si diresse verso la porta e, prima di aprire, prese un ultimo profondo respiro.
-Gee!- tutto quello che Gerard riuscì a visualizzare fu il viso sorridente di un ragazzetto un po’ più piccolo di lui, che lo guardava con due occhi tanto dolci e pieni di gioia. Anche lui avrebbe voluto scoppiare dalla felicità, perché era troppo bello per essere vero vedere un volto tanto famigliare. Quello del suo ragazzo.

-F-Frank…?- non ci voleva davvero credere. Giusto pochi minuti prima stava pensando a lui, a quanto gli sarebbe piaciuto se fosse stato lì, a tirargli su il morale, a  farlo stare meglio. Gli mancava.
-Sono venuto a trovarti… spero non ti dispiaccia- il sorriso che il più piccolo gli rivolse gli fece sciogliere il cuore. “Ovvio che no”, avrebbe voluto rispondergli. Ma l’unica cosa che gli uscì dalla bocca fu un sospiro: tutto quello che fece dopo fu gettargli le braccia al collo e stringerlo a sé, togliendogli quasi il fiato, e riprendendo a singhiozzare sulla sua spalla.
Frank non fece domande, lasciò che si sfogasse, confortandolo e rassicurandolo come solo lui sapeva fare. E Gerard non desiderava altro.

 

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Capitolo 2
*** ...Rejected ***


...Rejected Holaaa! :3 Rieccomi con una nuova os c: sarò veloce perchè sono di fretta, quindi mi limito a ringraziare xCyanade che ha recensito lo scorso capitolo, Bbpeki e Sunset_Lily che hanno messo la storia tra le seguite, e anche tutti quelli che hanno letto soltanto <3 mi rendete taaanto felice <3
Vabbè, ora scappo che mi aspetta un casino di roba da studiare D: Peccato che non ne abbia la forza c.c
Byeee <3
-Longview









If you ever felt...

...Rejected




-Ehi, torna qua!-
Frank non conosceva il motivo preciso per il quale si era trovato a correre tra i corridoi semideserti della scuola. Aveva incrociato gli sguardi di tre ragazzi le cui espressioni non promettevano nulla di buono, e il fatto che fossero diretti proprio nella sua direzione non lo aveva per niente rassicurato. Si era sbrigato a recuperare i libri per l’ora successiva e chiudere l’armadietto, ma quelli già avevano aumentato il passo e lo avevano bloccato con le spalle al muro. In quel momento ringraziò una qualche entità superiore che, alla sua nascita, aveva deciso di donargli un corpo così minuto, così da riuscire a sgusciare in mezzo ai tre e scappare lontano da loro. Ma quelli non mollavano.
Frank aveva raggiunto il cortile esterno, ma ancora non era scampato alla furia ingiustificata di quegli idioti; uno di loro lo afferrò per una clavicola –il ragazzo gemette dal dolore- e lo fece sbattere contro la parete di mattoni.
-Dove corri, Iero?- ghignò quello.
-Il più lontano possibile da voi tre coglioni, mi pare ovvio- Frank era sempre stato un ragazzo sfacciato; non si lasciava mettere i piedi in testa molto facilmente. Ma non aveva mai imparato che c’erano momenti in cui avrebbe fatto meglio a mordersi la lingua e a pensarci due volte prima di aprir bocca*.
Da quel momento Frank staccò completamente il cervello; le uniche cose che sentì nei cinque minuti successivi furono urla, insulti, finché non vide un pugno serrato farsi strada e colpirlo in piena faccia, facendolo cadere a terra, già senza forze. Si faceva una certa pena, non era neanche in grado di incassare un colpo senza cominciare a sentire i sensi abbandonarlo, proprio come in quel momento. Non reagiva, ma era contento di aver scatenato una simile reazione: un sorrisetto strafottente si fece largo sul suo viso.
-Allora, non dici nulla??- Frank lo fissò impassibile, nonostante il dolore che iniziava a irradiarsi per tutto il volto e per il quale si sarebbe volentieri messo a urlare. Per qualche secondo venne sfiorato dall’idea di rispondergli per le rime, ma dovette ricordare a se stesso il fatto che non si trovava nella posizione adatta per insultare e sperare di salvarsi la pelle. Poco ma sicuro gli avrebbero spaccato la faccia, e lui non era ancora a un livello di masochismo tale da dare loro un pretesto per farlo.
-Ehi, fermi!- una voce, lieve ma decisa, interruppe il flusso dei suoi pensieri; sperò non appartenesse a quel ragazzo gracilino e occhialuto che li fissava da non molto lontano, e che in quel momento si stava avvicinando deciso a loro, frapponendosi tra il suo corpo riverso a terra e i tre che fino a cinque secondi prima lo stavano malmenando… ecco, Frank pensò non esistesse cosa più stupida di quella, ma ringraziò comunque mentalmente quel ragazzino, visto che gli stava offrendo una buona occasione per darsela a gambe levate.
Ci fu un breve scambio di battute tra i quattro, a cui però Frank non prestò molta attenzione, intento com’era a raccattare la sua roba e scappare; ma la sua coscienza non lo fece andare molto lontano: in fin dei conti quel poveretto aveva tentato di difenderlo, e lui come ringraziamento lo mollava lì da solo a vedersela con tre ragazzi che erano almeno il doppio di lui? Sapeva non sarebbe potuta finire bene in ogni caso, ma almeno non avrebbe fatto la figura del bastardo.
Contro ogni sua aspettativa, quei tre, dopo aver scagliato a entrambi un’occhiata carica d’odio, se ne andarono, facendo tirare un respiro di sollievo ai due ragazzi.
-Ehm, piacere, io sono Michael- Frank sollevò lo sguardo, incontrando quello nascosto da due spesse lenti di vetro dell’altro -Ma tutti mi chiamano Mikey-
Rispose in modo forzato al sorrisetto che gli aveva rivolto, riscuotendosi dallo stato di shock in cui ancora si trovava e stringendo la mano che questi gli aveva porto: -Sì, piacere… io sono Frank-
-Primo incontro un po’ burrascoso, eh?- entrambi risero, Frank via via sempre meno convinto ora che l’adrenalina del momento stava sparendo. Si chiese perché il suo naso non avesse deciso di far scoppiare una bella emorragia quella volta, ma ne fu contento, nonostante il dolore che gli stava impedendo ogni singolo movimento. E Mikey parve accorgersene, visto che tentò di sorreggerlo, anche se in fondo non ce n’era bisogno.
-Già, ma va bene, ormai ci sono abituato… qui tutti mi trattano come l’ultima ruota del carro, sai com’è- abbozzò una risatina nervosa, tanto per sciogliere la tensione, ma l’altro rimase serio, e forse un po’ dispiaciuto.
Lasciato indietro questo fatto, i due presero a parlare del più e del meno, e, per quella che era forse la prima volta in vita sua, Frank si sentì accettato da qualcuno. Forse anche per lui era arrivato il momento del riscatto.





*Questa frase l'ho bellamente rubata a Temper temper dei Bullet for my valentine (se cliccate sul titolo potete ascoltarla); sono i primi due versi della canzone.

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Capitolo 3
*** ...Confused ***


Mi scuso con quelli che seguivano questa raccolta -sempre che ce ne fossero, ovviamente-, è da qualcosa come... tre mesi che non mi faccio sentire. Ho passato un po' un periodaccio sotto ogni aspetto e mi era passata la voglia di scrivere. Giusto giusto ora ho finito di scrivere questa os e... beh, perchè non pubblicarla subito? Spero vi piaccia e boh, se avete voglia di lasciarmi una recensione per farmi sapere cosa ne pensate ne sarò molto felice :)
Alla prossima -si spera presto- <3










If you ever felt...

...Confused



Frank adorava le mattine d'inverno. In questa stagione aveva l'abitudine di puntare la sveglia una decina di minuti prima dell'orario in cui si sarebbe dovuto alzare per portare i bambini a scuola, così da potersi crogiolare per quel breve lasso di tempo nel piacevole tepore delle coperte a pensare. A esser sinceri, pensare e riflettere erano azioni che, ne era convinto, aveva iniziato a compiere da poco. Fino a un anno prima chiunque avrebbe istantaneamente associato il suo nome alla personificazione dell'illogicità e della sconsideratezza: era abbastanza certo che nel vocabolario sotto la voce "pericolo" ci fosse stampata una sua foto.
Fatto sta che Frank era cambiato, da qualche mese a quella parte. Si sentiva come se, un bel giorno, si fosse svegliato nel corpo di un altro, in un'altra casa, con una moglie diversa. Anche se sapeva e ricordava di conoscere molto bene chi fosse lui e chi gli stava attorno, ogni cosa gli appariva troppo lontana per essere avvertita alla perfezione. Era come quando ti sforzi per ripescare dalla tua mente un qualcosa di perso, dimenticato, ma che senti di percepire perfettamente. Aveva il ricordo di com'era la sua vita prima sulla punta della lingua. Per quanto si spremesse le meningi, non riusciva a ricordarsi chi fosse lui precedentemente. Chi era Frank Iero? Cosa ne faceva della sua vita? Che cosa aveva costruito fino a quel momento?
Che forse stesse vivendo la vita che gli sarebbe toccata se solo una serie di curiose coincidenze non gliel'avesse stravolta, dodici anni prima? O forse era stato tutto un sogno? Il tutto gli ricordava un film con Nicholas Cage che aveva visto la sera precedente. e non sapeva se riderne o esserne spaventato, perché, al momento, aveva un tornado in testa che gli confondeva le idee.
Avrebbe voluto aprirsi la scatola cranica e anestetizzarsi il cervello per qualche ora, in modo da non fargli vomitare addosso a sé tutta quella marea di domande; o magari punzecchiarlo, così da fargli provare le torture a cui lo sottoponeva ogni fottuto giorno.
In fondo era anche inutile crogiolarsi nei ricordo, nei sensi di colpa, nella staticità che si attraversa quando si attende un momento importante, durante la quale ogni istante è vissuto senza goderselo appieno, giusto per far trascorrere i minuti, le ore, i giorni che separano da quell'avvenimento. Perché non c'era più nulla da aspettare. E il tempo non si sarebbe fermato pazientemente fino a che non avrebbe compreso appieno la cosa.
In quei mesi che erano trascorsi da quando aveva preso la decisione più difficile della sua vita, aveva capito che non poteva restarsene con le mani in mano, a osservare il mondo andare avanti senza di lui. Frank c'era, cazzo, e voleva farsi sentire! Per questo era arrivato alla conclusione che doveva rendere vana quell'attesa. Voleva raggiungere un traguardo, e finalmente porre fine a quella sensazione di statico. Anche se non sapeva in che modo, o forse lo sapeva talmente bene che aveva paura di aver frainteso le sue volontà. Come quando a scuola era certo di conoscere la risposta a una domanda dell'insegnante, ma si ritrovava sempre nel dubbio di aver compreso appieno ciò che questo intendesse.
Si era detto che sbagliando non avrebbe causato niente di irreparabile.
Quella mattina, infine, come molte altre, si era alzato dal letto e si era trascinato in bagno, non molto pronto ma con l'apparente voglia di voltar pagina.

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