Quando una star trova il vero amore

di itsme131
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Rientrai verso le tre di notte. Ero esausta: mi ero dovuta alzare presto per andare sul set del mio ultimo film, a recitare le scene finali, fino alle cinque del pomeriggio… Ero poi dovuta correre in camerino, truccarmi e acconciarmi, per andare ad una sfilata di moda che non mi interessava minimamente, e infine ad una cena a Las Vegas con dei produttori antipatici e noiosi che volevano propormi un nuovo film, ma non avevo ascoltato molto del loro sproloquio. Ero tornata a casa come dalla terza guerra mondiale.
In quel momento volevo solo sfilarmi quello striminzito vestito, struccarmi, liberarmi di quegli odiosi tacchi e addormentarmi nel mio letto.
Ogni tanto mi chiedevo se non fosse il caso di ritirarmi dalla vita hollywoodiana per trascorrere in pace la mia vita. Ci avevo pensato spesso, ma alla fine non l’avevo mai fatto, non ne avevo il coraggio.
Così mi ritrovavo a scrutare mestamente la mia agenda elettronica strapiena di impegni.
Sentendomi rientrare, Antoinette venne ad aprirmi, quella santa donna. Mi aveva aspettato fino a quell’ora, con la sua consueta gentilezza. Antoine era la mia cameriera di fiducia: era, ormai, quasi come una bàlia, per me. “Oh, Jeanine, devi riposarti!” mi disse con la sua voce pacata e gentile di una sessantenne in gamba quale era. Mi sfilò la giacca e la appese. “Vai a dormire…” mi esortò “ad accendere l’allarme ci penso io.”
“Va bene” lasciai che si prendesse cura di me come se avessi avuto cinque anni anziché ventinove, perché ero davvero stanchissima.
Mi misi il pigiama e affondai nel mio materasso soffice lasciando il bagno in disordine, non importava. Ancora una volta, il mio ultimo pensiero prima di addormentarmi fu di riuscire a trovare l’amore della mia vita… Lo so, suona troppo come una cosa da storielle d’amore, ma io amavo le storielle d’amore, e avevo imparato a sperare.
La mattina successiva mi alzai con tutta calma verso le undici: per fortuna quel giorno avevo soltanto una conferenza stampa nel pomeriggio. “Buongiorno, Antoinette!” gridai dalla mia camera, stiracchiandomi e accogliendo Leda, la mia chihuahua, tra le mie braccia. Accarezzando il suo soffice pelo, ripensai al sogno fatto quella notte. Avevo sognato di travestirmi e di uscire nel mondo come una qualunque donna americana che andava a fare commissioni, per vedere com’era la vita al di fuori della bolla dorata in cui vivevo. Decisi… decisi di farlo davvero.
Ero esperta con trucco e travestimenti: passai un’ora intera allo specchio, e dovetti ammettere che ero venuta proprio bene. Avevo usato un fondotinta scuro e denso a coprire la mia pelle chiara, lenti marroni per camuffare i miei occhi azzurri, mi ero pesantemente truccata, e come tocco finale, avevo indossato una parrucca di tante treccine castane, ricacciata chissà dove. Sembravo una vera afroamericana. Infilai una tuta leggera e delle infradito: non sapevo con precisione come la gente comune usasse vestirsi, ma così andavo sul sicuro.
Non vedendo l’ora di andare ad “esplorare”, uscii di casa di soppiatto; non volevo che Antoinette mi vedesse conciata così. Portai con me qualche banconota, decisi di fingere di andare a fare la spesa.
Come uscii da Hollywood e mi addentrai nel centro di Los Angeles, rimasi lì per lì un po’ disorientata: tutti quei colori, quelle folle, quei turisti, il traffico… Però mi piaceva. Sorrisi allo splendente sole di giugno e imboccai un viale che sperai portasse ad un supermercato. Invece mi trovai davanti ad un bel ristorantino italiano: affamata, entrai, e per abitudine, già mi preparai sul piede di guerra ad affrontare i mille paparazzi che mi pedinavano nei locali: poi ricordai di essere irriconoscibile e mi rilassai, prendendo posto ad un tavolo per due. Quel posto vuoto davanti a me mi faceva così tristezza.
Mangiai in silenzio la mia pizza, guardandomi attorno felice del caos quotidiano del ristorante in cui mi ero immersa, e mi sentii una qualunque donna che si era concessa un buon pranzo. Al diavolo le preoccupazioni, le conferenze, le riprese, le sfilate e tutto quanto!
Ero così assorta nel guardare gli altri, che non mi accorsi che qualcuno mi stava picchiettando la spalla: “Ehm… Mi scusi…”
Mi girai di scatto, e mi ritrovai davanti un uomo all’incirca della mia età: di bell’aspetto, con gli occhi verdi, i capelli scuri e una barba leggera. Aveva un’espressione spiacente.
“Io avrei prenotato questo tavolo…” continuò, e non sembrava molto felice di sfrattarmi.
Mi alzai velocemente, mandando anche all’aria la sedia e suscitando una sua risata.
“Io… mi scusi, l’ho trovato vuoto e ho pensato che non fosse prenotato. Me ne vado subito” arrossii.
“Non si preoccupi… Sono venuto qui da solo, può restare, le dà fastidio se mangiamo insieme?” mi chiese, prendendo posto davanti a me.
“N-no…” balbettai.
E chi l’avrebbe detto mai che mi sarei ritrovata a pranzare con uno sconosciuto, travestita da afroamericana?
“Ah, perfetto” continuò lui, non accorgendosi del mio imbarazzo o – molto più probabile – fingendo di non essersene accorto.
“Posso darti del tu?” mi chiese facendo scorrere lo sguardo sulle pietanze del menù.
“C-certo.”
“Come ti chiami?” mi domandò, mentre con un cenno chiamava la cameriera. Io andai nel pallone. Non avevo pensato a crearmi una seconda identità…
Approfittai della cameriera che ci interruppe per chiedere cosa volesse ordinare, e pensai in fretta. La mia mente ricordò il nome africano che mi piaceva tanto quand’ero bambina…
“Aisha” dissi con incertezza “mi chiamo… Aisha.”
“Che bel nome!” si complimentò l’uomo “io sono George.”
Mi tese la mano, io la afferrai insicura, e la strinsi forte.  “Piacere” dissi.
“Piacere mio.”
Ci fu un silenzio imbarazzante per qualche minuto.
“Ti piace il cibo italiano?” mi chiese, tentando di rompere il ghiaccio.
“Sì…” mi ripresi dai miei pensieri assorti “a te?”
“Questo ristorante è il mio preferito” disse con gesto teatrale, abbracciando con un movimento della mano il locale circostante.
I suoi modi cortesi e solari mi portarono a confidarmi: iniziammo a chiacchierare infervoratamente dei nostri interessi, del mondo, e di tante altre cose. Dovetti mentirgli a malincuore quando mi chiese di raccontargli qualcosa della mia vita.
Mi sentivo realizzata ogni volta che mi sorrideva, scoprendo i denti bianchissimi. Mi chiesi cosa mi stesse succedendo, ma non ebbi occhi che per lui per tutto il pranzo.
Lo sguardo mi cadde sull’orologio: le tre. Dovevo tornare a casa, la conferenza stampa era alle quattro e mezza…
Mi alzai con la morte nel cuore. “Ora devo proprio andare…” mormorai titubante.
“Aspetta, mi faccio portare il conto.” Era una mia impressione, o stava cercando di temporeggiare per passare più tempo con me?
“Okay” dissi risedendomi, felice di aver ancora un minuto da spendere in sua compagnia.
“Sei una donna simpatica” si complimentò spigliatamente con me.
“Bè, grazie… anche tu sei davvero simpatico.”
“Potremmo rivederci?” mi chiese.
“Sì!” mi vergognai del troppo entusiasmo che misi nel rispondergli. Cosa stava accadendo?
“Va bene…” lui rise sotto i baffi “a quando?”
“Non so…” esitai, perché non avevo l’agenda con me… ma al diavolo tutto. “Domani” gli dissi con decisione.
“Potremmo andare al cinema” propose sorridendomi.
“Okay. Il film però lo scelgo io” scherzai.
“Ai suoi ordini! Allora ci vediamo al cinema qui dietro, domani alle quattro.”
Ci salutammo con una stretta di mano, e io m’incamminai verso casa, piena di pensieri.
Non avevo mai creduto nei colpi di fulmine.
Ora però cominciavo a crederci…

NOTE DELL’AUTORE
Ciao a tutti! Io sono Marta, sono iscritta da poco su EFP e questo è la mia prima storia. Mi piacerebbe pubblicarne altri capitoli e scrivere altri racconti, ma ho bisogno di molto incoraggiamento! Quindi, se la storia vi è piaciuta e volete sapere come continua, per favore, lasciate un commento o una recensione… Altrimenti per me non ha senso continuarla!
Ve lo chiedo con il cuore. Mi fareste un regalo immenso!
Marta

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Pensai a lui tutto il giorno, ai suoi occhi verdi e al suo volto gentile. Arrivai in ritardo alla conferenza stampa perché, immersa tra le nuvole, avevo impiegato secoli a prepararmi… Risposi anche molto distrattamente alle domande che mi fecero, forse dissi qualcosina di troppo. Chissà quali sciocchezze i paparazzi si sarebbero inventati sui giornali del giorno seguente… “Jeanine Buckingham ubriaca!” o magari “Cosa succede ad Hollywood? La Buckingham ci nasconde qualcosa”; oltretutto mi era già capitato. Ero abituata alle frecciatine malvagie dei giornalisti.
Non ero abituata, invece, a ciò che mi stava accadendo. Ero sempre stata una ragazza accorta e precisa, seppure molto romantica…
Mi addormentai a tarda sera col pensiero di George, e mi ci svegliai anche. Antoinette doveva essersi accorta che qualcosa era successo, ieri, infatti mi chiese a colazione: “Jeanine, cara… com’è andata la conferenza, ieri?”, e intanto spolverava la cucina per far finta di non essere interessata.
“Quale conferenza?” le domandai inclinando la testa. Non vedevo l’ora di andare al cinema quel pomeriggio per incontrarmi con George, e non avevo altri pensieri.
“Ma come, Jeanine!” Antoinette sembrò sorpresa.
Inghiottii a fatica il mio boccone di croissant alla marmellata di pesche, e sussultai, ricordandomi improvvisamente. “Ah. Quella conferenza!...” annuii troppo vigorosamente “è andata bene. Nulla di che. Solite domande…”
Sperai nel profondo che non indagasse oltre.
“Jeanine, ti conosco. Cos’è successo?” sussurrò avvicinandomisi, in tono confidenziale.
“Ma nulla, sono soltanto stanca” farfugliai evasiva, alzandomi da tavola di botto e facendo rumorosamente strisciare la sedia sul pavimento.
Corsi nel mio studio, chiusi la porta a chiave e sospirai accasciandomi sulla poltrona girevole. Ciò che mi stava succedendo era… strano. Troppo.
Tentai di darmi un contegno. Non potevo essere così svampita! NON POTEVO innamorarmi così di getto!
Di un uomo che magari si era già scordato dell’appuntamento che ci eravamo dati per quel giorno. Magari per lui quell’incontro casuale al ristorante italiano non aveva significato nulla… Magari ero solo io che ci ricamavo sopra.
E poi, lui non sapeva neanche chi ero realmente. Lui aveva conosciuto Aisha, non Jeanine…
Questo pensiero così ovvio si fece spazio dentro di me come una secchiata di acqua gelida. Lui non sapeva chi ero… E io, che già correvo a pensare a futuri appuntamenti!
Ero solo un’infantile, che giocava a travestirsi e a fingersi un’altra per provare il brivido della scoperta. Non potevo permettere che il nostro “rapporto” proseguisse oltre. Dovevo troncare questo stupido gioco.
Dovevo impedirmi di innamorarmi di lui.
Presi la mia agenda e lo sguardo mi cadde sul giorno di oggi. C’era scritto: “Assistere alla sfilata di moda Vogue, ore 15:30. Evento importante.”
Oh. Mio. Dio.
Realizzai in che guaio mi ero cacciata.
Alle quattro avevo il cinema con George, e a quell’ora la sfilata sarebbe stata tutt’altro che finita! Due eventi in contemporanea… Questo sì che era un bel casino. Non potevo essere ad entrambi nello stesso momento. Stando ai fatti, la sfilata era molto più importante.
Stando alle mie emozioni, volevo scordarmi di tutto e correre da George. Sì, certo, avevo deciso che avrei dovuto darci un taglio con questo travestimento… Ma dargli buca non era proprio il caso! Lui era stato così gentile con me.
Presi a singhiozzare in preda al panico, come facevo sempre come quando non sapevo cosa scegliere.
Ma quella volta non potevo scegliere. Dovevo andare ad entrambi.
E come? Mi pentii di non aver finanziato l’esperimento sulla clonazione umana. Una seconda “Jeanine” mi avrebbe proprio fatto comodo.
Sospirai, tentando di pensare razionalmente. La sfilata di moda sarebbe stata al buio, escludendo il banchetto iniziale e quello finale. Perfetto: sarebbe bastato presentarmi, poi andarmene da George, e infine tornare alla sfilata verso la fine, per l’aperitivo di chiusura. Sperai che nessuno si sarebbe insospettito…
Ma come fare per il travestimento? Non potevo agghindarmi per la sfilata e poi cambiarmi e mettermi chili di fondotinta scuro per sembrare Aisha, e poi struccarmi di nuovo. Ma dovevo provarci, non volevo rinunciare. Era assolutamente folle.
E io amavo la follia.
Mi feci una bella doccia tonificante e, ancora avvolta dal vapore della doccia, uscii dal bagno coperta solamente con un telo bianco. Entrai nella grande stanza armadio e mi sedetti pazientemente sulla poltrona, con i capelli che gocciolavano, ad attendere l’arrivo della mia stilista e della mia make-up artist.
La mia stilista, Anastasia, era una donna che non sopportavo: frivola, con un sorriso da paralisi facciale… aveva davvero buon gusto, ma l’avrei volentieri licenziata.
La mia make-up artist, Melvy, era scontrosa e taciturna, ma riuscivo a tollerarla.
La porta si aprì di scatto, e le due fecero irruzione nella stanza come un uragano. Erano entrambe vestite con una tuta nera con scritto “staff Jeanine”. Odiavo quella scritta.
“OOOOOH, CIELO, CARA!” gracchiò Anastasia avvicinandomisi “non vorrai prendere freddo, così tutta bagnata! Sbrighiamoci!”
Mi fecero alzare e, senza alcun pudore, mi spogliarono dell’unico asciugamano che mi copriva. Una ventata d’aria fredda fece rabbrividire il mio corpo nudo. Ero a disagio, eppure avrei dovuto essermi abituata, erano anni che continuavano a fare così. Mi esaminarono a lungo girandomi attorno e facendomi vergognare, nonostante tutti dicessero che avevo delle bellissime curve… Mentre le sentivo commentare tra di loro, esitai un secondo alzando lo sguardo sulla parete a specchio; ero timida e per nulla vanitosa, e non mi prestavo attenzione più di tanto. Mi osservai nel riflesso: i capelli biondo chiarissimo che mi arrivavano fino al fondo della schiena avevano già cominciato ad asciugarsi, e i miei occhi azzurri, solitamente spenti, avevano un tono vivace. Forse merito di George? Non avrei saputo dirlo.
“Ho portato degli abiti nuovi” mi disse la mia stilista “e credo di aver capito quale sarà perfetto per questa serata.”
Tirò fuori da un ampio borsone svariati vestiti, e quando prese in mano quello giusto cinguettò un: “Oh, ti starà d’incanto!”, ma non riuscii a vederlo bene, perché lo teneva appallottolato tra le braccia. Me lo infilò e, tirando su la zip, mi ordinò: “Guardati allo specchio, sei meravigliosa!”
Piuttosto titubante alzai lo sguardo. L’abito, senza spalline, era blu notte e faceva contrasto con la mia pelle pallida; aveva un ampio scollo a cuore e l’orlo di tulle nero. Era bellissimo… ecco perché non avevo ancora licenziato Anastasia!
“Davvero bello. Grazie” farfugliai.
“Non perdiamo tempo” mi spronò Melvy, aprendo la bocca per la prima volta da quando era entrata, e con una leggera spinta mi fece sedere. La vidi armeggiare nell’armadietto del make-up fino a quando non esclamò un “Ok, ho il trucco perfetto!”
Mi ordinò di chiudere le palpebre e non potei aprire gli occhi finché non finì di truccarmi completamente. Mi porse uno specchietto. Il rossetto rosso fuoco evidenziava le mie labbra carnose, e il lungo tratto di eyeliner nerissimo mi addolciva gli occhi rotondi… Ancora una volta mi stupii di che miracoli erano capaci di fare quelle due.
“Siete davvero bravissime” le riverii.
“Ma cosa dici!” trillò Anastasia con voce acutissima “sei bellissima di natura!”
Me lo dicevano tutti, ma io ancora non ci credevo né ci avrei mai creduto.
Ero l’opposto di ciò che ci si aspetta che pensi una star hollywoodiana.
Infilai dei sandali dai tacchi vertiginosi e, afferrando frettolosamente la mia pochette argentata, salii in limousine e mi abbandonai sul sedile.
Nessuno si era accorto che, nel portabagagli, avevo infilato un grande borsone nero con del fondotinta scuro, una tuta, delle infradito e una parrucca con le treccine.

NOTE DELL'AUTORE
Ciao a tutte! Vi è piaciuto questo secondo capitolo? Spero di sì! Mi scuso per averlo pubblicato così tardi, ma ho avuto molti impegni durante la Settimana di Pasqua, spero mi perdonerete!
Come al solito, vi chiedo di farmi un regalino: lasciare una recensione... Ho bisogno d'incoraggiamento! Se c'è qualcosa che non vi è piaciuto, ditemelo: tenterò di correggermi con i vostri consigli! Un bacio, e Buona Pasqua in ritardo.
Marta :)
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Arrivai alle tre e mezza precise davanti al lussuoso palazzo in stile liberty dove si sarebbe tenuta la sfilata. Il tappeto rosso steso per l’occasione era ormai lurido, ricoperto di impronte, segno che tutti erano già entrati. Questi maniaci della moda!
Mi affrettai traballando sui miei tacchi ed entrai anch’io: mi ritrovai in un grande salone di marmo, dove c’erano ampi specchi e luminosi lampadari di cristallo, che sembrava uscito dal castello di Cenerentola. Al centro della sala, notai una passerella: di lì a poco vi avrebbero sfilato le modelle.
Mi guardai attorno, un po’ spaesata da tutto quel lusso, e riconobbi tutti i VIP più in voga del momento: il banchetto, nonostante io fossi in orario, era già cominciato, e nella stanza era tutto un tintinnare di calici di vetro traboccanti di champagne.
“Oh, Jeanine!” sentii una voce stridula alle mie spalle. Mi voltai e vidi Carola Might avvicinarmisi… Già, Carola Might, mia acerrima nemica, se si può dire così. Sfondammo nel mondo dello spettacolo grazie allo stesso film, dove interpretavamo due rivali. Chissà, forse i ruoli avevano preso il sopravvento sulle nostre vite e l’odio che recitavamo si era insinuato nella realtà… Ora, tra noi c’era una gara silenziosa a chi faceva più film, a chi recitava meglio, a chi si faceva scattare più foto. O meglio, per lei era guerra aperta. Io tentavo di lasciarla perdere, non m’interessavano queste stupide competizioni hollywoodiane. Ma Carola era una persecuzione.
“Ciao, Carola” mugugnai contrariata.
Lei sollevò un sopracciglio perfetto, in tono di sfida. “Come procede con i tuoi film?” mi domandò, velenosa.
Fui felice di risponderle: “Meravigliosamente! Sto girando tre film e ho ricevuto altre undici proposte!”
Non mi piaceva vantarmi, tutto il contrario, ma Carola mi faceva saltare i nervi, quanto la odiavo!
Godetti nel vederla stringere il suo bicchiere così forte che le nocche le diventarono bianche. “Sono felice per te” sibilò a denti stretti. Ma la sua invidia durò solo un attimo, perché si riprese e disse: “A me hanno chiesto di posare per un set fotografico!” e si gettò i boccoli scuri all’indietro, con fare aristocratico.
“Brava, vuoi un applauso?” la canzonai.
Lei strinse gli occhi neri a due fessure, e il suo viso si contrasse in un’espressione di rabbia. Ma come aprì la bocca per lanciarmi una frecciatina velenosa, io mi girai e andai verso il tavolo del buffet: non avevo voglia di ascoltarla. Ero stanca, stanca di lei.
Il sipario che copriva le modelle in preparazione si aprì di qualche centimetro per lasciar passare un uomo basso e sottile, vestito in maniera sgargiante e con dei baffi neri: lo stilista. Batté le mani più volte per richiamare l’attenzione generale, e si sistemò al centro della passerella affinché tutti potessero vederlo.
“Sono felice che siate venuti…” esordì. Aveva la voce acuta. “…E vi do il benvenuto alla mia sfilata!”
Tutti applaudirono, io no. Il mio sguardo era concentrato sull’orologio appeso in un angolo. Le quattro meno un quarto… Il tempo stringeva!
Il buffo ometto parlò ancora per un po’, poi si andò a sedere, e le luci si spensero. Aspettai che tutti si fossero seduti e che la prima modella cominciasse a sfilare sulla passerella, sotto le luci accecanti dei riflettori. Senza neanche vedere cosa indossasse, cominciai ad allontanarmi dal pubblico, di soppiatto, camminando all’indietro. Quando fui sicura che nessuno mi stesse prestando attenzione, corsi all’armadietto vuoto che avevo trovato in un angolo e nel quale avevo nascosto il mio borsone. Tirai un lungo sospiro di sollievo quando ce lo ritrovai: lo afferrai con decisione e mi infilai nel bagno per cambiarmi. Mi assicurai di aver chiuso la porta a chiave e mi svestii in fretta, gettando il mio vestito da mille dollari a terra, senza badarci. George era la mia priorità.
Mi struccai velocemente, con disattenzione, e molto del detergente mi finì negli occhi, offuscandomi la vista. Il fondotinta scuro fu difficile da stendere e misi la tuta al contrario; quando me la fui sistemata nel verso giusto, mi accorsi che mi mancava una delle infradito, e la ritrovai fuori dalla porta abbandonata a sé stessa. Insomma, travestirsi così di furia fu un’impresa, ma quando conclusi il tutto infilandomi la parrucca, ancora una volta ammisi che era proprio un bel travestimento. Sorrisi al riflesso dello specchio e legai le treccine finte in una morbida coda; infilai l’abito e i sandali della sfilata nel borsone nero, e, in punta di piedi – nonostante le mie Havaianas ciabattassero rumorosamente – riuscii ad uscire dal bagno e dal palazzo senza che nessuno mi notasse.
Infilai gli occhiali da sole per coprirmi dai raggi splendenti che mi ferivano gli occhi, e stesi la cartina della città davanti a me, alla ricerca del cinema dell’appuntamento.
George, sto arrivando.

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