Ginger

di Okanslig
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno. ***
Capitolo 2: *** Capitolo due. ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno. ***


«E a voi signori, cosa vi porto?»
«Due caffè in tazza grande.»
«Subito» risposi loro, sfoderando il solito sorriso finto da cameriera.
Tornai al bancone e mi misi subito a preparare le macchinette per i caffè. In quel momento aprì la porta un ragazzo, che con sguardo indifferente si avvicinò al bancone, prendendo posto su uno degli alti sgabelli.
«Ehi - mi fece - me lo fai un caffè forte?»
Annuii di sfuggita, mentre mi chinavo per raccogliere dalla dispensa posta sotto il bancone il barattolo giusto. A tempo di record ricaricai di polvere la vecchia macchinetta, ammirandola soddisfatta. Beep. I due caffè erano pronti, li versai nelle tazze che appoggiai delicatamente sul solito vassoio rosso della coca-cola e mi affrettai a servire i due signori.
«Ecco la mancia, Gin.»
Mi misi i pochi spiccioli in tasca e versai il caffè al ragazzo. I miei occhi si concentrarono sui suoi lineamenti. Era veramente bello. Come se mi avesse letto nel pensiero, si girò a guardarmi divertito ed io imbarazzata distolsi lo sguardo arrossendo e facendo finta di tornare a lavorare.
«Ehi - disse a un tratto - ho visto l’insegna dell’hotel, c’è un posto libero per stasera?»
«Credo di sì, comunque senti Mike, il titolare. Lo trovi nell’ultima porta in fondo al corridoio» dissi indicando dove col braccio.
«Grazie bella» mi rispose strizzandomi l’occhiolino.
Arrossii di nuovo. Decisi di riconcentrarmi sul lavoro e mi affrettai a completare le ordinazioni appena prese. Il caldo d’inizio estate cominciava a farsi sentire e anche la bandana che portavo a fascia cominciava a imperlarsi di sudore. Erano le 11.40. Sì, cominciava davvero a fare caldo in Texas. Le lancette dell’orologio scandivano beate il trascorrere dei minuti, lasciando passare anche quel giovedì mattina di lavoro.
«Mike, è mezzogiorno, io stacco» gli urlai dal bancone per avvisarlo.
«Aspetta Gin, devo parlarti.»
Raccolsi le mie cose, afferrai la tracolla mettendomela in spalla e mi avviai verso lo studio di Mike.
«Dimmi, che c’è?»
«Senti Gin.. Non so come dirtelo ma, d’ora in poi, si occuperà Terry della caffetteria.»
«Co..come?»
«Sì Gin, sei fuori.»
«No Mike aspetta.. Hai intenzione di lasciarmi a piedi? Cazzo, hai intenzione sul serio di lasciarmi a piedi?»
«A Terry serve un lavoro, ma qui non ce ne sono molti da sbrigare.»
«No no no, cazzo Mike no! Mi servono quei soldi non puoi buttarmi fuori così, Mike!»
«Concludi la settimana e poi basta. Mi dispiace Gin, eri brava.»
«Vaffanculo Mike, ci vediamo domani.»
Gli voltai le spalle, e uscii dall’ufficio sbattendo la porta. Cazzo, non poteva lasciarmi così. Ma io non potevo fare nulla per fermarlo, così allungai il passo fino a ritrovarmi fuori nell’area parcheggio del bar. Avevo fame e mio padre era fuori per lavoro in quei giorni, così non dovevo preoccuparmi per il pranzo. Feci dietrofrònt. Rientrai dentro il bar e raggiunsi saltellando il bancone sotto gli occhi dei soliti clienti che avevano assistito alla scena di prima, e sorridendo strafottente, mi chinai sulla teca per afferrare un gigantesco croissant al cioccolato. Okay, ora sapevo cosa mangiare.
Una volta fuori addentai con forza il pasto, mentre con l’altra mano cercavo il cellulare nella borsa. Composi il numero e lasciai squillare.
«Ehi tesoro, che stai facendo?» Le uniche parole che riuscii a sbiascicare fra le briciole e il cioccolato.
«Stavo mangiando Gin, che combini?»
«Combino che sono nei cazzi, posso venire da te?»
«Certo almeno mi racconti tutto okay?»
«Sì - feci - tanto sono a piedi, a dopo.»
Buttai giù e mi avviai lungo la strada che conduceva a casa della mia migliore amica.
 

 
Arrivai dopo un’ora. Sì, diciamo che me l’ero presa comoda, molto comoda. Bussai alla porta e subito mi venne ad aprire lei.
«Ciao Jane.»
«Vieni Gin, entra. Saliamo su in camera mia.»
La seguii a ruota su per le scale di legno che ogni tanto scricchiolavano al nostro passaggio.
«Allora, che è successo?»
«Mike m’ha lasciata a secco.»
Mi guardò con aria interrogativa.
«Sì dai, mi ha licenziata.»
Cavolo, quelle parole, pronunciate dalla mia bocca, facevano più male del previsto.
«Oddio Ginger, mi dispiace. Come mai? Eppure andavi bene no?»
«Sì mi ha fatto anche i complimenti, ma a quella testa di cazzo del suo figliolo serviva un lavoro. Come se suo padre non guadagnasse già abbastanza e a me non ne servisse uno, cazzo.»
«Mi dispiace Gin, vieni qua abbracciami.»
«È la stessa cosa che ha detto lui.»
«Cosa!?» Urlò sgranando gli occhi e facendomi scoppiare a ridere.
«Non di abbracciarmi idiota! Dicevo del fatto che gli dispiaceva.»
«Ammazza che testa di cazzo.»
Rimanemmo abbracciate a lungo, in uno di quegli abbracci dai quali non ti vorresti risvegliare mai perché lì va tutto alla grande, come in un sogno. Avevo perso il lavoro, che, anche se non era un granché, era importante. Comunque ormai era andata, ora dovevo solo trovare una soluzione. In quel momento squillò il telefono. Mio padre.
«E ora che cazzo gli dico?»
«La verità Gin..»
Tirai un respiro profondo e click.
«Ciao pà.»
«Ciao tesoro, che fai?»
«Sono a casa di Jane. Senti pà devo dirti una cosa.»
«È successo qualcosa? Dimmi tutto.»
«Beh ecco. Mike m’ha lasciata a piedi.»
«Cosa?! Ti ha licenziata?! Quel maledettissimo figlio di puttana.»
«Ehi pà…»
«Sì, scusa, dimmi.»
«E ora che facciamo?»

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Capitolo 2
*** Capitolo due. ***


Ginger, capitolo due.
Okay, le cose non stavano affatto andando alla grande, anzi, per niente. Ero a secco, già.
Il giorno dopo andai a lavoro come se niente fosse, ma dietro al banco c’era Terry, con un bel grembiulino addosso e quel sorriso da idiota che aveva.
«Ciao Gin, come va? Mi spiace che tu debba rimanere a casa, ma sai come vanno gli affari no?»
Non ci vidi più. Mi avvicinai a lui e lo afferrai per il bavero della maglietta.
«Ehi testa di cazzo, ascoltami bene: mi avete licenziata d’accordo, ma non t’azzardare a sfottere. Ho ancora due giorni qui, e per due giorni non ti voglio vedere intorno al mio bancone, altrimenti vedi cosa succede.»
«Ehi ehi ehi, non ti scaldare baby..»
«Forse non ci siamo capiti - ringhiai avvicinando il mio viso al suo e percependo in nervosismo che cominciava a scorregli nelle vene - ripeti solo una parola su di me, e tu ti ritrovi con quel tuo fottutissimo muso a leccare la terra per il resto dei tuoi giorni. Sono stata chiara?»
«Sì..sì..» riuscì a malapena a balbettare.
«E ora vattene di qui, subito.»
Senza fiatare Terry si tolse veloce il grembiule, afferrò la giacca e si precipitò fuori dal locale. Ero troppo incazzata per farmi mettere i piedi in testa da uno come lui. Poi come se nulla fosse successo presi il blocchetto delle ordinazioni dal cassetto e con un bel sorriso trentaduedenti andai verso una coppietta che era rimasta un po’ in disparte a osservare a bocca aperta la scena.
«Ciao ragazzi, cosa vi porto?» chiesi.
«Emh..beh noi..»
«Scusate non accade mai, è solo un periodo un po’ così.»
Il sorriso mi si stava spegnendo sul volto, mentre gli occhi fuggivano a guardare lontano.
«Ma tranquilli, cosa vi porto?» continuai allegra, facendo finta di niente.
Presi le ordinazioni e servii tutti i clienti com’era accaduto tutti i giorni, eccetto la domenica, in quei tre anni precedenti.
Per tutta la mattina Mike era stato appoggiato alla porta del suo studio, osservandomi senza dire nulla, senza emettere un solo rumore, tanto che non me n’ero neanche accorta, sebbene fosse molto visibile dal punto in cui mi trovavo io. Aveva assistito alla scenata di prima. E ridacchiava sotto i baffi di brutto.
«Ehi Gin, vieni qua.»
Mi voltai a guardarlo, la mano appoggiata a pugno sui fianchi e l’espressione del volto che suggeriva qualcosa tipo: io ho da fare, se ci tieni tanto a parlarmi vieni qua tu.
E così fece. Si avvicinò lentamente scrutandomi bene e appoggiandosi al lato del bancone ordinò un cocktail.
«Beviamo già di prima mattina?»
Lo sfottei ironica; era un brava persona, ma beveva come una spugna.
«Sei simpatica Gin. E hai carattere. Davvero.»
«Meno male, allora. Vuol dire che saprò come cavarmela nella vita.»
«Già..serve, sai? Aver carattere dico, e anche tanta fortuna.»
«Ah no. Solo la prima. Io di fortuna non ne ho per niente.»
«Sei bella. È già una fortuna, no?»
«Ehi, vacci piano con i complimenti, vecchio.»
Sorrise. Dolce ma arrabbiato al tempo stesso. Mi conosceva da sempre e si era affezionato a me, tuttavia si comportava come uno stronzo, come aveva fatto la mattina precedente.
Continuava a fissarmi e questo m’irritava.
«Allora Mike, cosa vuoi ancora?»
«Niente, solo farti i complimenti.»
«E allora credo che tu abbia ancora del lavoro da svolgere di là.»
Accennai con un movimento del capo la porta aperta dell’ufficio. Fece spallucce, ma decise comunque di muovere il culo e andarsene. Saggia decisione. In quel momento squillò il mio cellulare.
«Ciao papà.»
«Ehi Gin, sei a lavoro? Passami Mike, voglio parlargli.»
«Pà non credo sia una buona idea, ma come vuoi. Ehi Mike vieni qui, c’è mio padre al telefono. Vuole parlare con te.»
«Con me?»
«Vedi altre persone di nome Mike in giro?»
«Gli hai detto del lavoro?»
«E cosa avrei dovuto fare, spiegami. Ah e se credi di scaricare la colpa su di me ti sbagli di grosso.»
Alzò gli occhi al cielo e portò il telefono all’orecchio.
«Cia..» fece, ma fu bloccato dalla voce che usciva dall’apparecchio.
«Che cazzo hai fatto Mike?! Ti conviene darmi subito delle spiegazioni altrimenti..»
«Altrimenti cosa?» lo aggredì a sua volta Mike, appena si riprese dallo shock.
«Mike senti, sto guidando da quattro giorni e sono stanco. Sai come siamo messi, quindi perché l’hai fatto?»
Le parole uscivano rabbiose, incespicando fra i denti serrati.
«Anche mio figlio ha bisogno di un lavoro..»
«Sì ma non siete nella merda come noi, cazzo.»
«Passamelo» urlai.
«Co..cosa?»
«Ti ho detto passamelo.»
Mike mi allungo il vecchio telefono mezzo scassato.
«Ehi pà. Sapevo che non era una buona idea, comunque.»
Mi allontanai da Mike. Mi dava fastidio il fatto che sapesse della nostra disastrata situazione economica.
«Papà. Non importa - gli sussurrai a denti stretti. - Troveremo una soluzione, ma non pretendere nulla da lui.»
«Gin, è una questione da grandi tesoro, c’erano dei patti e lui non li sta mantenendo.»
«Non me ne frega un cazzo dei patti, pà, e da quel che ho capito neanche a lui. E non mi trattare come una bambina, credo di essere grande abbastanza ormai. Ci vediamo oggi, ciao.»
«No Gin, aspet..»
Chiusi la comunicazione. Mi voltai e tornai al bancone.
«Qualche problema Gin?» Si azzardò a chiedere Mike.
«Sì, ma abbiamo già risolto non ti preoccupare.»
«Non mi pare che..»
«Ehi sei sordo? Abbiamo già risolto. E poi non venire a crearci problemi e poi a preoccuparti per noi. Sei patetico Mike.»
Mi tolsi il grembiule e uscii dal locale a fumarmi una sigaretta. Ne avevo bisogno, sì. Dio se ne avevo bisogno. Avevo i nervi a fior di pelle.
«Ciao.»
Alzai la testa proprio mentre stavo bofonchiando un “cià” di risposta. Era il ragazzo del giorno prima.
Mi sforzai di fargli un sorriso, ma non ci riuscii. Era più forte di me.
«Posso fare un tiro?» mi chiese.
Mi colse alla sprovvista, tanto che ci impiegai un paio di secondi per focalizzare la domanda. Poi scoppiai a ridere.
«Ti..tieni» e gli porsi la sigaretta con una mano tremolante, scossa dai singhiozzi. Avevo i lacrimoni senza capire neanche bene il perché.
«Ehi sta’ attenta, così mi bruci!» Lo sentii urlare.
«Sì sì scusami, ecco tieni.»
«Andiamo dentro che ho fame.»
Gli annuii allegramente. Quel ragazzo mi aveva appena rimesso il buon umore. E sì, era veramente carino.

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