La Statica

di Nadie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vuoto Perfetto ***
Capitolo 2: *** Farfalle ***
Capitolo 3: *** Il Difetto ***
Capitolo 4: *** Finito ***
Capitolo 5: *** Je ne t'aime plus tous les jours ***
Capitolo 6: *** Il buio ***
Capitolo 7: *** Amsterdam ***



Capitolo 1
*** Vuoto Perfetto ***


La Statica

Vuoto Perfetto


Dublino non gli piace per niente.
È in questo dannato posto da neanche un giorno e già vuole andarsene.
Andare dove, però?
A Londra?
Tornare già indietro?
Rimettere piede in quel bordello di problemi infinito?
No, lui resta a Dublino e Londra resta a Londra.
Deve andare così.
Scende nel sottosuolo, la metropolitana è vuota, la sua testa è vuota, lui è un vuoto.
Un vuoto che cammina in una metropolitana vuota.
Sorride tra sé, pensa che è bello essere un vuoto, essere un vuoto impermeabile, pensa che la merda che gli sta attorno non potrà mai scalfirlo, che il male sospeso nell’aria non potrà mai riempirlo, pensa che resterà per sempre un vuoto perfetto.
Un vuoto perfetto.
Un vuoto perfetto dentro una metropolitana vuota perfetta.
Linea verde. Linea verde. Fino al capolinea. Linea verde.
È quello che gli ha detto il suo amico irlandese Frankie, o almeno è quello che lui ha inteso, perché Frankie ha la strana abitudine di mangiarsi le sillabe, e le parole, dette da lui, si capiscono a malapena.
Linea verde. Linea verde. Fino al capolinea. Linea verde.
Dublino non gli piace per niente.
Mentre scende gli scalini della metro prova a sentirsi come Bono Vox, in fondo Bono Vox è di Dublino, giusto?
Bono Vox ora non è più di Dublino, è del mondo.
Lui è partito da Dublino ed è arrivato al mondo.
Come diavolo ha fatto?
Non sembra mica così furbo.
Sente il vento della metro che lo tocca e pensa che, chissà, forse lo stesso vento ha toccato anche Bono Vox, una volta.
Ma 'fanculo.
A lui Bono Vox non piace nemmeno, troppo delicato, lui e le sue canzoni.
No, non gli piace per niente.
Vede le rotaie silenziose e trema.
Fa dannatamente freddo.
Si avvicina ad una mappa appesa ad un muro, che segna tutte le fermate della metro.
Segue con l’indice la linea verde ma non ci capisce un tubo.
«È guasta.» dice un voce femminile e lui si volta repentinamente.
C’è una ragazza seduta a gambe incrociate su una panchina, che tiene un libro tra le mani.
Non si era accorto di lei.
Ma come ha fatto a non accorgersene?
Ora che ci pensa, la sua presenza silenziosa è assurdamente tangibile, riesce a sentirla.
La ragazza accenna un sorriso.
Ha i capelli castani sciolti sulle spalle, il naso piccolo e le labbra più belle che lui abbia mai visto, carnose e purpuree.
Ma gli occhi, gli occhi che si ritrova sul viso sono un qualcosa di pazzesco, così verdi e così profondi.
Lui, il vuoto perfetto, sente che quei due occhi verdi lo stanno riempiendo irrimediabilmente.
Ma come ha fatto a non accorgersi di lei?
Di lei, chiunque sia?
Chiudi i tuoi dannati occhi verdi, ragazza con gli occhi verdi, perché i tuoi dannati occhi verdi stanno riempiendo, con il loro essere profondamente verdi, me che sono un vuoto perfetto.
«Come?» le chiede, perché quegli occhi verdi lo hanno reso cieco, sordo e anche idiota, idiota più di quanto già non sia.
«È guasta, la metro intendo. La linea verde si ferma a Sandyword, da Central Park a Cherrywood non funziona, c’è stato un guasto.» un guasto?
Dublino non gli piace per niente.
Non gli piace Bono Vox di Dublino.
Non gli piace la metro di Dublino.
E non gli piacciono i guasti della metro di Dublino.
Impreca contro quella serata andata storta.
Non sarebbe andata così storta se fossi rimasto a Londra.
No, no, ha fatto benissimo ad andarsene, non deve più guardarsi indietro, ora lui è a Dublino e Londra è rimasta a Londra, il suo manager è rimasto a Londra, la sua compagnia teatrale è rimasta a Londra, la sua famiglia è rimasta a Londra, i suoi fallimenti sono rimasti a Londra e Londra è rimasta a Londra.
Non si muove da lì.
E lui non si muove da qui.
«Puoi prendere un autobus… credo, non lo so, dovresti provare a chiedere…» tenta la ragazza con gli occhi verdi, forse per pena, magari per paura, lui sembra uno svitato visto così.
La ringrazia e la guarda di nuovo.
Si scosta una ciocca di capelli dietro l’orecchio e i suoi occhi verdi sono fissi sul libro che tiene tra le mani.
Non lo sta leggendo, lui lo capisce.
I suoi occhi non seguono neanche una delle parole scritte su quelle pagine, restano immobili in un punto fisso sulla carta e non bevono nemmeno una parola.
Perché è qui?
Cosa diamine sta facendo qui la ragazza con gli occhi verdi?
Perché finge di leggere seduta su una panchina della metro a quest’ora?
A quest’ora.
Ma che ora?
Non lo sa nemmeno lui.
«Tu, tu che ci fai qui a quest’ora, se la metro è guasta?» le chiede un po’ titubante, perché quella ragazza con gli occhi verdi, lei con i suoi occhi verdi, lo mette in soggezione come nessuno mai è riuscito a fare.
Lei gli risponde che sta aspettando qualcosa o qualcuno, e lui non capisce.
Come può, ragazza con gli occhi verdi, aspettare qualcuno?
Lei è così perfetta che anziché aspettare, dovrebbe essere aspettata.
Ci saranno milioni di persone, là fuori, pronti ad aspettarla, ad aspettare lei ed i suoi occhi verdi.
Lui, per esempio, lui aspetterebbe volentieri ragazza con gli occhi verdi e i suoi occhi verdi.
Sposta lo sguardo sulle rotaie e pensa che invece nessuno, nessuno al mondo, aspetterebbe volentieri lui.
Vorrebbe voltarsi e chiedere a ragazza con gli occhi verdi se lei, per caso, lo aspetterebbe.
Ma ragazza con gli occhi verdi gli risponderebbe sicuramente di no, perché diavolo lei dovrebbe aspettarlo?
Lei è… lei è una sirena, ecco, lei è una bellissima sirena con gli occhi verdi.
E lui è solo un umano idiota e sbronzo che non può tornare a casa perché la metro è guasta.
Non può tornare a casa perché casa è a Londra e invece lui è a Dublino, a Dublino che non gli piace per niente.
«Non ho la più pallida idea di come riuscirò a tornare a casa stanotte, per cui ti dispiace se mi metto ad aspettare assieme a te?» le chiede, perché lei non lo aspetterebbe, sta già aspettando altro, altro oltre lui, e anche lui deve aspettare, anche se non ha idea di cosa debba aspettare, ma non importa perché, qualunque cosa sia, la possono aspettare insieme.
Lei gli sorride con i suoi occhi verdi, annuisce e chiude il libro che non sta leggendo.
Lui le siede a fianco e si sente strano.
Si sente pieno.
Il vuoto perfetto si sente pieno quasi perfetto.
Colpa di ragazza con gli occhi verdi.
La sua vicinanza lo intimidisce.
In fondo, è seduto accanto ad una sirena.
Come si fa a star seduti accanto ad una sirena quando si è solo un umano? E nemmeno il migliore degli umani, solo un umano senza perché che è capitato a fianco ad una sirena per sbaglio.
Ragazza con gli occhi verdi gli dice che viene spesso in quella metro e lui pensa, pensa perché diamine viene spesso qui? Le sirene non vanno mica in metro!
Lei gli dice anche che vive in un appartamento piccolo con sua madre ed il fratellino, sono solo loro perché il padre è andato via.
Andato via di casa o andato via dal mondo? La ragazza non lo dice.
Poi arriva il suo turno, la sirena gli chiede che cosa sta facendo qui, perché è una sirena bellissima e anche intelligente e lo ha capito che lui è un intruso nel suo mare.
Allora lui le dice che casa sua è a Londra e che lui è nel suo mare e non a casa sua perché ha fatto una stupidaggine, perché si sentiva Bono Vox e voleva di più anche se in realtà lui e Bono Vox sono distanti oceani, è lì perché voleva sfondare e ha fatto un passo falso. O almeno crede.
Non lo sa ancora, ma la sensazione di aver sbagliato lo stringe in una morsa da cui non può liberarsi.
E comunque non ha bisogno che gli mandino a casa un pezzo di carta con su scritto ‘hai fallito’, lui lo sa già come sono andate le cose, non è stupido, è un sacco di cose, ma non è stupido per niente.
«Caspita, sei un tipo ottimista tu, eh?!» dice ragazza con gli occhi verdi e a lui scappa da ridere, da ridere sul serio, ride e si svuota e ragazza con gli occhi verdi lo riempie subito un’altra volta.
Poi lei si alza, dice che non ha più bisogno di aspettare, che quello che voleva è arrivato, ma lui vorrebbe tenerla su quella panchina e ridere con lei fino alle tre di mattina.
Ma sono già le tre di mattina e ragazza con gli occhi verdi deve andare via, afferra la sua tracolla e gli ricorda di prendere l’autobus per tornare a casa e poi si allontana.
«Ci rivediamo magari, eh?!» le dice lui e lei gli risponde che lo spera.
Ma forse non si rivedranno più.
O forse sì.
Forse sì.
Certo che sì.
Lui adesso non lo sa ancora, ma ragazza con gli occhi verdi sta per intrufolarsi nella sua vita, sta per riempirlo completamente, e allora il vuoto perfetto sarà perfettamente pieno, perché ragazza con gli occhi verdi lo riempirà, gli entrerà nella pelle e lo riempirà irrimediabilmente, ma forse non durerà molto, forse lei alla fine se ne andrà, sicuramente se ne andrà, le sirene se ne vanno sempre e allora lui tornerà un vuoto perfetto con la testa piena di ragazza con gli occhi verdi.
E quegli occhi verdi gli resteranno dentro finché non finirà il mondo, quegli occhi verdi staranno sempre al suo interno, dentro la carne e oltre le ossa, tra il cuore e lo stomaco, a ricordargli che anche i vuoti perfetti possono essere riempiti.
 
 
 
 

Ariecchime!
Allora, prima di tutto voglio confessarvi che io di fisica non capisco 'na mazza, la statica è molto più complessa di ciò che c'è scritto nell'introduzione, quindi non vi fidate delle mie boiate!
Ora, per farla breve: questa raccolta è composta da sette capitoli, tre dei quali riprendono momenti della storia di Ben e Prue che avete già letto, i restanti sono invece missing moments
Come potete notare già dal primo capitolo, è scritta con uno stile abbastanza diverso da quello usato con Prue, e se devo essere proprio sincera ho preferito scrivere dal punto di vista di Ben, è stato molto più veloce... e molto più emotivamente distruttivo!
Ringrazio già da subito chiunque deciderà di leggermi anche qui.
Hasta luego,
C.
 

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Capitolo 2
*** Farfalle ***


Farfalle


«Farfalle?»
«Farfalle.»
Farfalla è una delle parole che non dice mai, sentirne il suono lo fa ridere e gli mette i brividi allo stesso tempo.
Farfalla.
Una parola che non dice mai, le parole che non dice mai.
Aveva letto da qualche parte che ogni persona, dentro sé, ha una lista disordinata di parole che non dice mai.
Lui ad esempio non ha mai detto parole come: amore, responsabilità, fidanzata, adulto, serio e farfalla.
Non sono mai servite parole del genere nella sua vita, le ha sempre evitate, ci è passato piano accanto ed è stato attento a non farsi sentire.
Farfalla.
Le farfalle gli facevano una paura fottuta.
Quei vermi scuri e silenziosi che tagliavano l’aria con le loro ali ridicole.
Benjamin, resta un po’ qui e vedrai che poi la paura passerà, tesoro.
La voce di suo padre cade sul prato verde del suo giardino e la porta alle sue spalle si chiude.
Arriva una farfalla che si posa piano sul braccio del bambino, lui la vede e comincia a correre.
Arrivano altre farfalle che volano impazzite sopra la sua testa, il bambino urla.
Papà, fammi entrare. Ma suo padre non lo sente o non lo vuole sentire.
Mamma, mamma. Ma neanche sua madre lo sente.
Forse tutte quelle ali che battono fanno troppo rumore e sua mamma non riesce a sentirlo.
Il bambino corre, ma il giardino è sempre uguale e non c’è tanto spazio per scappare, si avvicina al muro che separa casa sua da quella dei vicini, ruvido, grigio e sporco, ci si appoggia con la schiena e vede le farfalle ancora sospese nell’aria.
Ma chi le ha inventate le farfalle?
Mette un piede sull’albero nel suo giardino e prova ad arrampicarsi, cerca di scavalcare il muro e vedere se dall’altra parte le farfalle non ci sono, ma il ramo sotto al suo piede si spezza all’improvviso e il bambino cade giù, il suo corpo incontra la terra e fa un rumore strano, un piccolo bum un po’ soffocato, eccolo, è quello il suono del suo corpo.
Bum.
Il bambino è caduto giù.
Il braccio gli fa male, gli sembra che abbia preso fuoco e stia bruciando, vorrebbe soffiarci sopra ma il fuoco arriva da sotto la pelle e il bambino capisce che quel fuoco non si spegnerà solo con un soffio.
Chiude gli occhi e comincia a piangere ma poi sente il profumo di fiori e le braccia di sua madre che lo sollevano e si calma lentamente.
Farfalla.
Ma che gli frega adesso delle farfalle se ha a fianco ragazza con gli occhi verdi?
Prudence, lei si chiama Prudence, come una vecchia canzone dei Beatles.
Nome perfetto, nome perfetto per lei.
Lui vorrebbe prendere una chitarra e fingere di essere uno di quei quattro tizi con i capelli strani per cantarle una canzone, ma non ha una chitarra e non saprebbe dove andarla a prendere, davanti a lui vede solo alberi e piante cresciute senza che nessuno si preoccupasse per loro, e pioggia che mangia la terra e la trasforma in fango.
Forse potrebbe prendere un fiore, un ramo e un po’ di fango e sentire che suono fanno. Sua madre gli diceva sempre che tutto ha un suono quindi anche quel fango deve averlo, forse sarà meglio di una chitarra e lui potrà usarlo per cantare qualcosa a Prudence.
Ma no, non potrà, lui non sa nemmeno come si suona una chitarra!
Prudence insiste, dice che le farfalle sono animali graziosi e non capisce perché a lui facciano paura.
E mentre parla la pioggia cade tra i rami dell’albero enorme sotto cui si sono riparati, e bagna i vestiti di Prudence, bagna le sue labbra ed i suoi occhi, si mischia con la sua pelle e lui dice, fanculo, che vorrebbe essere pioggia che la bagna o aria che respira, vorrebbe essere il vento che la tocca o addirittura una farfalla che si posa delicata sulla sua pelle.
Dannate farfalle!
Lui non vuole parlare delle farfalle o della sua vita, vuole parlare di Prudence.
Prudence, di cos’hai paura? E non ti preoccupare, se non saranno farfalle potrò aiutarti a combattere qualsiasi cosa. Ecco, ecco cosa vorrebbe dirle.
Ma che bugia sarebbe!
Lui non l’aiuterà, Prudence ha problemi molto più grandi delle farfalle, lui lo sa.
Le farfalle, quando hanno un problema, sbattono le ali e volano lontano, quei vermi schifosi!
Lui vorrebbe strappare le ali ad ogni farfalla e dire, dire che se Prudence non potrà volare via dai suoi problemi allora neanche le farfalle potranno.
Più che paura, sembra che le farfalle gli facciano invidia, possono fare qualunque cosa, possono vivere fino in fondo, mentre lui non sa se ci riuscirà.
«Ecco, forse è per questo che mi fanno paura, perché fanno una vita migliore, dei vermi con le ali fanno la vita migliore di tutto il mondo.»  sputa fuori le parole con disprezzo, disprezzo per le farfalle e disprezzo per la sua vita che gli sembra profonda come una pozzanghera.
«Hai ragione. Ma sai, c’è una cosa che le farfalle non potranno mai fare.» gli dice Prudence e lui sbuffa.
E sarebbe? Chiede infastidito, ma vorrebbe prendersi a calci perché si è permesso di usare quel tono scontroso con Prudence, con la splendida sirena con gli occhi verdi che gli siede accanto.
Adesso si alzerà e se ne andrà, pensa, ma Prudence non si alza e non se ne va, Prudence gli prende il viso tra le mani e avvicina le sue perfette labbra carnose a quelle di lui.
E sono buone le labbra della sirena.
Sanno di pioggia e sanno di sale, sanno di carne e sanno di acqua, sanno di luce e sanno di vento.
Sono buone le labbra della sirena.
E le farfalle non possono baciarle, assaggiarle, e allora a che servono le ali se non possono provare le labbra di Prudence? A che serve volare se non possono stare con Prudence?
Per la prima volta è felice della sua vita profonda come una pozzanghera, sente che potrebbe tuffarcisi dentro e scavare, scavare, scavare finché quella pozzanghera non diventerà un oceano e lui potrà affogare ogni dannata farfalla che gli volerà vicino.
Cade, cade oltre le labbra di Prudence e tenta di spingersi giù, giù per la gola, fino alle viscere, restarle intrappolato dentro e non andarsene più, stare sempre con Prudence.
Ma guarda tu se una sconosciuta con gli occhi verdi doveva capitargli davanti e bloccargli la strada, e in così poco tempo, per giunta!
Poco tempo.
Ma chi lo dice che è poco? Lui chi è per dire che è poco? Lo conosce il tempo? Ci ha mai parlato? Ci ha mai preso un tè insieme?
Lui non lo conosce il tempo, e il tempo sicuramente non conosce lui.
Mentre precipita all’interno di Prudence si chiede quanto tempo ci voglia per innamorarsi.
Perché gli è successo questo, no?
Assolutamente no, lui all’amore non crede o forse è l’amore che non crede a lui, non lo sa, ma sicuramente non è innamorato.
Come fai ad innamorarti se con Amore non vai per niente d’accordo? Se l’hai sempre deviato, evitato, cacciato, denigrato? Figurati!
Innamorato.
E di una sconosciuta, poi!
Gli viene quasi da ridere.
Ma poi Prudence allontana le sue labbra da lui e gli viene più da sbattere i pugni contro il tronco di quel dannato enorme albero che gli torreggia sopra.
Lei gli sorride e lui pensa, dannazione, quanto è bella!
«Credo che ora tocchi a te raccontarmi qualcosa.» le dice, lei non sembra entusiasta ma prende un bel respiro e gli racconta una storia triste, e lui vorrebbe che alla fine lei gli dicesse, stai tranquillo, è solo una storia!
Ma mentre ascolta sa che quella storia è la Sua storia, la storia di una ragazza con gli occhi verdi e pochi sogni in tasca.
Anche lui ne ha pochi, di sogni in tasca.
Vorrebbe dire a Prudence, tira fuori dalle tue tasche i tuoi sogni maltrattati che io prenderò i miei e li metteremo insieme e andremo lontano, con quei sogni, arriveremo fino ad Amsterdam!
Prudence non gli crede, ma ride e gli stringe forte la mano.
Poi lei si ricorda di dover andare a prendere il fratellino e si alza da terra, abbandona un bacio rapido sulle labbra di lui e corre via tra la pioggia.
Lui resta a guardarla e sorride.
Ancora non sa che presto arriveranno le farfalle e Prudence scivolerà via dalla sue mani bagnate.
 



Hoola!
Allora, l'aggiornamento, in teoria, era per domani ma dato che per il fine settimana non avrò tempo per aggiornare, ho anticipato.
Che dire? Anche questo momento era già presente nell'altra storia ma, personalmente, lo preferisco dal punto di vista di Barny, spero piaccia anche a voi.
Ringrazio come sempre tutti i lettori silenziosi e quelle due meraviglie di Joy e Clairy,
una carovana di abbracci(?),
C.



 





 

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Capitolo 3
*** Il Difetto ***


Il Difetto



Il sapore della sigaretta gli riempie la bocca.
Si avvicina piano al letto e studia con attenzione il corpo di Prudence, adagiato tra le sue lenzuola.
È girata e lui riesce a vedere solo le sue scapole, così evidenti anche sotto la pelle chiara.
Sulla scapola destra ci sono cinque nei vicini.
Lui allunga una mano e li percorre con il pollice, sembrano formare una sorta di L al contrario, un po’ storta.
Sente nel petto una sensazione così nuova e così inspiegabile mentre la tocca.
Si sente pieno, pieno come un campo di fiori.
E si sente infinito, infinito come l’acqua.
Ma non gli basta.
Lui vuole di più, vuole molto di più.
Vuole che le mani di Prudence siano le sue, e vuole toccare il mondo attorno a sé con quelle mani.
Vuole abbracciarsi, accarezzare il proprio viso con quelle mani.
Tenersi stretto, con quelle mani.
Portarsi lontano, con quelle mani.
E le sue labbra.
Brama le sue labbra in modo indicibile.
Vuole tenerle sempre con sé, e baciarle quando e come gli pare. E vederle sorridere, sorridere sempre
E gli occhi. Vuole anche i suoi occhi verdi e profondi.
Vuole vedere quanto è piccolo l’universo con quegli occhi verdi, vuole guardare il mondo, guardare quanto è finito il mondo che lo circonda, perché lui è più grande, con gli occhi verdi di Prudence lui è molto più grande e più infinito del mondo.
E vuole portarli ad Amsterdam, quegli occhi verdi.
Vuole portarli ad Amsterdam, riempirli di immagini di mulini e campi di fiori e poi ridarglieli.
Ecco, tieni i tuoi occhi verdi, li ho portati ad Amsterdam e li ho riempiti, ed ora te li restituisco e tu vedrai ciò che io ho visto con i tuoi occhi verdi.
Ecco, gli piacerebbe dirle così.
Ma ciò che desidera, ciò che vuole più di ogni altra cosa, sono i suoi ricordi.
Vorrebbe estrarli dalla sua mente ed analizzarli, uno per uno.
Vuole sapere tutto, tutto di lei, e vuole portarle via il Difetto, così lo chiama.
Il Difetto.
Il dolore.
Lui vuole portarle via tutti i ricordi pieni del Difetto e dargliene altri, vuole catturare ogni attimo felice e incastrarlo con cura nella sua testa, vuole prendere un pezzo del sole, un pezzo del mare e qualche fiore e iniettarle tutto dentro. 
E lui, lui vuole tutti i suoi ricordi pieni del Difetto, sì, lui vuole il Difetto di lei, se lo vuole prendere tutto e non lasciarle più nulla.
Vuole soffrire tutto ciò che lei ha sofferto, vuole piangere ogni lacrima che lei ha pianto.
Vuole il dolore, tutto il suo dolore.
Prudence si gira piano, ora lui può vedere il suo viso e i suoi occhi verdi, che si aprono a poco poco, debolmente.
«Ben..» chiama piano e lui continua a fissarla, continua a studiare i suoi occhi verdi con quelle sfumature scure che gli portano via ogni parola.
Sono così pieni di tristezza, quegli occhi verdi.
Il Difetto sta cercando di portarli via tutta la luce.
Spegne la sigaretta nel posacenere sul comodino, le si avvicina e la stringe forte.
Pelle contro pelle.
Poggia il naso sulla sua spalla e inspira il suo odore, avido, avido di lei.
E intanto la sente conficcare le unghie nella sua schiena, e lo capisce.
Capisce quant’è fragile, quella ragazza.
Riesce a sentire quanto il Difetto l’abbia svuotata, lacerata.
Ti riempirò io. Ti porterò lontano, in un posto dove è sempre notte e non ci sono strade, ma solo campi di fiori, e resteremo sdraiati su un parto verdissimo a guardare il cielo vuoto, immaginando che ci siano dentro milioni di stelle. E sarai felice, lo giuro, sarai così felice che ti dimenticherai come ci si sente ad essere tristi.
Vorrebbe dirle anche questo, ma si limita a stringerla forte tra le sue braccia e a sentire le sue unghie che si conficcano disperate nella sua carne.
«Rimani stanotte, vero?» chiede lei, e ha più il suono di una supplica che di una domanda.
«Rimango tutta la vita, Prudence» risponde e annuisce, annuisce sicuro, convinto, perché infatti lui sarebbe rimasto, sempre, sempre per lei, lui non l’avrebbe mai lasciata, mai.
Ci avrebbe pensato lei, un giorno, a tagliare i fili sottili e fragili che legavano le loro due esistenze.
Ci avrebbe pensato lei, un giorno, a non rimanere.
Ma lui, lui no.
Lui sarebbe rimasto, anche dopo.
Sarebbe rimasto.
 
 
 
 
 
BOO!
Dai che la smetto, la smetto!
Allora... allora.... allora niente, ecco, non ho molto da dire tranne che questa è la primissima missing moments ed anche la prossima sarà una missing, nada, spero vi sia piaciuta, per il resto ci risentiamo Sabato(visto che ho smesso con i miei ignobili ritardi?)
Grazie bella gente,
C.

 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Finito ***


Finito


Il fumo, il fumo.
Ha un buon odore, il fumo.
Ha un buon sapore, il fumo.
È un buon amico, il fumo.
Lui si fuma la sua sigaretta e non lascia uscire di bocca il fumo, vuole tenerselo dentro, perché forse il fumo riempirà il vuoto che sente nel petto.
O forse il fumo lo ucciderà.
Alza le spalle.
Tira un vento bastardo su Dublino e il mare gli urla nella testa.
Ma i suoi pensieri urlano più forte.
Vorrebbe poter entrare nella sua stessa testa, prendere ogni pensiero, strattonarlo rudemente e urlargli di star zitto, che ha già altro a cui pensare e non gli va proprio di starlo ad ascoltare.
Il fumo, il fumo.
Si rigira la sigaretta tra le dita e pensa che loro due, lui e la sigaretta, sono simili, entrambi pieni di fumo.
Ma lui è più fortunato.
È stato più fortunato.
Ha incontrato una sirena con gli occhi verdi di nome Prudence, che si è presa tutto il suo fumo e lui pensava, ecco, io e te siamo perfetti, tu sei l’aria e io sono il fumo e qualcuno, non so chi e non so perché, ci ha creati così, aria e fumo, e dobbiamo stare uniti.
Prudence, l’aria, ha abbracciato il fumo e lo ha tenuto con lei per un po’, ma poi è successo qualcosa, si è rotto qualcosa e allora l’aria ha lasciato cadere il fumo e se n’è andata.
Fumo è finito.                        
Finito.
Una notte, mentre fuori pioveva su Dublino, lui aveva fatto l’amore con Prudence, lei poi aveva poggiato il capo sulla sua spalla e si era lasciata accarezzare, lui toccava la sua pelle, la stringeva e sentiva le loro costole combaciare perfettamente.
Aveva sorriso, aveva pensato che loro due, lui e Prudence, fumo e aria, non erano un caso, che c’era di più dietro di loro, che si aspettavano da prima.
Poi lei gli aveva detto che tutto finiva e che, prima o poi, sarebbero finiti anche loro due.
No, non finiremo mai, pensò.
Ma adesso, adesso mentre guarda le onde davanti ai suoi occhi, mentre inspira il fumo della sua sigaretta, mentre sa che accanto a lui non c’è nessuno, capisce che si sbagliava.
Sono finiti anche loro due.
Finiti.
La fine.
Cos’è la fine?
Immagina una spessa linea nera sospesa in una dimensione più in su, una linea che respira le vite, assorbe le storie e poi scende dalla sua dimensione e fa finire qualcosa.
La fine.
Una linea spessa nera.
Lui e Prudence, l’aria e il fumo, la metropolitana di Dublino, il mare, l’acqua, la pioggia, la notte, l’amore(se esiste), un cielo grigio, sabbia sporca, una canzone francese dentro un autobus un po’ scassato, un bacio sotto un albero, ‘Wonderwall’ degli Oasis, la pelle, la carne e le ossa.
Finito tutto.
È arrivata una linea spessa e nera che ha fatto finire tutto.
Possibile? Possibile che sia bastata una linea di merda per combinare un casino simile?
Prudence, ma cosa c’era che non andava tra noi due?
Vorrebbe tanto chiederglielo, perché è stata Prudence a far arrivare la linea.
Prudence aveva fatto l’amore con lui la sera prima, poi si erano addormentati entrambi e lui quando si era svegliato si era ritrovato solo nel letto, con una stupida lettera a fianco.
L’aveva scritta Prudence.
Diceva che si sentiva in colpa perché lui voleva buttare via l’occasione di diventare finalmente un attore per lei, diceva che le era successo qualcosa e non poteva dirglielo, diceva che erano finiti.
Finiti.
Finito.
L’aria ha lasciato cadere il fumo ed è tutto finito.
Lui adesso non andrà a cercarla e non le chiederà spiegazioni perché ha capito che non ne avrà, che non potrà fare nulla per sistemare le cose, che lui non ha nessun potere in confronto alla fine, che non saprebbe cosa dire a quella sirena con gli occhi verdi.
Immagina Prudence uscire dall’acqua e venirgli incontro a piedi scalzi, sedersi di fronte a lui e dirgli di parlarle.
Di cosa le parlerebbe?
Prudence, vorrei parlarti di statica. Io non ci ho mai capito nulla a scuola ma il poco che so è che la statica studia delle dannate condizioni necessarie affinché un corpo mantenga il suo equilibrio anche dopo essere stato sconvolto da forze esterne.
Ecco, io e te siamo un esperimento di statica miseramente fallito.
Le parlerebbe di questo, le direbbe questo, le direbbe che lui è un dannato corpo che ha perso il suo equilibrio dentro a due occhi verdi ed ora non sa cosa diavolo fare.
Cosa diavolo faccio?
Ma come si è permessa, come si è permessa l’aria di lasciar cadere il fumo?
Guarda ancora la sua sigaretta, poi si alza in piedi e si avvicina alla riva.
Cammina, mette un piede davanti all’altro e sente il gelo entrargli dentro, l’acqua andare a sbattere distratta contro i suoi polpacci, l’acqua attraversarlo, l’acqua riempirlo.
Lascia cadere in acqua la sigaretta e la guarda spegnersi, la guarda morire, guarda il fumo sparire mangiato dall’acqua.
L’acqua.
Cosa c’è dentro l’acqua?
La prima volta che Prudence lo aveva portato su quella spiaggia lui le aveva detto che pensava che tutto e tutti, una volta morti, finissero nell’acqua.
Anime, coscienze, sentimenti, rimpianti, sogni realizzati e infranti, respiri regolari, malattie mortali, problemi risolti e irrisolti, storie, amori, pensieri, dolori.
Tutto muore.
Tutto finisce nell’acqua.
Anche lui.
Anche Prudence.
Anche loro.
Ora acqua ha mangiato aria e fumo, lui fissa la sua sigaretta spenta e pensa, guarda, Prudence, alla fine avevo ragione, guarda, Prudence, siamo finiti anche noi nell’acqua, tutto finisce nell’acqua.
Le onde portano via la sua sigaretta, la sua storia morta e lui la guarda scivolare via.
Siamo finiti .
È finito.
L’acqua lo ha finito.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Je ne t'aime plus tous les jours ***


Je ne t'aime plus tous les jours


Si rigira nel letto, infastidito.
Già, c’è qualcosa nell’aria di quella stanza che gli dà tremendamente fastidio.
L’odore della ragazza stesa accanto a lui, ad esempio, quell’odore gli dà davvero fastidio. Probabilmente ha addosso del profumo di marca.
Volta il capo e la guarda.
Ha i capelli biondi e dritti, la pelle bronzea e un corpo snello, senza alcuna imperfezione, è il genere di ragazza, di donna, che tutti gli uomini sognano al proprio fianco.
Ma tutti gli uomini non sono stati come lui, fortunati come lui.
Lui ha amato una sirena bellissima che aveva i capelli castani, la pelle estremamente chiara, pallida e fragile, e due occhi verdi pieni di acqua e di aria, e quella bellissima sirena ha amato lui, ha versato il suo infinito dentro al suo corpo e lo ha reso migliore, ha preso il vuoto che aveva dentro e l’ha riempito, e lui si è sentito pieno.
Ma è durato poco.
Perché poi la sirena ha capito che lui era solo un umano insignificante e allora si è ripresa l’infinito che gli aveva versato dentro, lo ha svuotato e si è allontanata in fretta.
Prende una sigaretta dal pacchetto, si avvicina alla finestra ed osserva la Nuova Zelanda al di là del vetro.
La Nuova Zelanda.
Non ci crede ancora che è riuscito ad arrivare fin là.
Alla fine quello stupido provino è riuscito davvero a passarlo, ed ora si ritrova davanti ad una finestra, in Nuova Zelanda a guardare il suo futuro.
Riesce già a vederlo.
Première, red carpet, premi, ammiratori, interviste, notorietà, giornalisti, e la sua fottuta storia sbattuta su Wikipedia.
Ma che ne sa la gente di lui?
Ma che ne sa la gente della sua fottuta storia?
Manda giù il fumo della sigaretta, perché con quel fumo vuole riempire il vuoto che ha dentro lo stomaco.
Ma lo sanno tutti che il fumo non riempie i vuoti.
Lo sanno tutti che l’alcol non affoga i dispiaceri.
Nuova Zelanda.
La Nuova Zelanda a Lei non sarebbe mai piaciuta, lui lo sa.
A Lei piacevano città come Amsterdam, piene di pioggia, di vento e di luci.
Ma lui non era riuscito a portarLa da nessuna parte, L’aveva lasciata a Dublino.
E lui era in Nuova Zelanda.
Senza Lei.
Prudence, Prudence, che cosa stai facendo ora, Prudence? pensa, e La immagina seduta a gambe incrociate nella loro metropolitana mentre finge di leggere un libro.
E poi vede un ragazzo alto, con i capelli scuri, che sembra un po’ sbronzo e non sa dove diavolo andare, e allora siede accanto a Lei e si mette ad aspettare qualcosa che è già arrivato e presto andrà via.
Prudence
Sente la ragazza bionda muoversi tra le lenzuola e il suo profumo lo raggiunge di nuovo, si fa strada violento tra le narici e gli ruba il fiato.
Vorrebbe spaccare quello stupido vetro, uscire fuori, correre, correre, attraversare a nuoto l’oceano e tornare da Lei.
Da Prudence.
Ma Prudence non posso tornare da te, perché sei andata via. Perché sei andata via?
Quella notte aveva bevuto un po’ troppo, se lo ricorda, si era affacciato alla sua finestra in affitto e aveva osservato attento i tetti di Dublino, poi Lei era comparsa davanti alla sua porta e si era spogliata.
‘Non mi fare domande, ti prego’ aveva detto, e poi avevano fatto l’amore, ma quando si era svegliato Lei non c’era più.
Era andata via, via per sempre.
Ed ora si sente svuotato, svuotato di tutto.
Vorrebbe tornare da Lei e dirLe di ridargli tutto ciò che si è presa quando se n’è andata.
Come ti sei permessa, Prudence, come ti sei permessa di svuotarmi?
Ma Prudence non gli ridarà mai nulla, perché Lei non tornerà da lui e lui non tornerà da Lei.
La ragazza bionda si è svegliata e lui sente i suoi passi leggeri avvicinarsi.
«Già sveglio?» gli chiede con voce roca e poi lo bacia.
Guarda, Prudence, guarda cosa ti ho fatto. Guarda cosa mi hai fatto, pensa mentre ricambia quel bacio così insignificante, così amaro.
Prudence, lo sai che non credo nell’amore, vero? Lo sai che per me quelle storie di rose, di baci e di eroi sono solo sciocchezze. Lo sai che non credo all’amore. Perché l’amore non crede a me. Perché l’amore non è niente, niente al confronto con noi due. Perché io non ti amavo e non ti amo, neanche un po’. Perché un ‘ti amo’ non sarà mai abbastanza per spiegarti cosa mi hai fatto. Tu ti sei presa ciò che avevo dentro al petto e lo hai cambiato, ci hai messo dentro l’infinito e mi sentivo proprio così: infinito. E tutto l’infinito che avevo dentro volevo darlo a te, che eri più infinita di me. Ma te ne sei andata via e il mio infinito è finito ed ora sono in Nuova Zelanda a baciare un’altra. Ed è colpa tua, è colpa tua, amore mio. No, non più amore mio. Io non ti amo più, amore mio. Non ti amo più tutti i giorni.
Preme il corpo della ragazza bionda contro il suo e cerca di annegare l’immagine di Prudence con quelle parole. Cerca di far annegare Lei e tutto il suo amore.
Ma Prudence è una bellissima sirena e non annegherà, lui non può fare nulla.
Lei vivrà dentro di lui, riesce già a sentirLa, si è scavata il suo angolino tra lo stomaco e il cuore e resta rannicchiata dentro di lui, oltre la carne e le ossa. Lei è il suo ‘io’ nascosto e invariabile, è la parte più profonda della sua esistenza, a cui nessuno, nemmeno lui stesso, potrà mai accedere. Lei vivrà dentro di lui, si nutrirà dei suoi sentimenti più nascosti e forse a volte riuscirà anche ad uscire dal suo angolino e stargli accanto, ma lui non La vedrà, sentirà soltanto il Suo odore e la Sua pelle e la Sua esistenza intangibile che lo tengono stretto, ma non La vedrà, non La vedrà mai più. Perché Lei vivrà dentro di lui e riempirà i suoi vuoti, e lui potrà dire qualunque cosa, potrà convincersi che ormai Lei è lontana, nuota lontana da lui, e potrà ripetersi che non La ama più, che ciò che è stato è solo un ricordo da non richiamare più.
Ma Lei vivrà dentro di lui.
Non ti amo più, amore mio.
Non ti amo più tutti i giorni.
 
 



Bonjour!
A 'sto giro son passata al francese.
No, in realtà non sono passata ad un bel niente, è che 'Je ne t'aime plus' di Manu Chao si meritava un tributo.... ve la ricordate? E' la canzone francese dell'autobus :)
Dunque, spero che questo viaggio nella mente del 'mio' Barny vi stia piacendo, e per il resto.... ci si sente Sabato.
Adieu!
C. 

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Capitolo 6
*** Il buio ***


Il buio


«Quindi Dublino è davvero bella? Bella come Londra o New York?» gli chiede la ragazza bionda che gli siede accanto.
«No. No, è diversa.»
Diversa.
Quello è il suo aggettivo preferito.
Diversa.
Diverso.
Lui è diverso, era diverso.
Era sempre stato diverso, diverso rispetto al mondo e all’ordine delle cose, diverso rispetto a tutti e a tutto.
Era diverso felice.
Era diverso felice con i suoi fallimenti a pesargli nelle tasche, con i sogni nello zaino a dirgli di continuare a camminare dritto per la sua strada di spine fino a raggiungere il suo bosco di rose, che era sempre stato così lontano.
Ma a lui la distanza non aveva mai fatto paura e alla fine aveva visto siepi colme di rose e illuminate dal sole.
Alla fine ce l’aveva fatta.
Ma le rose hanno le spine e lui, lui che era diverso felice, ora è diverso e basta.
«Scusa, sono stanco di stare seduto.» si alza in piedi e sgomita tra la gente che riempie quella metropolitana, per un attimo perde l’equilibrio ma poi mette le mani sulla porta mobile e si salva.
Il buio al di là del vetro gli sfreccia davanti agli occhi e lui si chiede come faccia il buio a muoversi.
Il buio.
Che diavolo è il buio?
Quando era piccolo sua mamma gli diceva sempre di non avere paura del buio perché tanto dentro non c’era niente.
‘Il buio è vuoto, Benjamin, perché la luce lo svuota. Quindi tu non devi avere paura, perché il buio è vuoto’
Come si sbagliava.
Dentro al buio si nasconde la verità di ogni cosa, di ogni persona.
Il buio è pieno della nostra essenza, il buio si nutre di ciò che abbiamo dentro e lo ingoia, prende tutto e lo nasconde.
Guarda il buio che si muove veloce e pensa che davanti agli occhi gli stia passando un sentimento perduto e allora vuole sfondare quello stupido vetro e andare a riprendersi tutto quello che il buio gli ha tolto durante i suoi trentadue anni. Vuole svuotarlo, quel buio.
Ma il buio si svuota solo con la luce e lui la luce non l’ha ancora trovata, o forse, forse l’ha già persa.
La metropolitana si ferma e le porte si aprono con un gran frastuono, la gente dietro lo spintona, lui è così stanco.
Scende e si guarda attorno.
Quel posto l’ha già visto, ne è sicuro.
Ma la prima volta era vuoto.
Anzi no, non era vuoto, qualcuno c’era.
Alza il capo e legge i cartelli sopra al suo naso, non capisce nulla di ciò che c’è scritto, come sempre.
Si guarda di nuovo attorno e inspira l’odore di quel posto che gli sembra affollato come non mai.
Una ragazza lo sta fissando.
Ha puntato i suoi enormi occhi verdi su di lui e pare volerlo incatenare lì con la forza del suo sguardo.
A lui in effetti sembra di avere le scarpe incollate al pavimento.
La ragazza con gli occhi verdi si morde un labbro.
L’ha morso anche lui quel labbro.
Se lo ricorda bene.
E si ricorda bene anche il nome della ragazza con gli occhi verdi, ma non vuole ripescarlo dalla sua memoria perfetta, vuole fingere di non sapere che esiste una canzone dei Beatles che porta proprio quel nome.
Sei molto bella, ragazza con gli occhi verdi. Ma io non lo so chi sei e non so perché mi fissi con i tuoi occhi verdi.
Ma le bugie lui è capace di raccontarle solo al suo pubblico e solo quando è qualcun altro a scriverle per lui.
Ma adesso le bugie non stanno scritte da nessuna parte e il suo io conosce la verità, perché il suo io è proprio quella ragazza, quella ragazza con gli occhi grandi e verdi.
Prudence.
Prudence, vuoi che dica qualcosa?
Apre la bocca, ma le parole indietreggiano sulla sua lingua e si tuffano nella gola e lui le sente nuotare nello stomaco, le ha perse o forse non le voleva nemmeno usare, perché lui lo sa che le parole ora non lo aiuteranno.
Prudence, vuoi che ti saluti?
Alza piano una mano, ma la riabbassa subito.
Prudence non vuole essere salutata da lui.
E allora cosa vuoi, Prudence? Perché mi guardi con i tuoi occhi grandi e verdi?
Si sente riempire da quegli occhi grandi, gli sembra di tornare indietro nel tempo e rivivere quella storia fatta di luce che ha svuotato il suo buio.
Sente lacci invisibili e inconsistenti legarlo a Prudence e vorrebbe avvicinarsi, vorrebbe muovere i primi passi verso di lei, poi correre, correre e prenderla tra le braccia e portarsela vicino al cuore.
Perché questo è il tuo posto, Prudence. Era il tuo posto, sei andata via. Ma io ti sento dentro, sai? Lo so che mi hai scavato la carne e hai oltrepassato le mie ossa, e ora resti dentro di me pensando di non darmi fastidio. Ma non sai che fastidio mi dai, invece. Ora sei uscita fuori e allora perché non vieni qui? Perché non ti avvicini e riaccendi la luce che hai spento quando sei andata via? Tu lo sai che il buio mi ha mangiato, ed è colpa tua e dei tuoi occhi verdi. Riaccendi la luce, Prudence, per favore, svuota il mio buio.
Si sente un bambino che ha paura del buio.
Sente i suoi occhi inumidirsi.
Ma lui è bravo a trattenere le lacrime e controllare le emozioni. È il suo lavoro.
Perché non vai via di nuovo, Prudence? Vattene via. Tu sei brava ad andare via. Spegni le luci, svuotami e vattene via, lasciami al freddo e lasciami al buio. Vattene via, Prudence.
Ma Prudence non se ne andrà questa volta.
Prudence resterà a guardarlo triste e la memoria la riporterà indietro, la riporterà al momento in cui in quella maledetta metropolitana non c’era nessuno, nessuno tranne che due ragazzi con problemi troppo grandi per loro, problemi da fondere e combattere insieme.
Prudence se li è presi tutti i suoi problemi, lo ha aiutato, ed ora lui è chi voleva essere, esattamente chi voleva essere.
Ma Prudence?
Prudence, dove vai? Cosa fai? Come stai?
Lui si sente così impotente.
Ha davanti l’amore della sua vita e tutto ciò che riesce a fare è restare immobile.
L’amore della sua vita.
Forse questo concetto universale con il suo nome ridicolo esiste davvero, forse ‘amore’ ci è davvero passato accanto, quel bastardo! Hai visto come ci ha trattati? Come merde! Ci ha calpestati e poi si è pure pulito i piedi.
Ma noi siamo più forti, Prudence.
Noi non abbiamo bisogno delle poesie, delle cene a lume di candela nei ristoranti, delle rose, degli smoking e degli abiti da sera, del pranzo domenicale con i genitori, dell’anello al dito, dei nomignoli o di altre stronzate, a noi bastiamo solo noi.
Bastavamo solo noi.
Perché io non sono bastato più e tu sei andata via, hai spento le luci e il buio mi ha inghiottito.
Ed ora non ci sei, Prudence.
Non ci sei più tu e non ci siamo più noi.
Amore della mia vita.
E allora vattene via, per favore, spegni di nuovo la luce che ormai con il buio ho fatto amicizia, lascia che mi inghiotta di nuovo, lascia che senta che sapore amaro ho e poi mi sputi fuori schifato.
Vattene via, Prudence, amore della mia vita, vattene via per sempre e non scavarmi la carne e non scavarmi le ossa, qui dentro posto per te non ce n’è più, resta solo il buio che hai lasciato tu.
Vattene via, amore della mia vita.                          
«Eccoti! Ti avevo perso, quanta gente che c’è qui. Dai andiamo, tesoro.» è la voce della ragazza bionda, sente le sue labbra schioccargli un bacio sulla guancia e le sue mani tirarlo per la manica della giacca.
Questa volta vado via prima io, Prudence. Lo senti? Senti il buio che ti svuota? L’ho sentito anch’io quando sei andata via tu e mi sono riempito con te, ti ho tenuta dentro. E allora fallo anche tu, Prudence, ti prego, tienimi dentro.
I suoi piedi si scollano dal pavimento e lo allontanano lentamente da lì, mentre la figura di Prudence scompare in lontananza e con lei scompare anche la luce, e il buio lo inghiotte con forza, la sua esistenza si sbriciola sul pavimento di quella metropolitana, pezzetti di lui tornano indietro, verso la luce, verso Prudence.
Ma Prudence la luce per accendere i suoi bui non ce l’ha più e quei pezzetti restano a terra, si alzano al vento e rimangono intrappolati tra i ricordi di una storia fatta di luce che si è spenta in fretta.
 
Tienimi dentro.
 
 
 


Bella gente!
Passo a dar fastidio giusto giusto alla fine solo per dire che il prossimo sarà l'ultimissimo capitolo(sarà completamente in prima persona) e poi chiudono baracche e burattini(solo per un pochino), ma.... tornerò!(questa sì che è una brutta minaccia!)
Ringrazio come sempre i lettori silenziosi e Joy e Clairy, sopportatrici ufficiali della sottoscritta.
Un abbraccio e buona Domenica,
C.
 

 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** Amsterdam ***


Amsterdam



Non ci sono stelle nel cielo, stanotte.
Ci sono solo minuscoli aerei che si muovono in quel blu schifoso e troppo scuro.
Sono così piccoli, gli aerei.
Se li guardi da lontano sembrano solo dei puntini luminosi che spariscono a poco poco.
Gli aerei.
Chissà dove vanno.
Forse ad Amsterdam.
Dicono che ad Amsterdam piove sempre, che i campi sono pieni di fiori colorati e che l’aria profuma.
E ci sono un sacco di mulini, ad Amsterdam.
Deve essere bella Amsterdam.
Non bella normale.
Amsterdam non è bella normale.
New York è bella normale.
Dubai è bella normale.
Londra è bella normale.
Amsterdam non è bella normale.
Amsterdam è bella strana.
Ad Amsterdam non ci sono grattacieli, non ci sono sempre giornate di sole, non ci sono strade a venti corsie.
Amsterdam è piccola, è fragile, è lunatica ed è piena, piena di fiori.
Ad Amsterdam il vento corre veloce e ti travolge.
Amsterdam è bella strana.
Come te.
A te piaceva un sacco Amsterdam.
Volevi andarci. Ti ricordi? Ti ricordi quanto volevi andarci?
Io ti ci avrei portato, ad Amsterdam.
Ci saremmo andati insieme.
Ci saremmo sdraiati in un campo di fiori, con un filo d’erba tra le labbra, e avremmo aspettato la notte raccontandoci le storie più belle, e poi, una volta calato il buio, avremmo fatto l’amore lì, in quel campo di fiori, ad Amsterdam.
Ci saremmo andati insieme ad Amsterdam.
Ma tu te ne sei andata prima.
Mi sono alzato una mattina e ho realizzato che tu, te n’eri andata.
E non saresti mai più tornata.
Allora sai che ho fatto?
Ho preso la metro.
La tua metro.
La nostra metro.
Mi sono aggrappato al solito palo grigio e ho aspettato fino alla solita fermata.
E poi sono sceso.
E ho corso, corso, corso fino al solito parco e mi sono seduto nel fango, sotto il nostro albero grande, come facevamo sempre noi due.
E poi è arrivata la signora con il vestito a fiori.
Te la ricordi la signora con il vestito a fiori?
Lei si sedeva sempre sulla panchina vicino al nostro albero grande e ci guardava sorridendo, diceva che le ricordavamo lei e suo marito da giovani.
La signora con il vestito a fiori.
Ha visto che ero da solo e mi ha chiesto che fine avevi fatto, e allora io mi sono alzato e le ho detto che tu, tu non c’eri più.
E ridevo.
Ridevo mentre glielo dicevo.
Poi ho smesso di ridere e me ne sono andato.
Sono venuto qui, a Portrane e mi sono sdraiato sulla nostra sabbia sporca, vicino alla riva, vicino al mare gelido.
Il nostro mare gelido.
E mi sono messo a guardare le stelle.
Ma non ci sono stelle stanotte.
Il cielo è vuoto.
Vuoto.
Il cielo è vuoto.
Come me.
Io sono vuoto.
Perché tu non ci sei più.
Perché tu non ci sei più?
Quando c’eri tu, invece, non ero vuoto.
Ero pieno.
Pieno come i campi di fiori ad Amsterdam.
E poi te ne sei andata e hai portato con te tutti i fiori.
Ed ora sono vuoto.
E solo.
Perché tu non ci sei più.
Perché tu non ci sei più?
Non saresti mai dovuta andare via.
Dovevi restare qui.
Con me.
Ma invece guarda che hai combinato.
Mi hai lasciato dentro un vuoto che nessuno, nessuno mai, saprà colmare.
E allora come lo colmerò quel vuoto?
Lo so, lo so come.
Lo colmerò col tuo ricordo.
Già.
Mi alzerò alla mattina e mi ricorderò dei tuoi capelli bagnati dalla pioggia.
E poi prenderò la metro.
La nostra metro.
La tua metro.
E mi ricorderò della prima volta che ti ho incontrata.
Proprio in metro.
E ricorderò il suono di ogni tua singola parola, lo registrerò nella testa e me lo terrò dentro.
E ricorderò i tuoi occhi verdi, che mi riempivano il petto d’infinito.
E ricorderò la prima volta che ho baciato le tue labbra carnose, che Dio le benedica!
Ma Dio non lo sa che esistono i tuoi capelli bagnati e i tuoi occhi verdi e sicuramente non sa che esistono le tue labbra, perché altrimenti, credimi, sarebbe già sceso giù dalla sua nuvola e ti avrebbe rapita.
Ma no, lui resterà lassù.
E tu resterai quaggiù.
Lontana.
E allora sai cosa ricorderò ancora?  
Ricorderò quant’era bello passare la notte insieme ad ascoltar la pioggia, chiusi in una stanza, con tutto il mondo fuori.
E poi prenderò un aereo.
E andrò ad Amsterdam.
Mi sdraierò su un campo di fiori e mi ricorderò della volta in cui mi hai detto che ti sarebbe piaciuto tanto andarci, ad Amsterdam.
E resterò a guardare il cielo.
Il cielo vuoto.
Come me.
E ti ricorderò.
Giuro.
 
Ti ricorderò.
 
 
 
 
 
 

Hola!
Ecco, dopo l
’hola non so più cosa dire, Ben e Prue m’hanno talmente prosciugata che non ho più parole…
Vorrei semplicemente ringraziare Joy e Clairy che mi hanno seguita fin qui, sopportando ritardi ignobili e incoraggiandomi sempre, e ringrazio tutti quelli che hanno letto in silenzio, quelli che hanno seguito Ben e Prue sin dal loro strambo incontro in una metro vuota, e quelli che hanno anche solo letto qualche riga: mille grazie dal profondo del cuore!
Ora mi prenderò una breve pausa e poi, molto probabilmente, tornerò ad inquinare efp *si alza un coro di ‘MA CHI TE VOLE?!’*, ma - e questo posso già dirlo- non scriverò più su Ben(deus, se proprio proprio mi parte l’ispirazione magari sì, ma non credo)
E… nada.
Ancora mille grazie a tutti.
C.

 
 
Vi lascio questo barbone e il suo naso in bianco e nero.


 

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