~some pieces~

di shimichan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** How do you spend the earned money? ***
Capitolo 2: *** Need you tell me something? ***
Capitolo 3: *** HOW LONG HAVE YOU BEEN LIKING THANKS, MR. SWORDSMAN? ***
Capitolo 4: *** Dollop Of Bones ***
Capitolo 5: *** [Day]: CALL ME BY NAME... ***
Capitolo 6: *** [Night]: ANOTHER PROMISE ***
Capitolo 7: *** What is...'LOVE'? ***
Capitolo 8: *** ...winners and losers... ***
Capitolo 9: *** shining stars ***
Capitolo 10: *** HAPPY BIRTHDAY ***
Capitolo 11: *** FLOWERS PLATH ***
Capitolo 12: *** Night Attendances ***
Capitolo 13: *** MERRY CHRISTMAS ***
Capitolo 14: *** Sympathy For The Devil ***
Capitolo 15: *** ZORO & ROBIN ***
Capitolo 16: *** SILENCE IS JUST SILENCE ***
Capitolo 17: *** Unexpected ***
Capitolo 18: *** coincidences ***
Capitolo 19: *** Sweet Discoveries ***



Capitolo 1
*** How do you spend the earned money? ***




HOW DO YOU SPEND THE EARNED MONEY?



"Questi sono per voi! Vedete di non sperperarli in sciocchezze inutili..." 

Tsk, quella strega...
Roronoa Zoro cammina per le vie della città, una mano posata poco elegantemente sulle else delle spade, l'altra a stringere saldamente alcune monete. 
Cammina, calcando i passi sulla strada sterrata e scrutando guardingo ciò che lo circonda. Il suo è uno sguardo sicuro, di chi non si sente preda -nonostante la taglia sulla testa e gli occhi di tutti puntanti addosso-, ma cacciatore. 
Guarda attentamente ogni edificio con le balconate bianche, ogni locanda da cui escono grida e risate troppo rispettabili per i suoi gusti.

'schiochezze'  ha detto....il rum non è una sciocchezza...
Poi in fondo alla strada, poco distante dal porto la vede. È una bettola in rovina con un' insegna sbiadita che cigola all'esterno, animata da un cozzare di urla, vagamente offensive. È quello che fa per lui.
Entra e cala il silenzio. Le mani dei presenti che s'infilano sotto le bluse e i loro sguardi torvi gli confermano di essere nel posto giusto. 
La marina lì non è bene accetta.

"...e vedete di tenervi lontano dai guai, specialmente tu! Zoro!"

Con calma oltrepassa la soglia. Il legno scricchiola sotto il suo peso e con lui i vetri che lo ricoprono. Si sente osservato mentre attraversa la sala, ma di quei ceffi non ha alcuna paura. Si siede al bancone, sporco, graffiato..ferito da chissà quale testa calda e ci sbatte sopra qualche tintinnante moneta. 
Gli bastano poche parole. 
"Rum...il più economico...".

"E ricordate che non vedrete più un solo centesimo, finché non troveremo dell'altro oro!"

Poco dopo si ritrova tra le mani una bottiglia da cui beve avidamente un sorso. 
Il liquido ambrato gli brucia la gola: è di pessima qualità, ma è rum. Sorride appagato.
"Dii un pò. Tu sei uno dei Cappello di Paglia, giusto? Sei quello spadaccino...?". 
È l'uomo tarchiato che l'ha appena servito a parlare. 
I tre orecchini riluccicano nel buio della stanza, come il suo ghigno. "Qualche problema?".
Alle sue spalle sente accendersi un brusio e vede l'uomo che gli ha rivolto la parola cercare qualcosa sotto il bancone. 

"Ricordati che sulla nostra testa pende una taglia!"

Beve un altro sorso senza fretta, senza ingordigia. La mano libera non ha mai lasciato l'impugnatura della Kitetsu.
"Ecco a te allora!". Sul bancone compare una seconda bottiglia e lo sguardo dell'uomo si fa meno truce. "A quei bastardi della marina!" brindano in coro gli altri clienti.
A quanto pare non sempre la cattiva fama è una sventura.

"Robin, tu non scendi?".
"No, preferisco rimanere qui a leggere".

Sente delle mani scorrergli sul petto, mani curate, che hanno ripetuto quel gesto molte volte. 
Su uomini diversi. "Cerchi compagnia?".
La guarda: ha le gote arrossate dall'alcool e gli occhi color petrolio spenti e privi di interesse. 
Molto più allettanti del suo volto abbronzato sono le monete che ha scoccato sul banco.

"Robin sei sicura di voler rimanere qui da sola, se vuoi, ti faccio compagnia io!"
"Chopper, non preoccuparti e poi non eri tu a voler scendere a tutti i costi per cercare un nuovo libro di medicina?"

Ci pensa, prima di rispondere, e intanto una mano scende fin sotto la sua cintura.
"Dai, ci divertiremo insieme!". Questo lo sa anche lui. 
Guarda il denaro risparmiato e la bottiglia ancora chiusa offertagli per meriti ignoti. 
Il respiro della donna gli accarezza il collo. 
Ha appoggiato le labbra carnose sul suo orecchio e gli sussurra promesse che lo fanno sorridere: purtroppo per lui, le può mantenere. 
Eppure Zoro tergiversa ancora.

Chopper osserva con disappunto il tavolino che affianca la compagna: è vuoto.
"Robin, quello è l'ultimo libro che ti resta la leggere?". Lei annuisce impercettibilmente.

Finisce d'un fiato il rum rimastogli e cinge la vita della donna con un braccio, fissandola negli occhi: la fiamma che ora vi arde è la stessa che divampa nei suoi davanti ad una vittoria. 
Ghigna, Zoro, recuperando il denaro ed infilandoselo in tasca.
Il finale pare scontato. 
La stanza vuota all'ultimo piano attende già i suoi nuovi, fugaci, ospiti.

"Se vuoi posso comprartene uno io".
"Chopper non sprecare il tuo denaro per me. Se ne avanzi, conservalo per la prossima volta".
"Ma così tu..tu..".
"Io rileggerò i volumi che ho già". Sorride, di fronte al cipiglio innocente della renna.

Si alza. Pienamente convinto della sua decisione.
Il braccio, che stringe ancora quelle vesti sgualcite, allenta d'un tratto la presa, fino ad abbandonare del tutto il corpo voluttuoso della donna. "Mi spiace, per oggi ti è andata male". 
Lei lo guarda non più di tanto stupita,-quel copione è raro, ma lo conosce-, quanto curiosa. 
"E cosa te ne farai con quelle belle monetine, Roronoa?".
Zoro si ferma; è già sulla soglia, ma una risposta non può rifiutargliela.
"Devo comprarmi un libro".


***spazio autrice***
Salve a tutti...beh questa 'cosa' mi è uscita di getto...lo so anch'io che non è un granché, e che non ha senso, ma volevo provare a cimentarmi con un personaggio che adoro *_____*
Non so che altro aggiungere...a parte: SIATE CLEMENTI! 
Bye, Bye XD!!!!!!!



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Capitolo 2
*** Need you tell me something? ***


....sulla falsa riga della precedente...




NEED YOU TELL ME SOMETHING?



Non le ci vuole molto per intuire dove si trova. Basta cercare in qualche lercia locanda, dove chi esce, il più delle volte, lo fa strisciando. Come quella che ha di fronte.
Due tipi poco raccomandabili, accasciati sui gradini della bettola, la fissano insistentemente da alcuni minuti. 
Hanno gli occhi vitrei e l'alito di chi non vede mai il fondo del bicchiere.
Robin li ignora ed entra. Il fetore di alcool e sangue le invade le narici, facendole arricciare il naso, gli occhi pizzicano, ma non demorde.
Le ci vuole meno di un secondo per individuarlo tra la massa di nerboruti: Zoro è l'unico ancora in grado di bere in quel posto. 
E come tale troneggia, seduto al bancone.

È da un quarto d'ora che lo fissa. Non alza lo sguardo, non gli occorre per sapere che i suoi occhi cristallini sono puntati su di lui: se li sente addosso. 
È una sensazione nota e terribilmente fastidiosa.

Non gli serve udire lo scricchiolio dei cocci calpestati, né i bisbigli eccitati dei pochi coscienti, che sgomitano tra loro. Basta solo quel profumo dolce che si fa largo tra l'olezzo del locale per fargli capire che è lì.
Svuota, allora, d'un fiato il bicchiere che ha davanti. 
Il bruciore alla gola e la vista offuscata gli dicono che, forse, così potrà affrontarla.

"Nah..Robin? Che c'è?". Lei non si stupisce di essere stata scoperta, in fondo lo voleva.
"Fufufu...pensavo". E ritorna a guardarlo.

"Signorina, desidera?". Il barista sfoggia il suo miglior sorriso, ma ci vuole ben altro per impressionarla. "Mi faccia lo stesso" e indica il bicchiere vuoto del compagno, che ghigna sinistramente. "Vuoi ubriacarti pure tu adesso?".
Lo sguardo lucido e freddo di Robin coglie, in quello severo che lui le ha lanciato, un bagliore di infinita...tristezza; così si limita ad increspare le labbra.
Proprio quello che temeva: a quel sorriso non può controbattere.

"A cosa?". 
Il nero pece dei suoi occhi non la intimorisce. "A te. Quando lo ammetterai?".
L'espressione beota di Zoro le fa capire chiaramente che non sa a cosa si riferisce.

Rimangono in silenzio ad osservare i loro bicchieri riempirsi di rum.
"Che sei venuta a fare?". È lui a rompere gli indugi.
"Ti cercavo". 
Beve un sorso ed avverte subito un gusto amaro riscaldarle la bocca: è una sensazione piacevole, ma non tanto da svuotarne intere casse.
"Beh sono qui, che vuoi?". Il tono é duro, intransigente, ma sa di non riuscire a mantenerlo guardandola negli occhi, per questo fissa il liquore ambrato nel boccale: tra poco non ci sarà più. 
Lo sanno entrambi.

"....che a me ci tieni più di quanto tu voglia mostrare, spadaccino..."
"Tsk! Sciocchezze!". Ma intanto solleva i pesi con maggior vigore.

"Ti riporto alla Sunny. Non vorrei ti perdessi". 
Così si arrabbierà, ne è sicura Robin, ma non può farne a meno. 
"Sto bene qui" biascica in risposta, visibilmente alterato.
"Ho rum e...". "Roronoa". 
Oltre le sue spalle, spunta una giovane di dubbia moralità.
"Che c'è hai cambiato idea? Non vieni più a farmi compagnia?". Sul suo viso compare un broncio capriccioso, mentre gli accarezza la nuca in un eloquente invito. Non serve renderlo esplicito, eppure la donna gli sussurra comunque le sue, allettanti, intenzioni. 
Il suo sguardo corre poi verso la mora che lo affianca. È bella, molto, forse troppo
Ha i capelli setosi, come mai saranno i suoi, la pelle diafana e delicata, le labbra rosa: non ha mai conosciuto la spiacevole compagnia di un cliente, al contrario di lei. E quella differenza la infastidisce. 
Vorrebbe chiedere a Zoro di allontanarla, ma non può permetterselo.

Ci pensa un attimo prima di rispondere e posa il libro sulle ginocchia.
"Allora l'altra notte...".
"L'altra notte non c'entra!". 
"...e....quelle precedenti?".

"Vedo che qui hai già compagnia". 
Robin si alza, recupera il suo zaino e si avvia all'uscita, impassibile.
È proprio per quell'impassibilità che Zoro sa di averla ferita.
"Chi è quella Roronoa?". 
"Nessuno". Ma i suoi occhi dicono tutt'altro.

"Ero ubriaco". Una spiegazione fin troppo banale perché Robin ci possa credere realmente, ne è consapevole anche lui, ma non può dargli altro.

"Ehi bellezza, te ne vai in giro tutta sola a quest'ora di notte?". 
Un uomo tarchiato si avvicina barcollante alla nakama e l'afferra per un braccio. La sua mano è grande e ruvida, screpolata dal sole e dalla salsedine. 
"Che ne dici di stare un po' qui con me?". Lei non si scompone. 
Ama le buone maniere, ma è perfettamente conscia di non poterle trovare in un posto simile.
La stringe a sé, l'ubriaco, e sulla sua guancia, Robin, avverte il calore metallico della croce d'argento che questo porta al petto: segno di una religione che non ha mai conosciuto.
Osserva l'ottima manifattura della catena. L'avrà rubata
È il suo unico pensiero.

"E così è solo questo?". La sua voce è ferma, misurata, in fondo quella era la risposta che aspettava...eppure fa male lo stesso.

Zoro è di spalle, non assiste alla scena, preferisce continuare a bere. 
Con la mano, però, accarezza l'elsa tornita della katana, il pollice corre veloce alla coccia e, in un gesto che ha ripetuto fin troppe volte, la solleva. 
La lama riverbera nell'oscurità.
Il suo è un monito silenzioso, ma arriva dritto alle orecchie di chi sa ascoltare.
L'uomo all'ingresso spalanca gli occhi annacquati dall'alcool. Ha sentito parlare del tipo seduto al bancone, maestro nell'arte delle tre spade. 
"Sono pochi quelli che l'hanno incontrato e possono raccontarlo" gli hanno detto.
Le sue pupille si fanno ancor più enormi, quando riconosce nel volto di Robin quello di un vecchio avviso di taglia: è "Il diavolo di Ohara" quella che stringe tra le braccia.
La lascia immediatamente, meglio non scherzare con i demoni.

"Già". Continua i suoi allenamenti, ma il peso maggiore è quello che si porta dentro, quello che gli impedisce di muoversi quando la vede allontanarsi, in silenzio con il libro ancora aperto abbandonato sulla sdraio.

Al cigolio della porta, Zoro sbuffa. Questa me la farà pagare, pensa. 
Purtroppo per lui è più che una supposizione.
E tutto per non ammettere che, in fondo, a lei ci tiene. Fin troppo.

----------------------

È ormai l'alba quando la Sunny lascia il porto. 
Il vento gonfia le vele e la bandiera dove spiccano fiere quelle ossa incrociate. 
I pirati, in quell'isola, non sono bene accetti, come in tutte le parti del resto, ma quel giorno l'attenzione dei pescatori é rivolta a tutt'altro.
Fuori da una locanda, in un quartiere malfamato della città, è stato trovato un uomo in fin di vita col petto lacerato dal fendente di una spada. Capitano spesso liti tra i balordi rissosi, scatenate per racimolare qualche soldo, e chi ha la peggio, il giorno dopo, è steso a terra in una pozza di sangue, proprio come quel tipo. 
Ciò che non torna però è che l'unica cosa che potevano rubargli -una croce latina d'argento- pende ancora dal suo collo.

Zoro ha poche certezze nella vita: le sue spade, il rum, i suoi compagni e l'assoluta convinzione che le donne siano una perdita di tempo.
È certo che le sue spade saranno sempre pronte per essere sguainate, a scintillare sotto il sole di una nuova battaglia.
È certo che, al termine di suddetta battaglia, troverà del rum per brindare alla vittoria.
È certo che per i suoi nakama sarà sempre disposto a sacrificare la vita.
Sull'ultimo punto, invece, comincia ad avere qualche perplessità, ma in attesa di sciogliere i suoi dubbi non può permettere a quella donna di far perdere tempo a qualcun altro.

Ciò che suscita più scalpore, però, è la donna che urla al suo fianco. 
Ha un braccio rotto, come dimostra l'ematoma violaceo che lo ricopre.
Dice di essere stata aggredita all'improvviso da alcune mani spuntate nel nulla...
"È una povera pazza" borbottano i passanti, attirati dai suoi schiamazzi.

Robin sa molte cose. Sa leggere i poignee griffe, sa ascoltare, sa studiare le persone.
Sa che nonostante si ostini a negarlo, Zoro ci tiene davvero a lei.
Sa che, prima o poi, glielo confesserà, per questo attende, paziente, che imbocchi la strada giusta.
Ma sa anche che lo spadaccino non ha senso dell'orientamento e per questo non può permettergli distrazioni durante il percorso.


***spazio autrice***
Salve!!! Si lo so che è praticamente identica all'altra, ma non ho resistito alla tentazione di inscenare una specie di 'dramma della gelosia'...che c'è anche se velato, molto velato...ma con questi due babbei, ehm sciocchini non potevo far altro! 
Prometto che le successive shot saranno ambientate in location differenti e magari senza prostitute i mezzo! 
Non ho altro da aggiungere..anzi si recensite numerosiXD!!! Bye, Bye!!!!!

 

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Capitolo 3
*** HOW LONG HAVE YOU BEEN LIKING THANKS, MR. SWORDSMAN? ***



...questa qui è lunghissima, vi avviso. Ci vediamo in fondo per alcuni chiarimenti, se ci arrivate...


'AND....HOW LONG HAVE YOU BEEN LIKING THANKS, MR.SWORDSMAN?'



Gli occhi le bruciano ancora, eppure solo la colonna nera che sale all'orizzonte può testimoniare quant'è successo. 
Robin si tocca una guancia e la sente bollente: colpa delle fiamme che ha visto bruciare poco prima. Il fuoco, quello che inghiottisce ogni cosa senza ritegno, è lo stesso di vent'anni prima. Diversa, invece, è la sensazione che le stringe il cuore.
Ohara ardeva per essere distrutta, cancellata dalle cartine e dalla memoria, la Merry per non restare sola nel suo lento e cupo sprofondare e per lasciare un ultimo ricordo alle persone con cui aveva diviso la sua breve avventura. 
Si sfiora ancora il volto: quel calore lei non l'avrebbe di certo dimenticato. 
È lo stesso che avverte dentro e ad infonderglielo sono stati loro, i suoi nakamaSì, ora può definirli tali.
Il silenzio, sulla nave della Galley, è tale da sembrare perfino irreale. 
Stanno tutti dormendo, dopo le fatiche compiute per andarla a salvare: Rufy, Nami, Chopper, Sanji e Usopp, che si fa però chiamare Sogeking, o qualcosa di simile...ma lei proprio non ci riesce a chiudere gli occhi. 
Un po' perché teme che, svegliandosi, quello si riveli essere un sogno; un po' perché vuole respirare, dopo tanto tempo vuole respirare la libertà che tutti cercano in mare, ma che lei, nel suo peregrinare, non ha mai trovato. 
Fino a quel momento almeno.
Così esce dallo scafo e, senza fare il minimo rumore, raggiunge la prua. 
Le piace l'odore di salsedine che sale, sospinto dall'infrangersi delle onde sulla ciglia. Vuole riempirsene le narici, perciò muove qualche passo per avvicinarsi al parapetto, ma all'improvviso si blocca. 
Non è sola. 
Proprio di fronte a lei, seduto a terra con le gambe incrociate e le katane appoggiate alla spalla, c'è Zoro: dorme. 
Non lo vuole disturbare, dopotutto c'era anche lui in cima alla torre a fissarla con sguardo severo, quasi colpevolizzante.
Si avvicina piano alla balaustra e ne accarezza il legno ruvido: le venature che lo attraversano sembrano quasi rughe comparse col tempo. Inizia a far scorrere un dito su quelle striature scure, ma il giochino perde quasi subito il suo fascino. 
La mente di Robin è da tutt'altra parte. Ripensa allo spadaccino e all'espressione dura dei suoi occhi. Non c'era ansia, né palpitazione, tantomeno paura. Essi rispecchiavano l'assoluta fermezza di una decisione: quella di riportarla indietro.
Eppure qualcuno le aveva accennato al fatto che Zoro soppesava le persone secondo il grado di fedeltà che dimostravano: e lei, in questo, era stata piuttosto carente. 
Non gli aveva forse traditi, nella fiducia perlomeno? Banale anche sussurrarla la risposta. 
Allora....perché era lì con loro? 
Scuote la testa Robin e i capelli le ricadono sul volto. Sarà la stanchezza, si dice per mettere a tacere quelle domande che improvvisamente l'assalgono. 
I nakama restano sempre uniti. È la prima lezione che ha imparato da loro. 
Torna a guardare il nero orizzonte, laddove non si riesce a distinguere il cielo dal mare.
Ora toccherà a me. Dovrò sdebitarmi. La sua è una promessa pronunciata con tale sollievo e leggerezza nel cuore che le pare perfino impossibile d'essere stata proprio lei ad esprimerla: Robin, delle promesse, aveva un po' paura. 
In fondo, l'ultima -quella fatta a sua madre- le aveva rovinato l'esistenza.
Un'assurda idea le balza in mente: potrebbe iniziare proprio da lui, Roronoa Zoro.
Si volta, con le mani giunte dietro la schiena, e lo scruta attentamente. 
I linearmente del suo volto sono marcati, duri, sembra che neanche il sonno riesca a distenderli. Tiene la fronte leggermente aggrottata, come se stesse riflettendo: una supposizione, questa, avvalorata dalla strana piega delle sue labbra.
Robin non sa perché, ma sorride.
Silenziosamente gli sguscia vicino: anni di esperienza l'accompagnano e difatti non lo sveglia. Si china verso di lui, i tre orecchini ondeggiano, mossi dal suo respiro.

"Lasciamo perdere queste idiozie e pensiamo a scappare!"

Gli porta due dita sotto il mento, facendogli sollevare il volto. Zoro ha appena il tempo di aprire gli occhi per accorgersi che Robin lo sta baciando. 
"Che...che fai!" borbotta contrariato, e imbarazzato, scostandosi da lei.
"Volevo ringraziarti". È la semplice risposta che gli concede, sorridendo senza vergogna.
"Ti ho già detto che non serve!". 
Zoro si passa energicamente la mano sulla guancia, laddove si erano posate le labbra della donna, che vede allontanarsi, ridacchiando. 
Aspetta che lei rientri, poi smette di strofinarsi. Ci sono solo due dita, ora, posate su quella parte del suo viso che sente terribilmente calda
Ghigna senza motivo e torna a dormire.

---------------

Solleva senza sforzo il peso che ha davanti per una, due e più volte fino a perdere il conto, e fissa la porta che ha di fronte. 
 Non aspetta nessuno lassù, ma sente che qualcuno arriverà. 
E la sua attesa viene premiata, quando la porta, cigolando si apre. 
Lei resta ferma sulla soglia e lo guarda continuare, indifferente, i propri allenamenti: non si sarebbe aspettata niente di diverso. 
In realtà, gli occhi di Zoro non la lasciano neanche un momento.
"...1000" sospira distrattamente infine, appoggiando il peso a terra, ed alzandosi dal divano. 
Non va da lei, la desidera certo, ma prima vuole vederla bene. 
In due anni non è cambiata molto. Solo i capelli sono più lunghi.

Robin temporeggia ancora un po' davanti a quell'uomo. Poco rimane infatti del ragazzo che lasciato. È più alto, di quel che si ricordava, almeno di una spanna, e più muscoloso. 
Ma il ghigno sfacciato che gli piega le labbra è rimasto lo stesso.
Si avvicina lentamente.
"Le cicatrici sono il segno che si è sopravvissuti a qualcuno e ti ricordano sempre che quel qualcuno, se non l'hai ucciso, è chissà dove ad aspettarti". Le aveva confidato una volta.
"L'hai perso?" gli chiede dispiaciuta, indicando il solco che sfoggia al posto dell'occhio. 
Il ghigno diventa a quel punto più profondo, completato da un'alzata di spalle. "Ho l'altro". 
Robin si morde allora il labbro: lo fa, quando non sa cosa dire, o meglio, da dove iniziare. E Zoro nota compiaciuto che anche in questa sua piccola mania non è cambiata. 
"Sei venuta a ringraz....". Lo zittisce con un bacio. 
Il sapore di rum che avverte schiudendo la bocca le manca da troppo tempo, sembra perfino gradevole adesso. Con le dita sottili gli sfiora la cicatrice che giganteggia sul suo petto e, a quel tocco, lui rabbrividisce: non sa darsene una ragione, ma succede ogni dannata volta.
Un sospiro e le loro labbra si staccano, giusto per dare il tempo a Zoro di accorgersi della mano fiorita sulla sua schiena, che lo sta, lentamente, spogliando...

"NAMI-SWAN!!! Sei splendida questa mattina!"
"Si, si, si. Hai visto Robin? Non ha dormito nella sua stanza"
"COSAAAA!?!"

"Sarà meglio muoversi. Gli altri sono già svegli". 
Si volta verso di lui, che non pare intenzionato ad alzarsi e a farla alzare, considerato il braccio che l'avvolge. "Zoro...". È uno sbuffo, ma ha il gusto di una supplica che lui non vuole esaudire.
"Robin...". La sua voce roca ha qualcosa di seducente, ma non può permettersi di dargli corda. Così scioglie la presa e, stretta nella coperta, cerca i suoi vestiti, mentre lui si sdraia meglio, incrociando le mani sotto la testa. 
"Beh, cercano te".
Sbadiglia.

"ROBIN-CHAN!!!!!"
"Ehi...Nami...Cos'ha Sanji?"
"Chopper! Niente...solo...Robin non si trova"
"Oh...e Zoro?!"

Lo sguardo di lei si fa minaccioso, ma Zoro ha gli occhi chiusi e non può vederlo. 
"Ora cercano anche te". "Sanno dove trovarmi...". E sbadiglia di nuovo. 
L'irritazione di Robin, di fronte quel suo comportamento lavativo ed indifferente, si tramuta in un leggero sospiro, che si lascia sfuggire agganciandosi la gonna. 
"Cuerpo Fleur!".

"ROBIN-CHAN!!!!".
"Eccomi!". 
"Oh, Robin-CHAN! Sei meravigliosa! Vieni...la colazione è pronta!".
Chopper osserva il cuoco piroettare verso la porta. "E Zoro?".
"Quel marimo? Se abbiamo avuto un po' di fortuna, stanotte, se l'è preso il mare!".

Il silenzio regna di nuovo sulla nave.
Robin termina di vestirsi e tenta di avvicinarsi alla porta. Tenta, ma non ci riesce. 
Zoro, infatti, la trattiene, aggrappato alle frange della gonna. Ha uno sguardo stranamente vispo per essersi appena svegliato ed un sorriso che non promette nulla di buono.
"Dii un pò, Robin, che durata ha la tua copia?". Lei lo fissa interdetta per un secondo. Perché vuoi saperlo? Non fa in tempo a porgergli la domanda. 
Dal luccichio malizioso del suo occhio comprende subito sue intenzioni, e con esse la risposta.
"Devo restare concentrata..." mormora. "Ah, davvero...". 
L'attira a sé senza troppa delicatezza, costringendola a sdraiarsi al suo fianco. 
L'interesse di Robin verso la scala a chiocciola scema all'improvviso: i baci che le marchiano il collo fanno crollare qualsiasi, debole, resistenza. 
"Davvero...ma dimmi un po', Spadaccino, da quando ti piacciono così tanto i ringraziamenti? ".

"AAAAHHHHHH!!!!! ROBIN-CHAN!!!!! DOVE SEI FINITA?!?!?!".



***spazio autrice***
...prima di tutto: siete vivi? C'è qualche superstite? Speriamo di si. O non mi rimarranno più lettori...
Mi spiace rendervi partecipi della mia insonnia, purtroppo...ho iniziato a scriverla e non sono più riuscita a smettere!!!! Eh...ho pensato anche di tagliare l'ultima parte, ma la scena di Sanji mi sembrava troppo carina. Anche per voi è così, giusto?!?!?
Ah! Veniamo ai chiarimenti...dunque: riguardano la seconda parte. La scena, come l'ho pensata, avviene dopo che Zoro salva Robin da hyouzou (ecco spiegati i ringraziamenti....:3) e poi, ah si...la copia, quello che ho scritto sulla durata é frutto della mia mente bacata fantasia..
Dovrebbe essere tutto...eh, Bye, B..*si accascia al suolo*






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Capitolo 4
*** Dollop Of Bones ***





DOLLOP OF BONES




"Nami-swan...vuoi che ti prepari uno snack? O magari qualcosa da bere?".
"No, grazie".
"Oh che sciocco sono! Sarai stanca e vorrai farti un bagno..."
"No, Sanji! E poi c'è già Robin!".
"HO FAME!"
"Ti ho già detto che la cena è quasi pronta! E poi non vedi che stavo parlando con la nostra bellissima navigatrice?!?! Smettila!!!"


Sbuffa, Zoro, costretto ad alzarsi, seppur controvoglia. 
Non ha alcuna intenzione di assistere al battibecco che quelle urla preannunciano, così abbandona l'acquario che per qualche ora era stato custode del suo sonno.
Il ponte è deserto. 
L'aria del Nuovo Mondo è strana, pesante, assomiglia a quella di Skypiea. 
O, forse, è solo il tempo trascorso lontano dal mare a fargliela sembrare tale.
Si volta verso la poppa ed, inconsciamente, alza lo sguardo: una luce, resa tenue dal vapore, illumina il cielo nero. Robin è ancora lassù
Stringe, allora, l'elsa di una katana. Lo fa sempre quando avverte un pericolo o deve resistere ad una tentazione: e quella di raggiungerla, per quanto forte, non lo piega. 
Pochi passi ancora e si ritrova ai piedi dell'albero maestro, che scricchiola sotto la furia del vento, ma resiste. In fondo sono simili.
Vi posa una mano sopra e sente il calore del legno. È gradevole, famigliare
Come il garrire della bandiera e il cigolio delle cime tese. 
Lo scroscio delle onde, che s'infrangono sulla ciglia, non riesce a distrarlo da quel fruscio che si perde nell'aria. Non è il rumore spesso della pagina di un libro, ma quello leggero della carta.                                                             
Probabilmente Nami è andata a sistemare le sue mappe: lo sbuffo soddisfatto e il graffiare della penna sul foglio, che sente dopo, glielo confermano.
Tende l'orecchio. Un altro suono ha catturato la sua attenzione.
Non è facile distinguerlo dal borbottio del mare, ma Zoro riconosce in esso il gocciolio di una mano bagnata, è quella che Robin ha allungato per recuperare il sapone. 
Aggrotta la fronte: se si concentra ancora, può sentire anche l'affondo sordo della lama sul tagliere ed il lento consumarsi di una sigaretta. È il cuoco: sta finendo di preparare la cena, canticchiando qualcosa col mozzicone tra i denti. Rufy dev'essersi addormentato, lo intuisce dal respiro profondo e dal mugolare del suo capitano.
Non gli serve chiedersi che fine abbia fatto Franky: lo sferragliamento che da qualche minuto lo infastidisce gli dice che è a prua e che sta lavorando ad un nuovo progetto. In sua compagnia c'è Usopp, riconosce la sua voce in un susseguirsi di imprecazioni. Dev'essergli caduto qualcosa sul piede, sentenzia mentalmente.
E Chopper? Uno scalpitio di zoccoli riempie l'infermeria. Dove altro poteva essersi cacciato...
Sorride, Zoro, lasciandosi cullare più da quei suoni che dal ribollire del mare. 
Sono suoni caldi ed, incredibilmente, piacevoli che può associare solo a quella nave e ai suoi 'passeggeri'. Un nome mormorato a fil di labbra, un sussurro appena udibile. "Casa".
È difficile ammetterlo, ma, in quei due anni, gli era mancato perfino lo spignattare di Sanji; lì al castello i rumori più felici erano l'eco dei passi che si dissolveva nei corridoi e il clangore delle spade. 
Prende un profondo respiro -un miscuglio di odori gli intasa le narici, ma quelli proprio non riesce a distinguerli- e si siede a terra. 
La sensazione di pace che prova accarezzando l'erba dura il tempo di ricordarsi che l'incessante martellio del carpentiere, in passato, era addolcito dalla melodia nostalgica della musica di Brook

"...vorrai farti un bagno..."
"No, Sanji! E poi c'è già Robin!".

E sono proprio le malinconiche note del violino quelle che, Zoro, non sente nell'aria. 

"Posso fluttuare e passare attraverso i muri grazie a questa capacità. Cosa pensate abbia fatto? Essendo un maschio...".

Scatta in piedi all'improvviso, quasi il terreno bruciasse, posando d'istinto lo sguardo sulla torretta del bagno: sembra tutto tranquillo. 
"Umf...". Si gratta la testa, allora, dandosi dello sciocco per l'assurda idea che gli era venuta, eppure....Eppure il senso di inquietudine mista ad irritazione non l'abbandona.
Decide di dare un'occhiata in giro, giusto per assicurarsi che lo scheletro non usi quella sua nuova abilità per scopi tutt'altro che onorevoli. 
Dopo una rapida perlustrazione nel salone e nelle stanze, lo trova. 
È seduto sulla bordatura, nascosto dalle piante di mandarini. 
La tazzina di tè ancora fumante al suo fianco, il violino abbandonato poco più in là. 
"Brook!". Non risponde né a questo, né ai successivi richiami.
Lo afferra allora per il colletto, scuotendolo violentemente. "Brook!".
Il teschio afro ricade, inanimato, all'indietro, confermando i sospetti di Zoro: quello che ha tra le mani non è che un mucchietto d'ossa.

É rilassante abbandonarsi a quel tepore, nonostante la schiuma che le solletica il naso. Robin distende le gambe e china il capo all'indietro, lasciando che i lunghi capelli fuoriescano dalla vasca, come il braccio che fa penzolare oltre il bordo marmoreo: sente l'acqua scivolarle sulla pelle e raccogliersi sulla punta delle dita in gocce che, infrangendosi sul pavimento, producono un lieve ticchettio. 
È lo stesso, costante, del rubinetto che perde.
Da alcuni minuti avverte una spiacevole sensazione che sperava di aver dimenticato, quella di essere osservata. Il nodo che le attanaglia lo stomaco, però, non è dovuto alla paura, quanto al disagio. Sbuffa contrariata e fa spuntare alcune braccia per afferrare l'asciugamano, preparandosi ad uscire. 
"Yohohohoho...". 
Una risata risuona nell'aria satura. 
Robin sussulta e si guarda attorno con circospezione: è sola, gliene dà conferma anche l'occhio fiorito fuori dal bagno.
D'un tratto sente un rumore farsi sempre più vicino: sono i passi di qualcuno che sta salendo, di corsa, le scale. Fa appena in tempo a riconoscere la loro inconfondibile cadenza, che Zoro spalanca la porta. 
Sembra una furia: ha il fiato corto e regge sotto braccio Brook.
Senza farsi troppi problemi entra e, digrignando i denti, scruta l'ambiente, senza prestarle attenzione. 
Il suo unico occhio diviene una fessura, quando, alzando lo sguardo sul soffitto, scorge, tra le bolle di sapone, un'ombra. 
"Torna qui, maledetto!" e sbatte lo scheletro a terra. A Robin, che intanto si è avvolta nell'asciugamano, sembra un pazzo. Con chi sta parlando???
"E va bene! Come desideri!". Afferra la folta chioma del teschio e, sotto la minaccia di una lama, ringhia nuovamente. "Te la faccio a fettine, Brook!!".
"Yohohohoho...l'afro no...".
Robin non capisce né da dove proviene quella voce, né perché Brook si comporti in modo così strano -sembra svenuto-; tantomeno si spiega il motivo per cui lo spadaccino sia piombato lì in quel modo ed abbia iniziato ad inveire contro il muro. Tuttavia di una cosa è certa: quella che sente crescere dentro di sé è una profonda, incontenibile, smisurata...irritazione.
Si fa un'idea di cosa sia successo quando vede una specie di nube gassosa posarsi sullo scheletro e rianimarlo. 
"P-perdonami...non lo faccio più...". Il balbettio della sua voce rivela a Zoro che non sta mentendo, così lo libera dalla presa, ma non prima di avergli assestato un potente pugno: è più facile ricordare il dolore fisico che l'avvertimento.
"Ora andiamo!" gli ordina, ma questo non si muove. 
In quel momento è solo un piccolo mucchietto d'ossa tremanti, rannicchiato contro il pavimento, che, con la sottile falange sospesa a mezz'aria, indica qualcosa alle spalle di Zoro.
Forse l'incarnato scuro della sua pelle riesce a nascondere l'effetto dell'inatteso panico che avverte. 
Più che una sensazione, è un presentimento.



I mugiwara sono tutti raccolti attorno al tavolo in cucina, che si anima ben presto di urla e sghignazzi.
A Chopper piacciono particolarmente quei momenti di condivisione ed allegria, tuttavia, quella sera, c'è qualcosa che lo disturba, impedendogli di gustarsi appieno la cena.
Il muso ingenuo corre su ogni singolo elemento della ciurma e si sofferma in particolare su tre di loro. 
Robin è seduta ad angolo del tavolo. Al solito, consuma la propria porzione 'speciale' -quella che Sanji riserva alle sue dee- in educato silenzio, eppure sembra così strana: tiene lo sguardo basso, non sorride e stringe le posate con forza eccessiva. Forse è nervosa, pensa la piccola renna, a cui balza in mente l'immagine di una Nami furiosa. 
Rabbrividisce, nonostante il folto pelo che lo ricopre. O forse mi sbaglio...
Poi c'è Brook. Come di consueto libera in fretta il suo piatto, per farselo poi nuovamente riempire, però, eccetto qualche risata ed alcuni rumori molesti, che si lascia sfuggire, è piuttosto taciturno. 
Sbatte le palpebre più volte, stupito, davanti al gigantesco e violaceo bernoccolo che spunta tra la massa nera dei suoi capelli, senza riuscire a darsi una spiegazione su come se lo sia procurato.
Ma quello che suscita di più la sua curiosità è Zoro. 
Siede tra il canterino e l'archeologa ed anche lui non pare avere una gran voglia di parlare, vista la velocità con cui si rimpinza e l'espressione cupa. 
Chopper non capisce il motivo di quel suo comportamento scontroso; s'interroga sul perché il suo volto sia leggermente arrossato e, sopratutto, sul perché il livido che gli compre la guancia abbia la forma di cinque dita....  





***spazio autrice***
A beh....di questa non so proprio che dire. 
Da quando ho scoperto la nuova abilità di Brook, ho cominciato a pensare che l'avrebbe potuta utilizzare in questo modo (come lui stesso afferma di aver già fatto...) anche sulla Sunny...allora ho messo in pratica questa mia ideuccia ed è uscita sta mezza schifezza! -_-
Mah....fate un pò voi...
Bye, Bye.


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Capitolo 5
*** [Day]: CALL ME BY NAME... ***




CALL ME BY NAME...



Le prime luci dell'alba filtrano dall'oblò bagnandole il viso.
Robin mugugna piano e stringe le palpebre, infastidita, ma non le solleva. 
Resta così, stesa sul letto, a lasciarsi coccolare dal tepore del sole e dal lento movimento del mare per alcuni minuti. E quando, inumidendosi le labbra, avverte ancora il sapore della notte appena passata, le viene spontaneo sorridere.

Li guarda dormire.
I miei compagni...Non pronuncia quella parola,-non vuole rischiare di svegliarli-, la pensa soltanto, ma avverte comunque un dolce gusto invadergli la bocca. 
Si chiude la porta alle spalle ed esce in cortile. 
La forza dell'acqua laguna ha spazzato via le nubi, proprio come la loro tenacia ha cancellato sofferenze che si portava dentro da vent'anni.
"Hai intenzione di fuggire di nuovo...?". 
Alza lo sguardo al cielo cosparso di stelle.
"Ti hanno messo di guardia?" sospira, senza voltarsi, attendendo, in silenzio, una risposta. "Si fidano..." borbotta. 
"Tu no?".
"Non hai risposto alla mia domanda".

È la prima volta per lei.
È la prima volta che si sveglia accanto a qualcuno. 
Già in passato gli stenti e il continuo fuggire l'avevano costretta ad offrire la sua compagnia a uomini tracotanti e privi di scrupoli, che non perdevano tempo a chiederle chi fosse: li sceglieva nelle locande più malfamate, dove questi si recavano per festeggiare, vantandosi del proprio bottino. Spesso riusciva a farli bere a tal punto che svenivano a letto, prima ancora di essersi slacciati la cinta, altre volte, però, la furbizia non bastava...e quelle notti insonni, Robin le trascorreva ad aspettare che le molle del letto smettessero di cigolare, che uno spiraglio di luce si stagliasse all'orizzonte, che il suono delle monete scoccate sul tavolo si dissolvesse nella stanza. 
...anche la vergogna ha un prezzo...si ripeteva sempre.

"No" mormora, sentendo l'erba piegarsi sotto il peso dei suoi passi. 
Zoro la affianca, rivolgendole il suo mezzo ghigno di rito.
"Ho voglia di fare una passeggiata. Non ho visitato bene questa città...".
"Non vuoi una risposta...?". 
Gli occhi cristallini di Robin incontrano la pece dei suoi, che vacillano un'istante.
"Un bravo vice sta sempre con il proprio capitano..." e piega le labbra in quel modo che lui non sopporta, perché davanti a quel sorriso si sente dannatamente vulnerabile. 

Aggrotta la fronte ed assottiglia gli occhi per mettere a fuoco il braccio che penzola dal materasso. 
É possente, ruvido, indurito dal sudore e dal cocente battere del sole. 
Si volta verso il suo proprietario che dorme ancora, per nulla infastidito dalla luce del nuovo giorno. I lineamenti sono stranamente rilassati, morbidi, la bocca semiaperta ed increspata in qualcosa che, Robin, non sa se definire sorriso.
E, all'improvviso, la leggerezza svanisce, lasciando il posto ad una certa inquietudine.

La guarda, interdetto, avviarsi verso il cancello, fermarsi, davanti all'inferriata, e chinare leggermente il capo: col tempo ha capito che è un gesto che ripete spesso prima di dire qualcosa.
"Non vieni?". 
Zoro inarca un sopracciglio, perplesso."Dovrei?".
"Ti sto facilitando il compito, spadaccino!".
"Rufy si fida. Io sono il suo vice e, come hai detto tu, seguirò sempre il mio capitano".
"Ah. Io ho detto un bravo vice..." puntualizza e sorride di nuovo.
...perché, Robin, gioca sporco ed ama confonderlo con i giri di parole.
Lui strabuzza gli occhi, sospira e alla fine cede.
                                                  ...perché a Zoro, in fondo, piace quel gioco. E non ama perdere...

L'ha sempre trovato estremamente interessante, inutile negarlo. 
Il muso imbronciato e le occhiate taglienti che le rivolgeva all'inizio, e con cui voleva sottolineare tutto il suo disappunto verso la decisione di accettarla a bordo, anziché intimorirla, la divertivano. 
Era stato facile per lei accattivarsi la simpatia degli altri membri della ciurma, meno aggirare il puntiglio sospettoso dello spadaccino. Così, quella che era partita come una semplice sfida, si era presto trasformata in un gioco di sguardi e silenzi, dietro i quali, entrambi, celavano l'intenzione di scoprire il più possibile dell'altro.
Lui aspettava una mossa falsa per smascherarla.
Lei cercava il perno su cui far leva per guadagnarsi la sua fiducia.
...ma quella notte si erano spinti troppo oltre... 

"Di qua...".
Un'imprecazione irripetibile le fa capire che il pub dei carpentieri che stanno cercando non si trova alla fine di quel vicolo.
"Non l'aria di essere un locale" infierisce, indicando una vecchia nave arenata sulla battigia.
Un'altra imprecazione, stavolta accompagnata da uno sguardo torvo. 
Le fa quasi tenerezza nel modo impacciato con cui si gratta la testa, guardandosi attorno, confuso. "Ero sicuro fosse qui..." ripete per l'ennesima volta, farfugliando poi qualcosa su un ponte che -forse- non dovevano attraversare.
"Non importa..".

Puntella il gomito sul materasso e lo fissa per qualche secondo. 
Il grande sfregio che gli attraversa il petto sembra dilatarsi ad ogni respiro e Robin osserva incuriosita quei segni lasciati da maldestri punti di sutura: a detta di Chopper una persona normale non sarebbe mai sopravvissuta ad una ferita del genere. Ma Zoro di normale ha ben poco.
Un riflesso le colpisce gli occhi: sono i tre orecchini, dai quali mai si separa. 
Eccola una delle sue stranezze. Robin si chiede se siano in qualche modo legati alle spade, ci pensa su un momento, formula altre ipotesi, poi scuote la testa, portandosi una mano in fronte. 
È inutile perdere tempo, la sua decisione l'ha già presa.

Sono seduti in riva al mare da qualche minuto. E nessuno dei due pare intenzionato ad aprir bocca.
Zoro la sbircia di nascosto: fissa le onde che s'infrangono sugli scogli, infischiandosene dell'acqua che le bagna i piedi. Nel suo sguardo c'è qualcosa di incredibilmente triste e gli viene il dubbio che lui ne sia la causa. 
"Perché diavolo hai voluto che ti accompagnassi?".
Lei sospira. Si aspettava quella domanda e quel tono burbero: Zoro non sa proprio essere delicato, ma è una grossolanità che apprezza.
"Non per farmi da guida...". Il suo tono è vagamente irrisorio, ma non offensivo. 
E forse è per questo che lui si limita a sbuffare scocciato, piuttosto che risponderle sgarbatamente.

Silenziosamente si alza a sedere, raccattando i propri vestiti, e sorride nel vedere la propria maglia impigliata nell'elsa di una katana: gliel'aveva sfilata lui, e dov'altro poteva averla lasciata uno spadaccino?
"Sembri di fretta...". Quella voce, ancora impastata dal sonno, la coglie di sorpresa, ma Robin riesce a nasconderlo bene. 
"Non dovrei? Nami è mattiniera, potrebbe preoccuparsi non trovandomi in camera...".
È palesemente una balla e Zoro non si fa troppi problemi nel smascherarla. 
"Ah, non dire cazzate..." sbadiglia indifferente, seguendo con lo sguardo la pelle candida della schiena che viene spietatamente coperta. "Ti sei pentita?". 
Un ghigno gli piega la bocca, ma non c'è gioia o soddisfazione, solo amarezza di fronte ad un'evidenza che brucia più di quanto lui voglia ammettere, anche a se stesso.

"Volevo solo compagnia..." confessa, stringendosi le spalle.
Zoro sbatte le palpebre un paio di volte stupito e con lo sguardo accarezza il suo profilo delicato. "Beh...che vuoi fare....adesso, intendo?". 
Si passa una mano sulla nuca, sperando che Robin non abbia percepito l'inflessione nervosa della sua voce.
Lei si volta, lo studia attentamente per alcuni secondi -gli occhi ridotti a due fessure- ed infine piega le labbra in un sorriso dannatamente misterioso.
"Qualcosa non va'?".

"E tu?". 
Il silenzio che segue è una risposta sufficiente per mettere a tacere quella parte di lei che, invece, vorrebbe restare. 
Alcuni passi ed è già sulla soglia. "Credo...io..." sospira spazientita da quell'incertezza che non le si addice. "Non deve più succedere, spadaccino...".
Zoro sbuffa, più infastidito che contrariato. "Nah, Robin...smettila di chiamarmi così!".
È nel modo in cui lei stringe la maniglia e varca la porta, nel passo veloce che calca il vecchio legno della nave, che Zoro capisce di aver vinto; perciò affonda la testa nel cuscino e, con un largo e trionfante sorriso, occhieggia alle tre katane appoggiate alla parete.                                                              
Si...ho bisogno di un'altra spada...pensa, guardando l'impugnatura tornita della Yubashiri.

Ci sarebbero caduti di nuovo. Lo sa anche lei. 
Per questo saluta a denti stretti i primi carpentieri che incontra per strada e chiude i pugni tesi lungo i fianchi, conscia di aver commesso un errore, ma allo stesso tempo felice di avere l'opportunità di ripeterlo.







  
***spazio autrice***
Allora innanzitutto...SCUSATE il ritardo! 
È stato un periodo duro e faticoso causa esami (TT___TT)...ma ora è finito!!!!!! E quindi Rieccomi per vostra gioia!
Veniamo al capitolo....nei miei pensieri Robin e Zoro non sono e non saranno mai una coppietta tutta smancerie, anzi...immagino che, se mai (e speriamo di siXD) dovesse succedere qualcosa, la loro prima reazione sarebbe questa: cercare di far finta che non sia successo nulla e amici come prima!
Si sa le mie idee non sono quasi mai brillanti...kmq un piccolo anticipo: il prossimo capitolo sarà sempre ambientato durante questa notte e avrete modo di scoprire cos'altro è successo e magari di capire il motivo di qualche affermazione...e tutto!!!!!
Bye, Bye XD

 

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Capitolo 6
*** [Night]: ANOTHER PROMISE ***



'Vivere é come amare - la ragione tutta gli é ostile, e tutto l'istinto vi anela'



ANOTHER PROMISE




Avverte un calore piacevole sulla spalla, dove la pelle viene a contatto con il suo respiro.
Sta dormendo e Zoro ne approfitta per allungare un braccio oltre il materasso. Sfiora appena le assi del pavimento, impreca contro una scheggia che gli si è conficcata nel dito ed infine trova la morbida stoffa dei pantaloni, che s'infila velocemente, sgusciando poi fuori dalle coperte.
Una rapida occhiata alla lampada, alla fiamma che rifulge ormai debole, gli fa intuire che sono lì da diverse ore: è la prima volta che perde la cognizione del tempo da sveglio.
Sospira dandosi un sonoro schiaffo sulla fronte.
....una tua compagna...sei un'idiota..
Preme con forza la mano sulla tempia, quasi a voler essere sicuro che quel concetto gli entri bene in testa, e intanto si avvicina alla finestra.
La brezza della notte gli sferza il volto ed entra nella stanza senza permesso, cancellando l'odore di stantio e facendone levare un altro ben più noto e gradito.
Lo stesso che lo aveva spinto a sedersi accanto a lei, sulla spiaggia. 
Quel profumo era un frullare di farfalle sotto al naso: all'inizio lo infastidiva. 
Troppo dolce, troppo sottile per uno come lui abituato a fragranze ben più forti -del sangue e del ferro, del sudore e della salsedine-; poi, un giorno, steso sul ponte, aveva cominciato a pensare che in fondo non fosse affatto male: intenso e leggero allo stesso tempo, così diverso da quello frizzante degli agrumi e dagli odori speziati provenienti dalla cucina, così fragile di fronte al vento, così persistente da sovrastare il legno. Ed inconsciamente aveva preso ad allenarsi all'aperto, poco distante dal tavolino a lei riservato: un primo monito. 
Qualcosa stava cambiando.
Il secondo era stato il brivido che gli aveva percosso le ossa quando Robin, in modo calcolatamente involontario, -ma lui non lo sa-, aveva posato una mano sulla sua, dandosi una spinta per alzarsi e sollevando le braccia per stiracchiarsi la schiena, lo sguardo curioso calamitato dall'imbarcazione arenata tra gli scogli: una tentazione troppo grande perché un'archeologa non ne potesse essere attratta. 
Così si era incamminata verso quella nave dal ventre squarciato.
E lui? Spiazzato da quel gesto, intimo ed innocente, era rimasto seduto ad osservare l'orizzonte, o meglio la mano aperta che lo copriva e l'invisibile marchio che quelle dita affusolate avevano lasciato sulle sue nocche scure. Certo, non era la prima volta che toccava e veniva toccato da una donna, ma il calore avvertito, nonostante l'umidità della notte e la leggera camicia che indossava...era una novità.
Poi, senza un motivo particolare, l'aveva seguita.

I corridoi erano bui e pericolanti, eppure Robin si muoveva con passo sicuro, guidata dalla mano che cauta accarezzava le pareti tarlate.
"Merda...". 
L'imprecazione era rimbombata attraverso il corpo marcio della caravella, facendola voltare più stupita che spaventata.
"Non credevo ti interessassero certi reperti, spadaccino?".
"Infatti..." aveva borbottato, pulendosi da alcune ragnatele che gli si erano appiccicate addosso. "...ma non vorrei che ti cacciassi nei guai...".
Ripensandoci adesso, aveva trovato una scusa proprio...idiota
Lo sguardo ridente di lei, mostrato da alcuni spiragli di luce che filtravano dalle fessure delle assi, glielo aveva confermato. "Basta che non m'intralci". 
"Tsk! Ma ti piace davvero sta' roba?".
"Si, mi piace sta' roba" aveva risposto, accentuando con irritazione le ultime parole. "Ci puoi trovare dei tesori a volte...".
"Oh...Nami ne sarebbe contenta..".
"Non credo sia il genere di tesori che interessa alla nostra navigatrice, ma...". 
Si era bloccata, tastando qualcosa davanti a lei. "C'è una porta...".
"Lascia..". Le aveva afferrato una spalla, scostandola un poco, e con unico e preciso fendente aveva creato un varco. "Ecco...".
Robin aveva aggrottato la fronte, rivolgendogli un'occhiata perplessa, ed aveva abbassato senza difficoltà la maniglia. "Era aperta".

Si volta a guardare il risultato della sua impazienza: l'enorme taglio ed i frammenti di legno sparsi sul pavimento. Digrigna i denti, massaggiandosi la nuca: deve imparare ad aspettare. Glielo aveva detto anche Robin, sottolineando che la sua irruenza era inferiore solo a quella del capitano, mentre studiava la stanza buia, muovendosi con circospezione: ad ogni passo le tavole scricchiolavano pericolosamente, ma lei sembrava non curarsene affatto, troppo concentrata ad esaminare vecchi libri abbandonati sugli scaffali. 
Ad un certo punto si era avvicinata alla finestra, reggendo una specie di quaderno che aveva ripulito da anni di polvere, e, stretti gli occhi per mettere a fuoco la scritta sbiadita della copertina, si era lasciata sfuggire un sussulto di sorpresa. 
"Che c'è?". 
"È il diario di bordo, datato.." si era interrotta all'improvviso, scorgendo il cipiglio poco entusiasta dello spadaccino: avrebbe potuto dirgli l'anno e raccontargli quant'era successo all'epoca, ma dubitava che Zoro ne fosse realmente interessato, così si era limitata ad un ben più diplomatico. "...è molto vecchio".
Lui aveva sbuffato, incrociando le braccia al petto ed rinunciando ad appoggiarsi allo stipite, perché come gli aveva fatto notare "..potrebbe crollare tutto", e l'aveva fissata per alcuni interminabili minuti, mentre, con delicatezza disarmante, sfogliava le pagine ingiallite del taccuino, mutando espressione ad ogni riga scorsa.
"Senti..dovrebbe esserci una lampada...lì accanto al letto...".
Letto? Quale letto? Non se n'era nemmeno accorto. 
Borbottando qualcosa, si era accostato alla testiera ed aveva tastato la parete sovrastante fino ad incappare in un chiodo e nella lanterna ad esso appesa. 
Illuminata quella camera era peggio di quel che aveva immaginato, con evidenti strati di muffa che correvano dagli angoli al soffitto ricamato dai ragni.
Robin sembrava non essersi nemmeno accorta della nuova luce ed aveva continuato a leggere gli appunti, picchiettandosi un labbro con le dita. 
"Neh, Robin! Questo sembra interessante..." aveva ghignato, posando, tronfio, un piede sopra un grande baule.
Solo, allora, l'archeologa aveva alzato lo sguardo, sorridendogli. "Va bene..vediamo".
Si era chinata ad esaminarlo, ripassando con l'indice l'incisione che recava il nome del proprietario, sotto gli occhi di Zoro che, da quella posizione privilegiata, si erano concentrati su tutt'altro e per questo, quando si era rialzata, aveva voltato di colpo la testa, nascondendole il proprio colorito rossastro. 
"Le cerniere sono arrugginite, basterà farle saltare".
Aveva annuito distrattamente e con un semplice tocco del fodero le aveva frantumate, permettendo a Robin di aprire la cassa e rivelare così il suo contenuto. 
Libri. Ancora libri e cartacce.
"Nah..." aveva brontolato, suscitando la sottile risata della compagna. 
"Tieni...un premio di consolazione" e gli aveva passato una bottiglia dal contenuto ignoto.
Lui l'aveva presa e si era addossato alla parete, facendo una smorfia, tra il disgustato ed il compiaciuto, dopo la prima sorsata.
"Potrebbe farti male...". 
"Ti stai preoccupando per me?" e via un altro goccio di quel rum dal gusto rancido e forte che gli bruciava terribilmente la gola.
Robin aveva alzato le spalle, tornando a curiosare nel baule, ma poco dopo aveva richiamato nuovamente la sua attenzione, mostrandogli una spada di antica fattura, avvolta in un telo di iuta.
"L'esperto sei tu.." e si era avvicinata per porgergliela. Proprio in quel momento il pavimento aveva ceduto, aprendosi sotto i piedi dell'archeologa.
Con un gesto fulmineo Zoro l'aveva afferrata, assieme alla spada, e spinta contro il tramezzo alle sue spalle, evitandole la caduta. 
"C'è mancato poco" aveva commentato al suono delle assi inghiottite dal mare.
"Se non ci fossi stato io saresti finita in acqua e...".
Si era bloccato alla vista del volto impassibile di Robin.
"Se non ci fossi stato tu, non avrei avuto motivo di prendere la spada".
"Cos?!". Era inutile discutere con lei: sarebbe stata una sfida persa in partenza. 
Quella donna era assai abile a raggirarlo con frasi ambigue, a stuzzicare il suo orgoglio, a metterlo in imbarazzo, divertita dal suo poco elegante sbottare.
Perciò si era zittito, puntando lo sguardo duro in quello penetrante di lei.
Quante volte si era chiesto cosa nascondesse? Perfino ora che il mistero era stato svelato, non riusciva a scalfirlo.
Robin non si lasciava mai trasportare dalle emozioni: negli scontri che avevano affrontato era sempre riuscita a mantenere una compostezza inumana, come se non esistesse nulla in grado di sorprenderla o spaventarla, sempre calma, sempre riflessiva, anche quando le cose per loro si erano messe male. 
Aveva continuato a fissarla in silenzio, chiedendosi se ci fosse un modo per sciogliere il ghiaccio dei suoi occhi e provando l'irrefrenabile -ed insensato- desiderio di essere lui a scovarlo.
"Sono comunque onorata che abbia rinunciato al tuo prezioso rum per me..". 
C'era qualcosa di strano nella sua voce, come una sottile vena di malizia e sincerità, enfatizzato dal cenno del capo con cui aveva indicato il punto inzuppato del pavimento dove Zoro aveva lanciato la bottiglia. 
"Ora puoi lasciarmi, spadaccino" aveva aggiunto, muovendo appena il polso serrato ancora dalla sua mano. 
Parole al vento. 
Anziché ascoltarla, aveva aumentato la presa, avvertendo una stana sensazione partirgli dallo stomaco e diffondersi in tutto il corpo: era come se un fuoco avesse preso, improvvisamente, a scorrergli sotto la pelle, annebbiandogli vista e ragione.
Un altro monito, ma lui aveva colpevolizzato il rum.
L'aveva osservata, allora, aggrottare le sopracciglia, impreparata a quel rifiuto e, mentre  cercava di divincolarsi dalla presa, lui ne aveva approfittato per posare la punta della spada sulla sua spalla, spegnendo ogni nascente segno di ribellione.
"Che vuoi fare?". Neanche, allora, la sua voce aveva osato tremare.
"Hai paura?".
"Dovrei?". Un ghigno si era liberato di fronte a quella sua ostentata freddezza.
"Mi avevi chiesto un parere. Era di ottima qualità, ma...".
Lentamente aveva sfiorato la nivea linea del suo collo, notando finalmente un leggero brivido riverberarle sulla pelle, e con un colpo secco aveva conficcato la lama nel legno.
"...non veniva trattata con cura". 
Spudoratamente si era schiacciato contro di lei, passando un dito sul ferro per mostrarle la crepa che vi si era aperta. Robin aveva deglutito a fatica, il respiro bloccato in gola dall'elsa e dalla visuale terribilmente ravvicinata della lama. Avrebbe potuto far germogliare un paio di mani in suo aiuto e liberarsi così facilmente di lui...invece si era fatta scivolare sulla schiena lungo il legno per ritrovarsi alla sua stessa altezza.

Ora che ci pensa, Zoro si sente meno 'colpevole': dove il suo ardire non aveva osato arrivare, l'azzardo di lei si era fatto trovare pronto. 
Così, quando i loro sguardi si erano nuovamente incrociati, aveva visto quell'azzurro infiammarsi di una luce lasciva e seducente, impossibile da ignorare, e le sue labbra schiudersi in un soffocato sospiro che si era fatto prepotentemente strada nella sua bocca, mescolandosi al gusto pungente del rum.
Chi dei due, poi, avesse preso l'iniziativa, non era chiaro. Forse lui aveva inavvertitamente avvicinato il volto al suo, forse era stata lei ad impedirgli di sottrarsi, posando la mano libera sulla sua mascella...certo è che, dopo quel bacio, non si erano fermati.
Si passa le dita tra i capelli, sfiorandosi un orecchio ancora bollente: gli capita sempre dopo una notte d'amore. Di solito ciò che brucia è la vergogna di aver ceduto ancora una volta all'effimero piacere che poche monete possono regalare, è il disagio che lo coglie nel dover sgattaiolare via dalla stanza, lasciando alla ragazza di turno un vago ricordo delle sue spalle. 
Stavolta, però, è diverso. Non c'è la brama di raggiungere l'uscita e la voglia di un nuovo contatto non è scemata all'ultimo ansimo, tuttavia tentenna ancora, soffocando i brividi che lo spingono a cercare riparo nel tepore del letto. 
È la cazzata più grande che tu abbia mai fatto...si ripete, eppure l'errore non ha mai avuto un sapore così dolce.
Occhieggia alle katane, sue uniche confidenti, senza sentirsi pentito di averle abbandonate per una notte: ad esse ha affidato vita e pensieri. L'elsa della Yubashiri spicca sulle altre, coperta dalla sottile stoffa di una maglia.
A quanto pare avete già scelto. È giusto così: tre spade, altrettante promesse.
La mattina seguente sarà Robin a dover prendere una decisione e lui l'accetterà, dopotutto una certezza già ce l'ha: espierà i propri sbagli sul filo di una nuova spada.

Si gira. 
È ancora stesa, un braccio piegato sotto la testa, le mani incrociate tra loro, un colorito più vivo sul volto. Posa un pugno sul materasso, le sposta una ciocca di capelli dal viso e lei apre gli occhi, ma è sicuro che fosse già sveglia. Schiude la bocca, ma non parla: è silenziosa anche durante l'amore. 
Si limita a fissarlo in quella maniera che non chiede nulla e pretende tutto. E Zoro l'accontenta, chinandosi sulle sue labbra ed avvertendo le carezze di molte -forse troppe- dita sulla sua schiena, mentre il lenzuolo non ha più nulla da coprire.

Attento, Roronoa stai ricominciando a sbagliare. 
Urge una spada. Ed in fretta.



***spazio autrice***
Salve a tutti!!! In realtà non ho molto da aggiungere su questo pezzo...credo sia abbastanza chiaro. Forse ecco la linea temporale è un po' incasinata, ma volevo cambiare stile...che dite vi è piaciuta lo stesso????

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Capitolo 7
*** What is...'LOVE'? ***




WHAT IS...'LOVE'?





"Guarda, Chopper, quello dev'essere un ambulatorio..." dice, indicando il cartello bianco alla fine della via "...potremmo chiedere lì per i medicinali che cerchi...".
Lo sguardo di Robin si abbassa ma, anziché trovare quello del compagno, s'infrange sul suo cappello: l'attenzione della piccola renna, infatti, è tutta rivolta al vicolo buio che si apre sulla strada.
"Chopper!" lo chiama con scarsi risultati. Lui continua a puntare il muso nella direzione opposta, fissando serio qualcosa. "Robin...credi che abbia bisogno del nostro aiuto?".
L'archeologa sbatte un paio di volte le palpebre sorpresa e non riesce a trattenere un riso imbarazzato quando, alzando gli occhi, capisce a cosa, o meglio a chi, il dottore si riferisce.
"No, non è necessario. Ora andiamo, non sta bene sbirciare" e s'incammina, mentre un gridolio si leva alle sue spalle.
"Ma hai sentito...?" chiede, preoccupato.
"Si, ma non temere. È..è normale...". Aggrotta la fronte e il suo viso assume un colorito più acceso: come spiegare a Chopper che quei due giovani, appartati nel vicolo, si stavano scambiando semplici...effusioni?
"Quando due persone si amano, cercano di dimostrarselo...".
Un altro gridolio ed una risata soffocata la interrompono.
"Certo che voi umani siete proprio strani.." sentenzia, poco convinto.
Il silenzio dura solo pochi minuti, rotto nuovamente dai dubbi della renna, che tentenna un po', stringe la falda del cappello in lieve disagio e alla fine da alito ai suoi pensieri.
"Robin...".
"Si..".
"Cos'è l'Amore?".
 

Cammina con passo strascicato tra la gente, guardandosi attorno.
Non ha una meta precisa, si limita ad ispezionare con lo sguardo le varie botteghe della cittadina, cercando qualcosa che lo attiri.
E che possibilmente costi poco, considerate le poche monete che gli tintinnano in tasca
.


 
Lo scalpitio degli zoccoli, che passano e ripassano le nervature scure del ponte, si leva sullo strano silenzio della nave.
Sta riflettendo, Chopper, su quella risposta che non ha saziato la sua curiosità, ma, al contrario, ha aumentato i suoi dubbi.
Dalla cucina, intanto, giungono i primi rumori, segno che Sanji si è già messo all'opera per preparare il pranzo. Forse proprio lui può aiutarlo.
"Senti Sanji...".
"Chopper! Dimmi pure..".
"Ecco...io mi chiedevo...cos'è l'Amore?".
La lama del coltello si ferma a mezz'aria ed alcuni colpi di tosse sovrastano il borbottio del pentolame sul fuoco. "Non credi di essere un po' troppo piccolo per pensare a certe cose..." annaspa, soffiando il fumo che ha appena rischiato di strozzarlo.
La renna lo fissa imbronciato, gli enormi occhi scuri fermi nei suoi, e il cuoco capisce che non puòsottrarsi a quella domanda.
"L'amore..." sospira, aspirando dalla sigaretta consunta "...l'Amore è il sale della vita, senza essa sarebbe insipida...è una miscela di spezie: la dolcezza della paprica, l'amaro del cumino ed un pizzico di peperoncino...è un piatto unico che non ti stanca mai...".
"Come i dolcetti?".
"Eh? S-si, piùo meno..."

 

Il brontolio del suo stomaco lo spinge, infine, ad entrare in una taverna.
È deserta e il proprietario, felice di vedere finalmente un cliente, lo invita ad accomodarsi.
"Qualcosa da mettere sotto i denti" mormora, afferrando il boccale che l'altro gli porge.
Una manciata di minuti dopo, si ritrova davanti della zuppa e un piatto di carne.
"Eri proprio affamato, figliolo!" commenta l'uomo divertito dall'ingordigia dello spadaccino.


 
Tornato sul ponte, Chopper continua a crogiolarsi: la chiacchierata con Sanji non è servita a zittire i suoi pensieri. A chi chiedere ora?
"Ehi, Chopper!". Rufy si sbraccia dalla polena per salutarlo e alla piccola renna torna in mente il passo di un libro sui pirati che un giorno Robin gli ha letto: '...Buck era il loro capitano e come tale era da lui che tutti si recavano quando avevano un problema...'. Rufy è il suo capitano, quindi puòsicuramente aiutarlo.
"Cos'è l'Amore, mi chiedi? Semplice! L'Amore è come la carne!" afferma convinto e gli rivolge un largo sorriso, che non basta a quietare le sue perplessità.
"Come la carne..?" ripete, spalancando gli occhi.
"Esatto!" e si toglie l'inseparabile cappello di paglia, rigirandoselo tra le dita. "Quand'ero piccolo, Shanks mi ha detto che una volta provato l'Amore, non si può più farne a meno. Quindi è come la carne!".

 

Scocca sul tavolo alcuni denari d'argento ed esce, sazio, ma non appagato.
Il tipo di fame che avverte è difficile da colmare.
Si gratta la testa, specchiandosi su una botte d'acqua, e sbuffa.
È una settimana ormai che sente quel vuoto.
E guarda caso sono sette giorni che trascorre le notti di vedetta da solo.
Tira con rabbia un pugno al proprio riflesso: non vuole pensare che lei sia diventata tanto indispensabile.

 

Scuote la testa, deluso: neanche Rufy è riuscito a dargli una risposta soddisfacente.
Così, a capo chino, torna sul ponte e si siede ai piedi dell'albero maestro.
"Chopper-kun, sembri abbattuto". È Brook. Una tazza di the in una mano, l'archetto nell'altra.
"No. Solo che..." si blocca, incerto sulla reale necessità della sua ricerca.
"Solo che..." ripete lo scheletro, dimostrandosi pronto all'ascolto.
"Ecco..tu sai cos'è l'Amore?".
Il teschio non può mostrare espressione alcuna, ma se potesse, sarebbe sicuramente stupita.
Brook sospira, fissando con le sue orbite vuote un punto indefinito all'orizzonte,  e tergiversa alcuni secondi prima di rispondere.
"L'Amore è attesa, Chopper-kun. Non importa quanto due siano lontani, esso colma la distanza, nutrito dal desiderio dell'incontro".

 

Si sente uno sciocco.
Non si danno mai appuntamento, parlano appena durante il giorno, eppure, ogni notte, aspetta.
Basta un cigolio e i suoi occhi si spostano subito a fissare la porta nella speranza che si apra.
E quando questo non succede, quando capisce che a produrre quel suono è stato il vento, abbassa le palpebre e torna a dormire.
Come se niente fosse.
Intanto però digrigna i denti e sbuffa.
Si, è proprio uno sciocco. Ma anche stanotte aspetterà.

 

"Il vento sta cambiando" mormora Nami, appena uscita, osservando l'agitarsi della bandiera. Scende alcuni gradini, sporgendosi poi oltre il parapetto per vedere il movimento delle onde mutare all'improvviso.
"Non va bene" e si tormenta un'unghia con i denti.
"Rufy! Possiamo passare la notte qui, ma domani dobbiamo salpare all'alba per evitare la tempesta!" urla e l'altro le fa cenno di aver capito.
Chopper guarda un attimo l'orizzonte: non ci sono nuvole minacciose, niente che dia l'idea del sopraggiungere di un temporale, ma Nami è la navigatrice e le sue previsioni sono infallibili.
"Che c'è? Non ti fidi di me?".
La voce della ragazza lo fa sobbalzare, ma si affretta a dinegare, per poi raggiungerla a babordo. "Sembri giù...qualcosa ti preoccupa?".
Lui gonfia le guance pelose, picchiettando il legno della balaustra. "Tu...tu sai cos'è l'Amore?".
Nami sussulta, si passa una mano sul volto e ride nervosamente. Come ti vengono certe domande, Chopper?
"Ehm..vediamo..l'Amore...". Scruta il cielo, come se la risposta fosse scritta tra le nuvole e sfiora, involontariamente, il bracciale che porta al polso: vale pochi denari
-se ne intende-, ma per lei ha un valore inestimabile.
"Allora?" la sprona, spazientito. Un sorriso suscitato dalla tenerezza che la sua aria ingenua infonde e una lieve carezza al tartufo blu è ciò che ottiene in cambio.
"Amore è essere disposti a tutto, a rinunciare senza pentirsi, a sbagliare senza dire 'mi dispiace', a dare senza pretendere...".
 


"Ehi tu...". Si volta verso l'uomo che l'ha chiamato e che gli fa cenno di raggiungerlo.
"Saresti interessato a questa?" e gli mostra una katana dall'impugnatura finemente intarsiata e con una piccola incisione sulla lama.
"Quanto viene?".
"Nah..per questo ci possiamo mettere d'accordo" risponde l'altro, aggiustandosi gli occhiali e posando uno sguardo eloquente sull'elsa della Shusui.
"Sei un intenditore, vecchio...ma il peso di questa spada non puoi permettertelo!".
Il venditore strabuzza gli occhi e lo guarda allontanarsi, senza avere il tempo di chiedergli il significato di quelle parole.
Tanto non glielo avrebbe dato. Come spiegare, infatti, che sul filo di quella lama pende una promessa da mantenere ad ogni costo?

 

Ripensa a tutte le risposte che ha ottenuto, più confuso che soddisfatto. Nella sua mente ora l'Amore appare come un enorme dolcetto che si attende con ansia di mangiare, di cui non ci si stanca e al quale si può rinunciare senza pentimento.
Sbuffa. Forse dovrebbe dedicarsi ad altro, magari preparare qualche Rumble Ball.
L'idea sembra buona: ha bisogno di distrarsi e lavorare fa al caso suo. Saltella veloce sui gradini e si avvia verso l'infermiera.
"Occhio!" lo avverte Franky, che regge un'enorme cassetta per gli attrezzi ed altre cianfrusaglie varie. "Vuoi una mano?".
"Grazie, fratellino!” biascica, passandogli alcuni strumenti. “Devo dare un’occhiata al Coup de Burst! Anche le creazioni migliori hanno bisogno di manutenzione e…”.
Non termina la frase: Chopper è troppo silenzioso. “Ehi, mi stai ascoltando?”.
“Scusa Franky, ma da stamattina che ci rifletto su, ma non riesco a capire…”.
“A che ti riferisci?”.
“All’Amore. Tu sai che cos’è?”.
Sono intanto giunti a poppa ed il cyborg posa delicatamente il proprio materiale a terra, cercando di non graffiare il legno.
“Fratellino, questo èun argomento difficile…”commenta massaggiandosi il mento pronunciato e piegando le enormi braccia al petto.
“…vediamo: l’Amore è sentirsi SUPER ogni giorno, è energia pura, esplosiva ed incontrollabile!”.
S’infervora all’improvviso ed urla: “L’Amore è una forza inesauribile!”.

 

La cittadina si trova sopra una piccola collina, così dalla strada può tenere d’occhio la Sunny e riuscire a non perdersi.
È una bella giornata: l’ideale per allenarsi.
Chopper gli ha consigliato assoluto riposo per almeno altri due giorni, ma lui è di un altro parere.
Piega il braccio fino a toccarsi la spalla ed avverte solo una fitta leggera e sopportabile.
Perfetto. I pesi cominciavano a coprirsi di polvere.

 

“Ehi! Cos’è questo chiasso? Mi fate scappare i pesci!”si lamenta Usopp, seduto sul parapetto, con la canna in mano ed un secchio vuoto affianco.
Si scusano entrambi, poi Franky si mette all’opera, lasciando Chopper solo.
La piccola renna osserva il carpentiere pulire gli ingranaggi, ma quel lavoro si rivela alquanto noioso e perde presto interesse. I suoi grandi occhi scuri tergiversano ora sui ricci capelli del cecchino, che sfuggono alla bandana ricadendogli sulle spalle. Fischietta, Usopp, maledicendo l’esca forse non abbastanza appetitosa, perciò non si accorge del compagno che si arrampica sulla balaustra finché questo non urta il secchio, rischiando di farlo cadere in acqua. “Attento, Chopper!” lo rimprovera bonariamente, facendogli spazio.
“Sei venuto ad ascoltare una delle mirabolanti avventure di capitan Usopp?”.
“Non esattamente…”. L’ha chiesto a tutti, tanto vale provare anche con lui.
“Usopp. Cos’è l’Amore?”.
Non si può certo dire che il cecchino sia preparato ad un simile quesito, visto il modo in cui spalanca la bocca, emettendo un gemito di sorpresa. “L-l’Amore?”.
Le frottole non possono servigli: è un bugiardo, non un meschino. E può fare affidamento solo su ciò che conosce.
Ripensa allora al suo villaggio, a quel albero davanti alla finestra e a Kaya: il suo volto s’illumina d’imbarazzo e nostalgia e si distende in un sorriso.
L’Amore è sorridere senza una ragione, è uscire di casa, guardare il cielo e sentirsi felici senza motivo”.

 

Se la gente del luogo lo conoscesse, saprebbe di trovarsi difronte ad un caso unico.
Roronoa Zoro cammina con le labbra piegate in un ghigno beffardo. Ed è strano perché non ha una ragione valida per farlo.
Certo non ha speso molto per il cibo, la sua nuova spada gli è costata una vittoria, sente di aver recuperato completamente le forze e,
soprattutto, non ha perso la strada per tornare alla nave,ma, di solito, quel ghigno lo riserva per altre occasioni.
Ancora più strano, poi, è il fatto che, salendo a bordo della Sunny, esso si ammorbidisca al tal punto da assumere i connotati di un…sorriso.
Forse è per i motivi sopra elencati, forse per il tavolino bianco che si ritrova davanti, forse per la persona che normalmente lo occupa...

 
 
 

Osserva la notte dalla vedetta, il mare placido illuminato dal pallido riflesso della luna, le nubi che si gonfiano fino a coprire le stelle, le sagome degli scogli che emergono dall'acqua. Anche la natura pare non voler disturbare il silenzio che regna nella nave, così piacevole e conciliante che Zoro non ha difficoltà ad udire i suoni lontani del borgo: serrande che si chiudono, urla concitate, barche ormeggiate che si sfiorano tra loro e ancora altri rumori confusi, cui se ne aggiungono di più vicini.
Il lieve cigolio del legno. I passi leggeri che attraversano il ponte. La corda della scaletta che si contorce sotto il peso di qualcuno.
Si sfila la maglia e volta il capo in direzione della porta giusto quando essa si sta aprendo.
Eccola.
Non dice nulla. Sta ferma sulla soglia con il respiro rotto e si tormenta i palmi con le unghie. "Scusa. Credevo di dover essere di guardia io stanotte" azzarda, per spiegare la sua presenza.
E lui ghigna, davanti ad una scusa tanto infantile. "Senza neanche un libro?".
Robin ingoia a vuoto. Da quando lo spadaccino è tanto attento ai dettagli?
"Ho sbagliato. Non dovevo venire".
Si gira e fa per andarsene, ma Zoro è più veloce e la blocca contro la porta, stringendo quella mano che non ha mai lasciato la maniglia.
"Avevi detto che credevi di dover montare la guardia..." le fa notare in sussurro e lei comincia a tremare. Non è il freddo, ma l'alito caldo che le sfiora l'orecchio; lo stesso che avverte sulla nuca, quando lui affonda il viso nei suoi capelli.
Si concentra, allora, sul nodo del legno che ha difronte, cercando di pensare, ma è difficile. Anche il tentativo di contare le venature si rivela inutile contro le dita che s’infilano sotto la maglia, sfiorandole i fianchi.
Osa ed attende, Zoro, un segno di resa che tarda ad arrivare. Spazientito, la forza a voltarsi, costringendola ad incontrare il suo sguardo.
Di nuovo un ghigno. Non gli è sfuggita, infatti, la fiamma fiera rifulgente in quegli occhi di ghiaccio: è l'orgoglio ferito dalla debolezza che ha mostrato nel cedere alla tentazione di abbandonare il suo letto per infilarsi in quello di un altro e lo spadaccino non può che compiacersene.
"Resta". Un ordine, più che una richiesta.
E nel preciso istante in cui le loro labbra si sfiorano, lei si arrende.
"Si...".
 
Non sa cosa la spinga a rifugiarsi in un piacere tanto labile da toglierle il respiro in un istante e restituirglielo in spezzati affanni, tanto intenso da riuscire a disarmarla della razionalità, tanto crudele da lasciare in ricordo solo un freddo senso di vuoto. Già, perché, di solito, quando della passione resta traccia solo nel lenzuolo umido, entrambi si stendono su un lato del letto, ponendo tra i loro corpi la distanza di un palmo che ha l’ampiezza di un abisso, sperando di soffocare così i loro pensieri: da una parte il sapore amaro di una solitudine che si prova pur avendo accanto una persona, dall’altra la consapevolezza di chi è abituato a toccare il fondo e sa che da lì si può solo risalire.                                                             
Di solito appunto. Stavolta, invece, Robin riconosce l’opera della sua bocca nel calore che sente spandersi sulla schiena e su, fino alla spalla.                                                              
È ruvida, vorace, indelicata nei morsi con cui le marchia la pelle. Ma è un dolore addolcito dal modo in cui Zoro le fa scorrere una mano lungo braccio per incontrare le sue dita ed imprigionarle tra le proprie e dalla piacevole sensazione che avverte quando i loro corpi tornano a sfiorarsi.

‘Nessuno nasce in questo mondo per rimanere completamente solo!’


È curioso come in un momento simile le tornino in mente le parole di Sauro, ma quell’abbraccio è la prova di quanto fossero vere.
 

- - - - - - -



Una settimana dopo…


La guarda leggere un libro. 
Giorni prima, alla sua domanda, ha risposto che le sarebbe servito del tempo per capire e Chopper non sa se quello trascorso sia sufficiente. Titubante si avvicina, si arrampica sulla sedia libera ed attende paziente che lei si accorga della sua presenza.
“Hai bisogno di qualcosa, Chopper?” mormora distrattamente, senza alzare gli occhi dalla pagina ingiallita che sta accarezzando.
“Ecco…volevo sapere se ora hai la risposta…”.
Solo, allora, Robin solleva lo sguardo e sorride, sfiorandogli il tartufo blu con un dito.
Si, ce l'ha.
Amore è non sentirsi mai soli, Chopper”.









***spazio autrice***
Come promesso, anche se con tempi decisamente lunghi, ecco un nuovo capitolo. in realtà volevo scrivere una shot ambientata prima di W7 ed avevo anche iniziato a scriverne un paio....poi però mi balzata alla mente questa e non ho resistito...uff! La prossima comunque voglio assolutamente ambientarla appena dopo l'arruolamento di Robin...siete avvisati! XD
Un'ultima cosa. Fin'ora non ho avuto modo di farlo ovvero mi sono sempre dimenticata...perciò desidero ringraziare:   AgelessIce, Frency, Mellorine, Mixi_, Mugiwara no Marimo, Robin7, Seripa Goth che hanno messo la fic tra le preferite e, oltre ai sopra citati/e, imladris, La Strega di Isle, Miss_gloomy, pinklemon91, Ren92, Soly Dea, Starlet, tensai88, _Black_Dragon_  che l'hanno messa, invece, tra le seguite! grazie!!
bye bye ;-)

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Capitolo 8
*** ...winners and losers... ***




...WINNERS and LOSERS...



"Qui" afferma sicuro, indicando la carta al centro.
"Spiacente, amico" ghigna beffardo l'uomo rivelando un Jack
E Zoro vede sparire dal tavolo un'altra moneta d'argento, che va a far compagnia a quelle già perse. "Vuoi ritentare?".
Si tocca le tasche, ma non sente il vivace tintinnio di quando era sceso dalla nave: sono vuote, o meglio svuotate. Tuttavia il suo irriducibile orgoglio non demorde: può accettare lo sbaglio, ma non il senso bruciante della sconfitta, ed è questo a convincerlo, più che la tentazione del gioco.
"Si, ma non ho più denaro...". "Puoi impegnare una delle tue spade..". 
Un suggerimento che lo fa irrigidire. 
'...impegnare una delle tue spade...' si ripete mentalmente, fulminando chi ha parlato, e stringe una delle else con tanta forza da imprimersi sul palmo la sua fine modellatura. 
"E sia".
L'uomo prede le carte, le rimescola, facendole poi scivolare velocemente sul tavolo, sotto lo sguardo attento dello spadaccino.
 Tre carte. Una possibilità. 
Zoro chiude gli occhi, solleva un braccio al cielo -l'indice puntato verso il sole- e, guidato dall'istinto, lo abbassa bruscamente.
 Non può sbagliare.
Una goccia di sudore gli scivola via dal viso, un sospiro teso si fa strada tra le sue labbra, mente gira la carta che il destino ha scelto.

"Signorina, desidera qualcos'altro?".
Robin distoglie lo sguardo dalla massa di nerboruti raccolti sull'altro lato della strada e regala al cameriere un sorriso ammiccante, che lo fa arrossire. "No, grazie". 
China di lato il capo, scoprendo parte del collo, e torna a fissare il gruppo chiassoso davanti a sé: poco prima vi aveva intravisto lo spadaccino
"È un branco di manigoldi!" commenta, con un moto di stizza, un distinto signore alle sue spalle. "Non è certo gente che merita l'attenzione di una signorina per bene come lei!" e si alza, coprendole la visuale con un leggero inchino di presentazione.
Dal aspetto dev'essere un facoltoso del posto...pensa, sorseggiando, per nulla impressionata, il proprio the. Che arroganza! 
"Cosa le fa pensare che io sia diversa da loro?" ribatte, con la tazzina ancora posata sulle labbra, notando, compiaciuta, la meraviglia sul volto del suo interlocutore.

"Re!".
L'uomo allunga la mano, pretendendo il pagamento, ma il suo ghigno trionfante muore alla vista dell'espressione cupa di Zoro, che, fulmineo, sguaina la Kitetsu, arrivando a sfioragli l'orecchio.
"C-che fai?" balbetta e la fronte gli si impregna di sudore.
"Pago il mio debito". 
La lama corre veloce davanti agli occhi del malcapitato, conficcandosi, secca, nel legno con la punta che arriva ad accarezzargli la gamba, mozzando il suo respiro.
"Trattala bene" si raccomanda, prima di voltarsi ed andarsene, abbandonando il fodero a terra.
Umf! Che tipo. A fatica estrae spada e la posa al suo fianco.
Il suo viso riacquista colore, mentre attira l'attenzione dei presenti, ed assume un cipiglio soddisfatto, quando, dalla mischia, spunta un nuovo giocatore.
Questi polli! Credono davvero di poter vincere qualche soldo! 

"Signorina! Lei è...". 
La scruta, soffermandosi sulla scollatura generosa, come un gentiluomo non dovrebbe e Robin gliene fa accorgere con un leggero colpo di tosse. "...insomma...sono pirati!" conclude, allentandosi il colletto della camicia, e addita disgustato il tipo che, ad ampi passi, si è appena allontanato dalla bisca e che gli occhi dell'archeologa seguono, incuriositi dalla sua espressione contrita, finché non scompare dietro l'angolo.
Con calma termina il suo the, lasciandosi sfuggire un sospiro seccato; poi recupera zaino e cappello, scoccando qualche moneta sul tavolo, e si alza.
"Se ne va di già?".
"Si, la mia ciurma mi aspetta" ed un sorriso sarcastico le distende le labbra davanti alla smorfia sdegnata dell'uomo. "Non gliel'ha mai detto nessuno: l'apparenza inganna!".

Impreca a denti stretti, maledicendo se stesso e la sua dannata stupidità.
Ma come mi è venuto in mente di dar retta a quel tipo e impegnare la spada?!
La mancanza di spiegazioni lo fa imprecare ancora, mentre sale sulla scaletta di corda.
Ci pensa, sono due le possibilità che ha davanti: supplicare Nami di prestarle il denaro necessario per riscattare la Kitetsu, o chiedere alla stessa navigatrice di recuperarla al suo posto. 
Scarta entrambe. 
Nami è troppo tirchia e poi, anche se accettasse, pretenderebbe sicuramente degli interessi altissimi. 
È peggio di una strozzina quella! E non posso abbassarmi a chiedere aiuto a...una donna!
Sbuffa e si schiaffa una mano sul volto. È un pirata, potrebbe riprendersela con la forza, ma Zoro è anche un uomo d'onore e un gesto tanto ignobile non può essere da lui contemplato.

 "Ah, merda!".
 "Su, signori, chi di voi vuole tentare la sorte?".
Robin si fa largo senza troppi problemi tra quegli uomini che l'osservano con interesse eccessivo, cui lei non da peso. Le basta un'occhiata fugace al banchetto, alla spada appoggiata su un lato, per capire come stanno le cose.
"Se non ti spiace, vorrei provare io". La sua voce decisa e sottile viene coperta da un fastidioso brusio e da alcune grasse risate.
"Certo, tesoro. Basta che tu abbia abbastanza denaro..." l'avverte il baro, posando il suo sguardo viscido sulle gambe che l'archeologa accavalla, sedendosi.
"Purtroppo non ho un soldo".
Mente, ma è sconveniente mostrare le monete che gli pesano nelle tasche in mezzo a tanti furfanti, specie agli occhi avidi dell'imbroglione che ha difronte.
"Potremmo trovare un compromesso..." ed incrocia le mani sotto al mento, sporgendosi maliziosa in avanti. "..non credi?".
Lo sguardo ammagliante che gli rivolge è tanto eloquente da rendere inutili ulteriori parole.
"Si, credo proprio di si..." risponde l'altro, pregustando già le ore di piacere che quella nuova vittima pare intenzionata a concedergli.
"Ho una condizione però: se vinco, voglio quella spada".
"Sembri sicura di te, bellezza..." sghignazza "...a me sta bene!".
Veloce prende le carte e le mescola sotto gli occhi di Robin, che non abbandonano mai la luce vitrea dei suoi. "Tre carte, una possibilità. Dov'è l'Asso?".
Si passa un dito sulle labbra, mentre con un altro picchietta il tavolo. "Nel tuo taschino".
La sua espressione impassibile non lascia trasparire alcun ombra di dubbio e l'aria eccitata, respirata poco prima, si fa satura di tensione e sospetto.
"M-ma che dici?" ringhia il furfante, ma il nervosismo della sua voce non sfugge all'archeologa, che continua a fissarlo in silenzio. "Gira tutte le carte...".
"Ehi, ma chi ti credi di essere?". Merda! E questa come diavolo fa a saperlo?!?
"Su non fare tante storie, non hai nulla da nascondere...giusto?" gli suggerisce calma e alle sue spalle si accendono soffocate discussioni.
Il baro ingoia a vuoto, osservando i tipi poco raccomandabili che gli stanno lanciando occhiate minacciose ed impazienti: uno comincia già a schioccare i pugni.
"E..e...va bene. Se non ti fidi...".
Un rapido movimento, invisibile agli occhi dei più, e sostituisce una carta.
"Ecco, vedi. Era qui al centro!".
Alla vista dell'Asso, gli animi si quietano e, in un gioco onesto, Robin non ha difficoltà a vincere.

È seduto sul ponte e, con la schiena addossata al parapetto, accarezza i saya delle katane che gli sono rimaste, quasi a scusarsi per aver perso tanto scioccamente la loro compagna, poi sospira e sguaina la Wadō Ichimonji, cospargendo la lama di polvere con un tampone: la cura prima di tutto.
Intanto il vento trasporta sotto al suo naso un profumo conosciuto che cattura la sua attenzione, aizzandone la guardia. Sente il cigolio della corda tesa e con la coda dell'occhio osserva i movimenti agili con cui la nuova arrivata sale a bordo. 
Cos!? Gli si mozza un attimo il respiro alla vista della spada che quella stringe in mano.
Digrigna i denti riconoscendo la sua Kitetsu, ma continua indifferente il suo lavoro, passando la carta di riso sul filo; mentre Robin si siede sulla sdraio, con un libro sulle ginocchia e la katana al suo fianco.
Il profumo della donna viene sovrastato da quello dell'olio di garofano con cui ripulisce la lama, senza staccare un attimo gli occhi da lei. La scruta guardingo, la studia, riflette su quale sia il modo migliore per farsi avanti e alla fine si butta.
Si alza da terra per dirigersi verso il tavolino -l'espressione seria, il passo deciso-, si ferma a poco più di metro e tossisce per farle notare la sua presenza che pare non essere stata rilevata. 
"Si?". "Q-quella spada.." e la indica con un cenno del capo. 
"...quella spada!?" ripete adirato, senza sapere come proseguire davanti all'apatia con cui l'archeologa continua a sfogliare le pagine spesse del tomo.
"Oh, questa dici..." risponde infine, falsamente sorpresa. "L'ho vinta ad un baro!"
Un baro!?! Lo sapevo io che quello non poteva vincere sempre, mi sono fatto fregare come un pivello!
Robin abbandona, allora, la lettura, porgendogli la katana. "Sbaglio o te ne manca una?" ed occhieggia alle due che pendono al suo fianco. "Prendila. È tua".
Zoro allunga la mano, bloccandola a mezz'aria, titubante. "Che vuoi in cambio?".
"Nulla. Te l'ho detto, l'ho vinta".
Attende ancora, non si fida: tutto troppo facile. Conosce le donne...beh conosce Nami, ed è più che sicuro che non regalino niente senza tornaconto; in più l'idea di sentirsi in debito proprio con lei, non l'aggrada affatto. 
"Allora? Se non la vuoi posso venderla. Non sono un'esperta ma sono sicura che potrei ricavarci...". Non termina la frase -volutamente provocatoria-, che l'altro fulmineo gliela ruba dalle mani, suscitando una risata lieve e divertita, di fronte alla quale Zoro rimane basito e perplesso.
È la prima volta che vede qualcuno ridere in quel modo: schermandosi la bocca quasi a voler soffocare l'ilarità, ma lasciando abbastanza spazio tra le dita aperte per mostrare che, si, le labbra sono davvero piegate in un sorriso.
"Sei strana, donna!" sbuffa, ripristinando l'originale distanza.
"Cosa te lo fa credere?". 
"Mah...non parli molto..."
"Neanche tu, spadaccino..".
"..e poi leggi!".
"E cosa c'è di strano? Sarebbe alquanto insensato avere un libro per sfogliarlo soltanto..".
"Non ne capisco l'utilità!" borbotta, massaggiandosi la nuca ed avvertendo un inspiegabile senso di disagio attanagliargli lo stomaco. 
Solo a quel punto, Robin, solleva lo sguardo, all'improvviso infervorato, e abbandona il volume di Storia sul tavolo, accarezzandone la crosta rugosa. 
"E dormire sempre ne ha una?".
L'inflessione sarcastica di quelle parole colpiscono nel segno e Zoro aggrotta la fronte in un'espressione risentita: quel discorso sta prendendo una piega inaspettata. 
"Io mi alleno per diventare il migliore e dormire mi permette di recuperare le energie. Quindi direi di si, ha un'utilità".
Robin scuote la testa, sistemandosi una ciocca dietro l'orecchio. 
"Dimmi, ci riusciresti anche senza le tue spade?".
È una domanda che lo spiazza per un momento, facendolo irrigidire al pensiero che stia alludendo canzonatoriamente alla facilità con cui si è fatto rubare la sua preziosa katana.
Pensiero che scema, però, davanti ad un sorriso comprensivo, anche se appena accennato.
"Le tue spade sono lo strumento che ti permetterà di avverare il tuo sogno, gli allenamenti il mezzo..." riprende, senza attendere una risposta che quel silenzio lascia comunque trapelare. "...e, allo stesso modo, i libri mi aiutano...". 
Si blocca come se continuare comportasse uno sforzo troppo grande da sopportare e, mordendosi un labbro, fissa un punto indefinito difronte a sé: non può concedersi il lusso della confidenza.
"A volte l'utilità delle cose è invisibile agli occhi" conclude enigmatica e a Zoro non sfugge la luce nostalgica dei suoi occhi, che tornano alla consueta freddezza in un battito di ciglia.

"L'avrei ripresa ad ogni costo!". 
Un'urlo che rimbalza sulle spalle di Robin, ormai alla porta.
"Si. Ne sono certa!".

'Grazie' non glielo dice. 
Semplicemente perché sa che, prima o poi, riuscirà a pagare il proprio debito.





***spazio autrice***
'Certo, Zoro, lo sappiamo tutti come la ripagherai....'.
No, non avete le traveggole..sono proprio io! 
Lo so, sono stata una scheggia stavolta!XD ma oggi la lezione era particolarmente noiosa così mi sono dedicata ad una one-shot, come promesso, ambientata nel pre-W7! Non è un granché considerato quello a cui vi avevo abituati...però mi sono divertita un sacco a scrivere la parte di Robin e quel bellimbusto!!XD Ora dovrò pensare ad una nuova storia...mmm...qualcosa mi verrà in mente (in ogni caso eventuali suggerimenti su ambientazioni e situazioni sono ben accettiXD)! Basta vi ho già rubato troppo tempo questa settimana!
Bye, Bye!










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Capitolo 9
*** shining stars ***



shining stars



“Robin!? Che ci fai qui? A quest’ora di notte, poi?”.
Il duro rimprovero risuona nella valle silenziosa e la bambina, accovacciata a terra, sussulta.
“Professore! Io…io…”.
“Avanti sto aspettando, Robin! Cosa direbbe tua zia se non ti trovasse in casa?”.
Robin abbassa lo sguardo, stringendosi le ginocchia che l’aria fredda della notte fa tremare come foglie. “Oh, se è per questo…non c’è pericolo che zia Roji si accorga della mia assenza…”.
L’espressione dell’uomo si addolcisce in un sospiro: purtroppo sa bene quanto la piccola abbia ragione, così dimentica la ramanzina e si siede al suo fianco.
“Sono venuta a vedere le stelle, professore”.
Clover si volta, sorpreso, ad osservare quegli occhi lucenti che esplorano avidi il cielo.
“Sono belle. Non è vero, Robin?”. Sorride.
Troppo spesso lui e gli altri archeologi dimenticano che quegli occhi azzurri, per quanto seri e concentrati, sempre chini sui libri, sempre ricchi di domande, in fondo, hanno solo 8 anni. 
Lei annuisce senza smettere di ammirare quel manto nero drappeggiato di luce.
“Vedi, le stelle non sono altro che il riflesso degli sguardi di chi non c’è più, ma continua a vegliare su di noi..”. Arriccia il naso, poco convinta. “Ma io ho letto…”.
“Robin…” la interrompe l’uomo “…a volte c’è bisogno di andare oltre a quello che c’è scritto nei libri, ma forse tu sei ancora troppo piccola per capire”.
Il broncio contrariato che le piega la bocca è delizioso e Clover non può far a meno di sorridere nuovamente. “Su. È ora di andare!”.

 

Scuote la testa e si massaggia il collo dolorante, voltando un’altra pagina del manuale di “Storia dell’astronomia” ed accarezzando il quadro stampato sulla pergamena logora di quello che è un tomo assai vecchio e consunto, giunto a lei dopo aver conosciuto chissà quante mani. La sua attenzione si sposta poi sul bicchiere che ha di fronte e sul suo contenuto ambrato, quasi sicuramente annacquato dal cubetto di ghiaccio ormai sciolto: ha bisogno di una pausa.
E il moccolo di cera che brucia sul tavolo -l’unico rimasuglio di un’intera candela- le dà ragione.
Si alza, allora, cercando di liberarsi dal leggero torpore che la costrizione a stare a lungo seduta le ha donato, e si avvia verso la porta.
È una notte calda e tranquilla sulla Sunny, ancorata in mezzo all’oceano, e Robin si avvicina al parapetto per guardare l’acqua che sembra uno specchio. È strano il Grande Blu: a volte ribolle nero come pece, costringendo nella profondità delle sue viscere intere flotte, altre si fa amico di loschi individui, celando nella nebbia trappole ed infimi tranelli con cui questi attirano malcapitati marinai, che alla propria rotta non faranno più ritorno; altre ancora, invece, si mostra placido e domabile: un lago argentato in cui la luna e le stelle possono riflettere la loro vanità.
Si abbandona, Robin, contro il legno, beandosi di un silenzio, rotto solamente dall’increspare dell’acqua sulla ciglia e dal continuo marciare di Usopp, che, nella guardiola, sembra prendere fin troppo seriamente il suo compito. Ma non può biasimarlo, non dopo la brutta avventura che si sono appena lasciati alle spalle, a Thriller Bark.
Stringe all’improvviso le dita attorno alla cimasa, mentre la soffocante sensazione che le comprime il petto si libera in un lungo sospiro.
 
‘Si anche tu hai detto: “Prendi la mia vita” come lo spadaccino!’
‘Zoro non l’ha fatto per essere ringraziato’
 
Il flusso dei suoi pensieri viene interrotto da un rumore alle sue spalle.
I passi strascicati di qualcuno piegano le assi in un rude scricchiolio che accompagna anche quello ormai famigliare di una porta che si apre ed eccolo lì.
Zoro posa una spalla sullo stipite, passandosi una mano sugli occhi lacrimanti di sonno. “Che ci fai qui?” biascica con voce impastata. “Credevo fossi con i libri e quelle robe lì…” – uno sbadiglio, per niente trattenuto, divora le ultime parole.
“Già. Potrei chiederti lo stesso…”.
“Bah…non riuscivo a dormire”.
In realtà stava dormendo come un sasso, almeno fino a quando quel cuoco da strapazzo non aveva iniziato a dimenarsi tra le lenzuola, abbracciando il cuscino e mormorando frasi melense.
Allora si era voltato cercando di non dar peso a quelle sciocchezze, ma, d’un tratto, il suddetto cuocastro si era lasciato sfuggire, tra una ‘dolcezza’ e un ‘amore mio’, il nome dell’archeologa ed aveva continuato a ripeterlo più volte in fastidiosi mugolii, innervosendolo e facendogli provare l’irrefrenabile desiderio di tagliarlo in fettine tanto sottili da renderne impossibile il riconoscimento a lavoro concluso.
Tuttavia quella prospettiva avrebbe richiesto tempo, fatica e, non ultimo, una buona dose di chiasso, cose che naturalmente lo spadaccino non aveva alcuna intenzione di sprecare per quello scimunito; così, abbandonata -seppur a malincuore- l’idea di sminuzzarlo all’istante, aveva ceduto, costringendosi ad uscire dalla stanza.
“Oh, questa è una novità”.
Sbuffa, cogliendo perfettamente l’ironia, neanche troppo sottile, della compagna, e, dopo aver dato una veloce occhiata in giro, come a voler accertarsi che la zona sia sicura, decide di azzerare la distanza che li separa.
“Tu, comunque, continui a non rispondere alle mie domande…” borbotta, imitandola e posando le braccia sulla balaustra.
“Volevo vedere le stelle” e, quasi a voler dargliene conferma, solleva lo sguardo al cielo.
La luna è schiva e mostra solo uno spicchio del suo ventre latteo, permettendo così a quei puntini luminosi di imporsi con maggior vigore sul manto nero della notte.
“Sai, tanto tempo fa, una persona mi disse che le stelle non sono altro che gli sguardi delle persone che ci hanno amato e non ci sono più, ma che continuano a vegliarci…” gli rivela, con l’aria di una bambina che non è mai stata.
Zoro segue il movimento arcuato dei suoi occhi ed infine posa i suoi sul profilo serio con cui l’archeologa continua a scrutare il cielo, interessata probabilmente alle costellazioni di cui ha letto poco prima.
Le sfiora la pelle scoperta dalla canotta con un dito e Robin gli rifila un’occhiata ermetica, che, forse proprio per la sua indecifrabilità, lo fa desistere dal continuare, una volta raggiunta la spalla.
Umf! Dici che quelli che conoscevamo ci fissano da lassù, eh? Quindi hanno visto tutto quello che abbiamo fatto finora…” si rovescia sulla schiena, puntando i gomiti sul parapetto, e lascia ricadere pesantemente la testa all’indietro. “…beh, allora spero che questa storia non sia vera...”.
“…e perché?”.
“Sei di molte parole, stanotte…”.
Lei sorride, sorvolando sul tono velatamente malizioso del compagno.
“…mmm, ci sono delle cose che ho fatto di cui non vado molto fiero…e l’idea che…ecco…chi mi ha voluto bene…possa avermi visto…non so…non mi piace”.
È una parlata spiccia e grossolana, quella dello spadaccino, incredibilmente vera e sgradevolmente schietta anche quando tenta di esprimere i suoi pensieri più profondi e reconditi. E lei la apprezza, proprio per questo.
“Sai non importa quante cattive azioni si siano compiute, a volte ne basta una buona, una fatta con il cuore, per cancellare tutto il resto”.
Lo sguardo storto e disinteressato di Zoro si fa tetro all'improvviso e cerca con insistenza il suo.
 
‘Niente. Non è successo niente’.
 
Gli basta un secondo, il tempo di riflettersi negli occhi chiari della compagna per capire che, inspiegabilmente, sa cos’è realmente accaduto.
“Come hai…”.
“Non importa” e si perde di nuovo ad osservare il mare, sorreggendosi il mento col palmo aperto.  
C’è silenzio, ora, fra loro, eppure è più ricco di senso delle rade frasi che si scambiano, dopotutto per entrambi è sempre stato difficile dissotterrare i propri sentimenti, anche se Robin tenta di decifrare quelli dello spadaccino attraverso le parole che lui fa goffamente cozzare assieme e Zoro, dal canto suo, ha imparato che, spesso, i piccoli gesti valgono più di qualsiasi discorso.
Così, con una leggera spinta si allontana dalla balaustra e le scivola alle spalle, avvolgendola in un abbraccio. “Vi siete preoccupati inutilmente”.
Non usa il singolare: sarebbe troppo azzardato.
Robin non si scompone. China solo un po’ il capo, giusto per fargli posto sull'incavo della spalla.
“Già” sospira, anche se per lei la cosa vale solo in parte.
Una volta scoperta la verità, infatti, la preoccupazione aveva lasciato spazio ad una forma di sollievo, di consolazione quasi, nel vedere in quel corpo martoriato quello di un demone incredibilmente umano, proprio come lei, un demone disposto a dare la vita per i propri -i soli- amici.
Ancora una volta, però, i suoi pensieri vengono interrotti da lui e dal suo stringersi attorno alla sua vita. “Zoro…” mormora, accarezzandogli le bende che lo ricoprono “…allora Chopper è riuscito a fartele tenere”.
La sua risposta è lo sbuffo seccato con cui le smuove i capelli dietro all’orecchio e prima che Robin possa ribattere in qualche altro modo, le sue labbra sono già pronte a sfiorarle la pelle laddove, fino a quel momento, solo il suo respiro era arrivato: come sempre, sono screpolate, dure e assolutamente gradevoli a contatto con il suo collo.
E quando riprova a parlare, anche se è ormai chiaro che alle parole lui non è interessato, Zoro la gira, sigillandole la bocca con la propria.
“È l’unico modo per farti stare zitta stasera” soffia sulle sue labbra rosa che, prima distese, s’increspano ora in una smorfia tra il divertito ed il corrucciato, con grande soddisfazione dello spadaccino che torna a compiere l’opera abbandonata poco prima, mordicchiandole il lobo. “Z-Zoro…che hai in mente?”.
“Qualcosa.." farfuglia contro la nivea gola "...per cui spero che sia i miei che i tuoi cari chiudano gli occhi stanotte, a costo di non avere più stelle!”.
Velocemente l’archeologa fa scivolare le mani sul suo petto e, con una lieve e delicata pressione, si scosta da lui. “No. Non possiamo…”sussurra, senza fiato, occhieggiando alla guardiola. “…Usopp…è troppo rischioso. E poi le tue ferite…”. Ma lui non pare ascoltarla e con un gesto poco garbato allontana le sue mani, attirandola nuovamente a sé.
Robin lo odia quando fa così: il suo ghigno beffardo stampato sul volto, l’insana abitudine di fare sempre ciò che pensa e lo strano potere di riuscire a farle pronunciare solo frasi sconclusionate la confondono
“Ho detto no” ripete risoluta, posando, in un ultimo barlume di volontà, un dito sulle sue labbra, prima che queste possano raggiungere le proprie –già pronte ad accoglierle.
Più che il  tono perentorio, è la luce dei suoi occhi a farlo desistere. E forse anche le quattro paia di braccia fiorite per bloccarlo.
“Nah…lasciami!” si dimena invano, mentre la schiena della compagna rischia di trasformarsi in un ricordo, oltre la soglia.
“Q-quando, allora?”.
Robin si volta, un sorrisetto sfacciato le increspa le labbra, torna da lui, che già freme davanti a quell'espressione indecisa e torturatrice, e si avvicina abbastanza da mescolare l’alito al suo in un ultimo sussurro.
In una notte senza stelle…”.






***spazio autrice***
SORRY!!!!!!!!!!!!! TT_____TT
l'ultima volta sono stata una scheggia, stavolta, invece, la peggiore delle lumache....purtroppo a fine ottobre sono stata ultra impegnata con gli esami e poi, fino ad oggi, con l'influenza...mannaggia!!! quindi si, la colpa di questa robetta qui è per di più della febbre, del naso chiuso e della sinusite!!! spero di avervi convinto XD
cmq a parte tutto, spero di rimettermi il prima possibile per postare altre shot anche più decenti magari!!!!!!
bye bye XD



 

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Capitolo 10
*** HAPPY BIRTHDAY ***



HAPPY BIRTHDAY






Muove convulsamente la testa, cercando di destarsi dal sonno e dallo strano torpore di cui sente invaso il corpo, ed impreca a denti stretti, quando la sua nuca colpisce qualcosa di duro e non immediatamente identificabile. Si massaggia, allora, la parte dolorante, lasciandosi sfuggire ingiuriosi lamenti, e con le nocche sfiora il legno alle sue spalle: è levigato e cesellato da viti e cerniere, come quello dell’albero maestro.
Pigramente solleva la palpebra e, quasi a voler sottolineare la fatica che tal gesto richiede, sbadiglia.
Ha la gola secca, la bocca impastata ed intrisa dal un gusto amaro, famigliare e, a tratti, nostalgico, del rum. Deve averne bevuto parecchio vista la difficoltà con cui mette a fuoco le bottiglie vuote -sicuramente svuotate- ai suoi piedi, accanto ad alcuni rimasugli di cibo e a quelli che sembrano piccoli pezzettini di carta colorata. Ora che ci fa caso, ce ne sono alcuni anche tra i risvolti del suo vestito. Ma che diavolo?!
Aggrotta pensosamente la fronte, posando due dita sulla piega che gli si forma in mezzo agli occhi, e cerca di fare mente locale, ma è solo quando, frizionandosi con rabbia i capelli, s’imbatte su un buffo cappellino conico, di un cartone azzurro chiaro in cui capeggia una scritta fluorescente, che un flebile, vago barlume di chiarezza inizia a farsi strada nei suoi confusi ricordi: la festa!
Con una leggera spinta si aiuta ad alzarsi, constatando, suo malgrado, che le sue gambe sono stranamente pesanti ed incespicano sul prato di una Sunny che pare oscillare come quando infuria il vento ed il mare ribolle. Eppure -osserva- il cielo è incredibilmente limpido; forse, allora, l’unica tempesta che imperversa è quella del suo stomaco.
Con passo via via più sicuro si fa largo tra stelle filanti ed i boccali abbandonati sul ponte. Un singhiozzo, che riesce a stento a trattenere, gli fa alzare lo sguardo oltre le scale di prua dove, proprio vicino alla barra del timone, scorge Franky, addormentatosi in una posizione quanto meno curiosa: in ginocchio, con la faccia schiaffata sulle assi e gli slip in bella vista, che fanno contrarre il viso già inebetito di Zoro in una smorfia di disgusto. Ma come si fa a dormire così?
Si chiede lo stesso anche quando, poco distante dal cyborg, riconosce la sagoma scheletrica di Brook. Tiene il teschio posato sul bordo della nave e le gambe tese, parallele tra loro, nella posizione a ‘45°’ che tanto aveva fatto ridere Rufy e gli altri quella sera, in cui i meno umani della ciurma erano stati mattatori assoluti, animando l’atmosfera già allegra con musiche, canzoni e balletti imbarazzanti, come non aveva mancato di commentare una divertita Nico Robin.
Gli sfugge uno sbuffo desolato, osservandosi attorno: il giorno seguente ci sarà da sgobbare per ripulire tutto il macello che, pur essendo solo in nove, sono riusciti a combinare, sicuramente il carpentiere di bordo avrà qualcosa da ridire riguardo al modo di trattare la nave, tuttavia ora che è solo, ora che l’alcol, che tanto aveva aizzato gli spiriti, li ha calmati, sorride.
Sorride e non ghigna, perché saranno pure strampalati, bizzarri, di una stranezza che a volte fa rima con follia, ma sono i suoi nakama.
E gli hanno appena fatto trascorrere un bellissimo compleanno.
Un lamento proveniente dalle sue spalle, lo fa voltare, mentre le mani corrono istintivamente alle katane che pendono immancabili al suo fianco. A quell’unico rumore, se ne aggiungono presto degli altri, che somigliano a mugolii infastiditi, ma Zoro non capisce chi ne sia il responsabile, almeno finché non riconosce il respiro annaspante del suo capitano che, assopitosi accanto alle fioriere, ha la bava alla bocca e si dimena nel sonno, disturbando quello ben più pacifico e composto di Usopp e Chopper, accasciati contro il pennone con un ghigno sereno e i segni della festante serata appena trascorsa ben visibili sul volto arrossato di uno, meno, magari, nel muso peloso dell’altro.
Scuote il capo, rilassando le spalle e la presa salda sulla Shusui: eppure aveva detto loro di non esagerare con il sakè!
Insieme a lui, nel ponte, sporta oltre il parapetto con i gomiti puntellati sulla cimasa ed i palmi aperti a reggersi il volto, c’è Nami.
“Ah, allora c’è qualcun altro di sveglio…” -il che, detto da Zoro, suona vagamente irrisorio- e la raggiunge, non prima di aver maledetto ogni singolo bardo di carta che, muovendosi, gli s’incastra tra gli anelli degli anfibi.
Fissa per un momento il mare calmo che schiuma nell’imponente scogliera dell’isola in cui hanno ormeggiato e si volta verso la navigatrice con l’intenzione di parlare, bloccandosi però all’improvviso. Lo sguardo di Nami, infatti, non è rivolto all’oceano, come credeva, ma perso in un punto non meglio definito dell’orizzonte e quelli che lui aveva inizialmente scambiato per soffocati borbottii, sono, in realtà, versi di una melodia che questa canticchia tra sé.
Prende allora un profondo respiro e lo soffia fuori scocciato, issandosi sulle spalle la ragazza, che si dimena flebilmente, colpendogli con leggeri ed innocui pugni la schiena.
“Nah, piantala!” la redarguisce, posando momentaneamente gli occhi sulla figura rannicchiata dietro una botte: è quel cuoco da quattro soldi, che s’è appisolato con il mozzicone ormai spento tra i denti, l’espressione beota ed un boccale di birra, ancora traboccante, in mano. Un ghigno di scherno gli piega la bocca: per i tempi successivi non mancherà di ricordargli, naturalmente con enfatizzata venatura canzonatoria, la sua scarsa resistenza a certi tipi di bevande….
Aggira la macchia appiccicosa dinanzi alla porta, frutto della non propriamente infallibile mira del cecchino -per quella sera, sia chiaro- che anziché centrare la bocca di Rufy con un dolcetto caramellato aveva colpito in pieno il corrimano, e una volta stretta la maniglia, si ferma, ingoiando a vuoto.
Se l’archeologa è dentro a riposare, potrebbe vederlo e fraintendere il fatto che sia proprio lui ad accompagnare Nami a letto, oppure infastidirsi davanti a quella sgarbata ‘invasione di campo’. Ricorda ancora l’ultima volta, quella cinquina schiaffatagli in pieno viso e quelle scuse mai ricevute, perché tra tutte le donne, Roronoa Zoro si era scelto la più riservata, permalosa e diabolicamente pacata, in una parola, anzi due: Nico Robin.
Tuttavia non può lasciare la navigatrice fuori dalla camera, all’addiaccio.
Sbuffa, abbassando con colpo secco la maniglia, e spalanca senza grazia la porta.
Ma la stanza è vuota.
È un sospiro sollevato quello che gli fa fremere le labbra, mentre stende la gatta ladra sul materasso, stringendosi poi una mano al petto tachicardico ed alzando il capo a livello della libreria.
Scruta i volumi riposti ordinatamente negli scaffali e digrigna i denti, ne è sicuro: quella donna lo ucciderà.
 
Farfuglia frasi sconclusionate ed offensive, tornando al ponte per cercare qualcosa con cui spegnere la sua sete improvvisa, ma oltre a fondi di bottiglia e barilotti rimbombanti, non c’è nulla.
Uno sbuffo scocciato, un altro singhiozzo ed è già in cima alle scale, diretto all’aquarium, il luogo in cui tutto ha avuto inizio.
Ed eccolo lì, l’ultimo oggetto dei suoi pensieri.
Dorme Robin, almeno così sembra perché ha gli occhi chiusi, un braccio disteso sotto la testa, l’altro piegato contro il seno e i capelli scarmigliati e sparsi qua e là sui guanciali. Il suo viso ride, lievemente acceso dai fumi dell’alcol, e la bocca è umida e schiusa: Zoro è certo che, se solo si avvicinasse, potrebbe riconoscere nel suo respiro il gusto del proprio.
E per un attimo è anche tentato di farlo, prima, però, il liquore.
Con la stessa dimestichezza di un gatto sulla difensiva si muove tra gli addobbi che ricoprono il pavimento, ma il passo risulta ancora troppo pesante e piega le assi in un secco scricchiolio che deve infastidire la sua compagna, visto il modo in cui aggrotta la fronte e scuote le ciglia ancora serrate. La guarda per un attimo, mentre allunga la mano verso la bottiglia riversa sul tavolo, adocchiato obiettivo da quand’è entrato: è bella, molto. E gli piace l’idea di essere il solo a poterla vedere così, priva della formalità e compostezza di cui è solitamente avvolta.
Neanche a Nami è dato tale privilegio, certo com’è che, quando la navigatrice si sveglia, Robin sia già in piedi da un pezzo o, con molta probabilità, a letto non ci sia andata affatto.
A dir la verità neppure a lui capita così spesso. Di solito, infatti, dopo aver trascorso la notte assieme, si ritrova solo a tastare il vuoto al suo fianco, un vuoto freddo oppure, rare volte, tiepido. E se quelle volte, è abbastanza rapido da sollevare lo sguardo stropicciato sull’uscio, riesce a scorgerla, vestita e ormai in procinto di lasciare la stanza con le labbra socchiuse in quel suo onnipresente sorriso enigmatico che può voler dire ‘Buongiorno’ come ‘Addio’.
“Ti sei ripreso…”.
Una constatazione superflua espressa a voce anziché rimaner pensiero per attirare l’attenzione di Zoro, che, immerso nelle proprie riflessioni, non s’era accorto del silenzioso risveglio della compagna.
“Già” borbotta, preferendo fissare la bottiglia che imbattersi in suddetto sorriso.
Robin si alza a sedere, stirandosi le pieghe del vestito e passandosi il dorso della mano sugli occhi: si era rifugiata lì, quando aveva capito che la festa stava volgendo al termine e, in attesa di udire silenzio, si era appisolata. E, mentre si sistema meglio tra i cuscini, non le sfugge lo sguardo sbigottito con cui il vicecapitano fruga sul tavolo come se avesse perso un qualcosa sommerso tra carte e nastrini.
“Regali” spiega, divertita da uno Zoro, quasi schifato, che solleva, tenendola a debita distanza, una confezione colorata. “Per il compleanno. Il tuo”.
“Lo so” ringhia piccato, avvertendo in quelle parole telegrafiche velate ed ironiche insinuazioni, perché -a detta sua- più adatte ad un bambino.
E un po’ bambino in fondo lo è, pensa Robin, scorgendo l’espressione interrogativa con cui lo spadaccino occhieggia ad alcune bocchette e poi a lei, palesemente combattuto tra il non sapere, il voler chiedere e l’essere troppo orgoglioso per farlo.  
“Sono medicinali. Te li ha regalati Chopper” lo informa “Usopp e Sanji, invece, si sono occupati della cena…”.
“…Nami mi ha sottratto 3.000 berry da un debito che non sapevo di avere -quella brutta…-  e Franky ha costruito questa…” conclude e annuisce, in un tacito ringraziamento per averlo aiutato a far mente locale, sfiorando il modellino meccanico, minuziosamente dettagliato e super-attrezzato della Thousand Sunny. E pure il suo capitano gli aveva donato un paio di cosciotti, che erano poi spariti, senza che Zoro ricordasse di avergli mangiati…
Ci sono proprio tutti -beh, più o meno-, tutti…tranne il suo: non che la cosa lo disturbi più di tanto, visto che per lui tutta quella storia dei regali è solo una sciochezza, la sua è semplice coerenza.
Incrocia per un momento gli occhi dell’archeologa che sono ancora fissi su di lui, curiosi ed indagatori come sempre.
Ora: Zoro non è quel che si definisce un gentiluomo, ma dubita che chiederle cosa gli avesse regalato sia anche solo lontanamente imparentato con l’educazione. Riflette, quindi, approfittando della scarsa invadenza di Robin, per riordinare le idee e decidere, infine, che lasciar cadere il discorso sia la scelta più saggia, pregando che lei non sia riuscita a scandagliare i suoi pensieri.
“C’è ancora qualcosa da bere?” chiede stupita, ottenendo un grugnito in risposta, una bottiglia agitatale davanti agli occhi, per dimostrare la presenza di liquido al suo interno e, a sorpresa, un masu(*).
“Non mi piace bere da solo…” si giustifica, nascondendo il volto in leggero imbarazzo davanti all’occhiata obliqua e poco convinta della compagna, mentre le riempie il bicchiere “…beh, non…non sempre…ecco!”.
“A che brindiamo?”.
“Non lo so”.
“Dici che a noi sia troppo…”.
“…strano?”.
“…fuori luogo?”.
La domanda lo lascia basito per alcuni interminabili istanti, durante i quali si avvicina impercettibilmente a lei, sprofondando nell’imbottitura morbida del divano.
“No, può andare…” ghigna, infine, facendo cozzare bottiglia e masu, e si riempie la gola di sakè.
Senza accorgersene, ha limato ulteriormente le distanze e solo ora si rende conto che gli occhi di Robin sono lucidi e risplendono lascivi, quasi il calore dell’alcol fosse riuscito a sciogliere anche il ghiaccio che di solito li ricopre. Si passa energicamente un dito sulla palpebra sana cercando di mantenere quel controllo che la vista, improvvisamente, annebbiata gli dice sta perdendo, ma è del tutto inutile contro il profumo delicato che gli solletica il naso ed il brivido caldo che gli divampa in corpo quando avverte il tocco di dita affusolate frizionargli il petto. Perché, mentre lui si crogiolava per mantenere contegno, Robin aveva intrufolato le mani oltre il bordo della camicia aperta, più che mai intenzionata a farglielo abbandonare del tutto.
E, in cuor suo, Zoro sa che ci sarebbe riuscita benissimo.
“Dunque…” lo stuzzica, premendo le ginocchia sui cuscini per arrivare al suo orecchio, che brucia al solo contatto col suo caldo respiro. “…di regalo, manca solo il mio…”.
 
“Robin, tu hai già in mente qualcosa per il compleanno di Zoro?”.
“A dire il vero non c’ho ancora pensato”.
Nami alza le spalle, sospirando: “Io gli diminuirò il debito che ha verso la sottoscritta, se vuoi posso dirgli che in parte l’hai saldato tu…”.
“No, grazie. Qualcosa troverò..”

 
Si volta di scatto, ritrovandosi a pochi centimetri dal suo viso, e lei inarca le sopracciglia a confermare quanto intuito dallo spadaccino e cancellare i dubbi che ancora traspaiono nella pece del suo sguardo. Fa scivolare, poi, le dita dalla scapola alla nuca e, esercitando una leggera pressione, copre lo spazio che ancora intercorre tra le loro labbra.
Come si aspettava -o meglio ricordava- sa di rum.
Senza difficoltà lo trascina su di sé e tra i guanciali, intrecciando le gambe con le sue e reclinando la testa all’indietro.
Perché Robin è la più impaziente, passionale e diabolicamente capricciosa tra tutte le amanti. E Zoro ne è sicuro: quella donna lo ucciderà.
“Qui?” chiede a carponi, interessato più alla bocca di lei, cui non vuole rinunciare, che alla risposta.
Robin lancia un’occhiata all’aquario e all’ambiente circostante con una calma apparente tradita dall’alzarsi e abbassarsi frenetico del suo petto.
“Penso che nessuno di loro sia in grado di riprendersi fino a domani mattina” soffia ansimante, incrociando le dita dietro al suo collo teso. “Abbiamo tutto il tempo” ed inarca la schiena per permettergli di sfilargli l’abito, che tanto fra poco non servirà più.
Forse è questo il tipo di ordine -allusivo, pratico, eloquente- che a Zoro piace, perché lo esegue subito e con un ghigno sornione che gli increspa immancabilmente le labbra, mentre si china sul collo scoperto della compagna. Una lieve risata si leva e muore all’istante, soppiantata da gemiti e sospiri.
Zoro” lo chiama ed il suo nome non gli è mai sembrato tanto morbido.
L’ha pronunciato con cadenza lenta, quasi a voler assaporare quelle due sillabe sulla punta della lingua, prima di farsele sfuggire dalle labbra.
Un sussurro che ottiene il desiderato effetto, calmando i bollori dello spadaccino, che con la coda dell’occhio intercetta lo sguardo accattivante rivoltogli da Robin. “Buon compleanno…”.
 
***********
 
La mattina seguente, Sanji si sveglia, abbracciato ad una botta, con i cerchi alla testa ed il corpo intirizzito.
Gli ci vogliono un paio di minuti per rendersi conto di essere sul ponte della Sunny e per riprendersi, issandosi in piedi con l’aiuto di sopracitata botte e sistemandosi il cravattino sgualcito.
“Nah, che disastro…” mormora, sfilando una sigaretta dal pacchetto ed accendendola.
Il fumo gli raschia la gola, ma trova comunque quel sapore amaro più gradevole del liquore che Franky gli ha fatto bere a forza. “…meglio darsi da fare…” e, sbronzata la cicca, si avvia all’aquarium, per recuperare i primi piatti.
E quando spalanca la porta, quando lo sguardo arrossato si posa sul divano semicircolare che si snoda ai piedi delle vasche, per poco non si strozza con lo stesso fumo che tanto adora.
Lì stesa davanti a lui, e strabuzza gli occhi per accertarsene, c’è Robin.
Ha un braccio ciondolante oltre il bordo che arriva a sfiorare il pavimento e l’altro piegato sotto il viso incantevolmente rilassato in un sorriso soddisfatto, luminoso nel suo colorito roseo ed in parte nascosto da ciocche corvine che, arruffate, ricadono anche sui cuscini e sulle spalle nude.
Gli si mozza il respiro nel constatare, seguendo il sinuoso profilo della schiena, che, si, è proprio nuda.
Boccheggia a vuoto, consuma in un unico tiro l’intera sigaretta -poco importa se la cenere gli ricade sulle scarpe lustre- e si tappa il naso per bloccare una copiosa epistassi, mentre i suoi occhi incantati percorrono il suo intero corpo, soffermandosi sulle morbide curve della nakama, sulla zazzera verde che spunta tra la pelle candida e….cosa?!?
“AAAAAAHHHHHHH!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!”
 
 Sanji….Sanji….
È una voce lontana e famigliare quella che lo chiama nel buio.
Solleva le palpebre, facendosi schermo con la mano per la luce improvvisa, e scorge una figura davanti a sé. Figura che, messa a fuoco, si rivela essere Nico Robin.
R-Robin-swan….” mormora debolmente, cercando di tirarsi a sedere, aiutato da alcune mani che lo posano sulla parete. “C-che…che è successo?”.
“Sei crollato a terra come un bamboccio, cuoco…” lo canzona Zoro, comparendo alle spalle dell’archeologa.
“CHI TI HA CHIESTO NIENTE! Marimo!” ringhia il biondo, ormai ripresosi del tutto.
“Sanji, calmati -un pacato rimprovero che sortisce immediato effetto- sei entrato qui e sei svenuto, forse è meglio che ti faccia vedere da Chopper più tardi”.
Ora ricorda.
Era andato lì per riordinare e se li rivede davanti agli occhi: lui…lei….loro…abbracciati… Sbianca all’improvviso.
“Ti senti male di nuovo?”.
“Si…cioè no…io…” balbetta, indeciso e confuso, incrociando lo sguardo profondo della donna. 
Non può certo dirle di averla vista in tutta la sua immensa bellezza: se si è trattato di un sogno, poi…che figura farebbe?
Sicuramente, pensa, è stato un incubo. Colpa della sbornia di stanotte.
Più se la ripete mentalmente, rialzandosi da terra, più questa tesi sembra convincente: dopotutto in quale altro mondo quella testa muschiata potrebbe conquistare una dolce creatura come Robin-swan?
“Si, sto bene…” ride istericamente e -quasi a confermarlo- volteggia su se stesso invitandola a raggiungerlo appena pronta la colazione, per poi sparire, presumibilmente in direzione della cucina.
Solo quando è sicura che Sanji non possa più sentirla, Robin sospira. “Meno male…”.
“Che peccato!” ghigna maliziosamente rammaricato lo spadaccino, al suo fianco “Io stavo dormendo così bene…”.
L’occhiata che si guadagna è tutt’altro che complice, ma non ci dà peso.
 
Il pensiero di rivelare al cuoco che quanto visto era più che mai reale, basta a rendere quello il miglior compleanno di sempre!





***spazio autrice***
rieccomi!!! non abiuìtuatevi troppo a questi miei repentini aggiornamenti, l'ho fatto solo ed esclusivamente per lui, il nostro Marimo!!!
come avrete visto ho modificato il rating...preferisco portare le mani avanti, con questi due non si sa mai...e (*) il masu è il tipico bicchierino in cui viene servito il sakè!
detto questo vi saluto (credo che la fic sia piuttosto chiara e che Zoro si sia divertito...)...come al solito alla prossima!
Bye, Bye XD



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Capitolo 11
*** FLOWERS PLATH ***



FLOWERS PLATH

 



Era iniziato tutto un po’ per caso.
Se gliel’avessero chiesto, probabilmente, lui avrebbe risposto ‘Per sbaglio’, oppure con un ‘Mah’ di circostanza.
Forse avrebbe semplicemente grugnito qualcosa d'indecifrabile, socchiudendo gli occhi con aria infastidita in una tacita e grottesca richiesta di lasciarlo in pace. Perché, in realtà, neanche lui sapeva spiegarselo così come non riusciva a spiegarsi in che modo tutto fosse cambiato. Ma era successo.
A volte il cambiamento è lampante, altre una semplice sfumatura che neanche chi ti vive giorno dopo giorno è in grado di notare.
E per Roronoa Zoro era stato talmente minimo, profondo ed incomprensibile che neppure lui se n’era accorto. Almeno fino a quella sera.
Nel mare infuriavano le onde, sulla Sunny le imprecazioni contro le raffiche di vento che rendevano impossibile governare la nave. Tra quel cozzare di urla, con l’acqua che permetteva a malapena di vedere a un palmo dal naso e schizzava nelle narici, col cielo nero crepato dai fulmini, tutti arrancavano nel disperato tentativo di eseguire gli ordini impartiti da Nami e aver salva la vita.
Anche chi, poco tempo prima, quella vita era disposta a sacrificarla.
Robin si era precipitata nella stiva a prendere una cima per raddoppiare quelle con cui avevano saldato le vele e lui l’aveva seguita, per aiutarla a trasportare la corda grossa come un braccio.
Poi quando erano ritornati nell’inferno del ponte, l’aveva spinta in quel modo burbero -l’unico che conosceva- contro la scala, dicendole di raggiungere Nami, mentre l’ennesima onda s’abbatteva sullo scafo.
Probabilmente l’avrebbe fatto anche prima -prima del suo presunto tradimento, prima dei tragici eventi di Enies Lobby, prima di quella nuova rotta, ma per motivi diversi.
Perché era una donna, perché non potevano aspettare, perché quel fottutissimo cuoco continuava ad urlargli di muovere il culo.
Ma quando la furia di quel dio che, dicono, comanda gli oceani si era placata, quando all’orizzonte si era stagliata una flebile luce che significava salvezza e si erano accasciati sull’erba, stanchi, ansanti e fradici, sfoggiando il sorriso più largo che ciascuno possedeva, in quel preciso momento, aveva capito.
Zoro che di abbraccio accettava solo quello delle sue fidate spade, che di calore conosceva unicamente quello con cui il rum gli infiammava la gola, che i baci li schioccava soltanto al bordo del bicchiere, che di dolcezza aveva solo sentito nominare, che di sorrisi non era estimatore, aveva capito di essersi preoccupato, spaventato all’idea di non poter più essere avvolto dal suo abbraccio, circondato dal calore del suo corpo, baciato dalla morbidezza delle sue labbra, oggetto delle sue dolci carezze, confuso dall’ambiguità dei suoi sorrisi.
Lì steso con gli occhi sbarrati ed il respiro spezzato dalla fatica, si era chiesto, per la prima volta, se quando il cuore e la mente non vanno nella stessa direzione e bisticciano tra loro, si può parlare di a…....ffetto.
 

Ed ora, eccolo, svariate miglia dopo, fermo in mezzo alla strada di un’isoletta sperduta a fissarla con la solita espressione annoiata e storta mentre lei si rigira un fiore tra le dita e l’avvicina al volto per coglierne il profumo, ringraziando la bambina che gliel’ha appena porto.
Abbassa un secondo lo sguardo pensieroso.
L’unghia che ha preso a tormentare l’elsa della katana sembra d’un tratto più interessante di Robin che sorride. Anche la macchia di fango che gli sporca l’anfibio merita maggior attenzione rispetto a Robin che si sposta un capello dietro l’orecchio. E così la pozzanghera sul ciglio dinanzi a Robin che chiede indicazioni ad una vecchietta.
Solo quando Robin se ne va, niente ha più importanza.
 
Nah…non te ne rendi conto? Sei ridicolo…”
“Come ti permetti, testa muschiata! Oh, no, signorina, la prego non dicevo a lei…..hai visto! L’hai fatta scappare!”
“Io? Ma se non ho fatto niente…sei tu che le spaventi col tuo sopracciglio a ricciolo!”
“Tsk! Non prendo lezioni da uno zotico come te che sa a malapena parlare!”
“Almeno io non mi vanto di capirle e non le faccio fuggire…”
“Ma sentilo! Le donne non sono fatte per essere capite, ma per essere amate.
Alle donne che meritano amore, esso va dimostrato sempre. E tutte le donne lo meritano.
Un complimento, un fiore, un piccolo gesto che le faccia sentire uniche…uff, perché poi sto perdendo tempo con una testa quadra come te proprio non me lo spiego! Andiamo!”

 
Quelle parole continuano ad ronzargli in testa, più fastidiose della persona che le aveva pronunciate.
…un complimento, un fiore, un piccolo gesto...’. È come un incessante ritornello che gli riempie le orecchie, attenuando anche il baccano della locanda in cui si è rifugiato.
…un complimento, un fiore, un piccolo gesto...’. Fissa un istante il proprio riflesso nella bottiglia –stranamente piena- che ha di fronte: non c’è dubbio, è sicuramente lui.
…un complimento, un fiore, un piccolo gesto...’. Esce senza pagare, ma neanche all’aperto riesce a crederci: sta davvero per dar retta a quel damerino?
Sbuffa alzando gli occhi al cielo terso di quel pomeriggio.
Pensare è un grande errore di calcolo, e lui e la matematica non sono mai andati troppo d’accordo.
“Un complimento…” mormora a denti stretti.
La cosa richiederebbe un minimo di gentilezza, virtù di cui, Zoro, è notoriamente sprovvisto: l’unica forma di cortesia che abbia mai concepito -e messo in pratica- è quella di uccidere il proprio nemico, anziché lasciarlo agonizzante dopo la sconfitta.
Senza contare poi un uso appropriato del vocabolario -per inciso, piuttosto scarso. Probabilmente un ‘Ti trovo bene’ non avrebbe sortito lo stesso effetto delle melense smancerie lesinate dal cuoco anche se con risultati pressoché nulli.
Forse dipende dalla persona che le pronuncia, o dalla frequenza con cui lo fa…poco importa: tanto lui non sarebbe mai capace di inanellare una simile quantità di stronzate in una frase, figuriamoci, poi, farlo davanti allo sguardo ambiguo del membro più acculturato della ciurma!
Rassegnato, si passa una mano sulla nuca ed un nuovo sospiro riempie l’aria.
“Un fiore…”.
Ecco sì, un fiore. È -quasi- certo che a lei piacciano i fiori: li coltiva sulla nave, ne stringeva uno tra dita quando l’aveva vista, perfino il suo profumo glieli ricorda vagamente.
“Un fiore…” si ripete convinto: qualcosa di piccolo e indiscreto, facile da nascondere a sguardi indiscreti e da scambiare in un fugace contatto.
Un fiore…già, ma dove trovarlo?
 

Cammina ormai da tanto, troppo tempo.
Stando alle indicazioni fornitegli dal tizio al bancone ‘quei cosi dall’odore nauseante’, come li aveva chiamati in un ghigno derisorio che aveva aumentato il suo disagio -già provato dagli occhi strabuzzati della clientela-, poteva trovarli in cima alla collina da un tale che lì teneva delle serre. ‘Mezz’ora a piedi’ aveva aggiunto.
Arranca, aggirando l’ennesimo albero di una foresta che non era stata menzionata e che pare infinita: tutta uguale, tutta ombrosa, tutta verde.
Libera, seccato, una mano dalla tasca solo per stringerla attorno ad un’elsa a sopprimere la tentazione di tornare indietro.
Poi ecco uno spiraglio di luce tra gli arbusti, che murano il sentiero, gl’infonde la speranza di non essersi perso, non del tutto almeno.
Con rapido passo si fa strada tra la coltre vegetale, sbracciandosi per evitare i rami, e, una volta uscito, si ripara gli occhi con una mano, accecato dal sole, per poter vedere il prato colorato che gli si apre davanti.
Non è propriamente sicuro che quella sia una serra, ma…quelli, di sicuro sono, fiori.
 

Risale il leggero pendio con espressione stanca e soddisfatta, osservando distrattamente il paesaggio che la circonda: tra poco anche la fioca luce del tramonto si spegnerà e tutto verrà inghiottito dalla notte.
Le sue labbra fremono appena, sfiorate dallo sbuffo che libera una volta raggiunta la cittadina, l’ultima tappa prima del porto, prima di casa.
Si massaggia il collo e la spalla doloranti per quel pomeriggio di studio, avviandosi lungo la via, ma qualcosa cattura la sua attenzione. Aggrotta la fronte ed affila lo sguardo per studiare la curiosa figura ricurva che si staglia a pochi metri da lei: tiene i gomiti poggiati sulle ginocchia piegate e spalanca ripetutamente la bocca per recuperare quel fiato che, con tutta probabilità, ha perso.
E nello stesso istante in cui riconosce la zazzera verde di Zoro, i loro occhi s’incrociano.
Deglutisce, conscio di dover, ora, superare l’ostacolo maggiore: convincerla a seguirlo.
Chiederglielo apertamente è escluso: Robin vorrebbe sapere dove e lui si ritroverebbe in serie difficoltà respiratorie con la parola ‘Sorpresa’ bloccata in gola e l’acceso colore dell’imbarazzo sul volto.
Pensare è un grande errore di calcolo…molto meglio agire. Così inspira a fondo, con ampie falcate compre la distanza che li separa e, prima che Robin abbia anche solo il tempo di accorgersi della mano stretta attorno al suo polso, la trascina via, ignorando il sussulto, il tentativo di ribellione con cui lei cerca di liberarsi dalla presa e l’incespicare del passo che non regge la velocità suo.
È costretto a cedere solo nei pressi della foresta, quando due mani radicate al terreno lo afferrano per le caviglie, facendogli perdere l’equilibrio in un tonfo.
“Ora…” soffia “…posso sapere dove stiamo andando, se la nave è di là?” e con un dito indica la direzione opposta.
“Beh…in un posto!”, borbotta l’altro, voltandosi per nascondere alla sua vista il viso e quell’effetto che, probabilmente, Robin sa di causargli.
Con un sospiro sconsolato, si risistema lo zaino.
“La prossima volta, chiedi…” dice in un tono di rimprovero, che non trova riscontro nella curiosità del suo sguardo e nella curvatura delle sue labbra, superandolo ed addentrandosi nella boscaglia.
Su una cosa il cuoco aveva ragione: le donne non sono fatte per essere capite.
 
 
Fissa le spalle larghe di Zoro e la sua nuca, che, da un quarto d’ora abbondante, continua a vedere muoversi freneticamente, ora a destra ora a sinistra.
“Ti sei perso?” chiede all’ennesimo ‘Di qua’ seguito da quello che avrebbe dovuto essere un inudibile ‘Accidenti!’.
“No!” ringhia, evitando di voltarsi, “Sto solo cercando l’albero giusto!”.
Robin riflette per un momento sul senso di quella frase, decretando, infine, che ne è completamente mancante, e sposta gli occhi prima sul soffitto di foglie, sotto al quale stanno camminando, poi di nuovo sullo spadaccino, impegnato ad esaminare la corteccia di un albero come se fosse davvero in grado di distinguerli in questo modo.
Sospira sconsolata. Si, si sono persi.
Lo scricchiolio di un ramoscello spezzato, alle loro spalle, interrompe improvvisamente i pensieri di entrambi ed un frusciare sospetto ne aizza la guardia.
Zoro porta repentino la mano alle spade, scrutandosi attorno guardingo.
Un verso feroce: il pollice corre alla coccia, sollevandola appena, e nello stesso istante, da un cespuglio poco distante da loro, ecco spuntare un enorme orso dal manto nero.
“Merda!” impreca, sguainando la Yubashiri dinanzi ai canini grossi come dita dell’animale.
“Non vorrai mica fargli del male, vero?”.
La voce imperiosa e sconcertata dell’archeologa suona quasi come un sussurro confrontata col bramito selvaggio che la sovrasta.
“Non più di quanto lui ne voglia fare a noi…” e si prepara a sferrare l’attacco, venendo però bloccato da un paio di braccia..
“Che caz…?!”.
“Guarda!” lo interrompe lei, per nulla impressionata dallo sguardo minaccioso e sbigottito rivoltole dallo spadaccino, indicando un batuffolo di pelo scuro alle spalle dell’orso. “Dev’essere il suo cucciolo!”.
Gli occhi di Zoro tornano allora sulla ‘madre’, ed in particolare sulle sue zanne scoperte, e la katana, irta e fiera, comincia a tremare. Non è paura, ma incredulità per quanto si appresta a fare.
Una manciata di secondi: rinfodera la spada, prende un lungo respiro e con un ‘Dannazione a te! Donna!’ inizia a correre nella direzione opposta, imitato da Robin.
Dietro di loro, l’animale, che sembrava essersi ammansito, spalanca nuovamente le fauci in un ruggito iracondo e si getta all’inseguimento, recuperando ad ampie falcate il terreno perso.
“Hai qualche idea ora!?”.
Robin boccheggia, lanciando una fugace occhiata al proprio inseguitore: è tanto mastodontico da assomigliare ad una montagna. “Si…” ansima in risposta “…continua a correre!”.
E così fanno.
Corrono finché le gambe non danno loro la sensazione di frantumarsi ad un altro passo e i polmoni non paiono più in grado di riempirsi d’aria.
Corrono finché il cuore minaccia di uscire dal petto ed il nodo che avvertono in gola gli conferma che è sulla buona strada.
Corrono finché il verde non si dirada e piombano in una valle.
Anf…anf…anf: è l’unico suono che si scambiano, piegati entrambi in avanti con i crampi allo stomaco ed il sudore, ormai freddo, a scivolargli lungo la schiena.
Zoro occhieggia un momento alla foresta buia, assicurandosi di non udire più le zampate pesanti con cui quell’orso atterrava sulla terra, per poi fissarsi intorno.
L’albero che gli funge da apporto ha un nonsoché di famigliare, così come l’enorme radice che buca il terreno. Che sia…
Solleva la testa: è già calata la notte, ma loro non se n’erano resi conto a causa della fitta vegetazione e di quella fuga improvvisa.
“Allora, spadaccino..” lo richiama lei, con voce ancora provata “…quanto manca per arrivare a questo posto?”.
Una rapida occhiata al paesaggio ed il dubbio diviene certezza.
“Ci siamo…” esclama, ricomponendosi, e lo sguardo di Robin si riempie di stupore e perplessità davanti alla vallata in cui si trovano: immensa, sconfinata….verde.
Zoro stesso deve fare affidamento a tutti i suoi nervi saldi per non imprecare contro il cielo e contro quel dio che, dicono, ci abita, perché….dove diavolo sono finiti i fiori?
Robin aggrotta lievemente la fronte e si picchietta le labbra come quand’è di fronte ad uno scritto o ad un’incisione di difficile decifratura. Ma il motivo che ha spinto lo spadaccino a trascinarla -quasi a forza- in quell’altura dispersa tra i colli dell’isola dev’essere davvero oscuro ed assai criptico, visto che anche le sue vaste conoscenze non l’aiutano a comprenderlo.
“Beh…è molto silenzioso…” azzarda, frugando con lo sguardo le piccole piante che ricoprono le rocce a manto e la reazione di lui, nella speranza di cogliere nella sua espressione, nella sua mimica, qualche indizio utile a decrittarne le intenzioni.
“Già…” e, appoggiando la schiena contro la corteccia, si lascia scivolare a terra, incrociando le gambe e sistemando le spade al suo fianco.
Gli occhi chiusi, le braccia conserte, la testa infossata tra le scapole: sta per addormentarsi.
“Che vuoi fare?” gli chiede, per una volta, apertamente, conscia che giochetti di parole e tentativi di codificare il suo comportamento rappresentano solamente superflue perdite di tempo in certi frangenti.
“Non si vede? Riposare…” sbuffa “…dovresti provare anche tu”.
“Dovremmo tornare alla nave invece…”.
“Ora sono stanco. Se vuoi, vacci da sola…”.
Robin vaglia mentalmente le possibilità che ha davanti.
È buio e non conosce la foresta: addentrarvisi da sola implicherebbe correre il rischio di perdersi ed imbattersi in animali feroci, una decisione poco saggia. Esattamente come quella di rimanere, ma non ha molta scelta.
Si morde il labbro, avvertendo una strana sensazione di disagio, resa manifesta dal calore di cui sente invase improvvisamente le guance e dallo sguardo che si abbassa fino alla punta dei suoi stivali. Che sia imbarazzo?
Certo, hanno dormito diverse volte insieme, nudi, abbracciati, avvolti dal torpore della passione appena consumata, ma tutte le volte era lei a decidere, ad istigare, a sorridere di quel rossore, di cui ora è oggetto.
Non è cattiveria, ma abitudine.
L’abitudine di chi ha trascorso una vita instaurando legami falsi, basati sulla convenienza, facendo del doppio gioco la propria vocazione e della solitudine la propria compagna ed indossando una maschera che col tempo era diventata una sorta protezione dal mondo.
 Per questo cedere al peccato non creava alcun imbarazzo.
Quando, però, il peccato si specchia nella virtù –dicono- è allora che si vergogna di se stesso.
 Per questo cedere al pudico contatto incute tanto timore.
Con passo indeciso, Robin si avvicina, accomodandosi al suo fianco ed osservandolo per alcuni secondi, finché, con un movimento impercettibile, Zoro china il capo di lato per farle posto sulla spalla.
Deglutisce, spaventata dall’intimità della situazione, consolata dal colorito vivace che risalta sulla sua pelle abbronzata dello spadaccino, ma, alla fine, accetta quel tacito invito.
E appena l’incavo diventa suo rifugio, appena il pensiero che in fondo sia piacevole le balza alla mente, il sonno la coglie.
 
 
Appena riapre gli occhi, viene accecata dalla luce del nuovo giorno.
Dovevano solo riposarsi ed invece avevano trascorso lì l’intera notte, ma la cosa passa in secondo piano, quando, massaggiandosi le palpebre ancora pesanti, si rende conto di essersi totalmente abbandonata contro di lui: rannicchiata sul suo petto ed avvolta dalla presa gentile del suo braccio. Solleva, allora, lo sguardo, constatando, ancora una volta, come i lineamenti del suo volto appaiano straordinariamente morbidi la mattina.
Sta ancora dormendo e, per non disturbarlo, scivola silenziosamente verso l’albero, rialzandosi.
Solo a quel punto si accorge dell’enorme prato fiorito che ha di fronte.
Ci sono fiori di qualsiasi tipo e colore, dalle tonalità accese dell’arancione e del rosso a quelle più tenui del rosa e del turchese, con, qua e là spruzzi scuri, di viola e blu.
Avanza qualche passo fino ad immergersi in quel mare di profumi, stando bene attenta a non spezzare alcun stelo: se tende le mani arriva a sfiorare la delicatezza dei petali, se tende le orecchie può percepire il ronzio dei calabroni.
Uno sbadiglio la fa voltare ed incrociare così gli occhi semiaperti con cui Zoro la sta guardando.
Non sembra stupito, ma sollevato nel modo in cui inarca un sopracciglio e si gratta la testa, quasi cercando di raccapezzarsi dello spettacolo che ha davanti.
E così, nel vedere il suo sguardo strabuzzante, la sua bocca increspata in una smorfia confusa e le sue labbra mimare un ‘Come cavolo è possibile…?’, Robin intuisce.
Davvero non sapeva che, di notte, i fiori si ritirano…
Sorride teneramente a quel broncio che si scioglie, ricambiando.
Ed ecco affacciarsi nel cuore di entrambi una sensazione di leggerezza quasi sconosciuta, quella profusa da due occhi azzurri colmi di meraviglia, quella regalata dal semplice gesto di un animo puro.
Con calma ripercorre i propri passi e si ferma davanti a lui, senza spezzare il silenzio in cui sono immersi; poi, mentre un leggero rossore, di cui non si vergogna, le tinge il volto, si sporge verso Zoro e, sfiorandogli appena il viso, che sente caldo quanto il suo, gli schiocca un unico, innocente bacio sulla guancia.
E lo spadaccino, avvertendo l’umidità delle sue morbide labbra, non riesce a non pensare di aver sottovalutato troppo spesso il sentimento della gratitudine.
"Nah..ora...ora è meglio andare...".
 

Nel fragore di una tempesta, Zoro era cambiato.
Alla luce del sole, Robin si era accorta che forse non era il solo…









***spazio autrice***
Dopo tempo immemorabile, rieccomi ad aggiornare!XD che dire...ho iniziato a scrivere pensando ad una situazione totalmente intollerabile per Zoro e non sono più riuscita a smettere. risultato: 6 pagine word di tenerezze! eh, dai per una volta ci può anche stare!!! ^__^...mah, non credo ci siano punti particolari da approfondire, quindi vi saluto, dandovi appuntamento alla prossima fic: naturalmente qui, naturalmente nonsoquando....XD
Bye, bye!!!!

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Capitolo 12
*** Night Attendances ***



Night Attendances




‘Sei troppo distratto! Così rimarrai sempre un debole!’

 
Quelle parole bruciano ancora nelle orecchie e di più nel cuore che le sa veritiere.
Una realtà resa terribilmente pesante dalla mancanza di ragioni che possano spiegarla.
Che diavolo mi succede? si chiede, osservando le gocce di sudore che gli scivolano dal volto infrangendosi sulle pietre, senza capire che non nella mente deve cercare le sue risposte.
Stringe i pugni, conficcandosi le unghie nella carne, e, con un ultimo sforzo, si solleva fino a toccarsi la punta dei piedi per poi lasciarsi ricadere, esausto.
Il mondo da quella prospettiva gli era sempre parso strano, quell’isola invece rimane uguale: il castello, le nuvole, gli alberi non hanno distinzione, avvolti dal buio anche di giorno -perché lì, il sole, arriva solo a sfiorare le ombre, non riuscendo mai ad inondarle del tutto.
Reclina un attimo il mento per dar modo al suo sguardo di trovare le spade.
Eccole! e si ciondola un po’ per arrivare ad afferrarne una.
Basta un unico, preciso fendente e il ramo cui è appeso si trancia con facilità, permettendogli di ricongiungersi, seppur con poca grazia, alla terra.
È umida, lo avverte sulla schiena, sulle braccia aperte e sulle dita che ne stringono una modica quantità, tracciando piccoli solchi sul suolo.
Perché? 
Un appello che non raggiunge le stelle, coperte dal cielo nero di Kuraigana, o forse nemmeno mai apparse in quel luogo. Sbuffa, alzandosi a sedere per slegarsi le caviglie e tornare poi al castello.
Le luci sono già spente e non il fragore delle spade né la fastidiosa voce di quella ragazzetta dai capelli rosa risuonano nei corridoi deserti, solo l’eco dei suoi passi e lo scricchiolio della porta che si chiude alle sue spalle, una volta giunto in camera.
Occhieggia al catino accanto al letto e, dopo un attimo, vi immerge il capo: l’acqua è ghiacciata, gli annebbia la vista e dà l’illusione di cancellare i cattivi pensieri.
Ma è un’illusione, appunto, e non appena allunga il braccio per prendere l’asciugamano, svanisce.
Si sfila maglia e scarponi, appoggia accuratamente le katane sulla parete e si stende sul letto a fissare l’alto soffitto della stanza: sembra interminabile e Zoro non è poi così convinto che non lo sia realmente.
Si schiaffa una mano sul viso nella speranza di cancellare così la stanchezza ed abbandonarsi al sonno che non si è mai fatto attendere così a lungo.
Roronoa Zoro che non riesce ad addormentarsi ha dell’incredibile…”.
Nah…” sbuffa, rigirandosi tra le coperte “…è colpa del materasso!”.
“Non ti facevo così schizzinoso…”
‘Forse è quella dannata candela!’.
La risposta piccata gli si gela in gola, bloccata dalla leggera risata che ode alle sue spalle: con chi diavolo sta parlando?
Si alza di scatto scorgendo per prima la fioca luce del moccolo che arde sul misero tavolo, sotto la finestra, illuminando la figura seduta davanti a lui.
Le gambe accavallate. Un libro aperto sulle ginocchia. Il mento posato sul palmo aperto.
Si preme due dita sulle palpebre in un veloce massaggio, ma quando riapre gli occhi Robin è ancora lì a fissarlo, con quel suo immancabile sorrisetto.
“Come…che ci fai tu qui?!”.
“Dovresti saperlo…” -chiude il libro per concentrarsi sulla conversazione- “…mi ci hai portato tu”.
Zoro la squadra con cipiglio interrogativo, guarda i suoi capelli ondeggiare mentre china la testa e le sue dita tamburellare sulla crosta.
“È stato quel tipo della flotta dei sette?” chiede, dopo un attimo di riflessione, durante il quale i suoi occhi non l’hanno mai lasciata.
Robin denega la testa in un sospiro. “No, sei stato tu. Sono una proiezione della tua mente”.
Lui strabuzza per un momento gli occhi, confuso. "Una...una pro-che?".
A Robin sfugge un lieve riso, che sfila tra le dita della mano con cui ha tentato di sopprimerlo, facendo aggrottare la fronte dello spadaccino in un'espressione contrariata.
"Un'illusione...un qualcosa creato dalla tua mente..." spiega, dopo l'ennesima occhiata truce che l'altro le riservato nell'implicito ordine di smetterla.
"Mmm...quindi sto sognando?".
"Si...".
"Se è così..." si sdraia nuovamente, regalandole una perfetta visuale della sua schiena "...vuol dire che sto dormendo e che, quando mi sveglierò, sarai svanita...".
"Si può sognare anche ad occhi aperti...".
Zoro borbotta qualcosa diretto più a se stesso che a lei e non si volta.
Poi, d'un tratto, il materasso si piega sotto il peso di un nuovo ospite, una mano gli scorre sul petto fino a sfiorargli il mento ed un caldo respiro gli solletica la base del collo.
"Che stai facendo?".
"Sei tu che lo desideri..." mormora lei, aumentando la stretta.
Osserva per un momento le dita chiare, che gli accarezzano la pelle, e, preso dalla nostalgia, le intreccia tra le sue.
Solo un momento, si dice, solo il tempo di avvertire ancora la piacevole sensazione di stringere qualcosa di tanto delicato da aver paura di spezzarlo se non si calibra bene la propria forza.
Più che piccole, sono sottili, quelle dita, morbide confrontate alle sue.
Robin si era sempre scherzosamente lamentata della loro ruvidezza.
'Mani di spadaccino' le chiamava, sbuffando, ogniqualvolta che una carezza si rivelava troppo rude, energica e, anziché sfiorarle la pelle, vi si abbatteva avidamente.
'Piano..' sussurrava allora, portandosele al viso e baciandone i polpastrelli.
'Piano..' ripeteva ancora davanti al suo sguardo sbigottito e contrariato per essere stato interrotto, ricevendo in cambio un ringhio con cui cercava di nascondere la propria vergogna.
"Tu!" ruggisce a lucidità riacquistata. "Tu! Tu non esisti!".
Con un rapido colpo di reni, si porta sopra di lei inchiodandola al letto e fissandola con due pupille rese minuscole dalla rabbia.
"Non sono reale....solo frutto della tua immaginazione" precisa.
Affila lo sguardo, approfittando delle loro posizioni per farlo scorrere sul corpo della compagna. "Se così fosse, credo che ti immaginerei in modo diverso...".
Le allusive e maliziose parole di Zoro non hanno alcun effetto su Robin, che, anzi, curva le labbra in un sorriso comprensivo, senza minimamente tentare di ribellarsi alla presa che le chiude i polsi.
"...forse non è per quello che ti...".
"Che ti...?" ripete lui, liberandola e scostandosi per farle posto.
"...manco...".
"Non è vero!" si affretta a ribattere. E la cosa gli riesce particolarmente difficile a causa del nodo che gli si è formato in gola.
"Allora perché sono qui?".
"Non lo so! Forse sto impazzendo...".
"Impossibile...per impazzire bisogna essere sani...".
Annuisce meccanicamente, gettando le gambe oltre il bordo, prima di cogliere in quelle parole una venatura ironica ed offensiva.
“Ehi!”.
Il broncio rabbuiato e l’occhiata storta che le rifila sono tanto comiche che Robin deve soffocare la fragorosa risata che le si fa strada in petto per non ferire ulteriormente il sensibilissimo orgoglio dello spadaccino.
Il silenzio che scende tra loro, in seguito, non è mai stato così vuoto e tocca, nuovamente, a lei smorzarlo. “Guarda…”.
Fa fiorire una mano sul tavolo per farsi passare il libro e glielo sfoglia sotto gli occhi rivelando il lindore delle pagine. “…non si può immaginare ciò che non si conosce”.
Sorride teneramente alla maschera di stupore in cui è mutato il viso di Zoro, che, preso il volume, se lo rigira tra le dita, dimostrando tutta la sua scarsa dimestichezza con ciò che non assomiglia ad una spada.
“Senti..” mormora poi, stringendosi le ginocchia, e la curvatura delle labbra si assottiglia finché l’espressione del suo volto non torna seria. “…sai perché siamo stati divisi, no? Perché tu sei stato spedito qui..”.
Il tono afflitto è di quelli da discorsi importati, così abbandona il libro sul materasso e si piega in avanti: le braccia posate sulle gambe, le mani lasciate penzolare nel mezzo.
“Si….Rufy…il suo messaggio…”.
A Robin -quella vera- sarebbe, probabilmente, sfuggito un commento sardonico sulle inaspettate doti interpretative dello spadaccino, ma questa è falsa e si limita a spronarlo.
“Dobbiamo migliorare tutti…diventare più forti per lui, per gli altri…per noi stessi…”.
Con una leggera spinta, si alza ritornando al tavolo e lui la segue con lo sguardo.
È giunto il tempo dei saluti: lo intuisce perché gli dà le spalle ed incrocia le dita dietro la schiena, come quando sta per dire qualcosa di superfluo per lui e di tremendamente importante per se stessa.
“Dopotutto sono solo due anni…”.
Si volta appena per regalargli un ultimo sorriso. “…passeranno in fretta…”.

In fretta…in fretta…È l’eco che accompagna il suo risveglio.
Seduto sul letto, Zoro osserva la propria stanza, il catino, il tavola, i resti ancora fumanti di una candela che non si ricorda di aver acceso. E sorride.

'Finalmente cominci a fare sul serio, Roronoa…’


*****

 
 
Con un forte boato, la Sunny viene risucchiata dal mare, permettendo solo un’ultima occhiata alla terraferma, al grove dove Shakky e Rayleigh li guardano partire con negli occhi la stessa gioia che si riserva a dei compagni che hanno scampato il pericolo e sulle labbra la supplica inespressa, celata in sorriso sincero, di rivedere, un giorno, quei compagni sani e salvi.
Approfittando della meraviglia che il mondo sommerso suscita nei membri della ciurma, premuti contro il parapetto per ammirare quei misteri dell’oceano di cui avevano sentito parlare solo nelle antiche leggende, Zoro si avvicina a Robin, come gli altri stupita dalla grandiosità delle radici su cui sorge l’arcipelago.
Stringe una matita, con cui si picchietta le labbra, ed un piccolo blocco di appunti per annotare diligentemente ciò che la sua mente e la sua curiosità, fino a quel momento, hanno solo sognato o ipotizzato.
Lo spadaccino aggrotta la fronte alla vista del quadernetto e senza dare spiegazioni, senza chiedere il permesso, glielo strappa dalle mani, per poi sfogliarne velocemente pagine intonse alternate a, per lui, incomprensibili scarabocchi.
È tutto vero. Lei è vera.
Robin lo fissa sbigottita per alcuni secondi, ma prima che possa pretendere delle spiegazioni, Zoro le sfiora la mano.
È un attimo, il tempo di far scivolare le dita tra le sue, di scorgere lo stupore distendersi in un accenno di sorriso, di leggere nei suoi occhi un bentornato che suonerebbe strano detto ad alta voce, minimizzato da parole che non saprebbero rendere l’esatta misura del peso di quella separazione.
E, indisturbato, si allontana.
 
Gli è mancata si, ma non glielo dice.
A quel punto, in fondo, le parole sarebbero davvero superflue.





***spazio autrice***
...non è che mi convinca molto, anzi...l'ho scritta solo per esaudire un mio capriccio e perchè non riesco a prender sonno (ma tranquilli, io non vedo Robin seduta alla scrivania della mia camera...XD)...
bah, fate un pò voi...l'ho postata perchè prima di Natale non avrò sicuramente tempo di scrivere nulla di più decente...perciò...
uff, non so nemmeno cosa scrivere...forse è la stanchezza che si fa sentire  =__=
Bye, Bye






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Capitolo 13
*** MERRY CHRISTMAS ***


MERRY CHRISTMAS




“…e trascorre tutta la notte a distribuire doni..”.
Wow! Dici sul serio Robin?” esclama stupito, fissando con gli occhietti sgranati la figura stampata del libro che l’archeologa tiene sulle ginocchia.
“Così è scritto, Chopper” conferma in un sorriso, incrociando lo sguardo bonario -celato dietro a piccoli occhiali dorati- di quell’uomo barbuto.
La renna arriccia il muso e l’espressione entusiasta lascia spazio ad una leggera delusione.
“Anche ai…pirati?” mormora.
“Certo!” lo rassicura schiacciandogli il tartufo con la punta del dito. “Purché si siano comportati bene…”.
“Ma la Sunny non ha camini!”.
“Credo che per te farà un’eccezione, passando per la porta…”.
Con un sospiro si rituffa nell’appassionata lettura, carezzando l’immagine di Babbo Natale per poi spostare l’attenzione sulla slitta. E di nuovo un dubbio gli pervade la lingua senza che gli occhi possano trovar risposta nelle righe scorse.
“Però è strano…” dice, sollevando il muso per riflettersi nello sguardo interrogativo di Robin. “…non sapevo che le renne volassero! Secondo te hanno mangiato anche loro un 'Frutto del Diavolo'?”.
L’osservazione, nella sua pura innocenza, non può non suscitare la lieve risata della compagna.
“Oh! Può darsi, può darsi…” e curva le labbra in un tenero sorriso, simile, ma più contenuto, rispetto a quello con cui il suo capitano carambola nella stanza.
“Chopper! Chopper! Sei pronto?” urla senza nascondere la propria eccitazione, mentre dalla porta spalancata sfila il vento pungente dell’inverno.
Il piccolo dottore si divincola dalle braccia dell’archeologa e zampetta verso di lui, ricambiando con un sorriso la gioia che illumina il suo sguardo. “Si, andiamo!”.
 
Attende che la porta si chiuda, Robin, lasciando che un ultimo anelito d’aria le sferzi il viso, quasi nella speranza di venir contagiata dallo stesso entusiasmo; poi s’infila il giaccone, chiudendo il bavero fin sotto il mento, e si affaccia anche lei al ponte.
Nami sta rimbrottando i propri compagni, in particolar modo Rufy, che al solito pare non ascoltarla. “ Hai capito, testa vuota!” lo sgrida, pizzicandogli la guancia. “Cerca di non esagerare!”.
“Non ti preoccupare, Nami!”.
La voce di Franky è in realtà un eco proveniente dalla stiva che si fa sempre più vicino, accompagnato dallo strascicare di passi sul legno e da un rumore metallico che si rivela appartenere ad una sega. “Troveremo un albero super!”.
La navigatrice sussulta, abbandonando la presa di cui resta comunque ricordo nel viso di gomma, su cui ora compare il livido di due dita.
Ancora un urlo, corale stavolta, e i tre spariscono oltre il parapetto, diretti nel ventre verde della foresta sotto lo sguardo perplesso e ansioso di Nami, che però, poi, distende il broncio in un sorriso -perché a Natale anche i rimproveri si addolciscono.
Un sospiro le sfugge condensandosi in una piccola nuvola di vapore, mentre s’acconcia il ciuffo ribelle che continua a scivolarle fuori dal berretto di lana e a ricaderle sulle gote arrossate dal freddo, lo stesso che le pizzica gli occhi. O forse è solo l’eccessivo buonumore che sente davanti alle ghirlande ed ai nastri, addossati al pennone e pronti a diventar parte delle decorazioni.
“Serve una mano?”.
“Ah, Robin!”. Nami solleva la testa per osservare quella che la compagna sorregge nei palmi.
“Volentieri!”.
 
C’è un clima d’attesa ad avvolgerla, eppure nei volti di tutti coglie solo indifferenza, finta ed ostentata indifferenza. E in fondo si sente un po’ in colpa, perché immagina che lo stiano facendo per lei, che, come una ladra, sta sottraendo loro la possibilità del confronto e del conforto reciproco, perché sa che i loro pensieri, nonostante battute e sghignazzi, hanno preso a fluttuare costantemente nella stessa direzione, perché da quella sera i silenzi sono meno rari e carichi di parole non dette e speranze nascoste.
È passato quasi un mese, da quella sera.
Avevano appena finito di cenare e, mentre Sanji era indaffarato a recuperare piatti e stoviglie dal tavolo, Brook stava rallegrando l’atmosfera, accompagnato dal suo violino.
Poi, d’un tratto, il sorriso di Rufy si era spento e così la sua espressione divertita.
Ciurma!”.
Il tono risoluto aveva catalizzato subito l’attenzione ed un silenzio inverosimile era sceso sulla nave. “Tra poco è Natale e voglio che vi facciate un regalo…” aveva detto, calcandosi per bene il cappello “…lo sapete che vi considero una famiglia, ma sono consapevole che ciascuno di voi, per seguirmi, abbia abbandonato una persona cara o più di una….perciò desidero che le scriviate!”.
Nami aveva mosso una timida ribellione, dicendo che sarebbe stata una pazzia, che era troppo pericoloso, ma era bastata un’occhiata del capitano per zittirla: quella che era stata annunciata come una richiesta, suonava più come un ordine inamovibile.
Nei giorni avvenire, i mille dubbi sorti da quella decisione si erano lentamente dissolti: troppo forte il richiamo nostalgico dei ricordi, troppo debole il monito della preoccupazione, di cui - Robin era sicura- sarebbe rimasta traccia solo in poche parole scarabocchiate alla fine di un foglio.
Un ‘Non parlare a nessuno di questa lettera’, magari. O un ‘Stacciala!’.
Così non era stato raro scorgere tra le dita di Usopp macchie blu, trovare il cestino dell’infermeria pieno di cartacce e avvertire in cucina l’odore d’inchiostro.
E non era parsa strana, né aveva suscitato lamentele, la rotta scelta da Nami, che, stando alle mappe a sua disposizione, aveva scoperto l’esistenza di due isole distanti poche miglia l’una dall’altra.
“Spediremo tutto a Fune (*)…” aveva proposto, picchiettando i nomi delle terre segnate nella cartina con un dito “…e chiederemo di indirizzare le risposte ad Uketoru (*)!”.
Quella era stata l’ultima volta che avevano accennato apertamente alle lettere, preferendo alle parole i sussurri.
Ma, nonostante gli sforzi di arginare l’ansia, essa si era palesata comunque nell’improvvisa sbadataggine di Sanji, che per tre giorni consecutivi si era recato alla drogheria del paese con la scusa di essersi dimenticato una spezia o un ingrediente fondamentale per le sue ricette: il fatto che il negozio sorgesse accanto alle poste era naturalmente un superfluo frutto del caso. E ancora in Usopp, che, dopo aver appeso in poche ore le luci lungo l’intero profilo della nave -pregando che la marina fosse troppo occupata a festeggiare per scandagliare le baie alla ricerca di pirati e fuggiaschi -, ci aveva messo più giorni a completare quello sottile delle vele, forse perché troppo spesso il suo sguardo si era soffermato sull’orizzonte per scorgere l’arrivo di qualche News Coo; oppure nella strana espressione con cui Nami aveva osservato il cielo, prevedendo l’arrivo di una bufera di neve, che, si sa, avrebbe compromesso il volo dei gabbiani.
Perfino Zoro, di notte, aveva sempre sviato il discorso, quando lei si era resa disponibile ad aiutarlo, borbottando qualcosa sull’essere stanco e rigirandosi tra le lenzuola, salvo poi fissare l’imbottitura del divano.
A Robin, allora, non era rimasta altra scelta che reggere il gioco, quasi divertita da quei goffi tentativi, con cui avevano cercato di non farle pesare il fatto che la sua, di lettera, fosse stata prematuramente riposta in un cassetto della stanza e che lì giaccia ancora, nell’immacolata speranza di essere intrisa da parole che non verranno mai scritte.
La verità è che, a dispetto della percezione generale, nessuna delle sensazioni che le vorticavano dentro poteva essere associata alla tristezza.
C’era curiosità, interesse, un pizzico d’invidia, forse, nei confronti di un’attesa resa spasmodica dalla distanza, dal tempo, dall’indissolubile legame che si crea tra le persone: un tipo di legame cui aveva rinunciato –ed era stata obbligata a farlo- per venti lunghi anni.
Lo stesso che Rufy e gli altri le avevano dato la gioia di riscoprire.
A conti fatti, le persone più care che avesse al mondo erano proprio accanto a lei, quindi non c’era motivo di rattristarsi.

E poi, quella mattina - il giorno della Vigilia-, proprio il capitano era salito sulla polena, con una voluminosa busta sotto il braccio, annunciando a tutti che erano finalmente arrivate.
 
“E con questa abbiamo finito!”.
Nami sorride soddisfatta, sistemando l’ultima ghirlanda sulla porta dell’acquarium ed allungando la mano per staccare il vischio che Sanji aveva furbescamente attaccato ad ogni stipite.
“Magari questo lasciaglielo…” le suggerisce, occhieggiando al sacchetto, da cui spuntano diversi rametti spietatamente trafugati, che la navigatrice stringe tra le dita. E, nonostante il cipiglio incredulo, Nami acconsente. “Ma sì! In fondo a Natale sono tutti più buoni, no?”.
Dalla cucina intanto giungono i primi profumi del banchetto che, tra poche ore, gli attende.
Biscotti allo zenzero, mele caramellate, frutta candita e… “Carne!”.
La voce di Rufy cattura l’attenzione delle due nakama e ridesta lo spadaccino che sonnecchia sul ponte: agita i pugni anchilosati dal gelo, mostrando, alle sue spalle, uno splendido abete dagli aghi irti e fitti, cui Franky sta preparando una solida base con un paio d’assi di legno. “È bellissimo, Nami! Non trovi? Merito di Chopper!”.
Poco dopo l’albero fa già bella mostra di sé in un angolo del salone, agghindato con luci, palline colorate, nastri e quei pochi bastoncini di zucchero salvati dall’ingordigia di Rufy.
E, mentre Robin è impegnata a completare l’opera fissando la punta, un elegantissimo Sanji fa capolino nella stanza, annunciando a tutti che la cena è pronta.
 
Il tavolo è ricolmo di prelibatezze: pesce speziato, carne arrosto, involtini ripieni. E fiumi di vino -rum per i palati più esigenti.
Nei volti di tutti c’è spazio solo per i sorrisi e l’aria sembra fatta per contenere le loro gioiose risate, il cozzare dei bicchieri ed il frenetico tintinnare con cui le forchette svuotano i piatti.
Tra un brindisi e l’altro, c’è il tempo di ascoltare l’ultima fatica di Brook, che volteggia tra una sedia e l’altra, suscitando plausi e complimenti. E poi di nuovo sghignazzi divertiti alle battute con cui Usopp scherza sull’improponibile camicia a tema natalizio di Franky, scorpacciate di paste e torte di marzapane, particolarmente apprezzate da Chopper, e voraci sorsate di liquore che infiamma la gola ed aizza ancor più gli animi.
Quando, infine, del sontuoso cenone resta traccia solo nelle briciole che ricoprono la tovaglia e l’ilarità generale scema, rimanendo però impressa nei respiri rotti e nei visi arrossati dei presenti, Rufy si alza, diretto al centrale tavolino rotondo, dove spicca nel colore bruno del legno quello più chiaro della carta.
E proprio la vista di quella busta fa trasalire i presenti, Zoro compreso: i boccali si posano allora, producendo un tonfo leggero che riverbera come un boato nel silenzio.
“Beh…eccoci…”.
In pochi minuti, ciascuno stringe una lettera tra le dita, preparandosi alla profonda intimità in cui s’immergerà, sollevando il lembo.
 
Robin si allontana, ma la sua è una strada breve: misura i passi che distanziano la sedia ed il divano.
Dall’oblò può osservare il mare, le onde che deformano i riflessi delle luci e gli scogli della baia dove hanno attraccato, ma, se sposta appena lo sguardo sul vetro, vi vede rispecchiati i propri compagni.
Nami, rannicchiata in un angolo del tavolo, si porta una mano alla bocca per soffocare i convulsi singhiozzi che le salgono dal petto.

Cara Nami,
vorrei poterti di dire che non mi manchi, che sono più forte di quanto tu pensi, ma non ci riesco.
Come non riesco a contenere la gioia che mi ha regalato la tua lettera.
Siamo stati così in pena al villaggio: due anni senza avere alcuna notizia
e poi un giorno Genzo viene a casa sbattendomi in faccia il titolone di un giornale, ‘I Mugiwara sono tornati’!
E se ne va in giro, sbraitando che lui lo sapeva e che c’eravamo preoccupati per niente,
quando per giorni era rimasto incollato al lumacofono cercando di contattare la sede della marina per avere maggiori informazioni!

Uff! Ma ora veniamo a noi! Ho visto la foto sulla taglia: la ‘Gatta Ladra’, eh? È un soprannome carino e anche tu sei venuta bene…

 
Cerca di trattenere in tutti i modi le lacrime che le si sono raccolte ai lati degli occhi e minacciano di rigarle presto il volto, ma alla fine cede, finendo col stringere tanto il foglio da affondare le unghie nella carta, mentre apprende che l’ultimo raccolto è stato ottimo e che tutti le ricordano con affetto. Lo stesso che trapela nella scrittura elegante di Kaya.
 

Caro Usopp,
avere tue notizie è il più bel regalo che potessi ricevere!
Per due anni, ogni giorno, mi sono seduta alla finestra sperando che tu comparissi all’orizzonte.
Nonostante tutti mi dicessero che dovevo rassegnarmi, perché la marina vi aveva sconfitto,
e che probabilmente eri morto, io ero sicura non fosse così!
Me lo avevi promesso, ricordi? Saresti diventato un grande pirata ed un grande pirata non si arrende mai!...

 
Oh, Kaya…Accarezza la carta, impiastricciandosi le mani con l’inchiostro reso umida dal pianto, che non riesce a trattenere, e tira su col naso, quando legge che si sta impegnando affondo per diventare un buon medico, nell’eventualità che lui ed i suoi compagni abbiano bisogno di cure.
Certo non può sapere che, a bordo, un dottore esiste già e se ne sta raggomitolato tra le sue gambe, singhiozzando ininterrottamente.
 

Caro Chopper,
e così sei ancora vivo e stai bene! Sono davvero felice!
Felice che tu possa continuare il tuo viaggio, come Hillk stesso desiderava!
Certo, però, mi aspettavo una taglia più sostanziosa, ma sono sicura che si sia trattato di un errore
e che, comunque, non mancherà di aumentare col tempo, dopotutto ormai sei un pirata!
Ho riso tanto quando Dorton me l’ha mostrata…

 

Gli occhi lucidi faticano a decifrare la grafia obliqua della dottoressa, che lo informa di come l’isola sia tornata a vivere in pace dopo e grazie la sua partenza.
E ancora lacrime gli bagnano il pelo, ormai fradicio all’altezza delle gote, mentre incurante corre tra le braccia di Robin.
“E quella donna, vero? Kureha?”. “Siiiii…” mugugna, strofinando il muso sulla sua spalla, mentre una laconica melodia riempie la stanza. È Brook, che dopo un iniziale stupore, ha dato sfogo alla sua felicità, arpionando il violino e pizzicando le corde con ancora la lettera stretta tra le falangi.

Caro Brook,
quanto tempo è passato!
La prima volta che ho visto le nuove taglie dei Mugiwara non potevo davvero crederci!
Eri vivo e facevi parte della ciurma di quel Rufy! Che tipo! Lo ricordo ancora con un sorriso…

Mi spiace per ciò che è capitato a Yooki e agli altri.
Ho sempre sperato di vedere la bandiera dei pirati di Rumba spuntare all’orizzonte, ma non è mai successo ed ora so anche il perché.

Non dev’essere stato facile!

 
Lovoon! Lovoon!” continua a mormorare, mente le lacrime gli consumano le ossa.
 

[…] Non devi preoccuparti di Lovoon è vero, è cresciuta,
ma non vi ha mai dimenticato…ora è qui di fronte a me e sembra capire ciò che gli dico,
anche se aspetto sia tu a raccontargli tutta la storia…

 
Franky, dall’altro capo della stanza, lo rimprovera, dicendogli che non è dignitoso frignare in quel modo, ma gli ammonimenti non hanno successo, giacché lo stesso cyborg non riesce ad arginare quel pianto scoppiato non appena ha riconosciuto la scrittura di Iceburg.
 

Caro Franky,
come ti ho già detto una volta, sono felice che tu sia vivo!
Non sai che pena è stata per me, Kokoro ed i tuoi ragazzi leggere della vostra sconfitta a Sabaody!
Solo il fatto che non ci fossero notizie certe, ha alimentato la nostra speranza, che, alla fine, non si è dimostrata vana!

Mi hai chiesto come vanno le cose a Water Seven dopo la vostra partenza….
ecco per diversi mesi abbiamo dovuto occuparci della ricostruzione della città, fortemente danneggiata dall’
Acqua Laguna,
e far fronte ad alcuni ispettori della marina che continuavano a fare domande su di te e Cappello di Paglia,
ma nessuno, abitante o carpentiere, ha parlato e alla fine ci hanno lasciato in pace.
E da qualche anno, ormai, giungono sempre più giovani da diversi paesi, interessati ad apprendere il mestiere del carpentiere.
Pensa che ho perfino riaperto il laboratorio di Tom: sono sicuro che lui ne sarebbe orgoglioso…

 
Più composta è la reazione di Sanji, che dopo aver scorso velocemente le righe, ha ripreso a spreparare e riassettare la tavola. Eppure il modo in cui digrigna i denti, sbattendosene della cenere che gli sporca il colletto, e mastica il filtro, borbottando: “Bastardo di un vecchio!”, dice che ciò che vi ha trovato scritto non gli è del tutto indifferente.
 

Sanji,
ti aspettavi che iniziassi con ‘caro…’ eh, moccioso?
Nah, il massimo che posso scriverti è che sono contento che tutto il tempo che ho sprecato con te non sia andato perduto per colpa della marina!
Che poi dico… si è mai visto un pirata che scrive tante cazzate?!
Certo che stiamo bene! Anzi, se vuoi saperlo, la tua taglia è stata infissa in bella mostra nel Baratie, cosicché ogni cliente possa vederla…

 

E, quando Rufy, gli fa notare lo stano luccichio dei suoi occhi, il cuoco lo allontana in malo modo, premurandosi di far sparire la commozione con una rapido strofinio delle dita.
L’unico a non sembrare particolarmente toccato dal contenuto della sua lettera è proprio il fautore dell’idea. Ma, dopotutto, per Rufy la vera dimostrazione della felicità sta in un sorriso.
Per questo, ridendo, ripone il foglio nella busta.

Caro Rufy,
il sindaco mi dice di non scriverti, perché potrei mettere in pericolo il villaggio, ma non posso ignorare la tua lettera.
Sono così felice che tu sia sano e salvo e anche Dadan (tralascio il linguaggio colorito che ha usato per esprimerlo!).

La scomparsa di Ace è stata un duro colpo per tutti e spero che i tuoi compagni ti aiutino a superarla.
So quanto eravate legati….ma ti prego! Non portare rancore a tuo nonno: ha sofferto molto[…].
Forse non dovrei dirtelo, ma un mese fa, è stato qui il tuo amico Shanks…

 

Ogni lettera ha alle spalle un viaggio diverso e porta con sé il profumo di terre lontane.
Ha la sua storia, tramandata dalle mani che l’hanno scritta e dagli occhi che l’hanno scorsa.
Perfino il peso risulta difforme, a seconda delle lacrime che ne hanno intriso la carta, dal momento in cui vi è stato apporto il sigillo e dello spessore della filigrana.
Eppure in ognuna compare uno schizzo d’inchiostro, simile nell’idea, differente forse nell’espressione. Buon Natale.
 
 
La prima ad alzarsi è Nami, che, con gli occhi arrossati, saluta tutti, abbandonando la stanza, seguita poi dal capitano e da Usopp, che va a raccogliere Chopper, addormentatosi nel grembo dell’archeologa stringendo saldamente a sé la propria lettera. Franky e Brook rimarrebbero ancora volentieri a cantare, ma Sanji li caccia fuori, rabbioso.
E lo stesso trattamento è riservato anche ad un assopito spadaccino, che, imprecando, sbatte la porta ed esce.
Robin-swan, hai intenzione di rimare qui per molto?” le chiede gentilmente.
Lei sorregge impassibile lo sguardo languido di Sanji e denega la testa, accennando col capo al libro che pesa sul cuscino affianco.
“Avrei bisogno di favore, però…”.
 
Poco dopo, il cuoco ricompare dalla cucina, reggendo un vassoio con un bicchiere di latte ed un piatto di biscotti. “Potevo prepararti del the se preferivi, mia adorata…”.
“No, va bene così. Ti ringrazio…”.
Sanji allora posa tutto sul tavolo e, assicuratosi che non necessiti più di nulla, si congeda con un inchino, augurandole buona notte.
Di nuovo sola, Robin sospira, raccogliendo da sotto il divano, un piccolo pacchetto rosso, rilegato da un nastro dello stesso colore, che si posa sulle ginocchia piegate: ha gli angoli leggermente sgualciti e così il fiocco, ma con una rapida sistemata torna perfetto.
È un nuovo stetoscopio. Chopper le aveva confessato di desiderarne uno e lei gli aveva risposto che ci avrebbe pensato Babbo Natale...
Mentre si avvicina all’albero, per posizionarlo, ben visibile, ai suoi piedi, il lento cigolare della porta la costringe a voltarsi, sorridendo alla figura comparsa nella sua visuale.
“Ho sete” spiega, prima che il cipiglio interrogativo dell’archeologa si tramuti in domanda, e con aria annoiata comincia a gironzolare per il salone, frugando con lo sguardo le assi piallate del pavimento nella speranza di trovarci davvero qualche rimasuglio di rum.
“Dovresti provare in cucina…”.
Il suggerimento non viene ascoltato, o meglio seguito, visto che l’attenzione di Zoro è ormai totalmente rivolta a lei. “Che stai facendo?” borbotta, scrutando dapprima il pacchetto che sbuca tra i rami e poi il gesto elegante con cui Robin si friziona i capelli, lasciandoseli ricadere sulle spalle.
“È per Chopper”.
Zoro soppesa mentalmente quelle parole, cercando di ripescare, tra i meandri della propria memoria, un qualche ammonimento riguardante i regali.
“Ma non dovremo scambiarceli domani?” azzarda, infine, vantando una certezza che, in realtà, non possiede.
“Si, però lui è convinto che Babbo Natale esista e non voglio deluderlo” e gli porta sotto al naso il libro sopracitato, quello che stava sfogliando con il dottore, la mattina.
Mf! Che sciocchezza!” sbuffa seccato contro l’immagine che gli si para davanti ed allunga la mano sulla vittima prescelta: un biscotto dalla superficie dorata, su cui spiccano dolci gocce scure.
“Tu poi non ci somigli molto…” aggiunge, dopo un momento di riflessione, allargando un ghigno reso meno malizioso dalle briciole che gli circondano la bocca.
“Neanche tu!” ribatte piccata, sottraendo il piatto dalle grinfie dello spadaccino, pronto ad un nuovo assalto. “E ho promesso a Chopper che avrei lasciato un piccolo pensiero per lui…”.
“Allora tanto vale mangiarli, non credi?”.
Con movimento felino, raggira la guardia di Robin ed afferra un altro biscotto, addentandolo di gusto più per la vittoria conquistata che per reale amore verso il cioccolato.
“Questo vale anche per il latte…” gli fa notare, facendo scivolare il bicchiere sul tavolo fino a sfiorare la mano con cui Zoro si sorregge e soffocando il riso davanti al suo cipiglio contrariato.
‘Perché non lo bevi tu!’ vorrebbe ribattere, ma l’unica frase che borbotta, afferrando con foga il bicchiere e rovesciando così parte del contenuto a terra, è una costatazione sul fatto che un uomo di quell’età apprezzerebbe sicuramente di più un buon boccale di rum.
Terminata con una smorfia la sgradita bevuta, torna fissare lo sguardo di Robin, ma non lo incrocia. Qualcosa oltre le sue spalle pare, infatti, attirarla più dei suoi occhi, increspati in un’espressione dura che dice ‘Ecco! L’ho fatto!’.
Dalla porta, lasciata aperta, s’intravedono alcuni soffici fiocchi, che, in mirabolanti danze, vanno a posarsi silenziosi sui fili d’erba del ponte.
“Nevica” ed il sussurro si perde nei passi con cui lei raggiunge l’uscita.
“Nevica!” ripete, con innocente entusiasmo, raccogliendo nei palmi aperti alcuni frammenti di ghiaccio, mentre le labbra si piegano in un sorriso che condensa il proprio calore in piccole nuvole di vapore a contatto con l’aria gelida.
“Nah…così ti ammalerai…” le dice, notando il biancore che le tinge i capelli e si scioglie sulla pelle nuda delle spalle.
“Ti stai forse preoccupando…?”.
“No!”. Ma il trasalimento del suo petto marchiato e la velocità con cui sbatte lo sguardo sul soffitto, dimostrano il contrario.
Robin lo trova estremamente divertente, tenero quasi, mentre fa correre il suo dal broncio dello spaccino al triangolo bianco che ‘buca’ la panciera.
“Quella è la tua lettera?” chiede, scrollandosi un po’ di neve di dosso e rimanendo, tuttavia, all’aperto.
Zoro sussulta di nuovo all’occhiata interessata scoccatagli dalla donna e cerca, invano, di negare.
Troppo tardi.
Un paio mano fiorite sul suo addome, sfilano il prezioso contenuto dalla busta, porgendogli un foglio stropicciato in un chiaro invito, o forse una minaccia, a saziare la sua curiosità.
“E va bene! Si, è la mia!” ringhia, strappando senza grazia quel pezzo di carta dalla presa delle dita che svaniscono in un trionfo di petali. 
Robin può giurare di riconoscere, nonostante l’alcol che circola nelle vene di entrambi, l’acceso colore dell’imbarazzo stemperargli la pelle abbronzata del volto.
“Come stanno? Quelli a cui hai scritto, intendo…”.
“Credo bene…e comunque non ti riguarda!” sbuffa scocciato.
Non era stato un buon modo per chiederle di farsi i benemeriti affari suoi, gliene dà conferma anche l’espressione basita con cui lei lascia cadere a terra la neve racimolata.
Per questo, pentito, cerca rimedio dimezzando la distanza che li separa, fermandosi sotto lo stipite della porta, e, con la lettera ancora chiusa nella stretta del pugno, gliela porge in silenzio.
“Non c’è molto da leggere…”.
Toccata dal gesto e dalla disponibilità di condividere qualcosa di così personale, Robin accetta il foglio e si addossa alla parete per non bagnarla, notando sorpresa come la busta sia priva d’indirizzo. “Non l’ho mai spedita…” anticipa Zoro, gettando lo sguardo al nero orizzonte.
Sarà per la sua scarsa dimestichezza con le parole, sarà per l’orgoglio che vacilla ad ogni suo sorriso, senza, tuttavia, crollare….ma proprio non riesce a concludere la frase come vorrebbe.

‘…perché neanch’io ho qualcuno a cui scrivere’.

Ma, nonostante il silenzio, Robin pare intuire che, in fondo, quei caratteri sbilenchi, tremanti e disordinati che macchiano il foglio, siano in realtà destinati a qualcuno.
E che quel qualcuno sia molto vicino…
Con un sorriso tra il lusingato e l’imbarazzato, allora, restituisce il tutto al legittimo proprietario, annullando lo spazio che li separa e, mentre il suo sguardo cristallino segue il percorso vorticante con cui un fiocco s’impiglia tra i capelli dello spadaccino, nella sua mente bazzica una domanda.
“Sei un tipo legato alle tradizioni tu, vero?” ed indica il ramoscello di vischio che pende sulle loro teste, suscitando il riso di entrambi.
Le loro labbra si sfiorano un istante prima che Zoro le costringa definitivamente ad unirsi, stringendola a sé.
Ha il gusto del baffo di latte che Robin succhia via dalla sua bocca, quel bacio, dei biscotti ancora impastati alla lingua, del rum mescolato al fiato ormai mozzato.
Ed il peso di parole taciute fino a quando, svincolandosi dall’abbraccio, non gliele soffia all’orecchio.
 
“Buon Natale anche te, Zoro…”.






***spazio autrice***
BUON NATALE A TUTTI!!!! seppur con largo ritardo, sorry!!!
T_T
Ho tentato di scrivere qualcosa per la vigilia (come si può capire...) ma non ho avuto modo di completarla in tempo...spero comunque venga apprezzata (ricordatevi che siamo pur sempre sotto Natale...e tutti sono più buoni, eheheheh...^_^)
Bene, augurandovi di trascorrere (e di aver trascorso) delle bellissime feste, vi do appuntamento alla prossima zorobiniata!!
Bye, Bye


(*) ps. vista la mia scarsa fantasia con i nomi (e con i titoli...), le due ipotetiche isole sono chiamate, in Giapponese, 'spedire' (Fune) e 'ricevere' (Uketoru).

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Capitolo 14
*** Sympathy For The Devil ***


Premetto solo una cosa, mmm....come dire...il rating qui si è un pò alzato, diciamo che siamo sul giallo-arancio, tendente al rosso...
spero vi piaccia =___=






SYMPATHY FOR THE DEVIL

 


Milioni di creature spirituali si muovono non viste sulla terra,
quando siamo svegli come quando dormiamo.



Avrebbe voluto fargli notare che i loro compagni si sarebbero insospettiti per la loro assenza, che dal ponte avrebbero udito i loro sommessi lamenti, ma voltando il capo verso l’uscita, s’accorse di quanto questa sembrasse lontana ed irraggiungibile.
E così anche il pensiero d’esser colti in flagrante venne ridicolizzato dalla sua mente, che, ormai soggiogata complice di lui, mosse le labbra cucendo parole tanto discordanti con l’iniziale decisione da metterne in dubbio l’effettiva maternità.
“Quanto….quanto tempo credi che abbiamo?” chiese. E in quella voce, seppur spezzata dai sospiri che gliela schiacciavano in gola, riconobbe la propria.
Sua la voce, dunque, suo il corpo che rispondeva alla sollecitudine di quei baci ardenti, sua la debolezza di cedere alle lusinghe di un gioco che la prometteva perdente, sua la mente, orfana di ragione, che accondiscese in fretta l’infimità della lussuria.


Quando nell’uomo la ragione viene oscurata o non obbedita,
immediatamente disordinati desideri e volgari passioni ne assumo il governo,
e riducono l’uomo che era stato libero ad uno schiavo…

 

Le labbra di Zoro, colanti di lava, arrestarono il loro cammino sull’incavo della spalla, mentre l’occhio proseguì veloce lungo la nivea strada che, col lieve pendio del collo, giungeva all’orecchio.
E proprio quel piccolo lembo di carne diafana, inconsciamente scoperto, divenne facile preda delle sue fauci che, insaziabili, vi si abbatterono, rubandole un gemito di consenso.
Poi, riluttante, abbandonò la pelle marchiata, soffiando promesse col suo caldo respiro.
“Abbastanza…” ghignò contro il lobo arrossato, trovando soddisfazione nei brividi che la percossero.


…ghignò orrendo un sorriso spettrale udendo che la sua fame ingorda sarebbe stata saziata…



Riprese allora l’opera incompiuta, assaporando la linea delicata della mascella, ma pregustando le sue labbra. Le aveva osservate a lungo, anzi, forse non aveva fatto altro, mentre lambiva la pelle nuda: erano piene, umide, grondanti di desiderio ed allettanti promesse; erano calde e schiuse, frementi di un contatto, che lui stesso cercava.
Eppure, quando avvicinò il volto al suo, quando ormai i contorni non erano più nitidi, Robin si ritrasse, offrendogli di sé solo la punta del mento.
Lo sentì ribollire a quel rifiuto e strinse le mani a pugno attorno alla casacca per trattenerlo, come se davvero lui potesse o volesse sfuggirle. Mai pago, approfittò della vulnerabilità della compagna per solleticarle la gola, gorgogliante di sospiri, seguendo le scie che alcune lacrime di sudore avevano tracciato prima di raccogliersi tra le clavicole e sprofondare giù, dove l’abito non celava i segni dell’agognato piacere.      
Anche lì giunse la sua brama ingorda, regalando alla compagna focosi mugolii, che i denti non trattennero. Li colse il suo orecchio come invito a continuare la tortura e così fece.


 

Per quanto la sua lingua fosse pronta a rovesciare manna,
i suoi pensieri erano sempre vili, industriosi nel vizio….e tuttavia gradevoli all’orecchio…



Infiammato nei sensi e totalmente accecato dalla cupidigia, l’abbracciò con foga ed altrettanta veemenza lo guidò nel spingerla contro la lignea parete della stiva.
Quel duro ed improvviso contatto le mozzò il respiro riducendolo ad un esule gemito, che Zoro riconobbe non come un suono di appagamento, ma di sofferenza.
Sofferente la vide, infatti, alzando lo sguardo ad incrociare i suoi occhi socchiusi in due spicchi di cielo: mai ad un colore tanto gelido avrebbe ricondotto un simil fuoco.
Non v’era traccia d’agonia nella luce che li bagnava, né di una rabbia che richiedesse pentimento alcuno, semmai lussuria, eccitazione, libidine…
E così pure le labbra, prigioniere dei denti, riacquistarono in fretta la libertà, curvandosi in un sorriso. Esso, però, non era scaturito dalla volontà di rassicurarlo, non lesse dolcezza nella sua piega, né eventuale perdono, ma qualcosa di sfuggente e sinistro, di sadico quasi. E se ne rallegrò, ammirando in quel ghigno, che si stava pian piano allargando, la stessa inumana natura dei suoi; dopotutto solo i demoni deridono il dolore, specie il proprio.                                                   
Compiaciuta dall’alchimia del loro rapporto, Robin si sporse verso il suo petto, appurando quanto fosse spiacevole la sensazione di avvertire sotto la lingua il ricordo di maldestri punti di sutura. Sapeva quale peso comportasse, quali emozioni scaturisse quello sfregio: era onta e vanto allo stesso tempo, vergogna e sprono. Lo sentì inquieto a quei baci, ma le sue labbra assorbirono il turbamento, restituendo solo goduria e maliziosa risalì dal torace alla spalla e da questa al collo.
Aveva un gusto acre, la sua pelle, -che il profumo lasciava già immaginare- ferro, sangue e liquore, eppure nella sua mente annebbiata dai sensi creò visibilio.
Non si trattenne neanche giunta alla mascella serrata con forza, dove la bocca si posò per poi chiudersi morbida, addolcendone la forma.
E ancora concesse baci alla guancia e all’occhio ferito, alzandosi sulle punte per facilitare il compito e strusciandosi a lui senza ritegno: anche se odorava di delicati prati fioriti, che gli ricordavano quelli della sua infanzia, in lei niente serbava il candore di quegli anni.                 
 La purezza era per loro qualcosa di astratto, vi erano stati strappati troppo presto per provarne nostalgia.
Si ritenne soddisfatta solamente quando Zoro prese a modellarle i fianchi per raggiungere l’orlo del vestito. Lo sollevò lentamente, senza incontrare la resistenza della stoffa che docile si lasciò piegare dalla forza delle sue dita.
Non la stava propriamente carezzando. Le sue mani affondavano decise nella carne, risalendo in solchi brucianti dov’era più morbida, definendo la piattezza del ventre ed arcuandosi sotto il seno, dove si fermarono per dar possibilità allo sguardo di incontrare i suoi occhi. Li trovò vinti.
Osservò, allora, un istante le gambe nude e le cosce tornite a lui avvinte e la maledisse.
Maledisse lei che predicava poco tempo, richiedendone, al contrario, di più. 

 

Sbalordito il Diavolo rimase, quando comprese quanto osceno fosse il bene
e vide la virtù nello splendore delle sue forme sinuose
.


 

Un sussurro lo riscosse e riaccese in lui la voglia delle labbra che l’avevano librato.
Ma, ancora una volta, Robin fuggì quel bramato contatto: era donna nel far nascere piaceri, demone nell’eluderli. E questa doppia natura giovava più a lei, che traeva beneficio dall’inganno, castigando la sua audacia e godendo della sua debolezza, giacché uomo e diavolo condividono la stessa smania di soddisfare le proprie voglie.
Adirato contro quel nuovo raggiro, scostò prepotente la mano che gli cingeva il collo, chiudendole il polso in una salda presa contro la parete. Sommessa fu la ribellione della compagna a quel barbaro gesto che la costrinse ad una posizione scomoda ed impotente, eppure nemmeno la forza riuscì a piegarla del tutto.
Zoro intuì che l’unica vendetta in grado di scalfirla fosse l’abbandono, ma i demoni puniscono gli altri, mai se stessi. Si accontentò quindi di vederla così, idealmente soggiogata al desiderio, mossa dalla passione e spoglia dell’algidità che tutti conoscevano. 

 

Chi ha prevalso sul proprio nemico soltanto con la forza, lo ha vinto a metà.



Immobile rimase allora, mostrandole con lo sguardo il focoso tormento del suo animo, cui Robin s’offrì di porre rimedio.
La percepì, infatti, smaniosa sciogliere il nodo delle spade e lasciarle cadere delicatamente a terra, per poi riprendere a giocherellare con i suoi pantaloni.
“Impaziente, eh?” ghignò, bruciandole il lobo.
La vide arrossire. Era un imbarazzo fasullo, però, dettato non dal pudore, ma dalla sua totale mancanza. Poco durò sul suo volto quella maschera di vergogna, cancellata dalla lascivia e dalle dita che veloci slacciarono i bottoni, uncinandosi al bordo per trarlo a sé.
Tornò ad esplorare il suo corpo, rigandone la vellutata pelle con i palmi callosi, e ad addentarne il collo. Cedette per un momento la resistenza attorno al suo polso e Robin cercò di approfittarne, suscitando l’immediata reazione del compagno, che la costrinse di nuovo in quella prigione di legno, ignorando l’amaro sussulto.
S’arrese, allora, conscia che neanche il suo potere l’avrebbe salvata, e reclinò il capo, addossandosi ancor più alla parete in un sospiro spezzato, mentre avvertiva la sua mano aprirsi un sentiero dalla vita all’intimo, sfilato con foga.
Meno bruciante sembrò tuttavia la sconfitta, quando quella stessa mano scese a piegarle una gamba, abbracciandola al fianco e rassicurandola di non essere l’unica vittima che eccitazione aveva mietuto.
E si permise di fissare gli occhi nel suo per scorgervi l’Inferno che lo dilaniava dentro, mentre, con un'unica spinta, diveniva accogliente dimora di quel fuoco.
 

Il dubbio e l'orrore sconvolgono i suoi pensieri turbati,
e dal profondo in lui si agita l'inferno, ché egli si porta l'inferno dentro di sé ed attorno…



Nei loro corpi accaldati divamparono diaboliche fiamme, che alterarono i lineamenti dei volti, smascherando la loro natura.
Coi denti digrignati dallo sforzo, Zoro fu costretto a posare un palmo sulla parete per non rompere il ritmo, inizialmente accordato al dolce oscillare della nave e via via più intenso, travolgente ed irrefrenabile.
Solo nello sguardo ebbero modo di mostrare il proprio piacere, poiché da amanti segreti non potevano dar sfogo alla voce, che repressa rimase nella gola di entrambi, nonostante le urla reclamassero prepotenti il loro momento ad ogni affondo. Forse era quella la loro condanna: compiacere il desiderio e porvi freno.
Così Robin accolse in seno gli ansiti rochi di lui e i suoi insaziabili morsi e, tentata dalla lussuria, non placò il fervore, ma ne divenne complice e vittima allo stesso tempo.
Così Zoro la sentì premere la mano libera sulla carne e ivi chiuderla e riaprirla ripetutamente, fino a conficcargli le unghie in cerca di un rimedio contro gli spasimi che la colsero.
E vide il volto mutare e contrarsi, finché non ricadde pesante sulla spalla tesa in un ultimo flebile gemito.
Si mosse ancora, egoista, afferrandola per i fianchi, dimentico della prigioniera mano, per poter sprofondare anche lui in quell’apice a stento toccato, giacché l’Inferno non si raggiunge volando.
Infine, in un rantolo appagato, trovò rifugio nel suo petto, lasciandosi cullare dal frenetico battito che lo comandava.
Muti rimasero tutto il tempo, come si conviene ai piaceri violenti che le parole non arricchiscono. Muti, in quella scomoda posizione, ad ascoltare il silenzio dei loro sospiri.
 

…dentro di me il suo bene si mutò in male e produsse solo malizia…



Fu Robin a destarsi per prima dal torpore in cui si erano trascinati a vicenda.
Con la coda dell’occhio studiò il volto del compagno, che da quel punto cieco non poteva vederla. Teneva la fronte appoggiata alla sua clavicola e le riscaldava il seno con respiro ansante, asciugando le gocce di sudore che dal suo viso scivolavano ad impregnare la stoffa. Sollevò pigramente un dito per sfiorare i suoi orecchini, producendo un tintinnio che lo rapì.
Voltò il capo, Zoro, incrociando il suo sguardo umido, fosco di un godimento troppo recente per esser già svanito, e la vide inarcare la schiena, sicura che la sua presa non l’avrebbe abbandonata, per aderirla alle assi. Un acceso rossore le infiammava le guance e se ne compiacque; piccoli ansiti fremevano le labbra e provò rimpianto, rimpianto per non averle fatte sue e nuova brama di provarci, perché nel demone tanto nuoce l’orgoglio ferito quanto il capriccio. E lei sembrò percepire quel cruccio.
Lambì con le dita la pelle ruvida del petto, facendone appoggio, mentre si chinava verso il suo viso, che non celava la palpitante attesa, così come il suo cuore ancora ribelle nel costato.

 

“Le vostre brame ivi fien sazie e tutto vostra preda sarà”.
Il Diavolo sì disse
.



Degno del diavolo stesso fu quel bacio: breve nel tempo e profondo solo nella lingua che sentì accarezzargli il palato, lasciò insaziata la fame e addirittura l’accrebbe.
Ma l’orgoglio gli disse che vinto sarebbe stato cedendo alla supplica e ciò lo trattenne dal pretenderne ancora. Silenzioso, allora, la lasciò dolcemente andare, scostandosi, mentre lei si copriva. Affranti, non dissero nulla, nemmeno quando Robin risalì le scale della stiva, lasciandolo solo in una nuova e trepidante attesa, poiché nel sorriso che gli rivolse non c’era segno del deplorevole pentimento, né rammarico verso il peccato.
Una promessa lesse in quel ghigno e prese allora impaziente ad aspettare le tenebre, accasciandosi a terra con le gambe incrociate, deridendo gli sciocchi che s’affannano a meritarsi il Paradiso.


 

Meglio regnare all'inferno che servire in cielo.

 
 










 
 ***spazio autrice***
allora che ve ne pare...può andare? Di solito non riesco a scrivere certi...momenti...ma sto preparando un esame e mi son dovuta leggere "Paradiso perduto" di J. Milton, da cui ho preso le frasi in corsivo...
beh, insomma man mano che leggevo è nata spontanea questa fic, che, tra l'altro, mi ha dato la possibilità di togliermi un cruccio, ovvero quello di giocare un pò con i lati demoniaci di questi due...(Il poema tratta la cacciata di Lucifero dal cielo e la sua vendetta sull'uomo...quindi prendere spunto da alcuni versi mi sembrava appropriato ^^)!!!
Poi....ah, sì...ho cambiato pure stile, cercando (spero senza far troppo schifo) di adattarlo a quello di Milton (siamo nel XVII sec, pressapoco...)...
Vabbè spero che questo mio piccolo esperimento sia gradito, come sempre! alla prox!
Bye, Bye XD

ps: mi sembra giusto dire che il titolo è preso da un singolo dei Rolling Stones...che dire: Mitici!!! ^^




 

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Capitolo 15
*** ZORO & ROBIN ***


Stavolta mi sposto qui su per presentare l'ultimo aborto della mia mente...-.- E per iniziare l'anno in bellezza, non potevo postare una semplice one shot!
Allora, innanzitutto non è una oneshot
vera e propria, ma è più una raccolta di drabble (10 per esattezza, anche se una è uscita particolarmente lunga...) creata a partire dal titolo...lo so non è molto chiaro ma leggendo la particolarità salterà all'occhio...^_^...il tutto è nato quando, riguardando alcune idee, mi sono resa conto quanto fossero scarne per crearci sopra una storia...però mi seccava buttar via tutto, così le ho riciclate e, tra poco, vedrete come....
C'ho messo dentro di tutto, perciò non stupitevi di trovare episodi fluff, seguiti da momenti seri, malinconici, vagamente lemon ecc..
...quindi ricapitolando: 10 drabble, 10 episodi/riflessioni, 10 purissime zorobiniate!!! enjoy! XD



ZORO E ROBIN

 
 
Zitta’. Cinque lettere, una parola.
Un semplice suono che gli preme sulle labbra serrate e che, a seconda del tono con cui viene pronunciato, può sembrare una richiesta od un brontolio.
Ma più che questa sottile differenza, a frenarlo è la persona a cui sarebbe rivolto quell’invito.
Robin tiene lo sguardo puntato al soffitto ed una mano premuta sul mento, mentre, da alcuni -per lui interminabili- minuti, ha preso ad elencargli tutti i vari motivi per cui dovrebbe prendere l’antibiotico.
E sia chiaro, la fantasia dell’archeologa scinde quella di una normale persona. Così non pare neanche troppo strano udire, con la stessa monocorde cadenza e dopo un “Come faresti ad affrontare i tuoi turni di guardia…”-dal malizioso doppio senso-, la mesta e vagamente canzonatoria prospettiva di “…morire nel sonno”.
Con uno sbuffo seccato sentenzia mentalmente che ingoiare l’intruglio preparato da Chopper una settimana orsono e testardamente rifiutato per sette lunghi giorni, non poteva essere certo peggiore di ascoltare i frutti prodotti dal nero umorismo della compagna. Allora, rannicchiato tra le coperte, allunga un braccio tastando il comodino, finché le sue dita non si scontrano con una boccetta di vetro. “E va bene! Lo bevo, lo bevo…” bofonchia in un ringhio, reso poco minaccioso dal rantolo di voce che lo racchiude.
Robin abbassa quindi lo sguardo, osservandolo svuotare il flacone con le gote arrossate e gli occhi lucidi di febbre, e si fa scivolare sul volto una mano per nascondere le labbra e la piega divertita che hanno assunto: era arrivata a trenta validi motivi, ma, al trentunesimo, non avrebbe più saputo cosa inventarsi.

 

Ogni volta che fanno l’amore, adora il modo in cui i suoi occhi, annebbiati dal piacere, si assottigliano e lei sprofonda nel divano, nascondendo il volto accaldato tra le pieghe dei cuscini, allentando la presa dalle sue spalle, finché le sue mani non lo abbandonano del tutto per stingere il lenzuolo.
Ogni volta che fanno l’amore è un gioco di nervi, dove chi muove per primo ha maggior possibilità di successo.
Zoro non è mai stato un gran pensatore, per questo, lascia sempre a lei la prima mossa, dopotutto, ribaltare il risultato a partita in corso offre miglior soddisfazione.
Ogni volta che fanno l’amore, Robin lo istiga senza neanche parlare. Basta un bacio di troppo, un’azzardata carezza, un’occhiata lasciva ed il respiro viene presto a mancargli. Ma è una debolezza che accetta, perché in lei -quel bacio, quella carezza, quello sguardo- hanno il medesimo effetto.
Ogni volta che fanno l’amore, l’istinto prevale sulla ragione.
E allora il dolore non è niente, confrontato al senso di appagamento che le riverbera sulla pelle. Lo odia per questo, ma non riesce a rinunciarvi.
Ogni volta che fanno l’amore, Zoro le bacia il ventre piatto e lei sospira, le sfiora il seno e la sente rabbrividire, le morde il collo e lei non trattiene un gemito. Poi, quando con un ghigno trionfante incontra le sue labbra morbide, capisce di aver perso comunque, perché si scioglie.
Ed è lei a sorridere.
Ogni volta che fanno l’amore, accolgono la parte peggiore dell’altro e ciò che ne consegue.
Robin sbuffa rassegnata contro la foga di lui ed i marchi violacei, segno del suo passaggio.
Zoro, d’altro canto, arriva a sopportare l’onta più grande che possa macchiare uno spadaccino: una ferita alla schiena. Perché lei graffia. Graffia da morire.
 
Robin non si arrabbia. Mai. E questo, di per sé, è già un insulto al genere umano.
Tuttavia la crescente stizza che avverte, quando, sfogliando il libro che ha davanti, nota una piccola macchia brunastra sul bordo di una pagina, è la cosa più vicina all’ira che abbia mai provato. Trattenendo il respiro, la osserva, passandoci sopra un dito, che si porta poi sotto il naso.
Ha un odore famigliare, lo stesso del fiato che lui le soffia addosso quando sono soli e tremendamente vicini, lo stesso che sente impregnargli la pelle quando con un abbraccio le chiede di più. È rum.
Chiude allora il volume, posando lo sguardo cupo oltre il tavolino. Zoro sta dormendo addossato al parapetto della nave, con le braccia incrociate al petto ed un’espressione ignara sul volto.
Medita allora un modo fargli confessare il misfatto e all’improvviso il flusso dei suoi pensieri s’inceppa su un particolare cui non aveva dato inizialmente peso.
Com’era riuscito a sporcarlo? Doveva essere aperto, ma lei, quella notte, era rimasta in camera propria, maledicendo mentalmente lo spadaccino, che, come ogni mattina, con la sua indolenza, le aveva fatto scordare quel libro tra i cuscini del divano.
E allora, l’idea che Zoro, di vedetta da solo, l’avesse trovato e, forse per curiosità, forse per il desiderio di comprendere più a fondo lei e il suo sconfinato amore verso quei dispensatori di cultura, avesse preso maldestramente a sfogliarlo -troppo ardito immaginare che si mettesse a leggerlo- le ruba un sorriso: in fondo il perdono è molto più gratificante della vendetta.

 
Ormai n’è certo, sta impazzendo. Non ci sono altre soluzioni che giustifichino la sua presenza lì, in mezzo alla strada di una cittadina e davanti ad un cigolante cartello, con su scritto ‘Libreria’. Neanche il fatto che sia il compleanno di Robin e che i Mugiwara stiano complottando in gran segreto per organizzarle una sorpresa paiono motivi ragionevoli a spiegare perché mai l’iniziale sua idea di comprarle una bottiglia di ottimo rum -mica il solito ‘scialacquo per i piatti’- fosse stata accantonata all’improvviso alla vista di quella scritta.
Che, in realtà, poi Zoro avesse già preso il rum nella vicina locanda e che all’uscita, accortosi del negozio sul lato opposto della via, se lo fosse scolato per annegarci dentro gli assurdi pensieri che tale ‘visione’ aveva suscitato, erano solo avvaloranti dettagli di una sentenza già pronunziata. Follia.
Perciò ancora stupito, o per meglio dire, sconvolto dalla propria decisione, scruta attentamente la porta con le braccia conserte ed una maschera di assoluta concentrazione in viso e alla fine, in un leggero barcollio dovuto al rum -alla prima bottiglia, sotto gli inebetiti occhi del locandiere, se n’erano presto aggiunte altre due, perché, si sa, quando un pensiero s’insinua nella mente, radicandosi in profondità, è assai difficile estirparlo- entra, accolto dal lieve tintinnio di un campanello.
“Salve, desidera?”.
La voce appartiene ad un ragazzetto mingherlino, pressappoco della sua stessa età, che, comparendo da dietro uno scaffale, sembra piuttosto sorpreso di vedere un cliente simile nel suo negozio. Zoro s’irrigidisce, colto alla sprovvista ed impreparato nella risposta.
“Un libro” bofonchia allora, accorgendosi solo in un secondo momento della sciocca ovvietà di quell’affermazione: che diamine era in una libreria, cos’altro poteva volere?!
Il silenzio cala tra loro per qualche minuto, durante il quale Zoro ha modo di ricomporsi, stringendo l’elsa della Wadō Ichimonji ed indossando un’espressione minacciosa nella speranza di pareggiare il proprio disagio con la paura incussa nell’altro. Il commesso pare, tuttavia, non risentire alcun effetto, anzi continua a fissarlo con un sopracciglio inarcato ed un sorrisetto impertinente sulle labbra, con cui sembra rimarcare l’enorme abisso culturale, esistente tra lui e quel buzzurro che ha l’aria d’esser capitato lì per sbaglio. “E….di che genere?”.
Zoro, spiazzato, soppesa mentalmente quelle parole, chiedendosi cosa diavolo significhino: un libro, per lui, è un numero non meglio definito di fogli di carta, più o meno spessa, tenuti insieme da due ali di cartone e macchiati da fiumi di parole.
“….cosa le interessa?”.
Mmm…le cose vecchie…”.
“C-cose vecchie?!”.
“Già…” sbuffa, guardandosi annoiato intorno “…a lei piacciono…”.
Incredulo. Il giovane libraio rimane incredulo nello scoprire che un simile buzzurro, dedito più all’alcol che alle letture, maldestro nel modo in cui pinza con due dita la copertina di un libro, che sembra, incredibilmente, attirare la sua attenzione, e poco esperto nell’uso di un linguaggio che definire povero è un eufemismo, abbia davvero una donna. E le sue pupille si allargano ulteriormente, quando Zoro aggiunge con non curanza “…è un’archeologa…”.
Allora intuisce che la donna in questione può essere quell’attraente straniera che, da alcuni giorni, fa quotidianamente visita al suo negozio, rimanendo diverse ore nel reparto ‘Storia’ a sfogliarne i volumi, senza tuttavia comprare nulla.
“Questo…” mormora, porgendogli, infine, un tomo dalla preziosa rilegatura damascata, che, osservandola, aveva capito interessarle parecchio.
Zoro solleva lo sguardo dal libro, preso in considerazione, ed incrocia quello stizzito del commesso.
Questo…” ripete, senza trattenere un ghigno di scherno, suscitato dalla copertina, su cui stava per vertere la scelta dello spadaccino, “…è più adatto, mi creda…”.
Dal tono di quelle parole, traspare una certa arroganza, cui Zoro non da peso, non vuole darne; perciò ricaccia dentro di sé l’improvviso desiderio di fare a pezzi quel misero omuncolo e, pagato il conto, se ne va.
La sera, quando, sotto gli occhi sgranati del resto della ciurma, Robin scarta il suo regalo, lo ringrazia con un sorriso, anche se nei suoi occhi legge una lieve delusione.
“Se non ti piace, puoi dirlo, eh! Non mi offendo….” brontola, una volta soli.
E Robin non sa come dirgli che apprezza il suo regalo, che quel libro le piace davvero, ma che ha anche intuito come non fosse frutto di una sua scelta.
Poi, mentre Zoro parlucchia tra sé, imprecando, visibilmente irritato, contro un fantomatico bastardo che, a quanto pare, gli ha suggerito il libro sbagliato ed autorimproverandosi di dar ascolto alle proprie idee -comprese quelle omicide-, capisce in quale imbarazzo deve averlo messo il libraio, evidenziando, probabilmente senza neanche troppi giri di parole, il dislivello culturale esistente tra uno studioso ed un semplice maestro di spada, e se ne rammarica, perché a lei la cosa non tocca minimamente.
L’ammira per la determinazione, l’onestà, l’integrità morale, il senso d’onore e dell’amicizia, la capacità di uccidere un uomo a mani nude e preoccuparsi di farle del male con una semplice carezza. Aspetti, insomma, che non s’imparano leggendo un libro.
Per questo si avvicina a lui, con una bottiglia piena, facendogli notare che non hanno ancora brindato e rubandogli un ghigno.
Per questo, il giorno seguente, si recherà alla libreria, dove verrà calorosamente accolta dal commesso, ed ispezionerà le varie pile, cercando l’unico tomo che poteva aver attirato l’attenzione di Zoro. E trovatolo, sorriderà compiaciuta davanti alla copertina e all’espressione esterrefatta del giovane, facendo notare come dal titolo
-'Storia di un guerriero'- quel libro si prospetti estremamente interessante.



 
Era stata così vuota la loro vita fino a quel momento. Tre spade, qualche libro ed un sogno che con il passare del tempo si stava via via affievolendo.
Poi l’incontro con quel buffo ragazzo dal cappello di paglia che aveva colpito il cuore di entrambi.
Nuova era stata, allora, la sensazione di poter contare su qualcuno e la libertà di pensare che un piccolo cedimento non avrebbe necessariamente comportato la fine.
Piacevole la scoperta di una compagnia che non fosse quella della propria solitudine, dopo anni trascorsi nel deserto creato attorno ad un nome prima ancora che alla persona per la fama di demoni, conquistata col sangue ed affibbiata dall’ignoranza.
Bello tornare a credere che, in fondo, a nessuno è proibito sognare.
E, si sa, particolarità delle persone sole è convincersi di essere uniche -uniche a vivere quella condizione.
Per questo, senza nascondere lo stupore, l’aveva fissata, in silenzio, per alcuni secondi, quando
lei -che, molto prima dello spadaccino, aveva riconosciuto la ferita lasciata da un passato così simile al suo-, incrociando le mani dietro la schiena, si era spinta, con lo sguardo di una bambina cresciuta troppo in fretta, ad osservare la spiaggia di nuvole che si distendeva davanti alla loro vista ed aveva mormorato sognante: “Non credevo che navigare potesse essere così avventuroso”.
Per questo con altrettanto stupore, seguendo i propri compagni in riva, aveva pensato per la prima volta che, forse, la sua vita poteva essere riempita. Ancora.
 

 

Resistente.
È il primo pensiero che gli balza in mente nel tentativo di sciogliere la presa con cui Chopper stringe a sé la sottile stoffa della camicia di Robin.
Il sonno li ha colti entrambi sul divano della cucina, mentre leggevano una storia di mostri e fantasmi che doveva aver divertito l’archeologa e terrorizzato il loro piccolo amico, visto il modo in cui si è rannicchiato tra le sue ginocchia.
Zoro cerca nuovamente di staccarglielo dal grembo, ma un sommesso lamento lo fa desistere: non vuole svegliarli.
Si gratta allora la nuca e punta imprecante lo sguardo al soffitto, prima di passarle un braccio dietro le gambe e cingerle con l’altro le spalle, sollevandola di peso.
Al contrario di Chopper, lei pare accorgersi della sua presenza e del cambiamento che essa ha comportato, perché, pur tenendo gli occhi chiusi, s’accoccola al suo petto, sospirando.
Furtivamente raggiunge la camera, spalancandone la porta con l’aiuto di un piede, e la stende delicatamente sul letto, stando attento a non schiacciare Chopper che struscia il muso contro il ventre di Robin, affondando il tartufo blu nelle morbide pieghe della veste. Osservandolo sorridere beato contro la stoffa, Zoro non può non biasimarlo: sa bene quanto comoda possa essere la compagna. Ed è per questo che avverte una strana sensazione montargli in petto e, giù, nelle viscere.
No, non è gelosia: è il pensiero cui s’impone di credere, mentre li sovrasta, sporgendosi oltre il materasso per recuperare la coperta scivolata a terra.
E lì, chino, con le dita tese nella frenetica ricerca della pelosa lana, s’irrigidisce all’improvviso, colto alla sprovvista dalla mano che sente corrergli lungo la schiena ed accarezzargli piacevolmente la nuca. Si volta appena, allora, per incrociare due occhi scintillanti nel buio.
Sembrano quasi lucidi, ma gli basta alzarsi ancora un po’ per capire come quello sia solo un effetto dei raggi di luna che filtrano dall’oblò, anche se, quando, imbarazzato, cerca di convincere la propria voce ad uscirgli dalla gola per spiattellare qualche scialba spiegazione, ha l’impressione che non sia solo la luce della notte a brillarle nello sguardo. Robin, però, non gli dà il tempo di formulare alcun pensiero, perché con una leggera pressione, fa avvicinare i loro volti e le loro labbra.
È un bacio dolce e fugace, interrotto troppo presto da un leggero mugugno di Chopper che li costringe a separarsi di scatto.
Senza nulla aggiungere, Zoro abbandona la stanza, gettando un’ultima occhiata al letto dove lei si è ricoricata.
E la sensazione di pochi minuti prima, che ha capito essere invidia, svanisce in un sorriso davanti a quella muta promessa, sancita dall’incontro delle loro bocche: la notte successiva sarà solo per lui.


Orgoglio. È ciò che l’ha sempre distinto, fin da bambino. È la materia con cui è impastato il suo sangue, il credo che piantona ogni sua singola mossa e decisione.
Anche se eccesivo, forse, e sensibilissimo, non l’ha mai nascosto, anzi. Per lui è stato costantemente motivo di vanto agli occhi terrorizzati dei nemici che l’osservavano farsi strada nelle battaglie, mietendo vittime ed abbeverando il terreno col sangue.
Poi era arrivata lei e, subito, il suo orgoglio ne aveva risentito.
Perché su di lei, le occhiate truci non avevano alcun effetto e le risposte piccate, scontrose nel loro esser sincere, suscitavano solo lievi risatine, che andavano a pungolarlo peggio di un ago nella carne. Lei che era troppo intelligente per offendersi davanti alla sua ostentata diffidenza, lei che era troppo controllata per cedere al panico, lei che era troppo orgogliosa per chiedere aiuto, lei che era diversa da ogni altra donna mai incontrata.
E così, giorno dopo giorno, l’aveva sentito infuriare dentro di sé per colpa di ambigue allusioni riconosciute troppo tardi, di un’occhiata scoccata con senso di sfida o di un fatale gioco d’astuzia che aveva prodotto i suoi frutti. Simile a quello che l’aveva portato ad essere lì, in quella biblioteca, con un’ingombrante pila di libri tra le braccia che non sembrava avere mai fine, visto che Robin, stanziava di fronte all’ennesimo scaffale -il quinto per l’esattezza!- picchiettandosi le labbra con l’aria di chi ha un’ardua scelta da compiere.
Nah, ancora?” esclamò esasperato, guardandola allungare un dito verso la crosta dorata di un tomo particolarmente voluminoso.
“Non dirmi che sei già stanco, spadaccino…”.
Si maledì mentalmente per esser caduto come uno sciocco nella sua trappola.
 “Sono certa che non riusciresti a sollevare più di cinquanta libri…” gli aveva detto.
Ed il suo orgoglio non poteva non accettare la sfida lanciatagli da quella donna, anche se, a conti fatti, questo significava farle da facchino da una parte all’altra del negozio.

 
Ba-bambino?” bofonchia, visibilmente spiazzato.
“Si, bambino” ripete paziente, davanti alla turbata reazione avuta dal compagno per quella domanda, posta in modo serio e calcolato, ma forse nel momento meno adatto, considerato che lui è in piedi, mezzo nudo e lei lo è del tutto, sotto la coperta che stringe al petto, alzandosi a sedere.
“Allora? Ti ho chiesto se hai mai pensato di averne uno, Roronoa. Credevo che fosse tradizione di voi spadaccini quella di lasciare le armi in eredità ai propri figli…”.
Zoro boccheggia in cerca d’aria per riempire quel respiro che gli è venuto a mancare: sente le gambe molli, la gola secca ed uno strano giramento alla testa, ma non sa dire se quello sia l’effetto del panico, dopotutto non l’ha mai provato prima.
“No-no-non lo so…” balbetta, infine, osservandola mentre si trascina davanti alla finestra, appoggiando un palmo sul vetro e perdendosi con lo sguardo nel nero sconfinato dell’oceano.
“Io, si…” confessa senza timore “…credo sia giusto tramandare la propria storia a qualcuno; ma dev’essere una persona fidata, che tu conosci e che ti conosce meglio di chiunque altro….e la persona più vicina che mi viene in mente è un figlio…”.
Si volta, sgranando gli occhi di fronte al pallore assunto dal volto di Zoro, che la fissa con la bocca spalancata senza spiccicar parola, e le sue labbra si curvano maliziose, mentre la coperta viene lasciata cadere silenziosamente ai suoi piedi.
Guarda che non ho mica detto di volerlo fare con te…”.
 
In fondo al cuore, sapeva di poter amare, di nuovo.
Nonostante il passato le avesse insegnato il contrario, nonostante il destino si fosse sempre dimostrato ostile, ci credeva davvero.
Ma il tempo, le rinunce, la paura l’avevano resa cinica, -spietata agli occhi di chi non la conosceva-, ed avevano mutato la sua capacità di percepire il mondo, costringendola a guardare ogni cosa in relazione a sé stessa. Così la libertà era stata classificata come ‘utopia’, l’inganno come ‘salvezza’, la compagnia come ‘pericolo’, la vita come ‘crimine’.
Poi l’incontro con loro, che avevano visto la parte migliore di lei, trascinandola in salvo ed insegnandole come ricominciare ad amare, aveva spezzato gli equilibri che si era creata, non riuscendo, tuttavia, a scrollarle completamente di dosso il suo sottile cinismo, perché, dopo tutti quegl’anni, aveva dimenticato quanto facile fosse anche solo sorridere.
Faticoso, ma bello, allora era stato rimboccare le coperte a Nami -non alla navigatrice-, scoprendo che l’amore covato per lei poteva avere un nome, senza che questo significasse sminuirne il valore. Fraterno sembrava quindi il termine adatto. Piacevole regalare gioia con sue semplici sillabe a Sanji e riconoscere, davanti alle lusinghe che le riservava, il gusto sincero dell’amicizia, la stessa che l’aveva fatta sorridere delle battute di Usopp, il giorno in cui le sue labbra si erano liberate del nomignolo 'nasone'.
Più simile all’amore materno era risultato, poi, essere quello provato per il dottore, quando, ricambiando un suo caloroso abbraccio, gli aveva mormorato all’orecchio: “Anch’io, Chopper”.
Gratitudine il sentimento che la legava a Rufy e Franky e chiamarli per nome le era sembrato il modo migliore per sdebitarsi.
Infine era toccato a lui, lo spadaccino. Premere la lingua sul palato e mescolare all’aria le poche lettere che andavano a comporre Zoro, non era stato tanto difficile rispetto al capire cosa li avvicinasse.
All’inizio era stata, poco spontanea, accettazione -di un fresco nemico quale nuovo membro dell’equipaggio e di una diffidenza per niente celata-, alla quale era subentrato il rispetto reciproco e sempre taciuto, sfociato, poi, nella meritata fiducia che, dopo gli eventi di Enies Lobby, avevano deciso di concedere l’uno all’altra.
Ed era stato probabilmente il ravvedere le proprie convinzioni ad aprire uno spiraglio nelle loro maschere di freddezza ed a mostrare quanto, sotto la scorza, fossero simili. La distanza che li divideva si era, dunque, assottigliata, fino a scomparire del tutto quella notte, fino a diventare sbiadito ricordo in quelle successive.
Carnale le era, quindi, sembrato l’aggettivo giusto per descrivere il tipo d’amore che li univa.
Poi, però, gli abbracci si erano fatti più stretti, i baci più intesi, le carezze più generose e l’attesa che il sole calasse insopportabile.
Il dubbio che, allora, carnale fosse un termine troppo riduttivo le si era insinuato in senno, dando modo ad un pensiero -tanto illogico da farla sorridere- di prender forma: forse quell’Amore non aveva bisogno di aggettivi.
 
Noi. È una semplice parola.
Zoro la mormora al vento sperando che giunga alle orecchie di lei, sporta sul parapetto ad osservare l’incandescente tramonto di quel giorno, reso uggioso dalla consapevolezza che la loro prossima meta sarà anche l’ultima. Raftel.
Avrebbe altro da aggiungere, altre parole che gli fremono sulle labbra screpolate dal sole e dalla salsedine. ‘…ti porterò con me’.
Ma non le pronuncia, non serve, tanto il rossore di cui Robin sente invaso il volto non è figlio di un gioco di luci.
In fondo tra loro è sempre stato così: riescono a cogliere, dell’altro, perfino ciò che non diventa mai suono. Empatia la chiamano, ma sanno entrambi che non è quello il nome del sentimento che li tiene legati, anche se non hanno mai avuto il coraggio di ammetterlo.
Noi. È una semplice parola, ma Robin si emoziona ugualmente, perché è la risposta alla domanda che, da qualche minuto, ha fatto cadere il silenzio di quel pomeriggio.

“L’avventura sta per finire allora…cosa resterà?”

Scende le scale, stringendo al solito l’elsa di una katana e si ferma sul secondo gradino.
Noi” ripete più forte dell’aria che gli spacca la bocca, più forte del destino che hanno sempre combattuto e che ora sembra pretendere un pegno per averli messi sullo stesso cammino.
Raggiunge poi il ponte, senza voltarsi. Ed è un peccato, perché si perde un suo meraviglioso sorriso.
Noi. È una semplice parola, ma sa far emozionare se la si lega ad una promessa.






***spazio autrice***
lo so, lo so...sono ancora qui, ma solo per aggiungere una cosa: può sembrare la fine adatta per questa raccolta, ma NON lo è...quindi state tranquilli!
Ah, visto che ci sono e che siamo ai primi dell'anno ne approfitto per rinnovare i miei ringraziamenti e per farne di nuovi a tutti coloro che mi seguono:


AgelessIce
darastrix92
Frency
imladris
inukaulitz
La Strega di Ilse
Minato_Namikaze
Miss_gloom
pinklemon91
Ren92
Soly Dea
Starlet
stefirobin
tensai88
_Black_Dragon_


....e a coloro che hanno messo la raccolta tra i preferiti (scusate se mi ripeto):

AgelessIce
Frency_
isabelle10
Mellorine_
Mellorine_Swan
Mixi_
Mugiwara no Marimo
pinklemon91
Robin7
RobinFernandes
Seripa Goth
Starlet


...bene se dopo tutto questo siete ancora vivi, vi d appuntamento alla prossima (naturlamente non so quando)!!! XDXD
Bye, Bye...



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Capitolo 16
*** SILENCE IS JUST SILENCE ***


SILENCE IS JUST SILENCE





Non riesci ancora a capire come tu sia finito in una situazione simile.
E dire che la giornata era cominciata così bene!
La sveglia non erano state urla o calci di dubbia provenienza, ma un tiepido raggio che ti aveva fatto sollevare pigramente la palpebra per contemplare il sonno che teneva ancora prigionieri i tuoi compagni; ed in cucina non eri stato accolto dall'arcigno e striminzito saluto del cuoco, biascicato nella scia di fumo che già di prima mattina intride l’aria.
No, era stato il saluto pimpante di Robin, che, come ormai sai, si alza all’alba, a sfiorarti le orecchie e quello più tenue di Nami a coprire il rumore del caffè versato nella tazza.
Perfino l’arrivo reboante del capitano e del resto della ciurma non ti aveva recato particolare disturbo, concentrato com’eri ad osservare la palestra, dove i pesi ti stavano aspettando.
E ti aspettano ancora, invano.
Perché sei qui, sotto il sole cocente di un’isola sperduta nell’oceano, avvolto dal ronzio di alcune minuscole bestiacce che non ti danno tregua e per di più con lei.
Inutile si era rivelato infatti lo scialbo tentativo di ribellarti all'ordine di accompagnarla per i suoi rilevamenti: dopotutto cosa poteva valere qualche nota di disappunto al cospetto di una lista di debiti -che per inciso non riuscirai mai a saldare -inconsciamente contratti? Nulla. Perciò sollevi il cavalletto, sistemandolo secondo le sue disposizioni e limitandoti ad uno sbuffo, mozzato sul nascere da un'occhiata truce. "Problemi?".
Dalla voce minacciosa ti rendi conto che la sua non è una domanda, ma un'acuta quanto irritata constatazione.
“Certo, brutta strega!”.
Vorresti risponderle, e invece lo pensi soltanto, mentre le tue labbra si muovono per articolare un "Nessuno" fasullo. Sei impulsivo, ostinato, iroso, folle agli occhi di molti, ma non così tanto da contraddirla!
E mentre Nami si volta a studiare i dislivelli del terreno con il binocolo, sospiri -piano- zittendo il tuo orgoglio che ti dà dello sciocco: lo fai perché ha ragione, ma ti secca ammetterlo.
"Qui può andare..." sentenzia, dopo alcuni minuti di riflessione, che hanno l'unico effetto di infastidirti e farti realizzare che neanche il tuo stomaco riesce più a resistere ai morsi che hanno preso ad attanagliarlo dalle pendici della collinetta, di cui ora occupate la cima.
È così piccolo quest’isolotto che davvero non comprendi quanto possa servire indicarlo in una cartina, probabilmente assomiglierà ad una macchia d’inchiostro che nessuno vedrà mai, eppure Nami non sembra preoccuparsene ed annota scrupolosamente ciò che vede, o meglio ciò che il suo sguardo esperto vede. La osservi per un momento, appoggiandoti contro un arbusto tanto minuto da non coprirti con la sua ombra e fragile a tal punto che il tronco si piega sotto il peso della tua schiena, rischiando quasi di farti ruzzolare a terra.
Non imprechi tuttavia, perché è grazie a quest’inconveniente che ti accorgi del cespuglio di bacche alle tue spalle. Sono nere, gonfie, un po’ aspre al primo assaggio, ma ti accontenti, cogliendone una manciata per poi tornare a guardare la tua compagna, che tiene le mani protese all’orizzonte probabilmente intenta a prendere le ultime misure.
Segui la direzione dei suoi occhi. Si perdono su un’angusta radura dove spiccano monoliti antiche e ad altre rovine consumate dal tempo: era la sua meta, quella.
Infatti, nonostante la tua vista orfana, distingui perfettamente le due figure che stanno uscendo dalla foresta circostante e ti cacci in bocca un altro paio di frutti, fissando tronfio dall’alto lo svolgersi di uno spettacolo fin troppo scontato. Robin appoggia lo zaino a terra e si addentra in quei resti di pietra, abbandonando il damerino alle sue moine. E ghigni involontariamente al pensiero dell’espressione da ebete che deve aver assunto: non la vedi -la distanza te lo impedisce- eppure, anche per un tipo privo di fantasia come te, è facile da immaginare.
Torni serio giusto quando Nami, sospirando soddisfatta, ti avvisa che ha finito e ti invita, eufemisticamente parlando, a raccogliere gli strumenti, “…delicatamente” sottolinea.
Obbedisci e, piegato il treppiedi, te lo carichi sulle spalle, in silenzio, anche se di cose da dire ne avresti parecchie! Ricacci, invece, la battuta stizzita che ti solletica la gola quando lei si propone di far strada, visti i tuoi -a sua detta- problemi di orientamento e la segui a denti stretti fino allo spiazzo verde che si apre al centro dell’isola.
È il luogo dove avevate deciso di ritrovarvi, una volta portati a termine i vostri compiti e con piacevole stupore ti rendi conto che siete i primi, esclusi sopracciglio a ricciolo e Robin.
Le rovine costeggiano infatti un lato del campo e non ti è difficile scorgere tra quegli ammassi di pietra il suo esile profilo.
È inginocchiata davanti ad una lapide, che sfiora appena, quasi potesse frantumarsi al suo tocco. Sanji sta parlando e lei, ormai immersa nel passato custodito dalla roccia, sembra ascoltarlo distratta. Ma tu sai che non è così.
Nulla è indifferente a Nico Robin, ed anche se i suoi occhi non lo fissano e le sue mani sono impegnate a scrostare il muschio, sai che, alla fine, ricorderà ogni sillaba di quella conversazione.
Nessuno dei due pare essersi accorto della tua presenza, così continui a guardarla mentre ripassa col dito i segni incisi nella pietra, il cui significato viene puntualmente annotato, perché il pensiero di chi li ha incisi non vada perso.
Un giorno l’hai sfogliato, quel quadernetto consunto.
Le pagine sono intrise di appunti e deduzioni, le parole talmente vicine da essere quasi illeggibili, i disegni frettolosi scarabocchi di quanto di straordinario i suoi occhi hanno visto.
Ti era sfuggito un sorriso nel constatare, però, come il temibile kraken somigliasse più ad una mongolfiera, così te lo aveva strappato dalle mani, nascondendolo dietro la schiena e socchiudendo le palpebre di un viso arrossito: era stata l’unica volta in cui avevi riconosciuto su di lei l’opera dell’imbarazzo.
“Siamo qui!”.
Il richiamo di Nami fa voltare entrambi.
Robin sorride, accettando la mano che il cuoco le porge, aiutandola ad alzarsi, per poi lanciare un caldo saluto alle tue spalle, ignorandoti -non che t’interessi la considerazione di quell’ebete.
Intanto le urla di Rufy e degli altri hanno iniziato a riempire la valle, segno che il pranzo, se il damerino si muove, sarà pronto di lì a poco, ma tu rimani fermo, sopprimendo ancora un attimo la fame, lo sguardo puntato sulle rovine per incontrare il suo.
E quando ciò accade, vedi quel sorriso aprirsi impercettibilmente; è solo un lieve cambiamento nella piega delle sue labbra, ignorato da tutti, non da te: l’unico cui è rivolto, l’unico capace di coglierlo.
Poi un sibilo, un boato ed il suo sorriso scompare, inghiottito dal grigiore della polvere che in un attimo vi ha sovrastato.
Non hai nemmeno il tempo di alzare la testa, di controllare che i tuoi compagni stiano bene, che una nuova cannonata si schianta sull’isola, sollevando cumuli di terra e pietre.
“È la marina!” latra Usopp, ma la sua voce viene coperta da grida indistinte, ordini impartiti alla rinfusa e dal metallico suono di armi ricaricate.
Temi il peggio per un momento.
Quando, però, la foschia si dirada e riconosci nove figure, disposte a semicerchio al tuo fianco, ridi; il fatto che siate completamente circondati non ha importanza, anzi, ti ritrovi a pensare che ogni giornata storta può essere raddrizzata. E che, grazie ai marines, non dovrai recuperare l’allenamento perso in quella mattinata di vagabondaggio.
Saranno un centinaio.
“…un migliaio” rima Sanji, che in certe circostanze sembra poterti leggere dentro, che, al solito, non dice niente di sensato: intendevi cento, a testa tu.
Le tue vittime si stanno già schierando, pronte all’attacco. Non puoi vederle, vilmente nascoste nella foresta sperando di sorprenderti, ma percepisci la loro presenza, i passi pesanti che piegano gli anfibi, i rami che graffiano i fucili, i sussurri beneauguranti. Senti ogni cosa, ma aspetti, dopotutto tocca al Capitano il primo affondo, così ne approfitti e sciogli la banda nera che porti al braccio, legandotela stretta al capo.
Aspetti ancora.
Una fionda tesa, il fumo di una sigaretta, lo scioccare dei pugni, un urlo eccitato.
Attesa finita.
Sguaini le katane e ti riservi il privilegio di anticipare il loro assalto, spazzando via in un attimo gli alberi secolari dietro ai quali avevano trovato rifugio: se vogliono combattere, devono almeno mostrare le loro facce, sconvolte al momento, visto che con un unico fendente hai diminuito sensibilmente le loro forze.
Ma i marines sono uomini testardi, perciò non ti stupisci quando uno di loro ti si para davanti estraendo tremante una spada. Dal modo in cui la tiene comprendi che non ha la minima idea di come usarla, così, in un inconsueto gesto di compassione, lo inviti ad togliersi di mezzo e a non sprecare la sua vita in quel modo.
Ma i marines sono uomini sciocchi, e questo abbassa la lama per colpirti, blaterando qualcosa sull’onore, finendo inevitabilmente col macchiare l’erba del suo sangue.
Osservi allora i suoi occhi farsi vuoti, il corpo irrigidirsi, la bocca contrarsi alla ricerca d’aria nei suoi ultimi agonizzanti istanti.
Quanti ne hai dati in pasto alla terra, Zoro? Tanti.
Di quanti conoscevi almeno il nome? Nessuno.

Pagherai un giorno.

Forse proprio questa consapevolezza ti fa andare avanti.
Schivi un colpo, pari un fendente, affondi la lama finché il sangue non cola sulla coccia per giungere poi freddo alla tua mano, e intanto i cadaveri si ammassano alle tue spalle.
Sembrano volerti dire tutti la stessa cosa.

Pagherai un giorno.

Con un tonfo sordo l’ultima vittima cade a terra, esanime.
Aveva meno di vent’anni ed una famiglia numerosa da mantenere, ma a te non interessa, non può interessare perché il solo fatto di indossare quella divisa lo rendeva pericoloso nemico della tua, di famiglia. Poco importa se, da lontano, una madre maledirà in lacrime il tuo nome: sei un dannato in questo mondo, lo sai.

E pagherai un giorno.

Respiri, inalando polvere e morte, facendoti strada in quel sentiero di corpi: domani avrai già dimenticato i loro volti -alcuni non li hai nemmeno guardati bene in faccia, durante lo scontro.
Non era necessario ucciderli tutti, ma non sai dominarti.
La tua fronte madida testimonia la fatica e le gocce che la ricoprono, divenute pesanti, si lasciano cadere lungo le tempie, raggiungendo ben presto gli angoli della bocca. Le scacci con una mano, credendole sudore, ma le dita che non guardi hanno assunto una tinta cremisi.
Strana sensazione, vero? Quella del sangue raffermo sulla pelle.
Non perdi tempo a rimuginarci sopra, mentre avanzi tra urla e disperazione, seguendo i comandi di una suggestione mai provata che ti sta guidando da lei.
È come una morsa che ti attanaglia dentro -rimorso? Impossibile- e si stringe ad ogni passo finché non lo senti, il sibilo acuto di uno sparo. Lo distingui perfettamente nonostante il fragore della battaglia e stringendo la palpebra riesci perfino a riconoscere la canna fumante di una pistola, il tremore della mano che ha premuto il grilletto, l'espressione prima terrorizzata poi compiaciuta del suo proprietario...
"Ne ha preso uno!".
Un latrato di cane e la stretta intensifica il suo abbraccio, spezzandosi.
I suoni si fanno ovatti, la vista si annebbia, non abbastanza velocemente però: scorgi infatti i lineamenti affaticati di Nami mutarsi in una maschera di dolore e la sua bocca liberare un grido che porta il suo nome -quel nome che tu così raramente hai pronunciato.
E lo capisci troppo tardi: il prigioniero di quella morsa si è ormai liberato, ma non batte.
Credevi di non averlo più un cuore, vero?
Invece ti ricorda la sua presenza nel momento peggiore, nel modo peggiore, mentre la vedi indietreggiare ed accasciarsi inerme al suolo.
Ed il silenzio, di cui ti senti improvvisamente circondato, viene rotto solo dal sommesso lamento che sfugge alle sue labbra.
E dei marines, che ti sbarrano la strada, cogli solo i contorni, tranciati di netto a metà perché non nascondano alla tua vista l’incarnato via via più cereo della sua pelle.
Finalmente la raggiungi.
Il tuo petto si alza e si abbassa frenetico, ingannando chi ti guarda: sei già morto, ma non lo sai.
I suoi occhi sono fissi nel tuo, non lo abbandonano nemmeno un istante.
Ha una luce così diversa il suo sguardo, è caldo, languido, quando ci si aspetterebbe di trovarlo vuoto. Ma Robin è imprevedibile. Perciò non ti sorprende vederla aggrottare la fronte, colta dagli spasimi: dev’essere frustrante per lei non riuscire a controllarli.
L’ultimo le fa serrare di colpo le palpebre e schiudere la bocca in un’involontaria ricerca d’aria che inasprisce il dolore: ad ogni respiro, infatti, la ferita che le lacera il ventre si dilata, inscurendo la stoffa. Sta soffrendo, eppure non versa lacrime, né gemiti; il suo silenzio grava l’atmosfera funesta in cui s’incatenano i vostri sguardi.
E tu? Le parole non ti escono, perché, davanti a lei, confusi pensieri ti si avviluppano in testa, impedendoti di organizzare una frase di senso. La tua mente è chiara, lucida in questo momento, sono proprio le parole a non voler uscire.
Impotente rimani allora a guardarla piegare le labbra in un sorriso, -ed il tuo orgoglio ha ragione a darti dello sciocco, se non capisci che lo sta facendo per te-, prima che il suo viso si distenda, i suoi occhi si offuschino, il suo corpo smetta di tremare.
Ti ha accompagnato per tutta la vita, eppure non ti sei mai abituato alla gelida presa della Morte.
Dopo minuti che paiono ore, rialzi il capo, ripiombando nella cruda realtà della carneficina.
Qualcosa dentro di te è mutato, lo avverti chiaramente, allungando il passo verso il fulcro dello scontro, mentre Chopper alle tue spalle si abbatte per non essere giunto in tempo.
Una volta gli avresti riservato almeno un gesto di conforto, oggi no.
Non ti interessa la sua disperazione, non ti toccano le lacrime di Nami, illuminate dalle torce umane in cui ha ridotto gli avversari, e tanto meno t’impensierisce la rabbia costernata che spinge il cuoco ad infierire sulle teste delle proprie vittime, ormai poltiglia.
Il Gear Third del capitano si abbatte a qualche metro di distanza, sollevando gli angosciosi mugolii di chi n’è rimasto schiacciato. Lanci un’occhiata in quella direzione, giusto quando il fuoco di Franky si spegne, rivelando cumoli di cenere e resti di carne bruciata.
Di vivi, ne rimangono solo una ventina. Battono in ritirata, ma la cosa non ti preoccupa: nessuno lascerà quest’isola.
Il tuo unico pensiero è rivolto a quel tizio.
Avanzi calmo tra i cadaveri -o ciò che ne rimane- e lo vedi.
Non ride più. Frigna spaventato, puntandoti contro la pistola, che in un attimo vola a terra. Assieme alla sua mano.
Supplica, il vigliacco.
Non sa che le tue orecchie sono diventate sorde nello stesso istante in cui l’hai udita esalare l’ultimo respiro, che la tua voce si è persa in parole mai dette, che il tuo cuore ha cessato di battere all’unisono del suo.
Così lo finisci, lentamente, pezzo per pezzo, finché il silenzio torna a circondarti.
Un silenzio che racchiude in sé l’eco straziante di un urlo.
ROBIN!”.
 
 

Ti alzi di scatto, sedendoti sul letto dell’infermeria.
“Ben svegliato”.
Il saluto ti coglie impreparato e, ancora confuso, ti volti, incrociando l’azzurro di due occhi stanchi.
Robin sostiene il tuo sguardo sgomento, chiudendo il libro che le ha tenuto compagnia e scostandosi dal viso una ciocca di capelli.
“Sei…sei viva…” biascichi, suscitando la sua curiosità, resa palese dall’occhiata sorpresa che ti rivolge.
“A quanto pare…” ride, schermandosi le labbra. Quasi sicuramente ha intuito prima di te, l’incubo di cui eri prigioniero, così ti raggiunge, spiegandoti paziente che l’ingordigia aveva rischiato di ucciderti.
“Dovresti stare più attento, non tutte le bacche sono commestibili. Ci hai fatto preoccupare”. E mentre parla, ti passa una mano sulla fronte, constatando come la febbre si sia abbassata.
Ne approfitti per osservare ogni piccolo dettaglio del suo viso, mettendola evidentemente in soggezione con la tua insistenza, visto che si allontana con la scusa di andare ad avvisare Chopper e gli altri.
Non fai nulla per fermarla, ma il tuo sguardo la segue fino alla porta, bloccandola sotto lo stipite, a maniglia già abbastata. “Hai dormito due giorni, spadaccino…”.
Si gira appena perché tu riesca a cogliere l’espressione provocante del suo volto, marcata dalla maliziosa curvatura delle labbra. “…e sono stati due giorni molto noiosi…”.
Getti allora la testa all’indietro, sprofondando nel cuscino.
Sai già che stanotte la stringerai più forte, infischiandotene dei suoi richiami divertiti, che ti sazierai delle sue labbra, ma senza dolorosa voracità, e ti farai riscaldare dalla sua pelle d’alabastro, donandole a sua volta calore.
Sai che le parole non ti usciranno perché non vogliono, ma perché, davanti a lei, la tua mente diventa un groviglio di pensieri e ciò t’impedisce di dire qualcosa di sensato; sussurrerai tuttavia il suo nome, cercando di chiuderci dentro tutta la dolcezza del mondo.
Sai che i suoi occhi guarderanno con sospetto alle tue tenere attenzioni, ma riuscirai a sciogliere i dubbi per far illuminare il suo sguardo.
Sai che il sole prima o poi spunterà all’orizzonte, per questo non la lascerai sola nemmeno un istante.
Sai che l’amerai come merita, per tutta la notte, finché il silenzio tornerà a circondarvi.
Un silenzio che sia solo silenzio.






***angolo autrice***
SONO TORNATAAAAAAAAAAAA!!!!! XD
Dopo più di un mese d'astinenza, torno e vi faccio prendere un coccolone....sono proprio un insensibile!!! XD Scherzi a parte, spero di esservi mancata almeno un pochino, che la shot vi sia piaciuta (nonostante l'episodio triste...) e che non mi abbandoniate XP!!!!!
Visti i recenti impegni che mi hanno tenuta lontana tutto questo tempo, non so quando aggiornerò....spero presto....sicuramente qui!
Besos!!!!
.....o quasi dimenticavo....Bye Bye XD

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Capitolo 17
*** Unexpected ***



Unexpected




Il mare è un dolce luogo per trascorrere la notte.

Per un pirata la vastità buia ed infinita dell'oceano, sinonimo di incertezza e causa di timori per chiunque altro, è riparo famigliare, una culla di pace contro i quotidiani pericoli.

Per lei in particolare è un tuffo in ricordi impossibili da cancellare, anche se ora non fanno più tanto male: sono una ferita indelebile certo, ma ormai ha smesso di bruciare.

Così può permettersi di alzare lo sguardo al cielo, senza pretendere risposte, senza temere le nubi perché priva di riparo, senza paventare la venuta del giorno che avrebbe illuminato un viso fin troppo conosciuto per essere quello di una bambina.

Non se n'era resa conto subito, in quella barchetta lanciata alla deriva, ma le fiamme che ardevano l'isola -la sua isola- stavano inghiottendo anche il suo futuro.

 

Un anno dopo era rannicchiata contro lo stipite di una porta, coperta da uno straccio che non nascondeva i brividi da cui era percossa. Era finita lì per caso, dopo aver camminato per ore nella coltre di neve fresca che imbiancava la strada, in una notte scura e tetra, come quella casetta.

Gli abitanti del posto ne stavano accuratamente alla larga. Dicevano che vi abitasse un guerriero straordinario, ma crudele, un mostro che non si faceva scrupoli nell’uccidere barbaramente chiunque mettesse piede nella sua proprietà, ma quando, seppur con un po’ di timore, si era affacciata alla finestra, aveva intravisto solo una donna.

Aveva dei lunghi capelli corvini, che gli ricadevano sulle spalle e la pelle abbronzata.

Non era bella, non quanto sua madre almeno, o forse a sciuparla erano stati il sole e l’espressione triste, quasi contrita, con cui osservava qualcosa stretto tre le mani.

Strinse gli occhi, allora, incuriosita, facendo leva sulle punte dei piedi ed aggrappandosi alla cornice per vedere meglio, In quel momento un ciocco crepitò nel caminetto, illuminando quel piccolo oggetto e producendo un lieve bagliore che la infastidì. Non riuscì a capire comunque di che si trattasse, perché la donna si alzò, destata dal pianto di un bambino, mentre Robin tornò ad accovacciarsi sotto lo stipite, cercando il conforto di quel poco calore che le trasmetteva il legno. Il freddo era tale da farle dimenticare i morsi della fame e, nonostante sapesse che la fonte del torpore, da cui si sentiva improvvisamente invasa, non fosse il sonno, chiuse gli occhi.

 

Li chiude anche ora, solo un attimo, solo il tempo di rivivere quell’istante, l’ultimo gesto cordiale che avrebbe ricevuto per molto tempo, anche se allora non lo sapeva, perché al suo risveglio non si trovava più fuori all’addiaccio, ma avvolta da una coperta davanti al piacevole scoppiettio del fuoco.

Spaesata, si tirò in piedi, scrutandosi attorno.

La casa, da dentro, sembrava ancor più piccola e spoglia; pochi mobili l’arredavano: un tavolo, qualche sedia, una specie di sacca, in un angolo, da cui spuntava un’elsa ed una culla, a lato del cucinino, sopra al quale c’erano un tozzo di pane, un bicchiere di latte ed una mela. Intuì fossero per lei, così, scivolando sulle assi grezze del pavimento per non disturbare, afferrò il tutto, scribacchiò con del carbone dei ringraziamenti su un pezzo di carta e raggiunse la porta, fermandosi all’improvviso a causa di un vagito.

Si disse che era rischioso rimanere ancora lì, che quella donna poteva aver avvisato qualcuno o, al contrario, passare dei guai a causa sua, ma di nuovo quel verso la distolse dal suo intento, spingendola ad accostarsi al lettino.

Un bambino di pochi mesi dormiva profondamente con i pugnetti sollevati ai lati del viso paffuto e serio a tal punto che Robin pensò fosse tremendamente buffo, sorridendo divertita alla vista di alcuni ciuffi dal colore assurdo.

“Diventerai un tipo strano…” mormorò poggiando i gomiti sulle sbarre ed incrociando le dita sotto al mento “…cerca solo di non esserlo troppo!”.

Gli augurò di avere più fortuna di lei e, dopo poche altre parole, lo salutò, dileguandosi nella foresta.

Appena la porta si chiuse, la donna entrò nella stanza e gettò un’occhiata al figlio che, ormai sveglio, ricambiò. “Una bambina particolare. Speriamo non le capiti nulla…”.

 

Speranza che si sarebbe rivelata vana.

 

Inspira a fondo l’odore del legno, di vernice fresca, di polverose pergamene, di alcol e della neve che la Sunny si è portata via dall’ultima isola in cui sono approdati e che ancora orna i pennoni. Più che il profumo, Robin ne avverte la presenza, quella del gelo che buca le narici e ferisce la pelle, eppure, nonostante la schiena nuda e le punte dei piedi infreddolite, non la disturba. Anzi, trova il piacevole il contrasto tra le carezze che le raffreddano le spalle e quelle calde che le incendiano il ventre, propagandosi come scosse su tutto il corpo.

Zoro dorme profondamente con la testa posata nel suo grembo e, quando abbassa lo sguardo, vede le sue labbra screpolate incrinarsi appena in un mugolio che soffoca contro la stoffa, girandosi su un fianco e premendo la fronte contro il suo seno in un sospiro.

E la bocca si piega di nuovo, in un appagato sorriso stavolta.

Lo fissa ancora un istante, cercando, senza disturbarlo, di muovere le gambe indolenzite dalla posizione in cui il suo peso la costringe: le riesce a metà, perché, con un contrariato borbottio, Zoro le fa capire di non aver gradito molto la libertà che si è presa, così torna ad osservare l’orizzonte.

È meravigliosa la vista dalla guardiola, dà l’impressione di poterlo dominare davvero il mare, di poter scoprire semplicemente con uno sguardo i misteriosi segreti che esso racchiude.

Non le era capitato spesso in passato di godere quel privilegio.

Quando viaggiava per mare, infatti, lo faceva spesso da intrusa. Si nascondeva nella stiva e, raggiunta la terraferma, sgusciava via, prima che l’equipaggio si accorgesse della presenza di un intruso.

A volte, se aveva fortuna, riusciva anche a racimolare qualcosa da mettere sotto i denti, sicura che la colpa sarebbe ricaduta sugli ignari topolini che, come lei, strappavano un passaggio senza permesso. Altre, invece, la sorte era stata meno accondiscendente e si era vista costretta a sfruttare l’ingenuità e la superstizione dei mercanti mostrando loro il potere del frutto Fior Fior, lo stesso che l’aveva fatta emarginare dai suoi coetanei ad Ohara e che in quelle occasioni era servito ad additarla nuovamente come mostro, creando tale subbuglio tra i marinai da permetterle di fuggire.

Le viene da ridere ora, ripensandoci.

L’ignoranza, che aveva distrutto la sua isola e la sua gente, l’aveva salvata più di una volta, perciò a dodici anni aveva deciso di sfruttarla a proprio vantaggio, raggirando gli sciocchi con la furbizia, istigando il panico attraverso l’intelligenza. Come le aveva detto il professor Clover, ‘la conoscenza è l’arma più potente’.

Aveva funzionato per un po’ di tempo, poi, però, era cresciuta ed aveva scoperto, nel peggiore dei modi, che non sempre il cervello vince la forza.

All’epoca era imbarcata in una nave di pirati e, credendo di essere al sicuro, si era assopita tra le casse della stiva, lasciandosi cullare dal dolce cozzare delle onde.

Poi dei passi, alcune imprecazioni, un verso di sorpresa.

Riaprì di scatto gli occhi, trovandosi di fronte la grottesca figura di un uomo che la fissava, mostrandole un largo sorriso sdentato.

“E tu chi sei?” chiese, ponendosi davanti al cono di luce che filtrava da un piccolo oblò.

Non le piaceva l’inflessione della sua voce roca per il fumo di cui sentiva impregnati i suoi vestiti e tanto meno il suo sguardo. Aveva due piccoli occhi tondi e neri, annacquati dall’alcol e sinistramente luminosi, che quello continuava a far scorrere su di lei e sull’uscita. E la sua risata, mentre arrancante le si era avvicinato a mani protese…

Il resto sono solo immagini sfocate e confuse, sensazioni seppellite da tempo: il fetore del  fiato, il peso del suo corpo, il sapore rancido della bocca che cercava forzatamente di combaciare con la sua, mentre tentava di divincolarsi e di non urlare per evitare di aggravare le cose.

“Smettila!” ringhiò all’improvviso, rifilandole uno schiaffo sulla guancia: più si agitava, più forti e decise erano le percosse, finché non sentì un rumore metallico e qualcosa di viscido premerle sulla gamba. Terrorizzata, fece, allora, fiorire alcune braccia attorno al collo del pirata ed iniziò a stringere.

Strinse, ingoiando il sangue che le impastava la bocca. Strinse, ignorando le dita rudi ancora arpionate al suo vestito. Strinse con tutta la forza che possedeva, eludendo quegli occhi che, accecati di rabbia, divennero vitrei, vacui.

E lo vide cadere esanime sulle ginocchia, accasciandosi infine sul pavimento come un sacco vuoto.


Freme ancora il suo cuore a quel ricordo e un nodo le sale alla gola, mozzandole il respiro.

In un gesto involontario sposta lo sguardo sulle sue mani e prende a fissarle come aveva fatto il resto di quella notte. Per tutta la notte, infatti, aveva continuato ad avvertire sotto i palmi il raschiare della sua gola alla disperata ricerca d’aria, ma non aveva pianto. Aveva lasciato che le lacrime le si raccogliessero agli angoli degli occhi e, una volta divenute troppo pesanti, scivolassero da sole a rigarle il volto, disinfettando le escoriazioni.

Non sono più le mani di una quindicenne, sono affusolate, contornate da pressoché invisibili taglietti che si procura durante le letture. Non prova più vergogna o rimorso nel sapere che, a contarle, le sue vittime attuali sono più numerose di quelle dita sottili, non è il calore denso del loro sangue quello che avverte tra le nocche. È la mano di Zoro: grande, scura, callosa.

Custodisce la sua in una presa dolce e allo stesso tempo salda, come un guardiano che teme la fuga del suo prigioniero, senza sapere che il prigioniero in questione non desidera essere in nessun altro posto se non lì, incastrato tra il cuscino del divano ed il palmo ruvido dello spadaccino.

Lo guarda un momento.

Se possibile ha affondato ancor di più il viso nel suo grembo, fasciato in un lenzuolo umido e pregno del suo respiro. Vorrebbe svegliarlo, trascinarlo con sé e farci l’amore per disperdere nel proprio corpo il bollore che le scuote il ventre, permettendo così alla cicatrice di graffiarle la pelle. È tessuto morto ormai, ma brucia ancora, e non solo a lui.

Robin la percepisce sempre scottare al suo tocco, anche ora, come se il freddo non bastasse a scalfirla e l’acqua a spegnerla. Teme che l’unico modo con cui essa possa cessare di infiammargli il petto sia sconfiggere Mihawk ed, egoisticamente, spera che ciò avvenga il più tardi possibile, perché lei ama sentirla consumarsi sulla schiena quando l’abbraccia di nascosto o inciderle la carne durante i loro incontri.

Sa bene che Zoro non approverebbe quel genere di trasporto e quasi a voler dargliene conferma lo sente aggrottare la fronte e increspare le labbra in un malriuscito rimprovero.

È una roccia, lui. Guarda sempre avanti ed ha le spalle abbastanza larghe per sopportare il dolore del passato, ma Robin non si lascia raggirare facilmente.

I suoi occhi esperti, infatti, riescono a cogliere le crepe che s’insinuano nella pietra, i fantasmi che la corrodono, compromettendone la solidità.

Uno porta il nome di Kuina.

Conosce la sfortunata storia di quella bambina, anche se non è stato Zoro a raccontargliela: non ammetterebbe mai che il suo destino è legato ad una promessa infantile, forse perché il suo sensibilissimo orgoglio non tollera una debolezza simile, o molto più probabilmente perché, nonostante tutto, anche lui ha paura. Paura che i compagni che deve proteggere scoprano quelle fragilità nascoste. Chopper si sentirebbe sempre e comunque al sicuro con lui, poi? E Rufy?

Chissà se un giorno Zoro si sgretolerà, svelandole i fardelli che si porta dentro.

In attesa di scoprirlo, Robin tace e si accontenta dei primi spiragli che si aprono sulla roccia: il rossore che gli imporpora il viso quando lo stuzzica, le frasi scoordinate ed interrotte a metà, l’insistente ricerca del suo sguardo nei momenti di pericolo, i lunghi silenzi in cui la sensazione di essere osservata non crea alcun disagio, anzi, a tratti, è pure piacevole.

 

L’orizzonte intanto comincia a schiarirsi ed il punto in cui cielo e mare s’incontrano è già attraversato da una sottile linea di luce, perché non esiste notte abbastanza lunga da impedire al sole di sorgere, sebbene ci fossero stati momenti in cui si era augurata il contrario.

Invece anche quella notte era destinata a finire. Quando il primo bagliore del giorno le sfiorò la guancia, liberandola dalla paralisi in cui era caduta, serrò con rabbia e determinazione i pugni, frenandone il tremore: i suoi occhi avevano già assunto un’intensità diversa.

S’inginocchiò accanto al cadavere, frugò nelle tasche e, prese alcune monete intaccate, salì sul ponte. Dormivano ancora tutti, ebbri della festa consumata la sera precedente, così non fu difficile per lei calare una scialuppa e abbandonarsi alla forza della corrente, un’unica domanda come compagna di viaggio: perché, se le ombre si erano ormai disperse, lei continuava a sentirsi al buio?

La risposta giunse inaspettata, tanto nella forma quanto nel luogo. La trovò, infatti, nell’opaco riflesso delle iridi di una bambina.

Non ricorda bene il suo volto, forse perché neanche allora era stata capace di distinguerlo da una sagoma informe: troppe le botte ricevute per riuscire a vincere il gonfiore delle palpebre.

Però il suo sguardo l’aveva colpita. C’era un barlume di pietà mentre le chiedeva chi mai l’avesse ridotta in quel modo, che venne sostituito in fretta da uno scintillio sospettoso.

“Ti ho già visto da qualche?”.

“Non credo. Sono appena arrivata” mormorò con un fil di voce, coperto dalle urla di altri bambini. “C’è una nuova sfida per te! Un tizio chiede di battersi con il miglior allievo della scuola! Ha già sconfitto Yuzo e gli altri!”.

La ragazzina parve tentennare per un attimo a quelle parole, più interessata alla vagabonda, come l’avevano additata i suoi amici; tuttavia, alla fine, si convinse a lasciar perdere e se ne andò.

E così, ancora una volta, ebbe prova del reale castigo inflittole dal Governo: una vita, dove ad un istante di compassione subentrava, immediata, la diffidenza.

Palese ormai che non potesse più muoversi alla luce del sole o sperare di infiltrarsi in un’imbarcazione senza essere notata, decise che vi sarebbe salita quale membro dell’equipaggio, diventando un pirata a tutti gli effetti, visto che già da anni ne condivideva il destino.

Certo non poteva immaginare cosa aveva in serbo per lei il futuro...

 

Il suo riflesso alla finestra scompare sotto il tocco gentile dei primi raggi mattutini, ma Robin ha poco tempo per accorgersene, attirata dal frusciare del lenzuolo su cui ricade il suo sguardo. Sente la mano improvvisamente leggera ed alcune carezze tastarle il braccio.

Sta quasi per augurargli “Buongiorno”, ma uno sbadiglio maldestro si chiude ben oltre la stoffa, facendole sfuggire un sussulto di sorpresa. La stessa che percepisce nella voce raschiante di Zoro, quando sputacchiando il tessuto, biascica: “Umf…sei ancora qui?”.

Sorride per nulla infastidita dall’aggressività della domanda e, sollevandogli appena il capo in modo da farlo voltare, sardonica chiede a sua volta come avrebbe potuto alzarsi.

Lo spadaccino odia ottenere simili risposte e difatti lo sente ribollire contrariato, pronto a ribattere, prima di aprire l’occhio e scorgere l’azzurro dei suoi: vicini, troppo, e in una prospettiva del tutto nuova, forse inaspettata. Gli basta sporgersi ancora un po’ dalle sue gambe per mettere a fuoco la strana espressione del volto: si direbbe incuriosita, ansiosa, divertita. E ne comprende il motivo solo quando, ad una rapida girata di capo, si rende conto di aver dormito per tutta la notte sul suo grembo.

“Spero tu abbia riposato bene…”.

A Zoro servono un paio di minuti per riflettere. Se le rivelasse di provare un leggero torcicollo, lei ghignerebbe stizzita qualcosa d’imbarazzante e difficile da controbattere, senza contare che non ha la minima intenzione di lasciarsi sbeffeggiare già alle prime ore del giorno; al contrario, non sa come l’archeologa prenderebbe l’ammissione di trovare particolarmente comoda ed interessante quella posizione.

Decide comunque di rischiare ed alzandosi a sedere, grugna un “Si” appianato da uno sbadiglio.

La reazione di Robin è inattesa.

Affonda i piedi nei cuscini e abbraccia le proprie ginocchia, poggiandovi sopra il capo, incurante dei capelli che le scivolano scarmigliati sulle spalle. Lo fissa semplicemente, ricambiata con la stessa intensità.

Non si dicono nulla, ma il loro silenzio è carico di parole apatiche, pigre testimoni di un’evidenza che loro andrebbero solo ad impoverire. Se ne stanno lì, sulla lingua, senza accanirsi contro le labbra, permettendo così a quest’ultime di disegnare un sorriso sul volto di entrambi.

È un sorriso atipico, spensierato, simile a quello che illumina i visi sognati dei bambini davanti ad una storia: cuce la bocca e lascia parlare il cuore.

Il sole intanto riesce già a rispecchiarsi sulla superfice stagna del mare e della notte resta ormai un lenzuolo stropicciato e qualche abito gettato alla rinfusa sul pavimento.

“Tu invece non hai dormito molto…” constata, all’improvviso, Zoro, acciuffando i pantaloni col chiaro intento di distogliere lo sguardo dal suo.

“Qualcuno doveva pur montare di guardia, non credi?”.

Una risposta inoppugnabile per essere una scusa.

“Non saranno stati di nuovo quegli incubi?”.

Eccola lì, la considerazione che non ti aspetti, specie se a parlare è Roronoa Zoro.

Per una volta, allora, tocca a Robin restare basita, con il respiro che le si rintana frettolosamente in gola. “Incubi?”.

“Già…” conferma distratto dall’ardua ricerca della sua maglia, che pare essere fruttuosa, visto che infila a fatica un braccio dietro lo schienale del divano. “…l’altra notte….ti sei agitata parecchio. Nel sonno intendo…”.

Una rivelazione che le fa aggrottare pensosa la fronte ed impiegare le dita nel tentativo di stirare le pieghe che increspano la stoffa. Non ricorda affatto quei sogni angosciosi e l’imbarazza averlo disturbato, ma Zoro rimbrotta le sue scuse.

Il suo “Ero sveglio…” sfila tra un’imprecazione e l’altra: con ogni probabilità, infatti, sta graffiando l’aria, incapace di trovare l’appiglio della maglia.

E lei, di fronte a quel volto arrossato e contratto, schiacciato contro la sponda, ritrova il sorriso. Non è l’unica, allora, a cui piacciono gli 'spettacoli notturni'…

Quasi pentita, fa fiorire una mano sul pavimento per aiutarlo e rimane nuovamente interdetta, poi, nel vederlo voltarsi contro il muro. “P-puoi…”.

Le ultime, scaglionate, parole, accompagnate da uno stizzito gesto della mano, giungono incomprensibili alle sue orecchie.

Vestirti: dovrebbe essere la corretta interpretazione.

Trattiene una risata, che le smuove ugualmente le spalle, e, senza staccare gli occhi dalla sua schiena irta, obbedisce, chiedendosi se, in Zoro, la timidezza muoia con il giorno, considerato che, al buio, essa non si è mai manifestata…

E una volta indossati camicia e short, tossicchia per invitarlo a girarsi.

Nello stesso istante, la luce dell’alba buca le vetrate alle sue spalle, producendo un lieve bagliore a contatto con i tre orecchini, che pendono dal lobo sinistro dello spadaccino, costringendola a socchiudere le palpebre.

“Dovresti evitare di rivangare il passato…non puoi fare nulla ormai per cambiarlo…”.

È duro il suo tono, troppo per considerarlo un consiglio, troppo poco per pensare ad un rimprovero, ma ha comunque il potere di irrigidirla: non ama parlare di sé e l’idea che proprio lui non riesca a comprenderlo, le fa più male di quanto vorrebbe.

“…quindi guarda avanti, a ciò che puoi davvero cambiare…”.

“A volte non è così semplice…” sibila tra i denti, zittendolo.

Zoro, del tutto ignaro dell’effetto che le sue parole hanno avuto sulla compagna, storce la bocca, china la testa e incrocia le braccia in una posa di assoluta concentrazione. “Hmm…vero…” sentenzia dopo alcuni istanti di riflessione, durante i quali lo sguardo algido di Robin non l’ha mai abbondonato “…ma bisogna farlo. O gli incubi ti tormenteranno per sempre…”.

“E tu? Tu sei riuscito a cancellare il tuo passato?”.

Un’occhiata sconfortata saetta sul saya bianco, vicino all’ingresso.

“No. Ci combatto ogni giorno…”.

 

Nel breve silenzio che intercorre tra quello scambio di battute, lo vede portarsi una mano sulla nuca, respirare a fondo e corrugare la fronte più indeciso che arrabbiato.

“Una persona, una volta, mi ha detto che, nei momenti difficili, quelli che sembrano non finire mai, come negli attimi in cui mollare sembra l’unica possibilità, bisogna stringere i denti e…”.

Un ghigno si fa strada nelle sue labbra, allargandosi fino a deformare lo sfregio. “…ridere!”.

Robin avverte un tuffo al cuore, come se una morsa lo avesse stretto all’improvviso, eppure non sente dolore.

È una sensazione strana, piacevole, che la lascia leggermente confusa.

“Beh…ehm…” farfuglia in un disagio reso visibile dal vivace colorito che traspare sotto la pelle abbronzata. “Nah! E' una stupidaggine…lasc-”.

“Chi…chi è stato? Chi te lo ha detto?”.

Lui deglutisce preso alla sprovvista dalla veemenza della sua voce e dice di non ricordarlo, mentre con le dita sfiora, forse inconsciamente, i tre pendagli d’oro.

Robin segue quel movimento oscillante, mentre un tintinnio si propaga nella stanza, come un pensiero nella sua mente. Il mondo è vasto, ma…no, non può essere…

Scuote la testa per scacciarlo e sorride senza motivo.

“Vado a farmi un caffè…”.

 


La granitica roccia si scalfisce a fatica, apre falde e non crolla.

Ma da uno spiraglio si possono vedere gli strati che la compongono, venature, più o meno spesse, frutto di lunghi processi di calcificazione, che tramandano la sua storia: lo sfregio di una lama, il segno di una promessa, un indelebile ricordo vecchio di vent’anni…

Vent’anni prima, in un’isola sperduta del mare occidentale, una donna si fermò dietro una porta ad ascoltare la voce di una bambina che parlava ad un sassolino.







***spazio autrice***

Rieccomi!! Al solito più tardi di quanto avrei voluto! :(

Dunque questa fic nasce dall'unione di due idee e visto l'intreccio tra passato, presente e riflessioni spero sia chiara...così come spero sia chiaro che il bambino all'inizio è proprio il nostro caro spadaccino XD...in fondo, avendo viaggiato in lungo e in largo, è plausibile che Robin possa aver incontrato qualcuno dei suoi futuri compagni...no????

Beh...al solito fatemi sapere cosa ne pensate di quest'idea un pò strambaXD!!!

Bye Bye ;D

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Capitolo 18
*** coincidences ***


coincidences



“…potrebbero non esistere cose come le coincidenze a questo mondo…” (Silver Rayleigh)

 
 

“E anche oggi, non si è visto nessuno…”.
Sbuffa ed una nube di fumo le scivola tra le labbra, mentre passa uno straccio sul legno grezzo del bancone: è già lustro, ma le vecchie abitudini sono dure a morire. E così, come ogni sera, dopo aver voltato il cartello su ‘chiuso’, si ritrova a riassettare il locale, dove, pur non avendoci messo piede alcun cliente, riesce sempre a trovare una sedia fuori posto o una macchia non vista.
Un secco bussare alla porta, la distoglie dal proprio lavoro.
Shakky solleva lo sguardo, ma non ha bisogno di chiedere chi sia per mormorare: “Avanti”.
“Sbaglio o una volta c’era più movimento da queste parti?”.
“Tempi magri…”.
“O forse è il tuo caratteraccio a tenere lontani i clienti…”.
L’osservazione, nella voce raschiante con cui viene pronunciata, si perde nel vuoto, coperta dallo strascichio di uno sgabello.
“Sono due giorni che ti dai alla pazza gioia…non ti sembra di esagerare, alla tua età…”.
Con una sganasciate risata Rayleigh afferra il bicchiere che Shakky gli ha voltato davanti in attesa d’esser riempito. “Quello buono, non fare la tirchia…”.
Non lo vede, ma avverte comunque il sorrisetto che dispiega le sue labbra nel soffio con cui libera la bottiglia dalla polvere.
“Ecco” e ne versa un’esigua quantità, provocando una smorfia di disappunto nell’uomo, che trattiene inclinato il collo finché il liquore non raggiunge l’orlo. “Ecco!” replica, soddisfatto.
Avvicina dunque il bicchiere alla bocca, ma si ferma, osservandola mentre, poggiando il gomito sul palmo conserto, scrolla la cenere della sigaretta.
“Dico…non vorrai mica farmi bere da solo!”.
Shakky sorride davanti all’ilarità che traspare da quel viso paonazzo -troppi anni sono passati dall’ultima volta che lo ha visto bere per festeggiare e non per annegare i ricordi- e lo accontenta.
“A che brindiamo?”.
La risposta, scontata, viene accompagnata da un cenno del capo verso i nove avvisi di taglia che adornano la parete alle sue spalle. “A loro!”.
Il suono dei bicchieri fatti cozzare insieme riecheggia nel locale, coperto infine dal caldo augurio della donna. “Da come hanno iniziato, il loro avvenire è roseo. Ce la faranno!”.
“Allora hai sentito anche tu le ultime notizie?”.
“Si, Hachi è stato qui la notte scorsa…” sospira, accendendosi una sigaretta, mentre l’altra, consunta, fuma ancora nel posacenere “…che tipo, quel Rufy! Neanche il tempo di metter piede nel Nuovo Mondo che già combina guai!”.
“Proprio come Roger! Se li tira addosso…” ridacchia divertito.
Monkey D. Rufy.
Il pirata da 400.000.000 di berry.
Il pirata che ha sfidato il Governo Mondiale.
Il pirata che non ha un sogno, ma una certezza cui ha cominciato a credere anche lui.

“Stai proprio invecchiando…”.
Il commento di Shakky lo ridesta, ma non riesce a sciogliere la ruga che gli scava la fronte corrugata, mentre osserva il proprio riflesso ambrato nel bicchiere.
Sentimento sottovalutato, la nostalgia: si crede svanisca per sempre con l’affievolirsi del proprio dolore, poi un giorno s’incontra un ragazzo dal sorriso sgangherato ed un cappello di paglia calcato in testa e ci si accorge che, per anni, è sempre stato lì con voi, come un discreto compagno di viaggio.
“Forse…” sogghigna amaro, svuotando d’un fiato il bicchiere. “…ma voglio vivere abbastanza a lungo per conoscere la fine della storia…”.
Gli occhi di Ray la scrutano seri e luminosi, forti della stessa speranza che li bagnava un tempo e che ora ne umidisce gli angoli, costringendolo a premerci due dita sopra per recuperare un po’ di contegno. Shakky gliela visto fare migliaia di volte in passato, ma, a differenza di allora, non gli volta le spalle fingendo di sistemare le bottiglie solo per nascondere la propria impotenza davanti ad un dolore che non ha cure, continua a fissarlo, finché le ciglia nere non si abbassano ed una scia di fumo sfila densa tra le labbra, disperdendosi nel silenzio di un nome non pronunciato.
Perché, anche se nessuna voce l’ha consumato, il nome di Roger alleggia sempre nel locale, come quando il suo vice lo chiamava a pieni polmoni per invitarlo a far compagnia alla bottiglia.
La sua espressione impassibile si distende a quel ricordo: finalmente Ray sentirà alleggerirsi il peso di quell’eco lontano, certo ormai che tutto ciò che Roger ha rappresentato non è andato perduto.
“Ora hai trovato il suo erede…” aggiunge in un tono allegro, smorzato dal mozzicone che stringe tra i denti “…ma che mi dici di te? Esisterà un nuovo Re Oscuro?”.
Ray sgrana gli occhi, sorpreso dal repentino cambio di discorso ed atmosfera, inarcando le sopracciglia a tal punto che la sua fronte s’increspa, solcata da piccole rughe.
Ma il suo, è uno stupore passeggero: s’infrange sulla taglia appesa accanto a quella di Rufy.
E, mentre l’osserva, mille pensieri s’insinuano nella sua mente, mescolandosi ai ricordi: sono gli stessi su cui, è sicuro, anche Shakky sta riflettendo, solo che lei non si fa problemi ad esternarli.
“Spadaccino, una taglia destinata a lievitare, vice del futuro Re dei pirati, e, a quanto so, gran bevitore…si è perfino regalato una nuova cicatrice sull’occhio!”.
Tante, troppe, sfumature lo accomunano a Roronoa Zoro, lo ha capito subito, durante l’attacco di due anni fa, quando ha visto illuminarsi nei suoi occhi una rabbia dolorosa per non essere stato all’altezza di soccorrere i propri compagni, la stessa rabbia che alberga ancora oggi nei suoi: è vivo ed non è mai riuscito a perdonarselo.
Eppure il tono divertito di Shakky lo lascia del tutto indifferente.
“Non è solo una questione di nome…” sibila risentito, sporgendosi in avanti, quasi invitandola a porgergli maggior attenzione. E rispetto. Perché, anche se molti lo ignorano e a guardarlo non si direbbe, Rayleigh possiede un lato narcisista che lo rende particolarmente permaloso
Shakky, invece, lo sa, come sa che ciò a cui si riferisce -ed il sorriso malandrino che gli allarga la bocca glielo conferma- non è certo l’aspetto morale, l’orgoglio, la fiducia…
No, Ray ha in mente qualcosa di molto più subdolo, frivolo, superficiale.
Donne.
Quante erano state vittima del suo fascino scapestrato? Non ha mai osato chiederglielo e lui non ha mai avuto la faccia tosta di farne menzione, ma questo ha poca importanza. In fondo ha sempre saputo di essere non la sola, ma l’unica.
L’unica da cui tornare irriconoscibile, dopo l’ennesima scorribanda, l’unica a conoscere le sue debolezze, l’unica a cui mostrare lacrime di bambino.
E questo, per lei, ha sempre prevalso su qualsiasi promessa di fedeltà.
“Ad occhio e croce, non mi sembra tipo da correre dietro alle gonnelle…”.
“Forse. Ma ho sentito che è stata una ragazza a riaccompagnarlo qui!” ribatte prontamente, quasi a volerne prendere le difese, e a Shakky tanto basta per intuire che, nonostante le ritrosie, Ray lo consideri davvero il suo erede.
“Solo perché, a detta dei suoi compagni, sarebbe in grado di perdersi anche a bordo della nave…”.
A quel punto lo vede tentare, livido, di risponderle a tono, per poi, dopo alcuni boccheggianti secondi, arrendersi. “Già, quel ragazzo dovrà migliorare il suo senso dell’orientamento…”.
Le iridi nere si assottigliano a quell’affermazione: adora pungolarlo e l’occasione è troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire.
“A quanto pare dev’essere una caratteristica di voi vice…” sogghigna “… se non ricordo male, quando sei ubriaco non riesci neanche a ritrovare la strada di casa! Roger era sempre costretto a rimandare la partenza per venirti a cercare!”.
Sorride appena, Ray, conscio che l’imbarazzo e l’irritazione sono sentimenti più adatti ai giovani che ad un uomo della sua età, per poi posare le sue labbra ancora curvate sull’orlo del bicchiere. Mentre avverte un piacevole pizzicore alla gola, si perde a studiare i lineamenti del suo volto, sembrano corrucciati attraverso il vetro, ma non esclude che lo siano davvero. Sa che quando riflette, Shakky si porta una mano all’angolo della bocca –di solito quella che stringe il filtro- e prende a mordicchiarsi le unghie, stando ben attenta a non farsi vedere, ritenendolo un vizio infantile.
Proprio come ora.
Aggrotta le sopracciglia e serra le palpebre, riducendo gli occhi a due fessure, davanti al poster, alla ricerca qualche dettaglio sfuggitole, un’insignificante somiglianza fisica con un ragazzo che ha conosciuto molti anni fa e che siede dall’altra parte del banco. Ma, evidentemente, non ve ne sono, perché sospira, scuotendo il caschetto, e raccoglie i giornali vecchi di giorni in un angolo.
“Però sono sempre tornato”.
L’improvvisa ripresa di una conversazione che sembrava caduta, la coglie di sorpresa, ma non le ci vuole molto per carpire il reale significato celato dietro a quelle poche e semplici parole.
È vero: la strada per il suo locale, Ray, non l’ha mai perduta.
 

Il rintocco dell’orologio, che segna le due, gli accompagna lungo le scale.
Shakky lo precede, illuminando le pareti con la sola luce del mozzicone: non serve altro, la casa la conoscono bene entrambi.
Salta il secondo gradino perché scricchiola fastidiosamente e si promette di aggiustarlo, come la prima volta in cui lei l’aveva ospitato e la Oro sonnecchiava, attraccata alla baia.
Non gli sembra passato un giorno da allora: lo sguardo si perde ancora sulla sinuosità della sua schiena e delle sue gambe con la stessa identica intensità, perfino il suo cuore sembra riprendersi dagli effetti del tempo e battere più forte: è sempre stata l’unica a farlo sentire così. Se n’era accorto nelle notti trascorse lontano da lei, quando cercava il suo viso in quello di altre donne, senza trovarlo mai.
Quando raggiunge l’ultimo scalino, la luce, in fondo al corridoio, è già accesa, lo aspetta in quella camera che non è mai cambiata, come lei: c’è sempre un libro sopra il comodino a far compagnia al pacchetto di sigarette aperto e gli occhiali, che, vanitosa, cerca continuamente di nascondere, spuntano dal cassetto.
Shakky è già a letto, stesa su un fianco, attende che si Ray si corichi per spegnere la lampada e lui non la fa attendere oltre.
Ha sempre dormito sulla schiena per essere il primo a salutare il sole, ma questa notte, solo questa notte, si gira di lato, abbracciando il cuscino per guardarla.
Domani sarà lei ad accoglierlo prima dell’alba.
 
 

Apre gli occhi, rendendosi conto di essersi addormentata sopra un libro, in cucina, con gli occhiali nascosti tra le dita, ma prima di sollevare la testa e farsi baciare dal giorno, scorge, dall’altro capo del tavolo, Zoro.
Dorme ancora, con le braccia conserte sul ripiano ed il viso rivolto verso di lei, dando così le spalle alle finestra.
Sorride appena. Era rimasta sveglia a lungo, preoccupata di doverlo andare a cercare in città, ed invece, inspiegabilmente, la strada del ritorno era riuscita a trovarla da solo.









spazio autrice

Beh, che dire...inanzittutto, un CIAO a tutti mi sembra d'obbligo dopo più di un mese d'assenza (?)!
Ahimè, non sono andata in vacanza (magari...) però ho visto con piacere che, per gli appassionati, qualcuno ha iniziato a scrivere sulla coppia...bene bene!!XD
Tornando a noi, questa era indecisa se postarla o meno così...nelle mie intenzioni iniziali doveva esserci anche un discorso in cui Shakky ammetteva di rivedersi un pò in Robin, ma poi la cosa mi è sembrata un pochino artificiosa e così...eccola, una one shot Shakky x Ray con l'ombra della ZoroxRobin!! -.-
spero di non farvi attendere un altro secolo (in teoria, da oggi ho più tempo) e di regalarvi qualcosina di meglio...
Alla prox!!!!
Bye Bye
 
 

 
 

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Capitolo 19
*** Sweet Discoveries ***


SWEET DISCOVERIES




La schiuma frizza nel bicchiere, trabocca e si condensa in una goccia che scivola pigra oltre l’orlo, raccogliendosi sul bancone in un cerchio perfetto.
Zoro l’osserva pregustando già la sensazione di dissetante freschezza che promette quel boccale di birra. L’ha desiderato sotto il sole cocente di quella giornata, agognato tra la presa di Usopp e i rimbrotti del cuoco incaricati di fargli da ombre per evitare si perdesse, sudato per seminare quei due guastafeste, che lo stanno ancora cercando paventando la reazione di Nami, ed ora eccolo.
Lo afferra, se lo porta alle labbra trepidanti d’attesa, lo inclina, venendo inebriato dall’odore forte del luppolo, e…gira di colpo la testa.
Il sorso destinato alla sua gola arsa finisce per abbeverare il legno e colargli sulle scarpe.
Sconcertato, guarda la chiazza scura che ha davanti per notare poi alcuni petali di ciliegio vorticargli sopra il braccio. Gli stessi petali che vede alla finestra, dove una mano, radicata alla cornice, gli fa segno di uscire.
Irritato, l’ignora, ficcando le dita in tasca alla ricerca di altre monete con cui convince il barista a servirgli dell’altra birra, ma, mentre questa gli viene versata, due mani fiorite sul pavimento scrollano lo sgabello su cui è seduto, facendogli perdere l’equilibrio per ruzzolare a terra tra le risate schernitrici dei clienti.
Questa me la paga, si promette mentalmente, serrando i pugni ed alzandosi, livido.
L’attenzione del locale è rivolta a lui, quel tipo talmente ubriaco da non reggersi in piedi, ma bastano alcuni eloquenti sguardi per cancellare i ghigni dalle facce ebbre che l’accompagnano alla porta.
Marca furioso i passi sulla strada sterrata che si snoda attorno alla locanda e giunge sul retro, dove Robin lo aspetta a braccia conserte.
“Tu! Che c-?”.
Non riesce a dar sfogo all’imprecazione che gli preme in gola a causa delle dita spuntate dal nulla che gli tappano la bocca, facendolo imbestialire più di quanto già non sia. Invano si dimena davanti all’indifferenza con qui Robin gli volta le spalle per fissare alcune botti, accatastate in un angolo.
“Su. Vieni fuori. Nonostante le apparenze, non ti farà nulla. È un mio compagno”.
Le sue labbra si curvano in un sorriso rassicurante, materno, di quelli che sfoggia per mettere a tacere le angosce di Chopper o calmare l’irrequietudine del suo amante, ma Zoro non vede chi possa esserne il destinatario.
O meglio, non lo trova. Deve, infatti, abbassare lo sguardo di cinquanta centimetri buoni per scorgere l’esile figuretta di una bambina. Ha i capelli raccolti in due trecce, le mani chiuse sull’orlo del vestito, gli occhi castani, grandi e spaesati, puntati dritti nel suo.
Chi diavolo è?
Robin sembra riuscire a intercettare i suoi pensieri, mentre, accertandosi che non dia più in escandescenza, gli libera la bocca, guadagnandosi un’occhiata torva, che promette vendetta anziché ringraziare. “Si chiama Yuki” annuncia, stringendole amorevolmente una spalla ed invitandola a muovere qualche altro passo. “E si persa”.
“Allora?”.
Il tono seccato dello spadaccino fa comprendere bene quanto i suoi pensieri siano interessati alle sorti della bambina, di certo in secondo piano rispetto alla birra, pagata, che lo attende sul bancone, ma lei non demorde e, calpestando i suoi desideri come fossero foglie secche, prosegue nel suo intento. “Potresti guardarla tu, mentre io chiedo informazioni in giro? Non sa dove andare e non mi fido a lasciarla sola”.
Gli occhi della piccola si sgranano a quelle parole: probabilmente preferirebbe la compagnia di un cane rabbioso a quella del pirata che la scruta quasi fosse frutto della sua immaginazione, perciò si ritrae dalla presa di Robin, stringendole le ginocchia e nascondendo la paura tra le pieghe della gonna.
 “Certo la tua faccia non aiuta” sospira sconsolata, le sopracciglia distese in segno di rassegnazione.
“La…la mia faccia?!” tuona, riuscendo a controllarsi e a non aggiungere qualche altra parolina che la compagna intuisce comunque dalla sua espressione.  
“Fatti aiutare da qualcun altro! Io ho da fare!” e si volta, ricalcando celere i propri passi per tornare alla locanda.
Più si allontana, però, più l’intensità con cui marca lo sterrato si affievolisce, perde convinzione: c’è troppo silenzio. Conosce Robin e sa che non esploderebbe mai in una scenata sconveniente in mezzo ad una strada, eppure il fatto che non abbia tentato minimamente di fermarlo, gli puzza.
Si trattasse di Nami, la gente che cammina ignara per le vie sarebbe già stata attirata da grida ingiuriose, parole irripetibili e minacce di qualsiasi tipo, e lui avvertirebbe la testa pesante dei pugni che la navigatrice puntualmente gli assesta, ma, almeno, avrebbe dato sfogo alla sua irritazione, a quella stretta allo stomaco che stringe ogniqualvolta gli venga proposto qualcosa di assurdo. Invece, si tratta di Robin.
A lei le pressioni, verbali o meno, non servono.
Basta solo il pensiero di quanto è in grado di fare ad irretire Zoro, che prende ad accarezzarsi la base della gola.
'È molto semplice convincere un testardo': così gli aveva detto, una sera, con un sorriso che del divertito aveva poco in comune, accompagnando quelle parole con un eloquente gesto delle mani.
Si ferma alla fine della strada. L’opera subdola di Robin ha ormai seminato in lui il dubbio ed il suo prolungato mutismo non ha fatto che accrescerlo.
Quando si volta ed incrocia il suo sguardo falsamente stupito, impreca contro se stesso ed il suo essere tanto idiota: in fondo, Robin, non farebbe mai del male ad un compagno! Un’inoppugnabile costatazione che perde sicurezza alla vista del suo sorriso.
Non le riempie tutta la bocca. Le sue labbra, infatti, accentuano la curvatura solo da lato, mantenendo intatta la piega nell’altro, conferendo alla sua espressione ingenua un tocco sinistro, raccapricciante e pericoloso, che, anche se Zoro non lo sa, servirà a ricordargli, in futuro, di essere più accondiscendente.
“E va bene!” esala, stanco come se avesse discusso arduamente fino a quel momento.
Robin esulta in maniera composta, forza con dolcezza la piccola a voltarsi per mostrare un’espressione tutto fuorché entusiasta e si allontana, lasciandoli soli, entrambi a chiedersi cosa mai di male avessero fatto per meritarsi una simile compagnia.
 
 
L’occhio sano di Zoro si assottiglia a tal punto da sparire sotto l’aggrottamento delle sopracciglia, cercando di mettere a fuoco l’insegna.
“Su! Vieni!” lo incita Yuki, sollevandosi sulle punte per poi lasciarsi ricadere di peso sui talloni.
La guarda. Fino a dieci minuti prima lo stava seguendo a capo chino, evitando il suo sguardo ogniqualvolta si voltasse a controllare che mantenesse un’andatura sostenuta.
Ora, invece, se ne sta ferma davanti al negozio ad osservarlo con cipiglio risentito ed impaziente.
“Ti muovi?!”.
E dà ordini!
Zoro digrigna i denti e costringe il suo corpo rigido a scollarsi dalla strada per compiere quei pochi passi che ancora lo separano dall’entrata.
“Finalmente ce l’hai fatta!” esclama, una punta d’irritazione nella voce, sbilanciandosi in avanti per poter aprire la porta ed entrare, rifiutando con un occhiataccia l’aiuto dello spadaccino che, infatti, torna ad stringere le katane, piuttosto scocciato.
L’aria, all’interno, è nauseante, pregna del profumo di fragola, panna, caramello e cioccolato.
Storce il naso, appena le sue narici colgono anche l’odore stomachevole di vaniglia, e rimane immobile sotto stipite, sperando che un leggero venticello ricicli l’ossigeno o meglio ne riempia il negozio, vista la sua assenza quasi totale.
“Chiuda la porta per favore!” gli intima la commessa dietro il bancone e lui, seppur reticente, obbedisce.
Intanto la piccola emette uno strillo eccitato, schizzando da una vetrina all’altra, con occhi colmi di meraviglia, ed indica i dolciumi di cui è ghiotta alla commessa, che sorride al suo entusiasmo.
Meno compiacente è Zoro. Il sacchetto di carta in mano alla donna si gonfia sensibilmente ad ogni “Questo” e “Quelli lì” e più le caramelle aumentano, più le sue tasche sembrano alleggerirsi.
“Tu non vuoi nulla?”.
Lo chiede con educazione e un pizzico d’ingenuità, Yuki, senza però voltarsi e vedere così la sua espressione schifata.
“A meno che non vendano rhum sotto banco, no grazie!” risponde piccato, marcando le ultime parole con la lingua premuta sugl’incisivi.
La battuta gli costa un’occhiata riprovevole da parte della venditrice, che scuote la testa senza smettere di pigiare i tasti della cassa. Quando gli passa lo scontrino, Zoro perde un battito, ma Yuki è già fuori a gustarsi alcuni bonbon e così paga, sbattendo violentemente le monete sul banco e guadagnandosi un altro rimprovero silenzioso. Non è proprio la sua giornata.
Tutto per colpa di Robin, che gli dovrà ben più di una birra!
Esce tra mille rimbrotti e un’ombra scura sul viso che scema non appena vede la piccola, dall’altro lato della strada, agitare le braccia e chiamarlo. Si affretta a raggiungerla, predicando più discrezione: l’ultima cosa di cui ha bisogno al momento sono gli sguardi dei passanti puntati su di loro. L’idea, poi, che tra questi possa nascondersi qualche suo compagno gli serra la gola, facendogli aumentare il passo.
“Dove vai?”.
Si volta, rallenta per scorgere quella mocciosa ancora ferma, s’arrabbia.
“Il patto era che ci spostassimo su una zona meno trafficata! Datti una mossa!” urla, dilatando le narici e respirando a fondo per cercare di calmarsi. Yuki, però, non sembra ascoltarlo.
Si ficca in bocca un bastoncino di zucchero, squadra annoiata lo spadaccino e gira i tacchi, prendendo la direzione opposta.
“Di qua! Quella è la direzione per il porto!”.
E, nel seguirla, la testa incassata tra le scapole per celare in qualche modo la frustrazione che gli smuove comunque lo stomaco, Zoro pensa che Robin gli dovrà molto, molto, molto più di una birra!
 
 
Giunti su uno spiazzo verde, fuori dal paese e dalle vie commerciali dell’isola, sente di potersi finalmente rilassare.
Così si accascia ai piedi di una grande quercia e, sistemate con cura le sue preziose spade, socchiude l’occhio, sperando che dove non è riuscito l’alcol, riesca il sonno. Una sottile brezza gli scompiglia i capelli e fa oscillare i suoi orecchini, producendo un lieve e confortante tintinnio, l’ultimo rumore che sente sempre prima di appisolarsi.
Tuttavia la piacevole pace che avverte viene ben presto soppiantata dalla sgradevole sensazione di essere osservato.
Quasi con timore solleva appena la palpebra, scoprendo di aver ragione.
Yuki, infatti, se sta immobile, davanti a lui, gustandosi con ingordigia un lecca-lecca e arriccia, all'improvviso, le labbra in quell’espressione contrariata che evidentemente tutte le donne possiedono fin da bambine e che non preannuncia nulla di buono.
“Non sei un granché. Sei rude, maleducato, pigro, irritabile e…”. Si sporge in avanti. “…detto tra noi, ti serve un bagno!”.
Sviscera quella sentenza con una naturalezza disarmante che lascia a Zoro giusto il tempo di comprenderne il significato, prima di rificcarsi in bocca lo stecco.
Un formicolio prende a corrergli lungo schiena per arrampicarsi poi sul collo e lì biforcarsi, afferrandogli le tempie, che iniziano a ingrossarsi e pulsare.
“Senti tu! Piccola…” sbotta, appigliandosi a quella poca pazienza rimastagli per evitare termini offensivi, che gli si bloccano sulla lingua, trattenuta, in via precauzionale, tra i denti.
L’immaginazione porta la bambina a pensare che lo spadaccino si gonfierà per poi esplodere come un palloncino di rabbia repressa, ma resta impassibile a fissarlo, trovandolo, in tutta sincerità, piuttosto buffo.
“Robin, invece, è bella…”.
Il corpo di Zoro pare ricordarsi solo in quel momento della forza di gravità, perché di colpo si rilassa, piegandosi contro il tronco.
“Cosa c’entra questo?!” inveisce.
“C’entra, c’entra…” riprende, come fosse custode di una verità a lui preclusa e, vista l’arcuatura delle sue sopracciglia, piuttosto ovvia.
“Allora…è bella o no?”.
Non ha nessuna intenzione di affrontare una conversazione simile, ma il tono imperioso della piccola è difficile da ignorare, chissà che prestandole attenzione per qualche minuto, si stanchi e lo lasci finalmente riposare. Così stira le gambe e incrocia le braccia dietro alla testa, meditabondo.
La sua esperienza riguardo alle donne è talmente ristretta da non permettergli un confronto, tuttavia pensa agli sguardi che Robin attira su di sé e per un attimo quel pensiero suscita in Zoro un insensato desiderio di possesso.
“Si, immagino di sì. A chi piace il tipo” sbuffa, seccato, perché, in fondo, il tipo piace anche a lui.
Yuki si schiarisce la voce. Ha un’altra constatazione. “Ed è intelligente!”
Su questo non ci sono dubbi. Prima d’incontrarla, infatti, non credeva possibile che una persona potesse leggere più di due libri in tutta la sua vita né che esistessero tante parole che vogliono dire la stessa cosa!
“Già…è l’unica al mondo in grado di decifrare una qualche lingua”. Rotea una mano in aria e sbadiglia, mentre lo sguardo della piccola si riempie e svuota nel giro di un istante: quella confessione aumenta i suoi dubbi.
“È paziente!”.
Indifferente sarebbe il termine più adatto, ma lo spadaccino emette comunque un verso di consenso.
“E furba!”.
“Già” schiocca la lingua, piccato. Purtroppo per lui!
“E poi è buona!”.
Zoro spalanca l’occhio e lo punta sulla fronda trafitta qui e là dai raggi del sole, il sopracciglio teso all’insù per dimostrare tutte le sue riserve al riguardo. Non è certo un esperto, ma crede che affidargli una mocciosa mentre è al culmine di bevuta non sia esattamente annoverabile tra le definizioni di bontà. “Dipende dai punti di vista!”.
La bambina lo fissa stranita per un secondo, ma rinuncia ad indagare oltre, ciondolando sul posto, esprimendo la propria perplessità con uno sbuffo che lui interpreta come il primo segno di una resa ormai vicina.
“E dimmi….è brava a combattere?”.
“È una che se la sa cavare…” sospira, pregustando il silenzio che la voce leggermente più fievole di Yuki preannuncia.
“Allora proprio non capisco!”.
L’urlo stridulo fora le orecchie di Zoro, facendolo sobbalzare di colpo per indirizzare uno sguardo sconcertato su quello irreprensibile della piccola, che tiene le labbra tanto serrate da apparire bianche e raggrinzite e la fronte aggrottata in una serie di rughe, raccolte in mezzo agli occhi in un solco di profondo dissenso.
Punta perfino i piedi a terra ed è tutta rigida, in posizione da rimprovero, con i pugni premuti ai fianchi e le trecce penzolati oltre le spalle, mentre lo squadra dall’alto al basso.
Lui solleva le mani senza uno scopo preciso, se non quello di proteggersi perché, dal modo in cui trema la sua bocca, ha capito che le prossime parole di Yuki usciranno in un tono tutt’altro che pacato. “Come fa una come Robin ad essersi innamorata di uno come te!”.
Ecco l’inattesa, imprevista, sconquassata deduzione che lo spiazza.
Zoro si concentra sul proprio respiro che si è incagliato in qualche risacca tra la gola e il fondo dei polmoni. Butta fuori l’aria e resta in apnea per qualche secondo, assumendo un buffo color porpora. Poi inspira più forte che può, al punto da sentire male ai muscoli del petto.
Il respiro, questa volta, scende con regolarità, ma non serve per far sparire la bambina che ha di fronte e i lineamenti contratti del suo volto che manifestano assoluta incredulità.
“Non…non…dire sciocchezze!” cerca di difendersi, nonostante la sua voce manchi di decisione ed esca come una serie di borbottii sconnessi.
“Non sono sciocchezze!” lo zittisce, perentoria. “Mamma guardava papà nello stesso modo e da quando non c’è più non l’ho più vista rivolgere a nessuno uno sguardo simile!”.
Quelle parole rimangono sospese tra loro, nel silenzio della valle, come una verità che nessuno ha voglia d’indagare o la forza di contraddire.
Poi una voce giunge in aiuto di Zoro, rimasto basito a fissare i suoi grandi occhi nocciola inumidirsi.
“Yuki!”.
Si girano. In fondo alla strada, una donna allarga le braccia e s’inginocchia, aspettando che la bambina la raggiuga per chiuderla in un abbraccio sollevato. “Mamma!” strilla e corre via, incurante delle caramelle che semina al suolo e dello spadaccino, bloccato nella stessa posizione da un tempo indefinito.
Le vede stringersi, scambiarsi alcune battute che non può udire, chinare il capo davanti a Robin in segno di riconoscenza.
È lei, ora, a riempire la sua intera visuale.
Bella. È il pensiero che lo sfiora e, si accorge, non per la prima volta.
Ma Robin non è bella perché ha gli occhi azzurri, i capelli lisci o le curve al punto giusto: la sua bellezza non può essere liquidata come semplice tratto somatico.
Robin è bella perché capace di far vedere ciò che è realmente, nonostante non assomigli a ciò che immaginava d’essere, perché possiede il fascino di chi ha conosciuto e sofferto la solitudine, ma non si è arreso alla disperazione, perché nasconde le sue fragilità dietro ai sorrisi, nonostante le labbra siano segnate da quanto ha perduto.

Le saluta con un gesto garbato della mano e volta, avanzando alcuni passi verso di lui, che pare non accorgersene.
Intelligente. Sarà sempre questo il divario incolmabile tra loro. È degradante ammetterlo.
Tuttavia l’intelligenza di Robin non si mostra nei libri che legge, ma nella sua sensibilità: non gliel’ha mai fatto pesare, neanche quando si burla di lui perché conosce troppo bene l’impotenza e la frustrazione che si prova nel sentirsi esclusi.

Nota alcune caramelle sparse a terra quasi fossero una scia e ne raccoglie un paio con uno sguardo incuriosito che diviene interrogativo nel momento in cui si rende conto da dove essa parta.
Paziente. È vero, ignora la maggior parte delle cose che non rientrino nei suoi interessi, ma aver coraggio non significa solo affrontare il proprio destino. Significa anche sopportarlo, resistere, pazientare. Nonostante l’attesa costi vent’anni.
“Vi siete divertiti allora…” commenta, agitandogli davanti al naso le carte vuote delle caramelle, che, a giudicare del colore della sua lingua, di un rosso acceso, erano alla fragola. La sua voce è melliflua, insinuante, una voce usata deliberatamente come uno strumento, che non ha niente d’impulsivo o di non premeditato.
Zoro solleva la testa di scatto.
Nel suo sguardo appare qualcosa d’insolito. Robin lo nota subito e distende la fronte, emettendo un verso di sorpresa.
“Affatto!” si affretta a dire, alzandosi e voltando il capo per cercare di nasconderle il viso, che sente vezzeggiato dal disagio. Uno stato di torpore che aumenta, quando s’incamminano verso il porto, dove, a detta di Robin, i loro compagni li stanno aspettando per il pranzo.
Discendendo lo sterrato, la studia, guardingo.
I suoi occhi chiari non lasciano intendere nulla di quanto ha supposto quella bambina impertinente. Lui almeno non riesce a scorgerlo.
“Sei strano”.
Lo è davvero. I suoi tendini sono in allerta, avverte le giunture scricchiolare e i muscoli rigidi appiccicati alle ossa, sintomi di un’emozione che raramente ha occasione di provare e che lo irretisce.
“Quella mocciosa era una seccatura!” bofonchia distratto, pensando che è inutile rimuginarci tanto, che le parole di Yuki erano solo frutto di una fervente immaginazione.
“Si” sospira lei, fermandosi e pinzandosi il mento con due dita, il gomito sorretto dal palmo che tiene conserto al petto, assumendo l’espressione pensierosa di chi sta elaborando una complicata teoria. “Faceva delle domande davvero indiscrete…”.
Il seme dubbio alimentato da quella considerazione lo blocca a pochi passi di distanza.
“È per questo che me l’hai affibbiata?!” sbotta, smosso dall’orgoglio, accecato dalla rabbia di aver subito l’ennesimo raggiro.
In tutta risposta, Robin, si mette a ridere, in un modo bellissimo, e ridendo si piega leggermente in avanti, arrivando a sfiorargli, con i capelli, la spalla, in un gesto che non ha nessun imbarazzo, ma solo sconcertanti esattezze.
Che Robin non è furba, ma diabolicamente astuta.
Che pretenderà con gli interessi il pagamento del pegno per lo smacco subito.
Che quella guastafeste con le treccine aveva torto marcio, perché lo sguardo di Robin non è mai cambiato. L'ha sempre guardato così.








Angolo Autrice
YEAHHHHHHHHH!!!!!! Ce l'ho fatta finalmente!!!! Ho aggiornato!!!! XD Ammettetelo non ci speravate più....beh nemmeno io! -.-
Eh, che dire...Come potevo resistere all'immagine di Zoro babysitterperungiorno? Credo che quell'episodio (sebbene filler) rimarrà per tutti i fan del paring uno dei più divertenti! Diciamo che io l'ho modificato, sfruttando l'idea per i miei loschi scopi...
Bene, sperando di non metterci un'altra vita a partorire una storia decente, vi lascio, augurandovi vi rivederci al più presto!

besos


ps: SCUSATEMI MOLTISSIMO PER IL RITARDO T___T
ps: per chi volesse comunque ho iniziato una nuova raccolta zorobin arancio-rossastra...se volete darci un'occhiata io non mi offendo ^///^
 

 
   

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