Dominick

di Dragon410
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Dominick appoggiò la pistola sulla scrivania e si lasciò scivolare sulla sedia di pelle nera. Sul tavolo, il fascicolo dell’ennesimo caso di omicidio attirava la sua attenzione come un più bello dei diamanti.
Avvicinò la sedia con le rotelline e, torturando con due dita la pietra azzurra che portava al collo, aprì il fascicolo: Ellen McQueen, diciannove anni.
Fece una smorfia quando i suoi occhi incontrarono la foto della ragazza che, come tutte le altre, era stata in sostanza sventrata. Un senso di nausea s’impossessò del suo stomaco e lei s’impose di non vomitare.
Quello era il sesto caso di omicidio in tre settimane e, se le cose fossero andate avanti in quel modo, ne avrebbe dovuti vedere ancora molti altri.
Per un secondo si maledì per essersi proposta di seguire quel caso.
Era chiaro che si trovassero davanti ad un Serial Killer che colpiva secondo uno schema ben preciso: gli omicidi erano avvenuti nelle serate di mercoledì e venerdì di quelle tre settimane; di fianco ai cadaveri era stata trovata la loro carta d’identità, senza la quale sarebbe stato impossibile effettuare un riconoscimento; erano tutte donne, per ora comprese tra i diciassette e i venticinque anni, ma apparentemente senza nessun nesso comune.
Dominick lasciò cadere di nuovo quel mucchio di fogli e lasciò scivolare la testa all’indietro, appoggiandola al bordo dello schienale: altri due giorni e un’altra donna sarebbe stata uccisa, forse per solo piacere personale.
Non avevano indizi su chi potesse essere il colpevole, ma ogni volta che arrivava un nuovo fascicolo lei provava un moto di rabbia investirle i sensi.
La più grande che era stata uccisa aveva la sua età: probabilmente doveva ancora laurearsi e aveva mille sogni nel cassetto che uno squilibrato le aveva strappato via.
Tornò con la testa per terra solo quando sentì bussare alla porta del suo ufficio: «Avanti…» la sua voce suonò stanca, arrendevole.
«Ciao, posso?» la donna sulla porta le sorrise e, quando Dominick annuì, entrò nella stanza con passo lento chiudendo la porta delicatamente.
«Hai visto il fascicolo?» le domandò.
Dominick alzò la busta: «Ho appena finito di esaminarlo, cosa ne pensi Katherine?».
«Esattamente quello che pensavo venerdì scorso, ossia che se non ci sbrighiamo a trovare il colpevole questa storia finirà male.»
Dominick si alzò in piedi facendo correre le mani sui jeans neri per farli scendere più dolcemente lungo le sue gambe lunghe: «Questa storia è già finita male, Kate.» le disse andando dall’altra parte della scrivania per poi sederci sopra accavallando le gambe.
«Donne come noi escono di casa solo in caso di estrema necessità. Non si vedono più bambini in giro e anche gli uomini iniziano ad avere paura. Alcuni cittadini si sono già trasferiti.» Kate la guardò facendo una smorfia di disapprovazione.
«Non possiamo biasimarli. La Polizia è troppo impegnata a coprire la nostra unità, non possono in contemporanea fingere di lavorare al caso.»
L’unità di cui Dominick faceva parte era segreta e volta a garantire la massima sicurezza ai cittadini in casi in cui, come quello, la Polizia non avesse avuto le competenze adatte.
«Ho parlato con il capo, questa mattina- disse Kate facendo qualche passo verso di lei- dice che se le cose andranno avanti così ancora per molto saremo costretti ad uscire allo scoperto.»
Dominick irruppe in una risata ironica e quasi isterica: «Se siamo sempre riusciti a lavorare come abbiamo lavorato, è solo perché non abbiamo nessuno che ci stia addosso.»
Kate spostò una ciocca dei suoi capelli biondi dietro all’orecchio e Dominick lasciò cadere a penzoloni le sue gambe, guardandola.
Tra di loro c’era sempre stata più di una semplice amicizia, dalla prima volta in cui si erano conosciuto nella base dell’unità: da una parte c’era Dominick che era una donna affermata, piena di obbiettivi e voglia di fare, contenta di poter camminare a testa altra senza nascondere il suo orientamento e dall’altra parte c’era Kate, timida, insicura, infallibile arma dell’unità ma troppo spaventata da quello che provava per poter anche solo pensare di darle un bacio sulla guancia davanti ad altre persone.
«Lo so Dominick, ma mettiamo in pericolo migliaia di persone là fuori.» disse Kate puntando il dito verso la finestra.
«Trentamilasettecentoquarantatre, per la precisione.» disse lei saltando giù dalla scrivania. Iniziò a camminare attraverso la stanza nervosamente, passando una mano tra i ciuffi dei capelli corti che andavano un po’ dove volevano.
«Trentamilasettecentoquarantadue, senza l’uomo o la donna che c’è dietro a questi omicidi.»
Dominick annuì, fermandosi davanti alla finestra del suo ufficio. Erano le tre del pomeriggio, eppure il marciapiede sotto il palazzo era semivuoto.
Tutti chiusi in casa con i lucchetti alla porta per paura di perdere la cosa più cara che aveva: la vita.
«Lo prenderemo tesoro, vedrai.» Kate era andata verso di lei e le aveva messo una mano sulla spalla per rassicurarla, parlando a bassa voce. Aveva paura che qualcuno potesse scoprire il loro segreto da un momento all’altro. In fondo, erano in mezzo a detective.
«Sì, ma quando?- disse Dominick girandosi di scatto- Quante donne dovranno ancora morire prima che commetta un passo falso che ci permetta di avere uno straccio d’indizio?!» una ruga si era formata in mezzo alla sua fronte.
Kate abbassò lo sguardo e si allontanò da lei, timorosa che qualsiasi cosa avrebbe potuto dire sarebbe stata scontata e inutile.
Dominick tornò a sedersi dietro la scrivania e ricominciò ad esaminare tutti i casi ricondotti al serial killer; cercava disperatamente un appiglio, anche un minuscolo granello di polvere che potesse darle un punto di partenza.
«Chi sono gli addetti alla ronda, venerdì?» domandò Kate sedendosi di fonte a lei e prendendo una scheda a caso per aiutarla.
«Le squadre K, M, X1 e D. Sono in totale una centinai di corpi.»
«Potremmo uscire a cena ed approfittarne per dare un’occhiata in giro.» azzardò Kate.
Dominick scosse il capo ancor prima che lei potesse finire di parlare: «Il capo ci vorrà qui, nella speranza che trovino quel bastardo.»
Si fermò per un secondo a pensare che, tra un caso e l’altro, fosse davvero da tantissimo tempo che non passavano una serata insieme, ma non poteva assolutamente permettere che qualcosa la distraesse dal suo incarico. Inoltre, Kate era stata aggiunta alla sua squadra, che era la principale di quel caso: il capo si era accorto che in azione avevano una grande intesa e riteneva sprecato assegnare Kate ad un altro caso quando poteva essere così utile a quell’operazione, ma per Dominick quella era solo una preoccupazione in più. Averla così vicina in una situazione così delicata e di grande stress emotivo la costringeva a pensare a che cosa sarebbe stato di lei se a Kate fosse successo qualcosa. Era un pensiero che odiava fare, ma era troppo affezionata a lei per permettere che qualcosa nuocesse alla sua salute.
«Ma com’è possibile che le telecamere non abbiamo ripreso nulla?»
Dominick sorrise a quella domanda: «In questi casi la tua impulsività è, se possibile, ancor più palese, ma posso accettare la domanda visto che ancora non hai fatto sopraluoghi insieme a me- fece una breve pausa, godendosi quello scambio di sguardi scherzoso- Segue uno schema preciso in tutto, compreso il luogo dell’omicidio che, probabilmente, studia in precedenza. In tutti i sei casi, infatti, l’omicida ha agito in una prospettiva tale da non essere ripreso da nessuna telecamera.»
«È sicuramente un esperto, ma deve conoscere bene il posto. Insomma- disse chiudendo la cartella- questa città è piena di viuzze secondarie e vicoli cechi.»
Dominick annuì, lanciando una rapida occhiata all’orologio appeso al muro: «È un cittadino, non c’è dubbio. Ma queste sono cose che già sappiamo.» disse svitando il tappo dalla bottiglia d’acqua che era sulla scrivania e bevendone un sorso.
«Non abbiamo in mano nient’ altro, Dominick. Possiamo solo aspettare e sperare che decida di non uccidere più, ma in quel caso rimarrebbe a piede libero.»
Dominick capì immediatamente quello che Kate intendeva dire: dovevano aspettare un altro omicidio e sperare che facesse un passo falso, che lascasse un segno. Era l’unico modo che avevano per mandare avanti le indagini. Anche se a discapito di una settima donna.
Non le era mai capitato un caso del genere: non era nuova nel campo, ma era sempre riuscita a prendere chiunque prima del quarto omicidio.
Quello che la tormentava era che, se non ci fossero riusciti loro, nessuno avrebbe potuto fermarlo.
«Il profilo psicologico è arrivato?» domandò Kate.
«No, non sarà pronto prima di lunedì.»
Dominick aveva voglia di fumare. Aveva smesso da poco più di due anni e le sarebbe dispiaciuto cedere, ma era l’unica cosa che l’avrebbe calmata.
«A quel punto almeno avremo in mano qualcosa di concreto.»
«Oh sì, un foglio di carta pieno di teorie!» sbottò Dominick.
Le lancette dell’orologio segnarono le quattro e Dominick si alzò. Poco dopo, Kate fece lo stesso.
«È ora di stimbrare.- disse infilando la pistola nella fodera appesa alla cintura- Andiamo a casa. Di filata.»
Per quanto Dominick cercasse di nasconderlo, era irrequieta esattamente come tutte le altre donne della città: in fondo, avere una pistola non faceva di loro due immortali.

Ad un paio di km di distanza, una figura china in una stanza buia aveva un pennarello rosso in mano; pigiando con tutta la forza che aveva, cerchiava un punto ben preciso sulla mappa della città.


 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Davanti alla finestra del suo ufficio, Dominick si accorse che quel venerdì era arrivato più veloce del previsto: un forte vento soffiava impetuoso e faceva sbattere le imposte di tutti gli edifici lì vicino, mischiandosi a una pioggerellina che presto sarebbe sicuramente diventata grandine.
Nascose il viso nello sciarpone di lana mentre un angosciante senso d’impotenza s’impossessava di lei.
Un ragazzo, piuttosto giovane e di forte corporatura, fece capolino dalla porta dell’ufficio senza bussare: «Dom, hai qualche minuto per me?»
Lei si voltò e gli sorrise: «Sì Lucas, chiudi la porta.»
Lucas era il suo più grande amico fin dai tempi in cui erano ancora quasi neonati; avevano sempre fatto tutto insieme, compreso l’entrare nell’unità speciale di cui facevano parte.
Lui chiuse la porta alle sue spalle e si sedette su una delle due poltroncine di fronte alla scrivania ancora piena di documenti.
Lei gli scompigliò la chioma bruna e riccia, poi si sedette dall’altra parte.
«Sei arrivato presto stamattina, come mai?» lo prese in giro.
Solitamente, Lucas era un gran ritardatario e non si scomponeva per caricare la sveglia, o scrivere un promemoria: «Forse ho qualcosa per te.» disse serio.
Dominick fu dominata da una scossa; era abituata a vederlo sempre sorridente ma imparziale, anche in momenti in cui, come quello che stavano attraversando, sembrava non esistere una soluzione plausibile. Eppure nei suoi occhi c’era qualcosa di nuovo e terrificante. Ora che ci faceva caso, Dominick poté notare che era bianco come la tinta del soffitto.
Si appoggiò con i gomiti sulla scrivania e si sostenne la testa: «Ok, ti ascolto.»
Lucas respirò profondamente: «Ti ho inviato una mail, ma a quanto pare non l’hai letta eh?»
Lei scosse il capo e continuò a rimanere in silenzio.
«Ho scoperto qualcosa, sul nostro caso. Hai le foto dei corpi, qui?»
Dominick cercò di nascondere quella curiosità che l’attanagliava e aprì il primo dei tre cassetti: ne estrasse una busta gialla accuratamente sigillata. La porse a Lucas e lui, con non troppa attenzione, l’aprì e estrasse tutte le foto delle donne che, per un motivo ancora sconosciuto, avevano perso la vita così tragicamente.
«Cosa noti?»
Lei sbuffò, ora notevolmente innervosita: «Niente, come ogni volta che le esamino.»
Lucas accennò un sorriso compiaciuto, consapevole di aver centrato nel segno: «Solo perché è un particolare troppo piccolo.»
Dominick lo guardò interrogativa, cercando di rubargli con gli occhi quella sua sicurezza che tanto desiderava avere.
Lucas afferrò un pennarello rosso indelebile dal portapenne e iniziò a fare piccoli cerchi su ogni foto.
Pian piano, come se fosse una magia, Dominick iniziò a vedere e comprendere ciò che aveva sempre avuto sotto il naso: un particolare così piccolo e solitamente inutile che nessuno aveva notato. Ogni donna, nessuna esclusa, aveva una cicatrice di grandezza diversa sulla mano.
Ogni corpo dell’unità possedeva quelle foto, eppure solo Lucas aveva dimostrato abbastanza elasticità mentale e visiva per notarle.
«Lucas, sei un genio.» sussurrò.
«Non sono ancora sicuro, Dom. Ne ho parlato solo con te e campa tutto ancora per aria. Dobbiamo aspettare questa sera, per forza.»
Lei abbassò lo sguardo, consapevole che il suo migliore amico aveva ragione: poteva ancora essere solo una coincidenza, anche se lei non lo pensava e non lo credeva. Dovevano lasciar morire un’altra donna per salvarne chissà quante altre.
«Dom, devi dare l’ordine di non intervenire sul campo questa sera. Si fidano tutti di te, sono sicuro che non faranno domande.»
Lei si passò una mano tra i capelli: «Forse i miei uomini no, ma il capo sì. Dovremmo renderlo partecipe»
«No!- Lucas quasi urlò, secco- l’ho detto a te perché mi fido. Sono un tuo uomo, non del capo.»
Lei sospirò indecisa: sapeva che Lucas si fidava solo di lei e faceva riferimento solo a lei.
«Lucas, se faccio le cose di nascosto rischio il posto. E a quel punto dovrai per forza fidarti di lui.»
Lui scattò in piedi, furibondo: «Dominick, sono sicuro che ci sia qualcosa di grosso in gioco! Ti prego!»
Lei accavallò le gambe, continuando a osservarlo nel suo sfogo quasi isterico. Lucas aveva un conto in sospeso con il loro capo ormai da un paio di anni: il capo stava portando avanti, al tempo, un azione contro una società pseudo mafiosa che cercava di riciclare denaro sporco dalla vendita di sostanze stupefacenti troppo dannose. Il boss era riuscito, ancora non si spiegavano come, a rapire alcune persone vicine a coloro che facevano parte dell’operazione di sventramento, tra loro la sorella di Lucas. Non erano riusciti a salvarla.
«Non posso ordinare ai miei uomini di non agire, non senza scavalcare il capo. Non posso farlo, Lucas.» disse, arresa, senza trovare il coraggio di guardare gli occhi delusi del suo migliore amico.
«Dom, io mi fido solo di te e so per certo che sei l’unica persona che può fermarlo, o fermarla.»
Ma Dominick non lo ascoltava più: si era rabbuiata, gelata, isolata da Lucas e dai rumori che provenivano dalla strada.
Lucas si avviò verso la porta e l’aprì: «Pensavo avresti capito…»
«Lucas- disse lei fissando improvvisamente gli occhi nei suoi- Kate… anche lei ha una cicatrice sulla mano. Ed è ben visibile.»
Il ghiaccio del polo nord sarebbe stato più caldo di quell’affermazione.


Il pomeriggio stesso, Dominick era ferma davanti alla porta dell’appartamento di Katherine. Avevano deciso, insieme a Lucas che era sempre stato a conoscenza della loro relazione, di non dirle niente su quello che sapevano, ma di cercare di capire se lei avesse notato qualcosa di diverso, di strano. Lucas era riuscito a convincere Dominick a parlare con i suoi uomini e avevano raggiunto un accordo: gli uomini avrebbero comunque fatto le loro ronde, in borghese, ma senza dare nell’occhio e senza intervenire se non avessero avuto la certezza di trovarsi davanti all’omicida.
Dominick salì le tre scale e suonò il campanello.
Avevano parlato dell’andare a convivere, qualche tempo prima, ma Kate continuava a essere insicura; Dominick aveva imparato, a fatica, a non dubitare del suo amore, ma a sopportare anche le sue debolezze.
Katherine aprì la porta, aveva gli occhi arrossati e stanchi.
«Ehi, stai bene?» le domandò entrando.
La casa di Katherine era un piccolo monolocale abbastanza spoglio da mobili e oggetti che, stando molto tempo in ufficio, non avrebbe utilizzato.
«Ho dormito male, i gatti della vicina sono in amore e hanno miagolato tutta la notte.» disse avvicinandosi a lei.
Dominick schiuse le labbra e, prendendo dolcemente il suo viso tra le mani, la baciò con leggerezza ma desiderio.
Continuava a essere inquieta dopo la discussione con Lucas: per lei era stato terribilmente difficile lasciarsi andare a una nuova relazione, abituarsi a rendere conto non più solo a sé stessa ma anche a un’altra persona, a prendersi cura di un angelo.
Ma l’aveva fatto, combattendo contro il passato.
L’idea di non poter far più abbastanza per proteggerla la incatenava nell’abisso del buio.
Prese la mano destra della donna che amava e tastò la cicatrice con un dito.
«Dominick, sei bianca… che succede?» Kate le accarezzò una guancia con il palmo della mano e lei simulò un sorriso tranquillo.
«È tutto okay, davvero. Solo che ieri non ti ho vista e mi sei mancata.»
Katherine si lanciò sul divano e si sdraiò; la canottiera aderente salì e lasciò intravedere il suo ventre perfetto.
«Sono stata fuori per una piccola rapina. Sembrava che il ladro avesse con sé una bomba, ma si è rivelato tutto fondato.»
Dominick si appoggiò al muro. Durante il percorso per arrivare da lei aveva pensato a centinai di scuse per convincerla a non uscire più da sola, o almeno uscire armata. Ma la cosa realmente difficile stava nel convincerla a non intervenire più nelle indagini.
«So che ti sembrerà strano, ma vorrei chiederti se hai notato qualcosa di strano qui in giro, ultimamente.»
Lei si sollevò e si sostenne con i gomiti. Aveva lo sguardo interrogativo: «Cosa mi stai nascondendo, amore?»
«Oh, nulla- rispose subito agitando le mani- vorrei solo assicurarmi che tu non sia in pericolo.»
Katherine sospirò, arresa all’idea che non le avrebbe rivelato niente su quello che le passava per la testa: «Dom, tu hai paura che io non sia al sicuro, ma dimentichi che anche tu sei una donna. E finché non sapremo che cosa spinga quell’assassino, siamo entrambi ottimi bocconi.»
Lei la pregò con lo sguardo di fare la seria e Katherine intuì che non scherzava: «Non ho notato niente di strano, comunque- finì per dire- solo una macchina che non avevo mai visto, qui a fianco, ieri sera.»
Quello non era un particolare preoccupante: una delle sue vicine era una prostituta e spesso portava a casa persone diverse.
Il cercapersone di Dominick suonò; i suoi uomini avevano appena iniziato con le ronde.
«Senti, io ora devo andare, ma tu promettimi una cosa…»
Katherine si alzò e si avvicinò a lei. Dominick la strinse forte a sé, con decisione: « Promettimi che starai attenta. E stasera rimani a casa, siamo già in abbastanza.»
Lei si trovò parecchio confusa: «Come vuoi, troverò altro da fare.» mentì.
Dominick le baciò la fronte e, probabilmente, finse di crederle.


Quando uscì dall’appartamento, il sole stava calando e lei provò un brivido; si guardò in giro, con la netta sensazione di essere seguita. Ma l’unica cosa che vide fu la sua ombra.
Salì nella sua monovolume e guardò l’ora; stava per colpire, o l’aveva già fatto.
Studiò nella mente la strada che avrebbe dovuto controllare e svoltò l’angolo per entrare in tangenziale: spinse l’acceleratore al massimo e mise gli auricolari all’orecchio.
Stava cercando in tutti i modi di accettare che un’altra donna sarebbe dovuta morire per forza.
Immaginò tra le foto dei decessi anche quella di Katherine e trattenne un conato di vomito. Superò un auto e, afferrato il cellulare, compose il numero di Lucas.
«Dove sei?» le chiese subito lui quando rispose.
«Sto per iniziare il mio giro. Ho parlato con Kate, credo che per stasera non si muoverà di casa. Non durerà molto, comunque: credo che da domani dovrò mettere un paio di uomini di guardia.»
«Senti, io ho la parte a Ovest, sono con qualche uomo. Qui per ora è tutto tranquillo. E per Kate vedremo domani come muoverci.»
Dominick accostò in una piazzola e spense l’auto: «Io sono arrivata ora. Ho una delle parti a Est, sono sola. Sono vicina al luogo dell’ultimo omicidio, non credo che accadrà niente. Ci sentiamo più tardi.»
Riagganciò la telefonata e estrasse la pistola dalla fodera per caricarla; fuori tutto era deserto, mosso solo dal vento costante. Le imposte delle finestre erano chiuse in ogni abitazione e solo pochi lampioni illuminavano quell’angosciante silenzio.
Scese deglutendo e nascose la pistola nella giacca, cercando di tenerla il più possibile a portata di mano.
Il suono dei suoi passi rimbombava ovunque, tra i muri di mattoni di quella viuzza che aveva appena iniziato a percorrere. Era quasi sicura che quello non sarebbe stato il luogo in cui avrebbe colpito, troppo vicino a quello precedente, ma non poteva fare a meno di guardarsi indietro a ogni passo.
Svoltò un angolo con la pistola tesa e si voltò di scatto quando un gatto nero fece cadere e rotolare rumorosamente una lattina.
Aveva i nervi tesissimi e le orecchie pronte a captare ogni rumore strano, diverso, pericoloso.
Era inghiottita dal buio e dalla sua stessa ansia.
Quando il suo cercapersone suonò, lei trasalì e si appiattì contro il muro con il fiato affannato.
“Zona Ovest” e il numero di Lucas, ecco cos’era comparso sul piccolo schermo.
“Attendete ordini.” Inviò.
Corse a ritroso verso l’auto, consapevole che un’altra donna era appena passata a miglior vita.
Accese le sirene e corse, dentro la sua auto, verso il luogo dell’omicidio. Cercava di respirare con più calma, senza però riuscirci. Era impossibile per lei.
Quando arrivò sul posto, una folla lì intorno si era radunata per cercare di vedere il cadavere e Dominick fu certa, in quel momento più che mai, che dopo quella sera sarebbero dovuti uscire allo scoperto.
Si fece largo tra la folla e oltrepassò il nastro rosso.
Un uomo dei suoi era chino sul corpo per finire di raccogliere indizi, che sicuramente non avrebbe trovato.
Sorvolò sul cadavere che avrebbe osservato più tardi e si concentrò sulla voce di Lucas che sbraitava contro qualcuno.
Dominick avvampò: Katherine era lì, nonostante gli avvertimenti, che litigava con lui.
«Che cazzo ci fai tu qui?» urlò Dominick andando verso di loro.
Lucas alzò le mani in segno di resa.
«Manda qualcuno tra la folla, Lucas. Qualsiasi persona stia guardando verso la nostra direzione dovrà essere portato in centrale da noi per essere interrogato.» ordinò.
Era arresa all’idea di dover mettere a conoscenza Katherine di quello che stava rischiando.
Lucas si allontanò e Dominick lo seguì con lo sguardo finché non raggiunse il cadavere e non controllò le mani della donna che giaceva in una pozza di sangue. Quando alzò il viso, si capirono solo con uno scambio di sguardi.
«Ora ascoltami bene- disse Dominick voltandosi verso Kate- metti le mani nelle tasche della giacca e assicurati che la tua cicatrice non sia visibile.»
«Ma che cosa…»
L’azzittì: «Fa come ti dico! Ora ti faccio accompagnare a casa da Lucas e lui ti spiegherà quello che devi sapere per forza, non oltre. Io vi raggiungerò appena avrò finito.»
«Come vuoi.» rispose lei senza fare domande.
Dominick spiegò a Lucas quello che doveva fare e gli ordinò di portare con sé altri due uomini. Li avrebbe raggiunti al più presto, quando avrebbe finito con il cadavere.
Con una pacca sulla spalla, gli affidò ciò che di più caro aveva al mondo.
Tra la piccola folla nessuno aveva notato qualcuno particolarmente interessato a Katherine, ma Dominick lo sospettava. Era comunque convinta che l’avesse vista e presa di mira, nascosto da qualche parte in un angolo buio e in disparte.
E non sbagliava.
L’omicida aveva visto Katherine non appena era arrivata sul posto, l’aveva fotografata e messa nella sua lista. Aveva assaporato con dolcezza l’immagine del momento in cui avrebbe sporcato le sue stesse mani con il sangue di quella donna.
E ora, ancora ben nascosto, osservava la cura con cui Dominick cercava, inutilmente, di proteggerla.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


China sul cadavere completamente squarciato e pieno di sangue, irriconoscibile, osservava il volto ormai inesistente della ragazza.
Questa volta il serial killer si era superato; grazie alla carta d’identità della giovane, avevano potuto apprendere che aveva appena compiuto diciassette anni. Era poco più di una bambina che era stata privata di tutto.
Dominick si alzò in piedi cercando di calmare l’ansia che le aveva catturato lo stomaco: sapeva che avrebbe dovuto contattare i genitori e parlare con loro. Il giorno dopo, tutta la città sarebbe venuta a conoscenza di ciò che l’unità aveva cercato di nascondere per facilitarsi il lavoro. Tutta la popolazione avrebbe smesso di fidarsi del governo che, per una vita intera, aveva tenuto al sicuro quella formazione.
Dominick appoggiò una mano sulla spalla dei suoi uomini; era il più giovane di tutti quello era il primo caso al quale lavorava.
«Facci l’abitudine, per quanto è possibile. Contatta i suoi genitori, li voglio vedere domani mattina. Poi va a casa e cerca di dimenticare tutto almeno per stanotte, d’accordo?»
Lui annuì, visibilmente in preda all’orrore.
Lei si allontanò e oltrepassò il nastro rosso. Doveva raggiungere Kate e Lucas al più presto e trovare un modo per metterla al sicuro, almeno fino a quando lo psicologo non avrebbe inviato la descrizione del profilo psicologico dell’omicida. Ciò sarebbe accaduto il lunedì successivo.
Lungo la strada verso l’appartamento, Dominick non riusciva a togliersi dalla testa il fatto che la foto di Kate fosse finita nella lista nera. Come aveva potuto permetterlo?
Troppe donne avevano perso la vita in quell’inferno, troppe donne rischiavano di perderla ancora. Dovevano continuare a combattere, senza però sapere come. Quella sera aveva più volte provato il desiderio di arrendersi, di scappare con Kate dall’altra parte del mondo per metterla al sicuro, ma non erano due vigliacche. Eppure continuava a non riuscire a concepire come quel mostro potesse permettersi di giocare con la vita di altre persone, quasi come fosse un Dio; non riusciva a immaginare il suo viso nemmeno se si concentrava, né poteva pensare a un motivo valido e logico che lo portasse a compiere determinate azioni.
Scosse il capo per allontanare quei pensieri e parcheggiò l’auto a qualche centinaia di metri dall’appartamento per percorrere la strada che vi conduceva a piedi e dare un’occhiata in giro. Probabilmente non avrebbe notato nulla di strano o diverso dal solito, ma vale la pena assicurarsene.
Camminava lentamente, nel buio della notte, con la giacca di pelle aperta che lasciava intravedere la sua maglietta bianca leggermente scollata. I suoi occhi neri si mimetizzavano nel buio; a vederla così, poteva sembrare la persona più tranquilla del mondo. In realtà, dentro stava morendo poco a poco.
Quando raggiunse le scalette che portavano alla porta d’entrata, fu abbagliata da una macchina che velocemente accese e spense le luci: i suoi uomini erano lì, le erano vicini.
Bussò alla porta e Lucas aprì di scatto con la pistola carica tesa verso di lei: «Oh, Dom. Scusami.» disse, imbarazzato molto visibilmente, abbassando la sua arma.
Lei agitò la mano in segno di non curanza ed entrò; Kate si era assopita sul divano in posizione fetale.
«Le hai detto tutto?» domandò voltandosi verso Lucas.
«Tutto quello che ho potuto, tutto quello che ho ritenuto giusto dirle, ma credo che non lascerà le indagini.»
Dominick sembrò non ascoltarlo nemmeno: si era avvicinata al divano e ora stava accarezzando i suoi capelli. Sembrava davvero una bambina persa nel suo mondo; tutto sarebbe stato quasi perfetto e dolce, se solo non si fosse dovuta svegliare a breve.
«Lucas, puoi andare se vuoi. Ora rimango io.»
Lui si appoggiò al muro e osservò Dom; erano entrambi tristi, se non arresi. Lucas, come Dom, si era affezionato molto a Kate: oltre a essere una collega perfetta, era davvero una persona degna di essere chiamata così. Si prodigava per gli altri come pochi hanno il coraggio di fare.
«Non me la sento di lasciarvi qui, Dom.» disse lui, quasi supplicandola di accettare il suo aiuto.
Lei sembrò rifletterci qualche istante; odiava mettere in pericolo la vita degli uomini che le erano stati affidati, soprattutto se quell’uomo era il suo migliore amico.
Ma non poteva impedirglielo. Inoltre, lei si sentiva più sicura grazie alla sua vicinanza, quindi decise di acconsentire: «D’accordo, ma ho una cosa da chiederti.»
Aveva deciso di rigirare la cosa a suo favore e Lucas, con un cenno, le segnalò che poteva proseguire: «Voglio che tu vada a parlare con il capo e gli spieghi la situazione per quella che è. Domani saremo su tutti i giornali e lui è incosciente di tutto.»
«Scordatelo.» disse tranquillamente, convinto che Dom stesse scherzando.
«Lucas, non te lo sto chiedendo d’amica: te lo sto chiedendo come tuo capitano.»
Lui sembrò sbiancare e barcollò, ma mantenne il controllo al meglio: «Come vuoi, capitano.» sibilò a denti stretti, rabbioso.
Lei accennò un sorrisino, convinta che quella sua reazione sarebbe passata in breve tempo: «Ora va da lui, avvertilo telefonicamente mentre sei per strada. Spiegagli ogni cosa nei minimi particolari. Solo allora potrai tornare qui.» ammiccò.
Lui digrignò i denti e la minacciò con lo sguardo che ardeva di rabbia; sapeva di non poter ribadire, non se Dominick aveva chiaramente preso la posizione di suo superiore.
Così, senza replicare, uscì di casa maledicendo quella situazione così irreale.
 
Durante il percorso verso la casa del capo, Lucas lo aveva contattato telefonicamente per avvertirlo del suo arrivo imminente.
Ora che si trovava davanti a lui nello studio della sua villetta, si sentiva piccolo come una formica; l’uomo che aveva di fronte era il colpevole della morte della sua adorata sorella.
Il capo della società, un uomo brizzolato sulla cinquantina, l’aveva ricevuto in vestaglia da notte. Era assonnato, o così sembrava.
Lucas tentò, per Dominick, di reprimere l’odio che provava nei confronti di quell’essere che non poteva considerare uomo. Cercò di spiegargli, nei minimi particolari, tutto quello che era accaduto senza riuscire a guardarlo un secondo negli occhi.
Quando finì di riportare tutte le vicende, che avevano davvero dell’irreale, il capo si alzò in piedi e iniziò a camminare avanti e indietro per la stanza; non sembrava né preoccupato né colpito…solo pensieroso.
«Senti, ragazzo- iniziò a dire improvvisamente fissando gli occhi nei suoi- riferisci a Dominick che, d’ora in poi, non dovrà più far riferimento a me per questo caso. Le do in mano tutto, tutti coloro che si occupano della questione. Prenderete ordini solo da lei e da nessun altro. Comunque, aggiungi che avrà presto mie notizie.»
Lucas si trovò, nuovamente e molto negativamente, colpito da quell’uomo. Aveva preso una decisione incomprensibile e inspiegabile.
Lucas ammise, tra sé e sé, che quell’uomo poteva benissimo essere uno psicopatico.
«Come vuole, signore.» disse con insicurezza e sfiducia.
Il capo si avvicinò e gli fece cenno di uscire dallo studio.
Quando Lucas aprì la porta, si trovò davanti una donna che era in procinto di bussare; era poco più giovane del capo. Probabilmente era sua moglie. Lucas non l’aveva mai vista.
«Scusatemi- si affrettò a dire lei- George, non ti ho sentito e mi sono spaventata.»
Il capo passò oltre a Luca per potersi avvicinare a lei e posò, dolcemente e delicatamente, una mano sulla spalla: «Va tutto bene, Amanda. Questo è Lucas, uno dei miei uomini. »
Quando si strinsero la mano, Lucas non poté far a meno di analizzare con sguardo critico la mano della donna: sarebbe stata perfettamente liscia, non fosse stato per una minuscola e quasi invisibile cicatrice che, per un paio di millimetri, percorreva per il lungo il pollice della sua destra.
Eppure, quando aveva parlato al capo della questione della cicatrice, lui non aveva fatto nemmeno una smorfia.
“Probabilmente- pensò Lucas- lui non se n’è nemmeno accorto." Sono io quello troppo attento ai particolari.”
Lucas lasciò la villetta pochi minuti dopo; sulla pelle la sensazione di essere marchiato.
 
Nel frattempo, Kate si era svegliata dopo un incubo che aveva definito terribile. Dominick era lì, di fianco a lei, che continuava ad accarezzarle i capelli nel tentativo di calmarla.
Aveva sognato nient’ altro che il suo omicidio: il suo corpo martoriato che giaceva su un marciapiede, sotto la pioggia, e lei che fluttuava sopra di esso più leggero di una foglia.
Aveva paura, ma cercava inutilmente di nasconderlo. E Dom, per quanto tentasse di rassicurarla, non riusciva a togliersi dalla testa e dal corpo quell’odiosa sensazione d’impotenza.
«Mi ucciderà!» singhiozzò, incapace di resistere oltre.
«Non lo farà, ti proteggeremo, te lo prometto!»
Kate si strinse a lei lasciandosi finalmente andare in un pianto sconnesso e semi isterico. Non avevano più un equilibrio, un motivo per pensare che una via d’uscita l’avrebbero trovata. Si sentivano come in un labirinto dal quale nessuno era mai riuscito a uscire vivo.
Quando sentirono bussare, Dominick andò ad aprire convinta che dall’altra parte avrebbe trovato Lucas.
Quando vide il viso di Mark, uno degli uomini che erano stati destinati alla sorveglianza, per una strana ragione le si raggelò il sangue nelle vene.
«Mi dispiace disturbarti, ma ho ricevuto una chiamata del capo. Mi ha incaricato di riferirti una cosa.» fece poi una breve pausa e, solo allora, Dominick notò che aveva gli occhi lucidi.
«Di che cosa si tratta?» aveva il cuore in gola.
Kate la raggiunse e osservò gli occhi di Mark.
«Si tratta di Lucas.»
A Dominick non servì altro: «Non muovetevi da qui finché non sarò tornata, per nessun motivo.» ordinò secca.
Si voltò per un secondo per guardare Kate poi, con una velocità che credeva impossibile, si fiondò verso l’auto.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Correva sulla provinciale con una velocità tale da faticare nel vedere le poche altre auto che, in piena notte, tornavano verso casa. L’unica cosa che riusciva a solidificare nella sua mente era l’immagine di Lucas, morto chissà dove per chissà quale motivo; forse aveva capito qualcosa, ma come aveva fatto il serial killer a saperlo?
Forse lo seguiva, ma quello non era il suo modo di agire.
Pigiò violentemente sul clacson quando un’auto le tagliò la strada; la superò continuando ad accelerare incurante dei limiti di velocità.
Pregava di poter trovare il suo migliore amico ancora vivo, di poterlo abbracciare ancora una volta.
Ma negli occhi di Jones aveva visto la verità: il suo migliore amico non sarebbe più stato al suo fianco, se non nel suo cuore.
 
Quando arrivò nel luogo dell’incidente, l’ambulanza aveva appena caricato il corpo ormai privo di vita di Lucas.
Dominick uscì dalla vettura barcollando e andò verso il dirupo dal quale Lucas era uscito dalla strada. Intorno a lei tutto era diventato silenzioso: ogni uomo dell’unità presente sapeva bene che rapporto ci fosse tra i due. Tutti stavano rispettando quel momento terribilmente struggente.
Dominick era caduta a terra in ginocchio e urlava contro il cielo che, quella sera, sembrava aver deciso di spegnersi e privarsi della luminosità delle stelle. Anche lui la rispettava.
Urlava come una matta e sbatteva i pugni a terra con veemenza. Urlava il nome di Lucas come se servisse a riportarlo indietro. Si chiedeva come avesse potuto abbandonarla così, come se di lui non ci fosse più bisogno.
Quando si sentì afferrare per le spalle cercò, dimenandosi, di divincolarsi. Sperava fosse lui, ma sapeva che non lo era.
«Lasciami!!» urlò.
Quando si voltò, George la stava guardando con un’espressione davvero dispiaciuta.
«Tu…» disse lei a denti stretti alzandosi in piedi. Estrasse la pistola e la puntò verso il suo viso solo dopo averla caricata.
«Dominick, abbassa la pistola.»
«Tu sei stata l’ultima persona che ha visto Lucas.» disse senza celare la provocazione e il sospetto.
Lui si passò una mano tra i capelli e fece un passo indietro, probabilmente facendo solo finta di non cogliere la provocazione: «Farò finta di non aver sentito quello di cui mi hai appena accusato.»
Lei abbassò l’arma e si fece da parte mentre un meccanico specializzato scendeva lungo il burrone per esaminare l’auto quasi completamente distrutta.
«So che tenevi molto a quel ragazzo ed è per questo che lascio a te il compito di scoprire quello che sta succedendo. Il caso è tuo e solo tuo, ora hai carta completamente bianca.» così dicendo George si voltò dalla parte opposta per avviarsi vero la sua macchina.
Ma Dominick non aveva intenzione di lasciarlo andare così facilmente: la morte di Lucas non poteva essere stato un semplice incidente, una coincidenza. Doveva aver scoperto qualcosa, o aver detto troppo al capo. In quel caso, lui doveva essere sicuramente collegato al caso. Forse Lucas aveva fatto bene a dubitare sempre di lui.
«In questo caso- disse lei con un’enorme forza d’animo- sei in cima alla lista degli indagati. Ti voglio nella sala degli interrogatori domani, subito dopo pranzo.» non le importava del rispetto, ormai non aveva quasi più niente da perdere.
George si voltò di nuovo nella sua direzione senza preoccuparsi di apparire colpito da quell’affermazione: «Come vuoi, ma ti avverto che stai facendo un errore enorme.» la minacciò, poi si allontanò definitivamente.
Dominick sospirò; per qualche minuto aveva dimenticato l’accaduto, ma pian piano la consapevolezza di quella perdita la invase.
Guardò di nuovo verso il basso: la decapottabile di Lucas era completamente distrutta, probabilmente aveva rotolato per parecchi metri. Non aveva piovuto, l’asfalto era completamente asciutto, non c’erano segni di ghiaia o di pericolo.
Il problema doveva essere nei freni: la strada, infatti, era parecchio in pendenza e anche a velocità moderata la frenata avrebbe lasciato dei segni sull’asfalto.
Forse le sue pastiglie erano troppo logore o, peggio, qualcuno aveva manomesso i pedali. Quello che era certo, era che Lucas stava correndo un po’ troppo; probabilmente aveva una teoria, o addirittura aveva scoperto qualcosa di più e voleva riferirlo in fretta a lei.
Si sentì in colpa. Era stata lei a mandarlo da George. Era stata lei a permettere la sua morte.
Quando il meccanico risalì, Dominick si presentò a lui come capitano.
«I fili sono tagliati di netto.» riferì, affannato per la risalita.
L’avevano ammazzato. Avevano ammazzato il suo migliore amico come una bestia. E lei avrebbe combattuto per vendicarlo e sbattere in cella l’autore di tutti quei delitti.
Si avviò lentamente, con le lacrime che continuavano a scorrere imperterrite sul suo viso, verso la sua auto. Non poteva tornare da Kate in quelle condizioni. Doveva recuperare il controllo su sé stessa e sulle sue emozioni: avrebbe trovato il tempo di piangere Lucas quando quella faccenda si sarebbe risolta definitivamente. Con ogni probabilità avrebbe vagato il resto della notte, senza meta, poi sarebbe andata in ufficio di prima mattina e avrebbe affrontato la stampa, interrogato i genitori della ragazza e il capo. Infine, con tutta la forza di cui necessitava, avrebbe chiamato i genitori di Lucas e li avrebbe avvertiti che avevano perso anche il loro ultimo figlio, probabilmente per mano della stessa persona che aveva lasciato morire Jennifer.
Si promise che avrebbe scovato quel bastardo prima del mercoledì successivo, impedendogli così di compiere un altro delitto.
Doveva concentrarsi: senza l’aiuto di Lucas sarebbe stato tutto molto più difficile. Lui era sveglio, attento ai dettagli, mentre Dominick era troppo impulsiva. Doveva impegnarsi al massimo, per lui e per Kate.
Ripensò alla loro prima lite con amarezza: era successo durante uno dei primi casi al quale avevano lavorato insieme, quando una banda, che all’epoca sembrava di poco conto, aveva iniziato a sperimentare alcuni gas per nuove bombe. Lucas era arrivato subito alla conclusione, ma lei non l’aveva ascoltato nemmeno per un secondo. Quando, finalmente, erano arrivati alla verità, tutto si era rivelato secondo le idee di Lucas. Erano più giovani, molto più orgogliosi, e non si erano parlati quasi per un mese intero.
Dominick aveva sempre pensato che fossero gemelli separati alla nascita per quanto si capivano e per quanto si volevano bene. Si sentiva spaccata a metà e non poteva permettersi di perdere anche l’altra parte di lei: se avesse fallito anche con Kate, per lei non ci sarebbe stata più alcuna ragione di rimanere al mondo.
 
Alle due del pomeriggio aveva già parlato con i giornalisti e con i genitori di Alessia, l’ultima ragazza assassinata.
Dominick era seduta al tavolo degli interrogatori con la scheda di Lucas aperta davanti a lei; era quasi irreale il pensiero di quello che sarebbe successo di lì a poco. Stava per interrogare l’uomo dal quale aveva imparato la maggior parte delle cose e che, per molto tempo, le aveva dato la possibilità di mettersi in gioco. Si era sempre fidata di lui, nonostante Lucas non fosse d’accordo.
Però gli ultimi avvenimenti non potevano far altro che condurre a lui: nel rapporto dell’incidente era scritto chiaramente che i freni erano stati tagliati con un paio di forbici da giardiniere. Quello non poteva che essere avvenuto mentre Lucas era a casa di George.
Quando Kate fece capolino dalla porta, seguita dal capo, Dominick non parve minimamente sorpresa: aveva tentato di convincerla ad allontanarsi dal caso, ma anche lei voleva a tutti i costi sbattere in cella il colpevole di tutto quel dolore.
George si sedette di fronte a lei e si guardò intorno assaporando quella strana sensazione.
Kate si appoggiò con la schiena al muro, di fianco alla porta.
«Strana la sensazione che si prova a stare da questa parte, ma non ho intenzione di abituarmici.» George sfidò Dominick con le parole e con lo sguardo, ma dietro di esso si celava un velo di rammarico facilmente distinguibile.
Lei digrignò i denti e tentò di reprimere un moto di rabbia; se non era lui il colpevole, comunque sapeva qualcosa. Glielo si leggeva nel linguaggio non verbale.
Alzò la cartella gialla e gliela sventolò davanti agli occhi: «Qui dentro è scritto chiaramente che i freni dell’auto di Lucas sono stati manomessi. Non può che essere successo mentre lui era in casa tua.»
George non esitò nella sua risposta: «Era venuto per parlare con me, come gli avevi ordinato, e siamo stati insieme per tutto il tempo- le allungò il cellulare- lì troverai il video della telecamera del mio studio; e, prima che tu me lo chieda, è l’unica che ho in quanto nell’ufficio tengo documenti di massima segretezza.»
«Controlleremo. Ma, ora, voglio sapere dov’eri…per ogni omicidio.»
Kate sussultò incredula: Dominick non aveva mai mancato di rispetto a nessuno, tanto meno a lui.
«Non ho intenzione di rispondere a questa tua insolente provocazione.»
Dominick scattò in piedi e sbatté violentemente il pugno sul tavolo facendolo tremare leggermente.
“Fa che mantenga la calma” prego Kate.
«Sono stato in ufficio durante la maggior parte degli omicidi. Mi trovavo nella mia villa solo in due occasioni e avevo ospiti. Dominick, ho testimoni che possono provare tutto.»
Lei si azzittì; non poteva aggiungere altro, nemmeno a rifletterci per una vita intera.
«Posso andarmene?» domandò sicuro di sé.
Lei non poté far altro che annuire e lasciare che lui uscisse da quella stanza senza dire niente, lasciando lì in cellulare perché potessero controllare la veridicità della sua affermazione sul video.
«Kate, porta il video giù in laboratorio poi va a casa con la scorta e rimani lì finché non arrivo.» si alzò in piedi e si avvicinò a lei di qualche passo. Cercava in tutti i modi di allontanare il pensiero che la sua vita stesse andando, letteralmente, in pezzi.
«Dovresti andare a casa anche tu, o venire da me.» tentò di convincerla Kate passandole una mano sulla guancia.
«Devo chiamare i genitori di Lucas. Mi conoscono, è mio compito farlo. Non posso lasciare che un’altra persona comunichi loro questa notizia. È la seconda volta che perdono un figlio; sua madre impazzirà definitivamente.»
Si guardarono un istante negli occhi, come a promettersi che nessuna delle due avrebbe abbandonato mai, per nessuna ragione, l’altra. Si diedero un leggerissimo bacio stringendosi le mani a vicenda, poi uscirono dalla saletta.
Senza lasciarsi andare.
Quello che era success aveva fatto capire a entrambe quanto è importante far sentire le altre persone amate finché se ne ha la possibilità. E l’avrebbero fatto, d’ora in poi.
Percorsero il corridoio che portava all’ufficio di Dominick insieme, mano nella mano, e chiunque le vedesse sorrideva; tutti sapevano della loro storia e tutti avevano rispettato il silenzio fino a quel momento.

Aveva lasciato Kate con la scorta e ora era nel suo studio, seduta alla scrivania, con il telefono all’orecchio che continuava a squillare. Aveva riattaccato sette volte fino a quel momento; ogni volta che la madre di Lucas rispondeva, a lei si mozzava il fiato. Non sapeva come dirle che Lucas aveva lasciato il mondo così, senza avvertire nessuno.
Quando quella voce squillante suonò per l’ottava volta, Dominick fece un respiro profondo: «Alexandra?»
Fu silenzio per qualche secondo: «DOMINICK! Bambina mia, da quanto tempo!» dovette allontanare leggermente la cornetta per non perdere l’uso dell’udito.
«Alexandra, vorrei averti chiamata per il semplice piacere di farlo.»
Di nuovo silenzio. Quando Jennifer, la sorella di Lucas, era morta, lui non era riuscito a dirlo a sua madre e l’aveva lasciato fare a Dominick: aveva usato quelle stesse parole.
«Lucas. Che cos’è successo a Lucas?»
Dominick ricominciò a piangere, senza controllo: «Lui è stato bravo fino alla fine, Alexandra iniziò a dire singhiozzando- ha scoperto qualcosa sul caso al quale stiamo lavorando. Ce l’hanno ammazzato!» disse urlando.
La donna dall’altra parte iniziò a urlare insieme a lei; urlava i nomi dei due figli che aveva perso. Erano stati strappati alla vita nello stesso modo, in situazioni nelle quali non avevano niente a che fare.
«Alexandra ascoltami- disse Dominick tentando di calmarla- lo prenderemo. Kate ed io lo vendicheremo. Ma il funerale deve essere fatto assolutamente domani, o non ci sarà più tempo per arrestare quel bastardo prima che faccia un’altra vittima. Organizzerò tutto io, glielo devo.»
Alexandra continuava a urlare, ma acconsentì.
Quando riagganciarono, Dominick ricominciò a battere i pugni sul tavolo.
Era cresciuta insieme a Lucas; erano stati neonati, bambini, ragazzi, uomini e colleghi insieme. Si conoscevano, si rispettavano, in un certo senso si amavano.
Dominick si toccò il retro della spalla, dove sapeva che sarebbe per sempre stato un pezzo di Lucas: in quel punto, portava un tatuaggio con su scritto “Until we will together, everything we will fine!”.
Finché saremo insieme, andrà tutto bene.
Quel tatuaggio l’avevano entrambi: l’avevano fatto per il loro diciottesimo compleanno.
«E ora, Lucas, andrà comunque tutto bene?» urlò Dominick al cielo.



 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Caro Lucas,
ricordo che quando eravamo bambini io ero la più spericolata e tu facevi di tutto per tenermi al sicuro.
Eri più grande di me di solo un mese, ma questo ti è sempre bastato per sentirti in dovere di proteggermi.
Non c’è stato giorno in cui non ci vedessimo, non c’è stato momento in cui non fossimo insieme, l’uno di fianco all’altra. Ogni volta che avevo paura, sapevo che se mi fosse voltata ti avrei trovato con la mano tesa verso di me.
Ma ieri, quando mi sono voltata verso quel maledetto burrone, ho potuto vedere soltanto la tua auto completamente distrutta. Non sarai più al mio fianco, non mi proteggerai più come fa un padre con una figlia, e questo non posso sopportarlo.
Avevamo promesso, a cinque anni, che saremmo stati amici sempre, fino alla fine.
Avevo ancora bisogno di te. Tutti avevamo ancora bisogno di te, del tuo sorriso e, più di tutto, della tua forza.
Non hai idea di quante volte avrei mollato se non ci fossi stato tu a sostenermi e a ripetermi in continuazione che ce l’avremmo fatta. E ce l’abbiamo fatta, ogni volta. Il sapere che non ho potuto ricambiarti il favore, per tutte le volte che mi hai salvato la vita, sarà per sempre il mio più grande rimpianto.
Ti avevo promesso che quando ci sarebbe stata più calma ti avrei aiutato a trovare l’amore della tua vita. Se mai avessi dovuto decidere di sposarmi, tu saresti dovuto essere il mio testimone.
Avevamo ancora tanto da fare, tanto da vivere. Insieme.
E ora che sono qui per salutarti l’ultima volta, non mi bastano tutti i ricordi felici di noi per poterti sentire ancora vicino a me, al mio fianco.
Ti prometto che io e Kate prenderemo quel maledetto assassino; forse solo in quel momento avrò il coraggio di sorridere di nuovo e di cercarti tra gli occhi dei passanti.
Ovunque tu sia, caro amico mio, ti prego di proteggerci in questa corsa disperata contro il tempo.
Non dimenticheremo mai il tuo sorriso e quella dolcissima fossetta che ti spuntava sulla guancia.
Mi mancherai, fratello.

La Tua Amica di Sempre,
Dominick
Untill We Will Together, Everything We Will Fine.

 
 
 Dominick fece ricadere la lettera, chiusa in una busta, nel cumolo scavato nella terra che conteneva la bara di legno del suo fratello nel cuore.
Aveva organizzato il suo funerale in breve tempo, avvertendo solo i famigliari e gli amici più stretti.
La madre di Lucas non aveva fatto altro che guardare nel vuoto per tutto il tempo, stretta al braccio del suo uomo.
Il cappellano aveva iniziato a riversare la terra nel cavo e, pian piano, la bara era completamente sepolta da una montagna di terra marrone.
Dominick e Kate si tenevano per mano, incapaci entrambe di versare una sola lacrima.
Dominick non se n’era ancora resa conto, o forse non voleva crederci e basta; quello che aveva appena sepolto era l’unico uomo che avesse mai coperto una vera e propria importanza nella sua vita.
Il padre di Dominick aveva abbandonato lei e sua madre pochi mesi dopo la sua nascita e lei non l’aveva mai più rivisto. Lucas l’aveva aiutata, in tutta la vita, a riprendere fiducia in sé stessa e negli uomini e, soprattutto, l’aveva aiutata a comprendere che il suo orientamento sessuale non aveva niente in comune con la storia di suo padre.
La madre di Lucas si avvicinò a loro e Dominick non poté fare a meno di notare quanto fosse invecchiata dall’ultima volta: il dolore della perdita della figlia l’aveva ridotta pelle e ossa, si reggeva in piedi per miracolo. Aveva i capelli bianchi e il viso completamente pieno di rughe. Sicuramente non perdeva tempo a fingere di essere più giovane e ancora felice.
Dominick sperava che Alexandra fosse abbastanza forte per sopportare una seconda perdita così dolorosa, ma in cuor suo sapeva che, questa volta, non avrebbe retto: non aveva motivo di farlo, non c’era più Lucas e tenerla in piedi.
«Grazie…per tutto quello che hai fatto per lui.» sussurrò Alexandra, con gli occhi gonfi, facendo una piccola carezza sui corti capelli di Dominick.
Lei non riuscì a dire niente e l’abbracciò forte; sua madre era morta quando lei aveva solo diciotto anni e da quel momento Alexandra aveva fatto il massimo per prendersi cura di lei.
«Promettimi che lo prenderai.» la pregò.
Dominick fece un respiro profondo, si allontanò da lei e prese la mano di Kate: «Fosse l’ultima cosa che faccio.» promise a denti stretti.
 
 
Quel pomeriggio, a casa di Kate, Dominick era stesa sul divano e osservava il soffitto cercando di mettere un po’ di ordine alle sue idee: non poteva aspettare che l’assassino facesse un passo falso, doveva acciuffarlo prima che si macchiassi di nuovo di sangue, che facesse sua un’altra giovane anima.
Kate si avvicinò al divano e lei le fece spazio per permetterle di sdraiarsi. Si strinsero forte, a lungo, con amore, aveva bisogno l’una dell’altra in quel momento più di sempre. Avevano passato fin troppi mesi, soprattutto a Kate, a nascondere quello che era il più vero dei sentimenti che entrambe avessero mai provato. Ora avevano la necessità di essere vicine e farsi forza, insieme. Magari sempre.
«Non credi che dovresti andare in ufficio?» domandò Kate dopo averle dato un bacio nell’incavo del collo.
Lei scosse il capo: «Abbiamo diritto anche noi a una mezza giornata di lutto.» sentenziò con gli occhi serrati. Stava per cedere, ma non voleva e non poteva: se avesse pianto, avrebbe significato l’accettazione della morte di Lucas. E questo era impossibile.
«Tesoro, va tutto bene. Puoi lasciarti andare ora.» le sussurrò Kate con un bacio sulla fronte, lasciandosi sfuggire una lacrima. Anche lei teneva molto a Lucas, era un ragazzo d’oro.
Dominick strinse i denti e i pugni: aveva voglia di distruggere ogni cosa si trovasse davanti.
«Dominick, amore, non fa bene tenere dentro tutto il dolore; si trasforma tutto in rabbia, lo sai.» cercò di convincerla, ma Dominick continuava a deglutire il nodo alla gola.
Quella perdita aveva distrutto l’ultimo straccio del loro equilibrio. Kate continuava a essere in pericolo di vita e, probabilmente, rischiava di essere proprio la prossima.
«Kate, ho perso una colonna portante della mia vita e ora rischio di perderne un’altra. Non posso permettermi di lasciarmi andare a inutili sfoghi.»
Kate provò un brivido lungo la schiena: in quei due giorni aveva quasi dimenticato, allontanato, il pericolo che stava correndo.
Pensò che non fosse pronta a lasciare il mondo, che aveva ancora troppo da fare, da vedere, da vivere; in quel periodo aveva compreso quanta importanza occupasse Dominick nella sua vita. Voleva costruire qualcosa di solido insieme a lei, qualcosa che fino a quel momento aveva continuato a rinnegare, rifiutare.
«Quanto tutto questo finirà, ritroveremo il sorriso.» disse baciando Dominick sulle labbra.
In quel momento credere a quell’affermazione risultava impossibile: si trovavano in un labirinto buio che sembrava non avere una via d’uscita.
Fuori dall’abitazione, la scorta era parcheggiata nascosta tra un paio di cespugli; il sole iniziava a calare e, si sa, la notte porta inquietudine.
«Dormi qui, stanotte?» domandò Kate.
Dominick parve sorpresa: era raro che dormissero insieme, Kate era sempre abbastanza contraria.
Si lasciò andare a un cenno di consenso, notando l’unico particolare bello di tutta quella faccenda: si stavano avvicinando.
Senza particolare fatica, si addormentarono poco dopo strette come radici.
Erano stanche…fisicamente e, soprattutto, psicologicamente.
 
 
La mattina dopo, quando Dominick si decise a riprendere in mano il suo lavoro, entrò in ufficio sperando di trovare sulla sua scrivania la descrizione del profilo psicologico di quel pazzo. La descrizione sarebbe dovuta arrivare quel lunedì mattina; non potevano indugiare oltre.
Quando aprì la porta del suo studio, la busta gialla fu la prima cosa che le fu evidente. Si sedette dietro alla scrivania e l’accarezzò con il dorso della mano: lì dentro c’era la verità sull’uomo che aveva ammazzato il suo migliore amico e che ora cercava di colpire la sua donna.
Strappò il lembo all’estremità della busta e ne estrasse il contenuto:

 
Caso n° 1845
Profilo Psicologico
Dopo un attento esame delle carte riferite a caso in questione, posso affermare con certezza che l’uomo che cercate è affetto da una grave forma di psicosi sottovalutata o, nelle peggiori delle ipotesi, mai curata.
La psicosi sopracitata può essere stata causata da un eccessivo affetto materno in età infantile, subendo poi una grave delusione dalla stessa. Questo potrebbe spiegare l’eccessiva fissazione per le cicatrici alle mani, la quale madre potrebbe avere.
È inoltre possibile che ci troviamo di fronte a un ragazzo da poco uscito dall’età adolescenziale.
È un soggetto pericoloso non solo per le vittime, ma per chiunque tenti d’impedirgli l’azione regolare.



Dominick rilesse il foglio più di una volta prima di essere sicura di aver assorbito ogni particolare. Quella descrizione faceva saltare in aria ogni idea che si era fatta fino a quel momento: il capo non era di certo uno psicopatico.
Poteva essere chiunque là fuori, l’assassino; era come cercare un ago in un pagliaio, o la goccia più grande di tutte durante un violento temporale.
Sperava di potersi avvicinare alla conclusione grazie a quel documento, ma in realtà non aveva fatto altro che metterla davanti alla dura verità: erano ancora lontani anni luce dalla risoluzione del caso.
Le uniche cose che aveva in mano erano quel foglio, che avrebbe stracciato a breve, e il video sul telefono di George. Nessuna di quelle due cose sembrava servire a qualcosa.
Aveva bisogno di altro: sarebbe bastata un’impronta digitale, o della suola della scarpa sul terriccio, o ancora un capello nell’auto di Lucas.
La stampa, fuori, continuava a bramare un’altra sua dichiarazione.
Si sentiva con il fiato sul collo: non poteva deludere la popolazione, non poteva deludere Alexandra, non poteva perdere Kate.
Era un putiferio.
Cercò di respirare con calma e regolarità: rischiava di essere colpita da un attacco di panico, ci mancava solo quello.
Una donna fece capolino con la testa dalla porta dell’ufficio, urlando: «Il video! Devi venire a vedere il video!»
Dominick non se lo lasciò ripetere due volte: si alzò in piedi di scatto e iniziò a correre freneticamente verso i laboratori. Se avevano trovato qualcosa, il cerchio forse si sarebbe chiuso in fretta.
Quando raggiunse il laboratorio, un paio di addetti erano davanti a uno schermo sul quale correvano le immagini a rallentatore del video dell’incontro tra Lucas e George.
«Che succede?» domandò facendosi spazio tra le poche persone.
«Guardi.» disse semplicemente un ragazzo con il camice bianco mentre premeva il pulsante play.
Dominick tentò di captare ogni singola differenza di colore: pensava che il video fosse stato manomesso. Eppure non riusciva a notare niente.
In quel momento l’assenza di Lucas si fece ancora più tangibile; lui si sarebbe sicuramente accorto nell’immediato.
«Ma è un’ombra, là!» scattò poi vedendo un’ombra correre dietro la porta di vetro dello studio di George.
Era inconfondibile: un’ombra correva, in una frazione di secondo, da un lato della porta all’altro, probabilmente verso l’uscita dell’abitazione.
Si sentì percorrere da un brivido lungo tutto il corpo, un brivido che secondo dopo secondo l’avvicinava a una terribile consapevolezza: l’omicida era dentro alla villa del capo mentre lui e Lucas tenevano il loro colloquio.
Ancora però era impossibile collegare George al caso: era risaputo che vivesse solamente con la moglie. Il loro unico figlio era morto tre anni prima, e, nella descrizione del profilo, lo psicologo aveva espressamente detto che il serial killer era, senza ombra di dubbio, un ragazzo.
Quindi l’unico filo logico conduceva all’idea che l’uomo si fosse introdotto in casa di George per una qualche ragione sconosciuta e che poi, solo successivamente, fosse nuovamente uscito per manomettere i freni di Lucas. Ma quale poteva essere il motivo che l’aveva spinto a entrare nella villa, con due uomini dell’unità, rischiando di essere scoperto e di mandare all’aria ogni cosa?
Nessuno poteva saperlo, nessuno poteva immaginarlo.
«C’è un modo per riuscire a isolare l’ombra da tutto il resto?» domandò lei speranzosa.
L’operatore annuì, ma decisamente abbattuto: «Abbiamo già provato il tutto per tutto, ma non c’è modo di riuscire a isolare l’ombra in modo da poter identificare anche solo idealmente la persona alla quale appartiene.»
Quella era la prima vera prova tangibile, ma non era utilizzabile.
Dominick strinse i pugni irata: c’era qualcosa, una sensazione, che le impediva di allontanarsi dall’idea che George sapesse qualcosa. In una villa come la sua doveva essere sicuramente attivo un allarme: per evitarlo il serial killer avrebbe dovuto conoscere a perfezione l’abitazione, ma non c’era niente che potesse condurre all’idea che quel pazzo potesse essere interessato alla vita di George e sua moglie.
Fece un respiro profondo, l’ennesimo, poi si voltò verso la donna che poco prima l’aveva raggiunta nel suo ufficio: «Chiama il capo, digli di venire qui al più presto, voglio sottoporlo a un nuovo interrogatorio.»
La ragazza stava per aprire bocca, quando un urlo che proveniva dal corridoio fece rizzare i capelli di tutti.
Qualcuno urlava il nome di Dominick.
Quando uno degli uomini che era stato destinato alla scorta di Kate si lanciò dentro al laboratorio, Dominick barcollò un istante: «L’ha presa- disse lui cadendo a terra in ginocchio, bianco come se avesse visto un fantasma- l’ha rapita! Ma l’abbiamo visto. È una cosa impossibile!»
Dominick si fiondò vicino a lui: «Cosa significa che l'ha presa?» gli domandò in un urlo.
«L’ha rapita, ha rapito Kate! Ma è impossibile…lui…lui…doveva essere morto!»


 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Il silenzio era piombato nella stanza inesorabile e pesante come piombo. L’uomo che aveva comunicato la notizia osservava Dominick temendo la sua reazione isterica, ma lei non si muoveva; era sbiancata, terrorizzata, sudava freddo e non riusciva a controllare il tremore del suo corpo. Il suo peggiore incubo si era appena avverato: non erano riusciti a proteggere Kate dal destino che quel mostro aveva scelto per lei.
Ma, se aveva deciso di agire in quel modo, così diversamente dal solito, voleva dire che in qualche modo avevano fatto centro: si sentiva con il fiato sul collo e questo l’aveva portato a modificare i suoi piani. E, finalmente, un passo falso l’aveva fatto: si era fatto vedere dagli addetti alla guardia.
«Ora voi traccerete l’identikit di quell’uomo.» ordinò.
L’uomo si voltò per uscire, poi si volse di nuovo verso di lei: «Io non credo che serva- fece una breve pausa e riprese poco prima che lei iniziasse ad urlare- l’abbiamo visto, sappiamo chi è, ma è impossibile.» disse abbassando il capo.
Dominick si spazientì definitivamente: «Non m’importa se vi sembra impossibile, quell’uomo ha preso Kate e noi non possiamo perdere altro tempo.»
Lui sembrò titubante, poi aprì bocca per parlare: «So che non ci crederà, che ci prenderà per pazzi…ma era Markus, ne siamo sicuri.»
Dominick osservò gli occhi shockati del ragazzo, mentre una sempre più terribile consapevolezza iniziava a chiudere quel cerchio dispiacevole.
«Chiamate George e sua moglie…immediatamente!» urlò a squarciagola.
 
Dominick camminava avanti e indietro nella stanza degli interrogatori strusciando nervosamente le mani l’una nell’altra.
In quella mezz’ora aveva avuto il tempo di fare una piccola ricerca che le aveva permesso di confermare quello che il video aveva mostrato.
Non poteva credere che fosse successa una cosa del genere, non in quel momento così delicato: Lucas non c’era più e lei era rimasta la sola che poteva cercare di salvare Kate e chissà quante altre donne.
Non riusciva a fare altro che pensare alla prima volta in cui aveva visto quella donna:
Era un pomeriggio d’estate, afoso e bollente.
Era il suo ultimo pomeriggio di ferie e il giorno seguente avrebbe dovuto iniziare ad occuparsi dell’addestramento di una nuova recluta.
Aveva deciso di andare nella sua spiaggia preferita per passare una mezza giornata tranquilla, ma se n’era pentita immediatamente: la spiaggia, solitamente isolata, quel giorno era stata invasa da famiglie e bambini urlanti.
Aveva sistemato il telo sulla sabbia e, dopo aver inforcato gli occhiali da sole, si era sdraiata sperando di poter riposare.
Pochi secondi dopo, il suo cellulare era squillato e Lucas, dall’altra parte della cornetta, l’aveva avvisata che la recluta era arrivata con un giorno d’anticipo.
Quando aveva messo piede nella base, notevolmente seccata e quasi isterica, aveva intenzione di rendere impossibile la permanenza della nuova arrivata: quando, poi, aveva visto i due pozzi azzurri che costituivano gli occhi di Kate, il suo cuore aveva perso un battito.
Quando si furono stette la mano, Lucas le aveva lasciate sole.
«Sei davvero pronta? È un addestramento duro e faticoso!» l’aveva sfidata Dominick senza nascondere un tono malizioso e, al contempo, giocoso.
«A vederti così, sembri un’insegnante piuttosto valida.» Kate aveva sostenuto il gioco.
Da quel giorno era sempre stato uno scambio di sguardi e di battute.
Sei mesi dopo il loro primo incontro, al festeggiamento per la promozione di Kate, si erano trovate nei bagni del ristorante allo stesso momento.
Non c’era voluto molto per avvicinarsi e per scambiarsi il loro primo bacio: un bacio veloce, corto, timido, ma incredibilmente caldo.
Da quel momento si erano sempre trovate, ma non avevano mai rischiato di perdersi.
Dominick fu riportata alla realtà quando sentì la porta aprirsi e richiudersi subito dopo. Si voltò e vide George e sua moglie sedersi, mentre una guardia rimase davanti alla porta per sorvegliare il tutto.
George parve meno tranquillo del solito, ma manteneva comunque la sua solita superiorità. Quella che colpì Dominick fu sua moglie Amanda: l’aveva visto spesso, la conosceva abbastanza bene, aveva sempre il sorriso stampato sulle labbra. Ma, quella volta, sembrava in preda al terrore e a una strana consapevolezza.
«Pensavo non avresti più osato, invece, addirittura, insieme a me convochi anche mia moglie.» il suo tono era sfottente, ma Dominick non se ne prese più di tanto: continuava a tenere gli occhi fissi su Amanda notando come il suo sguardo chiedesse pietà.
«Credimi, George, questa sarà l’ultima volta di tutto.» così dicendo, lasciò scivolare lungo il tavolo, verso di loro, un foglio riempito di caratteri solo a metà.
George, dopo averlo letto, cambiò subito espressione: «Cosa significa questo?» domandò notevolmente turbato.
«Non trovi strano che l’ultimo ospedale psichiatrico della città sia stato chiuso quattro settimane fa, poco prima dell’inizio di questo putiferio?!» domandò retorica.
George fece spallucce: «Non trovo come questo articolo possa avere a che fare con me e Amanda.» cinse le spalle di sua moglie, ma lei ormai lo scrutava contrariata.
«Allora ti faccio un’ulteriore domanda: puoi spiegarmi come mai Markus, il figlio che hai sepolto qualche hanno fa, è stato riconosciuto come rapitore di Kate?»
A quella provocazione, George scattò in piedi arrossendo violentemente: «Mio figlio è morto, stupida impertinente!» urlò così forte che le vene del suo collo si gonfiarono a dismisura.
Sua moglie, che fino a quel momento aveva mantenuto in silenzio la sua espressione, scoppiò a ridere. Dominick e George la guardarono senza riuscire a capire quella sua reazione.
«Oh George, sei così stupido; Dominick lavora con te da anni ormai e tu ancora cerchi di farla fessa.»
George piombò seduto sulla sedia, guardando la moglie come si guarda il peggiore dei traditori: «Hai appena condannato nostro figlio!»
«L’abbiamo condannato il giorno in cui l’abbiamo messo al mondo.» ribatté.
Dominick era a bocca a pera come un’ebete, incredula: era riuscita a sciogliere tutti i nodi di quel mistero orrendo.
Si sedette, a gambe incrociate, e prese una boccata d’aria: «Avete finto la sua morte, per vergogna, il giorno in cui l’avete fatto internare; e ora che l’ospedale psichiatrico è chiuso, non avete più il servizio adatto a lui. Da quanto tempo eravate a conoscenza della sua colpevolezza?» chiese con il fiato corto.
Amanda aprì la bocca per parlare, ma George la precedette: «Stavamo solo proteggendo nostro figlio.»
«Rispondi.» gli ordinò Dominick.
«Dall’omicidio di Lucas- sussurrò Amanda con le lacrime agli occhi- ci siamo accorti che non era in casa e quando è tornato era sotto shock.»
George prese parola dopo di lei, consapevole di non poter fare altro per salvarlo: «Credo sia riuscito a origliare il mio colloquio con Lucas; probabilmente si è sentito sotto pressione.»
«Ormai ho perso il conto delle donne che ha ucciso, credo che dire che si sentisse “sotto pressione” sia un po’ riduttivo.» ironizzò Dominick.
Per qualche secondo, il silenzio fece compagnia ai tre come un oscuro amico. Dominick comprendeva bene quello che George e Amanda aveva cercato di fare, ma rimaneva che avessero coperto un pluriomicida.
«Ha Kate, avete un’idea di dove possa essere?»
I coniugi si scambiarono uno sguardo comprensivo e si strinsero la mano; fu solo in quel momento che Dominick si rese conto della minuscola cicatrice di Amanda.
«C’era un posto, dove andavamo spesso quando era bambino, ma è fuori città.» Amanda tirò su con il naso.
Dominick scosse il capo: «Segue uno schema preciso e non lo modificherà di nuovo.»
George e Amanda rimasero ancora in silenzio. Erano preoccupati per quel figlio che non potevano smettere di amare.
«Dominick, sappiamo che nostro figlio ha sbagliato, ma non ne era consapevole. Quando lo troverai, cerca di non fargli paura. Credo che sia terrorizzato.» la prego George.
«Dimmi dov’è ed io farò del mio meglio; ma se ha fatto del male a Kate, non risponderò delle mie azioni.» sentenziò.
«Il vecchio mulino lungo il fiume…in una mappa, nella sua stanza, erano contrassegnate quelle coordinate.»
Dominick si alzò in piedi di scatto, ora guardando con tenerezza quei due genitori: «Non avete fatto altro che proteggere il vostro ragazzo, nessuno può condannarvi per questo.»
Così dicendo si voltò e uscì di corsa.
Doveva correre, prima che fosse troppo tardi.
 
Un’ora dopo, nel suo ufficio, Dominick si assicurò l’antiproiettili e caricò la sua arma; aveva messo in moto tutti gli uomini dell’unità per riportare a casa Kate sana e salva.
Mise l’arma in cintura poi, prima di uscire e passare all’azione, prese una cornice dalla sua scrivania tra le mani: la foto che ritraeva lei e Lucas.
«Sono sicura che avessi capito tutto. Ora mi serve il tuo aiuto e la tua vigilanza.» baciò la foto, all’altezza della fronte del suo migliore amico, poi la riposizionò al suo posto.
Uscì e ordinò a tutti gli uomini di mettersi nelle auto di servizio come avevano prestabilito: «Ricordate che dobbiamo mantenere la calma. A Markus ci penso io. Voi, una volta che l’avremo fatta uscire da lì, dovrete solo portare Kate al sicuro.» ricordò, poi partirono.
Mantennero una velocità sostenuta per tutto il tempo, correndo contro di esso nella speranza di trovarla ancora viva.
Quando furono davanti al vecchio mulino, le auto si fermarono sgommando: i quindici uomini presenti si disposero dietro le auto, con i fucili puntati verso la vecchia porta di legno marcio del mulino. La struttura di pietra era leggermente diroccata e un po’ instabile. Dietro di essa, il fiume scorreva impetuoso.
Dominick scese dalla sua vettura con l’altoparlante in mano: «Markus, sei circondato! Esci da lì con le mani in alto prima di Kate!»
Non fece in tempo a terminare la frase che un colpo di pistola squarciò quella timida quiete.
Dominick alzò la mano per bloccare gli uomini giù pronti a intervenire; spense l’altoparlante e lo lasciò cadere a terra, poi fece segno a uno dei suoi di avvicinarsi: «Io vado dentro. Datemi dieci minuti di tempo, poi intervenite. Se sentite spari, non esitate un secondo.»
Il ragazzo annuì, poi tornò in posizione insieme agli altri.
Era una sorta di scontro finale, in cui si sarebbe deciso il destino di tre vite ormai intrecciate tra loro da un filo invisibile.
Dominick caricò la pistola quando fu a un passo dalla porta che poi aprì con una leggera spinta. L’interno era freddo e umido: un’unica scala a chiocciola conduceva al piano di sopra, nella sola stanza esistente in quel luogo.
«Markus, sono Dominick. Ti ricordi di me?»
Attese qualche secondo, ma non ricevette risposta.
«Markus, sto salendo e sono armata. Ma non ti farò del male, a meno che tu non ne faccia a me e a Kate.»
Iniziò a salire le scale, scricchiolanti, lentamente. Teneva la pistola tesa, ma le mani sudavano terribilmente.
Quando fu davanti alla stanza, priva di porta, tirò un sospiro di sollievo: Kate era viva.
Markus le teneva una mano sulla bocca e la stringeva davanti a sé come diversivo.
Quando vide Dominick, puntò la pistola sulla tempia di Kate che tremava senza controllo.
Il viso di quel ragazzino non tradiva la sua malattia: aveva la barba incolta e i capelli lunghi spettinati. I suoi occhi erano scuri e assenti e le sue mani continuavano a tamburellare imperterrite sul grilletto dalla sua arma metallica.
«Markus, non voglio farti del male. Abbassa l’arma e lascia andare Kate. Ti porto fuori da qui con me, i miei uomini non ti faranno niente.»
Quelle parole non fecero altro che innervosirlo maggiormente: strinse Kate con maggiore fermezza e digrignò i denti.
«I tuoi genitori ti aspettano, sai? Se ci uccidi, non avrai via di scampo, i miei uomini qua fuori sono pronti a intervenire.»
Kate mugugnò qualcosa e Dominick cercò di trattenere l’impulso di saltare addosso a Markus; un qualsiasi passo falso e Kate era spacciata.
«Markus, non sei una persona cattiva. Puoi ancora salvarti, qualcuno può ancora aiutarti a tornare indietro.» lo pregò Dominick facendo un passo avanti.
Non poteva nemmeno immaginare quello che aveva passato quel ragazzo: era stato messo, per vergogna, in un manicomio poco più che bambino.
Pazzo tra i pazzi, era finito per peggiorare.
Forse era quello il motivo per il quale uccideva le donne con le cicatrici alle mani: quel particolare gli ricordava la madre, che probabilmente incolpava più del padre.
Kate continuava a mugugnare il nome di Dominick.
Ancora pochi minuti e gli uomini sarebbero intervenuti scatenando il putiferio.
«Vattene via!» urlò Markus. Aveva ancora la voce di un bambino innocente.
Quando un rumore di legno spezzato avvertì i tre predestinati che gli uomini stavano per intervenire, si scatenò il delirio.
Markus lanciò Kate contro il muro.
Poi uno sparo e un tonfo.
Un corpo senza vita in un lago di sangue.
L’ultima anima di quella storia era appena volata via.
«Dom!!!»
Kate si lanciò al collo di Dominick mentre gli uomini correvano verso il corpo del ragazzo.
«Va tutto bene tesoro, ora ti porto a casa con me, è finita.» sussurrò Dominick all’orecchio di Kate. Si era stretta a lei scoppiando in un pianto disperato.
Si strinsero forte come non avevano mai fatto, assaporando la loro esistenza che ricominciava.
«È morto.» disse uno degli uomini.
«Una vita per una vita.»
Lucas aveva avuto la sua giustizia.
Era tutto finito, tutto poteva ricominciare il suo corso regolare.

 
Angolo Autrice:
Ciao a tutti,
che dire?
È finita, ma non del tutto.
In questo momento mi sento un po’ spezzata a metà, ma ho ancora un epilogo da scrivere prima di dire addio (forse solo per ora) a questi miei personaggi che tanto adoro.
I ringraziamenti al prossimo e ultimo capitolo!

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Capitolo 7
*** Epilogo ***


Sei Mesi Dopo
“Ho passato così tanto tempo a nascondere la nostra relazione che non mi rendevo conto di quanto fossero importanti i momenti che passavamo insieme. Avevo paura di quello che la gente avrebbe pensato, avevo paura che i nostri colleghi ci avrebbero evitate. Non mi rendevo conto di quanto fosse palese il nostro amore, di quanto fosse impossibile da nascondere la passione che mi invadeva quando mi trovavo di fianco a te.
Dominick, dopo quello che ci è successo in questi mesi, ti prometto che non sarà mai più nemmeno un istante in cui rinnegherò quelli che sono i miei sentimenti nei tuoi confronti. Ti prometto che, da questo momento fino alla fine, sarà al tuo fianco sempre come moglie e come amica.
Ti sarà vicina nei momenti di sconforto e riderò insieme a te nei momenti felici. Passerò le notti al tuo fianco e ti proteggerò dal buio e dai tuoi incubi, che da questo momento saranno anche i miei.
Non dovrai mai più temere di rimanere sola, perché un amore vero e puro come il nostro non potrà esaurirsi mai.
Prometto che in tutti i momenti ti proteggerò, perché sei il mio tesoro più grande.”
 
Dopo aver pronunciato la sua promessa, Kate infilò la fede all’anulare sinistro di Dominick. Il sindaco, poi, fece segno a quest’ultima di pronunciare il suo discorso.
 
“Kate, non puoi immaginare quanto possa essere stato terribile il momento in cui la paura di perderti si era fatta concreta e tangibile. Ho temuto di arrivare tardi, ho temuto di poterti trovare senza vita. Non sarei mai riuscita a perdonarmi; se ti avessi persa, non avrei più avuto motivi validi per andare avanti.
Non mi è mai pesata la tua paura rispetto al giudizio degli altri, ma di una cosa devo incolparti: mi hai fatto provare l’amore più puro e questo ti costerà l’avermi intorno a te per il resto della nostra vita insieme.
Ti prometto che sarà sempre la tua ombra, che mai più permetterà che la tua vita venga messa in pericolo. Ti salverò dal mondo e da chi non capirà il nostro amore, ti salverò dalla cattiveria e dalla mostruosità delle persone.
Ti farò ridere e sorridere, asciugherò le tue lacrime e ti offrirò la mia spalla per non cadere.
Ti curerò dalla tristezza che sta invadendo il mondo e ti farò volare sempre tra le mie braccia.
Sei un fiore stupendo che non farò appassire.”
 
Mentre il cuore di Dominick iniziava a battere sempre più velocemente, si rigirò un istante la fedina tra le mani poi la infilò al dito di Kate.
«Che queste promesse non vengano mai dimenticate; ora ho il piacere di dichiararvi moglie e moglie!»
Quando il sindaco terminò la frase, gli invitati si alzarono e applaudirono le novelle coniugi.
Dominick prese le mani di Kate e la guardò: «Ti amo, ora e per sempre.»
Avvicinò il viso a quello di sua moglie e schiuse le labbra, incastrandole a quelle di Kate: un immenso calore invase i loro corpi mentre le loro lingue s’intrecciavano in una danza lenta e primordiale.
Alexandra, in prima fila dietro le spose, non era riuscita a trattenere le lacrime che, scorrendo inesorabili sul suo viso, le avevano rovinato tutto il trucco. Aveva resistito al dolore per la perdita di Lucas solo grazie a Dominick che l’aveva pregata di non mollare, perché suo figlio viveva ancora splendente nei suoi occhi.
Qualche fila più indietro, George e Amanda si erano alzati in piedi e applaudivano gioiosi: nessuno aveva avuto il coraggio di denunciarli. Avevano fatto quello che un qualsiasi altro genitore avrebbe fatto per il proprio figlio: l’avevano tenuto sotto la loro ala protettiva finché ne avevano avuto la possibilità e il coraggio.
Dominick e Kate percorsero per ultime il corridoio centrale della sala del castello che avevano scelto come location per il giorno più importante della loro vita.
Appena furono all’aperto, un’ondata di riso e di urla invasero tutta l’area circostante.
«Evviva le spose! Evviva le spose!» urlavano tutti, mentre chicchi bianchi volavano a destra e a manca.
Era una giornata perfetta: i raggi del sole scaldavano l’atmosfera e le anime di tutti i presenti. Le rondini volavano alte e fiere, cinguettando, e il profumo dei fiori riempiva i polmoni di tutti.
Poi, una forte folata di vento fresco fece roteare lontani tutti i chicchi bianchi che ricoprivano il terreno.
Kate si strinse a Dominick e notò che teneva gli occhi serrati: «Tesoro, va tutto bene?»
Dominick annuì, aprì gli occhi e sorrise dolcemente guardandola negli occhi: «Scusami, stavo solo ascoltando Lucas che ci faceva gli auguri.»
 
Cinque Anni Dopo
Dominick guardava la foto di quel ragazzo, sorridente, sulla lapide. Anche in quell’immagine aveva lo sguardo furbo e intelligente, spavaldo. Quell’intelligenza e quella spavalderia che comunque non erano riuscite a salvarlo.
«Guarda mamma, si chiama come me!»
Dominick abbassò lo sguardo verso il bambino con gli occhi azzurri che teneva per mano; il piccolo le sorrise, curioso di venire a conoscenza del motivo per il quale la sua mamma l’aveva portato in quello strano posto.
Aveva gli occhi di Kate, ma, per uno strano caso inspiegabile, la curiosità di Dominick.
Lei aveva sempre desiderato un bambino e, poco dopo il matrimonio, avevano deciso con Kate di provarci nonostante le mille difficoltà. Al primo tentativo d’inseminazione, Kate era subito rimasta incinta e, non appena saputo il sesso del feto, non avevano avuto nessun dubbio sul nome adatto a lui: Lucas.
Dominick prese in braccio il piccolo e lui le strinse le braccia al collo, abbandonando la testa nell’incavo.
«Sai chi era questo ragazzo?»
Il bambino scosse il capo mentre giocava con i capelli neri corvini della madre.
«Lui era il mio migliore amico.»
Il figlio tirò su la testa, incuriosito, inclinandola un po’ per poter vedere meglio la foto: «E ora dov’è?» domandò.
Dominick fece un secondo di pausa e aiutò il piccolo a mettersi cavalcioni sulle sue spalle: «Ora è in cielo.» disse alzando un po’ il capo verso l’alto per indicarglielo.
Il bambino sembrò titubante: «Ma eravate come me e Pongo?»
Pongo era il cane che Dominick e Kate avevano deciso di comprare: loro non erano d’accordo, ma non erano riuscite a deludere il loro figlio che tanto lo desiderava.
«In un certo senso.» sussurrò.
«E perché ora è insieme agli angeli?»
Lei sospirò: «Ci sono alcuni angeli anche qui sulla terra, sai? Lui era uno di loro, ma poi un giorno gli altri angeli hanno deciso che doveva tornare al suo posto e l’hanno richiamato con loro.»
«Mi piace la sua faccia!» disse lui, ridendo, indicando la lapide.
Dominick non poté far altro che sorridere al pensiero di quanto Lucas sarebbe stato bravo come zio, di quanto avrebbe viziato quel bambino che portava il suo stesso nome.
«Andiamo a vedere come sta il pancione di mamma Kate?» propose Dominick mettendo a terra suo figlio.
«Io arrivo prima!» lui iniziò a correre.
«Va piano!» urlò lei ridendo.
Una folata di vento li accompagnò nella loro gara.

 
 
Angolo Autore:
Ciao a tutti,
eccomi qua per dichiarare definitivamente (purtroppo) chiusa questa mia storia.
Non nego di sentirmi un po’ triste: non mi era mai capitato, se non una volta, di affezionarmi così tanto ai miei personaggi.
Voglio ringraziare quanti l’hanno letta e quanti la leggeranno.
Ringraziamenti particolari vanno a Merymisha e Cerrywoman che mi hanno sostenuta tantissimo leggendo e recensendo ogni capitolo di questa storia.
Il ringraziamento più grande fa a una carissima amica della quale non faccio il nome, che più di tutti mi ha aiutata a rendere possibile questa mia creazione. So che quando leggerà capirà che sto parlando di lei, quindi ne approfitto per dirle che sarò al suo fianco in qualunque momento della sua vita, finché lo vorrà.
Grazie immensamente, grazie a tutti dal più profondo del cuore.

Dragon410

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