Peter Parker is my hero.

di grace_law_smith
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Probabilmente andrà meglio. ***
Capitolo 2: *** La brava ragazza. ***
Capitolo 3: *** Li chiamavano 'imprevisti'. ***
Capitolo 4: *** Dovevo vendicare entrambe. ***
Capitolo 5: *** Vecchi ricordi e nuova vita. ***
Capitolo 6: *** 'QUEEN GS' ***
Capitolo 7: *** Ospedale. ***
Capitolo 8: *** Saving Gwen. ***



Capitolo 1
*** Probabilmente andrà meglio. ***


Probabilmente andrà meglio.


Sono una newyorkese che va al liceo e che ama stare con gli amici o oziare davanti la TV. Come per tutti gli adolescenti la vita va vissuta ogni giorno, non è programmata. Siamo spiriti liberi. Be’, non è che la nostra vita però sia così complicata. Delle volte però ti sconvolge sul serio: l’altro giorno tornavo da scuola per l’ora di cena, ma era davvero buio. Ero da sola. Solitamente non ho paura dei vicoli bui di New York, anzi li adoro. Sono molto sinistri e intriganti. Ma quel giorno ero spaventata sul serio. Sesto senso? Penso di sì. Comunque, passavo veloce per un vicolo vicino casa mia e due uomini mi vennero addosso. Ebbi paura, non riuscivo a reagire, mi sentivo impotente. Volevano i soldi. Io avevo solo 10 $. Avevano preso quelli, adesso volevano me. Il mio corpo. Dov’era lo spray al peperoncino? Dentro la borsa. Dov’era la borsa? L’avevano loro, merda. A questo punto buttarono la borsa per terra e cominciarono a toccarmi e spogliarmi.
Urlavo, urlavo come una pazza ma loro mi diedero un pugno allo stomaco che mi fece sputare sangue ovunque. Mi sentii malissimo. Ero persa, non vedevo nulla, sentivo solamente la puzza del mio sangue che luccicava a terra, illuminato dal piccolo lampione alla fine della strada.
Quando tutto sembrava perso, qualcuno arrivò. Non sentii più le mani ruvide e pesanti di quei bastardi.
Mi lasciai cadere per terra e qualcuno mi aiutò ad alzarmi e appoggiarmi al muro. Non vedevo nulla chiaramente: era tutto sfocato, avevo un mal di testa pazzesco e avevo la bocca piena di sangue.
Udii dei pugni e dei calci mentre il cellulare per terra, zuppo di fango dovuto alla precedente pioggia, squillava.
Poi il silenzio. Il telefono tacque, gli uomini pure.
Udii dei passi che venivano verso di me, presi alla svelta lo spray e lo puntai al presunto aggressore.
-No, no, calma. Non voglio farti nulla. Tutto ok?-
Mi sporsi un po’ verso l’uomo: indossava una specie di calzamaglia rossa e blu con una maschera che gli copriva il volto. Dovevo per forza fidarmi di lui, era l’unico che mi aveva salvato, così mi limitai ad annuire.
Poi dopo essermi rialzata grazie all’aiuto dell’uomo in calzamaglia, la vista tornò. Era un ragazzo, più che un uomo adulto. Lo si vedeva dal fisico, più alto, muscoloso.
Notai che quei bastardi maniaci erano attaccati al muro grazie a una sorta di…ragnatela.
All’inizio rimasi un po’ stranita, una ragnatela così grande e spessa non l’avevo mai vista neanche nel vicolo più sporco di tutta New York.
-Aspetta un attimo…- rimasi a riflettere per un secondo: avevo sentito parlare di un tizio in calzamaglia che girava per New York ‘combattendo il crimine’ e lanciando ragnatele. -Oddio, sei il tizio di cui tutti parlano…com’è che ti chiami? … Spider-Man?-
-Sì, sono io.- disse malinconica la figura che ormai si allontanava nell’ombra e che lasciava una scia di profumo simile alla lavanda.

*

Qualche giorno dopo il ricovero in ospedale la mia vita tornò normale. Scuola, studio, giochi davanti al computer ecc.. La notizia del mio stupro viaggiò molto velocemente tra le mura scolastiche ma non fu accolta con stupore: non era raro che a New York una ragazza venisse derubata e stuprata.
Ovviamente i miei genitori si allarmarono molto e parlarono con George Stacy, padre della mia compagna Gwen e capo della polizia di New York.
L’agente Stacy diede la colpa di tutto a Spider-Man, ma io non ci vedevo nulla di male. Insomma, mi aveva salvata e quindi io mi fidavo di lui. Fino a un certo punto… tutti ne parlavano benissimo, come il nuovo ‘eroe’ di New York City, per me poi diventava un fenomeno da baraccone.
-Quel criminale, lo prenderemo!- George Stacy non aggiunse ‘prima o poi’ per rassicurare i miei genitori e per convincere se stesso del fatto che avrebbe preso e sbattuto in galera Spider-Man ma tutti sapevamo perfettamente che non ci sarebbe mai riuscito. -Chi si crede di essere? Un agente?-
Quanto ai criminali che mi avevano aggredito…be’ di loro non sapevo nulla e sinceramente non mi importava molto.
Quando Gwen seppe della mia aggressione mi venne incontro, scostò i capelli biondi e mi abbracciò. Vi siete mai sentiti invisibili? Cioè, nessuno? Ecco cos’era il liceo per me, avevo solo due amici e quando all’inizio ho parlato di ‘stare con gli amici’…be’, io ne avevo solo una. Gwen era una ragazza dolcissima, è sempre stata mia amica e l’ho sempre ammirata per il suo lavoro e contributo scolastico ma la cosa che mi piaceva di più della sua personalità era che lei non si vantava di essere la figlia del capo del New York Police Departement, era umile e amichevole con tutti. Devo ammettere che l’ho sempre invidiata su tutto ma nonostante ciò è sempre stata legata a me.
Ci rimase davvero male quando venne a sapere quello che mi era accaduto: -Mio padre prenderà quei criminali, te lo prometto.- e mi abbracciò di nuovo.
Detto fra noi, a me piace la Gwen cazzuta, non la Gwen sdolcinata. E le parlai chiaramente: le dissi che non doveva preoccuparsi e che non c’era problema. Per me era ok.
Alla lezione di matematica del secondo giorno dopo il mio rientro Gwen stette con me e con noi anche Peter Parker.
Conoscevo da poco Peter e non lo conoscevo neanche bene: lo avevo incontrato per la prima volta in laboratorio scientifico mentre lavorava a degli esperimenti e mi assegnarono lui come compagno di studio. Venne qualche volta da me per lavorare ma capì subito che la mia iscrizione al liceo scientifico era stata voluta da mia madre e non da me. Però cercai di aiutarlo lo stesso. Diciamo che di lui sapevo ben poco: sapevo che si chiamava Peter Parker, che viveva con sua zia e che era un genio a scuola. Sì, sapevo abbastanza.
Passammo la giornata insieme, ma io non parlavo molto, assunsi un atteggiamento freddo in presenza di Parker. Lui parlava poco e niente con Gwen, il pilastro del gruppo, ma non ne potevo più e quindi, prendendo una scusa, li lasciai soli.
-Grace, aspetta, dove vai?- chiese stupita Gwen.
-Oh….ehm… mia madre ha bisogno del mio aiuto a casa.- le dissi mentre eravamo in cortile un po’ imbarazzata.
-Oh, capisco…buona giornata Grace!- Gwen mi rivolse un sorriso meraviglioso e io ricambiai con la mano. Anche Peter mi salutò.
-Si, uhm…ciao Grace.-
Non ci avevo mai fatto caso, ma avevo già sentito quella voce.

*

La mattina seguente mi guardai allo specchio, solamente con reggiseno e mutande. Sulla pancia erano evidenti i lividi dell’aggressione. Appena li sfioravo mi sentivo malissimo. Scostai i miei lunghi capelli rossi e li portai indietro con una coda. Volevo cambiare, non volevo essere più la Grace aggressiva, che si vestiva in modo trasandato ed era fredda con tutti. Volevo cambiare. Non capii perfettamente cosa mi spingesse a quell’improvviso cambiamento, ma qualcosa c’era. Qualcuno, forse. Sì, di sicuro Gwen che mi era stata accanto. Di sicuro Gwen.
Aprii il mio armadio e cominciai ad esaminare quello che avevo a disposizione: una camicetta con le borchie, jeans trasgressivi e scarponcini.
Ero molto tentata da quei vestiti ma la mia mente m’impose di cercare qualcosa di…carino ed elegante allo stesso tempo.
-Nulla, nulla!- urlai in preda alla disperazione.
-Grace, tesoro, va tutto bene? Sbrigati, è tardi!- la voce di mia madre arrivava dalla cucina, di sotto.
Misi velocemente una camicetta bianca, una gonna grigia e degli stivali. Era tutto quello che ero riuscita a trovare. Legai i capelli in una treccia indietro e evitai di truccarmi in modo pesante. Sì, ero soddisfatta del mio lavoro.
Presi subito lo zaino e chiesi a mia madre di accompagnarmi a scuola. Passammo tutto il tempo del viaggio in silenzio.
-Ciao mamma, a più tardi!- le dissi una volta scesa dall’auto.
Passando per i corridoi notai molta gente mormorare e guardarmi. Sentivo dei ‘Grace, Grace’ di qua e di là e mi sembrava impossibile entrare in un’aula che tutti parlavano di me. Forse era dovuto al mio drastico cambiamento fisico, forse al fatto che tutta la scuola sapeva chi sono e cosa mi era accaduto. Ma perché non lo avevano fatto prima?
Cercai Gwen ovunque: laboratorio, teatro, sala musica. Non c’era.
Quando finalmente giunsi al mio armadietto per prendere i libri dell’ora di geografia sentii qualcuno avvicinarsi a me.
-No Flash, smettila.- dissi senza guardare, tanto era lui.
-Non…non sono Flash.-
Quella voce…l’avevo già sentita da qualche parte… mi voltai di scatto e vidi Peter di fronte a me.
-Oh, ciao Peter. Scusa, pensavo fosse Flash, sai…-
Peter fece un cenno con la testa come per aver capito.
-Dimmi...ehm… hai visto Gwen?- mi chiese.
-No, l’ho cercata anch’io stamattina ma non l’ho trovata da nessuna parte…al cellulare non risponde…- gli dissi prendendo il cellulare in mano.
-Be’…magari non è venuta.-
-Già. Probabilmente no.-
Posai i libri che non mi servivano all’interno dell’armadietto mentre Peter restava a fissarmi.
-Ma…cos’hai fatto?- mi chiese infine curioso.
Mi guardai velocemente per capire cosa non andava e appena vidi la gonna da brava signora capii cosa intendeva Peter.
-Sai…dopo quello che è successo…ho deciso di cambiare…in tutto.- ammisi.
-In…tutto?-
-Si, a partire dall’abbigliamento ma, detto fra noi, questo è l’unico completo senza le borchie che sono riuscita a trovare.- dissi ridendo.
Anche Peter sorrise.
-Ti sta bene la treccia. Mi sono sempre piaciuti i tuoi capelli.-
Gli rivolsi un sorriso gigante come ringraziamento.
-Che corso hai ora?- gli domandai.
-Mh…geografia, con la Griffiths.- disse Peter.
-Fantastico, anche io! Andiamo? La campana è suonata.- lanciai un’occhiata alla campanella sopra la mia testa. Peter sorrise e annuì.
Passammo la giornata a parlare e sorridere. Be’, io parlavo, lui sorrideva. E a me andava bene così perché ero innamorata del suo sorriso.
Ma…cosa mi prendeva?
La campanella suonò la ricreazione e Peter mi chiese di rimanere con lui per i prossimi 20 minuti. Annuii senza neanche pensarci, poi realizzai e la cosa sembrava strana.
Passammo quasi tutta la ricreazione in cortile parlando e ridendo, poi mi chiese se volevo parlare della mia aggressione.
Per quanto non ne volessi parlare con nessuno data la mia enorme timidezza c’era qualcosa che mi spingeva a parlarne con Peter. E lo conoscevo da poco. Mi fidavo di lui, in un certo senso.
-Peter…è stato orrendo.- dissi abbassando la testa.
-Già…immagino…- disse.
-No, non puoi immaginare. E’ stato traumatico. Sembrava tutto perso…-
-E invece?-
-Invece arrivò Spider-Man. Non che avessi capito molto, ero troppo scombussolata. Eviterei i particolari ma sta di fatto che Spider-Man…mi ha salvata. Non ci vedo nulla di male, anzi lo ringrazio…-
-Quindi pensi sia un eroe, per New York?- mi chiese con un sorrisino sulla faccia.
Annuii.
La campana suonò e mi sentii strana, come vuota. Il momento bello con Peter era finito, adesso cosa rimaneva?
-Cavolo, devo andare.- dissi guardando dentro la borsa per prendere il cellulare e poi chiamare mia madre ma, sfortunatamente mi cadde tutto a terra. Peter, che era accanto a me, mi aiutò a raccogliere tutto.
-Oh, Peter Parker, sei il mio eroe!- gli dissi ridendo.
Peter annuì. -Lo so.-
Rimasi un po’ perplessa da quella risposta, poi gli diedi un bacio sulla guancia e sentii un profumo già sentito. Lavanda. 



Salve a tutti, eccomi qui con una storia ispirata al film The Amazing Spider-Man. Non credo continuerò a scrivere il crossover Harry Potter/Hunger Games, mentre tra poco arriverà il prossimo capitolo di guns., la mia storia sui Vendicatori.
Adesso, parlando di questa storia, sappiate che il personaggio di Grace NON è ispirato a Mary Jane Watson, quindi non immaginate lei mentre leggete!
Ok, detto questo, vi saluto. Recensite,
Marianna.

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Capitolo 2
*** La brava ragazza. ***


La brava ragazza.

Il telefono squillò forte sul comodino. Stanca, assonnata e priva di forze presi la cornetta: -Pronto?-
-Grace! Dove sei, è tardi!-
-Ehi Gwen, calma. Che ore sono?- riuscii a chiedere con le labbra impastate di sonno.
-Le 8 e un quarto! Tra 5 minuti si entra! Devo riattaccare, sbrigati.- mi disse frettolosa e, senza che mi lasciasse dire parola, riattaccò.
Le 8…le 8 e un quarto...le 8 e un quarto! Realizzai che dopo 5 minuti saremmo dovuti entrare e allora mi alzai velocemente dal letto inciampando sulle lenzuola ancora calde. Dopo essermi rialzata goffamente mi precipitai in bagno e lavai i denti. Ok, andava bene. Il difficile venne dopo, quando dovetti scegliere i vestiti da indossare: il vuoto.
Difficile, molto difficile. Guardai nell’armadio di mia madre: abiti, abiti, abiti. Cavolo, non c’era nulla. Ritornai velocemente in camera mia e presi un jeans scuro, un paio di stivali e poi guardai nuovamente nell’armadio di mia madre e, dopo un’accurata ricerca, trovai un cardigan rosso. Perfetto, scelsi una maglietta bianca, indossai il cardigan sopra e poi il jeans e gli stivali.

Non trovai il tempo di truccarmi o acconciare i capelli, tuttavia presi un pettine, un elastico (che trovai dopo ore di ricerca in bagno) e mi catapultai fuori.
Lo scuolabus era ormai passato, mia madre era scesa di mattina presto. Mi feci prendere dal panico. La Griffiths tempo prima mi aveva giurato che se avessi ritardato un’altra volta mi avrebbe bocciato e non volevo che la mia nuova reputazione da brava ragazza che avevo da solo un giorno fosse subito stroncata da un ritardo o, addirittura, dalla bocciatura.
Presi di fretta il cellulare e le mani gelide e bloccate per il freddo di una mattina di New York cercarono di comporre il numero di Gwen Stacy.
Il cellulare squillava in continuazione senza risposta dall’altra parte. Non riuscivo a calmarmi, non c’era nessuno che poteva farlo.
La metropolitana era l’ultima speranza ma poi mi resi conto che me la stavo facendo sotto per un ritardo!
Non sarei arrivata in tempo, no, ma sarei entrata a seconda ora! Certo, avrei saltato la lezione della Griffiths e quindi non avrei visto Peter ma… Peter? Cosa c’entrava lui? Perché m’importava tanto vederlo? Già, probabilmente per il compito di scienze che non avevamo ancora finito. Già, gli dovevo parlare di questo…
Chiamai velocemente mia madre e poi cominciai a correre verso la prima stazione di metropolitana per raggiungere la 77° strada.


*

-Ehi, ciao. Hai visto Peter Parker?-
-Sì, era con Gwen Stacy… sono andati di là…-  il ragazzo indicò l’aula di scienze.
-Grazie!- mi voltai e raggiunsi l’aula di scienze che, fortunatamente, era ancora aperta.
Entrai con fretta e, gettando uno sguardo veloce agli alunni, trovai Peter e Gwen.
Corsi verso di loro che, essendo girati, non si accorsero di me.
Diedi una pacca sulla schiena a Peter che si voltò velocemente e mi sorrise. Speravo davvero di poter rivedere quel sorriso.
-Ciao Grace! Ehi, Gwen, c’è Grace…- disse Peter.
Gwen si girò verso di me e scostò la coda bionda per salutarmi.
-Come mai sei qui? Avevamo perso le speranze!- disse Gwen ridendo.
Le volsi un sorriso e poi le spiegai che sarebbe stato più comodo entrare a seconda ora.
-In effetti… comunque, dato che ci sei tu con Peter vi lascio.-  mi disse, fece l’occhiolino a Parker che abbassò lo sguardo imbarazzato e uscì.
Prendemmo posto velocemente.
-Ragazzi, come sapete, il progetto di scienze a coppie va avanti da un po’ e la settimana prossimo dovete consegnarlo.-
Dal fondo dell’aula Flash esclamò: -Sì, certo Prof.!- e scoppiò a ridere.
Io e Peter ci guardammo straniti, infastiditi e divertiti allo stesso tempo dal comportamento dei nostri coetanei e, in quello stesso momento, il Prof. Smith mise una nota a Flash.
-Dunque, come stavo dicendo prima che il vostro gentilissimo compagno m’interrompesse, oggi continuerete il progetto in classe, in modo che io possa aiutarvi e la prossima settimana lo voglio sulla cattedra. Mettete il camice.-
Prendemmo i nostri camici e mentre li indossavamo chiesi a Peter: -Ci farà bene l’aiuto del Prof., no?-
Gli rivolsi un gran sorriso ma Peter, sconsolato da qualcosa a me sconosciuta, annuii senza dire parola.
Feci finta di niente.
-Dai, prendiamo posto…-
Ci sedemmo ai primi banchi e cominciammo a leggere gli appunti presi nei giorni precedenti per continuare a lavorare al progetto.
-Mh…abbiamo fatto progressi! Di questo passo finiremo il progetto anche oggi!-
Non sapevo precisamente cosa ci aveva spinto a mandare il progetto così avanti. Non mi sentivo in grado di parlare di ‘alchimia’ tra di noi semplicemente perché non ero certa di quello che provasse Peter per me.
Lo vedevo spesso con Gwen, però. Non sapevo neanche cosa provasse Gwen per lui e non ero nemmeno certa dei miei sentimenti. Conoscevo da poco Peter così bene e non potevo esserne certa. Una giornata per i corridoi della scuola e qualche risata non bastavano per una relazione ma Peter mi piaceva. Tutto qui. Ero innamorata del suo sorriso, del suo essere così timido, dolce, gentile, affettuoso e simpatico. Il classico nerd e bisognava ammetterlo ma… io e Gwen pensavamo la stessa cosa.
-Mhmh..- mormorò Peter abbassando lo sguardo sugli appunti. Non era molto convinto, sembrava tanto un ‘ok, capito’ senza senso, senza emozione.
-Peter… stai bene? Parliamo col Prof., se vuoi…- gli proposi ma lui insistette per continuare il lavoro.
Per quanto fosse stanco (lo si poteva notare dalle occhiaie) e inconcludente Peter cercò di andare avanti.
Essendo inesperta in ambito scientifico, ahimè, mi feci aiutare dal professore dato che Peter stette seduto a fissare il vuoto…cioè, gli appunti.
Peter Parker, quindi, durante il corso della giornata, assunse un atteggiamento strano e sospetto.
L’ora andò avanti così fino al suono della campanella e Peter fu il primo ad uscire mentre io salutai il professore e uscii lentamente dall’aula.
-Grace! Devo…-
-…parlarmi? Peter, ascolta, sei stato tutto il giorno strano, seduto in un angolo e se non vuoi dirmi ora che cos’hai!- risi.
-Già, si si, hai ragione….ehm…io…- Peter non riusciva a stare calmo. Balbettava, continuava ad agitarsi senza motivo.
-Peter…- gli dissi con un filo di voce. -Peter…-
-Tu sei amica di Gwen…cioè, per questo non…-
Sgranai gli occhi e, molto stupita, chiesi spiegazioni.
-Cosa…Gwen?-
Peter annuì.
-Io e lei… ci stiamo…frequentando…-
Aprii la bocca pronta a dire qualcosa ma nessun suonò ne uscì. Lo stomaco si contrasse e ad un certo punto le farfalle che sentivo ritornarono bruchi.
-Già…vado Peter.-
Mi voltai di scatto e attraversai velocemente il corridoio scolastico.
Alle mie spalle lasciavo un Peter che urlava –No…Grace, aspetta!-, la mia felicità e il mio sorriso.
D’un tratto sentii il freddo di New York penetrare nelle mie guance rosee per le lacrime che, piano piano, poco a poco, si trasformavano in ghiaccio.

*

-Ciao Grace…Peter mi ha detto quello che è successo. Non sapevo che tu… provassi qualcosa per lui…richiama.-
La voce metallica di Gwen proveniva dal telefono di casa che trasmetteva i messaggi della giornata.
-Mamma, sono in camera…stasera ho troppo da studiare.-
Mentire. Bugie, una sopra l’altra. Il cellulare squillò tutto il resto del pomeriggio e anche di sera. Facevano a turno, una volta era Gwen e l’altra Peter.
Ancora messaggi: -Grace, per favore, fatti sentire! Io e Gwen siamo preoccupati.-
Non ero ‘arrabbiata’ con loro. Ero distrutta. Il che era molto diverso. Gwen non ne sapeva nulla, non ne avevo fatto parola con lei quindi lei non lo aveva fatto apposta. Se lei si era innamorata di Peter e lui di lei… cosa potevo farci io? Non sarei mai dovuta entrare nel merito. No, assolutamente no.

*

Il giorno dopo, alla mensa, feci merenda da sola. Peter e Gwen erano dall’altra parte del refettorio insieme ad alcuni amici di Gwen. Non vennero da me. Non mi dissero nulla. Non so perché non lo fecero.
Da quando Peter si era trasformato fisicamente aveva più amici. Era più forte e profumava di lavanda. Già, la lavanda. Dopo l’aggressione da me subita speravo che avere degli amici mi avrebbe fatto bene ma non dipendeva da me. In fondo, io non avevo fatto nulla. Forse proprio per questo non venivano da me. Forse io, dopo le tante chiamate, dovevo darmi una mossa. Andare da loro, parlare. Forse si aspettavano questo. Rimasi qualche altro secondo seduta, fissando il panino che, dopo qualche secondo, addentai. Mi serviva coraggio, quindi addentai quel dannatissimo panino. Sentii il bisogno di energie ed ero convinta che quelle stesse potessero venire dal panino. Non capivo perché la gente lo facesse…addentare il panino. Dopo tutto, io mi sentivo ancora male e senza forze.
Quindi mi alzai e li raggiunsi.
Con finto stupore entrambi si alzarono e cominciarono a parlare ma Peter capì che Gwen aveva in mano la situazione e fece parlare lei:
-Io e Peter stiamo insieme, è vero. Non capiamo la tua reazione, però! Non ci hai mai detto nulla. Ecco.-
-Sono molto contenta, Gwen. Davvero. Solo… ero sorpresa.- dissi con un falso sorriso.
-Perché non ci hai risposto ieri?- chiese Peter un po’ imbarazzato.
-Non…non ho potuto.- feci una lunga pausa. -Devo andare, ci si sente….-
Rivolsi loro un gran sorriso e mi girai subito per trattenere le lacrime.
Il rigore scientifico della Stacy e di Parker si era rifugiato in una storia d’amore, probabilmente clandestina dato che George Stacy non avrebbe mai permesso a Gwen di frequentare qualcuno così simile a Spider-Man.

Salve a tutti! Direi che sono in tempo con il secondo capitolo di 'Peter Parker is my hero.'! Ringrazio le persone che hanno visualizzato e recensito il primo capitolo della storia e le invito a fare lo stesso con il secondo.
Una precisazione per tutti: ho pubblicato questa storia sotto la sezione Film - The Amazing Spider-Man perché, per quanto possa amare i supereroi Marvel e i fumetti, non ne ho letto neanche uno (valli a trovare!) quindi seguirò il film. 
Leggete e recensite,
Marianna.

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Capitolo 3
*** Li chiamavano 'imprevisti'. ***


Li chiamavano 'imprevisti'.

-Ehi, ciao! Sei Grace, no? L’amica di Gwen?...Be’, sabato, dopo domani, organizzo una festa…porta chi vuoi!-
La bruna mi consegnò un volantino con l’indirizzo e il numero di telefono. Annuii senza dire parola.
Mi diressi un po’ stranita verso casa mia.
Le cose dall’ufficializzazione del fidanzamento di Gwen con Peter andarono peggio.
Non che loro avessero realmente ufficializzato la cosa, ma si vedeva che stavano bene insieme.
Gwen era sempre contenta, parlava in continuazione di quanto fosse felice di stare con Peter.
Parker, invece, nonostante fosse entusiasta di non essere più invisibile agli occhi dell’altro sesso (e non solo) sorrideva e basta.
L’amicizia che c’era tra noi scomparve e tutto precipitò. Ogni giorno, a scuola, non avevo il coraggio di salutarli. Un po’ per imbarazzo, un po’ perché non ce l’avrei fatta a sorridere e far finta di niente davanti Peter. E, avendo considerato questi fattori altamente soggettivi, mi nascondevo e facevo finta di non vederli.
Saltavo tutti i corsi che avevo con loro e anche la mia media iniziava a precipitare. Cercavo di recuperare andando ai corsi pomeridiani ma Gwen era così impegnata con l’attività scolastica che la trovavo anche di pomeriggio e ciò mi costringeva a studiare senza l’aiuto dei professori.
Mia madre si accorse presto di quello che stava accadendo o per lo meno, capì che qualcosa non andava.
Invano tentò di scoprire qualcosa, non le dissi nulla. Non me la sentivo!
Poi, però, pensai a una cosa. Come mai Peter venne da me a dirmi che lui e Gwen si erano messi insieme? Perché proprio a me e perché era combattuto nel dirmelo?
I miei sentimenti per Peter maturarono presto, forse troppo presto. Non me ne resi nemmeno conto: dai momenti di tristezza passavo a sorridere come una malata perché pensavo a lui e al fatto che avrei rivisto quel suo dannatissimo sorriso, quant’era bello.
Ma un giorno passato insieme non poteva significare nulla.
Conoscevo il vero Peter? Tanto ormai era tutto inutile, lui stava con Gwen e io, fingendo di essere contenta della loro relazione, facevo andare tutto bene.
Ero seduta sul letto della mia camera a fissare il tetto e a pensare alla strana situazione in cui mi trovavo quando qualcuno bussò alla porta.
-Sì?-
-Tesoro, c’è qualcuno di sotto che vuole vederti.- fece mia madre.
Sobbalzai incuriosita, aprii la porta.
-Chi è?- chiesi con gli occhi pieni di felicità.
-Ha detto di chiamarsi…Peter.- disse mia madre confusa. -Ti aspetta di sotto.-
Sgranai gli occhi. Peter? Come sapeva dove abitavo? Cioè, quella era la domanda più stupida che potessi farmi perché, cazzo, Peter Parker era venuto fino a casa mia per parlarmi.
Mia madre mi vide pensierosa e capì subito cosa doveva fare.
Chiusi la porta e sentii i passi di mia madre scendere per le scale e dire a Peter: -Scusa Peter, Grace sta dormendo.-
-Rimango qui.- disse Peter deciso. -Finché non si sveglia.-
Poi, non so come, mia madre fece accomodare Peter fuori. Gli disse di andarsene, o qualcosa del genere.
Fuori pioveva, cioè, piovigginava. Ma il tempo era quello lì. Strano a dirsi, dato che di mattina c’era stato il sole. Ma New York era imprevedibile. New York era la mia città, come me: imprevedibile.
Scostai la tenda della finestra che avevo in camera per osservare Peter.
Restò seduto lì un bel po’, quasi due ore.
Quelle poche parti di cielo rimaste, non coperte dai grattacieli, iniziavano a scurire per dar vita alla notte.
La notte di New York….non si vedevano più le stelle. Ormai quelle erano rappresentate dalle luci degli appartamenti di Wall Street, bisognava ammetterlo.
Una notte stellata a New York non si vedeva da tanto tempo e mi mancava.
Stetti ad aspettare le stelle per un po’ di tempo finché mia madre non mi chiamò per la cena.
-Sì, arrivo…- dissi piano.
Guardai un ultima volta fuori dalla finestra per osservare Peter che fino a quel momento c’era stato ma che ora non c’era più.
 Si era arreso, probabilmente.
Un senso di rimorso mi pervase completamente tanto che non riuscivo ad alzarmi e raggiungere la cucina.
Poi pensai e mi ricordai di Spider-Man, di quella volta che mi aveva salvato. E capii che forse ero innamorata di lui e non di Peter, anche se quest’ultimo mi ricordava vagamente il primo.
Forse l’eroe che si era preso cura di me era il mio vero amore. Forse la maschera e la calzamaglia che mi faceva tanto ridere erano quelle poche cose che mi facevano innamorare di lui.
A quel pensiero sorridi e mi alzai pronta per addentare il polpettone.
Raggiunsi la soglia della porta con un sorriso da ebete quando, alle mie spalle, sentii dei rumori strani.
Mi voltai velocemente in preda alla paura. Il cuore batteva a mille e mi scappò quasi un urlo quando Spider-Man mi lanciò una ragnatela per farmi stare zitta.
-Ehi, ehi…calma, non voglio farti male!- disse lui pronto.
Mia madre, che da sotto aveva sentito rumori provenire dalla mia camera urlò: -Tutto ok, tesoro?-
Guardai velocemente in basso, come se potessi guardare mia madre e poi guardai Spider-Man, in cerca di aiuto.
Ero agitatissima, non riuscivo a stare ferma. Spider-Man mi disse di parlare con mia madre per qualche secondo e dirle che stavo bene. Lo feci.
Ritornata in camera il ragazzo/uomo era seduto sul mio letto.
-Ecco, ho fatto. Adesso mi spieghi che cazzo vuoi?- gli dissi a bassa voce ma arrabbiata.
Quella maschera mi perseguitava. No, non la maschera di Spider-Man, quella di Peter Parker. Lavanda. C’era ancora quel profumo, la voce di Spider-Man era anche vagamente simile a quella di Peter. Impossibile fosse lui.
-Voglio parlarti.-
-Troppe persone oggi mi vogliono parlare.-
-No, sempre le stesse.-
Guardai l’uomo ragno interrogativa.
-Vieni qui.- mi disse e indicò il letto.
-Perché dovrei?-
-Grace, siediti.-
-Come cazzo sai il mio nome?- dissi pronta.
Il ragazzo si alzò e si avvicinò a me mentre alzava la maschera all’altezza delle labbra. Mi sorrise.
E capii tutto.
Un sorriso, mi bastava solo un sorriso per capire che Spider-Man era la stessa persona che per quasi un mese mi aveva fatto sentire male.
Piano, avvicinandosi a me, Peter appoggiò le sue labbra morbide sulle mie.
E mi mancava il fiato per continuare.

*

Passò un altro giorno prima della festa di Kimberly, la ragazza che mi aveva invitato. Solo dopo avevo scoperto il suo nome e anche il fatto che il suo invito per me le era stato dato da Gwen. La bionda, nonostante tutto, era rimasta mia amica. Be’, non ci parlavamo, però lei ci teneva a me e io avevo baciato Peter.
Cioè, Spider-Man. Nulla era chiaro nella mia mente, sapevo solamente di essere  innamorata della stessa persona e che quella ricambiava il mio amore. Ma stava ancora con Gwen e questo lo odiavo. Non si può stare con due persone contemporaneamente, è impossibile ma sorvolai sul fatto.
Ero seduta sui gradini di casa mia, con un vestito tanto corto quanto adatto a una festa, aspettando che George Stacy con sua figlia mi venissero a prendere.
L’auto rossa sfrecciò veloce sull’asfalto di fronte casa mia e Gwen, abbassando il finestrino, fece segno di salire.
-Ciao!- salutò contenta la bionda.
Dio mio, era bellissima, io non avrei avuto speranze con Peter.
-Ciao…- dissi sottovoce con un sorriso forzato. -Grazie del passaggio, Signor. Stacy.-
-Di niente Grace, allora.- fece partire subito l’auto. -Promettete eviterete gli alcolici?-
Gwen rise. -Certo Papà, perché no.- e continuò a ridere.
-E tu che dici, Grace?-
-Certo Agente Stacy, perché no…- e risi anch’io.
Poi guardai Gwen e notai che lei mi stava già sorridendo e, senza dire nulla, mi abbracciò.
Capii subito cosa voleva fare. Voleva fare pace, ma lei non sapeva nulla. Non sapeva del bacio tra me e Peter, del fatto che ero pazza di lui e che lui, forse, ricambiava.
Rimasi fredda a tutte le attenzioni di Gwen durante la serata, non tanto perché fossi ancora arrabbiata con lei, perché mi sentivo in colpa. Cosa che lei, i primi tempi, non faceva.
Peter arrivò un’ora dopo ed erano già le dieci e mezzo. Salutò Flash, un paio di amici e poi si diresse verso Gwen.
La festa proseguiva in modo fantastico: Kimberly fece mettere un po’ di musica e le luci soffuse creavano l’atmosfera perfetta e se la prima parte (che durò dalle dieci e mezzo alle undici e mezzo) era stata abbastanza movimentata con canzoni che fecero ballare persino Robert Robot che fino a quel momento era stato un vero e proprio robot, la seconda parte della festa (dalle undici e mezzo in poi) si trasformò in un mortorio.
Non che lo fosse veramente ma i compagni più stanchi si addormentarono sui divani mentre le coppiette più sdolcinate di tutta la scuola pomiciavano durante i lenti.
Io, invece, rimasi seduta, da sola, in un angolo. Parlai con qualcuno che mi fece conoscere Gwen, ma nulla di che.
Frequentavo solo il quarto anno mentre la maggior parte degli invitati frequentava il quinto. Insomma, io per loro ero ancora la matricola del primo anno.
Erano tutti fatti, chi, tra un ballo e l’altro, urlava di quanto era ubriaco e scappava sempre una risata. Le solite feste adolescenziali americane, nulla di nuovo. No, avevamo solo Spider-Man come pezzo forte, ma nessuno lo sapeva.
Infatti Peter si fece notare subito. Parlò con un gruppo di ragazzi del quarto e quinto anno. Flash compreso. Già, sembrava stranissimo: Peter Parker che parlava con Flash, il grande e potente Flash.
Ma tutto da quando Peter diventò Spider-Man. Cosa da non dimenticare.
Lo guardai tutto il tempo, osservai tutte le sue mosse. Non per ossessione, per attrazione. Lui ricambiava i miei sguardi. Ma non lo faceva notare.
Quando i nostri occhi s’incrociavano mi scappava un sorrisino, ma anche io facevo finta di niente.
Ogni tanto Gwen mi si avvicinava per parlarmi di ‘quanto fosse fantastica la festa!’, per me era solo indifferente.
Bevevo un bicchiere di Coca-Cola quando Steven, il playboy della scuola, si avvicinò a me:
-Ciao, sei Grace?-
-Come mai ultimamente mi fanno tutti questa domanda?-
-Perché sei talmente carina che tutti vorrebbero conoscerti.-
Mi rivolse un gran sorriso che non ricambiai.
Kimberly si avvicinò:
-Steve e Grace! Non ci posso credere, state insieme? E da quando?-
Scoppiai a ridere e nel giro di qualche secondo tutti ci fissavano.
-No, non stiamo insieme, Kim. Mi ero avvicinato a Grace per parlare…-
Annuii indifferente mentre Gwen si avvicinava a noi.
Chiese un po’ a Kim cosa stava succedendo e, infine, aggiunse il suo parere:
-Secondo me sareste una coppia bellissima!-
Fissai incredula Gwen e Steven.
-No, dico, stai scherzando?- dissi infine.
-Perché? Siete perfetti…Peter, tu che ne pensi?-
Peter mi guardò deluso.
-Sì, ehm…perché no?-



Be', come tutti sapete (o spero la maggior parte di voi) questa gif è tratta dal primo film della trilogia di Spider-Man mentre Peter/Spidey bacia Mary Jane Watson.
Ripeto, come ho già specificato nel primo capitolo, che il personaggio di Grace NON è ispirato a Mary Jane Watson ma questa era l'unica gif che si adattava al capitolo.
Spero di essere in tempo col capitolo e spero che tutti i recensori dei primi due (e anche nuovi) recensiscano questo capitolo.
Con la speranza che vi piaccia,
Marianna.

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Capitolo 4
*** Dovevo vendicare entrambe. ***


Dovevo vendicare entrambe.

Rifiutai la proposta di Steve (che era molto attraente) per rimanere ‘fedele’ a Peter, cosa che non faceva lui.
Un giorno, dopo la festa, si presentò a casa mia in veste di Spider-Man, mi prese per i fianchi e mi portò sopra un grattacielo.
Mi disse che non era realmente innamorato di Gwen, quanto di me. Non sapevo cos’altro dirgli se non ‘Ok, va bene.’ e gli sorrisi.
Gwen era rimasta mia amica. Ci teneva a me, credeva che tutta la mia vita fosse rose e fiori. In più credeva che mi stessi frequentando con Steve e ciò la rendeva più contenta. Se avesse saputo quello che stavo passando non sarebbe stata poi così felice.
Una settimana dopo la festa ricevetti una chiamata da Peter: -Dobbiamo vederci.-
-Ok.-
Nient’altro, il resto era superficiale. Si limitò a dirmi questo e riagganciò.
Lo incontrai qualche giorno dopo a scuola: era con Gwen e le sue amiche. Mi guardò, voltò la faccia e se ne andò. Gwen mi fece cenno con la mano e io le sorrisi. Un sorriso un po’ forzato, purtroppo. Ma lei non lo sapeva.
La routine mi stava uccidendo: scuola, casa, compiti e poi il giro ricominciava. Steve ci provava continuamente con me ma non riusciva a comprendere il mio completo disinteresse per lui. Al contrario aumentava il mio interesse fisico e sentimentale per Peter che però stava con Gwen. Così cominciai a pensare e ripensare a quella notte, quando Peter in calzamaglia (meglio conosciuto come Spider-Man) fece irruzione in camera mia e mi baciò.
Cosa credevo? Di avere una possibilità? Magari sì ma Peter s’era troppo montato la testa e io m’ero illusa. Purtroppo il mio continuo bisogno di stare con lui veniva fuori nei momenti di totale solitudine e sfiducia in me stessa (cosa che Peter riusciva a risollevare).
D’un tratto, Gwen mi chiamò al cellulare. Mi disse che aveva visto Peter baciare un’altra ragazza all’uscita dalla scuola.
Sul momento consolai Gwen e le dissi di lasciarlo perdere ma quando lei attaccò, la mia mente cominciò a riflettere. E forse dovevo dimenticarlo anche io.
Erano le quattro del pomeriggio e, per consolarmi, chiamai Steve.
-Tesoro?-
-Steve, sono Grace. Cosa stai facendo?-
-Tra un  po’ esco con i ragazzi. Tu vuoi venire, dolcezza?-
-No, se stai con i ragazzi non voglio disturbare…- dissi.
-Tranquilla, i ragazzi vanno a vedere una partita e a me scoccia. Preferisco stare con te. Ti passo a prendere fra 15 minuti.- e attaccò prima che potessi rispondere.
Nel frattempo continuavo a domandarmi chi potesse essere quell’altre ragazza che Peter aveva baciato. Ah, sì, la ragazza del corso di letteratura, la bionda.
No…magari no.
Rimasi a riflettere qualche minuto, così che il pensiero potesse soffocare le lacrime e per un momento ci riuscì.
Infatti, capii in un instante chi era quell’altra.
Per dimenticare presi la mia borsa, una felpa e uscii fuori di casa dirigendomi verso il luogo dell’appuntamento con Steve.
La metropolitana puzzava di sudore, di sporco e di uomini d’affari che magari speravano che il loro colloquio questa volta sarebbe andato meglio ma che sotto sotto sapevano che non era così.
Mh, dove stava la novità?

*

Sembrava una scena di un film porno, a guardarla. Ma poi pensai che, in fondo, era per dimenticare Peter. E quindi film porno sarebbe stato!
Scesa dalla metropolitana richiamai Steve, gli chiesi se era ancora lì e lui mi disse sì.
‘Perfetto’, dissi tra me e me.
L’appuntamento era all’inizio di un vicolo della 45° Avenue.
Camminavo svelta per evitare di pensare e concentrarmi di più sul muscolo della gamba che pulsava per via delle scarpe scomode.
In lontananza scorsi le enormi spalle di Steve e il fumo della sigaretta che stava fumando.
Quando mi vide mi sorrise con la sigaretta ancora in bocca ma io non dissi nulla.
Mi avvicinavo sempre di più a lui, aumentando il passo e quando ero ormai a un metro da lui mi disse ‘Ehi, bell…’ non finì in tempo la frase che fu interrotta dal mio bacio.
Bacio violento, duro, passionale, infinito. Chiusi gli occhi e cercai di non immaginare Peter a darmi questo bacio ma fu inutile, così baciai ancora più forte Steve mentre i nostri corpi si muovevano come se fossero angeli in cielo.
Steve mise un braccio sulla mia schiena e l’altro nei miei capelli e io misi la mia mano sul suo petto e l’altra dietro il suo collo.
Cominciò a toccarmi da tutte le parti mentre cercavamo di riprendere fiato fra un bacio e l’altro quando ad un certo punto Steve si fermò.
-Che succede?- gli chiesi subito per evitare che i pensieri mi invadessero.
-Perché?-
-Perché cosa?- gli dissi ridendo e dandogli un altro bacio.
-No, no, no, no… aspetta. Tutte le volte che siamo usciti insieme non hai parlato, non mi hai calcolato e oggi pomeriggio mi chiami, dici che mi vuoi vedere e quando io voglio una cosa romantica tu vieni così e mi baci come non hai mai baciato nessun’altro.-
-Be’, ci metto un po’ ad inquadrare le persone.-
-Devo dire che non mi dispiace.-
-Devo dire che anche tu non sei male. Sei piuttosto arrapante, sai?-
-Oh, oh, cos’è questo linguaggio, signorina?-
Fu l’ultima cosa che disse prima di riprendere a baciarci.

*

La situazione continuò così per qualche settimana, e Gwen continuò a chiamarmi mentre, in lacrime, guardava Peter tradirla.
Lei stava ancora con lui e faceva finta di niente, ma chi sapeva com’era realmente la situazione li dava per separati definitivamente.
Sentivo di dover vendicare Gwen e me. Sentivo di dover fare qualcosa, non potevo restarmene lì, impotente, come faceva Gwen. Lei era troppo buona, ma io no.
Così, al corso di letteratura, mi sedetti vicino a Steve. Prima che suonasse la campanella ci baciammo e, come al solito, non provai quasi nulla. Ma per il bene mio e di Gwen andava fatto.
Quando Peter entrò in aula baciai ancora più forte Steve e feci una faccia contenta, così che la prima fase del mio piano si attuasse.
La lezione passò velocemente e Peter guardava me e Steve ogni secondo; be’, prima fase: fatto.
Suonata la campanella mi diressi verso l’uscita dell’aula e salutai Steve con un bacio semplice. E poi mi voltai e guardai dritto per la mia strada evitando tutte le distrazioni.
Mi feci dire da Kimberly il posto dove Peter infilava la lingua in bocca a quella ragazza e, dopo la scuola, mi nascosi lì, in attesa che il signor Parker sarebbe arrivato.
Ma la ragazza lo precedette.
Così le dissi: -Bene bene, ci rivediamo.-
-Oh, ciao Grace.-
-Mary Jane Watson. Come hai potuto?-



Ciao a tutti, ecco il quarto capitolo di 'Peter Parker is my hero.' 
Mi dispiace tantissimo per la lunga attesa ma sono stata davvero molto impegnata e spero che chi seguiva prima la FF possa continuare a seguirla.
Per chiunque abbia letto, sì, questo capitolo è un po' spinto ma, d'altronde, la Fan Fiction è arancione quindi dovevate aspettarvi qualche chicca come questa.
Per quanto riguarda la gif l'ho trovata girando per il web e credo che Holland sia perfetta per il personaggio di Grace, anche se non vi inciterei ad immaginare lei quando leggete. 
Per il resto, leggete, recensite,
Marianna.

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Capitolo 5
*** Vecchi ricordi e nuova vita. ***


Vecchi ricordi e nuova vita.


-Come ho potuto fare cosa?-
-Questo! A Gwen!-
-Me l’ha proposto Peter.- disse Mary Jane con aria indifferente aggiustandosi i capelli. –Peter mi ha detto che non voleva più avere a che fare con Gwen. E nemmeno io volevo stare con Harry. Quindi, per dimenticare tutto, siamo diventati scopa-amici.-
-AVETE SCOPATO?!- dissi con aria sconvolta.
-Non ancora. Ehi, cos’è quest’aria di gelosia, eh?-
-Non credo possa importarti.- la zittii con aria sicura, senza far notare nemmeno un po’ che provavo qualcosa per Peter.
-Mh…- fece lei.
-Oh, ‘sta zitta, che sei una brutta puttana, carissima Watson!- e me ne andai.

*

-Grace, Grace!-
Mi voltai di scatto al solo sentire quella voce.
-Che cazzo vuoi?- gli dissi in tono aggressivo.
-Dovevamo parlare.- mi disse Peter.
-Non dobbiamo dirci niente.-
Peter mi bloccò prima che me ne potessi andare e mi diede un bacio ma io lo rifiutai.
-No, sono stufa. Sono stanca dei tuoi giochetti, sono stanca dei baci, sono stanca! Non posso fare come Mary Jane, non sono una puttana! Non tradirò Gwen. Gwen, lei ci tiene un sacco a te, perché cazzo non vuoi capirlo, Peter?- la mia voce si fece più debole e mi accorsi che stavo sul punto di piangere.
-Perché a me piaci tu.- mi disse guardandomi negli occhi. No, non potevo farmi indebolire dai suoi occhi, dal suo sguardo, non ancora una volta.
-Balle! Tutte balle! Non ci credo, io sono un’altra pedina dei tuoi giochi e non voglio esserlo! Credevo di essere importante per te, Peter. No, non lo sono e me ne sto facendo una ragione, non illudermi troppo.-
Lui fece per parlare ma poi chiuse la bocca perché non seppe cosa dire.
-Senti, io sono stata aggredita, quasi violentata. E poi è arrivato Spider-Man e mi ha salvato. Grazie, Peter. Ma questo non vuol dire che puoi giocare con i miei sentimenti! Per non parlare di come si sente Gwen.- mi bloccai un attimo e pensando che non solo Gwen si sentiva ferita in quel modo. Lo ero anch’io, nonostante tutti i baci con Steve. Chiodo scaccia chiodo. Ma non è sempre così.
-Ascoltami: per tutto il tempo non ho fatto altro che baciare ragazze per dimenticarne una, tu. E allora ti chiederai perché mai mi sono messo con Gwen. NON LO SO, VA BENE?! Lei era la prima ragazza che si accorgeva di me, anche prima di te. Ma poi ci siamo conosciuti, abbiamo passato una bellissima giornata insieme…e ricordo ancora il nostro bacio. In quella stanza non si sentiva altro che il mio cuore battere.
Ho iniziato a baciare Mary Jane, e devo ammettere non solo lei, per dimenticare te che stavi con Steve…-
Rimasi ferma, gelida, immobile. Ero troppo fragile, troppo piccola, troppo chiusa, per far parte di una storia infinita.
Non riuscivo a capacitarmi delle parole appena uscite dalla bocca di Peter e quindi mi girai e me ne andai, lasciando Peter dietro di me, solo.
Non in veste di Spider-Man, l’eroe che tutti vedevano. Solo Peter Parker, il ragazzo di periferia che, un po’ impacciato, stava col suo migliore amico Harry Osborn.
E io, Grace, Grace e basta, la ragazza che non era mai stata cagata da nessuno prima che si venisse a sapere che era stata aggredita e, soprattutto, salvata dal mitico Spider-Man.
Adesso capisco che se il fantastico Spider-Man mi avesse conosciuta prima della mia aggressione non mi avrebbe salvata lui, sarebbe stato Peter.
Perché basta solo un pensiero a Peter Parker, il mitico PP, che stai bene. Vedi, quando tutto sembra perso, quando senti solo dolore, quando hai paura, arriva Peter.
E Peter, nonostante tutte le cazzate che ha fatto, rimane il tuo eroe.
Perché sì, sono caduta di nuovo nella trappola del ragno, sono una perfetta idiota.
E una pazza.
Una matta.
Irragionevole.
Folle.
Stupida.
Squilibrata.
Innamorata.

*

Ultimi due giorni di scuola prima delle vacanze di Natale: professori che lasciavano compiti a mai finire, compagni eccitati dal fatto che i lontani parenti della Norvegia stavano per arrivare e avrebbero portato loro regali puramente europei (anche se non sapevano che la Norvegia non fa parte dell’Unione Europea, ma decisi di lasciarli nella loro convinzione) e Gwen che si era ormai ripresa dalla rottura con Peter.
Ormai neanche si parlavano più e se venivano costretti da Kimberly e Steve si limitavano a un come va e come non va.
E io? Io… be’ ero con Kimberly e Steve cercando di far riavvicinare Gwen e Peter anche solo come amici.
La mia finta relazione con Steve finì subito dopo la mia litigata con Peter, non poteva più andare avanti.
Mary Jane Watson aveva smesso di stare con Peter solo per piacere.
Ma il mio passato con Mary Jane non si poteva dimenticare.
Ripensai, chissà per quale motivo, alla litigata avuta con lei sul retro della scuola.
Anche se erano passate ben due settimane da quell’incubo, il pensiero tornò in mente e tornarono in mente anche i ricordi di due anni fa.
Al primo anno di liceo io e Mary Jane eravamo inseparabili: amiche per la pelle, come si dice.
Ci conoscevamo dalle medie e la nostra idea era quella di frequentare lo stesso college, dopo aver finito il liceo.
Pochi mesi dopo l’inizio della scuola, Mary Jane veniva notata da molti ragazzi. Infatti il suo corpo era molto cambiato: era più alta e più magra mentre le era cresciuto il seno.
E tutti le sbavavano dietro ma lei mi disse ‘Non mi farò mai mettere le mani addosso da quei coglioni!’, così continuammo a essere amiche. Condividevamo idee, studio, camera e, quando si partiva, valigia. Ma un giorno, si lasciò andare.
Ricordo perfettamente; secondo anno, festa da Kimberly (naturalmente l’invito m’era stato dato per merito suo), camera di Kimberly, Flash…
E lì, Mary Jane Watson perse la verginità. Fosse stato solo quello avrei capito, lei credeva ancora in quell’idea ormai dimenticata da tutti gli uomini sulla faccia della terra, l’amore. Ma quando capì che Flash l’aveva illusa, cominciò a farsi toccare da tutti, cosa che aveva detto non avrebbe mai fatto.
So benissimo non avrei mai dovuto lasciarla sola ma dopo quell’episodio, una volta, mi diede uno schiaffo così forte da farmi piangere.
‘Va bene così, MJ. Sei una stronza! Volevo solo consolarti e tu mi hai fatto male, vaffanculo!’

*

-Ehi ciao Grace. Come va?- nel suo tono di voce notai un certo disinteresse. –Ti va di passare il Natale con me e la mia famiglia? Faremo un pranzo infinito, non vedo l’ora! Ti prego fammi sapere…oh, sono Gwen!-
Il messaggio si concluse con un bip del tutto inaspettato e che quindi mi fece sobbalzare.
Guardai l’orologio, le 11.30. Era quasi Natale. E io mi sentivo incredibilmente sola.
In casa non c’era anima viva a parte me e Lucky, il mio cane.
Non era uno di quei cani spelacchiati che si portano dentro le borsette piene di trucchi delle signore che passeggiano per New York.
Era un cane abbastanza grosso e non ricordo bene neanche la sua razza, ma so che gli volevo bene. Era il mio unico amico quando rimanevo sola. Lo accarezzavo nei momenti tristi e lo spupazzavo quando ero felice, raramente.
Il grosso cane nero che vagava per casa mia sembrava un vagabondo in cerca di una nuova strada, una nuova vita mentre, con aria curiosa, si ritrovava in mezzo al deserto.
Un po’ com’ero io e forse una nuova vita, senza Peter, senza Gwen, senza Mary Jane, senza nessuno sarebbe stata migliore.



Salve a tutti, nuovo capitolo!
Sono molto fiera di questo capitolo ma non mi dilungherò perchè vado di frettissima! Leggete e recensire,
Marianna.

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Capitolo 6
*** 'QUEEN GS' ***


'QUEEN GS'

-Cosa ti mancherà di questo posto, tesoro?- chiese dolcemente mia madre.
-Credo i grattacieli, mamma.- e rise.
In realtà non sapevo bene cosa mi potesse mancare per prima. La domanda da fare era ‘Cosa non ti mancherà di questo posto?’ e forse sarebbe stato meglio se non avesse mai fatto quella domanda.
-Sai, in California devi stare molto attenta.- si preoccupò di dirmi mia madre. –Una mia amica dice che sua figlia ha incontrato un ragazzo che…-
-Mamma, non voglio pensare ai ragazzi. Sono contentissima, andò al college! In California! Come potrei pensare ai ragazzi?- già, come potrei, dopo quello che è successo?
Mia madre mi aiutò a finire la valigie giusto in tempo per il giorno del diploma.
Ci volle un po’ di tempo prima che io, Peter e Gwen tornassimo gli amici stretti di una volta e così passarono sei lunghi mesi.
Gwen era…la Gwen di sempre. Solare, divertente, scherzosa. Le volevo bene come prima che fosse successo tutto il casino con Peter, forse di più. Io e lei eravamo come sorelle, insieme a Mary Jane. Ma già sapete cos’è successo con lei. Quindi eviterei di parlarne.
Kimberly e Steve si erano fidanzati e io ero contenta per loro dato che si erano accorti di essere innamorati l’uno dell’altra.
Kimberly infatti, dopo la mia ‘rottura’ con Steve, anche se non c’era mai stata un’ufficializzazione della nostra relazione, mi confessò di esserci rimasta abbastanza male quando Steve iniziò a corteggiarmi.
Le feci un gran sorriso e le dissi che non avevo mai provato nulla per lui e che lei adesso aveva campo libero.
Per quanto riguarda la storia degli altri personaggi della mia vita tutto era superfluo. Non accadde nulla di speciale.
Cosa fece Peter? Be’, Peter… smesse di fare il Don Giovanni, in parte perché sapeva che non era giusto e in parte perché gli era scocciato.
Il personaggio di Spider-Man diventava famoso ogni giorno di più: salvava vite, incastrava criminali, aiutava gli anziani ad attraversare la strada. Però non lavorava accanto alla giustizia. Era un po’ come un eroe solitario, che sta per conto suo.
Lo guardavo in televisione, sentivo parlare di lui alla radio, ovunque. E per una persona che vuole farsi una nuova vita non è certo la soluzione migliore.
La sera prima del diploma chiamai Gwen e uscimmo a fare una passeggiata. Parlammo del più e del meno sino alla 2nd avenue, quando raggiungemmo un piccolo locale che ci ispirava ed entrammo a dare un’occhiata.
Si scoprì che il locale, sottoterra, era un’immensa discoteca piena di ragazzi quasi della nostra età ubriachi e fatti da morire.
Io e Gwen ci lanciammo un’occhiata un po’ incerta ma poi lei annuii e avanzò per prima dentro. Io la seguii e poi tentò di dirmi qualcosa ma non la sentii per la musica troppo alta.
Il locale occupava ben due piani del palazzo: il piano di sotto era una discoteca vera e propria con luci rosa e verde fosforescente mentre il piano di sopra prendeva una buona parte del perimetro del locale, ma non ricopriva del tutto il piano di sotto.
Non capii come quell’edificio potesse reggere il peso del terzo piano quando era cavo al centro del secondo.
Io e Gwen ci buttammo nella mischia, la persi subito. Ero preoccupata del fatto che poi, magari, con tutta quella confusione, non l’avrei più ritrovata.
Ma eccola lì, di nuovo, la chioma bionda che ondeggiava e scintillava sotto le luci psichedeliche dell’enorme posto.
Mi feci largo fra i presenti per raggiungere Gwen quando un tonfo assordante fece sobbalzare l’intera discoteca.
Ci voltammo tutti d’istinto per capire da dove arrivasse il rumore.
Proveniva dall’alto.
D’un tratto non vidi più nulla.
*
Mi trovavo sdraiata, per terra, in mezzo alla strada. Mi svegliai abbastanza confusa, gli occhi che volevano aprirsi, il resto del corpo no. Con gli occhi socchiusi scorsi che sopra di me c’era il tetto di un cinema.
Mi imposi di alzarmi e, dolorante, lo feci. Dovetti appoggiarmi al muro accanto a me per evitare di cadere, per via dei giri di testa.
Il mio primo pensiero dopo essermi ripresa fu Gwen.
Cercai subito il cellulare nelle mie tasche e composi il numero di Gwen.
Al terzo squillo, la ragazza rispose:
-Sì?- aveva una voce alquanto strana.
-Gwen? Sono Grace! Dove diavolo sei?!- le urlai per via del panico.
-Oh.- la voce di Gwen si fece improvvisamente più seria. -Sono in fondo alla 2nd avenue.-
-In fondo? Dove?- ma Gwen aveva già attaccato.
Mi diressi velocemente alla fine della 2nd avenue ma non trovai nulla, se non un locale a luci rosse.
Luci rosse nella 2nd avenue, stentai a crederci. Stavo per ritornarmene a casa quando una voce molto familiare mi sorprese alle spalle.
-Ciao ciao, Grace. Che ci fai qui? Fai la puttana in segreto? Oh, mamma Paula non ne sarà contenta.-
Senza voltarmi risposi: -No, non faccio la puttana. Non mi chiamo Mary Jane Watson.-
-Oh, cara, se Peter venisse a sapere!-
-Sapere cosa?- mi ero voltata verso la rossa. -Che TU fai la puttana? Cosa ci facevi qui, eh?-
Mary Jane fece un sorrisetto sinistro.  Le sue labbra erano truccate in modo pesante, come il resto del viso e il suo abbigliamento non era quello adatto a una studentessa dell’ultimo anno. Era mezza nuda.
-Di me non gliene frega nulla. Vieni cara, andiamo a fare un giretto… saremo soprannominate ‘le rosse del locale a luci rosse’! La cosa non è eccitante?-
-Per niente, Watson.-
Mi prese per un polso e mi trascinò all’interno del locale sotterraneo.
-Sai com’è, queste cose sarebbero illegali.- mi spiegò durante il tragitto. –Ma, sempre se sai com’è, qui ci vengono tutti, anche i politici. Pagano un botto.-
-Oh, davvero? E tu come lo sai?-
MJ fece una smorfia. Mentre camminava e si atteggiava con grazia all’interno del locale notai che quest’ultimo era molto grande e con luci offuscate ma che facevano comunque vedere bene.
L’ampio spazio era suddiviso in camere che si trovavano a sinistra e divanetti dove si pomiciava o ci si strusciava solamente con i vestiti. Feci per non guardare girando la testa dall’altro lato ma non ce ne fu bisogno perché Mary Jane mi stava portando in una camera speciale, come la definiva lei. Le chiesi spiegazioni ma lei si limitò a sorridermi.
Scendevamo sempre più sotto terra quando alla fine arrivammo di fronte una stanza completamente isolata dal resto delle camere che stavano sopra.
-Come mai non ti sente niente?- chiesi stupita a Mary Jane. –Non dovrebbero sentirsi i gemiti di due che scopano?-
-Te l’ho detto che è una camera speciale.-
-Ma io continuo a non capire. Che cosa vuoi da me? Perché mi hai trascinata qui?-
Poi alzai lo sguardo e sopra la porta c’era un’insegna luminosa con scritto ‘QUEEN GS’
-Che cosa vuol dire?- chiesi a MJ.
Cominciavo a capire. Capivo PERCHE’ Mary Jane mi aveva trascinata lì sotto. Avevo quasi compreso tutto, solo non riuscivo a crederci.
Cercavo di immaginare un’altra scena e non quella che mi si sarebbe presentata davanti. Qualcosa di fattibile, di possibile.
-Vedi, Grace. A Peter non importa cosa faccio io. Sono sicura che alla fine è un bravo ragazzo, gli importa cosa succede alle persone a cui tiene. La vedi quella scritta sopra di te?- Mary Jane mosse il mento per indicarmela.
-Oh, vedo che non sei scema come credo. Hai già capito qualcosa.- disse la rossa guardando la mia faccia stupita.
Mi sentivo impotente, le gambe di gelatina.
-E’ impossibile.- sussurrai guardando in basso, gli occhi colmi di lacrime.
-Credo che se Peter, o almeno un’altra persona che conosca la rispettabilissima Gwen Stacy, sapesse quello che ti sto facendo vedere, sempre la rispettabilissima Gwen Stacy potrebbe essere…uccisa.- Mary Jane fece un risolino portandosi alla bocca le mani, giusto per farmi sentire peggio.
Poi spalancò la porta e la visione che si presentò davanti a me fu la peggiore.
-Tesoro! C’è qualcuno che vuole vederti!- la voce di Mary Jane suonava forte e chiara all’interno della stanza.
Una figura snella, alta e formosa si mosse all’interno del locale. I lunghi boccoli biondo platino oscillarono da un punta all’altra mentre la ragazza si muoveva.
Vedevo tutto offuscato, sentivo che di lì a poco sarei svenuta.
Quando la ragazza bionda mi vide, o almeno ricordo che fu quando mi vide, si bloccò. Aprì la bocca per dire qualcosa ma non ne uscì alcun suono.
Guardai Mary Jane dritta negli occhi. Aveva sul viso un’espressione alquanto compiaciuta. Vedevo il trionfo, negli occhi verde smeraldo.
Poi mi voltai verso la bionda.
-Queen Gwen Stacy.- sussurrai.


Come gif finale Holland che ci sta tutta! Bene, ho finito il capitolo dopo una lunga attesa e spero vi abbia sorpreso perché credo di averci messo l'anima! Recensite, suggerite, leggete, fatemi sapere cosa ne pensate!
Vorrei specificare una cosa: IL PERSONAGGIO DI GWEN NON E' OOC PERCHE' LA STORIA E' INVENTATA DA ME E QUINDI POSSO ANCHE CAMBIARE IL CARATTERE DEI PERSONAGGI.
Ecco, piccola specificazione.
Spero lo apprezziate,
Marianna.

 

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Capitolo 7
*** Ospedale. ***


Ospedale.

Scoppiai a ridere come una matta. -E’ uno scherzo, vero?-
Gwen scosse il capo e abbassò lo sguardo. Quando parlò la sua voce tremava e aveva gli occhi pieni di lacrime. –No Grace, mi dispiace…-
Guardai perplessa Mary Jane che si avvicinò svelta a Gwen e le sussurrò qualcosa all’orecchio, spostandole una ciocca dei suoi fantastici capelli. Fece un sorriso, salutò con la mano e chiuse la porta della stanza, lasciando fuori una me che non sapeva cosa pensare e una Gwen in lacrime.
-Vuoi…-
-Zitta.- fece Gwen con la voce spezzata. -Ti spiegherò tutto.-
-Cosa vuoi spiegarmi? Perché sono qui? E perché, se proprio volevi nascondermi tutto questo, mi hai detto di arrivare sino alla 2nd Avenue?!- sbottai gesticolando.
-Io non…-
-Gwen, io ti voglio bene, ma non puoi andare in giro fingendo di essere quella che non sei! GWEN, TU SEI UNA PROSTITUTA!-
-NON E’ AFFATTO VERO!- urlò Gwen cercando di raccogliere col cucchiaino la sua dignità.
-Cosa ci facevi lì dentro, allora?-
Gwen sgranò gli occhi e cominciò a mangiucchiarsi le labbra.
-Bene, non vuoi dirmelo tu? Lo scoprirò io.-
Spalancai con violenza la porta e trovai Mary Jane Watson nuda sopra a un Peter Parker alquanto sconvolto.
E così, come da copione, mi risvegliai sul lettino di un ospedale.
*
-Grace? Grace?- la vocina sottile e delicata della bimba di quattro anni risuonava dentro le mie orecchie come se ogni volta che lei parlasse, scoppiasse una bomba.
Avevo ancora gli occhi chiusi. Tentai di aprirli ma il mio corpo rifiutava di reagire. Quando poi alzai le palpebre fui accecata dalla luce bianca del neon dell’ospedale.
Mia sorella Nicki era seduta sul bordo del lettino e mi guardava con occhi dolci. Dolci, grandi occhioni verdi,  grondanti di felicità ma anche di dolore.
-Nicki…-
-Grace, sorellina!- e un attimo dopo ritrovai le braccia di mia sorella attorno al mio collo. Con un misto di sorpresa e di felicità la abbracciai anch’io.
-Nicki, dov’è la mamma?- chiesi.
-E’ di là. Ci sono anche Gwen e Peter, aspetta che li faccio entrare…- ma un attimo dopo i ragazzi erano già dentro la sala.
-Grace, come stai?- chiese Gwen con tono preoccupato.
-Silenzio. Voglio spiegazioni.-
-Non sono una prostituta, intanto.- disse Gwen con fare serio. D’un tratto, i suoi occhi s’illuminarono di rabbia. Potevo intravedere il fuoco acceso dietro l’iride chiara che aveva sempre caratterizzato i tratti stupendi del viso di Gwen.
-Allora come spieghi…?-
-Colpa mia.- finalmente potei sentire la voce di Peter dopo giorni. La voce di un amore impossibile ma voluto da entrambi. O almeno così le aveva detto Peter.
-Colpa tua?- chiesi infine sbalordita. –Merda! La California! Quanto tempo è passato?
-Dalla nottata solo poche ore, credo. Hai fatto una lunga dormita…- disse Gwen.
-Sì, colpa mia.- disse Peter guardando basso e ignorando Gwen.
-Be’, spiegami!- sbottai sistemandomi sul lettino della stanza.
-In realtà è tutto molto semplice. Gwen non è una prostituta. Mary Jane sì. Si erano messe d’accordo per andare a quella festa, ma d’un tratto è crollato l’edificio.- Peter mi lanciò un’occhiata seria. Era la prima volta che lo guardavo negli occhi e interpretavo i suoi gesti. I segnali, utili a capire quanto bastava per sapere che quello che aveva agito non era Peter, ma Spider-Man.
*
-Quella, era una sera molto buia, lo sentivo. Sesto senso, probabilmente. Ma non saprei dirti sul serio. Sta’ di fatto che ultimamente, delle bombe erano state piazzate in vari punti di New York…- Peter guardava in basso e si rigirava le mani. Nervoso com’era, non avrei mai potuto dire nulla che sarebbe scoppiato così mi limitai a fissarlo con espressione neutra. Peter respirò lentamente, chiuse gli occhi, strinse le labbra e poi ritornò a parlare, sempre con gli occhi serrati: -Buia, paurosa. Capisci che intendo? Bene, avevo paura che potesse succederti…ehm, succedervi qualcosa. Così vi ho seguite, volevo tenervi sott’occhio, nel caso ci fosse qualche pericolo. E in effetti vi ho salvato la pelle, l’unica cosa di cui vado fiero. Così hanno realmente fatto scoppiare una bomba all’interno dell’edificio e, in parole povere, ci stavate lasciando le penne. Grace, io ho fatto di tutto… Gwen e MJ non sanno niente. Io sono Spider-Man, lui è me. Le cose stanno così. Non potrò stare a lungo con un segreto del genere e solo ora mi sto accorgendo di tutti i problemi che mi sta causando. Gwen e Mary Jane dovevano incontrarsi per una buona litigata tra donne, nonostante sia passato del tempo dall’ultima volta che io… be’, lo sai. Ma recentemente ho combinato un casino. Questi mesi passati insieme… io, tu e Gwen… sono stati bellissimi. Ma credevo, e so che dicendo questo passerò per il cattivo della situazione, che Gwen fosse quella in più. Ma non ho detto nulla perché…dopo tutto quello che è successo… la situazione era troppo complicata ed era meglio che tutto restasse così com’era. Ma non ho abbandonato una cosa, un’idea. L’idea di salvare te. Di essere il tuo eroe, se lo avessi voluto. Così ti guardavo in quel modo… non avevo mai guardato una ragazza così prima d’ora. E Gwen lo sapeva. E ti odiava. E odiava me. MJ le sbatteva la verità in faccia, ma lei non voleva crederci. Vuoi sapere cosa c’entra quel locale? Mary Jane fa davvero la prostituta, ma non ti odia. Quel “QUEEN GS” non c’entra niente con Gwen. Era una scusa perché voleva vedermi. In realtà, come ti ho detto prima…doveva litigare con MJ ma io le ho interrotte. Ho ricevuto una chiamata anonima e mi sono precipitato sul posto.-
-Questo non spiega il perché eri nudo e Mary Jane Watson era sopra di te!- le uniche parole che mi uscirono di bocca dopo l’estenuante spiegazione di Peter. Il suo chiarimento era diventato come una droga: dovevo assolutamente saperne di più.
-Era stata Gwen! Lei… ha scoperto chi sono. Mi ha minacciato. E’ pazza. MJ…-
-Non voglio sapere altro!- la mia mente, adesso, rifiutava quelle informazioni. Scoprire tutte quelle cose in una sola volta non era affatto piacevole. Il cuore si faceva sempre più piccolo, le teorie che avevo ipotizzato completamente stravolte. L’unica speranza era la California. Ma volevo sapere un ultima cosa prima di scoppiare in lacrime. Anche se di lacrime, per Peter, ne avevo sprecate troppe.
-Un ultima cosa. Poi devi prometterti che te ne andrai.- guardai Peter dritto negli occhi. Sapevo che gli faceva male. Gli faceva male vedermi in quelle condizioni, su un lettino di ospedale, arrabbiata con Gwen, MJ, ma soprattutto con lui.
-Sì.-
-Adesso… in questo momento. Io ti sto guardando e sappi che non distoglierò lo sguardo finché non avrò finito di formulare la mia domanda e tu non mi avrai risposto. Tutti questi mesi che hai passato pensando a me e non potendomi dire nulla per il mio bene… ti va di dirmi, adesso…qualcosa?-
Peter fece un enorme sorriso. D’un tratto dimenticai tutti i problemi che mi si erano appena presentati: il dover dimenticare Gwen, perdonare MJ, dire tutto ai miei genitori, la California… tutto era scomparso, un pomeriggio piovoso, sul lettino di un ospedale, guardando il sorriso di Peter.
-Non voglio parlare.- dichiarò infine Peter con tono deciso. Si trovava a qualche metro di distanza da me. Si alzò senza distogliere il mio sguardo, anzi, sostenendolo. E io mi sentivo sempre più insicura.
Strinsi i pugni lungo le mie braccia portate al petto per paura, insicurezza, debolezza. Impotente, tra le lenzuola bianche e fredde, mi lasciavo travolgere dal bacio di Peter che non mi colse di sorpresa per il suo volere farlo. Ma per l’emozione che mi aveva appena suscitato. Sentire il suo calore, le sue labbra sulle mie, anche se non per un bacio passionale ma così lieve da farne desiderare altri, infiniti, probabilmente.
In quell’unico secondo, i nostri occhi non si incrociarono; bensì le nostre anime di unirono in un unico vortice di emozioni indescrivibili e troppo profonde per essere semplicemente comprese e non vissute.
Quando, infine, Peter aprì gli occhi raccolsi tutto il coraggio che mi rimaneva e chiesi: -Chi ho appena baciato? Spider-Man o Peter Parker?-
-Se ti dicessi “Spider-Man” renderebbe il tutto più eccitante?- fece Peter ridendo.
-Probabilmente… sì. Quindi ho una relazione con Spider-Man o cosa?-
-Non saprei dirti…- Peter si toccò il mento con fare sarcastico. –Sai cosa? Non m’importa più di tanto.

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Sono tornata! Ritardo assurdo e mi scuso ma è iniziata la scuola e come sapete gli impegni raddoppiano... comunque sia, ecco il nuovo capitolo che vede molti colpi di scena! Spero vivamente che questo ritardo non mi abbia fatto "perdere" lettori. Recensite, un bacio,
Marianna.

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Capitolo 8
*** Saving Gwen. ***


Saving Gwen.
-Quello che è fatto è fatto, signorina Watson.-
L’uomo parlava piano con voce rauca e contenta. Era alto, robusto e il suo profilo ricordava vagamente quello di un prigioniero evaso.
-Ah-ah, Mary Jane Watson, in cosa ti vai a cacciare. Sempre la solita, tu. La fidanzata di Spider-Man, la fidanzata di Peter Parker. Tu sei quella che è sempre nei guai. O forse era Gwen? Ho davvero perso il conto, perdonami. Sai com’è stare in prigione… lo sai, no?-
Sembrava un infinito monologo, più che un dialogo, ma Mary Jane non era lì né per dialogare né per ascoltare monologhi.
-Sei triste, non riesci neanche a immaginare quanto. Io sono qui per negoziare, a meno che tu non voglia che dica alla polizia dove sei. Sai, ogni giorno che passa mi chiedo sempre come tu sia scappato. Sei patetico, dov’è la merce?-
-Merce?- sembrava davvero divertito. –Cosa intenti per “merce”? Io la chiamo con il suo nome: droga. Si tratta di droga, mia cara Mary Jane Watson e non ti conviene provocare me. Sai che sono capace di schiacciare quell’inutile insetto di Peter Parker con un dito, chiamare la polizia è un gesto insano. Lo dico per te, tesoro.
-Non chiamarmi così.- Mary Jane si spostò verso l’uomo. I suoi lunghi capelli rossi le si attaccarono al collo per il sudore e le mani, sotto forza di volontà, dovettero rimanere rigide e ferme. Il finto tono autoritario che stava assumendo la ragazza faceva capire tante cose. –Non chiamarmi tesoro. Puoi chiamare una puttana tesoro ma non me. Io sono Mary Jane Watson, sono nata e cresciuta tra i vicoli sporchi e puzzolenti di New York e sai cosa, tesoro? Non ti conviene provocarmi.
Così facendo, Mary Jane Watson voltò le spalle e camminò. Il freddo stava cominciando a farsi più intenso, New York diventava più pericolosa e, benché MJ amasse il pericolo, quella non era proprio giornata.
-Non cambia niente, Mary Jane. Tutto come prima.- le disse infine l’uomo dietro di lei. Non aveva intenzione di seguirla, sapeva che lei stessa si sarebbe fatta viva e gli sarebbe piaciuto vederla strisciare tornante da lui.
Mary Jane non rispose.
*
Peter mi osservava curioso mentre finivo di fare i bagagli per partire. Forse era stupito dalla miriade di cose che mi circondavano e forse credeva che entro la fine della giornata non avrei finito di metterle tutte nelle valigie, ma anziché aiutarmi si ostinava a mantenere quella sua stupida e dolcissima faccia divertita.
-Perché mi guardi storto così? Dai, aiutami!- gli dissi facendo un ampio gesto con la mano. Peter non disse una parola, si portò la mano al mento e continuò a guardarmi interessato.
-Qualcosa mi dice che te la stai spassando, eh Parker?- mi alzai e gli lanciai un’occhiata glaciale. –Vieni subito qui!
-Ma voi ragazze… tutti questi vestiti… perché?- adesso era davvero sul punto di scoppiare a ridere. –Non capisco…
-Non metterti a ridere, piuttosto inizia a piangere quando ci sono io intorno!- lo ammonii prima che lui potesse replicare (anche se, sotto sotto, sentivo ancora le sue risate).
Ritornai a occuparmi dell’infinita sfilza di vestiti che c’erano sopra il letto: autunnali, invernali, primaverili. A mai finire: pantaloni, magliette, felpe, tute, gonne. Delle volte mi scocciava proprio essere una ragazza. Forse sarebbe stato meglio vivere durante l’epoca Vittoriana (se mai lo stile Vittoriano raggiunse l’America), durante la quale alle donne era permesso indossare solo abiti, sebbene avessero i corsetti. Ripensandoci, meglio il ventunesimo secolo.
-Ehm… Grace, credo ti sia appena arrivato un messaggio.- Peter, seduto dall’altra parte del letto, guardò il telefono e quindi me da sopra gli occhiali che poggiavano sul naso. Osservandolo, mi resi conto di quanto amassi quegli occhiali.
-Sì, Peter sono impegnata, controlla tu.- gli dissi guardandolo con la coda dell’occhio. Fece una faccia buffa, prese il telefono e disse: -Non me lo strappi dalle mani per evitare che io legga i tuoi messaggi? Che ne so, privacy…
-Non devo nasconderti niente, Peter. Sai praticamente tutto di me, non ci sono problemi!- gli risposi subito.
-Okay allora vediamo… credo sia di Mary Jane. Oh, al diavolo, come si controllano i messaggi qui? Ti prego!- Peter Parker e i cellulari, di certo non erano la sua specialità.
-Al diavolo tu! Capisci meglio la fisica che un cellulare, cosa c’è di sbagliato in te? Dammi qui…- tolsi subito il telefono a Peter e gli feci una smorfia. –Per una volta sei stato bravo, è Mary Jane. Vuole incontrarci.
-Incontrarci? Noi due? Non voglio avere a che fare con lei…- disse secco Peter. Seduto sul letto, teneva in mano il manuale delle istruzioni che gli aveva dato il professore di fisica quella mattina. Con quegli occhiali e quel libro sembrava un vero e proprio intellettuale ma i capelli scombinati e il giubbotto rovinato lo tradivano: era lo stesso Peter di sempre.
-Ascoltami, Mary Jane e io abbiamo chiarito e credevo aveste chiarito anche voi due. Forse vuole parlarci di Gwen, come se la sta passando in questo periodo… sai com’è ultimamente, dopo quello che è successo…- dissi per incoraggiarlo. Quell’argomento era troppo doloroso per lui, non accettava la vera natura di Gwen, le era ancora affezionato e io potevo capirlo. –Ehi, ascolta. Non fare così, troveremo una soluzione e MJ forse vuole dirci qualcosa…
-Sì, certo… andiamo, allora. Però, Grace…- mi guardò con gli occhi da cerbiatto più belli che avessi mai incontrato. Come poteva guardarmi così in un momento del genere? C’era di mezzo l’amicizia con Gwen e come poteva, con quale coraggio lui pronunciava il mio nome con tale fascino e mi guardava come se stesse per baciarmi da un momento all’altro?
-Sì?- ero a corto di fiato. Eravamo vicinissimi ormai, pochi centimetri ci separavano e sapevo che respingerlo sarebbe stato inutile ma, di nuovo, come poteva? E soprattutto, come potevo io stessa accettare quella specie di proposta?
-Prima dovremmo passare a prendere qualcosa da mangiare. Sto davvero morendo di fame!- disse infine. Stupido, idiota e irrazionale Peter Parker. Gli sorrisi e poi presi la giacca. –Quindi andiamo?
Anche lui si alzò e si mise accanto a me: era più alto di me, anche se quasi tutti erano più alti di me. Persino Mary Jane che ci aspettava in Central Park perché, secondo la sua teoria, parlare di un argomento del tipo Gwen Stacy (e altro) era meglio se veniva fatto in pubblico.
-Tu mi hai fatto attraversare tutta la città per raggiungere Central Park solo perché ritenevi fosse il luogo più idoneo a questa conversazione? Grace senti io non ce la faccio, me ne vado…- Peter era infuriato.
-Be’ non credo ti sia dispiaciuto molto passare del tempo con lei, no? Comunque sia, non andrai da nessuna parte. Forse non avete sentito la notizia. Abbiamo perso il lavoro. Cioè, Gwen ha perso il lavoro ed è anche stata arrestata… io mi ero licenziata in tempo ma Gwen neanche ci aveva pensato e la polizia aveva iniziato le ricerche subito dopo…l’ospedale. Non è stato facile far calmare Gwen, la rilasceranno subito ma…-
-GWEN E’ IN PRIGIONE?- adesso Peter era davvero senza controllo. -E tu, per magia, riesci a stare calma? La tua amica è in prigione perché faceva la sgualdrina, neanche se avesse ucciso qualcuno!-
-Peter, sta’ calmo! MJ, sai dirci qualcos’altro?- eravamo circondati da bambini che giocavano, giovani mamme con i passeggini e i loro mariti accanto, coppie di anziani che volevano staccare un attimo dalla realtà e godersi un po’ di aria pura.
-Sia chiaro che Gwen Stacy non mi deve nessun favore e neanche siamo così tanto amiche come voi credete. Era una sorta di rapporto lavorativo. Non avevamo molta confidenza e sì, c’è dell’altro. La rilasceranno in fretta, ma non mi preoccuperei della polizia in generale ma di chi sta a capo di essa.- Mary Jane aveva le braccia incrociate al petto.
-Vuoi dire che dovremmo preoccuparci di più del signor Stacy che della polizia stessa? Ti prego Mary Jane, dimmi che stai scherzando!- era stato Peter a parlare e a ogni parola che usciva dalla sua bocca il tono di voce si alzava.
-Vuoi davvero sapere perché ti ho portata qui per parlare, eh Parker? Odio la tua voce al di sopra del limite.- Mary Jane era impassibile. –Avete capito bene. E’ suo padre, certo, ma chi vi dice che non la caccerà fuori casa? Dobbiamo tenerci pronti per tutto.
-Gwen è mia amica. Non importa quello che mi ha fatto, perché l’ha fatto o come. Mi è stata vicino e sentivo che i suoi sentimenti erano veri per me. Se dovesse succedere una cosa del genere io la aiuterò perché mi fido ancora di lei. Lo so, sembra stupido, ma io le voglio bene.-
MJ e Peter sembrarono capirmi. Infatti, credevo che lì fuori potesse esserci ancora qualche residuo della Gwen che conoscevo. Peter mi trovò assorta nei miei pensieri e non fece domande, anche lui era distrutto.
-Sai, anche io la penso come te. Dovremmo aiutarla, fare tutto quello che possiamo… forse ritornerà la Gwen di sempre e dimenticherà tutto…- mi disse al telefono Peter.
-Vorrei dimenticare io tutto…- replicai sconsolata.
-Davvero dimenticheresti anche il nostro bacio?- Peter era, come sempre, divertito.
-Quella forse sarebbe l’unica cosa che mi piacerebbe ricordare.- e, in silenzio, arrossii. 


Buonasera! Che ci crediate o no, ho aggiornato la storia. Diciamo che The Amazing Spider-Man 2 mi ha dato l'ispirazione per qualcosa di nuovo. A voi è piaciuto? Buona lettura di capitolo! :3
Grace. 

 

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