Amnesia

di semideaa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 3: *** Things we lost in the fire ***
Capitolo 4: *** Giocattoli difettosi ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


AMNESIA

i wish i was beside you
Estate 2010

Sedevo sul ciglio della strada, aspettavo che l’ora giungesse.
Non ci potevo credere, di lì a pochi minuti avrei compiuto quattordici anni. Sarei diventata grande. Avrei contato finalmente qualcosa.
 
Meno cinque.
 
I miei stavano dormendo. Non mi sentirono uscire. Dovevo semplicemente prendere un po’ d’aria, respirare il profumo di quella notte calda e afosa con un cielo perlato di stelle. Me ne stavo stesa sul marciapiede e pensavo a tutto quello che sarebbe cambiato già dal giorno dopo.
 
Meno quattro.
 
Avrei potuto ritirarmi tardi la sera. Sarei potuta uscire con i miei amici. Avrei potuto passare i sabato nei locali di Sidney.
 
Meno tre.
 
Certo, ci sarebbero stati anche i lati negativi. Avrei dovuto fare i piatti, occuparmi dei miei vestiti e della casa, trovarmi un lavoro, magari, avere dei miei soldi. Non dipendere più dai miei, ecco. Poi avrei dovuto studiare di più. Cambiare orientamento scolastico. Scegliere i miei corsi.
 
Meno due.
 
Avere autonomia significava anche questo. Rendersi conto dei propri diritti, adempiere ai propri doveri, mostrare più responsabilità.
 
Meno uno.
 
Mi sentivo pronta, euforica. La mia vita poteva modificarsi da quel momento in poi. Potevo creare la vera me. Potevo far sapere e vedere agli altri chi ero davvero. Potevo esprimere il mio io interiore.
 
Mezzanotte.
 
C’era un ragazzo che mi guardava dalla finestra di fronte. Aveva scostato le tende, mi osservava.
Forse aveva la mia età. Lo conoscevo solo di vista, l’avevo visto con sua sorella qualche volta.  Non veniva a scuola con me, ne ero sicura. Non sapevo nemmeno come si chiamasse.

Mezzanotte e uno.
 
Perché era sveglio? Perché mi fissava?
Ricambiai il suo sguardo e mi alzai. Mi scrollai il terriccio dai pantaloni e mi avvolsi nel mio pigiama. Non avevo preso nemmeno una maglia.
Il ragazzo scostò le tendine, smise di fissarmi, tornò a letto. Decisi di tornare a casa anche io. Dopotutto ero quattordicenne, avevo diritto di ritornare tardi.
Con questo pensiero aprii la porta attenta a non fare rumore e mi infilai a letto, cercando di non svegliare i miei genitori nella stanza accanto, con un leggero sorriso sulle labbra.
 
Mezzanotte e mezza.
 
Ero quattordicenne. Mi addormentai.
 

 
 
 
Luglio 2012

Ancora non ci credo. E’ passato davvero così tanto tempo?
Ricordo il giorno in cui mi sentivo come se stessi per toccare il cielo, in cui stavo per diventare quattordicenne.
E ora eccomi qui, sotto lo stesso cielo, davanti alla stessa casa, seduta sullo stesso marciapiede. Ad aspettare, manca poco.
E’ il sette luglio. Si, il giorno del mio sedicesimo compleanno. E ancora non ci credo che sia già arrivata a questa grande età.
Per essere estate però fa freddo qui, tira un po’ di vento. Mi avvolgo nella felpa che ho indossato da sopra la maglia del pigiama e mi stringo nei pantaloni.
I capelli neri mi scivolano dal cappuccio e sembra stiano volando.
Mentre aspetto la mezzanotte incomincio a fissare quella casa di fronte la mia, la stessa che due anni fa fissavo incuriosita. Il mio sguardo si posa sulla finestra della sua camera, la finestra dalla quale mi guardò la prima volta. Ora le tende sono chiuse, così come la finestra. La porta della casa è però appannata, semichiusa, come d’altronde quella di casa mia, ad indicare che anche qualcuno residente lì è fuori. Il ragazzo che due anni prima mi osservava da dietro un vetro, ora mi squadra da un paio di occhi marroni.
Piego la schiena verso destra e mi appoggio alla sua spalla.
Quest’anno non sono sola ad aspettare il nuovo giorno. Stavolta non mi sento euforica.
E’ come un rito, sul quale ogni anno passo. Anzi, passiamo insieme.
Giro la testa in modo da appoggiarla nel caldo incavo tra la sua spalla e il suo collo.
 
-Ashton, ci siamo quasi. Manca poco e tu sarai diciottenne.
 
Mezzanotte.
 
Il biondo si gira verso di me e sorride.
 
-E pensare che non me ne sono nemmeno accorto, Sammie.
 

 
 
 
La semidea è tornata gente!
Io lo so che sono pessima, perché vi ho abbandonato con ‘come scrivere il proprio destino in un mese’, ff su Conor che potete comunque continuare a leggere e recensire ew.
Il fatto è che non ho più ispirazione e non so come continuare. Poi ci si mette anche la scuola e non ho più tempo per fare nulla.
Comunque ora eccomi qui, entrata nelle ff dei 5sos yay
E’ da un po’ che li ascolto e li seguo, poi in questo periodo li sto amando più che mai e ho deciso di dare libero sfogo anche alla mia creatività. Ho dovuto correggere il capitolo a seguito di alcuni sbagli sui tempi verbali, quindi spero che ora il tempo della storia sia più coerente. Se avete qualche altro consiglio, non esitate a scriverlo qui con una recensione (:
E’ corto poiché è solo un prologo, ma se vedo che la storia incomincia a interessare continuo, anche se so che non ho dato molti particolari ew
Comunque la protagonista sarà Sammie, amica, da quello che abbiamo capito, di Ashton. Vediamo come va J
 
Continuo ad almeno due recensioni.
 
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Ask: xconah 


 

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Capitolo 3
*** Things we lost in the fire ***


Things we lost in the fire

  
 

And i know i shouldn’t tell you
but i just can’t stop thinking at you.

 
 
 
La Norwest Christian College è la scuola più normale e monotona che ci si possa immaginare.
Guardavo continuamente le mie vans nere ormai bucate e rovinate mentre poggiavo un passo dopo l’altro sul selciato del marciapiede.
Era cominciato purtroppo un altro anno in quell’edificio che osavamo ancora chiamare scuola: aveva delle aule che se ne cadevano letteralmente a pezzi, una mensa da far schifo, per non parlare del lavoro che svolgevano i bidelli. Ogni giorno era come entrare in una discarica maleodorante. Almeno la compagnia non mancava.
Arrivo davanti al cortile in contemporanea dell’autobus di linea che qualche volta prendevo anche io per comodità, nonostante la mia casa fosse in linea d’aria ad una cinquantina di metri di distanza dalla scuola. Ecco, in linea d’aria, perché in realtà dovevo percorrere da sola stradine sconosciute al resto della popolazione di Sidney pur di arrivare in orario, passare accanto ad una dozzina di magazzini e attraversare la strada per non finirci in mezzo più o meno una decina di volte.
Mi fermo vicino alle porte dell’autobus giallo per veder scendere Calum. 
Lui è messo davvero male, non so cosa l’abbia spinto nel frequentare una scuola così lontana da casa sua.
Lo aspetto e ci dirigiamo insieme verso l’ingresso.
 
-Hai visto Ashton?  mi fa all’improvviso.
 
Io e Ash ci conosciamo da due anni, eppure non sono ancora riuscita a passare un intero giorno in sua compagnia. Magari lo vedo per cinque minuti la mattina, poi lo perdo di vista e lo ritrovo a sera inoltrata. Oppure il contrario, molto più raramente. Io e lui abitiamo uno di fronte all’altro, è impossibile non vedersi al ritorno.
Era proprio questo che odiavo all’inizio.
In realtà quella tra me e Ashton Fletcher Irwin è una strana amicizia. Al contrario di quello che lui crede, non mi avvicinai a lui perché conosceva i miei compagni di corso, o perché abitassimo vicini. Fu’ uno sbaglio da quattordicenne ingenua, ma ora ringrazio per quello sbaglio.
 
-Non me ne parlare, da quando è diventato diciottenne si fa vedere ancora più raramente!
 
Scoppiamo a ridere entrambi, ma la nostra risata aumenta quando riconosciamo Mickey dai suoi strambi capelli. Michael è il rockettaro della compagnia, il bomber, quello che se manca non ridi e non te la spassi. Ed ha uno stile un po’ tutto suo, diciamocelo.
Forse è per questo che andiamo così d’accordo, noi quattro; abbiamo caratteristiche così diverse e riusciamo a completarci a vicenda.
Cal è tranquillo, sempre sorridente, paziente e ha una calma pazzesca. Mik è la persona più pazza e scatenata che io abbia mai conosciuto e amo davvero troppo il suo stile punk/rock. Infine c’è Luke. Io e lui siamo identici, forse è per questo che recentemente ho iniziato a non sopportarlo. E’ sempre lì nel suo mondo, pensa, riflette, parla pochissimo eppure secondo me la sua testa è in continua attività. E’ lì immobile e si lascia scivolare addosso tutto, è diventato vittima della vita e non autore, così come dovrebbe essere. Sto iniziando a capire poco a poco perché fa così. E’ un timidone pazzesco, anche peggio di me.
Ashton comunque non sta quasi mai con noi, non può definirsi del gruppo. Entra ed esce, così, quando gli pare. Essendo più grande di due anni, ha una sua compagnia, una cerchia diversa di amici.
 Mik ci viene incontro, per niente contento come al solito.
 
-Sono preoccupato per Luke.
 
Vedo Calum annuire tristemente. Raddrizzo le spalle e tiro su le stringhe dello zaino. Mi stavano nascondendo qualcosa.
 
-Cosa succede?
 
-Bonnie ..
 
Non faccio nemmeno in tempo ad assimilare quel nome che un profumo nauseabondo di rose mi passa accanto. Mi giro giusto in tempo per veder passare un gruppo di ragazze quindicenni, con le chiome al vento e i pantaloni corti al pari delle loro mutande. Davanti a tutto fa strada Miss Mondo. Se non sapevi chi stavi cercando, lì in mezzo ti saresti persa. Tutte uguali, con gli stessi capelli tinti e stirati, le stesse maglie marca H&M, stesso portamento, stessa espressione di superiorità sul viso, nonostante siano tutte matricole del primo anno. La superstar, alias Bonnie Scott, cerca di sopraelevarsi, ma per quello che ricordo ci riesce solo in fatto di altezza. Sono tutte ragazze scontate, così pessime, che cercano solo di farsi accettare dalla massa. E Bonnie è come tutte, anche se non lo da a vedere e cerca in tutti i modi di essere diversa, rimanendo nella normalità.
 
-Fammi indovinare. Hanno litigato, di nuovo?
 
Bonnie è la fidanzata di Luke. Davvero non mi capacito del fatto che Luke si sia fatto abbindolare da una come lei. Lui dice il contrario. Non si capacita del fatto che una prima donna come Bonnie sia stata attratta da un nerd come lui.
Perché diciamocelo, Luke può essere anche figo, ma rimane pur sempre un nerd.
Comunque ogni mese litigavano perché Luke ha troppa poca autostima e lei invece ne straripa ed è eccessivamente egocentrica.
 
-Lei lo ha lasciato per Ed.
 
Rimango un attimo sconcertata dalla notizia, senza sapere se esserne felice o meno.
Ed era un mio compagno di corso di letteratura inglese l’anno scorso. E’ carino, ma Luke direi che lo batte alla grande in fatto di aspetto. Comunque se non ricordo male lui era molto più egocentrico, se possibile, della Scott, per cui, “evviva gli sposi e figli maschi”. Sarebbero stati una coppia perfetta. Basta non pungerli con lo spillo o sennò si sgonfiano.
 
-Luke è distrutto. aggiunge Michael.
-Voi l’avete visto?
-Abbiamo provato a parlargli ieri, ma nulla, è in depressione.
-Ha avuto persino una crisi di pianto ma si è trattenuto davanti a noi.
-Cerca di parlargli tu, Sam. Se l’unica che lo capisce davvero.
-Ma sono anche l’unica che non riesce a sopportarlo. replico a bassa voce, quasi in un sussurro.
 
 
***
 
 
Ora buca. Mi mancava passare i quarti d’ora nel corridoio a contare i rumori dei passi degli studenti del college. Mi mancava appoggiarmi agli armadietti nel tentativo di avere un comodo schienale. L’ora buca la amano tutti. Io no.
Quest’anno ho solo un corso con Calum e una misera ora di lezione con Mik. Ashton ha corsi diversi. E poi passo la maggior parte del mio tempo con Luke, solo questo ci mancava per farmi cadere ancora di più in depressione. Sapete, Luke non è un ragazzo da compagnia, non è il solito tipo che si deve per forza invitare alle feste.
Però a me va bene così. E’ l’unico che quando non hai davvero voglia di parlare, sta zitto e non ti chiede niente. Ed è l’unico che sappia ascoltare. Il problema è che quando io voglio parlare, non me la sento di farlo con lui. Non partecipa, non risponde, le cose da bocca gliele devi estorcere.
Per cui, seduta nel corridoio, mi stavo preparando psicologicamente a passare un’ora insieme a lui, nella quale avrei dovuto cercare di farmi dire qualcosa su Bonnie.
Mentre penso ai metodi di estorsione non troppo dolorosi che avrei potuto utilizzare, sento delle mani coprirmi gli occhi. A parte che non sono tipa da scherzi o inganni vari, sapevo già che l’unico che poteva o credeva di farmi sorridere con cavolate simili era Irwin.
 
-Ashton, tanto so che sei tu!
 
Il problema è che lui crede sempre bene.
Sento le mani spostarsi dagli occhi, arrivare sulle spalle e spingere per farmi girare. Quando lo vedo, sorrido immediatamente. Non c’era più l’effetto della capriola, degli occhi lucidi e della risata isterica. O almeno, avevo provato a reprimere quella parte di me. Il fatto è che Ash è consapevole della sua immensa bellezza e non si preoccupa del nasconderla. E perché dovrebbe, diamine? Sono gli altri che devono contenersi, non lui.  Quindi anche io.
 
-Buca alla prima da te o da registro?
-Indovina un po’.
 
Ashton è uno di quei tipi che non sopporto, salta sempre qualche ora e viene promosso a pieni voti, perché c’è sempre qualche stupida come me che è ancora disposta a dargli ripetizioni all’ultimo trimestre.
Io incomincio a ridere e lui sorride. E’ un gesto che fa sempre, fin dal primo giorno in cui ci siamo presentati. Dice che gli piace la mia risata, il modo in cui si curva la mia bocca. Lui è un artista e io sinceramente non riesco a capirlo.
 
-Ho trovato il tempo per andare da Discland.
-Hai visto qualcosa di nuovo?
 
Lui si siede accanto a me con le gambe stese e caccia dalla tasca un vecchio CD.
 
-Ho visto questo e ti ho pensato.
 
Me lo allunga e io guardo la copertina. Uno dei primi album dei Pink Floyd, impossibile da trovare. Solo un batterista svitato come lui può riuscire nella ricerca.
 
-Non ci credo. E’ quello che cercavo da secoli..
-Esatto. Ma tu poi me lo farai ascoltare un po’ vero?
-Ma tu questo l’hai preso per me?
-E’ un regalo, so che lo stavi cercando da tanto.
-Ma lo avrai pagato un sacco, è introvabile. Ashton, tieni davvero…
-Sam? E’ tuo.
 
Incrocia la sua mano con la mia in una stretta salda in cui comprende anche il CD.
Io non sono una ragazza che ama molto i contatti fisici o le dichiarazioni, ma con Ash c’era sempre una metamorfosi che non potevo controllare. Se dovevo dirgli ‘ti voglio bene’, non esitavo, così come se dovevo abbracciarlo. Non mi piace parlare al vento o compiere gesti per convenzione o abitudine. Se dichiaro affetto, è perché è meritato e perché voglio farlo per rendere più importante un qualsiasi momento.
Allungo le mie braccia dietro al suo collo e lo stringo in un caldo abbraccio, alzandomi poi con fare annoiato al suono della campanella e lasciandolo lì a terra , steso come un bambino un po’ cresciuto. Lui mostra le fossette e mi saluta con un cenno del capo e mentre mi volto di spalle e mi avvio verso l’aula di fisica, non riesco a trattenere un sorriso guardando la copertina dell’album psichedelico che Ash è riuscito a trovarmi.
 
 
***
 
 
L’aula di fisica è l’aula più orrenda e mal frequentata esistente alla Norwest.
Io non so perché proprio fisica, sarà che è una materia odiata un po’ da tutti, sarà perché la prof fa diventare tutti matti. Il tutto sembra più uno zoo che un’aula scolastica.
Non conosco quasi nessuno quest’anno, ma non è né una novità né una sofferenza,  perché tanto sono abituata a stare da sola.
Mi dirigo verso gli ultimi banchi dove intravedo la schiena di Hemmings china sul banco.
Mi avvicino a lui e prendo posto affianco, toccandolo leggermente per non spaventarlo.
 
-Mi chiedo: ma la parte da nerd asociale funziona per attirare ragazzi? Io non ci sono ancora riuscita…
 
Mi sa che l’unico neurone rimasto nel cervello di Luke non l’ha capito che era una battuta. Alza il viso tondo, con gli occhi rossi e mi guarda come se l’avessi appena mandato a quel paese. Appoggio il mio braccio sul suo in segno d’affetto, in fondo, nonostante il nostro disappunto reciproco, ci tengo a lui.
Mi manca però vederlo sorridere come faceva una volta, mi manca davvero troppo.
 

 

Settembre 2010
 
Mamma accostò con ansia al marciapiede. Mi gridò parole di conforto, che in realtà non servirono a nulla. Mi fece scendere velocemente, aveva un impegno con uno dei suoi tanti clienti in ufficio. Mi lasciò sola sul marciapiede di fronte alla Norwest Christian College e io non sapevo dove andare. Mi salii il panico e l’ansia crebbe. Vedevo tanti gruppetti sparsi per il cortile e mi sentivo così sola. L’unica ad aver scelto quell’indirizzo di scuola, nessuno che conoscessi. Feci per avvicinarmi timidamente all’entrata, con solo scopo di farmi amiche le bidelle (almeno loro), quando il suono di una risata mi attirò sul lato destro del cortile. Mi girai di scatto, era una melodia così bella e così orecchiabile che l’avrei ascoltata altre mille volte. Su un muretto stava seduto un ragazzo della mia età, fiero nella sua nuova uniforme, con un ciuffo di capelli castani sparati in aria e un guizzo furbo negli occhi azzurro cielo che se la rideva alla grande. Si voltò verso di me e mi sorrise, mostrando le fossette. Io ricambiai. Era la prima volta che sorridevo ad uno sconosciuto.
 
 
Le quattro e mezza e papà ancora non si vedeva. I miei genitori si erano messi così d’accordo, almeno per quella sera non avrebbero litigato. Eppure la Mercedes nera ancora non arrivava. Vidi di nuovo il ragazzo al quale la mattina avevo sorriso venirmi incontro, spinto dagli altri ragazzi che formavano gruppo con lui. Non l’avevo trovato in nemmeno una lezione, quel giorno, come invece avevo sperato. Vidi gli altri, più dietro, ridacchiare fra di loro e il castano venne verso di me tremante. Mi disse alcune parole di benvenuto, dicendo che non mi aveva mai visto lì e che sicuramente dovevo essere nuova. Rispondemmo entrambi timidamente. Poi lui si fece avanti, disse che i suoi amici l’avevano costretto e indicò con un cenno del capo il gruppetto ormai silenzioso. Mi chiese scusa, poi si avvicinò e mi baciò sulla guancia. Un bacio delicato, quasi un soffio. Arrossii talmente tanto che mi sentii tutto il viso accaldato. Lui fece lo stesso, ma non mi fece sentire in imbarazzo e sorrise, di nuovo. Poi mi chiese se il giorno dopo ci saremmo rivisti. Disse che voleva passare più tempo con me.
 
 
Il giorno dopo lo rividi. Ogni volta che stavamo insieme i suoi amici sghignazzavano alle spalle, eppure non mi sentivo mai in imbarazzo con lui. E ricordo che rideva sempre, ogni giorno. Era quella persona che mi faceva sentire bene. Quello per il quale avevo la forza di svegliarmi e raggiungere il college. Solo il quarto giorno passato insieme mi disse il suo nome e mi presentò agli amici. Disse che aveva la mia età, che era in quella scuola da tempo e che conosceva quel gruppetto da sempre. Si chiamava Luke, Luke Hemmings. Non disse altro.
Dopo un po’ seppi che voleva uscire con me, gli sarebbe piaciuto tanto, così mi riferì uno dei suoi amici. Io rifiutai. Trovavo Luke un bel ragazzo, davvero. Mi era simpatico perché era così simile a me, riusciva a capirmi semplicemente. Eppure non accettai, non volevo rovinare la nostra acerba amicizia. Inoltre non volevo confessargli che in quel periodo un altro ragazzo aveva attirato maggiormente la mia attenzione. Cosa normalissima, solo per il fatto di essere quattordicenne e avere gli ormoni che scoppiano all’impazzata per ogni persona del sesso maschile. Ma Luke non se la prese mai per quel rifiuto, né mai ci riprovò. Si accontentò di starmi vicino giorno per giorno. E non perse mai il suo sorriso. Ne’ la sua risata. Ed è così che mi piace ricordarlo. E’ così che l’immagine di Luke Hemmings è fissata nella mia mente.

 
 

Mi riscuoto dai miei pensieri solo quando vedo la professoressa Chinsess accomodarsi sulla cattedra. Penso tra me e me che se sarà di nuovo lei la nostra professoressa di fisica per tutto il primo quadrimestre sarò costretta a buttarmi dalla finestra. Purtroppo i miei pensieri sono confermati quando la vedo cacciare i libri dalla sua borsa super mega capiente e iniziare la lezione con la solita ‘siete abbastanza grandi quest’anno per riuscire a capire le cose senza spiegazioni’. Non so quando capirà che anche a cinquant’anni servono spiegazioni.
Giro la testa verso Luke, che non ha la benché minima voglia di seguire la spiegazione dei calibri e degli strumenti tarati, così caccio dal mio zaino un foglio qualsiasi e una matita, incominciando a prendere appunti e con la voglia di chiarire con lui appena dopo il suono della campanella.
 
 
***
 
 
Mezzogiorno. L’ora suona proprio nel momento in cui la Chinsess finisce di appuntare sulla sua agenda i compiti segnati per la settimana prossima. Raccolgo tutto il materiale che ho buttato sul tavolo e lo ammucchio nello zaino, per poi scostare la sedia e alzarmi dal banco. Faccio per andarmene e uscire dalla classe quando sento una presa salda bloccarmi il polso. Mi giro e mi trovo la strada sbarrata da un Luke arrabbiato e silenzioso, che mi precede e mi chiede di seguirlo con un semplice gesto del capo. Attraversiamo il corridoio affollato e mi giro intorno continuamente per scorgere Michael o Calum, ma nulla. Luke si blocca alla fine della strada davanti ad una porta bianca con un pannello di vetro ad oblò, spingendola poi e precedendomi nel bagno degli uomini.
 
-Luke, sai che teoricamente non potrei entrare qui?
 
Lui si siede sulle fredde mattonelle bianche con noncuranza, estraendo dalla tasca un pacchetto di sigarette e guardandomi con aria di superiorità, come al solito.
 
-Non ci viene mai nessuno qui, i ragazzi lo usano solo per fumare negli intervalli, è tranquillo come posto, per questo mi piace.
 
Struscio contro il muro e mi siedo anche io, difronte a lui, incrociando il suo sguardo.
 
-Da quanto?
 
Indico con un cenno del capo la sigaretta che ora ha in mano e l’accendino che ha trovato nei meandri del suo zaino scuro. Non ricordavo che Luke fumasse, nessuno me l’aveva mai detto.
 
-Relativamente poco. Arrivi ad un certo punto della tua vita nella quale preferisci farti del male da solo, che continuare a subirlo dagli altri.
 
Rimango scioccata dalla verità delle sue parole. Lui deve aver notato la mia espressione stupita, perché mi porge il pacchetto con fare eloquente, ma preferisco rifiutare con un cenno secco del capo.
Hemmings così si accende la sigaretta e incomincia ad aspirare tre o quattro volte, buttando il fumo fuori, accorto a non lanciarmelo in faccia.
Poi stranamente incomincia a parlare lui, come uno sfogo, senza un punto preciso di inizio o di fine, senza uno sprono, quasi come un flusso di coscienza.  Non posso fare altro che pendere dalle sue parole.
 
-Mi ha lasciato lei. Come se tutto il resto non bastasse, non hai idea di quanta gente mi abbia preso in giro prima di ciò. Ma lei era la prima, diceva che non le andavo bene, aveva vergogna di me, figuriamoci! Non si faceva vedere in giro con uno sfigato come Luke Hemmings, mi frequentava ma solo a suo comodo. Eppure quando era ubriaca mi diceva sempre che mi desiderava ogni giorno di più, che non avrebbe mai voluto lasciarmi ed erano le uniche volte in cui le sentivo dire ‘ti amo’ rivolto a me, con fare sincero. Non ho mai smesso di volerle bene. Nemmeno quando diceva che per amore dovevo cambiare per lei, nemmeno quando rideva con i suoi amici guardandomi di sbieco, nemmeno quando mi ha detto di aver fatto l’amore con Ed. L’ho amata, e continuo ad amarla. Penso che sia questo il problema, non credi? Siamo stati insieme per un anno, ricco di tira e molla, ma io non ho mai dubitato del mio amore per lei. E a lei facevo schifo! Che scherzo orrendo la vita, a volte, no?
 
Si ferma per aspirare e cacciare un’altra boccata di fumo, con gli occhi rossi e le guance rigate di lacrime, il ginocchio alzato e la mano posta davanti alla sua faccia, a nascondere la vergogna e il dolore che gli trapelano dal viso.
 
-Sto male, Sam, eppure so che tu sei l’unica che può capirmi, anche se mi odi …
 
Alza lo sguardo e io non posso fare a meno di interromperlo.
 
-Io non ti odio. gli confermo sicura. Odiare è una parola così grossa e piena di importanza, non so se sono disposta a dare proprio a te tutto questo onore!
 
Riesco a fargli scappare un sorriso. Percepisco dietro ai suoi occhi una certa leggerezza, nonostante il dolore e l’ansia palpabile anche nell’aria.
 
-Voglio cambiare. Annuncia tutto d’un fiato. Ti prego dimmi che puoi aiutarmi.
 
-Non so come potrei. Voglio, credimi, ma …
 
-Ti è mai capitato di guardarti allo specchio ed esserti annoiata dell’immagine che esso riflette ogni giorno? Beh voglio che nello specchio si rifletta un altro Luke.
 
Si solleva la maglietta stracciata e bianca fino al viso per asciugarsi le poche lacrime rimaste. Finisce la sigaretta e la butta a terra, calpestandola violentemente quasi fosse la sua immagine, di cui vuole solo il ricordo. Si alza e mi tende una mano, con un fare stranamente gentile, che non gli appartiene.
 
-Tutto quello che vuoi. Sono nata per sopportarti.
 
Gli sorrido con sfida. Le sue parole mi hanno dato una spinta per risollevarmi, un qualcosa da cogliere al volo per poter rendere la mia intera vita migliore.
Lui si blocca davanti alla porta, appoggiando la schiena al piccolo oblò di vetro che dà sul corridoio, dove la massa di studenti si è ormai dispersa al secondo suono della campanella.
 
-Sai che anche a te servirebbe un cambiamento?
Mi squadra da capo a piedi.
-Mi sono stufato di doverti sempre vedere con indosso jeans sgualciti, scarpe bucate e felpe larghe e fuori moda. Sai che ad Ashton non piacciono le ragazze così, avresti dovuto capirlo in due anni.
 
Rimango un attimo senza fiato. Come ha fatto Luke a sapere di me, e di Ashton?
 
-Cosa sai?
-Sam, si vede lontano un miglio che lui ti piace.
-E’ una vecchia storia…
-Una vecchia storia che a quanto pare non hai ancora dimenticato.
 
Continua a fissarmi con quel suo sguardo glaciale, con un sorriso sghembo sul viso.
Impossibile come Luke Hemmings riesca con un solo sguardo o una sola parola a scombinarmi totalmente la vita.

 

 
 




 La semidea è di nuovo qui ollè.
Grazie innanzitutto per le quattro recensioni nel prologo e grazie davvero per tutti i consigli che mi avete dato per questa storia.
Ci tengo molto e ho davvero voglia di scrivere, ma non sempre riesco a trovare del tempo e la voglia di mettere su carta tutti i filmini che ogni sera mi faccio sui capitoli successivi ew
Inoltre ho pensato che ho voglia di concludere in fretta questa storia, quindi vi anticipo che durerà massimo 20 capitoli, per questo spero che i capitoli molto lunghi non vi diano fastidio (:
In ‘amnesia’ ho deciso di approfondire molto i personaggi di Ashton e di Luke, ovviamente poi anche quello di Sam, lasciando un po’ da parte Mik e Cal, quindi scusatemi :c
Per il resto, in questo primo capitolo viene presentato un Luke aggressivo, silenzioso e arrogante, che però scopriamo avere un cuore molto sensibile ed essere un tipo alquanto romantico, anche se a modo suo ahah
Incominciamo a capire del perché Sam si avvicina ad Ash e viene introdotta la cotta già da questo capitolo. Cosa succederà? Eheh
Luke inoltre avrà un ruolo molto importante nell’intera vicenda, quindi tenetevi pronte.
 
Che ne dite del banner? La presta volto è una ragazza che conosco tramite ask, ma non fornisco né nick né nome sorry.
Grazie @caleidoscopio ew
 
Continuo a 2/3 recensioni dai dai :))
 
Tw: @semideaa
Ask: @xconah




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Capitolo 4
*** Giocattoli difettosi ***


Giocattoli difettosi

i dedicate this song to you
the one who never sees the truth


Note: Umh penso sia più comodo inserire i miei sproloqui all'inizio, così sapete subito quello che ho da dirvi e non vi rompo a fine capitolo. Cercherò di essere più puntuale nell'aggiornamento dei capitoli, non solo in questa ff, ma anche nelle altre due che ho ancora in corso (Paranormal love - Come scrivere il proprio destino in un mese). Inoltre ho in mente di pubblicare un cross-over con Luke Hemmings nel mondo di Percy Jackson, fatemi sapere con una recensione se vi può piacere questa cosa o se è meglio che sto ferma (ahah). Questo è più che altro un capitolo di passaggio, quindi scusatemi se è corto. In più, spero di avervi fatto capire bene il personaggio di Ashton.
Buona lettura, la vostra semidea ♦ ( 
Twitter ; Ask )




Guardo l’orologio con aria afflitta. Le quattro in punto.
Faccio appello a tutta la mia forza interiore, mi aggiusto una ciocca di capelli neri dietro l’orecchio e do un’altra mano di detersivo sul tavolo che sto finendo di pulire.
Il pub ‘Sue’s’ era un posto tranquillo, se amavi guardare video musicali sconci e sentire i racconti molto cruenti di Sue urlati per il locale.
Ormai mi ero abituata alle parolacce che uscivano dalle bocche di tutti gli affezionati clienti, alle manate sul sedere quando capitava e agli sproni non poco volgari del mio capo, quasi sempre ubriaco.
Sue mi stava anche simpatica, nonostante tutto.
Arriva nella stanza traballando leggermente sui suoi ‘trampoli’, si aggiusta la gonna molto corta e mi biascica un ‘’non mi disturbare’’, prima di prendersi una bottiglia di birra e tornare nel suo salottino privato, chiudendo la porta a chiave.
Mi sta simpatica perché in un momento di difficoltà, nel quale avevo bisogno urgentemente di soldi, lei non solo mi aveva assunto, ma mi aveva pagato due stipendi in anticipo. Non si era fatta nessun problema, si fidava, per questo mi è sempre piaciuta. Non si fa problemi se nel suo locale si fumano canne, nemmeno quando entra la polizia per ispezionare, non si fa problemi nel parlare come uno scaricatore di porto, non si fa problemi nel mostrarsi per quello che è.
Però si trascura, fin troppo. Utilizza tutte le sue forze per il suo locale e si aspetta da me la stessa enfasi che mette lei ogni sera, dalle 22.00 alle 03.30. Essendo l’unica cameriera sono lì tutte le sere ad aiutarla.
Ripongo lo strofinaccio sul bancone con cura e passo ad asciugare tutti i boccali buttati nel lavello. Con la testa china, sento appena il rumore del campanello affisso sulla porta che sovrasta quello della musica proveniente dal salottino di Sue.
-Scusate, ma siamo chiusi.
I miei occhi incrociano quelli di un ragazzo semicosciente sulla porta, aggrappato alla maniglia, con i capelli biondo sporco che gli ricadono sulla fronte imperlata di sudore.
-Oh Dio Santo, Ashton.
Lascio cadere i boccali e mi precipito sulla porta, prendendo, per quanto mi sia possibile, Ashton tra le braccia prima che lui cada a terra.
Mentre lo trascino verso il tavolo più vicino, la voce roca di Sue impreca dall’altro lato della stanza, chiedendo chi cavolo fosse entrato a quest’ora.
Passo a gridare anche io, tranquillizzandola.
Corro nello sgabuzzino a prendere un po’ d’acqua fresca e una pezza e dopo un secondo sono accucciata vicino al biondo, che ora ha gli occhi chiusi e muove la bocca senza proferire parola.
Sviene un paio di volte, mentre io gli asciugo il sudore, poi quando sembra riprendere conoscenza lo faccio sedere comodamente e riesco a fargli bere un po’.
Non mi va di chiamare un’ambulanza o di portarlo in ospedale, Dio solo sa cosa ha combinato.
-Stai meglio?- gli sussurro.
Lui fa cenno di sì con la testa e chiude di nuovo gli occhi, appoggiandosi allo schienale.
Mi accingo a sistemare tutto e a chiudere in fretta il pub, così da poter riportare Ashton a casa sua. Il tempo di abbassare le sedie, spazzare a terra e appendere il grembiule che sono pronta ad uscire.
-Sei sempre così sexy quando pulisci?- la voce di Ash esce biascicata e roca. E’ ubriaco fradicio.
-Non dire così che poi finisco per crederci ..
Lui mi sente e sorride, tanto domani si sarà già dimenticato tutto.
Saluto Sue con un urlo, mi carico la borsa su una spalla e un braccio di Ash sull’altra e mi avvio verso casa sua. Con mia tristezza il mio caro amico è venuto a piedi, da qualsiasi parte lui sia venuto, quindi incomincio a muovere qualche passo con molta fatica, dato che Ash non sembra collaborare e si fa semplicemente trascinare.
Quando sto per cadere e buttarmi a terra dalla stanchezza vedo le luci dei lampioni del nostro quartiere.
Mi fermo giusto cinque secondi davanti casa mia per vedere le luci accese in camera da letto. Come al solito, i miei non hanno orari per litigare, per loro ogni minuto è buono.
Prendo dalla mia borsa le chiavi di casa Irwin e getto il suo unico abitante in quel momento sul divano. In quelle condizioni non ce la farei mai a portarlo di sopra.
Appena tocca la superficie morbida, Ashton si addormenta a pancia all’aria.
Russa.
Sarà una dura notte, penso sconsolata.
 
Non so con quale forza e coraggio asciugo con un asciugamano il corpo di Ashton, gli tolgo delicatamente la maglia e gliene infilo una pulita, gli prendo un cuscino e glielo appoggio sotto la testa e lo copro con una coperta.
L’orologio in cucina segna le cinque passate.
Per quello che mi rimane da dormire, mi accoccolo sul tappeto vicino al divano, poggiando i gomiti sui fianchi di Ash.
Lo guardo dormire, finalmente tranquillo e la mia curiosità non può fare a meno di salire a galla. Domani mattina gli chiederai tutto, replica il mio cervello.
Appoggio la testa sulle mie braccia e chiudo gli occhi.
Dietro le mie palpebre tutto si fa buio.
 
 
 
La luce del sole brucia sulle mie palpebre chiuse.
Non faccio nemmeno in tempo a svegliarmi che mi accorgo di un crampo al collo e di un dolore terribile alla schiena. Alzo piano la testa dal luogo caldo dove la sera prima mi era addormentata, apro con attenzione gli occhi e mi ritrovo il viso di Ashton, con gli occhietti ben svegli e la bocca tirata in un sorriso che mi guarda dall’altra parte del divano dove sta comodamente sdraiato, lui. Mi rendo conto del tappeto sul quale mi sono seduta e di quanto sia duro il pavimento.
-Cazzo ridi?
Ashton continua a guardarmi. Irritante.
Non voglio neanche sapere in che condizione sono i miei capelli e il mio viso. Dovrei essere pronta per girare una scena di Batman, penso.
Abbasso gli occhi sulle mie braccia addormentate e le ritrovo …
-Ti sei addormentata lì?- Ashton ride beato, dando molta enfasi all’ultima parola.
Velocemente le sposto e le faccio ricadere lungo i fianchi.
-Sempre a pensare male.
-Stavi comoda sul mio ..- ancora che ride.
-Sui tuoi fianchi? Scomodissima.
Mi alzo molto lentamente, cercando di sgranchire tutte le parti del corpo fortemente indolenzite.
-Ma quanto ho dormito?
-Sono le dieci passate.
-Oh, le dieci. Le dieci?
-Oggi si salta scuola- Ashton alza le spalle con noncuranza e si alza dal divano, avvicinandosi, sempre sorridendo. Ma solo io la mattina sono intrattabile?
-Ti faccio un caffè, ti va?
-Allungato con il latte, grazie.
-Al suo servizio, Signora Crew.
Si gira verso la cucina con molta nonchalance, non prima di avermi mostrato la lingua.
Salgo velocemente di sopra, nella camera degli ospiti.
Ormai dormire a casa Irwin è un’abitudine, una brutta abitudine che ho preso. Mia nonna non mi vede da settimane.
Apro l’armadio riservato a me e prendo al volo una maglia nera e un jeans quanto più normale possibile; entro in bagno, il tempo di una doccia veloce, mi cambio e lego i miei capelli che, come avevo presupposto, sono degni del pelo bagnato di un cane.
Tolgo con un po’ d’acqua la matita nera sbavata e prima di scendere mi avvolgo nella mia felpa grigia.
Solo quando arrivo giù alle scale mi accorgo di essere scalza.
Entro in cucina e trovo Ash con una maglietta attillata, di un giallo quasi fosforescente che la sera prima non avevo notato, seduto al tavolo tondo. Prendo posto di fronte a lui e incomincio a bere dalla tazza.
-Questa me l’hai messa tu?- scoppia a ridere.
Sorrido anche io. –Beh, ho preso la prima cosa che ho trovato!- mi scuso.
-Mi compiaccio per il fatto che tu sia ancora viva dopo la vista e il tocco, aggiungerei, dei miei splendidi addominali. Complimenti- modesto lui.
-Oh beh, è stato un privilegio per me- continuo a scherzare mentre dentro avvampo come una tredicenne in calore – spero di non far ingelosire Marilyn-
-Tanto ci siamo lasciati, sono tutto tuo- fa un sorriso tirato.
All’inizio non capisco se stia scherzando o meno, poi comprendo.
-Ieri sera, giusto?-
-Stava facendo l’amore con Carl mentre io mi ubriacavo al piano di sotto-
-Molto coinvolgente come storia d’amore- lo guardo per capire cosa prova, non voglio ferirlo.
-Uhm- prende un sorso dalla sua tazza e non mi guarda per un po’.
Quando finisco di bere il mio caffelatte mi rivolge di nuovo la parola.
-Sam, per te sono abbastanza?-
Intercetta il mio sguardo accigliato e interdetto e continua a spiegare.
-Cioè, ti basto? Come amico, dico-
Non so cosa rispondergli e non so il perché di quella domanda.
-Sì, Ashton, nessuno mi ospiterebbe a casa sua tutte le settimane!- sdrammatizzo, ma lui attende ancora una risposta seria.
-Oh Dio Ash, ma cosa sono queste domande, certo che sì, mi basti! Non potrei chiedere di meglio, davvero-
Mi alzo per posare la tazza nel lavello e il ragazzo si alza, quasi nello stesso momento. Lascia andare sul tavolo la tazza e mi abbraccia, seppellendo il viso sulla mia spalla.
Non so cosa fare, né tantomeno cosa dire, per cui decido di ricambiare l’abbraccio.
Quasi mi alzo sulle punte per portare le mie braccia sulle sue spalle, così lui si china leggermente sulle ginocchia. Rimaniamo così avvinghiati per un po’, poi lui si stacca e vedo piccole macchie sulla spalla della mia felpa.
-Spero per te che non sia muco, è la mia felpa preferita questa!- gli do un pugno amichevole sul braccio e lui si asciuga gli occhi.
-Mi vuoi dire cosa ti è successo? Cosa ti sta succedendo?- continuo, sedendomi accanto a lui, che riprende posto al tavolo.
-Perché cambi continuamente ragazza? Perché non cerchi di approfondire i rapporti con qualcuna, invece di mollarla subito? Quella Rose non era male!-
Mi guarda con gli occhi spalancati.
-Ma se si è scopata mezza scuola!-
-Te compreso ..-
Lascio la frase in sospeso e lui mi guarda male.
-Ma allora perché te le scegli così, così, così … puttane?- sputo fuori l’ultima parola.
-Non merito di meglio.
-E questo chi lo dice, il signorino Ashton-sono-un-completo-stronzo-Irwin?
-Smettila Sam.
-No, non la smetto, perché non ho mai conosciuto persona più egocentrica, vanitosa e piena di sé di te, e ora quello con l’autostima bassa saresti tu? Sei un ragazzo perfetto, sei simpaticissimo, sai ascoltare e sei dannatamente bello, sei dolce e comprensibile con tutti e tu mi vorresti dire che meriti le puttane più bagasce della scuola?- sputo fuori le parole, poi mi rendo conto di avergli quasi fatto una dichiarazione e seppellisco il viso tra le mani.
-Quello che voglio dire- ricomincio, prima che lui possa rendersi conto di quello che ho detto –è che facendo così tu soffri, e non voglio che il mio migliore amico soffra.
Aspetto che questa volta sia lui a parlare.
-Non voglio impegni seri.
-Ma perché?
-Ho paura.
Attendo in silenzio.
-Paura di deludere, paura di non essere abbastanza, paura di non piacere e di essere scacciato. Solo con te mi sento al sicuro.
Quasi arrossisco, lui mi guarda con quel suo solito viso dolce.
-E’ per questo che ieri ti ho cercato. Ho cercato te.
-Beh avrei preferito che andassi a casa ..
Lui si alza e mi si avvicina, con il volto preoccupato.
-Ho detto qualcosa di sbagliato? Ieri, intendo. Ricordo solo di essere uscito da casa di Marilyn di corsa e di aver cercato la strada per il pub, sapevo che eri lì. Ma dopo essere svenuto non ricordo nulla. Ti ho trattato male?
Ripenso al Sei sempre così sexy quando pulisci? della sera prima e scuoto la testa.
-No, nulla Ash, non hai detto niente.
Lui sembra rassicurato e mi lascia un altro sorriso prima di uscire dalla cucina e andare a cambiarsi.
La vibrazione del mio cellulare mi riporta al presente.
Leggo velocemente un messaggio di Luke. E chi se l’aspettava.
 
Da: Luke
Ti aspetto in sala prove a casa di Calum. Devo farti sentire una cosa. Cal vuole parlarti.
 
Breve e conciso.
Urlo per attirare l’attenzione di Ash e lui si precipita in soggiorno, solamente con i jeans.
Calma, Sam.
-Ash, Luke vorrebbe vedermi, devo andare a casa di Calum ..
Non mi fa nemmeno finire.
-Esci con Luke? Vi ho visti insieme l’altro giorno- il suo tono ha un non so ché di strano.
-Cosa? No, non esco con Luke, assolutamente. Vuole solo vedermi.
Gli faccio leggere il messaggio per tranquillizzarlo, anche se non so perché lui non è tranquillo ed esco di casa correndo per beccare il pullman che sta già partendo dall’altro lato della strada. Salgo su giusto in tempo e sorrido. Sorrido perché vedo Ashton salutarmi dalla soia della porta, quasi come un fratello maggiore, un padre in pensiero, o un fidanzato amorevole.
 
 
Arrivo davanti casa Hood nel momento in cui Michael mi precede dietro la porta.
Calum mi vede arrivare e lascia uno spiraglio aperto, per permettermi di entrare dentro.
Sono già stata una volta a casa di Calum ed è rimasta esattamente come la ricordavo: un ingresso spazioso e luminoso, in netto contrasto con il resto della casa che è piena di candele e illuminata solo da una luce soffusa.
Seguo i ragazzi, che dopo un veloce cenno di saluto, mi precedono verso il seminterrato, un luogo al quale ancora non avevo avuto accesso.
Quando arriviamo alla fine delle scale a chiocciola mi ritrovo in un piccolo loft illuminato da luci elettriche sul soffitto, ricoperto da panelli insonorizzati.
-Non sapevo avessi anche tu una sala prove!- esclamo ammirata verso Calum.
Calum accenna un sorriso e ci guida ad una postazione dove sono presenti tre microfoni e una batteria rotta e smontata.
-Sono solo all’inizio nell’arredarla- indica un po’ imbarazzato.
Luke si alza dalla cassa dove sta seduto con la sua chitarra in mano, la poggia a terra e mi viene incontro.
-Ciao- fa per avvicinarsi ma rimane a debita distanza.
-Ehm ciao- non so cosa fare.
-Vi dobbiamo lasciare soli?- chiede Michael ridendo. Che bastardo.
-No – per fortuna Luke interviene –è una cosa che devo far sentire anche a voi.
Mi fa cenno di sedermi e Cal e Mick mi seguono a ruota.
Luke caccia dalla sua tasca un foglietto tutto stropicciato, lo stira leggermente sulla sua gamba e lo appoggia di fronte a sé, prendendo la chitarra e incominciando ad accordarla.
Poi senza preavviso incomincia a cantare.
Due a zero per Luke. Non sapevo nemmeno che cantasse così bene.

 I dedicate this song to you
The one who never sees the truth
That i can take away your hurt
Heartbreak girl
Hold you tight straigth trough the daylight
I’m right here when you gonna realize
That i’m your cure?
Heartbreak girl

Non avevo mai sentito quella canzone. Cerco di ricordare se Mtv la passava o se mi era capitato di sentirla per radio, ma nulla. Non riesco nemmeno ad associarla ad un cantante o ad una band. Non che mi intenda delle nuove hit o dei nuovi usciti, quando io mi fisso con qualcuno o con un genere preciso di musica nessuno mi smuove più dalla mia scelta.
Guardo le facce dei miei amici e vedo anche i loro occhi allibiti e confusi, non saprei dire se dalla canzone o dalla voce di Luke, che devo ammettere, è davvero mozzafiato.
Luke posa la chitarra imbarazzato dalle nostre reazioni e ci chiede con fare innocente –Beh, che ne dite?
Michael sta per aprire la bocca quando io lo interrompo.
-Dico che non ho mai sentito questa canzone e non capisco se cercavi di lanciare una qualche frecciatina o cosa- mi era appena passato per la mente il significato della canzone, ma non so per quale motivo avevo associato tutto a me. Nel senso, non sono mai stata con Luke, come ho potuto spezzargli il cuore? E poi lui mi dedicava addirittura una canzone? Eppure quelle parole erano uscite.
Mi copro velocemente la bocca con le mani per non dire altre stronzate e Luke scoppia a ridere, mentre Calum mi guarda interrogativo.
-Non capisco come questa canzone sia riferita a te – continua a ridere.
-Allora perché ce l’hai fatta sentire?- domanda Calum.
-E’ per Bonny- sussurra e abbassa leggermente il viso.
Il mio cuore sta per piangere. Non credevo che Luke fosse un tipo del genere. Questo tipo. Un tipo che, quasi come una serenata, dedica una canzone alla ragazza che gli ha spezzato il cuore. Un tipo forte dopotutto.
-Smettila, Luke, o qui perdiamo Sammy- Michael da una pacca amichevole all’amico e mi indica con lo sguardo, facendo sorridere Hemmings.
-Io, no, sto bene- ma non è vero.
Tutti mi guardano con una faccia da prenderli a schiaffi uno ad uno.
-Sto bene!- urlo.
-Se ti ho fatto piangere dovrebbero darmi un premio- ironizza il biondo.
-Cretino- mi alzo scocciata dalla cassa e mi avvicino a lui.
-Non hai risposto alla domanda- continuo.
-Quale domanda?- fa lo gnorri.
-Perché ce l’hai fatta sentire se è per Bonny?-
-Ehm – lo vedo tentennare – l’ho scritta io. Volevo sapere che ne pensate-
Nemmeno il tempo di finire la frase che gli occhi di tutti si spalancano in modo quasi anormale.
A me viene ancora di più da piangere. Tre a zero, Hemmings Crew. Non solo canta e suona la chitarra, ma compone anche. E devo dire che non avrei mai pensato che quella fosse una sua canzone. Semplicemente perché era così intonata, coordinata, sensata e sì, anche bella che non avrei mai associato una cosa del genere ad un ragazzo di poco più quindici anni, depresso e asociale.
Gli sorrido contenta e lui quasi ha paura di condividere la mia occhiata.
Cal e Mick lo stanno riempiendo di complimenti, ma non li sto ascoltando. Sto pensando ancora al talento del ragazzo che ho di fronte a me.
Cal porta il suo braccio sulle mie spalle e si appoggia a me per salire in piedi sulla cassa opposta a quella dove Luke è ancora accucciato.
-Ragazzi ho un’idea magnifica ascoltatemi tutti!- urla, come riferendosi a un popolo e non a tre persone.
-Formiamo una band!- e allarga le braccia.
Rimango confusa dalla notizia, ma all’inizio non comprendo che quel suo allargare le braccia comprende anche me.
-Fermi, fermi!- catturo la loro attenzione, stoppandoli dai loro saltelli.
-Io non so suonare niente, a stento riesco a suonare Fra Martino Campanaro con il pianoforte, rendiamoci conto!-
Luke scoppia a ridere, come se lui ora fosse Vivaldi.
Gli scocco un’occhiataccia e lui ammutolisce. Bene così.
Michael propone di farmi cantare.
Rido cinque minuti, poi notando la faccia seria degli altri mi concentro un attimo.
-E voi dopo aver sentito questa voce benedetta – indico la bocca di Luke – volete far cantare me?-
Calum sembra rifletterci su.
-Beh, sarai la nostra organizzatrice- già va meglio. Non me la prendo nemmeno, so di essere completamente inutile.
Mi accuccio sulla cassa, di nuovo, e li vedo armeggiare con cavetti e fili, poi prendere in mano le loro chitarre, Calum il basso, e li sento provare la canzone senza-titolo cantata prima di Luke, inserendo, o almeno cercando di inserire, gli altri strumenti.
Luke mi sorride prima di spostare lo sguardo sul suo spartito.
Mi accorgo di aver ricambiato il sorriso e mi alzo silenziosamente per non disturbarli, uscendo di casa con tutta la calma del mondo, beandomi ancora della sua voce e del suono della sua chitarra, che ormai si sta spargendo per tutta la casa.
 
 
Torno a casa di Ashton per salutarlo e poter andare a trovare mia nonna.
Appena apro la porta, Ash mi corre incontro e mi abbraccia. Mi stritola, sarebbe più corretto.
-Irwin, cosa ti succede?- sciolgo l’abbraccio ed entro nel salone, guardandolo stranita.
Non che non mi piacciano queste effusioni di affetto, sia chiaro.
-Ti ho mandato qualche messaggio, non mi rispondevi e mi sono preoccupato-
Gli lascio un sorriso, prima di cercare il mio Nokia modernissimo e molto avanzato, sbloccandolo. Ero ironica, comunque.
-Per te qualche sono 15 messaggi?- esclamo sbalordita –sai che non sono capace ad usare questo coso- lo getto malamente sul divano.
-Ho dimenticato la tua “unicità” rispetto agli altri normali sedicenni-
-Non è colpa mia se nessuno mi ha mai insegnato ad usare un telefono cellulare, signorino- lo guardò con cipiglio arrabbiato, come farebbe una maestra con il suo alunno più sfaticato, poi scoppio a ridere e lui sorride, come al solito.
-Ho risolto con Marilyn- se ne esce, tutto d’un fiato.
-Ho risolto per te vuol dire “Sono tornato insieme a lei” o “L’ho finalmente lasciata facendo la cosa giusta”?-
-La seconda- mormora, abbassando la testa.
-Ash sei serio?- controllo e freno l’entusiasmo.
Lui annuisce mugugnando come un bambino e io gli salto addosso abbracciandolo. Sì, ok, stritolandolo va meglio.
-Ash sei mitico lo sapevo lo sapevo che avresti reagito finalmente non ci credo ci sei riuscito!-
Ashton non ha mai lasciato una sua ragazza. Le prendeva e le usava sempre come giocattoli. Pensava che, essendo lui un giocattolo difettoso, avesse solo bisogno di compagnia, ogni tanto. E così le abbandonava, si dimenticava di loro fin quando quei giocattoli testardi non lo ricercavano, ovviamente anche loro solo per compagnia, e riallacciavano i rapporti, passando una o due sere insieme. E il giro si ripeteva.
Non era la prima volta che Ash veniva tradito da uno di questi giocattoli. In realtà non si era mai sentito tradito, semplicemente perché a lui non importava di queste sue compagne, e si sentiva libero di tradire a sua volta. Non si era mai soffermato ad approfondire i rapporti con qualcuna, a legare di più, a far nascere un vero rapporto di condivisione e passione. Per lui era tutto e soltanto un gioco.
Questo suo passo in avanti mi fa capire che anche lui si è stufato di questo. Non sono l’unica che si era annoiata, ed arrabbiata aggiungerei, di vederlo passare da ragazza a ragazza, da letto a letto, quasi come una prostituta. E lo abbraccio fino a non respirare più per questo, perché ha finalmente capito che non è un oggetto, che gli altri non sono un oggetto, che anche lui si merita qualcosa e che anche lui possiede delle emozioni, nonostante sia un giocattolo difettoso. Perché alla fine un po’ difettosi lo siamo tutti. Dobbiamo solo trovare il nostro riparatore.
-Perché?- mi chiede, ancora stretto nel mio abbraccio.
-Perché cosa?
-Perché questo?- lo sento sorridere sulla mia spalla.
-Perché non sei più un giocattolo difettoso- sussurro, ma lui mi sente.
-Perché?- continua, ridendo, quasi come un bambino.
-Perché hai trovato il tuo riparatore- mi stacco da lui e gli sorrido.
O almeno spero che lui l’abbia trovato. Io sì.
 

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