Do you like who I am or do you miss who I was?

di Stay away_00
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Came back to life. ***
Capitolo 2: *** Who are you? ***
Capitolo 3: *** Katerina Petrova. ***
Capitolo 4: *** Call me Klaus. ***
Capitolo 5: *** Memories. ***



Capitolo 1
*** Came back to life. ***


Era una calda mattina di agosto quando accadde. Non sapeva dove si trovava, non sapeva perché si trovava in quel posto, ne il suo nome. Non ricordava nulla di se stessa, nulla che potesse aiutarla a ritrovare la strada di casa.


21.08.2014.


Aprì gli occhi, una luce forte la investì, probabilmente quella del sole. Era sicura che non vedesse quella luce da molto tempo, era una stupida sensazione, una consapevolezza che non trovava fondamenti nella logica, ma lei lo sapeva. Non vedeva il sole da fin troppo tempo.La seconda cosa di cui si rese conto fu che era stesa sull’erba, leggermente bagnata dalla rugiada, la terza cosa era la sensazione di quest’ultima sulla sua pelle nuda. Era nuda.Si mise a sedere, portandosi una mano alla fronte e guardandosi intorno con aria disorientata. Le faceva terribilmente male la testa, come se qualcuno stesse tentando di schiacciargliela. Infine, come ultima sensazione, terribile e dolorosa, arrivò la paura. Il panico, l’insicurezza.Aveva provato a riportare alla mente il proprio nome, ma non lo ricordava. I suoi ricordi erano tutti macchiati di nero, semplici flash.Un cottege.La sensazione di un paio di labbra sulle proprie.Una ragazza. Era lei? No, non era lei. Era diversa, quella ragazza era diversa, ma non sapeva dare un nome al sentimento che provava quando portava alla mente quel viso.Le veniva voglia di urlare, ma urlare in quel momento non sarebbe servito a nulla, urlare non le avrebbe riportato i ricordi, i vestiti o… o qualcosa da mangiare. Quelle erano cose che doveva procurarsi da sola.A quel punto si mise in piedi e si coprì il seno con le mani, cominciando a camminare, facendo una smorfia ogni volta che calpestava un ramoscello o qualcosa che avrebbe potuto farle male.La testa le girava, sentiva la fame e la sete farsi strada in lei, sempre più prepotenti, sino a quando non arrivò su una strada.  A quel punto compiette l’ultimo passo, si sentì cadere e si immerse nuovamente nel buio.
Lasciò che le braccia le ricadessero lungo i fianchi. Era tutto buio, troppo buio, non sapeva se si trovava in una stanza, non avvertiva le pareti e per quanto camminasse non riusciva a trovarle.  


‹‹Io non credo nell’amore, Katerina. ››


Sembrava che quella voce risuonasse nella sua testa, sembrava che provenisse da tutte le parti, eppure non riusciva ad affibbiarci un nome, o un volto. Per lei quella voce era così familiare e sconosciuta allo stesso tempo. Sapeva che era importante, ma non riusciva a ricordare. Era un senso di impotenza opprrmente, agghiacciante.Katerina. Era forse quello il suo nome? Si chiamava Katerina?


‹‹ Niklaus è il nome che mi ha dato mio padre, ti prego chiamami Klaus.››


Un’altra voce. Si guardò intorno, spaventata, portandosi una mano alla bocca mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. Cosa stava succedendo, dove si trovava? Voleva tornare a casa, voleva tornare da qualcuno, ma non sapeva da chi. Non riusciva a ricordare quel maledetto nome. Klaus, forse era Klaus, era lui la persona da cui voleva ritornare? Si portò le mani alla fronte, per poi far scorrere le dita fino alle tempie e massaggiarsele, chiudendo gli occhi, cercando di riacquistare la lucidità che aveva perso per qualche istante. Non poteva farsi sopraffare dalla paura, non poteva permettere a quel dannato sentimento di governare le sue azioni.Lei era una combattente e doveva combattere.Mentre si concentrava su quei pensieri si accorse a malapena del vento che aveva cominciato a soffiare, sempre più forte, più forte, sino a quando non la trascinò via e neanche la sua determinazione poté impedire l’urlo che le uscì dalle labbra.
Si mise a sedere ansimando. Si portò una mano al petto, le mancava il respiro, non riusciva a calmarsi. Si mise prontamente in piedi, senza neanche accorgersi della camicia da notte leggera che portava indosso, senza accorgersi che sotto ai suoi piedi nudi non c’era più erba e terriccio ma un caldo pavimento, senza accorgersi che si trovava in un abitazione. L’unica cosa a cui riusciva a pensare era che doveva scappare da quel posto, correre il più lontano possibile e non guardarsi indietro.Aprì la porta della camera e fece per avanzare, andando però a sbattere contro il petto di qualcuno.Posò una mano sul petto dell’uomo, guardandolo ad occhi sgranati.Aveva la pelle scura, ma non quanto lo erano i suoi occhi, un’aria seria che incuteva quasi timore se non fosse per il fatto che non aveva l’aria cattiva e non riusciva a temerlo.Sbattè un paio di volte le palpebre e afferrò la sua maglietta, stringendola nel pugno chiuso.


‹‹ Il mio nome è Katerina. Devo trovare Klaus. ››

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Capitolo 2
*** Who are you? ***


‹ E così ti chiami Katerina.››
Disse l’uomo massaggiandosi il mento con aria pensierosa. Aveva già sentito quel nome da qualche parte, eppure non riusciva a dargli un volto e sicuramente non era quello della ragazza, eppure lo aveva già sentito, magari pronunciato dalle labbra dell’uomo che la ragazza stava cercando.
Nello stesso tempo Katherine sbatté rumorosamente la mano sul tavolo, con aria esasperata, ormai era la quinta volta che lui le faceva quella domanda, senza neanche avergli detto il proprio nome. Infatti dopo che lei si era fiondata contro di lui e gli aveva detto quelle parole l’aveva presa per un braccio e l’aveva portata in cucina, le aveva offerto qualcosa da mangiare e del succo di frutta. Sembrava un uomo gentile, eppure era restia a fidarsi, non riusciva a capire da cosa dipendesse quel comportamento, era qualcosa di innato dentro di lei, qualcosa che non riusciva a domare ne a scacciare, qualcosa che aveva preso perennemente il controllo. Di certo era una paranoia di cui non poteva cadere vittima, eppure appena – l’uomo senza nome – faceva qualche movimento improvviso lei non poteva fare a meno di irrigidirsi per poi rilassarsi quando realizzava che lui non aveva nessuna intenzione di farle del male. Eppure era sicura che era pronta a correre molto veloce se solo ce ne fosse stato il bisogno.
Strinse il pugno della mano e chiuse gli occhi per qualche secondo, prima di riaprirli e catturare lo sguardo dell’altro.
‹‹ Ripetimi quello che hai detto.››
Disse in tono autoritario, mentre si lisciava le pieghe della camicia da notte, aveva la sensazione che lo avesse già fatto molte volte in passato. Probabilmente – si disse. – era un tipo che adorava restare in pigiama. Si sistemò sulla sedia, accavallando le gambe e incrociando le mani in grembo, pronta ad udire per la terza volta che quello che l’uomo le aveva raccontato. Lui, d’altro canto accolse con un cenno di impazienza il suo “ordine” e ricominciò il proprio breve racconto.
‹‹ Ti trovi a New Orleans.››
Disse molto lentamente, come se alla ragazza potesse sfuggire qualche passaggio di quelle semplici parole. 
‹‹ Stavo… stavo per gli affari miei quando ti ho vista, svenuta sulla strada. Ho pensato che doveva esserti capitato qualcosa di orribile, quindi ho deciso di portarti qui, ti ho affidata ad una cara amica che si è presa cura di te, e poi, quando stavo per venire a controllare se eri sveglia mi sei piombata addosso come una furia, dicendomi che dovevi trovare Klaus.›› Schioccò la lingua contro il palato, appoggiandosi con un gomito al tavolino e osservando la donna – Katerina – con malcelato interesse. 
‹‹ Ora tocca a te, Katerina. Cosa sai di Klaus?››
‹‹ E tu? Cosa sai di Klaus, uomo misterioso che nasconde persino il proprio nome?›› Controbatté lei assottigliando lo sguardo, come se sapesse che lui le nascondeva qualcosa, come se potesse aspettarsi che da un momento all’altro… un momento all’altro cosa? Non c’era nessun pericolo, lui l’aveva l’aveva salvata.
‹‹ So che non vorresti mai incontrarlo, quindi perché lo stai cercando?››
‹‹ Il tuo nome.››
‹‹Marcel.››
Marcel. 
Sulle labbra della doppleganger andò a schiudersi un sorrisetto malizioso mentre si appoggiava allo schienale della sedia e inarcava un sopracciglio. Era indecisa se dirgli o no la verità, non poteva dirgli che aveva semplicemente sognato quel nome, sembrava impossibile. La degna scena di un film horror. Una ragazza si svegliava in un bosco, non ricordava nulla di se stessa tranne un nome. Un nome che non era neanche il suo. L’unica cosa che gli veniva in mente su quel “Niklaus” era che doveva averlo amato davvero molto.
‹‹L’ho sognato.›› Si decise a confessare, mentre volgeva lo sguardo altrove e incrociava le braccia al petto, eppure rimaneva con la schiena dritta e con l’aria fiera che non l’aveva abbandonata neanche per un istante. Rimaneva pienamente convinta delle sue sensazioni, come se potessero esse infallibili. Aveva avuto la prova che l’uomo che cercava esisteva, era vivo. Ed era anche sicura che lui avrebbe potuto fornirgli le risposte, tutte le risposte che gli servivano.
‹‹L’hai sognato?›› Chiese Marcel, scettico mentre si convinceva sempre più che la ragazza aveva sicuramente battuto la testa, era confusa, impaurita e sola. Probabilmente Klaus aveva sterminato la sua famiglia per un motivo o per l’altro e lei era riuscita a scappar via, nel frattempo lo shock le aveva causato quella breve amnesia, ma una cosa era sicura, quella ragazza non voleva realmente trovare l’uomo che l’aveva ridotta in quello stato – era davvero sicuro che fosse stato lui. –
‹‹Si, l’ho sognato. Devo trovarlo.›› Disse lei in tono di sfida, mentre si metteva in piedi e osservava il proprio corpo con una piccola smorfia. Prima di mettersi alla ricerca di un fantasma le serviva sicuramente un bel bagno caldo e degli abiti puliti.
Ecco che nuovamente il senso di panico tornava a farsi strada in lei. Le sarebbe servito anche un posto dove dormire, un guardaroba. E non aveva l’ombra di uno spicciolo. Non aveva niente.
D’un tratto sentì qualcuno posarle una mano sulla spalla e stringerla con una discreta forza, costringendola a tornare a sedersi. Infine Marcel si chinò per far si che fossero faccia a faccia e la studiò per alcuni istanti, facendosi mille domande in meno di un secondo.
‹‹Ti aiuterò. Ma prima devi rimetterti, torna in camera, dormi, fa quello che vuoi e pensa a ritornare in forze, nel frattempo cercherò di trovare qualcosa su di te e sui tuoi legami con il “grande re”. Lo incontrerai al più presto.›

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Capitolo 3
*** Katerina Petrova. ***


Erano passate ormai tre settimane da quando Katherine abitava con l’uomo che l’aveva salvata. Tre settimane che era in attesa di scoprire la verità su se stessa, su quello che le era accaduto. Su quello che stava accadendo. Dal canto suo Marcel spariva per lunghi periodi, senza farsi ne vedere ne sentire, poi tornava a casa, le rassicurava che andava tutto bene, che aveva una pista e non le parlava più. Ovviamente non le permetteva di uscire di casa o di andare in giro per New Orleans.
Doveva ammettere che le mancava la luce del sole, le mancava parlare con le persone o girovagare per negozi, persino senza comprare nulla.
Se c’era una cosa che aveva appreso in quelle ultime tre settimane era che la prigionia non le si addiceva e che voleva andarsene. Aveva già provato a parlarne con lui, che le aveva categoricamente proibito di farlo, a quel punto aveva provato a scappare, ma con disappunto si era accorta che lui le aveva messo alle costole due “guardie del corpo”.
‹Dove vai, adesso?!››Chiese a Marcel, che proprio in quel momento stava uscendo di casa. Ma lui non le rispose, si limitò a chiudersi la porta alle spalle con un tonfo.Katherine si guardò intorno come se fosse un animale in trappola, poi a passo deciso tornò nella sua camera. Avrebbe escogitato un piano per uscire da quel posto e scappare, avrebbe trovato da sola le risposte che cercava, e soprattutto la persona che cercava.

 […]

 Nel frattempo Marcel non aveva di certo perso tempo, infatti, tre settimane prima, dopo aver lasciato la ragazza a riposare era andato da alcuni amici. Nessuno gli aveva parlato di una certa “Katerina”. C’erano stati dei nomi, certo, ma nulla che gli facesse venire dei sospetti.
Quindi, dopo tutto quel tempo decise che era il momento di affrontare la persona tanto temuta: Klaus.
 Non gli sembrava una mossa alquanto intelligente, dato che l’ultima volta che si erano visti lui gli aveva dichiarato guerra.
Era persino strano pensare a “suo padre” come un nemico, l’uomo che l’aveva cresciuto, che gli aveva insegnato tutto quello che sapeva, che lo aveva accudito e amato come nessuno prima d’ora ma che allo stesso tempo che aveva offerto il più grande dolore. Lo aveva lacerato dentro in modo discreto, spezzandolo e umiliandolo quando pensava che fosse “necessario”, privandolo dell’unica donna che avesse mai amato e costringendolo a scappare da lui.
Si potrebbe dire che quella era acqua passata, che un secolo poteva bastare a cancellare tutto quell’orrore, ma no. La vendetta era qualcosa che gli bruciava dentro, la sete di potere, l’istinto di prevalere e dimostrare chi era il vero re. La dolce soddisfazione di poter dire che l’alievo aveva superato il maestro.
Entrò nella proprietà dei Mikaelson indisturbato, probabilmente erano tutti ad accudire Hayley, in prossimità del parto. Ma ancora una volta si sbagliava. Un lieve soffio d’aria gli indicò la presenza di qualcuno alle proprie spalle e in quel momento si irrigidii, trattenendo il respiro e chiudendo per qualche attimo gli occhi, cercando in se la sensazione della morte, aspettandola e maledicendosi per essere stato tanto stupido, ma dopo qualche secondo di attesa essa non arrivò.
‹‹Marcellus.››
La voce di Klaus, glaciale e sprezzante lo colpì molto più di quanto avesse potuto fare un paletto. Quello era il tono di voce che aveva imparato a riconoscere come simbolo di guai, la scoperta di un errore o un’imminente ramanzina. Ma l’ibrido, alle sue spalle, non continuò, aspettò che si girasse e così fece, rilassandosi.
L’ibrido di certo non si aspettava quella visita, non dopo le ultime minacce di morte, non dopo che era stato bandito dal quartiere Francese e lo vedeva come un affronto alla propria autorità e a quella di suo fratello, lo vedeva quasi come una minaccia per la sua bambina, anche se sapeva che lui non gli avrebbe mai fatto del male. Marcel era così… giusto in certi casi. Non uccideva i bambini, neanche se era necessario, non accettava la violenza sui più deboli… - Klaus si ritrovò a pensare che “suo figlio” era sempre stato la parte migliore di lui. –
Infondo sapeva benissimo che in un angolino della sua mente sperava che fosse venuto a mettere fine a quella sceneggiata, a proporgli di tornare ad essere quello che erano stati tanto tempo prima, a chiedergli una seconda possibilità per entrambi.
‹‹Devo... farti delle domande, poi me ne andrò.›› Disse, e a quel punto tutte le speranze cascarono, in Klaus si accese una nuova rabbia e assottigliò lo sguardo, assumendo un espressione quasi animalesca, soltanto per qualche secondo, prima di tornare a rilassarsi, aggrottare le sopracciglia e annuire lentamente facendogli cenno di sedersi sul divano.
‹‹Ti ascolto.›› Si versò un bicchiere di bourbon e osservò per qualche attimo il bicchiere, attendendo che il suo compagno cominciasse a porgli quelle domande, poi si portò il bicchiere alle labbra, chiudendo gli occhi e gustandosi il liquido che gli scese lungo la gola, poi schiuse le labbra e sospirò soddisfatto.
‹‹Cosa ti dice il nome “Katerina”?››
Marcel inclinò il capo di lato, notando la reazione di Klaus; Si era irrigidito e sbatteva le palpebre come se si stesse appena svegliando da un sogno, poi un espressione di pura rabbia andò a disegnarsi sul suo volto e il bicchiere andò in frantumi.
‹‹Katerina Petrova.›› Disse senza batter ciglio mentre si esaminava la mano sanguinante e estraeva una scheggia di vetro dal palmo, poco dopo le ferite erano guarite, si pulì la mano con un tovagliolo e schioccò la lingua contro il palato. ‹‹Te ne ho parlato, ricordi?›› Aggiunse in un sussurro mentre ripiegava il tovagliolo e lo posava accanto alle schegge del bicchiere tornò a rivolgere la propria attenzione all’uomo che si trovava seduto sul divano di fronte a lui.
‹‹Ricordo. Pensavo fosse morta.››
‹‹Lo è, Marcel.››

 […]

 ‹‹Esci dalla mia testa!››
Urlò Katherine mentre si portava le mani alle tempie e chiudeva gli occhi, ma chiuderli non serviva a niente, non erano le immagini che la spaventavano, ma il buio in cui all’improvviso cadeva, poteva succedere in qualsiasi momento, che stesse mangiando o facendo un bagno. All’improvviso diventava tutto buio e sentiva delle voci, per lo più erano ricordi – era sicura che fossero ricordi. –
‹‹Sono qui per vedere mia figlia.››
Erano mormorii indistinti, alle volte era la sua voce, altre volte erano voci che non conosceva, che non riusciva a ricordare, erano parole senza senso, prive di logica.
Fece lentamente ricadere le braccia lungo i fianchi e si guardò intorno, era ancora tutto buio, quello voleva dire che le voci non l’avevano abbandonata, voleva dire che c’era ancora qualcosa da “ricordare”.
‹‹Sto cercando mia madre.››
Fu colpita da un dolore allucinante alla testa, che la fece ricadere all’indietro, sedendosi sul letto. Era come se dei pugni gli facessero una forte pressione sulle tempie. Era un modo orribile per essere catapultata nuovamente della realtà.
Solo dopo alcuni minuti, delle urla, che non erano le proprie risuonarono nella stanza, facendole gelare il sangue nelle vene. A quel punto si mise prontamente in piedi e si guardò intorno, afferrò una statuetta di ceramica che si trovava sulla scrivania e uscì dalla camera, andando in direzione dei rumori che aveva sentito prima.
Le sue “guardie del corpo” si trovavano distese sul pavimento, in una pozza di sangue. Con disgusto notò che i loro cuori si trovavano accanto ai cadavere. Si portò una mano alla bocca per reprimere la nausea, poi riprese a camminare.
‹‹Marcel?››
Sussurrò, tenendosi pronta ad attaccare chiunque avesse provato a fargli del male – sapeva che lui non avrebbe mai ucciso i suoi uomini, non poteva essere stato Marcel, e soprattutto non lo avrebbe fatto in un modo tanto disgustoso. –
Ad un certo punto, quando si convinse che l’assassino era andato via, ecco che sentì una presenza alle proprie spalle, sentiva lo sguardo di quella persona sulla schiena, una strana sensazione di calore gli invase tutto il corpo, prima di voltarsi.
‹‹Katerina.›› L’uomo la guardò con sorpresa, come se fosse un fantasma, anche se lei scorse quasi subito l’accenno di tristezza che si trovava infondo ai suoi occhi o nella piega della labbra.
Frappose la statuetta fra lei e l’uomo, arretrando e inclinando appena il capo di lato, studiandolo. Aveva gli occhi scuri, i capelli di una tonalità poco più chiara, sembrava un tipo elegante – un damerino. –
‹‹E’ il mio nome, mi dicono.››
Disse con una vena ironica nella voce, mentre si guardava intorno per cercare una via di fuga. Non gli era certo sfuggito che l’uomo aveva le mani imbrattate di sangue.
Aveva ucciso quegli uomini strappandogli il cuore con le mani. Ma come…?
‹‹E il tuo nome?››
L’espressione dell’uomo si indurì, raddrizzò la schiena e afferrò un fazzoletto dal taschino della giacca, quei movimenti, però, tradivano la sua rabbia e lei non riuscì a capirne il motivo.
‹‹Elijah.›› Rispose lui a denti stretti.

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Capitolo 4
*** Call me Klaus. ***


‹‹Elijah.›› Mormorò la ragazza, senza distogliere lo sguardo dall’uomo che le stava di fronte. Aveva già sentito quel nome da qualche parte, eppure non riusciva a ricordare dove. Era come una carezza calda sul cuore, un ricordo che aspettava di riaffiorare, qualcosa di dolce e allo stesso tempo cattivo come il sale. Quell’uomo era un assassino, aveva ucciso i due "scagnozzi"  di Marcel, magari avrebbe ucciso anche lei, eppure non sentiva il bisogno di scappare, sapeva che lui non le avrebbe mai fatto del male, anche se non riusciva a spiegarsene il motivo, lo sapeva e basta – come tante altre sensazioni che aveva avuto da quando si era svegliata, c’erano tante cose che non riusciva a spiegarsi, ma che conosceva. –Elijah, nello stesso tempo si chiedeva cosa fosse cambiato nella ragazza. Che le fosse successo qualcosa era assolutamente certo, lo capiva dal suo sguardo confuso, dall’aria trascurata e dai battiti del suo cuore. Avvertiva in lei la mortalità, l’umanità. Katerina era tornata umana e magari rinata, riportata indietro dalla morte. Quella stessa morte che l’aveva perseguitata per più di cinquecento anni, quella morte da cui lei non aveva fatto altro che scappare, quella maledetta nemica – che a quanto vedeva – lei era riuscita nuovamente a sconfiggere. Quella donna era una combattente, tanto astuta quanto bella. Ricordava come una volta quegli occhi da cerbiatta lo avessero stregato, ricordava ogni singola carezza e ogni singolo bacio, ma a quanto pareva quelle cose erano scivolate via dalla mente della ragazza. Probabilmente nel suo piano per restare in vita non aveva calcolato che qualcosa sarebbe andato storto. E mentre la famosa “Katherine Pierce” riacquistava il respiro perdeva qualcosa di ben più importante: Se stessa.
L’originario si avvicinò lentamente a lei – era un’impressione dalla donna, oppure quei passi leggeri rimbombavano nella stanza? – sino a quando non si trovò ad un soffio di distanza, a quel punto un lieve sorrisetto andò ad illuminargli il volto mentre inclinava appena il capo di lato e studiava la donna.
Katherine serrò la mascella, assottigliando lo sguardo e facendo un lieve passo indietro mentre incrociava le braccia al petto e alzava di poco il mento con aria orgogliosa. Non si sarebbe lasciata intimorire da quell’uomo, per quanto potesse essere perfido o senza scrupoli, non avrebbe mai lasciato che intravedesse la sua paura.
Lei non era debole.
‹‹Mi consoci?›› Chiese ad un certo punto la donna, con aria altezzosa. Di certo non voleva apparirgli come una damigella in pericolo. Eppure la reazione di lui la spiazzò completamente; Scoppiò in una leggera risata mentre si guardava intorno e decideva sul da farsi.
‹‹Mi stai sul serio chiedendo se ti conosco, Katerina?›› Chiese in tono canzonatorio mentre faceva schioccare le dita, a quel punto storse le labbra, con aria pensierosa. Non sapeva cosa dirle e cosa di no. Di certo Marcel non l’aveva informata sull’esistenza delle creature sovrannaturali, ne l’aveva messa al corrente dei pericoli che stava correndo trovandosi nella stessa città dell’uomo che le aveva dato la caccia per cinque secoli. A quel punto si chiese anche se l’uomo avesse pensato di poter usare la doppleganger come arma contro suo fratello, pensando che per lui avesse una qualche importanza.
Si denstò dai suoi pensieri appena udì la voce della donna.
‹‹Sto cercando Klaus. E’ importante, tu lo conosci? Era… eravamo…?›› A quel punto Katerina decise che si sentiva stupida ed impreparata, non sapeva quali domande porre, e lo sguardo dell’uomo di certo non l’aiutava, era come trovarsi nuovamente in quel bosco, coperta soltanto da quel velo di confusione e panico che l’avevano investita. Vide le sopracciglia di Elijah aggrottarsi e la sua espressione cambiare radicalmente, diventando seria e… stupida.
‹‹Come puoi credere che mio fratello sarà disposto a darti le risposte che cerchi?›› Chiese strabuzzando gli occhi, poi scosse il capo.
Quel dannato Marcel, non stava facendo nulla per proteggere quella povera ragazza?
A quel punto Elijah pensò che per far indispettire l’uomo non c’era niente di meglio che privarlo di qualcosa a cui – sperava – tenesse sotto il suo stesso tetto. Infondo non era stato lui a mandare via sua sorella Rebekah? Ad impadronirsi della città e fingersi morto? A spezzare il cuore di suo fratello ancora e ancora? Klaus aveva fatto la sua scelta ed era quello di non ucciderlo e in quel momento poco gli importava delle conseguenze, voleva Katerina con se.

 Sorrise, poi con la velocità donatagli da sua madre portò via la ragazza.

 […]

 Klaus si massaggiò le tempie, Marcel non voleva svelargli il motivo delle domande che aveva cominciato a porgli e il sospetto che nascondesse qualcosa cominciò ad insinuarsi in lui.
“Come l’hai conosciuta?”
“Cosa volevi da lei?”
“Quanto tempo è passato dall’ultima volta che l’hai vista?”
Ovviamente l’ibrido non aveva risposto con sincerità a nessuna di queste domande, non voleva trovarsi in svantaggio rispetto al suo nemico, anche se non riusciva proprio ad immaginare cosa avesse in mente.
Katerina era…
‹‹Nikalus.››
La voce di suo fratello rimbombò nella stanza, il suo sguardo però corse prima al suo figlio adottivo che guardava l’uomo con un aria sbigottita e leggermente spaventata, mentre si metteva prontamente in piedi e digrignava i denti in un ringhio animalesco. Tutta scena, non può nulla contro di lui. – pensò Klaus mentre si voltava ad osservare suo fratello e quello che vide lo lasciò senza parole. Una ragazza dai lunghi capelli castani e l’aria irritata cercava di divincolarsi dalla presa di lui, con scarsi risultati,  poteva avvertire che era soltanto un’insignificante umana tra le grinfie di un vampiro originale. Aprì la bocca, facendo per parlare ma Elijah alzò una mano in cenno di ammonimento e fece qualche passo verso i due uomini.
‹‹Niklaus…›› Riprese con un lieve sorrisetto sulle labbra, quasi compiaciuto mentre osservava Marcellus con aria vagamente vittoriosa. Quell’espressione sul volto di Elijah lo metteva vagamente a disagio, significava che stava tramando qualcosa e che quel qualcosa era andato a buon fine e non sapeva quanto potesse essere un bene per lui. ‹‹Ti presento Katerina, non so se ti ricordi, ma lei sicuramente non si ricorda di te e ti stava cercando per delle… risposte che a quanto sono riuscito a constatare Marcel non è riuscito a dargli.››
‹‹Cosa…?›› Ma non fece in tempo a terminare la domanda che suo fratello spinse la ragazze tra le braccia di una delle domestiche, che avevano cominciato a lavorare in quella casa qualche tempo prima e si avventò su Marcel, spezzandogli il collo prima che lui stesso potesse proferire parola. A quel punto si aggiustò il colletto e i polsini della camicia, con aria vagamente irritata.
‹‹Dovremmo fare una chiacchierata in privato, fratello.››

 E così Katerina aveva perso ogni “contatto” con la sua se precedente, eppure lo stava cercando per avere le risposte che tanto bramava. 
Eppure c’erano degli altri quesiti da porsi.
Chi l’aveva riportata in vita e soprattutto perché lo aveva fatto? Credeva che la donna fosse morta di vecchiaia mesi fa, eppure si era ritrovata viva – ancora una volta – a New Orleans, dicendo a chiunque incontrasse ce lo stava cercando.
Klaus si ritrovò a pensare di essere compiaciuto dal fatto che avesse marchiato la ragazza tanto da ritrovarsi nella sua testa anche quando tutto il resto le era stato strappato via.
Insieme ad Elijah aveva concordato che avrebbero distorto un po’ la verità, quel tanto che bastava per far si che non decidesse di scappare. Se Marcel e chiunque l’avesse riportata in vita la volevano, loro dovevano averla..
A quel punto non rimase altro che andare nella camera in cui aveva fatto sistemare la ragazza. Klaus bussò alla porta, me entrò senza aspettare una risposta della donna, che era seduta sul letto, a guardare la parete immacolata di fronte a se e si accorse di lui soltanto dopo pochi secondi. Lo guardò con freddezza, notò che era rigida, pronta a difendersi o a scappare e teneva qualcosa dietro la schiena, probabilmente un oggetto che serviva per l’auto difesa, nel caso ne avesse avuto bisogno. A quei piccoli particolari l’originale sorrise. A quanto pareva qualcosa dentro di lei ricordava ancora la sua vita precedente.
‹‹Niklaus.››
Disse lei, ancora una volta non gli sfuggì l’amarezza nel tono di voce.
Il suo sorriso si allargò.
‹‹Chiamami Klaus, hanno detto che mi stavi cercando.››

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Memories. ***


La ragazza era visibilmente confusa, anche se cercava di non darlo a vedere, anche se aveva la schiena dritta e la mascella serrata, Klaus scorgeva quella confusione nei suoi occhi, come se si rendesse conto che qualcosa nel suo racconto non andava.
‹‹Vampiri?›› Chiese in un sussurro appena accennato, cercando di ricongiungere i pezzi, poi assottigliò lo sguardo e puntò gli occhi da cerbiatta in quelli di Klaus, aspettando che gli dicesse altro, aspettando che parlasse ma l’originale scosse il capo, fingendo un’aria rammaricata e andando a sedersi accanto a lei.
In quel momento si chiedeva come facesse a nascondere tutto l’odio che provava nei confronti della fanciulla, si chiedeva come faceva a non avventarsi sul suo collo e a staccarle la testa. Aveva aspettato tanto quel momento, ma non poteva toccarla, poteva solo giocare con la sua mente e ammetteva che la cosa non gli dispiaceva affatto.
‹‹Vampiri.›› Confermò, le aveva raccontato tutto. Streghe, licantropi, ci era voluto un po’ di tempo prima che accettasse seriamente la situazione e le  aveva già dato una dimostrazione di quello che diceva, ferendosi con i denti e lasciando che lei vedesse la ferita rimarginarsi, così rimase in attesa che la ragazza riordinasse le cose nella propria testa.
‹‹Noi eravamo… promessi, nel.. nel… quattrocento, poi… sono morta, un incidente, mi hai detto. E adesso sono tornata in vita, qualcuno mi ha riportata qui. Ne tu ne io sappiamo il perché.›› Mormorò tenendo lo sguardo basso e le labbra serrate, sul viso un’espressione innocente, un’espressione che Katherine non si permetteva ormai da troppo tempo. Era triste, confusa, spaesata. Non sapeva da dove veniva e dove doveva andare, era bloccata in quel posto, con quelle persone che dicevano di conoscerla, con quell’uomo che le aveva detto che un tempo erano innamorati e che lei se ne era andata poco prima del loro matrimonio.  Le aveva anche detto che prima lei aveva avuto una figlia da un altro uomo, ma su quel campo non aveva voluto approfondire e lei non gli aveva chiesto nulla. Ma c’era qualcosa di strano in quei ricordi, qualcosa che non c’entrava, ne era sicura. Non riusciva a fidarsi eppure il suo il nome che era comparso nella sua testa appena aveva riaperto gli occhi, non poteva essere una coincidenza. E doveva ammettere che nelle tre settimane precedenti aveva fantasticato molto su quel suo immaginario “Niklaus”, e quasi tutte le sue aspettative erano state realizzate, le aveva dato delle risposte, per quanto assurde, erano delle risposte.
Con la coda dell’occhio vide l’uomo sedersi più vicino a lei, facendo sfiorare le loro spalle, a quel lieve contatto la ragazza si irrigidì mentre le sue gote si coloravano di un rosso appena accennato mentre Klaus le spostava lentamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio e gli accarezzava una tempia con il pollice.
‹‹Non preoccuparti Katerina, dopo tutto questo tempo, non ti lascerò andare nuovamente.›› Mormorò in tono serio e mentre sulle labbra della ragazza sbocciava un sorrisetto timido qualcosa dentro di lei si metteva in allerta; la chiamava, le diceva di scappare, di alzarsi e correre lontano, lontano da quell’uomo, da quella città. Di scappare.
Lei, per la prima volta, decise di ignorare la sua vocina interiore.

 […]

 ‹‹Sul serio, Niklaus?›› Chiese Elijah a denti stretti mentre era  in piedi davanti a suo fratello, che sembrava divertito dalla situazione e non stava ad ascoltare la sua predica.
‹‹Sul serio.›› Confermò in tono beffardo mentre si andava a sedere a gambe accavallate sul letto ed inclinava appena il capo di lato, mentre un sorrisetto innocente andava a formarsi sulle sue labbra.
Elijah avrebbe dovuto sospettare che Klaus si sarebbe preso gioco sia dei sentimenti che dei ricordi della ragazza, sapeva che avrebbe manipolato il tutto rendendolo non solo vantaggioso, ma anche divertente. Anche se in quella situazione, di divertente non ci vedeva un bel niente. Era sicuro di aver tolto un’arma dalle mani di Marcel per metterla in quelle di suo fratello. In quel momento si rendeva conto che forse la sua era stata una mossa azzardata. Avrebbe prima dovuto valutare la situazione, poi esporla a Niklaus.
‹‹Sei geloso, fratello? Pensavo che la tua piccola cotta per Katerina fosse storia passata e che avessi ripiegato su altre.››
Quelle parole lo allontanarono dai suoi pensieri e serrò la mascella, alzando di poco il mento mentre assumeva un’aria severa e osservava suo fratello dall’alto in basso, poi scosse il capo, sospirando mentre si passava una mano sulla fronte.
‹‹Comunque, ho intenzione di portarla a visitare la città, questa sera e lei ne è stata entusiasta.›› Aggiunse, senza aspettare la risposta di Elijah mentre giocherellava con un pennello, rigirandoselo tra le mani, o facendolo roteare tra l’indice e il pollice.
‹‹Non capisco perché tu debba rendere le cose così complicate.››
‹‹Non le rendo complicate, le rendo piacevoli. Preferisci che indaghi sulla situazione in camera sua?›› Chiese Niklaus mentre sulle sue labbra andava a disegnarsi un sorrisetto malizioso. Elijah, a quelle parole, scosse il capo e uscì dalla stanza, chiudendosi rumorosamente la porta alle spalle.

 […]

 ‹‹E’ stata una bella serata.››
Mormorò Katherine, mentre con le mani incrociate dietro la schiena camminava per la via di ritorno a casa. Dal canto suo Klaus l’ascoltava poco o niente, anche se doveva ammettere che all’inizio della serata era rimasto piacevolmente sorpreso dalla vista della donna, aveva indossato degli abiti di Rebekah; un vestito nero che le fasciava i fianchi, mettendo in evidenza e sue curve, lasciando poi i capelli liberi di ricadere sulle spalle, eppure gli ricordava la Katherine che aveva conosciuto secoli fa, quella dolce fanciulla che sperava ancora nell’amore e non la donna che era diventata con il passare dei secoli, aveva un espressione differente. Ingenua ma al tempo stesso vigile, era evidente che non si fidava di lui, ma che desiderava con tutto il cuore lasciarsi andare. Klaus era curioso di vedere quelli sarebbero state le sue scelte, quali decisioni avrebbe preso la ragazza senza ricordi che in quel momento camminava accanto a lui.
La donna gli aveva anche confessato che a volte aveva degli spezzoni di ricordi e che in quei momenti veniva colpita da emicranie terribili.
Erano qualcosa che non riusciva a controllare, diceva.
‹‹Concordo.›› Rispose lui mentre le posava una mano alla base della schiena e schioccava la lingua contro il palato.
Rimasero in silenzio per il resto del tragitto mentre Katherine si guardava intorno affascinata da tutto ciò che vedeva, come se fosse la prima volta e infondo lo era.  Lei era convinta di essere morta da secoli e non di certo da pochi mesi, era convinta che quelle meraviglie per lei fossero una cosa nuova, quando invece era stata a New Orleans molte volte prima di allora.
Arrivarono a casa in silenzio e l’uomo la scortò fino alla sua camera.
‹‹Buonanotte.››
La salutò dandole un leggero bacio sulla guancia, poi senza aspettare che lei dicesse qualcosa, si allontanò velocemente, diretto alle sue stanze.
La ragazza rimase per qualche altro secondo sulla porta, poi si decise ad entrare in camera, ma quando entrò si ritrovò in un luogo completamente diverso.
Era un salotto c’era un camino ed un divano e… c’era lei. Era lei.
Era seduta su una poltrona, con le gambe accavallate. Indossava un paio di jeans scuri che le fasciavano le gambe, una maglietta grigia e un paio di tacchi su cui dubitava che in quel momento sarebbe riuscita a camminare. Era appoggiata allo schienale della poltrona, aveva un’aria nervosa, impaziente mentre si guardava intorno, come se stesse cercando qualcuno, poi il suo sguardo andava a posarsi su una donna che si trovava di fronte a lei.
‹‹Non ho tempo da perdere, Katherine. Dimmi dov’è.››
Disse la donna in tono gelido con la stessa aria nervosa che aveva lei, ma al contrario la ragazza sulla poltrona sorrise e si leccò lentamente le labbra con la punta della lingua.
‹‹Bene. Neanch’io ho tempo da perdere, ora sei disposta a prendere in considerazione la mia proposta?››
Chiese la ragazza, in tono beffardo, chinandosi leggermente in avanti e puntando gli occhi in quelli della donna che le stava di fronte.
Katerina sbatté un paio di volte le palpebre, rendendosi conto che era “tornata” nella propria camera. C’era il letto, l’armadio. I dieci vestiti che aveva provato prima di trovare quello giusto, era tutto nella norma. Era tutto come l’aveva lasciato.
Ebbe a disposizione appena il tempo di realizzare quei particolari che il mal di testa la investì come un fiume in piena. Si portò le mani alle tempie, gemendo appena per il dolore e arretrò andandosi ad appoggiare alla porta della camera e lasciandosi scivolare contro di essa, mentre lasciava vagare lo sguardo per la camera.
Cos’aveva visto? Era un ricordo? Una visione? Cosa?
Era sola, spaventata, il suo cuore non la smetteva di battere ad un ritmo più veloce del normale.

 

 

 

 

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