Memorie di una viaggiatrice distratta

di Aron_oele
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nice to meet you, pleased to know you ***
Capitolo 2: *** Just the beginning ***
Capitolo 3: *** Tofu per cena ***
Capitolo 4: *** Fight Club ***
Capitolo 5: *** Get the party started ***
Capitolo 6: *** Qui gatta ci cova ***
Capitolo 7: *** Questo è il ballo del qua qua ***
Capitolo 8: *** Can you fill it? ***
Capitolo 9: *** Don't worry be Happy ***
Capitolo 10: *** La mora, la bionda e la rossa ***
Capitolo 11: *** La foresta dei baci volanti ***
Capitolo 12: *** Tutti i nodi vengono al pettine ***



Capitolo 1
*** Nice to meet you, pleased to know you ***


Judith Montgomery è una ragazza bionda ed americana.

Judith Montgomery è una ragazza alta, che fuma Marlboro light e che vive a New York.

Judith Montgomery è una ragazza che ha vissuto tre mesi in Giappone, ospite di una famiglia strampalata.

Judith Montgomery sono io, e questa è la mia storia.

Memorie di una viaggiatrice distratta

“Sono nata nell'epoca sbagliata.

Dovevo nascere con le macchine da scrivere, le polaroid, le tele in bianco e nero,

i cellulari inesistenti, le lettere, le tazze di tè, gli abbracci, le

canzoni, i viaggi. I viaggi.”

L' aeroporto di Tokyo era davvero enorme, e per una abituata all'America dove, si sa, tutto è più grande della normale decenza, non era cosa da tenere in poco conto.
Eccolo lì ad un passo da me: il Paese del Sol Levante.
La prima cosa da fare, mi ero detta, sarebbe stato un bel giro nella città che desideravo visitare fin da quando ero bambina. Ma a ben vedere, dopo quasi quattordici ore di volo, la prima cosa che effettivamente feci fu quella di uscire dalla grande vetrata delle porte scorrevoli e accendermi una sigaretta.
La prima boccata d'aria giapponese sapeva d'oriente, di tradizioni e leggende, di piccoli ponti di legno che attraversano ruscelli all'ombra di alberi di ciliegio fioriti, di lanterne, di kimoni e di cibi esotici.
Mi legai i capelli in una morbida treccia che gettai su un fianco, Rayban sugli occhi, pantaloncini di jeans, Canon da perfetta turista in una mano, sigaretta nell'altra ed ero pronta all'avventura.
“Pronta” per così dire, con un trolley che pesava più di me e senza nemmeno una cartina geografica.
Ero ansiosa di vedere la città in cui modernità e tradizione si fondono come rocce sciolte dalla lava, ma ero ancora più ansiosa di conoscere quella che sarebbe stata la mia “famiglia adottiva” per tutta la durata del soggiorno.
Quando avevo letto della possibilità di fare uno scambio culturale in Giappone, appeso in malo modo sulla bacheca di un corridoio del mio college, non ci avevo più visto dalla gioia, affascinata come sono sempre stata da questo Paese. Così avevo fatto subito domanda e adesso mi ritrovavo su quell'isola gigante con in tasca solo una lettera, una foto ed un indirizzo.
Famiglia Tendo, Nerima.
Provai a chiamare un taxi con un fischio, ma niente, nessuna risposta. Allora pensai che probabilmente non fosse quello il modo più consono, in fondo non ero a New York dove basta gridare più forte degli altri per farsi sentire. Così, mi avvicinai ad un taxi verde con le bande laterali gialle, posteggiato di fronte all'uscita dell'aeroporto, sorrisi al conducente e attaccai al finestrino il foglio con scritto l'indirizzo, cercando di fargli capire che volevo salire con invitanti cenni della testa e il dito indice puntato ad intermittenza. Senza che lui dicesse una parola, la portiera posteriore sinistra si aprì automaticamente, e noi americani che ci vantiamo tanto di essere tecnologici.
A bordo del taxi, che sfrecciava senza problemi nelle vie caotiche della capitale, finalmente mi era concesso di osservare la città. Per certi versi mi ricordava la mia New York: affollata, caotica e romantica, come una fotografia in bianco e nero.
Ero nella più grande metropoli del mondo. Piena di cartelli pubblicitari colorati e sgargianti, di altissimi grattacieli colmi di vetro e metallo, di strade larghissime che si intersecavano le une con le altre creando un reticolato di luci gialle e rosse, alternate alla vista da parchi enormi e pieni di verde.
Anche a Tokyo sembrava tutto così veloce, come se la gente avesse sempre fretta, corresse sempre da qualche parte: chi dietro ad uno spuntino improvvisato, chi ad un bambino che attraversava la strada senza guardare, chi alla metropolitana che stava partendo senza di lui.
Per certi versi, stare a Tokyo era proprio come stare a casa.
Però poi, oltre la modernità dell'enorme città, si potevano vedere le montagne. Montagne che da quella distanza sembravano blu, con le cime ricoperte di neve.
E allora, all'incauto spettatore, si apriva un mondo, un mondo oltre i grattacieli e i treni ad alta velocità, un mondo che ha come protagonisti il Fuji e i ciliegi in fiore, i dragoni e i templi con i tetti rossi e spioventi, i piccoli stagni e i fuochi d'artificio.
Mentre sporgevo con tutta la testa fuori dal finestrino, lasciando che la velocità mi scompigliasse i capelli e facevo centinaia di foto tutt'intorno a me, mi resi conto che Tokyo mi aveva già rapito il cuore.
Ma non sapevo fino a che punto quello stesso cuore sarebbe rimasto lì.

Lentamente il paesaggio cominciò a cambiare: le case erano più basse, le strade più strette, si riusciva a vedere il cielo.
Finalmente si poteva rallentare, respirare.
Il taxi si fermò davanti ad un enorme e massiccio muro di cinta bianco.
<< Siamo arrivati signorina, questo è l'indirizzo >> annunciò il conducente in un inglese perfetto.
Scesi dal taxi e lo salutai con la mano, quindi cercai dentro la borsetta di cuoio un po' d'acqua e ne presi una lunga sorsata. Provai a sistemarmi alla meglio i capelli e a tirare su la maglietta, che continuava imperterrita a voler pendere sulla mia spalla.
Percorsi tutto il muro ruvido con una mano, fino ad arrivare all'enorme portone di legno scuro. Tirai su gli occhiali da sole sulla testa per tenere a bada le ciocche ribelli, che a tutti i costi volevano uscire dalla mia treccia, e cominciai a provare: “Kon'nichiwa, o ai dekite ureshi”(*) “Kon'nichi-...” ma, con un cigolio da fare invidia a qualunque film horror, le ante della porta si spalancarono, forse perché nella foga di provare le mie frasi in giapponese le avevo spinte con tutta la forza che avevo in corpo, e adesso mi ritrovavo a sbirciare verso il punto da cui sentivo provenire delle voci.
Come se le mie gambe avessero una propria autonomia, mi ritrovai in giardino a fissare chi, con altrettanto stupore, fissava me.
Sfoderai il migliore dei miei sorrisi ed esordii con una delle frasi in giapponese imparate a memoria con l'aiuto delle lezioni on-line, pregando di aver pronunciato tutto in maniera almeno comprensibile e salutandoli in perfetto stile orientale, con tanto di inchino.
Anche loro si inchinarono, tutti insieme e, passato lo sbigottimento iniziale dovuto al trovarsi una perfetta estranea nel giardino di casa, sorrisero felici e si avvicinarono.
La prima ad arrivarmi di fronte fu una splendida ragazza alta e longilinea, con il lineamenti del viso duri e un po' marcati, come il taglio del suo caschetto castano. Mi prese il mento fra due dita e mi fece girare di profilo scattandomi una fotografia, confabulando qualcosa che postumi interpretai come “sei carina, mi frutterai parecchi guadagni!”. Io rimasi completamente paralizzata sotto lo sguardo inquisitore di quella che, scoprii dopo, si chiamava Nabiki ed era la secondogenita Tendo.
Ma un aiuto non tardò ad arrivare da un'altra splendida ragazza, anch'essa con i capelli castani, ma morbidi e lunghi, tenuti insieme da un fiocchetto bianco che le faceva ricadere le punte ondulate sulla spalla, anch'essa con gli occhi scuri, ma meno acuti e penetranti di quelli di Nabiki, avrei detto molto più dolci e materni.
Ridendo, si rivolse alla ragazza alla mia sinistra: << Sei sempre la solita, non si è neanche presentata che già pensi a come guadagnarci su! >> poi tornò a concentrarsi su di me, si avvicinò e mi posò due baci sulle guance: << Tu devi essere Judith, la ragazza americana vero? Io sono Kasumi e questa è mia sorella Nabiki! >>
Non ebbi neanche il tempo di rispondere che la bella sorella maggiore si girò verso gli altri componenti della famiglia, invitandoli a darmi il saluto occidentale, “così come avevano provato”.
In men che non si dica mi ritrovai stretta nell'abbraccio del capo famiglia: un uomo alto, dai lunghi capelli neri e con la pelle imbrunita, gli occhi gentili e un fisico che avrebbe fatto invidia a qualunque ventenne nel mio Paese. Anche lui mi baciò entrambe le guance con le sue ruvide e, quasi piangendo, mi disse: << Benvenuta a casa nostra bambina!! Sei come una quarta figlia per me! Io sono Soun ma puoi chiamarmi papà! >>
Non riuscii a trattenere una risata mentre la mia prima interlocutrice staccava il padre da me e mi dava anche lei un bacio, uno solo, corredato da una strizzata d'occhio e un altro paio di foto alle mie gambe.
Fra le risate generali si fece largo l'ultimo componente di quella bizzarra famiglia, una ragazza minuta, con i capelli a caschetto lucidi e neri come quelli del padre e con due grandi occhi color del Bourbon. Occhi che, pur somigliando molto a quelli delle sue sorelle, avevano una luminosità e una gentilezza che li faceva risplendere più degli altri.
Anche lei, come il resto dei Tendo prima, si avvicinò a me con un sorriso a trentadue denti e, presentandosi come “Akane”, mi diede i famosi due baci sulle guance che sembravano essere un rito di passaggio obbligatorio.
Quando ormai pensavo che l'imbarazzante momento delle presentazioni fosse finito, da dietro uno dei grandi alberi che torreggiavano nel giardino della casa, sbucò, con una falcata simile a un salto, aggraziato e felino, un ragazzo.
Anzi, il più bel ragazzo che avessi mai visto.
Alto, altissimo, con dei lunghi capelli nerissimi tenuti a bada in un buffo codino, due occhi blu stranamente grandi per un orientale, tanto muscoloso che i pettorali sbucavano prepotentemente dalla casacca di fattura tipicamente cinese. Mi guardò per un momento, quasi incerto su quale fosse la cosa migliore da fare e poi, sfoggiando dei bellissimi denti bianchi e diritti, mi sorrise porgendomi la mano: << Io sono Ranma, benvenuta fra noi! >>
Afferrai quella mano, così grande che dentro ci sarebbero potute stare comodamente entrambe le mie, e finalmente parlai la mia lingua madre: << Il piacere è tutto mio! >> dissi scivolando da quella presa ruvida, << Non avevo capito aveste un fratello! >>
<< Ma Ranma non è il loro fratello! >> intervenne una voce non molto lontana che apparteneva ad un uomo corpulento e alto, con la faccia buffa, un paio di occhiali tondi e una bandana bianca a coprire la testa priva di capelli, << È mio figlio! Io sono Genma, Genma Saotome! >> ed anche lui mi diede due baci sulle guance, abbracciandomi goffamente. Poi si scostò e posò una mano sulla spalla vestita di verde oliva di Soun e, scrutandomi, si sorrisero soddisfatti.
Nel vederli vicini, che si guardavano con complicità, mi che, nella lettera di presentazione che avevo ricevuto, si parlava di una famiglia allargata. Avevo immaginato, da buona americana patita di film, che ci fossero matrigne e sorellastre e non mi sarei mai aspettata di trovare un affascinante giovane uomo e suo padre.
Che bizzarra famiglia era quella.
Avrei dovuto capire subito in che guai, meravigliosi guai, mi sarei andata a cacciare abitando con loro.

Solo un'ora più tardi, dopo che Ranma aveva trasportato con una sola mano l'enorme valigia che credevo pesante come un lottatore di sumo (visto che, per tirarla fuori dal bagagliaio del taxi, sia il conducente che io avevamo rischiato più volte un'ernia) e l'aveva posata come fosse una piuma sul pavimento di quella che sarebbe stata la mia stanza, mi ritrovai seduta con loro a pranzo e, finalmente, con un po' di tempo per osservarli meglio.
A capotavola, l'estremità più lontana dell'enorme tavolo di legno massiccio, scuro e profumato, sedeva Soun, imperturbabilmente accucciato sulle sue stesse gambe, nonostante la mole, mentre mangiava con estrema lentezza il suo riso, prendendolo dalla ciotola blu scura e portandoselo alla bocca senza sporcare minimamente i folti baffi neri che gli coprivano il labbro superiore. Il suo viso recava i segni di un passata bellezza e le sue espressioni lasciavano intendere che fosse un uomo buono. Forse per quello o forse perché sapevo che aveva cresciuto tre figlie da solo, quell'uomo, da subito, mi ispirò simpatia e rispetto.
Alla sua sinistra Kasumi, agghindata con un carinissimo grembiule fiorato, sembrava avere molto più dei suoi ventun anni e, con placida tenerezza e non poca apprensione, continuava a guardare il piatto di tutti noi, per accertarsi che avessimo abbastanza riso, abbastanza verdure, abbastanza salsa, che fossimo sazi o che non scottasse troppo. Solo di tanto in tanto prendeva un boccone dalla sua ciotola rosa, per poi tornare a posare lo sguardo castano sulle sue sorelle e su suo padre, con estremo affetto, e su noi ospiti con gentilezza. Se non fossi stata sicura che era davvero una delle figlie di Soun, avrei creduto che fosse la moglie, tanta era la dedizione con cui si prendeva cura di ogni minimo particolare. Kasumi era quella che, nella New York del nostro secolo, consideriamo una razza ormai estinta: una ragazza di altri tempi. Dolce, gentile, premurosa e con solidi valori. In America le ventunenni di questo genere possiamo ammirarle solo in qualche bel romanzo ottocentesco.
Alla destra di Soun invece, sedeva sgraziatamente Genma, che non smetteva nemmeno per un secondo di elogiare, a volte in giapponese, altre in inglese, la “fantastica cucina di Kasumi”, sputacchiando su tutto il tavolo pezzetti di cibo e ridendo a squarcia gola con l'amico al suo fianco.
Si vedeva subito che era un uomo simpatico ed allegro e, chissà per quale strano motivo, mi ricordava un orso, o meglio un paffuto e divertente panda.
Proprio alla destra di Genma, sullo stesso lato del lungo tavolo, come una statua di durissimo marmo, sedeva Ranma, che creava uno strano contrasto con il padre. La schiena dritta e i muscoli delle braccia in bella vista, non sembrava far caso a nessuno se non alla sua ciotola azzurra stracolma di riso.
Solo ogni tanto, e fu una cosa a cui feci caso dal primissimo momento, guardava di sottecchi Akane. Non le parlava, come non parlava a nessuno degli altri, ad eccezione di Genma a cui rivolgeva, circa ogni cinque minuti, insulti di ogni genere, ma, inclinando leggermente la testa verso di lei, per un impercettibile attimo, la fissava con i bellissimi occhi blu semi chiusi e l'ombra di un sorriso sulle labbra, e poi tornava a guardare davanti a sé.
Al suo fianco, così vicina a lui tanto che le loro gambe si sfioravano, con la ciotola di riso gialla, sedeva lei, Akane.
Akane, forse perché aveva la mia età, forse perché era stata lei a spedirmi la lettera con la foto di famiglia, forse per un sacco di motivi, fu quella che sentii subito uno spirito affine. Non sapevo ancora niente di lei, eppure qualcosa mi diceva che era così simile a me....
Davanti alla più piccola delle Tendo, sull'altro lato della tavola, seduta diritta e composta, intenta a prelevare distrattamente il riso dalla sua ciotola verde scuro, c'era Nabiki che, con lo sguardo attento ma ostentando una finta indifferenza, guardava tutto e, lo sapevo, faceva caso ad ogni minimo dettaglio. Capii subito che era la ragazza più sveglia della casa, acuta e penetrante, scaltra e sofisticata. La guardavo mentre si passava le bacchette fra le dita con noncuranza, mentre mi studiava o osservava la sorella seduta di fronte a lei, oltre il vaso bianco che tratteneva a stento un lungo ramo fiorito.
E poi c'ero io, a capotavola, che cercavo in ogni modo di non far trasparire il dolore che provavo a star seduta in quella scomoda posizione, inginocchiata davanti al tavolo basso, con le lunghe gambe rannicchiate su un bel cuscino e le caviglie sovrapposte che non trovavano pace.
Io, che prendevo un chicco di riso ogni mezz'ora, rendendomi conto che che, mangiare in una vera casa giapponese, con vere bacchette giapponesi, non era come andare a China Town e prendere il take-away da gustare sul divano di casa credendo di essere un'esperta di posate orientali.
Io, che cercavo di rendermi invisibile agli sguardi penetranti di Nabiki, di capire le battute di Genma, che sorridevo mestamente a Kasumi, che guardavo ammirata Soun, che cercavo di non diventare bordeaux ogni qual volta incrociavo gli occhi di Ranma e che muovevo la testa in segno di “sì” o “no” alle curiose domande di Akane.

Finito di mangiare quello che mi parve essere la versione giapponese del pranzo del Ringraziamento, Kasumi insistette moltissimo perché andassi a farmi un bagno caldo e a riposarmi. Non provai neanche a dire di no, visto l'intera famiglia, più o meno ad alta voce, le dava ragione su tutta la linea.
Fu Akane ad accompagnarmi a fare un tour della casa, prima di spedirmi a letto.
Per prima cosa mi mostrò il giardino, enorme e ben curato, con un piccolo stagno di acqua limpida da cui rimbalzava una tipica carpa salterina e tantissimi alberi di specie diverse che facevano ombra sulle pareti bianche dell'esterno. Il tutto protetto da quel muro di cinta che era stato il mio benvenuto. All'interno di quel rigoglioso giardino faceva capolino un altro edificio, che non era grande come la casa, ma esteriormente aveva la stessa architettura.
<< Questo è il dojo di famiglia, la nostra palestra! >> mi spiegò Akane facendomi entrare in un enorme salone ricoperto interamente da assi di legno chiaro e dal profumo intenso.
Rimasi incantata a guardarmi intorno, riflettendo sull’enorme fortuna che avevo ad essere capitata in una famiglia che possedeva un dojo, simbolo delle arti marziali, simbolo di forza e di rispetto, di tradizioni e di onori.
<< Chi di voi pratica le arti marziali? >> le chiesi con il tono di voce ancora estasiato e sognante.
<< E lo chiedi? Io! Non si vede? >> la voce, che non somigliava affatto a quella cristallina e acuta di Akane, ma era più bassa e profonda, era quella di Ranma che stava appoggiato senza grazia sullo stipite della porta a due ante e mi faceva l'occhiolino gonfiando il bicipite destro per farne bella mostra.
Sorrisi timidamente ma non ebbi il coraggio di dire che sì, si vedeva eccome!
Akane, dal canto, suo prese ad urlargli frasi in giapponese di cui io capii solo “baka” che interpretai come “stupido” visti i gestacci, provocando le accese risate del ragazzo, che si stava allontanando.
Non appena quella che pareva essere una presenza ingombrante, almeno per lei, tolse il disturbo, Akane riprese il suo naturale colore perlaceo e mi spiegò che anche lei era un'artista marziale, proprio come suo padre e il padre di Ranma. Poi mi mostrò il resto della casa, costruita secondo la tradizione, con parquet e muri di carta di riso. La cucina, regno della sorella maggiore che, ormai avevo capito, era anche la mamma di quella strana famiglia allargata; la sua stanza, ordinata, profumata e tutta gialla; quella di Nabiki, con i muri tappezzati di fotografie, quella di Kasumi, piena di pizzi, merletti e libri; quella matrimoniale di Soun; quella spartana e poco ammobiliata di Ranma e Genma; quella vuota di qualcuno che “non si sarebbe fatto vedere per un po'” ed infine la mia, dove trovai il mio trolley e un futon ad attendermi.

***

 

Dopo una lunga dormita, mi svegliai al tramonto, in quello che mi pareva ancora un sogno.
Sciolsi i capelli ormai mossi e scesi le scale calde e scure che portavano al piano di sotto, scalza ed intorpidita mentre un aroma di tè avvolgeva, come in un abbraccio, tutta la casa. Arrivata sull'ultimo gradino, uno scorcio di luce aranciata, che proveniva dal mio primo tramonto giapponese, mi illuminò il viso.
E lì mi accorsi che era tutto reale.
Che ero a casa Tendo.
Quella che poi avrei finito per chiamare solo casa.
Che ci sarei rimasta per tre mesi della mia vita.
I tre mesi più belli della mia vita.
Mentre mi avvicinavo alla porta scorrevole che dava sul giardino e vedevo il sorriso di Akane accostarsi a me, mentre guardavamo insieme l'ultimo sole della giornata che scendeva lontano, mi resi finalmente conto che quello che dicono sui viaggi è vero: la persona che parte non è mai la stessa che torna.
Ed in questo caso, nel mio caso, la ragazza che tornò in America, di sicuro non era la stessa che era partita.
Ma io allora non potevo saperlo.
Come anni prima di me un ragazzo, anche io quel giorno non sapevo ancora che casa Tendo non ti lascia mai il cuore.


E così ebbe inizio la mia storia, quella che vorrei raccontarvi in questo diario, che più che la mia è la loro.
E così ebbe inizio un'avventura, la loro, la mia, la nostra.
Ed ora che sono qui, in una sera d'autunno, seduta su una delle anonime sedie bianche dell'aeroporto internazionale John Fitzgerald Kennedy e sulle gambe ho il mio fidato portatile “Apple”, perché tutte noi bionde ed americane ci sentiamo un po' Carrie Bradshaw, ve la racconterò.
Scusatemi fin da ora se la mia narrazione vi risulterà noiosa, o piena di dettagli inutili, o senza i particolari che voi desiderereste sapere ma, ve l'ho detto, sono una viaggiatrice distratta.

***

(*) La traduzione dovrebbe essere “Buongiorno, piacere di conoscervi” mi scuso in anticipo se c'è qualcuno che sa parlare bene il giapponese, io conosco solo pochissime frasi quindi ho usato il traduttore online, non vi offendete!

Eh così sono tornata! Mi dispiace per chi di voi sperava che fossi sparita per sempre ( lo so che eravate in molti, giù quelle mani).
Ebbene, una nuova avventura di cui, se siete arrivati fino qua, avete appena letto l'inizio.
L'idea sarebbe quella di farvi vedere la vita nella Nerima del nostro tempo, attraverso gli occhi castani di una ragazza qualunque, che potrebbe essere me, te, lei, l'altra, ognuna di noi.
(Mi pentirò di avervelo detto ma Judith ha dei tratti in comune con me...) Non c'è una vera e propria trama di fondo (tant'è vero che volevo fare una raccolta di one shot), sono solo attimi di vita, spezzoni, fotografie, giorni, persone. E poi vabbè, Ranma e Akane ed il loro amore, che non possono mai mancare.

Bene, passiamo alle note tecniche: lo so, il titolo è ripreso da uno di quegli orrendi film italiani con Scamarcio, ma (la frase, solo la frase) mi piaceva tanto, quindi...
Questa storia non è proprio un vero AU, anche se siamo in un tempo completamente diverso, per cui qualcosa potrebbe risultare un pelino OOC eheh.
Sappiate che, come sempre (chi mi legge lo sa) non ho linee guida e scrivo capitolo per capitolo, trasportata dall'ispirazione quando e se arriva (a proposito Vanni, ci sono anche con te, non mi sono dimenticata!) quindi pazientate con me, ok?

Il primo grazie alle mie stupende Faith84, Spirit99 e VioletArmstrong2013 che sono delle fantastiche consigliere/ supportatrici/ rialzatrici di autostima :)
Il secondo grazie a chiunque leggerà e/o recensirà, fa davvero sempre piacere.
Ho finito di scassarvi l'anima, al prossimo capitolo!

 

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Capitolo 2
*** Just the beginning ***


La mattina dopo il mio arrivo fu assai strana, sarebbe stata la capostipite di altre mattine, tutte così uguali, tutte così folli, tutte così meravigliose. Ed è per questo che voglio raccontarvela.

 

***


<< Judith... Judith... Svegliati cara... >>
Mi rigirai ancora una volta, l'ennesima a dire il vero, fra le lenzuola sgualcite. Un profumo acre ma dolce aleggiava nella stanza illuminata ed un piacevole tepore, leggero come una carezza, mi scaldava il braccio intorpidito dal sonno.
Sopraffatta dal fuso orario avevo passato sveglia più di metà della notte, stesa nel futon, a stropicciare le lenzuola e a cambiare ogni posizione, nel vano e disperato tentativo di trovarne una che non mi spezzasse la schiena.
Quando alla fine, stremata, avevo chiuso gli occhi, in un attimo si era fatto giorno e adesso una voce delicata cercava di scuotermi dal torpore in cui invece mi crogiolavo tanto bene.
Ci misi un po' a capire che non era mia madre che mi chiamava in una di quelle mattine autunnali, profumate al tacchino e salsa di mirtilli, che passavo a casa, o che non erano i miei coinquilini, che inneggiavano qualche canzone dei Queen sotto la doccia.
Sorrisi al pensiero di essere nella mia prima mattina giapponese e Kasumi mi lasciò ancora qualche minuto sola nella stanza, prima che, con il viso ancora assonnato ma ridente, mi decidessi ad alzarmi e a sorpassare la porta scorrevole blu e bianca, alla volta del corridoio.
Ma proprio lì, con le gambe divaricate sul parquet chiaro e le mani posate impazientemente sui fianchi, c'era Akane: << Ranma! Alzati!! >>
Un mugugno infastidito fu la risposta che arrivò dalla stanza in penombra di fronte alla mia.
<< Ranma alzati immediatamente o giuro che... Oh, buongiorno Judith! >>
Il tempo di sentire il mio “buongiorno” un po' imbarazzato ma immensamente divertito, che già aveva ripreso a gridare, ancora più forte: << Ranma dai! Si è alzata anche Judith! Le farai fare tardi al suo primo giorno! >>
La prova inconfutabile che le parole di Akane non avevano sortito l'effetto desiderato, fu che ad uscire dalla stanza non fu il ragazzo, bensì Genma, con lo sguardo gonfio e le gambe pesanti.
<< Buongiorno signorine >> ci disse con tono funereo e scese al piano di sotto, borbottando qualcosa sul pesce arrosto.
<< Ranma sto perdendo la pazienza! Conto fino a tre poi sai cosa ti aspetta! Uno...d- >>
<< Ok, ok, eccomi! Mi sono alzato! Mi vedi? >>
Sulla soglia della sua stanza si stagliava la figura di Ranma in boxer e canottiera bianca, che, con le mani alzate in segno di resa, sorrideva sghembo e strafottente ad Akane.
<< 'Giorno! >> disse poi rivolto a me che nel frattempo avevo immediatamente distolto lo sguardo dalle sue gambe muscolose e decisamente poco coperte e dalla stoffa della canottiera che aveva preso la forma scolpita degli addominali, arrossendo violentemente.
<< E copriti, scemo! >> aggiunse Akane, notando il rossore sulle mie guance e i miei occhi, probabilmente sgranati.
<< E perché? >>
<< Ranma!! >>
<< Mh? >>
<< Smettila! E poi c'è anche Judith! >>
<< Non mi dire che non hai mai visto un uomo in boxer, eh Judith? >> chiese lui voltandosi verso di me.
<< Io... beh... sì... a volte! >>
<< Visto? A lei non dà fastidio >> la canzonò tirandole lievi colpi gomito a gomito, e riservando a me il solito occhiolino.
<< Magari è solo troppo gentile per dirti che sei un maniaco! >>
<< O magari è più riconoscente di te! >> e, dirigendosi verso il bagno con movenze goffamente sensuali, assunse via via posizioni che gli permettevano di sfoggiare i muscoli guizzanti delle spalle, dei glutei e della schiena, come nelle manifestazioni di Mister Olimpia alla TV, continuando a canticchiare: << Spettacolo gentilmente offerto dalla scuola di arti marziali indiscriminate Saotome!! >>
Nel frattempo io trattenevo a stento imbarazzo e risate con una mano sulle labbra, mentre Akane si avviava a fare colazione sbuffando un “esibizionista” e Nabiki, anche lei appena sveglia, mi si accostava sussurrando: << Abituatici, è così tutte le mattine! >>

Il tavolo della colazione era magnificamente pronto, profumato ed invitante. Certo, era estremamente diverso dai corn flakes che trovavo io in America la mattina appena sveglia, con accanto il cartone del latte semi distrutto dai miei coinquilini e, se ero fortunata, del succo d'arancia. Era anche diverso dai tipici brunch delle nostre domeniche primaverili, quando noi newyorkesi griffate ci sediamo su piccole sedie bianche corredate a tavoli dalle grandi tovaglie d'avorio, sorseggiando un mimosa e addentando bacon e uova.
C'era qualcosa di esotico in quella mia prima colazione. Tanti meravigliosi piccoli vassoi bianchi e neri erano posizionati in una disposizione ben ordinata sul tavolo di legno massiccio. L'odore acre dei sottaceti e quello dolce del tofu permeavano l'aria ancora fresca del mattino.
Mentre sorseggiavo qualche cucchiaio di zuppa di miso, guardavo distrattamente fuori, con la testa leggermente inclinata verso destra in direzione dello stagno e della carpa che saltava vispa. Evidentemente, almeno lei, quella mattina era piena di energia.
Continuai a guardare senza attenzione tutto ciò che mi circondava, mentre sceglievo mentalmente uno speciale fra i miei vestiti. In fondo quella sarebbe stata una giornata speciale, il mio primo giorno all'università di Tokyo, e ci tenevo a fare bella impressione almeno nell'aspetto, visto che la mia proverbiale timidezza mi avrebbe imposto inchini per tutta la giornata, pur di non proferire parola.
<< Ragazzi è tardissimo! >> ad interrompere i pensieri su quel bell'abito blu notte che avevo deciso di portare all'ultimo minuto, fu la voce di Akane che annunciava a noi universitari che se non ci fossimo sbrigati, avremmo di sicuro perso la metropolitana.
E così, in men che non si dica, mentre Soun leggeva ancora il secondo foglio di notizie del giornale, noi eravamo già tutti spariti al piano di sopra, lasciandoci dietro solo una scia di vento.

<< Ranma devi sbrigarti! In questa casa c'è un solo bagno! >>
<< Akane che vuoi? Mi sto facendo la barba! >>
<< Io devo lavarmi i denti! >>
<< E entra! >>
La scena che pochi secondi dopo si sarebbe presentata ad un incauto quanto ignoto spettatore, avrebbe strappato un sorriso al re del male in persona.
Un anti-bagno piccolo e profumato di bucato, un lavandino, uno specchio e tre ragazzi incastrati gli uni negli altri, intenti in tre faccende tanto delicate quanto diverse fra loro.
La prima in ordine, la più vicina alla porta, era Akane, la quale non aveva bisogno di guardarsi allo specchio e si lavava i denti come una forsennata, cercando, con l'altra mano, di domare la frangia ribelle del caschetto nero.

Di fianco a lei, in una strana posizione che aveva lo scopo di non farsi toccare dalla bella mora piena di energia accanto a lui, e di conseguenza farsi un rovinoso taglio sulla faccia, c'era Ranma, che si rasava le guance leggermente scurite dall'ombra di una barbetta nera, cresciuta durante la notte.

Dall'altra parte, a condividere con lui metà dello specchio, c'ero io, che, con la tipica posizione della bocca semi aperta, cercavo di mettermi il mascara senza sbagliare.
<< Che cos'è quello strumento di tortura? >> domandò Ranma bloccandosi di colpo.
<< Cosa, questo? >> chiesi indicando “lo strumento” nella mia mano.
<< Sì... >>
<< È un piega ciglia Ranma! >> intervenne prontamente Akane, fra lo spazientito e il divertito.
<< Ma.... ma... non vi fa male? >>
<< No, affatto! >> risposi sorridendo << Serve per curvare le ciglia prima di mettere il mascara! >>
<< Oh Kami, non avrai intenzione di metterti quel coso negli occhi, vero? >> chiese improvvisamente impaurito dallo scovolino nero del mio rimmel.
Sia Akane che io scoppiammo in una fragorosa risata che finì con un Ranma offeso che se ne andava spruzzandosi una quantità indecente di dopo barba al profumo di pino, e noi ragazze che finalmente potevamo avere tutto lo specchio per acconciarci i capelli e scambiarci i lucidalabbra alla frutta.

Mezz'ora dopo un “E poi è colpa mia se facciamo tardi eh?” ci fece precipitare fuori di casa alla velocità della luce, afferrando al volo dalle mani gentili di Kasumi un bentō che conteneva il nostro pranzo.
Quella fu la prima della lunga, lunghissima serie di corse che feci a Nerima.
Io ed Akane correvamo fianco a fianco, visibilmente più affannate e spettinate di Ranma che, come se niente fosse, si limitava a camminare a passo più svelto del solito, in bilico sulla recinzione verde brillante che costeggiava il canale il quale, a sua volta, accompagnava la strada.
<< Perché te stai lì sopra? >> mi ritrovai a chiedere senza nemmeno rendermene conto, le labbra si erano mosse da sole.
<< Lo fa da sempre >> fece spallucce Akane.
<< Non... non è difficile? >> domandai guardando dal basso la figura di Ranma che si piegava per tendermi la mano sussurrando: << Vuoi provare? >>
<< Eh? No, no, sei matto? Vuoi che mi rompa una gamba? >>
Lui sorrise visibilmente divertito, sia per Akane che sbraitava che “avremmo sicuramente fatto tardi alla presentazione”, sia per quello che avevo detto, anche se in realtà era solo la pura verità.
<< Non ti rompi niente se ci sono io >> disse Ranma con un sorriso superbo e strafottente sul bel viso e una mano ancora tesa verso di me che lo guardavo con gli occhi spalancati << Persino quella goffa di Akane ci riuscirebbe! Avanti, coraggio, dammi la mano! >>
<< Ehi goffa a chi? >> si intromise la diretta interessata con il sopracciglio sinistro visibilmente alzato in segno di incredulità.
<< A te! >> rispose lui con una linguaccia.
<< Staremo a vedere >> e saltò anche lei sulla recinzione, muovendo velocemente a destra e a sinistra le braccia per tentare di mantenere l'equilibrio.
<< Hai visto baka? >> esultò Akane con l'aria di chi la sapeva lunga.
Ma, proprio mentre si avvicinava trionfalmente, camminando spedita per mostrare che non era affatto goffa, inciampò nei suoi stessi passi e per poco non cadde all'indietro. Ranma però, con uno scatto, intervenne prontamente, mettendole un braccio dietro la schiena e avvicinandola a sé con un colpo secco, impedendole così di precipitare.
<< Dicevi, scusa? >> replicò il ragazzo con un sorriso beffardo mentre ancora la teneva saldamente.
D'un tratto le prese le mani e se le posò sulle spalle: << Tieniti se vuoi camminare qua su, sei già stata fortunata una volta >> disse guardandola ironicamente con la coda dell'occhio.
Akane, seppur con una leggera smorfia di disappunto, rise divertita della buffa situazione e, con il volto rilassato e contento di chi è a proprio agio, mi guardò incitandomi: << Dai Judith, manchi solo tu! >>
Una cosa che avevo immediatamente capito di lei, era che al suo sorriso non c'era scampo. Era bella anche con il broncio ma, quando sorrideva, sapeva trasmettere un calore e una gioia tali, che era impossibile resisterle. L'avevo notato quella stessa mattina (e avrei avuto occasione di farlo tante altre volte), quando con un solo sorriso si era fatta perdonare da Genma, per averlo svegliato in maniera brusca, oppure quando le bastava sorridere in direzione di Ranma, affinché lui ammorbidisse immediatamente i lineamenti del volto.
Così, alla vista di tutta quell'allegria, afferrai la mano che Ranma mi aveva gentilmente teso di nuovo e, sotto la sua spinta, salii anche io su quella che -fino a quel momento non avevo notato- era un'altissima recinzione.
Presi a camminare concentrata, un piede davanti all'altro, senza mai spostare lo sguardo da quella sottilissima striscia di metallo verde un po' arrugginita, mentre Ranma, le mani introno alla mia vita, mi teneva in una morsa di ferro.
Era davvero impossibile cadere.
Come era veramente impossibile non ridere mentre percorrevamo la ringhiera in fila indiana, appoggiati gli uni agli altri, come tre bravi piccoli pulcini, mentre il sole delle otto del mattino si affacciava sui nostri visi allegri e rilassati.

Quando arrivammo alla stazione della metropolitana, il treno era già partito da un pezzo, così ci toccò salire su quello dopo che, proprio in quel momento, si stava riempiendo di persone. Ogni tipo di persone: madri premurose che accompagnavano i figli nelle divise color pastello all'asilo; impiegati per bene, muniti di occhiali da vista, che sfilavano ordinatamente per strada con la loro ventiquattrore in mano e giornale nell'altra; e vecchiette, sveglie da ore, che uscivano per fare la spesa.
Sedute l'una davanti all'altra sulle spaziose poltrone blu e viola mentre Ranma, in piedi di fronte a noi, ci faceva scudo, io ed Akane parlavamo tranquillamente dei vestiti scelti quella mattina.
Lei indossava un paio di leggins neri aderenti, che le fasciavano fino al ginocchio le belle gambe magre e muscolose, e sopra un carinissimo mini vestito a righe rosse e bianche, in pendant con il cerchietto cremisi che aveva deciso di mettere per tenere a bada i capelli lucidi e ribelli.
Io invece avevo scelto il mio vestito blu, con una piccola cinta beige intrecciata in vita, che riprendeva le scarpe dello stesso colore.
<< Stai benissimo con il blu Judith, dico davvero. E tu, Ranma, potevi metterti qualcosa di più elegante, no? >>
<< Che vuoi? Sono elegantissimo io! >>
Io li guardavo sorridendo mentre Akane, bagnata dalla luce che entrava dal finestrino, cercava di sistemare alla meglio la camicia azzurra chiara che Ranma indossava.
Erano una strana accoppiata quei due, non riuscivo a definirli.
Sarebbero tranquillamente potuti essere fratelli, tanto era evidente l'affetto nei gesti che compivano l'uno per l'altra, oppure amici, carissimi amici. Si capiva che ad unirli era un legame profondo, qualcosa che si era creato nel tempo, con il condividere la vita di tutti i giorni e, chissà, magari qualche avventura.
Ma c'era qualcosa, un luccichio nei loro occhi ogni volta che si guardavano, una leggera malizia nei loro movimenti quando si sfioravano, che lasciava intendere che il loro sentimento fosse molto più profondo di quanto entrambi tenessero a mostrare.
Troppo presa nel cercare di decifrare i miei nuovi e affascinanti amici, non mi accorsi che eravamo arrivati alla nostra fermata, fino a che, un brulicare di gente si alzò meccanicamente dirigendosi, come uno sciame d'api, verso l'uscita e scontrandosi con un altro gruppo che invece voleva salire.
Akane mi prese la mano e con l'altra si attaccò alla casacca di Ranma che, con fare abitudinario, si faceva spazio fra le persone scortandoci fuori dal treno.
Usciti dalla linea “E” della metropolitana, quella color porpora che collegava il quartiere di Nerima con il resto della capitale, ci vollero non più di dieci minuti prima che il mio sguardo venisse rapito da ciò che avevo davanti.
L'Università Imperiale di Tokyo era una delle strutture più belle ed imponenti che avessi mai visto, poteva benissimo reggere il confronto con l'Empire State Building.
Per entrare bisognava sorpassare un enorme cancello rosso: l'Akamon, che con il suo colore acceso e il tetto dalla forma tipica, dava il benvenuto in una struttura che lasciava senza fiato.
Il mio sguardo si perse fra i dettagli del giardino curato, con le bandierine bianche e azzurre a delimitare le strade, e fra gli alberi che disegnavano ombre danzanti sugli edifici dei cinque campus.
Edifici i cui muri erano stati costruiti con un sapiente gioco di vetri e mattoni, il grigio lucido e il color terra rossa che si fondevano e si abbracciavano come in una danza, tutto dava vita allo spettacolo più insolito e allo stesso tempo tipico che si potesse vedere a Tokyo: l'incontro fra tradizione e modernità.

Ogni dettaglio, anche all'interno dell'università, raccontava le antiche tradizioni e, d'altra parte, tendeva la mano al progresso e al mondo moderno, sempre più freddo e veloce.
Continuai a tenere il naso all'insù per tutto il tempo mentre seguivo Akane e Ranma nei corridoi che ci avrebbero portati nell'aula magna. Cercavo di non farmi sfuggire nessun particolare e, di tanto in tanto, quando i miei due amici si fermavano per salutare qualche loro conoscente, tiravo fuori dalla borsa di cuoio la macchinetta fotografica e scattavo qualche istantanea.

Arrivati all'ingresso della magnifica aula magna, così grande e sfarzosa che mi ricordò qualche antico palazzo reale, ebbi giusto il tempo di guardare spaurita Akane che mi salutava con la mano mentre un distinto signore stempiato e con un'orribile cravatta arancione mi trascinava sul palco, assieme ad altri ragazzi.
Cominciai a sistemarmi nervosamente i lunghi capelli mentre mi rendevo conto che tutti quegli studenti mi fissavano con sguardo interrogativo.
Una giovane donna con i capelli rossi si avvicinò e puntò sul lato destro del mio petto un cartellino: “Judith Montgomery, U.S.A, ospite famiglia Tendo”. Questo piccolo pezzo di carta plastificata lo porto ancora con me e, anche ora che sono tornata in America, è gelosamente custodito in un piccolo scompartimento del mio portafoglio.
Mentre cercavo con lo sguardo Ranma ed Akane, seduti uno dietro l'altra rispettivamente in prima e seconda fila, sulle sedie amaranto al di sotto del palco, l'uomo che mi aveva accompagnata lì sopra cominciò a parlare in un inglese a dir poco perfetto.
Quel giorno mi resi conto che in Giappone come in nessun altro posto era davvero raro incontrare qualcuno che non parlasse o comprendesse bene l'inglese.
L'uomo, che era uno dei professori più illustri dell'università, cominciò ad elencare i nomi degli altri ragazzi stranieri che, come me, erano in Giappone per uno scambio culturale.
All'inizio del palco, proprio di fianco alle scale di legno chiare, c'era Amina, che aveva la pelle scurissima, i capelli lunghi, lisci e neri come la notte, folte ciglia che nascondevano occhi color pece, un paio di vistosi orecchini dorati che le pendevano dai lobi e veniva dall'India. Di fianco a lei, con la pelle bianchissima, i capelli corti tanto biondi da sembrare bianchi e lo sguardo di ghiaccio c'era Masha, dalla Russia. Alla sua destra Cristoph dalla Germania, Kate dall'Inghilterra e Laura dall'Australia. Ancora più a destra, basso, con un buffo papillon quadrettato e degli spessissimi occhiali da vista, Ju dalla Corea del Sud, seguito da Emelie dalla Svezia e Carlos dall'Argentina. Accanto a lui, altissimo e muscoloso, con una camicia di lino bianca, i capelli neri spettinati e gli occhi color nocciola, Alexander, anche lui dagli Stati Uniti, e poi c'ero io, che sfoderai uno dei miei migliori sorrisi a sentir pronunciare il mio nome, mi inchinai e pregai di non inciampare nei miei stessi passi mentre sfilavo sul bordo del palco e scendevo le scale alla fine della cerimonia di presentazione.

Una cosa che bisogna assolutamente sapere sulla vita a Nerima è che, proprio quando si crede che il peggio sia passato, qualcos'altro o qualcun altro verrà di sicuro a sconvolgervi la giornata.
E fu proprio quello che successe a me quella mattina.
Mentre cercavo la strada per raggiungere Akane e credevo che il momento dell'imbarazzo fosse finito, andai a sbattere contro qualcosa più simile ad un armadio che ad un ragazzo.
<< Oh mi scus... >> ma non feci in tempo nemmeno a finire la frase che l'energumeno in questione mi prese le mani e cominciò a decantare una sfilza di frasi sdolcinate e in rima che avrebbero fatto accapponare la pelle a Shakespeare in persona.
Altissimo, tanto che a stento gli arrivavo al petto, le spalle talmente grandi e larghe che ci si sarebbe potuto pranzare sopra, i capelli color cioccolato, la mascella pronunciata ed un fortissimo profumo al muschio bianco. Io lo fissavo incredula, cercando di trattenere le risate mentre lui, fra un “sole-cuore-amore” e l'altro, mi lanciava sorrisi studiati con la dentatura perfettamente diritta e tanto bianca da sembrare quella di un attore hollywoodiano.
Improvvisamente, un colpo sulla nuca veloce ma forte, fece cessare lo sproloquio al miele del mio interlocutore:
<< Judith vedo che hai conosciuto Kuno... ti ha già chiesto di sposarlo? >>
<< Eh? >>
<< Saotome maledetto, ti sembra questo il modo di parlare di me a questa dolce sconosciuta? >>
<< Ma veramente io non sono una sconosciuta, il mio nome è... >>
<< Judith Montgomery, lo so, o mia divina creatura! Il tuo nome è stampato a lettere infuocate nel mio cuore traboccante di passione per te ed io...>>
Mentre quello che a quanto pare si chiamava Kuno continuava a parlare a raffica, io mi avvicinai lentamente a Ranma bisbigliandogli: << Ma che vuole? >>
<< Non preoccuparti Jude, Kuno è un po' suonato >>
<< Come mi hai chiamata? >>
<< Jude... non ti piace? >>
<< Hey Jude! >>
<< Eh? >>
<< “Hey Jude" è una canzone... >>
<< …dei Beatles, lo so, per chi mi hai preso? >> Ranma rise divertito prima che la nostra attenzione venisse di nuovo catturata da Kuno: < Suonato a chi? O dolce Judith Montgomery ti prego di non dar retta alle sciocchezze che escono dalla bocca di questo bruto. Il mio nome è Tatewaki Aristocrat Kuno, detto il tuono blu del liceo Furinkan e adesso chiamato il tuono blu della Tōdai! Io, umile servitore, sono a tua completa disposizione per scortarti in questo lungo percorso nel nostro Paese... >> e prese una delle mie mani, ancora strette fra le sue, e ne baciò il dorso.
<< Kuno lascia in pace la mia amica! >>
<< Oh dolce Akane Tendo, che disgrazia che tu mi abbia visto! Non era niente, solo un gesto di pura cortesia verso questa innocente fanciulla, tu sai che il mio cuore ama solo te e perciò non devi preoccuparti o essere gelosa! O mio bocciolo di rosa che fiorisce a maggio con la rugiada del mattino... >>

Continuando a decantare improbabili versi d'amore, Kuno provava ad abbracciare Akane, che lo guardava con sguardo truce, mentre Ranma gli impediva di avvicinarsi tenendolo con un dito da un passante dei pantaloni beige.
<< Ma fa sempre così? >> chiesi di nuovo bisbigliando a Ranma a metà fra il preoccupato e il divertito.
<< Ogni-santo-giorno >> mi rispose scandendo ritmicamente le parole. Ma, mentre io ormai non riuscivo più a non ridere, passò di fronte a noi Amina e, per fortuna, Kuno lasciò immediatamente Akane, seguendo la straniera e proclamando il suo nuovo amore per “questo straordinario fiore del deserto”.
<< Judith mi dispiace, non farci caso >> mi disse Akane ridendo mentre si aggiustava le pieghe del vestito.
<< Oh sì, qui non ce n'è uno normale, vedrai! >> si unì Ranma sorridendo di rimando.
<< Ragazzi venite a pranzo con noi? >>
Mentre Kuno scodinzolava ancora dietro a quella o a questa ragazza, straniera o no, due ragazzi si avvicinarono a noi. Uno aveva i capelli ricci e chiari, quasi rossicci, gli occhi marroni ridenti e il sorriso simpatico, mentre l'altro, di poco più alto, aveva il viso dai lineamenti più seri, come i capelli scuri dal taglio classico.
<< Loro sono Hiroshi e Daisuke, siamo amici fin dai tempi del liceo >> mi spiegò Ranma mentre i due ragazzi si inchinavano << E lei è Judith >> aggiunse poi, quando ad inchinarmi fui io.
<< Molto piacere Judith, io sono Hiroshi, anche io ospito un ragazzo straniero! >>
<< Il piacere è mio! Oh davvero? E chi? >>
<< Alexander, anche lui viene dall'America, lo conosci? >>
<< Hiroshi tu ospiti quel fusto? >> si intromise una ragazza dalla voce squillante e i lunghi capelli castani chiari.
<< Wow, presentacelo! Akane tu l'hai visto? >> domandò un’altra ragazza, anche lei appena arrivata, con i capelli mogano raccolti in una coda da un bel fiocco rosso acceso.
<< Be’ sì, prima era sul palco di fianco a Judith... >>
<< E non trovi che sia mozzafiato? >> esclamarono le due ragazze in coro.
<< Io veramente... sì... è carino... >>
<< Ma che carino e carino? Dove lo vedete carino? Tutti quei muscoli saranno frutto degli steroidi o di qualche altra porcheria occidentale! >>
<< Ranma, ma se sembra una statua! >> lo stuzzicò una delle due amiche.
<< Tsk! Per favore! Scommettiamo che lo batto con le mani legate? >>
<< Ranma, guarda che per essere belli e in forma non si devono per forza praticare le arti marziali eh!! >>
<< Ti ci metti anche tu adesso, Akane? Se ti piace tanto vai da lui no? >>
<< Uuuuu gelosone!! >> fecero coro Hiroshi e Daisuke.
<< E smettetela voi! Non dovevamo andare a pranzo? >>

 

E il mio buffo primo giorno di università si concluse così, con nove ragazzi a pranzo sull'erba.
Con Kuno, che si spostava di albero in albero, tentando di comporre una canzone d'amore per me e per la “dolce Akane Tendo”.
Con Ranma, che guardava di sbieco Alexander, il quale sorrideva cordiale alle attenzioni di Yuka e Sayuri sedute attorno a lui.
Con Akane, che rimproverava bonariamente il comportamento civettuolo delle sue due amiche e nel frattempo intimava a Ranma di essere “più gentile” con il ragazzo straniero.
Con Hiroshi e Daisuke, che lo prendevano in giro con frasi tipo “Finalmente è arrivato qualcuno a tenergli testa!” oppure “Ranma è geloso perché per una volta tutte le ragazze non stanno corteggiando lui!” e poi scappavano per tutto il prato, rincorsi dal ragazzo che “se li prendeva, gliela faceva vedere lui!”.
E con me, che in un giorno solo avevo ricevuto un nuovo soprannome e mi ero fatta altri nuovi amici, tutti simpatici, tutti carini, un po' matti forse (uno di sicuro) ma... era solo l'inizio!

***

Sorpresa!!! Chiedo perdono a tutte, non vi avevo detto niente lo so, ma volevo farvi una sorpresa... ci sono riuscita? :)
Bene allora, devo scusarmi davvero con tutte le persone che hanno letto il primo capitolo di questa storia, nell'ultimo mese sono stata impegnata con una cosuccia chiamata “tesi” ma oggi l'ho consegnata per cui... eccomi di nuovo a voi!
Spero tanto che questo capitolo vi piaccia, sto cercando far ripercorrere a Judith (o Jude come vi piace di più) il percorso di Ranma nel manga, quindi...avete capito chi sarà il prossimo?
Come sempre grazie infinite a chi leggerà e soprattutto a chi troverà tempo per lasciarmi scritti i suoi pensieri, fanno sempre immensamente piacere (soprattutto su questa storia che sta venendo fuori in un modo assai bizzarro, quindi sono non poco dubbiosa!)
A presto (si spera!),
vostra Aronoele (:

Ps: ci tenevo a farvi sapere che per i ragazzi stranieri che sono sul palco con Judith durante la cerimonia di presentazione, mi sono ispirata a ragazzi/e che conosco davvero... (sì Pia, anche Alexander! XD)

 

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Capitolo 3
*** Tofu per cena ***


Un mercoledì normale avrei detto, di quelli che ne vivi mille, che sembrano tutti uguali, in cui il cielo è un po' grigio e non hai lezione all'università. Di quelli che, insomma, non ti accorgi che passano.
Già, avrei detto... prima di sapere che a Nerima la parola normale praticamente non esiste.

***

Come dicevo, era un tranquillo mercoledì pomeriggio, all'apparenza del tutto normale. Il cielo era grigio perla, come una grossa e paffuta nuvola di fumo. Mi ero svegliata alle nove, giusto in tempo per vedere la prima fitta pioggiarellina della giornata ed ero rimasta ad oziare in giro per casa, osservando di ora in ora gli allievi che entravano ed uscivano dal dojo.
Ranma era uscito di casa alle sei, incurante del mal tempo, con indosso una tenuta da corsa, ed era tornato due ore dopo così stanco che, senza nemmeno farsi la doccia, si era addormentato e svegliato solo all'ora di pranzo.
Akane aveva passato tutta la mattina a casa, aprendo e chiudendo uno dei miei romanzi inglesi circa tre mila volte e continuando a guardare il display del suo telefonino bianco, come in attesa di qualcosa che non accennava affatto ad arrivare.
Nabiki era sparita per l'intera mattinata e fu proprio il suo arrivo a sancire la fine di quella che io definivo “tranquillità”.
Fino a quel momento i normali rumori che affollavano sempre la casa avevano continuato a riempirmi le orecchie: Kasumi che canticchiava quella che aveva tutta l'aria di essere una vecchia canzone giapponese, Soun che sbraitava davanti a qualche allievo e Genma che rideva sguaiatamente, i tonfi dei ragazzi che cadevano, il rumore dei pugni, l'acqua dello stagno, la radio accesa, lo sfruscio delle pagine di una rivista.
Era arrivato il pranzo, con Ranma ancora assonnato e Akane che tamburellava continuamente le dita sul grosso tavolo di noce.
Poi il campanello aveva squillato e in men che non si dica la casa era piombata nel silenzio. Il solo rumore era il picchiettare delle pedine della dama spostate dai due adulti della casa, che giocavano la loro consueta partita fra uno sbadiglio e un po' di liquore.
Dove erano finiti tutti?
Perché non si sentiva nulla?
E proprio in quel momento, mentre percorrevo lo strettissimo corridoio del secondo piano intenta a capire perché quel silenzio mi sembrasse tanto sospetto, mi sentii afferrare un braccio e venni trascinata con poca grazia in una delle stanze.
<< Parleremo in inglese, così anche Judith capirà... Puoi sederti lì >>
Così dicendo, una Nabiki in impermeabile beige e grandi occhiali da sole sugli occhi, mi diede il benvenuto nella sua stanza dove era in corso quella che sembrava una riunione top secret.
Sulla bella coperta viola erano seduti sia Ranma che Akane, lei in evidente stato di agitazione e lui semi sdraiato, poggiato sull'avambraccio e la mano chiusa a pugno per tenere su la testa, con lo sguardo lascivo ma attento.
<< Ranma falle spazio, viene Jude siediti qui! >>
Akane diede una leggera spinta al ragazzo vicino a lei, quanto bastò per farlo alzare e spingerlo quasi all'estremità del letto lasciandone un bel po' per me.
<< Sempre carina tu eh... >>
<< Zitto baka! >>
<< Sì, sì baka, maschiaccio, quello che volete, non abbiamo molto tempo! >> li interruppe Nabiki alzando leggermente la voce.
Io passavo continuamente con lo sguardo dalla ragazza in piedi di fronte a me ai due alla mia sinistra, con le sopracciglia corrucciate e l'espressione di chi non ci stava capendo niente.
<< L'ho preso >> esclamò Nabiki interrompendo i miei pensieri.
<< E com'è? >>
<< Sorellina non posso correre il rischio... questa casa ha troppi occhi e orecchie, lo sai bene anche tu... >>
<< In effetti... >> aggiunse Ranma beccandosi un'occhiataccia da parte della bella mora.
<< In ogni caso lo vedrai dopo! Ve lo ricordate il piano? >>
<< Certo! >> rispose pronta Akane.
<< Una ripassatina magari... >> fu invece la risposta di Ranma che si beccò l'ennesimo sguardo truce dalla ragazza di fianco a lui.
<< Ranma sei fortunato sta volta, l'avrei ripetuto lo stesso per Judith... >>
<< Grazie >> dissi io a mezza voce.
<< Oh, figurati cara. Allora: ore 3 del pomeriggio, Akane comincia a strillare, gettandosi per terra disperata in preda a violentissime crisi di mal di pancia... >>
<< Ma non sarà un po' troppo melodrammatico? >>
<< Taci tu, che ne sai di teatro. Comunque, a quel punto tutta la casa accorrerà in camera sua e nostro padre comincerà a piangere come una fontana pregandoti in tutte le lingue di salvarla... >>
Tutti e tre i ragazzi annuirono come se fosse una scena già vista e rivista mille volte.
<< A quel punto tu Ranma correrai da “voi sapete chi” mentre noi rimarremo tutti qui con la ragazza morente... >>
<< Morente? Per un mal di pancia? >>
<< Parafrasa Ranma! Andiamo avanti e smettila di interrompermi! Se darai il tuo massimo alle 3 e 10 circa sarai da lui... >>
<< Tsk! Sarò lì alle 3 e 5, e senza nemmeno sforzarmi >> disse pavoneggiandosi.
<< Sempre il solito modesto eh? >> lo rimproverò Akane mentre lui, come risposta, le faceva le boccacce.
<<... DICEVO! Non appena arriverai dovrai cercare di essere più disperato possibile in modo che lui corra qui senza badare ad altro. A quel punto tu dirai...>>
<< “Preparo io la borsa, lei vada! La raggiungerò in un attimo!” >>
<< Bravo cagnolino! >> Squittì Nabiki contenta, gettando verso il ragazzo un biscottino che lui afferrò al volo con la bocca.
<< Preparando la borsa metterai dentro ciò che ti darò io... >>
<< E se correndo lo perdesse? >> chiese Akane a metà fra il serio ed il faceto.
<< Mi fai così cretino? >> rispose lui in un grugno.
<< È un'eventualità alla quale avevo pensato anche io, ma non avevo la soluzione. Akane ovviamente no, perché deve recitare il ruolo di malata, io neppure, perché devo tenere papà fuori dai piedi, Kasumi ci serve qui... finché il destino non ci è venuto incontro... Judith! >> disse la mezzana Tendo puntando il dito indice contro di me.
<< Eh? Io? Che? >>
<< Tu andrai con Ranma e terrai il preziosissimo oggetto che ho io in tasca... >> disse picchiettandosi la parte sinistra dell'impermeabile che, facendoci caso, somigliava sempre di più a quello dell'ispettore Gadget.
<< Hey! Guardate che non sono così stupido! Non la perderò! >>
<< Sempre meglio non rischiare Ranma... E poi a Judith fa piacere no? >>
<< Io ma.... >>
<< Allora è deciso! Mi raccomando Judith, devi tenerci più che alla tua stessa vita! >>
E, così dicendo, mi passò con aria solenne una piccola scatola di cartone.
<< Passiamo oltre... Una volta qui Akane tu dovrai tenere “voi sapete chi” il più vicino possibile al letto, senza mai farlo allontanare, intesi? Piangi, strilla, afferragli la maglietta, qualunque cosa purché lui resti di fianco a te >>
<< Sì signor capitano! >> scherzò Akane ridendo.
<< A quel punto “voi sapete chi” avrà di certo bisogno di prendere qualcosa nella sua borsa e sarà quello il momento X! Secondo i miei calcoli dovrebbe scattare intorno alle 4 circa >>
Tutti annuimmo concentrati, continuando a seguire la figura longilinea della ragazza castana che si muoveva avanti e indietro per la stanza.
<< Ranma, tu porterai tuo padre via con una scusa... >>
<< Un pugno non andrebbe bene lo stesso? >>
<< Fa' come ti pare! Judith tu riceverai una telefonata dall'America >>
Risposi con un sorriso.
Non sapevo cosa stessimo facendo ma l'idea di essere coinvolta nel loro piano mi faceva sentire parte del gruppo, per cui integrata e felice, e poi sembrava divertente.
<< Io penserò a portare via papà... così... >>
<< Rimarrà solo lei >> finì Akane.
<< Esattamente, e per forza di cose lui le chiederà qualcosa dentro la borsa ma.... >>
<< Lei troverà la scatola! Solo la scatola! >> questa volta fu Ranma a completare la frase.
<< Et voilà! Il gioco è fatto! >>
<< Speriamo che funzioni! >>
<< Sorellina certo che funzionerà, è un mio piano! >>
Tutti risero sotto lo sguardo sarcastico della mezzana.
<< Perfetto allora sincronizziamo gli orologi... >>
Ma nessuno si mosse.
Ranma si grattava la testa con un dito mentre Akane improvvisamente trovò interessante un albero fuori dalla finestra.
<< Ma dai? Non avete un orologio? Che razza di giapponesi siete? Judith tu? >>
<< Ehm... sono scomodi! >>
<< Oh santi Kami ma tu guarda con chi devo avere a che fare io! D'accordo tirate fuori i cellulari allora, quelli li avete? >>
<< Spiritosa >>
<< Ah ah ah Ranma, pensa a fare il tuo dovere. Bene ragazzi 3... 2... 1... che l'operazione “Tofu per cena” abbia inizio!! >>

***

Ero tornata nella mia stanza da quasi un'ora, stringendo nelle mani la scatoletta di cartone che mi aveva affidato Nabiki, quando il display del mio iPhone si illuminò e comparve la scritta “Via”.
In quel preciso istante un urlo squarciò l'aria.
Contai mentalmente fino a dieci ed uscii dalla stanza, un secondo dopo Ranma e cinque dopo Nabiki.
Come previsto, tutti erano già nella stanza di Akane che nel frattempo, stesa sul letto, recitava benissimo la sua parte girandosi e lamentandosi con il viso sudato e una mano sulla pancia.
Kasumi, seduta accanto a lei, cercava di calmarla mentre Soun, più pallido di un fantasma, era in ginocchio al centro della stanza, piangendo a dirotto e urlando frasi sconnesse in giapponese.
<< La mia bambinaaaa! Che cos'ha la mia bambinaaaa?! >> mi tradusse Ranma all'orecchio sogghignando prima di entrare nella stanza.
Il tempo di un paio di frasi dette dal ragazzo, che io ovviamente non capii, che già Soun si era spostato davanti a lui, pregandolo, come previsto, di salvare la sua bambina e Genma invece, con l'aria di chi sta per mettersi a scalare l'Everest, spronava suo figlio tenendolo per la maglietta.
Dopo poco Ranma uscì di corsa facendomi l'occhiolino, segno che tutto era andato secondo i piani ed io, dopo aver aspettato il cenno di assenso di Nabiki, sgusciai via dal mio angolino seguendolo.

Uscimmo dal cancello di casa Tendo insieme, senza proferire parola e lì capii che non ero la sola ad essere maledettamente timida in quella casa.
<< Ehm... allora... >>
<< Sì... dimmi >>
<< Dobbiamo andare a destra >>
Feci segno che andava bene e lo seguii mentre cominciava a correre.
In meno di dieci minuti (e ci eravamo dovuti fermare per evitare che un'anziana signora ci inzuppasse mentre dava l'acqua ai suoi fiori) arrivammo a destinazione: una piccola casetta bianca a due piani.
<< Ecco, ci siamo. Nasconditi dietro a quel cespuglio, quando sentirai il segnale... >>
<< Conterò fino a venti e poi verrò >>
Ranma alzò il pollice in segno di approvazione e suonò il campanello.
Rimasi circa cinque minuti in quella posizione scomoda, accucciata dietro ad un cespuglio mentre i piccoli rametti in basso mi graffiavano le gambe, prima di sentire Ranma fare un colpo di tosse e cominciare a contare mentalmente fino a venti.
Mentre passavo dal numero 14 al 15 vidi una figura vestita di bianco allontanarsi alla svelta, correndo a più non posso verso la casa dei Tendo. Doveva essere lui, doveva essere “tu sai chi”.
Raggiunsi Ranma nel giardino dell'abitazione e misi dentro la borsa marrone scuro che aveva in mano la scatolina.
<< Ben fatto! >> disse lui battendomi il cinque e insieme ci riavviammo verso casa.

Alle 3 e 25 precise arrivammo davanti all'ingresso di casa.
<< Tiè Nabiki! Siamo in anticipo!! >> disse Ranma con una linguaccia rivolto ad una finestra.
Entrammo senza fare rumore e, dal vociare che proveniva di sopra, capimmo che “lui” era arrivato.
Salimmo le scale in fretta, Ranma entrò nella stanza e, come da manuale, posò la borsa sul comò vicino la porta, abbastanza lontano dal letto in cui Akane, recitando in maniera molto credibile, teneva per mano la sorella e l'uomo, probabilmente pregandoli entrambi di rimanere con lei.
A quel punto, spostandomi leggermente, finalmente vidi chi era l'uomo tanto atteso.
Era alto, con un bel fisico, tanto allenato che immaginai che anche lui praticasse le arti marziali. Aveva i capelli lunghi e castani raccolti in una coda, dei carinissimi occhiali tondi davanti agli occhi gentili, l'aria simpatica e un camice bianco. Era un dottore. Era IL dottore.
Un colpo di tosse mi ridestò dai miei pensieri: era Nabiki che dava il via alle danze.
L'ora X era scattata.
<< Che cos'è quest'odore? Biscotti? >> disse Ranma quasi sussurrando vicino all'orecchio di Genma che, improvvisamente sorridente, si precipitò al piano di sotto seguito a ruota dal figlio.
Pochi minuti dopo il mio cellulare squillò e io mi allontanai con un inchino.
Altri due minuti e anche Nabiki aveva portato fuori dalla stanza Soun che si stava trascinando in cucina per “fare un tè alla sua bambina”.
<< Bene, tutto procede secondo i piani... Ranma? >>
<< Eccomi >> rispose lui sbucando da chissà dove.
<< Pronti? >> chiese Nabiki accucciandosi vicino allo stipite della porta, in modo da poter avere una bella visuale sulla stanza.
<< Per cosa esattamente? >>
<< Ah già, forse è ora di spiegartelo! Vedi, quello è il dottor Tofu, il dottore di famiglia, si prende cura di noi, specialmente di Akane, da un sacco di anni >> cominciò Ranma, accovacciato all'angolo opposto.
<< E da un sacco d'anni è innamorato di Kasumi >> continuò Nabiki << Ma è molto timido e non ha mai trovato il coraggio di dichiararsi. Circa un mese fa nostra sorella ha detto che per lei era quasi ora di sposarsi ma che nessuno glielo avrebbe mai chiesto... Così abbiamo deciso di facilitare un po' le cose... >>
<< Sta' a vedere! >> disse Ranma e a quel punto, curiosissima, mi avvicinai a Nabiki trattenendo il respiro.

All'interno della stanza Akane, sdraiata sul letto, aveva lasciato la mano della sorella ma teneva ancora stretta quella del dottore mentre lui, con l'altra, le tastava l'addome.
<< Recita benissimo... >> furono le prime parole che mi vennero in mente, del tutto spontanee vedendo la credibilissima performance di Akane.
<< Eh? >>
<< Akane, recita benissimo! >>
<< Uhm... sì... >>
<< Ranma che fai lo gnorri? Sai Judith una volta hanno anche recitato insieme, "Romeo e Giulietta" per la precisione! >>
A quelle parole vidi Ranma che per poco non si strozzava, con il viso che era passato in un secondo da normale a bordeaux acceso.
<< Davvero? Wow!! Deve essere stato molto romantico >>
<< È stato molto romantico Ranma? >> lo canzonò Nabiki.
<< Rom-roman-... cosa? Smettetela voi due! Concentratevi piuttosto... Il dottor Tofu non ha ancora chiesto niente dalla borsa! >>
<< Sta a vedere che fa tutto con le mani... Coraggio sorellina! >>
Come se avesse potuto captare il suggerimento di Nabiki, da dentro la stanza sentii arrivare il suono della voce di Akane, fintamente debole ma con una nota di speranza.
<< Cosa ha chiesto? >>
<< Se il dottore può darle un antidolorifico >>
<< Iieeeeeee!!!* >> gridò la ragazza mora quasi alzandosi dal letto e di rimando anche il dottore disse qualcosa.
<< Cosa sta succedendo? Spiegatemi! >>
<< Il dottore ha chiesto a Kasumi di passargli la borsa e Akane ha inventato una scusa per non farsi lasciare la mano... fiuuu pericolo scampato! >>
<< Per ora! >>
<< Sempre il solito ottimista eh? Shhh guardate, Kasumi sta aprendo la borsa >>
Per più di un minuto rimanemmo tutti con il fiato sospeso, osservando Kasumi che si rigirava quella piccola scatoletta di cartone fra le dita sottili.
Quando la voce delicata della maggiore delle Tendo fece una domanda, vidi il dottore impallidire mentre, con gli occhiali appannati e un tic nervoso ad una mano, balbettava parole talmente sconnesse che persino io riuscii a capire che non erano affatto la risposta che avrebbe dovuto dare alla ragazza.
<< Ecco, ci risamo, Tofu balbetta! >> disse Nabiki con il tono di chi una cosa l'aveva prevista già in partenza.
<< Eh? >>
<< Jude, il dottor Tofu è talmente innamorato di Kasumi che ogni volta che la vede diventa un completo idiota! Eppure è un uomo intelligente! >> mi spiegò Ranma rassegnato.
<< L'amore fa quest'effetto... >> sussurrai in tono sognante.
<< No! Non è vero! Non ci fa rincitrullire tutti! >>
<< E tu che ne sai? Sei innamorato Ranma? >> chiese Nabiki socchiudendo gli occhi, quasi fosse una sfida.
<< Sei innamorato? >>
In effetti non ci avevo mai pensato, Ranma era un bellissimo ragazzo ed era del tutto naturale che avesse una fidanzata. Mi sembrava solo strano non averla mai vista...
<< Chi? I-io inna... innamorato? Ma neanche per sogno! Non dire sciocchezze Nabiki... io innamorato di quel masch-... >>
<< Ranma ti stai tradendo da solo, nessuno ha fatto nomi! >>
<< Eh? Guarda che io non ho detto proprio nulla! Di chi mai dovrei essere innamorato, sentiamo! >>
<< Mah... che ne so... per esempio di... >>
Ma proprio nel momento in cui Nabiki stava per svelare l'arcano, da dentro la stanza sentimmo provenire la voce, questa volta leggermente più ferma, del dottor Tofu.
Kasumi tolse il coperchio beige e ne estrasse un'altra scatoletta, più piccola ed elegante, di velluto blu.
Per un minuto buono rimase ad ammirarla come si farebbe con un quadro famoso, con le gote leggermente imporporate e l'ombra di un sorriso sul bel viso candido.
Poi l'aprì.
Dentro c'era un anello, un bellissimo e raffinatissimo anello di fidanzamento, perfetto per Kasumi, semplice e luminoso proprio come lei. Un diamante, piccolo ma sfavillante, si incastonava perfettamente su una fascetta d'oro bianco.
Akane si alzò a sedere mentre guardava con l'aria sognante la scena, la stessa aria incantata che avevamo io e Nabiki, ancora nascoste dietro la porta.
Ranma invece guardava altro, il suo sguardo si spingeva oltre Kasumi, oltre l'anello, avrei detto verso Akane...
<< Ma è bellissimo >> sussurai.
<< Vi piace? Mi è costato un occhio! Anzi gli è costato un occhio, gli manderò il conto! >>
<< Che ragazza generosa! >>
<< Fa' poco lo spiritoso Ranma, gli affari sono affari. E poi io vorrei che il mio anello di fidanzamento fosse comprato dal mio futuro marito e non da mia sorella, o sbaglio? >>
Colpiti dal ragionamento evidentemente corretto di Nabiki, sia io che Ranma annuimmo con il capo, per poi tornare a guardare dentro la stanza dove la scena era rimasta così come l'avevamo lasciata.
<< Dai dottore, non rimanere lì come uno stoccafisso!! Fa qualcosa! >> lo incitò sommessamente Nabiki.

Ma c'era una cosa che non avevamo notato. Un piccolo dettaglio che ci era sfuggito.
Kasumi e il dottor Tofu non avevano ancora parlato, ma si guardavano e i loro occhi, persi gli uni negli altri, si stavano dicendo tutto ciò di cui avevano bisogno.
Niente parole, niente gesti, solo due occhi innamorati che si studiavano profondamente e si sussurravano, nascondendole agli spettatori, le parole d'amore più dolci.
E così, senza dire nulla, lui le fece scivolare via la scatolina blu dalle mani, prese l'anello e, inginocchiandosi, glielo infilò delicatamente all'anulare sinistro, mentre lei, più radiosa che mai, sorrideva ed annuiva.
Solo allora mi accorsi di Soun e Genma che, chissà da quanto, erano lì dietro di noi e di Nabiki che, seppur con gli occhi lucidi, era intenta a riprendere tutto con la telecamera.
<< Oh finalmente! Erano anni che aspettavo un momento come questo!!! >>
<< Sei sempre la solita!! >> disse Ranma con un sopracciglio alzato in segno di disappunto.
<< Ma che dici? Non mi sembra di averti mai ripreso mentre chiedi a mia sorella di sposarti! >>
A sentir quelle parole, che all'apparenza non avevano alcun significato (ma avrei capito molto tempo dopo), Ranma si strozzò un'altra volta e, muovendo le mani fin troppo velocemente, cercava di giustificare quell'affermazione: << Ma che razza di paragone è! Nabiki, che fesserie vai dicendo!? >>
Ma non c'era tempo per indugiare oltre, l'attenzione venne focalizzata di nuovo sui due ragazzi che, forse inconsapevoli o forse no della baraonda che gli era intorno, si strinsero in un tenero abbraccio.
A quel punto Soun irruppe nella stanza piangendo come una fontana, di gioia questa volta, e abbracciando alternamente prima la figlia e poi il futuro genero, gridando a squarciagola frasi come “sono il padre più felice del mondo!”.
Tutta la fierezza e la compostezza che mi avevano colpito in quell'uomo erano sparite in un batter d'occhio, ma potevo capirlo, del resto si sposava sua figlia.
Anche Genma esplose di gioia, facendo una specie di danza circolare a braccetto fra il dottore e Soun e cantando una strampalata canzone giapponese.
Nabiki, la regina di ghiaccio, andò a congratularsi con gli sposi, abbracciandoli e sfuggendo alle domande con quel suo fare da furbetta.
Dopo di lei fu il mio turno.
Kasumi è la classica persona a cui non si può non voler bene, sempre gentile e disponibile, dolce e materna, è quasi naturale provare affetto per lei, così la abbracciai stretta, facendole i migliori auguri e lei ricambiò l'abbraccio, ringraziandomi sorridente.
<< Dottore lei è Judith la ragazza americana che ospita la mia famiglia >> ci presentò in inglese.
<< Ka-Kasumi... ora forse è il caso che cominci a... a chiamarmi Ono, no? >> disse lui arrossendo e contagiando anche la ragazza.
<< Ma certo... ehm... Ono, questa è Judith. Judith lui è il dottor Ono Tofu >>
<< È un piacere conoscerla e tanti auguri per il matrimonio >>
<< Il piacere è tutto mio >> ed entrambi ci inchinammo.

In un angolo nel frattempo c'era Akane, che con gli occhi pieni di lacrime ammirava commossa la sorella, e Ranma, che dopo essersi guardato un secondo intorno, come per assicurarsi che tutti gli occhi fossero puntati sui futuri sposi, le mise un braccio intorno alle spalle e la strinse a sé.
Quell'abbraccio furtivo durò pochissimo, il tempo che lei affondasse le gote rosse nella maglietta nera e che lui le sussurrasse qualcosa all'orecchio, che era già finito.
Quando Akane alzò la testa, con i capelli leggermente scarmigliati e il viso roseo, le lacrime erano sparite e sul suo viso si era dipinto un velo di tenerezza, così come su quello di Ranma.
Nessuno si accorse di nulla e anche i miei due coetanei andarono ad abbracciare gli sposi per poi unirsi ai festeggiamenti.
Il dottor Tofu rimase per cena quella sera, e anche la sera dopo e quella dopo ancora. Veramente, in tutta la durata del mio soggiorno, non riesco a ricordare nemmeno una sera dopo quella, in cui il dottore non fosse a cena con noi.
Ma, in fondo, Nabiki l'aveva detto: l'operazione si chiamava “Tofu per cena”.

***


Buonasera a tutti!!
Avevate capito che questo capitolo sarebbe stato dedicato al dottor Tofu? Qualcuno sì!
Ebbene, spero che vi piaccia, ora abbiamo l'invito per un matrimonio!
Come di consueto ormai, devo scusarmi per il ritardo, questo è un periodo un po' incasinato ma dopo l'otto luglio sarò tutta vostra, promesso!
Pia, questa Nabiki è un omaggio a te, sappilo :)
Come sempre, grazie di cuore a chi legge, a chi segue (anche se non recensisce fa ugualmente moltissimo piacere, capito Maria?), a chi preferisce e soprattutto a chi trova sempre due minuti del suo tempo per lasciarmi scritto qualcosa.
Adesso, sono sicura, sapete chi ci sarà nel prossimo capitolo vero?
A presto
vostra Aronoele (:

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Capitolo 4
*** Fight Club ***


Il vento sconquassava le piante nel giardino, agitava i cespugli, increspava l'acqua nel laghetto, arruffava i capelli. Sembrava una serata come tante, mossa dal vento che stemprava l'aria troppo calda.
Era stata una giornata piena: l'ormai classica corsa per non perdere la metropolitana (puntualmente mancata), le lezioni universitarie, la pausa pranzo passata in biblioteca a ripassare per il test e le ultime ore del pomeriggio trascorse a mangiare un gelato con gli amici.
Era stata una bella giornata, in fondo.
Kuno ci aveva portati un un locale chic della Tokyo vip, uno di quei posti che non definiresti certo “bar” ma più “sala da cocktail di un lussuosissimo yacht”, con le poltroncine morbide e i tavolini coperti da tovaglie avorio e grigio perla, con le immagini sui menù che sembravano dipinti di Andy Warhol più che semplici coppe gelato e con i camerieri che parlavano un inglese da applauso.
Le amiche di Akane, Yuka e Sayuri, erano rimaste tanto estasiate dalla bellezza e dall'estrema raffinatezza del posto che pareva si sarebbero astenute (una volta tanto) dal fare la classica e rumorosissima gara del “chi si siede di fianco ad Alexander?”. Ovviamente le speranze erano mal riposte e Alexander si era trovato in mezzo a quella buffa rissa risoltasi con le due ragazze avvinghiate ciascuna ad una delle possenti braccia di lui, mentre tutti ridevano.
Hiroshi e Daisuke, visto che Kuno si era galantemente offerto di pagare il conto, avevano dato libero sfogo alla loro fame -a quanto pareva davvero senza limite- al contrario di Ranma che, invece, si era categoricamente rifiutato di mangiare gelato in pubblico, finendo però ad aprire la bocca ogni volta che Akane, senza farsi mancare il classico “Aaaaaa”, lo imboccava con una cucchiaiata della sua coppa alla vaniglia, tra le risatine dei loro compagni.
E poi era giunta la sera, accompagnata da nuvoloni neri.
Io ero in giardino, a bearmi di quell'aria che lasciava presagire una tempesta e che sapeva agitarmi e calmarmi al tempo stesso, quando un fulmine esplose con un fragore disumano cadendo da qualche parte lì vicino. Senza pensarci due volte entrai nel dojo dalla cui porta filtrava un po' di luce e da dove proveniva della musica.
<< Ti sei spaventata? >>
Con un leggero affanno e gli occhi ancora chiusi, ci misi più del dovuto ad accorgermi che se la luce era accesa e se nell'aria risuonavano ancora le ultime note di “Sex on Fire” dei Kings of Leon, qualcuno doveva essere al suo interno e che non doveva trattarsi per forza di Akane, che ero abituata a vedere scappare nella palestra quasi tutte le sere dopo cena.
Mi girai ben consapevole che ciò che avrei visto mi avrebbe prosciugato la bocca ancora più della paura per il tuono improvviso.
Ranma se ne stava con un braccio poggiato al muro e l'altro alla vita e mi sorrideva.
I capelli neri, sempre legati, erano sudati e attaccati alla fronte bagnata, il petto muscoloso si alzava e si abbassava velocemente, a ritmo dei grossi respiri tipici di chi è provato dall'allenamento e la divisa bianca, tenuta a bada male dalla cintura nera, lasciava scoperta buona parte dei pettorali e l'inizio del ventre scolpito.
Uno spettacolo da svenire.
<< Io... sì... un tuono... ehm... me ne vado! >> dissi guardando più il pavimento che il suo viso arrossato per la fatica << Credevo che ci fosse Akane... di solito c'è lei... >> mi affrettai ad aggiungere poi.
Lui rise bonario << Jude figurati, non c'è problema! Mi stavo solo allenando! >>
In effetti sapevo che Ranma praticava arti marziali.
A parte i suoi muscoli, degni eredi di qualche statua greca, e il fatto che me lo ricordava ogni volta che poteva, la fama della sua forza da leone lo precedeva ovunque andasse. Ogni ragazza con cui stringevo amicizia a Nerima, o più frequentemente all'università, invidiava la fortuna che avevo a vivere sotto lo stesso tetto con lui ed ogni ragazzo, sportivo o meno, lo guardava con rispetto e, a volte, una buona dose di paura.
In effetti lo sapevo, ma non l'avevo mai visto all'opera.
<< Posso rimanere a guardarti? Io non ho mai visto nessuno praticare le arti marziali, se non in qualche film... >> chiesi quindi, visibilmente stupita dal suono della mia stessa voce. Lui mi guardò per un secondo, poi alzò un sopracciglio: << Mmmh va bene, ma solo se mi dai la risposta giusta! >>
<< Ok >> sussurrai,
<< Steven Seagal o Jean Claude Van Damme? >>
<< Oh,ehm... Per la bravura dovrei dire Seagal vero? Gli hanno anche permesso di aprire un dojo qui in Giappone... Ma Van Damme è più bello! >>
<< No Jude, così non ci siamo proprio! >> disse muovendo il dito indice ritmicamente a destra e a sinistra << Va bene, te ne faccio un'altra... Attenta alla risposta! Chuck Norris o Bruce Lee? >>
<< Bruce Lee! >> risposi subito e senza esitare.
<< Brava! >> disse Ranma battendomi il cinque << E comunque, già solo perché li conosci tutti puoi rimanere! >>
<< Grazie! Ma se vuoi ne conosco anche altri! >> aggiunsi con l'aria compiaciuta di chi sa di aver colto nel segno.
<< Tipo? >>
<< Tipo Bolo Yeung, Jackie Chan e Tony Jaa, per esempio! >>
<< Wow Jude! Non me l'aspettavo proprio, ne conosci un sacco!! >>
<< Mi piace vedere i film sulle arti marziali, è bello vederli combattere! >>
<< Va bene, allora è il caso che tu veda un vero campione all'opera >> mi disse facendomi il solito occhiolino e posizionandosi al centro della stanza.
Prima di iniziare accese di nuovo il suo iPod azzurro e dalle casse si diffuse per tutta la stanza una canzone rock, armonica e melodiosa, ma anche capace di accenderti dentro il fuoco dell'adrenalina (*). Pensai che era perfetta per quello che stava per fare, poi cominciò a muoversi ed io rimasi cento volte più incantata che davanti al miglior film di tutta la tradizione americana, cinese e giapponese insieme.
I suoi occhi blu erano socchiusi e tanto concentrati e determinati che un suo sguardo avrebbe potuto perforare una montagna. I muscoli, sudati e tesi, disegnavano linee perfette ad ogni scatto, quasi a voler enfatizzare ancora di più la consapevolezza del proprio corpo che ogni movimento al ritmo delle note in sottofondo, preciso e studiato, lasciava trasparire già da sé. Il vero spettacolo era però vedere quanta forza, grazia, fermezza e potenza fossero racchiuse in ogni pugno, in ogni calcio, in ogni singolo passo.
I suoi arti fendevano l'aria come spade, i suoi muscoli parevano d'acciaio e le posizioni che assumeva lo rendevano tanto aggressivo quanto aggraziato.
Improvvisamente, dopo aver sferrato un fortissimo e precisissimo calcio, mi guardò con la coda dell'occhio e sorrise sornione avvicinandosi e accucciandosi davanti a me.
<< Che...che c'è? >> mi ritrovai a balbettare sotto il suo sguardo indagatore.
<< Niente, stai solo sbavando! >>
<< Ma che dici? Io non sto sbavando!! >> dissi a voce più alta del solito, girando la testa di lato e cercando di riprendere un minimo di contegno, dato che probabilmente i miei occhi spalancati e la bocca leggermente aperta avevano dato segno che l'avevo completamente perso.
<< Ma che hai capito! Si vede che è una cosa che ti interessa! Le arti marziali intendo... >>
<< Ah... le arti marziali... sì, moltissimo! >> risposi sorridendo, visibilmente più rilassata.
<< Non hai mai imparato? >>
<< Oh no! In America non è come qui da voi... >>
<< Vorresti farlo? >>
<< Chi io? Ma no... non mi sembra il caso, non so se sono capace... e poi chi mi insegnerebbe? >>
<< Io! >>
<< Tu? >>
<< Perché non ti fidi? Sono un ottimo maestro sai? >>
<< Non ho dubbi a riguardo... Ma.... >>
<< E allora dai, fidati! >>
L'ultima volta che Ranma mi aveva detto “fidati” ero finita a camminare in bilico su una ringhiera verde e, nonostante la paura di cadere nel canale che stavamo costeggiando, era stata una delle esperienze più belle e divertenti che avevo fatto da quando ero arrivata, quindi, senza pensarci due volte, afferrai ancora la sua mano.
<< E brava la nostra Jude! >> disse lui conducendomi al centro della palestra, mentre la canzone sfumava l'ultimo assolo di chitarra, ed io sorridevo timidamente preparandomi ad imitare una delle sue posizioni.
Ma proprio nel momento in cui Ranma stava per spiegarmi come posizionare le gambe, la porta del dojo si aprì teatralmente.
Dietro ai due grandi battenti di legno chiaro si stagliava una figura scura, con i capelli ed i vestiti mossi dal vento. A voce piuttosto alta disse qualcosa in giapponese e in un baleno si scagliò verso Ranma che nel frattempo, senza che io me ne accorgessi, mi aveva allontanata da lui e dal centro del dojo.
I due ragazzi presero a combattere improvvisamente, come se fra loro ci fosse stato un tacito accordo, senza dire una parola, ma solo con un sorriso sghembo sui bei visi concentrati.
Io tornai a sedermi e ad incantarmi davanti a quello spettacolo che, nonostante fosse piuttosto insolito e un tantino strano a dire il vero, non mi aveva spaventata affatto. Non saprei spiegare il perché ma mi risultava naturale, come se fosse stato di normale amministrazione.
Lo sconosciuto sembrava pareggiare Ranma in grazia, forza e potenza.
Ad un tratto, forse l'aria si era fatta troppo calda ed io non me ne ero accorta, ma Ranma si strappò letteralmente di dosso la parte superiore della sua divisa bianca, gettandola di fianco a me e rimanendo a dorso nudo, seguito a ruota dall'altro ragazzo mentre le note di “Gonna fly now” (**) riempivano la stanza e aizzavano i cuori dei due combattenti.
La loro lotta sembrava una danza felina, i movimenti precisi davano l'impressione di essere stati studiati da tempo e le linee che i loro corpi assumevano mentre si scambiavano colpi su colpi, erano così perfette che parevano disegnate.
Altro che film di arti marziali, questo era cento volte meglio.
Entrambi attaccavano con estremo vigore mentre i muscoli prestanti guizzavano ad ogni scatto, ed entrambi paravano le mosse dell'altro con grande efficacia.
Il sudore imperlava i loro visi, le spalle possenti, i pettorali sporgenti, scendendo a rivoli sugli addominali scolpiti per poi terminare lungo i solchi delle due fossette, tanto profondi che parevano incisi ai lati del ventre.
Mentre lo scontro mi passava davanti armonico e bellissimo, addirittura quasi migliore di Ranma che si allenava da solo, mi regalai un minuto per osservare il nuovo arrivato.
Il fisico vigoroso lo faceva sembrare più massiccio del suo rivale. Spalle grandi, muscoli prominenti, nervi e tendini in bella vista davano l'impressione di trovarsi di fronte all'erede di Hulk, mentre gli occhi verdi, grandi e dolci, tradivano una natura gentile. I capelli tagliati corti, neri e lucidi, erano tenuti lontani dalla fronte da una bandana gialla ma ciò che più mi impressionò fu il suo sorriso. Niente di speciale, un sorriso caloroso come quello dei suoi occhi, se non fosse stato per un piccolo particolare: ogni volta che le labbra sottili si increspavano, due piccoli ma aguzzi canini facevano capolino regalando all'affascinante nuovo arrivato una particolarità bizzarra e bella.
All'improvviso, mentre l'ultima canzone scemava per far posto a “We will rock you” dei Queen, sentii il profumo di Akane di fianco a me.
<< Ciao Jude >> mi bisbigliò all'orecchio << Ero venuta ad avvertire Ranma che Ryoga era in città, ma a quanto pare si sono trovati da soli! Quei due... >> ma poi i suoi occhi nocciola si persero nei meandri dell'affascinante lotta.
Quella sera, mentre il vento infuriava oltre i battenti di legno, per la prima volta notai che gli occhi di Akane, di solito un misto fra il color ciliegio e il colore del whisky, diventavano più scuri, quasi neri, quando le sue iridi si posavano su Ranma, notai che il suo sguardo diventava più languido, un sorriso tenero le nasceva sulle labbra ed un leggero rossore le dipingeva le guance.
Notai che guardava anche l'altro ragazzo, ma il suo sguardo non era così affascinato e profondo come quando i suoi occhi si posavano su Ranma, sui suoi muscoli, sui suoi salti mortali, o come quando gli occhi color tempesta di lui incrociavano quelli di lei.
Sorrisi anche io nel vedere la mia amica così presa ed un “che bravi” mi sfuggì dalle labbra davanti all'ennesima dimostrazione di forza ed eleganza dei due combattenti.
<< Oh sì... è bravissimo >> sussurrò Akane continuando a guardare davanti a lei << Ehm... cioè, sono bravissimi! Entrambi! Volevo dire sono bravissimi!! >> si affrettò poi ad aggiungere ancora più rossa in viso.
<< Come hai detto che si chiama l'altro ragazzo? >>
<< Si chiama Ryoga. Lui e Ranma sono amici dai tempi delle medie >>
Al sentir pronunciare il suo nome da Akane, l'affascinante straniero perse la concentrazione, seppur per un millesimo di secondo, e questo gli fu fatale. L'avversario infatti, accortosi della momentanea debolezza dell'amico che guardava verso di noi con lo sguardo allucinato e, ci avrei giurato, gli occhi a cuoricino, ne approfittò per sferrargli una potentissima gomitata nello stomaco che lo lasciò a terra per un bel po'.
Ranma rise di gusto e disse qualcosa a Ryoga steso ai suoi piedi, che nel frattempo lo guardava male e, immaginai, imprecava contro di lui.
Akane notò il mio sguardo interrogativo e mi spiegò: << Ranma e Ryoga si conoscono da tantissimo tempo. Anche se non lo ammetterebbero mai, nemmeno sotto tortura, si vogliono un gran bene ma hanno questa strana fissa che va avanti da sempre >>
<< Ammazzarsi di botte? >>
<< Sì, più o meno! >> disse lei ridendo << Ryoga ce l'ha con Ranma per una storia vecchia quanto il mondo e, da quando li conosco, ogni volta che si incontrano lui lo sfida e puntualmente... >>
<< Perde, direi! >> conclusi ridendo anche io.
<< Eh sì! Ranma è imbattibile >> rispose con una nota di tenerezza nella voce << Dai, andiamo a vedere come sta! >> aggiunse poi.

Non appena gli fummo vicine, Ryoga si rialzò di scatto, inchinandosi ad entrambe con fare un po' titubante, mentre Ranma rideva sotto i baffi.
<< Ryoga tu parli inglese? >> gli chiese Akane nella mia lingua.
<< Ma certo! Sono un viaggiatore io! >> rispose il ragazzo gonfiando il petto ed indicandosi con il pollice della mano destra.
<< Ah già Jude, le presentazioni! Lui è Ryoga Hibiki, un grande viaggiatore! Devi sapere che in tutta la sua vita avrà fatto centinaia di viaggi... perdendosi sempre però! >> disse Ranma cercando di mantenere l'aria seria di chi sta dicendo la verità, ma con scarso successo visto che poi scoppiò in un'aperta risata, degna di Genma.
<< Che vorresti dire con questo, razza di idiota? >> rispose il diretto interessato particolarmente stizzito.
<< Che il tuo senso dell'orientamento fa schifo, porcello viaggiatore! >>
<< Come mi hai chiamato? E poi non è vero! >>
<< Ah no? Allora dimostracelo dai! Vai a fare un giro dell'isolato e torna qui! Ti ritroviamo a Parigi! >>
<< Vuoi combattere ancora? >>
<< Vuoi perdere ancora? >>
<< Hey, insomma, volete piantarla voi due!? >> si intromise Akane quasi urlando e i ragazzi si fermarono all'istante, ammutolendo e guardando in basso come due bambini appena sgridati dalla maestra.
<< Allora... Jude lui è Ryoga, Ryoga lei è Judith Montgomery ma noi la chiamiamo Jude, è qui in scambio culturale dall'America! >> ci presentò lei mentre noi ci inchinavamo reciprocamente ed in silenzio.
<< Di' un po', Ryoga, ci sei mai stato in America, grande viaggiatore? >> lo schernì Ranma con un sorriso strafottente sul viso.
<< Se non la pianti sarò costretto a darti una lezione, Saotome! >>
<< Come se ne fossi capace. Fatti sotto! Quando vuoi! A proposito di lezioni... Jude, io e te siamo stati interrotti! >>
<< Interrotti? >> chiese Akane con finta noncuranza, ma qualcosa nella sua voce mi disse che la frase di Ranma non le era andata proprio a genio.
<< Oh sì ehm... ecco... prima che arrivasse Ryoga, Ranma stava cercando di insegnarmi qualche mossa... >>
<< Volevo insegnarle i kata di base! >> spiegò lui << Alla nostra Jude piacciono le arti marziali! >>
<< E volevi impararle da lui? Ti darò anche io una mano, almeno diventerai brava! >> disse Ryoga alzando un pugno all'aria e vincendo finalmente la sua timidezza.
<< Sempre il solito marpione... >> bisbigliò Ranma facendo sorridere sia me che Akane.
<< Come hai detto, brutto idiota? >>
<< Ho detto che corri dietro a tutte le ragazze carine che vedi! Ma non eri innamorato di A... >>
<< Sta zitto!! >>
<< A... Ak... Aka... >>
<< Ti ho detto di smetterla, Ranma! >> ringhiò Ryoga rosso come un peperone.
<< Ma che hai capito... stavo per dire Akari! >>
Il giovane viaggiatore tirò un sospiro di sollievo mentre Akane gli chiedeva sorridente come stava Akari e se si sentivano ancora.
<< Veramente ci sentiamo di rado... ogni tanto ci scriviamo, ma... >> mentre Ryoga raccontava, non senza un certo imbarazzo, Ranma si avvicinò a me e sussurrò: << In realtà volevo dire Aka... ne! Ryoga ha una cotta per lei da un sacco di tempo! >>
<< Ah ecco perché era così agitato! E lei non lo sa? >>
<< Ma chi Akane? No figurati, ingenua com'è non si accorgerebbe che un ragazzo è innamorato di lei nemmeno se lui le scrivesse dei manifesti! >>
<< Oh beh, di sicuro si è accorta di Kuno! >> affermai io seria ma Ranma scoppiò a ridere: << Jude, sei qui da una settimana e già hai capito che Kuno è un idiota! >>
<< Ma non volevo dire questo! >> mi affrettai a spiegare muovendo le mani velocemente << solo che lui non si fa problemi a dichiarare il suo amore a lei... e a tutte le altre! >> e sta volta risi anche io, in effetti, sotto l'aspetto sentimentale, Kuno era senza speranze!
<< Questo proprio perché è un idiota! Le persone serie non si mettono a urlare il loro amore ai quattro venti! >>
<< Fanno Ryoga? >>
<< Certo! >> asserì lui convinto.
<< Quindi stanno in silenzio e aspettano che lei si accorga di loro? >>
<< Be'... più o meno... >>
<< E se lei non se ne accorge? O magari si innamora di un ragazzo che le esprime i propri sentimenti? >>
<< Oh Jude andiamo, non siamo più nell'Ottocento! Non si scrivono più poesie! L'amore si dichiara con i gesti! >>
<< Tipo quali? >>
<< Salvarle la vita per esempio, mille volte! O non smettere mai di credere in lei, o capirla esattamente, senza bisogno di tante parole, o difenderla sempre, da tutto e da tutti, o... >>
<< Stiamo parlando ancora di Ryoga? >> mi ritrovai a chiedere io, dato che i suoi sussurri si erano fatti più flebili e i suoi bellissimi occhi blu guardavano Akane, che stava ancora scherzando con Ryoga poco lontano da noi.
<< Oh... sì certo... ehm... Hey tu, Ryoga! Vogliamo cominciare allora? >> cambiò improvvisamente argomento Ranma, con il viso imbarazzato e più roseo del solito.

Akane andò a cambiarsi e tornò con la divisa da combattimento gialla con la cintura rossa, mentre Ryoga si stava asciugando il corpo dal sudore con la sua casacca sgualcita e Ranma stava sdraiato, ancora a petto nudo, sulle assi di legno chiaro che ricoprivano l'intero pavimento del dojo.
<< Pronta Jude? >>
<< Mica tanto! >> risposi io realmente perplessa, ma Ranma non mi diete ascolto, accese di nuovo il suo iPod e sulle note di “Eye of the tiger” iniziò il mio primo addestramento.
<< Bene Jude il kata è un esercizio individuale o a squadre che rappresenta un combattimento reale contro avversari immaginari >> mi spiegò Akane << è molto utile per allenarsi nelle tecniche di parata ed attacco >>
<< Ma non prenderlo solamente come un esercizio >> continuò Ryoga << il kata è qualcosa di molto di più, è l'essenza delle arti marziali >>
<< Ogni kata inizia e termina con il saluto >> e, a queste parole, tutti e tre si inchinarono prontamente.
<< La prima cosa che devi imparare a fare è respirare >> disse Ranma avvicinandosi << devi trattenere il respiro qui >> e toccò la parte alta del mio addome << contrai i muscoli, trattieni il respiro, irrigidisciti >> continuò a ripetere con la mano che spingeva sempre di più << quando senti che sta per esplodere, rilascialo e grida, così >> non appena finì la spiegazione, vidi i suoi addominali contrarsi e diventare puro marmo, per poi rilassarsi e distendersi mentre lui irrompeva in un grido che sembrava sprigionare tutta la sua energia.
<< Questo è il Kiai (***) e dovrai eseguirlo in ogni kata, serve per migliorarne la potenza >>
<< Coraggio prova! >> mi incitò Akane.
<< Ma non credo di esserne capace... >>
<< Oh, sì che lo sei! Non è niente di difficile, concentra tutta l'energia che puoi in quell'unico punto e poi scaricala >>
Ci provai un paio di volte e la terza fu decisamente meglio, anche se non aveva nulla a che vedere con il modo in cui lo eseguivano i miei amici.
<< Perfetto, ora ricorda: dovrai sempre concentrare la respirazione che esploderà nel Kiai ogni volta che sferrerai un colpo >> spiegò Ryoga.
<< Benissimo Jude, ora che sai come devi respirare passiamo al punto due: il Keitai no hoji ovvero la corretta posizione per eseguire ogni movimento. Se lo farai bene, al termine di ogni kata ritornerai sempre nella stessa posizione >>
<< Sembra difficile... >> sussurrai io sempre più impressionata dal fatto che, solo un'ora prima, stavo guardando Ranma fare tutte quelle con una facilità ed una naturalezza davvero straordinarie.
<< Non lo è tranquilla! Cominciamo dalla prima posizione, quella di base: la guardia >> dicendo così sistemò lui stesso le mie gambe: leggermente flesse, con la destra un passo davanti alla sinistra; e le mie braccia: la sinistra indietro davanti al cuore e la destra più in avanti per proteggere il viso. Io, mentre mi muoveva come fossi un burattino, ero estremamente imbarazzata dal suo tocco, deciso e delicato, e dalle sue attenzioni, tanto che facevo fatica a concentrarmi sulle parole che uscivano dalla sua bocca.
<< Dovrai sempre cercare di tornare in questa posizione >> disse poi Ryoga mentre, una mano sulla schiena, raddrizzava la mia postura << sempre mantenere lo stato di guardia, sia fisicamente che mentalmente, al termine di ogni kata. Questo si chiama Zanshin >>
<< Ma voi fate tutte queste cose contemporaneamente mentre combattete? >>
Un sorriso soddisfatto sul volto di tutti e tre mi disse che sì, facevano tutte quelle cose e, forse, anche di più.
<< Wow... >>
<< Non è difficile come sembra >> cercò di giustificarsi Ryoga grattandosi la nuca imbarazzato << è solo questione di esercizio... >>
<< Dopo un po' sarà del tutto naturale >> concluse per lui Akane ed i ragazzi annuirono in segno di approvazione.
<< Ok Jude, resta così. Ora noi ti faremo vedere delle mosse e tu dovrai provare ad imitarle. Ricorda sempre di respirare, rimanere concentrata, dosare la velocità e il grado di forza da mettere in ogni movimento e, cosa più importante, ricorda il Kiai. Ok? >>
Io mi sforzai di annuire convinta ma era davvero difficile. La posizione che dovevo mantenere era assai strana: dava la sensazione di essere rilassati, ma io sapevo che i miei muscoli erano in tensione e che sarebbero dovuti essere pronti a scattare in qualsiasi momento. Dovevo respirare bene, in modo che ogni respiro coincidesse con i miei movimenti e che fosse profondo, così da ossigenare tutto il mio corpo. Inoltre dovevo ricordarmi quali movimenti erano lenti e quali veloci, quanta forza e quanta delicatezza mettere nei colpi e, soprattutto, ricordarmi di liberare il Kiai che, più che far esplodere la potenza del mio colpo, faceva esplodere la mia vergogna visto che a gridare in quel modo mi sentivo una completa deficiente.
Mentre tutto il mio corpo e la mia mente erano concentrati su quest'unico obiettivo, un rumore fortissimo arrivò da oltre la porta, dove la tempestava impazzava, il vento non accennava a calmarsi e fulmini cadevano continuamente, provocando tuoni fragorosi.
Improvvisamente, la luce andò via e la musica svanì bruscamente, facendo scattare i due ragazzi e spaventare noi ragazze. Akane, con un gridolino a metà fra la sorpresa e la paura, si aggrappò al grande braccio di Ranma che nel frattempo guardava preoccupato oltre la finestra, Ryoga invece andò subito a controllare mentre io cercavo di far luce con la torcia del cellulare.
<< Un fulmine deve aver colpito un albero qui vicino e magari ha urtato qualche palo della luce >>
<< Ah be', sì, certo... c-che ne dite se rientriamo in casa dove ci sono tutti gli altri? >> chiese Akane fingendo spavalderia ma con un percettibile tremolio nella voce.
<< Non ci conviene, fuori piove moltissimo, ci inzupperemo... >>
<< …e a Ryoguccio non piace l'acqua, non ricordi Akane? >> lo canzonò Ranma guardando dall'alto la ragazza ancora avvinghiata al suo braccio.
<< Ranma piantala o giuro che vengo a dartele di santa ragione! >>
<< Guarda che ti stendo anche al buio! >> e i battibecchi vennero ripresi per un bel po', tra le battute dei due ragazzi e le risate nascoste di noi ragazze.

Dopo circa mezz'ora, quando tutti e quattro eravamo seduti con le spalle alla parete, aspettando mollemente che la pioggia diminuisse mentre ci facevamo luce a vicenda, una strana ombra ci fece sobbalzare tutti.
<< C-c...cosa è stato? >> chiese Akane con il tono allarmato.
<< Ma niente, saranno gli alberi, che vuoi che sia! >> rispose un Ranma poco convinto che continuava a scrutare la finestra di fronte, mentre la ragazza tornava ad impossessarsi del suo braccio.
Ma l'ombra gusciò di nuovo davanti a noi, facendoci rabbrividire tutti ancora una volta.
<< Ranma è dentro la palestra!! >> disse Ryoga, alzatosi nel frattempo in piedi << Chi va là!!? Fatti vedere! >> ma nessuna risposta.
<< Fatti vedere o giuro che ti spezzo come un grissino! >> rincarò la dose Ranma, ma l'ombra continuava a muoversi veloce per il dojo, senza badare alle minacce dei due ragazzi.
Ogni volta che ci passava davanti ci pareva più vicina ed alla fine anche io, che fino a quel momento non avevo detto niente, cominciai a spaventarmi e a temere chissà cosa.
Poi, mentre la macchia nera continuava a strisciare intorno a noi, un velocissimo calcio di Ryoga la colpì ed essa cadde a terra, rivelando la figura piccola e strampalata di una specie di ninja.
Era un omino tondo ed estremamente buffo, certo non potrei definirlo carino, ma aveva qualcosa di simpatico nel volto: due occhi grandi un po' vuoti, enormi e cespugliose sopracciglia e una bocca larga dalla quale fuoriuscivano solo due grandi incisivi.
<< Sasuke! >> esclamarono in coro tutti e tre e, al sentir pronunciare il suo nome, il piccolo uomo incappucciato tentò di darsela a gambe. Ci sarebbe anche riuscito se Ryoga non lo avesse tenuto saldamente dalla divisa grigia e prugna che indossava.
<< Insomma la vuoi smettere di scappare? >> chiese quello impaziente.
<< Voi non dovevate vedermi, la padroncina mi ha ordinato di fare tutto senza farmi riconoscere! >>
<< La padroncina? >> chiese Akane con un tono di voce che, non so perché, avrei definito lievemente irritato << Che cosa vuole? >>
<< Oh niente, solo consegnarvi questi! >> disse quell'ometto buffo che rispondeva al nome di Sasuke, per poi liberarsi dalle mani di Ryoga e scappare così come era arrivato: nell'ombra.
Ma, mentre spariva, lasciò cadere tre buste bianco perla chiuse con la cera lacca. Su ognuna c'era il nome del destinatario scritto con una bellissima calligrafia corsiva, sia in giapponese che in inglese: “Per il mio adorato Ranma” “Per Akane Tendo” “Per Judith la ragazza americana” ed infine “Per lo strambo amico del mio adorato Ranma”.
<< Cos'è questa roba? >> chiese un Ryoga leggermente sconcertato.
<< Sarà un'altra trovata di quella pazza, non aprite le buste per carità! >> rispose Ranma con l'aria di uno che la sapeva lunga.
<< Ma... a me sembrano solo degli inviti >> dissi io con l'aria innocente, come se non fosse nient'altro che una cosa ovvia.
<< No Jude, tu non la conosci! La ragazza che ci ha mandato queste lettere è davvero una pazza, è innamorata di Ranma e almeno una volta al mese ci manda filtri e pozioni sonnifere per addormentarci e rapirlo! >> mi spiegò Akane con la voce rassegnata, abituata ormai a quelle stranezze.
Poggiammo le nostre lettere in un angolo del dojo e ci rimettemmo seduti ad aspettare, di nuovo, che il temporale facesse il suo corso, mentre Akane pregava Ranma di non raccontare nessuna storia dell'orrore.
Io guardavo fuori, i lampi che illuminavano a giorno la palestra buia e le gocce di pioggia che scivolavano sul vetro della finestra, ed intanto pensavo.
Avevo già capito da un po' che la vita a Nerima era molto più pazza e strampalata di quello che si poteva anche solo lontanamente immaginare.
Feci un elenco fra me e me: fino a quel momento avevo conosciuto un ragazzo completamente fuori di testa, che corteggiava Akane (e tutte le ragazze che gli capitavano a tiro, aggiungerei) come un perfetto, galante, forse un pelino esagerato, gentiluomo ottocentesco; un altro ragazzo, dall'aspetto parecchio bizzarro, innamorato perso di Akane, che non si sapeva perché continuava a punzecchiare Ranma e a litigare con lui pur definendolo il suo “migliore amico”; una sottospecie di ninja nano e la sua padrona, a quanto pareva una pazza con tendenze criminali, innamorata persa di Ranma.
Bene Jude, e tu che avevi paura di annoiarti!

Quel giorno in palestra ancora non sapevo quante altre persone, pazze ma assolutamente fantastiche, c'erano ancora sul mio cammino.
Mentre ridevo sotto i baffi, pensando alla buffa avventura, la luce tornò ed il caschetto perfettamente ordinato e liscio di Nabiki spuntò da dietro la grande porta di legno:
<< Oh, siete qui! Avete ricevuto i vostri inviti? Akane, ci toccherà comprare un vestito! >>
<< Eh? Ma di che stai parlando? >>
<< Ma come, non avete aperto le vostre lettere? >>
<< Stai scherzando spero, sono di Kodachi, vuoi vederci tutti morti? >> asserì Ranma seriamente stupito.
<< Be' io non sapevo che fosse da parte sua e l'ho aperta... come vedi sono ancora viva! >>
Così, spinti dalla curiosità e rassicurati dal fatto che dentro non ci fosse alcun tipo di pozione sonnifera e/o esplosiva, tutti aprimmo le nostre buste ed una pioggia di petali neri si riversò sul pavimento.
All'interno c'era un biglietto dello stesso materiale perlaceo e scritto con la medesima calligrafia sinuosa e sottile. Lo lessi con molta attenzione, era un invito ad una festa di compleanno per il sabato successivo:
<< Kodachi Kuno... C'entra qualcosa con Tatewaki Kuno? >> chiesi io quando lessi in basso a destra la firma del mittente.
<< Oh sì, è sua sorella >> rispose Ranma e la mia espressione fu probabilmente molto comica visto che tutti scoppiarono a ridere a crepapelle.

Così quella sera nel dojo Tendo, fra le risate dei miei amici, feci di nuovo un elenco fra me e me: fino a quel momento avevo conosciuto un ragazzo completamente fuori di testa, che corteggiava Akane (e tutte le ragazze che gli capitavano a tiro, aggiungerei) come un perfetto, galante, forse un pelino esagerato, gentiluomo ottocentesco; un altro ragazzo, dall'aspetto parecchio bizzarro, innamorato perso di Akane, che non si sapeva perché continuava a punzecchiare Ranma e a litigare con lui pur definendolo il suo “migliore amico”; una sottospecie di ninja nano e la sua padrona, a quanto pareva una pazza con tendenze criminali, innamorata di Ranma e che, in più (e l'avevo appena scoperto) aveva il gene della pazzia “Kuno” nel sangue.
Bene Jude, e tu che avevi paura di annoiarti!

***

(*) qui mi riferivo alla canzone “War Pigs” dei Black Sabbath.
(**) “Gonna fly now” è un brano composto da Bill Conti e penso che tutti lo conoscerete come una delle colonne sonore più famose di tutti i tempi: quella di Rocky!
(***) “Kiai” vuol dire proprio “grido”.

Buonasera a tutti!
Eccomi tornata e perdonate il ritardo!
Visto che in questo mese sono diventata Dottoressa, ci tenevo a dedicare questo capitolo alle persone che ho conosciuto su questo sito, che si sono rivelate essere qualcosa in più e che, in un modo o nell'altro, mi sono state vicine:
A Pia, per i messaggi, i consigli e i fiori telematici. La descrizione delle fossette è tutta per te!
Ad Anto (Spirit), per i messaggi, gli incitamenti per quel meraviglioso disegno che mi ha mandato come regalo (non ve lo mostro perché siamo in fascia protetta ma era da svenire davvero!!!)
A Vale, che anche se era in partenza ha trovato lo stesso il tempo e la voglia di scrivermi.
A Faith, per i messaggi, gli incoraggiamenti e per quella stupenda one shot (che se non l'avete ancora fatto è il caso di leggerla!!).
A Gretel, per i messaggi prima e dopo.
Ed infine a Rachel, per avermi scritto con una precisione assoluta, proprio nel momento in cui discutevo.

Questo è per voi, grazie di essere state così carine :)
Come sempre, sarà anche inutile ripeterlo, grazie a chiunque legga e un pochino di più a chi trova un il tempo per lasciarmi le sue opinioni.

Ok, note lunghissime scusatemi!
Io vi saluto e vi do appuntamento al prossimo capitolo nel quale toccherà a...?
A prestissimo!

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Capitolo 5
*** Get the party started ***


Le note rock delle canzoni che accompagnavano i miei allenamenti -ormai quotidiani- mi riempivano ancora le orecchie mentre ero stesa sul futon con ogni singolo centimetro del corpo dolorante. Dopo la sera del temporale Ranma, Ryoga ed Akane avevano deciso che ero “davvero portata” per le arti marziali e mi avevano messa sotto torchio giorno e notte, con il risultato che ora il mio “grido di battaglia” era quasi perfetto e che avevo già preso a calci qualche alunno del dojo.
Altro risultato, molto meno gradito, era che ero sempre praticamente distrutta, con gli addominali indolenziti e le gambe pesanti, tutti i giorni, proprio come nel giorno che sto per raccontarvi.

Quel giorno appunto, ero sdraiata sul futon, stanca e con i muscoli indolenziti ma lo stesso appagata e felice, riempita da quella sensazione che solo chi fa sport può capire, con la mia buona musica vicino ed anche una tazza fumante di una delle tisane “post-allenamento” di Kasumi, quando dalla porta scorrevole vidi fare capolino un visetto aguzzo come la mente del suo possessore.
<< Allora, sei pronta? >> mi chiese Nabiki squillante.
<< Pronta per cosa? >>
<< Lo shopping! >>
<< Ah già sì... ehm arrivo subito! >> ed in men che non si dica mi ricordai della sera prima e di Akane che cercava di convincere Ranma che nella definizione di “abito elegante” non erano assolutamente contemplate nessuna delle sue casacche cinesi, né tanto meno i pantaloni che si ostinava ad abbinare sotto. Come un flashback rividi l'espressione ironicamente incredula del ragazzo quando Ryoga si diede disponibile ad accompagnarci a cercare un vestito adeguato per la festa di compleanno di Kodachi:
<< Sei proprio sicuro di volerti subire cinque ore di piagnistei del tipo “oh no questo vestito mi fa grassa!!”?? >>
<< Sono proprio sicuro che nessun vestito fa grassa Akane! E comunque serve qualcosa anche a me... non ho niente di elegante! >>
<< Grazie Ryoga... Hai sentito Ranma? Lui sì che è gentile e non un buzzurro come te! E poi non ti farebbe male comprare qualcosa di decente, magari un bel completo con la cravatta! >>
<< Ma scherziamo? Io sto benissimo così... le cravatte mi fanno soffocare! >>
<< Non puoi venire così! Sull'invito era scritto a caratteri cubitali “abiti eleganti” ed i tuoi non lo sono affatto! Vedrai che non ti faranno entrare! >>
<< Kodachi mi farebbe entrare anche in mutande! >>
<< Soprattutto in mutande! >> azzardò Nabiki provocando una risata accesa da parte di Ranma, ma a quel punto il viso angelico della bella Akane si tinse di rosso fuoco e con un'esplosione di rabbia, degna del ruggito di un leone, urlò in direzione di Ranma:
<< Bene!! Fa quello che ti pare! Vacci in mutande, vacci pure nudo, a me non interessa un fico secco di quello che fai tu!!! >> e corse nella sua stanza sbattendo la porta, lasciando Ranma a grattarsi la nuca con l'espressione di chi si chiedeva“ma cosa ho fatto?”, Nabiki che scuoteva la testa in segno di diniego, Ryoga che gli lanciava sguardi infuocati come se volesse ucciderlo e me, leggermente stupita dalla prima vera litigata fra quei due.

Così, dopo aver scacciato con un sorriso quei ricordi, afferrai il primo vestito che mi capitò a tiro, misi una manciata di cose utili nella borsa, mi legai i capelli nella solita treccia morbida e scesi le scale ripetendo ad alta voce “Eccomi, eccomi!” mentre Akane mi aspettava con l'espressione stranamente soddisfatta e rilassata, seduta vicino a Ranma il cui volto era a dir poco funereo, che a sua volta era accanto a Ryoga, intento a contare anche le monetine dentro al suo portafogli, in piedi affianco a Nabiki la quale continuava a picchiettare nervosamente il piede a terra e a guardare in direzione dell'orologio.
<< Scusatemi, sono pronta >> dissi entrando nella stanza e chinandomi a mo' di scusa.
<< Bene, se ci siamo tutti possiamo andare! >> diede il via Nabiki avvicinandosi alla porta mentre gli altri si alzavano e così, tra una fermata della metro ed un taxi, ci avviammo verso uno dei quartieri più grandi di Tokyo: Shibuya.


Shibuya è senza dubbio il quartiere più affollato ed illuminato di Tokyo, pieno di vetrine sgargianti, scritte iridescenti, maxi schermi su cui si susseguono veloci pubblicità e cartelloni colorati, mi ricordava la mia Time Square.
Io camminavo con il naso all'insù, osservando i giganteschi grattacieli grigi e colmi di vetro e gli idiomi intermittenti proiettati ovunque, che sbiadivano lasciando posto ai caratteri occidentali.
Tokyo, l'avevo ormai appurato con i miei occhi, è la città delle contraddizioni. Nel suo cuore convivono lo spirito tradizionalista, quello del Giappone imperiale e dei samurai, intriso delle sue antiche regole basate sul rispetto e sul duro lavoro, e quello moderno, che la fa somigliare ad una piccola America. Eppure, al suo interno, queste due entità riescono a fondersi come il caramello sulle mele, dando vita alla più incredibile molteplicità a cui un uomo avrà mai il piacere di assistere.
Forme e colori, lettere, suoni, odori, moderni e antichi, si fanno strada per tutta la città tenendosi per mano, garantendo allo spettatore l'unicità che solo quel pezzo di mondo sa regalare.
Noi procedevamo vicini gli uni agli altri alla ricerca del negozio giusto in quella grande marea, mentre migliaia di persone facevano dei gran giri intorno a noi, ed in quel caos di visi che sembrano guardarti ma in realtà non ti vedono affatto, mi sentii per un attimo di nuovo a casa.
<< Ci siamo ragazzi, questo è fantastico! >> disse Nabiki, la nostra guida ed esperta di moda, interrompendo i miei nostalgici pensieri e spingendoci a forza in un negozio enorme e con le mura bianche illuminate a giorno.
<< Lì il reparto uomo, di là quello donna >> continuò afferrando una manciata di vestiti da ogni rella e dirigendosi velocemente dentro ad uno degli spaziosissimi camerini.
Esattamente cinque minuti e quarantasei secondi dopo, mentre noi quattro faticavamo ancora ad orientarci fra i reparti “cool”, “young” e “oversize”, ce la vedemmo sfrecciare davanti con una busta in mano:
<< Bene ragazzi io ho fatto, ci vediamo a casa! >>
<< Come? Hai già fatto? Ma co...come diamine è possibile? >> chiese Ryoga assolutamente stupefatto.
<< Il tempo è denaro carino, devo vedermi con certi tipi per alcuni affari... Ci vediamo dopo! >> e sparì oltre le grandi porte scorrevoli.
<< Voi non sarete così veloci eh? >> chiese Ranma quasi in un sussurro, beccandosi una brutta occhiata da parte di Akane che, per tutta risposta, mi mise la mano sottobraccio e si avviò verso il reparto “abiti da sera” ringhiando un impercettibile -ma alquanto minaccioso- “seguiteci”.

Quella zona del negozio sembrava appartenere ad un altro mondo.
Passeggiando fra un manichino imbellettato e l'altro, mi tornarono in mente quei negozi americani dove tutte le liceali vanno a comprare i vestiti per i balli scolastici.
Stavo quasi per perdermi nei ricordi del mio ballo di fine anno, quando una gentilissima commessa con i capelli color mogano e gli occhi ridenti, vestita in un impeccabile tailleur nero, avvicinandocisi e probabilmente notando i miei tratti affatto orientali, ci chiese in inglese: << Come posso aiutarvi? >>
<< Salve >> rispose Akane con un leggero inchino << dovremmo andare ad una festa questa sera e cercavamo qualche abito elegante... >>
<< Ah, capisco ragazze, bene ve ne porto qualcuno. I camerini sono da quella parte >> e seguendo il dito indice della donna, ci ritrovammo in una specie di salottino corredato persino da un tappeto in stile moquette lunga beige e due mini divanetti lilla.
<< Ragazze voi potete entrare nel camerino, voi ragazzi potete accomodarvi qui >> disse la commessa, il cui nome era Namiko, dopo averci portato tantissimi abiti diversi mentre Ranma e Ryoga, seduti di fronte a noi, avevano l'aria di due persone che stanno per assistere ad una prima importante.
<< Ci mancano i pop corn >> ironizzò Ranma quando Namiko se ne fu andata ed io ed Akane eravamo già al di la della grande tenda in pelle color panna a provare il primo di quella che sarebbe stata una lunga serie di vestiti.
Quando entrambe trovammo il coraggio di uscire e farci ammirare dai ragazzi, rosse in viso come due peperoni, la loro reazione ci stupì moltissimo: niente battute acide su qualche imprecisato difetto corporeo, niente sguardi vaghi, solo quattro occhi, due blu e due verdi, completamente sgranati e due bocche aperte in un sorriso ebete ed al tempo stesso tenero.
Io ed Akane indossavamo lo stesso identico abito lungo fino alle caviglie, stretto in vita, senza le maniche e legato da un nastrino al collo come fosse una collana, il mio era color amaranto scuro mentre il suo verde acqua.
Ci guardammo soddisfatte della risposta, seppur muta, che avevamo avuto dai ragazzi e prendemmo dalla pila il secondo abito che la premurosa commessa aveva scelto per noi. A me ne toccò uno a righe trasversali bianche e nere, che lasciava le scapole leggermente scoperte ma copriva bene il décolleté fermando i due triangoli di stoffa appena sotto il seno con una fascia alta. Akane invece uscì con un abito che le arrivava di molto sotto ai piedi, color pesca decorato con piccoli fiorellini azzurri ed indaco, con le spalline larghe e leggermente svasato oltre i fianchi.
La reazione dei ragazzi fu la stessa, un velato consenso nascosto dietro ad un sorriso che, dopo il quarto abito della stessa fattura, divenne quasi di noia.
Uscendo con il quinto vestito, ebbi l'impressione che Akane cercasse qualcosa di più, qualcosa per fare colpo su i due ragazzi che in quel momento ci guardavano e non capivano perché stessimo provando una serie -per loro infinita- di abiti tutti uguali.
<< Allora ragazze come vanno questi? >>
<< Molto bene signora Namiko, solo che noi cercavamo qualcosa di un po' più... sofisticato... >> disse Akane accennando lievemente ai due ragazzi seduti a gambe divaricate di fronte a noi.
<< Oh certo, certo, capisco >> e sparì tornando poi, due minuti dopo, con un'altra carrellata di vestiti.
Il primo abito della nuova serie che mi ritrovai in mano, arrivava di molto sopra al ginocchio, era di un bellissimo chiffon nero e sul davanti si perdeva in un gioco di sensuali trasparenze, mentre sul retro era tenuto insieme da una sottile striscia di seta a metà schiena e nient'altro.
<< Akane... ehm... io non sono sicura di voler uscire così! >> sussurrai cercando di farmi sentire solo da lei che armeggiava ancora con il suo vestito nel camerino di fianco al mio.
<< Coraggio Jude, sono sicura che sei bellissima! >> mi incitò e scostammo la tenda, rivelandoci ai due ragazzi, nello stesso momento.
Akane indossava un abito bellissimo il cui corpetto, con scollo a cuore, era tempestato da piccoli strass dorati e le fasciava completamente il sottile busto, scendendo, all'altezza della vita, in una gonna di organza chiara più lunga dietro, come un piccolo strascico.
Mi resi conto, guardando lei e poi i due ragazzi, che la reazione che desiderava era senz'altro arrivata: al vederla lì, con le gambe tornite quasi del tutto scoperte ed il seno stretto nelle due coppe, la sudorazione di Ranma aumentò improvvisamente, mentre Ryoga, che per poco non era morto soffocato, sembrava quasi una pentola a pressione con il viso rosso e il fumo che pareva gli uscisse dalle orecchie.
<< Allora che ne dite? >> chiese la mia amica con aria innocente facendo un giro su se stessa.
Ryoga non rispose mentre Ranma biascicò a stento un: << Jude stai benissimo... Akane non... non è un po' troppo... ehm... corto? >>
La bella moretta rise soddisfatta, imputando l'ultima affermazione del ragazzo al troppo imbarazzo e rientrò nel camerino per provarsi il secondo abito.
Provammo una miriade di altri vestiti, di seta, corti, lunghi, che lasciavano la schiena nuda, trasparenti, velati, aderenti, uno addirittura di pelle e la reazione fu sempre la stessa: Ryoga non accennava minimamente a rispondere, tranne che per qualche leggero movimento della testa o delle mani ma i suoi occhi parlavano per lui, mentre Ranma, dopo un iniziale smarrimento, rispondeva sempre allo stesso modo: “Jude stai benissimo” “Jude ti sta molto bene” “Carino questo Jude” e “Akane è troppo scollato” “Akane è troppo corto” “Akane è troppo trasparente” “Akane dove credi di andare vestita così?”.
Dopo l'ultimo abito, un modello aderente in pizzo rosa cipria per lei ed un mono spalla grigio perla per me, notai la delusione sul suo bel viso.
<< Va tutto bene? >> le chiesi avvicinandomi.
<< Sì, sì certo Jude >> rispose con un sorriso un po' tirato.
<< Non ti vedo molto convinta, non ti piace nessun vestito fin'ora? >>
<< Beh... ce n'erano alcuni carini ma.... hai sentito Ranma no? >>
<< Sì... ehm... ho l'impressione che sia un po' geloso! >> le dissi in tutta sincerità.
Effettivamente, quel suo atteggiamento mi sembrava davvero dettato dalla gelosia, come se volesse proteggere il bel corpo di lei dagli sguardi altrui, quelli di Ryoga in primis e poi quelli di tutti gli invitati alla festa di quella sera.
<< Non ti ha detto nulla quando i vestiti erano accollati e lunghi o no? >>
<< No, erano informi ecco perché non ha detto nulla. Non è geloso, la verità è che non gli piace il mio corpo, non perde mai occasione per dirmi che ho i fianchi larghi e il seno piccolo e che non sono per niente carina... >> mi spiegò e per un momento le sue parole mi parvero vere. Ma non poteva essere così, io avevo visto il modo in cui la guardava ed ero certa, certissima, che né il suo viso né il suo corpo mozzafiato gli fossero indifferenti, come era, del resto, per tutti gli altri.
<< Facciamo un esperimento, prova uno dei vestiti che la signora Namiko ha dato a me ed io ne proverò uno dei tuoi, vediamo che dice >> proposi e così uscii dal camerino con uno degli abiti che Akane aveva provato in precedenza, un modello semplice ed aderente davanti, ma con degli incroci dietro che, in un gioco di vedo non vedo, lasciavano trasparire quasi tutta la schiena. Mentre lei indossò un abito blu scuro, senza spalline e che lasciava alla vista una striscia sottile di pelle -seppur velata dal tulle- che andava dalla spalla fino alla fine della lunghezza del vestito.
<< Come ci stanno? >> chiesi io speranzosa mentre Ryoga si limitava ad alzare il pollice sinistro, mentre -ancora una volta- abbassava il viso.
<< Bene Jude, è carino questo vestito! >> rispose prontamente Ranma guardandomi.
<< E a me? >> chiese Akane con un leggero sorriso facendosi avanti.
<< S...sei bellissima A-Akane! >> balbettò Ryoga imbarazzatissimo mentre si reggeva il bel viso paonazzo fra le mani.
<< Akane... ma sei matta? Vuoi venire davvero vestita così? >> disse Ranma strabuzzando gli occhi.
<< Cos'ha che non va? >>
<< Beh... Tanto per cominciare è... è troppo corto e poi è troppo aderente, e... e si vede tutto!! >>
<< Mi sta male? >>
<< Non ho detto questo! >>
<< E allora perché hai da ridire? Quando l'ha messo Jude ti piaceva!!! Un maschiaccio come me non può vestirsi così? >> disse Akane spazientita, alzando leggermente la voce e stringendo i pugni.
Ranma non rispose, piuttosto sembrava confuso, come se non avesse capito le accuse che gli erano state rivolte.
<< Akane ma che stai dicendo? >>
<< Sto dicendo Ranma, che nessuno dei vestiti che ho provato fino ad ora ti è piaciuto! Erano tutti troppo corti, o troppo scollati o semplicemente troppo belli per me!! Mentre a Jude hai sempre fatto i complimenti!! Perché? Vorrei solo sapere perché? >> urlò quasi lei con gli occhi lucidi.
Mi fermai a guardarla un momento: era rossa in viso, probabilmente un misto di rabbia, per la convinzione che lui non la trovasse tanto bella da essere degna di indossare quei vestiti, e di imbarazzo, per il fatto che era palese che cercasse la sua approvazione. Aveva i meravigliosi occhi castani offuscati da un velo di lacrime, forse per la troppa tensione, esplosa da un momento all'altro, o forse per il dolore, la tristezza che quei suoi pensieri assurdi le suscitavano.
E poi mi fermai a guardare lui, che la osservava con gli occhi blu spenti, pieni di tenerezza e comprensione, come a voler dire “non hai capito nulla”. Scosse la testa, disse semplicemente << Sei una stupida Akane >> e andò via trascinandosi dietro Ryoga che borbottava chissà cosa contro di lui.
I ragazzi sparirono velocemente al piano di sopra, con tutta probabilità per cercare qualcosa da indossare per loro, mentre Akane si lasciò cadere su uno dei pouf.
<< Tutto bene? >> le chiesi io un po' titubante
<< Sì... tranquilla Jude, fra me e Ranma è sempre così! >> sorrise con orgoglio lei prima di avviarsi verso la commessa e chiederle altri abiti da provare.
E mentre indossavo l'abito che poi avrei scelto, non potei fare a meno di chiedermi cosa ci fosse davvero fra quei due, perché una ragazza non se la prende così tanto se un suo amico non le fa un complimento, ed un ragazzo non è così tanto geloso (perché io fui subito sicura -ed il tempo mi diede poi ragione- che si trattasse di pura e semplice gelosia) dei vestiti che indossa una sua amica.


***


Tornate a casa trovammo Soun e Genma intenti a giocare una noiosissima partita a shogi, Nabiki sotto la doccia e Kasumi fuori per alcune commissioni.
<< Ciao papà, buonasera signor Genma, Ranma e Ryoga non sono ancora rientrati? >>
<< Ciao bambine mie >>
<< Salve ragazze >>
<< Buonasera signor Tendo, buonasera signor Saotome >>
<< Jude, come ho detto che devi chiamarmi? >>
<< Ehm... papà! >>
<< Ebbene? >>
<< Buonasera papà, buonasera signor Sao... ehm, Genma! >>
<< Come state bambine, avete fatto compere? >>
<< Papà, Ranma e Ryoga? >> accelerò Akane.
<< Oh già sì... Saotome non barare mentre non sto guardando, comunque Akane mi pare siano andati nel dojo ad allenarsi >>
<< Amico Tendo io non baro mai, sei tu che non ti ricordi dove metti le pedine! >>
<< Ma non dire idiozie! Tu sei più vecchio di me dopotutto, sei tu che non ricordi! >>
<< Abbiamo la stessa età!! >>
<< Ma tu sei calvo! >>
<< Bada a come parli Tendo se non vuoi affrontare la famigerata tecnica segreta della scuola Saotome!! >>
E il buffo litigio (di cui più della metà mi fu tradotto da Akane, perché i due signori avevano ricominciato a parlare in giapponese) che sembrava il disco rotto di una vecchia coppia sposata da anni, dato che ogni volta si ripeteva sempre molto similmente e che tutte le volte mi faceva ridere fino alle lacrime, andò avanti per un periodo di tempo indefinito, che non saprei dire, visto che io ed Akane ci avviammo in camera sua per prepararci e chiudemmo la porta, soffocando le loro voci profonde.

Per tre ore tutte le nostre energie furono tutte proiettate nel farci belle: la doccia, lo smalto (che fu nero per entrambe), la depilazione con la lametta (presumibilmente quella con cui Ranma usava farsi la barba), la crema, la maschera facciale (con la quale avremmo fatto impallidire anche Shrek e Fiona), la messa in piega (il caschetto moro di Akane sembrava tempestato di diamanti tale che era la sua lucentezza e la mia chioma bionda e liscia venne sapientemente ondulata dalla super-potente piastra di Nabiki) ed infine il make up (di queste tre ore, sicuramente più di una venne sprecata con i cento e più tentativi di fare una riga decente di eyeliner).
Alle 20.00 in punto eravamo pettinate e profumate in cima alle scale, pronte per la nostra discesa trionfale, quando incontrammo Nabiki.
Definirla mozzafiato sarebbe stato riduttivo: indossava un abito color glicine scuro, corto e aderente, con una scollatura vertiginosa sul décolleté e un'altra, altrettanto sfacciatamente provocante, sul retro, tanto che il vestito sembrava reggersi a stento. Le scarpe, rigorosamente open-toe e rigorosamente altissime, erano in tinta, con una piccola cavigliera dorata abbinata agli orecchini.
<< Wow Nabiki, stai benissimo! >>
<< Grazie Jude, anche tu! >> rispose lei facendomi l'occhiolino e scattandomi -segretamente- qualche fotografia << Anche tu sei bella sorellina, vogliamo andare? >>
<< Non aspettiamo i ragazzi? >> chiese Akane con finta noncuranza.
<< Guarda tesoro che sono andati via già da un pezzo! Anzi, volevo chiederti, cosa è successo oggi al negozio? Ranma è tornato piuttosto nervosetto... Se non mi credi dai un'occhiata al dojo! >>
<< No, non è successo niente e quello che fa Ranma non mi riguarda! Se quei due villani non ci hanno aspettate peggio per loro... Coraggio andiamo! >> rispose lei stizzita e Nabiki mi guardò alzando un sopracciglio: << Sarà... a me non la racconta giusta! >> mi sussurrò << Hanno litigato non è vero? >> ed io mi limitai ad annuire mentre varcavamo la soglia, uscendo da casa Tendo.

***

La villa della famiglia Kuno, dove si teneva la festa, era sempre a Nerima e non troppo lontana dalla casa di Akane e Nabiki anche se, con i tacchi che tutte e tre avevamo avuto la brillante idea di metterci, persino due metri ci sarebbero sembrati chilometri.
Tutta la strada per arrivare all'abitazione era costellata di rose nere, simbolo della festeggiata, fino al magnifico ingresso della maestosa casa.
Il portone era spalancato e all'interno camerieri in livrea indicavano il passaggio per entrare nell'enorme salone da cui proveniva musica a volume alto e luci da discoteca.
Non appena fummo dentro non mi fu difficile capire quale fosse la festeggiata: al centro della stanza, su quello che sembrava un trono argentato con ai piedi un tappeto di petali neri, stava seduta una graziosa ragazza con i capelli neri come l'ebano, lunghi e sistemati in una coda alta e laterale, gli occhi grigi e sottili e le piccole labbra a cuore tinte di rosso fuoco. Kodachi indossava una tiara tempestata da piccoli diamanti luminosi ed uno sconvolgente vestito nero di seta e pizzo, lungo e davvero molto sexy, degno del bellissimo corpo che aveva.
Improvvisamente, mentre la osservavo, mi sentii abbracciare da dietro e, senza nemmeno girarmi, seppi che Kuno aveva apprezzato il mio abbigliamento.
Avevo scelto un abito corto, bianco e con degli intarsi in pizzo nero che circondavano entrambi i lati dell'abito, chiudendosi in vita e riaprendosi per seguire poi la leggera svasatura a campana della gonna. Il tutto corredato da delle décolleté lucide nere e due piccoli brillantini ai lobi.
<< Oh creature meravigliose del cielo, della terra e di tutti e sette i mari >> farneticava Tatewaki mentre ci stringeva tutte nella morsa delle sue lunghe braccia << di quale immensa felicità sia ricolmo il mio cuore ora che vi vedo qui davanti a me, non saprei spiegarvelo a parole >>
Poi, improvvisamente, come se si fosse ricordato di qualcosa di urgente, ci lasciò andare e focalizzò la sua attenzione esclusivamente su di me:
<< Oh Judith, divina creatura, potrai mai perdonarmi per essere stato un così mediocre padrone di casa? >>
<< Ma di che parla? >> sibilai rivolta alle mie amiche mentre lui mi baciava entrambe le mani inginocchiandosi appena.
<< E che ne so >> fece spallucce Nabiki.
<< Non ti ho presentato la mia amata sorella! Perdonami bellissima Judith, rimedierò immediatamente al mio torto, accompagnandoti al suo cospetto! >> e con queste ultime parole mi trascinò per mano sotto al trono facendosi spazio fra la folla.
Non appena fummo arrivati, senza troppe difficoltà visto che ogni invitato si gettava persino per terra pur di far passare in padrone di casa, Kodachi scese dalla sua seduta con una grazia ed un'eleganza che si addicevano perfettamente ai suoi tratti delicati e si inchinò docilmente davanti a me. Se non fosse stato per quello che è accaduto esattamente un secondo dopo, l'avrei trovata una ragazza bellissima e a modo, niente a che fare con la pazza descritta dai miei amici.
Improvvisamente dalle sue graziose labbra uscì una risata degna di un film horror, un misto fra Maria Callas e un Babbo Natale diretto da Alfred Hitchcock, che mi fece sgranare gli occhi e anche rabbrividire leggermente.
Eh sì, ora le cose quadravano.
<< Ah-ah-ah-ah-ah tu devi essere Judith Montgomery non è vero? La ragazza americana che è ospite a casa del mio adorato Ranma! >>
A quelle parole ricordai che Akane mi aveva raccontato di quanto Kodachi fosse innamorata -e, nemmeno a dirlo, non corrisposta- di Ranma e mi scappò un sorriso: di sicuro era bella, ma assolutamente fuori di testa.
<< Sì, sono io, piacere di conoscerti e... Buon compleanno! >>
<< Oh grazie mia cara, hai già provato il punch? >>
<< Ecco io... no, non ancora... vado a prenderlo... >>
<< Oh no, no, cara Judith, non ce n'è bisogno! Sasukeeee!!! (e questo fu un altro grido da far accapponare la pelle) portaci immediatamente due bicchieri di punch, svelto!!! >>
<< Subito padroncina >> rispose prontamente il ninja che avevo conosciuto non molte sere fa nel dojo Tendo ed io non potei fare a meno di chiedermi da dove fosse sbucato.
Kodachi, tra un bicchiere di delizioso succo rosso e l'altro, mi tenne inchiodata di fianco a lei per una buona mezz'ora, raccontandomi di tutte le sue meravigliose imprese nella ginnastica ritmica marziale (sport che fra l'altro io non avevo mai sentito nominare) e della sua appassionante storia d'amore con Ranma, il quale era il suo fidanzato da quella famosa notte in cui lui l'aveva salvata sul tetto.
<< A proposito, il mio adorato Ranma dov'è? Come mai non è ancora venuto a farmi gli auguri? >> E fu in quel momento che mi accorsi che di Ranma non c'era traccia.
Mi guardai intorno e trovai tutti, i compagni di corso, gli amici stranieri, Yuka e Sayuri che si contendevano -tanto per cambiare- un ballo con Alexander, Hiroshi e Daisuke che correvano dietro a tutte le ragazze carine, Nabiki che contrattava con Kuno, tutti, meno che Ranma e Ryoga.
Con una scusa mi allontanai in fretta da Kodachi e dal suo dolcissimo profumo francese e mi misi seduta di fianco ad Akane, che se ne stava su una sedia bianca con l'aria triste.
<< Conosciuta Kodachi? >> mi disse non appena mi vide affianco a sé.
<< Sì... ehm... è simpatica! >>
<< Quando vuole sa esserlo! >>
<< Akane scusa ma Ranma e Ryoga non sono venuti? >> chiesi io interrompendo le nostre risate.
Lei mi guardò per un attimo negli occhi in silenzio, poi girò velocemente la testa dall'altra parte:
<< Non lo so e non mi interessa cosa fa quello stupido! Probabilmente non verrà! >> ma io notai una nota di delusione in quel tono forte e deciso.
<< Chi non viene? >> disse una voce alle nostre spalle e non ebbi nemmeno bisogno di girarmi per capire chi fosse.
Ranma e Ryoga erano dietro di noi, più belli che mai: Ryoga, che si era tolto la classica bandana gialla, indossava dei pantaloni neri dal taglio elegante con sopra una camicia e delle bretelle a vista sempre nere, aveva le maniche tirate leggermente su e profumava di muschio; mentre Ranma, in look total black, aveva un paio di jeans scuri e molto aderenti, una camicia nera così stretta che anche al semi buio metteva in risalto i suoi muscoli prominenti e con sopra un gilet intonato al resto del completo.
<< Allora, chi è che non viene? >> disse quest'ultimo appoggiandosi al retro della sedia di Akane e avvicinandosi al suo orecchio.
<< Vi siete degnati di arrivare >> rispose lei alzandosi in piedi di scatto << dovevamo venire tutti insieme! >>
<< Ti piace come sono vestito? >> cambiò argomento lui senza badare alla freddezza del tono di Akane.
<< Sì, stai bene >> ammise << Io nemmeno te lo chiedo come sto... >> sussurrò poi con una leggere amarezza nella voce.
Alla fine aveva optato per un completo molto particolare che aveva definito “adatto ad un maschiaccio”: una gonna nera di chiffon, non troppo lunga me nemmeno troppo corta, con delle pieghe alla scolaretta, una camicetta color panna abbinata sopra, leggermente trasparente e senza maniche, il tutto corredato da delle open-toe nere con il cinturino alla caviglia, un paio di orecchini pendenti bianco caldo, tanti braccialetti sottili e luminosi al braccio sinistro ed una spilla a forma di papillon nera ricoperta interamente da paillettes dello stesso colore appuntata sul collo.
Ranma la prese per mano e le fece fare un giro su sé stessa, per ammirarla meglio, poi se la portò di fianco e le sussurrò:
<< La camicia è un po' troppo trasparente, la gonna è corta.... >>
<< Ranma!!! Possibile che tu non... >>
<< Vuoi lasciarmi finire per una volta? Dicevo, la camicia è trasparente, la gonna è corta ed anche se io sono geloso marcio, sei... sei bellissima ecco! >> riuscì infine a concludere Ranma con un leggero rossore sulle guance ma il volto soddisfatto.
E nessuna delle mie parole potrebbe descrivere l'espressione di stupore, felicità ed imbarazzo che si dipinse in quel momento sul viso di Akane.
<< Allora... tu... tu eri geloso! >> finì poi col dire lei sorridendo nella mia direzione mentre io, contenta di aver -per una volta- compreso tutto fin dall'inizio, le feci un cenno di rimando.
<< Domani potrei negarlo, ma intanto... ti va di ballare? >> le chiese lui tentennando un po' e, con un sorriso a trentadue denti, lei afferrò la sua mano.

(NdA: Per favore, fate partire anche voi la canzone contemporaneamente alla lettura, fa un altro effetto!!)

“Doomed from the start
We met with a goodbye kiss
I broke my wrist.
It all kicked off, I had no choice
You said that you didn't mind
'cause love's hard to find.”


Le note di “Goodbye kiss” dei Kasabian fluirono lente e perfette nell'aria, mentre Ranma ed Akane avvicinavano i loro corpi gli uni agli altri.

“La-la-la-la
Maybe the days we had are gone
Living in silence for too long
Open your eyes and what do you see?
No more laughts, no more photographs.


Istintivamente, come se fosse una conseguenza naturale, Ryoga si portò una delle mie mani sulla spalla, sorridendomi come per chiedere il mio consenso, e quando io strinsi l'altra alla sua cominciò a muovere dei piccoli passi al ritmo melodioso della canzone, mentre altre coppie si univano al dolce suono di quel lento.

“Turning slowly, looking back,
See no words can save this
You're broken and i'm pissed
Run along like i'm suppose to
Be the man I ought to
Rock and roll sent us insane
I hope someday that we will met again.”


Come se il gesto di quei due ragazzi, sempre lontani ma, a quanto pareva, legati da un filo saldissimo, avesse dato coraggio all'intera sala (non senza qualche lamento proveniente da circa duecento fanciulle che -probabilmente- volevano ballare con Ranma) i ragazzi si avvicinarono alle ragazze, posando le mani sui loro fianchi, mentre loro incastravano le teste nei loro petti.

“Running wild
Giving it everyone
Now that's all done
Cause we burnt out, that's what you do
When you have everyrhing
It can be true.”

Nabiki si fece portare da Kuno, danzando per tutta la sala, ridendo e abbassando, per un momento, le difese da regina di ghiaccio.
Hiroshi si fece coraggio e posò un piccolo bacio sulla guancia di Yuka mentre lei cantava la strofa della bellissima canzone.
Daisuke, cercando di non pestarle troppo i piedi, ballò con Sayuri sorridendole mentre lei arrossiva.
Kodachi incastrò Alexander e ad ogni giro che lui le faceva fare, lei gli sbuffava addosso centinaia e centinaia di petali neri e profumati, creando un gioco di luci e ombre in tutta la sala mentre Sasuke ballava da solo in mezzo alle altre coppie ridenti e spensierate.

“La-la-la-la
Maybe the days we had are gone
Living in silence for too long
Open your eyes and what do you see?
The last stand, let go of my hand.”

Ci furono altri balli, altre canzoni armoniose e romantiche, le coppie cambiarono...
Io mi ritrovai stretta a Kuno, che sapeva ballare meravigliosamente e mi condusse alla perfezione, e fra le braccia di Alexander che erano veramente grandi e forti come sostenevano le mie amiche. Nabiki invece ballò con Ryoga, fra una presa in giro e l'altra, e poi con un suo affascinante compagno di corso mentre Kodachi dirigeva le danze muovendo gli indici dall'alto del suo trono argentato.
Tutta la sala girava al ritmo calzante di motivi lenti o veloci, frenetici o pacati, moderni o più datati, mentre le luci azzurre saettavano in ogni angolo.

“Turning slowly, looking back,
See no words can save this
You're broken and i'm pissed
Run along like i'm suppose to
Be the man I ought to
Rock and roll sent us insane
I hope someday that we will met again

You go your way
And I'll go my way
No words can save us,
This lifestyle made us
Run along like i'm supposed to
Be the man I ought to
Rock and roll sent us insane
I hope someday that we will met again.”

Ma Ranma e Akane, loro no.
Loro non si accorsero di nulla, del mondo e di tutti noi che cambiavamo intorno a loro.
Loro rimasero uniti, occhi negli occhi, a ballare, sempre insieme, come se quella prima canzone non fosse finita mai.

***

Ta daaaaa! Buona sera!!!
Ed eccomi qui con un altro capitolo!
Innanzitutto, vorrei ringraziare tantissimo il mio personal stylist di fiducia, fate tutti un applauso al nostro Pierre (alias Pia) perché tutti i meravigliosi outfit che leggete nel capitolo sono opera sua. Grazie mon amour, a buon rendere.
Altra cosa, la canzone che ho scelto, “Goodbye kiss” dei Kasabian, so bene che è molto triste ma adoro il suo ritmo e ho immaginato il tutto come le scene di un film, con questo particolare brano in sottofondo, quindi per favore non badate alle parole ma solo alla melodia.
Ebbene, eccoci giunti a Kodachi. Spero che la festa sia stata di vostro gradimento... Non ve l'aspettavate questo colpo di scena eh? Ma non credete, quei due sono parecchio testardi, non è cambiato poi molto!
Sapete dirmi a chi toccherà ora?
Come sempre, ringrazio tutti di cuore: chi legge, chi segue, chi preferisce, chi ricorda e soprattutto chi mi lascia sempre una recensione, fa un piacere immenso!
Vi saluto e vi do appuntamento al prossimo capitolo, a presto
ostra Aronoele (:

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Capitolo 6
*** Qui gatta ci cova ***


<< Domani potrei negarlo, ma intanto... ti va di ballare? >> Le chiese lui tentennando un po' e, con un sorriso a trentadue denti, lei afferrò la sua mano, Ranma se la portò dietro il collo invitandola ad abbracciarlo, ed Akane lo fece.
Posò entrambe le piccole e candide mani sul possente collo di lui, esattamente dietro il codino, fra la pelle morbida e la camicia nera, mentre il ragazzo le cingeva dolcemente i fianchi, con gli arti grandi e forti posati sullo chiffon leggero e sottile del suo vestito, creando uno strano contrasto, e senza mai staccare gli occhi da lei.
Così, più vicini che mai, con i respiri mischiati gli uni agli altri, le mani congiunte ai corpi dell'altro e le orecchie chiuse ai rumori del resto del mondo, i due ragazzi si guardarono e si parlarono, senza mai dire una parola.

***

Dal canto suo, anche quello che aveva l'aria di essere un compagno di scorribande ed amico fidato -per entrambi si intende- fu investito dal gesto dei due ragazzi e dal trasporto con il quale era stato compiuto.
Così, senza pensarci due volte, si avvicinò alla ragazza bionda che, poco distante da lui, guardava la scena con un sorriso tenero e, da dietro, le prese dolcemente la mano, facendola voltare.
La mia reazione fu di estrema sorpresa e non poco imbarazzo, quando sentii la mano calda e gentile di Ryoga stringere la mia.
Probabilmente non aveva il coraggio di invitarmi ufficialmente, data la sua estrema timidezza, ma posò ugualmente la mia mano sulla sua spalla, avvolta in quella camicia bianca, profumata ed aderente, e prese anche l'altra, aspettando il mio consenso alla sua muta quanto tenera richiesta.
Lo guardai un momento negli occhi e riconobbi una scintilla, quella di un uomo, galante e romantico, che guarda una felicità riflessa in due figure -a lui molto note- che ballano lontane, e che desidera lo stesso per sé.
Senza indugiare ancora, strinsi forte la sua mano e lui sorrise ancora di più.
Nessuno dei due era un grande ballerino, ci limitavano a reggerci l'uno all'altra e a muoverci lentamente e con grazia fra le altre coppie.
Vagando con la mano sulla sua larghissima spalla incappai in una delle bretelle nere che conferivano al suo look un non so cosa di sexy e decisi che era tempo di smetterla di tenere la testa di lato e che dovevo parlargli. L'avevo fatto con Ranma in fondo, ci sarei riuscita anche con lui, non mordeva mica.
<< Carine le bretelle >> dissi quindi avvicinandomi un poco per farmi sentire.
Lui si girò di scatto: << Grazie.... le ho trovate un po' per caso, non sono uno che frequenta molte feste e non sapevo proprio cosa si deve indossare in certe occasioni... Così ho comprato un giornale di moda e ho visto che erano... sì, sai... di tendenza... Che ne so, non le so fare queste cose! >>
<< Sono belle... ti stanno bene... ottima scelta >>
<< Grazie >> rispose lui sereno e tornò a guardare alla sua destra, in direzione di Ranma e Akane.
<< Ti piace molto eh? >>
<< No... O meglio sì, mi piaceva molto, ma era un'idea sbagliata dell'amore la mia... >>
<< Cioè? >> chiesi incuriosita mentre lui mi faceva girare ancora attaccata al suo corpo muscoloso.
<< Akane mi piaceva perché era gentile con me e non è una cosa a cui sono abituato, ma non era amore. Amore è altro... >> sussurrò lui, rivolto forse a me, forse a sé stesso o forse a loro, che ballavano infischiandosene di tutto.
<< Ora è tempo di andare avanti >> concluse poi, tornando a guardarmi.

***


<< Per accontentare ciascuna di voi, mie adorabili signore, ballerò con ognuna e l'ordine di scelta sarà del tutto casuale! Non accapigliatevi, non ce n'è bisogno, Tatewaki Kuno, detto il tuono blu, basta per tutte... >>
<< Kuno dacci un taglio per amor del cielo! >>
<< Nabiki Tendo... E sia! Sarai tu la mia prima dama! >>
<< Ma che fai? Chi ti vuole? >> esplose lei mentre lui la abbracciava, avvicinandola molto al suo corpo alto e statuario.
<< Nabiki Tendo non ti opporre alla forza del destino che ci ha voluti insieme... lascia che le tue soavi membra.... Oh insomma, smettila e balla con me! >> disse alla fine, lasciando stupita Nabiki che ora senza più esitare, aveva unito le mani a quelle di lui.
<< Allora a volte sei normale... >>
<< Certo >> e le fece fare una giravolta.
<< E perché allora ti comporti sempre da idiota? >>
Lui si limitò a sbuffare e a farle fare una specie di casquette, avvicinandosi pericolosamente al suo collo per tenerla più saldamente.
<< Non mi piace essere portata né nel ballo né nella vita, preferisco portare.... >>
Kuno le diede un leggero strattone sorridendo sicuro di sé: << Ma non riesci a stare zitta per un secondo? >> e Nabiki si fece portare, danzando per tutta la sala, ridendo e abbassando, per un momento, le difese da regina di ghiaccio.

***

Kodachi nel frattempo guardava la scena dall'alto del trono che si era fatta erigere per festeggiare con stile, il suo particolare stile, il suo diciannovesimo compleanno.
<< Non è giusto!! Perché il mio adorato Ranma balla con quell'insulsa di Akane Tendo? >> gridò lei così forte che risuonò quasi più forte delle parole della canzone.
<< Mi dispiace padroncina >> osservò Sasuke raggomitolato ai piedi della sua sedia argenata.
<< Cosa posso fare per lei? >>
<< Voglio ballare >>
<< Ehm... signorina Kodachi... io sono onorato... sì... ma ecco... io non so se sono capace.... >>
<< Ma che hai capito stupido? Mica con te! Trovami il cavaliere più bello di tutti, così vedrà quell'Akane... >> disse la festeggiata con un tono a metà fra il pretenzioso e il temibile.
Sasuke si guardò intorno, visibilmente spaventato dall'assurda pretesa della sua padrona: trovare un cavaliere più bello di Ranma, quando si sapeva che lei, come quasi la metà della sala, era innamorata persa del ragazzo con il codino.
Cominciò a muoversi, con la sua abilità da ninja che gli conferiva il potere di rimanere invisibile ai più data l'estrema velocità dei suoi movimenti, finché non si imbatté in due spalle larghe, due occhi ambrati e dei capelli ricci e neri.
<< Signor Alexander... ecco la mia padroncina, la signorina Kodachi Kuno, la festeggiata... gradirebbe ballare con lei... >> disse il piccolo ninja tutto d'un fiato, contento di aver trovato un degno sostituto del giovane Saotome, ma intimorito dalla stazza del suo interlocutore.
Alexander, ragazzo taciturno e probabilmente non portato per la mondanità, si alzò prontamente e rispondendo con un “con piacere” andò spedito e sicuro verso Kodachi la quale, al sol vederlo arrossì vistosamente.
<< Vuoi ballare? >> le disse lui con fare seducente e lei quasi si sciolse al contatto con le sue mani.
Kodachi sembrava così minuta persa in quelle braccia e ad ogni giro che lui le faceva fare, lei gli sbuffava addosso centinaia e centinaia di petali neri e profumati, creando un gioco di luci e ombre in tutta la sala, nel quale si nascosero ai suoi occhi grigi anche le due figure che ballavano lontane.

***


<< Ma se quel bell'imbusto sta ballando con Kodachi cosa ti costa ballare con me?? Solo questa canzone!! >> Hiroshi aveva guardato il suo amico, che troppe volte aveva preso in giro, prendere il coraggio a quattro mani e ballare con Akane, infischiandosene per una volta di quello che avrebbe detto la gente, e così anche lui aveva fatto un bel respiro ed era andato da Yuka, armato delle migliori intenzioni.
Ma lei quel ragazzo con i capelli chiari e ricci e gli occhi dolci, non lo vedeva neanche, in confronto alla montagna americana.
<< No, no e no, ti ho detto che non ci ballo con te, sto aspettando Alexander!!! >>
<< Solo questa canzone, così magari lo fai ingelosire... E poi guarda, anche Sayuri balla! >>
Dall'altra parte della sala infatti, anche se con gli occhi puntati verso Alexander, i bei capelli ondulati della ragazza, sciolti per una volta dalla solita coda, si muovevano al ritmo dei passi di Daisuke che, cercando di non pestarle troppo i piedi, ballò con Sayuri mentre lei arrossiva.
<< D'accordo, solo questa canzone >> disse allora Yuka guardando da una parte Akane, che danzava con il suo Ranma incantata e dall'altra Sayuri, la sua amica storica, che finalmente era riuscita a ballare con il bel ragazzo castano e dai lineamenti seri che le era sempre piaciuto tanto.
Hiroshi le sorrise di pura gioia, sfiorandole delicatamente il vestito verde smeraldo e, mentre ballavano al ritmo lento della melodia, posò un piccolo bacio sulla guancia della ragazza mentre lei cantava la strofa della bellissima canzone, sperando che così -finalmente- capisse.

***

Goodbye kiss” finì e le coppie si separarono.
Mentre “Always” di Bon Jovi prendeva il suo posto, due occhi castani e due blu continuavano a guardarsi mentre i nasi quasi si toccavano e le mani, sempre immobili al loro posto, stringevano un po' di più.

***

<< È stato un piacere Jude >> mi sussurrò Ryoga all'orecchio cedendomi a Kuno, con il quale ci eravamo scontrati due secondi prima e che mi aveva chiesto di “concedergli questo ballo”.
<< Anche per me, Ryoga >> risposi io imbarazzata mentre il mio nuovo cavaliere mi stringeva a sé.
Kuno era un ottimo ballerino, come sua sorella d'altronde, e mi condusse alla perfezione sulle note di quella meravigliosa ed intensa canzone, tenendomi saldamente.
Io però, mentre guardavo i suoi occhi scuri ed i capelli morbidi così vicini a me e aspiravo a pieni polmoni il profumo intenso del suo dopobarba, non sapevo cosa dire, abituata ormai ad ascoltare le sue poesie senza battere ciglio.
Tatewaki era un ragazzo bellissimo e quando era serio, e ti guardava con gli occhi carichi d'ardore e parlava con la sua voce profonda, era capace di far cadere ai propri piedi qualunque ragazza. Eppure si ostinava ad avere quei modi boriosi -ma tutto sommato simpatici- che avevo capito essere tipici della sua famiglia.
Mentre la splendida voce di Bon Jovi cantava quelle parole d'amore, Kuno rimase in silenzio a fissare un caschetto, ma stavolta non nero e lucido, bensì dello stesso colore della legna bagnata.

***


Poco distante da noi, che ballavamo in silenzio sorridendoci ogni tanto e probabilmente trovandoci più in sintonia di quello che pensavamo, una coppia che si conosceva da molto più tempo ballava ridendo, mentre Nabiki lanciava le solite frecciatine:
<< Allora, passata l'infatuazione per la mia sorellina? >>
<< Sì, simpaticona >>
<< Me ne sono accorta.... Dalla mora alla bionda? >> insinuò lei con fare cospiratore.
<< Nabiki ma che... che dici? Sei impazzita? Stavamo solo ballando! Io non, noi non, ma che..? >> cominciò a balbettare Ryoga con il viso paonazzo.
<< Calma P-chan non andare in iperventilazione!!! Mi sembrava che ci fosse un certo interesse tutto qui! >>
<< No, no, no ti sbagli! >> affermò lui agitandosi più del dovuto.
<< Sarà... e la brunetta dove l'hai lasciata? >>
<< È andata a trovare sua nonna al mare >>
<< Allora hai capito a chi mi riferivo, furbone! >>
Ryoga, fingendo un passo di danza, la allontanò e poi la riavvicinò a sé velocemente:
<< La mia vita sentimentale è così interessante? >> le sibilò all'orecchio mentre lei rideva realmente divertita dall'improvviso fuoco che si era impossessato del suo cavaliere.
<< Perché non parliamo un po' della tua... Miss Kuno? >>
<< In effetti sarebbe perfetto per me >> rispose lei seria << È ricco!!! >>
Ed entrambi continuarono il loro strampalato ballo ridendo divertiti.

***

Intanto non molto lontano Kodachi stava dando il meglio di sé.
Alexander, dopo aver ballato con lei, si era gentilmente congedato, impegnato com'era a tenere a bada Yuka e Sayuri, mentre Sasuke, dopo essersi nuovamente offerto come cavaliere ed essere stato
-ovviamente- rifiutato, si era messo a ballare da solo fra la folla, infischiandosi, per un momento, della sua “padroncina”.
La bella mora si era ritrovata così da sola al centro della pista e, gettando occhiate infuocate a tutte le coppie -ma soprattutto a quella formata dal “suo adorato Ranma” e da “quell'odiosa di Akane Tendo”, che danzava ancora insieme tenera ed armoniosa- prese a lanciare boccette di vetro dal contenuto nero.
In quel preciso istante, stringendomi di più a Kuno che con maestria evitò una delle piccole bottigliette di sua sorella, capii perché i miei amici le davano della “pazza pozionista”.
Il liquido contenuto nelle boccette, nero e profumato di fiori, era una specie di filtro d'amore, una di quelle cose che si vedono nei film per bambini o nei cartoni animati. Chi ne veniva colpito, e respirava la nuvola densa e scura che scaturiva dal contatto con l'aria, cambiava completamente espressione, sembrava un misto fra un ubriaco e una bambola, se ne andava in giro barcollando e ripetendo “Kodachi mia signora io ti amo”.
Furono colpiti un paio di ragazzi, che caddero a terra addormentati dopo pochi secondi e anche Yuka e Sayuri, che invece si misero a cantare una canzoncina da ragazze pon-pon in riferimento alla folle festeggiata.
Kodachi, sempre più inviperita, cominciò a scagliarne a dozzine, puntando sempre più a colpire Ranma, ma a volte, chiamatelo destino o karma, agisce per noi, e il caso volle che fu proprio lei ad essere colpita da una delle sue bizzarre -e alquanto incredibili- pozioni, rispedita indietro da chissà chi.


***


Anche questa canzone finì e le coppie che erano sopravvissute all' “attacco” di Kodachi si separarono sorridendosi.
Tutte, tranne una.
Mentre Elton John intonava le prima note di “Your song”, Ranma ed Akane non si accorsero di nulla, del mondo e di tutti noi che cambiavamo intorno a loro. Loro rimasero uniti, con la fronte appoggiata l'una su quella dell'altro, occhi negli occhi, a ballare, sempre insieme, come se quella prima canzone non fosse finita mai.


***


<< Balliamo? >> mi disse all'improvviso una voce calda e, quando alzai la testa dalla sua camicia di lino bianca, vidi il volto di Alexander sorridermi.
<< Certo >> risposi e lui mi prese fra le sue braccia, che erano veramente grandi e forti come sostenevano le mie amiche.
Alexander ed io eravamo gli unici due che avevano avuto la fortuna di provenire dallo stesso Paese, con il tempo, data l'amicizia che legava Hiroshi a Ranma, eravamo anche diventati amici, ma mentre ballavamo stretti l'uno all'altra mi resi conto che non avevamo mai parlato da soli.
Così, sulle note di quella canzone dolce, cominciammo a raccontarci della nostra America, lui di Boston, io di New York, dei posti delle vacanze e dei luna park, del nostro dolce preferito e di quanto entrambi odiamo i fast food, di tutto ciò che era così diverso -e tremendamente intrigante- nel Paese che ci ospitava e di quanta nostalgia avessimo del nostro, di Paese.
Così, in questa festa che a me pareva più uno di quei balli ottocenteschi a casa del principe, ritrovai un pezzetto di casa.
Un pezzetto di casa che profumava di salsedine e che non appena vide che mi stavo rattristando, pensando agli amici lontani, raccontò una barzelletta e mi fece girare, girare, girare, finché non vide che mi aggrappavo a lui con il volto sorridente.

***



Nel frattempo, da qualche parte, Ryoga se ne stava seduto a guardare, un po' tutti e un po' nessuno, mentre Nabiki, prima al suo fianco, venne richiesta da un affascinante compagno di corso, che la fece volteggiare e ballare mentre le sussurrava all'orecchio le strofe della canzone.
Il tutto accadde sotto gli occhi inebriati di Kodachi che dirigeva le danze muovendo gli indici dall'alto del suo trono, non essendosi ancora ripresa dagli effetti del suo stesso filtro, e che urlava parole sconnesse d'amore, a volte a Ranma ed altre a sé stessa.
Nello stesso esatto momento Hiroshi e Daisuke si erano buttati su un divano, stremati dal cercare di aiutare le loro due amiche, cadute preda della festeggiata.
Ed anche Sasuke, seppur dall'altra parte della stanza, correva avanti e indietro cercando di far rinsavire più gente possibile, avendo ormai perso le speranze con la sua padrona la quale, in realtà, era decisamente più innocua da stordita che da cosciente.

***

Non so con esattezza quante ore passarono mentre tutti ballavano e bevevano lo squisito punch, ma le canzoni scorrevano veloci e sempre più movimentate, mentre le risate aumentavano ed alcuni se ne andavano.
Ranma ed Akane si separarono, arrossendo a dismisura quando si accorsero che tutti li guardavano, ma scossero la testa e decisero di non pensarci. Forse era colpa delle luci azzurre e sfocate, forse dell'atmosfera idilliaca che donavano i piccoli coriandoli argentati che proprio in quel momento stavano cadendo leggeri e luminosi, o forse della successione di canzoni romantiche, ma ognuno aveva fatto qualcosa di avventato, di coraggioso, o semplicemente qualcosa che aveva desiderato fare da sempre. Così mi parve di leggere sui volti dei presenti un tacito accordo: quella sera, mentre ballavamo in cerchio “Marry you” di Bruno Mars e cantavamo a squarciagola, tutto sarebbe stato possibile, domani poi, nessuno ne avrebbe parlato.

***


Sfinita mi lasciai cadere sul divano, mentre la musica scemava e il vociare dei ragazzi ubriachi si faceva sempre più forte.
<< Stanca? >> chiese una voce conosciuta che proveniva dal mio fianco.
Con la testa reclinata ed ancora appoggiata al morbido schienale di pelle bianca e gli occhi chiusi, feci semplicemente segno di “sì” con la testa mentre Ranma si sedeva vicino a me allargando le braccia.
<< Ti sei divertita? Ho visto che hai ballato con il fior fiore dei ragazzi presenti... Se escludi il sottoscritto ovviamente >>
A quella battuta mi voltai leggermente e gli sorrisi << Ovviamente >> ripetei per prenderlo in giro << Sì, mi sono divertita... e tu? >>
<< Anche io sono stato bene >> e i miei occhi neri si intesero perfettamente con i suoi blu per un momento, prima che tutti gli altri arrivassero e ci impedissero di portare a termine in discorso.
<< Allora, è quasi l'alba, ce ne andiamo? >> chiese Nabiki, l'unica che -per miracolo o abitudine- riusciva ancora a sopportare quei tremendi tacchi a spillo.
<< Anche io sono un po' stanca >> confermò Akane.
<< Come volete >> disse Ryoga ma, mentre stavamo per alzarci ed andare a salutare la padrona di casa (che nel frattempo si era ripresa e scartava come una furia tutti i regali, depositati come omaggi sotto alla sua seduta), qualcosa ci bloccò.
Uno dei camerieri in livrea, che aveva il compito di accompagnare all'interno gli ospiti, fece entrare una giovane ragazza dall'aspetto mozzafiato.
Aveva dei lunghissimi capelli color lavanda, lisci e setosi, due occhi a mandorla, avrei detto quasi color borgogna, e le labbra, piccole ma piene, tinte di rosa pastello.
Si diresse verso il centro della sala muovendo le piccole gambe affusolate sensualmente, mentre le faceva scivolare nella seta del vestito color corallo che le aderiva così bene.
Disse qualcosa in giapponese, anche se in un modo che lì per lì mi parve strano, e notai che la sua voce era carezzevole e leggermente acuta, somigliante al miagolio di un gatto.
<< In effetti mi mancava all'appello >> disse Nabiki con il tono ironico.
<< A me non mancava per niente invece >> fu invece il commento lapidario di Akane.
<< Cosa ci fai tu qui? >> urlò Kodachi alla bella straniera al centro della sala.
<< Perché parli in inglese? >>
<< Perché ho ospiti internazionali io, non sono mica una vagabonda come te!! >>
A quelle parole la minuta ragazza spiccò un salto potentissimo e, se non l'avesse fermata Kuno con la sua mole, sarebbe di sicuro finita addosso a Kodachi.
<< Calmiamoci ragazze su! >> disse il ragazzo tenendola saldamente dalle braccia << Sorella mia, credevo fossi una padrona di casa più accomodante >>
<< Taci Tatewaki! Ho detto che ci fai qui Shan-pu? >>
E così Shan-pu era il suo nome.
<< Credo che il mio invito si sia perso per strada... >>
<< Veramente nessuno ti ha invitata, gatta morta! >>
<< Ha parlato la rosa nera appassita! >> e Kuno fu costretto a sedare ancora le ragazze, questa volta bloccando un colpo della sorella che, non seppi mai da dove, aveva tirato fuori un nastro da ginnastica ritmica rosa e lo stava per usare come arma contro la nuova arrivata.
<< Non mi hai invitata perché volevi Ranma tutta per te, eh, strega? >> disse Shan-pu e senza nemmeno aspettare la replica di Kodachi, si diresse ancheggiando vanitosamente, verso di noi.
Alle ultime parole della ragazza però io guardai stupita Nabiki, in piedi davanti a me, chiedendole conferma.
<< Oh sì Jude... Il nostro Ranma è un tipo molto richiesto in caso non te ne fossi accorta! >> mi disse lei per rispondere alla mia domanda muta.
<< Oh sì, l'ho notato... Lei è? >>
<< Shan-pu, un'altra delle abbonate al fan club “tutte pazze per Ranma Saotome” >>
<< Che ci posso fare se sono irresistibile? >> dichiarò il diretto interessato fra il serio e il faceto.
<< Ma per favore >> sibilò Akane fra i denti. Da quando Shan-pu era entrata nella stanza aveva vistosamente cambiato umore.
<< Ma non ce ne stavamo andando? >> disse poi più ad alta voce ma fu interrotta dall'arrivo della ragazza che, senza degnare nemmeno di uno sguardo noi altri, si mise seduta sulle gambe di Ranma con fare seducente e cominciò a strusciare il suo bel visino contro quello di lui.
Prima ancora che Akane, visibilmente urtata da quel comportamento, potesse dire qualcosa, Kodachi arrivò come una furia e staccò in malo modo Shan-pu da un Ranma immobile come una statua.
<< Vuoi combattere anche il giorno del tuo compleanno? >>
<< Fatti sotto cinese dei miei stivali! >>
<< Ragazze per favore calmatevi! >> disse Kuno arrivando, ancora una volta, a dividerle << Non sta bene comportarsi così davanti a degli ospiti >> ed indicò me e Alexander, gli unici due non evidentemente abituati a quel tipo di scene rocambolesche.
<< E va bene, e va bene, ma lasciami! >> disse la cinesina << Buonasera a tutti, ragazza violenta, Nabiki, inutile suino, ragazza bionda e Ranma, mio ailen! >>
<< Sempre gentile eh >> ringhiò Ryoga fra i denti.
<< E anche agli altri >> concluse Shan-pu con un inchino.
Io rimasi non poco stupita da quanto poco gentili fossero i suoi modi, soprattutto se paragonati a quelli delle altre persone che avevo conosciuto durante il mio soggiorno in Giappone. Persino Kodachi, sebbene evidentemente leggermente fuori di senno, era stata gentile e cordiale con me, tutto il contrario di Shan-pu che invece mi lanciava occhiate furtive ma terribilmente maligne.
Nel frattempo la festa intorno a noi proseguiva mentre fuori le prima luci dell'alba schiarivano appena il cielo notturno.
Alcuni ragazzi e ragazze, quelli che avevano bevuto di più, si buttarono ancora vestiti nell'enorme piscina che era in giardino, ridendo e schizzandosi mentre altri abbandonarono la festa assonnati.
<< Bene, credo che sia ora di andare anche per noi... >> tentò Ranma, quasi risoluto, mentre si alzava.
<< Ma no, mio adorato, aspetta >> gridò Kodachi con il suo tono profondo e allo stesso tempo alto mentre si avvinghiava a lui << rimani ancora un po' con me... >>
<< Hey stupida oca >> disse Shan-pu afferrando l'altro braccio di Ranma << Lascia stare il mio amore! >>
Di tutta risposta Nabiki si picchiò la fronte con il palmo della mano e Akane concluse la scenetta con uno “sgrunt”.
<< Ranma è il mio fidanzato e oggi starà con me perché è il mio compleanno >>
<< Ma fammi il piacere, Ranma è il mio fidanzato... è vero tesoruccio?? >>
<< Ma veramente io... ecco... io... >> balbettò lui.
Era strano osservare come quel ragazzo, assai forte e coraggioso in quasi tutte le circostanze, risultasse un perfetto idiota ogni qual volta gli si avvicinava una ragazza. Solo con Akane, che adesso lo stava guardando con rimprovero, riusciva -a volte, non sempre- ad essere sé stesso.
<< Ailen, facciamo qualcosa dai! >> fece le fusa Shan-pu avvicinandosi alle labbra del ragazzo.
<< No, il mio adorato Ranma farà qualcosa con me! >>
<< Ranma non farà un bel niente con nessuna... >> disse all'improvviso Akane rossa in volto.
<< Perché invece non facciamo qualcosa tutti insieme? >> concluse invece Nabiki, lasciando tutti di stucco.
<< Cosa vorresti fare? >> le chiese Kuno
<< Io avrei un'idea... >>
<< Mh? >> fece Ranma voltandosi verso la sua sinistra, dove, ancora avvinghiata fortemente a lui, c'era Shan-pu << Cosa hai in mente? >>
<< Facciamo un gioco... >>
<< Che gioco? >>
<< Non lo so... uno in cui bisogna stare vicini... >> disse lei sfiorando con le lunghissime unghie laccate il ventre del ragazzo.
Mentre tutti si spremevano le meningi, cercando qualcosa da fare, io mi presi un po' di tempo per osservare con maggiore attenzione la nuova arrivata.
Indubbiamente era bella, una bellezza particolarmente orientale, con gli occhi sottili ma in cui brillava una luce acuta e penetrante, con le folte ciglia lunghe, il viso a forma di cuore ed il corpo proporzionato.
Ma ciò che mi colpì di più in lei fu il modo che aveva di atteggiarsi.
Sapeva muoversi sinuosamente, strusciando in mezzo alle persone come una gatta che fa le fusa, la sua voce sembrava sempre una melodia carezzevole e il suo sguardo era languido e sensuale come ogni suo gesto.
Anche Shan-pu, come quasi tutte le ragazze che avevo conosciuto, aveva un certo interesse per Ranma, ma lei più delle altre aveva un modo davvero sfacciato di dimostrarglielo. Camminava davanti a lui ancheggiando felinamente, spostava i suoi lungi capelli lisci lasciando una scia del suo buon profumo, apriva e socchiudeva le labbra viziosamente, lo guardava spudoratamente, lo toccava in maniera provocante e disinibita, si scopriva e si mostrava continuamente, gli dimostrava sempre le sue costanti attenzioni. E non perché le mancassero la riservatezza e il pudore, quelle mancavano anche a Kodachi, ma c'era un motivo più profondo, qualcosa che le imponeva di essere “di più”.
Quel “di più” che lei pensava che gli uomini volessero.
Ma probabilmente non capiva che non è sempre così, che ci sono uomini che preferiscono una donna semplice e magari anche un po' maschiaccio ad una con il sex appeal alle stelle, o che ce ne sono altri che preferiscono un dolce dal profumo ottimo e dall'aspetto soffice ad una carezza graffiante o altri ancora, che vedono di più in uno sguardo intelligente piuttosto che in delle lunghe ciglia che sbattono ritmicamente.

<< Twister? >> disse una voce facendomi perdere il filo dei pensieri
<< Sì... perché non proponete un altro gioco degli anni '80? >> rispose Shan-pu sarcastica.
<< Obbligo o verità? >> propose qualcun altro.
<< Mi rifiuto! >> fu la risposta che Ranma e Ryoga diedero in coro.
Seguirono degli attimi di silenzio, in cui tutti pensavano ma nessuno proponeva, finché gli occhi castani di Nabiki non si accesero: << Ho trovato! Sayuri prestami il tuo foulard per favore! >>
<< A cosa ti serve? >>
<< Adesso vedrete >> e, facendosi scivolare sapientemente la striscia di raso nero fra le mani, cominciò a spiegare: << A turno uno di voi verrà bendato e dovrà riconoscere gli altri solo toccandoli, i ragazzi dovranno riconoscere le ragazze e viceversa, mentre io sarò il giudice. Che ne dite, ci state? >>
<< Sarà divertente >> disse Yuka mentre già pregustava il momento di accarezzare Alexander e anche Shan-pu e Kodachi saltavano di gioia al sol pensiero di poter -finalmente- toccare il loro Ranma senza che nessuno le disturbasse.
Akane invece, non sembrava molto felice della proposta, ma ormai avevo imparato a conoscerla e sapevo che non si sarebbe mai tirata fuori da una sfida.
<< Manca ancora qualcosa >> disse Shan-pu melensa.
<< Cosa? >>
<< È un gioco no? E allora giochiamo... Chi sbaglia paga pegno! >>
<< In che modo? >> chiesero le altre interessate.
<< Beh ma con un bacio è naturale! Chi sbaglia sarà baciato! >>
<< Va bene, ma io controllerò che non lo facciate apposta.... >> disse Nabiki alzando un sopracciglio, rivolta principalmente a Kodachi e Shan-pu.
<< Per chi mi hai presa? Shan-pu non bara! >> disse quella fingendo indignazione.
<< Vedremo... In ogni caso ci sono un po' di regole da rispettare: innanzitutto ragazzi, voi dovrete rimanere solo con la camicia, altrimenti sarebbe troppo facile e non si potranno toccare i capelli, sono troppo riconoscibili >>
Tutti annuirono e Nabiki riprese: << Bene, allora si comincia! Andremo in ordine alfabetico, per cui tu Akane sei la prima >> così dicendo bendò per bene la sorella e la posizionò di fronte ai ragazzi già in fila.

Akane allungò le mani alla cieca davanti a lei e toccò dapprima il mento, poi scese con lentezza sulle mascelle, sul collo, passando per le spalle fino ad arrivare alle braccia mentre Ranma la guardava teso. Quando, continuando a scorrere, arrivò a toccargli i possenti avambracci, disse: << Alexander >>
<< Non posso dirti niente, saprai tutto alla fine... Vai a sinistra ora >> la guidò Nabiki.
La ragazza proseguì il gioco e si trovò di fronte quello che non sapeva essere Ryoga. Procedette con lo stesso procedimento applicato al primo ragazzo ma sbagliò, convinta che lui fosse Kuno.
Fu poi il turno di Ranma.
Akane partì dai fianchi e, sfiorando leggermente i lati dell'addome, risalì fino ai pettorali, punto su cui indugiò più a lungo degli altri, ricevendo per questo infuocati -seppur muti- sguardi d'odio da parte delle sue due rivali.
Tastò poi anche le spalle e gli chiese di farle toccare le mani, che accarezzò a lungo, ma pronunciò senza esitazione il nome di Ranma quando arrivò a sfiorare le sue labbra con la punta dell'indice.
Dopo Ranma, che aveva uno sguardo soddisfatto per essere stato riconosciuto subito, Akane indovinò senza esitazione Hiroshi e Daisuke.
Quando poi per ultimo si trovò di fronte il vero Kuno, Akane, riconoscendolo disse: << Ma se lui è Kuno... allora chi è che non ho riconosciuto? >>
<< Hai sbagliato Ryoga sorellina >> le spiegò Nabiki sciogliendole la benda.
<< Oh... mi dispiace tanto!! >>
<< Figurati Akane, è un gioco difficile >> le rispose quello grattandosi la tempia con un dito.
<< Beh, ora la devi baciare >> disse Nabiki guardando di sottecchi Ranma che nel frattempo stringeva i pugni << Deve pagare pegno >>
<< È giusto... >> sospirò Akane mentre lui le si avvicinava.
Ryoga la guardò per un attimo, poi si girò verso il suo amico e tornò di nuovo a guardare la ragazza -che nel frattempo aveva la testa abbassata- come se stesse cercando di prendere una decisione.
Poi, in un gesto di pura galanteria, le prese la mano e ne bacò il dorso, facendole poi l'occhiolino.
Lei, così come me, sorrise sollevata e lo ringraziò con lo sguardo.
<< Hey ma non vale! >> protestò però Shan-pu << Avevamo detto un bacio vero! >>
<< Non avevamo detto un bel niente >> la ammonì Nabiki << Ognuno sceglie il posto che preferisce. Jude, tocca a te >>

Mentre Nabiki mi oscurava la vista attesi di poter cominciare con il cuore in gola. I ragazzi cambiarono ordine e quando mi fu dato il via, tesi il braccio tentennando leggermente. Allungando la mano davanti a me, toccai quella che ero certa fosse l'inizio del suo ventre e mi resi conto che c'erano solamente due persone così alte da fare in modo che la mia testa arrivasse al loro petto: Alexander e Kuno. Giocando un po' con la stoffa della camicia, su quello che doveva essere il suo torso scolpito, capii che era lino e non ebbi bisogno -un po' a malincuore- di toccare altro, visto che ricordai immediatamente chi dei due quella sera aveva indossato una camicia di lino bianca. La risposta fu Alexander.
Immediatamente dopo toccò a Kuno, mi bastò toccargli il viso, alto e liscio, per capire che era lui.
Arrivata all'ennesimo ragazzo, riconobbi immediatamente al tatto, per la massa muscolare prorompente, che si trattava o di Ranma o di Ryoga. Già, ma quale dei due?
Con il viso probabilmente rosso come un pomodoro, cominciai a tastare il più delicatamente possibile le braccia, gli enormi bicipiti, il petto e gli addominali scolpiti, ma proprio non riuscivo a capire, avendo entrambi dei corpi statuari e anche più o meno la stessa statura.
Così mi decisi a salire sul viso e, più o meno convinta, feci il nome di Ryoga, per poi passare all'altro ragazzo.
Di nuovo, toccai il torace che avrebbe potuto competere con quello di una statua greca, e stavo per fare il nome di Ranma quando lui fece un gesto: mi sfiorò l'avambraccio con le dita ed io ricollegai immediatamente quel tocco a Ryoga, pronunciando il suo nome a bassa voce mentre sentivo il viso bollire.
Avevo quindi sbagliato e, in panne, confusi anche Hiroshi per Daisuke e viceversa.
Mi tolsi la benda quasi in apnea.
<< Jude, come credo tu abbia capito, ne hai sbagliati tre >>
<< Ehm sì.... >>
<< Ragazzi, divertitevi >> disse poi lei ed io mi misi le mani sugli occhi.
Per stemperare un po' la tensione, Hiroshi e Daisuke mi baciarono entrambi sulle guance nello stesso momento, facendo ridere tutti e alleggerendo il mio cuore.
Ora toccava a Ranma.
Lui mi si avvicinò sorridendo sghembo e senza lasciarmi nemmeno il tempo di parlare, seppur con un po' di imbarazzo, mi baciò la fronte facendo smettere di far fremere dalla rabbia Kodachi e Shan-pu.

Dopo il mio turno toccò a Kodachi che, fra una risata degna di un film horror e l'altra, indovinò solo “il suo adorato Ranma” che lei “non avrebbe mai potuto scambiare per nessun altro” e Ryoga.
<< Kodachi hai sbagliato tuo fratello, Alexander, Hiroshi e Daisuke! >>
<< No, per carità! Io non voglio che quei due sgorbi mi bacino!! >> gridò lei quasi in lacrime << No ! No! E poi no! È il mio compleanno!!! Tatewaki di' qualcosa! >>
<< Le regole sono regole >> disse Nabiki austera << Ti avrebbe potuta baciare anche Ranma... >>
<< Oh, mio adorato Ranma hai ragione, che fidanzata orribile che sono, lasciarsi baciare così impudentemente da altri ragazzi, e per giunta orribili >>
<< Hey! >> gridarono in coro i due interessati fintamente offesi, mentre Ranma rideva sotto i baffi bofonchiando un “Oh no, fai pure, io non me la prendo”.
Così Kodachi chiuse gli occhi schifata mentre, a turno, Hiroshi e Daisuke le baciarono la mano, mentre suo fratello e Alexander le diedero un tenero bacio sulla guancia.


Dopo Sayuri, che fu brava nell'indovinare tutti e a farsi dare il tanto agognato bacio -seppur solo sulla guancia- da Alexander, Nabiki chiamò Shan-pu.
Con fare malizioso, e sotto lo sguardo duro e serio di Akane, si avvicinò a Ranma, il primo nell'ordine. Fece un sacco di moine e, toccando e accarezzando più del dovuto, finì poi col dire il nome di Alexander.
<< L'ha fatto apposta >> mi disse all'orecchio Akane mentre Shan-pu, con poca fatica, indovinava tutti gli altri ragazzi.
<< Che stronza >> sussurrò Nabiki << Ma sta tranquilla Akane è lui che deve baciare lei, non il contrario, vedrai che Ranma sarà un gentiluomo >>
<< A me non interessa affatto quello che fa quell'idiota >> ruggì la ragazza, ma il tremore nervoso di tutto il suo corpo diceva esattamente il contrario.
<< Ooops mi dispiace tanto, come ho fatto a sbagliare il mio Ranma! >> disse Shan-pu con il tono della voce più acuto e fastidioso del solito.
<< Fa' poche scene, sicura di non averlo fatto apposta? >> pronunciò cautamente Nabiki.
<< Ma certo che no! Come avrei potuto scusa!? >>
<< E va bene, Alexander, Ranma, procedete >>
I due ragazzi si avvicinarono e Shan-pu gonfiò il petto come un pavone che fa la ruota.
Mentre Ranma le stava prendendo la mano -come avevamo immaginato tutti- e Akane stava quasi per tirare un respiro di sollievo, la cinesina, con un movimento velocissimo, si avvicinò al ragazzo e lo baciò appassionatamente sulle labbra.
Ranma rimase per un secondo con gli occhi spalancati, prima di prenderla per le spalle e staccarsela di dosso, mentre Akane, con lo sguardo ancora disgustato e sconvolto dalla scena, corse via immediatamente.
<< Akane!!!!! >> le gridò Ranma dietro seguendola e non degnando nemmeno di uno sguardo il resto dei presenti, compresa Shan-pu che, con un sorriso beffardo sul volto soddisfatto, scappò via in un batter d'occhio seguita da un'arrabbiatissima e fumante Kodachi, munita del -ormai avevo capito che si poteva dire anche “solito”- nastro da ginnastica ritmica.
Anche gli altri, avendo ormai capito che il gioco era finito, se ne erano andati salutando, mentre Kuno celebrava il dolore di quel “fiore di Akane Tendo”.
<< Questa scena mi ha ricordato qualcosa che è successo tanto tempo fa >> disse Nabiki mentre il rumore dei suoi tacchi a spillo ci suggerì che se ne stava andando << Il lupo perde il pelo ma non il vizio! Domani Ranma avrà un bel mal di testa >> aggiunse poi ridendo << Buonanotte ragazzi >>
<< Che voleva dire? >> chiesi io non appena Nabiki se ne fu andata
<< Quando Shan-pu arrivò qui dalla Cina baciò Ranma >> mi spiegò Ryoga pazientemente << Vedi lei è... orgogliosa. Farebbe di tutto per conquistare Ranma perché ne va del suo onore e del suo orgoglio di donna >>
Io lo guardai un po' sorpresa, era un dato oggettivo che Ranma fosse uno dei più bei ragazzi di Nerima, se non dell'intero Giappone probabilmente, ma da qui a metterci di mezzo la propria femminilità, il passo mi sembrava esagerato.
Ryoga sembrò capirmi al volo: << Shan-pu viene da un antico villaggio di amazzoni, Joketsuzoku, durante il suo allenamento in Cina Ranma la incontrò e la sconfisse. Le leggi della sua tribù sono molto severe riguardo questo tipo di cose: se un'amazzone viene sconfitta da un uomo, esso dovrà a tutti i costi diventare il suo sposo... Ed ecco spiegata la fissazione di Shan-pu per Ranma, non è poi così irresistibile >> disse lui, dapprima serio e poi con un filo di ironia nella voce.
<< E... a lui non... non piace? >>
<< No, non credo. Ma lei continua imperterrita da anni con il solo risultato di fare arrabbiare Akane, che poi picchia Ranma >>
<< Ecco perché prima Nabiki ha detto che Ranma avrebbe avuto un gran mal di testa >>
<< Oh sì, immagino che gliene stia dando di santa ragione >> asserì Ryoga convinto e poi rise di gusto.
E così un altro pezzetto del puzzle era al suo posto. Shan-pu, affascinante amazzone cinese, faceva parte della -grande- cerchia delle invasate innamorate di Ranma che, senza scrupoli, ricorrevano a tutto -ma proprio a tutto- per impossessarsi del suo cuore, ovviamente con scarso successo.
Che fosse perché il suo cuore era occupato già da un'altra, non mi fu dato di saperlo quel giorno ma, io, un'idea, già me l'ero fatta.

Improvvisamente io e Ryoga ci accorgemmo di essere rimasti soli nell'enorme salone e calò un imbarazzato silenzio.
<< Vo... vogliamo andare a cercarli? >> propose lui alla fine.
<< Sì... >>
E così uscimmo passando per il giardino, dove i ricordi della festa, sparsi qua e là, cominciavano ad essere illuminati dalle prime luci dell'alba che nasceva.
Mentre camminavamo verso casa, a rilento per via delle mie scarpe altissime che, dopo ore ed ore, mi stavano letteralmente facendo impazzire, sentimmo delle voci provenienti da un piccolo parco lì di fianco.
Guardando meglio, scorgemmo anche le due figure: quella di Ranma, un po' china e con la grande mano poggiata sulla sua guancia, e quella di Akane, così piccola al confronto, che lo guardava truce.
Non capimmo bene cosa si stessero dicendo, né desideravamo saperlo in realtà, ma osservammo lo stesso la scena trattenendo il fiato e sperando che tornasse la pace fra i nostri due amici, così testardi e allo stesso tempo teneri.
Ranma le accarezzava la guancia con una mano, mentre le bisbigliava qualcosa con fare rassicurante ed Akane lo guardava dal basso, con gli occhi sabbiosi increduli ed arrabbiati. Poi, ad un tratto, le disse qualcosa che la fece sorridere, annuì e lei annuì di rimando.
Non venimmo mai a conoscenza di quello che i due ragazzi si sussurrarono durante quell'aurora.
Ranma non disse più niente ma, non appena svoltato l'angolo, la prese in braccio, portandola sulle spalle.
Ryoga ed io ci guardammo soddisfatti e non potei fare a meno di sorridere, ancora una volta, davanti a quei due che, ormai avevo capito, avevano un modo tutto loro di volersi bene.
A volte erano così testardi ed orgogliosi che riuscivano solo a scontrarsi su ogni cosa. Altre invece, anche semplicemente stando in silenzio, si ritrovavano più complici che mai.
Camminavo voltata, guardando il viso concentrato di Ranma e le tenere e bianche braccia di Akane che gli cingevano il collo, quando andai a sbattere contro Ryoga, fermo davanti a me.
<< Oh scus... >> stavo per dire, ma le parole mi morirono sulle labbra quando vidi che il ragazzo si stava abbassando leggermente, assumendo la stessa posizione di Ranma, e con la testa mi faceva segno di salire.
<< Ma.... io... ti stancherai troppo, io sono più pesante di Akane... non devi... >>
<< Non dire sciocchezze, a me fa piacere >> disse lui e, dolcemente, mi prese in braccio.

Così, mentre il bel viso di Akane si assopiva appoggiato alla schiena di Ranma, il vento tiepido delle sei del mattino ci accarezzava ed il chiarore argenteo dell'alba ci inondava mentre fuori le luci ci dicevano che non era ancora giorno ma non era più notte, anche io chiusi gli occhi e mi feci cullare dal movimento lento dei passi di Ryoga, mentre il suo profumo e il calore del suo corpo mi rilassavano.

E da quel momento in poi il Giappone assunse un nuovo sapore per me.

***


Buongiorno a tutti!

Per esigenza di copione questo capitolo doveva essere pubblicato a poca distanza dal precedente, altrimenti rischiavate di dimenticarvi dei balli.
Le canzoni non c'è bisogno di spiegarle, spero che tutti le conosciate.
Un ringraziamento particolare va a Pia e Faith che, molto pazientemente, mi hanno aiutata ed ispirata per il "gioco" di Shan-pu.
Come sempre un grazie infinito a tutti quelli che leggono, che seguono, che preferiscono e che trovano sempre il tempo e la voglia di recensirmi. Non sapete quanto sia importante.
E grazie alle mie Ladies che ci sono sempre.
Vi do appuntamento al prossimo capitolo, assieme al nostro paperotto!
Un abbraccio.
Vostra Aronoele (:

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Capitolo 7
*** Questo è il ballo del qua qua ***


Trascorso un mese, avevo ormai imparato che a Nerima, in particolar modo a casa Tendo-Saotome, anche la più banale delle azioni può dare inizio ad un'avventura.
Un'avventura che in un'altra parte del mondo sarebbe solamente una bella serata ed invece qui ha risvolti incredibili e ti stravolge, tanto che poi ti viene voglia di scriverla e inserirla in una raccolta con un titolo strampalato.
L'avventura che vi voglio raccontare oggi è iniziata con un semplice motivetto, una melodia canticchiata a denti stretti da Nabiki, mentre era sovrappensiero a pranzo, seduta ad uno dei tavoli di legno in giardino con tutti noi.

***

<< Na na na na naaaa >> canticchiò all'improvviso Nabiki mentre scorreva distrattamente con il dito sullo schermo del suo smart-phone.
<< Che canzone è? >>
<>
<< Stavi cantando... >>
<< Davvero? Non me ne sono accorta! >> disse la bella mezzana alla sorella minore ancora intenta a cercare di capire a quale canzone appartenesse il simpatico motivetto, per poi tornare a guardare il cellulare.
<< Deve essere la colonna sonora di qualche film... >> riprese Akane, pensando ad alta voce.

Dopo aver cantato quell'allegra melodia più e più volte, ed essersi conseguentemente beccata una serie di insulti da Ranma che le stava di fianco, fra cui “cornacchia stonata” e “usignolo morente”, Akane si alzò in piedi illuminata: << Ci sono!!>> gridò << È la canzone del “Matrimonio del mio migliore amico!” >>
<< È vero! >> dissi io, ricollegando immediatamente il volto di Rupert Everett che intonava la canzone di Aretha Franklin durante il pranzo di prova del matrimonio di Cameron Diaz e Dermot Mulroney.
<< Oh, che voglia di rivederlo... >>
<< No eh! Un'altra commedia romantica strappa lacrime no! Dopo “Titanic” non ne voglio più sentir parlare...! >> intervenne Ranma con fare indignato.
<< Guarda che l'abbiamo già visto questo scemo, e poi non dire che “Titanic” non ti è piaciuto... Jude, avresti dovuto vederlo, aveva le lacrime agli occhi! >>
<< Ma che dici! Era perché sbadigliavo troppo! >> rispose il ragazzo velocemente e con fin troppa enfasi, interrompendo le mie risate con uno sguardo molto eloquente.
<< Come ti pare Ranma, ma guarda non sei costretto a vederlo di nuovo! Jude, questa sera dopo cena ti va di vederlo con me? Dovrei avere il DVD! >>
<< Ma certo! >> dissi io sorridendo, in effetti non lo vedevo da tanto tempo e l'entusiasmo di Akane mi aveva contagiato.
<< Nabiki tu ci stai? >>
<< Oh sì, non ho niente di meglio da fare! >>
<< Yuka, Sayuri volete venire anche voi? Potete rimanere a dormire da me poi >>
<< Sicuro!>> Risposero in coro le due amiche.
<< Perfetto, allora questa sera pigiama party! >> proclamò Akane con l'entusiasmo di una bambina di dieci anni alzando un pugno all'aria.
<< Pigiama party? Vai ancora alle elementari per caso? >>
<< Ma... io... >>
<< Invitiamo qualche ragazzo, no? >>
<< Hey, io e Tofu cosa siamo, scamorze? >> esclamò Ranma sdegnato, alzando un sopracciglio.
<< Intendevo dire qualche ragazzo interessante... Alexander, ti va di venire a casa nostra a vedere un film questa sera? >> disse Nabiki con il tono mellifluo, sorridendo beffardamente degli sguardi di pura ira (o gelosia?) che Ranma le stava lanciando dall'altra parte del tavolo.
<< Volentieri >> rispose lui educatamente, procurando un moto di ilarità per niente celata in Yuka e Sayuri.
<< Hey, se viene Alexander vengo anche io >>
<< E anche io! >> dissero poi Hiroshi e Daisuke piccati.
<< E va bene, venite anche voi se proprio dovete! >> rispose Nabiki indifferente << Già che ci siamo invitiamo anche Kuno così... >>
<< Oh, Nabiki Tendo >> cominciò a proclamare il diretto interessato spuntato da chissà dove << sono assai lusingato della tua proposta di passare la notte in contemplazione di una miscela romantica che altro non farà se non acuire i nostri sensi, d'altra parte con tuo padre e le tue sorelle lì con noi, io non so se... >>
<< Kuno taglia, vieni o no? >> domandò aspramente la ragazza con il caschetto castano, non senza un accenno di sorriso sul bel volto acuto.
<< Sì >>
<< Bene, e non portare la pazza furiosa di tua sorella. Alle 21.00 da noi >> concluse poi, alzandosi e andando via.


***


Finita l'ultima lezione all'università, tre intramontabili ore di storia dell'antico giapponese, io e Akane tornammo a casa come due furie, per dare la notizia agli altri (e per cercare di convincere Soun e Genma ad andare a giocare a qualcuno dei loro giochi dal dirimpettaio loro amico) e ci imbattemmo nel dottor Tofu che spazzava fuori dal suo studio.
<< Dottore! >>
<< Piccola Akane, Judith, ciao! Dove correte così di fretta? >>
<< A casa, dobbiamo dire a Kasumi che dopo cena verranno alcuni nostri amici a vedere un film >>
<< Ah sì, me lo ha accennato prima Nabiki... >>
<< Nabiki? >>
<< Sì, è stata qui a dirmi di portare lo spazzolino e il pigiama questa sera... ehehehehe... vorrebbe che io... io.... io... rimanessi a do-do-do-do... dormire a casa vostra... >> disse, o meglio cercò di dire, fra un balbettio e l'altro, il dottore rivolto ad una siepe e con le lenti tonde dei grandi occhiali completamente appannate.
<< Il solo pensiero di dormire nella stessa casa con Kasumi lo fa dare di matto... e pensare che fra meno di due mesi si sposano! >> mi sussurrò Akane all'orecchio ridendo sommessamente.
<< Ehm... dottore, beh fra poco tu e Kasumi diventerete marito e moglie... non c'è niente di male... >>
<< Marito e moglie, frullalero frullallà >> canticchiò il giovane dottore ballando con la sua scopa e facendoci scoppiare letteralmente in lacrime dalle risate.
<< Non c'è speranza >>
<< Che tipo buffo >> aggiunsi io mentre andavamo via, lasciandolo volteggiare sul marciapiede con la sua futura moglie immaginaria.

A casa ci accolse un trambusto quasi natalizio.
<< Kasumi ma si può sapere che stai facendo? >> chiese Akane alla sorella che andava su e giù dal salone alla cucina in continuazione.
<< Preparo la cena è ovvio >> rispose quest'ultima con la sua solita genuinità.
<< Ah, non sapevo avessimo invitato tutto il corpo di fanteria dell'esercito! >>
Kasumi rise di gusto alla battuta della sorella, troppo pura per capire il sarcasmo, e svolazzò in cucina come una farfalla tra i fiori.
<< Scusa Nabiki, chi viene a cena? >>
<< Oh sì, non ve l'ho detto, quando ho riferito a Kasumi del pigiama party >> spiegò, marcando appositamente le ultime due parole << Lei ha insistito perché venissero tutti a cena, è dalle 15.00 che gironzola come una matta >>
<< Hai già avvertito tutti? >>
<< WhatsApp sorellina >>
<< E vengono tutti? >> chiesi io sorridente.
<< Sì Jude, tutti tutti... fareste meglio a cercare un pigiama che non vi faccia somigliare a mia nonna >>
<< Nabiki! >>
<< Pigiama party Akane, vuol dire che ad un certo punto della serata rimarremo tutti in pigiama, Ranma è abituato a vederti con i mutandoni del 1800 ma gli altri no >> disse Nabiki ridendo mentre addentava un biscotto al cioccolato e il viso di Akane diventava rosso pomodoro.
<< E sentiamo, tu che ti metti? >>
<< Sottana di seta verde smeraldo >> rispose Nabiki con un occhiolino.
<< Ah beh, c'è anche Kuno... >> allusi io ridendo.
<< Ah-ah-ah molto spiritosa Jude, e dimmi tu dormi con Ryoga o con Alexander stasera? >>
<< Su Akane andiamo! >> dissi io imbarazzatissima, trascinando la mia amica con me su per le scale.

Dopo cinque minuti buoni di risatine assai impacciate da parte mia e diversi borbottii di giustificazioni varie, finalmente Akane parlò:
<< Beh, che ci mettiamo stasera? >>
<< Dici che la mia solita camicetta da notte bianca non va bene? >>
<< Se vuoi fare colpo no >> rispose lei strizzando l'occhio.
<< Io non voglio fare colpo! >>
<< No? >>
<< No! Tu piuttosto? Su chi? >>
<< Oh, ehm... io... storia complicata... >>
La vidi abbassare il viso e sorridere, quel giorno ancora non potevo sapere, conoscere, l'intrigante e lunghissima storia del suo amore, ma di una cosa ero sicura: quella ragazza era innamorata e io avevo anche una vaga idea su chi fosse il giovane bello e tenebroso che le aveva rubato il cuore.
<< Ranma? >>
<< Ma che c'entra Ranma ora? Cominci a fare anche tu come tutti gli altri, Jude? Ogni volta che si parla del ragazzo che mi piace tirate fuori Ranma! >>
<< Veramente io intendevo chedere dov'è... >> dissi io abbassando il tono di voce e cercando di nascondere un sorriso.
<< Ah... è a giocare a calcio con i suoi amici... >> inghiottì rumorosamente << Ma dicevamo... che ci mettiamo allora? Eh eh eh... dai andiamo in camera di Nabiki a rubarle qualcosa! >> e sparì verso la stanza della sorella ridendo e parlando da sola.


***

Il resto del pomeriggio trascorse molto velocemente, fra l'aiutare Kasumi in cucina e cercare di limitare i danni della litigata di Ranma e Akane, nata perché:
<< Non puoi dormire con solo i boxer questa sera baka! >>
<< E perché mai, ci dormo sempre!!! >>
<< Sì, ma non sei da solo! >>
<< Eh capirai! Jude ci ha fatto l'abitudine ormai (vero Jude?), Kasumi e Nabiki idem, Hiroshi e Daisuke mi vedono sotto la doccia, Ryoga mi conosce da anni e non credo che Kuno e Alexander si scandalizzeranno per le mie mutande! >>
<< Razza di cafone ci saranno anche le mie amiche! E non è detto che le pazze delle tue fidanzate non si imbuchino come sempre! >>
<< Allora sei gelosa! >>
<< Nemmeno per sogno! >>
<< Beh, cosa ti interessa se non sei gelosa? >>
<< Vorrei che le mie amiche non rimanessero shockate! >>
<< Beh anche io ci tengo ai miei amici ma non ti dico di coprire quei fianchi enormi! >>
<< Ranmaaaaaa!!!! >> gli gridò dietro lei tirandogli addosso un vaso, seguito da un cuscino, una pantofola, il telecomando e diversi altri oggetti trovati qui e lì, mentre lui cercava invano di ripararsi dietro qualunque cosa, me compresa.
<< Ranma, per amore dei Kami, non ti nascondere dietro Jude, codardo! >>
<< Akane cara >> rispose lui con calma e un'altissima dose di ironia << se la smettessi di lanciarmi oggetti contundenti!! Sei sempre la solita! Non sei mai carina con me!!!! >>
<< Baka che non sei altro vai al diavolo! >>
Lui le fece una sonora pernacchia sogghignando, prima che lei cominciasse a rincorrerlo per il corridoio.
Storie di ordinaria follia direbbe qualcuno.

Alle 20.00 in punto, mentre l'odore della deliziosa cenetta di Kasumi faceva capolino dalla cucina spandendosi in ogni angolo della casa, il campanello trillò.
<< Akane apri tu??? >> gridò Nabiki che non aveva la minima voglia di alzarsi.
<< Appena finisco di ammazzare questo scemo! >> rispose quella dalla sua stanza, urlando a sua volta.
<< Papààààà! >>
<< Non posso sto aiutando Kasumi con il pentolone di riso!!! >>
<< Signor Genm.... oh, che glielo chiedo a fare! >> sbuffò Nabiki.
<< Vado io! >> dissi infine, alzandomi.
Mi sistemai le pieghe del prendisole nero e andai ad aprire la porta, al di là della quale Hiroshi, Daisuke e Alexander mi sorridevano con quattro mazzi di fiori fra le mani.
<< Ciao >> dissi io visibilmente stupita mentre loro entravano chiedendo il permesso.
<< Accomodatevi cari >> esordì il padrone di casa nella sua solita tenuta verde oliva << Benvenuti! Hiroshi, Daisuke, come stanno le vostre famiglie? E tu devi essere Alexander, il ragazzo americano come la nostra Judith! >>
“Bene, signore” “Grazie, signore” “Sì, signore” dissero i tre ragazzi uno dopo l'altro, per poi cominciare a distribuire i presenti alle sorelle Tendo, ringraziandole per l'ospitalità e la cortesia.
Io li guardavo affascinata, ammirata dalla loro educazione, pensando che nel mio Paese i ragazzi invitati alle feste portano litri di birra, quando vidi Alexander che mi porgeva un mazzo di profumatissimi fiori colorati.
<< Oh... anche per me? >>
<< Certo >> mi rispose lui sfoderando i bellissimi denti candidi che contrastavano con il nero dei capelli e della maglietta aderente che indossava.
<< Grazie >> risposi, e stavo quasi per inchinarmi pur di non guardarlo in faccia quando, per fortuna, Kasumi venne in mio soccorso.
<< Che pensiero galante avete avuto >> disse mentre dava il “saluto occidentale” al mio compaesano << Jude vieni, andiamo a metterli in un vaso! >> ed io la seguii in silenzio.
Poco dopo arrivò Kuno con sei quintali di gelato di tutti i gusti e senza sua sorella, partita con il loro padre in viaggio verso le Hawaii; il dottor Tofu con dei biscotti appena sfornati dalla sua anziana ma arzilla madre; Ryoga con dei pasticcini; Yuka e Sayuri con delle bottiglie di sakè per il signor Tendo e Shan-pu, con grande stupore di tutti, che aveva portato del ramen del suo ristorante.
<< Shan-pu? >> sibilò Akane fra i denti.
<< Buonasera a tutti >> rispose la sinuosa ragazza cinese inchinandosi e mostrando buona parte delle sue gambe, dato che l'aderentissimo vestito amaranto che indossava le risalì di molto durante il prolungato saluto.
<< Che ci fai tu qui? >>
<< Beh avete invitato mezza Nerima... >>
<< Ci sarà un motivo se non ti abbiamo chiamata >> sussurrò Akane visibilmente urtata mentre lei si avvicinava sensualmente a Ranma che, nel frattempo, le intimava timidamente di stare lontana muovendo entrambe le mani con enfasi.
<< Bene, se ci siamo tutti, accomodatevi >> proferì Soun con il tono di voce a metà fra l'autoritario e il cordiale.
Prendemmo tutti posto: Kuno, con la sua costosa camicia blu, seduto fra Soun, a capotavola, e Nabiki; poi Akane, Ranma e Shan-pu ed infine Kasumi e il dottor Tofu all'altro capo della tavola.
Di fronte: io, seduta fra Ryoga ed Alexander, che era vicino a Yuka e Sayuri (costantemente in lite per chi delle due dovesse sederglisi accanto), Hiroshi e Daisuke ed infine il signor Genma, che chiudeva il circolo ricollegandosi all'amico Tendo.

Le otto portate della cena finirono presto, fra i migliori complimenti di tutti i commensali e, mentre Kasumi porgeva ad ognuno il piatto con i dolci, Sayuri le prese la mano:
<< Kasumi... che anello meraviglioso! >>
<< Ma ti sposi? >> la seguì Yuka.
<< Oh... ehm...sì, a... a Settembre >> rispose Kasumi mentre le guance le si facevano più rosee.
<< Akane non ci ha detto niente! Auguri! E...chi è il fortunato? >>
<< Ma il dottor Tofu naturalmente! >> disse Nabiki al posto dei due fidanzati, quasi paralizzati dall'imbarazzo, e tutti coloro che avevano appena scoperto la novità, compresa Shan-pu (stranamente gentile e remissiva), si alzarono per fare i loro migliori auguri ai futuri sposi e ricevere in cambio un invito alle nozze al quale ognuno rispose con “volentieri” “con piacere” “sicuramente”.
Ad interrompere la scena, tanto dolce quanto impacciata, fu, come al solito, la mezzana delle sorelle Tendo con la sua innata grazia e acutezza: << A proposito di matrimonio... pronti per il film? >>

Tutti ci alzammo, i ragazzi spostarono il grande e pesante tavolo da pranzo, così da far spazio a noi ragazze che rassettavamo e posizionavamo i bei cuscini colorati per terra, davanti al televisore.
Quando tutti ci fummo seduti, la chioma rosso fuoco di Julia Roberts apparve sullo schermo, intenta ad impedire al suo migliore amico, nonché uomo di cui era segretamente innamorata, di sposare la ragazza giusta per lui.
Quando arrivò il momento del pranzo di prova e il finto fidanzato della protagonista raccontava appassionatamente il loro primo incontro, dopo un'oretta buona in cui i ragazzi sonnecchiavano e le ragazze facevano segretamente il tifo per Julianne Potter, perché, diciamocelo, quella Kimmy era fin troppo perfetta, Akane gridò: << Ecco, ci siamo, la canzone di stamattina! >> facendo riaprire improvvisamente gli occhi a Ranma, seduto in malo modo accanto a lei.
E così quando George intonò le prime note di “I say a little prayer” (*), lei cantò con lui:

“The moment I wake up
before I put on my make up”

I say a little prayer for you” concluse Nabiki cantando, e la madre della sposa lo fece con lei nel film.
Poi, proprio come George, Akane continuò:

“While combing my hair, now
and wondering what dress to wear, now”

I say a little prayer for you” cantarono in coro Yuka e Sayuri insieme alle due gemelle bionde con quegli strani cappelli.

“Forever and ever you'll stay in my heart
and I will love you
Forever and ever we never will part
Oh, how I love you!
Together, forever, that's how it must be
to live without you would only be hearthbreak for me”

Si unirono al coro anche Kuno, Genma, Soun, Kasumi e il dottor Tofu, che cantavano e muovevano a ritmo le spalle ridendo, mentre noi altri ci guardavamo intorno, ancora inconsapevoli della magia che stava nascendo.

Poi Akane proseguì ancora, a tempo con il film dove, al coro degli attori, si era unita la musica del pianoforte:

“I run for the bus, dear
while riding I think of us, dear”

“I say a little prayer for you” cantarono insieme.

“At work I just take time
And all through my coffe break-time”

I say a little prayer for you” cantarono di nuovo insieme, alzandosi in piedi.

“Forever and ever you'll stay in my heart
and I will love you
Forever and ever we never will part
Oh, how I love you!
Together, forever, that's how it must be
to live without you would only be hearthbreak for me”
E, stavolta, forse fu colpa dell'allegria del film, o dell'incanto che si era creato quando Akane aveva cominciato a cantare con Rupert Everett, che ci aveva fatto credere di vivere in un musical, ma questa strofa, proprio come accade nel “matrimonio del mio migliore amico”, fu cantata da noi, tutti insieme: Soun e Genma in piedi con in mano la piccola brocca bianca del saké, appoggiati uno contro l'altro fin troppo “allegri”; Kasumi e il dottor Tofu, che se la dedicavano l'uno all'altra guardandosi teneramente; Kuno, che teneva il braccio intorno a Nabiki che intanto cantava e batteva le mani; Akane, in piedi al centro della stanza che cantava e guardava Ranma, che fra una parola e l'altra rideva come un matto; Hiroshi e Daisuke, anche loro in piedi battendo le mani; Yuka e Sayuri, sorridenti e ballerine; persino Ryoga, anche se a bassa voce, contagiato dalla spensieratezza generale ed infine io e Alexander, che ci guardavamo e ridevamo, cantando e battendo le mani a tempo con tutti gli altri.

Quando la canzone finì rimasero le nostre facce ridenti, di quelle risate che ti fanno tenere la pancia e stringere gli occhi, che ti fanno aprire la bocca e ti sconquassano con la loro energia.
Tutti che guardavano tutti, contagiandosi a vicenda per la stranezza, l'assurdità e l'incredibilità della scena, che sembrava proprio uscita da un film.
Il DVD arrivò alla fine e noi ragazze ci sciogliemmo alla vista del meraviglioso abito color lavanda di Julianne, che ballava consapevole e sconfitta fra le braccia del suo nuovo migliore amico, mentre i titoli di coda già scurivano lo schermo.
Dopo aver premuto il tasto stop Nabiki mandò a letto suo padre e Genma che salirono solo dopo averci fatto mille ed una raccomandazione, e poi ci spedì tutti a metterci il pigiama, per “dare il via alla festa”, come disse lei.


***

Pochi minuti dopo quattordici facce attonite si fissavano stranite, era bizzarro vederci tutti in pigiama.
Nabiki, stesa sul pavimento, indossava la sua provocante sottana di raso verde, che era davvero da capogiro oltre che fin troppo scollata; accanto a lei, intento nell'aiutarla a preparare il lenzuolo per giocare a Twister, Kuno, con dei pantaloni blu notte e una maglietta aderente, tanto elegante da non sembrare nemmeno un pigiama.
Sulla porta Kasumi, nella sua camicia da notte a maniche corte rosa salmone, intonata al fiocco che le raccoglieva i capelli in una coda laterale, e al suo fianco il dottor Tofu, con i pantaloni della tuta grigi ed una maglietta di cotone bianca con scollo a “v”.
Yuka e Sayuri indossavano due pigiamini simili, corti, svolazzanti e colorati, una verde mela e l'altra fucsia, che si perdevano al confronto della striminzita e setosa vestaglia color prugna di Shan-pu, dalla quale si intravedevano perfettamente i bordi del reggiseno nero di pizzo.
Hiroshi e Daisuke avevano optato per due comodi pigiami da uomo a maniche corte, uno completamente azzurro e l'altro a righe blu e grige, mentre Ryoga aveva dei pantaloncini da calcio neri, una maglietta dello stesso colore e si era tolto l'usuale bandana gialla.
Intento a spostare il televisore, Ranma aveva la solita canottiera bianca ma, forse per le minacce ricevute nel pomeriggio, sopra ai boxer indossava un paio di pantaloncini sbiaditi, e Alexander, vicino a lui, aveva una maglietta nera di micro fibra super aderente e dei pantaloni della tuta.
Quando Akane fece il suo ingresso nella sala per un attimo il tempo si fermò: indossava una sottana rosso scarlatto, con dei piccoli inserti di pizzo sul décolleté e sull'orlo che le arrivava oltre metà coscia, semplice e per nulla volgare, ma attirava l'attenzione più di chiunque altra, forse perché quel colore donava particolarmente al suo incarnato chiaro e contrastava di molto con l'ebano dei suoi capelli, tanto da farla somigliare a Biancaneve.
Dietro di lei, molto timidamente, me ne stavo io, con una specie di baby doll nero, il meno sensuale che aveva Nabiki, di una stoffa a metà fra il cotone ed il tulle, che con le trasparenze lasciava intravedere il ventre e come pezzo di sotto aveva delle abbondanti culotte dello stesso colore.
Hiroshi e Daisuke fischiarono.
Io avevo le mani sul viso e i capelli sciolti, mentre Akane divenne dello stesso colore della sua mise.
Nabiki si avvicinò a noi sogghignando: << Brave >> sussurrò << Per poco non gli prende un infarto >>, stappò due o tre bottiglie di birra e diede il via ai giochi zittendo le proteste di Ranma che cercava di non urlare “ma come diavolo ti sei vestita!?”

Kasumi e il dottore andarono fuori in giardino, nella calda nottata, a mangiare un gelato seduti vicino al laghetto della carpa salterina, mentre noi cominciammo a giocare a Twister.
<< Mano sinistra giallo >> gridò Nabiki e Kuno dovette piegarsi per posare la sua mano sinistra sul cerchio giallo.
Poco dopo toccò a Shan-pu, che si guardò bene dall'avvicinarsi al ragazzo, posando il suo piede destro sul verde.
Quando tutti avevamo almeno un arto sul tabellone, il gioco divenne “più interessante”, come lo definirono in parecchi. Dopo poco Hiroshi e Yuka uscirono entrambi, cadendo miseramente nel tentativo di muoversi e la stessa cosa successe qualche manche dopo a Sayuri e Daisuke, che persero l'equilibrio.
Chi invece mi stupì fu Shan-pu, che sembrava una contorsionista degna del “Cirque du soleil” e faceva sempre movimenti assurdi nel tentativo di avvicinarsi di più al suo “Lanma”.
Anche Nabiki se la cavava bene, molto più snodata di quello che sembrava, mentre, ovviamente, i tre artisti marziali erano i migliori: si muovevano con grazia ed eleganza, divaricando le gambe e piegando la schiena come nessun altro poteva fare.

Dopo un'ora e più di partita Nabiki, tenendo entrambe le mani sul verde dietro di lei, si reggeva a mala pena con un piede vicino al corpo e l'altra gamba allungata, mentre Kuno, forse per caso o forse apposta, era esattamente nella stessa posizione, solo al contrario, con il viso rivolto verso di lei, guardandola dall'alto soddisfatto.
Ryoga, galantuomo, si teneva in equilibrio vicino a me, senza sfiorarmi nemmeno, mentre io ero spalmata fra Shan-pu, che cercava di avvicinare il suo sinuoso petto al volto di Ranma, e Alexander, che faceva leva sui muscoli delle braccia per non farci cadere.
Akane, con le gambe quasi in spaccata, aveva il viso poggiato sul petto di Ranma che stava di fronte a lei e tutti ridevamo delle buffe posizioni che avevamo assunto, fra un sorso di birra e l'altro.
<< Ranma, mano sinistra sul rosso >>
<< Ma come diamine faccio! Guarda dov'è! >>
Effettivamente il rosso più vicino era esattamente al di là del corpo di Akane, per cui, per toccarlo, si sarebbe dovuto avvicinare pericolosamente al suo viso.
<< Dai amico, non dirmi che hai paura! >> lo incitò Daisuke da fuori.
<< Coraggio Ranma, come se non lo avessi mai fatto >> ironizzò Nabiki, facendo ridere tutti e arrabbiare invece i due ragazzi.
<< Lanma tesoro, c'è un rosso anche qui vicino a me >> disse Shan-pu indicando il cerchio sotto la sua coscia.
Così Ranma, dovendo scegliere, si buttò su Akane, cercando di raggiungere il cerchio alle sue spalle, con il risultato di darle una testata e caderle praticamente addosso, con il corpo sopra quello di lei e con le labbra molto, molto vicine.
<< Hey Ranma, questo non è il gioco della bottiglia, lo facciamo dopo se vuoi! >> disse la più furba delle sorelle Tendo, mentre un coro di “ohhh-ohhhh” si alzava nella sala.
<< Ti sei fatta male? >> chiese il ragazzo ad Akane, staccandosi immediatamente con il viso color porpora.
<< No scemo, ma ci hai fatto perdere >> rispose lei con un mezzo sorriso.
<< Sì vabbè, come se ti dispiacesse, proseguiamo >> disse Nabiki, facendo diventare paonazza la sua povera sorella << Shan-pu, piede sinistro sul blu >>
Nonostante il cerchio blu fosse raggiungibilissimo dalla bella cinesina, casualmente cadde anche lei, andando poi ad avvinghiarsi di nuovo al braccio di Ranma che si era messo all'angolo più estremo della sala, il più lontano da Akane, e di tanto in tanto la guardava di sottecchi, ancora imbarazzato.
Poco dopo caddero anche Kuno e Nabiki, o meglio, lui cadde e se la trascinò dietro, rotolando fuori dal lenzuolo colorato.
<< Stupido >> disse lei rialzandosi e aggiustandosi i capelli arruffati trattenendo a stento un sorriso, mentre Kuno la guardava ancora dal pavimento, ridendo sinceramente divertito.
<< Bene, Jude, Ryoga, Alexander, siete rimasti voi tre... >>
<< Aiuto >> sussurrai io e Ryoga mi sorrise.
<< Jude, mano sinistra giallo >> gridò Nabiki dopo aver girato la ruota ed io, con non poca fatica, mi spostai, trovandomi esattamente in mezzo ai due ragazzi.
<< Bella situazione cara >> mi sussurrò lei mentre Akane mi faceva segno di non mollare e Ranma invece strane allusioni con la mimica facciale.
La mezz'ora successiva fu, a detta delle ragazze più esperte di me (perché io ovviamente non l'avevo affatto interpretata in questo modo), una guerra a chi mi si avvicinava di più fra Alexander e Ryoga.
Tra un “mano sinistra rosso” e un “piede destro blu”, con Yuka e Sayuri che facevano un tifo sfegatato per Ryoga, non tollerando quando era Alexander ad accostarmisi troppo, e Nabiki e Ranma che, accidentalmente, si facevano scappare il nome di una certa “U-chan” ogni dieci minuti, alla fine la vittoria fu del ragazzo giapponese, perché io caddi rovinosamente sopra lo stomaco di Alexander.

***

Dopo una lunghissima partita a Monopoly, nella quale vinse Shan-pu che aveva conquistato Parco della Vittoria, altre birre, altro saké (che io non avevo ancora avuto il coraggio di provare), una partita a Shangai, Nabiki che aveva cosparso un addormentato Kuno di borotalco e tante, tantissime risate, uscii fuori in giardino a fumare la seconda sigaretta della giornata.
Il cielo era nero, con poche stelle, forse il giorno seguente avrebbe piovuto, e l'aria della notte era fresca.
Mi accesi una sigaretta sciogliendo la treccia bionda, per cercare di coprire le spalle nude, e aspirai chiudendo gli occhi e sorridendo delle voci e della caciara che provenivano da dentro.
D'un tratto poi sentii qualcosa di caldo che mi avvolgeva: era Alexander che, con in bocca anche lui una sigaretta, mi aveva posato la sua felpa sulla schiena.
<< Prenderai freddo >>
<< Grazie >> gli dissi guardandolo e porgendogli il mio piccolo accendino azzurro.
Lui sorrise.
Rimanemmo fuori per un'altra sigaretta insieme, fumando in silenzio, mentre nel salone i ragazzi giocavano a Risiko e le nostre mani, poggiate sul legno chiaro e tiepido del patio, si sfioravano leggermente, quando la voce di Ryoga risuonò dietro di noi:
<< Venite a vedere il film? >>
Io mi alzai immediatamente, tenendo addosso la felpa bianca di Alexander, e andai a sedermi vicino alle altre ragazze che sghignazzavano su quanto Ryoga fosse geloso e mi chiedevano insistentemente cosa mi avesse detto il bell'americano, imbarazzandomi a morte.
<< Piace anche a te Alex eh Jude? >> mi sussurrò Sayuri sotto lo sguardo attento delle altre.
<< Ma cosa dici? No, no, tranquilla è tutto tuo >>
<< Guarda che abbiamo visto come ballavate vicini alla festa di Kodachi >> le diede man forte Yuka.
<< A me sembrava che se la intendesse di più con il porcello >> aggiunse una voce maschile alle mie spalle.
<< Kuno, anche tu? >>
<< Mia cara Judith, un cuore romantico ha occhio per queste gentilezze dell'anima >>
<< No, è che sei pettegolo >> si intromise Nabiki << Ragazze prendete una coperta >> aggiunse poi passandocene alcune e trascinando via il ragazzo.

Quando tutti ebbero il loro posto e qualcosa per coprirsi, la mezzana delle sorelle Tendo mise un DVD horror, senza badare alle proteste di Akane, io cercai di trattenere i miei pensieri confusionari e di concentrarmi sul film, la luce fu spenta e le ragazze si accoccolarono ai ragazzi.
Akane tenne per quasi tutto il tempo le mani sul viso, saltando ad ogni sbalzo della colonna sonora e buttandosi sul petto di Ranma ogni volta che le capitava di aprire gli occhi e vedere qualcosa di spaventoso saltare fuori da questa o quella grotta mentre lui, con fare protettivo, le accarezzava la schiena e le sussurrava all'orecchio “smettila di fare la pappa molle”, sorridendo.
Hiroshi, seduto vicino a Yuka, guardava il film riflesso nei suoi occhi e chiudeva i pugni ogni volta che lei, con fare civettuolo, si stringeva al grande braccio di Alexander, nelle scene più paurose.
Sayuri, seduta dall'altro lato, faceva la stessa cosa, spostando di tanto in tanto gli occhi su Daisuke, presissimo dalla trama intricata del film.
Dal lato opposto della sala, il dottor Tofu coccolava una Kasumi addormentata sulle sue gambe e Kuno tentava di fare la stessa cosa, mettendo un braccio intorno alle spalle di Nabiki e dicendole “Non preoccuparti dolce Nabiki Tendo, non avere paura, il tuo eroe è qui a proteggerti!” e beccandosi di tutta risposta continue gomitate nello stomaco.
Shan-pu, piccata perché il suo amore non la degnava di uno sguardo, occupato com'era a prendere in giro e a consolare un'impauritissima Akane, se ne stava sulle sue, snobbando il film e tutte le “ragazzine piagnucolose” che avevano paura guardandolo.
Io invece me ne stavo poggiata al muro vicino a Ryoga, avvolta dalla felpa di Alexander.

***

Nessuno arrivò a scoprire chi fosse il fantomatico assassino: Ranma e Akane si addormentarono testa contro testa; il dottor Tofu si accasciò sulla sua bella fidanzata; Nabiki cedette a Kuno e si addormentò fra le sue braccia; Shan-pu si accovacciò come una gatta e Ryoga dormì rimanendo seduto.
Avvolti nelle nostre copertine estive non chiudemmo la grande porta finestra che si affacciava sul giardino.
Il sole non aveva ancora fatto capolino nel cielo di luglio, le bottiglie di birra giacevano vuote sul bel pavimento, accanto a qualche ragazzo o ragazza addormentati, quando, improvvisamente, mi svegliai destata da un rumore che non aveva niente a che fare con quelli della notte.
Accanto a me Ryoga seduto aveva l'aria di uno che aveva aperto gli occhi già da un po'.
Mi scrollai di dosso lo strambo sogno che avevo fatto e lo guardai, lui mi fece segno di rimanere in silenzio ed avvicinarmi.
Spalla contro spalla gli sussurrai: << Cos'è stato? >>
<< Non lo so, è già da un po' che li sento, credo provengano da fuori >>
<< Tipo un cane randagio? >>
<< Forse >> rispose lui a bassissima voce e si girò ancora per controllare. L'aveva fatto altre dodici volte mentre parlavamo.
<< I miei sensi di artista marziale sono molto acuti, a differenza di Ranma >> sussurrò lui, indicando il ragazzo con il codino che dormiva della grossa << Sono abituato, vivendo sempre all'aperto >>
<< Davvero? >> chiesi io curiosa, in effetti sapevo poco e niente della sua storia
<< Oh sì. Vedi Jude io sono un viaggiatore, un avventuriero. Ho dormito in tenda per tanti anni e quando sei nel bosco al buio devi essere sempre all'erta >>
Poi ci fu un altro rumore, metallico.
<< Oh mio Dio >> dissi avvicinandomi di più a lui.
<< Non ti preoccupare, anche se fosse un malintenzionato ci sono qui io, o il bestione del tuo amico americano >> mi guardò per un attimo << Ci sono anche Ranma, Kuno e Tofu, ma sicuramente lo farebbe scappare Akane a suon di calci! >> sibilò Ryoga ridendo e facendo ridere anche me.
Ma, della serie “a Nerima non si è mai tranquilli”, proprio mentre la tensione per quegli strani rumori notturni stava cominciando a svanire,grazie alle rassicurazioni di Ryoga, vidi strisciare qualcosa accanto a lui.
Una catena? Con all'estremità qualcosa di strano, come uno di quei ganci per prendere i peluches che si vedono nelle macchinette ai Luna Park.
Ryoga si girò immediatamente ma l'affare era già sgusciato via.
<< Che..? >> stavo per chiedere io quando mise la mano sulla mia bocca.
<< Shhhhh, forse è un ladro >>

Il cuore mi batteva all'impazzata e dentro di me pregavo che qualcuno si svegliasse, non che Ryoga non fosse sufficientemente forte da affrontare chicchessia, ma la confusione a volte dà conforto.
Mi avvicinai ancora di più a lui, che mi dava le spalle, tenendo i pugni serrati verso le finestra.
Non so se passarono secondi, minuti o ore, che per me furono più terrorizzanti del film horror di Nabiki, ma poi accadde qualcosa di veramente strano.
Nel silenzio della notte, in cui si sentivano solo i nostri respiri accelerati e i nostri cuori che sbattevano furiosamente contro il petto, all'improvviso, come un fulmine a ciel sereno, un rumore mi fece sobbalzare.
Più che un rumore era una musica... la suoneria di un cellulare?

“Questo è il ballo del qua qua
e di un papero che sa
fare solo qua qua qua
più qua qua qua.
Mamma papera e papà
con le mani fan qua qua
e una piuma vola già
di qua e di là.
Le ginocchia piega un po'
poi scodinzola così
batti forte le tue mani
e fai qua qua
con un salto vai più in là
con le ali torna qua
ma che grande novità
è il qua qua qua.”

La luce fu accesa all'improvviso, sostituendo quella della luna, e noi vedemmo gli altri quasi tutti svegli. Alcuni avevano le sopracciglia aggrottate, confusi, altri sbadigliavano, altri non si erano accorti di niente ed erano stati svegliati da Akane che aveva riportato la luce nella sala.
E poi Shan-pu, con il cellulare in mano, che guardava in direzione del giardino.
I rumori metallici cessarono e vennero sostituiti da una voce maschile che parlava una lingua che non mi sembrava affatto giapponese.
Aveva una voce bassa e mesta, che sembrava molto vicina.
Io guardai in direzione di Ryoga con gli occhi sgranati.
Poi una figura, un'ombra, salì le scale del patio, attraversò la porta finestra e si rivelò a noi: era un ragazzo, alto, con i capelli lisci e neri lunghi quasi quanto i miei, gli occhi celati da due spesse lenti tonde e una veste strampalata lunga e bianca, con un disegno di rombi sul petto e il colletto alla coreana. Dalle ampissime maniche del suo vestito, che pareva quello di un prestigiatore, usciavano ancora due o tre delle catene che avevo visto.
<< Mousse sei tu! >> sbraitò Ryoga << Ci hai fatto prendere un colpo! >>
Il ragazzo, il cui nome dunque era Mousse, si tolse gli occhiali, rivelando due meravigliosi occhi azzurro cielo e cominciò a sparlare accasciandosi per terra.
Shan-pu, che nel frattempo aveva posato il cellulare, si avvicinò con passo svelto e gli diede un piccolo schiaffetto sulla nuca: << Parla in inglese così possono capirti tutti, idiota >>
Mousse, sentendo la voce della ragazza, si rialzò, corse verso di me e, attaccandosi, cominciò a dire -o almeno questa fu la traduzione che mi fecero-: << Shan-pu dolce regina del mio cuore! Sono venuto a riportarti a casa! Vieni con me mio fiore di loto! >> strusciandosi contro la mia gamba.
<< Mettiti gli occhiali talpa! >> gli gridò Ryoga staccandolo in malo modo.
Il ragazzo dalla lunga chioma corvina si trovò per un momento spaesato di fronte alla mia espressione, sicuramente più confusa della sua, poi si riaggiustò meglio gli occhiali, mi guardò dritta negli occhi, sorrise e disse: << Oh, mi scusi bella signorina >> per poi tornare a rivolgersi a Shan-pu, scongiurandola di non rimanere a casa Saotome.
<< Stupido papero >> disse la cinesina prendendo in mano uno dei ganci che fuoriuscivano dalle maniche del suo strambo amico << cosa volevi fare con questi? Ti sembro un pupazzo? >>
<< Eh eh eh eh eh >> rispose lui imbarazzato, grattandosi la nuca << Mia adorata andiamo via! >> aggiunse poi in tono implorante.
<< Non ci penso nemmeno! >>
<< Ma Shan-pu! >>
<< Tornatene a casa Mousse! >>
E la bizzarra scena proseguì per un bel po', mentre io cercavo di avvicinarmi ai miei amici dall'altra parte della sala.
<< Jude tutto bene? >> mi chiese Ranma quando gli arrivai di fianco.
<< Sì, mi sono solo spaventata un po'... credevamo fosse un ladro >>
<< Beh, invece è Mousse! >> rispose lui ridendo.
<< Piacere di conoscerlo >> replicai io ironicamente.
<< Vedi Jude >> intervenne Akane << Mousse è cinese come Shan-pu, loro si conoscono fin da bambini e fin da bambini lui è innamorato perso di lei, che ovviamente non lo ricambia assolutamente... >>
<< Ed è venuto qui perché era folle di gelosia nei confronti di Ranma e voleva portare via la sua amata >> si intromise Nabiki.
<< Con quelle assurde... cose? >> chiesi indicando le sue catene.
<< Sì, quelle sono le armi di Mousse. Anche lui è un artista marziale e, quando ci vede, non è neanche male >> mi rispose Ranma.
<< Quindi vediamo se ho capito: Mousse è innamorato di Shan-pu che è innamorata di Ranma e lo deve sposare perché lui l'ha battuta in Cina, così lei ora lo segue ovunque e per questo si è imbucata qui stasera, ma Mousse era geloso perché ovviamente odia Ranma, così, invece di suonare il campanello e chiedere di parlare con lei, ha cercato di rapirla alle cinque del mattino con delle strane catene facendoci quasi venire un colpo? >>
<< Esatto >> disse Ranma dandomi una pacca sulla spalla << Vedo che ormai sei entrata nell'ottica! >> aggiunse sorridendo.
Io guardai Akane che alzò le spalle e Nabiki che, facendo dei piccoli cerchi con il sito indice di fianco alla tempia, mimò “sono tutti matti”.

Nel frattempo le prime luci dell'alba avevano cominciato a rischiarare l'assurda scena: Mousse e Shan-pu che ancora litigavano al centro del salone; Ranma, Akane, Nabiki ed io che guardavamo divertiti; Ryoga che scuoteva la testa spazientito; il dottor Tofu che cercava di raccattare i residui della nottata sparsi qui e lì nella stanza e gli altri che parlottavano scambiandosi le proprie opinioni.
Poi, come un angelo, apparve Kasumi sulla porta, illuminata da un raggio di sole, con un grembiule fiorato sopra la tenuta da notte, dei guanti da forno azzurri con le margherite e una torta alle mele fumante in mano:
<< Beh, è ora di colazione no? >> disse interrompendo il trambusto con l'ingenuità che solo lei poteva avere << Coraggio ragazzi spostate il tavolino, Mousse rimani? >> domandò poi sorridendo.
Lui guardò Shan-pu, come a chiederle il permesso, lei lo fissò, poi si girò verso tutti noi, indaffarati a sistemare e riapparecchiare la tavola allegramente e lo prese per il colletto dicendo: << Vieni qui paperotto >>

Così ci sedemmo, bevendo latte e mangiando la torta, facendo colazione tutti insieme, sorridenti e divertiti, finalmente uniti.
<< Certo che ce ne sono di tipi strani qui eh?! >> mi sussurrò Alexander all'orecchio facendomi ridere.
<< E ho l'impressione che non sia ancora finita >> gli risposi guardando il cielo color pesca di un nuovo giorno a Nerima, un nuovo giorno che aveva tutta l'aria di dire “ne vedrete ancora delle belle”!!

***

(*) Se non avete in mente la scena del "Matrimonio del mio migliore amico" o non avete mai visto il film, ecco il link, così capite a cosa mi riferisco. (Immaginate che sia successa la stessa cosa a casa Tendo!)
https://www.youtube.com/watch?v=AL0AgUsnEjI

Ciao a tutti! Come potete vedere sono ancora viva!
Scusatemi per l'assurdo ritardo!
Ebbene eccoci qui con l'entrata in scena del nostro paperotto, spero che il capitolo vi sembri plausibile, fatemi sapere!
Come sempre un grazie di cuore a tutte le persone che leggono/seguono/preferiscono/ricordano e a quelle che recensiscono, mi fa un immenso piacere.
In particolare grazie alle mie adorate Ladies che sono magnifiche.
Vi saluto e vi do appuntamento al prossimo capitolo con...?
Un bacio, vostra Aronoele (:

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Capitolo 8
*** Can you fill it? ***


Il sole non era ancora sorto e l'aria, al di là delle finestre, era scura e frizzante.
Kasumi, l'unica sveglia e pimpante, stava finendo di mettere i tramezzini nelle piccole ceste di vimini, chiuse con sottili nastri di raso rosa.
Di tanto in tanto batteva le mani, felice come una bambina la mattina di Natale, mentre dispensava sorrisi e canzoncine allegre nonostante fossero appena le cinque del mattino.
Akane ed io, infreddolite, con gli occhi ancora pesanti ma il cuore leggero e colmo di eccitazione, passavamo in rassegna gli zaini per controllare di non esserci dimenticate nulla:
<< Crema solare? >>
<< C'è >>
<< Teli? >>
<< Ci sono >>
<< Costumi di ricambio? >>
<< Anche >>
<< La palla? >> chiese all'improvviso una voce maschile, ancora impastata dal sonno.
Ranma se ne stava in piedi sulla porta, con la testa scarmigliata poggiata sullo stipite, pantaloncini corti, scarpe da ginnastica e felpa blu notte.
<< Ti sei svegliato! >> disse con voce -fin troppo- stupita Akane.
<< Beh direi, mi hai minacciato in ottocento modi diversi ieri sera! >>
La ragazza sorrise di gusto limitandosi ad osservare che “avrebbe dovuto farlo più spesso, visto che funzionava”. Poi andò in cucina per la colazione e Ranma la seguì, guardandomi con un'espressione buffa sul viso e sussurrando “a volte mi fa davvero paura”.

Con lo stomaco aggrovigliato per il viaggio imminente e per il fatto che fosse ancora troppo presto per fare colazione, bevemmo solo un tè verde e aspettammo, seduti in cucina, stringendoci nelle spalle.
Il suono improvviso -ma atteso- di un clacson in lontananza ci ridestò tutti
<< Uh-uh sono arrivati!! >> cinguettò Kasumi saltellando e Akane andò a salutare Soun, il quale nel frattempo stava facendo mille e una raccomandazione, soprattutto a Ranma, intimandogli con voce perentoria di “proteggere le sue bambine”, mentre il povero ragazzo, con aria rassegnata, si caricava in spalla tutte le valige e raggiungeva Nabiki già uscita dal portone spalancato.
Fuori l'aria era fresca e sembrava sprigionare la stessa eccitazione che trattenevano i nostri cuori, proprio come quando da bambini ci svegliavamo presto per qualche gita scolastica o una scampagnata con la famiglia.
Il vento del mattino, piacevolmente fresco e profumato, mi scompigliò i capelli lunghi, spostandomi delle piccole ciocche sul viso e impedendomi, solo per qualche secondo, di vedere cosa, o chi, fosse fuori dalla porta.
Appoggiati ad piccolo pullman a noleggio, le braccia muscolose incrociate sul petto, Kuno e Alexander ci aspettavano splendidi e sorridenti.
<< Ciao >> mi disse Alexander avvicinandosi.
<< Ciao >> risposi io timidamente.
<< Bene, un attimo di attenzione >> gridò poi Nabiki e rivolsi a lei il mio sorriso imbarazzato << Chi guida? >>
<< Io naturalmente >> esclamò Kuno con boria, spostandosi un ciuffo di capelli color castagna dagli occhi con un gesto plateale.
<< Conosci la strada? >>
<< No... ma ho il navigatore! Qualcuno dovrà darmi le indicazioni... chi si offre volontario? >>
Nessuno rispose tranne Ranma che, a voce bassissima, fece qualche commento sul fatto che sarebbe stato divertente vedere Ryoga, partito qualche giorno prima, alle prese con un navigatore, giusto per confermare la sua teoria secondo la quale “si sarebbe perso lo stesso”.
<< Va bene, ho capito, faccio io >> disse Nabiki strappando letteralmente il piccolo schermo piatto dalle mani del nostro autista e prendendo posto << Dai, muovetevi >> ci incitò poi.
Kasumi salì subito dopo di lei e le si sistemò accanto, stringendosi nel suo bel scialle bianco.
Poi fu il turno di Ranma e Akane che entrarono litigando per si dovesse sedere di fianco al finestrino, sfida poi vinta da Ranma che, con uno scatto quasi felino, prese la ragazza per fianchi spostandola di peso sul posto accanto al suo, ridendo.
Mentre ancora sorridevo alla vista dei miei amici che si scambiavano battute e dispetti, Alexander interruppe i miei teneri pensieri:
<< Prego >> disse, accompagnando la gentilezza della voce con un gesto aggraziato della mano e facendomi segno di precederlo mentre chiudeva lo sportello del pulmino.

E così ci ritrovammo tutti seduti: Kuno alla guida, intento a canticchiare canzoncine strampalate degne di qualche film si seconda serie; Kasumi che, appena dietro, leggeva un romanzo appassionante mentre al suo fianco Nabiki digitava la meta sul navigatore.
Dietro di loro Ranma, che sonnecchiava appoggiato al finestrino ed Akane, concentrata nello scegliere la playlist da mettere.
Ancora più in fondo, agli ultimi posti, Alexander ed io.
Mentre lasciavamo il distretto di Nerima, entrando in autostrada, e l'alba cominciava a far capolino rischiarando, con le prime sfumature turchesi, l'indaco del cielo, Akane si decise finalmente a passare l'iPod alla sorella e una musica dolce riempì l'aria.
La voce profonda e appassionata di un uomo con uno splendido accento inglese cominciò a cantare una canzone flautata e un po' malinconica, mentre Akane, crogiolandosi in quelle note delicate, fece scivolare la piccola testa sulla grande spalla del ragazzo che le era seduto accanto, addormentandosi con il sorriso sulle labbra.
Ranma, con la stessa tenerezza dipinta sul volto di lei, non si mosse, la fece rimanere lì, appoggiata sulla sua spalla, richiudendo poi gli occhi e appoggiando di nuovo la testa sul vetro mentre ascoltava le meravigliose parole cantate come una richiesta da quel ragazzo britannico.
<< Hai freddo? >> mi chiese in un sussurro Alexander, unico testimone, assieme a me, di quella dolcezza.
Riscuotendomi inaspettatamente dal torpore che mi aveva circondata, notai che le mie mani erano effettivamente freddissime e che dei piccoli brividi, dati dalla temperatura o forse dall'emozione, mi riempivano le braccia di pelle d'oca.
Mi girai ad incontrare i suoi occhi annuendo flebilmente e lui, con un semplice “vieni qui”, spalancò l'enorme braccio, avvolgendomi in un morbido e caldo abbraccio e facendo incastonare la mia testa sul suo petto scolpito.
La sorpresa mi colse improvvisa, come un temporale estivo, mentre la mia guancia si appoggiava con una delicatezza inattesa sulla roccia del suo torace e il suo braccio muscoloso mi stringeva a lui.
Così, con quel gesto inaspettato e dolce, anche io mi lasciai andare e chiusi gli occhi, come Akane davanti a me, mentre Alexander mi riscaldava e quel ragazzo nella canzone continuava a cantare un messaggio che, forse, aveva più di un significato per tutti noi.

"There's a hole in my soul
(C'è un buco nella mia anima)
I can't fill it, I can't fill it.
(Io non posso riempirlo)
There's a hole in my soul
(C'è un buco nella mia anima)
Can you fill it? Can you fill it?
(Puoi riempirlo tu?)

***

Quando mi svegliai il sole era già alto e Alexander non aveva smesso di tenermi stretta a lui, accarezzandomi le punte dei capelli mentre guardava l'oceano fuori dal finestrino.
<< Svegliati dormigliona >> continuava a ripetere Ranma dall'altro lato, punzecchiando con un dito la guancia di Akane << Siamo quasi arrivati >>
<< Sei il solito baka >> rispose lei con la voce bassa e lievemente infastidita << stavo facendo un bellissimo sogno... >>
<< Ah sì? E che stavi sognando, bella addormentata? >> intervenne squillante Nabiki << Un principe azzurro che ti svegliasse con un bacio e non con i dispetti? >> rise poi lei.
<< Nabiki ma che dici?? >> rispose Akane alzandosi a sedere di scatto, completamente rossa in viso, mentre Ranma faceva finta di non aver sentito, frugando nel suo zaino alla ricerca di “qualcosa”.
Anche io mi tirai su, guardando Akane con aria complice, mentre Kuno parcheggiava in una zona riservata di fianco alla spiaggia.
Non appena il pulmino si fermò scendemmo tutti, uno per volta, stiracchiandoci le membra e respirando un profumo di salsedine caldo ed intenso.
L'aria fresca dell'alba aveva ceduto il passo al tepore tipico delle mattinate di luglio, così come il vento che continuava instancabile a far volare i nostri capelli.
“È proprio una bella giornata” pensai guardando il cielo meravigliosamente limpido e azzurro sopra di noi e incamminandomi verso la distesa di sabbia fine e bianca che ci attendeva invitante.
Ranma, Alexander e Kuno, da bravi uomini, presero le borse e si avviarono per primi a montare l'ombrellone su quel magnifico tratto di spiaggia, mentre noi ragazze li seguivamo togliendoci i sandali per sentire la sabbia tiepida.
<< Va bene qui? >> chiese Ranma conficcando il palo nella sabbia.
<< Basta che non ci sia troppa gente, la calca mi dà sui nervi >> rispose fintamente altezzosa Nabiki, sfilandosi l'abito e rivelando al di sotto un bikini mozzafiato. Un due pezzi da urlo color ciliegia impreziosito sui bordi da paillettes ton sur ton, stretto ma non volgare, che metteva in risalto le generose curve della ragazza coprendo o mostrando sapientemente, attraverso triangolini di stoffa e laccetti, piccoli lembi della sua pelle liscia.
<< Kuno, mi sistemi la sdraio al sole? >> chiese poi con fare civettuolo, mentre lui la guardava con gli occhi leggermente sgranati, obbedendo senza riserve alla richiesta della ragazza che continuava a sbattere le lunghe ciglia nere.
<< Grazie... >> gli disse accomodandosi sul lettino con in mano una lattina di aranciata e gli occhiali da sole scuri sugli occhi, sembrava una diva del cinema.
Nabiki, come le sue sorelle del resto, era una ragazza bellissima, tanto di viso quanto nel corpo. Aveva delle meravigliose gambe lunghe e snelle, il ventre piatto e il seno piuttosto prorompente, tutte cose che lei, meglio delle altre, sapeva valorizzare perfettamente.
<< Beh, che ci fate lì impalati? >> disse rivolta a noi che non ci eravamo mossi dai nostri posti e ce ne stavamo immobili e ancora vestiti mentre la spiaggia si riempiva << Mica ho fatto una cosa strana, siete voi gli alieni, su svestitevi! >> concluse poi scuotendo la testa con aria sarcastica.
Ridestati improvvisamente dalla naturalezza della nostra amica, uno ad uno, cominciammo a spogliarci anche noi.
Kasumi indossava un bellissimo costume a fascia verde giada, che stringeva elegantemente le sue forme gentili e Akane aveva scelto un bikini giallo limone, meno provocante di quello delle due sorelle, ma altrettanto sofisticato ed in grado di rendere giustizia al suo corpo allenato e armonioso.
Ranma deglutì alla vista delle meravigliose gambe tornite, delle braccia lunghe, dei fianchi morbidi e della pelle nivea che la ragazza stava generosamente mostrando, a tutta la spiaggia.
<< Un costume un po' più coprente no? >> sibilò fra i denti il ragazzo.
<< Cosa c'è Ranma, ti dà fastidio? >> chiese lei, sbattendo le ciglia innocentemente.
<< Ma che vai dicendo! Ero solo preoccupato per gli altri bagnanti... potrebbero scambiarti per una balena e spaventarsi a morte! >> rispose lui facendole la linguaccia e cominciando, subito dopo, a correre verso l'acqua gridando “tanto non mi prendi” mentre Akane lo inseguiva brandendo qualche oggetto contundente.
Anche Kuno si sfilò la maglietta, rimanendo con i suoi boxer blu di Persia ed esponendo alla calda luce solare il torso scolpito.
Senza attendere oltre anche Alexander si spogliò, e non potei non rimanere incantata di fronte allo spettacolo marmoreo del suo fisico possente e muscoloso, nascosto solo da dei semplici boxer neri.
Io invece avevo scelto un bikini sobrio, bianco con dei minuscoli ricami floreali color crema, che non si discostava molto dal mio incarnato e che non dava troppo nell'occhio.
<< Che carina che sei, Jude >> mi disse Kasumi dopo aver terminato la telefonata con il suo fidanzato, che non era potuto venire con noi a causa degli impegni in ambulatorio.
<< Nabiki se non metti la crema ti scotterai! >> proseguì poi con i suoi modi materni, rivolta, questa volta, alla sorella.
<< Uff, che barba! >> replicò la ragazza posizionandosi a pancia in giù e slacciandosi i gancetti del reggiseno, per poi chiamare “Tatewaki!!” schioccando per due volte le dita.
Kuno non disse niente, si mise seduto di fianco alla ragazza e cominciò a spalmarle delicatamente la crema sulla pelle liscia e calda delle spalle e della schiena.
Io guardai Kasumi sorridendo e lei fece una faccia buffa, a metà fra lo scandalizzato e il rassegnato, mentre Alexander, al mio fianco, alzava le spalle divertito.

Poco dopo tornarono anche Ranma e Akane: lui completamente zuppo e con i capelli sciolti che gli grondavano sulle spalle, e lei con l'espressione di trionfo dipinta sul viso.
<< Ranma, ma cosa ti è successo? >> chiese Kasumi premurosamente, passandogli un telo da mare con disegnati sopra bizzarri personaggi di qualche fumetto.
<< Chiedi a quella racchia di tua sorella >> rispose lui togliendosi la maglietta.
Ormai ero abituata a vederlo a petto nudo, date tutte le volte che restava senza la parte superiore del karategi durante gli allenamenti nel dojo, ma fece lo stesso un certo effetto -e non solo a me- vedere i suoi muscoli, imperlati di minuscole goccioline d'acqua, sfavillare alla luce del sole.
<< Te la sei cercata! >> rincarò la dose Akane voltandosi di lato.
Per tutta risposta Ranma inarcò un sopracciglio incredulo, con l'aria di uno che voleva fargliela pagare, e poi agitò velocemente la testa, scrollandosi l'acqua dai capelli con energia e facendola ricadere sulla ragazza che, nel frattempo, cercava di ripararsi con le mani e strizzava gli occhi, come sotto la pioggia.
Non contento poi, le si buttò addosso facendo cadere entrambi e cominciò a rotolare, insabbiandole il corpo e i capelli con le mani mentre lei si dimenava e si contorceva come una bambina a cui stanno facendo il solletico.
Entrambi ridevano raggianti, più luminosi di quella meravigliosa giornata estiva, contagiando anche noi spettatori che facevamo il tifo -chi per lui e chi per lei- incitandoli con incoraggiamenti di ogni tipo.
Improvvisamente Akane ribaltò la situazione e si portò a cavalcioni sopra lo stomaco del ragazzo, avendo particolare cura nello spargergli la sabbia sul petto, che ormai aveva assunto un colore dorato.
<< Vai sorellina! >> gridò a quel punto Nabiki e Ranma, guardandola con la coda dell'occhio, stese il braccio per arrivare alla gamba del suo lettino.
Lo afferrò, alzandolo con una mano sola, mentre tutti i tendini in rilievo nella parte interna del bicipite davano prova della sua forza, e lo rovesciò.
Nabiki rimase per terra immobile, con la faccia a metà fra il fintamente indignato e lo schifato, attenta a non impastare più del dovuto crema e sabbia, mentre Kuno la guardava famelico.
<< Nabiki Tendo >> esordì il ragazzo avvicinandosi un passo alla volta << Sebbene sia stata un'esperienza più che unica toccare la tua pelle vellutata, e sinceramente te ne ringrazio, il trattamento da schiavetto che mi hai riservato oggi non si addice molto alla mia condizione di Aristocrat, dunque... >> Ci fu pausa lunghissima pausa ad effetto mentre lui la guardava intensamente e con il fuoco negli occhi << Questa è l'ora della vendetta! >> disse poi come un urlo di battaglia e si scagliò contro la ragazza, impanandola come una cotoletta, mentre lei cercava di scappare fra un “non osare” e l'altro.
Ranma e Akane, rimasti nella posizione in cui erano prima, avevano osservato tutta la scena ridendo di gusto, con quelle risate genuine che fanno bene all'anima, quando lei, scendendo dal ventre del ragazzo, gli disse qualcosa all'orecchio alzando gli occhi verso di me.
<< Oh no, no, no, no, no, no, no, no, no... >> continuai a ripetere io indietreggiando.
Avevo perfettamente intuito le loro intenzioni dai loro sguardi e dal fatto che si stavano avvicinando con le braccia tese sussurrando, con la teatralità degna di due zombie dei migliori film horror, frasi come “Non ci scappi, Jude”.
Ma furono nettamente più veloci di me e, dopo avermi gettato addosso un po' d'acqua da una bottiglietta, mi abbracciarono, una davanti e l'altro dietro, trasferendo la sabbia dai loro corpi al mio, per poi trascinarmi a terra con loro.
Alexander si unì presto a noi, buttandosi allegro nella mischia, e così continuammo a rotolarci in quella distesa di granelli caldi, giocando spensierati, afferrandoci per i fianchi, buttandoci gli uni sugli altri, impiastricciandoci la pelle e i capelli, mentre le risate gioiose sembravano non finire mai.

Quando la sabbia ci era entrata ormai anche nel naso e nessuno di noi aveva più il suo colore naturale, decidemmo che era ora di andarci a fare un bagno.
Lasciammo Kasumi, l'unica che era rimasta incolume dalla battaglia, a guardia delle nostre cose e ci dirigemmo verso la riva.
L'oceano era uno spettacolo.
Pacifico era davvero l'aggettivo che meglio lo descriveva.
Una distesa di acqua turchese, calma e piatta, che brillava tempestata da tanti piccoli diamanti che sembravano scendere dal cielo, come una moltitudine di minuscole stelline che danzavano sul blu.
L'aria ricolma di salsedine solleticava le narici ed il vento, salmastro e fresco, portava sollievo dal sole cocente.
Anche nella mia America c'è l'oceano, anche nella mia New York, ma chi dice che il mare è sempre lo stesso in qualunque posto si vada, sbaglia.
Il mare cambia, come cambiano gli orizzonti, come cambiano i paesaggi. Nemmeno il sole è sempre uguale. Nemmeno le persone sono sempre uguali.
Io di sicuro non ero uguale.
Chi torna da un viaggio non è mai lo stesso che è partito, no?
E pensare che l'acqua, con le sue onde e le sue risacche, con i suoi vortici e le sue maree, va e viene in continuazione, si infrange e si riassorbe sempre.
Come fa ad essere sempre la stessa?
Sorrisi a quel pensiero mentre mi guardavo intorno e vedevo i miei amici, con la pelle resa ocra dalla sabbia, tanto che parevano abbronzati, tanto che i loro occhi, azzurri o castani che fossero, risultavano più luminosi che mai. Li vedevo mentre il riflesso dell'oceano li rendeva più belli e la brezza marina gli spettinava i capelli. Vedevo i loro denti, esposti nei migliori sorrisi, più bianchi delle nuvole e le loro espressioni contente.
Poi, improvvisamente, vidi un'ombra, dapprima lontana e man mano sempre più vicina, un'ombra che non era sporca di sabbia come noi, ma che, come noi, aveva gli occhi verdi scintillanti e i capelli scarmigliati.
Ryoga arrivò sorridente, maestoso e bello, con il costume militare e i muscoli in bella vista.
<< Ciao ragazzi sono ore che vi cerco ma che... che avete combinato? >> chiese salutandoci.
<< Battaglia di sabbia >> rispondemmo tutti all'unisono.
<< State andando a farvi il bagno? >> chiese poi lui, ma notai che la sua voce aveva subito una leggera incrinatura.
<< Sì, vuoi venire con noi? >> gli domandò Akane con voce gentile.
<< Ehm... oh, Akane sei... sei molto gentile ma io... no... io credo che vi aspetterò qui... >>
<< Ma dai vieni, non farti pregare! >> cercò di convincerlo lei.
<< No, no, ma grazie dell'invito... Vado a dire ad Ukyo che siete arrivati... così poi possiamo andare tutti a pranzo... o-ok? >>
<< Non ci metteremo molto, non c'è bisogno che tu l'avverta! >>
<< Akane, se Ryoga non vuole venire forse c'è un motivo... >> la interruppe Nabiki << Hai paura dell'acqua? Brutti ricordi? >> sogghignò lei.
<< Ma che dici! >> ribatté lui con il tono quasi offeso << Io non ho paura di niente! >>
<< Allora dimostracelo! >> disse Ranma tirandogli addosso delle piccole palle di sabbia bagnata che finirono per sporcarlo tutto << Adesso devi sciacquarti anche tu >> ghignò poi.
<< Tranquillo, nemmeno io so nuotare. Noi non andremo nell'acqua alta, resteremo vicini! >> lo rassicurò ulteriormente Akane e lui sorrise, finalmente rasserenato.
<< E va bene, mi avete convinto! Andiamo!! >>

Ci prendemmo per mano, come una lunga catena umana, ed affrontammo l'oceano tutti insieme, correndo.
A contatto con i nostri corpi caldi e sudati l'acqua era un gelido piacere.
Giocammo per quelle che sembrarono ore, eravamo una combriccola di ventenni o poco più ma ci divertivamo come bambini.
Ci rincorremmo in lungo e in largo su quel tratto di blu che ci aveva accolti, sotto gli sguardi stupiti, sorridenti o semplicemente curiosi della gente che osservava sette ragazzi tuffarsi, schizzarsi e ridere come matti.
Ci fu anche una battaglia acquatica, di quelle dove la ragazza deve salire sulle spalle del ragazzo e cercare di affondare l'altra coppia, dove vinsero Ranma e Akane, ché lei, anche se non sapeva nuotare, in quanto a forza non si faceva battere da nessuno.
Nabiki, Kuno, Ranma, Alexander ed io facemmo persino una gara di nuoto spingendoci verso le profondità dell'oceano, mentre Ryoga e Akane si tenevano per mano dove l'acqua era più bassa, lei che ci salutava raggiante e lui, color porpora in viso, che sembrava più rigido di uno stoccafisso (ed io sospettai che non fosse necessariamente solo a causa della paura dell'acqua).
La gara -ovviamente- fu vinta da Alexander, dato che una sua bracciata valeva tre volte quella della maggior parte di noi e fu poi costretto da Ranma a dargli una rivincita nella quale, nemmeno a dirlo, arrivarono pari.
Il tempo trascorse veloce, correndo quasi più di noi, e venne l'ora di raggiungere Kasumi che ci attendeva a riva con una pila di teli fra le mani, di asciugarci e di andare -finalmente- a incontrare la persona per cui quella gita al mare aveva avuto luogo: Ukyo.
Ci affidammo così al senso dell'orientamento di Ryoga, che era stato al suo chiosco fino a prima di incontrare noi e, dopo quasi un'ora spesa a scottarci i piedi con la sabbia infuocata e a cercare un po' d'ombra su e giù fra gli ombrelloni, arrivammo, giusto in tempo per il pranzo.
<< Oh Jude, vedrai >> mi disse Ranma entusiasta << Ukyo fa le okonomiyaki migliori di tutto il Giappone! >>
<< Wow... fantastico... ma che cos'è esattamente una okonomiyaki? >> chiesi esitante.
<< Che scemo, ovviamente non ci sono in America! Ecco, l'okonomiyaki è... è... >>
<< Il termine “okonomi” si può tradurre con “ciò che vuoi” e “yaki” con “alla griglia” >> esordì Nabiki << Per dirla all'americana, ha la forma di un pancake... È una specie di pizza insomma, con sopra tutto quello che vuoi >> finì lei strizzando un occhio.
<< Beh Jude, vedrai che ti piaceranno! >>
<< Ne sono sicura! >> dissi io sorridendo e raggiunsi gli altri, di poco avanti a noi.

***

Prima di partire immaginavo il Giappone come una meravigliosa perla dell'Oriente, il posto più bello di tutta l'Asia, così affascinante con le sue tradizioni, così intrigante con i suoi luoghi spettacolari.
Dall'inizio della mia permanenza nella terra del Sol levante però ero giunta anche ad un'ulteriore conclusione: il Giappone era, senza ombra di dubbio, il luogo dove c'erano i ragazzi più belli che avessi mai visto.
Dopo Kuno e il suo fisico possente che lo faceva assomigliare a una montagna massiccia; dopo Ryoga e i suoi muscoli prepotenti ma gentili; dopo Ranma e i suoi occhi che avrebbero potuto tranquillamente fare
concorrenza all'oceano, dopo l'incantevole bellezza di ognuno di loro, beh, c'era Ukyo.
Ukyo era uno chef, un affascinantissimo chef.
Aveva dei lunghi capelli color cioccolato legati in una coda bassa, dei grandi occhi blu avio, delle piccole labbra carnose ed un sorriso smagliante.
L'atteggiamento, mentre cuoceva la sua specialità su una piastra calda e maneggiava con destrezza delle spatole argentate, era sicuro di sé e dolce al tempo stesso. Dispensava sorrisi ai suoi clienti, asciugandosi di tanto in tanto il sudore con una manica della divisa grigio perla impreziosita da bottoni dorati e si muoveva instancabilmente, con una velocità straordinaria, riempiendo quei pancakes orientali con ogni tipo di ingrediente.
I lineamenti del suo viso erano delicati e gentili, quasi come quelli di una ragazza, e aveva un leggero odore di spezie.
Non appena ebbe finito di servire le numerosissime persone accorse su quell'angolino di spiaggia per assaggiare le sue okonomiyaki -che a quanto pare erano davvero una prelibatezza- corse a salutarci.
<< Venite, ragazzi! >> ci gridò quando la folla cominciò a diradarsi, e noi ci avvicinammo.
<< Ciao U-chan! Questa è Jude, la nostra amica americana >> mi presentò Ranma << Jude, Ukyo ed io siamo amici da quando eravamo due poppanti >>
<< Molto piacere >> dissi io inchinandomi e lui fece lo stesso, aggiungendo un “il piacere è tutto mio”.
<< E lui è Alexander, anche lui è in scambio culturale come Jude >> aggiunse poi Akane, tirando una gomitata a Ranma che mimò un “ma che ho fatto?” alzando le mani con aria contrariata.
Ukyo fissò Alexander e mi sembrò quasi arrossire per un momento, ma poi rispose al suo inchino e tornò velocemente dietro al bancone.
<< Allora, voi due, avete mai assaggiato le okonomiyaki? >>
<< No, mai >> risposi io, enfatizzando le parole con il movimento della testa.
<< Beh, anche se fosse, non avete mai provato le mie! Ran-chan gli hai detto che sono le più buone del mondo? >> scherzò lo chef.
<< Ma certo! >>
<< Come le volete? >> chiese poi versando da un mestolo sette piccole porzioni di impasto e allargandole con una spatola.
<< Special! Ho già l'acquolina in bocca al solo pensiero! >> disse Ranma leccandosi le labbra e massaggiandosi la pancia in modo decisamente eloquente.
<< E sia! Sette okonomiyaki special per i miei amici! Ryoga verresti a darmi una mano? >>
Il ragazzo rispose con un cenno del capo, si rimise l'usuale bandana gialla, tolta per fare il bagno, e andò dietro al bancone con il cuoco.
<< Non sapevo che sapessi cucinare anche tu >> sussurrai io rivolta a Ryoga.
Da quando eravamo arrivati al mare non avevamo parlato molto e la cosa, a dire la verità, non mi piaceva. Sembrava quasi che mi stesse... evitando?
<< Oh... beh...io >> farfugliò lui grattandosi la testa << Me la cavo! Eh-eh-eh-eh... >>
No, forse era solo una mia impressione, in fondo era il ragazzo timido e impacciato che avevo conosciuto.
<< Oh, su Ryoga, non fare il modesto >> intervenne Ranma << Jude, devi sapere che glielo ha insegnato Ukyo! Quando lui è in città va spessissimo al suo ristorante... >>
<< Ma che dici Ranma? Ci vado qualche volta, così, per salutare... >> rispose Ryoga scaldandosi più del dovuto.
<< Se lo dici tu! >> proseguì Ranma in tono allusivo.
Ukyo non disse niente, rimase con un sorriso accennato sulle labbra e ci servì i nostri piatti.
Il profumo era delizioso e le okonomiyaki erano decorate magistralmente, con sottili linee di salsa quasi bordeaux e maionese che si intersecavano sui gamberetti formando un reticolato perfetto.
<< Fatemi sapere come sono >> disse il cuoco appoggiandosi con i gomiti sopra al bancone e guardandoci trepidante, ancorando i begli occhi ai nostri in attesa di una risposta.
La cucina giapponese è un'esperienza unica, un ventaglio di sensazioni e sapori: delicate o energiche, miti o intense, salate, acetate, dolci, ma sempre deliziose.
Fino a quel giorno avevo assaggiato tantissime specialità del paese del Sol levante, dato che Kasumi era una cuoca eccezionale, e anche dell'ottimo sushi, in un piccolo ristorantino vicino all'università insieme a Ranma e Akane, ma l'okonomiyaki era entrata di diritto fra i miei piatti preferiti.
Forse era merito dell'impasto o della salsa dal sapore esotico e particolare, niente che avrei mai potuto trovare a New York, ma me ne innamorai al primo morso.
<< Sono squisite Ukyo, complimenti >> risposi alla sua domanda con slancio e lui fece uno stupendo sorriso a trentadue denti.

***

Le prime ore del pomeriggio arrivarono calde e afose, e noi dovemmo lasciare Ukyo al suo lavoro, con la promessa però che ci saremmo rivisti prima di ripartire.
I ragazzi organizzarono una partita a beach volley e mentre Akane, Nabiki e Kasumi si erano fermate in un piccolo chiosco con il tetto di paglia a bere un drink fruttato da bicchieri decorati con gli ombrellini, io ero rimasta seduta sulla sabbia a guardarli.
A guardare le forme armoniose dei loro bei corpi sudati stendersi, contrarsi e levarsi elegantemente in volo.
A guardare i loro colori rincorrersi, fondersi e poi distaccarsi di nuovo; a guardarli mentre colpivano con forza la palla bianca e blu, mentre si buttavano per terra per riceverla, mentre si abbracciavano ad ogni punto.
Rapita dai sorrisi e la loro allegria mi ritrovai a pensare ad Alexander: così bello e statuario, così misterioso e riservato nei modi di fare, così simile a me per certi versi.
E poi a Ryoga. Bello, forte, ma anche timido e gentile e... sfuggente, ultimamente soprattutto.
Mentre i miei occhi castani erano persi in quello scenario, improvvisamente una mano sulla spalla mi fece sussultare.
<< Un penny per i tuoi pensieri >> sussurrò Akane accovacciandosi sulla sabbia accanto a me << Ti va bene lo stesso uno yen? >> aggiunse poi tirandomi una monetina argentata.
Io risi divertita, tornando poi a puntare gli occhi sulla partita con ancora il sorriso sulle labbra.
Giocherellavo con quel piccolo pezzo di metallo passandomelo e ripassandomelo fra le dita, mentre il mio sguardo si perdeva oltre i ragazzi, direttamente nell'orizzonte.
Akane continuò a tacere al mio fianco, senza dire una parola, semplicemente fissandomi e aspettando che mi decidessi a rompere il silenzio.
<< Non pensavo a niente di particolare... >> dissi alla fine in un soffio che pareva rassegnato.
<< Mmm >>
<< Beh... è che... forse è solo una mia impressione, ma da quando siamo arrivati qui mi sembra che lui... lui sia un po' sfuggente >> mormorai imbarazzata, con la voce più bassa per non farmi sentire dal resto del gruppo.
Akane si voltò a guardare i ragazzi proprio mentre il gioco si era fermato per un secondo e Alexander, venuto più vicino per prendere un po' d'acqua, mi aveva sorriso facendomi l'occhiolino.
<< Che dici? Se non ha occhi che per te! Secondo me gli piaci! >> mi disse in un bisbiglio.
<< Ma se mi ha evitata per tutto il tempo! >>
<< No, no, credimi. Non lo conosco così bene ma me ne sono accorta persino io! >> riprese lei con più energia, cercando di rassicurarmi.
<< Credevo foste molto amici... non vi conoscete da anni? >>
<< Ma di chi stiamo parlando? >>
<< Di... di... ehm... di... Ryoga >> ammisi infine.
<< Jude, ma... tu e Ryoga..? >> chiese facendomi avvampare.
<< No! No! È solo che, beh ecco... mi sembrava che fossimo diventati amici, andiamo d'accordo... E invece, tutto ad un tratto, mi evita completamente! Credi che si sia offeso per qualcosa che ho fatto? >>
Akane assunse un'aria pensierosa: << Mmm... forse si è accorto che fra te e Alexander... >>
<< Ma non c'è niente fra me e Alexander! Siamo solo buoni amici, come credevo di esserlo con lui! >>
<< Allora probabilmente dipende da Ukyo >>
<< Da Ukyo? >> domandai un filino incredula, non riuscendo a capire cosa c'entrasse il bel cuoco con lo strano comportamento di Ryoga.
<< Sì... sai, Ryoga è stato per anni innamorato di me >> mi confidò la mia amica, arrossendo in una maniera così dolce e pura che non potei trattenermi dal sorridere a mia volta ricordando perfettamente le parole di Ranma: “Ma chi, Akane? No figurati, ingenua com'è non si accorgerebbe che un ragazzo è innamorato di lei nemmeno se lui le scrivesse dei manifesti.
<< È... è un segreto... anche io l'ho scoperto da poco... non credo che lui sappia che io so... >> riprese imbarazzandosi sempre di più << Ryoga è un ragazzo davvero buono e dolce, anche se molto timido; un amico ineccepibile e con un grandissimo senso della giustizia. Forse, dedicandoti troppe attenzioni, crede di fare un torto a Ukyo... ultimamente crediamo che ci sia del tenero fra loro... >>
<< Oh... >> non sapevo cosa dire.
<< Una volta, un po' di tempo fa, siamo andati a fare una scampagnata tutti insieme nella grotta più infestata di tutto il Giappone, chiamata “tunnel del perduto amore” >> cominciò a raccontarmi Akane sorridendo al solo ricordo << È una galleria buia, piena di imprevisti e dove si può entrare solo a coppie. Se l'amore che lega i due innamorati è sincero, la coppia uscirà illesa e unita come prima. Se invece il legame è debole, gli spiriti riusciranno a separare i malcapitati o i due finiranno comunque a litigare e lasciarsi. Beh... Ryoga e Ukyo superarono il tunnel insieme! In realtà lo fecero per cercare di separare Ranma e me, ma quella è un'altra storia >> concluse in una risata.
<< Akane, temo di non seguirti più! Sono un po' confusa... cosa c'entrate tu e Ranma? >>
<< Te l'ho detto! Bisognava entrare a coppie e io entrai con Ranma e... >>
<< Quindi il ragazzo a cui appartiene il tuo cuore è... Ranma? >> chiesi io sogghignando nel vederla imporporarsi e spalancare i begli occhi color del whisky.
<< Eh? Ma figurati se posso essere innamorata di quel baka! >> rispose con la voce più alta di un'ottava << Solo che Nabiki entrò con Kuno, Mousse si attaccò come al solito a Shan-pu e mio padre entrò con Kasumi. Il signor Genma con Cologne (la vecchia bisnonna di Shan-pu) Kodachi con Sasuke... che altro potevo fare? Sono dovuta per forza entrare con Ranma... non che la cosa mi entusiasmasse più di tanto... >> finì riprendendo fiato.
<< Il non piacere è stato tutto mio, maschiaccio! >> le gridò Ranma dal campo da gioco facendole la linguaccia.
<< Che vuoi tu? Non ascoltare i nostri discorsi da donne! >>
<< Io di donna ne vedo una sola e comunque Jude, dovevi vederla la tua amica mentre si stringeva a me temendo che ci fosse qualche fantasma! “Ohhh, che paura che ho Ranma!!!” e intanto mi abbracciava! >> la prese in giro lui parlando in falsetto per farle il verso.
<< Andiamocene via, Jude qui non si può stare in pace! >> disse Akane scattando in piedi e mi trascinò lontano aggrottando le sopracciglia spazientita e facendogli una boccaccia come riposta.
<< Insomma... dicevi? >> le chiesi io quando ci fummo allontanate a sufficienza.
<< Non mi ricordo... >> finse lei grattandosi la nuca.
<< Mmm... vediamo... tu che ti avvinghi a Ranma... >>
<< Eh?? No, no... io non mi sono avvinghiata proprio a nessuno! Non ascoltarlo! >>
<< … >>
<< Tornando al discorso di Ryoga... ecco, lui e Ukyo uscirono da quel tunnel insieme. Ranma sostiene che da quel momento Ryoga abbia smesso di sperare che tra me e lui.... beh ecco... sì, insomma hai capito dai... >>
<< Potesse succedere qualcosa >> completai per lei.
<< Esattamente. E lo stesso vale per Ukyo >>
<< Ukyo? >> domandai ancor più confusa << Ukyo voleva uscire con te? >>
<< Eh? Ma no, non con me naturalmente. Con Ranma! Anche se da quel momento in poi smise di andargli dietro come faceva prima >>
<< Anche Ukyo andava dietro a Ranma? >>
<< Soprattutto Ukyo! Quasi peggio di Shan-pu e Kodachi! >> asserì lei con l'aria di una che la sa lunga, ma poi si affrettò a correggersi: << No, peggio di Shan-pu no! >> aggiunse poi facendo scoppiare entrambe in una sonora risata.
<< Ma... non sono amici? >>
<< Oh sì, molto amici! Si conoscono da quando erano bambini solo che beh, è una storia lunga! >>
<< Ho tempo >> risposi mentre cominciavamo a passeggiare lungo la riva.
<< Ranma è arrivato qui solo qualche anno fa ma prima ha avuto una vita molto difficile. Quando era ancora piccolo suo padre lo strappò alle cure della madre per portarlo con sé in viaggio di addestramento per tutto il Giappone e buona parte della Cina. Sotto la guida di Genma, Ranma è diventato l'abile artista marziale che hai potuto ammirare. Si è allenato in molti posti apprendendo una moltitudine di tecniche diverse, ecco perché oggi è così forte >> mentre Akane seguitava nel racconto io mi soffermai un momento a guardarla e capii quanto fosse fiera di lui, non solo dalle parole che gli riservava, ma anche dai sorrisi teneri che faceva quando si interrompeva. Per non parlare degli occhi che, assottigliati e persi nell'orizzonte, celavano uno sguardo ricolmo di ammirazione e affetto; forse non guardavano nulla di particolare, semplicemente vedevano oltre.
<< È stato proprio durante uno di questi viaggi che Ukyo e Ranma si sono conosciuti e sono diventati amici. Un giorno si imbatterono nel signor Kuonji, il padre di Ukyo. Anche lui era un cuoco di okonomiyaki e aveva un chiosco mobile. Devi sapere che Genma e Ranma non avevano molti soldi, dormivano in una tenda e mangiavano quando potevano, così Genma, pur di assicurarsi del cibo, promise al signor Kuonji, in cambio del carretto di okonomiyaki, che Ranma e Ukyo si sarebbero sposati una volta adulti. Inutile dire che poi rubò il chiosco e non si fece più vedere... >>
Io ascoltai avidamente quella storia bizzarra e strampalata, in perfetto stile “Saotome”, e Akane proseguì, raccontandomi di quando Ukyo, una volta ritrovato Ranma, inizialmemente ce l'avesse con lui per la storia del chiosco rubato, ma anche di come, dopo poco tempo, fosse caduto preda anche lui del fascino del nostro bellissimo amico innamorandosene perdutamente.
<< È per questo che si chiamano in quello strano modo? >>
<< Ran-chan e U-chan, dici? >>
Io annuii e Akane sorrise.
<< Sì, anche. I suffissi onorifici hanno sfumature abbastanza complicate da capire nella lingua giapponese >> disse mimando la voce del nostro professore di storia della cultura giapponese.
<< Il suffisso “-chan” è per di più un vezzeggiativo, viene usato da una persona adulta per riferirsi ad una più giovane. Ad esempio mio padre potrebbe chiamarti Jude-chan, o anche Kasumi perché è più grande di te. E poi si usa anche fra persone che hanno moltissima confidenza: tra fratelli per esempio, o amici di vecchia data e infine tra fidanzati... a volte... anche se è più intimo chiamarsi solo per nome... >>
<< Mmm ho capito... e io, ad esempio, come dovrei chiamarti? >>
<< Tu potresti chiamarmi Akane-chan perché ormai siamo grandi amiche! >> rispose lei con il suo solito sorriso contagioso << E io ti chiamerei Jude-chan! >>
<< E invece come dovrei chiamare Ranma? >>
<< Ranma-kun. Il suffisso “-kun” per i ragazzi e “-san” per le ragazze si usa fra persone che sono amiche ma hanno meno confidenza. Per esempio Ryoga mi chiama Akane-san, anche se ci conosciamo da anni, perché è troppo rispettoso e timido per chiamarmi Akane-chan, sarebbe sconveniente. E poi sono indici di un rispetto maggiore: si usano quando chiami una persona più grande di te, per esempio io e te dovremmo chiamare Kasumi Kasumi-san perché è più grande di noi >>
<< Quindi Ranma chiama Ukyo U-chan perché sono amici da moltissimo tempo e Ukyo lo chiama Ran-chan sia per la loro amicizia e sia in nome del suo amore? >>
<< Credo di sì >> rispose lei ridacchiando.
<< Anche se... >>
<< Anche se recentemente anche Ryoga ha cominciato a chiamare Ukyo U-chan >>
Io non dissi nulla e continuai a camminare guardando le persone che passeggiavano davanti a me.
E così Ryoga si comportava in questo modo strano perché, dimenticando Akane, si era avvicinato sempre di più a Ukyo, il bellissimo cuoco precedentemente innamorato di Ranma per via di una vecchia promessa fatta a suo padre da Genma.
Non potei fare a meno di pensare che Ranma era una specie di carta moschicida per le situazioni più assurde: Kodaci Kuno, la sorella di Tatewaki, era innamorata di lui e cercava di attirarlo a sé avvelenandolo e rapendolo con frequenza mensile; Shan-pu, la bellissima amazzone cinese, era convinta di doverlo sposare perché lui l'aveva battuta in uno scontro e le severissime leggi del suo villaggio le imponevano questa regola; e ora venivo a sapere che anche Ukyo era legato a Ranma per qualcosa che andava contro la sua volontà.
Mi ritrovai a chiedermi se, fra tutte quelle bislacche fidanzate, Ranma ne avesse una che aveva scelto col cuore.
A Nerima sembrava vigere una regola particolare: la maggior parte delle ragazze era innamorata di Ranma, per via di qualche bizzarro evento, regola o semplicemente perché ammaliata dal suo fascino a cui nessuno sembrava poter resistere. I ragazzi invece non avevano occhi che per Akane. Ad eccezione di Ukyo a quanto pareva e Mousse, che vedeva solo Shan-pu.
Continuando a fissare con sguardo vuoto di fronte a me, non potei non cominciare a chiedermi come mai. Eppure questo quartiere speciale a nord est di Tokyo brulica di ragazze e ragazzi dalla bellezza mozzafiato.
Chissà se Akane e Ranma erano interessati a qualcuno dei loro pretendenti oppure no.
E chissà se, a parte le coppie nascenti come Nabiki e Kuno -ormai era evidente ci fosse un certo feeling fra loro-, anche gli altri miei strampalati amici celavano nei loro cuori un amore diverso, nascosti sotto l'alibi di essere ancora innamorati di Ranma o Akane.
Il mio pensiero andò subito a Ryoga e Ukyo e una fastidiosa sensazione mi attanagliò lo stomaco.
Chissà se...

Ma proprio in quel momento qualcosa, o per meglio dire qualcuno, interruppe i miei pensieri.
Dall'altra parte della spiaggia Ukyo si stava facendo largo fra la folla di bagnanti per raggiungerci. Indossava ancora l'uniforme da lavoro con la cui manica si stava asciugando il sudore che gli imperlava la fronte.
<< Ukyo, hai finito il turno per oggi? >> chiese Akane.
<< Sì! Ohhh, che fatica e che caldo!! Ma dove sono gli altri? >>
Prima ancora che qualcuna di noi potesse rispondergli, i ragazzi ci vennero incontro con fare irruento, alzando un gran polverone e travolgendoci come una valanga.
<< Noi abbiamo bisogno di un altro bagno! >> gridò Ranma correndo verso l'acqua.
<< Già, siamo di nuovo tutti sporchi >> aggiunse Kuno raggiungendolo.
<< Hey aspettatemi, vengo anche io!! >> disse Ukyo con entusiasmo, poi sfilò dalla tasca una sottile fascia arancione e se la annodò sulla testa facendo un grande fiocco, tirando indietro una parte di frangia e sciogliendosi i capelli.
Proprio nel momento in cui realizzavo che il ragazzo dai tratti delicati che sembrava quasi una ragazza in realtà era una bellissima ragazza per niente androgina, lei si tolse la divisa da chef e mostrò un fisico tonico e asciutto, messo in risalto da un bellissimo costume con il reggiseno a fascia e le culottes blu notte, bordato di arancione come il nastro che le reggeva i capelli.
Forse, in quel preciso istante, seppi che nome dare a quella strana sensazione che mi pesava sullo stomaco.
La mia espressione doveva apparire proprio stupita -oltre che molto stupida- perché Akane mi guardò apprensiva:
<< Tutto bene, Jude? >>
<< Sì... >> sussurrai io ancora incredula << Ma Ukyo... Ukyo è una ragazza! >> chiesi mentre tutto nella mia testa acquistava magicamente senso.
Akane scoppiò a ridere molto, molto, ma molto divertita.
<< Hey... è fraintendibile! >> dissi mettendo un piccolo broncio e sentendomi leggermente offesa dalla mia amica che si stava prendendo gioco di me.
<< No, no, scusami, Jude >> annaspò lei non riuscendo a fermarsi << È che anche Ranma inizialmente ha creduto che fosse un maschio! Però hai ragione, Ukyo ha vissuto molti anni comportandosi come un ragazzo, ha persino frequentato una scuola maschile! >>
Io annuii pensierosa mentre Akane venne scossa da una nuova ondata di risate senza fine.
<< Scusami... è che è così comico! Sono stata mezz'ora a parlarti di Ukyo, Ranma e Ryoga... chissà cosa devi aver pensato!! >>
<< Già >> feci io, ma il pensiero che Ukyo fosse una ragazza non mi divertiva poi così tanto.
La osservai ancora, con consapevolezza questa volta, mentre si aggrappava alle spalle di Ryoga solleticandogli la pelle accaldata con i capelli scuri, mentre rideva sfoggiando una dentatura perfetta, mentre saltellava in acqua facendo risaltare le sua forme sinuose.
Era davvero bellissima, ancora di più da ragazza che da ragazzo.
<< Akane, Jude, che ci fate ancora lì? >> gridò Ranma uscendo dall'acqua e rientrandoci trascinandosi dietro un'Akane rassegnata ma divertita.
<< Coraggio >> mi disse Alexander invitandomi a raggiungerli con un cenno della mano.
<< Dai Jude, vieni anche tu! >> urlò Ryoga ed io entrai in acqua.

***

La nostra gita al mare era giunta al termine.
Le risate, i giochi, i bagni, le corse, tutto era cessato ed era arrivata l'ora di tornare a casa mentre il sole si stava preparando a darci la buonanotte.
Ci incamminammo verso il nostro pulmino guardando le fotografie che Nabiki aveva scattato in quella giornata piena di emozioni e nuove scoperte.
Ce n'erano alcune in cui eravamo tutti insieme, in posa o buttati gli uni sugli gli altri fra la sabbia, alcune in cui sorridevamo e altre nelle quali facevamo delle buffe boccacce. Ce n'erano poi un paio dei ragazzi mentre giocavano a beach volley, una di Ukyo mentre cucinava, una mia e di Akane mentre passeggiavamo sulla battigia, una di Kuno che prendeva il sole e una di Kasumi al telefono.
Ma la più bella era quella scattata per ultima.
Eravamo appena usciti dall'ultimo bagno e Nabiki aveva gentilmente chiesto ad un passante di farci una foto. Il dito poco esperto di quel signore grassoccio e con pochi capelli aveva catturato una scena splendida: Kuno, il primo a sinistra, gonfiava il petto mentre Nabiki, che lui teneva abbracciata per la vita, alzava gli occhi al cielo; di fianco a loro Kasumi con la mano sinistra alzata in segno di saluto e sul volto il sorriso di chi ha passato una bella giornata; poi Ranma che teneva un braccio intorno a me e l'altro intorno ad Akane mentre con l'indice e il medio di entrambe le mani faceva il segno “V” di vittoria; accanto a noi, simpaticamente inginocchiato di fianco alle mie gambe, Alexander; ed infine Ukyo che faceva una linguaccia e Ryoga che sorrideva mostrando i canini.
Guardai quella foto per un minuto intero soffermandomi ad osservare con attenzione i volti rilassati e sorridenti dei miei compagni di avventura. Ne mancavano alcuni, come Kodachi, Shan-pu e Mousse che avevo già conosciuto, e altri che avrei incontrato a breve e che mi avrebbero regalato altre pagine da raccontarvi, ma mi innamorai a prima vista di quella foto.
<< Bella questa! >> disse Ukyo arrivando alle mie spalle << Devo chiedere a Nabiki di farmene una copia! >>
<< Ti costerà cento yen! >> gridò quella in risposta.
<< Sei sempre la solita!! >>
<< Squadra che vince non si cambia. Jude, per te è gratis tranquilla >> disse ancora facendomi l'occhiolino.
<< Quella ragazza non cambierà mai! >> riprese Ukyo con un sorriso rivolto a me.
Fra tutte le “fidanzate” di Ranma lei era di sicuro la più cordiale.
Lei che, come mi aveva raccontato Akane, si definiva “la fidanzata carina” e carina lo era per davvero.
Era indubbiamente meno sexy e provocante di Shan-pu, che era bella come un'attrice, e sicuramente più sana di mente di Kodachi, che -pazzia a parte- aveva un fascino altero con quei due occhi glaciali.
Ma Ukyo aveva in lei un certo non so che, un qualcosa che la rendeva estremamente “carina” non solo nell'aspetto fisico ma anche nei modi, sempre gentili e amichevoli, tanto che nemmeno una “rivale” avrebbe potuto non volerle bene.
<< Allora, come ti trovi qui da noi? >> mi domandò camminando al mio fianco.
<< Oh molto bene, il Giappone mi piace tantissimo e le persone sono tutte così simpatiche! >>
<< In particolare una eh, Jude? >> ironizzò Nabiki con il suo solito acume pungente.
<< Chi? >> chiese Ukyo curiosa << Non sarà mica Ranma? >>
<< No. La nostra Jude va molto d'accordo con Ryoga... vero? >> rispose provocatoria la ragazza con il caschetto.
<< Oh... >> disse Ukyo << In... in che senso? >>
<< Non ti darà certo fastidio, no? Tu sei la fidanzata di Ranma dopotutto... >> precisò Nabiki.
Più passava il tempo e più mi accorgevo che “iena” era davvero il soprannome perfetto per lei.
<< Dopotutto... >> fece eco la cuoca.
<< In nessun senso, io e Ryoga siamo solo buoni amici, come con tutti gli altri dopotutto >> riposi io puntualizzando e finalmente il respiro di Ukyo tornò regolare.
<< Ah già, dimenticavo Alexander! >> fu l'ultima frase di Nabiki accompagnata da un occhiolino mentre saliva i gradini del pulmino.
<< Finalmente! Stavamo aspettando voi per partire! >> ci disse Kuno porgendo il navigatore alla ragazza appena entrata e così partimmo.
E Ukyo partì con noi.

***

Il viaggio di ritorno fu l'esatto contrario di quello di andata.
Eravamo tutti così stanchi che quasi nessuno parlava; ce ne stavamo in silenzio, con gli occhi semi chiusi, ad ascoltare la musica mentre il sole calava.
Chi senza pensieri, chi con mille domande, chi senza riposte, chi con molta confusione.
Poi, improvvisamente, Ranma si mise in ginocchio sul suo sedile e si girò verso Akane e me, sedute dietro, indicandoci il finestrino.
<< Guardate! >> disse e noi ci voltammo.
L'alba aveva accompagnato la nostra andata, il tramonto stava accompagnando il ritorno.
Fuori il cielo era un concerto di colori.
Bagnate da una luce calda e arancione, Akane ed io rimanemmo senza fiato.
<< Non è bellissimo? >> ci chiese Ranma continuando a guardare il meraviglioso spettacolo che la natura ci stava regalando.
La luce solare inondava tutto con le sue cascate color ambra, facendo apparire ogni cosa più sfavillante, dorata e preziosa.
Soprattutto i nostri occhi. Di qualunque colore fossero, erano resi ancora più belli dal riflesso del sole che ci si specchiava dentro.
<< Sì, Ranma, è meraviglioso >> rispose Akane spostando lo sguardo verso di lui che stava assorbendo le sfumature del cielo mentre le sorrideva.
E mentre ammiravamo incantati quella danza di colori, di nuovo una canzone riempì l'aria. Ma questa volta quasi tutti ne cogliemmo il senso.

"There's a hole in my soul
(C'è un buco nella mia anima)
I can't fill it, I can't fill it.
(Io non posso riempirlo)
There's a hole in my soul
(C'è un buco nella mia anima)
Can you fill it? Can you fill it?"
(Puoi riempirlo tu?)

Puoi riempirlo tu?

***

Buongiorno! Ce l'ho fatta! Questo capitolo è stato un parto!!
Prima di tutto una piccola nota tecnica: la canzone che i ragazzi ascoltano per ben due volte e che dà il titolo al capitolo si chiama Flaws ed è dei Bastille. A parte la melodia molto orecchiabile e il bel testo, io la consiglio alle estimatrici del british accent come me... il modo in cui il cantante dice "can" è wow!!
Poi... cominciamo con i ringraziamenti.
Prima di tutto un grazie speciale ad una persona senza la quale non solo questo capitolo non avrebbe visto la luce, ma probabilmente la mia storia avrebbe subito un pesante stop (dato che la fantasia e la voglia cominciano a scarseggiare), la mia motivatrice e beta... Gretel85! Ho solo una parola per lei (e i suoi audio): irrinunciabile!
Il secondo grazie va al Signor Treccani che ci ha fatte diventare matte con le sue regole alquanto contestabili XD
Ancora, un grazie di cuore alla mia Matrona che mi ha aiutata a spiegare i suffissi onorifici giapponesi, le parole di Akane sono le sue <3
Infine (ma non per importanza), grazie a Pierre e Pia che hanno scelto i costumi da bagno dei nostri protagonisti!
Come farei senza di voi?
Dedico questo capitolo alle mie meravigliose Ladies e a chi ha sempre la pazienza di aspettarmi!
Ovviamente grazie a chi leggerà e a chi recensirà, sapete che mi fa tantissimo piacere!
Bene... vi lascio al prossimo capitolo (nemmeno ci provo a dirvi che sarò puntuale) nel quale ci aspetta...?
Baci, Aronoele (:

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Capitolo 9
*** Don't worry be Happy ***


Ricordo perfettamente il giorno in cui arrivai.
Ricordo quando vidi per la prima volta i visi sconosciuti di quelli che ora chiamo amici, ricordo la prima volta che mangiai con loro, la prima volta in cui vidi il giardino, il dojo, la casa.
Ricordo perfettamente che c'era una stanza vuota, che apparteneva a “qualcuno che non si sarebbe fatto vedere per un po'”.
E ricordo perfettamente il giorno in cui quel qualcuno fece il suo ritorno.

***

L'udito è un senso pigro, va costantemente tenuto in allenamento, altrimenti si abitua a certi suoni e non sembra nemmeno captarli più.
Le macchine che suonano il clacson, la gente che urla per strada, un aereo che passa.
Questo è quello che succede quando si vive per tanto tempo in una casa: i rumori intorno a noi diventano normali, ci si abitua e non ci si fa più caso.
La televisione che dà un film in prima serata, la musica a tutto volume, lo scrosciare dell'acqua nella doccia.
Casa Tendo, come la mia casa materna e l'appartamento nel college che divido con le mie coinquiline, aveva dei rumori tutti suoi, come dei tratti distintivi e particolari, confortevoli e familiari, suoni di casa.
Kasumi che canticchia mentre cucina con la sua voce dolce e melodiosa, il ticchettio delle pedine dei giochi da tavolo di Soun e Genma, Nabiki che sgranocchia un biscotto al cacao, il dottor Tofu che suona il campanello alle sette di ogni sera, Ranma e Akane che litigano.
I suoni più bizzarri di quella casa, poi, provenivano sempre dal dojo.
Dopo un po' avevo persino imparato a riconoscerli.
Verso metà mattina, di solito, si udivano rumori fragorosi, come di corpi che si scontravano l'uno contro l'altro, e delle potenti grida di incitamento: gli allievi senior che combattevano fra di loro.
Il primo pomeriggio invece si sentivano come dei tonfi sordi -gli allievi junior che cadevano rovinosamente- e delle risate sguaiate -i due maestri, Soun e Genma, che li prendevano in giro-.
Subito dopo cena, poi, avevo imparato a distinguere i rumori che accompagnavano l'allenamento quotidiano di Ranma. Era facile capire che si trattava di lui perché i colpi secchi e cadenzati, la musica rock e i kiai andavano avanti per ore e ore allo stesso ritmo ed intensità, e solo lui era capace di fare una cosa del genere.
La mattina presto invece, prima ancora che la casa si svegliasse, se si sentiva del trambusto provenire dal dojo, era sicuramente Akane che faceva i suoi esercizi.
Altre volte, un gran fracasso misto a frasi come “preparati a morire”, che poteva giungere a tutte le ore del giorno e della notte, era indice che Ryoga era arrivato e che aveva trovato Ranma.
Se invece i rumori erano forti, come di teste di legno e paglia che volavano via dal manichino, anche queste a qualunque ora, allora sicuramente Ranma aveva fatto arrabbiare Akane e lei si stava sfogando.

Ma quella mattina non riuscii a riconoscere i suoni che arrivavano vigorosi e ben distinti dal dojo.
Era come se qualcuno stesse... rompendo qualcosa?
Soun mi aveva raccontato che avevano ristrutturato la palestra proprio pochi mesi prima del mio arrivo. Che stessero dando gli ultimi ritocchi? O forse stavano aggiustando qualche trave di legno che si era rotta in uno scontro?
Quei rumori strampalati, che ad un orecchio poco avvezzo avrebbero sicuramente dato fastidio, erano diventati confortanti per me. Riconoscendoli, avevo la sensazione di essere più vicina ai miei amici, sapevo se Ryoga era in casa, riuscivo a capire l'umore di Akane, avvertivo la presenza di Ranma durante la notte, e sapere che lui era sveglio mi faceva addormentare tranquilla.
Ma quella mattina quei suoni non mi parlavano, non riuscivo a comprenderne l'origine, così decisi di andare a vedere.
La sera prima, memore delle ultime incursioni notturne di Kodachi, che mi aveva sorpresa con una camicetta da notte corta e troppo trasparente, avevo indossato dei pantaloncini di cotone verdi e una canottiera bianca e, vestita così, attraversai il vialetto coperto che collegava la casa al dojo.
Bussai con delicatezza alla porta senza ottenere nessuna risposta, così la spinsi leggermente e ciò che vidi mi lasciò a bocca aperta.
Nell'interno caldo della palestra, proprio al centro dell'enorme stanza di legno chiaro, c'era Akane.
Concentrata, determinata, sudata e bellissima, stava rompendo delle tegole di pietra con una mano sola.
Mi incantai ad osservarla.
La tecnica era la stessa per ogni blocco massiccio e grigio: prima lo fissava, come se fosse un nemico in carne ed ossa, con gli occhi socchiusi e lo sguardo severo, quasi volesse comunicargli qualcosa, ed infine ci appoggiava lentamente la mano, come a sfiorarlo, per poi risalire altrettanto lentamente, prendere fiato e scagliargli contro tutta la potenza che aveva in corpo con un movimento fulmineo e preciso.
Quando la sua piccola mano destra scattò, riducendo in mille pezzi il suo avversario, sussultai.
Akane era una ragazza minuta, quasi tenera agli occhi altrui, sembrava aver bisogno di protezione. In realtà però, chi la conosceva bene, sapeva che era tanto forte dentro quanto fuori. La forza che animava i suoi intenti aveva lo stesso vigore di quella che muoveva le sue braccia. Era piccola ma le scorreva il fuoco dentro.
Continuava a spaccare, una dopo l'altra, durissime tegole con una precisione quasi chirurgica e una potenza che di sicuro non le arrivava da quelle belle braccia esili e delicate.
Ogni volta che la sua mano toccava un pezzo di pietra -e quello ovviamente si spaccava come se fosse stato colpito da una bomba- Akane, da rigida e composta che era, sembrava tirare fuori la tensione assieme al suo respiro, e si rilassava visibilmente. Sorrideva quasi.
Quando ormai le mancava solo l'ultima tegola si accorse di me.
<< Ciao Jude! Vieni, entra, ti ho svegliata? >>
<< No, no, ero già sveglia... cosa fai? >> chiesi e, anche se la domanda poteva sembrare ovvia, lei mi capì al volo.
<< Si chiama tecnica di rottura di potenza >> cominciò a spiegare << È una tecnica piuttosto difficile, la può praticare solo chi ha abbastanza esperienza. Ci vuole un'ottima preparazione, forza fisica, una notevole capacità di concentrazione, una buona tecnica di respirazione e un pizzico di coraggio. Bisogna riuscire a raggiungere una concentrazione totale, così profonda da non sentire più quello che si ha intorno >>
A quelle parole ricordai come appariva assorto il suo sguardo solo pochi minuti prima, mentre rompeva le tegole, tanto fisso ed intento da sembrare quasi assente. Non sbatteva neanche le palpebre, guardava un unico punto con gli occhi tanto carichi di quello che aveva dentro che riuscivano a comunicare senza parlare.
<< E come si fa a raggiungere questo livello di concentrazione? >> chiesi io sempre più affascinata e curiosa.
<< Respirando. Bisogna respirare lentamente e profondamente, l'aria deve circolare in tutto il corpo. La devi sentire, perché l'aria è energia. Deve affluire dal basso ventre e giungere fino alla mano per darti la forza necessaria... >>
Mentre parlava continuava ad accarezzare la ruvida tegola grigia: << … E non forza fisica. Sai, romperla è un'eccellente prova con se stessi. Per farlo bisogna imparare ad essere determinati, lucidi, concentrati, sicuri di sé. Bisogna saper gestire le emozioni, eliminare le paure, le insicurezze, le esitazioni... >>
<< Ci vuole un gran fegato! >> dissi io con ammirazione.
<< Forse sì, ma riuscirci è la sensazione più bella del mondo. Ti senti così potente, soddisfatto, libero. È meraviglioso! E poi hai la possibilità di sfogarti, sfogare tutta la tua rabbia e le tue emozioni attraverso l'energia >>
Ad Akane brillavano gli occhi.
<< È doloroso? >> domandai.
<< Farlo no, arrivarci sì. Prima di poterci anche solo provare bisogna irrobustire le mani con degli esercizi e quelli sì che sono dolorosi >> disse lei porgendomi una mano << Quando questa parte, che si chiama “taglio”, è completamente ricoperta da calli duri, allora sei pronto. Tocca >> mi incitò.
Quel giorno in palestra per la prima volta toccai la mano di Akane.
All'apparenza, proprio come lei, era una bella mano, bianca, delicata, con le dita lunghe e affusolate.
Ma in realtà, proprio come lei, era ricoperta da una corazza, uno strato più duro che le conferiva protezione e forza.
La mano di Akane non era liscia e morbida come quella delle altre ragazze, la mano di Akane era ruvida.
Improvvisamente ricordai che anche le mani di Ranma, così grandi e calde, erano ruvide e anche quelle gentili di Ryoga.
Le mani degli artisti marziali sono ruvide.
Sono ruvide perché per essere potenti bisogna essere solidi, senza mai lasciarsi scalfire.
Sono ruvide perché devono essere resistenti al dolore e alla paura.
Sono ruvide perché per colpire prima bisogna essere stati colpiti.
Le mani degli artisti marziali sono come loro: ruvide all'esterno, dure, impenetrabili, pronte al dolore, alla sofferenza, forti e instancabili.
Lasciai andare la sua mano e lei tornò immediatamente a concentrarsi e a respirare, poi, con un altro colpo secco, spezzò in due parti l'ultima tegola rimasta.
Proprio in quel momento notai che quello che lei aveva chiamato “taglio della mano” era pieno di lividi e le stava sanguinando.
<< Ti fa male? >> le chiesi leggermente preoccupata.
<< Solo un po', ma non sai quanto sto bene dentro >> mi rispose lei massaggiandosela.
<< Dà qui >> disse una voce alle mie spalle.
Era Ranma che, dopo essere rimasto sulla porta ad ascoltare l'appassionante spiegazione di Akane, si era mosso verso di noi con in mano una boccetta scura e una piccola scatola rossa.
<< Ranma, sto bene, non preoccuparti >>
<< Non fare la scema e dammi la mano >> replicò prendendogliela con ferma delicatezza e costringendola a sedersi per terra accanto a lui.
Quando tutti e tre fummo sul pavimento tiepido, con una pazienza ed una dedizione che non credevo gli appartenessero, o che forse riservava a poche cose speciali, Ranma cominciò a massaggiarle la mano con un olio dal profumo buonissimo.
I movimenti erano lenti e delicati, come una coccola, ma Akane, ad ogni passata, stringeva un po' gli occhi.
<< Quante volte te l'ho detto, se vuoi farlo va bene ma poi devi lasciarti curare >> disse Ranma teneramente mentre la piccola mano di Akane si perdeva nelle sue e lui continuava a strofinare, stropicciare, sfregare.
Akane arrossì vistosamente smettendo di opporre resistenza e lasciandosi finalmente andare.
Io portai le ginocchia al petto e cercai di farmi piccola piccola mentre assistevo a quella scena affettuosa e intima.
<< Ti faccio male? >> le chiese lui mentre, le dita ricoperte di olio, scivolava lungo i palmi delle due mani.
<< No... >> sussurrò Akane chiudendo gli occhi.
Ranma continuò a massaggiarle la mano con le sue finché i lividi che aveva sul taglio non si furono completamente riassorbiti, poi le mise qualche cerotto e la fasciò con una benda bianca.
<< Così va meglio >> disse lui.
<< Grazie >> sorrise lei dolcemente.
Quando improvvisamente Kasumi fece il suo ingresso nel dojo, l'atmosfera magica svanì del tutto.
Le immagini, fino a quel momento calme, placide, quasi a rallentatore, divennero vivide e reali, tanto che Ranma e Akane si staccarono fulmineamente l'uno dall'altra.
Con le guance rosse e accaldate cercarono di guardare altrove e di far sfumare l'imbarazzo dalle loro espressioni come vino sul fuoco.
In quel preciso momento notai che Ranma e Akane si comportavano in modo diverso quando erano con le altre persone. Se intuivano che qualcuno li stava guardando, mutavano subito atteggiamento, invece da soli, o comunque nascosti ad occhi indiscreti, si concedevano quelle piccole tenerezze che facevano di loro quello che erano. Il “cosa” fossero ancora non lo sapevo, ma poter apprezzare quei dolci momenti intimi, nascosti agli occhi dei più ma mostrati senza alcuna vergogna ai miei, era abbastanza per farmi sentire speciale.
<< Eccoti, cara Judith, non ti trovavo! >> disse Kasumi con voce trafelata interrompendo i miei pensieri mentre Ranma si era alzato e si stava dirigendo a passi svelti fuori dal dojo << Ti vogliono al telefono >>

Corsi verso il mobiletto basso e scuro vicino alla porta, dove tenevano il telefono, sicura di aver indovinato chi fosse, e non appena sentii la sua voce un moto di gioia mi pervase il cuore.
<< Ciao piccola, che fine ha fatto il tuo telefono? >> disse lui e la nostalgia di casa si impadronì di me.
Dall'altra parte della cornetta bianca, dall'altra parte del mondo, c'era Derek, mio fratello.
Derek era per me tutto ciò che una sorella può desiderare da un fratello.
Era più grande di me di quattro anni e avevamo sempre avuto un bellissimo rapporto.
Da bambini giocavamo a fare la lotta, oppure a pallacanestro visto che entrambi siamo molto alti -anche se lui mi supera di più di una spanna-, e poi escogitavamo insieme dei piani assurdi per saltare i pranzi della domenica a casa della zia Beth, con quei suoi cani che non ci andavano proprio giù e quella strana mania di non farci mangiare le caramelle.
Diventati più grandi, saltavamo insieme le lezioni per nasconderci dentro Central Park, rubavamo il fuori strada di papà per imparare a guidare, scappavamo insieme per fumarci una sigaretta, lui mi raccontava delle sue ragazze, mentre io -ovviamente- non potevo dirgli niente sui miei dato che era geloso marcio.
Derek era quello che mi capiva di più nella mia famiglia, senza bisogno di tante parole mi comprendeva e sapeva come tirarmi su il morale, con un cioccolatino alla menta il più delle volte.
Derek era quello che mi mancava di più, più della mia New York, più delle mie amiche, più del mio letto. Derek era forse l'unica cosa che mi mancava davvero, l'unica in grado di farmi venire nostalgia di casa.
<< Ciao piccola >> ripeté di nuovo.
<< Ciao scemo >>
<< Che fai? Piangi? >>
<< Non ci penso nemmeno >> era la prima volta che ci sentivamo a voce da quando ero partita.
<< Ah ecco, credevo che il Giappone ti avesse rammollita. A proposito, come va lì? >>
Derek era esattamente così, tutto il mio opposto. I miei capelli erano biondi mentre i suoi quasi neri, i miei occhi erano castani mentre i suoi grigi, io ero la persona più timida sulla faccia della terra mentre lui era uno sbruffone patentato. Mentalmente trovai parecchie affinità con Ranma.
Bello, bellissimo, tanto che tutte le mie amiche ne erano follemente innamorate, era simpatico e socievole, bravo negli sport e un po' meno nello studio, aveva tanto successo con le ragazze ma non riusciva mai a tenersene una per più di un mese.
<< Bene, è tutto bellissimo... ho un sacco di cose da raccontarti! >>
<< Beh allora comincia, ho tempo >> disse lui e lo sentii aspirare una boccata di fumo.
Così mi misi a raccontargli del mio arrivo, della mia prima giornata a casa Tendo, della mia nuova famiglia, di Akane e Ranma, delle arti marziali e delle lezioni che loro mi davano.
Di tutte le strampalate e meravigliose persone che avevo imparato a chiamare amici: Kuno, Kodachi, Hiroshi, Daisuke, Yuka, Sayuri, Ryoga, Ukyo, Shan-Pu, Mousse, Nabiki, Kasumi, il dottor Tofu e Alexander, ognuno con i suoi difetti e i suoi pregi, ognuno con le sue particolarità che lo rendevano tanto speciale e caro ai miei occhi.
Gli raccontai di tutte le avventure, del primo giorno di università, delle lezioni, dei pranzi e delle cene, delle feste, dei pigiama party, delle giornate al mare...
Rimasi al telefono a parlare a raffica e con tanta passione che persino lui ne restò incantato e anche un po' innamorato.
Improvvisamente, mentre gli stavo spiegando quello che avevo capito dei giochi da tavolo giapponesi, avvertii una sensazione strana, di calore, avvolgermi il fondoschiena come un guanto.
Lentamente mi voltai e ciò che vidi mi lasciò completamente senza parole.
Un vecchietto, con i corti capelli bianchi e cespugliosi e due piccoli baffetti sul viso rugoso, se ne stava comodamente appollaiato sul mio didietro strofinandoci contro le guance avvizzite e mormorando frasi in giapponese con tono godereccio.
Cercai di mantenere la calma mentre all'altro capo del filo Derek continuava a ripetere incessantemente il mio nome:
<< Derek, devo andare, ti richiamo dopo... >> cercai di dire mantenendo la voce più naturale possibile.
<< Tutto a posto? >>
<< Sì, sì... è che mi chiamano per il pranzo, dopo ti scrivo fratellone, ok? >>
<< Va bene piccola, a presto >>
<< Saluta tutti >> conclusi con un sibilo.
Quando riattaccai però urlai con quanto fiato avevo in corpo.
Il vecchietto non fece una piega, anzi, mi arpionò di più con le piccole mani raggrinzite continuando a dire qualcosa che io non capivo.
Così urlai ancora e ancora, cercando di scrollarmi di dosso quella specie di bambolotto incartapecorito e depravato.
Allora mi sembrò di aver urlato per ore e di aver tirato fuori tutta l'aria che avevo nei polmoni ma in realtà Ranma mi raggiunse in un baleno.
Appena misi a fuoco che era la sua l'ombra che si avvicinava a passo sicuro il mio cuore rallentò.
Mi mise una mano sulla spalla, spingendomi verso di sé, e contemporaneamente staccò via da me il vecchietto, strattonandolo per il retro del colletto di un'orrida tutina color prugna e lanciandolo con un sonoro calcio fuori di casa.
Quando smisi di sentire quella fastidiosa pressione sul fondoschiena mi rilassai visibilmente e, non sapendo cosa fare, mi appoggiai alla persona che mi era più vicina sospirando sonoramente e coprendomi il viso con le mani.
Nel frattempo anche tutto il resto della casa era accorso alle mie grida.
<< Jude!! >> gridò Akane e, non appena la vidi, corsi ad abbracciarla.
<< Che cos'era? >> chiesi rivolta al mio salvatore.
Ranma e Soun si scambiarono un cenno d'intesa.
<< Uh, ma non è nulla di grave, figliola, su su! È più innocuo di quel che sembra. Vieni, ti spiego >> iniziò a giustificarsi il capofamiglia accompagnandomi nel salone.

***

Ricordo perfettamente il giorno in cui arrivai.
Ricordo quando vidi per la prima volta i visi sconosciuti di quelli che ora chiamo amici, ricordo la prima volta che mangiai con loro, la prima volta in cui vidi il giardino, il dojo, la casa.
Ricordo perfettamente che c'era una stanza vuota, che apparteneva a “qualcuno che non si sarebbe fatto vedere per un po'”.
E ricordo perfettamente il giorno in cui quel qualcuno fece il suo ritorno.


Happosai era il maestro di Soun e Genma fin da quando erano poco più che bambini.
Aveva insegnato loro praticamente tutto ciò che sapevano sulle arti marziali, li aveva addestrati, aveva forgiato la loro tempra, gli aveva impartito lezioni di vita.
Insomma, era un vero e proprio sensei.
Il padrone di casa e il papà di Ranma avevano per lui un rispetto fuori dal comune, che andava al di là della semplice ammirazione, pareva quasi che lo osannassero.
In realtà Ranma, che non era solito prostrarsi davanti a nessuno, tanto meno al “vecchiaccio maniaco” come lo definì lui -ed io mi trovai immediatamente d'accordo-, mi spiegò che non era venerazione quella di suo padre e del signor Tendo, bensì paura.
Happosai infatti, dall'alto dei suoi anni -che non erano stati precisati, a quanto pare avevano tutti perso il conto-, conosceva delle tecniche micidiali e potentissime, con cui minacciava i suoi due sottoposti ogni volta che osavano contraddirlo.
In realtà minacciava anche Ranma, ma lui era caparbio e coraggioso di natura e lo sfidava in continuazione, cogliendo l'occasione per imparare sempre qualcosa di nuovo e migliorarsi, e arrivando talvolta persino a sconfiggerlo.
<< Sono due pappamolli >> concluse il ragazzo noncurante del fatto che entrambi potevano sentirlo.
<< Figlio degenere, non è vero, non parlare così di tuo padre! Jude cara non dargli retta, siamo solo molto rispettosi nei confronti del nostro maestro, cosa che questo zoticone invece non è affatto! >>
Il ragazzo, per tutta risposta, tirò fuori la lingua.
Il suo comportamento era bizzarro ai miei occhi. Ranma era un ragazzo estremamente disciplinato, almeno quando si parlava di arti marziali. Era sempre puntuale e praticava i suoi allenamenti senza risparmiarsi, partecipava ai tornei, cercava sempre di apprendere tecniche nuove e di imparare da chi ne sapeva più di lui, si metteva tenacemente alla prova con costanza e diligenza, non temeva la fatica, non si fermava di fronte al dolore. Era l'allievo perfetto.
Ma allora, mi chiedevo, perché si faceva beffa dei suoi maestri?
La risposta mi arrivò da Akane, seppur qualche tempo dopo. Mi spiegò che non dovevo vedere questo atteggiamento come una prova di superbia o di arroganza da parte sua, né di orgoglio o di poca umiltà. Semplicemente Ranma era arrivato al punto in cui l'allievo supera il maestro, ormai era lui il più forte e sconfiggeva praticamente sempre sia suo padre sia Happosai.
Per questo motivo, quel rispetto che ogni alunno prova per il proprio Sensei si era ridimensionato; viceversa aumentava sempre di più quello che i suoi maestri provavano nei suoi confronti. Genma non lo avrebbe mai ammesso, impegnato com'era a litigarci ogni giorno, ma era estremamente orgoglioso della forza e della bravura del figlio.

Tornando ad Happosai, dopo aver capito che ruolo aveva in quella strampalata famiglia, chiesi con curiosità il perché non si fosse fatto mai vedere da quando io ero arrivata, in fondo viveva con loro stabilmente da anni ormai ed era uno di famiglia.
<< Ecco, bambina... ehm... noi,noi... abbiamo cercato di... come dire... di allontanarlo! Il maestro ha delle inclinazioni un po'... particolari, te ne sarai accorta, e noi non volevamo che ti desse fastidio... >> mi spiego Soun imbarazzato, mentre si torturava le mani dall'altro capo della tavola, nel grande salone illuminato.
Il mio viso assunse evidentemente un'espressione disgustata al ricordo di quell'esserino piccolo e godereccio che si strusciava contro il mio sedere.
<< Ma non è pericoloso! >> aggiunse in fretta il mio buon padrone di casa << Non ha mai fatto del male a nessuno... semplicemente... beh... gli piacciono le donne... >> aggiunse poco convinto.
<< La realtà è che è un maiale! >> disse con la sua tipica schiettezza Nabiki, in piedi accanto alla porta scorrevole, << È un maniaco depravato! Cerca continuamente di rubarci la biancheria, ci palpeggia, ci spia sotto la doccia, combina un mucchio di casini e nel quartiere tutte le donne sono arrabbiate con lui! >>
Venni a sapere, dai racconti della mezzana che si faceva pochi problemi ad elencare le “qualità” del “maestro”, che Happosai aveva una preziosissima collezione di mutandine da donna e reggiseni -da lui definiti “zuccherini”- che teneva chiusa a chiave nella sua stanza e che cercava continuamente di arricchire, rubando nottetempo, con la sua “pesca grossa”, i preziosi capi alle donne del quartiere.
In più, mi raccontò Ranma non senza una smorfia di fastidio, Happosai aveva una passione smodata nei confronti di Akane -e chi non l'aveva del resto?- e cercava di fidanzarsi con lei o di sposarla ogni tre per due.
<< Io volevo rinchiuderlo in una cassa e spedirlo a Timbuctù >> disse Ranma con fare rassegnato, << Ma non hanno voluto! Ed ora è anche piuttosto arrabbiato perché lo avete escluso dalla conoscenza del nuovo zuccherino >> aggiunse indicandomi con un cenno della mano mentre io arrossivo a sentirmi chiamare così e Soun e Genma deglutivano rumorosamente al pensiero della collera del vecchio maestro.
<< Troveremo un modo >> concluse alla fine il capofamiglia.
<< È davvero così terribile come sembra? >> sussurrai ad Akane, la mia più grande amica e confidente in quella casa.
<< Mmm... >> mugugnò lei pensosa << Le volte in cui si è arrabbiato davvero ha ricoperto la casa di muffa e ha fatto perdere a Ranma tutta la sua forza... senza contare le mutandine e i reggiseni spariti che ogni tanto riaffiorano in mani improbabili >> aggiunse arrossendo lievemente << Ma non è cattivo! A volte, quando fa la persona seria, sa dare ottimi consigli, è un po' come un nonno! >>
E con queste premesse, che non saprei se definire incoraggianti o terrificanti, cominciò la mia ennesima avventura in Giappone, a casa Tendo.

***

La settimana passò fra gli agguati del vecchio Happosai.
Sistematicamente il vecchio maestro spiava Nabiki sotto la doccia, cercava di entrare nella camera di Akane mentre lei dormiva -ricevendo, nemmeno a dirlo, pesanti scariche di pugni sia dalla diretta interessata, sia da Ranma che accorreva sempre- e si nascondeva nei mobili della cucina per guardare di nascosto sotto la gonna di Kasumi.
Il mercoledì, uno di questi “innocenti scherzetti” come li definiva lui, riguardò anche me.

Era mattina e Kasumi, Nabiki, Akane ed io stavamo sedute intorno al tavolo del salone intente a scegliere i vestiti per le damigelle.
Ognuna di noi (ebbene sì, Kasumi, la dolcezza fatta persona, aveva chiesto anche a me di farle da damigella) avrebbe avuto il modello che più le piaceva e meglio si adattava al suo corpo, ma il colore doveva essere lo stesso per tutte e ovviamente ciascuna aveva una sua opinione in merito.
Nabiki li voleva di qualche colore acceso, rosso o amaranto magari, forte e sexy; Akane invece propendeva per qualcosa di tenue, un giallo pastello o un turchese chiaro ad esempio, ed io, dal canto mio, preferivo i colori eleganti e adatti alle cerimonie, come il grigio perla o un color champagne.
Kasumi, accomodante e gentile per natura, non sapeva scegliere fra le nostre proposte.
<< Ma dai Akane, lei sarà vestita di bianco, noi dovremmo farle da contrasto! Un bel verde bottiglia? O blu elettrico? Che ne dite? Io non mi vesto color canarino! >> disse Nabiki << E per di più i colori pastello
non vanno affatto di moda quest'anno! >> sentenziò poi con tono esperto.
<< Il verde è un bel colore... >> provò a dire Kasumi.
<< Sì, allora perché non nero e con tutta la schiena scoperta? Nabiki dobbiamo essere discrete... >>
<< Ma tu i film americani non li guardi proprio mai? Da quando in qua le damigelle sono discrete? La sposa sarà la più bella, ma visto che sarà già impegnata (povera lei) anche noi dovremmo farci notare! >>
<< E da chi, di grazia? >> chiese la sorella minore con voce ironica.
<< Non ti viene in mente proprio nessuno a cui piacerebbe vederti con uno sconvolgente abito rosso scarlatto? >>
L'unica cosa rosso scarlatto che ci fu data di vedere in quel momento fu la sfumatura che assunse il volto di Akane al tono insinuante della sorella.
<< Io... veramente... non credo che... ecco... >> balbettò lei mentre il sopracciglio destro della mezzana si alzava in un'espressione ironica e maliziosa.
Per fortuna un “Ehm-ehm” tossicchiato dalla porta richiamò la nostra attenzione.
Ranma se ne stava in piedi con l'espressione più imbarazzata che gli avessi mai visto in viso e per un momento pensai davvero che fosse perché aveva ascoltato il nostro discorso e si era sentito chiamato in causa in qualche modo, ma poi avanzò con passo incerto, cercando di dirci qualcosa, con un tono talmente sommesso e confuso che alle nostre orecchie risultò del tutto incompresibile.
<< Happosai... notte... trovato... queste... >> furono le uniche parole che riuscimmo a capire e Ranma le bofonchiò tirando fuori dalla tasca un paio di mutandine.
Se le appese al dito indice, tenendole a vista per mostrarcele, ed io riconobbi la stoffa semi trasparente e bordata di pizzo delle mie culotte.
<< Sono... sono di qualcuna di voi? >> riuscì infine a dire lui.
Al pensiero che Ranma avesse visto le mie mutandine e che le stesse reggendo in mano in quel momento, avvampai per la vergogna e mi coprii il viso con entrambe le mani.
Mi alzai velocemente, sempre con una mano sul volto per nascondermi dal suo sguardo blu, e gliele sfilai con rapidità dal dito, come si fa mentre si gioca a “ruba bandiera”, per poi correre a passi svelti nella mia stanza.
Mi lasciai cadere contro la porta e tolsi finalmente la mano dagli occhi, continuando a scuotere la testa incredula mentre le risate per la figuraccia appena fatta già mi facevano sobbalzare le spalle.
Non ebbi il coraggio di guardare in faccia Ranma per tutta quella giornata e buona parte di quella dopo.
Ma non potevo sapere che il peggio doveva ancora arrivare.

***

Il sabato di quell'assurda settimana, per lasciarci dietro imboscate, trappole e furti di biancheria intima almeno per un giorno, Ranma, Akane e Nabiki decisero di portarmi alle onsen, le tipiche sorgenti termali giapponesi all'aperto.
Io ne fui subito entusiasta. Quelle enormi vasche di acqua bollente e fumante che avevo spesso visto negli anime alle sette di sera sulla tv americana avevano per me tutto il fascino della tradizione.
I ragazzi chiesero a Ryoga, Ukyo ed Alexander di accompagnarci e, ovviamente, non appena lo seppero, anche Kuno, Shan-pu e Mousse si unirono al gruppo.
Così partimmo all'insegna di un week-end senza nuvole all'orizzonte.

L'albergo che ci ospitava era piccolo e caratteristico, tutto di legno scuro e profumato, con due anziani proprietari gentili e molto rispettosi delle tradizioni.
Appena arrivati si prodigarono in profondi inchini, tutti ricambiati ossequiosamente, e permisero anche ai due “yankee”, come definirono Alexander e me, di accedere alle terme, anche se non eravamo giapponesi. Sospetto ancora fortemente che una lauta mancia da parte di Nabiki -estorta a Kuno si intende- sia stato il motivo per cui abbiano cambiato idea così di buon grado.
Ci offrirono il tè e, seduti intorno ad un tavolo di vecchio noce, ci spiegarono tutte le regole.
Prima di immergerci nelle acque termali avremmo dovuto farci una doccia, le vasche degli uomini e delle donne erano ovviamente separate e, regola più importante di tutte ma che mi gettò in una profonda inquietudine, i vestiti non erano ammessi, nemmeno i costumi da bagno.
L'anziana proprietaria, capendo forse il mio sgomento o scambiandolo per timidezza, sentimento molto caro ai giapponesi, tentò di spiegarmi che per loro la nudità comune è molto importante, perché serve ad abbattere le barriere e a conoscersi più intimamente in un'atmosfera rilassata e familiare.
Le altre ragazze erano estremamente tranquille, abituate forse, ma il pensiero di non avere niente a coprirmi, anche se solo di fronte a loro, tutte donne e tutte amiche, non mi lasciava comunque tranquilla.
<< Porterete con voi un asciugamano >> aggiunse la signora << Che vi servirà per spostarvi dai lavatoi ai bagni. Piccola yankee, questo ti tranquillizza? >> chiese lei in giapponese, prontamente tradotta da Nabiki.
<< Sì, un po', grazie >> risposi.
<< Dopo il bagno indosserete questi, >> proseguì la proprietaria dai capelli d'argento indicando dei vestiti posti in un baule di legno scuro, << e verrete a cena. Tutto chiaro? Quando siete pronti potete andare >> aggiunse e sparì oltre la soglia con il marito.
Shan-pu e Ukyo corsero immediatamente verso la cassapanca e ne estrassero dei vestiti con stoffe sgargianti.
<< Cosa sono? >> chiesi ad Akane che mi era seduta di fianco.
<< Quelli sono yukata, una specie di kimono informale. Sono abiti tradizionali giapponesi che si usano in occasione delle nostre feste oppure nei ryokan dopo il bagno. Yukata infatti vuol dire proprio “abito da bagno” >> spiegò lei con la solita pazienza << Sono di cotone, freschi e comodi, ti insegnerò a metterli, non è difficile. Vieni, andiamo a sceglierli >> e, così dicendo, mi condusse per mano vicino alle altre ragazze e all'enorme baule aperto che straripava di colori.
Istintivamente ne presi uno molto lungo -ché Akane mi aveva spiegato che avrebbe dovuto quasi toccare a terra- bianco con dei bellissimi disegni rosa che parevano rami ricoperti da fiori di pesco, e con abbinata una larga cintura rossa, che si chiama obi. Akane scelse il suo gemello, con la stessa fantasia ma lo sfondo nero come la notte.
Shan-pu ne prese uno molto vivace, con ricami che sfumavano dal verde acqua al rosa scuro e al viola chiaro, mentre quello di Ukyo era blu scuro con disegnate rose lilla e indaco, in abbinamento ad una cintura color glicine.
Kasumi lo scelse più serioso, celeste tenue con dei minuscoli fiorellini gialli e la cintura bianca, mentre la frizzante Nabiki lo prese rosso lacca, con dei bellissimi disegni bianchi e verdi e delle farfalle marroni e la cintura ricoperta della stessa fantasia.
Quelli degli uomini invece erano tutti monocolore: neri, blu scuri o grigio ardesia.
<< Allora ragazze, ci vediamo dopo >> disse Ryoga non appena tutti ebbero il proprio yukata in mano << Fate le brave >> aggiunse poi guardando con i suoi begli occhi verdi sia me che Ukyo.
<< A dopo mia amata, rilassati e divertiti! >> gridò Mousse con tono aulico ad una sedia, beccandosi un sonoro pugno sulla testa accompagnato da un “sono qui, scemo!”.
Infine, mentre Kuno sproloquiava sulla “bellezza incantevole del luogo ove sono custodite le più antiche origini del paese” e non riusciva a capire il perché di vasche separate per uomini e donne, Ranma fece un gesto della mano in segno di saluto trascinandoselo via e Alexander ci sorrise.
Così ci separammo.

Finita la doccia, coperte solo da striminziti -seppur morbidi e profumati- asciugamani bianchi, percorremmo il corridoio che dal lavatoio portava ai bagni, affacciandosi sulle terme.
Quello che il piccolo porticato di legno scuro nascondeva era uno spettacolo da togliere il fiato.
L'acqua bollente pareva tanto calda da diventare quasi densa, si perdeva in spesse bolle, tanto che pareva di stare nella bocca di un vulcano e che ad attenderci per il bagno fosse una distesa densa e misteriosa fatta di lava incandescente.
Il fumo grigio e corposo che saliva conferiva al posto un'atmosfera fantastica, come se il sole si fosse offuscato e una tiepida sera argentea fosse scesa su quel luogo umido.
Le polle d'acqua erano delimitate da grossi massi grigi che ne disegnavano il contorno quasi fosse uno stagno naturale.
A sinistra, una piccola cascata sulla pietra e a destra una canna di bambù, che versava altra acqua nel lago caldo e accogliente, davano l'impressione di trovarsi in un quadro.
Tutt'intorno la cornice erano foglie verdi e pesanti di gocce di rugiada.
Era uno spettacolo per gli occhi.
Al di là del muro di sassi più lungo e massiccio che faceva da divisorio erano situate le vasche degli uomini ma le loro voci non si sentivano, si perdevano nella selvaggia tranquillità di quella natura.
Rimasi estasiata a contemplare quel piccolo cuore di Amazzonia giapponese mentre le mie compagne si toglievano gli asciugamani e si acconciavano i capelli con delle grandi fasce bianche.
Il caldo mi imperlò immediatamente la pelle e quell'acqua cristallina e infuocata era così invitante che anche io lasciai cadere l'unica copertura che avevo sul bordo ed entrai nella vasca.
La sensazione di essere nudi sotto il cielo all'imbrunire, con la brezza che rinfresca in viso bagnato, l'acqua calda agisce come un balsamo sui sensi e ristora i cuori, immersi nel bel mezzo di un placido paradiso, che pare riparato ma in realtà è esposto a tutto e tutti, è indescrivibile a parole.
La vista leggermente appannata dai tiepidi vapori, mi soffermai un attimo a guardare le bellezze rilassate delle mie amiche.
Kasumi se ne stava in disparte, quasi coperta da una roccia, giocando con la superficie trasparente dell'acqua; Nabiki nuotava qui e lì, toccando le pietre lisce del fondo e risalendo a respirare i vapori alla lavanda; Shan-pu, estranea a qualsiasi pudore, aveva spalle e braccia allargate appoggiate al bordo della grande vasca, con la testa inclinata all'indietro e gli occhi chiusi, in un gesto rilassato che metteva in evidenza il suo generoso petto; Akane, appoggiata anche lei al bordo, mostrava invece solo la schiena, mantenendo il peso sugli avambracci contro le pietre bagnate e Ukyo, immersa fino alle clavicole, guardava verso ovest dove stava nascendo la sera.
Improvvisamente, circondati dal tepore e dal silenzio, i sensi delle artiste marziali si misero all'erta. Nabiki, furba e scaltra al pari di una combattente, notò subito i loro nervi tesi e chiese:
<< Chi va là? >>
Non ci fu nessuna risposta se non un fruscio fra gli alberi.
Gli occhi allungati di Shan-pu, ridotti ad una fessura tanto sottile che li faceva sembrare chiusi, saettavano di qua e di là, mentre Akane e Ukyo avevano assunto la posizione di difesa.
Kasumi si strinse di più alla sua roccia ed io guardai preoccupata oltre il muro di cinta.
Veloce quanto un fulmine un'ombra corse nella nostra direzione e l'unica cosa che riuscii a sentire fu un urlo, forse dato proprio da me, mentre chiudevo gli occhi e mi preparavo all'impatto.
Uno... due... tre... ma non accadde nulla.
Lentamente riaprii gli occhi.
Nabiki e Kasumi, prontamente uscite e coperte, erano già oltre il porticato; Ukyo teneva le braccia attorno al busto, così come Akane, mentre Shan-pu, a suo agio con la propria nudità, si limitava a guardare trucemente qualcosa.
Davanti a me, in tutta la sua imponenza, si stagliava la schiena cesellata di Ranma. Intarsiata da muscoli che parevano disegnati al carboncino, nascondeva ai miei occhi quel che teneva in mano.
<< E dai! Coraggio! Cosa vi ho fatto? Ranma, lascia che questo povero vecchio allieti le sue ultime ore di vita con la visione delle prosperità di queste meravigliose sirene! >> disse una voce lagnosa e graffiante che -stranamente- intuii subito a chi apparteneva.
<< Schifoso, vecchio, maniaco! >> gridarono in coro i quattro combattenti, con un fortissimo pugno, lo tramortirono mettendolo K.O. per un bel pezzo.
Usciti dalla vasca, lo legarono ad una massiccia trave di legno del porticato.

Chiusa nella stanza piccola e stretta che mi era stata assegnata, mentre ripetevo a mente i passaggi per chiudere lo yukata “lembo sinistro su quello destro, chiudi, piega, stringi l'obi”, ripensai a quanto accaduto quello strano pomeriggio.
Ripensai a Ranma e al suo sguardo imbarazzato e incentro, ma pur sempre da uomo, che voltandosi mi aveva rivolto; al viso di Akane, rossa per la vergogna e la rabbia mentre intimava al ragazzo di “chiudere gli occhi, brutto idiota!”; ai quattro bronzi di Riace che erano accorsi preoccupati, con le spalle larghe, la vita stretta coperta solo da un minuscolo asciugamano e i capelli scuri bagnati, belli da mozzare il fiato e tremendamente allarmati.
Ripensai allo sguardo di Ryoga, protettivo e incantato su di noi e sui nostri asciugamani bagnati e aderenti; a Mousse che correva incontro alla sua Shan-pu senza badare al resto, gridando “Shan-pu, mia amata, ti salvo io!!” e andando a sbattere contro il piede della piccola cinese alzato in aria con grazia per sferrargli un calcio.
Ripensai anche agli occhi di Alexander più scuri del solito, come se la pupilla si fosse dilatata squagliando il nero su tutta l'iride come una macchia di inchiostro.
Ripensai infine all'assurdità della situazione e le mie guance accaldate si tinsero dello stesso rosso del rossetto che stavo mettendo.
Legai i capelli in uno chignon basso, come da tradizione, e mi feci coraggio per uscire ed andare a cena. In fondo, pensai, venivo da un paese privo di tabù rispetto al loro, o forse no... Deglutii sonoramente e abbassai la maniglia con lentezza.
Nel corridoio, concentrata e intenta a camminare sui geta, i sandali tradizionali, andai a sbattere contro Ranma, anche lui a testa bassa.
<< Jude >> cominciò << Ehm... stai benissimo con lo yukata! >>
<< Grazie... >> sussurrai sentendo il viso avvampare e cercando velocemente con gli occhi una via di fuga.
<< Volevo dirti una cosa >> disse abbassandosi verso di me per cercare di intercettare il mio sguardo << Non... non essere imbarazzata per oggi pomeriggio! Ecco loro... loro non ti hanno vista, c'ero io davanti a te e Akane >>
A quell'affermazione il mio respiro si regolarizzò, ma l'agitazione non accennava nemmeno minimamente a scemare. Sapevo già che non potevano avermi vista, almeno non prima di essermi “coperta” con quella specie di salvietta, ma non significava nulla: era stato uno dei momenti più imbarazzanti della mia vita, forse persino più della prima recita scolastica dove avevo cantato da solista. E comunque era una magra consolazione: Mousse non mi avrebbe notata nemmeno se fossi stata fosforescente, Kuno avrebbe dovuto avere tre occhi per dedicare a ciascuna di noi le attenzioni che avrebbe voluto, Ryoga probabilmente avrebbe guardato solo Ukyo, oppure sarebbe stato troppo galante per alzare lo sguardo e Alexander... scossi la testa a quegli assurdi pensieri e mi decisi a rispondere:
<< Meno male... almeno loro... tu invece... >> sussurrai senza avere il coraggio di guardarlo ma lui mi stupì, alzò la testa velocemente scoppiando in una fragorosa risata e portandosi le braccia dietro la nuca: << Non devi preoccuparti di me! Io non ti ho... ehm, non vi ho guardate! Stai tranquilla! Queste situazioni imbarazzanti capitano praticamente sempre in casa nostra! Pensa che il primo incontro fra me e Akane è avvenuto in bagno! >>
<< Davvero? >> chiesi io quasi sollevata.
<< Sì! Io facevo il bagno e lei è entrata non sapendo che ci fosse qualcuno dentro >>
<< E vi siete visti...? >>
<< Altroché! E Shan-pu si è infilata tante di quelle volte nella vasca mentre facevo il bagno che non ci faccio nemmeno più caso! >>
Arrossii lievemente, in effetti era proprio una cosa da Shan-pu.
<< Quindi... faccenda dimenticata? >>
<< Quale faccenda? >> chiese lui facendomi l'occhiolino << E poi >> aggiunse << Se Akane pensasse solo minimamente che ho osato guardarvi anche per meno di un nanosecondo, mi fracasserebbe la testa! >>
<< Oh sì, e ne sarebbe anche capace! >> assentii ripensando alla mattina di qualche giorno prima quando l'avevo vista spaccare in due e con una mano sola interi mattoni.
E così, ridendo e ripromettendomi di chiedere di più ad Akane su quel loro primo incontro, mi avviai con Ranma verso la sala della cena, dove tutti ci stavano aspettando.

I miei amici, seduti intorno al tavolo della sala del piccolo ryokan, che ci ospitava, erano bellissimi nei loro abiti tradizionali. Le ragazze, fra colori e fiori, sembravano delle fate dei boschi, mentre i ragazzi, nei loro yukata scuri, erano tremendamente affascinanti.
Mi misi seduta al fianco di Akane, di fronte ad Alexander e alle sue enormi spalle coperte dalla stoffa nera; mi sorrise con dolcezza, mimando un muto “sei bellissima” che fece sorridere anche me.
Attaccato al palo del porticato, praticamente tutto avvolto da una spessa corda, c'era ancora Happosai, legato. Senza mai smettere di lamentarsi e piagnucolare, il vecchio maestro continuò a gridare per tutta la durata della cena “Slegatemi, faccio il bravo lo giuro! Date un po' di cibo a questo povero vecchio! Akanuccia dolce, zuccherino mio, farfallina delicata, liberami tu!!!” e ricevendo sempre in risposa uno “Sta zitto, vecchiaccio” da Ranma.
Mi soffermai un secondo a guardare quel buffo vecchietto: di certo aveva un'insana passione e una visitina da qualche psicologo non gli avrebbe fatto male, ma, alla fine, dopo averci fatto l'abitudine, era anche divertente. Le stravaganti e incredibili situazioni in cui ci cacciava, passato l'imbarazzo iniziale, si tramutavano presto in uno splendido ricordo e tante risate. E così fu per quella sera, e anche per numerosi altri giorni di quell'ultimo mese che mi restava da passare a Nerima, in casa Tendo.
Nel frattempo, con quella strana e imbarazzante giornata alle terme, un nuovo piccolo amico era entrato a far parte della cerchia delle persone pazze, stravaganti ma assolutamente insostituibili che ebbi la fortuna di conoscere durante quel viaggio che mi cambiò la vita.

***

Buonasera a tutti!!
Ed eccomi qui, con il consueto ritardo (di cui mi scuso, come sempre!)
Non ho molte cose da dire se non che spero che il capitolo vi piaccia e che capiate la "battuta" del titolo!
Un ringraziamento particolare va alla mia motivatrice/supportatrice/beta Gretel85 e alla sua pazienza, e ci tenevo anche tanto a ringraziare Bethan_ che mi ha scritto una mail fantastica e dolcissima che, oltre ad avermi fatto un immenso piacere, mi ha spronata tantissimo a scrivere questo capitolo!
Grazie anche a tutti voi, che mi aspettate, mi leggete e un grazie poco poco più grande a chi trova il tempo di lasciarmi scritto il suo parere.
Immancabilmente grazie alle mie speciali Ladies.
Ci vediamo al prossimo aggiornamento, che riguarderà....?
Vostra, Aronoele (:

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Capitolo 10
*** La mora, la bionda e la rossa ***


Gli arrivi, così come le partenze, potrebbero essere associati a un colore.
Verde come la speranza; bianco come la neve; blu come una tempesta.
E se dovessi trovare un colore per l'arrivo che ci (s)travolse tutti quel sabato pomeriggio nel nostro piccolo ryokan, sarebbe sicuramente il rosso.
Rosso, come il fuoco, come i suoi capelli.

Mentre il sole tramontava, lasciandosi alle spalle una giornata fatta di terme e risate, e l'aria si faceva più fresca tingendosi di blu, una figura minuta fece la sua comparsa nella mia vita e nella piccola sala da pranzo, spuntando oltre la porta con una testolina colma di capelli rossi.
Lucenti e ondulati capelli rossi che le ricadevano sulle spalle.

***

Il nostro week-end rilassante alle terme stava per finire e l'indomani mattina saremmo ripartiti per tornare a Nerima. Così per quel sabato sera, complici le poche attrattive del piccolo e tranquillo paesino che ci ospitava, avevamo deciso di passare la notte fra i boschi ombrosi alle pendici delle montagne.
Eravamo tutti intorno al grande tavolo, intenti a preparare le ultime cose prima della partenza, quando la nostra anziana ospite scostò le tende perlacee dell'ingresso annunciandoci che avevamo una visita. Non poco sorpresi, ci guardammo gli uni con gli altri, cercando di indovinare chi potesse averci raggiunto. Magari il dottor Tofu, liberatosi dagli impegni dell'ambulatorio; o magari, sconfiggendo la pigrizia, Soun e Genma; o ancora Hiroshi, Daisuke, Yuka e Sayuri. Le nostre congetture, o speranze, andarono avanti finché invece, con un sorriso a trentadue denti stampato sul giovane viso, ad entrare dalla porta fu una ragazzina dai capelli rossi che non avevo mai visto prima.
Una sconosciuta con il viso simpatico e l'espressione di chi ha commesso una marachella.
Si inchinò rispettosamente salutando i presenti e poi incatenò i suoi incredibili occhi scintillanti ai miei con aria impaziente.
<< Ranko! Che ci fai tu qui? >> chiese Ranma apparendo più sgarbato di quanto non volesse << Non dovevi aspettarci a casa? >>
<< Sì, sì, ma non ce la facevo più! Dovevo assolutamente raggiungervi! >>
<< Saremmo tornati domani... >>
<< Lo so, ma a casa con gli zii è una noia e poi sono mesi che non fate altro che raccontarmi di lei, non potevo aspettare un minuto di più! >> rispose con convinzione la ragazza, e qualcosa nel suo modo di fare mi disse che era sicura di spuntarla.
<< E va bene, vieni qui. Jude, lei è mia cugina Ranko, avresti dovuto conoscerla al nostro ritorno a casa ma... >> disse Ranma alzando le spalle con aria rassegnata, mentre la nuova arrivata appariva soddisfatta.
Io le sorrisi e lei fece lo stesso mimando un “finalmente” con le labbra.
Era una ragazzina minuta e piccola di statura, ma estremamente proporzionata. Madre natura era stata generosa con lei, concedendole curve in gran quantità e un corpo smaliziato e sensuale. Il viso poi era tremendamente bello: lunghe ciglia nere incorniciavano sfavillanti occhi blu -molto simili a quelli di Ranma ripensandoci, ma più dolci e sensuali-; le cui palpebre, truccate leggermente da una linea lilla, conferivano allo sguardo armonia e delicatezza. Gli zigomi alti e rosei, il naso piccolo, le labbra piene e fresche. Era bellissima. Somigliava al cugino quel tanto che bastava per dirmi che anche lei era un'artista marziale, ma aveva nell'espressione qualcosa di frizzante e sbarazzino che nascondeva un carattere impetuoso e piccante.

Un vulcano in piena eruzione, un cuore che pompa frenetico, un treno che sfreccia a tutta velocità, ma con un sorriso che avrebbe fatto vacillare il più duro dei cuori.
Questa era Ranko Saotome e io lo avrei capito quella sera.

***

Avevo più volte sentito nominare dalle belle labbra di Kuno la “ragazza con il codino, ma solo poco prima di metterci in cammino, quando già aveva spalancato la porta con un'entrata scenica degna del miglior attore melodrammatico, mi resi conto che si riferiva proprio a Ranko.
<< Oh mia dolce e cara stella della notte! >> esordì lui aprendo teatralmente le braccia.
<< Oh mamma, Kuno, ma ci sei anche tu? >>
<< Non temere mio meraviglioso pulcino, d'ora in poi non ci lasceremo mai più! >> esclamò Tatewaki balzando in avanti e prendendo a rincorrere attorno al tavolo la ragazza, che non si sapeva se fosse più arrabbiata o spaventata.
<< Sparisci brutto idiota! >> gridò lei, sempre scappando. Lo stesso sangue di Ranma le scorreva nelle vene.
<< Amore mio fatti abbracciare! >> continuava a dire lui cercando di afferrarla da dietro.
Io risi, sinceramente divertita dalla scenetta, e mentalmente aggiunsi un'altra vittima alla lista del senpai.
<< Anche lei? >> chiesi mentre guardavo Nabiki che, leggermente infastidita, portava via Kuno trascinandolo per il retro della t-shirt e intimandogli di “smetterla di fare il cretino con tutte”.
<< Eh già, ha un'insana passione per i maschiacci come vedi, gli piace anche Akane! >> rispose Ranma beccandosi un pugno in testa da entrambe le ragazze.
<< Non dargli retta, Jude! >> disse Akane prendendo il mio braccio destro e facendolo passare sotto il suo.
<< Già! >> confermò Ranko facendo lo stesso dall'altra parte << So fin da ora che diventeremo grandi amiche! >> esclamò poi con voce squillante. Con queste premesse e tenendoci a braccetto, ci incamminammo verso quella che sarebbe diventata un'altra avventura, solo che noi ancora non lo sapevamo.


***


I boschi che circondavano il piccolo paesino erano meravigliosi di giorno, con il verde che brillava bagnato dalla luce e gli uccellini che parevano colorare l'aria cantando ininterrottamente.
Lo scenario notturno però era, se possibile, ancora migliore.
Freschi e silenziosi, con la terra umida e le foglie lisce di rugiada, colmi di ogni sfumatura di verde, marrone, ocra e grigio, quei luoghi offrivano uno spettacolo ancestrale e misterioso, illuminati solo da una falce di luna e dalle stelle.
Ben presto trovammo una piccola radura fra gli alberi frondosi.
L'odore di pino e muschio, di terra bagnata e di erba ci solleticava le narici, mentre la luce salmastra che filtrava dai rami intrecciati rendeva tutto più magico.
<< Qui sarebbe perfetto accendere un falò e raccontarci storie dell'orrore >> suggerì Nabiki guardando insistentemente la sorella minore, che sapeva essere una gran fifona.
<< Ma proprio storie di mostri e fantasmi? >> chiese Akane con voce infastidita << non potremmo raccontare a Jude qualche leggenda tipica del nostro paese? >>
<< Ma che noia! L'horror è più divertente! >> esclamò Ranko.
<< Io do ragione a Pel di carota! L'horror è meglio! >> intervenne Shan-pu.
<< Shan-pu ha ragione! >> La spalleggiò Mousse.
<< Tu vuoi una storia dell'orrore solo per spalmarti su Ranma come al tuo solito, brutta vipera! >> intervenne Ukyo.
<< Ok, allora forse no... >> sussurrò il ragazzo con gli occhiali leggermente confuso.
<< E tu che vuoi? Pensa al tuo fidanzato! >> gridò la cinesina di rimando.
<< Ryoga non è il mio fidanzato! >> Diede in escandescenza la cuoca, mentre il diretto interessato, visibilmente arrossito, era nel frattempo combattuto su quale fanciulla in difficoltà aiutare: se Akane, palesemente terrorizzata da quel genere di racconti; Ranko che, sbattendo le ciglia con fare suadente, lo stava lentamente abbindolando; oppure Ukyo, anche se non sapeva bene se volesse la storia horror per accaparrarsi lei stessa le attenzioni di Ranma o non la volesse solo per impedirlo a Shan-pu.
<< Guarda che nessuno aveva parlato di Ryoga >> sussurrò Shan-pu a tradimento e i due ragazzi partirono a raffica con una serie infinita di giustificazioni fra le prese in giro e le risate degli altri, mentre io li guardavo e cercavo di capire quanta verità ci fosse nelle loro parole.
<< Basta, silenzio! Ho io la storia perfetta >> parlò infine Nabiki << Così accontenteremo l'una e l'altra >>

Tempo che, Ranma e Ryoga da una parte e Mousse e Alexander dall'altra, trasportassero nella radura due grossi tronchi caduti su cui sedersi -facendo notevole sfoggio dei loro bicipiti- e che Kuno cercasse della legna per accendere il falò, ed eravamo tutti stretti intorno al fuoco.
Solo Nabiki era in piedi di fronte a noi.
Si schiarì la voce e assunse una posa concentrata socchiudendo gli occhi:
<< Si comincia >> sussurrò con tono spettrale. << Secondo una leggenda, centinaia e centinaia di anni fa, in Giappone viveva una giovane donna. Si diceva che fosse bellissima, con lunghi capelli neri e occhi color dell'ebano.
La bella fanciulla incontrò un samurai, un uomo forte e valoroso, il quale si innamorò perdutamente di lei e ben presto ne fece la sua sposa e la sua concubina (*) >>
<< Fin qui niente di strano >> disse Akane ostentando coraggio mentre Ranma, seduto accanto a lei, la guardava di sottecchi alzando un sopracciglio poco convinto.
<< Aspetta a parlare, sorellina. Come dicevo, questo giovane samurai era un uomo estremamente vigoroso, un marito premuroso e un compagno affidabile. Questo almeno per i primi anni.
Con il tempo divenne morbosamente geloso della bellezza della moglie, che incantava chiunque incontrasse, e cominciò a chiuderla in casa, accecato dalla gelosia. Ma più lui la nascondeva agli occhi del mondo, più la vanità della donna accresceva a dismisura >>
Mentre Nabiki parlava -con una lentezza che faceva presagire un colpo di scena- tutti noi ce ne stavamo accoccolati l'uno al fianco dell'altro, guardando ora la nostra narratrice, ora il fuoco caldo e scoppiettante davanti a noi.
Ranko, sporta quasi totalmente in avanti per ascoltare meglio, non aveva affatto paura e avrebbe voluto solo essere lasciata in pace, cosa che non faceva altro che ripetere a Kuno, il quale invece cercava di abbracciarla tranquillizzandola con le sue rime strampalate.
Ukyo, ancora stizzita per ciò che era successo prima, neanche guardava Ryoga, che se ne stava seduto a braccia conserte, sfiorando con un gomito lei e con l'altro me.
Io ero in mezzo a Ryoga e Alexander e cercavo di seguire il racconto senza farmi distrarre dall'inconscia paura dentro di me.
Dopo di noi sedevano Shan-pu, ovviamente avvinghiata al braccio di Ranma, e Mousse, che aveva un'aria alquanto indispettita.
Poi Akane e infine Kasumi.
Tutti con gli occhi che pendevano dalle labbra di colei che raccontava la storia con estremo trasporto.
<< La donna, stufa della situazione, si trovò ben presto degli amanti che appagassero la sua voglia di attenzioni e la sua smisurata vanità. Ma il samurai ne venne a conoscenza e, in un impeto d'ira, colpì la donna con la propria katana, squarciandole la bocca da orecchio a orecchio e gridando: “Chi ti dirà che sei bella adesso?” >>
L'atmosfera inquietante del bosco notturno, resa ancora più torva dalla figura poco illuminata della narratrice, fu interrotta bruscamente dal grido della ragazza che imitò la sfortunata sposa, tanto che la maggior parte di noi sussultò spaventata e alcuni uccelli volarono via da un albero vicino, facendoci rabbrividire ancora di più con i loro versi striduli.
<< Tutto qui? >> chiese Ranko, l'unica a non aver fatto nemmeno un fiato.
<< Assolutamente no >> riprese la narratrice. << Da quel giorno cominciarono a girare strane voci su di una donna che, nelle notti di nebbia, vaga con il volto coperto da una mascherina e che, se incontra un passante, lo ferma e gli chiede: “Kirei da to amou?”, “Credi che io sia bella?”.
A quel punto il povero passante non sa che fare, fin quando la giovane donna non si toglie la mascherina, mostrandogli l'orrido squarcio che la sfigura, sbarrando gli occhi diventati ormai color ghiaccio e ripetendo ancora la domanda >>
Nabiki, totalmente immedesimata nella parte, mimava alla perfezione gesti e cadenze del fantomatico spettro, sbarrando anch'essa gli occhi, scattando in avanti, alzando la voce e deformandosi i lineamenti del viso per apparire più terrificante.
Il risultato fu che, ovviamente, la maggioranza delle ragazze lanciò un urlo atroce che rimbombò per tutto il bosco.
<< Che storia tremenda! >> disse Kasumi portandosi una mano a coprire la bocca.
<< Lanma, ho tanta paura, stringimi forte! >> gridò la cinesina strusciandosi ancora di più al ragazzo.
<< Ma Shan-pu, ci sono qui io a proteggerti! >> cercò di intervenire -del tutto inutilmente- Mousse.
Dal canto suo Ranma, badando poco alla ragazza completamente abbracciata a lui, si voltò verso Akane domandandole se fosse tutto a posto e se per caso non avesse paura.
<< Niente affatto! >> rispose lei con stizza. << Vai a proteggere Shan-pu se ci tieni tanto! >>
<< Sei sempre la solita stupida >> sussurrò lui con voce piuttosto roca e si girò verso Shan-pu, abbracciandola a sua volta.
Io, dopo aver tratto un breve sospiro strozzato, assistetti alla scena corrugando la fronte, non riuscendo proprio a capire cosa nascondesse il comportamento lunatico di quei due.
Ma Nabiki non mi diede il tempo di avvicinarmi alla mia amica, perché subito riprese a raccontare la storia con tono ancora più basso e spettrale:
<< A questo punto la leggenda prende vie diverse, ma sempre terribili. C'è chi dice che la donna, dopo aver posto la domanda, divori le povere vittime con la sua bocca enorme, oppure che sparisca in una risata agghiacciante. Altre fonti, più attendibili, ci dicono che invece tutto dipenda dalla risposta della vittima: se risponde di no, allora la sua sorte è orribilmente segnata e lo spirito la insegue fino a casa per colpirla mortalmente con un paio di forbici. Se invece il malcapitato risponde di sì, e quindi mente, la donna lo sfigura per vendetta, esattamente come un tempo il marito fece con lei >>
<< Ma una via di fuga c'è >> proseguì poi con voce truce e inquietante facendo tremare di paura noi ragazze.
<< E quale sarebbe? >> chiese con enfasi Ranko, così tranquilla che le mancavano solo i popcorn.
<< Non bisogna rispondere. Bisogna tenersi sul vago vaghi e correre... correre più che si può! Sapete, dicono che la donna prediliga altre fanciulle come lei come sue vittime... magari con i capelli neri e gli occhi castani... sai Akane, allo spettro piacciono molto i boschi notturni... >>
<< Adesso basta! >> gridò la diretta interessata << Mi avete stufata con queste stupide storie! I fantasmi non esistono e nessuna donna verrà a squarciarmi la faccia questa notte quindi, se permettete, io me ne vado a letto! >> e così dicendo si infilò diretta nella tenda senza badare alle proteste di noi altri.
<< Akane dai, non andartene! >> disse Ranko << E tu idiota, fai qualcosa per fermarla, no? >> aggiunse poi rivolta al cugino.
Ma Ranma girò con noncuranza la testa dall'altra parte, continuando ad accarezzare Shan-pu e sussurrando, più rivolto a se stesso che agli altri: << Non me ne importa niente di quello che fa quella stupida! >>
Ciò mi convinse ancor di più che, più che per la paura della storia, Akane se ne fosse andata per un altro motivo, un motivo che era seduto alla sua destra e che coccolava una rumorosa ragazza cinese.
Un motivo che, chissà perché, le faceva nascere dentro un mostro peggiore di quello delle storie di Nabiki, un sentimento verde come il bosco in cui ci trovavamo.
Un motivo che, e lo scoprii poche ore dopo, aveva dentro di sé gli stessi pensieri ed emozioni.

E così, dopo un po', tutti entrammo nelle nostre tende sperando, l'indomani mattina, di vedere quel clima di tensione dissolversi assieme agli spiriti della notte, anche se io avevo il sentore che per noi non solo i guai non fossero ancora finiti, ma che anzi fossero appena iniziati.


***

Eravamo andati a dormire di malumore, ognuno immerso nel fumo grigio dei propri pensieri.
Da quando Akane si era rintanata nella sua tenda, Ranma era diventato intrattabile.
Irascibile e nervoso, aveva rifiutato in malo modo le attenzioni fino a quel momento concesse a Shan-pu e poco dopo se ne era andato dopo poco anche lui, lasciando un'atmosfera tesa nella radura.
Ognuno di noi si era perso nella propria malinconia e aveva trovato un valido motivo per abbandonare il sorriso.
Ukyo, silenziosa, guardava il cielo stellato; Shan-pu lanciava lamoi d'odio a chiunque tentasse di avvicinarla; Ryoga sbuffava inquieto; Nabiki faceva un solitario con le carte, stranamente tranquilla; Alexander, pensieroso, era andato a fare una passeggiata fra i boschi e persino Kuno stava in silenzio, lucidando la sua spada seduto su una roccia.
Così eravamo entrati nelle tende, con le lamentele di Ranko -l'unica a non aver perso l'allegria- come unico sottofondo.
Avevo fatto abbastanza fatica ad addormentarmi; il buio era denso e umido e l'immagine terrificante di quella donna squarciata mi appariva continuamente davanti agli occhi.
Anche nel sonno poi, frammenti della discussione avvenuta poco prima, mischiati a pezzi di sogni senza senso, venivano a disturbarmi, aiutati dai sassolini nel terreno, che riuscivano a farsi sentire anche oltre il sacco a pelo.
Fu un sonno agitato, sudato e freddo.
Proprio quando mi pareva di aver trovato un momento di stabilità, uno scossone mi ridestò immediatamente, facendomi sgranare gli occhi nell'oscurità.
<< Jude... >> bisbigliò un'ombra accanto a me, << Jude... >> ripeté una seconda volta.
Nell'ancora velata incoscienza del primo sonno non mi resi conto di chi fosse, sentivo solo una voce di donna chiamare il mio nome e mi pareva di intravedere, grazie al tiepido bagliore lunare, due occhi chiari.
Istintivamente mi misi sulla difensiva, mentre il cuore cominciava a battere all'impazzata e l'adrenalina a scorrere frenetica nelle vene.
<< Jude... >> sussurrò per la terza volta.
Non che fossi il tipo che crede alle storie di fantasmi, ma l'atmosfera triste e silenziosa di quella notte, proprio dopo il terrificante racconto di Nabiki ancora vivido nella mente, e quella presenza inquietante che mi chiamava per nome, contribuirono non poco al vacillare della mia razionalità.
Mi tirai su a sedere, certa ormai che non si trattasse di un sogno, e decisi di fare un tentativo:
<< Sì? >> sussurrai flebilmente rivolta alla sagoma accovacciata accanto a me.
<< Sei sveglia? >> chiese questa.
<< Sì >> risposi io sempre più dubbiosa che fosse uno spettro. << Chi sei? >>
<< Sono Ranko, vieni un attimo fuori >> rispose, e la sentii uscire prima di poterle chiedere qualunque spiegazione.
Mentre lasciavo il piacevole tepore ormai accumulato nel mio sacco a pelo e scostavo il lembo di stoffa plasticata varcando la soglia della tenda, a stento riuscii a trattenere le risate.
Che stupida! Come avevo potuto credere che si trattasse davvero della donna della storia?
Invece, ad aspettarmi in piedi sull'erba c'erano Akane e Ranko, entrambe vestite di tutto punto ed entrambe con un'espressione interrogativa sul viso di fronte alla mia reazione divertita.
<< Perché ridi? >> mi domandò la ragazza dai capelli rossi.
<< Niente, niente >> risposi in fretta io dandomi -per la centesima volta- della scema per aver confuso Ranko con il fantasma della storia. << Dimmi tutto >>
<< Ti va di venire con noi? >> mi domandò lei sorridendo.
<< Dove andate a quest'ora? >> chiesi guardando l'orario. Segnava l'una del mattino.
<< In discoteca... >> sussurrò Akane con l'espressione colpevole.
Solo in quel momento feci caso al modo in cui erano vestite: Akane indossava una mini gonna nera -davvero mini-, scarpe col tacco e un giubbotto corto di pelle, sempre nero. Rossetto scuro sulle labbra, ciglia lunghe e l'aria di chi fa qualcosa che sa di non dover fare. Era davvero bellissima.
Mentre Ranko degli shorts -davvero short- e un top che lasciava poco spazio all'immaginazione.
<< In discoteca? >> ripetei io incredula.
<< Esatto. Qui è una palla mortale, ve ne siete andati tutti a letto alle undici! >> disse la rossa << Siamo giovani, dobbiamo divertirci! >>
Io guardai Akane e con lo sguardo le chiesi cosa diavolo stessimo facendo.
Non conoscevo Ranko, anche se avevo intuito il suo carattere sbarazzino e frizzante, ma ormai avevo imparato a conoscere Akane e sapevo bene che non era il tipo da sgattaiolare via di notte per andare a ballare in una discoteca.
<< Così, per cambiare un po' >> rispose lei alla mia domanda muta, quasi mi avesse letta nel pensiero, ma io percepii che il motivo doveva essere un altro. Il suo sembrava il tipico atteggiamento di chi vuole farla pagare a qualcuno ed io ero quasi certa che quel qualcuno fosse Ranma.
<< Dai, ci divertiremo! >> mi incitò Ranko << Io lo faccio sempre. Con i genitori severi che ho se non scappassi di notte, non uscirei mai! Torneremo domani mattina prima che gli altri si sveglino, nessuno se ne accorgerà e noi avremo passato una bella serata in barba a questi noiosi tutti arti marziali! >>
Io ero ancora titubante e una marea di motivi per cui quella fosse davvero una pessima idea mi vorticava nella testa.
<< Avanti, lasciamoci andare per una sera! >> disse Akane con malcelata insicurezza e una muta richiesta di compagnia nei suoi occhi mi convinse ad accettare.
Il tempo di infilarmi anche io qualcosa di “adatto” a una serata in discoteca e già eravamo sul treno notturno che ci avrebbe riportate a Tokyo.

***

La discoteca era l'esatto contrario del bosco che avevamo lasciato.
Musica techno sparata a tutto volume, luci colorate e psichedeliche che creavano effetti ottici nel buio, un caldo quasi afoso, odore di fumo e alcol e una folla di persone che ballava talmente vicina da far mancare il fiato.
Non era affatto il posto per me.
E a quanto pareva nemmeno per Akane, che si guardava intorno con l'aria spaesata e leggermente curiosa di chi si trova in un posto per la prima volta.
Guardava tutto: le alte balconate da cui sporgevano persone urlanti, le sfere stroboscopiche sparse qui e lì come stelle comete sul soffitto scuro, il DJ che incitava la folla alzando le mani a ritmo di musica.
<< Questa è la discoteca più cool del momento >> ci disse Ranko alzando la voce per farsi sentire. << Seguitemi! >> E ci trascinò per mano verso il bancone del bar.
<< Ranko! >> esordì il barista dandole il cinque e, dopo essersi scambiati qualche battuta in giapponese, prese ad agitare shaker e a maneggiare alcolici di ogni tipo.
<< Che sta facendo? >> chiese Akane palesemente spaventata dalla risposta.
<< Ci prepara da bere, è ovvio! >> rispose la ragazza con i capelli rossi come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
<< Ma io sono astemia! >>
<< Non avevi detto che volevi lasciarti andare? >>
<< Io... veramente... >> disse titubante mentre l'euforia iniziale cominciava a scemare.
L'incertezza era visibile nei suoi occhi. Se ne stava lì, in piedi, continuando a tirare verso il basso i lembi della cortissima gonna come a volersi coprire, truccata come una bambola dark, ma con l'espressione più tenera e impaurita che potesse avere, guardandosi intorno disorientata e sempre meno convinta della sua scelta.
Akane era una ragazza tranquilla, una di quelle che queste cose le vede fare solo nei film, ma quella sera, fra la titubanza che la governava, ogni tanto si fermava a riflettere, si spostava la frangia dagli occhi e socchiudeva le palpebre, concentrandosi su un punto fisso del pavimento lucido per poi rialzare la testa con una nuova luce e una nuova forza a governare i suoi intenti.
<< Allora? >>
<< E cosa ci starebbe preparando? >>
<< Un cocktail buonissimo che prendo sempre, tanto che il mio amico Eichi >> e indicò il barman che stava ancora trafficando dietro il bancone << l'ha soprannominato “Ranko”! >>
<< Ma quante volte sei già stata qui? >> domandò Akane con un'espressione talmente pura, incredula e innocente che per la prima volta mi fece pensare di essere davvero la sorella di Kasumi.
<< Lo vuoi il cocktail, sì o no? >> le chiese Ranko alzando un sopracciglio.
Poi le bisbigliò all'orecchio una frase in giapponese che la riaccese e le fece brillare gli occhi di una strana luce.
<< Ma certo che lo voglio! >> rispose Akane con vigore. << Dammi anche una sigaretta >>
<< Così mi piaci!! >> disse Ranko porgendole l'accendino dopo essersene accesa una anche lei.
La tosse che accompagnò la prima boccata di Akane mi disse che no, lei non aveva mai fumato in vita sua, e anche io accesi una delle mie Marlboro light guardando stupita Ranko buttare giù il suo drink tutto d'un sorso.
Akane beveva a piccoli sorsi quel liquido trasparente dall'odore terribilmente forte che in gola bruciava lasciando una scia rovente, e rideva a crepapelle con Ranko e, mano a mano, si rilassò. Forse fu l'alcol o il calore che appiccicava i vestiti, forse fu il brivido della disobbedienza, il desiderio di vendetta, la consapevolezza di aver fatto qualcosa di assolutamente folle o la voglia di evadere, ma si lasciò andare al divertimento scatenandosi in pista assieme a Ranko, dimenticandosi, fra un sorso e una risata, di tutti i suoi pensieri.
Improvvisamente mi squillò il cellulare: era Ranma.
Risposi tappandomi un orecchio per cercare di sentire meglio, ma la musica era assordante.
<< Dove siete? >> mi chiese in tono perentorio.
Stavo per rispondergli quando Akane, avvicinandosi, mi domandò chi fosse. Io mimai “Ranma” con le labbra e lei mi strappò il telefono di mano urlando qualcosa nella sua lingua madre e riattaccando in malo modo.
<< Non facciamoci rovinare la serata da quello scocciatore, che ci lasciasse in pace! >> disse mal celando il risentimento che provava nei suoi confronti e trascinandomi di nuovo verso il centro della pista.
L'istinto però mi disse di mandare un SMS al ragazzo, scrivendogli il nome della discoteca nella quale ci trovavamo e accompagnato da un “È tutto ok, ci stiamo solo divertendo un po'. Non vi preoccupate, a domani”.

Ranko era davvero un'ottima ballerina. Aveva sciolto la treccia, lasciando che i lucidi capelli rossi le scendessero sulle spalle in una cascata setosa, e si muoveva a ritmo di musica, come se quei toni forti le attraversassero il corpo in una scarica elettrica.
Ancheggiava consapevole, reclinava la testa indietro ridendo divertita, le sue forme scolpite guizzavano provocanti ad ogni movimento, era così bella e raggiante che in un attimo attirò tutti gli sguardi su di sé.
E di conseguenza su di noi.
Anche Akane ballava, avendo ammorbidito i freni naturali di un carattere responsabile, ed era bellissima mentre, sfrenata ed eccitata, si muoveva trasportata dalla musica.
Insieme, sudate e pericolosamente belle, erano come miele per gli orsi mentre si tenevano per mano e abbandonavano vergogna e problemi.
Due ragazze scatenate alla conquista di una notte di follie.

Fu un attimo e ci ritrovammo accerchiate.
Una miriade di visi sconosciuti teneva gli occhi puntati su di noi, avvicinandosi sempre di più e bisbigliando con fare suadente frasi che io non capivo.
Qualcuno provò anche a ballare con noi, affiancandoci e muovendosi al nostro stesso ritmo. Akane e Ranko li lasciavano fare, sicure di loro stesse, continuando a tenersi per mano e ballando come se il resto del mondo non esistesse. Io però ero un po' meno tranquilla.
Cominciai a non sentirmi più a mio agio mentre una marea di “beautiful” mi arrivava alle orecchie in un sussurro caldo e delle mani estranee mi cingevano i fianchi o mi afferravano le braccia.
Cercavo di tirarmi indietro, di scacciare in malo modo chi provava, con molta insistenza, a tirarmi verso di sé.
Odore di corpi accaldati e troppo vicini, fumo, cenere e birra, tutto mi opprimeva e non trovavo via d'uscita.
Presto anche Akane e Ranko vennero messe in difficoltà, circondate da ragazzi che le stringevano, le abbracciavano tirandole indietro verso di loro, le accarezzavano con troppa enfasi e, con tutta probabilità, facevano loro proposte indecenti.
Era chiaro che le intenzioni di quel gruppo di uomini non fossero delle migliori.
Un paio di volte le due artiste marziali provarono a sferrare qualche colpo, anche se strette in quella morsa di corpi, ma a vuoto.
<< Maledetti drink >> disse Akane a denti stretti tirando ad un ragazzo, che cercava di toccarla, uno schiaffo che sembrava più una carezza, e io potei vedere chiaramente nei suoi occhi, forse per la prima volta, oltre alla rabbia di non essere riuscita a colpirlo, anche la paura di non farcela.
Era come un incubo: la luce azzurra che brillava a intermittenza e che faceva sembrare ogni movimento a rallentatore cominciava a infastidirci, la musica assordante spaccava i timpani, il caldo e la sensazione di soffocamento aumentavano, sentivamo mani dappertutto e ovunque ci girassimo a cercare un po' d'aria, un'infinità di volti, mani e fiati caldi ci si paravano davanti, impedendoci di allontanarci e tenendoci prigioniere in quella gabbia umana.
Iniziai ad avere paura, vedendo che anche le mie amiche, con il panico negli occhi, erano quasi sopraffatte, e il cuore cominciò a battermi furioso nel petto.
Perché mai ci eravamo cacciate in quella situazione?
Tre ragazze da sole e su di giri di notte in una discoteca della metropoli più grande del mondo.
Inconsciamente avevo sempre saputo che era un'idea pericolosa, ma mi ero lasciata trascinare dal carattere vulcanico di Ranko e dalla voglia di libertà di Akane, e adesso ci ritrovavamo accerchiate da un gruppo di ragazzi con intenzioni poco gradevoli e lontane dai nostri amici.
Cominciai a pregare che, nonostante le rimostranze di Akane, ci fossero venuti a cercare.
Di colpo la musica cessò.
Un ringhio basso e gutturale fece fermare tutti, deciso e terrificante.
Poi una frase, in giapponese, pronunciata da una voce roca e minacciosa, e tutte le mani che ci tenevano strette ci lasciarono di colpo.
Mi girai, con il cuore che non la smetteva di agitarsi fra la paura e la speranza, e li vidi.
Ranma, tra coni di ombra e di luce, con i capelli neri intrecciati e gli occhi blu, assottigliati e cattivi, fissi su quel gruppo di uomini come a volergli dare fuoco solo con lo sguardo.
Serrava i pugni tanto da avere le nocche bianche, con le braccia muscolose tese ai lati del corpo e la bocca distorta in una smorfia di disprezzo.
E poi c'era Alexander, con l'espressione tanto potente che parlava da sola, le braccia incrociate e i muscoli contratti.
L'uno di fianco all'altro, imponenti e torvi.

Ranma disse qualcos'altro e alcuni ragazzi si allontanarono velocemente, quasi scappando. Altri invece, i più ubriachi e spavaldi, insistettero rimanendoci vicino.
Io non capivo cosa stesse dicendo, ma il tono della sua voce e il suo corpo parlavano per lui. Tutto in lui era così forte, profondo e intenso che faceva paura persino a me.
Arrogante e minaccioso, sembrava un eroe. Emanava odore di battaglia, selvaggio e bellissimo, sudato mentre faceva sfoggio dei muscoli, sicuro e forte.
Guardandolo, e guardando Alexander, splendido e pronto affianco a lui, mi sentii di nuovo al sicuro.
Improvvisamente, a mo' di sfida, uno dei ragazzi sfiorò il viso di Akane con la mano, afferrandole il mento e portandola a un centimetro dalla sua bocca.
Fu uno degli errori più grandi della sua vita.
Accecato dall'ira, Ranma scattò come un animale che si lancia all'attacco. Afferrò il ragazzo per il collo, lo alzò diversi centimetri da terra con un braccio solo e lo scaraventò lontano da noi con quanta forza aveva in corpo.
Poi si girò e lanciò uno sguardo di fuoco agli altri ragazzi. “Farete la stessa fine”, pareva dire.
Sudato e arrabbiato, si fece largo in mezzo a loro, afferrò Akane per le spalle, la spinse via fra le braccia di Alexander, e tuonò un “portale via” con tono duro e perentorio.
Pochi secondi dopo, i pugni serrati, era già pronto allo scontro.
Alexander, con le mani ancora sulle spalle di Akane, prese Ranko e me di peso, ci portò fuori e io feci giusto in tempo a vedere Ranma fendere l'aria con dei colpi micidiali lasciando a terra qualche ragazzo, prima che le enormi porte della discoteca si richiudessero davanti a me.
Dagli occhi scuri di Alexander trapelava quanta rabbia, frustrazione e preoccupazione celasse quella sua espressione dura.
Rientrò ad aiutare Ranma senza dirci una parola e ci lasciò a fare i conti con le nostre emozioni.
Ci sedemmo per calmare i nostri cuori impazziti. Spaventate ed emozionate allo stesso tempo, le nostre anime traboccavano di paura e gratitudine.
<< Abbiamo fatto un casino >> bisbigliò Ranko mentre Akane si teneva la testa con le mani.

Poco dopo i due ragazzi uscirono.
In un silenzio che gridava, Akane corse incontro a Ranma e affondò la testa nel suo petto.
Lui la strinse forte a sé e le posò un bacio fra i capelli chiudendo gli occhi con forza.
Solo allora mi resi conto di quanto l'avevamo fatta grossa, mentre Akane si lasciava andare in un mare di sussulti, sfogando tutto il suo sollievo.
Il volto di Ranma era provato dalla stanchezza e dalla tensione, un'ombra di paura ancora negli occhi esprimeva tutta l'angoscia che la scena a cui aveva dovuto assistere gli aveva fatto provare.
Respirò rumorosamente, lasciando andare in un soffio tutta la sofferenza e la rabbia accumulate.
Riversò nell'abbraccio ad Akane tutto quello che aveva provato, tenendola stretta per un tempo che parve interminabile mentre lei singhiozzava sommessamente.
Poi la ragazza si staccò e alzò lo sguardo colpevole:
<< Scusami... io... ti sei fatto male? >> chiese sfiorando appena la guancia di Ranma, su cui spiccava un piccolo taglio all'altezza dello zigomo.
<< No >> rispose lui.
<< Sei venuto a salvarmi... a proteggermi... io... non credevo che saresti venuto questa volta >> tentò di dire, ma venne di nuovo sopraffatta dalle lacrime.
<< Tu non mi volevi, nemmeno durante la storia di Nabiki, anche se sappiamo entrambi che stavi morendo dalla paura. Ma io verrò sempre a proteggerti... scema >> sussurrò appena Ranma, prima di ritrovarsi Akane ancora fra le braccia, che piangeva ormai di commozione, e lo stava ringraziando a suo modo.
Quella scena mi scaldò il cuore.
Non seppi cosa si fossero sussurrati finché Ranko non me lo tradusse, ma i loro gesti erano così chiari che, per la prima volta forse, riuscii davvero a vederli.
Dei gesti puri e inaspettati, dettati dall'emozione, senza badare a null'altro.
Dei gesti, ne ero sicura, d'amore.

Improvvisamente sentii un braccio cingermi le spalle e ripararmi dal fresco di una notte che scompariva.
<< Grazie >> sussurrai ad Alexander.
<< È stato un piacere >> rispose lui.
<< Di tutto intendo >>
<< La risposta è sempre la stessa >> bisbigliò stringendomi un po' più forte.
<< Ehi, ma nessuno che abbracci me? >> squittì tutto a un tratto Ranko, facendo separare, in preda al più forte imbarazzo, sia Ranma e Akane che Alexander e me.
<< Dov'è quell'idiota di Kuno quando serve? >> proseguì poi, senza più fare caso a noi quattro rossi come pomodori e avviandosi verso la fermata della metropolitana.
<< Nemmeno un grazie eh? >> disse fintamente polemico Ranma, ma la cugina fece finta di non sentirlo.
Mentre la seguivamo, camminando l'uno accanto all'altra, notai che le nocche delle mani di Alexander erano livide. Senza pensarci due volte le presi nelle mie:
<< Anche tu? >> non seppi trattenermi dal chiedere.
<< Non è niente >> disse lui scostandosi leggermente.
Io non risposi ma lo guardai preoccupata, continuando a carezzargli il dorso con le dita.
<< Non temere Jude, il nostro yankee è un duro. Stasera ha dimostrato che all'occorrenza è uno che i pugni li sa tirare! A proposito amico, bel colpo l'ultimo! >> intervenne Ranma.
<< Grazie, amico >> rispose quello e io lo guardai ammirata mentre, le mani intrecciate, tornavamo a casa.

***

E questa è la storia di come l'uragano Ranko ci ha investiti una sera di fine estate.
Di come quella ragazzina un po' matta, che si annoia in fretta, esuberante e combinaguai, abbia travolto la mia vita regalandomi una serata ricca di ogni tipo d'emozione, una nuova avventura da raccontare e qualche consapevolezza in più.


***




A Margherita
,
benvenuta fra noi <3


Ed eccoci di nuovo qui.
Un sentitissimo e doverosissimo grazie va alla mia "Beta Carotene", ovvero la bravissima Gretel85, ché vi giuro, se non ci fosse lei non pubblicherei affatto.
Grazie anche alla mia Sweetie, Faith84, che mi ha gentilmente suggerito l'idea di inserire una leggenda metropolitana giapponese nel capitolo. A proposito, quella di cui parlo (*) è la storia della Kuchisake onna e qui devo ringraziare la preparatissima Matrona che mi ha aiutata a reperire il materiale per documentarmi.
Il grazie più grande va a tutti voi, che mi aspettate e mi leggete e che mi riempite di gioia quando mi recensite.
Sopratutto alle mie sempre presenti Ladies.
Insomma, grazie, grazie, grazie. Ci vediamo al prossimo capitolo, in cui troveremo... (Pia, per la tua goia sta arrivando lui!)
A presto,

Aronoele (:

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Capitolo 11
*** La foresta dei baci volanti ***


Da quando per la prima volta, ormai tre mesi prima, avevo messo piede in quella casa, c'era solo una domanda che mi ronzava continuamente in testa. Non riuscivo proprio a liberarmene, né a trovare una risposta adeguata.
Era una domanda anche piuttosto semplice rispetto a quelle che -riflettendoci un po'- potevano essere molto più legittime vivendo a casa Tendo-Saotome. Nonostante questo, però, la domanda in questione fu la costante della mia estate giapponese.
In questo giorno, di cui sto per raccontarvi, finalmente ottenni la risposta che cercavo.

***

Tornate fra i boschi, quella stessa notte, dovemmo affrontare i nostri compagni di viaggio: l’apprensione di Ryoga, imbestialito con Ranko per aver trascinato Akane e me in quella follia, e con Ranma, per non averlo portato con sé quando aveva deciso di venirci a prendere. Le “velate” frecciatine di Shan-Pu “così felice di vederci sane e salve” a cui di certo sarebbe dispiaciuto davvero tanto se per caso ci fosse capitato qualcosa. E poi gli abbracci soffocanti di Ukyo che si era preoccupata per davvero, e quelli ancor più asfissianti di Kuno, che non si faceva il minimo scrupolo a esternare platealmente tutto il suo “tremendo penare” di quella notte.
Una volta a casa invece, dovemmo affrontare la ben peggiore preoccupazione di quei componenti della famiglia rimasti a Nerima: Kasumi e il dottor Tofu, divisi fra il rimproverarci per il comportamento irresponsabile e il sollievo per il pericolo scampato; Genma, che non la smetteva più di gridare dietro alla povera Ranko -esattamente come faceva con Ranma- per non aver vegliato abbastanza su di noi; e Soun, letteralmente sprofondato in una valle di lacrime nemmeno a metà del racconto.

In ogni caso, a una settimana esatta da quegli eventi, mi trovavo nella mia stanza e guardavo fuori dalla finestra.
Anche la mia partenza, così come il giorno del sì, si stava avvicinando e un velo di tristezza già adombrava i miei pensieri.
I matrimoni shintoisti vengono generalmente officiati in primavera o in autunno e, dato che il mio ritorno a casa era inesorabilmente fissato per il nove di settembre, i due fidanzati avevano deciso che quella sarebbe stata la settimana giusta: un mese quasi autunnale e un giorno che garantiva ancora la mia presenza.
Era fine agosto, l'aria era ancora tiepida, e i preparativi infervoravano. C'era sempre qualcosa da fare o da andare a comprare: innanzitutto gli addobbi per il giardino, perché si era deciso che il matrimonio si sarebbe tenuto a casa della sposa invece che dello sposo -come era tradizione-, e stavano allestendo un grande altare e dei gazebo proprio di fronte al bel laghetto turchese. E poi l'immancabile riso, il sakè migliore del Giappone e del pesce fresco. C'erano da ritoccare i vestiti, bisognava trovare qualcuno che sapesse ancora fare, nel ventunesimo secolo, le acconciature tradizionali, chiamare gli addetti alla musica e il fotografo, scegliere fiori e nastri, organizzare il ricevimento, le portate del pranzo... mancavano ancora così tante cose da fare!
Tutti correvano sempre da una parte o dall'altra, insieme o divisi, ma sempre di fretta e con qualche imprevisto che, puntualmente, faceva loro dimenticare il perché erano usciti e li faceva tornare a casa con un pugno di mosche.

Ad ognuno di noi era stato affidato un incarico: Genma era stato scelto per comprare il tradizionale barile di sakè, lui che ne era un grande intenditore, mentre invece la sposa si era rifiutata di assumere uno chef : avrebbe cucinato lei tutte le pietanze del suo matrimonio. A Nabiki era toccato l'arduo compito di scegliere il fotografo e trattare con i fornitori, Akane andava e veniva da ogni sartoria della città, Ranma aiutava nelle decorazioni mentre Soun presiedeva ai lavori che si svolgevano nel suo giardino.
Persino il vecchio Happosai pareva essere diventato una persona seria in quei giorni, e girava instancabilmente alla ricerca del regalo perfetto per “la sua dolce Kasumi”.
Io avevo un compito speciale: le fedi.
Eravamo tutti elettrizzati e pieni di energia.
L'unico che invece sembrava meno frizzante degli altri era il signor Tendo, ed era proprio lui che stavo osservando dalla finestra della mia stanza quel giorno.
Quando avevo ricevuto la foto della famiglia che mi avrebbe ospitata, corredata da una bella lettera con i loro nomi, le loro descrizioni e un dolcissimo “non vediamo l'ora di conoscerti” alla fine, quello che mi aveva impressionato più di tutti era stato proprio lui: Soun, il capofamiglia.
Akane mi aveva poi raccontato di come era morta sua madre, tanti anni prima, di come Soun aveva cresciuto lei e le sue sorelle, senza mai fargli mancare nulla nonostante le difficoltà, e di come aveva mandato avanti il dojo di famiglia lavorando instancabilmente senza battere ciglio. Fino a quando poi, un giorno che la mia amica ricordava benissimo, Genma e Ranma erano arrivati a casa loro, portando una dose incalcolabile di guai ma anche tanta, tanta allegria.
L'arrivo del suo migliore amico, mi raccontò Akane, aveva ridato a Soun un po' di speranza, aveva riacceso la sua vita, ormai stanca e malinconica, segnata solo dalla fatica e dal dolore per la perdita della moglie, e gli aveva donato quella serenità che solo la consapevolezza di non invecchiare da solo poteva dare.
Le figlie erano state molto preoccupate per lui in passato, ma da quando c'era Genma sentivano che il loro papà aveva finalmente riacquistato la gioia di vivere, ed era quello uno dei motivi per cui Kasumi aveva deciso che sì, poteva sposarsi.
Guardandolo in giardino, concentrato a cercare di accendere una vecchia pipa, riconobbi sul suo volto i segni della stanchezza. In pochi giorni si era fatto visibilmente più vecchio, e probabilmente il motivo era proprio questo matrimonio. Era sì felice per la maggiore delle sue bambine -e come avrebbe potuto non esserlo?- ma sentiva anche che una fogliolina del suo albero si stava staccando dal ramo e che nulla sarebbe stato più come prima.
Soun era l'emblema dell'ospitalità: non si era fatto problemi ad aprire la sua casa al suo amico di gioventù e a suo figlio, e aveva donato loro, soprattutto a Ranma, il calore di una famiglia e la sicurezza che solo quattro mura sanno dare. E non aveva avuto difficoltà nemmeno ad accettare me, una sconosciuta, per di più straniera, in casa sua. Una che delle sue tradizioni non sapeva nulla, che non parlava la sua lingua, che probabilmente non avrebbe nemmeno apprezzato e capito quello che lui faceva per lei. Ma non importava, lui si era preso in casa quella biondina timida e silenziosa, le aveva messo un tetto sopra la testa, le dava da mangiare con il proprio sudore e per di più la faceva anche sentire bene.
Io sono Soun ma puoi chiamarmi papà” erano state le sue prime parole e, da allora, non le ho mai dimenticate.
Così, quel giorno, dopo tutto quello che aveva fatto per me, decisi di fare io qualcosa per lui e scesi in fretta le scale per raggiungerlo.
<< Vuoi una mano, papà Soun? >> gli chiesi prendendogli di mano i fiammiferi.
“Papà Soun” era il modo in cui avevo deciso di chiamarlo.
<< Oh grazie bambina, questa pipa mi sta facendo diventare matto! >>
Accesi io la pipa per lui e fu semplice. Poi mi porse il braccio e cominciammo a fare una passeggiata su e giù per il giardino, sorvegliando ora questo, ora quello e chiacchierando del più e del meno.
<< Allora bambina mia, stai per andare via, non è così? >>
<< Ehm... sì... >> risposi con un filo di voce.
<< Suvvia, non essere triste. Non è mica la fine. Sai, la mia vita è stata costellata di partenze, viaggi, amici che andavano via. In un modo o nell'altro ce l'ho sempre fatta. Chi parte poi torna, ricordatelo >>
<< Sei molto saggio, papà Soun! >>
<< Sono molto vecchio, vorrai dire! >> disse lui scoppiando in una risata che trascinò anche me.
<< Mi dispiacerà lasciarvi... >>
<< Non ci lascerai bambina, non del tutto almeno. Quando qualcosa scava la superficie e ti entra dentro, poi non va via tanto facilmente. Se ti abbiamo lasciato un ricordo, un insegnamento, qualunque cosa, la porterai con te. Vai bambina, vai nel paese degli yankee e porta un po' di Giappone! >> mi rispose facendomi ridere ancora. Sapevo però che non stava scherzando, anche se quel modo bonario e sorridente di affrontare le cose lo faceva sembrare sempre in bilico fra il serio e il faceto, mi stava solo insegnando un'altra cosa, come sempre.
“Non c'è modo migliore di insegnare che con il proprio esempio” pensai, e mi strinsi un po’ più forte al suo braccio.
Camminammo tanto e a lungo, quasi fino al tramonto, quando il cielo si era riannuvolato un po' e sembrava bruciare di un arancio incandescente fra le crepe lasciate dalle nuvole grigio scuro.
Ogni tanto Soun si fermava e gridava al malcapitato di turno frasi come “mi state distruggendo la casa”, “quell'albero è più vecchio di me” o “non ti azzardare a dipingere le pareti del mio dojo”.

All’ora di cena quasi nessuno aveva terminato i propri compiti della giornata. Gli operai erano andati via per tornare l'indomani, Genma era ancora nella “misteriosa città” nella quale si era recato per fare man bassa di sakè, Akane trascinava brandelli di stoffa con sé e ogni tanto ne perdeva uno in qualche angolo della casa e Ranma “giaceva” soavemente stravaccato sui cuscini verde petrolio del salotto, stremato dai preparativi.
D'un tratto l'uragano Nabiki rientrò in casa gridando:
<< Vi voglio tutti attorno al tavolo fra un minuto! >> e quando tutti la raggiungemmo annunciò, dopo essersi enfaticamente schiarita la voce: << Mia cara Kasumi, in qualità di tua testimone... >>
<< Ma... >> fece per interromperla la futura sposa.
<< Sì, sì, lo so che tu non avrai testimoni perché il tuo sarà un noiosissimo matrimonio rispettoso delle tradizioni e bla bla bla… >>
<< Guarda che anche nei matrimoni tradizionali ci sono i testimoni >> la corresse un annoiatissimo Ranma.
<< Ah davvero? Bravo Ranma, l'esperto di marimoni! >> Per tutta risposta il ragazzo si strozzò e cerco di controbbattere a quella strana -pensai io- affermazione, ma Nabiki non gliene diede il tempo:
<< Be', meglio così. Insomma, in qualità di tua testimone ti ho organizzato l'addio al nubilato!! >>
<< Che cosa!? >> gridarono praticamente all'unisono gli altri componenti della famiglia.
<< Sorpresa! >> li schernì Nabiki.
<< Iena, cosa hai combinato? >> fu Ranma il primo a parlare.
<< Certo Nabiki che sei proprio incorreggibile!! >> gli fece eco Akane.
<< Che cos'è un addio al nubilato? >> chiese innocentemente Kasumi e, se fossimo stati in un cartone animato, sarebbe spuntata la tanto proverbiale “goccia di disappunto” dietro le teste di ognuno di noi.
<< Ma come Kasumi? In che razza di secolo vivi? >> tuonò Nabiki enfatizzando con la mimica facciale le parole cariche di stupore.
<< Sto scherzando sciocchina, so cos'è. Ti volevo appunto chiedere di organizzare qualcosa. Ho visto in una pubblicità una “beauty farm”, tu ci sei mai stata, Jude? >>
<< Sì, certo. È un posto dove si va per rilassarsi. Ti fanno dei massaggi speciali e delle maschere con le alghe o con il fango. A volte anche manicure e pedicure! >> risposi.
<< Oh no, non voglio niente di tutto questo! >>
<< Ma veramente io ho già organizzato tutto... >> tentò Nabiki.
<< Trovato! Sapete dove vorrei tornare? In quel villaggio dove la mamma ci portava sempre da bambine. Quello in cui Akane è stata qualche anno fa, ricordate? >>
<< Ryugenzawa? >> chiese quasi con timidezza la più piccola delle sorelle.
<< Sì! Proprio Ryugenzawa! Come vorrei tornarci! Che dici Nabiki, potremmo andare lì per il mio addio al nubilato? O avevi altri piani? >>
<< Oh no, figurati... E tanti saluti gran casinò! >>


***

E così mi ritrovai ancora una volta su un treno, diretta verso la stazione di una città dal nome impronunciabile.
Il dottor Tofu aveva accettato di buon grado la richiesta della futura sposa di festeggiare il suo addio al celibato nello stesso posto, e aveva chiesto ai suoi testimoni, Ryoga e Ranma, di andare con lui. Il primo aveva detto subito di sì, eccitato per l'ennesimo viaggio, mentre il secondo aveva acconsentito quasi ringhiando e adesso se ne stava seduto da solo, lontano da noi.
Era strano per un ragazzo vivace come Ranma starsene in disparte, senza proferire una parola, con le cuffie alle orecchie e un'espressione davvero corrucciata dipinta sul volto. Quella mattina era stato talmente nervoso che non si era nemmeno fatto la barba, come invece faceva sempre, e non aveva toccato cibo, cosa che definire “strana” sarebbe riduttivo.
Nemmeno Akane aveva parlato molto, li avevo sentiti litigare, ma questa era una cosa che facevano talmente spesso che non mi era parso ci fosse niente di anormale.
Lo osservai per un momento: gli occhi sbarrati ma affatto rilassati, si vedeva palesemente che non dormiva, le braccia incrociate come se volesse allontanarsi -o ripararsi- dal resto mondo e un'aurea scura che lo circondava. Non ero il massimo nell'avvertire il ki delle persone, ma persino una principiante come me poteva percepire perfettamente la negatività che l'energia interna del corpo di Ranma sprigionava.
Mi dispiaceva moltissimo vederlo in quello stato, così mi armai di coraggio e decisi di fare un tentativo.
<< Ranma...? >> lo chiamai avvicinandomi, dopo aver scostato dal suo orecchio una cuffietta.
<< Uhm? Ah, sei tu, Jude. Dimmi >>
Mi misi accanto a lui in uno slancio di audacia di cui non capivo la provenienza: << Perché te ne stai qui seduto tutto solo? >>
<< Sono nervoso >> mi rispose, come se i pugni stretti tanto da far diventare bianche le nocche non fossero un indizio sufficiente.
<< Sì, questo lo avevo capito >> ironizzai. << Non ti piacciono le feste? >>
<< Non è quello il problema. >>
Un'altra risposta secca del genere e me ne sarei andata. Cominciavo a capire Akane quando lo definiva “insopportabile”.
<< Allora il problema è Ryug, Ryuiiu, Rug... oh, non riuscirò mai a dirlo! >>
<< Ryugenzawa? >>
<< Quella roba lì. >>
Ranma non rispose ed io decisi di cambiare approccio.
<< Cosa ascolti? >> chiesi fingendomi interessata ad altro.
<< November Rain >>
Alzai gli occhi al cielo. Il più delle volte era un ragazzo adorabile, davvero, ma quando si chiudeva in se stesso e diventava un vero e proprio cuore di legno -massello per giunta-, avrebbe fatto perdere la pazienza perfino a un santo.
<< Posso? >> domandai prendendo la cuffietta che avevo lasciato cadere poco prima.
<< Certo >>
Mi avvicinai un po' di più, fino a sfiorare i lembi della sua felpa grigia e mi misi a guardare fuori dal finestrino. Il paesaggio scorreva velocemente e, man mano che ci allontanavamo dalla città, diventava meno grigio e più verde, il sole appariva più brillante e le case erano sempre più rade. Ce ne stemmo così per un po', ad ascoltare la musica senza parlare. Ogni tanto notavo che gli altri, soprattutto Akane, ci guardavano, ma non facevano nemmeno un passo nella nostra direzione.
Non ero abituata a rimanere sola con Ranma e davvero non sapevo come comportarmi. Era un ragazzo strano, mi piaceva, ma mi spaventava terribilmente. Era una di quelle persone su cui si desidera fare colpo, perché sono belle e interessanti, ma quando ci si sta insieme poi, si finisce sempre per dire qualcosa di stupido.
<< Perché detesti il posto in cui stiamo andando? >> lo incalzai di nuovo quando notai che aveva sciolto le braccia e riaperto gli occhi.
<< Non detesto Ryugenzawa, non c'è niente da detestare lì. La cittadina è minuscola, siamo fortunati che esista addirittura un albergo. La foresta è... una foresta, come tutte le altre, con una stupida sorgente e uno stupido lago >>
Mi sporsi in avanti per guardarlo: aveva lo sguardo rivolto fuori dal finestrino, l'espressione corrucciata e una mano a reggergli la testa. Si accorse del mio movimento e scostò il viso per guardarmi a sua volta.
<< Cosa c'è? >> mi chiese fingendo un'aria innocente.
<< “La cittadina è minuscola”, “stupida sorgente”, “stupido lago”... sei sicuro di non detestare nulla? >> Adesso la finta innocente ero io.
<< Beh... forse non è uno dei miei posti preferiti ecco ma... addirittura detestarlo... >>
<< Ah, ok. Allora ti sei venuto a sedere qui da solo per dimostrare in maniera alternativa la tua felicità? >> chiesi, appositamente sarcastica.
<< Jude, stai con Akane da troppo tempo sai? Vi somigliate sempre di più! Mi eri simpatica! >>
Sorrisi.
<< Non cambiare argomento! >> scherzai, prendendo coraggio dal suo fare sempre più amichevole e dall'impressione che la sua aurea nera stesse man mano scemando.
<< Scherzavo, sei peggio di Akane! >>
<< R-a-n-m-a! >>
Rise, finalmente.
<< Ok, ok! Faccio il serio. Non detesto Ryugenzawa, detesto il ricordo di Ryugenzawa. C'è... c'è una persona che non mi piace lì, non la vedo da molto tempo e vorrei continuare a non rivederla per... tipo tutta l'eternità! Mi sono spiegato? >>
<< Benissimo >> risposi senza smettere di fissarlo. Chissà chi era questa persona. Un'altra delle ragazze innamorate di lui? O forse un acerrimo nemico? Sua madre? (Effettivamente in tre mesi non l'avevo mai vista e nessuno aveva accennato alla sua morte, per cui avevo cominciato a credere che non scorressero buoni rapporti fra loro). Di sicuro quel posto rievocava in lui ricordi malinconici perché il blu dei suoi occhi non era bello e tempestoso come sempre, ma spento, quasi opaco.
Sorrideva, amaramente, aveva preso a ridere e scherzare con me, ma io vedevo che la sua ritrovata serenità non era completa.
<< Torni di là con noi? >> chiesi poi, cercando di risultare più dolce che speranzosa. Lui rimase in silenzio. << Dai, tanto ormai siamo in ballo, balliamo! >>
<< Eh? Vuoi ballare? >>
<< È un modo di dire, Ranma. Insomma, cosa puoi farci? Nulla. Allora ti conviene cercare di stare bene, altrimenti ti rovini tutto, anche quello che potresti evitare... >> mi stupii da sola di tutta quella saggezza. Il Giappone stava evidentemente facendo bene al mio animo da yankee. O forse erano i viaggi. O, più probabilmente, entrambe le cose.
Mi alzai e gli porsi la mano: << Coraggio! Scommetto che sentono la tua mancanza! >> dissi indicando con un cenno del capo il gruppetto qualche sedile più in là. Akane ci stava guardando di nuovo.
<< Questa canzone è bellissima >> disse Ranma per tutta risposta, quindi afferrò la mia mano per riportarmi accanto a lui << Ascoltala >>
La voce di Axl Rose intonò “Paradise city” e mentre lui cantava, Ranma mimava le parole senza emettere suoni:

“Take me down to the paradise city
Where the grass is green and the girls are pretty,
oh, won't you please...”

<< Take me home!! >> cantò poi ad alta voce, guardandomi negli occhi come se quelle parole fossero un messaggio, e io capii che no, non avrebbe “ballato” questa volta.

***

<< Come sarebbe a dire che non ci sono più stanze disponibili? >> sbraitò Nabiki (ovviamente in giapponese) nella hall del piccolo hotel.
Avevamo lasciato la stazione e ci eravamo avviati, sotto il sole cocente di mezzogiorno, verso l'albergo che Nabiki aveva prenotato in fretta e in furia la sera prima.
Arrivati al centro di quella che era davvero una cittadina minuscola, ci attendeva però un'amara sorpresa. Evidentemente il check-in online non era andato a buon fine, il fatto che non avesse chiesto i dati della carta di credito avrebbe potuto essere preso come indizio, ma Nabiki aveva scelto di interpretarlo come un colpo di fortuna. Solo che adesso ce ne stavamo impalati, zaini in spalla, con le facce attonite di chi non sa se credere se sia uno scherzo o la realtà.
La receptionist si profuse in una marea di scuse, quasi in ginocchio, mentre Nabiki era ormai fuori controllo: << Come diamine è possibile? Avevo prenotato, pre-no-ta-to! Una quadrupla e una tripla. Controlli! Ricontrolli! Controlli ancora! >>
L'impiegata, con un tailleur blu notte e i capelli tenuti saldi da un tiratissimo chignon, continuava a fare segno di “no” con la testa.
<< Tendo? Tofu? PROVI ANCORA! Non è possibile! Nabiki, provi con Nabiki. Accidenti! Saotome? Hibiki? Jude qual è il tuo cognome? >>
<< Cosa sta dicendo? >> chiesi ad Akane << Ho sentito il mio nome >>
<< Niente, >> rispose lei staccando la sorella dalla scrivania della reception << c'è stato un errore e a quanto pare non abbiamo dove dormire adesso. >>
<< Errore? Ma quale errore? Io li faccio chiudere per sempre! >> continuava a gridare Nabiki con i pugni all'aria, rivolta all'hotel da cui la stavano letteralmente trascinando via.
<< Mi dispiace tremendamente, >> disse Kasumi una volta fuori, << è colpa mia. Nabiki, per favore, non arrabbiarti così, sei tutta rossa. >>
La sorella si rimise in ordine il caschetto: << Hai ragione, troppo sforzo per quegli inutili imbecilli! >> alzò appositamente la voce sull'ultima parola, sempre in direzione dell'hotel << Adesso devo solo trovare una soluzione... >>
<< Per tua fortuna, Nabiki Tendo, esisto io! >> disse una voce conosciuta che ci fece girare tutti contemporaneamente.
Appena dietro di noi, con lo sguardo furbo e soddisfatto, Kuno se ne stava a braccia conserte.
<< Tu? E cosa ci fai tu qui? >> esclamò Nabiki strabuzzando gli occhi.
<< Anche io sono felice di vederti, dolcezza >> fece il ragazzo, avvicinandosi << Ho deciso di venire con voi, ovvio! Per qualche assurdo motivo decidete sempre di escludermi dalle cose più divertenti! E poi io e il caro vecchio dottor Tofu siamo amici, non è vero ONU? >> finì, dando dei colpetti sulla spalla del suo interlocutore.
<< Ma veramente sarebbe Ono... >> rispose quello poco convinto.
<< Onu, Ono, fa lo stesso! Ora su, andiamo! Il vostro beniamino ha già prenotato una bellissima pensione in mezzo alla foresta! >>
<< Ma che diavolo... >> stava dicendo Ranma quando all’improvviso, alle spalle Kuno, sbucò anche il resto della strampalata combriccola: Ukyo, Shan-Pu, Mousse, Alexander e Ranko.
<< Siamo venuti anche noi! >>
<< Così imparate a non chiamarci mai! Antipatici! >>
<< Ailen, da te non me lo sarei mai aspettata! >>
<< Shan- Pu, amore della mia vita, dove vai? >>
<< Io non sono Shan-Pu stupido idiota! >>
“Ci risiamo”, mi ritrovai a pensare e, per la prima volta, non mi stupii affatto di tale pensiero: era tutto normale.
<< Uh che bello, ci siete tutti! >> squittì con voce angelica Kasumi << Come sono felice! Guarda Ono, abbiamo tanti amici che vogliono festeggiare con noi! >>
<< Sì, guarda ONU, quanti amici hai che sono venuti solo ed esclusivamente per festeggiare con te! >> le fece eco Nabiki mettendo ironicamente un braccio intorno alle spalle del futuro sposo. Il suo pungente sarcasmo cozzava terribilmente con la tenera ingenuità della sorella maggiore.
Le tre sorelle Tendo erano come i frutti di bosco: Kasumi era ovviamente una fragola, il frutto più grande e dal sapore più dolce; Nabiki era senza ombra di dubbio un mirtillo, piccolo, aspro e terribilmente difficile da acchiappare; e Akane era come un lampone: all'apparenza morbida e invitante, ma sapeva nascondere un carattere deciso e vivace.
Forse Ranma poteva essere una mora, il frutto dal sapore decisamente più forte, e Ranko un piccolo ma letale ribes rosso.
Shan-Pu era melensa e acidognola come l'amarena, Mousse era senz'altro un gelso bianco. Ryoga era potente come le bacche di sambuco, mentre Ukyo era leggermente aspra e intensa come una ciliegia. Kuno era pregiato come l'uva spina, invece il dottor Tofu non poteva essere un frutto di bosco, bensì una rassicurante mela, che sapeva di casa e di serenità. Alexander era una castagna, dura all’esterno ma dal cuore d'oro e io, beh io ero il pomodoro. Molti lo credono una verdura ma in realtà è un frutto. Un frutto un po' strano, certo, un outsider della frutta! Il pomodoro era proprio la metafora perfetta della mia situazione in Giappone: apparentemente non si può mettere nella macedonia ma in realtà, anche se è un po' diverso, basta cambiare la concezione della gente ed eccolo lì, in bella mostra a far capolino con su il cartellino “frutta”. I pensieri comuni non riguardano il pomodoro, tuttavia lui ha attraversato continenti interi ed alla fine è riuscito a farsi voler bene in ogni parte del mondo. Chi lo beve come succo, chi lo mette nell'insalata, chi lo usa come condimento della pasta. Il pomodoro si adatta e, con la sua dolcezza, sta bene in ogni situazione. Il pomodoro è il frutto dell'integrazione, proprio come me: americana fino al midollo, che, pur avendo abitudini e visioni del mondo totalmente differenti, mi ero ritrovata a sguazzare felice e con naturalezza in mezzo a dei frutti di bosco. Ero un pomodoro che aveva scoperto un mondo diverso e ci si trovava benissimo.

***

Parlando di boschi, la foresta, quella vera, circondava ogni lato della piccola cittadina di Ryugenzawa. Abituata come sono sempre stata alle città e ai paesaggi mastodontici dell'America, le splendide vedute giapponesi mi lasciavano sempre senza fiato. Eppure, quella volta, mi sembrò di scorgervi qualcosa di diverso. Non era solo un bel panorama, ma era la natura, nel suo stato più puro e maestoso, che, incontaminata, ti parlava. Al suo interno, si aveva la percezione che il resto del mondo fosse rimasto fuori, di essere sospesi in una bolla di sapone. Tutti i suoni erano amplificati, anche la più piccola delle formiche lavorava con l'aria per creare un'atmosfera unica e quasi mistica. Lì dentro non esisteva altro che la foresta stessa, con il suo fluire costante che si adattava tanto bene allo scorrere del sangue nelle vene. Sembrava di essere in una specie di connessione cosmica con la Terra. Si poteva percepire, nel senso più intrinseco del termine.
Camminavamo in fila, senza proferire parola, ciascuno incastrato fra i propri pensieri, come spesso succede di fronte alla magnificenza della natura.
<< Eccoci, siamo arrivati! >> la voce di Kuno spezzò il silenzio.
<< Hotel-pensione Orochi… ma è uno scherzo? >> gridò Ranma non appena ci trovammo dinnanzi a una piccola casetta di legno chiaro. Akane spalancò occhi e bocca, come paralizzata da una forza estranea.
<< Io me ne vado >> disse subito dopo Ranma, ruotando il corpo di trecentosessanta gradi e spiccando una lunga e rabbiosa falcata in direzione del bosco. Ryoga lo bloccò per un braccio ma lui, con un gesto deciso, se lo scrollò facilmente di dosso.
<< Ma che razz… >> imprecò il ragazzo e lo seguì correndo. Nel frattempo, Akane era ancora attonita, come in trance.
<< Che sta succedendo? >> chiesi timidamente a Nabiki ma, prima che lei potesse rispondermi, un gentile vecchietto con la voce graffiante uscì dalla porta principale camminando lentamente verso Akane, per poi abbracciarla con garbo.
Gli eventi si susseguirono con un ritmo strano: il tempo sembrava scorrere lento, come se ogni secondo pesasse quanto un’ora, ma tutto si stava svolgendo rapidamente, i cambiamenti erano repentini e la confusione tanta, tantissima. Un attimo prima camminavamo tranquillamente attraverso la foresta, e l’attimo dopo Ranma se n’era andato più arrabbiato che mai, Ryoga l’aveva seguito di corsa, Akane era in stato di shock e nessuno, eccetto probabilmente Nabiki, sembrava capire cosa stesse accadendo.
Scambiai un’occhiata nervosa con Alexander e rabbrividii, improvvisamente sembrava facesse quasi freddo.
Akane non prestava ascolto alle parole del buon vecchietto e continuava a guardare dietro di sé, in direzione della foresta. In direzione di Ranma.
Ukyo si avvicinò con cautela: << È una mia impressione o è tutto molto strano? >> sussurrò appena.
Il tempo pareva essersi cristallizzato, le cose accadevano, i minuti scorrevano, ma tutti noi sembravamo come fermi al momento del nostro arrivo. Ad eccezione del proprietario della pensione nessuno parlava, avevamo lo sguardo allibito e ci guardavamo intorno confusi.
All’improvviso un altro estraneo si materializzò davanti ai nostri occhi: un ragazzo alto, con i capelli castani legati in una piccola coda, gli occhi a mandorla color ghiaccio e il sorriso gentile.
<< Akane! >> gridò, e corse ad abbracciarla, sollevandola in aria e facendola roteare assieme a lui in uno slancio di felicità.
Lo sconosciuto continuò a parlare ma Akane pareva non sentirlo: sorrideva mestamente eppure il suo sguardo non era a fuoco sul viso di lui, come se fosse lontano, da un’altra parte.
<< Tutto questo è ridicolo! >> disse all’improvviso Ranko, anche lei visibilmente stranita.
<< Be’ allora, entriamo? Nabiki Tendo cosa hai messo dentro a questa valigia? Pesa un accidente! >> concluse Kuno.
Un ultimo sguardo alla foresta, vicina ma più lontana che mai, e la porta si richiuse alle nostre spalle.


Ci sedemmo tutti attorno a un classico tavolo giapponese, aspettando che il nostro ospite finisse di preparare il tè.
<< Perché Ranma è scappato via così? >> sussurrò Kasumi rivolgendo gli occhi preoccupati in direzione delle sue due sorelle.
<< Non badarci. >> rispose Nabiki << Allora… tu devi essere il famoso Shinnosuke! >> disse poi rivolta al bel ragazzo seduto accanto ad Akane.
<< Sì, il mio nome è Shinnosuke. Perdonatemi se non mi sono presentato prima ma ero così felice di rivedere Akane! >> Nabiki aveva chiesto di parlare in inglese, data la presenza mia e di Alexander.
<< Ah, vi conoscete? >> domandò innocentemente il dottor Tofu.
<< Da tempo ormai! Anche se non ci vediamo da un po’ in effetti… vero Akane? Ricordi l’ultima volta che… Akane? >> ma la ragazza non lo guardava. Lo sguardo fisso sulla porta, non parlava e non sbatteva le palpebre.
<< Akane? >> ripeté lui scuotendola appena.
<< Eh? Io… io… >>
<< Akane stai bene? >>
<< Io… >>
<< Ma che le prende? >> chiese Shinnosuke rivolto a noi.
<< Niente Shin, niente. Akane, torna fra noi! Gli passerà… >> rispose Nabiki.
<< Ecco, è pronto il tè! >> disse allegramente il vecchietto porgendo a ognuno di noi una piccola tazza nera senza manico dal cui interno proveniva un buonissimo odore di menta.
<< Insomma, cara Akane, come stai? Racconta qualcosa di nuovo a questo povero vecchio. >>
Akane non proferì parola.
<< E dove sono quei due bei giovanotti tuoi amici? Non li hai portati questa volta? >>
Ancora silenzio.
<< Akane, per tutti i Kami! >> gridò Nabiki dandole uno scossone sulla spalla.
<< Oh, io, ecco… scusatemi… non mi sento molto bene >> sussurrò infine. Non sembrava essere in sé, non sembrava essere la stessa di sempre, quella ragazza sorridente e un po’ irascibile ma con gli occhi dolci e gentili. I suoi occhi quel giorno parevano spenti, come se tutto il colore e la gioia che da sempre li distinguevano si fossero improvvisamente dissolti, scomparsi.
O forse, più semplicemente, anche loro avevano spiccato un rabbioso salto verso la foresta e non erano ancora tornati.
<< Akane hai la febbre? >> le chiese Shinnosuke toccandole la fronte con il palmo della mano. La ragazza lo scansò in fretta, come se quel tocco le bruciasse e chiese solo di poter essere accompagnata alla sua camera.
<< Ma certo, vieni.>>
Ed entrambi uscirono dalla stanza lasciando a Nabiki, l’unica che sembrava non aver mai perso il filo degli eventi, l’arduo compito di intrattenere il pubblico. Senza fare una piega, come il suo perfetto caschetto liscio, riportò per filo e per segno gli avvenimenti che avevano condotto questo variegato gruppo di giovani in una pensione, nel mezzo della foresta di un piccolo paesino giapponese dimenticato da Dio e dagli uomini.
<< Congratulazioni agli sposi! >> disse l’anziano padrone al termine del racconto.
<< Chi si sposa? >> domandò Shinnosuke, appena rientrato nella stanza comune, con un velo -seppur appena accennato- di allarme nella voce.
<< Tu che pensi? >> rispose secca Nabiki.
Il ragazzo non rispose ma frugò con lo sguardo in mezzo a noi. Cercò negli occhi bassi di Shan-Pu, che non faceva altro che mandare freneticamente messaggi dal suo cellulare; cercò in quelli di Mousse, nascosti dagli spessi occhiali ed estremamente concentrati sulle rapide dita della sua innamorata; cercò negli occhi di Kuno, seduto a braccia conserte accanto a Nabiki; poi in quelli dolci e preoccupati di Ukyo, che guardavano continuamente fuori dalle vetrate, e in quelli di Ranko, altrettanto irrequieti. Pensò di ottenere la risposta negli occhi castani di Alexander, che cercavano i miei in domande mute, ma quando infine la trovò, non fu in due occhi, bensì in due mani, intrecciate. Kasumi e il dottor Tofu tenevano l’uno la mano dell’altra in bella mostra sul tavolo di legno, senza vergogna alcuna per quel gesto d’affetto tanto naturale e innocuo nel mio Paese, quanto estremamente significativo in quello in cui mi trovavo. In Giappone, e lo avevo notato subito al mio arrivo accolto dal “saluto occidentale”, erano molto meno inclini alle manifestazioni di affetto. C’era un rispetto tutto particolare per lo spazio personale altrui, tanto che a me pareva che le persone si toccassero davvero solo quando combattevano. Ad eccezione di Shan-pu, parecchio più disinibita degli altri, era facile notare quanto rare fossero le occasioni in cui due persone, soprattutto se di sesso opposto, si toccavano. Il corpo è un tempio, cita la filosofia orientale, e va rispettato al pari di un luogo sacro. Mi ero sempre chiesta perché, salvo qualche rara eccezione, Ranma facesse molta attenzione a non toccarmi, così come Ryoga e, a modo suo, anche Kuno. Tutte le volte che Nabiki voleva provocare una qualunque reazione, come alla festa di Kodachi, il senso del tatto faceva da apri fila. Non era timidezza o riservatezza, era rispetto. Come se il mio corpo, il mio tempio, e quello di chiunque altro, uomo o donna che fosse, potessero essere toccati solo da chi dimostrava di averne il diritto. Un diritto che non era concesso a tutti, a un amico o un compagno dell’università. Tuttavia, a un maestro con i suoi allievi, sì. E, difatti , né Ranma, né Ryoga e nemmeno Soun o Genma si erano mai fatti problemi mentre mi allenavo con loro; e neppure in situazioni di pericolo o di necessità, come quando rischiavo di cadere dalla recinzione verde che, tutte le mattine, Ranma percorreva in bilico sul bordo, o come tutte le occasioni in cui quest’ultimo ci aveva salvate o tirate fuori da una situazione scomoda. Ma non solo. Tale diritto era concesso, ne presi coscienza solo in quel momento, anche a chi si amava. Da qualche tempo ormai, non era raro vedere Kasumi e il dottor Tofu tenersi per mano o vedere lui darle un dolce bacio sulla fronte quando rincasava la sera.
Toccarsi era per loro un gesto d’amore, o di dichiarato amore, come tutte le volte in cui Mousse cercava di avvicinare la sua bella connazionale; Shan-Pu o Kodachi si strusciavano addosso a Ranma e Yuka e Sayuri cercavano di accaparrarsi le braccia di Alexander. Per non parlare di Kuno che, sempre meno velatamente, cingeva la vita di Nabiki, e di Ukyo, quando sfiorava le mani di Ryoga.
O di Ranma, quando toccava Akane. Quando le punzecchiava la guancia con il dito, quando le lambiva i fianchi per poi dirle che erano enormi, quando le toglieva una ciglia caduta rimasta sul viso, quando le sfiorava una gamba con una delle sue mentre eravamo seduti attorno al tavolo da pranzo, quando la prendeva in braccio, quando, ogni volta che le era vicino, finiva sempre con il toccarla. Non li avevo mai visti baciarsi, ma in quel momento fui più che sicura che quelle che avevo visto fino ad ora non fossero altro che dimostrazioni d’amore.

Shinnosuke che si inchinava ed esprimeva la propria felicità per l’imminente matrimonio, avendo notato il bell’anello di fidanzamento sull’anulare sinistro della futura sposa, mi ridestò dai miei pensieri.
<< I miei migliori auguri! Come sono contento! >>
<< E ci credo che è contento… >> bisbigliò Ranko accanto a me.
Io la guardai in modo -evidentemente- interrogativo, perché lei sentì subito il bisogno di aggiornarmi sulla situazione: << Questo bellimbusto, questo cretino >> enfatizzò << è innamorato di Akane >>
<< Strano! >> ironizzai.
Ranko sorrise ma tornò subito seria << Per poco non ha mandato tutto a monte! >>
<< Tutto cosa? >> chiesi incuriosita.
<< Ma ovviamente… >>
<< Be', volete vedere le vostre stanze? Vi accompagno, così poi possiamo andare alla sorgente a fare una gita, che ne dite? >> disse il diretto interessato interrompendoci e Ranko non riprese più il discorso.

Eccezion fatta per Kasumi e il Dottor Tofu, che avevano due singole, le altre camere erano tutte doppie. L’ideale per dividerci in coppie senza tanti problemi :Ranma e Ryoga, Kuno e Alexander, Ukyo e Shan-Pu, Ranko e Nabiki ed infine Akane e io.
Shinnosuke mi lasciò sull’uscio, entrambi convinti che all’interno Akane stesse riposando. La stanza era piccola ma ben fornita, con un minuscolo bagnetto senza finestre e due bei letti in legno con materassi e coperte rosa, all’occidentale, un grande specchio posizionato sopra una scrivania, anch’essa di legno, tende bianche e una finestra che affacciava sulla foresta. Tutto sommato, non era male. Carina, confortevole…e soprattutto vuota.
Sul letto che Akane aveva scelto per sé, trovai un minuscolo biglietto: “Sono andata a cercarlo, scusami se non ti ho avvertito prima ma non volevo che qualcuno mi seguisse. Non farne parola con nessuno, ti prego. Tua, Akane”.
“Lo sapevo” pensai mentre mi affacciavo per guardare la placida foresta che si allargava all’orizzonte. “Chissà se li ha trovati. Chissà cosa è successo”.
Proprio in quel momento la porta si aprì senza preavviso e Ranko e Nabiki fecero irruzione nella mia stanza.
<< Se sei nuda mi dispiace, ma niente che non abbia già visto >> disse la prima a mo’ di avvertimento, dopo essere già entrata.
<< È andata a cercarlo, vero? >> mi chiese Nabiki.
<< No, è… è… uscita per… prendere un po’… di aria! >> risposi, cavandomela -pensai- benino.
Ma se c’era una cosa che ormai avevo imparato, era che a Nabiki nulla si può tenere nascosto a lungo. Alzò solamente un sopracciglio, per mostrarmi la sua poca convinzione e mi strappò delicatamente il biglietto che tenevo ancora fra le mani.
<< Come pensavo >> sussurrò passandolo a Ranko che si limitò ad annuire.
<< Be', andiamo alle sorgenti? Voi avete messo il costume? >> chiese poi la ragazza dai capelli rossi.
<< Ma come, non andiamo a cercarla? >>
Le due si guardarono.
<< Ma è pericoloso! Da sola, nella foresta! >>
<< Suvvia Jude, come sei ingenua. Lui la troverà prima ancora che lei abbia cominciato a cercarlo >> rispose con disarmante semplicità Nabiki.
<< E Ryoga? >>
<< Di lui non preoccuparti, non c’è nemmeno arrivato alla foresta, probabilmente si è già perso! >> rise Ranko e, prendendomi sottobraccio, mi trascinò fuori.

***

Le sorgenti erano una visione paradisiaca. Piccole rocce grigie incastonate a semicerchio racchiudevano le acque cristalline di un grazioso laghetto. Al suo interno, ci raccontò Shinnosuke da perfetta guida turistica, si trovano delle profonde grotte, dimora del leggendario Orochi, un drago dalle otto teste particolarmente attratto dalle belle ragazze.
<< Che sciocchezze! >> sentenziò Shan-Pu alla fine del racconto. << Dove sarà il mio Ranma piuttosto? >>
<< A cosa ti serve Ranma quando hai me, gattina? >> le sussurrò Mousse dolcemente.
<< Che me ne faccio di te, brutta talpa? Con Akane fuori dai piedi potevo farmi un bagno con il mio Ailen… >>
<< Quindi è venuto anche lui… >> mormorò Shinnosuke vagamente seccato.
<< E non azzardarti ma più a chiamarmi gattina, che schifo!>>
<< Akane non è fuori dai piedi! È… è… stanca! >>
<< Non mi interessa come è Akane! Adesso non c’è e io potrei stare un po’ da sola con Ranma se non fosse andato via… >>
<< È andato via? >>
<< Non temere memoria corta, tornerà! >>
<< Dove è andato? >>
<< A fare un giro nei boschi. All’università ha letto Walden(*) e si è appassionato. Oh, insomma, adesso basta! >> esclamò Nabiki << Quel che fanno Ranma e Akane non è affar vostro! Questo è un addio al nubilato! >>
Mentre gli altri litigavano, Alexander mi sussurrò all’orecchio: << Tu ci stai capendo qualcosa? >>
<< In realtà no… >>
<< Io vado a vedere come sta Akane, voi godetevi le acque della sorgente >>
<< Ma dove vai, Shin… >> Nabiki lo prese per un braccio << Sei la nostra guida! Akane è grande e grossa, se la sa cavare benissimo da sola. Rimani qui con noi, dobbiamo festeggiare… >> e, così dicendo, rivolse un’occhiata allusiva a Ranko e me.
<< Strip poker? >>
<< Che cos’è? >> domandò ingenuamente Kasumi e anche il riluttante Shinnosuke si mise seduto sul prato umido.

***


“L’ingenua” vinse tutte le mani, lasciando -non metaforicamente- Kuno in mutande, mentre la mia mente vagava verso una sola direzione.
Mi trovavo bene con tutti, ad eccezione di chi avevo frequentato meno, ma senza Akane mi sentivo quasi persa. Ranko era un’ottima spalla e si applicava per essere una sostituta impeccabile ma io non potevo fare a meno di tornare con la mente agli eventi di qualche ora prima. Mentre Kasumi, con “credo che questa sia una scala reale” e “questo cosa significa?”, spogliava i partecipanti di vestiti e averi, io continuavo a ripensare alla strana reazione di Ranma. Senza una parola era andato via e io così arrabbiato non lo avevo mai visto. Preoccupato, infastidito o irritato -principalmente per via di qualche pretendente, sua o di Akane- ma mai arrabbiato, e mai senza un motivo evidente. Avevo capito, fin dal viaggio in treno, che non era contento della destinazione e lui stesso mi aveva spiegato di non voler rivedere qualcuno. Che quel qualcuno fosse proprio il ragazzo con gli occhi placidi e color del ghiaccio, innamorato di Akane -a detta di Ranko-, che ogni tre per due si alzava dicendo di dover andare a controllare come stesse la ragazza in questione?
Che avesse risvegliato in lui dei ricordi sopiti? Mi chiesi pensando che probabilmente quello era un altro dei segreti che non avrei mai scoperto.
In ogni caso, non potevo più rimanere lì seduta a fare finta di divertirmi mentre in realtà non riuscivo a pensare ad altro, così decisi di andare a cercarla. Anzi a cercarli, tutti. Non era lo stesso senza di loro.
Repentina, come era stata la mia decisione, mi alzai.
<< Dove pensi di andare? >> tuonò Ranko ad alta voce.
<< Torno in albergo >>
<< Vai da Akane? >> chiese Nabiki.
<< Appunto, in albergo >> chiusi il discorso.
I visi di tutti, che sospettavano qualcosa fin dall’inizio, parvero ancora più contrariati, ma io decisi di non dare ascolto né a loro né alla voce nella mia testa che mi ripeteva di non cacciarmi nei guai.
Durante il mio soggiorno nel Paese del Sol Levante non ero mai rimasta da sola, se non a qualche lezione che non avevo in comune con Akane o nella mia stanza, accompagnata comunque dai rumori di casa Tendo-Saotome che mi erano tanto cari. Ma ora mi sentivo sola. Non è semplice spiegare la differenza fra stare da soli e sentirsi soli. Uno può scegliere di stare da solo e prenotare un tavolo per uno al ristorante. O fare una passeggiata al tramonto. O ancora, svegliarsi all’alba mentre tutta la casa dorme, e fumare una sigaretta alla luce del giorno che si sveglia. Ma nessuno sceglie di sentirsi solo. Partendo per questa avventura in Giappone, mi ero detta, sarei tornata a casa diversa e più forte. Dovevo partire. Dovevo partire perché avevo paura. Paura di viaggiare da sola, paura di non riuscire a fare amicizia, paura di rimanere da sola, di sentirmi sola, lontano dai miei affetti e dai miei amici. Dovevo partire proprio perché avevo paura, e tornare senza averne più. E invece avevo trovato una nuova famiglia. Un “papà Soun” saggio e tenero; un Genma strampalato e divertente; due sorelle che più diverse non si poteva, una dolce e materna e l’altra furba e spiritosa; una cugina un po’ matta e sempre su di giri. Un amico poeta mancato, che decantava il suo appassionato ardore a tutte, ma che ultimamente aveva occhi per una soltanto; un’amica cuoca, che mi aveva insegnato tante ricette da provare a casa; un amico che non sapevo se fosse proprio un amico o forse qualcosa in più, con gli occhi dolci e i canini sporgenti… e poi loro, Ranma e Akane. Un ragazzo, che mai avrei pensato di poter incontrare, bello e forte come uno dei personaggi della Marvel che tanto mi piacevano, e anche generoso ed eroico proprio come loro. E una ragazza, un’anima affine che poteva essere la sorella che non avevo mai avuto. Con Akane bastava uno scambio di sguardi, due occhi castani che si incontravano, per far scoccare quella complicità tanto difficile -a detta di molti- da trovare, ma che con lei era semplicemente naturale.
A passi incerti, ma non troppo, feci finta di dirigermi verso l’albergo, imboccando il sentiero sterrato che ci aveva condotti al lago, ma non appena fui lontana da qualsiasi sguardo indiscreto, mi diressi verso la foresta.
Akane era la mia casa lontano da casa. Dovevo ritrovarla.

***

Che idea tremenda avevo avuto! Gli alberi sembravano tutti uguali e una leggera nebbiolina densa e fitta accompagnava l’arrivo del crepuscolo. Cosa avrei fatto se fossi rimasta lì, sola e in mezzo al nulla, al calar delle tenebre? Chi sarebbe venuto a cercarmi? Di solito era Ranma a tirarmi fuori dai guai, ma questa volta ero io che dovevo fare qualcosa per lui. Mi sentivo sempre più sola.
Da bambina avevo la passione per la lettura, un amore che è rimasto anche in età adulta. Leggevo tanto, tutto, e a volte vedevo i film ispirati ai romanzi che più mi erano piaciuti. Tra i miei libri preferiti, letti e riletti fino a consumarne le copertine, c’era stata la saga di Harry Potter. Il piccolo maghetto inglese mi aveva accompagnata nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza, lasciandomi sulla soglia della maggiore età con la consapevolezza di “essere rimasta con Harry fin proprio alla fine”.
I film non mi erano mai piaciuti più di tanto, ché si sa, i libri sono sempre meglio, ma una frase in particolare mi venne in mente, proprio mentre camminavo a tentoni nel verde del bosco:
Un aiuto verrà sempre dato ad Hogwarts, Harry, a chi lo richiederà!”.
E proprio in quel momento, una mano sulla spalla mi fece sussultare.
<< Chi va là? >> Gridai spostandomi più rapidamente possibile.
<< Jude! Cosa ci fai qui da sola nella foresta? >> Era Ryoga.

Un aiuto verrà sempre dato a Nerima, Jude, anche a chi non lo richiederà!
Ok, non eravamo proprio a Nerima, ma non potei fare a meno di pensarlo.
<< Vi cercavo… >> risposi.
<< Ma dico, sei matta? Poteva… potevi… Non farmi più spaventare così tanto, per favore! >> Aveva una mano sul petto e quasi il fiatone.
<< Ryoga, scusami, non era mia intenzione, davvero. Ero in pensiero per voi. >> Il suo viso si intenerì << Tu invece, hai trovato Ranma e Akane? Dove sono? >>
<< No, vedi, ecco…io… >>
<< Sì? >>
<< Mi sono…>>
<< Sì? >>
<< Perso! >>
Finalmente, scaricando la tensione che trattenevo da quando avevo deciso di lasciare il lago per il bosco, risi. Risi a crepapelle.
<< Non c’è niente da ridere! Questi alberi sono tutti uguali! >>
<< Ma come? Non sei un esperto viaggiatore? >>
<< Lo sapevo che Ranma avrebbe avuto una cattiva influenza su di te, appena lo becco lo faccio secco! >>
<< Se lo becchi. Dai, andiamo! >>
Presi lo smartphone e mi affidai al flebile segnale del 3G: il navigatore satellitare ci avrebbe mostrato dove eravamo. Cominciammo a camminare, seguendo le indicazioni, verso il centro della foresta, dove secondo la mappa sul mio telefono doveva esserci uno spazio aperto, forse una radura, con qualcosa di grigio in mezzo che noi interpretammo come delle grotte.
<< Si può sapere cosa è successo? >> chiesi mentre procedevamo cautamente fra radici sporgenti e bassi rovi.
<< Uhm, ti riferisci a Ranma? >>
Mi limitai ad assentire con la testa mentre Ryoga mi teneva l’avambraccio per non farmi cadere dall’enorme masso che dovevamo scavalcare.
<< È una storia lunga, Jude >> sospirò.
<< Abbiamo tempo, penso… >>
<< D’accordo allora… attenta! >> gridò prendendomi al volo per il polso e impedendo che cadessi rovinosamente. << Si scivola! >>
<< Grazie >> risposi mentre il cuore mi martellava nel petto, forse per la mancata caduta o forse per la vicinanza di Ryoga.
<< Senti, facciamo così, non pensare male >> ed enfatizzò quelle parole muovendo le mani davanti a lui in segno di diniego << ma… dammi… dammi la mano, per favore. Solo per non farti cadere. >>
<< Per non farmi cadere… >> ripetei e gliela porsi.
Ryoga era così, forte e gentile. Ricordavo ancora quando mi aveva riportata a casa sulle spalle, durante l'alba che aveva seguito la sera del compleanno di Kodachi. Proprio come allora, anche in quel momento il contatto con lui mi faceva sentire bene. Non era imbarazzante, almeno per me, ché dal suo- seppur leggerissimo- rossore si evinceva altro. Sembrava quasi giusto.
Ma poi mi ricordai di Akane e della tenerezza con cui la guardava, e di Ukyo e delle attenzioni che le riservava. Non lo capivo e probabilmente non ci sarei mai riuscita. Era un tipo incredibilmente galante, come nemmeno il migliore fra i miei connazionali. Di bell’aspetto, garbato e cortese. Praticamente perfetto. Ma era anche timido e silenzioso, tanto riservato e introverso che a volte pareva quasi chiuso e scostante. Era difficile capire i suoi pensieri e ancor più difficile capire se i suoi gesti fossero dettati dall’educazione o piuttosto dal desiderio. Nonostante questo, gli porsi la mia mano e lui la afferrò senza esitazione alcuna.
Iniziò a camminare davanti a me, concentrato su dove farci mettere i piedi, con una mano teneva saldamente la mia mentre con l’altra spostava di tanto in tanto fronde e rami particolarmente sporgenti. Frenò qualche altra mia scivolata e poi riprese il racconto:
<< Qualche tempo fa Akane decise di visitare nuovamente Ryugenzawa dopo aver visto uno spot televisivo. Ci era venuta spesso da bambina, con tutta la famiglia, quando la madre era ancora viva. >> Un’ombra gli velò gli occhi verde bosco. << Così, dopo tanti anni e senza dire nulla a nessuno, un giorno prese il treno e venne qui dove rincontrò coso… >>
<< Shinnosuke? >>
<< Quello. >>
<< Ma perché ce l’avete tanto con lui? >> Oltre a Ryoga, anche Ranma e Ranko avevano dimostrato -apertamente- una certa ostilità verso quel ragazzo il cui unico difetto ai miei occhi stranieri poteva solo essere la troppa gentilezza.
<< No, ma figurati, è solo che non mi è molto simpatico, tutto qui. >> Lo guardai di sottecchi, per niente persuasa dalla vaghezza del suo tono. Era successo qualcosa in questo villaggio e, a quanto pareva, la colpa era di Shinnosuke. Cosa mai aveva potuto fare quel ragazzo così carino? Sembrava che tutti avessero una ragione per odiarlo. Ryoga riprese il discorso lasciando sospese tutte le mie domande: << Be’, insomma, Akane rivide Shinnosuke dopo tanti anni >>
<< Quindi si conoscevano già? >>
<< Sì, si erano conosciuti da piccoli. Vedi, all’epoca Shinnosuke viveva con il nonno lì dove ora sorge la pensione in cui ci hanno sistemati e Akane… Akane era un guaio anche da bambina. Era vivace e si cacciava sempre in qualche pasticcio. Un giorno capitò qualcosa nella foresta, in questa foresta, e fu proprio Shinnosuke ad aiutarla >>
Non dissi nulla ma immaginai un’Akane bambina che viene salvata da un bambino con gli occhi azzurro chiaro.
<< Solo che, nell’aiutare lei, lui si fece male e quando, molti anni dopo, Akane lo venne a sapere, decise di rimanere qui. Lo sai com’è Akane, deve salvare sempre tutti! >>
Riflettei bene su quelle parole mentre il mio cantastorie mi accompagnava in una porzione di foresta più ombrosa, dove la luce del sole era ancora più lontana e il calar della sera appariva sempre più vicino.
<< Ma a me sembra che sia lei a essere sempre salvata… >> pensai ad alta voce.
Ryoga si fermò: << Oh no, è qui che ti sbagli, Jude! Akane ci ha salvati tutti! In primo luogo, suo padre, è grazie a lei se il dojo avrà un futuro. Ce la vedi Nabiki a gestire una palestra di arti marziali? >> ridemmo all’unisono.
<< E poi ha salvato anche Ranma, che prima di lei non aveva mai conosciuto il calore di una casa o di un’amicizia >>
Ricordai di quando Akane mi aveva raccontato l’infanzia di Ranma, passata in giro per il Giappone e la Cina assieme a Genma e lontano dalla madre, per apprendere tutte le tecniche di combattimento possibili e ricevere un giorno la qualifica di Maestro di arti marziali. Giorno che non era così lontano, avrei scoperto poco dopo.
<< Ranma era uno zoticone prima di conoscere Akane, non che sia migliorato molto in realtà, ma è meglio di prima, te lo posso assicurare! >> rise, poi aggiunse: << E infine, ha salvato anche me, “l’eterno disperso” come mi chiamano tutti. Grazie a lei ora sono un po’ meno disperso… >>
Lo guardai socchiudendo appena gli occhi, in una muta richiesta.
<< Oh, andiamo, Jude! Non voglio annoiarti con la storia della mia vita! >> rise di nuovo, stavolta leggermente imbarazzato.
<< Non mi annoi! >>
<< No dai, ti prego, non farmi parlare di me, mi… mi vergogno >>
<< D’accordo >> gli strinsi un po’ più forte la mano e ripresi il discorso da dove eravamo rimasti: << Insomma, Akane voleva salvare Shinnosuke e decise di rimanere a vivere con lui? >>
<< Sì! Ovviamente Ranma partì per venirla a cercare e… >> Ryoga esitò.
<< E…? >> lo incalzai, curiosissima di conoscere il finale.
<< Oh Jude, credo che ci siamo persi! >>
Troppo presa dalla storia infatti, non avevo più fatto caso al telefono e mi ero lasciata guidare dalle parole e dai passi del mio accompagnatore, senza pensare però che -e Ranma, fra il serio e il faceto, me lo aveva detto più volte- Ryoga aveva davvero il senso dell’orientamento di una bussola che confonde il Nord con il Sud.
Ci fermammo fra gli alberi, lui pareva quasi mortificato mentre a me veniva da ridere.
<< Non li troveremo mai di questo passo! >> sibilò a denti stretti << Che palle! >>
<< Dai, continuiamo a camminare! Tanto nemmeno prima sapevamo dove stavamo andando >> dissi ancora ridendo mentre lui mi guardava con gli occhi da cane bastonato.
<< Continua il racconto, per favore >> e ancora mano nella mano, riprendemmo quella che pareva più una passeggiata che una missione di ricerca.
<< Non c’è molto altro da dire. Ranma era a pezzi, pensava di averla persa per sempre. Anche io ero qui, sai? In uno dei miei viaggi. Ranma lo ripete sempre, e per una volta ha ragione, non ho un buon senso dell’orientamento, mi ero perso anche quella volta >> sorrise impacciato grattandosi la nuca con un dito, poi tornò serio.
<< Ero qui e ricordo fin troppo bene come sono andate le cose. Akane non voleva sentire ragioni, non voleva tornare a casa, per poco non successe davvero. Ricordo anche gli occhi di Ranma così tristi e delusi. In tutta la mia vita, l’ho visto così, come spezzato in due, solo in questa e in un’altra occasione. >>
L’immagine di Ranma, per una volta privo di quella forza -fisica e morale- che era la sua caratteristica dominante, mi fece quasi mancare il fiato.
Ranma disperato.
Ecco il perché di tanto malumore quella mattina, ecco quali erano i ricordi che questo posto, e Shinnosuke con lui, gli scatenavano.

Pensava di averla persa per sempre.
Lentamente rifece capolino nei mei pensieri quella domanda che mi tormentava da mesi: cosa c’era veramente fra Ranma e Akane? Mai avrei potuto immaginare come era iniziato il loro strano rapporto ma una cosa la vedevo bene, non avevo bisogno di immaginarla.
Ero convinta, più che mai, che quei due fossero innamorati l’uno dell’altra.
E chissà perché non se lo dicevano. Era una cosa tanto bella quanto semplice.
Riflettendoci ancora un po’ pensai che per tutti, non solo per i miei due amici, era difficile esprimere i propri sentimenti. Che fosse evitando di toccarsi o semplicemente non professandoli, erano tutti -o quasi- molto riservati su ciò che nascondeva il loro cuore. Persino il dottor Tofu, che era innamorato perso e la portata del suo amore si sarebbe potuta distinguere dallo spazio come la grande muraglia cinese, aveva avuto bisogno di un piccolo aiuto per chiedere a Kasumi di sposarlo. Ryoga non aveva mai confessato il suo amore ad Akane e nemmeno a Ukyo, ammesso che ne fosse davvero innamorato; Kuno sosteneva di amare tutte ma non lo diceva mai a Nabiki e Ranma e Akane… be’, loro non dicevano mai niente. Mi ero sempre chiesta come mai, in un posto dove tutti sembravano interessati a loro due, loro non sembrassero interessati a nessuno. E la ragione -ormai ne ero convinta- era che probabilmente dovevano essere interessati l’uno all’altra. Se persino i miei occhi estranei erano riusciti a cogliere le più profonde e vivaci sfumature dei loro sentimenti, chissà quanto doveva essere semplice per chi li conosceva bene! E chissà se era semplice per loro, chissà se lo avevano capito, se si erano capiti.
<< Quindi Ranma e Akane… >> stavo per chiedere, quando un rumore ci bloccò all’istante.
Una mano sulla spalla, Ryoga mi tirò dietro un massiccio tronco assieme a lui, nascondendoci.
Non era solo un rumore, erano delle voci. Due voci in particolare, che si urlavano addosso.
Eccoli lì, i protagonisti dei miei pensieri.
Akane era poggiata con la schiena contro un albero e Ranma le stava di fronte, un braccio teso sulla corteccia e l’altra mano che gesticolava furiosa. Lo sguardo di lei era basso, diretto verso un lato e l’erbetta scura che ricopriva il suolo. Lui continuava a urlare frasi in giapponese ed io non avevo idea di cosa stesse dicendo, ma non sembrava avercela con lei, più con tutto il resto.
All’improvviso Akane si staccò dal tronco e cominciò a urlare a sua volta, sconvolta e paonazza in viso, contro il ragazzo che le stava di fronte. Ranma non indietreggiò di un passo ma le rispose a tono, facendola rimanere sorprendentemente in silenzio.
Un silenzio carico di attesa.
I due ragazzi si guardavano negli occhi, non avrei saputo descrivere con quale espressione, un misto di rabbia, rammarico, tenerezza e mute richieste di comprensione reciproca.
Ryoga ed io ci scambiammo una furtiva occhiata silenziosa: “non disturbiamoli” e tornammo a guardare la scena.
Lo spazio di un secondo e le incertezze si dissolsero.
Le mie, che erano solo curiosità, quelle più profonde di Ryoga e -sicuramente- qualunque incertezza avessero i cuori di quelli che -ancora oggi- posso definire due fra i miei più cari amici.
Ranma aveva urlato quella che sembrava una domanda la cui risposta avrebbe potuto cambiare le sorti dell’umanità. Akane era indietreggiata, colpita dalle parole di lui, e lo guardava con i grandi occhi sgranati. Aveva una mano sulla gola, come se volesse rispondere qualcosa e non sapesse come fare.
E allora non lo fece.
Inaspettata, si alzò sulle punte e, senza quasi sfiorarlo, lo baciò.
Lei con entrambe le braccia lungo i fianchi e lui con uno poggiato ancora contro l’albero.
Ryoga, la mano sempre più stretta sulla mia spalla, chiuse gli occhi.

E io seppi.

***

(*) Henry David Thoreau, Walden ovvero vita nei boschi (Walden; or Life in the Woods), 1854

***

Ciao a tutti!

“Chi non muore si rivede” non potrebbe essere più appropriato.

Vi do un indizio, ricominciamo dall’inizio, mi presento: sono Aron_oele e sono una ragazza. Anche se siamo nel fandom di Ranma 1/2 e quindi ci sta, è sempre molto divertente per me quando mi chiedete se sono un ragazzo. So che quell’ “Aron” può confondere ma il nickname è solo il mio nome al contrario. Per cui, ciao a tutti, sono Eleonora.

La genesi di questa mia storia è un po’ strana e anche vecchia. Vi dico solo che l’ultimo capitolo porta la dedica “a Margherita, benvenuta fra noi” e fra un po’ Margherita andrà a scuola! Che vergogna!

Un giorno, per caso, sono capitata su questo sito e, dopo aver letto tante meravigliose fan fiction, ho provato anche io. Questa che, se siete arrivati fin qui, avete letto, è l’ultima. Questo capitolo, l’undicesimo, l’ho cominciato nel 2017, mentre ero in Erasmus. La prima parte, fino a quando non arrivano a Ryugenzawa, è stata scritta allora. Poi l’ho lasciata di nuovo, ché non avevo più voglia, e l’ho ripresa nel 2018, ho scritto un altro pezzetto, e l’ho abbandonata di nuovo lì, dimenticata. Qualche settimana fa, grazie a “qualcuno” che ha mandato un nuovo disegno stupendo, ho cominciato a pensare “daje su, finiscila!”. E ho finito il capitolo.

Voi direte, cinque anni per scrivere questa roba? Più o meno. Non ho grandi pretese, non voglio il Nobel per la migliore fan fiction del mondo, scrivo quando ho l’ispirazione e la voglia. Ed è tornata. Scrivo perché mi piacciono Ranma e le fan fiction, quello non è mai passato.

Promesso che non farò come chi scrive un capitolo ogni anno, è giusto che la finisca e sfrutterò questa ondata di improvvisa ispirazione/voglia.

A proposito, per finire il capitolo e cercare di mantenere lo stesso stile, me la sono riletta tutta e ho cambiato qui e lì qualcosa che non suonava, qualche virgola, incongruenza o refuso che ho notato. Non ho voluto cambiare null’altro (perché l’avrei stravolta potendo), ma ho preferito rispettare la me di cinque anni fa, alla quale quelle cose piacevano.

Se notate che la mia scrittura sia tutto d’un tratto migliorata, non sono io, è tutto merito della mia fantastica Beta: Gretel85.

Grazie, ad occhio e croce, per un milione e cinquecento mila cose, ma più di tutto perché senza di te non scriverei nemmeno la lista della spesa.

Volevo fare anche una sorta di piccola introduzione, perché sono una vergogna e ho fatto passare cinque anni dall’ultimo capitolo, e non pretendo certo che vi ricordiate le elucubrazioni della mia mente, ma se rileggo un’altra volta dall’inizio mi viene la nausea, e addio sogni di gloria. Quindi, se vi fa piacere, leggetela dall’inizio, tanto è ‘na cosetta leggera, senza pretese. A me ne farà moltissimo.

Passiamo alla parte strappa lacrime.

Quando mi iscrissi su Efp mai, mai e dico mai e poi mai avrei pensato che si sarebbe rivelato ciò che poi è stato. Qui ho incontrato dieci di quelle che ancora oggi considero le mie persone preferite.

Le “Ladies”.

Ed è a loro che dedico questo “nuovo inizio”.

Perché, se la voglia di scrivere fan fiction è passata, la loro amicizia invece è rimasta.

Per sei lunghissimi anni queste ragazze hanno letteralmente accompagnato la mia vita, ed io la loro. Le ho viste (non in senso metaforico, bensì letterale) crescere, trasferirsi, sposarsi, fare figli.

La Margherita dell’ultimo capitolo proprio oggi ha fatto un video per la “Zia Ele”.

E allora, in ordine del tutto casuale:

Ad Antonella, al suo Lele amore della zia con gli occhi belli come la sua mamma.

A Karmy, a Viola (che una fan fiction dalla zia scema l’ha già ricevuta, povera lei!) e alla piccola Luna.

A Faith, la mia Sweetins, al suo Lucifero (non mi sono ancora arresa e ad oggi spero tanto sia Tom Ellis!), ai nostri stritoli, ai suoi capelli rossi che Ranko spostate.

Ad Antonella, la mia Akane-San, una forza della natura, ai nostri soprannomi e ai suoi bronci.

A Stella, alle letture condivise e ai marinai (non dimentico!).

A Chiara, una bellezza gira mondo, ai suoi traguardi e ai suoi successi, niente di più meritato.

A Vale, il mio “amor”, alla complicità che con lei trovo solo a guardarci, a Milano e a Roma e speriamo presto anche a Torino, alla voglia che torna e alle promesse belle.

A Lally, al suo nuovo inizio, alle parolacce e agli audio, ai vestiti e alle maschere di bellezza.

A te, brutta stronza, il capitolo con Shinnosuke te lo avevo promesso. Eccolo qui, è ancora per te.

E, il meglio -si sa- arriva alla fine, a Gretel, la mia Carotina adorata. Alle infinte confessioni, ai consigli, agli audio, alla principessa Elsa, a Geppo, ai fiorellini, al Brancamenta, alle fotografie, ai video, alle terrazze, a tutto. Per tutto.

Grazie, amiche.

A tutte le altre, Giusy, Conny, a chi si è perso, a chi è rimasto.

Spero che questo sia un nuovo inizio anche per voi, perché non ci sarebbe niente -o quasi- che mi farebbe più felice di tornare a leggervi.

E anche un po’ a voi, a chiunque passerà di qui, ai vecchi lettori che diranno “toh guarda” e ai nuovi, se ne avrete voglia.

Io sono qui, e mi sa che ci rimango per un altro po’.

Nel mentre, scusatemi per tutto, ma ve l’ho detto anche nel titolo che sono distratta.

A presto, questa volta per davvero,

E.

Ps: Ho due fan art, meglio definibili come capolavori, della bravissima e talentuosissima Spirit99, ma Tynipic ha deciso di smettere di esistere in questi cinque anni. Non fosse altro che per rendergli un minimo della giustizia che meritano, se qualcuno sa come fare please help! Grazie!

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Capitolo 12
*** Tutti i nodi vengono al pettine ***


Nessuno parlò mai di quel bacio.
Ryoga, riaperti gli occhi, fece scivolare la presa fino alla mia mano e mi trascinò via, lontano.
Lontano da Ranma e Akane.
Lontano dalle mani di lei che si intrecciavano sulla nuca di lui.
Lontano dalla presa di lui che si faceva più insistente sui fianchi di lei.
Lontano dalle gambe di lei che si avviluppavano attorno al corpo di lui.
Lontano da lui, che la spingeva contro il tronco dell’albero e lontano da lei, che aveva il fiato sempre più corto.
Lontano dal loro bacio, che si faceva più travolgente.
Lontano dal loro bacio, che non seppi mai se fosse stato il primo ma non avevo bisogno di sapere che non sarebbe stato l’ultimo.

<< Piano! Non riesco a starti dietro! >> gridai con quel poco d’aria che mi era rimasta in corpo, mentre il mio compagno correva quasi senza toccare la terra con i piedi.
<< Oh. Perdonami, Jude, io… >> era come in trance.
<< Fermati per un secondo! >> gli posai una mano sul bicipite teso, lasciato scoperto dallo smanicato verde oliva che indossava e contratto per via della posa assunta. << È così doloroso? >>
Ryoga mi guardò come si guarda qualcuno per la prima volta. Sembrava rendersi conto per la prima volta.
<< No. >> rispose solamente, con una fermezza insolita per lui.
<< Come? >>
<< No. >>
<< No, cosa? >>
<< No, non è doloroso, per niente. Anzi quasi non mi interessa! >> fece spallucce.
<< Ma… Bah! Ryoga, io proprio non ti capisco! >>
<< Cosa non capisci, Jude? >> chiese ingenuamente.
<< Il modo che hai di comportarti! Un giorno sembra che tra te e Ukyo ci sia qualcosa di più che una semplice amicizia, e però hai anche una ragazza che ti aspetta in una città di cui solo Dio sa il nome; poi guardi Akane che bacia Ranma e per poco non ti viene un coccolone! Sei un po’ confuso, ragazzo mio! >> quasi strillai senza rendermene conto.

Ryoga mi guardava sbigottito, come se fossi un’aliena o come se non capisse quello che gli stavo gridando contro. E non aveva tutti i torti, dato che nemmeno io sapevo perché gli stessi dicendo quelle cose, né chi o cosa mi avesse fatto credere di avere il diritto di attaccarlo in quel modo.
<< Scusami >> sussurrai abbassando la testa, << Io… non volevo… non ho nessun diritto di… >>
Ma Ryoga mi sorprese ancora una volta e scoppiò in un’enorme e fragorosa risata, come il tuono di un improvviso temporale estivo. I suoi tipici canini sporgenti brillavano scoperti e quella vista, non so perché, riusciva sempre a rassicurarmi.
<< E ora che c’è da ridere? >> chiesi fingendomi irritata, ma in realtà l’inizio di un sorriso, che ben presto si sarebbe trasformato in risata, già appariva anche sulle mie labbra.
Ryoga portò una mano a grattarsi la nuca: << In realtà lo capisco, Jude >> disse quasi imbarazzato, << Nemmeno io comprendo me stesso il più delle volte! >> e sorrise con un nonsoché di tenero nell’espressione. Poi continuò: << Mi sono innamorato di Akane tanti anni fa… che poi, innamorato è un parolone. Credevo di essere innamorato, ma la mia era solo una fissazione. Mi sono sempre sentito un po’ emarginato per via del mio stile di vita, e Akane è stata la prima a mostrarmi gentilezza. Gentilezza che io ho prontamente confuso per affetto e… non so nemmeno io come sia stato possibile, ma ho creduto di essermi innamorato. Mi ero ripromesso che non mi sarebbe importato con chi avesse scelto di vivere, io l’avrei amata per il resto dei miei giorni. Tu mi conosci ancora poco Jude, ma sono molto leale, la amavo a tal punto, o forse dovrei dire che ero fissato a tal punto, che sarei stato felice di poter morire per lei (1). >> esclamò fissando con intensità un punto lontano, al di là del bosco, al di là di Ryugenzawa, chissà dove.
Questa dichiarazione mi commosse tanto che mi vennero gli occhi lucidi e Ryoga se ne accorse subito.
<< Ora non piangere, ti prego! Non volevo farti piangere, che frana che sono! >> disse avvicinandosi.
Io mi asciugai istintivamente gli occhi e negai con un cenno della testa: << Non sto piangendo. Sono solo un po’ commossa! Quello che hai detto è così…>>
Alzai lo sguardo fino a incrociare i suoi occhi, che ora parevano essersi fatti più scuri; si stava di nuovo grattando la nuca, lo faceva sempre quando era in imbarazzo.
<<…dolce. >> terminai la frase guardandolo profondamente. Non sapevo esprimere quanto quelle parole mi avessero toccato dentro, così cercai di comunicarglielo con lo sguardo.
Ryoga parve comprendere: << Oh, Jude >> sussurrò.
<< Ryoga >> feci eco io.
E ci fu quello che noi americani chiamiamo “a moment”, un momento, il momento.
Un lampo improvviso guizzò fra i nostri sguardi e, prima che me ne potessi accorgere, Ryoga aveva entrambe le mani sulle mie guance e mi stava baciando.
Era stato strano come l’amore che provava per un’altra ragazza l’avesse reso migliore ai miei occhi, ma quelle parole, così dolci, così cariche di sentimento -anche se lui la definiva fissazione- così buone e gentili, mi avevano colmato il cuore di una tenerezza disarmante.
Ryoga era un amante meno timido di quello che si poteva pensare e invero più appassionato. Il calore del suo corpo così vicino al mio era stordente, ora che la sera ci aveva quasi raggiunti nel cuore del bosco. Le sue mani erano grandi e rassicuranti e incorniciavano il mio viso con estrema delicatezza. Premette le labbra sulle mie, incastonandole alla perfezione. Restammo così, due punti fermi nel turbinio del mondo. Quando si staccò da me, era leggermente rosso in viso mentre mi guardava di sottecchi con un sorriso affatto imbarazzato. Indietreggiò di qualche passo e si lasciò cadere su un masso lì accanto, io mi misi a sedere vicino a lui.
Sorrisi. Non volevo dare un nome, definire, quello che era appena successo. Andava bene così: un bacio con Ryoga in mezzo alla foresta di Ryugenzawa, quasi alla fine della mia estate giapponese. Un bacio improvviso, incontrollato o forse incontrollabile, tenero come lui, frettoloso come me. Mi girai a guardarlo mentre ancora sorridevo, lui fece lo stesso e scoppiammo a ridere.
Andava bene così.
<< Egao ga suteki desu ne (2) >> dissi tentennando un po’.
<< Yoku yatta (3), Jude! >> rispose lui felice << La tua pronuncia è molto migliorata! E, comunque, grazie, anche il tuo >> aggiunse.
Aspettammo un altro po’, seduti scomodi su una roccia mentre guardavamo ora il panorama ora i nostri sorrisi reciproci.
<< Quindi mi pare di capire che tu stia bene, giusto? >> mi feci coraggio.
<< Ti pare di capire? >> chiese lui con il tono a metà fra l’ironico e il divertito.
<< Sì… nel senso… per il bacio di poco fa… >>
<< Quale bacio? >> un sopracciglio alzato e un angolo della bocca piegato in un sorriso timido ma sarcastico.
Mi coprii il viso con le mani, scoppiando di nuovo a ridere e lui mi seguì in un secondo.
<< Quindi non ti ha fatto male? >> chiesi quando riuscii a tornare seria.
<< No, non mi ha fatto male. In fondo, Jude, me lo aspettavo, sai? Quei due sono… >>
<< Pazzi. >> conclusi io per lui. Allora non sapevo dire se pazzi l’uno per l’altra, pazzi perché lo nascondevano, pazzi perché se lo nascondevano o pazzi e basta, ma come ormai era consuetudine, Ryoga ed io ci intendemmo solo con lo sguardo. Sarebbe arrivato il momento in cui uno di quei capoccioni mi avrebbe raccontato la storia infinita del loro turbolento amore, ma non era questo il giorno (4).
<< E l’altra ragazza con il nome che comincia per “A”? >> sentivo improvvisamente il bisogno di sapere sempre di più, di incastrare i pezzetti del puzzle e vedere finalmente il quadro completo.
<< Lei è stata la seconda persona ad essere gentile con me, dopo Akane. Anzi, a dirla tutta, Akari si era proprio innamorata di me! >> disse ridendo, tornando a compiere il solito gesto sintomo di un leggero imbarazzo. << Sai, se non sei un Dongiovanni come Ranma e tutte le ragazze carine non cascano ai tuoi piedi, allora la prima che dimostra interesse per te ti sembra un angelo caduto dal cielo. Ad un certo punto, quasi due anni fa ormai, mi fu chiarissimo che non ero io quello per cui batteva il cuore di Akane, e così… >>
<< Ti sei fatto consolare da Akari. >>
<< Esatto. No! No! Io non potrei mai! >> si alzò di scatto.
<< Sto scherzando, Ryoga! Lo so che non sei il tipo da fare queste cose >>
Tornò a sedersi accanto a me: << Jude! >> mi rimproverò bonariamente, guardandomi con la coda dell’occhio mentre assumeva una posizione più rilassata stendendo le gambe e tirando indietro le braccia. << Non mi sono “fatto consolare” da Akari, però volevo che qualcuno mi volesse bene come Akane ne voleva a… >>
<< Ranma. >>
<< Sì, esatto. >>
Avevo ormai capito, anzi sapevo, che in Giappone quella che tutti gli stranieri scambiano per timidezza, in realtà è riservatezza. Riservatezza nei rapporti, riservatezza nei sentimenti, riservatezza nelle parole. La parola data ad un giapponese, è data per sempre. C’è un’attenzione tutta particolare per le parole e sarà per questo che hanno una lingua così bella e descrittiva. Sapevo che Ryoga non avrebbe detto nulla, e che loro non avrebbero detto nulla, ma in qualche modo tutti lo sapevano.
C’era un tacito accordo fra tutti i membri di quella strampalata cerchia di amici e parenti, un tacito accordo che imponeva loro di non dirlo mai ad alta voce, ma tutti lo sapevano. Anche se qualcuno cercava di non badarci, anche se qualcuno non lo voleva vedere e anche se qualcun altro invece ogni tanto cercava di tirarlo fuori, ormai tutti lo sapevano.
Ryoga fissava una stella lontana che ci salutava nel cremisi del tramonto, era pensieroso.
Mi girai per guardarlo meglio e notai una ferma risolutezza nei suoi occhi. Quella che Ryoga provava in yiddish si chiama “fargin”: la sincera felicità per il successo di qualcun altro, in questo caso del suo miglior nemico e della ragazza che un tempo aveva creduto di amare. Annuii inconsapevolmente e tornai a guardare la radura davanti a me. Persino io, in una sola estate, mi ero accorta del legame che esisteva fra quei due, ma quanto in realtà quel legame fosse profondo, l’avrei saputo solo dopo.
<< E con Ukyo invece? >>
A Ryoga andò quasi di traverso la sua stessa saliva.
<< Non c’è niente fra me e Ukyo, Jude! Posso assicurartelo! >>
Lo guardai con un sopracciglio alzato, a mo’ di sfida, e lui rispose impacciato: << In realtà non c’è niente con nessuna, altrimenti non avrei… >> disse, ma senza guardarmi.
Istintivamente, portai una mano sulle labbra: << Non ti sei scusato…>>
<< Devo? >>
<< Ti scusi sempre per tutto! >>
Mi guardò nella maniera più eloquente che avessi mai visto, così mi affrettai ad aggiungere: << No, se lo volevi. >>
<< Lo volevo. >>
<< Va bene allora. Quindi con Ukyo non c’è niente? >> risi.
<< Perché, sei gelosa? >> rise anche lui. << No, non c’è niente. Tutti credono che ci sia complicità fra noi perché siamo i due friendzonati per eccellenza. In realtà la pensiamo entrambi allo stesso modo: abbiamo fatto chiarezza sui nostri sentimenti e siamo stati i primi a capire i loro. Se ci fai caso, Ukyo non è affatto insistente come Shan-Pu o Kodachi nei confronti di Ranma, non trovi? >>
<< È vero >> ammisi.
L’indaco stava sfumando nel viola e l’aria stava diventando ancora più fresca. Non c’era quasi più nessun rumore attorno a noi. La sera stava calando.

Chissà se Ranma e Akane erano tornati alla pensione. Chissà se gli altri avevano rivolto loro le solite risatine e battutine sceme e poco divertenti, chissà se Ranma era tornato trionfante con Akane fra le braccia o chissà se, ad aver trionfato, questa volta era stata lei.
Deve sempre salvare tutti”, mi tornarono in mente le parole di Ryoga.
E per un attimo pensai a Ranma e Akane, e a tutta la timidezza e la tenera goffaggine di quando facevano qualcosa di dolce l’uno per l’altra. Immaginai Ranma, impacciato, con il viso rosso e l’espressione imbronciata, mentre teneva per mano un’Akane sorridente come una bambina cui è stata perdonata una marachella. Lo immaginai serio e imbarazzato mentre la trascinava via camminandole davanti per non rischiare di incrociare il suo sguardo. E infine, lo immaginai mentre rimuginava su chissà quali parole, che di certo non poteva dirle, mentre lei si lamentava bonariamente: << Ehi, ma come mai te ne stai zitto, Ranma? >> (5)
<< Si sta facendo tardi, presto sarà buio pesto; sbrighiamoci o faremo fatica a ritrovare la strada. >>
Le parole di Ryoga interruppero il filo dei miei pensieri.
Lo guardai con un sopracciglio alzato e un mezzo sorriso mentre mi porgeva una mano per alzarmi.
<< So a cosa stai pensando! >> esclamò cogliendo la mia espressione e fingendosi offeso.
<< Oh davvero? E cosa? >>
<< Che anche con la luce del sole mi perderei lo stesso! >>
<< Ma come diamine avrai fatto a indovinare!? >> mi limitai a dire prendendolo in giro.
In realtà stavo pensando che, se le strade le sbagliava sempre tutte, quella per le mie labbra l’aveva trovata senza alcuna difficoltà. Ma questo non glielo dissi mai.

***

E così, i baci di cui nessuno parlò più diventarono due.
Al nostro rientro a casa, Ryoga partì per un viaggio di allenamento. Anche Ranma si allenava come un matto, visto che di lì a poco ci sarebbe stato un importante… torneo? Gara? Esibizione? In realtà, non avevo ben capito cosa fosse, ciò che sapevo con certezza è che tutti gli artisti marziali che conoscevo erano affaccendati in preparazioni e allenamenti di ogni tipo e le giornate per me scorrevano in maniera placida e - per la prima volta - anche un po’ noiosa.
La mia stanza era piccola ma arredata con cura in perfetto stile nipponico. Carta di riso e legno chiaro
dominavano su uno sfondo bianco e blu di Persia, alternati di tanto in tanto a qualche dettaglio verde bambù. Non c’erano quadri, solo dei grandi fogli scritti in giapponese, incorniciati e appesi in fila sull’unica parete libera. Non avevo idea di cosa ci fosse scritto, e non avevo mai pensato di chiederlo, ma riuscivo a distinguere il nome di Ranma scritto in hiragana, il primo alfabeto della lingua giapponese. Nel corso della mia permanenza, avevo trovato molta difficoltà nell’imparare a scrivere nella lingua locale. Quei segni tondeggianti e magnifici erano tremendamente faticosi da riprodurre: per ogni simbolo, infatti, c’è tutto un rituale da seguire, e ciascuna sillaba deve rispettare un preciso ordine. Pertanto, non solo è difficile apprenderne le forme e il significato, ma anche la corretta sequenza di scrittura. Tuttavia, i nomi dei componenti della mia famiglia adottiva erano ormai diventati abituali per me e li sapevo scrivere e riconoscere senza difficoltà. Così, ero certa che quei bei fogli grandi fossero gli attestati di arti marziali che Ranma aveva vinto nel corso degli anni. Quella che io chiamavo la mia stanza, era infatti la stanza di Ranma, che mi aveva gentilmente ceduto per tornare a dormire con suo padre.
Il giorno che sto per raccontarvi, fu il giorno in cui la salutai per sempre.


Me ne stavo distesa sul futon, incerta se mandare o meno un sms a Ryoga. Non che utilizzasse molto il telefono, ma da quando era partito mi aveva inviato solo due messaggi: uno per rassicurarmi di non essere finito - di nuovo - in Russia e l’altro per informarmi sull’andamento dei suoi allenamenti. Non aveva più accennato al bacio che mi aveva dato, come se fosse rimasto sepolto nella foresta assieme a quello di Ranma e Akane e al ricordo di entrambi, e io cominciavo a chiedermi se per caso non se ne fosse pentito davvero alla fine.
Il giorno dopo il nostro ritorno ero uscita a comprare dei souvenir con Alexander, che era stato particolarmente dolce con me in quell’occasione, finendo col mandarmi in confusione, e al mio rientro avevo scoperto della partenza di Ryoga solo grazie a un’incauta uscita di Ranma.
Da quel momento erano passate due settimane.
Due settimane e due messaggi.
Due, come i ragazzi nei miei pensieri.
Fin dall’inizio, avevo capito che Alexander provava un certo interesse per me. Era chiaro da tutti i momenti che riusciva a trovare per fumare una sigaretta da soli, da tutte le felpe che mi aveva prestato per scaldarmi, e da tutti gli sguardi teneri che mi riservava. Avevo capito e apprezzato le sue attenzioni e, in cuor mio, avevo sempre pensato che alla fine sarebbe successo qualcosa. E invece, era stato quel ragazzo timido, educato e per me spesso indecifrabile, a entrare prepotentemente nei miei pensieri e, alla fine, mi aveva addirittura baciata!
Forse Alexander sarebbe stato più giusto per me; in fondo saremmo tornati nello stesso Paese e New York e Boston non erano troppo lontane. Ma non riuscivo più a non pensare a quegli occhi verdi che a volte avevano l’espressione di un cucciolo bastonato, mentre altre brillavano di fierezza.
Bel casino Jude, complimenti!
Mentre rimuginavo su tutto questo e continuavo a cancellare e riscrivere l’incipit di un messaggio, qualcuno bussò gentilmente alla porta.
<< Avanti! >> dissi mettendomi a sedere.
Kasumi entrò con una tazza di tè, chiedendo se poteva parlarmi con un’espressione molto seria dipinta in volto.
<< Volevo sapere se non ti sarebbe di troppo disturbo trasferirti nella stanza di Akane quest’ultima settimana… >> cominciò, << Non te lo chiederei mai, ma il fatto è che Ranma dovrebbe tornare a dormire qui perché…>>
<< Ok! >> la interruppi sorridendo << Non devi darmi nessuna spiegazione, è casa vostra. Se per Akane va bene, per me non c’è nessun problema! >>
<< Oh, grazie mille Judith! Sei una ragazza molto cara! >> disse lei posandomi entrambe le mani sulle spalle e sorridendo radiosa, come se si fosse tolta un enorme peso.
“E così sto per conoscere un altro personaggio…” pensai subito dopo.
L’ultimo” mi corresse una vocina dentro di me.

Quella stessa sera Ranma mi aiutò a spostare valigia e futon nella stanza di Akane e mi sistemai lì per l’ultima settimana che avrei passato a casa Tendo-Saotome.
<< E così adesso siamo come coinquiline! >> squittì felice la mia amica, mentre sistemavo qualche vestito nei cassetti che aveva prontamente svuotato per me.
<< Sì! >> esultai contagiata dalla sua allegria e lei, per tutta risposta, tirò fuori un post-it dal cassettino della scrivania, ci scrisse sopra “& Jude” e lo attaccò alla paperella di legno che, appesa alla porta, segnava l’ingresso nella sua stanza recando inciso il nome “Akane”.
<< Sono proprio felice che tu sia qui, sai? Visto che Ranma abita con noi, non ho mai voluto chiedere a nessuna delle mie amiche di rimanere a dormire qui, ma mi piacciono tanto i pigiama party! Ti va se ci facciamo una maschera di bellezza? >>
Acconsentii ben volentieri, magari mi avrebbe distratto anche dai miei confusi pensieri in materia di ragazzi.
<< Sono contenta che torni la zia Nodoka! >> aggiunse poi, mentre era intenta a spalmarmi l’argilla verde con un pennello che faceva il solletico.
<< La zia Nodoka? >> ribattei con curiosità.
<< Ma come, non te l’hanno detto? >>
<< No, veramente no. Kasumi mi ha solo chiesto di spostarmi qui e io non ho voluto spiegazioni >>
<< Ah! Caspita! Allora non sai che sta arrivando Nodoka, Nodoka Saotome! >>
<< Saotome? Ma allora… >>
<< Sì! È la moglie di Genma, la madre di Ranma! >> rispose Akane alla mia domanda implicita.
Mentalmente feci un rapido calcolo: se Nodoka Saotome era la madre di Ranma, e Akane la chiamava “zia”, allora Ranma e Akane dovevano essere cugini! Involontariamente sgranai gli occhi: Ranma e Akane erano cugini e si erano baciati! Non che fossi una ragazza particolarmente tradizionalista, la storia e la letteratura erano pieni di matrimoni fra cugini solo che, insomma, di questi tempi non sono cose che si sentono tutti i giorni! Ranma e Akane erano complicati, avevano un rapporto particolare e unico nel suo genere, ma non mi sembrava affatto quello fra due cugini.
Si volevano bene, questo ormai sarebbe parso chiaro anche a un cieco, ma il loro affetto non aveva niente di fraterno.
Mi crucciai, inconsapevolmente, perché Akane mi chiese titubante: << Tutto bene, Jude? >>
<< Sì! Sì! >> mi affrettai a rispondere non volendo dare l’impressione di giudicarli << Non avevo capito che Ranma fosse tuo cugino! >> aggiunsi sorridendo impacciata.
<< Ma Ranma non è mio cugino! >> gridò lei quasi con orrore.
<< Oh, scusami… è che hai chiamato sua madre zia, quindi… >>
<< No, no. >> sorrise << È solo un modo affettuoso di chiamarla, non siamo veramente parenti! >>
“E per fortuna” aggiunsi mentalmente spostando lo sguardo verso lo specchio: avevo tutto il viso ricoperto di verde, una fascia di spugna rosa a tenermi a bada i capelli e l’espressione più comica che avessi mai visto. Scoppiai a ridere da sola.
Akane si unì subito e ridemmo a crepapelle, seppur per motivi diversi.
<< Non posso credere che tu abbia pensato che io e Ranma potessimo essere cugini! >> esclamò poi continuando a ridere senza sosta, come se fosse una cosa davvero assurda.
<< Perché scusa? >> domandai con finta noncuranza e un pizzico di malizia; del resto, Akane non sapeva che io avevo assistito al loro bacio nella foresta.
<< Perché… perché… io e Ranma… non possiamo essere cugini e basta! >> balbettò imbarazzata.
<< Mmm… >> finsi di pensare, << vivete sotto lo stesso tetto, avete un bel rapporto… se non siete parenti allora Ranma è… >>
<< … complicato! >> finì lei la frase e corse in bagno.
Questo mise fine alla discussione e io rimasi seduta sul suo letto a ridacchiare e a complimentarmi da sola. “Effetto Nabiki” pensai fra me e me.
Quando tornò, con il viso pulito e lucido, decisi di non riprendere il discorso ma invece le chiesi come mai “la zia Nodoka” fosse via per tutta l’estate.
<< È una grande esperta di katana, una delle tradizionali spade giapponesi, e ha tenuto una summer school a Okinawa quest’anno. È formidabile sai? C’è stato un tempo in cui era concesso solo agli uomini combattere, soprattutto con l’uso delle armi. Il simbolo dei famosi samurai era proprio il daishō: la coppia delle spade che venivano portate all’obi, formata dalla wakizashi e dalla katana. Tutt’oggi sono poche le donne che si cimentano nell’arte del combattimento con la spada e Nodoka ha dedicato la vita a questo scopo. La ammiro così tanto! >>
Rimasi così incantata dalla descrizione che la mia amica stava facendo di quella donna tanto affascinante, che ne volli sapere di più: << E com’è lei? >> chiesi quindi.
<< Oh, è meravigliosa, vedrai! Solo un po’ fissata con la virilità… >>
<< In che senso “fissata con la virilità”? >>
<< Ecco vedi, sai già che Ranma da bambino venne portato via da Genma per diventare un grande esperto di arti marziali… >>
Annuii rapita dalle sue parole.
<seppuku… >>
<< Seppuku… seppuku? Cioè come Yukio Mishima? (6) >> chiesi sbigottita.
<< Sì >> rispose lei sempre sorridendo << Il rituale del suicidio volontario. Ovviamente non credo fosse davvero seria, ma per anni ha terrorizzato quei due poverini con questa storia! >> concluse senza riuscire a reprimere del tutto le risate.
<< Ha un concetto un po’ particolare di “vero uomo” diciamo… per quanto possa essere moderna in certe sue attitudini, in altre invece è una donna molto conservatrice e amante della tradizione. Ranma si impegna sempre tanto per dimostrarle la sua virilità quando stanno insieme, ma lei lo adora a prescindere, si vede da come lo guarda… >> continuò con aria sognante, << La separazione dal figlio deve esserle costata molto, si sono riuniti poco tempo fa e, da allora, Ranma non perde occasione per renderla fiera di lui. >>

Nel raccontarmi questo ad Akane vennero gli occhi lucidi. Senza dire niente, feci solo un cenno di assenso con la testa, per dimostrarle che avevo capito l’importanza di quello che aveva deciso di condividere con me. Non glielo dissi quella sera ma avevo anche capito, però, che il modo in cui lei parlava del rapporto fra Nodoka e suo figlio e l’importanza che a tale rapporto attribuiva, altro non erano che un’ulteriore conferma dei suoi sentimenti per Ranma.
Ci addormentammo girate l’una verso l’altra, io nel mio futon e lei nel suo letto dalle lenzuola gialle. Scivolammo nel sonno con ancora in mente le mirabolanti avventure di Genma che tenta di fuggire dalla moglie e una strana storia su Ranma che doveva guardare Akane fare il bagno per compiacere il volere della madre e dimostrarle così la sua virilità.
Improvvisamente, nel cuore della notte, un rumore sordo mi svegliò. Di scatto mi alzai a sedere illuminando la stanza con lo schermo del telefono. La finestra aveva un’anta aperta, dato il caldo, e il rumore sembrava provenire da fuori. Mi alzai in punta di piedi, ben attenta a non svegliare Akane, mi sporsi per vedere se c’era qualcuno in giardino o se per caso qualche festone attaccato per l’imminente matrimonio fosse caduto da qualche parte, ma niente.
A volte, durante la notte, sentivo gli allenamenti di Ranma, ma quella sera non mi pareva ci fosse qualcuno nel dojo. Un altro rumore, questa volta più forte, attirò la mia attenzione verso l’alto. Sembrava venire dal… tetto? Mi ricordai che Akane mi aveva raccontato che qualche volta, nelle sere d’estate, Ranma saliva sul tetto, proprio sopra la sua stanza, a fare cosa lei non lo sapeva.
Così gli scrissi un messaggio: “Ranma, sei salito sul tetto?”
Dopo pochi secondi, il mio cellulare vibrò: “Sì Jude, sono io
😉 Ti ho spaventata?”
“No, no, ho solo sentito dei rumori… che ci fai lì?
“Ah ah ah! È bellissimo qui, vuoi venire?”
Per un attimo immaginai me stessa mentre cerco di salire su un tetto, imbranata come sono sarei di certo caduta se fossi stata da sola. Ma se c’era una cosa che avevo imparato, era che non esiste posto più sicuro al mondo che in compagnia di Ranma Saotome, quindi presi un cardigan leggero, me lo misi sulle spalle e risposi semplicemente “Ok”.
“Perfetto, cerca di non svegliare quel maschiaccio di Akane, sennò chi la sente domani. Esci fuori, dove si trova la finestra della stanza di mio padre; accostata al muro, c’è una lunga scala. Vai lì, ti aiuterò io a salire!”
“Arrivo
😊” e, senza badare troppo alla vocina nella mia testa che mi intimava di tornarmene in camera perché sarei stata capace di rompermi una gamba anche in compagnia dell’uomo più forte di tutto il Giappone, seguii le istruzioni che mi erano state date. Quando arrivai davanti alla scala, Ranma si sporse dal tetto: << Ehilà! >>
<< Buonasera! >> risposi ridendo.
<< Terrò io la scala, tu sali senza avere paura! Soffri di vertigini? >>
<< No, almeno credo… >>
<< Coraggio! >> mi incitò e cominciai a salire. Stranamente, come gli uccellini che si posano sui rami più sottili, non temevo di cadere. Loro ripongono la loro fiducia nelle loro ali, io invece la riponevo negli enormi bicipiti di Ranma che reggeva la scala senza sforzo. Arrivata agli ultimi due scalini, il mio amico mi porse una mano e mi trascinò sulle tegole umide.
<< Occhio, potresti scivolare. Reggiti a me >>
Mi aggrappai al suo avambraccio con quanta forza avevo in corpo; percorremmo piano il tratto di tetto che ci separava da dove stava precedentemente e, una volta arrivati, ci mettemmo a sedere con le gambe incrociate.
<< Perché vieni sempre da questo lato? >> chiesi,
convinta del fatto che il motivo fosse in qualche modo connesso alla posizione della stanza di Akane. Tuttavia, il mio interlocutore mi spiazzò completamente: << Questa parte del tetto è rivolta a ovest, si vedono meglio le stelle, guarda! >> e indicò con il dito il cielo stellato sopra di noi.
Lo spettacolo che avevo davanti era tanto imponente da non saperlo descrivere a parole.
Tokyo è una città enorme, la metropoli più grande del mondo. Così tanto che è divisa in ventitré quartieri speciali. Non ha un vero e proprio “centro”, data la sua vastità, ma tutti i quartieri costituiscono una sorta di città nella città: piccoli e grandi, ognuno con i suoi parchi, i suoi templi e le sue attrazioni. Nerima, dove abita la mia famiglia adottiva, ha una peculiarità che lo rende speciale: di notte, nelle zone più lontane dalle vie dei negozi, la luce dei lampioni è così bianca e tenue che, dall’alto, permette di vedere bene le stelle. Il cielo che mi stava indicando Ranma era un misto di colori che spaziavano dal ceruleo al blu polvere, ricamato di infiniti puntini bianchi che indicavano le strade dell’Universo. La Via Lattea regnava sopra di noi, mostrandoci le sue braccia chiare senza vergogna, in un grandioso spettacolo che serviva a ricordarci che, invece, i puntini eravamo noi.
Un’esibizione, una coreografia di luci e colori, uno sfavillio senza fine. Era così bello che mi mancava il fiato.
<< Wow! >> fu tutto quello che riuscii a dire.
<< Te l’avevo detto >> rispose Ranma continuando a guardare in alto. << Non è meraviglioso? >>
<< Sì, lo è. >>
Le luci delle stelle che si riflettevano nei nostri occhi, l’odore della notte, il silenzio interrotto solo dal fruscio delicato del vento: tutto attorno a noi suggeriva poesia.
<< Non pensavo ti piacessero le stelle >> sussurrai appena.
<< Mi fanno pensare alle dimensioni dell’infinito (7) >> rispose sdraiandosi sulle tegole e piegando le braccia dietro la nuca a mo’ di cuscino. Feci lo stesso anche io e mi misi a guardare lo sfolgorio del cielo notturno. Per un po’ restammo in silenzio, un silenzio rilassato e confortevole.
<< C’è molta pace quassù >> dissi a un tratto, spezzando quella sorta di incantesimo.
<< Questo è l’altro motivo per cui ci vengo >> scherzò Ranma << Ti sarai accorta che la vita in questa casa può essere molto caotica! >>
<< Oh se me ne sono accorta! >> risi anche io.
<< Ci mancava solo questo matrimonio! >>
<< Non ti piacciono i matrimoni? >> domandai incuriosita da quella strana osservazione. Mi ero quasi abituata a stare da sola con Ranma e, col passare del tempo, le nostre chiacchierate erano diventate più frequenti e piacevoli. Avevo indirettamente imparato molte cose su di lui dai racconti di Akane e Ryoga, e ciò che non mi avevano detto loro, lo avevo scoperto da me. Ranma era estremamente protettivo nei confronti di tutti, soprattutto di Akane; timido e taciturno se si trattava dei suoi sentimenti, ma straordinariamente arrogante e sicuro di sé in caso di sfida.
Un amico leale e una persona su cui si poteva fare ciecamente affidamento. Qualunque cosa potesse fare per aiutare una persona cara, lui l’avrebbe fatta senza pensarci due volte. Anche se a volte poteva sembrare che avesse a cuore solo i suoi interessi, alla fine dimostrava di tenere più agli altri che a se stesso. Era una persona buona, nel profondo dell’anima.
Spesso, tuttavia, sapeva essere anche estremamente irritante e indisponente, ma era un trascinatore nato. Bellezza, forza e carisma erano doti che gli erano state regalate alla nascita e che lui alimentava con disciplina e dedizione in tutto quello che faceva.
Non mi era mai capitato di incontrare un ragazzo così e ci avevo messo un po’ di tempo per comprendere il suo carattere, e soprattutto per smetterla di sentirmi in soggezione ogni volta che mi rivolgeva la parola.
Con il trascorrere delle settimane avevo cominciato a notare che Ranma cambiava atteggiamento a seconda delle persone che gli stavano intorno: era estremamente più irritabile con Genma, Kuno o il maestro Happosai; ironico con Nabiki; impacciato davanti a Kodachi e Shan-Pu; dolce e gentile quando parlava con Kasumi e il dottor Tofu; simpatico con Ukyo; uno sbruffone patentato davanti ai suoi compagni; rispettoso nei confronti di Soun e un completo deficiente - il più delle volte, o quasi - con Akane.
Con me, che ero estranea a tutto questo e presto sarei tornata nel mio Paese portandomi via il carico di segreti che ognuno si sentiva di affidarmi, a volte Ranma dava l’impressione di essere più rilassato. Non di rado mi aveva confidato i suoi veri stati d’animo, quelli che custodiva gelosamente per sé, quasi potesse, in mia presenza, abbandonare la maschera che solitamente assumeva con tutti. Tuttavia, non mi sarei aspettata che quella domanda, che da mesi mi ronzava per la testa, avrebbe trovato risposta proprio dalle sue labbra.
<< Non fraintendermi, >> continuò, << sono felicissimo per il dottore e per Kasumi. È solo che… i matrimoni non sono il mio forte! >>
<< Come mai? >>
<< Una volta ne ho mandato all’aria uno! >>
Piegai la testa dal suo lato, per poterlo osservare meglio e capire se fosse serio o meno. Anche Ranma si era girato nella mia direzione e mi fissava con la stessa identica espressione di quando gli sembrava di aver detto un’ovvietà e invece era finito per offendere e, conseguentemente, far arrabbiare Akane. Sbatteva le palpebre in maniera cadenzata, a tre a tre, quasi fosse lui stesso incredulo, e le sue labbra si erano trasformate in una perfetta piccola “o”.
<< Quale matrimonio hai mandato a monte? >>
<< Il mio. >>
In quel preciso istante capii che quella sarebbe stata una notte che non avrei più dimenticato.

Mi alzai a sedere con uno scatto fulmineo e lo fissai sbalordita, mentre lui, ancora sdraiato, invece mi osservava guardingo.
<< Che… che ho detto di male? >> chiese tirandosi su e grattandosi la guancia con il dito indice.
Era diventato ormai facile, per me, comprendere gli stati d’animo delle persone con cui avevo condiviso quest’avventura e che erano entrate nel mio cuore. Perciò, capii subito che Ranma era imbarazzato, perché quando lo era si grattava la guancia con l’indice, esattamente come, allo stesso modo, Ryoga si grattava la nuca. Saper distinguere i loro stati d’animo da quei piccoli dettagli mi faceva piacere, significava che avevo davvero imparato a conoscerli.
L’impellente necessità di schiarirsi la gola da parte di Ranma richiamò la mia attenzione al presente.
<< Ma come, >> indagò, << Akane non ti ha detto niente? >>
<< Del tuo matrimonio? >>
<< Del nostro matrimonio! >> mi corresse lui.
No, decisamente non avrei mai dimenticato quella notte!
<< Del vostro cosa? >> mi ritrovai a chiedere quasi urlando.
<< Shhh! O ci sentiranno e sveglieremo tutta la casa! >>
<< Perdonami, sono un tantino sotto shock! >> esclamai enfatizzando il tutto con un movimento delle braccia.
Ranma rise: << Davvero non sai nulla? >>
<< Ti pare che se lo avessi saputo, avrei reagito così?! >> ribattei gesticolando ancora di più per accentuare l’ovvietà della cosa.
<< Allora mettiti comoda, mia cara Jude, stai per assistere al racconto delle sfortunate avventure del grande Ranma Saotome! >> Mi fece l’abituale occhiolino, si sistemò di fronte a me e cominciò il racconto che avrebbe unito – finalmente - tutti i puntini di quell’incredibile disegno.
<< Quasi non ricordo più il giorno esatto in cui mio padre mi trascinò qui, a casa Tendo. Così, dal nulla. Eravamo in giro come al solito, in uno dei nostri viaggi di addestramento e una mattina mi comunicò che dovevo “compiere il mio destino”. Ovviamente gli diedi del cretino e continuai la mia giornata come nulla fosse. Lo scemo invece era serio e mi portò a Tokyo quasi di peso. >>
<< Compiere il tuo destino? >>
<< Esattamente, vedi avere un dojo è una cosa magnifica, ma anche un’enorme responsabilità. Da soli si fa una gran fatica; così il padre di Akane e il mio decisero di unire le loro scuole di arti marziali e condurre il dojo insieme. Non gli sembrò vero a quei due quando sono nato io! Soun aveva già due figlie femmine; non che le donne non possano occuparsi di una palestra, ma magari non avrebbero avuto interesse. E poco dopo nacque Akane, anche lei un’altra bambina. Così, quando ancora ero in fasce, decisero che avrei preso in moglie una delle tre Tendo, in modo da sigillare per sempre l’unione delle famiglie Tendo-Saotome. >>
<< Un matrimonio combinato? >>
<< Peggio! Non ci dissero nulla per sedici anni, fin quando, al mio arrivo, Soun mi accolse a braccia aperte dicendomi: “Kasumi, diciannove anni, la mia primogenita! Nabiki, la seconda, diciassette anni. Akane, la terza, sedici anni. Scegli quella che ti piace di più, sarà la tua fidanzata!” (8) Sono parole queste, che non potrò mai dimenticare! >> Ranma imitò perfettamente la voce profonda del capofamiglia. << Tutti si trovarono d’accordo nell’indicare Akane, perché eravamo coetanei, e questa è la storia del nostro fidanzamento! >> fece spallucce sorridendo.
<< Aspetta un momento, e voi avete accettato quella decisione… così? Senza obiettare? >>
<< No, era ovvio che non ci andasse bene. Vedi, Akane era molto diversa da com’è ora. Tanto per cominciare aveva il sex appeal di un surgelato, era più grassa, scontrosa, irascibile, scema, cafona, per niente carina, un maschiaccio violento… A pensarci bene non è cambiata poi così tant-… Ahia! >>
In difesa della mia amica, agii esattamente come avrebbe fatto lei, ovvero assestandogli un bel pugno in testa.
<< Ah, ecco, dimenticavo manesca! >>
<< Ranma! >>

<< Aveva i capelli lunghi, sai? >> riprese come se nulla fosse, ma l’improvvisa nota di dolcezza nella sua voce mi spiazzò.
<< I capelli lunghi? >>
<< Lunghissimi. Aspetta, dovrei avere qualche fotografia >>
Tirò fuori il cellulare dalla tasca e mi mostrò un’immagine di Akane in divisa scolastica con i capelli lunghi fermati in una coda da un nastro giallo.

Presi il telefono fra le mani e la osservai meglio: i lineamenti erano gli stessi, solo un po’ meno maturi, ma l’espressione degli occhi era identica. Fiera, indomita e forte, ma allo stesso tempo buona e gentile. Solo gli occhi di Akane sapevano essere così; quella ragazza era un ossimoro vivente, un insieme di contraddizioni armoniosamente combinate. Ma, forse, era proprio per questo che ci aveva conquistati tutti.
<< Ti piaceva? >> domandai con naturalezza rendendomi improvvisamente conto - ora che anche io sapevo - di quanto fosse normale il fatto che avesse con sé delle foto di lei.
<< Mi piace di più com’è ora >> fu tutta la sua risposta.
<< Me ne sono accorta! >> mormorai.
<< Come hai detto? >>
<< Niente, stavo pensando… come mai li ha tagliati? >>
<< Un piccolo incidente, colpa di Ryoga naturalmente. Stavamo combattendo nel cortile della scuola, come al nostro solito. Io avevo appena schivato un attacco lanciato con quel dannato ombrello che si porta sempre dietro e lo stavo usando come scudo contro le bandane che aveva preso a tirarmi addosso. Volevo evitare che colpisse Akane e, per proteggerla, l’avevo presa in braccio e portata con me su un tetto lì vicino… >>
“Più le cose cambiano, più rimangono le stesse” mi ritrovai a pensare, rivivendo, nella mia mente, scene molto simili a cui avevo assistito durante quell’estate.
<< … dato che Akane è sempre molto gentile e riconoscente con me, tutte le volte che per poco non mi rompo l’osso del collo pur di vederla sana e salva, mi ha dato del maniaco perché la stavo abbracciando, come se avessi voluto! Ci credi? >>
<< No! Io proprio no… >> sogghignai.
<< Be’ per fartela breve siamo finiti a litigare, lei mi ha tirato un ceffone, giurando che non voleva avere più niente a che fare con me e… zac! Una delle armi che quel cretino ha continuato a lanciarmi addosso per tutto il tempo nella speranza di colpirmi, come se fosse una cosa possibile, le ha tranciato di netto la coda. Se ne è andata via senza nemmeno una parola… Non lo ammetterà mai, orgogliosa com’è, ma ci è rimasta male. A pensarci bene forse è anche un po’ colpa mia… >> concluse ridacchiando.
<< Glieli aggiustò Kasumi e da allora non li ha più fatti ricrescere. Non so il motivo, ma meglio così. Si addicono di più a un maschiaccio come lei! >> aggiunse beccandosi un altro pugno dalla sottoscritta.
<< Hey! La sua vicinanza ha un cattivo ascendente su di te! Dove è finita la ragazza tutti sorrisi e inchini del primo giorno? >>
Gli risposi con un’occhiataccia e chiesi: << E poi? >>
<< E poi, cosa? >>
<< Come siete arrivati a sposarvi? >>
<< Ah, Jude… ne è passata di acqua sotto i ponti! Ne abbiamo vissute così tante insieme! >> volse lo sguardo al cielo notturno, perdendosi nei ricordi.
Fu così che trascorremmo ore su quel tetto; Ranma mi raccontò dei Natali, delle recite scolastiche, dei viaggi al mare, delle incomprensioni, dei litigi, degli equivoci, dei fraintendimenti, delle sfide, dei disastrosi esperimenti culinari di Akane, dei giorni trascorsi nei corridoi del liceo Furinkan, delle feste, degli scontri, degli allenamenti, delle partenze, dei nuovi incontri e di tutte le avventure strambe - ma tremendamente da loro - che avevano vissuto in quegli anni insieme.
<< Un giorno, che non mi piace ricordare, Akane ebbe un… mmm… incidente, se così si può chiamare. La tenevo fra le braccia, le parlavo, ma lei non rispondeva. Pensavo fosse morta… Ero terrorizzato, Jude. >> disse all’improvviso tutto d’un fiato; era evidente che gli faceva male anche solo ripensarci.

Ricambiai il suo sguardo interdetta e, per la prima volta, dopo tutte le belle storie che mi aveva narrato, percepii nei suoi occhi la paura che doveva aver provato e che, evidentemente, non lo aveva più abbandonato. Quel ricordo appariva indelebile nella sua mente e non c’era dubbio che gli provocasse ancora un dolore straziante. I pugni serrati si schiusero un po’: << Forse mi sono lasciato prendere dallo sconforto, non lo so. Non riesco a ricordare con precisione quei momenti, ma Akane è convinta che le abbia detto di amarla >> continuò senza più riuscire a guardarmi.
<< Così, la mattina dopo, mi sono ritrovato in abito da sposo e lei era… era… era vestita di bianco e tutti ci aspettavano e… >>
<< E…? >>
<< E niente, abbiamo fatto un casino. Abbiamo rovinato tutto. Non eravamo pronti, Jude, eravamo piccoli, non avevamo nemmeno finito le scuole superiori. Come potevano pretendere che ci sposassimo? Dopo il mancato matrimonio, Soun acconsentì ad aspettare ancora e ora stiamo giocando i tempi supplementari! >>
Sorrisi all’ultima affermazione, che strana metafora che gli era venuta in mente.
<< Insomma, ci si potrebbe scrivere un libro sulla vostra storia! >> esclamai con tono divertito per cambiare argomento e rallegrarlo dopo le ultime rivelazioni.
<< Non mi piacciono i libri! >>
<< Allora un manga, quelli li leggi! >>
<< Sì, un manga sì! Avrebbe un grande successo, ne sono sicuro! Si venderebbe in tutto il Giappone, ma che dico, in tutto il mondo, per almeno trent’anni! E come lo chiameresti? >>
<< Ranma ½ >>
<< Perché mezzo? >>
<< Vuoi forse dirmi che ti senti completo? >>
Ranma non rispose. Si sdraiò di nuovo a guardare le stelle e sorrise.
<< Le dimensioni dell’infinito, eh? >>
<< Già, proprio così. >>
<< La ami? >> chiesi a bruciapelo.
<< Ma ti sembrano domande da fare? >> urlò piano rimettendosi a sedere in fretta, rosso in viso come un pomodoro maturo.
<< No. Cioè non lo so. Le voglio bene, questo è chiaro ma non so se è proprio a… a… >>
<< Amore >> completai la frase e lui espirò rumorosamente portandosi una mano al petto, come se avesse avvertito una fitta proprio all’altezza del cuore.
<< Vi ho visti sai? >>
<< Eh? Che cosa? Quando? >> si agitò.
<< Calma, calma. Non andare in iperventilazione! >> risi. << A Ryugenzawa, nella foresta. >>
<< Cosa… cosa… hai visto? >>
<< Ranma… >>
<< Il… il…ba-ba-ba… >>
<< Bacio! Dio, Ranma, per essere un ragazzo grande e grosso a volte ti comporti proprio come un bambino. Amore, bacio… ce la fai a ripetere queste parole? >>
<< Come diamine hai fatto a vedere il ba… il ba… a vederci?>> domandò deglutendo a fatica e cercando di ritrovare la calma che era quasi riuscito a mantenere per tutto il tempo, ma che ora, dopo l’ultima rivelazione, sembrava – definitivamente - averlo abbandonato.
<< Ero venuta a cercarvi, o meglio, ero venuta a cercare Akane che era venuta a cercare te. Ovviamente mi sono persa e ho incontrato Ryoga, anche lui sulle vostre tracce. Mentre giravamo per la foresta vi abbiamo sentiti litigare, così ci siamo nascosti dietro un albero e… vi abbiamo visti. >>
<< Non lo hai detto a nessuno, vero? >> chiese prendendomi le mani con forza e guardandomi dritto negli occhi con l’espressione più profonda e seria che gli avessi mai visto fare.
<< No! Lo giuro, nemmeno ad Akane! Mi sembra una cosa abbastanza privata così l’ho tenuta per me. >>

<< Ok >> sospirò sollevato, e per un po’ restammo in silenzio contemplando la notte finché, vinta dalla curiosità, non domandai: << Perché non vi siete mai ribellati alla decisione dei vostri genitori? Non siamo più nel Medioevo, non possono davvero decidere per voi. >>
Ero seduta accanto a lui, le gambe strette al petto e il viso rivolto nella sua direzione, appoggiato alle ginocchia, mentre Ranma, disteso in maniera scomposta, continuava a fissare il cielo pur di non guardare me.
<< Perché, Jude… perché… non lo so perché! >> arrossì vistosamente. << Credo che alla fine ci vada bene così, ormai. Ci siamo abituati all’idea e, a dire la verità, non mi dispiace poi così tanto… >>
<< Allora la ami! >>
<< Che fesserie vai dicendo! >> esclamò paonazzo, alzandosi di scatto - per la centesima volta quella notte - e nel panico più totale.
<< Jude, ti prego. Non dire a nessuno quello che hai visto. Sarà il nostro piccolo segreto, farò tutto quello che vorrai, io… ti prego! >> mi implorò, letteralmente in ginocchio davanti a me, mentre stringeva convulsamente le mie mani tra le sue, unite a mo’ di preghiera.
Era talmente agitato al pensiero che potessi rivelare a qualcuno quello che avevo visto che decisi di fidarmi anche io di lui.
<< Un segreto per un segreto >>
<< Eh? >>
<< Uff >> sbuffai << Sei proprio ottuso a volte! Ti rivelerò anche io un mio segreto, così saremo i custodi l’uno del segreto dell’altra e dovremo fidarci per forza. Va bene? >>
<< Ok >> assentì.
<< Ryoga mi ha baciata. >>
<< Che cosa ha fatto? >> urlò.
<< Shhhh!!! Ma dico, sei matto? Abbassa la voce! >>
<< Che cosa ha fatto quell’idiota? >> ripeté, faticando non poco a riprendere il contegno ed enfatizzando appositamente l’aggettivo finale.
<< Mi ha baciata >>
<< Sulla bocca? >>
<< No, sulla mano. Sì, sulla bocca Ranma! Come tu hai baciato Akane! >>
<< Veramente è stata lei a baciarmi… >>
<< Oh, poverino. Ti è dispiaciuto molto, vero? >>
<< Non cambiare argomento ora! Perché ti ha baciata? >>
<< Me lo chiedo da settimane. >>
<< E a te andava bene? Oppure… se si è approfittato di te, giuro che io… >>
<< Sembri lui in questo momento! >> sorrisi al pensiero.
<< Hey, non mi paragonare a Ryoga! >> rispose fintamente offeso.
<< Non ha approfittato di me. Mi andava bene. Sì, penso proprio di sì. >>
<< Hai capito il maiale! >>
<< Ranma! >>
<< Scusa, scusa! >> alzò le mani in segno di resa.
<< Perché gli dai sempre del maiale? >>
<< Storia vecchia… diciamo che è un po’ la sua doppia natura quella del maiale! Chiamalo P-Chan, vedi come si arrabbia! >> sogghignò fra sé e sé.

<< Se parleremo ancora, cercherò di ricordarmene >> replicai marcando volutamente il “se”.
<< Perché dici così? >>
<< È partito da due settimane; non mi aveva nemmeno detto che sarebbe andato via e mi ha scritto solo due messaggi…Non so bene cosa pensare >>
Ranma parve rifletterci su qualche istante: << Credevo ti piacesse lo yankee in realtà >> osservò poi.
<< Alexander…>>
<< Ascolta, Jude, non sono certo la persona più adatta a dare consigli in materia di relazioni >> scherzò, << ma posso dirti di non prendertela troppo per la reazione di Ryoga. Hai visto quanto è timido? È già un miracolo che non sia scappato via correndo quel giorno stesso! Io lo posso capire… >>
<< Non mi pare che tu sia scappato! >> lo sfidai con l’aria di chi la sa lunga.
<< Che cosa c’entra questo? >> chiese Ranma arrossendo ancora, poi aggiunse: << Hey Jude, girati! >>
Mi voltai verso la direzione indicata da Ranma, a est, e gli occhi mi sorrisero incantati davanti allo spettacolo del sole che stava nascendo.

“Giappone”, in giapponese, si dice “Nihon” o “Nippon” che significa letteralmente “origine del sole”. Il soprannome gli è stato dato dai vicini cinesi, poiché l’isola si trova a est della Cina, proprio nella direzione in cui la mattina sorge il sole. Per questo è chiamato “Paese del Sol Levante” ma, fino a quel momento, non mi ero ancora resa davvero conto di quanto quel nome fosse appropriato.
La prima stella della sera ci stava dando la buonanotte, dissolvendosi nel chiarore dell’alba. Appena sopra la linea dell’orizzonte, il cielo aveva già assunto una tonalità rosa pallido, che sfumava via via in un viola intenso, rischiarando il blu di una notte ormai finita.
<< Ranma, è l’alba! >> squittii felice di poterla ammirare.
Il tramonto, si sa, ha un fascino romantico, poetico e lievemente malinconico, ma io ho sempre preferito l’alba. Mi piace svegliarmi la mattina presto, nel silenzio e nel fresco di un nuovo giorno pieno di opportunità, e guardare il sole che, puntuale da millenni, sorge e inonda di luce tutto il mondo. È come assistere ad una nascita: il miracolo della vita.
<< Il giorno del torneo! >> si ricordò improvvisamente il mio compagno di rivelazioni notturne, ridestandomi da quel sogno ad occhi aperti. << Jude, è meglio se andiamo >>

<< Certo >> annuii, concedendomi un ultimo sguardo all’aurora; poi scesi la scala per prima, mentre Ranma la teneva di nuovo ferma per me.
Quindi si diresse verso il dojo per compiere i suoi allenamenti mattutini, ma prima di salutarci lo ringraziai di tutto e lui mi porse il mignolo: << Promesso? >>
<< Promesso. >> risposi, e glielo strinsi con il mio.
Mi fece l’occhiolino e io tornai nella camera di Akane, che per fortuna non si era svegliata, a guadagnarmi qualche altra ora di tepore e sonno prima che “il giorno del torneo” avesse inizio.

***

Qualche ora più tardi, sentendo un baccano infernale, mi vestii in fretta e scesi le scale: la casa era piombata nel caos più totale.
<< Che succede? >> chiesi passando per il salone a soqquadro e Akane mi gridò “il torneo! Il torneo!” mentre correva da una parte all’altra.
Ranma mi sfrecciò davanti nel pieno della forma: << Buongiorno bella addormentata! >>
disse ad alta voce ricercando, con l’ennesimo occhiolino, la mia complicità.
<< Ciao anche a te! >> risposi sorridendo e pensai che non poteva essere umano se, dopo una notte insonne, era così attivo.
<< Jude, sei sveglia! Mi verresti a dare una mano? >> era la voce di Kasumi che arrivata ovattata dalla cucina.
<< Ma quanto ho dormito? Che ore sono? >> chiesi più a me stessa che al trambusto che mi gravitava attorno.
<< Le undici e tre quarti, cara. >> e finalmente la vidi.
Più alta delle donne giapponesi che avevo potuto osservare, il tratto che la contraddistingueva maggiormente era senza dubbio la compostezza. La sua figura si ergeva perfettamente diritta sul profilo del patio, davanti all’ingresso del salone. I capelli castani raccolti e tenuti a bada da un fermaglio verde ottanio bordato d’oro, il ciuffo piegato nelle veronica lake waves che le adombrava la fronte bassa, gli occhi scuri e caldi, le labbra increspate in un sorriso tenero ma fermo: tutto nel suo viso era in perfetta sincronia con la forma del corpo. Indossava un kimono, non uno yukata come quelli che avevo provato anche io, bensì un vero e proprio kimono: il costume tradizionale simbolo del Giappone. Legata all’obi, l’immancabile katana. Eppure, non fu quella a farmi capire chi fosse, e nemmeno il tono della voce dolce ma deciso. Fu qualcosa nel contegno, nel modo che aveva di camminare, nello sguardo acceso e vigile, che subito mi fece pensare a Ranma.
Quella era Nodoka Saotome.
<< Buongiorno, signora >> mi inchinai con rispetto.
<< Molto bene, le avete insegnato le buone maniere. E dimmi, nihogo wakarimasu ka? (9) >>

<< Mā, mā desu (10) >> risposi senza esitazione.
<< Che brava! Molto piacere di conoscerti, cara, io sono Nodoka Saotome >> e anche lei si inchinò.
<< Adorata moglie! >> urlò sguaiato Genma andandole incontro (in giapponese si intende).
<< Che ci fai ancora qui? E perché non sei ancora vestito? >> lo accusò lei in perfetto inglese, << Su, su, tutti nel dojo, oggi è una giornata importante! >>


Il famigerato torneo era fissato per le tre del pomeriggio ma la palestra già brulicava di atleti di ogni genere: chi ripassava i kata, chi faceva stretching e, in un angolo, i miei amici. Tutti.
Mi avvicinai in punta di piedi: << Ciao >> mormorai.
<< Jude! >> squittì Ranko, intenta nel fare una spaccata sul pavimento.
<< Ciao, Jude >> disse Ryoga che stava aiutando Shan-Pu alle prese con un crampo al polpaccio.
“Ah, ci sei anche tu” avrei voluto dire, ma mi limitai a fare un cenno di saluto con la testa e andai a mettermi vicino ad Akane che, piegata in un’insolita posizione, stava scaldando i muscoli.
<< Come va? >> le chiesi accucciandomi accanto a lei.
<< Non sono mai stata più agitata di così. >>
<< Dai, andrà benissimo, ne sono sicura! >>
<< Non sto così per me, sono in ansia per lui >> e indicò Ranma con un movimento del viso, << Oggi… >>
Fu interrotta dal capofamiglia al centro del dojo che, in giapponese, presentò la commissione giudicatrice e disse a tutti che potevano andare a pranzo e tornare non più tardi delle due.
<< Dobbiamo andare a mangiare >> disse Ranma avvicinandosi e tutti lo seguimmo fuori dalla palestra.
Non potevo ancora capire l’importanza di quel giorno, ma l’atmosfera era elettrica. Gli artisti marziali parlavano poco, erano concentratissimi. L’unico che pareva perfettamente a suo agio era -ovviamente - Ranma.
<< Sei pronto? >> domandai accostandomi al ragazzo che divorava la terza ciotola di riso bianco.
<< Sono nato pronto, io! >> e si indicò con entrambi i pollici rivolti al petto.
<< Se lo dici tu! >> ribatté Akane, seduta al suo fianco.
<< Perché? Hai dei dubbi sulle mie capacità? Pensi che non possa farcela? >>
<< Non ho detto questo, ma non sei abbastanza concentrato. Hai capito cosa accadrà oggi? Ti senti veramente pronto? E se sbagli? Se qualcosa va storto e tu… >>
<< Akane >> la interruppe << Fidati di me. >>
E, come Aladdin che chiede a Jasmine di salire sul tappeto magico, Akane assentì con lo sguardo e seguì Ranma verso il dojo.
Io mi andai a sedere con gli altri spettatori, di fianco a Nodoka che, non appena entrata, mi aveva fatto segno di aver tenuto un posto accanto a lei.
<< Ci siamo >> mi sussurrò in un orecchio e il torneo cominciò.
Uno dopo l’altro, senza quasi nessuna pausa, allievi di tutti i livelli davano prova delle loro abilità. Per primi, i meno esperti, che eseguivano i kata più semplici, poi gli allievi più grandi. I kata si facevano via via più difficili e lunghi, man mano che il grado dei combattenti si alzava. Per ultime, le cinture nere, gli unici a poter praticare il combattimento libero.
<< Conosci le arti marziali? >> mi chiese Nodoka in un intervallo.
<< Un poco. Sto prendendo lezioni qui al dojo >>
<< Complimenti! >> esclamò lei davvero impressionata, << E continuerai, una volta tornata in America? >>
Non mi chiesi come facesse a conoscere tutte quelle cose sul mio conto, era naturale che le avessero parlato di me; pertanto, mi limitai a rispondere con sincerità: << Non sarà di certo lo stesso, ma sì, mi piacerebbe. Ranma dice che sono portata >>
<< Se lo dice lui, puoi stare tranquilla. Mio figlio è molto bravo >>
<< Sì, lo so >> risposi mentre osservavo il modo in cui le brillavano gli occhi quando parlava di lui. Akane aveva ragione, doveva esserne molto fiera.
Mentre Ranko le dava di santa ragione alla sua sfidante, chiesi a Nodoka come mai Ranma non avesse ancora combattuto.
<< Ranma combatterà per ultimo, oggi è il suo giorno, anche lui cambierà cintura! >>
In una delle poche lezioni di teoria, mi era stata insegnata la sequenza delle cinture nel karate. Al livello più basso, il sesto, c’è la cintura bianca, la shiro obi. Man mano che il kyu, il livello dei partecipanti aumenta, le cinture diventano più scure: gialla, la kiiro obi; arancione, la daidaiiro obi; verde, la midori obi; blu, la aoiro obi; marrone, la kuriiro obi e, per ultima -pensavo da profana- la cintura nera.
<< Ma Ranma è già cintura nera! >> esclamai stupita, non capendo come potesse andare oltre.
<< La cintura nera non è la fine del percorso, è solo l’inizio >> rispose lei con saggezza.
Mi girai a guardarla aggrottando la fronte e Nodoka, comprendendo i miei dubbi, si spiegò meglio: << Con la cintura nera comincia l’assegnazione dei dan >> abbassò la voce mentre Soun proclamava Ranko vincitrice, << Un vero artista marziale non smette mai di imparare, infatti l’ideogramma “dan” è contenuto nella parola “shodan”, che vuol dire “principiante”, a dimostrazione del fatto che aver conseguito la cintura nera è davvero poca cosa in confronto a tutti gli anni di allenamento che si hanno ancora davanti. La cintura nera è il primo passo nella do la via del karate, e lo studio si raffina. Il mio Ranma è così bravo che ha ottenuto la cintura nera a soli quattordici anni! >>
<< Oh! >> feci io, non sapendo che altro dire. Avevo intuito che era un fuoriclasse, ma non sapevo fino a che punto.
<< E perché cambierà cintura oggi? >> domandai sempre più desiderosa di sapere.
<< Perché oggi raggiungerà un altro dan, e tutto cambierà! Dal primo al quarto si giudicano i gradi di maestria tecnica dell’artista marziale. Un combattente esperto non ha solo capacità tecnica, ormai assodata, ma anche un alto livello di esperienza e didattica. Si chiama yudansha, il “livello del guerriero”, e mio figlio lo è.>>
Mi presi un momento per guardare Ranma, al lato opposto del dojo. Lo sguardo attento, la mascella contratta, seguiva tutti i movimenti della lotta come anticipandoli mentalmente. Non c’era alcun dubbio che fosse un guerriero.
<< E poi? >> chiesi sempre più affascinata dalla spiegazione di Nodoka.
<< Al quarto dan, il livello dell’esperto, il confine della tecnica corporea viene raggiunto e si forma il legame fra quest’ultima e la filosofia dell’arte marziale. Ranma è ormai in grado di controllare, con il solo esercizio fisico, lo spirito, il respiro e l’energia, il ki. >> Fece una breve pausa, poi continuò: << I gradi kodansha, dal quinto all’ottavo dan, sono propri del vero maestro. Ranma non sarà più responsabile solo di sé stesso ma anche dei suoi allievi. Non c’è miglior modo di insegnare che con il proprio esempio, mia cara, e infatti il mio figliolo è un grande esempio! Di solito, ci si arriva ad un’età matura, mentre lui è così bravo che, se oggi vincerà questa sfida, sarà il primo in Giappone -o forse nel mondo!- a conseguirli prima dei trent’anni. Oggi il mio bambino diventerà un uomo! Questa sì che è una prova di virilità! >>
Sorrisi ricordandomi del discorso che Akane mi aveva fatto la notte precedente: Nodoka non perdeva occasione per cercare una prova della virilità del suo amato figlio! Era davvero molto orgogliosa di lui, e ne aveva tutti i motivi.
Così, quel giorno, Ranma sarebbe diventato maestro. Mentalmente, mi dissi che ero davvero molto fortunata a poter assistere a un giorno tanto significativo: un torneo di arti marziali in un vero dojo giapponese e con uno dei miei più cari amici in procinto di oltrepassare una soglia importante per la sua vita. Ora capivo il perché dell’agitazione di Akane, e anche della calma di Ranma.
La voce di Soun mi riportò al presente, stava presentando altri due combattenti: era il turno di Ryoga.
L’avevo visto combattere contro Ranma infinite volte ma solo in quel momento, in un vero torneo, mi accorsi che durante le sfide contro il suo amico, in realtà si risparmiava.
Era preciso, veloce, instancabile, paziente quando serviva, irrefrenabile quando doveva. Ma la sua qualità più spiccata era senza dubbio la potenza.
Schivava le mosse dell’avversario con facilità, ma quando era lui a colpire, era travolgente. Un pugno di Ryoga ne valeva cento degli altri. Fendeva l’aria come se, alla fine delle braccia, avesse due macigni. Sembrava fatto di ferro e fiamme.
Era incredibile guardarlo combattere, una gioia vederlo trionfare. Sconfisse il rivale con un fortissimo pugno, lo aiutò a rialzarsi, si inchinò a lui con grande rispetto e poi si girò verso gli spettatori. Attesi il momento in cui i nostri occhi si sarebbero incontrati e, quando successe, gli sorrisi con calore. Era il mio modo di fargli le congratulazioni.
Dopo Ryoga, fu Akane a combattere. La sfidante la sovrastava per età, altezza e massa muscolare, sembrava di vedere una bambina di fronte a un gigante pronto a schiacciarla. Come per un riflesso incondizionato, strinsi i pugni.
<< Non preoccuparti per lei >> mi sussurrò Nodoka, << Akane è pronta a questa sfida. Sai che è la fidanzata di mio figlio, vero? >>
Feci segno di sì con la testa.
<< L’ha preparata lui. Credi che l’avrebbe lasciata andare se non fosse stato sicuro di lei? Vedi, nelle arti marziali è importante prima superare se stessi e poi gli altri. Già il fatto che Akane sia sul tatami adesso, pronta a scontrarsi con un’avversaria superiore a lei, vuol dire che è molto cresciuta e, per questo motivo, ha già vinto. >>
Rimasi davvero colpita da quelle parole. Era una filosofia tanto bella quanto difficile da seguire e, mi resi conto in quel momento, che condizionava tutta la loro vita. Ripetevano instancabilmente le stesse tecniche mirando a una perfezione che non era possibile raggiungere, perché non bisogna essere migliori di un avversario, ma di se stessi. Un po’ meno di ieri, un po’ più di domani.
Mi concentrai sulla mia amica che fissava con gli occhi pieni di coraggio e orgoglio la sua avversaria. Il dojo era in religioso silenzio. Ma, come quando durante i matrimoni tutti si girano per vedere l’ingresso della sposa, io invece cercai Ranma. Stava seduto in ginocchio sulle vecchie assi di quello che sarebbe diventato il suo dojo e guardava Akane pronta a combattere. Ma il suo non era uno sguardo da maestro, che esamina, era uno sguardo d’amore. I suoi occhi non valutavano, non giudicavano, ma custodivano. Custodiva ogni mossa, ogni passo in avanti o indietro, ogni calcio, ogni salto. Custodiva ogni goccia di sudore sulla fronte di lei, ogni gesto di rabbia, ogni respiro.
Ranma era sempre stato pronto a proteggerla, a evitare che si facesse male, a difenderla da tutto e da tutti. Ma questa volta era diverso. Non la guardava con apprensione, come faceva di solito, bensì con l’assoluta certezza delle sue capacità. Non era fiducioso, era sicuro di lei.
Chissà cosa si provava ad essere guardati così.
Quando venne atterrata e sconfitta, fu il primo ad alzarsi e ad andarle incontro. Mentre Soun comunicava alla palestra che la vincitrice dello scontro era Namie, lui teneva un braccio intorno alle spalle di Akane e, guardandola intensamente, le stava dicendo che invece era stata lei ad aver vinto.
Poco dopo, un applauso scrosciante segnò l’ingresso di Ranma sul tatami.
Soun, nel suo karategi ufficiale, lo guardava con rispetto. Era un momento catartico.
Ora si sarebbe visto il suo valore, se era davvero in grado di gestire il dojo di famiglia, che quell’uomo tanto buono gli aveva affidato alla nascita, assieme ad una delle sue figlie. Ora si sarebbe visto se era degno di quel ruolo, di essere il marito di Akane, di portare avanti le aspettative che tutti avevano sempre riposto in lui.
Se ne stava lì, con lo sguardo fiero e il petto in fuori, sentendo il peso di tutto sulle spalle, ma sicuro che fossero abbastanza grandi, allenate e forti per sostenerlo.
Prima di cominciare la sequenza dei combattimenti, tutti gli altri atleti si misero in fila dietro Ranma e ascoltarono Soun ripetere le nove virtù del bushido, la via del guerriero.
Prima: onore, meiyo.
Seconda: fedeltà, chujitsu.
Terza: sincerità, seijitsu ou makoto.
Quarta: coraggio, yuuki ou yuukan.
Quinta: bontà e benevolenza, shinsetsu.
Sesta: umiltà, ken.
Settima: rettitudine, tadashi ou sei.
Ottava: rispetto, sooncho.
Nona: autocontrollo, seigyo.
Ranma annuì, si inchinò e si mise in posizione. Ridusse gli occhi a due fessure, piegò le ginocchia, portò i pugni ai fianchi: era pronto.
Akane, seduta composta dove era stato lui quando era toccato a lei, lo fissava con un’intensità che pareva bruciare. Persino il maestro Happosai era concentrato sul suo allievo con assoluta dedizione e serietà. Shan-Pu pareva aver messo da parte qualunque smania di possesso e guardava Ranma con gli occhi pieni di speranza, abbassandosi ogni tanto per dire qualcosa all’anziana signora che le stava accanto. Ukyo, Nabiki, Kasumi, anche Kuno, tutti osservavano la scena con fervore.

Nodoka, accanto a me, era visibilmente emozionata ma c’era qualcuno che mancava all’appello. Genma se ne stava in disparte, in ultima fila, e osservava il figlio con fierezza e un sorriso sicuro sul volto. Seguii i suoi occhi e vidi che incontravano quelli di Ranma. In una stanza piena di persone che lo amavano e facevano il tifo per lui, Ranma cercava lo sguardo del padre, l’uomo che lo aveva strappato alle cure materne, che lo aveva trascinato in giro per anni, che lo aveva privato di un’infanzia normale; l’uomo con cui litigava e lottava sempre, ma che gli aveva insegnato tutto quello che sapeva.
Un cenno di assenso di Genma e Ranma partì.
Ciò che mi fu concesso di vedere dopo, è indescrivibile a parole. Il combattimento di Ranma non era una guerra, era una danza. Una sequenza perfettamente scandita eppure velocissima di parate, attacchi, contrattacchi. Ranma si muoveva sinuoso, disegnando linee perfette con gli arti e il corpo.
Tecnica, abilità, forza. Velocità, lentezza, espansione, contrazione. Tutto era in armonia: una combinazione ideale di grazia e potenza. Con una sola occhiata sapeva distinguere i punti vulnerabili dell’avversario, sapeva anticipare ogni mossa. Andava incontro agli sfidanti, uno dopo l’altro con, negli occhi, non la voglia di vincere, ma l’idea di non perdere. La sua anima era un fuoco, il suo spirito ispirava tutte le sue azioni. Le sue abili mani si muovevano con estrema rapidità e le gambe scultoree apparivano la quintessenza della destrezza.
Fra gli atleti che gravitavano intorno a lui in un turbinio di sequenze dinamiche e complesse, anche Ryoga combatteva senza risparmiarsi. Si vedeva che stava dando il meglio di sé, non contro Ranma, ma per lui. Il ritmo era serrato e incalzante, l’abilità e l’agilità degli agonisti alle stelle.
Era davvero uno spettacolo. Tutti osservavano incantati gli spostamenti di Ranma, sempre in equilibrio e padrone dei suoi movimenti. Non era mai stato più bello di così e non per via dei capelli neri madidi di sudore che gli incorniciavano il viso, non per i pettorali marmorei che sbucavano prepotentemente dal karategi e neppure per la stoffa tesa sui bicipiti scolpiti.
Ranma non era mai stato più bello di così e il merito era tutto nei suoi occhi blu. Blu scuro, come il mare di notte. Nemmeno la grande onda di Kanagawa (11) avrebbe potuto reggere il confronto con la tempesta in corso nei suoi occhi quel giorno.
A ben vedere, tuttavia, non fu il loro colore, straordinariamente inconsueto di per sé, a colpirmi più di tanto, bensì il messaggio che essi veicolavano: passione, forza, dedizione, desiderio incondizionato di raggiungere un obiettivo e volontà di dare tutto se stesso per ottenerlo.
In un corpo perfetto in movimento, ciò che attirava di più era la fermezza dei suoi occhi.
Dopo un tempo che mi parve dilatato all’ennesima potenza ma anche trascorso con estrema velocità, Soun alzò la mano sinistra e tutti si fermarono.
Nessuno era andato K.O., nessuno era uscito dal tatami, eppure il combattimento era terminato ed io non riuscivo a capire.
Mi rivolsi a Nodoka: << Ce l’ha fatta? >>
<< Sì >> rispose semplicemente, con la voce rotta dalla commozione.
<< Come è possibile, nessuno è… >>
<< Nessuno è riuscito a colpirlo. >>
Gli avversari si ritirarono con un inchino, Ryoga gli diede una pacca sulla spalla e Ranma rimase da solo sul tatami, di fronte ai tre gran maestri: Happosai, Soun e Genma.
Come in un film, mi tornarono alla mente tutti gli allenamenti che gli avevo visto fare in questi mesi: le sveglie all’alba, le notti passate nel dojo, i piegamenti con Akane sulla schiena, Ryoga che gli colpiva gli addominali, le ore passate a ripetere la stessa mossa davanti a Genma senza ottenere mai il suo consenso, le infinite corse, i mille kata replicati allo sfinimento, i combattimenti di prova, la fatica, il sudore.
Adesso tutto aveva senso.
Con le lacrime agli occhi, Soun gli consegnò la cintura bianco-rossa, la stessa che indossavano i tre sensei, e poi lo abbracciò. Come un padre, come un maestro orgoglioso. L’intera palestra scoppiò in un applauso e Ranma urlò di gioia.
Akane gli corse incontro e lui la prese in braccio, facendola girare fra la folla festante.
Ce l’aveva fatta.
Nelle arti marziali non serve essere alti o bassi, magri o grassi, giovani o anziani. Nelle arti marziali conta semplicemente essere e Ranma, Akane, Ryoga, Ranko e tutti gli altri combattenti lo avevano ampiamente dimostrato.
Nodoka baciava le guance del figlio con immensa felicità, Genma non smetteva più di parlare, Ranko gli saltellava intorno. Tutti i suoi amici accorsero per portarlo in trionfo, oggi non c’erano rivalità, oggi era il giorno della gloria.
Prima che Ryoga, Kuno e Mousse se lo caricassero sulle spalle per il giro d’onore, riuscii ad avvicinarmi per congratularmi:
<< Ranma! >> gridai.
<< Jude! >> e mi abbracciò così forte che temei mi avrebbe spezzato le costole.
Mi rimise a terra e, con un sorriso a trentadue denti, si fece portare via dai suoi amici esultanti e felici.
Fargin” (12), pensai di nuovo.

Così, quel giorno in cui il successo di uno mi insegnò la lealtà degli altri e la fiducia di lui venne ricambiata dalla gioia commossa e colma d’orgoglio dipinta sul volto di lei, finalmente tutti i nodi vennero al pettine.



***

Note tecniche (e ce ne sono moltissime in questo capitolo!)


(1) Trascrizione più o meno fedele di ciò Ryoga dice nell’OAV “Ricordi sopiti”.
(2) Traduzione: “Il tuo sorriso è molto bello”
(3) Traduzione: “Ben fatto!”
Per le frasi in giapponese, che questa volta sono giuste, si ringrazia sempre tanto Risa che non mi legge perché non parla italiano ma senza di lei non sarebbe stato lo stesso!
(4) Frase tratta da “Il Signore degli Anelli, il ritorno del Re” e se non lo avete ancora visto, È QUESTO IL GIORNO!
(5) La scena riprende il finale dell’episodio/ tavola del manga e quelle sono le esatte parole di Akane, mentre tornano a casa dopo l’avventura a Ryugenzawa.
(6) Yukio Mishima, pseudonimo di Kimitake Hiraoka, nato nel 1925 e morto suicida nel 1970. Genio assoluto della letteratura giapponese moderna, fu anche un artista marziale. Si tolse la vita tramite seppuku, il suicidio rituale dei samurai, trafiggendosi il ventre e poi facendosi decapitare.
(7) Qui la nota potrebbe essere lunga. Chi mi conosce anche solo un po’ sa del profondo legame che mi lega a Gretel85, non solo su questo fandom, non solo come autrice. Ma qui, è l’autrice che vorrei celebrare. Senza che vi decanti i miliardi di pregi che ha come persona, lasciate almeno che vi narri di quelli che ha come scrittrice. Questa frase è liberamente tratta dalla sua storia “Il profumo della menta e il melograno magico”, più precisamente al capitolo numero 15: “Le dimensioni dell’infinito”. È una fanfiction meravigliosa, a distanza di anni è ancora impressa in modo irremovibile nella mia mente e, soprattutto questo capitolo, nel mio cuore. Chi non l’ha letta non può saperlo (ed è bene che corra a farlo!) ma quest’unica piccola frase nasconde una miriade di significati molto profondi, tanto, troppo profondi per essere “solo” una frase in una fanfiction. Mi ha stregato cuore e anima e, per me, si riferisce all’Amore. Questo è il mio piccolo tributo a lei e alla sua bravura, forse le dimensioni dell’infinito si riferiscono a questo, oltre al bene che le voglio.
(8) Anche questa volta, sono le esatte parole pronunciate da Soun nel manga, all’arrivo di Ranma e Genma in casa Tendo.
(9) Traduzione: “Capisci il giapponese?”
(10) Traduzione: “Così e così”
Sempre grazie Risa!!
(11) “La grande onda di Kanagawa” (The Great Wave off Kanagawa) è una magnifica xilografia di Katsushika Hokusai.
(12) Ho finito lo giuro! Fargin (citata anche a inizio capitolo) è una parola yiddish intraducibile letteralmente, che vuol dire “sincera felicità per il successo di qualcun altro”.

***


Ed eccoci di nuovo qui! Che vi devo dire, il lockdown mi ispira! Scherzi a parte, spero stiate tutti bene in questi crazy times. Questo capitolo è un vero e proprio racconto breve, lo so! Spero abbiate avuto il coraggio di leggere fino a qui. E così, la nostra Jude è arrivata quasi alla fine della sua estate giapponese e ha incontrato anche l’ultimo personaggio: Nodoka. Con lei “tutti i nodi vengono al pettine” (perdonate la battuta idiota!) e finalmente scopre cosa c’è sotto la storia di Ranma e Akane! Una cosetta veloce, ché vi ho rotto già abbastanza: so che c’è una leggera incongruenza fra il livello di Ranma nelle arti marziali e la sua età. Professori a parte, è una storia immaginaria, perdonatemelo se potete, sensei e non.


Detto ciò, questa volta non ci sarei davvero riuscita senza la mia meravigliosa beta Gretel85! È straordinaria, paziente, preparata e bravissima, mi conforta quando penso di aver scritto cavolate, mi raddrizza quando sbaglio e mi sprona sempre a migliorare! Oltre a consigliarmi sempre per il meglio, non le sfugge proprio nulla! Fa un lavoro certosino su ogni parola e aggiusta tutte le mie castronerie. È la mano sinistra che tiene fermo il foglio. Questo capitolo è stato praticamente coprodotto, non so più dove finiscono le mie parole e iniziano le sue che, per inciso, sono molto meglio delle mie la maggior parte delle volte. Diciamo che le mie idee, scritte da lei, sono più belle! Quindi, grazie, grazie, grazie, grazie Carotina del mio cuore! Giuro che alla fine della storia ti faccio un regalo!

Un grazie speciale, perché mi ha fatto tornare la voglia di scrivere andandosi a leggere TUTTE le mie vecchie fanfiction, a Valetomlavy. A te e alle tue minacce (XD) dedico la scena sul tetto.


Menzione speciale per una new entry che ho conosciuto da poco e i poveracci che controllano gli scambi di e-mail su Efp saranno anche stufi dei nostri papiri egizi: LilaChan. Non arriverò mai a meritare tutti i complimenti che mi riservi, ma spero che questo capitolo ti aiuti a ritrovare un po’ dell’ispirazione perduta!

Grazie sempre alle mie Ladies.

Grazie di cuore a tutti voi, perché trovate la pazienza e la voglia di aspettarmi e leggermi. Un grazie un po’ più grande a chi mi lascia scritti i suoi pensieri (sia in pubblico che in privato), mi fa sempre immensamente piacere.

Al prossimo, e ultimo, capitolo.

Sempre vostra,

E.


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