Due Mortali

di Leannel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte Prima ***
Capitolo 2: *** Porta ***
Capitolo 3: *** Elfi ***
Capitolo 4: *** Stelle ***
Capitolo 5: *** Leggere ***
Capitolo 6: *** Mortale ***
Capitolo 7: *** Notte ***



Capitolo 1
*** Parte Prima ***


Introduzione



Nuova ficcina, ma questa volta nel vero senso della parola. Molti di voi mi saranno grati. Comunque ammeto che anche per me è un sollievo pazzesco smettere per un po' di parlare dei trip mentali di elfi complessi (e complessati) per parlare di qualcosa di un po' precostruito.

La storia narra di due personaggi esistit davvero, che saranno più o menoconosciuti ai lettori del libro, meno ai coloro che hanno visto il film.

Uno è Arathorn, il padre di Aragorn, per intenderci; è un gran bel ragazzo. La storia della cicatrice sul viso mi è piaciuta molto. Sarebbe fico se gli orchi lo chiamassero, che so io, scarface (lo sfegiato).

L'altro è fengel. Non è un personaggio conosciuto. Il fatto è che dovevo trovare un contempraneo di Arathorn, e questa della vita più lunga è una bega bestiale.

Ho dovuto calcolare tutte le date...

Uno stress unico. E ancora non ho la certezza che i miei calcoli siano esatti...

AIUTOOOOOOOOO!!

spero da morire che vi piaccia e che la leggiate e recensite!!

Per finirla sarò un po' lenta perchè con la scuola e tutto il resto ci metterò un po'...

ne sto preparando una a 4 mani (nel vero senso della parola) con una mia amica. Sempre una cosa tranquilla, che forse vi piacerà. Su Eowyn, la sua preferita. Poi abbiamo progettato di farne una su Boromir e Faramir, i miei preferiti.

Leggete la mia fic e recensitela!!

Grazie moltissime

Leannel





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Accorrete please!!!!


















Arathorn dall'alta postura elegante del suo cavallo giunse alle porte di Imladris la mattina presto, quando il sole non era ancora sorto. Alle sue spalle, Fengel, un bel ragazzo biondo, sulla ventina, dava ben pochi segni di vita. In effetti, Arathorn pensò, doveva essere stata molto dura per un ragazzino come luipertire dal Mark pochi giorni prima, recarsi a Nord, tra le montagne e poi a Gran Burrone. Faceva quasi tenerezza, sotto quell'oceano di capelli biondo grano. Arathorn lo aveva osservato a lungo, la notte precedente, in quella locanda scura. Aveva osservato i suoi occhi stanchi, di un verde acceso. Non gli era comprensibile come degli occhi di un colore così straordinario potessero brillare di una luce tanto stanca. Non triste, ma stanca. Aveva i capelli arruffati ed era chiaro che nessuno li aveva tagliati da tempo. Era davvero difficile pensarlo il futuro sovreno del mark. Era un terzogenito. Arathorn non aveva mai seguito la storia dinastica di nessuna famiglia, nemmeno delle sua, e non aveva idea di cosa fosse accaduto ai due fratelli maggiori. Ma doveva essere accaduto qualcosa di serio. D'altronde Arathorn non si recava in Gondor da anni a quella parte. L'aria di quella città lo rendeva triste. Gli ricordava quello che era successo in un tempo non troppo remoto. Era una maledizione vivere tanto a lungo. Certe ferite non si rimarginano che col tempo. Ai discendenti della sua famiglia il tempo non era concesso. Sfiorò la cicatrice sulla sua guancia destra. Rise pensando a quando quella ferita mise in discussione l'utilizzo del suo occhio sinistro. Ma adesso dall'occhio sinistro vedeva bene, bene come mai aveva visto. A volte gli faceva un po' male, di notte. Ma Gandalf aveva detto di metterci quell'unguento dall'odore pessimo. E Arathorn lo faceva, regolarmente, tutte le notti. Era sempre stato tra i suoi difetti, ascoltare troppo i consigli degli altri. Non era un uomo di iniziativa. Cosa alquanto negativa per un condottiero, quale avrebbe dovuto essere. In un certo senso se la figurava quasi la storia del giovane Fengel. I suoi fratelli erano morti quando non era che un ragazzino. Suo padre riponeva in lui tutte le poche speranze che gli erano rimaste. E lui non era, o perlomeno, non si riteneva capace di soddisfarle. Forse, Fengel era un ragazzo a cui piacevano le ragazze bionde e i prati pieni di fiori bianchi. Forse non avrebbe mai accettato il suo ruolo di sovrano. E avrebbe condotto male il suo popolo. E sarebbe morto intornro ai quaranta, in una guerra inutile. Sorrise. Si chiedeva cos'avesse pensato il ragazzo vedendo il suo viso, corrotto, disordinato, eppure bellissimo. Non doveva proprio sembrare uno degli antichi re. In realtà, quando gli avevano detto 'Sei della stirpe dei re' lui aveva risposto ridendo. Era un inetto, ecco tutto. Amava le belle ragazze e la battaglia. Portava i capelli lunghi e disordinati. Forse tutto ciò che gli restava di loro erano i suoi occhi. Aveva dei begli occhi, così almeno avevano sempre detto tutti. Il ragazzino dalla folta chioma bionda cadde da cavallo. Sembrava essersi addormentato. Il forte contatto col terreno lo svegliò, però. Arathorn si fermò e legò le briglie del suo animale ad un albero. Tranquillizzò il cavallo del ragazzo. Non che ce ne fosse bisogno. I cavalli rohirrim erano delle bestie incredibili. Il suo padrone era caduto e lui lo stava solamente carezzando col muso. Ma Fengel era così stanco da non accorgersene neppure.

“Siamo arrivati” Arathorn sorrise.

“Davvero? Io ho un gran mal di testa”

“Vi avevo detto di non bere ieri notte”

“Non darmi del voi.”

“D'accordo Fengel. Ma siamo arrivati.”

Arathorn prese le briglie di entrambi li animali e le trasse a se.

“In ogni caso è meglio se per oggi non salite più su un cavallo”

Fengel lo guardò storto. Arathorn fece finte di niente.

Con un braccio aiutò il ragazzo a sollevarsi. Con l'altro portava le briglie degli animali.

“Quanto manca?”

“Solo pochi passi, non temete” Fengel cominciò a pensare che Arathorn lo facesse apposta.

Probabilmente aveva ragione.

Due elfi, armati, con armature lucenti, gli vennero in contro. Arathorn pensò che forse li avevano scambiati per qualche stanco viandante in cerca di dimora.

“Voi siete i due mortali?” disse il più alto dei due elfi

“Direi che non ci sono dubbi sul fatto che lo siamo.”

Fengel mormorò qualche parola incomprensibile.

“Dice che state cercando noi” disse Arathorn.

Fengel cercò in tute le sue tasche e ne trasse una lettera piuttosto malridotta, ma di una fine carta bianco panna. La porse ai due elfi, che cambiarono immediatamente espressione.

Si eressero per poi piegarsi in un inchino solenne. Arathorn si sentì preso in giro.

“Portate dentro i cavalli” disse con tono duro.

“E la giovane maestà?” disse l'altro Elfo.

“A lui penso io”

“Voi non pensate a nulla” disse una voce dalla soglia scura “Questo non voleva essere un insulto, maestà”

Arathorn osservò attentamente l'uomo che gli veniva incontro. Innanzitutto, senza nessun dubbio era un'elfo. Aveva occhi di cristallo nero e lunghissimi capelli color della pece. La sua pelle era bianca, come solo un elfo poteva avere. I suoi biti erano anch'essi di pelle nera, per lo più molto fine, o molto nuova. Doveva essere un'elfo di alto rango.

Arathorn aveva un ulteriore certezza. Si trattava di n guerriero. In primo luogo portava una spada forgiata con non sapeva quale materiale e finemente decorata, seppur in maniera sobria. Doveva essere molto abile. In secondo luogo aveva occhi che potevano appartenere unicamente ad un guerriero.

Arathorn sorrise. Quell'elfo non gli piaceva affatto. Non che avesse qualcosa contro gli elfi. Ma quello sembrava uno di quei maledetti esibizionisti. Inoltre aveva l'impressione di averlo già visto da qualche parte.

“Lasciate che porti il ragazzo in una stanza. Pensavo che non fosse raccomandabile bere in viaggio” disse l'elfo

“Pensavate bene” rispose Arathorn “Ma il ragazzino non aveva nessuna voglia di dirigersi in un posto tanto lontano e soprattutto... non è importante”

Fengel lanciò un'occhiata interrogativa Arathorn. L'uomo rise. Probabilmente Fengel non aveva idea di chi lo stesse portando, né di dove lo avrebbe portato. O più semplicemente con quell'occhiata voleva affermare di non aver mai dette quelle parole. Ad ogni modo Arathorn rise.

“Seguitemi” disse l'elfo scuro, dagli occhi penetranti.

Arathorn, nonostante non nutrisse nessuna simpatia nei suoi confronti, fece cenno di si col capo e lo seguì.

Arathorn mise così per la prima volta piede nelle case di Elrond. Era una sensazione strana. Un profumo fresco di fiori lo pervase. C'era un'aura di tranquillità ad avvolgerlo. E per un sitante, forse per la prima volta nella sua vita, si sentì tranquillo. Per la prima volta non si sentì completamente fuori posto. Ma fu un istante. L'istante successivo, Arathorn, tornò alla sua costante apatia.

“Non eravate mai stato in una casa di elfi?” chiese L'elfo scuro

“Non come ospite” rispose. L'elfo lo guardò in maniera molto strana. Arathorn rise. “Stavo scherzando” disse. “Perchè, voi siete mai stato nella dimora di una grande dinastia di mortali decaduti?” disse ancora, ironico.

“Decisamnte più a lungo di voi” Arathorn ebbe l'istinto di ridere. Ma gli occhi dell'elfo non ridevano affatto.

“Che farete al mio amico?”

“Quel ragazzino non è amico di voi più di quanto lo sia di me”

“Non c'era nessun bisogno di questa vostra ironia” rispose Arathorn. Parlando con quell'elfo aveva sempre l'impressione di sbagliare. Si guardò attorno. L'elfo tardava a rispondere. Pensò che non lo avesse sentito. Poi che non gli volesse rispondere. Si guardò attorno, comunque. Era davvero molto bello. Era tutto molto elegante e fine e tuto il resto. Se i suoi antenati vivevano nello stesso lusso, Arathorn ringraziò di essere nato quando la stirpe era già decaduta. Il pavimento semrava di un bel marmo bianco, costuito con del marmo verde. Alle pareti era ogni genere di arazzi. Arathorn si disse che se suo padre avesse disposto di tutta quella mercanzia forse avrebbe riacquistato parte del suo potere. Era quasi ironico. Ovunque andasse, gli uomini più importanti della Terra di Mezzo lo Riconoscevano e talvolta si inchinavano dinnanzia lui. Eppure, la sua importanza non aveva nessun valore. Da sempre le Terre del Nord erano le più attaccate, e mai nessuno era venuto in loro soccorso.

Forse tutti li stavano prendendo in giro da centinaia di anni e non se ne erano mai accorti.

“Si, avete ragione” disse la voce dura dell'elfo.

Arathorn, si voltò e lo fissò nei suoi impenetrabili occhi neri. Non aveva idea di cosa stesse pensando. Sorrise.

“Che ci fa uno come voi con uno come me” disse

“Voi siete ospite di Elrond”

“Lo chiamate per nome?”

“Non è mio signore”

“Da dove venite?”

“Io sono originario di queste parti. Poi, qualche tempo fa sono stato a Minas Tirith. Poi sono stato al Nord, per qualche tempo. Adesso abito poco più a est di qui. Quattro o cinque giorni, con uno di quei cavalli”

“Al Nord? Io sono del Nord? Non vi ho mai incontrato”

“Sono stato al Nord, ma è stato qualche tempo fa.”

“Suppongo che questo significhi:'Squallido mortale, io conoscevo tuo nonno e anche il suo predecessore'”

“Cosa intendete?”

“Voi elfi tentate sempre di tenervi tutto per voi, con la scusa che ne farete un buon uso. Non vi interessa a chi o come lo prendete”

L'elfo fissò Arathorn stupefatto.

“Tel'ha detto tuo padre?”

“No, mio padre è uno stupido. Lui non capisce”

“Suppongo allora che ti dia fastidio, trovarti qui”

“In un certo senso no. Questo è quello che mi da più fastidio”

L'elfo rise. Rimase in silenzio qualche istante ancora

“Vostro padre non dava mai del voi” disse

“Allora lo conoscete davvero?”

“Gli elfi non dicono menzogne. Supponevo che questo lo sapeste”

Arathorn trovò il discorso dell'elfo quasi paradossale.

“Pensavo che quelli fossero gli uomini di Gondor”

L'elfo lo fissò un istante

“E' da molto tempo che non andate a Sud”

“Si, è vero.” ora fu Arathorn a prendere tempo “Cosa c'entra il ragazzino?”
Ragazzino. Quel ragazzino avrà si e no trent'anni meno di voi. Non mi sembra carino trattarlo con tanta superiorità”

“E' normale che voi non percepiate la differenza di età come me. In ogni caso che ci fa lui qui?”

“Lo avete visto, no?”

Arathorn fece cenno di si col capo. A dire il vero non aveva idea di dove l'elfo volesse arrivare. Ma l'elfo non rispose. Si voltò verso di lui, lo guardò negli occhi, poi per un istante sembrò stupirsi, infine sorrise. Sembrava non spiegarsi la risposta di Arathorn. Scusate ma penso sia meglio accompagnarvi alle vostre stanze.

Arathorn rispose di si.

Attraverso un discreto numero di larghi corridoi, ornati di tutto ciò che di bellissimo Arathorn potesse immaginare, l'elfo lo condusse alla sua stanza. Con un inchino lieve lo lasciò. Così. Sembrava che non avessero nemmeno parlato. Gli elfi erano bravissimi a farlo sentire una nullità. In combattimento avrebbe davvero voluto sapere chi avrebbe vinto tra l'elfo, lui ed il ragazzino biondo. Il ragazzino. Avrebbe dovuto trovarlo, in qualche modo.

La stanza era bella almeno quanto il resto del palazzo. Certo, non era adorna come nei corridoi e nelle sale grandi, ma era molto bella lo stesso. C'era un bel giardino. Arathorn annusò l'aria profumata della primavera in quei luoghi bellissimi. Si disse che se avesse avuto tempo sarebbe uscito col ragazzino biondo e avrebbero passeggiato a lungo. Si sofermò davanti allo specchio. Le cicatrice bruciava leggermente. Non gli andava di mettere l'unguento. Non lo fece. Bevve un bicchiere di quella bevanda dolce e densa che avevano lasciato sulla scrivania in legno bianco. Si sdraiò e ai addormentò. Era maledettamente teso.


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Capitolo 2
*** Porta ***


Fengel si svegliò tra le lenzuola bianche di un letto sconosciuto.

Maledizione, pensò, sono stato di nuovo con una che non rivedrò mai più?

Si alzò a sedere. Dalle fronte cadde sulle ginocchia una pezzuola bagnata. Si voltò a destra, versoi piedi del letto e vomitò. Ora gli era tornato tutto in mente. Passare dal caldo umido del Mark el freddo senza tregua del nord. Non gli aveva fatto affatto bene ricevere quella lettera. Molte novità, diceva. Ma cosa se ne faceva uno come lui delle novità? Le aveva sempre detestate, le novità. La prima novità che gli veniva in mente era quando quel cavaliere era arrivato sotto il portone del palazzo d'oro e aveva detto con gli occhi fissi sul terreno

“Mi dispiace vossignoria..” In quel momento qualunque ragazzo di quindici anni avrebbe capito. Anche lui del resto aveva capito. Folcred e Fastred erano morti. E il vecchio Folc e il vecchio Fastr sembravano essere nati per regnare.Quindi era rimasto da solo. Suo padre lo guardava storto. Sua madre era morta. Così presto aveva cominciato ad allontanarsi da palazzo il più spesso possibile e ed a restare in giro il più a lungo possibile.

Ma, come spesso accadeva, non aveva nessuna voglia di pensare. Era maledettamente giovane. Tutto ciò che gli rimaneva da sperare era che suo padre vivesse molto a lungo. Oppure di morire. Il mondo non avrebbe sentito la sua mancanza.

“Dovete bere qule bicchiere che avete accanto” disse una voce di donna.

Fengel si voltò, ma non la vide chiaramente. Sembrava avvolta da un'aura luminosa.

“Cosa c'è un quel bicchiere?” chiese. Non gli interessava affatto.

“Vi farà passare il mal di testa.” rispose la voce.

Fengel la vide. Era davvero molto bella. Aveva lunghi capelli biondi e un sorriso dolce. Appena vide il suo viso, Fengel ebbe la certezza che era stata quell'elfo a scrivere la sua lettera. La sua pelle profumava leggermente di pesca. Ma non uno di quegli odori forti che poi non andavano più via dal naso. Un odore fresco.

“Chi siete?”

“Questo non importa. Bevete”

Fengel bevve.

“Dov'è il mio compagno?” la bevanda aveva un sapore orribile.

“Voi non lo conoscete neppure.. Cosa v'importa?”

“In primo luogo è l'unico mortale in tutto gran burrone. In secondo, mi ha portato sulle sue spalle e questo basta perchè io mi fidi di lui” era un ragazzino dalle espressioni estreme. Per poco non aveva sputato tutta la bevanda, di quel colore verde scuro.


“Ragazzino? Svegliatevi! Svegliati Fen!”

Fengel si alzò di scatto. Dalla sua fronte dalle ginocchia cadde una pezzuola bagnata. Con gesto veloce e repentino della mano sinistra, colpì una coppetta ripiena di un maleodorante liquido verde scuro. Questa cadde a terra e si ruppe. Fengel si guardò attorno. Probabilmente aveva sognato. Era difficile immaginare quell'ambiente fin nei minimi particolari come lui aveva fatto.

“Che ci fai qui?”

“Hai dormito per oltre cinque ore. I signori di questa gente hanno deciso di parlarci subito.”

Fengel si alzò in piedi.

“Voi siete della stirpe dei Re, vero?” chiese.

Arathorn rimase un istante perplesso. Non avrebbe mai immaginato che quel ragazzo avesse studiato la sua discendenza tanto da sapere che prmai da centinaia di anni i nomi dei Re avevano come prefisso la particella Ar, invece di quella Tar.

“Perchè mi fai questa domanda?” rispose

“Non lo so. Ho sognato mio fratello che mi raccontava una storia su Tar-Pharazon, l'ho visto in faccia e ti assolmigliava molto. A parte” gesticolò con le mani sul viso. “a parte la cicatrice”

“Capisco” forse il ragazzino non si ricordava la storia. Non era certo un complimento essere paragonato a Tar-Pharazon. Se non altro era stato un uomo molto ricco.

Fengel comprese che quella risposta era un si. In effetti non era vera, la storia di suo fratello e di Pharazon. Era stata un'impressione. Per qualche secondo aveva immaginato Arathorn, il suo bel viso segnato dalla battaglia, i suoi occhi grigi, i suoi capelli neri, sovrastati da una bella corona lucente. Così Arathorn avrebbe pensato che era itelligente. Che mossa stupida, accidenti. Però aveva sognato davvero che suo fratello Folcred lo chiamava e diceva 'Il Re è tornato'. Folcred. Sarebbe diventato lui Re, se fosse vissuto. Era estremamente retto e tutto il resto. Fastred era un guerriero eccezionale. Quando gli avevano detto che era morto non ci aveva creduto. Doveva essere davvero in gamba quell'orco che l'aveva fatto fuori. Gli avrebbe quasi dato una medaglia, a quell'orco se l'avesse incontrato. Ammazzare Fastred non doveva davvero essere stata una cosa da poco.

Adesso si sentiva uno stupido vecchio. Non faceva che pensare al passato. A dire il vero avrebbe preferito che fosse andato suo padre, in guerra, che lui avesse vinto o perso, che fosse morto o rimasto in vita. Suo padre non gli era mai piaciuto più di tanto.

Arathorn lo fissò con occhi interrogativi. Quel ragazzino pensava un sacco e parlava poco. Forse era un po' affrettata come conclusione. In realtà quella era la prima volta che lo vedeva sobrio.

Fissò di nuovo i suoi occhi verdi. Erano davvero bellissimi. Sorrise. Voleva conoscere quel ragazzo. Era davvero un sacco di tempo, pensò, che gli uomini della sua razza non si frequentavano con quelli che abitavano tanto a Sud.

Chissà cosa gli avrebbero dettogli elfi. Non ne aveva proprio idea.

“Scusa, signor Re, ma sei sicuro di dove stiamo andando?”

“Me lo ha detto l'elfo all'entrata”

“Capisco. Grazie per avremi aiutato qua fuori” disse lentamente. Non sapeva di chi stesse parlando Arathorn. Ma non era uno cui piacesse fare domande.

“Se fossi stato abbastanza grande avresti fatto lo stesso”

Fengel rise.

“Senti, Arathorn, chi cel'ha fatto fare di venire qui?”

“Tu ti sei presentato alla mia porta con una lettera in mano e una bella ragazza che ti stringeva le braccia al collo.” Fengel si spresse con uno sguardo vuoto. Arathorn immaginò non si ricordasse neppure di cosa stava parlando, tanto doveva essere ubriaco quel giorno. “Hai detto che 'gli elfi spocchiosi volevano parlarci'”

Fengel fece cenno ad Arathorn di abassare la voce

“Non dovresti dirlo qui! Che idea si faranno di me?”

Arathorn scoppiò a ridere.

“Quanti anni hai ragazzino?”

“Ne compirò ventuno tra due mesi”

Arathorn lo fissò.

“D'accordo, ne compirò diciannove” Arathorn rise di nuovo “E tu quanti anni hai?”

Stupido. Si aspettava una domanda simile. A dire il vero sembrava forse più vecchio della sua età, forse, almeno tra la sua gente. Aveva sempre viaggiato, con la spada sotto braccio, da quando era nato. Non ricordava nemmeno di aver cominciato a combattere, non sapeva dragli un inizio. E probabilmente sarebbe morto in battaglia. Ora, Arathorn non era uno di quegli uomini sanguinari che provano gusto nel verder contorcersi i corpi in putrefazione degli orchi. Ma suo padre era fatto così. Suo padre era davvero convinto che quelli della loro stirpe avessero ancora qualcosa di speciale. Diceva di dovergli insegnare a difendersi. Forse era vero. Gli orchi avevano una certa predilizione per i comandanti dei Dunadan. Accidenti, ora che ci pensava aveva visto più orchi stramazzare al suolo che donne in tutta la sua vita. Forse un po' di tranquillità là, tra gli elfi spocchiosi,gli avrebbe fatto bene.

“Vado sui cinquanta”

“Ma allora è vero! Sono vere tutte quelle favole che ti raccontavano da ragazzino se non era così veloce da riuscire a scappare via prima! Quelle che parlavano di grandi Re longevi! Alte navi ed alti Re!”

Alte navi?”

“Era una canzone! Non la conosci? Tre volte tre” canticchiava. Fengel aveva una bella voce fresca. Era proprio un ragazzino. Gli piaceva molto. Si stava decisamente emozionando. Per lui doveva essere come un re leggendario e famoso, nobile e celebrato in molti antichi canti. Arathorn invece aveva la certezza che mai nessun poema sarebbe mai stato scritto in suo onore, né in quello di suo padre, né in quello di suo nonno. E forse nemmeno di suo figlio.

“Siamo arrivati” mormorò sorridendo. Quello che Feren vide non fu altro che un'alta porta nera con delle iscrizioni in elfico probabilmente d'argento. Non era la più vistosa del palazzo, né la più rozza. Sembrava una delle tante. Questo lo spaventava moltissimo.

Poi, Feren sorrise. Nessuno dei due uomini avrebbe mai aperto quella porta. Non che fossero due vigliacchi. Ma quelli erano elfi, maledizione. In qualche modo gli erano superiori.

Arathorn sorrise. I sorriso di Feren era fresco, quasi quanto la sua voce. In quel momento gli riusciva impossibile figurarsi cosa avesse portato quel ragazzo dall'aria così semplice a presentarsi alla sua porta ubriaco fradicio. No, Feren non aveva affatto l'aria semplice. Forse era più intelligente di lui, pensò Arathorn. Era così complesso che reputarlo semplice era la cosa più semplice da fare. Si, questo discorso non ha senso, pensò.

“Se non vi deciderete a entrare saremo costretti a rimandare la cosa” disse qualcuno alle loro spalle. Fengel lo fissò. Sembrava un elfo, dopotutto. Dopotutto perchè aveva il viso duro. Doveva essere anziano. Aveva i capelli più neri che mai Fengel avesse visto. Aveva pensato la stessa cosa vedendo quelli di Arathorn. Il fatto era che non era abituato ai capelli neri. La prima volta, a sei anni, che aveva visto un uomo di Gondor, con i suoi capelli corvini, gli aveva dato di orco. Quell'uomo era il sovrintendente di Gondor. La cosa non gli era piaciuta affatto. Adesso non ricordava il suo nome. Suo fratello aveva riso molto. Non ricordava quale.

“Siete voi” disse Arathorn. Questò per un momento spiazzò Fengel. Arathorn non sembrava un uomo da Elfi. Arathorn non era un uomo da Elfi. Ora se lo ricordava. Quel tizio era la figura scura che aveva intravisto quando erano arrivati. Forse i due si erano parlati in sua assenza. Questo gli pesava. Se Arathorn fosse passato dalla parte degli elfi la cosa sarebbe diventata non complessa, ma quasi impossibile. Fengel si chiese di cosa stesse parlando. Forse era un altro modo di dire a se stesso che aveva paura senza restare ferito in quel poco orgoglio che gli era rimasto. Arathorn si sentì tentato di dare almeno la mano a quell'elfo, così sbruffone, che era riuscito a restargli simpatico. Poi si disse che l'elfo non ne sarebbe stato felice. Forse non conosceva neppure il significato di un gesto simile.

“Buon giorno, giovane sire del Sud” l'elfo si rivolgeva a Fengel. Quell'attenzione rivolta nei suoi confronti, gli diede fastidio. Ricambiò con un sorriso falso e veloce. L'elfo rise. Forse se non fosse stato un elfo, pensò Fengel, avrebbe riso di gusto. Forse sbagliava ad avere un'immagine così negativa di loro, pensò. No, si rispose.

l'elfo si spostò verso destra, come a far cenno di volerli far passare. Arathorn si chiese se aveva intenzione di prenderli ancora in giro a lungo. Li reputava dei vigliacchi, oltretutto. Lo faceva scherzando. Quell'elfo doveva davvero aver passato del tempo tra i mortali, per aver sviluppato quel genere di umorismo. Portava ancora vesti nere. Era forse l'essere vivente più elegante che avesse mai visto. Così nero. Forse tra gli elfi era una rarità. Forse voleva dire voglio tenermi fuori dalla mia razza. Era un modo molto particolare di affermare una cosa simile. Gli elfi dovevano essere davvero molto legati alle loro apparenze. Forse per questo quell'elfo gli piaceva. Perchè vestiva di nero. E poi voleva chiedergli di suo padre. Come, dove e quando lo aveva conosciuto. Si stupì. A volte le sue supposizioni lo portavano davvero ovunque. E non le valeva la pena dato che per la maggior parte erano errate. Sorrise tra se stesso.

Poi, allungò la mano come ad aprire la porta. Sia l'elfo che Fengel lo guardarono in modo strano. Dovevano pensare davvero che fosse un vigliacco. Avrebbero solo dovuto vederlo combattere. Girò il grosso pomello di legno scuro.

“Aspetta” disse Fengel. “Tu non conosci il nome di quest'elfo?”

Arathorn non capiva. Fece cenno di no col capo.

“Che ne sai? Magari abbiamo sbagliato strada? O forse ci vogliono fare fuori a tutti e due!” Fengel scherzava. Ma sembrava piuttosto convinto che quella potesse essere una possibilità.

“Non essere sciocco. Se ci avessero voluto uccidere, lo avrebbero già fatto” arathorn volse lo sguardo verso l'elfo. Rideva.

“Nessuno si prenderebbe la briga di ammazzare due come voi”

I due uomini lo fissarono. L'elfo sapeva perfettamente di averli offesi. Per lo meno adesso, sarebbero rimasti in silenzio. Erano davvero buffi.

Fengel sfiorò il pugnale che portava alla cintura. No, quell'elfo non gli piaceva per niente.

l'elfo si fece avanti. Per un momento Arathorn, rimasto immobile e in silenzio, pensò davvero che Fengel avrebbe attaccato quell'elfo. Doveva aver dormito molto male, il ragazzo, pensò. L'elfo lo scostò e aprì la porta. Arathorn ebbe l'impressione che avesse pensato che sarebbe rimasto là fuori per sempre, se non si fose mosso.

Fu così. Aprì la porta nera.

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Capitolo 3
*** Elfi ***


Maledetto bastardo, pensò Feren. Per lui doveva essere tutto maledettamente facile. Erano come quell'elfo i tipi che odiava di più. Quelli che quando lo vedevano ubrico, divincolarsi a terra, ridevano; e che, quando invece era ben vestito, nella sua dimora d'oro e legno pregiato, si inchinavano ai suoi piedi.

Arathorn era forse più teso di lui. Non l'avrebbe mai ammesso, però.

Arathorn si allungò verso l'interno della porta. L'elfo era già entrato. Tu non hai paura, si disse. No, non aveva paura. D'altronde cosa avrebbero potuto dire o fare che lui già non sapesse? Avrebbero potuto ucciderlo e nessuno avrebbe sentito la sua mancanza, dopo che suo padre era morto. Oppure avrebbero potuto ripetergli, come già sapeva fin troppo bene, che la sua stirpe era ormai decaduta e che certo il suo popolo e lui in maniera principale, non avevano contribuito di certo a dare lustro alla loro progenie. Che pensieri stupidi, pensò. Era un uomo piuttosto egoista, Arathorn.

Studiò la stanza. Arathorn non faceva altro che osservare da quando era venuto al mondo (oltre che combattere). Del resto era più che sicuro che nessuno, oltre lui, si sarebbe mai accorto della piccola spilla che quell'elfo portava al collo, come un ciondolo ( ma ne era certo, era una spilla). Nessuno si sarebbe accorto che l'aveva portata sempre, il giorno prima e quello. Nessuno si sarebbe mai accorto che la sua casacca era ricamata di verde, e non di nero. Come nessuno avrebbe notato che c'era una vecchia macchia di sangue su quella casacca. Che strano elfo, portare dei così bei vestiti in battaglia.

Era la stanza più grigia che avesse visto in quel palazzo. C'era una sola finestra, ma era chiusa e faceva passare quel filo d'aria che rendeva loro possibile respirare. Sembrava perfettamente quadrata. E spoglia. C'erano una piccola e vuota libreria bianca, e un tavolo dello stesso colore,che occupava gran parte dello spazio. C'erano anche delle piccole sedie bianche. Dovevano essere dello stesso legno, ma Arathorn non aveva mai capito nulla di legno più o meno pregiato. D'altronde a cosa serviva una cosa simile ad un uomo che a sei anni aveva staccato la prima testa ad un'orco?

Feren comparve, riluttante, alle sue spalle. Arathorn non era certo di quali fossero le sue intenzioni. Sembrava che dovesse sentirsi male a momenti. Forse era davvero così, ma Arathorn decise che il motivo era semplicemente che a Feren gli elfi in generale non piacevano proprio. Comparve poi, un elfo. Lo era evidentemente. Era forse l'elfo più elfico che Arathorn avesse mai incontrato. Era l'esatto contrario di quello che avevano incontrato. Portava bei vestiti. Sembravano grigi. Gli elfi portavano abiti davvero strani. Aveva lunghi capelli corvini. Sulla fronte cadeva una bella corona d'argento. Doveva essere molto anziano, nonostante fosse un elfo. Si leggeva nei suoi occhi grigi, che gli ricordavano qualcosa. Rimase un secondo pensando a cosa gli ricordassero. Poi si rispose. Gli ricordavano i suoi occhi. O meglio quelli di suo padre, di suo nonno, e di quello prima di lui. E quindi anche i suoi. Era molto strano. Accanto a questo elfo, c'era un'esatta versione più giovane di lui. La cosa era quasi divertente. C'era un giovane elfo dai lunghi capelli corvini e gli occhi grigi. Lui però non portava la corona. Doveva essere figlio del primo. Incredibile. Non aveva mai visto un padre e un figlio che si somigliassero tanto. Incredibile.

Seduto su una di quelle sedie bianche era un uomo anziano, vestito di grigio. Aveva occhi azzuri e intelligenti, ma sembrava molto vecchio. Arathorn lo riconobbe. Lo aveva visto quando, in qualche occasione era venuto al Nord per parlare con suo padre. Lo chiamavano Gandalf, perlopiù. Sorrideva, il vecchio. Arathorn sorrise anche lui, anche se non ne avrebbe avuto voglia. Forse il vecchio pensava che Arathorn si ricordasse di lui, ma si sbagliava. Aveva in mente solo poche immagini. Cominciavano ad essere noiosi, questi immortali. Potevano essere tutto, belli, colti, tutto quello che volevano, ma non c'era dubbio, erano noiosi da morire. Questo doveva pensare Feren. E Arathorn gli dava ragione, assolutamente

L'elfo anziano si inchinò. Non troppo, tanto da far vedere che gli interessava qualcosa dei due mortali.

Feren e Arathorn fecero lo stesso. L'elfo non sembrava abituato a riverenze tanto misere. Non gli piacevano i mortali, penso Fengel. Non era un problema. Nemmeno a lui piacevano gli elfi. Ma per la prima volta si chiese per quale motivo li avessero chiamati laggiù. Forse volevano davvero ammazzarli.

“Sedetevi” dise l'elfo vestito di nero. Lo disse come se si fosse chiesto perchè non lo avessero fatto prima.

Arathorn si sedette. Fengel rimase in piedi alle sue spalle.

Il vecchio sorrise, mettendo della strana erba secca nella sua lunga pipa. Arathorn lo fissò. Non aveva mai visto dell'erba pipa.

Il più anziano dei due uomini gesticolò.

“Vorremmo solo sapere” disse “cosa facciamo qui”

“Innanzi tutto” disse il vecchio “conoscerete i nostri nomi. Quelli della vostra razza mi chiamano Gandalf, anche se più a Sud Mithrandir, come gli elfi. Altri ancora mi chiamano lo stregone grigio. Forse avrete sentito parlare di me, allo stesso modo potete non averne mai sentito” lo stregfone prese fiato “Questo alla mia destra è Elrond. L'uomo che vi sta ospitando.” Arathorn abbassò il capo. Elrond, parve compiaciuto. Sembrava abbastanza stupido. Arathorn si ricordò per l'ennesima volta che le sue supposizioni erano per lo più sbagliate, e qundi con molt facilità, quello era l'elfo migliore che mai fosse vissuto.

Poi lo stregone indicò l'elfo più giovane

“Questi, è invece suo figlio Elohir” non c'erano dubbi che la loro somiglianza fosse quasi ridicola. “E infine, anche se lo avrete già incontrato e lui vi avrà già rivelato il suo nome..” Gandalf guardò l'elfo. L'elfo vestito di nero rideva. Non gli aveva rivelato il suo nome, ai mortali. “Reimer..” Gandalf sembrava quasi arrabbiato “Reimer sei stato scortese. Come avrete capito il suo nome è Reimer. Forse i vostri genitori ve ne hanno parlato come 'Il maledetto'. Ora abita verso est, ma un tempo viveva al nord”

Reimer il maledetto. Arthorn ne aveva sentito parlare da suo padre. Un elfo che aveva dato una mano a quelli della sua stirpe. Un elfo, anzi, che era stato dei loro per un lungo lasso di tempo. Ma se n'era andato con una donna elfo. Dicevano che ogni tanto, nei momenti di maggiore bisogno, era solito tornare a Nord. Dicevano anche che era un grande guerriero. Icevano molte cose, ma Arathorn non ci aveva mai creduto. Ora che ci pensava avrebbe potuto farlo. Suo padre parlava poco. Se aveva parlato per riferirgli di Reimer il maledetto, questo doveva avere qualcosa di importante.

“Perchè il maledetto?” mormorò Fengel. Gandalf si fece avanti come per parlare, ma Reimer lo fermò.

“Dicono che chiunque io stia accanto muoia. Finirò ammazzato per questo un giorno o l'altro.”

Fengel cambiò espressione, rispose con un suono indistinto.

Questo Arathorn lo ricordava. Suo padre glielo raccontava ridendo. Suo padre non credeva a quello che la gente diceva in giro.

Elrond si alzò e girò il pomello di legno della porta. Sorrise e ne uscì. Questo li lasciò di sasso. Quel comportamento non era affatto logico.

“Ci siamo” disse Elohir. Visto da solo aveva un'aria molto più credibile.

Feren tentò di dargli più attenzione. Ma gli rimaneva incredibilmente difficile concentrarsi.

“Voi morirete presto, anche se visto che siete mortali sarebbe meglio dire abbastanza presto, non riceverete onori, non sarete ricordati da canto alcuno. Nel migliore dei casi il vostro popolo vi dimenticherà, nel peggiore vi disprezzerà. Ma in ogni caso, avevate bisogno di essere convocati qui.” Feren trovò che quel discorso non avesse senso. In pratica gli stava dicendo che la loro vita era inutile, come già sospettava. Sembrava che gli stessero facendo un dannato piacere ad averli convocati là.

Reimer fissò Fengel e sorrise. Doveva essere davvero molto arrabbiato, quel ragazzino.

Arathorn rimase impassibile. Si sentiva scioco e preso in giro, ma tutto doveva avere un senso. Erano Elfi e per loro tutto aveva un senso.

Elohir guardò Gandalf come a chiedergli cosa fare. Gandalf gli fece segno di mettersi a sedere.

“Vi chiederete questo cose significa.” disse Gandalf “perchè vi trovate qui. Era una cosa che Elrond faceva molto tempo fa. Riuniva i sovrani di Numenor e quelli del Mark e passava con loro giornate intere. Ma voi siete molto diversi. E anche Elrond è diverso. Siete qui per dei motivi quasi concreti. La vostra progenie ridarà lustro alle vostre casate. Il male sale da Sud. E saranno i vostri figli” si rivolse ad Arathorn “o i figli dei vostri figli, a combatterlo.”

“Perdonatemi ma io ancora non capisco” Arathorn rideva, mentre Fengel parlava. “Ci avete chiamati qui per dirci che avremo dei figli”

Reimer sbuffò. Se quei due non si fossero decisi a capire, forse li avrebbe picchiati.

“Siete qui per stringere patti, alleanze, amicizie persino. Tutte cose molto elfiche, ma potrebbero esservi utili. E se non a voia quelli che vi seguiranno.”

Gandalf fissò Reimer “Non sono stato abastanza chiaro?” gli disse all'orecchio. Reimer fece cenno di no col capo.

Fengel si passò la mano tra i capelli. Non aveva capito. Parlavano di figli e di alleanze. Ma cosa volevano saperne loro? Gli girava la testa. La sentiva leggera. Sudava. Non ebbe neppure tempo di pensare che stava cadendo, che gli altri videro il suo corpo cadere riverso sul pavimento.


“Ben svegliato.” disse ironicamente la voce di Arathorn “La prossima volta che ti senti male ti lascio lì, com'è vero che ti chiami Fengel. Stai cominciando ad essere noioso.”

fengel si stropicciò gli occhi. Non si era nemmeno accorto di aver dormito. Quasi gli dispiaceva di non aver sognato nessuno dei suoi fratelli. Adesso si sarebbe sentito in colpa per tutto il giorno.

“A parte gli scherzi, Fen” riprese Arathorn “posso chiamarti Fen?” Fengel annuì “Fen, il vecchio dice che tutto quell'alcool ti ha roso lo stomaco.”

Fengel fece una smorfia. “Non capisci nemmeno quello che ti sto dicendo, vero? Sei un ragazzino, Fen!” Fengel mugolò e si rimise a dormire. Arathorn pensò che sarebbe stato inutile tenerlo sveglio ancora. E anche se fosse stato utile, non ci sarebbe riuscito.

Alle sue spalle Reimer, l'elfo scuro, rideva.

“Davvero lo trovi così divertente?”

“No, mi ricorda qualcuno che conosco.” Arathorn lo fissò incerto. Forse quell'elfo era un malato di mente. “Ce ne andiamo a fare un giro, in questo posto ci sono troppi elfi” disse sempre l'elfo.

“Siamo a Imladris, è certo che ci sono molto elfi”

“Se cerchi molto bene, troverai anche dei mortali. Ma pochi.”

“Vuoi solo uscire dal palazzo?”

l'elfo fece cenno di si.

Arathorn annuì. Sperava che Fengel non si sarebbe svegliato.

Lo seguì. Non sapeva bene per dove. Attraversarono molti posti che non avrebbe mai visto. Le strade erano bianche. Era tutto così bello da risultare quasi insopportabile.

Vide moltissimi elfi. Elfi belli ed elfi meno belli. Non vide nessun mortale.

Reimer sembrava conoscere quei posti e quegli elfi. Me ne salutò pochi. Non dovevano avere importanza.

“Dove mi stai portando?” chiese Arathorn.

“Non ne ho idea.” rispose Reimer.

Arathorn rispose con un gemito.

“Il ragazzino ha dormito per tutta la notte?” chiese Reimer

“Sembra non avere ancora voglia di svegliarsi” rispose Arathorn. Reimer rise.

“Sei come tuo padre” disse. Arathorn rimase in silenzio per qualche istante. Improvvisamente aveva voglia di parlare di suo padre.

“Io come mio padre? no. Mio padre era valoroso, era forte, e amava la solitudine. E soprattutto credeva in se stesso”

“E per te non è la stessa cosa? Hai vissuto la sua vita.”

“Io combattevo perchè lui desiderava che io combattessi. Riteneva che dovessimo difenderci sempre. Sempre fuggire. Io non ero come lui. Avrei voluto fermarmi, ma non ebbi mai il coraggio di dirglielo. Avrei voluto conoscere mia madre ma non glielo dissi mai. Il fatto è che sono nato vigliacco”

“Tuo padre, ha vissuto con le tue medesime angoscie e paure. Come vivrà tuo figlio”

“Io non voglio che mio figlio diventi come me” Arathorn ebbe paura. Dopo tutto ciò che gli era stato detto, adesso aveva paura. Adesso non desiderava più avere nessun figlio che soffrisse quanto avesse sofferto lui stesso.

“Senza tuo figlio la nostra terra resterà la stessa.”

Arathorn sospirò. Forse il dannato elfo arrogante aveva ragione.

“Io lo sapevo perchè vi chiamano maledetto.” disse “voi eravate là quando avvenne la Caduta di numenor”

“Esattamente. Ma se ne avessi parlato al tuo amico, probabilmente non mi avrebbe capito”

“Non prendete in giro Fen!”

“Voi mortali siete tutti uguali. Sempre pronti a morire l'uno per l'altro. Una caratteristica stupida e sciocca” Reimer si sedette sotto l'ombra di un albero dalle foglie chiare “ma che vi rende migliori della gran parte delle creature che abitano questa terra”

Arathorn non aveva seguito l'ultimo discorso di Reimer. Aveva perso l'attenzione, ecco tutto.

“Ma voi che c'entrate con questa storia? Voglio dire, quelli elfi ci hanno chiamato qui per dirci che siamo delle nullità. Ma voi..”

“Sono generazioni che aiuto la tua gente e tu non ne sai niente.” Reimer rise tra se “E' per questo che l'ho sempre fatto. E poi la cosa è un'altra. E' la dama che mi ha portato via dal Nord quella che ha sognato tutta la storia dei figli. È una specie di indovina o giù di lì, anche se non se ne rende conto. Dovresti essere onorato. Una donna bellissima ti ha sognato. Io dovevo solo comunicare la visione di lei allo stregone. Ma mi hanno chiesto di restare qui.”

“Capisco..”

“Non mi stai ascoltando, vero mortale?”

“No” rispose “lei chi è?”

“La donna elfo?” Arathorn fece cenno di si col capo “Non siamo sposati né niente. Io le guardo le spalle”

“Capisco..”

“Non mi ascolti neanche adesso. Torna dal tuo amico. Fa' attenzione, potresti perderti. Passa di là” Reimer indicò a Arathorn la strada da seguire. Arathorn fuggì verso la camera di Fengel.

Appena Arathorn fu abbastanza lontano, alle spalle di Reimer comparve un elfo.

“Quella era la strada per le stanze di mia sorella o sbaglio?” disse Elohir

“Non ti sbagli” Reimer iniziò a ridere. Elohir, suo malgrado, fece lo stesso.



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Capitolo 4
*** Stelle ***


Arathorn corse per una decina di minuti. Era piuttosto stanco, il terreno era sconnesso. E nonostante si fidasse di quell'elfo, dopotutto, quella strada non lo convinceva affatto. Non gli sembrava la direzione giusta, ecco tutto. Si sentì improvvisamente stupido. Faceva sera e una brezza leggera si alzò. Cominciava ad avere freddo. Reimer gli aveva dato una crema nuova per la cicatrice. Puzzava un po' meno e bruciava di meno. Se la mise, l'aria degli elfi gli afceva venire ancora più male. C'era qualcosa che non lo convinceva, in quell'aria. Aveva sorpassato un cancelletto qualche centinaio di metri prima. Questo non lo convineceva oltre al fatto che gli era parso costantemente di starsi allontanando dal palazzo.

Non fidarti mai più di un elfo, si disse.

Sentì dei rumori venire da poco più nel profondo di quel bosco rado in cui era andato a trovarsi.

Si nascose. Erano passi legeri di un elfo. Si tranquillizzò. Era difficile pensare che degli orchi lo avessero seguito sin là, ma lo aveva fatto. Aveva addirittura impugnato la sua arma. La donna elfo. Era bellissima, maledizione. Era la cosa più bella che avesse mai visto. Sembrava che brillasse di luce propria. Senza accorgersene Arathorn si commosse. Si sentì nuovamente stupido. Stava piangendo per la bellezza di una dama. La spada gli cadde dalle mani. Stava per sentirsi male. La dama si voltò. Doveva aver sentito il rumore provocato da quel pezzo di ferro, che cadeva.

“Chi siete? Cose ci fate vi qui?”

Sorrideva. Arathorn temette di averla spaventata. Si sbagliava.

“Chi siete?”

“Io” balbettò “Io... mi dispiace, mia signora. Non volevo è stato quell'elfo..”

“Non proccupatevi. Erano davvero molti anni che non vedevo qualcuno di nuovo”

Arathorn si stupì. Era devvero bellissima.

“Parlate, avanti!” disse la donna. Arathorn rise. Non avrebbe voluto, ma lo fece. La donna lo fissò, incerta, e poi rise anche lei.

“Davvero. Non so nemmeno chi siete. Voglio dire, forse dovrei saperlo, ma non ne ho idea. Scusate”

“No, mio signore, mi fa piacere, davvero. Voi siete un mortale?”

era incredibile come detta da lei la parola 'mortale' avesse un bel suono.

“Si” non riusciva prorpio a dare risposte più lunghe senza che fossero completamente sconnesse.

“L'ho capito.. dalla cicatrice” disse gesticolando sul viso.

Arathorn rise.

“Già, penso che nessun'elfo si ferisca mai in battaglia, vero?”

“Il più delle volte quando vengono feriti, vengono anche uccisi”

“Capisco”

“Dove ve ne andavate così veloce? Vi ho visto, quando siete arrivato? E di ch elfo parlavate” Quasi Arathorn non ascoltava le sue parole. Era bellissimo, il loro suono. Era come se stesse cantando.

“Io.. voi abitate qui, per cui saprete che io e un mio compagno mortale siamo stati chiamati qui” la donna fece segno di no col capo “Ad ogni modo, questo mio compagno si è sentito male ed io stavo andando a vedere come stava” Arathorn si stupì di quanto dolcemente stesse parlando. Non pensava davvero di esserne capace.

“E chi è stato a dirvi di venire da questa parte?” disse la donna bellissima

“Oh, uno sciocco, suppongo. Il suo nome è Reimer, un elfo bello, con lunghi capelli neri e..”

“Reimer? Reimer è qui? Non mi fanno mai sapere nulla quando sono qui. Mio padre mi lascia sempre all'oscuro. Reimer, uno sciocco? Vi starà trattando da tale, penso”

Ma Arathorn non seguì la gran parte del discorso di lei.

“Vostro padre? Chi è vostro padre?”

“Mio padre? Mio padre è sire Elrond”

“Sire Elrond..” Arathorn la riconobbe. Era bellissima. Aveva lunghi capelli corvini. Era vestita di colori chiari, ma che davano sul blu e l'argento. E aveva quegli occhi meravigliosi. Occhi grigi. Che gli ricordavano i suoi. Che gli ricordavano Elrond.

“Quindi il vostro nome è..” disse lui

“Io sono Arwen, la stella del vespro, mi chiamano”

“Io sono..”

“Voi siete un'uomo del nord. Ma i vostri occhi.. sono differenti. Voi non potete essere... voi siete... Nelle vostre vene scorre il più regale dei sangui”

“Esatto”

“Il vostro nome?”

“Io sono Arathorn. Sono del Nord”

“Lo avevo detto”

Fu così. Arathorn non riuscì a farne a meno. La guardò negli occhi. Era felice, in quel momento. Lei gli aveva dato la felicità. Era davvero bellissima. Afferrò la mano di lei. La sua pelle bianca e profumata. Arwen lo fissò e rise. Anche Arathorn sorrise. In quel momento aveva la certezza di non sentirsi stupido. Le si avvicinò.

“Io penso... che devo andare” disse. Arwen perse il suo sorriso per un istante. Poi lo recuperò. Arathorn si allontano, di corsa. Si fermò e la guardò di nuovo.

“Devi andare di là” disse lei. Rise. Arathorn si voltò di nuovo e le diede le spalle “Tornerai?” mormorò la dama. Sembrava divenuta improvvisamente triste. Arathorn la fissò. Non lo sapeva. Non sapeva cos'avrebbe fatto. Ora sapeva solo di essere colmo, straboccante di felicità. Non avrebbe potuto sopportarlo ancora a lungo. Non rispose. Fuggì soltanto.



Fuggì. Si sentì improvvisamente stupido. Come poteva un uomo come lui provare certi sentimenti per una donna, anzi per quella donna elfo? Doveva essere diventato scemo, si disse. Anche solo per non averla riconosciuta. Uno stupido davvero. E ancora più stupido di lui era stato quell'elfo dagli abiti scuri. Reimer era davvero un ragazzino. Forse fingeva solo di esserlo e in realtà si trattava del più complesso degli uomini che abitavano su quella terra. Arathorn si fermò nella sua corsa. Aveva davvero pensato uomo? Reimer doveva essere davvero molto complesso. In ogni caso, complesso o meno che fosse, lo aveva messoin un mare di guai. Cos'avrebbe fatto ora il povero mortale? Elrond sarebbe mai venuto a sapere dell'accaduto? E se lo fosse venuto a sapere quale sarebbe stata la sua reazione? Gli elfi erano davvero strani, accidenti. C'era la stesa probabilità che Elrond chiedesse di vederlo morto che gi chiedesse di sposare sua figlia. Ad ogni modo, Arathorn, giudicò la seconda probabilità decisamente improbabile. Sospirò. Avrebbe dato qualunque cosa per rivederla. O forse no. Forse avrebbe dato qualunque cosa per non averla mai vista.

Stupido Reimer, pensò. Senza accorgersene si era ritrovato a passeggiare da solo. Andava dove i piedi lo portavano, e in effetti, non aveva nessuna voglia di pensare. Aveva fame, si disse. Se non avesse mangiato qualcosa subito sarebbe svenuto.

Si guardò attrono. Sbadigliò. Lo aveva dimendicato. Acidenti. Il ragazzino era rimasto da solo per tutto il giorno. Ed era tutta colpa di Reimer. Stupido Elfo. Decise che avrebbe portato a Fengel anche il suo pasto. Arathorn era fatto così. Quando sbagliava, sentiva il naturale bisogno di punirsi. Ma il più delle volte non si accorgeva di sbagliare.

Sbadigliò un'altra volta e si schiaffeggiò. Non poteva avere sonno ora. Corse verso la stanza di Reimer. Poi ci ripensò. Non aveva nessuna voglia di vederlo. Allora si diresse direttamente verso la camera del suo amico. Gli avrebbe offerto il pasto un'altra volta.


“Dove diavolo è andato Arathorn?” chiese Fengel. Dalle sue labbra non uscì che un sussurro. Non aveva molte forze, Fengel. Era arrabbiato, ma non aveva molte forze. Forse aveva sbagliato a valutare l'altro mortale. Forse, dato che aveva sangue di elfi nelle vene, era esattamente come loro. Ma non voleva crede a nulla di simile. Di solito la sua prima impressione era giusta. Aveva molta fame. La signorina elfo, molto graziosa e tutto il resto, nel suo abito azzurro, passava puntualmente nella sua stanza, con un falso sorriso dipinto in volto, chiedendogli se volesse la sua cena. Fengel le aveva sempre risposto di no. Pensò, che se era arrabbiata non c'era da biasimarla. Il piatto che gli porgeva era sempre caldo. Doveva essere arrabbiata, la donna elfo. D'altra parte, se il signor Arathorn non si fosse presentato alla sua porta Fengel non avrebbe mangiato. Il sole era calato. Arathorn forse, aveva approfittato dell'essersi tolto quel peso di dosso e se n'era tornato alla sua gente. Eppure Arathorn non aveva il viso di un uomo simile. Fengel, con tutto il suo pessimismo, era portato a pensare che lo avessero costretto in qualche luogo, che lo avessero ucciso, o che comunque si fosse perso tra le mura di quella dimora. Fengel dava ad Arathorn molte possibilità. Fengel era sempre stato uno che si affezionava facilmente. E Arathorn era molto più anziano di lui. E tutto questo lo aveva facilitato. Soprattutto la sua cicatrice. Gli dava un'aria da poco di buono che Fengel stimava. Fengel aveva degli strani modi di stimare. Amava degli strani tipi d'uomo. Sentì gli occhi bruciare sotto le palpebre. Forse aveva un po' di febbre. Sarebbe stato davvero orribile se Arathorn lo avesse abbandonato. Forse pianse qualche lacrima, ma non se ne rese conto. In quel momento, Arathorn, assennato, scombussolato e stanco entrò dalla sua porta. Fengel sorrise per quanto gli fosse possibile.

“Scusami, Fen. È stata dura per tutti e due oggi.”

Fengel sorrise. Arathorn si guardò intorno.

“Tu non hai mangiato, stupido ragazzino” disse. Fengel rise. Arathorn si avvicinò al ragazzo.

“Hai anche la febbre!” disse. Sembrava sconcertato. “Questi elfi di cui tanto si parla non sono buoni a niente!”

Fengel alzò gli occhi verdi dalla federa del cuscino. Fissò stanco Arathorn. Poi mugolò qualcosa . Arathorn non capì cosa intendesse dire e gli si avvicinò.

“Che ti è successo” sussurrava il ragazzo “sembri ancora più scemo del solito”

Arathorn rise. Aprì la porta e fece cenno alla donna Elfo di portare loro le cene, nonostante fosse davvero tardi. La donna sbuffò e disse che sarebbe arrivata presto. Fengel rise. Arathorn era davvero in una situazione di confusione incredibile. Era ridicolo, dopotutto. Gli aveva già perdonato di essere arrivato in ritardo.

Arathorn avvicinò alle sue labbra sottili il bicchiere con dentro il liquido scuro del sogno. Ancora non l'aveva bevuto.

“Andiamo, ragazzo, bevi. Se non guarisci non ci faranno tornare a casa” ma Arathorn sembrava non essere più padrone nemmeno dei movimenti più semplici. Il bicchiere cadde ed il liquido puzzolente si riversò sulle coscie di Fengel. Il ragazzo rise. arathorn era uscito dalla sua porta on un aria da gran signore solitario, tetro e sognatore e vi era rientrato con una da perfetto idiota. Sembrava quasi che si fosse preso una cotta.

“Ti sei innamorato dell'elfo scuro, forse?” Fengel rideva.

“Stupido. No lo nominare finchè non mi sarà passata. E non fare domande, almeno fino dopo mangiato”

“Che ha combinato, il condottiero?” Fengel si riferiva ad Arathorn, ironicamente. Sapeva essere molto fastidioso, alle volte.

Arathorn, fu molto tentato dall'idea di picchiarlo, chiaramente in modo ironico, ma la donna elfo portò nella stanza il cibo che gli aveva preparato, per cui dovette trattenersi.

Fengel mangiò parecchio. Arathorn non se lo sarebbe mai aspettato. Era così magro, coi suoi lineamenti sottili. Era davvero magro. Sembrava che non avesse mai impugnata un'arma in vita sua. In effetti, questo doveva essere impossibile. Ma nonostante fosse malato, mangiava davvero molto. Arathorn rimase stupito. Mangiò davvero poco. Fengel bevve dell'ambrosia dalla coppa d'argento e fissò il compagno.

“Tu non stai bene” gli disse “Facciamo così” il ragazzo gli si avvicinò. Sembrava intontito, forse aveva bevuto un po' troppo. “Io ti dico quello che ho scoperto d'interessante oggi e tu mi racconti cosa ti è capitato”

Arathorn rise. Non era l'alcool, ma Fengel stesso. Fengel non reggeva affatto l'alcool, nemmeno quello gentile e leggero degli elfi.

“Sarà meglio che non beviate più”

“Non volete dirmi niente? Siete un maledetto bastardo, signor condottiero del Nord!” disse.

“D'accordo, d'accordo, Fen. Ti dirò cosa mi è successo se ti calmi. Ma dimmi cos'hai scoperto tu, prima perchè non ti ho capito”

“Stavo fingendo, idiota” disse Fengel. Capì cosa stesse pensando Arathorn. Ma non aveva bevuto. Aveva fatto apposta per metterlo alla prova. Così almeno, Fengel, preferiva credere.

“devi sapere che due giorni, da solo in una stanza bianca, sono deavvero molto noiosi per uno come me. Ora che ci penso forse è stato un bene che tu non ci fossi.”

Arathorn borbottò che lui era rimasto per un sacco di tempo a vegliarlo, mentre dormiva; ma Fengel non volle sentire discorsi.

“Ero qui da solo. Allora è entrato il figlio di Elrond. Ti giuro che non me lo sarei mai aspettato. È entrato e mi ha detto 'Avete bisogno di qualcosa?'. Diamine, se ci fossi riuscito gli avrei detto di andarsene! Ma non ci riuscii. Così facemmo una partita a scacchi. Fu una sua idea, ma non era davvero molto bravo e, nonostante stessi male, lo stracciai. Forse lo ha fatto apposta, però. Dovevo essere proprio malconcio, a dire il vero. Si alzò e stava per andarsene, quando mi disse 'Forse volete da leggere?' Era davvero molto elegante, Elohir. Almeno penso che fosse lui. Ero così febbricitante che non avrei riconosciuto mio padre dal suo cavallo.” Arathorn rise. Fen forse aveva davvero scherzato. Voleva che si preoccupasse della sua salute. Era molto divertente, il racconto. Ma si chiese se davvero questo avesse una fine o un senso logico. O anche solo una vaga utilità.

“Insomma” continuò il ragazzo “mi chiese se volevo qualcosa da leggere. Mi piaceva leggere, quando era più giovane, quindi gli risposi di si. Ma quando mi chiese cose io non seppi rispondergli. Allora il giovane principe sorrise maliziosamente e uscì dalla mia porta. Quando ne rientrò portava con se un paio di libri. Gli lasciò sul comodino e se ne andò. Fu molto gentile, devo riconoscerlo. Lessi i due libri nella sola giornata di oggi. Ed ecco cos'ho scoperto”

Fengel afferrò il libro che gli er apiù vicino, alla sua destra. Aveva lasciato un segno.

Di qui in poi” lesse “si parlerà di Leannel, della sua straordinaria bellezza, della sua forza, della sua assennatezza, della sua immensa tristezza, e di cosa tutto questo portò alla Terra di Mezzo. Si parlerà qui delle gesta di Talmaye lo scaltro e Salmaye il puro e soprattutto, ecco, qui inizia il pezzo che interessa noi, dell'immensa forza e coraggio di Reimer del Nord, altrimenti detto Reimer il maledetto. Reimer il maledetto, amico mio”

“Di Reimer? Che dice quel libro di Reimer e della sua dama?”

“Dice che lei è davvero molto bella. E che suo padre, un uomo giusto, scusa, un elfo, vuole conservare la sua bellezza. Anche se a me sembra piuttosto un tiranno. Parla dello spirito ribelle di lei. Insomma lei vuole combattere ma il padre non glielo permette. Deve essere ancora viva e la faccenda ancora in corso. Dice che Reimer è stato un uomo tormentato e sofferente, dalle immense doti di coraggio e abilità senza pari. Un grande condottiero, insomma. Voglio dire, quell'elfo è davvero un pezzo grosso.”

Arathorn rise. Alla fine, se solo avesse avuto il desiderio di uccidere Reimer, dopo lo scherzo che gli aveva giocato, ne sarebbe rimasto sconfitto. Quel Reimer sembrava un tipo davvero strano.

“Dice che è stato per molto tempo con i mortali. Gli altri elfi non lo volevano più con loro, siccome tutta la sua famiglia ed il suo popolo erano stati sterminati. Quindi è andato con i mortali. Il romanzo lascia intendere che abbia avuto una relazione con Tar-Miriel, che deve essere molto importatnte e..”

“Accidendi se lo è. Tar-Miriel è maledettamente importante”

“E così via. Sembra davvero uno forte. E a noi si è presentato come uno stupido”

“Ho l'impressione, Fen, che hai tuoi occhi molti risultino stupidi” Arathorn sorrideva. Fengel fece lo stesso.

“A parte tutto” riprese Arathorn “Penso che sarà meglio tenerne il naso fuori.”

“Tanto dovremo restare qui finchè non mi sarò rimesso. Voglio parlargli, almeno una volta. Una volta che duri almeno tre o quattro ore” Arathorn rise ancora. Sapeva che ora avrebbe dovuto parlare. Aveva sperato che Fengel si dimenticasse di lui, ma non sembrava uno portato a dimenticarsi le cose. Fegel lo fissò.

“Va bene, d'accordo. Ti dirò quello che vuoi sentirti dire” disse

“Non quello che voglio sentirmi dire, solo quello che è successo” ribattè Fengel

“Sono uscito di qui, dormivi. Reimer mi disse se mi andava di fare una passeggiata. Mi ha portato fuori dal palazzo. Si è messo a chiedermi di mio padre e della mia gente, ma non mi andava di parlarne. Abbiamo pure parlato di mio figlio, ma non avevo voglia neanche di questo. Allora gli ho chiesto di andare. Penso si sia vendicato, ecco tutto. Mi ha indicato la strada sbagliata. Mi sono ritrovato nei boschi che circondavano un giardino. Sono entrato nel giardino. Poi l'ho vista. Maledizione, era dannatamente bella. Davvero bellissima.”

“Bellissima? Non parlerai della loro stucchevole bellezza? Gli elfi non sono belli, sono solo perfetti.”

“No no no. Io mi riferisco a qualcosa di diverso, Fen. Non ci sono parole per descriverla” Fengel si sentì fuori luogo. Arathorn sembrava davvero in adorazione per quella donna elfo.

“Allora, aspetta. Aveva lunghi capelli biondi e la pelle bianca che profumava di pesca?” disse. Non sapeva il perchè ma Fengel aveva pensato alla donna del suo sogno. Era molto bella. Se fosse esistita davvero avrebbe dato qualunque cosa per vederla.

“Mi dispiace amico mio, ma ti sbagli di grosso. Quella di cui parlo io ha i capelli che sembrano ebano e gli occhi grigi. Ho prlato ad Arwen, la stella del vespro; e spero non accada più perchè se la vedessi il mio cuore ne sarebbe così riempito che appassirebbe se non gli fosse più concesso di rivederla”

“Voi siete così romantico” rispose Fengel “che mi date il voltastomaco, sire”

“Sciocco” Fengel rise. Pensava che uno come Arathorn non s'innamorasse mai.

“Non sei imperscrutabile come credi. E nemmeno come io credevo”

“Vuoi dormire, ora? Altrimenti non ce ne andremo mai via di qui”

Fengel rise di gusto. Non aveva sonno.

“Non c'è niente da ridere Fen”

“Si che c'è. Che farai? La dimenticherai?”

“Non ce la farò mai a dimenticarla. Spero solo di non vederla più” fengel si trattenne dal ridere di nuovo. Per un attimo gli sembrava che fossero entrambi diventati degli elfi o giù di lì.

“Parliamo come loro e portiamo i loro abiti, a cosa ci porterà questo?”

“Siamo mortali, Fen. E poi credevo non i piacessero gli immortali”

“Se li chiami così sembrano devvero superiori.”

“Si, hai ragione, è brutto da dire” c'era una grande, enorme differenza tra la parola 'mortale' e quella 'immortale'. Fengel aveva ragione.

Parlarono un po'. Ma era evidente che Fengel aveva sonno. Arathorn gli impose di andare a coricarsi. Femgel doveva essere invece naturalmente portato a dormire poco. Alla fine Arathorn secise che sarebbe stato decisamente più sicuro se fosse rimasto con Fengel, perlomeno fin quando non si fosse addormentato. Quindi si allontanò per andare aprendere un libro. La ricerca su Reimer andava approfondita, e in effetti Arathorn non aveva nulla di meglio da fare. La bliblioteca era vicina, fortunatamente. Arathorn non aveva un gran senso dell'orientamento. Prese il primo libro dove lesse il nome di Leannel. Pensò, nel tragitto al ritorno, nonostante temesse di perdersi. A dire il vero Fengel non sembrava avere molta voglia di tornare a casa. Forse nessuno lo aspettava. Forse aveva paura di quello che vi avrebbe trovato. Era sveglio, ma era solo un ragazzino. E Arathorn pensò che anche lui non avrebbe avuto nessuno ad aspettarlo, a casa. Doveva riprendersi ciò che gli apparteneva, maledizione. Era scappato troppo a lungo. Fissò nella sua mente l'immagine di Fengel. Nonostante tentasse con tutte le sue forze di figurarselo in un futuro non troppo vicino, nel suo bel reame, con il suo bel palazzo e la gente che l'amava, Arathorn non ci riuscì. Fengel non sarebbe stato capito, questo temeva, e forse non si sarebbe mai capito nemmeno per se stesso. Per questo era certo di piacere al ragazzino. Non gli era stato ostile, ecco tutto. La mente di Fengel era dannatamente veloce.

La spalla di Arathorn urtò contro quella di qualcun'altro che procedeva nella direzione opposta.

“Vi auguro una buona notte, sire Arathorn” disse una bella voce forte.

Arathorn lo fissò, quasi con rabbia. Era Reimer.

“Io... non voglio parlarvi oggi!” così Arathorn scappò via. Faceva sempre così quando non era sicuro delle sue reazioni.


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Capitolo 5
*** Leggere ***


Quando Arathorn rientrò nella stanza di Fengel, sembrava che si fosse già addormentato. In ogni caso Arathorn non si fidava affatto, quindi restò al suo fianco per qualche tempo. Tentò di leggere, ma invano. Era molto stanco e la giornata era stata impegnativa per un uomo come lui. Quindi decise il prima possibile che Fengel stava riposando davvero. E si ritirò nelle sue stanze sperando che la notte sarebbe durata a lungo.

Fengel si alzò, non appena Arathorn fu abbastanza lontano. Forse era davvero un uomo semplice. O più semplicemente era davvero sconvolto dall'incontro con quella dama. Gli sembrava molto strano. Che un uomo riuscisse a perdere la testa in quel modo per qualcuna che aveva visto solo per pochi minuti. D'altra parte Arwen era davvero il più rinomato esempio di Elfo che Fengel conoscesse. Dopo suo padre e suo fratello, chiaramente. Reimer stesso non doveva avere la sua fama. Reimer. Gli avrebbe fatto piacere parlargli ora, ora che sapeva di lui tutto quello che era necessario sapere.

Non aveva l'idea esatta di andare a cercarlo quando decise di fare una passeggiata all'interno del palazzo. In effetti lo aveva dimenticato presto. Si mise indosso delle vesti bianche, che non gli appartenevano. Non gli piaceva l'idea di portare vestiti non suoi. Ma lo fece ugualmente. Si mise delle scarpe leggere e se ne uscì dalla su stanza.

Così, come accade il più delle volte, senza accorgersene si smarrì. Quel posto era stranamente attraente. Era come se tutta la cultura elfica gli si fosse posta davanti agli occhi. Ne era attratto. Ma detestava davvero gli elfi. In effetti in tutto lo splendore di quei corridoi, Feren sentiva freddo. Ma gli piacevano tutti quei begli oggetti di manifattura elfica. E se gli elfi in genere avevano un pregio, era quello di non eccedere in quanto bellezza. Questo certo non si poteva riferire ai loro visi, abiti e portamenti; o comunque alla maggiorparte di quelli della loro razza. Spesso erano loro stessi succubi della loro bellezza. E diventavano stucchevoli, eccessivi, e forse finanche pacchiani. Ciò non toglieva che quei corridoi fossero davvero belli. Freddi, ma in ogni caso belli.

Fengel studiò le opere per quanto gli fosse possibile. Era forse un compito più adatto ad Arathorn. A Fengel non piaceva affatto osservare. Preferiva giungere da solo alle sue conclusioni. Ma era evidente. Era evidente che agli elfi piacevano i tratti leggeri e le figure realistiche. Dipinti con schemi precisi, sembravano un po' tutti uguali agli occhi di quel ragazzino, nonostante fosse chiaro che erano realizzati da artisti differenti. Fengel si meravigliò di quanto fosse erudito il suo discorso e poi si chiese perchè, senza darsi alcuna risposta. Ma poi, qualcosa di diverso dalle altre pitture, colpì il suo sguardo.

Sembrava celato, nascosto agli occhi di chi non l'avesse cercato o di chi non avesse conosciuto già dove fosse nascosto. Spostò quelle tende che lo nascondevano. Era l'arazzo, o quadro o di qualunque cosa si trattasse, più bello che Fengel avesse visto in tutto il palazzo, anzi, che avesse mai visto. C'era una donna bellissima. Era sdraiata e i suoi capelli castani cadevano leggeri sull'acqua. Era evidente, seppure rimanesse difficle da credere, che si trattasse di un elfo. Piangeva. Era davvero bellissima. Al suo fianco era un uomo, anzi un elfo, davvero bellissimo, vestito di nero, con capelli corvini e l'aria severa. Le teneva la mano, anche se non sembrava stringerla. Era incredibile quanto quell'elfo gli somigliasse. Ma non era possibile. Un'espressione così dura non poteva essere appartenuta ad un viso come quello di Reimer.

“Ti piace?” disse una voce melodica e forte allo stesso tempo, alle sue spalle.

“Diciamo di si. Ma non me ne intendo di certa roba elfica”

“Non serve che tu te ne intenda. Nessuno potrebbe mai affermare che Leannel non sia la donna elfo più bella che abbia mai visto” rispose Reimer “Questo, certamente se non hai mai veduto Galadriel o Arwen. Ma quando le avrei viste entrambe, e dubito che lo farai, sarà solo una tua scelta. Ma mentiresti se anche solo pensassi che Leannel non è meravigliosa”

“E' quella dei romanzi?” chiese. Reimer lo aveva spaventato. Era estremamente silenzioso e scaltro. E in parte lo temeva, dopo quello che aveva scoperto. La mano di Reimer sfiorò il panno anche se non sembrava sua la scelta. Fissò Fengel. La risposeta era un evidente si.

“Che romanzi hai letto?” chiese l'elfo scuro.

“Quelli che mi ha portato il signore Elohir”

“Capisco” Reimer sorrise. Fengel pensò che fosse davvero uno strano legame ad unire quei due elfi. “Dei Romanzi” rise più forte “Solo a lui poteva venire in mente una cosa simile. E suppongo che tu avrai riferito ogni cosa al tuo amico e che adesso non vi fiderete più di me”

“Non credo. Siamo mortali. Noi ci fidiamo sempre troppo anche di noi stessi”

Reimer lo fissò e rise ancora. Fengel non capiva, ma fece lo stesso.

“Questa è Leannel. Me la immaginavo diversa. Non così bella”

Reimer sembrava sempre più divertito, cosa che Fengel trovò anche abbastanza fastidiosa.

“Vorrei poter venire a casa con te, Fengel. Mi divertirei davvero molto. Ma tu cosa faresti se avessi lei che ti aspetta?”

“Sembra davvero molto triste. Ora che ci penso anche tu lo sembra. Perchè questo sei tu, vero?”

“Si, sono io”

ora Fengel osservò Reimer con più attenzione. Non aveva quell'aria scanzonata e superba che si era figurato. No sembrava diviso a metà. Una era la sua immagine, l'altra la sua essenza. Era una cosa davvero rara, una divisione così chiara e precisa. E poi c'era un'altra parte di lui. Una immensamente felice. Reimer sembrava un uomo felice e allo stesso tempo molto triste. Lo aveva fatto di nuovo. L'aveva chiamato uomo. Forse la sua parte felice era innamorata intensamente. Fengel aveva da tempo perso il valore dell'amore, ma d'altro canto Reimer era un'elfo. Eppure anche la sua parte triste sembrava innamorata. Forse di una donna diversa, però. Per un istante, Fengel si chiese se avesse davvero davanti un elfo. Quell'elfo era imperfetto.

“Voi siete davvero molto strano, Reimer” l'elfo smise di ridere

“Hai ragione”

“Ma voi l'amate questa donna?”

“No. È questo a rendere le cose più difficili.”

“Dovete farla sentire molto sola. Ma non ha il viso di una che ama le compagnie. Forse è stata proprio lei ad allontanarvi”

“Se rimarrete a lungo davanti a questo dipinto scoprirete anche il nome di sua madre e il luogo dove è sepolta” rispose Reimer, ridendo.

Fengel avrebbe voluto dirgli 'questo io lo so' ma non ne ebbe il coraggio. Spingendolo per la schiena, Reimer lo condusse alle sue stanze. Fengel lo sentì sedersi, avicino alla porta della stanza. Si disse che a suo modo doveva esser diventato un personaggio scomodo.



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Capitolo 6
*** Mortale ***


Arathorn si svegliò presto. Dopo essersi guardato intorno si disse che forne non aveva nemmeno dormito. Quelle diavolerie elfiche lo avevano messo davvero in agitazione. Ad ogni modo afferrò quel romanzo con la copertina blu scura che aveva trovato nella biblioteca vicina alle loro stanze, la più piccola del palazzo, e si mise a leggere. Aveva saltato un lungo pezzo, verso l'inizio. Narrava di questa donna bellissima, Leannel, e di come era iniziata la sua vita e tutto il resto. Parlava anche di un'altra donna bellissima che era la madre di Leannel, ovvero colei che le permetteva di combattere o comunque di fare tutto ciò di cui avesse voglia. Era piuttosto noioso. Ad Arathorn sembravano davvero noiose le cose felici e tranquille. Era arrivato invece ad un punto in cui le cose si facevano più interessanti. La madre era morta in circostanze misteriose, o si era uccisa, e allora la donna elfo era diventata solitaria, aggressiva e tutto il resto. Ora che ci pensava gli faceva anche un po' pena. Era quella che aveva avuto la visione, per questo gli interessava. Ma anche da lì aveva fatto un bel salto in avanti ed era arrivato magicamente al capitolo riservato a Reimer il maledetto.

Era quindi quello un giorno di festa. Uno di quei giorni in cui Leannel era solita rimanere chiusa nella solitudine delle sue stanze. Quella volta non le fu concesso. La festa era in suo onore.

Non era quello che cercava. Arathorn andò avanti.

Così cavalcava da sola nella notte quando alle sue spallenotò una strana presenza. Fengel, il suo cavallo nitrì e s'impennò. Leannel lo fece correre più di quanto mai avesse corso. Ma quando fu lontana abbastanza da quella presenza scura che tanto aveva intimorito la sua pur nobile cavalcatura sentì una voce provenire dalle verdi frasche, illuminate dalle luce della notte.

“Chi sei?” Arathorn alzò la testa di scatto. Quella era la frase. Nel buio qualcuno l'aveva citata con esattezza quasi maniacale. Per quanto di maniacale potesse essere in tre parole. Reimer era davanti a lui. Per poco non gridò. Reimer rideva.

“Come diavolo hai fatto?” disse Arathorn

“Il libro? L'ho scritto io” Arathorn lo fissò stupefatto. Girò il libro. Era inconfutabile, sulla pelle tinta di blu erano scritte in caratteri dorati 'di Reimer il meledetto'

“Tu?” Arathorn sembrava spaventato. Reimer lo trovava quasi ridicolo. Più che altro ora sembrava confuso. “Come hai fatto a entrare?” Reimer rise ancora. Non rispose.

“Lo hai scritto tu?”

Reimer annuì “Si. Sono tutte cose che ho vissuto oppure altre che ho scoperto”

“Come sapevi il punto dov'ero arrivato”

“Gandalf me lo ha detto più di una volta che questi miei scritti sono coinvolgenti. Forse avrei dovuto fare qualcosa del genere invece che andare in giro ad ammazzare orchi. Leggevi ad alta voce, Arathorn”

Arathorn lo fissò, sempre più stupito. Si sentì improvvisamente stupido. Poi alla mente gli venne una domanda stupida.

“Perchè 'il maledetto'? Voglio dire, maledetto non lo sei più. Non è più morto nessuno.”

Reimer rise ancora. “Io sono sempre stato il maledetto”

“Si” rispose Arathorn “Ma non è una cosa bella. Voglio dire avresti potuto chiamarti Reimer il moro o chessoio”

“Il moro?” Reimer rideva sempre di più. Molto tempo che non rideva tanto.

“Chissà perchè hai smesso di portare sfortuna..”

“Sei sicuro di stare bene, Arathorn?”

“No, dico davvero. Secondo te perchè?”

“Ho trovato qualcuno di più maledetto di me”

Arathorn non capiva.

“Faresti meglio” continuò Reimer “A leggere tutte le parti” così, sempre ridendo, L'elfo scuro si allontanò dalla stanza di Arathorn.

Reimer passeggiava tranquillamente. La notte era calata da molte ore e non era preoccupato di trovare qualcuno. Ma si sbagliava. Senza quasi rendersene conto gli arrivò un pugno in pieno viso.

“Lo sai che hai combinato? Sciocco.”

“So, cos'hai combinato tu, Elohir, ragazzo mio”

“Non chiamarmi ragazzo. Avrei potuto essere ben più crudele”

“Ne dubito. Ne dubito, davvero”

“In ogni caso tu non hai idea del guio che hai combinato.”

Reimer lanciò a Elohir un'occhiata interrogativa.

“Lei dice che vuole tornare a Lorien.”

“Pensavo avesse deciso di restare più a lungo”

“Anche lei lo pensava. Fin quando non ha incontrato il tuo amico barbaro, scusa, mortale”

“Nelle ostre vene scorre il medesimo sangue”

“Non ne hai le prove”

“Non ne ho.. maledizione ha gli occhi di tuo padre! Anzi, ragazzo, ha i tuoi occhi!”

“Rimane il fatto che l'hai combinata grossa. Non so perchè mio padre ti ama tanto, ma dopo questa non te la caverai tanto facilmente”

“Vuoi dirmi che.. accidenti, quel vecchio mortale la sa davvero lunga”

“Non complimentarti con te stesso!”

“D'accordo state calmo vossignoria. Cosa devo fare per farmi perdonare da voi e tutta la vostra nobile stirpe?”

Reimer risultava davvero stupido quando lo desiderava.

“E' stata qella donna a ridurti così?”

“Leannel? Sai non ha un gran senso dello spirito”

“Già, Leannel. Oppure Morien?”

“Tu parli di cose che non conosci”

“Hai ragione. Pienamente. Ma Leannel lo diceva sempre che eri un inetto.” Elohir si voltò per andarsene “Sta' tranquillo l'ho scoperto solo io. In ogni caso, direi che faresti meglio a parlarle. È sempre stata molto propensa verso i mortali. Quasi mi azzarderei a dire che la colpa è tua. Le sei sempre piaciuto. Proprio per questo, le piacciono, forse. Si, parlale”

Reimer sbuffò. Per lo meno era rimasto solo. Elohir stava diventando troppo sagace. Non si era mai incontrato con Talmaye, ma se fosse mai accaduto, avrebbero fatto scintille, insieme. Prensò che era tardi e Arwen non avrebbe desiderato essere svegliata. Si disse che le avrebbe parlato la mattina seguente. O quella dopo ancora. Poi gli venne alla mente un particolare delle parole di Leannel. Maledizione. Si era scordato, ma doveva riferirle delle cose importanti. Non avrebbe potuto rimandare. Se se ne fosse scordato Leannel lo avrebbe ucciso. Decise quindi di recarsi da dama Arwen la stella del vespro, con la speranza di ottenere clemenza, sia dal signore di quelle terre che da quella delle sue. Fece qualche passo. Non ne ho nessuna voglia, si disse. Quindi tornò verso le sue stanze.

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Capitolo 7
*** Notte ***


Fengel teneva la testa sulle coscie di una donna. Questa donna gli accarezzava i capelli biondi. Si sentiva estremamente a suo agio, come un bambino. Respirava lentamente quell'aria profumata di pesca. Uno dei riccioli biondi della bella chioma di quella donna gli caddero sul viso. Alzò gli occhi verso di lei. Aveva degli occhi castani come non ne aveva mai visti. Nonostante continuasse a sentirsi perfettamente a suo agio, il suo cuore prese a battere forte.

“Che cosa è successo, allora?” disse lei, con la ua voce sottile.

“Non lo so. Forse sono troppo stupido per capire, ma non lo so. So solo che non ci sono più. Fastred era dannatamente in gamba, maledizione!”

“Sta' tranquillo” disse lei

“Voglio dire. Era davvero forte. Non ce n'era nessuno meglio di lui. Voglio dire. Era gemelli, lui e Folc. E nostro padre non sapeva a chi dare il suo regno. E Fastr è arrivato, una mattina presto, mentre facevamo colazione, e ha detto 'Come intellettuale non valgo nulla. Sono nato per comandare eserciti. A me non interessa il tuo trono, padre' Voglio dire. Era proprio così. A lui non importava di nessuno, eppure gli importava di tutti. Lui lo sapeva che sarebbe morto, maledizione. Lo sapevo anche io.” Fengel sentì improvvisamente le sue guance bagnarsi di lacrime. “E nostro padre era più stupito di me, quando lo ha detto. Folc era diverso. Era davvero un genio. Era uno che parlava bene, pieno di ragazze e tutto il resto. Uno che quando sei un bambino ti dici che vuoi diventare come lui. Folc è davvero complesso, però. Ora che ci penso forse sarei morto se fossi nato complesso come lui. Ma a Folc piaceva davvero troppo nostro padre. Per questo mi piaceva meno di Fastred. La sua perfezione era davvero stucchevole. Fastr, non meritava di morire, no, non lo meritava. Ma io ho solo quindici anni! Io non potevo fare nulla!”

“Com'è successo?”

“Non lo so bene. Quel soldato ha detto che Fastr era stato catturato e l'avevano ucciso. Invece Folc è morto, trafitto da una freccia. Di lui ci hanno portato anche la salma. Ma non di Fastred.”

“E a te, Fengel, cosa è successo?”

“No lo so. Sono triste immagino. Mi ricordo che quella notte feci una cosa dannatamente stupida. Sono proprio un imbecille, quando mi ci metto. Non cenai. D'altra parte non cenò proprio nessuno quella sera. A me mangiare piace in modo ragionevole. Ma non mangiai lo stesso. Faceva caldo. Mia madre vestita di nero. Mio padre solitario e pensieroso. Tanta gente che parlava. Soldati, ministri. Un sacco di gente. Mi sentii soffocare. Uscii. Non me n'ero accorto ma la notte aveva abbracciato il palazzo d'oro. Mi guarai intorno. Sotto il portico stava la salma bianca di mio fratello Fastred, con un velo bianco a copriplo fino alle spalle. Aveva quei fiori bianchi sparsi sul corpo. Quello mi fece arrabbiare. Cosa ne sapevano loro che Fastred avrebbe voluto essere messo lì, dove tutti avrebbero potuto vederlo? Cosa ne sapevano? Mi fece proprio arrabbiare. Mi misi anche a piangere. Mi sentivo stupido, ma non ne potevo fare a meno. Allora salii le scale strette. Erano scale di legno ed erano davvero piccole e fitte. Avevo paura di cascare e farmi male. Ero davvero un ragazzino. Poi arrivai. Ero sul tetto d'oro del palazzo d'oro. Da là la luna sembrava ancora più bella. C'era la luna piena. La fissai per qualche istante. I rese ancora più triste. Allora allargai le braccia. Mi sarei buttato di sotto. Aveva davvero intenzione di farlo. Dico sul serio. Ma so essere così imbecille che riesco anche a rovinare le cose imbecilli che faccio. Mi misi a cantare. Non mi ricordo che canzone fosse, ma me la cantavano quando ero piccolo. Sono davvero un idiota. E dovevo cantare davvero forte. Mi sentirono tutti quanti. Mia madre uscì per prima dal palazzo. Gridò e si gettò a terra. Tuti la seguirono. Tra gli ultimi, mio padre con la sua bella barba bionda. Ricordo che mi fissava severo, con gli occhi pieni di lacrime. La mamma gridava. Pensavo di buttarmi. Ma non con tutta quella gente. E poi pensai che se mi fossi buttato, mio padre non avrebbe parlato più, e mia madre non avrebbe mai smesso di piangere. Lo pensavo davvero, che sarei morto, ma non lo feci. Provi un senso di ripugno per tutti quelli là sotto. Poi, invece lo provai per me stesso. Andai verso la scala di legno. Scesi. Mia madre mi abbracciò. Ricordo che mio padre non mi rivolse la parola. Forse pensava che ero pazzo o qualcosa di simile. Mia madre mi abbracciò, invece. Mi disse delle parole strane. Mi disse che era fiera di me. Che ero stato altruista. A non buttarmi, penso. Lei non lo fu. I medici dissero che era stata la sua costituzione cagionevole. Ma si è uccisa, ne sono certo. Mia madre non magiava più, non usciva di casa, non parlava più. Si è consumata, ripiegata su se stessa e accartocciata, come della carta tra le fiamme. E come la carta, è scomparsa. La capivo. Folcred era stato mia madre, mio padre. E forse anche io ero mio fratello, per lo meno in parte. Mio padre penso non l'abbia perdonata. Da quel tempo io e mio padre non ci vediamo mai. Non mi piace, la mia, la sua vita. Non voglio regnare.”

La donna sospirò e sorrise.

“Io non merito di vivere. Per lo meno non quanto lo meritassero i miei fratelli”

Fengel la guardò negli occhi. Poi la donna, col suo profumo di pesca, scomparve.

Si svegliò. Aveva freddo. La finestra era aperta. Il mal di testa era passato, per lo più. Si chiese se lo avrebbero rimandato a casa. Non ne aveva voglia. Stava bene, dopotutto, in quel posto pieno di elfi. Si alzò. La porta che dava sul giardinetto era aperta. Reimer, seduto sull'erba, si voltò verso di lui e sorrise. Fengel non capiva.

“Non trovavo la mia stanza” rispose Reimer. Fengel sorrise.


Arathorn aveva divorato quel romanzo in una sola notte. Non tanto perchè gli interessasse, quanto erpchè voleva dimostrare a Reimer di esserne capace. Aveva letto tanto che gli facevano male gli occhi, e anche la cicatrice. Sospirò. Se ne sarebbero andati quello stesso giorno. La cosa non sarebbe piaciuta a Fengel. Sarebbe rimasto ovunque, purchè fosse lontano da casa sua. Probabilmente gli avrebbe chiesto di andare al nord con lui. Senza dubbio, se fosse accaduto, gli avrebbe risposto di no. Quel ragazzino era in ogni caso un re. Era un Re, anche se ad Arathorn non riusciva di immaginarlo con la corona sui capelli dorati. Né come un buon sovrano. Ad ogni modo la parte più difficile sarebbe stata convincere il ragazzo. Si alzò e cambiò d'abito. Preparò le borse di pelle riempiendole della poca roba che si era portato dietro, e che in effetti possedeva. Si chiese se avrebbe avuto il tempo di accompagnare il ragazzo a casa. Si rispose di no. Maledizione, si disse. Presa in spalla la sacca aprì la porta. Con sua sorpresa notò un vecchio fuori dalla porta. Sgranocchiava caramelle.

“Ne vuoi una?” disse. Era Gandalf. Il vecchio con l'aria simpatica ma non troppo, che era stato con loro e quegli elfi nella stanzetta. “Sto cercando di smettere con quell'erba pipa”

Arathorn alzò il sopracciglio. Non aveva mai sentito nominare niente con quel nome assurdo. Erba pipa. Quel vecchio era davvero bizzarro.

“Voi” chiese Arathorn “voi che ci fate qui?”

“Caro ragazzo” rispose “devi darmi un permesso”

“Di cosa parli?” senza accorgersene Arathorn si era comportato in maniera piuttosto ostile. Forse solamente perchè era arrabbiato. Non sapeva nemmeno lui con chi o perchè.

“Sta' tranquillo, ragazzo” il vecchio sorrise. “Voglio solo che tu mi dia il permesso di mentire a tuo figlio”

“Mentire? Ci sono diversi modi di mentire, vecchio”

Gandalf orrise di nuovo.

“Pensi davvero che mentirei per il suo male?”

“E voi tutti davvero credete così poco in me, nel mio sangue? Davvero non credete che io possa vivere abbastanza a lungo da poter mentire io stesso a mio figlio?”

“Incredibile. Non vi fidate di un vecchietto grazioso come me?”

“Non mi fiderei nemmeno di mio padre se tornasse in vita e mi parlasse”

“Oh, voi siete troppo teso, amico mio. Avevate forse intenzione di andarvene senza avvertire nessuno?” Gandalf rise più forte. Arathorn lo fissò. in quel momento lo odiava. Gli diede le spalle e continuò per la sua strada.

Corse quasi. Non era nelle sue intenzioni. Non avrebbe sopravvissuto ancora a lungo tra quelle mura. Bussò forte alla sua porta.

“Muoviti, Fen!” disse. In un istante fu soffocato da qualcosa di più denso delle lacrime. Doveva andarsene. Adesso.

“Cosa? Arrivo” rispose Fengel attraverso la porta.

Arathorn attese ancora per qualche secondo. Si sedette. Avrebbe quasi pianto. Si sentiva davvero soffocare. Il solo pensiero di dover convincere Fengel ad andarsene lo orripilava. Per qualche istante pensò di fuggire, senza nemmeno salutarlo. No, si disse, non avrebbe potuto fare qualcosa del genere.

Dopo qualche interminabile minuto, infatti, Fengel fu alla porta. Ma c'era qualcosa che Arathorn non si aspettava. Fengel portava al collo la sua borsa di pelle.

“Tra quanto partiamo?” disse. Arathorn si sentì stupito. Solo dopo qualche istante riuscì a sentirsi sollevato.

“Come..?” mormorò.

“Lo ha detto Reimer”

“Reimer?”

“Si, ha detto che viene con noi”

“Con noi?”

“Devi ripetere tutto quello che dico, Arathorn?”

“Si” disse Reimer, dietro le spalle sottili di Fengel “vi accompagno a sud”


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