The reasons of the heart

di Himeko _
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno – Closed chapter. ***
Capitolo 2: *** Capitolo due – Secret relationship. ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre – Best Friends. ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro – Lightning. ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque – First meeting. ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei – It’s not a date! ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette – Questions, Answers and Half-truths. ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno – Closed chapter. ***


08 Giugno 2015 – Modifiche dell’impaginazione.



 
The reasons of the heart


• Capitolo uno •
 
Closed chapter.

 
Karma.
Sì, doveva essere colpa del karma, non c’erano altre spiegazioni.
Questo era ciò che pensava Rein, mentre ascoltava svogliatamente il monologo del prete, in attesa che si decidesse ad arrivare al fulcro di quella cerimonia, che si stava dilungando fin troppo per i suoi gusti.
Non solo faceva caldo, troppo per gli standard della seconda settimana di settembre, e nemmeno farsi aria con il foglio di carta color crema la rinfrescava, ma si sentiva addosso anche gli occhi di Fango, il testimone dello sposo.
Karma, si ritrovò a pensare nuovamente la ragazza, sospirando pesantemente.
La giornata era, decisamente, iniziata male fin dalle prime ore del mattino.
Si era dovuta svegliare alle prime luci dell’alba, lei che doveva essere in vacanza dopo avere dato gli ultimi esami decretando al meglio la fine del primo anno universitario, per sedare una crisi isterica della sposa, altri non era che sua sorella, perché la parrucchiera, o la truccatrice, non aveva ben capito, era in ritardo e lei si era dovuta trattenere dal farle notare che non erano nemmeno le sette del mattino, nonostante il salotto fosse illuminato dai sottili raggi del sole che filtravano attraverso le tende gialline.
A questa sarebbe seguita una crisi nervosa di Rein, se non fosse stato per l’immediato intervento di Elsa, la madre, che con molta persuasione, e qualche occhiataccia, aveva impedito che la sua secondogenita andasse a fare una scenata al cospetto di Fine sul colore dell’abito scelto per lei.
Giallo chartreuse.
Davvero, un bel colore. Aveva pensato ironicamente Rein, guardando, con odio, il vestito appeso alla gruccia.
Fine non poteva scegliere un colore migliore, davvero.
Non solo ora sarebbe sembrata un’accozzaglia di colori totalmente inabbinabili, dovuta al colore turchese dei suoi capelli ed il vestito di una strana tonalità color pera, ma sarebbe sembrata più in carne di quanto non fosse in realtà.
Alla tenera età di dodici anni, aveva appreso perfettamente quanto quel colore la ingrassasse. Certo, doveva considerare che all’epoca il tessuto era lucido e non morbido come quello di adesso, ma questo non cambiava molto, alla fine.
Elsa l’aveva costretta ad indossarlo, usando qualche velata e malcelata minaccia, e dopo l’aveva posizionata di fronte allo specchio in modo che potesse vedersi in tutto il suo splendore.
Effettivamente il vestito le cadeva delicatamente sul corpo delineandone perfettamente le forme, ma rimaneva quel piccolo ed insignificante dettaglio, che la madre non voleva vedere: il colore turchese dei suoi capelli.
Come aveva previsto la treccia a lisca di pesce, poggiata sulla spalla destra, contrastava terribilmente con il colore dell’abito, e Rein lo aveva fatto notare alla madre, che aveva storto leggermente il naso e l’aveva fissata direttamente negli occhi, attraverso il riflesso rimandato dallo specchio, intimandole di non rovinare il giorno di sua sorella per un suo capriccio.
La ragazza avrebbe voluto ribattere, ma alla fine aveva solo annuito pensando che qualcuno lassù dovesse avercela con lei.
Poi, come se non bastasse, mentre si dirigeva nella chiesetta fuori città, dove si sarebbe svolta la cerimonia, aveva trovato dei lavori in corso ed era rimasta bloccata nel traffico per una buona mezz’oretta, cosa che l’aveva fatta innervosire parecchio, ed aveva cominciato a pensare, per la prima volta da quando si era svegliata, che forse, nelle sue vite precedenti aveva fatto qualcosa di male per cui stava pagando in questa, e quindi aveva ricondotto tutto al karma.
Visto che aveva rifiutato elegantemente il ruolo di damigella della sposa, dopo avere parcheggiato era entrata direttamente nella chiesa e si era avvicinata all’altare per salutare lo sposo, cogliendo qualcosa di famigliare nel viso dell’uomo in piedi accanto a lui, intento a tranquillizzarlo.
Quando gli occhi scuri del ragazzo si erano posati su di lei, Rein aveva chiaramente sentito il cuore fare una giravolta, mentre le gambe sembravano non essere in grado di sostenerla, ma quella sensazione era passata nel giro di pochi secondi, e lei aveva rivolto un sorriso di circostanza a Fango, il suo ex ragazzo, che nel frattempo le stava facendo una radiografia completa, partendo dalle gambe scoperte all’attaccatura dei capelli.
Il karma, si ritrovò a pensare Rein per la seconda volta in un’ora, mentre sorrideva con dolcezza al cognato cercando di tranquillizzarlo e di sfuggire a quella situazione piuttosto imbarazzante.
Fortunatamente l’arrivo della sposa, le permise di allontanarsi e di andarsi a sedere accanto alla madre, sempre sentendosi addosso lo sguardo del testimone, che non l’aveva abbandonata per tutta la cerimonia.
La turchese si costrinse a pensare a qualcos’altro ed irrimediabilmente le venne in mente la parola più contorta, e più significativa, che avesse mai incontrato nella sua vita.
Cicatrice.
[ci-ca-trì-ce]
s.f. (pl. –ci)
a. Traccia più o meno visibile che rimane sulla pelle nel punto in cui una ferita si è rimarginata: aveva una cicatrice ben visibile in mezzo alla fronte
|| Far cicatrice, cicatrizzare;
b. fig. Segno di un’esperienza dolorosa: la sua scomparsa ha lasciato profonde cicatrici nel mio cuore;
c. MED Tessuto che chiude le ferite e ripara le mancanze di sostanza di organi animali
|| estens. Riferito anche a tessuti vegetali: un tronco pieno di cicatrici.
No, non si era fatta male con il foglio di carta color crema con il quale si faceva aria.
E nel parco lì accanto non aveva visto degli alberi con delle incisioni sulla corteccia.
Segno di un’esperienza dolorosa: la sua scomparsa ha lasciato profonde cicatrici nel mio cuore.
Fortunatamente non aveva ancora subito nessuna grave perdita, anche se i tre punti non ricevuti nell’ultimo esame…
Nuovamente si sentì osservata e questa volta, invece di fare finta di niente, alzò il volto e fulminò Fango, che le sorrise con quel ghigno che aveva sempre adorato.
Segno di un’esperienza dolorosa: essere lasciati in uno squallido parcheggio senza una valida spiegazione.
Ecco.
Era questo il motivo per cui le era tornata in mente quella strana parola e, al tempo stesso, le prudeva la cicatrice di quella ferita al cuore che l’aveva segnata nel profondo, ma che non si era più riaperta e non lo avrebbe mai fatto, perché lei, Rein, non glielo avrebbe permesso.
Se la ricordava ancora la scenografia della loro separazione, che le era rimasta impressa nella mente per mesi.
Lei che guidava fino ad arrivare in quel piccolo parcheggio vicino ad una pompa di benzina.
Lui che arrivava con la sua macchina, parcheggiava a qualche metro di distanza, scendeva e le veniva incontro.
Lei che sorrideva e gli si avvicinava di un passo.
Lui che arretrava di un passo.
Lei che rimaneva immobile con lo sguardo perso ad osservare, senza vederlo veramente, il ragazzo, avendo finalmente capito le sue intenzioni.
Lui che le diceva che lei non era la ragazza adatta a lui perché troppo santa.
Lei che annuiva, incapace di parlare ed intendere realmente la parola “santa”.
Lui che la salutava con un cenno del capo e se ne andava via con passo strascicato.
Lei che rimaneva immobile sotto la luce di un lampione, fino a quando la prima goccia le toccava il volto, seguita subito da altre, che si mescolavano con le sue lacrime.
Lui che dopo tre giorni dalla loro separazione non si faceva scrupoli a farsi vedere nei corridoi avvinghiato ad una ragazza di cui non conosceva neanche il nome.
E quello era stato il colpo di grazia.
Lei aveva sempre pensato di essere importante per Fango, ma a quanto pare si sbagliava.
Da allora aveva innalzato delle barriere attorno a sé, attorno al suo cuore, per non soffrire più.
Forse era per questo che non si lasciava andare totalmente con i ragazzi, e respingeva qualunque essere di sesso opposto le si avvicinasse mostrandole interesse.
Ritrovarsi Fango in chiesa era stata una sorpresa che le aveva fatto uno strano effetto.
Se da una parte si era sentita messa in soggezione dal suo sguardo e ne era quasi intimorita, dall’altra era lusingata dalle attenzioni che sembrava rivolgerle, perché doveva ammetterlo, Fango era sempre stato bello.
E con quello smoking dalla tonalità blu scuro era ancora più affascinante, bello e attraente di quanto ricordasse.
Un adone. Sì, Fango era un adone, pensò Rein guardandolo di sottecchi, distogliendo subito lo sguardo, mentre sentiva le guance infiammarsi.
Una gomitata da parte della madre la costrinse a concentrarsi nuovamente sulla cerimonia, che era giunta allo scambio degli anelli.
«Io Bright, accolgo te Fine, come mia sposa» stava dicendo il biondo con la voce emozionata, «con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia. E di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita» concluse, infilando l’anello all’anulare di Fine.
«I-Io Fine, accolgo te Bright, come mio sposo. Con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia. E di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita». Disse la rossa, infilando a sua volta l’anello a Bright.
«Ed io vi dichiaro marito e moglie» esclamò il prete, concludendo la cerimonia, mentre tutti i presenti si alzavano in piedi per applaudire i novelli sposi.



Rein sedeva in disparte su uno sgabello, posto accanto al bancone degli alcolici, mentre le note di una musica romantica invadevano la sala, che gli sposi avevano affittato in uno dei migliori ristoranti della città.
«Posso avere l’onore di questo ballo, signorina?» le sussurrò una voce roca e bassa nell’orecchio, facendola rabbrividire impercettibilmente.
«Solo se mi offri un cocktail» rispose Rein, voltandosi con studiata lentezza per osservare negli occhi il “misterioso” interlocutore.
«Cocktail? Sei sicura di stare bene?» domandò Fango con una nota di divertimento nella voce, mentre faceva un cenno al barman.
«Mai stata meglio» rispose la ragazza, assaggiando l’alcolico che le aveva appena ordinato il ragazzo. «Rhum? Davvero?»
«Allora qualcosa della vecchia e timida Rein è rimasto» rispose Fango osservandola, mentre le prendeva il bicchiere dalle mani e se lo portava alle labbra, poggiandole nello stesso punto in cui vi erano delle tracce del lucidalabbra della ragazza, che scosse lievemente la testa.
«A quanto pare tu non sei cambiato di una virgola» disse alzandosi e dirigendosi verso la pista da ballo, dove le coppiette ballavano avvinghiate.
«Tu hai solo fatto uscire fuori la vera te» disse Fango poggiandole le mani sui fianchi, stringendola a sé, mentre la blu si voltava a fissarlo.
«Mi sto pentendo di averti lasciata» sussurrò ancora il ragazzo dopo qualche attimo di silenzio, interrotto solo dalle note della canzone.
«In un parcheggio? Sì, devo ammettere che è stato piuttosto squallido».
«Touché».
«Conosco quello sguardo, cosa c’è?»
«Sei splendida» rispose Fango guardandola negli occhi verde-acqua.
«Certo» disse Rein alzando gli occhi al cielo, «potevi inventarti qualcosa di meglio».
«Rein, dico sul serio, sei meravigliosa».
«Forse non lo hai notato, ma indosso un vestito color giallo chartreuse che fa a pugni con i miei capelli turchesi» gli fece notare ironicamente la ragazza, scostandosi leggermente dal petto del ragazzo.
«E questo ti rende ancora più eccitante» soffiò Fango sul collo della ragazza, posandole un delicato bacio a fior di pelle.
«E questo non ti dà il diritto di prenderti certe confidenze» ribatté la blu, staccandosi dal suo cavaliere, sebbene il suo cuore scalpitasse per uscirle fuori dal petto.
«Andiamo, lo sappiamo tutti e due che tra di noi c’è attrazione» disse Fango smettendo di ballare, fermandosi a bordo pista.
«Non lo nego, Fango, ma io ho già una relazione. Cosa pensavi, che una volta rivistoti ti sarei saltata addosso come se nulla fosse successo? Be’, mi dispiace ma hai sbagliato a fare i conti. Sono passati due anni ed io sono cambiata, come avrai notato. Quello che c’è stato tra di noi è stato importante, ma a quanto pare importava più a me che a te visto che non ti sei fatto scrupoli ad infilare la lingua nella bocca della rossa dopo solo tre giorni! Ormai appartieni al mio passato, perché da quando ho iniziato l’Università ho aperto un nuovo capitolo della mia vita e tu appartieni ad un capitolo chiuso da tempo. E ora se non ti dispiace vado a casa a togliermi questi tacchi che mi stanno uccidendo». Sputò con rabbia Rein, allontanandosi a passo svelto dalla pista da ballo e da Fango, con la consapevolezza di avere chiuso definitivamente un capitolo importante della sua vita.





 
 
Note dell' Autrice:
Buooon pomeriggio!
No, aspettate!
Prima di prendermi ad ortaggi in faccia, esiste una spiegazione plausibile per tutto. Davvero.
Partiamo da ciò che mi ha spinta a riscrivere i capitoli, aggiungendo e togliendo alcune scene e molti flashback: mancanza d’ispirazione e voglia di lasciare un bel ricordo di me all’interno del Fandom.
Ebbene sì, per chi non lo sapesse, questa sarà l’ultima storia che pubblicherò all’interno della sezione Twin Princess, ma non escludo che, se mi dovesse venire in mente qualcosa, in futuro potrei tornare a scriverci.
Dato che ho la stessa delicatezza di un elefante in una cristalleria, anzi, oggi io sono anche peggio dell’elefante, volevo modificare – senza cancellare la storia – i capitoli, ma per sbaglio ho cancellato il prologo e non sapendo come porvi rimedio ho pensato di cancellare tutto per non sfalsare l’ordine dei capitoli.
Sì, oggi combino solo danni, per esempio questa mattina prima di uscire mi sono macchiata il maglioncino con il caffè e ho dovuto cambiarmi in meno di cinque minuti. Risultato: coda sfatta, a cui ho posto rimedio sul treno, stranamente in orario.
Quindi, questa non sarebbe altro che la riedizione, spero migliorata, della vecchia fan fiction.
Inoltre non volevo fare passare Fine per una poco di buono e Bright per un uomo infedele.
Ma facciamo il punto della situazione:
1. Bright e Fine si sono sposati, be’ questo era previsto anche nella precedente versione, ma questa volta non vi è stato alcun intoppo. Non ho voluto far fare la parte della damigella o della testimone a Rein, perché mi sarei creata da sola una fossa, non sapendo più come uscirne fuori. Voglio dire, Fango e Rein testimoni, cosa potrebbe mai succedere?
2. Rein ha chiuso definitivamente il capitolo Fango. Davvero, come si fa a fare soffrire una ragazza e provarci il giorno del matrimonio del tuo migliore amico? La reazione di Rein a me non pare fuori luogo, ma se aveste questa impressione fatemelo sapere. E fatemi sapere cosa ne pensate di questo Fango adone e provocante, lo ammetto, l’ho fatto apposta! :)
3. No, non vi dirò con chi si vede Rein, sempre se non abbia mentito…
Ed ora vi lascio ai vostri dubbi!
A presto, sperando di non avere rovinato il capitolo,
Dolcemente Complicata – dovrei seriamente smetterla di firmarmi così, Ciao! ♥

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Capitolo 2
*** Capitolo due – Secret relationship. ***


The reasons of the heart


• Capitolo due •

Secret relationship.

 
Sono in ritardo.
Questa era l’unica frase che rimbombava come un’eco nella mente di Rein, mentre correva a velocità sostenuta per le trafficate vie della città.
Come al solito aveva perso parecchio tempo davanti allo specchio a provare, abbinare e togliere i vari capi d’abbigliamento presenti nel suo guardaroba.
Poi, inconsciamente, aveva spostato lo sguardo sull’orologio a forma di sole, appeso al candido muro, e il respiro le si era bloccato nei polmoni.
Le due e quarantacinque.
Quindici minuti.
Solo quindici minuti.
Aveva solo quindici minuti.
Per prepararsi.
Adeguatamente.
Nessun problema, aveva pensato guardandosi allo specchio per deformare, subito dopo, il viso in una smorfia di disapprovazione.
A cosa stava pensando quando aveva indossato quel vestitino estivo color rosa pallido? Ma soprattutto, perché ne possedeva uno di quell’orribile colore?
Più che a una ventenne, somigliava ad una bambina dell’asilo con il grembiule rosa o ad una di quelle ragazze terribilmente fissate con l’aspetto da Barbie: capelli lunghi, incredibilmente lisci, tinti di biondo, magari volumizzati con delle extension ed abiti rigorosamente rosa, o di tutte le sue tonalità esistenti sulla faccia della Terra.
Velocemente si era tolta l’abito, gettandolo da qualche parte nella stanza, poi, rimanendo in intimo, aveva studiato minuziosamente l’immagine rimandata dalla specchiera; tutto nel giro di qualche minuto.
Infine, con decisione si era avvicinata all’armadio, mezzo vuoto, e da un cassetto aveva tirato fuori dei jeans chiari ed una maglietta a righe orizzontali, bianche e verde pino, con le maniche a tre quarti e lo scollo a barca.
Dato che i suoi capelli erano insolitamente lisci, aveva deciso di legarseli in una comoda coda alta, lasciando però la frangetta, leggermente sbarazzina e più lunga del solito – forse era il caso di andare a tagliarsi i capelli, aveva pensato la ragazza mentre se la sistemava con le dita –, e due ciuffi liberi affinché le valorizzassero il viso ed il pallido collo.
Si era messa un velo di mascara, aveva allacciato l’orologio di pelle dal cinturino sottile al polso sinistro, aveva preso al volo la piccola borsa a tracolla color marrone, preparata in precedenza, ed era corsa di sotto, dove la madre le aveva lanciato un’occhiataccia intimandole di non correre come un bisonte in casa.
«Esco» aveva semplicemente detto Rein, correndo fino all’ingresso, facendo infuriare Elsa, dove aveva indossato delle ballerine color verde pino leggermente consumate ed era subito corsa fuori, sotto i raggi del sole che le irradiavano il volto, senza ascoltare le raccomandazioni che la madre si ostinava ad urlarle dal salotto.
Ed ora, correva come non aveva mai fatto per riuscire a raggiungere il luogo dell’appuntamento, senza pronunciare ulteriormente il suo ritardo.
Infatti, da casa sua fino al parco, camminando si impiegavano circa venti minuti, e di corsa sicuramente ci si metteva la metà del tempo, ma lei sarebbe arrivata in ritardo lo stesso dato che quando era uscita di casa erano le due e cinquantatré.
Quando vide il parco in lontananza, impose alle sue gambe di fare un ultimo sforzo.
Con uno sprint da vero corridore, o maratoneta pensionato nel suo caso, attraversò l’ingresso costituito da un ampio spazzo di terreno – adibito in parte a parcheggio per una ventina di macchine, mentre all’opposto era occupato da alcuni tavoli di un bar, lasciando nel mezzo un sentiero abbastanza largo per entrare nel verde – e, con sicurezza, si diresse verso la fontana, che si trovava nel centro esatto del posto, come aveva potuto constatare durante una delle sue tante passeggiate solitarie.
Una volta giunta a destinazione, si fermò appoggiando le mani sulle ginocchia leggermente piegate; il cuore pompava sangue a grande velocità in tutto il corpo, il naso e la bocca erano impegnati a fare entrare nell’organismo la maggiore quantità di aria possibile, in modo da poter usare l’ossigeno inducendo i polmoni a farlo entrare in circolo.
Dopo che il respiro si fu leggermente regolarizzato, la ragazza alzò la testa e appurò di essere arrivata prima dell’uomo.
Con un sospiro si sedette sul bordo di granito della fontana e, ruotando il busto di qualche grado, immerse una mano nell’acqua tiepida lasciando che venisse cullata dalle piccole onde, causate dallo sgorgare dell’acqua.
Una famigliare chioma argentea catturò la sua attenzione e le labbra, dischiuse alla ricerca di ossigeno, si stirarono in un ampio sorriso.
Il cuore si stinse in una piacevole morsa, ed invece di aumentare il ritmo, lo rallentò ulteriormente facendo tornare i battiti, ancora un po’ accelerati a causa della corsa, al loro ritmo abituale.
La cosa non la sorprese minimamente.
In qualche modo, anche solo vederlo camminare verso di lei, o sorriderle, o parlarle, la tranquillizzava ed un’ondata di serenità la invadeva.
Era sempre stato così.
Fin dalla prima volta che lo aveva visto nei corridoi dell’Università.
Come una qualsiasi matricola, forse nel suo caso più imbranata delle altre, si era persa nell’enorme edificio e se non fosse stato per lui, che era giunto in suo soccorso salvandola da un possibile linciaggio da parte del professore di corso e da una più che probabile figuraccia, si sarebbe fatta prendere dal panico e non si sarebbe presentata a lezione, dando così una pessima mostra di se stessa.
In quel momento si era sentita un po’ come una principessa in pericolo che veniva tratta in salvo da un prode cavaliere senza macchia. Paragone abbastanza strano dato che aveva smesso di credere nelle favole da parecchio tempo.
La prima cosa che aveva notato era stato il suo abbigliamento; totalmente diverso da quello degli altri studenti universitari. La camicia bianca, con il colletto sbottonato, era graziosamente infilata nei pantaloni grigi, tenuti con una cintura marrone, il che oltre a renderlo bellissimo, gli donava anche un’aria piacevolmente misteriosa.
Si era inevitabilmente sentita attratta da lui ed allo stesso tempo aveva notato quanto fosse diverso da Fango.
A cominciare dall’età, come aveva appreso nei giorni a seguire.
Fango era alto, muscoloso, aveva la pelle abbronzata, i capelli scuri e gli occhi di un singolare color viola scuro, che si confondeva facilmente con un marrone scurissimo. Per non parlare del loro taglio, che conferiva al volto un’espressione tenebrosa, che più volte le aveva fatto tremare le gambe.
Lui superava il primo di qualche centimetro, aveva un fisico asciutto, la pelle chiara, i capelli argentei e gli occhi chiari.
Azzurro ghiaccio, per la precisione.
A colpirla non era stato il loro particolare colore, bensì la malinconia e la tristezza che si potevano leggere osservandoli con attenzione.
Ed in lei era nata la voglia di eliminare quel velo d’infelicità dai suoi occhi.
Inizialmente, aveva pensato di esserne attratta solo fisicamente, poi lo aveva visto sorridere ed il suo cuore aveva mancato un battito, dopo tanto tempo.
Era letteralmente avvampata come una ragazza alla sua prima cotta ed aveva abbassato immediatamente il capo per celarlo agli occhi altrui, soprattutto quelli attenti di Lione.
A lezione passava le ore a fissarlo, senza ascoltare una sola parola.
Osservava quelle labbra muoversi e lei si domandava come sarebbe stato sentirle posare sulle sue labbra, sulle sue guance, sulla sua fronte, sul suo naso, sul suo collo… o semplicemente vederle schiudersi in un sorriso solo per lei.
Poi era successo, senza sapere come, erano usciti insieme.
Certo, la loro non poteva definirsi un’uscita organizzata, anzi…
Semplicemente era successo.
Si erano ritrovati nel medesimo reparto di una piccola libreria in centro ed avevano adocchiato lo stesso volume di un autore emergente, l’ultimo rimasto sullo scaffale; entrambi avevano proteso le mani per prenderlo e, come avrebbe potuto facilmente prevedere anche una falsa chiromante, si erano scontrate.
Rein si era voltata con l’intenzione di dirgliene quattro, d’altronde il libro l’aveva visto prima lei!, ma appena aveva compreso chi aveva davanti, le parole erano rimaste bloccate sulla punta della lingua, incapaci di fuoriuscire.
Alla fine, mentre continuavano a fissarsi dimenticandosi del resto, una quattordicenne aveva preso il libro e loro, dopo avere sgranato gli occhi, erano scoppiati a ridere, decidendo di comune accordo di andare a bere qualcosa nel bar accanto.
Si erano trovati così bene, che avevano cominciato ad uscire con maggiore assiduità, talvolta a pranzare insieme in qualche locale nelle vicinanze dell’Università, fino a quando non erano effettivamente diventati una coppia, sebbene ci fossero parecchie ragioni che andavano contro quel rapporto.
Prima fra tutte la differenza d’età: nove anni non erano pochi.
Se il padre avesse scoperto che frequentava un suo professore, per quanto giovane potesse sembrare, l’avrebbe sicuramente messa sotto chiave, gettando quest’ultima nelle profondità dell’oceano o nel cuore di una foresta pluviale.
Nemmeno le sue due migliori amiche erano a conoscenza di quella relazione, anzi la credevano immune al fascino maschile e tentavano di presentarle alcuni loro amici, sperando che qualcuno facesse breccia nel suo cuore.
Non era stato per cattiveria o per sfiducia nei loro confronti, solo… temeva le loro reazioni.
Sebbene entrambe non avrebbero visto il rapporto di buon occhio, Mirlo l’avrebbe sostenuta, mentre Lione…
Non sapeva cosa aspettarsi da quest’ultima.
Nonostante la conoscesse da più di diciotto anni, le sue reazioni erano sempre state imprevedibili e, questa volta, temeva di perdere la sua amicizia.
«È tanto che aspetti?» le domandò la sua voce, distogliendola dai suoi pensieri.
«No, sono appena arrivata» rispose Rein, afferrando la mano che le veniva tesa. «Dove andiamo?» domandò strofinando la mano bagnata sui jeans.
«Ti ricordi quel film di cui mi hai tanto parlato? Ebbene, ho i biglietti» disse l’uomo esibendoli.
Il sorriso si allargò, facendo comparire delle lievi e deliziose fossette sulle guance della ragazza, che con slancio si aggrappò al braccio del fidanzato. «Toma, ti adoro!»



Lione tamburellava nervosamente le dita, dalle corte unghie laccate di nero, sulla superficie piana e liscia del tavolo, tenendo lo sguardo fisso fuori dall’enorme vetrata – che fungeva da muro esterno della caffetteria –, sperando di intravedere una famigliare chioma turchese.
Quando la mattina aveva domandato a Rein se nel pomeriggio fosse impegnata, ella le aveva risposto, piuttosto vagamente, che doveva uscire, e questo l’aveva fatta insospettire.
Come lo strano comportamento degli ultimi tempi.
Non ne era ancora sicura, ma sentiva che la ragazza le stava nascondendo qualcosa.
Qualcosa di grosso.
Se fosse stata una cosa da niente, ne avrebbe sicuramente parlato sia con lei che con Mirlo.
Non poteva trattarsi degli esiti degli esami, dato che tutte e tre avevano conseguito dei punteggi più che soddisfacenti.
E non poteva trattarsi di Fango, dato che aveva loro riferito come l’avesse prima volontariamente provocato, e poi scaricato in mezzo alla pista da ballo, giusto per prendersi una piccola, e meritata, vendetta.
Non poteva nemmeno trattarsi di Bright, perché l’infatuazione nei suoi confronti era durata per un periodo relativamente breve, affinché Rein risentisse del sentimento al matrimonio della sorella.
Inoltre, che lei sapesse, l’amica non aveva litigato né con il padre, distinto avvocato, né con la madre, casalinga a tempo pieno.
E proprio da quest’ultima aveva saputo che Rein usciva spesso, quasi tutti i giorni, ma Elsa non aveva saputo dire con chi, anche perché pensava uscisse con loro.
Ma loro non vedevano Rein da una settimana e tre giorni, quindi doveva esserci qualcosa sotto.
Che la blu si fosse trovata un ragazzo e non le avesse informate? Si domandò Lione, salutando con un cenno del capo Mirlo, che aveva appena preso posto dinanzi a lei.
«Pensi a Rein?»
«Mh», mugolò l’arancione, «stavo pensando… se Rein non esce con noi, con chi sta uscendo così frequentemente?».
«Pensi che abbia un ragazzo?» chiese conferma Mirlo, distogliendo lo sguardo dal menù scritto su un elegante cartoncino color cioccolato fondente.
«Non ne sono sicura…» cominciò Lione, fermandosi per ordinare due frappè, uno al cioccolato ed uno alle fragole. «Insomma, ce lo avrebbe detto, no? A meno che non si tratti di qualcuno che non approveremmo» continuò, non appena il cameriere si fu allontanato.
«Quindi non è nessuno che conosciamo» osservò Mirlo, sospirando.
Quando Lione l’aveva chiamata dicendole che Rein non poteva venire, aveva cominciato a dare adito ai suoi dubbi e, fin da subito, aveva capito che quel pomeriggio l’argomento principale sarebbe stato lo strano comportamento dell’amica.
D’altronde, chi non si sarebbe preoccupato, vedendo la propria migliore amica così sfuggente e più silenziosa del solito?
«Forse lo conosciamo, ma non lo abbiamo preso in considerazione».
A questa affermazione di Lione, seguì un silenzio carico di pensieri, interrotto solamente dal cameriere, che porse loro le bevande ordinate, regalando ad entrambe un meraviglioso sorriso.
Poi, come spinte da una forza a loro sconosciuta, voltarono lo sguardo verso la vetrata, che dava sulla strada principale della città, e videro colei che era stata al centro dei loro pensieri.
La loro migliore amica stava passeggiando a braccetto con un ragazzo dall’aspetto terribilmente famigliare.
Lione era sicura di avere visto spesso quella chioma argentea, ma non riusciva a ricordare dove, mentre Mirlo cercava di ricollegare quel profilo con qualcuno che aveva visto di sfuggita all’Università.
Quando il ragazzo si voltò, permettendo loro di vederlo meglio in volto, entrambe vennero folgorate da una scarica elettrica.
Il professor Toma.
Rein usciva con il professore di un suo corso.
Un corso in comune con Lione, e lei non si era accorta di nulla.
Le due ragazze si guardarono negli occhi, incontrandovi lo stesso travaglio interiore, e senza dire niente, finirono la loro bevanda nel silenzio più totale, con un’unica certezza: Rein avrebbe dovuto dare loro molte spiegazioni.





 

Note dell’Autrice: 
Buonasera!
Eccomi qui a proporvi il secondo capitolo, che avrei dovuto pubblicare la scorsa settimana insieme agli altri due aggiornamenti, ma che a causa dei miei impegni non ero riuscita a concludere.
L’ho concluso giusto qualche minuto fa, l’ho riguardato, ho corretto gli errori, ma non sono soddisfatta del risultato. La prima parte, la più facile da scrivere, a mio parere, mi soddisfa abbastanza, invece la seconda parte non mi convince affatto, non so … ho come la sensazione che paia troppo noiosa e che vi siano troppe informazioni tutte insieme, che potrebbero confondere voi lettori.
A proposito di confondere: chi aveva indovinato l’identità del ragazzo di Rein? Voglio la verità!
Chi pensavate fosse? Su, su, fatemi sapere, sono curiosa! ;)
Immagino che nessuno si aspettasse di trovare Toma, forse ho illuso qualcuna di voi, facendo credere che fosse Shade, ma lui … be’, non è ancora entrato in scena e non lo farà nemmeno nel prossimo capitolo, penso. Ma potrei cambiare idea, dipende tutto da come esce fuori il capitolo.
Spero di essere riuscita a dare un ritmo cadenzato in alcuni punti e più lento in altri, nonostante questo sia un capitolo più che altro descrittivo, con qualche sporadico dialogo infilato qua e là.
Inoltre vi chiedo perdono, ma a causa dei miei impegni universitari, la sessione d’esami che si aprirà a breve, il tirocinio che impegnerà gran parte dell’estate, be’, non mi rimarrà molto tempo per scrivere, quindi gli aggiornamenti andranno molto a rilento. Se penso che forse avrò solo due settimane di relax totale, mi viene nostalgia delle superiori, anche se finivo col fare tutti i compiti nelle ultime settimane di vacanza :)
Ah, dimenticavo! Finalmente il sole splende anche qui e sono riuscita a scrivere un capitolo con i raggi del sole a riscaldarmi e l’azzurro del cielo a sorridermi, invece del solito cielo cupo. Non che sia una grande notizia, ma, ecco, vi informo del mio brillante stato d’animo xP
Penso di avervi detto tutto …
Ringrazio chi legge soltanto, chi ha inserito le storie tra preferite/ricordate/seguite e chi ha commentato facendomi sapere cosa ne pensava ♥
Alla prossima!
Himeko

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Capitolo 3
*** Capitolo tre – Best Friends. ***


The reasons of the heart


• Capitolo tre •

Best Friends.


Dacché si conoscessero, Auler, Lione, Mirlo e Rein erano sempre stati buoni amici e con il passare del tempo avevano instaurato uno strano legame di amicizia-fratellanza, invidiato da molti coetanei e non, desiderosi di provare sulla propria pelle quell’affinità così unica, spontanea e sincera.
Eppure, qualcosa stava cominciando a sfaldarsi, si ritrovò a pensare suo malgrado Rein, giocando distrattamente con la cannuccia del suo tè freddo, osservando - quasi fosse in trance - il liquido muoversi lentamente in senso antiorario.
Quel pensiero continuava a tormentarla dal momento in cui aveva ricevuto un messaggio da parte di Lione. Un messaggio troppo formale per presagire qualcosa di buono, perché “Ciao, spero che il tuo appuntamento sia andato bene. Fatti sentire qualche volta.” non era nel suo carattere. Per niente. I suoi messaggi avevano sempre delle faccine inserite da qualche parte nel testo, e non si limitava a scrivere solo due righe. No, scriveva sempre dei poemi.
Che avesse scoperto la sua relazione clandestina con Toma? Si era domandata la ragazza, allarmata. Ma se così fosse stato, era sicura che Lione glielo avrebbe detto senza tanti giri di parole.
Però…
Era stato in quel momento che aveva pensato che forse era il caso di confessare quel suo piccolo peccato, anche perché la prospettiva che lo scoprissero da soli, non la entusiasmava granché.
Così, dopo avere preso il coraggio a due mani, aveva scritto un veloce messaggio chiedendo ai suoi migliori amici d’incontrarsi in un locale poco fuori città; lo stesso che avevano scoperto quando si erano persi tornando indietro da Kyoto, dove avevano festeggiato il conseguimento del diploma. Un locale poco frequentato che, in breve tempo, era diventato il loro principale luogo d’incontro.
Le risposte erano arrivate velocemente.
La prima a rispondere era stata Mirlo, che le aveva domandato se doveva preoccuparsi.
Rein aveva sorriso, e le aveva risposto di “no”, senza aggiungere altro ad eccezione di uno smile sorridente, altrimenti – conoscendo il carattere della ragazza – l’avrebbe fatta stare in apprensione fino al giorno dell’incontro.
Il secondo a rispondere era stato Auler, dicendole scherzosamente che gli aveva appena rovinato un episodio strappalacrime della sua serie televisiva preferita.
La blu era scoppiata a ridere e gli aveva risposto con un scherzoso “gomen”.
Infine, era arrivata anche la risposta di Lione. Un semplice e distaccato “ci vediamo”, che l’aveva messa in allarme.
Lione sapeva.
E questo pensiero l’aveva accompagnata nei tre giorni a seguire, senza mai abbandonarla. Così aveva deciso di schiarirsi le idee ed era arrivata al luogo dell’incontro quarantacinque minuti prima, usufruendo, in quella giornata di pioggia, della linea urbana degli autobus, stranamente puntuale. Eppure, ricordava che la motivazione principale che l’aveva spinta verso la patente, riguardava il perenne ritardo dei mezzi di trasporto pubblici.
Espirò profondamente e prese un sorso della bevanda, rivolgendo un cenno di saluto alla ragazza che era appena entrata, facendo tintinnare i campanellini attaccati alla porta.
Quando essa prese posto difronte a lei, s’immerse nuovamente nelle sue riflessioni.
Lione era cambiata parecchio da quando l’aveva conosciuta.
Non era più la bambina timida ed impacciata che si ricordava; quella che cercava di mimetizzarsi con l’ambiente circostante per potere passare inosservata, quella che piangeva nascosta in bagno perché veniva presa in giro per il colore dei suoi capelli.
Ora era una donna ambiziosa, determinata e sicura di sé.
Ed aveva imparato a non farsi mettere i piedi in testa da nessuno. Non permetteva più agli altri di credersi superiori a lei.
Rein prese un altro sorso della bevanda dolciastra.
Il processo di cambiamento era iniziato quando andavano alle medie, tuttavia, solamente alle superiori aveva dimostrato per la prima volta di che pasta era fatta.
Sophie, una delle ragazze più logorroiche che Rein avesse mai incontrato, non ricordandosi il suo nome, l’aveva chiamata Carota e questo non aveva fatto piacere all’arancione, che molto gentilmente si era presentata una seconda volta.
Alcuni loro compagni delle elementari, avevano sentito il nome, ed inevitabilmente “Carota” era diventato il soprannome di Lione, ma non era durato più di una settimana, dato che la ragazza si era ribellata.
«Carota? Non pensate che sia un po’ discriminatorio nei miei confronti?» aveva domandato retoricamente, assumendo un’aria pensierosa. «È come se io vi chiamassi “castagna” per il colore dei vostri capelli. Vi piacerebbe essere chiamati “Castagna”?» aveva continuato, lanciando loro uno sguardo di sfida e questi ultimi avevano negato con la testa. «Bene, vedo che ci siamo capiti» aveva concluso Lione, sorridendo. E nessuno l’aveva più chiamata “Carota”.
«A cosa stai pensando?» domandò Lione, notando il sorriso sul volto dell’amica.
«A niente», rispose Rein, «Carota», concluse notando il sopracciglio inarcato dell’arancione.
«Ancora con questa storia? Rein saranno passati secoli. Vuoi che ti trovi un soprannome orrendo, Blu
«Blu? Mi piace. Stavo pensando a quanto sei cambiata in questi anni» disse la blu puntando i suoi occhi verde-acqua in quelli color caramello dell’amica.
«Anche tu sei cambiata. Fa parte della vita, Rein».
«Sicura di non volere seguire anche il corso di filosofia?»
«E ritrovarmi te come vicina di banco? No, grazie».
«Così mi offendi» rispose Rein, imbronciandosi per alcuni secondi, prima di scoppiare a ridere insieme a Lione.
«Vi divertite senza di me?» domandò Mirlo, accomodandosi al fianco dell’arancione.
«Oh, non ci permetteremmo mai» le rispose la blu, facendo ridere la nuova arrivata.
Mirlo non l’aveva conosciuta alle elementari.
L’aveva incontrata per caso alle medie quando, durante una partita di pallavolo, aveva mancato una palla e questa aveva quasi colpito la ragazza, che stava camminando – ignara del pericolo – lungo la parete della palestra.
Rein le era corsa subito incontro e le aveva domandato scusa chiedendole se si fosse fatta male, decidendo di accompagnarla in infermeria per precauzione. Prima di allora non l’aveva mai vista a scuola, infatti erano state smistate in due classi differenti, ma questo non aveva impedito a Lione e Rein di legare con lei. Dopo un primo periodo di amicizia, avevano cominciato a pranzare insieme ed il secondo anno erano state smistate nella medesima classe ed erano diventate a tutti gli effetti un trio.
La blu era sempre stata convinta che Mirlo sarebbe stata la prima tra loro ad incontrare la sua anima gemella. Inoltre, era assolutamente certa che sarebbe stata un bravissima mamma.
Ed infatti, come se Rein avesse letto nel futuro, la castana era fidanzata da quasi cinque anni con Pastel, un ragazzo più grande di un anno.
La prima volta che Lione li aveva visti insieme aveva espresso ad alta voce lo stesso pensiero di Rein, «Quei due sono perfetti insieme. Le due metà della stessa mela». E non era passato molto prima che cominciassero a frequentarsi, prima da amici, poi da fidanzati.
Rein l’aveva sempre invidiata, non solo perché aveva trovato l’amore della sua vita subito, ma anche perché era tutto ciò che lei voleva essere: timida, gentile e dolce. E ciò la rendeva ancora più femminile di quanto non facessero già i suoi delicati lineamenti.
Senza alcun dubbio, la dolcezza era l’elemento che più caratterizzava Mirlo, come le aveva fatto notare Auler quando gliel’aveva presentata. Ed aveva ragione. Non si poteva non volere bene ad una ragazza come lei, e quella volta in cui l’aveva trovata al parco in lacrime per colpa della madre, era andata dalla donna e, presa dalla sua impulsività, le aveva detto di considerare maggiormente la figlia, perché era unica e speciale.
A pensarci ora, Rein si vergognava tremendamente di quell’azione così avventata, ma al tempo stesso ne andava fiera dato che il rapporto tra la sua migliore amica e la madre era notevolmente migliorato.
La blu sorseggiò il tè alla pesca, scoccando una rapida occhiata all’orologio dietro il bancone.
Le quattro e due minuti.
Auler era in ritardo. Come sempre.
La puntualità non era il suo forte, a meno che non si trattasse di Altezza, la sua fidanzata, nonché sorella minore di Bright.
A vederli sembravano una coppia strana. Più che una coppia, molti insinuavano che Auler fosse solo il fedele cagnolino della bionda, che non sembrava degnarlo di uno sguardo.
Quanto si sbagliavano. E Rein si era stancata di ripetere sempre «Mai giudicare un libro dalla copertina» o «Le apparenze ingannano».
Altezza, a differenza del fratello, si teneva sempre tutto dentro, perciò aveva difficoltà a mostrare agli altri le sue emozioni, ma con Auler era tutto diverso.
La prima volta che l’aveva vista sorridere spontaneamente era stato al compleanno di Auler.
La prima volta che l’aveva vista arrossire era stato quando il ragazzo le aveva chiesto un ballo.
La prima volta che l’aveva vista piangere era stato tra le braccia del suo migliore amico.
Si poteva dire che tutte le “prime volte” di Altezza fossero collegate ad Auler.
Quando Toulouse, cinque mesi prima, aveva scoperto che il suo genero perfetto si era fidanzato con la sorella di Bright, si era quasi messo a piangere. L’uomo lo aveva visto crescere e lo considerava come il figlio maschio che non aveva mai avuto, – senza nulla togliere alle sue adorate figlie –, ed era stato in quel preciso istante che Rein aveva compreso perché il padre avesse sempre allontanato tutti i ragazzi che le si avvicinavano. Tutti ad eccezione di uno: Auler.
Quando sua madre le aveva confermato la sua teoria, Rein era scoppiata a ridere dicendo, tra una risata ed un’altra, che tra lei ed Auler non ci sarebbe potuto essere nient’altro che andasse oltre dell’amicizia, dato che più che probabile fidanzato, l’aveva sempre considerato un fratello maggiore, sebbene fosse più piccolo di lei di un mese.
Toulouse ci era rimasto talmente male, che aveva aperto la bocca più volte senza emettere suono, cosa che aveva aumentato le risa della ragazza, conclusesi – piuttosto bruscamente – solo quando il padre l’aveva minacciata di toglierle la paghetta e la patente.
Eppure, ripensandoci, forse Auler non sarebbe stato male come fidanzato, ma sapeva che il ragazzo era destinato ad Altezza da sempre.
Quando aspirando, il liquido non raggiunse le sue labbra, Rein abbassò gli occhi notando con disappunto di avere finito la bevanda. Con un sospiro si staccò dalla cannuccia e guardò difronte a sé, accorgendosi di avere tre paia di occhi fissi sulla sua figura.
«E tu quando sei arrivato?» domandò ad Auler, che con un gesto della mano sviò la domanda, arrossendo.
«Rein, sicura che vada tutto bene?» domandò Mirlo con apprensione.
«Ti abbiamo chiamata non so quante volte, ma continuavi a fissare quell’orologio in trance» disse Lione, senza celare una nota d’allarmismo nella voce.
Rein prese un profondo respiro e li guardò negli occhi.
Il momento della rivelazione era giunto e sperava con tutto il cuore che provassero a capirla.
Presa da un attimo di esitazione, abbassò lo sguardo e cominciò a giocherellare con il ghiaccio presente nel bicchiere di vetro.
«Rein?» la chiamò Auler, guardando velocemente le altre due, preoccupato.
Rein prese un altro respiro.
Cosa doveva dire?
No, sapeva cosa doveva dire, ma… come?
Si era preparato un bel discorso, ma ora le pareva troppo formale, troppo freddo, troppo distaccato, troppo… troppo.
Vi ho riuniti qui perché vi devo confessare una cosa.
No.
Se avesse iniziato così, Mirlo si sarebbe preoccupata più del dovuto, Lione avrebbe avuto conferma ai suoi dubbi ed Auler avrebbe chiamato un’ambulanza.
Cosa doveva fare?
Sentì gli occhi inumidirsi e si morse il labbro inferiore.
Non era il caso di farsi prendere dal panico.
Lasciò andare la cannuccia e mise le mani, dai palmi aperti, sulle ginocchia coperte dai jeans blu.
Perché tutti erano cambiati e lei rimaneva sempre la stessa?
Perché doveva vedere gli altri allontanarsi da lei?
Perché, per quanti sforzi facesse, lei stava sempre un gradino indietro rispetto agli altri?
Perché tutti avevano trovato il coraggio di affrontare le loro paure, mentre lei non ci riusciva?
Perché ora non era in grado di confessare chi frequentava?
Lei non era determinata come Lione, che aveva sempre saputo di voler diventare una scrittrice e, una volta finito il liceo, si era iscritta presso la migliore Università di Lettere Moderne della capitale. Lei l’aveva seguita spinta dalla passione per il giornalismo, ma al tempo stesso aveva deciso di seguire anche il corso di filosofia perché indecisa. Era stata una sorpresa scoprire che i corsi che seguiva le avrebbero garantito una perfetta formazione giornalistica di base.
Lei non era dolce come Mirlo, capace di trovare le parole adatte in ogni situazione.
Lei non era risoluta come Auler, che sarebbe sicuramente diventato un ottimo avvocato.
Lei era Rein, una ragazza che aveva paura di mostrare la sua fragilità agli altri per non farli preoccupare.
Una ragazza che non ammetteva nemmeno a se stessa di essere fragile, di avere bisogno di qualcuno pronto a sostenerla ogniqualvolta sarebbe caduta.
Strinse le mani a pugno, sentendo le unghie conficcarsi lentamente nei palmi delle mani.
Doveva cambiare.
Adesso.
Ora.
In quel esatto istante.
O ne sarebbe andato del gruppo.
Non poteva mentire alle persone a lei più care. Che razza di amica era?
Prese l’ennesimo grosso respiro, stringendo maggiormente i pugni, facendo sbiancare le nocche.
«Esco con Toma, il professore di giornalismo politico».
Ecco, l’aveva detto.
Aveva appena fatto esplodere la bomba.
Catturata dal silenzio che aveva seguito la sua confessione, alzò gli occhi e vide quelli seri di Lione scrutarla attentamente, quelli dolci e un po’ spaesati di Mirlo osservarla con preoccupazione, e quelli spalancati di Auler incapaci d’intendere e volere.
Senza alcun dubbio, il più sorpreso fra i tre era proprio il ragazzo.
Adesso le avrebbero detto che era un’incosciente, pensò Rein, preparandosi al dibattito che sarebbe seguito a breve.
Lione dapprima sorrise, poi scoppiò a ridere.
Mirlo le sorrise dolcemente.
Auler accennò una risata, scrutandola attentamente negli occhi, cercando di capire se si trattasse di uno scherzo.
Ecco, come aveva previsto ridevano.

Cosa?
«Devi…» cominciò Lione, interrompendosi a causa di un attacco di risa. «Devi vedere la tua espressione!» disse, reprimendo a fatica le risate.
Rein sbatté più volte le palpebre, aprendo e chiudendo la bocca senza sapere cosa dire, facendo aumentare le risate di Lione, alle quali si aggiunsero anche quelle di Auler e Mirlo.
Fra tutte le reazioni che si era immaginata, questa non l’aveva neanche presa in considerazione.
«Io… io vi dico che frequento un professore e voi… ridete?» domandò incredula Rein, che si aspettava una sfuriata da parte dell’arancione.
«Scusaci, ma la tua espressione era troppo divertente» disse quest’ultima, contrastando con un colpo di tosse le risate che le risalivano la gola. «Comunque, io e Mirlo lo sapevamo. Vi abbiamo visti a braccetto in centro».
«Cosa?… voi… tu… io… non mi avete detto niente!»
«Volevamo che fossi tu a parlarcene… quando sarebbe arrivato il momento. Non volevamo metterti alcuna pressione» spiegò Mirlo, scusandosi – con un gesto della mano – per la risata di prima.
«Io… non vi scoccia? Non siete arrabbiati?»
«Perché dovremmo? La vita è tua, cognatina» disse Auler accennando un sorriso. «Che sia chiaro, se quello prova a farti del male o ti fa soffrire, se la vedrà con me. E non m’importa se è più grande di me ed è un professore».
«C-Cognatina?» domandò perplessa Rein, ringraziando con lo sguardo l’amico.
«Sposando Bright, Fine è diventata la cognata di Altezza, ponendoti al suo stesso livello. Quindi, dato che io frequento la sorella minore di tuo cognato, sei anche mia cognata» spiegò Auler giocando con le parole, ridendo divertito all’espressione confusa sul volto della blu, seguito a ruota da Mirlo e Lione.
«Toglimi una curiosità, Rein» disse Auler, ricomponendosi, catturando l’attenzione dell’amica d’infanzia e delle altre due ragazze. «Toma, oltre ad essere uno tra i migliori insegnanti di giornalismo politico del Giappone, è bravo anche a letto?»
«Auler!»

  



 

Note dell’Autrice:
Buongiorno,
sono le 01.00 a.m. ed io mi accingo a pubblicare il terzo capitolo della storia.
Pensavate fossi così perfida da aggiornare a fine mese, come avevo accennato a qualcuno?
Sorpresa!
Questa volta il capitolo è piuttosto lungo e non è suddiviso in più parti. Anzi, in alcuni parti Rein ripensa a come è nata l’amicizia con gli altri tre, ma ho preferito tenere il capitolo unito, altrimenti non si capiva niente.
Vorrei precisare che l’unica parte pensata con malizia è stata l’ultima, quando Auler fa una domanda piuttosto diretta a Rein - confesso che avrei voluto scrivere le reazioni ed i pensieri, ma poi tuto sarebbe diventato troppo lungo e sono sicura che vi sareste addormentati, se non vi foste addormentati prima -, mentre la parte delle “prime volte” di Altezza non riguarda niente a sfondo sessuale!
Spero che il titolo abbia rispecchiato fedelmente il contenuto del capitolo, che ho letto e ricorretto talmente tante volte da non ricordarmi più nemmeno la versione originale. Inoltre, vi dico subito che quest’ultima versione non l’ho riletta perché mi si incrociavano gli occhi - anche mettendo su gli occhiali da riposo -, quindi confido in voi nel caso incontraste degli errori ortografici.
Inoltre, sono perfettamente consapevole che questo capitolo risulta un po’ pesante, nonostante io abbia tentato di risvegliarvi con le battute finali.
E mi accorgo anche di avere caratterizzato Rein con un po’ troppa complessità. Della serie: mi sono tirata la zappa sui piedi da sola.  ç_ç
Vi aspettavate queste reazioni da parte dei ragazzi? Sinceramente, io no. E pensare che il capitolo l’ho scritto io. Oggi sono proprio un grande controsenso. E sto delirando. Vabbe’.
Vi aspettavate un tormento interiore del genere da parte di Rein? Io no. Ma davvero?
Credete che le reazioni di Mirlo, Lione ed Auler siano state … esagerate? Poco coerenti? Inaspettate? Lontano anni luce da come dovevano essere?
E dato che sto per addormentarmi sulla tastiera e sto delirando, pesantemente, me ne vado a dormire per il vostro bene.
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Uh, dimenticavo, nel prossimo capitolo avremo sicuramente una comparsa femminile, chi sa chi sarà ... ha gli occhi celesti e viaggia sempre su una stella, e forse una comparsa maschile, forse.
Dimenticavo, gomen significa “scusa, mi dispiace” in giapponese.
Buonanotte, ♥
Himeko

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro – Lightning. ***


The reasons of the heart


• Capitolo Quattro •

Lightning.


Toma sedeva dietro la scrivania in legno di mogano, la schiena rivolta verso la porta e gli occhi puntati sul cielo oscurato da alcune nuvole grigie, pensando a lei.
Non appena lo zio era entrato nel suo ufficio, dalle dimensioni leggermente più grandi rispetto a quello dei suoi colleghi, elemento che aveva causato parecchia invidia nei suoi confronti, aumentata vertiginosamente, insieme ai pettegolezzi riguardanti la sua assunzione, non appena si era venuto a sapere che era il nipote – l'unico, per l'esattezza – del rettore stesso, aveva percepito distintamente un brivido poco piacevole attraversargli per intero la colonna vertebrale.
«L'ho assunta» aveva detto il cinquantenne, senza molti convenevoli, arrivando subito al fulcro di quell'inaspettata visita, consapevole che il nipote avrebbe compreso subito chi fosse il soggetto – implicito – della frase.
«Bene» aveva risposto l'argenteo senza mostrare alcuna emozione, indossando la sua maschera di distacco ed indifferenza, nonostante stesse sudando freddo ed il cuore avesse smesso di battere all'interno della gabbia toracica.
«Vedo che hai da fare», aveva detto il rettore indicando la pila di fogli accatastati ordinatamente alla sua destra, mentre si alzava dalla poltroncina con l'intenzione di lasciare il nipote solo con le sue riflessioni. «Stai bene?» gli aveva domandato poi, con una mano poggiata sulla maniglia d'ottone della porta.
«Non lascio che la mia vita sentimentale interferisca con il lavoro» aveva risposto il ragazzo con tono tagliente, prendendo un foglio dalla pila, fissandolo senza leggerlo veramente, mentre il cuore riprendeva a battere – irregolarmente, ma batteva.
«D'accordo» aveva sospirato l'uomo uscendo dalla stanza, mentre Toma espirava profondamente lasciando cadere la testa all'indietro, sul morbido schienale della sedia girevole.
Correggere i compiti che aveva assegnato la settimana precedente – La rivoluzione del ruolo della donna all'interno della società, tra i quali spiccavano quelli di Lione, nota a tutto il corpo insegnanti per le sue straordinarie doti descrittive, e di Rein, che, oltre ad essersi mostrata molto preparata sull'argomento, era stata l'unica ad integrare fatti recenti, come la candidatura a sindaco di una donna, a fatti passati quali il ruolo della moglie dell'imperatore durante il periodo Edo, andando ben oltre le sue aspettative – lo aveva aiutato, per qualche ora, a non pensare alla donna che era appena stata assunta.
Però, una volta terminato di correggere tutti gli scritti, le riflessioni, che aveva solo rimandato, gli erano piovute addosso come una doccia fredda.
Avrebbe avuto a che fare con lei tutti i giorni, durante le pause pranzo, le ore buche e le riunioni.
E non sapeva prevedere la reazione che avrebbe avuto non appena l'avrebbe rivista.
Certo, non mescolava mai il lavoro con la sua vita privata, ma era anche vero che rivederla, dopo che si erano lasciati senza dirsi niente, non lo lasciava del tutto indifferente.
Ma loro, si erano lasciati veramente?
Da quel che ricordava... no.
Lei era semplicemente sparita dalla sua vita, quando svegliatosi non l'aveva trovata al suo fianco e, successivamente, non aveva risposto ai suoi messaggi ed alle sue chiamate.
Per quanto breve fosse stata la loro relazione, era stata di un'intensità tale che lo aveva lasciato sconvolto e lo aveva fatto cadere in una specie di depressione, finché non era arrivata Rein a salvarlo con la sua dolcezza e voglia di vivere.
Rein.
Quella ragazza dai capelli turchesi, gli occhi verde-acqua – che esprimevano l'innocenza che caratterizzava i bambini e che con l'andare del tempo si perdeva –, era troppo pura per essere coinvolta in questa faccenda che riguardava solamente lui ed il suo passato.
Ma non poteva evitare d'informarla riguardo a quella donna, dalla quale le avrebbe consigliato di tenersi alla larga; aveva troppo rispetto nei suoi confronti per mentirle o solo per ingannarla. D'altronde lo aveva tirato fuori dal baratro in cui stava cadendo ed almeno questo glielo doveva.
Il rombo di un tuono in lontananza fece tremare leggermente il vetro della portafinestra, riscuotendo Toma dai suoi pensieri.
Stiracchiandosi leggermente, si alzò dalla comoda sedia e si avvicinò alla portafinestra volgendo lo sguardo sul cortile esterno, notando una chioma turchese correre lungo il vialetto.
Un sorriso, il primo di quel pomeriggio, gli increspò le labbra, facendogli assumere un'espressione… intenerita.
Mentre le prime gocce di pioggia cominciavano a cadere, Toma tornò indietro a qualche mese prima, quando Rein era rimasta a dormire nel suo modesto appartamento in centro città.
L'improvviso scosciare della pioggia, unito al violento tuonare di un temporale estivo, aveva svegliato il ventinovenne, che si era voltato sul letto alla ricerca del caldo corpo della ragazza.
Non trovandolo, si era seduto di colpo, passandosi velocemente una mano sugli occhi assonnati e sporgendosi un poco verso sinistra, aveva trovato Rein accovacciata, le ginocchia al petto strette dalle esili braccia, la schiena contro il materasso ed indosso la sua camicia color panna.
«Hai paura?» le aveva domandato dolcemente, sporgendosi con metà corpo dal materasso.
La ragazza aveva scosso la testa, ma la sua risposta era subito stata contradetta da un tuono che l'aveva fatta sobbalzare.
Toma, intenerito da quella reazione, l'aveva raggiunta sul pavimento, rabbrividendo a contatto con le piastrelle fredde, l'aveva sollevata di peso e l'aveva adagiata sul letto, raggiungendola subito per racchiuderla tra le sue braccia.
Ed alla fine si erano addormentati così: Rein con la schiena poggiata sul petto nudo di Toma e le braccia del ragazzo strette attorno alla vita. 

No, si disse Toma scrutando la pioggia aumentare d'intensità, non poteva permettere che l'ingenuità di Rein venisse intaccata in qualche maniera dal suo passato. Doveva parlarle, al più presto.



Rein girò la pagina del libro, continuando a leggere distrattamente il paragrafo che si era imposta di studiare, senza molto successo. Dopo le prime tre righe, che aveva riletto varie volte per comprenderne il contenuto, aveva capito che quel giorno non avrebbe studiato, visto che il meraviglioso sorriso di Toma continuava ad apparirle davanti agli occhi, ma aveva comunque continuato a leggere, non volendo tornare a casa e subirsi una ramanzina dalla madre per il disordine che regnava nella sua camera. Inoltre, sperava così di passare agli occhi della madre come la figlia che era rimasta tutto il pomeriggio in sala studio per studiare e questo, quasi certamente, le avrebbe evitato una discussione sul suo personale concetto di ordine.
E sperava in questo modo di poter evitare l'argomento “ragazzi” con il padre, che si era insospettito quando quella mattina, scendendo a fare colazione, l'aveva vista con indosso una sciarpa leggera, e come tutti sapevano, lei odiava mettere le sciarpe persino in inverno quando nevicava.
La turchese aveva dovuto improvvisarsi attrice, cercando di modulare il tono della voce, fingendo di avere mal di gola. Nonostante andasse abbastanza fiera della sua performance, aveva capito che il padre non era molto convinto, dato che non le toglieva gli occhi di dosso, come se volesse scannerizzarla, così era uscita di fretta, ricordandosi che la macchina era dal meccanico e si era avviata alla fermata degli autobus, stringendosi nella felpa pervinca, che la sorella le aveva regalato anni prima, cercando nel frattempo una scusa da presentare al padre. Non poteva certo dirgli che aveva un succhiotto sul collo, gli sarebbe venuto un infarto, come minimo. Nel peggiore dei casi sarebbe passato a miglior vita, abbandonandola con la madre, che ultimamente s'impicciava un po' troppo della sua vita privata, che doveva rimanere privata come diceva la parola stessa.
Ma se avesse accampato questa scusa, entrambi i genitori l'avrebbero sommersa di domande e lei non aveva nessuna voglia di trovarsi in una situazione del genere, memore del terzo grado che aveva dovuto subire Fine quando aveva confessato di frequentare Bright.
Uno sbuffo le sfuggì dalle labbra arricciate.
Fine le mancava più di quanto desse a vedere.
Le mancavano soprattutto le loro chiacchierate notturne con un barattolo di nutella, o del gelato al cioccolato, davanti.
Le mancava chiamarla la sera, prima di andare a dormire, per raccontarle la sua giornata, farsi dare qualche consiglio o, semplicemente, per sentire la sua voce frizzante – e sempre allegra – raccontarle ciò che le era successo durante il giorno, ridendo alle numerose figure della sorella. Anche se ammetteva, che anche lei era piuttosto impacciata, soprattutto in cucina, luogo dove la madre le vietava quasi sempre l'accesso, ricordandole di quella volta, quando aveva quasi bruciato la casa – esagerata, le rispondeva Rein, alzando gli occhi al cielo – cercando di riscaldare una pizza congelata.
Ed in quel momento avrebbe tanto voluto sapere la sua opinione sulla sua relazione con Toma, sicura di non venire giudicata, perché Fine, al contrario dalla madre, non si sarebbe mai permessa di farlo.
Era stato questo uno dei motivi che l'aveva spinta ad allontanarsi un poco dalla figura materna. Elsa giudicava, giudicava sempre, anche senza conoscere le vicende. Ed era una pettegola; nel giro di cinque minuti una sua possibile relazione avrebbe fatto il giro del quartiere e lei si sarebbe sentita osservata dalle vicine, domandandosi se non avessero altro da fare che rimanere accanto alla finestra tutto il giorno.
Un tuono fece tremare le finestre della sala e la matita in bilico sulle labbra di Rein cadde sul libro con un piccolo tonfo.
Velocemente la ragazza chiuse i libri aperti sul tavolo di legno e li ripose nella borsa a tracolla, insieme all'astuccio, dopodiché si alzò e salutando la signora che si occupava di mantenere l'ordine all'interno della stanza, uscì.
Quando si ritrovò all'aperto, una goccia le bagnò la guancia e, ricordandosi di non avere un ombrello con sé, cominciò a correre, sperando che a quell'ora ci fosse almeno un bus pronto ad offrirle riparo dalla pioggia.
Con il fiatone, dovuto alla corsa ed all'ansia di tornare a casa fradicia, raggiunge la fermata del bus, constatando che il prossimo pullman sarebbe passato solo tra due ore e che rimanendo lì, di fronte a quel palo su cui erano affissi gli orari, come minimo si sarebbe beccata una polmonite.
Non volendo chiamare la madre intenta a guardare la sua soap-opera preferita e non volendo disturbare il padre al lavoro, decise di incamminarsi verso casa passando per il parco-giochi in cui era solita giocare con Fine quando era piccola, così s'infilò le cuffie nelle orecchie facendo partire la musica, sperando che coprisse il rumore dei tuoni.



«Allora io vado» disse Narlo alla bambina dai capelli rosa, che gli sorrise rassicurante.
«Sei sicura di non volere che ti accompagniamo a casa?» domandò Mirlo con apprensione, dato che la pioggia aumentava d'intensità man mano che passavano i minuti.
«Grazie per la preoccupazione, ma mio fratello sarà qui tra poco» rispose Milky; dopotutto Shade glielo aveva promesso e lui manteneva sempre le sue promesse.
«D'accordo, più tardi chiamerò Shade per essere sicura che sia venuto a prenderti e per ricordargli dell'appuntamento con Pastel. Sicura di non volere venire a casa nostra per un po’?» domandò nuovamente Mirlo. Conosceva il ragazzo e sapeva di potersi fidare, ma non era altrettanto sicura di volere lasciare una bambina di dieci anni al parco-giochi, riparata dalla pioggia solo da un ombrello blu.
«Non preoccuparti, mio fratello arriverà tra qualche minuto e poi non vorrei disturbare» disse Milky con un dolce sorriso sul volto, di fronte al quale Mirlo s'intenerì.
«D'accordo, ma se Shade non dovesse presentarsi entro dieci minuti, o la pioggia dovesse diventare più forte, vieni pure da noi. Sei sempre la benvenuta e non disturbi mai» le disse la ventenne, regalandole un dolce sorriso, mentre prendeva per mano Narlo, che arrossiva.
«Okay. A domani, Narlo» salutò la bambina, dandogli un bacio sulla guancia.
«C-Ciao» balbettò il bambino, rosso in viso, facendo ridacchiare la sorella, che gli sussurrò qualcosa, provocandogli un ulteriore arrossamento, mentre si allontanavano.
Per ripararsi meglio dalla pioggia, la bambina decise di posizionarsi sotto la tettoia del bar, che quel giorno non aveva aperto, sperando che il fratello si arrivasse in fretta perché stava cominciando a sentire freddo.
Un fruscio accanto a lei la fece spaventare, ma non appena vide una ragazza dai capelli blu, completamente fradicia, si tranquillizzò.
Sapeva che fissare le persone non era educato, però quei capelli così lunghi ed ondulati la incantavano. Le ciocche della ragazza somigliavano alle onde del mare e la piccola Milky sperava che anche i suoi capelli, una volta cresciuti, presentassero lo stesso effetto.
La ragazza, sentendosi osservata, si voltò e vide una bambina dai capelli rosa – lunghi fino alle spalle – e gli occhi celesti, scrutarla. Con un sorriso la salutò, sperando di non averla spaventata.
«Ciao» rispose quella, «mi piacciono i tuoi capelli».
«Oh, grazie. Anche i tuoi sono bellissimi, scommetto che quando ti fai due code diventi ancora più carina».
«Lo dice anche mio fratello» rispose Milky sorridendo. «Che maleducata, non mi sono presentata! Mi chiamo Milky, tu?» domandò porgendole la mano, come aveva più volte visto fare al fratello.
«Rein. Comunque la maleducata sono io e sono anche sicura di averti spaventata» rispose la ventenne, afferrando la manina della bambina, che scosse la testa.
«Solo per un secondo, anche se i tuoni mi spaventano di più» ripose sinceramente la piccola.
Rein le sorrise dolcemente, inginocchiandosi per poterla fissare meglio negli occhi chiari. «Anche io ho paura dei tuoni, sai? Direi dei temporali in generale. Toglimi una curiosità, non dovresti essere a casa? Restando qui, per quanto coperta tu possa essere, ti prenderai sicuramente un'influenza».
«Sto aspettando mio fratello. Forse si è dimenticato di venirmi a prendere» disse Milky, fissando le punte delle scarpe da ginnastica. «Però anche tu ti prenderai un'influenza, sei senza ombrello!»
«Beccata! L'ho dimenticato a casa nella fretta di uscire. Non ti preoccupare, negli ultimi quattro anni non mi sono mai ammalata. Se vuoi ti accompagno a casa, non ti lascio qui ad aspettare tuo fratello», le propose Rein, sorridendole rassicurante. 
«Lo faresti davvero?» domandò la bambina con entusiasmo. «Cioè… non voglio farti perdere tempo…»
«Tranquilla, lo faccio con piacere... se vuoi» Disse la blu, togliendosi la sciarpa bianca ornata da piccoli ghirigori argentei, avvolgendola attorno al collo della rosa. «Così non sentirai più freddo», spiegò notando il suo sguardo disorientato.
«Grazie» disse Milky arrossendo. «Casa mia non è lontana. Si trova nel quartiere dei ciliegi».
«Davvero? Abitiamo ad un solo isolato di distanza, guarda che coincidenza!» disse Rein, prendendola per mano, mentre alzava l'ombrello sopra le loro teste in modo da coprirle, soprattutto la bambina.
«Che bello! Un giorno giocheremo insieme al parco-giochi?» domandò Milky con un po' d'imbarazzo, dopo qualche attimo di silenzio. Dopotutto aveva conosciuto quella ragazza solo pochi minuti fa e magari non aveva tempo per giocare con i bambini, nonostante si fosse mostrata così gentile nei suoi confronti.
«Certo, te lo prometto».
«Ecco, io abito qui» disse la bambina, indicando la casa di fronte a loro. «Ti va di venire dentro a bere qualcosa di caldo? Sarai raffreddata.»
«Sarà per un'altra volta, piccola. Sono quasi le sei ed io devo andare a casa a studiare. Facciamo la prossima volta, d'accordo?» propose Rein dopo avere dato una rapida occhiata all'orologio da polso. In realtà non voleva mettersi a studiare, voleva solo arrivare a casa prima del padre per evitare delle domande scomode.
«Milky!»
«Questa è la voce di mio fratello. Allora io vado, ciao!» la salutò la rosa, correndo verso la porta aperta dell'abitazione.
«Ciao» sussurrò Rein, allontanandosi.
«Si può sapere dove sei stata? Mirlo mi ha appena chiamato e...» domandò un ragazzo dai capelli violacei e gli occhi cobalto, dopo avere messo giù il telefono – rassicurando l'amica sul fatto che la sorella era arrivata a casa sana e salva.
«Avevi promesso che saresti venuto a prendermi e non l'hai fatto!» disse Milky, togliendosi la sciarpa. «Oh, no! Non le ho restituito la sciarpa!»
«Restituito a chi?» domandò il ragazzo, seguendo la sorella fino alla porta d'ingresso.
«A Rein» rispose la rosa, scrutando l'orizzonte.
«Rein?»
«Niente, Shade. Volevo presentartela: è così carina e gentile! E i suoi capelli sembrano le onde del mare! Perché non ti metti con lei?» domandò Milky voltandosi verso il fratello, che cominciò a tossire violentemente, battendosi la mano sul petto.
«Milky, non sono cose da dire così all'improvviso! Senza contare che neanche la conosco questa tipa!»
«Rein, si chiama Rein. Sono sicura che stareste benissimo insieme. Cosa si mangia? Sto morendo di fame!» disse la bambina correndo in cucina, lasciando il fratello, perplesso e scioccato, sulla porta.





 

Note dell'Autrice: 
Buongiorno miei cari lettori!
Finalmente eccomi qui a proporvi il quarto capitolo, che ahimè - dopo una serie di rivisitazioni - non è venuto esattamente come volevo. Diciamo pure che sonoabbastanza soddisfatta del risultato, anche se sono consapevole che avrei potuto fare di meglio. Vedrò di rifarmi con il prossimo, spero.
L'inizio è volutamente confuso, anche se, facendovi leggere lo spoiler, molti mi hanno detto che la "lei" citata all'inizio era Rein, quando in realtà non è lei. Uhm … che frase contorta. Quindi, dopo avere letto tutto il pezzo inerente a Toma, vi risulta ancora che la lei a cui sta pensando è sempre Rein? Ditemelo, così vedrò di modificare la frase.
E non ce l'ho fatta. Perdonatemi! ç__ç
Volevo rendere Toma un ragazzo senza scrupoli, che usava Rein per il suo piacere carnale, invece non ce l'ho fatta. L'ho reso un ragazzo … boh XD
Perdonatemi, l'ora gioca brutti scherzi!
Dicevo, troverò un altro modo per farli lasciare, credo. D'altronde questa è una BlueMoon e non voglio trovarmi immischiata in triangoli non previsti, anche se tutto il capitolo ha decisamente modificato il corso della storia. Mi sa che dovrete sopportarmi per due o tre capitoli in più rispetto a quelli previsti inizialmente. Scusate.
La seconda parte si concentra su Rein, su ciò che l'ha allontanata dalla madre, elemento che troverà la giusta rilevanza nei prossimi capitoli, la mancanza che sente nei confronti della sorella, il potere che ha su di lei il sorriso di Toma. Uh, di maggiore spicco è ciò che prova Toulouse nei suoi confronti. Riuscirà Rein a tornare a casa senza che i genitori si accorgano del segno sul collo? Le scommesse sono aperte!
La terza ed ultima parte, è dedicata a Milky, che fa il suo ingresso nella storia, con un accenno di Milky/Narlo - eh, io adoro questa coppia! Non trovate anche voi che siano adorabili insieme? ♥
E Rein incontra la bambina senza sapere che diventerà sua cognata! Voi non avete letto niente! u.u
E questa è anche la parte che mi piace di meno, non mi convince per niente! ç__ç
A parte il dialogo, mi pare inverosimile che una bambina si affezioni così presto ad una ragazza, certo, a me è capitato che una bambina mi chiedesse di giocare con lei dopo le varie presentazioni, però invitarla anche a casa. No, non potevo permettere a Rein e Shade d'incontrarsi. Eheh, vi farò agognare il momento, poi quando accadrà … vi deluderò tutte! ç__ç  *cade in depressione*
E così anche Shade è entrato nella storia. Certo che dimenticarsi la sorella … E sì, mi avete beccata, volevo farlo morire per "eccesso di tosse violenta", avete idea di quanto mi costi inserirlo nella storia? Una montagna di soldi!
Se non ci fosse stata Mirlo, tra l'altro vorrei focalizzarvi su questo: Mirlo e Shade sono amici, si conoscono!
Quindi, cosa potrà mai succedere? Vi ho anche dato un indizio quando Mirlo parla con la piccola - e dolce - Milky … sta a voi scoprirlo.
Per quanto riguarda il titolo, è stato fatto un ragionamento dietro.
Lightning in inglese significa "fulmini", questo si ricollega ai "temporali" - paura di Rein e Milky -, ma si collega anche alla "Lei" di cui parla Toma. Sì, concordo con voi, è un ragionamento un po' contorto. Domani, o nei giorni a seguire, sarò lieta di spiegarvelo meglio.
Per quanto riguarda il prossimo aggiornamento … non saprei dirvi se avverrà entro un mese. Perdonatemi, ma l'Università al momento è la mia priorità assoluta.
Ringrazio tutti coloro che saranno giunti sino a qui, tutti coloro che leggono e commentano.
Per eventuali errori: dite pure, non vi mangio.
Un bacione ♥
Himeko 

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque – First meeting. ***


The reasons of the heart


• Capitolo cinque •

First meeting.


«Signorina, non si corre nei corridoi!»
Rein sbuffò, sorridendo affabilmente al bidello che l'aveva richiamata; se non fosse stata in ritardo perché dopo avere spento la sveglia aveva avuto la brillante idea di seppellirsi nuovamente sotto le coperte, se sua madre non l'avesse fermata sulla soglia della porta ordinandole di accompagnarla al supermercato nel pomeriggio, se la lezione di giornalismo politico del professor Toma non fosse iniziata già da una quindicina di minuti, si sarebbe volentieri fermata per rispondergli atono «Non sto correndo, sto semplicemente camminando a passo svelto», – probabilmente ripensandoci in un secondo momento avrebbe concordato con l'uomo, chiedendogli mentalmente scusa –, e dato che era di pessimo umore avrebbe aggiunto anche un bel «forse dovrebbe mettere un cartello davanti ai servizi, giusto per evitare che qualcuno scivoli sul pavimento bagnato e le faccia causa». Senza accennare a diminuire l'andatura, quasi a sfidare il bidello, svoltò a sinistra entrando in un corridoio che proseguiva parallelo al cortile interno dell'edificio – un’ottima scorciatoia quando si era in ritardo, quel giorno inaccessibile a causa della pioggia che cadeva imperterrita da giorni: quattro, per la precisione.
Con un sospiro accelerò lievemente il passo: ora sì che stava correndo.
Voleva raggiungere l'aula il prima possibile; non tanto per seguire la lezione, quanto per un desiderio personale: perdersi negli occhi azzurro ghiaccio di Toma ed inebriarsi della sua voce. Era dallo scorso venerdì che non lo vedeva, ci aveva semplicemente parlato al telefono e le era sembrato insolitamente distaccato. Se solo avesse potuto si sarebbe immediatamente recata nel suo appartamento per scoprire il motivo che si celava dietro la sua freddezza, ma non avendo a disposizione l'auto – a cui qualcuno, molto gentilmente, aveva danneggiato lo specchietto laterale e lei si era vista costretta ad ordinarne uno nuovo, che a detta del meccanico non sarebbe arrivato prima della prossima settimana – e non volendo prendere un mezzo di trasporto dagli orari improponibili, o camminare – di sera, da sola, sotto la pioggia – fino in centro, aveva dovuto rinunciare.
A rendere quel fine settimana peggiore di quanto non fosse già, ci aveva pensato sua madre.
Quando Rein era rientrata a casa, la donna le era corsa incontro con un asciugamano in mano ed aveva cominciato a frizionarle amorevolmente i capelli, rimproverandola di non essersi portata dietro un ombrello e di non averla chiamata, poi scostandole alcune ciocche dal collo aveva notato il segno violaceo, ma prima che potesse proferire parola la porta d’ingresso si era aperta rivelando Toulouse ed Elsa aveva avvolto l’asciugamano attorno al collo della figlia, facendole intendere con uno sguardo che la cosa non finiva lì. La ragazza aveva sperato che la madre se ne dimenticasse, invece il giorno seguente, quando il padre era dovuto correre a lavoro per un'emergenza, Elsa l’aveva intrappolata e Rein si era sentita come un topo in gabbia, perdipiù nella propria camera. A nulla era valso accampare la scusa “mi sono bruciata con la piastra”, così dopo le insistenti domande della donna, la blu aveva confessato che si vedeva con un ragazzo da diversi mesi, sperando che la questione finisse lì, ma non aveva considerato la curiosità della madre e, dopo essersi fatta promettere che non avrebbe riferito nulla al marito ed alle amiche, la ventenne si era inventata un ragazzo, stupendosi nel constatare che la madre credesse che al mondo esistesse qualcuno con i capelli viola e gli occhi cobalto.
L’unica nota positiva di quel weekend disastroso era arrivata domenica mattina con una telefonata inaspettata: Fine e Bright sarebbero tornati in Giappone la prossima settimana e l’avevano invitata a pranzo a casa loro.
Meccanicamente, ancora persa nei suoi pensieri, Rein svoltò nuovamente a sinistra e solo per un caso fortuito riuscì a fermarsi in tempo, evitando un impatto frontale, ed una rovinosa caduta, con la persona che correva nella sua direzione.
«Mi scusi, non l’avevo vista. Questa mattina mi sono svegliata tardi, piove da giorni e sono stressata, non ho fatto colazione, il pullman era in ritardo ed ora sto facendo tardi a lezione. Mi mancava solo investire una persona per iniziare al meglio la giornata. Mi scusi, è tutta colpa mia» disse velocemente la turchese, inchinandosi più volte per scusarsi.
«Nono, scusami tu. È colpa mia. Mi sono svegliata tardi e come se non bastasse l'auto mi ha lasciata a piedi ed ora non riesco a trovare l'aula 201» si scusò a sua volta la donna, inchinandosi nell'esatto momento in cui Rein alzava il capo: questa volta lo scontro fu inevitabile.
Entrambe arretrarono di un passo tenendosi la fronte con la mano ed un'espressione sofferente dipinta sul volto, poi si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere. Solo allora la ragazza, con gli occhi appannati da un velo di acqua, si accorse dei lunghi capelli corvini gocciolanti della donna. «Venga, le mostro il bagno così può darsi una sistemata».
«E la lezione?»
La turchese guardò distrattamente l'orologio al polso. «Mancano trentacinque minuti e dubito capirò qualcosa, mi farò dare gli appunti».
La donna rise lievemente, catturando l'attenzione della ventenne. «Perdonami, mi ricordi me alla tua età. Comunque io sono Eliza» disse porgendo la mano, che venne subito afferrata dalla ragazza.
«Rein. Stava cercando l'aula di giornalismo politico?» domandò, avviandosi verso il bagno poco lontano.
«Sì, il corso del professor Toma. Volevo mettermi d'accordo con lui sugli approfondimenti di Letteratura Giapponese così da essere al passo con il suo programma e dare agli studenti maggiori spunti di collegamento».
«Oh, allora è lei che andrà a sostituire la dottoressa Olivia! Le prometto che non arriverò tardi a lezione», giurò solennemente la ragazza, facendo ridere entrambe.
«Segui giornalismo politico?» le chiese Eliza, appoggiando l'asciugamano su un ripiano e prendendo il phon.
«Sì, voglio diventare una giornalista, ma non credo di riuscire ad arrivare ai livelli a cui mi vede il professor Toma».
«È proprio da lui spronare gli altri, soprattutto coloro che posseggono il talento», rispose Eliza perdendosi nei suoi ricordi.
«Lo conosce?»
«Eravamo compagni di banco al corso di storia giapponese», la donna spense il phon, «dimmi, è sempre severo o con il tempo si è addolcito?».
«Non saprei cosa risponderle, pretende sempre il meglio da noi, esattamente come lui dà il massimo per noi, ma allo stesso tempo si mostra gentile e disponibile con tutti».
«Sai Rein, da come ne parli si direbbe quasi che tu ne sia innamorata», disse Eliza, uscendo dal bagno, tenendo la porta aperta per permetterle di passare.
«C-Cosa? No! Io non sono… insomma, è un bell'uomo, ma no… io...» farfugliò in imbarazzo la turchese.
«Non preoccuparti, stavo solo scherzando. Anche se tu ne fossi innamorata non ci sarebbe niente di male», disse la corvina facendole un occhiolino. «Ora vai a lezione, ti ho già fatto perdere fin troppo tempo. Mi raccomando, credi nelle tue capacità; Toma lo sta facendo».
«Grazie» sussurrò la turchese, inchinandosi, per poi avviarsi verso l'aula 201: per parlare con Toma sarebbe stata in grado di saltare anche la lezione successiva.



«Avevo ragione, sei proprio tu. Sei cresciuto bene».
«Eliza», sussurrò tra i denti il ragazzo. «Cosa ci fai qui?»
«Oh, Shade, non sei contento di vedermi?»
«Dovrei?»
«Non ce l'avrai ancora con me, vero? Eravamo d'accordo; nel nostro rapporto non era implicato alcun tipo di sentimento. Se ti sei innamorato di me non è di certo colpa mia». Disse la corvina con una lieve nota di freddezza nella voce.
Il cobalto sospirò. «Cosa ci fai qui?»
«Sono qui per la cattedra di Letteratura Giapponese, il rettore in persona mi ha chiamata, inoltre devo sistemare una questione irrisolta».
«Chi è?»
«Cosa ti fa credere che io sia qui per una persona?», domandò Eliza sorridendo maliziosamente.
«Dopo due anni di turbolenta relazione, credo di conoscerti abbastanza bene, non trovi?» domandò retoricamente Shade.
«Touché. Mi dispiace, tesoro, non ti è dato saperlo. Stammi bene e salutami la piccola Milky», disse la donna allontanandosi con un sorriso, ancheggiando lievemente.
Shade espirò profondamente, mentre il profumo di quella che un tempo era stata la sua amante lo inebriava. Anche a distanza di anni riusciva a farlo rabbrividire con un solo sguardo, facendolo sembrare piccolo ed inesperto, un ragazzo alle prime armi con l'amore. Tuttavia i brividi che l'avevano colto questa volta non avevano niente a che fare con i sentimenti che aveva provato verso quella donna, poco più grande di lui, che aveva rappresentato il suo primo vero amore e la sua delusione più grande. Tra di loro, anche se Eliza lo negava, inizialmente c'era stato del sentimento, poi questo amore – se lo si poteva chiamare realmente così – era diventato unidirezionale e Shade, anche se lo aveva intuito – negandolo con quell'ingenuità che si possiede quando si è innamorati – date le loro discussioni quasi giornaliere, lo aveva capito solamente quando lei lo aveva lasciato per un uomo ricco, che le aveva promesso il Mondo. E ci era rimasto male, inutile negarlo a se stesso ed agli altri. Aveva passato mesi a cercare di capire cosa fosse successo, dove avesse sbagliato, perché avesse assunto determinanti comportamenti, eppure non era riuscito a trovare una risposta. Era stato Pastel insieme alla sua ragazza, Mirlo – la quale non perdeva occasione per parlargli di una ragazza il cui nome somigliava alla parola “pioggia” in inglese –, a rimetterlo in piedi, a fargli rivivere la realtà, senza che cadesse ulteriormente in depressione. Sua madre non aveva detto niente, conscia del fatto che il figlio si sarebbe chiuso ulteriormente in se stesso, mentre il padrino aveva cercato di cavargli le parole di bocca senza successo, arrendendosi e lasciando che la questione facesse il suo decorso, pronto però a sostenerlo in qualunque momento. Milky l'aveva semplicemente guardato e gli aveva sussurrato con voce ferma un «Io te lo avevo detto» per poi abbracciarlo e dirgli di non pensare a quella donna, aggiungendo che l'avrebbe trovata lei la ragazza perfetta per lui, sotto la pioggia, ed era stata categorica nell'affermare che avrebbe dovuto avere i capelli ondulati a tal punto da ricordare le onde del mare che ai due fratelli piacevano tanto.
Un sospiro gli fuoriuscì dalle labbra, mentre fissava Eliza svoltare l'angolo. Era strano come rivedendola adesso non si fosse sentito intimorito dal suo sguardo, sebbene si fosse sentito rimpicciolire un poco, non provava più niente nei suoi confronti, nessun sentimento; né amore, né infatuazione, né rancore, solo gratitudine per avergli aperto gli occhi sull'amore. Era vero che il cuore aveva aumentato leggermente il suo ritmo, ma il tutto era dovuto alla sorpresa di essersela trovata davanti all'improvviso, non ad altro.
«Shade, non vieni?» lo chiamò un compagno di corso al quale rispose con un cenno e, scuotendo lievemente la testa per scacciare i pensieri che l'avevano colto, lo seguì nell'aula di anatomia.



«Ne eri innamorato?» domandò Rein con un sospiro, adagiandosi meglio contro lo schienale del divano presente nello studio di Toma.
«Se ti dicessi di no, mentirei. Probabilmente quello che teneva maggiormente al nostro rapporto ero io piuttosto che lei. Rein non volevo tenertelo nascosto, pensavo di parlartene, solo più avanti, e mi dispiace essere stato così scostante in questi ultimi giorni; volevo trovare il modo migliore per dirtelo, ma ora temo di risultare un codardo ai tuoi occhi perché se tu non fossi venuta da me, io non avrei trovato il coraggio di dirtelo. Ti capisco se vorrai prenderti del tempo per pensare, d'altronde il mio passato non è dei migliori».
Rein espirò profondamente, mentre si alzava con studiata lentezza dal comodo divano ed altrettanto lentamente si avvicinava a Toma, in piedi accanto alla scrivania, su cui si poggiava con i palmi aperti delle mani.
«Sei stato sincero con me e ti ringrazio di ciò, solo non mi spiego una cosa; perché dovrei allontanarmi?» domandò posizionandoglisi davanti, ma non ricevendo alcuna risposta gli prese il volto tra le mani e lo obbligò a fissarla negli occhi. «Non ti lascio a meno che non sia tu a volerlo. Ti ricordi le nostre prime uscite? Nessuno dei due credeva di arrivare fino a questo punto. E guardaci ora, stiamo insieme da quasi un anno e non abbiamo mai discusso, personalmente lo ritengo un bellissimo record. Quindi, no, non ti allontano da me solo perché mi hai detto che la tua ex porterà avanti un corso che seguo».
Toma accennò un lieve sorriso, alzando di poco l'angolo della bocca. «Suppongo che avrai delle domande...»
«Possono aspettare», lo zittì Rein posando le sue labbra su quelle dell'uomo.


 
*


«Preferisci mangiare una macedonia o una torta alle pere e cioccolato?»
«Mamma, tanto lo sai anche tu che alla fine decidi sempre tu».
«Hai ragione» rispose Elsa, facendole l'occhiolino. «Senti, quel ragazzo di cui mi hai parlato...»
«Sotto ricatto», la interruppe Rein mettendo nel carrello un pacco di biscotti integrali.
«Non essere così tragica, mi preoccupo per te e sapere che hai ricominciato a frequentare i ragazzi mi fa tranquillizzare, non tantissimo, ma  lo fa. È pur sempre un segno positivo dopo la fine della tua storia con Fango».
«Mamma, non c'è bisogno che ti preoccupi: sono grande».
«Vent’anni non fanno di te un'adulta ai miei occhi. Per me e tuo padre sarai sempre quella bambina di sei anni che correva verso di noi con un disegno in mano ed un sorriso sulle labbra».
La turchese abbassò lo sguardo in imbarazzo, non sapendo come rispondere a questa affermazione che l'aveva piacevolmente colpita, provocandole una lieve scossa in tutto il corpo.
«Senti, quel ragazzo con i capelli viola e gli occhi cobalto, come ti ha conquistata?» domandò Elsa, imbarazzata come la figlia, cercando di cambiare argomento.
«Mamma!»
«Lo so che sono tua madre, ti ho tenuta nella mia pancia per nove mesi e mi stupisco che tu non sia diventata una calciatrice. Sono solo curiosa; ce l'avrà un nome, no?»
«Certo che ce l'ha un nome!», ribatté Rein mordendosi la lingua. Sua madre sapeva bene quali tasti toccare per ottenere delle informazioni da lei.
Elsa inarcò un sopracciglio invitandola a continuare.
«Non penso sia importante sapere il suo nome. Non lo conosci», disse la ventenne, spingendo il carrello lungo la corsia del supermercato.
«Dici?» la sfidò la donna, seguendola.
«Sì, mamma. Si è trasferito da Kyoto parecchi anni fa per motivi personali», rispose seccata Rein, sperando che la madre non l'assillasse ulteriormente o sarebbe stata costretta a rivelarle la verità. Se c'era una cosa del suo carattere che odiava riguardava proprio il mentire per troppo tempo; dopo qualche piccola pressione diceva sempre la verità e quando erano piccole, Fine sfruttava questo suo difetto-pregio a suo vantaggio.
«Shade!» urlò una bambina, correndo accanto alle due, catturando l'attenzione di Elsa che la seguì con lo sguardo.
«Non mi avevi detto che aveva una sorellina», mormorò la donna, continuando a tenere gli occhi fissi in fondo al reparto dolci.
«Chi?» domandò Rein, approfittando della distrazione della madre per mettere nel carello una confezione di cioccolata fondente in più.
«Shade».
«Chi sarebbe Shade?»
«Il tuo ragazzo», rispose Elsa, voltandosi a fissare la figlia.
«Il mio che? … Ah, sì! Sì, stavo scherzando. Volevo vedere se eri attenta. Ahah», rise nervosamente la turchese portandosi una mano dietro la nuca con fare tutt'altro che disinvolto.
«Su andiamo, fammelo conoscere. Ne ho tutto il diritto ... a meno che tu non ti sia inventata tutto per distogliermi da qualcun'altro», disse la donna osservandola di sottecchi con un sorriso furbo dipinto sul volto, che non passò inosservato alla turchese.
«Ma cosa vai a pensare, mamma! Sai che non lo farei mai».
«Rein!»
La turchese sentendosi chiamare si voltò e vide una bambina, dai capelli rosa raccolti in due code, salutarla agitando la mano. Prima che potesse rispondere a quel saluto, la madre le diede una abbastanza dolorosa gomitata nelle costole, facendola voltare con un'espressione, che Elsa ritenne fosse da Oscar: non riusciva a capire se la sua secondogenita fosse più irritata per quella lieve gomitata o perplessa per il gesto.
«Non mi presenti il tuo ragazzo?» sussurrò sorridendo alla bambina, che si stava avvicinando seguita da un ragazzo, che Rein non aveva mai visto prima.
«Oh… ehm… ecco...» quando me lo sono inventata non pensavo che esistesse davvero un ragazzo con i capelli viola e gli occhi cobalto, concluse mentalmente la ventenne, distogliendo lo sguardo da quella figura maschile.
«Salve signora, io sono Milky. Lei deve essere la mamma di Rein, la futura suocera di mio fratello, Shade», disse con entusiasmo la bambina facendo le presentazioni.
«Milky», la richiamò il ragazzo abbassando lo sguardo sulla sorella.
«Piacere di conoscerti, caro» disse Elsa porgendo la mano a quello che doveva essere il ragazzo della figlia. Non c'erano dubbi; Rein sapeva sceglierseli proprio bene i ragazzi, uno più bello dell'altro e doveva avere preso da lei. Non poteva certo avere preso da Toulouse che ai tempi del liceo usciva con quell'arpia di Camelia!
«Ehm… come stai?» domandò Rein abbassandosi all'altezza di Milky, giusto per non essere scoperta e per non venire fulminata dallo sguardo che le stava lanciando il ragazzo prima di afferrare la mano della madre.
«Bene. Ora che ci penso ti devo ancora ridare la sciarpa».
«Figurati, tienila pure. Te la regalo in segno della nostra amicizia», rispose Rein sorridendo. «Siamo amiche vero, Milky?»
«Sì», urlò la piccola abbracciandola. «Hai visto? Io ho fatto due code e tu hai fatto una coda. Siamo in sintonia come due amiche del cuore!»
«Hai ragione», concordò con entusiasmo la turchese. «Senti, posso chiederti un piccolissimo favore?» domandò a voce bassa staccandosi dalla rosa, che annuì vigorosamente diventando seria. «Potresti distogliere l'attenzione di mia madre da tuo fratello? Non vorrei metterlo nei guai».
«D'accordo, ma tu devi uscire con lui uno di questi giorni», rispose Milky e uno strano luccichio le attraversò gli occhi celesti.
«Ci sto. Non smetterò mai di ringraziarti», sussurrò la ventenne dandole un lieve bacio sulla guancia.
«Mi basta che tu esca con il mio fratellone», rispose la bambina avviandosi verso Elsa. «Scusi signora, dovrei andare in bagno, ma non voglio che mio fratello venga con me; gli ho detto che sono grande. Ecco, mi chiedevo se...»
«Certo, piccola» rispose la donna prendendola per mano, allontanandosi dai due ragazzi, non prima di avere lanciato uno sguardo malizioso alla figlia.
Una volta rimasti soli, entrambi s'immersero nei propri pensieri e quando il silenzio cominciò a diventare imbarazzante, Rein decise di romperlo. «Scusa, mia madre deve averti scambiato per qualcun'altro».
«Fammi indovinare; il tuo finto ragazzo?» domandò con tono strafottente il ragazzo.
«Ehi, io ce l'ho il ragazzo!» ribatté la turchese, incenerendolo con lo sguardo.
«Sarà, ma io non lo vedo. Dove l'hai nascosto? Nella confezione della cioccolata?» domandò Shade, scuotendo la scatoletta. «No, non è qui. Al momento tutto quello che so è che tua madre crede che noi due abbiamo una relazione».
«Te lo ripeto: deve esserci stato un errore».
«Certo», le diede ragione il ragazzo.
«Infatti. Non ho nulla da nascondere, io».
«Nemmeno un ragazzo?» domandò il cobalto, che stava cominciando a trovare l'intera situazione divertente.
«Nemmeno». Rispose la ragazza, incrociando le braccia al petto. Decisamente, pensò, Milky era molto più simpatica di… quell'essere che si stava divertendo a contraddirla.
«Sarò lieto di conoscerlo».
«Non ti prendere tutta questa confidenza. Io non ti conosco».
«Nemmeno io, ma si dà il caso che noi due siamo “fidanzati”», rispose Shade mimando le virgolette con le mani, facendo arrossire Rein, che abbassò lo sguardo, mordendosi lievemente il labbro inferiore.
«Aspetta, non dirmi che sei una di quelle che mi vengono dietro e sperano così di ottenere un appuntamento con me».
«Ahah, non mi metterei con te nemmeno se tu fossi l'ultimo ragazzo sulla faccia della Terra», rispose Rein, fulminandolo con gli occhi verde-acqua che al cobalto, in quel momento, ricordavano un mare in tempesta.
«Vedremo», rispose semplicemente il ragazzo sorridendo come non faceva da tempo. Quella ragazza aveva proprio un bel caratterino e gli ricordava l'amica che Mirlo gli descriveva, sperando di farli incontrare.
Non appena la turchese vide Milky correre nella loro direzione, senza salutare Shade, si diresse velocemente dalla madre – ringraziandola mentalmente come non avrebbe mai pensato di fare – ed agguantandola per un braccio le intimò di recarsi alla cassa il più velocemente possibile.
«Rein, ma cosa…?» provò a domandare la donna, che non ricevendo risposte, pensò che la figlia avesse discusso con il fidanzato. «Vedrai che ti chiamerà e risolverete tutto».
«Non lo voglio più vedere», rispose a denti stretti Rein, facendo sorridere Elsa, che scosse lievemente la testa; decisamente, Rein aveva preso da lei.




 
Note dell’Autrice:
Buonasera!
Finalmente ce l'ho fatta ad aggiornare, anche se con grandissimo ritardo: un mese e dieci giorni dopo la data che vi avevo detto.
Eh, l'anno universitario si sta rivelando più duro rispetto a quello precedente ed io quest'anno non mi accontenterò del 28.3, aspiro ad ottenere il 110 e Lode e devo alzare la mia media se voglio farcela. Quindi, mi dispiace, ma non posso scusarmi per non avere aggiornato prima o per stare dedicato meno del minimo del tempo che ho a disposizione per continuare a scrivere le mie storie. Posso e devo però scusarmi per non avere mantenuto la promessa di aggiornare il 05 Ottobre. Gomen nasai.
Parlando del capitolo: ritengo che il titolo sia perfettamente azzeccato per il contenuto. Ci sono stati parecchi primi incontri: Rein ed Eliza, Elsa e Shade, Rein e Shade.
A proposito di questi ultimi, vi è piaciuto come li ho fatti incontrare? So di non essere stata molto originale e che farli litigare sta diventando un cliché ed io ho sempre paura di caderci dentro, però ho riscritto il pezzo miriadi di volte e questa mi sembrava l'idea migliore di tutte. Ma non temete, non ho alcuna intenzione di scrivere la solita storia in cui i due protagonisti s'incontrano, non fanno altro che litigare e durante una di queste litigate si danno il fatidico bacio. Anche perché la cosa suonerebbe leggermente surreale. Vorrei lasciare un'impronta di quotidianità all'interno della fanfiction, quindi vorrei evitare - per quanto mi sarà possibile - di inserire scene che nella vita reale non accadranno mai, eccezion fatta per qualche raro caso. Ed ovviamente io non rientro in questi ultimi. ^^
Allora, il testo è venuto fuori più lungo del previsto, ho provato ad accorciarlo, ma non potevo eliminare delle parti a caso. Ogni singola parte di questo capitolo è fondamentale per capire. Non voglio fare come il Governo che taglia a destra e a manca: sto ancora dando in escandescenza per la questione del "Pronto Soccorso", ma non è questo il luogo giusto per parlarne.
Dicevo, senza divagare ulteriormente ed allungare inutilmente queste note, che ci sono alcuni punti fondamentali su cui spero di avere focalizzato la vostra attenzione.
Primo fra tutti l'entrata in scena della misteriosa "Lei" del precedente capitolo, che finalmente ha un volto ed un nome: Eliza, la ragazza che all'interno dell'Anime andava dietro a Fango. In questa invece è più grande e ha avuto una storia con … Shade. Ma ci pensate? Shade ed Eliza! E con questo mi sono tolta un altro piccolo sfizio. XD
Ci tengo a precisare che la frase "[...] negandolo con quell'ingenuità che si possiede quando si è innamorati [...]" è del tutto soggettiva. Alcuni sostituirebbero molto volentieri la parola "ingenuità" con "sicurezza", ma io non sono tra queste. Per me in amore non si è mai sicuri ed esserlo troppo di qualcosa, spesso ti rende arrogante. Ritengo che l'ingenuità sia proprio alla base del sentimento, se non si fosse almeno un poco ingenui non si riuscirebbe ad essere spontanei, non trovate? Ovviamente questo non è un dogma e siete liberi di contestare la mia visione.
Eheh, devo dire che nessuno aveva indovinato, anche se Ayako Yume è riuscita ad indovinare un pezzo importante della vita di due personaggi: brava! Sappi che leggerai in anteprima non un piccolo spoiler, ma l'intero paragrafo dello spoiler, quindi preparati! ;)
A proposito, vi ho sconvolto con la Eliza/Shade? Mia sorella era leggermente scossa e ha detto che ho persino battuto la trasformazione di Shade nella seconda stagione. Non credo di essere arrivata a tanto, credo. Spero.
Toma e Rein si sono incontrati, qualcosa è stato svelato, ma ci sono ancora delle domande che alleggiano nell'aria, prima fra tutte: Toma è ancora innamorato della sua ex?
Rein ed Eliza si sono incontrate, o per meglio dire scontrate, abbiamo scoperto che la donna è piuttosto perspicace e conosce Toma. Inoltre abbiamo scoperto che i bagni giapponesi sono super accessoriati! A questo proposito metto le mani davanti e vi dico che questo dettaglio me lo sono inventata: non so se in Giappone i bagni si presentino in tal modo, però ho voluto farvi vedere come vorrei trovare il bagno quando piove ed io debbo asciugarmi i capelli bagnati …
Tralasciando, chi lo avrebbe mai detto, la bugia di Rein le si sta ritorcendo contro: "[…] la ventenne si era inventata un ragazzo, stupendosi nel constatare che la madre credesse che al mondo esistesse qualcuno con i capelli viola e gli occhi cobalto." Eheh, non avrebbe mai potuto immaginare che l'avrebbe incontrato al supermercato e che frequenta pure la sua stessa Università. Eh, il Destino, o meglio: l'Autrice. xP
L'incontro c'è stato e spero di non avervi deluso, Milky progetta qualcosa, Elsa è a tratti seria, a tratti comica. Soffermiamoci su questo punto: ritenete che abbia esagerato con il dialogo tra made e figlia che sfiorava la comicità mancata? Avreste un'idea su come cambiarlo?
Le parole che ha detto Elsa a Rein sono le stesse che i miei genitori mi ripetono quando dico loro che sono grande e che posso prendere alcune - non tutte, per carità - decisioni da sola. Mi sa che vedono ancora la bambina con le gonne, il grembiulino rosa con lo stemma [?] del cavalluccio marino e i capelli raccolti in una coda o due code...
Cosa avranno scelto le due: torta alle pere e cioccolato [l'ispirazione è venuta perché l'ho preparata ieri XD] o la macedonia? Uh, pare che questo sia il problema fondamentale del capitolo.
Vi ricordo che Rein e Mirlo sono migliori amiche, Pastel e Shade sono migliori amici e Mirlo e Shade si conoscono: cominciate a mettere insieme i pezzi del puzzle. Vi rimembro anche che c'è un appuntamento nell'aria … XD 
Dimenticavo: ho separato l'ultima parte del capitolo dal resto perché avveniva verso il tardo pomeriggio, mentre tutti gli altri eventi accadevano nell'arco di poche ore.
Ora vado, mi sono dilungata sin troppo!
Un bacio,
Himeko

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Capitolo 6
*** Capitolo sei – It’s not a date! ***


The reasons of the heart


• Capitolo sei •

It’s not a date!


Shade sdraiato sul letto, con i piedi a sfiorare il pavimento e gli occhi fissi su un punto imprecisato del soffitto bianco, espirò lentamente passandosi una mano fra i capelli violacei scompigliandoli più di quanto non fossero già.
Sbuffando poggiò le mani ai lati del proprio corpo e, con una lieve spinta, si mise a sedere sul bordo del materasso, lasciando che queste ultime vagassero sul copriletto alla ricerca di una posizione più comoda. Non appena sentì le dita della mano destra entrare in contatto con qualcosa di freddo e ruvido, voltò appena il capo per scorgere un pezzo di carta color verde pastello. Senza alcun indugio lo strinse tra le dita e, portandoselo dinanzi gli occhi cobalto, lo scrutò intensamente. Dopo qualche secondo lo aprì e rilesse, forse per la ventesima volta, il contenuto.

 
“Chiamala ed invitala ad uscire, sono sicura che accetterà. – Mirlo”

L’ennesimo, e non ultimo, sospiro di quella giornata gli sfuggì dalle labbra.
Quella doveva essere una congiura contro di lui.
Doveva in qualche modo avere a che fare con il karma.
Lo sapeva che passare il test di medicina al primo colpo, senza andare incontro a ripescaggi o sbagli in fase di correzione delle prove d’ammissione, doveva avere anche un lato negativo e questo si stava presentando adesso sotto le sembianze di quello che pareva essere un vero e proprio complotto ai suoi danni. Non solo quella mattina era stato costretto ad alzarsi relativamente presto – rinunciando a quelle poche ed agognate ore di sonno, senza tener conto di quelle ancora da recuperare – a causa di Pastel che si era presentato a casa sua con un tomo di farmacologia sottobraccio e la colazione – croissant appena sfornati ed il classico caffè all'americana che distribuivano nella caffetteria, fresca di riapertura sotto una nuova gestione, all’angolo della strada – nell’altro, facendosi quindi perdonare, ma nel primo pomeriggio erano stati raggiunti da una Mirlo fin troppo estroversa, che gli aveva fatto il terzo grado riguardo la ragazza-del-supermercato, a cui aveva cercato di rispondere in modo esauriente e la solidago era giunta alla conclusione che si trattasse della sua migliore amica.
Poi, come se il karma avesse voluto infierire ulteriormente, Milky era scesa in cucina e gli aveva ricordato dell'appuntamento, – sicuramente sotto ricatto, aveva pensato accingendosi a giocarsi il suo striminzito stipendio da cameriere –, che Rein gli doveva e di cui lui non ne era a conoscenza, come aveva spiegato agli sguardi interrogativi della coppia.
A quel punto le due ragazze si erano appartate in un angolo della cucina, con la scusa di preparare uno spuntino, cominciando a parlare fitto fitto e lui era riuscito a captare solo che la maggiore avrebbe informato anche una certa… Leone? Leona? Lione?… una ragazza di cui non ricordava il nome, che frequentava alcuni corsi in comune con la turchese. A stupirlo maggiormente, tuttavia, era stata la reazione dell'amico, che non aveva più toccato l'argomento fino a quando non lo aveva salutato e gli aveva domandato se la ragazza gli interessava, a cui lui aveva risposto con un scherzoso «può darsi». Una volta ritrovatosi nella solitudine della sua camera aveva ponderato la domanda provando a rispondere sinceramente.
Non poteva negare di non provare un minimo di attrazione, anche se dell'ordine dello 0.00001, nei confronti della turchese; infondo l’aveva notato fin da subito che era una bella ragazza e quel caratterino che si ritrovava non gli dispiaceva affatto, ma era veramente sicuro di volere provare a legarsi a qualcuno? D’altronde le ultime ragazze con cui aveva intrapreso qualcosa di non ben definito erano durate relativamente poco. Era veramente pronto ad uscire con una ragazza e provare ad instaurare anche un semplice rapporto di amicizia? Dopo la rottura con Eliza non era più riuscito a vedere le ragazze nella stessa maniera di prima, anzi aveva smesso di instaurare una qualsiasi relazione con loro.
Sorrise amaramente.
Era proprio cambiato. Un tempo, al liceo, non si sarebbe fatto troppi problemi a prendere il telefono, comporre un numero ed invitare fuori la ragazza che aveva colpito la sua attenzione. Ma ora era diverso. Uscire con una ragazza aveva preso un significato diverso, un significato più profondo e Rein… lei gli era sembrata parecchio infatuata del suo fidanzato. Perché non ne dubitava, da come si era infervorata, che il ragazzo ce l'avesse veramente. Solo non riusciva a capire se ne era effettivamente innamorata, o se vedesse in lui il riflesso dell’amore. Qualunque sentimento la ragazza provasse, il suo istinto gli diceva di rimanere fuori dalla faccenda. Aveva come l’impressione che quella ragazza si trovasse nella medesima situazione in cui lui si trovava qualche anno prima.
Riportò l’attenzione sul biglietto osservando quell’irritante cuoricino accanto al numero. Chiuse bruscamente la mano a formare un pugno, stropicciandolo, e lo lanciò in direzione del cestino, senza riuscire a centrarlo. Con un sospiro carico di frustrazione chiuse gli occhi, ma li riaprì di scatto quando le immagini di Eliza e di Rein fecero capolino nella sua mente. Cosa avevano in comune quelle due ragazze?
Un lieve bussare, accompagnato da un allegro «Entro», lo indusse a scuotere lievemente il capo ed evitare di paragonare la conosciuta ventottenne alla sconosciuta ventenne.
«Milky», la salutò con un sorriso, «posso fare qualcosa per te?».
La bambina scosse la testa. «Hai chiamato Rein? Se non ricordo male avete un appuntamento in sospeso», gli ricordò sedendoglisi accanto, cominciando a muovere le gambe che teneva sospese in aria.
«Non penso sia il caso. Non ci conosciamo».
«Infatti», ribatté la bambina sicura, interrompendo il gioco. «Si organizzano degli incontri per conoscersi meglio, poi, se si nota una certa complicità, ci si comincia a frequentare con una certa regolarità e poi...»
«E poi niente, Milky», la interruppe seccamente il cobalto, guardandola negli occhi celesti così simili a quelli del defunto padre.
«Sai, secondo me dovresti uscire con lei», disse l'undicenne alzandosi in piedi. «Non dico per fidanzarti con lei – anche se lo vorrei tanto –, ma solo per conoscerla meglio. Ho la sensazione che voi due sareste dei buoni amici. E poi, magari, in futuro potresti ripensarci ed io la chiamerò sorellona», concluse la rosa uscendo dalla stanza, lasciando Shade a riflettere sulle sue parole.
Il ragazzo prese il cellulare e lo fissò per un paio di secondi. Tentare non era mica la fine del mondo, no?, si disse facendosi coraggio, mentre componeva velocemente quel numero impresso nella sua mente. 
«Pronto?» si sentì rispondere dopo appena quattro squilli.
«Ehm, salve», si schiarì la gola diventata improvvisamente secca, «sono Shade, non so se...».
«Shade!», lo salutò calorosamente quella che, come aveva supposto, doveva essere la madre. «Se cerchi Rein, non è in casa, è andata a pranzare dalla sorella».
«Oh», espirò semplicemente il ragazzo, chiedendosi quale numero gli avesse dato Mirlo.
«Non so dirti tra quanto tornerà. Lei e Fine sono sempre state parecchio unite. Se vuoi puoi riferire a me il messaggio».
«Elsa, chi è?» sentì chiedere di sottofondo. Ci mancava solo il padre, pensò Shade riconducendo il tutto, ancora una volta, al karma.
«Nessuno, caro. Solo un amico di Rein», poi tornando a rivolgersi al ragazzo disse: «aspetta, ti do il suo numero di cellulare. L’ha appena cambiato e dato che voi due avete litigato non penso si sia premurata di riferirtelo».
«Grazie signora, molto gentile», chiuse la chiamata il cobalto dopo essersi segnato il numero.
A che gioco stai giocando Mirlo?



«Mi mancava tutta questa pioggia» disse Bright porgendo i piatti da alla moglie, che rispose con un cenno d’assenso, mentre Rein – appoggiata all’isolotto di marmo – li osservava con un dolce sorriso che non passò inosservato alla rossa. «Cos’è quell’espressione inebetita?», domandò Fine con tono scherzoso.
«Niente, niente», rispose frettolosamente la turchese ampliando il sorriso, chiedendosi se magari anche lei, in un prossimo futuro, si sarebbe trovata in una situazione analoga; a scherzare e ridere insieme a suo marito ed alla sua adorata sorella. «Comunque», aggiunse sedendosi sul ripiano di marmo come faceva quando era piccola, «a me tutta questa pioggia non è mancata per niente».
«Immagino».
«Perdonatemi giovani donzelle», disse scherzosamente Bright abbracciando Fine, «ma il lavoro mi chiama. E penso che voi avrete tantissime novità da raccontarvi».
«Non affaticarti troppo», Fine gli posò un lieve bacio sulla guancia. «Tra un po’ ti porto il caffè».
Rein, che aveva preferito spostare l’attenzione dall’intimità che i coniugi mostravano al tetro panorama che la finestra, posta sopra il lavabo, offriva da visuale, bofonchiò qualcosa che alle loro orecchie suonò come “che imbarazzo”, scatenando le loro risate.
«Vedrai che quando incontrerai l’uomo della tua vita non la penserai più così».
«Se lo dici tu», espirò scrutando il cielo nuvoloso. Poi, con un cenno del capo, indicò i piatti accatastati sul ripiano d'acciaio: «Ti serve una mano?».
«Da quando ti offri di fare le faccende domestiche? Sbaglio, o la mamma doveva sempre corromperti con della cioccolata?»
«Ora è passata ai ricatti», biascicò Rein cominciando ad insaponare i piatti, mentre Fine si preparava a sciacquarli.
«Allora», cominciò la primogenita asciugandosi le mani sul grembiule, «da dove sbuca questo ragazzo dai capelli viola e gli occhi cobalto? È così affascinante come afferma la mamma?».
«Mamma dovrebbe imparare a farsi gli affari suoi e, comunque no, è nella norma. E non è il mio ragazzo», aggiunse.
«Come vuoi».
«Non è “come vuoi”, è così e basta. Anche perché...», Rein prese un grosso respiro, «cosa ne pensi delle relazioni in cui vi è una grande differenza d’età?».
«Uhm, mi sa che è meglio parlarne davanti a della cioccolata calda, che ne dici?» domandò Fine sorridendo dolcemente, avvicinandosi ai fornelli con un pentolino di piccole dimensioni. «Comunque non ci vedo niente di male. Insomma, se due persone si piacciono perché non dovrebbero frequentarsi? L’età non dovrebbe essere considerata come un limite, anzi. E poi lo sanno tutti; quando s’incontra la propria anima gemella l’età passa in secondo piano».
«Fine lo sai che non credo più nell’anima gemella».
«Oh Rein, non devi guardare al futuro ancorandoti ancora al passato. Fango ha rappresentato una parte importante della tua vita, è stato il primo in tutto, ma non puoi continuare a vivere nel passato. Devi lasciartelo alle spalle e vivere appieno il presente».
«L’ho fatto».
«A me non pare. Mi passi la frusta, per favore?», chiese indicandole il cassetto in cui stava.
«L’ho fatto. Al tuo matrimonio, dopo che ha passato tutto il tempo a farmi una radiografia completa». Vedendo la sorella muovere le labbra, con un pizzico di malizia ed altezzosità, aggiunse: «e l’ho abbandonato nel bel mezzo della pista da ballo».
«Tu cosa?!»
«Fine, se non muovi la frusta la cioccolata brucerà. Be’, era più ai margini della pista, ma è un’insignificante dettaglio che non cambia i fatti».
«Non ne sapevo nulla. Mi prendi le tazze dalla credenza in alto? Grazie».
«Fango era al matrimonio che tu stessa hai organizzato; eri la sposa!»
«Lo so che c’era, era il testimone di Bright. Mi stai dando della smemorata?», chiese chiudendo la valvola del gas.
«Non potrei mai, sorellona» rispose Rein con una linguaccia.
«Rein, non vorrai che riferisca a mamma che mi hai mancato di rispetto, vero? Sai che sarebbe capace di metterti in punizione».
«No, Fine. Ti prego non dirglierlo», la implorò scherzosamente la turchese congiungendo le mani davanti al volto. «Mamma è cattiva, non mi farebbe più uscire», continuò piagnucolando.
«Non vorrei mai impersonare la causa che ti ha impedito d'incontrare il tuo ragazzo segreto. Non me lo perdonerei mai» replicò ridacchiando la rossa, porgendole una tazza fumante.
«Non ho un ragazzo segreto», ribatté la minore dirigendosi in salotto.
La maggiore sorrise e, scuotendo il capo, si accomodò accanto alla turchese. Dopo avere preso un sorso del liquido caldo, la guardò seriamente. «Perché questa domanda? Ti piace qualcuno più grande di te?»
«In un certo senso. So che non è la mia anima gemella, però... mi trovo così bene con lui. Mi comprende meglio di quanto io riesca a fare da sola, mi fa sentire protetta e mi dona quella sensazione di calore che non pensavo di poter più ritrovare in un ragazzo».
«Ma non lo ami».
«Non ho detto questo».
«È quello che ho percepito io da estranea e, se anche lui prova le tue medesime sensazioni, allora, mi dispiace dirtelo Rein, non si tratta di amore. Non nego che ci sia, se non ci fosse stato alcun sentimento la vostra relazione – non guardarmi così, non sono mica nata ieri! – non sarebbe neanche cominciata. Tuttavia, la mia personale impressione a riguardo mi induce a pensare che questo rapporto sia basato solo sul desiderio di avere qualcuno nella propria vita che funga da ancora di salvezza».
Ancora di salvezza?, si chiese Rein spostando lo sguardo sul liquido denso che giaceva intatto all'interno della tazza. Sapeva che Toma stava uscendo da un periodo difficile; la sua ragazza lo aveva lasciato – e come aveva recentemente scoperto – senza una spiegazione plausibile e lui era caduto in una sorta di stato depressivo finché, constatò con un certo compiacimento, non era arrivata lei.
L’uomo le aveva più volte detto che lei era stata la luce in fondo al tunnel buio che stava attraversando e questo l’aveva lusingata, anche se non aveva voluto ammetterlo quando, a grandi linee, lo aveva raccontato a Lione. In effetti, vedendo il tutto con una prospettiva diversa, esterna, lei aveva rappresentato un po’ ciò che Beatrice aveva simboleggiato per Dante.
Eppure, come potevano raffigurare unicamente una boa di salvataggio l’uno per l’altra? Se fosse stato realmente così non si sarebbero mai baciati, non si sarebbero trovati così in sintonia tra di loro, non avrebbero trascorso interi pomeriggi a parlare passeggiando per i parchi e non avrebbero mai fatto l’amore.
Fine si sbagliava.
Lei... provava affetto per Toma.
Lo...
Gli voleva bene.
Perché non riusciva a dire che lo amava?
Che Fine avesse ragione? Dopotutto lei ne sapeva molto più di lei per quanto concerneva l’argomento “amore”.
La vibrazione del suo cellulare la distolse dai suoi pensieri e, senza guardare chi fosse, portò l’apparecchio all’orecchio accettando la chiamata.
«Pronto?», rispose atona sentendo su di sé lo sguardo della sorella. La voce entusiasta di sua madre la colpì in pieno e, per un secondo, si domandò chi delle due fosse la genitrice e chi la figlia. A volte sua madre si comportava come una bambina di cinque anni. «Cosa?!», domandò dopo un attimo di silenzio, «no, no! Non dovevi farlo! Chi ti ha arrogato il diritto? Mamma non provare a... incredibile, mi ha riattaccato il telefono in faccia!», espirò Rein fissando con sgomento la schermata nera del display.
«Ne vuoi parlare?», domandò timidamente Fine posando la tazza semipiena sul tavolino posto davanti al divano.
«Mamma si è permessa di dare il mio numero a Shade. Senza il mio permesso. Come ha potuto? Magari è un maniaco sessuale, un pluriomicida, un killer professionista e lei...»
«Non ti pare di esagerare?» la interruppe la rossa ridacchiando appena. «Shade è il violetto? Il ragazzo del supermercato? Tutto quello che so su di lui me lo ha raccontato nostra madre, ma ora voglio sentire la tua versione. E non farti pregare!»


 
*


«Non mi aspettavo venissi sul serio».
«Hai detto che mi offrivi la cioccolata», rispose la ragazza con ovvietà, scrutando con attenzione il ragazzo; non era poi così nella norma come pensava. Gli occhi cobalto che parevano impenetrabili la intrigavano un poco, ma preferiva quelli più chiari, contornati da una lieve sfumatura tormentata, di Toma. I capelli spettinati di colore viola facevano a pugni con la giacca verde, ma allo stesso tempo questo contrasto lo rendeva più affascinante. Mai quanto Toma, aggiunse frettolosamente la turchese distogliendo lo sguardo, imbarazzata.
«Sei venuta solo per la cioccolata?» domandò incredulo Shade, osservandola con stupore; sembrava una bambina. E forse cominciava a capire cosa aveva indotto Milky a fidarsi della ragazza.
«Certamente. Non pensavi che questo fosse un appuntamento, vero? Ti ricordo che sono già...»
«Impegnata. Sì, lo so» concluse Shade con tono annoiato. «Guarda che è stata Milky ad insistere affinché io uscissi con te. Se fosse stato per me avrei anche lasciato correre questo mezzo appuntamento».
«Non è un appuntamento», precisò Rein guardandolo negli occhi.
«Infatti ho detto mezzo», ribatté prontamente il cobalto, ricambiando lo sguardo.
«Non è neanche mezzo».
«Mamma guarda, non sono carini quei due? Secondo te sono fidanzati?» domandò una bambina catturando l’attenzione dei due ragazzi – che arrossirono, allontanandosi di poco – e di alcuni passanti, mentre la madre la riprendeva dolcemente dicendole che non era educato indicare le persone con il dito, sebbene anche sul suo volto trasparisse un'espressione divertita.
«C-Che ne dici se ci avviamo verso la caffetteria?»
«Sono perfettamente d’accordo», rispose il ragazzo, fermandosi dopo un solo passo. «Perdona la mia maleducazione, non mi sono ancora presentato; sono Shade», disse porgendole una mano, che la ragazza osservò con sospetto.
Poi con un sorriso, che alterò di poco il battito del ragazzo, gliela strinse. «Rein. Il piacere è tutto tuo».
«Hai sempre la risposta pronta?»
«Nella maggior parte dei casi sì», sorrise. «Allora, andiamo? La cioccolata ci attende», disse con entusiasmo incamminandosi davanti al ragazzo, che la guardò con un lieve sorriso. A quanto pareva la cioccolata era il suo tallone d’Achille e lui era stato veramente fortunato – o il karma aveva voluto che lo fosse – a menzionarla sotto consiglio della sorellina.
Dopo una ventina di minuti i due ragazzi sedevano ad un tavolo accanto alla grande vetrina, con grande disappunto di Rein, che avrebbe preferito un tavolo più nascosto. Non perché pensava di stare facendo una cosa orribile, di tradire la fiducia di Toma, bensì perché sapeva che la madre era in giro a fare compere insieme a qualche sua amica e non aveva alcuna voglia d’incontrarle e spiegare loro la situazione. Non che ci fosse qualcosa da spiegare.
«Sai, tua madre pensa ancora che io sia il tuo fidanzato. Forse dovresti rivelarle chi è quello vero», disse Shade interrompendo le riflessioni della ragazza, dopo avere ringraziato la sorridente cameriera che aveva portato loro le ordinazioni.
«Non penso sia il caso», rispose Rein aprendo una bustina di dolcificante. «Non metti lo zucchero?»
«Nah. Preferisco il gusto amaro a quello dolce».
«Caffè», sussurrò la turchese, amalgamando bene lo zucchero alla bevanda.
«Come?»
«Sei più un tipo da caffè. Anche se mi domando il motivo per cui tu abbia ordinato della cioccolata».
«Non potevo certo farti passare per una bambina», rispose divertito. «E tu, da quanto ho potuto constatare, sei più una tipa da cappuccino, o meglio caffelatte».
«Anche se fosse?»
«Non ci sarebbe niente di male. I gusti sono gusti».
«Infatti», annuì la ragazza prendendo un po’ di cioccolata con il cucchiaio e portandoselo alle labbra.
«Com’è?» chiese Shade immaginando di essere uscito con una Milky un po’ più grande.
«Sublime».
«Perché?» domandò il cobalto assumendo un’espressione seria, che alterò il clima divertito che li aveva avvolti sino ad allora.
«Troppe cose da spiegare, troppi pregiudizi e, sfortunatamente, ho una madre che non farebbe altro che giudicare negativamente».
«Non puoi saperlo, almeno finché non ci provi».
«Istinto femminile», concluse Rein, facendo intuire al ragazzo che non voleva parlarne. Non se la prese a male, infondo anche lui come lei non avrebbe rivelato questioni così private ad uno sconosciuto incontrato per caso in un supermercato.
«Capisco. Ma se lo ami davvero dovresti trovare un modo per presentarlo ai tuoi genitori. A meno che non si tratti di un criminale finito in carcere», aggiunse facendola sorridere lievemente.
«Non ti preoccupare non è un carcerato. È solo...»
«Più grande di te», concluse per lei Shade, lasciandola sbalordita. Ad esempio un professore, aggiunse mentalmente, sorridendole comprensivo.
«Ehm... come... uhm... sta Milky?», domandò la ragazza cambiando argomento, lasciando che il cucchiaino affondasse di un paio di centimetri nella densità della cioccolata, prima di riafferrarlo.
«Ehm... come... uhm... sta Milky?», le fece il verso divertito, «davvero, il tuo modo di esprimerti mi colpisce profondamente».
«Non prendermi in giro!»
«Scusa? Prenderti in giro? Ti sbagli mia cara, stai facendo tutto tu», la provocò. «Comunque sta bene anche se sembra essersi infatuata di un suo compagno di classe e di giochi», rispose con una nota di fastidio.
«Ohoh!, “Shade, il fratello geloso: la vendetta” prossimamente nei cinema», lo prese in giro la turchese facendo ridere anche l'interessato. «Aspetta, fammi indovinare il nome del fortunato: Narlo, vero?»
«Sei una veggente?»
«Mi piacerebbe esserlo, sai che bello?», domandò schiarendosi la gola, «purtroppo per te, pare che anche il fratellino di Mirlo abbia una cotta per Milky», aggiunse, «non guardarmi così, sembri mia sorella! Mirlo è la mia migliore amica, insieme a Lione» – ecco come si chiamava, pensò Shade – «ed è stata proprio lei ad “obbligarmi” ad uscire con te».
«Ah, quindi devo supporre che non avresti mai accettato il mio invito se non fosse stato per Mirlo?», domandò il ragazzo imbronciandosi.
«No! Non volevo dire questo, solo... chi mi assicurava che tu non avessi cattive intenzioni?»
«E così Mirlo ha pensato bene di spingerti ad uscire con il sottoscritto», disse il ragazzo pensieroso. «Temo stia architettando qualcosa alle nostre spalle», continuò osservandola negli occhi.
«Credi? Anche io ho avuto la stessa sensazione, ma non sarebbe da lei. Insomma, se fosse stata Lione a proporlo ci avrei pensato seriamente».
«Non lo sai che solitamente i colpevoli sono quelli meno sospettabili?»
«Quindi Mirlo... ed avrà reso partecipe anche Lione e forse anche Auler e...», guardò distrattamente la via, «oh no! Non ti voltare!».
«Perché?», chiese girando appena il capo. «Ahia, ma che fai?», domandò massaggiandosi il ginocchio colpito malamente dalla ragazza che gli stava di fronte.
«Ti ho detto di non guardare!»
«Scusa tanto se non ho immaginato che tua madre fosse dall’altra parte della strada!»
«Be’, adesso lo sai, quindi non ti voltare!», rispose voltandosi per controllare se sua madre l’aveva vista. «Mi sta salutando», bisbigliò, sorridendole flebilmente muovendo appena la mano, sperando che non entrasse nella caffetteria.
«Rein», la chiamò Shade, «sei un po’ sporca qui», terminò indicandosi l’angolo delle labbra.
«Qui?»
«Aspetta», si sporse sul tavolo e con un delicato movimento del pollice le tolse la piccola macchia scura.
«Grazie», disse flebilmente, rossa in volto.
«Niente. Tua madre è andata via», Shade puntò i suoi occhi cobalto direttamente in quelli verde-acqua e, con tono serio, continuò: «cosa facciamo con Mirlo?».




 
Note dell'Autrice:
Buon pomeriggio,
per la prima volta pubblico ad un orario decente. Avrei dovuto pubblicare ieri sera, ma ero troppo arrabbiata, oltre che nervosa, per farlo, quindi oggi – con tutta la calma del mondo – sono riuscita a fare amicizia con l’html. Sì, come potete vedere ho modificato l’impostazione della pagina, ed ora spero il testo si legga meglio e non vi accechi. Ho provato ad ingrandire le dimensioni, ma non mi piaceva. Uhm, forse avrei dovuto provare anche a cambiare carattere...
Il capitolo lascia alcune domande in sospeso, per esempio il ruolo che ha avuto Mirlo nel primo non-appuntamento di Rein e Shade, che si vanno ad aggiungere a quelle dei capitoli precedenti.
Ma tutto verrà rivelato a tempo debito.
Cosa starà organizzando Mirlo? Chi la aiuterà, casomai risultasse realmente implicata?
Come si comporteranno Rein e Shade? Cosa avrà in mente il cobalto?
Il rapporto tra Toma e Rein cambierà?
Elsa avrà visto qualcosa?
Eh, vorrei avere tutte le risposte, ma – ahimè – non è così.
Se avete notato, ho fatto un riferimento al Karma ed al primo capitolo, in cui Rein dava la colpa a quest'ultimo per la sua sfortuna in fatto di vestiti ed incontri non molto desiderati.
Spero di essere riuscita a trasmettere la complicità tra le sorelle, anche se queste non sono gemelle – in questa fic – sono comunque molto legate e chissà che non vi presenti altre sfaccettature del loro rapporto.
Inoltre, per concludere queste note, evitando che diventino più lunghe de capitolo in sé, ed anche perché oggi sono a corto di parole, vorrei ricordare ad Ayumu che ha il diritto di leggere un intero paragrafo, oltre lo spoiler comune, per essere stata la prima, l’unica, ad avere intuito che c'era qualcosa di strano nella relazione di Toma e Rein. Ho in parte risposto alle tue domande, o sei rimasta ancora con il dubbio? :)
Non credo di riuscire ad aggiornare prima della fine di giugno per motivi di tempo. Infondo, è molto più semplice leggere una storia, piuttosto che scriverla, no? Inoltre, ci tengo a ringraziare tutti coloro che seguono questa fic. ♥
Un abbraccio,
Himeko

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Capitolo 7
*** Capitolo sette – Questions, Answers and Half-truths. ***


The reasons of the heart


• Capitolo sette •

Questions, Answers and Half-truths.

 
Qualche sporadico tuono, attutito dalla lontananza del temporale che ben presto avrebbe cappeggiato sulla città, accompagnava il regolare ticchettio prodotto da un tacco dodici che rimbombava nell’animato silenzio dei corridoi designati agli studi dei docenti.
Le lucide scarpe color beige si arrestarono simultaneamente, producendo un suono secco, davanti ad una porta in legno di mogano. La donna sollevò il braccio, coperto sino al gomito dal risvolto – appuntato con una piccola spilla argentea – della manica di una camicetta color lillà, ed avvicinò la mano, stretta a pugno, ad essa. Inspirò ed espirò profondamente un paio di volte prima di appoggiare le nocche sulla cornice, facendo tintinnare il bracciale d’oro che le circondava il polso ossuto. Si umettò le labbra dipinte di rosso papavero, inspirò nuovamente ed allontanando un poco il pugno lo poggiò con più forza sul legno, appena sopra la sua spalla, bussando due volte.
Una voce ovattata, dall’inconfondibile sfumatura roca, le diede il permesso di entrare e lei venne attraversata da un piccolo brivido di freddo, mentre spostava la mano – rimasta inerme sul bordo – in direzione della maniglia d’ottone, abbassandola con esasperata lentezza, conscia di ciò che stava per fare: una volta varcato l’ingresso della stanza le vite di entrambi i protagonisti di una storia che si era protratta nel tempo, senza vedere una fine, sarebbero cambiate, ma non sapeva ancora dire se in meglio o in peggio.
«Ah, sei tu» la salutò semplicemente l’interlocutore, alzando appena gli occhi dal computer sulla cui tastiera digitava freneticamente. «Accomodati pure», continuò indicandole con un cenno del capo la poltrona che torreggiava dinanzi ad un’enorme libreria ricolma di volumi prevalentemente storici, «finisco di rispondere a questa importante e-mail».
La donna annuì mestamente, deglutendo faticosamente a causa del groppo che le si era formato in gola: l’ansia che pensava di avere dominato durante il breve, ma allegoricamente lungo, tragitto sino alla destinazione si stava ridestando. Con passo lento si avviò nell’angolo indicatole e si sedette sul ciglio della poltrona color verde pastello, cominciando a prendere in considerazione l’idea d’inventarsi una riunione o una commissione improvvisa per poter fuggire – un’altra volta.
Abbassò le palpebre, abbellite da una sottile linea di eyeliner adiacente l’attaccatura delle ciglia, ed espirando profondamente si diede della sciocca. Non poteva voltargli le spalle, non ora che aveva bisogno di conoscere la verità che l’aveva spinta a comportarsi come una persona crudele, abbandonandolo nel letto sfatto sui cui avevano fatto… l’amore. Arrossì come un’adolescente al solo pensiero; sì, era stata decisamente un’insensibile.
Osservò di sottecchi il coetaneo leggere attentamente lo schermo del portatile e sospirò.
Glielo doveva.
Meritava di ricevere delle spiegazioni e lei doveva togliersi quel peso dal cuore, altrimenti nessuno dei due sarebbe potuto andare avanti lasciandosi alle spalle quel passato che li accomunava, in particolar modo Toma. Glielo leggeva negli occhi ogni volta che s’incontravano nei corridoi o nella sala caffè: si tormentava ancora per la fine della loro storia, per il motivo che si celava dietro le mancate risposte ad ogni suo tentativo di contattarla ed, ora, anche per la ragione che l’aveva spinta ad accettare quel posto di insegnante nella medesima Università. Era rimasto ancorato a lei, in attesa di qualcosa che non avrebbe mai potuto dargli.
In preda a quei pensieri cominciò a giocherellare con l’orlo della gonna a tubino, incurante di danneggiarne il tessuto elasticizzato. Le sue dita sentivano l’impellente bisogno di attorcigliare alcune ciocche di capelli per stemperare l’ansia, ma lei, previdente come sempre, li aveva legati in una delicata crocchia bassa – poggiata sulla base del collo –, che le conferiva un’aria più severa – e sofisticata, le aveva detto una collega – del solito.
L’uomo chiuse il portatile e, stiracchiandosi come un gatto, stendendo le braccia sopra di sé, si alzò dalla posizione in cui era stato costretto per gran parte del primo pomeriggio. «Posso offrirti qualcosa? Un tè caldo? Un caffè? Dell’acqua?», domandò rivolgendosi alla sua ospite, la quale scosse il capo non fidandosi ancora delle sue corde vocali. Con un sospiro l’argenteo si avvicinò alla postazione che prediligeva per leggere un buon libro quando rimaneva bloccato nello studio, e si sedette sull’altra poltrona, di fronte alla donna che un tempo aveva amato con tutto se stesso ed alla quale, non lo negava, si sentiva ancora legato. «Allora…»
«Mi dispiace», lo interruppe flebilmente la donna, alzando i suoi occhi ametista e Toma capì che non stava mentendo, che era giunto il momento.
Quel momento.
Quello che aveva temuto dalla prima volta che l’aveva rivista. Sospettava che quello fosse l’argomento principale per cui gli aveva chiesto un colloquio privato, per questo inizialmente aveva avuto qualche titubanza nel risponderle: era pronto alle rivelazioni, alla verità? Era pronto a mettere sul tavolo tutto ciò che provava? Era pronto alla resa dei conti?
«Lo so», rispose sporgendosi lentamente verso il tavolino che li divideva, bloccandosi di colpo. Cosa stava facendo? Non poteva stringerle la mano, non stavano insieme, non avevano un rapporto d’amicizia e non l’avrebbe di certo aiutata vista l’agitazione che le si leggeva chiaramente sul volto pallido. Con un movimento noncurante si costrinse ad appoggiarsi meglio contro lo schienale della poltrona, invitandola a continuare con lo sguardo.
Eliza gli sorrise riconoscente. «Credo che tu sappia di cosa ti voglio parlare sin da quando hai accettato d’incontrarmi. Spero solo di aiutarti ad andare avanti: Toma, devi smetterla di ancorarti al passato. Al nostro passato», lo guardò dritto negli occhi; l’incertezza e la paura stavano lasciando il posto alla determinazione di soccorrerlo a compiere un passo verso il futuro. «Toma, mi dispiace averti abbandonato così senza una spiegazione, senza rispondere ai tuoi messaggi ed alle tue chiamate; avevi tutto il diritto di cercare un responso ed io dovevo dartelo invece di fuggire. Vedi, le cose tra di noi stavano evolvendo velocemente, troppo in fretta, ed io non ero pronta a…»
«Sposarmi? Potevi dirmelo, avrei capito».
La corvina scosse la testa. «E toglierti quel sorriso dal volto? Aspetta», lo interruppe vedendolo socchiudere le labbra, pronto a ribattere. «Più di una volta ho pensato di tornare indietro, di appostarmi sotto l’edificio in cui abitavi e chiederti perdono per essere fuggita via, di rispondere ad uno dei tuoi mille tentativi di metterti in contatto con me, ma per vigliaccheria non l’ho fatto. Non ho fatto niente, a dire la verità. Per giorni, dopo averti lasciato nel modo più crudele di tutti, senza che tu te lo meritassi, lasciandoti in quel letto a dormire sereno dopo un momento così intimo, ho pensato d’incontrarti, magari casualmente, ma non l’ho fatto perché sapevo che se ti avessi rivisto sarei tornata sui miei passi e sappiamo benissimo entrambi che tu mi avresti perdonata all’istante. Ho pensato che sarebbe stato meglio se io avessi continuato ad evitarti, tu mi avresti odiata e ti saresti lasciato tutto alle spalle, invece mi sbagliavo; avrei di gran lunga preferito essere disprezzata, piuttosto che vedere ciò che vedo ora».
Toma provò ad intervenire nuovamente, ma la donna glielo impedì un'altra volta. «Fammi finire, per favore. La colpa è mia. Se non avessi accettato la proposta, adesso per te, io, rappresenterei un semplice capitolo chiuso, invece… Toma, devi lasciarmi andare, io ho tirato troppo la corda, ti ho ferito irrimediabilmente e mi dispiace immensamente per questo, davvero. Ma ora è giunto il momento di lasciarmi andare e di vivere appieno qualche nuova relazione».
«Eliza» mormorò l’argenteo, sconvolto da quelle parole. Senza pensarci due volte allungò la mano oltre il tavolino da caffè, poggiandola su quella più piccola, stretta a pugno sul ginocchio, della donna, cominciando a carezzargliela dolcemente.
«Non sono io la donna della tua vita; non sono perfetta per te. Meriti qualcuno di meglio ed il gentil sesso che frequenterai dovrà sapere di essere l’unica per te, dovrà avere la sicurezza che tu sia lì per lei, lei soltanto, senza le ombre delle altre donne. Senza il mio costante fantasma» continuò rispondendo, seppur lievemente, alla stretta, lasciando che una lacrima poggiata sul ciglio della palpebra inferiore scendesse lungo la guancia. «Lasciami andare, per favore».
L’uomo le sorrise ed Eliza trovò quel gesto confortevole. «Mi dispiace non avere capito prima il tuo disagio, se lo avessi saputo non avrei accelerato così tanto gli eventi, non avrei bruciato le tappe. Che razza di uomo è uno che domanda alla propria ragazza di sposarlo, non appena questa va a convivere con lui?» domandò retoricamente, lasciando trasparire una risatina per stemperare l’atmosfera tesa degli ultimi minuti. «Prima di essere la mia ragazza e la mia quasi moglie», rise divertito all’espressione colpevole della donna, «eri un’ottima amica e spero che tu vorrai continuare ad esserlo. Non è scritto da nessuna parte che il rapporto di due amici debba obbligatoriamente evolversi in qualcosa di più, in fondo anche l’amicizia è legame profondo, concordi con me?».
La corvina spalancò gli occhi. «Grazie, Toma, sei sempre stato troppo buono. Non mi aspettavo così tanto, ma… ne sei proprio sicuro?» chiese sorridendogli, mentre internamente sospirava quasi sollevata di essersi levata quel peso di dosso.
«Certo, signorina So-tutto-io» confermò sorridendo, alzandosi dalla poltrona ed aggirando il tavolo per abbracciarla.
«Non chiamarmi così!» ribatté la mora imbronciandosi per un’istante, prima di ridere di gusto. «Devo forse ricordarti che indosso dei tacchi dodici?»
«No, grazie. Non ci tengo a provarli una seconda volta» disse sciogliendo l’abbraccio, mantenendo tuttavia un contatto fisico mediante la mano poggiata sull’esile spalla.
Toma sospirò interiormente, provato dalle emozioni che si erano appena succedute: aveva ritrovato un’amica, si era lasciato alle spalle la relazione mai finita con Eliza ed ora – un velo di rammarico gli attraversò gli occhi – doveva parlare con Rein, sicuramente anche la ventenne aveva capito che non tutto procedeva rosa e fiori come credevano.
«Sei sicuro? L’ultima volta era solo un tacco dieci…»
«Eliza!»
 

 
*

 
Rein sospirò scostando le coperte dal proprio corpo, sedendosi sul ciglio del materasso, osservando le gocce di acqua piovana tracciare delle linee lungo il vetro della finestra; nonostante i raggi solari del mattino preannunciassero una giornata soleggiata, il maltempo aveva preso il sopravvento già durante l’ora di pranzo.
Infilò le ciabatte a muso di panda e si avvicinò alla porta, accompagnata dall’ennesimo tuono che fece vibrare il vetro, preannunciando un temporale in avvicinamento, facendola sentire in colpa per non essersi recata in Università a causa dei forti crampi allo stomaco. I suoi genitori non avevano detto una parola; suo padre perché era sempre stato incline ad assecondare le figlie e sua madre perché era anatomicamente una donna e le comprendeva.
Arrancando lungo le scale – che parevano infinite – con addosso il suo pesante pigiama decorato da alcune nuvolette – al contrario della sorella che sceglieva sempre dei pigiami in tinta unita, che la facevano sembrare una giovane Lady inglese, lei amava le grafiche su quegli indumenti –, si diresse in cucina.
«Rein, tesoro» la salutò la madre, «stavo preparando del tè, ne vuoi un po’?», domandò poggiando il pentolino sul fornello, aggiungendo un’ulteriore tazza d’acqua alla risposta affermativa della figlia, che si era accomodata sul tavolo poggiando stancamente il capo sulla superficie.
«Vuoi che passi in farmacia a prenderti qualcosa che allievi il dolore?», chiese posandole delicatamente una mano sulla fronte, constatando con sollievo che non le era salita la febbre.
La turchese scosse la testa. «La pancia non mi fa più così male, anche se mi sento ancora un po’ debole. Ho come uno strano presentimento».
«Può essere mal d’amore, sai?»
«Mh?» mugolò la giovane sollevando il capo, mostrando alla genitrice delle occhiaie che avrebbero fatto impallidire persino un panda.
«Forse dovresti prendere alcune gocce di verbena per conciliare il sonno», le propose Elsa ruotando un poco il pentolino in concomitanza con la comparsa delle prime bollicine d’acqua. «Esatto, mal d’amore», riprese il discorso lasciato in sospeso, «sai quando sta per succedere qualcosa che non ti aspetti, o che inconsapevolmente sai sta per avvenire, il tuo corpo si prepara in anticipo; lo sente», continuò togliendo il pentolino in acciaio dal fuoco, versando il contenuto bollente dentro le tazze. Infine aggiunse le bustine aromatiche e portò le ceramiche sul ripiano di legno.
«Allora, era da un po’ che volevo chiedertelo, come è andato l’appuntamento con Shade?», domandò con un luccichio di pura malizia negli occhi, sorseggiando la tisana.
«Non era un appuntamento», precisò la figlia circondando la tazza fumante con le dita.
«Da quello che ho visto sembrava proprio un appuntamento in piena regola», replicò la donna usando, volutamente, un tono malizioso atto a provocare la secondogenita.
«Mamma» la riprese la ragazza indignata, sorseggiando il liquido caldo che le ravvivò il volto più pallido del solito. «Comunque non era un appuntamento per il semplice fatto che non stiamo insieme, non è il mio ragazzo è solo… un amico».
«Lo sapevo» mormorò Elsa dopo qualche secondo di silenzio. «Rein, potrai ingannare chiunque, ma non me; mai. Sai come ho cominciato ad uscire con tuo padre?», la ventenne scosse il capo interessata alla piega che stava prendendo il discorso, «dopo averlo costretto a fingersi il mio ragazzo».
La turchese spalancò gli occhi: sua madre aveva veramente attutato un piano simile al suo? Che anche lei si fosse innamorata di un professore o di qualcuno che i nonni non avrebbero mai approvato?
«Sai come è fatto tuo nonno; lui avrebbe sicuramente puntato su qualcuno come Randa, ma io ero innamorata di tuo padre sin dalle superiori e a quei tempi lui stava ancora con quell’arpia – perdonami, mi ero ripromessa di non appellarla più in questo modo – di Camelia. Io proprio non la sopportavo, si credeva, e si crede tutt’ora, superiore agli altri, mi chiedo come faremo quando Fine e Bright decideranno di mettere su famiglia… comunque, quando seppi che si erano lasciati, l’estate prima di entrare in Università, convinsi Toulouse a fingersi il mio ragazzo così da aiutare Randa a dichiararsi ad Elena. Inizialmente parve abbastanza titubante e per un’istante temetti che non avrebbe accettato, mandando in fumo tutto il mio piano per farmi notare, invece…», la donna sospirò sorridendo teneramente, «alla fine eccoci qua, sposati e con due splendide figlie. Rein, nemmeno tua sorella sa di questa storia: ho voluta raccontarla a te perché caratterialmente tu assomigli a me più di quanto lo sia Fine sul piano fisico».
La ventenne espirò, sorridendo divertita; aveva sempre pensato che sua madre fosse un genio del male.
«Quindi, stai cercando di dirmi che io e Shade finiremo per sposarci e procreare?»
«È possibile», sussurrò con tono sapiente la donna, osservando la figlia con estrema dolcezza.
 

 
*

 
Rein sospirò scostandosi con fastidio una ciocca di capelli dal volto visibilmente pallido e stanco che – nonostante la terra con cui si era accuratamente coperta il viso – appariva di un colorito leggermente giallognolo accentuando, a sua detta, la somiglianza con un qualsiasi personaggio dei Simpson. Si adagiò meglio contro il rigido, e scomodo, schienale della sedia serrando le labbra e strizzando un poco gli occhi verde-acqua che vennero velati da un sottile strato di acqua, mentre le braccia andavano a circondarle velocemente il ventre e le mani si stringevano con forza attorno ai fianchi per contrastare l’improvvisa fitta che le stava attraversando l’addome, percorrendolo da parte a parte. Uscire quel giorno era stata una pessima idea, si ripeté per la seconda volta in soli cinque minuti, dando ragione alla saggezza della madre, afferrando il labbro inferiore con i denti. Ed il tè che aveva ordinato ci stava impiegando troppo a giungere al suo tavolo, continuò consapevole di avere compiuto l’ordinazione solo pochi minuti prima.
Rilasciò lentamente, con il timore di avvertire un’altra fitta, il fiato che aveva trattenuto, massaggiandosi con un lieve movimento circolare – in senso antiorario, come aveva appreso grazie ad anni ed anni di esperienza – l’addome, prima di sbloccare lo schermo del cellulare che aveva malamente poggiato sul ripiano ed entrare nell’ultima chat che aveva avuto con lui, la prima della cronologia di WhatsApp.

 
Dove sei?
 
Digitò rapidamente. Solo dopo avere inviato il messaggio si rese conto di quanto fredda potesse apparire quella semplice domanda; infondo anche lei gli aveva chiesto d’incontrarlo, obbligandolo quasi ad uscire con quel tempo, pensò soffermandosi a guardare la strada completamente bagnata ed i pedoni che camminavano velocemente tenendo ben stretta l’impugnatura degli ombrelli. Mentre ponderava se inserire un emoticon sorridente, in evidente contrasto con il suo umore, arrivò la risposta del ragazzo, altrettanto fredda.
 
Cinque minuti e sono lì.
 
Bene, ti aspetto: stesso posto dell’ultima volta.
Ho ordinato anche per te ^^
 
Caffè, vero? =)
 
Certamente!
 

 
Con un sospiro liberatorio posò il cellulare sul tavolo e sorrise alla cameriera che le stava venendo incontro con un vassoio tra le mani.
«Grazie», sussurrò afferrando la tazza di ceramica color verde persiano che le porgeva, avvertendo subito il calore della bevanda propagarsi sui palmi, riscaldandola.
La donna le sorrise poggiando l’altra tazzina di fronte al posto vuoto davanti a lei. «Dovresti essere tu a farti attendere», le disse dolcemente poggiando dei biscotti cosparsi di zucchero a velo, la specialità del locale, in mezzo al tavolino.
La turchese ridacchiò appena, «ormai ci sono abituata» rispose portando il bordo del bicchiere fra le labbra aspirando una piccola quantità del liquido fumante, che le scaldò subito la trachea e lo stomaco, dandole sollievo dal dolore che provava da quella mattina.
«Abituata a cosa?», domandò l’uomo, dai capelli leggermente fradici, che si era appena affiancato alle due donne con il cappotto – bagnato, aveva constatato Rein – appoggiato sull’avambraccio.
«Vi lascio. Cara, ora capisco perché glielo fai passare», disse ammiccandole sotto lo sguardo spaesato di Toma e quello divertito di Rein, che si lasciò andare ad una lieve risata.
«Cosa mi sono perso?», chiese curioso l’argenteo prendendo posto dinanzi alla tazzina ricolma di liquido scuro, ringraziandola con un lieve sorriso.
«Niente», rispose sorseggiando la tisana. «Niente, davvero» continuò posando la tazza sul tavolo, senza staccare le mani da quella fonte di calore.
«Fingerò di crederci», mormorò scrutandola attentamente, «non ti ho vista in Università, stai bene?».
«Sì» annuì la ventenne, abbassando gli occhi sulla fetta di limone, da cui derivava il profumo che aleggiava intorno al tavolo, posata sul fondo della tazza.
Stettero qualche minuto in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri, a godersi il brusio del locale, il piacevole scampanellio della porta ad ogni persona che entrava, le risate divertite e rilassate, fino a quando non alzarono gli occhi incrociando le iridi: l’azzurro, freddo quanto il ghiaccio, si fondeva perfettamente nel calore del verde-acqua.
Non ci fu bisogno di ulteriori parole, entrambi capirono di non potere attendere oltre.
Era arrivato il momento.
Il momento della verità.
Il momento delle risposte.
Il momento che ambedue avevano cercato, per quanto possibile, di evitare, fuggendo da qualsiasi discorso avrebbe potuto condurli al bivio.
Rein deglutì, cominciando ad accarezzare distrattamente il manico della ceramica, senza distogliere lo sguardo da quegli occhi che l’avevano tanto incantata; quegli occhi che aveva imparato a conoscere, ad amare in ogni loro sfumatura e che ora le parevano diversi, più… consapevoli. Coscienti di qualcosa che ancora le sfuggiva, o che forse non voleva ammettere.
«Mi dispiace averti chiesto di uscire, con questo tempo poi» aggiunse scusandosi l’argenteo, poggiando la tazzina bianca sul piattino, «ma avevo bisogno di parlarti, d’incontrarti per parlare a quattrocchi e…».
«No, non scusarti», lo interruppe la turchese sentendo i battiti del suo cuore accelerare gradualmente ad ogni parola che pronunciava. «So già, o meglio, penso di sapere quale sarà l’argomento di questo incontro, dopotutto è lo stesso locale della nostra prima “bevuta” insieme, no?», continuò cercando di alleggerire un po’ l’atmosfera che stava diventando sempre più pesante.
«Già», sospirò l’uomo, «è inutile girarci attorno e tu sei fin troppo perspicace. L’altra… l’altra volta non avevi voluto domandarmi niente, ma credo che ora sia il caso di farlo, di chiedermi tutto ciò che vorresti sapere sulla relazione da cui mi hai tirato fuori».
Tirato fuori, si ripeté la ragazza mentalmente. Toma sceglieva sempre con cura le parole che usava e, proprio come Lione, dava grande significato a ciascuna di esse. Tirato fuori poteva equivalere solo a salvato. Che Fine avesse ragione? Che il loro non fosse amore? Che si trattasse solo di un’illusione?
«Come si chiama?», chiese a bruciapelo, quasi quella domanda fosse pronta sulla punta della sua lingua da una settimana e due giorni.
«Eliza».
Rein annaspò alla ricerca d’aria. Eliza? Quella Eliza?
Sentì chiaramente il cuore fermarsi per attimo, per riprendere poi a battere con un ritmo più serrato di prima. «La sostituta della dottoressa Olivia? La nuova insegnante di Letteratura Giapponese?» chiese con una nota stridula nella voce.
Non poteva competere con lei.
Lei non avrebbe mai vinto, El… Eliza era perfetta sotto ogni aspetto: colta, bella, divertente, comprensiva e…
Deglutì a vuoto, sentendo la gola secca.
Era perfetta per lui.
Sollevò lo sguardo su Toma, scrutando a fondo le iridi chiare ed ebbe la risposta che aleggiava tra di loro sin da quando quel confronto era iniziato.
«Rein, io…», provò a dire il ventinovenne senza sapere esattamente quali parole usare; stava ferendo la ragazza seduta di fronte a lui e, dopo tutto quello che avevano passato insieme, non lo meritava.
«La ami ancora?»
«Io… no», espirò, «no. Non l’amo, ma le voglio bene. È pur sempre un’amica».
«Mi ami?», si lasciò sfuggire come se le sue tremanti corde vocali volessero porla dinanzi la verità. Il cuore sobbalzò, il respiro rimase bloccato nei polmoni e tutto il suo corpo si tese in attesa della risposta che avrebbe determinato il futuro della loro relazione.
Le dita si strinsero con maggiore forza attorno alla tazza tiepida, mentre il silenzio rimbombava rumorosamente nella sua mente.

 
*

 
Shade sospirò sconsolato, osservando l’atlante aperto ed inerme accanto al libro di anatomia umana, su cui, teoricamente, avrebbe dovuto studiare in quell’ora buca.
Eppure, non era riuscito a concentrarsi, colpevole anche la strana sensazione che avvertiva fin da quando si era svegliato. E l’ultima volta che aveva provato quella sgradevole percezione, l’oggetto delle sue riflessioni era stata una donna.
L’ennesimo sospiro di quella giornata gli sfuggì dalle labbra, mentre il pensiero tornava a Rein: la ragazza era stata categorica, non doveva intromettersi nella sua vita privata. Tuttavia qualcosa lo induceva a pensare che le sarebbe servito il suo aiuto, non solo per affrontare Mirlo, la quale a giudicare dal comportamento di Pastel non aveva ancora messo al corrente il fidanzato, ma anche per uscire dalla situazione in cui si sarebbe ritrovata ben presto, perché lui lo sapeva bene, gli amori nati così, per puro caso, non duravano per sempre come nelle favole che raccontava a Milky.
Chiuse velocemente i libri di testo e con passo felpato uscì dall’aula, camminando senza alcuna fretta verso la sua meta, osservando i tuoni infuriare insieme alla pioggia che cadeva scrosciante al suolo ed al vento che muoveva violentemente le fronde degli alberi ormai spogli.
«Mirlo», chiamò non appena intercettò la ragazza, senza curarsi di avere interrotto la conversazione che stava intrattenendo con una ventenne dai capelli aranciati.
«Lo conosci?», la sentì bisbigliare, osservandolo attentamente.
«Shade», lo salutò la solidago con un sorriso, senza nascondere la scintilla maliziosa che le aveva attraversato gli occhi ametista. «Lione, lui è Shade, il migliore amico di Pastel. Shade, lei è Lione, una delle mie migliori amiche».
«Piacere», mormorarono simultaneamente i due ragazzi, senza accennare a stringersi la mano.
Mirlo sorrise e, dopo qualche secondo di silenzio, decise d’interrompere quel momento di analisi reciproca. «Ehm… come è andato l’appuntamento con Rein?»
«Non era un appuntamento».
«Appuntamento? Con la nostra Rein? Quando pensavate di dirmelo? E perché ho il sospetto che tu, mia cara Mirlo, sia implicata?» domandò Lione, osservando i visi dei due ragazzi: impassibile quello del cobalto e colpevole quello dell’amica.
«Io… no. Gli ho solo dato il…», provò a spiegare la ragazza, venendo interrotta prontamente dall’arancione.
«Lo sai, vero, che lei sta con Toma, no?», domandò calcando il nome dell’uomo. «Allora perché le hai organizzato un appuntamento con un tizio che non avrà mai visto?»
«Si conoscono», si difese la solidago imbronciandosi: davvero la credeva capace di organizzare un appuntamento al buio con un perfetto sconosciuto?
Lo sguardo di Lione, ardente per essere all’oscuro della faccenda, si spostò sulla figura maschile, che ricambiò l’occhiata.
«Ci siamo incontrati in un supermercato e sua madre mi ha scambiato per il suo fidanzato», rispose con disinteresse. «Comunque, vorrei saperlo pure io, esattamente come… Lione, giusto?», chiese rivolgendosi alla ragazza, «a cosa punti?».
Prima che Mirlo potesse rispondere, la vibrazione di un cellullare interruppe l’atmosfera carica di tensione che si era creata.
Shade tirò fuori il telefono dalla tasca dei pantaloni ed osservò il messaggio che faceva bella vista sullo sfondo nero del display.

 
Scusa se ti disturbo: posso vederti? Ti prego.
 


 
 
Note dell’Autrice:
Buonasera,
finalmente, dopo mesi e mesi, sono riuscita a rifinire questo capitolo, elidendo alcune parti che avrebbero rappresentato dei grandissimi spoiler! ed inserendo alcune descrizioni che ad una prima stesura non avevo inserito, e spero in questo modo di essere riuscita a farvi percepire le sensazioni che provano Toma, Eliza, Elsa, Rein, Lione, Mirlo e Shade.
Direi che è il momento di dirvi che dai prossimi capitoli si entrerà di più all’interno della vicenda, ma – ahimè – non so quando e come riuscirò a scriverli. Per chiunque volesse continuare a seguire la storia, nonostante i miei innumerevoli ritardi, sappiate che ho tutta l’intenzione di concluderla: fosse anche l’ultima storia che porterò a termine all’interno della sezione.
Ultimamente mi sono dedicata a vari Contest, tra fanfiction da scrivere e recensioni da lasciare, non ho avuto tempo per prendere in mano questa storia a cui tengo molto perché è un modo per sfogarmi ed in ogni capitolo inserisco sempre un pezzetto di me, sperando che questo possa raggiungervi.
Questa volta ho inserito un chiaro riferimento potteriano – eheh, l’avete già trovato? – ed un riferimento ai Simpson, colpa di mio fratello.
Per quanto riguarda la situazione tra Eliza e Toma, direi che può considerarsi conclusa, invece, quella di stasi tra Toma e Rein è appena stata violentemente scossa, ma sta a voi – perché io so già cosa accadrà – dirmi come pensate che finirà, anche se credo, sottolineo credo, di avervi già dato tutti gli elementi indispensabili per giungere alla conclusione.
Per quanto riguarda Shade, avete notato che entra in scena spesso? Ebbene, d’ora in poi potrebbe divenire effettivamente un co-protagonista, ma non aspettatevi che le cose tra chi so io evolvano così velocemente: date tempo al tempo.
E niente, sappiate che è stata una faticaccia sistemare l’html dei dialoghi su WhatsApp, ma era necessario cambiare la formattazione, altrimenti non avreste capito niente, credo. Oppure sono io che sono semplicemente troppo pignola.
Per quanto riguarda il titolo, ho voluto darvi un indizio su ciò che vi sareste ritrovati dinanzi una volta aperto l’aggiornamento e spero di avervi aiutati. In realtà, al momento non so se scappare o meno, e vorrei tanto vedere le vostre espressioni facciali – chissà quante ne avrete assunte, sempre che io abbia fatto bene il mio lavoro.
Concludo, perché ho veramente poco tempo, ringraziandomi per il sostegno che mi mostrate e dicendovi che non ho la più pallida idea di quando aggiornerò, ma sicuramente quando avrò un po’ di tempo, ma al momento questo mi manca. La sera, tra l’altro, faccio anche fatica ad addormentarmi per una serie di fatti che non sto qui a raccontarvi.
Grazie infinite per il vostro sostegno, l’appoggio e l’entusiasmo che mostrate ad ogni capitolo, ♥
Himeko

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