Back to Life

di Niji Akarui
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Window ***
Capitolo 2: *** Hero ***
Capitolo 3: *** Best Friend ***
Capitolo 4: *** Goodbye ***
Capitolo 5: *** Soul Fire ***
Capitolo 6: *** Jamsill Stadium ***
Capitolo 7: *** New rules ***
Capitolo 8: *** Past ***
Capitolo 9: *** Wish ***



Capitolo 1
*** The Window ***


Un nuovo giorno sorgeva sulla frenetica Seoul, città che non dava mai pace ai suoi abitanti, città nella quale le luci non si spegnevano finche il sole non sorgeva di nuovo ad illuminare le innumerevoli strade dove a quell’ora del mattino si riversava il profumo delle prelibatezze preparate dalle tante caffetterie , presto prese d’assalto da uomini o donne che correvano verso la loro postazione di lavoro, ma che di certo non volevano rinunciare ad un dolce risveglio.

Ma gli adulti non erano gli unici padroni delle strade, anche i giovani con il loro zaino in spalla si apprestavano a correre nelle loro rispettive scuole, per seguire un'altra sfiancante giornata scolastica, alleviandola grazie alle loro amicizie, alle persone che amavano e che proteggevano, grazie ai loro sogni per i quali stavano lavorando.

Tutto questo era ben visibile dalla camera di Junhong, il quale come tutte le mattine appena sveglio si apprestava a guardare fuori, immobile nel suo letto, grazie a quella finestra non esageratamente grande e nemmeno toppo piccola, contornata dal tende azzurrine e pareti bianche, che gli offriva un’ottima visuale su quel mondo che pareva andare avanti anche senza di lui.

In fin dei conti a lui bastava guardare oltre quelle lunghe e magnifiche gambe che aveva, una maledizione le aveva definite, così notevoli e così inutili, sin dalla nascita erano rimaste paralizzate, sin da quando era bambino non aveva mai provato quella gioia che molti esseri umani trovano scontata e provano ossia quella di camminare, lui guardando attraverso quella finestra sognava, sognava di diventare un famoso ballerino, un acclamato idol, sognava di poter fare tutti gli sport che più gli piacevano, sognava di avere amici che lo amassero, sognava… di rientrare a far parte della categoria dei “normali” … e poi c’erano giorni, in cui riconosceva che si stava solo crogiolando nel suo dolore e questo non faceva che renderlo patetico, lui sapeva perfettamente che c’era altra gente come lui, e così nemmeno la soddisfazione di poter essere in qualche modo speciale non era mai arrivata per lui.

-Jun sei sveglio? Sto entrando- ed ecco la voce di sua madre che come ogni mattina faceva capolino da dietro la porta, per venirgli a portare la colazione.

Llui odiava profondamente quella donna, la stessa che lo aveva costretto a quel miserabile genere di vita.

Ormai Jun aveva accresciuto così tanto quel disprezzo che da parecchi mesi non parlava più, non permetteva a nessuno di ascoltare la sua voce, non che nessuno lo volesse alscoltare, lui semplicemente rimaneva in silenzio a contemplare il mondo che gli scorreva veloce sotto gli occhi.

La madre si avvicinò al letto, si sedette sulla sedia di fianco al letto, posò sulle gambe il vassoio e prese e una piccola porzione di ciò che quella mattina gli aveva portato come colazione – oggi ti ho preparato una buona crostata di fragole, mi sono alzata presto per farla- sorrise, poi sapendo che non avrebbe ricevuto nessuna risposta, imboccò il figlio, il quale consumò il tutto senza emettere un suono, senza lamentarsi o senza dimostrare di gradire ciò che la madre con amore gli avesse preparato.

Lo imboccava con lentezza e pazienza, dandosi come ogni giorno la colpa del male che affliggeva il figlio e che giorno dopo giorno le martoriava il cuore ormai mal concio.

Dopo aver concluso la colazione, la signora Choi gli rimboccò le coperte e gli diede un leggero bacio sulla fronte, per poi lasciarlo nuovamente sol con i suoi indecifrabili pensieri.

Il ragazzo dopo una buona oretta, stanco di guardare le strade ormai del tutto sfollate, voltò il capo verso il televisore e cercò un programma musicale che lo aggradasse, la musica era ciò che più lo aggradava e rendeva la vita monotona di tutti i giorni più sopportabile, ed era proprio in momenti in cui credeva di essere solo in casa che alzava il volume del televisore e cantava, cantava col cuore, emettendo una voce così melodica che sarebbe in grado di scogliere il cuore di chiunque, eppure sebbene lui credeva di non avere ascoltatori poiché si vergognava di quel talento, che irrefrenabilmente lo portava sperare, a sognare e a credere che un giorno tutte quelle fantasie sarebbero divenute… realtà; la madre si accucciava dietro la porta della sua camera, quando le giornate per lei si facevano davvero dure, quando aveva bisogno di staccare da quell’orrenda vita che anche lei conduceva, un pomeriggio era rientrata in casa senza fare rumore, e si era accorta che il figlio cantava, stava usando la sua voce che già da un paio di mesi non sentiva più, d’allora fingeva di uscire giusto per sentire il figlio e per sentire così più leggero il suo cuore, reso meno pesante da quelle magnifiche note.

Ormai erano giunte pressoché le dieci del mattino così la donna tornò nella camera di Junhong per lavarlo. Il ragazzo nemmeno in quelle situazioni opponeva resistenza, sapeva che se lo avesse fatto avrebbe reso l’agonia di dover guardare il suo gracile corpo nudo troppo a lungo, lo aveva appreso da bambino, più o meno a nove anni, quando di fare le spugnature proprio non ne voleva sapere, per non parlare del bagno, vederlo attrezzato in maniera particolare solo per lui gli faceva venire il volta stomaco, mai avrebbe accettato quella situazione che lo vedeva come un disabile, non che avesse qualche cosa contro di loro, anzi li comprendeva troppo bene ma mai avrebbe ammesso la sua “anormalità”.

-alza il braccio Jun- il ragazzo eseguì l richiesta senza dire nulla, sperando che quel terribile momento si concludesse il prima possibile – ecco fatto tesoro- la madre raccolse la bacinella dell’acqua e la portò via andando poi a gettarla nella vasca da bagno, era il momento di tornar alle faccende di casa, faccende svolte in una casa ormai diventata troppo grande, il suo primo genito studiava in un’altra città e per quanto ne fosse felice certe volte le mancava, e poi c’era suo marito, che però non faceva più ritorno in quella casa, non che le importasse aveva sempre taciuto ma sapeva perfettamente di essere stata abbandonata perché non più amata e quindi tradita, si era chiesta con chi, se fosse più giovane, si era chiesta in che cosa avesse sbagliato, si era chiesta perché doveva rimanere proprio lei da sola, aveva pianto in solitudine finché un bicchiere di vino giornaliero, da lei molto amato, non aveva iniziato ad esserle di compagnia, col tempo poi quei bicchieri erano aumentati, e mentre Jun dormiva , si ritrovava con la testa fra le mani a vomitare nel bagno dei quell’enorme casa nella quale ormai nessuno più viveva…

L’ora del pranzo arrivò presto e passò tant’altro velocemente fino a giungere ai primi momenti del pomeriggio, quella era la parte del giorno che Jun preferiva, poiché sotto casa sua vi era un vecchio parco, con qualche albero e poca erba, in compenso con quella terra era più facile, per i soliti i ragazzi che si riunivano la sotto, creare il diamante, il tipico campo utilizzato nello sport del baseball; infatti nemmeno quel giorno tardarono ad arrivare, presto presero un rametto ed approssimarono i limiti del campo utilizzando poi delle pietre come contorni per le basi, a lui piaceva immaginarsi fra di loro, che erano così legati, che non trovavano mai un vincitore perché l’importante era divertirsi tutti insieme.

Presero guanti, mazze e la palla per poi posizionarsi nelle rispettive posizioni e giocare.

Youngjae si apprestava a lanciare con tutta la forza che possedeva nel suo braccio destro, convinto più che mai che quel giorno a battere il suo compagno di giochi Yongguk, che era alla battuta, l’altro dal suo canto non intendeva di certo fasi vincere da un ragazzo più piccolo di lui, quindi si mise sull’attenti pronto a non farsi sfuggire il colpo , dietro di lui a ricevere c’era Himchan, coetaneo di Yongguk, il quale faceva segno a Jae su quale tipo di lancio avrebbe dovuto eseguire, in fine poi nel momento in cui il battitore avesse preso e respinto il colpo con la sua mazza, Daehyun, miglior amico di Youngjae  e Jongup il più piccolo del gruppo avrebbero preso la palla proprio per eliminare il maggiore.

Giocarono per un’oretta buona fino al momento in cui un raggio solare non accecò il battitore che impossibilitato a indirizzare la palla la colpì a caso facendola volare contro una finestra che finì per infrangersi  -oh cavolo!- esclamò Daehyun seguito poi dagli altri, che avevano lasciato le loro postazioni per raggrupparsi in un punto dal quale la visuale sarebbe stata migliore.

-Questa volta non credo la farai franca- se la rise Youngjae – sta zitto, è una cosa seria- lo ammonì Himchan, Yongguk no prestò loro molta attenzione, poiché corse via, non intendeva scappare, lui era un’anima buona, un’anima pura, un paladino d’altri tempi, un uomo che riconosceva ed ammetteva sempre il suo errore, per cui fece il giro del palazzo fino a quando trovò l’entrata ringraziò il cielo poiché era stata lasciata aperta, a quel punto vi si fiondò all’interno correndo su per le scale, aveva calcolato che molto probabilmente il piano al quale si dovesse fermare fosse il settimo così una volta arrivato suonò un campanello – si chi è?- la voce di un uomo inondò i suoi timpani, si sentiva terribilmente in colpa, dopo poco un uomo sulla cinquantina gli aprì la porta – mi scusi ma…- si bloccò poiché senza fiato, piegandosi su se stesso e portandosi una mano sul petto  -qualcuno le ha rotto la finestra?- il signore inclinò il capo e poi lo scosse – senta saprebbe indicarmi quale appartamento di questo piano si affaccia sul parco qua dietro?- l’uomo ci pensò un attimo poi  gl’indicò la porta alle sue spalle –grazie- Yongguk fece un inchino poi suonò il campanello con la scritta Choi – si chi è?- una donna sul metro e sessantacinque dai capelli corti, castano scuro e gli occhi piccoli e di color nocciola aprì la porta –dimmi ragazzo?- le chiese gentilmente la signora – senta credo di averle rotto…- Yongguk non completò la frase che fu trascinato dentro – oddio grazie al cielo non sei andato via, vieni mio figlio sembra diverso, devi incontralo, è successo in camera sua…- la donna parlava ma il ragazzo aveva smesso di ascoltarla non capendo cosa stesse dicendo, poi si trovò innanzi ad una porta che venne aperta e fu catapultato all’interno della stanza, dalle pareti bianche illuminate dalla luce che filtrava dall’unica finestra della camera che andava poi a bagnare la figura di un ragazzo sui sedici anni, coi capelli neri e il viso da bambino, la pelle candida e gli occhi scuri, le labbra rosee che sotto quella tenue luce lo facevano assomigliare ad un angelo, seduto li su quel letto come se nulla fosse, come se non sapesse di appartenere ad un regno elevato a quello degli uomini, era li immobile con un sorriso stampato sulle labbra che guardava una pallina da baseball finitagli sulle gambe, Yongguk allora si avvicinò al letto e subito gli saltò all’occhio una sedia a rotelle coperta da un leggero strato di polvere risposta in un angolo della camera come a voler essere dimenticata, poi senza fiatare, raggiunse la sedia affianco al letto di Junhong e gli sorrise – piacere io sono Bang Yongguk e… ho appena rotto la tua finestra- a sentire quella voce profonda, mai udita prima Junhong sussultò voltandosi verso un ragazzo dai capelli scuri rasati ai lati, la sua pelle era olivastra, ciò che saltava all’occhio di quel corpo tonico era di certo il sorriso gengivale che in quel momento poteva osservare, una mano dalle dita affusolate e lunghe  era protesa verso di lui.

Era stato preso in contro piede, non sapeva perché, non voleva nemmeno sapere il come ma le parole uscirono veloci dalla sua bocca , come se sentire la sua voce lo spaventasse, e la sua mano andò a stringere quella dello sconosciuto – piacere io sono Choi Junhong-.

E fu in quella camera, sotto gli occhi lucidi di sua madre, e grazie a quella sua finestra sul mondo che al col tempo era divenuto uno schermo in grado di proteggerlo da quella che sarebbe potuta essere veramente la vita reale nuda e curda, e che lo aveva diviso dal mondo ormai infranta, che Junhong vide nell’oscurità di quei giorni una speranza che da tanto, troppo tempo attendeva.

I due si strinsero saldamente la mano, come solo due persone che si fidano l’una dell’altra fanno e si scambiarono un’inspiegabile sensazione di calore e pace.

 


 ANGOLO DELL'AUTRICE:

Hola!!! bene ragazze sono qui con questa nuova fanfiction, si lo so un povero ed adorabile Zelo che non può camminare è davvero crudele, ma non è colpa mia se con 40 di febbre sono queste le idee che mi nascono in mente, cosa ne pensate voi, vi ha messo tristezza? beh allora ho fatto il mio dovere, aspetto le vostre recensioni, i vostri pensieri e aspetta il prossimo capitolo de : "Il Canto di Saejin" ^^ alla prossima!!! >.< 

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Capitolo 2
*** Hero ***


La sveglia suonò destando dal sonno Himchan, che come al solito dedito allo studio e all’impegno iniziò subito a prepararsi, infilando i libri in cartella, correndo nella piccola cucina della sua casa a prepararsi una modesta colazione che lo avrebbe saziato sino all’ora di pranzo, si gettò sotto la doccia di quel bagno logoro che andava ormai lavato, eppure anche se ben sapeva che doveva pulire e mettere ordine non riusciva mai a trovare il tempo, poiché diviso fra i vari impegni giornalieri che inevitabili si susseguivano.

Himchan era un tipo al quale piaceva vedere la gente intorno a lui sorridere,  era quello il suo primo obiettivo, rendere felice tutti gli amici che in quegli anni di scuola si era fatto, tra cui il piccolo Jongup.

Himchan aveva conosciuto Jongup casualmente, grazie alla frequentazione dello stesso istituto scolastico se pur vi era differenza d’età fra i due, si erano incontrati nel cortile della scuola, in un punto lontano da occhi indiscreti, dove il più piccolo era vittima di alcuni bulli che ferocemente lo stavano picchiando – urla dannato! Urla! – gli dicevano – perché non chiedi aiuto? Hai perso la lingua?- dopo quelle frasi risero sguaiatamente, quasi si trattennero lo stomaco data la troppa ilarità che scatenava in loro quella situazione, ma Himchan non poteva sopportare una vista simile, così senza dire nulla aveva lasciato cadere la cartella e si era fiondato su quei ragazzi, che conosceva di vista o per fama, e combatté con tutte le sue forze contro di loro.

Non si può di certo dire che fu un bello spettacolo, ma il ragazzo se la cavò ed appena quegli aguzzini si  allontanarono diede una mano al ragazzino riverso sull’erba di quel posto, estrasse un fazzoletto di stoffa dalla tasca e tamponò, imbevendolo con dell’acqua, le ferite più vistose sul volto di Jongup  – Hey! Hey, stai bene? Ti hanno colpito la testa?- Jongup non rispose e rimase li, immobile, per qualche minuto, finché Himchan considerando di aver almeno in parte tolto il sangue dal viso di quella povera vittima, si alzò e cercò con lo sguardo uno zaino che potesse essere li per terra, vagando con lo sguardo lo trovò impigliato fra i rami di un albero –che bastardi te lo hanno lanciato fin li sopra- esclamò il moretto i cui capelli ben tirati su ormai erano un groviglio di nodi –aspetta qui- agile e furtivo come un felino al quale il suo stesso fine volto faceva pensare si arrampicò sull’albero e raggiunse lo zaino, scese con calma ma non mise bene il piede nell’ultimo tratto e si trovò col sedere sull’erba, la quale aveva attutito la caduta per nulla gravosa.

-Ecco tieni, spero non avrai visto la mia caduta- rise piano, poiché lo stomaco che aveva incassato qualche pugno gli doleva ancora, non ricevette ancora nessuna risposta, nessun ringraziamento, il ragazzo fissava il vuoto ma dopo che Himchan gli porse lo zaino, iniziò a fissarlo – ho qualche cos…- il ragazzo non capì cosa l’altro volesse da lui così, s’indicò un punto generico del viso pensando di avere qualche cosa in faccia, ma l’altro subito blocco quell’indice e lo abbassò, poi cercò nel suo zaino qualche cosa uscendone un blocchetto con una penna al seguito, vi scrisse su e poi lo mostrò ad Himchan il quale finito di leggere sgranò gli occhi, il ragazzo staccò il pezzo di carta e nel silenzio più completo lo mise fra le mani del moro.

Era a questo che pensava ogni volta Himchan quando vedeva il suo amico Jongup, era a quella scritta, era quel  “Grazie… Eroe” che lui andava avanti nelle sue giornate, che s’impegnava a far felice gli altri, a proteggere Jongup dai bulli che lo prendevano in giro per il suo mutismo, al far ridere Youngjae , Daehyun e Yongguk quell’amico che per tanto tempo aveva perso e che poi un giorno era ritornato inspiegabilmente da lui con un sorriso stampato sul volto.

Erano queste le persone che lui proteggeva poiché debole nei confronti del destino, poiché debole per proteggere la persona che più amava e che giorno dopo giorno si stava dissolvendo fra le sue braccia.

-Buongiorno Himchan hyung- lo salutò Youngjae assieme a Dae ed Up – andiamo ragazzi non vedo l’ora d’iniziare questa giornata per concluderla il prima possibile- disse il moro salutando l’allegra combriccola bloccandosi un attimo a riflettere su dove fosse finito il più grande, ma non lo chiese agli altri era ormai tardi e dovevano entrare nelle rispettive aule, e soprattutto il celo plumbeo non prospettava di certo nulla di buono.

La giornata si protrasse sino al suo termine parecchio velocemente, Himchan non aveva tempo da perdere, era il primo pomeriggio e gli esami di metà anno si avvicinavano, così non poteva più giocare spensierato con i suoi compagni, al contrario le sue giornate si accorciavano, perché era proprio allora che Himchan correva, correva senza mai fermarsi, appena salutava i suoi amici i piedi iniziavano a muoversi velocemente, mettendo un passo dopo l’altro, fino ad arrivare alla meta da lui prefissatasi il policlinico di Seoul, una volta ai suoi cancelli correva sino al reparto di oncologia e si fermava sempre sulla soia della camera 10 sperando di trovare li sua madre.

La stanza era accogliente, c’erano dei fiori accanto al letto posti sul comodino, che Himchan le aveva portato il giorno prima, le tende bianche filtravano la luce in quella stanza, dalle pareti color salmone, le coperte del letto erano di un tenue arancione e l’armadio presente in camera era in legno scuro, una stanza carina per una malattia così gravosa, sfiancante e mortale come un tumore ai polmoni.

La madre d’Himchan era li ricoverata ormai da nove mesi, e il figlio la vedeva sempre più triste, sempre più vinta dalla sua malattia, anche se nascondeva quella paura della morte, che viscida e sinuosa l’aveva ormai soggiogata, dietro ad un enorme sorriso, il quale  riscaldava il cuore del suo amato bambino.

In quella stanza c’erano due estranei, da quando sua madre era stata ricoverata Himchan aveva finto di credere che tutto andasse bene, che si sarebbe salvate grazie a quelle infernali cure, eppure nulla, nulla di tutto ciò che avevano provato era bastato a fermare l’espandersi del tumore ormai giunto ad uno stadio finale.

Lui sapeva e nascondeva tutto questo dietro ad un sorriso proprio come la madre faceva con lui, si odiava per quell’ipocrisia eppure voleva solo vivere quei pochi mesi  che le rimanevo in completa armonia con lei, lui non era quell’eroe che Jongup diceva, lui era solo un perdente, perché contro quel fato orribile nulla poteva, perchè anche se rendeva felice i suoi compagni la donna della sua vita o meglio la donna che gliel’ha data, quella che lo ha sempre amato e curato anche quando il marito che amava tanto era morto lontano da casa, in un incidente aereo, quella donna ora stava morendo e lui non poteva salvarle la vita facendola sorridere.

-Hai già finito i tuoi compiti Himchan? Sai che non voglio che tu venga qui se prima non studi- disse la madre apprensiva e preoccupata per il rendimento scolastico del figlio che però non subiva rincari – certo mamma- mentì lui, studiava la notte poiché non gl’importava di dormire, a lui bastava stare con lei, vivere quel poco tempo che gli rimaneva.

Posò lo zaino, e si mise a sedere sul letto stringendo e guardando intensamente negli occhi sua madre, tentando di fotografare quel viso angelico che nemmeno l’avanzare dell’età e della malattia erano stati in grado di trasformare, di cambiare in qualche cosa di rovinato; gli occhi nocciola, le labbra carnose e pallide, la pelle ormai diafana e le mani ossute che intrecciarono le loro dita con quelle del figlio, quello era il loro modo di dirsi quanto si volevano bene, per loro le parole erano scontate e dolorose, perché detto ad alta voce che la morte è quasi giunta, sembra che tutto divenga reale e loro almeno per quell’altro giorno non erano ancora pronti a separasi.

Una lacrima bagnò quelle calde coperte, ma non fu l’unica, altre la seguirono proprio come le goccioline d’acqua che s’infrangevano sul suolo della grande città che era Seoul, fra le cui vie Jongup correva per raggiungere la sua abitazione.

-Uppie sei tu?- lo chiamò la voce della nonna, che appena avendolo sentito entrare si era precipitata alla porta d’ingresso, il ragazzo sorrise –non c’è nulla da ridere!- lo ammonì quella però – vai a cambiarti, lo sapevo che ti saresti bagnato tutto con questa pioggia, corri a farti un bagno caldo, te l’ho già preparato- continuò poi in tono apprensivo e leggermente preoccupato per la salute del nipote, il ragazzo non si fece ripetere il tutto due volte e corse nella sua camera per posare la tracolla e prendere degli abiti puliti, poi si diresse nel bagno dove ad attenderlo c’era una vasca colma d’acqua e bollicine, pronto ad accogliere il suo corpo tonico ed infreddolito.

Jongup a detta di tutti era una ragazzo giusto poiché: studiava il giusto, usciva con gli amici il giusto e stava lontano dai guai… il giusto, eh si perché quelli proprio non li poteva evitare, lui ce la metteva tutta per non creare problemi a nessuno, ma il suo stesso mutismo li creava a lui.

Eera sempre al centro dell’attenzione dei bulli che trovavano parecchio divertente picchiare un ragazzo che oltre l’essere debole non poteva nemmeno urlare per il dolore o chiedere aiuto, quella era stata la sua vita sino a poco tempo prima, sino a quando non aveva incrociato la sua strada con quella d’Himchan il suo… eroe.

Da quel giorno erano divenuti inseparabili, Himchan si prendeva cura di lui, si preoccupava per lui, lo accompagnava ovunque per evitare che i bulli li si avvicinassero, anche se c’erano giorni in cui correva via  e non sapeva dove finisse per tutto il pomeriggio, ma non gl’importava a lui bastava sapere che gli sarebbe comunque rimasto vicino, poiché quella compagnia lo rendeva tanto felice, eppure non così tanto da farlo tornare a parlare.

Ebbene,quello che nessuno sa a parte la sua cara nonna e l’ormai defunto nonno è che Jongup fino all’età di sette anni aveva parlato con serenità, ma lo shock del perdere i genitori lo aveva portato ad mutismo che si era prolungato sino ad ora.

Sua madre e suo padre erano degli eroi, erano due medici senza frontiera che quando lui era ancora bambino partirono per una missione in Africa, ma una cellula terroristica del posto sterminò il villaggio dove si trovavano e così Jongup rimase orfano, da allora aveva cercato un altro eroe, un’altra persona di buon cuore e dall’anima pura e l’aveva trovata in Himchan e anche in quel ragazzo che altri non era se Yongguk.

-Uppie è pronta la merenda- quell’avviso interruppe il filo dei suoi pensieri e così dopo essersi asciugato ed infilato una tuta corse a consumare ciò che gli era stato preparato, ringraziando la donna, che con tanto amore lo accudiva, con un bacio sulla guancia sinistra, poi tornò nella sua camera, indosso un paio di auricolari ed accese il suo mp3, aspettò qualche secondo e appena la musica partì iniziò a ballare, perché ciò che pochi sanno di Jongup è che non utilizzando le parole per esprimersi aveva imparato a farlo col suo corpo, lui parlava si, ma solo mentre danzava.

 

 

ANGOLO DELL’AUTRICE:

bene ragazze, eccomi qui con il secondo capitolo di questa storia così tanto triste, inizio con il ringraziare le ragazze che mi hanno recensito prima fra queste Mary che continua a recensire con pazienza ogni mio sclero poi, leigth r che con mio piacere ho scoperto essersi appassionata anche a questa storia e infine ma non per importanza luna8029 che con le sue parole mia ha fatto sentire una grande scrittrice u.u

e poi naturalmente una grazie va a tutte le ragazze che hanno già messo la storia tra le seguite:

Aleexi98

Ciaciachan

Kimia

Luna8029

Grazie di cuore a tutte, e continuate a seguirmi ^^

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Capitolo 3
*** Best Friend ***


-Che visione paradisiaca- disse in un sospiro l’uomo che era appena entrato nella spoglia camera del piccolo Daehyun, la quale conteneva solo un letto al quale il ragazzino era incatenato , per mezzo di una catena che col tempo era diventa quasi parte della sua caviglia destra.

L’adulto con calma quasi assaporando l’aria di disperazione, che ormai era la carta da parti che ricopriva quelle quattro mura, che col passare dei giorno e dei mesi aveva imparto a nascondere un tremendo segreto,  si avvicinò al giaciglio sporco di sangue e sperma sul quale il ragazzino era steso, avvolto in una larga camicia bianca, macchiata in più punti da del liquido ormai carminio –sta tranquillo oggi andrà meglio- continuò sedendosi sul materasso e allungando le viscide mani sul corpo dell’undicenne.

Daehyun si era chiesto più volte il perché, si era chiesto come mai un uomo così tanto gentile d’averlo adottato gli stesse facendo questo, ciò che il ragazzo non conosceva era che lui era semplicemente stato rapito,  lui che nulla aveva mai avuto, lui che era stato abbandonato da una ragazza madre irresponsabile, lui che stava perdendo lentamente se stesso fra quelle pareti, lui che era stato corrotto dalla perversa libidine di un uomo mentalmente malato, il quale senza troppe difficoltà lo aveva sottratto ad una vita più normale di quella.

Si, era vero, quel giorno sarebbe andata meglio, non avrebbe urlato ne tentato di difendersi, lui ormai non era che un ombra, si chiedeva se quello fosse il luogo tanto temuto dai cristiani, l’inferno, non sapeva se fosse ancora vivo, e se lo fosse, non credeva che quella condizione meritasse quell’aggettivo.

L’altro in poco lo spogliò, e con le labbra baciò ogni singolo livido che ricopriva quella pelle martoriata delle innumerevoli percosse, dedite a piegare il ragazzino alla sua volontà, l’osservò compiaciuto, poiché non tremava più, si sentiva amato , finalmente qualcuno lo amava, le donne lo avevano solo ferito e rifiutato, mentre gli uomini non erano che stupidi e quel ragazzino col tempo era diventato il suo unico mondo, l’unica cosa alla quale pensava dalla mattina alla sera, il suo passatempo, il suo giocattolo così puro, amava i grandi occhi scuri di Daehyun,  i suoi capelli castano scuro, le labbra carnose che in quel momento stava mordicchiando con così tanta passione che le ferì facendole sanguinare, amava la sua voce mentre urlava,  lui adorava essere il suo padrone.

Non ci volle molto perché entrambi si ritrovassero nudi, così già eccitato dal quel piccolo e gracile corpo, che con cura nascondeva nella cantina, di una casa nella quale aleggiava un’aria di solitudine mista ad una malattia che col tempo lo aveva trasformato nella belva assetata di sesso che era, si posizionò sul ragazzo voltandolo di spalle per poi stendersi su di lui e arrivare col volto all’altezza di quello dell’altro, sussurrandogli vino all’orecchio, il cui lobo era divenuto il suo nuovo sfogo –sei così puro- Daehyun si lasciò sfuggire una lacrima, quelle tre parole erano le più sbagliate, cos’aveva di puro quel corpo? Cos’altro possedeva se non una lasciva perversione che gli aveva invaso le vene e si era mescolata al suo sangue?

Detto ciò trovò la posizione che meglio avrebbe soddisfatto la sua lussuria e appena il giovane sentì il membro eretto dell’altro spingere contro la sua entrata, chiuse gli occhi e smise di respirare, con l’unica speranza che anche quel giorno finisse presto.

-Dae? Sveglia Daehyunnie!!- urlò Youngjae facendo cadere il coinquilino sul pavimento della sua camera da letto –ma che cavolo! Anche oggi un altro livido! Ti odio Jae- urlò l’amico in tutta risposta lanciandogli in pieno volto il cuscino che fino a qualche minuto prima aveva sorretto il suo capo, impregnandosi del dolce profumo dei suoi capelli –faremo tardi a scuola! Poi Bang ci ammazza, lo sai com’è, detesta i ritardatari! E io non voglio essere sgridato di nuovo!!- piagnucolò il compagno.

Era così tutte le mattine, sempre la solita storia, veniva tirato giù dal letto dal ragazzo che un anno prima lo aveva salvato dall’oblio nel quale per cinque anni aveva continuato ad affogare.

Un giorno di dicembre mentre all’esterno pioveva, il suo aguzzino lo aveva lasciato uscire, gli aveva promesso che un giorno gli avrebbe fatto rivedere la luce,  e quel giorno aveva mantenuto la sua promessa, aveva fatto il bravo ed ora poteva uscire da quello scantinato, rivide quella casa nella quale non aveva vissuto, ma che al momento dell’adozione, o meglio del rapimento, sperava sarebbe stata tutta per lui, rivide la televisione, fece un bagno caldo e mise dei vestiti nuovi, era come se stesse andando ad un appuntamento con quell’uomo , o per lo meno era quello che pareva –siediti a tavola- gli disse gentilmente scostandogli la sedia sulla quale poi lo fece accomodare, il tavolo era ben apparecchiato addirittura vi erano delle rose rosse in un piccolo porta fiori che faceva da centro tavolo.

Dopo una decina di minuti era tornato coi piatti fumanti fra le mani e uno gli era stato posato d’avanti –mangiamo, sono contento che tu stia facendo il bravo anche oggi, ti farò uscire più spesso- quell’uomo era convinto anzi certo che Daehyun lo amasse, ma il ragazzo aveva atteso, in silenzio, coltivando il suo odio per quello stupratore , fino a portarlo a quell’azione sconsiderata, si alzò dal tavolo e gli andò in contro –tu mi ami?- gli chiese dolcemente inginocchiandosi di fronte a lui e prendendo un profondo respiro, l’altro rimase basito, ma era lui il dominatore e non poteva mostrarsi debole quindi riprese immediatamente il controllo delle sue azione e rispose –certo piccolo mio- e mentre gli stava per accarezzare una guancia, Dahyun scattò, rapido, un solo gesto seguito da un flebile gemito, i piccoli occhi di quell’uomo  divennero presto lucidi e si spalancarono più che poterono, guardò il suo stomaco e notò la lama che lo aveva appena perforato, non urlò, era solo furioso, quel bastardo, lui,  proprio colui che aveva amato per tutto quel tempo  ora lo aveva appena tradito e non poteva sopportarlo.

Daehyun lasciò andare la presa sul coltello e si diresse alla porta d’ingresso, l’aprì e scappò via non curandosi delle mani grondanti di sangue e nemmeno  delle urla d’odio che si espandevano alle sue spalle, pronunciate con rabbia dal suo rapitore. Corse più che poté senza fermarsi, lasciando che la pioggia andasse quasi a strappare via la sua pelle, corse a perdifiato finché non si scontrò con qualche cosa, o meglio qualcuno, il suo miglior amico, la sua luce nel buio, il suo Youngjae.

-Oh mio dio stai bene!- disse Jae sconcertato dall’essersi trovato addosso un ragazzo pieno di sangue –come ti chiami? Mi riesci a capire?- si rimise in piedi e raccolse l’ombrello che gli era scivolato via dalle mani al momento dello scontro e correse poi a coprire l’altro, Daehyun che poco ci vedeva a causa di quel periodo vissuto nell’oscurità, riuscì con fatica a comprendere quali fossero i lineamenti di colui sul quale era finito, e si gettò ai suoi piedi urlando disperato e piangendo, tirando fuori quella sofferenza che a lungo era rimasta celata all’interno della sua anima deteriorata dalle lacrime che da troppo tempo non avevano riscaldato le sue goti livide.

-Calmati ti prego- Youngajae era disperato non capiva cosa stesse accadendo, non poteva di certo conoscere gli avvenimenti che avevano preceduto quel fortuito incontro –salvami, ti prego! SALVAMI!!- quelle furono le parole che dopo cinque anni poteva finalmente pronunciare con forza fino a farsi saltare le corde vocali.

-Allora ti alzi? Insomma ma come devo fare con te?- continuò a lamentarsi  il suo angelo custode, colui che lo aveva accolto nella sua casa, colui che col passare delle notti tempestate dagli incubi aveva dormito al suo fianco proteggendolo e stringendolo a quel petto che trovava così confortevole.

Youngjae dopo il loro incontro lo aveva portato alla polizia, facendogli denunciare quel bastardo che purtroppo era già fuggito via da Seoul, e riuscendo poi a convincere la sua ricca famiglia ad adottare il ragazzo,  lui inconsapevolmente gli aveva dato una famiglia che tanto aveva desiderato e sognato, un’amorevole famiglia che nell’ultimo anno non si era risparmiata e non gli aveva negato nulla, frequentava  un’ottima scuola,possedeva una bella camera  nella quale poter dormire, con una grande finestra dalla quale entrava abbondantemente la luce del sole che a lungo non aveva potuto contemplare, addirittura avevano avverato il suo grande sogno e gli avevano concesso di studiare canto con il suo salvatore, scoprendo così  che le loro voci si fondevano in un incredibile melodia in grado di emozionare il cuore di chiunque li avesse ascoltati.

-Basta ci rinuncio- annunciò Youngjae spazientito, lui era un tipo permaloso, qualche volta vanesio ma anche tanto generoso ed era perdutamente innamorato di quel ragazzo che aveva raccolto dalla strada in un giorno di pioggia.

Si odiava per quei sentimenti, sapeva perfettamente che Daehyun lo considerava come un fratello e mai gli avrebbe confessato ciò che provava per paura di ferirlo maggiormente, non voleva in alcuna maniera che l’altro pensasse erroneamente, che anche lui avrebbe abusato del suo cuore, non avrebbe per nessun motivo al mondo permesso che nulla ferisse ulteriormente il ragazzo di cui era follemente innamorato.

La notte si era ritrovato a piangere per l’impossibilità di quell’amore e si era confessato con Bang Yongguk l’unico che pareva riuscirlo a calmare con le sue parole piene di saggezza, un ragazzo molto particolare a detta di Youngjae; era molto bello e popolare, fino a quando l’anno precedente non aveva lasciato la scuola per tre mesi, un arco di tempo in cui la gente pareva essersi dimenticata di come lo adorava, di quanto lo amasse e di tutte le volte in cui lo avevano pregato di essere loro amico, così da poter brillare di luce riflessa, anche se per poco.

Quando era tornato subito si era avvicinato a lui, che preferiva passare inosservato per il timore che qualcuno scoprisse della sua omosessualità, per la tremenda paura che gl’impediva di avvicinarsi ai ragazzi della sua età che già una volta lo avevano pestato a sangue prendendolo in giro per quella sessualità così ambigua, costringendolo a fuggire dalla città in cui era cresciuto per trasferirsi a Seoul, dove aveva incontrato il suo unico amore e quell’anima pura che altri non era se Yongguk.

Col tempo aveva dimenticato cosa la gente gli avesse fatto che con l’aiuto del suo hyung si era fatto degli amici, aveva conosciuto Himchan e il piccolo Jongup che come lui aveva conosciuto il dolore procurato dai bulli e dalla loro falsa superiorità.

Col tempo si era re innamorato , ma questa volta non avrebbe fatto l’errore di confessarsi, Daehyun era troppo importante per lui, l’ultimo uomo per il quale aveva perso la testa era stato il suo amico d’infanzia Taemin , erano cresciuti insieme ed ogni giorno della loro vita lo avevano trascorso almeno in parte insieme, l’uno al fianco dell’altro fino a quella sera di due anni prima, durante la quale gli aveva confessato ciò che provava realmente, per venir poi deriso e sbeffeggiato, e per vedersi cambiare la sua idilliaca vita nel peggiore dei gironi infernali.

Ma adesso tutto era cambiato, in meglio, e aveva un compito e questa volta avrebbe preferito dare la vita che perdere il suo amato.

-Ok ok arrivo, oggi sei più permaloso del solito!- rispose il ragazzo che lentamente si alzò dal pavimento per poi rimettersi in piedi e andarsi a cambiare.

Una volta pronti corsero verso l’edificio scolastico andando incontro a Jongup che gli stava aspettando per poi essere raggiunti da Himchan, che se pur avesse notato il cielo plumbeo non portava con se l’ombrello.

Senza perdere tempo perché ormai in ritardo corsero nelle rispettive aule –mi hai fatto correre alla velocità della luce e Yongguk non c’era neanche- disse in tono cantilenante il castano mentre si fiondava sull’amico e gli scompigliava i capelli scuri –basta, basta! Non è colpa mia, quello non si assenta mai chissà che fine ha fatto- gli rispose la sua vittima –per sta volta passi, ma se ricapita prega per i tuoi capelli perché non riuscirai più a farli tornare al loro posto- concluse il discorso, mentre l’altro tentava di aggiustarsi i le ciocche che non avevano più un ordine definito –non ci provare sai!- lo minacciò in tutta risposta –dai che siamo arrivati entriamo e speriamo di non doverci beccare la solita ramanzina- gli sorrise e varcarono poi la soia della loro aula.

 

NOTE DELL'AUTRICE:

Scusate l'enorme ritardo, sono davvero dispiaciuta ma la sucola sta finendo e mi tocca fare una marea d'interrogazioni, poi ho da provare col mio gruppo e alla fine mi sono sommersa d'impegni da non essere riusccita a postare, per mia fortuna ho qualche giorno di pausa per cui eccoltre ai vostri gentili commenti vi attendo come lettrici anche della mia latra storia il canto di Saejin al prosismo capitolo e spero di non avervi orvinato il pomeriggio con il triste passato dell'adorabile Daehyun ^^

 

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Capitolo 4
*** Goodbye ***


Jun Hyoseong era un’adorabile ragazza, sempre ligia al lavoro, con una grande dose di buona volontà e altruismo intrinseca a lei; il suo sogno era quello di divenire un prestigioso medico, così da poter salvare la vita a molte persone.

Nella scuola che frequentava tutti l’amavano e la rispettavano dato il suo incarico come rappresentante d’istituto, lei era un vero e proprio modello da seguire, otteneva sempre voti alti, riusciva sempre a rendere contenti gli studenti e rimaneva nell’edificio scolastico sempre fino a tardi per occuparsi delle varie scartoffie.

Fu durante il periodo del festival scolastico che s’innamorò, il ragazzo che le piaceva era esattamente come lei, magari più popolare e bello come un angelo però rimaneva sempre buono e cordiale, quel ragazzo era Bang Yongguk.

Yongguk era una personalità molto stimata del loro liceo, non era di certo per la sua famiglia di ceto medio borghese, o per il suo gusto in campo di moda o per quel fisico che avrebbe fatto svenire qualunque donna, ma perché la gente stessa lo amava, faceva di tutto pur di essergli amica, pur di apparire come lui, era per questo che tutti lo seguivano, ma quanti di loro lo avrebbero seguito sino alla morte? Quanti di loro desiderava un amicizia sincera? Quindi di loro non lo facevano per un torna conto personale?

Nessuno…

Questa era la risposta che Yongguk dava a tutte le sue domande, lui voleva un’anima pia e pura, una ragazza che non lo vedesse solo per quel che era, una ragazza che risplendesse di luce propria e non riflessa come tutte le sue spasimanti.

Youngguk era vicepresidente del consiglio d’istituto e fu proprio per questo motivo che conobbe Jun Hyoseong, la donna che gli fece battere, dopo tanto tempo, il cuore.

La trovava magnifica, elegante, sensuale e il suo sorriso gli provocava una scarica di adrenalina che percorreva ogni vertebra della sua spina dorsale, non aveva mai visto tanta bellezza e bontà in una singola persona.

Forse furono i pomeriggi passati insieme per completare i preparativi del festival, forse furono le mani che casualmente si sfiorarono, forse fu quel giorno che Hyoseong cadde su Yongguk e finirono col riempirsi di porporina o forse fu l’attimo successivo, in cui la luce del tramonto illuminò i loro volti le cui goti erano già in fiamme, e le loro labbra rimasero distanti poco l’una dalla altra fino poi ad unirsi.

Quel sentimento continuò a crescere grazie ai picnic consumati sotto enormi alberi che li bagnavano con la loro ombra, i gelati mangiati mentre passeggiavano sulla spiaggia, la dichiarazione di un amore puro fatta s’un ponte, i baci che si fecero pian piano più profondi e quella decisione che col tempo arrivò e divenne una consapevolezza per entrambi, l’enorme desiderio di avere la loro prima voltai insieme, non dettata dalle critiche di amiche o amici che avevano già perso la verginità ma semplicemente dal loro amore che ormai era divenuto immenso, ma qualche cosa precedette quel rapporto.

Le voci sul loro fidanzamento  giravano e non solo gli studenti di quella scuola vennero a sapere che un uomo aveva rubato il cuore di Hyoseong.

Tutti conoscevano il presente di Jun Hyoseong, ma quanti di loro conoscevano il suo passato?

Non che fosse scandaloso come di certo ci si possa aspettare, al contrario la sua vita non era molto differente da quella che portava avanti se non per l’unico particolare di un amico che col tempo aveva involontariamente allontanato, non curandosi di ciò che serbava il cuore di Woo Jiho.

Jiho  fu da sempre il migliore amico di Hyoseong, avevano trascorso intere estati assieme, aspettando la notte per poter osservare insieme le stelle e descrivere i disegni che parevano comporre, stingendo un patto che gli portò a promettersi che mai e poi mai si sarebbero divisi.

Ma col tempo come ogni rapporto che all’inizio pare indissolubile le varie decisioni che presero entrambi, li portarono ad allontanarsi l’uno dall’altra.

All’inizio fu la scelta del liceo da frequentare, poi le nuove amicizie di Jiho che lo portarono sulla cattiva strada ed infine l’apparire di Yongguk, quello fu il punto di rottura definitivo.

Jiho col tempo aveva imparato a non desiderare ma ad agire e aveva compreso i suoi veri sentimenti per l’amica, aveva già in mente qualche cosa ed anche se adesso si faceva chiamare Zico poiché leader della gang dei Red Tiger, quell’amore che era nato tempo fa nei confronti di  Hyonseong ancora non era scomparso e il solo pensiero di averla persa a causa di un altro lo faceva impazzire.

Era appena iniziato l’anno scolastico, l’ultimo che Hyoseong avrebbe frequentato prima d’iscriversi all’università, quando Zico decise di farsi coraggio e di uscire dall’ombra nella quale era rimasto nascosto, infatti  un pomeriggio attese l’amica sulle scale innanzi al vialetto della casa della  ragazza.

Si salutarono come sempre, ma adesso fra i due c’era imbarazzo, un sentimento mai provato precedentemente.

-Ho bisogno di parlarti- iniziò il ragazzo –dimmi- le rispose poi l’amica –è tanto che aspetto…- non c’era più tempo per l’incertezza per cui andò dritto al punto –io ti amo Hyoseong- disse prima di tentare di baciarla, ma fu respinto da un sonoro schiaffo che echeggiò per tutto il vicolo –come osi, io sono fidanzata,credevo fossimo amici e tu mi fai questo- piagnucolò la ragazza prima di correre dentro casa e chiudersi la porta alle spalle, chiudendo contemporaneamente quell’amicizia arrivata ormai ad un punto di non ritorno.

I giorni che seguirono furono per Zico estenuanti, chiamò Hyonseong più volte in uno stesso giorno, incominciò a seguirla ovunque terrorizzandola fino ad arrivare a quella decisione disperata e dettata non più dall’amore ma dall’isteria.

Si organizzò velocemente, fece rubare dai suoi compagni un auto e commissionò loro il compito di rapire la ragazza, infatti l’aspettarono innanzi a casa sua e con un colpo ben assestato all’altezza della nuca la fecero svenire trascinandola nella auto.

Hyoseong riaprì gli occhi ritrovandosi, in preda allo sgomento, in un capanno ove si stagliava innanzi a lei solo la figura di Zico, il terrore aumentò quando constatò di essere legata ad un letto.

Furono vane le urla, ed il dolore per la perdita della verginità, per quel membro che con violenza gli aveva strappato il grande dono che voleva offrire a Yongguk , sperò anzi pregò il ragazzo di fermarsi, ma l’altro dal suo canto non riuscì a bloccare il suo corpo che tanto aveva desiderato quello dell’amica, un atto disperato con il quale sperava d’incatenarla per sempre a lui.

Uno stupro, la bellezza di quell’amicizia si era tramutata nell’orrore di una violenza che tolse a Hyoseong ogni briciolo di dignità, fu assurdo quando a rapporto completato il ragazzo le strinse a se, come se quella fosse la prima volta attesa da entrambi, osò addirittura sussurrarle parole dolci per poi giungere al momento in cui la rivestì, pulendola dallo sperma  che era andato a mescolarsi col sangue della ragazza.

Le slegò i polsi e la lasciò andare via, sperando solo che un giorno sarebbe tornata da lui.

Ma quella stessa notte Hyoseong per la troppa vergogna di aver , anche se contro la sua volontà, tradito Yongguk, tornò a casa e si lavò, cambiò i suoi abiti ed indosso quelli che aveva il giorno in cui Bang le chiese di essere la sua ragazza , curò ogni minimo dettaglio del suo corpo, poi scrisse una lettera in cui si scusava per quel violento addio, e spiegava con poche parole quanto fosse dispiaciuta, omise il vero motivo per il quale compiva quel gesto sconsiderato, lasciò la busta contenente le sue parole sulla scrivania della sua camera e corse su quel ponte dove aveva detto di si alla proposta del suo ragazzo, senza timore scavalcò la ringhiera e si lasciò cadere.

Anche negli ultimi istanti di vita, mentre perdeva i sensi poichè l’acqua la stava soffocando, pensò a Yongguk ed immaginò che quel rapporto sessuale fosse invece stato amore e fosse stato con Bang, esalò l’ultimo respiro che si disperse i poche bollicine che appena salirono a galla e scoppiarono segnarono la morte della ragazza che Yongguk a lungo aveva desiderato.

“Non sono impazzita, queste sono le parole di una ragazza disperata, ho perso tutto, anche la dignità.

Lo studio, il poco tempo e una famiglia che desidera sempre il massimo da me è insopportabile, non posso desiderare o sognare un futuro diverso da quello che gli altri hanno già scelto per me, non posso andare contro un destino già scritto da altri se non andando incontro alla morte.

Un atto sconsiderato per una ragazza impulsiva e sconsiderata come me, io dico addio a questo mondo e addio alle persone che amo, come un egoista vi lascio con un pezzo di carta a spiegare cosa il mondo, mi abbia portato via, come il mondo si sia preso ciò che desideravo, come… abbia perso tutto in una notte

Jun Hyoseong”

Quella lettera così corta e coincisa veniva letta assiduamente da Yongguk, ogni notte trascorsa in quell’ospedale psichiatrico in cui era stato portato dopo essere impazzito, impazzito per quella perdita, impazzito perché consapevole che quelle parole nascondevano il vero motivo per il quale la ragazza si era suicidata, il vero motivo che lui non conosceva le torturava notte dopo notte.

ANGOLO DELL’AUTRICE:

Come al solito sono in ritardo e mi scuso, ma l’ispirazione per scrivere questo capitolo proprio non voleva venir fuori, però alla fine ho vinto il mio blocco ed eccomi qui.

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, so che questa storia diventa sempre più straziante , però dalle recensioni positive, alle quali sono grata, comprendo che vi emozioni comunque, quindi vi lascio con l’augurio di continuare a seguirmi in tante e che continuate a recensirmi come al solito, grazie davvero di cuore a tutte le ragazze che mi seguono e ci vediamo al prossimo capitolo , vi lascio dicendo che naturalmente l’età dei vari personaggi non rispecchia quella reale come avrete potuto constatare nei capitoli precedenti, per magigore chiarezza faccio un breve punto della situazione:

-          Zelo:  15 anni

-          Jongup: 16

-          Youngjae e Daehyun: 17 anni

-          Yongguk ed Himchan : 18.

Alla prossima e ancona un grande bacione a tutte le mie lettrici ^^

 

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Capitolo 5
*** Soul Fire ***


La notte era scesa sulla frenetica Seoul, ora illuminata da svariate luci colorate, nelle strade echeggiavano le canzoni che i Dj quella sera avevano deciso di utilizzare per movimentare la serata degli innumerevoli ragazzi accorsi in discoteca.

Non era mai capitato che Junhong restasse sveglio fino a tardi, sperava di eliminare una parte del giorno dormendo per tutta la notte, così che il dì successivo fosse giunto prima.

Ma quella notte per il ragazzo fu impossibile riuscire a distogliere lo sguardo dalla piccola palla da baseball finitagli sulle gambe, durante il pomeriggio, e che con rudezza aveva infranto quella sua finestra sul mondo, fatta immediatamente sostituire da quel gentile ragazzo che gli si era presentato col nome di Bang Yongguk.

Nell’osservare la sua pelle olivastra, il volto serio e quegli occhi penetranti per un attimo aveva avuto paura, aveva ricordato i piccoli bulli che si erano divertiti a prenderlo in giro durante il periodo delle scuole medie al quale aveva preferito porre fine, per sottoporsi ad un tipo d’istruzione privata, ma appena aveva visto il suo sorriso gengivale e il volto mutare in un espressione d’insicurezza , il suo interesse per quella persona si era accresciuto , raggiungendo il culmine quando aveva stretto la sua mano e la sua voce profonda lo aveva avvolto come un soffice manto fatto di nuvole.

Non riusciva a spiegarsi quella sensazione, però l’aveva trovata davvero piacevole e d’allora un piccolo sorriso si era dipinto sul suo angelico volto senza accennare a voler andare via, soprattutto per quella promessa che gli era stata fatta dal battitore, secondo la quale il giorno successivo sarebbe ritornato, quella consapevolezza e l’ansia che gli apportava sembrò togliergli tutte le forze per poi farlo cadere in un sonno profondo.

Il mattino successivo Yongguk correva su e giù per la casa cercando i libri che avrebbe dovuto portare a scuola e la giustificazione richiesta la sera precedente al padre per poter entrare durante la seconda ora, dopo avergli spiegato l’accaduto del pomeriggio antecedente, il comprensivo genitore gli aveva concesso la piccola visita a casa dello sfortunato ragazzo al quale aveva rotto la finestra –papà ricordati di avvisarmi se riesci a procurarmi quei biglietti- il padre annuì, mentre sorseggiava una tazza di caffè tenuta nella mano destra e alzando di poco lo sguardo dal giornale sorretto dalla sinistra, per rivolgere al figlio ormai uscito di casa un sorriso di ammirazione.

Il signor Bang era sinceramente felice di come suo figlio, anche senza la madre, stava crescendo.

Non poteva di certo affermare che dopo la morte di quella ragazza ,a cui Yongguk pareva tenere più di ogni altra cosa, le giornate trascorsero facilmente, al contrario aveva visto suo figlio avvizzire come un fiore senza più forza per estendere le sue radici, sino a trovare un po’ d’acqua per sopravvivere, aveva temuto per lui, il terrore di perdere anche lui aveva lo assalito ogni notte di quei tre mesi in cui Yongguk, dopo aver tentato il suicidio , era stato portato di corsa in ospedale, non poteva dimenticare i profondi tagli che si era inciso all’altezza dei polsi e che tutt’ora erano leggermente visibili, il sangue aveva invaso il bagno e si era mescolato con l’acqua del bagno caldo al quale il padre aveva inconsciamente creduto.

Il suo cuore quella notte stava per cedere una seconda volta, gli era bastato sua moglie in fin di vita, seduta al suo fianco nell’automobile che li stava trasportando a casa, al ritorno dall’ospedale dopo il parto di Yongguk , con il suo corpo aveva avvolto quello del neonato terrorizzata di poterlo prendere e quando l’impatto arrivò per lei non ci fu più scampo, esalò un ultimo ti amo rivolto al figlio e al marito e baciando la fronte del neonato lasciò che il suo battito cardiaco cessasse per sempre.

I ricordi di quella notte in cui aveva perso la moglie e di quella del tentato suicidio del figlio più piccolo, non hanno mai mostrato l’intenzione di scomparire, per un arco di tempo che gli era parso un’eternità, anche dopo il ritorno dalla clinica psicologica nella quale si trovava il figlio, lo aveva seguito costantemente, temendo che avrebbe riprovato a togliersi la vita, eppure quella paura non trovò mai conferma  al contrario al suo ritorno Yongguk era tornato ad essere il felice ragazzo di una volta e questo lo aveva rincuorato.

Conclusa la sua spartana colazione il signor Bang prese ciò che gli serviva e si diresse alla sua postazione di lavoro notando il celo plumbeo di quella mattina.

-Un paio di cornetti per favore, e una brioche- preso il sacchetto che conteneva la sua ordinazione e dopo aver pagato la gentile barista, Yongguk riprese a correre verso la casa di Junhong, fino a giungere al piano che ospitava l’appartamento in cui viveva il ragazzo, con calma e riprendendo un po’di fiato dopo la lunga corsa che aveva sostenuto , suonò il campanello, non dovette aspettare a lungo che la signora Choi gli aprì la porta sorridendogli –sei giusto arrivato in tempo stavo per portare la colazione a mio figlio, accomodati- gli fece strada e poi andò a prendere un vassoio sul quale vi erano due piatti contenenti ciascuno un pezzo di quella torta che tanto piaceva al suo amico Daehyun –potrebbe aggiungerci anche questi- gli mostrò il sacchetto , dal quale la donna prese i cornetti e gli adagiò s’un altro piatto –la brioche è per lei, porto io la colazione a suo figlio, la donna annuì e lo ringraziò per il pensiero, preso il vassoio si diresse verso la camera di Junhong, bussò ma non ottenne risposta così aprì la porta entrando con calma, il ragazzo dormiva tranquillamente sul proprio giaciglio , ma appena mise qualche passo nella camera sembrò destarsi, nel mettersi seduto e dopo aver stropicciato gli occhi per riacquistare la sua nitida vista notò Yongguk –forse non mi aspettavi- immediatamente Junhong arrossì nel vedere il vassoio sorretto dal ragazzo e lo saluto con un lieve “ciao” che lasciava trasparire la sua sorpresa per quell’inaspettato incontro.

Come il giorno precedente il maggiore attraversò la stanza e si sedette sulla sedia affianco al letto, porgendo un piatto con la torta a Junhong –ti avevo promesso che sarei tornato no?- gli sorrise, poi iniziò a mangiare il dolce assumendo subito un’espressione di stupore –sai ho un amico che per questa torta ucciderebbe un esercito… a mani nude- Junhong sorrise a sua volta e ridacchiò all’idea di una scena simile –si chiama Daehyun, una volta ha inseguito Yonugjae per tutta la casa tentando di prendersi anche il pezzo dal compagno- scoppiò in una ristata, che riscaldò il cuore del minore –se vuoi un giorno te li presento, sono davvero divertenti, sembrano fratelli bè in realtà lo sono ma non di sangu…- Yongguk iniziò a parlare di tutti suoi amici senza mai ricevere una risposta dal ragazzo al suo fianco, perdendo la cognizione del tempo, fino ad accorgersi che ormai era troppo tardi per entrare alla seconda ora, così interruppe la loro conversazione per qualche minuto e chiamò il padre per avvisarlo, sapeva perfettamente che la scuola lo avrebbe avvisato e non voleva farlo preoccupare, dopo essersi scusato per l’inconveniente tornò a guardare Junhong che lo fissava, ammaliato dalla bellezza del suo hyung e da quella voce così profonda –ho qualche cosa sul viso- chiese l’altro non comprendendo il motivo di tanto interesse per il suo viso –no… non sono abituato a parlare con ragazzi della mia età – rispose l’altro sporgendosi i ed accarezzando leggermente le labbra del maggiore –e poi avevi un po’ di torta vicino alla bocca- l’altro a quel tocco così gentile, si fece per un attimo scuro in volto, quel semplice gesto gli aveva ricordato un momento simile trascorso con la sua defunta ragazza, scacciò quel pensiero poiché sapeva che avrebbe solo fatto preoccupare il padrone di casa e sorrise –grazie sei molto gentile, come mai dici di non essere abituato a parlare con altri ragazzi della tua età?- Junhong fece scomparire quel sorriso che aveva sul volto e tutta la naturalezza nel parlare che fino a qualche istante prima lo aveva portato a conversare con Yongguk, culminata poi in quel gesto che gli era venuto spontaneo, sostituendolo con un sorriso amaro –non frequento la scuola, studio da privatista è… è più comodo- mentì infine nascondendo con non poche difficoltà la paura che era tornata a farsi spazio nel suo animo, al ricordo di quelle lunghe prese in giro, durante le ore scolastiche che in passato aveva sostenuto.

La mattinata trascorse tranquilla, parlarono per tutto il resto della giornata conoscendosi meglio e non ci volle molto a Junhong per comprendere che il ragazzo innanzi a lui non ostante l’ostentata perfezione che presentava nascondeva qualche cosa che in passato aveva lacerato le pareti del suo cuore, con tutto il tempo passato ad osservare gli altri non era per lui difficile comprendere la gente, lo faceva anche solo ascoltandola o osservandola da lontano, era una peculiarità della quale non si rendeva conto, dal suo canto Yongguk sapeva fare la stessa cosa per cui comprese che il minore aveva lasciato la scuola per via dei bulli e che ormai si era rintanato in casa sua per non vedere tutta la normalità che altrimenti lo avrebbe sommerso, affogandolo con la sua ordinarietà.

-Che genere di musica ti piace ascoltare?- chiese ad un certo punto Yongguk sorprendendo colui che era già parso divenire suo amico –mi piace molto l’hip hop e il rap- senza un attimo di esitazione il maggiore affermò di essere anche lui un grande amante di quella branca musicale e subito gli raccontò del gruppo che qualche tempo prima aveva formato con dei suoi vecchi amici, i Soul Connection, e del soprannome che si era dato, Jepp Balckman, trovando nello sguardo di Junhong una profonda ammirazione –tu canti?- chiese a conclusione di quel racconto all’altro –no.. insomma mi piacerebbe però non penso di… no non canto- balbettò qualche cosa finchè Yongguk non lo costrinse a canticchiare qualche cosa per lui, venendo immediatamente avvolto dalla parole di una canzone di Eminem e perdendosi nell’incredibile voce di Junhong, sentì il suo stomaco chiudersi ed essere come invaso da migliaia di farfalle, ed il suo cuore prese a battere più velocemente poi ad un certo punto non riuscendo più a trattenersi seguì il ragazzo cantando con lui e provocando la sua stessa reazione nel compagno.

Andarono avanti così fino alla fine della canzone per poi rimanere in silenzio a fissarsi negli occhi come due perfetti sconosciuti, non che non lo fossero, ma non del tutto, entrambi avevano appena scoperto una passione comune che in loro aveva  fatto scattare una scintilla che sembrò incendiare i loro animi, la scintilla di un fuoco che non era distruttivo come la rabbia e il desiderio di morte provato da Yongguk quando scoprì di aver perso per sempre la ragazza che amava e nemmeno quello che dilaniava Junhong,  ossia la consapevolezza di essere solo un pietoso ragazzo che non fa nulla per migliorare la sua vita, che non prova nemmeno a camminare anche se con una possibilità su un milione potrebbe riuscirci, no quello era il fuoco che riscaldava le forge degli antichi fabbri del medioevo, quello era un fuoco che adesso avrebbe riforgiato le loro vite creando non più tristi sentimenti ma arte allo stato puro.

Dietro la porta chiusa della camera la signora Choi aveva ascoltato il tutto, accovacciata sul pavimento e fra le innumerevoli lacrime che avevano bagnato il suo volto aveva compreso che finalmente suo figlio aveva trovato una luce, una luce che avrebbe rischiarato il buio di quegli anni passati che inesorabili si erano susseguiti, una guida, colui che lo avrebbe condotto in un modo o nell’altro verso la felicità.

 

ANGOLO DELL’AUTRICE:

Come al solito scusate il ritardo, non dirò molto a parte… OH MIO DIO 4 RECENSIONI!?!?!?!? Queste sono le mie gioie, ossia sentire apprezzato il mio lavoro di autrice, vi prego continuate così mi fate davvero felice, va bene ora basta con i vaneggiamenti e andiamo a commentare questo capitolo, che ne pensate era ciò che vi aspettavate, o speravate in qualche altra cosa? Tranquille ci saranno molte sorprese che vi faranno voglia di andare avanti a leggere, spero comunque che anche questo capitolo super ritardatario vi sia piaciuto e quindi un bacio e alla prossima continuate a seguirmi  BABYZ^^

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Capitolo 6
*** Jamsill Stadium ***


La caffetteria “Sweet Chocolate Café”  è il genere di luogo dal quale non vorresti più andar via, forse per l’aria che si può respirare all’interno dal  dolce sapore di cannella , cioccolato e qualche volta anche  vaniglia.

La vetrina è sempre adornata dal frutto delle conoscenze dell’alta pasticceria che i cuochi della caffetteria posseggono, numerosi dolci dall’aspetto tanto invitante che attraggono ogni giorno nuovi clienti, alla ricerca di relax, dopo una giornata lavorativa o scolastica, infatti i primi a scoprirla poco dopo la sua inaugurazione furono Jongup ed Himchan, che al termine delle lezioni tornando insieme verso le loro case, furono colti da un vero e proprio acquazzone, così nell’attesa che il cielo tornasse a rasserenarsi , un po’ per esigenza e un po’ per curiosità entrarono alla Sweet Chocolate Café.

Da quel giorno il duo fece divenire quel posto il luogo d’incontro dei loro compagni ed è così tutt’oggi, infatti come ogni venerdì pomeriggio i ragazzi erano seduti attorno ai circolari tavoli in legno della caffetteria a discutere su come poter trascorrere anche quel fine settimana, in maniera da poter trascurare almeno per qualche tempo i loro problemi.

-Dici davvero?!?- esclamò incredulo Himchan, gettandosi al collo dello hyung, nel tentativo di ringraziarlo, ma con l’unico risultato di aver appena attentato alla sua vita –non ci credo andremo al Jamsil!!- continuò con ancor più trasporto Youngjae, immaginandosi già all’interno di quello che altri non è se lo stadio più famoso della Corea ossia il Jamsil Baseball Stadium.

Yongguk riuscì a liberarsi dalla morsa dell’amico e riprese fiato portandosi una mano attorno alla gola, facendo scoppiare in una fragorosa risata il resto del gruppo, tranne il piccolo Jongup che si limitò a sorridere.

-Ma dove li hai trovati i biglietti?- chiese Daehyun , dopo aver ordinato l’ennesimo pezzo di cheescake di quel pomeriggio. –grazie a mio padre, tempo fa glieli avevo chiesti ed ultimamente ho insistito il più possibile e così…- non completò la frase, non gli servivano le parole, mise una mano nello zaino e ne uscì cinque biglietti che consegnò inseguito ai compagni, evitando un altro assalto d’Himchan troppo felice per non tentare di abbracciare l’amico –allora dovremmo ringraziare il signor Bang! L’educazione prima di tutto- disse Youngjae agitando l’indice della mano destra e muovendolo come la bacchetta di un direttore d’orchestra, per poi assumere la sua solita espressione da professore.

Il resto del pomeriggio passò tranquillo, Daehyun continuò a mangiare la sua torta preferita, venendo ripreso dal coinquilino ogni volta che ne ordinava un altro pezzo, poiché voleva evitargli uno dei suoi soliti mal di pancia post cheescake , eppure non poteva far altro che irrigidirsi ed arrossire, ogni qual volta il compagno ,nell’innocuo gesto di voler togliere i residui del dolce dalle labbra le leccava , in una maniera che faceva del tutto perdere la parola al povero Youngjae.

-Allora siamo d’accordo voi andrete con i signori Yoo mentre io verrò con mio padre ed un mio nuovo amico- alle ultime parole della frase tutti divennero curiosi di conoscere chi sarebbe stato il sesto membro del loro gruppo per il giorno successivo –di chi parli?- chiese infine Himchan ricevendo come unica risposta un misero –domani ve lo presento- pronunciato dalla profonda voce di Yongguk, la stessa che anni addietro lo aveva costretto a voltarsi per nascondere le goti purpuree, ogni qual volta lo hyung si rivolgesse a lui.

Yongguk era l’unico a conoscere la reale situazione emotiva e familiare d’Himchan, era con lui che aveva condiviso il calvario che tutt’ora stava portando avanti, lasciandosi accompagnare in ospedale tutte le volte che sua madre aveva avuto una ricaduta o un peggioramento, passando con lui intere notti nei corridoi di quei fastidiosi luoghi di cura, nel reparto di oncologia, pregando con il suo amico affinché la madre uscisse viva da quel luogo e piangendo disperatamente  sulla sua spalla.

Alcuni pomeriggi si era anche autoinvitato a casa sua, non che gli dispiacesse, con l’unico intento di mettere in ordine e farlo stare meglio grazie a dei piccoli gesti quotidiani.

Fu proprio uno di quei pomeriggi che Himchan si accorse di essersi innamorato del suo migliore amico, Yongguk era intento a pulire il pavimento del corridoio quando il minore non accorgendosi della superficie bagnata, scivolò andando a scontrarsi con  lo hyung per poi cadere con le loro labbra unite nel primo bacio d’entrambi.

Quello era un ricordo che tutti e due conservavano con gelosia, uno perché si era accorto dei suoi sentimenti, l’altro perché aveva trovato quel momento davvero divertente e per nulla imbarazzante e sapeva di potersi fidare almeno di qualcuno che non lo aveva avvicinato solo per brillare di luce riflessa.

I loro rapporti non si raffreddarono nemmeno quando Yongguk si fidanzò, di certo questo non aveva giovato al cuore del minore ancora innamorato dell’amico.

E poi arrivò quel giorno… il giorno che ogni persona che sa amare non si augura mai, il giorno in cui l’amicizia ed i sentimenti nascosti avevano lasciato spazio solo al vuoto, riempito successivamente col dolore, con le lacrime e col sangue.

D’un tratto Himchan aveva visto suo amico pieno di vita, svuotarsi del tutto e divenire un involucro vuoto che calca questa terra per il semplice fatto che è costretto a farlo.

Passarono giorni, giorni tremendi in cui Himchan non ebbe più notizie del suo migliore amico, e questo prolungato silenzio non fece che aumentare la sua angoscia e la sua preoccupazione per  lo  hyung, così senza rifletterci e senza nemmeno accorgersi di ciò che stava facendo in una fredda notte d’inizio inverno, alla fine di Novembre, quasi un mese dopo la scomparsa di Hyoseong, Himchan prese a correre per le strade di Seoul, ma quando arrivò innanzi a casa Bang la scena che gli venne mostrata fu come un incubo che aveva preso spoglie reali, la più improbabili della paure adesso era lo sgomento che gli faceva battere all’impazzata il cuore, che parve voler uscir fuori dalla sua cassa toracica.

I paramedici trasportavano all’interno dell’ambulanza il corpo incosciente di Yongguk, il quale aveva i capelli bagnati e dalla coperta che lo ricopriva parzialmente  spuntavano i polsi avvolti in delle bende ormai bagnate dal sangue.

Il mondo parve crollargli addosso, il respiro gli si bloccò,un singolo fiocco di neve, il primo della stagione gli si poggiò sul volto, ma la cognizione di ciò che lo circondava era del tutto attutita dalla consapevolezza di ciò che il suo migliore amico aveva tentato di fare.

Il suicidio… il suo Gukkie… l’uomo che amava… aveva tentato di uccidersi.

Gli occhi pizzicarono e le labbra tremarono , in un attimo, inconsciamente si ritrovò a piangere silenziosamente, mentre immobile continuava a fissare i fatti che si susseguivano sotto i suoi occhi ormai arrossati dal pianto.

Quella fu l’ultima notte in cui lo vide, l’ultima per i successivi tre mesi , fino al suo ritorno, fino al ritorno del ragazzo che tanto aveva amato e tutto sembrò riprendere il suo normale corso, da prima che Yongguk conoscesse Hyoseong.

Eppure tutt’ora, mentre Himchan lo guardava e tentava di scrutarne l’animo, non poteva non provare vergogna per tutte le notti che aveva passato a maledire l’amico che ingiustamente aveva tentato di abbandonarlo e lasciare nuovamente quel fragile ragazzo in balia degli eventi

-Allora a domani- disse il più grande del gruppo, e dopo il saluto iniziò a correre verso la casa di Junhong, con un dolce sorriso dipinto sul volto all’idea di poter rallegrare quel suo nuovo amico.

In seguito anche gli altri si salutarono, Himchan e Jongup  si diressero verso la casa del maggiore, come tutti i fine settimana il più piccolo faceva compagnia al suo hyung, andando a dormire da lui, riempiendo almeno in parte il vuoto che quella casa rappresentava per il cuore sofferente di Himchan.

Una volta arrivati, cambiarono le scarpe e posarono le loro cartelle l’una affianco dell’altra vicino ad una gamba del piccolo tavolo quadrato in betulla nel salotto del più grande –preparo una cioccolata calda, ti va?- chiese premurosamente Himchan e l’altro annuì con un cenno del capo, prendendo poi i libri e i quaderni per poter iniziare a studiare, così da avere i seguenti due giorni completamente liberi.

Himchan prese il cacao e con calma ne versò una buona quantità in un piccolo pentolino, aggiunse il latte e lo zucchero ed infine un cucchiaio di farina per rendere il composto più denso, accese il gas e iniziò a girare il tutto con un cucchiaio di legno lasciando che il dolce profumo del cacao inondasse le sue narici, rammentandogli tutte le notti in cui si era alzato in preda agli incubi, che avevano assillato i suoi sogni dopo la scomparsa del padre, e a come sua madre lo avesse consolato con quella calda bevanda, una lacrima silenziosa gli solcò il volto e un sospiro abbatté la barriera che altro non era se non le sue labbra rosee, ora tremolanti.

Jongup osservò il suo hyung di sottecchi mentre completava un esercizio di matematica preoccupato per il silenzio che in quel momento pareva essere più assordante di qualsiasi altro suono che la realtà avrebbe potuto produrre.

Una volta pronta la cioccolata calda, il maggiore preparò due tazze e andò a sedersi di fronte all’amico –spero sia venuta bene- Jongup sorrise e prese la tazza avvicinandola a se, per poi posarla vicino al bordo del tavolo –cavolo ho dimenticato i marshmellow!- esclamò Himchan alzandosi di scatto, muovendo così il tavolo e facendo rovesciare la tazza di Jongup che lasciò colare sul cavallo pantaloni di quest’ultimo, il suo liquido ancora caldo.

Il minore balzò in piedi , per poi muovere freneticamente le mani in maniera da convogliare dell’aria sulla zona scottata, nel tentativo di raffreddarla, il maggiore accorse in suo aiuto con uno strofinaccio bagnato, lo fece sedere e con premurosa calma e dosata gentilezza iniziò a ripulirgli la zona ormai imbrattata dalla bevanda, Jongup ancora scosso dall’improvviso dolore non badò minimamente ai movimenti d’Himchan che nel frattempo gli propinava un’infinita serie di scuse e con la mano destra poggiata s’una coscia gli fermava i pantaloni così che con l’altra fosse in grado di rimuovergli le macchie da quelle zona che dopo qualche minuto Jongup realizzò essere così intima.

Le sue goti si fecero ancora più purpure di quanto non lo fossero state al momento della scottatura, scostò Himchan rubandogli il pezzo di stoffa dalle mani e corse verso il bagno per poi chiudersi la porta alle spalle e poggiarvisi con le spalle contro,  scivolando contro la liscia superficie fino a sedersi sul pavimento, con le gambe al petto.

I suoi occhi si posarono sulla zona che fino a poco tempo fa lo hyung gli aveva toccato e arrossì tentando di reprimere l’eccitazione che era seguita alla consapevolezza di ciò che era accaduto un attimo prima.

Le labbra si piegarono in una smorfia triste e la mano accorse verso i capelli per scostarglieli dal volto, portò il capo all’indietro e lasciò che qualche piccola goccia salata gli rigasse il volto.

Com’era possibile negare d’avanti a tutta quell’evidenza i suoi sentimenti per lo hyung, come poteva zittire quella voce che la notte lo torturava , quella voce che crudelmente gli sussurrava che il suo hyung era etero, che non avrebbe mai potuto accettare i suoi sentimenti, che era solo patetico a comportarsi in quella maniera, che i suoi sentimenti erano completamente sbagliati, malati e depravati.

Lui non era una dolce ragazza con un bel sorriso ad illuminargli il volto, lui era un ragazzo innamorato del suo eroe, quanto tempo ci era voluto perché la sua ammirazione nei confronti d’Himchan si trasformasse in puro e incontestabile amore?

Col tempo i suoi sentimenti erano cresciuti e gli avevano avvelenato l’anima, la notte sognava di potersi beare delle labbra del maggiore mentre il giorno si costringeva a porre un freno a quel fiume impetuoso che lentamente abbatteva gli argini del suo cuore, eretti ormai da mesi per poter preservare la sua amicizia con l’uomo del quale era follemente innamorato.

-Jongup!- d’un tratto un colpo seguito da altri si abbattè sulla porta, destando dal torpore di quella riflessione il minore che balzò in piedi –va tutto bene? – il ragazzo nel bagno bussò due volte, rispondendo in maniera positiva, con un codice da loro stipulato, alla domanda dell’amico.

Tentò di ripulire come meglio poteva i pantaloni ma non riuscendoci uscì dal bagno sconfitto –vai a metterti il pigiama così te li lavo- disse poi Himchan.

Himchan lavò velocemente i jeans del minore e dopo averli stesi sul piccolo balcone dell’appartamento andò nella sua camera.

Appena aprì la porta la visione che gli si mostrò lo colse piacevolmente di sorpresa, come una fresca folata di vento in una torrida giornata estiva, la pelle nuda di Jongup lo paralizzò con la sua bellezza ambrata, fissò la schiena priva di stoffa ed una strana e sinuosa sensazione gli avviluppò lo stomaco.

Non era certo la prima volta che Himchan trovasse il compagno a cambiarsi nella sua camera, eppure questa volta c’era stato un cambiamento, così radicale che senza farci caso il sangue iniziò a giragli velocemente nelle vene e ad eccitarlo, inconsciamente si portò una mano sul cavallo dei pantaloni riscoprendosi realmente eccitato dal corpo del minore.

Tentando di darsi un contegno scosse la testa come a scacciare i pensieri che gli avevano offuscato la mente qualche attimo prima e si cambiò anche lui.

A differenza delle altre sere trascorse assieme quella fu povera di conversazioni, entrambi si limitarono a finire di studiare per poi cenare e filare a letto, emozionati da ciò che l’indomani gli aspettava.

Ma quella notte fu complicato, per entrambi, addormentarsi, da un lato c’era Jongup che ripensava alle mani del maggiore su di lui, che lo accarezzavano con tanta gentilezza e dall’altra che non riusciva a togliersi dalla mente l’immagine della perfetta schiena del minore.

Entrambi dopo un po’iniziarono a pensare che l’altro si fosse addormentato e finirono per cambiare fianco sul quale erano stesi nello stesso momento, trovandosi così a fissarsi negli occhi con estrema attenzione.

Infine fu Himchan a posare le sue carnose labbra sulla fronte del suo protetto, sussurrandogli con una voce che per poco non fece eccitare nuovamente Jongup  –buona notte-, in seguito quest’ultimo si accoccolò sul petto del suo eroe e si lasciò accarezzare i profumati capelli, che come il ritmo periodico del cuore d’Himchan stava facendo con lui, fece addormentare il maggiore.

Come d’accordo il giorno dopo Youngjae, Daheyun, Himchan e Jongup furono accompagnati dal signor Yoo innanzi allo stadio, vagando con lo sguardo sugli astanti alla fine riuscirono ad individuare il signor Bang, i quattro con fatica si fecero spazio fra la folla per poi raggiungere gli ultimi componenti del gruppo.

Infine giunti innanzi a Yongguk notarono che era accompagnato da un ragazzo dai ricci capelli biondi, seduto su una sedia a rotelle –finalmente ce ne avete messo di tempo- esclamò il maggiore –non iniziare Yongguk ti prego- lo implorò Himchan, la cui richiesta fu fortunatamente accolta.

Junhong quel giorno indossava una semplice maglione color panna e dei jeans aderenti che mettevano in risalto le sue lunghe e perfette gambe, da lui tanto odiate poiché completamente immobili, ed in fine delle vans nere senza lacci.

Dopo qualche istante Yongguk iniziò col giro di presentazioni, era proprio per quel motivo che Junhong aveva inizialmente rifiutato l’offerta fattagli dall’amico, perché non voleva leggere negli occhi di quei ragazzi compassione e pietà per la situazione nella quale verteva a causa della sua patologia, eppure con sua enorme e gradita sorpresa in quegli occhi che indagatori  scorse solamente curiosità, ed impazienza per ciò che si celava al di là delle quattro mura che si trovavano alle loro spalle.

Una volta concluse le presentazioni il gruppo si addentrò nello stadio prendendo posto nella tribuna dalla quale avrebbero assistito al match che stava per iniziare.

-Insomma vuoi correre!- esclamò Himchan appena il battitore colpì la palla ed iniziò la sua corsa verso la prima base –dai non te la prendere Channie- lo confortò Daehyun dandogli qualche pacca sulla schiena e facendo un paio di buffi ageyo per fare sorridere l’amico, non sapendo a cosa da li a qualche secondo sarebbero andati in contro.

-Imbecille, ti ammazzo-  delle urla attirarono l’attenzione dei sei ragazzi.

Passò qualche secondo che quelle stesse urla s’intensificarono ed infine come una bomba che esplode e ferma la monotonia del momento trasformando tutto in un inferno, al Jamsil Baseball Stadium scoppiò una rissa.

In pochi attimi la partita fu interrotta, i sei si diressero verso l’uscita, ma a causa della sedia a rotelle di Junhong, lui e Yongguk furono rallentati.

Mentre i due tentavano di districarsi fra la folla, qualche cosa sembrò brillare alla luce del sole e senza un attimo di esitazione Yongguk riuscì appena in tempo a frapporsi fra la lama di un coltello ben affilato e la giugulare di Jonhong, lasciando che l’arma gli affondasse centimetro dopo centimetro nella sua spalla destra e che il sangue si librasse in aria andando ad incontrare il volto del suo aggressore.

Il ragazzo dai lunghi rasta, l’abbigliamento eccentrico e gli occhi falsamente chiari sussultò  impercettibilmente nel vedere Yongguk.

Gli attimi si trasformarono in intere ore, tutto il mondo attorno ai due parve spegnersi lasciandoli da soli l’uno di fronte all’altro.

Un brivido percosse la schiena di entrambi gli sconosciuti, anche se uno dei due non era del tutto ignoto all’altro.

Le pupille di Jiho si restrinsero e lo sguardo che si posò sull’uomo che gli aveva portato via la sua Hyoseong parve l’espressione stessa dell’isteria, le piccole macchie scarlatte che gli avevano ricolorato in più punti il pallido volto, non fecero altro che rendere quello spettacolo ancora più macabro.

Al contrario Yongguk provò una strana sensazione di dejavù, come se avesse già visto quel ragazzo ma non riusciva e ricordare dove ciò fosse accaduto.

Con un rapido e fluido movimento posò la sua mano su quella di Jiho e stringendola con una forza che sorprese l’altro, si strappò il coltello dalla spalla, urlando in preda all’ira e lasciando che l’espressione di furia che gli si era dipinta sul volto intimidisse il suo nemico.

In seguito sferrò un pugno dritto allo stomaco di Jiho il quale incassò il colpo, ma in seguito alzò nuovamente la sua arma, ciò che fermò il suo movimento fu la voce di un ragazzo molto più basso di lui e con degli enormi occhiali che parevano più grandi di quello stesso viso minuto, che lo richiamò –Svelto Zico andiamo!!-.

Zico si voltò e prese a correre via seguendo il compagno a malincuore.

Anche se erano riusciti a svolgere l’incarico per il quale erano stati pagati, sul suo volto non vi era un’espressione di soddisfazione ma bensì il contrario, poiché non aveva trafitto il cuore di Bang Yongguk, l’uomo che gli aveva portato via il suo bene più grande... per sempre, poiché perfino mentre violentava Hyoseong questa implorava il perdono di Yongguk e invocava il suo nome come una preghiera che, negli istanti più eccitanti di tutta la vita di Zico, l’avrebbe tenuta sana di mente fino alla fine, fino a quando lui non smise si strapparle l’anima.

Con non poca fatica e dolore Yongguk si caricò in spalla Junhong e iniziò a correre come se non ci fosse un domani, sapendo che non si sarebbe mai perdonato se fosse successo qualche cosa al minore.

Fortunatamente non incontrarono altri ostacoli, una volta all’esterno riuscirono a ricongiungersi con gli altri, e ad allontanarsi abbastanza dallo stadio che sembrava una formicaio per via dei movimenti frenetici della gente che correva senza meta, mossa dall’ira o dalla paura.

Appena si accertarono che la zona era sicura Himchan prese dalle spalle del suo hyung Junhong.

Senza più il peso del ragazzo e quello della consapevolezza di doverlo salvare, Yongguk si lasciò cadere sulle ginocchia completamente stremato dallo sforzo e dal dolore della ferita dalla quale ormai  il sangue era copiosamente sgorgato fuori inzuppandogli il braccio.

La nausea gli strinse la gola e si sentì soffocare, i polmoni bruciavano per la corsa appena conclusasi ed il bruciore che gli attanagliava la spalla sembrò esplodere appena l’adrenalina che stava circolando nelle sue vene diminuì.

Il cuore battè all’impazzata e le tempie pulsarono fastidiosamente, appena abbassò il suo sguardo dal cielo alla sua ferita incominciò a vederci doppio, il sangue sembrò moltiplicarsi e le scene del tentato suicidio tornarono a essere visualizzate nella sua mente come un film, ad una velocità disumana che gli fece perdere la cognizione del tempo, poi tutto fu ricolorato dal rosso vivo che in seguito divenne via via più scuro, come il sangue ormai secco, un urlo scaturì dalle sue labbra, un suono carico di angoscia, disperazione e quanto di più straziante in quel momento stesse prendendo il controllo della sua mente, eppure lui non se ne rese conto.

Il nero lo avvolse, come il manto della notte sovrasta su quello del giorno, ma in quel cielo non c’erano stelle, quello era più che altro un baratro in cui Yongguk scivolò inesorabilmente.

 

 

ANGOLO DELL’AUTRICE:

mi scuso per la prolungata assenza ma io detesto l’estate, poiché il periodo autunnale e quello invernale sono quelli che m’ispirano di più, infatti sono finalmente tornata dalle lande desolate povere d’ispirazione.

Mi scuso ancora ma spero di riuscire a colmare questo periodo di assenza con un capitolo extra lungo che mi ha davvero prosciugata di tutte le mi forze, ma tornando alla storia che ne pensate dei risvolti? Non trovate anche voi Himchan e Jongup estremamente dolci? O non trovate estremamente figo il nostro ledah Yongguk che farebbe di tutto per proteggere il piccolo ed adorabile Jelloh?

Fatemi sapere, un bacio a tutte e aspettate il prossimo capitolo del “canto di Saejin” che ho quasi ultimato.

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Capitolo 7
*** New rules ***


L’isteria, per chi non la conoscesse, è la più sensuale delle lascive arti, in possesso alla pazzia.

Squarcia come se fosse nebbia il tuo corpo, giocando con la tua mente, fino a lasciarti privo di coscienza, in uno stato di depravazione che violenta senza sosta ,con macabro piacere, la tua anima, ormai piegata alla leggi dell’insanità mentale.

Era quella la condizione nella quale Yongguk, si era ritrovato a vertere i primi due mesi, trascorsi all’interno della sezione d’igene mentale.

Il nauseabondo fetore della follia regnava nella sua stanza, surclassato dall’ancor più spregevole essenza dei sedativi e dei medicinali che avrebbero dovuto dominare la sua disperazione.

Ma quale degli uomini, che lo avevano legato a quel letto, avrebbe mai potuto comprendere e risanare le ferite del  suo cuore, con una semplice se pur infinita lista di pillole colorate?

Le fibbie di cuoio che avevano avvolto i suoi polsi e le sue caviglie a lungo, tornarono a far sentire su di lui la loro fantomatica presenza, anche se ben sapeva di essere orami libero da tali impedimenti e che se avesse ancora desiderato togliersi la vita, adesso avrebbe potuto, essendo già a conoscenza del movimento da compiere per porre fine a quella tortura, senza incorrere ancora una volta, nello spiacevole inconveniente di rimanere in vita.

La sensazione dei lacci che stringevano i suoi arti, da un lieve torpore si fece pressoché insopportabile, il gorgoglio di un urlo, dettato dal terrore di essere tornato a qui tormentosi giorni, lo portò a rendere quel suono appena percettibile un tonante grido d’orrore, che lo risvegliò, facendolo mettere a sedere  sul letto nel quale lo avevano disposto.

Comprese velocemente perche quei dolorosi ricordi erano tornati ad emergere nella sua memoria, il giaciglio sul quale sedeva, completamente ricoperto di sudore, era quello di un ospedale.

Annaspò per qualche secondo in cerca di aria, portandosi una mano intorno al collo, poichè la paura di un ritorno al passato era stata grande.

Pensò per un attimo di essersi svegliato da un sogno, nel quale gli avevano fatto credere di aver già terminato quei lunghi mesi nel manicomio.

Lasciò vagare il suo sguardo su ciò che lo circondava, poi contro voglia fu costretto a respirare l’aria permeata dall’odore del disinfettante ospedaliero.

Immediatamente una fitta dolorosa gli attanagliò la spalla destra facendolo gemere, fu allora che si accorse di avere una fasciatura all’altezza di quest’ultima, in quel momento come un fulmine a ciel sereno, nella sua mente si successero gli avvenimenti degli ultimi giorni, dall’incontro con Junhong a quando Himchan all’esterno dello stadio glielo avesse tolto da sopra le spalle, trovando solo allora un buco nelle sue memorie.

Continuò a far indugiare il suo sguardo fra quelle pareti, ormai certo e rincuorato dalla consapevolezza di essere in quel luogo per tutt’altro motivo, in seguito avvertì le sue gambe addormentate e quando vi posò sopra le mani venne a contatto con una moltitudine di capelli, che sofficemente gli avvolsero l’arto.

Abbassò gli occhi proprio nel punto in cui la sua mano aveva incontrato quell’ostacolo,  per nulla spiacevole, accorgendosi che Junhong dormiva sulle sue gambe con le braccia conserte poggiate sotto il capo, alla vana ricerca di un po’ di comodità, dal respiro leggero pareva essersi addormentato da poco.

Yongguk continuò ad accarezzare l’indomita chioma del minore, che a contatto con la mano del maggiore parve accennare ad un sorriso, sta volta una fitta ben peggiore da quella provocata dal dolore fisico, avviluppò come un amante in astinenza il corpo del proprio compagno,  la mente di Yongguk.

Tornarono a galla i ricordi dei pomeriggi trascorsi in compagnia di Hyoseong, intenta a prendersi cura di lui ogni qual volta non fosse stato bene, e proprio come Junhong in quel momento, se  la ritrovava addormentata sulle sue gambe sfinita dalla preoccupazione che la febbre gli si alzasse.

Quanti altre memorie di quel genere avrebbero ancora dovuto assillarlo?

-Hy…hyun…HYUNG!- esclamò Junhong contento nel vedere che il maggiore si fosse finalmente svegliato.

Immediatamente cercò di buttarsi addosso a Yongguk, fermato solo dal terrore di poterlo ferire.

Così si limitò a sorridergli con quell’espressione paragonabile solo a quella di un angelo , riscaldando il cuore del maggiore tormentato dal suo passato.

-Grazie!- disse poi il più piccolo, allontanandosi dal letto di qualche centimetro, per tentare un inchino sgraziato seduto sulla sedia a rotelle che lo sorreggeva.

-Se non fosse stato per te di sicuro non sarei qui- Yongguk mostrò il suo tenero sorriso gengivale e quando l’altro gli si riavvicinò, gli prese la mano e se la portò sulla ferita.

-L’importante è che tu stia bene- disse con tutta la sincerità che avrebbe mai potuto ostentare, poi allentò la presa fino a lasciarlo libero, ma l’altro non si mosse, mentre la pelle calda del maggiore pareva scottargli il palmo e i loro occhi si unirono in uno sguardo colmo di sentimenti.

In quell’istante qualcuno bussò alla porta e il biondo ritirò l’arto come se si fosse realmente bruciato.

-Finalmente ti sei svegliato!!- Himchan, Jongup e Daehyun varcarono in quel momento la soia della porta.

I loro volti erano l’espressione stessa dell’ansia, Himchan corse verso l’amico e lo strinse forte fra le sue braccia, realizzando in seguito che fosse ferito e a torso nudo, così lo lasciò immediatamente, arrossendo e chiedendo perdono per la poca attenzione fatta.

Non seppe identificare quale di preciso degli istanti, che si stavano succedendo l’uno dopo l’altro, gli aveva dimostrato ora più che mai che i suoi compagni tenessero realmente a lui.

Sarà stato il sorriso che aveva illuminato i volti dei quattro ragazzi li presenti nel sapere che stava bene , o forse l’eccitazione d’Himchan che gli si era letteralmente gettato addosso o finalmente il potersi risvegliare con qualcuno affianco che si preoccupava per lui?

Adesso sarebbe stato inutile temere la solitudine, con tutto l’amore che lo circondava di certo la pazzia non avrebbe potuto più renderlo suo schiavo, adesso c’era qualcuno che si sarebbe occupato di lui, guardò Junhong mentre pigramente si stiracchiava e ringraziò il cielo per aver guidato quella palla da baseball attraverso la finestra del minore.

-Dov’è Yongjae?- chiese infine il più grande, dopo che ebbe rassicurato tutti sulle sue condizioni, e sulla sua intenzione di andare via da li il prima possibile, mascherando a fatica l’ansia che gli procurava essere in quel luogo.

-Tornerà fra poco a darmi il cambio, è andato a dormire, stava poco bene ieri mattina- rispose prontamente Daehyun  –Jongup è arrivato solo qualche minuto fa, per sostituirmi,  dormi da ben due giorni, a scuola ci faranno una ramanzina tale che le tue sembreranno dolci parole- disse Himchan facendo scoppiare a ridere tutti quanti.

Casa Yoo per Youngjae non era mai stata così vuota , come in quella sera.

Dopo due anni non sentire le risate di Daehyun, non potersi beare del suo profumo o del suo viso angelico era per lui quasi angosciante.

Il mal di testa scaturito a causa della paura di poter perdere un caro amico come Yongguk lo aveva provato a tal punto dal dover lasciare Daehyun in ospedale da solo.

Svogliatamente quasi come se spaventato dal vedere la loro camera vuota, salì le scale di quell’enorme casa deserta, i suoi genitori erano via per lavoro, ma dopo avergli dato la notizia di ciò che era accaduto al figlio del signor Bang avevano promesso di sbrigare velocemente i loro impegni lavorativi per far visita al ragazzo.

Giunto al piano superiore il ragazzo si fece coraggio ed entrò nella loro camera da letto.

Come da previsto lo shock di non trovarci Daehyun lo sconvolse, mentre a sollecitare il suo dolore era già giunta la solitudine che inibiva le corde più lacrimose dell’animo di Youngjae.

La solitudine era stata l’unica compagna che lo avesse seguito sin da quando innamorarsi, per lui, si era rivelato il peggiore dei peccati; la sola che lo stringesse a se soffocandolo e derubandolo della gioia di vivere, facendogli desiderare ardentemente una silenziosa dissolvenza nel vuoto, nello stesso vuoto in cui l’ammirazione e i sentimenti che aveva provato per Taemin erano scomparsi.

Affranto e con una mano poggiata sul petto, nella speranza di mettere a tacere il battito del suo cuore impazzito per il dolore, si lasciò cadere inconsciamente sul letto Daehyun.

La pioggia bussava miseramente alla finestra della loro camera, ma a cosa serviva se Daehyun non era lì con lui, a cosa serviva il mondo se quello che era diventato incestuosamente l’oggetto delle sue brame non era con lui?

Questi erano i milioni d’interrogativi che il ragazzo si pose in preda allo sgomento del non potersi del sorrido del compagno.

Si lasciò affascinare dal dolce profumo delle lenzuola e del cuscino, nel quale aveva affondato il viso, che avevano accompagnato le notti di Daehyun, il suo squisito sapore era ovunque, che come una sapiente prostituta, gli accarezzò con gesti lascivi ogni parte del suo corpo, inondando le sue narici e soffocandolo con la sua perfezione.

Fu avvolto da quell’essenza tentatrice e per un attimo il mal di testa si attenuò, quando poi si voltò sulla schiena, in maniera da poter fissare il soffitto, nell’aprire gli occhi notò di non essere più solo.

Nell’oscurità della camera si stagliò un ombra, ma non ebbe paura di ciò che già conosceva, quei contorni non potevano che appartenere a Daehyun, a cosa serviva avere paura dell’amore in un momento di sconforto come quello?

-Daehyun…- sussurrò piano, per paura che l’altro lo abbandonasse, non era affatto pronto a rispondere alle domande riguardanti il motivo per il quale non stava dormendo nel suo letto o perché stesse abbracciando le lenzuola beandosi del loro profumo quasi come un maniaco o perché fosse fisicamente eccitato.

No non lo era, ma Daehyun non emise una parola, i suoi occhi languidi lasciarono stranito Youngjae.

L’altro lo raggiunse carponi sul letto, infilò le sue calde e morbide mani sotto la maglietta di Jae e ne accarezzò i contorni dell’addome, per poi tirarla su e baciargli ogni centimetro di pelle che quelle carnose labbra potessero incontrare.

Le mani di Dae in seguito accorsero alle guance di Jae per asciugargli le lacrime che rigavano quell’angelico viso, gli leccò via il liquido salato dalle goti e poi lasciò che i suoi arti andassero a raggiungere il cavallo dei pantaloni di Youngjae, il quale sussultò, completamente indifeso ed immobile , spiazzato da come i suoi più arditi desideri si stessero realizzando nella maniera in cui aveva sempre immaginato  potesse avvenire.

L’eccitazione si era trasformata ormai in vero e proprio desiderio, tutto quel tempo e solo adesso, lui, aveva compreso i suoi sentimenti, la gioia che riempiva il cuore di Youngjae e il turbinio di emozioni che in quegli istanti stava assaporando, non potevano essere descritte da semplici parole utilizzate in diversi ambiti tutti i giorni, quei momenti necessitavano di nuove parole, perché accomunarle a tante altre a lui pareva la più ignobile delle eresie.

Due anni ad attendere quei momenti, due anni passati ad osservare da lontano il ragazzo che amava, trascorrendo la maggior parte delle notti ad osservarlo mentre beatamente dormiva a pochi metri da lui, due anni trascorsi a consolarlo e a stringerlo a sé mentre piangeva a causa degl’incubi, ma ad essere solo un mero aiutante dietro le quinte, e a lasciare a Daehyun il ruolo di attore protagonista della sua vita.

Invece adesso le sue fantasie più spinte stavano prendendo forma fra i palmi delle sue mani, che ansiosi di poter toccare la scottante pelle dell’altro accorsero alla sua schiena, il suo cuore traboccava d’amore e il suo corpo implorava di essere posseduto da quello dell’uomo che amava.

Poi un fulmine fece luce nella buia stanza, nella quale Youngjae realizzò essere completamente da solo.

La delusione e la vergogna per ciò che la sua immaginazione gli avesse concesso e poi portato via ponendolo innanzi alla cruda realtà, lo fecero cadere in un sonno tormentato da incubi in cui le risate di Taemin affondavano nei suoi timpani come miliardi di lame, una paura immane avviluppò i suoi sentimenti rendendolo triste, sconsolato e consapevole di essere da solo nel letto di Daehyun.

La mattina dopo, la stridula suoneria che aveva scelto per avvisarlo che qualcuno lo stesse cercando, gli procurò un risveglio ancor meno piacevole del poco sonno del quale era riuscito ad avvalersi.

-Youngjae!- dall’altro capo del telefono c’era Daehyun che pareva sprizzare gioia da tutti i pori.

-P… pron…. Pronto? Dae… Daehyun?!? Dimmi- nel sentire la voce del padrone del letto nel quale stava dormendo si sentì avvampare le guance, portandosi poi una mano fra i capelli disordinati, tirò indietro le ciocche che gli ricadevano sugli occhi e provò a darsi un contegno  anche se l’altro non poteva vederlo.

-Yongguk hyung si è svegliato! Dice che non vede l’ora di poterti salutare, sta bene, mi hadetto di tornare a casa, tu stai meglio sono lì fra mezz’ora-.

Così Daehyun salutò Youngjae che appena chiusa la conversazione corse in bagno per lavarsi.

Sentiva su di lui l’odore del ragazzo al quale aveva votato i suoi sentimenti, lo sentiva impregnargli la camicia, i pantaloni per sino la sua stessa carne smembrava avvolta da quel profumo al quale non aveva potuto rinunciare nemmeno per una notte.

Una volta innanzi allo specchio posto sopra il lavello, l’immagine che gli fu riproposta da quest’ultimo era quella di un adolescente dagli occhi gonfi e arrossati, completamente cerchiati e i capelli che senza un ordine definito andavano ad incorniciargli il viso talmente pallido da farlo apparire il fantasma di se stesso.

Dopo una doccia veloce, tornò nella loro camera da letto e si accorse che il letto di Daehyun era un completo disastro, velocemente cambiò le lenzuola senza perdere tempo nel sceglierne di particolari.

Un volta sistemato anche il letto, scese in cucina per preparare la colazione, appena raggiunse i fornelli, la serratura della porta principale scattò e finalmente Daehyun era tornato a casa.

Il nuovo arrivato si lanciò su Youngjae avvolgendolo con tutta la sua felicità, al quale l’altro non poté rispondere che con un sorriso amaro, sapendo di non essere il vero motivo di tutta quella gioia.

Poi contraccambiò l’abbraccio e le inquietudini della notte precedente vennero dissolta dal calore di quel gesto.

-Vai a farti una doccia, ti porto la colazione in camera, sono sicuro che sarai esausto- annunciò Jae , l’altro annuì stropicciandosi gli occhi assonnati.

Daehyun si diresse in bagno, con calma si spoglio ed entrò nella cabina doccia, lascio che dolcemente l’acqua tiepida gli allentasse i nervi e gli ristorasse le stanche membra.

Si gettò sul capo un asciugamano e si face avvolgere da un morbido accappatoio e così si diresse nella loro camera da letto.

Era ancora eccitato per la buona notizia che lo hyung si fosse svegliato che iniziò a canticchiare a bassa voce.

Una volta varcata la soia della camera da letto,  andò verso il suo giaciglio e togliendosi l’asciugamano da sopra il capo si accorse che qualche cosa non andava e fu folgorato e paralizzato da tale constatazione.

Qualcuno aveva cambiato le sue lenzuola, e adesso erano solo lenzuola incolori completamente… bianche.

Da quando aveva iniziato a vivere a casa Yoo non aveva mai concesso a nessuno di cambiare le sue lenzuola e aveva sempre chiesto che gliene fossero comprate di colorate, quella era stata l’unica richiesta che aveva fatto alla famiglia che con amore lo aveva accolto fra i suoi membri.

Ma adesso era accaduto, proprio come in quei cinque anni di torture fisiche e psicologiche, le sue lenzuola  erano candidamente bianche, segno inconfondibile che il suo aguzzino avesse nuovamente cambiato le regole perverse alle quali Daehyun si doveva piegare.

Il bianco era il colore perfetto sul quale la sua scarlatta linfa vitale e il seme della perversione si potessero unire in un unico depravato amplesso, la perfetta tela sulla quale il pedofilo che si era appropriato di lui poteva constatare i risultati finali delle sue opere.

Ogni fibra del suo corpo iniziò a gemere al solo ricordo di quel dolore insopportabile, si prese la testa fra le mani e sgranò gli occhi fissandoli sul pavimento, pur di scappare a quella lugubre visione.

In quello stesso istante entrò nella camera Yougnjae, col vassoio in mano, sul quale erano disposte le prelibatezza che con cura aveva preparato.

Nel vederlo in quella posizione comprese che qualche cosa non andava –Daehyun va tutto bene?- ma l’unica risposta che ottenne su un borbottio che man mano diveniva sempre più forte e che con precisa cadenza, Dae non smetteva di salmodiare.

A qual punto preoccupato e a conoscenza del fatto che l’amico fosse in preda a una delle sue crisi gli toccò una spalla, ma l’altro si voltò di scatto ed urlò a pieni polmoni –non cambiarle!! Non cambiare le regole di nuovo!!!- in preda allo sgomento e ai fantasmi del suo passato Daehyun tentò la fuga da quella camera, ma Youngjae lasciò cadere il vassoio che teneva fra le mani e afferrò per un polso il compagno, traendolo a se.

L’altro iniziò a dimenarsi, ad implorare pietà e a chiedere aiuto, scalciò, tirò pugni a caso e in seguito affondò le unghie nella schiena di Youngjae che non gemette, al contrario con calma gli prese il volto e lo nascose nell’ancavo del suo collo.

I convulsi movimenti di Daehyun avevano fatto si che l’accappatoio si aprisse.

Youngjae con forza spinse Daehyun sul suo letto e lo circondò in un abbraccio carico di amore.

Appena Dae fu avvolto da quel profumo che conosceva tanto bene si calmò, constatando che era completamente nudo sotto Youngjae.

Entrambi respiravano affannosamente.

Non ebbe paura di trovarsi in quella condizione di nudità ne provò disagio, al contrario si abbandonò alle cure dell’altro.

Perché Youngjae lo aveva salvato da una morte miserevole.

Yougnjae era una parte di lui che tempo addietro aveva temuto di poter perdere.

Youngjae era la speranza e lui la disperazione, loro erano un connubio inscindibile.

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Capitolo 8
*** Past ***


Se qualcuno avesse chiesto a Jiho quale fosse, fra notte e giorno, il miglior momento durante il quale poter lasciare che per le proprie perversioni, che il proprio lato più oscuro uscisse fuori, egli gli avrebbe sicuramente risposto che immediatamente dopo la mezzanotte ogni istante è ottimo per lasciare che la depravazione prenda il sopravvento. L’oscurità maschera, sicuramente, meglio della luce i proprio desideri più arditi, dettati da una radicata lussuria alla base del mondo animale, dal quale l’uomo non può sottrarsi, rendendo così il mercato del tabù il più fruttuoso per l’autodistruzione.

Droga, sesso o alcool, portano ad un assuefazione tale che disintossicarsi è altamente impossibile.

Quindi quale maniera migliore se non distribuire , illegalmente, questo genere di droghe per arricchirsi, naturalmente basando i propri guadagni su quanto, chiunque ne usufruisca, possa resistere prima di essere portato via dall’angelo della morte.

In fin dei conti, quando ci si lascia cadere in questo baratro senza fine e né luce, si sono già smesse le spoglie mortali, indossando come un collier di perle un cappio intorno al collo, che col trascorrere del tempo si fa sempre più stretto, fino a soffocare colui che scioccamente abbia deciso d’indossarlo.

Quanta gente era morta sotto gli occhi o le mani di Zico?

Col tempo e gli avvenimenti che si erano susseguiti durante quei suoi diciotto anni, Jiho aveva perso il conto di tutti gli occhi che lentamente si spegnevano mentre lo guardavano, lucidi e tristi, segno di una muta richiesta d’aiuto o pietà.

Infondo chiunque fosse morto a causa sua, non era poi così importante per il mondo.

Uomini ubriachi che avevano picchiato le prostitute sotto la giurisdizione dei Red Tiger, persone che a causa della depressione non avevano compreso quando dover smettere d’inalare l’ingente quantità di cocaina che veniva loro venduta, spacciatori che avevano cercato di farsi un nome nel territorio in cui operavano loro; insomma gente dalla cui vita o morte non dipendesse il movimento rotatorio del mondo o almeno non quello di Zico.

L’edificio che avevano affittato, dove in tutta tranquillità tagliavano le partite di cocaina o si avvalevano delle qualità seduttorie delle loro prostitute prima di permetter loro di dar via il loro corpo, o dove semplicemente abitavano, era situato nella periferia di Seoul.

L’aria gelida della notte gl’inondo le narici facendolo rabbrividire, ma stoicamente superò la soia del portone d’ingresso, di quello che era il covo dei Red Tiger e osservò con aria annoiata le due ragazzine, ancora minorenni che con abiti succinti si apprestavano a mostrare ,a P.O. membro suo compagno,che amava occuparsi di quest’ambito dei loro commerci, fino a che punto avrebbero potuto far godere un uomo, così da poter attribuire loro un prezzo.

Appena gli furono accanto le osservò fugacemente con la coda dell’occhio, mentre fra i denti stringeva adesso con leggera forza, a causa del disgusto provato nel sapere cosa avrebbero dovuto consumare le due ragazze da li a poco, uno spinello preparatosi antecedentemente con tranquillità.

Se allor quando Hyoseong era ancora viva Zico non amava toccare nessuna donna, adesso che lei era morta il sesso era divenuto per lui un atto carnale che sporadicamente allietava le sue tensioni e grazie ai numerosi orgasmi gli annebbiava la mente, lasciandogli qualche attimo, per lui sin troppo breve, in cui dimenticare la morte di colei che più di tutte avrebbe mai potuto amare.

Si mise al volante della sua Mustang nera, decappottabile e accese il motore.

Le trafficate vie di Seoul per lui erano un tormento, poiché era costretto a passare troppo tempo senza poter fare nulla a quindi la sua mente iniziava a vagare, a ricordare, a scavare crudelmente e senza contegno nel suo passato rimembrandogli quanto avesse amato Hyoseong.

Accese la radio, infastidito dalla possibilità che quei pensieri si concretizzassero nella sua mente.

Quella notte sarebbe stato per lui uno di quei rari momenti in cui, stanco di ciò che il mondo in continuazione gli offriva,  avrebbe dato ascolto al lato più animale del suo io e consumato quell’occasionale amplesso di cui irrefrenabilmente il suo corpo ne avvertiva il bisogno.

Parcheggiò momentaneamente innanzi al fioraio dal quale in quelle notti andava sempre e si fece dare una parte del suo pagamento per Rose, poi rimise in moto.

Rose era una giovane donna di vent’anni, esperta nelle lascive tecniche amatorie, dalle lunghe gambe, il ventre piatto, le mani affusolate, un seno non troppo abbondante e due labbra rosse proprio come il colore del fiore da cui aveva preso il suo nome d’arte.

Zico scese dall’auto e si addentrò nell’condominio in cui Rose abitava,  percorse quelle due rampe di scale con lentezza, lasciando che l’eco dei suoi passi rimbalzasse contro le pareti di tutto l’edificio.

Finalmente giunse al secondo piano, suonò il campanello, e ad aprirgli fu una ragazzina dai corti capelli di un biondo ossigenato, che indossava una semplice vestaglia trasparente, che poco lasciava all’immaginazione e poco poteva mostrare a causa dell’immaturità di quel corpo ancora acerbo.

Laila, si faceva chiamare, timorosa evitò d’incontrare lo sguardo del nuovo arrivato, poi lo accompagnò per il corridoio ormai impresso nella memoria di Zico, fino a farlo fermare innanzi alla porta al cui interno si celava l’unica donna che avesse il permesso di toccare il suo corpo.

Diede il sacchetto pieno di petali di rose rosse alla ragazzina, che si addentrò nella camera e ne uscì poco dopo lasciando la porta leggermente aperta – è pronta- disse con un filo di voce, Jiho così posò la mano sul pomello della porta e si addentrò nella camera, chiudendosi la porta alle spalle.

-Jiho…- disse con voce suadente Rose come da copione –sei finalmente tornato da me amore mio- continuò con la sua recita come sapeva di dover fare ormai da qualche mese a questa parte, indossava per quell’occasione un semplice reggiseno color azzurro abbellito da qualche pizzo e un paio di strass e dei semplici slip coordinati, sul grande letto a baldacchino alle sue spalle i petali di rosa che Zico le aveva potato erano stati già disposti sulle coperte, tutto all’interno di quella camera era di colore rosso, analogo a quello delle rose.

Zico lasciò cadere a terra il lungo cappotto che indossava e si sfilò la maglietta, poi a torso nudo abbracciò la giovane prostituta e caddero l’uno sopra all’altro sull’enorme letto, le accarezzò il corpo come se fosse di cristallo, mentre i numerosi petali di rosa tornavano a posarsi sul giaciglio e le sue labbra ormai erano unite a quelle della ragazza.

Presto il desiderio in Zico si fece incontenibile, le carezze non avrebbero saziato il suo vorace desiderio, le tolse il reggiseno e gli slip mentre lei si prodigò per spogliarlo e nudi si ritrovarono l’uno accanto all’altra – ti amo Jiho- sussurrò Rose accanto all’orecchio di Zico mentre con sensualità divaricava le gambe in modo da poter accogliere il membro eretto dell’altro al suo interno, e consumare quell’amplesso che altro non era se una recita eseguita da una sapiente prostituta e un pazzo.

-Anche io ti amo Hyoseong- rispose allontanandosi dall’incavo del collo della ragazza e guardandola con quei suoi occhi che nascondevano una perversione tale da non poter appartenere nemmeno ad un demone.

Perché c’è da sapere a proposito di Rose, che il suo viso ed il suo corpo erano la copia quasi perfetta di quello di Hyoseong, la copia che Zico s’illudeva di poter amare, la copia che non si opponeva all’atto d’amore che gli offriva, la copia della Hyoseong che avrebbe volute poter avere.

Il profumo di rose ridestò Jiho dal sonno, si risvegliò con accanto la sua amante, così senza svegliarla scese dal letto e si rivestì, notò con piacere che mancava ancora un’ora all’alba, così lasciò il denaro che le doveva sul comodino accanto al letto a baldacchino, le cui leggere tende permettevano di carpire solo i contorni del corpo della prostituta che tranquilla dormiva, esausta dopo una notte di piacere.

Uscì dall’appartamento e risalì in auto, mettendola in moto e dirigendosi al cimitero di Seoul.

Una volta giunto mancava poco all’alba per cui fu costretto a scavalcare velocemente la recinzione dietro la quale si celava il suo luogo di preghiera e a correre attraverso quell’immenso campo verde più veloce che poté.

L’erba era gentilmente bagnata dalla fresca rugiada mattutina,ma quello fu un dettaglio che al ragazzo non interessava, mentre portava avanti quella corsa non si fermò a leggere i nomi sulle grigie lapidi che si susseguivano sotto i suoi occhi, poiché nella sua memoria, quel nefasto tragitto, era come tatutato.

Appena fu giunto sulla sua tomba fermò la corsa, e fissò quella lastra di pietra, ancora incredulo che lei se ne fosse andata, si lasciò cadere a terra sulle ginocchia e pianse gettando fuori tutto il dolore che aveva in corpo.

Pianse come un bambino a cui avevano detto di no, pianse come un marito che ha perso la moglie, pianse come un ragazzo che inconsapevolmente aveva ucciso la ragazza che amava, perché lui sapeva che Hyoseong si era suicidata a causa sua, eppure non poteva comprenderne il motivo , perché per lui quella era sta la miglior notte della sua vita, la notte in cui le aveva dimostrato tutto il suo amore, il momento in cui erano stati una cosa sola.

Si accasciò accanto alla tomba e ancora in preda alle lacrime prese dalla tasca destra del suo cappotto un laccio di gomma che andò ad annodare attorno al suo braccio, poi dall’altra tasca uscì una siringa piena di ecstasy che senza indugio si iniettò nelle vene, ci volle poco perché la droga prendesse il sopravvento, perche tornasse a vivere quei felici momenti della sua infanzia trascorsa con Hyoseong, ci volle poco perché si ritrovò per l’ennesima volta fra la vita e la morte con in cuore il desiderio di scomparire e in mente l’istinto di sopravvivenza che ancora non gli aveva concesso la pace eterna da quel tormento.

In realtà Jiho detestava la droga, ma essa col tempo era divenuta l’unico mezzo con il quale potesse distaccarsi da una realtà che non gli piace, per viverne una falsa creata dalle felici concezioni che la sua mente avesse registrato come tali, perché è questo drogarsi, che lo si faccia con qualunque mezzo, drogarsi significa scappare dalla realtà.

Stava per perdere i sensi, quando innanzi a lui si parò una figura oscura –Zico, leader dei Red Tiger?- il ragazzo annuì, senza porsi nemmeno l’interrogativo di chi fosse la persona con cui stesse parlando, probabilmente, pensò, era un’allucinazione.

-Noi abbiamo dei nemici in comune Zico, anche se tu magari non lo sai- la voce che pervenne alle orecchie del ragazzo era così distorta che non riuscì a distinguere il sesso del suo interlocutore –io ho la necessità di riprendermi ciò che mio ma per far questo ho bisogno di te Zico, ho bisogno delle tue conoscenze, della tua esperienza come sicario e soprattutto ho bisogno del tuo odio nei confronti di tutto ciò che ama e rappresenta Bang Yongguk-.

Concluse la sua frase e nello stesso istante il primo raggio del sole illuminò la tomba di Hyoseong, risvegliando nel trasandato Zico quel sentimento distruttivo al quale la persona, che in quel momento pareva essere scomparsa, si era riferito.

Tentò di rimettersi in piedi poiché non poteva farsi trovare lì da nessuno e notò una busta per lettere bianca a terrsa proprio accanto ai suoi piedi, la raccolse e ancora barcollante per effetto della droga si diresse verso il punto dal quale era entrato, scavalcò la recinzione nuovamente, ma adesso fu per lui una delle più grandi fatiche mai affrontate prima , giunse alla macchina, si sedette sui sedili posteriori ove i vetri erano offuscati e si portò all’orecchio il cellulare, dal quale era già partita la chiamata a quel ragazzo che si era sempre preso cura di lui –Kyung?- biascicò –solito posto?- rispose l’altro –si… credo che abbiamo un nuovo incarico…- l’altro parve ignorare la notizia –sto arrivando-.

 

 

NOTA DELL’AUTRICE:

Allora vi risparmio le scuse per il ritardo, tanto ormai ci ho rinunciato, la mia ispirazione è incostante e con tutti gl’impegni scolastici che ho sono costretta a ritardare sempre di molto le pubblicazioni, comunque direi di passare al capitolo adesso.

Chi sarà questa figura misteriosa che pare avere gli stessi nemici di Zico, cosa sta per accadere a Yongguk e a tutti gli altri? Beh non potete fare altro che continuare a seguirmi come fate sempre, ah colgo il momento per ringraziarvi dato che  questa mia storia ha già raggiunto le trecento visualizzazioni e questo per me è davvero grandioso, in oltre noto che altre ragazze hanno inserito la storia fra le seguite o le preferite ed anche questo mi rallegra molto. GRZIE A TUTTE!!! Naturalmente devo ringraziare le ragazze che continuano a recensire ogni capitolo, quindi un grazie anche a voi!!! E come al solito attendete il prossimo capitolo di Back to Life!!! 

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Capitolo 9
*** Wish ***



Pura oscurità, era ciò che in una notte tanto tormentata avvelenava il cuore di Yongguk, gli incubi che avviluppavano la mente del ragazzo erano tanto tremendi quanto solo la permanenza in quell’ospedale poteva essere per Bang.

 

Infatti, per quanto i giorni passati nel reparto d’igiene mentale potessero apparire lontani, ora che si ritrovava in quel dannato luogo, Yongguk, avvertiva il peso dei suoi errori.

 

“Come ho potuto essere così sciocco?” continuava a chiedersi, in una silenziosa litania che appariva più come una supplica che come una domanda dal tono disperato, eppure lui sapeva perfettamente perché si era comportato in quella maniera, perché aveva desiderato così ardentemente abbandonare il mondo nel quale viveva, il motivo non poteva essere più semplice di così: semplicemente non trovava alcuna ragione per continuare a vivere in quel mondo così malandato, così dannatamente corrotto.

 

Yongguk non desiderava altro che ricongiungersi alla donna che aveva amato e per quanto fosse bravo a mentire o per quanto riuscisse a sorridere in maniera vero simile, in cuor suo sapeva perfettamente che avrebbe preferito morire e riabbracciare la ragazza che tanto aveva amato.

 

Il ragazzo si alzò dal letto, sul quale per tutta la sera aveva cercato di riposare, distratto dai sussurri dei fantasmi del suo passato e così pensò che due passi gli avrebbero solo potuto schiarire i suoi torbidi pensieri.

 

L’ospedale, completamente privato di quell’alone di speranza misto a incommensurabile tristezza, pareva ancora più lugubre di quanto il giovane non ricordasse, senza una meta precisa e perso nei suoi ricordi Yongguk si ritrovò a camminare per lunghi corridoi percorsi dalle fredde essenze di affetti oramai perduti, camminò per una decina di minuti finché non si fermò senza motivo e alzò i suoi grandi occhi tristi s’un’ampia vetrata che permetteva alle neomamme di guardare i loro piccoli pargoli.

 

“Cosa riserverà loro il futuro?” iniziò a chiedersi, il giovane, mentre cercava d’immaginare il volto della madre che non aveva mai conosciuto, pregando per ognuna di quelle anime, chiedendo che la vita serbasse per loro un incantevole percorso.

Mentre lo sguardo del ragazzo si muoveva da un neonato all’altro si accorse di una bambina dalla straordinaria bellezza, la quale in un solo attimo fu in grado di far comprendere a Yongguk che l’unica cosa bella e realmente innocente di quel mondo erano proprio i bambini, coloro che con i loro occhi pieni di curiosità per un mondo che iniziano a scoprire lentamente e con ingenuità,  si ritrovano un utile scudo che li protegge dagli orrori causati dai demoni che tutti i cuori degli adulti celano.

 

La sua nivea pelle e le piccole labbra rosee non furono nulla in confronto ai grandi occhi scuri che, una volta aperti, si posarono sulla figura del giovane, che inconsciamente si era ritrovato a piangere in silenzio.

Amare erano le lacrime che gli rigavano il bel volto; amari i pennelli che dipingevano sul suo viso un’espressione di profonda amarezza.

I due si guardarono qualche attimo, e fu in quell’istante che Yongguk prese a singhiozzare silenziosamente innanzi a quella bambina che lo fissava assonnata e al contempo incuriosita.

La prima delle sensazioni prevalse sulla seconda e così prese il pollice della sua mano destra fra le labbra e si rimise a dormire come se nulla fosse.

Yongguk ancora addolorato per le constatazioni di quella notte, si scostò i capelli che disordinati gli ricadevano sugl’occhi e continuò a camminare, volgendo un ultimo pensiero alla sua amata Hyoseong e alla madre che non ha mai conosciuto.

 

Trascorsero solamente pochi istanti da questo avvenimento, che la sua attenzione fu nuovamente catturata da una pallida luce che fuoriusciva come una fine lama da dietro una porta accostata, il ragazzo incuriosito si accostò al muro per sbirciare all’interno della stanza in cui notò un giovane medico con ago e filo in mano, intento a ricucire il fianco di un altro ragazzo  che pareva stringere un pezzo di stoffa fra i denti, per evitare di urlare per il troppo dolore -per fortuna che era un taglio superficiale, sta diventando sempre più complicato far scomparire le medicazioni dall’ospedale senza che nessuno se ne renda conto-, fu il ragazzo più grande a parlare, l’altro si tolse il bavaglio con fare nervoso e fissò lo specializzando come un serpente pronto a mordere -ti stai lamentando come al solito Ji Yong? O devo ricordati a quanto ammonta il tuo debito con noi? Le puttane costano, soprattutto se sono drogate come quello stupido ragazzino di Taeyang- fu quindi la sua scottante risposta.

 

Ji Yong tagliò il filo con il quale aveva appena suturato la ferita di Taeil e si sciacquò le mani in un piccolo lavabo sulla sua sinistra, mentre l’altro si rivestiva, indossando una maglietta ricoperta in più punti da sangue, ormai secco.

-Là sopra ci sono degli antidolorifici, prendine due al giorno, se esageri rischierai di farti venire un ulcera, non che m’importi ma ti ho avvisato- disse in tono minaccioso lo specializzando -sai Ji Yong… proprio non ti capisco, il figlio di un ricco e  noto chirurgo che s’invischia in una relazione omosessuale con un ragazzo che non pensa ad altro se non alla droga e che non vede l’ora di svendere il suo corpo per ottenere ciò che desidera, se fossi stato in te non avrei sprecato in questa maniera i soldi che tuo padre ti passa, si vede che i figli dei ricchi non hanno rispetto per il denaro o almeno non ne hanno quanto ne ha, chi come me, ha vissuto in un perenne stato di povertà-, Taeil sembrava parlare più a se stesso che all’altro, anche se nel suo tono si avvertiva una nota di sarcasmo che innervosì il maggiore.

 

-Questi non sono affari tuoi, vi ricucio da mattina a sera, riuscite a infilarvi sempre in inutili casini, per non parlare poi di tutte quelle prostitute che mi avete fatto visitare prima di farle lavorare, vi sembro un ginecologo?!? E poi sono affari miei come io spendo i miei soldi o cosa io faccia per ottenere ciò che mi serve- infine allungò una mano verso il giovane, attendendo che l’altro uscisse dalla tasca una bustina trasparente contenente una fine sostanza bianca -digli di farsela bastare abbiamo un lavoro importante per le mani al momento, e Kyung ha altro da fare, e ricorda di ringraziare sempre Zico per questo-.

 

Zico, quel nome emerse con l’unico superstite di un mare in tempesta che era la confusa mente di Yongguk, immediatamente ricordò che era così che il suo aggressore del Jamsil era stato chiamato.

 

Detto questo i due si alzarono in piedi, Ji yong era molto più alto dell’altro, i capelli neri erano tirati su in una mezza cresta mentre quelli di Taeil lisci e scuri gli ricadevano ai lati del viso disordinati e madidi di sudore.

-Non dimenticarti chi sono i Red Tiger, non farlo mai Ji Yong- detto ciò Taeil indossò i suoi grandi occhiali rotondi -cerca di non farti vedere mentre esci- quelle furono le ultime parole che fecero capire al giovane Bang che era giunto il momento per lui di abbandonare il nascondiglio dal quale aveva assistito alla conversazione, con il cuore in gola e cercando di farlo nella maniera più silenziosa possibile, si allontanò e tornò nella sua camera che una volta raggiunta gli sembrò il posto più sicuro nel quale si potesse ritrovare al momento.

 

Appena si mise a sedere sul suo giaciglio il ragazzo constatò di aver già sentito in precedenza anche il nome Red Tiger, così prese dal comodino il suo cellulare e digitò quel nome sulla barra di ricerca del browser, il risultato al quale si trovò innanzi lo mise in agitazione.

 

“Red Tiger è il nome di una piccola associazione mafiosa che in poco tempo è riuscita a farsi riconoscere per i suoi crimini, il problema principale degli investigatori è riuscire ad avvicinarsi ai membri principali del gruppo, i quali purtroppo non sono ancora sati identificati.

Omicidio e spaccio sono i probabili capi d’imputazione che pendono già sulla testa dei Red Tiger, ma si è convinti che questi non siano gli unici”.

 

 

 

 

 

Erano state tante le notti in cui Junhong aveva creduto d’impazzire, molti i motivi e infinita la paura, eppure in quello specifico momento la motivazione era completamente differente, uno strano sentimento gli inondava come un fiume in piena sia il cuore che la mente.

Il ragazzo ripose ancora una volta il cellulare sul comodino affianco al suo letto con lo schermo rivolto verso il basso.

“E se gli scrivessi semplicemente come ti senti?” si chiese per poi continuare quell’effimero pensiero con la voce del suo hyung “come qualcuno che è stato accoltellato” ed era a quel punto che s’infilava le mani nei capelli e li tirava con falsa forza, annodandoseli introno alle dita con fare nervoso, e grazie alla sua mente che vagava senza certezza si ritrovava a lasciar perdere e a desiderare allo stesso tempo di poter parlare con Yongguk, se solo avesse potuto comprendere il motivo per il quale si bloccava ogni volta, insomma per quello che aveva potuto comprendere dell’altro di certo non gli avrebbe risposto in quella maniera, eppure si sentiva comunque nervoso e quasi imbarazzato dal volergli scrivere.

 

Era ancora indeciso sul da farsi quando sentì il suo cellulare vibrare ed anche se era completamente immerso nei suoi dubbi, lo prese e gli bastò il tempo di leggere il nome del mittente del messaggio, appena giuntogli, che si trovò ad avvampare senza volerlo.

 

“Da: Bang Yongguk

1:26 a.m.

Non riuscivo a dormire e pensavo che parlare con qualcuno mi avrebbe fatto venire un po’ di sonno, spero vivamente di non averti svegliato e se l’ho fatto ti chiedo scusa, in ogni caso se leggerai questo messaggio domani mattina, ti auguro un buon risveglio.

Uno hyung insonne.”

 

Dopo aver letto le parole di Yongguk il cuore di Junhong accelerò velocemente, ed ancora gli parve che non ci fosse un motivo plausibile per il quale ciò dovesse accadere, così ingoiò il groppo che aveva in gola e si fece forza.

 

“Da: Choi Junhong

1:28 a.m.

Non preoccuparti hyung, non riuscivo a dormire nemmeno io, mi chiedevo come ti sentissi, domani ti dimettono, spero che tu stia bene”.

 

Da: Bang Yongguk

1:31 a.m.

Oggi mi sento davvero bene e domani toglierò i punti e mi dimetteranno, pensavo che potremmo vederci se per te va bene, magari mangiamo quale cosa e poi potremmo anche andare al cinema”.

 

“Da: Choi Junhong

1:36 a.m.

Hyung non voglio che ti sforzi troppo, penso di avere una soluzione migliore, domani mia madre non tornerà a casa perché ha intenzione di andare a trovare sua sorella a Mokpo, voleva chiamare un’infermiera ma se ti va potresti rimanere a dormire da me e cenare qui e vedere comunque un film assieme”.

 

Inviato il messaggio Junhong attese con ansia la risposta dell’altro, si ritrovò a pensare che quella era la prima volta che invitava qualcuno a dormire a casa sua, di solito era una cosa che faceva suo fratello maggiore, ed ogni volta per quanto lui avrebbe voluto stargli vicino questo lo allontanava infastidito.

Sua madre a questa notizia, probabilmente, avrebbe stappato una bottiglia di spumante; ma mentre fantasticava su quello che avrebbero potuto fare si accorse che dall’invio del suo messaggio erano già passati dieci minuti e così prese a torturarsi le mani ormai sudate.

 

Quando il suo cellulare vibrò ancora una volta, Junhong ebbe quasi paura di leggere la risposta, forse era troppo presto per chiedere a Yongguk di rimanere da lui, forse aveva altro da fare, sicuramente il padre avrebbe voluto passare del tempo con lui, eppure sapeva perfettamente che non sarebbe stato in grado di accettare un rifiuto da parte dell’altro, infine sospirò avvilito e lesse il messaggio.

 

Da: Bang Yongguk

1:50 a.m

Scusa il ritardo ho inviato un messaggio a mio padre per avvisarlo che domani dormo da te, lavora fino a tardi per cui mi ha già risposto che per lui va bene, hai avuto davvero un ottima idea, se non ti spiace adesso andrei a dormire così domani sarò in piene forze, buonanotte Junhong”.

 

 A quella risposta Junhong spalancò gli occhi, completamente assorto nelle parole del suo hyung, il quale aveva accettato l’invito senza pensarci su due volte e così per la prima volta avrebbe avuto qualcuno con cui condividere un sera che sarebbe potuta essere noiosa e solitaria come tante altre, eppure in quel momento il ragazzo si accorse che i suoi livelli di felicità avevano superato quelli che un singolo umano è in grado di processare attraverso cuore e mente, sentiva innumerevoli lacrime di gioia premere contro le sue palpebre,  infine rispose alla buona notte del maggiore e stringendo al petto il mezzo che gli aveva appena permesso di essere felice, si addormentò come un bambino con il suo peluche preferito fra le braccia, sorridendo al pensiero di ciò che sarebbe avvenuto domani.

 

 

 

Yongguk ripose il cellulare e si distese a pancia in su osservando il soffitto, non aveva chiamato nessuno dei suoi amici , anche se desiderava qualcuno con il quale poter parlare, non si era rivolto nemmeno ad Himchan, costringendosi a contemplare sul motivo della scelta di cercare la compagnia di Junhong  e nel momento in cui gli aveva proposto di passare la sera successiva assieme si era sentito sollevato dal peso di dover passare un’altra notte in quel luogo che tanto odiava, poiché al termine di quelle lunghe ore avrebbe potuto alleggerire il suo cuore grazie alla presenza di quel ragazzo che tanto sembrava aver bisogno di un amico.

Così ricordò quando una settimana prima lo aveva trovato addormentato sulle sue gambe, assaporò come un prelibato dolce la sensazione di quei morbidi capelli sotto le sue dita e si addormentò dimenticandosi di ogni problema, dimenticandosi del dolore per la perdita di Hyoseong, dimenticando i nomi di Taeil e Zico che parevano torturarlo, semplicemente sospirò soavemente e si abbandonò al mondo dei sogni.

 

 

 

 

 

NOTA DELL'AUTRICE:

So di essere mancata a lungo, ma ho avuto troppi problemi da non poter scrivere, per non parlare di un blocco dello scrittore che pensavo non mi sarebbe mai passato, comunque parlando di cose importanti, il capitolo so che non è molto lungo e che non porta ad uno sviluppo della trama ecco perchè sperando non ci sia nualla che mi faccia ritardare aggiornerò la settimana prossima così d'andare avanti.

Per quanto riguarda le mie altre storie sto già avorando sul capitolo 15 del Canto ddi Saejin per cui spero di poter aggiornare prossimamente anche quella storia.

In ogni caso ci rivediamo sul prossimo capitolo di Back to Life!!

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