I'll find you

di NottingHill
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Astrid ***
Capitolo 2: *** Il Rifugio ***
Capitolo 3: *** When the sun goes down ***
Capitolo 4: *** Heavy Toughts ***



Capitolo 1
*** Astrid ***


«Astrid»

John si toccò più volte la fronte, una fitta gli faceva dolere la testa da qualche giorno. Subito aveva pensato di essere stanco, magari aveva fatto troppo esercizio negli ultimi giorni e non si era ripreso del tutto, ma non era da lui.
Eccola di nuovo. La testa gli pulsava, forte ormai, e non trovò altre soluzioni che stendersi sul suo letto, un materasso buttato in un angolo dello scantinato umidiccio in cui aveva vissuto per gli ultimi giorni. Funzionava così: Jedekiah lo usava per piccoli lavoretti, spaventare questo o quello e portarlo a credere alla sua, apparentemente folle, teoria a proposito di un esercito soprannaturale. Tutto in attesa che qualcosa di più grande avvenisse, e quel qualcosa aveva a che fare con le fotografie di quei ragazzi che gli aveva mostrato tempo prima. Li aveva studiati, conosceva i loro punti deboli ed era pronto a fare quello che gli era stato detto. Alla fine, erano loro i cattivi.
Ma poi non riuscì più a tenere gli occhi aperti, e crollò in un sonno agitato.

 

Era in una casa con una manciata di persone, e stava ridendo e scherzando con loro, ma non riusciva a focalizzarsi sui loro volti, i particolari continuavano a sfuggirgli. Prese in mano una fetta di pizza dal tavolo lì a fianco, le diede un morso e poi si voltò. Appoggiati ad una parte c'erano due ragazzi. Lui, alto e muscoloso, aveva il volto confuso, ma la ragazza che gli stava a fianco aveva un bel viso sorridente, lo stava fissando coi suoi grandi occhi e ridacchiava col suo amico. Allora John le sorrise di rimando, perchè semplicemente non poteva farne a meno.
 

Si voltò sul materasso duro e avvicinò il viso alla parete, mezzo addormentato e mezzo sveglio. Al piano di sopra si sentì qualcuno che sbatteva una porta; probabilmente Jedekiah stava uscendo per qualcuno dei suoi affari. Chiuse di nuovo gli occhi e ricominciò a sognare.
 

Sta volta era in mezzo ad una strada, un quartiere grigio e anonimo. Tutto attorno a lui una pioggerellina lieve bagnava i passanti. O, meglio, attorno a loro. Aveva a fianco a se la ragazza di prima, e lei gli stava parlando. Si concentrò per capire le sue parole, ma era tutto troppo strano... Prima che potesse capire cosa stava dicendo si era già avviata in mezzo alla strada, senza notare il taxi giallo, unica macchia colorata in mezzo a quel grigiume, che arrivava a tutta velocità alla loro sinistra. Provò una sensazione strana, una stretta al cuore, e si buttò sulla ragazza per toglierla dalla strada. Caddero entrambi a terra, e quando si guardarono c'era qualcosa di nuovo nello sguardo di lei, ammirazione, un briciolo di paura, e qualcosa che somigliava all'affetto. John sentiva che dentro di se le emozioni erano le stesse, ma non aveva senso: non conosceva questa ragazza. Eppure, quello che sentiva era chiaro come la luce del sole.
«Perchè nascondi tutto quel coraggio?» furono le uniche parole di lei che era riuscito ad assimilare. E poi, prima che potesse ritornare a chiedersi perchè gli stava succedendo tutto questo, lei gli si era avvicinata. Aveva sentito il suo respiro lieve sulle labbra, simile ad una carezza, prima che premessero sulle sue. Tutto quello che aveva provato fino ad ora era ridicolo confronto a questo. Era come se il suo cuore, prima stretto in una morsa d'apprensione, si fosse aperto e scaldato con quel bacio.

 

Ma cosa diamine stava succedendo? Perchè sembrava tutto maledettamente reale? Non poteva essere successo davvero, non aveva mai visto quella ragazza in vita sua e non poteva davvero averla baciata. Eppure si sentiva così... solo, senza di lei, come se gli mancasse terribilmente qualcosa a cui non riusciva davvero a dare un nome. Affondò il viso nel materasso, non esattamente conscio di quel che sarebbe successo appena avesse chiuso nuovamente gli occhi.
 

Ora era agitato, il cuore gli batteva veloce e un rivolo sottile di sudore gli bagnava la schiena, nonostante la temperatura fosse bassa. Si trovava sul tetto di un palazzo, e di fianco aveva di nuovo la ragazza dai capelli ricci che pareva proprio non volerlo lasciare in pace quella notte. 
Prima che potesse anche solo guardarsi intorno si ritrovò a guardarla in viso. L'incarnato color cioccolato, gli occhi impauriti, i ricci per una volta raccolti, così familiare ma ancora così nuova. E poi ecco la sua stessa voce: «Sai qual è stata la parte migliore dell'essere umano?» le mise le mani attorno al viso, cercando di calmarla. Ora che anche lui si stava concentrando su di lei era un po' meno nervoso, e non ebbe tempo di capire che nelle sue parole c'era qualcosa che non andava. «Tu». E poi le loro labbra erano di nuovo insieme, e il tempo sembrò fermarsi.

 

«Astrid!» gridò, svegliandosi dal sogno. Si tirò a sedere all'improvviso, scosso da quella rivelazione.
Allora non era sempre stato così, c'era stato un prima. E questa Astrid ne faceva parte. Forse era stata lei ad averlo salvato. Doveva trovarla.
E rimase così, in una stanza vuota e con il suo nome sulle labbra, ma niente di più.

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Capitolo 2
*** Il Rifugio ***



Il Rifugio

Quando anche l'ultimo passeggero scese dalla metropolitana, ad Astrid non restava che sedersi e aspettare. Non sapeva esattamente cosa fare: ogni volta che era entrata nel rifugio era perchè qualcuno l'aveva teletrasportata, e non aveva idea di come arrivarci in un altro modo.
Si girò a guardare la cartina alla sue spalle; le linee colorate si intrecciavano di continuo e dopo un po' non riuscì più a distinguerle.
L'ultima volta che era salita su una metropolitana non era da sola, e sentiva di aver trovato il suo piccolo spazio in quel mondo bizzarro. Ora, al contrario, non c'era nessuno con lei e non sapeva più cosa fosse vero e cosa invece no.


Erano passati pochi giorni da quando Stephen aveva distrutto la macchina, e pian piano stava tornando tutto come prima. All'Ultra non era rimasto più nessuno: nessun Fondatore, nessuna organizzazione segreta.
Certo, i cattivi non erano spariti nel nulla, ma sembrava che si fossero presi qualche giorno di vacanza.
La madre di Stephen e Luca erano tornati a casa, sconvolti dalla morte di Roger. L'avevano appena ritrovato e l'avevano già perso di nuovo, questa volta per sempre.

Stephen era sdraiato sul letto, e Astrid gli accarezzava i capelli cercando di consolarlo. Lei era l'unica che non voleva niente da lui, era solo felice che lui fosse sano e salvo.
Quando era al Rifugio, Cara lo guardava come un cucciolo abbandonato, Russel si sentiva terribilmente in colpa e, anche se cercava di non darlo a vedere, Stephen lo intuiva ogni volta che tentava di parlargli; e poi c'erano sua madre e Luca, a casa, che cercavano qualcuno in grado di consolarli. Ma per quanto Stephen fosse forte, non aveva idea di cosa potesse fare per aiutarli. Dopo tutto, anche lui aveva perso il padre, e Hillary, nel giro di pochissimi giorni.
Nel frattempo, senza parlare, Stephen si era addormentato. In quei momenti, pensò Astrid, sembrava di nuovo essere il suo spensierato migliore amico, non il ragazzo che aveva salvato il mondo.
Si sentì bussare alla porta, e poi una testa bionda sbucò dalla fessura.
Astrid sorrise e fece cenno a John di stare in silenzio. Si alzò dal letto, attena ai cigolii delle molle del materasso, e si avviò fuori con lui.
«Facciamo una passeggiata?» le chiese, porgendole la mano.
«Certo» disse, intrecciando le dita alle sue.
Dopo tutto quel caos, John si era trasferito di nuovo a casa di Stepehn. Quest'ultimo non c'era quasi mai, passava quasi tutto il suo tempo al Rifugio a cercare di sistemare le cose, e sua madre e Luca non avevano mosso obiezioni. In più John era l'unico ancora in grado di cucinare un pasto decente, e ne avevano approfittato più che volentieri in quei giorni di tristezza.
Non parlavano tantissimo, quando stavano insieme. Si era creata tra loro una strana calma, come se la sola presenza dell'altro li tranquillizzasse; ne avevano passate tante ormai e sembrava che tutto venisse naturale, come se si conoscessero da sempre.
«Ho un'audizione domani, ti va di accompagnarmi?»
«Non c'è neanche bisogno di chiederlo».


All'improvviso Astrid si trovò di fronte Cara. Lo spostamento d'aria era stato violento, e aveva ancora davanti agli occhi la luce dorata del teletrasporto.
«Ci cercavi?» chiese, ostile, Cara. Non l'aveva ancora affrontata da quando John era andato a vivere di sopra e aveva lasciato Cara e il rifugio, ma la questione era troppo urgente per pensare alla reazione di quella che, a tutti gli effetti, era la ex del suo ragazzo.
«John è scomparso». La voce di Astrid era uscita asciutta e secca; non aveva altro da dire ed era preoccupata, non poteva pensare anche alla reazione di Cara. Quella socchiuse la bocca, le si avvicinò e, appena le mise la mano sulla spalla, un brivido le percorse la schiena. Un secondo dopo erano al Rifugio.


«Sei stata bravissima», le disse John in un orecchio, mentre lei, uscita dalla sala dell'audizione, stava prendendo il cappotto da un attaccapanni.
«La richiameranno loro, se necessario» disse, interrompendo il loro scambio di sguardi, l'assistente che sedeva ad una scrivania vicina alla porta.

Astrid fece un cenno col capo, prese la mano di John e lo portò fuori il più in fretta possibile.
«Ma come fai a dirlo? Tu non c'eri e... io mi sono bloccata». La voce le si incrinò leggermente: entrambi stavano pensando all'ultima volta in cui Astrid era andata ad un'audizione. Era finita con una pallottola nel corpo di John e con lei che, invece di cantare ai giudici, cantava tra le lacrime implorandolo di non lasciarla. Decisamente non un bel ricordo.
«Non avrò più i poteri, ma ci sento ancora bene. Sei stata grandiosa, ti richiameranno di sicuro e se non lo faranno vuol dire che sono degli stupidi».
John non sapeva assolutamente nulla di canto, ma tutte le volte che Astrid canticchiava senza accorgersene le prestava attenzione. Era come una parte di lei, un organo involontario e vitale. Era una cosa meravigliosa.


Stephen era appollaiato alla spalliera del divano posto nella sala comune, e Russel lo guardava stando sdraiato, con la testa appoggiata al bracciolo. Sembrava sul punto di addormentarsi.
Non era rimasto poi molto laggiù: tutto quello che avevano era stato portato agli edifici dell'Ultra, in modo che gli altri potessero avere un posto comodo dove dormire. Dopotutto, quello rimaneva pur sempre un ufficio, e non potevano dormire sulle scrivanie. Astrid dubitava che fosse bastato quello che avevano per garantire un posto tranquillo a tutti i nuovi Tomorrow People arrivati, e non osava immaginare cosa avessero escogitato per provvedere.
«Ehi Astrid! Che ci fai qui? Qualcosa non va?», chiese Stephen notando il loro arrivo e alzandosi immediatamente.

«Non vedo John da giorni... Non è a casa tua, non è qui, non ha detto niente l'ultima volta che l'ho visto». La voce le si spezzò pensando a John, un piccolo singhiozzo prima di lasciarsi cadere sul divano e affondare la testa tra le mani.
«Non è da John. Sei sicura che non ti abbia detto niente?» Cara le lanciò di nuovo lo stesso sguardo: un misto di preoccupazione, orgoglio e rabbia. Astrid non sapeva quale prevalesse, e non aveva voglia di scoprirlo.
«No, altrimenti me lo sarei ricordata», rispose lei. Cara strinse gli occhi, come a darle della stupida. O così sembrò ad Astrid. «Eravamo sulla metropolitana, così, senza una meta precisa. Ed è arrivato Jedekiah e... ha detto che sarebbe tornato, ma non l'ha fatto. Non fino ad ora».
Allora Cara strinse i pugni, scambiò uno sguardo carico di significato con Stephen e Russel e scomparve.
«Cara no!» urlò Stephen, correndo verso il punto da cui si era teletrasportata. Si mise le mani nei capelli e si girò a guardare i due rimasti.
«Farà qualche sciocchezza, puoi scommetterci tutto», fu il commento divertito di Russel. Dopo tutto, non aveva perso la sua vena sarcastica.
«Qualcuno vuole degnare questa povera e confusa umana di una spiegazione, per favore?»
«Si tratta di Jedekiah», spiegò Stephen. «Deve essere stato lui, se è l'ultima persona che lo ha visto. E Cara è andata a cercarlo. Non si fermerà finchè non l'avrà trovato; tento di farla ragionare e la riporto qui».
«E poi?»
«Per trovare John, dobbiamo prima trovare Jedekiah».


Ehilà!
Spero che la storia continui a piacervi :)

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Capitolo 3
*** When the sun goes down ***



When the sun goes down

I don't know where to find you
so I just drive around


John non si era ancora ripreso dalla nottataccia. Quella strana alternanza di sonno, popolato da immagini vivide e colorate, e veglia non gli aveva fatto bene.
Verso l'alba Jedekiah era venuto da lui a dirgli che non ci sarebbe stato tutto il giorno, aveva degli affari da sbrigare, e che gli aveva lasciato del caffè ancora caldo in cucina.
Allora si era alzato ed era andato subito in bagno a farsi una doccia. Lo scrosciare dell'acqua, pensò, lo avrebbe aiutato a rimettere in ordine i pensieri. Continuava a vedersi passare davanti agli occhi immagini di ricci scuri, sorrisi e stanze dalle pareti galline a cui era appoggiata la ragazza che, a quanto pareva, si chiamava Astrid. Non era più sicuro di niente: o si stava inventando tutto, cosa che al momento gli sembrava quasi plausibile, o Jedekiah gli aveva tenuto nascosto qualcosa. Ma come poteva nascondergli qualcosa che neanche lui stesso sembrava ricordare?
Alla fine, la doccia non ebbe l'effetto rivelatore sperato. Si vestì e andò in cucina, ma ormai il caffè era freddo.
Mentre rimetteva a scaldare il caffè e prendeva una tazza dalla credenza, trovò del pane e, rovistando nel frigo, anche il necessario per fare dei french toast. Solo a metà del procedimento, quando stava per metterli nella padella, si rese conto che non ricordava di aver mai cucinato dei french toast in vita sua. Mai. Ma poi si disse che era una sciocchezza, che probabilmente l'aveva sentito alla tv senza prestarci troppa attenzione, ma il suo istinto continuava a dirgli, mentre mangiava la colazione, che c'era qualcosa di profondamente sbagliato nelle cose accadute nelle ultime 24 ore.

Nel tardo pomeriggio si rese conto di non riuscire più a stare seduto in quella casa minuscola, quasi senza mobili, in cui si era trasferito con Jedekiah senza sapere quale fosse il piano preciso a cui stavano lavorando. Dapprima aveva pensato che fosse una sistemazione temporanea, che poi avrebbero trovato un posto nuovo, magari uno degli appartamenti sicuri dell'Ultra. Ma erano passate quasi tre settimane, e sembrava che non si sarebbero mossi di lì ancora per un po' di tempo. E soprattutto, sembrava che l'Ultra fosse l'ultimo pensiero di Jedekiah, che dopo qualche parola all'inizio non ne aveva più fatto cenno. Erano solo loro due.
Prese un giubbotto di pelle trovato appeso vicino alla porta, sembrava comodo, e uscì di casa.
Fuori dalla porta c'era un quartiere anonimo, nessuna grande casa, nessuna macchina luccicante. Tante piccole villette una vicino all'altra, tutte dai colori tristi: una giallina che col tempo era diventata quasi grigia, una color mattone spento, una azzurrina che però col cielo dalle nuvole scure, cariche di pioggia, sembrava cupa e poco accogliente. Non era esattamente l'appartamento di lusso che ricordava, ma se erano in missione bisognava adattarsi.
Jed aveva lasciato la macchina nel vialetto. L'aveva visto spesso uscire di casa a piedi, come gli affari tanto importanti da cui stava andando non distassero che pochi passi; così, salì in macchina attento ad evitare la pozzanghera che si era formata proprio vicino allo sportello del guidatore.
E iniziò a percorrere il lungo viale che dalla periferia lo avrebbe riportato nel centro della città, mentre il sole alle sue spalle iniziava a lasciare spazio all'oscurità.

***

I've been needing you lately
when the sun goes down

Astrid era nel suo letto, ormai da qualche ora, e non riusciva a staccare gli occhi dal tramonto che vedeva al di là della finestra. La mano sotto al cuscino le permetteva una visuale perfetta per godersi quello spettacolo. Avrebbe quasi voluto uscire e sentire la brezza leggera sulle guance, che si sarebbero arrossate, e poi John l'avrebbe presa in giro e...
Ma John non c'era, ricordò a se stessa.
Era rimasta ad aspettare che Cara e Stephen tornassero per sentire quale piano avrebbero messo in atto, e sta volta uno non dettato dalla reazione improvvisa della ex storica del suo ragazzo. Sarebbe stato carino, pensò lei, sarcastica.
Non c'era voluto molto perchè Cara si rendesse conto che forse non era il caso di inseguire Jedekiah senza nessuno a coprirele le spalle e quando erano riapparsi, una volta che il bagliore dorato del teletrasporto si era dissolto, aveva l'aria sofferente e una mano sullo stomaco, come se avesse male in quel punto. Aveva tentato di chiederle cosa avesse, ma quella aveva liquidato la faccenda agitando una mano in aria.
Si erano seduti tutti e quattro su gli unici due mobili rimasti, il divano e una poltrona, e man mano che ragionavano e mettevano le basi del loro piano si erano spostati tutti a sedere sul pavimento, come se avere dei cuscini dietro la schiena li distraesse e un pavimento duro, freddo e umido aumentasse la loro concentrazione.
Astrid si era sentita sollevata, in quel momento. Anche loro erano preoccupati per John e finalmente stava facendo qualcosa per mettere mano alla situazione, per venirne a capo. Ma ora, da sola nella sua camera da letto, al piano più alto della casa completamente vuota, quella strana sensazione le era tornata. Sapeva che John non se ne sarebbe mai andato volontariamente, e dubitava che lo zio di Stephen lo avesse costretto con la forza, perché da quel poco che aveva visto lo trattava come uno delle cose più preziose che potesse avere. Lo trattava come un figlio.
Lo schermo del suo cellulare, appoggiato sul comodino vicino al suo viso, si illuminò e un secondo dopo si mise a squillare, distraendola da quei pensieri ingarbugliati.
Disse ai genitori, all'altro capo della linea, che non dovevano preoccuparsi per lei e di godersi la loro lunga crociera. Dopotutto, non mancava poi molto alla fine e si sarebbero visti presto. Se era sopravvissuta a tutte quelle cose assurde, poteva anche sopravvivere a qualche settimana di lontananza, pensò; ma questo lo tenne per sé.
Una volta riagganciato distolse lo sguardo dal sole calante, che ormai si vedeva appena all'orizzonte, e ritornò ai suoi pensieri.
Alla fine, erano più o meno arrivati ad un accordo su cosa fare. Avrebbero usato Tim per monitorare Jedekiah. Probabilmente non si sarebbe più fidato a usare la carta di credito o dare visibili tracce di sé, ma non poteva essere sparito per sempre; prima o poi, usando il riconoscimento facciale che Tim aveva programmato su tutte le telecamera della zona a cui era riuscito ad accedere, sarebbe venuto fuori. E se così non fosse stato, avrebbero allargato le ricerche. Nel frattempo, avevano anche deciso che un paio di loro (il che in genere significava Stephen e Cara) sarebbero andati all'appartamento di Jedekiah per controllare se fosse tutto a posto o se ci fossero degli indizi, e anche in tutti gli altri luoghi in cui era stato ultimamente.
Non era un granché in quanto a risultati immediati, ma era meglio di niente.
Astrid si voltò dall'altra parte e, facendo un grande sospiro per buttar fuori tutte le preoccupazioni, chiuse gli occhi.

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La meravigliosa canzone che ho inserito all'inizio dei due POV è "Lately" cantata da Sam Palladio e Clare Bowen, nel telefilm Nashville. Giuro che non volevo mischiare due telefilm diversi, ma la canzone era così perfetta che non ho potuto resistere!
Scusate per l'assenza, causa studio, ma arriva l'estate e conto di essere più produttiva :)

NottingHill

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Capitolo 4
*** Heavy Toughts ***



Heavy Toughts

Heavy words are hard to take
Under pressure precious things can break

 

«Cara, noi dobbiamo parlare. E lo sai anche tu».
Cara era sola con Stephen, nella vecchia stanza in cui si trovava Tim, che era stato spostato nel nuovo Rifugio, in cui sarebbe stato di sicuro più utile.
Anche lì non era rimasto molto, un vecchio tavolo e l'armadietto in cui John un tempo teneva le sue cose. Pensare a John le provocò una fitta allo stomaco, quindi si voltò e guardò dritto negli occhi Stephen. Peccato che fosse più vicino di quel che aveva pensato, e il suo respiro le sfiorava la guancia, spostandole una ciocca di capelli e facendole un leggero solletico.
«E di cosa?» sussurrò, perchè tutto d'un tratto la paura per John era stata spazzata via da qualcosa di più intenso e personale, qualcosa di nuovo. «John è scomparso, io sono morta e ritornata in vita, ma continuo a sentire quel dolore nello stomaco, gli agenti dell'Ultra torneranno da un momento all'altro... e io e te...»
Stephen si stupì. Non l'aveva mai sentita così insicura e, nonostante anche lui fosse preoccupato per tutto, voleva solo abbracciarla e stringerla così stretta da farle dimenticare qualsiasi cosa. E anche questo lo preoccupava, perchè davvero in quel momento non era il caso di pensarci. Eppure...
In più, come se non bastasse, continuava a pensare e ripensare alla reazione di Cara alla notizia data da Astrid, quel suo gesto così impulsivo e importante, come se ne dipendesse la sua stessa vita. Lei e John erano stati insieme molto tempo, e tra loro c'era sicuramente ancora un legame, ma questo non diminuiva il fastidio che provava ogni volta che pensava che forse lei era ancora innamorata di lui. Era folle e irrazionale, ma si sentiva sempre così quando c'era Cara. Anche quando stava con Hillary e credeva fermamente che si stesse innamorando di lei, c'era sempre questo pensiero nell'angolo della sua mente, un qualcosa che gli diceva che il collegamento tra lui e Cara non poteva essere nato per caso. Poi erano successe tutte quelle cose, compresa la morte di Hillary e suo Padre, e non poteva davvero andare avanti a rimuginarci sopra.
Ma ora erano lì, i visi vicini, gli sguardi fissi negli occhi dell'altro, e nessuno dei due riusciva più a parlare.

How we feel is hard to fake
So let's not give the game away

Stephen ripensò a tutto, come era entrato a far parte di quello stano e folle mondo, di tutte le persone che aveva conosciuto e che aveva perso nel frattempo, e si disse che non era il momento di perdere tempo con una relazione che, iniziando così, non sarebbe finita bene. Si arrabbiò, con se stesso e con il suo cuore, perchè non riusciva davvero a lasciarla andare. Il suo viso si contrasse, sferrò un pugno contro al tavolo dietro a Cara. E appena si udì il rumore delle ossa contro la superficie di metallo, si teletrasportò dall'unica persona con cui poteva parlare.

***

Crollò a terra nella camera da letto di Astrid. C'era stato mille volte, fin da bambino quando giocavano a nascondino in giro per tutta la casa. In particolare, nella camera della sua migliore amica c'era un buffo armadio di legno chiaro, fatto ad angolo, che occupava lo spazio dietro alla porta. Quello era il suo posto preferito per nascondersi.
Ed Astrid era lì, sdraiata sul letto, con le cuffie nelle orecchie e le labbra socchiuse per canticchiare. Quando aveva visto Stephen piombarle in camera, si era subito messa a sedere e tolta le cuffiette, che ora le penzolavano in mano.
«Ehi... Cos'è successo?» Aveva subito capito, dallo sguardo sconsolato di Stephen, che non c'erano novità positive e che, anzi, il suo amico sembrava sul punto di piangere.
Gli si inginocchiò a fianco, gli posò un braccio attorno alle spalle e lo tirò indietro con lei, in modo che si appoggiassero entrambi al muro lilla. Stephen le posò il capo sulla spalla e lei gli accarezzò i capelli, cercando di tranquillizzarlo e senza spingere perchè parlasse. Dopo qualche minuto, quando ebbe il respiro più regolare, iniziò a spiegarle tutto.
«Non so più cosa fare» disse, con un tono che sembrava uscito dall'oltretomba, tanto era disperato. «Non so se sono in grado di guidare tutta quella gente, io non sono mio padre. John è scomparso, ed è tutta colpa di quel pazzo di mio zio. Mio padre è morto, e mia madre e Luca cercano conforto in me, ma non sono in grado di dargliene. E' come se tutti mi guardassero per capire cosa fare, ma io non ho le risposte che cercano. La mia ragazza è morta, e non so neanche se la amavo. Quando è morta, avevo litigato con lei perchè ci aveva traditi tutti, e poi è morta per salvarci. Lei mi amava, e io l'ho lasciata morire per me, mentre pensava che io la odiassi. Sono una persona orribile. E ora, forse, ho capito cosa provo per Cara, e mi sento terribilmente in colpa. E, ciliegina sulla torta, sono venuto a piangere sulla spalla della mia amica umana come un bambino di quattro anni. Scusa». Parlò tutto d'un fiato, e quando finì si staccò da Astrid cercando di abbozzare un sorriso, che però non gli toccò gli occhi.
«Un bel casino eh? Senti, io non sono un Tomorrow People, non sono speciale, sono solo umana. E... lo sei anche tu. Tutte le tue paure sono umane, quanto me. Anzi, al tuo posto io sarei esplosa già da un bel po' di tempo. Abbiamo passato tutti dei momenti difficili, e tu più di tutti noi. E' normale. Credimi. E si risolverà».
Anche lei gli sorrise, cercando di mettere a tacere tutte le preoccupazioni che le ronzavano in testa, su John e sul futuro dei Tomorrow People. Non era il caso di far trapelare tutto ora. Sarebbe stata forte, per Stephen.
«Allora, pancake al cioccolato per il bimbo piccolo?»
E sta volta, insieme ad un sospiro che sembrava voler scacciare via i pensieri che occupavano la sua mente, Stephen rise davvero.

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Odio scrivere capitoli così corti, ma... non so, più lunghi non mi escono :(
La canzone questa volta è "Please don't say you love me" di Gabrielle Aplin.

NottingHill

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