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Sveglia. Mattina. Sole fastidioso che si infiltra nella
stanza attraverso il rotolante della sua porta-finestra rotta: una volta chiusa
non si sarebbe riaperta. Anna era lì, in quell’atmosfera che sfiorava il surreale,
distesa sotto il lenzuolo, testa sotto il cuscino che tentava di dormire.
“Una pecora, due pecore, tre
pecore…” contava. Ma ormai non c’era più niente da fare, quella fievolissima
luce di sole che era riuscita ad intrufolarsi nella stanza di Anna era
mentalmente riuscita a destarla.
Anna sbuffò sonoramente,
combattuta tra lo svegliarsi e il rimanere a vegetare a letto per ancora
qualche minuto. Alla fine la seconda opzione prevalse sulla prima, senza che
lei potesse evitarlo. Quindi buttò le gambe sotto al letto, seguite
faticosamente dal corpo e dalla sua bocca che pronunciava epiteti non proprio
carini contro il rotolante che permetteva al sole di insinuarsi in camera sua
mentre lei stava dormendo. Si trascinò a fatica fino allo specchio, osservandosi
e sorridendo nel pensare che sua madre quello lo definiva “look selvaggio”:
pigiama sistemato male, pieghettato e pendente dalla parte destra, i capelli
rossi mossi tutti scompigliati, che si preparavano alla loro quotidiana
battaglia contro Messer Pettine. E se i suoi occhi neri lanciavano fulmini, le
lentiggini rendevano quella rabbia poco credibile, e il contrasto poteva farla
sembrare quasi buffa.
Ma quello era il look che Anna
aveva quando era il sole che la svegliava con i suoi raggi insistenti. E di
solito questo precedeva di poco l’urlo di sua madre.
-ANNA SVEGLIATI! – proveniva puntualmente dal piano di
sotto.
Anna finì di darsi un’occhiata
generale: il viso rotondo, il deretano all’in su, un seno prosperoso, e alta un
metro e 62. Una ragazza normale. A conoscenza di questo fatto, lei sapeva che
anche se di fisico non era il massimo, trovarne come lei di carattere era cosa
più unica che rara, quindi non si dispiaceva di essere più brutta della maggior
parte delle gallinelle che infestavano i luoghi dove svolgeva la sua vita. Poi
si lavò, si vestì, e scese le scale per fare colazione, sempre ovviamente
mantenendo quel suo buon umore mattutino, accresciuto dal fatto che Messer
Pettine quella mattina aveva subito una sconfitta eclatante.
E a sua madre non sfuggì questo
particolare insignificante. – Che è successo ai tuoi capelli, Anna? -.
-Buongiorno, eh! – replicò Anna, offesa per il mancato
saluto. - È il sole. Lo sai che mi dà noia vedere la luce di prima mattina! -.
-E, signorinella, questo dovrebbe essere un motivo
sufficiente per avere i capelli scompigliati? – domandò di rimando sua madre
addentando un toast.
Ma a togliere Anna dalla
situazione di dare alla madre una risposta poco conveniente fu una voce che si
levò cantando.
-È primavera, svegliatevi bambine. Alle Cascine messer
aprile fa il rubacuor… -.
L’unica reazione di Anna quando
sentì il padre cantare fu un sospiro. Credeva di essere molto intonato… ma
entrambe le due donne che sedevano accanto al grande tavolo rettangolare
sapevano che non era affatto così.
Il padre di Anna entrò in cucina
continuando a mugolare e con tutta la non chalance di cui una persona dispone
prese un toast e ci spalmò sopra della marmellata di arance, la sua preferita.
-Allora, usignolo, che programma hai oggi? -.
-Vediamo… - Anna fece finta di pensare. - … sì, credo che
andrò in spiaggia. – e tornò a concentrare la sua attenzione sul suo toast con
la marmellata di ciliegie.
La madre inorridì a sentire
quelle parole, e le sue corde vocali si lasciarono andare in un gridolino
acuto. – Ma non ti ricordi che giorno è oggi? -.
-Hai ragione. – rispose subito Anna, per rimediare la
gaffe. – Auguri mamma! Buon compleanno! -.
-Ma che compleanno e compleanno! – il volto era diventato
rosso.
-Mamma, è una giornata estiva, di sole. Dovrei ricordarmi
qualcos’altro? – Anna sapeva perfettamente che non era il compleanno di sua
madre… sperava solamente che la madre capisse da quella risposta ironica che
non aveva la più pallida di cosa potesse esserci di importante quel giorno.
-Sì, dovresti! Oggi è la Comunione di tuo cugino Mattia. -.
Anna, che per un momento aveva
pensato di essersi dimenticata di una cosa importante, come per esempio un
campionato di surf, tirò un sospiro di sollievo non appena capì che la cosa
aveva meno importanza del tè che si stava raffreddando nella sua tazza. –
Allora fagli gli auguri anche da parte mia. -.
-Smettila di dire assurdità. Avrai modo di farglieli tu
stessa. -.
Questa volta il volto di Anna si
contrasse in un’espressione contrariata. – Dobbiamo andarci per forza? -.
-No. – ottenne come risposta. – Li ho invitati tutti qui,
al mare. Saranno qui, verso le cinque. -.
-E io ci dovrò essere? -.
-Che domande, certo che sì! Io e tuo padre ti concediamo di
andare in spiaggia ma sii qui entro le quattro. -.
Anna lanciò un’occhiata a suo
padre, e si leggeva negli occhi che era stata lei che aveva deciso tutto e lui
non aveva avuto alcun modo di replicare. Quindi si limitò ad accettare le
imposizioni dispotiche di quella donna. In effetti si chiedeva cosa ci trovasse
uno come lui in una come la mamma, avendo caratteri completamente diversi: lui
così allegro e gioviale, e lei invece così perfettina e tirannica.
Uscì di casa con il suo zaino in
spalla, decisa a godersi tutta la spiaggia che poteva, e forse forse anche un
po’ di più. E ovviamente a dedicarsi al mare, perché niente le dava più
soddisfazione che infrangere le onde col suo kite surf. I suoi genitori erano
convinti che fosse uno sport pericoloso, anche perché non troppo tempo prima un
ragazzo era morto praticandolo, ma lei provava troppo gusto a muoversi tra le
onde e un secondo più tardi a volteggiare indisturbata a 9 metri d’altezza, con
il soffio del vento che le sfiorava la faccia.
Nel tratto di strada che da casa
sua conduceva al suo paradiso personale c’era una pineta, con tanto di ferrovia
e ruscello. E piaceva passeggiare lì, anche se si allungava la strada di
qualche minuto rispetto al tempo che avrebbe impiegato usando la strada
principale. Eppure lei si ostinava a passare di lì, perché in qualche modo la
aiutava a riflettere. E forse a volte si immergeva un po’ troppo nei suoi
pensieri… sì, decisamente troppo… La sua attrezzatura da surf cadde a terra.
-E sta’ più attento imbranato! – protestò lei mentre si
chinava per vedere che tutto fosse a posto e che nulla avesse subito dei danni.
-Mi dispiace. – si scusò il ragazzo che l’aveva scontrata.
– Ma anche tu avevi la testa fra le nuvole. -.
-Dispiace anche a me! – esclamò risentita.
-Ti ho chiesto scusa. – replicò tranquillo il ragazzo.
Dopo essersi assicurata che
tutta la sua attrezzatura stesse effettivamente bene (e c’era da chiedersi come
potesse una ragazza come lei portare tutta quella roba), si decise a rivolgere
un’occhiata gelida al suo interlocutore. Si accorse che era un ragazzo, alto,
magro, non troppo muscoloso, con i capelli tagliati corti e di un biondo che
quasi sfiorava il bianco della sua pelle. I suoi occhi azzurri la stavano
fissando.
-Lo so. – ribatté lei, in tono ostile. – E per tua fortuna
il mio surf non si è fatto niente. -.
-Io mi chiamo Geremia. – si presentò lui, quando lei ebbe
finito di raccogliere tutto. – Per gli amici Gemia. -.
-Sì, certo, va bene. – annuì lei con aria di sufficienza,
poi lo scansò e proseguì.
-Come ti chiami? – la fermò.
Sospirò, innervosendosi ancora
di più. – Non penso siano affari tuoi. -.
-Io però il mio nome te l’ho detto. -.
Ecco, la goccia che fece
traboccare il vaso. – E quand’è che te l’avrei chiesto, scusa? – non aspettò la
risposta. – A mai più rivederci. -.
E tirò dritta per la sua strada
non guardando indietro, pentendosi per essere stata così suscettibile, ma quel
piccolo barlume di risentimento si spense al pensiero che quello aveva fatto
cadere il suo surf. E quindi dentro di lei cominciò a insinuarsi qualcos’altro,
ossia la spiacevole sensazione di aver dimenticato qualcosa di estremamente
importante per lei.
Arrivata alla spiaggia però
decise che qualunque cosa fosse non era più importante della giornata di surf
che le si prospettava davanti, quindi cominciò subito, e per mezza giornata ci
furono solamente lei, il sole e il mare. E tutto il resto era poco più che
un’ombra insignificante.
Erano le 3 e mezzo quando
cominciò a riporre a posto le sue cose, se non che vide venirle incontro una
sua amica di scuola, Sveva.
-Anna, tesoro! Come stai? – era l’entusiasmo che Sveva si
portava dietro ovunque andasse.
-Benissimo. Tu? -.
-Altrettanto, grazie! – rispose lei, raggiante.
Notò che i lunghi capelli
castani di Sveva con il sole estivo stavano diventando biondi. Sveva era una
bella ragazza. I suoi occhi erano verdi, era più magra di Anna, e più alta. E
non era un’oca anche se a volte poteva sembrarlo. Eppure a lei mancava il
caratteraccio di Anna, e questo probabilmente la rendeva meno interessante agli
occhi dei più.
Anna era rimasta stupita della
sua presenza. – Come mai qui? -.
-I miei genitori hanno deciso di venire in vacanza qui. Con
mio cugino. -.
-Tuo cugino? – Anna era perplessa. Aveva sentito spesso
Sveva parlare del cugino ma non l’aveva mai visto. Da quello che aveva sentito
sembrava un tipo a posto.
E Sveva indicò un ragazzo biondo
che si stava avvicinando. Anna cambiò immediatamente idea: non era affatto un
tipo a posto.
Anna lo fulminò con lo sguardo.
– Tu! – sbottò.
-Ciao! – salutò il biondo cordialmente, sorridendo.
Sveva sembrava sorpresa. – Vi
conoscete? -.
-Avrei tanto voluto non farlo. – replicò Anna.
-Mi dispiace per il tuo surf. – replicò quello. – Ma non ti
sembra di farla troppo lunga? -.
Anna come una furia si voltò
verso Sveva. – Hai parlato di me a… lui? – domandò, cercando un modo per
definirlo.
Sveva scosse la testa.
-Si vede. – constatò Anna. – Altrimenti saprebbe che io e
il surf siamo una cosa sola. – guardò l’orologio, e sbuffò. – Adesso invece
arrivano i miei di cugini. Piaghe. – abbracciò Sveva. – Spero di rivederti
domani, se sopravvivrò alla Comunione di Mattia. – poi invece lanciò un ultimo
sguardo verso Geremia. – Quanto a te invece spero di non rivederti! -.
E girò sui tacchi, inoltrandosi nuovamente per la pineta.
Sospirò perché sapeva quello a cui stava andando incontro e non le sembrava
piacevole. Poi le capitò per caso di sentire una notizia alla radio di un
vecchietto seduto all’ombra di un albero, su una panchina.
Parlava dell’avvistamento di Stub nelle vicinanze. Si
guardò intorno sospettosa.
Stub era un assassino a pagamento. Pagato dalle grandi
organizzazioni di spionaggio ovviamente. In effetti si poteva dire che tutta la
sua famiglia era molto desiderata dalle organizzazioni dai spionaggio: lui era
un assassino, suo fratello era un rapitore e suo padre era una spia. Non c’era
male.
Solo che la madre di Anna diventava isterica quando
sentiva parlare di Stub e Anna credeva che se la notizia le fosse giunta
all’orecchio non le avrebbe più permesso di uscire di casa. Ma il mondo era
tanto grande, perché doveva venire proprio lì lui? Non le risultava che in quel
buco di località marina ci fossero persone talmente importanti da dover
giustificare la sua presenza.
Quindi decise di non dar importanza alla cosa.
E appena arrivò a casa, vide dei lunghi capelli corvini e
degli occhi viola guardarla, sul volto appuntito di una ragazza così magra che
poteva sfiorare l’anoressia. Taglia 38…
-Ciao Lavinia. – salutò Anna senza metterci più
entusiasmo di quello richiesto per la cottura di un uovo al tegamino.
-Anna! – esclamò quella ragazza, sorridendo e mettendo
in bella mostra i perfetti denti bianco Oral B.
Era la sorella di suo cugino Mattia, e quindi per la
proprietà transitiva era anche sua cugina. Cosa avesse fatto di male per essere
imparentata con lei Anna doveva ancora capirlo.
-Mi sei mancata. – disse subito Lavinia, abbracciandola.
Anna la respinse. – Lavinia. Perché fingere così? Lo
sappiano entrambe che non ci piacciamo. Oggi stiamoci lontane e vedrai che
andrà tutto per il meglio. -.
Il volto di Lavinia si distese. – Sono contenta che sia
stata tu a dirlo, cugina. – sorrise. – Perlomeno se adesso ci chiederanno
perché non ci rivolgiamo la parola potrò dare la colpa a te. – alzò le spalle e
andò via.
Anna rimase a guardarla, cercando qualcosa da lanciarle
dietro, non troppo grosso per non farle troppo male, ma nemmeno troppo piccolo…
giusto qualcosa per farle venire un bel livido sull’occhio, ma a parte un
cazzotto ben assestato non riusciva trovare niente che avrebbe potuto far
passare la cosa come un incidente. A dire la verità nemmeno un cazzotto ben
assestato lo avrebbe fatto, ma almeno si sarebbe tolta una soddisfazione.
Ma fu distratta dai suoi pensieri da sua madre. – MA COSA
TE L’HO COMPRATO A FARE UN CELLULARE, EH? DOV’ERI FINITA? -.
-Avevo da fare. – rispose lei liquidando in questo modo
la faccenda.
Ad un tratto diventò tutto buio. Qualcuno le aveva messo
le mani sugli occhi. Toccò le mani e indovinò subito. Sorrise, e si voltò,
saltando al collo del proprietario delle mani, che la prese e la sollevò per
aria.
-Federico! – esclamò lei.
Federico era l’unico suo cugino che non detestava e una
delle poche persone a cui voleva bene. Aveva 2 anni in più di lei ed era alto
giusto giusto 2 metri. Snowboarder e giocatore di basket. Federico se la
sistemò sulle spalle.
-No Fede, come quando ero piccola no! – protestò lei.
-E invece sì, cugina. – annuì lui. E si mise a correre
per il giardino in direzione della casa di Anna, con lei sulle spalle. –
ARRIVANO I NOSTRI!!! – salì su uno scalino, prese uno skateboard e scese le
scale con quello… dallo scorrimano.
Appena toccarono il pavimento Federico rimise per terra
Anna, che stava ridendo. – Sei sempre il solito. -.
-Certo. Non vorresti mai che il tuo cuginone preferito
cambiasse, ammettilo. – sorrise.
-No. – rispose Anna. – Mai. -.
Poi lui le lanciò un’occhiata obliqua. Le vide il pareo e
il costume. – Bel look per una Comunione… - commentò.
-Oh, accidenti! Prima ho incontrato mia madre ma era
troppo arrabbiata per accorgersene. – fece una pausa, e sorrise ancora di più.
– Sì, dai! Rimediamo all’errore. Andiamo da lei. -.
-No, non serve far arrabbiare inutilmente tua madre. Ti
basterà entrare di nascosto in camera tua. -.
-Al primo piano. – gli ricordò Anna scettica. – Santo
surf, manchi un solo anno da casa mia e ti scordi dov’è camera mia? -.
-In effetti è un po’ complicato. – ammise lui. – Allora
facciamo così. Io distraggo tua madre e tu… -.
-E TU VAI IMMEDIATAMENTE A CAMBIARTI ANNA! – urlò una
voce isterica dietro di loro.
Si voltarono tutti e due per vedere la madre di Anna
paonazzamente furiosa rivolta verso la figlia. Anna la guardò con aria di
sufficienza, e rivolse uno sguardo di sfida a Federico. – Chi arriva per ultimo
è una capra zoppa! -.
E cominciarono entrambi a correre verso camera di Anna
passando tra gli invitati che lanciavano sguardi scandalizzati a quella
ragazzina dai rossi capelli ribelli. Ma a lei non importava. Arrivarono in
camera e si chiusero la porta dietro le spalle ridendo.
-Capra zoppa! – esultò Federico. – Sono arrivato prima
io. -.
-Pura fortuna… -.
-No, è la bravura del tuo cuginone super sportivo. – le
scombinò i capelli.
Anna aprì l’armadio e prese il primo vestito che le capitò
a tiro. – Questo andrà benissimo. – decise.
Federico la guardò dubbiosa. – Sai potresti almeno provare
a fingere che te ne importi qualcosa e che tu sia felice che noi siamo qui. -.
-Io sono felice che tu sia qui. Siete tu e mio
padre la mia famiglia. Il resto potrebbe anche sparire e non mi mancherebbe. -.
Federico sapeva bene che il carattere non ipocrita e
difficile della cugina le causava dei problemi. Più che causare problemi a lei
li causava agli altri che non lo sopportavano.
Federico uscì dalla stanza per permettere ad Anna di
cambiarsi senza sentirsi imbarazzata. Poi lei uscì. Aveva indossato una maglietta
bianca, sbracciata, e un paio di pantaloni dello stesso colore, ed era anche
riuscita a dare una spetto decente ai capelli.
-Togli il fiato. – le disse lui.
-Sì sì. – minimizzò lei. – Non ti ho chiesto pareri. -.
Uscirono, tornando giù, e suo cugino Mattia le venne
incontro. Quella piccola peste.
-Allora cugina? – domandò. – Sono il festeggiato. Non si
usa più fare gli auguri? -.
-Auguri. – sibilò Anna con tutta l’intenzione di
augurargli sciagure.
-Su, è un giorno di festa! – esclamò Federico. – Che ne dite
di mettere da parte ogni tipo di ostilità? -.
Tentarono tutti e due di scambiarsi un sorriso amichevole
ma tutto quello che uscì sui loro volti fu una smorfia molto tirato.
E poi Anna vide una chioma bionda che si avvicinava alla
casa. Tirò leggermente una gomitata a Federico, mentre Mattia era piegato per
sistemarsi i pantaloni eleganti.
Federico vide il ragazzo che si avvicinava alla casa e
afferrò al volo il messaggio della cugina.
-Anna deve finire di sistemarsi Mattia. Andiamo. – e senza
tanti complimenti afferrò il fratello e lo portò via, mentre Anna usciva dalla
porta sul retro.
E prima che qualcuno potesse vederlo si slanciò su Geremia
e caddero tutti e due dietro a un cespuglio.
-Anna! – esclamò Geremia.
-Che ci fai tu qui? – sibilò lei.
-Hai scordato questi stamattina. – le porse i suoi
occhiali da sole.
-I miei occhiali da sole! – esclamò lei afferrandoli. –
Non vivo senza. -.
-Credo che un semplice “grazie” possa bastare. -.
Lei li indosso subito. – Con questi va decisamente tutto
molto meglio. -.
Geremia la osservò. – Stai bene vestita così. – le disse.
Per tutta risposta ebbe uno sguardo torvo. – Attento a non
guardarmi troppo. Adesso devo andare. -.
-Stasera ci sarà una festa sulla spiaggia. Mi farebbe
molto piacere se tu venissi. -.
-Non contarci. -.
Anna fece per uscire dal cespuglio quando vide che la sua
madrina la stava guardando dal porticato con sguardo interrogativo. – Io… -
perché non le venivano in mente scuse credibili?
Fortunatamente Geremia le venne in aiuto porgendole un
mazzo di chiavi.
-Io ho scordato le chiavi. – le sventolò per aria in
modo che la madrina potesse vederle.
Quella annuì un po’ sospettosa, ma poi tornò a
concentrarsi sulla chiacchierata che stava svolgendo con un’altra parente.
Geremia afferrò Anna per un braccio e la tirò giù. – Sono
le chiavi della mia macchina! -.
-Non posso dartele adesso. -.
-Non le voglio adesso. – sorrise. – Le aspetto alla
festa. -.
Anna era stata incastrata. – Non mancherò di fartele
arrivare. – sibilò minacciosa.
E Anna tornò in casa, andò nella sala dove si trovavano
tutti gli invitati, individuò Federico, lo afferrò per il braccio e lo trascinò
quasi di peso in camera sua, chiudendo la porta dietro di lei.
-Che c’è? – domandò Federico.
-Ho un problema! E tu devi aiutarmi! -.
Nulla di nuovo. Federico era abituato ad assecondare la
cugina. E infatti lei cominciò a parlare. – C’è una festa sulla spiaggia
stasera. E devo andarci. E tu mi coprirai! -.
-Aspetta un minuto signorina! – esclamò Federico. – Chi
era quel ragazzo? -.
-Un amico di Sveva. – rispose Anna. – Mi ha incastrata.
-.
Federico sorrise. – Allora è in gamba se è riuscito ad
incastrare te. Come ha fatto? -.
-È praticamente riuscito a darmi le sue chiavi e vuole
che gliele restituisca alla festa. -.
Federico scoppiò a ridere. – E bravo il nostro Don
Giovanni. Sai che ti dico cuginetta? Va’ e divertiti stasera. – dopodiché uscì
per pensare ad un modo credibile per coprire la cugina.
Anna rimase in camera per decidere i vestiti che avrebbe
indossato quella sera. Che le piacesse o meno aveva un debole per gli abiti e
le piaceva abbinare i colori… in fondo era comunque figlia di sua madre.
Così mentre lei frugava nei meandri dell’armadio, Mattia
chiuse a chiave la porta della camera di Anna dall’esterno… lei non si accorse
di nulla, perché si era incantata a guardare il mare dal balcone con la
finestra aperta. Venne un colpo di vento. La finestra si chiuse.
-Oh, fantastico! – esclamò lei. – E adesso chi la
riapre? -.
Si diresse verso la porta e mise la mano sulla maniglia.
Provò ad aprirla senza riuscirci. Riprovò e di nuovo nulla.
-Magnifico! – esclamò. – Che cosa può succedere di
peggio? -.
Un secondo dopo sentì uno strano odore provenire dal piano
di sotto. Non riusciva a classificare quella puzza… poi la riconobbe. Fumo.
Puzza di fumo. E con quella urla isteriche provenire dal piano di sotto.
-INCENDIO! -.
Anna impallidì. – Come sarebbe incendio? – cominciò a far
forza sulla porta. Cominciò a battere i pugni in modo che qualcuno la sentisse
e magari aprisse o sfondasse la porta. – APRITE LA PORTA! -.
Ma le parve evidente che in casa ormai non era rimasto
nessuno, mentre il fumo ormai stava entrando in camera sua. Si allontanò dalla
porta respirando piano e prendendo un fazzoletto con cui coprirsi naso e bocca.
Pensò per un momento di passare dal terrazzo per poi ricordarsi che la
portafinestra si era chiusa accidentalmente e non poteva essere riaperta. Si
voltò di scatto per trovare altre possibili vie di uscita, ma nel farlo urtò il
suo surf che le cadde addosso. Svenne, cadendo per terra con un sonoro tonfo.
Il fumo fu raggiunto dal fuoco, bruciando la porta.
Lei giaceva lì, per terra, priva di sensi.
E nessuno l’avrebbe aiutata.
L’Angolo della Matrix
Ciao a tutti.
Eccomi qui tornata con una nuova storia.
Su questa ff ci sono da dire un po’ di cose: la prima è
che come la maggior parte delle mie storie è imprevedibile e che quindi
accadono cose strane che nella vita reale non accadrebbero mai (o
perlomeno non che io sappia…), quindi se leggete cose che vi sembrano impossibili
sappiate che lo sono e che lo so perfettamente…
La seconda cosa è che tra poco tempo andrò in vacanza e
quindi causa viaggi vari non potrò aggiornare costantemente.
La terza è che sono gradite recensioni sia positive sia
negative.
La quarta è che questo è il riadattamento di una storia
che ho scritto 2 anni fa… quindi lo svolgimento dei fatti è già deciso..
premetto questo perché in alcune altre ff ho cercato di accontentare i desideri
dei miei lettori… cercherò di farlo anche qui per quanto mi è possibile ma non
sconvolgerò questa storia, a cui tra l’altro sono molto affezionata.
Lentamente,
piano piano, Anna riprese conoscenza. Non aveva preso una botta fortissima per
sua fortuna. Si ricordò improvvisamente di essere intrappolata tra le fiamme
che avevano già bruciato metà della camera. Non si fece prendere dal panico,
primo perché era troppo intelligente per non rendersi conto che sarebbe stato
stupido e secondo perché lei e la freddezza erano una cosa sola molto spesso.
Credeva che restando freddi sempre e comunque le possibilità di trovare una
soluzione sarebbero state maggiori.
Che
poi questa soluzione fosse sensata o meno dipendeva dalla mente di colui che
l’architettava.
Quando
si rischia la vita in quel modo però spesso si è disposti ad accettare
qualsiasi soluzione, per quanto folle sia. E fu proprio un’idea folle quella
che balenò in mente ad Anna con la velocità di un fulmine. Anna sapeva di
essere sempre stata una delle surfiste più brave della città… cavalcava
l’acqua, perché non provare col fuoco? Fortunatamente l’armadio non era ancora
bruciato e lo aprì velocemente: dentro teneva sempre dei gel termici, perché le
piaceva tenerli sulla faccia quando le faceva caldo, in quanto avevano
l’effetto quasi come il ghiaccio. Li legò sotto il surf con delle cinture molto
lunghe che aveva nell’armadio. Probabilmente appartenevano a qualche bel
vestito firmato che sua madre usava indossare nelle serate di gala. Non le
importava: la sua vita era più importante di qualsiasi vestito firmato. Sistemò
tutta l’attrezzatura da surf, poi prese la rincorsa e si lanciò nelle fiamme.
Dritta
nelle fiamme.
Non
galleggiava ovviamente. Però l’aquilone del kite le permetteva di planare e lo
usava per sollevarsi, quasi come fosse stata una mongolfiera. Il gel sotto la
tavola impediva che questa si bruciasse. Anna stava attentissima, aveva i sensi
svegli come non mai, evitava le fiamme ribelli, tratteneva il respiro e a volte,
per evitare qualche oggetto o qualche trave caduta, doveva piroettare. Era
quasi arrivata alla porta quando davanti a lei si stagliò una grossa trave.
C’era solamente una cosa da fare e anche piuttosto sveltamente: Anna spiccò un
salto cercando di passare da quel buco nel soffitto, dovuto all’incendio. Tra
la forza della disperazione che mise in quel salto e l’aquilone che la portava
verso l’alto riuscì a raggiungere i 15 metri. Non ci era mai arrivata prima.
E
se per un momento aveva temuto di non farcela riacquistò tutta la sua sicurezza
non appena sentì l’aria fresca sul suo volto. Vide i suoi parenti spaventati
sotto di lei e si ricordò che nessuno aveva mosso un dito per salvarla. Quelli
che adesso la fissavano non si erano neppure accorti della sua assenza. Planò
in mezzo a quelli che si definivano parenti. I suoi genitori le corsero
incontro. – Sapessi… -.
-Temevamo
il peggio… -.
-Anch’io.
– rispose secca lei.
I
suoi genitori! Come avevano potuto abbandonarla? Non accorgersi che non era
uscita con gli altri? Quella era stata l’ennesima conferma che Anna aveva
solamente un’alleata: se stessa.
Anche
suo cugino Federico si era avvicinato a lei, che gli lanciò uno sguardo gelido.
– Lo sapevi che ero lì dentro. -.
-Pensavo
che tu fossi già uscita… - cercò di giustificarsi. – Quando mi sono accorto che
mancavi l’incendio si era già diffuso e… -.
-…
e non hai voluto rischiare per salvarmi. – lo accusò lei con la voce fredda. –
Che codardo che sei Federico. -.
Sua
madre si sentì in dovere di intervenire. – Anna! Non puoi… -.
Ma
si zittì vedendo l’espressione sul volto di Anna. Puro gelo. Freddezza non è
solo una parola. Non aveva parole per sua madre.
Scosse
la testa e fece per allontanarsi.
-Dove
vai? – le domandò sua madre con un urletto isterico.
Anna
non rispose. Perché la risposta non la conosceva nemmeno lei.
Non
era l’unica persona ad essere di cattivo umore. Due occhi marroni intensi
sprigionavano impazienza e il ragazzo a cui appartenevano si passò una mano
dalla pelle liscia tra i capelli folti. Era elegante, indossava una camicia e
dei sobri pantaloni neri. Era ad una fermata di un bus e lo stava aspettando
impazientemente. Nessuno per fortuna poteva vedergli gli occhi, coperti
rigorosamente da un paio di occhiali da sole neri. In quel modo nessuno poteva
riconoscerlo, o meglio nessuno poteva essere certo che fosse lui. Il suo nome
era Stub. O meglio quello era il nome con cui il mondo lo conosceva.
Vide
il bus comparire all’improvviso e subito si fece avanti per prenderlo. Salì a
bordo, e fu urtato da un bambino piccolo che correva. Accennò un sorriso di
incoraggiamento. Poi si concentrò sulla sua nuova missione: aveva ricevuto una
telefonata qualche tempo prima da parte di una voce femminile che gli chiedeva di
recarsi da lei perché aveva una missione.
Si
era a dir poco stupito: di solito quel genere di comunicazioni non gli
arrivavano in quel modo e aveva dunque immaginato che questa volta sarebbe
stato diverso. Sarebbe stato per un privato. Voleva vederci chiaro in quella
faccenda, gli piaceva sapere per chi lavorava.
Il
bus si fermò e lui scese. Proseguì per pochi minuti a piedi fino ad arrivare
davanti ad una villa bianca e controllò l’indirizzo. Era giusto. Capì subito
vedendo l’abitazione che i suoi abitanti erano dei perfezionisti. Sbirciò un po’
dentro le finestre e notò che tutto era meticolosamente ordinato. Suonò il
campanello ma nessuno rispose. Sospirò. Nessuno era in casa. Si sedette su uno
scalino deciso ad aspettare il rientro della padrona di casa.
E
infatti poco dopo sentì dei passi. Veloci. Arrabbiati. Furiosi. Si alzò quando
vide avvicinarsi la sagoma di una ragazza dai capelli rossi. La ragazza lo vide
e rimase perplessa.
-Chi
sei tu? – domandò scontrosa.
-Tu
vivi qui? – le chiese di rimando Stub.
-Può
darsi. – rispose Anna mantenendosi sul vago.
Ne
aveva abbastanza di incontri strani per quel giorno. Anzi ne aveva abbastanza
di quel giorno. L’unica cosa che voleva era andare da Sveva a lamentarsi un po’
e poi andare alla festa sulla spiaggia. Prima però aveva bisogno di darsi una
sistemata e quindi si era recata alla casa dei suoi zii. Che appunto era quella
davanti a cui si trovava lei con Stub.
Calò
il silenzio tra i due. Stub capì che non era la ragazza che l’aveva chiamato:
la voce era diversa. Decise pertanto di non rivelare il suo nome.
-Mi
chiamo Andrea. – si presentò, inventando un nome lì per lì.
Anna
continuava a guardarlo dubbiosa. – Sei un amico di mia cugina? -.
Stub
decise di dar corda alla ragazza e annuì. Anna scoppiò a ridere. – Non ci credo
sei un altro di quelli che ha abbindolato! – si batté una mano sulla fronte. –
Da’ retta a me, Andrea, con mia cugina è tempo perso. Durerà fino al prossimo
sabato quando troverà qualcuno migliore di te, che comunque sarà soppiantato
nuovamente il sabato dopo. -.
Stub
annuì. Gli conveniva stare attento perché forse la cugina di quella strana
ragazza davanti a lui era colei che lo aveva chiamato.
Anna
prese le chiavi di casa, che Federico una volta le aveva duplicato. Aprì la
porta di casa ed entrarono nel grande salotto. Si sedettero entrambi su un
divano, uno perché non sapeva in quale altro luogo accomodarsi e l’altra perché
doveva riprendersi un po’.
Un
grande silenzio imbarazzante regnava in quella stanza. Stub si stupì molto del
fatto che lei non gli avesse ancora detto niente riguardo agli occhiali da
sole, e come se avesse potuto leggergli nel pensiero lei subito disse:
-Non
mi dà fastidio che tu tenga quelli. – indicò gli occhiali. – So perfettamente
quanto possa essere fastidiosa la luce. -.
Stub
annuì e ripiombò il silenzio. Anna stava cercando di pensare a qualcosa,
qualsiasi cosa, ma il pensiero di quel ragazzo davanti a lei la assillava.
Credeva di averlo già visto da qualche parte, inoltre sapeva perfettamente che
non era il ragazzo di sua cugina. Perché lei aveva già un ragazzo, e tutto Anna
poteva dire di Lavinia meno che fosse una ragazza facile. L’aveva fatto entrare
in casa solamente per vedere cosa voleva. Che fosse un ladro ne dubitava
fortemente: Anna lo aveva visto seduto sugli scalini e un ladro sicuramente non
aveva tempo per della meditazione. Inoltre se fosse stato un malintenzionato le
avrebbe già fatto del male.
No,
quel ragazzo voleva qualcosa, ma cosa? E soprattutto perché mentire sulla sua
identità?
Anche
lui la stava studiando. Si era accorto di essersi tradito da solo, perché lei
lo stava fissando inconsapevolmente con astio. Capì quindi che lei non credeva
assolutamente che lui fosse il ragazzo di sua cugina. Per un momento credette
persino che non avesse una cugina. E quindi voleva vedere fino a che punto si
sarebbe spinta a giocare con lui quella ragazzina. Lui non poteva muoversi
perché lei non gli schiodava gli occhi di dosso. Pericoloso. Prima o poi, con o
senza occhiali, continuando a fissarlo in quel modo lo avrebbe riconosciuto.
Finalmente si alzò.
-Senti
sarà meglio che vada. – decise.
-La
porta sai dov’è. – replicò lei. – Non sarò io a trattenerti, Andrea. -.
Stub
si diresse verso la porta. – Allora ciao. -.
-Ciao.
-.
Chiuse
la porta dietro di sé. Pensò che forse sarebbe stato meglio per lui ritornare
quando in casa ci fosse stata quella che aveva chiesto di lui, ma poi realizzò
che era appena uscito da una casa dove stava per venirgli affidato un lavoro
per paura di una ragazzina che lo fissava. Era anche normale che lo fissasse
dopotutto: era un perfetto sconosciuto che era lì per nessun motivo e che
addirittura aveva mentito sulla sua identità. E che non aveva voluto togliersi
gli occhiali da sole.
Stub
decise. Doveva rientrare in quella casa in un modo o nell’altro. Escluse di
provare ad entrare dalla porta principale e ancora di suonare il campanello.
Quindi, sinuoso come un’ombra, scivolò sul retro della casa per vedere di
trovare un’entrata secondaria. Era una sua capacità quella di muoversi così
velocemente che a volte gli altri non riuscivano nemmeno a vederlo mentre
passava.
Notò
che in effetti c’era una porta sul retro. Con sé non avrà avuto armi, ma aveva
il passepartout. Aprì la porta. Si trovò in cucina. E con la sedia proprio
davanti alla porta trovò quella ragazza con i capelli rossi ribelli seduta con
le gambe incrociate. Lo Stub battuto da una ragazzina. Si sentì montare addosso
la rabbia mischiata a qualcos’altro a cui non riusciva a dare un nome.
-Ciao
Stub. – lo salutò Anna.
Lo
aveva riconosciuto. E stava lì davanti a lui. Non era lei che aveva intenzione
di fuggire, anzi sembrava del tutto intenzionata a restare su quella sedia. Non
aveva paura.
-Non
hai paura di me? – domandò lui entrando.
Lei
si alzò. – Dovrei? -.
Non
era abituato ad essere trattato in quel modo Stub. Che cosa avrebbe dovuto
pensare di quella ragazza che stava davanti a lui, che non lo giudicava e che
lo aveva riconosciuto? Sorrise ammiccando, fu il meglio che gli riuscì in quel
momento. – E brava bambina mi hai riconosciuto. -.
Lo
sguardo di lei si fece minaccioso e un attimo dopo la sua mano stava facendo
forza su un nervo del braccio di lui. – Non chiamarmi “bambina”, killer. – poi
lo lasciò.
Stub
adesso provava un certo rispetto per quella ragazza, che però si impose di
mascherare stringendo a sua volta il braccio di lei. – Attenta a chi dai gli
ordini ragazzina. -.
-Perché
se no che fai, killer, mi uccidi col passepartout? – gli lanciò uno sguardo di
sfida, che lui ricambiò prima di lasciarla andare.
Lei
si massaggiò il braccio. – E dimmi, per quale dei miei “amati” parenti ti sei
preso la briga di venire fin qui? -.
-Non
sono qui per commettere un omicidio. -.
-Questo
lo vedo. – commentò lei. – Non hai uno straccio di arma. -.
-Sai
questa casa è piena di armi improprie. – la voce di lui si fece minacciosa
mentre la riafferrava.
-Cosa
sarebbe questa, una minaccia? -.
-E
se anche lo fosse? -.
Sorrisero
entrambi. Stub pensava di aver trovato qualcuno degno della sua stima e lei
aveva capito subito che il ragazzo che aveva davanti era diverso da tutti gli
altri. Prevedibile come tutti gli altri, ma diverso.
-Sarebbe
un problema. – rispose alla fine lei.
-Per
me o per te? – strinse la presa guardandola dritto negli occhi.
-Per
entrambi ho il dubbio. – quella volta fu lei a liberarsi.
Poi
sentirono un rumore. Una chiave che girava in una serratura. – Vogliono vedere
me. – spiegò Stub.
-Devo
andare. – disse Anna che aprì la porta sul retro. – Tu non mi hai mai vista. -.
-Puoi
fidarti. – gli assicurò lui.
Anna
fece per uscire quando si voltò. – Sai non sei male come ti descrivono in
televisione. – e chiuse la porta prima di dargli la possibilità di ribattere.
Era
fatta così. Voleva avere sempre l’ultima parola.
La
porta si riaprì dietro di lei. – Lo so. – sentì la voce di Stub alle sue
spalle.
Era
fatto così. Voleva avere sempre l’ultima parola.
A
quel punto Anna corse via. Voleva raggiungere Sveva per chiederle il senso di
quella giornata che era stata maledettamente diversa da tutte le altre. E che
non era ancora finita.
Raggiunse
casa della sua amica che nel frattempo era venuta a conoscenza di quello che
era successo. Appena la vide spuntare nel vialetto le corse incontro
abbracciandola.
-Anna!
– esclamò. – Ho avuto tanta paura per te. -.
-Beh…
- ammise l’amica. – In effetti anch’io ho avuto tanta paura per me. -.
Sorrisero
entrambe.
-Che
meschini tutti a non muovere un dito per salvarti. – commentò Sveva mentre la
faceva entrare.
Anna
scosse la testa, facendo segno che non voleva parlarne. Sveva la condusse in
camera sua, dove di solito si volgevano le chiacchiere tra di loro.
-Non
è stato quello l’evento clou della giornata. – le confessò Anna. – Dopo sono
andata via e sono andata a casa dei miei zii. E indovina un po’ chi c’era? -.
Sapeva
perfettamente che l’amica non avrebbe mai indovinato quindi riprese. – C’era
Stub. -.
Sveva
lanciò un grido a quelle parole. Sembrava sconvolta, soprattutto di vedere il
sorriso soddisfatto dell’amica. – Anna, lui è un killer. -.
-Lo
so. – commentò lei. – Ed è anche un tipo interessante. – questo però lo disse
sottovoce.
-Che
ti ha fatto? – Sveva non aveva sentito le ultime parole dell’amica.
Anna
non poté fare a meno di liberare un sorriso sul suo volto. Sveva avrebbe anche
potuto immaginare… ma non sarebbe mai riuscita a indovinare.
Stub
fece il suo ingresso in salotto sorprendendo tutti. C’era tutta la famiglia in
salotto. Tutti meno Federico che era andato a chiudersi in camera sua.
Ripensava
all’incendio e il suo senso di colpa aumentava: Anna avrebbe potuto morire e
lui non aveva mosso un dito per salvarla. Lui che credeva di voler bene alla
cugina, lui a cui la cugina voleva bene. Tutti avevano detto che era lei che
era stata ingiusta con loro, insomma che cosa si aspettava che facessero? Ma
Federico si rendeva perfettamente conto che non era stata per niente ingiusta,
anzi ammirò il self control di Anna. Lui sarebbe diventato una bestia se i suoi
parenti non avessero mosso un dito per aiutarlo in un momento critico come quello.
E ripensò all’astio con cui erano state dette quelle parole, quasi come se a
molti fosse dispiaciuto vederla ricomparire.
“No
Fede.” pensò. “Sono solamente tue impressioni. Non è possibile, è stato
solamente un terribile incidente. Nessuno aveva programmato nulla del genere.
Era la Comunione di Mattia, non avrebbe avuto senso.”.
Eppure
quel pensiero si faceva sempre più strada nella sua testa: che tra la sua
famiglia e Anna non c’erano buoni rapporti non era una novità per nessuno,
anzi. Però non sapeva perché aveva sempre attribuito la cosa alla genetica più
che al libero arbitrio.
Tuttavia
la porta di Anna era stata chiusa dall’esterno. Come poteva spiegarlo? Si disse
che non c’erano solamente loro presenti quel giorno. C’era un sacco di altra
gente che aveva motivo di essere ostile nei confronti di Anna. E comunque non
voleva dire nulla, i due fatti non dovevano essere per fora collegati. Ma
quest’ultima cosa convinceva poco anche lui. Mentre passeggiava avanti e
indietro per la sua camera con questi problemi fu distratto da delle voci
provenienti dal salotto. Riconobbe quella di sua sorella, quella dei suoi
genitori e quella di Mattia. Ma con loro c’era un’altra persona di cui
conosceva la voce, ma non riusciva a capire chi fosse. Uscì dunque
silenziosamente dalla camera e si affacciò dalle scale, nascondendosi. Non era
sicuro che la sua partecipazione sarebbe stata gradita.
Riconobbe
subito chi era seduto sul divano di casa sua. Stub, quel demonio che compieva
omicidi che spesso erano attribuiti solamente a cause indefinite. Che ci faceva
seduto sul divano a parlare col resta della sua famiglia?
-Anna
è sfuggita! – esclamò Lavinia, arrabbiata.
-Sì,
lo so, tesoro. – le rispose suo padre tentando di calmarla. - È per questo che
Stub è qui. Per accertarsi che l’errore non si ripeta. -.
Stub
dubitava che quella ragazza dai capelli rossi si sarebbe fatta uccidere tanto
facilmente. – Perché la volete morta? – domandò, tentando di farla sembrare una
domanda puramente professionale.
-Perché
lei è l’erede universale di una delle famiglie più ricche del pianeta, ma
ancora non lo sa. – spiegò la madre di Federico. – La famiglia si è estinta ed
è stato mandato un messo per avvertire Anna. Ora il punto è che quella famiglia
oltre a conoscere bene Anna conosceva bene anche la nostra Lavinia e quindi… -.
-E
quindi credete che una volta morta lei tutta l’eredità passi a vostra figlia. –
concluse Stub per lei. – Chiaro. – sospirò e posò il bicchiere di spumante che
gli era stato offerto. – Il mio lavoro qui è inutile. -.
Lavinia
si adirò. – Che cosa? -.
-Lascia
che ti spieghi una cosa moretta. – cominciò Stub, bevendo un ultimo sorso di
spumante. – Io lavoro per gente importante, le questioni ereditarie non mi
interessano. Per quelle ognuno può prendersi le proprie responsabilità, se
capisci cosa intendo. Inoltre sarebbe molto più semplice mandare a rapire il
messo. -.
-Il
messo è inutile. – lo contraddisse il padre di Lavinia.
-Il
messo è l’unica persona di ostacolo tra voi e l’eredità. – spiegò Stub. - È
l’unico che può testimoniare contro di voi in caso io uccida questa ragazza. -.
-Ritieni
più saggio uccidere il messo? -.
-Ritengo
più saggio non uccidere affatto. Uccidere il messo, allora sì che la colpa
ricadrebbe su di voi. -.
Lavinia
gli lanciò uno sguardo di sfida. – Ma tecnicamente sarai tu il colpevole. -.
-Sì,
di quell’omicidio come di molti altri. E guarda un po’ morettina, io sono
ancora libero, la metà di quelli che mi hanno commissionato i lavori invece sono
finiti in carcere perché non seguivano i miei consigli. -.
Il
padre di Lavinia prese quella per una minaccia personale. – Signor Stub! Io la
pago per fare quello che dico io. Uccida Anna e prenda quella lettera, con o
senza il messo. -.
Stub
sospirò: avrebbe potuto tirarsi indietro? Alla fine non c’era nessun motivo per
non accettare. Lui li aveva messi al corrente dei rischi che correvano. Era
stato onesto. Era il suo modo di lavorare. – Come si chiama il messo? -.
-Geremia.
– fu Mattia a rispondere.
Il
mondo crollò addosso a Federico. La prima cosa che pensò fu che doveva far
fuggire Anna immediatamente, prima di subito. Era sulla lista nera di Stub, e
di solito la lista di Stub era la via più veloce per la lista del becchino. Si
mosse tuttavia troppo bruscamente e urtò un giocattolo di Mattia, che cadde
dalle scale.
-Cos’è
stato? – saltò su sua madre.
Stub
incrociò lo sguardo di Federico. E decise di non tradirlo. – Probabilmente
niente. – rispose Stub, ancora fissandolo negli occhi. – Dov’è il bagno? –
domandò poi.
-Di
sopra. Vai pure se vuoi. -.
E
quindi cominciò a salire le scale, nuovamente come un’ombra. Mentre lui saliva
Federico si era messo al riparo in camera sua. Chiuse la porta di camera
sospirando di sollievo, fissandola. Poi si voltò dall’altro lato e quasi svenne
nell’incrociare nuovamente lo sguardo del killer, comodamente seduto sul suo
letto.
-Come
fai… eri lì… ora sei qui… -.
-Oh,
io sono qui, sono lì, io sono ovunque. – rispose Stub. – Sono l’incubo che
contorce le menti, sono l’ombra dei morti che vivono. Sono l’ansia contenuta in
un respiro, sono il terrore diffuso dal vento. Sono quello che renderà i tuoi
prossimi giorni un inferno, sono il tuo fantasma. Sono quello che temerai da
oggi, sono il tuo problema numero uno. – fece una pausa e abbandonò il tono
intimidatorio. – Tua cugina è in gamba. E anche tu sembri esserlo. Vi darò 3
giorni di vantaggio, non uno di più. – dettò queste condizioni e uscì dalla
camera.
Pensò
di essere stato ridicolo all’inizio però in quel modo aveva fatto paura a
Federico abbastanza perché si muovesse a portare via di lì la cugina.
Federico
dal canto suo era rimasto in camera senza parole, impalato e sgomento. Si
sentiva tradito dalla sua famiglia. Ma in quel momento non aveva il tempo di
piangersi addosso. Doveva avvisare Anna. Avevano 3 giorni di vantaggio. Non uno
di più.
L’angolo
della Matrix
Eccomi
qui tornata con questo nuovo capitolo dove finalmente entra in scena il “cattivo”
se così vogliamo chiamarlo: Stub. Che non sarà il solito personaggio che è
cattivo perché, poverino. è incompreso. No. La nostra Anna sarà alle prese con
un cattivo degno di questo nome. Un cattivo complesso, senza alcun dubbio. Ma
comunque cattivo.
Spero
che questo capitolo vi sia piaciuto!!!
Passo
adesso a ringraziare _sefiri_: grazie!!! Sono contenta che ti sia
piaciuto come inizio! Spero davvero che tu abbia gradito anche questo capitolo!
Bacione!
Le onde del mare provocavano quel rumore rilassante che si
mischiava alla musica della festa sulla spiaggia, mentre la luce della luna era
coperta dalle luci psichedeliche e stroboscopiche che ballavano sinuose al
ritmo della musica. Il vento taceva.
Anna e Sveva si stavano
divertendo un mondo. O almeno Sveva si divertiva e tentava di far divertire
Anna.
-E dai, Ann! – la esortava. – Vieni a ballare! -.
-No, Sveva. – rispose lei. – Io non ballo. – finì di bere
il suo cocktail.
-E come mai no? – sentì una voce alle sue spalle.
Si voltò all’improvviso, per
vedere il sorriso di Geremia. La fece sobbalzare. Non se lo aspettava. Ma lei
era di ghiaccio. Non poteva cedere a quel sorriso, quindi cercò di contenersi.
-Non mi piace. – rispose. Possibile che non fosse proprio
in grado di inventarsi qualcosa di meglio?
Geremia sorrise ancora di più. –
Una ragazza a cui non piace ballare. Dovevo ancora trovarla. – commentò. –
Magari riesco a fartelo piacere. -.
La afferrò per la mano e a
trascinò nel mezzo della pista. Il volto di Anna diventò del colore dei suoi
capelli. – Che cosa…? Fermo! Sei impazzito? -.
E la musica improvvisamente
cambiò.
Tutti quanti fecero largo a loro
due sulla pista.
-Geremia, che cosa…? -.
Il DJ prese la parola. – Questa
è per Anna. – la indicò. Anna se possibile diventò ancora più rossa. – È opera
tua questa? – domandò furiosa. Ma la musica partì. E il coro cominciò a
cantare.
E, troppo sorpresa per tentare
qualsiasi tipo di ribellione, Anna seguì quello che faceva Geremia, il quale
aveva preso la sua mano, e con l’altra le cingeva il fianco. E cominciò a farla
ballare, avanti e indietro, avanti indietro, tra salti e giravolte.
So she said
what's the problem baby
What's the problem I don't know
Well maybe I'm in love (love)
Think about it every time
I think about it
Can't stop thinking 'bout it
How much longer will it take to cure this
Just to cure it cause I can't ignore it if it's love (love)
Makes me wanna turn around and face me but I don't know nothing 'bout love Come on, come on
Turn a little faster
(la fece
arrotolare sul suo braccio e poi facendola girare la liberò) Come on, come on
The world will follow after
Come on, come on
Cause everybody's after love
Con grande
sorpresa di Anna, cominciò a cantare Sveva: So I said I'm a snowball running
Running down into the spring that's coming all this love
Melting under blue skies
Belting out sunlight
Shimmering love
Geremia si
avvicinò al bancone cominciando a cantare e le offrì un gelato alla fragola,
che lei provò ad addentare prima di tornare in pista:
Well baby I surrender
To the strawberry ice cream
Never ever end of all this love
Well I didn't mean to do it
But there's no way escaping your love
These lines of lightning
Mean we're never alone,
Never alone, no, no
Coro:
Come on, Come on
Move a little closer
(la tirò a
sé, mentre lei aveva cominciato a ridere) Come on, Come on
I want to hear you whisper
Come on, Come on
Settle down inside my love
Come on, come on
Jump a little higher
(la sollevò
per aria facendola girare) Come on, come on
If you feel a little lighter
Come on, come on
We were once
Upon a time in love
We're accidentally in love
Accidentally in love [x7]
Accidentally
E ballavano e
roteavano e sembrava che nulla esistesse oltre a loro
I'm In Love, I'm in Love,
I'm in Love, I'm in Love,
I'm in Love, I'm in Love,
Accidentally [x2]
Come on, come on
Spin a little tighter
Come on, come on
And the world's a little brighter
Come on, come on
Just get yourself inside her
Love ...I'm in love
Finirono quel ballo
guardandosi dritti negli occhi e quella volta Anna proprio non ce la fece a
trattenere un sorriso mentre intorno a loro scoppiava un applauso.
-Allora la donna di ghiaccio sorride ogni tanto. –
commentò Geremia.
-Non ti ci abituare. – Anna alzò un sopracciglio,
cercando di darsi un tono, senza però avere molto successo.
Geremia alzò le mani in segno
di arresa poi la afferrò per un braccio e tornò serio. – Devo parlarti. – le
disse.
Anna però non ce la fece a
tornare seria e mantenne il sorriso. – Se è importante non stasera. – liquidò la
faccenda.
-Anna è importante e potrebbe non esserci tempo per… -
non fece in tempo a finire la frase perché Anna non lo stava più ascoltando:
aveva concentrato la sua attenzione su un’altra persona che si era avvicinata a
loro con aria stravolta.
Scosse la testa con aria
interrogativa. – Fede che diavolo ti è successo? -.
Il cugino non aveva il
fiatone. Era abituato a correre e a sopportare la fatica quindi Anna si chiese
cosa mai gli fosse successo. – Stub. – riuscì a dire solamente.
Anna lanciò uno sguardo
sospettoso a Geremia che l’aveva afferrata. - È importante Anna. Devo parlarti!
-.
-Non adesso! – lei si liberò, prendendo Federico. –
Vieni. -.
Federico lanciò uno sguardo a
quel ragazzo e non sapendo il suo nome non poteva riconoscere in lui il messo
che avrebbe dovuto dare la notizia alla cugina. Quindi non si fece ripetere l’invito
di Anna e andò via con lei.
3 giorni dopo
La stanza di Stub avrebbe
potuto passare benissimo per quella di un qualsiasi adolescente. Un letto
rigorosamente disfatto con sopra rigorosamente vestiti sparpagliati, il
pavimento coperto di libri, scarpe e CD creati da lui con musica rigorosamente
scaricata. L’armadio mezzo vuoto in attesa di essere riordinato, come la
libreria. L’unica cosa ordinata era la scrivania, con un computer e altre
strane attrezzature che solamente lui sapeva usare. Anzi che solo lui sapeva
cosa fossero.
Lui, Stub, se ne stava disteso
sul letto cercando di formulare un piano mentalmente. Era già il terzo giorno e
quello che sapeva era che la rossa era già stata avvertita ma non aveva parlato
col messo. Aveva fatto di tutto per impedirlo. E adesso era il momento che il
messo uscisse di scena.
-Masky! – urlò.
Masky stava per Maschera di
Bronzo, il rapitore più famoso del mondo. Nemmeno a farlo apposta era suo
fratello. Si chiamava in questo modo perché durante le sue missioni indossava
una maschera, ovviamente non di bronzo. Si faceva chiamare così perché Masky
era pienamente convinto che un nome del genere facesse più scena… e chi era
Stub per togliere questa piccola soddisfazione al fratellino?
-Masky! Vieni subito qui! -.
La porta si aprì ed entrò un
bambino di 8 anni, della statura giusta per la sua età, con i riccioli mori e
gli occhi neri, diversi da quelli del fratello. – Stub pensi di morire se
rimetti un po’ in ordine? – domandò Masky cercando di raggiungere il fratello
saltellando su quelle poche porzioni di pavimento rimaste.
-Sì, in effetti. – rispose Stub. – Non ti ho chiamato
qui per farmi dire quello che devo o non devo fare in camera mia! -.
Masky lo guardò stortissimo. –
No, ma ne hai seriamente bisogno. – replicò.
Stub sospirò. – Devi rapirmi
un messo. – spiegò decidendo di far cadere l’altro argomento. – Non posso lavorare
con quello fra i piedi. -.
-Ascolta tu sai che ho un buon cuore, molto generoso. Un
grande cuore… -.
-Di grande nel tuo cuore c’è solamente la cassaforte. –
commentò Stub. – Il lavoro che ti sto dicendo di fare non vale più di 100 euro.
Fatteli bastare. – glieli porse.
Masky li afferrò. – Cercherò.
In fondo sono un uomo d’affari. -.
E proprio in quel momento da
una delle stanze accanto si levò una voce. – Masky tesoro! È l’ora del bagnetto!
E ci sono anche le paperelle! -.
Sul volto di Stub si dipinse
un sorriso di evidente trionfo.
-Mamma! – si lamentò Masky. – Sto facendo il gradasso
con Stub! Hai rovinato tutto! -.
-Scusa tesoro. – si scusò, con il tono di chi sta
aspettando impazientemente. – Adesso vieni, ché l’acqua si raffredda. -.
Stub sorrise ancora di più, e
Masky lo fulminò con lo sguardo. – Ehy, bello! – sbottò. – Io il bagnetto lo
faccio nell’oro, intesi? E per essere chiari le paperelle sono di diamante. -.
-Certo. – disse Stub mentre il fratellino usciva.
E ancora sorridendo ricadde
disteso sul letto. – E adesso a noi due, rossa. -.
Quella sera Masky si mise
seriamente al lavoro. Era sera tardi e ovunque regnava il buio. Si era appostato
vicino a casa di Geremia e aspettava che lui rientrasse a casa dall’ennesimo
tentativo fallito di avvertire Anna. Quando lo vide avvicinarsi Masky cominciò
a piangere sonoramente. Lo sapeva che prima o poi quel corso di recitazione che
aveva frequentato due anni prima gli sarebbe servito a qualcosa.
E Geremia, da quel buon
samaritano che era, ci cadde in pieno.
-Ciao bambino. – lo salutò, con sorriso benevolo. –
Perché piangi? -.
-Mi sono perso. – finse Masky.
-Non ti preoccupare. Ti aiuto io a ritrovare la strada
di casa. -.
Masky lo guardò dubbioso. – Ma
lei è uno sconosciuto. -.
Geremia a quelle parole si
frugò nelle tasche e trovò un leccalecca alla Coca Cola, e lo porse al bambino.
– Questo potrebbe aiutarti a rendermi meno sconosciuto? -.
Masky guardò prima il
leccalecca, poi Geremia, poi di nuovo il dolcetto e lo afferrò avido. – Sì. –
rispose. – Decisamente sì. -.
Quindi Masky disse che forse
si ricordava la strada. Cominciò a camminare seguito da Gemia, finché non
arrivò davanti ad un vecchio casolare abbandonato.
-Io abito qui! – esclamò, fermandosi.
L’altro era molto dubbioso. –
Sei sicuro? A me non sembra una costruzione abitabile. -.
Fu in quel momento che Masky
indossò la sua maschera. – Infatti non lo è. -.
Pestò un piede a Geremia che
non se lo aspettava e poi ne approfittò per mollargli un gancio, dritto sulla
faccia. Geremia più per la sorpresa che per altro perse l’equilibrio e cadde,
battendo la testa. Perse i sensi. Dal casolare spuntò un altro uomo che prese
Geremia in braccio. Era il pilota del jet di Masky, a cui furono dare le
cooridnate di quella che sarebbe stata la prigione del povero biondo.
-Mi raccomando. Quello è l’unico posto dove non si
sognerebbero mai di andare a cercarlo. Il capo è mio amico; digli che il
prigioniero va tenuto sottochiave giorno e notte. Guai a lui se lo fa fuggire. E
guai a te se non porti a termine la missione. -.
E poi scomparì nel buio,
sicuro di aver fatto un buon lavoro, come al solito.
Anna era rimasta a dir poco
sorpresa quando aveva scoperto la notizia. Non pensava che i suoi parenti
potessero arrivare a tanto. Ecco, gli stavano guastando le vacanze!
Era il terzo giorno e Federico
aveva messo su un piano che Sveva definiva geniale. Anna la definiva una
perdita di tempo: per lei, per Stub e soprattutto per il suo mare e il suo
surf.
Cercò in ogni modo di opporsi.
Disse che avrebbe parlato con Stub, che lui non l’avrebbe mai uccisa, che non
era come credevano, ma Federico non aveva voluto sentire storie.
-È un demonio. – lo aveva definito.
-Non è un demonio. – protestò Anna.
-Anna, vuole ucciderti. -.
-Se avesse voluto farlo non mi avrebbe dato 3 giorni. –
replicò lei.
Federico a quel punto si era
veramente arrabbiato e l’aveva sollevata. – Tu sei libera di non essere d’accordo
con il mio piano Anna. Ma se pensi che me ne starò con le mani in mano mentre
tu rischi in questo modo la tua vita! -.
Al che Anna aveva risposto: -
L’hai già fatto una volta mi pare. -.
E Federico si era arreso.
Ma Anna alla fine aveva
acconsentito a partire per la località che Federico aveva prescelto.
Era appunto sull’aereo che
ripensava a quelle cose. Sveva era accanto a lei, Federico nel seggiolino
dietro.
-Quello che non capisco. – cominciò Anna. - È perché non
abbiamo parlato con Geremia prima di metterci in viaggio. -.
-Non ci abbiamo parlato perché non ci è stato possibile.
– spiegò Federico. – Stub aveva detto che lo avrebbe tolto di mezzo. Anzi, non
mi stupirebbe che Stub in questo momento sia su questo aereo. -.
A quel nome il vicino di Federico
lo guardò malissimo.
-La tua è paranoia. – concluse Anna. – E non vedi che
spaventi gli altri passeggeri? -.
-Basta così. – intervenne Sveva. – Adesso Anna andremo
nell’unico luogo dove Stub non si sognerebbe mai di andare a cercarti. -.
Anna tornò a guardare fuori
dal finestrino. – Bene. – sbottò. – Ma spero per voi che si tratti di un posto
normale. -.
L’angolo della Matrix
Prima di qualsiasi altra cosa
dico che la canzone inserita è “Accidentally in Love” dei Counting Crows.
E come potete vedere, come in “In
the Summertime”, sono tornate le canzoni cantate dai personaggi… la
storia-musical per intenderci… e temo che dovrete sopportarmi, perché è un mio
vizio quello di infilare canzoni ovunque…
Passando alla storia… ma dove
saranno diretti Anna e i suoi amici? Lo scoprirete nella prossima puntata!!!
Muahahahah!!!
E adesso i ringraziamenti!!!
-Lallix: carissima!! Grazie mille! Sperò
che continuerai a seguire questa storia e che ti piacerà come “In the
Summertime”!!! Perfezione? Continuo a dirti che sei troppo gentile! Grazie! E
Buone Vacanze anche a te!!! Bacione!
-tutumany:grazie!! Sono contenta
che la storia ti sia piaciuta e spero che continuerà a piacerti.Buone
vacanze anche a te! Bacione!
-_sefiri_:grazie mille! Ti
intriga? Sono contentissima!!! Spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo.
Bacione!
Anna non ci poteva credere. In
Brasile. L’avevano portata in Brasile senza dirle nulla.
-E questo vi sembra un posto normale? – saltò su lei,
infuriata.
-Stai tranquilla, Ann. – cercò di rassicurarla il cugino. –
Te l’ho detto, Stub non verrebbe mai a cercarti qui. -.
-Nessuno con un po’ di sale in zucca verrebbe a cercarmi
qui. – ribatté lei.
Federico lazò gli occhi al
cielo, rassegnato, mentre Sveva cercò di convincere Anna di quanto fosse stata
sensata quella scelta. – Andremo in un paesino vicino alle cascate dell’Iguaçu,
hai presente? -.
-E un paesino credi che sia un luogo sicuro? – domandò
Anna.
-No. – rispose l’amica. – Infatti non è quel paese la nostra
ultima destinazione. Siamo diretti presso una tribù di indiani e resteremo lì
per un po’. -.
-Indiani? – ripeté Anna sconcertata.
-Indiani. Chi penserebbe mai di venire a cercarti lì? -.
Arrivarono finalmente nel paese
e ad attenderli c’erano i tre cavalli… sempre che tre ronzini potessero essere
definiti cavalli. Con loro c’era un uomo dall’aspetto non certo migliore delle
3 bestie. – Questi sono i miei 3 cavalli migliori. – biascicò in un inglese che
lasciava molto a desiderare. – Carl, Frank e Anthony. -.
Nello sguardo che Anna rivolse
loro vi era tutta la pietà di cui la ragazza era capace, mentre pensava a
quanto si sarebbe sentita più a suo agio sul suo surf (che manco a dirlo si era
portata dietro) piuttosto che su un ronzino con le mosche che volavano
indisturbate sulla sua testa.
Ma non era l’unica diretta in
Brasile…
Stub e Masky erano sul loro jet
privato e Stub stava chiedendo a suo fratello dove avesse fatto portare
Geremia.
-È un posto sicuro. – assicurò Masky. – L’ho fatto portare
in una tribù di indiani, sperduta, vicino alle cascate dell’Iguaçu.
Stub che stava bevendo un
aperitivo tossì forte fino a sputarlo. – Quella tribù? -.
-Perché? – un dubbio assalì la
mente di Masly. – Non ci stiamo dirigendo lì, vero? -.
-Sì! – sbottò Stub. – Maledizione!
Proprio lì doveva portarla suo cugino? -.
-Ecco vedi? Non sai fare niente!
– lo accusò il piccoletto. – Che tonto! Non sai neanche gestirti le vittime! -.
Se
avesse avuto tempo Stub avrebbe dato al fratello una bella lezione di rispetto,
ma adesso aveva altri problemi a cui pensare. Ma si dovette ricredere: il suo
fratellino era più organizzato di quanto pensasse. – Ci penso io. – cominciò
lui. – Mentre tu eri addormentato io ho fatto svolgere delle ricerche da dei
contatti che ho in Brasile. Il soggetto si sta spostando a cavallo di un
ronzino, insieme ad altre due persone, suo cugino e la sua migliore amica,
Sveva. Non sarà una cosa difficile: io trattengo i due accompagnatori e tu te
la vedrai con lei. – si sistemò il paracadute.
Stub
seguì il suo esempio. – E così sia. – accettò il piano del fratello minore.
Aprì
il finestrino ed entrambi saltarono di sotto.
Federico
aveva preparato il fuoco, Anna i giacigli per dormire e Sveva stava cucinando,
mentre di documentava su quelle magnifiche cascate.
-Lo sapevate che le cascate
dell’Iguaçu hanno 275 salti che cascano giù da uno strapiombo largo 3 km? – ma
non attese la risposta e continuò a leggere dalla sua guida. – Il salto più
imponente è la Garganta do Diablo, che in italiano letteralmente sarebbe la
“Gola del Diavolo”. Raccoglie in sé 14 cascate ed è alta 90 metri. Ma non è
tutto. -.
-Illuminami. – Federico si stava
facendo interessato.
-Sul fondo il getto d’acqua è
così potente da formare un arcobaleno perpetuo. Non è magnifico? -.
-Certo. – commentò acida Anna. –
Soprattutto se per qualche motivo ti dovessi trovare nella situazione di dover
saltar giù di lì. -.
-Non c’è nessun motivo per cui
dovremmo trovarci in quella situazione. -.
Ma
Anna non ne era convinta. Sentiva dentro di sé come un presentimento, che non
era né bello né brutto. Era solo angosciante. Federico si accorse che erano a
corto di legno da ardere. – Io e Sveva andremo a cercarne un po’. Anna mi raccomando.
Non muoverti da qui e se dovesse accadere qualcosa, urla. -.
Anna
annuì: non aveva bisogno di queste raccomandazioni sapeva di essere
perfettamente in grado di cavarsela da sola. Si sedette sulla riva del fiume,
dalla quale si mise ad ammirare le cascate non poi così lontane. Dovette ammettere
che il panorama era meraviglioso e che forse alla fine ne era valsa la pena di
arrivare fin lì.
Federico
e Sveva nel frattempo si erano inoltrati nella foresta e la loro attenzione fu
presto catturata da uno scoiattolo dal pelo brillante, marroncino, fulgido e
morbido. Un bellissimo scoiattolo. Lo scoiattolo sembrò notare la loro presenza
e fuggì. Sveva e Federico lo inseguirono per un po’, giusto il tempo che ci
misero per capire che si erano persi.
-E adesso? – la voce di Sveva si
era fatta preoccupata. – Anna è da sola. -.
-Credo che in questo momento
siamo più in pericolo noi di lei. -.
-Come mai? –.
-Perché dietro di te c’è
Maschera di Bronzo. -.
Anna
era ormai immersa nell’acqua fino alle ginocchia guardandosi intorno per paura
di veder comparire qualche animale pericoloso, quando sentì dei passi provenire
dietro di lei, e come chiunque avrebbe fatto pensò che fossero Federico e Sveva
di ritorno.
-Finalmente! – esclamò. – Ancora
un po’ e avrei finito per credere che vi eravate persi! -.
-Ho capito che non eri come le
altre dal primo momento che ti ho vista. Ma non pensavo che saresti mai arrivata
al punto di aspettarmi. -.
La
voce non era quella di Federico né tanto meno quella di Sveva. Si voltò
lentamente e uscì dall’acqua tenendo gli occhi puntati in quelli di Stub. – E così
mi hai trovata. – sorrise amaramente.
-Ne dubitavi forse? -.
-Lo speravo. – ammise lei.
Stub
le si avvicinò. – Che ti trovassi o che non lo facessi? -.
Guardava
i capelli di lei al vento e le si avvicinò. Anna era ferma, immobile, perché
sapeva che non era finita. Stub si avvicinava sempre di più fino ad arrivare a
meno di 5 cm da lei.
E
allora successe quello che mai Stub si sarebbe aspettato: Anna lo abbracciò. –
Che lo facessi. – ammise con tono sincero. Stub era troppo sorpreso per
rendersi conto che lei stava stringendo troppo e prima che potesse fare
qualcosa per impedirlo si trovò scaraventato in acqua e Anna si diede alla
fuga, sperando di seminarlo.
Ma
Stub era veloce e stava sempre dietro di lei. Corse fino ad un precipizio, proprio
sulla Gola del Diavolo. Si fermò, un po’ per riprendere fiato, un po’ per pensare
velocemente al da farsi.
E
Stub la raggiunse puntandole addosso la sua mitraglietta UMP45 della Heckler e
Koch.
Anna
chiamò a gran voce Sveva e Federico.
-Non possono risponderti. – spiegò
Stub, offeso per il comportamento di lei. – Non più ormai. -.
Anna
impallidì. Era tra due fuochi. Da una parte il precipizio. Dall’altra Stub.
E il
vento continuava a soffiarle fra i capelli.
L’angolo della Matrix
Allora prima di tutto mi scuso per gli eventuali errori (o
orrori) di ortografia, ma proprio non ce la faccio a ricontrollare. Quindi
chiedo perdono in anticipo.
Spero che questo capitolo, anche se breve, vi sia piaciuto!!!
Fatemi sapere che ne pensate.
Passiamo ora ai ringraziamenti:
-Tigerlily: grazie mille!!! Tifi per Stub?
Anch’io. Lo sai che mi piace molto come personaggio. Sono contenta che ti
piaccia Anna!!! Nuuu… perché paura??? In fondo sono una ragazza
prevedibilissima xD… per esempio metto canzoncine ovunque!!! Ci vediamo
domani!!! Bacione!
-Aila: grazie mille!!!! Spero che
continuerai a leggere e che continuerà a piacerti!!! Fammi sapere! Bacione!
-DamaArwen88: grazie mille anche a te!!! Come
vedi ho aggiornato il prima possibile! Sono contenta che Anna e Stub ti
piacciano… a Stub poi tengo tantissimo (chissà poi perché…) quanto a Masky,
beh, in un certo senso mi ricorda la piccola Minerva… non la ricorda troppo
vero? Sono felice che mi abbia aggiunta tra i contatti!! Posso chiederti un
favore? Mandami un messaggio istantaneo, perché il mio msn è spastico e non mi
visualizza le richieste. Se mi mandi un messaggio istantaneo posso aggiungerti
anch’io, così magari ci sentiamo! Bacione!
-Lallix: grazie mille!!! Ebbene mi
sembra di capire che tu tenga per Geremia… sarai felice di sapere allora che
Geremia non è un personaggio inventato da me, o almeno non del tutto. Quanto al
musical… fai musical??? Bellissimo!!! Sarebbe piaciuto tanto anche a me… invece
ho preso un ramo della musica diverso dal musical (ma non poi così tanto): la
lirica. Attendo con ansia una tua recensione!!! Bacione!!!
Grazie anche a tutte coloro che
mi hanno aggiunta tra i preferiti.
Il rumore delle cascate copriva
qualsiasi suono e in un certo qual modo faceva da sottofondo musicale alla
tensione che si era creata in quel luogo sperduto.
Scrosssssh facevano le cascate…
Per la prima volta Anna credette
che tutto fosse finito, che in quel gioco pericoloso fosse giunta al game over.
Ma c’era sempre un’altra scelta: poteva saltare.
Scrossssssh facevano le cascate…
Ruotò per vedere il precipizio,
il vuoto, l’acqua e la probabile morte che l’attendeva.
Scrosssssh facevano le cascate…
Nel farlo inciampò. Anna perse
l’equilibrio.
Aaaaaaah..
Il suo urlo quasi si perdeva nel
rumore dei getti d’acqua.
Ma non raggiunse mai l’acqua.
Qualcuno l’aveva velocemente afferrata per il polso. Incrociò quegli occhi così
profondi che appartenevano a lui che l’aveva presa al volo. A lui che invece
avrebbe dovuto lasciarla cadere.
-Non ti lascio. – la raggiunse la voce di lui.
Anna sapeva che era troppo
tardi, che lui si era sporto troppo e nel tempo di un lampo si ritrovarono tutti
e due a precipitare. Ma erano insieme.
Splash.
Anna e Stub cominciarono a lottare contro la forza della
corrente per tornare a galla, dopo essersi tuffati da quell’altezza che a molti
avrebbe fatto paura: la corrente però era disgraziatamente molto più potente di
loro. Anna non poteva credere che l’acqua, il suo elemento la tradisse in quel
modo… non era il suo mare, va bene, ma si aspettava un po’ più di
collaborazione dall’acqua che tanto amava. Si guardò intorno e vide una cosa
che le riaccese la speranza. Strinse la mano a Stub e gli indicò una grotta,
proprio dietro la cascata.
Stub le fece cenno che era matta, che non poteva
minimamente sperare di riuscire ad attraversare la cascata, che il getto era
troppo forte e l’avrebbe schiacciata.
Ma Anna non demordeva, convinta della sua tesi. Lasciò la
mano di Stub e nuotò verso il basso, cosa tra l’altro facilitata dalla
corrente, poi arrivata quasi sul fondo circumnavigò la cascata, che sul fondo
non aveva più abbastanza forza per risucchiarla.
Quando Stub si accorse che forse forse l’idea non era
folle come credeva e in mancanza di fiato e di un’idea migliore si decise a
seguirla. Entrò nella grotta e vide che lei aveva già preso fiato e con due
bracciate veloci la imitò.
-Ce la siamo vista brutta, eh? – domandò ad Anna, quando
ebbe riempito i suoi polmoni d’ossigeno, cercando di sdrammatizzare.
Ma si accorse che Anna non aveva nessuna voglia di
sdrammatizzare, ma, anzi, i suoi occhi erano serissimi. – Perché lo hai fatto?
– domandò lei.
-Cosa? -.
-Perché mi hai ripresa? -.
Stub distolse lo sguardo. – Un grazie può bastare. -.
-Stub guardami! Perché? Tu dovresti… dovresti…-.
-E chi ti dice che non lo farò? -.
-Mi avresti lasciata cadere. -.
-In realtà dopo lo scherzetto che mi hai fatto al fiume avevo
voglia rivendicarmi con le mie mani. -.
-Adesso ne hai l’occasione. –.
Si scambiarono un altro sguardo. – No. – replicò Stub. –
Due cervelli pensano meglio di uno e il mio scopo primario in questo momento è
sopravvivere. Svolgerò il mio compito quando avrò la certezza di essere vivo.
-.
Anna sorrise. – Questo vuol dire che non mi ucciderai? -.
-Per adesso. – le assicurò lui.
Era già qualcosa. Anna uscì dall’acqua sollevata al
pensiero che avrebbe avuto ancora qualche ora di vita. Ma l’attenzione di Stub
si era concentrata su una specie di corridoio che partiva da lì e che finiva
nell’ombra. Si avvicinò e i suoi movimenti non sfuggirono ad Anna.
-Che fai? -.
-Che c’è in fondo? -.
Anna gli rivolse un’occhiata veloce, priva di interesse.
– Non lo so e sinceramente non mi importa. Dai, killer, troviamo un modo per
uscire di qui. -.
Ma sentì che Stub l’afferrava per il braccio. – Chi ti
assicura che non ci sia l’uscita in fondo a quel tunnel? -.
Anna guardò dubbiosa il buio misterioso che proveniva dal
fondo. – Non è possibile che ci sia un’uscita di là. – e si girò, tornando sui
suoi passi.
-Cosa c’è, bambina, hai paura? -.
Lei si voltò rispondendo allo sguardo spavaldo di lui con
uno pieno di furia. – Mi sembrava di averti detto di non chiamarmi bambina!
Vuoi entrare lì dentro? Entriamo! -.
Lo superò e si avviò. Stub si sbrigò a raggiungerla: mai
e poi mai l’avrebbe lasciata sola. Camminarono per un po’ e poi furono
costretti a procedere a tentoni.
-Tu vedi qualcosa? – domandò Anna.
-No. – le rispose la voce piuttosto seccata di Stub. –
No, non vedo niente. -.
Anna sospirò sonoramente: finalmente era riuscita ad
ammettere a sé stessa quello che Stub non voleva ammettere, e cioè che non
avevano la più pallida idea di dove si trovassero e di come fare per tornare
indietro. Quanto all’andare in avanti era l’unica cosa che potevano fare ed era
oscuro. Sapeva che probabilmente il ragazzo che era con lei si era già trovato
in situazioni simili altre volte e voleva il suo parere.
-Stub. – lo chiamò.
-Dimmi. -.
-Credi che riusciremo ad uscire? – domandò.
-Certo. – rispose Stub e il suo tono sembrava sicuro,
eppure pensieroso, come se stesse macchinando qualcosa.
Anna mentre camminava fece più attenzione a dove posava
le mani e si accorse che le rocce del corridoio erano lisce e levigate. - È
opera di un essere umano. – constatò lei.
-Esatto. – confermò Stub. – Quindi se qualcuno ha
costruito questo corridoio deve portare da qualche parte. All’esterno. Non è
possibile che ci sia una sola uscita, non avrebbe avuto senso. -.
-E se fosse Atlantide? – domandò Anna. – Se fosse la
civiltà perduta? -.
Per una volta la sua mente aveva cominciato a
fantasticare. Poteva essere quello l’ingresso misterioso per quella società che
si credeva essere sommersa? Beh, in un certo senso sommersa lo era, anche se
non nel senso che tutti intendevano. Stub sorrideva, Anna lo intuì dal tono
della sua voce. – Certo e magari anche Babbo Natale. -.
Dopo poco una luce comparve in lontananza. Era una strana
luce bluastra. Ma quella bastò loro per riaccendere le speranze e insieme
cominciarono a correre in quella direzione fino ad arrivare alla fonte di luce.
Stub rivolse uno sguardo interrogativo ad Anna, che dal
canto suo aveva messo su l’espressione più scettica che le veniva fuori in quel
momento. – Uno specchio d’acqua?! -.
-Credevo di averle viste tutte nella mia vita. –
commentò Stub.
Non tutte. – Anna allungò una mano verso la parete
d’acqua fluttuante davanti a loro, dando mostra di poco interesse per la legge
di gravità.
La ritrasse subito e con uno sguardo di intesa sia lei
che Stub decisero di oltrepassare quella strana barriera d’acqua.
Una volta attraversata la parete fece una faccia
sbalordita e sentì la mano di Stub storcerle il braccio portandolo dietro la
sua schiena. – Davvero credevi di potermi fregare ragazzina? -.
Anna era rimasta senza fiato alla vista di computer, di
complessi software e hardware da spionaggio, dei depositi di armi, della gente
che circolava. Il quartier generale dei sicari o perlomeno una filiale del
quartier generale. E lei si era fatta portare lì da lui come una stupida.
Pensava di essergli fuggita ormai e invece era caduta nella trappola con tutte
le scarpe. L’unica cosa che riuscì farle fu tentare di sorridere. – E bravo il
mio killer. – commentò.
A loro si avvicinarono 5 uomini vestiti completamente di
nero, che senza tanti complimenti l’afferrarono. Uno di loro si avvicinò: era
moro, con un cesto di capelli ricci in testa, abbronzato, che appena lo vide
batté il 5 con Stub. – Ehilà amico! Come ti butta la vita, fratello? -.
-Molto bene, Thomas! -.
Poi gli occhi scuri del ragazzo chiamato Thomas si
posarono curiosi su Anna. – E lei chi è? La tua prossima vittima? – sorrise.
-Esatto. Ma voglio concederle ancora una notte. -.
Thomas schioccò le dita. – Rinchiudetela. -.
Anna si fece trascinar via senza dire una sola parola:
non voleva dire nulla e anche se avesse voluto che cosa mai avrebbe potuto
dire?
Stub invece si sedette su un divano lì vicino seguito a
ruota da quello che era il suo migliore amico. Thomas incrociò le gambe. – Mica
male la ragazza. – commentò.
-Dovresti conoscerla di carattere. – sorrise Stub. – Una
tosta. -.
Thomas lo scrutò attentamente. – Senti fratello… sei
sicuro di averla concessa a lei la notte? -.
-Che intendi? -.
-Sei sicuro di ucciderla? –.
-Ma certo! – esclamò Stub, risentito.
Il moro fece spallucce. – Come vuoi… - si alzò. - … adesso
devo andare a controllare un po’ di richieste… - fece per andare ma si voltò di
nuovo verso Stub. – Comunque stanotte non ci saranno guardie alla sua cella. -.
E andò via.
Stub lo guardò mentre andava via, poi afferrò il suo Bacardi
sul tavolino e cominciò a bere.
L’effetto dell’alcool si fece presto sentire e in lui l’istinto
prevalse sul ragionamento. – Thomas! – esclamò. – Fa’ venire qui mio fratello!
-.
L’angolo della Matrix
Ciao a tutti!!!
La storia si sta evolvendo e sta cambiando un po’ da com’era
in origine (se ne sarà accorto chi ha letto la prima versione…). E adesso che
succederà ad Anna? Stub deciderà da che parte stare? E soprattutto cosa c’entra
Masky?
Mentre voi tentate di dare una risposta a queste domande,
io passo a ringraziare:
-DamaArwen88: beh devo ammettere che i
piccoli con le menti diaboliche mi hanno sempre attirata come personaggi
letterari xD Come vedi sia i comportamenti di Anna sia quelli di Stub sono
studiati fin nei minimi dettagli… chi l’avrà vinta alla fine? Bacione!
-Lallix: accidenti quanto entusiasmo!!!
Che gioia!!! J Masky
ti fa paura? Vedrai cosa combina nel prossimo capitolo… eheh… certo che mi
ricordo di LizzieMalfoy_Dracolover! Anzi salutamela… e se passate a Firenze per
qualche musical fatemelo sapere che vengo a sentirvi! Mi farebbe tanto piacere!!!
^^ Bacione!
-Tigerlily: e adesso cara Giu sei sempre
sicura che se la caverà? Anch’io adoro Stub… lo sai quanto ci sono
affezionata!!! *cuoricino*. Fammi sapere che ne pensi! Bacione!
Grazie anche a coloro che mi hanno aggiunta tra i
preferiti!
Si poteva dire che la cosa più simile a quel quartier
generale fosse stato un formicaio: nessuno, o quasi, stava fermo, tutti
svolgevano i loro compiti in tempi da record. Bisognava cercare le vittime,
organizzare le squadre per trovarle, accertarsi che le richieste di omicidio
fossero da prendere in considerazione o meno, stillare una priorità tra quelle
valide, preparare le armi, rintracciare i sicari… I corridoi erano gremiti di
persone dirette alle loro occupazioni e ogni tanto qualcuno sollevava a gran
voce un ordine. Anche un ragazzo moro con i capelli ricci era tra loro e si
infilò in una stanza dotata di computer collegati al satellitare.
Thomas si diresse senza incertezze da un uomo
completamente vestito di bianco. – Bob! – chiamò.
-Ciao Thomas. Chi ti devo cercare? -.
-Mettimi in contatto con Masky. Stub lo vuole qui. -.
-Masky è impegnato al momento. -.
Lo sguardo di Thomas era piuttosto seccato. – Vuoi dirlo
tu a Stub? -.
L’uomo chiamato Bob scosse la testa e si mise all’opera per
mettersi in contatto con Masky, era dannoso mettersi a litigare con Stub.
L’operazione non richiese nemmeno 3 minuti.
-Masky sulla linea 5! -.
-Efficientissimo Bob. – commentò Thomas prima di
prendere il microfono e le cuffie collegate alla linea 5.
-Qui quartier generale della Garganta do Diablo a Masky.
Masky mi senti? -.
-Certo che ti sento! – sbottò Masky, chissà dove in quel
momento con Sveva e Federico al seguito. – Dimmi tutto Tommy. -.
-C’è qui tuo fratello. Vuole parlarti. Devi venire
subito. -.
Masky era abbastanza esperto di quartieri generali per
sapere che se un ordine proveniva da lì, non c’era speranza di disobbedire… al
massimo si poteva cercare di trattare. Thomas gli spiegò che avrebbero mandato
subito un elicottero a prenderlo. Masky gli fece notare che aveva con sé i
prigionieri: rispettivamente il cugino e la migliore amica della ragazza dai
capelli rossi rinchiusa in quel momento in qualche prigione.
-Bendali. – ordinò Thomas dopo averci pensato su meno di
2 secondi. – E portali qui. Spiega loro che se non tenteranno di vedere dove si
trovano non gli accadrà niente. -.
La peste di 8 anni disse di aver capito e Thomas fece
cenno a Bob di chiudere il collegamento. Mise giù le cuffie e il microfono e si
mosse in direzione del salone dove c’era Stub, mentre dava ordini a destra e a
manca.
-Leandro manda un elicottero a prendere Masky con i suoi
due prigionieri. Ti do un’ora! Guido mi occorrono due celle entro un’ora e
mezzo. Antonella cercavo proprio te. – afferrò per un braccio una ragazza con i
lunghi capelli ondulati, neri.
Lei scosse i capelli. – Un’altra missione? – domandò lei
con fare visibilmente seccato. – Mi avete spedito in Francia per 2 mesi. Sono
tornata ieri e devo recuperare i due mesi di scuola che ho perso. Non andrò in
un’altra missione! -.
-Antonella, calmati. – le disse Thomas. – Volevo
solamente dirti che è arrivato Stub. -.
Gli occhi di Antonella cambiarono visibilmente
espressione. – Dov’è? -.
-Seduto su un divano nel salone… comunque ho preso
appunti anche per te. – la informò quando lei ormai aveva cominciato a correre
verso il salone per riabbracciare Stub.
Era la frenesia di un quartier generale, la frenesia che
Anna poteva solamente intuire dalla cella dov’era rinchiusa. Sentiva i passi, i
rumori, le voci della vita che si stava svolgendo sopra di lei, chiusa tra un
muro e una sbarra con 0 possibilità di uscita. Se ne stava rannicchiata con le
spalle alla parete cercando disperatamente di trovare un modo per uscire… Stub
le aveva concesso un’altra notte e lei l’avrebbe utilizzata per fuggire.
Si stupiva del fatto che Stub sembrava fare di tutto per
mantenere quella partita aperta. Si convinse di quello che gli detto la prima
volta che si erano visti: non era affatto come lo descrivevano in tv. Era più
furbo, più falso, più tutto. Ma lei non si rassegnava. Lei era più furba di
lui.
Stub alzò lo sguardo su quella ragazza che gli stava
correndo incontro, si alzò, la afferrò per i fianchi e la sollevò in aria,
baciandola sulla fronte. – Antonella! -.
-Cugino! – esclamò lei al settimo cielo. – Quanto tempo!
-.
-Un anno. – si ricordò lui. – Tu come stai? Mi hanno
detto che hai fatto furore in Francia. -.
Antonella si lasciò cadere sul divano. – Quell’idiota
doveva proprio cercare rifugio sulla Tour Eiffel? Le tv mondiali hanno ripreso
tutta l’operazione. Hai visto la TV? Mi fanno passare come una pazza! Come se
fossi stata io quella che ha deciso di fare l’uomo ragno su un monumento
francese! – sospirò. – I francesi… ma di te che mi dici? -.
-Ho portato una prigioniera. -.
Un sorriso malizioso si dipinse sulle labbra rosse di
Antonella, ripresa dalla sorpresa che il cugino per la prima volta nella sua
carriera avesse fatto una prigioniera. – Cosa c’è, il mio cuginetto ha preso
una cotta? -.
Ma abbandonò il tono canzonatorio non appena vide lo
sguardo di Stub. – Allora è serio. – commentò lei. E poi scoppiò in una sonora
risata. – E chi l’avrebbe mai detto che proprio tu, il killer più bravo e
famoso del mondo, avresti infranto la prima regola? – poi si fece falsamente
seria. – “Regola n.1: non ci si affeziona mai alle proprie vittime”. -.
Stub non rispose a quella presa di giro… sua cugina sapeva
essere perfida quando voleva, e sapeva perfettamente che qualsiasi cosa avrebbe
tentato di dire per discolparsi lei ne avrebbe tratto spunto per altre prese di
giro. Aspettò che Antonella fosse tornata normale e disposta ad ascoltarlo. –
Quando l’ho conosciuta non sapevo che sarebbe stata lei la mia vittima. -.
-E quindi è stato un colpo di fulmine? -.
-No. – rispose Stub.
-Fammi capire cuginone: cosa c’è in lei che ti attrae
tanto? -.
Stub non ebbe bisogno di pensare alla risposta. – Ho avuto
molte vittime, Antonella, questo lo sai bene. Tutte uguali: terrorizzate e
tentando di fuggire quando erano invasi dal panico. Lei no. Lei mi guarda negli
occhi quando mi parla, non trema, non ha paura. È come se… Antonella, la vita è
un gioco e tutti noi dei giocatori. Lei ha capito che bisogna restare in gioco
perché non ci è data la possibilità di ripassare dal VIA. E l’unica possibilità
che abbiamo di restare in gioco è continuare a giocare senza lagnarsi se con i
dadi non abbiamo fortuna. -.
Antonella annuì. – Insomma, stai cercando di dirmi che è
una ragazza con gli attributi? -.
-Sì. – rispose Stub. – Sì, ma come l’ho detto io suonava
meglio. -.
A quel punto videro entrare Masky seguito da due
prigionieri bendati e Stub e Antonella si alzarono. Thomas li raggiunse.
-Ciao Antonella! -.
-Ciao piccolo. – lei gli scompigliò i capelli.
Poi si rivolse ai primi due che gli capitarono a tiro. –
Santiago! Halo! Portate in cella i prigionieri! -.
Stub però bloccò l’ordine della cugina. – La ragazza con
la rossa. – disse solamente.
Fu così che Sveva e Federico furono divisi.
A quelle parole Masky rivolse un’occhiata scettica a Stub.
– Non l’hai uccisa? -.
Stub sostenne lo sguardo del fratello. – Vieni con me.
Devo parlarti. -.
Quella cella sembrava opprimerla. Anna pensò che
assomigliava molto di più ad una grande cantina che ad una cella vera e
propria. Si trattava di un grande stanzone diviso in tante piccole celle,
divise dalle altre tramite mura solide e dal corridoio tramite sbarre in ferro
verticali. Il corridoio era un atrio ottagonale a cui si accedeva tramite una
scala ripida in pietra che saliva. In cima alla scala c’era il guardiano.
Quando sentì dei passi provenire verso la prigione Anna
pensò che fosse Stub e si preparò mentalmente ad affrontarlo. Immaginate la sua
sorpresa nel vedere comparire Sveva che tentava di divincolarsi tra le braccia
di Santiago, che la consegnò al carceriere.
Quello la prese senza dire nulla e aprì la stessa cella di
Anna, buttando dentro Sveva senza tanti complimenti. Poi tornò a fare la
guardia sulle scale che conducevano a quella prigione. Quando Anna fu sicura
che ormai non poteva più vederle da dove si trovava tolse la benda a Sveva.
-Anna! – esclamò Sveva quasi urlando per la sorpresa.
Anna le mise una mano sulla bocca. – Sei impazzita? Vuoi
che torni il carceriere? -.
Sveva si calmò, il rossore sparì dalle sue guance che
tornarono al loro naturale colore rosato. – Ti credevamo morta. – le spiegò.
-Anch’io vi credevo morti se vi può consolare. – replicò
Anna. – Che ci fai qui? E dov’è Federico? -.
Sveva le raccontò dello scoiattolo e di come si erano fatti
catturare da Masky, di come li avevano bendati e un elicottero era venuto a
prenderli. Di come Stub avesse ordinato di dividerli (aveva riconosciuto la
voce di Stub). – E adesso sono qui. – concluse. – Tu come mai sei ancora viva?
-.
Fu il turno di Anna di raccontare tutto e mentre lo faceva
osservava le espressioni apprensive di Sveva che si impossessavano del suo
volto una dopo l’altra.
-Quindi questa è la nostra ultima notte. – piagnucolò
Sveva.
-Smettila di piagnucolare! – la rimproverò Anna. – Ti hanno
bendata, non sai dove siamo, non hanno nessun motivo per ucciderti. Sono io
quella che vogliono. -.
Sveva alzò i suoi occhi lucidi su di lei. – Sei troppo
giovane per morire. -.
Anna sorrise. – E chi ha mai parlato di morire? Ho detto
solo che è me che vogliono. – poi osservò l’amica. – Hai il cellulare? -.
Lei si asciugò gli occhi e glielo porse. Anna lo afferrò e
cominciò a premere quasi furiosamente i tasti.
-Che stai facendo? – Sveva si incuriosì.
-Scrivo. -.
-Che cosa? Le tue memorie? -.
Anna la guardò sorpresa. – Complimenti Sveva, hai tirato
fuori del sarcasmo. Sei o non sei la mia migliore amica? – sorrise scotendo la
testa mentre posava il cellulare.
-A chi hai scritto? -.
-A Federico. -.
Stub condusse Masky in una stanza e si assicurò che la
porta fosse chiusa. Poi con la sua solita nonchalance si sedette sulla prima
sedia che gli capitò a tiro, mentre Masky aveva tutti i sensi tesi, aspettando
di sentire cosa mai avesse da dirgli il fratello.
-Ho preso una decisione. – cominciò Stub. – Ho
intenzione di divertirmi ancora con lei. -.
Masky lo guardò arrabbiato. – Questo vuol dire che non la
ucciderai domattina? –.
-Conosci le regole Masky: se resta qui sarò costretto a
ucciderla domattina. Quindi è necessario che riesca a fuggire di notte. -.
-È impossibile. –.
Stub scosse la testa. – Fratellino, non ti ho proprio
insegnato niente in tutti questi anni? Nulla è impossibile. – fece una pausa
per riprendere a spiegare il suo piano. - Adesso tu andrai da loro e riferirai
esattamente il mio piano… -.
Anna guardava molto interessata Masky mentre questo
riportava fedelmente il piano di Stub. – … le guardie non sono in servizio di
notte perché sappiamo che voi dalle celle non riuscite a vederle… quindi
pensate che ci siano, ma in realtà non è così. Se ne vanno subito dopo aver
portato via i resti della vostra cena. Io verrò a prendervi esattamente un’ora
dopo, quando ormai la maggior parte degli agenti saranno a dormire oppure in
missione. Se qualcuno ci incontrerà dirò che vi sto portando da mio fratello. Ci
sarà un elicottero pronto a prendervi e a portarvi via. -.
Sveva stava già annuendo felice al pensiero di uscire di
lì, ma Anna non era del tutto convinta. – Il tuo piano non mi torna, pulce. Per
prima cosa non vedo perché mai tuo fratello voglia liberarmi. Poi credi che sia
così stupida da non capire che sapete esattamente dove è diretto l’elicottero?
Stub vuole solamente prolungare la caccia per il suo divertimento. Io sono
stanca di fuggire da lui. – sospirò. – Mi ha presa e per me è game over. -.
Sveva la guardò come se fosse pazza. - Stai scherzando
Anna? È la nostra unica possibilità! – poi si rivolse a Masky, che si stava
sistemando la sua maschera. – Non ascoltarla. Accettiamo. -.
Lui però scosse la testa. – Voglio una risposta dalla
rossa. -.
Anna si alzò e andò alle sbarre, mentre Sveva la
supplicava di accettare. – Ascolta pulce e ascolta bene perché te lo dirò una volta
solamente. Se accetto è unicamente per Sveva e mio cugino. Dì a tuo fratello
che accetto di fuggire, ma che non permetterò in alcun modo che lui si diverta
con me a giocare al gatto e al topo. Siamo intesi? -.
Masky annuì. – Intesi. -.
Risalì le scale con passo lento e cadenzato, portandosi
via tutto l’alone di mistero che puntualmente portava con lui.
Sveva intanto sospirava di sollievo. – Siamo salvi. -.
-Non ancora. – scosse la testa Anna.
L’amica la guardò interrogativa. – Come sarebbe? Hai
sentito il piano di Masky, no? Hai accettato… -.
-Io ho accettato di fuggire. – specificò Anna. – Non di
farlo col loro piano: non mi piace che sappiano dove siamo diretti. E non mi
fido di Stub. -.
-Scusami ma non capisco. -.
Anna aveva afferrato il cellulare. – Capirai presto amica
mia. Il tempo di informare Federico del piano vero di fuga… -.
Stub si era chiuso nella sua stanza in quella sede: era
semplice, costituita da una branda piuttosto scomoda con davanti un armadio.
Stub era seduto sulla branda e in mano stringeva un ciondolo. Era d’oro, la
forma era un ovale perfetto e sopra vi erano incise due lettere, intrecciate
tra loro: una S e una I. Era grosso e si poteva aprire: fu quello che fece
Stub, e concentrò la sua attenzione sulla foto che vi era contenuta: era in
bianco e nero e raffigurava una donna bellissima, elegante, che teneva in
braccio un bambino di 5 anni circa, sorridendo.
-Ti manca molto, vero? -.
Stub sussultò nel sentire la voce di sua cugina. Antonella
si sedette accanto a lui, abbracciandola. – Anche a me manca molto la zia. -.
-Che sia il mio destino Nell? – domandò lui. – Perdere le
persone a me care? – ripensava a sua madre, a quando l’aveva persa. A quanto
gli mancava. Poteva permettersi di fare lo stesso errore con Anna?
-Io sono qui, Stub. E ci sarò sempre. – Antonella lo
distolse dai suoi pensieri.
Stub le strinse la mano. – Lo so, Nell. -.
-Tua madre sarebbe orgogliosa di te se ti vedesse
adesso. – gli disse lei.
-Grazie Nell. -.
Lei si alzò e aprì la porta, poi si voltò. – Faccio preparare
l’elicottero. Pare che la tua amica abbia accettato di fuggire. Ma si è raccomandata
di dirti che non ha intenzione di giocare al gatto e al topo con te. –.
Stub sembrò riflettere con attenzione a quelle parole. –
Ha usato proprio queste parole? -.
-Testuali a sentire il tuo fratellastro. Perché? -.
Osservò il sorriso della sua vera madre e per un istante
nei suoi occhi aleggiò un’ombra benevola che Antonella raramente gli vedeva. E
poi sorrise beffardo ad Antonella. – Nell, non c’è bisogno che tu prepari alcun
elicottero. Se conosco Anna stanotte non ne avrà bisogno. -.
Antonella non provò neppure a chiedergli spiegazioni e
uscì dalla camera, a trovare un altro impiego dal momento che l’elicottero non
serviva più.
L’angolo della Matrix
Ciao a tutti!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto anche se più che
di azione è fatto di dialoghi, ma non temete… nel prossimo capitolo ce ne sarà
parecchia xD… la fuga di Anna e degli altri, i tentativi (veri o falsi) di Stub
per fermarla e gli inseguimenti, gli inganni, i giochetti psicologici tra i
nostri due eroi… spero di essere riuscita a mettervi un po’ di curiosità ^^.
Nel frattempo ringrazio tutti coloro che mi hanno aggiunta
tra i preferiti e DamaArwen88 che ha letto anche l’ultimo capitolo ieri:
cara Dama, sono contenta che ti intrighi… mi piacerebbe tanto sapere come ti
aspetti che finisca la storia, chissà, magari coincide con la mia idea ;)…
davvero trovi Anna e Stub fantastici insieme? Bacione!
E ringrazio anche myki per la recensione di due
capitoli fa: come puoi vedere cara Marty sì, ci sono dei cambiamenti; questi
nuovi personaggi sono più propensi al dialogo, Stub è più riflessivo, Anna ha
più carattere anche se sto cercando di farla sembrare più dura. Inoltre sto
sparpagliando indizi che serviranno per il seguito xD. A me le vacanze sono
andate bene, grazie. A te? Spero che ti sia piaciuto questo capitolo (anche se
è poco romantico)!! Bacione!
Ehy Fede! È arrivato anche da te Maschera di Bronzo
per informarti del piano di fuga?
Sì. Hai accettato.
No. Ho accettato di fuggire. Il loro piano ci serve
solamente da copertura. Agiremo appena ci porteranno la cena. Io e Sveva
fuggiremo di qui e verremo a prenderti. Io ho visto il percorso fatto per
arrivare fino a questa cella, quindi so come si esce. Prima che Masky venga a
prenderci per attuare il suo piano abbiamo un’ora, di cui mezz’ora per
fuggire e mezz’ora per dileguarci.
Come hai intenzione di andar via? Ruberemo un
elicottero?
No. Sarebbe troppo difficile e comunque nessuno di noi
lo sa condurre. Tu aspettaci lì.
Questi erano stati gli SMS che si erano scambiati Anna
e Federico. Lei aveva avuto un’idea per fuggire e pensava che potesse
funzionare. Sveva non era del tutto convinta e cercava inutilmente di far
intendere alla cugina che sarebbe stato meglio per lei e per tutti loro
accettare la proposta di Stub seguendo il piano da lui stabilito. Ma lei non
poteva capire. Lei non era a conoscenza della guerra che era in corso tra Anna e
Stub, entrambi orgogliosi, entrambi forti, entrambi con la voglia di vincere
quella che ormai era diventata una gara.
Finalmente arrivò l’ora di cena e sentirono dei
passi che scendevano. Anna scambiò una veloce occhiata d’intesa con Sveva, e
se la prima aveva il fuoco della decisione negli occhi, in quelli della seconda
traballava la fiammella dell’incertezza.
L’uomo che scese giù non era il carceriere: era
armato, ma era più mingherlino. Come Anna aveva previsto per riuscire a dar
loro il piatto con cui mangiare dovette aprire la porta della loro cella, e,
sempre come Anna aveva previsto, non la perdeva d’occhio un solo istante.
-Finalmente si mangia! – esclamò Sveva fondandosi sul piatto. Toccava a
lei agire, dal momento che l’uomo portatore di cibo non la degnava di uno
sguardo.
Afferrò il piatto così velocemente che quasi
l’uomo non se lo aspettava. Fece per uscire ma Anna lo fermò con la sua voce.
– Credi di essere tanto forte perché sei grande e grosso? – domandò.
-Che cosa? – l’uomo si fermò.
-Ho visto che mi stavi fissando con aria di sfida. – continuò lei,
decisa a farlo girare verso di sé. – Non mi piace quando la gente mi fissa,
oltretutto è maleducazione, mamma non te l’ha insegnato? O forse era una
sporca assassina anche lei? -.
L’uomo cominciò a tremare. – Non osare toccare
mia madre lurida prigioniera! -.
-Lurida a me? – Anna fece l’offesa. – Ma ti sei visto? Cos’è, ti
fanno dare da mangiare ai prigionieri perché non sei capace di ucciderli? -.
Fu in quel momento che l’uomo non ci vide più, si
voltò verso di lei e le tirò un pugno talmente forte da farle perdere
l’equilibrio. – Sei una brutta…! -.
In quel momento Sveva lo colpì con tutta la sua forza
sulla testa col piatto. E poi lo colpì ancora. L’uomo non poteva far nulla
per ribellarsi e al terzo colpo cadde per terra privo di sensi, con un tonfo
attutito prontamente da Anna. Sveva si era come paralizzata.
-Oh, mio Dio, Anna l’ho ucciso! – esclamò.
Anna scosse la testa mentre si tamponava con la mano
il labbro rotto e il naso sanguinante. – Non è morto Sveva. Respira ancora.
– si chinò su di lui e gli prese due pistole che teneva con sé. Ne porse una
a Sveva. – Tienila, può sempre far comodo. -.
-Ma tu sanguini. – Sveva la guardò inorridita.
-Sveva, non è questo il momento di farsi prendere dal panico. Vieni. -.
Uscirono dalla prigione e lentamente cominciarono a
salire le scale. Il carceriere era ancora lì: era Santiago, quello che aveva
rinchiuso Sveva. Quando Sveva glielo disse Anna le fece cenno di aspettare lì e
di non muoversi per nessun motivo al mondo. Poi con passo felpato salì le scale
fino ad arrivare a Santiago, un omone che l’avrebbe buttata a terra con una
carezza. L’unico vantaggio che aveva lei su di lui era la sorpresa e
l’avrebbe sfruttata fino in fondo. Quindi senza dire una parola puntò la
pistola contro la schiena di Santiago che sobbalzò.
-Chi è? -.
-Dipende. – rispose Anna. – Dipende da come ti comporterai con noi,
Santiago. È Santiago, vero? Certo che lo è. -.
-Sei solo una ragazzina. -.
-Io sì, ma questo che ho in mano è un revolver, carico, pronto all’uso.
– replicò lei. – Quindi fossi in te adesso farei esattamente quello che ti
dico. È la fine del tuo turno questa, vero? Non mentire, lo so che lo è. La
tua serata ha un cambio di programma. Conducici dall’altro prigioniero. -.
Santiago sembrò sorridere. – Ragazzina! – sbottò.
– Non hai pensato che chiunque vi veda da qui all’altra prigione può
sbattervi dentro di nuovo. O anche uccidervi subito? -.
-Se così sarà è un problema nostro, anche tuo. – specificò lei,
premendo la pistola ancora di più sulla schiena dell’uomo. – Quindi datti
una mossa. -.
Santiago era un grande omone, ma non era certo famoso
per il suo coraggio. Non voleva neppure mettere alla prova quella ragazzina che
stava cercando di fuggire: era la prima prigioniera che aveva avuto il sangue
freddo di farlo. Quindi cominciò a muoversi per i corridoi meno frequentati,
passando anche per alcuni passaggi segreti, sperando di non attirare
l’attenzione di nessuno. Anna e Sveva dal canto loro trattenevano il fiato.
Quella era stata la parte del piano meno strutturata
da Anna e più lasciata al caso. Sveva stava visibilmente tremando per quanto
tentasse di nasconderlo. La rossa invece cercava di memorizzare i corridoi e di
orientarsi, sapendo che le sarebbe stato necessario per la fase successiva della
fuga. Finalmente raggiunsero la cella di Federico e, come Anna aveva calcolato,
il suo carceriere ormai aveva finito il servizio, quindi non trovarono intoppi.
La cella di Federico era l’esatta copia di quella
dove fino a poco prima le due amiche erano rinchiuse, e lui si alzò pronto alla
fuga non appena sentì dei passi scendere le scale.
-Federico! – esclamò Anna.
-Anna! – niente saluti festosi, entrambi erano a conoscenza del poco
tempo che avevano a disposizione. – E liberami! -.
Anna aveva ancora la pistola puntata su Santiago. –
Sarà il mio amico qui, che gentilmente ti farà uscire. -.
-Non ho le chiavi. – rispose Santiago.
-Ah, no? – domandò Anna che non ci credeva per niente. – Peccato. Sarò
costretta a fare a modo mio allora. -.
Fece un cenno a Sveva che con la sua pistola e la mano
che tremava sparò un colpo insicuro sulla serratura della porta della cella.
Federico si era messo a debita distanza di sicurezza e ci restò quando vide che
il colpo non aveva prodotto alcun effetto, se non quello di rischiare di essere
sentito.
-Sveva! – sbottò Anna.
E finalmente l’amica tornò in sé, prese bene la
mira, sparò un colpo deciso e la serratura saltò. Anna sorrise, visibilmente
soddisfatta, mentre Federico usciva. – E adesso andiamo via. – disse lui.
-E tu vieni con noi. – Anna diede una leggera spinta a Santiago.
Santiago aveva visto che perlomeno l’amica della
rossa non era un asso nell’uso delle armi quindi approfittò di quella spinta
per correre via. Anna fu più veloce e gli sparò, colpendolo volutamente ad un
braccio, ma ormai era troppo tardi. Santiago aveva dato l’allarme della loro
fuga.
-Che si fa adesso? – domandò Sveva.
-Via! – esclamò Federico.
I tre ragazzi risalirono le scale il più velocemente
possibile e si diedero alla fuga correndo per quel corridoio, poi voltarono a
sinistra e da lì cominciarono i problemi. Si videro circondati da quei pochi
che ancora non si stavano preparando per il servizio, probabilmente perché non
avevano nessuna missione da compiere. Non bastò il sangue freddo di Anna quella
volta, anzi lei si domandava come diavolo ne sarebbero venuti fuori. Fu Federico
ad avere l’idea, afferrò sua cugina e Sveva per il braccio e le riportò
vicino alla cella. Mentre correvano inseguiti dai proiettili Federico chiese da
dove fossero passate per arrivare da lui. Fu così che Anna aprì un passaggio
segreto e si infilarono dentro prima che chiunque potesse vederli.
Non si fermarono perché sapevano che dentro tutti
erano a conoscenza del passaggio, quindi la loro corsa vorticosa continuò,
quando Sveva si fermò all’improvviso ansimando. Anna sentì i passi di quelli
che li stavano inseguendo e guardò preoccupata l’amica. – Sveva non puoi
mollare adesso! Datti una mossa! -.
-No.. n.. Non ce la faccio più. – respirava profondamente. – Andate
senza di me… -.
-Non dire sciocchezze! – Federico si chinò su di lei e la prese in
braccio. – Ti porto io. -.
-Grazie… Fede. -.
Ma ormai la loro corsa era finita. Gli inseguitori
dietro di loro ormai li avevano raggiunti e davanti avevano un muro di agenti
che, più furbamente, li avevano anticipati. Sveva perse le speranze, Federico
guardava chiunque con aria di aperta sfida, Anna si chiese se quello sarebbe
stato veramente il suo game over. Si era data da sola lo scacco matto. E di
nuovo un piano le balenò in mente. Nascose velocemente la sua pistola,
assicurandosi che nessuno gliel’avesse ancora vista. Era il suo asso nella
manica, metaforicamente e quello che più importava era letteralmente, poi superò
Federico.
-Adesso vediamo di mantenere la calma. – cominciò.
Era Antonella che capitanava l’operazione e studiò
quella ragazza a cui suo cugino sembrava tenere tanto: la guardò negli occhi e
non faticò a capirne il motivo. Anna continuò. – Queste due persone che
vedete davanti a voi sono qui solamente perché si trovavano con me. Non sanno
dove ci troviamo, non gliel’ho detto per la loro sicurezza. Stub è me che
vuole, immagino tutti lo sappiate. Lasciateli andare. -.
-Ma Anna… - Sveva farfugliò qualcosa che suonò simile ad un “non
possiamo lasciarti qui”.
Lei però la mise a tacere con un gesto della mano, e
poi le porse in avanti affinché gliele ammanettassero. Antonella la guardò
dubbiosa, indecisa sul da farsi. Tutti gli agenti sembravano attendere un suo
ordine.
-Loro non hanno fatto nulla. – insistette Anna. – Portatemi da Stub.
– chiese infine, abbassando lo sguardo per rendere il tutto più credibile.
-Anna no. – cercò di fermarla suo cugino.
-È durata anche troppo Federico. Il momento di finirla è giunto. – si
chiese se non stava rendendo tutto troppo teatrale. Le bastava che fosse
credibile.
Antonella a quelle parole annuì. – Sei ragionevole
ragazza mia. Hai capito che non c’è da scherzare con noi. Hai capito che la
tua permanenza qui è finita. – e velocissima, senza farsi vedere dagli altri
agenti le fece l’occhiolino. Anna la guardò interrogativa, ma Nell continuò
nella sua spiegazione. – Riportate i due giovani all’accampamento. Tu
invece, rossa, con me. -.
-Posso salutare almeno? -.
Nell le rivolse uno sguardo esasperato ma acconsentì
e Anna abbracciò suo cugino. – Aspettami all’accampamento. -.
Poi si fece condurre via da Nell, mentre gli altri
venivano bendati e riportati all’accampamento secondo gli ordini.
Antonella la conduceva per i corridoi tutti uguali,
silenziosi, non più gremiti di agenti, ma vuoti, tanto che i loro passi
risuonavano minacciosi, come una tetra marcia. Anna stava studiando la sua
accompagnatrice per cercare di capire che cosa mai avesse voluto dirle con
quell’occhiolino. Inoltre si stava chiedendo perché mai non la minacciasse
con la pistola, ma si limitava a camminare al suo fianco, quasi sicura che non
sarebbe fuggita. Per un momento Anna pensò di fuggire solamente per darle
torto, ma poi tornò in sé e si disse che non era assolutamente una cosa saggia
da fare. Quindi preferì seguire la ragazza fino all’interno della grotta da
dove era entrata. Antonella le tolse le manette.
-Ecco. Adesso puoi anche andare? Te l’ho detto che la tua permanenza qui
è finita. -.
Anna la guardò interrogativa. – Che cosa? -.
-Mi hai chiesto tu di portarti da Stub, no? – replicò lei. – Lui è
fuori, nella foresta, che ti sta aspettando. -.
-Ma… -.
Antonella scoppiò a ridere. – Credevi davvero che
si aspettasse che tu accettassi veramente il piano offerto da lui? No. Io avrei
dovuto condurvi sull’elicottero, e mi ha detto che non ti sarebbe servito. Ha
capito il senso della tua frase, quella sul fuggire. -.
-È stato lui che ti ha mandata a prendermi quando Santiago ha dato
l’allarme? – tentava di capire Anna.
-In un certo senso. – rispose. – Aveva detto a Santiago di aspettarsi
una cosa del genere. E poi gli aveva ordinato di assecondarti, la cosa
importante per lui era che tu arrivassi a me. Quindi quando Santiago ha lanciato
l’allarme io ero già pronta ad intervenire. -.
Anna rimase senza parole a quelle affermazioni,
rendendosi conto che ancora una volta Stub era riuscito a prevedere le sue mosse
e lei col suo piano non aveva fatto altro che assecondare il suo gioco. Era come
se Stub con i suoi giochetti riuscisse ad avere il controllo sul suo pensiero.
Si domandò se per caso non riuscisse a vedere nel futuro, ma subito dopo si
diede della cretina. Nessuno poteva leggere nel futuro, nemmeno lui.
Antonella la riscosse dai suoi pensieri. – Dammi la
pistola che nascondi nella manica. Ti sarà completamente inutile dopo che avrai
attraversato le cascate. – poi prese la sua. – Tieni questa. È resistente
all’acqua. –.
Anna la prese, sempre mantenendo il silenzio.
Antonella però aveva terminato il suo compito e come una vera professionista
sparì senza che Anna se ne accorgesse, attenta ad osservare la sua nuova
pistola. Quando rialzò lo sguardo Antonella non c’era più.
Prese fiato e saltò in acqua, che si sporcò col
sangue che ancora perdeva, di nuovo cercando di non attraversare le cascate e
riemerse dall’altro lato, cercando di raggiungere la riva. Ci riuscì con
qualche bracciata a stile, un po’ impacciata a dire la verità, per la forza
della corrente e per la sua stanchezza. Si trascinò sulla riva e si distese
sull’erba che cresceva intorno, tirando grandi respiri profondi. Sentì dei
passi provenire da dietro di lei ma non gli diede importanza. Quella volta
sapeva a chi appartenevano.
Rimase distesa a pancia in su aspettando che Stub
dietro di lei avviasse la conversazione. – Vedo che anche se il tuo pseudo
piano non ha funzionato sei riuscita lo stesso a liberarti. -.
-Ti aspetti che ti ringrazi? – replicò Anna.
-Non ringraziare me. – rispose lui. – Ringrazia Antonella che è stata
brava a recitare e credibile nel dare ordini. -.
Anna capì che Antonella era la ragazza che l’aveva
condotta all’uscita. – E adesso che sono da te hai intenzione di chiudere la
partita? – domandò lei. – Potresti farlo. Ho chiesto io di essere portata
da te e sono troppo stanca per tentare di fuggire adesso. -.
-Non ti arrenderesti mai così. – replicò Stub. – E io non ti
umilierei mai uccidendoti in queste condizioni. Posso sedermi qui? -.
-Fai pure. – rispose Anna. – L’erba è di tutti. -.
Stub si sedette accanto a lei e per qualche minuto
rimasero così, lei stesa a pancia in su a respirare e lui seduto accanto a lei,
entrambi concentrati a osservare la cascata davanti a loro. Per chiunque altro
sarebbe stata una cosa romantica ma non per loro. Erano vittima e assassino.
Anna e Stub. Che in quel momento sembravano aver siglato una tregua. Rotta da
Stub che aveva in mano ago e filo. – Non andrai da nessuna parte conciata in
quel modo. – si chinò su di lei. – Farà male. -.
Anna guardò prima lui, poi l’ago e il filo e annuì.
Chiuse gli occhi e si sforzò per non urlare: non gli avrebbe mai dato questa
soddisfazione. Dopo pochi minuti le sue labbra furono di nuovo a posto. – Ti
rimarrà una cicatrice però. – la avvertì lui. Le porse un fazzoletto. –
Per il naso. – specificò.
-Non ti immaginavo così, killer. – ammise lei, tamponandosi il naso. –
Ti immaginavo senza scrupoli. E invece mi hai già salvata più di una volta.
Sembra quasi che tu non voglia uccidermi. -.
Stub sospirò. – Non mi immaginavi così perché io
di solito non sono così. -.
-Devo ritenermi fortunata allora. – sorrise lei.
-Sì, suppongo. – confermò lui accennando un sorriso. – Non hai paura?
-.
-Di te? -.
Lui annuì. Anna
scosse la testa. – No. -.
-È per questo che ti tengo viva. – anche lui si distese. – Perché per
me rappresenti una sfida in tutti i sensi. Non sei come tutti gli altri
smidollati. E poi lo ammetto: mi piace vedere quali altri piani sgangherati ti
inventerai. -.
-I miei piani non sono sgangherati. – protestò lei, seria. – Sono solo
una ragazzina, che ti aspetti? A quest’ora io dovrei essere a fare surf, non a
cercare di fuggire da te. -.
-E inoltre credo che fare surf ti riesca meglio che fuggire da me. –
aggiunse lui. – Anche se spero che tu ci riesca adesso che non conosco le
coordinate di dove sei diretta. Ma non fuggire in posti strani come fanno molti.
-.
Anna lo guardò
scettica. – La foresta amazzonica non ti sembra abbastanza strana? -.
-C’è di peggio. – rispose lui con tono grave. – Una volta uno ebbe
la brillante idea di fuggire in Antartide e riuscì a rubarmi tutte le
provviste. Un mese in Antartide senza provviste non è esattamente una
passeggiata. -.
-Allora non sei infallibile. -.
-Certo che lo sono. È morto alla fine. -.
-E tu sei sopravvissuto. -.
-Certo. – replicò serio. – Lo Stub non muore mai. Farai meglio ad
imparare questo di me, Anna. – poi fece una pausa. – Questa è l’ultima
volta che ti lascio fuggire. Non ce sarà un’altra. -.
Di nuovo tornò
sovrano il silenzio. Un silenzio calmo e rilassato, senza che Anna temesse per
la sua vita. A che gioco stava giocando lui proprio non lo sapeva, ma a quel
punto era inutile saperlo, lei avrebbe continuato a giocare. E pensando a quello
e null’altro chiuse gli occhi, lasciandosi trascinare dal rumore delle
cascate.
Quando li riaprì
era quasi giorno e Stub se ne era andato. Al suo posto c’erano Federico e
Sveva che la travolsero con le loro domande. Rispose pazientemente a tutte,
quando si accorse di stringere qualcosa in mano.
-Cos’è? – domandò Sveva.
-Un biglietto. – rispose Federico mentre Anna lo leggeva.
-Che c’è scritto? – domandò lui.
Anna glielo porse.
Ci rivedremo
presto.
Stub
Sveva guardò Anna
dubbiosa. – Che cos’è? Una minaccia? -.
Ma Anna si stava già
avviando verso l’accampamento. Si voltò, per guardare la cascata un’ultima
volta. – Oh, no. – rispose, accennando un sorriso. – Spero sia una
promessa. -.
L’angolo della Matrix
Salve a tutti
gente! Sarete contenti che finalmente aggiorno ad un orario normale, non come di
solito!
Spero inoltre che
l’azione in questo capitolo vi abbia soddisfatti… ok, ce ne stava molta di
più, ma volevo lasciare un po’ più di spazio ai nostri due eroi, se volete
più azione andate a guardare Wanted al cinema (pubblicità occulta… non poi
così occulta, a dire il vero). Comunque spero anche che questo capitolo non sia
risultato troppo romantico o peggio ancora… bleah… mieloso. Spero che lo
abbiate trovato un giusto miscuglio di azione, orgoglio, coraggio, amicizia e di
due personaggi, una buona furba e un cattivo cattivo, che stanno imparando a
conoscersi…
Spero insomma che
vi sia piaciuto. Mentre aspetto di sapere che ne pensate vi ringrazio uno per
uno:
·DamaArwen88:
adorabile? Non è
adorabile, è un killer.. avvertimi se ti sembra di nuovo “adorabile” così
lo indurisco un po’. Il piano di Anna ti è sembrato abbastanza strano? A me
non poi così tanto… insomma tutto sommato visto il contesto è abbastanza
normale, non trovi? Spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo! Bacione!
·Aila: non preoccuparti,
il fatto è che adesso che ho più tempo mi butto sulla scrittura e mi piace
postare il prima possibile. Perché ti dispiace per Geremia? Insomma, non è
morto e con Anna non è ancora detta l’ultima parola. ;) Passerò dal tuo
account a leggere le tue fan fic allora J!! Bacione!
·Lallix: hai ragione lei
non si arrende mai. Ho voluto creare un personaggio femminile forte, ma
completamente forte: non piange, non cede a romanticismi, pensa sempre e
solamente a salvarsi la pelle da Stub e a cercare di anticipare le sue mosse
(anche se come hai visto è più bravo lui in questo)… che dici, forse è un
po’ troppo stereotipato come personaggio? Quanto a Stub/Geremia come ho
scritto ad Aila non è ancora detta l’ultima parola. Però tranquilla,
comunque vadano le cose, ti auguro di trovare un Geremia tutto per te nella vita
reale. J Bacione!
Scrivetemi cosa ne
pensate di questo capitolo. Un abbraccio a tutti!
Era passata una settimana
dalla loro avventura e Federico aveva pensato di tornare a Firenze, ma non
avrebbe permesso ad Anna di tornare ad abitare nella sua casa. Infatti era
convinto che Stub non si sarebbe mai cercato di tornare a cercare Anna dalla sua
città. Come la prima volta però non aveva voluto avvertire Anna che in aereo
fissava fuori da finestrino, presa dall’immensità dell’oceano.
-Non mi chiedi dove siamo diretti? – le domandò Federico, un po’
offeso in effetti dalla noncuranza della cugina.
-Basta che non sia l’Antartide. – rispose lei con voce che indicava
che in quel momento si trovava più di là che in questo mondo.
Federico si sbatté una
mano in fronte. – Acc.. l’Antartide avrebbe potuto essere un’idea. -.
-No. – Anna si voltò di nuovo verso il finestrino. – Lui mi avrebbe
trovata lì. -.
Immaginatevi
un po' la sorpresa di Anna nello scoprire che Federico l'aveva riportata dritta
dritta a Firenze. Sveva, pur essendo un'assoluta frana con le armi, se la cavava
molto bene col telefonino, infatti quando arrivarono aveva già affittato una
stanza e un taxi li stava aspettando all'aeroporto.
Il tassista non fece domande nel vedere le strane condizioni dei ragazzi,
soprattutto di quella strana ragazza dai capelli rossi con un filo che le
attraversava le labbra. Ma Anna non faceva caso a lui, era tornata la solita
Anna di sempre, pronta a tutto. Si rivolse a Federico dopo un po'.
-
Sei sicuro che sia stata una buona idea tornare qui? -.
-
Stub non penserebbe mai che tu sia tornata qui. -.
A
quel nome il tassista frenò bruscamente. - Stub? - ripeté. - Voi... voi... -.
-
Già. E non è affatto così terribile come pensano tutti. - aggiunse subito
dopo. - Ti dicevo Federico, non è lui che mi preoccupa ma la tua famiglia e...
si può sapere per quale diamine di motivo sta accostando? Non può mica
lasciarci qui! - guardò sconcertata piazza Puccini.
-
Signorina la prego di scendere subito dal mio taxi. Non offro passaggi a chi ha
alle calcagna un assassino. -.
-
Buon uomo, mi ascolti. - si sforzò di mantenere la calma. - Stub non ha la più pallida idea di dove ci troviamo in
questo momento, e anche se l'avesse le posso assicurare che in questo momento si
trova dove l'abbiamo lasciato, ovvero sia in Brasile. -.
Il
tassista la guardò attraverso lo specchietto retrovisore molto scettico.
Federico dal seggiolino davanti invece nello specchietto vide una macchina che conosceva molto
bene, con seduta al volante una persona che conosceva altrettanto bene. E la vide
estrarre una pistola.
-
Oh, merda! - commentò. - Vada presto! -.
L'uomo
oppose resistenza ma bastò il rumore di uno sparo per mandarlo in pieno panico.
Aprì la portiera ed uscì di corsa. Federico si spostò con la velocità di un
fulmine sul seggiolino del conducente e Anna buttò Sveva per terra. Lei invece
passò davanti, accanto a Federico.
-
Sveva sta' giù! - urlò Federico.
Anna
si ricordò di avere la pistole che le aveva dato Antonella. Il metal-detector
non l'aveva individuata... Anna aprì il finestrino mentre Federico sfrecciava
nel traffico, inseguito dai proiettili che sua sorella sparava mentre guidava la
macchina.
-
LE RUOTE ANNA! - sentì urlare Federico. - MIRA ALLE RUOTE! -.
-
E TU TIENI LE MANI SUL VOLANTE! -.
Anna
si sporse un po' fuori dal finestrino e sparò un colpo praticamente a caso.
Infatti fece appena in tempo a rientrare in macchina che un proiettile lanciato
da Lavinia le sfiorò la tempia destra. Anna si domandò come accidenti faceva
Lavinia a guidare e a sparare in quel modo contemporaneamente. sembrava che
fosse abituata a farlo. Ma non era quello il momento delle domande. Nella strada
si era creato il traffico a causa della sparatoria e via di Ponte alle Mosse non
era poi così ampia. Federico voltò all'improvviso a destra su una traversa per
fare il giro dell'isolato, sperando di far perdere le sue tracce alla sorella.
Ma Lavinia era sempre dietro di loro. Anna capì che non aveva senso avere paura
in quel momento quindi mise un piede nel portaoggetti in basso allo sportello e
si rivolse a Federico.
-
Volta alla prossima. - gli ordinò.
-
Ma siamo contro mano! -.
-
VOLTA ALLA PROSSIMA! - strepitò Anna.
Federico
frenò e girò rischiando di far sbilanciare la macchina sulle ruote a sinistra.
Anna aprì lo sportello e fu catapultata fuori. Non cadde in strada
sfracellandosi solamente perché aveva il piede ben fermo nel portaoggetti e si
reggeva saldamente allo sportello con una mano. Appena Lavinia voltò all'angolo
Anna fece fuoco due volte e riuscì a bucare le due ruote davanti. Lavinia fu
costretta a rallentare e ne approfittò per far fuoco su Anna. Che si ritirò
dentro appena in tempo, chiudendo lo sportello con un sonoro tonfo.
L'inseguimento
continuò fino ad arrivare a Porta a Prato. Probabilmente era il punto più
trafficato di Firenze: da lì entravano le macchine provenienti dall'autostrada,
dalla Firenze-Pisa-Livorno, dalle vicine cittadine di Signa, Scandicci,
Montelupo, Montespertoli, anche da Empoli. E ovviamente nel senso contrario,
ossia quello di percorrenza di Federico, invece portava nelle località sopra
elencate, ma anche a Porta Romana, ai Piazzali... insomma a tutta la zona
comunemente conosciuta come di-là-d'Arno.
Federico
si diresse verso il ponte alla Vittoria, rallentando per tutto il solito
traffico dell'ora di punta fiorentino. Anche Lavinia era stata costretta a stare
indietro senza sparare. Le gomme forate poi, la rallentavano ancora di più.
Dopo quello che a Sveva, rannicchiata nel suo posticino, parve un secolo,
Federico imboccò la Fi-Pi-Li.
Sveva
finalmente tornò a sedersi. - Ce la siamo davvero vista brutta stavolta. -
borbottò.
-
Già. - annuì Anna. - Questo dimostra comunque che tua sorella non si fida di
Stub e vuole eliminarmi con le sue mani. -.
-
Cosa proponi di fare? - domandò Sveva.
-
Non lo so. - ammise Anna, che per la prima volta non aveva davvero la più
pallida idea di come comportarsi. Guardava la superstrada davanti a sé, come in
cerca di una soluzione. - Quello che so è che Federico non può tornare a casa.
-.
-
Si tratta della mia famiglia. -.
-
Una famiglia che ha tentato di ucciderti e per poco non ci riusciva! - gli
ricordò Anna. - Prima di tutto dobbiamo cercare di rientrare a Firenze per
sistemarci dove Sveva ha affittato la stanza. Subito dopo dovremo liberarci del
taxi: ha riportato dei danni, e dà troppo nell'occhio. Inoltre dobbiamo
ringraziare il cielo se il tassista non ci denuncia. Poi aspettiamo che le acque
si calmino: una settimana. Dopodiché ci muoviamo e cerchiamo Geremia. -.
-
Geremia? - Sveva si sorprese. - A quest'ora sarà morto. -.
-
No. - ribatté Anna. - Non se conosco bene Stub. -.
Federico
non poteva far altro che assecondare il piano della cugina, anche perché per il
momento non ne avevano di migliori. Quindi cambiò corsia, di nuovo verso
Firenze.
C'era
qualcuno che aveva osservato tutta la scena in un posto sperduto in Brasile,
dietro la Garganta do Diablo, dove solo gli uomini coraggiosi, o folli, osano
avventurarsi. Lì si trovava uno dei quartieri generali degli assassini più
bravi al mondo.
La scena che si era appena svolta a Firenze aveva fatto montare su tutte le
furie Stub, che si alzò dalla sedia e ruggì che gli fosse portato
immediatamente un telefono.
Compose il numero di cellulare di Lavinia.
-
Parlo con Lavinia? - il suo tono si tratteneva a stento dall'essere
professionale.
-
In persona. - sentì la voce furiosa di lei. - Ma questo non è il momento. -.
-
Ragazzina, porta un po' di rispetto. - la sua voce era più tagliente di un
coltello. - Sono Stub. E ho appena visto quello che hai fatto. E' compito mio
uccidere la ragazza. -.
-
Stub! - esclamò lei. - Sì, ma hai avuto tempo per farlo e mi sembra che sia
ancora viva. -.
-
Mi stai dando dell'incapace? -.
-
Non oserei. - replicò lei. - Ma ho deciso di occuparmi personalmente della
faccenda. In altre parole la mia famiglia non ha più bisogno dei tuoi servigi.
Sei licenziato. -.
-
Se questo è quello che vuoi... - commentò Stub, prima di riattaccare.
Licenziato.
Questo significava che non avrebbe più dovuto uccidere Anna. Antonella era
accanto a lui e lo guardava curiosa.
-
Che ha detto la pazza a sua discolpa? -.
Stub
stava ancora guardando il telefono pensieroso. - Mi ha licenziato. - spiegò.
-
Che cosa? - Thomas aveva sentito e aveva fatto irruzione. - Amico, nessuno può
licenziarti! Sei Stub. -.
-
L'hanno appena fatto Tom. - lo interruppe lui bruscamente. - E sai che vuol dire
questo? -.
Thomas
e Antonella si lanciarono un'occhiata complice.
-
Vado a dire a Masky di andare a prendere il messo. - si mise all'opera Thomas.
-
Preparo un jet diretto in Italia. - Antonella cominciò a dare ordini qua e là
perché un jet fosse pronto a partire entro un'ora.
Stub
invece si diresse in sala d'armi. E mentre camminava scoppiò a ridere in
corridoio. Per la prima volta Stub, il grande assassino avrebbe salvato una
vita.
Anna
fece il suo ingresso in quel monolocale di un palazzo nella zona di Ponte alle
Mosse, e si guardò intorno. Il pavimento era marroncino e le pareti verniciate
di un bianco un po' sporco. A sinistra si trovava la cucina composta da un
frigorifero, un acquaio e solamente 2 fornelli. Proprio daavnti alla cucina il
tavolo, e infine dall'altro lato il divano che poteva essere tatticamente
aperto, trasformandosi in questo modo in un letto. Il bagno era davanti alla
porta d'entrata dopo aver oltrepassato il tavolo rotondo.
-
Allora, che cosa ne pensi? - domandò Sveva. - Non sono riuscita a trovare di
meglio. Inoltre è lontano dalla zona dove abita Lavinia e vicina a dove abito
io. E come vedi è ad un piano abbastanza alto, così puoi tenere la finestra
aperta senza che nessuno ti veda dalla strada. Ho pensato che potesse essere
l'ideale. -.
-
Infatti. - confermò Anna, mentre Federico portava dentro tutti i bagagli. - Io
vado a sbarazzarmi del taxi. - disse infine. - Voi due non muovetevi di qui. -.
Federico
uscì.
Sveva
si lasciò cadere sul divano, stanca e ancora sconvolta per l'inseguimento. Lei
non era fatta per quel genere di cose, a lei piaceva la vita tranquilla. Anna
invece si affacciò alla finestra per controllare la situazione, mentre in mano
stringeva ancora la pistola di Antonella. E pensò che avrebbe dovuto procurarsi
altri proiettili per poterla ricaricare.
Un'ora
era passata e Stub stava aspettando sua cugina davanti al jet per partire alla
volta dell'Italia.
Finalmente
vide entrare Antonella, il cui però sguardo non prometteva niente di buono.
-
Dobbiamo rimandare il viaggio Stub. - lo informò lei. - Sembra che il messo sia
stato più furbo di quello che pensassimo: è riuscito a fuggire. -.
L'angolo
della Matrix
Salve
a tutti!!! Rieccomi qui con un nuovo capitolo: spero vi sia piaciuto. Ho voluto
mettere un inseguimento stradale perché primo mi piacciono tanto, e secondo
perché pensavo fosse l'ideale per introdurre il nuovo pericolo che Anna dovrà
affrontare questa volta. E Stub adesso che cosa farà?
Geremia alla fine riesce a fuggire... e adesso ho intenzione di dar più spazio
anche a lui, perché mi sono resa conto che come personaggio è in secondo
piano, e non voglio che continui ad esserlo, perché è nato per essere uno dei
protagosti.
Bene,
adesso che ho fatto il punto e vi ho illustrato un po' dei miei piani futuri per
lo sviluppo della storia passo ai ringraziamenti.
DamaArwen88:
tranquilla, ho capito che parlavi in senso caratteriale e non nel senso
del lavoro che fa. Anche se come abbiamo detto ieri sera forse anche in
questo caso si tratta solamente di punti di vista... Per il loro prossimo
incontro invece mi sa che dovrai aspettare ancora un po'... sorry. Fammi
sapere che ne pensi di questo capitolo che più che altro mi sembra di
transizione dello stato delle cose. Bacione!
Lallix: ho pensato a te quando ho
deciso di dare più importanza a Geremia ^^. Comunque voglio rassicurarti:
Stub si pronuncia "Stub", non "stab". Che poi qualche
anno fa, dopo aver creato il personaggio di Stub, ho scoperto che la parola
stub indica un abbozzo giornalistico... se vuoi un giorno ti racconterò
come sono nati i personaggi di Geremia e
di Stub, entrambi esistenti. Sai che non mi ero accorta di aver messo due
volte che la protagonista si ricuce il labbro? Comunque hai visto giusto, mi
sono rotta il labbro inferiore per ben due volte e per ben due volte me
l'hanno ricucito senza anestesia... è una cosa che non auguro a nessuno...
Sono contenta che ti sia piaciuta l'ultima frase, anche se un po' avevo
paura che fosse troppo romantica: le tue parole mi hanno rassicurata! Spero
che anche questo capitolo ti sia piaciuto. Bacione!
Un ragazzo biondo che indossava un mantello era
riuscito a elemosinare un passaggio fino ad una cittadina troppo poco popolata
per passare inosservato, e troppo vicina al villaggio indiano e al quartier
generale degli assassini per essere al sicuro.
Quello non era un ragazzo qualunque: pupillo di una delle famiglie più
importanti del mondo, in quel momento era in missione: doveva consegnare ad una
ragazza, Anna, la lettera della sua eredità.
Era stato rapito, ma era riuscito a fuggire. Questo dovrebbe bastare a
sottolineare il fatto che questo ragazzo non è affatto uno sprovveduto; ma nel
caso non sia sufficiente come prova, il ragazzo tirò fuori l'oggetto che
considerava la soluzione a tutti i suoi problemi. La carta di credito.
Avrebbe affrontato con quella le spese del
viaggio di ritorno, anche se ancora non sapeva per dove. Aveva il numero di
Sveva e le avrebbe telefonato. Ma era stanco e doveva avere un aspetto orribile.
Lo capiva da come lo guardava la gente.
Si fece forza ed entrò nel primo locale che gli capitò a tiro. Era un pub. Si
sedette al bancone e aspettò che il barista si rivolgesse a lui.
- Perbacco, amico, hai un aspetto orribile.
Cosa ti posso offrire? -.
Geremia sospirò, finalmente qualcuno gli aveva
detto veramente qual'era il suo aspetto. - Un Brunello per favore. - ordinò in
inglese.
Il barista gli lanciò un'occhiata obliqua e
Geremia si guardò intorno: vide il pavimento sporco, i barboni seduti davanti
tavoli in legno, probabilmente con i tarli, intenti a bere birra di pessima
qualità. Come aveva potuto anche solo domandare un Brunello?
- Volevo dire una birra. - si corresse.
L'oste però lo guardava sempre, non lo perdeva
di vista un solo istante. Gli diede la birra e Geremia cominciò a bere,
facendosi forza per non sputare quella roba gialla dall'aroma disgustoso.
- Sei straniero? - domandò l'oste, deciso a
scoprire di più su quello strano personaggio dall'aria trasandata che però
chiedeva di bere il Brunello.
Geremia annuì.
- Di dove? - proseguì l'oste prendendo un
panchetto e sedendosi davanti a lui.
- Francia. - rispose Geremia.
Era la verità. Geremia era di origine
italiane, ma viveva a Parigi. - Parigi. -.
- Ah! - esclamò l'oste. - Parigi! Gran bella
città, sul serio. -.
- Già. - confermò Geremia, continuando a
bere.
- E com'è che un damerino come te si trova qui
adesso? -.
Geremia sorrise, scotendo la testa. I capelli
si mossero con nobile eleganza: e se prima aveva intuito, adesso l'uomo era
convinto che Geremia non era affatto il povero che sembrava con quel suo aspetto
trasandato. - Se te lo dicessi non mi crederesti. -.
- Dovresti mettermi alla prova amico, sul
serio. - replicò l'uomo, alzandosi e andando a lavare il bicchiere di Geremia.
Geremia pensò due secondi se era il caso di
chiedere all'uomo di fare una telefonata. - Mi scusi, buon uomo, potrei fare una
telefonata a casa? -.
- In Francia? -.
- No. - rispose lui. - Io... onestamente non so
in che parte del mondo si trovi la persona che voglio chiamare in questo
momento. -.
- Allora sarà un problema. - replicò l'uomo.
- Per fare chiamate all'estero ci vuole il prefisso. E bisogna tener conto del
fuso. -.
Geremia guardò per la prima volta l'oste,
rendendosi conto che aveva ragione. Era un omone più largo che lungo, con un
gran grembiule bianco e un espressione da pirata più che da oste gentile. Le
braccia erano grandi, tutte muscoli, e due baffoni coprivano la bocca,
intonandosi al nero degli occhi. Insomma, non fosse stato socievole e loquace
avrebbe incusso parecchia paura.
- E' molto urgente la chiamata che devi fare?
-.
Geremia annuì, ma non aveva intenzione di
rivelare altro. - Avete una camera libera? Magari con un bagno? Posso pagare...
-.
- Amico, non c'è bisogno che paghi... non mi
manderai in rovina. Di sopra a sinistra. -.
Geremia annuì, sorridendo riconoscente.
Arrivato in camera la prima cosa che fece fu quella di buttarsi sul letto.
Stanco. Sapeva che la cosa da fare era trovare una soluzione per trovare Anna.
Dopo 10 minuti che pensava senza trovare una soluzione decise che era arrivato
il momento di farsi una doccia, svuotarsi la mente e ricominciare a riflettere
dopo. Sapeva che ogni secondo perso era un secondo di vita in meno per Anna, ma
in quelle condizioni non sarebbe arrivato a nulla. Quindi si svestì, mostrando
il fisico di colui che ci tiene a farsi dire che è bello e senza esitare oltre
entrò nella doccia.
Quando uscì prese l'asciugamano e andò in
camera per asciugarsi e vestirsi.
Entrò in camera. Divenne rosso e velocemente
si coprì le parti intime con l'asciugamano. Una ragazza era seduta sul suo
letto. Non era arrossita vedendolo, né sembrava che l'episodio avesse prodotto
in lei alcuna reazione di imbarazzo. Al contrario di lui che stava cercando di
ricordare se aveva già visto da qualche parte quella ragazza dai boccoli neri
ben definiti. Li fece scuotere con quel gesto che le piaceva tanto fare.
Geremia era imbarazzato anche se dopo il momento iniziale tentò di darsi un
contegno.
Fu lei a rompere il ghiaccio. - Ciao. -.
- Ciao. - rispose lui.
Si chiese come mai una ragazza era sul suo
letto, ma dopo una veloce e attenta riflessione riuscì a trovare solamente un
motivo per cui quella ragazza poteva essere lì in quel momento. E si sentì in
dovere di dire qualcosa.
- Ascoltami... non vorrei sembrarti scortese,
però... è l'oste che ti manda? -.
Non aveva fatto nessuno sforzo per cercare
parole poco offensive, e infatti temeva che si fosse tremendamente offesa.
Immaginate la sua sorpresa quando la ragazza scoppiò a ridere. - E tu davvero
credi che l'oste abbia donne da mandare in camera in questa specie di topaia,
Geremia? -.
A quelle parole l'atteggiamento di Geremia
passò da cortese e imbarazzato a sospettoso e attento. - Come sai il mio nome?
-.
- Io so molte cose di te. - rispose la ragazza
che aveva tutta l'aria di una persona che si sta divertendo. - Il mio nome è
Antonella. -.
- Io non ti conosco. Cosa sai di me? -.
- Per esempio conosco colei a cui avresti
dovuto dare questa. - nel dire quelle parole sventolò la lettera per Anna
proprio sotto gli occhi di Geremia, che provò a prenderla, ma Antonella fu più
veloce e si scansò.
- Ti manda Maschera di Bronzo? -.
- No. - fece una pausa ad effetto. - Mi manda
Stub. Ti aspetta di sotto. -.
Del suo corpo a quelle parole si impossessò la
calma, la calma della rassegnazione, la calma che coglie ognuno di noi quando
comprendiamo che si è spacciati. Avrebbe potuto fuggire, è vero: ma per andare
dove? Non senza una destinazione, non senza i suoi soldi di cui si era
impossessata quella ragazza malefica davanti ai suoi occhi, e soprattutto non
senza vestiti.
- Posso almeno morire dignitosamente vestito? -
domandò, cercando di non tradire alcuna emozione.
Antonella sorrise, e gli appoggiò una mano
sulla spalla. - Tu parli troppo come un damerino, o un attore drammatico per i
miei gusti. - quindi lo spinse fuori dalla porta, rischiando di fargli cadere
l'asciugamano, che teneva ben stretto.
Quindi scesero le scale. L'oste era l'unico che
aveva avuto abbastanza fegato da rimanere con Stub e la sua banda nel suo
locale. Quando vide Geremia, Stub si alzò. L'oste si sentì in dovere di
giustificarsi. - Mi dispiace amico... ho provato a dire che non eri qui, ma non
mi hanno creduto e... -.
Fu interrotto dal rumore che fece Thomas nel
caricare il suo fucile e nel puntarlo contro l'oste. - Sarai tu quello che farà
un brutta fine se non stai zitto. -.
L'oste si zittì all'istante, mentre Stub e
Geremia si guardavano, entrambi in attesa di sapere quale sarebbe stata la mossa
dell'altro. Alla fine fu Geremia a parlare.
- Ti diverti Stub? - domandò.
Quello lo guardò piuttosto sorpreso. - Dovrei
divertirmi a guardarti? -.
- No, infatti. Ti diverti con questa specie di
tortura psicologica. -.
Stub gli si avvicinò. - Hai paura della morte,
biondo? -.
- No. - rispose l'altro tirando fuori tutto
l'orgoglio di cui era capace.
Stub sorrise. - Tanto meglio allora. Uno in
meno che farà scene patetiche quando arriverà il suo momento. -.
Da quando aveva visto Stub Geremia aveva
cominciato a capire poco di tutta la faccenda, ma dopo quelle parole dovette
ammettere che ormai non capiva più nulla, o quasi. - Non è questo il mio
momento? -.
- Nell, ricordami. - si rivolse alla ragazza
dai capelli neri. - Ho per caso ricevuto una richiesta di omicidio riguardante
lui. -.
- No. - rispose lei, tranquilla.
- Come mi ricordavo. E' il tuo giorno fortunato
Geremia. - si risedette. - Oste, una birra per tutti, offro io. - e senza tanti
complimenti aspettò che Nell lo mettesse a sedere.
Geremia guardava Stub, poi quella ragazza, il
ragazzo che prima aveva minacciato l'oste e poi anche Maschera di Bronzo. Erano
venuti in 4 per lui, ma non per ucciderlo, e come se non bastasse in quel
momento la ragazza, che gli aveva detto di chiamarsi Antonella, gli stava
porgendo la lettera. Capì allora che non avevano cattive intenzione... e se
anche le avessero avute, aveva la lettere indietro. Sapeva che Anna era viva:
altrimenti perché prendersi il disturbo di venire recuperare lui? Forse
per avvertirlo che Anna era morta e che quindi i suoi servizi erano tutti
inutili? Anna non era morta. Anna non doveva essere morta.
L'oste venuto a portare le birre lo distrasse dai suoi pensieri. I 3
agguantarono le birre. Ma Geremia aveva lo stomaco chiuso. Quanto a Masky,
beh...
- Ma perché a voi le birre e a me il succo di
frutta alla pesca? - protestò.
- Perché sei una pulce. - rispose Thomas.
- Sta' zitto cespuglio! - replicò tagliente
Masky, riferendosi ai suoi capelli. - E oltretutto quando siamo in servizio! -.
Stub appoggiò il suo boccale. - Tecnicamente
nessuno di noi è in servizio. - replicò, alludendo al licenziamento. - E poi
già tu ti lasci sfuggire gli ostaggi da sobrio, figuriamoci se bevi la birra.
-.
Quello bastò a far zittire Masky.
Quindi prese la parola Antonella. - Oste! -
esclamò. - Siediti con noi... Thomas è un fucile, non un giocattolo, mettilo
via. Vogliamo solamente che l'oste senta la storia mirabolante che Geremia sta
per raccontarci. -.
- Quale storia? - domandò Geremia.
Antonella sorrise e per un istante lungo un'ora
i loro sguardi si incrociarono. - Quella della tua fuga. -.
L'angolo della Matrix
Salve a tutti!!! Come vedete perlomeno per il
prossimo capitolo lo scenario cambierà per concentrarsi sulle avventure di
Geremia. Non dimentichiamoci che anche lui se l'è vista brutta. In realtà mi
sarebbe piaciuto fare un unico capitolo, poi però ho capito che mi sarebbe
venuto troppo lungo. Leggendolo penserete che questo capitolo sia inutili: non
c'è romanticismo e soprattutto non c'è azione. Se l'ho scritto però ho i miei
buoni motivi: il primo è che volevo concentrare un po' di attenzione sulle due
figure di Geremia e Antonella; il secondo è che pensavo che causasse meno
confusione cominciare dal dopo la fuga e ripercorrerla in flash back; la terza
è che non potevo svolgere il punto due se non scrivevo questo capitolo che se
volete è introduttivo. Un po' come quello precedente era l'introduzione delle
nuove avventure di Anna a Firenze, questo è l'introduzione della
"mirabolante storia" della fuga di Geremia.
Vi invito a lasciarmi scritto cosa pensate di
questo capitolo con spirito più leggero rispetto agli altri.
Nel frattempo mi dedico ai ringraziamenti:
DamaArwen88: in effetti Masky non
c'è rimasto molto bene... però in fondo non è colpa sua... ma basta, non
anticipo nulla... saprai di più sulla fuga nel prossimo capitolo! Sono
stracontenta che ti piaccia questa storia e spero che continuerà a farlo!!!
Bacione!
Lallix: come vedi Geremia è in
primissimo piano! xD Ah... comunque con la storia del non far sapere della
storia del licenziamento ci hai preso in pieno!!! Ma stop con le
anticipazioni, che se no poi indovini il finale. Spero che ti sia piaciuto
anche questo capitolo... e che leggerai il prossimo visto che Geremia sarà
il protagonista assoluto (e visto com'è nato il suo personaggio un po'
glielo devo, no?). Bacione!
BabyzQueeny: che bello, una nuova
fan!! :) Sono molto contenta che la storia ti piaccia addirittura un casino.
Mi faresti felice se mi dicessi cosa ne pensi di questo capitolo! Bacione!
Un abbraccio a tutti coloro che mi hanno
aggiunta tra i preferiti!
L'angolo della Matrix (da
leggere prima del capitolo!!!)
Buongiorno bella gente, come va?
Spero che questo capitolo vi piaccia. In questo
capitolo ho messo abbastanza azione, soprattutto verso la fine. Ci saranno nuovi
personaggi, di cui uno solo però ci accompagnerà fino al prossimo capitolo.
Ho voluto mettere questa sezione del mio
capitolo prima in quanto devo specificare alcune cose: non so come sono fatti i
jet (sfortunatamente non ci sono mai salita sopra xD) quindi il jet di cui
leggerete di seguito è opera solamente della mia fantasia. E' inutile dire
che anche la tribù di indiani e descrizione dei loro usi e costumi è
solamente pura invenzione. Mi sembrava giusto dirvelo.
Inoltre volevo specificare che le parti
scritte a carattere normale sono momenti che si svolgono nella taverna dell'oste;
quelli scritti incorsivo rappresentano la fuga di Geremia,
avvenuta in precedenza, e quindi i suoi ricordi, anche se ho preferito scriverli
in terza persona.
Spero che questo capitolo sia abbastanza lungo
e abbastanza entusiasmante da farmi "perdonare" quello scorso che io
per prima ho trovato noioso... quanto a questo... beh, io a scriverlo mi sono
divertita, spero dunque che anche voi vi divertiate a leggerlo.
Passo adesso ai ringraziamenti:
Lallix: non sai che piacere ha fatto
a me scriverla quella mail!! Comunque sì, come puoi ben vedere se avessi
unito questo allo scorso sarebbe diventato un capitolo eccessivamente lungo.
Addirittura un mito? Mi onori!! Bacione! PS: ho reso giustizia a Geremia con
questo capitolo secondo te?
BabyzQueeny: spero davvero che
gradirai questo capitolo e che mi perdonerai lo scorso capitolo corto ^^'.
Fammi sapere che ne pensi!!! Bacione!
DamaArwen88: sono felice di aver
letto la tua recensione... ed ecco a te le mirabolanti imprese di Geremia...
più che mirabolanti sono... oserei dire... esplosive XD... fammi sapere che
ne pensi!!! Bacione!
@matrix@
Capitolo 10:
Wedding with Surprise
Quando riprese i sensi Geremia si ritrovò
legato e imbavagliato in quello che riconobbe essere un jet. Aveva un gran mal
di testa e impiegò qualche minuto prima di ricordarsi che era stato rapito. Non
sapeva dove stava andando. La sua unica certezza era che scappare era fuori
discussione: attualmente si trovava su un jet in volo, e ammesso che fosse riuscito a liberarsi
dalle corde che lo facevano tanto assomigliare a un salame, che cosa avrebbe
fatto dopo? Aggredire il pilota? E chi lo sapeva guidare un jet? Prendere un
paracadute e lanciarsi di sotto? Per morire più velocemente... e comunque per
prendere il paracadute probabilmente avrebbe dovuto lo stesso aggredire il
pilota.
L'unica cosa che poteva fare in quel momento
era strisciare, quindi si trascinò fino ad un finestrino, giusto per sapere su
che stato stavano volando: dubitava di essere ancora in Italia. Certo però non
si aspettava la grande foresta che ricopriva tutta la superficie sotto di lui.
Era praticamente inutile quella informazione.
- Risparmiaci il viaggio. - Masky
interruppe il suo racconto. - Voglio sapere come diamine hai fatto a scappare.
-.
- Masky! - esclamò Stub. - Sii più educato.
Non è nostro nemico. -.
- Ma ha ragione. - lo appoggiò Thomas. - Se
racconta tutto domattina saremo ancora qui, e sai io dove vorrei essere
domattina? Nel quartier generale, a occuparmi degli affari miei. -.
Stub stava già per ribattere ma Antonella lo
fece tacere con un cenno della mano. Quindi si voltò
verso Geremia e lo invitò a continuare...
Di nuovo legato: Geremia cominciava a
pensare che la sua sorte consistesse nell'essere perennemente legato, almeno
fino ad altri ordini. Questa volta però perlomeno aveva la bocca libera. Era
seduto e le braccia erano legate ad un palo, lo stesso che sorreggeva la tenda
in cui si trovava. Era in quelle condizioni da giorni e nessuno, né gli
indigeni, né il pilota del jet rimasto con lui gli rivolgevano la parola. Era
pressoché un fantasma.
Tuttavia doveva ammettere che la cosa giocava anche abbastanza a suo favore: la
tenda non era consistente come un muro, quindi poteva sentire tutti i discorsi
che si svolgevano in prossimità di essa. Ed erano molti, in quanto nessuno
faceva caso a lui.
La cosa che gli interessava era che di lì a
pochi giorni la figlia del grande capo, Pantera-che-Corre, sarebbe convolata a
nozze insieme ad un importante membro della tribù, da quello che aveva capito,
era colui che catturava la selvaggina che Geremia mangiava.
A quelle informazioni nella mente di Geremia
si creò un piano e quando un indiano entrò per portargli la cena, chiese di
avere l'onore di parlare con i due promessi sposi. L'indiano prima lo guardò
incredulo, con quei suoi due occhi di nero cerchiati. Era quello che Geremia
aveva chiamato "il suo carceriere" perché era sempre lui che gli
portava la cena. Era un indiano piuttosto deboluccio, dagli occhi che
segnalavano una salute cagionevole, i capelli rasati. Per questo Geremia gli
aveva dato il nomignolo di Salute-che-Va-Via.
Salute-che-Va-Via lo guardò, poi uscì senza dire nulla. Non diceva mai nulla e
a Geremia era venuto il dubbio che potesse non comprendere la lingua inglese.
Era certo però che il capo-villaggio la comprendesse.
Infatti fu proprio lui a fare irruzione
nella tenda dopo pochi minuti. Era tarchiato, con i capelli corti neri, che
uniti alla faccia ricordavano un fungo. Insomma sembrava che del grande capo
avesse solamente il titolo e null'altro. Eccetto gli occhi, che incutevano un
certo timore riverenziale.
Appena entrato si posizionò davanti a Geremia, insieme a Salute-che-Va-Via.
Fu quest'ultimo a parlare. - Grande capo
dire me di chiederti come mai tu volere vedere sua figlia e suo futuro sposo. -
pronunciò in un inglese stentato.
- Nella mia società il matrimonio è molto
importante, ed è sempre un bell'evento. Voglio augurare le mie felicitazioni
agli sposi. -.
I due indiani si scambiarono qualche parola
e poi Salute-che-Va-Via tornò a parlare in inglese. - Grande capo non fidarsi
di te. Grande capo dire che tu cercherai di fare male principe e principessa
indiani. -.
- Dì al tuo capo che non ho intenzione di
far loro del male. Che mi leghi di più se non si fida. - sbottò Geremia.
- Avrei dato ordine di legarti in ogni modo,
prigioniero. - replicò il grande capo con un inglese veramente invidiabile.
Geremia non si aspettava che "grande capo" sapesse parlare in quel
modo l'inglese. - Non vedo il motivo per cui tu dovresti fare i tuoi auguri a
mia figlia e al suo sposo. -.
- Perché il suo sposo è quello che procura
il cibo che mi nutre ogni giorno. - rispose Geremia, partendo che quel dato di
fatto per tessere un'abile adulazione. - Il minimo che possa fare è augurargli
una vita felice accanto alla donna che ama. E' un bravo cacciatore, il migliore
di tutti a quanto ho potuto capire dai miei pasti. E se ognuno di voi caccia in
quel modo, che i vostri dei mi fulminino se non siete i migliori cacciatori che
questa terra ha conosciuto. -.
Terminò in quel modo il suo discorso e
aspettò che le lodi al suo popolo facessero effetto. E questo non tardò ad
arrivare. - Ebbene sia, prigioniero! - esclamò il grande capo all'improvviso. -
Il matrimonio è una cerimonia della massima importanza anche presso la nostra
tribù. Ti concediamo di partecipare. Ma sempre ben legato. E ti avverto che
sarai sorvegliato. Almeno finché non avrai dato i tuoi auguri. Poi sarai
ricacciato qui. -.
Geremia chinò la testa in segno di
riconoscenza. - Mi onori grande capo. Non speravo in tanto. - ancora adulazione.
- Buono a sapersi. - il racconto fu interrotto
ancora una volta da Masky. - Quello scimunito del grande capo mi sentirà. Altro
che adulazione! -.
- Proprio non ce la fai a non interromperlo,
eh? - domandò Stub.
- Come faccio a non interromperlo?! Quel grande
capo mi ha rovinato il rapimento! E ci ha fatto perdere tempo! Quasi quasi
chiedo a te di vendicarmi, fratellino. -.
Stub scosse la testa. - Non farci caso. - disse
a Geremia. - Continua. -.
- Forse Thomas... - provò ancora Masky.
- Ma proprio no. - replicò Thomas. - E adesso,
zitto, pulce! -.
Arrivò quindi il giorno del matrimonio e
Geremia era riuscito a formulare perlomeno nella sua mente un piano di fuga.
Certo lasciava un bel po' di cose in mano alla casualità, ma era l'unico
momento che poteva sfruttare per fuggire e lo avrebbe fatto, conscio del fatto
che aveva solo quella possibilità. Il grande capo non gli avrebbe più offerto
condizioni adatte alla fuga. Appena prima del matrimonio vide entrare la sposa,
in un vestito decorato di perline dai colori sgargianti. Geremia la guardò
incuriosito. Soprattutto per quel suo sguardo triste.
- Ciao straniero. - lo salutò parlando
inglese.
Geremia non fu stupito di quello quanto del
suo aspetto: la pelle cioccolato faceva uno strano contrasto con i suoi lunghi
capelli biondo grano, lisci. Lei si rese conto del motivo della curiosità che
traboccava dagli occhi del prigioniero. Ma prima di spiegare il perché di quei
suoi strani tratti somatici doveva dirgli che lui era la sua unica speranza. Si
era lambiccata a lungo la testa per trovare il modo adatto per dirglielo; alla
fine era arrivata ad una conclusione.
- Sei la mia unica speranza. -.
Lo sguardo di lui dovette farla ricredere:
forse quello non era affatto il modo più adatto per dirglielo. Allora decise di
spiegarsi meglio. - Io mi chiamo Pantera-che-Corre. Sono la figlia del capo
indiano. -.
- Lo so. - la interruppe Geremia. - Stai per
sposarti principessa. Come mai quello sguardo triste? -.
Lei sospirò. - Ho solamente 16 anni. -
rispose lei. - E il mio amore è lontano. Giaguaro-che-Ruggisce è un grande
guerriero e il suo nome esprime forza e potenza, sia fisica sia interiore... voi
nel mondo occidentale direste che è un figo della Madonna ed è anche
intelligente. - fece una pausa durante la quale Geremia sorrise, la ragazza
invece arrossì fino alle ossa, ma proseguì. - ... Mia madre è inglese. Lo
avrai capito dal mio colore di capelli e da come parlo inglese. Il fatto è che
l'estate scorsa mia madre mi ha portata in Inghilterra e lì... ho conosciuto
John. - disse con tutta la semplicità capace di spiegare qualsiasi cosa. -
Quando sono dovuta andar via gli ho promesso che gli avrei scritto, e così è
stato, e lui ha scritto a me. Solo che mio padre ha scoperto la
corrispondenza... e mi ha imposto di non scrivergli più... e di sposarmi. -.
- Tu non vuoi sposarti? -.
- No, straniero, no. - rispose lei, scotendo
la testa. - Voglio proporti un accordo: io libero te e tu mi porti via da qui.
-.
- Lo sai che al momento probabilmente sono
sulla lista di un assassino, vero? Che tuo padre ci cercherà e che non
raggiungeremo l'Inghilterra nel giro di parecchi giorni, vero? -.
Lei annuì, guardandolo con i suoi occhi
grigi. - Lo so. -.
- Allora... - commentò lui, senza
entusiasmo.
- Bene! - esclamò lei. - Ascoltami
attentamente e cerca di capire ogni parola che dico, anche se la tua lingua
madre è il francese. Tra meno di un'ora tutto il villaggio si sposterà nella
foresta. Passeranno a prenderti e ti condurranno lì... -.
...
Geremia stava per essere condotto nella
foresta ma a prenderlo era uno degli indiani amici di Pantera-che-Corre.
Aspettarono che tutti fossero andati via prima di raggiungerli. Poi lo slegò e
gli offrì la faccia. Geremia sapeva quello che doveva fare. Doveva assestargli
un bel pugno, per provare che si era liberato da solo e che l'indiano non aveva
collaborato. Piccola astuzia escogitata da lui.
- Pardon. - si scusò e lo stese.
Quindi andò diretto verso la grotta dove
Pantera-che-Corre gli aveva detto che era tenuto il jet. Quello che lui non
aveva detto era che non sapeva guidare un jet. Ma doveva fare veloce, quindi la
raggiunse e come lei aveva previsto il giorno del suo matrimonio nessuno era di
guardia.
Salì velocemente sul jet e la prima cosa che fece fu di mettere il pilota
automatico. Si accorse che era guasto.
- Complimenti Masky. - questa volta fu
Stub ad interrompere il racconto. - Non ti assicuri nemmeno di avere un jet col
pilota automatico funzionante! -.
- Chi è che non sa guidare un jet? -.
- Tu sai farlo? -.
- Io ho solo 8 anni. - replicò quello. -
Antonella per esempio sa farlo. -.
Antonella lo guardò incredula, quasi offesa. -
Certo che so guidare un jet! Per chi mi avete presa? Per un'assassina di seconda
categoria? - scosse la testa. - Continua col racconto, perché finora per me è
stato noioso. -.
Geremia non poteva farsi prendere dal panico
adesso che era a metà del piano di fuga. Cominciò a premere tasti a caso,
sedendosi sulla postazione da pilota. Le porte si chiusero con un tonfo. Il jet
cominciò a sollevarsi fino ad arrivare sopra gli alberi. Per il resto non
avrebbe dovuto essere difficile... come guidare un auto, col volante, pensava in
quel momento. Ma dovette ricredersi presto.
Era evidente che nelle sue mani più che essere un jet quel velivolo era un
montagna russa: ora andava su, poi ricadeva giù, sradicando qualche albero. Ma
almeno la direzione era giusta.
Dopo quello che gli parve un tempo interminabile, col giramento di testa,
Geremia raggiunse la cerimonia che fu interrotta. Adesso avrebbe dovuto
solamente premere il pulsante che serviva a far scendere una scala, in modo che
scendesse vicino a Pantera-che-Corre.
Tutto facile fino alla teoria: ma qual'era il pulsante? Provò a premerne un
paio: il primo fece comparire una specie di alettoni laterali che mandavano
fiamme; il secondo invece fece spuntare un'elica.
Che ci faceva un'elica su un jet? Non era quello il momento di porsi domande
sceme.
Provò con un altro, e partì il massaggio rilassante alla sua sedia, che servì
solamente a farlo balzare e colpire 5 pulsanti: uno fece partire una musica
assordante, un altro serviva per preparargli un succo di frutta fresco, il terzo
per aprire una specie di ripiano nella parte di sotto, il quarto attivò delle
mani robotiche che lo avvolsero in una bella sciarpa calda... che perlomeno gli
servì per asciugare il succo di frutta cadutogli addosso. Il quinto invece
mandò la scala. Panter-che-Corre si afferrò e cominciò a salire.
Ma il jet non risaliva.
- Sai guidarlo? - gli domandò lei.
- No. - rispose lui.
- E allora perché hai accettato il piano?
-.
- Era la mia unica possibilità di fuga. -
urlò Geremia, voltandosi verso di lei.
E nemmeno a dirlo fece ruotare troppo tutto
insieme il volante: si ritrovarono a testa in giù e gli alettoni con fuoco
fecero il loro effetto: il jet partì veloce come un razzo, schiantandosi su
qualsiasi albero o pianta gli capitasse a tiro.
- STAI DISTRUGGENDO LA FORESTA AMAZZONICA! -
urlò Pantera-che-Corre, in preda al panico.
- NON SO COME SI FERMA! -.
Un alettone si staccò e il peso dell'altro
li fece capovolgere da un lato. I comandi avevano smesso di funzionare.
- Pantera? - domandò Geremia. - Quanti dei
conosci? -.
- Un po' perché? -.
- Comincia a pregare allora! -.
Entrambi notarono poi la parete rocciosa che
si stagliava davanti a loro. - FA' QUALCOSA! - strepitò lei.
Lui la prese in braccio, lasciò la
posizione di pilota, si mise il paracadute. Sfondò il finestrino con un calcio
e si buttò di sotto prima dell'impatto.
AAAAAAAAAAAH!!!!
Questo fu l'urlo dei due ragazzi quando
furono raggiunti dalle schegge del jet provocate dall'esplosione. Una di queste
colpì Pantera-che-Corre in testa. Il paracadute infatti aveva sì evitato che
si schiantassero, ma aveva reso la loro discesa più lenta, e non si erano
potuti mettere al riparo dall'esplosione. Finalmente Geremia toccò con i piedi
per terra. Si accorse che lei aveva perso i sensi e la poggiò per terra.
- Pantera! - esclamò. - Pantera sei viva? -
la scosse dolcemente.
Lei riaprì lentamente gli occhi. - John? -
domandò.
A quel punto l'unica cosa che poteva fare
era mentire. - Sì, sono John. E adesso ci sono io. Andrà tutto bene. Hai
bisogno di un medico. -.
- C'è un villaggio. - bisbigliò lei. - Da
quella parte. - e con la mano debole indicò una direzione, per poi perdere i
sensi.
- E così eccomi qui. - concluse Geremia.
Antonella lo guardò sospettosa. - E lei
dov'è? - domandò.
- Dal medico. - rispose Geremia. - Mi ha detto
che doveva riposare e che era meglio se la lasciavo da lui. -.
- Allora andremo a prenderla. - concluse Thomas,
alzandosi e tendendo delle monete all'oste.
Geremia si alzò a sua volta, guardandolo
malissimo. - Per portarla dove? -.
- In Italia. - fu Stub a rispondere. - Nel
nostro quartier generale di Firenze. Lì sapranno curarla e riusciranno a
rintracciare quel John. Il capo tribù è amico di Masky: fratellino, quando
arriveremo in Italia voglio scambiarci due chiacchiere. -.
Uscirono tutti, tranne Geremia e Stub, che si
guardarono in cagnesco per un po'. - Anna è a Firenze? - domandò.
- Sì. - rispose Stub, e fece per andarsene.
- Stub. - lo chiamò l'altro con voce ferma. -
Non la ucciderai. -.
- E me lo impedirai tu? - poi lo guardò
meglio. - Le vuoi bene, vero? -.
Geremia annuì.
- Come pensavo. - replicò Stub. - Ma fai
attenzione. Qualcuno potrebbe rimanerci molto male. -.
E senza aggiungere altro uscì. Geremia rimase
impietrito per qualche secondo, cercando di capire a chi Stub si stesse
riferendo.
Quella piccola cittadina non aveva un ospedale.
Aveva solamente un medico. Il suo ambulatorio consisteva in due stanze: una dove
curava i pazienti, l'altra dove ricoverava quelli che ne avevano bisogno. E
proprio in quest'ultima sala, con le tende abbassate, e il sole che filtrava
attraverso rendendo l'oscurità meno buia, su un candido letto giaceva
Pantera-che-Corre, immersa in un sonno non poi così profondo.
Infatti appena sentì dei passi si svegliò:
non sapeva dove si trovasse. Ricordava solamente della fuga, di Geremia, e fu
molto sollevata nel vederlo arrivare. Si guardarono per un lungo istante prima
che Pantera gli chiedesse dove si trovavano in quel momento. Geremia rispose che
l'aveva portata nel villaggio che lei gli aveva indicato e poi l'aveva lasciata
da un medico.
- Ma ora stiamo per ripartire. - la informò. -
Adesso. -.
Lei lo guardò interrogativa. - Ma io non sto
ancora bene... -.
Lui annuì. - Lo so. Ma ti porteremo in un
posto dove ti cureranno meglio. -.
- Porteremo? - era incredula. - Tu e chi altro?
-.
In quel momento la porta si aprì e Masky fece
il suo ingresso. A Pantera quasi venne un infarto nel vederlo. Se lui era lì,
probabilmente c'erano anche suo fratello e sua cugina... in fondo lavoravano
tutti e tre sulla stessa persona in quel momento a quanto ne sapeva lei.
- Ciao Pantera. - la salutò Masky,
rigorosamente in inglese.
- Ciao. - rispose lei con voce debole.
Dopo di che nella stanza entrarono gli altri 3:
Stub, Antonella e Thomas.
- Come stai? - continuò Masky.
Masky era l'unico di loro che Pantera conosceva
di vista. Gli altri solo per sentito dire. Non rispose a quella domanda.
Come se ce ne fosse bisogno. Lontana dal padre, dalla madre, lontana dal suo
amore, in una specie di ospedale improvvisato, con 3 killer, un rapitore e un
distruttore di jet. Come poteva sentirsi?
Geremia si avvicinò, prendendole la mano. - Ti
porteremo in un posto dove potremo curarti meglio... subito dopo provvederemo a
cercare John. E lo raggiungerai. -.
Le sorrise cercando di rassicurarla, con uno
sguardo così dolce che Pantera non poté far altro che sorridere, annuendo. -
Grazie. -.
- E di che cosa? E' colpa mia se adesso sei
qui. - le disse lui. - Prima andiamo a Firenze meglio sarà. Anche perché lì
c'è una mia cara amica. -.
- Anche perché lì c'è una mia cara amica. -
gli fece il verso Antonella. - Quante insulse smancerie. Muoviamoci. Tom prendi
la ragazza! -.
Thomas la guardò malissimo. - Miseriaccia,
amica, perché io? -.
Lei gli si avvicinò e lo sollevò per il
colletto. - Scusami? -.
- Come comandi, Nell. -.
Lei lo ripose giù e guardò il cugino. - Vado
a controllare il jet. -.
A sua volta Stub rivolse al biondo uno sguardo
eloquente come a dire "te l'avevo detto", e Geremia non poté fare a
meno di ricollegarlo a quello che gli aveva detto prima, che qualcuno avrebbe
potuto rimanerci male. Ma era impossibile che si riferisse ad Antonella,
tuttavia nella sua mente si insinuò il dubbio di poter piacere a quella
ragazza. Thomas prese in braccio la ragazza e si sbrigò a seguire Antonella.
Gli altri 3 lo seguirono.
Arrivarono al jet e Geremia lo guardò
diffidente. Non si decideva a salire: l'ultimo volo che aveva fatto non era
stato esattamente un viaggio rilassante. Tuttavia qualcosa, o meglio qualcuno,
lo indusse a salire: Antonella si era affacciata sul portellone, guardandolo con
aria impietosita.
- Non dirmi che hai paura. - scoppiò a ridere.
- Assolutamente no. - mentì lui, cominciando a
salire il più decisamente possibile.
- Allora non farci perdere tempo, messo! -
sbottò lei entrando, e andando a sedersi al posto di guida, con evidente fare
brusco.
Stub si era accorto di quel cambiamento di
umore della cugina e le si era avvicinato. - Ehy, Nell, vuoi che guidi io? -.
- Perché, scusa? - ribatté lei, azionando il
comando per far chiudere il portellone talmente di scatto che Geremia quasi non
fu tagliato in due.
- Come vuoi. - acconsentì lui, mentre guardava
Geremia. Poi fece un cenno a Thomas che si rivolse a tutti. - Allacciate le
cinture gente! - la voce gioviale di Thomas rimbombò. - Oggi si ballerà un
po'. -.
Geremia vide il jet finalmente atterrare nel
bel mezzo di una costruzione con un grande giardino intorno. Era una delle
costruzioni che si trovavano nel giardino di Boboli, al suo interno. Boboli era
uno dei più grandi e più bei giardini che Geremia avesse mai visto... certo,
non erano i giardini di Versailles, ma era sempre uno dei più bei giardini del
mondo.
Quando scesero dal jet degli agenti erano
pronti ad accoglierli. Pantera si guardava intorno incuriosita: a parte Londra
non aveva visto mai nessun'altra cosa nel mondo. Quindi accompagnati dagli
agenti a cui avevano segnalato il loro arrivo, indossando i loro occhiali da
sole, attraversarono il giardino fino a raggiungere Palazzo Pitti.
- Ti piace? - domandò Geremia a Pantera
tirando fuori un po' di galanteria e porgendole il braccio.
- Molto. - rispose lei. - E' diverso da dove
ero io... e tutta questa gente viene da fuori? -.
- Viene un po' da tutte le parti del mondo. -
le rispose Geremia. - Boboli è un giardino molto bello, e Palazzo Pitti è sede
di Musei molto famosi. -.
Dunque arrivarono finalmente a Palazzo Pitti e
cominciarono a salire le scale, fino ad arrivare al massimo punto consentito per
la visita dei turisti. Non si fecero problemi e passarono oltre: lo spettacolo
che si prospettò loro davanti non era poi molto diverso da quello che si era
prospettato alla Garganta do Diablo. Anche lì vi era un ingresso da cui si
accedeva alle varie sale con le varie funzionalità.
Tutti, ma proprio tutti, erano lì per salutare il loro amico Stub: era lì
infatti che aveva cominciato la sua carriera, proprio in quella città, proprio
in quel palazzo. Si levarono grida eccitate, qualcuno gli diede un bacio sulla
guancia, strette di mano, pacche e tutti parlavano un italiano fitto fitto, che
né Antonella né Thomas potevano capire. Antonella capiva qualche parola ogni
tanto, ma Thomas non sapeva neppure come fosse l'alfabeto italiano.
Quindi fu il momento delle presentazioni, e subito dopo Pantera fu portata in
infermeria. Thomas e Masky fecero quello che gli era stato ordinato in Brasile
da Stub.
Antonella si lasciò cadere sul divano. Geremia si sedette accanto a lei.
- Mi è piaciuto il viaggio. - le confessò. -
Guidi bene. Molto meglio di me, in ogni modo. -.
Lei sorrise sarcasticamente. - Ah, beh, per
guidare meglio di te non ci vuole poi molto. -.
- Già. - lui fu costretto a darle ragione. -
In effetti... -.
A quel suo imbarazzo lei scoppiò a ridere. -
Sei un tipo a posto, messo. -.
Geremia le sorrise.
Proprio in quel momento entrarono Masky e Stub.
Masky guardò la scena disgustato. - Siete vomitevoli. - disse loro. - E tu
smettila di provarci con mia cugina. -.
A quelle parole Geremia scattò in piedi per
guardare Stub che invece era rimasto impassibile, con lo sguardo concentrato su
Antonella, che lo sosteneva, ormai tornata serissima. Anche lei si alzò.
- Dobbiamo ricercare Anna. - la informò.
- Quando l'ho portata da te alla cascata le ho
messo una microspia. Dì a Thomas di rintracciarla. -.
Stub annuì, ed entrambi andarono da Thomas,
che riuscì a rintracciare la ragazza.
Due giorni durante i quali Anna e Federico
vivevano insieme nascondendosi dalle grinfie di Stub e da quelle della sorella
di Federico, Lavinia. L'ultima volta che l'avevano vista stava cercando di
ucciderli tramite un inseguimento stradale sulla FI-PI-LI.
Federico era rimasto non poco shockato da quell'inseguimento. Ma avrebbe potuto
pensare che la sorella sarebbe arrivata a perdere la testa in quel modo. Certo
Lavinia era sempre stata ambiziosa, spesso fin troppo, ma mai a quei livelli.
Anna invece odiava restare chiusa tra 4 mura tutto il santo giorno e più volte
aveva proposto al cugino di rischiare e uscire nel centro di Firenze per
sgranchirsi un po' le gambe; ma lui non ne voleva nemmeno sentir parlare: per
lui non dovevano uscire, non finché ci sarebbe stato ancora molto pericolo.
La migliore amica di Anna, Sveva, andava da
loro, ma alla fine Federico le aveva detto di non andare più... Lavinia avrebbe
potuto seguirla e scoprire il loro nascondiglio.
- Sei ossessivo! - lo accusò Anna impedendo a
Sveva, unico contatto col mondo, di andar via. - Sei sempre stato il mio cugino
preferito. Ma mi rendo conto adesso che sei soltanto un codardo! -.
- Un codardo? Un codardo? E' anche la tua vita
che sto cercando di salvare! -.
- Non è certo Lavinia che mette in pericolo la
mia vita! -.
- Questo è anche un riparo da Stub! -.
Proprio in quel momento un sasso ruppe il vetro
della finestra e tutti e tre si gettarono per terra. Aspettarono un po' e si
rialzarono solamente quando decisero che il pericolo era scampato.
Federico fu il primo ad alzarsi e a prendere il
sasso. Vide che legato c'era un biglietto indirizzato ad Anna. Lo lesse prima
lui e poi lo porse a lei.
- E' per te. - le disse.
- Come ti permetti di leggere i biglietti
indirizzati a me? - lei glielo strappò di mano.
- Poteva non essere sicuro. - si giustificò
lui. - Poteva essere avvelenato. -.
Anna lo guardò spazientita. - Tu guardi troppo
la Signora in Giallo! - sbottò lei. E poi lesse il biglietto.
Anna! So che sei a Firenze. Ti aspetto al
Palazzo Medici-Riccardi alle 4, oggi pomeriggio per consegnarti finalmente la
tua lettera.
Geremia
Anna lo passò a Sveva. - E' davvero la sua
calligrafia, Sve? -.
La ragazza annuì. - Sì, è davvero la sua. -.
- Non mi torna. - ammise Anna. - Avrebbe potuto
lanciarmela col sasso. Oppure avrebbe potuto salire. -.
Federico annuì. - Non devi andare! E' una
trappola. -.
- Hanno Geremia in ostaggio se è una trappola.
- replicò lei. - Devo andare a quell'appuntamento. -.
Nessuno dei due provò a replicare. Anna
guardava fuori dalla finestra per vedere chi avesse lanciato quel biglietto... e
per un secondo il suo cuore pensò che si trattasse di Stub.
L'angolo della Matrix
Salve gente!!!
Come va???
Spero davvero che questo capitolo vi sia
piaciuto... un capitolo calmo e tranquillo che però lascia un bel po' di cose
in sospeso... credo che questo sia stato l'ultimo capitolo calmo e tranquillo di
questa ff, perché dal prossimo ci avvieremo verso la fine (beh... tutte le cose
belle ne hanno... :P), che prevedo sarà moooolto movimentata.
Ad ogni modo avrete tempo per entrare bene
nello spirito movimentato, in quanto domani la vostra
Matrix parte per Rimini, e ci starà una settimana... pertanto non potrò
aggiornare prima di lunedì 21 o martedì 22 (se non erro nelle date).
Passiamo adesso ai ringraziamenti:
BabyzQueeny: sono contenta che ti sia
piaciuto lo scorso capitolo e che ti abbia fatta divertire... spero tu abbia
gradito anche questo!!! Bacione!!!
DamaArwen88: la risposta alla prima e
all'ultima domanda che mi hai posto è contenuta nel capitolo xD. Poi certo
che il jet di Masky ha di tutto di più... che ti aspetti dal jet di quella
"pulce" come la chiama Thomas? Comunque tranquilla John non fa
Smith di cognome... in effetti non avevo neppure pensato a Pocahontas! John
non ha un cognome... è solo John... non compare nemmeno nella storia e
credo che Pantera abbia fatto qui la sua ultima apparizione... Spero che ti
sia piaciuto! Bacione!
Lallix: mi dispiace deluderti ma non
si riferiva a se stesso xD. Sono molto felice che ti sia divertita a leggere
lo scorso capitolo!!! Un mito tascabile? Gioia, gaudio, tripudio!!! Non sai
come mi fai felice!!! ... però di quella cosa della bambola ne riparliamo
con moooolta calma, ok? xD Non vedo l'ora di leggere le tue impressioni su
questo chappy!!! Bacione!
Grazie anche a coloro che mi hanno aggiunta tra
i preferiti!!!
Nel quartier generale di Palazzo Pitti a
Firenze tutti avevano abbandonato le loro attività prodigandosi per dare il
prima possibile a Stub la stanza che lui aveva richiesto: infatti voleva un
luogo sicuro dove poter discorrere del suo piano.
Quando Thomas tornò dalla sua missione del sasso la stanza era già pronta e
Stub stava aspettando lui per cominciare quella specie di riunione improvvisata:
all'appello risposero Thomas, Antonella, Geremia, Masky e il capo di quel
quartier generale, un uomo sulla sessantina che era nato e vissuto a Firenze: il
suo nome era Signor Raspini: questo era colto, amante dei libri e della storia,
saggio e per questo amato da tutti; d'altronde il suo stesso aspetto faceva
trapelare quella sua passione per le cose antiche e per il pensiero antico, e
Stub pensava anche quella sua sbadataggine: era un uomo con una lunga barba
bianca e degli occhiali spessi rotondi, con un guizzo fanciullesco negli occhi
quasi vitrei. Un'altra sua caratteristica era quella di indossare sempre lunghi
camicioni, senza pantaloni, e di muoversi usando un pezzo di legno come bastone.
Appena il Signor Raspini vide entrare nella
stanza Stub gli si fece incontro, parlando con quella sua voce strana che a
Masky ricordava quella del grande puffo.
- Oh, Stub, che piacere rivederti. - gli
strinse la mano e Stub non poté fare a meno di sorridere bonariamente. Poi il
vecchio si rivolse ad Antonella. - And you must be Antonella (*e tu devi essere
Antonella*). -.
- Yes I am. Nice to meet you. (*sì, sono io.
Felice di conoscerti*) -.
- Nice to meet you too. (*felice di conoscerti
anch'io) - e si lanciò in una buffa imitazione di baciamano. Poi fu il turno di
Thomas. - And this young, strong guy is Thomas, I suppose. (*e suppongo che
questo ragazzo giovane e forte sia Thomas) -.
Thomas sorrise stringendogli la mano, senza
riuscire a dire nulla per la sorpresa.
Quindi il vecchio scombinò i capelli a Masky e
scrutò Geremia, senza però dirgli nulla. Quindi si sedettero intorno al grande
antico tavolo, su sedie che di riunioni ne dovevano aver viste parecchie in
tutti i loro secoli.
Stub stava proprio per cominciare a parlare
quando suonò una specie di allarme: dico una specie perché non era esattamente
un suono quanto un abbassamento di luci. Scattarono tutti in piedi
automaticamente e Antonella afferrò Geremia, che invece non aveva capito quello
che stava accadendo, prendendolo per la mano e portandolo con le spalle al muro,
in un angolo. Geremia vide che nel frattempo tutti avevano estratto le proprie
pistole e Thomas aveva spento le luci. Tutti si erano messi con spalle al muro e
Masky aveva chiuso la porta.
- Che succede? - bisbigliò Geremia ad
Antonella.
- C'è un intruso nella base. - spiegò
velocemente lei.
A quel punto a Geremia fu chiaro il perché di
quello strano allarme: un allarme sonoro avrebbe avvertito l'intruso che la sua
presenza era stata scoperta. Ma chi poteva mai essere l'intruso?
- Spesso sono solo turisti che si perdono ed
entrano dove non dovrebbero. - continuò a spiegare Antonella a voce bassa. - E'
per questo che spengiamo le luci, e spranghiamo alcune porte, perché non possa
accedere alle sale computer o altro. -.
Geremia disse di aver capito.
Stub se ne stava dietro la porta, che ascoltava
ogni rumore esterno. Tutti coloro che si trovavano in corridoio erano entrati
nelle stanze per nascondersi, dal corridoio non proveniva un suono. Eppure c'era
tensione, Stub poteva sentirla, come se avesse il presentimento che quella volta
non si trattava di un turista ma di qualcuno più pericoloso. Schioccò le dita
e tutti capirono quello che stava cercando di dire. Tirarono fuori degli
occhiali speciali, che permettevano di vedere al buio.
- Non staccarti dalla mia mano. - si
raccomandò Antonella a Geremia.
Poi vide che Stub stava loro facendo cenno di
fare silenzio e subito dopo mimò con la mano dei passi. Il casuale visitatore
si stava spingendo un po' troppo oltre per essere un casuale visitatore. Poi
Stub vide una luce da sotto la porta. Si scambiò un'occhiata eloquente con
Raspini: se aveva una torcia voleva dire che non era per niente un visitatore
casuale e che dovevano sbatterlo fuori prima di subito.
Quel silenzio era interrotto solamente dai
passi del visitatore che si facevano sempre più vicini e sempre più forti,
tanto che tutti si resero conto che i visitatori erano due. E poi il silenzio fu
squarciato anche da una suoneria di cellulare: quello di Stub. Lui velocissimo
lo prese per spegnerlo, ma ormai era troppo tardi, il guaio era fatto. Si
allontanò velocemente dalla porta facendo cenno che tutti puntassero la pistola
da quella parte. Antonella si parò davanti a Geremia, che obbediente non le
lasciava la mano. Stub fece nascondere Masky nell'armadio, nonostante le sue
obiezioni.
Il pesante portone cigolò. E i due visitatori
entrarono, dotati di torce.
- Non ti credevo tanto ingenuo, Stub. - disse
una voce femminile. - Ho fatto bene a licenziarti. -.
Lavinia era lì sulla porta che illuminava le
figure tutti con le pistole puntate. Anche lei ne aveva una. E come lei il suo
accompagnatore, che Raspini riconobbe subito. Si trattava di Branzetti, il capo
di un'associazione rivale a quella di Raspini, che non voleva far altro che
emergere. Di bell'aspetto, moro, che aveva successo con le donne, e un perenne
sigaro in bocca Branzini era sicuramente più giovane di lui.
- Come ci hai trovati, Branzini? - domandò
lui.
- Andiamo vecchio. - rispose quello. - Tutti
sanno che hai una passione per le cose antiquate come te. -.
Thomas a quelle parole non ci vide più e
sparò, ma sfortunatamente aveva la pistola scarica. Lavinia fu velocissima nel
puntare la pistola contro di lui, ma Stub fu più veloce e gliela fece saltare
di mano, ferendole la mano. Lavinia urlò.
Raspini e Branzetti non avevano perso la calma
però. Gli occhi vitrei di Raspini sembravano di ghiaccio. - Eh, tu hai sempre
disprezzato tutto ciò che non è all'ultima moda... però ricordati sempre...
le cose antiche riservano sempre qualche sorpresa. - detto questo sparò al
lampadario, che cadde con un sonoro TONF.
Branzini lo guardò con un'espressione che
sembrava fatta apposta per metterlo in ridicolo. - E quindi questo è tutto
quello che puoi fare col glorioso passato? -.
- Sì. - rispose l'altro, estraendo fuori un
telecomando. - E questo è quello che faccio con il presente. - premette un
bottone. L'oro massiccio lavorato del lampadario che teneva le candele
all'improvviso se ne liberò e al posto delle candele uscirono dei gas, che
colsero preparati i nostri eroi ma completamente impreparati gli altri, che tra
i colpi di pistola decisero che una ritirata strategica era la scelta migliore.
Ma non era una fuga, e Raspini lo sapeva bene
quando attivò l'allarme rosso. Appena in tempo.
Si scatenò l'inferno in quella base, perché
gli uomini di Branzetti avevano fatto irruzione. E allora fu il caos: tra i
fumogeni difensivi volavano proiettili, calci, pugni, per distruggere il nemico
e per prendere il messo che aveva causato buona parte di quei problemi. Il messo
in questione però mentre infuriava la guerra correva come un matto per i
corridoi, insieme a Masky e Antonella, che non lo aveva mollato nemmeno per un
istante. Scesero a rotta di collo le scale fino a raggiungere il giardino e la
base per l'atterraggio e la partenza di jet ed elicotteri.
I turisti non capivano quello che stava
accadendo, sentivano solamente il rumore di spari e il panico dilagava anche
lì. Antonella chiuse quell'Inferno dietro di sé, mentre Masky dava ordine di
far evacuare tutti dalla base, che evidentemente non era più sicura. Quindi un
uomo lanciò l'allarme per l'evacuazione, mentre alcuni preparavano i jet per la
partenza in tempo da record e altri invece cercavano una base disposti ad
ospitarli.
- INDIA! - urlò una donna che indossava un
tailleur viola.
Quella sola parola era bastata: era la loro
unica base in India che li avrebbe ospitati, e sui jet cominciarono a salire
tutti. L'inferno si trasferì lì.
Antonella guardò velocemente Geremia.
- Tu adesso andrai in India con Masky! - gli
ordinò. - Noi ti raggiungeremo appena potremo! -.
- Ma Anna... - provò ad obiettare Geremia.
E si sentì 5 dita calde sulla guancia sinistra
che lasciarono un segno evidente. - Smettila di pensare ad Anna! - sbottò Nell,
mentre lui si massaggiava la guancia. - E fa' come ti dico! -.
Lui stava per replicare quando Masky si portò
accanto a lui e lo fece salire sullo stesso jet di Pantera-che-Corre, spaventata
per tutta la confusione che stava avvenendo.
Tutti i jet si sollevarono e rimase solamente
qualche elicottero. Antonella era fuggita, raggiungendo una fontana del giardino
più vicina ad un'uscita secondaria, vicino alla sezione del palazzo chiamata
"i giardini di Babilonia". Non erano in molti a passare da quella
parte, pensava di essere al sicuro. Tuttavia la presenza non era mai troppa e
rimase nascosta per un po' di tempo.
Sobbalzò quando sentì una mano appoggiarsi
sulla sua spalla.
- Stai tranquilla. - sentì la voce
rassicurante di Stub. - Siamo noi. -.
Nell si voltò e si alzò, guardando Stub e
Thomas, gli unici due che erano rimasti: persino Raspini aveva preso un jet.
- Hanno distrutto tutto. - la informò Thomas.
- Non abbiamo più una base. - poi si voltò verso Stub. - Che facciamo amico? -
domandò.
- Cambio di piano. - Stub sembrava
perfettamente rilassato. - Thomas tu andrai a prendere Anna al Duomo. -
cominciò a spiegare. - Andrei io, ma non verrebbe mai vedendomi. E' probabile
che controllino che tu sia armato. - quindi porse la mano verso Thomas. - E tu
non dovrai esserlo. -.
- Ma come facciamo a difenderci se ci
attaccano? -.
- Lei sarà armata, fidati. - rispose Stub,
mentre Thomas a malavoglia consegnava le armi. - Io e te invece Antonella
andremo a controllare che qualche elicottero sia ancora utilizzabile. Tutto
chiaro? -.
I due ragazzi annuirono. Thomas rimase lì
nascosto, ad aspettare il momento in cui sarebbe dovuto andare al Duomo.
Stub e Antonella invece cominciarono a muoversi
silenziosi come ombre, veloci come ghepardi, sinuosi come serpenti. Ad un certo
punto Stub si fermò, e Nell fece altrettanto.
Branzetti non se ne era affatto andato, anzi,
aveva dato ordine ad alcuni dei suoi uomini di custodire degli elicotteri. Tutti
uomini armati ovviamente.
- Non ce la faremo mai così. - osservò Stub.
- Ci vorrebbero dei fumogeni. - suggerì
Antonella. - E poi una corda per legarli. -.
- Semplicemente toglierli di mezzo? -.
- Fai le cose troppo semplici Stub: sono troppi
più di noi, ci sparerebbero subito. E anche se lanciassimo i fumogeni meglio
non sparare, il rumore potrebbe attirare qualcuno. -.
Stub dovette darle ragione. - Non possiamo
legarli tutti. - era la sua obiezione.
- Allora dovremo utilizzare i fumogeni quando
arriverà quella ragazza e fuggire velocemente. -.
- Così facendo non avremo il tempo di
controllare che gli elicotteri siano a posto. -.
- Hai altre idee? - replicò lei.
Stub scosse la testa, poi la guardò. - Credi
che sia troppo pericoloso Nell? -.
- Io credo in 3 cose, Stub. - rispose lei. - In
una pistola carica, in un jet funzionante e in te. - gli appoggiò una mano
sulla spalla.
Stub le sorrise, abbracciandola.
- Non sarà rischioso per te, Nell. Non ti
accadrà nulla. Non finché ci sarò io. -.
L'angolo della Matrix
Eccomi tornata con un nuovo capitolo... ok,
avrei potuto farlo un po' più lungo, ma il furto dell'elicottero e la presa di
Anna la lascio al prossimo capitolo.
In questo capitolo oltre alla dose di azione
che spero vi sia stata sufficiente ho voluto evidenziare l'affetto di Stub per
Antonella, perché... beh lo scoprirete...
Passo adesso ai ringraziamenti:
DamaArwen88: beh, come dire, Thomas
mi ha contagiata e adesso lo chiamo pulce... eheh. Comunque spero che questo
capitolo ti sia piaciuto.
Lallix: tranquilla... cercherò di
allungarlo un pochino, ma credo comunque che finirà per la prossima
settimana :( (ma ci sarà il seguito...). Mi auguro che questo capitolo ti
sia piaciuto e di non averti fatta aspettare troppo.
BabyzQueeny: appena tornata ho
aggiornato come vedi :). Beh, credo che per Antonella e Geremia dovrai
aspettare ancora un po'... in fondo Geremia ha un debole per la nostra
eroina dai capelli rossi, Anna... Spero che ti sia piaciuto questo
capitolo!!
Via Martelli: una delle vie più turistiche di
Firenze, piena di persone, con i suoi negozi, le sue librerie e le sue
biblioteche. Senza contare che unita a via Cavour collega piazza San Marco a
Piazza Duomo.
Era proprio in quella via che il bus numero 17, in ritardo come al solito, aveva
lasciato Anna, Federico e Sveva, diretti al palazzo Medici-Riccardi, ovviamente
in quella stessa via. Cercavano di farsi notare dalla gente il meno possibile,
finché non giunsero in quel palazzo costruito in pietra che si mimetizzava
perfettamente con le altre costruzioni dei dintorni.
Thomas non era ancora arrivato. Stub gli aveva
detto di andare al Duomo, ma Thomas si era ricordato che l'appuntamento non era
lì, bensì in quel palazzo che decisamente dava meno nell'occhio del Duomo.
Quindi stava camminando il più velocemente possibile per arrivare. Non se la
sentiva di correre, avrebbe dato troppo nell'occhio, ed era importante per lui
mantenere l'incognito.
Finalmente arrivò, individuando subito i 3
soggetti, e andò da loro, chiedendo per sicurezza se fossero loro.
- Mi manda Geremia. - disse loro.
- Come facciamo ad esserne sicuri? - domandò
Anna. - Dov'è lui? -.
- Lui sta bene. - la rassicurò Thomas. - Devi
venire con me se vuoi rivederlo. -.
Anna lo guardò sospettosa. - Come faccio a
essere sicura che quello che mi stai dicendo è vero? -.
- Non puoi esserlo. - a che sarebbe servito
mentire? - Non puoi saperlo con certezza, amica. Puoi solo fidarti di me e del
biglietto che hai ricevuto. -.
Sveva era preoccupata, la sua paura e la sua
diffidenza trasparivano dagli occhi. Federico stava esaminando quello strano
ragazzo davanti a loro. Fu lui a dare la risposta. - E va bene... amico. - si
adeguò al suo modo di parlare. - Verremo con te. -.
Thomas sorrise. Metà del lavoro era già
fatto. Quindi si avviarono verso piazza Duomo: Thomas era rimasto affascinato da
quello e dal campanile. Non li aveva mai visti dal vivo e la loro bellezza e la
loro maestosità lo avevano impressionato. Il sole faceva risplendere quelle
architetture progettate dai grandi maestri del passato: per un momento Thomas si
sentì veramente un turista in quella città che sembrava essere la più bella
del mondo.
Da piazza Duomo passarono in Piazza della Repubblica, con i suoi portici e la
sua giostra dei cavalli, non che i prestigiosi caffè. Per Anna e gli altri
Gilli, le Giubbe Rosse e Paskowski erano solo eleganti caffè di Firenze, anche
piuttosto cari. Per Thomas invece Gilli e Paskowsky erano delle pietre preziose
di architettura incastonati in quel gioiello che era Firenze e le Giubbe Rosse
era il caffè che aveva visti riuniti in sé molti pittori e intellettuali.
Purtroppo la via che avevano intrapreso non prevedeva il passaggio da Piazza
della Signoria, ma Thomas poté comunque vedere uno scorcio di Palazzo Vecchio e
della Torre di Arnolfo di Cambio, nonché intravedere gli Uffizi. E anche un
altro prestigioso caffè, Rivoire.
Si domandava come mai ci fossero persone che in soli 10 minuti potevano
percorrere quelle strade storiche, quei luoghi impregnati di cultura, quella
stessa cultura che un po' aveva influenzato quel grande melting pot che erano
gli Stati Uniti. I quali erano privi di cotanta bellezza e storia. Ammirazione e
invidia, ecco quello che provò.
Il sole faceva risplendere i gioielli esposti nelle vetrine di Ponte Vecchio. E
poi finalmente l'ingresso principale di Palazzo Pitti.
Anna e Federico si erano già avviati verso
l'entrata, ma Thomas li fermò. Non gli sembrava prudente entrare di lì.
Continuarono quindi a procedere nel più assoluto silenzio. I 3 avevano capito
che lo straniero era rimasto colpito dalla bellezza di Firenze. Erano pochi
coloro che non ne rimanevano colpiti.
Oltrepassarono il cancello ed entrarono a Boboli.
- Adesso è importante che stiate zitti e che
facciate il minor rumore possibile. - li avvertì.
QUindi raggiunsero il luogo dove si trovavano
Antonella e Stub. Nel vederlo i 3 furono come pietrificati.
- Dov'è Geremia? - Anna fu la prima a
riprendersi.
Stub le fece cenno di calmarsi con la mano. -
Sta bene. -.
- Non ti ho chiesto come sta, ti ho chiesto
dov'è! -.
- Si sta dirigendo in India. - rispose lui che
al contrario di Anna manteneva la calma. - Insieme a tutti gli agenti di questo
quartier generale. -.
- Se pensi che sia finita... - cominciò lei
con fare minaccioso.
- Non sono io che lo penso. - la interruppe
lui. - E' finita davvero stavolta. Almeno fra me e te. - sorrise amaramente. -
Per la prima volta nella storia sono stato licenziato. -.
Sgranarono gli occhi a quella confessione.
Tuttavia l'ombra del dubbio aleggiava ancora in quelli di Anna. - Come posso
fidarmi? -.
- Non è prova sufficiente il fatto che non ti
abbia uccisa? - domandò lui. - Adesso l'unica cosa che importa è prendere un
elicottero e raggiungere Geremia e gli altri in India. -.
Thomas fece un breve riassunto di quello che
era successo. Infatti c'erano ancora degli uomini che pattugliavano.
- Come hai intenzione di sbaragliare il nemico?
- domandò Federico.
- Abbiamo pensato di fare un'incursione
all'interno per prendere dei fumogeni. - rispose Antonella.
- Fantastico! - esclamò lui. - E come? -.
A questo né Stub né Antonella risposero: non
avevano trovato nessuna spiegazione logica. Ma si voltarono tutti verso Anna che
stava sorridendo. - Io una mezza idea ce l'avrei. -.
Thomas e Federico avevano fatto una corsa a
prendere il kite surf di Anna nella casa che avevano affittato. Sveva era
rannicchiata nascosta sotto una pianta, Antonella stava lucidando la sua pistola
e si assicurò che fosse ben carica. Ne avrebbe avuto bisogno.
Stub osservava Anna che si preparava mentalmente a mettere in pratica il piano.
- Ne sei proprio sicura? - le domandò Stub.
- Sicurissima. - rispose Anna. Si accorse che
lui la guardava scettico. - Io mi sono fidata di te, Stub. Tu fidati di me.
Quando sono sul kite riesco a fare qualsiasi cosa. Attirerò l'attenzione di
Lavinia e di Branzetti o Branzini... - questa sua indecisione era dovuta al
fatto che all'anagrafe il cognome era Branzini. Poi lui se lo era cambiato in
Branzetti. - ...e tu e Thomas prenderete i fumogeni. Li lancerete, Antonella e
gli altri correranno dentro a prendere l'elicottero, voi li raggiungerete e io
vi raggiungerò col kite. Tira abbastanza vento. Partirò dalla fontana. -.
Il piano di Anna era il più folle che Stub
avesse mai sentito... proprio per quel motivo era convinto che avrebbe potuto
funzionare.
- Quello che non mi è ancora chiaro - riprese
Anna. - è per quale motivo hai deciso di proteggermi. -.
- Tua cugina mi ha profondamente offeso col
licenziamento. - spiegò Stub, con tono freddo e distaccato. - Quindi adesso che
nessuno si mette contro di me e la passa liscia. -.
Anna lo guardò scettica. - E questa cosa
dovrebbe far paura? -.
- Non a te. - rispose Stub, avvicinandosi
pericolosamente a lei. - Non mi risulta ch'io te n'abbia mai fatta. -.
Anna si scansò, evitando il contatto con lui.
- Mai, killer. Mai. -.
Sorrisero entrambi a quelle parole. Stub la
mise con le spalle ad un albero, la sua mano sinistra batteva su un albero
proprio sopra la spalla di Anna. - Adesso mi fai paura. -.
- Vedi che ci sono riuscito? - ammiccò.
- Abbiamo il kite! - annunciò Federico
comparendo proprio in quel momento. Si fermò quando li vide in
quell'atteggiamento. Ma nessuno dei due fece una piega, nei loro occhi ancora
uno sguardo di sfida. - Ho interrotto qualcosa? -.
- No. - rispose Stub, voltandosi verso di lui.
- Stavamo solamente mettendo in chiaro dei particolari. -.
E gli sguardi che si lanciavano avrebbero
potuto convincere chiunque. Chiunque meno Federico. - Certo... adesso si dice
così, eh? -.
Anna con espressione indifferente prese il suo
kite surf.
- Aspetta. - Stub si fermò e le diede la sua
giacca. - E' antiproiettile. - le spiegò. - Ne avrai bisogno. -.
Anna lo osservò per un momento rimasto nella
sua maglietta bianca, un po' aderente, che lasciava intravedere il suo fisico.
Poi si fissò al suo fedele kite surf. E dandosi slancio riuscì a farsi portare
in alto del vento, urlando il nome di sua cugina.
- LAVINIA! SONO QUI! -.
Come aveva previsto la cugina uscì e con lei
Branzetti e altri uomini. E come aveva previsto cominciarono a spararle contro,
mentre lei faceva tutte le evoluzioni complicate o meno che sapeva fare,
sperando che il vento non l'abbandonasse proprio in quel momento. Una capriola,
una giravolta, una rovesciata...
Nel frattempo nessuno aveva fatto caso a Thomas
e Stub, infiltrati all'interno della struttura. Branzetti aveva commesso un
errore: non aveva cambiato posto alle cose. Trovarono i fumogeni al primo
tentativo di cercarli.
Uscirono, lanciandoli. Antonella appena vide il
fumo fece cenno a Federico e a Sveva di seguirla. Presero il primo elicottero
che capitò loro. Furono raggiunti da Stub e Thomas che continuavano a lanciare
fumogeni. Purtroppo quell'operazione veloce non aveva permesso loro nè di
controllare che il proprio elicottero fosse a posto né di manomettere gli
altri. Si sollevarono in volo.
Anna cercò di raggiungere l'elicottero. Federico l'aiutò a salire,
sganciandole il kite.
- NON SPARATE! - urlò uno di quegli uomini.
Antonella stava guidando più veloce che
poteva.
- Ci stanno seguendo! - la informò Federico.
- Già. - confermò Thomas. - Sono Lavinia e
Branzetti. -.
Antonella cercava di guidare ancora più
velocemente, finché non riuscì a mettere la giusta distanza: sapeva che per
sparare dovevano raggiungerli. Volavano da circa un'ora, quando videro il mare.
La radio trasmetteva la musica. Stub guardava indietro, controllava le distanze,
che si facevano sempre più piccole.
- Che sta succedendo Nell? - domandò agitato.
Lei scosse la testa. - Non lo so... sembra un
guasto... - balbettò. - Non so per quanto manterrò il controllo. -.
- Che cosa? - saltò su Stub, andando accanto
alla cugina.
Thomas caricò la pistola, sicuro di quello che
sarebbe successo. Sveva si rannicchiò, Federico si mise davanti a lei per
proteggerla. Anna invece prese il posto di Stub per controllare le distanze.
Immaginate la sua sorpresa nel vedere che l'elicottero nemico era proprio
davanti a loro. Lavinia aveva una pistola, puntata proprio verso di lei.
- La resa dei conti! - scoppiò in una risata
selvaggia.
Poteva farcela. Stub e Thomas fecero per
intervenire. Ma la voce di Lavinia li fermò. - Fate un altro passo e sparerò
su di lei! Voi non potete colpirmi da dove siete. -.
Anna fece loro cenno di fare quello che diceva
ed indietreggiò di qualche passo. Lavinia fece per spararle. - NON TI MUOVERE!
-. Anna si bloccò. Aveva davanti una povera pazza.
Poi Lavinia sentì la voce di Federico,
nascosto da qualche parte. - Lavinia! Come puoi farlo? Siete cugine. -.
- Cugine di nome ma non di fatto. - commentò
Anna a bassa voce.
- E non pensi a me? - continuò Federico. -
Sono tuo fratello. Nati dalla stessa madre! Sangue del tuo sangue! -.
Lavinia esplose in un'altra risata malefica. -
Appunto. Una copia in più o in meno dello stesso sangue non importerà a
nessuno. -.
- A me importa. - commentò Federico.
- Mi stai facendo perdere il mio tempo! -
sbottò Lavinia. - Addio Anna. -.
Anna spalancò gli occhi quando sentì sparare
il colpo. Ma lei non lo ricevette mai. Vide la figura di Stub davanti a lei,
senza il giubbotto antiproiettile, solamente con la maglietta bianca, ormai
perforata e sporca di rosso.
Lavinia imprecò, per non aver colpito giusto e sparò di nuovo, colpendo
nuovamente Stub, che aveva deciso di non muoversi di lì. Si reggeva con le mani
all'elicottero, mettendoci tutta la forza di cui era capace.
Anna non aveva la forza di urlare. Le venne
solamente con un gesto istintivo di aggrapparsi a Stub abbracciandolo, come se
non volesse essere lasciata da lui: lo scoprì solamente in quel momento. Lui
con la mano destra strinse a sé le mani di lei che gli cingevano la vita,
riuscendo persino a sorridere, col vento che soffiava su di loro.
- Adesso lasciami. - le sussurrò.
Lei era presa completamente in contropiede ed
obbedì. Lo lasciò. Il terzo sparo e questa volta Stub riuscì a scansarsi
buttando senza troppa delicatezza Anna all'interno dell'elicottero.
- Certo. - le assicurò lui. - Ma tu verrai con
me. -.
Stub spiccò un salto raggiungendo l'altro
elicottero. Afferrò Lavinia per un piede. E la trascinò giù, nel vuoto,
insieme a lui.
Accompagnati dall'urlo di Anna.
STUUUUUB!!
E dalla canzone che passava in quel momento in
radio
This is the way you let me
I'm not pretending
No hope, no love, no glory
No happy ending
This is the way that we love
Like it's forever
Then live the rest of our life
But not together.
L'angolo della Matrix
Buona sera!! Eccoci arrivati a
quello che dovrebbe essere il penultimo capitolo. Devo dire che un po' mi
dispiace che questa fan fiction stia finendo... ci ero molto affezionata.
Passando a questo capitolo... ok, non si nota che faccio una pubblicità non
tanto occulta a Firenze... ma d'altronde è la mia città e mi piace da
impazzire!!
La canzone riportata è il
ritornello di "Happy Ending" di Mika.
Ma passiamo a ringraziare oltre a
coloro che mi hanno aggiunta ai preferiti, coloro che hanno recensito lo scorso
capitolo.
DamaArwen88: beh penso
che adesso più che mai avrai voglia di strangolare Lavinia. Per quanto
riguarda lo schiaffo di Nell a Geremia credo che dovrai aspettare ancora un
po'... ma abbi fiducia! :) ... e ti ho già detto che Draco è MIO xD.
Aspetto di sapere che ne pensi di questo capitolo. Bacione!
BabyzQueeny: anche tu
odi Lavinia? Va beh, è solamente una povera pazza assetata di potere e
soldi. Adesso la odierai ancora di più... Ma che te ne è sembrato
dell'entrata in scena di Anna? Ho cercato di postare il prima possibile :).
Bacione!
Lallix: beh... la fine
sta per arrivare... Spero che l'azione in questo capitolo non ti abbia
delusa, anche se forse è meno dettagliata di quella degli scorsi
capitoli... ma mi sembrava di scrivere un capitolo troppo lungo altrimenti e
mi premeva la parte finale. Quanto allo schiaffo di Nell... dovrai aspettare
anche tu... Bacione!
Anna stava ancora fissando sconvolta il vuoto
sotto di lei.
STUUUUUB!
Ma Stub non rispose. Non avrebbe mai più
risposto.
Thomas la gettò da una parte, senza tanti
complimenti, per sparare due o tre colpi sull'elicottero dove ancora si trovava
alla guida Branzetti. - Maledetto! - accompagnò questa parola all'ultimo colpo
che costrinse Branzetti a tornare indietro. Ma ormai aveva avuto quello che
voleva. Stub, il suo nemico numero uno era morto. Poco importa che quella
ragazza che lo aveva aiutato era caduta giù con lui e che la ossa fosse ancora
viva. Quelli non erano affari suoi.
Federico era sconvolto. Ancora non riusciva a
credere di aver perso sua sorella. E' vero, lei stesso aveva tentato di
ucciderlo, ma poteva con questo smettere di volerle bene? No. Sveva cercava di
tirarlo su, dicendo che ormai era tutto finito.
- Su questo posso darti torto. - Antonella
interruppe i vani tentativi consolatori di Sveva.
Antonella non aveva fatto una piega: non
piangeva, non aveva tristezza negli occhi, aveva solo la fronte corrugata dalla
concentrazione che richiedeva tenere sotto controllo i comandi di
quell'elicottero guasto.
Anna si domandò come accidenti facesse a mantenere quella freddezza in un
momento del genere. Persino Thomas aveva sentito il bisogno di sfogarsi per la
perdita dell'amico. Ma Antonella no. Antonella era rimasta concentrata.
Anna capì che riprendere il controllo era quello che dovevano fare tutti loro
se non volevano raggiungere subito Stub nell'altro mondo.
- Che intendi? - le domandò, con voce ferma,
nonostante il suo aspetto facesse intendere tutt'altro.
Antonella si voltò velocemente verso Anna,
sorpresa che proprio la ragazzina dai capelli rossi fosse la più collaborativa.
Si sarebbe aspettata maggior patecipazione e maggior freddezza da Thomas. -
Bene, mi fa piacere vedere che almeno una di tutte voi pappemolli si interessi a
quello che ci sta accadendo. -.
Persino Thomas la guardò seccato. - Come fai a
dire questo? Stub è morto se non te ne sei accorta! -.
- Tu per primo Thomas dovresti sapere che
esiste un tempo per le lacrime e un tempo per l'azione. - replicò Antonella,
fredda come il ghiaccio, con tono di rimprovero che nemmeno tentava di
nascondere. - E dal momento che ho perso il controllo dei comandi e che tra due
minuti al massimo precipiteremo questo mi sembra più il momento dell'azione che
delle lacrime. -.
Sveva la guardò spaventatissima. - Stiamo per
precipitare? -.
- Prendete i paracadute. - ordinò Nell.
- Non ci sono. - replicò Thomas. - Devono
averli tolti loro quando hanno preso possesso della base. -.
Antonella fece qualche tentativo di riprendere
la postazione, provò ad attivare il pilota automatico, ma neppure quello
rispondeva. Alla fine si alzò.
- Che succede? - domandò Sveva.
- Succede che qui finisce la corsa e che Dio ce
la mandi buona. - rispose Antonella sospirando rassegnata.
- Non è detta l'ultima parola. - replicò
Anna.
Ora tutti gli sguardi erano fissi su di lei che
si stava fissando al kite. - Reggetevi a me, o alla tavola. - ordinò.
L'elicottero cominciò a precipitare proprio in
quel momento. Tutti fecero quello che lei aveva detto senza più discussioni: il
tempo delle lacrime e delle parole era concluso. Quindi Anna confidò ancora una
volta nel vento e si lanciò.
Non aveva mai dovuto essere più padrona del suo kite che in quel momento, dal momento che doveva
sostenere più del doppio del suo peso: Sveva si teneva su un lato lungo della
tavola, dietro ad Anna. Davanti ad Anna, di fronte a Sveva, penzolava Antonella.
Ai due estremi della tavola Federico e Thomas. Si erano messi in quelle
posizioni per creare il giusto contrappeso e per non gravare su Anna.
Lei, dal canto suo, cercava di planare il più
possibile, anche se sapeva che i suoi amici facevano solamente da zavorra: il
kite non era fatto per portare tutto quel peso, non era uno strumento di
salvataggio.
- Dai bello. - Anna incitò il suo aquilone. -
Ho fiducia in te, devi farcela! -.
Federico sentì al piede improvvisamente
qualcosa che non gli piacque per nulla. - Anna! - esclamò. - Corrente d'aria!
-.
Anna non fece una piega. - Balleremo un po'
gente! - li informò parlando forte e velocemente. - Non mollate la presa per
nessun motivo al mondo! -.
Li aveva avvertiti. Adesso toccava a lei,
doveva lavorare di muscoli e doveva sfruttare il vento più del solito.
Velocemente fece sbilanciare il kite dalla parte di Thomas, che andò
pericolosamente indietro. Poi si diede una spinta con le gambe, si tirò su con
le braccia, Thomas fu sbalzato con tutto il busto sulla tavola. Quel salto le
era servito per darle il tempo di allontanarsi dalla corrente.
Sveva però non ce l'aveva fatta a fare quello
che Anna aveva detto. Aveva mollato la presa con una mano. Antonella la stava
guardando.
- Ritira su quella mano ragazzina! -.
- Non ce la faccio. - piagnucolò Sveva.
Fu Thomas a prendere in mano la situazione.
Spiccò un salto per aggrapparsi ai piedi di Antonella, che con un urlo
rafforzò la sua presa sulla tavola. Poi Thomas porse una mano a Sveva. -
Afferra la mia mano! Prendi la mia mano! - la incitò.
Sveva guardò prima la mano, poi Thomas, e
allungò diffidente il braccio sotto la tavola. Anna stava maledicendo l'amica
per quel cambio improvviso di posizioni che la costringeva a fare doppia fatica
per mantenere l'equilibrio. Sveva lasciò definitivamente la tavola.
Thomas la teneva per il braccio, Antonella doveva reggerli tutti e 3.
Il kite si sbilanciò pericolosamente in
avanti. Anna allora buttò tutto il suo peso all'indietro, urlando a Federico di
passare da quella parte. Federico obbedì e la tavola si pareggiò un po', anche
se Anna doveva ancora combattere per non farla ribaltare.
Contrariamente a quello che aveva sperato il vento non la stava aiutando per
nulla, dal momento che tirava piuttosto forte. Per la prima volta in vita sua
Anna pensò di non essere in grado di controllarlo.
- Anna! - la chiamò Antonella.
Ma la rossa la interruppe. - Voi 3! Che non vi
passi neppure per l'anticamera del cervello di muovere anche solo un dito! -
sbottò, a metà tra l'arrabbiato e l'isterico.
- Non è questo. - replicò Antonella. - E' che
mancano pochi metri. -.
Anna cautamente guardò giù, attenta a non
sbilanciarsi troppo. Notò con piacere che Antonella aveva ragione, e solamente
dopo 5 minuti toccarono finalmente terra.
Sveva stava ringraziando Thomas per non averla
lasciata. - Ma figurati amica. - rispose quello.
Anna aveva il fiatone e Federico le stava
facendo vento. Antonella aveva estratto il cellulare, uno strano cellulare che
sembrava meravigliosamente attrezzato per qualsiasi tipo di emergenza dovuta
alla comunicazione. Quindi fece scorrere la rubrica finché non trovò il numero
che cercava.
A rispondere fu la voce squillante, brusca e seccata che Nell voleva. - Masky! -
la sua voce era severa, fredda, perentoria.
- Antonella! - sentirono la voce di Masky.
- Sì, sono io. - rispose lei. - Abbiamo avuto
un problema, ci serve che un elicottero torni indietro per prendere 5 persone.
Ti mando sul cellulare le nostre coordinate. Vedete di muovervi. -.
Masky esitò un istante, e Nell sapeva
benissimo il motivo. Infatti la domanda di Masky non tardò. - Avreste dovuto
partire in 6. -.
- Te l'ho detto Masky. Abbiamo avuto un
problema. -.
Come poteva dirglielo?
- Chi ci ha rimesso le penne? -.
Come poter negare quella realtà?
-... - esitò. - Stub. -.
Silenzio.
E poi più nulla. Masky aveva riagganciato.
La verità era tornata a galla: nella
difficoltà del kite la morte di Stub e Lavinia pareva lontana, pareva come se
non fosse mai avvenuta. Bastò quella sola parola di Antonella perché lo
sconforto e la tristezza tornassero a dilagare.
- Verranno a prenderci. - annunciò lei, prima
di sedersi sulla spiaggia dove erano atterrati. Sabbia bianca. Ancora
una volta non c'era ombra di tristezza sul suo volto e Anna cominciava a pensare
che quello fosse il suo modo di esprimere il dolore: la completa indifferenza.
I soccorsi avrebbero impiegato un po' per
arrivare, il loro viaggio si svolse nel più assoluto silenzio.
Masky comunicò all'ultimo elicottero quello
che Antonella gli aveva appena detto. Poi guardò Geremia con occhi pieni di
disprezzo. Geremia si stupì. Quel bambino non lo aveva mai guardato in quel
modo. E soprattutto non gli aveva mai visto gli occhi umidi. Intuì che doveva
essere accaduto qualcosa di brutto.
- Cosa è successo? - domandò.
- Cosa è successo? - gli fece il verso Masky.
- E' successo che mio fratello è morto, ecco cosa è successo! -.
Geremia abbassò lo sguardo. - Mi dispiace. -
disse, pensandolo davvero. Aveva avuto modo di constatare che nonostante tutto
quello che si sentiva di lui in TV Stub fosse una brava persona.
Si stupì nel vedere Masky buttargli accanto un sacchetto che conteneva dei
soldi. - Che significa? - non capiva.
- Quelli che vedi sono i soldi che mio fratello
mi ha dato per rapirti, la prima volta. Non li voglio. -.
- Sono soldi sporchi. -.
- Io non li voglio. - ripeté Masly fissando un
punto nel vuoto. - Non mi interessa se li terrai tu o no. Basta che appena
tocchiamo terra tu te ne vada con quelli. -.
- Ma Anna... -.
Masky lo fulminò con lo sguardo. - Me ne
sbatto di Anna. - rispose lentamente e minacciosamente.
Geremia capì la situazione. Era anche colpa
sua se il fratello del bambino che gli stava davanti era morto. Era normale che
volesse che se ne andasse. Quindi prese il denaro, aspettando di atterrare, col
proposito di andare nella città più vicina al quartier generale, in modo che
Anna non dovesse faticare molto a trovarlo.
Quando infatti Anna e gli altri arrivarono al
quartier generale due giorni dopo, seppero che Geremia era stato mandato via.
Cercò di convincere Antonella e Thomas ad accompagnare lei e gli altri a
cercarlo, ma entrambi si rifiutarono.
- Abbiamo i nostri affari a cui pensare. -
rispose freddamente Antonella. - Non farne una cosa personale Anna. Non ho
voglia di impicciarmi ulteriormente in questa faccenda. - i suoi occhi erano di
ghiaccio. - Salutami Geremia. -.
Così Anna, Sveva e Federico si trovarono da
soli a vagare per una vasta cittadina indiana, soli, senza conoscere la lingua e
soprattutto senza un luogo dove andare. E soprattutto senza un solo soldo.
- Non lo troveremo mai. - gemette Sveva.
- Sempre ottimista tu, eh? - domandò Anna,
sarcasticamente.
- Beh, l'unica che potrebbe dirci dove si trova
in questo momento sarebbe una medium. -.
Per l'appunto in quel momento passarono proprio
davanti ad una tenda. Federico cercando di drammatizzare chiese ad Anna se
voleva provare. E Anna, più per far contenta Sveva che per altro, decise di
entrare in quella tenda.
Al suo interno tutto quanto era rosso, persino il vestito della maga, una grossa
grassa signora mora dai capelli ricci con la mania del profumo di incenso, che
investiva l'interno della tenda come uno tsunami.
- Maga Taisha vi dà il benvenuto stranieri. -
fece loro cenno di accomodarsi.
Sveva e Federico preferirono rimanere in piedi,
Anna invece si inginocchiò su un pouf rosso davanti alla sfera di cristallo.
- In cosa può aiutarti Maga Taisha? -.
- Sto cercando un ragazzo. E' un mio amico. E'
bello, ha gli occhi azzurri, ed ha i capelli biondi più belli che io abbia mai
visto. Ed è un bravo ballerino. E' venuto fino in India per colpa mia. -
ammise. - Perché deve consegnarmi un importante documento che per poco non ci
costava la vita... - a quelle parole si interruppe.
E Maga Taisha diede il suo responso in tono
mistico. - Mia cara bambina, la risposta che cerchi è dietro di te. -.
Anna interpretò la risposta in senso
metaforico. - Dietro di me... che mai vorrà dire? - si domandò lei.
- Anna... - provò a chiamarla Sveva.
- Forse vuol dire che è nel mio passato... -.
- Anna... -.
- Zitta Sveva, sto pensando. -.
- Anna... - questa volta la voce non era di
Sveva.
Anna la riconobbe subito. Si voltò verso di
lui. Geremia era in piedi davanti a lei, sorridente, che le tendeva le braccia.
Anna rimase di sasso... non pensava che il responso fosse in senso letterale.
Superata l'incertezza iniziale si fiondò tra le braccia di lui, che la strinse
forte a sé, finalmente felice di poter rivederla.
Dopodiché annunciò a tutti di avere dei soldi, quindi li portò nell'albergo
che aveva prenotato apposta per loro, in modo che potessero risistemarsi un po'.
Si vedeva che erano stravolti. Loro non protestarono e si lasciarono condurre da
lui, coscienti del fatto che la loro avventura fosse giunta al termine.
Era proprio quello a cui stava pensando Anna,
quella sera, sul grande terrazzo con piscina che dava sul mare. Il terrazzo su
cui si trovava era ricavato dalla roccia scavata di una montagna, che aveva
altre sporgenze, sommerse dalla natura selvaggia. Il sole irradiava il mare con
quei suoi raggi arancioni e Anna sentì dei passi dietro di lei. Si voltò,
dando le spalle al mare.
Era Geremia. - Vedo che ti sei ripresa. -.
- Sì. - rispose Anna. - Suppongo che ti debba
ringraziare. -.
- Non ancora. - replicò lui, estraendo dalla
tasca una lettera. Quella stessa lettera da cui tutto era partito. -
Complimenti. - tentò di sorridere lui. - Sei una delle persone più ricche del
mondo adesso. -.
Anna guardò quella busta con un sorriso amaro,
mentre la prendeva. - E quindi è per questa che abbiamo rischiato la vita, che
siamo qui, che siamo andati in Brasile... che Stub e Lavinia sono morti... -.
Geremia abbassò lo sguardo.
- Ma ora siamo qui. - rispose Anna, mentre si
levava il vento. - E la vita va avanti. -.
Geremia le sorrise. - Sei una ragazza forte
Anna. -.
Anna sorrise. Il vento la spinse verso di lui,
che la prese al volo. L'abbracciò, il primo abbraccio vero e sentito che si
fossero mai dati. Anna chiuse gli occhi.
Ma il vento continuava a soffiare in avanti.
Li riaprì. E guardò verso dove spingeva il vento.
Verso un'altura, dove proprio tra le foglie c'era una sedia a rotelle. Anna
alzò lo sguardo e su quella sedia a rotelle vide una figura maschile, dalla
maglietta bianca, lo sguardo spavaldo, con una cicatrice che passava proprio su
uno degli occhi così intensi e caldi; un ghigno di sfida era dipinto sulla sua
bocca, il suo solito sorriso beffardo, e la mano sinistra che reggeva un piccolo
mitra tascabile, il primo con cui l'aveva inseguita.
Lui lì, bello e invincibile, con i bellissimi capelli che ondeggianti.
Il vento cominciò a soffiare nel verso opposto, portando ad Anna le parole di
lui.
Lo Stub non muore mai.
L'angolo della Matrix
E con questa frase epica si conclude il primo
capitolo della saga di "O Fortuna", in quanto annuncio ufficialmente
ci sarà anche un seguito... quindi continuerò a rompere!! Muahahahah!!
Ok, lo so che questa non è esattamente la fine
che vi sareste aspettati... però a me piace così, che lasci un po', come dire,
col dubbio. In fondo non è una fine definitiva. Nonostante questo inutile dire
che mi dispiace aver finito di scriverla: questa è stata la mia prima storia a
puntate in assoluto. Nella versione originale era molto più breve e qui ho
spaziato molto (chi ha letto l'originale vedrà bene le differenze...), ma posso
dirmi soddisfatta del mio lavoro, che spero comunque di migliorare col tempo.
Nel frattempo ringrazio coloro che hanno
commentato lo scorso capitolo.
Un
grazie super mega galattico a DamaArwen88 (che ogni giorno mi sopporta anche
su msn... e comunque Draco è mio), a Lallix (che sa come sono nati i personaggi
di Geremia e Stub) e a BabyzQueeny!!!!!!
Un grazie anche a coloro che hanno iniziato a
recensire la fan fiction ma poi hanno smesso: grazie
a Aila, myki, Tigerlily, _sefiri_, tutumany!!!
Last, but not least, grazie a
coloro che hanno aggiunto la mia storia ai loro preferiti!!! Aila