I want you ... NOW. (and forever.)

di biberon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - E adesso ti avrò. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Ti voglio troppO! ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - lo strano individuo ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - festa e un piano diabolico ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Povera Bee ***
Capitolo 7: *** Sarete miei ... ***
Capitolo 8: *** 66783967912 … ***
Capitolo 9: *** Quel numero ***
Capitolo 10: *** Eppure ... ***
Capitolo 11: *** BEE ***
Capitolo 12: *** I funerali e un ricordo nascosto ***
Capitolo 13: *** Lo strano individuo ... ancora. ***
Capitolo 14: *** Connor ***
Capitolo 15: *** Il sacrificio del cuore ***
Capitolo 16: *** - soli ***
Capitolo 17: *** Sex or blood? ***
Capitolo 18: *** La lotta ***
Capitolo 19: *** Ricatto terribile ***
Capitolo 20: *** Heather ***
Capitolo 21: *** Una leggenda metropolitana ***
Capitolo 22: *** Il foro ***
Capitolo 23: *** Uno spiacevole incontro ***
Capitolo 24: *** Trent ***
Capitolo 25: *** Her ***
Capitolo 26: *** Ale-Ale-Alejandro ... ***
Capitolo 27: *** Heather Come Here To Play With Us ***
Capitolo 28: *** Un groviglio di membra e un'incantesimo ***
Capitolo 29: *** Rissa da bar ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Angolo dell’autrice: Avvertimento:
Questo è solo il prologo, spiegherò tutto meglio nei prossimi capitoli. Se siete fan di Gwen o della dxg per favore non criticate, comunque Gwen non è un’assassina, non l’ho fatta così malvagia. Capirete tutto più avanti. Un caro saluto alla mia cuginetta mati e un bacio e tanti biscottini a Giulia.

 
 
 
 
 
 
 
 
Prologo:
C’era una volta una bella ragazza di nome Courtney Barlow.

Aveva dei capelli castani lunghi fino a metà schiena, grandi occhi da cerbiatta neri come l’ebano, labbra carnose e pelle abbronzata, origini ispaniche.
Il suo naso perfetto era decorato da graziose lentiggini scure.
Di solito portava un paio di leggings verdi attillati, dei sandali con un leggero tacco a zeppa e una camicetta bianca, copera da un golfino grigio.
Era molto bella.


Era fidanzata con un ragazzo punk, Duncan Nelson.
Era un ragazzaccio, ma in fondo aveva il cuore d’oro.
Aveva dei capelli neri morbidi, una resta verde brillante, un sorriso beffardo, occhi azzurro ghiaccio e fisico mediamente muscoloso.
Portava quasi semppre una t-shirt nera con un teschio, dei jeans a vita molto bassa e delle scarpe da ginnastica.
Il suo accessorio principale era un collare borchiato che non toglieva mai.


Avevano deciso di andare a vivere insieme dopo quattro mesi di fidanzamento.

Non volevano sposarsi, ma semplicemente si amavano.

Avevano entrambi 19 anni quando comprarono quella villetta in campagna con l’aiuto dei genitori di Courtney.

Vivevano in Canada.

Nonostante le loro diversità i due vivevano molto bene insieme: si amavano, lui la chiamava “la mia principessa”, litigavano spesso ma poi facevano subito pace.
Erano così innamorati da aver deciso di comprare una casa a diciannove anni ed andare a vivere da soli, anche perché il padre id Duncan era stato arrestato e la madre si voleva trasferire in Europa.

Chi poteva rovinare tutto, se non un’altra ragazza?

Fu proprio così.

La ragazza in questione si chiamava Gwen.

Viveva  in campagna con la sua famiglia, ed era molto depressa perché non aveva nessuna amico.

I suoi genitori la tenevano segregata in casa perché avevano paura di lei, credevano che fosse diversa, per via di alcune cose che succedevano quando lei era presente.


Un giorno, per esempio, stavano ristrutturando il tetto della loro casa.

Gwen era andata a vedere gli operai addetti al camino, e nel momento stesso in cui era arrivata lei il capo operaio aveva insultato sua madre. Allora le lo aveva guardato male, e subito dopo lui era caduto dal tetto.

I medici avevano detto che era caduto e morto perché il suo cuore si era inspiegabilmente fermato.

Erano successi una ventina di casi del genere da quando Gwen era bambina, così la tenevano rinchiusa.

Non dissero a nessuno che era nata, la madre partorì in casa.

Quando era nata, non l’avevano denunciata all’anagrafe.

Nessuno sapeva niente.

Era come se quella bambina non fosse mai esistita.

Non l’avevano mai fatta uscire, solo di notte.

Non aveva amici o amiche e non aveva mai visto un ragazzo che non fosse suo fratello.

Immaginatevi la  sua gioia quando venne a sapere che ben presto avrebbe avuto dei nuovi vicini!

DOVEVA conoscerli assolutamente.

No, lei non gli avrebbe fatto nulla, non li avrebbe …

Non avrebbe fatto quello che faceva agli altri.

Sarebbero stati la sua migliore amica e il suo primo fidanzato.

Gwen realizzò ben presto che voleva quei due con tutta se stessa, e anche di più.

Forse era una pazza, forse era per questo che la tenevano in casa oltre agli incidenti.

Già, Gwen era ossessiva.

Quando si fissava su una cosa non se la scordava più.

E lei si era fissata su quei due.

Li avrebbe inseguiti anche in capo al mondo, se avesse dovuto.

Voleva condividere con la ragazza trucco, smalto, pettegolezzi, storie, risate, battute, film …

E con lui voleva provare tutto ciò che non aveva provato con i ragazzi.

A cominciare dal vero amore. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - E adesso ti avrò. ***


“Ciao amore!” esclamo Duncan schioccando un bacio affettuoso sulla guancia di Courtney.

Lei sorrise.

Era seduta al tavolo della cucina e si stava gustando una tazza di latte e cereali con un frutto.

“Ti ho fatto le uova e il bacon.” Disse, mentre Duncan si stava avventando sul frigo.

“Quanto ti amo …” disse Duncan gioiasamente servendosi.

“Yawwwwn …. Finalmente è estate! Niente università!” esclamò Courtney sbadigliando.

“Quale università?” rise Duncan.

“Dai, non fare il "bad boy" ….” Lo prese in giro Courtney.

Lui si sedette di fronte a lei e iniziò a giocherellare con una ciocca dei suoi capelli color nocciola, mentre con l’altra mano infilzava le fettine di bacon e se le infilava in bocca a due a due.

“Hai messo in ordine la tua stanza?” chiese lei, paziente.

“No, mammina. Non mi punirai, vero?” rispose lui sarcastico, imitando l’espressione dolce e tenera dei bambini.

“Che scemo che sei!” esclamò lei, e lo baciò a stampo.

“Così mi piaci, principessa.” Disse lui facendo il gesto I love you con la mano.

“Ah, tesoro …?”

“Sì?”

“Ti sei accorto che abbiamo dei vicini?”

“Ah, sì, ho visto. Sembra una bella casa. Magari un bel furto potremmo anche farcelo …”

“Smettila di fare il sarcastico …”

“Eddai, ti prendevo solo un po’ in giro …” disse lei abbracciandola da dietro.

Aveva abbandonato il piatto di bacon e uova e le stava baciando affettuosamente la punta dell’orecchio.

“Ti stai facendo romantico, sir.!” Esclamò lei accarezzandogli la nuca, le mani sollevate.

“Non sia mai!” rise lui, e si staccò da lei.

“Vado su a farmi una doccia.” Disse Courtney.

“Io vado a dipingere la nuova staccionata … così marronastra non mi piace.”

“La farai bianca?”

“Mh … solo se mi permetti di dipengere come voglio la cassetta delle lettere.”

“Ahahah, ok, ragazzo ribelle.”

Lo baciò a stampo e salì la scala a chiocciola fischiettando.
Lui corse in camera a cambiarsi, dato che indossava ancora il pigiama a teschietti.
Si diede una rapida occhiata nello specchio e notò che il colore della cresta stava sbiandendo un po’.

“Dovrò tingerli di nuovo.” Pensò mentre scendeva in giardino.

All'entrata del giardino c'era un ripostiglio dal quale estrasse tre barattoli di vernice con annessi pennelli.

La staccionata era alta quasi quanto lui, qualche spanna di meno, con dei grossi buchi tra le doghe di legno.
Intinse il pennello e iniziò a dipingere canticchiando le parole di un motivetto rock che amava.


Qualche minuto dopo notò, tra due sbarre, due occhi che lo fissavano.


Lanciò un urlo e fece un balzo indietro, pensando che si trattasse di un lupo.

“Ciao ciao!” lo salutò la ragazza che spuntò da dietro il cancelletto.

Aveva la pelle chiara, quasi bianca, due grandi occhi neri simili a quelli di Courtney, capelli a caschetto a ciocche verdi petrolio e nere, gli occhi erano molto truccati.
Portava una mini gonna verde petrolio e grigia scuro con degli stivali finoal ginocchioe una clazamaglia scura.
Sopra, un top nero che lasciava vedere una parte di pancia piatta e chiara.

Al colloa veva un collare di cuoi nero liscio.

“Ciao ciao.” Ripetè, e con un balzo che Duncan credeva impossibile a qualsiasi essere umano, sporcandosi di vernice fresca, saltà dentro il giardino della villetta.

“C-chi sei?” balbettò Duncan, ancora sbigottito.
Gwen guardò Duncan in modo strano. Lei era pur sempre Gwen, la Gwen intelligente e seria ... tuttavia quel ragazzo l'attirava, non poteva certo trattersi dal cedere ai suoi istinti ... E quegli istinti le dicevano che Duncan in quel momento era indifeso e lei era incredibilmente affamata. (attenzione: spiegazioni nei prossimi capitoli)
La ragazza gli fu addosso e lo fece cadere per terra.

Stava per baciarlo.

Lui la allontanò in malo modo, temendo che Courtney potesse vederli dalla finestra.

“Ma che diavolo fai!? E chi sei, tu?”

“Scusami, sono caduta. Mi chiamo Gwen.”

“Caduta dalla staccionata?”

“Volevo solo conoscerti. Sono la vostra vicina.”

“Uhm … okay. Piacere, io sono Duncan Nelson.”

Gwen strinse la mano che il ragazzo le porgeva.

“Che bella cresta!” disse lei tuffando la mano nei capelli verdi del ragazzo.

Lui era inizialmente stupito, poi si raddolcì.

“Ti va se ti porto a casa tua? Dimmi la strada e ti accompagno.”

La casa di Gwen era poco distante.

Quando arrivarono la madre di lei era sulla porta con le lacrime agli occhi.

Quando vide Gwen e Duncan, si precipitò da loro.

“Oh, grazie, caro! Grazie di averla ritrovata!” esclamò.

Il padre di Gwen, un uomo con una lunga barba nera, che lo faceva somigliare ad un pirata, la prese malamente per un braccio e la portò in casa sbrigativamente.

“Grazie per averla ritrovata.” Ripetè la donna, abbracciando Duncan.

Lui, imbarazzato, si liberò in fretta dall’abbraccio stritolante della donna e le chiese, riferendosi a Gwen “Per caso … ehm … è una ragazza problematica?”

La madre lo guardò come se fosse una alieno.

Poi parve avere un’illuminazione e annuì.

“Sì. Povera me, cosa ho fatto? Iddio mi deve certo aver punito per qualcosa. Quella ragazza ha bisogno di cure e affetto … ti ha per caso importunato?”

“Oh, no, certo che no.”

“Grazie al cielo. Ora vado, grazie ancora.”

Si voltò senza aspettare riposta e si rintanò in casa.

Duncan fece spallucce e ritornò verso casa sua fischiettando, quando all’improvviso le si parò davanti Gwen.

“Ma tu non eri …” sembrava stupito.

Poi si accorse che lei stava piangendo.

“Cosa succede? Va tutto bene? Vuoi che chiami tua madre?” chiese Duncan con aria apprensiva.

“Mia madre è solo UNA STRONZA!” urlò.

“Calma, calma, shh …”

“Cretino! Non lo vuoi capire?! Io non sono affatto andicappata! Mia madre lo dice solo perché mi odia! Mi mette sempre in punizione per tutto quello che faccio … lei mi considera diversa perché sono una darck, amo il nero e l’arte gotica! Dice che sono una maatta e non vuole che io mi veda con nessuno! Dice a tutti che sono una povera andicappata! Solo perché io sembro innocente, non conosco il mondo … non sono mai uscita da quella dannata casa, se non di notte, con mio padre che mi teneva al guinzaglio! Non ho neanche un amico o un amico, non conosco nessuno all’infuori di loro!”


Duncan ripensò alla sua infanzia triste, nella quale era odiato dai suoi genitori e si sentiva solo.
La capiva, quella povera ragazza.

Si addolcì.

“Ora conosci me.” Disse, e istintivamente le circondò le spalle con le braccia.

“Su, su, non è niente … i genitori sono fatti così …”

Gwen non riusciva a smettere di piangere.

“Ti va di venire  con me a pitturare la staccionata?”

Gwen s’illumino, e smise di singhiozzare.

“Certo … certo … certamente!”

Mentre camminava dietro Duncan, sorrise tra sé e sé.

Tutto stava andando secondo i piani: ben presto quel ragazzo si sarebbe innamorato di lei, e lei l’avrebbe avuto per sempre.
L’aveva conquistato.

Adesso doveva avere la ragazza.

E poi sarebbero stati suoi per sempre.

Per sempre, per sempre, per sempre …. 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Ti voglio troppO! ***


Gwen diede l’ultima pennellata, e la staccionata fu pronta.

Si voltò e fissò Duncan raggiante.

“Va bene così?” chiese.

Lui annuì, e le gli diede una pennellata sul naso.

“Scema!” esclamò lui ridendo.

Lei capì l’ironia della frase.

Lui gli diede una pennellata a sua volta, e cominciarono una lotta di colore ridendo come pazzi, finchè non caddero a terra sempre ridendo e rotolandosi in una lotta corpo a corpo di colore.

“Ahahah prendi questo!”

“Ti ammazzo!”

“Ahahahahaha!”

“Ahah te!”

Alla fine erano tutti sporchi di vernice bianca.

Si fermarono sbattendo contro il muro della villa, Duncan sopra e Gwen sotto.

Si guardarono per qualche secondo negli occhi.

Le loro facce distavano qualche centimetro l’una dall’altra.

Gwen stava per impazzire.

Voleva quel ragazzo … adesso, e per sempre.

In quel momento si sentì una voce indispettita.

“Ma  che bella scenetta!”

Duncan alzò gli occhi.

“Ehm … Ti posso spiegare tutto!”

“Meglio che tu lo faccia entro i prossimi cinque secondi!” esclamò Courtney, fissando Gwen infuriata.
 
 
 
 
 
 
 
  

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - lo strano individuo ***


“Courtney, amore! Lascia che ti spieghi .. è la nostra vicina … stavamo solo … ehm … giocando.”

“Quanti anni avete, sei?”

“Dai, amore, calmati. È una ragazza innocente, molto sola … mi ha aiutato a dipingere …”

Come giustificazione non reggeva affatto.

Duncan lo sapeva.

Ma Courtney lo amava tanto, così tanto da credergli.

“Uhm … ok.”

Duncan le si avvicinò e le sussurrò con aria confidenziale “i suoi la trattano molto male, dicono a tutti che è andicappata perché odiano i dark, non ha  mai avuto un’amica …”

Courtney si addolcì.

“è scappata di casa … può … potrebbe … dormire da noi? E pranzare, e passare il pomeriggio … Nella tua stanza, magari … così fareste amicizia finché non si calmeranno le acque con i suoi.”

Courtney annuì e si rivolse a Gwen.

“Ciao! Come ti chiami?”

“Sono Gwen. E tu?”

“Io mi chiamo Courtney. Ehi, ti va di venire dentro? Sto per mettermi a cucinare dei biscotti.”

“Mh … adoro i biscotti! Non li avevo mai cucinati con un’amica! Sì! Biscotti!” esclamò allegramente Gwen, e seguì Courtney in casa.

Duncan andò a mettere a posto la vernice in garage.

Dopo un po’ rientrò in casa  e le vide insieme che ridevano e scherzavano tirandosi la farina addosso come due bambine.

Duncan salì al piano di sopra sorridendo e si chiuse in camera ad ascoltare un disco punk a tutto volume.


Courtney e Gwen nel frattempo stavano finendo di preparare l’impasto.
Gwen non aveva mai cucinato: Courtney le insegnò a rompere le uova, a mescolare zucchero e farina, a separare albume da tuorlo.
Gwen la guardava lavorare ipnotizzata, perché l’unica cosa alla quale riusciva a pensare era a quanto voleva che quella ragazza fosse sua amica per sempre.
Sì … non avrebbe mai potuto essere di nessun altra.
Nessuno poteva toccare Courtney, nessuno a parte lei e Duncan avrebbe potuto parlarle mai più.
Lei era la sua amica.
Solo sua.


Dopo aver preparato l’impasto fecero gli stampini per i biscotti e li misero in forno.

Nel frattempo salirono in stanza e Courtney mostrò a Gwen tutte le sue cose.

La ragazza dark rimase affascinata dallo schermo del computer e da tutte le foto di Courtney e Duncan che conteneva.

Mentre la ragazza scendeva a togliere dal forno i biscotti, Gwen fece scorrere una ad una le foto con il mouse.

Quando Courtney tornò su trovò Gwen seduta a terra.
Singhiozzava.

“Cosa succede, Gwen?”

“Tu … tu hai una vita così bella! Tu e Duncan state benissimo insieme! Io … io non ho nessuno!” scoppiò in lacrime.

Duncan entrò nelle stanza in quell’istante, una vera coincidenza.

Doveva aver sentito i singhiozzi.

“Hai noi.” Disse prendendole un mano, mentre Courtney le sorrideva dolcemente.

Gwen dentro di sé avrebbe voluto urlare: “SONO MIEI!”
Rimase zitta, si asciugò le lacrime e tenendo stretta la mano di Duncan scese insieme a loro per il pranzo.
 
 
 
 
 
Lei e Duncan si sedettero al tavolo mentre Courtney preparava da mangiare.

Non parlarono, si guardarono solo negli occhi mentre la mano bianca della ragazza giaceva come un passerotto nelle dita strette di lui.

Courtney servì loro due enormi piattoni di pasta carbonara fumante, mentre lei si accontentò di un’insalata e si sedette accanto a Duncan con fare protettivo.

Gwen nascose subito la mano sotto il tavolo.

Bevvero gazosa e vino rosso.
Mangiarono facendo battute stupide e ridendo, e mentre Courtney raccontava un episodio che le era successo in università, Gwen sfiorò con la sua caviglia quella di Duncan.

Lui le lanciò un’occhiata carica di dolcezza, ma si riscosse subito e come per dimostrarlo interruppe la parlantina di Courtney con un bacio sul collo.

L’ispanica arrossì violentemente e assunse un’espressione docile, mentre la gotica fissava il bordo del piatto delusa.

Appena finito di pranzare le due ragazze salirono in camera di Courtney per vedere un film romantico, e Duncan decise di fare una passeggiata.

Appena uscì di casa capì che non era stata una grande idea: il cielo era grigio piombo e i contorni delle nuvole piene di lampi si facevano netti ogni secondo che passava.
Maledicendo il tempo decise di non tornare indietro, al diavolo, al massimo si sarebbe bagnato un po’.
Il sole era sparito e tutto era scuro come se fossero le sei di sera, mentre saranno state la una o le due del pomeriggio.
Camminò senza una metà precisa, verso la casa di Gwen e poi oltre, superò un filo elettrificato sfruttando le abilità apprese nel corso di parcure e si tuffò nel verde della campagna, tra il cicaleccio dei grilli e le falene nere che volavano.

Andò avanti per così tanto che perse la cognizione del tempo, solo quando si girò si accorse che la sua casa era sparita nel nulla e anche quella di Gwen.
Voleva tornare indietro, ma si rese conto di non sapere assolutamente da che parte andare.

All’improvviso, mentre stava per indietreggiare, vide qualcuno spuntare tra i massi e l’erba alta e secca.
Si avvicinò per chiedere indicazioni.

Era un ragazzo, più o meno della sua età: capelli neri, occhi verdi, sguardo dolce da bravo ragazzo, fisico simile a quello di Duncan.

Portava una maglietta verde con il disegno di una mano e dei jeans a vita bassa.

“Ehi, amico, hai visto una villetta bianca da queste parti? Mi sono perso.”

Il ragazzo si porto due dita alla tempia e fissò Duncan intensamente.

Un secondo dopo accadde una cosa che lascio il punk decisamente spiazzato.

Le pupille dell’altro si rovesciarono all’indietro lasciando vedere solo il bianco degli occhi e lui cominciò a tremare impercettibilmente.
“Forse è meglio che io me ne vada …” esclamò Duncan preoccupato, e fece per andarsene.
Il ragazzo lo fermò tenendolo con una mano per la spalla.

“No, aspetta. So esattamente dov’è casa tua. Ti ci posso portare. Se in cambio tu mi dai un’informazione …”

“Quale?”

“Hai visto per caso una ragazza da queste parti? Giovane, bella, capelli neri e blu, labbra nere, pelle pallida, bel corpo …”

“Ehm …”

A Duncan quel tipo non piaceva.

“No, non l’ho vista.”

“Peccato.” Disse il ragazzo, e mise entrambe le sue mani sulle spalle del punk.

Poi tutto si fece nero.



Poco dopo Duncan si alzò di scatto.
Era sveglio.
Ma dove si trovava?

Si guardò intorno barcollando: era davanti a casa sua.

“Allora, è il posto giusto?” chiese una voce.

Duncan si girò e si trovò di fronte quello strano personaggio.

“Ehm … si, ma come ci siamo arrivati?”

“Con la mia auto.” Disse il tipo, e solo allora Duncan notò che accanto a lui c’era parcheggiata un’enorme limousine.

“Aspetta un minuto, amico … da dove l’hai tirata fuori quella? Voglio dire, eri in mezzo alla campagna …”

“Era sulla stradina sterrata accanto al prato nel quale eravamo …”

“Ma io non ricordo di esserci salito.”

“è normale: sei svenuto. Ti ho portato in macchina e sei rinvenuto giust’adesso.”

“Perché sono svenuto?”

“Pressione.”

Il punk non era convinto, comunque ringraziò e fece per rientrare a casa.
“Se vedi quella ragazza ... avvertimi. Questo è il mio numero.” Disse il tizio ficcando nella tasca di Duncan un bigliettino.

Poi salì sull’auto e partì per una stradina laterale.

Duncan stava per rientrare, quando si ricordò di una cosa: la strada dov’era entrato l’uomo era un vicolo cieco!
Si voltò, ma la macchina era già sparita.

Strano, non l’aveva vista girare …

Strano.
Appena entrato stracciò in due il bigliettino e lo buttò nella spazzatura.

Sentì dei passi e vide Courtney scendere di corsa e gettargli le braccia al collo.

“Che succede, piccola?”

“Sei stato via otto ore! Mi hai fatta preoccupare!”

“Ma a me è sembrata una mezz’ora nemmeno!”

“Duncan … non prendermi in giro!” esclamò lei mettendosi le mani sui fianchi.

Poi lo guardò meglio, corrugando la fronte.

“Amore … sei pallidissimo? Sei stato male, per caso?”

“Veramente sì, sono svenuto.”

“Oddio! Ecco perché non ti sei accorto del tempo che passava!”

“Già …”

“Come sei tornato a casa?”

“Un tizio mi ha dato un passaggio.”

“Mh … che fortuna.”

Gwen scese in quel momento e guardò Duncan con una faccia scioccata.
Lanciò un urlo e cadde in ginocchio.
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - festa e un piano diabolico ***



 
“Gwen … Gwen?”
Qualcuno le stava sventolando vicino alla faccia un foglio di giornale per rianimarla: era svenuta.
Quel qualcuno era Courtney.
“Dov’è … dov’è Duncan?” chiese rialzandosi molto piano.

“è andato fuori a fare due passi. Dopo il suo svenimento diceva di aver bisogno di una boccata d'aria fresca ... speriamo che non stia di nuovo male." “Ah …”

“Tutto bene, ora?”

“Si, va meglio, grazie.”

“Che ne dici di fare una sorpresa a Duncan?”

Gwen parve riprendere colorito.
Batté le mani come una bambina.

“Perfetto!” esclamò Courtney e la trascinò in camera per un braccio.

“Ho dei vestiti in stile dark, molto carini … ci vestiremo … ci faremo belle e lui rimarrà scioccato!”

“Wow! Non mi sono mai truccata!”

“Davvero?”

“Uhm … sì.”

Courtney la trascinò in bagno.

“Aspetta mentre faccio la doccia … ci sono delle riviste, se le vuoi leggere …”

Gwen si voltò dell’altra parte mentre Courtney si spogliava ed entrava nella doccia.
Accese l’acqua calda mentre Gwen si sedeva sul water chiuso e leggeva una rivista.
Dopo cinque minuti la mano di Courtney spuntò dalla tendina della doccia e afferrò un asciugamano.
Cinque secondi dopo uscì lei, con i capelli bagnati e gocciolanti che battevano contro la schiena abbronzata.

“Tocca a te.” Disse sorridendo.
Courtney si girò dall’altra parte mentre Gwen si spogliava ed entrava nella doccia.
Dopo poco uscì anche lei prendendo un asciugamano dal gancio di metallo e mettendoselo addosso.

“E … ehm … e adesso?” chiese.
Si muoveva nel bagno con circospezione, come se non fosse sicura della sua prossima mossa.
Courtney la fece sedere davanti allo specchio sorridendo come la volta in cui aveva baciato per la prima volta Duncan.
Con la sua spazzola le pettinò ordinatamente i capelli e glieli asciugò con il phon.


Gwen si sentiva benissimo: non era mai stata trattata così bene e con  cura e la sensazione le piaceva.
Le piaceva ECCOME.
Rise senza motivo mentre Courtney le spalmava sulla faccia una crema arancione che profumava di pesca.


“Gwen … e ora … la cosa migliore!”
L’ispanica aprì un mobiletto, guardò bene dentro e poi scelse due boccette di smalto, uno nero e uno azzurro.
Entrambe avevano delle unghie molto belle, lunghe e arrotondate, ma Courtney volle comunque dare una sistemata a quelle di Gwen con una limetta.
Mise delle smalto protettivo trasparente sotto e poi applicò quello azzurro a se stessa e quello nero alla gotica.
La parte più divertente fu quella dei piedi.

Gwen rise ancora mentre Courtney le infilava dei piccoli pezzi di cotone tra le dita dei piedi e le passava lo smalto.
Mentre aspettavano che si asciugasse andarono in camera e scelsero dei vestiti dall’armadio.

Courtney prese uno di quelli che reputava più belli, con una camicetta celeste orlata di pizzo bianco e una gonna decorata a fiori cuciti con un grembiule stretto in vita.

La gotica scelse una abito nero con la gonna corta e delle calze a maglia rete nere e un grande fiocco sul retro della vita.

Courtney mise una collana con una croce di brillanti a Gwen e le fece mettere un paio di guanti di pizzo, mentre lei mise un ciondolo con una pietra blu. Gwen prese degli stivali borchiati con il tacco e Courtney delle zeppe con una parte di velluto azzurro.

In effetti, non sembrava che dovessero stare in casa, ma che dovessero andare ad una festa.

Tuttavia Courtney aveva pensato che Gwen avesse bisogno di una serata del genere, per sentirsi a proprio agio, come in un pigiamo party.

Aveva pensato anche di farle una bella sorpresa, così, quando la ragazza si chiuse in bagno per i suoi bisogni, l’ispanica telefonò ad una sua amica, di nome Bridgette.

Era una delle sue migliori amiche, nonostante non avessero molto in comune.

Bridgette era solare, spericolata, sportiva, non amava leggere e studiare e stare in casa, cose che Courtney adorava fare.

Bridgette era molto snella, aveva lunghi capelli color oro e magnetici occhi verdi che sembravano sorridere sempre.

Viveva in città, ma andava ogni week and in una casa al mare con il suo ragazzo, un classico macho stile “anima della festa.”
Si erano conosciute ad un corso di surf, dove Bridgette era l’insegnante, ed erano diventate molto amiche. Anche Duncan e Geoff si divertivano quando stavano insieme, tra rutti virili e partite di football.
Di solito Bee portava una felpa azzurra, delle ciabatte ed i pantaloni sportivi.

“Ehi, ciao, Bee.”

“Ciao!”

“Sono Courtney.”

“Court! Come ve la passate tu e Duncan?”

“Bene, bene. Senti, oggi ti va di raggiungermi qui in campagna? Potrebbero venirti a prender ei tuoi … ho una nuova amica, la nostra vicina di casa, che ha studiato in privato e si sente molto sola … vorrei farle provare la gioia di un pogiamo party tra amiche!”

“Volentieri! Quando devo venire?”

“Sono già le nove e mezza, quindi direi … subito!”

“Uhm, arrivo. A tra poco!”
 
Courtney, appena finita la telefonata, aiutò Gwen a lavarsi la faccia e si truccarono.

Quando sentirono il campanello suonare da giù finirono di pettinarsi in fretta e furia, misero via i trucchi alla bell’e meglio e corsero giù.
Quando Duncan le vide, emise un breve fischio.

“Siete bellissime!”
“Volevamo farti una sorpresa …”

Duncan sollevò Courtney per i fianchi e la riportò giù baciandola ripetutamente e a stampo.
Poi fece fare a Gwen una piroetta su se stessa sorridendo.

“Pupa, hai preparato la cena?” chiese subito dopo.

Courtney se n’era scordata!

Scosse la testa tristemente, ma Duncan le prese il mento con due dita e le sussurrò “Sei bellissima comunque.”

Prese il cellulare e sorrise ammicante alle ragazze.

“Stasera avremo ospiti! Vedondovi così bella ho deciso di fare una feeeesta! Dopo quel brutto episodio ho voglia solo di musica punk, amici e pizza!”

“Chi inviterai!?”

“Alcuni amici.”

“Cosa intendi per ‘alcuni’?”
“Una decina.”

“Tutti maschi?”

“Mh … già, di pollastre non ne vedono loro. Quando vi vedranno impazziranno.”

“Viene anche Bridgette!”

“Woah! Gli serviranno le camicie di forza.”

Duncan fece un sacco di telefonate, e quindici minuti dopo il campanello iniziò a suonare a intermittenza.
Gli amici di Duncan erano davvero una banda di rokkettari, punk e metallari da far paura.
Dieci ragazzi e si videro piercing, bracciali e collari borchiati, camicie borchiate di jeans, cinture, scarponi chiodati e creste di trenta centimetri verdi, rosse, gialle, nere e persino una fuxia.

Alle undici arrivò Bridgette e il fattorino con una quantità di pizze.

La surfista portava i capelli rilegati in uno chignon alto e un tubino rosso brillantinato.

Le tre ragazze vennero accolte da una pioggia di fischi e dopo una serie di presentazioni e commenti (che schianto!) (dove l’hai beccata questa?) (viva le spagnole!) (amo i dark!) (che bionda!) (sei fidanzata?) arraffarono tre pizze e qualche bibita e si chiusero in camera.

Fecero le tipiche cose da ragazze americane ad un pigiama party: misero lo smalto sulle dita dei piedi di Bridgette, spettegolarono sui ragazzi amici di Duncan, guardarono un film romantico alternato a degli spezzoni horror che piacquero particolarmente a Gwen, fecero battute stupide, mangiarono schifezze tirandosi i popcorn e si provarono i vestiti di Courtney finché non si trovarono ubriache di gazzosa e rhum e con i residui di popcorn persino nell’elastico degli slip.

“Vuoi scendere?” chiese Courtney ridacchiando.

Gwen annuì.

Scesero le scale urlando come pazze.

“OHo …!” esclamò un amico di Duncan, e afferrò Courtney per un braccio.

La attirò a sé a la fece roteare.

“SI balla!” esclamò baciandole il collo.

“Piantala!” esclamò Bridgette e si lasciò cadere tra le sue braccia.

Lui lasciò andare Courtney e inizò a far roteare velocissimo la surfista al ritmo della canzone punk.

Duncan spuntò da un gruppetto di amici.

Aveva la faccia coperta di panna montata e un paio di mutande (probabilmente le sue) in testa.
Prese l’ispanica per le spalle e ridacchiò.

“OH-HO! Mi sa che la mia principessa ha bevuto!”

Ridacchiò ancora, poi l’accompagnò in stanza sorreggendola.
Lei rideva e traballava.

“Mi sembra strano.” Continuava a ripetere mentre la sistemava sul letto e la copriva, “che si sia ubriacata. Court non lo farebbe mai. Devono averla convinta Gwen e Bridgette … oppure … costretta.”

Scacciò via il pensiero con la mano.
Conosceva Birdgette da abbastanza tempo da sapere che non l’avrebbe mai fatto, ma Gwen … no, Gwen era troppo dolce per farlo.
E poi non sapeva cos’era il rhum.
Forse  …


Tornò giù, strappò Bridgette dalle mani di tre suoi amici e la distese sul letto accanto a Courtney.
Poi cercò Gwen.
Stava parlando con alcuni dei suoi amici, ma non sembrava per niente ubriaca.
Quando lui la raggiunse, lei parve illuminarsi.

“Ciao Dunki!!!” esclamò.

“è ubriaca?” chiese ad uno dei suoi amici.

“No, non sembra.”

Gwen gli fece un sorrisone.

“Ciao ragazzi, ora è meglio che io vada a letto.”

“NOOOO DAI” esclamarono in coro.

“Dai, vado.” Disse Gwen.

Uno dei ragazzi le fece il baciamano e gli altri risero.

Lei salì con Duncan.

Quando furono lontani dalla festa, accanto alla camera delle ragazze, lei gli chiese: “Come va?”

“Tutto bene, perché?”

“Eri molto pallido.”

“No, ora sto meglio …”

“Posso darti un’occhiata? Di solito si tratta di pressione …” disse lei,  e senza aspettare risposta si avvicinò a Duncan e gli prese il collo con due dita.

“Proprio come pensavo …” sussurrò.

“Che succede?”

“Ehm, nulla! Bassa pressione.” Confermò.

I loro visi erano molto vicini.

Gwen lo guardò intensamente.

“Beh allora io vado giù, eh?” disse Duncan grattandosi la nuca.

Stava sudando.
Scese in fretta e furia gli scalini, e Gwen rimase a guardarlo finché non scomparve.

Poi entrò nella stanza di Courtney.

Come aveva potuto, Courtney, la sua amica, invitare qualcun altro?
EVIDENTEMENTE Courtney non aveva capito.
Non avrebbe avuto nessun’altra amica, era sua e basta.
Quando aveva risi delle battute di Bridgette, quella sera, Gwen era stata molto male.
Bridgette doveva andarsene, perché Courtney era sua.


Chiuse a chiave la porta e guardò Bridgette.

Passò una mano sui capelli biondi e sul viso delicato .


Tutto come aveva previsto.

L’alcool le aveva fatte cadere nel sonno, proprio come voleva lei.
 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Povera Bee ***


Angolo dell'autrice: scusate il capitolo corto cort, ma per le shockanti rivelazioni dei prossimi capitoli vi devo preparare ... vi prego intanto di analizzare i dati che troverete nel testo. Cosa sarà successo veramente a Bridgette?


Il mattino dopo, Bridgette si svegliò tardi.
Sentiva un forte dolore alla testa, si sentiva debole e non riusciva bene a mettere a fuoco.
Vicino a lei c’erano Courtney, Gwen e Duncan.

“Che cos’hai? BEE!” esclamò Courtney toccandole la guancia.

“Io …”

“Si è risvegliata!” urlò Duncan.

“Io … io non mi sento bene …. Mi sento … svuotata …” disse Bee in un soffio.

Era stranamente pallidissima, e le sue labbra sembravano più rosse.

“Calo di pressione.” Disse Gwen con aria saccente.

“Vado a chiamare un medico.” Disse Courtey e si avviò in camera.

Pochi minuti dopo scese, e mezz’ora dopo suonò il campanello.

Il medico era un uomo di colore completamente calvo, il mento greco, tratti rozzi e uno sguardo da maniaco assassino.

Si avvicinò al letto di Bridgette e le afferrò il polso.

Le premette le dita sulle tempie, sulle spalle, sui fianchi, esaminò le braccia e le gambe, le toccò la fronte e il collo.

“Non si tratta di un semplice calo di pressione.” Disse con una voce agghiacciante.

“Deve averla punta qualche tipo di insetto … dovrei eseguire un’iniezione per prelevare un campione si sangue e analizzarlo.”

“Deve essere fatto in ospedale?”

“Teoricamente l’ambiente dovrebbe essere sterilizzato … ma … se volete … dopo tutto si tratta di un’ago.”

Duncan scrollò le spalle, Courtney lo fissò male.

“Ah. Scherzavo.” Disse il medico con l’aria di uno che non scherzava affatto.

“Non sarà necessaria un’ambulanza … se volete, la posso portare con la mia macchina.” Aggiunse.

“eh, oh, tipo, non allargarti troppo.” Disse Duncan.

“è un’auto medica …” il medico alzò un sopracciglio.

“L’iniezione si può fare solo se su quell’auto hai il posto anche per le mie chiappe!”esclamò Duncan protettivo.

“Se non ti fidi …” disse il medico scrollando le spalle.

Fece per uscire, ma Courtney lo fermò.

“Ehm … ci invierà gli esami appena possibile, vero?”

“certamente.”

“Grazie di tutto, dottor …”

“Hatchet. Chef Hatchet.”

“è stato un vero piacere.” Disse l’ispanica e gli strinse la mano.

Hatchett, Duncan e Bridgette uscirono di casa e salirono sull’auto medica.

“Duncan!” esclamò Courtney all’improvviso.

“Forse è meglio che vada io con Bridgette.”

Duncan  scrollò le spalle e sussurrò: “Se quello ti tocca anche solo con un dito, tu componi il numero del mio cellulare e vengo con la vespa e gli ammacco l’auto a mani nude.”

“Uhm, ok.” Disse lei, lo baciò a stampo e salì sull’auto.

“Se non tornassi per pranzo c’è della pizza surgelata e della coca in freezer …”

“Ok, amore!” esclamò Duncan.

Appena lui e Gwen furono in casa, lui disse “Senti, non è il caso di chiamare i tuoi? Saranno preoccupati …”

“sì, che qualcuno mi veda!” esclamò lei, e nel dirlo le s’inumidirono gli occhi.

Duncan le cinse istintivamente i gomiti con le  braccia.

“Va tutto bene …” disse lei guardandolo intensamente come la sera prima.

“Ti va di vedere un film horror?”

“Oh, sì.” Esclamò lei tornando a sorridere.

“Ne ho uno che parla si un pazzo con l’uncino …”

“Oddio! È il mio preferito! Parli di “Sangue in macchina 3”, vero?”

“Ah, lo adoro!”

“Quando loro sono in macchina e l’uncino rimane attaccato al tosaerba!”

“E quando lui rimane incastrato nella portiera della macchina?”

“LO amoooooooooo!” Gwen lanciò un urletto.

Si sedettero sul divano e mentre lui premeva il tasto ‘play’, Duncan disse: “Hai preso colorito, nella notte.”
Lei ridacchiò.
 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** Sarete miei ... ***


“Uh, ho. È mezzogiorno.” Esclamò Duncan mettendo in pausa il film sulla scena finale.

“Hai fame?”

“Molta.” Disse Gwen leccandosi le labbra.

Lui prese degli avanzi dal freezer.

“C’è rimasta la marinara e un pezzo di quella piccante …” disse Duncan esaminando i cartoni unti.

“La marinara?”

“Quella con l’aglio.”

Gwen arricciò il naso.

“Bleah. Io prendo quella piccante.”

“Mh, invece io adoro l’aglio. Come fa a non piacerti?”

“Fa puzzare l’alito.”

“Non credo di dover baciare molto. Court dopotutto è all’ospedale!” rise lui.

Lei annuì impercettibilmente e si sedette a tavola.

Duncan riscaldò le pizze e mangiarono parlando del film.

Dopo mezz'oretta squillò il cellulare di Duncan, e lui mise in vivavoce.

“Pronto, amore?”

“Court? Come va?”

“Hanno fatto una siringa a Bridgette. Hanno tolto un po’ del veleno … ma pare  che l’insetto fosse molto grosso, il suo sangue sembra completamente contaminato. La stanno imbottendo di medicine …”

“Mio Dio.”

“è venuto Geoff qui.”

“Non mi tradire, eh!”

“Dunki!”

“Come vi ha trattate il dottore? Metteva paura solo a guardarlo …”

“Già. Ci ha trattate bene, però.”

“Buon per lui e la sua macchina.”

Courtney rise nel ricevitore.

“Beh, ora vado, ciao.”

“Ciao amore. Chiamami dopo!”

“OK. Bacio.”

Duncan e Gwen tornarono a vedere il film e pochi minuti dopo finì, così decisero di salire in camera del ragazzo, e lui le fece ascoltare qualche disco punk.
Dopodiché giocarono un po’ ad un videogame di guerra.

Gwen impersonò l’eroina tutta curve e Duncan l’amante eroe.

Non si accorsero del tempo che passava, e quando smisero di giocare, con le tempie che pulsavano e gli occhi gonfi, si resero conto che fuori era buio.
Duncan recuperò il suo cellulare, che aveva lasciato sul letto.
C’erano due messaggi di Courtney.

“Ancora non riescono a eliminare il veleno. Bridgette sta male, Geoff ha pianto. Io sto morendo di stanchezza, qui non ci sono sedie. Vorrei che fossi qui. Ma non venire. Ti amo, Courtney.”

“Duncan, Bridgette sta sempre peggio. Si agita e dice che ha fame, è pallida come un lenzuolo. Io ceno qui in ospedale, fai pure restare Gwen. Tornerò verso le dieci e mezza. Mangiate pure le bistecche surgelate che ci sono in frigo, nel mio libro di cucina c’è scritto come cuocerle. Il libro? È sul tavolo. Un bacio, Court.”

Il punk controllò l’orologio: erano le otto e mezza.

Mancavano due ore all’arrivo di Courtney, ed era un po’ imbarazzato di dover stare con Gwen la sera.

Andò subito a cercare il libro e chiese alla ragazza di aiutarlo a cucinare.

Lei accettò entusiasta.

 
“Aggiungere il rosmarino …”

Gwen leggeva con la sua voce vellutata e piacevole mentre Duncan faceva cuocere le bistecche.

“Ehy, chef! Lasciale al sangue.” Disse lei.

“Carnivora, eh?” rise lui.

Lei sorrise furbescamente.

Alle nove furono pronte e fumanti nei piatti.

Gwen aveva apparecchiato piegando i tovaglioli a forma di rondine e lucidando prima i bicchieri, e Duncan si stupì nel vedere tanta efficienza.

“Mi dispiace per la vostra amica.”

“Eh, già. Curiosa comunque come cosa … un insetto … Courtney è maniaca della pulizia.”

“Bleha, io odio pulire.”

“Come me!”

Gwen sorrise daun orecchio all’altro.

Finirono di cenare.

“Vuoi ascoltare qualche altro disco punk?”

“Va bene!”

Lasciarono tutta la tavola in disordine e salirono urlando come due scalmanati.

Mentre Duncan era chinato su una pila di cd per sceglierne uno, Gwen lo osservava da dietro.

Il punk sentì una mano morbida e gelida sulla nuca.

Duncan … anche se ci conosciamo da poco … voglio dire …”

“Sì?”

“Io …”

“Sì?”

“Niente.” Disse lei.

“Gwen, tutto bene?”

“Sì. Allora, sentiamo questo disco punk?”

Duncan era un po’ perplesso, ma premette su “play” e si sedette accanto a lei per terra.
Mentre le note furiose le rimbombavano nelle orecchie, Gwen non riusciva a non pensare al suo piano: non solo Bridgette era fuorigioco per il momento, ma lei era anche incredibilmente in forze grazie alla bevuta.

Bridgette era stata veramente DELIZIOSA con lei …

Si leccò le labbra.

Aveva fame.

Ma se aveva appena cenato?

La vista di Duncan era fatale.

Lei ne era follemente innamorata, e avrebbe fatto di tutto per averlo con lei per sempre.

Lui era suo e Courtney era sua.

Ma se fossero morti, un giorno?

No, non sarebbero morti.

Sarebbero stati suoi per sempre.

Che lo volessero oppure no.
 
 

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Capitolo 8
*** 66783967912 … ***


 
Quando Courtney rientrò, quella sera, in casa sembrava tutto tranquillo.
Aveva in mano i documenti con gli esami di Bridgette, ma non li aveva ancora letti.
La surfista avrebbe dovuto rimanere in ospedale per una notte almeno, e Geoff era rimasto lì.

L’ispanica ebbe un gemito di disapprovazione quando vide il tavolo sporco, con i resti di bistecca e il sugo sparsi ovunque.
Sospirando prese uno straccio, ripulì il tavolo e mise i piatti in lavatrice.
Appena finito salì al piano di sopra per controllare dove fossero gwen e Duncan.

Li trovò addormentati.

Duncan a pancia in su con le braccia allargate e Gwen appoggiata con la testa al suo petto.
Courtney non si ingelosì affatto nel vederli, ma provò un senso di sollievo e tenerezza.
Posò gli esami sulla mensola del corridoio, poi si lavò, si mise in pigiama ed andò a dormire nel letto matrimoniale da sola.


Il mattino dopo …


Duncan scese in cucina per la colazione abbastanza presto, verso le otto del mattino.
Trovò Courtney seduta al tavolo.
Leggeva e rileggeva alcuni fogli con un’espressione preoccupata.

“Che cosa sono quelli, amore?”

“Gli esami di Bridgette.”

“Ah, già. Che cos’ha la surfista?”

“Dicono che l’insetto in questione sembra non esistere. Ha il DNA di una zanzara, ma molto più forte, resistente e potente.”

L’ispanica sospirò.

“Ha iniettato un veleno che ha alterato in parte il flusso sanguigno di Bridgette e il suo dna. Sono riusciti a togliere solo poco con molte iniezioni. La salute di Bridgette è instabile, e … e …”

Courtney singhiozzò.

Una lacrima solitaria si formò sotto il suo occhi destro e avanzò lungo la guancia morbida.

“Bridgette è …”

“Cosa è successo?!” chiese Duncan allarmato, preparandosi al peggio.

“è entrata in coma. Abbiamo informato i suoi genitori, stanno andando là … come è potuto accadere!? La mia migliore amica!”
Singhiozzò di nuovo.

In quel momento  arrivò Gwen.

“Migliore amica?” chiese.

“Di chi parlate?”

“DI Bridgette.”

“Che cos’ha?”

“è entrata in coma.”

Gwen abbozzò un’espressione triste, ma dentro di sé stava esplodendo di felicità.

Tutto. Andava. Secondo. Il. Piano.

“Domani starà benone …” disse sedondosi a tavola.

“MA CHE STUPIDAGGINE è QUESTA!? È IN COMA! POTREBBE MORIRE O RESTARCI PER IL RESTO DELLA SUA VITA!” sclerò Courtney.

“Calmati, principessa!” esclamò Duncan tenendola ferma con le braccia.

“Scusa,” disse rivolto a Gwen “La mia principessa è tesa per questa situazione”.

Poi si rivolse all’ispanica “Tesoro, calmati, Gwen non sai niente del coma …”

“Sì, hai ragione.” Disse lei, e si calmò. “Scusa.”

“Di nulla!” cinguettò Gwen, che sembrava più allegra che mai.
 
Dopo la colazione le ragazze decisero di preparare una torta salata per pranzo, mentre Duncan salì in camera sua per rilassarsi.


Accese la playstation e la televisione, ma notò subito una cosa stranissima.
Sullo schermo della tv era attaccato un post it giallo con scritto sopra un numero.
Guardò meglio: sembrava un numero telefonico.

Gli ricordava vagamente qualcosa …

Scese in cucina per chiedere alle ragazze.

“Courtney, Gwen, è per caso vostro questo?” chiese mostrando il foglietto.

“No, mio non è.”

“Nemmeno mio.”

Duncan salì di nuovo in camera.

Eppure … quel numero era terribilmente familiare: 66783967912 …
Guardò e riguardò quello strano bigliettino …
Si dimenticò persino di giocare.
C’era qualcosa che gli stuzzicava la memoria, qualcosa di terribilmente familiare.
Ad un certo punto andò in bagno, aveva sete.
Si versò un bicchier d’acqua del rubinetto e lanciò un’occhiata di sfuggita allo specchio.
Per poco non si strozzò con l’acqua.

“Ma che diav …?!”

Sullo specchio c’era una macchia più opaca, come se qualcuno ci avesse alitato sopra per poi scriverci qualcosa.

E infatti, qualcosa c’era scritto: 66783967912 …

 

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Capitolo 9
*** Quel numero ***


 
 
 
Scusate il capitolo corto corto, ma vi prometto che avrà una rivelazione shockante! È giusto per mantenere la suspense … buona lettura! La vostra biberon (ancora caldo!)
Dedicato a Maty <3
 
 Sapete una cosa?
Gwen aveva ragione.
Il giorno dopo, verso le undici del mattino, qualcuno citofonò alla porta di casa Nelson - Barlow.
Gwen si nascose dietro il divano, temendo che fossero i suoi genitori.
Courtney aprì la porta e nel vedere chi c’era davanti a casa sua schizzò fuori.
“Bee!” urlò, gettandole le braccia al collo.
La surfista era lì in piedi davanti a lei in carne ed ossa, e sembrava stare benissimo.
“Duncan!” urlò l’ispanica.
“Vieni a vedere chi è venuto a trovarci!”
Duncan era seduto sul suo letto a rimuginare su quel misterioso numero che aveva trovato il giorno prima.
Era stato lì così per tutta la notte, perciò  era molto stanco.
Si alzò mal volentieri e scese giù.
Quando vide Bridgette, però, anche lui l’abbracciò, abbastanza contento di vederla.
“Com’è possibile?” chiese Courtney all’amica.
“Vel’avevo detto!” fisse Gwen con una strizzatina d’occhio.
“Tu fai miracoli!” esclamò Courtney abbracciandola.
Gwen si sentì percorrere da una scossa di brividi sentendo le mani della sua unica e vera amica sul collo.
 
Metà del piano era attuato.
Bridgette stava bene, era lì, sana e salva, e Duncan e Courtney le erano grati.
Ora doveva solo completare la sua opera …
Avrebbe voluto sogghignare, ma si trattenne.
 
 
“Bridgette!” Courtney continuava a ripeterlo, come se quel nome fosse una preghiera.
Gwen faticò a sopportarlo.
“Bridgette, resta a mangiare da noi!” esclamò l’ispanica.
“Ho già avvertito i miei che resto qui per un po’. Sono così felici che io stia bene che hanno accettato senza problemi.”
Sorrise.
Courtney preparò dei toast veloci con tonno e insalata mentre Bridgette e Duncan si spaparanzavano sul divano a vedere un programma comico.
Gwen rimase in disparte, a guardare la “cuoca” al lavoro.
 
 
Mangiarono un’ora dopo.
“è stato davvero allucinante” iniziò Bridgette “in ospedale chiamavano me e gli altri pazienti con dei numeri …  mi sembrava di essere in un carcere di massima sicurezza o in un campo di concentramento.”
“Chissà che brutta esperienza …” commentò Courtney.
“Già, l’ho provato sulla mia pelle il carcere …” disse Duncan.
Gwen fissava la surfista con un’espressione poco promettente.
“A me avevano dato un numero assurdo, enorme … aspetta … vediamo se mi ricordo … ah, sì, ero il numero  66783967912!” cinguettò addentando il suo toast.
Duncan rovesciò praticamente il tavolo e urtò il suo piatto facendo cadere il toast per terra.
“COME HAI DETTO?!” urlò.
“Calma, Dunk … 66783967912 … perché?”
Duncan la fissò con un’aria da psicopatico.
 
“Oh ca**o …” bisbigliò.

 

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Capitolo 10
*** Eppure ... ***


Duncan si rimise seduto.
“Tesoro, ma che diamine ti è preso?” chiese Courtney preoccupata.
“No, nulla, è che …” Duncan stava pensando alla parole migliori da dire.
Doveva dire alle tre ragazze di quel numero?
Dopo tutto si era presentato solo tre volte, pura coincidenza …
No?
 
“Niente.” Disse.
Bridgette alzò un sopracciglio.
“Vi dicevo, quell’ospedale è pazzesco. E la minestra! Non ho mai sentito nulla di più schifoso in vita mia.”
“Povera Bee … ma dai, comunque è stato solo per poco.”
“Già, tu quattro pasti di sbobba li chiami poco?”
Le due ridacchiarono.
Duncan abbassò gli occhi sul piatto e iniziò a giocherellare con il suo toast, che aveva recuperato da terra.
Courtney prese il cartone del latte fresco dal frigorifero.
“Chi ne vuole?”
“Io!” esclamò Bridgette agitando le mani con il suo solito entusiasmo.
“Attenta!” esclamò Courtney, ma era troppo tardi, la surfista la urtò e il latte si rovesciò sul tavolo bagnando i resti  dei loro toast.
“Beeeeeeeeee!” urlò Courtney fingendosi arrabbiata.
Bridgette scoppiò a ridere e si alzò a prendere uno straccio per aiutare l’amica a pulire.
“Ehm …” inizò Gwen, che sembrò riprendere vita solo in quel momento, dopo un silenzio carico di odio per Bee.
“Non vi sembra che le macchie di latte abbiano una forma strana?”
Duncan sentì come se lo stomaco gli salisse in gola.
Quarta volta.
“66783967912 … ancora!” urlò esasperato.
“Che buffo! Delle macchie di latte che formano un numero!”
“Impossibile!” esclamò Courtney accorrendo per guardare.
“Ora faccio una foto, è davvero incredibile!”
Duncan si alzò da tavola.
“Devo andare in bagno.” Disse sbrigativo, attraversò la sala quasi correndo e sparì al piano di sopra.
“Che strano comportamento …” osservò l’ispanica finendo di mangiare il suo toast.
 

Duncan si chiuse in bagno a doppia mandata.
Ma come diavolo era possibile?
E soprattutto, dove aveva già visto quello strambo numero?
Si sedette sul coperchio del water a gambe incrociate e fissò la tendina della doccia rimuginando.
Eppure, eppure …
Non riusciva a formulare altre parole, nella sua mente, se non “eppure …”
Era certo di aver visto quel numero …
Ma non l’aveva in rubrica, non aveva molti amici …
Eppure …
Si alzò, e colto da un’improvviso lampo di genio controllò ovunque.
Sul water, sullo specchio, nella doccia …
Il numero non c’era da nessuna parte.
“Calma, Duncan. Calmati … è solo stress.” Si disse.
“Ora torni giù dalle ragazze e ti comporti normalmente.”
Duncan parlava spesso con se stesso, e benché lo rendesse strano, lo faceva sempre sentire meglio.


Uscì dal bagno e fece per tornare giù, quando una cosa attirò la sua attenzione.
Si precipitò in camera sua.
Ci aveva visto giusto, allora!
Sull’armadio era scritto con una bomboletta 66783967912.
“Ragazze!” urlò, deciso a dire la verità. “Venite immediatamente qui!”
In pochi secondi le ragazze si precipitarono su, spaventate.
“Guardate!2 esclamò il punk indicando l’armadio.
“Guardate COSA?” esclamò Courtney, fissando il punto che Duncan indicava.
“Ma non lo vedete, siete cieche?”
“Che cosa?”
“Ma è lì, davanti a voi! Quel numero!”
“Quale numero?”
“66783967912!”
“Duncan, lo vedi solo tu!”
“Ma se è lì sull’armadio!”
“Duncan, tesoro” disse Courtney accarezzandogli il petto “calmati. Non c’è nessun numero. Quell’armadio è pulito e lucido.”
“Ma …” iniziò lui, ma lei gli mise due dita sulle labbra per zittirlo.
“Sh … è solo stress.” Concluse, giocherellando con il suo pizzetto.
“Già.” Convenne Bridgette, che aveva ancora in mano mezzo toast.
“Noi finiamo di mangiare, vieni?” chiese Gwen speranzosa.
“No, resto qui. Non mi sento tanto bene …”
“Uhm … ok.”
Le tre ragazze annuirono e tornarono al piano di sotto.


Duncan si gettò disperatamente sul letto.
Lui lo vedeva!
Stava lì, davanti ai suoi occhi!
Non era mica cieco!
Eppure …
“Meglio distrarmi.” Si disse.

Si ricordò improvvisamente, pensando ai numeri, che doveva telefonare ai suoi genitori per dirgli com’era la convivenza. Gliel’aveva promesso tante volte prima di trasferirsi, e decise che, dato che non li vedeva né sentiva da parecchio, era meglio approfittarne.
Di solito quando c’era Courtney nei paraggi non poteva farlo, perché lei e sua madre si odiavano.
Non che lui fosse chissà quanto attaccato alla madre, ma pensò che, tuttavia, ogni tanto si può anche telefonare, erano pur sempre i suoi genitori.
E dato che Courtney era SEMPRE nei paraggi (in senso positivo, ovviamente), lui non avevav potuto per parecchio tempo.
Accese il cellulare, che teneva in  tasca, e premette il dito sullo schermo nell’incona rubrica.
Quando vide la rubrica, gli venne  la tentazione di urlare.
I primi cinque numeri erano quelli di Alejandro (un suo amico) Bridgette e Courtney, ma avevano qualcosa di diverso dal solito: erano tutti lo stesso numero.
Indovinate quale?
Con il cuore che batteva all’impazzata Duncan scorse tutta la rubrica, e notò che il numero era lo steso per tutte quelle persone.
“Mio Dio! Sono perseguitato dal demonio!” urlò, in preda ad un attacco isterico, imprecando e lanciando il cellulare a terra.
Alzò lo sguardo sull’armadio, e notò che il numero era sparito.
Ok, inizava ad avere veramente paura.
“Aspetta!” si disse. “Io sono Duncan Nelson! Nessuno, dico nessuno mi prende per il culo!” esclamò soddisfatto. “Se viene qui il demonio gli spacco la faccia!” aggiunse scrocchiandosi le nocche in un modo che sapeva usare solo lui.
Raccattò il cellulare e compose il numero  66783967912.
“E adesso vediamo un po’!”

Tu … tu … tu …
“Pronto.”  Disse una voce rigida e fredda.
Duncan alzò un sopracciglio, cercando di non farsi impressionare.
L’aveva già sentito quel tono misterioso.
Ma non apparteneva a nessuno dei suoi amici.
Eppure …

“Salve, mio caro.”

“Eh, oh, zio, non allarghiamoci troppo!” esclamò Duncan sarcastico.

L’altro sembrò non capire la battuta.

“è da tanto che speravo che mi chiamassi … ti sono stati utili i miei promemoria?”

“A proposito dei tuoi promemoria … avrei da dirti un paio di cosette!” esclamò Duncan agitando il pungo.
“Se con “cosette” ti riferisci a pugni non credo che tu possa farmi realmente male …”

“Eh, oh, Rocky Balboa! Non darti tante arie!”

“Come vuoi. Comunque sappi che ho visto che hai cestinato il mio numero. Ascolta, è importante che io trovi quella ragazza …”

“E perché?!”

“è importante. Ti dico solo questo. È pericolosa, ragazzo mio … devi stare lontano da lei. Dimmi dov’é. Devo saperlo.”

“Non sarai mica il suo ex o roba del genere, eh?”

“No. In effetti non ne ho avuto l’onore, di essere il suo prediletto.”

“Ma come parli, zio, non siamo più nell’ottocento!”

“Zio?”

“Lascia stare, nerd. È un modo di dire.”

“Nerd?”

“Ah, ma non sai nulla, eh? Senti, finiamola subito. Non so di che ragazza parli.”

“Menti.”


“Come credi. Comunque c’è una cosa che dovrei chiederti …”
“Sentiamo.”

“Come cavolo hai fatto a fare quei trucchi … devi essere un prestigiatore o cosa …”


L’altro attaccò.
Duncan esultò.
Sì! Lo sapeva, lo sapeva che era qualcuno che aveva già visto!
Indubbiamente, quello lì era un pazzo.
Non gli avrebbe detto dov’era Gwen neanche per tutto l’oro del mondo.
Ma cos’era questa storia del pericolo di Gwen?!
Si toccò le tempie.
Che densità di eventi, negli ultimi giorni …
Ora che ci pensava, le cose strane erano inziate da quand’era arrivata Gwen …

In quel preciso istante lei si materializzò sulla porta della stanza.
“Con chi parlavi?”
“Ero al telefono.”
“Con chi?”
“Boh, un tizio che non conosco …”
“In CHE SENSO?!”
“Credo fosse il tizio che mi ha accompagnato a casa l’altro giorno, quando sono svenuto …”
“Me lo descriveresti?”
“bah, non è che io me lo ricordi molto … era un tipo strano, alto, capelli neri, occhi inquietanti, sguardo assente …”
“OMIODIO!” urlò Gwen.
“Che succede?”
“Non ci credo! Duncan, promettimi che non gli parlerai mai più …” disse lei singhiozzando.
“Ma perché, chi è?”
Gwen scoppiò in lacrime dal nulla e si nascose il viso tra le mani.
“WAAAAAAAA!” urlò avvinghiandosi a Duncan.
“Gwen … ?”
“Quel tizio è … è un maniaco che mi perseguita! Mi scattava foto di nascosto … è un pazzo, un pazzo, ti dico!”
“Ok, ok … ti prometto che non gli parlerò più. Ma se solo ti tocca …”
“Oh, grazie, Dunki ...” sussurrò lei stringendolo forte.
Rimase lì così  a pinagere ancora per un po’, poi tutti e due scesero al piano di sotto da Bridgette e Courtney ed evitarono di parlarne per il resto della giornata.

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Gwen non poteva fare a meno di sorridere.
Dopotutto era stata bravissima.
Il suo piano stava procedendo in modo così perfetto che persino lei se ne stupiva.
E poi, che attrice era stata con Duncan!
Beh, le lacrime finte le erano sempre venute bene, fin da quando la sua mamma la schiaffeggiava da piccola quando uccideva un agnellino guardandolo soltanto.
Già, era così bello vederli soffrire, quegli agnellini della fattoria di fianco …
Come si contorcevano e belavano pietà, come soffrivano fino all’ultimo istante prima che lei potesse dare il tocco finale …
Certo, non avevano quel tocco di classe che avevano gli umani, questo era vero.
Ma quando non si hanno alternative ci si accontenta con tutto.

Tra pochi minuti lei Courtney e Duncan sarebbero andati da Bridgette per una notte a dormire, come festeggiamento per la guarigione improvvisa e miracolosa della surfista.
Ma quale miracolo!
Tutto secondo il suo piano perfetto.
Dopo la prima bevuta era normale che Bee stesse bene.
Ma ben presto, molto presto, non lo sarebbe stata più, bene.
Anzi.
Non lo sarebbe stata mai più.

“Gweeeeen!” la chiamò Courtney dal piano di sotto. “è ora di andare!”
Gwen si alzò dal pavimento del bagno sul quale era seduta.
Si passò ancora l’eyeliner e il mascara.
D’altronde, doveva essere bellissima per Duncan. No?
Il suo stomacò brontolò con un rumore simile ad un tu0no.
“Calma, piccolino … tra poco ti darò da mangiare.” Disse accarezzandosi la pancia amorevolmente.
Courtney la chiamò di nuovo, e lei scese.
“Andiamo!” disse l’ispanica.
I quattro uscirono di casa.
I genitori di Bridgette erano già ad aspettarli con la macchina.
Erano venuti a prenderli per portarli in città, dove viveva la surfista.
“Sai, Gwen” disse Bridgette mentre saliva in macchina “Sono contenta che tu  venga a casa mia!”
“Anche io.” Pensò la gotica sorridendo come uno squalo e passandosi due dita sulla pancia piatta; “Anche io.”

 

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Capitolo 11
*** BEE ***


 
Allora, prima di cominciare questo nuovo capitolo vorrei dirvi una cosa: Gwen è superextramegaarci OOC. Ma nei prossimi capitoli si capirà il perché. Dovete solo aspettare e continuare a leggere, e vedrete che tutto si farà chiaro. (Muahahahaha) risata malefica vecchio stile. Aspettate e saprete. :)) Questo capitolo lo dedico a maty345, la mia cuginetta, e a tutti i lettori delle mie storie che mi fanno bellissimi commenti, che mi seguono e mi fanno andare avanti. Grazie ragazzi ;)
 
 
 
“Allora, tu sei...?” chiese la madre di Bridgette rivolta alla gotica.
Erano seduti a tavola, a casa della surfista, per la cena.
“Gwen.”
“Piacere, io sono Lhara.”
“E io sono Carl!” esclamò il padre, il tipico uomo leggermente sovrappeso coi i capelli biondi e la pelle arrossata da ogni minimo raggio di sole.
“Allora, conosci da poco la nostra Bee, giusto?”
 
Gwen si soffermò un attimo a pensarci.
Le piaceva tanto il nome Bee.
Bee, bee, come il belare disperato delle pecore prima di essere uccise.
Bee, bee, i loro corpi che si agitavano spasmodici e presi dalle convulsioni.
Bee, bee, i loro occhi disperati che saettavano qua e la alla ricerca d’aiuto.
Bee, bee, i loro musi inzuppati dello stesso sangue.
Bee, bee, i loro ultimi respiri esalati per chiedere aiuto.
BEE.
 
 
“Gwen? Mi stai ascoltando?” chiese la donna posando la forchetta nel piatto.
“Sì, certo. Ehm … conosco Bee, sì.”
Era così bello dire Bee.
Gwen assaporò la parola con gusto.
 
“Ti senti bene, cara? Non stai toccando cibo!” esclamò Carl.
“Certo, sto bene. È solo che non ho … fame.”
Gwen si sentì stupida per la portata della bugia che aveva appena detto.
Sul tavolo c’erano un sacco di cose da mangiare: pollo, pesce, coniglio, tartine, frutta, salatini, grissini, riso in insalata … ma ovviamente, nessuna di queste cose andava bene per Gwen.
Perché, perché, perché dovevano cenare? Non potevano mandarli direttamente a letto?
“Avete terminato tutti?”
Sembrava che Lhara non vedesse l’ora di alzarsi da tavola.
“Sì, io sono a posto.” Disse Duncan facendo ok con la mano.
Bridgette e Courtney assentirono.
La donna sparecchiò e loro si alzarono per salire in camera di Bee.
“Mamma, come sei frettolosa oggi! C’è qualche problema?”
“No, assolutamente, devo solo … in tv tra sette minuti c’è l’ultima puntata del mio programma preferito!” esclamò Lhara dandò un’occhiata furtiva all’orologio.

 
Bee annuì soffocando una risatina.
La camera di Bridgette rispecchiava perfettamente i suoi gusti: c’erano ben tre tavole da surf davvero belle, un letto a castello, due armadi dipinti di bianco con dei cassettoni enormi, una scrivania piena di fogli pasticciati e una grossa tv.
Courtney notò che in giro non si vedeva neanche un libro, e sorrise pensando a quanto l’amica odiava studiare.
Salirono sul letto in alto, e siccome non ci stavano, l'ispanica salì in braccio a Duncan.
Gwen li guardò con una punta di rabbia.
La sua pancia brontolò.
“Sicura di non avere fame, eh?” chiese il punk.
“No, sto benissimo.”
Bridgette accese la televisione.
C’era un film sui vampiri.
Parlava di un ragazzo che arrivava in una nuova città e veniva vampirizzato da un gruppo di bulli vampiri.
Poi s’innamorava di una strega e doveva salvarla dalle Creature della notte.
La strega in realtà rivelava di essere una fata e allora le altre streghe la uccidevano.
Finale tragico.
 
“Dice un sacco di sciocchezze su … sui vampiri.” Disse Gwen a circà metà film.
“In che senso?”
“Non è vero che i vampiri si sciolgono al sole. Questo si legge nelle favolette.”
“E tu che ne sai …?”
“Uhm … avevo un libro sui vampiri.”
“Ah.”
 
Courtney, ad un certo punto, in cui c’era una scena violenta, cercò la mano di Gwen.
“Tutto bene?” le chiese la gotica.
“Sì, ho un po di … paura.”
“Non c’è niente di cui avere paura, Courtney, è solo uno stupido film. Fatto male, per altro.”
Courtney annuì sorridendo lievemente, ma non le lasciò la mano.
 
Gwen pensò ad una cosa.
Lei li avrebbe protetti, Courtney e Duncan.
Li avrebbe protetti da tutti i pericoli, dalle altre persone, li avrebbe tenuti con sé, difesi e protetti da tutto.
Ma … sarebbe riuscita a proteggerli da sé stessa?

 
 
“Bel film, ora però io preferirei andare a dormire.” Disse Bridgette due ore dopo.
Il film era finito da qualche minuto.
“Che ore sono?”
“Sarà mezzanotte.”
“E va bene, andiamo a dormire. Ho sonno.” Acconsentì Courtney, e Duncan rimase in silenzio.
Bridgette andò a prendere dei sacchi a pelo e li stese per terra.
“Chi vuole dormire sul letto?”
“Io, se posso.” Disse Duncan.
Bridgette acconsentì.
 
Gwen s’infilò in un sacco a pelo.
Il cuore le batteva all’impazzata.
Non vedeva l’ora.
Mancava poco, così poco …
E poi il suo piano avrebbe superato Bridgette.
Schiacciandola e disintegrandola.
E poi, un’altra cosa …
Stava morendo di fame!
 
 
Non dovette aspettare molto.
Circa quindici minuti dopo i tre erano già addormentati.
Guardò l’orologio a forma di mela sulla parete: mezza notte e diciassette minuti.
Si alzò lentamente e richiuse il sacco a pelo senza fare rumore.
Si sfilò le ciabatte che Bridgette le aveva prestato, in modo che non si sentisse nemmeno il suono dei piedi contro la moquette.
 
Bee dormiva seraficamente in un sacco a pelo azzurro posizionato sotto la finestra.
Prima di avvicinarsi, la gotica gettò un’occhiata fuori.
La luna risplendeva nel cielo, ma non era del tutto piena.
Le mancavano due spicchi.
Gwen sapeva che prima che quei due spicchi completassero quel cerchio luminoso, lei avrebbe dovuto conquistare completamente la fiducia di Courtney e Duncan.
Altrimenti tutto sarebbe tornato come prima.
Sola.
E Gwen non voleva restare sola.
Mai più.
 
L’odore acre della notte le invase le narici, la finestra era socchiusa.
Da fuori scorreva una leggera brezza estiva, che scompigliava le chiome verdi degli alberi, producendo curiosi giochi di ombre sul prato bagnato di rugiada.
Era buio, ma non così tanto.
Qualche sporadica stella vegliava sulla città, e poco lontano dal palazzo dove abitava la surfista si potevano vedere molti altri condomini.
Gwen sorrise.
 
Si chinò su Bridgette.
Il suo viso delicato, illuminato dalla luna, era disteso in un sorriso.
Stava facendo un bel sogno, pensò la gotica.
Il suo ultimo sogno.
Prima dell’incubo.
 
Posò una mano pallida sulla fronte chiara della ragazza e bisbigliò delle parole strane e incomprensibilì.
Si chinò ancora di più, fino a sfiorarle il viso con il proprio.
“Buonanotte, Bee.” Disse.
 
 
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Il mattino dopo Lhara si alzò presto, per i sui standard. Verso le otto era già completamente vestita e stava salendo le scale con il suo passetto frenetico per svegliare i ragazzi.
Aveva fatto preparare una specialissima torta dal pasticciere, tutta decorata e con la scritta “Bee sta beeene.”
Trovava molto divertente il gioco di parole.
Aveva comprato anche dei palloncini colorati e delle decorazioni di carta azzurra, il colore preferito dalla sua piccina.
Tutto era pronto al piano di sotto ad aspettarli.
Salì anche l’ultimo gradino e bussò piano alla porta chiusa.
“Ragazzi? Site svegli?”
Non sentì risposta, perciò entrò facendo il più piano possibile.
Decise di svegliare prima di tutti la sua Bridgette.
La ragazza era in fondo alla stanza, appisolata sotto la finestra-
Era girata di schiena verso il muro e non emetteva un suono.
“Dorme come un sasso!” esclamò tra sé e sé Lhara.
Le toccò la spalla.
“Bee? Bee?”
Lei non rispose.
La donna la toccò ancora.
“Bee!”
Neanche un fiato.
La donna la prese delicatamente per le spalle e la girò, in modo da vederla in viso.
 
“Ma che cos …? BEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!” urlò, cadendo in ginocchio.

 

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Capitolo 12
*** I funerali e un ricordo nascosto ***


 
  
N.B: ogni settimana, almeno, secondo il mio racconto (non so se nella realtà sia così) nasce un nuovo spicchio di luna.
Scusate il capitolo corto corto, ma avevo un po' di mal di testa. Tra poco aggiornerò anche "L'invisibile persecutore". A proposito, vi dispiacerebbe fare un saltino alla mia fc "who is the father?" Avrei bisogno del vostro parere per continuarla. Bacioni


I funerali si tennero una settimana dopo.
La bara della ragazza fu bella quanto lei: 
di marmo grigio con incise decine di spirali e di piccoli delfini.
A Lhara e Carl costò un sacco, ma non gliene importava nulla.
Decisero di seppellirla, perché l’idea di veder bruciare quei capelli color oro daceva troppo male.
Al funerale non c’era molta gente: tutti gli amici di Bee erano in vacanza in posti esotici, troppi lontani per tornare a Toronto.
Erano presenti solo i genitori, i nonni, gi zii, alcuni cugini, e poi Courtney, Duncan, Geoff e Gwen.
Quando il prete disse “Amen” alla fine della preghiera finale Courtney si avvicinò alla lapide, sotto la quale, eppellita da metri di terra, c’era la bara di Bridgette, e ci incollò una foto con un pezzo di nastro adesivo.
Era una foto di qualche anno prima, erano loro due sedute su un muretto con le gambe intrecciate. Portavano canottiere bainche larghe, short jeans e cavigliere di campanellini ai piedi nudi. I loro capelli si muovevano sinuosamente nel vento mescolandosi, simbolo della vera amicizia.
 
Courtney singhiozzò e abbracciò il marmo freddo e chiaro della lapide, sulla quale erano incise poche parole “Bridgette Bitt, 17 anni, riposa in pace.”
Duncan prese l’ispanica per le spalle e la cullò dolcemente tra le sue braccia.
Lhara piangeva, Carl aveva lo sguardo spento che vagava altrove.
 
Gwen si sforzava di essere triste, ma non le veniva così facile.
Finalmente non avrebbe più sentito quell’orribile belare …
Bee, bee.
Addio, Bee.
 
Vide, con la coda dell’occhio, Geoff che abbracciava Duncan.
Quel tipo non le piaceva.
Per niente.
Ma ci avrebbe pensato poi.
 
 
“Ricorda, hai poco tempo. Se non riuscirai a conquistare la loro fiducia entro la pianezza della luna, tutto tornerà come prima.”
Gwen la guarda incredula.
“No. Farò qualsiasi cosa purché niente torni come prima.”
“D’accordo, cara. Ma sappi una cosa. Se non ci riuscirai, LUI ti troverà.” Dice la vecchia alzandosi dal letto con fatica.
“Ci riuscirò, e tu lo sai.” Dice la gotica alzando un sopracciglio.
“Vedremo, mia cara, vedremo. Ma ricorda …se non sarai amata da Duncan come una sposa e preferita da Courtney come la migliore amica, tutto si azererà, e lui, lui riuscirà a trovarti.”
“Non posso. Courtney e Duncan stanno insieme! Si amano! Se io facessi innamorare di me lei s’infurierebbe …”
“Sei tu l’unica che può trovare una soluzione.”
“Ma Courtney ha già una migliore amica!”
“Questo è molto semplice, cara. Ti basterà eliminarla.”
“Eliminarla?”
“Per saziare la tua fame e per avere Courtney.”
“Ma … ma se … se lei dovesse … se lei dovesse … se dovessero esserci problemi? Se non riuscissi a ucciderla del tutto?”
“In quel caso sarà un bel problema. In quel caso potrebbe avere le tue stesse manie … potrebbe cercare Courtney per riaverla …”
“Riaverla?”
“Sì. Come te, la vorrà per sempre. E se riuscirà a trasformare Courtney, la scelta sarà sua …”
Gwen è confusa. Come potrebbe rinascere? Come?
“Devi prosciugarla.” Dice la vecchia.
“Io … non credo di …”
“Devi.”
“ma …”
“DEVI!”
La vecchia schiocca le dita, e in un attimo la ragazza dark è ancora da sola in quella stanza polverosa che è la sua camera.
“La magia.” Sussurra. “Fatta da bastardi che si credono forti. Un giorno NOI dovremo eliminarla …” deglutì. “Sempre che LUI non elimini prima noi …”
 
 
“Gwen!” la chiamò Courtney. “Gwen, va tutto bene? Eri, come … in tranche …”
“No, sto bene, mi ero solo … ricordata di una cosa.”
La gotica osservò il viso dell’ispanica ancora scintillante di lacrime, e provò un forte dolore al petto.
Al cuore.
Perché, lei ne aveva uno?
Non era la cosa giusta da fare, quella che aveva fatto a Bridgette.
E poi, se fosse tornata?
E soprattutto, era davvero questo (pensò guardando gli occhi di Courtney, umidi e spenti) il prezzo che era disposta a pagare per non essere sola?

 

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Capitolo 13
*** Lo strano individuo ... ancora. ***


Ci tengo a precisare una cosa: se trovate errori di battitura, scusate, è colpa della mia tastiera che fa i capricci.
Tastiera: Io sarei capricciosa?!
Ehm, no, ma certo che no.
Capitolo dedicato a Maty345 e a SmileSmoke, (si scrive così?) spero che vi piaccia.


Quella sera Gwen tornò a casa sua a dormire, e la mattina dopo non si fece vedere.

Courtney si svegliò con il cuscino bagnato di lacrime, e notò che Duncan era già sceso in salotto.
“Courtney, mi dispiace!” esclamò quando lei scese.
Le diede un bacio sulla guancia, vicino al mento, cosa che lei adorava, ma stavolta non riuscì a tirarla su morale.
“Ti capisco … io e Bridgette eravamo amici, lei era molto simpatica e dolce …”
Courtney singhiozzò.
“Ma com’è morta? Voglio dire, l’abbiamo trovata pallida e fredda, al mattino, ma non c’erano ferite e sangue su di lei, a parte le due punture dell’insetto, dell’altra volta  …”
Courtney lo fulminò con un’occhiata della serie non-è-il-momento-di-parlarne.
Duncan, capita l’antifona, recuperò il telecomando e accese la tv sul notiziario.
“Court, guarda!” disse rapito dallo schermo.
La conduttrice, capelli biondi e occhi color nocciola, stava parlando di Bee.

“Ancora misteriosa la morte di Bridgette Bitt, diciassette anni, Toronto. Circa una settimana fa ha invitato tre amici a casa sua per un pigiama party, e la mattina dopo è stata trovata morta dalla madre. Sul corpo non c’erano tracce di violenza di alcun tipo, e nella stanza non c’erano armi né macchie di sangue. L’autopsia ha rivelato che la sua morte potrebbe essere stata causata da un insetto molto grosso di origine sconosciuta, ipotesi però ancora incerta. La ragazza era appena uscita dal coma, durato però poco meno di ventiquattro ore, sempre per due sospette punture ritrovate sul suo corpo inanimato. È stata dichiarata ufficialmente morta soltanto qualche giorno fa, poco prima dei funerali.  La migliore amica, Courtney Barlow, ha incollato alla tomba una dolce foto di loro due insieme, e il fidanzato, Geoff Finns, ha cosparso la lapide di fiori. Bridgette, soprannominata Bee, era una ragazza molto amata, e la sua morte ha shockato molte persone.
La dolce surfista amante degli animali è sepolta nella periferia della città, accanto ad alcune fattorie. Il caso è ancora a perto.”
 
Sullo schermo scorrevano le immagini della tomba, un paio di foto di Bridgette, una foto di Courtney e di Geoff insieme al funerale.
 
L’ispanica spense con un sol gesto e respinse la tazza di cereali che Duncan le aveva preparato.
“Non ho più fame.” Disse piano.
“Tutto bene, principessa?”
“Sì, tutto ok. Credo … credo che andrò a fare due passi. Una boccata d’aria fresca mi farà bene.”
Duncan annuì.
La ragazza corse sopra, si vestì velocemente e uscì senza salutare.
Prese a calci i sassi che incontrò sul viale polveroso e non guardò altro che il pavimento.
Finché non andò a sbattere contro qualcosa.
Anzi, qualcuno.
“Salve, signorina.” Disse una voce profonda e calda.
Lei alzò lo sguardo: era un ragazzo con i capelli neri e grandi occhi verde smeraldo.
“Scusami! Che sbadata che sono!” esclamò lei battendosi una mano sulla fronte.
Il ragazzo le tese la mano.
“Non c’è problema. Io sono Trent, signorina.”
“Ehm … io mi chiamo Courtney.”
Lui le lanciò un’occhiata che la fece rabbrividire, gelida e penetrante.
Si avvicinò con le labbra al suo viso.
“Sei davvero una ragazza stupenda.”
Il suo alito sapeva di menta fresca.
La mente di Courtney corse subito ad un maniaco sessuale.
Si sentì girare la testa, lanciò un’occhiata in giro.
Non erano più sul viale.
Erano sotto un albero, al centro di un campo di grano.
Lui le teneva il braccio destro stretto intornò alla vita e le si stava avvinghiando addosso.
“Lasciami, pervertito!”
“Io non sono un pervertito. Ma ho fame.” Disse lui avvicinandosi ancora di più al suo viso.
Lei temeva scendesse sulla scollatura, ma lui non lo fece.
Si soffermò a guardarla.
“Hai fame di sesso, maniaco!” esclamò lei divincolandosi e scalciando.
Ma niente da fare: quel ragazzo aveva una forza spropositata.
Non riusciva a muoversi di un centimetro.
Provò ad urlare, ma lui le tappò la bocca con la mano.
Lei gli diede un morso con tutta la sua forza, ma lui la ignorò senza fare la minima smorfia.
La guardò neglio occhi con dolcezza.
“Hai di sicuro un ottimo sapore, bellezza …” sussurrò, scostandole i capelli dalle spalle e scendendo un po’ giù, fino ad arrivare sotto il mento.
Una lacrima solitaria si formò sotto l’occhio di Courtney e rotolò giù fino a bagnare il naso del ragazzo.
 
“FERMO, BASTARDO!” urlò una voce.
Lui si girò di scatto, tenendo Courtney con una mano.
Chi aveva parlato era una figura esile che portava un impermeabile nero stile matrix.
“Chi sei, tu?!” chiese lui.
“Ho detto … fermo!” urlò di nuovo.
Sembrava una voce femminile.
“Chi cazzo sei tu?!” urlò lui, perdendo la pazienza in un attimo.
“Lasciala andare!” urlò la figura.
Lui scosse la testa, tenendo stretta la ragazza.
L’ispanica sentì la sua lingua appiccicosa sul suo collo.
La figura scattò in avanti e colpì il ragazzo con un calcio.
Lui lasciò Courtney e barcollò all’indietro.
“Non lo rifarei, se fossi in te!” esclamò serrando il pugno.
La figuretta alzò le mani, pronta a combattere di nuovo.
Lui si protese in avanti e la colpì.
Lei fece due passetti indietro senza un gemito.
“bye Bye, cretino!” esclamò afferrando Courtney per i fianchi e sollevandola.
“Ferma!” urlò lui, ma era troppo tardi.
La figura svanì alla sua vista tenendo stretta Courtney.
Sentì solo la sua voce flautata urlare “Lei è solo mia!” e perdersi nel vuoto.
 
“Me la pagherai, chiunque tu sia.” Promise il ragazzo, schioccò le dita e si dileguò.

 

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Capitolo 14
*** Connor ***


Ciao a tutti, cari seguitori/fans/gente che le legge perché non ha nulla da fare delle mie FC! Ecco pronto per voi un’inquietante capitolo, stile film horror anni settanta … purtroppo vi devo dare una brutta, anzi, una pessima notizia. Questo week and dovrò andare in montagna con la mia famiglia per festeggiare il compleanno del mio fratellino. Pensate, con un mucchio di moccio setti e pure il mio ex, fratello maggior del migliore amico di mio fratello. (che roba complicata, eh?)
In ogni caso non potrò aggiornare per due lunghissimi giorni … mi dispiace davvero! Questa FC la dedico a smilesmoke, maty345 e a tutti coloro che mi commentano questa e altre FC in modo tanto gentile e carino. Grazie a tutti, sono davvero felice e onorata! Per questo capitolo mi sono ispirata guardando fuori dalla finestra (che originalona che sono, eh?). Va bene, io vivo a Milano e non nella periferia di Toronto, ma …
Vabbé, leggete il capitolo e gustatevelo!
Bacioni e salutoni da me e i miei capelli tinti di verde alga! Scusate per glie errori di battitura, la mia tastiera è impazzita.

 
 
Connor Douglas odiava i telegiornali.
Mai che trasmettessero una volta notizie di politica al primo posto!
L’annunciò principale era sempre una morte misteriosa o truculenta.
Ma a lui non importava, di tutta quella gente.
Già, lui era lui e se erano morti affari loro.
L’avrebbe urlato fino a strapparsi i capelli.
Già abitava in periferia, un posto dove la tv salta due volte su tre, e quindi non poteva guardarla quasi mai.
E quando la guardava, c’era sempre sua moglie che si metteva davanti con quel suo culone sovrappeso.
Sbuffò, sistemandosi meglio sulla poltrona.
Nell’edizione di quel giorno non si era fatto altro che parlare di una ragazzina insulta morta per il morso di un insetto.
Ma chi se ne frega!
Ecco ciò che avrebbe voluto dire.
Sfiorò il telecomando con la mano, per accertarsi che fosse ancora appoggiato sul bracciolo della poltrona.
Bene, era lì.
Raccattò con fatica il giornale dal pavimento di marmo e riguardò di sfuggita quello stupido articolo su quella stupida ragazzina, Bridgette Bitt.
La cosa più fastidiosa, senza dubbio, era stata quando erano venuti a seppellirla esattamente accanto a casa sua.
A parte il fatto che non sopportava le funzioni religiose, era abbastanza inquietante la consapevolezza di vivere accanto ad una tomba.
Non che lui credesse in zombie, vampiri e spiriti.
Tutte baggianate!
Baggianate allo stato puro.
 
Era quasi mezzanotte.
Si sistemò ancora sulla poltrona.
Era molto probabile che quella rimbambita di sua moglie si fosse seppellita sotto un mare di lezuola.
Mai che quella bisbetica ci stesse, neanche una sera.
 
Imprecò sottovoce e alzò un po’ il volume della televisione.
Fuori, il vento soffiava impetuoso e scuoteva le cime degli alberi.
Istintivamente, Connor lanciò un’occhiatina veloce fuori dalla finestra.
La lapide era sempre lì, inquietante e orribile.
Cristo, proprio in quel punto dovevano metterla?
 
Fissò gli occhietti porcini sulla televisione, che trasmetteva “le veline.”
Adorava guardare quelle gnocche susseguirsi una ad una sulla passerella mostrando pezzetti di corpo e cantando mezze nude.
Sogghignò.
Era sempre stato un uomo peccatore lui.
Come per confermare questo pensierò allungò la mano tozza verso la bottiglia di birra mezza vuota sotto il tavolo accanto alla poltrona, la scolò tutta ad un fiato ed emise un sonoro rutto.
Dopo pochi secondi si voltò a fissare la tomba, e gli prese quasi un infarto. Sembrava che la terra avesse avuto un fremito, si fosse mossa.
“tutte baggianate.” Si ripeté. “Colpa dell’alcool.”
All’improvviso la tv iniziò a crashare e ad andare in tilt.
Lui, infastidito, diede un pugno al telecomando e la televisione si spense del tutto.
Di malavoglia trascinò il suo corpo sovrappeso e peloso alla tv, e schicciò il pulsante di accensione.
Niente da fare.
Strascicando i piedi arrivò all’interruttore della luce e lo premette.
Non si accese.
“Merda, un blackout!” esclamò.
Buffo, che ci fosse un blackout lì in periferia.
Forse un fulmine aveva colpito i fili elettrici?
Strano, però, fuori non pioveva.
Sbuffò ancora una volta e andò alla’ppendiabiti: era meglio andare fuori a controllare.
Prese il suo cappotto marrone e un cappello, e uscì dal portico.
Guardò la tomba, in lontananza.
Il cuore prese a battergli forte, seppur contro la sua volontà.
Al posto della tomba, adesso c’era un grande buco che dava probabilmente sulla bara.
Si avvicinò, curioso e spaventato allo stesso tempo, allungò il collo e guardò dentro.
“Cristo Dio!” si lasciò sfuggire l’uomo.
La tomba era aperta e vuota.
Si voltò di scatto e prese a correre verso casa urlando e agitando le braccia.
“Rose! Rose!”
Entrò ansimando sull’uscio e mbracciò il suo fucile da caccia, appeso dietro la porta.
“Rose! Qualcuno ha rubato quel cadavere!” gridò rivolto al piano di sopra.
Non sentì risposta.
Sali le scale facendo i gradini a due a due e aprì la porta della stanza con un calcio.
“Rose, maledizione, ascoltami!”
Scosse violentemente la spalla della moglie.
“Donna, se non ti alzi immediatamente giurò che …” iniziò.
Rose gli cadde tra le braccia.
L’uomo sbianco: lei era pallida come un lezuolo, gli occhi aperti e vitrei, il corpo inanimato.
“ROOOOOOOOOOOOOOOOOSE!” urlò, cadendo in ginocchio.
 
Si alzò e come una folata di vento scese le scale e atterrò nel salotto.
“C’è qualcuno?!” gridò, caricando il fucile.
“Okay stronzo, o ti fai vedere o inizio a sparare ovunque e ti buco i coglioni!” esclamò con linguacìggio scurrile.
Sentì una risatina provenire da fuori.
Uscì e sparò un colpo in aria.
“faccio sul serio! Esci fuori, codardo!”
Di nuovo quella risatina shokante.
E poi qualcuno gli sfiorò la spalla.
Si voltò fulmineamente e non vide nessuno.
La porta di casa era aperta e sbatteva per il vento.
Si voltò di nuovo verso la campagna, e si trovò di fronte qualcuno.
a pochi centimetri da lui c’era una ragazza che sembrava una di quelle veline della tv.
Capelli biondi che ondeggiavano nel vento, enormi occhi verdi, trucco pesante, pelle pallida e liscia come la buccia di una pesca, fisico esile.
Portava un vestito fatto di veli bianchi sovrapposti che ondeggivano nel vento, attraverso il quale si potevano intravedere reggiseno e slip.
L’uomo abbassò il fucile.
“E tu chi saresti, dolcezza?” chiese.
Lei inclinò un po’ la testa.
“Aiutami …” sussurrò tra le labbra carnose quasi bianche.
“Che devo fare per te?” disse lui dolcemente, fissandole il seno senza farsi troppi problemi di decenza.
Lei sembrò non curarsene.
“Aiutami.” Ripeté.
Lui li si avvicinò ancora un poco,e lei cadde in ginocchio.
“Non ho … le forze …” disse lei.
Lui le allungò la mano, e lei l’afferrò stringendola fortissimo.
Si alzò in piedi.
“Stai meglio?” le chiese Connor, apprensivo.
Lei lo spinse contro il muro della casa e si levò con un sol gesto il velo, mostrando la biancheria intima.
“Wow, fai sul serio!” esclamò lui, e l’afferrò per i fianchi.
Poi accadde qualcosa che non aveva previsto: le mani candide della ragazza gli furono avvinghiate intorno al collo e lo sollevarono da terra.
“Ma che …” disse l’uomo tra i denti.
Non riusciva a respirare, quelle mani leggiadre quanto forzute lo stavano stritolando lentamente.
“Com’è facile ingannare voi uomini …” disse lei.
Sogghignò.
“Che hai intenzione di fare?!” chiese lui tra i denti.
Lei fece spallucce e lo guardò negli occhi.
“Buonanotte.” Disse solo.
 
Pochi secondi dopo, il corpo senza vita di Connor Douglas giaceva a terra, pallido come un lenzuolo, la gola segnata dalle ditate rosse della bellissima ragazza, gli occhi ancora sbarrati in un’espressione di stupore.
 Lei recuperò i suoi vestiti e guardò il vecchio ubriacone che giaceva poco distante dai suoi piedi.
La campagna e la luna, sotto e sopra di lei, erano testimoni della sua prima bevuta.
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 15
*** Il sacrificio del cuore ***


Avvertenza importantissima: questo capitolo contiene immagini raccapriccianti non addette ai più deboli di stomaco. Vi devo avvertire. Chi è troppo sensibile è pregato di non leggere. Non vorrei trovarmi recensioni negative per la parte troppo cruda. Io vi sto avvertendo in anticipo: questa è nata come storia horror, e questo è il primo capitolo dove vi faccio effettivamente capire che non sarà la solita storia a lieto fine. Vi prego di non segnalarmi o accusarmi di essere pazza o un mostro. Vi avverto, per l’ennesima volta, se siete deboli di stomaco non leggete. Grazie a chiunque lascerà una recensione positiva comunque. Ci tengo a precisare che tutto ciò che non appare chiaro in questo capitolo verrà spiegato più avanti. La pozione richiedeva l’ingrediente che potrebbe risultare osceno, mi dispiace. Ho cercato di essere il meno cruda possibile. Perciò, per favore, lo chiedo ancora una volta, limitatevi a commentarmi la storia per come è. Non potevo non inserire quel pezzo, dovevo farvi capire che “la strega” e “lui” non scherzano. Courtney e Duncan non hanno la minima idea di ciò che li aspetta. Detto questo saluto Maty345 e SmileSmoke.
 
“Tu chi sei?!” ripeté Courtney rivolta alla figura incappucciata.
Quest’ultima si limitò a scrollare le spalle.
“Beh, chiunque tu sia … credo che dovrei ringraziarti. Insomma, mi hai salvata … da quel maniaco!”
“Beh, che ti aspettavi?” le chiese una voce molto familiare.
“Gwenny!” esclamò l’ispanica stringendola forte.
La gotica smise di correre e la fece scendere dalle sue braccia.
“Wow, Gwenny, non credevo fossi così … ehm … forte.”
“Nah, non è stato nulla.” Rispose lei sorridendo.
Erano davanti a casa.
“E sei anche molto veloce a correre!”
“Talento naturale.” Rise la gotica.
Courtney le gettò nuovamente le braccia al collo e si mise a ridere forte, per la gioia.
Appena entrarono Duncan si precipitò da loro.
“Ciao Courtney. Ehi, Gwenny!”
I due si abbracciarono, ma Courtney era troppo grata a Gwen per dire qualcosa.
Insomma, l’aveva appena salvata da uno stupro!
No?
“Duncan, ti dobbiamo raccontare cosa mi è successo!” esclamò, e lo spinse sul divano.
“Già!” assentì Gwen, orgogliosa di sé stessa.
“Gwen è un’eroina!”
 
Pochi minuti dopo la porta di casa Nelson-Barlow si aprì sbattendo, e ne uscì un ragazzo punk decisamente infuriato, con in mano un coltellino da campeggio.
“Bastardo!” continuava a ripetere.
Courtney e Gwen lo seguirono a ruota e lo presero per le braccia.
“Calmo Duncan … lascialo perdere!” esclamò l’ispanica.
“Era solo un malato di sesso …” osservò Gwen.
Duncan si divincolò.
“Io lo ammazzo, quel pervertito!”
Dopo un po’ riuscirono a calmarlo e a riportarlo dentro.
Si sedette al tavolo e Courtney gli preparò una camomilla.
“Su, tesoro.” Gli disse accarezzandogli la cresta al contrario, cosa che lo faceva impazzire.
Lui mugolò, le carezze della sua principessa lo facevano sentire beato.
Mentre l’ispanica gli dava da bere la camomilla dalle sue stesse mani Gwen salì al piano di sopra e si chiuse in bagno.
Scoppiò in una risata acutissima.
“Sì! Sì! Sì!” urlo, improvvisando così su due piedi un balletto.
Lei era un genio, un vero genio.
Quella gattamorta di Bridgette era bell’e che sepolta, e ora Courtney si fidava ciecamente di lei!
Il problema che le metteva i brividi era però di aver incontrato proprio LUI.
Era certa che quello che voleva fare a Courtney non era una molestia sessuale.
Voleva solo …
No, lei non glielo avrebbe mai permesso.
Ne a lui ne a nessun altro.
Courtney era sua e nessuno le avrebbe fatto del male, questo era certo.
Si fermò e si sedette sul water chiuso per pensare.
Aveva una settimana per conquistare anche Duncan.
Come poteva fare?
Le venne, all’improvviso, un’idea.
Un ide folle, a suo modo, ma che poteva funzionare.
 
La donna squadrò Gwen da capo a piedi per l’ennesima volta.
“Sei sicura di quello che dici, tesoro mio?” ripetè con qulla voce gracchiante.
“Sì.” Rispose la gotica risoluta.
“Potrebbe essere pericoloso …” ripeté la donna.
Negli ultimi dieci minuti l’aveva detto almeno cinque o sei volte.
“Lo so!” sibilò la ragazza sbattendo piano la mano aperta sul bancone. “Non c’è niente di cui io abbia paura.” Aggiunse.
“Beh, forse non è esatto” pensò lanciando un’occhiata rapida al licantropo acciambellato vicino all’ingresso del negozio.
“Allora, come vuoi.” Esclamò l’anziana signora.
“Quanto ci metterà?”
“Poco più di dieci minuti.”
“Allora voglio restare qui a vedere.”
La donna schioccò le dita e la persiana davanti alla vetrina del negozio calò.
Era tutto buio.
Gwen intravide l’ombra della donna smanettare dietro il tavolo di legno d’acero.
“Sette giorni, cara ragazza … sette giorni. Come hai fatto a farti fare una fattura tanto potente?” chiese,
“Affari miei.” Rispose acida la gotica.
La donna scrollò le spalle e posò davanti a lei una pentola da due litri.
Premette un’interruttore e una fioca luce a neon illuminò la stanza.
“Veniamo al dunque …” bisbigliò.
Prese da uno scaffale una provetta contenente un liquido trasparente.
“Pochi sospiri.” Disse.
Il pentolone si riempì pochissimo quando la provetta venne vuotata,
la strega aggiunse un po’ d’acqua da un rubinetto che c’era lì dietro.
Poi con un guizzò si chinò, allungò una mano e si agitò per qualche secondo, restando raggomitolata su se stessa.
Quando si alzò teneva in mano un cucciolo di gatto dal pelo candido.
Gli stringeva forte i peli del petto.
Lo accarezzò per qualche secondo, poi con un gesto violento gli strappò due peli e lui s’irrigidì, miagolo e saltò giù.
Lei immerse i due peli nella miscela color indaco.
Poi prese due rossetti, uno nero e uno rosso e li buttò dentro insieme alla copertura di plastica.
“Sorridi, carina.” Disse alla ragazza.
Gwen mostrò la sua dentatura splendente e cercò di rimanere calma mentre la donna le agitava le mani vicino alla bocca.
La pozione, pochi secondi dopo, era diventata bianco perla.
“manda un bacio.”
La gotica alzò un sopracciglio, si baciò la mano e fece il gesto di soffiare.
Quello che accadde dopo la spiazzò completamente.
Dal suo palmo aperto uscirono due labbra identiche alle sue, che fluttuarono per qualche secondo e poi caddero nel pentolone sciogliendosi.
“L’hai portata?” chiese la vecchia.
Gwen le allungò una provetta che teneva gelosamente chiusa in tasca.
“Una lacrima dell’innamorato …”
La strega, dopo aver versato la lacrima nel pentolone, si chinò ed estrasse da sotto il bancone un sacco nero che continuava a dibattersi.
Sciolse la cordicella che lo teneva legato e ne uscì un neonato di pochi mesi.
“No …” bisbigliò Gwen tappandosi la bocca con le mani.
“Devo, è l’unico modo.”
“Ma non puoi usare un gatto o qualcos’altro?”
“No. È l’unico modo.”
“Ma … non posso lasciartelo fare.”
“La vuoi o no la tua pozione d’amore?!” chiese stizzita la vecchia.
“Sì, ma …”
“E allora lasciami fare il mio lavoro.” Disse.
Aprì un cassetto e ne estrasse un coltello molto lungo e affilato.
“Stephanie … per piacer,e non farlo …”
“Lo vuoi o no il tuo fidanzatino?! E poi sei stata tu a farti fare la fattura delle sette lune, ricordi? La colpa non è di certo mia.”
“Questo lo so. Ma non c’è un altro modo?!”
La strega arricciò il naso.
“Quella è la porta,” disse indicando l’uscita dal negozio con la punta del coltello.
Gwen sospirò.
“questo è per te, Duncan.” Si disse, e chiuse gli occhi.
L’urlo straziante di quella creaturina non fu poi così forte.
Gwen aprì gli occhi, ma se ne pentì subito.
Il bambino giaceva morto sul bancone, il volto contratto in un’espressione di ingenuità, le labbra ancora piegate in un sorriso indirizzato alla vecchia che l’ìaveva accarezzato poco prima di giustiziarlo.
Il suo petto era aperto in due.
Una delle lunghe mani secche della donna frugava tra le piccole costole.
Benché si sentisse incredibilmente in colpa, la ragazza non poté fare a meno di leccarsi le labbra alla vista di tutto qul sangue umano.
“Non è ora di cena.” Disse seccamente la vecchia intercettando lo sguardo della gotica.
Poi estrasse la mano.
Quando Gwen vide ciò che la donna stringeva tra le dita ossute non poté fare a meno che piegarsi in avanti, con le mani premute forte sulla pancia.
Il cuore di quella creaturina, poco prima viva e vegeta, era ora stretto tra le mani di Stephanie, e perdeva una cascatella di sangue rosso vivo.
La vecchia lo spremette fino all’ultima goccia, poi buttò i resti nel cestino accanto ai suoi piedi e si pulì le mani nel grembiule.
“L-l-lo fai spesso?” balbettò Gwen.
“Quasi ogni settimana. Credi di essere l’unica fanciulla innamorata?” esclamò l’anziana signora.
“Tu mi fai schifo. Sei un essere disgustoso.”
La donna le strizzò l’occhio e poi mescolò con un cucchiaio di legno lì intruglio.
Poi prese una bottiglietta di plastica da mezzo litro, la riempì e la allungò alla ragazza.
Gwen la prese e le uscì un singhiozzo.
Quel povero bambino …
“Parliamo del prezzo.” Disse la vecchia.
Gwen trasse un altro lunghissimo sospiro e si protrasse in avanti.
“Ne sei certa?” chiese la donna.
“Sì! Voglio Duncan. Non m’importa del resto.”
La donna sorrise e le pose una mano sulla fronte.
“Imurtalis trae encambio …” disse con voce spiritata.
Lo ripeté tre o quattro volte, ma Gwen si sentiva troppo debole per riuscire a sentirla.
“Ecco, finito.” Disse dopo un tempo che alla ragazza era sembrato infinito.
Le due si strinsero rapidamente la mano, Gwen si voltò e s’incamminò verso l’uscita.
“E di quello?” chiese, indicando il corpo divelto del bambino. “Che ne farai? Lo ridarai ai genitori?”
La donna ridacchiò e emise un breve fischio.
Il lupo addormentato vicino alla porta si alzò su due zampe e raggiunse il bancone.
La donna sollevò il bimbo e diede un paio di carezze al licantropo.
“Vieni, Lunadimiele, è pronta la cena.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 16
*** - soli ***


Un attimo solo, un lampo di luce blu, una scintilla, e Gwen si ritrovò di nuovo nel bagno di casa Nelson - Barlow.
Barcollò per qualche secondo, poi si rimise dritta e chiuse il portale spazio - temporale dietro le sue spalle.
In mano stringeva con forza la sua amata bottiglietta.
Non poteva ancora credere di aver ceduto e di aver lasciato che quella vecchia megera prendesse veramente qualcosa di così importante per lei.
Scosse la testa.
Duncan valeva molto, molto di più …


Ora, il problema era come rifilare al punk il suo potentissimo filtro d’amore.
Le venne in mente il petto del bambino squarciato, i suoi occhi ancora ridenti, i lembi di pelle divisi e il cuore grondante di liquido rosso …
 
“Gwen! Gwen, tutto bene lì dentro?” chiese una voce familiare.
“è tutto ok … almeno credo …” rispose lei in un soffio.
“Ehm … noi abbiamo deciso di fare la cotoletta per pranzo. Ti va bene?”
“Sì.”
Duncan tornò giù.
 
Gwen si sedette sul pavimento a gambe incrociate.
Doveva pensare.
Come poteva costringere Courtney a uscire, quella sera?
Lei non sarebbe mai andata via senza Duncan, specie dopo quello che era successo …
Niente l’avrebbe portata via di casa …
A meno che …
No, non poteva farlo.
 
Oppure sì?
 
 
Si sfiorò una tempia e sorrise.
Aveva appena sacrificato un bambino.
Poteva farcela benissimo.

 
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La prima cosa che fece, appena uscita dal bagno, fu andare in camera di Courtney e cercare la sua agenda personale.
Sapeva che le persone umane tenevano lì tutti i numeri di telefono e gli indirizzi.
Non fu poi così difficile.
Suo papà le aveva insegnato molto bene a leggere, e così trovò subito l’indirizzo desiderato.
Strappò la pagina senza farsi problemi e se la ficcò in tasca.
Con il cuore che batteva fortissimo scese al piano di sotto.
“Io devo … andare a casa.”
“Che cosa? Come mai?”
“No, nulla, pensavo che … avrei dovuto avvertire i miei. Sono stata via per un po’, quindi …”
“Ok. Torni per pranzo, giusto?”
“Certo.”
“Allora ciao, Gwenny!” la salutò Duncan.
La gotica sfrecciò fuori dalla porta e si gettò in strada.
Non aveva nessuna intenzione di tornare dai suoi.
Con la sua velocità, diciamo, con la sua “dote naturale”, con i suoi poteri, sarebbe arrivata a Toronto, all’indirizzo desiderato, in meno di dieci minuti.
Così, tenendo stretta la bottiglietta, partì in quarta.
 
Sì, andò così. Pochi minuti dopo si ritrovò davanti ad “Iron street, 32.”
Premette il pulsante accanto alla scritta “Barlow.”
Pochi minuti dopo si sentì il microfono aprirsi.
“Chi è?” borbottò una voce maschile abbastanza roca.
“Sono io, papino!” esclamò Gwen facendo una voce nasale.
La porta del condominio di aprì con un “click”.
Sentì dei passi sulle scale e una voce femminile urlare “Courtney, amore, come va?”
Poi vide arrivare una donna con i capelli castani che sembrava una versione più vecchia e meno rigida di Courtney.
Quando la vide, alzò un sopracciglio.
“Ehm … scusa … tu chi saresti?”
Gwen non rispose, si limitò ad afferrare l’esile collo della signora e a sbatterla contro il muro.
Era il suo modo preferito di bere, ma stavolta non poteva farlo.
La madre di Courtney non doveva di certo morire, solo … farsi molto male.
In questo modo Courtney avrebbe lasciato casa quella sera e lei avrebbe potuto incantare Duncan.
La gotica scoprì i denti e emise un suono simile ad un ringhio sommesso.
La donna si dimenò e cercò di urlare, ma non ci riuscì, perché con l’altro braccio Gwen le teneva la bocca tappata.
L’alzò sopra la testa e la lanciò in aria mollandola.
La donna ricadde pesantemente sul pavimento del terrezzo con i polsi in avanti.
Gwen avvertì un brivido lungo la schiena quando sentì il “crack” delle ossa che si frantumavano, e per completare l’opera alzò un piede e le diede un calcio in faccia.
La donna svenne con un mugolio sommesso.
La ragazza fece un breve inchinò, poi uscì dalla porta, pronta a darsela a gambe.
 
 
 
Quandò rietrò in casa trovò ciò che voleva: Courtney stava parlando al telefono e Duncan ascoltava con aria preoccupata.

“Papà, ascolta, papà, aspetta, papà, ma io … ma cosa … come … va bene, arrivo subito.” Appese la cornetta con un sospiro.
“Ragazzi, mia madre si è fatta male. Pare sia caduta dalle scale, si sia rotta i polsi e sia svenuta … mio papà è stato avvertito ppchi secondi fa da un vicino che l’ha trovata all’uscio. C’è qualcosa di molto strano … dice che io ero andata lì e lei era venuta per slautarmi … ma io ero qui, vero Dunki?”
“Certo amore.”
“Sono così confusa …” disse l’ispanica tenendosi la testa tra le mani.
“Mi dispiace.” Esclamò Gwen, anche se non le dispiaceva affatto.
“è chiaro che ora devo andare da lei … in ospedale … avrà bisogno che io le stia vicino.”
“Ok,  principessa … ma torna presto.”
“Posso tornare minimo domani mattina. Prendo la tua moto.”
“Oh …” Duncan fece un’espressione triste.
Gwen esultò dietro la schiena.
“Vado.” Disse Courtney, prese il cappotto, la borsa, il cellulare e uscì.
Il punk la baciò a stampo e la guardò uscire di casa e salire sulla sua due ruote.
“Bene.” Disse Gwen sfiorandogli la spalla, appena l’ispanica fu sparita all’orizzonte. “Siamo rimasti soli …”
 

 

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Capitolo 17
*** Sex or blood? ***


Ohilà gentaglia! Chi si rivede! Dopo aver pubblicato, ieri sera, allo stremo delle forze, un capitolozzo bello e crto rieccomi qui, a servirvene un altro. Specialità della casa, vi prego di gustarvela. E già che ci sono, avrei da comunciare una cosa: a chiunque segua la mia FC "L'invisibile perscutore" vi inform0 che ho aggiornato. Spero di trovare tante recenzioni a chiuqnue abbia voglia di leggere, potete trovarla come ben sapete sul mio profilo. E già che siete lì vi chiederei cortesemente di fare un salto ad un'altra mia storia "Who is the father", storia interattiva. Ho bisogno anche del vostro voto! Ringrazio tutti e corro ad aggiornare A tutto reality Hunger games e la mia FC sulle medie: Ciaooooo a tutti!


"Siamo soli ..."
“Già …” disse Duncan.
“Beh, meglio se guardiamo un po’ di tv, non credi?” chiese lei sorridendo.
Lui acconsentì, per sciogliere l’imbarazzo.
Guardarono un reality show vietato ai minori di diciotto anni e bevvero un sacco di birra.
Gwen dentro di sé non riusciva più a trattenere l’impazienza: era una bomba che stava per esplodere!
Voleva Duncan, volevo che lui fosse suo e voleva essere sua completamente.
Decise di lasciare che lui si ubriacasse, perché le avrebbe reso tutto più facile. E in ogni caso … a lei l’alcool non faceva alcun effetto.
Non sapeva perché, ma voleva aspettare la sera per usare il filtro, insomma … voleva che fosse tutto speciale.
Era la prima volta, dopotutto.
E se non cel’avesse fatta?
Se si fosse lasciata trasportare dai suoi istinti?
Se il suo lato “cattivo” avesse preso il sopravvento nel momento sbagliato?
Si sentiva come in Twilight, solo che lei aveva un po’ di ciascuno: le voglie di Bella e le paure di Edward.

Passarono due ore davanti alla tv.
La ragazza occhieggiò la cotoletta fredda abbandonata sul tavolo della cucina, contornata da grosse foglie di insalata fin troppo verdi.
Storse il naso.
Povero Duncan, costretto a mangiare quella roba!
Lo guardò.
Lui si era addormentato con la testa sulla sua spalla.
La gotica gli passò delicatamente una mano nei capelli.
“è ora …” pensò. “O non farà effetto.”
Si alzò dal divano facendo attenzione a non svegliare il punk e si diresse in cucina.
Nei giorni precedenti aveva notato un grosso frullatore moderno attaccato alla corrente.
Prese dal frigo un po’ di fragole e le lavò sotto l’acqua fredda del rubinetto.
Le ficcò malamente nel frullatore senza nemmeno togliere le parti verdi e aggiunse un po’ di zucchero.
Pregò che il rumore non svegliasse Duncan e premette il pulsante per farlo funzionare.
Scoprì con piacevole sorpresa che era uno di quei frullatori super costosi  ultimo modello, di quelli che fanno il rumore pari ad un soffio.
Quando le fragole vennero ridotte ad un composto rosastro omogeneo, pieni di particelle verdi minuscole, lo versò in un bicchiere (preso dalla credenza) ed estrasse dal tascone della gonna la bottiglietta.
“Chissà che sapore avrà …” pensò, e ne versò qualche goccia nel frullato.
Poi intinse le dita nella pozione e le succhiò.
“Mh, bleah!” esclamò disgustata.
Sapeva di pasta cruda mista a matite per colorare e una punta d’amaro.
Si rimise in tasca l’intruglio e disse “Duncan!”.
Lui non rispose, si limitò a grugnire e a girarsi sul divano.
Lei batté le mani, forte.
“Duncan!”
“Che succede?!” rispose lui alzandosi di scatto.
“Va tutto bene, è solo che … hai saltato il pranzo, mi sembrava carino che tu … bevessi questo specialissimo frullato che ti ho preparato!”
“Che dolce che sei!”  esclamò il punk stiracchiandosi e raggiungendola in cucina.
Gwen avvertì un forte dolore alla pancia.
Ma che diavolo stava succedendo?
Si premette la mano destra sullo stomaco.
Una fitta dolorosissima le squarciò il vetre.
Si dovette trattenere per non urlare.
Come … cosa … cosa le stava accadendo?!
Ma certo, la pozione!

Duncan bevette il frullato tutto ad un fiato.
“Com’è, buono?” chiese lei sforzandosi di sorridere nonostante il dolore.
“è … insomma … mh …” Duncan non riuscì a terminare la frase, perché cadde in ginocchio latrando come un cane randagio.
“Dunk! Che succede?!” chiese lei allarmata.
“Ah! La mia pancia ...!” rispose lui piegandosi con le mani sui fianchi.
“Ma che …?”
Lui cadde definitivamente sdraiato a terra e prese a contorcersi come un verme, lanciando urla atroci.
“Duncan!” gemette lei terrorizzata.
Dalla bocca del ragazzo cominciò a scedere un abbondante colata di schiuma giallognola, e i suoi occhi divennero bianchi.
“Aiutami …” sussurrò, poi ricadde picchiando la testa, molle come un sacco di patate.
“Vecchia strega!” sputò Gwen. “Ci ha avvelenati!”
Si piegò in avanti anche lei e cadde in ginocchio.
“La testa … gira tutto …”
Tutti i contorni della casa le apparvero sfocati.
“Ahhh …” gracchiò, la gola in fiamme.
Gli occhi le si riempirono di lacrime, e ad un tratto le sembrò di stare affogando e di essere in mezzo alle fiamme allo stesso tempo.
Poi tutto si fece nero.
 

 
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Gwen aprì un occhio, poi l’altro.
Era sdraiata, questo era certo.
Su un letto.
Un attimo … quale letto?
Alzò la testa, e scoprì di essere stesa tra le lenzuola di Courtney.
Accanto a lei c’era una persona.
Ne vedeva i contorni molto sfocati.
“Tutto bene, bellissima?” le chiese Duncan accarezzandole il viso.
Lei si sentì subito molto meglio.
“Cosa … cosa ci faccio qui?” chiese stordita.
“Ti ho vista a terra e così … oh, non importa. Come sono contento che tu ti sia svegliata! Sei la luce dei miei occhi, vederti spenta è stata per me una vera tragedia.”
“Io … la luce dei tuoi occhi?”
“Certo che sì, mia adorata!” esclamò lui allargando le braccia.
No! Non era possibile! Non erano stati avvelenati, allora! Aveva funzionato! Sì! Sì! Sì! Benedetta vecchia strega!
La gotica sorrise.
Poi decise di provocarlo, di vedere fino a che punto arrivava la magia della strega.
“E Courtney?” chiese dolcemente.
“Chi è Courtney?” rispose lòui con naturalezza.
Lei si sentì percorrere da una scossa di brividi lungo tutta la schian dorsale.
Si mise seduta di scattò e gettò le braccia al collo del ragazzo.
“Che ore sono?” gli chiese.
“Le otto meno un quarto …” rispose lui.
Gwen rifletté.
Era restata svenuta per un sacco di tempo … ma lui era rinvenuto prima di lei! Eppure … aveva preso più pozione!
“Fa niente.” Pensò.
La pozione aveva avuto effetto anche su di lei, perché lo amava ancora più di prima.
Non sapeva per quanto sarebbe riuscita a trattenersi.
Lanciò un’occhiata alla finestra della stanza.
Fuori era buio.
“Direi che è più che sufficiente …” bisbigliò.
“Che cosa?!” chiese Duncan.
Lei non ripose, si limitò ad alzarsi dal letto e a prenderlo per un braccio.
“Che fai?!”
Gwen lo trascinò nella camera matrimoniale e chiuse la porta a chiave.
“Finalmente!” esclamò,  e i suoi occhi passarono dal nero al rosso in pochi secondi.
“Gwen, non capisco, che succede?”
Lei non disse nulla.
Afferrò le maniche della t-shirt nera del ragazzo e gliela tolse.
In pochi secondi anche i calzoni fecero la stessa fine.
“Gwen … io …” inizò lui, ma lei gli tappò la bocca.
Era tempo di smettere di essere sola.
Si sfilò il top nero e lo infilò nella bocca del punk per quanto ci stava.
Poi si tolse anche la gonna, rimanendo solo con la calzamaglia nera e il reggiseno.
Lui sorrise.
“Ho capito, tu …” bofonchiò attraverso la stoffa del pezzo sopra di Gwen.
Lei gliela levò di bocca e si stese su di lui.
Poi posò le labbra sulle sue, finalmente.
Avrebbe voluto gridare.
Catturò la sua lingua e ci giocò amorevolmente.
Non aveva un briciolo d’esperienza, questo no, ma aveva la passione.
E lui non era da meno.
Appena capì le intenzioni della ragazza, sotto l’effetto del filtro d’amore, cominciò a strofinarle le mani sulla schiena ormai nuda fatta di pelle candida.
Lei si sentì prendere da infinite vampate di calore e percorse con le dita i contorni del petto di Duncan.
Lasciò la sua bocca e gli baciò il mento e il collo mentre lui continuava ad accarezzarla …
Quando arrivò alla base del collo, fu come se qualcuno le avesse dato una mazzata in testa con una spranga di metallo.
Si sentì girare un po’ la testa.
Vide le vene del collo del ragazzo pulsare, gonife di snague.
Sì, era così invitante, così … si leccò le labbra.
Ora poteva farlo.
Aveva un desiderio così irrefrenabile di bere che dovette infilare completamente le lunghe unghie nere nel materasso per trattenersi.
Il suo lato malvagio prese lentamente possesso di lei.
No! On poteva permetterglierlo!  O sì?
Lui aveva smesso di coccolarla e la guardava spventato.
Lei scoprì i denti.
“Devo … trattenermi …” si disse, prendendosi la testa tra le mani e pigiando sulle tempie.
“Gwen, cosa …”
“Non .. ce … la … FACCIO!” quest’ultima frase Gwen la disse con una voce innaturale, non la solita melodica e flautata voce, ma una voce mostruosa e inumana,una voce roca e grezza.
“Cristo, io chiamo un’esorcista!” esclamò Duncan allontanandosi da lei con un guizzo.
La gotica gli infilò le unghie nella carne del braccio e lo attrasse a sé.
“Non ci provare!” sibilòl, sempre con quella voce mostruosa e inquitante, e gli leccò le labbra.
Lui si divincolò.
“Gwen, calmati, cerca di controllarti …”
Lei gli strinse forte la testa tra le mani.
“Mi fai male …”
La ragazza scoprì i denti e urlò “Non ce la faccio!!!!!!!!!!!!!”
Si gettò su di lui e lo atterrò.
Rotolarono giù dal letto provocando un rumore infernale.
Lei gli ricadde sopra con le ginocchia posate sul suo petto.
Si chinò in avanti e scoprì i denti.
“Tesoro, non ho mkai visto nessuna comportarsi così la prima volta …”
“Sta’ zitto, umano!”
“cosa intendi con “umano?”
Lei lo zittì dandogli una botta in testa.
Il punk mugolò.
Gwen gli parì un piccolo taglio sotto la mandibola.
Una goccia di sangue scintillante rotolò sul collo del ragazzo …lei se la gustò con la lingua.
“E ora … bevo!” esclamò.
Orami aveva perso ogni controllo, teneva il ragazzo bloccato a terra con le ginocchia sul torace e gli avambracci bloccati in alto.
I suoi denti allargarono le piccole ferite gemelle.
Altro che succhiotti.
Altre due gocce scesero.
Lei si affrettò s succhiarle, protrasse labbra e denti, pronta a prosciugarlo …
 
 
“Ferma, brutta ***** succhiasangue!”
 

 

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Capitolo 18
*** La lotta ***


Ciao ragazzi, eccovi un altro capitolozzo. Sentite, non arrabbiatevi per gli errori di battitura, ma ... ho una tastiera schifosa.
tastiera: sarai bella tu.
Ecco, appunto.
Buona lettura! Un bacio a maty e a SmileSmoke



“Ferma, brutta ***** succhiasangue!”
Gwen si voltò di scatto e lasciò andare i polsi del ragazzo.
Per poco non svenne quando vide chi c’era alla porta.
“Ma tu non dovevi essere all …”
Duncan si alzò e guardò prima una e poi l’altra.
“Ma cosa …?”
Prima che potesse finire la frase che Bridgette fu addosso alla gotica e la buttò per terra, tenendola ferma per le braccia e premendole le ginocchia sulla cassa toracica.
“Fatti i cazzi tuoi!” ruggì Gwen alzando il piede e colpendo Bee al fianco.
Lei si accasciò a terra e l’altra l’afferrò per i capelli e la spinse contro il muro.
Bridgette scoprì i denti e fece un salto innaturale, alto almeno due metri, atterrando davanti a Gwen. Quest’ultima, per nulla intimorita, le prese un braccio e glielo piegò dietro la schiena.
La bionda afferrò Gwen per una spalla con l’altro braccio e si liberò.
Poi, tenendole stretti in mano i capelli le sbatté la testa contro il muro.
La dark gemette e Duncan vide con orrore formarsi sulla sua faccia delle crepe, come se fosse fatta di argilla.
“AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHRRRRRRRRRRRRRRRG!”
Gwen afferrò Bridget per i fianchi e la lanciò in aria.
Lei si sollevò di qualche metro, poi ricadde sul pavimento pesantemente.
Si rialzò quasi subito  e fece un altro di quei salti enormi, atterrando sulle spalle di Gwen.
La gotica si divincolò e cercò di scollarsela di dosso mentre l’altra scoprì e denti e le addentò ogni centimetro di pelle possibile.
Gwen emise un latrato simile a quello di un lupo, si piegò in avanti e fece cadere l'altra per terra.
Quando si rialzò, la bionda aveva anche lei delle crepe in faccia.
 Tre, per l’esattezza, che andavano dalla fronte alle labbra.
Duncan indietreggiò schiacciandosi contro il muro.
“Ragazze, non capisco …” provò a dire, ma quando le teste delle ragazze ruotarono sulle spalle di trecentosessanta gradi e lui venne colpito da on’occhiata di fuoco, capì che avrebbe fatto meglio a rimanere in silenzio.
Loro due si girarono di nuovo con un cigolio impressionante, e dalla bocca di Gwen cominciò a sgorgare un fiotto di liquido blu che le colò lungo il mento e il collo …
“Aiuto!” urlò Duncan.
La gotica fissò gli occhi nei suoi.
Erano rossi.
“NON PUOI FARGLI DEL MALE!” sibilò Bridgette con un tono nasale, sempre meno simile alla voce umana.
“TU NON PUOI FARGLIENE!” rispose l’altra, afferrò il labbro inferiore di Bridgette e sollevò il braccio.
Il punk venne colpito da uno schizzo di sangue e ben presto una delle due stringeva tronfante in mano il labbro dell’altra.
La bocca di Bee era squarciata e divisa a metà, cosa che la faceva somigliare a  qualcuno che ha apopena subito un’indiente in macchina e uno stupro.
Si rialzò boccheggiante e colpì l’avversaria con uno schiaffo tanto potente da farla cadere all’indietro sulla testata del letto.
“TU MI HAI PORTATO VIA LA VITA!” urlò colpendola di nuovo.
Gwen non riuscì nemmeno a rialzarsi che Bridgette l’afferrò per una coscia e la sollevò in aria.
La fece roteare un paio di volte e poi la fece cadere di nuovo a terra.
La colpì con un calcio e lei si piegò in avanti, sputando ancora quel liquido bluastro.
Poi però riuscì a rialzarsi e ad afferrare la bionda per un piede.
La fece cadere a terra e le diede un pugno in faccia.
Bee si parò con la mano destra e si pulì un po’ di sangue blu che le colava dal labbro divelto.
Si rialzò e spinse la gotica con tutte le sue forze contro il muro.
La dark si riprese in un secondo, afferrò Bridgette per i fianchi e la sbattè contro la parete opposta facendola scivolare per un bel pezzo sul pavimento.
La stanza ormai era quasi distrutta: le assi del letto avevano ceduto, il pavimento era pieno di crepe come le loro facce e il muro pieno di buchi.
La gotica iniziò a prendere la bionda così forte a pugni che lei non ebbe il tempo di reagire.
La sua faccia somigliava sempre di più ad una ragnatela, per via di tutti i punti in cui era rotta.
“DIFENDITI; puttanella ruba amiche!” l’apostrofò Gwen.
Bee si guardò disperatamente intorno per cercare un modo per difendersi.
Poi addocchiò l’armadio.
Con tutte le poche forze rimaste gli colpi una delle gambe dell’aenorme mobile in mogano, che prese a traballare e a oscillare in avanti,
La gotica smise di picchiarla.
“Ma che …?!”
Prima che avesse il tempo reagire Bridgette si liberò della sua presa e la tenne stretta sul pavimento.
Colpì di nuovo l’armadio che s’inclinò in avanti.
“Sta venendo giù!” urlò Duncan.
Bridgette balzò sul letto.
Gwen aveva troppe ferite alle gambe per riuscire a spostarsi.
“NO!” urlò. “Bridgette, aiutami! Finiamo la battaglia in modo onorevole …”
Bridgette sorrise e agitò la mano per salutarla.
“NO! TI PREGO; BEE! NOI ERAVAMO … AMICHE!”
Bee scrollò le spalle e prima che Duncan potesse fare qualcosa per salvarla, l’armadio cadde in avanti sulla dark, schiacciandola completamente.
Si sentì il rumore di una ceramica che si spezza e un cocciò rotolò da sotto le macerie.
“GWEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEN!” urlò Duncan, correndo vicino al mucchio di legno spezzato che aveva sollevato un sacco di polvere.
“Non c’è niente da fare!” esclamò contenta Birdgette, pulendosi nuovamente il labbro. “Gwen è morta.”
Duncan cadde in ginocchio.
“Gwenny …”
 
All’improvviso si sentì una risata eccheggiare nella stanza.
Era una risata strana, nasale, inumana, spaventosa, inquietante che invase tutta la camera.
All’improvviso le finestre si chiusero di scatto e le tapparelle scesero schioccando.
Le pareti, che erano bianche, inizarono a colarsi di nero … un’onda di vernice nera salì dla nulla a colorare lentamente le pareti e a divorarne il candore …
La porta sbatté fortissimo.
“AHAHAHAAHAH!AHAAHA …”
“Ma che diavolo …?” chiese Birdgette, guardandosi in torno.
 

 

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Capitolo 19
*** Ricatto terribile ***


Biberon, Biberon, Biberon ... e se  ci fossero errori? MI sembra di aver già parlato della mia tastiera, quindi ...
Beh, spero vi piaccia il capitolo.
Come disse Gandhi una volta "Gusta ciò che è cultura ..."
Gandhi: Ma non l'ho mai detto!
Ehm ... pure sottigliezze.
Pippe mentali in fase: on.


“Credevi di potermi battere?”
La voce eccheggiò forte e ripetutamente fino a far urlare Bridgette.
“Che cosa sta succedendo?!” chiese allarmato il punk.
Il pezzo di ceramica che aveva raccolto da terra, probabilmente, gli saettò via di mano, lasciandogli un segno rosso.
Schizzò sotto le macerie, che tremarono sempre più forte.
“Oh mio Dio!” esclamò la bionda.
“Non dire così, Bee. Quelli come noi non credono in Dio. Quelli come noi credono in sé stessi. E in nessun’altro.” Disse Gwen.
“Ma io ti avevo … uccisa!”
“Tu? Uccidere me? Sei solo una cucciola innocente. Sei vampira da poco più di un giorno … e vorresti uccidere me?”
“Sì! Userò anche fino al mio ultimo respiro per farti scomparire per sempre!” disse Bee guardandosi freneticamente in torno.
Dov’era GWen?
La sua voce era così vicina, ma lei non si vedeva.
“Vuol dire che ucciderti sarà ancora più divertente!” disse la voce della gotica, e pochi secondi dopo Bridgette era stesa a terra a carponi, con Gwen appesa alle spalle.
“Un piccolo armadio non potrà di certo eguagliare la mia forza!”
Prese due ciocche dei capelli della bionda e la fece roteare per gettarla a terra.
Quella cadde di schiena con un gemito.
“Ti spezzerò tutte le ossa …” sibilò tra i denti, tornando alla carica.
I suoi occhi parevano in fiamme.
Pochi secondi dopo Bee si schiantò contro il muro producendo una nuvola d’intonaco spezzettato e un buco preoccupante nella parete.
Quel liquido blu inizò a colarle copiosamente dal labbro spezzato.
“Io …” inizò, ma Gwen le tappò la bocca con un pugno, sporcandosi della sostanza vischiosa.
La ragazza sembrava allo stremo delle forze.
“Gwenny, fermati, io …” provò a dire Duncan.
Lei si voltò di scatto, e la testa prese a ruotarle sul collo di trecentosessanta gradi ad una velocità di un giro al secondo.
Ogni volta che il mento arrivava sulla nuca si sentiva uno schioccò agghiacciante.
“Sta’ … zitto …”
Si alzò barcollando e punto il tallone sulla faccia della surfista.
Premette forte, e lei tossì sputando quella roba.
“Ora si ragiona!”
La gotica scoprì i denti più che poteva e li affondò nella fronte dell’altra.
Lei si ritrasse con un urlo spezzato, e Gwen la sollevò per i fianchi e prese a farla roteare.
“Vedi quel muro, Bridgette? Guardalo bene, perché sarà l’ultima cosa che vedrai.”
Si stava preparando a lanciarla per spezzarle la spina dorsale e successivamente farla a pezzi.
All’improvviso una luce blu e bianca invase completamente la stanza.
Gwen cacciò uno strillo impressionante, e Duncan vide una delle cose più incredibili della sua vita: il corpo della dark cominciò a tremare come se avesse un attacco epilettico, e le sue braccia, le sue mani, le sue gambe, la sua faccia … insomma, tutto venne soffiato via in una nuvola di polvere, come se Gwenny non fosse fatta d’altro.
Anche il corpo di Bridgette, che l’altra ragazza aveva fatto cadere sul pavimento, si stava smembrando di secondo in secondo.
Il punk si parò gli occhi dalla luce troppo forte.
“BAS!” urlò qualcuno.
Quando Duncan riaprì gli occhi, aveva puntato sul collo il dito di una vecchia donna con i capelli grigi ondulati e arruffati che sorrideva in modo poco rassicurante.
“Ciao, Duncan.” Disse.
“E tu, chi … chi sei?” chiese lui disorientato.
Per quella sera aveva visto fin troppo.
La vecchia scrollò le spalle.
“Non ti preoccupare …” bisbigliò in un modo che al ragazzo sembrò fin troppo sensuale.
Gli posò un dito sulle labbra.
“Ehm … non per offendere … ma non si sente un po’ fuori luogo, a provarci con un ragazzo della mia età?!” chiese lui con sarcasmo.
Lei alzò un sopracciglio.
“Dormiunaj dihenticatahj, pungishionx far la creathurame della haame!” esclamò.
“Che cosa?”
“Dormiunaj dihenticatahj, pungishionx far la creathurame della haame!” ripetè leil, e i suoi occhi vennero illuminati da una luce azzurra che pareva provenire dall’interno del suo corpo.
“Se questo è uno scherzo, non lo trovo affatto divertente!” esclamò lui.
“Si aggiusterà tutto.” Disse lei con fare comprensivo.
“Ma vaffan …” lui alzò un dito medio, ma prima che potesse completare la sua frase le sue pupille di rovesciarono all’indietro, lasciando gli occhi bianchi e con un qualcosa di spiritato.
Poi si accasciò di lato e le palpebre scattarono meccanicamente in giù.
La strega si voltò e osservò la stanza con un’espressione di disgusto stampata in volto: i muri rotti, il pavimento fatto a pezzi, l’armadio sbriciolato, polvere fatta dei corpi di quelle due sciocche ovunque …
Schioccò le dita, e l’armadio tornò al suo posto, perfettamente integro, mentre pareti e pavimento tornarono come erano sempre state.
“Veniamo a voi due …” sussurrò.
Battè le mani cinque volte precise, con le dita secche che producevano schiocchi inquietanti, e i grumi di polvere cominciarono a solidificarsi e a radunarsi, fino a formare di nuovo quelle che erano state Gwen e Bridgette.
Loro due sbatterono un paio di volte gli occhi come bambini spaventati al primo giorno di scuola, e poi fissarono lei con un’espressione terrorizzata in volto.
“Prima, sistemiamo alcune faccende.” Disse la strega.
Il labbro di Bridgette tornò come nuovo in pochi secondi.
“Numero due.”
Senza che la vecchia facesse nulla apparentemente, i loro vestiti tornarono ad essere perfetti e ogni traccia di liquido blu scomparve.
“Numero tre.”
Gwen si ritrovò vestita senza avere il tempo di contare fino a cinque.
La donna sorrise.
“Che … che ci fai qui?” chiese Gwen.
“Alt, inizio io con le domande. Come vi è saltato in mente di combattere davanti ad un essere umano? Se non vi avessi viste nella mia sfera, non so cosa sarebbe …”
“Un momento, quale sfera?!”
“OPS!” la vecchia si tappò la bocca con le mani.
“Le sfere sono illegali!” urlò la gotica puntandole un dito addosso.
“In  che senso?!” chiese Bridgette disorientata.
“Quelli come noi hanno dei limiti …” disse la dark.
“Vuoi dire che ce ne sono altri?!”
“Certamente.”
“Ora finitela!” esclamò la strega. “Adesso sistemiamo questa faccenda. Tu, mia cara Gwendalyne, non dirai a nessuno della mia piccola sfera … e io, in cambio … sistemerò questo pasticcio.”
“Stephanie, tu …
“Io cosa?!”
“Tu non farai proprio niente.”
“Che cosa intendi dire?!”
“Tu possiedi qualcosa che mi appartiene … è ora di ridarmela.”
“Ma avevamo fatto un accordo.”
“Sì, ma io … odio gli accordi.” Disse Gwen, e fu addosso alla vecchia.
Le premette una mano sulla giugulare e la tenne ferma a terra.
“Non puoi bere …”
“Non voglio bere io.” Rispose la ragazza.
“E che vuoi fare?”
“Berrà lei. Non è vero, Bridgette?”
“Ma così non morirò?”
“Sì, ovvio.”
“Perché dovrei lasciare che io uccida qualcuno per poi morire avvelenata?”
“Beh, è una tua scelta … o te, o lui.” Disse la gotica.
Aprì la porta del bagno, e Bridgette vide un ragazzo legato per il collo al doccino, gli occhi sbarrati e spenti, le pupille fisse, le braccia penzolanti lungo il corpo, il viso pallido, privo di sangue, la testa un po’ in avanti, separata dall’osso del collo.
Bridgette gemette e si coprì il viso con le mani.
“Tu … non puoi …”
“Aver impiccato qualcuno? Che sciocca che sei, Bee. Sto per costringerti ad avvelenarti … mentre uccidi qualcuno per me. Secondo te mi da problemi impiccare un ragazzo?”
“Ma …”
“La scelta è la seguente:
Opzione A, tu risucchi ben bene la vecchina, che morirà sotto i nostri occhi, dato che le streghe non possono diventare come noi nemmeno dopo un morso. Tu muori avvelenata e io salvo questo tizio mordendolo …”
“Ma è morto!”
“Ci sono tante cose che ancora non sai di noi … ad esempio, il nostro veleno può curare qualsiasi ferita, rottura, dolore … se iniettato poco dopo la morte del “prescelto da succhiare”.”
“Quindi se io bevo il suo sangue … tu lo salverai?”
“Sì.”
“Ma diventerà come noi?”
“Sì.”
“Allora si vendicherà di te.”
“Non credo … quando quella vecchia ha fatto l’incantesimo di memoria a Duncan io ero ancora lucida, anche se divisa in minuscoli granelli di polvere …e ho fatto in modo che l’incantesimo valesse su di lui … vedi, io non sono come te. Non sono stata trasformata da poco tempo. Sono una creatura molto più evoluta di te …”
“Da quanto tempo? Cosa sei?”
“Non ti riguarda. Comunque, opzione B … tu non succhi la vecchia. Io la costringo a fare un incantesimo che ti rimandi a casa, dove ogni giorno verrai tentata dal sangue dei tuoi cari genitori, e alla fine cederai e diventerai la loro assassina … lui morirà e io porterò la vecchia in un posto dove non potrà ricordare nulla di ciò che è accaduto in questa stanza …”
“Quindi la scelta è fra diventare un’assassina colpevole oppure morire?”
“Esatto: o tu, o Geoff.”
Bridgette guardò il ragazzo con il volto spento, appeso nella doccia.
Quanto lo aveva amato, e quanto ancora lo amava …
Non poteva farlo morire.
Ma condannarlo ad un’esistenza da assassino? Da succhiasangue e … da mostro? Non poteva farlo.
Forse sarebbe stato meglio se lui fosse morto da umano …
Ma …
Come avrebbe potuto vivere con sulla coscienza il peso della morte della persona  che aveva amato di più?
Come poteva anche solo sopportare l’idea di uccidere i suoi parenti?
Forse, allora, era meglio sacrificarsi …
Ma Geoff non l’avrebbe ricordata mai.
A cosa sarebbe valso il sacrificio?
Dunque …
“Allora, hai deciso?” incalzò Gwen, premendo più forte la mano sulla gola di Stephanie.
“Io … scelgo … scelgo …”
 
 
 
TO BE CONTINUED ….

 

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Capitolo 20
*** Heather ***


   Ciao ragazzi, eccomi di nuovo qui con  un altro capitolozzo per la vostra gioia. Che dire? Scusate gli errori di battitura, se ce ne sono, ma sappiate che la tastiera fa come vuole lei.
Tastiera: emancipazioneeeee!
Capito cosa voglio dire?


“Quindi, io sono diversa.”
Gwen continuava a ripeterlo assaporando quella parola.
Aveva sempre saputo di esserlo, in fondo, ma non sapeva fino a che punto.
Quanto era diversa? In cosa?
Lei non lo sapeva.
Ma Stephanie, Stephanie sì …
Doveva raggiungere il suo laboratorio.
Ma come avrebbe potuto farlo? Aveva lasciato che Bridgette la uccidesse prima che potesse dirle qualsiasi cosa …
Guardò il punto dove prima c’erano loro due, e cercò di non impressionarsi vedendo quel grande mucchio di polvere.
All’improvviso notò qualcosa luccicare tra i puntini grigi.
Così si avvicinò strisciando alle ceneri e le scostò con la mano.

“Che mi ven ga un colpo!” urlò.
Prese in mano quel ciondolo.
Era una collana dorata, con incastonata una pietra viola ovale al centro.
“è … stupenda.” Mormorò tra le labbra accarezzandola con due dita.
Sentì un mugugno sommesso dietro di lei.
Si voltò di scatto,e notò che Duncan stava per risvegliarsi.
Decise di metterlo a letto, così lo sollevò con forza e lo avvolse nelle lenzuola.
Dormiva come un angelo: lo baciò sulle labbra delicatamente e si rimise seduta tenendo stretto il ciondolo.
All’improvviso le ceneri iniziarono a spargersi sul pavimento e a moltiplicarsi ad una ad una.

“Che succede?!” chiese la gotica un po’ spaventata.
“Non ne ho idea!” esclamò una voce flautata.
“Non è possibile!” gridò Gwen alzandosi di scatto in piedi.
La collana le cadde di mano.

“Tu dovevi essere morta! Come è potuto accadere?!”
Bridgette sorrise.
Le ceneri sul pavimento erano sparite.
“Io non lo so, so solo che ad un tratto mi sono sentita rinascere …”
“Tu … forse tu eri …”
“Cosa?”
“Una risorta …”
“Che cos’è una risorta?! Tu mi devi qualche spiegazione.”
Gwen, restando immobile, sillabò “una risorta è una vampira con uno specialissimo potere … appunto, di possedere una doppia vita … ma è strano, insomma, dovresti essere stata vampirizzata da qualcuno di speciale …”
“Speciale come te?” chiese d’impulso la surfista. “Ricordi?! Prima che la uccidessi, Stephanie aveva detto che tu eri speciale …”
La dark fissò il pavimento pensierosa.
“Già. Ma cosa mai …”
La bionda la bloccò.
“Senti, Gwen. Ora mi sento molto meglio di prima, ma non ho voglia di ricominciare una battaglia. Quindi perché non la finiamo qui? Tu te ne tyorni a casa e farai finta di non aver visto nessuno di loro, io mi riprenderò Geoff e cercherò una cura per noi due …”
“Sciocca! Non esiste una cura! Tu resterai così per sempre … non crescerai, non invecchierai, non cambierai mai! E vedrai tutti coloro a cui vuoi bene intorno a te morire … morire come mosche! Li vedrai soffrire e deperire, distrutti dalla vecchiaia … mentre tu per sempre resterai giovane e bellissima! Non avrai ne un lavoro ne una famiglia … nessuno che avrai accanto durerà più di un mese! Soffrirai nel vedere soffrire gli altri … questa è la nostra MALEDIZIONE!”
Urlò con voce spiritata.
“Tu menti!” esclamò Bridgette irritata, spingendola indietro.
Gwne barcollò e i suoi scarponi neri strisciarono sul pavimento per qualche metro.
“Ascolta, Bridgette, devi andartene … ti ho già ucciso una volta, posso benissimo farlo ancora!”
“Lo stesso vale per me!” rispose l’altra.
La afferrò per la spalla e la spinse indietro, poi le assestò un pugno in piena faccia.
Lei si piegò in vanti e sputò una colata di liquido bluastro.
Bee non si fermò: la prese per il bavero e le fece far e un giro completo su se stessa con un colpo al mento.
La dark si raddrizzò e schivò abilmente e unghie lunghe della surfista.
La porta del bagno cigolò.
“Geoff, tesoro?” chiese timidamente Bridgette.
“è già sveglio?!”
La porta scattò e la stanza venne invasa dalla tipica nebbiolina di quando qualcuno sta molto tempo sotto l’acqua calda …
“Che sta succedendo?!” chiese la gotica voltandosi.
“Non lo so … non si vede nulla!” si lamentò Bee.
Apparvero due piedi, seguiti da due gambe troppo snelle per essere quelle di Geoff, seguite da un paio di fianchi longilinei, una vita sottile un ombelico carino e il resto di un corpo femminile molto attraente.
Lunghi capelli neri come l’ebano, occhiali da sole, pelle pallida, canini aguzzi e candidi estratti al massimo, con qualche traccia di sangue rappreso.
La ragazza davanti a loro scomparve in pochi istanti, veloce com’era apparsa.
“Ma dov’è andata?!”
“Che si stata una mia allucinazione?”
“Ma …”
Qualcosa afferrò il braccio di Gwen.
Lei si orientò verso Birdgette, credendo di doversi difendere da un attacco.
Ma quel qualcosa la trascinò nella nebbiolina che ormai si stava dissolvendo, fuori dalla portata e dalla vista della surfista.
“Che diavolo …?!”
Il ciondolo venne raccolto e ci fu un lampo di luce viola nell’aria.
Poi si sentì qualcosa rimbalzare contro il pavimento e un risucchio sordo.
“Gwen?! Dove sei?!” chiamò Bee.
Si guardò in torno e si accorse di essere sola nella stanza.
 
 
 
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Gwen cooreva.
MA perchè stava correndo?
Nemmeno lei lo sapeva.
Sapeva solo di aver sentito una gran botta sul didietro, di essersi alzata e di essere trascinata da qualcuno che correva dannatamente veloce.
Correva in un corridoio scuro e senza una luce o una finestra.
Correva seguendo una ragazza di cui non sapeva nemmeno il nome.
Si fermò di colpo, e quella davanti si girò a guardarla.
“Che succede? Ti senti poco bene?”
“Tu chi sei?! E dove siamo?! E perché?! E che ci facevi nella casa di Courtney?!” chiese inviperita la gotica.
L’altra si abbassò gli occhiali e la guardò negli occhi.
Aveva uno sguardo gelido che metteva i brividi, fatto da due enormi occhi grigi e eloquenti.
“Non c’è tempo per spiegare, darkettona. Ti dico solo che io e te vogliamo la stessa cosa. Perciò ti conviene darmi una mano.”
“A che cosa ti riferisci, barbie?!”
“Mi riferisco alla nostra immortalità. Tu l’hai scambiata per un filtro d’amor,e io per … beh, per gli affari miei. E dobbiamo riprendercele.”
“Quindi sei anche tu una vampira ehm … speciale? Come me?”
Lei sogghignò.
“Beh, se tu ti ritieni speciale …”
“Tu sai cosa sono io? E cosa sei tu?”
“Non te lo dico.”
La ragazza si ritrovò subito cinque dita bianche strette intorno al collo e la schiena contro la parete metallica del corridoio.
“è inutile che ti comporti così, bambolina, perché senza di me non otterrai ciò che vuoi.”
“E sentiamo, perché no?”
“Perché io so perfettamente dove si trova la caverna/laboratorio della strega, e tu no.”
“Sentiamo, e perché vorresti portar mici?”
“Non certo perché mi sei simpatica. Ma ho bisogno dei tuoi poteri.”
“come facevi a conoscermi?”
“Di quelli come noi ce ne sono ben pochi ….”
“Cos intendi per “come noi”???”
“Mistero misterioso.” Rispose l’altra con un sorriso beffardo.
La gotica la lasciò andare  malincuore e la seguì ancora.
Ripresero a camminare lentamente.
“Dove stiamo andando?”
“Tel’ho detto, al laboratorio.”
“E come siamo arrivate fin qui?”
“Con un portale spazio temporale. Ho usato lo scettro della strega per arrivarci, e ho usato i poteri presti, diciamo, in prestito da un amico per trovarti …”
“E dove siamo ora?”
“In una galleria sotterranea.”
“Quanto ci metteremo ad arrivare?”
“Non lo so. Sappi che sarà un … ehm … viaggio molto duro …”
“Perché non possiamo usare un portale spazio temporale come ho fatto io le altre volte?”
“Perché la strega ha bloccato l’accesso alla caverna prima di andarsene. Sospettava che tu avresti potuto farle del male.”
“Tu la conoscevi?”
“Sì. È da lei che si riforniscono tutti quelli che hanno bisogno di qualcosa. Quelli … come noi.”
“Ce ne sono molti altri?”
“Beh, proprio come noi due no, solo pochi, ma di vampiri, licantropi e streghe hai voglia …”
“E vivono nel mondo umano come se niente fosse?”
“Certamente.”
“E perché nessuno di loro fa del male agli umani?”
“Tu l’hai fatto.”
“Oh … e … beh …”
“Ora basta! Mi stai seccando con queste domande! Cammina e sta’ zitta.”
Gwen si trovò nuovamente a dover obbedire agli ordini di quella tizia che nemmeno conosceva.
D’altra parte che scelta aveva, se non fidarsi di lei?
Non sapeva come tornare a casa, non sapeva dov’era la collana, non sapeva se Courtney era tornata, non aveva un cellulare a portata di mano e avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di recuperare la sua immortalità che aveva ceduto alla strega in cambio dell’utile filtro d’amore …
Non le restava che seguire quella ragazza fino al laboratorio e fare come le diceva.
“Un’ultima domanda.”
“che sia l’ultima, però …”
“Come ti chiami?”
La ragazza si fermò, si voltò e si rimise gli occhiali da sole, che aveva tolto dal viso.
“Heather.”
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 21
*** Una leggenda metropolitana ***


“Allora, hai deciso?” incalzò Gwen, premendo più forte la mano sulla gola di Stephanie.
“Io … scelgo … scelgo …”
Bridgette si fece avanti di pochi passi e afferrò Stephanie per un braccio.
Scoprì i denti.
“Io scelgo di salvare Geoff. Ma … credo sia meglio che sia io a trasformarlo.”
Gwen dapprima scosse il capo, poi parve ripensarci.
“Ma certo che puoi farlo, carina. Ma se ti azzardi a fuggire dopo averlo trasformato sai cosa accadrà …?”
“Che cosa?”
“Fermerò il tuo veleno con i miei poteri prima che possa diffondersi nel suo sangue e lui morirà comunque.”
Bee deglutì e annuì.
Si avvicinò al corpo penzolante di Geoff e con poco sforzo, data la sua forza vampiresca, lo tirò giù dal doccino spezzando la corda.
Avvicinò le labbra al suo collo.
“Mi dispiace …” sussurrò, e una lacrima le cadde dall’occhio sul bel viso spento del ragazzo.
Affondò i denti nel suo collo e si lasciò trasportare dall’istinto.
Si sentì rinvigorita e forte, provò un piacere inebriante a prosciugare ogni goccia di quel liquido così squisito e rigenerante …
“Adesso fermati o lo ucciderai veramente.” Disse la gotica freddamente.
Con grande sforzo Bridgette si ritrasse tenendosi al lavandino.
Poi si avvicinò a Stephanie.
“Senti, Gwen, cara, posso anche ridarti la tua … la cosa che ti appartiene, se non mi uccidi.” Balbettò la strega nel panico.
“Mi dispiace, ma sono stanca di pagare per ogni intruglio. È tempo che io faccia ciò che voglio delle tue pozioncine …” ridacchiò la ragazza.
Gli occhi della vecchia si ridussero a due fessure.
“Va bene, morirò perché la mia magia non può nulla contro ciò che sei veramente. Ma … lunadimiele proteggera il mio negozio e tutti i suoi segreti.”
“Un attimo … tu sai chi mi ha trasformata?!” esclamò la gotica tenendola più stretta.
“S-sì. T-tu non sei come gli altri … t-tu hai un s-segreto … per quello sei riu-scita a deviare la mia m-magia su quel ragazzo …”
In quella Bridgette si chinò e affondò i denti nel suo collo.
Dapprima il sapore del sangue le scottò le papille gustative, tant’era delizioso e inebriante ….
Poi si sentì la gola in fiamme e le gengive scoppiettare …
“Aspetta!” urlò Gwen lasciando la presa. “Tu sai chi sono io veramente …? Dimmelo, ti prego!”
La strega sorrise.
“No.” Disse.
La pelle si stava sbiancando pian piano, il sorriso svanì, gli occhi si chiusero …
Bee si accasciò sopra Stephanie e morirono insieme.
Il corpo della surfista si sgretolò in minuscoli pezzi che si librarono nell’aria insieme a quello della strega.
Gwen era sola con Duncan e Geoff semi-morto nel bagno.
Chiuse la porta per non avvertirne il fetore e si sedette a gambe incrociate accanto al punk.
Stephanie … lei sapeva.
Sapeva ciò che Gwen desiderava sapere fin da quando era piccola.
Sapeva cos’era veramente lei.
 
 
 
Courtney si scostò una ciocca di capelli che le penzolava davanti agli occhi, solleticandole la fronte scura.
Era da tanto che aspettava.
Sua madre aveva avuto dei problemi.
A quanto pare non si trattava solo dei polsi, si era rotta anche altre ossa, alcune che facevano parte della schiena.
Ma l’ispanica non se ne intendeva molto.
Era seduta su una sedia di plastica blu da quasi due ore senza fare nulla.
Il cellulare scarico, la borsa ai suoi piedi, gli occhi spenti e lo stomaco che reclamava nutrimento.
Suo padre era dentro con la moglie, e così non aveva nemmeno lui per chiacchierare.
Osservò di nuovo le altre persone nella stanza: un ragazzo sui quindici anni, con la faccia a pochi centimetri dal i-phone, intento a messaggiare e ad ascoltare musica contemporaneamente, con delle grosse cuffie sulle orecchie, un cappellone enorme premuto in testa, i capelli spettinati e la fronte sudaticcia piena di foruncoli.
La donna accanto a lui era una classica nonnina per bene: capelli che sembravano nuvole di cotone grigio, raccolti in uno chignon, vestitino a fiori e l’immancabile uncinetto in mano.
Infine un uomo alto in giacca e cravatta dall’aria nervosa.
I tre erano lì da quando era arrivata e non accennavano a muoversi.
Courtney raccattò la borsa: decise che era meglio fare un giretto.
Si alzò barcollando (sarà stata mezzanotte circa) e percorse a grandi passi il corridoio bianco e azzurro.
Intravide  una sorta di portariviste in metallo e si avvicinò.
Sopra c’era scritto “Donazione libri: ritira uno dei libri lasciati dai nostri gentili donatori GRATIS oppure porta qui un tuo vecchio libro!”
C'e n'erano un bel po’, così l’ispanica iniziò a scorrere le quarte di copertina per vedere se c’e n’era qualcuno interessante.
Trovò due romanzi rosa, un romanzo sulla religione, due classici, un mini horror, un libretto per bambini piccoli e alcune riviste …
Scendendo all’ultimo scaffale vide un libretto piccolo, con la copertina di pelle, più simile ad un diario che altro.
Non aveva titolo e le ricordava tanto il diario di Tom Riddle in “Harry Potter e la camera dei segreti.”
Lo prese e tornò a sedersi nella sala d’attesa.
Aprendolo scoprì che non era un diario, ma un libro comune: le pagine di carta bianca con le lettere stampate.
Alla prima pagina c’era scritto “La leggenda di Annette. Capitolo primo.”
Incuriosita volto pagina e cominciò a leggere:
 
“A Toronto, come in molte altre città vi sono molte leggende “metropolitane”; la più comune, famosa e spaventosa è senza dubbio la leggenda di Annette.
Molti raccontano di aver visto, a lato della strada, nella periferia più estrema di Toronto, una graziosa bambina sugli otto anni, con penetranti occhi neri e pelle molto pallida.
Secondo la leggenda ferma chiunque passi di lì e lo invita a giocare con lei (da qui la celebre frase Would you like to play with me? Titolo del film horror del 2009, che parla di lei.)
Se si accetta di giocare con la piccola Annette, lei ride felice e ricompensa con un bacio sulla guancia e un abbraccio chiunque.
Ma se per caso la si ignora o si rifiuta, si muore sul colpo dopo una sua gelida occhiata.
Le persone più fortunate sono rimaste in coma.
Ecco la testimonianza di una di esse:


(Jonny Abbot, 42 anni, California, in vacanza a Toronto con la moglie)
“è stato orribile, orribile, vi dico! Andavo di fretta e così ho sorpassato quella bambina senza farci caso … all’improvviso la macchina si è fermata e me la sono ritrovata con il viso premuto sul finestrino … mia moglie è svenuta. Io volevo distogliere lo sguardo, ma gli occhi di quella bambina mi hanno tenuto come intrappolato … mi sono svegliato molto dopo in ospedale.”

 
(Nina, 23 anni, Toronto. Campeggio con quattro amiche …”
 “Quegli occhi … quegli occhi così intensi e gelidi allo stesso tempo … mi sembrava di avere le mani incollate al volante … e poi tutto ha iniziato a girare …”
 
 Courtney scorse le pagine più velocemente.
Erano tutte piene di testimonianze sempre più spaventose …
Arrivò alla “parte storica”.
 
“Questa leggenda metropolitana ha iniziato a diffondersi nel 2008 e ha proseguito fino al 2011. Da allora non ci sono stati più avvistamenti né testimonianze …”
“Coloro che avevano incontrato Annette hanno fornito le diagnosi, che parlano di improvviso arresto cardiaco … uno dei casi più noti è quello dell’operaio Oliver Andson.
Il tredici maggio 2008 si era recato nella periferia di Toronto per la banale e semplice ristrutturazione di un tetto. Alcuni dei suoi colleghi dicono di averlo sentito urlare qualcosa alla donna che l’aveva ingaggiato. Probabilmente qualcosa di volgare. In quell’attimo pare che si sia materializzata una bambina del tutto simile alla descrizione di annette e che dopo essere stato guardato per qualche secondo da lei Andson si sia accasciato. Poi è caduto dal tetto, di forma triangolare. Inizialmente tutti coloro che erano presenti non si erano concentrati troppo sulla bambina e dicevano che la causa della sua morte era la caduta … ma quando è stato portato in ospedale i medici hanno dichiarato che la morte era avvenuta prima che cadesse dal tetto, per via di un arresto cardiaco improvviso … come in molti altri casi … la bambina successivamente a quell’episodio non è più stata avvistata. Dopo molte ricerche una casa cinematografica ha deciso di impegnarsi sulle ricerche pertinenti alla leggenda e di trarne un film, intitolato appunto  Would you like to play with me?
Dopo un anno di riprese il film, nel giugno 2009 è uscito sul grande schermo, con il ruolo di Annette interpretato dalla giovanissima Lichia Awiltion.
Il film non ha avuto un grande successo ed è stato vietato ai minori.  Così i diritti sono stati acquistati da un altro produttore che ne ha fatta una serie horror a puntate.
Comunque l’ipotesi più sostenuta dagli esperti in questo campo è che Annette sia lo spirito di uno dei tanti bambini disgraziati uccisi illegalmente o destinati ad orfanotrofi alla nascita a causa di problemi mentali o fisici che li caratterizzavano. Lei sarebbe, secondo questa ipotesi, tornata per vendicarsi prendendo possesso di una contadina dall’identità sconosciuta, forse la misteriosa figlia della donna che aveva ingaggiato Oliver Andson per la ristrutturazione di casa.”
 
 
L’ispanica chiuse il libro.
Si sentiva un po’ confusa.
O era solo la stanchezza …
Eppure … l’episodio dell’operaio le ricordava qualcosa …
Qualcuno gli aveva parlato di una cosa simile successa a casa sua … molto tempo prima.
Ma chi?
Duncan?
No, non era lui …
Qualcuno gli aveva detto che aveva visto morire un operaio sotto i suoi OCCHI …
Ma chi???
 
 
 
 
E voi, miei cari lettori? Ve lo ricordate? Qualcuno, all’inizio della storia aveva parlato di qualcosa di simile … già, avete ragione. Non ho mai creato un dialogo in cui Courtney parlasse con qualcuno di una scena del genere … eppure … se fosse nascosto in un flashback nei prossimi capitoli?
MUHAUAHAHAH come sono diabolica.
Comunque, voi state inziando a capirci qualcosa? O siete ancora con il fiato sospeso? O avete iniziato a fare centinaia di ipotesi sempre più inverosimili? O prendete a pugni il monitor e mi odiate intensamente perché pubblico capitoli brevi con colpi di scena finali o riflessioni spezzate a metà? (beh, quasi sempre.)
Fatemelo sapere con una recensione!
Kisses,
Biberon.
 
Saluto la mia B.F maty345 e spero di riuscire a pubblicare presto un altro capitolo!

 
 

 

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Capitolo 22
*** Il foro ***


Heather allungò improvvisamente il braccio bloccando Gwen.
Era da più di due ore almeno che camminavano in quello sporco corridoio, senza arrivare mai da nessuna parte.
“Che succede?!” abbaiò la gotica.
“Abbiamo un problema.” Rispose l’altra.
Davanti a loro c’era un gigantesco buco che divideva nettamente il resto del corridoio scavato nella roccia dalla base.
“E allora?! Saltiamolo usando i nostri poteri vampireschi!” esclamò la dark.
Heather alzò un sopracciglio e si piegò a terra. Esaminò con cura la roccia e con un gesto rapido della mano estrasse da una fessura una specie di granchio.
“Quello cosa diavolo è?”
“è un granchio delle rocce. Hai mai visto King Kong?”
“No, perché?”
“Lascia perdere.”
Heather tenne il granchi etto stretto tra l’indice e il pollice e poi, con un gesto fulmineo, lo lanciò dall’altra parte.
A mezz’aria, prima che potesse atterrare dall’altra parte, al granchio accadde qualcosa di raccapricciante: si ribaltò completamente contorcendosi ed emettendo un suono stridulo, cioè i minuscoli organi interni presero il posto della pelle rivoltandolo come un calzino.
Poi cadde dentro alla voragine.
“Che cosa …?”
“Una barriera. Una fottuta barriera. Quella strega psicotica ha lanciato un incantesimo sulla zona che circonda la sua caverna.”
“Ma non possiamo usare la collana? Dovrebbe creare un turbine spazio temporale e condurci direttamente la. Dopotutto, mi sembra di capire che tu sei arrivata qui così …”
“Quel ciondolo conduce solo fino all’ingresso di questo tunnel. Non oltre.”
“Ah. E non potremmo crearne uno noi unendo i nostri poteri?”
“No. Quella stronza prima di morire ha lanciato un incantesimo che ci impedisce di utilizzare i nostri poteri finché siamo qui. L’impedisce a chiunque.”
“Stai dicendo che i nostri poteri sono nulli? Non possiamo nemmeno levitare?”
“No. Se no credi che avrei camminato per tutto questo tempo?!”
“Beh, in ogni caso in qualche modo dovremmo fare.”
 
Le due zittirono, pensose.
 
“Guarda!” esclamò Gwen indicando un punto per terra.
Erano incise alcune parole.
“Che c’è scritto?”
“Un dono richiedo per farvi passare.
Morbida seta di corvino tinteggiata,
a lungo amata e lucidata,
il dono tuo più bello,
pallido essere mordace,
la cosa che tu ami,
è quella che a me piace.” Lesse Heather con voce modulata.
 
“Che significa?” chiese Gwen.
“Significa … NON CI CREDO!” urlò la vampira.
“Che succede?!”
“Quella stronza …”
“Che succede?!”
“Lei … lei ha sempre invidiato i miei capelli … la mia chioma setosa e corvina … lei sa che io non ci rinuncerei mai … brutta stronza!”
“Stai dicendo che …”
“Sì.” Annuì. “Devo tagliarmi i capelli.”
“Tutti?”
“Non deve restare nemmeno un ciuffo. E io non ho intenzione di farlo.”
“Cosa?!”
“Vedi, lei sapeva bene che io non avrei mai rinunciato ai miei capelli.
E così mi ha chiesto di tagliarli. Sapeva che non l’avrei mai fatto. Sapeva che non saremmo potute passare.”
“Mi stai dicendo che dipende tutto da te?”
“Sì.”
“E allora cosa aspetti?! Tagliali!”
L’altra la guardò come se le avesse chiesto di tirare la luna giù dal cielo.
“Sei impazzita?!” urlò, con un lampo di follia negli occhio.
Gwen indietreggiò.
“Calmati …”
“Ma sei impazzita?! I miei bellissimi capelli … il Dono …”
“Cosa?”
“Eh?”
“hai appena detto il dono …”
“Cazzi miei!” urlò Heather.
“Calmati!” ripetè la dark isterica. “Come pensi di fare se non vuoi dare i tuoi stupidi capelli?!”
“Non lo so!”
“Heather, so che devi raggiungere la caverna. Fallo per te stessa. Ti ricresceranno. Una volkta lì dentro troverai un’incantesimo che te li farà ricrescere.”
L’altra scrollò il capo.
“è dura ammetterlo, ma … hai ragione. È l’unico modo per passare. Ma c’è un altro problema … con cosa me li taglio?”
“La roccia qui intorno pè troppo dura da rompere …”
“Guarda!” esclamò Heather.
Per terra le scritte erano mutate.
Ora il verso diceva così:
“Tutt’e due qualcosa dovranno perdere allora,
le beniamine che voglion passare,
che il taglio si compia col bianco candor,
di chi nella bocca è solito stare.”
 
“Che significa questo?”
“Significa … che ti devo staccare un dente.” Disse Heather pensosa.
“Ma …”
“Niente storie, darkettina! Io ci metto i capelli, e tu ci metti un canino. Tanto ti riscrescerà, no? La è pieno di pozioni.” Ghignò.
“ e va bene. Ma come pensi di staccarm …”
Prima che potesse terminare la frase, Heather, con un gesto fulminò, aveva alzato la gamba sferrandole un poderoso calcio sul mento.
Gwen si piegò un avanti e dalla sua bocca sgorgò un fiotto di quel liquido blu, in cui era immerso un canino lucente.
“Perfetto.” Sussurrò Heather.
Gwen tossicchiò, cercando di riprendersi e massaggiandosi la mandibola, mentre Heather si tagliava i capelli.
Per magia, appena il canino toccò un solo ciuffo,l i capelli caddero tutti al suolo contemporaneamente.
Heather gemette.
“Come sei buffa …” ridacchiò la gotica vendicativa.
“Fottiti.” Rispose l’altra e gettò il dente e la chioma nel burrone.
Questik caddero dolcemente senza smembrarsi, e un ponte di legno si materializzò davanti ai loro occhi.
Heather si passò una mano sulla testa calva.
“Non siamo neanche a metà strada.” Sibilò rabbiosa tra sé e sé.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 23
*** Uno spiacevole incontro ***


Heather camminava con passo spedito, cercando di nascondere la calvizie dagli occhi della compagna.
“Quanta strada pensi che dovremmo fare, ancora?” chiese Gwen.
“Ancora un po’.” Fu la risposta secca e acida dell’altra.
La dark annuì.
“Ho notato che quando parli fischi leggermente.” Esclamò l’asiatica.
“Bhé, sì, penso possa essere colpa del riflesso della tua testa pelata sui denti.” Rispose velenosa.
“Cretina.”
“Stupida.”
“Darkettona.”
“Calva.”
“Piatta.”
“Racchia.”
“Informe.”
“Battona.”
“AHHHHHHHHHHHHH!” Heather lanciò un urlò improvviso.
“Che succede?!” chiese la gotica, allarmata.
Heather allungò un dito tremante.
Gwen alzò lo sguardo, e dovette soffocare un urlo in gola.
A pochi metri da loro c’era un’enorme, gigantesco, mastodontico lupo mannaro, dal pelo castano scuro.
I possenti muscoli sotto la pelle erano gonfi e pompati, la pelle delle labbra tirate e le gengive scoperte.
“Stiamo … calme …” sussurrò l’asiatica. “Forse se non ci vede non farà nulla.”
“Non potremmo attaccarlo noi? Succhiargli un po’ di sangue, o qualcosa del genere?” azzardò Gwen.
L’altra la fissò con lo stesso rispetto con cui si fissa un escremento.
“Ma sei scema?! Ti ho detto che non possiamo usare i poteri!”
La gotica di batté una mano sulla fronte.
“Devo pensare …” bisbigliò l’asiatica massaggiandosi le tempie con due dita.
“Non vorrei interromperti, ma … penso che lui abbia già preso una decisione!” urlò Gwen.
Il lupo scattò in avanti in un lampo.
Gwen si schiacciò contro il muro, e quello fu su Heather.
Con una zampata nello stomaco la fece cadere a terra e la tenne ferma.
Lei sentì un dolore acuto partirle dal collo per poi diffondersi lungo tutta la schiena dorsale, ma trattenne un grido.
Premette le mani sul petto dell’animale tirandogli i peli con tutta la sua forza.
Lui scartò di lato con il grosso testone uggiolando, e lei riuscì a rotolare un po’ lontano.
In pochi secondi lui si riprese e la sbatté al muro con forza; alzò la zampa e le fu di nuovo addosso.
L’asiatica sentì le unghie del lupo penetrargli sotto la pelle dello stomaco e cadde in avanati con un urlo.
“Cazzo!” si lasciò sfuggire Gwen in preda al panico.
Il lupo parve accorgersi di lei e si voltò di scatto caricandola.
Gwen rotolò per terra e strisciò velocemente via, ma non abbastanza veloce. Sentì i denti chiudersi intorno al bordo della sua minigonna e trascinarla indietro.
“AAAAAAAAAHHHHHHH!” urlò, quando i denti del lupo s’infilarono dentro la carne del suo braccio.
 Si divincolò disperatamente pregando Heather di aiutarla. Lei però era ancora in ginocchio, le mani premute sul ventre grondante di sangue blu. Si riazlò barcollando e appoggiandosi al muro.
“LASCIALA ANDARE!” urlò con quanto fiato le rimaneva in corpo.
L’animale mollò il braccio di Gwen, in cui aveva lasciato dei profondi solchi rosati , attraverso i quali s’intravedevano alcuni strati di muscoli pulsanti. Lei cadde a terra come un sacco pieno d’acqua reggendosi la ferita con la mano destra.
Il lupo si girò e atterrò  l’asiatica di nuovo dandole una spallata.
Poi si lasciò cadere su di lei con forza.
Il rumore sinistro di alcune costole spezzate risuonò nel corridoio buio.
La gotica afferrà una pietra e la lanciò contro la schiena del licantropo.
“EHI, BESTIOLA! QUI!” urlò.
Heather sgusciò via da sotto la pancia pelosa e si distese sul pavimento roccioso tentando invano di respirare.
“Soffoco” bofonchiò tenendosi stretta il petto.
Gwen venne gettata a terra e colpita ripetutamente alla schiena con i lunghi artigli neri.
Il suono della carne che si lacerava ad ogni graffio prese lentamente possesso delle orecchie di Heather, che nel frattempo stava perdendo molto sangue dalla bocca.
La dark tentò di rialzarsi, ma il lupo la colpì con la testa e lei sbatté contro il muro.
La vista le si appannò e mugolò.
L’asiatica tentò di rialzarsi, ma tossendo sputò dell altro sangue.
Il lupo la puntò di nuovo e afferrò il bordo del suo opo tra i denti: la lanciò in aria come fosse un giocattolino e la riprese con le fauci.
Lei venne presa da una scarica di dolore così forte che non le riuscì nemmeno di urlare: ovunque denti affilati come rasoi le graffiavano la pelle morbida e delicata … ben presto il suo sangue inizò a gocciolare lungo il palato dell’animale, che sembrava del tutto intenzionato a mangiarla. La sua bocca cingeva Heather dalle spalle ai fianchi, spremendole il busto e le braccia.
Lei sentì l’ennesimo dente che le violava la pelle, questa volta sul mento. Scosse la testa e capì che stava per spezzarle le ossa della testa per poi divorarla.
Con uno sforzo titanico richiamò a sé tutte le sue forze e premette le mani contro l’incavo tra due denti, aprendo le fauci che la tenevano stretta come una cintura demoniaca.
Si alzò appoggiando i piedi sulla lingua dell’animale a afferrò con tutta la forza che le rimaneva le sue palpebre, tirandole in avanti.
Il lupo s’impennò come fosse un cavallo aprì la bocca quel tanto che bastava alla ragazza per saltare fuori con agilità.
Atterrò tenendo avanti le mani e dovette reprimere un conato di vomito quando sentì il “crak” del suo polso che si spezzava.
Il dolore era così lancinante che cadde in ginocchio.
Con la vista che le si appannava sempre di più intravide Gwen, sdraiata a terra, probabilmente svenuta, che perdeva sangue dalla testa.
Heather si rialzò imprecando e si avvicinò all’animale, che latrava girato di spalle.
Si estrasse il ciondolo dalla tasca degli shorts e senza pensarci troppo lo strinse alla gola del lupo.
Lui reagì con fin troppa prontezza di riflessi, si voltò e la sbatté di nuovo a terra. Le premette una zampa al centro del petto e la ragazza si morse il labbro per non piangere.
Si voltò e con uno scatto fulmineo afferrò una pietra e gliela infilò in un punto a caso della pelliccia.
Il lupo gemette, ma non mollò la presa.
L’arma rotolò via dalla amno dolorante di Heather, mentre del sangue scuro e appiccicoso le colava sul top purpureo.
Era finita.
Ra sdraiata a terra, con qualche costola rotta, tagli ovunque, polso destro spezzato, con un animale addosso che le impediva di provare qualsiasi altra sensazione che non fosse il dolore.
Il lupo aveva aperto le fauci e scoprto i denti.
Heather chiuse gli occhi, preparandosi al peggio.
Ma, stranamente, il peggio non arrivò.
Sentì qualcosa di caldo e appiccicoso colarle sul collo e un alito pesante che le inumidiva il volto.
Sbatté le palpebre.
Il muso dell’animale era molto più vicino di prima, la sua bava colava giù e il suo alito avvolgeva la ragazza immobile.
Sbatté le palpebre, di nuovo.
Questa volta ciò che si trovò davanti furono solo due spleniddi occhi verdi come smeraldi.
Non aveva notato quegli occhi così stupendi, nella bestia che l’aveva quasi uccisa.
Ma qualcosa era diverso.
Non aveva èiù quello sguardo omicida che aveva prima.
Ora sembrava diverso, quasi … docile.
Restarono così per un po’, a respirare e ad osservarsi, molto vicini.
Il dolore scomparve, per un attimo.
Tutto scomparve, fuorché quegli occhi stupendi e  sognanti.
Sbattè di nuovo le palpebre.
Il lupo abbassò la testa e la premette contro il petto di Heather.
“Sta ascoltando il mio cuore.” Pensò lei. “Forse non è così cattivo. Forse l’hanno solo addestrato così.”
Sorrise.
Poi accadde qualcosa di molto strano.
Il corpo del lupo venne avvolto da un mantello di scintille azzurre e bianche che saettavano e saltellavano giocosamente intorno ai suoi muscoli possenti e al suo pelo scuro.
L’animale trasse un lungo sospiro e si abbandonò latrando sulla ragazza.
Lei gememette nuovamente: il dolore era intollerabile.
Però non poté fare a meno di provare un po’ di tenerezza nel vederlo così, sembrava quasi morto.
Forse … forse lo aveva ucciso.
Un lampo accecante di luce bianca invase tutta la stanza, pungendole gli occhi come una pioggia di spilli e sentì un urlo lacerante, umano, vivo, penetrante.
Abbassò lo sguardo e per poco non svenne.
Adagiato su di lei non c’era più un lupo’ svenuto e sanguinante.
Non c’era più un’orrida bestia assetata di sangue.
Non c’era più un mostro stregato.
C’era un ragazzo.
Aveva dei bellissimi capelli castani, dei muscoli possenti, un corpo perfetto, le spalle larghe, la pelle olivastra.
Il viso era appoggiato sul suo petto.
Heather si voltò e se lo tolse di dosso in un gesto, cosa che le provocò un immediato sollievo.
Osservò il suo viso: era bello, anzi, perfetto.
Posò la testa sul petto muscoloso che si alzava e si abbassava ritmicamente.
Si accorse che stava morendo.
La ferita che lei gli aveva aperto nei pressi del cuore stava iniziando9 a danneggiarlo.
Il liquido scuro scorreva a fiotti sulla sua pelle scura e liscia.
Lei lo accarezzò su una guancia dolcemente.
Era cos’ bello, eppure così tenero, in quel momento …
Capì. Era un licantropo.
Ecco perché le aveva fatto del male.+
Sotto la maledizione della luna, sotto l’effetto della licantropia gli individui non controllano le proprie azioni, ma agiscono secondo rudiemtnale istinto.
Già.
Come avrebbe potuto uno come lui farle del male?
Era assurdo.
Gli cinse le spalle con le mani e gli sfiorò i contorni del corpo fino alla vita con due dita.
Era un momento perfetto …
Finché non si accorse di una cosa molto, molto, molto imbarazzante.
Fu un momento imbarazzante.
Si ritrasse subito, il viso purpureo: lui era nudo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice:
Piaciuta la sorpresina finale? XD Bhe, che vi aspettavate … un licantropo mica ha i vestiti, quando è lupo.
XD
M’immagino l’espressione di Heather … un po’ come quando ha leccato l’ascella di Owen: momenti imbarazzanti.
XD
 
 
 
 
 
 
 
 
  
 
 
 

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Capitolo 24
*** Trent ***


“Signorina … signorina …”
Courtney si svegliò di soprassalto.
Qualcuno le stava scuotendo vigorosamente una spalla.
“Signorina… può anche andare a casa adesso … sua madre sta meglio.”
“Ah,  davvero?”
La ragazza si guardò in torno fugacemente. Era seduta su una di quelle sedie di plastica blu.
“Sì. Beh, credo che me ne andrò … quando potrà tornare a casa, mamma?”
“Tra due o tre giorni.”
“Perfetto. La ringrazio.” Disse la ragazza ancora mezza addormentata.
Il medico le rivolse un messo sorriso e ritornò in una delle sale operatorie.
Courtney fece per alzarsi, quando si accorse di avere il libro senza titolo sulle leggende metropolitane ancora appoggiato sul grembo.
Senza pensarci due volte se lo infilò nella borsa e si alzò.
Trovò in fretta l’uscita dall’ospedale e decise di entrare in u bar per fare colazione.
Prese il cell e  mandò un messaggio a Duncan: “Tesoro, va tutto bene, mamma sta meglio, arrivo tra poco.”
Mentre beveva un caffè con panna ripensò a ciò che aveva letto la sera prima su quell’operaio morto.
Si disse che erano tutte sciocchezze, e che probabilmente quell’operaio era morto d’infarto per conto suo, poveraccio. Forse si era fatta suggestionare dalla sala vuota dell’ospedale, dal freddo e dalle luci a neon che ronzavano come api impazzite.
Già, tutta autosuggestione. Un mucchio di sciocchezze.
Appena finì di bere uscì e saltò in sella al motorino.
In pochi minuti aveva superato i confini della città e stava avanzando in mezzo alla campagna spoglia.
Quando vide casa sua da lontano, capì subito che c’era qualcosa che non andava.
La porta era stata scardinata e pendeva a lato della soglia, attaccata solo per un minuscolo pezzo di legno e una vite.
“Dio!” esclamò portandosi le mani alla bocca.
Frenò immediatamente e saltò giù dalla moto lasciandola a terra a bordo strada.
Corse verso la casa.
Anche La porta della staccionata era aperta, ma era ancora intatta, per fortuna.
Courtney entrò velocemente.
La sala sembrava a posto, fatta eccezione per due bicchieri rotti e del frullato rosa scuro sparso sul pavimento.
Tuttavia, dal piano di sopra provenivano degli strani rumori …
E se fossero stati dei ladri? Duncan avrebbe di certo provato a difendere Gwen e … “Oh, no!”
L’ispanica corsa a perdifiato su per le scale e vide  porta della camera matrimoniale aperta.
Da dentro proveniva un sottile velo di fumo grigio e polvere.
Quando entrò, lo spettacolo che le si presentò davanti agli occhi era davvero sconvolgente: l’armadio era caduto a terra, il vetro della finestra era rotto e i pezzi erano sparsi ovunque sul pavimento ,le pareti erano sporche di un densa polvere nera e bluastra e il comodino era a testa in giù.
“Duncan?”
Avanzò di pochi passi e quando il fumo si diradò calpesto qualcosa con il piede destro.
Abbasso lo sguardo e lanciò un grido di terrore. Lì, ai suoi piedi, c’era Geoff, con una corda stretta intorno al collo e la gola sporca di sangue.
“Duncan?!?” urlò, in preda al panico.
Fece un passo in avanti.
E poi lo vide.
Era accasciato contro il muro, in mutande, svenuto.
“Che diavolo sta succedendo qui?!” chiese, più a se stessa che ai due maschi.
“Lei era qui.” Disse una voce fredda e distaccata.
“Chi é la?” chiese Courtney, in preda al panico.
Bridgette uscì dal bagno.
Era malconcia, con dei grossi lividi in faccia, il labbro rotto e la bocca sporca di sangue.
“BEE!” esclamò l’ispanica, e le gettò le braccia al collo.
“Che cosa è successo? Chi ti ha conciata così?”
“è stata Gwen.”
“Gwen? Bridgette, ma che stai dicendo?”
“è stata lei. Lei ha ucciso Geoff.”
“Bee, via, stai delirando. Devi aver preso  un colpo in testa. Gwen è una ragazza normalissima, non avrebbe mai …”
“Ascoltami.  Courtney …”
“Bee, io ti porto in ospedale. È chiaro che hai bisogno di un dottore …”
“Courtney …”
“Anche Duncan deve venire con noi , dobbiamo trovare Gwen ….”
“Courtney …”
“E Geoff, noi dobbiamo …”
“COURTNEY!” urlò Bridgette afferrandole il braccio. “Ascoltami. Gwen non è quello che tu credi … lei non è un essere umano.”
“Che cosa?!”
“Lei è … un …”
“Un cosa?”
“Conosci la leggenda di Annette?”
“Sì, io, l’ho letto in un libro giusto ieri i ospedale …”
“Bene. Gwen è Annette.”
“Che cosa?!?”
*BOOOM*.
Un frastuono assordante invase le loro orecchie.
“CHE SUCCEDE?!” esclamo Courtney.
“Non lo so!” urlò di rimando Bridgette.
*BOOOM*.
“AH!” il pavimento prese a tremare, mentre nell’aria si susseguivano dei colpi fortissimi.
“AAAAAAAAAAAAAAH!”
Qualcosa colpì l’ispanica in fronte, e la fece cadere a terra.
La porta della stanza sbatté, e un fumo nero la invase.
Si sentirono dei passi.
La porta si chiuse.
Qualcuno era entrato.
“Aiuto! NON VEDO NULLA!”  urlò la surfista aggrappandosi all’amica.
Qualcosa di denso e appiccicoso iniziò lentamente a impregnare i piedi e le ginocchia di Courtney.
Un’altra scossa e anche Bridgette cadde a terra accanto  lei.
Qualcosa stava salendo lungo i lor polpacci.
Un liquido scuro e puzzolente.
“Che cos’è?”
Bastaroni pochi secondi, e si ritrovarono immerse fino alla vita.
Courtney si alzò, cercando di convincere la sua testa di smettere di girare.
“C’è qualcuno?” chiese.
“Courtney! Aiuto! QUESTA COSA MI STA BAGNANDO TUTTA! COURT!”
La ragazza afferrò Bridgette per le spalle e la aiutò a d alzarsi.
Man mano, il fumo nero si dissolse sempre dipiù. E Courtney poté vedere con orrore il liquido che le stava per affogare: rosso e corposo, era …
“Sangue.” Disse Bridgette con voce spenta.
All’improvviso, alzando la testa, videro una figura incappucciata in piedi davanti a loro.
“Chi sei?  Cosa ci fai in casa mia?!” esclamò coraggiosamente Courtney.
La figura alzò un braccio, anch’esso avvolto i un mantello scuro, e glielo puntò addosso.
La ragazza stramazzò a terra boccheggiando e in pochi secondi svenne, lanciando schizzi di sangue ovunque.
“CHE CAZZO LE HAI FATTO?! FIGLIO DI PUTTANA!” esclamò Birdgette tuffandosi in avanti, con il sangue che ormai le arrivava sotto le ascelle.
Cercò di afferrarlo per la testa, ma lui la bloccò facilmente con l’altro braccio e la tenne indietro.
“Ben presto annegheranno nel sangue.” Disse con voce roca, alludendo a Courtney, Geoff e Duncan, che era chissà dove sotto il liquido.
“A meno che tu … non mi dica dove  si trova LEI.”
“Lei chi?! E TU CHI CAZZO SEI?!” esclamò, cercando nuovamente di colpirlo.
“È inutile che cerchi di colpirmi. Sono molto più potente di quanto tu potrai mai essere.”
“Allora, potente, fatti vedere.” Sputò Bee, mentre il sangue le bagnava la clavicola e le risaliva lungo il collo. “Se ne hai il coraggio” aggiunse, con aria di sfida.
La figura grugnì, come e volesse camuffare una risata, e fece emergere le mani dal liquido per scostarsi il cappuccio dal volto.
Bridgette lo osservò: era un ragazzo. Capelli neri e unti, pallido come un morto.
La cosa che la colpì maggiormente, però, furono quei due orribili, arcigni, penetranti occhi verdi.

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Capitolo 25
*** Her ***


 
 
Scusate per il capitolo un po’ breve, ma non voglio anticiparvi troppo su ciò che accadrà in futuro …
Sappiate che abbiamo ancora davanti molti capitoli e tanto da scoprire!
Biberon
 
 
 
 

“È inutile che cerchi di colpirmi. Sono molto più potente di quanto tu potrai mai essere.”
“Allora, potente, fatti vedere.” Sputò Bee, mentre il sangue le bagnava la clavicola e le risaliva lungo il collo. “Se ne hai il coraggio” aggiunse, con aria di sfida.
La figura grugnì, come e volesse camuffare una risata, e fece emergere le mani dal liquido per scostarsi il cappuccio dal volto.
Bridgette lo osservò: era un ragazzo. Capelli neri e unti, pallido come un morto.
La cosa che la colpì maggiormente, però, furono quei due orribili, arcigni, penetranti occhi verdi.
“Ripeto la domanda” disse, con voce ferma e sicura. “Lei dov’è?”
Bee rimase in silenzio, immobile, con il sangue che le risaliva lungo il collo esile.
“Dov’è?” ripeté il ragazzo, accigliandosi.
Bridgett non si mosse ancora. Era come paralizzata, davanti a quegli occhi color smeraldo. Avevano qualcosa di orribile, freddo … inumano. Come Gwen.
“DOV’è?!” urlò in un improvviso impeto d’ira lui, afferrandola per i capelli dorati.
Finalmente Bee si riscosse.
“LEI CHI?!”
“ANNETTE!” urlò lui di rimando, immergendo la testa di Bridgette nel sangue.
Lei venne colta di sorpresa, e non riuscì ad impedirlo. Trattenne il respiro e chiuse gli occhi mentre il sangue le lambiva il cranio.
Dopo pochi secondi, riemerse coperta di rosso, boccheggiante.
“Ripeto per l’ennesima volta. Dov’è!?”
La ragazza cercò di liberarsi dalla presa d’acciaio indietreggiando, ma ottenne solo di farsi stringere i capelli con più forza.
“Io … NON LO SO!” esclamò, con le lacrime agli occhi.
“Forse un altro bagnetto nel sangue umano stimolerà la tua riflessione” sussurrò, ficcandole di nuovo il viso nel liquido rosso. Stavolta la tenne sotto per quasi un minuto, e quando riemerse, Bridgette aveva il fiatone ed era pallidissima, seppellita sotto una coltre putrida di piastrine e globuli rossi.
“Le ho spinto un armadio addosso. Pensavo di averla uccisa, quando …” “Idiota” bofonchiò lui interrompendola, “Quando tutto si è fatto scuro. C’è stato una specie di … terremoto, una nube di fumo, qualcuno rideva. Si sono sentiti dei passi. Qualcosa è caduto a terra. Non ho visto molto altro. Si è aperto un varco viola nell’aria e tutto si è annebbiato ancora di più. Poi lei non c’era più.”
“E questo cosa significa?” esclamò lui strattonandola.
“Non lo so, giuro, è tutto ciò che ho visto.”
“In quanti eravate nella stanza?”
“C’eravamo io, lei, Courtney, Duncan e Geoff …”
“Povera Annette, in mezzo a tutta questa feccia umana …”
“Io non sono umana.” Sibilò Bridgette furente.
“Che cos …”
Non fece in tempo a finire la frase, che Bridgette gli afferrò il petto e gli penetrò il collo con i canini, succhiando più che poteva. L’unico problema era che non c’era assolutamente niente da succhiare.
“Che cazzo fai?!” urlò lui spingendola lontano, tra agli schizzi di sangue.
“Io … credevo …”
“RAZZA DI IDIOTA! IO SONO UN VAMPIRO!” urlò, colpendola al viso con una mano.
“Tu … pensavo fossi una specie di mago, o qualcosa del genere …” bofonchiò Bee portandosi una mano alla guancia , che pulsava di dolore.
“Basta. Non ho più tempo da perdere con un’idiota come te. È chiaro che qualcuno ha trasferito Annette nell’altra dimensione …”

“Quale altra dimensione?!”
“Dio, odio i neonati. Non capiscono niente.”
“Sono appena stata trasformata!”
“Appunto” sbuffò lui, perdendo in quel gesto un po’ della sua cattiveria intrinseca.
“Tolgo il dissssturbo” sibilò con voce innaturale, e schioccò le dita.
In pochi secondi il livello del sangue prese ad abbassarsi fino a scomparire, lasciando solo tutto coperto di macchie maleodoranti.
Bee si guardò i vestiti e i capelli: erano ancora zuppi di liquido rosso.
Il ragazzo invece, perfettamente pulito, si sollevò in aria levitando e fece per schioccare id nuovo le dita, per andarsene.
“Aspetta!” gridò Bridgette afferrandolo per un piede. “Perché cerchi Annette?”
“Lei era la mia promessa sposa. Dobbiamo sposarci e governare insieme nel Regno dei Vampiri.”
“Regno?”
“Ah, lascia stare.”
“Non potevi trovartene un’altra, invece di fare tutto questo casino per lei?”
La situazione stava diventando decisamente grottesca. Insomma, lei, coperta di sangue putrido, era ferma li, a chiacchierare allegramente di vampiri e regni con un mostro che poco prima l’aveva quasi soffocata.
“Tu non capisci” disse soltanto il ragazzo di rimando.
“Ma …”
“Ora basta.” Sussurrò, riprendendo a levitare.
“Okay, ma …”
“Devi capire. Io non voglio niente da voi. Non m’interessa farvi del male. Voglio solo Annette, e vi lascerò in pace.”
“Appunto. Io ti ho detto tutto quello che so.”
“Allora mi dissssspiace di averti fatto del male. In fondo, sei una di noi.”
Bee scrollò le spalle.
“Credo di sì.”
“E sei anche una bellissima fanciulla, ora che ti guardo meglio.”
La ragazza trattenne una risatina. Un minuto prima l’aveva chiamata idiota, e ora ci stava … provando?
“Ora me ne vado. Ma bada, se interferirai ancora con la vita Oscura di Annette … non avrò pietà ne di te ne dei tuoi amici umani. E, ascolta bene. Ho anche un po’ di fame, ora. Se li risparmio …” disse alludendo a Courtney, Geoff e Duncan, adagiati sul pavimento , “è solo perché ho rispetto dei miei simili.” Aggiunse, puntandole un dita sulla clavicola.
Bridgette stava per dire “Non so che ci trovi di rispettoso nell’affogare qualcuno nel sangue”, ma lui schioccò le dita e scomparve prima che lei potesse aprire bocca.
Rimase qualche secondo a fissare il punto in cui prima c’era il vampiro, e poi si voltò con un sospiro.
La stanza era imbrattata di sangue, Courtney e Duncan giacevano svenuti a terra in posizioni improbabili, e Ge0ff era accucciato in una angolo, preso dalle convulsioni.
Era sveglio? Poteva vederla? Sentirla?
Si avvicino a lui, con gli occhi lucidi,  i capelli incollati dal sangue sul collo, e un sorriso in volto.
Gli sfiorò la spalla e lo scosse leggermente.
“Geoff … amore … puoi sentirmi?”
All’improvviso il braccio del ragazzo si alzò di scatto e le dita della sua mano cinsero con violenza la gola di Bee, mozzandole il respiro.

 

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Capitolo 26
*** Ale-Ale-Alejandro ... ***


Salve a tutti! Vi volevo dire un paio di cosine, prima di lasciarvi alla lettura di questo capitolo.

1) Che mi fanno un sacco piacere le recensioni, quindi non pensate che un vostro commento, anche piccolo, sia per me inutile, perchè è tutto il contrario.

2) Di qualsiasi storia, pubblico un nuovo capitolo solo se ci sono almeno tre recensioni, meglio di più. Non perchè io abbia sete di fama, ma perchè non ha senso pubblicare capitoli se ... ehm ... non se li fila nessuno

3) Come ultima ma non ultima cosa vorrei salutare una ragazza che legge questa storia con tanto entusiasmo e che mi ha lasciato una recensione strappalacrime seppur divertente! So che leggerai questa mia intro, quindi, un bacione e un abbraccio 
Xenja !!!







Ale-Alejandro, Ale-Ale-Al ...


Sotto la maledizione della luna, sotto l’effetto della licantropia gli individui non controllano le proprie azioni, ma agiscono secondo rudimentale istinto.
Già.
Come avrebbe potuto uno come lui farle del male?
Era assurdo.
Gli cinse le spalle con le mani e gli sfiorò i contorni del corpo fino alla vita con due dita.
Era un momento perfetto …
Finché non si accorse di una cosa molto, molto, molto imbarazzante.

Si ritrasse subito, il viso purpureo: lui era nudo.
 
Heather fece un balzo indietro di mezzo metro, trattenendo un urletto, quando una voce calda e vellutata sussurrò ‘Cicha’ al suo orecchio destro.
Il ragazzo si mise a quattro zampe nel tentativo di rialzarsi, ma cadde rovinosamente a terra.
“Tutto bene?” chiese Gwen, premendosi le mani sulla ferita nel ventre.
“Mi stavate guardando nudo?!” esclamò lui con fare malizioso, ignorando la domanda.
“Ma … certo che no! Ci hai quasi fatte a pezzi, poi ti sei trasformato e …”
“Trasformato?” chiese lui accigliato.
“Sì …”
“Merda … sapevo che sarebbe successo! Non dovevo allontanarmi così tanto dalla caverna, dovevo restare nei paraggi … se solo quell’idiota di Harold non mi avesse dirott …”
“Caverna?! Quale caverna?”
“La caverna della mia padrona.”
“PADRONA? LA STREGA GRIGIA?!”
“Beh, se è così che la … ehy, un secondo. E voi chi diavolo siete?!”
“Per prima cosa, ti dispiacerebbe … ehm … coprirti?” bisbigliò Gwen, visibilmente imbarazzata.
Lui si portò le ginocchia al petto, coprendo parzialmente la sua nudità.
“Così va bene?”
Heather storse il naso, strappò un consistente pezzo di stoffa dai suoi shorts e glielo lanciò addosso.
“Non credo che basti …” asserì lui con un sorrisetto. “Potresti darmi il tuo top” aggiunse sogghignando.
Heather gli alzò un dito medio mentre Gwen, sbuffando, si tolse la calzamaglia nera con un rapido gesto, rimanendo solo in minigonna.
“La situazione diventa sempre più interessante” esclamò il licantropo coprendosi con la calzamaglia e il pezzo di stoffa di Heather. “Ma non avete ancora risposto alla mia domanda. Chi siete?”
“Io mi chiamo Heather, sono una Nobile. E questa darkettona è Gwen … Nobile anche lei, promessa sposa del Principe Nero.”
Gwen la afferrò per un bracciò, costringendola a voltarsi verso il suo viso pallido. “Nobile? Principe Nero? Promessa sposa?!”
“Ti prego, stai zitta.” Sibilò spingendola via. “Tu invece, chi sei?”
“Io sono il Guardiano della Caverna, ovviamente. Da umano, Alejandro, ma potete anche chiamarmi Ale.”
“O Al?”
“NO! Al no! Odio quel soprannome!”
“Non ti scaldare, bestiaccia. Noi dobbiamo solo passare.”
“Questo è il punto. Prova a indovinare, bellegambe, a cosa servo io?”
Heather alzò un sopracciglio, ignorando il nomignolo appena affibbiatole “A niente, presumo.”
“Forse a non far passare di qui la gente?” chiese ingenuamente Gwen.
“La fiera dell’ovvio!” borbottò l’asiatica battendosi una mano in fronte.
“Io sono il Guardiano, e non faccio accedere nessuno alla Caverna. Nessuno tranne la mia padrona.”
“Non vorrei rovinarti le aspettative, ma la tua padrona è morta.”
Ale rimase interdetto per qualche secondo. “CHE COSA?!” I suoi bicipiti si contrassero violentemente e divenne rosso in viso.
Gwen, capita la pericolosità della situazione, intervenne.
“Heather sta scherzando. Ah-ah-ah.”
“Allora dov’è?!”
“Cosa ne sappiamo noi?” rispose la gotica sbattendo le ciglia con aria innocente.
“Razza di idiota … certo che lo sappiamo!” esclamò improvvisamente l’altra. “Ci sta … aspettando nel mondo umano! Ci ha mandate alla sua Caverna per procurarle alcune cose che le servono …”
“Ma cosa stai dic …?” chiese Gwen, ma Heather la zittì con un gesto.
“Ci puoi scusare un secondo?”
Spinse la gotica contro il muro e le sibilò in un orecchio: “Se sa  che vogliamo derubare la strega, e che lei è morta, si trasformerà di nuovo e potremo dire addio sia all’immortalità sia che alla vita stessa. Chiaro il concetto?!”
“Stai dicendo di fingere?”
“OVVIAMENTE.”
“Che state facendo, voi due?”
“Scusa, le stavo rammentando gli ordini della Grigia. In ogni caso, come ho detto prima, ci ha mandate lei. Per servirla.”
“E sentiamo, perché lo ha chiesto a voi e non a me, suo fedele servitore?”
“Perché … beh, perché noi siamo due Vampire. E Nobili, per giunta. E poi, questa tizia qui dietro … ha qualcosa di molto, molto particolare, non so se mi spiego.”
Alejandro aggrottò la fronte. “A essere sincero no, non ti spieghi.”
“Oh, insomma! Stephanie la Grigia ci ha dato un ordine, e stiamo cercando di eseguirlo! Quindi … togliti e lasciaci passare.”


“Perché dovrei fidarmi di voi?! Chi mi dice che non siete delle ladre, o magari degli Spettri? Datemi una sola ragione per cui non dovrei nutrirmi della vostra carne e bere il vostro sangue!”
“Ehm …”
Le due ragazze erano a corto di idee. Rimasero qualche secondo in silenzio, mentre Alejandro si scaldava sempre di più.
“Vi do dieci secondi. Dieci, nove, otto … sette, sei … cinque, quattro … tre, due … uno …”
Heather ebbe un lampo di genio improvviso.
“Perché te lo stiamo chiedendo per favore” chiese con fare provocatorio, accarezzandogli sinuosamente il petto. “Non siamo cattive … vogliamo solo servire la nostra padrona …”
Per ogni “esse” cacciò la lingua in mezzo ai denti, producendo un effetto sensuale e attraente.
“Beh … se me lo chiedete per favore …” disse lui, mangiandosela con gli occhi.
“Avete finito? No, perché potrei vomitare.” Bofonchiò Gwen.
Heather le lanciò un’occhiata tipo “stai al gioco” e le fece segno di avvicinarsi.
Gwen capì al volo e cinse la vita di Ale da dietro, accarezzandogli gli addominali scolpiti.
“Quindi adesso, da bravo, ci fai passare e ti togli di torno …”
Alejandro si ritrasse in un’istante, tornando alla realtà.
“Come hai detto, scusa?”
“Eccheccazzo!” sbottò Heather “Mi hai fatto anche fare la scena da puttanella e non ci fai andare?!”
“Non ho detto che non vi faccio andare. Ho detto che non mi levo di torno.”
“Che intendi dire?!”
“Che verrò con voi.”
“Tu sei fuori! Vorresti che ci portassimo dietro un licantropo che da un momento all’altro potrebbe trasformarsi e sbranarci, che quando è umano non è altro che un pervertito da quattro soldi?!”
“Esattamente.”
“Fanculo” sibilò l’asiatica incrociando le braccia al petto.
“Eddai, Heather …” la supplicò Gwen. “Dobbiamo raggiungere la Caverna, no?”
“Sai, quando incroci le braccia al petto ti si vedono di più le tette.” Disse Al con aria di sfida.
“La malizia sta nell’occhio di chi guarda, AL” disse lei superandolo.
“è un sì?” chiese soltanto lui.
“Muovi quel culo palestrato e facci strada, AL.”
“E non chiamarmi al, posteriore!”
“Posteriore?”
“Ti piace? È il tuo nuovo soprannome!”
“Ma davvero, lupacchiotto?!”
“Mi piace ‘lupacchiotto.” Ha un qualcosa di sexy.”
Lei si voltò di scatto mettendogli la mano sulla gola: “Sexy come il pugno che ti darò tra due e dico due secondi.”
“Sei solo un vampiro. Non puoi vincere.”
“Non credi che valga la pena tentare?”
“Uhh, sto morendo di paura.”
“EDDAI! Piantatela, per favore. Raggiungiamo quella fottuta Caverna, una volta la potremo separarci.” Intervenne saggiamente Gwen. “A proposito, quanto tempo ci vorrà?”
“Dipende da cosa incontreremo sul nostro tragitto” sussurrò Al, rabbuiandosi.
“Cose … tipo te?” chiese Gwen spaventata, mentre riprendevano a camminare.
L’ispanico di voltò a guardarla, con una strana luce negli occhi.
“Oh, no. Cose molto, molto peggiori.”

 

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Capitolo 27
*** Heather Come Here To Play With Us ***


Spero vi piaccia questo capitolo! Un saluto speciale al belloccio del pc  Stand_by_me (perdonami XD) e quel tesoro di Xenja 





“EDDAI! Piantatela, per favore. Raggiungiamo quella fottuta Caverna, una volta la potremo separarci.” Intervenne saggiamente Gwen. “A proposito, quanto tempo ci vorrà?”
“Dipende da cosa incontreremo sul nostro tragitto” sussurrò Al, rabbuiandosi.
“Cose … tipo te?” chiese Gwen spaventata, mentre riprendevano a camminare.
L’ispanico di voltò a guardarla, con una strana luce negli occhi.
“Oh, no. Cose molto, molto peggiori.”



 
Da quanto stavano camminando? Minuti? Ore? Giorni?
Gwen non ne aveva idea. Aveva perso la cognizione di tempo e spazio, e le sembrava che stessero camminando in tondo, dato che il paesaggio non cambiava mai. Pareti rocciose, qualche piccolo cratere scuro, polvere sottile ammassata in mucchietti disordinati a terra.
Per tutto il tempo si era limitata a trotterellare dietro ai due piccioncini litiganti e aveva accantonato il suo lato violento e crudele, ma si era stufata.

“Basta!” esclamò improvvisamente, interrompendo l’ennesima discussione accesa tra Al e Heather. Smise di camminare e si piazzò in mezzo alla strada, le braccia incrociate al petto.
“Che ti prende?!” sibilò Heather, afferrandola per un gomito. “Dobbiamo fare presto!”
“No. Non mi muovo finché tu non mi dai qualche spiegazione.”
“Che cosa dovrei spiegarti?!”
“Ehm … TUTTO! Cosa sono i Nobili, cos’è o chi è questo Principe Nero, chi siamo questi ‘noi’ di cui parli, perché io sono speciale …”
“Sono discorsi lunghi e complessi. Non c’è tempo, ora!”
“Che fretta abbiamo?!”
“In caso tu non te ne fossi accorta, hai lasciato un Vampiro appena nato in una stanza con due esseri umani!”
“Cos … Courtney e Duncan?!”
“Esattamente.”
“Tu non mel’avevi detto … non mel’AVEVI DETTO!” ruggì Gwen saltando addosso a Heather in un attacco d’ira. Fino a poco prima era stata succube di quella figura così carismatica, ma era ora di darsi una regolata e ritornare ad essere quella vampira che aveva ricattato Bridgette privandola del suo più grande amore davanti ai suoi stessi occhi.
Colpì l’asiatica in viso con una gomitata e la bloccò con le ginocchia.
“Ehy! Vacci piano!” esclamò Alejandro sollevandola per le spalle e tenendola stretta, mentre lei si dibatteva e sibilava insulti e improperi tra le labbra.
“Idiota” bofonchiò Heather massaggiandosi la mascella.
“Voglio tornare da loro! Devo proteggerli!”
“Razza di idiota.”
“DEVO PROTEGGERLI!”
“Ah, sei proprio un’imbecille. Io calcolo sempre tutto. Il punk e la sexy diva avranno tutto il tempo di nascondersi … tanto il surfista sarà troppo impegnato a fare a pezzi la biondina.”
“Ehm … CHE COSA?!”
“Courtney e Duncan se la fileranno mentre Geoff placherà la sua ira pestando a sangue Bridgette! Cosa non ti è chiaro?! Sei stata tu stessa a fare in modo che accadesse, no? Si sa che un Neonato odia chi l’ha trasformato e gli da la caccia fino allo stremo delle forze pur di ucciderlo e vendicarsi.”
“Lo so, ma …”
“Ma cosa?!”
“Se non riuscissero a scappare?!”
“Ce la faranno, lui nemmeno li calcolerà.”
“E se … sentisse il loro odore!? Non posso permettermi un rischio simile.”
“Non hai scelta! Finchè non riacquisiremmo la nostra immortalità e QUINDI i nostri poteri, non potremmo andarcene.”
Gwen fece per dire qualcosa, ma poi cambiò idea e si limitò ad abbassare la testa.
Alejandro la lasciò andare lentamente.
“Dovresti ringraziarmi Bei Capelli, ti ho salvato dalle Grinfie di Scollatura Pallida.” Ridacchiò Alejandro dando una pacca sul fianco di Heather.
“Potresti finirla con questi soprannomi da asilo nido!? E tu, darkettona, muoviti!”
“Tu mi devi ancora delle spiegazioni.”
“Ti ho detto che non c’è tempo.”
“Ma …”
“Dobbiamo sbrigarci, se non vuoi che Courtney e Duncan facciano veramente una brutta fine!”
La gotica sospiro, e si ripromise che appena possibile avrebbe fatto a pezzi il corpo di Heather. Non scherzava.
 
Dopo qualche altro passo silenzioso in fila indiana, qualcuno urlò il nome dell’asiatica.
Heather si voltò di scatto. “Che vuoi, darkettona?!”
“Non sono stata io ad urlare!” ribatté Gwen, “Devi essertelo immaginato.”
“Veramente” intervenne Alejandro “L’ho sentito anche io.”
“HEATHER!”
Di nuovo quella voce. Era una voce infantile, sottile ma decisa.
“Heatheeeeeeeeeer …. Heatherrr … Heatheeeeer …”
Il suono ripetuto si fece sempre più lento e ritmico, quasi fosse una cantilena.
“C’è nessuno?!” chiese Alejandro, rivolto allo stretto passaggio buio e scuro racchiuso tra due pareti di roccia lavica che si estendeva per metri davanti ad i loro.
Nessuna risposta.
“Heather … Heather! … Heather …!”
L’asiatica si guardava freneticamente intorno, muovendo la testa pallida in tutte le direzioni.
“Che succede?!” esclamò, mentre quella voce … quelle voci, la chiamavano ancora una volta.
“Non ne ho idea!”
“C’è nessuno?!” ripetè Alejandro.
“Heaty! Heaty, vieni da noi! Vieni a giocare con noi, Heaty!”
“Non so voi …” disse la gotica con voce piatta “Ma io trovo questa cosa piuttosto inquietante …”
“Più che inquietante, direi terrificante!” esclamò l’asiatica, senza però perdere la sua espressione di sufficienza.
Intanto, il coro di voci bianche si faceva sempre più intenso.
“Potrebbe essere una delle sue trappole” riflettè ad alta voce Alejandro.
“Trappole?!”
“Vi avevo detto che avremmo incontrato cose molto peggiori dei licantropi, sulla strada per la Caverna …”
“E di che si tratta, questa volta?!” chiese praticamente urlando Gwen, pre sovrastare il coro di voci che ormai si era fatto davvero insistente.
“Non ne ho idea!” ribattè Alejandro, “Ma se vogliamo sopravvivere, ci conviene stare vicini.”
Ben presto, alle vocine che urlavano disperate Heather se ne aggiunsero altrettante, sempre più acute e forti, che invocavano i nomi degli altri due.
“CHE FACCIAMO?!” urlò a quel punto Heather, in preda al panico.
“Corriamo in avanti” esclamò Alejandro “SPERANDO CHE NON CI SEGUANO!”
I tre si gettarono in una furiosa corsa in avanti, cercando di lasciarsi alle spalle quelle inquietanti vocina cantilenanti …
Ma ad ogni passo che facevano, sembrava che il coro diventasse più nitido e forte.
“NON FERMATEVI!” intimò alle due ragazze “SEMINIAMOLI!”
“Ho paura” riuscì solo a bisbigliare Gwen, la gola secca e asciutta, “davvero”.
 
“NON FERMATEVI” ripetè Alejandro.
Heather aveva accorciato leggermente il passo, e ansimava parecchio.
“Scusate” balbettò, “io non ce la faccio”
“COME, SCUSA?!”
“Io odio correre, porco caz …” cadde in ginocchio, ansante.
“Merda!” esclamò Gwen, mentre le voci la avvolgevano ovunque.
“Ci penso io” intervenne Alejandro, e prese in braccio l’asiatica come se pesasse due grammi.
Ripresero a correre, decisamente più lenti, i piedi che strisciavano contro la roccia fredda e dura, il sudore che lambiva la fronte, perseguitati dalle voci infantili sempre più acute e vicine, vicine, vicinissime …
Improvvisamente Gwen sbattè contro qualcosa.
Il colpo la fece cadere a terra e le mozzò il respiro.
“Perché ti sei fermata?!” esclamò Alejandro bloccandosi.
In quel preciso istante, tutto cessò.
Le voci svanirono nel nulla, come se non ci fossero mai state.
“Al … le voci! Sono sparite!” disse a metà tra gioia e stupore la dark.
Lui si limitò a guardare in avanti, per vedere cosa avesse urtato Gwen.
Quello che entrambi di trovarono davanti fu una specie di muro di pietre irregolari accatastate l’una sopra l’altra, alto circa un metro e mezzo.
“Che cos’è … questa roba?” chiese la gotica massaggiandosi l’anca.
“Credo che sia un pozzo” intervenne Heather, il mento poggiato sulla spalla dell’ispanico.
“Un pozzo?”
“La struttura è quella.”
“Ma che ci fa qui in mezzo? E quelle voci? Da dove venivano?”
“Forse erano solo una delle tante illusioni e magie Grigie che la strega cela in questi corridoi. Voi ne sapete niente?”
“Sei tu il suo Guardiano, non noi.”
“è a voi che ha affidato questo compito, no?”
Heather non sapeva che dire. “Beh … chissenefrega. L’importante è che siano scomparse, no?”
“Io non credo.” Intervenne Gwen.
“Che cosa?!”
“Non credo che siano scomparse del tutto. Credo che siano solo … in pausa.”
“Che stai farneticando?!”
“Beh … io credo che le voci non ci stessero inseguendo. Che non fossero dietro di noi. Ma intorno a noi. O … davanti.”
“Che intendi dire, scusa?”
Gwen fece un cenno in direzione del presunto pozzo.
“Vuoi dire che la cosa che emetteva quei suoni sta lì dentro?” chiese interdetta Heather.
La dark annuì.
“Beh, io dico che non m’importa. L’importante è che se ne stia buonina buonina laggiù, no?”
“Heather, il problema è che il pozzo ostruisce il passaggio.”
“Non possiamo tornare indietro e cercare un’altra via?”
Al indicò la strada dietro di loro, dove era comparso masso che prima non c’era.
“Ma … quel …”
“Deve essere un altro dei suoi trucchi.”
“Per Dio, doveva proprio perderci così tanto tempo?! In fondo è solo una stupida caverna!” sbottò l’asiatica.
“Solo una stupida caverna?!” esclamò indignato Alejandro. “Devi sapere, Bel Culetto, che la dentro sono contenute centinaia, che dico, migliaia di filtri di ogni tipo, da quelli d’amore a quelli di morte, dalle fatture più deboli a quelle più potenti, e qualcosa come duemila Doni!”
“Non ricominciate, voi due!” intervenne Gwen. “Doni?” chiese poi ad Al.
“Sì, Doni, le virtù che la Grigia chiede in cambio ad ognuno per i suoi filtri e le sue fatture …”
“Vuoi dire che la tua preziosa strega in realtà non è altro che una commerciante di tarocchi?!” chiese provocatoria Heather, che era scesa dalle spalle di Alejandro e ora lo fronteggiava con grinta.
“Senti, tu, signorina …”
“Basta, smettetela!” urlò di nuovo la gotica, frapponendosi tra i due. “A quanto ho capito, il Pozzo è l’unica via. Quindi, in un modo o nell’altro, dobbiamo passare di qui.”
“Sì, ma come? È un buco.”
“Dovremmo saltare …”
“E che problema c’è? Se anche cadessimo dentro, non penso che troveremmo che acqua o altra roccia.”
“Non ti scordare di quelle voci! E se fosse profondo centinaia di metri? E se dentro ci fosse un mostro o qualcosa di simile?!”
“Beh, c’è un unico modo per saperlo. Qualcuno si sporga e facciamola finita.”
“Vado io” sbuffò Heather, arrampicandosi su per la roccia.
“Se vuoi ti tengo su il sedere” ghignò Al.
Lei non lo degnò di una risposta, e si sbilanciò un po’ in avanti.
“Non si vede, nulla, è troppo buio.”
Improvvisamente, qualcosa in fondo al pozzo, pochi metri più in basso, prese fuoco.
Heather non sapeva cosa fosse, ma aveva generato una piccola fiamma in grado di illuminare l’interno dell’ambiente. E così poté vedere chiaramente quel che c’era lì dentro, quel che aveva urlato disperatamente il suo nome poco prima.
Qualche secondo dopo Heather stramazzò a terra con un urlo agghiacciante, presa dal tremore, gli occhi sbarrati e lo sguardo perso.
 

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Capitolo 28
*** Un groviglio di membra e un'incantesimo ***


Rieccomi! Spero vi piaccia questo capitolo. Un saluto rinnovato a Stand_by_me che porcamiseria si ostina a non svelarmi il tuo vero nome *occhi dolciosi* tipregotipregotiprego, al lupacchiotto/a Farkas  (giuro, non ho ancora capito di che sesso sei, mai che tu metta un "essendo io una ragazza o ragazzo o roba simile accidentiate) e alla fedelissima Xenja!



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Improvvisamente, qualcosa in fondo al pozzo, pochi metri più in basso, prese fuoco.
Heather non sapeva cosa fosse, ma aveva generato una piccola fiamma in grado di illuminare l’interno dell’ambiente. E così poté vedere chiaramente quel che c’era lì dentro, quel che aveva urlato disperatamente il suo nome poco prima.
Qualche secondo dopo Heather stramazzò a terra con un urlo agghiacciante, presa dal tremore, gli occhi sbarrati e lo sguardo perso.
 
“Heather!” esclamò Alejandro, afferrandola per le spalle e scuotendola vigorosamente. “Che ti succede? Cosa hai visto?!”
 
L’asiatica non rispose. Era silenziosa e dondolava avanti e indietro. Allungo un dito tremante verso la bocca del pozzo.
 
“Cosa c’è lì dentro?” provò a chiederle Gwen sussurrando.
 
Nemmeno stavolta lei rispose. Si coprì il viso con le mani.
 
“Oh, d’accordo. Non possiamo perdere tutto il giorno.” Sbottò la gotica, lasciandole andare i polsi. “Ammesso che sia giorno, fuori.” Aggiunse, arrampicandosi sul pozzo.
“Che stai facendo?!”  la bloccò Al. “Heather non è in condizione di proseguire. Non vedi come sta male?”
“è l’occasione perfetta per fartela, non trovi?” disse sarcastica la dark, issandosi sul bordo.
“Io non guarderei giù, se fossi in te.”
“è l’unico modo per passare, no?”
 
La fiamma illuminava interamente l’interno della caverna, e con un rapido sguardo, Gwen potè capire il motivo della crisi isterica di Heather.
 
Una fitta le prese lo stomaco e la costrinse a ritrarsi un po’ per non vomitare.
 
 
A meno di cinque metri da lei c’era un ammasso brulicante di … neonati.
 
Piccoli, dolci, teneri neonati.
 
Trasse un grosso sospiro.
 
No, questi erano tutto tranne che dolci e teneri.
 
Erano ammassati l’uno sopra l’altro, strisciavano e gattonavano nel proprio sangue inciampando continuamente in altri piccoli corpi divelti e arti mozzati. Un groviglio di carne umana tenuto insieme da pozze di sangue e crani spaccati. E dalle piccole gole ancora vive usciva un sussurro lento e melodico … che pronunciava il suo nome nel buio.
 
 
Si lasciò scivolare giù dal muretto.
“Cosa hai visto?!” le chiese Al lasciando praticamente cadere Heather.
“Non possiamo passare, Alejandro. Io non ce la faccio.”
“Ma perché?! Cosa c’è lì dentro.”
“Vai a controllare da solo.” Disse spenta, mentre raggiungeva Heather, la quale pareva essersi già ripresa.
“In un modo o nell’altro dobbiamo passare di lì.” Esclamò tirandosi su da terra.
“Hai qualche idea?”
“L’unico modo è saltare.” Intervenne l’ispanico, balzando giù dalla parete del Pozzo.
“Hai visto cosa c’è lì dentro?! Non voglio correre il rischio di caderci in mezzo” esalò Gwen, sconsolata. Gli occhi freddi e vuoti di quei bambini mezzi morti le erano rimasti davanti agli occhi, tanto che non vedeva nemmeno Heather e Alejandro, in quell’orrore che le invadeva la mente.
“Sì, ho visto. Muy tragico, ahimè. Ma sono abituato a questo genere di cose. In fondo, io vivo qui.”
“In che senso sei abituato?!”
“La Grigia piazza trappole del genere ovunque. E questo è il tipo di trattamento che riserva agli intrusi.”
“Dio, potrei vomitare …” bofonchiò Heather.
“Io sono un ottimo saltatore. Potrei saltare con facilità dall’altra parte e prendere al volo voi due.”
“E se non ci reggessi?”
Lui si limitò a riderle in faccia.
 
I tre si arrampicarono sul lato destro dell’enorme Pozzo, e issarono Alejandro in cima al muretto. Lui si mise in piedi, con la calzamaglia nera di Gwen che penzolava dalla vita alle ginocchia, e si resse con una mano al muro.
 
“Al tre, salti. Okay?”
“Uno … Due … Pronto, Al?”
 
“Ti ho già detto …” iniziò lui, poi improvvisamente si diede un’enorme spinta con i piedi e saltò in avanti tenendo le braccia tese, “Di non chiamarmi Al!” concluse aggrappandosi all’altro lato del pozzo e tenendo su le gambe, il più lontano possibile dai neonati.
 
“Bravissimo!” esclamò Gwen, improvvisando un piccolo applauso. Non gliene fregava nulla di Alejandro, in realtà, ma l’unica garanzia che aveva di sopravvivere a quel punto erano le sue braccia muscolose.
“Vado io” disse Heather spintonandola indietro.
 
Gwen sibilò un insulto a mezza voce mentre l’asiatica si metteva accucciata sul bordo, sporta in avanti, a testa in su.
Aspettò che Alejandro si fosse stabilizzato e fosse pronto per prenderla, poi trasse un respiro e si gettò nel vuoto, a poca distanza dai bambini.
Appena fu in aria i neonati presero ad urlare e ad agitare ciò che gli rimaneva attaccato al corpo verso l’alto, schizzando sangue e membra sulle pareti in fondo.
 
“AL! PRENDIMII!” urlò lei in preda al panico, tendendo le braccia.
Lui, con molta calma, la afferrò per i polsi e la tirò su come se fosse una piuma. Lei ci mise qualche secondo a riprendere l’equilibrio, poi si sedette abbastanza lontana sia dall’ispanico che dal bordo, tenendosi bene ferma con le mani.
“Tocca a te, Gwen!”
La gotica salì su per le rocce e si issò sul bordo. Ok, non era così difficile. Erano solo pochi metri di salto. E c’era Al, a prenderla, dall’altra parte.
“Non sono mai stata una brava saltatrice!” urlò, rivolta all’altra sponda.
“E chissenefrega” rispose Heather, mentre Alejandro la fulminava con lo sguardo.
“Non preoccuparti” le disse, “Ce la farai benissimo.”
Gwen si alzò in piedi titubante e piegò la ginocchia.
“Datti una bella spinta e allunga le braccia, al resto penso io.”
Rassicurata dalle parole di Al, la dark prese un grosso respiro e si diede una forta spinta con gli arti inferiori.
Forse non così forte, però.
L’aria putrida del sottosuolo le sferzò il volto, mentre cadeva verso il basso più velocemente di quanto non andasse avanti. E più l’ammasso sotto di lei le sembrava vicino, più le mani di Alejandro si allontanavano.
Allungo le braccia pallide più che poté, e riuscì a sfiorare la mano destra del ragazzo e ad aggrapparcisi con tutte le sue forze.
“AIUTO! TIRAMI SU!”
“NON CE LA FACCIO! Sei appesa troppo male!”
“Heather, aiutalo!”
L’asiatica si allungò sul pozzo per afferrare la mano di Gwen.
“Ci sei quasi …” singhiozzò Gwen, che sentiva la presa di Alejandro venire meno ogni secondo che passava.
La mano di Heather la raggiunse e la afferrò per il polso proprio nell’istante in cui le dita sudate di Gwen lasciavano la presa sulla mano di Al.
La gotica ebbe un attimo di terrore, ma trasse subito un sospiro di sollievo sentendo la forza dell’altra ragazza tirarla su piano piano.
“Sbrigati, ti prego!” esclamò ansante, sentendo i mugugnii dei bambini provenire dal terreno poco sotto di lei.
“Ci sto … provando … pesi!” bofonchiò Heather, alzandola anche con l’altra mano.
Alejandro si fece avanti e posò le mani sui fianchi di Heather per tirarla indietro ed aiutarla a sollevare Gwen. Ma la sua mano destra scivolò sotto la cintura dell’asiatica.
“CHE CAZZO FAI?!” ruggì lei senza pensarci, si ritrasse e lasciò andare le mani bianche di Gwen.
“HEATHEEEEEEEER!” urlò lei terrorizzata, precipitando verso il basso.
“Merda!”
Una decina di secondi dopo Gwen atterrò di schiena sulla roccia fredda e dura, mozzandosi il respiro.
Le ci volle qualche secondo per stabilizzarsi dopo l’impatto, e si voltò.
Aveva attirato l’attenzione di parecchie paia di occhi luminosi e umidi, che la fissavano con aria tutt’altro che amichevole.
Poi, un numero imprecisato di secondi più tardi, quelle cose cominciarono ad avanzare in gruppo verso di lei, tendendo le manine e altre parti del corpo.
“AIUTO!” urlò lei indietreggiando a quattro zampe, ma ben presto si ritrovò con la schiena al muro.
“CHE FACCIAMO?!” esclamò Heather strattonando Alejandro, qualche metro più in su.
“La colpa è solo tua! Se tu non fossi così egocentrica …”
“Mia?! È TUA, RAZZA DI IDIOTA! SE TU NON AVESSI FATTO IL PORCO MENTRE LEI STAVA CADENDO, NOI …”
“NON STAVO FACENDO UN BEL NIENTE, MI STAVO SOLO AGGRAPPANDO!”
“AH Sì?! AL MIO DIDIETRO?!”
“MA SE NON CEL’HAI NEANCHE, UN CULO!”
 
Una mano con sole tre dita coperta di sangue rappreso afferrò il bordo della maglia di Gwen e la attirò a se con forza incredibile, per un infante, mentre altre manine, braccia e piedini la avvolgevano lentamente da ogni parte …
“Non vorrei interrompervi, ma AIUTO!” urlò più forte che poteva.
Heather e Alejandro ammutolirono.
“Allunga il braccio! Mi calo a prenderti!” esclamò Heather.
Si chinò più che poté ed intimò ad Alejandro di reggerla per i piedi.
“Solo i piedi.” Precisò inviperita.
“Anche perché non c’è altro” rispose lui beffardo.
La calò in  fretta lungo la parete umida del pozzo.
“Gwen? Dove sei?!” esclamò Heather, vedendo sotto di se solo un ammasso informe di esseri brulicanti.
Una mano bianco avorio emerse tra i corpi putrefatti e i cadaveri freschi e si agitò freneticamente in aria.
“Dio! L’anno seppellita!” si lasciò sfuggire Heather afferrandole la mano.
In quell’istante, sentì la presa alle sue caviglie allentarsi.
“AL! CHE CAZZO FAI?!”
“Non riesco a reggerti! Mi stai sfuggendo!” esclamò lui vagamente nel panico.
“Fai uno sforzo! L’ho quasi presa!”
Heather tirò con tutte le sue forze, e riuscì a far emergere dal mucchio putrescente una testa coperta di capelli scuri e un viso inorridito con le labbra verde petrolio.
“Ci siamo quasi!” esclamò rivolta verso l’alto.
“Scusa” disse solo Al, e Heather cadde rovinosamente giù insieme a Gwen, tra il mucchio di esserini mezzi vivi e mezzi morti.
L’asiatica emise un grido assordante mentre quattro neonati le saltavano addosso, le strappavano i vestiti e le addentavano la carne.
Alejandro era rimasto a guardare, terrorizzato.
“CHE COSA GUARDI?! AIUTACI!” urlò l’asiatica mentre spingeva via uno di quel mostriciattoli che tentava di morderle un labbro.
Al parve riprendersi dallo shock, e si buttò nel Pozzo, convinto di poter fare a pezzi quei mostri orrendi. Peccato però che non ebbe nemmeno il tempo di capire dove fossero, che già undici di loro gli erano sopra, coprendogli la visuale sulla bocca del pozzo. Uno dei bambini gli affondò i piccoli denti aguzzi nel collo mentre altri due gli stortavano le braccia dietro la schiena. L’ispanico provò ad alzarsi con tutta la sua forza, ma quei cosi sembravano cento volte più potenti.
Sentiva le grida delle due ragazze venire da una parte all’altra della caverna, ma non riusciva a vederle o a toccarle. Il cuore gli martellava nel petto mentre fendeva colpi alla cieca con le ginocchia a vuoto.
Gwen, qualche metro più in la, era completamente sotterrata da un ammasso di infanti voraci che la stavano percuotendo da tutte le parti. Urlava di dolore, ma nessuno poteva sentirla: i bambini la stavano schiacciando, letteralmente. Non vedeva ne sentiva più nulla, a parte fitte di acuto dolore che s’irradiavano da qualsiasi parte del corpo, e unghie e denti che le affondavano nelle carni mentre cercava inutilmente di dibattersi.
 “Andate via” sibilò tra i denti, ma ovviamente non servì a nulla. Eppure aveva una strana sensazione. Molto strana. Una sensazione particolare. Non di dolore o di paura, non più. Una sensazione inebriante, che le invase in pochi secondi tutto il corpo facendole dimenticare ogni ferita. Una sensazione che la rendeva quasi … allegra.
Eppure era assurdo. Stava morendo! La stavano divorando viva! Come poteva sentirsi felice ed allegra?!
Eppure era così. Anzi, meglio. Si sentiva potente. Una vocina, nella sua testa, diceva “puoi farli smettere. Basta volerlo.” E ripeteva questa frase, ancora ed ancora. Si riferiva ai bambini? Ma cos’era, quella voce?
Gwen decise che non le importava. L’avrebbe ascoltata e basta.
Basta volerlo.
Lei lo voleva! Voleva vivere, lo desiderava con tutta se stessa! Altrimenti non avrebbe mai più rivisto Duncan.
Duncan.
Questo le potenziò ancora di più quella sensazione, e un’immagine le comparve davanti agli occhi. Era sfocata, come un flashback. Era strana, opaca. Ma capiva cosa fosse. C’era una casa. Una donna, con un vestito a fiori. E degli uomini, in piedi sul tetto della casa. La donna apriva la bocca, stava dicendo qualcosa. E anche un uomo parlava. Rivolto alla donna, e non sembrava gentile. Poi notò un altro dettaglio. Una bambina, in piedi davanti alla casa. Capelli neri, lunghi, orsetto di peluche tra le braccia e vestaglia del pigiama. Guardava l’uomo. Sembrava arrabbiata, molto arrabbiata. Lo guardava, con quei grandi occhi scuri. Lo guardava intensamente, molto. Ad un tratto, quell’uomo cadde dal tetto e si sfracellò a terra, afflosciandosi come un sacco di patate. Morto.
In quel preciso istante tutto cessò.
Gwen aprì gli occhi, ansante.
I bambini … erano …
“Spariti?!” esclamò Heather, da qualche parte lì vicino.
“Se ne sono andati!” disse Alejandro mettendosi a sedere.
“Come è possibile?!”
Gwen si guardò freneticamente intorno.
Era vero. Non c’era più nessuno. Solo loro tre.
“Gwen!” esclamò l’ispanico puntandole un dito contro.
“Che c’è?!”
“I tuoi … I TUOI OCCHI!” esclamò stupida Heather, portandosi una mano alla bocca.
 
 

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Capitolo 29
*** Rissa da bar ***


Salve a tutti! Buon giovedì! Saluto il belloccio Stand_by_me e il mio amore *_* Blood_Love

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“Gwen!” esclamò l’ispanico puntandole un dito contro.
“Che c’è?!”
“I tuoi … I TUOI OCCHI!” esclamò stupida Heather, portandosi una mano Alla bocca.
“Che cos’ hanno di strano?”
“Sono … luminosi!”
“Beh … io …”
“Sei stata tu a mandare via quei cosi!”
“Non ne ho idea!”
“Sì che sei stata tu! È l’unica spiegazione possibile!”
“Ma … come hai fatto?” chiese stupito Al avvicinandosi.
“Io … io non lo so! So solo che ho avuto, come … come una visione. E poi basta.”
“E cosa hai visto?”
“Una casa … una bambina … un uomo … la morte.”
Heather storse il naso. “Sì, beh, chissenefrega di cosa hai visto, Alla fin fine. Abbiamo un piccolo problema.”
“Io non lo definirei ‘piccolo’” ghignò Al. Alle due ragazze ci vollero pochi secondi per capire che la calzamaglia di Gwen non aveva Retto Alla caduta, ed era rimasta impigliata per intero ad una roccia.
“Copriti, per l’amor del cielo” sbottò Gwen.
“Sì, suona strano, ma ho veramente voglia di coprirmi, stavolta. Insomma, questo posto è lurido.”

Anche se i bambini erano scomparsi, a terra era pieno di macchie di sangue rappreso e piccoli insetti che camminavano ovunque sulle pareti.
Rimasero per qualche secondo in silenzio, pensando a come avrebbe potuto rendersi presentabile.


“Oh, Al diavolo!” esclamò improvvisamente Heather. Con un gesto rapido della mano si sfilò il top rosso, sotto Al quale teneva solo un Reggiseno di pizzo Nero, e glielo porse.

“Wow, le cose si fanno piccanti” ridacchiò Gwen, ma una sola occhiata da parte di Heather bastò a farla tacere.
“Comunque, quando ho detto che abbiamo un problema, non mi riferivo ai tuoi genitali scoperti” sibilò Heather All’ispanico,
bensì Al fatto che non abbiamo idea di dove siamo finiti. Tu qui sai orientarti?”
“In effetti, no. Non ero mai finito in una della trappole della Grigia, prima d’ora. La prima Regola per raggiungere la Caverna è andare dritto. E poi, non credo che queste trappole siano progettate per fare in modo che chi ci finisce dentro ne esca vivo.”
“Quindi pensi che non ci siano vie d’uscita, a parte la bocca del Pozzo?”
“Una strada ci deve pur essere! Insomma, quei bambini qualcuno dovrà metterceli, qui dentro, no?” intervenne Gwen.
“E se ce li buttassero, qui dentro?”
“Buttassero chi? Non è sola?”

Alejandro si esibì in una sonora risata. “Sola? Ce ne sono a decine che la servivano come me.”

“Vuoi dire che è tipo, una sorta di Regina in questa … ehm … dimensione?” chiese stupida Gwen.
“Ovviamente no.” Disse pungente Heather, “Il Re Nero comanda. Anche Stephanie, a modo suo, era una sua umile schiava.”
“E questo Re Nero … è per caso il padre del Principe Nero?”
“Smettete di nominare sua maestà!” esclamò indispettito Alejandro, abbassando però la voce.
“Che c’è? Chi vuoi che ci senta, quaggiù?”
“Se anche ci sentissero?”
“In quattro parole: finiresti come i neonati.”
“Own.” Gwen storse il naso disgustata.
“Ehm … ragazze, guardate la in fondo!”
Qualche metro più in la, immersa nel buio, s’intravedeva una cavità nella parete rocciosa.
“Quindi che facciamo? Andiamo di la o proviamo a risalire?”
“è impossibile. È troppo Alto, e io non posso reggere nessuna sulle spalle.” Disse Alejandro, accennando Alla sua gamba destra, nella quale era aperta una grossa ferita.
“Oh, Al! Non ti fa male?”
“No, le ferite di questo tipo non sono un problema per noi licantropi. Si rimarginerà da sola a breve, ma per il momento non posso fare sforzi.”
“FANTASTICO!” esclamò seccata Heather. “Allora non ci rimane che infilarci nell’oscurità.”

Non ci furono obiezioni: la gotica e Al la seguirono in silenzio mentre apriva la strada nel buio  quasi totale.




 
 



Bridgette rimase qualche secondo a fissare il punto in cui prima c’era il vampiro, e poi si voltò con un sospiro.

La stanza era imbrattata di sangue, Courtney e Duncan giacevano svenuti a terra in posizioni improbabili, e Ge0ff era accucciato in una angolo, preso dalle convulsioni.

Era sveglio? Poteva vederla? Sentirla?

Si avvicino a lui, con gli occhi lucidi,  i capelli incollati dal sangue sul collo, e un sorriso in volto.

Gli sfiorò la spalla e lo scosse leggermente.

“Geoff … amore … puoi sentirmi?”

All’improvviso il braccio del ragazzo si alzò di scatto e le dita della sua mano cinsero con violenza la gola di Bee, mozzandole il respiro.
 
“Geoff … ma che diavolo fai?!” esclamò cercando di indietreggiare.

Lui non la lasciò andare, anzi, la strinse, se possibile, ancora più forte.

“Tu … tu … tu!” ruggì, sbattendola a terra con violenza.

Bee non riusciva a parlare, il viso le era diventato rosso e gonfio in pochi secondi.

Batté le mani violentemente a terra e cercò di spingere via il biondo con i piedi.

“PUTTANA! STRONZA! LURIDA MIGNOTTA!” le urlò lui, e le sferrò un poderoso pugno sulla mascella.

Bridgette, piuttosto Allenata grazie ai numero consistente di anni di kick boxing fatti da bambina, incassò il colpo spostando velocemente il viso e lasciando che lui le colpisse solo la parte più superficiale della mandibola. Lui alzò di nuovo il braccio per colpirla di nuovo, ma lei fu più svelta e lo colpì Allo stomaco, facendogli mollare la presa sulla gola.

Gli sfilò via dalla braccia tossendo forte, ma fu subito costretta a rialzarsi in piedi.

Lui la caricò con violenza e la colpì Al fianco torcendole un braccio dietro la schiena.
“Geoff! CHE STAI FACENDO!? SONO IO, BRIDGETTE!”
“TROIA!” fu l’unica risposta di lui, mentre le colpiva con un calcio il Retro del ginocchio facendola cadere di nuovo.
“Lasciami andare! Sono io, Bee! La tua ragazza!”
“TU MENTI!” urlò, afferrandola per i capelli e colpendola di nuovo in viso.
La vista della bionda si annebbiò, un po’ per il colpo e un po’ per le lacrime.
“Tu sei colei che mi ha trasformato … colei che mi ha condannato! PAGGHERAI PER QUESTO! TI farò A PEZZI!”
“Ti prego, no!” pregò Bee, giungendo le mani supplichevole. Lui la colpì con un cAlcio in pieno mento, facendola stramazzare ancora sul parquet.
“MUORI! MUORI!” la rialzò per un fianco e le piazzò una raffica di pugni Al fianco destro, mentre lei spruzzava una zampillo di sangue bluastro dalla bocca.
“Lasciami … amore mio … ti prego … ti prego … sono io, Bee … era l’unico … unico .. modo …” balbettava lei, tra un pugno e l’Altro, mangiandosi le parole, la mente annebbiata dal dolore atroce.
 
“HEY, TU! LASCIALA STARE!” esclamò una voce maschile dall’altro capo della stanza.
“Duncan, no!” esclamò Bridgette macerando nel sangue che le colava giù dal mento.
“Che hai detto?!” Geoff lasciò andare il bavero della camicetta azzurra di Bridgette e guardò il punk appena sveglio negli occhi.
“Ho detto di lasciarla stare. Amico, può averti fatto qualsiasi cosa, ma la violenza sulle donne no! Si può risolvere in Altri modi!”
Geoff rimase zitto, a fissarlo con sguardo omicida.
“E poi”, aggiunse Duncan spavaldo, “se la tocchi ancora poi io ti faccio la bua.”
“Duncan, non interferire, ti prego …” biascicò Bee, accucciata a terra a quattro zampe.
“No, Bridgette! Non posso lasciare che ti tratti così!” esclamò il punk, serrando i pugni. “Fatti sotto” disse poi rivolto a Geoff.
Courtney aprì gli occhi in quell’istante.
“Che succ …” non fece in tempo a finire la frase che cacciò un urlo inorridita, Alla vista di Bee coperta di liquido blu e piena di lividi, a terra tremante, e Geoff con le mani chiuse a pugno.
“Che cosa le hai fatto?!” strillò terrorizzata, correndo dalla sua amica.
“Bee … shh … va tutto bene … Bee …” la rassicurò, tenendola stretta.
“SEI UN MOSTRO!” urlò poi rivolta Al surfista, che sorrideva soddisfatto.
“Ridi anche, eh?! Bene, vediamo quanto riderai quando ti spaccherò il naso!” esclamò Duncan balzandogli addosso.
“NO! DUNCAN! NON è COME CREDI! NON PUOI BATTERLO!” urlò Bee, ma era già troppo tardi. Nel giro di un secondo, l’innocente Duncan era steso a terra, piegato in due, con un filo di sangue che usciva dal labbro.

“Dunkino!” esclamò Courtney terrorizzata, parandosi le mani alla bocca.
Sembrò ancora più terrorizzata quando vide che Geoff stava rivolgendo la propria attenzione a lei.

Le si avvicinò e la sollevò per i fianchi, per poi buttarla sul letto.

“Che diavolo fai?!” esclamò lei colpendolo con dei piccoli pugni sulle braccia.
“Quello che ho sempre desiderato … cibo e una bella ragazza … insieme!” bisbigliò lui.

Bridgette emise un suono lamentoso.

“Cos’hai, Bee? Sei gelosa, per caso? SEI GELOSA? Sai una cosa? Ho sempre desiderato Courtney, era da anni che provavo questo desiderio scosceso per lei … è così dannatamente sexy! Ma ora … ora che sono così … diverso … io, la vedo ancora più attraente!”
“Fermo! FERMO, PORCO!” urlava Courtney, mentre Geoff incurante le sfilava maglioncino e leggings per poi lanciarli sul pavimento.

“BRIDGETTE! TI PREGO, FA QUALCOSA!” gemette l’ispanica, mentre il ragazzo le sbottonava la camicia bianco perla.
Bridgette emise un singhiozzo sconsolata. Avrebbe forse potuto trattenerlo per un po’, con la sua forza vampiresca, ma lui era pur sempre un uomo … era pur sempre il suo Geoff … e lei era pur sempre una donna, giovane e ferita.

L’ispanica cercava in tutti i modi possibili di cacciarlo via, ma lui le fu sopra di nuovo e la costrinse sdraiata con le gambe e le braccia.

Le tenne fermi i polsi sul letto e con la bocca scese fino alle sue labbra, baciandole passionalmente mentre lei si dimenava. Ogni volta che le sue labbra entravano in contatto con quelle di Courtney, si voltava a guardare Bridgette, come per vedere la sua reazione, per farla soffrire.

“Sai, sei veramente uno spettacolo.” Disse rimirandola dall’alto, quando ebbe finito di baciarla. “terribilmente sexy … terribilmente. Ma io ho troppa fame per pensarci.”

Courtney, non capì, ma a lui non importava: si chinò sul suo collo e iniziò a sfiorarlo con le labbra, emettendo lunghi sospiri.

“Che delizia, il tuo sangue emana un profumo … ahh … devi essere squisita!” asserì scoprendo i lunghissimi canini.
“Giù le mani dalla mani ragazza!” urlò Duncan, che si era evidentemente ripreso. Gli saltò addosso dalla schiena e tentò di tirarlo giù, ma Geoff si voltò e con un gesto fulmineo lo sbatté di nuovo sul pavimento. Scese da sopra a Courtney e lo colpì tre volte in pieno viso, facendogli schizzare sangue sul pavimento legnoso.
L’ispanica era rimasta in intimo, piegata in due sul letto tra urla di terrore e lacrime.
“Che cosa stai facendo, GEEEOOOFF! Sei impazzito” riuscì a balbettare tra un singhiozzo e l’Altro.
Il biondo colpì ancora una volta Duncan, lasciandolo agonizzante sul pavimento, e risalì sul letto.
“Io e te abbiamo una faccendina in sospeso” disse con un sorriso malizioso. Dopodiché le premette le mani sui seni e fece per affondare i denti nel suo collo abbronzato, Quando Bridgette, in uno scatto vampiresco di velocità, gli fu addosso e lo spinse di lato, giù dal letto.
“Ti sei già ripresa!” ringhiò lui, accecato dall’odio.
“Sì. E stavolta non ho più paura di farti male. Per quanto mi riguarda, puoi farmi tutto quello che vuoi, ma devi tenere quelle luride manacce lontane dalla mia migliore amica.”
“Forse sei solo gelosa!” la provocò lui serrando i pugni.
“Gelosa io? Gelosa di che?! Tu non sei il ragazzo che amo. Sei diventato un mostro.”

Lui le saltò addosso e fece per colpirla al viso, ma Bee fu più rapida e gli affondò i lunghi canini nella spalla, facendogli inarcare la schiena dal dolore. Approfittando della sua distrazione, lo spinse indietro con i piedi e lo colpì con una raffica di pugni sul viso fino a farlo cadere a terra. Fece per sferrargli un calcio nella pancia, ma lui le afferrò il piede e la strascinò giù con se, per poi colpirla con uno schiaffo alla cieca.

I due rimasero per qualche secondo a terra a cercare di farsi quanto più male possibile in un groviglio di gambe e braccia, ma Duncan, testardo, intervenne di nuovo cercando di colpire il vampiro.

Geoff lo afferrò e lo sbatté Al muro più volte per la schiena, mentire le urla selvagge di Courtney invadevano la stanza.
La surfista prese il suo ex ragazzo per le spalle e lo tirò indietro, colpendolo nella schiena con un calcio.
“è tutto qui quello che sai fare?!” la rimbeccò lui spingendola a terra. Le fu di nuovo addosso e cominciò a sbatterle la testa contro il pavimento.
Courtney ebbe un guizzò, afferrò la lampada del comodino e si gettò addosso a Geoff, colpendolo ripetutamente in fronte.
“SOLO QUESTA CI MANCAVA!” ruggì lui. La colpì con un pugno molto forte sulla clavicola, facendola cadere addosso Al punk accasciato sul pavimento.
Bridgette fece per rialzarsi, ma aveva la vista troppo annebbiata e le orecchie che ronzavano … ricadde da sola a terra, perdendo ancora quel liquido blu da una ferita che le si era aperta sulla fronte, e provò a sgusciare via da un lato, ma il ragazzo la afferrò per un piede e la colpì a raffica sula schiena, facendola contorcere come un verme e urlare a squarciagola.
“Sì … sìììì! SOFFRI! SOFFRI, PUTTANA! SOFFRI COME TU MI HAI CONDANNATO ALLA SOFFERENZA ETERNA!” urlò selvaggiamente, continuando a colpirla sempre più forte.
In quel momento la finestra si chiuse con uno scatto e tutto si fece buio e scuro.
Geoff si fermò per un’istante.
“CHI DIAVOLO è!?” urlò All’oscurità.
Un secondo dopo la luca elettrica della lampada a neon illuminò la stanza, e il nuovo arrivato.
Bridgette non riusciva a vederlo molto bene, aveva macchie colorate e spesse negli occhi … tuttavia … era Alto … capelli scuri … aveva qualcosa di familiare ….
“Per Dio.” Fu il suo unico commento, ma ne riconobbe istantaneamente la voce. Era lo strano tizio dagli occhi smeraldo. La vista si fece ancora più appannata.
“Che macello. Quanto odio i neonati … voi vampiri appena trasformati siete esseri veramente riprovevoli. Cielo, se devi fare del male a qualcuno, fallo Almeno con stile.”
“Che CAZZO STAI DICENDO?! E CHI CAZZO SEI TU?!” ruggì Geoff Alzandosi di scatto.
“Sh sh sh sh … non Alziamo i toni. E poi, che bisogno c’è di usare queste parole così volgari? Dopotutto, siamo tra amici.” Ridacchiò l’Altro, avanzando lentamente.
“STAMMI LONTANO, BRUTTO FROCIO!” lo apostrofò Geoff cercando di colpirlo con un pugno.
Trent lo schivò facilmente.
“Ah, proprio non ti decidi ad essere un po’ più garbato? Peccato, mi sembravi simpatico.” Disse, poi schioccò le dita e Geoff stramazzò a terra come un sacco di patate bagnato.
“Tu … osa … ci … ai … qui?” biascicò Bridgette, accecata dal dolore.
“Per qualche strana ragione non riesco a passare. Quell’idiota di Harold mi ha detto che dobbiamo essere Almeno in due … chissà perché, poi?!” disse, più a se stesso che a Bridgette.
“Chi … è … Harold? E per … ché … tu … sei torn … ato?”
“Ah, lascia perdere, non ho ne tempo ne voglia di mettermi a spiegare. Tu devi venire con me.” Disse, sollevandola per un braccio.
“Ah!”
“Oh, giusto … sei ferita.”  Disse, con aria annoiata. Schioccò le dita e Bridgette tornò come nuova, senza nemmeno un graffio.
“Ora spiegami … che diavolo di creatura sei tu?”
“Sono un Nobile … un vampiro, che è anche un mago.”
“Cioè … tu puoi … guarire le ferite?”
“Sì, qualsiasi ferita. Certo, non posso fare resuscitare. Ma se sei a un passo dalla morte, posso salvarti.”
“Che grandissima figata! Come si fa a diventare Nobili?”
“Pff, ma per favore!” esclamò lui indispettito “Nobili si nasce.”
“Nobili si nasce” gli fece il verso lei, storcendo la bocca.
“Ah, a proposito … il tuo amichetto sovraeccitato si risveglierà tra poco … probabilmente più incazzato di prima.”
“CHE COSA?! Ma li farà a pezzi!” gemette Bee indicando Duncan e Courtney.
“Non è qualcosa di cui m’importi.”
“E Allora perché mi hai detto che si sveglierà?!”
Lui sorrise. “Così, mi sembrava carino fartelo sapere.”
“E non puoi tipo … che so … smaterializzare lui da un’Altra parte?”
“Non ho tutti i poteri di questo mondo, sai? La smaterializzazione di qualcun’altro è l’incantesimo in assoluto più impegnativo e lungo da effettuare …occorrono formule particolari … e io non ho tempo! A quest’ora Gwen potrebbe già essere nei guai!”
“Che razza di … okay, senti. Non possiamo portarli con noi, ovunque stiamo andando?!”
“Ma che problemi hai?! Stiamo andando in una dimensione Grigia, non nel parco comunale dove far pisciare i cani.”
“Beh, perdonami il francesismo, ma vaffanculo. Questo coso li farà a pezzi appena finirà il suo sonnellino ristoratore!”
“Tel’ho già detto … non me ne importa niente!”
“Ma a Gwen sì!”
Trent si voltò di scatto.
“Voglio dire, Alla tua Principessa sì. Lei li adora. E se a loro verrà fatto del male … beh, sappi che lei di odierà per, diciamo … l’eternità.”
Il ragazzo soppesò quanto appena appreso.
“Non può odiarmi! Io sono il suo promesso sposo! DEVE amarmi!”
“Beh, invece non ti amerà affatto, se la privi delle due cose a cui tiene di più.”
“Beh, forse se gliele tolgo avrà più possibilità di concentrarsi su di me.”
“Fa come vuoi” borbottò lei scrollando le spalle, “Se è un rischio che ti senti di correre. Poi però non dirmi che non ti avevo avvertita.”
Trent sbuffò rumorosamente.
“Oh, d’accordo! Ma sappi che nel posto in cui siamo andando, hanno molte più possibilità di morire.”
“Ma c’è anche la possibilità che sopravvivano” sorrise Bee, “E con lui no.” Aggiunse acida, Alludendo a Geoff.
“Come vuoi … tanto, se muoiono non me ne importa nulla.”
“Aspetta un secondo … ma non è proibito per v … noi, entrare in contatto con gli umani? Stephanie voleva punire me e Gwen per questo!”
“Tanto Stephanie è morta.”
“Okay, ma ci sarà pure qualcuno Al di sopra di lei …”
“Nel posto in cui stiamo andando, no. Stephanie era sì una venditrice, ma anche la Maga Grigia, la persona più potente del settore Grigio, per l’appunto.”
“Oh. Perché, ci sono Altri settori?”
Trent si lasciò sfuggire una risatina. “Un giorno o l’Altro ti dovrò spiegare un paio di cosette. Ma solo perché sei molto carina.” Disse con voce suadente.
“Ma nessuno controlla i settori?!” insistette lei.
“No! Ti dico di no! Ognuno si gestisce il suo settore! E poi, io ho un posto molto di rilievo dall’altra parte, quindi … beh, diciamo che se due umani vengono a contatto con la nostra Realtà per mano mia, ci si può chiudere un occhio.” “Purché muoiano, dopo” aggiunse tra sé e sé senza parlare.
“Okay. Un’ultima domanda. I nostri genitori … umani … gli amici … insomma, i conoscenti di Duncan, Courtney e me?”
Lui sorrise di nuovo, schioccò le dita e al centro della stanza comparve un’enorme squarcio incolore, che dava su una specie di sostanza viscida trasparente. “Dimenticali.” Disse.
Prese Duncan e Courtney uno per un braccio e uno per l’altro, come se pesassero pochi grammi, e li fece sparire nel buco in una frazione di secondo. Entrambi sparirono senza emettere suono.
Si voltò, tese la mano Alla bionda, sorrise e sussurrò: “Prima le signore.”
 
 

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