Volo verso il sole

di kanagawa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Occhi di onice ***
Capitolo 2: *** Secondo incontro ***
Capitolo 3: *** Campionato nazionale ***
Capitolo 4: *** Summer time ***
Capitolo 5: *** Colpa della notte ***
Capitolo 6: *** Confessione ***
Capitolo 7: *** Kyomi ***
Capitolo 8: *** Presagi ***
Capitolo 9: *** Akira Sendoh ***
Capitolo 10: *** Equilibrio ***
Capitolo 11: *** Tempesta, prevaricazione ***
Capitolo 12: *** Visioni ***
Capitolo 13: *** Il supplizio del tempo - Epilogo ***



Capitolo 1
*** Occhi di onice ***


La prima volta che Kyomi notò Fujima Kenji fu durante una lezione di ginnastica all’ aperto. Seguendo la scia di grida stridule delle ragazze dell’istituto, Kyomi focalizzò l’origine di tanta confusione: tra le spalle di alcuni alunni possenti del campetto accanto c’era un ragazzo che palleggiava in modo frenetico. Kyomi non si intendeva di basket, ma rimase, con suo stesso sconcerto, ipnotizzata dal gioco di quelle mani abili: le dita scivolavano sulla superficie della palla disegnando curve sinuose, il salto che spiccò prima del canestro lo poteva compiere solo un aquila che planava nei cieli autunnali, compì quel lancio con una tale leggerezza, quasi incurante, che lo stupore per la perfezione dell’esito tradì le aspettative. Un boato. Un’onda esultante. E in mezzo, gli occhi spalancati di Kyomi che si chiedeva chi fosse quel ragazzo.

Kenji Fujima. Primo anno, matricola della squadra di basket dell’istituto superiore Shoyo, prefettura di Kanagawa. Entrò nella rosa dei titolari già al suo debutto. Quella che era una formazione mediocre, divenne in poco tempo una delle favorite della categoria delle scuole superiori. La fortuna di Fujima cominciò quando un giornalista lo notò in un banale amichevole contro la classe A delle squadre giovanili, il liceo Kainan. Fujima si scontrò per la prima volta contro quello che sarebbe stato, negli anni avvenire, il suo rivale e ossessione numero uno: Shinichi Maki. Mentre il giornalista in visita, colpito dall’eccezionale carisma di entrambi, scrisse un articolo che li presentò come le stelle nascenti del basket giovanile giapponese. Acerrimi nemici e fascino opposto, Fujima Kenji il limpido giorno e Maki Shinichi l’oscura notte, entrambi eccezionalmente giovani ed entrambi acerbi fuoriclasse.
Queste furono le informazioni che Kyomi apprese dalla sua migliore amica, Mikagi, appassionata di basket e sua confidente fin dalle elementari. Ma il pensiero su Fujima era solo la caduta di una ciglia e presto lei se ne dimenticò.

Secondo l’opinione delle persone che la conoscevano, Kyomi Kanako non era adatta per le relazioni amorose. Data la sua natura fredda e riservata, il pensiero per i ragazzi era osteggiato da lei tanto quanto la mediocrità di alcuni coetanei, il disordine del suo armadietto a scuola e la mensa affollata. Nessuno dei ragazzi, e il numero non era esiguo, che l’avevano corteggiata era mai entrato nelle sue grazie.
Kyomi era bella. Di una rigida bellezza statuaria. 175 di altezza e altri 60 cm di capelli lisci corvini, straordinariamente ordinati anche in una giornata di vento. Occhi severi di un nero onice, impenetrabili. La pelle, dalle sfumature che ci si poteva aspettare da una statua di marmo neoclassica; senza sfiorare la perfezione.
Eccetto le mancanze in campo affettivo, la sua Carriera scolastica era impeccabile. Come Fujima, realizzò il suo primato già da matricola: ottimi voti e condotta divina, venne eletta presidente incaricato del consiglio scolastico al primo anno; in parte per fortunate circostanze, ma soprattutto per doti fuori dal comune riconosciute dall’intero istituto. Per tutti, Kyomi Kanako era una soglia invalicabile.
Nessuna rivalità. Kyomi mantenne la linea piatta nel proprio grafico di valutazione per 2 anni. Stirata in lungo come una striscia di carta velina, manteneva quella posizione di precario equilibrio con portamento impeccabile, realizzando nell’apparenza un’immagine d’immobilità di se stessa difficile da riscontrare nella vita quotidiana.

Fu in quel periodo. In uno dei indefiniti giorni in cui affogava ogni pensiero nelle mansioni del comitato studentesco, senza prefigurazione, l’immagine del giocatore di basket le balenò di nuovo in mente.
Un mese dopo l’inizio dell’anno scolastico, era il momento della raccolta di dati sui materiali didattici e sportivi scolastici, per un regolare aggiornamento dei bisogni. Per qualche motivo, Kyomi lasciò il club di basket per ultimo. Una trascurabile dimenticanza che si trasformò in una catastrofe nelle dimensioni valutative del presidente. Successe che, dopo aver vinto in modo spettacolare e per la prima volta l’accesso agli inter-high, la squadra di pallacanestro dello Shoyo, acquistò una fama tale che neppure il preside della scuola stessa poté più ignorarla: il club sportivo più importante e l’indiscutibile capitano, nel frattempo divenuto allenatore, Fujima Kenji.

Kyomi percorse i corridoi con passo discreto e un certo nervosismo. I documenti per la revisione e la cartella in mano. In questo breve periodo, non le mancarono di certo occasioni di conoscere le prodezze di Fujima, sentendo sempre più spesso il suo nome riecheggiare nell’istituto, era inevitabile prima o poi un confronto diretto tra i due. Kyomi si chiese che tipo di persona fosse in realtà ed effettivamente, l’immagine di splendore che aveva di lui quel giorno nel campo sportivo, cominciava già a sbiadire.
Prese a leggere le etichette sulle porte dell’ala sportiva della scuola in cerca del club di basket. E davanti all’ultima stanza si fermò e spinse a lato la porta scorrevole. Uno spogliatoio, naturalmente. “Che stupida, come mai non ci ho pensato, devono essere in palestra!” meditò davanti alla fila di armadietti e le panchine vuote ……. Un tipetto bruno uscì dalla doccia adiacente, sorprendendo Kyomi, portando addosso giusto i pantaloncini sportivi. Gocciolava ancora, di sudore o di acqua potabile. Di istinto, la ragazza chiuse la porta.
Ma l’ingresso dello spogliatoio non aspettò ad aprirsi di nuovo. Fujima, occhi blu scuro o grigi di riflessi, dietro alla frangia bagnata, le apparve quasi alla stessa altezza, 3 cm di distacco tra l’espressione interrogativo di lui e l’evidente rossore pungente di lei.
-Oh, Kyomi Kanako, presidente del consiglio studentesco, dico bene?- esordì Fujima.
-Precisamente.- Colse la sfida in un lampo, lei, riprendendo il controllo. –Credevo di aver sbagliato posto.-
-Cerchi qualcuno della squadra?- Disse invitandola a entrare. Kyomi non si fece pregare. –No, sono qui in veste ufficiale per il resoconto sul materiale sportivo del club di basket.- Gli porse i relativi documenti, e si sedette.
-Mi hanno avvisato che sarebbe passato qualcuno del comitato, ma non speravo che venisse il presidente in persona … - Fece Fujima sovrappensiero mentre leggeva sommariamente le direttive e la lista da compilare. -Ho ritenuto più appropriato venire di persona, prima o poi ci dovevamo presentare, dopotutto sei l’allenatore della nostra squadra di basket.- Kyomi misurava la situazione sapientemente, senza fretta.
Allora Fujima sorrise, complice e splendente, e le porse la mano. –piacere di conoscerti, sono Kenji Fujima, sono allenatore e giocatore della mia squadra, rivolgiti pure a me per qualsiasi domanda attinente al nostro club. – Rispose da manuale, nessuna sbavatura. Ma la sfumatura ironica diede un enorme fastidio a Kyomi. Famoso, anche egli, per la sua compostezza, non poteva regalare noie più imprevedibili di queste.
Kyomi prese quella mano. Era piuttosto innocua, ma le colpì la grandezza del palmo e il calore febbrile post allenamenti e doccia. Una stretta solida che non mancava di forza calibrata. –Piacere mio.-
-Perdonami,- riprese lui, un’uscita imprevista, e continuò. –Sono stato scortese. Ma anch’io pensavo che ti avrei conosciuto in uno di questi giorni. Ho sentito ottime impressioni di te. - Andò verso un armadietto e da lì prese due lattine di bibite e gliene offrì una. Tornando alle panchine, le si sedette di fronte. E purtroppo, ancora ostinatamente (e incurantemente) nudo di petto. Kyomi sorseggiò titubante la sua bevanda. –Allora, Fujima, sarà meglio cominciare … dimmi innanzitutto se avete già pensato a qualche richiesta sui materiali.- Appoggiò accanto la lattina e si mise pronta a prendere appunti.
Il capitano scosse la testa pensieroso.-No, al momento non saprei farti un resoconto completo del materiale a nostra disposizione. Per valutare le eventuali mancanze è meglio fare un sopraluogo. Cosa ne pensi, sempai?-
Kyomi era stupita da quella veloce valutazione. La fama dell’allenatore-stratega non tardava a presentarsi neanche nelle pratiche amministrative. –Bene, ottimo suggerimento! – Con uno scatto di approvazione, kyomi levò la testa, gli fece un sorriso, ma si ritrovò davanti nuovamente le parziali nudità di Kenji Fujima. Si chiese se non lo stesse facendo apposta a metterla a disagio. Dovette proseguire imperterrita. – D’accordo, quindi … ora procederei con la lettura del nuovo statuto dei club sportivi, poi devi firmare in fondo … qui sotto …. – Mise il foglio in mezzo, nel visuale di entrambi e si schiarì la voce.
Mentre lei procedeva con la lettura in burocratese, Fujima seguiva con lo sguardo le frasi sul foglio. Finita la presentazione ufficiosa del documento, Kyomi riprese la bibita in procinto al secondo sorso, quando il suo uditore le appoggiò la mano sulla lattina, forse per rileggere una parola sfuggita. La bevanda si rovesciò e il suo contenuto giallo non poté che atterrare tutto sulla gonna e le scarpe della ragazza.
Danno clamoroso! Fujima sbiancò. Errare non era umano per lui.
Si scusò goffamente. Mentre Kyomi era senza parole: più che la scivolata di mano del capitano, era sconvolta dalla posizione che aveva assunto nel tentativo di soccorrerla. Fujima si mise in ginocchio davanti a lei, con aria quasi supplichevole, asciugava con uno straccio un po’ il pavimento e un po’ le scarpe della sventurata visitatrice. –Mi dispiace, ho sempre un comportamento dannoso dopo un allenamento molto intenso. Non so come scusarmi, sempai kyomi … - Disse e contemporaneamente, sollevò la testa, restringendo il suo campo visivo al solo viso delicato contornato dai capelli neri di lei. Stavolta, fu Kyomi a sbiancare. Superata la semi nudità, questo contatto visivo ravvicinato era oltre la sua capacità di autocontrollo.
Disdicevole, senza ritegno, inammissibile capitano Fujima.
Si alzò di scatto e prese la cartella, viso color amaranto, riuscì solo a dire- continueremo la prossima volta, capitano Fujima. Con permesso.- Tre passi e uscì in fretta dallo spogliatoio, corse via veloce sperando che un po’ di vento potesse attenuare il rossore e asciugare la gonna della divisa.


-Fatti coraggio, poteva andarti peggio.- Parole di mera consolazione di un’amica. Mikagi del resto, come unica superstite delle uscite infelici di Kyomi, non era mai riuscita a comprendere del tutto le ragioni dei suoi vari stati di depressione. Sono state amiche fin dalle elementari. Ai tempi, Kyomi era ancora più truce d’animo di ora, una bambina di 7 anni considerata “violenta e inadattabile” di condotta nella pagella. Mikagi si ricordava ancora di quando fece una rissa con un bambino più grande che la prendeva in giro e da allora nessuno osò più avvicinarsi a lei. Divennero amiche al’improvviso tre anni dopo suscitando lo stupore generale.
-E dimmi, come l’hai trovato, Fujima Kenji allo stato naturale?- le disse maliziosa Mikagi. Kyomi sprofondò nella desolazione della propria vergogna. Maligna ragazza riccia.
-Ti prego, dimmi che dimenticherai per sempre questo episodio e che non ne riparleremo mai più. Sono già mortificata di mio!- Alla richiesta, Mikagi sorrise e la confortò dicendo – Ma certo, e poi ti devi risollevare per forza, dato che non hai concluso la quantificazione del materiale nel suo club. - Un altro punto dolente. Mikagi faceva parte del comitato studentesco e si occupava di contabilità, e continuò seria la frase– La consegna delle liste è fissata per domani, manca solo il club di basket-

Con spirito di sacrificio, il presidente si recò (stavolta per precauzione) in palestra.
Ore 17:50, nel pieno di una partita tra i membri della squadra, una confusione fatta di passi veloci, stoppate stridule di arresto, palleggi e grida. In particolare la voce di Fujima sovrastava l’ampio spazio tra un canestro e l’altro. Varcata la soglia del portone, Kyomi non poté non notare la velocità con cui si muoveva il capitano, la sua agilità probabilmente era una necessità, poiché il gioco era orchestrato da lui stesso; come se fosse allo stesso tempo assente dal campo, Fujima volava tra un giocatore e l’altro per arrivare di soppiatto sotto canestro, ma puntualmente non tirava, l’ultimo passaggio era destinato a un compagno, quasi sempre a un ragazzo con gli occhiali, eccezionalmente alto e in perfetta sintonia coi movimenti del suo capitano. Una manovra magistrale. Fujima esultò -canestro!- di una felicità ancora incompresa da kyomi.
Dall’altra parte stavano già gridando alla montatura nera Hanagata di tornare in difesa, quando Fujima con la coda dell’occhio si accorse della presenza di Kyomi. Ancora bella, capelli straordinariamente lunghi e ancora rigidamente composta nella posa e nello sguardo.
Il capitano fermò la partita con un gesto della mano che decretava autorità. Si sentì qualcuno gridare -tempo! – Nonostante il volgare episodio iniziale, kyomi, che guardando il capitano della squadra avvicinarsi di corsa, poteva solo identificarvi la parola “fascino”.
Fujima possedeva un tipo di compostezza differente dalla sua. In lui, allo stesso tempo della bonaccia, si agitava qualcosa dentro. Un fremito di fiamma. Una tempesta che poteva liberarsi solo su consapevole ed esplicito invito. Un teatro delle crudeltà e delle abluzioni, questo era il suo campo di basket. E l’esaltazione che ne traeva era il solo trono ambito. Fujima era un’essenza di libertà dispiegata. Forse kyomi stava cominciando a comprendere.
-buongiorno capitano.- Neanche aspettò la seconda battuta, Fujima si arrestò davanti al presidente e si esibì in un profondo inchino. – volevo porgerle le mie scuse per l’altro giorno.- La fila degli spilungoni 190 cm al riposo sbirciava ma non osava avvicinarsi, la curiosità per quel gesto inconsueto poteva trasformarsi in qualcosa di peggio: la furia gelida dell’allenatore.
Kyomi rimase sorpresa, ma impassibile disse, -Forse sarebbe meglio se ci togliessimo dalla visuale dei tuoi ragazzi.- Fujima non obiettò. Chiusero parzialmente il portone. A Fujima passò presto il fiatone e allo stesso ritmo di respiro di kyomi chiese se era venuta per la questione lasciata in sospesa l’altro giorno. –Mi spiace disturbarti durante gli allenamenti, se preferisci torno qui domattina.- Disse pacata. Fujima ci pensò su un attimo e concluse che non era il caso di interrompere la partita. –Queste partite simulate sono importanti per noi, sono costretto ad accettare la tua proposta, presidente.-
Si diedero appuntamento la mattina successiva in palestra. Fujima tornò dai giocatori e in pochi secondi si sentì il fischio di ripresa. Kyomi dal canto suo, tirò un sospiro di sollievo. L’ansia e l’imbarazzo volarono via, al loro posto rimase impresso a fuoco nella sua mente l’immagine del volo spiccato da Kenji Fujima.

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Capitolo 2
*** Secondo incontro ***


Un sentore di bruciato che mescolava la terra bruna roso al sole e la paglia lasciata nei campi. Al di là dell’orizzonte, stava ancora in piedi dorato il prossimo raccolto. Un cigolio sulla via stretta, i ciottoli sotto i piedi e le lucertole all’ombra, passò un ragazzo in bicicletta. Camicia bianca, maniche arrotolate, si scostò il capello da cui emerse un viso familiare … eppure sfuggiva tra i raggi del sole. Uno splendore unico.

Lui disse: “… Kana”

Kyomi si sveglio di soppiatto. Un incubo recente.
Diligente e subdolo, compariva nelle notti: fu una delle prime volte che sognò Fujima.



Kyomi si sistemò in fretta e uscì di casa con il cielo che si schiariva dal cobalto al verde acqua. Prese la bicicletta e andò per le strade semi-deserte. Questa era la sua routine, sarebbe arrivata a scuola con un’ora di anticipo, perciò non si preoccupò affatto di poter far attendere Fujima. L’aria fresca appena emessa dal ciclo clorofilliana, la differente prospettiva di una strada larga e vuota, e l’atrio inanimato spaziato solo da file di armadietti: unici momenti pacati che in lei sfioravano l’adorazione. Un mondo senza il peso della carne mobile e delle inevitabili contraddittorie relazioni.
Oggi si doveva compiere però una piccola deviazione. Ma la palestra che l’attendeva non era immersa nel silenzio prefigurato. C’era un palleggiare insistente, i botti del canestro … Non le era mai capitato di incontrare qualcuno a scuola che fosse mattiniero quanto lei. Ma c’era da aspettarselo, era Fujima.
-scusa se ti ho costretto a scendere dal letto tanto presto.- Fece lei dopo aver dato due colpetti di battenti.
Fujima le andò incontro sorridendo. –buongiorno, sempai kyomi!- Si levò la frangia dalla fronte sudata. –non è stato un problema per me. Vengo sempre a quest’ora ad allenarmi.- In realtà, nei giorni ordinari obbligava tutta la squadra a un allenamento mattutino che lui definiva “un po’ di riscaldamento” e alla pigrizia non veniva perdonata neanche una virgola, ma questo gli assenteisti lo sapevano bene. -di solito ci sono anche i miei ragazzi, ma ho concesso loro una mattina libera. Sai, l’altro ieri abbiamo affrontato un incontro difficile.- Meglio tenerli tutti interi gli atleti fino al prossimo inter-high, confermò kyomi, che provò una sincera ammirazione per il suo impegno senza tregua.
Il capitano le fece fare un giro guidato della palestra. Kyomi annotava e soppesava i suggerimenti di Fujima, insistendo sul fatto che gli atleti non si dovevano pulire con gli stessi panni con cui si lucidavano le palle da basket, attrezzature da manutenzione ordinaria scarsa e logora, un globo di illuminazione pericolante ... Spogliatoio: nessun danno, a parte l’anta inclinata, e per qualche ragione concava, di un armadietto. – ecco, non è stato un atto intenzionale. Ma è stato provocato da Hanagata l’anno scorso …. – Disse imbarazzato Fujima. A kyomi si accese una lampadina. – parli di quella storia … di quando un vostro giocatore ha dato una testata a un armadio in preda all’ira? – Il capitano arrossì. La montatura nera di Hanagata era un segno ingannevole di pacatezza, dopo aver perso la famosa partita alle eliminatorie contro il Kainan sembrava ancora un uomo tutto d’un pezzo, ma il giorno dopo scoppiò durante gli allenamenti lasciando alcuni frammenti del cranio frontale sul suo armadietto a circa l’altezza di un metro e 92, poco più sotto della cima. – in verità, ci furono un paio di testate in più. Però, sì, e la notizia è uscita presto dall’ala sportiva. – Aggiunse lui. – però ti assicuro che di solito è una persona estremamente corretta! –
-Dimmi, Hanagata è forse quello con gli occhiali?- Lui confermò la domanda. Con grande meraviglia di Fujima, lei disse così: lui si muove come la tua ombra sul campo, avete una sincronia perfetta. Azzarderei a dire che il vostro è un vero legame.
-Non sbagli, kyomi.- Con questa frase, la mise a fuoco dettagliatamente: gli occhi con cui aveva osservato la complicità velata tra lui e il suo vice, che colore avevano? Il termine “nero” offendeva inevitabilmente quella profondità imperscrutabile. Erano come un orizzonte degli eventi ristretti in due piccoli universi. Paralleli, inviolabili.

Erano ancora immersi in quel confronto silenzioso, quando la porta si aprì all’improvviso. Giocatori diligenti si presentarono all’entrata, un po’ stupiti dalla scena: l’allenatore Fujima e il presidente del consiglio studentesco kyomi kanako uno di fronte all’altra, entrambi sorpresi da quell’inaspettata intrusione. “Beccati in flagrante” pensò uno di loro. “Il nostro capitano e l’iceberg?” convenne l’altro. –Buongiorno, presidente!- fece ad alta voce il terzo. La disciplina non mancava tra gli esercizi d’allenamento al club di basket dello Shoyo. -È ora di congedarmi, grazie per il tuo tempo.- gli fece un inchino kyomi, e ignorando completamente gli altri spilungoni, se ne andò.


-Decisamente beccati in flagranti.- Affermò sicura Mikagi sulla via del ritorno. Ma kyomi accanto a lei non si scompose, disse in tutta tranquillità: se osano spargere voci strane sul conto del loro capitano, sanno già cosa gli spetta. Mikagi si voltò scompigliando i ricci. –perché? Dici che Fujima è un tiranno come allenatore?- Da quel poco di allenamento a cui kyomi aveva assistito, non poteva dedurre una conclusione certa, ma di una cosa era sicura e la espose con grande convinzione. –no, credo che sia il suo carisma a tenere i suoi compagni (tutti più alti di lui) sotto controllo. Ha un magnetismo e un autocontrollo impeccabile.-
Gli occhi sbarrati. Le venne in mente l’immagine dell’amica che teneva il muso agli insegnanti e sfidava i compagni più grandi, quella desolazione gelida che era una bambina di 7 anni. Che ora quella lastra di ghiaccio stesse per sciogliersi? Che la tundra stesse per accogliere nuovi mammiferi e nuovi calori?
-Ma ornitologicamente parlando, lui è spietato come un aquila sul campo.- Questo Mikagi sapeva già. Non le era sfuggita nemmeno una partita dello Shoyo. Dopo l’entrata in squadra di un soggetto straordinario come il presente capitano, il ritmo del gioco cambiò da un giorno all’altro. Era difficile non notarne l’effetto. Lo Shoyo che selezionava esclusivamente atleti sopra il metro e 90, reclutò uno relativamente basso da una scuola media sconosciuta. 178 cm, le doti ben al di sopra dell’altezza, un leader naturale. Con l’incredulità di tutti gli anziani della squadra, Fujima si rivelò come la punta di un diamante grezzo capace di perfezionarsi da solo e brillare nei meandri più bui.
-Sei mai stata a una partita ufficiale?- le chiese Mikagi. –tu lo hai sempre visto giocare a scuola, ma non puoi immaginare come si trasforma in un incontro vero!- L’anno scorso Mikagi era stata a Hiroshima per vedere gli inter-high, e da vera appassionata di basket si convinse che la formazione del loro istituto era finalmente degna della sua attenzione. Purtroppo non vinsero. L’esperienza non fu sufficiente a Fujima per riuscire a calibrare il doppio ruolo di giocatore-allenatore. –Sai, al suo primo debutto alle eliminatorie della nostra prefettura venne annoverato tra i best five. Ma ci pensi? Una matricola! E ti parlo di quello che è successo un anno fa, scommetto che questa volta invece riuscirà ad arrivare molto più lontano.-
Si sentivano sempre raccontare cose straordinarie sul conto di Kenji Fujima. Kyomi le aveva sempre ascoltate con un certo distacco, scambiando quelle battute entusiastiche per schizzi di isteria femminile. Ai suoi occhi, il viso luminoso e le performance scolastiche di quella matricola erano solo i fattori fuorvianti del solito idolo passeggero. Ma più lo conosceva, più si rendeva conto della prematura capitolazione di quel giudizio. Sul piano logico, Fujima non aveva nulla che Kyomi non avesse, gli stessi sintomi della perfezione formale. C’era un'unica cosa che lei non possedeva, un unico punto che segnava uno distacco quasi insormontabile: la pallacanestro. Non il gioco in sé, naturalmente, ma un terreno libero dominato esclusivamente dal suo pensiero che poteva essere elevato all’estremo grado di estasi. Il corpo come mezzo di elevazione. E qualunque mortale poteva osservare quello spettacolo e goderne esaltato, ma la chiave era posseduto unicamente da Fujima Kenji.

Kyomi ammise una sconfitta inevitabile e si chiese se non fosse invidia ciò che provava per Fujima. Tenne per se questi pensieri, la sua amica non sarebbe riuscita a comprendere il suo turbamento. E consapevole della sua solitudine, lasciò cadere la presa.

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Capitolo 3
*** Campionato nazionale ***


Passarono dei mesi e Kyomi non cercò più Fujima. Non ne aveva di motivi ufficiali e non volle proseguire la sua indagine caratteriale. L’interesse che aveva destato in lei non era irrilevante, ma a maggior ragione, lei decise di tenersi a distanza da quelle contorsioni cerebrali.
Tra un impegno e l’altro, la noia cavalcano i giorni accanto alla banalità.
Ma presto venne l’afosa estate. Il Kanagawa risuonava di cicale e ronzio dei ventilatori. A Kyomi venne proposto un viaggio nell’altrettanto afosa Hiroshima. Lo Shoyo vinse anche quest’anno l’ingresso ai campionati inter-scolastici, con una mostruosa preparazione dell’allenatore e una giusta aggressività di gioco del capitano. Mikagi, che dalla partita disputata e persa nuovamente contro il nemico Kainan, aveva giurato eterno odio verso i suoi membri, decise di entrare nel gruppo della tifoseria della scuola. Una vendetta personale, disse lei.
Obbligò la sua amica Kyomi ad accompagnarla, come” figura responsabile per un viaggio sicuro” impostole dai timorosi genitori. Le diede conferma di malavoglia, a patto che potesse andarsene dove voleva mentre la neotifosa andava al palazzetto. Di certo, Fujima era ancora una fastidiosa incognita per lei.
-Senti, Kanako, visto che arriveremo verso il pomeriggio, ti và poi di andare a salutare i giocatori stasera?- Sì, sapeva addirittura in quale albergo alloggiavano. Disgustata dall’idea, kyomi voltò la faccia verso il finestrino.
Il treno sfrecciava attraverso le campagne giapponesi. A ogni fermata Mikagi era sempre più euforica e kyomi, colta da un improvviso stato di ansia, sprofondò nella poltrona. La sua amica la guardò preoccupata, quasi in colpa. Provò a risollevarla in modo riluttante.
–A parte la tua antipatia nei suoi confronti, non puoi ignorare il fatto che sia un giocatore incredibile.- Sapeva di accusa, il sapore di una provocazione. Kyomi riprese a respirare. Una semplice antipatia l’avrebbe fatta apprezzare di più Fujima.
-Lo so. –  
Mikagi tirò un sospiro di sollievo.
30 km la separavano ora da Hiroshima e dall’inevitabile incontro con quel Fujima.

La puntualità e la precisione giunsero alla stazione terminale alle 17:30. Taxi, check-in, e doccia veloce. Dopo cena, fecero una passeggiata attendendo il momento di avviarsi verso la pensione dove alloggiavano i ragazzi dello Shoyo (ebbene sì, sapeva pure gli orari dei loro spostamenti).
Era buio già da un pezzo, le ragazze fecero una strada in leggera salita, Mikagi col fiatone e kyomi con la voglia di tornare indietro. L’albergo era in cima alla salita. Scorsero un’insegna luminosa, e in controluce, un gruppo di persone piuttosto animato. Le teste di alcuni di loro si ergevano fra tutti: erano tornati in anticipo.
Purtroppo, in un attimo, seppero la ragione di tanta allegria davanti all’ingresso dell’albergo: intorno a loro c’era una decina di ragazze che ambivano gli autografi e i ritratti fotografici. Il loro cinguettio era insopportabile. Ma non erano venute per fare i loro complimenti alla squadra, gli unici soggetti interessati erano Fujima e in una certa misura anche il suo amico Hanagata, e tutti gli altri furono imprigionati nella calca, loro malgrado.
-Accidenti, neanche fossero dei giornalisti, che oche … Ma di che scuola sono??- Tuonò sottovoce Mikagi con i ricci arruffati. Si arrestarono e rimasero a debita distanza.
Kyomi sospirò. –Che vergogna. – Il vento leggero le soffiava sulla fronte e i capelli lucenti si lasciarono scompigliare nella notte, un’oscurità che rifletteva se stessa.
Vide Fujima intento ad accontentare quelle studentesse invasate, una piega fredda si disegnava sul suo viso pallido: un sorriso diplomatico. Democraticamente, mise la sua firma sui fogli di tutte quante, ma lasciò l’onore degli scatti ad Hanagata: lui viene meglio in foto, disse galante.
Fatto il pieno di idiozie altrui, furono soddisfate di tornarsene in albergo. Kyomi trascinò via una Mikagi non del tutto convinta.

La notte passò presto portandosi via i suoi vari ridicoli agghindamenti. Neanche Mikagi aveva mai visto così tanti raccoglimenti ardenti intorno alla squadra e al suo capitano. La fama di Kenji Fujima si doveva essere diffusa a livello nazionale, tra riviste di basket giovanile e quelle su teenager aitanti delle scuole superiori. Ma Mikagi sperò solo che questo episodio non avesse ulteriormente guastato l’immagine di Fujima agli occhi della sua migliore amica. La convinse a venire a dare un’occhiata alla partita di oggi, particolarmente difficile e impegnativa, promettendole che sarebbero state lontane dalle file dei tifosi.

Toyotama, prefettura di Osaka. Sempre tra i primi 8 posti della classifica, il loro gioco veloce aveva sempre messo in difficoltà la resistenza dei rivali ma non li permise mai di arrivare più in alto di così. I giocatori erano famosi per l’assenza di peli sulla lingua alquanto lunga e pungente. Fujima li aveva studiati bene il giorno prima, comprese la pericolosità della velocità con cui conducevano il gioco asfissiando gli avversari, ma ne dedusse anche il punto debole.
Mentre negli spogliatoi si lavorava ancora i suoi giocatori, ripassando le strategie e le marcature prefissate, una sensazione di minaccia gli galleggiava nella mente per un particolare giocatore: il capitano avversario Minami, che aveva condotto delle manovre “inconsuete” nell’ultimo incontro. I suoi giocatori non correvano rischi, la loro altezza sarebbe stata sia un notevole ostacolo per il run&gun che un’armatura perfetta contro gli attacchi sottomano di Minami, che però, avrebbe preso certamente di mira lui, unico giocatore al di sotto dei 190, colpendo il cuore della squadra.
Senza ulteriori indugi fece uscire la squadra per il riscaldamento.

Le ragazze giunsero al palazzetto a partita iniziata. Si misero nel punto più alto delle tribune. In basso, Mikagi individuò la tifoseria dello Shoyo e diresse lo sguardo di kyomi con un dito: un blocco di circa 80 persone che occupavano ¼ dei posti, una maglietta verde-bianca era la loro divisa, e bottiglie di plastica vuote come strumenti di incitamento oltre la loro voce all’unisono. Questa era la terrificante e compatta squadra dei sostenitori dello Shoyo. Un esibizionismo plateale. I decibel che producevano inabissavano qualunque tentativo d’imitazione, ma anche le voci sul campo.
Oltre la confusione, nel punto di attenzione rettangolare, la divisa verde dello Shoyo contrastava con quella bianca del Toyotama.
Kyomi li scrutò per 5 minuti tentando di riconoscere i volti dei vari giocatori della sua scuola, erano dei punti in continuo movimento, lontani e sfuggenti. Alla fine si arrese e si rivolse all’amica. –Ho visto bene Hanagata e quell’altro con i capelli dritti in su … Ma non riesco a capire quale sia Fujima, anzi, sembra che non ci sia proprio!- Mikagi le assicurò dicendo che di solito Fujima ricopre il ruolo del coach all’inizio partita e le fece notare qualcuno seduto sulle panchine.
Braccia incrociate e gambe divaricate, con la giacca della squadra sulle spalle, seduto come su un trono, era proprio lui: Kenji Fujima.
Lo sguardo dritto davanti per seguire da lontano ogni movimento dei punti messi in campo. Stava testando e valutando le sue strategie nell’applicazione diretta. Espressione stranamente serena, nessuna distrazione, nessuna vaga ombra. Tutto secondo le previsioni, ma non era ancora il momento di schierare sul campo il generale. Attende.
Come indicato dall’allenatore, alcuni avversari erano piuttosto loquaci durante la partita, ma lo Shoyo era stato disciplinato bene e sapeva ignorare le provocazioni. Non potendo scompigliare con le parole le file nemiche, il Toyotama riprese le azioni fulminee per cui era famosa. Sfrecciarono tra le gambe dei capi inalberati dei metri e 90 e accumularono parecchi punti con l’attacco, ma il muro della difesa dello Shoyo continuava a bloccare le avanzate e l’unico della squadra che sembrava reagire bene anche in pieno territorio avversario era Hanagata: segnava, ma non bastava ancora.
Il distacco dei punteggi di entrambe le squadre rimaneva sempre invariato e il numero non si espandeva tanto neanche nel tempo...
Fu allora che, dopo dieci minuti di inamovibile scrutamento, Fujima si alzò di colpo e fece scivolare la giacca sulla panchina.
L’ombra dell’allenatore stava strisciando via dalla sua figura per lasciare il posto al giocatore. Il capitano sapeva di dover dare una svolta a quel confronto statico e che sarebbe dovuto avanzare in attacco lui stesso. Nessuna parola sibilò dalla sua bocca. Andò con calma dai giudici e chiese una sostituzione. I suoi compagni ammutolirono e si arrestarono al fischio del cambio, mentre il pubblico trattenne il respiro.
Entrò in campo e si diresse verso i suoi ragazzi. Chiese alla guardia di uscire con un tono grave. I compagni intuirono una certa dose di collera nella sua voce. –Svegliatevi, è ora di condurre il gioco serio.-
Gli occhi che aveva sotto la frangia non erano più gli stessi grigi e pacati di un minuto fa: in posizione eretta, li si scorgeva infiammare di una luce azzurra. Kyomi comprese la trasformazione di cui le aveva parlato la sua amica.
Fujima stava rientrando nel suo spazio di volo.
Indicò in direzione di Minami e sentenziò tuonante: -Se volete sconfiggere il Kainan, lui è il primo ostacolo da rimuovere. Tenetelo a mente!-
L’arroganza di Fujima fece volare fischi di disapprovazione tra le file nemiche, il loro capitano inarcò le sopracciglia e serrò la sua posizione.
Fujima sorrise. Un sentore di malizia compiaciuta gli apparve tra le pieghe delle labbra.
La sfida era stata colta.
-Di solito, quando entra in campo Fujima, l’aria che si respira cambia. Non solo influenza i suoi compagni e gli avversari, ma l’intera platea percepisce che ora il gioco si sta per ribaltare e nessuno osa fiatare.- Le spiegò Mikagi.
Fujima occupava il ruolo di playmaker, colui che tastava i movimenti dei corpi nello spazio e orchestrava l’intera partita dal campo.
I fili ora li aveva in mano lui. La difesa era affidata ancora ai compagni, indiscutibilmente più possenti di lui, che si inoltrava veloce tra i giocatori del Toyotama ingannando con finte e passaggi precisi scompigliandone le file; e infine, sempre accanto a lui, Hanagata realizzava il punto.
Tennero il ritmo così fino alla fine del primo tempo , lasciando inaspettatamente gli avversari con il fiato corto.
Lo Shoyo conduceva per 30/24.
Mikagi era felice come se avessero già vinto. Saltò più volte esultante.
–Tifi per il diavolo?- Fece sgranare gli occhi alla ragazza, un'altra uscita infelice di Kyomi Kanako.
–Sei ostinata, eh?- Lei rimase un attimo in silenzio, prima di rispondere, seguiva con lo sguardo la figura di Fujima ancora elettrizzato che schiamazzava con i compagni mentre rientravano nello spogliatoio.
Un altro cambiamento repentino. Quante maschere possedeva Fujima Kenji?
-Mikagi, lui sfida l’avversario a braccia aperte, da ragazzino spavaldo e non lo fa per ricevere le stigmati, ma perché ne trae un sincero piacere dal pensiero di questa caccia. - Ciò che era considerata estrema bravura dagli altri, per lei era un atto al di sopra di ogni definizione. Kyomi non si sapeva proprio spiegare come riuscisse a vincere comunque pur sfuggendo continuamente alle ragioni del campo di battaglia, volando in una dimensione diversa. Queste erano le leggi di gravità secondo Fujima.
In realtà, senza che se ne accorgesse, una sensazione di completezza le si posò accanto. Kyomi ne conosceva bene gli effetti inebrianti, li provò quando lo vide giocare a scuola la prima volta, e da allora, le appartenne . Era trasmessa dall’aura di Fujima. Ma lei più di chiunque altro ne percepiva le vertiginose forze trascinanti, nessun banale entusiasmo sportivo, era una trasfigurazione dell’intera realtà, ogni molecola del corpo per centimetro di spazio nel mondo era pervaso da quell’energia.

-Siamo in un territorio pericoloso.- parlò con le cicatrici delle vecchie battaglie belle in vista sulla fronte, il coach del Toyotama. –Avete intenzione di perdere la partita?-
-Ma lo Shoyo è una squadra dura da sconfiggere, lo sanno tutti, coach!-
-Imbecilli!- designò adirato l’appellativo ai suoi giocatori. –Quando il gioco si fa duro, voi vi mettete a dormire??-
Si voltò verso quello che sembrava il suo ultimo appiglio, il suo pupillo Minami. Il capitano della maglia bianca lo fissò dritto in faccia, dalla posizione seduta, la schiena curva e le braccia crollate sui femori , l’espressione era più nera che mai. –Non deludermi, tu sai cosa devi fare ora.-

Secondo tempo. Tutti in campo nuovamente per altri 20 minuti di quella che era stata già decretata come una partita vinta in anticipo dallo Shoyo. Ma non un solo muscolo si rilassò per le maglie verdi. La piattezza dei punteggi era stata inclinata e proseguiva la sua salita in diagonale. Fujima notò che il loro allenatore continuava a lanciare segnali sul campo, come se stesse cercando a sua volta di marcare, di mettere con le spalle al muro un giocatore. Il suo sguardo era diretto a Minami.
Quando giunsero a 10 punti di distacco, il coach perse il controllo e gridò, -Non dormire, Minami!!- Il loro capitano ebbe una scossa, percorse tutto il campo e si piazzò davanti ad Hanagata in procinto a realizzare il punto. Cercò di bloccare il tentativo di tiro alzando le braccia, ma la montatura nera era troppo alto e saltò... Minami lo seguì e mosse la mano destra in modo strano. E Fujima che era nell’angolatura giusta per vedere la scena tenne per il peggio.
Solo pochi microsecondi, non sembrava nemmeno una mossa premeditata, Hanagata inclinò il corpo nella direzione opposta al canestro, distanziandosi dalla presa dell’avversario, e fece volare la palla. –Un tiro in sospensione all’indietro! Oddio Hanagata!- Mikagi impazzì di gioia.
La bocca del coach si spalancò. Un fischio dell’arbitro, timeout.
Riprese i suoi percosso dalla rabbia e da una buona dose di preoccupazione. Tirò un lungo respiro per calmarsi e disse ai ragazzi, -Purtroppo i nostri avversari sono scaltri e molto abili, forse più di noi … Ma possiamo ancora ritentare. Minami, tu hai osato troppo, non hai seguito bene le mie istruzioni. Inutile perdere tempo con quelli alti, sono più resistenti di tutti voi.- Aguzzò bene lo sguardo in una linea sottile. –Il tuo obiettivo è il loro asso. Colpisci Fujima e la partita sarà vinta.-
Dall’altra parte della palestra, l’umore dello Shoyo era alto. Felici di aver fregato il capitano avversario, Hanagata veniva acclamato più volte dalla tifoseria. Ma lui non aveva l’aria soddisfatta. Le sopracciglia corrugate, sembrava pensieroso.
Un attimo prima di tornare in campo, raggiunse il suo capitano e gli mise una mano sulla spalla. –Stai attento Fujima.-
Il suo amico lo ricambiò con un sorriso di consapevole provocazione.
Hanagata si era sempre preoccupato per questo aspetto di Kenji; quando era in campo sembrava un folle invasato pronto a lanciarsi da uno scoglio e felice di poterlo fare. Fujima bruciava di energia propria rischiando le peggiori ustioni.
Di nuovo schierati. Stavolta Hanagata venne marcato stretto, il loro intento era di allontanarlo da Fujima.
Minami si parò davanti a Fujima, inchiodò il suo sguardo per trafiggerne la fiducia.
La maglia verde rispose all’invito, aprì le braccia. –Prova a prendermi.-
Minami ingoiò la tensione, esitò. Capì che con lui doveva stare più attento, forse era meglio solo spaventarlo un po’: “Se è davvero abile e scaltro come dice il coach si scanserà di sicuro.” Gli passarono la palla poiché era nell’area di tiro. La tenne in alto muovendola continuamente per sfuggire alle braccia sbarratesi in aria. –Prova tu a prenderlo!- Rispodendolo per le rime, intimò, -Vuoi proprio farti male!- E fece per tirare. Saltò e Fujima dopo di lui. Ma la palla gli rimase in mano. Una finta, pensò il rivale. Piegò i gomiti come per proteggere la palla ma li tese energicamente verso l’altro,
–Capitano!!- voce da lontano di Hanagata... “Adesso ti levo di torno!”. Si immaginò già trionfante, ma Fujima non indietreggiò di un millimetro mentre scendeva e lo prese in pieno.
Venne sbalzato a terra. Un filo di dolore e lo videro premere la mano sulla tempia.
I compagni si arrestarono, il pubblico taceva. La palla che Minami aveva tirato era stata deviata dal violento urto contro la testa di Fujima, rimbalzò sul canestro e cadde, ma nessuno la prese. La sponda dello Shoyo gridò indignata per la grave infrazione, ma l’arbitro lo ritenne regolare. I giocatori, infuriati, protestarono con prepotenza.
In mezzo a tutta la confusione, Fujima si rialzò in piedi. Un rivolo di sangue gli scivolò dall’angolo destro delle tempie nascoste dalla frangia bruna.
–Calmatevi ragazzi, io sto bene.- Sorrise gelidamente, socchiudendo gli occhi, le sopracciglia calate ombreggiavano tra un’espressione di dolore e una di furia.
La squadra non promulgò oltre e la partita ripartì. Sembrava che l’ingiustizia subita avesse ridato vigore agli atleti, lo Shoyo voleva la sua vendetta. Tuttavia, la platea rimase sorpresa dalla caparbietà e dalla resistenza del capitano. Poiché tutti sapevano che il colpo preso non era leggero, lo stupore per la ripresa veloce fu ancora più grande.
Il coach del Toyotama era spaesato ora, aveva sfidato il giovane allenatore e aveva perduto la partita...
Ma dopo aver segnato un paio di punti, Fujima non diede più segni di vita, si accorsero della sua caduta solo dopo alcuni secondi.
La partita venne interrotta.

Sugli spalti, Mikagi osservò atterrita la scena, si coprì la bocca con una mano. Si chiese cosa gli fosse successo, nessuno aveva sfiorato il pensiero di un trauma così grave poco fa. Prese la mano di Kyomi, che le sembrò stranamente tranquilla. –Ma come, non sei preoccupata, Kanako?-
-Andiamo negli spogliatoi.- Disse calma Kyomi, gli occhi ancora incollati sul campo vuoto senza movimenti.

L’incontro si poteva fermare solo per un minuto. Hanagata lo soccorse e lo affidò a due riserve, ma la sua inquietudine non era celata dagli spessi lenti, tutti i membri ora sudavano freddo. Con il loro asso mandato in coma, lo Shoyo stette sulle difese.
Fujima, invece, fu portato in una stanza tranquilla, lo invocarono più volte, ma non rispose. Chiamarono il medico sportivo che non ritenne grave il caso, dedusse che avesse battuto la testa cadendo dopo aver perso l’equilibrio per il capogiro provocato dalla forte gomitata. Intanto era meglio lasciarlo riposare e recuperare un po’ di forze. Lo lasciò alle cure dei due ragazzi e se ne andò. Poco dopo, Fujima rivenne. Tirarono un sospiro di sollievo.
Il capitano li guardò e disse a loro di correre alla partita. Ridotto in condizioni pietose, il suo unico pensiero era ancora il campionato.
Con riluttanza i due uscirono, e trovarono le due ragazze nel corridoio. –Mikagi, e c’è anche lei, presidente!- Quella più bassa chiese subito notizie di Fujima e propose di rimanere di guardia al loro posto. -Vado a comprare delle bottigliette d’acqua, sicuramente vorrà bere! Resta con lui, Kanako!- e corse via.
Fujima era ancora stordito. Vedeva i contorni delle cose sbiadite e i colori appassiti, ma la luce gli faceva male. Tenne gli occhi chiusi. Gli sembrava di essere solo nella stanza, quando sentì la porta aprirsi. Un fruscio si avvicinò e gli si mise accanto.
Una voce, femminile e quasi familiare …. –Mi senti, Fujima?-  Un dolce balsamo, la sua coscienza si intiepidì. Voleva dare un volto a quel suono soave, così la vide: capelli scuri calati sul viso, tinta della pelle evanescente, e gli occhi, quegli occhi erano proprio come si ricordava lui, uno spazio di sconfinato vuoto.
–Credevo di, averti intravvista ieri… tra i riflessi della notte...- Incespicò queste parole sotto voce. -….allora, sto ancora sognando.-
Lei lo guardò con tenerezza, e all’infermo sembrò che gli stesse sorridendo.
-Sei davvero tu, Kyomi?-
-Svegliati, non sei mica a letto.- Amabilmente glielo disse, solo un filo di delicata ironia.
Fujima mise a fuoco lentamente; sentiva il suo calore vicino a un braccio, ma non si ricordava quale fosse. Unico elemento reale della sua presenza.
–Mikagi è andata a prenderti dell’acqua, hai bisogno di qualcos’altro?- Lui rispose –un cuscino.- Ma non c’erano ne borse ne cuscini in giro, la stanza era quasi vuota, il materasso di gommapiuma su cui era sdraiato era l’unica mobilia. Kyomi pensò una soluzione veloce, alzò la sua testa e l’appoggiò sulle sue gambe piegate. Gli scostò la frangia e sentì una leggera febbre sulla sua fronte.
Sembrava sfinito, ma dopo 2 minuti decise già di rialzarsi. Kyomi fu interdetta. Lo sgridò e gli disse che non poteva permettersi altri strazi per oggi.
–Non vorrai scendere ancora in campo?- Le venne questo dubbio atroce.
-Devo andare da loro. Hanno bisogno di me. - Nel dirlo rimase subito senza fiato. Come poteva andarci? Pensò lei penosamente. Ma non poté contestare, capì bene le ragioni dal tono della sua voce fievole.
L’intera squadra era in preda a una pericolosa illusione. Fujima era tessitore di visioni, nel farlo aveva semplicemente esteso la propria autoconvinzione ai membri. Lui ne era l’emanazione diretta, ma i suoi compagni, senza la fonte fisica, potevano avanzare solo di raffigurazioni, di vaghe reminiscenze.
Il solo Hanagata che ricalcava la sua ombra, non poteva giungere oltre il confine del suo corpo materiale.
-Kyomi, devi aiutarmi. - Disse reggendosi su un braccio. Lo issò su con tutte le forze, si sbilanciò, ma lo tenne con tenacia. Fujima non stava in piedi.
Arrivarono lentamente alla porta del campo. La varcarono. L’intero stadio si accorse di loro. E lo osservarono stupefatti, mentre si reggeva sulle spalle di una ragazza alta come lui.
Purtroppo non stava andando bene per lo Shoyo: le maglie bianche approfittarono dell’ assenza che aveva demotivato i giocatori per mettere a segno una decina di canestri. Erano stati superati.
Fujima si calò sulla panchina. Fiato corto, ma si trattenne. Si sorreggeva in posizione seduta con le braccia incollate sulle ginocchia e fissava il campo davanti. –Devi farmi un favore.- Chiese a kyomi accanto a se.
Inaspettatamente, nel palazzetto si levò la sua voce. –Dovete resistere, ragazzi! Non rinunciate adesso!-
Tutti sentirono increduli, la voce del capitano infortunato. I suoi giocatori si voltarono infiammandosi, allora videro una ragazza che continuò al suo posto a incitarli.
-Allora volete mollare adesso?! Siete a un passo dalla vittoria, dateci più grinta forza!!-
Mikagi che era tornata in quel momento dallo spaccio, la vide dall’alto delle tribune. Senza parole, le caddero le bottigliette appena acquistate.
La sua amica continuò a incoraggiare lo Shoyo fino allo scadere del tempo ….



-Conquistate il campionato.- Lo gridò con tutte le sue forze.













 

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Capitolo 4
*** Summer time ***


Fujima fu ricoverato in ospedale per le analisi, non riscontrarono danni cerebrali. Il Toyotama, che sconfisse lo Shoyo per 61/59, non vinse la disputa successiva, sempre all’ottavo posto. Alla fine dell’incontro, solo Minami non esultava, immobile fissava il vuoto. Onore ai vinti e il saluto, ma lui rimase a fissare la schiena di Fujima mentre si allontanava sorretto da Hanagata. Si tormentò più volte chiedendosi per quale ragione il suo avversario, che nella discesa di quel fatidico istante lo stava guardando dritto negli occhi, non decise di evitarlo come aveva fatto il suo compagno. Fu una diversa categoria di distrazione: Fujima con l’esuberanza della gioventù, colse unicamente una sfida tra pari. Ma lui non ne fu all’altezza e procedendo al proprio livello etico sconfisse il rivale giocando sporco. Fu la prima volta che si ritrovò davanti qualcuno che non aveva paura di essere colpito. Perché Fujima coesisteva con la paura, la sfiorava costantemente proponendosi come suo avversario diretto. Un folle. Minami dovette accettare la sua inettitudine, lui non poteva appartenere al suo mondo.
-A Hiroshima ci torneremo anche l’anno prossimo, credeteci.- Così disse ai suoi ragazzi a partita finita, avviliti alcuni e lacrime copiose altri. Tornarono a casa con la prospettiva di condurre d’ora in poi allenamenti molto più intensi, e carichi di difetti da correggere, furono nuovamente pronti a ripartire.

Con l’avanzare dell’estate, lo Shoyo era in piena attività. Allenamenti che cominciavano alle 7 con 20 giri del campo all’aperto, numero che il capitano avrebbe aumentato nel tempo, e finivano solo nel tardo pomeriggio ogni giorno. Per correttezza, lasciva per tutti una mezza giornata di riposo a settimana, anche se lui eludeva sempre la consuetudine e insieme, anche Hanagata.
Un giorno telefonò a Kyomi (non si sa come ebbe il suo numero) invitandola a vedere un amichevole contro una squadra molto forte di Osaka, prima della sua prefettura, che procurò una sconfitta alla Toyotama nelle eliminatorie di quell’anno. –Questa volta vinceremo e lo faremo in tuo onore, per ringraziarti dell’enorme sostegno che ci hai dato. –
Presenziò all’incontro, stavolta con un’eccitazione maggiore, contenta di poter rivedere le performance di Fujima e i compagni. La Daiei era sfrontata quanto l’altra squadra di Osaka, ma non ottenne la vittoria con mosse scorrette. Anche loro dovettero contrastare le manovre della Toyotama, non fu facile, resistettero fino alla fine con i nemici alle costole, costrinsero Minami a una mossa falsa e lo fecero espellere per fallo grave. Molto calcolatori e con un’abilità superiore ai vinti, Fujima non sottovalutò affatto questi avversari. La squadra migliorò ulteriormente e lo fece in poco tempo, la trasformazione destò meraviglia tra i giocatori avversari che li videro in azione solo un mese fa. La Daiei tenne i nervi saldi solo fino alla fine del primo tempo. Nel resto della partita furono dominati dal gioco impetuoso degli altri. Il loro playmaker faceva fatica a contrastare Fujima, perse equilibrio diverse volte verso la fine, non poteva capacitarsi che dopo l’infortunio negli inter-high dove fece scalpore per lo svenimento in campo, questo potesse riprendere a giocare tanto presto compiendo, oltretutto, evoluzioni inedite. La fasciatura sul bernoccolo ingannò tutti.
Difficile pareggiare in velocità con lui e quasi impossibile da marcare a uomo, la Daiei gli mise un muro di contenimento attorno sfruttando tre dei giocatori più alti, mentre lui stava per segnare il punto. Emise uno sbuffo diabolico e lanciò la palla attraverso le schiene inarcate su di lui. In linea retta, giunse come un proiettile nelle mani aperte di Hanagata. La montatura nera arretrò con un salto e si mise dietro alla semicirconferenza maggiore, lanciò in sospensione, un tiro da tre punti.
L’ultimo canestro prima del fischio lo segnò Fujima. Virò all’indietro passando la palla da una mano all’altra palleggiando, gravitò intorno al corpo del tenace avversario in posizione di blocco e lo superò. Corse avanti e si impuntò. Il tronco girato di ¾ verso il canestro, uno leggiadro slancio di gambe flesse. La palla partì dalle mani e descrivendo un’ampia gittata cadde con esattezza nella circonferenza del canestro.
Il fischio giunse. Lo Shoyo trionfò sollevando le braccia. Battendo la Daiei si erano presi un’implicita rivincita sul Toyotama. Furono esaltati oltremodo. Le due squadre schierate intorno al cerchio interno, l’arbitro in testa sollevò la palla contesa, dichiarò i vincitori e posizionò quel trofeo sul lato dello Shoyo.
I ragazzi della squadra si girarono verso le panchine, pugni alzati, vociarono all’unisono. -Per il presidente!!-
Kyomi arrossì basita. La sua espressione tra imbarazzo e sbigottimento si ricompose, e lei si sciolse con trasporto in una fragorosa risata, commossa dalla singolarità di quel gesto.



Estate inoltrata, aria torrida, le anime strisciavano sull’asfalto in cerca di altri purgatori. Fujima scese dalla sauna urbana denominata linea urbana Kanagawa, copioso di sudore. L’autobus gli regalò un ultima calorosa ventata e ripartì. Borsa in spalla, si diresse verso la scuola. Con la fronte libera di bende, si sentì di nuovo se stesso. I suoi pensieri arrivavano a scuola sempre prima di lui, i suoi ragazzi che si allenavano ora in palestra, magari il prossimo inter-high, alcuni buchi nel programma scolastico, l’alterigia dell’insegnante di ginnastica ordinaria …. sei in ritardo Fujima. Il ragazzo si voltò, il suo migliore amico con gli occhiali da sole paratosi a braccia conserte davanti al cancello. Lo guardò torvo, -Attento a non inciampare sul campo, Hanagata, sei miope.- Un saluto affettuoso come il consiglio. Era mezzogiorno, si erano dati appuntamento per pranzare prima degli allenamenti pomeridiani. Il cestino del pranzo lo preparava sempre Hanagata, maggiore di 4 fratelli lasciati alla deriva da genitori stacanovisti, avrebbero mangiato insieme anche oggi come in un ordinario giorno di lezione, ma Fujima si scusò perché aveva sacrificato l’ora del loro ritrovo per un impegno particolare: avrebbe approfittato della disponibilità di Kyomi Kanako per riprendere i punti critici del suo programma di studio. –Dopo i nazionali è riapparsa spesso, eh?- gli fece notare Hanagata con la sfacciataggine dietro le lenti scure.
–Disse colui che lacrimava a dirotto dopo i campionati persi.- Fece la sua comparsa la molto disquisita presidente Kyomi. Abito bianco lungo che celava le ginocchia, un capello ampio e una borsa enorme in mano. Hanagata si irrigidì, per il suo candore e per le sue insinuazioni. –Salve, presidente, le auguro buon lavoro.- Un inchino leggero per non sciupare la sua altezza.
Si avviarono verso la sala riservata del comitato studentesco. Il presidente era impegnata con l’organizzazione del nuovo anno scolastico e ultimamente usufruiva spesso di questa stanza. Vi condusse anche Fujima per l’occasione. –Ho impressione di essere stata troppo sfrontata.- Esordì lei dopo aver posato la borsa. Era rispettata da tutti i membri della squadra, ma con la montatura nera si era creato un rapporto particolare, si stuzzicavano a vicenda a ogni incontro. E nessuno dei due ne comprendeva il motivo. Molti vedendo la scena avrebbero detto che si erano invaghiti del capitano, ma nessuno dei due pareva acclamare questa ipotesi. Kyomi non si scomponeva mai, ma quell’Hanagata le suscitava un filo di avversione incontrollabile. Fujima rise sommesso. –Alcuni dicono che vi siete entrambi innamorati di me. - Kyomi scostò il viso da una parte. –Impossibile.- Rispose fredda, ma sarebbe sprofondata molto volentieri.
-Ti hanno tolto le bende, Fujima.- Osservò lei. Per accontentare alcuni dei suoi giocatori, in particolar modo, Hanagata che voleva ingessargli la testa tanto era in apprensione per il suo capitano, tenne le medicazioni per un mese. La ferita era larga e lo marchiò con una piccola cicatrice, esteticamente irrilevante, poiché nascosta dalla lunga frangia.
Kyomi disapprovò quella chioma fuori misura, non si addiceva a un atleta. Scrutò Fujima per un po’, e posò il libro. Prese delle piccole forbici da cucito dalla sua borsa. –Non ce ne bisogno, provvederò domani stesso!- Fece lui intimorito. Ma lei lo assicurò sulla sua precisione e si inclinò su di lui sfiorandogli la testa con una mano, mentre l’altra si studiava la lunghezza da recidere. Avvicinò il viso per mirare meglio la linea da seguire e mosse le forbici. Furono a una distanza quasi irrilevante, lui fu sorpreso da un lieve rossore. Scese una spolverata di capelli. Con uno strumento ledente in mano procedeva con movimenti lenti. –Chiudi gli occhi.- Gli chiese. E delicatamente gli soffiò via i capelli caduti sul viso. Il ragazzo ebbe un fremito, ebbro di beatitudine. Sentì le punte delle sue dita lambirgli il viso, inerme, abbandonandosi a Kyomi.
Tastando con gli occhi l’epidermide chiara e le linee che gli si disegnavano sul volto, decise ed eleganti, le sopracciglia marcate si inarcavano sulle ciglia che gettavano una leggera ombra, pupille agitate dietro alle palpebre dalla tonalità terrosa, da Fujima stava riemergendo una sfumatura diversa, tracce di un’orma antica. Osservò la piega del colletto della sua camicia bianca, le punte angolari su cui erano intrappolati piccoli frammenti di capelli. Provò un inesplicabile nostalgia.
Non riuscì a focalizzare i suoi pensieri. Ma la sensazione che era impressa sulla pelle, la inseguì e l’assalì con altre ondate di reminiscenze. Inquieta, cercò di negarsi.
Fujima riaprì gli occhi. Ancorata alla stessa altezza, ormeggiava il viso di Kyomi dall’espressione persa. Un naufragio di affanni passati oltre le foci dei suoi occhi languidi. La ricondusse sulla terra con un aleatorio tocco della mano sfiorando i lati del viso esangue. Lei sussultò. Si distaccò subito da lì. Ritornò a sedersi sulla sua sedia, e riprese il libro lasciato aperto. –Scusa, ma non è venuta tanto bene.-

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Capitolo 5
*** Colpa della notte ***


Da quel giorno, dalla sua posteriore fuga. Non si fece più rivedere nel raggio di prossimità di Fujima. Finché il sole bruciò forte ancora sul Kanagawa, non emise alcun tentativo di interpretazione. Si diede la colpa agli affari quotidiani assillanti. Ma quando giunse il mese dell’apertura delle scuole, Fujima dovette ammettere che qualcosa non andava.
All’inizio si limitò ad attenderla in palestra, invano, andò in sua ricerca nelle sale di rappresentanza per studenti. Vagò ogni tanto nella biblioteca senza fine produttive. La conosceva ancora poco, non sapeva quali fossero i posti da lei frequentati ne le sue amicizie. Si comportava in modo incongruente, e i resoconti della ricerca parlavano da se. Questioni di impegni scolastici o veri evitamenti ? Non lasciò nessuna scusa dietro di se, scomparve, se era permesso definirlo così.
Kyomi invece conosceva bene il motivo del suo turbamento. Reagì solo di conseguenza per difendersi da quella persona, dall’ombra che gli si era avvinghiata.
Senza alcuno sforzo, fin dall’inizio, Fujima sarebbe stato capace di annientarla di dolore.


-Come? Proprio lui?- Kyomi sgranò gli occhi incredula a un membro del comitato. Da metà settembre il vice presidente si dimise per rimettersi in carreggiata con lo studio e diplomarsi, una situazione particolare che costrinse l’assemblea degli studenti ad anticipare il voto. Tra i vari candidati proposti dall’intera scuola spiccò un nome inaspettato. –Perché no? È oggetto di adorazione sia degli insegnanti che degli studenti, ed è anche bello!- Disse scioccamente Mikagi la contabile. il consiglio studentesco si era riunito per valutare la lista dei pappabili, ma la discussione dopo poco si focalizzò su una singola persona. Tutti i membri concordarono che era il prescelto ideale, decisamente superiore alle aspettative delle proposte. Tutti tranne lei. –Non lo ritengo affatto un candidato proponibile.- Insistette il presidente e ostinatamente ribatté. –è un incarico troppo importante da affidare a uno studente del secondo anno. - I suoi sottoposti pensarono all’unisono che pure lei era stata eletta da matricola, ma tennero l’opinione per se. –Ma presidente, non pensi al prestigio che porterebbe al consiglio una personalità come lui? Ha un ottimo rapporto con gli insegnanti e il preside, voti eccellenti e carattere mite. Non ha praticamente punto a suo sfavore!- Eppure uno ci sarebbe, continuò battagliera Kyomi. –Ma la perfezione potrebbe ribaltarci contro, questo candidato è molto impegnato con le attività sportive, tra lo studio e tutte le sue responsabilità credete che possa ritagliare del tempo per il lavoro del comitato?- Non un margine di contraddizione giunse. –Lui non accetterà mai questo lavoro.- Concluse vittoriosa.
Ma con suo enorme stupore e rammarico il candidato vinse le elezioni, molti voti femminili e molti sportivi, e una volta ricevuta la notifica di convocazione si presentò nella sala riunione. Mikagi era trepidante, le luccicavano gli occhi dall’emozione, a mani giunte attese la porta aprirsi.
La tinta dorata riflessa dal tramonto gli avvolgeva la pelle, alto e posato, fece a tutti un inchino, e poi con voce limpida si presentò:
- Kenji Fujima, secondo anno corso umanistico. Sono venuto ad accettare l’incarico di vice-presidente del consiglio studentesco. Piacere di conoscervi.-

Questa era la strategia di Fujima. Non nutriva interesse nell’assumere ruoli rilevanti nell’amministrazione scolastica, ma quella era proprio l’occasione che aspettava: ne avrebbe approfittato per incontrare più spesso Kyomi. Senza immaginare il contrattacco della ragazza che, sapendo dei suoi impegni con la squadra, fece in modo di uscire sempre prima dalle riunioni. Fujima che giungeva, suo malgrado, tardi per le attività della sua nuova mansione, la incontrò sempre più di rado. E quei frangenti erano sintetizzati in saluti brevi tra misconoscenti.
Mikagi si accorse di quell’ improvviso cambiamento nella sua amica. Non le ci volle molto per comprendere la causa. Si rese conto per la prima volta che questo evitamento non era frutto di un’antipatia, poiché prima di tale avversione doveva esserci stato un diverso tipo di rapporto alla sorgente dell’insofferenza. E Fujima, osteggiato da tanta indifferenza, sapeva di esserne la ragione? Rimuginava lei senza riuscire tuttavia trovare risposte. Mentre Kyomi riusciva sempre a cambiare rotta anche se le veniva posta una domanda diretta.

E così il tempo mise le lancette avanti di due mesi. Due mesi di silenzi imbarazzanti, bisbigli su un presunto astio tra il presidente e il suo vice, e altri più malevoli che giuravano di averli avvistati soli nello spogliatoio della scuola.
A fine ottobre ci fu una svolta. Una circostanza inedita diede possibilità all’Istituto di prendere parte al congresso nazionale delle scuole superiori giapponesi, lo Shoyo venne scelto come un’eccellenza meritevole della nomina. Due insegnanti e due rappresentati degli studenti, un viaggio di due giorni e una notte. Una scocciatura che nessuno voleva prendere in mano. Il presidente Kyomi si propose per buona volontà, ma l’altro candidato tardava a figurarsi. –Almeno tu, Mikagi. Dimmi di sì. – Ma l’amica rifiutò con aria annoiata, a parte i campionati di basket, la città destinataria, Hiroshima, non aveva nulla di affascinante per lei. –Perché non lo chiedi a Fujima?- Osò pungerla sul vivo della piaga. Gli altri colsero l’occasione per farne l’agnello sacrificale: Fujima non si presenta mai alle attività ordinarie del comitato, che si dia da fare anche lui! Oppure, lui conosce già il posto, ci è andato per ben 2 volte, sarebbe un ottimo guida.
Ingoiando la sconfitta, Kyomi fece le valigie.

Una stazione ghermita di presenze in transizione. In anticipo di 15 minuti, Kyomi finì gli scalini che si ergevano verso il binario di partenza. In un mare di teste, ne riconobbe una mora che torreggiava. Difficile non notarlo, tutta la stazione lo fissava con il naso che puntava al cielo, ma di fianco a lui c’era quello che lei si aspettava di vedere. La chioma bruna che si librava nella brezza dello sfrecciare dei treni di passaggio, il completo grigio della divisa e il sole autunnale negli occhi blu. Un vicepresidente in visita ufficiale.
-Buongiorno. – Gelido saluto mattutino di Hanagata. –Buongiorno. - Altrettanto Kyomi.
- È un piacere vederti, Kyomi. - Lei non poté rispondere che abbassando lo sguardo. –Sì. –
Un lungo silenzio. Secondi in cui le scarpe di un fiume umano scorsero accanto a loro, i gabbiani della baia inoltrati nei cieli urbani che volteggiarono tra una striscia di celeste e l’altra. Hanagata si sistemò gli occhiali e osservò intrigato la scena. Fujima non fiatava, guardava distrattamente la sua senpai mentre ricontrollava l’orologio. Una strana tensione, trasparente che legava solo loro due.
Il ragazzo prominente di statura con un moto di comprensione ruppe il ghiaccio rivolgendo la parola a Kyomi, -Non fargli del male, è un animo sensibile.-
Lei non rispose. A Fujima tremarono le guance di smorfia e con espressione irritata gli mostrò un mezzo sorriso. -È ora di tornare a casa, Hanagata. Gli uomini non si salutano con simili lagnanze.- Lo spilungone pianse nel cuore.

Lo stesso treno. Quando la fitta luce estiva ancora poteva schiarire le nebbiose paludi dei pensieri, l’aveva portato da Fujima e l’aveva visto nella sua natura più imminente all’astro infuocato, la sua seconda, o forse prima natura. Ora lui le era di fronte, seduto silente, mano che reggeva la testa, sguardo lontano. Pensava al suo campionato e a quello sfortunato infortunio che decise per loro la sconfitta, avrebbe voluto incontrare Shinichi Maki, entrato nel girone dei primi quattro ma uscente vinto. Occhi gravi e tempestosi risentimenti interni.
-Ancora adesso mi brucia quella sconfitta.- Lo confessò alla ragazza di fronte senza curarsi di particolari osteggiativi. E lei gli rispose.
Riflesse un po’ curando la disposizione di parole in ciò che gli avrebbe voluto dire. –Non è stata la tua squadra a perdere.- Introdusse con questa frase.
Lui non capì. –Ti sei scontrato in realtà contro te stesso, la tua forma sostanziale e ciò che il corpo esigeva esprimere. Ma quella cicatrice è la prova che nessuno può scalfire il te stesso che liberi sul campo. Ancora non esiste qualcuno in grado di rispecchiarti.- Fujima la guardò finalmente, felice, un sorriso ingarbugliato. –Non so se sia un vantaggio.- Era un desiderio terreno, marziale, la sete di gloria.
I due professori schiamazzavano sui sedili affianco, il vice preside che scelse il suo amico prof. Kurada aveva trovato una valida alternativa al serissimo convegno, si prevedevano notti in bianco in locali di maggiore interesse. E Fujima, intanto, contento di questo breve scambio ma brillantemente disquisito, guardava ancora Kyomi con ammirazione.
Chissà da quando cominciò a vederla con quegli occhi, riflessi sul vetro che mutava di forme e colori accelerati, il blu tremolava come oleandri al vento, una marea che avanzava calma sull’imboccatura delle ciglia. Il tepore che provava nelle prossime vicinanze della sua figura lo colmava di appagamento per settimane intere. La suprema felicità e l’impossibilità di raggiungerla: erano questi ingredienti a impreziosire ogni secondo di quella rara vicinanza.

Arrivato in stazione, il gruppo si divise. Mentre gli insegnanti sarebbero andati a fare check-in in albergo, i due studenti si sarebbero diretti alla sede del convegno prima di loro. Il congresso nazionale delle scuole giapponesi si teneva nella sede del palazzo comunale e una folla di studenti e giornalisti militanti affluiva nella porta d’ingresso. Fiori all’occhiello della futura società giapponese in divise variegate per discutere del sistema scolastico dal punto di vista degli studenti. Ogni scuola inviava due rappresentanti degli studenti, accompagnati da due membri del corpo docente, che avrebbero presentato la propria scuola e le incidenze orientative dell’istruzione in atto. Kyomi si era preparata il suo monologo pomposamente saccente per non dover delegare la parola al suo vice. Gli invitati più giovani vennero chiamati alla registrazione, vennero esposte la sequenza della giornata, i divieti etici e i numeri per i posti assegnati. Gli studenti a turno, salirono sul palco ed elogiarono il proprio istituto con le relative problematiche, il futuro splendido strappalacrime o quello incerto della recessione.
Arrivò poi il turno di Kyomi. Accompagnata da Fujima, salì gli scalini. Fece un respiro profondo e prese il microfono. –Buongiorno, sono Kyomi Kanako, rappresentiamo l’Istituto Superiore Shoyo della prefettura di Kanagawa. Ricopro l’incarico di presidente del consiglio studentesco e qui di fianco a me, Kenji Fujima, il vicepresidente. I nostri insegnanti sono ... - Non fece in tempo a finire la frase che quell’insolito mormorio dopo la loro apparizione sul palco si trasformò in un boato di incredulità. Molte studentesse sgranarono gli occhi. E i flash volarono da una parte all’altra della sala. –Cosa? Proprio “quel” Kenji Fujima?- - Fujima degli inter-high?- - Chi è? Quello del basket?-    -Come vanno gli allenamenti, capitano Fujima?- Osò poi gridare un giornalista. Il presentatore che conduceva il congresso sentenziò contrariato a quel fuori programma e li fece zittire con fatica.
Difficile descrivere l’espressione di Kyomi, violentemente imbarazzata , mentre il colpevole di questa incursione era rimasto impassibile, disciplinato come uno sportivo sapeva essere. A fine incontro, incautamente vennero assaliti da un’ondata di studentesse che per tutto il tempo non gli avevano staccato gli occhi di dosso. Imprigionato da tanto ardore, Fujima non poté che sorridere educatamente, non per lusinga piuttosto per una sorta di rassegnazione. La scena non fece piacere minimamente a Kyomi. Fujima la vide allontanarsi silenziosamente.

Liberatosi da quelle svampite, il capitano tornò veloce in albergo. Era ora di cena, ma i due adulti responsabili della loro sicurezza si erano già avviati, sarebbero tornati tardi sbronzi della città. Kyomi lo stava aspettando nell’atrio con un kimono da camera. Ondine stilizzate sul bianco candido della stoffa. –Mi dispiace, ho fatto tardi.- Si rimproverò lui. –Cambiati, andiamo a cenare.-
Kyomi non conosceva bene la città e si fece guidare da Fujima che la condusse in un locale economico nelle vicinanze della pensione. Mangiarono in silenzio, su un piccolo tavolo di legno grezzo. Alla fine, Fujima chiese un caffè e mentre lo sorseggiava finalmente lei parlò.
-È piuttosto pericoloso essere te. - Non ebbe pietà nell’esprimersi. –Mi rendo conto.- Comprensivo, convenne lui. –Ma ti giuro che non era nelle mie intenzioni. Ti ho lasciato sola in sala e ne sono rammaricato. – Questa frase tanto seria, che debordava dalla cornice del contesto, fece rimpicciolire la ragazza dai capelli neri. Ma rincuorata fu di nuovo serena.

A mezzanotte e 30, si scostò le coperte e uscì dalla sua stanza, non riusciva a chiudere occhio quella notte. Nella camera adiacente la luce era ancora accesa. Si domandò se non soffrisse anche lui di insonnia da viaggio. Bussò alla sua porta. Fujima stava ancora aspettando il ritorno dei due irresponsabili docenti. -Prego, accomodati. Non sono tranquillo finché non sono rientrati tutti. - Disse coscienzioso lui. Si comportò allo stesso modo con i suoi compagni l’ultima volta che era stato a Hiroshima, anche se nessuno degli atleti, naturalmente, aveva osato tornare tanto tardi. Stava scrivendo qualcosa, per passare il tempo. -Stavate in questo albergo anche l’estate scorsa, vero?- Stupito, lui confermò. –Quella volta, Mikagi mi costrinse a venire qui, fu lei a trascinarmi agli inter-high. Però ricordo che successe una cosa analoga, la folla di ragazze e le loro lusinghe, sai … - Fujima sembrò tentennare un istante nei ricordi. All’improvviso riemerse, con enorme meraviglia. C’era una serie di eventi confusi legati ai campionati estivi. Si ricordava della presenza di Kyomi all’ultima partita, ma tutte le altre sembravano apparizioni oniriche. La sua immagine riflessa nella notte delle colline di Hiroshima e quando lo accudì nello spogliatoio dopo l’incidente, ora gli apparvero nitide. Esterrefatto da una simile dimenticanza, si sentì quasi in colpa nei suoi confronti. –Mi sa che quel Minami ti ha dato un colpo parecchio forte. – Lo interruppe dalle sue venie. Fujima la guardò piacevolmente sorpreso, e rise di cuore.

Il secondo appuntamento del convegno durò per tutta la mattinata, da programma quel pomeriggio avrebbero preso il treno del ritorno. Un lungo dibattito a discussione libera sul tema dell’istruzione giapponese. La sala era stracolma di gente, la fila degli uditori e giornalisti si era incomprensibilmente allargata e allungata, alcuni dovettero rimanere in piedi. E a fine incontro, seppero il motivo di tanto interesse per un evento di così poca rilevanza mediatica. I giornalisti non erano quelli dei blog scolastici, ma veri reporter sportivi, che non si sapeva come avessero fiutato la notizia. Accanto a loro, un gruppo massiccio di studentesse speranzose, accorse a vedere dal vivo l’idolo teenager delle loro riviste. Stavolta Fujima non poteva rimanere solo per le strette di mano, i giornalisti si incollarono a lui appena finito l’incontro e l’assedio di domande continuò fino a tardi.
-Kyomi, pensa tu a Fujima, avrà ancora per le lunghe. Noi intanto torniamo alla pensione e facciamo il check-out. Ma fate in fretta, alle 3 partiamo, d’accordo?- Con la fiducia cieca per il presidente degli studenti, i professori accollarono a lei la responsabilità sul ritorno sicuro del loro prezioso alunno. Purtroppo la fortuna non virò dalla loro parte quel giorno, tra i giornalisti alle calcagna e il traffico cittadino, non tornarono in tempo. I due docenti lasciarono predisposizione per un eventuale imprevisto, i ragazzi sarebbero rimasti nell’albergo ancora una notte e sarebbero partiti il giorno dopo col primo treno.


-Perderemo le lezioni.- Una studentessa modello infelice. Fujima la confortò dicendo che poteva essere un meritato riposo e la invitò a fare una passeggiata.
Un autunno prossimo a scivolare nel gelo invernale, l’aria della collina pungeva le guance. In un pezzo di cielo celato dalle cime degli alti fusti sempreverdi, si poteva ancora scorgere la luce delle stelle. La ghiaia della strada sulla collina che li fiancheggiava rifletteva quello sfavillio come fosse una spiaggia notturna sotto una luna piena. E in lontananza, i bagliori della civiltà senza sonno.
Kyomi fu lieta di quella vista. Era come trovarsi su un’isola galleggiante e sotto le nubi passeggeri, le città degli uomini rimandavano segnali di demarcazione della terra, una forma fatta di luce.
In questo luogo, Fujima venne per scacciare i pensieri negativi e l’ansia prima delle partite, le scorse volte. Quell’isolamento nell’abbraccio della notte aveva qualcosa di rassicurante. Camminarono un po’ in salita e si sedettero su una panchina della terrazza panoramica.
-È come se il mondo fosse sprofondato nei abissi marini, mi chiedo se anche gli antichi uomini provassero questa specie di solitudine.-  Un filo malinconico le scorreva tra le parole. –La solitudine non è forse un sintomo della modernità? Un male diffuso. L’incapacità degli uomini a reggersi sulle proprie gambe … Mi chiedo invece se hanno davvero imparato a stare in piedi, come solitamente affermano orgogliosi.-  Commentò intensamente Fujima, osservando il passaggio di un treno, un fiume sottile di luce.
-Sei crudele a deriderli così, infondo … Tu hai imparato a volare.- Lei si voltò pronunciando l’ultima sillaba.
Fujima stette in silenzio, figurando se stesso sul campo. –A volte vorrei volare molto più in alto, ma non è prerogativa degli uomini sognare.-
Probabilmente, quell’equilibrio sorretto da lui era molto più precario di come appariva agli occhi dei comuni mortali. Costantemente in ambivalenza, le due parti di Kenji Fujima si inseguivano a velocità vorticosa. E lui rincorreva sempre se stesso. Lo sapeva bene. Gli avversari validi come Shinichi Maki erano uno specchio su cui lui ritrovava la sua stessa immagine, e fu cercando di afferrare quella che Fujima era arrivato dove il suo talento e la sua tenacia lo avevano portato.
La tristezza inconsolabile di creature come lui era quella di essere capace di autovalutarsi: a 17 anni poteva già ergersi al di sopra dei coetanei, il futuro era un volto concreto per lui, allungando la mano lo poteva possedere. Ma questa consapevolezza giaceva affianco a un precipizio.
Aveva prefigurato il proprio limite fin da quando prese per la prima volta una palla da basket in mano. Un assistere inerme al consumarsi della tragedia, attendendo la fine. Dove finiva la vita e cominciava il sogno.
Chissà se un giorno incontrerà qualcuno capace di spezzargli le ali. Quel giorno lui ricomincerà a vivere sulla terra, perderà la visione, e reimparerà a camminare. Non sarebbe stata l’assoluzione finale, ma un’occasione di redenzione.
Kyomi provò malinconia per quella ferita futura. Avrebbe voluto assistere alla sua disfatta e poterlo sorreggere un’altra volta mentre il suo mondo precipitava. A questo pensiero si rese conto che un giorno lo avrebbe perso e lei stessa ne sarebbe stata l’artefice.

Presero la strada del ritorno. Ormai ogni pensiero si poteva donare alla notte, l’indomani sarebbero tornati a casa dove il destino continuava e i giorni accanto ad esso.
-Perché mi hai evitato per tutto questo tempo?- Fece senza preambolo questa domanda, prendendo alla sprovvista Kyomi. –Ti sbagli, non è affatto…-
Fujima arrestò i passi dietro di lei. Kyomi si voltò a testa bassa. Il volto celato dal buio.
-Vorrei che questa notte non finisse mai.- Fujima elevò lo sguardo alla volta che scintillava, la chioma scompigliata al vento mostrava la fronte nuda.
-Ho l’impressione che solo questo luogo è capace di farci sentire così vicini, chissà, forse mi sbaglio … Domani torneremo a Kanagawa e ho il timore che tu possa fuggire di nuovo. - Ora la mirava, un pallido rossore mescolato alla sua carnagione chiara. –Non so quando sarà la prossima volta che riuscirò ad afferrarti di nuovo.-
-Io … -
Si interruppe soppesando le parole.  -Non vorrei mai metterti con le spalle al muro, credimi.-
Nel buio della notte collinare, lui l’abbracciò.
Stretta a se, tradendo la promessa appena fatta, non emise che un ultimo sussulto.
-Kana … -
Kyomi trasalì a quel suono. Non era un sogno. Ciò che l’assalì, mentre era avvolta dal suo battito del cuore, erano visioni molto più ancestrali. Algie periferiche che l’attanagliavano dal fondo producendo echi di afflizione.

La relatività temporale li investì di una dimensione sensoriale differente. In piedi, cingendosi in quel muto abbraccio, Fujima sentì svanire ogni centimetro del mondo, superfluo ornamento dell’oscurità.







 

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Capitolo 6
*** Confessione ***


Ormai l’equilibrio si era inclinato. Il rapporto tra loro si era posato su un filo sottile, un leggero vento, un grammo di peso fuori posto, un’esitazione, e sarebbe precipitato. Fujima era contrito. Era riuscito a calibrare le parole, ma non le reazioni del corpo. Proprio lui, che era un atleta eccezionale. Ma questo non era il suo campo, ora si trovava nel territorio di kyomi, paradossalmente clandestino.
Il giudizio finale tardava, tuttavia, ad arrivare.
Possibile che quell’azzardo gli fosse costato definitivamente la fiducia della ragazza?
Mettendo distanza a quell’episodio, iniziò a meditare obiettivamente. Si assumeva la responsabilità del gesto avventato, ma quella notte a Hiroshima c’era qualcos’altro che li divideva. Una fessura apertasi nella loro stretta.
Insieme potevano discorrere di assunti altisonanti, di corrispondenze metafisiche, e le loro menti fluttuavano in alto incrociandosi: una sensazione che somigliava vagamente a ciò che avvertiva sempre in campo, accanto a Hanagata. Ma lui si rese conto di non conoscerla affatto come individuo. Fujima si chiese le ragioni di una tale inspiegabile attrazione, al di là di qualunque definizione, temporale o materiale. Era un aspetto di se che non aveva mai considerato.
Un giorno, dopo la pioggia, si decise a recidere la tensione di quella calma piatta.
Uscì prima dagli allenamenti, senza una spiegazione per i suoi giocatori, e attese Kyomi. Hanagata lo guardò con aria di intesa, sapeva meglio di chiunque altro le sottili implicazioni delle sue pene. Nel parcheggio coperto per le biciclette, kyomi stava asciugando il sedile. Mentre la spingeva all’indietro per uscire, Fujima le apparve. Lei sembrò trasparire di una lieve insofferenza. Girò la bicicletta, ma lui le si parò davanti. –Scusa, ma vado proprio di fretta … - Capo chino nascosto tra i lunghi capelli. –Avrei bisogno di parlarti.- Le fece deciso. Ma lei ribatté. –Non penso sia un argomento di interesse reciproco, per cui … credo che dovresti riordinare le tue priorità, in questo momento.- Strinse il manubrio e fece per avanzare.
Fujima, inamovibile sulle proprie posizioni, mise la mano sulla sua, arrestandola. Afferrò il dorso esercitando una certa pressione. Kyomi sollevò lo sguardo e venne sorpresa dal suo: severo, vi si infrangeva un riflesso di indignata collera.

-Sono innamorato di te. –

La bicicletta cadde da un lato. Sul polveroso giaciglio, le ruote continuarono a girare lentamente.







Il fantasma finalmente apparve. Ora era reale. E Kyomi ne fu sopraffatta.
Tutti i 7 secondi precedenti la caduta della bicicletta la tormentarono innumerevoli volte. Passò l’ultima ora delle lezioni pomeridiane con la testa piantata sul palmo destro, mentre ammirava sospirando il lucernario. Venne ripreso dall’insegnante. La perfezione fatta a studentessa e il suo primo rimprovero.
Mikagi non poté ignorare questo segnale. Si inchiodò ferrea e non la lasciò tornare a casa, finché lei non confesse.
-Quindi era successo qualcosa a Hiroshima.- Per discrezione non chiese nulla al suo ritorno, sapeva che l’argomento la metteva a disagio. Ma Mikagi ne fu sbalordita ampiamente. –Chi si immaginava una scelleratezza simile da Fujima … Sempre così impeccabile, disumano, quasi come te. - Che fine aveva fatto tutta la sua ammirazione? Mikagi si convinse sulla serietà del ragazzo. –Non ti stai comportando bene, Kanako. Dovresti dargli una risposta.- Un consiglio molto giudizioso, ammise kyomi.
Non era per cattiva condotta se aveva lasciato aperta la questione. Non era riuscita a liberarsi da quell’abbraccio e ne avrebbe avuto la forza di rifiutarlo, ma non poteva approdare su questa riva. Non poteva.
Mikagi non disse altro. Con un lieve ritardo, ora aveva compreso.



Fujima aprì le doppie ante della terrazza. In cima alla scuola, l’aria era tersa ma fredda. La coltre di nubi fitte pesava su di loro, un manto sospeso tra il grigio e un incerto bianco. Tempo che minacciava neve. I radi alberi del campo all’aperto erano ridotti a scheletri. Se c’era un tramonto, non uno sguardo umano lo avrebbe scorto.
Una figura sottile cinta in alto da una cascata di capelli scuri. Il vento passava attraverso i suoi fili interminabili, invitandoli a ondeggiare con esso. Mani sulla ringhiera, si voltò. Occhi ancora lontani che riflettevano il paesaggio ammirato. Velata da un indefinibile tedio, il volto della ragazza si diluiva nel cielo pomeridiano. Gli sorrise.
-Non posso fare a meno di scusarmi. – Fujima rinviava il contatto visivo fissando giù, al campetto, dove vedeva i suoi ragazzi correre con il gelo in faccia. –Ti dissi di non volerti mettere con le spalle al muro, ma ho mancato alla promessa fatta. - Ora avevano superato le matricole del club di calcio, forse c’era una disputa in corso … -Non ho potuto nasconderti ciò che a parole posso esprimere solo goffamente. E certamente ne sei rimasta offesa.- Da laggiù Hanagata direzionò gli occhiali verso alto, sulla fiancata della terrazza vide due figure ergersi. –Forse, io, penso tuttora di trovarmi in quel sogno. -
La carezza della sua voce, la temperatura del suo corpo in un punto imprecisato dello spazio, gli occhi sorti dalla notte profonda, circondati da vaporose evanescenze uscivano dalle segrete della memoria, lo condussero da quella che era una dimora temporanea, poiché ella coabitava i differenti spazi nella coscienza del ragazzo. Ora la inseguì con lo sguardo, timoroso che quell’immagine potesse errare altrove.
-Questi sono i miei sentimenti. Ti prego di accettarli. -




Fujima ritornò agli allenamenti e li finì con dedizione. Ultimo a lasciare la palestra, spense tutte le luci. L’aria blu della sera pareva sgorgare dai suoi occhi, il freddo del primo inverno era più dolce nel calare della luce. La cartella su una spalla, si avviò verso il cancello.
-Salve, capitano. – Una ragazza dai ricci castani sembrava lo avesse aspettato. Fujima rimase interdetto. Il viso era familiare. -Ti ho già vista ai campionati … Ma certo, Sei Mikagi, vero?- -Ti ricordi bene. – Gli fece un gran sorriso. Abbassò la testa. –Ti spiace se facciamo la strada insieme? Vorrei parlarti di Kanako. - Lui acconsentì.
-Come è andata, allora?- Fece lei schietta. Mikagi non ebbe modo di conoscere l’esito del suo incontro con Fujima quel pomeriggio. Messa alle strette, era stata sempre sua abitudine scappare prima ed evitare gli interrogatori. Fujima fu sorpreso da una domanda tanto diretta. Non comprese subito, ma trattandosi di un’amica di Kyomi, non poteva che essere una cosa sola.
-Sono stato scaricato.-
Un timido sorriso gli passò sul viso. Mikagi lo guardò tra due ricci ribelli, le dispiacque per quel viso sereno che, vinto dalla sincerità, fece trasparire un velo di tristezza.
–Lo immaginavo.- Gli confessò. –Ma speravo che almeno tu ci potessi riuscire … - Si fermarono al semaforo. Mentre le macchine partivano, pochi centimetri alla volta nel traffico, Mikagi riprese. –Ormai conosci anche tu la sua testardaggine, e forse è anche vero che gli altri ragazzi finora non erano stati alla sua altezza. Ma questa volta era diversa. Fu la prima volta che Mikagi notò un vero turbamento nella sua amica. Che il motivo fosse il capitano della squadra di basket lo aveva solo intuito, ma ebbe presto la conferma. –Io, speravo che almeno con te Kanako si sarebbe aperta. E quando la vidi incitare la squadra durante gli inter-high, seppi che tu potevi avere una chance. - Lei non era capace di capire fino in fondo la sua amica, i sedimenti nel suo cuore erano preclusi a chiunque. In tutti questi anni non poté che preoccuparsi , osservandola divenire sempre più cinica e distaccata. Kyomi che mirava alla perfezione in terra, innalzandosi man mano verso le vette dell’assoluto, prima o poi avrebbe raggiunto se stessa. Mikagi assisteva inerme e si chiedeva cosa ne sarebbe stato di lei quando avrà consumato tutte le mete che una vita ordinaria avrebbe compiuto nell’arco di un lungo secolo.
-Io e lei ci somigliamo molto, ma la similitudine non permette di vedere l’altro al di là dei propri limiti. Probabilmente, io sarei stato solo un peso per lei. -
-Per queste cose ci vuole tempo.- Gli diede un leggero pugno sul braccio, senza fare troppi complimenti. –Ma è proprio a questo proposito che ho voluto parlarti. – Mikagi emise un lungo sospiro. –Che tu ci creda o no, voi due non vi somigliate affatto. E non è per questo motivo che Kanako si è interessata a te … Anch’io, l’ho capito solo da poco.- La ragazza sfiorò con gli occhi i fili elettrici che cucivano i pali tra i colori accesi dei neon delle insegne galleggianti nel buio. Era ora di cena.
-Lei è orfana da quando aveva 7 anni. –

Un camion li passò accanto sfrecciando, i fari abbagliarono gli occhi del ragazzo, un giallo accecante. L’offuscamento scomparve presto, lasciando una striscia di contrizione in lui. - Facevamo le elementari insieme, ma ai primi tempi, lei non frequentava molto la scuola. Suo padre era un diplomatico, lavorava come portavoce del governo giapponese e viaggiava molto spesso. Kanako fin da piccola seguiva il padre in giro per il mondo.
Devi sapere che Kanako non ha mai conosciuto sua madre, che morì dandole alla luce. Ma nonostante questa mancanza, lei sembrava felice. Aveva creato un rapporto esclusivo con suo padre. Era un uomo eccezionale, elegante e dal portamento impeccabile, e sua figlia ne doveva essere molto orgogliosa.
Ma un giorno, il signor Kyomi morì in un incidente. E lei rimase sola al mondo. Fu affidata a dei parenti che non aveva mai visto, dei perfetti sconosciuti. Fu un trauma troppo grande da poter verbalizzare, e da allora, non parlò più con nessuno. - Mikagi gli raccontò anche di quando picchiò degli alunni della quinta che la prendevano in giro e fu sospesa per cattiva condotta. Con tono ilare cercò di risollevarlo un po’, ma lui rimase serio.
Ci volle molto tempo. Kyomi era taciturna, ma Mikagi le voleva bene lo stesso. Un giorno, all’improvviso, aveva cominciato a studiare e prendere voti sempre più alti, tra l’incredulità delle maestre e l’ammirazione dei compagni. –Sai di che genere di cambiamento parlo, no, Fujima? - Una bambina imbronciata dalle doti straordinarie che con un inspiegabile accanimento era diventata ciò che ora tutti riverivano.
-Kanako non ha mai elaborato il lutto del padre. Lei, tuttora, insegue disperatamente la sua schiena. Come fosse un rituale, si veste di ineccepibili talenti incarnando l’immagine di suo padre, cercando di riportarlo in vita. Ma questo, lei non lo poteva dire a nessuno.-
Avvilito, Fujima comprese la malinconia di Kyomi. Lentamente, nella sua mente, diede forma a quella fessura che lacerando in profondità era riuscito a tenerli lontani, quella notte a Hiroshima. Ma c’era ancora un punto oscuro. Sfiorò l’enigma, ma non osò varcare la soglia. Dissimulando, provò a domandare, -Pensi che le abbia fatto del male?- Mikagi si fermò. Erano a un bivio. Gli rivolse uno sguardo limpido, trascendendo ogni dubbio. –Sei astuto, Fujima. Te ne sei già accorto.-
-Tu … - E lei sorrise. –Somigli molto a suo padre.-

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Capitolo 7
*** Kyomi ***


-Kana!- La chiamò suo padre correndole incontro. La bambina gli saltò in braccio e lui la fece volteggiare. -Sono venuta a prenderti, sei contento?- Lui rise di cuore. Chioma folta bruna ordinatamente tagliata che scintillava al sole. La bambina gli cinse il collo scompigliandogli il colletto. –Ma quando crescerai, piccolina?- Le accarezzò i capelli, pettinatura a caschetto e un fiocco sottile in testa.
Una camicia immacolata con la cravatta sempre annodata. Kyomi, per infinite volte, avvolta da quell’abbraccio, aveva sentito il profumo del bucato fresco che emanava tra il collo e la piega del suo colletto. Il padre la portava sempre a pranzo quando tornava dal lavoro, un mondo solo per loro due.
Al suo funerale, lei piangeva da sola, silenziosamente composta, la schiena dritta. Una dignità regale su una piccola figura seduta.
Kyomi allora decise, che non avrebbe mai più pianto. Mai una lacrima doveva più sgorgare da lei, poiché suo padre non piangeva mai. Sigillò i suoi occhi. Sigillò il suo cuore. Doveva farsi forte, per diventare degna custode della memoria del padre, una fortezza inviolabile in cui celare il tesoro più prezioso.
Il tempo poteva fuggire via nei quattro angoli del mondo, ma su di lei non sarebbe scivolato via.
Senza cercare un luogo in cui poter tornare, Kyomi andava avanti negandosi di fronte al divenire.


Una luna gelida si stagliava tra nubi che riflettevano la notte. Fujima rientrò tardi. Sentiva il bisogno di camminare quella sera, prigioniero di pensieri nefasti.
Occhi incollati sulla strada illuminata da uno striscio di luce, contò i propri passi incedere mentre si perdeva tra i meandri della memoria. Numerose volte, rievocò i momenti in cui, inconsapevolmente, le aveva inflitto pene atroci. Non riusciva a darsi pace.
Ma il fatto più imperdonabile era paradossalmente la sua stessa esistenza accanto a lei. Ciò che si insediò nel suo cuore mentre la stringeva a se nel buio della notte, ciò che non era più riuscito a scacciare dai lembi della propria carne: era questo il marchio della sua colpa più lancinante.
Fujima comprese. Decise. Mai più, l’avrebbe ferita. Mai più l’avrebbe amata ancora.

Sulla città cadde la prima neve. Sporcando di lattescenza l’acciaio e l’asfalto del paesaggio urbano, deformò le geometrie delle costruzioni in vallate di bianco. Suoni attutiti, segni vitali esigui.
A metà dicembre nell’istituto Shoyo, il vicepresidente del consiglio studentesco diede le sue dimissioni. Per discrezione, motivò la sua scelta come improcrastinabile impegno del club sportivo di cui era allenatore. Non vennero fatte altre elezioni, il presidente si prese l’impegno di ricoprire le mancanze di un vice al comitato. Non avrebbe fatto fatica fin dall’inizio.
Fujima diede un taglio netto. Reciso. Dimenticato. Nessun rimpianto.
Passava per i corridoi insidiosi di mormorii e sguardi asfissianti, puntualmente fulminati dalle lenti taglienti di Hanagata che lo accompagnava. Si confidò con lui un giorno in cui l’abbattimento che lo prendeva non gli diede tregua: schiena contro schiena, gli raccontò dei suoi tormenti recenti . Hanagata ci sarebbe sempre stato per Fujima. Nell’amicizia che li legava, loro erano anime affini.
-Non devi più essere geloso di lei.- Gli fece beffardo di un sorriso disilluso. Hanagata contraccambiò.

Un’unica volta si incontrarono. Un fato inopportuno, inerme di fronte all’immobilità dei due.
Su una delle vie in cui il mondo ricominciava a macchiare le pennellate nivee di prima stesura, il fiume della folla li fece affluire nello stesso punto della città.
Avvolta nel nero del lungo cappotto, Kyomi si ergeva di una misteriosa sacralità. Lumi di stelle tra i capelli districati, gli apparve di una grazia senza tempo.
-Sempai- La chiamò formale. Stava rientrando a casa da un pomeriggio passato in libreria a sfogliare i numerosi testi di preparazione. Fujima si offrì di accompagnarla per un tratto. Discussero pacatamente degli esami in primavera, Kyomi in terza, si doveva diplomare. –Il preside mi concederà una raccomandazione, ma penso che sia giusto studiare comunque.- Le chiese se avesse già una predilezione per la scelta dell’università. –Ci sto ancora pensando … Anche se, per chi frequenta il corso scientifico, avrebbe più senso scegliere una carriera in campo medico o ingegneristico.-
-Medicina sarà dura!- Fece lui. Fujima si impuntava su sorrisi discreti, ma per tutto il tragitto, per tutti i 120 secondi del loro effimero incontro, fu un tumulto di beatitudine. Si contenne dall’esigere altro eccesso, colmandosi della silente contemplazione.
Avvinto, poté realizzare che questo male, neve eterna cristallizzata nel cuore, non sarebbe potuto svanire come l’inesorabile posarsi dei fiochi gelidi sulle superfici del mondo.


-Forza Ito, muovi quelle gambe!- Gridò Fujima al loro secondo playmaker.
Un pomeriggio di allenamenti infernali. Gli atleti che, ansimando copiosi di sudore, schizzavano lungo il perimetro dell’intera palestra da circa mezz’ora sembravano sul punto di crollare. –Chi osa cadere farà 50 flessioni e 200 tiri per punizione!- Dichiarò il capitano in testa alla mandria in corsa.
Il temperamento del coach si era notevolmente inasprito. Già noto per la sua severità, negli ultimi tempi Kenji Fujima teneva un vero e proprio campo di concentramento per lo Shoyo. Per dare una ragione a tanta spietatezza, tutti supposero che fosse uno sforzo necessario per potenziare la loro resistenza sul campo. Ma solo Hanagata ne conosceva le vere implicazioni, era l’unico che riusciva a fargli riacquisire il senno quando esagerava.
-Fujima? Capitano Fujima?- Una voce estranea in mezzo all’ordinaria confusione. La segretaria dell’ufficio della presidenza era venuta a cercarlo. –C’è una visita speciale per te, recati al terzo piano, nella sala dei ricevimenti.- Il ragazzo uscì dalla traiettoria, il fiato corto, si levò il sudore dal viso con un asciugamano. Prese la giacca della squadra, verde abete e una “s” stampata sulla sinistra, il colletto alto aveva aria soffocante, ma se la mise lo stesso sulle spalle. Lasciò il suo vice al comando.
Tre colpi discreti alla porta. Ricevuto il permesso, Fujima spinse la porta. In una stanza decorosamente arredata con file di medaglie e trofei, due uomini seduti sui divani al centro lo invitarono a entrare. –Siediti pure, Fujima.- Gli fece cerimonioso il preside. Poi, con un inchino, lasciò la stanza.
-Mi dispiace di averti fatto chiamare durante gli allenamenti.- Esordì rispettoso l’uomo. Alto e composto, Fujima si studiava l’uomo elegante che gli stava di fronte. Non era un dirigente della scuola e non gli parve di ricordarne il volto. –Sono Takagi Hoshino. Rappresento l’ufficio di immatricolazione dell’Università %&$, immagino che la conoscerai già.- Gli porse il suo biglietto da visita. Fujima sgranò gli occhi sorpreso, davanti a lui era seduto il reclutatore di una prestigiosa università sportiva.
Gli porse la mano. –Kenji Fujima.- Si presentò in minimi termini.
–Piacere mio, ma conosco già il tuo nome. In questi due anni ti abbiamo osservato molto bene. Specialmente durante i campionati nazionali dell’estate scorsa, sei stato eccezionale, anche se la sconfitta non rende sempre giustizia ai meritevoli.- Il ragazzo ascoltò in silenzio. Ancora al secondo anno di liceo, Fujima non si aspettava di ricevere tanto presto proposte di iscrizione per l’università. –Ma personalmente, sono molto curioso di vedere come andrà a finire la sfida tra te e Shinici Maki. - Attualmente, il capitano del Liceo Kainan era considerato il miglior playmaker della sezione giovanile del paese, e la sua ombra ancora lo oscurava. L’uomo gli sorrise cercando di discernerne una reazione, ma nulla trasparì dal suo volto grave. –Per essere sinceri, nella squadra in cui militi adesso, hai grossi limiti ad elevarti al di sopra della media provinciale.- Senza sentenziare, Fujima accolse indignato quell’accusa. Il signor Hoshino si scusò per l’offesa. –Come capitano e allenatore, hai un enorme responsabilità sulle spalle, e capisco anche la tua affezione per la squadra, ma le capacità dei tuoi giocatori le conoscerai meglio di me. Sono certo che comprendi … - Sguardo in basso, il ragazzo ammise. -Non posso negare, purtroppo.-
Lieto della sincerità, l’uomo elegante scoprì le carte in tavola. Gli disse che nell’anno seguente si sarebbe dovuto preparare a superare il suo rivale numero uno e di conseguenza, gli sarebbe stato offerto ufficialmente un posto nella squadra della prestigiosa università. Il suo obiettivo doveva essere quello di diventare un membro della formazione nazionale, in futuro.
Si salutarono in corridoio. Uscito dalla stanza, Hoshino parve rilassarsi inaspettatamente. –Grazie per la sua visita.- Si inchinò.
Lui sorrise cortese, viso rinfrancato, innocente, disse a Fujima. –Punto su di te, quindi mi raccomando! E porgi al preside i miei complimenti per l’istituto, ci sono degli studenti davvero straordinari come te e il vostro presidente del comitato studentesco! La conosci, vero?-
Un Sorriso gli sfuggì dal viso, occhi socchiusi in una curva dolce, rispose, -Il presidente Kyomi è una ragazza eccezionale.-
Sorpreso dalla sfumatura affettuosa, Hoshino gli rivelò con inaspettata confidenza che Kyomi non era una nuova conoscenza. –Non potevo crederci, ma quando quella ragazza ha detto il suo nome, la somiglianza non mi parve più tanto scontata.- Sospirò e continuò con trasporto, mentre percorrevano il corridoio deserto. –Quando lavoravo ancora per il Ministero degli Esteri, conobbi Akihito Kyomi, una persona fuori dal comune, prodigiosa in tutti i sensi. Eravamo amici, ma io lo ammiravo e rispettavo. E la sua perdita è stata un colpo duro per tutti i nostri colleghi, il Ministero stesso fu privato di un uomo impareggiabile. Lui era il padre di Kanako Kyomi. –

Fujima tornò di corsa agli allenamenti. I suoi si stavano esercitando nei passaggi. Non li interrupe e si sedette. Affondato sulla panchina, la giacca gli scivolò dalle spalle. Hanagata lo guardò inquieto, mancò la palla che rimbalzò sulla parete e gli rotolò fino ai piedi. Andò dal suo capitano, occhi imperscrutabili velati dalla pesante frangia, testa inclinata verso il parchet, vagamente tenebroso. – Fujima, che ti hanno detto?-
Il capitano scattò in piedi, senza una spiegazione, si precipitò fuori dalla palestra.


Kyomi.
Come una litania invocò quel nome infinite volte, mentre correva per l’edificio scolastico in cerca della sua immagine.
Il pensiero per lei ora lo attanagliava: per una sviata infausta, Kyomi aveva incontrato quell’uomo, amico del defunto padre. Con quanta nostalgia doveva aver pronunciato il suo nome? Con quanto affetto doveva aver rivisto quella bambina con il fiocco rosa tra i capelli? Inconsapevolmente, aveva gettato Kyomi nel baratro.

Salì le scale che portavano alla terrazza della scuola. Ultima spiaggia. La ragazza sembrava essersi volatilizzata, forse era già tornata a casa.
Verso gli ultimi gradini sentì il rumore delle gocce battenti sulla tettoia. Senza che se ne rendesse conto, fuori, la pioggia aveva cominciato a cadere.
Ansimando afferrò la maniglia.
Aprì la porta e sotto l’anta affianco, la trovò seduta. Nel rifugio tra il gradino che precedeva lo spazio aperto e il rientro del muro esterno, se ne stava accovacciata. Gambe strette fra le braccia e il viso sprofondato in esse. I capelli le scendevano lungo le pieghe della gonna, ondeggiando.
Nell’aria dell’imminente sera invernale, lo scroscio della pioggia si insinuò persistente. Kyomi sollevò la testa, lentamente, accortasi della presenza di qualcuno accanto a se. Fujima scese, ginocchia sul freddo cemento, e la osservò in volto, candido e perduto, ma non piangeva. Come svegliatasi da un sogno, lei lo riconobbe fra aeree rimembranze.
Lui sorrise risollevato. Una scia vibrava sulla retina dei suoi occhi che ora riflettevano il grigio delle nubi. -Così prenderai freddo, Kana … - Disse amabilmente.
Un fulmine illuminò il cielo, il rombo del tuono lo seguì. Una breccia umida squarciò il viso della ragazza, contrito da una piega sofferente. Sbilanciandosi, sprofondò tra le braccia di lui.
Fujima avvolse quel pianto desolante che pareva fondersi con la pioggia. Avvolse il fremito di quel corpo esile prostrato dal dolore.
Non disse più una parola. Lui, le era accanto.




Adagio, silente, il dolore defluiva dalle foci oscure e si riversò nei corsi d’acqua disegnati dall’irrigare della pioggia. Sulle onde increspate, galleggiavano sperdute le banchine gelide staccatesi delle lande che Kyomi custodiva in fondo alla sua voragine. Uno a uno, si sciolsero quei frammenti . Tramutati in essenze aeree, ascesero alle vette oltre la coltre grigia.
Fujima … Gli parve di sfiorare queste sillabe sfuggenti nella voce affannosa di Kyomi. –Perché sei qui?- Emergendo dal torpore gli domandò. Lui disse di aver incontrato quell’uomo. Kyomi non si pronunciò mentre realizzava il retroscena, l’ombra giacente della sua affermazione. –Allora sai … - Lui annuì.
Lo incrociò in corridoio mentre il preside lo stava accompagnando nella sala dei ricevimenti. Kyomi si fermò per salutare con dovuto rispetto il preside, e lui la presentò all’ospite. Gli occhi dell’uomo si illuminarono meravigliati nel sentire il suo nome, che calzava alla perfezione in quella composta eleganza e quel portamento nobile, l’incarnazione della figura tanto compianta. Con tenerezza si informò della sua attuale famiglia, la sua vita scolastica, e nostalgicamente, rimestò il suono di quell’antico nome: Akihito.
Quell’apparizione inaspettata negli spazi contingenti della sua realtà, evocata da una voce lieta di genuino affetto, spezzò l’immobilità in cui giaceva la coscienza di Kyomi. Tutte le sue alte mura si sgretolarono a partire dal sorriso gentile di quell’uomo.
Il volto del padre riemerse con violenza dalle ceneri che aveva seppellito nella memoria. Spalle larghe e accoglienti, occhi tinti dalle sfumature di una notte senza stelle, lineamenti regolari che si stagliavano fieri su un viso di severa distinzione. E quei capelli bruni, serici, leggiadri danzanti nel vento della sera, erano davanti a lei, nell’imminenza del suo corpo. Quella voce tenue, nel tepore della vita che bruciava, e quel suo modo di ricomporre i suoni del suo nome: solo suo padre l’aveva chiamata così.
-Questa tua afflizione, non sono in grado di proteggerti da essa.- Disse Fujima, come se cogliesse i fili reconditi del suo tormento. –Io stesso, sono fonte della tua disperazione.- Raccolse le sue lacrime con le nocche della mano. –Ciò che i tuoi occhi ora vedono è un riflesso che non posso cancellare dal mio volto. Tuttavia … - Le sistemò con delicatezza i capelli scompigliati che celavano il biancore della sua pelle.
Lui sorrise illuminandosi, un raggio di sole nel nubifragio. -Ti sarò amico e potrai sempre contare su di me. -

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Capitolo 8
*** Presagi ***


Fujima diede appuntamento a Kyomi nell’aula degli audiovisivi quel pomeriggio. Era il periodo più freddo dell’anno, le lezioni erano sospese per le festività invernali, ma per i corridoi della scuola si vedevano ancora girare alunni indaffarati.
Dal buio della stanza provenivano i bagliori di un piccolo televisore. Kyomi sospinse la porta semiaperta. Fujima che era in piedi nel punto più lontano le fece il cenno, una mano che si rifletteva bianca nell’oscurità. Lei si accomodò su una sedia nelle vicinanze, senza interrompere, visionò la proiezione con i ragazzi della squadra.
Era una partita di basket. L’ultima disputata dallo Shoyo contro il Kainan. Dodici paia di occhi incollati sullo schermo in cui scorrevano le immagini della loro disfatta alle eliminatorie. Scuro di viso, altezza notevole, il dominatore assoluto del gioco: Kyomi apprese per la prima volta la fisionomia del celebre Shinichi Maki.
Finita la cassetta. Il capitano riaprì le tende inondando di luce la stanza. Si mise davanti allo schermo fermo sull’ultimo fotogramma: il braccio di Maki che stoppava il canestro del loro capitano, e accanto al cerchio rosso, il viso incredulo di Fujima. Braccia tese dietro la schiena dritta, parlò ai suoi ragazzi. –Vorrei che rifletteste sulla mia proposta in base alla revisione di questo incontro, ne riparleremo domani. Arrivederci a tutti.-
Kyomi gli venne incontro, mentre i giocatori migravano verso l’uscita, gli porse dei fogli, circolari del comitato. La ringraziò della premura e le chiese se avrebbe gradito accompagnarlo a prendere una bibita con Hanagata.
-C’era una strana tensione nella stanza, prima … - Interloquì Kyomi con un bicchiere di tè in mano. Si erano appartati ai tavolini vicini ai distributori automatici della mensa vuota. Hanagata con la gamba piegata sul ginocchio dell’altra, interrogò il pavimento con lo sguardo basso. Kyomi chiese a Fujima che cosa volesse domandarle per l’occasione. Lui guardava ancora il suo amico Toru, occhi tesi come in attesa di risposte da parte sua. Poi si rivolse a Kyomi. –Vorrei sapere se allo stato attuale esiste la possibilità di assumere un allenatore per il club di basket.-
Kyomi non fece in tempo a ricostruire la trama nascosta della frase, che la montatura nera batté con vigore la mano aperta sul tavolo facendolo tremare leggermente.
– Fujima, ancora insisti … - Lui gli rivolse uno sguardo pieno di obiezione. Ma non lo zittì. –Noi ci fidiamo ciecamente di te, non abbiamo bisogno di un altro coach.- Ribatté Hanagata calando il tono, espressione imbronciata.
-Tu che ne pensi, Kyomi?- Era una domanda duplice, lei mirò il bianco del tavolo, indecisa sulla precedenza da dare nella sequenza. –Dal punto di vista amministrativo, non vi consiglio di cercare un allenatore adesso. Non sussistono risorse finanziarie, né tempistiche per una nuova assunzione. La vostra squadra è importante e non è facile trovare un coach all’altezza dello Shoyo prima dell’inizio delle prossime eliminatorie. È una questione delicata e lo sapete già.- I due ragazzi ascoltarono in silenzio. –Poi, per quel che riguarda la squadra … - Kyomi si interrupe e asserì che l’argomento era ben noto a Fujima.
Lui sorrise approvante. –Non sbagli. Ma vorrei che lo esponessi ad Hanagata.-
Kyomi sgranò gli occhi incompresa. Si ritrasse un secondo e rialzò la testa cogliendo l’ambiente spoglio con un’ampia panoramica. -È certamente raro trovare un allenatore tanto giovane capace di tenere le redini di una partita con sangue freddo e arguzia. Fujima è ciò che si definisce “la perfezione” in un contesto ideale. Ma dopo aver osservato l’incontro con il liceo Toyotama e perfino quello contro il Kainan, non ho più riserve che negano la mia opinione.- Kyomi inchiodò gli occhi di onice sul capitano.
–Il punto debole dello Shoyo, Fujima, sei tu. –
Hanagata si accese adirato. –Ma che dici? Non sai niente di basket, come ti … - Fujima lo ammutolì in fretta. –Lasciala parlare.- Testa inclinata verso il basso, l’iride blu sul vuoto, coglieva grave il pensiero di Kyomi.
-La fiducia che ponete in lui è un arma a doppio taglio.- Disse ad Hanagata. – Fujima è il perno della squadra. Voi siete “lo Shoyo di Fujima”.- Lui si contrasse nell’udire quell’appellativo. –La singolarità non si manifesta onnisciente. E Fujima, lui appartiene al campo d’azione. Solo ricoprendo interamente il ruolo per cui è nato, la sua squadra potrà accedere alle vette più alte del campionato.-
-Ti senti forse costretto?- Chiese Hanagata con una voce piatta. La domanda era rivolta al suo capitano.
-Lo sai che non è così. Fui io a propormi, per fronteggiare quello che poteva accrescere in una crisi più devastante per la nostra squadra.- Nessuno dei due incrociò lo sguardo dell’altro. Sospesi in quella silenziosa contraddizione, un muro di lontananza sembrò sorgere tra di loro.
Fujima voleva convincere il suo migliore amico della sua scelta. Hanagata era più vicino ai suoi compagni, era lui che mediava tra la massa e colui che la comandava. L’autorità di Fujima non poteva essere messa in discussione: Kyomi comprese un altro limite per lo Shoyo.
- Hanagata. - Intervenne lui spezzando l’aria tesa. –Sei convinto di voler lasciare il 50% di incognita sulle prossime dispute estive?- I suoi occhiali vacillarono sul viso contratto. –Se io crollassi, trascinerò giù di nuovo l’intera squadra con me. Non posso rischiare ancora. Inoltre … - Ora si impuntò sui suoi occhi disdicenti dietro le lenti spesse. –Questo è il nostro ultimo anno. -

-Toru è sempre stato testardo. Chissà, forse è colpa mia … - Sospirò Fujima mentre si incamminava verso la fermata dell’autobus accompagnato da Kyomi. -Lui è consapevole del mio ruolo e mi rispetta (a modo suo), ma il rapporto che c’è tra noi mi impedisce di impormi su di lui.- Kyomi spingeva la bicicletta lentamente, un sorriso indulgente le dipinse le labbra, forse dilettata da quella rivelazione. –E pensi che possa divenire un ostacolo in futuro?-
“Ostacolo …” Lui indugiò sulle nuvole basse, espirando vaporoso nell’aria gelida. Il traffico era scarso, i bordi delle strade erano demarcate da dune di neve rigida intinte d’asfalto. –Io … - E si sforzò, trascinando il peso delle parole. –Io, probabilmente, non sono così forte.-
Attonita, Kyomi fece traballare la bici sotto di se. Strinse alcune sillabe tra i denti, incerta se lasciarle andare o meno. Temette di poterlo offendere. –Hai paura di non essere capace di sopravvivere nel mondo esterno?- Spoglio, miserevole, l’esile manifestazione materiale che ricopriva un’essenza imperitura eppure effimera. Il corpo d’uomo gettato nel mondo doveva prostrarsi alle sue leggi gravitazionali.
-Posso crescere ancora, ne sono sicuro. Ma … Mentre mi innalzo verso le mete desiderate, comincio a imparare le sfumature della paura. Ho appreso la caduta e ho definito la linea netta del mio limite fisico.- Fujima strinse i pugni. Sopracciglia combattute si contrassero sul bagliore azzurro dei suoi occhi, lo sguardo tremò.
–Contro il mondo contingente, è una guerra che non posso vincere.-
Questa era l’ombra di Kenji Fujima, e Kyomi la scorse per la prima volta. Quella sua sicurezza perentoria sul campo, l’inducibile unità della sua persona, perfino le spalle forti che l’avevano sostenuta nel pianto esasperato: possibile che fossero solo componenti della sua difesa contro il flusso ineluttabile mentre lo trascinava verso il promontorio?
Ciò che nacque sul limitare del corpo fu l’insicurezza. Il costo del sogno alienante lo pagò con il brusco risveglio, ritrovandosi in proiezione a osservare terrorizzato la sua figura avvolta da impareggiabile perfezione. Man mano che Fujima si ergeva, quella distanza che ora lo separava dal tangibile divenne un bastione invalicabile. –Non puoi più tornare indietro, capisco … -
Ma Fujima non poteva permettersi di strisciare sulle vie delle proprie debolezze.
La voce della coscienza dell’uomo in lui parlò. –Non ho scelta. La responsabilità mi impone ora di lasciare una via d’uscita almeno per i miei compagni. Lo Shoyo non deve seguire un folle come me. – Sorrise, ancora tenace di ironie.
-Certo. Non ho voce in capitolo in quanto inesperta, ma credo che il vostro gioco sia fin troppo prevedibile. Solo con te la squadra acquista un elemento destabilizzante. Se si riuscisse ad aumentare questo punto, chissà … - Kyomi, sorta al mondo per travolgerne la visione, per Fujima era una fonte inesauribile di spiazzanti saggezze. Incantato dalla sua deduzione, il ragazzo prese a mirarla pensieroso. Lei non vide il suo sguardo, mentre virava per accostarsi alla fermata. E lui si sforzò a diluirlo dal proprio viso.
-Potrei farti una proposta, Kyomi?-
Lei perplessa. –Dipende, ovvero?-
-Ti vorrei come nostra manager, accetti?-

Mentre la linea urbana Kanagawa ripartiva senza di lui, Fujima spiegò la sua strategia.
Un azzardo, un colpo di mano per spiazzare la disapprovazione generale della sua squadra. Invece di imporre un nuovo allenatore, ne avrebbe affiancato uno nuovo a se. Kyomi obiettò, non avrebbe mai accettato un ruolo che era incapace di ricoprire. Le sue conoscenze sul basket erano alquanto scarse e non aveva particolari doti fisiche. –Per questo non c’è problema, ti posso prestare dei libri sulla storia e sulle regole generali del basket. In due settimane dovresti farcela a impararle tutte. Potrai assistere agli allenamenti e conoscere meglio l’assetto della squadra.- Ma lei era sempre ancorata sul rifiuto. -Non pretendo che alleni la squadra al posto mio.- Fujima guardò lontano, la luce oltre i fili elettrici cominciava a calare. –Ho bisogno di un punto fermo a cui rivolgere lo sguardo quando sarò in campo. Sarai il cardine di raziocinio a cui l’intera squadra potrà fare affidamento, oltre a me. - Finora non aveva avuto incertezze sulle capacità logiche di Kyomi, la sua valutazione tempestiva poteva risultare fondamentale per un incontro.
-Ho piena fiducia in te. Dimmi che mi asseconderai … - Perfidamente, espose con un tono suadente. E Kyomi Kanako, per quanto fosse contrariata, venne ghermita dal suo magnetismo.

Lo studio delle basi non era difficile per lei. Fujima era sempre disponibile per eventuali spiegazioni e approfondimenti, inscenò spesso delle partite simulate e la incentivò ad applicarsi dal vivo. Insieme alla squadra revisionò i vecchi schemi di gioco, apprese le migliori messe in campo dallo Shoyo, i punti di forza e le debolezze.
Si videro spesso durante la pausa pranzo, soli. Hanagata fu preso da un maggiore rancore nei suoi confronti.
Anche quel giorno, Fujima la invitò alla mensa scolastica. Presero posto in un punto appartato, vicino alla grande vetrata della finestra. Il sole invernale filtrò intenso abbagliando i loro volti, mentre erano immersi in una piccola dissertazione. Quella scena tanto inconsueta: capitano Fujima con una ragazza; il presidente del consiglio studentesco insieme a Kenji Fujima; due personalità di spicco della scuola, l’idolo che amava solo il basket e la fredda Kyomi Kanako. Gli avventori della grande sala sussultarono alla vista di quel quadro dai tanti improbabili titoli.
-Vediamo, li ho appuntati da qualche parte … - Fece lei per cercare nel portadocumenti dei fogli sparsi. -Dunque, i pregi della squadra attualmente sono l’altezza, la precisione e la resistenza, direi quindi un’ottima difesa. Non hanno una sbavatura, del resto mi sembra di capire che ogni squadra rifletta esattamente la personalità del proprio capitano.- Kyomi batté il cucchiaio sul piatto, un suono deciso. –Ma questo rende monotono il ritmo, quando incontrerete degli avversari davvero forti, sarà la prima cosa di cui pentirsene.-  Si rese conto però che effettivamente un avversario di inconfutabile forza l’avevano già affrontato. Fujima affilò lo sguardo in due lame taglienti.
–Maki.-
Kyomi si sorprese nell’udire quel nome invece del nome della squadra rivale. –Il Kainan numero uno, eh?- La ragazza rilesse nei suoi scritti. 16 anni consecutivi di partecipazione agli inter-high su cui troneggiava sempre tra i primi. Irruenza, resistenza, eccellente visione del gioco: l’autostima e la sete di vittoria dominavano la squadra capitanata da Shinichi Maki.
–Se tu lo incontrassi di persona … - Fujima strinse le palpebre per poi riaprirle sugli occhi di Kyomi. -Sarei curioso di vedere che reazioni ti susciterebbe.-
-Sarebbe così affascinante?- Scherzò lei, alzò le sopracciglia piena di sarcasmo.
-Non direi, a me sembra uno zio. - La ragazza rise con una certa soddisfazione di Fujima.
Ormai mancavano 3 mesi alla fine dell’anno scolastico, presto si sarebbero dovuti preparare per gli esami, quelli di diploma per Kyomi e quelli di fine anno per Fujima, ma nessuno dei due sembrò preoccuparsene. Spiccata intelligenza e forse anche una dose di spensieratezza, i due studenti più impeccabili della scuola passavano le giornate studiando schemi di basket. Presto si impose un limite di tempo per la propedeutica intensiva. Il capitano era riuscito a organizzare un amichevole fuori stagione con una scuola della prefettura: l’occasione era stata allestita per Kyomi. L’esperimento di Fujima ora avrebbe messo alla prova l’intera squadra.

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Capitolo 9
*** Akira Sendoh ***









Nel paesaggio che scorreva lungo la linea Enoshima la neve stava cadendo. Lo sciabordio delle onde che si infrangevano sulla spiaggia deserta giungeva attutito, come preso dal gelo che lo sovrastava. I cristalli di ghiaccio danzarono leggiadri scivolando sulla baia grigia di Sagami. In una di queste città sorgeva una scuola in riva al mare. Il blocco singolo della palestra, distaccato dall’edificio centrale, si ergeva in prossimità alla spiaggia.
Le tonalità dell’oceano pacifico, il suono della marea in una conchiglia così come l’irruenza della tempesta sulle acque increspate, le ali dispiegate bianche nel volo dei gabbiani: respirandone l’aria salmastra, i giovani allievi del Ryonan avevano accolto il mare dentro di sé.
Un intenso blu oltremare, il colore della squadra che si allenava in quel campo di basket circondato dal fragore incalzante delle onde che lisciavano la battigia. Jun Uozumi, una mole impressionante che si distribuiva nei 2 metri di altezza, si sistemò i bordi della maglia dentro i pantaloncini coordinati. Di fianco a lui, l’allenatore quarantenne del Ryonan batteva nervosamente i piedi sul legno lucido del pavimento, le mascelle contratte dalla rabbia, vide arrivare gli 11 giocatori dello Shoyo: dentro la cornice della porta offuscarono la linea d’orizzonte sull’acqua che di solito si scorgeva sottile e azzurra.
In mezzo alle 10 pertiche possenti, ma non quanto il suo pupillo, uno più basso si fece avanti a passo deciso.
-Benarrivati, ragazzi!- Li accolse il coach Taoka stringendo la mano al loro giovane allenatore. –Siamo lieti che lei ci abbia concesso quest’occasione di confronto.- Sorrise di rimando Fujima delegando diplomazia. -Spero che faremo una bella partita!- Disse colmo di stima per un collega tanto acerbo e autorevole.
Taoka non si era innervosito con lo Shoyo, gli avversari arrivarono puntuali quel giorno, ma un insetto fastidioso gli ronzava intorno ai nervi della pazienza. Un ritardatario cronico della sua squadra lo stava facendo dannare. L’ennesima beffa di un giocatore, forse il più prezioso della formazione.
Mentre i ragazzi dello Shoyo si liberavano dai pesanti indumenti nello spogliatoio, una ragazza dall’altezza degna della squadra più alta della prefettura si sistemò sulle panchine. Maglietta bianca coperta dalla giacca verde scuro dello Shoyo, maniche arrotolate nonostante le rigide temperature, un blocchetto per appunti sulle ginocchia. Kyomi si mise le mani delicate tra i capelli e li legò in una lunga coda di cavallo. Lo spettacolo diafano accese molti turbamenti nelle virili file del Ryonan.
D’improvviso, Kyomi sollevò la testa dai suoi appunti, sentendo gridare l’allenatore della scuola. –Dove diavolo è finito quel Sendo??- Mentre sbraitava sulla sua sedia, la porta della palestra si aprì piano, tra le pesanti ante si allineò un ragazzo piuttosto alto, portando la mano alle creste della chioma a spazzola, sorrise rilassato.  
–Buongiorno, scusate il ritardo!- Calmo e passo adagio, sempre con quel sorriso distaccato sul viso, appoggiò serenamente la sua borsa accanto alla sedia dell’allenatore. –Buongiorno, coach!-  -Ti sembra l’ora di arrivare questa, Razza di Screanzato Ritardatario????- Si avvampò con tutto il volume che aveva, Taoka, regalandogli una violenta alitata di benvenuto. Ansimò furente, ma il suo giocatore lo contraccambiò con un’espressione di ingenuo stupore. –Mi scusi, mi ero scordato che oggi c’era l’amichevole, pensavo che ci fossero gli allenamenti … -
Il secondo round tuonò. –E secondo te è normale arrivare sempre in ritardo agli allenamenti, mentecatto che non sei altro?!!!-  Nell’ira per la sua indisciplina consumò tutto il fiato che aveva. –Per punizione oggi rimarrai in panchina!!- Il ragazzo si incurvò triste, faccia imbronciata.
Finalmente entrarono i giocatori ospiti. La divisa bianca con il verde pallido sulla scritta “Shoyo”. Le due squadre si allinearono in centro campo. I saltatori prescelti uno di fronte all’altro, pronti al balzo. Hanagata era più basso di 4 cm del gigante sedicenne Uozumi, per sopperire l’esigua mancanza alzò spavaldo il mento. Il rivale lo fissò bieco, canzonando i suoi occhiali da freddo intellettuale.
Il Ryonan eccelleva in difesa, anche grazie ai 2 metri del suo pivot, mentre l’attacco, come risaputo in tutta le prefettura, era penosamente scarsa. Ma da un anno a queste parti, qualcosa fece cambiare l’idea al pubblico. Taoka era piuttosto fiducioso: l’elemento raro che era riuscito a scovare l’anno scorso avrebbe elevato il livello della propria squadra. Un tempo sospirava i campionati nazionali ma ora il sogno stava varcando la soglia della realtà.
Fujima si mise la giacca sulle spalle: il solito rituale per calarsi nei panni dell’allenatore. Si sedette accanto a Kyomi, incrociò le braccia nascondendo le mani sotto il mantello dell’autorevolezza. Accavallò pensieroso le gambe, stava osservando un giocatore seduto sulle panchine dei rivali che si chinava in avanti appoggiandosi sui gomiti. Piegato e metà, la sua stazza non passava comunque inosservata.
Akira Sendo era al primo anno, 190 cm, nulla da invidiare alle stanghe dello Shoyo. Ma Fujima, che lo notò per la prima volta, ignorava tutto il resto.
L’unico suo dubbio era su perché Taoka tenesse a riposo uno degli unici due giocatori in grado di rivaleggiare con loro in altezza. Taoka stesso assestò il colpo inevitabile quando l’occhialuto lo sorprese conquistandosi la palla. Il suo centro poteva essere l’uomo-difesa, ma Hanagata aveva una marcia in più e quell’agilità lo portò a segnare il primo canestro per la sua squadra.
Pentendosi della propria scelta, chiese alla matricola di prepararsi a entrare in campo. Sendo si stirò le braccia inarcandole dietro la testa, schiena tirata, si elevò fino alla cima dei 15 cm di capelli antigravità. Sgusciò fuori dalla divisa scura dell’istituto superiore, rimanendo in blu.
Quel sorriso incurvato su due strisce di labbra sottili, spensieratamente disincantato. Amichevole caratterialmente, ma in quegli occhi ascetici che riflettevano imperturbabili, c’era qualcosa di irraggiungibile per i comuni mortali. La trascendenza dagli affanni terreni, la pace dei sensi mobile nel mondo.
Inafferrabile, indefinibile, Sendo non pareva avere un ruolo fisso sul campo. Le sue azioni erano improvvisate con maestria; quando surclassava un rivale, il volto si accendeva con un’espressione di diletto, inchiodando l’avversario e pronto a ricominciare la sfida. Volteggiava ipotizzando la sua controparte e chiunque si ritrovasse a mirare lo spettacolo.
Akira, intelligenza che risplende.

Hanagata basito, cominciò a perdere colpi. Il Ryonan avanzava come una marea blu, Sendo sulla cresta penetrava le alte difese dello Shoyo. Stabilizzato il vantaggio, si placcò, con un improvviso calo d’interesse. Regalava solo il minimo indispensabile nei momenti di piatta noia. Raggiunto il culmine della soddisfazione, egli abbandonava la scena.
9 punti di distacco, Taoka sorrise trionfante.
-Fujima … - La manager dello Shoyo si lasciò sfuggire uno sibilio che lo esortava a entrare in campo.
-Lo so. – Le braccia tese lungo i fianchi, i pugni stretti. Sfiorò il colletto della giacca sportiva e la fece scivolare.
Il capitano si alzò.
La ragazza stava quasi per chiedere la sostituzione, quando Hanagata, stringendo le mascelle contrariato, guardò verso Fujima e gli fece il cenno di risedersi.
Kyomi osservò la scena. Orgoglio scelleratamente smisurato, Hanagata non permetteva che il suo capitano si intromettesse in quella che era la sua riconquista personale. Lei sapeva dei cambiamenti repentini che avvenivano in alcuni giocatori quando correvano sul campo, la prospettiva da cui ora vedeva la partita andava in frantumi agli occhi di coloro che dovevano fronteggiare il tempo e lo spazio.
Si fece seria, di pietra. La risolutezza negli occhi, bloccò l’arrestarsi di Fujima. –Non esitare, entra in campo.- Gli mise una mano sul braccio, determinata a spezzare quel circolo vizioso.
L’arbitro fischiò per il cambio.
Hanagata, sotto le lenti, si fece di fuoco. Sbuffò frustrato.

Il capitano Fujima si sistemò le fasce all’altezza dei piegamenti delle braccia, invece che sui polsi. Era una sua abitudine. Gli dava sicurezza legare a se una superficie estranea nel punto che sentiva più fragile.
Rimessa per lo Shoyo. Palleggiava con debita lentezza verso il punto del campo lasciato vuoto dalla sostituzione, mentre le pupille viaggiavano da un angolo all’altro dello spazio rettangolare studiando le posizioni dei giocatori.
-I tre elementi bassi del Ryonan sono piuttosto scarsi.- Gli aveva accennato Kyomi, prima di scendere in campo. Due soggetti di divergenti minacce invece intimorivano i giocatori: Uozumi che spezzava la sicurezza sotto canestro e Akira Sendo che irretiva i sensi annientando ogni barlume di certezza.
Sui primi secondi del gioco, l’etereo Sendo lasciò campo libero a Fujima. Non fece fatica ad eludere le rinomate difese della squadra avversaria. Come playmaker era impareggiabile in velocità, e la palla era letteralmente legata alla sua mano sinistra, scompariva a momenti per ricomparire poi nell’altra mano. La fece schizzare sotto le gambe di un difensore e la riprese alle sue spalle, il giocatore si voltò ma Fujima era già volato lontano. Quasi sotto canestro, il gigante blu si prodigò in un salto mostruoso. L’asso che si riscaldava attese che la montagna scendesse a metà elevazione, lanciò la palla ad Hanagata che tirò sereno da fuori area. Recuperarono subito 3 punti.
Tornando veloce in difesa, sottrasse la palla a un giocatore che avanzava, un impercettibile sfioramento. Nessuno vide le sue mani. Digrignando di rabbia, la loro guardia tentò di imitarlo ma con scarsi risultati. Fujima era il numero due della prefettura, ma la rivalsa lo portò a diventare il più crudele dei cacciatori in zona. Dribblò e passò la palla da dietro la schiena all’altra mano, la fece ruotare nel palmo per portarla in cima. Intento a bloccare il lancio, il rivale saltò più in alto che poteva. Avevano la stessa statura, e Fujima non ebbe spazio per tirare. Sospeso in aria, gettò via, come se l’abbandonasse, quel globo rosso. Hanagata stese il braccio mentre si affiancava di corsa. Balzò e la schiacciò nel canestro.
Quell’unico botto esplose in tutta l’ampiezza della palestra.
Taoka tremò sulla sua sedia.

Una nota d’aria sprizzante. Sendo fischiò con vivo apprezzamento, gli occhi disegnati in un bizzarro spalancamento. I muscoli della mandibola si contrassero, un sottile cenno di sorriso e declinò leggero la testa a spazzola. Un’ombra scese sulla sua ampia fronte. Due punti di luce taglienti brillarono in mezzo all’oscurità controluce del suo volto.
Fujima dall’altra parte del campo mosse il capo nella sua direzione, sollevò la frangia affondandovi le lunghe dita. Profuse un sorriso velenoso. Levò con uno scatto la testa indicando il proprio canestro in segno di provocazione e lo invitò alla contesa.

Kyomi sbuffò divertita. Questo lato del capitano l’aveva sempre incuriosita. Un ribaltamento impossibile da figurare al di fuori di un campo da basket. Immaginarlo ora con una linda camicia bianca mentre era intento alla lettura non poteva che risultare esilarante, tanto il divario era netto.
Ora lo Shoyo mostrava finalmente il suo vero volto.

Da principio, si studiarono a vicenda. Taoka non interferì minimamente, ma Sendo cercò la marcatura di Fujima di propria iniziativa. Come un atto naturale.
Sendo si piegò in avanti abbassandosi al metro e 78 del rivale, e pareva stuzzicare la sua relativa bassa statura da quella posizione, con un accenno di smorfia. Sperimentava il ruolo di guardia avanzata, come se lo stesse imitando. Trovandosi alla stessa altezza del suo visuale, Sendo colse quegli occhi gelidi nel suo archivio sensoriale. Due corpi celesti che irradiavano una luce azzurra, mentre l’incandescente nucleo era in procinto alla fusione. Quell’energia sprigionata che si espandeva come un fuoco blu, nella sua mente, ora rappresentava Kenji Fujima.
I suoi piedi strisciarono striduli sul pavimento, compiendo una serie incalzante di passi veloci nello spazio esiguo in cui il portatore di palla operava. Il suo fisico slanciato tratteneva la figura di Fujima in un costante ma quasi immobile palleggiare. Per lui, era come trovarsi a fronteggiare uno dei suoi possenti compagni di squadra, e Sendo non aveva solo l’altezza a suo favore. I trenta secondi gravavano sull’attacco, ma Fujima non si lasciò destabilizzare dal distacco notevole tra le loro teste, prese la forza del suo avversario e la sovvertì a proprio vantaggio.
Fece per passare la palla al suo vice che era riuscito a smarcarsi, raggiungendolo a gran passi: lo schema per cui erano famosi. Sendo aprì subito la mano piazzandola davanti a ciò che stava per sfuggirgli. Portandosi a destra con tutto il suo peso, si rese conto che la mano di Fujima era già vuota: ciò che lo disorientò di più fu nel vedere poi che Hanagata non aveva affatto la palla in mano. Gli occhiali dalla montatura nera riflessero colpevoli, e la soddisfazione del suo viso si concretizzò quando Sendo si accorse che il capitano dello Shoyo, nei secondi mancanti del suo raziocinio, lo aveva superato.
Passando di corsa, sfilò da un altro paio di mani quella palla, che pochi millesimi di secondi prima aveva lanciato con sobbalzo sul pavimento agganciandola nella presa di un compagno più avanti. Si esibì in una splendida elevazione e appoggiò la palla nel canestro.
Fujima si voltò esuberante. Sbeffeggiò gli avversari con quell’incantevole sorriso sfrontato. L’intensa luce bianca riflessa dal cielo nuvoloso investì il suo volto, risplendendolo di accecante bagliore.
Il playmaker non si crogiolò a lungo nel momento di gloria, freddamente realizzò il punto debole di Akira Sendo.
Paradossalmente, ciò che dava forza alla sua squadra, per lui costituiva una grave mancanza: questa matricola emergente scarseggiava ancora di buone capacità difensive.
Allora scadde il primo tempo e il campo si calmò.

-Complimenti ragazzi!- Kyomi porse raggiante degli asciugamani ai giocatori. –Che ne pensi della tua prima partita?- Appellandovi quel possessivo, Fujima interrogò la loro nuova manager. Kyomi ebbe il suo stesso pensiero, aveva soppesato bene le difficoltà del fuoriclasse. Si sarebbero approfittati di quello svantaggio senza pietà: nessuna smanceria sul campo, tutti i buchi lasciati scoperti degli avversari potevano diventare il fulcro di una strategia.
La vista del capitano considerò ampia l’altra sponda del campo che li divideva. Sendo ansimante, con un braccio si terse il sudore dalla fronte. Il secondo punto debole del Ryonan focalizzato sul loro asso: energia limitata del corpo, la poca resistenza di una matricola.
-Akira Sendo. È ancora acerbo, ma un giorno potrebbe superarci. - Disse Fujima, gli occhi che scrutavano una visione differente, un panorama parallelo che si estendeva invisibile su quello stesso campo da basket.
Kyomi catturando le sfumature della sua voce, scorse un frammento di quella dimensione. –Temi forse di non riuscire a inseguirlo nelle lunghe distanze?-
Lui tacque come fosse assente. Socchiuse la bocca esitante, riuscendo a dire, -Non è questo … -
La differenza di temperatura fece appannare i vetri della palestra, quella nebbia piatta celava il cielo imbiancato mentre spargeva i suoi semi evanescenti sulla terra. Il pensiero in alto si posò e scavalcò il divisore che li proteggeva dal gelo.
Akira Sendo che si rifletteva nel blu ombreggiato dei suoi occhi, Fujima aveva catturato la sua essenza in quel lieve confronto.
Emerse come un corpo ignoto, eppure lo sconcertò anche per una relativa affinità. Perché avvertì quell’immanenza in una figura che non era la sua? Negava ancora razionale, ma l’aveva già afferrato.
Lo prese il silenzio.
Una frazione di secondi, e si impose nuovamente la coscienza dell’allenatore. Ora doveva pensare alla partita.

2 minuti alla ripresa. – Ragazzi, date spazio a Sendo per l’attacco. Uozumi, coprigli le spalle!- Il gigante annuì deciso. –Inoltre, non farti fregare ancora da Hanagata. Hai paura di uno più basso di te?- Lo stuzzicò Taoka. –No Signore!!-
Lo Shoyo a questo punto avrebbe spinto sulla debolezza del numero 7, sapendo che era l'unico in grado di seguire come un’ombra il loro capitano nel suo fulmineo contropiede, costringendolo così a un inevitabile marcatura. Dopo un paio di minuti, il Ryonan riuscì a impossessarsi della palla e portarsi all’attacco. Due dei loro giocatori tennero impegnato Fujima, mentre Sendo arrivava sotto canestro. Ma l’azione fu ostacolata dai 197 cm di Hanagata, il fulcro della difesa avversaria. La matricola non tergiversò, deviò la traiettoria verso Uozumi, giunto in suo aiuto.
Il gigante saltò con furia tenendo la palla con entrambe le mani. -Hanagata! - Gridò Fujima. La montatura nera afferrò il comando implicito e cambiò posizione. In potenza non poteva competere con quella massa enorme di uomo. Fu costretto a colpire un braccio nel tentativo di destabilizzarne la presa, ma Uozumi non ebbe il minimo cedimento, schiacciò di peso la palla nel canestro e nell’esplodere di quell’atto di forza, buttò giù anche il suo nemico.
L’arbitro fischiò l’infrazione. –Fallo su tiro. Numero 5 bianco!- Pur violando le regole, Hanagata non era riuscito a proteggere il loro canestro. Steso a terra nell’incredulità, non si rese conto della violenza con cui il suo corpo si era schiantato sul suolo. I compagni corsero da lui. –Toru! Non riesci ad alzarti?- Gli domandò pieno di apprensione Fujima. Lo fecero sdraiare sulla panchina, Hanagata prese un asciugamano bagnato e si coprì il viso stringendolo in una morsa. La manager gli tolse gli occhiali con delicatezza. –Questi ti serviranno ancora.- Lui non rispose alla battuta sulla sua miopia. Le vene frontali gli pulsavano di rabbia. Sarebbe ritornato immediatamente in campo se non fosse per quel dolore lancinante che lo teneva inchiodato in orizzontale.
-Che.. Che sta succedendo sul campo?- Quell’offesa non gli permise di riaprire gli occhi sulla scena presente, ma da dietro le palpebre udiva i suoni della partita. Kyomi lo guidò nell’oscurità disegnando gli eventi con le parole. L’assenza di Hanagata diede un enorme vantaggio all’avanzata dei rivali. Il capitano tenne saldi i nervi controllando con maggiore cauzione il gioco, e, privato del suo uomo migliore nella difesa, la squadra doveva impegnarsi il doppio. – Trovandoti ora nella stessa posizione di infermità, non lo riesci a comprendere meglio?- Kyomi si intromise nei pensieri del ragazzo, mentre i suoi occhi seguivano i movimenti di Fujima.
Hanagata ebbe un leggero sobbalzo. Deglutendo a fatica la sorpresa, ripensò all’infortunio del suo capitano durante i campionati estivi. Riaffiorò sulla sua pelle l’ansia che provò quella volta, quando temette per la vita del suo migliore amico, e accanto alla sua ombra, la piena consapevolezza della loro sconfitta imminente.
-Fujima, lui … - Accanto al corpo del giocatore, seduta con la schiena dritta e gli occhi fieri che osservavano immobili lo spazio lontano, dove il flusso incalzante del tempo si svelava sulle figure in corsa. – … Lui è la cosa più preziosa che esista per lo Shoyo.- Il fiato del ragazzo fece vibrare la striscia di tessuto inumidito che lo comprimeva. Hanagata lesse un delicato riverbero di affetto nelle sue parole.
-Comprendo la tua avversione nei miei confronti, e non ti nascondo la mia...- Kyomi prese fiato, confessò. -E sappiamo entrambi qual’è l’oggetto del nostro conflitto.-
Gli sollevò l’asciugamano dal viso, guardandolo dall’alto, conscia del fatto che i suoi occhi, offuscati dalla nebbia delle 8 diottrie, non potevano scorgere quell’espressione che ora non era riuscita a contenere.
-Basta una sola sua parola per salvare l’intera squadra dallo sprofondare. Ma chi potrebbe mai salvare lui?- Strinse i suoi occhiali tra le mani. –Riesci a capire la sua solitudine, Hanagata? Fujima cammina da solo, ma un buon leader è colui che sa risorgere dalle ceneri facendo leva unicamente sulle proprie forze.- Kyomi aggiunse un altro punto, fastidioso ma necessario. –Tu puoi essere sostituito, ma lui no. –
Hanagata non si scompose. Accolse quella frase realizzando pienamente il significato. Non era un atto di sottomissione, ciò che lo fece cedere fu l’affetto e il rispetto che lo legavano al suo amico.

In campo rimasero 50 secondi di partita. Sendo aveva collezionato parecchi canestri usando Uozumi come scudo, tenendo le insidiose mani degli avversari lontane dal suo spazio di tiro. Mentre Fujima, intercettando i passaggi, ristabiliva il punteggio rubato. La tensione era alta. Per eludere la tirannia del caso, ogni movimento doveva essere soppesato in funzione della vittoria.
Fujima arrivò sotto canestro, 3 secondi, era solo. Il gigante non esitò, pose un muro di cemento tra lui e il canestro. Sentì per la prima volta la propria statura limitata come un grave inconveniente. Fissò dal basso lo spazio creatosi dall’apertura dell’enorme braccio, e colse l’occasione. Ritrasse le mani con uno scatto, tenendo la palla con una sola, Fujima allungò il braccio e lo tese oltre le spalle di quell’impressionante pivot. L’angolatura acuta della mano piegata si stese a 180 gradi puntando in alto, la palla rossa compì un balzo decollando dalle punte delle sue dita. Uozumi si accorse di quella pericolosa improvvisazione, e fu sul punto di abbassare incautamente l’arto. –Rimani fermo, Uozumi!- Tempestiva, giunse la voce di Sendo. Il saltatore si irrigidì al comando e la palla del rivale infine oltrepassò la meta del cerchio rosso. Fujima atterrò abilmente, seguito dallo schianto dei piedi del gigante sul pavimento.
Fu pareggio.

L’allenatore batté il pugno sulla sedia, ingoiando l’umiliazione. Aveva compreso la strategia del collega: in un frangente insignificante di tempo, Fujima aveva concepito e realizzato un piano diabolico. Tutto partiva dal successo di quell’insolito lancio alle spalle di Uozumi, del quale lo stratega non ebbe il minimo dubbio. Subendo il fallo, lo Shoyo si sarebbe assicurato un tiro libero che li avrebbe portati alla vittoria. Ma in caso contrario, se la fortuna o la furbizia avesse fatto visita all’uomo del Ryonan, avrebbero comunque avuto una seconda chance con i tempi supplementari.
Taoka provò un sincero rispetto per l’allenatore in campo dello Shoyo. L’intervento di Sendo salvò la situazione, ma una terribile sensazione di incertezza lo attanagliava. Purtroppo questo prolungamento del tempo ordinario, oltre al debito di ossigeno che ora pesava su tutti i giocatori indistintamente, determinò l’introduzione del libero arbitrio nell’esito. Entrambe le squadre si inchiodarono sulla difesa, e stremati, nessuno dei due riuscì a segnare quando il cronometro si fermò sullo 0.


Sul giungere del tramonto, le due squadre si salutarono.
-Il vincitore ingoia il vinto e ne assume le forze, ma il vinto ha certamente già gettato i suoi semi in terra straniera.- Enigmatico, gli fece l’allenatore del Ryonan. –Si sbaglia, non abbiamo affatto vinto … - Gli concesse la sua stretta, un Fujima modesto e rispettoso. Taoka per risposta gli sorrise: implicito, ammise la sconfitta contro il giovane regista.
Fujima offrì la mano a Sendo. Fu uno scambio silenzioso. Si limitarono a sorridersi a vicenda. La matricola con un velo di innocenza e il playmaker, indugiando nella zona grigia della coscienza, come in allerta, trattenne un sorriso pieno di riserve.

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Capitolo 10
*** Equilibrio ***


-Scusate! Ho fatto tardi … -
Fujima si avvicinò trafelato di corsa alle panchine nei pressi della mensa scolastica. Vi si accasciò non senza una dose di compostezza. Ansimava in volto ai due amici che l’avevano atteso perdendo gli ultimi posti liberi della sala. –Potevate prendere le ordinazioni in mia assenza.- Fece lui stupito della loro poca intraprendenza.
La verità era che trovandosi soli, senza il collante Fujima in mezzo, Hanagata e Kyomi non seppero bene come interagire. Una circostanza rara che li vide protagonisti di un trio insolito. Il basket team continuava a dare spettacolo nello Shoyo.
Hanagata porse il cestino del pranzo all’amico. Il premuroso gesto fece sorridere Kyomi e arrossire Fujima, accorgendosi della sua reazione. Imbarazzarsi per l’altrui opinione, era un’accortezza che lo soggiogava solo nelle sfumature della prossemica di Kyomi. Non ne avrebbe dato importanza, altrimenti.
-È stato un nostro rito fin dalle scuole medie.- Si giustificò lui, aprendo quella scatoletta consunta, la stessa da 3 anni. La montatura nera alzò un sopracciglio, palesemente sorpreso dal suo tentennamento.
Toru e Kenji si conobbero sempre nel contesto sportivo della scuola. Una palla da basket e due ragazzi. Fujima che giocava fin da piccolo, ai tempi delle scuole medie era già molto abile. Toru apprese tanto dal suo migliore amico. Da prima ammirazione che accrebbe poi in affetto, Hanagata, che affinando la propria tecnica di basket mentre cresceva vertiginosamente anche in altezza, installò una profonda amicizia con il suo primo “maestro”. Un legame, come lo definì una volta Kyomi, che il tempo protesse dal mutarsi, giorno dopo giorno.
Kyomi si alzò per andare al bancone. Considerava con uno sguardo sospeso il tabellone del menù, la linea della mandibola che scendeva dolce lungo la curva del collo, mentre gettava leggera la testa all’indietro. Hanagata si accorse di quegli occhi estatici e vagamente ebeti che il suo amico esponeva seguendo la scia dei movimenti compiuti dalla ragazza. Ora sapeva di celare un peso nella coscienza, nato dalla parole che Kyomi gli rivolse durante l’incontro con il Ryonan. Le sillabe gli passeggiavano sulla lingua, ma i suoni non potevano giungere. Il loro rapporto, di certo, non poteva giustificare questa intromissione. L’afflizione apparteneva a Fujima, ma l’antidoto non era nelle mani di Toru, tanto meno nelle sue inopportune rivelazioni. Spiluccò il suo contorno lasciando che il silenzio colmasse quella mancata espressione.
-Avremmo dovuto vincere contro quella squadretta.- Insoddisfatto del pareggio, l’orgoglio di Hanagata traboccò in questa frase.
A parte sul campo, lui e Fujima non avevano sempre la stessa sincronia. L’opinione del capitano era spesso divergente e molto più introspettivo, poiché necessitava di revisioni da diversi punti di vista: l’avvamparsi dello spirito del giocatore e il temperamento razionale dell’allenatore.
-Sbagli a sottovalutare il Ryonan.- Lo sopraggiunse Kyomi, accostandosi alla linea del suo pensiero. –Forse ora pensi che il livello generale della squadra sia bassa, e non ti posso dare torto, ma ci sono anche degli elementi validi … pericolosi.- I soggetti citati figurarono nelle menti di tutti e tre. –Noi siamo graziati dal tempo e dall’esperienza, ma non è di certo un nostro esclusivo appannaggio.-
-E di Sendo?- Chiese improvvisamente un Fujima sovrappensiero.
Kyomi lo guardò soppesando i secondi di silenzio emesso dal ragazzo.
–Ha un modo di giocare … Che toglie il fiato.- E fu questa la sua conclusione. Ma non fu certa di aver esternato bene quell’indefinibile essenza che turbò i suoi occhi della figura di Akira Sendo. Le parole forse fuggivano dinanzi a quel bagliore irrazionale. –Quella sensazione … Non riesco a coglierne il nome. Mi ricorda te, Fujima.- Aggiunse. –Ma un paragone con te, forse è ancora presto … - Disse titubante lasciando spazio sottinteso alle sue valutazioni.
-No,- sorrise lui, abbandonando la sua posata sulla scatola vuota. –Non è affatto così. –
Mentre Hanagata si allontanava verso i distributori automatici, Fujima continuò. –Lui non è come me. – Rimasto solo con Kyomi, si sentì libero di sviscerare queste parole. –Mi è infinitamente superiore.-

Atleticamente, Shinichi Maki era colui che più si avvicinava a Fujima. Ma uno speculare del suo nucleo celato, non l’aveva mai incontrato.
In modo del tutto inaspettato, gli si rivelò dinanzi quell’aberrante e volatile manifestazione. Akira Sendo.
Akira Sendo. Un’entità che apparteneva al bianco. Il bianco dell’Assoluto.
Fujima poteva spiccare il volo verso il sole, ma Akira, egli fluttuava dissolvendo il peso della materia di cui era composto ben al di sopra dell’astro: perenne, incausato, nell’Incommensurabile dimensione sospesa da cui era sorto al principio della sua esistenza.
-È stato il primo a presentire … - Lo interrupe Kyomi dalle sue speculazioni. –Quando hai fatto quella manovra.- Fujima si riprese volgendo lo sguardo verso di lei.
Della sua improvvisata agli ultimi secondi di partita non ne aveva mai fatto cenno, ne fu piacevolmente sorpreso. –Te ne sei accorta, allora.-
-Non demorderanno. Di certo, il Ryonan rafforzerà le sue difese dopo il nostro confronto. E Sendo … - Lasciò che le parole cadessero in un precipizio di ineffabili precognizioni. –Si vedrà.-
Kyomi sorrise allusiva. –Ogni incontro produce conoscenza. Sicuramente le tue abilità hanno lasciato un segno in lui. È così che nascono i movimenti nel mondo fisico, tutto circolerà a partire da un singolo atto.- Fece lei ricordando le parole di Taoka quando si lasciarono a fine partita.
-Io, però, temo di essere un pessimo allenatore.- Hanagata che era tornato con tre tazze di tè bollenti in mano, cercò di ignorare la mostruosità appesa emessa dall’organo giurisdizionale del suo capitano. Fujima accolse cerimonioso la tazza fumante tra le mani. - È stato un grosso azzardo. Ma devo ammettere che il Ryonan non manca di tenacia. La prossima volta devo mantenere la mente lucida fino all’ultimo e valutare meglio … -
La manager soffiò sulla bevanda calda, un’isola aeriforme veleggiò allontanandosi dalla tazza. –Non credo che un altro playmaker al tuo posto avrebbe agito meglio. Hai cercato di rimarginare le lacune della squadra, dopo l’uscita di Hanagata. Sapevi che la difesa era sospesa a un filo, e perseverare nella cieca fiducia in loro sarebbe stata un’idiozia.- Esternò lei, molto seccamente. La montatura nera chiuse gli occhi, evitando di sollevare contestazioni al proposito. Gli era palese che non avrebbe mai vinto una disputa sostenuta dai ritmi di quei due, per quanto la cosa lo irritasse.
Fujima reclinò la testa sfiorando la parete alle sue spalle. La frangia scivolò da un lato rivelando la cicatrice sulla tempia. Nascose le iridi dietro alle palpebre accarezzate da un passeggero fascio di luce tra le nubi invernali. Si crogiolò tra le vaghe ombre iridescenti che lo schermavano dai raggi di sole. Sospirò.
-Non voglio pensarci ora. Vorrei solo giocare.-

Non avrebbe ammesso, mai, neanche a Kyomi, che quel ruolo dell’allenatore era per lui un arduo compromesso.
Come ce ne sono tanti lungo la via per diventare “adulto”. Un compromesso con i doveri dell’essere umano, dell’essere individuo, dell’essere capitano. Gli obblighi che la sua figura aveva nell’apparire dinanzi al mondo. Fujima poteva solo sospirare. Sospirare e, al contempo, inalare altro ossigeno per alimentare quel corpo che lo permetteva di esistere.
Da quando aveva cominciato ad avvertire il peso della materia? La gravità e i piedi che vi opponevano dignitosamente resistenza. Nel contemplare l’estasi del distacco dalla superficie orizzontale, prese coscienza della struttura portante su cui si reggeva. Ogni volta, inevitabilmente, l’atterraggio.
Un eterno ritorno.
Eppure, accigliandosi, spesso si domandava se sarebbe riuscito a precludere l’innocenza del gioco dall’inerzia dei giorni. Su quella via insidiosa che, in quanto Kenji Fujima, egli doveva percorrere.
-Non cambiare mai, Kenji.- Gli disse Kyomi, quel pomeriggio che aveva portato tutta la squadra sulla spiaggia alle foci del fiume Katase, nei pressi della stazione di Shonan-Enoshima.
Una rara giornata di sole che spirava al di là del profilo scuro del Monte Fuji, mentre il cielo incandescente ne delineava i contorni in controluce.
Gli occhi, tra i fili di capelli liberati dal vento, specchiavano le forme astratte e mutevoli delle nuvole solitarie galleggianti sulla linea di un incerto orizzonte.
–Lascia che il tempo scorra sul tuo corpo, e vi si adagi accanto. Ti osserverà, ti studierà, ma non potrà ghermirti. Tu sai di essere forte.-
Seduti sui resti di un relitto estivo, videro all’altro versante, dove la penisola di Enoshima si ergeva tra le onde increspate, i ragazzi dello Shoyo schiamazzare dopo la corsa.
Fujima attese la discesa dell’oscurità, non rispose.
I talloni affondati nella sabbia fredda e le braccia incrociate come quando osservava impassibile una partita dalla panchina. Ma il suo sguardo era rivolto all’oblio... 
A distanza di dieci minuti proferì finalmente parola. –L’essere forte, ormai, è diventato un dovere per me. -  La ragazza lesse tra le fessure delle parole e capì di aver frainteso il perno delle sue ansie.
Fujima le sorrise, cogliendo le ultime sfumature del tramonto sul proprio volto.
In lontananza, i compagni gettarono assidui sguardi inquisitori sulle due figure chine sul limitare della spiaggia.
I due volti che reclamavano la vicinanza senza mai sfiorarsi. Una linea serpeggiava tra i confini delle loro sagome avvolte da pesanti indumenti. Seduti l’uno accanto all’altra, schiene incurvate verso la terra granulare sotto ai piedi. Quasi socchiudendo gli occhi, poiché la vista non era necessaria nel protendersi reciproco delle psiche. Si guardarono.



Fujima era consapevole di dover mantenere una netta linea di demarcazione nel loro rapporto. Si tratteneva costantemente.
Tutte quelle volte che la sua immagine si rifletteva nel blu traboccante del suo iride. Tutte quelle volte che sfiorava la chioma sfuggita al fascio con un lembo della pelle. Tutte le volte che, silenziosamente, le era stato accanto. Un esercizio quotidiano di disciplina emotiva in nome della promessa d’amicizia.
Non si sarebbe contraddetto. Questo era il suo modo di proteggerla, dalla sua antica malinconia, da se stesso.
Nel tentativo di afferrare l’insieme di tutti quei ritmi d’equilibrio, un elemento instabile dopo l’altro, Fujima si ritrovò solo in un territorio sconosciuto, a cui neanche Kyomi, all’oscuro del suo peregrinare interiore, aveva accesso. Un altro dovere. L’ennesimo eccesso.
Si torturò così per diverso tempo in quello stato di dormiveglia. Non sognava, ma sapeva di sognare.
Un’ inesplicabile, atroce stabilità.
Erano giunti al mese in cui si festeggiava il Setsubun, l’antica primavera nipponica, acerba ancora sfiorata dal gelo.
Al termine delle attività giornaliere al consiglio studentesco, Kyomi prese l’abitudine, ogni giorno, di fare visita al club di basket. Un saluto veloce, sbrigando sommariamente i suoi doveri di manager. Chiacchierando con noncuranza, finiva sempre per fare un tratto di strada al ritorno insieme a Fujima.
Verso le sette le matricole finivano di riordinare la palestra, perciò quella sera fu stupita nel giungere ai frangenti di un fine allenamento.
Erano sfiniti, ma alcuni temerari ancora non cedevano terreno al riposo. Il capitano fece segno a Kyomi, che tentennava sulla porta, di entrare. Lei si tolse le scarpe da esterno, come comanderebbe il regolamento.
-Che impeto!- Li lusingò lei. –Ho solo fatto il nome di Kainan.- Rispose. 5 ragazzi dello Shoyo si erano accaniti contro il canestro, lanciare e segnare, un esercizio elementare protrattosi fino all’ossessione.
–Vieni a fare due tiri con noi, Kyomi!- La invitò improvviso Fujima, madido e raggiante. Lei avrebbe declinato, non ritenendosi capace. –Ma se hai sempre buoni voti in ginnastica.- Ribatté candido lui, sorvolando sulla negligenza degli insegnanti di ginnastica della scuola.
Le passò la palla incurante delle sue ostilità. –Ti insegno io. -
-Mettiti qui dietro.- Le indicò calpestando la linea che delimitava l’area del tiro libero. I suoi atleti risero sottecchi alla presunzione dell’allenatore.
-Usa la mano destra come supporto e quella forte di fianco, apri uno spazio tra l’indice e il medio, e tieni la palla solo con i polpastrelli.- Kyomi tese le braccia in alto e il coach le aggiustò l’angolatura del gomito sinistro a 90 gradi, mentre l’altro si armonizzò allungandosi. –L’indice della mano forte deve passare davanti all’occhio dello stesso lato. Mi raccomando, usalo insieme all’annullare per direzionare … Oh, -  Si scusò rendendosi conto che Kyomi era destra.  –Io sono mancino, ma tu dovresti invertire le posizioni.-
Fujima intagliò la sua figura con gli occhi nell’atto di una minuziosa revisione estetica. –Lascia scivolare ogni tensione dal corpo. Il movimento è dal basso verso l’alto. Con un equilibrio e un ritmo stabile, imprimi la forza al decollo confluendo l’energia potenziale delle caviglie, delle ginocchia, dei gomiti, fino ai polsi, mentre sarai in procinto ad opporti alla gravità. Vinta tale opposizione, ne assumerai la forza. Immagina di disegnare una parabola mirando la parte alta del cerchio.
Innalzando la palla, appena il ferro del canestro rientrerà nel tuo campo visivo, liberala in volo … -
Lei flesse le gambe e saltò.
Centro.
Due. Centro. Tre. Centro.
Arrivata al quinto, gli attori in campo sgranarono gli occhi in sincronia. –Accidenti … Io ci ho messo una settimana per eseguirne decentemente uno … - Sibilò tra i denti, Ito, il playmaker del primo anno. L’allenatore incrociò le braccia inarcando un sopracciglio. –Ebbene?-  Silenzio generale di sottomissione.

-Potevi evitare di tirarmi in ballo come un manichino da dimostrazione.- Kyomi si adagiò sul sedile con aria imbronciata. Fujima rise senza premure. –Perdonami. Era necessario.-  
Il tiro in sospensione era una prova d’iniziazione del basket, eseguito con infallibile precisione solo dai giocatori completi. In mancanza del talento, era la perseveranza la strada maestra da seguire. Ma Kyomi peccava di perfezione congenita.
-Toru stava capeggiando una contestazione sulla mia scelta del manager, non appropriata a suo avviso. Non la smetteva più di tediarmi, allora … - Lei sogghignò divertita. -Sali, Fujima.- Gli concesse il posto del passeggero.

Due ruote fulgide d’argento scorrevano attraverso la notte. Luci sospese, segni nel buio. I suoni serpeggianti delle vetture scivolavano sui bordi dei lobi e li abbandonavano velando l’udito, sparendo fulminei nell’oscurità. Un punto luminoso lampeggiava confuso nell’aria. Una notte limpida.
Fujima cingendosi ai sostegni posteriori si reggeva in leggiadro equilibrio. Al suo fianco, i flussi della città. Dinanzi, la schiena di Kyomi. Un esile vessillo al vento.
Un tragitto che sfuggiva tra i lunghi silenzi dei due universi gravitanti nella sinergia dell’attrazione. Lui, librandosi nel suo nirvana privato. Lei, colmandosi di espressioni negate.
-Senti, Fujima … - La sua voce si insinuò improvvisa in quel movimento orbitante.
–Hai già deciso cosa vorresti fare dopo il liceo?- Parole che giungevano senza volto. Lui meditando, ne ricostruì il principio: un sorriso lontano.
–Non saprei. In verità, recentemente mi è stato offerto un posto in una prestigiosa università sportiva di Yokohama. Ma sono indeciso … - Kyomi rasentandone l’esitazione, lo invitò a illuminare la sua perplessità. -Mi piacerebbe molto anche Letteratura e filosofia occidentali, magari all’estero.- A questa frase, lei si ricordò di quel giorno che lo intravide in biblioteca intento a sfogliare enigmatici titoli come “Lo Sconosciuto”, “La Nausea”, “Essere e Tempo”, accanto ai ripiani della sezione dedicata a quel corrente filosofico solo vagamente accennato nelle sue ore di scienze sociali. Per lei erano solo nomi di un indice oltraggiosamente erudito.
Kenji Fujima sorrise timidamente, afferrando di aver travasato un particolare latente di se a un altro individuo, a Kyomi.
–E tu?- Chiese, mentre lei virava a un incrocio, giusto per voltare pagina.
Gli sembrò che la domanda attecchisse nel vuoto, poiché la risposta non giungeva.
A un semaforo che volgeva al rosso, lei si fermò. Fujima scese della bicicletta, avrebbe proseguito a piedi fino al quartiere residenziale, come tutte le sere. Era propenso al commiato, ma quella titubante assenza di parole si espandeva tra di loro, incontenibile e traboccante. Avvertì vividamente l’ondata di indugio dalla sua figura china sul manubrio.
Kyomi farfugliò un suono, prima di riprendersi la sua voce. –Io … Sai, ho deciso che mi iscriverò a Scienze politiche.-
Fujima si sorprese solo poco. -È appropriato. In quale università?-
Lei ora sorrise. Alzò gli occhi e li pose serafici sui suoi blu. Un frangente di idillio.
- A Kyoto.-

-A partire da marzo, studierò alla Kyoto Daigaku.-
Le macchine della fila accanto ripartirono allo scadere del semaforo. Un’isola immobile si stagliò contro le scie di luci che convergevano verso punti lontani.
Fujima in piedi accanto a quella figura in procinto a ripartire in una nuova fuga, aveva raggiunto il limite di dialogo quotidiano concesso nelle 24 ore. Svuotato di ogni capacità e volontà espressiva. Sconfitto dalle parole, solo, accennando quell’unico atto di opposizione che era ancora in grado di offrire: il suo eterno sciopero contro la gravità.
-Solo un mese … - Disse tra il torpore Fujima. –Kyoto e Yokohama.-  Contò le numerose fermate che lo Shinkansen avrebbe compiuto nei 452 kilometri, figurandosi l’imminente separazione.
Lo spazio non era che una piccola crepa, preambolo della lacerazione futura.
Mentre era ancora immerso nei suoi calcoli irrazionali, Kyomi, il cui volto ottenebrato dalla notte, si erse verso Fujima.
Schiudendo le labbra, le posò sulle sue …

Eternità fugace.

Ripreso coscienza di se. Senza una parola, lei strinse il manubrio e ripartì sfrecciando nell’oscurità.

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Capitolo 11
*** Tempesta, prevaricazione ***


Hanagata chiuse l’armadietto. Un grigio nuovo, privo di grafi né distorsioni, su cui l’estensione della sua figura si infrangeva solo parzialmente. Era cresciuto ancora dall’ultima volta che ci aveva sbattuto la testa contro. Una matricola sgambettò nello spogliatoio ansimante. –Presto, vieni, Hanagata, il capitano ci sta stracciando!-
In palestra, Fujima conduceva una partita con i membri della squadra.
Quel pomeriggio nessuno pareva essere in grado di tenergli testa. Il capitano dello Shoyo irradiava un’ energia inedita, squarciando la visione abitudinale dei compagni.
-Toru, finalmente. Vediamo se te la cavi meglio di questi rammolliti.- Una discreta sprezzatura gli fece capire che Fujima aveva passato il segno.
Lo disposero nell’altra squadra, dove il ruolo di playmaker era ricoperto da Ito del primo anno. Ma la maschera dell’equità cadde presto. Il vicecapitano rispose allo stimolo della sopraffazione, impuntando la sua statura sull’agile Fujima. Riconoscendo le notevoli qualità del pivot nemico, ordinò ai suoi di tenerlo lontano da se.
In quella partita, Fujima non concesse spazio di gioco per nessuno, rivali o compagni. Partiva dirimpetto spiazzando la difesa, e al ritorno sfondava solitario in attacco. Come accecato da una tacita furia, non vi erano residui di determinazione agonistica, mentre si precipitava al canestro.
Surclassava gli avversari con quell’eccesso di efferatezza dipinto in volto. Arrivato nei pressi dell’anello ambito, deragliò tutto il suo peso lateralmente lungo l’area di tiro e scattò fulmineo in un salto con insospettabile irruenza, fra la stupefazione generale.
Un’elevazione estrema, mai rivelata agli occhi dei compagni, finora. Giunse all’altezza di 3 metri sfiorando la retina bianca e schiantò con vigore la palla nel canestro.
-Fu … Fujima … - Gli occhi di Hanagata si aprirono imitando l’ampiezza della sua montatura scura.
Che il capitano fosse capace di eseguire una schiacciata nonostante i suoi 1.78 cm, era un fatto oscuro perfino al suo migliore amico. Probabilmente, Fujima non ebbe più bisogno di eccellere in elevazione quando al suo fianco ci fu Hanagata. Un dubbio, tuttavia, non si esimeva dal sorgere nella sua mente: una mostruosa capacità riesumata o un’esplosione di ira impetuosa? Due deliberazioni in un’unica verità.
-La difesa fa schifo. Che fine ha fatto “la squadra più alta della prefettura”?- Accusò con scherno smontando i nervi dei suoi giocatori.
Il suo vice si accese incollerito. –Adesso te la vedrai con me!-   Ito passò la palla ad Hanagata sotto canestro, adottando lo stesso schema che solitamente aveva come esecutori lui e Fujima. Furente del tradimento, il capitano tentò, in un confronto diretto, di bloccare il salto del segnatore. Un’azione insensata. L’amico voleva restituirgli il colpo. Mise in moto la mole balzando verso l’obiettivo. La palla finì dentro, e Fujima venne abbattuto dalla sua imponenza.
Attecchì al suolo, schiena contro il pavimento, come un qualunque avversario dello Shoyo.

Secondi ansanti. Metà dei giocatori indegnamente piegati dallo sfinimento, dopo lo scontro con Kenji Fujima.
Il capitano inveì sottotono alla sconfitta. Si alzò di scatto e se ne andò nervoso.


Il suo comportamento destò meraviglia, molto più dell’azione eclatante sul campo. In due anni della storia dello Shoyo, l’attuale capitano non aveva mai perso il suo famigerato autocontrollo. Tutto in una volta sola: il canestro impossibile e l’atteggiamento dissennato. Non parlò più a Toru per ben 3 giorni, ma poi rivenne, stabilizzandosi. Recuperando la dignità che si era giocato.
Nessuno osò divulgare l’episodio.
Nello stesso periodo, i ragazzi notarono anche le ripetute assenze della manager. E non fu difficile trovare il nesso. Tuttavia, le opinioni di corridoio erano divergenti sul loro ambiguo rapporto. Hanagata era convinto che Fujima fosse stato respinto per l’ennesima volta dalla ragazza, quando il suo amico, dopo 10 giorni di esitazione, venne da lui in cerca di consigli e vari.
-Mi ha baciato.-
La montatura nera sgranò gli occhi. – Congratulazioni.- Ancora confuso dalla discordanza dei due fatti.
Fujima mise una mano tra la chioma della frangia, come contratto dalle vertigini. Le sopracciglia leggermente irritate. -È strano, non siamo mai stati insieme, eppure mi sembra di essere stato lasciato.-
Lui ascoltò in silenzio. Pazientemente attese, accogliendo le sue parole. –Lei è proprio impossibile! Non so cosa … - Sospirò duramente. –La inseguo, cerco di non forzare la situazione, ma è così frustrante. Lei è sempre un passo davanti a me, pronta a scappare, ad opprimere le mie azioni … A impormi il suo gioco! Mi si stanno saltando i nervi.- Toru lo osservò perplesso, un’idea gli balenò in mente.
-Sai, Fujima, hai usato le stesse parole, una volta, per definire Shinichi Maki … - Lui sussultò al suono di questo nome ostile.
Alzò lo sguardo sull’amico. –Tu credi … ?-

In quel frangente, Fujima comprese tutto. Tirò tutti i fili dell’enigma e seppe dare un volto a quell’informe affanno.
Era vero. Forse l’aveva sempre saputo, ma la ragione non gli permise di delineare quel concetto.
Kanako Kyomi e Shinichi Maki. Una tale similitudine oltraggiosa.
Entrambi rappresentavano per lui, vette impervie impossibili da raggiungere. Lo stesso fascino, ma con sfumature differenti, lo offuscava delle loro immagini.
Maki, riflettendo nella luce dell’eterna rivalità.
Kyomi, infrangendosi nelle passioni indischiuse dei suoi occhi.
Il suo cuore era devoto ad entrambi, nel legame dell’odio e nelle catene del desiderio, che lo travolgevano in un’unica attrazione distruttiva contro cui non era capace di opporsi.
Questo era il suo inferno personale.
Gli tornarono in mente le parole di Kyomi, quando affermò che ogni incontro avrebbe prodotto dei cambiamenti. Sia lei che Shinichi Maki erano riusciti a smuovere qualcosa dentro di lui, trascinandolo verso nuove mete e nuove evoluzioni. Nel bene e nel male: la cieca etica dei cambiamenti.
Ma ora, Fujima si chiese: e lui, era riuscito a imprimere un tale movimento in Kyomi? Quei momenti in cui la percepiva come un’estensione del proprio essere, in armonia assoluta, incrociando la sua anima nella sinergia delle loro menti … Si chiese, se non fossero una mera e sterile illusione. La sua landa algida sembrava precluderlo a priori, qualunque fosse la rilevanza dei suoi sforzi. Una desolazione profonda instillò in lui.


Tra l’incredulità di tutti, Kyomi tornò al club di basket, ostentando un’ordinaria consuetudine emotiva. Non sembrò trasparire minimamente di qualche forma di disagio. Del resto, nemmeno Fujima manifestò ancora comportamenti contradditori. Tuttavia, le due figure si scorrevano accanto ignorandosi palesemente. Nella voce di Fujima era svanito qualcosa. Quelle vibrazioni d’affetto che solitamente vergevano verso il punto dello spazio occupato da lei, cancellate dalle tonalità di una nuova indifferenza.

La manager bussò alla porta dello spogliatoio. Le aprì Toru. –Sto andando via. Avete bisogno di qualcosa per domani?- Lui non aveva mai avuto premure per la gestione del club, e quel giorno, il capitano si era dileguato prima del tempo. –No. Piuttosto, senti.- Le porse alcuni testi voluminosi. - Fujima li ha scordati qui, potresti passare da casa sua?- Lei storse un labbro, distogliendo gli occhi da quel fardello. Non capiva l’esigenza di un suo intervento, quando Hanagata avrebbe potuto benissimo provvedere da se. –Io devo scappare al corso serale dopo, mi faresti questo favore?-
Una mossa intenzionale per sollecitare un incontro tra loro due? Lei si chiese. Poteva essere così, pur essendo un comportamento assai anomalo da parte sua.
Si promise, in ogni caso, di perseguire la via di quelle movenze distaccate che era capace di inscenare così bene.
Conosceva l’indirizzo di casa Fujima da quando aveva cominciato a riaccompagnarlo al ritorno, ma quelli erano i fatti dei tempi precedenti al conflitto.
Un’aria cupa si tese tra gli edifici della fitta zona residenziale, premesse di un incombente temporale. Fujima viveva nella parte antica della città dove scorrevano lunghe mura alternate da siepi che recintavano le costruzioni tradizionali e le villette occidentali.

Nella stanza affievoliva la luce di una piccola lampada. Fujima chino sulla scrivania, dedito a un esercizio di trigonometria. Il mento affondato sulla mano destra, la mente volava lontana. Sfogliò un libro lasciato aperto accanto alle quattro righe di insipidi calcoli: “Minuto che amo appassionatamente, donna che amo quasi: deve aver fine, lo so. Tra poco partirò per un altro paese. Non ritroverò mai più né questa donna né questa notte. Mi chino su ogni secondo, cerco di esaudirlo; nulla avviene ch’io non afferri, ch’io non fissi in me per sempre, nulla, né la fuggevole tenerezza di quei begli occhi, né i rumori della vita, né la falsa chiarità dell’alba.” Ove si posò il suo sguardo, frasi che lui amò sistematicamente negli ultimi due mesi della sua vita. Pagine così lontane dai cieli della stagione adolescenziale, che Fujima comprendeva e assimilava fino in fondo. Divorandole avidamente. Ciò che lesse, quel libro, egli sapeva, gli era sempre appartenuto.
Sospirò. Il campanello.
Scese nell’atrio calato nella penombra. La porta evidenziata dalla striscia di luce lungo la soglia. Dietro di essa, gli apparve un ospite inatteso.
Lei, il volto appena accarezzato dalle gocce di un principio di pioggia, intrisa degli odori della sera. Una primavera anticipata. La bocca esitante, non trovando le ragioni di un’espressione.
-Hanagata. Lui mi ha chiesto di riportarti questi.- Tre volumi di Storia mondiale bollati con il timbro dell’Istituto Shoyo. –Li dovrai usare per gli esami, ho immaginato che fosse una cosa importante.- Gli occhi che fuggivano dall’interlocutore incurantemente gravitanti sulla parete di glicine sotto il porticato.
-Sei stata gentile. Grazie.- Elargì decorosamente mentre riceveva i pesanti volumi.
Silenzio greve. Una fitta pioggia cominciò a cadere.
Secondi di raccoglimento per trascinare fuori le parole. Le parole anonime più adatte alla situazione, per non doverne dire altre … -Non devi comportarti così. È infantile. Ritorniamo ad essere noi stessi.-  Fujima la guardava mentre le pronunciava. Ogni sillaba rimbalzava sulla sua pelle, crepitante, insidiosa. Kyomi che si stringeva le mani, come per trattenersi dalla tentazione di scappare, mentre imitava le ombre del rigore disciplinare. Sulla soglia, in attesa di risposte e conferme.
Fujima scostò gli occhi estorcendo una vaga risolutezza dall’assenza della vista. –Finiamola con questa storia. Non capisco cosa ti passi per la testa. Prima mi rifiuti e poi … Ho promesso di esserti amico, ma tu continui a confondermi … - Esitò ancora, un’ultima volta. –Perdonami, ma non ce la faccio più … -
Lei contorse le sopracciglia. Incredula di udire l’accusa, confusa, ma soprattutto indignata eccezionalmente.
–Cosa … !!- Tremando di inusitato turbamento. –Che stai dicendo? Smettila di scusarti sempre. Non ti ho mai chiesto nulla del genere! Non incolparmi per i tuoi colpi di testa!-
-Io sono esausto ormai. Ti diverti forse a prendermi in giro?- La trafisse con quei terribili bagliori blu, senza più contenersi. –Anche se, non capisco dove vuoi arrivare con le tue concessioni … -
-Non ti ho mai concesso nulla.- Disse, tentando di riguadagnare terreno. –Le mie sono state scelte arbitrarie.-
Fujima non si scompose né si adirò. Sorrise freddo, una promessa di furente tempesta in dirittura d’arrivo. –Sicuro! Come potrebbe, Kyomi Kanako, anteporre qualcun altro a se stessa?-
Lei infossò gli occhi gravi. –Non ti permettere questo tono. Queste sono solo tue supposizioni.-
-Non ti ingannare. Quando hai accettato il ruolo di manager, credi di averlo deciso per passione sportiva?- Sprezzante d’insolenza, la sfidò impudentemente. Non avrebbe più ceduto posizione, ora che il conflitto si era manifestato con tutto il suo impeto devastatore.
Kyomi si avvampò, rossa in viso, a quella palese insinuazione.
Gettò via ogni sorta di compostezza e riguardo nei confronti di Fujima, infierendo duramente. –Non pensare di potermi soggiogare! Questo non è il tuo campo di basket. Il mondo non si getta ai tuoi piedi, prostrandosi davanti al tuo intelletto! Qui i tuoi sotterfugi non funzionano.
Sei solo un arrogante, Fujima!-

Per un istante, la mente lo abbandonò. Una cieca rabbia lo prese.
Afferrò in una morsa il suo polso innalzato nell’istintiva difesa. Si avvinghiò contro il corpo di Kyomi, soffocandola prepotentemente in un bacio.
Opprimendo il suo respiro nella convergenza esasperata delle loro labbra, la sentì tremare sotto di se.
Lei si divincolò nella sopraffazione. Un tentativo gracile. Mentre Fujima le toglieva ogni forza e ogni ostilità, travolgendola impetuosamente in quella stretta.
Gli cinse la schiena aggrappandosi alle pieghe della sua camicia. Si arrese.
Lui la trascinò dentro casa e chiuse la porta, sospingendola con il peso dei loro corpi ancora congiunti.
E la baciò ancora contro la porta, una verticalità su cui si sostennero a fatica. Lentamente, scivolarono giù.
Seduti sul pavimento, Fujima si distaccò da lei.
Si assettò davanti a lei, con le gambe abbandonate lungo lo spazio laceratosi in mezzo. Kyomi tra il torpido rossore che le velava le guance, scorse l’espressione avvilita del ragazzo. L’ombra degli occhi malinconici calata sul volto di Fujima.
–Mi spiace di essere solo un inetto per te. –
Una voce spezzata attutita dagli angusti spazi, opprimendo la ragione vacillante.
Lei sussultò flebilmente, abbattuta, mortificandosi conscia della propria colpevolezza.
Tagliò la distanza tra di loro. Chinando verso di lui, lo abbracciò dolcemente. Gli sfiorò la fronte, spogliandola di quella chioma serica con l'estensione libera della sua epidermide rovente, appena al di sopra degli occhi socchiusi. E si legò ancora al suo respiro.
Fujima la avvolse, contraccambiando quel delicato bacio. Lungi da accorgersi del mondo. Al di là delle mura, la notte aveva calmato il temporale.

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Capitolo 12
*** Visioni ***


-Sai cosa significa “翔 陽 -Shoyo”, Fujima?-
Questa frase, sorretta da una voce profonda, gli emerse nella mente, mentre palleggiava sul campo.
Furono le prime parole che Maki gli rivolse. Nel cuore del palazzetto, al termine della prima partita in cui apprese la forza del Kainan, frangenti in cui ebbe il suo imprinting bellico, stringendo la mano calda dell’eterno rivale.
Composto dagli ideogrammi di “ali” o “volo” e da quello di “sole”, quel nome recava nell’anima dei propri segni la figura di Icaro. Il folle volo.
-Un nome è un destino.- Ancora oggi, quelle parole gli rimbalzavano tra le pareti del cuore. Il sapore di una sconfitta.
Accanto alla sua passione, nelle infinite volte in cui quella palla rossa attecchiva al suolo per poi risollevarsi verso la sua mano, o quando i rumori di una palestra gli rimbombavano nel padiglione auricolare, si era adagiato anche il profilo della rivalsa.
Kyomi altrettanto quanto Shinichi Maki, era riuscita ad alterare la sua imperturbabile calma. Squarciando quel Velo di certezza di cui non aveva mai considerato l’intangibile sottigliezza.
Il dubbio fu il preambolo della caduta, nel volo verso il sole.
La paura era forse insita nell’uomo? Una prova manifesta della sua “umanità”, così come lo erano l’esaltazione della vittoria e l’amore che dislocava il cuore dalla sua sede fisica.
Alla sua nascita gli fu dato il nome “Kenji”: la forza e l’autorevolezza di colui che erigeva e dominava, la sinergia dell'intelletto che rifulgeva celandosi nella salvifica interezza del corpo. Ciò che faceva di lui un uomo, amato teneramente e onorato in gloria, era il solo fatto di stare in piedi.
Ma sul lato speculare della medaglia, era ritratto l’ombra degli antenati. Il segno che rimandava all’infiorescenza del wisteria definiva l’eredità della famiglia.
藤 (真). I fiori del glicine, l’antico simbolo sacro dell’aristocrazia imperiale, al culmine della fastosa gloria terrena, chinava il capo tendendosi verso terra. La dignità regale che si inchinava umile di fronte all’ineluttabile caducità.
Fujima era “la Verità celata nel glicine”.

Quando conobbe Akira Sendo, fu invece il momento della seconda Illuminazione.
Per paradosso esistenziale, l’uomo non avrebbe mai potuto –realmente- vedersi. Il suo centro semantico era l’unico vuoto incolmabile di parole.
Solo lo specchio dell’incontro con l’altro poteva riflettere la sua immagine.
Nell’antitesi di Akira, per sottrazione, egli vide se stesso. Quelle marginali incongruenze erano la chiave dell’enigma.
Pur seguendo due sentieri differenti, Fujima comprese che sarebbero giunti alla stessa meta.
L’Unica.
Sendo planando etereo, realizzava la Verità estatica nella contemplazione in prospettiva aerea del mondo.
Quella empirica circoscritta nella disillusione fu concessa a colui che rimembrava la terribile attrazione tra la terra e i suoi piedi. Un inscindibile legame che non era riuscito mai a recidere. E mentre precipitava, Fujima afferrò quella Verità contingente.
La negazione nella memoria del fallimento non perdurò. Lasciandola trapassare, infine, Fujima si riprese ciò che era stato celato dall’inganno degli occhi …
Un rosso scabroso calato nelle sue mani lo distrasse dai flussi alienanti. Rallentò la presa solo un istante, tornando sulla terra, per saltare ancora e levare ancora la palla verso il canestro.
Sospeso in aria, Fujima chiuse gli occhi.
Il corpo slanciato in un elegante postura, le braccia tese in alto come per afferrare le nuvole fuggevoli in cui si annidavano i pensieri. Si affidò alle proprie sensazioni misurando lo spazio e si abbandonò. In quell’unico secondo di infinito stasi, gli si rivelò la risposta.

Nella caduta, Fujima vide Kyomi.

La bellezza effimera al di là dei veli del mondo. Era l’intelletto fulgido, cinto dal dono della Grazia. La dolce simultaneità della morte del Tempo, nel campo di fiori indomiti in eterno dischiudersi.
Caduca e splendida: tutto ciò che tangeva della sua labile transitorietà.
Nel momento stesso in cui si arrese, arretrando verso il principio, accogliendo in se la sublime malinconia, sospensione di quell’unico bacio fugace della notte. Finalmente, Fujima la raggiunse.





Una mattina consueta di domenica, Fujima uscì all’alba di una primavera incompleta, ancora indugiante nella gelida luce invernale.
Percorse i viali velati dal sonno a passo sostenuto, la striscia di cotone della felpa profondeva divergendo il calore dal freddo che la fronte nuda sfiorava.
Immerso in incanti lontani, i suoi piedi lo condussero nei pressi di un campo da basket all’aperto. Dietro le reti delimitanti, i rumori incostanti di un palleggio si interruppero al suo passaggio.
-Fujima-san! -
Lui rivenne dalla sequenza meccanica dislocando il pensiero dalla strada. Si voltò verso la voce.
Carnagione singolarmente scura, un’ombra opulenta stagliata nella luce del giorno. Quel ragazzo fece girare la palla rossa sull’indice eretto, mentre squadrava dalla cima dei suoi folti capelli castani al nero delle Reebok ai piedi. Una figura severa che incuteva timore reverenziale.
-Quanto impegno, Maki. -
Lui sorrise espansivo. –Altrettanto. Ho sentito dire che hai compiuto “grandi azioni” nell’ultimo periodo!-  Fujima ricambiò l’ironia e il sorriso elargendone a sua volta.  –Nulla che non potesse esasperare il tuo udito.-
Maki sbuffò, annuendo. –Perdonami. Ho spremuto una tua matricola per avere informazioni di te. –
Riprese a palleggiare diramando tacitamente i suoi pensieri. –Ti va di fare due tiri? Già che ci sei.-  Gli passò cameratesco la palla dopo che Fujima giunse dall’altra parte della recinzione.
Non attese le istruzioni. Il ragazzo sfrecciò verso il canestro, e ancora prima che si potesse voltare, Maki sentì la palla scendere lungo la strettoia della retina logora. Lo raggiunse senza esitazione e afferrò al volo quello che cadeva dal tabellone. Fulmineo, partì il contropiede. A metà strada dall’altro versante, la mano insospettabile del rivale si introdusse nello spazio di rimbalzo della palla. La sfiorò abilmente, allontanandola dall’asso del Kainan. Volando su tre lunghi passi, si precipitò a recuperarla. Correndo indietro si arrestò di colpo a pochi metri dal canestro. Il piede sinistro lo spinse lontano dalla linea di terra, il corpo inclinato come se precipitasse all’indietro, e le mani protese scagliarono il tiro.
Maki apparve davanti a lui, dopo il primo millesimo di secondo dal distacco. Salì di quota precipitosamente e contagiò la traiettoria della palla.
Sbalzò dal ferro.
Scattante, il playmaker numero uno esibì una seconda elevazione degna del titolo e si conquistò il rimbalzo.
Prese a palleggiare lentamente sotto canestro. Sorrise divertito, sapendo che ora l’orgoglio di Fujima non lo avrebbe lasciato passare ancora.
-In realtà, ti trovo una persona piuttosto interessante. Non pensi che potremmo essere amici almeno fuori dal campo di basket?-  Una richiesta del tutto fuori luogo, da qualunque punto di vista, pensò l’altro.
Fujima non rispose. Pensieroso, si accinse a proferire queste parole.  –Una volta mi dicesti che un nome decretava il destino di una persona.-
Maki strabuzzò gli occhi scuri. –Davvero? Non ricordo di averti rivolto questa frase… - Mendace ignoranza.
-Sarebbe una risposta?-
Il rivale smise di tormentare quella palla e lo prese tra le mani con un ultimo sobbalzo.
Temporeggiò un po’. Abbassò lo sguardo lungo la linea del sorriso perdurante, un’espressione quieta e riflessiva.  -Le partite del Kanagawa sono noiose. Solo quando entri in campo tu, mi sembra di giocare davvero. Sai di non avere chance, ma non sai arrenderti. E questa cosa mi diverte…-
Era una confessione. Di qualunque natura si trattasse.
Cedette la palla all’avversario. –Continuerai a giocare, vero, Fujima?-  Un gesto di intesa e forse un invito. Maki aveva percepito un sentore di dubbio nella sua sintassi. Volle misurarne le reazioni, conducendo l’interlocutore nel tratto del discorso da lui prescelto. Un abile dominatore delle parole.
Fujima gli rimandò con impeto la palla dritto nelle mani. –Naturalmente!-
Maki la strinse saldamente. Meglio interrompere quell’improvvisato one-on-one, sapeva perfettamente che se il suo avversario avesse riavuto la palla, i loro familiari quel giorno li avrebbero dati per dispersi.
Fujima si avviò verso il cancello del campetto. Indugiò sui suoi passi. Sì fermò e senza voltarsi, ammonì.  –Ora molte cose cambieranno. Sull’orizzonte sorgeranno nuove stelle. E ho già intravvisto un terzo contendente al titolo di miglior playmaker di Kanagawa …-  Con gli occhi serrati da determinazione si rivolse a Maki.
-La nostra Era sta per concludersi. Ma avrò il piacere di confrontarmi con te un’ultima volta.-
Espressione solenne sul viso scuro, nell’anticamera dei suoi pensieri sostò meditante. Con disinvoltura, affluì nelle foci delle parole di Fujima.
-Se uno solo di noi dovesse cedere posizione, l’altro lo seguirà inevitabilmente. Ne sei consapevole, vero, Fujima?-
Shinichi Maki sapeva quale logica incalzava la sua affermazione ed esitò a posteriori. Si sarebbe contenuto dall’esprimersi, ma la coscienza esigé sincerità.  –Io... Lo avevo capito…Quando ti strinsi la mano. Le nostre strade sono legate, ormai. Cerca di non trascinarmi con te nella caduta!-
Lui sbuffò battagliero. –Lo stesso vale per te!-
Sulla soglia, Fujima si voltò nuovamente, aggiungendo una dimenticanza.  -Ah, sei finalmente diventato capitano anche tu, Maki?-  Canzonò candidamente, incurante del sarcasmo che ricadeva sulla tarda promozione del rivale.
Maki cedette all’impulso del riso, ancora una volta divertito dalla sua sfrontatezza. Senza scomporsi, rispose di rimando.
-Già! Proprio come te, Kenji Fujima!-







 
Parentesi Kanji

(Dopo ricerche tribolanti protrattasi fino all'ossessione, ecco a voi la poetica celata nell'opera di Takehiko Inoue, Slam Dunk)
 
貴 臣 :  Ki-yomi = nobile ministro (suddito dell'imperatore)
奏 光 :  Kana-ko = suonare/eseguire la musica + luce; ovvero "colei che suona la luce", una sinestetica orchestra di vibrazioni sonore e luminose.
(nome di mia pura invenzione, il significato riadattato alla fonetica. "ko" non sta per "bambina" come tradizionalmente sono impostati i nomi femminili. Ma credo che nessun giapponese darebbe a una figlia un nome così altisonante...) 

Quindi i nomi di Inoue:

牧 :  Maki = pastore, quindi presumo "guida". Pascolo, pastorizia: una sfumatura rude che ricorda la forza brutale (dell'animale) domata.
紳 一 :  Shin-ichi = Dio/spirito + uno (primo) → 
È cuiroso notare che nel nome "Kenji", quel "ji", se scritto con gli ideogrammi diversi (più usati), significhi proprio "numero due". Ma Takehiko Inoue ha optato una scelta meno ovvia. 

仙 道 :  Sen-doh = la via dell'eremita.
彰 :  Akira = ciò che è chiaro e palese, ovvero la semplicità dell' illuminazione. Il nome di Akira non è scritto con il consueto ideogramma di "luminoso",     che tuttavia rimanda alla luce dell'intelletto che risplende. (.... del playmaker.)

花 形 :  Hana-gata = la forma del fiore.
透  : Toru = trasparente (...gli occhiali?), forse la trasparenza con una sfumatura etica., cioè onestà.

藤 真 : Fuji-ma = glicine + verità
健 司 : Ken-ji = forte/sano (persona eretta) + comandante/ ufficiale dell'esercito/ autorità dietro la scrivania. 

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Capitolo 13
*** Il supplizio del tempo - Epilogo ***




Assorto in terribili paradigmi esistenziali che richiedevano “brevi riassunti” sulla creazione del mondo, Fujima attecchiva nell’insidioso territorio della preparazione agli esami. Era in biblioteca da due ore, affogato tra i testi di fisica e quelli di filosofia. La mano sinistra era ben allenata e resistette alla seduta infernale. Anche se ormai era un tutt’uno con la penna. –Interessante parallelismo.-
Una presenza sopraggiunta alle sue spalle.
Lei si chinò sui suoi scritti. Un’onda di capelli scuri travolse la sua visione. Si arrestò al tentativo di volgere lo sguardo. –Attento a usare questa formula, è ambigua per un simile contesto.- Indicò con un dito l’abbozzo indecifrabile. –Volevo che si esaltasse in confronto al concetto della “morte di Dio”.-
Sorrise ancora confuso lui. La vide allontanarsi, mentre il suo viso si figurava.
La lunga chioma raccolta ordinatamente e quella fronte libera furono come il presagio di un’immagine futura. Fujima che scoprì il velo della visione, osservò, nascosto nell’ombra del tempo presente, il fascino della sua acerba maturità: una donna. Bellissima e terribile.
Kyomi recava con se la giacca della squadra diligentemente piegata. La scritta “S. B. C.” della manica parzialmente tagliata fuori dalla visione.
–Vorrei restituirti questa.- La porse con entrambe le mani, cerimoniosa come in un rito di congedo.
Fujima le rispose nello scambio. Rispettoso e forse un poco amareggiato.
-Ormai è tempo.-
Lui rimarcò il proprio silenzio.
Kyomi gli si sedette di fronte, tentando di scrutare i suoi occhi offuscati dalla pesante frangia. In quei particolari momenti, Fujima era sempre indecifrabile. Dignitosamente sospeso tra ignoti e divergenti sentimenti, per non doverne turbare dell’animo altrui.
-Io, mi chiedevo se …-  Fece esitante. Non sapeva bene cosa volesse dire, ma la voce giunse prima del pensiero.
Lei seppe dare forma a quella parentesi sgraziata. –Non è il caso di insistere, Fujima.- Sospirò. -I tuoi propositi non sono realistici. Rischiamo di incatenarci in un rapporto di asfissianti assenze. Nel tempo, i cuori si logorano. E la lontananza è solo la punta dell’iceberg.-
Lei si erse in avanti, oscurando il tavolo. La mano affusolata si distese delicata su quella del ragazzo. La penna che reggeva gli scivolò dalle dita.
-Ora dovrai impegnarti per il prossimo campionato nazionale, e sai che gli avversari saranno tutti determinati a scaraventarti giù dal podio. Pensi di poterti meritare altre distrazioni?- Lei annegò nella luce incandescente di quel blu profondo. –Non voglio esserti di peso. Per nessuna ragione al mondo.-
Fujima ingoiò a fatica quella frase. Sentendo risalire le vertigini dell’ultimo bacio.
-Esiste sì, ora, un “noi” che spira fiammeggiante nell’effimero sospiro del tempo. Questa è la nostra essenza. Nulla e sempre.-
Lei sorrise costringendo lo sguardo tremante a volgersi dietro le palpebre. –L’unico e sempre. Di certo, questa limitata grazia sfigurerà per sempre il mondo al suo cospetto.-
-Con quali occhi pensi che potrai vedere il mondo, ora?-  Le cinse la mano con più vigore, nel rimando concettuale di un astrale abbraccio.
Kyomi inabissò gli occhi a quell’accusa.  -....Fujima.-
Interminabili secondi di silenzio. Si erano distaccati dai metri quadrati di spazio concessi ai corpi. E levitarono al di là delle parole e delle voci.
Avrebbero chiesto misericordia al Tempo, affinché gli istanti fossero assunti all’eterno.
Ma sfiorato dalla contingenza, questo rimase un terreno desiderio.

Cosa ci resta ora?
Fujima sostava nel campo all’aperto, mentre le sagome intorno a lui cominciarono a sfumarsi nell’ombra blu. Tra le sue mani, una palla da basket gravitava nervosamente. Aveva voglia di giocare ancora, ma la luce era già calata.
Era tornato nello stesso luogo in cui giorni prima aveva disputato contro Maki. In quell’angolo anonimo della città, cercava forse di rievocare le emanazioni della sua figura scura. Per un intero pomeriggio era scappato dallo studio, immergendosi solitario in quella corsa immaginaria, nel vano tentativo di superare se stesso.
Maki non c’era. E tutto, sembrava sfuggirgli dalle mani, ora.
Percepì il canestro nella semioscurità e segnò ancora. Tenne gli occhi chiusi, alleandosi con il buio. I sensi primari lo guidarono nella cecità.
Il tabellone cigolò, il tonfo di una palla che si tuffava nell’anello.
Il ragazzo respirò a fondo nell’aria della sera.
-Quando pensi di tornare a casa, Kenji?- Lui trasalì a quella voce sorta improvvisa.
Hanagata lo aveva atteso per mezz’ora, osservandolo nascosto nel buio, mentre il suo amico si esibiva con ostinazione.
Non si intromise. Guardandolo a distanza, aveva capito quanto impellente fosse la necessità di quello sfogo.
-Tua madre mi ha chiamato. Ti cercava. Dice che tua nonna non vuole andare in ospedale ….-  Fujima sospirò condiscendente. -Ancora. Ho capito.-
-Finché tuo padre è via, ti tocca fare l’uomo di casa. - Sorrise ironico l’amico.
-Sta zitto, Hanagata. È una cosa seria.-
Fujima prese sotto braccio quella palla logora e scalfita, dono del padre per il suo settimo compleanno. Una piccola incisione accanto agli spicchi che ne ricordava la proprietà: Kenji.
-E tu? Come mai gironzoli? Non avevi il corso preparatorio?-  Interrogò lui mentre si incamminava di fianco a Hanagata. -Guarda che domani ci sono gli esami … Neanche tu ripassavi, però.-  Gli fece la montatura nera.
Scrutò da dietro quella figura silente. –Qualcosa ti turba?-
Fujima mirò le prime stelle fuggevoli tra le strisce di nubi crepuscolari, lassù il vento si insinuava costante e freddo.
– Kyomi ha lasciato la squadra.-
In un differente momento di spensieratezza, gli avrebbe ribadito che la ragazza non era, in fin dei conti, una dei giocatori. Ma il filo scoperto del suo struggimento gli era pienamente visibile, quella sera. –Credo sia naturale. Il diploma sancisce gli adii. –
Annuì Fujima, senza elargire giudizio su quel luogo comune.
Aspirò la notte a pieni polmoni, e lasciò fuggire le stelle tra le fessure della bocca.
-Spero che la primavera passi in fretta. E l’estate e l’inverno … Che il tempo mi travolga. Un giorno mi alzerò e non voglio più vedermi in questi tratti adolescenziali. Questi tratti che non si rifletteranno più nei suoi occhi. E per quanto mi concerne, ora il mio orizzonte risiede solo in loro …
Mh, sono proprio infantile.- Sorrise melanconico.

-Ti è così caro questo dolore?-

-Lo è.- 

Fujima si fermò davanti al traffico cittadino. Chinò la fronte verso il braccio destro dell’amico, come per deporne il peso.
Gli arrivava appena sotto la spalla. Toru gli mise una mano sulla testa, scompigliandogli affettuosamente i capelli.  
-Passerà, Kenji … -






 


 
Prefazione
Rispetto ai precedenti, questo capitolo è stato riscritto e corretto. Non si poteva leggere altrimenti...
Avete presente quelle bambine pedanti che amano i sofismi ridondanti e sembrano nate già vecchie? Sono io, o almeno è quello che spero di non essere più, e questa è stata la prima fanfiction che ho scritto. "Kyomi" era il mio modo di avvicinarmi a Fujima e farlo mio (metaforicamente). E come ora mi sembra di non avere più necessità di un filtro per dialogare con i personaggi, sono riuscita a liberarmi anche dalla pesantezza del linguaggio dietro cui mascheravo le imperfezioni.
Il "Volo", nonostante tutto, è una pietra miliare per me. È grezzo, è imbarazzante, ma è spontaneo e sincero come ce ne sono stati pochi altri. Con la conclusione di questa storia Kyomi è scomparsa dalla mia scrittura, ma di lei sopravvive quell'impulso iniziale, ingenuo e intrepido, che non si ripeterà più e di cui andrò sempre inseguendo. 

Grazie per la vostra, per la tua pazienza.
Un abbraccio.


 
 



Volo verso il sole - Epilogo



Kyomi scaricò le valigie dalla macchina dei suoi.  –Sicura di aver preso tutto?-  Lei sorrise indulgente a quell’ennesima espressione di ansia. –Sì, zia. Non preoccuparti.- 
Mikagi le levò il peso della borsa, il viso corrucciato. Le chiese per l’è mesi a volta quando sarebbe tornata, cercando rassicurazioni. –Non lo so … La Kyodai non è uno scherzo, dovrò impegnarmi moltissimo.-  
Il suo treno partiva alle 17:15. Un biglietto di sola andata, Yokohama-Kyoto. 
Si accomodarono fuori dalla sala d’attesa, rivangando per ultimi istanti i ricordi vicendevoli, per non doversi esporre all’imbarazzo degli adii. 
Tra il brusio della folla e gli annunci degli altoparlanti, Kyomi scorse una testa conosciuta. Hanagata rientrava da un giorno di intense prove scritte, assorto in un ripasso di vocaboli inglesi in extremis, si accorsero della reciproca presenza quasi nello stesso istante.
-Presidente! - Chiuse l’opuscolo tre le dita e le venne incontro. -Sei in partenza ora? - Non si aspettava di sorprenderla nel momento del commiato.  
–Ormai non sono più il vostro presidente.- Lei gli rivolse un sorriso trattenuto sollevando lo sguardo, sebbene restia a intrattenersi in conversazione con lui. Restò seduta dov’era.
Hanagata la guardò, e poi guardò le sue valigie lungo la panchina della frenetica stazione ferroviaria.  –Ma Fujima lo sa?- 
Lei distorse il volto con fare seccato.  –Non è il caso di nominare proprio lui.-
A questo il ragazzo non replicò. Dopo un breve indugio lo vide sfilarsi la borsa dalla spalla e posarla a terra, come per impuntarsi. Era contrariato. Aveva accantonato la riluttanza, contro ogni aspettativa, e si era pronunciato con voce puntellata di sfida. -Pensi che lui non ne valga la pena?- 
Quell’unica frase fu capace di farla sollevare, percossa di disagio e indignazione, pur reggendo a fatica le lenti inquisitrici di Hanagata. 
-Lui tiene comunque molto … A te. - disse.  Kyomi strinse i pugni lungo i fianchi, abbassando lo sguardo.  –Questo va oltre il tuo campo di competenza, Hanagata. Non ti devi intromettere … -  L’asperità delle sue parole non ressero fino all’ultimo, incespicandosi, pur di celarsi a se stessa, ciò che non poteva e non voleva sentirsi dire. 
-Non ci credi neanche tu, è così? Hai così paura di perdere la scommessa contro l’ignoto? … Scusami, io sono un ingenuo… - Il suo tono incalzava incerto, ma sempre più tumultuoso. - Ora forse penserai che sia la decisione più logica e giusta, ma ti stai solo perdendo in un mare di ridicole precognizioni!- 
E Kyomi sorrise con perfidia, non in vena di sedicenti prediche. Non da lui.  –Ci sono ragioni che vanno al di là delle scelte.- 
Hanagata inspirò profondamente con la bocca ed espirò a palpebre chiuse, sentendo fremere i nervi. Titubante, contando le parole che gli erano rimaste… In fin dei conti lui non era che un estraneo in quella vicenda... Non era lui che doveva pronunciarle, le parole che Fujima aveva scelto di non dire. 
E forse, in fondo, aveva ragione lei …  -Allora prendi le tue valigie e parti. Sii serena. Quando Fujima domattina si alzerà, tu sarai già lontana dalla sua vita. È vero, è senz’altro giusto così … 
Ma cerca di sradicare questo pensiero da te, perché ora dovrai gettarlo via!-  Kyomi si sentì sussultare, ma non lo palesò. 
-Le cose che mi hai detto al Ryonan… Te le sei scordata? Che significato avevano avuto per te?-  Le impose la verità dei suoi occhi, benché il volto di bambino fu incapace di tendere verso i puri spasmi dell’ira. 
-Smettila … -  Voce che si arenava naufragando precocemente. 
-“Lui è il giocatore più prezioso per lo Shoyo”? Tu hai ucciso ciò che eri…-  Hanagata sospirò pervaso di rabbia indeterminata. -Deponi pure le armi, hai vinto. Io non sono in grado di abbattere le tue difese. Tutto lo Shoyo messo insieme non ne sarebbe capace, neanche se scendesse in campo il capitano. - La guardò con rassegnazione e aggiunse. - Ma sai bene che lui non ti scaccerà altrettanto facilmente. Né il tempo né lo spazio basteranno a scalfire la sua cecità… Non negarlo ancora, non a te stessa... Non lo capisci?!-  
Le afferrò le spalle con entrambe le mani, scuotendole impercettibilmente, inclinando il capo per poter inchiodare i suoi occhi di onice. -Kyomi, il suo cuore ti appartiene!- 


Sprofondato nell’abisso il suo orgoglio si contorse un’ultima volta, mentre i suoi occhi si riempivano di detriti opalescenti. Guidata dalle parole, l’immagine di Fujima venne alla luce, risplendendo oltre la notte. 
Rivoli di lacrime le sgorgarono dalle fenditure delle palpebre, quella limpida rivelazione di cui aveva sempre confutato il possesso. Infossandosi nelle spalle contratte e stringendo gli occhi, si portò una mano alla bocca sentendosi soffocare.


Hanagata non le chiese altro. Non fu necessario udire la sua risposta. Sapeva quello che doveva fare ora.
 






Nella palestra dello Shoyo, i superstiti del giorno si allenavano ancora. 
Fujima teneva insieme i resti di un ammutinamento di fine anno, perseverando i suoi doveri di allenatore. Non aveva più risentito Kyomi da quel giorno in biblioteca. 
Aveva perso. Proprio come nel suo eterno scontro con Shinichi Maki, benché in questo caso il suo contendente avesse firmato l’armistizio. E i risentimenti a senso unico non potevano costituire oggetto di conflitto. La pace di quel mondo ora doveva perdurare, anche se lui, solo, ne era l’unico abitante. 
Da lontano, sentì pesanti passi che martellavano sul suolo. Hanagata stravolto comparve sulla porta, appoggiandosi a un battente e ansimando indecorosamente. 
–Per oggi potevi risparmiarti questi riscaldamenti, Toru … – gli sorrise sarcastico.
Lo spilungone si trattenne dal replicare. Raccolse fiato e disse senza preamboli.  
- Kyomi sta partendo.- 
Fujima sussultò. Una lama fredda lungo la schiena, che abilmente ignorò. -Cosa potrei fare io, ora?- 
Hanagata non si lasciò ingannare da quella voce disillusa. - Piantare di esitare!- Batté il piede a terra e, sentendosi sopraffatto dalle vertigini della corsa, non si trattenne più:


-Prima che il mondo finisca, corri da lei, Kenji Fujima!-


Spalancò gli occhi, la coscienza che ne veniva trafitta. 
Si morse il labbro, infossandosi un’ultima volta. Come se una marea nel cuore lo travolgesse, Fujima scattò fuori dalla palestra. 






Con solo la giacca sportiva sulle spalle sfidava le correnti gelide di maggio. Le sue gambe bianche scoperte che volavano in mezzo alla moltitudine di figure infagottate, abbagliando gli sguardi. 
L’ossigeno cominciò a calare. I chilometri, pur restando interminabili sotto i suoi piedi, vennero bruciati con tenacia. Anche se il fiato incespicava inesorabile, dovesse la coscienza abbandonargli, non sarebbe crollato ora. 
Arrivò a destinazione e trafelato alzò lo sguardo verso il tabellone delle partenze. “Tokyo, Niigata, Shin-Aomori, Nagano…” 
17:10. Nell’aria colse un annuncio che risuonava confuso tra gli alti soffitti della hall. “Linea Tokaido, proveniente da Tokyo e diretta a Shin-Osaka è in arrivo al binario 5.” 


Kyomi si sciolse dagli singhiozzi della sua amica e salì sul convoglio. Dall’altra parte del vetro, Mikagi continuò a farle cenni con la mano elargendo diverse tonalità di espressioni al posto delle parole. Lei sorrise, alzando la mano a sua volta e oscillandola con affetto. 
Poi la vide voltarsi come se si fosse accorta di qualcosa in lontananza... Quando tornò a guardarla la sua espressione era dardeggiata di puro stupore. Appoggiò il palmo al vetro come per allertarla, e lei abbassò il finestrino, preoccupata.  –Che succede, Mikagi?-
Lo scorse dietro la folta chioma mossa della ragazza, ansante, piegato su se stesso, le mani sulle ginocchia. 
Come trovò la forza di sollevare il capo, lui la vide e gli angoli delle sue labbra si sollevarono con lui. - Kana...- 
-Fujima, cosa...- Non sapeva a cosa pensare. In quel momento il treno prese a muoversi, lentamente, e il ragazzo si accostò camminandole accanto.
-Mi odierai perché non so rassegnarmi, non ho mai saputo farlo...- Sorrideva ancora, come uno sciocco. Fujima tese la mano e cercò il calore della sua, lei non gliela negò, i loro sguardi incatenati insieme. 
-Non ti chiederò di restare. So che non sarò mai in grado di raggiungerti, però... a me va bene così. Questo mi basta. A te sta bene?- 
Sentiva gli occhi velarsi di una patina lucida, Kyomi, non trovando le parole. O magari, non ce ne erano mai state bisogno...
-C'é una cosa che non ti ho detto, Fujima.- fece lei, quando finalmente poté contraccambiare il suo sorriso. Senza più mascherarsi, senza più menzogne. -Ma non la dirò ora...- E fu una promessa a se stessa. -Saprai aspettarmi?- 
In risposta lui le fece segno di sporgersi, -abbassati, Kana.- Mentre le sue lunghe ciocche seriche scivolavano fuori dal vetro del finestrino aperto, ondeggiando al vento, Fujima spiccò un salto. E tenendosi forte al sostegno del corrimano, si issò sù con tutto il suo peso... Una frazione di secondo, le loro labbra furono a contatto, prima che la forza di gravità lo trascinasse nuovamente a terra.
-Sì.-
Fujima sostò a lungo, laddove terminava la banchina, e la seguì con lo sguardo, mentre il lungo convoglio nella sua corsa prendeva velocità.



 

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