L'armadio di Lynn Moore

di Marra Superwholocked
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Boom! ***
Capitolo 2: *** Donna ***
Capitolo 3: *** L'uomo con gli anfibi ***
Capitolo 4: *** Briciole di pane, briciole di speranza ***
Capitolo 5: *** Sono io! ***
Capitolo 6: *** Il giardino di Armida ***
Capitolo 7: *** John ***
Capitolo 8: *** Destino ***
Capitolo 9: *** Riflessi pronti ***
Capitolo 10: *** Attori ***
Capitolo 11: *** Spoiler, la parola che lo tormenta dal 1984 ***
Capitolo 12: *** La chiacchierata che fece di noi whovian una grande famiglia ***



Capitolo 1
*** Boom! ***


Boom!

 


«Mi scusi, signorina, dove posso trovare questo libro?» La donna dai capelli rossi era davanti ai suoi occhi che le sventolava un foglietto sotto il naso in attesa della sua risposta.
Lynn sollevò lo sguardo dallo schermo del suo computer per leggere il titolo del libro.
Il Giardino Segreto.
«Sa, è per mia nipote.» La donna si sistemò una ciocca di capelli bagnati dalla pioggia dietro l'orecchio.
«Controllo subito» disse infine Lynn inforcandosi un paio di occhiali neri. « Ecco qui. » Scrisse un codice su un post-it e lo porse alla donna. « Seconda zona a destra, terzo scaffale. Poi torni qui che completiamo il noleggio » terminò con un sorriso.
«Noleggio? In che senso, noleggio?» domandò la donna un po' confusa.
«Signora, questa è una biblioteca, non una libreria. Non ha la tessera?» Le toccava rifare quel discorso almeno una volta al mese.
«Ma mia nipote..»
«Se non ha la tessera, non posso darle il libro. Mi dispiace» la interruppe Lynn.
La donna dai capelli rossi increspò le labbra, irritata; posò sulla scrivania il foglietto con il codice del libro e si avviò all'uscita stizzita, sculettando giusto per darsi qualche aria.
Lynn tornò senza problemi al suo lavoro con gli occhi di Dave, il suo collega, che la spiavano da dietro una piantina striminzita che reclamava disperatamente acqua.
«Pssst!» la chiamò lui. «Ehi, Lynn!»
Lynn alzò appena lo sguardo senza muovere la testa e vide che dalla scrivania di fronte a lei la osservavano due piccoli occhietti di un blu profondo. Dave la interrogò con lo sguardo e lei rispose alzando le spalle e le mani in segno di arresa.
«Lynn, se ti scopre il capo..» le sussurrò da tre metri di distanza.
«Oh, Dave! Quelle stordite capitano tutte a me!»
Il suo collega soffocò una risatina e ammiccò nella sua direzione. Era proprio simpatica, gli andava a genio. Accavallò una gamba e ricominciò a digitare sulla vecchia tastiera rumorosa.
Lynn, però, non aveva risposto male alla donna dai capelli rossi solo perché era l'ennesima che non si rendeva conto di essere entrata in una biblioteca o per chissà quale altro motivo; le aveva risposto male perché stava pensando al suo esame che avrebbe dovuto dare di lì a pochi giorni. Un esame importantissimo, che avrebbe potuto cambiare in modo radicale il suo futuro.
L'esame sarebbe durato tre ore e in quel poco tempo doveva dare il meglio di sé: solo in questo modo, il lavoro alla biblioteca poteva essere sostituito con un bel posto in ospedale accanto ai bambini: il suo sogno. Momentaneamente, aveva trovato un lavoretto in una biblioteca vicino casa; unica pecca era che rimaneva aperta tutti i giorni. Per fortuna, la domenica, chiudeva però a mezzogiorno. Questo voleva dire che sarebbe potuta andare subito a casa, mangiare e studiare. Oppure prendersi un giorno di pausa e starsene sul divano a guardarsi la sua serie tv preferita. La proposta era allettante e per di più davano le nuove puntate..
Ma no, a cosa stava pensando?! Doveva prepararsi bene per l'esame, altroché!
«Dave, io vado» lo salutò Lynn prendendo la borsa da sotto la scrivania. Mancavano ancora una manciata di minuti alla chiusura, ma non c'era nessun cliente che aveva bisogno di lei.
Dave la salutò con un lento gesto della mano senza staccare gli occhi dal suo computer, ma poi scattò sulla sedia nel ricordarsi una cosa. « Lynn, aspetta! » Si alzò velocemente e le corse dietro per poi continuare il discorso mentre lei scappava verso casa. « Lynn, il capo vuole sapere se domani puoi sostituire Angela nel caso sia assente! » ansimò lui, percorrendo l'uscita buia anche grazie alle abat-jour rotte da ormai due settimane.
«Sta male?» gli chiese aprendo l'ombrello.
«Veramente, non si sa nulla.»
«In che senso? La sorella non ha avvertito per lei come fa sempre?»
«Nel senso che non abbiamo sue notizie da tre giorni e siamo a corto di personale per l'influenza. E Mary è venuta qui l'altro ieri per sapere dove fosse Angela.»
«Mi stai dicendo che Angela è sparita nel nulla e che sua sorella non ha idea di dove sia?»
«Esattamente.»
«Ma non si sparisce, così, senza lasciare traccie..»
«È quello che ha detto Mary! Il problema è che questo non ci aiuta e nemmeno la polizia ha una pista da seguire. Vabbè, ora ti lascio andare, vedo che sei stanca.. In bocca al lupo per mercoledì!»
«Grazie, Dave. Crepi! Ah, domani mattina devo seguire una lezione molto importante, quindi non posso sostituire Angela, mi dispiace.»
«Tranquilla.» Le toccò il braccio in segno d'affetto, ma ci ripensò e abbassò lo sguardo. « Faremo a meno della tua compagnia. Ci vediamo sabato prossimo! » le urlò mentre lei usciva definitivamente dal suo campo visivo.


Casa. Divano. Tè caldo. Mozart e sistema circolatorio.
La musica dolce e piacevole di Mozart sembrò servirle più da sonnifero che da aiutante, così mise via tutto dopo solo un'oretta di studio. Per cena, aveva già precotto la sera prima della pasta al forno e le bastò scaldarla nel microonde. Mangiò da sola, come sempre. A farle compagnia, solo Hanne Edwards, la conduttrice del telegiornale delle otto.
«Buonasera, buonasera a tutti. Sembrerebbe che la temperatura si stia proprio alzando di qualche grado. Gli studenti stanno già cominciando a sorridere in previsione delle vacanze estive. Ma guardiamo il servizio di Adam Wonder.»
Partì un servizio che, come tutti gli anni, faceva vedere studenti armati dei primi gavettoni. Poi, subito dopo, fecero il confronto con l'inverno e le sue ininterrotte piogge, fino a quel giorno stesso.
Lynn mangiò senza fretta la sua ultima forchettata di pasta al forno pensando a quanto sarebbe stato bello chiacchierare con i suoi genitori sempre in giro per il mondo. Una hostess e un attore. E un vaso di fiori in mezzo alla lunga tavolata per mantenere le distanze. Al solo pensiero le si contorse lo stomaco e respinse con un gesto deciso il piatto vuoto. Poi un'immagine al telegiornale attirò la sua attenzione: la foto di Angela, travestita da zombie per carnevale.
Lynn si alzò e prese il telecomando per alzare il volume.
«...scomparsa da tre giorni e nessuno l'ha ancora avvistata. La porta di casa è stata trovata chiusa a chiave; Mary, la sorella, ha detto che dall'armadio non mancherebbe nessun indumento e che dalla cassetta di sicurezza non sono stati prelevati soldi. Angela non ha lasciato nessun tipo di biglietto. Ora, la polizia sta cercando di indagare tramite il suo computer per cercare qualche indizio. Per il momento non c'è altro. A te di nuovo la linea, Hanne.»
Lynn rimase a fissare lo schermo del televisore con le braccia lungo i fianchi. Era vero. Era scomparsa sul serio. Finché non sentì la notizia in televisione non riusciva a crederci veramente. Ma ora non aveva dubbi.
Non sapeva cosa pensare, le sue gambe rimasero ancorate al pavimento per qualche istante, come se fosse stata pietrificata. Le immagini del telegiornale erano terminate e ora c'erano quelle di una fastidiosa televendita. Lynn guardava nel vuoto, persa.
All'improvviso scattò; lasciò cadere il bicchiere che teneva in mano e si venne a creare ai suoi piedi una pozza d'acqua leggermente rossastra.
«Merda!» esclamò sottovoce. Era scattata per qualcosa che l'aveva riportata alla realtà.
Era tanto che non sentiva quel suono, perché nessuno andava mai a trovarla. Poi ancora.
Ding dong.
Lynn andò alla porta subito dopo aver raccolto i cocci di vetro facendo attenzione a non ferirsi. Li appoggiò sul muretto di marmo di fianco alla porta d'ingresso, dove posava le chiavi subito dopo aver messo piede in casa. Chi poteva essere? Steven, il suo ex? Quello che non sa nemmeno far funzionare una torcia? No, forse sua cugina Jane, che avrà rotto di nuovo col suo ragazzo. Oppure.. No, impossibile.
Guardò nell'occhiolino. L'impossibile era diventato concreto.
Fece scattare la serratura e aprì nervosamente la porta facendo svolazzare i suoi capelli.
«Mamma.» Il tono con cui uscì quella parola fu peggio del ghiaccio.
«Oh, tesoro! Anche mamma è felice di vederti!» Dehlia Moore era fatta così: il suo ego era paragonabile ad una montagna.
Lynn alzò gli occhi al cielo e si ritrasse leggermente per richiuderle la porta in faccia, ma non fece in tempo: Dehlia, infatti, allungò una gamba e bloccò la porta con la punta della scarpa color turchese in tinta con la divisa.
Le due donne si scambiarono uno sguardo di leggera sfida, come ai vecchi tempi. Poi Lynn cedette.
Dehlia ormai aveva potere su tutto, ma solo nel campo del lavoro e su sua figlia.
La povera Lynn Moore, costretta a soccombere sotto le scelte oppressive della madre.
«Cos'è questa robaccia?» le chiese abbandonando il trolley di punto in bianco e girando su se stessa. «L'ultima volta che ho visto questa casa era.. meno blu. Si può sapere perché ti piace così tanto quel telefilm? Secondo me, è roba da stupidi. E tu, ragazza mia» le si avvicinò per darle un buffetto sulla guancia, ma Lynn si ritrasse. «Tu non sei stupida, tesoro.» Almeno aveva mantenuto la dolcezza. Rara quanto una stella alpina.
Oh, ma stai zitta! «Perché sei qui?»
«Sono felice che tu me l'abbia chiesto! Siamo atterrati e ci hanno detto che l'aereo aveva qualche problemino ai motori, così siamo andate a chiedere se c'erano altri voli disponibili per noi, ma ci hanno detto che erano già tutti coperti! E ho deciso di venire a trovare la mia cucciolina!»
«Mamma, non ho un altro letto.»
«Non importa, tesoro. Starò qui solo una notte! Nessun fastidio, giuro. Posso dormire sul divano.»
«E il tuo mal di schiena?»
«Oh, be'.. Aumenterà.»
«Ho capito.» Messaggi subliminali, parte prima.
«Ah, e poi.. Volevo dirti una cosa, amore.»
Prepariamoci al peggio. «Dimmi pure.» Tre..
«Tutte queste cose di quel Doctor Who..»
Due..
«Insomma, cambia arredamento.»
Uno..
«Cresci!»
Boom! «Buona notte, mamma.»

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Capitolo 2
*** Donna ***


Donna



Lynn aprì gli occhi; era sdraiata sul divano con le gambe sul bracciolo duro come il marmo e la testa dolente per un cuscino che durante la notte le era scivolato a terra. Mia madre non è qui, era solo un incubo, pensò. In effetti, tutto faceva pensare ad un'allucinazione o ad un sogno: il trolley era sparito dal corridoio e non c'era traccia del suo cellulare tutto sbrilluccicante e sempre attivo. Si alzò col sorriso perché la sua teoria non faceva alcuna piega. Sì, aveva sognato l'arrivo di sua madre e aveva sognato anche di lasciare a lei il suo letto; aveva bevuto troppo vino. Ma non fece in tempo nemmeno a piegare la coperta di pile e a stiracchiarsi che dal bagno sentì una voce. Sua madre.
«Tesooorooo? Sei sveglia?»
Lynn si guardò attorno. Forse era un'altra allucinazione, stavolta uditiva. Ma la tazza di caffè bollente posata sul tavolino della cucina non mentiva: gliela aveva preparata lei. Sbuffò in silenzio prima di risponderle. «Sì, mamma, sono sveglia.» Fra tutte le persone che avrebbe voluto vedere ed ospitare era arrivata proprio la madre. Non che non le volesse bene – la mamma è pur sempre la mamma – ma d'altronde come si fa a dar torto ad una ragazza che viene cercata solo nel momento del bisogno e quasi sempre obbligata ad aiutare la madre?
Mentre la sua mente escogitava un piano per mandarla via al più presto, andò verso il bagno. L'acqua della doccia scrosciava e il vetro della porta era appannato: Dehlia non aveva nemmeno aperto la finestra.
«Tesoro, scusa se non ti ho chiesto se potevo, ma non volevo svegliarti. Eri così dolce..» si sentì dire Lynn da fuori il bagno.
Per un attimo, un millesimo di secondo, a Lynn quelle parole sembrarono sincere. Ma poi scacciò quel pensiero dalla testa. Quando mai sua madre è stata onesta con lei? Quando mai sua madre è stata onesta col mondo?
Nel momento stesso in cui l'acqua smise di uscire dal fungo della doccia, Lynn pensò alla lezione di quel giorno. «Senti, mamma.. Mi chiedevo una cosa..»
Dehlia aprì la porta con l'asciugamano già addosso. «Dimmi, Lynn!»
Prima di tutto, quello è il mio asciugamano! «Quanto resterai?» si limitò a chiedere. Ovviamente, si aspettava che dovesse rimanere lì solo un paio di giorni, il tempo necessario per avere un altro volo. E sperava che non diventassero un paio di settimane, conoscendo la sua voglia di riorganizzare la vita degli altri. Non voleva dire addio alla sua tazza blu Tardis, al suo copriletto a mo' di cabina telefonica e a tutti quei preziosi gadjet trovati con estrema fatica e sparsi per la casa.
«Era solo per la notte, amore» le rispose vestendosi con molta eleganza.
Solo una notte. Non poteva crederci. E aveva esposto un solo commento negativo in tutte quelle ore. Uno solo! Non era mai capitato.. Ultimamente le persone stavano cambiando e anche Lynn se ne accorse. Angela, sua madre e, prima ancora, la sua vicina di casa. Dorothy, una donna di sessantuno anni, era uscita di casa una sera e non era più tornata; con sé non aveva portato nulla, nemmeno i suoi occhiali da miope. Erano passate solo poche settimane ed ecco che anche Angela scompare. Ma, d'altronde, queste sono cose che succedono tutto l'anno.
Mentre rifletteva sulla frase della madre, Lynn già sorrideva con la mente al pensiero di vederla sull'uscio; sarebbe ritornata nel giro di qualche mese, senza dubbio. «Solo la notte? Ok.» Dehlia era già pronta, vestita e truccata, per un'altra avventura.
«Ah, ho usato il tuo profumo. È molto buono, come si chiama?»
«HAI..?! » Calmati. Due profondi respiri. «Si chiama “smettila di usare le mie cose”» disse in tono glaciale.
Dehlia la guardò dall'alto in basso, aiutata dal suo tacco dodici, e capì la situazione. «Io ero venuta in veste di madre. Ma è evidente che non mi vuoi.»
«Come posso accettare tutto questo dopo mesi di assenza? Non ti fai mai sentire! Ho sempre paura che la tua assenza significhi.. Che significhi qualcos'altro.»
«Oh, Lynn, non esagerare!»
«Cosa?! Tu rischi la vita ogni santo giorno e io non dovrei preoccuparmi?!»
«Sei come tuo padre.»
«Ah! Mio padre...»
«Senti, vedi di far sparire tutte queste cianfrusaglie di quel matto di un Dottore. La tua casa sembra quella di una bambina di tre anni che vede pace e amore dappertutto.»
Questo era troppo per lei, troppo. Lo stomaco le si ribaltò, come in preda ad una paura simile a quella di un'interrogazione. Un peso enorme, insopportabile. Da anni, ormai, stava zitta, senza ribattere, davanti alle critiche di sua madre, mentre il padre se ne stava per i fatti suoi a guardare la tv. Jack Moore. Suo padre era stato sempre come un fantasma. Se c'era, si faceva sentire solo quando voleva una birra. E sua madre gli stava dietro come un cagnolino. Ma non si accorgevano mai della loro unica figlia, che cresceva tra un flash e l'altro dei paparazzi, che vedeva il padre un giorno avvocato e quello dopo giocatore di football. Il suo lavoro andava oltre il “tirare avanti”, ma lui divenne famoso a causa del suo carattere poco remissivo: voleva soldi, troppi soldi. Quantità che nemmeno Hollywood poteva permettersi di sborsare. Per questo lei optò per una biblioteca molto sobria della calmissima Londra.
«Vattene.» Lynn scacciò le lacrime; non voleva mostrarsi debole ai suoi occhi.
«Lynn, lo sai che ho ragio-»
«Vattene, ho detto. Ora.» Strinse i pugni tanto forte da lasciare il segno delle unghie sui palmi delle mani.
Dehlia alzò la testa e serrò la mandibola. «Come vuoi.» Poi zigzagò per evitare la figlia e, dopo aver preso il suo trolley, si fermò davanti alla porta di casa ancora chiusa. «Posso tornare un'altra volta?»
Lynn non voleva più parlare. O meglio, non ci riusciva. Con gli occhi prossimi alle lacrime, aprì la porta e spinse con decisione la madre fuori. «Fa' buon viaggio» la salutò. Poi spinse la porta senza lasciarle il tempo di replicare.
Mezza infuriata, tremendamente triste e con ancora quel peso allo stomaco, Lynn lasciò la maniglia della porta per dirigersi in camera da letto.
Cosa fanno le ragazze quando sono tristi? Corrono in camera loro e si gettano sul letto per poi iniziare a piangere. Allora Lynn doveva essere una vera guerriera: si sedette sul letto e strinse nei forti pugni la coperta. Ma non riusciva a starsene ferma. Forse doveva seguire i consigli di Dave: «Tesoro, iscriviti ad un corso di boxe o qualcosa del genere. Ti si vedono lontano un miglio le saette attorno alla testa!» le aveva detto un giorno. E aveva ragione, sentiva il forte bisogno di tirare pugni a qualcosa.
Alimentata dall'adrenalina che doveva assolutamente scaricare, si alzò. In un attimo fu davanti al suo armadio-Tardis, la sua vittima; tirò un destro talmente forte che l'armadio barcollò e, di conseguenza, anche il vaso sopra di esso. Un bellissimo vaso di porcellana decorato con motivi floreali blu. Unico, praticamente, perché fatto a mano da una persona speciale, suo nonno.
Lynn assistette alla scena come se fosse stata a rallentatore. Il vaso incontrò il pavimento e si ruppe in tanti pezzi che si sparpagliarono per la stanza. D'istinto, mise le mani davanti al volto per ripararsi e aveva avuto un'ottima reazione perché un coccio le si conficcò nella mano sinistra.
«Dannazione!» urlò disperata. Le ultime ventiquattr'ore l'avevano devastata.
Mentre correva in bagno alla ricerca del disinfettante, alcune gocce di sangue caddero sporcando ora i pantaloni ora il pavimento. Estrasse con delicatezza il coccio che pochi istanti prima era di un bianco immacolato. «Piccolo insolente bastardo» lo insultò a denti stretti mentre fasciava la mano con la benda e la chiudeva con la pinzetta di metallo.
Chiuse la mano a mo' di pugno: le faceva male, ma fortunatamente non era mancina.
Ad una parete di distanza, l'orologio ticchettava e segnava le nove e tre quarti. Troppo tardi sia per andare all'università sia per andare in biblioteca.
Prese l'unica soluzione ovvia. Andò a pulire prima la camera, poi le gocce di sangue sparse qua e là lungo il tragitto, sempre facendo attenzione a non usare la mano ferita.
Al diavolo ciò che pensa la gente! A me piace quella serie tv!, pensò Lynn mentre prendeva il telecomando e accendeva la tv. Non le ci volle molto per trovare il canale che stava cercando. Purtroppo, però, riuscì solo a vedere la faccia sconvolta di David Tennant nel vedere davanti a sé una sposa dai capelli rossi apparsa dal nulla.

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Capitolo 3
*** L'uomo con gli anfibi ***


L'uomo con gli anfibi

 


Purtroppo era riuscita a intravedere solo gli ultimi istanti della puntata esordio per Catherine Tate. Ma le bastò: infatti, la luce dorata dell'interno del Tardis le aveva fatto venire in mente una cosa. Quando aveva tirato quel pugno all'armadio, le ante dipinte da Lynn stessa come le porte del Tardis si erano schiuse e una striscia di luce aveva improvvisamente attraversato la stanza, donandole calore e armonia. La ferita alla mano l'aveva distratta da quella meraviglia e ora correva disperata e col cuore in gola verso la camera da letto. Non che si aspettasse vi vedersi apparire davanti un uomo strampalato col farfallino o il sedano nel taschino, ma, tutto sommato, era ottimista. Sapeva che il Dottore e il suo mondo facevano parte della fantasia. Sapeva anche che se l'avesse visto in piedi, lì in mezzo alla stanza, sarebbe svenuta in pochi istanti.
Svoltò l'angolo e rallentò, cercando di far riprendere al cuore un battito regolare, o perlomeno naturale. Ma la stanza era vuota.
Lynn si mise a ridere per la sua stupidità di bambina. Come poteva anche solo pensare che un uomo, immaginario oltre tutto, potesse uscire dal nulla e..
Cosa?! Lynn non volle crederci. Strizzò gli occhi e si materializzò dall'altro capo della stanza, appiccicata al vetro della finestra. No, dai, è impossibile, me lo sto immaginando, pensò.
L'uomo che stava osservando dalla finestra sembrava un attore in incognito per le strade di Londra. Vestito elegante seppur con una semplice giacca di cotone blu ed un paio di anfibi lucidi ai piedi, la sua camminata era esattamente quella di un uomo delle caverne appena uscito dalla sua epoca. I capelli, meglio lasciarli stare, dato che avrebbe potuto fare a gara con Edward Manidiforbice.. Ma quell'espressione così confusa e allarmata la riportò con la mente alle ante del suo armadio. Possibile che quell'individuo fosse uscito proprio da lì?
Non poteva starsene con le mani in mano, non è mai stato da lei. Quindi, che fare?
Dopotutto, osservò Lynn ad alta voce, potrebbe essere ancora un sogno. Che male c'è, se indago un po'?
Confortata da questo pensiero, prese con la mano sana le chiavi di casa e uscì spedita in strada per cercare quell'uomo, con gli occhi ridotti a fessure a causa della forte luce diurna. Accanto a lei sfrecciò veloce come la luce un ragazzino su un monopattino, ma lei era troppo presa nella sua ricerca da poterlo notare.
«Ehi, Lynn!» la chiamò lui, invano. Non ottenne risposta. William la seguì con lo sguardo finché non arrivò ad un incrocio e fu costretta a fermarsi.
«Ma dove diavolo...?» Si guardò attorno e girò su se stessa. Nessuna traccia di quell'uomo.
Confusa, si guardò la mano. Forse quel vaso era fatto con un materiale che, una volta nell'organismo, provocava delle allucinazioni; forse, sì, era un sogno. O meglio, un incubo. Perché era frustrante, per Lynn, essersi lasciata scappare un'occasione unica come quella.
All'incrocio, tutti la fissavano come una pazza. Alcuni rallentarono per capire se quella ragazza fosse l'attrice di una candid camera o roba del genere; poi tutto riprese il suo normale corso. I taxi sfrecciavano per le strade semi trafficate, le donne riportavano a casa i propri figli, i cani si fermavano per lasciare traccia di sé alla base degli alberi.
Tracce, ecco quello che doveva cercare. Non l'uomo, non la cabina. Tracce.
Da sempre, lo scopo di Lynn era quello di cercare prove concrete per le sue teorie. Non si basava mai sulla fantasia.
Era ancora lì, impalata in mezzo al trambusto, quando una giacca blu attirò la sua attenzione. Strizzò gli occhi fino a raggiungere una visibilità quasi ottimale: non c'erano dubbi, era ancora quell'uomo. Spalancò lo sguardo, incredula, e non fece in tempo a pensare di attraversare la strada che un autobus rosso fuoco le passò sotto il naso e le rubò quell'immagine. Le era sfuggito di mano un'altra volta. Lo paragonò al fumo, pensò fosse etereo. O peggio, inesistente.
Percorse la strada fino a casa ripensando al suo “uomo con gli anfibi”. Esisteva davvero? O era una sua semplice illusione?
Girò a rallentatore le chiavi nella toppa e si guardò spesso alle spalle per assicurarsi che non vi fosse nessuno e, ogni volta che accertava l'assenza di inseguitori alieni, rigirava il capo mogia mogia.
Fuori faceva caldo, tanto che Lynn sentiva ancora bollire le spalle lasciate nude dalla canottiera bianco panna, ma l'aria che uscì dalla porta di casa quando l'aprì non aveva nulla a che fare con la primavera, né tanto meno con l'estate.
Qualcuno si era introdotto in casa sua.

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Capitolo 4
*** Briciole di pane, briciole di speranza ***


Briciole di pane, briciole di speranza

 


Lo sguardo le cadde fulmineo sul frigo, a poca distanza da lei. Era aperto, spalancato, così come lo sportello del freezer: ecco da dove proveniva quell'aria gelida, da brividi. Si chiuse la porta alle spalle con fare felino e si coprì la bocca, unica fonte di rumore in quel momento.
A destra dell'entrata, vi era un pesante fermacarte tunisino: la sua mano fu più veloce del suo cervello. Camminò lenta, con l'orecchio teso, lungo l'interminabile corridoio. Poteva percepire il battito cardiaco alle orecchie, come un fastidioso tamburo indigeno durante un rituale. Teneva la mano con la pesante pietra al di sopra della testa, mentre con l'altra voleva ripararsi da un possibile attacco, seppur ancora malconcia. Dopo quello che era successo in strada, poteva aspettarsi di tutto. Ma chi era l'intruso? E come era entrato se la serratura era rimasta intatta? No. Scacciò dalla mente quel meraviglioso, ma assurdo, pensiero. Basta pensare ad una cosa simile, Lynn!, pensò mentre andava verso la sala.
Dal divano proveniva un leggero respiro di un uomo addormentato; dal suo bracciolo penzolava una gamba, lasciata a peso morto, che terminava con un ridicolo calzino a righe ed un anfibio nero lucido. Russava. All'angolo della bocca gli era rimasta attaccata una briciola di pane, ma la cosa più impressionante era il tappeto di scatolette di tonno vuote disseminate per la sala.
«Ehi!» Lynn urlò con tutto il fiato che possedeva ed alzò ancor di più la mano che sorreggeva il sasso. Nel frattempo, la su mente pianificò piani dettagliati per poi scartarli subito dopo. «Ehi» ripeté con voce più flebile e tremante. Sentiva la gola seccarsi sempre di più ad ogni passo verso l'uomo.
Il calzino a righe si mosse vibrando, poi scattò giù dal bracciolo e precipitò sul pavimento con un leggero tonfo che fece tintinnare i bicchieri nella credenza lì vicina. L'uomo si alzò velocemente e si mise in piedi, mantenendo il divano tra di lui e la proprietaria della casa. «Ehm.. Ciao» disse un po' timido.
«Cosa..? Chi..? Da dove..?» farfugliò in preda al panico. Mentre inseguiva il suo “uomo con gli anfibi”, le era sfuggita la barba incolta che aveva quest'ultimo. «Tu. Sei tu! Cosa ci facevi nel mio armadio?!» lo accusò indicandolo minacciosa.
«Prima di tutto, voglio scusarmi per il disordine. Sai, avevo fame.» Lui si guardò attorno e vide il caos generato dalla sua foga di mangiare panini al tonno. «Io.. Credo di aver finito tutte le scorte di tonno che avevi in casa.. Mi dispiace molto.»
«Ti dispiace, dici?! Non so, magari vai pure in bagno e fai i tuoi comodi!»
«Lynn, calmati, ti pre-»
«Come sai il mio nome?»
Lui sorrise oltre quella barba crespa di qualche annetto e indicò il certificato di partecipazione al corso di spagnolo frequentato da Lynn alle medie.
«Ok. Sei intelligente. Intelligente mi piace. Mangi in maniera spropositata, ti vesti in modo strano. Magari nel taschino hai anche un cacciavite sonico e ora mi dirai che sei un alieno e viaggi in una cabina telefonica blu della polizia e che hai.. Vediamo.. Novecento e passa anni?»
L'uomo la fissò senza dire una parola. Sbatté le palpebre un paio di volte e ridusse gli occhi a fessure, concentrandosi sui lineamenti della ragazza. Non la riconosceva. «Dimmi, Lynn: cosa ti sei bevuta?» le chiese.
«Cosa mi sono bevuta?!» Lynn strabuzzò gli occhi e si sentì ribollire il sangue nelle vene. Uno sconosciuto – venuto da chissà dove – era “evaso” dal suo armadio, aveva girovagato per le strade di Londra come se niente fosse, era rientrato in casa senza danneggiare la porta e si era mangiato un'intera scorta di tonno: c'era poco da restare calmi. «Piuttosto, tu, cosa ti sei mangiato?!» Lynn buttò un occhio sul pavimento e contò circa una decina di scatolette vuote. «Sai quanto costano, queste? Sono le migliori sul mercato, direttamente dall'Italia! E tu.. Le hai fatte fuori in pochi minuti» disse guardandolo veramente per la prima volta.
L'uomo, percependo il suo sguardo penetrante, girò attorno al divano e le si avvicinò cautamente. «Sai dirmi, per caso, cos'è successo?»
La domanda la lasciò a bocca aperta. «Mi stai dicendo che non sai dove sei?»
«Oh, no, so esattamente dove sono. Londra, XXI secolo, più precisamente 2015, oggi è lunedì 18 maggio e...» Si girò verso la finestra, poi continuò: «No, non sono in un universo parallelo.»
«Parli come lui, ma non puoi essere reale!»
«Lynn, io sono reale quanto lo sei tu. Vivi, respiri, pensi, esisti. Davvero credi che io sia solo nella ua testa? Tocca le scatolette, tocca la mia faccia!» L'uomo le corse incontro con un sorriso radioso stampato in faccia.
«Fermo, fermo, fermo» lo bloccò Lynn. Poi, però, si rese conto che poteva anche aver ragione, quel matto: alzò la mano e lanciò sul divano il fermacarte che, per il suo peso, non rimbalzò, ma si fermò come un pesante masso nel punto esatto in cui atterrò.
«Avanti, lo so che muori dalla voglia di sapere la verità. Sei una bibliotecaria e studi biologia, per la miseria! Qual'è il tuo genere preferito di libri? Romanzi gialli, scommetto. Oh, io li adoro, specialmente quelli di Agatha Christie. Be', anche Arthur Conan Doyle non è per niente male.. Ma la sfida che la Christie accettò dalla sorella la portò a diventare un fenomeno, non credi? Amo anche i romanzi d'avventura e d'amore, ma questi ultimi li leggo meno volent-»
«Smettila di parlare!» urlò Lynn tappandogli la bocca con una mano. Oddio, pensò. È reale. «La tua barba... È crespa, così riccia... Vera» mormorò sconvolta.
«Te l'avevo detto, io» disse l'uomo da dietro la mano della ragazza.
«Ok, ma lui non esiste. Il suo mondo non esiste. È solo fantasia.» Cercò in tutti i modi di auto convincersi di quel che diceva, perché non riusciva ad accettare l'esistenza di quell'alieno buffo dalla barba alla Robinson Crusoe. «Tu. Non sei. Reale» disse aspra Lynn allontanandosi lentamente. Non intendeva piegarsi all'evidenza e non voleva per nessun motivo al mondo ascoltare il suo cuore.
«Perché non dovrei esistere? In fondo, si tratta di scienza, non di magia» si difese lui. «Dov'è il bagno?» chiese poi con nonchalance.
«Terza a destra.» Lynn fissava il pavimento cercando di ragionare.
«Grazie mille» disse quasi inchinandosi a lei. Partì per il corridoio e Lynn ebbe finalmente il tempo di pensare, ma più cercava di dare a tutto una spiegazione logica.. più i suoi ragionamenti crollavano sfracellandosi al suolo.
L'orologio ticchettava sonoramente appeso alla parete del salotto. I minuti passavano lenti, dando allo scorrere del tempo un'andatura a dir poco noiosa. Ma, purtroppo, non era solo una sensazione. Lynn guardò per la quinta volta le lancette e quelle, nel giro di trenta minuti, erano passati dalle dieci e quarantacinque alle undici in punto. Senza farci caso, si avvicinò alla porta del bagno; il vetro decorato a gocce lasciava intravedere la sagoma di un uomo che, davanti allo specchio, era impegnato a radersi. Cantava le prime strofe di una canzone a lei più che nota, tanto che la riconobbe non appena egli cantò “Rest now my warrior”.
Gli anelli di Akhaten. Quell'episodio l'aveva emozionata moltissimo, ma nulla poteva competere con il tema musicale legato alla rigenerazione del Decimo Dottore e non poté fare a meno di intonare i primi versi. La pronuncia era perfetta.
L'”uomo con gli anfibi” si zittì di fronte a quella melodia cantata con estrema tristezza. «Cos'è?» chiese da dentro il bagno.
«Oh, scusa» disse interrompendo la canzone. «È Vale Decem. Come fai a non conoscerla? Che razza di whovian sei?» lo provocò sorridendo.
«Whovian? Che vuol dire?»
La porta del bagno ancora chiusa nascondeva all'uomo la faccia sconvolta di Lynn nell'ascoltare quelle parole. Chi non conosceva la scena più commovente dell'ultimo speciale con il suo Decimo Dottore? Quello sguardo straripante di dolore, paura, terrore. L'addio più triste di tutti: la faceva piangere ogni singola volta che intravedeva quella scena. «Ma, scusa, stavi cantando quella canzone... Pensavo che sapessi da dove provenisse...» disse confusa.
«La Canzone Eterna la conosco perché l'ho ascoltata dal vivo.» Ricordava ancora la corsa contro il tempo, il coraggio di Clara, la sua preziosissima foglia...
«Intendi un concerto? O un raduno? Sai, io ci vado sempre, ma non ti ho mai visto.» Lynn parlò con un tono quasi acuto: era la sua voce da detective.
L'uomo tornò al presente – nonostante per lui non ci fosse un vero presente, passato o futuro –, scosso da quella voce stridula che Lynn non riusciva a mascherare come avrebbe voluto. «Non mi hai mai visto perché non c'ero» rispose.
«E dove l'hai sentita?»
«Te l'ho detto: dal vivo. Piuttosto, tu: come fai a conoscerla?»
Lynn rimase a fissare la porta in silenzio. Davvero glielo aveva chiesto? «L'ho visto in tv...»
La sua risposta causò non poca confusione nella testa dell'uomo, tanto che spalancò la porta del bagno con della schiuma ancora sulle guance e un rasoio femminile in mano. Incredibile, pensò Lynn: la casa è mia e gli ospiti usano le mie cose.
«Come sarebbe a dire che l'hai visto in tv?!» esclamò impugnando il rasoio come se fosse un'arma.
«Ehi, calmo, metti giù quel coso!» Lynn lo vide guardarsi attorno e gettare il rasoio alle sue spalle senza voltarsi: fece canestro nel lavandino e l'acqua sporca di schiuma schizzò tutto lo specchio. «L'ho visto in tv. E vuol dire esattamente quel che ho detto.» Lo guardò con circospezione.
Le guance dell'uomo, ora, erano talmente rosee che pareva essere ringiovanito di almeno venti anni: non ne dimostrava più di trentacinque. Ed era bello, incredibilmente bello: biondo, capelli leggermente mossi, non molto lunghi, e due occhi che raccoglievano tutti i colori della natura e che – con quel loro tocco di giallo – sembravano andare a fuoco.
Lynn si ritrovò a balbettare parole sconnesse fra di loro; decise che era meglio tacere e fu grata al cielo che quell'uomo avesse ricominciato a parlare.
«Prima, quando hai parlato di “cacciavite sonico” e tutte quelle altre strane cose...» mentì lui. «Cosa intendevi?»
«Intendevo.. Intendevo scherzare, ovviamente! Nel senso che il Dottore ne ha uno che funziona su tutto meno che sul legno. Cioè, in realtà è una sonda, come ha detto una volta Amy, ma a lui piace chiamarlo così.»
L'uomo la guardò con un mix di emozioni che lo fecero trasalire a quel nome.
«Ehi, tutto bene?» gli chiese schioccandogli le dita in faccia per svegliarlo da una specie di trance.
«Tu.. Conosci Amelia Pond?»
Lynn si fece una grassa risata, ma dopo qualche istante capì che quell'uomo non scherzava affatto. «No, scusa, cosa? Non conosci la serie tv più longeva del mondo?! Ha compiuto cinquant'anni un anno e mezzo fa, com'è possibile che tu non ne abbia mai sentito parlare?»
Lui la guardò rapito e allo stesso tempo turbato. «Una serie tv che parla di Amelia Pond...» mormorò commosso.
«No, è una serie tv che parla di un alieno che si fa chiamare Dottore e che conosce Amelia Pond.»
«Una serie tv?»
«Esattamente.. Ma dove hai vissuto finora?»
«Be', un po' ovunque.. Ma.. Come fai a sapere tutte queste cose tramite una serie tv?!»
«La guardo da una vita! So tutto sull'argomento! Però, mi chiedevo...» Lynn non riusciva ancora a capire. La sua mente andava da una parte mentre il suo cervello proseguiva dall'altra. «Come fai a conoscere Amelia Pond senza sapere della serie tv?»
L'uomo abbassò lo sguardo e si passò una mano sulle guance per togliersi i residui di schiuma. Deglutì più volte, infine prese fiato per rispondere a quella domanda a cui trovava ancora poco senso. «La conosco perché Amelia Pond è mia suocera.»

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Capitolo 5
*** Sono io! ***


Sono io!

 


«Senti, che ne dici di aprire un po' le finestre? L'aria si sta facendo pesante, non credi anche tu, Lynn?» L'uomo andò diretto alla portafinestra da cui si accedeva al balcone. I vetri erano coperti da una coppia di tende di un blu profondo. «Ti piace proprio, questo colore, eh?» domandò retoricamente dando uno sguardo veloce alle quattro pareti che lo circondavano. Tirò con gesto plateale le due tende e i raggi del sole inondarono tutta la stanza, sfiorandogli i capelli color oro. Una volta aperte le finestre e aver inspirato quanta più aria i suoi polmoni riuscirono a contenere, si voltò e, a braccia spalancate, si presentò: «Salve, Lynn Grace Moore! Hai il piacere di conoscere il genero di Amelia Pond, la bambina che chiamò sua figlia... come sua figlia!»
Lynn non si era mossa di un solo millimetro da quando le aveva detto che Amy – Amelia Pond, per la miseria! – era sua suocera. Si era limitata a guardarlo cambiare espressione e fare finta di niente, fiondandosi in direzione del balcone. «Questo... È... Dimmi che è uno scherzo!» disse in un sussurro mentre si passava le dita tra i capelli. «Dove sono le telecamere? Oh, su, dai! Ce l'avete fatta.. Complimenti, una candid davvero ben riuscita, ma ora venite fuori dai vostri nascondigli, suvvia. Scommetto che dietro tutto questo c'è Dave...» Lynn fece poi una lenta giravolta, ma dalle altre stanze non giunse nemmeno un fruscio.
L'uomo frugò nella sua giacca blu e ne estrasse uno strano arnese molto simile ad una penna, ma molto più grosso e utile. Lo puntò un po' in ogni direzione per poi scrutarlo con attenzione certosina. Il trillo che emise giunse fino alle orecchie sensibili di Lynn che lo guardò torva, il che fece sogghignare l'uomo. «Questo è un cacciavite sonico» disse lui senza guardarla negli occhi. «E non quel catorcio che cerca solo di somigliargli» aggiunse poi.
Lynn si girò verso la camera da letto e si ricordò della piccola torcia poggiata sul comodino. «Devo ancora decidere se denunciarti per effrazione o se chiamare un istituto psichiatrico. Come hai detto che ti chiami?»
«Non l'ho detto. In ogni caso, tu lo sai benissimo. Anche se non ho ancora ben capito come fai a saperlo.» L'uomo mise via il “cacciavite sonico” riponendolo in una tasca interna alla giacca e finalmente ricambiò il suo sguardo penetrante. «Ah, a proposito: non c'è nessuno oltre noi due, in casa» aggiunse sorridendo.
«Dici sul serio?»
«Puoi fidarti.»
«Tu» disse indicandolo mezza furiosa. «Rimani lì dove sei e non toccare nulla, intesi?»
«Croce sui cuori» rispose facendo il consueto gesto del giuramento. Solo che questi era – come dire? – doppio.
Quell'azione fece breccia nel cuore di Lynn che, per non darla vinta nemmeno a se stessa, roteò gli occhi e si allontanò per esaminare ogni singolo centimetro quadrato del suo appartamento. Per ultima, la camera da letto, pensò mentre studiava attentamente lo sgabuzzino contenente i cappotti freschi di lavanderia.
L'uomo seguì Lynn con lo sguardo finché ella non sparì dalla sua visuale. Gli aveva detto di non toccare nulla: se il linguaggio umano era rimasto inalterato per tutti quegli anni, allora quella sua frase significava che poteva almeno guardare. Dodici anni per aver... Ah, è assurdo!, pensò passando davanti ad un modellino di una cabina telefonica della polizia del 1963. Ci passò proprio accanto, senza quasi notarla, ma si fermò non appena l'ebbe oltrepassata. «Una coincidenza» spiegò a se stesso. Tornò indietro e si voltò in direzione del modellino. Era appoggiato su un grosso mobile color ciliegio, ben curato ed intagliato in uno stile che ricordava i vecchi mobili dell'Ottocento. Forse un'eredità passata di generazione in generazione fino ad arrivare a Lynn. Pensava più alla storia del mobile che al modellino, dato che era assai difficile credere che fosse veramente lì davanti al suo naso squadrato e spigoloso. «Quasi duemila anni e gli umani riescono ancora a stupirmi!» Guardò infine il modellino perfettamente in scala e, sperando fosse solo un semplice soprammobile comprato ad un qualche mercatino dell'usato, ne sfiorò la lanterna in cima al tettuccio di venticinque centimetri quadrati. E – forse spinto dalla curiosità, forse ispirato dalle onde soniche del cacciavite che avevano captato qualcosa nell'aria – l'uomo pigiò sulla lanterna. Ovviamente, lo fece perché non sia spettava proprio nulla da quel suo gesto, ma egli balzò subito all'indietro dallo spavento quando udì il familiare suono dei rotori della sua macchina del tempo.
Contemporaneamente, Lynn indugiava di fronte al suo armadio, per niente sicura di stare sognando. Forse, se non avesse tirato quel pugno all'armadio, ora sarebbe comodamente seduta nell'aula di biologia ad ascoltare l'importantissima lezione del professor Pracchini, l'italo inglese tornato a Londra con la sue famiglia almeno tre decadi prima. «Oh, Lynn!» si disse afferrando saldamente la piccola maniglia verticale, pronta a spalancare l'anta. «Cosa vuoi che ci sia qui dentro, se non i tuoi soliti vest...» L'anta, che di solito doveva tirare per aprire l'armadio, andò verso l'interno di quest'ultimo e, ancora una volta, una strana e calda luce si diffuse nella camera da letto. La ferita alla mano si fece sentire; grazie al tambureggiare delle pulsazioni costanti ed insistenti, ne percepiva il dolore che, pensava, non l'avrebbe lasciata dormire la notte a venire. «No...» sussurrò. Davanti a lei, si estendeva la sala di pilotaggio più strabiliante ed incantevole che avesse mai visto.
Il corridoio, rimasto così tremendamente silenzioso fino a quel momento, fu attraversato all'improvviso da una saetta umana che pareva urlare come una scimmietta gasata per aver trovato una banana tutta sua. «È vero! L'armadio! Il Tardis! In casa mia!» continuava a strillare finché non arrivò al punto esatto in cui aveva lasciato l'uomo.
«I rotori! Com'è possibile?! Cos'è questo modellino? Chi sei tu?!» urlò di rimando l'uomo balzando a piedi uniti sul divano e brandendo il suo “cacciavite sonico”. «Avanti, parla, Lynn! Oppure non sei Lynn...»
«Eccome se sono Lynn! Quello... Quello è un modellino perfettamente in scala dell'Undicesimo Dottore... Per quanto riguarda i rotori, be', è il rumore che fa il Tardis stesso quando si sposta perché lui non toglie mai i freni» disse Lynn con ancora l'immagine della consolle che le aleggiava per la testa.
«Lui chi? Chi non toglie i freni?» le chiese scendendo piano dal divano, ma sempre puntandole addosso la sua “arma”.
Lynn rimase ferma immobile nel mezzo del salotto; l'orologio scandiva ancora metà del tempo che in realtà scorreva; gli uccellini sugli alberi fuori sulla strada cantavano spensieratamente. «Il Dottore» sbottò d'un tratto. Le sembrò di togliersi di dosso un enorme peso dallo stomaco; dovette aggrapparsi a qualcosa e il primo oggetto che le venne sottomano fu il mobile su cui era poggiato proprio il modellino.
«Il Dottore?»
«Sì, il Dottore. Lo conosci? Se mi sai parlare di Amy, sai anche chi è quest'uomo, non trovi?» lo provocò anche sapendo che lui – se era davvero lui – era cento volte più scaltro di una volpe.
«Amelia Pond. Un nome che suona come una favola. La ragazza che ha aspettato, la bambina con in casa la crepa più pericolosa dell'universo, la moglie del centurione. La madre più coraggiosa che io abbia mai conosciuto. La madre di mia moglie, River.»
«E Donna Noble?» Lynn cercò ancora di fargli dire qualcosa che lo avesse incastrato, ma non si era accorta che le aveva già dimostrato più volte chi lui fosse.
«Donna...» L'uomo rispose comunque alla domanda, sebbene gli provocasse qualche dolore inaspettato al petto per i ricordi. «Una grande chiacchierona, lasciamelo dire! Coraggio da vendere, questo è certo. Tenace, volenterosa, piena di vitalità. Non si stancava mai! Era capace di sostenere un discorso filato con un Dalek senza dar di matto! Be', più o meno...» Ahi, che colpo!, pensò scacciando una lacrima.
Poi Lynn disse qualcosa che doveva rimanere solo un pensiero. «Rose.»
Questa volta l'uomo contrasse in modo innaturale la mascella e mise via con gesti secchi e quasi furiosi il “cacciavite sonico” nella giacca blu come il mare. «Ok, ora basta.»
I due si guardarono negli occhi per un tempo che sembrò infinito; alla fine, Lynn si decise ad aprir bocca: «È impossibile.»
«Che cosa?»
«Che tu sia qui, davanti a me, che parli e sia reale» disse Lynn avvicinandosi all'uomo che era piombato di punto in bianco nella sua vita e che ora, dal suo metro e ottantasette di altezza, l'ascoltava con attenzione e un leggero sorrisetto di chi sa e non vuole parlare. «È impossibile, punto. Penso sia più probabile che io possa rimanere schiacciata da un meteorite che incontrare...» Lynn non riusciva a dire quella parola, la sentiva bloccata in gola, come una fastidiosa briciola di pane in bilico.
«Incontrare chi?» la incalzò lui.
«Incontrare te
«Io?» chiese innocentemente l'uomo indicando se stesso.
«Sì, proprio tu. Ancora non so cosa sia successo, ma in camera mia c'è qualcosa che mi ha fatto cambiare idea sul tuo conto.»
«Vale a dire?»
«Vale a dire che ho capito chi sei.»
«E chi sono?»
«Innanzitutto, sei un tipo che fa troppe domande.»
Entrambi risero dell'osservazione della ragazza, ma non era tempo di scherzare. «È vero, sono io» disse l'uomo ampliando di più il suo già largo sorriso. «Molto probabilmente, sono qui per la tua richiesta d'aiuto, per qualsiasi cosa essa sia. So solo che è molto urgente, dato che il Tardis ed il tuo armadio si sono praticamente fusi senza darmi alternative. Tranquilla, una volta che tutto sarà finito, riavrai i tuoi vestiti.»
A Lynn, in quel preciso momento, importava dei suoi vestiti quanto ad un claustrofobico interessa addentrarsi in una grotta buia e sconosciuta. «Dimostrami che sei veramente tu e che non ho a che fare con uno scellerato, ti prego.»
Prima che lei terminasse di parlare, l'uomo aveva già sospeso il suo braccio all'altezza dello stomaco e la guardava divertito. «Dammi la mano» le disse e appena ebbe tra le dita la mano di Lynn, dalla sua partì una bolla di energia dorata molto simile a del puro e cristallino miele in polvere.
La ferita alla mano. Lynn non vide l'ora di staccare la sua mano da quella dell'uomo per giudicare coi suoi occhi. Una piccola san Tommaso, insomma. La benda era ancora sporca di sangue, ma era secco, scuro. Se la slacciò piano e la lasciò scivolare a terra per lo stupore. Non era rimasta nemmeno la cicatrice. Intonsa. Liscia. Perfetta. «Dillo. Di' chi sei» disse rialzando lo sguardo.
«Ma tu lo sai, che bisogno c'è di dirlo esplicitamente?»
«Per favore...» lo implorò.
L'uomo, dopo un attimo di esitazione, si schiarì la voce e assunse la sua solita postura autoritaria. «Sono il Dottore. Sono un Signore del Tempo. Vengo da un pianeta chiamato Gallifrey della costellazione di Kasterborous. Ho milleottocentonovantasette anni[1] e sono l'uomo che, dopo dodici anni di assenza, salverà la Terra da una nuova minaccia: i Junsay.»

 

 

NOTE
[1] Scusate se ho un po' esagerato con la precisione dell'età, ma i calcoli mi hanno portata a 1900 e ho preferito non arrotondare :)

 


NOTA DELL'AUTRICE
Questo quinto capitolo mi ha messo un po' in difficoltà, lo ammetto, ma spero che non si sia fatto notare. Ora ho un po' di cose da sitemare e materie da recuperare e, ahimé, non avrò molto tempo per scrivere.. Se vedrete un aggiornamento è perché sono riuscita ad emergere tra le scartoffie! Pregate per me, vi prego...
Bene, detto questo, aggiungo: possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!
Xoxo

Tilena

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Capitolo 6
*** Il giardino di Armida ***


Il giardino di Armida

 


Angela camminava. Dove fosse diretta, questo non lo sapeva. Sentiva, tuttavia, che l'avevano drogata o qualcosa del genere, perché non ricordava nulla, né quando aveva cominciato a camminare come un automa né se avesse visto in faccia il suo aggressore. O aggressori. Cercò di sforzarsi, ma il ricordo più recente che possedeva era di una sera passata a guardare un film a casa. Da sola.
La vista era ancora molto confusa; non vedeva altro che bianco attorno a sé e una piccola circonferenza di terreno umido e molliccio su cui camminava arrancando stanca. Tentò di gridare aiuto, ma le sue corde vocali sebravano arrugginite: non le uscì alcun suono se non un leggero sussurro.
Man mano che si avvicinava alla meta prestabilita dai Junsay – una piccola radura circondata da possenti alberi sempreverdi – Angela si sentiva sempre più debole e percepiva il bisogno di accasciarsi a terra per riposare, ma qualcosa glielo impediva e la faceva avanzare senza avere libero arbitrio. I viaggiatori scesi poco prima dall'astronave non erano molto cordiali e si accorsero immediatamente della semi coscienza delle umane che stavano arrivando, indispensabili per mettere a punto il loro piano. Alzarono la percentuale di emissione delle onde 57B3 e tutte le loro prossime vittime non poterono fare altro che fissare l'ignoto e continuare a camminare. Tra loro c'era anche Dorothy che, a fatica, si reggeva sul suo bastone.
Tredici ore dopo, l'uomo ricevette la richiesta d'aiuto che l'avrebbe poi portato nell'appartamento di Lynn. Ma forse dovrei smetterla di chiamarlo uomo: la parola alieno gli si addice molto di più.


«Dottore?» chiese la ragazza blu-dipendente.
«Sì, è così che tutti mi chiamano.»
«Sei... il Dottore? Sei veramente tu?»
«Perdinci, non mi ricordo di te.. Ma forse sono cambiato dall'ultima volta che...»
«Abbiamo corso insieme, stavi per dire?» lo interruppe. «No. L'ultima volta che ti ho visto è stato con Clara, nella tua dodicesima incarnazione, che sbraitavi contro le guardie di Obama perché pensavi che fossero alieni con brutte intenzioni. Ma era in televisione!»
«Ah, già, sono famoso...» scherzò lui.
«Per me è ancora difficile credere che tu sia realmente qui...» Lynn era prossima alle lacrime.
«Be', ma sono io, qui e ora. Sono il Dottore, puoi starne certa.» L'occhiolino che le lanciò sembrò calmarla. Subito dopo, senza sapere come, se la ritrovò tra le braccia, appesa al suo collo. «Ehi, vedo che ti sono mancato davvero!»
Lynn si staccò dal bell'alieno biondo ed esplorò i suoi occhioni dai mille colori. «Possibile che tu riesca a capire tutto ciò che riguarda la fisica quantistica, nucleare o qualche altro parolone che conosci solo tu.. e poi non comprendere una cosa così elementare come il fatto che qualcuno sapeva di te già nel 1962 e ha voluto raccontare la tua vita?»
«Sì, be', nessuno è perfetto.»
I due sciolsero l'abbraccio e Lynn gli passò un dito sotto il mento per rimuovere un residuo di schiuma. «A quale incarnazione sei?» gli chiese pulendosi la mano sotto il getto dell'acqua del lavello in cucina.
«La terza del secondo ciclo.»
«Poco dopo Capaldi, quindi» disse pensando ad alta voce.
«Chi?!»
«Oh, l'attore che impersona la tua prima incarnazione del secondo ciclo.» Era un po' confusa. Già solo pensare quelle cose era complicato, figurarci esporle oralmente. Fortuna voleva che l'uomo di fronte a lei era a conoscenza di tutto. «Almeno non corro il rischio di farti qualche spoiler!»
Col suo folle sorriso, il Dottore ricordò quel che aveva avvertito appena messo piede fuori dal Tardis. «I Junsay...»
«Giusto!» Lynn si riprese all'improvviso e subito dopo afferrò le parole della sua presentazione che le aveva fatto capire che aveva conosciuto il vero Dottore. «Hai accennato a questi.. Junsay.. Ma è la prima volta che li sento. Non li hai mai incontrati, vero?» chiese nella speranza che questi Junsay non fossero né di legno né di un qualsiasi metallo resistente alle onde soniche.
«Mai visti dal vivo. Ma so che sono abbastanza intelligenti da non mettersi sulla mia strada.»
«E perché sono qui?»
«Il loro scopo non è diverso da quello di tutti gli altri.»
«E cioè, invadere la terra.» Lynn sospirò, consapevole del pericolo che avrebbe corso nell'aiutare il Dottore.
«Ben detto, Lynn Grace!» esclamò lui con un largo sorriso, orgoglioso di quella ragazza a cui, finalmente, non doveva spiegare nulla del suo stile di vita. Malgrado, però, un primo entusiasmo riscontrato negli occhi di Lynn, lei rimase ad ascoltarlo dandogli le spalle, a testa china. «Tutto bene?»
«Angela.»
«Chi?»
«Angela. È scomparsa. Non solo lei, ma anche altre donne. Alcune hanno addirittura abbandonato casa senza neppure chiudere la porta o avvertire. Angela è diabetica dalla nascita e se non prende le sue medicine...» A Lynn le si bloccarono le parole in gola. Conosceva quella ragazza da soli quattro mesi, eppure era entrata in forte sintonia con lei; avevano gli stessi gusti, le stesse passioni, amavano entrambe fare jogging ascoltando i Guns'n'Roses a tutto volume.
«Tranquilla, la ritroveremo. Così come ritroveremo tutte le altre.»
«So che mantieni sempre le tue promesse, ma permettimi un attimo di panico.»
«No, il panico non è ammesso in una situazione del genere. Quello che ci serve è un buon piano.»
Lynn lo guardò con ammirazione mentre chiudeva lo sportello del frigo e sorseggiava soddisfatto il succo d'arancia comprato tre giorni prima. Quel particolare le fece ricordare un discorso che aveva sentito una volta giunta alla cassa. «Una signora, al supermercato, ha detto che il 1984 è stato un anno da incubo, per le donne» disse pensando ai punti in comune tra il passato ed il presente. «Un elenco senza fine di donne sparite nel nulla senza lasciare alcuna traccia. Non c'era nessun punto in comune tra di loro ed era dunque impossibile per la polizia provare a fare il profilo di un possibile serial killer. Le due signore che si erano messe a prlare davanti alla cassa ricordarono l'una all'altra con quali occhi le loro figlie bussarono alla porta di casa senza poi voler dire una parola su quello che era successo.»
«Lynn, voi donne rischiate la vita ogni giorno, eppure affrontate i pericoli sempre a testa alta. Tralascia i particolari inutili.» Il suo sembrava essere un rimprovero bello e buono, ma la ragazza era come se si fosse messa dei tappi alle orecchie.
Lei non era ancora nata. Tuttavia, sapeva tutto grazie agli articoli di giornale che aveva avuto il piacere di leggere durante una pausa in università; i nomi e i volti di quelle povere donne la tormentavano da allora. Non voleva che all'elenco si aggiungesse anche il nome di Angela o di Dorothy. «Dottore, dammi retta, per evitare tutto questo, dobbiamo tornare al 1984 e fermarli subito!»
«Ma basta cercarli qui.. Saranno a pochi chilometri di distanza» disse lui senza afferrare il messaggio subliminale. Poi rifletté e gli fu tutto più chiaro. «Certo che se quel che dici è vero e li fermassimo nel passato... Inoltre, questo non è un punto fisso nel tempo...»
Aveva capito. Lo sapevo che potevo fidarmi di lui, pensò Lynn. Lui e quel suo cervellone da strapazzo...
In quattro e quattr'otto, avevano lasciato la sala e si erano diretti verso la camera da letto, dove c'era ancora l'anta dell'armadio spalancata. Nell'aria si sentiva Idris canticchiare, solo che nessuno dei due capiva cosa stesse dicendo. Appena entrambi misero piede all'interno del Tardis, quest'ultimo chiuse – sbattendola – la porta, ansioso di partire, e nella camera da letto di Lynn calò il silenzio.
«È molto diversa da quella che si è vista finora» osservò l'umana sfiorando una per una le leve della consolle e tutti quegli strani oggetti che, in qualche modo, erano essenziali per pilotare la nave. «Ho come la sensazione che ti sia successo qualcosa di molto pericoloso...»
«Non toccare l'ampolla arancione!» l'avvertì il Dottore dalla parte opposta della consolle. «Sotto c'è un fiore velenosissimo che emana una tossina! Chiunque la assorba, crede di essere un animale. Un'esperienza terribile, credimi.»
«Oh, velenosissimo...» lo prese in giro lei.
«Be', perlomeno è pericoloso: l'ho rubato dal giardino di Armida!»
Mentre il Tardis atterrava nel passato di Londra, Lynn rifletté su quel nome. Armida... Qualcosa a che fare con la letteratura italiana, forse. Sì, l'aveva letto in un libro trovato in biblioteca durante il lavoro. Oddio, “trovato” non è proprio l'espressione giusta: stava passeggiando tra gli scaffali polverosi dei libri in lingua, quando – dal nulla – quell'enciclopedia le era letteralmente cascata sui piedi, aperta sulla pagina di Torquato Tasso.
«Sconvolta?»
«Armida?!» chiese quasi urlando.
«Armida, sì. Quella del Tasso. Non è l'unica opera letteraria che narra la verità.» Il Dottore ricordò il dolce profumo degli alberi in fiore di quel meraviglioso giardino. La bellissima Armida. Il fiore. Quello stramaledettissimo fiore.
«E, quindi, dimmi... Cosa ti hanno fatto pensare di essere, le tossine di questo fiore?» Lynn raggiunse lentamente la porta del Tardis bloccandone l'uscita col corpo. Con un sorriso effimero gli fece capire che non lo avrebbe fatto passare finché non avesse risposto.
«Ricordi che ho detto di non aver presenziato sulla Terra per molti anni?» le chiese appoggiato alla consolle.
«Sì.»
«Gli ultimi dodici anni li ho passati in una specie di arresti domiciliari, senza possibilità di viaggiare.»
«E per quale motivo?»
«È alquanto... imbarazzate» disse passandosi una mano sulla faccia.
«Probabilmente c'è di peggio.»
Il Dottore. L'alieno. L'ultimo della sua specie. Punito per un fiore. Più o meno. Dodici anni prima, la sua reputazione era finita nel cassonetto dell'immondizia. «Ho strappato quel fiore e... Ho assorbito le tossine annusandolo senza sapere cosa fosse...» Avvertì lo sguardo intenso e attento della ragazza e capì che avevano la stessa “malattia”: era bramosa di sapere e pendeva dalle sue labbra. «L'ho annusato e ho creduto di essere un pollo» disse tutto d'un fiato, lasciando Lynn spiazzata.
«Un p... Un pollo?!»
«Sì, ma non è tutto: i dodici anni me li sono beccati per aver viaggiato fino a Buckingham Palace ed aver corso davanti alla regina Elisabetta II. Nudo.»
«Oh mio Dio, avrei voluto essere lì!» Lynn cominciò a ridere così forte che dagli occhi le scesero delle lacrime e si ritrovò a terra con le mani sul petto per il dolore agli addominali tenuti sotto sforzo. «Ti prego, dimmi che lì c'era un fotografo che ha avuto la straordinaria idea di ricordare quel meraviglioso giorno!»
«Sai, Lynn? Penso che sia ora di dare un'occhiata fuori» disse lui nel tentativo di distrarla.
Dopo essersi ripresa, Lynn si alzò in piedi e controllò gli abiti che le aveva fatto indossare il Dottore poco prima: un paio di jeans a vita alta, una maglietta rosa fluo e una giacca senza maniche in jeans con delle borchie appuntite sulle spalle. Lui le aprì la porta: l'aria degli anni '80 profumava di gelsomino e i marciapiedi erano occupati perlopiù dai giovani coi loro enormi stereo.
«Pronta?» le chiese tendendole una mano.
«Pronta!»
Insieme superarono l'uscio e, chiusa la porta del Tardis, si affrettarono nella direzione del parco lì vicino. I bambini urlavano felici sfrecciando giù dallo scivolo e correvano incontro alle loro madri dai capelli voluminosi. Ma c'era un bambino che di felice non aveva proprio niente.
«Dottore, quel ragazzino laggiù.» Lynn indicò discreta un tredicenne seduto tutto solo su una panchina, chino su se stesso, tremante. Prima lei, poi lui si sedettero accanto al bambino e cercarono di capire cosa lo affliggesse. «Ehi, tutto bene?» Pose una mano sulla sua schiena, per creare un contatto vero e sincero.
Ma i singhiozzi del ragazzino fecero capire che era successo qualcosa di veramente grave. I due stvano per arrendersi dal farlo parlare, quando il tredicenne alzò lentamente la testa e col volto rigato da lucide lacrime comunicò le quattro parole che Lynn ed il Dottore, malgrado tutto, speravano dicesse: «Mia madre è scomparsa.»

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Capitolo 7
*** John ***


John

 


Il bambino tremava ancora, mentre lì intorno nessuno sembrava essersi accorto dell'arrivo di una strana cabina blu, forse creduta un'attrazione turistica o un rimasuglio del passato.
«Come ti chiami, tesoro?» chiese Lynn.
«John. Mi chiamo John.»
«Bene, John. Ritroveremo tua madre.»
«Come fai ad esserne sicura? Anche la polizia ha detto che avrebbe risolto tutto in pochi giorni!»
«Sai chi è quest'uomo?» Lynn si alzò in piedi e indicò il Dottore, seduto dall'altra parte della panchina. «Questo è l'uomo più intelligente che conosca. Ha mille risorse, non si arrende mai e sa sempre cosa bisogna fare per risolvere la situazione.»
«Ben detto, Lynn! Ti ringrazio» disse l'alieno alzandosi anch'egli. «Fidati di me, sono il Dottore» aggiunse rivolto al ragazzo.
I due viaggiatori nel Tempo continuarono a guardare fisso il piccolo John, le cui lentiggini invadevano aggressive tutta la superficie disponibile del viso. I suoi occhioni grandi velati di lacrime si alzarono sulla coppia e li squadrò attentamente, ignorando la mini presentazione dell'uomo dagli occhi lucenti come acqua cristallina che, in base alla luce, sembravano cambiare colore. «Tre notti fa, l'ho vista passare in corridoio, ma poi mi sono addormentato e... Quando mi sono svegliato, lei non c'era più.»
«John,» intervenne Lynn, «sappi che non è colpa tua.»
Il Dottore ascoltò il vento e chiuse gli occhi per concentrarsi sulle sue parole, ma non ebbe alcuna notizia eclatante da esso. «John, so che probabilmente ti sembrerà strano e ti avranno sicuramente ripetuto fino alla nausea di non fidarti degli estranei, ma per capire dove sia andata tua madre... abbiamo bisogno di cominciare da casa tua.»
«Sì, certo. Certo, ma posso farvi una domanda?» Al cenno di assenso dei due “investigatori”, John proseguì: «Siete degli attori?»
«Scusa, cosa?» chiesero i due all'unisono.
«Siete apparsi dal nulla con quella grossa cabina blu. È un oggetto di scena? Come avete fatto?»
«Oggetto di scena? Davvero tu credi che quella cabina laggiù sia un oggetto di scena? Qualcosa di...finto? Ah, questi ragazzini d'oggi!» disse Lynn con fin troppo entusiasmo nella voce da sembrare Effie Trinket. «John, dimmi: tu sai chi è il Dottore, vero?»
John mosse la testa su e giù, un po' confuso. Certo che sapeva chi era. Guardava ancora quella serie tv: aveva cominciato dal Quarto a soli tre anni e non era stato più in grado di togliersi dalla testa la sigla ipnotizzante. In quell'anno, il 1984, era appena terminata la ventunesima stagione: il Dottore col sedano nel taschino gli stava molto simpatico e, già ancor prima di vederlo in azione, aveva cominciato ad amare anche il Sesto. Ma non capiva: se erano attori, perché gli dicevano che avrebbero ritrovato sua madre? Poi un lampo attraversò la mente di John e le sue lentiggini si illuminarono.
«Ci è arrivato» disse frettolosamente il Dottore notando l'euforia che viaggiava sul volto del ragazzo. «Ma mi raccomando: qui, la maggior parte della gente mi conosce, penso... Perciò non gridare troppo il mio nome, ok?» Gli si avvicinò di più e vide le iridi dorate brillare di una gioia senza precedenti. John bisbigliò una promessa e sperò di diventare come il suo eroe, un giorno.
«John, ora è il momento di portarci a casa tua» disse Lynn interrompendo la magia.


L'abitazione di Essdale, la madre di John, era molto sobria con i tre locali arredati in stile anni '60, quando lei e i suoi tre figli – Karen, Blair e John – lasciarono la vecchia casa di campagna in Scozia. Essdale aveva insegnato ai figli vari dialetti inglesi e solo John si era dimostrato bravissimo sotto questo punto di vista, ma lo aveva pregato di non dimenticare mai la sua patria, così ricca di storia e di paesaggi mozzafiato.
Lynn oltrepassò un vecchio televisore impolverato e si precipitò all'altro lato della sala, dove un grosso computer occupava più della metà di una scrivania del dopo guerra. «John, che lavoro fa tua madre?» Passò un dito sulla tastiera grigia e una scarica elettrica le attraversò la mano, che Lynn ritrasse istintivamente.
«Fa la segretaria» rispose John guardando malinconico una foto di famiglia. Blair e Karen si erano l'uno trasferito, l'altra allontanata dalla madre in seguito ad una lite di tre anni prima e non avevano più avuto sue notizie da allora. Probabilmente, era ricaduta nel mondo della droga...
«Dottore...» lo chiamò Lynn sussurrando. «Dottore, hai sentito? Fa la segretaria.»
«Sì, e allora?» Lui era più impegnato a puntare il cacciavite in ogni direzione e non era affatto interessato alla vita privata di nessuno.
«Anche Angela lo era, prima di venire a lavorare in biblioteca. E sai cosa?»
«Cosa?» chiese spazientito.
«Forse ho trovato ciò che lega tutte le donne scomparse!»
«E che aspetti a dirlo?!» Il Dottore spense il cacciavite e lo ripose al suo posto; richiamò John, che accorse immediatamente dalla sua cameretta e si unirono tutti per ascoltare la ragazza.
«John, tua madre rimane tutto il giorno al computer e a volte si porta il lavoro a casa, giusto?»
«Sì, Lynn.»
«Bene. Sono scomparse anche una mia amica e la mia vicina di casa, Angela e Dorothy, e anche loro erano segretarie» disse rivolta al Dottore. Questi la guardava con tanto d'occhi. «Ora: qual è l'elemento che unisce loro tre?»
Il Dottore non esitò nemmeno un secondo a rispondere: «Il computer!»
«Esatto» confermò Lynn.
«Scusate, ma io avrei detto il lavoro» intervenne poi John.
Il Dottore lo guardò con pazienza e gli spiegò la situazione: «John, tua madre è una segretaria. Angela e Dorothy lo erano. Ma continuano ad avere in casa in computer, dico bene, Lynn?» le chiese alzando lo sguardo. Lei annuì e lui poté proseguire. «Lei viene dal futuro, John» disse indicando Lynn mentre il tredicenne già sognava di vedere l'universo. «Nel tempo, la tecnologia che aziona un computer non è cambiata di molto, anzi, e hanno mantenuto in vita un'idea senza la quale non ci sarebbe alcun computer: le onde 57B3, che il cervello umano assorbe con fin troppa facilità. Queste onde, rilevabili con alcun tipo di strumento, creano una specie di connessione con l'utente, chiamiamolo così, portandolo in uno stato di trance.»
«Quindi, si tratta di tecnologia aliena?» chiese John in estasi.
«Be', in un certo senso.. sì.»
«Aspetta un momento.» Lynn era caduta sul divano, perplessa. «Anche io ho un computer a casa, come la maggior parte della gente di Londra. Eppure, secondo una stima, sia in quest'anno che nel 2015 sono state prese di mira solo un terzo della popolazione femminile londinese. E quel terzo corrisponde a donne e ragazze che hanno un computer a casa. Perché non sono con loro?»
«È una cosa a cui avevo già pensato e, credimi, non sono ancora riuscito a venirne a capo. Odio non sapere!» Il Dottore si sentì frustrato e stupido. Si alzò dritto sulla schiena e si lisciò la sua brillante giacca blu. Cominciò poi a passeggiare per la lunghezza della stanza, nel tentativo di rimescolare le carte e poterle ridisporre sul tavolo per una nuova lettura, mentre i suoi adorati anfibi scricchiolavano sul parquet. Uno, due, tre passi verso il divano, poi dietro front; uno, due, tre passi in direzione di Lynn, poi uno sguardo fugace su John. «Perché non sei caduta in trance? John, perché non è caduta in trance?» disse fissandolo accigliato.
I due umani di epoche diverse si guardarono negli occhi. Il Dottore continuava a chiedersi «Perché? Perché..? Perché?!». Seguì successivamente una breve pausa di riflessione silenziosa in cui fu possibile per tutti e tre udire le campane in festa di una chiesa lontana soli dieci isolati da lì. Suonavano senza sosta e sembrava volessero staccarsi dal campanile per portare in giro per il mondo la meravigliosa notizia di un matrimonio.
«Ci sono!» sbottò all'improvviso il Dottore con gli occhi che schizzavano da un angolo all'altro della stanza.
«E sarebbe?» chiese Lynn, sempre più ansiosa.
«Sarebbe... Sarebbe... Lynn, certo che sei una ragazza complicata, eh!» Piegò la schiena per guardarla meglio negli occhi. «Sì, sei una ragazza strana, ma la tua logica e i tuoi pensieri lo sono ancor di più.»
«Che vorresti dire, scusa?»
«Voglio dire... che... Sei brillante ed inquietante al tempo stesso, sappilo. Davvero credi che io sia un dio?!»
Lynn arrossì violentemente. Non sapeva cosa dire per togliersi di dosso gli occhi increduli e meravigliati rispettivamente del Dottore e di John. «Io, be', ecco, sì...» balbettò.
«Sì. Sì? Oh, quale onore.»
«Sì, prego. Ma come fai a sapere...»
«Che mi idolatri?» la interruppe lui. «Per i Junsay.»
«Io so come sei, ma non capisco queste tue spiegazioni a metà.»
«Il fatto è che i Junsay sono atei, non credono in nulla se non nella scienza. E soprattutto: riescono sempre ad evitarmi, ma questa volta li abbiamo fregati!»
John non sapeva se esultare di gioia o correre ai ripari. Certo, il suo desiderio era stato finalmente esaudito, ma a quali condizioni? La vita non regala mai niente e lui lo sapeva bene: cosa avrebbe dovuto sopportare per aver avuto quella possibilità? Un altro addio? Un'altra morte?
«Li abbiamo fregati, buono! Ma non ho ancora capito cosa c'entri io...» La voce di Lynn riportò John alla realtà.
Il Dottore sbuffò; si limitò poi ad incrociare le braccia e a riprendere la spiegazione. «Sbaglio, o credi più al Big Bang che ad una divinità? Ma hai pur sempre bisogno di qualcosa a cui aggrapparti ed ecco che entro in gioco io, il tuo “dio della scienza”.» Detto questo, infilò la mano nella giacca per estrarre il cacciavite sonico. «Io e te siamo in qualche modo legati, Lynn. Non so come, non so perché, ma è così e per il momento mi basta» disse regalandole uno dei suoi rari sorrisi. «C'è sempre qualcosa che siamo tenuti a non sapere, altrimenti vorrebbe dire che siamo arrivati al capolinea!» Il Dottore puntò il cacciavite prima su John, poi sul computer, infine lo allungò in direzione della porta dietro di lui. «Bene, è ora di partire!»
I tre avventurieri si misero in cammino seguendo i residui della scia vitale lasciata da Essdale, quasi correndo tra le vie di una Londra molto meno caotica di quella del presente di Lynn. Il Dottore, in testa al trio, ripensava alla sua teoria: lui stesso sapeva che non poteva in alcun modo reggersi in piedi, ma non poteva deluderli e rimanere in silenzio. Doveva pur dire qualcosa, così decise di mentire.

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Capitolo 8
*** Destino ***


Destino

 


«Dottore, sono ore che camminiamo! Possiamo fermarci per riposare?» Avevano attraversato tutta Londra e ora il ragazzo non si sentiva più i piedi. «Dottore...» lo supplicò ancora.
«John, è inutile, dovresti saperlo. Quando si mette in testa una cosa, diventa più testardo di un Dalek!» Lynn intravide con la coda dell'occhio John che rabbrividiva al solo pensiero di quelle saliere giganti e ringraziare silenziosamente il cielo che, in quel caso, non si trattasse di loro.
«Smettetela di lamentarvi e continuate a mantenere un passo regolare. Siamo quasi arrivati. E poi io non sono uno stupido polipone nascosto in una saliera!» intervenne il Dottore senza distogliere lo sguardo dagli alberi intorno a loro. Si stavano avvicinando: le onde 57B3 si facevano sempre più forti. Scostò da davanti a sé il ramo di un pino dagli aghi giovani e morbidi ed ecco la radura. «I Junsay hanno modificato lo scorrere del tempo: ne percepite il doppio di quanto ne passi in realtà. Guardate il cielo: è solo all'inizio del crepuscolo e, che ci crediate o meno, è passata solo un'ora e mezza, non tre.»
John guardò il suo piccolo orologio da polso: erano partiti da casa alle diciassette; ora le braccia muscolose di Hulk segnavano le diciotto e trenta.
«Il loro piano,» continuò il Dottore, «è quello di farvi estinguere nel minor tempo possibile, se non ho intuito male.» In quel momento, chiunque sano di mente avrebbe bisbigliato; ma, poiché il Dottore ha sempre voglia di mettersi nei guai, parlò con un tono di voce del tutto normale.
«Ho capito metà di quel che hai detto, ma mi fido di te.» Lynn si fece strada tra i rami e sbucò anch'essa nella radura. Si aspettava un'astronave o qualcosa del genere, ma i suoi occhi non vedevano altro che un prato rischiarato dalla dolce luce del tramonto. «Mi sa tanto che le onde ti hanno ingannato, Dottore» disse amareggiata.
«No, è la loro tecnologia ad offuscare le menti. Come per ogni cosa, Lynn, devi aver ben chiaro l'obiettivo: solo allora vedrai
Lynn e John elaborarono le parole sagge dell'alieno. Poi, mentre la prima continuava a vedere solo un'ampia distesa di fili d'erba e margherite, il ragazzo rimase senza fiato.
«Ah, le giovani menti sono spettacolari. Non trovi anche tu, Lynn?» Il Dottore non era affatto meravigliato dell'accaduto: le menti più sensibili, più plasmabili, sono proprio quelle della prima gioventù; esse sono capaci di spazzare via anche la nebbia più fitta, che pone le sue forti fondamenta ai primi segni di crescita. Era dunque quello il segreto del Dottore: non crescere mai per continuare ad imparare.
«È bellissima!» John fissava l'astronave di gherzo[1], il metallo preferito dai Junsay per le loro costruzioni di cui andavano sempre molto fieri.
«Lynn, dato che rischieresti di sbattere il naso contro l'astronave...» Il Dottore non avrebbe più voluto ricorrere a quel suo potere, ma si rivelò quasi ogni volta indispensabile e, certamente, non voleva far avanzare Lynn a tastoni. Le poggiò le mani sulle tempie e le suggerì di chiudere gli occhi, poi lui fece lo stesso. John, nel frattempo, non riusciva a staccare gli occhi dall'astronave dei Junsay, così lucida e splendente sotto i primi raggi della luna piena alle loro spalle.
Il sole calava sempre più velocemente, spalmava sulle nuvole la sua luce rosata, e sotto le palpebre di Lynn vi era un susseguirsi di flash fastidiosi che la fecero sussultare soprattutto quando udì una voce sconosciuta pronunciare una frase in tono quasi irritato: «Quanta scenografia per un semplice Risveglio!» Il risveglio di cui parlava la voce era riferito al famoso Risveglio della Vista, o Sesto Senso come lo chiamano alcuni: la capacità di vedere, o anche solo percepire, oltre la realtà evidente. Lynn, terrorizzata dal pensiero di avere le allucinazioni, spalancò gli occhi ritrovandosi faccia a faccia con un Dottore del tutto sereno e fiero del suo operato. «Voltati» si sentì dire dall'alieno e, come un obbediente soldato, Lynn rispettò il suo ordine. Gli occhi dapprima appannati della ragazza, ora si aprivano sempre di più, bramosi di osservare quanto più potevano e la sua mente sembrò dimenticare la voce sconosciuta.
«Trattieni i ringraziamenti per dopo, Lynn. Ora seguitemi, avanti!» disse il Dottore esortando i due umani. Seguito a ruota da John, il gallifreyano si addentrò per primo nell'astronave grande come una villetta – e la cui forma avrebbe fatto invidia ad un uovo – facendosi luce col suo cacciavite sonico.
Lynn, invece, rimase per un attimo col naso all'insù, ad ammirare le nuvole ingrigite che galleggiavano nel cielo ormai del tutto spento. Fantasticò sui nuovi mondi e le svariate epoche di cui, molto presto, avrebbe assaporato l'aria e chissà cos'altro una volta terminata la loro prima missione insieme. La Francia dell'Ottocento con tutti i suoi intellettuali e filosofi, l'Italia del Duecento che amava la letteratura più di chiunque altri, gli antichi Egizi e poi – chissà? - magari l'avrebbe portata a visitare un pianeta dal cielo rosso fuoco e dal nome impronunciabile.
«Ehilà» esclamò all'improvviso la voce misteriosa.
Lynn si voltò di scatto e udì un leggero fruscio provenire dalla vegetazione che si estendeva oscura e pericolosa davanti a lei. Una civetta aprì pigramente gli occhi, fissando placida un pipistrello che si stava cibando di un gruzzolo di zanzare appena catturate. Urlò un secco «Sciò!» diretta alla civetta per allontanarla dal suo animaletto preferito; incurante della direzione che avesse preso l'uccello, fece qualche passo lento verso il pipistrello e allungò una mano tremante per accarezzarlo, ma un altro fruscio le fece arrestare di colpo. Rimase col braccio a mezz'aria, senza sapere cosa fare e sperò, in cuor suo, che il Dottore fosse tornato indietro per richiamarla. Si mosse poi a rallentatore, cercando di non emettere alcun rumore, ma i rametti secchi sotto i suoi piedi non erano d'accordo. «Maledizione» sussurrò voltandosi ora più in fretta. Le aspettative di Lynn di trovarsi davanti il Dottore erano più che giustificabili. Peccato che, nel girarsi di centottanta gradi, non vide di fronte a sé un uomo in giacca blu e anfibi neri.
«Ohi, mi vedi?» La donna si scostò i capelli dagli occhi con le pallide dita e guardò attentamente Lynn. Dopo aver intercettato il suo sguardo, esplose in un meraviglioso sorriso. «Sì, mi vedi. Il Dottore ha fatto un ottimo lavoro.»
«Da dove diavolo sei saltata fuori?» Lynn rimase piuttosto scossa dall'improvvisa apparizione della donna, tanto che non notò la civetta che poco prima aveva tentato di scacciare. O almeno non prima che gliela indicasse quella strana donna dai capelli biondi e arruffati: come in una fotografia tridimensionale, il corpo dell'animale spaventato per la manata che pensava di ricevere da Lynn era sospeso in aria con le ali spalancate e immobili. Sembrava imbalsamato. Anche l'aria attorno a loro aveva un curioso aspetto stagnante.
«Io sono sempre stata qui, accanto a te e al Dottore, ragazza.» La donna sorrise di nuovo e sul suo volto apparirono qua e là delle rughe d'espressione che la rendevano ancor più bella di quanto lo fosse già.
«Ma perché ti vedo solo ora?»
«Perché non avevi ancora ben chiaro l'obiettivo» rispose con disinvoltura guardandosi le unghie e gli stivaletti di pelle che le facevano cuocere i piedi.
«Allora perché solo io?»
«Be', John è affidabile, ma è ancora troppo piccolo. Il Dottore, invece, è meglio che non sappia.»
«Perché?»
«Oh, ma quante domande vane! Pensa piuttosto a quel che ti ho detto subito dopo che mi hai posto la tua prima domanda.» La donna buttò indietro la testa dando così aria alle ciocche ingarbugliate dei suoi capelli.
Dopo un breve ragionamento, Lynn fu sopraggiunta da un pensiero alquanto bizzarro, ma del resto aveva appena scoperto che il Dottore era reale. «C'è solo una persona, se così possiamo chiamarla, che segue passo passo il Dottore per aiutarlo quando è in difficoltà. Ed è il Lupo Cattivo.»
«Sei una ragazza intelligente» disse subito la donna illuminando i suoi occhi di una luce dorata e vorticante. «Non hai idea di quanta fatica ho fatto per trovarti e prepararti.»
«Prepararmi? Per cosa?» Lynn fece qualche passo all'indietro. Non sapeva esattamente se poteva fidarsi oppure no di quella creatura.
«Per tutto questo.» Sorrise di nuovo e si guardò attorno.
«Intendi la vita?»
«Fuochino. La tua vita, Lynn. Pensi che tu abbia conosciuto quella serie tv per puro caso? Oh, no. Ricordi com'è successo? Era notte fonda e ti stavi rigirando nel letto in cerca di una posizione comoda. Poi, senza alcun preavviso, nemmeno uno piccolo piccolo...»
«La tv si accese e sentii il Dottore urlare al Maestro di rigenerarsi. Era la replica del mattino» terminò Lynn.
«Esatto. E chi vuoi che abbia accesso la tv?»
«Tu. Il grande Lupo Cattivo.»
«Esatto» ripeté. Sorrise, nonostante la situazione poco divertente. «Ma non è ancora tutto. Tasso. Ancora non avevi idea di quel che sarebbe successo di lì a pochi giorni e non notavi i piccoli messaggi che speravo servissero in qualche modo. Così, ho deciso che una grossa enciclopedia impolverata non ti sarebbe certamente sfuggita e l'ho fatta cadere accidentalmente sui tuoi piedi» disse soddisfatta con le mani sui fianchi.
«E magari, per essere più sicura che il Dottore mi trovasse, hai collegato il suo Tardis al mio armadio, non è vero?»
«Be', dopo tutto quello che avevo fatto, non potevo rischiare che tu te ne andassi in giro fischiettando un motivetto che hai inventato tu stessa.»
«Che vuoi dire, scusa?»
«Oh, lo capirai a tempo debito.»
«Ma perché? Perché io
«Perché non deve avvenire diversamente. Perché tu sei colei che manterrà impressa nella storia la vita del Dottore, la prova quasi tangibile della sua esistenza. Perché è il tuo compito, sei nata per questo: è il tuo destino.»

 

 

 

 


NOTA
[1] Gherzo: non esiste alcun tipo di metallo con questo nome, si tratta semplicemente di una mia invenzione :)

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Capitolo 9
*** Riflessi pronti ***


Riflessi pronti

 


«John, attento a dove metti le mani!» ringhiò il Dottore frenando la mano del tredicenne appena in tempo per evitare un'autodistruzione. I corridoi tetri dell'astronave erano più stretti dei cunicoli delle piramidi di Giza e più freddi di un igloo. Ma, soprattutto, erano accuratamente rivestiti di polvere di sledex, un minerale proveniente dalla stella più antica dell'universo – e ancora piena di vita – che al minimo tocco riduce le sue dimensioni e quelle di qualunque oggetto rivesta fino a diventare invisibile ad occhio nudo. Il Dottore era più spaventato da questo che dalla possibilità delle mille e più trappole che avrebbero potuto incontrare sulla loro strada. La storia può essere riscritta, continuava a ripetersi. Li fermerò, ne uscirò vivo e le donne del rapimento del 2015 saranno salve.
John, che seguiva come un buon segugio il suo Dottore, si accorse che alle sue spalle non sentiva più alcun passo. Senza fermarsi, si voltò e vide una sagoma correre verso di loro e rallentare man mano che li raggiungeva.
«Scusate, mi si era slacciata una scarpa e vi ho persi di vista» spiegò affannata Lynn quando anche il Dottore si voltò e la rimproverò col solo sguardo. Poi, gli occhi del gallifreyano si posarono sulle scarpe di Lynn e poté notare delle coloratissime Vans calzate alla “anni '80”: non allacciate. Fece finta di nulla, proseguendo in silenzio verso la fine del corridoio, segno che sapeva chi c'era dietro a quella storia.
«Dottore, quanto manca?» John interruppe i pensieri dell'alieno che aveva comunque colto la domanda.
«Non lo so con esattezza, ma direi che...» Davanti a loro si estendeva un bivio. Una via, sicuramente, portava al pericolo: voci lontane gli avevano riportato l'astuzia dei Junsay, ma non di più in quanto nessuno faceva più ritorno dopo averli visti in volto. Una volta, anche lo stesso Dottore provò a cercarli: aveva pressoché due o trecento anni e poca esperienza, tanto che fabbricò lui stesso un robot munito di telecamera per seguirli; poi, questi venne colpito alle spalle e addio immagini esclusive.
Il bivio, dunque, non faceva altro che far aumentare i battiti cardiaci dei tre avventurieri, fermi di fronte alle due imboccature identiche.
Il Dottore ruppe il silenzio. «Queste due gallerie possono sembrare uguali. Invece no: una delle due è lo specchio dell'altra, ma se entriamo in quella sbagliata... Potremmo rimanere per sempre bloccati nell'illusione e ci perderemmo nella nostra stessa mente, morendo o di fame o di disperazione. Il TARDIS ha la stessa tecnologia.»
«Ah, be', finora non è successo nulla di pericoloso! Ci voleva una svolta, finalmente!» disse sarcastica Lynn.
Il Dottore sapeva che quella non era Lynn che parlava. Qualcosa stava cambiando in lei, forse stava subentrando una nuova coscienza. Per non pensarci, azionò il suo cacciavite sonico che, da semplice torcia, prese ad analizzare le due imboccature. «Ah-ah! Trovato! Seguitemi!» Si mosse per primo e avanzò senza esitazioni. Certo, il fatto che nessuno faceva più ritorno dopo aver visto in faccia i Junsay non lo riempiva di gioia, ma era sicuro di quel che faceva. Più o meno.
Camminarono per dei minuti che parvero interminabili, finché il Dottore non ruppe nuovamente il silenzio. «Dove vorreste andare, una volta terminata la missione?» chiese ai due umani.
«Ci sono così tanti posti da vedere che è impossibile fare una classifica!»
«Ben detto, John» confermò la ragazza. «Io lascerei la decisione al conducente.»
Il Dottore continuava ad avanzare lungo il corridoio, rimuginando nel frattempo sugli ultimi dodici anni. Si era ripromesso di non viaggiare mai più con qualcuno e, puntualmente, tradì la sua decisione. «Che ne dite di HAT-P-38?»
John alzò gli occhi e li puntò sulla criniera di capelli dorati del Dottore, che lo precedeva, cercando di ripetere il nome del pianeta o qualunque altra cosa fosse stata.
«Sì» proseguì l'alieno, «HAT-P-38! È un pianeta extrasolare, orbita attorno ad una stella grande il doppio del vostro Sole e ha una vegetazione da far invidia alla foresta amazzonica! Gli abitanti hanno tre teste e una coda con cinque paia di occhi. Nonostante l'aspetto ripugnante, sono molto simpatici e calorosi. Anche l'imperatrice di Fruxil, l'Impero più vasto del pianeta, ha un forte senso dell'umorismo.» Sorrise nel ricordare le serate passate con lei a chiacchierare animatamente. «Chissà se ha smesso di bere linfa? Sapete, la linfa che spillano dai loro alberi è un po' come la vostra vodka... Oh, ma guardate, siamo arrivati!»
I tre si fermarono, sempre ben attenti a non sfiorare le pareti del corridoio. A pochi passi da loro non c'era nessuna stanza o una sala comandi e nemmeno un laboratorio sofisticato come il Dottore si era immaginato di trovare: davanti ai loro occhi si estendeva il buio. Poi un clic fece trasalire John, tenuto ben stretto per le spalle da Lynn.
Il nero, lentamente, lasciò spazio alla vista e dei lunghi neon – no, erano tubi trasparenti con all'interno delle specie di lucciole aliene stimolate da una potente scarica elettrica – lampeggiarono dapprima pallidi poi sempre più sicuri, illuminando per bene i volti dei Junsay.
«Bene, bene» disse il Dottore con un sorriso più falso di una moneta da tre euro. «Non vi credevo così...accoglienti» ora con la voce più roca, ruvida.
«Dottore.» Uno dei Junsay, forse il capo spedizione, fece un passo avanti. Alto quasi due metri, sfiorava il soffitto con la testa piena di aculei. Due occhi più freddi del ghiaccio si posarono sui tre avventurieri mentre una fila di denti perlacei si faceva strada tra uno e l'altro labbro: un gran sorrisone di benvenuto. «Per tanti anni, Dottore, lei ci è sfuggito di mano» cominciò a parlare l'alieno tutto aghi e zero simpatia, «ma ora lei è qui, in trappola, e ci ha addirittura portato degli ospiti. Troppo gentile.» Sembrava avesse la R moscia e ad ogni accento inclinava con uno scatto la testa pericolosa. Dietro di lui si sollevò un chiacchiericcio estremamente felice.
«Dicci dove sono le donne!» urlò inferocita Lynn, subito tenuta a freno da un braccio del Dottore. John, tra i due, tremava.
«Oh, le donne... Non è stata un'idea fantastica, Dottore?» Il capo dei Junsay avanzò lentamente verso il suo “bersaglio” e lo guardò come fa un ghepardo con la sua preda.
«Che intendi dire?»
«Studiamo questo piano da anni, ormai. Sappiamo qual è il tuo punto debole, Dottore. Non ti sei mai preoccupato di celarlo a noi altri.» Lui lo guardò fisso negli occhi e, per il loro colore, il gallifreyano avvertì un brivido lungo tutta la schiena. «Sei così tanto affezionato agli umani che non potevamo non usarli per arrivare a te. Ma tu, ogni dannata volta, riuscivi a risolvere tutto prima di risalire a noi... Oppure te ne eri andato prima che cominciasse tutto, lasciandoli da soli.»
Lynn avrebbe voluto tirare un bel destro a quella creatura ripugnante solo per farla tacere, ma sapeva che il Dottore non glielo avrebbe permesso.
«Bene. Noi non amiamo le chiacchiere» riprese il capo degli invasori. «Preparatelo alla Copia e legate gli altri due.» Detto questo, si allontanò per far lavorare chi di dovere.
John venne afferrato per primo, poi Lynn, infine il Dottore. Vennero immobilizzati senza troppi sforzi con la schiena contro tre lettini verticali. Polsi e caviglie stretti da cinghie salde e a prova di Hulk. Nonostante la grande determinazione e forza del Dottore, egli non riuscì a contrastare i muscoli e la velocità dei loro aggressori. Allineati e con la stessa distanza interposta tra di loro, i tre prigionieri si potevano osservare a vicenda solo grazie alle pareti a specchio: John cercava, invano, di divincolarsi, le lentiggini che parvero prendere fuoco nel tentativo di far sgusciare una mano dalla cinghia; Lynn sembrava quasi ipnotizzata dalle indicazioni del Lupo Cattivo; il Dottore aveva lo sguardo rassegnato, di chi sa di per certo che perderà, puntato sul pavimento anch'esso riflettente. Chi sei tu?, si chiese il gallifreyano osservando il suo stesso volto. Sei solo uno stupido vecchio che pensava di poterla passare di nuovo liscia, ecco cosa sei.
«...mamma?»
Il Dottore fu scosso da un'improvvisa voce impaurita.
«Dov'è la mia mamma?» ripeté John.
«Oh, la tua mammina non è che solo un'esca come tutte le altre. Ma sta' tranquillo, piccolo umano, stanno tutte bene.» Il capo era tornato di fronte a loro nell'attesa che tutto fosse pronto.
«Allora, visto che ora avete me» riprese il Dottore, «liberate i miei amici e tutte le donne: loro non c'entrano nulla!»
Il capo mostrò i segni di chi viene preso alla sprovvista e scambiò uno sguardo con i suoi simili che svolgevano i loro compiti alle sue spalle. Tutti sembravano avere impegni più importanti, così il capo si ritrovò da solo. Sperò in cuor suo che il Dottore, andando avanti con gli anni, non si ricordasse della sua richiesta. «Il nostro piano non era invadere la Terra o schiavizzarne gli abitanti. Volevamo solo arrivare a te. Dovevamo.» Vedendo che il Dottore seguiva il suo discorso senza far riferimento a ciò che aveva detto lui stesso poco prima, il capo dei Junsay decise di proseguire come se nulla fosse successo. «Siamo dunque qui riuniti per gustare la fine del Dottore. L'ultimo della sua specie. Colui che ha vissuto più di tutti noi messi assieme. Colui che ha visto l'inizio e la fine dell'universo. Colui che ci darà l'onore di ricevere la sua sapienza e di custodirla per lui.» Sembrò recitare.
John e Lynn ascoltarono senza emettere alcun suono, l'uno perché troppo impaurito, l'altra perché letteralmente tormentata dal Lupo Cattivo. «Ricordati quel che ti ho detto, Lynn» le stava sussurrando all'orecchio. Aveva la sensazione che le girasse intorno e che tutto, per lei, avesse un senso. Percepiva i suoi morbidi passi sulla pavimentazione illusoria.
In un attimo, senza capire come, Lynn riuscì a capire ciò che i Junsay volevano fare al Dottore e calcolò probabilità, angolazioni, tempi, traiettorie... Buttò un occhio alla sua mano e, ruotandola di qualche millimetro, vide brillare una grossa pietra: vetro. Riflettente.
Perfetto, pensò Lynn.
«Ora noi azioniamo questo gioiellino e tu stai lì buono, Dottore. Intesi?» La voce gracchiante di un secondo Junsay riportò Lynn alla realtà. Il Dottore, guardando nella parete a specchio di fronte a lui, intercettò gli occhi della ragazza, pronta all'azione.
Una grossa macchina somigliante ad una vecchia pompa di benzina venne trascinata per la stanza fino ai piedi del Dottore. Dall'alto pendeva un lungo braccio metallico che si rimpiccioliva sempre di più, fino a diventare molto più sottile di un ago e quasi invisibile se osservato dal punto di vista del Dottore. I Junsay pigiarono qualche bottone e digitarono svariati codici; partì un ronzio e il Dottore fu assalito dal panico: volevano copiargli la memoria per impadronirsi dei suoi segreti riguardanti la scienza e il suo piccolo trucco per ingannare la morte. In questo modo non avrebbero mai più avuto alcun tipo di ostacolo.
Il braccio metallico vibrò e, non appena cominciò a scansionare la mente del gallifreyano, quest'ultimo sentì di non avere più via di scampo. Complimenti, Dottore. È colpa della tua sete di conoscenza se ora sei qui, pensò.
La macchina era pronta a ricevere le informazioni che i Junsay, di fronte a lui, stavano attendendo da troppo tempo. Il braccio, infatti, aveva terminato di copiare la memoria e ora non rimaneva che attendere il secondo raggio che avrebbe riportato i dati sul “server” e servirsene, ma Lynn si era già liberata dai lacci e si era prontamente tolta l'anello.

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Capitolo 10
*** Attori ***


Attori

 


La mente sgombra da ogni altro pensiero.
Concentrazione.
Inspirare.
Espirare.
Controllo del battito cardiaco.
Seguire il piano prestabilito? Ovvio.
Il destino è una strada che può subire molti deragliamenti. Ma non per Lynn.
Reggeva determinata l'anello – il suo anello – quello tanto adorato. Lo teneva così stretto che questi le aveva lasciato il segno sulle dita. Un momento, pensò nel frangente in cui attraversò quasi di corsa lo spazio che la separava dal macchinario: io non ho mai posseduto questo affare. Ricordò allora gli ultimi istanti passati col Lupo Cattivo, fuori dall'astronave dei Junsay, quello che le aveva detto... E l'anello. Le si era letteralmente materializzato sull'anulare destro.
Fece per fermarsi a riflettere. Troppo tardi: la pietra vitrea venne colpita dalle onde aliene che avevano appena cominciato ad uscire dalla parte posteriore del macchinario per raggiungere una grossa sfera che rimase inanimata nelle mani del capo dei Junsay. Poi fu la volta della parete alle spalle del Dottore e subitamente la stessa Lynn.
Volti, immagini, voci. Quattordici uomini a lei conosciuti più altre identità che ipotizzò come future. Donne, tante donne, tra cui quattro quelle amate: una, bloccata in un lasso di tempo che non si potrà mai più riavviare; la seconda, lasciata dopo aver vissuto da umano; la terza, felice con una copia umana di lui stesso; la quarta, l'antropologa morta al posto suo perché lui potesse incontrarla di nuovo. Troppo dolore represso. Addii, ragionamenti, segreti. Segreti inconfessabili, segreti pericolosi. Pericolosi come il nome del Dottore che era lì, a grandi lettere nella sua mente e poteva leggerlo, capirlo, sentirlo.
Perché il Lupo Cattivo aveva scelto lei? Perché non fare tutto da solo?
Capitava da sempre ed era una cosa destinata a capitare per sempre: sapeva solo questo.
Tutto. Aveva visto tutto, dall'inizio alla fine. Una fine diversa da quella su Trenzalore grazie alla forza dell'Undicesimo e della sua compagnia di viaggio. Clara, la ragazza dei soufflé. La ragazza impossibile.
I suoi occhi erano ricchi di una luce diversa, conscia di quello per cui era destinata a diventare.
La sua vita era una bugia? Una scusa nell'attesa di quel giorno? No, era tutto reale, eppure Lynn ebbe la sensazione di non star perdendo nulla: avrebbe rivissuto quelle esperienze daccapo. Solo sperava di non avere ancora una coppia di genitori come quelli che aveva avuto...
«Lynn, basta!» urlava il Dottore. Quella scena gli era tanto familiare. «Lynn, ti prego!» Diede uno strattone alle cinghie. «Lynn!»
«Fermati, tesoro.» La voce del Lupo Cattivo era così dolce che Lynn non poté non ascoltarla. Mosse appena la mano, quel tanto che bastò per disperdere nell'aria le ultime particelle di memoria copiata. Col fiato grosso, liberò il Dottore e John senza degnare di uno sguardo nessuno dei presenti.
I Junsay rimasero come impietriti di fronte a quel brusco cambio di programma. Il gesto eroico dell'umana era talmente imprevedibile che non avevano mai calcolato quella possibilità, la quale non venne nemmeno accennata. E ora, che fare? Darsela a gambe? Oppure chiedere umilmente perdono e dire la verità? Il loro popolo era conosciuto come uno tra i più crudeli, ma erano anche rinomati per la loro saggezza e affidabilità. Proprio per quest'ultima caratteristica ebbero il privilegio di essere scelti da quella strana e misteriosa creatura in forma umana.
Il capo, che reggeva ancora la sfera – il “server” – destinata sin dall'inizio a rimanere spenta e priva dei segreti del Dottore, attese il consenso silenzioso dei suoi simili, poi si diresse verso il gallifreyano. Vide la sua fronte aggrottata e per poco non gli si spense la voce dalla paura. «Dottore, in nome di tutta la specie Junsay, io... Io... Io chiedo perdono per il dolore che vi abbiamo recato.» Chinò la testa in segno di rispetto ed attese pazientemente la risposta del suo interlocutore.
Inutile dire che il Dottore rimase palesemente sbigottito. Conosceva quella razza solo per sentito dire e poté affermare mentalmente che le notizie che girano per l'universo non sono mai vere al cento per cento: prendete anche solo una ventina di persone e chiudetele in una stanza in cui possono comunicarsi un qualsiasi fatto solo in due alla volta. Ora moltiplicate il risultato del “telefono senza fili” per milioni di razze e altrettante lingue. Devo aggiungere altro?
«Voi chiedete cosa?» chiese il Dottore spalancando gli occhi.
«Perdonaci, ultimo Signore del Tempo. Abbiamo obbedito alla Creatura perché la profezia si avverasse e perché quest'ultima si avveri sempre, da qui fino alla fine di tutto.»
«Q-quale Creatura?» intervenne John massaggiandosi gli esili polsi.
«Ottima domanda! Quale Creatura?» gli fece eco il Dottore.
Il capo spedizione rivolse loro un sorriso dolce, sincero. Di sicuro, erano stati tutti dei bravissimi attori. «Il Meuts Lahl. È una divinità molto saggia. Parla ai nostri cuori» disse toccandosi il petto. «Krahel, porta qui le umane» aggiunse poi.
Una giovane Junsay, con gli aculei ancora morbidi e forti, sorrise dal fondo della stanza e si incamminò in un corridoio dell'astronave. Il Dottore non le staccò gli occhi di dosso finché non la perse tra le ombre. «Meuts Lahl? Parlamene. E voglio tutti i dettagli.»
Lynn non capiva. Non capiva più niente. Un attimo prima era solo una ragazza che si guadagnava lo studio lavorando in una biblioteca, un attimo dopo si ritrova catapultata in un mondo che aveva sempre pensato fosse solo frutto di una straordinaria immaginazione. Un'immaginazione resa reale grazie a lei. Sì, ma come?, si stava domandando.
«Ascolta bene quel che dice, Lynn. Solo dopo, capirai: sarà allora che saprai esattamente cosa fare.» Il Lupo Cattivo le stava affianco – poteva sentire il suo caldo respiro sulle spalle – e cercava, col suo potere, di calmare l'anima nervosa di Lynn mentre il capo spedizione si schiariva bene la voce e cominciava a parlare:
«Un giorno, io ed il mio popolo stavamo godendo di un periodo di pace, quando, dal cielo, cadde una grossa palla di luce. Era così dorata, perfetta, abbagliante... Dava la sensazione di essere tremendamente potente. Rimase sospesa sopra le nostre teste finché, ad un certo punto, senza preavviso, la palla di luce aumentò la sua luminosità, parve esplodere e, senza che ce ne rendessimo conto, venne sostituita da una bellissima creatura che noi, lì per lì, riconoscemmo come umana.
«Lei ci spiegò subito che aveva quelle sembianze solo perché la sua energia era stata momentaneamente ospitata dalla ragazza che l'aveva assorbita. Ci parlò con voce melodiosa, tanto che tutti noi ne rimanemmo affascinati. Ci promise la sua protezione, poiché da pochi giorni eravamo entrati in un periodo di astensione dalle guerre, in cambio di un favore che solo noi potevamo soddisfare.»
«E sarebbe?» chiese il Dottore, rapito dal racconto.
«Be', lei ci disse che facendo accadere qualcosa di insolito sulla Terra, a lungo andare tu saresti arrivato. E, con te, anche Lynn Grace Moore ed il piccolo John.»
«John? Che c'entra John?» si intromise Lynn.
«Cosa c'entri tu, piuttosto, Lynn?!» Il Dottore si sentì confuso come non gli capitava da decenni ed era una sensazione straziante.
Lei abbassò lo sguardo: ormai aveva intuito qualcosa, ma le era ancora oscuro il percorso che avrebbe dovuto intraprendere. Il Lupo Cattivo amava ripeterle in continuazione «Le coccinelle non han bisogno di stradelle / perché loro aman viaggiar con polvere di stelle», ma lei faticava a capirne il senso. Era solo una stupida filastrocca che si insegna ai bambini dell'asilo, dopotutto. «Pensaci bene, Dottore» disse quasi in preda ad una crisi nervosa. «Perché il TARDIS era collegato proprio al mio armadio? Perché non sono impazzita acquisendo tutta la tua vita passata, presente e futura?»
«Perché era il Meuts Lahl a volerlo.»
«Ah, Dottore! Fai ancora un piccolo sforzo! Ci sei quasi!»
«Il Meuts Lahl... Meuts... Lahl...» Continuò a ripetere tra sé e sé quelle due parole camminando avanti e indietro nella sala dell'astronave finché non gli venne in mente che... «Meuts Lahl! Ma certo! È il nome della divinità, ma non è la divinità che avete visto! Come ho fatto a non pensarci prima?!» urlò schiaffeggiandosi la fronte con un palmo.
I Junsay quasi si spaventarono; Lynn era felicissima perché, ancora una volta, il Dottore si era dimostrato essere quello di una volta; John, poveretto, aveva la testa che gli faceva male, con tutti quei discorsi che ancora non poteva capire. «Dottore, scusa, ma cos'è il Meuts Lahl? Una specie di alieno con ali da pipistrello e che sputa fuoco?» chiese, infatti, il ragazzino tirando fuori la sua immaginazione.
«No!» esclamò felice; poi, rivolto a se stesso: «Tutta quella descrizione così dettagliata... Chi l'avrebbe immaginato che...» Si voltò e, con occhi spiritati, avanzò a grandi falcate fino alla sua compagna di viaggio. «Tu lo conosci il Lupo Cattivo, vero, Lynn?»
La ragazza, presa alla sprovvista, rimase ammutolita. Il Dottore interpretò quella reazione come imbarazzo nei confronti di John, le cui conoscenze su quell'enigmatica creatura erano pari a zero. «Ehm, sì...» rispose titubante.
«Bene!» esclamò il Dottore. «Il Meuts Lahl è una creatura mitologica risalente all'Età Prima dei Junsay.» Notò con piacere che tutti sembravano tendere le orecchie per ascoltarlo meglio. «È descritta come un cane con testa umana, cammina su due zampe e ha il pelo d'oro.» Il suo ragionamento non faceva una piega e, anche se tutta quella storia lo rendeva nervoso perché gli ricordava tutti i momenti passati con quella ragazza, era molto felice di fare un tuffo nel passato. «Dunque» continuò rivolto ai Junsay, «quando voi avete visto ciò che avete chiamato “Meuts Lahl”, avete giustamente pensato che le leggende sulla vostra divinità non fossero totalmente affidabili. Invece non era altri che il Lupo Cattivo!»
E brava Rose Tyler, pensò Lynn. «Dottore, c'è una cosa che dovrei dirti...» La ragazza abbassò lo sguardo, imbarazzata: questa volta lo era per davvero. Stava ricominciando a parlare, quando John esclamò a pieni pomoni:
«Mamma!»
Dal fondo della sala, capeggiate da Krahel, cominciarono ad arrivare le donne prelevate in massa dai Junsay. Alcune erano timide, altre avevano due occhi spiritati che avrebbero fatto paura ad un fantasma, le più giovani, invece, cercavano di incoraggiare le altre.
«Me lo dirai dopo, okay?» disse il Dottore a Lynn facendole l'occhiolino.
Madre e figlio corsero l'una incontro all'altro, a braccia aperte. Si tennero stretti per alcuni istanti, mentre il volto del ragazzino si faceva sempre più rilassato. Alla fine, Essdale strinse forte il suo bambino e con voce fioca disse: «Oh, quanto mi sei mancato, David!»

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Capitolo 11
*** Spoiler, la parola che lo tormenta dal 1984 ***


Spoiler, la parola che lo tormenta dal 1984

 


Il Meuts Lahl, o meglio il Lupo Cattivo, non sembrava poi così tanto cattivo mentre se la rideva di gusto osservando l'espressione confusa – e da pazza – di Lynn nel comprendere, passo dopo passo, chi fosse in realtà quel bambino. Pochi istanti prima, infatti, stava ragionando sul nome: la madre lo aveva chiamato David anziché John. Eppure, era sicura si chiamasse John, dato che, quando lei e il Dottore erano andati a casa sua, Lynn aveva notato sul lavandino della cucina una tazza per bambini con il suo nome scritto in quattro colori diversi. Poi lo sguardo le cadde sulla costellazione di infinite lentiggini del ragazzino mentre era ancora tra le braccia della madre e – quasi per confermare la sua tesi – volle osservargli bene gli occhi: quando John sbatteva le palpebre, uno dei due era più lento dell'altro e rimaneva socchiuso.
«Salve! Lei dev'essere la madre di John! Piacere,» disse il gallifreyano protendendo la mano destra «io sono il Dott-.. Ahi!» esclamò poi nel ricevere una gomitata da Lynn. Si corresse, presentandosi come John Smith, e si strinsero la mano. Lo sguardo del piccolo John posati sul falso John.
«John» disse Lynn, «perché ti fai chiamare così?»
Il ragazzino guardò sua madre, poi raccolse tutto il coraggio che possedeva per dirle la verità: ogni volta sentiva un grosso peso sullo stomaco, ma la madre lo aveva educato bene e a domanda posta, si risponde. «John è il mio secondo nome» disse. «Mi piace molto di più rispetto a David e poi.. Il Dottore usa spesso questo nome.» Ora si sentiva più leggero, ma capì che Lynn non era ancora soddisfatta.
«Quindi, tu ti chiami...?» gli chiese, infatti.
«McDonald. David John McDonald» rispose tutto d'un fiato.
L'espressione sul volto di Lynn, a quel punto del ragionamento, fu letteralmente impossibile da descrivere. «David... John... Mc... Donald?» ripeté con voce fioca. L'impulso di strozzare il Dottore era assai alto. «Dottore» lo chiamò. «Ho bisogno di parlarti due secondi.» Lo guardò con gli occhi stretti a fessure poi lo tirò in un angolo e sotto gli occhi di tutti – che facevano finta di nulla – lo sgridò urlando sottovoce. «Ho la possibilità di conoscere David Tennant e tu mi porti nel 1984?! Quando lui ha solo tredici anni!! Insomma, io... Tu sei... AH!» E se ne andò con minacciose saette che le vorticavano attorno alla testa.
John – David – la guardò di sottecchi mentre tornava da lui ed ebbe paura: non aveva sentito bene ciò che gli aveva detto, ma dal modo in cui si lasciava il Dottore alle spalle capì che era abbastanza arrabbiata con lui, tanto che si immaginò Lynn sollevare un grosso tavolo e scaraventarglielo addosso. «Perché non ti piace il nome David? È così bello» si sentì dire da una Lynn ora molto più calma di quanto lui stesso aveva sperato.
«Non so... Non c'è un motivo particolare per cui io preferisca John» rispose stringendosi nelle spalle.
Il Dottore si mise una mano tra i capelli dorati, salutò con un cenno i Junsay che lo fissavano e andò verso Lynn, John e Essdale, che carezzava la testa del figlio, ricoperta da una giungla di capelli morbidi come la seta.
«David è un nome bellissimo, è perfetto per te. Ti si addice. Magari il cognome... Potresti avere qualche difficoltà, ma andrà tutto bene.» Lynn si rese conto che il discorso rischiava di confondere ancora di più il povero ragazzino. «E David era anche il nome del nonno di mio padre e del mio attore preferito, quindi...» Diede un buffetto sulla guancia del ragazzino, stretto alla madre. Dietro di loro, le donne seguivano commosse la scena come se fosse stata una telenovelas.
«Il tuo attore preferito? Chi è? Il mio è Tom Baker» disse David.
Lynn lo guardò sorridendo e non disse nulla se non: «Sarai un uomo meraviglioso, da grande.» Poi gli arruffò i capelli e, tornando al fianco del Dottore, si rivolse ai Junsay in tono solenne. «Avete partecipato meravigliosamente a questa... Cerimonia?» scherzò. «Prometto che il vostro duro lavoro non sarà vano. Addio e grazie.» Fece cenno a tutti di seguirla. In poco tempo la sala si svuotò e i Junsay rimasero da soli.
Quando furono finalmente all'aria aperta, il Dottore, John, Lynn e tutte le altre donne cercarono di riempire più che potevano i loro polmoni. La nave vibrò e apparve agli occhi di tutti i presenti, dopodiché si alzò in volo nel momento stesso in cui i primi raggi di un sole albeggiante toccarono le punte degli alberi del bosco.
John pensava ancora alle parole che gli aveva rivolto Lynn poco prima. Non riusciva a capire lui, figuriamoci la madre, la quale non seppe mai che il John Smith che aveva conosciuto era il vero Dottore e Lynn una ragazza del XXI secolo.
Le donne seguirono attentamente le indicazioni del Dottore e si inoltrarono nel fitto fogliame col cuore pieno di gioia. Eano state trattate bene, certo, ma la voglia di riabbracciare i loro cari era alta. E così era anche per Essdale e David.
Lynn seguì con lo sguardo i capelli di quel ragazzino che, a distanza di trent'anni, sarebbe diventato il Decimo Dottore. Saltellava evitando radici, accanto alla madre che rideva spensierata. Poi lo vide fermarsi, sussurrare qualcosa all'orecchio della madre e correre da lei e dal Dottore amante di tonno in scatola.
«Dottore» disse, affannato, raggiungendoli. «Io mi chiedevo se... Sì, insomma...» balbettò.
«No, John» capì subito il Dottore. «Non posso.»
«Perché no?» piagnucolò.
«Perché tua madre deve rimanere qui e tu devi badare a lei.»
«Ma mi hai promesso...»
«Lo so, lo so, ma credo proprio che il Lupo Cattivo non me lo permetterebbe.»
«Ancora questo Lupo Cattivo... Si può sapere di cosa parli?»
Lynn rimase ad occhi chiusi, sperando di essersi solo immaginata la domanda del ragazzo, ma, riaprendoli, notò che il Dottore era alla ricerca di una soluzione che non lo turbasse troppo. Possibile che l'età l'abbia rimbecillito?, si domandò. «Spoiler» si affrettò a dire Lynn.
«Oh, River...» sospirò il gallifreyano.
David fissò entrambi con tanto d'occhi. «River?! Ma che razza...?»
«Spoiler» dissero Lynn e il Dottore all'unisono.
«David! Sbrigati, dobbiamo andare!» lo chiamò la madre.
Il ragazzino si lanciò in un mini abbraccio per Lynn per poi dedicare più tempo al suo eroe che, in quel caso, fu solo una marionetta nelle potenti mani di quella strana creatura che i suoi amici chiamavano Lupo Cattivo. «Be', allora io vado...» salutò indietreggiando lentamente.
«Mi dispiace, John» disse il Dottore. «Mantieni il segreto, però» aggiunse premendo l'indice sulle labbra.
«Promesso. Grazie di tutto!» E ritornò a stringere forte la mano della madre.

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Capitolo 12
*** La chiacchierata che fece di noi whovian una grande famiglia ***


La chiacchierata che fece di noi whovian una grande famiglia

 

 


Una leva giù, un'altra a destra, una virata improvvisa ed ecco che il TARDIS riapparve in mezzo ad un profumatissimo campo di lavanda della Provenza del 1747. Il Dottore si appoggiò alla consolle. «Dodici anni. Dodici anni e vengo ripagato con un altro addio.»
«Be', dai, la nostra avventura è durata poco, ma è stata intensa.» Lynn lo colpì alle spalle con un leggero pugno in segno di amicizia. Con quel colpetto, tuttavia, riuscì a sentire i nodi di paura e di tensione che lo tormentavano e le tante, troppe domande che non lo avrebbero mai più lasciato in pace. Gli aveva raccontato tutto, da come aveva incontrato il Lupo Cattivo alle ultime intuizioni per salvargli la vita. Fino a quel momento, nemmeno lei era a conoscenza del fatto che fosse tutto un piano dello stesso Lupo Cattivo per fare in modo che – quasi – il mondo intero venisse a sapere della vita di un alieno che correva per salvare l'universo. Non sapeva ancora come fare, ma non era il suo problema principale in quel momento: il Dottore, quel Dottore, era più curioso di un bambino la notte di Natale e avrebbe voluto sapere che fine gli sarebbe spettata. Dopo aver cambiato il suo futuro e aver impedito la sua morte su Trenzalore, infatti, il suo unico pensiero fu quello e Lynn lo sapeva.
«Lynn, per favore, resta» le chiese.
«Oh, Dottore, lo vorrei tanto. Ma non posso. Devo raccontare al mondo la tua storia, anche se non ho ancora idea di come fare...»
«Allora viaggia con me finché non ti verrà in mente! Poco lontano da qui è in atto una potentissima attività elettromagnetica dovuta a qualcosa che ancora mi è sconosciuta.» Si girò e la guardò negli occhi che cercava di nascondere a causa delle lacrime pronte a scendere. Le prese le mani e, pieno di speranza, la guidò verso una postazione di comando della consolle. «Vedi, solo tre persone in tutto il tempo e lo spazio sanno pilotare il TARDIS e due di esse siamo te ed io. Ti prego, rimani al mio fianco... Non voglio rimanere di nuovo solo!»
Lynn si asciugò veloce una lacrima col dorso della mano. «Non rimarrai solo, te lo garantisco. Torna nel XXI secolo, a Londra. Non dare nell'occhio finché non avrai visto un uomo alto e magro, con tanti capelli quante lentiggini e due fossette sulle guance leggermente scavate. Digli chi sei e fallo viaggiare con te. Lui ti sta aspettando da trent'anni. Poi succederanno tante di quelle cose che, forse, mi dimenticherai. Anzi, lo spero perché, se mi venissi a cercare, potrei anche abbandonare il mio destino a se stesso per continuare a correre con te.» Detto questo, andò verso l'uscita e spalancò una porta. Non ce la faceva a guardarlo in faccia perché sapeva che, se l'avrebbe fatto, se ne sarebbe pentita per tutta la vita. «Buona fortuna, Dottore. È stato un piacere averti conosciuto.» Mise un piede fuori, seguito subito dopo dall'altro e respirò l'aria densa e profumata, riempita dai ronzii delle api che parevano saltellare da un fiore all'altro, felici della loro vita frenetica.
Il TARDIS chiuse l'uscita velocemente e accese lo schermo che il Dottore amava far girare attorno alla consolle.
«Piacere mio, Lynn» disse sottovoce il gallifreyano. Si mise di fronte al piccolo schermo e vide, col cuore pieno di sensi di colpa, Lynn che se ne stava ferma davanti al TARDIS a fissarlo. Poi venne avvolta da una leggera foschia che pian piano divenne più lucente, abbagliante, apparsa per trasportarla in un anno ben preciso nel futuro, da un povero uomo in preda ad una crisi causata dal suo lavoro.
Il Dottore la vide sparire nel nulla e al suo posto il Lupo Cattivo lasciò il silenzio. Ancora una volta gli aveva salvato la vita. Sì, ma gli aveva anche spezzato i cuori.
Per un momento che gli parve durare una vita – il che, per lui, è un lasso di tempo che va molto oltre il secolo – rimase a fissare i comandi, ignorando le ultime parole di Lynn. Poi un nome ed un volto gli riaffiorarono nella mente e, col suo solito sorriso smagliante, si sistemò la giacca e si ripulì gli anfibi da fango e polvere, soffiò su una girandola arancione e spinse all'ingiù un cilindro di vetro.
Il TARDIS barcollò e in un lampo apparve su una strada fuori dal centro di Londra. Il Dottore si precipitò sul marciapiede e saltò su di esso, inalò una gran quantità d'aria fino a farsi quasi scoppiare i polmoni e dichiarò con enfasi di aver fatto proprio un buon lavoro: era atterrato proprio nel punto del tempo desiderato e questo accadeva assai di rado.
Dal fondo della via sentì provenire delle urla di bambini e si rese conto che il TARDIS era un po' troppo in bella vista. Gli rimaneva poco tempo prima che quei bambini girassero l'angolo e lo scoprissero. Fece dunque scivolare velocemente una mano dentro la giacca e afferrò il suo cacciavite sonico che, con un sol trillo, mascherò alla vista dei bambini e di chiunque sarebbe passato di lì il TARDIS. Appena in tempo: una combriccola di ragazzini urlanti apparvero al limitare della via e il Dottore si sentì doppiamente soddisfatto, quel giorno.
In pochi istanti, i ragazzini macinarono metri su metri, superando le varie casette silenziose e lo stesso Dottore, senza nemmeno immaginare chi lui fosse veramente. Uno di loro rallentò e si staccò dal gruppetto, che proseguì senza rendersene conto. Aveva pressoché dodici anni, una cresta appena accennata e un apparecchio ai denti. «Cerca qualcuno, signor Hiddleston?» chiese da buon inglesino.
Il Dottore rimase perplesso dal modo in cui lo chiamò, ma non ci diede peso e rispose alla sua gentile domanda, chiedendogli così aiuto. «In effetti, sì. Vedi, non sono di questa zona e sto cercando una persona che non ho idea di dove abiti.»
«Di chi si tratta, signore?»
«Si chiama David John McDonald. Lo conosci?»
«Vuole dire David Tennant? Abita là» disse indicando alla sua sinistra, «proprio dove c'è quella bici blu parcheggiata sul vialetto.»
«Grazie, ragazzo. Ci si vede.» Gli fece l'occhiolino e si avviò a grandi passi, ben attento a evitare di andare a sbattere contro il TARDIS: gli era già capitato un paio di volte e non era stata una bell'esperienza.
Arrivato davanti alla casa dell'attore, il gallifreyano inspirò profondamente. Aveva appena salutato il bambino e ora stava per riabbracciare l'adulto. Gli ricordava qualcosa che ricacciò subito indietro insieme agli altri pensieri troppo dolorosi.
Superò il vialetto, salì le scale, suonò il campanello. Un brivido gli scivolò lungo la schiena e gli venne voglia di correre via, lontano. Erano successe troppe cose tutte insieme. Ragionamenti, benvenuti, addii e ritrovamenti. Dopo dodici anni di solitudine, era troppo anche per uno come lui. Continuava a pensare a Lynn, al Lupo Cattivo e al fatto che quest'ultimo avrebbe anche potuto farsi una vagonata di affaracci suoi e lasciare in pace quella povera ragazza che voleva solo dare una svolta alla sua vita. Stava ancora pensando a questo, quando la serratura della porta di casa scattò e si sentì prendere dal panico.
«Ciao, Tom! Che piacere!» disse un uomo incredibilmente uguale a lui in una sua vecchia rigenerazione.
«John?»
L'uomo mutò espressione perché solo in quel momento riconobbe chi aveva di fronte. «Dottore... Sei davvero tu?» chiese a bocca aperta l'attore.
«Oh, sì, David! Prendi l'indispensabile, decidi tu la destinazione!»
«Fammi solo scrivere un biglietto per mia moglie! Le dirò che... Le dirò la verità. E per quanto riguarda la destinazione... Mi avevi promesso HAT-P-38, o sbaglio?»
«Oh, ma certo!» disse raggiante. «Senti un po', ma... Chi è Tom Hiddleston?»
David rise sotto i baffi ed entrò in casa per prepararsi al viaggio che aveva tanto sognato di fare fin da quel giorno del 1984.


20 luglio 1962. Esattamente sette anni prima che l'uomo mettesse piede sulla luna. Quel giorno, Londra sembrava una di quelle città fantasma che si vede solo nei film: botteghe chiuse, strade deserte, mercati che se avevano cinque bancarelle era un miracolo. Le campane di una chiesa poco lontana da lì suonarono tre volte. Le tre del pomeriggio, 32°C, pensò Lynn. Solo un pazzo uscirebbe con questa temperatura.
E, in effetti, a pochi passi da lei, un pazzo c'era. Non lo era per il caldo: quell'uomo era giù di morale per il lavoro. Seduto su una panchina a dir poco malconcia, stringeva al petto un taccuino piuttosto vecchio e, fissando i fili d'erba che ondeggiavano col vento, cercava di farsi venire in mente una buona idea. Gli occhiali da vista gli scivolavano in continuazione e questo non faceva altro che infastidire i suoi pensieri. Alla fine si arrese e accese malamente una sigaretta. «Al diavolo!» sbottò.
Lynn, che sulla sua serie tv preferita era più informata di Rita Skeeter su Hogwarts, riconobbe immediatamente l'uomo che, di lì a poco, sarebbe sprofondato in una crisi che gli avrebbe fatto consumare un pacchetto di sigarette in mezz'ora. Le venne subito un'idea meravigliosa e finalmente capì ciò che doveva fare. Non le importava se aveva ancora addosso gli abiti che le aveva prestato il Dottore per confondersi negli anni Ottanta: un piede alla volta, così silenziosa che sembrava non voler disturbare l'aria, fu a pochi passi da lui. «Tutto bene, signore?» domandò facendo finta di nulla.
Lui, per tutta risposta, grugnì nel voltarsi in direzione della voce, poi tornò alla sua sigaretta. Sentì i passi della ragazza che si avvicinava. Un fruscio gli suggerì che si era seduta proprio accanto lui. «Senti, bambola, siamo in un parco: ci sono altre panchine libere, qui.» Diede una boccata di fumo e si mise a studiare le nuvole, che gli regalavano una sensazione diversa in base alla loro forma in continuo mutamento.
«Io voglio rimanere qui. È la più comoda.» Accavallò le gambe e andò alla ricerca dei suoi occhi, invano. Era più che sicura fosse lui, quindi non volle arrendersi. «Io mi chiamo Lynn Grace Moore» aggiunse seguendo lo sguardo di lui.
L'uomo la guardò come se quella fosse la ragazza più strana che avesse mai incontrato. «Se cerchi di vendermi qualche diavoleria, sprechi il tuo tempo» ruggì da sotto i baffi.
«Senta, io sono qui per aiutarla, cosa crede? Quindi, a meno che non voglia che io usi le maniere forti, le suggerisco di rimanere calmo e di prendere appunti.» Si sentì carica e, per una volta, fiera di se stessa.
«Caspita, che caratterino... Ma... Aiutarmi? In cosa?» chiese allontanandosi di qualche centimetro dalla ragazza.
«Lei mi dica solo una cosa: il suo nome è Sydney Newman, vero?»
All'uomo cascò la sigaretta dalla bocca per la sorpresa. «Ma che diavolo...?»
«Lo è. Bene! Si metta comodo: ho qui per lei una storia che a molti sembrerà un po' troppo strampalata, ma che terrà incollati alla tv milioni di persone fin da subito. Parla di un alieno che si fa chiamare Dottore...»

 

 

Postfazione

 

 


Ed eccoci qui, amici, all'ultima “pagina”. Spero di non essere stata troppo noiosa né logorroica con le mie descrizioni a volte troppo dettagliate. Mi scuso anche – be', soprattutto – per il mio modo di scrivere, il quale ha ancora bisogno di una sistemata ed è per questo che ringrazio tutti coloro che hanno recensito, dandomi supporto e consigli!
Odio fare dei ritardi, ma fra le vacanze (al mare non avevo alcuna possibilità di collegarmi) e altri problemi famigliari pervenuti in seguito, non sono riuscita a pubblicare come avrei voluto... A metà del nono capitolo, poi, ho avuto una crisi, un blocco e per un po' non sono riuscita a proseguire: cancellavo tutto ciò che scrivevo e questo è abbastanza frustrante...
Dunque, come una brava Junsay, vi chiedo ancora umilmente perdono dicendovi anche che la mia mente non va mai in vacanza! Sotto il sole, infatti, ho architettato un'invasione di zombie ambientata nel medioevo ed un omicidio che prenderà piede nel mondo di Sherlock, il quale userò per un'altra fanfiction con il caro Moriarty. Poi, nel vedere un'immagine di David Tennant, mi è venuta in mente un'altra bella storiella che, però, non prenderà in considerazione l'attore, ma sarà solo un personaggio ispirato a lui. Ma ciò di cui vado maggiormente fiera è l'ultima storia che mi è venuta i mente: riuscite ad immagine quello che verrebbe fuori dall'incontro tra l'Undicesimo Dottore e Temperance “Bones” Brennan? Oddio, comincio già a vomitare arcobaleni!!
Be', grazie a tutti e alla prossima storia :D


xoxo
Tilena

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