The List

di Magali_1982
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 1.2 ***
Capitolo 5: *** 3 ***
Capitolo 6: *** 4 ***
Capitolo 7: *** 5 ***
Capitolo 8: *** 5.1 ***
Capitolo 9: *** 6 ***
Capitolo 10: *** 7 ***
Capitolo 11: *** 8 ***
Capitolo 12: *** 9 ***
Capitolo 13: *** 10 ***
Capitolo 14: *** 11 ***
Capitolo 15: *** 12 ***
Capitolo 16: *** 13 ***
Capitolo 17: *** 14 ***
Capitolo 18: *** 15 ***
Capitolo 19: *** 16 ***
Capitolo 20: *** 17 ***
Capitolo 21: *** 18 ***
Capitolo 22: *** 19 ***
Capitolo 23: *** 20 ***
Capitolo 24: *** 21 ***
Capitolo 25: *** 22 ***
Capitolo 26: *** 23 ***
Capitolo 27: *** 24 ***
Capitolo 28: *** 25 ***
Capitolo 29: *** 26 ***
Capitolo 30: *** 27 ***
Capitolo 31: *** 28 ***
Capitolo 32: *** 29 ***
Capitolo 33: *** 30 ***
Capitolo 34: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** 1 ***


The List.

Un’agendina.
Un oggetto piuttosto comune, rilevò mentre la raccoglieva da terra. Le dita passarono sopra la copertina nera usurata e dai bordi slabbrati. Sorrise sotto la sciarpa nel vedere in quei segni qualcosa di famigliare: il codice che ogni esperto consumatore di block notes, libri, quaderni, riconosceva come proprio.
Si guardò intorno, nell’aria fredda di un pomeriggio autunnale a Central Park. Non c’era nessuno oltre lei sul viale. Poteva essere caduta solo a quel runner che vedeva sempre, a cadenza quotidiana, da una settimana a questa parte.
Dire che si limitasse al jogging era limitativo. Lo sport preferito di molti newyorkesi pareva una pratica da poco, vista la sua velocità. Lui non si limitava a completare il Park Drive e i suoi nove kilometri abbondanti di percorso una volta.
No, un giorno aveva fatto caso al suo allenamento e aveva contato tre giri completi; quando lo vedeva comparire davanti a lei, sapeva che il primo era stato completato e così per altre due volte. Se la sua attenzione non fosse stata poi puntualmente riassorbita dal suo album da disegno, avrebbe sicuramente riconosciuto l’atleta. Con molta probabilità, sarebbe balzata in piedi con gli occhi fuori dalle orbite e un’agitazione dannata lungo tutto il corpo.
La verità era che non lo aveva fatto. Aveva la sua panchina, la sua routine, le sue matite e il lavoro che ogni giorno, dopo pranzo, portava fuori dal suo studio per fargli prendere aria con una bella passeggiata da Lafayette Street fino a Central Park South, rinvigorirlo in inventiva ed energia e ricominciare una volta seduta. Niente poteva distrarla, quando cadeva nella sua concentrazione capace di alienarla dal resto del mondo, anche quando questo resto del mondo era rappresentato dalla una delle sue città più grandi e caotiche.
Impacciata, la ragazza tornò a fissare la piccola Moleskine.
Era sicuramente qualcosa d’importante, vissuta e dovette lottare contro i suoi scrupoli per qualche minuto buono, passeggiando a ritroso verso la panchina dove giacevano le sue cose.
Stava abbozzando sul foglio una veduta in prospettiva che nulla aveva a che fare con il paesaggio a sua disposizione, quando il corridore era comparso, simile a un fulmine in pantaloni blu e maglietta e aveva perso il quaderno. Aveva solo fatto in tempo a registrare la caduta di un oggetto da una delle tasche ma quando aveva cercato di richiamarlo, era già lontano.
Poteva aspettarlo; avrebbe sicuramente fatto altri giri, non c’era bisogno di alzare la copertina per vedere se c’era segnato un indirizzo.
Così fece e per non perdere il momento giusto, aveva lasciato stare carboncino e gomma pane. Che sacrilegio.
Passarono dieci minuti. Poi venti. Dell’ uomo nemmeno l’ombra e dietro i grattacieli dell’ Upper West Side il sole stava cominciando a scendere, già parzialmente nascosto dalla coltre di smog che Manhattan espelleva dai suoi polmoni di cemento e motori. A New York non si poteva prendere sotto gamba i primi freddi; lì, autunno e inverno andavano presi ancora sul serio.
Sospirò, maledì il tempo perso e aprì il suo astuccio per cominciare a riporvi le matite. L’agendina era ancora lì, sopra l’album. Non aveva mai amato violare la privacy altrui, neppure quando era necessario; lei odiava quando qualcuno osava toccare le sue cose senza permesso e immaginava che gli altri avrebbero preteso la stessa delicatezza. Chi poteva sapere cosa si poteva scoprire?
Sfogliò alcune pagine. Erano bianche. Aggrottò le sopraciglia scure e folte, non trovando nemmeno uno straccio di numero di telefono, poi comparve.
Era una lista.
Non era stata segnata con un ordine preciso: pareva riportare avvenimenti e nomi a caso, come se il proprietario le avesse annotate mano a mano che le sentiva, per non dimenticarle.
L’allunaggio di Neil Armstrong nel 1969.
Chi non ne ha mai sentito parlare?
Il Muro di Berlino. In una parentesi, era stato aggiunto “Su e poi giù”.
Dovrai farti una bella cultura, allora!
La ragazza rise da sola, l’aria del respiro che si condensava in tante nuvolette bianche. Tornò a leggere.
Il cibo thailandese.
Guerre Stellari e- Star Trek?!
Non c’è storia. Jedi per tutta la vita.
Poi ancora Steve Jobs, i Nirvana, la colonna sonora di Troublemaker di Marvin Gaye. No, un momento: quest’ultima e la nota su Guerre Stellari erano state barrate. Forse il runner  aveva già colmato quelle due lacune, se di lacune si poteva parlare.
Ridacchiò di nuovo, prendendo in spalla la sua sacca rettangolare.
Sarebbe tornata domani. Lo avrebbe fermato, gli avrebbe restituito quanto perso e chissà… magari gli avrebbe suggerito alcuni titoli di libri che doveva leggere, di cose che doveva vedere. C’erano troppe pagine bianche.


Angolo (tetro e buio) dell’autrice: buon salve a tutti, se siete arrivati fin qui! Una precisazione mi sembra doverosa, giusto per fugare ogni dubbio: sono totalmente digiuna del ComicVerse della Marvel, la storia che leggerete si basa esclusivamente sul MovieVerse e su giornaliere sedute di brainstorming con la mia betareader che sicuramente ne sa più di me e mi aiuta a colmare tali lacune. Dovendo gestire due lavori, garantisco un aggiornamento a settimana. Non so cosa augurarvi, spero che il prologo vi abbia incuriosito abbastanza da volerne sapere di più. In questo caso, a venerdì prossimo!

Maddalena






 

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Capitolo 2
*** 1 ***


1.


Quando Steve Rogers lo aveva contattato per sapere se poteva passare un periodo a New York e rivedersi, Tony Stark aveva pensato a uno scherzo.
Un secondo dopo, si era ricordato che il prode Eroe della Nazione non aveva alcun senso dell’umorismo, quindi doveva essere tutto vero. Quando Pepper gli aveva fatto gentilmente notare come il suo invece fosse assai opinabile, il milionario si era dileguato dal loro attico sulla sommità della Stark Tower dicendole che non aveva tempo da perdere in congetture, dal momento che doveva far preparare le stanze per una leggenda vivente.
Il motivo per cui Pepper Potts, l’unica donna capace di amare e sopportare Tony Stark e il suo ego in perenne sovra stimolazione, non aveva trovato altro da dire era che quello non era stato un banale diversivo; esistevano effettivamente, quelle camere. Erano state inserite, insieme ad altre cinque, nel nuovo progetto della Stark Tower: spazi privati indipendenti, dislocati su sei piani collegati da una rete di ascensori, con aree in comune decisamente peculiari. Erano destinate a diventare il nuovo, vero cuore della struttura e la loro importanza era tale da far pensare al loro ideatore di cambiare nome all’imponente edificio, una volta fosse stato ultimato. L’unico, serio problema era: un’insegna grande il doppio di quella prevista in origine, non sarebbe stata troppo persino per lui?
  Erano trascorsi due anni dall’ invasione dell’ isola di Manhattan da parte dei Chitauri e New York stava dimostrando, dopo le Torri Gemelle, di possedere ancora gli anticorpi giusti per cominciare la cicatrizzazione di ferite ritenute troppo devastanti per venir riassorbite.
Prima di ogni cosa era stato necessario ricostruire il tessuto dei trasporti; quindi il Grand Central Terminal, snodo principale di tutta la rete ferroviaria che serviva la metropoli, era stata la prima opera messa in cantiere; l’atrio era stato sventrato da uno dei colossali leviatani vermiformi corazzati degli alieni trasportati sulla Terra da Loki e varie esplosioni avevano danneggiato il primo piano che ospitava quarantuno binari.
La città si era trovata praticamente isolata alla fine dei combattimenti, dal momento che anche le strade limitrofe erano ricoperte dalle carcasse divelte di mezzi rimasti coinvolti nella battaglia, vetri e rottami di vario genere piovuti dall’alto a causa degli edifici danneggiati; le vie di accesso furono ripristinate come logica conseguenza del ritorno in attività dei treni.
 Era stata poi la volta della metropolitana, degli incroci e via a salire. Gli abitanti si erano dati da fare subito dopo la vittoria dei Vendicatori: l’opinione pubblica poteva ancora essere divisa su di loro ma lì, tra SoHo e Hoboken, chiunque avesse parlato male di Iron Man o di Captain America si sarebbe trovato sotto lo sguardo freddo e perplesso di chi aveva visto la morte in faccia ed era stato salvato da uno scudo in Vibranio con incisa sopra una stella argentata.
Si dava il caso che ora il suo proprietario fosse tornato nella Grande Mela, quando i bene inseriti nell’ambiente dell’ Intelligence davano per certo il suo trasferimento definitivo a Washington. La comparsa di Steve nella splendente, nuova Hall della Stark Tower aveva dimostrato una volta di più che il nome Intelligence era stato appioppato ai servizi segreti da qualcuno dotato di  notevole autoironia. Non erano riusciti a monitorare gli spostamenti del Capitano e nemmeno a sapere con certezza dove fosse il suo ultimo alleato, Sam Wilson.
A Tony era  parso chiaro che il suo attempato ragazzone fosse molto meno facile da controllare che in passato e pronto a prendersi tutte le libertà di cui aveva bisogno, come un viaggio di quel genere;sicuramente i fatti di cui era stato debitamente informato avevano portato a galla conflitti interiori mai sopiti e rimorsi impossibili da dimenticare.
Quando aveva saputo che lo SHIELD era stato oggetto di pesanti infiltrazioni da parte dell’ HIDRA, che il sottosegretario Alexander Pierce ne era un esponente operativo e che il suo coinvolgimento in un piano folle di punizione preventiva di chi poteva, un giorno, divenire un nemico e oppositore al sogno di dominio mondiale fondato dal Teschio Rosso, aveva comportato la distruzione dell’ intero quartier generale dell’ organizzazione, non era riuscito a fare la sua solita sequela di battute di spirito. Anche lui era stato ospite di quella base. Anche lui, tenuto all’oscuro dei veri obiettivi del progetto Insight,aveva ideato e costruito i nuovi propulsori dei tre Helicarrier ora finiti sul fondo del bacino artificiale in cui una volta si specchiava il Triskelion.
Rogers era stato molto preciso nel suo racconto e lo aveva concluso rivelandogli il motivo per cui aveva voluto vederlo.
No, non aveva avuto un’acuta, lancinante mancanza del genio, miliardario, playboy, filantropo.
Sicuro Stevie?, gli aveva chiesto sbattendo malinconicamente le ciglia. Sicuro, gli era stato graniticamente ribattuto.
Ci sarebbe voluto comunque del tempo per trovare le informazioni, tutte le informazioni possibili, sul Soldato d’ Inverno. Ora lo SHIELD non esisteva più; persino Fury aveva adottato una nuova identità per poter raggiungere l’ Europa e organizzare le giuste contromosse per tentare di decapitare ogni testa che l’ HIDRA poteva rigenerare; Wilson aveva preso dei contatti in segreto con lui per aiutarlo, rimanendo di fatto a Washington in incognito per fornirgli notizie e gli appoggi giusti presso la rete dei veterani di guerra europei conosciuti in Iraq.
Quanto a Captain America, sentiva di essersi meritato un lungo congedo: doveva ritrovare un amico creduto morto  che per poco non lo aveva ucciso e risposte a troppe domande, anche se avesse significato dover ridisegnare la propria esistenza. L’eventualità non lo entusiasmava. Volendo essere onesto, Steve non sapeva che sapore potesse avere la parola stessa.
 Entusiasmo.
Il significato era andato perduto molto tempo prima del Progetto Avengers, prima della guerra contro Loki. Si era dissolto in una tempesta di neve, portato via dal vento, in un giorno terribile del 1944.
Peggy. Questa è la mia scelta.
Aveva pensato che quella sarebbe stata l’ultima da compiere in tutta la sua vita. Non era stato così. Dopo quella aveva dovuto prenderne molte altre e ben poche gli avevano lasciato ricordi per cui sorridere. Qualcuno avrebbe potuto dirgli che doveva ritenersi fortunato per quei momenti felici; forse sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbe creduto al conforto che solo le frasi fatte sapevano dare ma adesso poteva solo fare i conti con l’ultima compiuta, quella di non rivelare a Stark l’esistenza di un dossier sul Soldato d’ Inverno. Prima di rivelargli la verità sulla morte dei suoi genitori e affrontare le conseguenze, Steve aveva bisogno di un terreno stabile sotto i piedi, dove poter cadere se tutto fosse precipitato di nuovo, con la certezza che non sarebbe sprofondato.
Per questo non aveva voluto saperne di approfittare dell’ospitalità offertagli subito ma Pepper aveva talmente insistito che alla fine aveva accettato, trovandosi a sua disposizione un appartamento grande abbastanza per ospitare senza impiccio due famiglie numerose, collocato proprio sotto l’attico del padrone di casa e totalmente indipendente dal resto del grattacielo. Lui era il primo Vendicatore a sperimentare le nuove comodità della Stark Tower rinata.
“Così ci eviterai l’imbarazzo di vedere la processione di donne che ti porterai ogni notte!”
Tony lanciava le sue provocazioni con la perizia di chi sa di andare a segno; aveva gongolato nel vedere l’espressione scandalizzata del Capitano, così scopertamente imbarazzata e sdegnosa da destare tenerezza. In realtà, aveva scoperto che per quanto si sforzasse, il figlio di un’altra epoca non riusciva a integrarsi nel mondo che lo aveva accolto al suo risveglio. Sicuramente era troppo teso, quel benedetto figliolo, troppo ingessato. Doveva assolutamente lasciarsi andare, oppure qualsiasi contrattempo sarebbe diventato grosso e invalicabile. Come quello che stavano affrontando proprio in quegli istanti.
“Non capisco perché tanta agitazione.”
Steve, mani sui fianchi e cipiglio marziale, fissò l’ami- il colle- il compa- Tony come se non facesse alcuno sforzo per comprendere il suo dramma. Cosa tra l’altro verissima.
“Ci tenevo particolarmente, tutto qui”, borbottò per poi prendere a passeggiare nell’attico come un leone in gabbia.
“Non è che oggi hai rimediato il numero di qualche runner da schianto, lo hai perso insieme alla tua agenda e ora sei lì a piangere sull’occasione persa?”
“Questa è fiacca persino per te!”
“Questo è il primo segno che dai di un barlume di spirito ironico, vecchia roccia. Sono fiero di te.”
In effetti, Steve si rendeva conto che si stava imputando come un bambino su una futilità ma quella piccola Moleskine lo seguiva da quando la prima missione degli Avengers era conclusa.
Era stata Natasha a cominciare, il giorno in cui si erano rivisti dopo la fondazione ed entrata in azione della squadra STRIKE, con il suggerimento di cercare tutto il materiale possibile sul primo viaggio dell’Uomo sulla Luna, il trionfo incarnato di un’ intera Nazione che premiava anni di sfide coraggiose e traguardi sempre più impossibili. Aveva detto gli sarebbe piaciuto. In fila erano venuti altri suggerimenti e uno proveniva proprio da Tony stesso.
“Non ho ancora provato la cucina thailandese…” ammise con profonda contrizione, fissando le luci di Manhattan, insolitamente limpide in quella notte di freddo autunnale. Aveva cercato il suo quadernino ovunque, lungo tutto il tragitto della Park Ride, interrompendo la sua corsa quotidiana. Niente.
“A questo si può rimediare” rispose pratico il padrone di casa. Si sfregò le mani. “Stasera t’inizierò alle delizie del servizio da asporto.”
Si allontanò dal bancone da bar, chiedendo a Jarvis di comporre il numero del ristorante Thay più popolare del quartiere e dopo fissò per un istante l’alta figura che ora gli dava le spalle. Avrebbe ucciso Pepper se un giorno gli avesse rivelato quanto fosse preoccupato per lui; insomma, Tony sarebbe stato ben lieto se Captain America avesse lasciato perdere il peso del suo ruolo per comportarsi con più disinvoltura. A volte aveva la sensazione che i doveri di cui era stato investito come Primo Vendicatore fossero una sorta di coperta di Linus, capace di riparare il suo padrone da un mondo che lo terrorizzava.
Se Tony si fosse degnato di chiedergli cosa lo turbava tanto invece di indagare con impudenza sulla sua vita privata e sessuale, Steve gli avrebbe volentieri risposto che non era il mondo a fargli paura ma chi lo abitava. La società si era complicata, stratificata e ramificata in un modo tale da toglierli tutti gli appoggi basilari su cui era cresciuto; va bene, erano una serie di codici morali, di comportamenti ma non riconoscendoli più nella loro evoluzione, il coraggioso soldato che aveva salvato il mondo già due volte si sentiva solo, indifeso e debole. Come il ragazzino ammalato d’ asma che veniva sempre picchiato dai bulli perché incapace di non reagire davanti a un sopruso. Questa volta  lo sbruffone non aveva un volto ma migliaia di volti e cercare di fronteggiarlo era una lotta impari, per quanto non l’avrebbe abbandonata nemmeno a costo della vita. Se si scappava una volta, dopo era impossibile fermarsi.
Per questo correva sempre così tanto, così veloce. Per rendere indefiniti i contorni di una realtà aliena, dove non aveva punti saldi di riferimento. Per questo annotava tutto ciò che valeva la pena di apprendere, sentire, vedere, assaggiare, leggere. Per trovare il vero significato da dare alla sua seconda possibilità.



Angolo (tetro e buio) dell' autrice: ho dovuto apportare delle modifiche (avevo clamorosamente sbagliato una data e con l' HTML devo decisamente recuperare la mano...) ma eccolo qua; capitolo primo. In realtà non ho molto da dire ma una cosa non posso dimenticarla: un grazie enorme come l’ego di Tony a chi ha cominciato a leggere The List e mi ha lasciato la sua opinione, a chi ha letto e basta e alle ragazze di un gruppo Face Book le cui dissertazioni mi fanno sempre morire dal ridere e lasciano ottimi spunti. La scorta mensile di Fruttolo va ad Alkimia EFP, lei sa perché. A venerdì prossimo!
Maddalena.

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Capitolo 3
*** 2 ***


2.


Quel pomeriggio, Andy non uscì dallo studio con il suo solito borsone.
Si sentiva decisamente leggera e non era una bella sensazione; le piaceva solcare i marciapiedi di SoHo a passo spedito, bilanciando la sacca rettangolare che le premeva contro il fianco e tutto il suo peso col suo incedere battagliero, sapendo di essere diretta alla sua amata panchina di Central Park.
Adesso, con quella borsetta a tracolla troppo leggera, era come annaspare senza un equilibrio affinato negli anni. Non poteva portasi dietro il suo armamentario da disegno completo perché sapeva che, se avesse cominciato a lavorare una volta seduta, avrebbe perso di vista il suo vero obiettivo; davanti a un foglio, la sua capacità di concentrazione era tale da farla sprofondare in chissà quale universo parallelo. C’era chi la chiamava “bambina autistica”, in quei momenti e lei rideva sempre fieramente di quella battuta, sbatteva le lunghe ciglia scure e affermava che avevano ragione.
Oggi doveva riuscirci; doveva restituire quell’agenda al suo legittimo proprietario, per questo non poteva distrarsi, vista la velocità in corsa di quel runner stakanovista. A lei bastava un’ora di passeggiata al giorno, con alcune digressioni come piacevoli gite sotto gli aceri che orlavano le rive del Reservoir; ad altri, occorrevano minimo tre giri del Park Ride.
Il cielo era ancora limpido, di un colore azzurro tanto puro da ferire lo sguardo; l’aria fredda, insolitamente trasparente, come se lo smog di Manhattan sparisse quando si arrivava a pochi isolati dal parco. Quello era uno dei tanti aspetti che le faceva amare New York; chi non ci viveva non poteva capire la consolazione dei suoi abitanti nel sapere di avere un simile polmone di verde sempre disponibile e capace di offrire l’illusione di un luogo calmo, quasi fatato se lo si rapportava alla realtà fatta di grattacieli e fumo. La ragazza si guardò intorno, realizzando di essere arrivata in tempo; ora doveva solo sperare che il suo corridore fosse un uomo a cui non piaceva cambiare la propria routine.
Si sedette, prese la borsa sulle ginocchia, l’aprì. Accanto al suo libro c’era la Moleskine.
L’attesa non durò molto.
Allo scoccare della solita ora, il corridore comparve oltre la curva del Park Ride, lanciato come sempre in una corsa da primato olimpionico sui duecento metri. Sollevata, Andy si alzò, le labbra arricciate nel più bel sorriso che potesse riservare a uno sconosciuto. Lo riconobbe quando se lo trovò a tre metri di distanza e il mezzo passo che voleva fare prima di richiamarlo rimase bloccato; per poco non si sbilanciò totalmente in avanti.
Avete presente una di quelle frasi che si formulano in casi simili? Prendete la più banale. La più vera.
Non può essere.
Andy pensò proprio questo e non ebbe il tempo di dirsi che poteva almeno sforzarsi di trovare qualcosa di più originale da dire, nel trovarsi  a due passi il simbolo di una Nazione, il salvatore del mondo, una leggenda vivente.
Continua la fiera della “chiara constatazione dell’ovvio”?!
Qualunque cosa fosse, durò giusto quei cinque secondi di troppo. Andy perse l’attimo, tentando di non finire a terra nel modo più stupido del mondo.
Steve Rogers, Captain America, era già oltre lei. Molti metri, oltre lei.

Steve aveva sempre amato la disciplina appresa durante il suo addestramento militare. Specie ora che quei riti erano divenuti l’unica certezza tramite cui sfogare un turbamento profondo, che credeva sopito, da quando era entrato nella squadra dei Vendicatori trovando una sorta di nuova collocazione in quel mondo che non riusciva a definire totalmente suo.
Poi era comparso il Soldato d’ Inverno e dietro di lui aveva scorto l’orrenda testa di un mostro ritenuto morto nei ghiacci dell’ Artico. Era stato lui a decapitare l’ HIDRA ed era stato pronto a morire per ottenere quel risultato. Purtroppo, avrebbe dovuto tenere a mente che la bestia mitologica in questione si rigenerava.
Non poteva aspettare che Tony riuscisse a reperire tutta la documentazione perduta sul braccio armato di quell’ organizzazione ed era uscito per la sua solita corsa pomeridiana seguendo una tabella di marcia invariata.
Central Park era una costante della sua vita di ragazzo di Brooklin. Non era cambiato, non era stato travolto dalla corsa in avanti dei decenni; poteva riconoscerne i padiglioni, gli stagni, i ponti in ferro tutti diversi gli uni dagli altri. Molti alberi erano cresciuti, altri erano stati sradicati ma al loro posto vi erano nuovi arbusti, nuovo verde e sempre lo stesso silenzio, la stessa pace, nonostante New York non potesse star zitta per sua stessa natura. Gli piaceva anche quel chiasso, che durante gli ultimi settant’anni si era arricchito di nuovi clacson, sirene e fischi. La base restava quella conosciuta da lui e Bucky, quando arrivavano a Manhattan per trascorrere insieme l’ennesima serata in cui l’amico avrebbe fatto conquiste e lui una nuova figuraccia con la ragazza di turno.
Gli mancavano quei momenti ed era meglio non pensarci, sapendo ora che da qualche parte c’era qualcuno col viso di Bucky, gli occhi di Bucky, con la sua voce e allo stesso tempo non era lui.
Svoltò la curva del Park Ride con rinnovata energia nello slancio, la bocca contratta e la vide.
Una ragazza, con in mano qualcosa di piccolo e scuro. Indossava un trench rosso fragola, impossibile da non notare, le gambe erano fasciate da pesanti calze nere che finivano in un paio di stivali borchiati. E il cappello, nero anche quello, aveva quelle che sembravano delle piccole orecchie da gatto. Ah, e aveva tutta l’aria di stare cercando qualcuno. Lui, nella fattispecie.
Però non lo fermò e divenne solo il ricordo di una macchia colorata mentre finiva il primo giro, attaccando il secondo. La trovò ancora lì, esattamente nello stesso punto e questa volta cercò il suo sguardo.
“Ehy!”
Sventolava in aria qualcosa. Era la sua agenda.

La questione andava presa di petto.
Andy se lo disse facendo appello a tutto il suo senso pragmatico. La tachicardia, il rossore e il loro corredo dovevano gentilmente venir deposti in un bel baule e chiusi dentro a furia di saltare sopra il coperchio a piedi uniti. Non doveva importarle nulla di aver incrociato la vita – o meglio, la corsa – di colui che aveva salvato la sua città ed era il sogno di quasi tutta la popolazione femminile degli Stati Uniti. Si detestava per quel tipo di pensieri ma in fin dei conti era un essere umano e la carne e il sangue sapevano riconoscere qualcosa di bello, quando la vedevano. Specie i suoi.
Altrimenti non avrebbe mai intrapreso la carriera di Concept Designer e illustratrice.
Inspirò profondamente, sistemò il suo adorato berretto. Era famosa tra i suoi amici per il sangue freddo e l’invidiabile faccia di bronzo che sapeva tirar fuori nei momenti giusti; era stata capace di chiedere a un famoso cantante di musical una dedica particolare su un disegno che lei aveva fatto, di nascosto, per regalarlo autografato a una sua cara amica capace di vedere “Les Misérables” a Broadway per diciotto volte.  Non avrebbe deluso i suoi ammiratori proprio adesso.
Il problema era fermare Captain America.
La soluzione era far finta di non possedere alcuna dignità e farsi notare, al di là del colore del suo trench. Si portò in mezzo al viale e ignorando gli sparuti ciclisti di quel pomeriggio, portò le mani sui fianchi e pestò il piede destro per terra ripetutamente, fino al momento giusto.
Stavolta lo guardò, benedicendo la sciarpa di cotone che nascondeva le guance in fiamme e alzò il braccio in aria, armato di Moleskine.
“Ehy!”
*

“Signore, temo sia impossibile effettuare una ricerca incrociata.”
Tony registrò quella resa alzando le sopraciglia e abbassando la tazza di caffè che stava bevendo.
“Jarvis, questo non è da te.”
Davanti a lui erano aperte tre schermate virtuali: la prima riportava tutti i filmati sulla distruzione del Triskelion, la seconda passava in rassegna l’immane quantità di documenti segreti riguardanti i membri dello SHIELD corrotti, l’ultima una serie di database che solo un occhio inesperto avrebbe potuto giudicare di minore importanza: i voli aerei delle principali compagnie che servivano la East Coast, relative liste dei passeggeri, foto e numeri dei passaporti, le condizioni meteo di tutti gli Stati affacciati sull’ Atlantico, chi stava obliterando in quel momento un biglietto di autobus o vidimando il relativo abbonamento.
“Desolato signore ma a quanto sembra, lo SHIELD non aveva mai saputo nulla del Soldato d’ Inverno.”
Desolantemente plausibile: un mostro con nove teste poteva anche nasconderne una alle altre otto.
Sapere che la più potente agenzia governativa del pianeta, addetta alla sicurezza mondiale e alla sorveglianza di attività terrestri ed extra terrestri era stata tramutata inconsapevolmente in una di loro non gli dava la gioia maliziosa che aveva sperato.
 Per gran parte della sua vita si era chiesto perché suo padre fosse stato uno tra i fondatori del primo nucleo operativo; i racconti sulle gesta di Captain America, le scoperte fatte per un bene tanto superiore quanto astratto, inquantificabile, non lo avevano affascinato quando era bambino. Aveva compreso la verità troppo tardi; quando Howard Stark non c’era più per sentire suo figlio chiedergli scusa e perdonarlo di tutto il tempo sottratto alla sua famiglia.
Per ottenere qualcosa era necessaria che un’altra di pari valore ed energia venisse ceduta in cambio. Cruda fisica declinata nella vita reale.
“Non importa; continua a cercare” ordinò fiaccamente, tornando al suo caffè.
Le porte dell’ascensore privato si aprirono con un leggero soffio.
Radiosa in un mini abito ceruleo che le lasciava scoperte le braccia, Pepper Potts entrò in punta di piedi in quel momento di depressione. Non salutò il compagno, limitandosi a studiare la situazione con una lunga occhiata. Tony non le nascondeva nulla e di questo gli era grata ma quella sensazione di fiducia reciproca portava in cambio a un senso d’impotenza che ogni donna innamorata avrebbe voluto sconfiggere per aiutare il proprio uomo. Andò a posare su un tavolo una cartelletta e si avvicinò, osservando l’ultima schermata aperta da Jarvis.
“Hai già controllato i database ospedalieri?”
Nonostante non ne avesse particolarmente voglia, il milionario le regalò un’occhiata da sopra la spalla, sorridendole. Pepper sapeva sempre cosa pensava, come agiva, perché lo faceva. Non era mai stato nel suo stile farlo notare ma da quando aveva iniziato a lavorare nel suo staff, Tony aveva fatto presto ad abituarsi ad averla appena un passo dietro di lui, pronta a risolvere l’ultima relazione mordi e fuggi del suo capo, a ricordargli che doveva firmare sei nuovi contratti, a togliergli di mano l’ennesimo bicchiere di scotch. Poi quel passo era stato annullato e adesso l’aveva accanto. Poteva dirsi felice? Sì, poteva.
“Nessun uomo corrispondente alla descrizione del nostro amico è stato ricoverato a Washington e nemmeno nel relativo distretto.”
“Quindi significa che dopo l’esplosione dell’ Helicarrier non ha riportato ferite gravi.”
Passandole un braccio attorno alla vita, Tony alzò le spalle. “L’unico che ci ha detto fosse vivo è stato Stevie. E non puoi scommettere sulla lucidità dei ricordi di qualcuno che ha rischiato di morire annegato, con diverse costole rotte e la testa trasformata in un punchin’ ball proprio dall’uomo che ora sta cercando.”
Pepper assottigliò le palpebre e rimase in silenzio, osservando ostinatamente il profilo rilassato dell’uomo.
“Oh, ti prego.” Borbottò esasperato dopo due minuti, senza guardarla.
“Cosa?” Uno sfarfallio di ciglia mortalmente innocente.
“lo stai facendo, lo stai facendo di nuovo!”
“Signor Stark, è troppo criptico.”
“Mi stai fissando con tutto il carico della tua muta obiezione che tenta di perforarmi la nuca!”
Pepper scoppiò a ridere, tenendosi stretta a lui. “Se tu non credessi che Bucky Barnes fosse ancora vivo, non avresti offerto al Capitano Rogers tutte le risorse di Jarvis per rintracciarlo.”
Il bacio che Tony le scoccò sulle labbra ancora dischiuse fu il suo modo spiccio e burbero per ammettere che aveva ragione senza dirlo ad alta voce. Una stretta più possessiva della sua mano sul fianco, prima di scivolare via da lei e dirigersi al bancone del bar.
“E’ incredibile come siano riusciti a non far trapelare mai che l’ HIDRA era sopravvissuta.” Prese due bicchieri da Martini, continuando a parlare. “Un abile gioco di specchi e avevano sia quelli, sia chi poteva muoverli per rendere impossibile capire cosa vi si stesse riflettendo.”
“Potremmo chiedere all’agente Hill se aveva mai sospettato qualcosa.”
Pepper si trovò davanti al naso una pinza da ghiaccio, sventolata con un gesto saccente.
“La signorina Hill adesso lavora per le Stark Industries; ho la sensazione che ora non le piaccia venir chiamata col suo vecchio grado.”
“Pensi che dovremmo dirlo a Steve?”
“Prima vediamo quanto tempo ci metterà a rimettersi in sesto.”
“Oh, non mi sembra così acciaccato, anzi. In caso sono certa che qualcuna delle tue impiegate ha una specializzazione in massaggio thailandese che non vede l’ora di sfruttare.”
Per un irrazionale attimo, Tony contemplò l’idea di tirare alla sua allusiva, divertita fidanzata un’oliva in testa. Poi decise che stava molto meglio nel drink appena finito di preparare. Non era certo che la gelosia gli piacesse, non poteva controllarla e gli faceva fare pensieri puerili. Beh, più puerili della sua media.
“Oh, mai io non mi riferivo all’aspetto fisico. Tanto so che è tutto merito del pilates, quella sua tonicità. Parlavo di un altro tipo di ferite.”
Pepper era pronta a giurare di aver scorto un barlume di serietà ben nascosto nell’ossatura di quella frase ma non poté chiedere spiegazioni. Con un secondo, morbido fruscio, le porte dell’ascensore si aprirono di nuovo facendo entrare l’aitante oggetto della loro discussione.
“Ecco il nostro prode Capitano! Central Park è sempre in mano amica?”
Steve fissò la coppia, l’attico inondato dalla luce del tramonto, le schermate ancora aperte. Pareva distratto. Solo così si poteva giustificare la mancata, fulminante occhiataccia che di solito lanciava a quel dissacratore di professione che era il signor Stark quando sentiva le sue battute.
“Sì, sì”. Rimise qualcosa in tasca e poi sorrise con soddisfazione a entrambi.
“Ho cancellato il cibo thailandese dalla mia lista.”
Pareva incredibile ma per la prima volta da quando era arrivato a New York, Steve sembrava più rilassato. Allarmato da una simile incongruenza, Tony lo osservò mentre si avvicinava a Pepper che gli chiese se voleva qualcosa da bere. Non visto, poté scrutare attentamente il suo viso e trovò confortante che la solita vena malinconica albergasse nel fondo del suo sguardo. Era sempre Steve Rogers, uomo integro e tutto d’un pezzo, il bersaglio ideale della sua ironia.
Eppure…
“Non provare a rifiutare l’invito della signorina Potts. Cosa ti possiamo offrire?”
“Lo sai che non provo nessun piacere a bere alcol.”
“Come in molte altre cose, pare. Ma prima che tu mi uccida per questa ennesima, bassa insinuazione sulla tua vita, fammi morire contento. Come hai ritrovato la tua agendina?”
Steve chiuse le mani a pugno, non si sapeva se più indignato per l’ennesima frecciata o perché non gli era sfuggito il riferimento. Allora sorrise, sfacciato, tirando in su l’angolo destro della bocca in una smorfia. Sentiva che stavolta poteva, doveva ribattere a tono.
“Qualcuno con le orecchie da gatto. E prima che tu possa chiedermi se sono impazzito, Stark, gradirei un whiskey irlandese.”


Angolo (buio e tetro) dell' autrice: ed eccoci con l'aggiornamento settimanale. Fin'ora non l'ho mai specificato ma i luoghi citati di New York sono sempre, quando mi è possibile, esistenti. Sia benedetto Google Maps. Fa eccezione la Stark Tower, ovviamente! Ringrazio ancora, sentitamente, chi mi segue e vuole farmi sapere cosa ne pensa di The List; forse questo progetto, nato nella più totale inscoscienza, non era poi tanto avventato! ;)
A venerdì prossimo; preparatevi al ritorno del Soldato d' Inverno!

Maddalena
 

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Capitolo 4
*** 1.2 ***


1.2
 

First Rewind


Nasconditi.
Quello era stato il suo primo pensiero. Andarsene dalla riva del bacino d’acqua, lasciarlo lì. Era vivo, lo aveva visto aprire gli occhi. Forse lo aveva persino riconosciuto. Non poteva accertarsene. Non doveva.
La neve stava tornando, presto nella sua testa sarebbe tornato tutto bianco e allora solo una cosa avrebbe importato.
Ucciderlo.
E lui non voleva. Gli fosse costata anche quella poca sanità mentale riacquistata a un prezzo decisamente fuori mercato, non avrebbe portato a termine la sua missione. Non quella.
Il gelo candido di cui ora aveva paura era simile a una tempesta di milioni di cristalli taglienti; il freddo mortale, il vento, quella chiazza di sangue, carne macerata e ossa spaccate che un tempo erano state il suo braccio sinistro, erano le uniche cose che ricordava e riconosceva come parte del mondo. Era un sipario perfetto, duro come l’acciaio, alto come le mura più impervie e capace di avvolgerlo così strettamente da fargli credere non ci fosse altro, oltre di esso. Poi arrivava qualcuno che faceva cessare quella nevicata fitta, asfissiante, compatta, senza rumore. Il velo indistruttibile veniva lacerato e dietro i suoi lembi comparivano volti sfocati. Delle voci superavano il ronzio che rendeva sorde le sue orecchie e gli davano un nuovo ordine.
Da quell’esatto momento, il Soldato sapeva che una bolla di colori, cacofonie, corpi, facce stava per scontrarsi con lui, trascinandolo di nuovo nel mondo. Un mondo di cui conosceva solo le identità di chi doveva eliminare. Gli venivano date nuove armi, gli venivano impartite nuove ore di un addestramento che non finiva mai e poi-
Tornava la neve.
Se avesse conosciuto l’uso di uno strumento elementare di un tempo che non aveva mai vissuto, il Soldato avrebbe pensato che la sua esistenza era il nastro di una videocassetta continuamente riavvolto per tornare all’inizio.
Play.
Vai.
Compi la tua missione.
Stop.
Sangue sul braccio di metallo. Fuoco. Morte.
Rewind e-
Stavolta, mentre la mano destra era premuta sulla ferita aperta sul fianco, non sarebbe andata così. La neve sarebbe tornata, certo, ma non avrebbe ceduto al suo abbraccio. Sarebbe andato avanti, quando si fosse svegliato.
Erano passate ore e dopo l’affondamento dell’ ultimo Helicarrier, l’aria era ancora impregnata dai miasmi della benzina che bruciava; dense colonne di fumo nero salivano con lenta ferocia verso un cielo che per un beffardo senso dell’ironia, quel giorno era di un blu sorprendente. Gli ultimi splendori dell’ estate di Washington che venivano crudelmente nascosti dall’eco di esplosioni ormai lontane. Dappertutto risuonavano impazzite decine di sirene. Continuò a sentirle per ore, mentre trovava riparo tra alcuni alberi del parco circostante l’area. Perché non tornava il silenzio?
Perché continuava a vedere gli occhi di quell’uomo, colmi di una fermezza che solo la disperazione di un pazzo poteva dare, mentre gli mormorava-
Interferenza.
La testa fu sul punto di esplodergli, col vuoto di decenni che veniva riempito da immagini, frammenti di dialoghi, persino risate. E lui, l’uomo con lo scudo, che tornava sempre.
Credevo fossi morto.
“Credevo fossi più piccolo.”
Il Soldato strinse tanto forte i denti da produrre un suono minaccioso, un ringhio  fatto di ossa serrate e frustrazione. Quello era un altro ricordo, emerso dalla neve e bruciava peggio di un proiettile piantato nel cuore. Aveva parlato ad alta voce, mentre attorno a lui Washington si affannava a cercare superstiti, a cercare spiegazioni, a cercare un perché a tanta distruzione.
Lui avrebbe potuto dare molte risposte. Lui era il braccio armato del mostro a nove teste che aveva architettato un piano magnifico anche nel momento del suo annientamento. Ma non le avrebbe date. Non erano importanti, adesso.
Con un gemito, si alzò. Stava perdendo molto sangue. Doveva curarsi. Doveva sopravvivere.
Doveva trovare l’uomo con lo scudo e-
Interferenza.
Neve.


Era stato addestrato a sopravvivere nelle condizioni più disumane. Lui stesso era l’essenza più vera della disumanità.
Aveva trovato di che curarsi, penetrando nel pronto soccorso di un ospedale troppo intento a ricoverare decine di ustionati gravi, i superstiti di quella che già chiamavano “l’Apocalisse del Triskelion”, per accorgersi che un ladro era riuscito ad entrare nel magazzino dei medicinali portando via dell’anestetico a uso locale, dei pacchi di garze sterili, diversi aghi da sutura, disinfettante, punti a farfalla, antibiotici e antidolorifici.
Aveva sudato, imprecato stringendo tra i denti un pezzo della sua divisa in kevlar mentre si medicava da solo, pulendo e ricucendo i lembi della ferita.
C’era di nuovo il bianco perfetto della tempesta ad avvolgerlo, rendendogli chiare solo le azioni più basilari per rimanere vivo.
La voce dell’uomo con lo scudo era stata dimenticata, così come lui e gli altri ricordi che avevano osato riemergere in un osceno puzzle impossibile da ricomporre.
Non aveva dormito, dopo la medicazione. Aveva ascoltato i rumori della città in allarme; dal vicolo dove aveva trovato riparo, l’unica cosa che si poteva vedere era il cielo, lassù, una striscia azzurra tra i due caseggiati che gli gravavano addosso. Doveva esserci stata una finestra, da qualche parte e una voce distorta aveva annunciato che un hacker all’interno dello SHIELD aveva esposto al mondo intero i segreti dell’ agenzia governativa più potente degli Stati Uniti, rivelando che sotto lo scudo dormiva una bestia i cui tentacoli erano affondati a qualsiasi livello della società creduta civile.
Dopo che le prime iniezioni di calmanti avevano fatto effetto, il Soldato aveva pensato a trovare di che mangiare. Era stata quella notte, in un supermercato di periferia, che aveva visto i giornali già consegnati per l’esposizione del giorno dopo. Aveva preso uno anche di quelli, prima di mettere fuori uso il primitivo circuito di telecamere di sorveglianza e cancellare ogni traccia del suo passaggio.
Ora che non aveva più un punto di raccolta a cui tornare, nessuno che lo aspettasse per riavvolgerlo in quel bianco gelido che sapeva di morte, doveva trovarsi ogni giorno nuovi nascondigli.
Lo SHIELD non esisteva più ma non poteva dire lo stesso dell’ HYDRA. Forse era solo colpa dei suoi sensi tesi fino allo spasimo ma sentiva ancora addosso il respiro di almeno otto delle nove teste che la componevano; per questo evitò di proposito le basi segrete dislocate tatticamente nei punti nevralgici, per la sorveglianza del potere amministrativo della capitale. Raggiungeva capannoni isolati, fabbriche in disuso e cambiate le bende, aspettava.
I giorni avevano cominciato a passare. Il tempo non aveva peso alcuno, se non si aveva nulla da ricordare.
Sul giornale che aveva rubato, c’era la foto dell’uomo con lo scudo. Avevano scritto che era sopravvissuto ed era stato lui, assieme ad alcuni suoi alleati, a svelare la vera natura del Progetto Insight. C’erano pagine e pagine su Captain America e sulla verità che i media pensavano di aver capito. La loro versione ovviamente era stata filtrata dagli uffici stampa di tutti i servizi governativi della Nazione e non gli era interessato molto leggerla. Solo un trafiletto aveva attirato la sua attenzione. Recava il nome di un luogo, di un ennesimo punto da far emergere dal bianco, dal ghiaccio.
Vai là.
Questa volta, a dirglielo era stata la sua voce. Nella sua testa però suonava più calda. Affettuosa.
Allora era uscito e aveva trovato di che nascondere la sua divisa e il suo braccio bionico. Era rimasto in un centro commerciale dopo la chiusura, osservando come un falco predatore tutte quelle persone che altro non erano se non scialbe proiezioni di ombre sullo schermo immacolato del sipario tornato a dividerlo dal mondo. Aveva notato però come si vestissero, capendo di cosa aveva bisogno. Aveva legato i capelli lunghi, preso un berretto da baseball e si era cambiato nel luogo per eccellenza di borseggiatori e ladruncoli.
Un bagno per uomini, al primo piano del complesso.
Alla fine, si era guardato in uno specchio. La divisa, parte della sua identità, giaceva ai suoi piedi. Quello che lo fissava dal riflesso era un altro uomo. Aveva la barba incolta, gli occhi chiari pesantemente cerchiati e pieni di un sentimento a metà tra una rabbia senza speranza di sfogo e un logorio mai notato prima. Forse perché prima uno specchio non c’era mai stato.
Una domanda era emersa dalla neve.
Chi sei?
L’aveva sussurrata la stessa voce di prima. L’urgenza di trovare una risposta gli si era piantata dentro come una fucilata tra gli occhi. Era strisciato fuori dal Wallmart silenzioso e invisibile come c’era entrato, pronto non sapeva a cercare cosa. Sapeva solo che da quel ritrovamento dipendeva la sua vita. Quella che c’era stata prima di un volo nel vento, nel vuoto di un crepaccio, mentre sopra di lui il fischio di un treno dava le prime battute di una marcia funebre interrotta non da Dio, ma dagli uomini.

L’ afflusso dei visitatori non era diminuito, al Museum of American History. Un numero sempre maggiore di scolaresche, famiglie e semplici cittadini avevano continuato a salire la nuova scalinata di una delle istituzioni più famose dello Smithsonian  Institution  e ad aspettare in coda per ore, pur di raggiungere il terzo piano dove era ospitata una collezione permanente dedicata alle guerre americane e all’evoluzione politica del Paese.
L’uomo  col berretto da baseball si era fermato all’ingresso, colpito dalla scritta riportata in alto.
The price of Freedom: Americans at War.”
Aveva dovuto prolungare la sua sosta, mentre abbassava il capo, le labbra dischiuse e un pugno sferrato allo stomaco a indicargli che stava provando qualcosa.
Ironia.
Amarezza.
Aveva dimenticato da tempo la sensazione che potevano dare.
Era lì che era stata allestita la mostra di cui aveva letto sul giornale. La mostra che parlava dell’uomo con lo scudo che avrebbe dovuto uccidere.
E lì si era visto.
Una foto in bianco e nero ingrandita, una lunga didascalia al fianco. La storia di una vita, la sua vita condensata in pochi paragrafi. Aveva letto quelle righe senza muovere un muscolo, immobile, mentre dentro di lui tutto stava andando in mille pezzi.
Ma cosa, esattamente, si stava distruggendo?
Cosa poteva avere mai da distruggere, il Soldato d’ Inverno? Non era nemmeno un uomo, non aveva ricordi, non possedeva nulla, non era mai stato nulla se non una bomba di straordinaria raffinatezza a cui veniva ordinato di esplodere nei tempi e nei modi convenuti da una missione. Eppure qualcosa si era abbattuto sull’immane sipario bianco che lo ingabbiava, che tornava a ingabbiarlo anche adesso.  Il peso di tutto un cielo aveva premuto su quella prigione senza confini e ora mille crepe si stavano aprendo una strada verso l’uomo che stava di fronte a una schermata al plasma dove erano scritte nomi, date, luoghi.
James Buchanan Barnes.
Nato a Brooklin, il-
Interferenza.
Mandato oltre l’ Oceano Atlantico insieme alla truppe americane di supporto a quelle inglesi impegnate nella guerra contro il regime nazista, era stato dato per disperso dopo la battaglia di Azzano, in cui una divisione armata dell’ HYDRA aveva catturato molti soldati portandoli oltre il confine austriaco. Fu salvato dal Capitano-
Interferenza. Interferenza.
Capitano Steve Rogers, suo migliore-
Interferenza.
Il Soldato aveva continuato a non battere ciglio. Un fulmine lo aveva inchiodato lì dov’era, il ronzio nella testa sempre più forte e acuto. Avrebbe potuto spezzarlo. Annientarlo. Il caldo del sangue si era alternato al gelo della neve in un vortice di sensazioni contrastanti e mortali.
Poi tutto era cessato.
La neve non c’era stata più.
Si era ritrovato in una pianura completamente candida ma adesso vedeva. Tutto era libero, terso, definito. L’uomo con lo scudo aveva un nome. Lui stesso, aveva un nome. Adesso possedeva due cose ed erano una ricchezza enorme, rispetto al niente a cui era stato abituato.
James Buchanan Barnes, il Soldato D’Inverno, si era girato dando le spalle alla sua foto e aveva cercato l’uscita. Il passo non era sicuro, il ghiaccio era ancora sotto i suoi piedi ma non era più importante.
Aveva una nuova missione, adesso.

*

Gli era stato insegnato che non doveva mai svelare al mondo la sua esistenza.
Il suo compito era aiutare l’ HYDRA nel suo piano di conquista e le morti di chi si opponeva al nuovo corso del mondo dovevano apparire come incidenti. Nessun colpevole. Nessun movente. Nessuna pista che potesse condurre a una delle nove teste che doveva assestarsi nel vuoto generato dal Soldato d’ Inverno. Adesso che tutto era cambiato, che la tempesta di neve aveva smesso d’infuriare, si era accorto di quanto fosse solo.
Solo ma non privo di risorse.
Era diventato un’ombra tra le ombre e osservando, ascoltando, vedendo, aveva capito che il suo mondo fatto di congiure e segreti si era sgretolato. La sua stessa identità era stata svelata ; non ci sarebbe stata più nessuna spia ignara della scia di sangue lasciata nel corso degli anni dalla macchina di morte progettata dal Dottor Zola, per questo doveva essere prudente.
Non fu facile trovare tracce del Capitano Rogers; anche lui sembrava essere svanito nella nuvola di fumo che si era alzata dal bacino idrico del Triskelion. Andava stabilito un piano d’azione.
Sapeva che era stato ferito; avevano combattuto aspramente, corpo a corpo sulle rampe dell’ Helicarrier, senza risparmiarsi niente. E più l’uomo con lo scudo tentava di fargli ricordare chi fosse, più il soldato si era infuriato, dando nuova linfa assassina a ogni affondo, a ogni pugno. Solo adesso poteva concedersi di pensare che forse, quella continua ribellione alla verità era l’estremo tentativo di difendersi. Niente sarebbe potuto tornare come prima; non aveva senso scavare nella neve, mentre la tormenta impazzita continuava a ululare nelle sue orecchie, nel suo cervello, nel suo cuore.
L’ospedale militare di Washington era sicuramente meglio sorvegliato di quello dove era entrato per procurarsi i medicinali per curarsi ma quella sfida, invece di intimorirlo, lo aveva esaltato. Come punto d’ingresso aveva usato uno degli ascensori del personale ausiliario; la biancheria pulita non veniva consegnata di notte ma era stato necessario manomettere la telecamera piazzata alla porta e non farsi intercettare dal servizio d’ordine. I militari avevano un punto debole da sempre: credersi superiori. Era stato facile da sfruttare, specie se per far leva su tale supremazia ci si era travestiti da inservienti delle pulizie. Quel cappellino da baseball sapeva fare miracoli, a seconda di come lo si portava.
Devono notarti ma dimenticarsi di te subito dopo.
Devi apparire innocuo e cordiale ma senza usare battute.

Trovato il reparto di Terapia Intensiva, aveva atteso il cambio del turno degli infermieri della reception. Pochi istanti, per fingere di pulire le postazioni e accedere al data base informatico dove venivano registrate le cartelle cliniche dei pazienti. Essere stata una delle spie più letali del secolo dava sempre dei vantaggi, come una discreta conoscenza di virus e sistemi in grado di decriptare password e protocolli di sicurezza. Il programma che aveva infiltrato non poteva venir intercettato dai sistemi operativi anti- intrusione; era uscito  lasciando in un secchio dell’immondizia una divisa verde e una serie di stracci per la polvere. Una volta tornato nel suo rifugio, lesse i fogli ancora caldi di stampa.
La cartella del paziente che gl’interessava aveva elencato una serie di fratture non esposte, sfiorato collasso polmonare e ferite lacero contuse al volto. Lo aveva colpito in faccia così tante volte da non ricordarsi il numero esatto ma ricordava bene cosa gli aveva detto. E cosa gli era stato risposto.
…E come lo aveva guardato.
Il Capitano Rogers era stato dimesso dopo due settimane di ricovero, con un quadro clinico perfettamente ristabilito. Non era stato fornito un nuovo indirizzo dove rintracciarlo però il Soldato sapeva da dove cominciare la ricerca. Era stato nel quartiere dove aveva abitato, aveva visto casa sua, anche se dal mirino di un fucile di precisione, quello usato per uccidere il Direttore dello SHIELD.
Era arrivato il momento di andare a bussare a quella porta.

Un appartamento senza pretese, in uno dei vecchi palazzi di pochi piani che costellavano i quartieri residenziali più periferici di Washington. Al piano terra c’era ancora una lavanderia a gettoni.
Manomettere la serratura fu molto facile; entrò in un bilocale con la parte adibita a soggiorno letteralmente invasa di libri, disposti in diverse librerie. Erano per lo più trattati di Storia, Sociologia e Politica degli ultimi cinquant’anni e l’ordine con cui erano stati impilati sarebbe stato perfetto se non fosse stato chiaro che in quella stanza era successo qualcosa di terribile.
La finestra era stata sventrata; prima da due proiettili scamiciati, quelli con cui aveva colpito Nick Fury dall’edificio di fronte, poi dalla raffica di mitra usata quando aveva capito che vi era un intruso e si era messo in mezzo tra lui e la conclusione della sua missione.*
L’ironia aveva davvero un sapore particolare, amaro e pungente; dopo Fury, avrebbe dovuto uccidere proprio quell’ ostacolo. Ora stava facendo di tutto per capire dove fosse l’uomo con lo scudo.
Il pavimento era ancora cosparso di vetri. Il Soldato li fissò, arrivando alla conclusione che tra la sua vita e quei frammenti non c’era molta differenza; erano entrambi due oggetti andati in mille pezzi e per trovare una spiegazione, dei colpevoli, un motivo, doveva ricostruire ciò che era andato perduto.
E dopo cosa farai?
La sua voce, di nuovo. Meno atona, meno micidiale. Quella doveva essere la voce di Bucky Barnes.
Non sapeva cosa avrebbe fatto. Tutto dipendeva da cosa avrebbe trovato.
L’ispezione dell’ alloggio di Rogers riprese. Fu chiaro che era stato lì, prima di partire. Non c’erano più i vestiti, i pochi effetti personali erano stati raccolti e portati via. Sul tavolo della cucina c’era un volantino. Quello recante l’indirizzo di un noleggio auto. Lo prese e lo cacciò nella tasca della logora felpa che portava; quello era un altro indizio.
Prima di uscire, passò di nuovo nel piccolo soggiorno sconvolto, notando il vecchio giradischi in un angolo. C’erano diversi LP sparsi per terra.
Fermati, ti prego.
Il Soldato lo fece e si chinò, raccogliendo una delle custodie di cartoncino; era malandata, con la copertina sbiadita ma il nome di quel musicista se lo ricordava; emerse con chiarezza dal vuoto opprimente che era il suo passato e portò con sé una carezza malinconica e delicata come un giro di pianoforte.
Un tempo, aveva amato molto la musica.
Per un momento, uno solo, Bucky Barnes affiorò timidamente facendo rimanere il Soldato lì, accucciato tra cocci di vetro, a desiderare di avvertire ancora qualcosa di bello, di caldo, di confortante. Per quell’attimo di umanità ritrovata il prezzo da pagare fu molto alto; non si accorse che proprio dal tetto dove lui stesso aveva sparato poco tempo prima, qualcuno abbassò la canna di un fucile ad alta precisione, il cui mirino era puntato sulla sua nuca.

*


Un’altra cosa con cui non era pronto a fare i conti, era il senso di famigliarità.
Era dotato di una presa ferrea, dettata dall’istinto e schiacciava l’imboccatura dello stomaco.
Non era che non lo avesse mai provato.
Al suo risveglio, dopo un minuzioso controllo delle sue funzioni vitali e della risposta del suo organismo all’impianto di una protesi bionica, gli era stato detto che doveva tornare a combattere. Non sapeva come si chiamasse, se mai un nome lo avesse avuto, se veniva da qualche parte e quale fosse questa parte ma al verbo combattere il cuore, da poco riattivato, aveva fatto impennare i rilevatori di frequenza che attorno al suo lettino sfarfallavano di colori accesi e suoni sincopati, ripetuti.
Lui sapeva come fare. I suoi muscoli, i suoi nervi, erano pronti a sentire di nuovo il peso delle armi e come usarle.
Poi c’era stato l’uomo con lo scudo.
Quell’uomo sul ponte. Io lo conosco.
Aveva provato a resistere, a chiedere, a sapere. Purtroppo aveva dimostrato di provare curiosità nel momento più sbagliato ed era stato ripagato con una riprogrammazione delle attività cerebrali di una violenza senza precedenti. Solitamente questa avveniva dopo l’uscita controllata dalla sua fase di criostasi, che per lui altro non era la tempesta di neve in cui veniva rigettato al termine di ogni sua missione; saltare quel procedimento indispensabile per il controllo del Soldato d’ Inverno gli aveva fatto avvertire paura, negli uomini che erano i suoi aguzzini e insieme i suoi unici protettori. Il loro soggetto aveva mostrato interesse. Si era interrogato.
Adesso era il turno di una città.
New York City.
Un nome stampigliato in enormi lettere bianche su un cartellone verde all’uscita della I-95 per Staten Island.
Stava sorgendo il sole e il profilo irto di grattacieli di Manhattan aveva la bellezza conosciuta di uno spettacolo che si era già visto, gustato e in quelle foto sbiadite ancora senza senso, scattate da una macchina fotografica difettosa, danneggiata e priva di pezzi, la sua stessa mente offesa e menomata, non era mai da solo.
C’era un bambino, nella prima, un ragazzino nella seconda, un giovane uomo nella terza; capelli biondi corti, le spalle troppo strette, gambe spigolose che correvano dietro di lui. Grandi, franchi occhi azzurri dalle lunghe ciglia, con uno sguardo sempre troppo vecchio e troppo maturo per la sua età.
“Non fare nulla di stupido finché non torno.”
“Come potrei? La stupidità te la porti tutta con te.”

Ecco.
Era esattamente in un momento come quello che odiava ciò che rimaneva della sua psiche. Per poco non uscì di strada, colto da un violentissimo capogiro. Col fiato corto, il battito cardiaco accelerato, si domandò febbrilmente da dove venissero quelle due frasi e perché erano state scambiate. Oh, voleva sapere con la stessa, maledetta intensità con cui desiderava rimanere all’ oscuro. Ignaro. Ancora Soldato e non Bucky.
Poteva tornare indietro. Arrendersi e gettarsi ancora nel cuore della tormenta. Lì non avrebbe dovuto pensare, fare i conti con il sangue versato, con i morsi di una bestia non meno pericolosa dell’ HYDRA e a cui non sapeva ancora dare un nome: la sua coscienza.
Il desiderio di sapere non era suo; apparteneva a quell’estraneo che aveva scoperto di avere nascosto dentro di sé, da qualche parte. Ma era davvero così? Oppure, la prima e unica cosa che il Soldato d’ Inverno stava scoprendo di temere era solo capire che lui e quel Bucky Barnes erano la stessa persona?
Premette violentemente sull’acceleratore, scalando un paio di marce in rapida sequenza.
Non c’era più un mondo di ghiaccio bianco dentro cui rifugiarsi. Si stava disgregando, sciogliendo e cominciava a mostrare quanto aveva tenuto nascosto; chiudendo gli occhi, poteva ancora vedere quella fotografia, quel volto. Era lì, sempre più nitido e vicino: lineamenti decisi, la bocca chiusa in un’espressione determinata ma pronta a sciogliersi in un sorrisetto alla prima possibilità di un battuta; occhi blu scuro che non vedevano il fotografo, corti capelli scuri impossibili da tenere in ordine se non con un ciuffo. Se davvero gli apparteneva, lo rivoleva indietro; solo così avrebbe potuto capire quanto era stato prezioso quello che aveva perso e stabilire il giusto pegno per riaverlo.
Fuori dal finestrino, uno dei primi soli dell’ Autunno stava indorando il profilo della Statua della Libertà.



Angolo (tetro e buio) dell' autrice:
*Chi ha guardato bene il film lo saprà: in questa scena, il Soldato spara solo due-tre volte dal palazzo di fronte. Mi sono concessa una licenza per fini di trama, spero non me ne vogliate. Vi assicuro che sono precisa nell’usarle quanto lo sono nelle citazioni e nei riferimenti a luoghi reali.
Seconda licenza: non credo proprio che Bucky abbia una particolare inclinazione musicale; almeno, nei film non viene mai citata. Tuttavia, nel mio Head Canon personale, il sergente Barnes era un intenditore e suonava; un modo per sfuggire agli anni drammatici della guerra e per ritagliarsi un momento di serenità anche al fronte.
Se siete curiosi/e di conoscere altre amenità sul mondo di The List, contattatemi tramite il form di EFP. A venerdì prossimo!
Maddalena

 

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Capitolo 5
*** 3 ***


3


“Credo che questa sia tua.”
Steve sapeva che era sbagliato, sconveniente, poco educato ma non ci riusciva.
Non riusciva a smettere di fissare cosa aveva in testa quella ragazza.
Su quel berretto c’erano delle piccole, inconfondibili orecchie da gatto.
Due anni fa, al momento del suo risveglio nel 2012, le avrebbe notate con il candido sconcerto di chi non aveva mai visto qualcosa di simile prima d’ora. Come se l’ Uomo sulla Luna e la Guerra Fredda non fossero state abbastanza, l’evoluzione della moda, specie in campo femminile, era stata fonte di continui occhi sbarrati e un costante inarcamento di sopraciglia, nei primi mesi del suo reinserimento nel mondo: aveva imparato presto a non scandalizzarsi per le minigonne, le maglie scollate e la maggiore libertà di cui godeva una donna e si era scoperto affascinato da quella bulimia di cambiamenti, quella serie di conquiste. Peggy Carter, la sua risoluta, indipendente, adorabile Peggy, doveva essere stata fiera di aver visto il suo coraggio diventare quello di tante altre; anche quando questo si manifestava portando un capo di vestiario fuori dal normale e New York dettava legge, in quel campo. Ora che la sua vita aveva subìto una drastica e sistematica riprogrammazione forzata, Steve si accorgeva che gli piaceva vedere da vicino quanto tutto ciò che aveva creduto di conoscere fosse radicalmente mutato.
 Andy si sentiva sotto esame e non era una bella sensazione. Nulla che avesse a che fare con fontanelle di sudore freddo sbocciate sulle palme delle mani lo era; specie se a generarla erano degli occhi azzurri fissi da un po’ troppo tempo sulla sommità della sua testa. Il sorriso di prima sparì, lasciando posto a due discreti colpi di tosse.
Zero dignità, no?
“Lo so. E’ un cappellino strano. Se ti dico che questo non cambierà il fatto che mi piaccia da morire, possiamo proseguire? Non la rivuoi?”
Ah.
Steve non provava imbarazzo da un bel po’ di tempo. Era difficile rapportarsi alle emozioni quando non si capiva il contesto dove dovevano esprimersi; questo era il motivo principale per cui non riusciva a ribattere alle frecciate di Tony e comprendere quando una parola era di troppo. Sorrise alla ragazza che gli stava ancora porgendo la sua agendina, abbozzando una lieve alzata di spalle nell’essere stato scoperto nella sua disamina.
“Scusami.”
Andy avvertì un formicolio alla base della nuca. Cielo. Era davvero dispiaciuto! La scoperta la lasciò senza parole, mettendo tra loro un vuoto ingombrante di cinque secondi.
“Figurati; in genere nessuno mi fissa così per via di quello che indosso e pensavo che anche tu avessi visto molte cose… strambe, Capitano.”
“Credimi, ne ho viste. Ho perso molte scommesse al riguardo e allo stesso tempo, ho scoperto di essere molto curioso di vederne di nuove.”
“Allora sono sicura che il mio berretto non sia la cosa più assurda notata ma se non altro, mi ha aiutato a fermarti.”
Era proprio vero che nelle situazioni con maggior carico di stress si rendeva al meglio, se si sera abbastanza lucidi. Andy aveva sognato, fantasticato molte volte su cosa avrebbe detto al Capitano Rogers se un giorno lo avesse incontrato ma quella ora in corso era la rottura del ghiaccio più atipica di qualsiasi ipotesi atipica si potesse immaginare. Rendersi conto che per lei Captain America era stato un mero riflesso di un personaggio mitico e idealizzato, la portò ad avvertire un pizzico molto velenoso di vergogna. Fermarsi alle apparenze non era da lei. Quello che ora si trovava di fronte era un giovane uomo alto, indubbiamente bello e prestante ma senza la divisa, fuori dalla patina data dai servizi giornalistici e dai libri di Storia, la sua figura perdeva d’ invincibilità, portandolo a mostrarsi per un uomo contegnoso, gentile e molto meno impacciato di quanto si sarebbe aspettata. Con in dotazione il sorriso più malinconico e dolce che avesse mai visto.
“Ti ringrazio. Ci tengo davvero molto.”
“Lo so.”
“Come, prego?”
Se avesse avuto il tempo di mordersi la lingua, lo avrebbe fatto. Alla fine la lucidità l’aveva abbandonata, proprio nel momento cruciale: avrebbe dovuto trattenere al suo posto quello stramaledetto filtro cervello-bocca la cui atrofizzazione in età natale le aveva sempre causato problemi, e invece!...
Si riprese in un secondo, ben decisa a non rivelare che le era toccato aprire quella Moleskine nel tentativo di trovare un indirizzo di recapito. Altrimenti la vergogna di prima, questa volta, sarebbe stata ben più di un pizzico amaro sul palato.
“Beh- si vede che la porti sempre con te. La copertina è lisa e slabbrata, segni che indicano quante volte l’hai usata, se non altro aperta.”
Forse era meglio dirgli la verità, genio. Questa spiegazione sa di sociopatia da qui a Hoboken.
Le venne sorriso di nuovo. Questa volta, la sfumatura divertita che percepì dentro un gesto tanto abusato, le produsse una contrazione di delizioso dolore allo stomaco. Anni di disincanto e prudenza l’aiutarono a rimanere cordiale e tranquilla. Aveva imparato sulla sua pelle la lezione di non lasciarsi andare; non perdeva occasione di mostrare che era stata un’alunna diligente.
“Sei una grande osservatrice.”
Un vero complimento? Dio. Sì.
“Fa parte del mio lavoro; diciamo che sono un’esperta di maltrattamento di Moleskine, libri e quaderni.”
L’affermazione ebbe il potere di far staccare gli occhi di Steve dal rosso fragola del suo trench e fargli fare la stessa cosa in cui anche la ragazza sembrava eccellere: osservare.
Dietro di lei vide una panchina; sopra c’era stata gettata una borsa di pelle morbida e dalla cerniera aperta faceva capolino un block notes dalla copertina piena di scarabocchi cui accanto giaceva un libro aperto, con una matassina di fili intrecciati a tenere il segno.
Gli sembrò assurdo pensarlo ma per la prima volta dopo molto tempo, forse aveva a che fare con qualcuno che non stava inscenando una copertura. Il suo forse era frutto di un istinto da predatore che non aveva mai creduto di possedere, prima di trovarsi  Nick Fury, sanguinante e con una gamba rotta, nel suo modesto appartamento di Washington, mentre gli scriveva sul palmare di reggergli il gioco.
Anche i muri hanno le orecchie.
Essere normali, tuttavia, non era una questione semplice, non quando aveva scoperto che la sua vicina di casa non era un’ infermiera, bensì un’ agente dello SHIELD incaricata di proteggerlo ma doveva gentilezza a chi gli aveva permesso di ritrovare la sua lista. Gli era mancato, quel contatto con una realtà fatta di libri, musica, di vita oltre una missione, una nuova sessione di allenamento, un’ennesima occhiata alle spalle per vedere se si era seguiti e da chi.
“Vieni spesso qui?”
“Tanto da sapere che fai ogni giorno tre giri del Park Ride a una velocità tale da far sembrare che tu voglia sfidare Bolt alle prossime Olimpiadi.”
Steve sbatté le palpebre, schiuse le labbra. La normalità era decisamente seccante, quando non si coglievano riferimenti che dovevano avere un significato. Andy aggrottò le sopraciglia e capì. Senza bisogno di una spiegazione, di un lampo manifesto d’imbarazzo dall’altra parte.
“Temo che tu non sappia chi sia Usain Bolt, Capitano Rogers.”
E risero, insieme, facendo svanire qualsiasi traccia di tensione.
“E’ la prima volta che qualcuno usa del tatto con me nel far notare la mia deplorevole ignoranza sui fatti di questi ultimi decenni.”
“Mi hai trovato in giornata buona, di solito sono molto peggio.”
Steve non capì fino a che punto quella fosse una battuta ma riprese il suo quadernetto in mano con un’espressione così genuinamente sollevata che Andy si sentì malissimo, al pensiero di averci sbirciato dentro. Fissò con insistenza la punta dei suoi stivali quando una richiesta più stramba di tutto quello che stava accadendole non la sorprese nel suo profondo studio sull’usura dell’ eco-pelle.
“Avresti una matita, per favore? Voglio aggiungere una nuova voce alla mia lista.”
“Oh, era una lista allora?” La domanda partì prima che un pigro Centro dell’ Amor Proprio, situato in qualche polveroso angolo del suo cervello, compisse il suo dovere facendola stare zitta.
Andy annotò mentalmente che l’entusiasmo era dotato di un pessimo tempismo, se riguardava lei. Si era lambiccata il cervello tutta la sera per capire se quegli argomenti segnati avessero un qualche filo logico; erano “solo” una sequenza di cose e avvenimenti che  un uomo rimasto ibernato per settant’anni nell’ Artico si era  perduto.
“Mi dispiace” mormorò sentendo il rossore aggredirle la faccia “L’ho aperta solo per vedere se c’era segnato un indirizzo. Quando ti è caduta, ieri, non ho fatto in tempo a fermarti e … ho già detto che mi dispiace, quindi eviterò di ripeterlo una terza volta.”
Aspettò senza abbassare lo sguardo di venir trafitta da parte a parte da un’occhiata risentita. Ferita. Fredda.
Niente.
Il Capitano Rogers si limitò a rimanere ciò che era stato esattamente fino a quel momento: educato, rilassato.
“Adesso sai perché quest’ agenda è tanto importante.”
“Lo dimenticherò difficilmente, garantito. Un momento, ti prendo la matita.”
In uno svolazzare di balze rosse e lunghi capelli scuri, la ragazza si girò e corse alla panchina. Dimostrava circa venticinque anni e una viva inclinazione alle battute di spirito, anche quando si trattava di biasimare se stessa. Nonostante la sciarpa, prima aveva visto come era arrossita disastrosamente; sarebbe stato impossibile non notarlo, visto che di carnagione era molto chiara. Per via del suo pallore, le lentiggini cosparse su naso e le guance si notavano maggiormente. Gli era stato insegnato che non si doveva mettere a disagio una donna ma sogghignando, Steve ricordò di non aver mai avuto occasione di farlo. Anche dopo il siero, anche dopo le imprese di Captain America e degli Howling Commandos, dopo il suo risveglio nel Ventunesimo Secolo, quello che veniva messo a disagio era lui. Solo Natasha sembrava aver capito che dietro certe loro battute c’era una sola cosa.
Solitudine.
Mista a un desiderio inconfessato di poter davvero posare maschera e scudo e andare avanti.
“Ecco qua!”
In una mano, la ragazza teneva una matita; nell’altra stringeva un astuccio colmo di altre, tutte di morbidezza diversa, come si poteva vedere dalla sigla impressa sulla parte finale. Una disegnatrice, oppure qualcuno che si divertiva a disegnare.
“Allora, mi stavi dicendo?” Steve aprì su una pagina pulita.
“ Usain Bolt. Velocista giamaicano,è attualmente il campione mondiale dei cento metri piani, duecento e della staffetta uno per quattrocento. Un vero personaggio.”
“Sembra uno tosto.”
“Credo lo sia.”
“Te lo farò sapere, allora.”
Certo, come fosse vero che si sarebbero rivisti per parlarne, pensò Andy con un sorriso indulgente, riprendendosi la sua matita.
“Ti stanno piacendo, le cose che stai scoprendo?” gli domandò per ricambiare il suo ultimo, cortese proposito.
“Non tutte, a dire il vero ma le combatto sviluppando una passione per i film. Non avrei mai pensato che un giorno sarei arrivato a vedere su uno schermo una galassia lontana lontana…” Steve lasciò sfumare la voce, interdetto; forse il suo riferimento era troppo stupido per venir colto. Pareva così facile quando a usare citazioni era Tony Stark.
Star Wars”, mormorò la ragazza allargando gli occhi per l’emozione; occhi verdi, dalle lunghe ciglia nere. “Piace moltissimo anche a me. Hai visto tutte e due le trilogie?”
Era una conversazione nata sul niente e senza molto senso logico ma pareva piacere ad entrambi; Andy capì che non poteva rimangiarsi la domanda e una parte di Steve gradì la boccata d’aria fresca che si provava quando si viveva normalmente; non avendo avuto possibilità di prenderne molte, se ne sarebbe goduto il sapore ancora per un bel po’, stupendosi di quanto fosse buono. L’ultima risaliva a troppo tempo fa, quando aveva conosciuto Sam Wilson al National Mall: una corsa, una stretta di mano, un consiglio per sentire buona musica. Peccato avesse dovuto conoscere Marvin Gaye dal suo letto di ospedale.
“Per ora solo la prima.” Steve vide la ragazza ridere a labbra strette.
“E’ la migliore, secondo me. La seconda ha delle cadute in alcune parti ma nel complesso non è male. Si scopre la storia dei genitori di Luke e Leia, la genesi dei Sith e un altro paio di fatti interessanti.”
Uno degli orologi di Central Park prese a battere l’ora; Andy si diede una manata teatrale sulla fronte, sbuffando subito dopo. Maledetto il tempo e il suo scorrere. Mai come oggi doveva tornare in studio, visto che aveva una scadenza importante tra due giorni; non si era nemmeno portata dietro i suoi bozzetti e l’editore che li stava aspettando non sarebbe stato contento di un ritardo.
“Fine della mia ora d’aria. Si torna al lavoro.”
“E’ stato un piacere, signorina…?”
Avevano parlato di campioni di atletica, astronavi, uso smodato di agende ma Steve non le aveva chiesto come si chiamasse; la fissò perplesso, sperando che capisse al volo anche in quel caso.
Per fortuna andò così.
“Mi chiamo Andy, Capitano.”
Ripose l’astuccio, chiuse il libro e lo ficcò nella borsa. Nessuno l’aveva mai chiamata “signorina”, se non sua madre quando era stata più piccola e l’aveva scoperta mentre disegnava su uno dei suoi libri prediletti. Il tono, in quell’episodio, era stato molto diverso da quello usato adesso dall’ultimo uomo che avrebbe mai pensato d’incontrare. Sicura che non ci sarebbe stata altra occasione, volle per lo meno congedarsi in modo spigliato.
“Quando ci rivedremo, avrò qualche titolo di libri da suggerirti. Spesso sono meglio dei più grandi film di fantascienza.”
Era così che due persone si salutavano, dopo un incontro fortuito?
Steve se lo chiese, riprendendo il suo allenamento da dove lo aveva interrotto. Nessun fraintendimento, nessun segreto, nessun sospetto di aver appena visto andare via un’ agente in incognito di un’agenzia governativa. Era arrivato a New York per cercare una nuova strada da intraprendere, per trovare una pista che lo conducesse al Soldato d’ Inverno e alle cellule dell’ HYDRA ora dormienti. Per avere il coraggio, dopo aver chiesto il suo aiuto, di rivelare a Tony Stark la verità sulla morte dei suoi genitori e per capire chi fosse lui ora.
Un uomo giusto, gli sussurrò una voce mai dimenticata.
Il piccoletto di Brooklin, sempre a caccia di risse, aggiunse una seconda, provocandogli un vuoto all’altezza dello stomaco. Eppure lui era anche qualcos’altro, qualcun altro: quella ragazza, Andy, lo aveva riconosciuto ma non c’era stata soggezione o fascinazione nel suo sguardo; aveva raggiunto l’apice della contentezza quando aveva scoperto che avevano una passione per Star Wars in comune, non perché avesse di fronte un Eroe della Nazione.
Non l’avrebbe rivista. Una parentesi piacevole e inaspettata; Natasha sarebbe stata fiera del suo imbranato amico, se avesse potuto raccontarle come era riuscito a essere disinvolto con una donna.
Ma Natasha Romanoff non era con lui. Come Nick Fury, aveva lasciato gli Stati Uniti.
Il Capitano era da solo, senza la Vedova Nera o i suoi soldati. Aumentò la velocità della corsa; doveva lasciarsi alle spalle quei pochi momenti di pace prima che lo distraessero. La sua nuova missione era appena cominciata, anche se non sapeva cosa fare, come muoversi e se davvero fosse giusto cercare di rintracciare il Soldato.
L’HYDRA di certo non era morta, con lo sfaldamento dello SHIELD e questo il suo Direttore lo sapeva bene. Non importava quanto tempo ci sarebbe voluto ma Steve aveva la sensazione che presto avrebbe fatto i conti con quanto era iniziato, solo due mesi prima, nel fumo e nella distruzione del Triskelion.

“Sei una scema, Andy.”
Se lo disse ad alta voce, mentre si fermava di colpo di fronte all’ingresso della Russian Tea Room, lungo la Settima.
A cosa era servito essere tanto disinvolta e cordiale se alla fine, aveva mancato la cosa più importante da dire a Captain America? Si voltò; ormai era troppo distante da Central Park South per tornare indietro e sperare di fermarlo di nuovo. Lui correva troppo veloce e normalmente, le loro strade nemmeno avrebbero dovuto sfiorarsi; la casualità le aveva fornito l’occasione perfetta ma per quanto fosse brava a reggere le situazioni ad alto tasso emotivo, doveva anche ricordare il suo titolo di campionessa delle occasioni perse. Anche se sperava di aver relegato quella Andy timida e paurosa di tutto nel suo passato, non poteva dimenticare quante volte si era svegliata nel cuore della notte pensando a cosa non aveva detto, fatto e pensato.
Era stata proprio una cretina.
La sola parola che le era rimasta incastrata nella gola, dimenticata dal cervello, era stata grazie.
Era il minimo che si doveva, a uno dei salvatori della sua città e di molti suoi amici che, due anni fa, si erano trovati a pochi isolati dal Grand Central Terminal, coinvolti in una guerra in cui avevano potuto recitare solamente la parte degli inermi innocenti. Anche se lei si trovava a casa, a Lafayette Street, aveva sentito i boati scatenati dai crolli d’interi palazzi e visto i feriti. I morti. E quello strappo nel cielo, uno squarcio circondato da un anello di nubi distorte che vomitava fuori esseri spaventosi; gli alieni, astratti, inventati, letti nei romanzi di fantascienza erano piombati lungo la 39novesima e Park Evenue.
Invece di cercare rifugio nel seminterrato insieme ai vicini, era uscita per dare aiuto come poteva, spinta da un impeto che si era sempre ben guardata dall’assecondare: aveva dato fondo alle sue scorte di caffè e medicinali, portato coperte; dopo la fine della battaglia si era messa in coda al Pronto Soccorso più vicino per donare il sangue, scoprendo che molti altri avevano fatto le stesse cose senza calcolo alcuno o altri ripensamenti. Aveva finito col sentirsi orgogliosa della sua città e della vera indole dei suoi abitanti o forse, l’essere umano non era poi tanto male, quando c’era bisogno di aiuto.
Per la seconda volta nella sua vita, aveva anche pensato sarebbe morta; un pensiero che sentiva di condividere sempre con tutti i Newyorkesi vecchi abbastanza da ricordare cosa fosse accaduto l’ Undici Settembre, tredici anni prima. Per tutto quel magma incandescente di paura, panico e sollievo che ora le ribolliva sotto pelle, si pentì ancora più amaramente di quella mancanza. Di aver avuto voglia di chiedere a Steve Rogers se amava la Forza o il suo Lato Oscuro, dimentica di qualsiasi scrupolo razionale.
Con la sola compagnia del suo senso d’inadeguatezza, Andy s’incamminò verso la più vicina entrata alla Metropolitana. Talmente presa da pensieri cupi come era, non si accorse di qualcuno che la urtò.
“Scusi” biascicò all’indirizzo dell’ individuo ma quello era già oltre, col capo chino e il cappuccio di una felpa alzato. Pareva non aver avvertito il peso della sua borsa sbattergli contro ma non ebbe il tempo di fermarlo; l’altoparlante annunciò l’arrivo del suo treno e doveva correre, se voleva prenderlo e sperare di tornare al suo tavolo di lavoro prima di cena.


Angolo (tetro e buio) dell’autrice: aggiorno a quest’ora del mattino per il semplice motivo che oggi sarò al lavoro, dovrò morire e avrò miliardi di cose da fare. Come sempre, per qualsiasi curiosità, domanda, semplici chiacchiere, sono a vostra disposizione.
A venerdì prossimo!
Maddalena

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Capitolo 6
*** 4 ***


4


“Signore, mi dispiace interrompere ma forse abbiamo qualcosa.”
Steve aveva sempre temuto di sentire una frase simile da Jarvis; dal momento in cui Tony gli aveva spiegato come avrebbe usato il suo software.
“Quello che ci serve è proprio un Grande Occhio che vede tutto.”
Di fronte all’espressione di serafica ignoranza del Capitano, Tony capì di aver sprecato una sua ennesima, grande battuta; in sostanza aveva detto in forma evocativa ciò che in prosa significava una costante vigilanza di qualsiasi traccia un chip o una telecamera potevano lasciare nell’immenso, infinito cyberspazio.
“Molto bene, mostracelo.”
“Non abbiamo ancora finito di cenare”, fu l’obiezione fintamente innocua di Pepper, che lanciò un’occhiata speranzosa proprio al loro ospite. Steve invece rimase in silenzio, sordo e cieco a quella muta richiesta di supporto. Si limitò a pulire la bocca col tovagliolo.
“Se non fossero passate già due settimane sarei del suo avviso, Miss Potts ma oso pensare che il Capitano sia d’accordo con me nel dire che abbiamo perso fin troppo tempo.”
Quella sera doveva esserci qualche cosa di strano nella creme brulé  servita come dolce; Pepper obiettava, Stevie non spiccicava parola per darle man forte. Tony stava per profetizzare un apocalittico riassestamento nell’ordine cosmico quando Jarvis fece arrivare sul suo smartphone un’immagine. L’aprì con un velocissimo tocco dell’indice destro e portò il file a visualizzarsi su una schermata virtuale proiettata.
Si trattava un frame preso da una telecamera di sorveglianza d’infimo ordine; era chiaro che qualche potente programma di rigenerazione  pixel ci aveva lavorato sopra, rendendolo nitido come se fosse stato estrapolato da un filmato registrato su un dvd. Steve riconobbe subito il parco auto della concessionaria da cui era partito due settimane prima ma non fu quello a fargli stringere il pugno destro contro la coscia, sotto il tavolo.
C’era un uomo in quella foto. Il caso e un comando impartito da un tasto lo avevano fermato nell’attimo in cui apriva la portiera di una Lexus dai vetri oscurati. Indossava una felpa scura dalle maniche lunghe, col cappuccio alzato. Sotto si scorgeva la visiera di un cappello da baseball.
“Confrontando le proporzioni e i parametri fornitici dal Capitano Rogers, anche se è impossibile avviare un protocollo per il riconoscimento facciale, posso affermare che ci sono buone possibilità di aver trovato il nostro uomo.”
“Ulteriori indizi?”
“Guarda la mano sinistra; porta un guanto. E quello è il noleggio da cui ho preso la mia auto.”
Tony e Pepper persero ogni interesse per quanto stavano vedendo e presero a fissare Steve, che aveva anticipato la voce impostata di Jarvis: la sua schiena era rigida, tesa; il cuore batteva forsennato dentro una cassa toracica che stava scoprendo troppo piccola.
Una briciola di pane lungo il sentiero, finalmente; forse non avrebbe mai conosciuto ogni recondito aspetto della cultura Pop del ventunesimo secolo ma sicuramente la signora Rogers aveva lasciato al figlio tante fiabe da ricordare. La scia di molliche però poteva sparire, a un certo punto, preda di corvi e altri uccelli; oppure poteva portare all’ antro di una strega. Nessuna delle due possibilità era confortante ma era meglio del non avere nulla.
Steve si rese conto solo in quel momento di aver vagato senza un piano definito, solo per cercare uno scopo e attraverso di esso, ricostruire una propria identità.
“Hai rintracciato il segnale del GPS?”
“Impossibile, signore; la sua scatola è stata ritrovata dalla Polizia locale in un cassonetto a due isolati dalla concessionaria. Il filmato da cui viene questa immagine è stato consegnato dal proprietario alle forze dell’ordine quando ha denunciato il furto di un suo mezzo.”
“A quanto pare il Soldato d’ Inverno ha ancora problemi a non far incazzare l’autorità costituita.”
 Tony non lo aveva chiamato “tuo amico”, con aria strafottente; Steve si aspettava quella precisazione e fu grato di non sentirla. Non avrebbe retto il peso nascosto di quell’allusione.
“L’auto quando è stata rubata?”
“Esattamente una settimana fa.”
Il silenzio che seguì era  una risposta: il killer dell’ HYDRA era già a New York. Il che portava a una serie di congetture ancora peggiori.
“Se sta seguendo Steve, perché non ha provato ad aggredirlo?”
Pepper espose la prima, le braccia incrociate strettamente appoggiate sul tavolo. Era una domanda pericolosa, come tutti i vasi di Pandora sul cui fondo rimaneva la Speranza; non ci si poteva fidare di lei, così timida e impaurita da rimanere nascosta sotto i peggiori istinti umani. Steve si rifiutò risolutamente di dare corda a quel sentimento capriccioso e lo stomaco si chiuse per l’indignazione di una simile repressione.
Avanti, sai benissimo cosa vuoi.
Quello che voleva, era un pezzo della sua vita passata. Rivoleva il suo amico, il suo migliore amico, il fratello che non aveva mai avuto. Aveva bisogno di avere un solido punto d’appoggio in quell’epoca a cui non era destinato. Ritrovare Peggy ancora viva, nonostante fosse consumata da una terribile malattia che le stava divorando la memoria non gli bastava più; non dopo aver combattuto contro Bucky. Era stato lui a salvarlo dall’annegamento e poteva averlo fatto solo perché aveva cominciato a ricordare, a capire di avere di fronte quel piccoletto del suo quartiere cresciuto assieme a lui, a poche case di distanza.
Bucky Barnes era ancora vivo; il Soldato d’ Inverno, l’ HYDRA, non erano riusciti ad ucciderlo. Avrebbe voluto gridarlo e sapeva con altrettanta sicurezza di non poterlo fare.
“Finita la guerra, cosa  farai?”
“Cosa faremo, vorrai dire! Andremo al Grand Canyon, prepara i tuoi pennelli, artista!”

Quanto avrebbe voluto poterlo fare. Continuava a disegnare ma non era mai andato là. Quel sogno si era spezzato e non poteva ricomporlo, come non poteva pensare di ritrovare una persona amata ma spezzata a sua volta. Forse per sempre. Gli tornò in mente la matita prestatagli da quella ragazza, poche ore prima, a Central Park; non c’era nesso logico se non uno scampolo di normalità infilatosi in un meccanismo impazzito. Era… umano, aggrapparsi a un ricordo piacevole per non farsi trascinare da un gorgo in cui egoismo, desiderio e nostalgia cantavano un coro ammaliatore. No?
“La seconda domanda è: perché ci ha messo così tanto?”
Questa volta Steve non poté tacere e glissare. Sostenne lo sguardo interrogativo di Tony, cercando di sciogliere la tensione terribile che lo stava irrigidendo.
“Non ne sono sicuro ma forse anche lui è stato ferito nell’ inabissamento dell’ ultimo Helicarrier e non credo sia stato al Pronto Soccorso, con quel braccio, pronto a farsi ricoverare come un paziente qualsiasi.”
“Una protesi davvero niente male, quella. Sarebbe-“ Per fortuna, il delicato piede di Pepper Potts sapeva come colpire sotto il tavolo e nella maniera più dolorosa possibile, quello del suo incurante fidanzato. E tacitare con un’occhiata che prometteva morte e distruzione dietro un soave sfarfallare di ciglia, le eventuali rimostranze.
“Volevo solo dire che dovremmo aumentare i livelli di sicurezza alla Stark Tower e cominciare a cercare seriamente altre teste del nostro mostro. Dubito che il Soldato abbia provato nostalgia di casa.”
“Forse un modo per saperne di più c’è.”
Steve si alzò, cercando di ostentare una sicurezza che non possedeva e uscì dall’attico senza dire altro. Non appena le porte dell’ascensore si chiusero, Tony si voltò di scatto verso Pepper.
“La devastazione del mio arco plantare destro è dovuta a cosa, precisamente?”
“Alla tua spiccata mancanza d’istinto di conservazione. Non potevi metterti a parlare di ingegneria bio-medica applicata a quell’assassino con Steve!”
“E perché no?”
Tony deglutì nel vedere come  Pepper affondò con un gesto fulmineo il cucchiaino nella sua cocotte di dessert, spaccando lo strato caramellato della crema con un suono secco e molto, molto sinistro.
“Stai fingendo di non capire o sei serio? E’ convinto di poter riportare indietro il Bucky Barnes perso nel Soldato d’ Inverno.”
“Se le cose stanno così, perché tanti musi lunghi?” Era il suo modo per mascherare un inopportuno disagio. Certe sottigliezze sfuggivano persino a uno scienziato geniale come lui.
“Perché sa benissimo non andrà così. Captain America non può mostrarsi debole.”
Avrebbe potuto, stava per obiettare Tony, se solo se lo fosse concesso. Non erano a un comando militare, dannazione, non esisteva più quel posto ed era tra amici, per quanto non glielo avrebbe confessato nemmeno in punto di morte; l’ascensore era tornato al loro piano e Steve era già ricomparso, con in mano un fascicolo polveroso. La copertina era stampigliata con caratteri in cirillico.
“E’ quello che penso?” Qualsiasi tono scherzoso era sparito.
“Sì; è un dossier sul nostro uomo. Il regalo di addio dell’ agente Romanoff.”
“Perché lo tiri fuori solo adesso?”
“C’è una cosa che riguarda anche te, qui dentro. Qualsiasi sarà la tua reazione, sappi che la capirò.”
C’erano persone il cui sguardo non si poteva sostenere, tanto era colmo di una sincerità dolorosa e di un rimorso affilato come un rasoio. Gli occhi di Steve ne erano pieni. A volte Tony pensava che il ragazzo aveva bisogno di qualche lezione di tattica e malizia; non sapeva cosa aveva fatto a Washington, come le circostanze lo avessero portato a tradire i suoi ideali nell’esatto momento in cui aveva capito che persino loro erano stati manovrati dall’ HYDRA.
Più tardi, ringraziò la sincerità di Steve, anche se non se lo meritava.
Forse.

*


L’incrocio di Times Square era sempre stato un punto nevralgico di caos per New York; aveva ricordi sfilacciati di una processione infinita di auto, filo-bus e nonostante la guerra, la metropolitana non aveva mai smesso di far uscire centinaia di persone. A quel tempo, quasi tutti i ragazzi che aveva visto portavano le uniformi e si riversavano nel quartiere dei teatri per gli ultimi giorni di feste e spettacoli, prima di partire per l’ Europa.
Già. Gli spettacoli.
In testa aveva una confusione terribile; migliaia di foto, molte rovinate, altre sbiadite, vorticavano davanti a lui non appena provava a chiudere gli occhi, una valigia piena d’immagini esplosa senza nemmeno sapere di possederla ma anche lui era stato seduto in platea, tante volte, a vedere numeri di Vaudeville, piccoli concerti in sale fumose e precarie. C’erano pochi cartelloni ad annunciarli e speravano nell’incasso in virtù della voglia di evasione di una generazione destinata a morire per difendere il proprio Paese.
La sua prima sera a New York fu costellata dalla rutilante esposizione di enormi pubblicità che invitavano le persone a scoprire la storia mai narrata di due streghe (Oz? Il magico mondo di Oz? Perché quel nome gli era famigliare?), la più grande storia d’amore mai narrata (A quanto sembrava, ai fantasmi come lui non era concessa mai pace…) e quella di un ex-galeotto capace di diventare un uomo migliore nella Parigi del Mille Ottocento (Sicuramente una dannata favola).
E quell’impressionante torre luminosa di trentasei piani, che sparava per tutto il circondario una luce azzurra offensiva, onnipresente, capace di fargli rimpiangere il suo visore. Aveva deciso che era meglio non sapere cosa significasse quella parola: Nasdaq. Aveva la capacità di parlare quattro lingue ma alla fine si era arreso, lasciando quel punto di domanda disegnato dall’ incomprensione in buona compagnia degli altri nati dal suo arrivo in quella città che doveva essere la sua. Lo aveva letto ma non ne era convinto.
Eppure…
Eppure non si era mai perso. Il suo istinto lo aveva guidato con mano sicura e lo aveva distintamente sentito sospirare di sollievo quando aveva trovato una fabbrica fatiscente lungo l’Hudson River. Non si trattava di una base dell’ HYDRA; conosceva solo quelle i cui nomi e indirizzi gli venivano forniti in stretta connessione alle sue missioni, per evitare che nel Soldato potesse nascere la tanto temuta curiosità o un senso di nostalgia troppo umano per venir distrutto completamente dal gelo. Quell’ammasso di capannoni con il tetto in lamiera lo conosceva per un altro motivo.
Il luogo ideale per una rissa e per venire a salvare quel dannato piccoletto dal suo ennesimo attacco di giustizia.
Quando era accaduto?
Come era accaduto?
Perché c’era sempre lui a salvare quel ragazzino, senza arrabbiarsi mai?
Era davvero l’uomo con lo scudo?
Se lo era, aveva perso le sue tracce; aveva agito avventatamente, lasciando Washington dopo aver scoperto l’itinerario fissato in quella concessionaria di auto a noleggio. Non c’era stato nessun agente di appoggio a fornirgli un nome, degli indirizzi, delle foto. Si era ritrovato da solo a fronteggiare una sete insopprimibile; un cockatil mortale in cui la vendetta si mescolava a un acuto senso di mancanza.
Era rimasto vigile, dormendo solo poche ore, per poi esplorare l’isola di Manhattan e cercare di rendere più nitida qualcuna delle foto che lo ossessionavano maggiormente. In quei vagabondaggi senza meta un’altra domanda si era profilata nel vedersi solo, senza sfarfallii strani al margine del suo campo visivo: possibile non fosse seguito da nessuno?
Per confondersi meglio, per non farsi notare, usava la metro per spostarsi e raggiungere i luoghi che la voce di Bucky Barnes sussurrava dopo uno dei suoi tanti incubi ma non aveva mai avuto l’impressione di essere pedinato. Avrebbe dovuto avere alle calcagna fior di killer su commissione e spie di ogni Paese, per non parlare di quelli che avrebbero dovuto volerlo di nuovo tra le loro fila; Il Soldato sapeva che anche se aveva cessato di nevicare, non lo avrebbero lasciato andare via, libero di divenire un vero fantasma. Era troppo prezioso per l’HYDRA.
Troppo pericoloso.
Non si sarebbe mai accorto di cosa stava accadendo se quel giorno non avesse urtato una ragazza all’ingresso della stazione vicina alla Russian Tea Room.
Aveva proseguito nel suo cammino ignorando le sue scuse, registrando solo il violento lampo rosso del suo cappotto ma era stato così che lo aveva sentito.
 Un brivido, una scossa elettrica di debole intensità capace di fargli rizzare i peli del suo unico braccio sano.
All’apparenza, l’uomo sembrava un turista uguale alle migliaia di altri che ogni giorno visitavano in poche ore Central Park per poi usare la fermata della Settima Avenue e uscire nel Teatre District: zaino in spalla, berrettino in testa, una guida turistica in mano. La penna con cui stava segnando qualcosa era insolita: sottile, piccola.
Il cursore per lo schermo di un palmare nascosto tra le pagine.
Era un’ anomalia perfettamente spiegabile in quell’epoca digitale; gli era bastata per seguirlo nel suo tragitto fino alla Radio City Music Hall, dove fu prelevato in un vicolo da un SUV dai vetri scuri. Nessuno li aveva visti, nel traffico dell’ora di punta, dove i marciapiedi rigurgitavano letteralmente di newyorkesi e visitatori dei vari musei sparsi nei dintorni; solo lui, la miglior macchina da guerra mai concepita dalla fine del secondo conflitto mondiale.
Tornò in quel vicolo il giorno dopo, trovando riparo dietro un cassonetto dei rifiuti.
La jeep ricomparve e ne scese l’uomo del giorno prima. Stavolta lo vide mettersi un auricolare sottile all’orecchio destro e parlare in tedesco con l’autista.
“Heute wird ich ihn finden.”
Oggi lo troverò.
“Wir werden seinen weg bestatigen.”
Confermeremo il suo percorso.
Il suono duro, affilato di quella lingua bastò a fargli sentire nei muscoli il morso della neve.
Alla fine, una delle otto teste sopravvissute aveva fiutato l’aria fuori dalla caverna ed era uscita per cercarlo. Non si sarebbe fatto catturare; lui voleva essere il lupo affamato, non la preda. Lo seguì con l’abilità di chi sa come essere invisibile anche facendosi vedere; bevve un cappuccino dal sapore orrendo da Starbucks, si fermò ad attenderlo mentre acquistava i biglietti per il serale della nuova produzione di un musical, quello sull’ ex-galeotto francese; infine giunsero nel pomeriggio a Central Park South, lungo il Park Ride.
L’agente prese posto nei pressi del Pond, lo stagno che caratterizzava maggiormente quella parte dei giardini,sedendosi su uno spiazzo erboso nei pressi della riva colma di ninfee, dopo avervi disteso una coperta.
Così innocente. Così perfetto.
Il Soldato si appostò con la stessa flemma a cinque metri in linea d’aria dal suo obiettivo, sotto un acero, tirando in basso la visiera del suo cappello da baseball come volesse schiacciare un pisolino, invitato a farlo dalla pigra brezza di un bel pomeriggio autunnale. In quel punto, la vegetazione si diradava e si godeva di un’ottima vista sulle  panchine che costellavano il bordo pista.
Un lampo rosso.
Il Soldato rimase immobile, perfettamente calato nella sua recita ma la riconobbe.
La ragazza della metropolitana posò una voluminosa borsa rigida, senza la minima idea che stava venendo osservata; s’irrigidì fino al momento in cui capì che stava tirando fuori un album da disegno e non una Beretta di piccolo calibro con silenziatore.
Rilassati, non è lei il nemico.
La voce dell’ altro riuscì a domarlo. I battiti del cuore rallentarono, il respiro venne modulato; doveva dare l’impressione di dormire, anche se stava tenendo d’occhio un sospettato e nel suo caso, in una tasca della sua felpa nascondeva davvero una nove millimetri pronta all’ uso.
L’uomo con lo scudo arrivò pochi minuti più tardi. Anche lui in abiti civili, anche lui solo e ignaro. Il “turista”, non appena lo vide, prese dal suo zaino la guida; stavolta il Soldato vide il suo palmare e capì.
Non stavano cercando lui.
Stavano cercando il Capitano Rogers.



Angolo (tetro e buio) dell' autrice: i musical citati in questo capitolo sono i seguenti: Wicked, The Phantom of the Opera e Les Miseràbles. Tutti e tre successi mondiali, in scena da anni, se non decenni e tutti e tre reclamizzati proprio in Times Square, come si può vedere nella scena finale di Captain America: the first Avenger.
Un grazie specialissimo a Edvige, che mi ha aiutato traducendomi al volo le frasi in tedesco che mi occorrevano.
Al solito, per domande, curiosità, amenità, sapete dove trovarmi.
A venerdì prossimo!
Maddalena

 

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Capitolo 7
*** 5 ***


5


Steve aveva capito quando rivelare l’esistenza del dossier sul Soldato d’ Inverno nell’esatto momento in cui Jarvis aveva aperto la sua foto alla fine della loro cena.
Si era crogiolato fin troppo nel ritorno nella sua città, facendosi assorbire da ritmi e riti totalmente inopportuni, considerate le macerie che si era lasciato a Washington e le ombre seppellite sotto di esse. Stark doveva sapere e lui doveva accettare di seguire la strada apertasi nel bosco della strega per vedere se in fondo vi avrebbe trovato la trappola della casa di pan di zenzero o nulla. L’amico si augurava di trovare Bucky; il Capitano temeva di rivedere solo il Soldato.
Quella mattina aveva lasciato la Stark Tower dopo una veloce colazione in solitaria; prima di affrontare Tony aveva bisogno di una passeggiata, di un momento da solo per trascorrerlo con i suoi fantasmi e i suoi rimorsi; avrebbe fatto ancora prima se a quest’ultimi non si fossero aggiunti anche dei morsi di ben altra natura; quelli che pasteggiavano con lo stomaco di un uomo il cui metabolismo bruciava quattro volte più veloce di quello di un organismo medio.
Aveva messo una felpa sopra la solita maglietta da corsa, blu come i jeans scoperti di recente. Stesso colore per il berretto degli Yankees . Entrato in ascensore, la voce di Jarvis non lo aveva fermato.
Pessimo segno.
Appena lasciato l’ingresso, Steve inforcò gli occhiali da sole e si lasciò inghiottire dalla folla che a quell’ora si riversava fuori dal Grand Central Terminal. Percorse un tratto del Park Avenue Viaduct e poi si diresse a uno degli accessi per l’ omonima, trafficata strada.
Non si fermò al Central Café, lasciando ancora in sospeso un grazie a cui doveva rispondere. Fu una pigra passeggiata, incolore e insapore come potevano esserlo quelle in cui non c’era una meta e non si voleva godere di nulla prima di raggiungerla. La mente del Capitano era piena solo di colori lividi; si disse che avrebbe dovuto contattare Sam, per sapere se c’erano novità. Forse presto sarebbe dovuto partire ma con che finalità? Non sapeva nemmeno dove fosse il Soldato d’ Inverno e in che stato. Bucky aveva ricordato qualcosa? Doveva averlo fatto, altrimenti avrebbe potuto ucciderlo dopo averlo salvato. Come poteva essere di aiuto un uomo dalla vita distrutta e ricomposta per lasciarne solo le parti più adatte a creare una bomba capace di esplodere ovunque per rimodellare il corso degli eventi, se questi non andavano bene ai vertici dell’ HYDRA?
Hai corso troppo forte e ora non riconosci il luogo dove ti sei fermato.
La sua coscienza aveva ragione. Steve si fermò e prese dalla tasca dei jeans la sua agendina, aprendola sulle pagine della lista.
Un elenco di cose tra le più disparate da conoscere quando la sua vita fosse tornata su binari più confortevoli; l’elenco sarebbe sempre stato lunghissimo ma sperava di avere anche il tempo per non farlo proseguire all’infinito. C’era una voce che non aveva segnato e se davvero le parole avevano un potere di evocazione, di memoria, lui non doveva dimenticare un nome. Aveva quasi sempre una matita con sé, la trovò nella parte interna della sua felpa, assieme a uno dei suoi primi acquisti come cittadino del ventunesimo secolo: un i-Pod pieno di musica. L’ultima playlist l’aveva creata prima di partire da Washington. Circondato da uno strepitare continuo di clacson, dovette pensare a come scrivere quello che aveva in mente. Decise con un sorriso.
Trovare Bucky.
Il rimorso legato al suo migliore amico sospirò di sollievo nel vedersi finalmente riconosciuto dopo troppo tempo. Adesso, forse, poteva davvero darsi da fare per estinguerlo.
A qualsiasi costo.


Arrivare a Central Park fu come buttare una grossa secchiata di gialli, rossi e arancioni su un deprimente disegno in bianco e nero.
Steve aveva dimenticato che era autunno e quali colori potesse dipingere sul più bel spazio verde di New York. Anche se non era uscito per la sua corsa quotidiana, alla fine i suoi passi lo avevano portato lì; il bel tempo persisteva, anche se l’aria da frizzante poteva passare in poco tempo a una brezza più pungente. Molta gente arrischiava ancora a stendere un plaid sull’erba, intere famigliole in bici si alternavano a gruppi di runners lungo il lato Sud del Park Ride;  c’era movimento,  un’ eco crescente e poi discendente di risate infantili e lei apparve come un punto fermo di quiete seduto su una panchina. Un punto di un inconfondibile rosso acceso.
Questa volta teneva sulla ginocchia incrociate un album da disegno di grande formato, il volto non poteva scorgerlo dal momento che era abbassato sul suo disegno. Le ciglia scure disegnavano due virgole irregolari sulle guance arrossate dalle bizze della stagione. Posato sopra il suo borsone da lavoro, c’era l’astuccio che aveva già visto. La mano sinistra reggeva il blocco e teneva ferma i fogli sottostanti, tra le dita c’erano due matite.
Andy era totalmente, completamente concentrata sul suo lavoro; gli occhi dovevano essere serissimi. Steve conosceva quello stato; quando era intento a schizzare qualcosa su un foglio, gli occorrevano sempre diversi secondi per tornare alla realtà e spesso lo si doveva chiamare più volte per destare la sua attenzione.
Incerto su cosa fare, alla fine scrollò le spalle e si diresse verso la panchina. Andy non mosse un muscolo , ad eccezione di quelli della sua mano destra, nemmeno quando le arrivò a fianco. Come se nessuna ombra avesse disturbato la sua visuale.
“Ciao.”
Steve fece appena in tempo a scorgere un volto di donna dall’espressione maligna, le labbra arricciate per metà in un sorriso ironico e spietato sul foglio che un sobbalzo violento della sua creatrice provocò un piccolo disastro.


Mentre decine di bozzetti si riversavano per terra, alla possibile mercé di ruote di ciclisti poco attenti, Andy sentì il cuore andarle in tachicardia per poi esplodere per la troppa velocità. Senza pensarci due volte, senza trovare il tempo di maledire chiunque l’avesse fatta reagire in quel modo, si gettò in ginocchio per recuperare tutto il suo lavoro. I capelli le scivolarono lungo il viso, ondeggiando furiosamente al ritmo con cui raccoglieva quello che era il suo tesoro a tutti gli effetti.
“Scusate, scusate!” vociò cercando di farsi spazio tra i fruitori, più o meno di corsa, più o meno bipedi o ciclo muniti, della pista. “Un attimo solo, per favore! No, non lì!”
Lo schizzo di una foresta lugubre, infestata di edera su alcuni alberi avvizziti in primo piano, era finita in una pessima, ideale traiettoria con un ragazzino in rollerblade. Una mano più veloce della sua lo raccolse in tempo e solo allora, con uno scatto, Andy si voltò per fronteggiare il colpevole. Non che fosse credibile nella parte della vipera a cui hanno pestato la coda, nel suo trench color fragola, il berretto da gatto tutto storto e le braccia piene di fogli ma non le importava. Per quanto fosse sbagliato prendersela in quel modo, lei era semplicemente furiosa.
Anche se lo riconobbe subito e quegli occhi azzurri mortificati fossero l’arma definitiva per distruggere sul nascere qualsiasi attacco d’isteria, puntò addosso a Steve l’indice sinistro.
“Non. Farlo. Mai. Più!” scandì feroce. La sua era la rabbia di una bambina a cui era stato interrotto il gioco preferito; il tipo peggiore di risentimento.
“Mi dispiace, davvero.”
Steve non avrebbe mai immaginato che un semplice saluto potesse produrre un simile caos. Non sapendo cos’altro dire, esaminò il disegno che aveva raccolto. Lo sguardo si fece più acuto senza quasi se ne accorgesse.
“E’ bellissimo.”
“E’ il mio lavoro” gli venne ribattuto con aria spiccia. La ragazza si rimise in piedi e pretese con un gesto secco di riavere indietro quando le spettava.
“Dannazione, é quello approvato dal mio editore! Se si fosse rovinato sarei stata un’ illustratrice morta!”
Era quello uno dei suoi “Di solito sono molto peggio” su cui avevano scherzato insieme solo l’altro giorno? Se così stavano le cose, Steve desiderava tornare ai momenti buoni di quella ragazza il prima possibile, prima che un capannello di curiosi si formasse attorno a loro per incorniciare quel battibecco.
“Ecco, tieni. Non pensavo di spaventarti.”
Rimessi al sicuro l’album, Andy sospirò. Quel fiotto di adrenalina bruciante l’aveva consumata e non era abituata a ricevere scuse in cambio dei suoi comportamenti asociali e dispotici; di solito accadeva il contrario. Si tolse il cappello e ravviò i capelli con un’energica scrollata.
“Mi avrebbe spaventato chiunque, Cap-“ Un’occhiata allarmata le fece capire che adesso c’era troppa gente per usare con disinvoltura quel grado. “ Insomma; quando disegno, mi trasformo in una vera carogna irascibile. Tendo a concentrarmi … un po’ troppo.”
Rimise al loro posto le orecchie da gatto, sperando di apparire disinvolta. Non avrebbe mai creduto che si sarebbero rivisti; pensava si fossero scambiati cortesie giusto perché così parlavano tra loro le persone civili ma non era la sua vita, quella in cui le capitava di avere Captain America a salutarla, ricordandosi di lei. Lei era un’ illustratrice agli esordi, in un momento delicato della sua carriera ed era meglio non pensasse al reale stato della sua vita personale. Non era fatta per quel genere d’incontri.
Non eri fatta nemmeno per aiutare i feriti e i paramedici quel giorno di due anni fa.
“La prossima volta terrò a mente questo aspetto e aspetterò che tu alzi gli occhi dal foglio.”
Oh, se solo avesse saputo!...quindi tanto valeva dirglielo.
“Scherzi? Rischieresti di aspettare per ore.”
Una risata li aveva salvati in precedenza. Una risata di soccorso arrivò anche adesso.
“Allora, niente corsa oggi?”
“A volte ho voglia di fare quattro passi.”
“Condivido, Ca…no, ti prego, scusa. Ma non so che nome usare, se ogni volta mi guardi come se pronunciare il tuo grado potesse far esplodere il mondo.”
“Al momento non voglio che molti mi riconoscano, a New York. Puoi chiamarmi Steve.”
Andy lo scrutò a lungo ma non fece domande. Diventò molto seria e senza dire niente, tornò alla panchina.
“Che stai facendo?”, le domandò perplesso.
“Conosco quello sguardo e comunque non lo vedi? Sto mettendo via le mie cose.”
Steve si permise di storcere la bocca, infastidito. “Lo vedo; non capisco il perché.”
“Perché sei una persona con un grosso peso sulle spalle, oggi. Voglio farmi perdonare per prima, offrendoti un caffè. C’è un chiosco che lo fa delizioso, prima del Reservoir.”
Il Capitano ricordò solo in quel momento che quella ragazza era una brava osservatrice ma al momento, preferì non chiederle cosa le avesse fatto capire il suo vero stato d’animo. Ed Andy preferì non indagare sui reali motivi per cui si era dimostrata tanto disponibile.
E’ solo una questione di ferite. Ci si riconosce, quando se ne hanno di simili.

*


Il turista aspettò dieci minuti buoni, prima di alzarsi come niente fosse e piegare la coperta. Scattò persino qualche foto ma per fortuna, non si girò verso il Soldato.
Anche lui attese prima di muoversi; era fondamentale non destare nessun sospetto e se avesse fatto notare che si muoveva in sincrono con un soggetto potenzialmente pericoloso, avrebbe sicuramente compromesso la sua copertura .Lo  aveva tenuto d’occhio assieme all’uomo con lo scudo, sul punto di balzare in piedi quando quella ragazza era scattata e lo aveva minacciato.
Non lo aveva fatto. Un dito puntato contro non era un’arma, si ripeté e poi adesso erano andati via. Il che poneva una domanda cruciale.
Cosa doveva fare?
Seguire quei pochi ricordi che stavano affiorando o chi poteva costituire una vera minaccia?
Il Soldato rimase immobile, stringendo la mano sinistra coperta da un guanto di pelle.
Devi proteggerlo. Lui farebbe lo stesso con te.
I veri amici lo avrebbero fatto, l’uno per l’altro.
Voltò le spalle al Park Ride e tornò ad essere l’ombra implacabile che gli era stato insegnato essere.
Neve. Ancora.

*


“Non starai dicendo sul serio.”
“Hai lasciato scegliere me, ora sconta il prezzo della tua cavalleria. Assaggia.”
Il chiosco di cui Andy aveva parlato c’era davvero: un carretto di legno coperto da una tendina rossa, gestito da una ragazza di colore, pieno di bicchieri di carta di varie dimensioni e avvolto dal profumo corroborante del caffè. Sì, era stato Steve a proporle di scegliere per lui non appena aveva letto le decine di gusti scritti su una lavagnetta; ora stava per pentirsene.
“Se lo bevi insieme a me, d’accordo.”
“Croce sul cuore. Pronto? Uno… due…Tre!”
Sapeva che lo stava prendendo in giro ma almeno fu solidale. Il primo sorso di Schoko Orange*, una miscela di caffè a grani macinata sul momento e con aroma di arancia e cioccolato, fece un pigro giro nella sua bocca, deliziandola.
“Wow.”
“Che ti avevo detto? Malfidente. Ed è cento volte meglio di quelli che fa Starbucks!”
Steve decise che era meglio continuare a fare il sostenuto. E  bere il proprio caffè. Andy ridacchiò contro il bordo della sua tazza, lasciando vagare gli occhi lungo la linea luccicante e tremolante del lago poco lontano da loro.
“Va meglio?” domandò dopo diversi secondi, tutta intenta all’apparenza a studiare alcune barche che stavano scivolando sull’ acqua.
“Sì, decisamente.” In realtà stava ritardando uno scontro inevitabile, lo sapeva; ammutolì nuovamente e prese a rigirare il contenuto del suo bicchiere, le labbra corrucciate.  Si accorse di essere osservato di nuovo dopo un po’ ma non fece cenno di voler ricambiare lo sguardo. Fu per quello che la ragazza sorrise con amarezza: vedere un uomo tanto forte, tanto coraggioso, oppresso e quasi raggomitolato attorno a un centro di preoccupazione pesante come piombo, avrebbe spezzato il cuore di qualunque sostenitore di Captain America e per quel poco di verità scorta dietro uno scudo con una stella d’argento, Andy capì di dover fare qualcosa. Era la semplice solidarietà di chi in passato aveva lottato contro il male delle troppe responsabilità tiratesi addosso; non poteva chiedergli di confidarsi, era ben cosciente di non essere sua amica ma poteva fargli comprendere come il suo fosse l’atteggiamento sbagliato.
A modo suo.
“Steve, hai mai letto Il Signore degli Anelli?”
Quella domanda totalmente inaspettata gli fece cercare il suo viso.
“…No” mormorò perplesso. Cosa diamine c’entrava un libro con quello che stava passando?
“E’ il mio libro preferito in assoluto” rispose totalmente a suo agio. “E’ grazie a lui se ho deciso di diventare una disegnatrice. E’ ambientato in un universo parallelo al nostro, chiamato Arda. C’è tutto: lealtà, tradimento. Amore, odio. Coraggio e vigliaccheria. Il protagonista è l’ultimo che potresti definire un eroe ma non è questo il punto. Il punto è che aveva qualcuno che lo ha portato fino alla fine della sua missione, qualcuno che gli ha voluto bene anche per i suoi silenzi e le ombre nate in lui durante quel lungo viaggio verso il regno del loro nemico.”
“Quindi dovrei leggerlo per questo motivo?” chiese scettico e senza problemi a mostrarsi davvero tale.
“Se lo vorrai. Quello che volevo dirti è che se hai qualcuno di cui puoi fidarti, devi credere ti seguirà sempre, anche se dovesse venire a conoscenza di cose terribili.”
C’era Sam. C’era stata Natasha. C’era l’uomo che vestiva un’armatura, capace di dargli il comando perché aveva creduto in lui al di là delle incomprensioni, degli ideali opposti, dei doveri non condivisi. Prima di tutti loro, all’ inizio, c’era stato proprio Bucky. Alla fine capì le vere intenzioni di Andy e rese omaggio alla sua sensibilità alzando verso di lei un caffè finito per metà.
“Ci sei passata anche tu?”
“ Per questo riconosco i sintomi. Da soli si può fare molto ma non tutto. E’ decisamente altisonante usare esempi letterari per dare lezioni di vita, no?”
“Ho idea tu lo faccia spesso.”
“Solo se ho davanti l’uomo che devo ancora ringraziare perché ha salvato la mia città.”
Quello spiegava un mucchio di cose: la sua disponibilità verso di lui, il modo in cui gli parlava. Se ne sentì incredibilmente sollevato, perché capì di avere davanti una persona sincera. E molto divertente.
 Avvertì la carezza compiaciuta della lusinga, rimasta in silenzio per un bel po’ di tempo dopo le sue ultime missioni. Poteva ancora essere, semplicemente, un uomo giusto dentro una divisa e andarne fiero.
“Mi ripeteresti il nome di quel libro, per favore?”
Gli occhi verdi di Andy si accesero; non aspettava altro.

*


Il vicolo nel pressi della Radio City  Music Hall era sempre silenzioso e troppo squallido per attirare qualche turista interessato agli aspetti decadenti dell’ urbanistica di New York.
Era perfetto per essere il punto di raccolta di qualcuno che voleva far sparire in modo discreto le sue tracce. Il Soldato capì che il luogo era stato scelto con cura dopo averlo esaminato, nascosto dietro il cassonetto: in una città che dopo l’ Undici Settembre aveva piazzato telecamere di sorveglianza in ogni angolo dei propri punti di maggior richiamo, lì non ve n’era traccia. Mentre attendeva che il suo uomo venisse prelevato, aveva visto sotto i cornicioni di alcune finestre delle canaline di plastica da cui penzolavano patetici dei fili elettrici.
Il vicolo era stato attentamente bonificato da qualcuno che aveva gli agganci giusti per non far intervenire le forze dell’ordine e il loro servizio di sorveglianza telematica.
Il SUV arrivò puntuale e accostò. L’agente in incognito fece un cenno di saluto al conducente e si apprestò a salire.
Il proiettile gli trapassò il cuore nel momento esatto in cui la sua mano aprì la portiera; l’uomo inspirò l’aria con un gorgoglio ma quando qualcuno lo afferrò per il bavero della camicia strattonandolo indietro e facendolo volare contro la parte ricoperta di poster strappati e sudiciume alle sue spalle, era già morto.
L’autista si accorse troppo tardi di cosa stava succedendo e non ebbe il tempo materiale per estrarre dalla fondina la sua pistola; un’ombra, di una velocità inumana, era apparsa nel vano aperto, armata di un coltello a lama seghettata.
Uno scintillio di metallo e una mano d’acciaio strappò il poggiatesta come fosse stato di carta velina e non ovatta compatta; poi tutto un braccio scattò a bloccargli la gola, facendo mancare il fiato alla vittima e costringendola a non deglutire. La mano destra teneva contro il cuore il pugnale, pronto ad affondare. La violenta colluttazione fece sputare all’uomo qualcosa.
Una capsula.
Veleno, registrò il Soldato. Avvertì un freddo diverso da quello provato quando la tempesta di neve lo soggiogava; era il gelo del terrore, perché quel metodo di darsi la morte quando non c’era null’altro da fare era la prova mancante per confermare i suoi sospetti.
Il piano cambiò immediatamente; non poteva lasciarsi dietro un altro cadavere, non prima di aver saputo quanto gli era possibile dal suo nuovo, inaspettato ostaggio.



Angolo (tetro e buio) dell' autrice: * Schoko Orange: non si tratta di un’ invenzione. Questo particolare caffè esiste davvero ed è uno dei miei tanti vizi. Purtroppo è anche difficile da trovare, perché è preparato artigianalmente ma ne vale decisamente la pena.
Al solito, per domande, curiosità, segnalazioni di errori, amenità varie, sapete dove trovarmi. Per il caffè invece, dovrete chiedere ad Andy.
A venerdì prossimo!
Maddalena.

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Capitolo 8
*** 5.1 ***


5.1


Second rewind


Nick Fury non era uomo da trovarsi facilmente a proprio agio, se non in un contesto fatto di enormi, impersonali uffici, di stanze buie senza finestre o di una plancia di comando.
Adesso, mentre stava passeggiando lungo le rive del Serpentine di Hyde Park, era sicuro di apparire come qualcosa di bizzarro e anomalo, con la sua falcata imperiosa, le mani affondate nelle tasche di una giacca di pelle, grossi occhiali da sole specchiati, una sacca da viaggio a tracolla e la mano destra impegnata a reggere una banale guida turistica..
Incutere timore con la sua semplice presenza era stata una delle sue specialità, un’ abilità di cui si doveva andar fieri, quando si dirigeva la più potente agenzia governativa del mondo.
Quei giorni erano divenuti cenere in un istante; il tempo che poteva intercorrere tra lo sparo di un proiettile e la distruzione di uno, due, dieci, venti specchi. La realtà oltre il riflesso aveva portato a un capovolgimento di fronte che gli aveva tolto tutto, dai valori in cui aveva continuato a credere fino ai metodi non sempre ortodossi impiegati per perseguirli.
Ora non aveva più nemmeno la propria vita.
C’era una tomba scavata di fresco, al cimitero militare di Washington , vegliata da una bella lapide massiccia di porfido; alla fine, colui che un tempo era stato il temuto e rispettato capo dello SHIELD, aveva trovato uno specchio rimasto miracolosamente intatto, lo aveva innalzato e vi si era nascosto dietro, lasciando che il mondo piangesse o gioisse del falso riflesso della sua morte.
Aveva bisogno di avere le mani libere, per strangolare un certo bestione a nove teste e dopo quanto era successo, si poteva scommettere che Fury avesse abbastanza forza per combatterlo senza armi, fosse stato necessario.
  Aveva lasciato gli Stati Uniti dopo essersi sincerato delle condizioni del Capitano Rogers e dei suoi pochi alleati ma prima di partire per l’ Europa, aveva perso le tracce dell’ agente Romanoff.
Aveva reso una deposizione davanti al Grand Jury; aveva sfidato senatori e generali affermando che per quanto lei e gli altri agenti fosse compromessi, ci sarebbe stato sempre bisogno di loro perché ci voleva il coraggio di chi non ha nulla da perdere per affondare le mani nel sangue, nelle viscere malate di un mondo che avevano sempre protetto; l’aveva vista consegnare una cartella al Capitano, in quella mattina di sole tra le lapidi ombreggiate da querce. Si era voltata e se n’era andata, sparendo.
Conosceva abbastanza bene Natasha da capire che aveva avuto i suoi buoni motivi per non seguire Steve a New York o rimanere con Sam per studiare un nuovo piano d’azione; la Vedova Nera aveva già compreso la situazione e aveva deciso di mettere la sopravvivenza al primo posto.
Era stata in nome suo che, molti anni fa, la più temibile spia della Mano Rossa aveva abbandonato la Russia per cercare agganci con lo SHIELD. A garantire per lei era stato il Direttore Fury in persona, ben cosciente di cosa stava rischiando nel dare protezione a un’assassina macchiatasi di molte delle morti che avevano decimato le file dei suoi uomini.
Natasha Romanoff  non aveva tradito la causa del suo Paese.
Era scappata.
Da cosa, Nick non lo sapeva con certezza nemmeno oggi; quando se l’era ritrovata di fronte, in un parcheggio sotterraneo, aveva visto in quegli occhi freddi e magnifici un distacco remoto. Uno spesso strato di ghiaccio fatto sedimentare per seppellire un segreto tanto orribile da richiedere altrettanta bellezza per distrarre l’osservatore e non fargli fare domande.
L’uomo si fermò e diede un’occhiata al suo orologio; mancava poco all’ ora convenuta dell’appuntamento.
Sam Wilson era decisamente qualcuno di cui ci si poteva fidare; per capirlo sarebbe bastata la protezione data al Capitano Rogers quando era stato trasformato da Eroe a Nemico Pubblico ricercato in tutti gli Stati Uniti ma il veterano era andato ben oltre e come non fosse bastato tutto ciò che aveva già fatto, aveva promesso di trovare i giusti agganci oltre oceano per aiutare il Colonnello nella ricerca dei resti dell’ HYDRA e ricostruire come fosse stata possibile la sua infiltrazione in quegli stessi ambienti che l’avevano sempre combattuta.
Con un nuovo passaporto e una nuova identità, Nick aveva volato dagli Stati Uniti fino a Londra con un indirizzo, un numero di telefono e un nome. Non che fosse sprovvisto di contatti ma gli era stato detto di rivolgersi a lei prima di qualsiasi altro.
Era una giornata bella, per i capricciosi standard inglesi, il che significava assenza di piogge significative nell’arco delle ultime ventiquattr’ore; il cielo era oppresso da una corsa continua di nuvole sospinte da un  vento umido proveniente dal mare e nessuno sembrava avere voglia di uscire in barca per il lago artificiale. L’imbarcadero, col suo piccolo molo, era deserto ad eccezione di una donna alta e robusta, vestita con un pesante cappotto verde e in testa un berretto da pescatore dello stesso colore. Imbracciava una cartelletta con la silenziosa autorità di una abituata a farsi obbedire; sul bavero del giaccone, era appuntata una tasca di plastica con dentro un cartellino.
Gli occhi erano di uno slavato grigio ma il colore non proprio acceso era tradito da uno sguardo attento e mobile. Quando vide arrivare chi stava aspettando, lo accolse con un grosso sorriso e un saluto fortemente accentato. Puro, musicale inglese misto a scozzese; una musica ostica ai più ma decisamente piacevole.
“Ben arrivato, signore. Pronto per il nostro giro turistico?”
La parola d’ordine era corretta. Le labbra sempre serrate di Nick si sbrogliarono appena per mostrare un tentativo di sorriso cordiale. Aveva di fronte Laogharie Randall, maggiore della Royal Navy in congedo permanente dopo essere rientrata dall’ Iraq dove aveva prestato servizio in qualità d’interprete. Sopravvissuta a un attentato, era stata aiutata da Wilson dopo averla conosciuta nell’ospedale da campo dove una coraggiosa quanto folle equipe di medici si erano intestarditi e non le avevano permesso di arrendersi alla morte.
Il prezzo di quella vittoria, Laogharie lo portava tatuato in viso e su una porzione del collo: una cicatrice spessa e frastagliata da esposizione a una bomba “sporca”, contaminata con agenti chimici che i guerriglieri iracheni compravano, troppo spesso, da compatrioti di quegli stessi soldati mandati a cercare una pace decisamente reticente e aleatoria. L’esplosione che l’aveva investita di striscio le aveva mangiato la divisa, il giubbotto anti proiettile, parte dell’ equipaggiamento; se non aveva perso un arto o più di uno lo doveva al compagno in pattuglia con lei quel giorno. Era morto a causa di una colpa distribuita equamente in ogni conflitto: quel giorno camminava davanti a lei lungo un sentiero. Il Caso aveva agito di conseguenza.
“il volo da Washington è stato piacevole?” chiese dopo che si erano incamminati per percorrere a ritroso un tratto del Serpentine.
“Piacevole come lo può essere partire dopo ore bloccati al gate d’imbarco.”
Il Dulles International era stato posto sotto assedio da decine di squadre armate, sobillate dagli isterici ordini superiori piovuti sempre più fitti sui loro agenti mano a mano che le notizie dal Triskelion divenivano spietata cronaca: lo SHIELD era stato distrutto, annientato dal suo nemico storico e la Rete era stata invasa da decine di documenti de-secretati in cui veniva mostrata la verità. Nonostante avesse atteso alcune settimane prima di partire, Fury stesso aveva dovuto arrendersi docilmente a un mostro altrettanto pachidermico ma decisamente meno veloce dell’ HYDRA: la burocrazia.
Controlli interminabili, con la consapevolezza di aver spazzato via per sempre ogni traccia della sua identità precedente –si era premurato particolarmente di rendere perfetta la messinscena della sua morte- vedendo sfilare davanti a sé militari in borghese o in assetto anti sommossa a caccia di un fantasma.
Perché c’era una sola domanda in grado di non far dormire nessuno alla Casa Bianca, dal Presidente all’ultimo passacarte dello Stato Maggiore.
Dov’era il Soldato d’ Inverno?
Ecco, quella era una delle tante domande a cui sperava di trovare una risposta con il suo viaggio. Possibilmente, insieme a qualche alleato, sempre potesse ancora vantarne.
“Ecco, ci siamo signore.”
Laogharie si fermò per prima e continuò a sostenere la sua perfetta recita a beneficio di chiunque passasse lungo la riva in quel bigio pomeriggio così londinese da sembrare pronto per una suggestiva cartolina.
  Quando aveva ricevuto la mail di Sam, aveva capito subito che era stata scritta in codice. Il militare americano aveva deciso di fare affidamento sulla sua esperienza maturata sul campo, quando interpretare codici e semplici alzate di sopraciglio faceva la differenza tra una trattativa conclusa felicemente con un capo tribù o l’inizio di uno scontro a fuoco per strappare un passaggio in un territorio ostico. Le aveva chiesto un grosso favore ma aveva un debito di riconoscenza da non ritenersi estinto; dovere la propria vita a qualcuno non era affare da risolversi con un aiuto tanto semplice.
“Qui una volta scorreva il Tilbury Brook*” prese a spiegare con aria professionale e partecipe; indicò una formella rotonda incastonata nel lastricato della passeggiata. “Il suo letto ora è sotterraneo ma continua a sfociare nel Serpentine.”
Qui sei al sicuro. Puoi ancora contare su persone amiche, anche se non le vedi.
Ostentando un’ attenzione perfettamente credibile, Nick annuì e spostò lo sguardo verso Ovest; in lontananza, tra le chiome degli alberi, sapeva esserci la massa indistinta e candida di Marble Arch.
“Quindi non siamo molto distante dal Tilbury Tree**, giusto?”
Dimmi di più.
“Quell’ albero ora non esiste più ma il nome è rimasto; era ai suoi rami che venivano appesi i condannati a morte.”
I luoghi e le persone possono cambiare nome ma non la loro essenza.
“Venga, il nostro percorso nel parco si chiuderà a Tilbury Way. Da lì si arriva in fretta allo snodo di Cumberland Gate**.”
Non è Londra dove devi fermarti.
All’imbocco di Oxford Street, una delle arterie pulsanti più vitali del centro di Londra, c’era una grande area di fermate per gli autobus extra urbani;  non solo, c’era anche una delle stazioni della metropolitana più importanti della città. Da lì si poteva partire per qualsiasi destinazione e qualcosa diceva a Nick che non era ancora arrivato il momento di tirare il fiato.
La visita guidata si protrasse seguendo le aspettative consuete: aneddoti, punti interessanti da visitare, soste più o meno noiose. Doveva ammettere che Mrs. Randall sapeva come reggere una copertura; non doveva stupirsi più del dovuto, visto che stava semplicemente recitando il suo vero lavoro, quello reinventato una volta reintegrata nel tessuto civile del Regno Unito. Appariva dimessa, visto il suo aspetto ma quelle cicatrici erano state suturaste con dell’acciaio temprato; sapeva perfettamente chi stava scortando e perché ma lo faceva con la sollecitudine di chi conosceva l’importanza del suo compito.
“Eccoci arrivati.”
Si trattava della pensilina dell’ Oxford Tube,  il bus a due piani diretto per la cittadina universitaria; dopo poche fermate, tra cui Notthing Hill e West Gate, non si sarebbero state più soste fino a Thorn Hill, la grande zona di parcheggio a pagamento alle porte della periferia.
“Pensa mi piacerà?”
“Ne sono certissima. Visiti il Giardino botanico, mi raccomando. Pare che i falchi stiano tornando a nidificare.”
La bocca di Fury si produsse in un’altra smorfia; non ancora un vero sorriso ma sicuramente contribuì a far capire alla donna il suo sincero ringraziamento.
“Le sono debitore.”
“E’ il minimo, signore. Buona fortuna.”
Dieci minuti dopo, con un biglietto regolarmente pagato e l’indicazione di scendere a Queen’s Lane, Nick cominciò a pensare che quella maledetta stronza bendata gli doveva giusto due o tre dei suoi bonus. Forse il primo se l’era già giocato ma aveva ottenuto un ottimo risultato.

*

Quando il suo mondo si era capovolto, Clint Barton lo stava fissando dall’alto.
Da quel momento in poi, il Falco si promise di conficcare una freccia in mezzo ai bulbi oculari di chiunque avesse fatto ironia sulla sua fissa per trovare un posto a diversi metri dal suolo per controllare la situazione.
Era stato grazie a quel suo bisogno rasente il patologico che si era salvato.
  La sua missione in Inghilterra doveva durare un mese e sembrava essere di routine; era stato designato come il comandante di una scorta che doveva portare in America alcuni componenti finali per l’equipaggiamento degli Helicarrier alloggiati negli hangar del Triskelion. Si era detto, in verità, come fosse inusuale che un agente del suo livello fosse assegnato a un compito di semplice supporto; era bastato il fatto di aver ricevuto l’ordine da Fury in persona a non fargli fare domande.
Il carico era stato approntato nei tempi previsti; si trattava di un set di cannoni il cui software di attivazione permetteva una loro attivazione a distanza.
Era stata la natura primitiva di una tecnologia sorpassata dallo SHIELD da diversi anni a metterlo in guardia; controllato per l’ennesima volta il file con il protocollo da eseguire, aveva cercato di convincersi che tutto andava bene ma non gli era bastato per smettere di guardarsi alle spalle.
  La mattina della partenza dalla base militare di High Wicombe****, concessa in uso alla sua squadra per una finestra di tempo di dieci ore, Clint aveva assegnato i vari compiti come nulla fosse e poi, semplicemente, era volato via. Senza essere notato.
Il capannone ospitante il jet mandato da Washington era dotato di un precario ballatoio sospeso nel vuoto, con una visuale appena ostruita da una balaustra in tubi di ferro. Aveva appena fatto in tempo a prendere posto, la fondina della pistola d’ordinanza già aperta per facilitare l’estrazione, quando la sua micro trasmittente era andata in corto circuito. Seguita dal resto.
La squadra assegnata a Barton era composta da sei elementi oltre lui: tre appartenenti al livello Cinque, specializzati in analisi informatica, preposti al controllo del programma per il direzionamento dei missili e tre di livello Sette, un tempo arruolati nei Navy Seals e confermati a nuovo ruolo dopo il loro congedo con onore dal servizio militare. Quest’ ultimi erano tutti ottimi cecchini ed esperti di combattimento a fuoco; i migliori per proteggere chi, per quanto abile con computer e stringhe di sistemi virtuali da vagliare, non poteva vantare lo stesso grado di famigliarità con una pistola se non di piccolo calibro e data in dotazione per mera protezione fisica.
Quando iniziò la sparatoria, il Falco vide gli agenti di livello inferiore lasciare i loro terminali in perfetta sincronia, prendere le loro valigette ed estrarre degli Uzi. Si era messo in piedi con la sua tipica velocità e aveva fatto fuoco anticipandoli, centrando alla nuca l’uomo già pronto a sparare; la raffica di mitra schizzò verso l’alto, andando a perforare la parte superiore della parete e una porzione di tetto.
L’eco distorto dei proiettili contro il metallo non si era ancora dissolto che i due superstiti erano riusciti a trovare un posto sicuro dietro cui ripararsi, iniziando una vera guerriglia.
Clint riuscì a parare le spalle agli altri fino a quando non si accorsero di dover tenere qualcuno puntato esclusivamente su di lui, impedendogli di proseguire la difesa degli agenti colti di sorpresa. Dovette appiattirsi contro il muro del ballatoio ma quando riuscì a prendere la mira e porre fine con due colpi alla sparatoria, si accorse di essere rimasto il solo in piedi.
Tre  agenti del Settimo livello, qualificati nelle loro mansioni da un addestramento sul campo tra i più duri al mondo, erano morti; il fattore sorpresa non poteva giustificare da solo quella strage senza motivo apparente. Uno dei traditori era ancora vivo ma lo aveva preso all’altezza del polmone destro; a ogni suo respiro, le parole che gli sibilò contro si mescolavano al gorgogliare del sangue che stava invadendo la cassa toracica.
“Devi decidere da che parte stare, Barton.”
 Erano state le sue ultime parole. Anche se non ne aveva afferrato  il vero significato dell’avvertimento allora, Clint aveva compreso che era successo qualcosa di terribile. Ai computer ancora accesi, vide lampeggiare una scritta.

Attuazione dell’operazione Insight.
Obiettivo: verificare l’operato dell’agente di Livello Otto Cilnt, Barton. Procedere in caso di resistenza.

Nei tre giorni a seguire, era stato inseguito, braccato, aggredito e reso incapace di comunicare con qualcuno delle loro basi di supporto in territorio inglese; gli amici erano scomparsi, gli alleati si erano mostrati traditori e la frequenza di trasmissione segreta dello SHIELD, inservibile.
Le prime voci gli giunsero in modo fortuito e da canali decisamente passati di moda per un soldato della sua esperienza.
Stralci di giornali presi in stazioni di servizio malmesse nei pittoreschi villaggi dell’ Oxfordshire.
Scampoli di agenzie lette nei telegiornali della BBC, origliati mentre beveva qualcosa negli angoli più fumosi dei pub.
Nicholas James Fury, Colonnello pluridecorato e Direttore dello SHIELD era stato proclamato Nemico Pubblico e ucciso poche ore dopo un inseguimento per le strade di Washington, dove in un primo momento era sembrato vittima di un attentato, da lui stesso orchestrato per gettare fumo negli occhi; il Capitano Steve Rogers, accusato di complicità per fermare il nuovo progetto di difesa approvato dal Consiglio Mondiale di Sicurezza in collaborazione con il sottosegretario Alexander Pierce, si era dato alla macchia invece di costituirsi.
E se lui aveva dovuto nascondersi, lo stesso destino era toccato a Natasha, che gli era stata affiancata in squadra al momento della sua partenza.
Il mondo si era davvero capovolto e aveva posto Clint Barton e i suoi compagni dalla parte dei cattivi.
C’era voluto tempo e l’inaspettato aiuto di una veterana di sangue scozzese incontrata per caso ad Hyde Park mentre depistava dei nuovi inseguitori per capire, trovare un nuovo punto di mira e vedere chiaramente cosa diavolo fosse successo.
“Posso aiutarti” aveva detto Laogharie Randall. “Posso avere il contatto che cerchi con Washington.”
Sembrava proprio che la Veteran Association si fosse schierata, in quel momento di caos, scegliendo il lato giusto della barricata; anche se non aveva la più pallida idea di perché un’associazione tanto pacifica fosse scesa in campo e per quale motivo. Alle sue più che comprensibili domande, la donna aveva risposto succintamente: lo SHIELD era stato irrimediabilmente compromesso e il nome della riserva scientifica di stampo nazista tristemente famosa durante la Seconda Guerra Mondiale era uscito allo scoperto, dopo decenni d’ingannevole letargo.
Il responsabile dell’ A.V. per Washington, l’unico alleato rimasto a Steve, aveva attivato tutti i canali di comunicazione a sua disposizione perché chi poteva desse aiuto agli agenti rimasti fedeli al Direttore Fury. Il suo messaggio di richiesta di assistenza aveva trovato subito risposta a Londra, la città che non si era mai tirata indietro quando le circostanze lo richiedevano.
“Agente Barton, presto riceverà visite.”
Quando era riuscito a contattarlo, Sam Wilson era stato autore della più breve telefonata satellitare degli ultimi anni ma il sollievo portato da quelle poche parole fu inestimabile.
Gli fu assegnato un indirizzo a Oxford, più sicura di Londra per un fuggitivo e fornito di documenti falsi, una somma di denaro e qualche  resoconto su quanto si era perso: la missione si rivelò essere effettivamente una montatura per allontanare il nucleo dei Vendicatori rimasti con Nick Fury e portarli ad essere non operativi. Il gergo militare sapeva essere più rivoltante dei più untuosi diplomatici, se si trattava di non usare mai parole inerenti a morte e assassinio. Nessuno come chi viveva dentro quel mondo lo sapeva.
  L’unico avvenimento che se non si era aspettato, fu Natasha davanti alla porta del suo alloggio, una settimana fa.
Chiudendo l’ombrello dopo l’ennesimo scroscio di pioggia, Clint studiò l’asfalto umido di Queen’s Lane e il profilo irto di guglie del Magdalene College, col suo portale spalancato sul giardino impeccabilmente curato, una macchia di un verde violento in quel mare di colori slavati dal brutto tempo. Fece in tempo a ricordare che non le ancora aveva chiesto come avesse fatto a trovarlo, prima di accorgersi del lampo rosso e blu dell’ Oxford Tube che stava arrivando alla fermata.
Il visitatore di cui aveva parlato Wilson era arrivato.


“Temo non sia un granché.”
Non ricordava a che punto di quella lunga notte, Clint si fosse scusato per la modestia della sua casa. Forse dopo alcuni lunghi minuti di silenzio, scanditi dallo scroscio incessante della pioggia.
Lo aveva guardato, sorridendogli. “Non m’importa. Il divano andrà benissimo.”
Durante il suo lungo racconto, Natasha non gli aveva mai chiesto se poteva trovare ospitalità da lui e nemmeno gli aveva rivelato come aveva fatto a trovarlo.
Clint aveva capito tutto al volo e naturalmente, alla fine era stato lui ad arrangiarsi per dormire in soggiorno, lasciandole la camera da letto. Per vincere qualsiasi resistenza, aveva aspettato che Natasha si fosse chiusa in bagno per una doccia bollente –era arrivata sotto un grosso temporale con solo una sacca come bagaglio e non aveva l’ombrello- e al suo ritorno, si era ritrovato il Falco già in possesso del suo nido, con tanto di trapunta e un paio di cuscini.
  Iffley Road era un lungo viale in cui le sedi di grandi college si alternavano a file di case che seguivano i dettami della più classica architettura inglese: villette a schiera dai due ai tre appartamenti, sviluppati su più piani comunicanti tra loro con scale strette e dai gradini con una pedata giudicata incivile da chiunque non fosse abituato a salirci e scenderci in punta di piedi.
Poche erano le abitazioni di proprietà; la maggior parte erano in usufrutto all’ Università di Oxford, che le concedeva alle sue facoltà per alloggiare i propri studenti.
Quella occupata provvisoriamente da Clint non era diversa da tutte le altre: un minuscolo ingresso che diventava un corridoio angusto, con sulla sinistra un piccolo soggiorno con la finestra a bovindo e avanti, una cucina semi abitabile che dava su un giardino incolto. Al primo piano c’erano il bagno e la camera da letto, sopra ancora una mansarda vuota. Metà del mobilio era ancora coperto da teli bianchi e quello usato per i bisogni più essenziali era spartano e a volte, poco funzionale. Il vecchio bollitore posto vicino al fornello a quattro fuochi fischiava terribilmente quando l’acqua era pronta ma Natasha non riusciva a fare a meno di bere tea da quando era arrivata.
Anche adesso, mentre sedeva sul divano, reggeva tra le mani una tazza fumante; gli occhi felini, di un punto di verde impossibile da definire perché risultato dalla somma di più sfumature di quel colore, fissavano il tappeto stinto ai suoi piedi senza notarne il disegno.
Aveva freddo.
Natasha aveva costantemente, perennemente freddo.
Non sapeva quando e soprattutto perché fosse cominciata, quella sensazione; un giorno si era accorta di avere un grumo di ghiaccio in un angolo del suo cuore e non era stata una sensazione  dettata da qualche misteriosa suggestione. Si era svegliata di colpo, in una camera d’albergo e aveva puntato verso il vuoto la calibro nove con cui dormiva sempre. Gli scampoli di un incubo in cui qualcuno premeva una mano gelida, per nulla umana, sulla sua gabbia toracica erano danzati a lungo nel buio.
 Era stata la notte dopo la sua deposizione davanti al Grand Jury; aveva smascherato l’ipocrisia di quell’inchiesta allestita in pompa magna dal Consiglio di Sicurezza con una sola argomentazione ma il coraggio era svanito, portato via da un sonno agitato in cui soffiava il vento gelido della steppa.
Il gelo era nato in quell’istante.
Razionalmente, l’agente Romanoff sapeva che non poteva esserci nulla di vero in una mera fantasia ma per Natasha era diverso. Era un peso opprimente, una fitta di dolore ripiegata decine di volte su se stessa e capace di piantarsi nel respiro. Sembrava un monito e odiava non capire per cosa.
Bevve un grosso sorso di tea senza nemmeno lasciarlo intiepidire.
Hai già provato questo freddo.
Quando? Cinque anni fa, in Iran.
Bugiarda.
No, stavolta no. Non stava mentendo. Non stava recitando sotto copertura.
C’era solo una persona che poteva aiutarla, prima che si spezzasse. Lo aveva già fatto. Se Clint non ci fosse stato, probabilmente molte cose sarebbero andate diversamente nel suo periodo di inserimento nello SHIELD.
Aveva chiesto una sola cosa, in cambio del suo passaggio al servizio degli Stati Uniti; era il motivo principale per cui era partita da Mosca con un biglietto di sola andata, ottenuto con false generalità. Voleva sottoporsi a un esperimento e sapeva che i nemici di un tempo avevano tutto l’interesse a usare su di lei una procedura che aveva già portato ottimi risultati.
L’agente Barton fu designato come suo referente; un modo asettico e cauto per dire sorvegliante. Svolse il suo compito in maniera assolutamente atipica, dal momento che non provò mai a interrogarla impiegando trucchi di manipolazione psicologica o a coglierla in fallo.
Il giorno del loro incontro non lo avrebbe mai dimenticato.
“Cosa sta facendo?”
“Leggo.”
“E’ un libro di poesie vero, quello?”
“Ho scoperto di recente come Shakespeare abbia le risposte per tutto.”
Natasha aveva imparato cosa ci potesse essere dietro la vita condotta come Vedova Nera, grazie a Clint. La letteratura inglese era un suo piacere proibito, diceva sorridendo con quel suo sorriso stropicciato; lo aiutava a distendere i nervi, a ricalcolare l’uso del tempo. Sosteneva addirittura che avere i punti di vista di personaggi così diversi lo aiutava a mantenere una mira perfetta, una concentrazione sui movimenti, sugli impulsi e le loro ragioni.
Ed era stato parlando di una scrittrice vissuta in epoca vittoriana che l’aveva accompagnata in una sala operatoria, dove non c’erano un lettino, né un apparecchio per l’anestesia, rilevatori di battito cardiaco e attività cerebrale e un tavolo coperto da un panno sterile per la strumentazione chirurgica.
“Allora sei sicura.”
L’affermazione del Falco arrivò attraverso il fruscio elettrico di un microfono. Vestita di un semplice camice verde, Natasha si era voltata verso la finestra dal vetro a specchio e aveva sorriso, prima che le venissero applicati gli elettrodi alle tempie.
Sì. Ci sono cose che devo mettere al sicuro. Questa volta l’ ho deciso io.
La pioggia riprese vigore, facendole desiderare calore, nuovo calore. Afferrò una coperta e ci si avvolse dentro.
La prima volta che la sua memoria era stata alterata fu per imposizione. Aveva dovuto dimenticare qualcosa ma ora da quella porta blindata sembrava uscire un refolo d’aria densa di brina e neve.
Conosceva chi aveva aperto la breccia. Saperlo al sicuro in un altro mondo, soggetto alla giustizia del suo popolo, non la tranquillizzava quando di notte si ritrovava da sola a affrontare fantasmi senza volto e senza un perché.
Ma non c’è solo quello, vero?
Vero.
La distruzione dello SHIELD non aveva riguardato solo la vanificazione della sua copertura. Aveva tentato di spiegarlo a Clint ma non trovando le parole, alla fine era rimasta in silenzio. Qualcosa in lei non andava più come doveva.
Troppa empatia?
Si stava preoccupando troppo per Steve?
Cielo, aveva bisogno di altro tea bollente.
Si alzò dal divano mentre un mini cab nero frenava davanti alla porta. Lo schiocco di apertura della portiera non era ancora risuonato che lei si era già appiattita dietro la porta d’ingresso. Non aveva armi ma nel combattimento corpo a corpo non era seconda a nessuno. Lo aveva dimostrato di recente.
“Nat.” La voce di Clint era venata da una risata silenziosa.
“Va tutto bene.”
Perché ci credeva sempre, quando era lui a dirlo? Anni insieme come partner le avevano insegnato a capire se c’era una menzogna o tensione nelle sue parole. Si costrinse a rilassare le spalle e fece un paio di passi indietro nel corridoio. La luce livida del lampione posto a pochi metri lungo il marciapiede, chiazzò la moquette, su cui poi si profilarono due ombre, una più imponente e massiccia dell’altra.
“Vedo che non hai ripreso il tuo cappotto.” Soffiò asciutta, sostenendo lo sguardo di Fury.
“E’ un piacere anche per me, agente Romanoff.”


Angolo (tetro e buio) dell' autrice:
Tilbury Brook: il Tamigi è sicuramente il fiume di Londra più conosciuto ma non è l’unico. Ne esistono molti altri e il Tilbury Brook, che oggi confluisce nel bacino del Serpentine, è uno di questi. Il suo corso è sotterraneo.
Tilbury Tree: Era un albero di Hyde Park tristemente famoso per le esecuzioni d’impaccagione. Oggi non esiste più ma il nome del luogo è rimasto.
Tilbury Way: Uno dei viali di Hyde Park.
High Wicombe: Base militare dell’ Esercito Inglese realmente esistente.
Cumberland Gate: è il nome di uno dei principali snodi di comunicazione della City di Londra, a pochi passi da Oxford Street. C’è una grossa stazione metropolitana e nei pressi di Marble Arch, una dove fermano le maggiori linee di autobus provenienti da fuori città.
Come avrete capito, sono abbastanza una Precisina della Fungia per quanto riguarda i luoghi geografici. Aggiungiamoci pure che per motivi deliziosamente personali e di viaggio, conosco bene quella zona di Londra e tutta Oxford, di cui ho citato a man bassa mezzi di trasporto e vie. Non c’è nulla d’inventato, dove mi è possibile essere fedele.
Baci e caffè a tutti voi!
Maddalena.

 

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Capitolo 9
*** 6 ***


6


Fu Jarvis ad avvisarlo del rientro di Steve.
Tony non si mosse per diversi minuti, continuando a fissare il nuovo faldone che giaceva sul suo tavolo di lavoro; scolò l’ultimo goccio del doppio scotch con ghiaccio che si era preparato e si diresse verso l’ascensore.
Pepper non era ancora rientrata dalla sede newyorkese delle Stark Industries e forse era meglio così; non sapeva se avrebbe avuto la forza di aprire davanti a lei una cicatrice il cui dolore non smetteva d’ incrinare la sua vita.
Sempre vissuto all’ombra di un uomo considerato inarrivabile, suo padre, Tony aveva scoperto quanto l’amasse nel modo più vero e banale del mondo; quando lo aveva perduto, insieme a sua madre. Aveva sempre aspirato a divenire come Howard Stark e non si era mai accorto di quanto la rincorsa senza fine verso un’ ombra fosse il suo modo di espiare le parole mai dette, gli abbracci mai dati, i desideri mai espressi. Ciclicamente, i punti di sutura applicati su quella ferita con tanta fatica tornavano a tirare e saltavano, mostrando sotto il tessuto cicatriziale del tempo della pelle lacerata e vulnerabile; non si sarebbe mai aspettato di provare una vendetta simile, così pungente e orrenda da ammorbargli la bocca al posto del liquore, dopo tanti anni.
Le porte si aprirono sull’ingresso dell’ appartamento del Capitano ma non vi trovò nessuno.
C’era della musica nell’aria, diffusa da uno degli impianti di ultima generazione installati a ogni piano del grattacielo; un vecchio successo dei Pink Floyd, Time. A quanto sembrava, qualcuno stava svecchiando i suoi gusti musicali ma non poteva riderne. Gli angoli delle labbra erano stati immobilizzati da una tensione pesante dal momento in cui aveva letto la documentazione tradotta da Jarvis. Bussò alla porta della camera da letto, senza ottenere risposta; quando vide che non era stata chiusa a chiave, mandò al diavolo quel moto inopportuno di cortesia ed entrò.
Steve aveva fatto finta di non esserci; era seduto sul suo letto, a gambe incrociate e gli stava dando le spalle. Il gomito destro era puntellato sulla gamba, la mano sorreggeva la testa china su qualcosa. Buttata sul cuscino c’era una borsa di tela con il logo di una libreria.
“Ti stavo aspettando.” Steve girò una pagina, come se la lettura lo stesse ancora interessando. Era pronto a fronteggiare la classica risposta alla Tony Stark, che prevedeva l’uso di minimo due doppi sensi e un’ allusione ma quando non arrivò, chiuse il suo libro e girò il busto.
“L’udito ti funziona ancora bene, per essere un novantenne.”
“Vuoi continuare così oppure affrontiamo il discorso?” gli chiese piccato.
Tony si strinse nelle spalle. “Volevo arrivarci dopo gli adeguati preliminari ma pare che tu sia per un approccio diretto.”
La battuta mancava decisamente di mordente; era una patetica raccolta di frasi già sentite e che ormai non lo facevano più indignare. Steve prese il telecomando e lo puntò sullo stereo; la voce di Roger Waters smise di arrampicarsi, compatta e asciutta, su quelle di Richard Wright e David Gilmour. Non dovette attendere molto perché la battaglia più temuta iniziasse.
“Il fascicolo che mi hai dato contiene tutte le informazioni mancanti sul cosiddetto progetto “Soldato d’Inverno” e il motivo per cui lo SHIELD non ne ha mai saputo nulla.”
Un paio di occhi azzurri si sbarrarono, perplessi. Quello non era certo l’inizio delle ostilità che aveva immaginato; non sapendo che altro fare, Steve rimase in silenzio, il capo leggermente chino. La sua abilità strategica era ridicolmente ridotta al silenzio, non potendo comprendere dove Tony volesse andare a parare con un discorso simile.
“Nessuna struttura d’ Intelligence fu mai informata della sua esistenza, grazie a una perfetta regia da parte dell’ HYDRA che ha reso le sue missioni una rete di fatali incidenti.”
Questa volta, il silenzio spettò al milionario; gli aveva passato una palla scomoda, voleva una sua reazione.
“Sicuramente avevano gli agganci giusti con i governi a livello mondiale, per ottenere quelle coperture.”
“Esattamente. E avevano il loro braccio armato.”
Il sangue di Steve sembrò avvampare, causando scosse dolorose a ogni respiro.
L’attacco stava per arrivare, finalmente.
Per la seconda volta sarebbe stato destinato a rimanere spiazzato.
“Il Sergente James Buchanan Barnes, dato per morto nel 1944, fu recuperato da una squadra dell’ HYDRA in un crepaccio tra le Alpi che segnano il confine tra Svizzera e Germania. Era ancora vivo, anche se durante la caduta il braccio sinistro subì le fratture più gravi, tanto che fu decisa un’ amputazione totale preventiva.”
Adesso, anche il cuore gli martellava contro le costole, minacciando di fagocitare in quell’iperattività i polmoni. Quindi sarebbe stata la volta dello stomaco, delle costole, dei muscoli. Il supplizio della verità era appena all’inizio; il battito cardiaco fuori norma, la rabbia, i rimorsi, sarebbero bruciati su una pira purificatrice solo alla fine di quel racconto.
“Riportato in uno dei laboratori del Dottor Harmin Zola, gli scienziati, privi del loro più illustre luminare, riuscirono a mantenere i dati vitali di Barnes stabili, scoprendo che gli esperimenti condotti su di lui nelle foreste di Krausberg avevano trovato il terreno ideale dove innestarsi.”
“Cosa gli fecero?”
La domanda era diretta come un potente destro sferrato involontariamente per autodifesa; Steve non avrebbe voluto aprire bocca ma il ricordo affacciatosi nella sua mente era esploso nitido, perfetto. Crudele.

Un corridoio con la pareti lastricate di mattoni rossi. Lo aveva percorso correndo, i pesanti stivali borchiati che producevano un rimbombo cupo nel vuoto e alla fine, dopo aver visto scappare qualcuno che non poteva riconoscere in quel momento, una voce.
“Sergente…Due, due, tre, cinque, sette…Barnes…”
Il codice che ogni militare doveva applicare quando veniva interrogato sotto coercizione: recitare il proprio numero identificativo, in modo da ricordare il più possibile chi fosse e non cedere al dolore.

“Credo tu lo possa immaginare. L’ HYDRA non aveva mai veramente rinunciato al Siero del Supersoldato, anche dopo la morte di Abraham Herskine.”
“Tuttavia il segreto della sua formula è morto con lui.”
Tony abbozzò una smorfia poco convinta e dopo fece un gesto, se possibile, ancora più spiazzante di quella sua aria calma sfoggiata da quando era entrato: andò ad accomodarsi alla scrivania di Steve, allungando le gambe e scivolando indolente contro lo schienale della sedia.
“Avranno avuto i suoi appunti e sicuramente un esempio vivente delle contro-indicazioni: il Teschio Rosso in persona. Comunque, tu liberasti Barnes prima che potessero attuare un protocollo esaustivo; riuscirono solo a potenziare la sua resistenza ai danni fisici. Fu Zola, una volta che tornò libero e sotto il controllo del governo statunitense dopo la fine della guerra, a intuire la possibilità che quel prigioniero poteva rappresentare. Progettò la protesi completa del suo braccio grazie a degli aiuti trovati presso alcuni servizi segreti russi deviati, che lo aiutarono a mantenere una copertura in grado di eludere i controlli della Riserva Scientifica Strategica. Ovvero, il primo nucleo dello SHIELD.”
Anche se si limitò ad accennarvi, Steve lo trafisse con uno sguardo carico dei più sordidi avvertimenti, nel caso il genio che aveva di fronte si fosse fatto scappare la più piccola parola di ammirazione per quell’opera d’ingegneria biomedica. Tony fece una boccuccia storta, come a voler dire che non si poteva parlare di nulla d’interessante con lui.
“Jarvis, che ne dici di far ripartire Dark side of the Moon? E’ decisamente un album che devo riascoltare.”
“Aspetta!” Steve era balzato in piedi, incredulo. “Aspetta, Jarvis! Tutto qui?”
“Posso rimarcare il fatto sia molto sconveniente che tu dia ordini al mio sistema operativo?”
“Lo sai cosa voglio dire!”
“Sì, hai scoperto i Pink Floyd. Ottima scelta, se continui così arriverai ad apprezzare della musica come si deve.”
Non volendo finire afferrato per la collottola da un integerrimo Eroe della Nazione in preda a un attacco di nervi abilmente orchestrato per studiare le sue reazioni, Tony si disse che poteva smetterla. Stava vedendo quanto si aspettava.
Gli era stato chiaro fin da subito cosa volesse fare Steve, col suo ritorno a New York; aveva saputo tutta la storia durante la sua prima notte alla Stark Tower e nonostante fosse stato molto esaustivo, soprattutto nel criticare la sua cecità di fronte ai reali scopi dello SHIELD, aveva intuito come l’ammissione di colpe fosse decisamente sbilanciata. E chi poteva voler essere il bersaglio di una simile, umiliante auto critica, se non qualcuno ostaggio di qualcosa di ben più pesante di una fiducia delusa?
“A te i preliminari non piacciono per niente, vero? Ecco perché non riesci a trovare una donna, non sei capace di creare la giusta atmosfera.”
“Stark, smettila, oppure-“
“Non è stato lui, Stevie.”
Cinque parole.
Potevano essere solo cinque parole a segnare la differenza tra una nuova pugnalata e una sparuta speranza e la crescita di questa, spropositata, egoistica, capace di annullare i confini di quella camera, di New York stessa, del mondo?
Jarvis fece ripartire il disco, mostrando che la realtà aveva ancora un peso specifico fatto di piccole cose. Le lunghe ciglia bionde di Steve batterono una volta sola.
“Credo di avere bisogno di un drink molto forte” esalò, svuotato di ogni forza. Forse era davvero troppo vecchio per reggere ancora simili stati di tensione. Tony batté le mani, scalciando in aria i piedi; il modo migliore per nascondere le ferite riaperte.
“Siamo in due. Aspettati di bere tanto, stanotte.”
Il Soldato d’ Inverno non aveva ucciso Mary e Howard Stark, come il Capitano aveva sempre creduto da quando la coscienza di Zola gli aveva mostrato la foto del padre di Tony su un vecchio schermo di Camp Leight  ma le sue mani erano sporche di molto altro sangue; Iron Man e Captain America dovevano entrare in quel lago rosso e attraversarlo, per arrivare sull’altra riva e trovare le tracce dell’uomo che l’aveva versato.
Il fatto che forse Steve non avrebbe dovuto fate tutto questo da solo fu consolante per entrambi.

*


Il suo volto emerse tra un turbinare di fiocchi gelidi.
Affiorava sempre qualcosa di nuovo, quando il sonno riusciva a prenderlo.
Questa volta non si trattava dell’ uomo con lo scudo. Era una donna.
Detestava non avere potere sulla propria memoria; non capiva perché la vedesse ora e in che contesto. Sicuramente l’aveva già incontrata e non nel più piacevole dei modi, dal momento che si erano fronteggiati all’ultimo sangue su uno dei cavalcavia dell’ autostrada principale di Washington. Minuta e letale, aveva volteggiato con lui e non gli aveva risparmiato un colpo, che fosse di pistola o un calcio inaspettatamente devastante, viste le sue gambe affusolate e apparentemente troppo delicate per combattere in quel modo.
Perché ora la vedeva più giovane?
Lunghi capelli rossi, sporchi e arruffati, attorno al viso a forma di cuore. Gli occhi verde-azzurri infossati in profonde occhiaie contenevano la promessa di rivalsa di una giovane preda braccata. La bocca era aperta in un respiro pesante. La schiena era curva, il peso del suo corpo bilanciato sulle ginocchia piegate.
“Non mi fai paura.”
Era allo stremo, tremava per il freddo ma non stava mentendo.
“Io non ho paura dell’ Inverno.”
La tempesta di neve divenne un muro di vento urlante e gelo, poi si aprì di nuovo, lasciando intravedere una macchia rossa che danzava con l’irrequieta grazia di un miraggio.
La giacca di quella ragazza.
Camminava verso qualcuno davanti a lei.
“Bucky!”
Una voce alle sue spalle. La neve sparì, era in una strada circondata su ogni lato da una fila di case a schiera. C’era il sole, faceva caldo. Una radio suonava ma non c’era nessuno.
“Bucky!”
Smarrito, si guardò intorno. Dov’era il suo amico? Si era già cacciato in un’altra rissa?
“Bucky, sono qui!”
Se lo trovò a un metro di distanza. Alto, prestante, nella sua divisa da combattimento lacera e sporca di sangue. La faccia era un unico livido pulsante ma anche se sapeva di essere stato lui a ridurlo in quello stato, Steve Rogers gli stava sorridendo.
Nemmeno lui aveva paura dell’ Inverno.

*


Si limitò ad aprire gli occhi.
L’oscurità che lo avvolgeva iniziò a ritrarsi, delineando i contorni fatiscenti della baracca diventata il suo rifugio. I rumori di New York giungevano ovattati ma persistenti e dall’ Hudson, ogni tanto arrivava l’eco fioca della sirena di uno dei traghetti che collegavano l’isola di Manhattan alla terra ferma.
Il Soldato drizzò la schiena, mettendosi a sedere; un movimento fluido, leggero e letale come quello di un gatto; il suo corpo non avrebbe mai dimenticato come era stato trasformato ma sembrava che il suo cervello, ogni tanto, stesse iniziando la libertà di qualche ora di oblio.
Aveva mai avuto davvero sonno, quando era rinato come Soldato d’ Inverno? Non lo sapeva; aveva dimenticato cosa fosse, insieme a molto altro: occhi, nomi, eventi. Ora tutto stava fluendo lentamente verso di lui, come enormi lastre di ghiaccio di un lago invernale rotte dall’arrivo imminente di- di cosa?
Della primavera? Della redenzione? Del riscatto?
Lasciò il suo giaciglio improvvisato, non curandosi per nulla della patetica forma distesa in un angolo, e si diresse verso una cassa di legno usata come tavolo.
Sopra aveva sistemato tutto ciò che aveva portato giù dal fuoristrada di quei due agenti in incognito: due laptop di ultima concezione, auricolari, un segnalatore GPS, due palmari.
  Dopo averlo immobilizzato e privato del veleno, il Soldato aveva costretto l’inaspettato ostaggio a guidare fino al suo nascondiglio. Non era stato necessario minacciarlo a parole; la canna di una pistola sapeva essere più persuasiva del miglior discorso sulla morte immediata, quando la si teneva puntata contro la tempia e l’uomo in questione non pareva uno dei migliori elementi dell’ HYDRA, visto come non aveva mai cercato di andare fuori strada inscenando un incidente per scappare o di ribellarsi.
C’era sempre la possibilità si fosse comportato con tanta docilità al solo scopo di approfittare di un momento di distrazione del suo aguzzino per fuggire e diramare la comunicazione che il Soldato d’ Inverno era ancora vivo; per questo aveva provveduto a metterlo a tacere con un colpo di piatto della mano sinistra alla nuca, tra le due vertebre cervicali più sensibili, per poi legarlo e incappucciarlo. Nemmeno i nodi praticati alle funi erano stati casuali: aveva passato la corda attorno al collo con uno scorsoio, scendendo lungo la schiena per fissarla ai piedi. Le mani erano state assicurate a quel molesto cordone ombelicale e se l’uomo avesse anche solo pensato di liberarsi, una volta ripreso conoscenza, qualsiasi movimento lo avrebbe portato a morire soffocato.
  Il programma di decriptazione aveva finito il suo lavoro mentre aveva dormito. Adesso, uno dei due computer poteva venir usato senza problemi.
Il Soldato si accorse subito di una cosa: non c’era traccia di un dispositivo per la scansione dell’ impronta digitale o della retina. I due pesci finiti inavvertitamente nella sua rete erano troppo piccoli, per meritarsi simili protezioni ma avevano comunque svolto un ottimo lavoro di ricognizione.
Gli spostamenti del Capitano Rogers erano stati documentati con una serie precise di foto; ogni suo movimento dal suo arrivo a New York aveva un indirizzo, una data, una descrizione. Ricomparve persino la ragazza vestita di rosso e il suo assurdo cappello: stava restituendo qualcosa al Capitano. Era stata lei a urtarlo  in metropolitana e se si era accorto dell’agente era stato perché evidentemente l’ aveva seguita; probabilmente aveva pensato conoscesse il Capitano Rogers da tempo. Eppure il Soldato non aveva avuto quell’impressione, vedendoli oggi insieme.
Tornò alle prime immagini, aprendo un’altra serie di file. Recavano una serie di nomi per lui del tutto nuovi, tranne due.
Antony Edward Stark.
Natasha Romanoff.

Quando vide la foto della donna dai capelli rossi, qualcosa lo fece scattare indietro, il corpo percorso da una scossa.
Quel nome è sbagliato. La chiamavi diversamente.
La voce di Bucky era tornata nella sua testa ma non poteva perdersi dentro la suggestione evocata; sapeva troppo di neve, di steppe bianche e non poteva perdersi nella tempesta, non adesso.
Stark. Aveva già conosciuto quel cognome e prima di perdere se stesso: il brillante ingegnere, l’alleato civile più importante della Divisione Scientifica Strategica, conosciuto quando ancora aveva un nome vero, un grado, un vero amico, tanti amici e compagni di battaglia.
 Dopo, erano stati loro a parlargliene.
Un incidente d’auto, certo.
Sicuro lo fosse stato davvero?
No. Lo avevano reso tale. Era stato facile infiltrare un meccanico nella squadra che seguiva la costruzione di quel prototipo. Howard Stark andava eliminato, prima che potesse sospettare la verità su quanto lo SHIELD, appena nato, era stato irrimediabilmente compromesso dalla sua nemesi.
Dopo la sua morte, l’unico figlio aveva rilevato quella fabbrica d’auto e aveva provveduto personalmente a trovare ed eliminare dalla linea di produzione il difetto ai nuovi freni, costato la vita ai suoi genitori.
Ed ora il Capitano era ospite di quel figlio.
Il Soldato spense il computer, aggrappandosi ai bordi della cassa. Chinò il capo, per assecondare meglio il peso di una colpa di cui non si era macchiato ma era stato responsabile. Tornò a sentire la voce cacofonica, lontana di New York e un pensiero gli fece sollevare gli angoli della bocca.
Il puzzle si stava ricomponendo lì.
Nel luogo che un tempo aveva chiamato casa.

*


Morrigan era una gatta e come tale, sapeva  bilanciare la sua fluida camminata sul sottile filo che separava l’amore incondizionato della sua padrona dall’odio feroce in cui poteva cadere se avesse fatto qualcosa di male.
In quel momento, in un piccolo appartamento con soppalco al civico 12 di Lafayette Street, Morrigan capì di dover starsene buona e non saltare sul tavolo di Andy.
Suddetto tavolo era, al solito, un campo di battaglia in cui il disordine poteva distrarre e non far notare come tutto avesse una sua logica d’essere: la pila dei fogli divisi per uso e grammatura della carta, i vecchi barattoli di marmellata decorati con colori da vetro pieni di pennelli, i libri da usare come riferimento e davanti, tre grossi pannelli di sughero riempiti di schizzi e prove colore.
La casa era immersa nella musica, sempre strumentale, perché se avesse ascoltato vere canzoni si sarebbe distratta ed era una debolezza inammissibile, specie quando mancavano poche ore per una consegna.
Due felini occhi verde-oro erano puntati sulla schiena della ragazza, osservandola dalla confortevole distanza della sua morbida cuccia; Morrigan si disse che era strano vederla immobile, senza una matita in mano ma quel profondo pensiero fu scacciato dall’impellente necessità di acciambellarsi di nuovo e nascondersi il muso con la sua folta coda da Norvegese delle Foreste.
Il CD nello stereo andò in stop ma nessuno se ne accorse.
 Andy si diede una spinta e fece girare lentamente la sua sedia; le mani erano occupate da una grossa tazza colma di tea intiepidito, gli occhi sembravano vedere qualcosa non presente nel suo soggiorno.
Vestita di una tuta troppo grande, coperta da un grembiule inzaccherato di colori, si chiese perché non avesse voglia di fare niente e la sua mente vagasse per tornare a quelle poche ore trascorse a Central Park. La loro conseguenza più fastidiosa era che ora sentiva il peso della solitudine. Non le piaceva.
Bevve un sorso di Christmas Tea e mentre un’auto sfilava in strada con un pezzo di musica rap sparato a tutto volume, prese in mano alcuni pastelli.
Non era cambiato niente, si disse con tono conciliante posando quella mug di una grandezza imbarazzante; se il giorno dopo le avessero comunicato la fine sulla Terra di qualsiasi sostanza contenente caffeina o teina, sarebbe morta, lo sapeva.
Aveva ancora la sua vita, le sue scorte di eccitanti assolutamente legali e le fusa di Morrigan.
Il fatto che quel giorno lo avesse concluso portando un Capitano nella più vicina libreria per accertarsi che comprasse l’edizione più appropriata tra le decine di stampate della Trilogia di J.R.R. Tolkien,  non aveva peso alcuno. Prima di tornare al suo disegno, lanciò un’occhiata alla sua libreria.
Sì, aveva fatto decisamente bene a insistere per quella in tre volumi della Harper Collins*, stampata in occasione del Cinquantesimo anniversario della pubblicazione dei romanzi; avevano una rilegatura classica, niente sovra copertine e i loro dorsi formavano il disegno dell’ Albero di Gondor. Perfetti per gli amanti dei romanzi vecchio stampo, aveva detto, rendendosi conto una frazione di secondo dopo di poter aver fatto l’ennesima gaffe davanti a un uomo che, a conti fatti, aveva novantacinque anni.
Se non altro l’ho fatto ridere. Quello sono capace di farlo.
Ogni traccia di gioia sparì dal suo volto, a quel pensiero. Sì, era il momento di prendere in mano il bozzetto di quel volto femminile ghignante; era dello stato d’animo adatto per finirlo.



Angolo (tetro e buio) dell’ autrice: ed eccoci al colpo di scena. La verità sulla morte di Maria e Howard Stark non è imputabile direttamente al Soldato d’ Inverno. Ho pensato molto a come risolvere questo snodo fondamentale: seguire ciò che suggeriva il film, nonostante lasciasse allo spettatore il modo d'interpretarlo ? Oppure rifarsi al fumetto? Confesso è stato un bel dilemma e l’ho risolto grazie alla mia migliore amica, scrittrice professionista e grande appassionata del mondo Marvel da quando Tony Stark l’ha fatta innamorare. Ringrazio Alessia per la nostra discussione in un ristorante giapponese, tra un piatto di sushi e l’altro è il massimo sviscerare di diverse interpretazioni, personaggi di fiction e modi di farli muovere! Alla fine ho scelto di basarmi sul Comic!Verse, almeno per questo particolare frangente. Spero apprezzerete.
The Lord of the Rings, Harper Collin’s Collectors Edition: esiste realmente ed è la Trilogia divisa nei tre classici volumi, con copertina rigida, in tre diversi colori. Le coste unite formano l’ Albero Bianco di Gondor. E’ stato il mio regalo durante il mio ultimo viaggio a Oxford e tra tutte le edizioni esistenti, trovo sia la più bella e la più adatta a Steve che sicuramente ora sa cosa sono gli e-book ma nutre ancora una profonda passione per i libri veri, da sfogliare e toccare.
Un abbraccio a tutti voi che leggete, apprezzate, recensite “The List” e infine…Happy Freedom Day. E’ pur sempre il 4 Luglio, oggi!
Maddalena

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Capitolo 10
*** 7 ***


7


Quando l’ HYDRA decideva di mandare in campo la sua più temibile arma, nulla era lasciato al  caso.
La missione affidata al Soldato d’ Inverno veniva attentamente pianificata mesi prima del suo risveglio dalla criostati controllata: si decidevano i termini, i modi, gli uomini e le armi. La tempistica e i luoghi. Si tracciava un percorso, si costruiva una strada tra eventi e possibilità; quindi, al suo principio si piazzava una pedina e la si guidava.
La pedina era lui stesso.
Veniva informato su cosa dovesse fare e come doveva farlo ma ogni decisione era già stata presa. Dal Soldato ci si aspettava solo che fosse il dito sul grilletto, pronto a fare pressione e alterare con un’ unica esplosione il tessuto degli eventi senza che nessuno sospettasse e sapesse, prima e potesse ricostruire, dopo.
Adesso, in quel capannone di lamiera abbandonato, tutto era diverso. Non c’era nessuno a indicargli i passi da fare e, cosa ancora più importante, non c’era un piano da seguire ma bensì uno da svelare.
Aveva passato tutta la notte su quelle foto e quei file ma nel computer non aveva trovato nessun indizio tale da portarlo a scoprire il vero motivo per cui l’ HYDRA fosse sulle tracce di Steve Rogers trascurando di cercare prove sulla sopravvivenza del loro assassino. Sentiva che non c’era solo la vendetta, dietro una simile condotta; era una percezione indotta dal suo istinto di guerriero, una sorta di anomalia che guastava il quadro d’insieme e rendeva difficile comprendere quali forze ci fossero davvero in gioco.
C’era anche un’ altra domanda ad assillarlo.
Cosa doveva fare?
La notte scorsa aveva visto le tessere di un puzzle comparire nel suo immediato futuro ma non sapeva quale fosse il primo pezzo da disporre. Non capiva nemmeno quale disegno ne sarebbe risultato.
I frammenti di una memoria che ancora rifiutava come propria galleggiavano nel vuoto e cercava di non trovarvi un ordine cronologico; non perché rifiutasse l’idea di essere stato, molto tempo prima, il sergente James Buchanan  Barnes. Ma perché adesso era un uomo, solo un uomo, disperso nel più terribile dei labirinti. All’entrata c’era l’assassino infallibile e senza umanità cresciuto da un’organizzazione criminale capace di cavalcare ideologie, governi, politiche pur di ottenere il dominio del mondo; all’uscita, ancora nascosta dietro angoli ciechi e sentieri senza fine, c’era…Bucky. E ne aveva paura.
Era proprio il sentimento della paura a fargli capire quanto la sua vita fosse stata stravolta da quel semplice nome, risentito per la prima volta dopo settant’anni, su un cavalcavia di Washington: gli occhi si erano abbassati per una frazione di secondo, il suo bersaglio in quel brevissimo istante era diventato qualcos’ altro. Con un suono secco, la prima crepa si era aperta su una corazza ben diversa da quella indossata sotto strati di fibra di carbonio e kevlar.
Era stato il suo cuore a palesarsi e da lì, da un momento di smarrimento, era arrivata la fine. Adesso si trattava di avere il coraggio di seguirla e affrontarne le conseguenze.
 Il prigioniero era ancora incosciente; si era premurato non potesse disturbarlo, mentre cercava di venire a capo di quanto aveva scoperto. Seduto su un'altra cassa, il terminale acceso davanti, il Soldato provò a riaprire la prima cartella di foto.
Erano state tutte scattate all’incirca due settimane fa e ritraevano l’uomo con lo scudo che entrava nella  hall di quell’ enorme grattacielo sorto dietro la Grand Central Terminal. Lo chiamavano Captain America ma vedendolo in quelle immagini, aveva fatto fatica a riconoscerlo senza la divisa, senza la sua arma: lo aveva visto in abiti civili, durante il loro primo scontro ma era chiaro avesse fatto il possibile per  passare inosservato; c’era lo stesso filo di barba sfatta ad accomunarli, ora, la stessa esigenza di portare in testa un cappuccio o un berretto da baseball. Di tenere le spalle chinate in avanti, lo sguardo basso pronto a saettare al minimo movimento sospetto.
Scatto dopo scatto, rivide ogni suo movimento compiuto a New York e dopo aver chiuso l’ultima schermata, avvertì di nuovo un brivido lungo la schiena.
Non era in grado di risalire a chi potessero interessare quelle immagini; non aveva trovato nessun indirizzo di posta elettronica o traccia di uno scambio dati.
Forse perché non c’era.
Sicuramente a qualcuno doveva interessare quella meticolosa operazione di pedinamento.
Chi la compie, però, non deve sapere a chi è destinato il risultato.
Il Soldato si alzò in piedi, gli occhi sbarrati, un’ipotesi sempre meno azzardata che gli riempiva la testa, strappandolo misericordiosamente ai troppi frammenti di una vita precedente a cui non poteva dare spazio, non ora.
Quello era uno schema.
E lo conosceva dannatamente bene.


"Bentornato tra noi, soldato d' Inverno"
Sempre la stessa frase. Irridente. Secca. Umiliante.
Era sempre lei, dopo una fase di criostasi, a rimettere il mondo nella giusta prospettiva: sei nostro e ci servi. Non fare domande.

Lui non le faceva mai.
Puntava gli occhi gelidi e vuoti sull’ufficiale di turno e attendeva.
“Oggi si riunirà un Consiglio ristretto per discutere i termini di un accordo commerciale a noi non favorevole. Dovrai eliminare due persone, una per ognuna delle parti chiamate in causa e fare in modo che ora e per il futuro, nessuna trattativa sia più possibile.”
L’ HYDRA era un mostro con nove teste: ciascuna di esse sapeva agire indipendentemente dalle altre. Una si occupava di studiare la situazione giudicata sfavorevole; una seconda di elaborare le informazioni; una terza stabiliva un piano e trovava gli appoggi necessari.
Prossimità.
Opportunità.
Logistica.
Attuazione.
L’ultima era a sua discrezione: doveva solo scegliere l’arma da usare.



Come cellule indipendenti di un unico organismo, gli agenti coinvolti in quelle missioni non conoscevano chi fosse il loro referente, in modo che in caso di arresto o svelamento dei loro piani, non ci fosse possibilità di ricostruire per intero il disegno in atto.
Una scuola di pensiero d’incredibile successo, seguita fedelmente da qualsiasi organizzazione terroristica nel corso dei decenni.
C’era un solo modo per sapere chi fossero le altre persone coinvolte; il pensiero di doverlo fare e rischiare l’incolumità di Steve gli strappò una smorfia, lo stomaco intento a rivoltarsi per un fiotto di bile misto a sdegno. Doveva proteggerlo, doveva aiutarlo ma quella soluzione andava contro entrambi i propositi. Era Bucky che si stava ribellando ma per ora era solo un nome, un sorriso strafottente sbiadito nella tempesta di neve, una manciata di ricordi affilati come rasoi affondati in una parte della sua coscienza troppo debole per sopportarli.
Aveva giurato di riprendersi la sua vita ma cominciava a comprendere che fosse tutta da ricostruire, con l’incognita sul risultato finale.
 Con un sospiro, si voltò verso l’uomo ancora legato.

*


La famiglia Martin era fiera di professarsi una vera famiglia newyorkese, nei limiti possibili definiti dalla discendenza da una donna irlandese che nel Mille ottocentocinquanta era sbarcata a Ellys Island insieme a molti dei suoi connazionali, in fuga dalla miseria portata dalla terribile carestia che aveva colpito il loro Paese due anni prima.  Aveva sposato un impiegato dell’ufficio immigrazione figlio, anzi nipote, di una delle precedenti ondate migratorie a cui poco importava della festa di San Patrizio e di tutte le altre tradizioni perse col nascere delle nuove generazioni.
  Per quel motivo specifico, Andy aveva sempre odiato il suo bis-bis nonno. Fosse dipeso da lei, non avrebbe fatto altro che scavare nelle radici della sua piccola storia, per trovare riferimenti a un mondo dimenticato. Sua madre le aveva ripetuto spesso di essere l’unica tanto interessata al loro passato e lei sapeva di non poterci fare nulla: storie come quella dei Martin l’affascinavano fin da bambina ed erano tra i motivi per cui, dopo il diploma liceale, aveva deluso le aspettative di tutti dichiarando di voler proseguire gli studi artistici in maniera più seria.
C’era chi nasceva con il dono imponderabile della vocazione; in suo nome si diventava medici, architetti, avvocati, commercianti.
Andy era nata con quello più difficile da comprendere e al tempo stesso il più imponderabile di tutti, in una famiglia sempre concreta e badante più al sodo che alla soddisfazione di bisogni considerati troppo aleatori: lei doveva avere sempre una matita in mano e avere qualcosa da mostrare.
La signora Martin lo aveva imparato presto e a sue spese, quando aveva sorpreso sua figlia di cinque anni tutta intenta a colorare le illustrazioni su uno dei suoi libri prediletti.
La lavata di capo generata da quell’incidente fu di quelle impossibili da dimenticare per due motivi: la bambina non si mise a piangere, nemmeno quando i suoi adorati pastelli a cera le vennero sequestrati per punizione e mise in chiaro cosa sarebbe stata la sua vita.
“Si può sapere perché lo hai fatto?” Le aveva chiesto la madre, gli occhi ancora colmi di delusione. La risposta fu spiazzante.
“Non mi piacevano quei disegni. Erano tutti bianchi e neri. Io li ho resi più belli!”
Si sarebbe potuto intuire in quel frangente che Andy sarebbe stata una bimba, poi una ragazzina, sensibile e dotata. Con tutti i problemi che le persone sensibili e dotate si portavano inevitabilmente con sé.
Pochi amici, grossi problemi con i compagni di scuola che la prendevano in giro per motivi sconosciuti agli adulti, incapaci di comprendere la perfidia innata con cui creature così piccole potevano rendere l’ esistenza infernale ai coetanei, colpevoli di non avere lo stesso astuccio maggiormente di moda o l’ultimo modello di felpa Nike. O di essere nati e cresciuti in un quartiere, SoHo, che prima della sua scoperta da parte d’intellettuali e artisti era un semplice, enorme dedalo di magazzini e fabbriche. Tra gallerie d’arte, librerie alternative e locali alla moda, i Martin erano rimasti una presenza fatta di pragmatismo e spiccia efficienza; niente voli arditi, solo il duro lavoro di una madre infermiera e un padre gestore di un’officina.
  A sei anni, dopo il primo giorno di scuola, Andy aveva chiesto di venir chiamata così da tutti, nonostante fosse solo un diminutivo del suo vero nome; era stata presa di mira subito, per via dello strano, reale significato di quello che portava e non aveva avuto il coraggio di difenderlo, nonostante avesse sempre apprezzato il tentativo dei suoi genitori di donarle qualcosa di speciale.
Sempre a sei anni,  aveva intuito quali sarebbero stati i suoi  due alleati con cui affrontare una solitudine non voluta: i suoi libri, i suoi fogli. Due esigenze irrinunciabili alimentate da una curiosità precoce; quando aveva saputo da dove fosse venuta la bis-bis nonna Marjorie O’Gara, era stata capace di assillare tutti i parenti disponibili per saperne di più e indignarsi della scarsa importanza data a una storia così incredibile.
“Sai quanti immigrati irlandesi hanno intrapreso quel viaggio?” gli aveva domandato suo fratello, una volta. “Centinaia. Migliaia. Non c’è nulla di epico o fantastico in quanto hanno fatto spinti dal bisogno.”
Invece c’era, aveva obiettato con profonda convinzione: la forza di chi non aveva nulla da perdere era la più devastante e sottovalutata del mondo e non le era importato che Nicholas si fosse messo a ridere, ribadendo di avere una sorella maggiore che ancora credeva alle fate.
Non era esattamente renderle giustizia, dichiarare una cosa del genere; poteva dare l’impressione che Andy vivesse in un mondo tutto suo, dove poteva illudersi di vedere strani esserini colorati fremere all’angolo del suo campo visivo.
Era sempre stata perfettamente cosciente di dove viveva e cosa faceva; adorava New York e anche se non era esattamente la distesa ondulata e drammaticamente colorata delle colline di Dublino, sapeva trovare scorci di bellezza inaspettata tra le moli dei grattacieli dell’ Upper East Side e le file di case tutte uguali di Lower Manhattan. Più di tutto, amava Central Park, che sarebbe diventata una delle sue principali fonti d’ispirazione; lo aveva scoperto quando era appena in grado di camminare e la gita domenicale consisteva in una passeggiata tra i suoi viali alberati, le colline di roccia e un gelato da mangiare costeggiando il lago dedicato a Jacqueline Kennedy. I boschi del parco diventavano foreste immense davanti ai suoi occhi; bastava avere fantasia e un occhio pronto a trasfigurare le cose per costruirne altre di totalmente fantastiche.
 In oltre, nessuno meglio di lei sapeva quanto potessero essere crudeli, le vere fate. Gli anni precedenti alla High School  l’avevano messa a dura prova. Partiva tutto, sempre, dal suo nome e per quanto si sforzasse di non cedere, di rimanere aggrappata alla dignità necessaria per non farla reagire in malo modo agli insulti, nessuno era venuto a salvarla; gli eroi dei suoi romanzi avevano sempre un aiuto concreto, lei si era trovata sola a sfogare il proprio dolore, il proprio bisogno di poter essere normale, su qualsiasi superficie di carta reperibile e sviluppando un senso dell’ironia sottile ma velenoso. Aveva sempre detto ciò che pensava e se questo riusciva a farle guadagnare un briciolo di vittoria su chi la umiliava, le stava bene rimanere isolata.
In pace.
Perché per gli altri era tutto così semplice?
Se lo chiedeva quando di notte si rigirava nel letto; nessuno poteva vederla e lei si sentiva libera di posare le sue occhiate sarcastiche, le sortite fulminanti.
Perché era toccato proprio a lei non riuscire a sentirsi adeguata?
Perché non poteva semplicemente accontentarsi del mondo che vedevano tutti, invece di cercare sempre un nuovo punto di osservazione?
Nel momento più delicato del suo dilemma personale, era arrivato l’ Undici Settembre Duemilauno.
L’anno in cui a scuola avrebbero studiato le guerre del Ventesimo secolo. L’anno in cui New York avrebbe scoperto che le fate non potevano essere crudeli. Perché non esistevano.
Nel giro di ventiquattro ore, molti dei suoi compagni di classe si erano trovati orfani, o privati di un parente, di un amico di famiglia. Il punto di una svolta ineluttabile aveva assunto il cupo rombo di due aerei troppo bassi e della scossa di terremoto a bassa intensità generata dal crollo delle Torri Gemelle colpite. Sua madre era rimasta al lavoro per tre giorni consecutivi e quando era tornata a casa, Andy aveva visto una donna diversa. Non c’era stato bisogno d’immaginare, quella volta: il suo volto, gli occhi, il corpo erano gli stessi ma quello che c’era dentro era stato preso, distrutto e ricomposto per dare vita a qualcosa di nuovo, di delicato e segnato per sempre.
  A tredici anni, Andy –sempre e solo Andy, per favore- aveva realizzato il suo primo ritratto. E aveva vinto un concorso, col dipinto della signora Martin seduta davanti a una finestra del loro soggiorno, il viso che non guardava lo spettatore, le mani abbandonate sulle cosce e addosso, una divisa ospedaliera sgualcita e macchiata di sangue. Non c’era stato il tempo di cambiarsi; il mondo era impazzito e si era mangiato la misericordia del tempo. Sulla spalla destra, aveva posto un minuscolo Will o’ wisp. Un fuoco fatuo. Aveva imparato cosa fossero leggendo il suo primo libro importante, a otto anni, quando era stata ritenuta abbastanza grande da affrontare tante pagine scritte: una raccolta di miti irlandesi e celtici per saziare il bisogno di sapere da dove veniva.
Will’ o wisp: una piccola magia per dare serenità a una donna che aveva appena fatto riemergere le mani da quanto di peggio l’essere umano poteva fare a un suo simile.
Era stato allora, quando aveva visto la sua opera esposta a scuola, che Andy aveva capito cosa avrebbe fatto davvero, da grande.


Tutta la sua vita, da quel momento,  si era trasformata per divenire una pianificazione rigorosa per arrivare a un solo obiettivo: diventare un’illustratrice. Non riteneva di avere talento sufficiente per imporsi nel campo della pittura più convenzionale; il suo stile, molto dettagliato e curato, aveva nulla da spartire con le grandi correnti artistiche che nascevano e morivano a New York nel giro di poche stagioni.
 Andy voleva mostrare alle persone una foresta incantata, un guerriero descritto in un libro, la malinconia di una strega mandata in esilio, una prospettiva ardita di una città esistente solo nell’immaginazione di chi l’aveva descritta. Aveva iniziato tutto mostrando l’esausta contemplazione di sua madre, lo sapeva, ma il motivo per cui aveva vinto il suo primo riconoscimento era stato perché, fuori da quella finestra, aveva disegnato un paesaggio fiabesco e senza delineazioni nette; un luogo in cui chi aveva visto morte e ogni genere di orrore potesse ritrovare un motivo per continuare a sperare, creato da uno spiritello famoso, nelle fiabe irlandesi, per indicare la via da seguire.
 Gli ostacoli erano stati tanti, posti dalle persone che per prima avrebbero dovuto credere in lei; le avevano detto che avrebbe seguito i corsi pomeridiani d’arte solo se avesse mantenuto una media decorosa fino al diploma.
Andy, senza dire nulla, senza obiezioni, era riuscita persino a non venir mai rimandata in matematica, la materia che più odiava, pur di dimostrare quanto facesse sul serio.
Non poteva permettersi la retta annuale della Brooks School of Art and Design*, le era stato rivelato durante un teso, triste confronto famigliare dopo i festeggiamenti per la fine degli studi.
Annuendo semplicemente, aveva trovato un lavoro che aveva trasformato le successive tre estati in duri mesi di rinunce, orari impossibili e straordinari pur di mettere insieme la parte di denaro che spettava versare a lei.
  C’erano stati altri concorsi vinti, altre battaglie perse. Erano arrivati gli amici veri e anche il primo amore. Era arrivata anche la peggiore delle ferite, che ancora adesso preferiva non ricordare nonostante fossero passati tre anni.
Ecco, in quegli ultimi tre anni ne erano successe di cose: la decisione dei suoi genitori, dopo che Nicholas si era trasferito a Boston per completare la sua formazione e gli studi da analista informatico, di andare in pensione vendendo l’attività di famiglia, la vecchia abitazione in South Houston, le sue prime tavole pubblicate in una rivista alternativa dedicata al genere fantasy e la possibilità concessale di trovare un proprio nido. Un appartamento tutto suo.
E non si poteva dimenticare l’invasione aliena che aveva rivelato al mondo l’esistenza di super eroi, super cattivi e di chi cercava di proteggere tutti sotto il simbolo stilizzato di un’aquila su uno scudo.
Tanto che un giorno, quando suo fratello era venuto a trovarla per aiutarla nell’installazione del nuovo computer acquistato orgogliosamente con i primi guadagni, Andy aveva trovato il modo di avere la sua rivincita.
“ Se esistono Captain America, Iron Man e semi Dei provenienti da altre galassie, sono autorizzata a pensare che esistano anche le fate.”
Nicholas avrebbe potuto ribattere, specie sul primo nome usato come esempio ma alla fine si era reso conto che la sua fantastica sorella avrebbe comunque avuto ragione.
 A venticinque anni, Andy Martin si era scoperta diversa: il senso perenne di inadeguatezza era causato da una sete di libertà e indipendenza, conquistate con lo stoico, spesso folle, proposito di realizzarsi secondo i suoi termini e le sue condizioni. Adesso che aveva cominciato a intravedere il traguardo, sperava che la corsa fosse ancora ben lontana dal concludersi. Aveva scoperto la sua vera anima, fatta di colori accesi, di cappelli e abiti improbabili, di dipendenza da caffeina e libri, tantissimi libri.
E un giorno sarebbe riuscita ad andare in Irlanda; sempre con la battuta pronta e passioni assurde, totali, per qualsiasi cosa attirasse la sua attenzione. S’immaginava a vagare per le strade dei Parco Nazionale delle Wiclow Mountanis armata di block notes, colori e musica nelle orecchie.
 Nei giorni in cui un’agendina persa le aveva portato a conoscere proprio uno di quei super eroi di cui aveva letto, sentito, visto tanto, Andy stava finendo di leggere una raccolta delle avventure più belle di Sherlock Holmes, chiedendosi come avesse fatto a vivere fino a quel momento senza quei romanzi; era in procinto di consegnare le tavole per il nuovo progetto riguardante un libro dove lei avrebbe curato la realizzazione dei disegni riguardanti protagonisti di miti e racconti folkloristici calati in un contesto reale in città come la sua New York e altre metropoli; beveva sempre e comunque troppo caffè.
  Anche adesso, nel bel mezzo della sua passeggiata quotidiana, si chiese se non fosse il caso di andare a trovare Jenna prima di andare a sedersi alla sua panchina.
Il cielo era coperto; i palazzi di Manhattan sembravano reggerne l’intero peso, risultando quasi schiacciati da una cappa grigia e cupa. Sperò non venisse a piovere, non voleva essere costretta a prendere la metro col brutto tempo; era già un attentato a se stessi farlo gli altri giorni, la pioggia portava tutti i newyorkesi a intasarla, rendendo la salita in vagone un momento dove epicità e tragedia si mescolavano con la farsa: code estenuanti, passaggi intasati, gomitate, pianti isterici di bambini e tornei di lotta per trovare un buco e non venir palpeggiati.
Imboccata la Central Park South, la sua personale spia d’allarme per l’approvvigionamento di caffeina stava lampeggiando disperatamente. Era suo dovere sottomettersi all’ unico vizio in cui indulgeva senza rimorsi.
  Qualcuno la riconobbe subito, grazie al provvidenziale colore della giacca indossata quel giorno: un chiodo di pelle ceruleo, un pugno di cielo sereno che avanzava imperterrito nel grigiore circostante.
Steve osservò che Andy non gli aveva mentito, quando aveva affermato di amare il suo berretto nero con le orecchie da gatto; anche oggi era ben sistemato sui capelli lasciati sciolti e liberi di arricciarsi  nell’aria umida.  A ogni passo, le pieghe della sua gonna a kilt  si aprivano mostrando la trama geometrica di un tartan bianco e nero. Gli stivali erano sempre alti sopra il ginocchio, pesanti e comodi.
  Andy si bloccò, unendo i talloni con un soffice tonfo; gli occhi verdi prima si sgranarono per la sorpresa, dopo il sopraciglio destro scattò a formare un alto arco scuro, come l’accento perfetto che c’era sull’ultima vocale della parola perplessità.
Il Capitano Rogers  ne stava pochi metri davanti a lei, in jeans, felpa da corsa e cappello da baseball; le sorrise, quando la vide ricambiare il suo sguardo. Una splendida visione scultorea chiusa in abiti quasi mortificanti per quei muscoli e quella statura, che di colpo si animava con un’espressione dolcissima e davvero partecipe. Alzò verso di lei la mano destra, armata da un libro dalla copertina spessa, di un verde spento. Era quello il motivo per cui si trovava sul Park Ride in anticipo rispetto al solito.


“Tony, smettila.”
“Ti piacerebbe.”
Per favore.”
“Lasciami commuovere in religioso silenzio!”
“Non sei credibile.”
“E tu non capisci come io invece sia sincero!”
  Alla fine avevano bevuto sul serio, la notte scorsa.
Non avevano più parlato del dossier sul Soldato d’Inverno; dovevano darsi tempo entrambi per capire quanto dolore potevano sopportare. Avevano ascoltato musica, parlando a tratti di cose stupide e lasciando che il miglior scotch della riserva personale del signor Stark li cullasse in un viaggio personale dentro le loro memorie: volti indimenticabili, rimorsi, momenti che forse, se si fosse potuto, sarebbero stati vissuti in modo diverso.
 Questo non aveva impedito a Tony di osservare meglio il libro che Steve stava leggendo prima del suo arrivo e di cominciare a sbattere le palpebre boccheggiando, nella perfetta quanto caricaturale espressione di qualcuno teneramente colpito.
  Gli scocciava ammetterlo, specie se aveva dovuto farlo di fronte a uno come Stark ma era vero: Il Signore degli Anelli si stava rivelando il capolavoro che Andy gli aveva predetto essere. Era riuscito a non fare il nome di chi glielo aveva suggerito; sapeva benissimo cosa sarebbe potuto succedere se si fosse fatto scappare una frase dove il soggetto “ragazza” poteva venir accostato a lui. Voleva risparmiare a lei e a sé stesso un fuoco amico di battute e domande imbarazzanti. Insomma, era davvero tanto difficile credere che con i suoi tempi, i suoi modi, Steve Rogers potesse conoscere qualcuna?
Lo aveva già fatto, in passato, alla fine lo aveva dovuto ammettere con Natasha ed era stata una ben strana confessione, sbottata mentre su un Pick up rubato stavano fuggendo dalla squadra STRIKE, diretti a Camp Leight. Nemmeno due mesi prima.
Erano cambiate troppe cose, perché potesse farci fronte con lucidità.
  Prima che il suo ospite dall’entusiasmo molesto e privo del tatto necessario per riconoscere i confini della privacy altrui, piombasse nel suo appartamento per dar seguito alla sua delirante proposta prima della buona notte ( “Devi assolutamente vedere la trilogia di film che ne hanno tratto, Stevie!”, aveva esclamato battendo le mani), Steve si era prima asserragliato nella palestra comune che un giorno, forse, sarebbe stata di tutti i Vendicatori; dopo due ore di allenamento, era tornato a recuperare il suo libro ed era uscito.
  Perché adesso Andy lo stava fissando con tanta, sospettosa incredulità?
Aveva fatto qualcosa di male. Era chiaro. Non sapeva esattamente cosa ma doveva per forza essere così.
Alla fine, con le labbra dischiuse, la ragazza si riprese da quello stato di silenziosa, meditabonda contemplazione e si avvicinò, scansando abilmente una coppia di ciclisti incuranti della pioggia in arrivo.
“Ciao. Niente spaventi oggi, visto?” aggiunse impacciato, volendo disperatamente rendere l’aria meno gravida d’imbarazzo.
“Stai migliorando, te lo concedo.” Lo sguardo di Andy si puntò sul libro e non si mosse più. “Dimmi che sto vedendo male e non sei già arrivato a metà.”
Sarcasmo, salvami tu dal non arrossire. Tipregotipregotiprego.
“Sono all’inizio della Parte Seconda, a dire il vero.”
Ricevendo solo un silenzio che non sapeva cosa contenesse, Steve si lanciò. Non poteva più trattenersi.
“E’ semplicemente fantastico” scandì alzando un po’ la voce e sistemando il segna- libro “Avevi assolutamente ragione! E’ incredibile come un uomo solo possa aver creato un mondo intero, così tanti popoli diversi, le loro stesse lingue! La Contea sembra esistere davvero, vorrei saperne di più sui Raminghi del Nord e Sam è un personaggio incredibile. La sua lealtà verso Frodo è così vera, così commovente.”
  Quello era l’accenno che Andy sperava di sentire, in quel fiume in piena di commenti positivi. Un lento sorriso le accese il volto.
“Frodo è nulla, senza Sam.” Sentenziò, sperando che anche lui capisse. Non venne delusa.
“Scommetto che era a questo, a cui miravi ieri.” Oltre essere un bellissimo ragazzo dai modi educati e gentili, il Capitano si stava mostrando molto perspicace.
“Mi hai scoperto.”
“Chi è il tuo Sam?”
“Si chiama Kate. Serve a tutti, un personale Gamgee l’ Impavido.”
“Chi?”
Andy rise. “Lo scoprirai quando leggerai “Le due Torri”. Deduco che hai risolto col tuo amico, allora.”
“Sì. Con uno.” Aveva appena definito Tony Stark un suo amico. Forse non era vero che fosse immune all’alcool; si poteva ubriacare, dopo la quarta bottiglia di liquore ad alta gradazione e avere serie conseguenze. Come un attacco di sincerità inopportuna.
“E’ sempre un inizio.”
La fiducia di quella ragazza era tenera e fragile; Steve avrebbe potuto spezzarla in qualsiasi momento, perché continuava ad avere addosso un senso di colpa e protezione verso un fantasma tornato reale; nulla avrebbe potuto scacciarlo. La guardò, così quieta e graziosa vestita di azzurro acceso e non frantumò l’illusione.
“Questa volta posso offrirti io un caffè?”
“Beh… non capisco per cosa.”
C’aveva messo cinque secondi per rispondergli; era stata certa di aver sentito male. Lo vide accigliarsi.
“ E’ proprio un’ epoca misera se non si può ringraziare nessuno ricambiando una gentilezza ricevuta.”
Lo stomaco di Andy fece una capriola e poi si chiuse con un nodo scorsoio. “No, è che-  insomma, ti ho solo suggerito un libro.”
Accidenti. Stava cominciando ad odiarlo; non poteva trattarla con tanti riguardi, non era fatta per i riguardi. Portavano solo guai, lo aveva imparato a sue spese.
  “Un libro bellissimo” le venne rimarcato “Quindi per me meriti un apprezzamento.”
Anche se il tono era stato calmo come sempre, dentro era nascosta una finissima membrana di acciaio. Andy capì che nulla lo avrebbe smosso dal suo proposito.
“…Posso almeno decidere il gusto, per favore?” mormorò timidamente, andando a posare sulla panchina il suo inseparabile borsone. Aveva bisogno di qualche momento senza averlo davanti.
“Permesso accordato.”
Sì. Stava decisamente odiandolo.
Disse come desiderava il suo caffè e lo vide andare via. Una vocina maligna le chiese se sapesse quanto era lontano il Reservoir ; la zittì ricordandole che le ci voleva del dannato tempo per riprendersi e cercare di tenere i piedi per terra. Il suo cuore stava battendo fortissimo ma non significava nulla. Bastava  convincersene prima del ritorno di Steve.
Aveva appena preso in mano un bozzetto schizzato in velocità dopo colazione, che vide due auto pattuglia della Polizia fermarsi davanti alla pista. Scesero quattro agenti in divisa, che presero a far sgombrare i dintorni. Uno di questi la vide e le andò di fronte.
“Signorina, spiacente ma temo di doverla far andare via.”
Quella era una frase capace di far accapponare la pelle a qualunque abitante di una città costantemente sotto assedio e bersaglio di nuovi attentati: terrestri o no, poco importava. Con la diligenza appresa in anni di esercitazioni anti panico, Andy annuì svelta e riprese le sue cose. Si fermò dopo aver chiuso la cerniera della borsa.
“Un momento, agente!” lo richiamò. “Dovete far evacuare tutto il parco?”
Doveva chiederlo, anche se sapeva cosa avrebbe avuto come risposta.
“Non posso dirle nulla, spiacente. La prego, è per la sua sicurezza.”
Appunto. Mestamente, fece per obbedire.
Dì la verità; un po’ ti senti sollevata.
Che chiunque fosse preposto al perdono lassù lo elargisse, dandole la grazia. Sì, doveva ammetterlo: non era pronta a gestire un’amicizia di quel genere, con un uomo inarrivabile sotto ogni punto di vista possibile. Non importava quanto si mostrasse disinvolta, sicura, pronta a usare qualche cenno del suo spirito irridente; stentava a credere a cosa le fosse capitato e non voleva soffermarsi sui rossori, sul calore, sulle stoccate della sua timidezza diffidente generate da un sorriso tanto sincero da fare male. Doveva andarsene, anche se era una cosa da vigliacchi. Era istinto di sopravvivenza. Gli avrebbe chiesto scusa l’indomani, sicuramente uno come Captain America avrebbe capito, se avesse tirato in ballo una questione così delicata come la prevenzione del crimine.
“Qui è la pattuglia 10; codice giallo al Reservoir.”
Era stata la radio di una delle due auto a gracchiare quell’avvertimento. Proprio mentre la sua coscienza le stava dando della lurida codarda, Andy era passata vicino a una delle due pattuglie e aveva sentito il messaggio, spezzato da una scossa statica.
Altre auto con i lampeggianti accesi presero a confluire lungo la South Park Avenue, dividendosi per andare a coprire altri isolati.
Reservoir.
Steve.

Lui stava andando verso un pericolo e non lo sapeva. Sperò che i poliziotti facessero il loro dovere e bloccassero tutti ma non ce l’avrebbe fatta a tornarsene a casa, col dubbio atroce che gli fosse successo qualcosa a scavargli un tunnel sanguinante nel cuore. E poi là c’era anche Jenna, la ragazza del chiosco.
Ostacolata dal peso che le premeva contro il fianco destro, Andy si mise a correre per svoltare la curva Est del Park Ride e trovare un accesso libero a uno dei viali principali.
Non doveva farlo, era un’enorme azzardo ma nessuna voce interiore la fermò più.


Angolo (tetro e buio) dell’ autrice: * la Brooks School of Art and Design è una mia invenzione e quanto ne so, non esiste nessuna scuola d’ Arte con questo nome. Brooks in inglese significa “piccolo fiume”, “fiumiciattolo” ed è il nome dell’ università pubblica di Oxford. L’ho scelto perché la toponomastica della cittadina inglese deve essere stata una vera ispirazione per uno dei suoi più illustri cittadini, il Professore J.R.R. Tolkien e come avrete già capito, la sua opera ispirerà una caterva di citazioni e momenti in “The List”.
Grazie ancora a tutti voi: a chi legge, a chi commenta.
A venerdì prossimo!
Maddalena

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Capitolo 11
*** 8 ***


8


Andy aveva gli occhi che  bruciavano.
Il fumo la stava facendo tossire e più cercava di buttare fuori quell’aria venefica, pregna di chissà quale composto chimico, più era costretta a inspirarne. La gola pulsava, sentiva il viso congestionato.
Cercò furiosamente di rimanere lucida, di ricordare cosa fosse successo ma la violenta caduta di poco prima e l’impatto della sua schiena contro il terreno, erano stati talmente forti e dolorosi da annebbiare il resto del mondo. I rumori arrivavano filtrati, ogni cosa attorno a lei si muoveva a rallentatore; o forse era solo il suo cervello, frastornato dal colpo, a farle sembrare i rami degli alberi sopra di lei come grossi, pigri tentacoli divisi in diversi spettri di luce grigia che si muovevano in una bolla d’acqua.
Doveva reagire.
Con un gemito, cercò di mettersi a sedere; il suo borsone era finito sotto di lei, attutendo il colpo, ma questo non le impedì di sentire una fitta terribile al ginocchio destro. Stringendo i denti, gli occhi pieni di lacrime, fece scivolare una mano lungo la gamba trovando i pesanti collant lacerati e sotto, la consistenza appiccicosa e vischiosa del sangue. Doveva essersi procurata una brutta escoriazione, mentre la cosa che l’aveva fatta volare indietro per un metro buono l’ aveva precipitata tra le radici contorte di un pino secolare.
Un momento.
Fino a un istante prima non riusciva a ricordare nemmeno come si chiamasse; adesso riconosceva dettagli assurdi e inopportuni come le specie vegetali?
Il dolore le aveva trasmesso una scarica di adrenalina tale da permetterle di tornare al presente.
Il grido lacerante e lontano di mille sirene tornò a invaderle le orecchie. Sempre ansimando, Andy premette di nuovo la mano sulla ferita e si costrinse a non sbattere le palpebre.
  Era da qualche parte dell’ Arthur Ross Pinetum, chiuso in quei giorni al pubblico per una serie di lavori di potatura.
Come c’era arrivata?
No. Non vomitare. Non adesso!
C’era stato un agente, prima.
Le aveva detto che non poteva sostare lungo il Park Ride; era successo qualcosa nel parco, dovevano farlo sgomberare.
Schiaccia. Fregatene del sangue.
La cortina fumogena stava iniziando ad alzarsi.
Sì, lei era stata sollevata da non dover aspettare Steve e il suo caffè. Ma poi qualcosa le aveva fatto cambiare idea e-
La testa prese a girarle vorticosamente. Il battito cardiaco riverberava furioso tra le ossa del cranio, contro il palato, nell’ esofago.
Era tornata indietro, trovando uno degli accessi non ancora sbarrati dal cordone di sicurezza e si era diretta verso il lago; a un certo punto doveva aver visto qualcosa, qualcosa di terribile e sospetto e poi-
Il reflusso acido la costrinse con uno scatto a una posizione accucciata, mentre rimetteva tossendo tra l’erba alta e malcurata.
Doveva andarsene da lì. Ma Steve dov’era? Stava bene? Perché lo pensava in pericolo?
E se prima di lei lo avessero trovato loro?
Le voci stridule delle sirene dei mezzi di soccorso erano distorte e rese rimbombanti dalla distanza; attorno a lei c’era solo silenzio e il vuoto pneumatico causato dai traumi violenti. Andy sapeva di essere ancora a Central Park ma la sua mente si rifiutava di tornare a funzionare, inceppandosi continuamente su un unico, angoscioso pensiero.
Dove sei, Capitano?
Qualcosa si ruppe, a qualche passo dietro di lei; un ramo secco. L’istinto di conservazione fu più forte di qualsiasi prudenza e la fece mettere in piedi in qualche modo, con la velocità innata di chi era tenuto su solo da una semplice serie di scosse elettriche scatenate dalla chimica impazzita di un corpo provato. In un angolo remoto della sua testa, la ragazza sapeva che in condizioni normali non avrebbe mai potuto muoversi in quel modo ma ora non le importava; barcollante, col fiato corto, puntò gli occhi spiritati verso la nebbia causata dai fumogeni.
Era un uomo, quello che stava avanzando verso di lei. Non era armato come gli altri, nonostante questo tutta la sua figura emanava un’aura composta, terribile; un predatore pronto ad attaccare, se chi stava raggiungendo si fosse rivelato un nemico.
La felpa che indossava era sporca e lacera, la cerniera aperta mostrava quello che sembrava un corpetto antiproiettile dalla foggia strana, mai vista prima: la piastra toracica era rafforzata da stringhe simili a quelle di una vecchia divisa militare; portava un berretto da baseball in testa e i lunghi capelli castani erano raccolti sommariamente in un codino arruffato; il volto, una maschera di diffidenza, animata solo dagli occhi grigi che si puntarono inesorabili su di lei. La mano destra era nuda; la sinistra, coperta da un guanto di pelle nero, reggeva una lama seghettata con la disinvoltura spietata di chi non faceva altro che quello: maneggiare coltelli, da una vita intera.
La paura, la vera paura, aveva la consistenza del ghiaccio ed Andy lo scoprì sentendolo fiorire nello stomaco in subbuglio. Ciò che aveva provato vedendo crollare le Torri Gemelle, assistendo atterrita alla distruzione portata da un esercito alieno, erano piccole increspature sulla pelle al confronto. Senza sapere come potesse crederlo con tanta certezza, sapeva di avere la morte davanti e questa aveva un volto tirato, coperto da una barba sfatta, le labbra appena dischiuse pronte a tendersi in una smorfia ferina.
Tuttavia non si mosse, continuando a fissarlo. L’uomo era alto; avrebbe potuto sopraffarla con una sola mossa; c’era una muscolatura da guerriero, sotto quegli strati consunti di abiti che avevano visto troppi viaggi.
Sarebbe dovuta scappare.
Non lo fece, preferendo continuare a chiedersi chi avesse di fronte e perché le sembrasse… famigliare.
“Andy!”
La voce di Steve spezzò l’incantesimo e il tempo tornò a scorrere per la seconda volta, in quel folle pomeriggio. Lo vide arrivare verso di lei scarmigliato, sporco di polvere da sparo, fumo e con un graffio sanguinante aperto all’altezza del fianco sinistro e bloccarsi prima di soccorrerla. I suoi occhi azzurri, traboccanti poco prima di preoccupazione per lei, si svuotarono di ogni apprensione per venir riempiti dall’incredulità, non appena li spostò sull’altro presente.
Le fu subito chiaro: conosceva chi aveva davanti.
Ebbe l’impressione che quel nome fosse già stato detto, con quello stesso tono, con quella stessa tenue, ridicola, folle speranza, in un altro luogo e in altre circostanze.
“Bucky?”
Andy fece saettare lo sguardo dal Capitano Rogers all’ uomo ormai di fronte a loro. La sua espressione determinata e pericolosa si sciolse lentamente, rivelando uno sguardo colmo di malinconia, vergogna e sollievo.
“Arriveranno presto. Portala via!”
Lanciò qualcosa verso Steve. Non era la sua arma; era un oggetto molto piccolo, rettangolare e lucente. Andy si sentì di nuovo male e prima di perdere i sensi, si accorse che qualcosa di forte e caldo l’aveva avvolta per sorreggerla.
  Un istante prima di scivolare nell’incoscienza, si accorse che Steve l’aveva afferrata per i fianchi, sorreggendola.


Prima


Sapeva cosa significava, liberare l’ostaggio: se era mai esistita ancora la labile possibilità che l’ HYDRA non sapesse il suo Soldato fosse ancora vivo, questa sarebbe stata compromessa per sempre.
Era un rischio difficile da calcolare, dal momento che in quel modo non vi stava coinvolgendo solo se stesso ma anche il Capitano Rogers e molti altri tuttavia sapeva di doverlo correre, se voleva vedere il volto reale del suo nemico. E sconfiggerlo per sempre.
Dopo averlo liberato, era tornato nel suo rifugio e aveva raccolto tutto quanto era divenuto il suo piccolo elenco di effetti personali; si trattava per lo più di armi ma in fin dei conti era il possedimento che più gli si addiceva. Se n’era andato poco dopo, cancellando ancora una volta le tracce de suo passaggio; trovare un altro capannone abbandonato non fu facile ma alla fine, la sua fine pazienza di predatore abituato alle attese del momento giusto fu ricompensata: la fabbrica prescelta era protetta da uno spiazzo di cemento recintato e aveva un piccolo molo sul fiume. Era in vendita da alcuni mesi, testimoniava un cartello sul cancello coperto di filo spinato; a giudicare dallo stato del grosso lucchetto che chiudeva la catena, nessun agente immobiliare era stato in quell’ isolato da molto più tempo.
  Il Soldato aveva eletto come nuova casa l’ultimo piano dell’edificio completamente spoglio. C’era una scaletta di ferro che portava al tetto e diversi finestroni, chiusi con due assi messe di traverso, permettevano una visuale in ogni direzione.
Il cacciatore adesso doveva aspettare ma non sarebbe rimasto inerte. Sapeva che Rogers era in pericolo e non poteva sopportarlo; né come Soldato, né come Bucky. Aveva bisogno di scoprire le carte degli avversari e capire se e come l’ HYDRA si fosse già riorganizzata ma questa volta non si doveva mirare alle teste; andava colpito il cuore, annientandolo fino all’ultima fibra. Era una nuova discesa verso l’ Inferno e l’avrebbe fatta con consapevolezza. Non ci tornava spinto dall’ inerzia; voleva scendere in quei gironi dove si affollavano le anime di chi aveva ucciso, per trovare cosa era stato lasciato, là sotto, dell’ uomo che era stato un tempo.
  Trascorse le ultime ore della notte preparando minuziosamente il suo equipaggiamento e raccogliendo tutti i dati in suo possesso, usando la stessa pen drive già tornata utile all’ ospedale militare di Washington. Si sarebbe mosso in piena luce del sole, non poteva permettersi di attirare l’attenzione di nessuno.
La sua divisa in kevlar era stata progettata per dargli la possibilità di portare con sé il maggior numero di armi di piccola misura: i foderi per i coltelli e le daghe da lancio erano sulla schiena, situati a metà altezza in modo che con il movimento delle braccia più naturale possibile, potesse afferrarne il manico per un’estrazione veloce. Non poteva portare Uzi e altre mitragliette tra le scapole; sotto la felpa chiunque avrebbe notato il rigonfiamento. Si sarebbe accontentato delle granate a pressione, con un tempo di esplosione di dieci secondi una volta fatte rotolare verso l’obiettivo.
Non era mai uscito armato, da quando era arrivato a New York. Adesso doveva essere pronto al peggio.
  Le strade di quella città non smettevano di sorprenderlo; erano accoglienti e sembravano dargli il benvenuto con scorci già visti, luoghi in cui era già stato. Sapeva da dove nasceva quella sensazione; c’era un ragazzo di Brooklyn a sorridere, da qualche parte e anche se non poteva dirsi felice, come il sergente Barnes, avvertiva quella gioia come un fiotto caldo all’altezza dello stomaco.
Non dimenticarti della neve. Non pensare di essere al sicuro.
Il tempo incerto della giornata non aiutava a lasciarsi andare a pensieri scomodi.
Solo Central Park sembrava resistere a tutto il grigio che l’assediava e si lasciò avvolgere dai suoi colori autunnali col sollievo di qualcuno rimasto lontano da un simile spettacolo per troppo tempo.
L’agente liberato non si vedeva; evidentemente era troppo presto perché l’ingranaggio, qualsiasi esso fosse, si mettesse in moto. Arrivò al prato dove lo aveva visto fermarsi e qualcosa, molto più avanti, attirò la sua attenzione.
La ragazza oggi vestiva di azzurro e stava guardando allontanarsi proprio il motivo per cui aveva deciso di agire.
  L’uomo con lo scudo stava entrando nel parco, aveva un libro in mano e una strana espressione sul viso, che da così lontano non poteva decifrare.
  Il lampeggiante della prima autopattuglia lo disturbò; tornò a guardare verso di lei, vedendola parlare con un poliziotto. Sembrava sul punto di andarsene ma cambiò idea nel giro di pochi secondi. Prese a seguire il Park Ride. Era nervosa. Poteva quasi fiutare la sua improvvisa tensione.
 Altre luci rosse blu, altre auto della Polizia metropolitana di New York. Sfilavano lungo la Quinta Avenue giungendo dalla Cintuantanovesima e altre, ne era certo, avevano imboccato l’altro senso di marcia per andare  sulla Central Park West.
  E’ un accerchiamento.
La pelle tornò ad accapponarsi, esattamente come era successo il giorno in cui in Metro si era accorto della spia.
Stava accadendo tutto troppo presto; non c’erano stati i tempi e i modi per quell’uomo di dare l’allarme; il sangue prese a battere furioso contro le tempie, imponendogli di pensare in fretta. Un piano era appena scattato e non era stato in grado di vederlo nella sua interezza.
Lontano, il punto azzurro costituito dalla giacca della ragazza si stava muovendo verso lo Zoo.
Vuole trovare un altro ingresso, a East Drive.
Non c’era il tempo per chiedersi come facesse a ricordare con tanta precisione i nomi delle strade. Altri agenti stavano invitando la gente a uscire e portavano delle transenne con loro, abbandonandole non appena erano certi di non avere nessuno intorno. Prima che uno di loro lo vedesse, il Soldato si appiattì contro il tronco di una quercia, sparendo dalla visuale.
Trovala.
Non appena fu sicuro che nessuno l’avesse visto, si mise sulle sue tracce. Era certo di sapere chi stesse cercando.


“Buongiorno, signore! Bentornato.”
Nonostante avesse la consapevolezza di come potesse apparire agli occhi di una donna, Steve non aveva mai approfittato di questo per sembrare ciò che non era; il Siero del Super soldato aveva cambiato profondamente il suo aspetto, era innegabile ma non aveva potuto nulla sua indole gentile e cortese.
Il risultato fu che Jenna, la ragazza del chiosco, sentì non solo andarle in fiamme le guance per il sorriso con cui rispose al suo saluto ma anche un inaspettato moto di tenerezza per un ragazzo tanto bello che chiese, per favore, due tazze medie di caffè.
“Tutte e due all’ Irish Cream, grazie.”
E quante altre volte un simile capolavoro ambulante era stato tanto educato con lei? Di quell’educazione tangibile, sincera, che rendeva  malinconici i suoi occhi azzurri? Andy, che lei conosceva perché un giorno le aveva regalato un suo adorabile schizzo con lei e il suo carretto, era decisamente una ragazza fortunata.
Lo stesso non si poteva dire di Steve, che accolse il porta bicchieri di cartone con un ultimo ringraziamento, prima di tornare sui suoi passi.
Stava ancora pensando all’espressione frastornata, impaurita assunta dalla ragazza non appena le aveva proposto di offrirle qualcosa. Era certo di non essere stato aggressivo, meno che mai ambiguo; era assurdo ma aveva la netta sensazione di averla confusa. Forse avrebbe dovuto spiegarle meglio cosa aveva provato, mentre leggeva dell’inizio dell’ incredibile viaggio di Frodo verso Mordor e di aver capito perché aveva parlato proprio della sua amicizia con Sam.  Alla fine aveva avuto ragione, anche se non poteva sospettare di avergli suggerito di chiarirsi con il proprietario delle Stark Industries in persona!
Doveva proprio aver avuto un’ espressione tormentata, se una perfetta estranea era riuscita a capire la natura del suo malessere in modo così chiaro; più banalmente, tutto quello che era successo da quando aveva saputo del progetto Insight aveva lasciato un ricordo fatto di vecchie ferite, riaperte brutalmente con nuovi fendenti. Quanto si sentiva solo, Steve Rogers e quanto aveva bisogno di uno scopo Captain America? Chi dei due aveva più bisogno di affermarsi, di imporsi in modo da tracciare una strada in quel nuovo mondo, in quella nuova epoca?
 Per questo  riconosco i sintomi. Da soli si può fare molto ma non tutto. E’ decisamente altisonante usare esempi letterari per dare lezioni di vita, no?
Era stata una frase decisamente ad effetto ma si era fatto distrarre dall’ultima parte, spiritosa e arguta, tanto da non accorgersi dell’ ammissione precedente. Rallentò il passo e fissò i caffè caldi e fumanti, chiusi da coperchi di plastica. In realtà stava vedendo altro e avvertì qualcosa di simile a una stretta al cuore quando realizzò di aver conosciuto qualcuna in grado di dirgli, semplicemente, di sapere cosa stava provando. Aveva usato la levità di una battuta per nascondere la verità, quasi non avesse voluto farlo soffermare su una confessione da non approfondire.
Era solo anche lui?
Sì. Ora più che mai.
 Aveva convinto Sam a rimanere a Washington per attivare la Veteran Association e avere contatti utili in tutto il mondo, appoggi sicuri e per tenerlo lontano da nuovi pericoli.
Era partito da solo per New York e non era riuscito ad ammettere con Stark i veri motivi della sua visita, nonostante gli avesse chiesto chiaramente aiuto.
Aveva evitato di tentare di mantenere i contatti con Natasha.
Si era isolato da ogni cosa e aveva sbagliato. Captain America non lo avrebbe mai fatto ma Steve sì; e a indicargli l’ errore era stata un’ illustratrice conosciuta perché aveva ritrovato la sua agendina.
“Signore?”
La realtà lo richiamò con le fattezze anonime di un agente di polizia in divisa; alcuni metri dietro di lui, si stavano avvicendando altri suoi colleghi; parlavano con chi passeggiava, correva o leggeva un libro, invitandoli ad allontanarsi dal viale.
“Siamo spiacenti ma dobbiamo far evacuare questa zona del parco.”
Sembrava non averlo riconosciuto. Per ogni evenienza, Steve calcò meglio in testa il suo berretto e tenne gli occhi bassi.
Evacuazione.
C’erano parole in grado di scatenare una serie di associazioni mentali dovute al suo addestramento. Nonostante non ricambiasse lo sguardo dell’ uomo di fronte, osservò con calma i dintorni: un ritirarsi composto ma preoccupato degli ospiti del parco. Uno sfarfallio di luci di sirene silenziose nascosto tra gli alberi e i cespugli.
“Certo, agente. Cosa sta succedendo?”
“Non posso condividere con lei queste informazioni. La prego, deve seguire i miei colleghi.”
L’arrivo dei rinforzi. La zona posta in isolamento.
“Da che parte devo andare?”
C’erano solo le forze dell’ ordine di Manhattan. Nessun cenno all’arrivo di reparti speciali o artificieri. Nessuna transenna che veniva posta, come da protocollo, a limitare l’aera in pericolo.
Steve continuava a sorridere e all’ultimo, tornò a fissare il poliziotto: era teso, i muscoli del collo spiccavano turgidi dal colletto della camicia.
“Qui andrà benissimo.”
In effetti fu il momento migliore per lanciargli sulla faccia uno dei due caffè ancora bollenti; al secondo toccò la stessa, triste fine quando lo aprì e con una mezza torsione del busto lo rovesciò addosso a chi lo stava per aggredire alle spalle; un altro finto agente, armato di teaser. L’asta elettrificata toccò terra mentre  urla di dolore e pesanti imprecazioni venate da un accento duro davano l’allarme.
L’obiettivo era in fuga.
 

Steve sapeva di dover cercare un varco sulla East Drive: era già lanciato, certo di poter seminare gli eventuali inseguitori. L’istinto lo aveva aiutato al momento giusto ma era davvero difficile non attardarsi e dare risposte a un cervello già sotto pesante attacco di scariche di adrenalina. Sapeva solo che volevano catturarlo; non importava chi fossero ma erano tipi pronti a tutto ed erano armati, al contrario di lui. Non poteva sperare che un libro potesse bastare come oggetto di offesa.
  Il libro. Merda!
Non avrebbe mai imprecato in quel modo ad alta voce. Rivide il momento in cui afferrava la tazza di caffè, pronto a girarsi e l’esatto istante in cui il volume finiva per terra, ai piedi del primo aggressore. La consapevolezza di non poter tornare indietro gli lasciò un pessimo sapore in bocca.
Corri. Vattene. Non coinvolgere-
Una giacca di pelle azzurro cielo, ai limiti del campo visivo. Andy con gli occhi sgranati, le mani a coprire la bocca, ferma sul ciglio del viale.
“Capitano…”esalò quando lo vide fermarsi di botto “Ma?...”
Non c’era tempo di chiederle cosa ci facesse lì e cosa avesse visto per avere sul volto un’espressione tanto terrorizzata e stupita. Con un balzo, si lanciò verso di lei e l’afferrò per i fianchi. Nonostante il borsone da disegno fosse pieno e pesante, nel nascondersi insieme  in una macchia di alti cespugli di bosso si stupì di quanto l’avvertisse fragile e delicata tra le sue braccia.
Appena in tempo. A nemmeno un metro da loro, una serie di passi concitati avvertì che altri cacciatori erano usciti in battuta. Steve sentì il cuore cominciare a rallentare e un discreto colpo di tosse gli fece abbassare il capo; ad attenderlo trovò due splendidi occhi verdi che gridavano, più o meno, cosa diavolo sta succedendo?!
Accucciata tra le fronde, col cappello finito di traverso, Andy aspettava prima di tutto di venir liberata da quella presa e poi delle risposte; le domande erano tutte lì, nello sguardo concitato sotto cui lo teneva.
Sapeva di sbagliare, quando era tornata nel parco per cercarlo; la convinzione era divenuta certezza quando aveva visto Steve mettere fuori gioco ben due poliziotti e poi correre via.
Non avrebbe mai sospettato che del semplice Irish Cream Coffee potesse venir usato per causare ustioni ai bulbi oculari.
Non avrebbe mai sospettato, fino a pochi minuti prima, di finire quasi distesa a terra con sopra Captain America. E di non provare nulla se non una maledetta paura di cui non conosceva il motivo. Fu in nome suo che, tremando per lo shock, continuava a fissarlo e chiedere, chiedere, chiedere. E non si sarebbe fatta distrarre dal fatto di sentire il suo respiro contro le guance.
No!
Non c’era tempo per chiedere scusa di quella posizione sconveniente. Steve tenne le labbra strette in una linea dura, poi iniziò a parlare con una serie di sibili rochi.
“Stanno cercando me. Sono armati, pericolosi e non posso farmi trovare.”
Aiutami.
La richiesta era implicita e chiarissima insieme. Andy sentì lo stomaco riaprirsi. Conosceva quella sensazione.
Zero dignità. Faccia da schiaffi. Risoluzione.
“Dobbiamo raggiungere la traversa dell’ Ottantacinquesima, che costeggia il Reservoir. Non potranno inseguirti nel traffico cittadino senza scatenare il panico e farsi notare.”
Steve sbatté le palpebre. Sentiva, vedeva quella ragazza scossa dalla paura, eppure la voce era stata ferma nel parlare.
“Possiamo arrivarci dall’ Arthur Ross Pinetum.” La precisazione gli fece scrollare le spalle e perdere quel poco di speranza appena nata.
“So che è chiuso. Ci sono passato qualche giorno fa, mentre correvo.”
“Lo so anche io. Ma so anche come arrivare a un punto della recinzione con un accesso… diciamo segreto.”
In qualsiasi altro frangente, ci sarebbe dovuto essere lo spazio per indagare, per le spiegazioni. Steve si limitò ad annuire e a prendere qualcosa dalla tasca dei suoi jeans: uno smartphone o un oggetto molto simile. Non c’erano tasti visibili ma lui premette comunque un punto dello schermo e poi lo rimise via.
“Ho perso il tuo libro” le confessò, scostandosi da lei.
“ Se porterò a casa la pelle da qualsiasi cosa ti abbia costretto a mettere fuori due uomini in divisa, ti farò le mie più sincere proteste per tanta incuria.”
Lo aveva fatto ancora. Una stilettata più pericolosa del lecito nascosta sotto il velo caliginoso dell’ironia. Se davvero fossero riusciti a cavarsela, Steve si sarebbe sentito autorizzato a doverglielo far notare.


“Signore, un segnale dal GPS del Capitano Rogers.”
Tony posò sul tavolo da lavoro un nuovo componente robotico su cui stava lavorando e sorrise trionfante a Pepper.
“Te lo avevo detto.”
“Via, non vorrai davvero?...”
“Le scommesse perse si pagano, signorina Potts.”
Guardandolo storto, la donna sospirò e andò a prendere una banconota da dieci dollari. Quando avrebbe imparato che Tony Stark, in un modo o nell’altro, aveva sempre ragione?


Aveva la bocca secca, la pelle scossa dai brividi e ogni rumore sospetto la faceva sobbalzare; tuttavia Andy riuscì a guidare Steve attraverso desolati boschetti e scorciatoie note solo a chi aveva giocato a nascondino e ai pirati lì da quando aveva cinque anni.
Era decisamente strano avvertire la calma fiducia proveniente dal ragazzo alle sue spalle. Credeva in quanto gli aveva detto e questo, di riflesso, riusciva a non farla esplodere in quella risata isterica tenuta a bada da ormai dieci minuti. I dieci minuti più lunghi della sua vita.
“Eccoci. Bisogna scavalcare qui.”
Il muro di recinzione era mangiato da un groviglio di edera e rovi; si trovava lontano dall’ingresso principale alla pineta, costruito in modo da sembrare quello di un’elegante stalla da magione inglese.
“Aspetta, vado prima io.”
“Non dubito tu possa sollevarmi come fossi uno scricciolo ma qui mi sarò arrampicata non sai quante volte. Credo di sapere come fare!”
“Non abbiamo il tempo per perderci in risposte piccate!”
Sentendosi apostrofare così, Andy arrossì per l’indignazione, senza trovare lo spunto per ribattere; l’occhiataccia suscitata con le sue parole in Steve fu di quelle in grado di ammutolire riottosi soldati al fronte. Cominciò a prendere per veri i racconti agiografici sul carisma del Capitano; c’era qualcosa, nel suo modo di guardare, di profondo e implacabile quando si arrabbiava o rabbuiava. Non aveva nemmeno alzato la voce. Non gli servivano certi espedienti mediocri, specie quando si aveva qualcuno alle calcagna pronto a tutto.
Il Capitano arrivò in cima al muretto con agilità, poi porse la mano ad Andy. Stavolta non ci fu nessuna confusione; l’ afferrò e si fece sollevare, in tempo per evitare un proiettile che spaccò una delle pietre sconnesse della barriera. L’urlo le rimase impigliato nelle corde vocali e non fece in tempo a voltarsi indietro.
Non sentì più il terreno sotto i piedi; Steve la stava ancora tenendo in braccio, quando saltarono giù e il primo fumogeno esplose fragoroso a due metri di distanza. Le sembrò di volare per un paio di secondi e poi arrivò l’impatto col terreno.
Il dolore al ginocchio destro esplose come un punto di fuoco, lacerante e bruciante ma il peggio arrivò quando dovette respirare; il fumo denso le ammorbò il naso, la gola e i condotti lacrimali. Dalla nebbia spuntò un’orrenda ombra pronta a ghermirla. Nemmeno stavolta riuscì a gridare.
Avvertì uno spostamento d’aria a un soffio da lei e le parve di riconoscere il colore della felpa di Steve, prima di vederlo ruzzolare via avvinghiato al suo aggressore.
La scena a cui assistette ebbe dell’assurdo. Il ragazzo che poco prima si era esaltato nel descrivere il mondo della Terra di Mezzo adesso era sparito, lasciando il posto a un guerriero dalla forza sovrumana. Lo vide rimettersi in piedi con uno scatto, come se i suoi polmoni fossero indifferenti a quel miasma e gli occhi in grado di sondare la cortina di fumo opprimente. Calibrò il peso sulle gambe in una frazione di secondo, parò col braccio destro il gancio sferrato dall’altro bloccandone il pugno e si girò di scatto, inarcando la schiena per caricare il colpo di maggiore forza.
L’ultimo pensiero coerente di Andy fu che non aveva mai sentito un rumore più brutto di un’articolazione scapolare divelta.


Non avrebbe potuto trattenere l’aria ancora per molto.
Un altro petardo esplose poco più avanti, raddoppiando lo schermo ingannevole dietro cui i nemici potevano muoversi.
Il suo cervello poteva resistere per un altro minuto senz’ aria; doveva pregare fosse un tempo bastevole a mettere fuori gioco chiunque gli si fosse parato davanti.
Andy era alle sue spalle, rovinata malamente dopo il salto tra le radici di un pino del Delaware; la sentiva tossire ed era un buon segno, quello che nonostante tutto era ancora viva.
Il secondo attacco venne da sinistra; non erano sicuramente gli assalitori meglio addestrati del mondo, a giudicare dalla rozzezza del loro piano ma per il momento era contento di tanta approssimazione. Vista la scarsa visibilità non gli avrebbe sparato e disarmarlo risultò facile: colpì di piatto la mano che reggeva la pistola, quindi l’afferrò e applicò una violenta torsione con tutta la forza che aveva. L’uomo emise uno strano rantolo mentre veniva sollevato in aria e abbattuto sulla schiena.
Il suo corpo, per quanto reso forte dal siero, implorò dell’ossigeno che costò caro. Steve sentì una vaga eco di nausea scendere per l’esofago, sufficiente a fargli abbassare le difese.
Il terzo componente di quella piccola banda d’assalto lo prese da dietro, facendolo rotolare lungo un pendio erboso.
Lontano da Andy.
Imprecando per la seconda volta, il Capitano rimase lucido e pronto per cogliere il momento giusto per fare la sua mossa. Non appena l’uomo fece per sollevarsi ed estrarre la propria pistola dalla fondina, Steve gli rifilò una ginocchiata in un punto particolarmente sensibile per ogni essere umano di sesso maschile.
“Spiacente, amico. Nessuna solidarietà” biascicò rialzandosi e interrompendo i suoi mugolii di dolore con un colpo alla testa. Con una smorfia, si accorse che lo scendere un piano ricoperto di rami secchi e contorti gli aveva strappato la maglia e aperto un taglio superficiale sul fianco.
Lo smartphone prese a suonare. Rispose con l’ineluttabile consapevolezza di chi si poteva aspettare solo battute.
“Stai combinando un vero casino, eh?”
“Non ho il tempo per farti notare che mi ci hanno trascinato, Stark.”
Andy. Doveva ritrovarla e vedere se stava bene.
“Sto arrivando sulla traversa dell’ Ottantacinquesima. Sbrigati, prima che anche Al Jazeera faccia arrivare in tempo utile la sua troupe.”
Un modo garbato per fargli capire che i media sapevano già di qualcosa di strano e pericoloso accaduto a Central Park. Chiuse la comunicazione e tornò indietro.
Andy c’era ancora, dolorante e ferita ma non era da sola.
Stava in piedi, la schiena contratta, a fronteggiare il Soldato d’ Inverno.
Bucky.
Non poteva sbagliarsi, nemmeno in quel caos dove il mondo non aveva contorni netti e sapeva di qualcosa di marcio e nauseabondo. Era lì, a pochi passi, emerso da una speranza velata di timore, di quelle che non avevano ragione logica per esistere.
“Bucky?”
E come era successo a Washington, si girò verso di lui.
L’eternità del mondo si fece piccola piccola e divenne un secondo. Non si rese nemmeno conto di averlo chiamato col suo soprannome fino a quando non vide il suo sguardo mutare, sciogliersi, divenire un  qualcosa capace di fargli provare un vuoto allo stomaco scatenato da  impeto molto inopportuno ma follemente simile alla gioia.
Mi riconosci!
Non si stava sbagliando. Sperava con tutto il cuore di non essere in errore.
“Arriveranno presto. Portala via!”
Quando afferrò al volo una pen drive USB, Steve si accorse di essere di nuovo solo. Andy perse i sensi, sicuramente per colpa delle sostanze inalate ma nonostante si rendesse conto del pericolo scampato, il Capitano avvertì il remoto riverbero dell’ euforia.
Due ragazzi di Brooklyn erano tornati a casa.


Angolo (tetro e buio) dell’autrice: mi prendo questo spazio per fare degli speciali auguri di buon compleanno alla beta reader di The List e sua prima fan. E’ “colpa” sua se ho deciso di buttarmi nell’avventura di pubblicare una nuova fan fiction dopo –ehm- diversi anni.
Happy Birthday, Alkimia. Grazie per tutto!
E grazie sempre ai miei lettori. Perché si scrive per venir letti e migliorarsi attraverso di voi.
A venerdì prossimo!
Maddalena

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Capitolo 12
*** 9 ***


9


Per lei, il mondo non aveva importanza.
Era contenta del vetro che li separava; poteva concentrarsi solo su ciò che desiderava.
Ogni tanto le capitava di guardare oltre e di porre attenzione sul via vai incessante di camici bianchi e divise militari nere. Scienza e metallo. Voci ovattate e lampi nell’ oscurità.
In genere, quegli attimi di distrazione duravano poco; il tempo che la porta si aprisse e qualcuno le portasse nuovi giocattoli.
Per lei, il mondo erano quei cubi e quegli oggetti che poi cominciavano a danzare nell’aria per suo volere.
Non era nata con quell’abilità. Non aveva mai saputo di poter governare un determinato elemento ma le avevano detto che aveva il potenziale per farlo. Dovevano solo farlo emergere.
Era stata quella, la frase con cui avevano portato via di casa lei e suo fratello.
Cosa fosse successo dopo era diventato un gorgo nero, agitato da un dolore talmente forte da diventare assoluto, ineluttabile, irrimediabile. Dentro a un tale passato ci si poteva perdere ed era accaduto esattamente questo.
Dimenticati i pianti, le iniezioni, gli arresti cardiaci, le violente rianimazioni. Annullato il ricordo dell’ odore del proprio sangue, delle urla terrificanti del suo gemello. Il turbine era diventato un tornado e dove era passato, aveva distrutto.
Giocattoli.
Dov’erano i suoi giocattoli?
Perché non gliene portavano altri, visto come aveva dilaniato gli ultimi?
Infastidita, si decise a guardare davanti a lei; verso quel fuori che non la interessava mai, oltre le pareti trasparenti della sua prigione.
L’agitazione tra i suoi aguzzini era così densa che si sarebbe potuta modellare a piacimento. Correvano inseguiti dai barbigli di un’ansia saettante di cui non conosceva la causa. Scariche elettriche di nervosismo serpeggiavano negli sguardi, trasformavano parole inudibili in coltellate. C’era sempre stata la pace, in quel laboratorio. Adesso sembrava assurdo anche solo pensare fosse mai esistita.
Qualcosa è andato storto.
Lo pensò pigramente, stiracchiando le braccia e facendo danzare le dita nell’aria. Annoiata come un gatto, senza alcuna curiosità di sapere il motivo reale di una simile apprensione, concentrò la sua attenzione sulla porta.
Voleva dei nuovi passatempi.
Gli occhi scuri saettarono verso un bicchiere d’acqua posto per terra. L’oggetto vibrò, si alzò e si scagliò ferocemente contro le lastre piombate.
La ragazza sorrise.
Forse non l’avevano sentita ma c’era pur sempre una branda da usare come martello, per richiamare qualcuno.
Il ferro fa tanto rumore.
Quando il primo dottore si accorse di cosa stava succedendo, ci fu un secondo motivo per perdere la calma, oltre a quello di aver fallito nella cattura di Captain America e di sapere il Soldato d’ Inverno a New York.

 

*


Anche se ancora stentava ad usare con disinvoltura l’aggettivo “amico” riferito a Stark, Steve doveva riconoscergli un inedito senso della misura; quando aveva aperto la portiera del SUV fermatosi fragorosamente lungo la traversa dell’ Ottantacinquesima dietro l’ Arthur Ross Pinetum e vi si era fiondato dentro con una ragazza svenuta in braccio, il suo autista si era limitato a sgranare gli occhi. Tony era ripartito senza aprire bocca ma dall’occhiata lanciatagli attraverso lo specchietto retrovisore, il Capitano aveva mestamente intravisto il prevedibile round di domande allusive, rimandato a luoghi e momenti più consoni vista l’attuale situazione.
“Non possiamo portarla in ospedale.” Uno sfoggio di pragmatismo inedito. “ Attirerebbe ancora più l’attenzione su questo piccolo incidente.”
“Sono certo non sia un problema per te.”
No, non lo era per il proprietario di un grattacielo di sessanta piani sede di uffici, laboratori e della divisione delle Stark Industries legate alla ricerca e allo sviluppo da applicare a qualsiasi campo della scienza; sicuramente era dotato di misure sufficienti a prendersi cura dei propri dipendenti in modo discreto e anonimo.
 Il grosso fuori strada nero, dai vetri oscurati, era sfilato oltre i cordoni di polizia e i camioncini di tutte le reti televisive nazionali appostate ai confini di Central Park.
Steve e Tony non dissero altro per il resto del viaggio; Andy non aveva accennato a riprendersi e una volta arrivati nell’area più privata dei parcheggi sotterranei, la ragazza gli era stata letteralmente strappata di dosso da un dottore e due infermiere, adagiata su una lettiga e portata via; fu una sensazione più brutta del previsto, quello di non sentirla più contro il suo petto.
“Sarà meglio che ti rendi presentabile anche tu. Pepper potrebbe preoccuparsi, vedendoti conciato così.”
“Davvero?”
“Senti, fosse solo per quel taglietto al tuo bel pancino marmoreo non mi sarei dato tanta premura ma per quello non voglio sentire storie.”
E gli aveva indicato le macchie di sangue all’altezza della coscia e sull’orlo della felpa, causate dalla ferita di Andy al ginocchio destro.
“Non dire ancora niente.” Sbottò dirigendosi verso l’ascensore.
Non  fu necessario voltarsi per sentire il sorriso sfacciatamente innocente di Tony premergli contro la nuca.
“Oh, tranquillo. Lo farò dopo. E’ un’occasione troppo ghiotta.”
“Tieniti occupato fino a quel momento, allora.”
Steve gli aveva messo in mano una pen drive e poi era scappato oltre le porte scorrevoli prima di dargli il tempo di ribattere.
Mezz’ora dopo fu indetta una riunione straordinaria nell’ attico del padrone di casa. Jarvis stava aprendo i vari file sulle sue schermate virtuali; Pepper, ovviamente presente, era seduta di fronte al grande camino in pietra, un piede che ticchettava nervosamente a tradire la sua apparente calma. Studiava la figura di Tony che le stava dando le spalle, in silenzio. A pochi passi da entrambi, c’era un’altra donna.
Steve, dopo una veloce medicazione, si era cambiato e arrivò nel preciso momento in cui un nuova foto stava venendo mostrata.
Quel cappotto rosso lo avrebbe riconosciuto ovunque. Fu talmente scioccato dal vedere una foto sua e di Andy, scattata il giorno in cui si erano rivisti dopo il ritrovamento della sua Moleskine, da rilevare la presenza di Maria Hill con un secondo di ritardo.
“Non so cosa stia succedendo ma non mi piace affatto.”
“Notevole capacità di sintesi, Capitano.”
“Se voi due l’avete finita di rimarcare il vostro reciproco affetto, io e la signorina Hill vi saremmo grate se foste più chiari.”
Tony alzò le spalle e si limitò a un imbarazzante passaggio di palla, piantando addosso a Steve l’occhiata gongolante tenuta gelosamente in serbo per quel glorioso momento.
“Non sono io quello che appena iniziato il Signore degli Anelli ha pensato di andare a rapire la Dama Luthien.”
Il modo in cui Steve scosse il capo lo rese ancora più euforico; quello era un chiaro smottamento emotivo, un segno di esasperazione; stavolta aveva colto la citazione. A salvarlo da una imbarazzante richiesta di spiegazioni fu Pepper.
“Potresti dirci chi è senza ricorrere a citazioni da Nerd?”
Il Capitano fissò ancora per un momento quel volto di profilo, il cappello con le orecchie da gatto. Parlarne forse avrebbe attenuato il senso di colpa per aver coinvolto un’ innocente in un gioco che sperava concluso.
“Si chiama Andy Martin, è un’ illustratrice. L’ho conosciuta pochi giorni fa.”
Avevano parlato di Star Wars, bevuto un caffè dal nome improbabile; tra un sorso e l’altro aveva trovato il modo di medicarsi un poco alcune ferite; senza lo capisse, Andy aveva ammesso di averne di molto simili anche lei. Naturalmente non fece cenno a nulla di tutto questo, aspettando il prossimo passo di un interrogatorio ormai inevitabile.
“Ci puoi spiegare da dove vengono queste foto?”
Pepper Potts era davvero una donna straordinaria, pensò guardandola con ammirazione e gratitudine; non perché riusciva a gestire un uomo impossibile da coniugare con qualsiasi significato del verbo “gestire”; sapeva sempre guardare oltre le apparenze, intuendo come muoversi con grazia. Aveva visto che Steve aveva bisogno di aiuto e non voleva parlare troppo di quella ragazza non per diffidenza ma per il suo innato senso del pudore nel condividere con parsimonia delle emozioni da tenere scrupolosamente per sé; erano la sua medicina e avevano la giusta dose di additivi benigni, se la si prendeva da soli.
Il lieve sorriso di Pepper era un incoraggiamento e insieme una promessa di silenzio. Aveva compreso e se avesse voluto, ne avrebbero parlato dopo.
La risposta fu il suo modo di ricambiare tanta sollecitudine.
“Dal Soldato d’ Inverno. L’ho visto, mi ha riconosciuto. E prima che lo pensiate tutti, no, sono certo che non le abbia scattate lui.”
Maria fece un mezzo passo in avanti, lo sguardo duro e carico di domande che non arrivarono alla bocca.
Il fumo del Triskelion era ancora nel suo cuore, insieme alla consapevolezza pesante e dolorosa di dovere a quell’uomo la distruzione del suo mondo. Il Capitano resse quell’accusa silenziosa con sorprendente calma. Avevano tutto il diritto di non fidarsi della sua parola, visto quanto era coinvolto in quella penosa vicenda ma avvertiva anche quello di sua esclusiva competenza di difendere in tutti i modi quanto aveva vissuto poco prima, in una pineta sotto assedio.
“Signore, i file sono stati decriptati.”
“Mostra, Jarvis.”
Le immagini cambiarono; al loro posto comparvero dei file, schede informative con una serie di date e riferimenti.
“Steve, quando hai ragione hai ragione” gli concesse Tony, con un mezzo sorriso. Era una smorfia che nulla aveva di divertito. Selezionò una parte del monitor e la fece ingrandire con un movimento distensivo delle mani: tutti poterono leggere un dettagliato resoconto della vita del Capitano Rogers dal suo arrivo a New York fino a due giorni prima, quando il rapporto si chiudeva. Date, spostamenti, abitudini, luoghi. Riferimenti ai suoi ospiti e a un fatto accaduto a Washington poche ore dopo la sua partenza.
“A quanto sembra, c’è una squadra di osservazione anche là. E hanno trovato da tempo chi pensavano di aver perduto.”
Steve non ribatté, fissando quella nuova immagine. Mostrava il Soldato nel suo appartamento, chino su qualcosa; la foto era stata scattata dall’alto, con un’angolazione famigliare.
“E’ il tetto da cui ha sparato a Fury.”
La voce di Maria era una sentenza di colpevolezza senza possibilità di appello. Steve ritenne saggio non provocarla in alcun modo, annuendo stancamente.
Bucky aveva seguito le sue tracce. Era persino stato a casa sua. Dio, era una prova davvero ingrata non sentirsi sollevati nel momento in cui si poteva davvero sperare di trovare un uomo vero, dietro il pallido alone di un fantasma.
“La pista purtroppo si ferma qui.”
“Cosa intendi dire?”
“Che non abbiamo altri indizi; chiunque abbia raccolto tutte queste informazioni su te e il Soldato d’ Inverno non ha lasciato modo di risalire al mandante.”
La frustrazione di Tony era evidente e si ripercosse anche su Steve; strinse i pugni in una morsa.
“Jarvis non può fare davvero nulla?”
Per quanto impostata, la voce da compassato maggiordomo del sistema operativo risuonò di una vena piccata: “Capitano Rogers, il programma di gestione di queste risorse è dotato di un sistema di cancellazione dati immediato. Ogni attività svolta in Rete lascia tracce ma se queste vengono rimosse da un costante aggiornamento, il server d’aggancio viene azzerato.”
“Non dubito del tuo potenziale. Conosco di persona chi ti ha creato e ti chiedo comunque di tentare il possibile. Sempre che il tuo inventore accetti la richiesta.”
La faccia di Tony era quella di un bambino che aveva scoperto di essersi svegliato il giorno del suo compleanno.
“Dopo un simile riconoscimento da parte tua, potrai usare Jarvis per scaricare qualsiasi cosa, Stevie!”
“Questo però non ci porta a chi sta dietro a questo attacco” s’intromise Maria, ben decisa a ricordare al suo nuovo capo quale fosse l’ordine delle priorità. Tony sbuffò e alzò platealmente gli occhi al cielo.
“L’agguato di oggi non aveva questo grado di tattica. E’ stato pianificato con troppe falle: pochi uomini, un territorio troppo vasto da perlustrare.”
“Uno specchietto per allodole?”
“O il suo contrario.”
Le situazioni confuse non piacevano a nessuno. L’ex agente dello SHIELD strinse le labbra, gli occhi chiari ridotti a due fessure.
“Non ci servono  prove certe che si tratti dell’ HYDRA; Nick Fury fu molto chiaro nel dirmi che non l’avevamo ancora sconfitta. Ma chi è che vogliono?” Puntò l’ indice sulla foto del Soldato d’ Inverno, calma e feroce come stesse per premere un immaginario grilletto.
Lui o Captain America?
“Abbiamo bisogno di rinforzi” ammise Steve dopo un lungo silenzio. La voce risuonò fredda, determinata. “Contatteremo Sam e decideremo come muoverci.”
“Prima c’è una cosa più importante.” La petulanza della battuta di Tony voleva dire solo una cosa: niente di buono.
“Signorina Hill, le dispiacerebbe andare ad accertarsi delle condizioni della nostra principessa? Mi piacerebbe incontrarla, se si fosse svegliata.”
Steve pregò di avere tanta furia repressa nello sguardo da incenerire un maledetto milionario sul posto. Definirlo amico senza pentirsene subito dopo  sarebbe sempre stata un’impresa titanica; se si fosse scoperto ammettendo di poter andare personalmente da Andy avrebbe tradito la sua preoccupazione per lei. Dovette rimanere fermo e lasciare il compito a qualcun altro, maledicendo la situazione in cui era stato incastrato.
“Cerca di non spaventarla troppo, Maria.”
“Tranquillo Stevie; devi ancora lavorare sul tuo lato “cavaliere devoto” ma qui non ci sono draghi cattivi da cui proteggerla.”
Tutto sommato, l’agente fu contenta di lasciare l’attico di Stark prima di sentire un esasperato Capitano ordinare di smettere con l’abuso di paragoni fastidiosi.



L’incubo in cui era relegata non aveva confini, non aveva paesaggi o volti. Puzzava di zolfo e altri odori nauseabondi, feriva gli occhi gonfi e lucidi, gonfiava la lingua. Stava correndo in quella nebbia disgustosa con addosso la stanchezza di giorni passati in fuga: le gambe erano pesanti e si rifiutavano di obbedirle.
Andy aprì gli occhi nell’esatto istante in cui una figura minacciosa le si stagliò davanti ma un secondo dopo, pensò di aver avuto una pessima idea a svegliarsi; una luce intensa le ferì lo sguardo, costringendola a schiacciare il volto di lato, contro un morbido cuscino.
Cuscino?
Dopo un approfondito esame, stabilì che proprio di un cuscino si trattava.
Era stesa in un letto d’ ospedale, con le tende tirate su ogni lato. Una volta stabilito di non aver avuto danni permanenti alla vista causa abbacinamento da luce elettrica, la ragazza si decise a dare un’occhiata più o meno a tutto ciò che la circondava, inclusa lei stessa, per capire cosa fosse successo.
Qualcuno le aveva tolto la giacca di pelle e portato via il suo adorato borsone. Mani sconosciute avevano arrotolato la manica destra della  camicetta per permettere l’inserimento di un sondino per flebo. Sempre con una calma innaturale, Andy fissò la sacca appesa sopra di lei, al suo fianco. Soluzione salina ricostituente. Avere una madre infermiera portava a riconoscere certe cose al volo.
Qualcuno doveva pensarla molto debilitata e sicuramente non a torto: chi era svenuto dopo aver vomitato e con una ferita al ginocchio?
Già. Ginocchio. Fermi tutti!
Alzato il lenzuolo, il suo timore peggiore trovò conferma: le avevano dovuto togliere i collant per medicarla e ora la gamba destra sfoggiava tutta orgogliosa una bella fasciatura di garza sterile. Sotto i suoi strati medicati, avvertiva l’eco pulsante di dolore che l’aveva riportata nel mondo dei vivi giusto dieci secondi prima. I successivi venti le bastarono per ricordare cosa fosse successo.
I poliziotti.
Finti poliziotti, mia cara.
La sua preoccupazione per Steve.
Su cui pongo subito censura preventiva.
L’ aggressione subìta all’ Arthur Ross Pinetum.
E l’uomo col coltello.
La sua mente lo fotografò di nuovo: alto, letale. Occhi grigi. Un volto che un tempo doveva essere stato gradevole.
 L’uomo che Steve conosceva. Come lo aveva chiamato?
“Bucky” mormorò fissando i piedi del letto, tirandosi su a sedere lentamente, per verificare se il suo corpo era svelto quanto la sua testa.
Conosceva anche lei quel nome.
Qualunque ragazzo americano con un po’ di memoria lo avrebbe fatto. Era una fortuna che lei di quella ne avesse in abbondanza.
L’aveva letto nei libri di Storia, incontrato nei documentari. Riferito in almeno cinque interrogazioni. Era stata sicuramente una frana in materie tecniche come la Matematica ma in quelle letterarie aveva avuto ben pochi rivali.
C’era però un aspetto fastidiosamente logico a farle corrugare la fronte.
E’ morto. L’unico degli Howling Commandos a perdere la vita nella Seconda Guerra Mondiale fu il Sergente Barnes.
Una come lei, abituata ad osservare bene la realtà per poi usarla e alterarla in un dipinto, non poteva essersi sbagliata. Chiuse gli occhi e ricostruì meticolosamente, in un lampo, cosa aveva visto.
L’incredulità di Steve, la sua voce incerta. Le pupille dilatate, le spalle che si erano alzate ad assecondare un moto istintivo di speranza.
E dall’altra parte, lui. Un lupo pronto a sferrare il suo attacco, con in mente solo come trovare il prima possibile la giugulare del nemico. La bocca ferina, lo sguardo gelido tramutato da un nome in uno del tutto nuovo. Triste e vulnerabile.
Andy tornò a fissare la candida perfezione delle lenzuola, con un senso di colpa opprimente a stringerle la gola. Era stata chiaramente di troppo in un momento atteso da due persone che forse non lo avrebbero mai ammesso;  raramente il suo istinto si sbagliava.
Non avrebbe dovuto nemmeno trovarsi coinvolta in quello che era stato, a tutti gli effetti, un agguato. Se non fosse stata presente, Steve non avrebbe dovuto pensare alla sua incolumità e avrebbe potuto sicuramente difendersi meglio. Se non si fosse impuntata nel tornare indietro-
Una domanda urgente ebbe la pietosa tempestività di interrompere la sequela di responsabilità con cui voleva flagellarsi.
Dov’è Steve?
Doveva chiamare un’ infermiera. Si voltò indietro per cercare il pulsante da premere in caso di aiuto ma si trovò di fronte il nulla: solo un muro.
Buttò le gambe nude, coperte solo dalla gonna a kilt, giù dal letto e con fare battagliero si aggrappò all’asta della flebo. Quando aprì una delle cortine, rimase con la bocca spalancata.
Se quella era una camera di degenza, era dotata  della vista più spettacolare su Manhattan che si potesse immaginare, luccicante delle migliaia di luci della notte. Le finestre erano più simili a vetrate, le pareti intonacate di beige scuro. C’erano stipetti pieni di farmaci e altre garze, un attaccapanni con sopra appesi ordinatamente la sua giacca, il cappello e sul ripiano di un comodino trovò il borsone.
Accanto al suo, c’erano altri tre letti intatti ma i conti non tornavano comunque; forse era davvero in un’ infermeria ma a progettarla doveva essere stato qualcuno che di design ne capiva e in grado, cosa rara, d’ interpretarlo in maniera funzionale ed elegante; in oltre, quale ospedale avrebbe mai autorizzato un pavimento come quello? Il linoleum era perfetto per essere ripulito da qualsiasi cosa in poco tempo; i suoi piedi invece carezzavano una moquette compatta e morbida.
 Con nuova stizza, Andy chiuse la valvola che alimentava il flusso dalla sacca e procedette a togliere dal braccio il sondino, gesto visto fare in casa troppe volte per non saperlo imitare in automatico; fu in quel momento che la porta si aprì, lasciando entrare una donna.
Doveva avere trent’anni e il sobrio tailleur blu scuro donava al suo corpo slanciato un’ autorità non necessaria, dal momento che i suoi occhi azzurri, sotto una frangia di capelli neri, bastavano a farle sentire un brivido lungo la schiena.
Una bellezza severa, essenziale, dominata dalla linea netta di zigomi forti. Labbra piene appena imbronciate. Uno chignon impeccabile. Braccia che andarono a incrociarsi sotto il seno.
“Posso sapere cosa ci fa in piedi?”
E una voce capace di farle rimpiangere quella pacatamente terribile del suo professore di Anatomia Artistica alla Brooks, l’unico capace di zittire una classe di scalmanati senza mai un urlo.
  Maria Hill, ex agente di livello 10 dello SHIELD, sapeva come fronteggiare situazioni critiche e una spaurita ragazzina dai lunghi capelli arruffati, scalza, stanca e ferita, non l’avrebbe impressionata.
Per questo rimase suo malgrado colpita dal cipiglio che le vide assumere prima di risponderle.
“Posso sapere dove sono?”
“Si trova in un’ infermeria.”
Risposta automatica a una domanda prevedibile.
La ragazza spostò lentamente lo sguardo da lei alla stanza; non era un modo per tergiversare, quanto per osservare con scrupolo chi le stava davanti e l’ambiente. Il sorrisetto che le spuntò sul viso risultò dipinto dalla più perfetta ironia.
“Posso sapere dove sono realmente?” chiese di nuovo, con l’ arrendevolezza subdola di un gatto pronto a graffiare. Non che potesse fare molto altro viste le circostanze eccezionali che l’avevano portata lì ma a Maria fu chiara una cosa.
Tony Stark si sbagliava, con le sue metafore a base di principesse e dame eteree in pericolo.
Il Capitano Rogers non aveva salvato una fanciulla indifesa ma qualcuna capace di non aver paura dei draghi. Forse persino convinta di poterseli fare amici.


*
 

Aveva ricominciato a piovere.
Le gocce ticchettavano contro la tela tesa della tenda principale dell’ ospedale da campo; gli ci volle poco tempo per capire che quel suono aveva qualcosa di diverso. Era più ritmico, insistente.
Quella era acqua mista a neve. La prima avvisaglia di un inverno che presto avrebbe imbiancato tutto il confine italo-austriaco.
Attorno a lui c’era silenzio. Ogni tanto, da alcuni letti divisi dagli altri dalla pietà di tende tirate, si alzava un lamento.
Era un allarme: non appena veniva udito, da qualche parte compariva un’ ombra candida che andava a vedere di cosa avesse bisogno il paziente.
“Sergente Barnes, ha bisogno di cure?”
La voce dell’infermiera era stata una dolce tentazione. Comparsa al suo fianco mentre tutti stavano festeggiando l’uomo che da solo aveva riportato all’accampamento trecento soldati, gli era sembrato un delitto non cedere a quel sorriso dolce, alle labbra truccate di rosso e alla mano che  aveva sfiorato quella che sì, a tutti gli effetti, era una brutta escoriazione non curata di una delle tante pallottole volate nella battaglia di Azzano.
Mentre veniva medicato, aveva finalmente capito perché le crocerossine volontarie fossero tutte belle ragazze: ci volevano i loro occhioni vellutati per far capitolare dei virili quanto testardi americani, emblema vivente del “E’ solo un graffio, dolcezza. Baciami e passerà tutto!”.
Non che l’avesse davvero baciata; l’occasione, semplicemente, non era quella giusta. Si sarebbe presentata al momento, quando fosse stato meglio e la testa più sgombra per riempirla di belle sensazioni.
Solo James Buchanan Barnes sapeva quanto avesse bisogno di un po’ di calore e di bello, anche se fosse stato portato sulla punta di due labbra pronte a schiudersi in un sorriso prima d’incontrare le sue.
La tenda si aprì, lasciando entrare un raggio di luce livida e un refolo d’aria ghiacciata prima che una figura alta ostruisse la vista.

Bucky gli rivolse un sorriso malandrino. Stava aspettando la sua visita. “Spero mi perdonerai se non mi alzo in piedi per salutarti… Capitano.”
Non riusciva ancora a chiamarlo Steve senza sentirsi in errore. Perché quello che ora gli stava di fronte non era il suo amico, il fratello mai avuto.
Quello Steve era magro, il volto scavato illuminato dalla determinazione incrollabile chiusa nei suoi occhi azzurri sempre troppo saggi e sempre troppo seri.
 Quello Steve era mingherlino, troppo basso per arrivare persino al minimo di altezza stabilito dalla Leva dell’ esercito.
Quello Steve prendeva pugni e calci, aveva i polsi sottili, le ginocchia ossute e un sorriso capace di farti credere in qualcosa, qualsiasi cosa, di più bello e più giusto.

“Viste le tue condizioni di moribondo, per questa volta soprassiederò.”
E poi arrivava la sua voce, come nel laboratorio dove lo avevano imprigionato e l’ illusione si spezzava: la maschera del soldato invincibile cadeva e mostrava che sotto c’era ancora lo scricciolo più pazzo e incosciente di tutta Brooklyn. Quello in grado di comprendere Bucky “il bullo” Barnes come nessun altro.
“Ti faccio impressione, non è vero?”

Appunto. Gli era bastato il suo silenzio per capire. Bucky alzò le spalle e l’osservò sedersi accanto alla sua branda.
“Parla con i nostri angeli in camice; sono certo che a loro non fai tanto schifo.”
“Come se fosse questo il motivo per cui l’ho fatto.”

“Io lo so, il perché. Solo che- beh, è un bel cambiamento.”
Occhi troppo saggi cercarono i suoi. E risero della sua stessa risata. Forse adesso c’erano più muscoli, c’era più forza ma tutto quel glorioso “di più” sarebbe stata poca cosa senza il cuore di Steve Rogers e il suo coraggio.
“Ti ci abituerai.”

“Certo. Solo … per favore, non rovinarmi la piazza con le infermiere. Intesi?”
Sapevano entrambi ci sarebbe voluto tempo ma la cosa più importante, adesso, era essere insieme, era aver scoperto come la loro amicizia avesse salvato entrambi.

Se Steve non avesse mai saputo della cattura della gran parte del Centosettesimo battaglione, sarebbe stato ancora una scimmia ammaestrata al servizio della propaganda dell’ esercito degli Stati Uniti.
Se Bucky non avesse pensato a lui, a sua madre, alle sue sorelle, non sarebbe sopravvissuto alle torture dell’ HYDRA.

Erano entrambi così coscienti di questo da non aver bisogno di dirselo. Ascoltarono per un po’ il rumore splendido della pioggia; sapeva di vita, sapeva di possibilità e speranza. Cose estremamente utili ed estremamente fragili in una guerra.
“Steve?”
“Cosa?”
“Grazie.”

Lo guardò scherzosamente  male. “Guarda che non c’ è nessuna fetta di torta di mele, questa volta.”
Era un loro vecchio gioco di bambini; quando uno dei due doveva all’altro l’affrancamento da una qualche punizione, si condivideva il sollievo di aver scampato un sonoro ceffone sulla nuca mangiando quella che era la specialità della signora Rogers: il dolce per eccellenza, di cui deteneva una ricetta segreta.
“Però c’è il ricordo” rispose con un altro sorriso da gatto soddisfatto.
La pioggia divenne più insistente.
“Allora mangiamola insieme così.”


Il Soldato si svegliò in un bagno di sudore. Stava ansimando. Qualcosa di salato e fastidioso gli aveva appiccicato gli occhi.
Il sogno stava ancora danzando nella sua testa, nitido e perfetto come poteva esserlo solo un ricordo. Si mise a sedere con uno scatto, frustrato e distrutto. Il suo corpo, non più stordito dalla criostasi e dalle sedute di manipolazione reclamava l’affermazione di bio ritmi umani, reali e lo imponeva tramite sonni improvvisi, ore di oblio impossibili da prevedere e prevenire.
 Non era stato uno scherzo della sua mente spezzata e contorta. L’odore della pioggia, il freddo di quella foresta, il sorriso del Capitano Rogers.
Le loro battute, dopo che aveva rischiato la vita per andarlo a salvare e a ogni buon conto, anche la Corte Marziale vista la sua infrazione agli ordini ricevuti.
Si passò la mano sugli occhi impestati e la ritrasse.
Inorridito.
Sconvolto.
Stupito.
C’erano delle lacrime sulle sue dita.
E non accennavano a smettere di scendere.
Stavolta non gli venne in soccorso la consolante voce di Bucky e capì il perché quando posò la testa sulle ginocchia, riscoprendo che poteva anche singhiozzare.
Non c’erano più il Soldato d’ Inverno e il Sergente Barnes. Stavano diventando una cosa sola. Un uomo ferito e rotto nel cuore, nello spirito  ma capace di contenere tutti e due.


Angolo (buio e tetro) dell’autrice:
-Ebbene sì. Wanda, alias Scarlet Witch ha avuto l’onore di aprire questo capitolo. Cosa so di lei? Nulla. La si vede per una manciata di secondi nella prima delle sue scene post-credits di “Winter Soldier”. Mi sono informata il minimo indispensabile ma è stata una decisione ponderata, perché volevo dare l’idea della “mia” Wanda e di come me la immagino. Spero che gli amanti dei fumetti Marvel non se la prendano troppo con me; posso assicurare che anche in scelte del genere dietro c’è un’ attenta valutazione. Posso affermare ufficialmente che da ora in avanti, prenderà sempre più corpo una sorta di "The List!Verse" che ovviamente differirà molto da quanto stabilirà il Marvel Cinematic Universe.
-Naturalmente, Tony non poteva non dare un soprannome a Andy. E non è per niente casuale. Luthien Tinùviel, figlia del Re Thingol, il cui soprannome significa “Usignolo”, figlia del crepuscolo. Tenetelo a mente questo dettaglio. Non immagino Tony lettore appassionato di fantasy ma sicuramente conoscerà a memoria la trilogia cinematografica, dove il personaggio viene citato da Aragorn e sicuramente il nostro genio miliardario playboy filantropo ha una cultura e una curiosità abbastanza vaste da sapere perché può affibbiare un simile nomignolo con nozione di causa.
Come sempre, grazie a tutti i lettori, i recensori, insomma a tutti voi.
A venerdì prossimo!
Maddalena

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Capitolo 13
*** 10 ***


10
 


Cinque minuti.
Era quanto Andy aveva chiesto per rendersi presentabile e darsi una rinfrescata nel bagno dell’ infermeria per il personale del reparto “Ricerca e Sviluppo” della Stark Tower; in altre parole, aveva circa trecento secondi per assimilare la notizia di essere stata portata a casa di uno degli uomini più ricchi e geniali del mondo, inventore della serie di bio-armature  note col nome di “Mark” e di essere graditissima ospite del signor Stark in persona.
Beh…
Non che ci credesse, all’ultima affermazione. Quella donna, la signorina Hill, aveva alzato appena lo sguardo verso l’alto, dopo averla detta. Ed era pronta a giurare di aver avvertito una vena ironica nella sua voce; dal momento che anche lei era estimatrice e sfruttatrice d’ironia, meglio se sottile, sapeva riconoscerla.
“Non ha importanza” mormorò prima di aprire l’acqua fredda e cominciare a lavarsi il viso nel tentativo di renderlo meno pallido e stanco. Le luci dello specchio facevano sembrare i suoi occhi ancora più grandi, i capelli scuri erano ridotti a un ammasso informe di ciocche annodate.
Il look perfetto sognato da ogni donna in procinto di conoscere Tony Stark, insomma.
Il tempo per soffermarsi su un colpo di coda di vanità femminile, fu tempo prezioso sottratto a ritrovare calma e lucidità. Il ginocchio destro le faceva ancora male e aveva tante domande in testa da riordinare. Ne prese una tanto per cominciare e asciugandosi le mani, la trasformò in un’ ipotesi.
   Se non era stata portata in una struttura ospedaliera pubblica, il motivo poteva essere uno solo: non si doveva sapere chi era stato coinvolto nell’ attentato dell’ Arthur Ross, a Central Park. Steve glielo aveva detto, al loro secondo incontro: non voleva far sapere di essere tornato a New York.
Aveva pensato fosse un più che legittimo desiderio di rimanere un po’ nell’ ombra, dopo i terribili fatti di Washington ma adesso cominciava a vedere altri motivi per quella reticenza. Motivi che andavano oltre la verità raccontata dai giornali.
Dopo la faccia, cercò di pettinarsi con le dita i suoi poveri capelli. Sbuffando e imprecando, Andy decise che per quell’ operazione delicatissima poteva spendere i restanti tre minuti.
  Non era stato solo lo SHIELD a venir compromesso e distrutto; il suo crollo aveva provocato uno tsunami e senza sapere il perché, a venir travolto era stato anche Captain America.
Sicura di aver recuperato un po’ di contegno, la ragazza fece un passo indietro per guardare il risultato e ignorare i primi morsi della fame. Lo stomaco trovò opportuno farle notare che l’ora di cena doveva essere abbondantemente passata.
La faccia era un po’ più colorata sulle guance; i bottoni della camicetta erano correttamente allacciati ed era sparito il sondino della flebo. Stava per uscire quando lo sguardo le cadde sulle gambe.
  Mai come in quel momento, Andy desiderò una morte rapida e indolore.
Maria vide uscire dalla toilette una condannata al patibolo.
“Tutto bene?” Le venne spontaneo chiederglielo, davanti a quell’espressione e a quegli occhi piantati a terra.
Andy avrebbe voluto urlare; non stava andando bene niente, il mondo si era rovesciato due ore fa!
 Era il suo mondo, fatto di caffè e disegni, di notti passate a lavorare, di amiche, di risate. Dove era guarita, dove stava finalmente vivendo e quando le era stato sconvolto, cosa aveva fatto? Non si era forse comportata in modo irreprensibile? Non aveva tenuto duro?
Niente pianti, grida, crisi isteriche. Nemmeno quando aveva sentito il dannato fischio di un proiettile appena sotto il piede! Nemmeno quando le si era presentato davanti un uomo armato di coltello! E ora il colpo di grazia.
Non era fatta per scampare ad agguati mortali tra le braccia di Steve Rogers; non aveva la stoffa per sentirsi disinvolta anche lì, in uno dei più famosi grattacieli di New York ed era assurdo averlo compreso da un dettaglio tanto stupido quanto umiliante.
Era stufa di dover sempre raccogliere la propria dignità in pezzi, fingere fosse tutta intera e pronta alla battaglia, l’ennesima.
La rimise insieme in un secondo, l’ultimo dei trecento che poteva usare. Lentamente, alzò il capo verso la donna in tailleur e Louboutin di vernice nera. Maria non vide più la bambina sul punto di scoppiare a piangere di un attimo prima; era stata sostituita da una giovane risoluta, lo sguardo quieto e fermo nel cercare il suo.
“Signorina Hill, avrei bisogno di un paio di calze.” Chiese con tutta la fermezza concessale dal dover far notare a una perfetta estranea di avere una gonna sopra il ginocchio, degli stivali ma in mezzo nulla per nascondere la fasciatura e salvare l’ apparenza.
 

“Cosa intendi fare, adesso?”
La domanda di Tony era secca, senza fronzoli. Seria.
“Devo scoprire cosa o chi ci sia dietro l’ attacco di oggi. Maria ha ragione, abbiamo prove sufficienti per ritenere l’ HYDRA ancora attiva ma non ne conosciamo i veri scopi.”
“Non possiamo escludere nessuna ipotesi; se è sopravvissuta dopo Washington e la condivisione sulla Rete dei file dello SHIELD, vorranno la loro vendetta.”
“Ma su chi?” domandò Steve, rivolto a Pepper. Bucky era stato seguito a sua volta ma non fermato e adesso era lì, a New York.
“Sbaglio o mi avevi detto, l’altra sera, che Wilson è riuscito a far mettere in contatto Fury con qualcuno dei suoi amici della V.A.,  a Londra?”
Il Capitano annuì, passeggiando svogliatamente per la zona giorno dell’attico. Perché Andy ci stava mettendo tanto ad arrivare? Era stata di nuovo male?
“Sì. Sembra anche che Barton fosse già in Inghilterra, attirato là da una missione fasulla.”
“A quanto pare, lo SHIELD qualcosa intatto lo ha lasciato” commentò Pepper dopo un lungo silenzio.
“Certo, la più scalcinata squadra di superstiti che si potesse immaginare.”
Fu sorprendente sentire la risata di Steve a quella considerazione.
“Magari potremmo farcela proprio per questo. Non eravamo meglio assortiti di adesso, nella nostra prima missione come Vendicatori.”
Era in momenti simili che persino Tony, così concentrato su sé stesso, capiva l’ammirazione di suo padre per Steve Rogers e finiva col provare una punta minuscola di vergogna per averci messo tanto, all’ inizio, a vedere il suo vero valore. Non c’era presunzione nel suo modo di porsi ma anche quando guardava ai fatti in modo obiettivo, sapeva come trovare la leva giusta su cui esercitare la pressione occorrente per confortare i suoi compagni.
 Le porte dell’ascensore si aprirono. La prima ad entrare fu Maria, seguita da Andy. Era sfinita, teneva le spalle un po’ chine ma grazie al cielo, stava bene.
Dama Luthien, l’aveva chiamata Tony, con la sua mania molesta di trovare soprannomi assurdi a chiunque. Sapeva da poche ore di chi si trattasse e per la prima volta da quando l’aveva conosciuta, si concesse un paragone tra il personaggio causa dell’ appellativo e la ragazza destinata a portarlo.
La sua carnagione chiara non aveva nulla di malaticcio; era luminosa e dava risalto alle lentiggini, agli occhi verdi, un vero punto focale col loro colore brillante e limpido. Il viso di Andy aveva lineamenti delicati, con  labbra disegnate da qualcuno che conosceva bene le proporzioni femminili ideali.
La sua era una bellezza che parlava una lingua dimenticata, coi suoi lunghi capelli scuri e allo stesso tempo adorava il momento, il moderno, il tocco di originalità. Un po’ Elfo* e un po’ newyorkese del ventunesimo secolo.
Il connubio non gli dispiaceva e sentì lo stomaco fare una buffa capriola in reazione al pensiero. Panico? No. E allora cos’altro?
Non è il momento di chiederselo.
Esatto. Quello, si disse con flemma, era il momento di mostrare che l’educazione impartita dalla Signora Rogers poteva essere motivo di vanto e non di scherno.
“Stai bene?” Le domandò avvicinandosi.
Andy si beò di quella vista; si lasciò beare e confortare. Steve era incolume.
“Sì, grazie. Non so esattamente cosa ho respirato ma trovo più saggio non indagare.”
Un primo colpo di tosse interruppe l’ idillio. Il Capitano lo ignorò deliberatamente.
“Mi dispiace per cosa ti è successo.”
Secondo colpo di tosse; degli occhi verdi saettarono dall’ uomo a chi stava dietro di lui.
“Signor Stark, se le circostanze fossero diverse, sarei stata più contenta di dirle che conoscerla è un onore.”
Nessuno avrebbe dovuto sapere quanto le costasse mantenere la calma.
“Lieto di sapere che gli amici del Capitano Rogers sono più educati di lui!” si fece avanti prima di Pepper, e col sorriso più suadente del mondo, alzò verso Andy la mano destra.
“Piacere di conoscerla, signorina Martin. Immagino vorrà sapere perché si trova qui.”
La tensione in quell’ attico era palpabile e comprenderne le dinamiche era difficile. Steve si era ammutolito di colpo ma a giudicare da come teneva stretti i pugni, sembrava aspettare il momento giusto per avere un motivo plausibile per colpire il suo anfitrione. Appena discostata da quel nucleo di nervosismo incandescente, c’era una donna alta, capace di vestire come poche altre l’ aggettivo “raffinato”, a partire dal suo volto dagli zigomi cesellati, scendendo al suo due pezzi gonna-blazer firmato e finendo alla punta delle scarpe tacco dieci in pelle scamosciata rossa. Dello stesso colore, ma di una sfumatura più tenue, erano i capelli lunghi e lisci raccolti in una coda.
Miss Virginia “Pepper” Potts. A.D. delle Stark Industries e donna più invidiata d’ America in quanto fidanzata dell’ ex- scapolo più ambito del continente.
“Ho provato a immaginarlo, a dire il vero” si ritrovò a rispondere nel tentativo di dissipare l’ atmosfera negativa che sentiva vorticarle attorno. Doveva essere forte ancora per un po’, non poteva fare diversamente.
“E a che conclusione è arrivata?”
Aveva sentito e letto dell’ innata curiosità di Tony Stark e di come non si facesse scrupolo per tenerla a bada. Il gioco lo stava conducendo lui e le regole erano suo esclusivo appannaggio; rispondendogli, Andy aveva involontariamente accettato la sfida e tale convinzione fu rafforzata dalla sensazione, neppure troppo velata, di sentirsi sotto esame.
“Non si deve sapere com’ è andata esattamente oggi a Central Park.”
Con un sorriso poco raccomandabile, Tony all’ improvviso si voltò verso Steve. Gli era bastato un battito di ciglia per quel movimento e aveva  escluso la ragazza dalla sua prossima mossa.
“E’ lei, non è vero?” gli domandò con gli occhi scuri brillanti di qualcosa molto simile alla perfidia.
“Questa volta faccio più fatica del solito a seguirti, Stark.”
“Non essere modesto; tu fai sempre fatica a seguirmi. Mi spiegherò meglio per venire incontro alle tue facoltà mentali ottenebrate da settant’ anni di riposo di bellezza.”
Tony fece un altro passo verso Andy e le si affiancò. “E’ lei che ha trovato la tua agendina, vero?”
Glielo chiese come se dalla  risposta dipendesse la sua vita.
Mentre Maria Hill sbuffava, Pepper nascondeva una smorfia e il diretto interessato trovava la scusa perfetta per mollare un montante destro sulla faccia gongolante di Tony Stark, Andy non trovò niente di meglio da fare che arrossire. Nessuno di loro si ricordava che era ancora lì, presente e ben visibile tra loro? Perché diavolo si era giunti a parlare di una povera agenda la cui unica colpa era stata quella di dare il via a una serie di eventi imprevedibili?
“Non ha attinenza con l’attentato di oggi.”
“Non lo stai negando! Allora è vero!”
“Ti sembra il momento adatto per insinuare certe cose?” Steve era un concentrato d’indignazione dilagante.
“Era solo una battuta, vecchio mio. L’età ti ha reso acido.” Stark uno di strafottenza.
Ad Andy non rimase altro che osservare, sbigottita, due dei salvatori della sua città azzuffarsi come galli in un pollaio. Tanto testosterone concentrato in pochi metri quadrati non era per nulla eccitante; aumentava solo il sordo mal di testa, strascico della violenta caduta rimediata nel pomeriggio e insieme, spia d’allarme di una fame sempre maggiore.
Uno parlava sopra l’altro e ciascuno voleva avere ragione. La ragazza contemplò quello spettacolo irreale per alcuni secondi. Il disagio di prima smise di farle ronzare le orecchie e con un battito di palpebre, vide tutto più chiaro. Solo una domanda aveva trovato risposta e non aveva alcuna intenzione di tornare a casa senza sapere cosa fosse successo esattamente.
Era vero: lei con quel mondo non c’entrava nulla. Ma ora che c’era stata trascinata dentro non avrebbe permesso a nessuno di sballottarla come un pacco postale tra eventi incomprensibili.
“Scusate…”
“Possibile che tu non possa prendere una dannata cosa, una, seriamente?”
“Per favore?...”
“Sono serissimo, Capitano. Sono infatti seriamente interessato a sapere da quando la conosci!”
“Insomma…”
“Non è questo il punto!”
“PIANTATELA!”
“BASTA!”
Due strilli. Due perforanti voci femminili, che si scoprirono identiche nell’ essere imperiose e letali.
Andy strabuzzò gli occhi; Pepper fece lo stesso, ricambiando il suo sguardo. Lo scambio durò un istante ma bastò perché istintiva, assoluta, scattasse l’empatia unica sempre temuta da un uomo e capace di generare le più forti alleanze: solidarietà femminile.
A urlare per prima era stata Andy, perciò toccava a lei usare cortesia.
“La ringrazio, signorina Potts.”
“Non c’è di che, signorina Martin.”
Il ribaltamento dello stomaco avvertito poco prima era stato niente, in confronto all’ imbarazzo che Steve sentì ora nell’osservare la ragazza. Per la prima volta la stava vedendo per davvero, al di là dello schermo deformante della sua ironia; era una presenza scintillante, infuocata, indomita. Le lanciò uno sguardo intriso di pentimento e di ammirazione.
“Capisco di dover essere l’ultima persona a chiedere certe cose” riprese Andy, con la calma implacabile di chi non avrebbe mollato tanto facilmente il colpo “ ma ho visto un uomo rischiare la vita e poi salvare la mia. Non esiste una versione d’ ufficio da poter raccontare a una civile? Una che mi faccia stare buona, metta a tacere le circa ventimila domande che ho in testa e mi dia una spiegazione plausibile?”
Pepper stavolta sorrideva apertamente, all’indirizzo del suo fidanzato, ancora ridotto al silenzio. Lo conosceva abbastanza da saper interpretare quel mutismo.
Tony Stark stava rendendo omaggio a una risolutezza appena scoperta. Stava studiando di nuovo la sua ospite ma l’atteggiamento nei suoi confronti era radicalmente mutato; Andy benedì la sua spontaneità e per la prima volta, ringraziò chi l’aveva lasciata, alla nascita, senza un corretto filtro tra il cervello e la bocca.
Se tale mancanza le aveva fatto guadagnare un po’ di rispetto da due Super eroi e da due donne sicuramente più in gamba di lei, non era tanto male.
 
*
 
Aveva distrutto ogni cosa.
Prima i bancali, poi le casse. Quando si era accorto che la furia non diminuiva ma continuava a richiedere nuovo sfogo, aveva cominciato a smembrare ciò che rimaneva di vecchi macchinari per lo stoccaggio delle merci. Aveva strappato le lastre di metallo e divelto le presse come fossero state di cartone, lanciando i pezzi lungo tutto il piano della fabbrica abbandonata.
A ogni lancio, un urlo.
La rabbia era stata così assoluta, divorante, esigente da spegnergli il cervello. Non si trattava della tempesta di neve; era sveglio e cosciente da molto tempo.
Troppo, perché la sua mente, sempre deviata, annullata, spezzata, potesse rimanere impermeabile al ritorno dei ricordi.
Una luna esile, un’unghia bianca in un cielo nero  con le stelle nascoste dallo smog di New York, fece scivolare un raggio di luce polverosa e tremante tra le assi inchiodate alle finestre e si fermò sulla figura accucciata del Soldato, i pugni premuti contro il cemento.
  Due mesi prima, a Washigton, la lenta distruzione di ciò che aveva considerato il suo mondo, era cominciata con uno sguardo. Quello di un paio di occhi azzurri, piantati su di lui.
L’uomo con lo scudo. Il Capitano Rogers.
Steve.
Il nome che aveva pronunciato, sbigottito, aveva avuto la forza di un missile sparatogli addosso e andato a segno. L’esplosione, senza fumo e macerie, era deflagrata nella sua coscienza fatta di nebbia e l’aveva dissipata, svelandogli che lui conosceva quell’ uomo. E che nessun lavaggio del cervello avrebbe più rimediato al peso fastidioso dei sentimenti umani.
Se ora era lì, se lo aveva seguito, era perché il ghiaccio di cui era ricoperta la sua esistenza stava cominciando a sciogliersi; da sotto la sua coltre di morte, sentiva colpi insistenti e non erano i battiti del suo cuore. Erano i fendenti sferrati dall’ altro, seppellito sul fondo di un lago congelato.
Bucky.
Il Sergente amante della musica, dal sorriso sardonico e un cuore grande abbastanza da accettare un migliore amico pieno di inquietudini, contraddizioni, problemi.
Poi c’erano stati altri occhi. Poche ore fa.
Occhi verdi, pieni di paura.
La ragazza della metropolitana, ferita e terrorizzata.
Andy.
Steve l’aveva chiamata così ma lui, continuandola a fissare, aveva un altro nome in mente. Quello di una giovane bianca e feroce come la neve che l’aveva temprata e i capelli rossi.
Natalia.
Natalia, dallo sguardo da gatta, l’unica sopravvissuta del gruppo di bambine destinate a diventare carne da macello, se non si fossero rivelate adatte a seguire il programma di addestramento pianificato per stabilire  fosse possibile replicare senza manipolazioni genetiche un altro Soldato Perfetto.
La sua immagine si era sovrapposta a quella della donna che aveva combattuto a fianco del Capitano. A quella contro cui aveva sparato in un deserto per il momento senza nome, una vita prima. A quella-
Basta!
Infine, era arrivato il sogno. Il risveglio. Le lacrime, la vergogna, l’orrore per cosa aveva perso e cosa aveva fatto.
Aveva rintracciato Rogers senza sapere di avere un nome. Ora il nome lo conosceva ma il solo mormorarlo lo riempiva di sgomento, perché Bucky Barnes sarebbe rimasto senza fiato di fronte alla realizzazione di come la sua vita fosse stata semplicemente interrotta; se fosse morto davvero, dopo il volo nel dirupo, avrebbe avuto almeno la dignità che si lasciava a chi era cosciente e fiero della propria scelta. Un caso terribile come poteva esserlo solo la mente umana nei suoi momenti di maggiore tenebra, aveva deviato il corso degli eventi, premuto un bottone di stop e cercato a forza un nuovo percorso intriso di morte, solitudine e vuoto.
Con un ultimo gemito, accompagnato dal pugno scagliato a terra con il braccio di metallo, l’uomo si stese sulla schiena e fissò il soffitto.
Il pulviscolo lunare danzava sopra di lui, in un vortice pigro dove passato, realtà e volti prendevano ordinatamente posto, fluendo nella sua coscienza indifesa e aprendovi nuove ferite.
Aveva rivisto Steve. Gli aveva consegnato, sperava, degli indizi in grado di aiutarlo a sconfiggere chi lo voleva morto. Un piccolo, meschino gesto per tentare di riparare goffamente alle morti, al sangue, alla disperazione.
Un altro pugno. Metallo che faceva volare schegge di pavimento. Odio montante, fuoco nelle vene. La bocca che sarebbe rimasta secca fino a quando non l’avrebbe riempita col sapore della vendetta.
Voleva solo questo? Vendicarsi? Contro delle ombre?
Le ombre si possono stanare. Lo sai meglio di chiunque altro: sei una di loro.
Certo. Era innegabile. Ma non era solo questo. Non più.
Si rimise a sedere, passando una mano tra i capelli di nuovo sciolti.
Doveva andare da chi poteva dirgli con chiarezza cosa era diventato e se poteva ancora essere perdonato. Ci sarebbe stato il tempo giusto per esigere il pagamento dovutogli da chi lo aveva trasformato nel Soldato d’ Inverno; nel frattempo non avrebbe rinnegato cosa aveva imparato.
Un’arma si poteva impugnare anche per difendere e c’era qualcuno, un piccolo scricciolo di Brooklyn ad esempio, che adesso aveva un bisogno dannato di venir protetto. Altrimenti sarebbe partito da solo, lancia in resta, contro nemici che non conosceva. Era compito suo presentarglieli a dovere e affrontarli insieme.
 
*
 
“Abbiamo un contatto, signore.”
“Da parte di chi?”
Un veloce danzare di dita su una tastiera virtuale. La comparsa di una risposta.
“Uno dei Ricognitori di New York, signore. La sua cellula non dava notizie da due giorni.”
“Molto bene; organizzate un recupero e portatelo alla base di riferimento.”
Le dita si fermarono.
“Ma così scoprirà l’altra parte della squadra.”
Nel replicare, l’accento della prima voce si fece più duro.
“I piani possono cambiare, agente. La prima parte si è compiuta; dobbiamo solo modificarne la seconda.”
“E per quanto riguarda la ragazza?”
“Al momento non ci serve. Dobbiamo avere più dati su di lei, per sapere in che modo possa esserci utile.”
Dei passi pesanti si allontanarono da una delle postazioni video. Poco lontano, l’eco insistente di colpi contro una solida barriera di metallo.
“Quando avrete recuperato il Ricognitore, provvedete a perquisirlo.”
“In cerca di cosa?”
I passi si fermarono. “La neve è terribile; può infiltrarsi ovunque.”
Una risposta sibillina che tutti compresero.
I colpi diventarono più forti.
“E date altri giocattoli alla nostra bambina, mi raccomando.”




Angolo (tetro e buio) dell' autrice:
* Mi sento in dovere di spendere un paio di righe sulla mia scelta lessicale. “Elfo” non è un errore di battitura, anche se è riferito a una ragazza. Mi sono basata sulla parola inglese di origine, “Elf”, uguale sia per il maschile che per il femminile. L' adattamento “Elfa” mi suona malissimo e non l'ho mai usato.
Ok, fine angolo Precisina della Fungia.
Questo aggiornamento settimanale è stato assai tribolato: purtroppo, causa il brutto tempo, un fulmine ha seccato il mio povero modem. Spero di tornare in carreggiata il prima possibile ma se venerdì prossimo non vedrete il nuovo capitolo, purtroppo non dipenderà da me. Farò il possibile perché non sia così!
Un abbraccio e ancora, un grazie a tutti voi “dal profondo del mio cuoricino dannato”!
Maddalena
 
 


 

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Capitolo 14
*** 11 ***


11
 
“E’ uno scherzo. Vero?”
“Non credo di essere mai stato tanto serio in vita mia.”
“Davvero non cogli la sottile ironia del mondo in questo?”
“Al momento sono più preoccupato su come entrare lì dentro senza che tutto il National Trust * ci aspetti fuori dopo la nostra visita, Nat.”
Natasha trovò irrilevante far notare che erano lì proprio per un sopralluogo; una coppia di turisti alla scoperta degli aspetti meno noti e meno mondani di Londra.
Temple Church, fino all’uscita su scala mondiale de “Il Codice da Vinci”, era stata una delle chiese meno note ai milioni di visitatori che la capitale inglese accoglieva ogni anno. Sorgeva in una zona riparata della città, col Tamigi a presidiarne il lato Nord/Nord-Ovest e Fleet Street il lato Sud. Lì avevano sede due delle più importanti scuole di formazione professionale per giudici e procuratori ma l’aspetto che più colpiva non era la solennità che si poteva respirare solo nei luoghi sacri preposti alla nascita della classe dirigente britannica del futuro; la Chiesa del Tempio era il vero centro di tutti gli antichi complessi monacali sorti nei pressi e nessuno pareva scandalizzarsi più di tanto nel conoscerne l’origine; forse solo i lettori che avevano preso per buone le teorie complottistiche esposte in salsa romanzesca da Dan Brown.
A gente come ex agenti fuggitivi un posto del genere poteva interessare per ben altri motivi, strettamente legati a vicende da tenere oscure alla società civile.
Natasha affilò lo sguardo, sistemandosi sul naso i grossi occhiali da sole, fingendosi oltremodo affascinata dalla struttura dell’ ingresso dell’ edificio sacro: i costoloni delle arcate rampanti tipiche dello stile gotico lì erano state abolite, lasciando spazio a una struttura perfettamente rotonda, composta da due corpi cilindrici sovrapposti. E di che forma erano le logge massoniche?
“Siamo proprio sicuri che si trovi qui?” domandò dando sfoggio di una certa testardaggine; al suo fianco, Clint sospirò e aprì la guida per la ventesima volta in quell’ alba lattiginosa e frizzante. Per strada c’erano i primi studenti e i rampanti professori diretti alla Inner Temple Library.
“Il Direttore si è detto certo delle sue informazioni. Non ha fatto altro che raccoglierne da quando ci siamo ritrovati tutti a Oxford.”
Essere stato il capo della più potente agenzia governativa al mondo aveva lasciato un grosso credito da riscuotere presso molti amici e Nicholas J. Fury, per quanto parsimonioso, lo aveva cominciato a spendere per tessere una rete capace di intrappolare mostri ben più grossi e pericolosi a dispetto del sottile filo di seta impiegato nel costruirla.
Era stato così che un certo nome era caduto nella trappola: quello della Honourable Society of the Inner Temple**, il gruppo di elite dell’omonimo college. Era stata Laogharie Randall a riferire di alcune voci captate tra i sorveglianti della biblioteca e non era stato facile discernere la verità da resoconti resi quasi leggendari dal troppo alcol corso nel vicino pub.
Sembrava che la chiesa fosse luogo di strani incontri e non si trattava di visite turistiche. Dicerie fatte circolare ad arte per sviare eventuali sospetti. Il trillo di un messaggio arrivato sullo smarthpone di Clint pose fine alla calma della mattinata.
“Hai appena fatto la faccia delle brutte notizie.” Gli fece notare la sua compagna.
“Ti sbagli; questa è quelle riservata alle notizie pessime. E’ di Fury.”
Senza spiegarle altro, alzò verso di lei lo schermo al plasma perché potesse leggere il contenuto della mail. Nonostante la giornata si preannunciasse calda per essere quella di un bizzoso autunno inglese, l’ agente Romanoff avvertì di nuovo il gelo che sperava di aver dimenticato quando era partita dall’ Oxfordshire poche ore fa, quando il cielo era ancora nero e in attesa della prima linea rosa dell’ alba. Due cicatrici, una vecchia di cinque anni, l’altra tanto recente da essere ancora gonfia e livida, iniziarono a bruciare.
“Dobbiamo spicciarci.”
“Siamo qui per questo, mia cara. Pronta per iniziare il nostro giro culturale?”
Il braccio di Clint sapeva come circondarle le spalle simulando un attaccamento di tipo amoroso a cui, fuori dalle loro coperture, non erano mai arrivati; le veniva facile ridere argentina in risposta a simili attenzioni.
Sarebbe stato più che naturale passare da una recita alla realtà. Se lo era dette tante volte.
L’agente Barton era diventato in fretta Clint; dopo aver deciso di non ucciderla in quella missione ormai lontana nel tempo, si era assunto la completa responsabilità delle sue azioni quando Natasha aveva deciso di entrare nello SHIELD, le era stato accanto quando nessun altro aveva voluto farlo e non l’aveva lasciata sola durante la preparazione delle sedute di controllo mentale e nemmeno dopo, quando si era risvegliata con la sensazione di non avere risolto nulla del vuoto in cui era sparito il suo passato. O parte di esso.
L’affetto e la complicità li aveva legati subito, anche durante le prime missioni insieme; agli occhi meno acuti dei colleghi poteva essere parso come l’inizio di una relazione. Non si era mai attardata a spiegare, né lo aveva fatto Clint, che un sentimento simile invece di legarli tanto avrebbe finito col dividerli. Quando una chiedeva senza pretendere, l’altro donava senza domande: si trattasse di attenzioni, di battute, di una mano che premeva sul fianco per bloccare un’ emorragia esterna causata da un proiettile volato oltre la presunta invincibilità della Vedova Nera. Non c’era mai stata l’ obbligazione che nasceva sempre come effetto collaterale quando due persone erano impegnate.
Poteva esistere un vincolo più valido del salvarsi la vita a vicenda? Senza sforzi, senza assurde spiegazioni?
In passato, a queste domande Natasha aveva sempre risposto con un “no” ma in quella parola tanto piccola e definitiva c’era sempre stato qualcosa di sbagliato. Una mancanza. Che una volta, forse, aveva avuto un volto e un nome.
Clint fu il primo a varcare il portone della chiesa.
“Se dovessimo tornare negli Stati Uniti ti sentiresti pronta?” le domandò senza guardarla.
Ecco la dimostrazione pratica di come quell’ uomo riuscisse a capirla e volerle bene. Conosceva cosa aveva fatto e non aveva mai negato che anche quelle azioni erano Natasha Romanoff; la caratterizzavano quanto la sua bellezza, la sua intelligenza spietata.
“Non si tratta più dello SHIELD. Per un amico, potrei sentirmi pronta.”
“Dovrei sentirmi geloso del Capitano, allora.”
Natasha gli regalò un sorriso bello e rassegnato. “Tranquillo; mi ci è voluto tempo per avere la sua fiducia, al contrario di te. E’ un tipo decisamente troppo ingessato.”
“Mi chiedo da dove possa essere nata la sua diffidenza” ribatté sornione, cominciando l’esplorazione del deambulatorio che correva tutt’ intorno alla Round Church . Sperò non ci volesse troppo tempo per individuare il motivo per cui, quella notte, Occhio di Falco e la Vedova Nera sarebbero dovuti tornare per cercare nelle cripte una base dell’ HYDRA.
 
*
 
Maria Hill si era opposta, quando Tony aveva deciso di dire la verità sui fatti accaduti a Central Park a una ragazza finita nei guai per caso. Andy si era accorta subito del lampo d’acciaio passato negli occhi belli e determinati della donna mora, chiedendosi quali fossero i suoi compiti specifici all’interno dello staff che gravitava attorno a Stark, visto come osava non nascondere la sua disapprovazione.
 Guardia del corpo? Non scherziamo: vista l’insofferenza dimostrata in alcuni frangenti dell’ incontro con suo capo, avrebbe provato più piacere nel sistemarlo con qualche affermazione sagace, se non addirittura arrivare ad alzare le mani.
Segretaria, allora? Peggio della prima speculazione: gli avrebbe piantato una penna stilografica nel palmo della mano alla prima occasione utile. Sarebbe potuta andare avanti a congetturare per ore –tutto, pur di non dare retta al suo povero stomaco vuoto e lasciar vedere quanta fame avesse- ma c’ aveva pensato qualcun altro a porre fine alle obiezioni.
“Che ne dici se lo lasciamo decidere a lei?”
La voce di Steve le era giunta appena dietro le spalle; da quanto tempo era fermo così vicino a lei?
“Approvo la proposta del Capitano. Jarvis? Quando vuoi.”
Si era aperto un unico, grande monitor-ologramma davanti a loro; le immagini avevano preso a sfilare, corredate dalle spiegazioni della voce calma e rassicurante del sistema operativo.
La ragazza non si mosse per tutto il tempo della proiezione. Vide scorrere davanti a sé ogni singolo fotogramma, lesse ogni singola tabella oraria; scoprì che anche lei era stata fotografata e schedata con un generico “Civile nubile, conosciuta dal Soggetto in modo fortuito.”
Non aveva mai provato la sensazione di essere diventata solo un imprevisto; nemmeno una persona ma solo un evento imprevedibile e trascurabile.
Civile.
Sì, lei non era una spia, un agente, un membro di nessuna organizzazione d’ intelligence. Vantava una famiglia priva da generazioni di spie, agenti, membri di organizzazioni d’ intelligence.
Nubile.
Andassero tutti al diavolo; avevano studiato le sue dita su quelle foto maledette, compiuto ricerche all’ anagrafe per sapere un particolare tanto intimo e insieme tanto facile da conoscere?
Modo fortuito.
Se non fosse stata impegnata con tutta se stessa a tenere sul viso una maschera imperscrutabile, avrebbe riso volentieri. Era la parte della frase che meno le faceva male.
Certo, se Steve non avesse perso l’agenda, se non se ne fosse accorta, il giorno dopo la sua vita non avrebbe imboccato una strada che si era rivelata pericolosa come una montagna russa senza freni.
Un granello di polvere capace di bloccare un ingranaggio perfetto, quello che qualcuno aveva ideato e progettato per arrivare a catturare Captain America. Una minuscola anomalia in un disegno molto più grande. La preoccupazione e un senso d’ incosciente euforia si scontrarono nel suo cuore, col risultato di produrre un’ insolita calma.
Ecco qui qualcuna con un gran senso della misura, pensò Tony, osservandola stringere le labbra, sbarrare gli occhi ma senza un segno evidente di cedimento, quando le luci tornarono ad alzarsi alleggerendo un’ atmosfera intossicata dal piombo di centinaia di nuovi pensieri, nati in una testa non abituata ad averne di simili. Andy deglutì e guardò prima lui, poi il resto dei presenti.
“E’ tutto vero?”
Una domanda legittima per una ragazza che aveva visto gli orrori del mondo ma attraverso la lente deformante di una vita normale. Purtroppo o per fortuna, Tony Stark non era tipo da dare conforto con bugie che tutti avrebbero ritenute giuste.
“Sì.”
Andy incassò la conferma ai suoi peggiori sospetti con un leggero brivido lungo la schiena. Fece un passo verso lo schermo, ora illuminato solo dal logo delle Stark Industries.
“Non sentivo più nominare l’ HYDRA dai tempi del liceo, quando studiammo la Seconda Guerra Mondiale.” Prese a dire, fissando un punto impossibile da trovare, a metà tra i suoi ricordi e il piano della realtà. Nessuno volle interromperla.
“Poi, due mesi fa, quel nome è esploso letteralmente in ogni programma televisivo, articolo di giornale, istant book. La divisione scientifica del Regime Nazista non era stata debellata nel 1943; aveva trovato il modo d’ infiltrarsi nello SHIELD  e di governarlo. Credo proprio che tutti i teorici del complotto stiano ancora ringraziando l’ hacker che ha messo in Rete tutto l’archivio riguardante la sua storia e i suoi membri.”
“E lei era tra gli scettici o quelli felici?” volle sapere Maria. Non trovava piacevole veder semplificato in quel modo il complotto mondiale che aveva distrutto ogni sua certezza e il suo stesso lavoro. Andy questo lo comprendeva e le sorrise, chiedendole scusa.
“Mio padre dice sempre di non credere mai a ciò che si sente e di credere solo a metà di ciò che si vede. Non sono al servizio di nessun ufficio governativo ma penso che comunque quella raccontata al resto della nazione sia stata solo una minima parte della verità.”
Nel dirlo, scoccò un’occhiata a Steve.
“Perché ti vogliono catturare?”
“Non lo so.” Non stava mentendo ma percepì comunque la diffidenza della ragazza. “Per vendicarsi, certamente.”
Ma non solo, vero? Gli chiesero quegli occhi incredibili che avevano fin troppo gioco facile a leggergli dentro. Steve non poté risponderle.
“Captain America ha svelato al mondo cosa fosse davvero il progetto di sicurezza planetaria chiamato Insight; credo che questo basti ad avvelenare gli animi di chi ancora serve l’ HYDRA.”
  Stark aveva usato il verbo giusto: servire.
  Andy, da sempre appassionata di materie letterarie e filosofiche, aveva studiato con più cura di molti suoi compagni di classe le grandi guerre, la seconda in particolare. Trovava fosse sempre colpa di un fascino perverso pronto a colpire l’essere mano, il voler vedere, leggere, capire cosa fosse pronto a fare un simile a un altro simile per un’ideologia, per il potere, per la supremazia. Anche lei, nonostante la pietà, il senso di vergogna e nausea, non aveva potuto fare a meno di voler sapere quanto poteva spingersi oltre una divisione di scienziati a cui si dovevano orrori come i campi di sterminio, la ricerca di prove per l’affermazione di un culto teutonico fondato su miti antichi, la sperimentazione di chissà quale atrocità su prigionieri; tutto in nome di una fede, di un’ idolatria cieca ed assoluta.
Erano stati solo libri, saggi, seminari di Storia. Argomenti astratti, impossibili da rivivere. La compassione svaniva, prima di andare a dormire e svegliarsi con la certezza che nulla di tutto quello poteva tornare ora, nel civile ventunesimo secolo.
Siamo proprio una massa d’ingenui, alla fine. E abbiamo bisogno di chi ci protegga e faccia per noi un lavoro che non vorremmo più affrontare.
Lo stomaco le si contorse con più violenza. Prima di cedere, aveva un’ ultima cosa da sapere.
“Chi era l’uomo col pugnale, Capitano? Quello che tu hai chiamato Bucky?”
“La ragazza ha buona memoria. Dovrai starci attento.” Sbottò Tony con un ghigno compiaciuto. Steve finalmente decise che una gomitata poteva tirargliela. Ad altezza costole fluttuanti.
“E’ una questione molto delicata” provò a intercedere Maria, sperando di porre fine a quella emorragia di notizie non adatte a una comune civile. Il Soldato d’ Inverno doveva rimanere competenza di chi poteva gestire l’ informazione.
“Ho capito.”
Bene, la ragazza stava dando prova di sapere quando fermarsi. Non che la odiasse o le stesse antipatica ma dopo la caduta dello SHIELD, Maria era diventata ancora più severa verso gli altri e tendeva a non fidarsi più facilmente degli sconosciuti. Un vero contro senso che fosse finita a lavorare come consulente informatica per un uomo capace di abbracciare un cactus, se gli fosse stato presentato sotto la luce giusta. Avvertì addosso la riprovazione non solo di Tony, ma anche di Rogers; rimase ferma sulla sua posizione e sfidò entrambi a obiettare apertamente, incrociando le braccia.
“Se non c’è altro, chiederei il permesso di tornare a casa.” La richiesta della loro ospite deflagrò nel silenzio della battaglia di sguardi in corso.
Era diventata una presenza non gradita; non si discutevano piani d’attacco a un’ organizzazione terroristica con Andy Martin, illustratrice, ancora presente; voleva solo la sua Morrigan, il loro divano color prugna, delle fusa e quello strepitoso curry che il ristorante indiano a due isolati dal suo appartamento sapeva preparare. E anche una lunga telefonata con Kate.
 Appena la sentì, Steve provò una stretta per nulla simpatica al cuore. L’agitazione gli fece esplodere un volo impazzito di farfalle in tutto il corpo; all’improvviso si accorse di avere la necessità impellente di trattenerla lì.
Non sapevano ancora se i loro nemici la considerassero davvero una semplice newyorkese senza collegamenti con lui; era stata ferita, era chiaramente sotto shock. Insomma, andarsene era fuori discussione. Non avevano ancora avuto modo di parlare da soli di quel pomeriggio, le scuse espresse prima erano un fiacco tentativo di lavarsi un po’ di sporco dalla coscienza; voleva avere la possibilità di dirle di Bucky, sicuro che avrebbe capito e poi c’erano tante altre cose, senza nome e senza motivo, che gli facevano ripugnare la mera idea di vederla andare via.
A fregarlo ci pensò un’ alzata di testa del suo innato senso del pudore. S’immaginò come avrebbe potuto reagire Tony di fronte a una sua obiezione; bastò questo a far vincere l’amor proprio contro un marasma indefinito dove tutto pungeva, era sbagliato e ingiusto. Senza contare che poteva giurare di conoscere l’espressione rapace del milionario, tenuta puntata su di lui come il più preciso dei mirini.
“Non se ne parla, signorina Martin, mi dispiace.”
Ci furono due uomini che pensarono, insieme, grazie, Pepper , in due modi completamente opposti: il primo con genuino trasporto riconoscente, il secondo con un altrettanto genuino risentimento.
Andy sorrise imbarazzata. “Non posso approfittare oltre della vostra ospitalità.”
“Lo capisco ma devo insistere. E’ ancora scossa, lo vedo da come le tremano le mani.”
Maledizione maledetta!
“Davvero, è inutile che vi preoccupiate. Avete già fatto troppo, impedendo persino che finissi in qualche notiziario della sera come vittima dell’attacco ignoto a Central Park.”
Era chiaro a tutti non stesse fingendo; per quanto sfinita, azzoppata e con un paio di collant rimediati grazie all’ inflessibile solerzia di Maria, Andy voleva andarsene davvero. Steve pregò che la testardaggine di Pepper Potts fosse implacabile quanto quella della ragazza.
“Insisto. Insistiamo. Vero, Tony?”
No, non coinvolgere lui! L’urlo disperato del Capitano rimase confinato nella sua testa.
“Assolutamente sì. A meno che non debba rinunciare a qualche appuntamento importante.”
Come volevasi dimostrare, quell’ impiccione aveva fatto subito la sua mossa; era chiaro cosa volesse sapere e nonostante smaniasse dalla voglia di dargli una lezione, Steve desiderò di sentire se Andy aveva compreso il sottotesto di quell’ insinuazione. La vide diventare seria ma lo sguardo non si offuscò.
“A casa mi aspetta qualcuno, signor Stark. Morrigan si sentirà sola, senza di me. E’ ancora una cucciola.”
“Parliamo di…?”
“Un gatto; una Norvegese delle Foreste che per quanto intelligente, non potrà certo cambiarsi l’acqua e prendere i croccantini dalla cucina.”
Il candore con cui parlò della sua gatta avrebbe potuto far scoppiare a ridere Steve. Nessun ragazzo, signor Stark. Soddisfatto?
Mai quanto te, vecchio mio.
“Sono certa che possa chiamare qualcuno per andare da… Morrigan, giusto?”
“Sì, ma…”
“Allora non c’è più bisogno di contraddire la signorina Potts, mi sembra.”
Si poteva forse negare qualcosa, a una delle personalità più eminenti e carismatiche di quegli anni? Andy annuì, sancendo la sua sconfitta.
“Ho bisogno del mio telefono. E’ rimasto nel borsone, se non si è rotto quando sono caduta.”
Non era un vero “Sì” ma bastò a qualcuno per mettere a tacere qualsiasi agitazione. Maria si offrì di accompagnare Andy a recuperare i suoi effetti personali, Pepper posò una mano sulla spalla di Steve chiedendogli di aiutarlo a ordinare la cena.
“Dubito che la signorina Martin aspetterebbe ancora molto per mangiare qualcosa; una pizza andrà benissimo.”
Il Capitano rise; adesso erano da soli, a distanza di sicurezza da Tony, tornato nel frattempo a dare ordini a Jarvis per vedere come estrapolare ulteriori elementi utili da quella serie di files.
“Temevo svenisse davanti a noi, pur di non ammettere che aveva fame.”
“E’ un tipo orgoglioso.”
“Molto. Comunque perché hai insistito tanto per farla rimanere qui?”
Pepper bloccò il braccio con cui aveva sollevato il cordless e lo fissò con l’aria materna e condiscendente di qualcuno che stava per spiegare a un bambino qualcosa di chiarissimo ma sconosciuto al tempo stesso.
“Tu e Tony siete più simili di quanto non vogliate ammettere. A certe cose proprio non ci arrivate.”
E compose il numero senza aggiungere altro.
*

L’indizio che stavano cercando era la tomba di uno dei dieci Cavalieri del Tempio sepolti nella Round Church.
Il volto corroso dal tempo di Guglielmo il Maresciallo, fedele servitore dei più grandi re inglesi ai tempi delle Crociate, sembrava una caricatura con i tratti sbozzati nella pietra. Per fortuna non poté mai vedere chi fossero i due profanatori del suo ultimo riposo.
“L’ HYDRA non mancava di senso dell’ umorismo, alle sue origini.” Il ghigno di Clint era storto, un’ espressione divertita quando di divertimento non se ne provava nemmeno una briciola. La sua voce ora era un sussurro tra le ombre fitte della chiesa, chiusa ai visitatori e ai fedeli dal tramonto. In qualche angolo del college, un orologio batté i dodici rintocchi della mezzanotte. L’ora delle streghe e delle spie.
“Allestire una base in uno dei luoghi più ricco di simboli templari di tutta Londra; il mito germanico contro quello britannico.”
“Una disputa che va avanti da quanto?”
Natasha era parte del buio; vestita di nero, dalla giacca di pelle agli stivaletti, con i capelli rossi perfettamente lisci che scendevano come fiamme ordinate sulle spalle.
“L’esperto di Storia inglese sei tu” gli rispose con soavità, osservando la lastra funeraria in cerca di cosa aveva visto quella mattina.
“Letteratura, vorrai dire. Sono due campi distinti.”
Dopo quella puntualizzazione, Clint le diede le spalle, assumendo la tipica posizione di copertura. Aveva portato con sé il suo arco e la faretra era colma di frecce ma al momento stava impugnando una semi automatica modificata con un silenziatore. C’erano occasioni in cui occorreva la velocità di un proiettile.
“Comunque” riprese la donna, con un sorrisetto di trionfo che le stava alzando gli angoli delle labbra “me lo immagino il Teschio Rosso mettere una sua bandierina qui, nel cuore della città del nemico. Avrà scelto apposta questo sito.”
Uno scatto metallico. Un istante di silenzio. Il rumore di una lastra di marmo che scivolò su un meccanismo ancora ottimo, nonostante avesse diversi decenni addosso.
“Ci vediamo tra poco.”
“Vedi di non causare troppi danni; la Corona è gelosa delle sue proprietà.”
L’ agente scrollò il capo e si avventurò cautamente lungo la scalinata che sprofondava nell’ oscurità. La suola delle sue calzature non stava pestando pietra vecchia di secoli ma gradini di ferro.
Gradini di ferro puliti.
“Clint”, sibilò estraendo dalla fondina posta sulla coscia sinistra la sua pistola d’ordinanza. Riprese a scendere solo quando sentì rispondere “Roger.”
Se quella base dell’ HYDRA risaliva a poco dopo l’ ascensione di Hitler alla Cancelleria, doveva essere abbandonata. Invece non c’era polvere e nemmeno una ragnatela. Natasha, dopo minuti diventati ore a causa della tensione che le aveva irrigidito i muscoli in una posa d’attacco, si trovò davanti a una porta con una lastra di piombo. Là sotto l’aria era umida e fredda; il Tamigi scorreva a poche miglia da quella cripta.
La serratura era composta da una minuscola tastiera alfanumerica. Non c’era tempo per cercare il codice; da una tasca della giacca, prese un piccolo dispositivo che in passato aveva già usato brillantemente su un componente elettrico.
La protesi biomeccanica di un braccio sinistro.
Attivò il teaser e lo applicò sul quadrante. Aprì il pesante battente con violenza, l’arma spianata ma contro il viso sentì arrivare solo un refolo d’aria gelida.
Non tremare.
Davanti a lei c’era un solo locale, con una bassa volta a botte. Era un continuo sfarfallare di led colorati da lei a diversi metri più avanti e un basso, ritmico ronzio. Senza staccare gli occhi dalle torri che componeva quel gigantesco server informatico, Natasha attivò il suo microfono.
“Scendi, è libero.”
“Cosa hai trovato?”
“Di che far divertire me e Stark per il resto della nostra vita.”
 
 
Angolo (tetro e buio) dell' autrice:ed eccoci a una nuova puntata di "Ulisse, il piacere della Scoperta", versione The List!Verse.
*National Trust: noto anche con il nome di The National Trust  for places of Historic Interest or Natural Beauty,  è un' associazione che vanta una storia centenaria. Si occupa di acquistare, per conto dello Stato, dimore ritenute di grande interesse storico per la loro riqualificazione e preservazione. La battuta di Clint, che nel mio Head Canon lo immagino inglese fin nel midollo, sta a significare il voler fare meno danni possibili ai beni della Corona.
**The Onourable Society of the Inner Temple: gl'inglesi hanno una vera passione per questi tipi di società. L' Università di Oxford ne vanta, tanto per dare un' idea, una per ogni rappresentanza di studenti nei loro college e vi si può iscrivere per poi partecipare alle sue attività. Io sono iscritta all' Italian Society ma tranquilli, non c'è nulla di complottistico! Il nome mi ha ispirato ed essendo uno dei gruppi d' elite in un college per la massima elite, mi sono divertita a immaginarla come facciata per le attività dell' HYDRA.
Se mi revocheranno il diritto di viaggiare in Gran Bretagna, saprete il perché!
Non posso e non voglio dimenticarmi di dire grazie ai miei lettori. Vi voglio un mondo di bene e spero che "The List" continui ad appassionarvi. Al solito, per domande e impeccabili Tea party, il modo per contattarmi lo conoscete.
God save the Queen!
Maddalena





 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 

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Capitolo 15
*** 12 ***


12
 
 
La mattina dopo, ci pensò la pioggia a svegliare New York.
Non si poteva udire ai piani più alti della Stark Tower, quelli adibiti ad abitazione privata del suo proprietario e dei suoi ospiti; quando Andy si alzò e andò a tirare le tende, si soffermò a contemplare il grigiore in cui l'isola di Manhattan navigava; gli alberi maestri erano i grattacieli della City, la prua l'estremità Sud, lambita dallo scorrere del fiume Hudson, quasi invisibile a causa della distanza e di una leggera foschia che velava l'orizzonte.
La ragazza mugolò e con gli occhi socchiusi, procedette a stiracchiare prima il braccio destro, poi il sinistro. Aveva dormito con addosso i suoi abiti, rifiutando che qualcuno potesse andarle a cercare, a notte fonda, un cambio per la notte.
 Il sonno comunque non era arrivato, nonostante le fosse stata assegnata una camera spettacolare per quanto impersonale. L'arredamento moderno, mobili di legno laccato nero e quadri di alcuni dei massimi esponenti delle più grandi avanguardie pittoriche degli ultimi anni – aveva riconosciuto un Mistral* autentico con un profondo brivido di emozione- era stato studiato per apparire lussuoso e confortevole ma con poco spazio da concedere alla personalizzazione. I due vasi di cristallo, alti steli trasparenti simili a calle, posti sulla specchiera non avevano fiori; non c'era traccia di libri o dvd nel ripiano sotto il grande schermo al plasma. Le lenzuola del letto con un baldacchino in ferro battuto che nelle geometrie le ricordò i celebri riquadri di Mondrian erano, fresche, perfettamente stirate. Mai usate.
Prima di coricarsi, era stata visitata di nuovo dal dottore che l'aveva soccorsa al suo arrivo e in quell' occasione aveva visto come era ridotto il suo povero ginocchio.
La ferita era composta da diversi tagli frastagliati, di cui uno profondo causato da un ramo che nella caduta si era spezzato; una piccola, acuminata scheggia le era rimasta sotto pelle ma per fortuna non aveva danneggiato i legamenti, protetti dall'articolazione. Non c'era stato bisogno di punti ma era stata necessaria una seconda, approfondita pulizia e medicazione.
Appena sua madre avesse saputo cosa era successo alla figlia, sicuramente avrebbe dato in escandescenza e per una volta Andy non avrebbe trovato da ridire. E poi, peggio che con Kate non sarebbe potuta andare.


 
“Mi vuoi dire dove diavolo sei finita, razza di sconsiderata?!”
Più o meno, era stato quello il saluto della sua migliore amica, forte delle circa dieci chiamate non risposte lasciate sul suo cellulare, miracolosamente illeso.
“Ho provato a chiamarti da quando la televisione ha mostrato cosa era successo a Central Park! Hai idea della paura che ho avuto?”
Sì, Andy poteva immaginarsela senza fatica. “Mi dispiace, Kate. Sto bene, non ero nella zona di pericolo.”
La telefonata si era svolta alla presenza della signorina Hill, che l'aveva guardata in modo indecifrabile quando la sentì mentire.
“Ascoltami. Ho un favore da chiederti.”Aveva usato tutta la confidenza che sapeva di potersi permettere in un' amicizia come la loro, dove era stata Kate ad aver preso in mano i pezzi in cui si era rotta; anche questa volta, il loro legame fece il miracolo.
“Spara.”
Le aveva chiesto di andare a casa sua e di prendere Morrigan con se per quella notte. “Io tornerò domani. Non posso spiegarti cosa è successo, non ora ma mi farò perdonare con un resoconto dettagliato e una cheesecake fatta in casa. Ti prego solo di reggere la solita copertura con mamma, se dovesse chiamarti.”
“Va bene, va bene. La chiamerò io per prevenirla. Sappi che questo significa solo una cosa.”
“Spara!”
“Ridi, razza di scema. Mirtilli rossi. E copertura di cioccolata fondente doppia.”
“Sarà fatto. Grazie, Kat.”
“E panna a parte!”
“Davvero ha intenzione di dirle la verità?” Maria non si era permessa di contraddirla ma la sua domanda era stata comunque colma di disapprovazione.
“Se la conoscesse come la conosco io, sono certa farebbe la stessa cosa.”

 
 
Andy si stiracchiò di nuovo, tendendo tutta la schiena nel tentativo di scacciare via la stanchezza.
Aveva pensato che il peggio doveva ancora arrivare e invece, la cena con “semplicemente” presenti uno scienziato milionario dalla mente iper attiva, la sua deliziosa e arguta fidanzata e una Leggenda Vivente era stata incredibilmente divertente.
Avevano mangiato tutti, senza troppi convenevoli, delle pizze doppia farcitura direttamente dai cartoni disposti su un elegante tavolino circolare, la cui superficie di cristallo fumé doveva essere abituata a fare da supporto a pasti ben più raffinati. Anche le sedie erano state bandite: l’ angolo pranzo era in un punto più basso rispetto al pavimento della sala di una decina di centimetri e chi voleva, poteva usare quel gradino naturale per accomodarsi e far sprofondare i piedi nel morbido tappeto beige.
La brutta avventura condivisa con Steve non era stata nemmeno sfiorata; qualcosa le faceva sospettare non fosse per delicatezza nei suoi confronti quanto per reticenza. Quando Andy aveva scambiato degli sguardi con lui, vi aveva letto solo un nome. Quello che tutti sembravano voler fare ma nessuno era disposto a metterlo in piazza per primo.
Tony Stark aveva rivelato un' insospettabile inclinazione a mettere a proprio agio giovani illustratrici scampate ad assalti da guerriglia in una delle più moderne metropoli del mondo; si era letteralmente illuminato nel sapere che lavoro facesse; Andy lo aveva dovuto ammettere con un filo di voce, arrossendo, per spiegare perché non si separasse più dal suo borsone.
“Una concept designer! Notevole! Steve, naturalmente sai di cosa si tratta, vero?”
“Mi sembrava fossero passati ben cinque minuti da quando hai provato a mettermi in imbarazzo l'ultima volta.”
Andy aveva dovuto prendere il suo bicchiere di aranciata per nascondere il sorriso nato dall' ennesimo battibecco tra due personalità tanto forti, in modi completamente diversi.
“La signorina Martin è capace di spiegarcelo senza le vostre sceneggiate.”
Sospinta da Pepper, si era gettata volentieri in un' appassionata spiegazione della sua professione. Talmente appassionata che una volta finita, lei era stata la prima a stupirsi della sorprendente serenità con cui aveva parlato a persone tanto importanti del suo più grande sogno trasformato in mestiere.
Ed era stato allora che Stark aveva detto una cosa per cui, ancora adesso, le veniva da battere le mani come una bambinetta entusiasta.
“ Immagino le piacciano anche i film di animazione.”
No. Non gli piacevano. Li adorava.
Come già era successo tre giorni prima, bastò poco perché la conversazione virasse con l’entusiasmo di entrambi su una fitta discussione riguardante pellicole preferite, storie odiate e le impressioni sul futuro della grafica al computer. Futuro in cui la divisione creativa della Stark Industries voleva dire la sua; stavano sviluppando dei nuovi software per l’animazione tridimensionale, da offrire ai più quotati studi cinematografici del settore.
Ora però devi tornare ad affrontare il mondo. Il tuo.
Si sentiva davvero pronta a riprendere i fili della sua vita, dopo che qualcuno con un sadico senso dell' umorismo si era divertito a intrecciarli in modo tale da non capire più da quale parte cominciare a scioglierli?
Come doveva comportarsi? Fingere non fosse successo nulla? Dimenticare?
Andò in bagno e si lavò la faccia.
Il desiderio di possedere un pizzico di magia, per poter schioccare le dita e cancellare quanto fosse accaduto, era tipico di una persona cresciuta leggendo i libri di Mary Poppins o quelli su Mathilda. Il problema si presentava quando, con sopra la faccia un morbido asciugamano fresco di bucato, poteva pensare di non avere alcuna intenzione di lasciarsi alle spalle quanto aveva visto. Tanto non poteva vedersi nello specchio sopra il lavandino, era al sicuro da ogni rossore.
Il suo innato senso di inadeguatezza non era stato sconfitto; si sentiva ancora la classica persona sbagliata nel posto sbagliatissimo ma aveva una piccola speranza tra le dita.
Poteva dire anche lei qualcosa, in quella vicenda.
Rimaneva sempre la ragazza che si era persa in un bicchiere d' acqua quando Captain America in persona le aveva offerto un caffè per ringraziarla dell' acquisto di un ottimo libro ma allo stesso tempo, era sempre stata lei a parlargli di Hobbit coraggiosi per spiegargli come un'amicizia potesse rivelarsi forte tanto da sconfiggere il più potente Oscuro Signore del mondo. Non aveva parlato all' eroe ma al ragazzo e quel ragazzo l'aveva ascoltata, affascinato. Avrebbe voluto mostrargli quante cose belle ci fossero al mondo e per cui sorridere. Era chiaro che non lo facesse tanto spesso, forse proprio per colpa di quel nome, pronunciato una volta sola davanti all'uomo armato di coltello.
Stessi sintomi. Stesse ombre.
Lo aveva compreso subito e qualcosa aveva iniziato a cambiare da quel preciso istante. Posò l'asciugamano, continuando a evitare di alzare gli occhi sullo specchio. Andava bene essere sinceri ma non era utile a nessuno vedere quanto si poteva essere timidi e insicuri perdendosi nel proprio riflesso. Specialmente a lei.
“Signorina Martin?”
Andy per poco non trasalì per lo spavento; il pettine trovato in uno dei pensili le cadde a terra. Lo raccolse con furia e tornò in camera da letto, pronta a vedere chi fosse entrato.
Era da sola.
“Sono desolato di averla spaventata.”
La voce risuonò una seconda volta, composta e gentile. Peccato non potesse associarla a un volto.
“E io sono sicura che nella caduta di ieri non ho battuto la testa, quindi non sto soffrendo di allucinazioni.”
“E' un' analisi semplice ma efficace.”
Ora che ci pensava, in quel timbro impostato c'era una vaga eco metallica. Andy prese ancora una volta il suo coraggio, già parecchio provato e sorrise di fronte all'assurdità della situazione: lei che guardava verso il soffitto color crema, pronta a colloquiare con qualcuno d'invisibile.
“Ho il piacere di parlare con...?”
“Sono Jarvis, signorina Martin. Just A Rare Intelligent Sistem, se preferisce; aiuto il signor Stark a controllare questo edificio.”
La ragazza si passò una mano tra i capelli, ravviandoli con un gesto imbarazzato. Un conto era leggere di una delle più celebri invenzioni di Tony Stark da un articolo del Time; tutt’altro era avere a che fare di persona con essa.
“Jarvis andrà benissimo” temporeggiò “ posso fare qualcosa per lei?”
“Credo di poter fare io qualcosa per lei, signorina. Il signor Stark l’ha autorizzata ad accedere alle informazioni di livello Uno che posso fornirle.”
La situazione da assurda era appena passata a ingestibile. Andy portò le mani sui fianchi e si morse il labbro inferiore, pensando a cosa rispondere.
“La ringrazio di comportarsi come se effettivamente conoscessi il significato di questo livello ma ho bisogno di ulteriori delucidazioni.”
“Certamente: per Livello Uno s’intende il tipo d’informazioni basilari su condizioni atmosferiche, protocolli di sicurezza, gestione dei bisogni primari e localizzazione dei conoscenti in questo complesso. Se mi permette di farlo notare, da un’ analisi del suo stato di salute suggerirei una colazione abbondante.”
Dopo ingestibile, che grado ci poteva essere? Andy se lo chiese mentre lasciava la bocca mezza aperta, pronta a ribattere. Non ci riuscì, dal momento che un’ intelligenza artificiale aveva detto semplicemente la verità. Preferì non chiedersi come e in quale modo avesse proceduto a un check-up completo dei suoi parametri fisici e si sedette sul bordo del letto, iniziando a infilarsi gli stivali.
“Non voglio scomodare ulteriormente il signor Stark” ci stava mettendo decisamente poco ad abituarsi a colloquiare con un sistema operativo. “Se non ha ricevuto ordini contrari in proposito, vorrei poter tornare a casa. Ho trascurato fin troppo il mio lavoro.”
“Ne sarà molto dispiaciuto.”
Anche qualcosa di virtuale può mentire?
Era abbastanza certa che ora Iron Man avesse ben altro a cui pensare ed era un ben altro in cui sicuramente c’entrava tutto quello che non le era stato detto la sera prima. Le dispiaceva non poterne far parte ma non era il suo ruolo; certe partite andavano giocate da chi poteva permettersi di scendere in campi pericolosi come quelli intravisti unicamente attraverso una cortina fumogena stordente.
Sistemata al meglio la sua povera camicetta spiegazzata, Andy prese il chiodo di pelle e il berretto. Stava già per mettersi a tracolla il borsone, quando un pensiero improvviso la bloccò.
Stessi sintomi. Stesse ombre.
“Jarvis? Posso chiederle dove si trova il Capitano Rogers?”
 
 
Steve posò sulle aste di sostegno i bilancieri dopo l'ultima serie di pesi; si alzò dalla panca e afferrò l'asciugamano pulito che usciva dalla borsa che si era portato in palestra. Non aveva particolarmente voglia di allenarsi e aveva impiegato quella routine solo per avere alcuni momenti da solo e pensare.
Il tempo a sua disposizione era scaduto. Non poteva più concedersi il lusso di tergiversare.
Trovare Bucky.
Lo sprone scritto sulla sua agendina continuava a girargli nei pensieri, sollecitandolo a tornare in azione.
Per molto tempo aveva cercato di capire chi dei due, se Captain America o Steve Rogers, doveva partire per quella ricerca; il primo aveva fallito un attimo dopo aver disattivato l'ultimo satellite utile al progetto Insight, quando si era accorto che il Soldato d' Inverno era rimasto intrappolato sotto una delle strutture d'acciaio della turbina dell' Helicarrier collassata sotto la prima ondata di artiglieria ordinata dal nuovo protocollo di controllo delle tre piattaforme volanti.
  Erano passate solo una manciata di ore da quando aveva assicurato Sam di conoscere il suo dovere: quello di fermare, a qualsiasi costo, l'assassino perfetto dell' HYDRA. Il proposito era stato fermo, implacabile e portato avanti con la determinazione di una macchina da guerra.
Una macchina da guerra difettosa.

Non farmi fare questo.”

Avevano combattuto. Si erano feriti. Sotto il suo pugno aveva sentito le costole dell'altro incrinarsi; il nemico gli aveva fatto sputare un fiotto di sangue dalla bocca. Ma quel nemico aveva la voce di Bucky e i suoi occhi, per quanto vitrei e spietati.

“Non farmi fare questo.”

Aveva continuato, invece, piantando il suo scudo di taglio sull'articolazione artificiale del gomito sinistro del Soldato. Il mondo intorno a loro esplodeva e andava a fuoco, il metallo gemeva storcendosi, le scintille volavano dai circuiti esposti da quel terribile colpo.
L' Eroe non aveva risparmiato nulla.
L' Amico aveva urlato e supplicato di smettere.
  Il conflitto era tornato dopo, con un fascicolo militare segreto in mano e più nessuno scudo sulle spalle a proteggerlo: lo aveva lasciato cadere nel bacino del Triskelion, insieme al peso del suo dovere. Senza di esso alla fine non era niente perché lo stesso Steve Rogers si era scoperto ridotto a niente. L'uomo giusto si era smarrito nel cono d'ombra proiettato da Captain America. La sua identità di eroe era stata l'unica a cui aggrapparsi, una volta aperti gli occhi nel 2012.
  Aveva pensato di ritrovarsi tornando a casa e cercando il sostegno dell' unico uomo con cui si era sentito parte di qualcosa, dopo il suo risveglio: una squadra, con una missione. Scoprendo di non sapere quale fosse esattamente, era dovuto incappare in una ragazza con un trench rosso per fermarsi e smettere di correre.
La ragazza che ieri aveva tenuto in braccio, svenuta, perché finita negli artigli di un mostro di cui gli sarebbe spettata la competenza esclusiva.
Lo aveva sempre saputo, dal giorno dopo aver creduto di aver perso il proprio migliore amico per sempre, nel maledetto inverno del 1944. L'aveva persino detto, no?
  L'asciugamano era madido di sudore; lo gettò nella borsa, rovistando qualche istante per trovarne uno nuovo.
 
“Io darò la caccia a Schmidt. Non smetterò finché tutta l' HYDRA non sarà distrutta o fermata.”
 
Si era preso il compito e non lo avrebbe lasciato a nessun altro; anche se erano passati settant'anni e negli ultimi due non aveva compreso quanto era stato vicino ad essa. Se mai avesse avuto bisogno di un motivo in più per odiarla, adesso ne aveva ben due.
Doveva vendicare Bucky per ciò che gli avevano fatto e in cosa lo avevano trasformato.
Doveva proteggere la ragazza dal berretto con le orecchie da gatto.
Avrebbe voluto poterle parlare senza sentirsi frenato dallo sguardo insistente e gongolante di un certo milionario; chiederle come stava davvero e rassicurarla, tornando a essere semplicemente Steve. Solo che non aveva più tempo, se lo era detto prima. La constatazione bruciava molto di più della ferita rimediata lo scorso pomeriggio.
Pepper aveva pensato di dargli una possibilità, convincendo Andy a fermarsi per la notte alla Stark Tower e ancora non aveva ben chiaro il motivo reale della sua mossa; non era comunque andata a buon fine, qualunque essa fosse.
Avrebbe contattato Sam dopo colazione e messo seriamente mano al dossier sul Soldato d' Inverno per vedere se conteneva indizi tali da condurlo a un altro nome, a una base. La caccia ai fantasmi era cessata e forse, per quanto remota, esisteva la possibilità di avere un insperato alleato a fianco. Doveva solo trovarlo e cancellare un’ altra voce dalla sua lista.
  Tony aveva pensato davvero a tutto, progettando la palestra dei Vendicatori; sarebbe stato un delitto non approfittare del ring da boxe posto al centro, con attaccato poco distante un sacco d'allenamento.
Da quando era tornato operativo e al servizio dello SHIELD, Steve aveva completato il suo addestramento con nuove tecniche e stili di combattimento ma per allenare la sua forza, l'unico elemento a cui aveva potuto fare appello dopo essersi lanciato nella sua prima missione di salvataggio ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, non c'era nulla di meglio che tirare pugni a un blocco compatto di sabbia. Si era riposato abbastanza.
Non si accorse che la porta principale si era aperta dietro di lui.
  Andy avrebbe voluto chiamarlo subito, una volta visto; le parole di saluto invece erano evaporate all'istante per colpa della visione che si era trovata suo malgrado ad ammirare. Va bene, era un' artista e si sapeva quanto agli artisti piacesse la bellezza come concetto astratto e assoluto; adesso ne stava vedendo in eccesso e tutta in un colpo solo.
Steve indossava un paio di pantaloni di una tuta grigia ed era uno dei pochi uomini che conoscesse in grado di riempirli doverosamente, con le sue gambe toniche e scolpite. Il tessuto di cotone aderiva come una seconda pelle e a ogni gancio affibbiato al sacco, un lieve tremore veniva trasmesso ai muscoli compatti di cosce e glutei. Era la sua schiena, comunque, ad aver fatto diventare un banco di sabbia la bocca della ragazza.
Smettila.
L'imperativo risuonò ridicolo e del tutto incapace di farle staccare gli occhi sbarrati da quelle spalle ampie, con i grandi dorsali in rilievo per lo sforzo che scendevano affusolati a contribuire al disegno dei fianchi stretti. Ogni centimetro di Steve era un inno alla perfezione e insieme un invito nemmeno troppo velato a lasciarsi andare a una serie di fantasticherie da cui Andy si tirò fuori facendo doloroso ricorso a tutto il suo autocontrollo.
Non c'è niente per te.
Si stava mortificando ma non le importava; aveva promesso a se stessa, tre anni prima, che non sarebbe stata più manipolata da qualche debolezza e non avrebbe più abbassato la guardia di fronte a una lusinga, in qualsiasi forma si fosse presentata. Fosse anche quella di uno splendido corpo maschile davanti a lei.
  “Mi dici come fai ad avere tante energie?” domandò alzando la voce, in modo da venir sentita sopra i colpi.
Steve si fermò di botto; lo sguardo che le lanciò le fece esplodere un silenzioso urlo di frustrazione in testa.
Ti prego, non fissarmi così.
“Noi soldati siamo abituati ad averne di scorta; per i momenti di maggiore stress emotivo.”
Sbagliava o le stava rispondendo a tono? Andy dissimulò il disperato bisogno di arrossire con una risatina.
“Preferisco tenermi la mia pressione bassa e la mia dipendenza da caffeina, grazie.”
Nonostante quanto aveva passato, osservandola non poteva fare a meno di pensare che il colore azzurro acceso le donasse ancora più del rosso; rendeva i suoi grandi occhi di una sfumatura verde più intensa. Si sentì inaspettatamente, totalmente felice: senza averla richiesta o averci sperato sul serio, ecco che gli era stata servita l'occasione perfetta per vederla da sola.
“Sei riuscita a dormire?”
“Una bugia potrebbe farti smettere di guardarmi come se dovessi svenire di nuovo da un momento all'altro?”
Sarcasmo dosato con sapienza e mescolato a un sorriso lieve. Lei era questo ed era anche la voce squillante che aveva urlato insieme a quella di Pepper.
“Fammi contento, allora.”
“Ho dormito benissimo, grazie.”
Aveva addosso la sua giacca e il borsone a tracolla. “Stai per andare via?”
“Ho già disturbato abbastanza e credo abbiate da discutere di cose più serie della mia salute.”
“Questo non è vero.”
“Forse ma sai benissimo che ho ragione.”
Andy sapeva davvero trovare una sicurezza inscalfibile quando la situazione lo richiedeva. Sostenne lo sguardo di Steve, divenuto più duro e andò a sedersi sulla panca dove lui aveva lasciato i suoi effetti personali.
“L' agguato di ieri era per colpirti e veniva da qualcuno che ha ancora un conto aperto con Captain America. Un conto in cui io sono finita solo perché-”
...Merda.
Andy maledisse quanto aveva benedetto la sera prima. “-Perché mi sono preoccupata.”
L'ammissione produsse un vuoto d'aria inaspettato in Steve e il suo stomaco ci si rigirò dentro con somma soddisfazione. Più dello stomaco che del suo proprietario.
“Preoccupata?”
“Certo!” scattò piantandogli addosso un'espressione ovvia. “Stavi andando al Reservoir e io avevo sentito dalle radio della polizia- beh, quella credevo essere la polizia, che era lì ciò che non andava!”
“Tu hai rischiato di venir uccisa...”
“Beh, gentile farmelo notare.”
Steve non le badò. “...perché in pensiero per me.”
“Preferivi ti dicessi che ero stata presa da un insano moto d’avventura?”
Stavolta, gli stomaci ballerini furono due. Andy sospirò e si fissò le ginocchia per un istante. Essere sinceri non portava mai ai risultati sperati; si veniva sempre fraintesi o peggio, si spaventava gli altri ammettendo di provare qualcosa, che fosse amicizia o altro. Ormai non si poteva più fermare e se quello doveva essere il loro ultimo incontro, almeno che si lasciassero con la consapevolezza di essere stati semplicemente se stessi.
“Anche tu sei stato ferito.” Gli fece notare, nel tentativo di alleggerire una confessione che poteva suonare imbarazzante.
“Non sarà l’ ultima volta, Andy.”
L’immagine del guerriero che scattava verso il nemico la pietrificò. Quanta forza aveva visto e quanta paura aveva provato nel rendersi conto di chi fosse realmente Steve Rogers e di cosa potesse fare a un altro essere umano.
“Non so spiegarti perché non me ne sono rimasta al mio posto” riprese, alzando lentamente il volto verso di lui. Sentiva il calore del suo corpo splendido ma capace di divenire letale; vedeva il sudore che gli aveva incollato la canotta ai pettorali ma quanto stava per dire non poteva venir rovinato da espressioni imbambolate. “Intendo dire, se c’è qualcuno in grado di cavarsela, sei tu. Eppure non riuscivo a trarre consolazione da questo pensiero.”
“Credo si chiami altruismo” le rispose spostando la propria borsa e sedendosi accanto a lei. Si dimenticò di chiederle il permesso; Andy non lo fece notare.
“Forse; ed è una cosa a cui non sono abituata.”
La sua ammissione lo sconcertò; alzò le sopraciglia con uno scatto interrogativo. Una ragazza capace di parlargli di fiducia e amicizia con tanta delicatezza e saggezza non poteva essere l’egoista che si stava dipingendo.
“Non sei troppo dura con te stessa?”
“Anche tu lo sei.”
Colpito e affondato.
“Ricordi quando ho parlato del mio lavoro?”
Steve annuì e nascose a fatica il sorriso che avrebbe voluto farle; Andy era letteralmente sbocciata mentre affrontava con Tony gli aspetti più delicati dell’ essere un illustratore e la curiosità sempre famelica da dover possedere, una sorta di condizione imprescindibile: se si voleva disegnare bene un albero, bisognava conoscere i nomi di quanti possibili e disegnarli, per esempio. Si era rivisto in lei, assaporando dopo tantissimi anni cosa doveva essere il piacere estatico di chi, con una matita in mano, riproduceva la realtà e la filtrava attraverso il talento. Prima dell’ Eroe e anche durante l’epoca gloriosa dell’ Eroe, c’era stato un ragazzino malato e gracile con le dita sempre sporche di carboncino.
“Sì” si limitò a dire, vinto ancora una volta dallo strano pudore che lo prendeva quando si trattava di rivelarsi troppo ad Andy. “Sei riuscita a tenere concentrato Stark su qualcosa per più di cinque minuti.”
“Quello che non ho detto è quanto sacrificio sia costato fare quello che ho sempre desiderato. I miei genitori non avrebbero mai potuto permettersi una scuola d’arte privata come la Brooks e mio fratello minore voleva andare al college. Ho lavorato per anni tutte le estati per pagarmi la retta e dimostrare alla mia famiglia di avere ragione. Questo voleva dire dare sempre più degli altri, dimostrare anche solo un briciolo in più per tenere i voti alti. Non mi sono mai concessa un attimo di cedimento, dal momento che conducevo da sola la mia battaglia; se avessi sbagliato anche un solo esame, i primi detrattori me li sarei trovati in casa, pronti a chiedermi dove stessi buttando la mia vita.”
Il silenzio di Steve era di quelli che invitavano ad andare avanti. Andy prese un profondo respiro, le mani che andarono a chiudersi a pugno sulle ginocchia.
“Ho rinunciato a molto per avere il mio lavoro; viaggi, amicizie, una vita normale fatta forse di cose più frivole e binari più sicuri.”
“E’ come sentirsi sempre tormentati.”
La ragazza schiuse la bocca, meravigliata. “Ecco- sì. Proprio così.”
“Sempre fuori posto e destinati a qualcosa che non abbiamo al momento ma per cui spasimiamo.”
“Il siero del Super Soldato ti ha sviluppato anche qualità di lettura nel pensiero, Capitano?”
La sua risata, se possibile, era ancora più bella di lui. “No. Per tanti anni mi sono sentito così anch’io. Persone come noi sanno essere molto frustranti per gli altri; ci si potrebbe accontentare ma la sola idea ci fa star male, vero?”
“Pochi amici e tante ombre” mormorò Andy, ancora scossa da quanto le aveva confessato.
“Però bastava averne uno solo e credesse in te per sentirti forte. E’ stato grazie a un amico così che ho convinto mia madre a mandarmi a una scuola d’ Arte.”
Andy adesso era decisamente allibita. “Questo non lo dicono, nei documentari su Captain America su History Channel.”
Erano sempre seduti vicini ma era scattata di nuovo la complicità scoperta bevendo un caffè insieme. Nessun calcolo. Solo ferite simili.
“Tu hai Kate, giusto?”
“E tu avevi Bucky.”
Bastò pronunciare il suo nome perché l’atmosfera mutasse radicalmente. Steve si sentì aggredire da un dolore impossibile da sopire, così come era impossibile condividerlo. Strinse le labbra e non rispose, distogliendo lo sguardo. A quel gesto, Andy comprese che non lo avrebbe fatto chiudere ancora una volta in se stesso. Gonfiò appena le guance con fare battagliero e pestò a terra il piede destro.
“Sei pregato di non trattarmi come una bambina. Grazie.”
Era l’equivalente di una metaforica tirata d’orecchie.
“Non lo sei.”
“Allora non fingere di non avermi sentito. Sai benissimo che ero ancora cosciente, quando l’ho visto.”
Sì. Lo sapeva bene. E sapeva altrettanto bene di non aver mai mostrato a nessuno quanto dolore si portasse dentro da quando si era svegliato e gli avevano detto di aver dormito per decenni sotto i ghiacci dell’ Artico, salvato dalla mutazione del suo organismo derivata dal Siero.
Era ancora vivo, certo. Ma solo.
I suoi commilitoni erano morti, Eroi divenuti davvero tali nel ricordo di chi ancora li amava e ammirava.
Peggy sembrava aver resistito per poterlo salutare un’ultima volta e così estinguere il debito contratto con un rimpianto mai morto, nonostante una nuova vita, un matrimonio, una famiglia e una malattia che ora le stava divorando la memoria. Bucky se n’era andato prima di tutti, per colpa di una mano, la sua, che non era riuscita a trattenere e salvare. Questa volta non avrebbe fallito ma non poteva, davvero, guardare al buio che custodiva dentro. Non con qualcuno che scardinava le sue difese con tanta facilità, senza conoscere il reale significato della sua solitudine.
“E’ complicato.” Lo ammise come se nel farlo avesse dovuto sputar fuori un pezzo di cuore.
“Pensi non possa comprenderlo?”
“Al contrario.”
Andy scrollò le spalle. “Era lui. Non è vero? Il tuo migliore amico, il Sergente Barnes degli Howling Commandos. ”
“Non ti chiedi come possa essere ancora vivo?”
“Vorrei me lo spiegassi tu quando te la sentirai.”
“In cambio, tu mi spiegherai perché usi il sarcasmo per dire cose importanti.”
Questa volta non ci fu nulla a salvarla dall'arrossire ferocemente.
“Guarda che l'ho capito da un po'; sarò imbranato con le donne e incapace di mentire ma non manco di acume.”
“La vanità è un peccato, lo sa Capitano?” ribatté la ragazza, decisa a non farsi sconfiggere. Steve scoppiò a ridere.
“Non cedi facilmente.”
“Men che meno con tipi come te.”
“Questo cosa vuol dire?”
Andy si rimise in piedi prima che potesse chiedersi se stavano flirtando oppure no. “ Sai dove trovarmi, non appena avrai portato a termine la tua missione. Magari per allora te lo spiegherò.”
Perché tornerai, vero? Tutto intero? Chiese una parte di sé, guardandolo.
Le venne risposto .
“E se ti spaventassi di nuovo?” le domandò per provocarla bonariamente. Lasciarla andare via era ancora più complicato della prospettiva di spiegarle di Bucky, del Soldato d’ Inverno, delle trame disumane dell’ HYDRA.
“Offrimi un caffè per farti perdonare.”
Ti prometto che stavolta non vorrò scappare.
 
 
Oggetto: osservazione
Andy Martin, anni 25, nata a New York.
Il Soggetto è rimasto ospite di Anthony Edward Stark.
Si consiglia una riconsiderazione dello stato espresso nei precedenti messaggi.

 
Il messaggio rimase senza risposta solo per pochi istanti.
 
Oggetto: Re: Osservazione
Procedura standard di pedinamento e, se necessario, valutazione di un di sequestro. Allertata la Divisione X.
 
 
Angolo (tetro e buio) dell’ autrice: dovrei augurarvi buon Ferragosto ma qui nel profondo Nord ho gente vestita tutta di nero e impellicciata che mi chiede se è la strada giusta per la Barriera. Per inciso: fa un freddo incredibile e soffiano venti che nemmeno in Scozia.
Spero che qualcuno di voi si stia godendo un po’ di vera estate; divertitevi anche per me! E non preoccupatevi, appena il lavoro e altre preoccupazioni saranno tornate sotto controllo, mi metterò buona e calma a rispondere alle vostre recensioni. Perché meritate davvero tutto l’amore del mio sgangherato cuoricino acido.
A venerdì prossimo!
Maddalena.
 
 
 






 
 
 
 
 
 
 





 

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Capitolo 16
*** 13 ***


13

 

“Andy!”
Pepper Potts individuò la ragazza uscendo dall'ascensore e il suo saluto la fermò nel centro della hall in marmo e vetro della Stark Tower. Era deliziosamente fuori posto con il suo berretto e il chiodo ceruleo, in mezzo a uno sciamare continuo di uomini armati di valigetta ventiquattr'ore e donne in tailleur grigi. Sicuramente era l'originalità noncurante con cui si vestiva a costituire una parte importante del suo fascino; capiva perché Steve ne fosse stato tanto colpito, anche se le era parso chiaro subito non si fosse ancora accorto di come guardava la sua nuova amica.
“Signorina Potts.” Andy cercò di bilanciare meglio il suo borsone sulla spalla, attendendo di venir raggiunta.
“Credo che Pepper possa andare benissimo. Stai tornando a casa?”
“Sì, e la prego- ti prego di portare al signor Stark i miei ringraziamenti. Se i miei genitori non avranno un infarto nel sapermi finita in mezzo a una sparatoria, è solo merito vostro.”
La donna dai capelli rossi e in un raffinato completo di Vivienne Westwood in tweed, le sorrise. Nonostante l'aspetto ricercato e l'indiscussa abilità di destreggiarsi su un paio di tacchi dodici, Andy sentiva a pelle di aver stabilito un legame con lei. Era il potere intrinseco delle urla femminili lanciate al momento giusto.“Steve non ci avrebbe perdonato, se ti avessimo lasciato andare in quelle condizioni.”
“Il Capitano Rogers è una delle poche persone che sanno essere gentili e sollecite in modo così sincero da farti vergognare.”
Pepper perse un passo ed Andy si ritrovò a doversi voltare indietro per vedere se tutto andava bene.
Benissimo; nemmeno lei c'è arrivata.
Aveva a che fare con due imbranati.
“E’ successo qualcosa?”
“ Mi è venuto in mente che devo mostrarti una cosa.”
Prendendola sotto braccio, la scortò personalmente alla reception principale. Il bancone era stato ricavato da un unico blocco di porfido ovale e nascondeva quattro postazioni computer con dietro altrettante avvenenti segretarie, alle prese in quel momento con un uomo alto, decisamente imponente e ben piantato che stava controllando alcuni tabulati. Di tanto in tanto richiamava una delle ragazze e questa, alzando gli occhi al cielo, controllava dei dati accedendo ai data base di servizio. Tutte avevano l'aria di chi aveva ripetuto la medesima operazione per un diverso numero di volte.
“Happy?” lo chiamò Pepper.
“Signorina Potts!” L'omone s' illuminò di un grosso sorriso e lasciò i propri compiti per andare davanti a lei. “La sua auto non è ancora pronta ma avviso subito l'autista.”
“Non ti preoccupare, so di essere in anticipo. Vorrei presentarti Andy Martin, è stata ospite nostra e del Capitano Rogers.”
Le spalle da pugile del Direttore della Sicurezza non bastarono a fare da scudo a quattro frecce infuocate scoccate dagli occhi delle receptionist verso Andy; seppe subito che l'invidia generata era tanto per il signor Stark quanto per il suo amico.
“E' un vero piacere, signorina ma...” Harold “Happy” Hogan sembrò aver perso le parole e si schiarì rispettosamente la voce, prima di trovare il coraggio di far notare la madornale mancanza, balzata all’ occhio non appena aveva esaminato il bavero della giacca della ragazza “...non ha il suo badge identificativo. E' una violazione del nostro protocollo standard di sorveglianza e identificazione.”
“Siamo qui proprio per rimediare” rispose Pepper, conciliante. “Credo che uno da visitatore sarebbe perfetto.”
Happy gonfiò il petto già prominente, nel veder riconosciuto il suo ruolo d' inflessibile controllore e protettore dei suoi superiori; se poi quella ragazza dai lunghi capelli scuri era amica del boss, aveva un merito ulteriore, quello di sembrare assolutamente normale. Niente super poteri o altre bislacche caratteristiche simili.“Glielo procureremo subito. Prego, ha un documento?”
Istintivamente, Andy annuì e aprì la cerniera del borsone per tirar fuori il portafoglio, fermandosi con la carta d' identità in mano. La strinse convulsamente, con i palmi velati di sudore freddo.
“C'è qualche problema?”
“No, no” si affrettò a scandire, prima di arrendersi. “Immagino avrei dovuto farlo sapere prima o poi.”
Drizzando le spalle, come dovesse prepararsi a un evento potenzialmente terribile, Andy si allontanò da Pepper e porse a una delle dipendenti la tessera. Sapeva perfettamente cosa sarebbe successo.
La giovane impiegata, capello biondo lino acconciato in una crocchia alla moda, occhi chiari sottolineati dall' eyeliner steso con abilità, digitò il nome sulla tastiera e poi la guardò con un lampo di maligno trionfo nello sguardo. Prese al volo l’occasione perfetta in cui ogni donna si sentiva in diritto di mettere a disagio un’ altra donna.
Andunie? Che nome sarebbe?” La gentilezza di quella domanda era stomachevole come troppo zucchero nel caffè. Quello che non si aspettava in risposta fu il lampo d'acciaio saettato nello sguardo di chi aveva di fronte, in risposta a uno sfoggio di gentilezza velenosa. Andy sorrise con quanta delicatezza possibile, armata della risoluzione che nulla e nessuno l'avrebbe fatta sentire a disagio, questa volta. Non dopo aver convertito Captain America alla lettura del Signore degli Anelli semplicemente parlandogliene.
“E' il mio, signorina. Andunie, in lingua Sindarin significa “tramonto”, a ricordare in quale momento della giornata sono nata. La prego di non sbagliare a scriverlo; sa, ci tengo parecchio.”
Colorò d'importanza maggiore la parola “Sindarin”, condendola con commento che non si sarebbe mai aspettata di partorire.
“Non mi dica non ha mai sentito parlare di questa lingua, scoperta e studiata la prima volta da un famoso docente di Oxford.”
“In effetti, no.”
“Secondo me dovrebbe rimediare. La sentirà nominare spesso.” Altro sorriso dipinto dal più fine pennello della cortesia, seguito da un cenno vezzoso del capo a salutarla, voltandosi.
La recita funzionò benissimo; sicuramente, la dipendente avrebbe cercato quanto prima quale lingua fosse, certa di aver trovato una falla nel suo impeccabile curriculum, presentato due anni prima per venire assunta. Ci avrebbe messo certamente abbastanza tempo da permettere ad Andy di defilarsi prima che la sua innocente mezza bugia venisse scoperta; in fin dei conti J.R.R. Tolkien era stato davvero un rispettato docente in una delle più prestigiose università del mondo e aveva davvero studiato il Sindarin. Dopo averlo inventato.
Ci vollero pochi istanti perché uno dei sottoposti del signor Hogan arrivasse dall' ufficio accrediti, a cui erano state inviate le specifiche via mail aziendale, per darle un talloncino di plastica completo di pinza. Adesso, Andunie “Andy” Marjorie Martin era ufficialmente schedata come visitatrice.
Pepper aveva assistito alla scena rimanendo in disparte; aveva intuito che la ragazza poteva dimostrare carattere e adesso aveva la certezza di non essersi sbagliata.
“Perché non hai mai detto il tuo vero nome?”
“Per evitare scene come quella che hai visto. Stavolta ho reagito perché il fan club di Captain America e Iron Man, sede Stark Tower, capisse mi piace un sacco pestare i piedi altrui, se me ne viene fornita l'occasione.”
Se a circa quaranta piani sopra di loro qualcuno avesse visto in seguito i filmati registrati da Jarvis, avrebbe gongolato parecchio. Tony si esaltava sempre quando gli si prospettava l'idea di stuzzicare un carattere forte.
“Vieni, farò preparare una macchina anche per te.”
“Il dottore non mi ha vietato di prendere la metro, Pepper.”
“E' vero. Ma te lo vieto io.”
La signorina Potts era abituata a gestire e vincere la personalità debordante del suo fidanzato. Avere ragione di quella di... Andunie Martin, in confronto, fu facilissimo.

 

 

*

 

Oggetto: indirizzo
Soho, Lafayette Street, n.274. Il Soggetto vive da sola.

 

La mail ci mise un battito di ciglia ad arrivare a chi di dovere.

 

Oggetto: Re: indirizzo
Procedere.

 

*

 

A circa quaranta piani sopra l'ingresso del grattacielo, c'era davvero un uomo che stava gongolando ma non per i motivi sospettati da Pepper.
Davanti a lui, erano attivi cinque grandi monitor-ologramma. A un' altra postazione stava lavorando Maria Hill, in una tenuta ben più informale di quella della sera precedente: scalza, jeans skinny slavati e una camicetta bianca. Ai capelli non era stata concessa nessuna libertà: erano sempre acconciati in un pratico chignon. Le sue dita affusolate e nervose stavano digitando stringhe di codici o sottolineando passaggi presi da altri files.
“Direi che ci siamo.” sorrise compiaciuta.
“Abbiamo potenziato il controllo del flusso d'informazioni da e per la Stark Tower?”
“Sì, da- adesso. I firewall non hanno subìto modifiche rilevabili dalle misurazioni standard, non potranno intercettare il nostro controllo. Jarvis sarà in grado di effettuare dei back-up di qualsiasi file.”
“Sentito, Capitano? Stiamo entrando nel vivo dell' azione, finalmente.”
Steve era appoggiato allo schienale dei uno dei divani che circondavano lo schermo al plasma, sovrano incontrastato dell’ open space e non diede segno di volersi muovere da lì, rimanendo con le braccia incrociate al petto.
“Quanto ci vorrà per attivare un canale sicuro di comunicazione con Washington?”
“Un secondo ma tanta solerzia ha un pegno da pagare.”
“Stark-”
“Avanti, ammettilo.”
Non. Osare.
“Siamo pronti.”
Tony ignorò l'avvertimento di Maria; tutto perdeva magicamente d'importanza, se si trattava di ficcanasare nella vita privata di Steve.
“E' davvero una bella ragazza, Rogie; un residuo di Suggestiva Irlanda mescolata alla Terra di Mezzo ma più attenta alla moda.”
“Stiamo per andare in video tra un minuto, Wilson è connesso.”
“E' il tuo modo per fare complimenti a una donna?”
“Almeno io li so fare, al contrario di te.”
“La conosco appena!”
“Le hai salvato la vita. Non sottovalutare la gratitudine femminile.” un sorriso angelico grondante pessimi propositi gli arricciò le labbra da Mefistofele. “ Ah, dimenticavo! Tu l'hai già conosciuta.”
“Stupido io a credere ti fossi dimenticato di Beth.”
“Mi pare te ne sia dimenticato anche tu. Da quanto non ti fermi al Central Café?”
Prima si arrivasse a un nuovo livido sul petto per Tony Stark e la sua assoluta mancanza di diplomazia, una voce invase la sala.
“Scusatemi; sarei curioso anche io di sapere chi sia questa povera ragazza ma non vorrei metterti ancora più in imbarazzo, Steve.”
Salvato dall' arrivo dei rinforzi.
“Ciao, Sam.”
“Mi fa piacere vederti in forma, vecchio mio. Signor Stark, finalmente posso salutarla.”
L'ex soldato aveva lo stesso sorriso cordiale e amichevole di sempre. Parlava da un appartamento che non era il suo: le pareti alle sue spalle erano spoglie, i mobili del soggiorno di un banale colore bianco Ikea ma non sembrava avercela con qualcuno per quel brusco cambio d'indirizzo.
“Il piacere è mio, Wilson. Sai che il nostro integerrimo Eroe in realtà è un killer seriale di cuori femminili?”
Sam riuscì a non ridere ma gli angoli delle labbra tremarono per lo sforzo. “Non fatico a crederlo.”
“Sentite, siamo qui a parlare delle mie presuntissime fidanzate o di cose più importanti?”
Tony borbottò un chiarissimo “guastafeste” prima di andare a prendersi un bicchiere di spremuta.
“Ci sono notizie da Londra, in effetti.”
“Fury non sa proprio stare buono, eh?”
“Più che lui, direi i suoi agenti. Occhio di Falco e la Vedova Nera hanno trovato qualcosa.”
La vendetta possedeva un senso della democrazia insperata, a volte; al solo sentir nominare il nome in codice di Natasha Romanoff, Tony per poco non nebulizzò succo d'arancia lungo tutta la sua moderna cucina. Steve soffocò un paio di colpi di tosse molto artefatti e altrettanto divertiti.
“Cosa aspetti a mostrarcela?”
“Il problema è proprio questo; non sanno se hanno linee sicure per trasmettere quanto hanno scoperto.”
Ostentando una sicurezza mai apparsa tanto falsa, il milionario scolò l'ultimo sorso della sua colazione. “Jarvis, preparati a uno straordinario.”

 

 

James era impressionato.
La Stark Tower, con la sua massa di cemento, acciaio e vetro, gli sembrò un incrocio tra una vela gonfia di vento e un faro che illuminava tutta Park Avenue.
Si era fermato ad ammirarla da sotto uno dei viadotti principali che conducevano alla stazione ferroviaria, fuori dalla portata delle prime telecamere di sicurezza.
Ricordava di aver visto i primi grattacieli nella New York degli anni Quaranta ma questo li batteva tutti di gran lunga, con il suo design imponente, moderno, quasi sfacciato. Sfacciato come il suo creatore, senza dubbio. Attorno ad esso qualsiasi altro edificio sembrava apparire datato e inutile.
Con circospezione, premurandosi di tenere il berretto da baseball ben calcato sul codino in cui aveva raccolto i capelli ormai ingovernabili, l'uomo che era ancora il Soldato d' Inverno si avvicinò all'ingresso, animato dal brulicante via-vai degli impiegati diretti ai loro uffici.
La pioggia mattutina non gli dava fastidio, anche se qualcuno privo d' impermeabile e ombrello, infagottato in una giacca che aveva un disperato bisogno di un giro in lavanderia e il viso nascosto da un cappello poteva destare sospetti, in mezzo a tanta gente ben vestita e ben attenta a non bagnarsi.
Per la decima volta, si chiese con quale coraggio si potesse presentare a casa del figlio di Howard Stark, di cui era responsabile indiretto della morte insieme alla moglie. Se quel nome sfiorava le sue labbra, subito gli tornavano alla mente serate in fumosi pub di una Londra sotto assedio nazista, risate e giri su giri di wiskey. Il ricordo bruciante del liquore era una carezza, in confronto a quello del rimorso.
Per la decima volta, si rispose di non poter fare altrimenti. Lì c'era Steve e anche se ancora non lo sapeva, Steve aveva bisogno del suo aiuto.
Non che io stia messo meglio.
Aver ritrovato la sua antica vena sarcastica non gli stava dando il sollievo sperato; Bucky Barnes non era tornato, se non dilaniato e stordito come dopo l'ultima esplosione udita sul campo di battaglia di Azzano. La neve continuava a circondarlo, anche se la tempesta era cessata.
Stringendo i pugni nelle tasche, con uno strano suono metallico, James riprese il suo cammino.
Lo fermò cinque passi dopo.
Una bella donna dai capelli rossi, vestita elegantemente, era uscita dalla porta principale; accanto a lei c'era Andy. Le vide parlare per qualche istante, ridere, prima che due berline scure si fermassero proprio di fronte a loro. Si salutarono e salirono a bordo: la prima imboccò la Park Avenue, la seconda, quella dove c'era la ragazza vista con Steve, dopo un' agile inversione puntò verso Sud.
Quando un furgone senza insegne si accodò a quella, fu il Soldato a dirsi che forse il posto dov'era era sbagliato ma non il momento. Le due vetture vennero ingoiate dal traffico congestionato del mattino, procedendo lungo un identico percorso; Le seguì con lo sguardo fino a quando gli fu possibile e quasi senza rendersene conto, prese a seguirle.
Poteva essere una scorta.
Perché?
Poteva essere una coincidenza.
Non sopravvivi in guerra se credi alle coincidenze.
Sentì un gelo famigliare scendergli sul volto, rendendolo una maschera impassibile.
Qualcosa non stava andando e se di mezzo ci fosse finita proprio colei che Steve aveva fatto di tutto per proteggere a Central Park, né lui né James se lo sarebbero perdonato.

 

 

Il palazzo dove abitava Andy, negli anni Cinquanta era stato una fabbrica di dolci, con annessa raffineria dello zucchero nel seminterrato.
Sorgeva a cinque minuti dalla McNally Jackson Books*, una delle istituzioni dell’ editoria indipendente nel quartiere di SoHo ma se non fosse bastato quello a farle decidere di aver trovato la casa dei suoi sogni, ci pensò l’alta concentrazione nell’ isolato di torrefazioni e Caffè alternativi a farla capitolare.
Il vecchio edificio in mattoni rossi era stato magnificamente restaurato e trasformato in una serie di alloggi; fu un amico di famiglia a dare la dritta giusta al signor Martin: l’appartamento non era molto spazioso ma avendo egregiamente sfruttato le grandi altezze derivate dal suo antico impiego, era stato possibile ricavare un soppalco ampio e in grado di ospitare una camera da letto matrimoniale e un bagno con doppio lucernario. Una scala a chiocciola portava al piano inferiore, con l’angolo cucina, la zona soggiorno e quello che sarebbe diventato il vero cuore dell’ abitazione di Andy.
Lo chiamava con orgoglio “il mio studio”: una scrivania da architetto, vinta a un’ asta fallimentare a pochi isolati di distanza e soprattutto, quante librerie possibili da stipare fino all’ invero simile. Le finestre ampie ed ariose, posizionate sul lato Est e Ovest contribuivano a far entrare molta luce; un nido perfetto in cui cercare rifugio e lavorare senza temere di disturbare nessuno fino a notte fonda.
C’era un’altra stanza, sotto il livello della strada, un garage convertito a secondo luogo di lavoro: lo usava quando si trattava di dipingere con colori ad olio, proprio come stava facendo in quei giorni prima di prendersi una pausa e andare a Central Park.
Prima di trovare un’ agendina smarrita e vedere la sua vita sollevata e buttata su una strada mai immaginata.
Aprendo la porta, Andy si fermò sulla soglia.
Il divano color prugna la salutò con i suoi cuscini spaiati, il muro contro cui era appoggiato pieno di stampe incorniciate e piccole mensole quadrate cariche di libri. C’erano libri dappertutto, anche dietro il tavolo a quattro posti della cucina.
Accanto al mobile della televisione giaceva uno dei topi di pezza di Morrigan ma la sua cuccia preferita, un enorme cuscino tartan rosa e viola, la gabbietta e le ciotole erano sparite. Kate era stata di parola.
Il suo mondo, quello costruito a prezzo di tanti sacrifici, egoismi ed incomprensioni l’accolse e l’abbracciò; lasciata la borsa, la ragazza andò verso il comodino dove spiccava un vaso di vetro nero pieno di bacchette di legno, Le raccolse e girò; subito il profumo di arancia e cannella si diffuse gentile e fresco nell’aria. Si tolse gli stivali, calciandoli via e si stese sul divano, abbracciando al petto uno dei cuscini.
Perché non riusciva a sentirsi tranquilla?
Era salva, era tornata. Aveva conosciuto Steve Rogers ma ora era Captain America quello che doveva andare incontro a un nemico dal nome mitologico, terribile e senza speranza. Il solo pensiero le seccò la gola, peggio di quando lo aveva visto allenarsi quella mattina. Si mise in piedi con uno scatto e per ogni evenienza, lanciò contro la sedia della scrivania il cuscino che prima si era preso le sue coccole.
Non pensarci. Pensa piuttosto alla colazione.
Doveva seguire il consiglio di Jarvis. Era certa sarebbe andato tutto bene e forse, presto, col suo cartellino da visitatrice sarebbe potuta tornare alla Stark Tower e salutarlo.
Messo sul fuoco il bricco del caffè, salì scalza in camera da letto, spogliandosi con cautela per non compromettere la fasciatura al ginocchio, cercando nell’ armadio a muro un paio di pantaloni da ginnastica e una t-shirt. Ne prese una con sopra il disegno di una bambola-marionetta dai fili tagliati, quando scorse sul fondo del cassetto qualcosa che la fece rimanere accucciata per terra diversi minuti. Immobile.
Con delicatezza, scostò altri indumenti e sollevò un’altra maglia. Avrebbe dovuto buttarla via tre anni prima; non ce l’aveva mai fatta.
Era quella che indossava sempre quando, col suo ragazzo, guardavano un film insieme, sdraiati su un sofà color prugna scovato a un mercatino d' antiquariato vintage in Lafayette Street. Erano stati entrambi grandi appassionati di cinema e nel magico momento di ogni relazione dove tutto appariva compiuto e bellissimo, i loro gusti diversi li avevano portati a vedere pellicole sconosciute o mai considerate.
Lui era arrivato in un momento della vita di Andy in cui non aveva chiesto niente e preteso ancora meno. L’amore, e prima ancora l’attrazione, erano arrivati in silenzio e in silenzio avevano avuto ragione del suo cuore incontentabile e sempre affamato di affermazioni ben lontane dal riguardare un impegno con un' altra persona.
Aveva creduto di non avere tempo per quello che molte sue coetanee desideravano: fin da ragazzina le era risultato difficile lasciarsi andare a cotte o infatuazioni, ben conscia del fatto di non essere un tipo di donna in grado di attirare gli uomini, anche per colpa di alcune sue “deprecabili abitudini”: tanto per cominciare, quella di avere sempre il naso immerso in un libro e ben poca considerazione della realtà che la circondava. Pochi ragazzi volevano avere a che fare con qualcuna incapace di tacere e ben più sveglia di loro; scattava un disagio istintivo, che ci metteva sempre poco a divenir fastidio a fior di pelle, insofferenza, a volte persino cattiveria.
Andy Martin, in poche parole, era troppo “difficile” per intentare con lei un' interazione che andasse oltre il saluto e occasionali incontri a uno dei locali alla moda vicini alla sede della Scuola d' Arte.
Robert era arrivato dopo la fine della Brooks e l’inizio della sua giovane carriera. Un ragazzo scuro di capelli e occhi, la bocca piena il cui sorriso l'aveva fatta tremare in un modo fino a prima sconosciuto.
La sorpresa era stata che il suo aveva provocato lo stesso effetto su di lui.
Era stato il classico momento perfetto, ora andato perso per sempre. Ad Andy era rimasta una sola certezza: non si era pentita di un bacio, di una carezza, di una parola scambiata, detta, mormorata. Ogni cosa fatta con lui e per lui ne era valsa la pena e forse, alla fine, era l’unico tesoro importante. Un tesoro costatole carissimo.
Si tirò a sedere sul letto, impedendo alla sua mente di ricordare le notti passate insieme, le lenzuola a volte bozzolo confortante, a volte solo inutili e fastidiose barriere per due corpi in cerca l’uno dell’altro. Alzò la maglia davanti agli occhi, studiandola in silenzio e l’afferrò per il colletto.
Cominciò a tirare, strappando lungo la linea della cucitura della spalla. I punti cedettero a fatica ma dopo che i primi si lacerarono, gli altri seguirono docilmente la stessa sorte.
“Te ne libererai quando sarà il momento giusto.”
Nemmeno a dirlo, era stata Kate a profetizzarlo, la sera di tre anni fa in cui piombò a casa sua dopo una pazza corsa in auto dal suo college. Non aveva fatto domande o chiesto spiegazioni, quando al telefono l’unica cosa sentita era stato il pianto irrefrenabile della sua migliore amica; era semplicemente arrivata e l’aveva tenuta abbracciata fino all’alba, ascoltandola e lasciando che le sue spalle, i gomiti, le mani fossero l'unico confine tangibile entro cui riuscire a non andare in mille pezzi.
Il momento era arrivato.
Kate aveva sempre ragione.
Tirò ancora, strappò ancora fino a quando non rimasero che strisce di cotone sul pavimento di legno e sulle sue ginocchia.
Svuotata, gli occhi asciutti, il cuore gonfio che pulsava in gola, Andy realizzò a distruzione avvenuta cosa aveva fatto. In cucina, il bricco prese a fischiare.
Scese i gradini quasi incespicando nei suoi passi.
Doveva telefonare alla sua amica. Spiegarle cosa era successo. Riavere Morrigan a portata di mano per una lunga seduta di pet therapy casalinga. Bere, prima di tutto, il suo caffè.
Il campanello suonò; il suo trillo la fece congelare sul posto.
Qualche istante dopo, il violinista che abitava sotto di lei sentì uno strano tonfo contro il soffitto. Poi un lunghissimo silenzio.

 

 

“Signore, devo segnalare un’anomalia.”
C’era qualcosa nella voce impostata e professionale di Jarvis che fece fermare tutti senza ancora sapere cosa fosse successo.
“ Ho captato un segnale dagli uffici Accredito del piano terra, la cui frequenza mi pare sospetta.”
Steve smise di parlare con Sam; una punta acuminata di malessere gli grattò la gola.
“Che vuoi dire?”
Jarvis aprì un nuovo monitor e vi configurò la mappa di Manhattan, per poi incominciare a ingrandirla. “Il segnale proviene da una delle nostre auto di servizio che sta seguendo il percorso indicato.”
Una linea di un verde acceso si dipanò lungo Sud, passando oltre l'incrocio con la East Houston e scendendo per diversi isolati lungo Lafayette Street.
“Chi sta seguendo questa macchina?” chiese Tony.
“L' account risulta essere quello di Gerry Stenton, nostro agente di sicurezza; non sta usando la rete del reattore A.R.K..”
“Mostra il punto di arrivo.”
“Eccolo, signore. Si sono appena fermati.”
L'indirizzo comparve in caratteri rossi e accanto si aprì una foto.
“Capitano Rogers!” urlò Maria cercando di trattenerlo. Anche Sam vide l'amico lasciare in fretta e furia l'attico.

“Qualcuno mi vuole spiegare cosa sta succedendo?”
“Temo ci abbiano fregati, Maggiore.” fu la risposta pragmatica del milionario, prima di seguire a rotta di collo Steve per fermarlo.

 

 

Dolore
Rosso.
Altro dolore.
Ombre dai colori più improbabili danzavano dietro le palpebre.
Scariche elettriche rimbalzavano tra le ossa del cranio e alla fine di esse, solo altro dolore che si scioglieva pesante e vischioso nel cervello.
Cercò di aprire gli occhi.
La poca luce presente nel retro del furgone dove era distesa la ferì come una stilettata, facendoglieli richiudere.
La lamiera, con le sue sporgenze, era una tortura inflitta alla sua schiena, una tortura gelida che le impediva di pensare, di ricordare, di lamentarsi.
Come poteva farlo, se l'avevano imbavagliata?
Come c'era finita, imbavagliata?
C'era stato solo un rumore secco, pochi minuti prima, poche ore prima, pochi giorni prima?
Una tazza da caffè caduta per terra, una porta che veniva spalancata e una mano coperta da un guanto di neoprene scattata a chiuderle la gola per impedirle di urlare.
Un'esplosione abbacinante e un crollo.
Dolore.
Rosso.
E ancora dolore.
Cocciuta, aprì faticosamente le palpebre, aspettando di adattarsi alla penombra.
“Prepara del sedativo; si sta svegliando.”
No!
Avrebbe voluto muoversi, ribellarsi ma il suo corpo lottava contro di lei; mani e piedi erano stati legati strettamente con delle fascette da elettricista. Tagliavano la carne di polsi e caviglie.
Il furgone procedeva a velocità moderata, rallentando in corrispondenza di eventuali segnali di stop o incroci. I clacson e il rombo degli altri mezzi echeggiavano ingigantiti, strappandole un mugolio di pianto da dietro il nastro isolante.
Dolore.
Rosso.
Due uomini in divisa d'assalto, completamente coperti di nero.
E poi la frenata.
Andy, ancora imprigionata in un vortice oscuro dove fitte lancinanti s'alternavano a brevi momenti di misericordioso oblio, si sentì rotolare in avanti, preda della forza centrifuga. La tempia destra sfregò contro il metallo, la pelle si escoriò. Sentì di essere sul punto di spezzarsi in due, senza riuscire a realizzare che era il mezzo su cui era prigioniera quello in preda a uno spasmo tale da farlo tremare dagli assali delle ruote fino al tettuccio.
Le guardie che la sorvegliavano balzarono in piedi.
Due lampi bianchi.
Urla soffocate e un rumore orribile. Secco.
Venne ripetuto due volte.
Dopo un tempo infinito, qualcuno l'afferrò con delicatezza per le spalle, sfiorandole il sangue che le aveva imbrattato la fronte a causa del graffio.
“Sei al sicuro. E' finita.”
La ragazza cercò di parlare; poté solo fissare, inebetita, il suo soccorritore. Berretto da baseball, barba incolta sulle guance e grandi occhi grigi.
Cominciando a piangere, Andy si appoggiò contro di lui.
Rosso.
Dolore.
E il profumo della pioggia.


Angolo (tetro e buio) dell' autrice: anche se è tempo di ferie, l'aggiornamento è arrivato!
...Sarà che le mie, di ferie, arriveranno tra tre settimane, ehm.
Comunque il caldo mi ha giocato brutti tiri, perciò rimedio a ora a una svista sul capitolo precedente: ho citato un quadro nella camera di Andy. Julien Mistral è stato uno dei più grandi pittori francesi del secolo ma non lo troverete in nessun testo di Storia dell' Arte. Mi sono divertita a citarlo dal romanzo "La figlia di Mistral", di Judith Krantz, prova che si può scrivere un romance avvincente, per quanto ormai il libro sia datato. E poi la storia coinvolgeva direttamente New York, con splendide descrizioni...è stato un omaggio nell' omaggio.
McNally & Jackson Books* : ormai lo sapete; se posso, inserisco a ogni occasione posti reali. Mentre perlustravo col fido Google Maps il quartiere di SoHo per trovare il luogo ideale dove inserire la casa di Andy, quella libreria e il fatto fosse circondata da Caffè letterari mi ha fatto capire di essere nel posto giusto. Il palazzo ex fabbrica, invece, è farina del mio sacco ma l'ho descritto attenendomi alle origini del quartiere.
E' tutto anche per questo aggiornamento. Per qualsiasi cosa, chiacchiere, impressioni, domande, cupcakes al gelato, i modi per contattarmi li avete.
A venerdì prossimo!
Maddalena

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 17
*** 14 ***


14


 

SoHo, ore 8 a.m.


 

Il furgone si era fermato sul retro di un palazzo in mattoni rossi, col marciapiede circondato da una bassa ringhiera in ferro battuto.
Nonostante il suo addestramento, James non ce l'avrebbe mai fatta a seguirlo se non fosse stata l'ora di punta per chi si stava recando al lavoro. Per alcuni tratti era dovuto salire sul tetto di qualche caseggiato e guadagnare tempo saltando da un cornicione all'altro, azioni semplici per il suo corpo allenato a ben altro. Altre volte era dovuto scendere usando le scale antincendio a disposizione e percorrere strade parallele per non allarmare chi stava seguendo; trovò incredibile come il newyorkese medio non si scomponesse davanti a qualcuno che correva in quel modo. Sembrava che la sua città avesse perso ancora più candore di quello che si sarebbe aspettato, dopo la Seconda Guerra mondiale.
La mia città?
Non era quello il momento per perdersi nella neve.
Quasi senza accorgersene, era passato oltre il confine immaginario posto dalla North Houston Street, approdando nel quartiere di SoHo. Quando era stato ragazzo, quando lo era stato davvero, ricordava solo fabbriche, capannoni industriali e raffinerie. Adesso c'erano parchi, negozi, molte gallerie d'arte.
Il gelo gli aveva perforato i muscoli sotto sforzo ma stringendo i denti, lo aveva ignorato.
La grossa berlina scura era già ripartita ma al momento non gl'interessava la ragazza. L'altra vettura aveva svoltato, in modo da non essere vista e dopo qualche minuto, ne erano scesi due uomini infagottati in un paio di tute da elettricisti, con tanto di cassetta degli attrezzi. Dopo aver percorso a ritroso il marciapiede, erano entrati nello stabile da uno dei tre portoni affacciati su Lafayette Street, senza essere fermati.
L'attesa fu scandita dai battiti del suo cuore.
Forse non sarebbe accaduto nulla e lui aveva solo assecondato la paranoia patologica instillatagli dai suoi aguzzini. Per questo rimase fermo dall' altra parte della strada, in attesa, sotto la pioggia.
Dopo mezz'ora, vide uscire solo uno dei due tecnici. La cassetta era sparita, le mani coperte da guanti molto più sofisticati di quelli in dotazione a un semplice funzionario di controllo della rete cittadina: neoprene nero e placche di carbonio su dorso e presumibilmente, anche in corrispondenza delle falangi. Il miglior modo per garantire presa sicura sulle armi.
Quando lo vide andare ad aprire uno dei cancelletti che conducevano al seminterrato, James comprese di non essersi sbagliato. Da una delle porte in ferro emerse l'altro compagno. Tra le braccia reggeva-
Neve. Tormenta. Furore.
Di Andy fu possibile vedere solo uno sbuffo dei suoi lunghi capelli scuri, il corpo reso inerte dalla scarica elettrica con cui dovevano averla stordita, poi venne abilmente infilata nello sportello aperto da un terzo complice. L'intera operazione si era svolta in meno di sessanta secondi e con una precisione riscontrabile solo in chi era stato appositamente preparato a infiltrarsi senza destare sospetti.
Il sangue tornò di ghiaccio, imponendogli la calma implacabile del predatore. Aspettò che il mezzo tornasse in moto nella più totale noncuranza di un quartiere troppo occupato a svegliarsi; tornò a confondersi nel traffico nel giro di pochissimi minuti.
In un istante, un battito di ciglia in grado di squarciare la realtà, New York sparì davanti al Soldato d’ Inverno: c’era solo un obiettivo da fermare, aveva quattro ruote, un vano posteriore, con tre ostacoli da eliminare per liberare l’ostaggio.
L’arma perfetta avrebbe ucciso ancora.
Era il prezzo da pagare. Avrebbe ucciso per salvare; non era un modo giusto per espiare le colpe ma forse, un modo giusto per lui non sarebbe mai esistito.
C'era la neve, quando al primo incrocio con la Mulberry Street si piazzò davanti al segnale di Stop.
C'era la neve a soffocare le grida sgomente dei passanti, quando si accucciò sulle ginocchia ben aperte e piantò il suo braccio sinistro sul cofano, deformandolo e distruggendolo come fosse stato un foglio di alluminio. Le terminazioni nervose artificiali, le miriadi di microplacche che componevano articolazioni, muscoli e proteggevano i tendini in carbonio furono scosse da un tremito e produssero un lieve, lugubre sibilo.
C'era la neve quando saltò, sfondò il parabrezza e recise la gola dell' autista con un unico, fluido fendente di rovescio del suo coltello. L'unica arma che aveva portato con se.
C'era sempre la neve e lo accompagnò quando balzò sul tettuccio, lo percorse con una falcata e si chinò per strappare via insieme le due parti del portellone.
La tempesta non cessò col sangue caldo che prima era spruzzato sulla giacca o con il rumore delle ossa del collo spezzate dopo una breve lotta tra lui e chi era stato convinto di poter affrontare un demone.
Terminò quando vide raggomitolata in un angolo la ragazza, imbavagliata e legata. Aveva poco tempo per portarla via; presto tutta la Polizia di quel distretto sarebbe piombata sul posto e non poteva finire in una cella, non prima di aver portato a termine la sua missione.
Sporco di sangue, zuppo di pioggia, James avvertì qualcosa di caldo mentre si chinava su Andy per metterla delicatamente a sedere; era una vertigine che nasceva dal cuore. Non poté ringraziare Dio nel trovarla cosciente; aveva un conto in sospeso troppo salato con chiunque sedesse lassù, per essergli riconoscente.
“Sei al sicuro. E' finita.”
I grandi occhi verdi, quegli occhi che gli ricordavano altri sguardi, un'altra vita, si fecero liquidi. Andy singhiozzò e appoggiandosi a lui, scoppiò in un pianto soffocato dal nastro adesivo che aveva intorno alla bocca.
Per la prima volta dopo molto tempo, James ricordò cosa volesse dire scendere all' Inferno per qualcosa che non pretendesse una parte della sua anima in cambio.


 

Stark Tower, ore 8 a.m.


 

La porta dell' Ufficio Accrediti si aprì con uno schianto.
Gerry Stenton balzò in piedi, schiacciando un tasto al suo terminale.
“Jarvis, recupera!”
Il comando di Tony Stark arrivò insieme alla mano del Capitano Rogers, che lo afferrò con violenza per il bavero. Tanta, inetta violenza non sarebbe servita, lui sapeva cosa doveva fare ed era onorato di farlo, se questo fosse servito alla nobile causa per cui era disposto a dare la vita.
“Non stavolta!”
Perché Captain America aveva detto una cosa del genere? L'agente della sicurezza lo comprese esattamente un secondo dopo; un potente gancio destro gli dislocò l'arco mandibolare opposto, facendo schizzare contro il muro non solo della saliva sporca di sangue ma anche una piccola capsula di cianuro che andò a infrangersi sul pavimento. Chi ne voleva usufruire ci finì lungo disteso subito dopo, privo di conoscenza.
“Ci serve vivo, se lo vogliamo interrogare” gli ricordò Tony, già seduto alla postazione lasciata gentilmente libera dal suo dipendente. Pareva intento a uno dei suoi progetti informatici, tanto era rilassato; come se non avesse appena avuto prove che nulla poteva fermare l' HYDRA dall'infiltrare i propri uomini persino nel suo personale di servizio.
“Tecnicamente lo é” ribatté Steve, senza voltarsi verso di lui. Il milionario poté così nascondere quel fastidioso e terribile pizzicore avvertito saltellare bello freddo lungo ogni vertebra della sua spina dorsale.
“Hai scoperto qualcosa?”
“Lo farò mentre tu andrai a controllare che nessun orco cattivo abbia fatto del male a Dama Luthien.”
Steve si ritrovò a prendere al volo un mazzo di chiavi.
“Ti raggiungerò non appena avrò finito qui. Non sarà la tua Harley Davidson da macho ma sono certo ti troverai bene.”
“Io-”
“Non c'è tempo per i ringraziamenti, Capitano. Lo tolgono ad altri ordini.” gli venne ribattuto con un annoiato sventolare di mano. Tony Stark gli aveva appena ceduto il comando e Steve si sentì in dovere di omaggiare tale concessione nel migliore dei modi.
“Richiamate Sam e fatelo arrivare in città. Digli di portare con sé le sue ali, se ne è rimasto qualcosa. Dobbiamo sapere cosa hanno scoperto Barton e Natasha, ci servirà un canale di comunicazione sicuro.”
“Benissimo. Si prospetta una splendida rimpatriata. Mi dispiace solo che manchi il nostro Semi-dio di fiducia.”
Steve corse fuori, incrociando un affannato Happy mentre si precipitava dal suo capo. All' ascensore, realizzò cosa aveva appena sentito.
Semi-dio di fiducia.
Thor.
Non mancava un altro nome all' appello?
Perché Tony non aveva parlato anche del Dottor Banner?


 

SoHo, ore 8.05 a.m.


 

“Farà male”. Le sembrò doveroso avvisarla. Persino gentile.
Andy lo fissò in silenzio, senza battere le palpebre. James sospirò e afferrò un lato del nastro isolante, strappandolo via. Un gemito trattenuto tra labbra serrate e tremanti per lo sforzo, poi fu la volta di mani e piedi, liberati con due fendenti del coltello. La ragazza, accortasi di che colore avesse la lama, distolse lo sguardo ma non parlò.
Le prime sirene, col loro lugubre e monotono lamento, schiacciarono il rumore della pioggia.
“Devo portarti via di qui e fare in modo che ti possa medicare.” Quel taglio sulla tempia non gli piaceva per niente e parlare di ferite era il modo migliore per non affrontare discorsi più pesanti.
“Casa mia è da escludere?”
“Sarebbe il primo posto dove ti cercherebbero.”
Si sarebbe aspettato delle obiezioni, a quel punto; obiezioni comprensibili, umane ma con il terribile difetto di far sprecare secondi di cui non disponeva.
“Andiamo, allora.”
“Sei sicura?”
“Tendo a fidarmi di chi mi ha salvato la vita. Dici che sono troppo impulsiva?”
Più che farlo veramente, James avvertì il desiderio di arricciare verso l’altro l’angolo destro della bocca. Si disse che doveva essere la reazione standard a una battuta di spirito.
“Oggi ti è andata bene.”
Cercare di andarsene con un furgone seriamente danneggiato e con tre cadaveri a bordo era fuori discussione. La ragazza si fidava di lui. Le doveva un po’ della sua fiducia in cambio, anche se non era pronto a giurare sulla sua effettiva tenuta. Le porse la mano destra, che venne afferrata senza timore. Se la caricò in spalle e insieme saltarono giù dal vano sfondato.


 

Lafayette Street, ore 8.15 a.m.


 

Tanto per cambiare, Tony Stark aveva ragione.
La Ducati Monster 696 con cui ora stava sfrecciando lungo la Fifth Avenue bloccata dal traffico mattutino non era la sua Harley. Era un qualcosa d’infinitamente meglio, anche se non lo avrebbe ammesso mai ad alta voce, per lealtà alla fedele cavalcatura lasciata a Washington.
La moto a sua disposizione era più compatta e capace di scatti quasi rabbiosi nelle sterzate, con una ripresa in scalata di marcia nell’ordine dei secondi; il telaio scheletrato invitava il pilota a prendervi contatto, facilitando l’aereodinamica, il rombo del motore era più simile alle fusa di un grosso felino che a uno scoppiettio roco e monocorde.
All’incrocio con il parco antistante il Washington Square Arch, Steve svoltò verso l’ Ottava strada e imboccò a velocità sconsiderata Lafayette Street.
Non gli ci volle molto per capire di essere arrivato troppo tardi. Frenò bruscamente a pochi metri dalla prima auto della Polizia, trovando più saggio non farsi notare e proseguire a piedi.
“Io non me ne vado finché non mi darete retta! La mia amica non c’è in casa!”
C’era una ragazza ferma davanti al portone del civico n. 274. Magra, il volto dai tratti affilati e nobili, infagottata in uno spolverino, i capelli chiari lunghi e lisci trattenuti in una coda di cavallo fatta alla meno peggio. La mano destra reggeva un ombrello aperto e gli fu chiaro immediatamente che se non avesse dovuto pensare a proteggere la gabbietta rosa stretta nell’altra mano, lo avrebbe usato volentieri per dare una lezione all’agente intento a parlare con altri testimoni.
Steve riconobbe chi aveva di fronte immediatamente.
“Senta signorina, non è nelle nostre priorità-”
Kate piantò addosso all’ uomo due occhi capaci di fulminare. E dire che a ribollire d’indignazione e preoccupazione era solo il suo sguardo; il resto della sua persona era quieto, il sorriso sulle labbra sospinto dalla più genuina, mortale cordialità.
“Lo so, me lo ha già detto. Incidente con morti sulla Mulberry. Prima o poi però dovrà seguirmi e così vedrà che è successo qualcosa anche qui.”
“Ci vorrà tempo, io sono di guardia al posto di blocco.”
“Ho tutto il giorno libero.”
Ho tutto il giorno libero.
Frase tipica delle teste particolarmente dure. Frase che lo fece sogghignare nonostante non ne avesse alcuna voglia, mentre si alzava il cappuccio in testa e scivolava oltre l’agente e l’amica del cuore di Andy; avrebbe scommesso che in quel trasportino per gatti c’era Morrigan ma non poteva perdere tempo per accertarsene. Avrebbe voluto fermarsi, dire a quella ragazza chi fosse e che conosceva Andy; i più semplici istinti umani non potevano vincere, quando la battaglia si scatenava. Ma di cosa si trattava? Perché era stata presa di nuovo di mira una giovane concept designer del tutto estranea a quel mondo fatto di complotti, azioni terroristiche, spie?
Il lamento continuo e perforante delle sirene si spense quando riuscì ad entrare nel palazzo.
Un ingresso dipinto di bianco, con un pilone nel centro, decorato con i cartelli delle istruzioni anti incendio e le mappe dei percorsi d'uscita. Una scala sul fondo che saliva al primo piano, la parete di destra coperta dalle fila delle cassette della posta. L’eco di un violino proveniente da sopra.
Col cuore in gola, Steve cominciò a salire. Porte chiuse e su di esse targhette con un nome che al momento non gli serviva, finché non trovò l’unico occorrente.
Il battente piombato era spalancato su una zona soggiorno ampia, rettangolare, dominata sul fondo da un divano color prugna, quasi incastrato tra due librerie che a loro volta, sembravano averne partorite altre di più piccole: vani quadrati ricavati da assi di recupero ridipinte. Il pavimento era di vecchio parquet, coperto da un tappeto con una fantasia chintz a grossi fiori rossi.
Stava violando la casa di Andy e quello ancora peggio, era il silenzio terribile che aleggiava su un appartamento in cui ogni cosa mostrava la sorprendente personalità della sua proprietaria. Poster incorniciati, mensole colme di libri.
Alla sua destra, dopo essere entrato, sotto il piano soppalcato c'era un grosso tavolo da architetto ingombro di fogli, volumi illustrati e barattoli pieni di matite e pennelli. Il profumo del caffè era intenso e rendeva quel silenzio particolarmente denso e deprimente.
Steve lo trovò troppo forte; si guardò intorno, studiando l’ambiente con la cautela investigativa di un soldato in esplorazione e il cuore, fino a poco prima lanciato in una corsa sfrenata, si fermò.
La tazza era per terra, andata in mille pezzi. Il suo contenuto era stato in parte assorbito dalla moquette del tappeto, in parte macchiava di fresco il legno sbiancato.
Con la bocca piena di un sapore orrendo, Steve si voltò.
Porta spalancata.
Nessun segno evidente di scasso.
Una sola cosa fuori posto nell’ intimo, controllato disordine dell’ abitazione.
Il borsone della ragazza era stato gettato tra i cuscini del sofà e poté immaginare che si stesse preparando una colazione prima di sentire il campanello suonare. Forse era stata lei stessa ad aprire, convinta di trovarsi di fronte Kate, tornata per riportarle la sua gatta.
Il senso di colpa aveva orari e momenti precisi in cui colpire. Non mancò nemmeno stavolta il suo tormentoso appuntamento.
Lasciarla andare via era stato un grosso errore di valutazione e l' HYDRA si stava mostrando particolarmente avventata nell'orchestrare un rapimento in meno di dodici ore. In qualche modo, doveva essere entrata in possesso di informazioni tali da giustificare un simile rischio. Andy doveva essere stata portata via da poco tempo, con il sicuro intento di usarla come arma di ricatto contro di lui.
Il problema era che fosse riuscita nel suo intento: Steve avrebbe fatto qualsiasi cosa per salvarla e non solo perché si parlava di Captain America.

Qualunque cosa succeda domani, promettimi una cosa;devi rimanere chi sei. Non un soldato perfetto ma un uomo giusto.”

Il pensiero potesse venirle fatto del male gli mozzò il respiro; in un remoto angolo della coscienza si stava agitando una massa dilagante, pericolosa e instabile. Fu abbastanza certo di distinguere un inedito senso del possesso, in quel magma di sensazioni contraddittorie. Steve prese il proprio telefono e premuto un angolo dello schermo lucido, dovette attendere poco per veder comparire l' immagine di Tony.
“L' hanno presa.”
“Credo di sapere il perché. Torna alla base.”
Erano questi i momenti da temere: i momenti in cui persino Tony Stark dimenticava cosa fosse l'ironia.


 

*


 

West River, ore 10 a.m.


 

Andy non si accorse di quando la pioggia smise di cadere; era troppo concentrata a rimanere aggrappata alle spalle dell'uomo che l'aveva salvata e a non chiedersi perché il braccio sinistro fosse così freddo, attraverso la manica del pesante giaccone. Per qualche istante la sua mente si annebbiava; la lucidità tornava, invasiva come una spina trafitta nel cranio a ogni clacson, a ogni rumore sospetto.
Sapeva benissimo con chi stava scappando. Quegli occhi grigi erano divenuti famigliari in un modo troppo crudo perché potesse dimenticarli.
James non parlò più fino al loro arrivo alla fabbrica in vendita. La depose a terra davanti alla rete metallica che la circondava.
“Ce la fai a strisciare sotto?”
Erano le sue prime parole dopo quelle che le erano parse ore. Una voce profonda, un po' strascicata e roca. Davanti al suo sguardo interrogativo, James si piegò e alzò senza la minima fatica una porzione della rete; quel tanto che bastava per farla passare sotto a carponi.
Andy trovò saggio non fargli notare di essere a piedi nudi e coperta da una semplice maglietta e un paio di pantaloni di felpa neri. Il tutto fradicio. Senza rispondergli, si adattò a sporcarsi col fango e si risollevò non appena fu dall'altra parte.
“E tu?” gli domandò perplessa, vedendolo ancora sul lato della strada, anche quella chiusa. Questa volta toccò a lui non risponderle. Dopo qualche passo indietro, corse verso la recinzione e la scalò per saltare giù, accanto a lei, con una grazia e precisione nei movimenti da lasciarla interdetta.
“Effettivamente ho chiesto una cosa stupida” borbottò, ancora sbigottita. Si mise a seguirlo, cercando di non tagliarsi la pianta dei piedi con qualche coccio. Vedendola caracollare alle sue spalle come fosse l'azione più sensata da fare, il Soldato si fermò.
“Possibile che non hai paura?”
Gli occhi verdi della ragazza divennero due fessure. “Mi sembra ovvio ne abbia. Cambierebbe qualcosa se lo ammettessi? Quest'incubo cesserebbe?”
“Non credo.”
“Allora togliamoci il pensiero.” Andy sbuffò e cercò di darsi un po' di calore avvolgendosi il petto con le braccia. “Ho una paura fottuta, va bene? Ieri pomeriggio eri pronto ad ammazzarmi, se solo ti fossi sembrata una nemica; sono stata inseguita, mi hanno sparato addosso e stamattina, giusto per completare la mia agenda ricca d'impegni, ho inserito un rapimento!”
La voce le si spezzò. Una grossa lacrima tornò a scendere lungo la guancia destra e andò a mescolarsi al sangue secco della ferita.
“Perciò scusami se sto cercando semplicemente di tenermi insieme e non pensare al coltello sporco di sangue che hai nella fondina sulla coscia destra e a cosa potevano essere i rumori di ossa spezzate sentiti quando mi hai salvato. Affronto un trauma per volta; mi pare un ragionamento sensato!”
Era tornata a singhiozzare, manifestazione ritardata dello shock non ancora del tutto smaltito. Davanti a una simile reazione, in contrasto manifesto con le parole sentite, James non seppe cosa fare. Era sicuro ci fosse un modo giusto di procedere, in casi simili ma al momento un vuoto gorgogliante e nero gli si spalancava in testa, se solo provava a tentare di capire se c'erano frasi giuste da dire o atteggiamenti tali da offrire conforto.
Era molto probabile che un tempo li conoscesse. Adesso li aveva perduti, assieme a molto altro e non erano facili da ritrovare come i suoi ricordi.
Non replicò e si limitò a farla entrare al piano terra, sbarrando subito dopo l'ingresso.
Andy stava tremando; pregò con tutto il cuore che chiunque fosse il suo salvatore, pensasse fosse dovuto al freddo preso nell'attraversare la periferia del West Side in un giorno di tempo orrendo, attaccata al collo di un assassino. L'assassino capace di guardare Steve come fosse l'unico punto di riferimento in cui sperare per una redenzione, un perdono, un gesto d'amicizia.
Stava cominciando a sentire le dita dei piedi gelarsi; era una debolezza e in quel momento non poteva cedervi. Doveva rimanere in piedi, salire quei gradini instabili tallonando Bucky e pensare ai prossimi passi secondo dopo secondo.
Un ottimo deterrente allo sconforto era non cogitare, non chiedere, non sapere. Doveva corazzarsi come aveva imparato a fare negli anni della sua adolescenza, anche se allora aveva affrontato bulli e ragazzine presuntuose, nei peggiori dei casi.
Il primo piano dello stabile pareva essere stato distrutto dal passaggio di un uragano con il pallino della precisione: il pavimento di cemento armato era cosparso di pezzi di vecchi bancali e lastre d' acciaio deformate e dilaniate. Dalla distruzione si erano salvate solo alcune casse per l'imballaggio. Sopra c'era uno strano assortimento di oggetti: un paio di portatili, uno zaino aperto. Armi.
Pistole di cui non conosceva calibro né il nome esatto; quella che aveva tutta l'aria di una piccola mitragliatrice automatica.
“Appena avrò pensato alla tua ferita, andremo via.”
La voce del Soldato si ripresentò; lo vide andare a trafficare nello zaino ed estrarne, finalmente, cose famigliari. Un pacchetto di garze sterili, un flacone di soluzione disinfettante. Una busta sigillata trasparente con dentro un ago da sutura e una confezione di punti a farfalla. Sua madre aveva sempre rimpolpato il kit da pronto soccorso con quanto portava a casa dall' ospedale e a furia di disinfettare e fasciare le ginocchia sbucciate di una figlia incapace di non cadere dalla bici in corsa almeno una volta a settimana, Andy aveva assimilato cosa fare in situazioni d'emergenza.
“Dove?”
“Ti riporterò alla Stark Tower. E' lì che ti ho visto, stamattina.”
La schiena della ragazza venne percorsa da un brivido diaccio ben diverso da quello avvertito prima, quando era fuori al freddo, con i capelli bagnati e gli abiti incollati addosso.
Bucky, il Sergente Barnes, era stato a pochi passi da dove si trovava il suo migliore amico. O quello che un tempo era stato tale. Non aveva la più pallida idea di chi fosse davvero l'uomo che ora stava preparando una medicazione per lei, cosa aveva fatto e per conto di chi. Del sangue versato, del nulla, della neve, della violenza. Il concetto che le rimbalzò nella mente fu uno solo e sfrecciava con la velocità di un proiettile tra le ossa già fortemente provate della sua povera testa.
“Eri lì per Steve.”
Pensiero e parola stavolta non si vergognarono di procedere lungo lo stesso binario. In cambio ricevette uno sguardo truce.
“Tu non sai niente.”
“E' vero ma so come ti chiami. Lo ha detto lui, ieri pomeriggio, quando vi siete riconosciuti.”
La mano sinistra del Soldato scattò ad afferrarla per il gomito; Andy gemette, ritrovandosi in ginocchio e con gli occhi incollati su delle dita dai strani riflessi d'acciaio, visibili dai buchi sul guanto nero in corrispondenza delle nocche. Ipnotizzata, paralizzata dalla paura, si accorse che non erano riflessi.
Quello era acciaio. Vero acciaio.
Il Soldato la lasciò andare subito, ritraendosi come fosse stato tramortito. Prese ad ansimare, passandosi quella mano incredibile sulle guance ricoperte di barba.
“Scusami. Io-”
“Sono stata io a dire qualcosa di sbagliato; non scusarti.” Andy si massaggiò l'articolazione ma non fece sulla per avvicinarsi di nuovo.
“Se prometto di comportarmi bene, mi lascerai vedere come va quel taglio?”
Quella domanda non poteva ricevere in risposta dell'altra ironia. La ragazza annuì e sfoderò il miglior tentativo di sorriso a sua attuale disposizione.


 

La soluzione era fresca, aveva un sentore osceno di menta chimica mescolata ad alcol ospedaliero e sopra tutto il resto, bruciava come un dannato inferno.
Andy sentì la pelle lacerata e contusa sfrigolare al contatto con la benda ma rimase immobile, lasciando che James proseguisse nella pulizia della ferita. Teneva ancora le braccia attorno al petto ed era seduta per terra insieme a lui. La vide tremare nel lodevole tentativo di non farsi scappare nemmeno un lamento.
“Non ci sarà bisogno di punti.”
“Meno male; non sarei passata alle selezioni di Miss America in programma tra una settimana, altrimenti.”
“Devi sempre cercare di sdrammatizzare?”
Un occhio verde si aprì e lo fissò in maniera strana. Divertita.
“Se hai riconosciuto l'intento, non devi essere tanto diverso da me.”
La garza sporca di sangue venne buttata via.
“In realtà non lo so. Non ricordo molto.”
Andy avrebbe voluto stupirlo con una domanda profonda ma qualcosa di ben più profondo la vinse: un potente, sonoro starnuto. Quando riuscì a capire che i polmoni erano ancora al loro posto e non in fuga dal naso in fiamme, si accorse di qualcosa buttatole sulle spalle. Anche se era sporco, anche se era macchiato di sangue, il giaccone dell' uomo conservava l'impronta di calore del suo corpo e vi si crogiolò immediatamente.
Prima di vedere chiaramente cosa aveva nascosto indossandolo.
“Ci voleva questo, per farti rimanere senza parole?”
Per quando inzuppata in un' amarezza senza speranza, quella era una frase ironica. La ragazza pensava di aver cancellato due anni fa il significato della parola impossibile, durante la prima e si sperava unica invasione aliena di New York. Una volta di più dovette darsi della bambina sciocca e puerile.
Aveva di fronte un soldato che, stando alla Storia, doveva essere morto nell' inverno del 1944, durante la missione che portò alla cattura del più eminente scienziato dell' HYDRA, collega del famigerato Dottor Mengele*. Ammettendo fosse sopravvissuto alla caduta da un treno lanciato a folle velocità su un costone delle Alpi svizzere, avrebbe dovuto avere, Dio, quanti anni? Invece non ne dimostrava più di ventisette.
Esattamente come Steve.
Era nel pieno delle sue forze, con un corpo muscoloso, atletico, letale, vestito dalla stessa divisa intravista a Central Park.
E aveva un braccio sinistro di metallo. Quale tipo fosse, Andy non sapeva dirlo. Sembrava la riproduzione fedele di un arto umano: c'era il disegno spiccato di muscoli allenati e una fluida proporzione tra essi ma la sua pelle era composta da decine di microplacche articolate a formare spalla, avambraccio, braccio e mano. Impresso all'altezza dell'articolazione dell' omero, c'era un disegno.
Una stella a cinque punte rossa.
“Cosa...” mormorò portandosi una mano alla bocca. James avrebbe giurato che si sarebbe messa ad urlare per l'orrore e lo spavento. Per questo non si aspettò il resto della domanda.
“...Cosa ti hanno fatto?”
La pena, la pietà, la compassione racchiuse in quella voce capace di porre l'unica domanda importante, gli fecero capire che Andy aveva parlato con l'istinto, senza alcun filtro o preconcetto.
“Non te lo hanno detto?”
“No. Non posso obbligare nessuno a mettere in piazza il proprio dolore.”
“Di chi stai parlando?”
“Steve. Quando ho provato a parlargli di te, quello che gli ho letto negli occhi mi ha fatto desistere dal tentativo di sapere la verità.”
“E' sempre stato così. Ha fin troppo riserbo nell' esternare ciò che prova.”
E come faccio a saperlo? Lo so. Lo so e basta.
James ebbe l' impressione che la ragazza volesse ribattere ma all'ultimo lasciò perdere, serrando la bocca in una linea dura.
“Ho quasi finito. Potremo muoverci tra poco. Non voglio che ci trovino qui.”
“Non ti ho nemmeno ringraziato.” Andy si tirò in piedi con palese difficoltà; lei non poteva vederlo ma le labbra carnose stavano perdendo il loro sano colorito in favore di uno più livido. Troppa pioggia, non sufficiente tuttavia a cancellare le tracce di ferite ben più profonde di quelle che si potevano aprire su una guancia, una gamba.
“Lo farai se riuscirò a portarti indietro senza incidenti.”
Per proteggerla e farla arrivare sana e salva nel suo rifugio, il Soldato aveva dovuto rinunciare all'attenzione maniacale con cui solitamente si muoveva. Sapeva quanto era stato azzardato rendersi responsabile di un'altra persona ma non aveva potuto agire diversamente.
Posso anche proteggere. Devo credere di poterlo fare.
Andy si mise a saltellare sul posto.
“Questo servirebbe a...?”
“Non morire assiderati. Non vorrai avere un ostaggio morto.”Ogni saltello era meno preciso. Più faticoso. La ragazza stava male e ancora non se n'era accorta. Fosse sempre benedetta l'adrenalina.
“Tecnicamente, non sei mia prigioniera.”
“Giusto. Mi hai salvato. Sicuramente è stato il rapimento più veloce della storia dell' umanità.”
“...Ne ho risolti di più rapidi.”
“Ho la netta sensazione di non voler sapere di cosa parli.”
La sensazione era giusta.
“Te la senti?”
Per tutta risposta, Andy gli restituì la giacca. James si corrucciò. “Credo di sopportare il freddo meglio di te.”
Quanta verità in una risposta piccata.
“Ne sono certissima. Tuttavia, credo sarà difficile far passare il tuo braccio per un travestimento di Halloween in anticipo agli occhi della Polizia di New York.”


 

*



Stark Tower, ore 12.00 a.m.


 

“E' stata tutta colpa mia.”
“Pepper, non dire così.”
“Sono stata io a insistere perché tornasse a casa in auto!”
“Non sarebbe cambiato nulla.”
“Non sei troppo duro con la tua fidanzata?”
“E tu non sei troppo ingenuo? Se volevano rapirla, e ora sappiamo che lo volevano fare a ogni costo, l'avrebbero aspettata anche di ritorno con la metro.”
La scoperta di una spia del nemico proprio nell' unico posto che Steve poteva chiamare “Quartier Generale”, aveva gettato quel nucleo di sopravvissuti a vario titolo in una depressione più profonda di quanto ciascuno desse a vedere.
Erano passate poche ore dalla sparizione di Andy e tutti i telegiornali parlavano del caos generato da un incidente avvenuto nei pressi di Lafayette Street, il cuore di SoHo. Era rimasto coinvolto un furgone e le testimonianze parlavano di tre morti e un uomo misterioso, con un cappello da baseball, capace di bloccare un mezzo in movimento a mani nude. Jarvis stava lavorando sui filmati acquisiti dalle telecamere dislocate lungo la strada; squadre sotto la sovritendenza di Happy Hogan avevano impedito di far correre Steve a perlustrare New York palmo a palmo pur di ritrovare la ragazza.
“Ci servi qui, vecchia roccia. Non vorrai cadere nella loro trappola come si aspettano.”
Tony era stato il primo a capire i veri intenti dell' HYDRA e anche solo per il gusto di non cedere, avrebbe fatto l'impossibile per frustrarli e vanificarli. Steve si era dovuto arrendere dopo una nuova, accesa discussione, che ora lo aveva lasciato seduto da solo in un angolo dell'attico.
Lo fece scattare in piedi lo strillo di una sirena e la voce di Jarvis che annunciava un' intrusione nei parcheggi sotterranei privati del grattacielo.
“Qualcuno ha oltrepassato i controlli posti alla rampa d' ingresso, signore.”
“Ha bypassato il riconoscimento facciale?”
“Credo sia più giusto dire che lo hanno distrutto; un gruppo di agenti della Sicurezza li ha circondati.”
Steve spalancò gli occhi. “Li ha circondati?”
Senza che nessuno glielo ordinasse, il sistema operativo mostrò a tutti cosa stava accadendo nei sotterranei.
L'uomo aveva il volto nascosto da un cappello con visiera e le mani in alto. Il volto impassibile e smunto era sereno.
Al suo fianco, c'era una ragazza.
Il cuore di Steve tornò a battere nel riconoscerla.
Scarmigliata, coi capelli bagnati e i vestiti sporchi di fango, un cerotto in fronte, c'era Andy e si teneva appoggiata all'ultima persona che avrebbe pensato di vedere con lei.
“Beh, che aspetti? Non mi piacerebbe vedere miei dipendenti fatti a pezzi dal Soldato d' Inverno.”
“Ti odio, quando hai ragione.”
Tony si finse molto rammaricato. “Quindi sempre. Sopravviverò; anche se so che non puoi fare a meno di me.”
Il Capitano sbuffò una risata nervosa e sparì oltre le porte dell' ascensore.

 


 

Angolo (tetro e buio) dell' autrice:
* Nel MCU (Marvel Cinematic Universe) la Seconda Guerra Mondiale e la lotta al regime nazista viene volutamente accennata, dando all' HYDRA il ruolo principale di antagonisti. Non viene mai esplicitata una connessione tra Mengele e Zola ma è più che plausibile ipotizzarla, specie alla luce del fatto che entrambi usino i prigionieri come cavie per i loro esperimenti. Come è plausibile che la cattura di Bucky e degli altri soldati sia avvenuta durante una battaglia tra Alleati ed esercito tedesco, che poi ha vinto grazie all' arrivo di un contingente inviato dal Teschio Rosso.
So che questa nota è più seria di molte altre ma credo sia giusto ricordare, anche solo in una semplice fan fiction, cosa è stato quel conflitto e cosa sia stato fatto in nome dell' ideologia nazista.
Come sempre, non dimentico di ringraziare tutti i miei lettori e chi, con tanto entusiasmo, mi fa sapere con le loro recensioni cosa pensa di "The List".
A venerdì prossimo!
Maddalena.










 


 


 


 

 

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Capitolo 18
*** 15 ***


15
 
“Era proprio necessario?”
“Dubito che qui abbiano un comune campanello sulla porta da suonare.”
“Hai modi...peculiari, per avvisare del tuo arrivo.”
Andy fissò la guardiola ora vuota; fino a pochi istanti prima c'erano state due guardie di sicurezza, ora messe in fuga dal loro arrivo. Anche lei avrebbe fatto lo stesso, di fronte a qualcuno che invece d'identificarsi come richiesto, aveva sferrato un pugno alla colonnina per il riconoscimento facciale di chi voleva usufruire del parcheggio privato della Stark Tower, distruggendola.
“Dobbiamo arrivare agli ascensori.”
“Lo sai, vero, che ci bloccheranno prima?”
James la fissò. Di sorridere ancora non se ne parlava ma gli occhi grigio-azzurri ora erano più limpidi ed espressivi.
“E' esattamente quello che voglio.”
L' afferrò per la mano destra ma la loro corsa durò poco; Andy, ancora scalza, non poteva reggere il suo ritmo e la ferita al ginocchio non aiutava.
“Scusami. Sono sempre stata una schiappa nella corsa.”
“Fermi!”
Il tonfo ritmico e serrato di decine di suole chiodate. Il rumore secco di alcune pistole che venivano armate. Andy fece appena in tempo a osservare dal vivo l’efficienza di una pattuglia armata che si disponeva in cerchio attorno a loro; il Soldato scartò di lato e si mise davanti a lei, dandole le spalle e alzando le mani nel gesto universale di resa.
“Ho ricordato adesso di aver lasciato il mio badge a casa” esalò una vocina imbarazzata dietro di lui.
Anche se la sentiva tremare contro la sua schiena, James trattenne qualcosa di molto simile a uno sbuffo divertito, dietro le labbra serrate in una linea dura. Gli ricordava un altro modo di fare, l’uso di battute nei momenti meno adatti; sperò il suo proprietario si palesasse prima che qualche genio desideroso di gloria provasse a sparargli.
“Lascia andare la ragazza!” intimò uno degli uomini schierati.
James inarcò il sopraciglio destro e voltò molto lentamente il capo verso di lei. “Non mi sembra di averti legata.”
“Non spaccare il capello in quattro. Credo sia la frase standard riservata a casi simili.”
“Vai, allora.”
Andy si premette maggiormente contro di lui. “Nemmeno per sogno. Se io mi allontano, loro non avrebbero più scuse per non farti del male.”
Era semplicemente impossibile credere a una simile affermazione; lui, bisognoso della difesa data da qualcuno già ferito, reduce da un rapimento e assolutamente a digiuno di qualsiasi tecnica di attacco? Lo stupore divenne rabbia nel sentire la mano della ragazza arpionarsi al suo giaccone, a dirgli di non pensarci nemmeno di provare a dissuaderla.
“Che diav-”
“Bucky!”
Era questo, quello che entrambi stavano aspettando. Quel nome, pronunciato da quella voce.
Correndo, Steve irruppe dalla salita. “Abbassate le armi!”
Era un ordine e se a darlo era Captain America, capace di trasmettere autorità anche in abiti civili e senza scudo, si doveva obbedire.
“E’ sicuro, Capitano? E’ una violazione del nuovo protocollo di sicurezza.”provò a protestare il superiore di grado a comando del drappello.
“Loro sono sotto la mia responsabilità. Entrambi. Rompete le righe.”
Sapeva di non essere solo; le telecamere di Jarvis stavano sicuramente trasmettendo le immagini a Tony. Non si mosse fino a quando il campo non fu libero e rimasero solo in tre: lui, Andy e Bucky.
Nell'aria c'era odore di pneumatico e chiuso. La luce a led rendeva le pareti di cemento fredde e aliene, come fossero in grado di assorbire lo scorrere del tempo e qualsiasi rumore, tranne il battito forsennato del cuore di Steve. Spostò lo sguardo dal Soldato alla ragazza, incapace di tenerlo fermo.
Se quello era un sogno o una beffarda illusione, sperò durasse il più possibile. Mosse un passo verso di loro e non li vide svanire.
“Devo dire che sono stato ricevuto in modi più civili.”
Quanto era stato perseguitato, nei suoi incubi, nel film eterno proiettato nella sua testa dal rimorso, dal sarcasmo dissacrante e allegro del Sergente Barnes? Cosa aveva promesso in cambio per avere la prova che ne possedesse ancora?
“Scommetto che dalle altri parti non ti presentavi distruggendo un dispositivo di sicurezza da migliaia di dollari.”
“Se il figlio di Howard vale la metà del padre, sono certo ne inventerà uno nuovo entro stasera.”
Il Soldato sapeva dove si trovava e chi vi abitava. Teneva ancora le mani in alto bene in vista ma gli aveva risposto senza alcun timore. La voce era troppo roca e strascicata per essere quella di Bucky ma il suo modo di fare pareva un miracolo lasciato intatto dalla neve.
Andy stava osservando la scena da dietro il confortevole e solido rifugio costituito dal corpo del suo salvatore. Se avesse potuto, avrebbe artigliato maggiormente la stoffa del suo giaccone sdrucito per sfogare parte della pesantissima tensione che le stava bloccando i muscoli e rendendo il respiro un sibilo. Ci volle qualche secondo perché capisse il motivo di tanta agitazione.
Stava pregando.
 Pregava perché quel momento perfetto si consumasse come era giusto che fosse; non conosceva tutta la verità ma non le importava più saperla, perché chiunque fosse stato al suo posto avrebbe avvertito il reale significato di quanto stava accadendo. Era un appuntamento di due amici e insieme una rivincita sul destino che li aveva divisi in ogni modo possibile; il vorticare di un oceano immane che precipitava a riempire il vuoto di settant’ anni e chissà quanti significati aveva assunto quel vuoto.
All'improvviso, al posto della schiena del Soldato si ritrovò davanti il suo petto; si era girato verso di lei. Con uno scatto, alzò il viso arrossato per fronteggiarlo. Le posò una mano sulla spalla, un gesto protettivo per quanto un po’ brusco e tornò a rivolgersi a Steve.
“Te l'ho riportata.”
Ti ho trovato, Steve.
“Solo tu avresti potuto farlo.”
Ciao, Buck.
“Bene, allora-”
Per la seconda volta, la ragazza sembrò aver messo radici nel terreno. James aggrottò la fronte, chiedendole con un'occhiata interrogativa quale fosse il dannato problema, ora.
“Non avrai paura di lui!” le mormorò esasperato.
Se fosse stata libera di rispondere sinceramente, Andy gli avrebbe sbottato a muso duro che sì, ora aveva decisamente paura di Steve. Steve, così bello e rassicurante, così commosso in quel momento e che se la ritrovava davanti in una versione “pulcino bagnato” decisamente poco attraente.
Il modo in cui lanciò uno sguardo carico di vergogna verso il Capitano fece capire a James ben più di una cosa. Ed erano tutte incredibili; come poteva riconoscerle dopo anni, decenni, in cui la sua psiche era stata torturata e deviata a tal punto da annullare ogni sentimento umano, ogni traccia di empatia?
Riguardano tutte Steve, ecco perché. Quando mai mi sono sbagliato su di lui?
Chissà se lui poteva ricambiare. Temette che per saperlo ci fosse un modo solo.
 Con un moto di finta stizza, spintonò Andy, incitandola a smettere di comportarsi come una bambina.
“Va tutto bene, Andy.”
Solo Steve Rogers poteva possedere l' innata capacità di dire la verità in modo che chiunque ci potesse credere; tese la destra verso di lei, come fosse la reazione più normale del mondo e accolse l' abbraccio disperato, liberatorio, sfinito della ragazza come non aspettasse altro e non potesse fare altrimenti.
 
Andy realizzò dove si trovava qualche secondo dopo. O qualche eternità dopo.
Si staccò da Steve sussultando e balbettando una serie infinite di scuse, che non vennero registrate e nemmeno valutate come importanti.
Non poteva credere di essere andata in corto circuito in un modo tanto puerile. Aveva solo avvertito il bisogno estremo di sentirsi al sicuro ma c'erano miliardi di altri modi per avere quella certezza ed era sicurissima nessuno contemplasse uno scenario in cui lei si buttava a peso morto tra le braccia di Captain America. Braccia forti, protettive-
Basta, ti prego!
Avrebbe voluto morire; si era lasciata andare con a pochi metri il miglior amico ritrovato di Steve e aspettò in silenzio una battuta pesante che non arrivò mai.
“Siamo attesi dal padrone di casa.”
“Siamo?” ripeté il Soldato, tornando a inarcare dubbioso il sopraciglio destro. Possibile stesse davvero fingendo di non aver visto niente? Se era davvero così, Andy si disse che poteva essere un assassino efferato ma dotato della più sorprendente faccia da schiaffi del mondo.
“Certo, anche tu Bucky.”
“Nessuna prigione di massima sicurezza?”
“Non al momento.”
Steve continuava a parlare con un tono cauto, paziente; il ripetersi costantemente che quella normalità poteva finire da un momento all' altro era una protezione e un incantesimo insieme; per quante volte si fosse figurato come sarebbe stato il loro incontro con Bucky finalmente pronto ad accettare chi fosse, tutte le ipotesi fatte si erano sbriciolate nell’ attimo in cui aveva visto nel monitor di Jarvis proprio lui, colui che aveva chiamato fratello, così vicino e con Andy accanto. Era stato lui a salvarla e non sapeva quanto giusto fosse ringraziarlo e con quale trasporto; si sentiva intossicato dal profumo della pioggia avvertito sulla pelle e sui vestiti della ragazza e provava nostalgia, pensando di non avere più la sua fronte posata all'altezza del cuore. Sì, era inzaccherata di fango ma questo non toglieva nulla alla gioia provata nel poterla vedere ancora. Con la concreta possibilità di abbracciarla, ancora.
Schiarendosi la voce, Steve li guidò in silenzio verso l' ascensore e premette il bottone di chiamata.
Prima stava pensando a ipotesi divenute polvere. A questa, la quale prevedeva uno spazio ristretto, una ragazza bisognosa di aiuto e ora chiusa in un mutismo evidente quanto il suo dilagante rossore e Bucky con gli occhi fissi sul pannello di radica davanti a lui, non sarebbe potuto arrivare nemmeno dopo una notte insonne trascorsa a congetturare, alternando ricostruzioni fantasiose debordanti ingenuità a incubi e sogni impossibili.
Ora cosa doveva fare?
Steve aveva perso il conto di quante volte si era fatto quella domanda e di come le risposte date fossero sempre state sbagliate.
Aveva scoperto l’identità segreta del Soldato d’ Inverno e aveva deciso di combatterlo fino alla morte, fosse stato necessario.
E hai perso.
Era tornato da solo a New York per trovare le forze di condurre una battaglia senza coinvolgere nessun altro.
E hai conosciuto chi ti ha detto che così non puoi andare avanti.
Nel silenzio irreale che sembrava aver sostituito l’aria presente nell’ascensore, lanciò un’occhiata di sottecchi alla testa bruna di Andy. Nemmeno stavolta trovò le parole giuste da dirle o il modo migliore per indagare sul perché prima fosse rimasta tanto sconvolta dopo essersi stretta a lui.
  Il viaggio più lungo e più breve del mondo si concluse con un soffice scampanellio e il lieve risucchio delle porte scorrevoli.
L' attico di Stark era percorso da una musica lieve, tenuta a basso volume.
In corretta posizione di tiro, c'era Maria Hill. La sua semi automatica era puntata sulla testa del Soldato d' Inverno. Dietro di lei c'erano Tony e Pepper.
“E' davvero necessario?” domandò Steve con durezza.
“Se non lo disarmerai tu ci penserò io” ribatté la donna con l'aria di chi non vedeva l'ora di mostrare tutta la rudezza possibile nei confronti di chi stava minacciando con una pistola.
I passi di James non avevano peso. Si portò davanti a tutti, piantando sull' ex agente uno sguardo truce, stemperato solo da ciò che disse.
“Steve, deve andare così. Persino io so leggere la parola “fine”, quando viene scritta.”
Senza battere ciglio, portò la mano destra alla fondina sulla coscia e ne estrasse il pugnale. L'arma cadde con un tonfo sordo sul pavimento tirato a lucido.
“Potete procedere ma prima ricordatevi che c'è uno ostaggio di cui prendersi cura.”
Andy trattenne a stento un singhiozzo. Mentre tutti sembravano essersi dimenticati di lei, l'unico a ricordare cosa aveva passato era l'uomo che per liberarla non si era fatto scrupolo a uccidere i suoi tre rapitori.
*
“Natasha.”
“Un attimo; non è così semplice.”
“Detesto dirtelo ma non ce lo abbiamo, un attimo.”
La Vedova Nera imprecò sottovoce e continuò ad addentrarsi nella cripta, illuminando con la sua torcia le file di torri nere dei server seppelliti nel cuore di Temple Church. A colpirla di nuovo fu la pulizia di quel luogo; sicuramente qualcuno si recava regolarmente sotto la tomba di Guglielmo il Maresciallo per occuparsi della manutenzione.
Sul fondo della sala, la donna trovò un'altra porta blindata.
“Ti dispiacerebbe spiegarmi esattamente cosa ti sta affascinando tanto?” La voce di Clint irruppe infastidita dal suo auricolare, nascosto dai capelli sciolti.
“Qui c'è un'enorme banca dati. Abbiamo trovato la prova che l' HYDRA dispone di una Rete parallela; dieci a zero che la loro banda di trasmissione non è rilevabile nemmeno via satellite.”
Si fermò davanti a uno dei pannelli e ne sfiorò uno dei cavi. “Questi sono server. E sono pronta a scommettere siano dotati del miglior servizio di sicurezza reperibile.”
“Più inaccessibile di quello che hai bypassato per scoprire l' Algoritmo di Zola?”
“Vedo che qualcuno si è informato.”
“Avevo parecchio tempo libero, mentre aspettavo di sapere quali dei miei amici erano ancora vivi.”
“Scendi, mamma chioccia.”
Occhio di Falco controllò che la Round Church fosse effettivamente ancora sgombra. Si chinò rapidamente per terra, lasciandovi una minuscola scatola nera e scese i gradini a ritroso, fino a quando il buio non lo avvolse.
“Cazzo.” mormorò non appena la sua vista si adattò all' oscurità refrigerata di quella che a tutti gli effetti era una base segreta.
“Ottima sintesi.”
“Hai già aperto anche l'altra porta?”
Fu questione di pochi attimi e di un secondo teser. L'attraversarono insieme, armi in pugno, spalla a spalla in modo da coprire tutti i punti di possibile attacco.
La luce delle Maglite illuminò una serie di strutture che parvero emergere lentamente da un incubo, simili a enormi ragni. Natasha sbarrò gli occhi e non si mosse più.
Al centro della stanza, ricoperta di piastrelle di ceramica e con delle grate rotonde per lo scolo dei liquidi poste a intervalli regolari nel pavimento, c'erano due lettini operatori, sormontati da un impianto luci ora spento. Due unità per la rianimazione giacevano immacolate, pronte all'uso all' angolo opposto e non mancavano i carrelli coperti da panni sterili, questi sì mimetizzati da almeno due dita di polvere.
Tutto era pronto per accogliere un' operazione: non mancava nemmeno una parte di parete attrezzata per la lettura di radiografie.
In corrispondenza della parte superiore dei lettini, erano state installati dei complessi macchinari dotati di caschi con elettrodi.
“Nat?”
Ho freddo.
“Nat!”
Non mi manipolerai ancora, razza di bastardo!
“Natasha!”
Finalmente le palpebre batterono di nuovo. Si scosse bruscamente e senza aspettare altre sollecitazioni da parte del compagno, si diresse verso uno dei carrelli e strappò via il telo che lo copriva. La polvere si alzò ma non quel tanto che bastava per impedirle di vedere le piastre munite di micro aghi ipodermici a cui erano collegati degli alimentatori.
“Qui manca qualcosa” sussurrò.
“Qualunque essa sia, è sparita da un pezzo. Questo posto non viene usato da mesi.”
“Forse non serve più ma se non lo hanno smantellato, è perché pensano potrebbe tornare utile.”
Perplesso, Clint osservò Natasha che si aggirava febbrile tra le strumentazioni mediche. Si arrestò solo davanti a un altro supporto. “Ciò che manca era appoggiato qui.”
“Come fai a dirlo?”
“Guarda” lo invitò con un cenno della mano, prima di afferrare un cavo di trasmissione. “Questo ha un attacco identico a quello principale dei caschi.”
“Ho capito.”
Clint si arrischiò a rinfoderare la pistola; prese da una tasca del suo giubbotto una piccola macchina fotografica ma invece di scattare a ripetizione, mosse l'inquadratura tutto intorno, catturando l'intera camera in una lunga e dettagliata serie di frame.
“Cosa pensi di fare col server?”
“Mi ci vorrebbe tempo per spacchettare il sistema centrale e capire se posso infettarlo con un nostro virus.”
Mentre Clint continuava il suo lavoro di documentazione, Natasha si accucciò accanto a una delle grate, esaminandola. Provò ad annusare l'aria ma non era un riscontro sufficiente per dare un corpo ai fantasmi che prima le avevano gelato il sangue. Prese il kit di rilevamento, osservando la scatoletta dove era contenuto: durante il suo addestramento le erano state impartite nozioni di criminologia forense ma non si era mai trovata ad applicarle in un luogo senza corpi da identificare, per segnalare una missione portata correttamente a termine o anomalie nel procedimento. Estrasse il tampone e lo passò tra i fori; si chiese quando e come avrebbe potuto farlo analizzare, ora che lo SHIELD non aveva più strutture di appoggio o basi degne di quel nome e anche il motivo di uno strumento tanto rudimentale, quando le squadre scientifiche di mezzo mondo disponevano di test istantanei per il riconoscimento di tracce organiche da effettuarsi sul posto.
Solitamente non sei tu a fare il noioso lavoro dei laboratori. Tu immergi le mani nelle viscere ancora calde dei lavori che nessuno vuole fare.
“Dovresti provare a lasciare qui qualcuno dei tuoi giocattoli per un tentativo a distanza.” provò a suggerirle Clint.
“La Honourable Society of the Inner Temple lo troverebbe subito. Altro che riti notturni di ricchi adepti, qui onorano un mostro a nove teste ancora vivo.”
“E' questo ad averti spaventato, prima?”
La domanda rimase senza risposta.
Il congegno di allarme lasciato nella parte superiore della Round Church mandò un segnale in bassa frequenza al trasmettitore auricolare di Occhio di Falco.
Erano arrivati degli ospiti sgraditi a quella festa a sorpresa.
*
Il Dottor Scott, uno dei medici privati che prestava servizio nell' infermeria della Stark Tower, era abituato da anni a ricevere sorprese; gli era stato espressamente chiesto se fosse un tipo impressionabile, durante il suo colloquio di lavoro come responsabile del team medico messo a disposizione degli scienziati coinvolti nei progetti della sezione “Ricerca e Sviluppo” della Stark Industries.
Questo fu il motivo per cui non fece una piega quando la signorina Martin tornò a trovarlo nel suo studio, sporca e ancora zuppa di pioggia, chiaramente alle prese con uno shock post-traumatico in corso e i piedi nudi. Era stata scortata alla visita di controllo da Pepper, che rimase con lei per tutto il tempo necessario.
Il Soldato d' Inverno, il Sergente Barnes, aveva fatto notare quello che tutti avevano accantonato a causa della sua comparsa in scena: c'era una ragazza reduce da un rapimento, con sulle spalle alcune ore passate a scappare con lui in una New York flagellata dal maltempo; era il minimo che ora qualcuno si occupasse della sua incolumità e senza errori, questa volta.
La ferita sulla tempia si rivelò poco più di un graffio e la fasciatura al ginocchio destro aveva resistito egregiamente alle condizioni più estreme. Andy fu congedata dopo una somministrazione di antibiotici e un bronco dilatatore.
“Per scongiurare la bronchite”, le era stato detto con tatto.
Adesso si ritrovava di nuovo nella camera da letto salutata soltanto poche ore prima.
“Devi farti una doccia bollente.” Pepper sapeva essere comprensiva senza essere invadente. “Vedrò di trovarti degli abiti di ricambio, non ci vorrà molto per tornare in forma.”
Era una bugia a cui era confortante credere; per bisogno, per illusione. Era stata pronunciata con piena consapevolezza e ascoltata con altrettanta lucidità. Andy era grata per quell' ennesima gentilezza ma non se la sentì di proseguire oltre con una farsa.
“Ora cosa succederà?” domandò mostrando finalmente il suo smarrimento.
Prima di risponderle, Pepper prese tempo; andò in bagno e dopo aver controllato ci fosse tutto l' occorrente per la loro ospite, ne uscì con la risposta giusta. Quella che non si poteva più rimandare.
“Non potrai tornare a casa; c'è stata una talpa, ha fatto sapere a qualcuno che hai passato la notte qui; ti devono aver considerato più importante del previsto.”
“Per cosa?”
“Non lo so, Andy. Tony sta ancora indagando.”
La ragazza chinò il capo e si sedette sul fondo del letto. Un primo colpo di tosse le rese evidente ciò che il medico aveva temuto ma non poteva alzarsi, togliersi quegli abiti ormai inservibili e sperare nel miracolo di un po' di acqua calda.
Kate doveva essere sull'orlo di un collasso d'ansia; se era già tornata a casa sua e l'aveva trovata vuota, con la porta spalancata e una tazza di caffè distrutta a terra nel soggiorno, doveva essersi allarmata subito. Sicuramente non si era fatta scrupolo a chiamare la sua famiglia, a Long Island e poteva solo immaginare l'angoscia dei genitori manifestarsi quando avrebbero realizzato di non poter avere notizie dalla loro figlia maggiore; avrebbero chiamato il suo cellulare, rimasto a SoHo e poi fatto lo stesso con Nicholas, con ogni suo amico. Persino con Robert, che si erano rifiutati di vedere ulteriormente dopo la rottura tra loro due.
“La mia famiglia morirà di preoccupazione” pigolò stringendosi sempre di più nelle spalle “ e cosa dirò al mio editore?”
Era uno stupido arrovellarsi ma quelle ultime parole spezzarono gli argini faticosamente eretti per fronteggiare un sequestro, la vista della morte, chi con quella morte l'aveva liberata e salvata.
Il suo lavoro era sempre stata l'estrema ancora di salvezza. Il punto fermo a cui aggrapparsi per non credere che la vita fosse stata un' inutile corsa con nessun premio in cambio. Disegnare, creare, immaginare erano state distrazioni solo di nome, permettendole di osservare la realtà sotto prospettive inedite e farle rendere conto come ogni fonte di dolore, rabbia e frustrazione potevano costituire un carburante da bruciare per alimentare la nuova spinta occorrente ad alzarsi.
Forse, adesso, le riserve erano finite.
“Si aspettava le mie tavole in consegna. Era un progetto importante, non posso non completarlo!”
La voce si era fatta acuta per mascherare un singhiozzo. Qualcuno si sedette accanto a lei e le posò una mano sulla spalla.
“No! Ti sporcherò il vestito-”
“Piantala, Andy.” Pepper fu severa. Categorica.
“In questi casi, si dice sempre: “So cosa provi”. Non importa se non mi crederai ma ti dirò che lo so. Ci sono passata molte volte, da quando ho deciso di non poter più fare a meno di un uomo impossibile, egocentrico, coraggioso e sincero.”
L'uomo che era Iron Man. Quello che si era caricato sulle spalle una testata nucleare ed era volato dentro un buco spazio-dimensionale ben sapendo di avere molto meno della sola, classica, unica possibilità per tornare indietro; se ricordava la sera in cui Tony le aveva raccontato com’ era andata realmente prima della disattivazione del Tesserakt e la chiusura del portale, Pepper tremava ancora ma la paura non avrebbe mai  vinto sulla risoluzione e l'orgoglio di essere accanto a lui, di vivere con lui.
  Essere insieme parte e motivo di un cambiamento e non poteva essere diversamente, visto che era stata la prima a vedere oltre il troppo alcol, le manie di protagonismo spesso sconfinanti in atteggiamenti autolesionistici e  dire al mondo che Anthony Edward Stark aveva un vero cuore.
“Quello che ti sta accadendo potrà sembrare senza senso, persino ingiusto ma non più tardi di ieri sera non ti sei fatta scrupolo a zittire due tra le persone più forti e indisponenti che conosco. Hai la forza per resistere a tutto questo; sei persino tornata qui con il Soldato d' Inverno!”
“...Il Soldato d' Inverno?”
Pepper contemplò in silenzio la gaffe appena compiuta, con tutto il compiacimento da riservarsi per aver arbitrariamente deciso di farla.
“Ti chiedo solo di avere ancora fiducia in noi, Andy. L'hai già dimostrata, non smettere adesso e ti prometto avrai tutte le risposte che cerchi.”
Due immensi occhi verdi, ancora arrossati e lucidi, si posarono su di lei.
Adesso capiva i motivi per cui  una donna così comprensiva, intelligente, profonda potesse amare qualcuno come Iron Man.
La gratitudine, la lusinga: non c'entrava niente di tutto questo nel loro rapporto. Gli schemi convenzionali erano saltati nel caso di Tony Stark e Pepper Potts ed era giusto si fossero scoperti perfetti l’uno per l’altra dopo anni passati tanto vicini da sfiorarsi.
“Sai che l’avete” rispose la ragazza mora, sbuffando un sorriso tremulo.
  Per la prima volta dopo anni, Andy lasciò che un' invidia positiva le mordesse la coscienza e la cullasse insieme con una verità semplicissima e difficile insieme: avrebbe voluto anche lei un legame simile con qualcuno. Forse lo meritava.


“Ora cosa succederà?”
A quanto sembrava, il compito di spezzare la muta tensione stipata in un elegante appartamento con vista panoramica su Manhattan, toccava a chi non aveva mai parlato molto per diversi anni.
“La tua fedina penale farebbe imbarazzare quella del capo di Al Quaeda, fosse ancora vivo” cominciò Tony, intento a girare tra le mani il coltello del Soldato d' Inverno “ma qualcuno che non si vuole scrostare da te di un millimetro mi direbbe di pensare alle circostanze attenuanti presenti nel tuo caso.”
Si allontanò dal centro del soggiorno e andò a posare l'arma ancora insanguinata su un fascicolo che Steve riconobbe subito. Non si era mai accorto della sua presenza tra le decine di carte e progetti affastellati sul tavolo di lavoro di Stark.
“Il problema è che devo dare ragione un' altra volta al Capitano. Rogie, stai per diventare più irritante di me.”
A quanto sembrava, la tendenza alla battuta dissacrante era una parte del patrimonio genetico di quella famiglia. Più ne fissava il figlio, più James si rendeva conto di quanto somigliasse ad Howard. La vergogna tornò a stillare veleno e pece rovente; colò vischiosa sulle piaghe ancora fresche della sua ritrovata coscienza.
Erano stati altri a uccidere i coniugi Stark ma non avrebbe mai rinunciato alla colpa, ora che aveva scoperto di poterne provare. Lui non era forse la mano armata di quegli assassini? Poteva accampare giustificazioni? Pretendere sconti?
“Non so se tu abbia mai avuto occasione di leggere queste carte” proseguì l’uomo. Se aveva notato come aveva abbassato il capo, non lo diede a vedere. “Hanno documentato dettagliatamente il progetto da cui sei nato e l' HYDRA ha da sempre un debole per i film vietati ai minori di diciotto anni dove si prevedono torture fisiche e psicologiche. Era disposta a girarne molti altri, se avesse trovato i giusti protagonisti da testare.”
“Questo non me lo avevi detto” protestò Steve, alzando il viso di scatto.
“Ci vogliono le occasioni giuste, per certe rivelazioni.”
“Allora rispondi alla mia prima domanda.”
Uno sguardo grigio, fosco si scontrò senza timore con quello brillante, smaliziato di Tony.
“Dovrei denunciare alle autorità competenti che sei ancora vivo. Scommetto che a Washington ci sono schiere di senatori in fervente attesa della lieta novella. Ma se lo facessi, saremmo di nuovo al punto di partenza.”
Il milionario lasciò perdere il faldone e attivò uno degli schermi di Jarvis. Il logo rosso sangue dell' HYDRA lampeggiò sui loro volti; Steve dovette bloccare James prima si scagliasse contro una semplice proiezione virtuale e lasciarlo non appena l' amico di un tempo si divincolò da un contatto arrivato troppo presto e senza preparazione.
Sai che sarà terribile. Vacci piano.
“A quanto pare, vogliamo tutti la stessa cosa” gongolò Tony. Prima che Maria lo potesse fermare, andò a piazzarsi proprio davanti al Soldato d' Inverno. Il suo sorriso era pericoloso, nella sua distratta cortesia.
“Il mio patto è questo, Sergente Barnes: ti verrà offerta ospitalità e rifugio, più l'unico vero amico su cui puoi contare. Se ci darai una mano ad annientare il cuore di quella bestiolina pluri-cefala, farò in modo che la Corte Suprema degli Stati Uniti non ti mandi a morire senza processo, creando un clamoroso precedente nella sua storia democratica.”
James non ci mise molto a scegliere.
Dietro di lui si stendeva un passato fatto di steppe innevate, senza nulla a cui tornare. Davanti c'era la possibilità di vedere cosa poteva riavere di quanto aveva perso. Davanti c'erano due uomini dai motivi assai diversi per volerlo come alleato ma non poteva ignorare che uno dei due fosse l'unico disposto a schierarsi con lui, sempre.
“Accetto” proclamò. Strinse la mano di Stark ma gli occhi che cercò furono quelli di Steve.
“Ora che abbiamo sistemato le questioni più superflue, occupiamoci di quelle serie. Capitano, vuoi andare ad accertarti che la nostra Dama Luthien stia bene?”
Anche se James non aveva la più pallida idea si trattasse del nome della figlia dell' ultimo Re di un perduto reame elfico, capì si stava parlando di Andy.
Dovette ricorrere a tutta la freddezza del Soldato per non sogghignare apertamente davanti alle guance rosse del suo amico ritrovato; aveva il sospetto che Steve sarebbe stato pronto ad ammazzarlo sul serio se lo avesse scoperto.


*


“La squadra non ha dato più segnali.”
L’uomo era seduto su una delle panchine di Central Park. Aveva smesso di piovere da poco, l’aria era densa di umidità e i suoni della città sembravano resi liquidi dall’acqua caduta in abbondanza. Il suo interlocutore era seduto dietro di lui, dandogli le spalle.
“Un branco di idioti. Speravano di far bella figura.”
“Ora cosa facciamo?”
“Avvisiamo i Supervisori. Se questa cellula ha fallito, dovremo chiamare in gioco calibri maggiori.”
Un palmare di ultima generazione finì nella tasca di un impermeabile.
“Pensi che ora vorranno uccidere anche lui?”
“Probabile. Ma prima faranno la stessa cosa che hanno in mente per il Capitano.”
“Ovvero?”
“Troveranno di che mantenere in vita il progetto del Soldato Perfetto. Se ne possono sempre creare altri, persi i primi.”
 
Angolo (tetro e buio) dell' autrice:
Persino io so leggere la parola “fine”, quando viene scritta.
Il giorno in cui stavo finendo questo capitolo, è venuto a mancare uno degli scrittori a cui devo molto. Rileggo i suoi libri periodicamente, stupendomi di come riuscisse a rendere vivi i suoi personaggi e facendomi sentire vicini anche quelli più oscuri. Giorgio Faletti mi mancherà moltissimo e la notizia della sua morte mi ha addolorato come fosse stata quella di una persona cara, conosciuta tramite le sue parole. Ho voluto citarlo, facendo dire a Bucky una delle frasi di Nessuno, protagonista di "Io uccido".
Lo so, non siete abituati a note così serie e per di più, sono anche indietro con le risposte alle recensioni. Chiedo umilmente perdono, appena potrò risponderò a tutti! Per la prossima settimana, è possibile che l'aggiornamento slitti verso la sera di venerdì. Tutto dipenderà dalle mie condizioni fisiche e mentali dopo tre giorni nella mia amatissima Londra.
Una cosa però non dimenticherò di fare: dirvi ancora grazie, dal profondo del mio cuore inacidito e caustico, per i vostri commenti, le mail, i vostri pareri su The List. Ancora mi stupisco di quanto amore stia ricevendo questa storia e spero di continuare a stupirmi così fino alla fine.
Maddalena


 
 
 





 
 

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Capitolo 19
*** 16 ***


16


 

La camera di Andy faceva parte dell’ala del grattacielo adibita ad abitazione privata del suo proprietario e costruttore. Si affacciava sul lato Nord, le cui vetrate guardavano verso Lower Manhattan.
Per accedervi bastava salire di un solo piano e attraversare un corridoio. Pochi passi.
A Steve sembrò di dover affrontare a piedi una traversata di centinaia di miglia.
Che il diavolo si portasse quel maledetto di Tony Stark. Era ovvio, prima o poi, che sarebbe andato a trovare Andy.
Da solo.
Senza sollecitazioni esterne. E allusioni, ovvio.
Il motivo per cui ora stava fissando le porte ancora chiuse dell' ascensore gli sfuggiva. Stava per decidersi a premere il bottone di chiamata quando qualcosa lo fece voltare di scatto; un fremito, un percepire una nuova ombra, più che vederla.
“Complimenti per i riflessi, Capitano.” James emise un basso fischio di ammirazione.
“Hai bisogno di qualcosa?”
La domanda avrebbe potuto vincere l’infame concorso di “Richiesta più stupida dell’ anno”. Eppure, contro ogni previsione, Il Soldato scosse il capo con fare sinceramente afflitto; si tolse il cappello da baseball, rivelando quanto fossero arruffati i capelli sommariamente raccolti con un elastico.
James indossava ancora gli stessi abiti del loro primo incontro. Dalla lampo della felpa portata sotto il giaccone, s’intravedeva la piastra pettorale della sua divisa in kevlar e carbonio. Le guance scavate erano coperte dalla barba di diversi giorni; in un tempo perduto per sempre, il vero Bucky Barnes non avrebbe passato più di un’ ora con quel cespuglio incolto sulla faccia. Persino al fronte era stato particolarmente fiero del suo aspetto e la prima cosa chiesta dopo il loro ritorno al campo base di Azzano e un momento di festa, era stata una bacinella d’acqua calda e un rasoio affilato.
Forse quella era una delle prime caratteristiche del suo amico destinate a non venir ritrovate mai più.
Non correre. Non adesso, non con lui.
“In realtà ti sto seguendo.”
“Pensavo che Stark ti avesse assegnato un alloggio.”
“Trovo più curioso sapere cosa farai, che trovarmi nell’ennesima stanza che non mi dirà nulla.”
Steve Rogers era l’unico che potesse dare risposte. Tutte quelle di cui aveva un disperato bisogno e anche quelle da non voler mai conoscere. Un istante prima il cuore del Capitano si era stretto per la tristezza e il rimpianto di sensazioni andate distrutte, adesso si aprì il più possibile per accogliere la richiesta di aiuto del Soldato. Aveva sempre pensato di essere stato lui, quello aiutato da Bucky: da bambini, da adolescenti, da ragazzi.
La prospettiva di poter ricambiare una simile mole di favori non si era esaurita in una base dell' HYDRA oltre il confine austriaco.
“Ti va di parlare?”
Sì; parlare gli sembrò un ottimo inizio. James annuì stancamente e gli indicò un paio di poltrone di una piccola, moderna area soggiorno ricavata nello spazio che faceva da anticamera all'ascensore. Steve notò che sedendosi, il Soldato tenne premuta la mano sana sul fianco sinistro. I suoi occhi grigi si abbassarono per una manciata d'istanti e tornarono pigramente su di lui.
“Helicarrier” disse in tono ovvio. “Ti ricordi? Volevamo ammazzarci a vicenda, o qualcosa di simile.”
Bucky era sempre stato il tipo da cominciare una schermaglia. Aveva avuto un allievo riottoso all'inizio ma negli anni, Steve era migliorato.
Tu volevi ammazzarmi” ribatté puntellando i gomiti sulle ginocchia; una posa rilassata per contrastare con le parole dure pronunciate.
“Eri la mia missione.”
“Cosa è cambiato, adesso?”
In guerra, Steve aveva visto diversi campi minati. I nazisti si premuravano di crearne diversi, per difendere su ogni lato i territori delle loro basi.
Per fortuna in squadra avevano Jacques Dernier. Smilzo, mingherlino, baffetti sempre impeccabili e una dote innata: quella di saper dialogare con qualsiasi sostanza potesse divenire esplosiva. Anche se era uno dei migliori artificieri dell' esercito francese, il Capitano lo aveva sempre seguito in prima fila quando si trattava di procedere con la bonifica di un terreno utile per gli spostamenti degli altri Howling Commandos.
La fatica, la tensione forte come acciaio che stritolava i nervi, la paura di avvertire lo scatto d'innesco, l'ultimo rumore prima della fine, erano niente in confronto a quanto stava provando ora. Niente era più fragile di Bucky, in quel momento. E più pericoloso.
Più importante.
“Sono stato allo Smithsonian...dopo.”
La bomba non si attivò. Divenne un oggetto inerte, reliquia di un passato impossibile da cancellare.
James sentì le spalle così leggere da doverle appoggiare meglio contro il soffice schienale della poltrona in pelle; la vertigine non doveva distrarlo. Fece scivolare lo sguardo sul suo amico, rimanendo immobile.
“Allora saprai tutto.”
“No, non è vero.” Sbottò in modo contrariato. “Io non ricordo quei toni da elegia: “Amici dai tempi della scuola, compagni d'armi”. In quanto ho visto e letto c'erano epicità, gloria, onore, gesta eroiche. La mia mente è piena d'altro.”
Condividerlo sarebbe stata fonte di nuova pena. Le ferite andavano spurgate, se si voleva la possibilità di guarire.
“Sai qual é stata la prima cosa che ho ricordato, dopo averti tirato fuori dalla baia del Triskelion? Il laboratorio di Zola, a Krausberg. E la tua voce che mi chiamava, le tue mani che strappavano senza fatica imbragature di cuoio spesse diverse centimetri. Eri diventato più forte, più alto. Più alto di me!”
Il racconto di James si spezzò, così come la sua voce. Steve rimase fermo sul ciglio di quella rottura; la strada si era interrotta nel buio ma sapeva, con la fede indomita degli sciocchi, che Bucky l'avrebbe illuminata di nuovo.
“Sei venuto a trovarmi, dopo avermi riportato al nostro campo base.”
“Sì, ti avevano portato in infermeria.”
“La...” un'esitazione, colma di contegno e timidezza “...torta di mele di tua mamma. Era buona come la ricordo?”
“Era il suo dolce che amavi di più, Buck. La mangiavamo sempre insieme quando-”
“Lo so. Dopo esserci salvati dall' ennesima punizione.”
Non ci fu bisogno d'altro per far alzare la mano del Capitano verso quella del suo amico. Gli diede il tempo di vederlo compiere il gesto, disposto a lasciarlo a metà se lui non se la fosse sentita, come era successo poco prima. Il Soldato non si mosse e ad accogliere quella stretta fu James. Nell'attimo che intercorse tra l'accettarla e il ricambiarla entrarono tutti quei settant'anni mai vissuti, strappati via, immersi in due diverse foreste di ghiaccio e gelo.
Erano due uomini, ormai, perfettamente coscienti di aver fatto solo un passo, minuscolo e traballante, verso una riconquista ancora senza contorni definiti. Ma era il passo giusto e in quella consapevolezza c'era tutta la differenza del mondo.
“Adesso che hai la certezza non farò esplodere nulla in un momento di follia, puoi andare da lei.”
“Come?” Steve sbatté le lunghe ciglia chiare.
“Andy. Non stavi andando a trovarla?”
“Sì, certo...un momento; Stark non l' ha chiamata per nome.”
“Lo hai fatto tu, ieri pomeriggio a Central Park. Mi sono limitato a fare due più due. Mi sembra si dica così, no?”
James piegò la testa verso la spalla sinistra, in un cenno buffo e concentrato. Gli ricordò il comportamento di un gatto.
“Ti devo ringraziare, dal momento che l'hai salvata.”
“Credo proprio tu lo debba fare, visto che ti piace.”
“Cos-NO!” obiettò l'amico, afferrando i braccioli.
Chi aveva premuto l'acceleratore? Si era aspettato di ricominciare a riavere Bucky in modo lento e ponderato: un ricordo alla volta, un episodio alla volta. Era impossibile stessero parlando di ragazze come non fossero mai stati separati per tutto quel tempo!
“Mi sembra che tu sia stato sempre così; le tue reazioni ti hanno sempre tradito.”
“Tu e Tony vi siete messi forse d'accordo?” domandò Steve sprezzante, pronto a chiudersi a riccio pur di dare un solo centimetro di vantaggio al suo migliore amico.
Ancora quel piegare il capo. E uno sguardo perplesso.
“Mi sono forse sbagliato? Sarebbe strano.”
Io non sbaglio mai, su di te.
“Ci conosciamo da tre giorni.”
“Mi sembra che in queste...settanta due ore ne siano successe di cose. Specie a lei. E per quello che ho potuto vedere, ha il fegato sufficiente per reggerle.”
“Come hai fatto a ritrovarla?”
“E' una storia lunga. Quando l'ho salvata mi ha seguito senza dubitare.”
“Era...molto spaventata?” Steve fece seguire la domanda da un'occhiataccia eloquente: non stava ammettendo nulla.
“Citandola, aveva una paura fottuta. Ma non si è mai tirata indietro, nemmeno quando è scoppiata a piangere.”
Il senso di possesso, che se ne era tornato buono buono sul fondo dello stomaco insieme ad altre emozioni, si svegliò di colpo. Finché fosse stato vivo, nessuno le avrebbe fatto del male.
“E’ tutta colpa mia. E’ rimasta coinvolta perché ci hanno fotografati insieme.”
“Steve.” Era la prima volta che lo chiamava per nome. “Io so che non è vero; vi ho visti, ieri ed è stata lei a venirti a cercare. Non so cosa l’abbia spinta a farlo ma se proprio vogliamo scaricare la responsabilità su qualcuno, stai sbagliando persona.”
Il Capitano si sentiva sempre più messo alle corde. Questa volta non c’entravano bulli, risse, pugni. I colpi che stava subendo erano di ben altra natura e di quel genere non ne avvertiva- beh. Decisamente da un discreto numero di anni.
Non si trattava di Natasha e del suo affettuoso pungolare per fargli capire di doversi guardare intorno, di concedersi la possibilità di provare sensazioni anche stupide, generate magari dal sorriso di un’ infermiera sua vicina di casa. Sensazioni stupide ma legittime, anche se indirizzate a qualcuno che per una missione da compiere gli aveva mentito.
Andy l’aveva semplicemente trovata. Non gli era stata indicata. Un giorno la ragazza dal trench rosso fragola e un berretto con le orecchie da gatto, aveva fermato la sua corsa e restituito il motivo per cui si stava appassionando al nuovo tempo a cui era stato destinato. La sua agenda.
La sua lista.
“Era preoccupata per me.” Il modo in cui lo confessò rese chiaro a James che si stava parlando di Steve Rogers e non di Captain America.
“Avremo tutto il tempo del mondo per parlarne. Adesso scollati da lì e vai da lei.”
“Perché tanta fretta, si può sapere?!”
Perché se ti fossi accorto di come ti ha guardato nel parcheggio, io non dovrei perdere tempo a spiegarti qualcosa in cui dovresti essere più ferrato di me.
Uno strano brivido distorse quel pensiero. Lo appannò con un velo di brina.
Gli tornarono alla mente gli occhi verdi di Andy, fissi su di lui, mentre si metteva in piedi tenendo una mano premuta sul ginocchio.
Non l’aveva uccisa perché era chiaramente una civile disarmata e innocente. E conosceva Steve.
Il suo sguardo aveva portato a galla un altro volto, dalla nebbia compatta e mortale stretta attorno al suo passato. Il pensiero di quella pelle color neve e di capelli rossi da pettinare con le dita lo fece ammutolire a tal punto che Steve si preoccupò della sua espressione assente.
“Bucky?”
“Sei ancora qui? Vattene, sto bene.”
“Ma-“
“Ci vado io? Mi sembra di ricordare che con una donna ci so fare più di te.”
Aveva trovato la formula magica corretta, finalmente. Steve si alzò di scatto e imprecando contro amici insensibili, lasciò solo il Soldato a cercare e carezzare un’ ombra danzante dietro le palpebre chiuse.
Natalia…


 

Da dietro la porta chiusa, proveniva della musica. Steve non era particolarmente ferrato su quel genere ma per una volta la mancanza non era da imputare ai suoi gusti ancora fermi agli anni Quaranta del Ventesimo secolo.
Era un brano per violino solista e a giudicare dalla ricchezza di armoniche, doveva essere di difficile esecuzione. La velocità di alcuni passaggi lasciava posto ad altri più lenti e carichi di malinconia; non avrebbe mai creduto che delle semplici corte strofinate da un archetto potessero dare l'esatta idea dei sentimenti umani.
Bussò e attese che qualcuno rispondesse.
Il violino cessò il suo canto struggente e qualche secondo dopo, il viso di Andy fece capolino dallo spiraglio aperto.
Pepper era stata di parola: mentre lei era stata sotto la doccia, era andata a recuperare dal suo armadietto della palestra una tuta pulita e due paia di magliette bianche. La corporatura della donna era simile a quella della ragazza; anche le loro altezze si equivalevano. Con i capelli puliti appena finiti di spazzolare, il vago profumo di arancia proveniente dalla sua pelle e le labbra che si stavano schiudendo in un sorriso imbarazzato, Steve pensò non ci fosse niente di più bello da ammirare. Persino lo sbaffo di cioccolata sul mento gli sembrò adorabile.
“Ciao, disturbo?”
Andy scosse il capo in un cenno di frenetica negazione e si fece da parte per farlo entrare. Perché se ne stava così in silenzio?
La camera da letto adesso recava chiari i segni di qualcuno che ci viveva: sulla poltrona accanto alla moderna specchiera c'erano piegati sommariamente i pantaloni e la t-shirt con cui Andy era arrivata alla Stark Tower. Sul tavolino apparecchiato sotto le vetrate, stazionava un grande vassoio contenente un abbondante brunch composto da pietanze salate e dolci. L'aroma del caffè si mescolava con quello del bagnoschiuma, che impregnava l'aria attorno alla ragazza.
“Hanno pensato stessi morendo di fame” spiegò Andy, fiaccamente “Mi secca ammetterlo ma avevano ragione.”
Il profumo del cibo appena fatto, ancora caldo, schiuse anche lo stomaco di Steve. I crampi per uno col suo metabolismo erano una vera tortura.
“Come stai?”
Questa volta, la ragazza non aveva alcuna voglia di giocare con le sue schermaglie. “Se si esclude la preoccupazione per la mia famiglia e per i miei amici, con cui non posso comunicare in alcun modo e il tentato rapimento di stamattina, direi abbastanza bene.”
“Faremo in modo che a nessuno di loro venga fatto del male” le promise subito, con una solennità tanto sincera da risultare buffa.
L'imbarazzo tra loro adesso era ingombrante, fastidioso come un pugno di calore che si scioglieva con esasperante lentezza in pancia. Steve si rese conto del muro che ora li divideva; non c'era mai stato e la sua presenza lo infastidiva in un modo strano e inspiegabile.
“Il Sergente Barnes?” domandò Andy con l'urgenza di chi aveva disperatamente cercato un argomento di conversazione alternativo in una testa a soqquadro. Avrebbe fatto qualsiasi cosa, pur di dimenticare l'abbraccio di poco prima, la sicurezza ritrovata nel sentire attraverso strati di stoffa il calore e la solida presenza del corpo di Steve pronto a darle rifugio.
Ma perché diavolo aveva ricambiato quel suo strampalato moto istintivo? Avrebbe dovuto respingerla, ammonirla con lo sguardo: non era il momento per certe effusioni e sicuramente erano inaccettabili dall' ultima ragazzina piombata nella sua vita perché un giorno aveva perso una Moleskine.
“Non penso di poter dire che sta bene ma ci sta lavorando.”
Le mani di Andy si torsero furiose. “Nell' esercito degli Stati Uniti s'insegna a uccidere gente in quel modo?”
“Se devi salvare, se devi salvarti, sì.”
“Sei un bugiardo.”
Quegli occhi verdi erano troppo bravi a leggere, vedere e interpretare.Steve era quasi certo non avrebbe mai dimenticato uno dei movimenti compiuti dal Soldato d' Inverno per liberarla. Era stata una missione scritta col sangue e lo stridere delle ossa prima del punto di rottura; dove la disumanità era divenuta necessità e unica via per il raggiungimento di uno scopo.
“Non sei una bambina. Aveva ragione.”
“Chi?”
“Bucky, il Sergente Barnes. Lui ha sempre capito tutto meglio e prima di me. Anche adesso.”
Un primo sorriso. “Quindi è ancora più complicato di quanto mi avevi detto.”
“Già.”
“Ho il sospetto nulla sia semplice, quando incroci la strada con i Vendicatori.”
Steve dovette dissimulare un nuovo contorcimento alle viscere.
“Prima cosa stavi ascoltando?” Adesso era lui a cercare un altro diversivo per non pensare alla fame. Aveva dimenticato cosa fosse da quando aveva visto la foto di Andy con accanto il suo indirizzo lampeggiare su uno schermo; adesso era il momento di pagare con i dovuti interessi.
“Ti piaceva?”
“Sembrava musica classica.”
“Jarvis? Per favore, potresti far partire la Ciaccona da dove abbiamo interrotto?”
Cia-cosa?”
“E dire che Johan Sebastian Bach è vissuto ben prima di te! Davvero non la conosci?”
“Non ho gusti musicali tanto raffinati.”
Il brano riprese; la sua fluida tristezza, alternata a scosse di passione, riempì nuovamente la stanza. Andy prese un altro muffin e ne staccò un grosso morso, inconsapevole di cosa aveva appena provocato al povero organismo di un Eroe in debito di calorie.
“I concerti per violino solo di Bach sono tra i miei pezzi preferiti per disegnare” spiegò, lo sguardo che si riempì di un desiderio quieto e disperato “Non ci sono parole, i testi mi distrarrebbero ma non si può certo dire non ispirino. Pepper mi ha spiegato che ho l'autorizzazione necessaria per chiedere al sistema operativo di Tony di sentire qualsiasi cosa voglia; in memoria ha una biblioteca musicale pressoché infinita!”
“...Tony?”
La scalciante e focosa sensazione di possesso pestò a piedi uniti sul suo fegato. Troppo rapida perché potesse tenerla a cuccia.
“Se chiamo la sua fidanzata per nome e le do del tu, mi sembra giusto farlo anche con lui.”
Il muffin finì in pochi bocconi. Con le mani ancora libere, Andy prese a torcerle di nuovo o a picchiettare le dita sulle cosce per tenerle occupate.
“Ti manca disegnare, vero?”
“Da morire. E non è la sola cosa. Mi è stato chiesto di fidarmi e lo farò.”
“Quando tutto sarà finito, ti riporterò a casa.”
“Potrei persino crederci, se me lo dici tu!”
Ridendo, Steve fece per pulirle il mento.
Il suo pollice sfiorò la pelle di Andy con un tocco innocente e leggero ma quanto trasmise a lei e percepì lui aveva i contorni e l'aspetto di un brivido con un peso specifico simile a quello di una scossa. La stessa che aveva fatto muovere Andy verso il Capitano giù, nei parcheggi. Definirla, spiegarla, razionalizzarla era impossibile: era sempre esistita ed era sempre stata destinata a loro due soltanto.
“Avevo qualcosa sul mento?...”
Vero? VERO?
“Un po' di cioccolato.” La voce di Steve proveniva da un posto dove imbarazzo e perplessità andavano a braccetto con l' unico scopo di far star male le persone.
“No” pigolò scattando indietro e smettendo di guardarlo. Quello era decisamente un “no” pieno di molte frasi, una più compromettente e sincera dell'altra.
“Senti, così non va. Prima ti ho abbracciato senza volerlo, è stato una sorta di riflesso, non pensare male!”
Ero distrutta, sola, l'unico appiglio conosciuto eri tu. E sono stata tanto stanca ed egoista da cedervi!
“Potrei mai farlo, su di te?”
“Mi dispiace essermi lasciata andare, ti sarò sembrata una sciocca ragazzina isterica.”
Eccolo, il motivo dell' imbarazzo di prima. Il muro di gomma che non permetteva alla loro complicità di unirli come aveva fatto dal loro primo incontro.
Andy aveva paura.
Dio solo sapeva esattamente cosa temesse ma gli fu chiaro che al momento, il problema fosse il gesto a cui si era abbandonata e Steve aveva trovato così dannatamente piacevole.
“Una ragazza che ieri mi ha guidato per i sentieri di Central Park sconosciuti persino a me per aiutarmi, che ha seguito il mio migliore amico senza esitazioni, la considero solo coraggiosa.”
Il cuore di Andy si sentì preda di un attacco di tachicardia, davanti allo sguardo regalatole da quegli occhi azzurri.
“E' uno dei complimenti più belli ricevuti di recente.”
“Sono contento di avertelo fatto io.”
“Hai fame? Non credo di riuscire a finire tutto.”
La ragazza sapeva che stava usando solo un diversivo per avere la possibilità di passare più tempo insieme; desiderava solo un po' di Steve Rogers, ancora, prima che il mondo fuori dalla porta, là dove la musica non arrivava, reclamasse Captain America.
Andy era molto consapevole che la loro poteva essere una parentesi in un racconto in cui lei non aveva letto le parti salienti e i capitoli importanti.
Non le importava.
Tre giorni prima, aveva conosciuto il ragazzo sotto la divisa e lo scudo e si era accorta di come stesse dimenticando proprio chi fosse. Se poteva ricordarglielo offrendogli cookies e tramezzini, non si sarebbe tirata indietro.


 

“Non so quanto sia legale una cosa simile.”
“Strano che a parlare di legalità sia un' ex-agente governativo al soldo di un' agenzia dove si voleva usare un sistema di tracciazione, identificazione e prevenzione su soggetti considerati potenzialmente pericolosi da un algoritmo inventato da uno scienziato nazista.”
Solo Tony Stark poteva, volontariamente e deliberatamente, infilare in una sola frase tre motivi per cui Maria si sarebbe sentita in dovere, oltre che giustificata, ad ucciderlo. La petulanza di quell'uomo era doppiamente umiliante: primo perché era impossibile farla tacere, secondo perché riusciva sempre a dire verità scomode amplificate dal suo tono leggero e strafottente.
L'attico della Torre aveva perso ogni suo connotato di lusso e comodità; ovunque erano aperti schermi virtuali e chi li stava governando e studiando, digitava stringhe di codici su una tastiera proiettata sul ripiano nero della scrivania, facendo pausa ogni tanto con un bicchiere di latte. Sembrava una pigra mattinata di pioggia come molte altre ma nel cervello da milioni di dollari di Iron Man si stava dipanando una progetto messo in piedi nell'ultima mezz'ora.
“Il satellite delle Stark Industries è in posizione...adesso.”
L'ennesimo volo di dita velocissime mandò in rete una serie di comandi criptati. La loro attuazione seguiva la canzoncina senza senso che Tony stava canticchiando.
Maria seguì il procedimento dalla sua postazione; con sommo disappunto, dovette dare al suo capo la notizia che si attendeva.
“Ora siamo in grado di sopperire al canale di trasmissione dello SHIELD.”
“Ho già in mente con chi fare la prima prova.”


 

A centinaia di miglia marine dalla costa orientale degli Stati Uniti, dove il giorno stava volgendo lentamente al pomeriggio, Londra si stava preparando all' ora di cena ignara di cosa stava succedendo nel cuore della sua City. Precisamente tra la Blakfriars Lane e l’incrocio con Queen Victoria Street, a pochi passi dalla cattedrale di Saint Paul.
Il responsabile di sala del Cockpit Pub stava aprendo la porta del locale per prepararlo all’ apertura serale, quando vide salire, lungo la St. Andrew’s Hill, una coppia di turisti.
La bellezza della donna dai capelli rossi e i grandi occhiali da sole usati come pittoresco cerchietto era di quelle che non prevedevano “se” o “ma”. Anche se bassa di statura, portava in giro uno dei corpi più armoniosi mai visti con la disinvoltura consumata di chi non fa caso a certi dettagli. Gli occhi verdi da gatta cercavano sempre quelli azzurri e glaciali del compagno, a cui il ragazzo diresse una buona dose d’invidia maschile. Si tenevano per mano, guardandosi intorno in quel modo estatico, un po’ tonto, caratteristico dei visitatori alla loro prima volta a Londra, lui che portava sulla schiena un grosso borsone rigonfio. Rimuginando sulle ingiustizie del mondo, il cameriere entrò e chiuse i doppi battenti di vetro colorato alle sue spalle.
“Alla buon’ ora” sbottò Clint “pensavo volesse radiografarti le tette per altri venti minuti!”
“Invece di sentirti onorato di avermi al tuo fianco mi rimproveri in questo modo? Vedi niente di sospetto in giro?”
“Nessuno sul palazzo della libreria o su quello del Mellon Centre.”
“Allora ci stanno aspettando alla fermata della metro di Blackfriars. Sanno che dovremo per forza passare di lì per allontanarci.”
“Io capisco che le Society inglesi possano essere esclusive ma quella della Inner Temple esagera.”
Il dispositivo di allarme di Occhio di Falco li aveva salvati, permettendo di nascondersi sul fondo della sala operatoria rinvenuta sotto la chiesa e mettere fuori gioco i due guardiani. Sotto l’ uniforme che li aveva identificati come appartenenti a un corpo di sicurezza privato, c’era quella del college con una spilla inequivocabile appesa sul bavero.
Non c’era stato il tempo di installare alcun congegno utile a Natasha per tentare di avere un accesso al server. Erano dovuti scappare cacciando in una borsa provvidenziale portata dietro per scrupolo le loro armi e parte degli abiti, trovandosi bloccati nella City in meno di un’ora; la scomparsa di due associati aveva dato l’allarme e ora tutta l’organizzazione aveva smesso di recitare la parte dell’ elite chiusa in un circolo ristretto per dare loro la caccia. Nel giro di una mattinata, ogni stazione, ogni piazzola di mini cab e fermata di autobus erano state messe sotto presidio, costringendo la coppia di agenti a un frustrante pellegrinaggio. Non senza qualche intoppo.
“Se scopriranno i corpi che abbiamo lasciato sotto il ponte, avremo addosso ogni adepto dell’ HYDRA prima di notte.”
“Vogliono giocare al gatto col topo, Clint. Pensano che prima o poi tenteremo un’ azione disperata.”
Il soldato sogghignò con evidente compiacimento. “Disperata per loro o per noi?”
“Non farà alcuna differenza se non riusciremo a trovare il modo di lasciare la città e contattare Nick.”
“Agente Romanoff, sei troppo pessimista.”
Natasha trattenne Clint per un braccio e si portò una mano all’orecchio. Era escluso stesse avendo qualche allucinazione uditiva; l’auricolare usato per tenersi in comunicazione con lo SHIELD si era attivato.
“Nick?Come?...”
“Abbiamo poco tempo, devo guidarvi fuori dalla City.”
“Come pensi di fare? Siamo senza satelliti o basi di appoggio.”
“E questo canale potrebbe non essere sicuro” aggiunse Clint, riprendendo a camminare e trascinando Natasha in un piccolo cortile in modo da parlare senza essere visti dalla strada.
“Credo che Stark abbia già risolto il problema.”
Vi fu un fulmineo scambio di sguardi perplessi ma le domande nate da quella rivelazione dovevano aspettare.
“A quanto pare, lo SHIELD non è poi così facile da eliminare” constatò Occhio di Falco tornando alla sua flemma britannica.
“A quanto pare, Tony Stark si sta annoiando oppure a New York è successo qualcosa.”
Qualcosa che potrebbe avere a che fare con l’ Inverno.


 

Angolo (tetro e buio) dell' autrice: Jacques Dernier, il soldato francese che parla esclusivamente la sua lingua, si vede in "Captain America: the first Avenger" ed è uno dei componenti degli Howling Commandos. L'idea che lui fosse l'artificiere del gruppo mi è nata vedendo il film e come fa saltare in aria uno dei carri armati dell' HYDRA.
Visto che ho mantenuto la promessa? Sono tornata da Londra ieri sera, col cuore gonfio di nostalgia e gli occhi ancora a forma di cuore per quanto ho visto. E' una splendida coincidenza il fatto che il capitolo si chiuda proprio con questa città! Appena sarò in grado di non crollare addormentata all' improvviso, risponderò alle recensioni.
Un bacio e una tazza di tea appena fatto per tutti!
Maddy.





 





 

 

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Capitolo 20
*** 17 ***


17




Sam Wilson, ufficiale veterano della Marina, ex-membro del corpo d' elite dei Pararescue degli Stati Uniti d' America, aveva sempre avuto fama di avere le idee chiare e abbastanza incoscienza -o coraggio- da seguirle senza metterle in dubbio.
Non si trattava di una fede cieca e irrazionale, sconfinante nello stolido fanatismo riscontrabile in alcuni soldati; aveva visto di che mettere in crisi il più motivato dei guerrieri, durante le sue due missioni in Iraq.
Aveva giocato alla roulette russa col destino comune a tutti gli uomini in guerra: salvare, salvarsi. Vincere, perdere. Se ora era ancora vivo e poteva permettersi il lusso di trarne un bilancio, aveva sempre bene in mente un ammonimento: molti suoi compagni non potevano farlo.
Era anche per rispetto alle loro memorie che cercava di non far pesare troppo il piatto del rimorso, tenendolo in linea con quello dove aveva posato tutto ciò che una seconda possibilità poteva donare.
Tra queste c'era il suo nuovo impegno alla Veteran Association, anche se tre mesi prima non avrebbe mai immaginato cosa sarebbe stato chiamato a fare e per aiutare chi.
Idee chiare. Incoscienza. Coraggio.
Ancora una volta, il militare le aveva usate come pesi il giorno in cui, tornando dalla solita corsa attorno al National Mall, aveva trovato fuori dalla porta un Capitano decisamente male in arnese e la sua bella partner dai capelli rossi, esausta e coperta di polvere quanto lui.
Steve Rogers sapeva di mettere in serio pericolo il suo nuovo amico, presentandosi a casa sua mentre tutte le forze corrotte dello SHIELD, comandate dalla squadra da lui diretta un tempo, gli stavano dando la caccia per ucciderlo. Sam lo aveva capito e valutato il risultato di un nuovo bilancio, li aveva fatti entrare dando loro rifugio.
Allo stato attuale delle cose, non si era pentito della sua decisione.
Il viaggio in moto da Washington si era svolto senza intoppi, se si escludeva quello rappresentato da una lettera ufficiale lasciata sul tavolo dell' appartamento preso in affitto dopo i fatti del Triskelion. Non aveva degnato della minima attenzione la convocazione dal Consiglio di Sicurezza Nazionale, ritenendo fosse molto più importante rispondere al messaggio arrivato dal numero personale di un uomo a cui non si poteva negare nulla.
Tony Stark era stato molto preciso nella sua richiesta e vi aveva aggiunto del suo; un suo che il Maggiore era stato felice di esaudire e in un lasso di tempo minore di quanto avrebbe mai creduto.
Il rombo confortante della Harley Davidson di Steve lo aveva accompagnato nelle tre ore occorse ad arrivare a Manhattan.
Park Avenue era baciata dal timido sole autunnale che aveva avuto ragione sulla pioggia del giorno precedente. Il flusso dei pendolari non era ancor arrivato al suo culmine; in ogni angolo, i vari bar stavano alzando le saracinesche, i camerieri ritiravano i sacchi di pane appena consegnati o sistemavano i tavolini nei plateatici. Davanti a Starbucks si stava formando la prima di tante code. Osservandola mentre s' immettava nella carreggiata delle auto e altri mezzi diretti alla Grand Central Terminal Station, gli venne in mente una battuta sentita in quella commedia con Tom Hanks e sorrise.
Al contrario del tizio descritto in quella frase fulminante e sagace, Sam non aveva bisogno di due dollari e cinquanta per sapere esattamente chi era e cosa doveva fare; il profilo arquato e imponente della Stark Tower si materializzò nell' orizzonte irto di grattacieli, indicandogli il suo punto di arrivo.
Secondo le istruzioni ricevute, gli sarebbe bastato presentarsi all' ingresso dei parcheggi sotterranei e seguire le indicazioni per scendere a quelli destinati agli ospiti del padrone di casa. Fece svoltare la Harley alla rampa indicata, lasciando che i passanti fissassero allibiti cosa aveva assicurato sulla schiena.
Come previsto, trovò subito la colonnina di sbarramento con l'impianto di riconoscimento facciale. Fissò il piccolo schermo perplesso: chi diavolo lo aveva conciato in quel modo, distruggendolo fino a mostrare sotto le placche di carbonio e plastica i fili di connessione? Persino il supporto in acciaio era piegato in un angolo innaturale.
Dalla guardiola, uscì esitante un uomo del servizio d'ordine, riconoscibile dal badge appuntato sul taschino della divisa.
“Salve, signore. Posso chiederle?...” Non finì nemmeno la frase; sembrava si aspettasse un colpo di matto dal nuovo arrivato da un momento all'altro.
Sempre più stranito, Sam si tolse il casco; qualcosa gli suggerì di farlo molto lentamente, per non spaventare il povero disgraziato.
“Maggiore Sam Wilson. Sono qui su invito del Signor Stark.” Sperò di tutto cuore che adesso non fosse costretto a togliersi l'ingombrante bagaglio dalle spalle per una perquisizione in stile dogana aereoportuale.
L'impiegato andò a prendere una cartelletta e prese a esaminare alcuni fogli.
“Ah, ecco! Maggiore Wilson, Marina degli Stati Uniti. Prego, proceda pure.”
“Posso chiedere cosa è successo qui? E' passato un pazzo mitomane?” e indicò esaustivamente la colonnina storta e inutile.
“Lo conoscerà presto, signore.”
Conoscere?
Trovato il primo posteggio adatto, Sam lasciò la moto con molti meno riguardi che un simile gioiello meritava. Recuperò un altro borsone e quasi si precipitò verso uno degli ascensori.
Era ormai chiaro fosse successo qualcosa tra la convocazione da parte di Steve a New York e il suo approdo in città e certamente, non si poteva trattare di un avvenimento lieto.
“Benvenuto, Maggiore. Il signor Stark la sta aspettando.”
In altre circostanze, il veterano sarebbe rimasto piacevolmente impressionato dal conoscere dal “vivo” una delle molte invenzioni di una delle menti più geniali del secolo; invece si costrinse a tirare le labbra in un sorriso teso di circostanza.
Le porte finalmente si aprirono su un ampio spazio delimitato su due lati da spettacolari vetrate.
Ciò che vide lo lasciò a bocca aperta. E non per modo di dire.
Uno accanto all'altro, ciascuno appostato con fare casuale a uno dei battenti di un'ampia porta socchiusa, c'erano Anthony Edward Stark in persona e-
Porca miseria.
Il Soldato d' Inverno si accorse per primo di lui ma non accennò a muoversi o a puntargli addosso nulla che prevedesse canne mozze, caricatori colmi o lame dalla doppia seghettatura.
Il viso, che aveva imparato a conoscere come una maschera priva di alcuna emozione e con occhi colmi solo di gelida furia omicida, ora era diverso. Gli sembrò che sotto la pelle, i muscoli, le ossa, si fosse fatta strada una nuova consapevolezza, tanto forte da essere riuscita a riplasmare la carne.
Per poco non fece cadere a terra quanto stava traportando, quando lo vide arricciare in alto l'angolo destro delle labbra e portarsi l'indice della mano sana alla bocca.
“Maggiore Wilson!”
La voce di Tony Stark fu un trillo soffocato. Sussurrato. Lo andò a salutare con un sorriso indefinibile.
“Scusi i modi ma io e il Sergente Barnes siamo in missione.”
“Mi-missione?” balbettò senza capire.
“Ci segua e vedrà di persona.”
Seguirlo significava arrivare a un nulla da quello che era semplicemente il più spietato e infallibile assassino mai conosciuto dal mondo e insieme, malauguratamente, anche il miglior amico di Steve tornato da un passato creduto morto. Sam non riuscì a non fissarlo e per la seconda volta, rimase sorpreso dal non avvertire più nulla dell'aura implacabile che aveva sempre contraddistinto il Soldato d' Inverno. Stark lo aveva persino chiamato col suo vero nome.
“Vorreste cortesemente spiegarmi cosa sta succedendo?” sibilò a entrambi. Senza volerlo davvero, anche lui aveva abbassato la voce.
Guarda tu stesso, gli suggerirono un paio di occhi grigi mai così espressivi e vivi. Il Maggiore, sentendosi stupido come poche altre volte gli era capitato, si arrese a tanta follia e seguì il consiglio, spiando all'interno di una grande palestra.
“Io sto per commuovermi. Voi no?”
La vocetta in falsetto di Tony Stark servì solo a sottolineare ulteriormente lo spettacolo che stavano osservando.
Davanti a loro, seduti su una panca, c'erano Steve e una graziosa ragazza dai lunghi capelli scuri. Stavano ridendo insieme e lei reggeva sulle ginocchia un grande album da disegno, su cui tracciava velocemente qualcosa mentre ascoltava il Capitano, armato anche lui di un foglio e una matita.
Sam realizzò di aver udito la risata del suo amico per la prima volta e seppe con altrettanta certezza di avere, a nemmeno un metro di distanza, qualcun altro che aveva colto cosa poteva significare.




James non avrebbe mai pensato di fronteggiare, un giorno, un nemico tanto inaspettato quanto terribile.
Il letto della sua stanza non solo parlava la sofisticata lingua di un design lussuoso ed efficiente ma si prospettava anche comodo, col suo candido piumone e i cuscini gonfi e ben allineati a trasformare la testata in un paradiso di confort e morbidezza.
Dormirci fu impossibile: il materasso cedeva infido sotto il suo peso e nei pochi momenti di riposo finiva con lo spalancare gli occhi cercando di capire se stesse affondando in qualche sorta di allucinante gelatina biancastra.
Aveva passato il resto della giornata da solo, concedendo a quanto si era lasciato alle spalle per far fronte a priorità più importanti come il sopravvivere, mangiare e tenersi in forze per ritrovare Steve e capire cosa avesse in mente ora l' HYDRA, di prendere il sopravvento.
Sapeva di essere costantemente sorvegliato, anche se come prigione era decisamente piacevole: una camera spaziosa, luminosa e priva del minimo senso di minaccia. Sentiva il silenzioso muoversi di telecamere ben nascoste e ogni tanto una voce impostata e gentile – si era presentato come Jarvis – gli chiedeva se avesse bisogno di qualcosa.
In effetti, adesso qualche altra necessità c'era. Un bagno caldo, lungo, interminabile e del cibo degno di questo nome nello stomaco.
Non si sarebbe mai aspettato che a portaglielo sarebbe stata la compagna del figlio di Howard.
Sicuramente dovevano aver pensato che ora, con una mente più stabile e maggiore capacità di controllo, non avrebbe torto un capello a una donna. Virginia Potts, quello era il suo nome, sembrava non aver avuto paura di lui portandogli personalmente un vassoio colmo di ogni ben di Dio.
“Spero ci sia una pietanza di tuo gradimento; credo che il nostro cuoco abbia esagerato.”
“Ti ringrazio.”
Le parole gli erano uscite un po' incerte; doveva decisamente riabituarsi a sentire la sua voce pronunciarle.
“Se hai bisogno di qualcosa” anche lei glielo chiedeva! “Basterà domandare a Jarvis. L' appartamento di Steve è qui vicino.”
“Non sono abituato a venir trattato con tanta gentilezza” le aveva risposto, brusco, bloccandola sulla porta. Virginia si era voltata e lo aveva guardato a lungo, risparmiandogli qualsiasi ipocrisia dettata da una pietà comoda e di facciata viste le circostanze.
Capelli di un rosso chiaro. Un colore caldo, una sfumatura gentile. Occhi azzurri capaci di rammentargli quelli di Sarah Rogers. La madre di Steve, così ferma, gentile, risoluta. Cocciuta come tutti gl'irlandesi di cui preservava fieramente il sangue battagliero, quando era rimasta sola con un figlio piccolo e sempre malato, non aveva ceduto di un passo crescendolo con le sue forze.
James avvertì di avere davanti una persona altrettanto determinata.
“Non so chi tu sia. Non so nemmeno come devo chiamarti ora ma conosco Steve; non ho alcuna intenzione di vederlo di nuovo angosciato perché non sa se sei vivo o morto e in quali condizioni. Se fargli ritrovare un po' di serenità significa essere gentili con te, mi pare un pegno accettabile.”
Sotto il getto di acqua bollente, James aveva ripetuto quelle parole nella sua testa a lungo, fissando la sua mano sinistra, aprendola e chiudendola più volte. Il pericolo che l' acqua o il vapore della doccia potesse penetrare tra le placche del braccio e comprometterne il funzionamento era scongiurato da un avanzato sistema di guarnizioni impermeabili.
Aveva compreso cosa avesse voluto dirgli la donna. Nemmeno lui desiderava ferire il suo amico di nuovo, specialmente adesso, nel momento in cui aveva la certezza di aver trovato l' unico punto fermo da seguire per non perdersi di nuovo nella tempesta di neve. Desiderava tornare a parlargli al più presto, chiedere, sapere.
Quanto tempo sono stato...così?
Quante persone ho ucciso?
Quanto sangue ho versato senza saperlo?

Le domande più vere avevano la scomoda peculiarità di essere anche le più banali. Si trascinavano appresso un senso di vergogna e ribrezzo verso se stesso da farlo rabbrividire fino nelle viscere.
Non si poteva illudere, per quanto lo desiderasse.
Poteva ripetersi milioni di volte di non essere stato lui, in piena coscienza e padrone di sé a compiere tanti efferati crimini ma il dito premuto su un grilletto, su un detonatore, la mano stretta a un pugnale di carbonio e acciaio affondato fino alla guardia nel petto di un individuo destinato a divenire nulla nella sua mente costantemente rimanipolata e polverizzata, erano stati suoi.
Il volto dell' assassino imprendibile dell' HYDRA coincideva col suo e avrebbe sempre ricordato al mondo cosa aveva fatto. Non c'era una via di fuga verso la redenzione, gli mormorò il suo sguardo attraverso il riflesso appannato dello specchio.
Rimase chiuso in quella stanza trincerandosi dietro la cortina di silenzio generata dal disgusto provato verso il mostro che era parte integrante di sé e alla fine, si addormentò. Un sonno agitato, interrotto più volte da fantasmi lasciati liberi dall' inconscio. Quando cedette a un oblio senza sogni mancava poco all'alba.
Un tonfo ritmico, insistente, penetrò nel mare buio dell' incoscienza e lo afferrò bruscamente, costringendolo a uno spiccio, violento ritorno alla realtà.
Stavano bussando alla porta.
La reazione fu immediata; quando la maniglia si abbassò, James afferrò il primo oggetto contundente disponibile. Non ricordava altro, nemmeno dove fosse dopo l'ultimo periodo di totale incoscienza e la necessità di attaccare per difendersi prese il sopravvento.
“Non sei per nulla minaccioso, con quello in mano.” Il sorriso di Tony era la dolorosa copia di quello strafottente conosciuto sulle labbra di un giovane, smaliziato Howard Stark. Il Soldato non realizzò cosa volesse dirgli fino a quando non si accorse di aver brandito un cuscino.
“Forza dell' abitudine...credo.”
“Immagino tu andassi a letto con un arsenale sotto il materasso.”
“La mia memoria mi fa ancora scherzi, su questi dettagli.”
L'uomo annuì svogliatamente e cominciò un pigro andirivieni per la camera, ignorando di trovarsi nell'equivalente di una gabbia con dentro un lupo. Un lupo confuso, affamato e sospettoso.
“Non ti sei fatto più vedere in giro. Ho fatto una fatica immane a trattenere Rogie dallo sfondare la porta per vedere se eri ancora vivo.”
“Ho avuto dei problemi da risolvere.”
Perché tra tutti quelli attorno a lui, proprio Tony Stark era venuto a cercarlo? Possibile non si rendesse conto del dolore procurato dai denti del rimorso che gli piantava nel cuore a ogni parola?
“Smettila di guardarmi come se volessi ammazzarti da un momento all'altro.”
“O consegnarmi a chissà quale squadra d'assalto per mettermi sotto arresto.”
“Esatto. Quando faccio un patto, non lo cambio da un giorno all'altro. Non sono così scostante.”
James socchiuse gli occhi, diffidente. “Posso sapere perché sei qui, allora?”
Il milionario alzò le spalle e storse la bocca in una buffa smorfia. “Principalmente, per vedere dal vivo e senza Captain-Guai-Se-Osi-America quel gioiellino del tuo braccio sinistro. Secondariamente, per vedere come stai e invitarti a un brunch di lavoro.”
Le sopraciglia del Sergente Barnes si aggrottarono; la prima affermazione era degna di lui e del patrimonio genetico ereditato, la seconda suonò come una lingua sconosciuta.
“Santo cielo!” sbottò Tony, incredulo. “Adesso hai esattamente lo stesso sguardo smarrito di Steve di fronte- beh, a quasi tutto. Anche se devo ammettere si stia dando da fare per colmare le lacune. Presto avremo molti ospiti e vorrei fossi presente anche tu. Vestito un po' meglio, magari.”
“Ci penserai tu a rendermi presentabile?” gli domandò infastidito e stordito dalla sua parlantina.
“I miei ospiti hanno diritto a un trattamento a cinque stelle. Nell'armadio troverai di che cambiarti. Ti aspetto fuori.”
Era strano venir trattato in maniera tanto informale. Strano e piacevole. Nessuno sguardo apprensivo, impaurito. Nessuna minaccia di una sedia con cinghie e piastre di elettrodi pronte a calare su di lui.
Era al sicuro. Ed era a casa.
Doveva bastargli.




Steve rigirò per l'ennesima volta l'oggetto che aveva preso dal borsone con cui era arrivato a New York.
Si trattava di un album da disegno; faceva parte della scorta accumulata a Washington, nel suo vecchio appartamento e se lo era portato via più per forza dell' abitudine che per reale bisogno. La necessità quasi animalesca di avere materiale su cui scarabocchiare, abbozzare, si era spenta in lui poco alla volta, negli ultimi due anni. Era un' apatia pericolosa, lo sapeva ma non era riuscito a combatterla. O forse, più semplicemente, si era arreso senza ribellarsi.
Una volta, Sam gli aveva chiesto cosa lo rendesse felice e invece di rispondergli con la sensazione euforica di avere in mano una matita e un foglio immacolato, il Soldato, il Guerriero, aveva mormorato sfinito una risposta demoralizzante.
“Non lo so.”
Nemmeno adesso aveva preso il blocco rilegato per creare qualcosa, fosse stato anche solo un semplice schizzo. Voleva farne un regalo. Dov'erano le sue matite?
Le trovò sul fondo della sacca, in un piccolo astuccio sciupato; le prese tutte e uscì dalla sua camera.
Il sole era sorto da poco, immerso nella caligine polverosa causata dalla foschia stagnante sull' Hudson. Non sapeva se avrebbe trovato Andy già sveglia; in caso non fosse stato così, le avrebbe lasciato tutto davanti alla porta per non disturbarla e sarebbe andato a trovare Bucky. Aveva aspettato fin troppo, dopo la ramanzina di Tony.
Sentì uno scatto, seguito da un altro dopo pochi istanti; in punta di piedi, la ragazza percorse il corridoio e si arrestò quando vide chi le stava venendo incontro.
“Steve!”
“Già in piedi?” le chiese con un sorriso del buongiorno tanto gentile da provocare un tuffo carpiato al suo povero cuore.
“Volevo- ecco, volevo andare a vedere come stava il Sergente Barnes. Sono in debito di un ringraziamento, con lui.”
“Volevo andarci anche io ma prima ci tenevo a darti una cosa.”
Andy si vide porgere un album e un porta matite. Gli occhi verdi, prima perplessi, si accesero un istante dopo con uno sguardo trepidante e incredulo.
“E'...per me?”
“Sì, vorrei che lo accettassi. Come minimo risarcimento per quanto stai passando.”
“Se questo è un modo per avere un altro abbraccio, sappi che non funzionerà” lo avvertì con una severità smaccatamente ostentata. Steve si ritrovò a ridere; l’imbarazzo dell’altro giorno aveva saggiamente deciso di andarsene.
“Mi basterà un tuo disegno in regalo e saremo pari.”
“Andata, Capitano. Mi scorta fino dal suo amico?”
Era bello e giusto che Andy si riferisse a Bucky così. Gli fece quasi passare in secondo piano la strana fitta ad altezza esofago scatenata dal modo in cui lei stava letteralmente coccolando contro il petto il suo nuovo, insperato tesoro. Quasi.
Arrivati a destinazione e dopo un energico bussare a cui nessuno rispose, Steve si accorse che la porta era aperta.
Il provvidenziale intervento di Jarvis non solo scongiurò un principio di attacco di panico ma rese ben chiaro il suo stato di agitazione latente, da calmare il prima possibile.
“Il Sergente Barnes è con il signor Stark, Capitano, non deve preoccuparsi.”
Era evidentemente uno scherzo e se una memoria artificiale era in grado di farli, quel genio egocentrico e indelicato era davvero capace di creare l’impossibile.
“Dove sono?”
“A compiere quello che si potrebbe definire un giro turistico. Stanno per andare alla palestra dei Vendicatori.”
“Ci andremo anche noi. Grazie, Jarvis.”
Steve si trascinò letteralmente Andy giù per diversi piani; era talmente preoccupato che Tony potesse scatenare una crisi evitata fino a quel momento da non sentire Andy intenta a cercare di richiamare la sua attenzione.
“Steve, ora che siamo arrivati e non c’è ancora nessuno, mi lasceresti la mano?”
L’aveva afferrata senza pensarci. Osservò quel gesto; Andy non stava facendo nulla per liberarsi per prima.
Mi sembra che pure tu non sia dell’ idea.
Non lo era, decisamente. Per questo dovette procedere con una svogliatezza nemmeno tanto celata.
“Siamo nervosi, mh?”
“Un po’.”
“Vedrai, andrà tutto bene. Tony sa sicuramente che si tratta del tuo migliore amico.”
La ragazza si aspettò un altro sorriso. Non arrivò mai.
Il Capitano si sedette di nuovo sulla panca dove avevano parlato il giorno prima. Quando il mondo pareva essersi raddrizzato, anche se di poco e si tiravano sospiri di sollievo sbagliati.
“Ricordi?” le domandò facendo vagare lo sguardo intorno, sui macchinari nuovi e mai usati, sull' avveniristica parete da scalata che curvava sul soffitto posto a diversi metri da loro. “Qui ti dissi che è complicato, ciò che riguarda Bucky. Lo è davvero.”
Il silenzio si posò tra loro ed era pieno della luce incerta e nebbiosa di una giornata di sole autunnale. Andy andò a sedersi al suo fianco,l' album sulle ginocchia chiuse, con la consapevolezza di chi sapeva di star facendo l' unico gesto giusto.
“Captain America può aver paura?” Steve glielo chiese puntando gli occhi verso un punto indefinito, utile per sfuggire all'ammissione implicita appena mascherata da interrogazione.
“Se lo ammette, non posso che rispettarlo di più. Bisogna diffidare, quando qualcuno afferma di non avere paura. Il prossimo passo è il fanatismo cieco per un' invincibilità che nessuno di noi possiede.”
Si voltò per guardarla con uno scatto del capo, incredulo.
“Chi ha paura conosce il valore del vero coraggio e lo possiede. Vale per me, vale per tutti. Sono le debolezze a farci capire il significato di una virtù e questa frase, te lo posso giurare, non l' ho presa da un libro.”
“E da cosa, allora?”
“Dalla mia vita. Cos'é che temi?”
Steve avvertì di nuovo il bisogno pungente di smettere di guardarla. Con risoluzione, afferrò il suo inutile, vuoto pudore e non gli permise di prevalere. C' erano state troppe fughe da domande capaci di aprire bauli pieni di rimpianto, rimorsi e schizzi mai divenuti opere compiute. Gli tornò alla mente Natasha.
Natasha sotto la foto in bianco e nero di Peggy nella prima sede dello SHIELD a Camp Leight, che gli chiedeva chi fosse. Non aveva voluto rispondere; non le riguardava, era impossibile la riguardasse perché non avrebbe compreso.
Quanto era stato presuntuoso.
“Temo di perderlo di nuovo, Andy. Se sapessi cosa gli hanno fatto per tenerlo in vita, per soggiogarlo al volere dell' HYDRA. Per cancellargli ogni istinto di umana compassione, amicizia, amore. Lo hanno trasformato in una macchina di morte.”
“Però è bastato chiamarlo per nome, a Central Park, per capire che c'è ancora una speranza.”
Perché per alcuni esisteva, il privilegio della speranza, il diritto di avere una seconda possibilità. C'era stato un tempo in cui lei stessa avrebbe dato tutto ciò che era per iscriversi in quella lista di prescelti. Senza quasi accorgersene, alzò la copertina colorata del blocco e aprì l'astuccio.
“Sai di dover lottare; fallo, non tirarti indietro. Provaci con tutte le tue forze e arrenditi solo se e quando dovrai. Almeno non avrai altri rimpianti.”
“Anche questo non è preso da un libro, vero?”
Andy scelse una matita HB e tracciò la linea dell'orizzonte per segnare un' indicazione prospettica. “No. Quando ero innamorata, combattei questa stessa battaglia e la persi. Non mi diedi per vinta fino alla fine; mi aspetta tutto l'onore delle armi.”
Si verificarono, nello stesso istante, due clamorose evasioni dal carcere di massima sicurezza in cui Steve era solito rinchiudere i sentimenti violenti o quelli ritenuti indegni di lui: il pudore, acciuffato poco prima, fece saltare ogni recinzione e venne seguito a ruota dall' ormai famigerato senso del possesso, che si destava solo se nelle vicinanze, o in un discorso, c'era Andy Martin.
Era stata innamorata. Non aveva recriminato, segno che non si pentiva di quanto era stato. Aveva sorriso, baciato, sofferto in quella che sembrava un'altra vita, una in cui lui non c'era.
Steve sapeva cosa fosse la gelosia. Lo aveva imparato a sue spese, molti anni prima e se non ci fosse stato uno scudo di mezzo, sicuramente Peggy lo avrebbe centrato con una delle pallottole sparategli contro e con tutte le sue giuste rimostranze e la delusione per essere stata creduta ciò che non era.
Adesso, il morso allo stomaco seppe di autentico dolore.
“Riesco sempre a farti pensare a cose brutte” mormorò contrito. Intanto, retta dalla mano sicura della ragazza, la matita continuava a creare forme e proporzioni.
“In mezzo a loro ci sono anche tante cose belle. In più, te lo avevo promesso.”
“Cosa?”
“Se tu mi avessi parlato di Bucky, io ti avrei detto perché uso sempre l’ironia per rendere più bella una verità.”
O per non cedere a una bellezza che sentivo di non meritarmi.
“Quando si lotta ogni santo giorno per il diritto di essere quello che si vuole, ci si arma per non avere paura. Tu hai il tuo scudo, io ho imparato a usare le parole. Sono diventata più forte, dopo e determinata. Sai, non ho mai disegnato tanto come in quel periodo!”
Il periodo del dolore, delle lacrime, dei cocci da rimettere insieme per far almeno sembrare al mondo di essere tutta intera.
Si fermò, colta da un' improvvisa ispirazione.
“Perché non lo fai anche tu?” e subito, alzò il foglio e strappò il secondo per darglielo.
“Vuoi che disegni? Davvero?”
“Rilassati, non ti ho chiesto di ballare! Scommetto già lo fai, non sei un illustratore anche tu?”
“Non ho avuto molto tempo, recentemente.” Non aveva più avuto il piacere, a essere onesti.
“La mano può perdere la ruggine. Se noi artisti non ci sfogassimo così, senza pensare davvero a qualcosa, come faremmo ad avere le nostre brillanti idee?”
“Quanto siamo modesti, signorina Martin!”
E rise. Steve rise e il mondo le sembrò subito meno mortalmente pericoloso.
“Si chiama incoscienza. Suona meglio.”
La porta della palestra si aprì.
Il primo a entrare fu un brillante e sempre avventato Tony, la faccia atteggiata tutta a un' espressione talmente galvanizzata da poter fare paura. Dietro di lui, la testa meno arruffata e dai capelli puliti di Bucky fece capolino, imbarazzata ma non era solo.
“ Buongiorno Andy, questo rozzo soldato è stato riguardoso?” domandò fingendo clamorosamente di essere arrivato lì giusto un attimo prima.
“Quando non lo è?” rispose e scoccò un grosso sorriso proprio a James, come a volerlo invitare a raggiungerli. Lui e chi si stava ancora nascondendo.
“Sam!”
Steve si alzò, evidentemente felice di ritrovare a New York il Maggiore Wilson.
“Cosa ti sei portato dietro da Washington?”
Silenzioso, Bucky sfilò oltre il gruppetto che si era formato e si ritrovò a scambiare uno sguardo con Andy, prima di fermarsi vicino a Steve. Osservò insieme a lui i due borsoni che il veterano si era trascinato dietro e piegò la testa sulla spalla sinistra.
“Io lo so” asserì con quella che pareva proprio soddisfazione; stava fissando quello dalla strana forma piatta e rotonda.
“Mi fa piacere sentire la tua voce senza il solito tono da morte imminente” rispose inaspettatamente allegro il Maggiore. “Scusa il ritardo, Capitano ma avevo una missione da compiere.”
La chiusura lampo venne aperta. “Ho idea presto ti servirà. Ci servirà.”
Un lampo rosso, blu e argento. Una stella.
Steve prese il suo scudo con gesti delicati e preziosi. Sembrava avesse paura di vederlo svanire.
“Dove lo hai trovato?”
Sam sarebbe stato ben lieto di lanciarsi in un' entusiasta spiegazione di come fosse stata di Tony Stark l'idea, fornendolo di un programma in grado d'identificare i metalli rari sotto qualsiasi superficie ma la dignità e l' immagine di Iron Man fu salvata da un provvidenziale annuncio di Jarvis.
“Signore, il suo jet privato è appena atterrato al La Guardia.”




Angolo (tetro e buio) dell' autrice: un paio di note squisitamente tecniche, questa volta!
Il grado di Sam è una mia supposizione: nel film non viene mai citato, si sa solo la sua mansione nei Pararescue e che è un veterano molto attivo nell' Associazione che si prende cura dei recudi di guerra.
Lo scudo di Steve viene recuperato ben prima di quando indichi io: mi sono presa una piccola licenza poetica, ispirata tra l'altro da una fan art in cui si vedeva Tony riportarlo al legittimo proprietario mentre era ancora in stato d' incoscienza dopo i fatti del Triskelion.
La nota Nerd del capitolo: quando Sam passa davanti a Starbucks, fa un riferimento col pensiero a un film con Tom Hanks e Meg Ryan, "You've got an e-mail". Commedia deliziosa, con dei veri lampi di genio a livello di battute, tra cui quella fantastica del personaggio di Hanks che riflette sull' improvvisa consapevolezza di sè che si raggiunge per ordinare un caffé.
So di essere ancora in arretrato con alcune recensioni ma non temete: finalmente sto tornando a ritmi di lavoro più umani e recupererò poco alla volta. Vi posso assicurare che risponderò a tutti, perché è il minimo che possa fare per contraccambiare il vostro affetto per The List.
Un abbraccio!
Maddalena













 

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Capitolo 21
*** 18 ***


18

 

 

“Sai?” Natasha iniziò così quella domanda, fissando il cielo fuori dall' oblò del jet. “Ho compiuto soggiorni più piacevoli in Europa.”
Clint sorrise, continuando a sistemare la carica esplosiva ad avvitamento sotto la punta di una delle sue freccie. Il tavolino davanti al suo posto era ingombro di armi, compresi due caricatori pieni.
“Dipende da cosa intendi tu per piacevole.”
La donna imbronciò le labbra. “Stavolta ero seria; un bell' hotel a Notthing Hill, cene nei ristoranti più trendy di Mayfair. Un musical diverso ogni sera.”
“Temo dovremo aspettare ancora molto, per una vacanza.”
Natasha socchiuse gli occhi e appoggiò il capo contro la morbida testata del seggiolino.
Erano partiti dall' Inghilterra qualche ora prima e nonostante vi avesse trascorso quasi due settimane, le sembrava di non esserci mai stata realmente.
La pista di decollo si trovava a pochi metri da quelle ben più imponenti e trafficate di Heathtrow ma chi si poteva permettere di pianificare un viaggio simile in meno di mezza giornata e con un aereo privato come quello dove si erano imbarcati, preferiva comprensibilmente luoghi più discreti.
Dopo il primo contatto con il Colonnello Fury e la scoperta di poter usufruire di nuovo di un canale di comunicazione sicuro, erano cominciate ad arrivare alcune risposte, al fronte di ancora troppe domande insolute.
Steve era stato attaccato a New York.
Era stata scoperta una cellula di Ricognizione dell' HYDRA predisposta al suo pedinamento.
Stark aveva usato ogni suo mezzo a disposizione non solo per convertire un satellite delle sue industrie all'uso di traghettatore di dati e informazioni per degli ex agenti praticamente mandati allo sbando a cercare prove di altre basi nemiche a Londra ma anche per recuperarli e riportarli negli Stati Uniti.
C'era stato solo il tempo materiale per una rapida riunione a Oxford, prima di risalire a bordo della jeep di Laogharie e correre in aereo porto prima che troppe voci cominciassero a serpeggiare in certi ambienti, ambienti ben più attrezzati e informati di loro.
“Rimarrai qui?” aveva chiesto Natasha. Era quanto di più simile riuscisse a formulare come saluto.
“Meglio rimanga morto e compianto il più a lungo possibile, agente Romanoff. Ci sono altre piste da seguire e penso che Londra sia stata solo la prima tappa.”
“Anche tu hai la sensazione di un disegno più grande?” Clint stava raccogliendo i loro pochi averi, tutti utili a una sola cosa: attaccare per difendersi e indagare per attaccare.
“Temo che il progetto Insight avesse una sola testa del mostro a seguirlo. Vi farò sapere se ho nuovi elementi quando sarete a New York, al sicuro.”
“Sai che potresti chiedere aiuto anche a qualcuno di particolarmente...in alto, qui.”
Nick aveva esalato uno sbuffo simile a un sogghigno. “Preferirei lasciare il nostro Dio del Tuono alla sua nuova vita domestica il più a lungo possibile.”
Non c'erano stati veri commiati. Persone come loro erano allergiche a certe pratiche e non si trattava di un luogo comune; un arrivederci aveva un suono funesto, se a pronunciarlo era qualcuno per cui una passeggiata con la morte come sparring partner era un appuntamento quotidiano.
Le nuvole erano una coperta d'argento. Quando si squarciava, sotto c'era solo il grigiore immenso, senza confini dell' Oceano Atlantico.
“Ti va di riassumere quanto abbiamo?”
Frecce e pistole ora potevano aspettare. Annuendo in direzione di Clint, Natasha si chinò di lato e prese dal carrello di servizio un piatto di sandwich. L'atterraggio era previsto nel tardo pomeriggio, fuso orario della East Coast ma aveva decisamente fame. E una mente carburata lavorava meglio.
“Dunque; a quanto sappiamo, l' HYDRA sta ancora smaltendo il colpo in testa subìto a Washington ma è tutt'altro che morta. Lo possiamo solo desumere ma Alexander Pierce non era il suo unico capo.”
“E anche lo fosse stato, sicuramente può venir rimpiazzato.”
“Esattamente. Ora stanno agendo come uno squadrone terrorista e la prova sta nella cellula di Ricognizione alle calcagna di Steve.”
“Pensi sia stata quella ad attaccarlo a Central Park?”
“Lo escludo. Non corrisponderebbe allo schema.” Natasha gli passò qualcosa da mangiare. Gesti normali per esorcizzare discorsi da far andare di traverso la più leggera delle cene.
“Assaltatori di bassa lega; usare un territorio come Central Park, presentarsi in pochi...il Capitano avrà pensato fosse una passeggiata.”
“C'è qualcos'altro. Qualcosa che Stark ha ritenuto pericoloso farci sapere, persino ora che possiamo parlare tramite il nuovo ponte di trasmissione.”
“Hai idea di cosa possa essere?”
“Forse.”
Clint vide la compagna chiudersi di nuovo nell'espressione assunta nel laboratorio rinvenuto nella cripta della Chiesa del Tempio. Adesso la Vedova Nera non era più con lui; stava seguendo una strada che non voleva o non poteva indicargli. L'unica scelta saggia era aspettare.
La voce di Jarvis si diffuse per l'abitacolo passeggeri. Era il sistema operativo a pilotare l'apparecchio, secondo un congegno sperimentale del suo padrone. Anche quello e la totale assenza di altro equipaggio di supporto la diceva lunga su quale tempesta si stesse profilando all' orizzonte.
“Agente Romanoff, agente Barton, stiamo per cominciare la fase di discesa su New York. Allacciate le cinture di sicurezza.”
Ad aspettarli allo sbarco ci sarebbe stato un SUV nero, dai vetri oscurati. Tony aveva mandato a prenderli l' unico uomo di cui si fidasse in un frangente simile: Happy Hogan, una vecchia conoscenza di Natasha.
Mezzi imponenti, scorta. Tutto sembrava così uguale al passato e al tempo stesso, nulla era più come una volta. Nessuna aquila stilizzata su uno scudo. Nessuna base a cui tornare. Nessun vero superiore a cui fare riferimento.
I pezzi di quello scudo, i pochi rimasti, stavano convergendo tutti verso un grattacielo dalla discutibile architettura avveniristica.
La Stark Tower era divenuta l'unico faro acceso in un mare in burrasca.

 

 

Eccoli tutti lì, pensò Tony Stark osservando i suoi ospiti. La più scalcinata squadra di superstiti che mente umana potesse concepire per andare all’ennesimo soccorso dell’ umanità stessa.
Non mancava nessuno: due uomini fuori dal Tempo, uno dei quali con ancora seri problemi a reintegrarsi nel presente dopo una vita passata a vedersi macerato, spezzettato e bruciato nell’ animo affinché solo il ghiaccio sopravvivesse e prendesse il nome di Soldato d’ Inverno.
Ehy, questa cos’è?Apprensione per l’amichetto di Rogie?
Meglio non indagare e proseguire la rassegna delle truppe.
Piantala di ragionare come un soldato. Non lo sei mai stato.
Stava cogitando, nemmeno la sua coscienza poteva interrompere.
Dunque: c’era un Maggiore afro-americano che aveva visto troppe morti e salvato meno vite di quante avrebbe voluto, capace di combattere attivamente il rimorso occupandosi di quelli rimasti in vita, per quanto acciaccati, feriti e danneggiati.
Il degno sostegno psicologico per il nostro Captain-Cuore-Coraggioso, qual’ ora si metterà in testa di passare la Siberia nella testa del Sergente Barnes per ritrovarlo.
Avevano pure una ex agente potenzialmente letale, di fisico e cervello il cui miglior premio aziendale sarebbe consistito nel darle il metaforico pugnale da affondare nel cuore dell’ HYDRA, una donna che non aveva bisogno di super poteri o super armature per essere perfetta –a Pepper non andava aggiunto nulla, era quanto di meglio avesse mai potuto sperare nella sua ammaccata vita di genio irrequieto- e infine, una ragazza totalmente estranea, all’apparenza. L’imprevisto impossibile da calcolare e ben deciso a dare rogne, nel suo piccolo, a chiunque volesse far del male a Steve.
Andy Martin gli piaceva. Sicuramente aveva pianto, in qualche angolino della sua bella camera da ospite ma adesso era lì e non si stava guardando attorno smarrita. Pareva fosse persino riuscita a stabilire un dialogo con il caro Bucky. Gli sarebbe piaciuto pensare a una devianza della Sindrome di Stoccolma; peccato la realtà, infida e banale, fosse ben diversa.
Barnes aveva salvato la ragazza. E lei si era totalmente affidata a lui per tornare alla Stark Tower incolume, graffio sulla tempia a parte.
Seduta sul divano di pelle che guardava verso la vetrata, Andy fissava la sua città con la smaniosa malinconia di chi non poteva viverci come aveva sempre fatto. Park Avenue, da lassù, da quel nido sospeso in cielo, era un nastro d’asfalto incuneato tra i grattacieli, pieno di auto. New York non avrebbe cessato di vivere la sua brulicante esistenza dove i drammi, grandi e piccoli, si consumavano nell’ indifferenza di un nuovo treno della metro partito o di uno in arrivo. Il tempo di scendervi o salirvi e ogni cosa sarebbe proceduta nella perfetta illusione che nulla l’avesse guastata.
Da qualche parte là sotto, dove si camminava, si correva, ci si fermava agli incroci per non venir investiti o una vetrina attirava l’attenzione, c’erano Kate e la sua angoscia. Poteva avvertirla senza nessuna prova tangibile; poteva vederla, chiudendo gli occhi, intrecciarsi a quella della sua famiglia.
La paura possedeva una sua ovvietà. Dipingeva sempre le stesse domande, dava vita ai medesimi tormenti, calati solo in contesti diversi.

L’aroma intenso della sua bevanda preferita l’avvolse un secondo prima che in testa iniziasse la prima di tante, terribili domande: cosa stavano facendo le persone da lei amate, ora che era scomparsa?
“Dovevo offrirti un caffè, se non erro.”
La gentilezza di Steve sapeva di cose buone, cose sincere e riusciva sempre a calmarla. Dopo un momentaneo arresto cardiaco, ovviamente. Da dietro la seduta del divano, le stava porgendo la tazza fumante preparata per lei.
“Avevo immaginato tutt’ altro contesto.” Andy l’accettò e incurante del calore, vi strinse attorno le dita, soffiandovi dentro piano. “Non me ne voglia Tony ma Central Park è più suggestivo, per consumare un simile nettare.”
“La tua è una dipendenza.”
“Chi non ne ha una, Capitano?”
Meglio dipendere dalla caffeina che aspettare trepidante un nuovo sorriso, una nuova fibrillazione. Essere in attesa di troppe cose era da deboli e aveva giurato non lo sarebbe stata mai più.
“Stavi pensando a Kate?” le domandò Steve prendendo posto vicino a lei.
Se poi il soggetto in questione, la causa di indesiderate sistole, l' avesse piantata di leggerle dentro, sarebbe stato meglio.
“Sì. E a mio padre. Mia madre. Mio fratello. A quest’ora sapranno e staranno contando le ore mancanti allo scatto di una denuncia per scomparsa.”
Un sorso di caffè, proveniente da una selezione particolarmente pregiata della varietà Blue Mountain, non avrebbe dato la pace al mondo; sicuramente avrebbe aiutato Andy a dare un momento di quiete al proprio.
Steve osservò il profilo della ragazza, chiaro e delicato contro lo sfondo scuro dei capelli sciolti. Le palpebre si abbassarono mentre beveva, tremando appena; l’unico segno di fragilità a cui era permesso uscire da dietro la corazza che questa giovane donna nemmeno sapeva di possedere. Lo sapeva lui e tanto gli bastava per ammirarla.
“Li rivedrai presto. Intanto, non sarà di grande conforto ma saprai tra poco cosa è successo.”
Gli occhi verdi di Andy lanciarono un’ occhiata di sottecchi alle sue spalle. “Sempre che la signorina Hill non abbia un colpo vedendomi rimanere qui.”
“Dovrà farci l’abitudine” gli rispose con una risoluzione in cui era nascosto dell’ acciaio.
“A tal proposito… chi stiamo aspettando?”
Il Capitano sentì l’ammirazione diventare rispetto e stupore. Nessuno aveva detto chiaramente che a quel brunch mancava qualcuno ma Andy si guardava attorno con consapevolezza; era l’osservazione acuta di qualcuno in grado di andare oltre la perfetta calma ostentata da tutti.
La ragazza notò vicino al tavolo imbandito quel soldato che si era presentato come Sam Wilson; parlava, o stava tentando di parlare con Bucky; il loro dialogo era impossibile da udire, il solo fatto avvenisse era un piccolo miracolo. Pepper gravitava vicino a Tony ma sembrava non tollerare il minimo allontanarsi da lui. Maria stava controllando chissà quale dato su un palmare, incurante del richiamo costituito dai piatti succulenti a pochi passi da lei.
Tutti erano impegnati in una recita di cui s’ ignorava il soggetto.
Per l'esattezza, James stava pensando che i panini al bacon ci cui si era riempito il piatto erano qualcosa di eccezionale, quando Sam afferrò la brocca di succo d'arancia vicina al vassoio appena saccheggiato.
“Sembra piacergli davvero molto.”

La scena spiata in palestra era difficile da dimenticare.
“Le cose andrebbero meglio, se fossero meno imbranati e orgogliosi.”
“Vuoi dire che-”
“Ho le mie fonti per affermarlo. Il Capitano è ricambiato ma ancora non lo sa.”
Sam non ebbe ragione di dubitare dell' affermazione di quello che rimaneva pur sempre il fratello mancato di Steve; l'osservò divorare un altro dei suoi panini. Era decisamente straniante vedere il Soldato d' Inverno capace di azioni banali come il mangiare. Con gusto, per giunta.
Il parlarci assieme, scambiandosi impressioni sulla coppia a pochi metri da loro, era da classificare come pura fantascienza. Riprese dopo un altro sorso d'aranciata fatta in casa.
“Non è il momento migliore, forse.”
James scosse il capo e lo guardò. “Sono convinto del contrario.”
Quando ci si perdeva, l'esigenza di trovare una vista famigliare, un punto di riferimento riconoscibile, era fondamentale. Aveva cercato Steve con quello scopo, una sorta di chiodo fisso da cui era impossibile liberarsi e aveva abbastanza confidenza con l' ossessione che ne derivava da saperla riconoscere nel momento in cui si presentava. La differenza stava in un solo punto del metodo: il Soldato era stato cosciente, per la prima volta e si era fatto guidare dal ricordo dell' amico ritrovato. Mentre Steve non si era accorto di chi stava cercando. E nemmeno Andy.
“Stai pensando alle parole della ragazza?”
Aveva deciso da diverse ore che Wilson gli piaceva. Era schietto, onesto, con un buon fiuto nell' intuire i veri sentimenti delle persone.
“Esattamente.”
“Pensi sia ancora innamorata del tizio di cui ha parlato a Steve?”
James fissò Andy, che ignara di tutto era tornata a dar loro le spalle.
“Ha solo paura. Un po' la comprendo.”
Anche l'ultimo panino fece la sua gloriosa fine in pochi bocconi. La domanda del Maggiore lo bloccò nel momento in cui decise di volerne altri.
“Come fai a dirlo?”
Lo scetticismo nella sua voce era comprensibile. Una macchina di morte non poteva provare empatia, men che meno compassione. James decise di aver voglia di due muffin al cioccolato, all' improvviso.
Cosa darei per una torta di mele come si deve!
“Si può avere il cuore ridotto in pezzi per tanti motivi.” Sam deglutì, imbarazzato, segno che aveva capito a cosa alludesse. “Il problema uguale per tutti è rimettere insieme quei pezzi e il terrore di vederlo andare in frantumi di nuovo.”
“Signore.”
Jarvis fece cessare la musica. “Gli agenti Barton e Romanoff sono arrivati.”
All'annuncio, gli occhi dei presenti si spostarono automaticamente sull' ascensore. Le porte si aprirono silenziose.
Clint Barton era un uomo non eccezionalmente alto, fisico asciutto dai muscoli delineati e nervosi, capelli color sabbia corti e ispidi. Vestiva un giaccone da motociclista nero, pesanti pantaloni militari dello stesso colore infilati negli anfibi. Come fosse la cosa più normale del mondo, portava una faretra futuristica sulla schiena; fece cadere a terra un borsone, producendo un rumore metallico che almeno cinque persone riconobbero all'istante.
Fu la vista della donna a togliere fiato, pensiero e facoltà di parola a James Buchanan Barnes.
Natasha Romanoff era ancora più bassa del compagno con cui si era presentata.
Vedendola, il Soldato e Bucky furono d'accordo su una cosa: non avevano contemplato niente di più bello in vita loro.
Il volto a forma di cuore era circondato da una massa ordinata, liscia e perfetta di capelli rossi portati all'altezza delle spalle. Le labbra piene si chiusero in una linea tesa a cui non era concessa possibilità alcuna di sorridere, quando i suoi splendidi, felini occhi verdi si posarono su di lui.
Una volta i tuoi capelli erano ricci.
Il pensiero trapassò da parte a parte la notte in cui si sentiva immerso.
Onde di sangue sul bianco.
“Natasha...?”
Una voce distorta- forse Steve?
Volute di sangue che si scioglievano nell' acqua.
“Natasha!” Ancora Steve.
“Nat, fermati!” Una voce diversa. L'agente Barton?
La ragazza di neve. L'unica sopravvissuta.
“NATASHA!”
La sensazione di dolore divenne un lampo che illuminò a giorno la sua mente confusa e ovattata. All'improvviso, tutti i ricettori nervosi di James si accesero insieme, intenti a diramare in tutto il corpo un solo messaggio.
Dolore infernale.
Si accorse di essere caduto in ginocchio, con la mandibola probabilmente fuori posto e un sapore di ferro in bocca. Il pugno doveva avergli fatto mordere superficialmente la lingua.
Una selva di gambe corsero a coprirgli la vista di chi aveva osato colpirlo; fece in tempo a scorgere il lampo verde, stillante bellicoso trionfo, nello sguardo della Vedova Nera. Era stata lei ad attaccarlo e ora nel loft era esploso un vero pandemonio. Steve la strattonò via, afferrandola per il braccio e facendola voltare bruscamente in modo da fronteggiarla.
“Che diavolo ti è preso?”
Una mano gli venne posata sulla spalla sinistra. Andy stava sfiorando la placca d'innesto dell' arto bionico senza tremare e non disse nulla mentre gli porgeva un tovagliolo dove sputare la saliva.
“Si chiama rivincita, Rogers!” sbottò Natasha liberandosi. “Due pallottole, ricordi?”
“Io sono dell'idea che un po' di sana vendetta ci stesse tutta.”
“Clint, ti prego, non cominciare anche tu.”
Sam si parò davanti ad Andy e James ancora a terra, con le braccia alzate. “Ora che i convenevoli sono stati scambiati, vogliamo darci tutti una calmata?”
Non si mosse dalla sua posizione di scudo umano fino a quando non sentì un po' di tensione abbandonare il gruppo.
“Molto bene. Romanoff? Tre passi indietro. Tre, non barare. Agente Barton? Piacere di conoscerti, Sam Wilson. Cerca di calmare la tua amica. Steve?Lascia perdere il braccio di suddetta amica e controlla che il Sergente Barnes non abbia bisogno di un intervento di ricostruzione ossea.”
“Non dovrei essere io a dare ordini in casa mia?”
Tony era rimasto in silenzio per valutare il momento migliore del suo fenomenale e proverbiale ingresso in scena; il fatto gli fosse stato scippato dall' ultimo Maggiore arrivato da nemmeno mezza giornata era abbastanza fastidioso.
James accettò il tovagliolo e il flebile sorriso della ragazza, che si rialzò senza chiedergli se avesse bisogno di una mano; intuiva istintivamente come comportarsi e dove fermarsi, dandogli prova ulteriore di un rispetto nei suoi confronti che non era certo di meritare.
“Agente Romanoff, i tuoi modi non sono migliorati molto. Ti sembra il comportamento da tenere con i miei ospiti?”
Natasha lo fulminò con un'occhiata inviperita.
Ospiti, diceva Stark. Valeva la pena osservarli.
Maria Hill. Era abbastanza certa che etichettarla come “ospite” fosse il modo migliore per vederla assassinare il suo nuovo capo. Pepper. Steve. Il Soldato d' Inverno, intento a osservarla in modo così fisso, penetrante e indecifrabile da farle provare disagio. Sam. E infine-
Lei chi sarebbe?”
Di nuovi in piedi e visibile a tutti, Andy represse un sospiro di rassegnazione.
Stava per iniziare l'ennesima battaglia; sperò di sbagliarsi ma aveva la netta impressione di non piacere molto alla Vedova Nera, una delle ex agenti dello SHIELD più temute e pericolose.
 

 

“Quindi mi state dicendo che teniamo qui una civile coinvolta per caso e creduta rapita da una buona percentuale della popolazione di New York?”
Il racconto di come una concept designer in carriera fosse finita in mezzo a un nuovo complotto ordito dall' HYDRA portò via meno tempo del previsto. Alla fine, Natasha e Clint si erano scambiati uno sguardo e poi erano tornati a fissare Stark.
“Avete tralasciato il fatto che non ci sia solo lei come new entry” rispose pigramente il milionario, alzando la mano destra per indicare col pollice il Soldato d' Inverno, ora a debita distanza dalla Vedova Nera.
La donna fece di tutto per non dare peso a quegli occhi grigi sempre posati su di lei. Essere bombardati da una continua, muta richiesta di spiegazioni a domande impossibili da conoscere non era per nulla piacevole.
Non lo era nemmeno considerare una semplice cittadina americana parte del loro gruppo.
“Se Steve garantisce che il suo amico sta provando a tornare in sé non ho nulla da ridire.”
Forse. Due pallottole rimanevano due pallottole ed era stata fin troppo magnanima nel ricambiarle con un semplice montante destro al laterale dell' osso mandibolare di...come doveva chiamarlo, adesso?
“Ma ne ho se parliamo della ragazza. Cosa succederà quando la Polizia dovrà cercarla? Visioneranno come prima cosa i filmati dalle telecamere di Lafayette e Mulberry Street. Vedranno i rapitori. Vedranno lui e trarranno le conclusioni sbagliate. La cattiva pubblicità è l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno.”
Maria si sentì in dovere di supportare l'unica persona dotata di senno sulla questione. “Romanoff, il signor Stark pare non sentirci da quell'orecchio.”
Steve si alzò in piedi, lasciando James con Sam.
“I sordi sono due” dichiarò con decisione. “Non la rimanderò a casa col rischio concreto che possano di nuovo andarla a prendere.”
La gravità dell'attimo impedì a qualcuno di fare allusioni sulla presa di posizione ferrea di Captain America. La discussione sarebbe ripresa finendo inevitabilmente all'ennesimo punto morto, se non fosse stato per l'intervento della diretta interessata.
Andy aveva ascoltato pazientemente le obiezioni. Le aveva persino condivise. Non occorreva un genio deduttivo alla Sherlock Holmes per avere chiara la situazione e il fatto che l'unica intrusa in un quel piccolo congresso di super eroi o gente dotata di qualità sorpredenti era proprio lei.
A una simile conclusione c'era giunta ben prima di Natasha Romanoff; tuttavia c'era dell'altro e si sentiva in dovere di puntualizzarlo.
“Possiamo anche dirlo: io sono l'ultima cosa di cui avete bisogno.”
Era un'affermazione vera. E insieme così scomoda da mettere una manciata d'istanti colmi di denso silenzio a formare una pausa; le servì per agguantare con forza il suo coraggio e continuare, osservando uno alla volta i Vendicatori ritrovati, i loro amici e alleati.
“Ho abbastanza realismo per rendermene conto da sola e abbastanza sfacciataggine da pensare non sia una colpa tanto grave. Sono rimasta qui perché mi è stata chiesta fiducia e promesso delle risposte. Queste mi spettano in particolare; dopo averle avute, tornerò nel mio angolino e lascerò il lavoro sporco a chi lo saprà fare meglio di me.”
Il cuore le batteva furioso contro il palato, rimbombando contro le costole. Andy sapeva di non essere arrossita stavolta e non abbassò il capo di fronte all' occhiata lanciatale da Natasha.
L'agente percepiva quanto fosse spaventata e intimorita; lo vedeva dagli ampi respiri presi per calmare la pulsazione cardiaca, dai pugni serrati per non far vedere il tremore alle dita. Ma vedeva anche Stark cercare di non sorridere complice insieme a Pepper, il modo in cui Sam Wilson mimava un muto fischio di ammirazione e il Soldato d' Inverno cercare di leggere nello sguardo ammirato di Steve una conferma a un dubbio ancora senza senso.
Andy Martin non andava sottovalutata.
“Se siamo tutti d'accordo, possiamo cominciare proprio da qui.”
Tony prese in mano la situazione approfittando dello stallo venutosi a creare; era smaccatamente felice di vedere messe in un angolo la Vedova Nera e l' agente Hill, loro e le rispettive manie di segretezza. Si diresse al suo tavolo da lavoro e aprì un laptop sottile, di un indefinibile colore argento; avviò un programma con pochi comandi.
“Jarvis, apri il primo file.”
Il sistema operativo ci mise meno di un secondo per eseguire l'ordine: mostrò il risultato con una proiezione virtuale.
Erano quattro finestre con altrettante e-mail. Andy le lesse e un fiotto acido di rabbia misto a impotenza le strinse lo stomaco. C'era l'indirizzo di casa sua e prima ancora qualcuno aveva segnalato la sua permanenza alla Stark Tower.
E poi c'era suel verbo.
Procedere.
Forma infinita, comando imperativo.
Cominciò a vedere delle tessere del puzzle e il modo per unirle.
“Come sappiamo dai dati fornitici dal nostro nuovo amico -o forse dovrei dire vecchio?- a New York era presente una squadra di ricognizione dell' HYDRA. Non abbiamo potuto fare altro che estrapolare le foto e le informazioni salvate sulla pen drive, senza poter risalire a un effettivo ricevente di questo materiale.”
James, con sollievo di Natasha, puntò gli occhi verso il pavimento. Liberare l'ostaggio era stata una pessima idea.
“Ho provato io stesso a fare un primo esame.” L'ammise con una tale contrizione da guadagnarsi un' occhiata allibita da Sam e Clint, decisamente gli ultimi a doversi abituare alla lenta rinascita dell'uomo sotto la corazza del Soldato d' Inverno.
“Ho pensato che delle prove oggettive fossero meglio di ciò che poteva dirmi un uomo dell' HYDRA.”
“Avresti potuto interrogarlo.” L'obiezione di Natasha risuonò di un' accusa ben precisa. L'uomo la guardò ancora, con quel fuoco indecifrabile negli occhi grigi e smascherò l'allusione.
“Non volevo torturarlo. Ora sei soddisfatta?”
Qualcuno che aveva ucciso, distrutto, annientato senza saperlo, preda lui stesso di una tortura infinita, poteva arrivare a un limite. A segnarlo era stato Bucky, mano a mano che la sua coscienza riprendeva lucidità. Senza dire nulla, Steve si avvicinò e gli diede una pacca sulla spalla. Il gesto valeva molto più che decine di sinceri discorsi sul loro ritrovarsi.
Tony si schiarì la voce, sottolineando che non era il momento di lasciarsi andare a commoventi rimpatriate.
“Questa squadra però prima di seguire il nostro Rogie, aveva compiuto un' escursione nella nostra capitale. Sergente Barnes, credo che questo possa interessarti.”
Con un gesto del braccio, Tony spostò in alto il monitor virtuale con le mail e ne creò un secondo per mostrare la foto dove si poteva vedere il Soldato d' Inverno nell' appartamento di Steve.
“Quindi stanno seguendo tutti e due?” domandò Sam incrociando le braccia sul petto. “Perché? E perché non si sono ancora ripresi il Soldato se è la loro arma migliore?”
Clint sbuffò, studiando con gli occhi ridotti a fessure l'oggetto principale della discussione in corso.
“Credo dipenda dal punto di vista con cui guardi a questo “migliore”, Maggiore Wilson.”
Come l'arciere infallibile che era, Occhio di Falco prese la mira e scoccò: “All' HYDRA serve un guscio vuoto privo di emozioni e ricordi perché sia letalmente efficiente. Ora il guscio si è rotto e si sta riempiendo di tutto ciò che ritengono pericoloso.”
La ragazza mora, Andy, alzò di scatto il viso e lo affrontò in silenzio, corrugando appena le sopraciglia. Qualcosa di quanto aveva detto pareva averla colpita; Clint era pronto a scommettere che dietro il suo rispettoso mutismo ci fosse ben altro: un cervello in continuo fermento, intento a elaborare una precisa descrizione di tutti loro.
“Stiamo continuando a cavillare” sbottò Steve. “Abbiamo bisogno di un indizio concreto per capire il piano in atto.”
“Forse adesso lo abbiamo.”
Tony riportò in primo piano le mail con cui aveva inviato la riunione.
“Mentre il nostro coraggioso Capitano si dirigeva a bordo del suo destriero motorizzato a salvare qualcuna che era già stata debitamente salvata, io mi sono occupato del computer del nostro caro Gerry Stenton. Ho trovato delle cose piuttosto simpatiche, tipo...” un velocissimo scorrere delle dita “... questo. L'indirizzo mail da cui ha scritto, ovviamente criptato una traccia di IP che ora Jarvis può elaborare per condurci a un server.”
“Natasha?” interloquì Clint, sogghignando. “Lascio a te l'onore.”
La complicità tra Occhio di Falco e la Vedova Nera era quasi un'entità fisica, tangibile. Percepedola, James provò una fastidiosa, dolorosa fitta in un angolo della sua mente ancora ben tenuto nascosto.
“Mentre eravamo a Londra, Fury si è servito dei contatti fornitici dall' amica del Maggiore Wilson per verificare alcune voci sentite a proposito di una Society con sede all' Inner Temple College. Abbiamo scoperto così una base dell' HYDRA, proprio nella cripta della Chiesa del Tempio.”
“Dan Brown sarà furioso nel sapere che gli hanno copiato l'idea.”
L'agente Barton alzò le spalle e prese una minuscola scheda di memoria da una delle tasche del suo giaccone, dandola a Tony.
“Volendo essere pignoli, Dan Brown è salito sulle spalle di altri per scrivere il suo best seller. Storia abbastanza scontata, tra l'altro. Credo che i nostri nemici fossero là sotto da ben prima che decidesse di rendere godibile una teoria storica famosa da decenni.”
“Potresti reinventarti come critico letterario. Ci hai mai pensato?” lo stuzzicò Tony inserendo la scheda in un plug.
“Potrei pensarci. Mi scrivi tu la lettera di referenze per il Time books rewiew?
Quello che videro pochi istanti dopo fece passare in tutti qualsiasi voglia di scherzare.
Andy pensò di non aver mai fatto un tour virtuale tanto macabro: la sala coi lettini operatori serviva chiaramente a condurre esperimenti ben lontani dal prevedere l'uso di abituale strumentazione chirurgica. Non c'erano vassoi con bisturi, divaricatori: solo due unità per la rianimazione e decine, decine di elettrodi collegati a macchinari mai visti prima. Sentì le palme delle mani sudate ma quello che la spaventò di più fu vedere la reazione di James.
Il suo viso era invaso da un pallore mortale. Aveva sgranato gli occhi. Respirava pesantemente col naso.
“Bucky”, lo chiamò Steve e solo il gesto di passargli il braccio attorno alle spalle evitò il peggio; era certa si sarebbe scagliato contro quanto stava vedendo.
Ciò che la sorprese ancora di più fu il rendersi conto che anche l' agente Romanoff era nelle stesse condizioni.
“Questo conferma quanto abbiamo appreso sul dossier del Soldato d' Inverno” commentò Maria sancendo misericordiosamente la risalita dei presenti verso un po' di luce dopo uno spicchio d' Inferno.
“Sono stati condotti altri esperimenti. Sappiamo quando?”
“Recentemente; quelle pagine erano state aggiunte dopo la Primavera del 2012.”
“Dopo l'invasione dei Chitauri?”
Otto teste si voltarono verso Andy.
“Sono nata qui, vi ricordo” ribatté con ovvietà. “E certe date sono difficili da scordare, per un newyorker.
“Chi sarebbero questi Chitauri?” James piegò perplesso il capo sulla spalla sinistra. Natasha non seppe se classificare quel movimento felino come la cosa più strana a cui aveva assistito o l' incredibile naturalezza con cui la ragazza si rapportava con quanto stava succedendo.
“Temo tu fossi nel tuo sonno di bellezza, in quel momento. Steve ti spiegherà tutto più tardi. Agente Romanoff, stavamo dicendo?”
“Oltre a quella c'era un'altra stanza. Ospitava un enorme server, funzionante e in ottime condizioni.”
Tony batté le mani, deliziato della notizia.
“Allora forse abbiamo trovato la formula magica per aprire la porta misteriosa ma ci servirà uno spazio più adatto.”
Aprì le braccia, come volesse esortare idealmente i suoi ospiti ad accettare un invito. Aspettava un momento simile da mesi e il pubblico giusto.
“Le signore e i signori vogliono seguirmi? Il giro turistico per i laboratori sta per cominciare.”
Pepper scosse il capo, sospirando divertita. Sapeva con matematica certezza quale domanda stava vorticando nella testa di ognuno.
Di quali laboratori si stava parlando, adesso?
 

 

 

Angolo (tetro e buio) dell' autrice: ennesimo aggiornamento a ore impossibili, prima di scappare al lavoro. Una volta ogni tanto non ho inserito citazioni Nerd, momenti da Superquark ma non temete: mi riferò coi prossimi capitoli. *Risata da Evil Lady*
Intanto godetevi il brunch con questi bei ragazzoni e un abbraccio a tutti i miei lettori!
Maddalena

 

 

 

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Capitolo 22
*** 19 ***


19




Hai una relazione con me. Non te la caverai mai.”
Secondo Pepper Potts, il mondo degli innamorati si divideva in due emisferi: nel primo vivevano
quelli che dovevano infiocchettare una storia con dediche, citazioni da libri famosi, canzoni, tutto
per dare un equilibrio a un sentimento che non poteva essere mai perfetto.
Nel secondo, vivevano i sinceri. Quelli che al mazzo di fiori preferivano la verità nuda e cruda,
quelli capaci di dirti, nei momenti di maggiore debolezza e senza vergognarsi, che facevano ciò che
facevano solo per proteggere l'unica cosa capace di dare un senso alla propria esistenza. Potevano
essere egoisti, emotivamente incapaci, sempre a fare i funamboli sul sottile filo tra coscienza di sé e
crollo nervoso ma si poteva essere certi: avrebbero sempre trovato il modo di esprimere col cuore e
senza bisogno di artifici creati da altri, quanto erano in grado di provare.
Era strano pensare a questo e molto altro mentre si stava scendendo, circondati da super eroi,
veterani coraggiosi, soldati sotto l'effetto di un trauma di distorsione e annientamento della propria
personalità, sotto terra.
Subito dopo la fine della Battaglia di New York e la partenza di due divinità verso il loro mondo d'
origine, Tony aveva progettato delle sostanziali modifiche al grattacielo portante il suo nome.
Non si era fermato solo agli ultimi piani; la vera trasformazione era avvenuta dove nessuno
avrebbe potuto accedere, sotto i parcheggi. Pepper ricordava ancora le trattative con il sindaco per
avere i permessi di scavo ed era meglio non pensare a quanto ci fosse voluto per strappare il
consenso a un sostanziale riassetto dell' impianto fognario di Manhattan.
I laboratori personali di Iron Man erano stati disegnati e costruiti più tardi, rispetto agli alloggi e al
nuovo quartier generale dei Vendicatori: dopo il Mandarino, dopo il virus Extreme e soprattutto,
dopo le conseguenze di uno scontro che non aveva riguardato solo l'uomo dentro un'armatura e il
suo nemico.
Pepper sapeva sarebbe stata una contraddizione, dare il permesso al suo compagno di tornare a
quanto sapeva fare meglio. Aveva sempre osteggiato il bisogno patologico di Tony di costruire
nuove Mark e saziare, o illudersi di averlo fatto, una paura vorace e bulimica. Era stata lei stessa,
sebbene involontariamente, una delle cause scatenanti di quella paura e da quel principio, si poteva
tornare all' asserzione riguardante l'eterna imperfezione dell' amore. Era stata contenta di aver
imparato che imperfezione non faceva necessariamente rima con squilibrio.
L'ascensore era stipato di persone e silenzio. Le sembrava di trovarsi nel mezzo di una tregua
armata, stretta in conseguenza alla decisione per cui si era consumato un altro diverbio, fatto più di
sguardi che parole, tra Steve e Natasha.
Il motivo per cui ora evitavano persino di guardarsi, nonostante fossero a mezzo metro l'uno
dall'altra, aveva lunghi capelli scuri, occhi verdi e un persistente rossore ad altezza guance.
Andy cercava di rendersi invisibile, quasi appiattita all'angolo, le spalle chine e gli occhi bassi.
Secondo la Vedova Nera, lei non sarebbe dovuta andare con tutti loro. Semplicemente, Steve aveva
sostenuto il contrario, trovando un alleato nell'uomo che ora stava appoggiato al pannello in acciaio
della parete, proprio di fronte alla ragazza.
Il Soldato d' Inverno. Il Sergente Barnes.
Era stato lui a porre fine alla discussione, mettendo il braccio sinistro attorno alle spalle di Andy e
sospingendola per metterla in coda a Sam e Clint.
Era stato un gesto naturale, privo della minima malizia o allusione. Era chiaro fosse nata una sorta
di bizzarra, istintiva amicizia tra le due persone più care a Captain America in quel momento e se
avessero finito con l'allearsi, Natasha Romanoff si sarebbe trovata a doversi arrendere, pur di non
perdere l'affetto di Steve, conquistato con fatica.
Si stava chiedendo come mai la donna vedesse Andy Martin con tanta diffidenza, quando la
discesa finì.
“Ci siamo” esclamò Tony mentre i pannelli si aprivano davanti a loro.
La tensione generale svanì all' istante, mano a mano che gli ospiti uscivano e vedevano il luogo
dove erano stati condotti.
La voce di Jarvis salutò cordialmente i nuovi arrivati e a un suo comando, una serie di luci a led si
accesero per illuminare l'ampia sala circolare, posizionata sotto una grande volta a cupola. Dal suo
centro si diramavano nervature in acciaio, ferro e centinaia di rivetti che scendendo, componevano
un'ossatura di colonne. In esatta corrispondenza col punto più alto del soffitto di calcestruzzo
grezzo, sul pavimento si ergeva una pedana circondata da alcuni bracci meccanici, ora immobili e
raccolti sulle loro basi munite di ruote. Sicuramente, conoscendo il loro costruttore, si poteva
ipotizzare che con un semplice ordine vocale si poteva procedere alla loro accensione ed eventuale
spostamento.
Ovunque c'erano carrelli ingombri di materiale meccanico: si potevano indovinare delle parti di
armatura e capire il loro posizionamento dalla forma già delineata ma quello che lasciò Sam Wilson
con la bocca aperta come un bambino di fronte all' incontro inaspettato con un proprio idolo, fu
quanto vide in una teca di vetro spessa diversi pollici, collocata in uno degli spazi vuoti lasciati
dalle travature di sostegno.
“E' quello che immagino?”
“Proprio quello. Non è una bellezza?”
La voce di Tony era colma di tutta la fierezza reperibile sulla faccia della terra mentre carezzava con
lo sguardo l'unica e sola Mark costruita dopo gli avvenimenti di Los Angeles e la totale distruzione
delle sorelle che l'avevano preceduta.
“Pensavo avessi smesso” mormorò Steve, anche lui rapito a malincuore da quello sfoggio di
ingegneria e tecnologia.
“Dovresti saperlo che la parola di una donna non è mai certa.”
Pepper alzò gli occhi al cielo. “Non è andata esattamente così.”
“Discuteremo su questa nuova percentuale di responsabilità più tardi, cuore mio.”
Solo Tony Stark poteva usare simili appellativi in maniera tanto sarcastica. Balzò sulla pedana.
“Signore e signori, benvenuti alla Seconda Divisione del reparto Ricerca e Sviluppo delle Stark
Industries.
Clint distolse lo sguardo dalla nuova armatura di Iron Man e si accorse delle altre teche. “Ho come
l'impressione non sia stato un progetto solo tuo.”
“Sempre con la vista acuta, vero Legolas?”
Da dietro le spalle di James, qualcuno soffocò una risata. Andy sperò vivamente che nessuno
l'avesse sentita. L'illusione venne annientata cinque secondi dopo dall' occhiata interrogativa di due
smarriti occhi grigi.
“Te lo spiego io più tardi” gli mormorò Steve, concigliante e sorridendo alla ragazza.
Nelle altre nicchie si trovavano alloggiati una serie di equipaggiamenti diversi: nel primo c'era
quello chiaramente destinato a Occhio di Falco, con un nuovo arco in fibra di carbonio e una
rastrelliera colma di frecce di ultima concezione. Quello pieno di piccole armi da fuoco, un fucile
completamente smontato capace di contenersi a dimensioni tali da non sfigurare in una borsa da
donna e due coppie di spessi bracciali dotati di un sistema per rilasciare scariche elettriche, era
esclusivo appannaggio della Vedova Nera. Non poteva mancare quello per Captain America e non
poterono mancare, in questo caso, le rimostranze di Steve.
“Perché a me tocca sempre e solo una nuova divisa?” borbottò osservandola, pronto a qualsiasi cosa
pur di non dire che gli piaceva: i colori erano quelli caratteristici di sempre ma la funzionalità e il
disegno più aggiornato ricordava quella indossata per le missioni dello SHIELD.
“Perché tu ti ostini a far fuori i cattivi solo col tuo scudo” ribatté Tony, con una pronta alzata di
spalle.
“Manca uno spazio per il Dottor Banner.”
James sentì lo stomaco annodarsi, nell' avvertire il tono di voce con cui Natasha aveva parlato di
quell'uomo. Si trattò di una torsione violenta e dolorosa. Perché c'era stato dell' affetto in quelle
parole? E perché, da quando l' aveva rivista, provava un'orrenda sensazione, in bilico tra rimpianto e
desiderio?
C'entrava un altro nome ma gli stessi capelli di fiamma. Un altro luogo, pieno di neve, e una
figuretta smunta in piedi in un cortile sferzato dal bacio gelido dello spietato inverno della Siberia.
Il Soldato si sforzò di ricucire insieme il tessuto sbranato e sfilacciato dei suoi ricordi ma appena ci
provò, il dolore di una scarica elettrica riverberò nel suo cervello, spegnendolo per un lunghissimo
secondo.
Non udì la risposta di Stark; soffiò fuori aria dai denti scoperti e serrati, coprendosi la fronte con la
mano destra.
Il presente tornò quando percepì qualcuno sfiorargli l'altro braccio.
Era stata Andy. Continuava a guardare dritto davanti a se ma abbassò lentamente la mano,
finendogli di dire, in quel modo, va tutto bene.
James pensò di cominciare a capire il motivo per cui piacesse tanto a Steve. In lei, rivedeva la
vecchia propensione a sentire oltre i silenzi e percepire nel vuoto di uno sguardo distolto. Era stato
per questo motivo che era riuscito a voler bene a Steve, cogliendone la vera essenza e il coraggio
che lo consumava al pari dei troppi malanni provocati dalla sua costituzione gracile e delicata.
“Quindi hai tenuto i contatti con Bruce Banner?”
La domanda era di Clint Barton. L' agente arrivato con Natasha.
“Ho fatto molto di più; questo posto lo abbiamo progettato insieme.”
“E ora dove si trova?”
“Dice di avere bisogno di un po' di tempo da solo, prima di tornare ad affrontare la nostra
convivenza.”
Nessuno biasimò il mite scienziato per il suo fisiologico desiderio di riprendersi dalla vita passata
con un elemento instabile come Tony Stark.
Natasha continuava a guardarsi attorno ma la prima eco di vago stupore si era già attenuata. Posti
simili ne aveva visti molti, durante la sua carriera.
“C'è un altro motivo per cui ci hai voluto portare qui, oltre che per ammirare il nuovo reattore
esterno della tua armatura?”
“Qui c'è spazo sufficiente, agente Romanoff.”
“Spazio per cosa?” Sam inarcò entrambe le sopraciglia.
“Signore” avvertì Jarvis “Possiamo procedere; il database è pronto.”
Andy avrebbe dovuto essersi abituata a come Tony avviava un processo di codifica del suo sistema
operativo: le dita danzavano nell'aria, solo all'apparenza senza uno scopo; tutto poi diveniva una
serie di finestre virtuali. Lo spazio si trasfmormava uno schermo potenzialmente infinito.
Quanto vide la fece ricredere e stupire di nuovo.
“Come da lei richiesto, ho compiuto una implementazione dei dati attraverso la CIA, l' FBI e quanto
è rimasto dello SHIELD.”
Sul pavimento si generò una griglia di luce azzurrina, che cominciò a strutturarsi e spandersi in una
forma più complessa.
“Ho incrociato i dati con quelli portati dall' agente Barton; avvio della ricostruzione virtuale della
base scoperta a Londra.”
In un secondo, la struttura a celle si modificò creando dal nulla la perfetta riproduzione della sala
scovata nei sotterranei di un' antica chiesa templare di Londra.
Tornarono i tavoli operatori, i cavi, gli elettrodi. Tony si voltò verso il Soldato.
“Abbiamo bisogno del tuo aiuto. Devi dirci se questo posto ti ricorda qualcosa.”
Frastornato, James annuì e cominciò a studiare quell' ambiente. Mosse qualche passo incerto,
evitando per istinto mobili che comunque non avrebbe potuto colpire e rovesciare. Osservò in
assoluto silenzio, a volte chinandosi, a volte indietreggiando.
“Non sono mai stato qui. Questo posto non era pronto per me.” Prima di proseguire, cercò gli occhi
di Steve quasi con disperazione. Quando il suo amico annuì, si umettò le labbra e trovò la forza di
andare avanti nella sua spiegazione.
“Non c'è alcuna bara per la criostasi e le pompe di alimentazione del flusso di aria fredda da
incanalarvi dentro.” James scoccò un'occhiata interrogativa a Barton. “Avete trovato tracce di cose
simili e dei generatori di corrente?”
“No. Se si esclude la totale mancanza di una vera strumentazione, sembrerebbe una sala operatoria
in tutto e per tutto.”
“C'era un sistema di canali di scolo.” Intervenne Natasha, indicando in basso. “Ho raccolto dei
campioni ma non ho potuto analizzarli.”
“Allora non era una base dove potermi ospitare. Qui hanno fatto dell'altro.”
Tony ingrandì quanto era posto sopra uno dei carrelli. Erano passati diversi minuti dalla sua ultima
battuta sarcastica, segno che il tempo degli scherzi e delle provocazioni era finito. Contemplò con
attenzione delle piastre rettangolari in materiale plastico nero, con una dei due lati rivestiti da file di
minuscoli aghi ipodermici. Riconoscerle e sospirare di sconfitta fu un tutt' uno.
“Qui hanno tentato di far nascere un nuovo Super Soldato.”
 
*


Il corridoio dove le avevano detto di aspettare era di un colore verde smorto, angusto e con poche
sedie. Le porte degli uffici si spalancavano di frequente, lasciando entrare e uscire agenti in divisa e
detective con in mano tazze di orrendo caffé allungato.
Kate tirò su col naso, sistemando meglio la borsa sulle ginocchia.
Le avevano detto che ci sarebbero volute ancora diverse ore prima di poter effettuare una denuncia
per la scomparsa di una persona; aveva risposto che avrebbe aspettato tutto il tempo necessario e si
era seduta.
La telefonata fatta ai genitori di Andy era stata penosa; la voce della signora Martin si era spezzata
in un singulto mentre le annunciava la sua partenza immediata da Long Island per raggiungerla a
Manhattan; suo marito avrebbe provveduto ad avvisare Nicholas, a Boston.
“Sei sicura, Kate? Come è potuto succedere a mo chirdre?”
C'era voluto il rapimento di sua figlia, perché la madre tornasse a chiamarla con un affettuoso
appellativo, residuo di una lingua a lungo rifiutata, andato perduto in anni di lotte silenziose e
incomprensioni fragorose come urla. Scosse il capo e si infagottò ulteriormente nel cappotto,
cercando un po' del calore sparito completamente quando aveva trovato la porta dell' appartamento
al numero 274 spalancata.
La famiglia della sua amica era ancora lontana da New York; spettava a lei dare il via alle indagini.
Qualcuno le mise davanti agli occhi un bicchiere di cartone colmo di caffé. Caffé caldo, se non
altro. Kate drizzò il capo e ridusse gli occhi castani a due fessure.
“Avrei dovuto immaginare ti avrebbero chiamato.”
“Hanno subito pensato fosse venuta da me.”
“Non lo ha fatto in tre anni. Perché avrebbe dovuto farlo adesso?”
“La sottovalutano ancora, vedo.”
“Tu sei stato il primo ad averlo fatto.”
Robert accolse la frecciata velenosa con un contegno dimesso; sapeva di aver fatto di tutto per
meritarsela.
“Posso rimanere?”
“A che titolo?”
“Kate. Le ho voluto bene e sono preoccupato per lei.”
Pessima scelta di tempi verbali, pensò la filologa classica in lei. Senza aggiungere altro, afferrò il
bicchiere offertole e si trincerò dietro un muro di sdegnoso silenzio.
 
*


Il progetto “Soldato d' Inverno” non era nato con quel nome.
Lo scienziato Harmin Zola, luminare in molti campi della Scienza e braccio destro del primo capo
riconosciuto dell' HYDRA, aveva steso il primo protocollo partendo da ciò che il suo collega,
Abraham Erskine, non era riuscito a distruggere prima di fuggire negli Stati Uniti del 1939 e
chiedere asilo politico.
Aveva portato avanti una serie di studi sull'impiego dell' elettricità nella cura di alcuni semplici
disturbi neurologici; il passo dal chiedersi se si poteva fare di più all' eseguire quanto le sue nuove
scoperte indicavano, fu tragicamente breve.
Prima che la Divisione Scientifica ufficiale dell' appena nato Terzo Reich ripudiasse Hitler come
comandante supremo e ponesse al suo posto Johan Shmidt, il dottor Zola poté scegliere le sue cavie
dallo sterminato bacino generato dalla promulgazione delle leggi raziali, destinato ad alimentare
luoghi di orrore che il mondo avrebbe conosciuto solo dopo la conclusione del secondo conflitto
mondiale.
Al contrario del Professor Mengele, Zola necessitava di prigionieri più in forze per il suo progetto.
Sapeva che esponendolo al Teschio Rosso, questi avrebbe accettato sull'onda del suo fanatico,
incrollabile entusiasmo; non avrebbe mai rifiutato la possibilità di costruire un esercito personale,
forte non solo di armi avveniristiche per l'epoca ma soprattutto di uomini dotati di qualità
incredibili.
Incredibili e letali.
Come Essere Superiore, Shmidt sognava di avere al proprio servizio guerrieri di levatura simile
alla sua. Sordo e cieco al primo avvertimento di Erskine e alla fallita somministrazione del suo
Siero non ancora ultimato, aveva dotato Zola e la sua squadra di scienziati di ogni mezzo per
raggiungere e imprigionare una chimera mortale.
Era stato l'inizio di un' opera che nessun compositore, nemmeno il più folle e delirante, avrebbe
mai osato scrivere.
Nessuno era realmente disposto a credere che un uomo mingherlino, la faccia pallida, anonima,
dalle guance tonde di bambino e gli occhiali con la montatura di corno, potesse essere capace di
trasformare la base di Krausberg in una voragine dove sparivano, senza più tornare, molti dei
soldati catturati durante le battaglie lungo il confine italo-austriaco.
La sua voce leziosa e soffice, sempre pronta ad assecondare ogni follia del suo comandante, aveva
impartito ordini atroci.
L' inverno del 1943 gli portarono due ottimi risultati: la conclusione degli studi sulla
sovrastimolazione cerebrale indotta da scariche elettriche e l'uomo perfetto su cui sperimentarla.
Un Sergente del Centosettesimo battaglione.
James Buchanan “Bucky” Barnes. Il Paziente Zero.
Le prime “sedute” non riuscirono a dare i risultati sperati, ma la frustrazione dei suoi ricercatori,
per Zola era motivo di soddisfazione; il soggetto scelto mostrava, resistendo, di possedere la forza
necessaria per opporsi a un processo che aveva portato alla morte molti altri soldati delle Forze
Alleate, prima di Barnes.
Avevano cominciato da appena due giorni a inoculargli i primi derivati del Siero di Erskine,
mantenendolo in uno stato d' incoscienza, quando la base venne attaccata da un solo uomo, in grado
di liberare trecento prigionieri e costringere Shmidt alla ritirata.
Occorse un altro inverno, quello del 1944, perché la neve riportasse allo scienziato un potenziale
tesoro perduto troppo presto.
“Stando alla nostra ricostruzione, il dottor Zola chiese asilo politico in America. I vertici della
Divisione Scientifica Strategica accolsero il suo pentimento; ad osteggiare il suo ingresso nello
SHIELD non ancora nato, furono solo due persone.”
Steve e Tony conoscevano già i nomi che Jarvis stava per fare.
“L'agente Margareth Carter e il signor Howard Stark.”
A supporto della lunga spiegazione, il sistema operativo aggiornava continuamente i suoi schermi
mostrando foto, articoli di giornali, raffronti.
Il laboratorio sotterraneo della Stark Tower era un regno surreale di luci azzurre e soffuse mescolate
alla più spietata delle realtà. Nessuno aveva il coraggio di muoversi, meno ancora di parlare o
interrompere la serie di risposte attese in particolar modo da Andy.
“Collaborando con una parte deviata dei servizi segreti russi, Zola riuscì a bypassare il controllo
ferreo delle comunicazioni da e per gli Stati Uniti dispiegato negli anni della Guerra Fredda.
Ottenuto un visto, tornò in Germania per motivi famigliari. In realtà, si recò là per controllare i
progressi del progetto segreto dell' HYDRA, battezzandolo ufficialmente come “Soldato d'
Inverno.”
Quando la collaborazione coi sovietici non fu più necessaria ai loro scopi, gli adepti superstiti del
culto imposto dal Teschio Rosso presero il controllo definitivo sulla loro nuova arma: un essere una
volta umano, privo di ricordi, di un nome, capace solo di eseguire gli ordini e nel modo più efficace
possibile.
“Aspettate.” Pepper, più tardi, si sarebbe chiesta dove avesse trovato il coraggio per parlare.
“Jarvis, cosa intendi dire con la fine dei rapporti con gli agenti corrotti del KGB?”
“Il Sergente Barnes, nome in codice Soldato d' Inverno, venne mandato a Kiev per ricevere un
addestramento. Dopo la sua conclusione e alcuni anni d' impiego nelle prime missioni, si decise una
prima, profonda riprogrammazione della sua mente.”
Steve non ebbe bisogno di sentire il grido silenzioso di Bucky; lo vide abbassare il capo, la bocca
schiusa e un dolore tale nello sguardo vitreo da renderlo incapace di articolare il minimo suono.
Qualcun altro si accorse di quel momento e non resse a lungo la visione di un simile spettacolo;
c'erano nuovi demoni da seguire e molti altri da scoprire, prima della fine del racconto.
Il Dottor Zola, ormai sicuro di aver impiantato i giusti parassiti nel corpo acerbo dello SHIELD,
non si dedicò solo alla creazione del famigerato algoritmo che sarebbe divenuto la spina dorsale del
progetto Insight; redasse un dossier dove pianificò, punto per punto, un nuovo progetto per la
ricerca e la crescita di nuovi Soldati Perfetti. Trovare nuovi alleati risultò facile: vendendo nel modo
migliore l' illusione di un mondo finalmente sicuro, la lista di agenti a disposizione dell' HYDRA si
allungò di mese in mese. Di anno in anno.
Di decennio in decennio.
Jarvis ne fornì una parte e Clint riconobbe molti di quei nomi, ripetendoli nella sua mente come
una sequela di insulti.
“Stando alla decodifica delle ultime pagine del rapporto che l' agente Romanoff ha passato al
Capitano Rogers, possiamo tracciare una mappa discretamente precisa del numero delle basi atte a
supportare il progetto e grazie allo schema del rapimento della signorina Martin, incrociato ai dati
estrapolati dal terminale del signor Stenton, è possibile individuare uno dei modus operandi di
alcuni dei settori operativi tenuti dall' organizzazione negli ultimi due anni.”
Si aprì un nuovo monitor. Andy deglutì nel vedere, in altro a sinistra, lo stemma della Polizia
Metropolitana di New York.
“E' il database delle persone scomparse” esalò, accorgendosi troppo tardi di aver parlato ad alta
voce.
“Esattamente, signorina Martin. Grazie ai miei nuovi protocolli, ho condotto un' indagine
incrociata in tutti i dipartimenti di Polizia del mondo e nei loro archivi. Ho così scoperto che
operazioni simili sono state effettuate regolarmente a partire dagli anni Settanta.”
La ragazza annuì rigidamente; era certa non fosse un' operazione semplice e legale ma stava
imparando in fretta come poteva agire un' agenzia governativa. Fosse esistito ancora, lo SHIELD
sicuramente avrebbe seguito la stessa pista, come aveva mostrato con Insight.
“Dunque, vediamo.”
Tony si grattò la nuca furiosamente, strizzando gli occhi prima di cominciare a manipolare una
serie infinita di date, informazioni e verbali. Dal caos informatico emerse uno schema, che si
presentò sotto forma di un complesso diagramma.
“Riassumendo, finita la Guerra l' HYDRA aveva bisogno di nuovo materiale su cui portare avanti i
propri esperimenti. Non potendo più contare su dei prigionieri, inizialmente ha fatto in modo di
poter trovare quanto serviva creando nel mondo sacche di tensione, da far esplodere al momento
opportuno. Con il ritorno della pace dopo la fine degli anni Sessanta e i ripresi rapporti diplomatici
con l'allora Unione Sovietica, vennero create queste basi. Le date di aggiornamento del dossier
coincidono con...”
Londra, sobborgo di Watford, 1975.
L' addolorata e angosciata famiglia Andrews denunciò alle autorità competenti la sparizione del loro
figlio maggiore, Henry.
Il giorno seguente, il “paziente H” venne registrato nelle schede mediche degli scienziati legati alle
attività clandestine di Temple Church.
La settimana dopo venne dichiarato il fallimento degli studi portati avanti sul suddetto paziente. Il
file a lui relativo si chiudeva con la scritta reso inattivo.
“Nat” mormorò Clint “credo non serviranno molti test sui tuoi campioni per capire cosa succedeva
là sotto.”
Altro luogo, altra data.
Galway, Repubblica d' Irlanda, 1976.
La contea omonima e quella di Dublino furono flagellate da una serie di scomparse misteriose, impossibili da ricondurre
sotto la dicitura “rapimento”: in nessuno di quei tristi casi vi fu un contatto con i parenti e una
richiesta di riscatto. Bambini, adolescenti, senza distinzione di sesso, finivano inghiottiti dall'
oscurità e da ciò che si trovava sotto il porto della capitale del Paese.
La documentazione riportava venti resi inattivi contro solo tre attivi.
Era una lista dove la morte aveva un altro nome e la vita una maschera con cui celare l'orrore di un
vuoto provocato per calcolo.
Parigi, Francia, 1977.
Kyoto, Giappone, fine degli anni Ottanta.
James divorava quel bollettino che parlava di altre guerre e molte sconfitte. Il suo era stato il primo
nome e il primo successo. Da questo era nata una scia di altro sangue, di lucida follia e desiderio di
dominazione.
Il Soldato d' Inverno era stato l'unico esperimento andato a buon esito per molto tempo, circondato
da un cimitero senza lapidi e se non fosse intervenuto, forse-
Guardò Andy, pallida ma con le spalle dritte. Doveva esserci arrivata, se stava interpretando
correttamente il modo in cui si morse il labbro inferiore.
“Avrebbero potuto fare lo stesso con me?” domandò a Tony, sforzandosi per non far tremare la
voce e fronteggiando meglio che poteva il tremito di ghiaccio nato nel cuore.
“E' molto probabile. Ti avrebbero rapito perché avrebbero potuto spingere Steve a consegnarsi, dal
momento che vi conoscete e minacciare di usarti come cavia di laboratorio come ulteriore
incentivo.”
Non svenire.
Il cuore le pulsava nell'esofago, contro il palato. Deglutì e impose al proprio cervello di rimanere
razionale, accantonando qualsiasi voglia di mettersi a urlare o farla finita, serrando gli occhi e
lasciandosi cadere.
Chiese un ultimo favore a gambe e piedi e lesse le finestre virtuali.
“Questo non riporta a cosa ci siamo chiesti un giorno fa? Perché l' HYDRA vuole catturare
Steve?”
“Per il mio sangue.”
Nessuno si era accorto che il Capitano si era isolato dal resto del gruppo. Stava dando loro le spalle,
intento a studiare un dettaglio dello sterminato resoconto per immagini redatto da Jarvis.
Lo SHIELD era nato come la seconda faccia di una medaglia, la cui prima rappresentava un teschio
con nove tentacoli.
Partendo da questa verità, era facile supporre come tutte le risorse e le informazioni della prima
fossero a totale disposizione della seconda. Non ci sarebbe voluto molto per sapere dei prelievi
compiuti su di lui all' indomani della sua nascita come Primo Super Soldato.
La chiave era sempre stato il suo patrimonio genetico; l'unico rivelatosi perfetto per accogliere la
mutazione indotta dal siero di Erskine. Tutto doveva partire e finire con quella semplice, terribile
asserzione.
“L' asserzione del Capitano Rogers risulta corretta” confermò Jarvis, mostrando una serie di foto
inequivocabili.
Una capsula per il processo di ibernazione.
La complessa struttura costruita per le sedute di elettro-shock.
Il volto di un uomo, appena distinguibile dietro lo spesso strato di aria congelata che increspava un
oblò di osservazione.
“Dopo aver mantenuti stabili i parametri vitali del Sergente Barnes, la squadra di ricerca di Zola lo
ha contattato segretamente in modo da poter ricevere quanto si stava scoprendo sul DNA del
Capitano.”
Ormai il quadro era chiaro.
Servivano due fattori di attivazione per il processo che, in conclusione, avrebbe dovuto portare alla
creazione di un Super Soldato: il sangue di Steve e un generatore in grado di potenziare la crescita e
la modifica cellulare.
Era una sinfonia adatta a un film dell'orrore. Con una sola, evidente stonatura.
“Un momento” interloquì Sam. “Prendendo per vere queste ultime scoperte, manca qualcosa.”
“Sveglio, il nuovo arrivato.” Tony mostrò per la seconda volta la parte di quei macchinari che lo
aveva insospettito e lo ingrandì diverse volte con una costruzione virtuale.
“Questo fu progettato da mio padre, insieme al Dottor Erskine.”
“Sono gli aghi che mi hanno somministrato il siero. Quindi?”
“Quindi significa che l' HYDRA ha infranto un brevetto di diversi milioni di dollari, in primo
luogo. In secondo luogo, sono certo abbiano praticato su Barnes lo stesso procedimento, sostituendo
il Vita Ray con un altro propulsore.”
James sembrava avere la testa su punto di esplodere, vittima di una pressione indicibile. Si piegò
su se stesso e cadde sulle ginocchia, le mani premute contro le tempie.Il suo urlo, soffocato dietro i
denti stretti in una morsa, allarmò tutti.
C'erano stati dei lampi azzurri.
Milioni di lampi, provenienti da una fonte d'energia tenuta in una teca di piombo e vetro.
Il suo corpo li aveva assorbiti e a ogni nuova scarica, i nervi si erano bruciati, i muscoli esplosi e
poi solo fuoco, luce, potenza e distruzione.
E alla fine, era rinato.
“Dobbiamo smetterla, per oggi” supplicò Pepper, la prima a chinarsi accanto al Soldato. Steve si
aspettava un' obiezione da parte di Tony; si sorprese quando questi annuì e ordinò la chiusura dell'
intero data base virtuale. Temendo eventuali ripensamenti, passò un braccio attorno ai fianchi dell'
amico e con l'altro, lo sollevò. Bucky non oppose la minima resistenza, come fosse stato tramortito.
“Sembra sia svenuto. Adesso come agiremo?”
“Dobbiamo scoprire le altre basi, agente Barton e la loro precisa locazione.”
“Non possiamo attaccarle alla cieca. Se lo aspetteranno; siamo pochi e mal organizzati, loro si
sono già rimessi in piedi.”
“I Chitauri che abbiamo sconfitto erano molti di più, Clint.”
“Oh, non fraintedetemi.” L' arciere alzò l'angolo destro delle labbra in un sorriso storto. “Spero di
ripetere quell'esperienza. E vincere.”
Steve e Pepper si diressero per primi verso l'ascensore, con Bucky.
“Vengo anche io!”
Andy li raggiunse; sembrava davvero preoccupata per il Soldato. “Non posso fare molto ma non
dimentico i miei debiti di riconoscenza.”
“Mi sono persa molto, a quanto pare.” Il mormorio di commento di Natasha fu asciutto, risentito.
“Scocciata dal fallimento della tua missione, agente Romanoff?” chiese affettuosamente Tony, così
partecipe del fastidio della donna per far meglio notare come stesse gongolando.
“Se Steve ti ha raccontato dei miei tentativi di dargli una vita sociale degna di questo nome, devo
cominciare a credere sia molto meno pudico di quanto sembri.”
C'era l'eco di un affetto sincero, nel suo sorriso accennato.
“Il ragazzo è cresciuto. Gli ci sono voluti quei buoni settant' anni ma meglio tardi che mai.”
L'uomo le batté una mano sulla schiena, a sottolineare la sconfitta. “Su, abbiamo un viaggio di
circa tre minuti per spiegarti che certe cose non si trovano a comando e altre sciocchezze annesse.”
 
*


La neve cadeva fitta, riempiendo il cortile di gelo e silenzio.
Lei è l'unica sopravvissuta.”
Gliela indicarono: una ragazzina talmente piccola per la sua età da chiedersi come avesse fatto a
resistere agli addestramenti massacranti degli agenti, alle privazioni, alla fame e al sonno negato.
Stava in piedi, le spalle dritte. Vestiva solo una canotta e dei pantaloni mimetici. I piedi erano
scalzi.
E i capelli...il Soldato non aveva mai visto un colore simile.
Il colore del sangue, il colore del fuoco.
Glieli faremo ricrescere. Prima erano troppo lunghi, avrebbero potuto venir afferrati
facilmente.”
Dietro di lei, c'era un cumulo bianco informe.
Procederemo a portarle via, adesso. Vanno fatte sparire.” Lo informarono con lo stile laconico
degli uomini abituati alla morte altrui e ormai privi di pietà.
Il Soldato si avvicinò. Gli anfibi affondarono nel ghiaccio fino a sopra la caviglia. La ragazza non
si mosse.
Doveva avere diciotto anni.
Vedendola da più vicino, si accorse che aveva gli occhi chiusi. Il viso, un adorabile cuore
perfettamente disegnato, era livido per il freddo.
Ti ho sentito.”
Quella che sembrava una bambina finita nel lato sbagliato delle fiabe aveva una voce roca,
profonda. L'accento del suo russo era musicale, aristocratico.
Dovresti attaccarmi, allora.”
La neve non attacca con violenza. Non subito.”
La risposta lo colpì.
Sei come lei?”
No.” Le palpebre fremettero e si aprirono.
Capelli rossi e occhi verdi. Fuoco e ghiaccio.
Io sono la neve. Mi chiamano così: la bambina di neve.”
E per un attimo che lo avrebbe segnato per sempre, il Soldato d' Inverno pensò non potesse esistere
nulla di più bello e mortale.




“Cosa ha detto?” domandò Pepper, fissando Steve confusa.
Il Capitano fissò interdetto l'amico, appena fatto stendere nel suo letto.
“Non lo so. Sicuramente, non era una parola inglese.”
Malienky edieveska sniecko.
Bucky l'aveva sussurrata nel dormiveglia tormentoso in cui era caduto. Era stato solo un istante ma
nel pronunciarla, le sue labbra avevano quasi sorriso.








Angolo (buio e tetro) dell' autrice: Mi piacerebbe poter dire che sono diventata un' esperta di lingua russa l'altra sera ma come sapete, l'unico con queata abilità è un genio, miliardario, playboy filantropo e non voglio certo rubargli la scena. Come fosse possibile.
Il soprannome che Bucky aveva dato a Natasha è una mia invenzione. Ma rende bene la personalità della ragazza destinata a diventare la Vedova Nera. Tutto il piano sulla creazione di un vero e proprio progetto sul Soldato Perfetto è farina del mio sacco, macinata grazie a certi dettagli raccolti nei vari film. Naturalmente non vi ho ancora detto tutto, perché in parte mi piace lasciarvi col fiato sospeto, in parte perché sono una che si diverte male, eheh. E se la divisa di Steve vi ricorda qualcosa...avete ragione: è quella che sfoggerà in "Age of Ultron". Ormai The List e l'universo che si porta dietro differiscono molto dalla story line prevista dall' MCU ma questo non significa che mi lascerò scappare qualche citazione, avvenimento riconducibili ai fatti ufficiali.
A venerdì prossimo e...grazie, grazie, e ancora grazie.
Maddalena

















 

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Capitolo 23
*** 20 ***


20




Nick Fury era stanco.
Lo scoprì all'improvviso in una fredda notte autunnale, mentre il vento scuoteva i rami degli alberi del viale di Iffley Road. Sembrava il momento che solo uno scrittore particolarmente a corto d'idee poteva inventarsi per dare drammaticità al suo eroe: uno di di profondo sconforto, con le forze della natura ostili tenute fuori solo da una porta e quattro, tetre mura.
La casa era immersa in un silenzio squallido. Nonostante vivesse lì da diversi giorni, il Colonnello non si era azzardato a scoprire i mobili, lasciando al loro posto i teli bianchi, così come aveva fatto Clint. Gli unici segni di vita erano in cucina, col piano di lavoro ingombro degli avanzi di una cena thailandese take away e il bricco del caffé colmo e ancora caldo.
Non aveva mai realizzato cosa fosse successo fino al momento dopo la partenza di Occhio di Falco e della Vedova Nera.
Niente più sedi di comando, niente più agenti da dirigere. Niente più missioni.
Niente più obbiettivi.
Con l'unico occhio buono, fissò lo schermo del computer portatile. Lesse alcuni passaggi di un rapporto e poi lo chiuse, togliendosi nel frattempo un auricolare; quello tornato in funzione quando Stark era riuscito a dare allo SHIELD una nuova via di comunicazione.
Sorrise con cattiveria.
Lo aveva fatto di nuovo; aveva pensato allo SHIELD come a una realtà ancora viva e in grado di agire sotto il suo comando. Allo stato attuale della sua situazione, sarebbe stato saggio chiedersi se mai lo avesse comandato davvero.
Cosa aveva governato?
Cosa aveva ereditato dai fondatori della Riserva Scientifica Strategica?
Con un sommesso stridio di freni, una grossa jeep scura si fermò nel parcheggio adiacente l'ingresso. Ne scese Laogharie Randall, sempre ben infagottata nel suo giaccone. Andò a prendere un paio di buste di Tesco dal portabagagli e dando un' occhiata nei dintorni, affrontò il corto vialetto che dava accesso alla porta tinta di un blu ormai sbiadito e scrostrato. Si meravigliò di trovare l'appartamento al buio.
“Direttore Fury?” mormorò esitante. Era certa di non essere stata seguita, dal suo ritorno da Heathrow dopo aver accompagnato Natasha e Clint al loro aereo per gli Stati Uniti. Posò il suo carico e rimanendo rasente al muro, prese da dietro la schiena una piccola pistola dalla cinta dei pantaloni; la armò e braccia tese in avanti, proseguì il suo cammino.Trovò Nick nel soggiorno.
“Non dovresti più chiamarmi così.” le disse senza voltarsi per guardarla. “Non ho più nulla per giustificare quel titolo.”
“Ne è così sicuro?” ribatté la donna, brusca. Non ottenendo altra risposta, imprecò qualcosa in gaelico; rinfoderò l'arma e portò quanto aveva comprato nell'altra stanza, per disporla nei pensili sopra i fornelli. Mentre sistemava del latte nel frigo, decise di non poter lasciar cadere il discorso. Prese quanto era rimasto della cena precedente, lo buttò via e tornò da lui.
“Sono atterrati?” domandò risoluta, andando a sederglisi accanto sul divano sfondato.
“Sani e salvi. Sono già alla Stark Tower.”
“Questo significa che hanno eseguito i suoi ordini. E sempre per ordine suo, sono stati a Londra per scoprire se l' HYDRA vi aveva lasciato tracce recenti.”
Lentamente, Fury piegò il capo verso sinistra, per guardare quella veterana scozzese disposta a dar fondo alla proverbiale testa dura della sua gente, pur di spronarlo.
“Cosa sarebbe successo se Stark non fosse riuscito a usare uno dei suoi satelliti per farmi comunicare con loro?”
Non si aspettò di vederla sorridere. “E' stato lei a dirgli di farlo?”
“No.” La fronte di Nick si aggrottò.
“E allora non le sembra strano che un personaggio egocentrico, scostante e individualista come Iron Man abbia fatto una cosa del genere da solo per aiutare i suoi compagni?”
Laogharie si tolse il pesante pastrano; le cicatrici da ustione spiccavano, spettrali e bianche, alla luce incerta dei lampioni stradali. Dovevano tirarle ancora molto, quando rideva o sorrideva. Nick la conosceva da una manciata di giorni ma non l'aveva mai sentita lamentarsi a quel proposito o venire meno a quanto le veniva chiesto di fare.
Stava rischiando molto più del suo lavoro di guida turistica nell' aiutare un uomo che doveva continuare a risultare morto, per il resto del mondo. Aveva offerto il suo aiuto a Wilson con spontaneità, come non ci fosse stata altra scelta possibile; si era esposta per dare una pista concreta da seguire a Clint e Natasha.
Mai una domanda, una richiesta di spiegazioni, un tentennamento.
“Posso chiederle cosa la spinge a voler mettere a repentaglio la sua vita per un' organizzazione che non esiste più, maggiore Randall?”
La donna si strinse nelle spalle, raccogliendo i secondi necessari per formulare la risposta.
“Ogni militare al mondo conosce la storia dello SHIELD. Uno dei nostri più famosi soldati è stato suo alleato, durante la Seconda Guerra Mondiale. Sappiamo con che scopi è nata e sono certa che qualcosa di quello spirito è riuscito a preservarsi. Non lo vede? Il Progetto Avengers, tanto osteggiato, sta dando i suoi frutti e se lo sta facendo è perché personalità tanto diverse, persino in conflitto l' una con le altre, hanno compreso la vera missione dell' organizzazione.”
La famosa idea.
Quella su cui, segretamente, Nick Fury aveva sempre puntato. Forse non aveva mai davvero creduto al2l' arsenale di armi generate dal potere del Tesserakt; nemmeno alla reale efficacia di Insight.
Lo SHIELD non era nato con lo scopo di prevenire il male a qualsiasi costo. Non avrebbe dovuto calpestare senza vedere la direzione del suo passo.
Lo scopo di quello scudo era di salvare. Salvare e proteggere il mondo intero da battaglie che ormai esulavano dalle solite definizioni. Era per quelle ancora da scrivere, che lo SHIELD era stato fondato.
“Non so come aiutarli” ammise; una folata di vento più forte fece sbattere un ramo contro le finestre del bovindo, che vibrarono appena. “Non c'è nulla che possa fare per loro.”
“Non sarebbe venuto in Gran Bretagna, se così fosse stato. Ha continuato a dirigere i suoi uomini, signore. Sono certa non smetterà.”
Gli occhi grigi e saggi di Laogharie studiarono il computer. “Posso chiedere cosa stava leggendo?”
“Stark mi ha fatto avere i primi risultati sulle indagini che stiamo conducendo tra Europa e Stati Uniti. La base HYDRA trovata a Londra aveva delle caratteristiche assai peculiari: vi si tenevano degli esperimenti, condotti su soggetti fatti rapire e poi sparire in caso d' insuccesso.”
Nick era preparato all'espressione sgomenta e disgustata che sarebbe giunta; accolse quella di Laogharie con un solo cenno del capo, in silenzio. L'orrore non aveva bisogno di commenti superflui, per far sapere di esistere.
“I nostri nemici hanno sfruttato le nostre stesse conoscenze; non hanno mai abbandonato l'intenzione di creare un esercito di soldati spietati e senza emozioni, perfettamente addestrati a uccidere senza fare domande.”
“E' tutto nato dal Siero che fece nascere Captain America?”
“Riteniamo di sì.”
Il maggiore Randall strinse a pugno le mani appoggiate sulle ginocchia; il modo in cui strinse le labbra rivelava chiaramente fosse scossa più di quanto volesse far trasparire.
“Cosa sta pensando?”
“A una sciocchezza.”
“La dica. C'è bisogno anche di sciocchezze, in momenti simili.”
“Durante la mia missione in Iraq, ho avuto spesso a che fare con le tribù dei villaggi sparsi nel deserto. Più che capire la loro lingua, andava compreso il loro comportamento dove non esistevano parole ma solo determinate azioni per esprimere concetti impossibili da riferire. La simbologia dell' onore, del potere, della minaccia avevano un vocabolario proprio fatto di gesti apparentemente privi d'importanza. Qui...vedo uno scopo, signore, per quanto raggiunto involontariamente.”
Si alzò e andò verso le finestre. Sembrava voler seguire il suo ragionamento tra le foglie strappate via dai rami, come ci fosse un disegno prestabilito dietro la fatalità di una folata di vento.
“Il Capitano Rogers è stato il vero successo della Riserva Scientifica Strategica, all'epoca; Sam mi ha parlato del Soldato d' Inverno, l'assassino perfetto. E' nato dal suo migliore amico e ne è diventata una sorta di nemesi; Si colpisce il proprio bersaglio in un modo molto peggiore di una pallottola piantata nel cuore, in questo modo. Se penso al Tenente Falsworth...chissà come ci sarebbe rimasto male, nel sapere il nemico per cui si è alleato con Rogers proprio nella sua Londra!”
Lo scrittore senza idee che era il Destino decise fosse venuto il momento di un' epifania. Di regola, queste non avvenivano sempre dopo il momento di massima commiserazione del già citato eroe?
Il Direttore Fury si sentì investito da una scossa di adrenalina tale da lasciarlo perfettamente immobile per un lungo istante.
Fino a un secondo prima, era stato disposto a dare credito al commento amaro di Laogharie Randall classificandolo come mero, seppur efficacie, esercizio di stile; considerazioni espresse per sottolineare la tragicità di un fatto. Ma dopo era stato pronunciato quel nome e tutto si era trasfigurato.
“Come dice?” domandò a bassa voce, incredulo. Per quanto uno del suo stampo potesse concedersi il lusso di una debolezza come l' incredulità.
“Stavo parlando di Londra-”
“No, prima!” Nick aprì di scatto il portatile e lo avviò nuovamente.
“Ho citato il tenente James Falsworth” ripeté la donna, di nuovo titubante nel vederlo in preda a una tale frenesia.
“Appunto. Uno degli Howling Commandos. Origini inglesi!”
Il programma finalmente si avviò: sul monitor si aprì una finestra nera e una voce calma e amichevole declamò le generalità del Colonnello, per procedere a una scansione dell' impronta.
“Jarvis, deve mettermi immediatamente in contatto con Stark. Priorità massima.”
Se la sua intuizione si fosse rivelata corretta, non solo avrebbe dovuto rendere grazie alle indiscusse abilità antropologiche e linguistiche del maggiore Randall ma avrebbe potuto aiutare concretamente l'unico progetto che lo SHIELD era riuscito a far nascere dal suo antico principio.
Bisognava sempre credere negli Eroi.




Qualcuno aveva acceso della musica.
Le note lo stavano cullando nel suo stato d'incoscienza; sette delicate carezze capaci di divenire più decise e illanguidirsi fino a morire dolcemente nel silenzio per riprendere col prossimo brano.
James non sentiva più il fischio lacerante della tormenta; era l'attacco, morbido, esitante, di un pianoforte. La melodia girava in volute sempre più articolate, mantenendo una dolcezza di esecuzione intima, come se il musicista fosse intento a suonare un pezzo d'esercizio, nella quiete di una stanza baciata dal primo sole del mattino.
Musica. Quanto gli era piaciuta, sempre. Sia ascoltarla che suonarla.
In un tempo sepolto dalle righe di un pentagramma appena ritrovato, c'erano i pomeriggi polverosi di Brooklyn trascorsi in una bettola; ore per scaldare le dita e prepararsi a sostituire un pianista impossibilitato a raggiungere il suo quartetto jazz per lo spettacolo della sera. Era un buon modo per racimolare soldi in un periodo dove nemmeno un padre ufficiale dell' esercito poteva garantire una vita decorosa a una moglie e ai loro quattro figli.
Era...divertente. E non ero mai solo.
L'oblio terapeutico del sonno cominciò a sparire, bassa marea che lasciava scoperta una spiaggia. Una spiaggia piena di acuminati pezzi di vetro, ciascuno affondato nella sabbia troppo tenera della battigia.
Il suo corpo non stava bene; il dolore pulsava mescolandosi alle ultimi visioni di ricci di fiamma e fiocchi di neve. Mugolando appena, cercò di aprire gli occhi.
L'immagine era sfocata ma sorrise; avrebbe riconosciuto quell' album da disegno tra mille.
Spalle chine, la mano destra impegnata a tracciare complesse volute su un foglio.
Quando veniva chiamato all' ultimo minuto per un' esibizione in uno dei locali di Brooklyn, Steve lo seguiva e si portava da fare i compiti per la sua Scuola d' Arte. Era proprio vero che il Destino poteva possedere un modo di procedere sempre uguale.
...Un momento.
Andava bene essere un assassino spietato con seri problemi di memoria ma era abbastanza certo che Steve non avesse lunghi capelli scuri. Figuriamoci del-
... resto.
Ovvero un corpo femminile di tutto rispetto.
Sbatté le palpebre.
Si trovava nella camera da letto assegnatagli dal figlio di Howard. Dalle grandi finestre a parete intera filtrava l'ultima luce arancio e indaco del tramonto. Era stato fatto stendere sul letto e proprio lì accanto, a vegliarlo c'era Andy.
La ragazza alzò la testa in alto, piegandola piano prima a destra, poi a sinistra, per dare sollievo alle vertebre del collo. Posò la matita contro il blocco e trovandolo sveglio, sorrise in un modo tale da farlo vergognare. Non si poteva meritare tanto sollievo.
“Bentornato tra noi, James.”
“Per quanto tempo sono rimasto incosciente?”
“Un bel po'. E non ti sei svegliato nemmeno quando ti abbiamo pulito la ferita.”
Ferita?
Si accorse in quel momento di essere nudo dalla cintola in su; una grossa garza, applicata con nastro adesivo medico, gli copriva quasi tutto il fianco. Il braccio sinistro, splendido, artificiale, terribile, spiccava con la violenza inespressa del metallo contro il bianco delle lenzuola. Lo sguardo saettò subito su Andy; era sempre quieta, indifferente allo spettacolo che stava vedendo.
“Con dei muscoli del genere, mi avresti fatto fuori in un secondo, a Central Park.”
“E pensa che non ho nemmeno il mio aspetto migliore.”
Aveva scoperto da un paio di giorni che con lei risultava facile usare uno spirito arguto rimasto inerte per settant' anni; il Soldato sapeva non si sarebbe offesa per la sua battuta.
“Cosa è successo? Dove sono gli altri?”
“Pepper è andata a riportare in infermeria le medicazioni avanzate; Steve e Natasha sono qui fuori, credo stiano ancora discutendo. Siamo saliti noi con te, dai laboratori.”
“Discutere?”
“Te lo ha mai detto nessuno che pieghi la testa come un gatto? E' carino.”
“Stai cercando di sviare le mie domande?” Andy sogghignò davanti alla sua aria minacciosa.
“Volevo farti un complimento, Sergente Barnes. La prossima volta dirò hai un aspetto da spaventare a morte.”
“Ecco, così è decisamente meglio.”
Chiuse l'album da disegno con cura e lo posò ai piedi del letto. Bucky era pronto a scommettere di sapere chi glielo aveva dato.
“Sei svenuto dopo la spiegazione di Tony sul-” La sua sincera pietà la fece esitare per farle trovare la parola giusta “-procedimento a cui ti sottoposero in Germania. Ho chiesto a Steve e Pepper di poter venire con voi ma una volta fatto sdraiare a letto, ci ha raggiunto anche Natasha.”
“C' ha ripensato e voleva darmi qualcosa peggio di un pugno?” domandò ironico. L'aria scanzonata sparì nel sentirsi addosso la serietà di Andy.
“Siamo state io e lei a curarti. Forse adesso mi sopporta un po' di più.”






“Credo non sia il momento di chiedersi in che lingua abbia parlato.”
Andy aveva scostato i capelli di James dalla fronte e si era ritratta con uno scatto fulmineo della mano. Vide la pelle imperlata di sudore, le macchie rosse sulle guance spiccavano su un viso privo di colore.
“Scotta. Deve avere la febbre.”
“Non credo dipenda dalla pioggia presa ieri.” Era ironico fosse Steve a farlo notare; il ragazzo asmatico, affetto da rachistimo e da una lunga serie di limitazioni dovute alle malattie più diverse non sapeva cosa fosse un bacillo influenzale dal 1943. Osservò l'amico con apprensione, chiedendosi cosa potesse avere. Alzò le sopracciglia di colpo.
“Steve?” domandò perplessa Pepper nel vederlo afferrare il Soldato per le spalle.
“Mettetegli dei cuscini dietro la schiena, devo farlo stare seduto.”
Bucky emise un lamento flebile ma non si svegliò. Meglio così, perché Andy non voleva immaginarsi la sua reazione nel sentirsi spogliare di maglia e canotta.
A quanto sembrava, a New York erano attualmente in circolo due sculture ambulanti, anche se forgiate da circostanze diverse.
C'erano delle cicatrici sui muscoli perfetti del Sergente Barnes; la peggiore era quella che correva, slabbrata, lungo l'inserzione del braccio bionico con la spalla, dove l'umanità di un corpo fatto di sangue, pelle e ossa s'interrompeva crudelmente per lasciar posto alla disumanità di un arto robotico. Nonostante questo, la perfezione dell'insieme non poteva venir guastata; anche se segnata profondamente da crepe, lingue sbiadite di tessuto cicatriziale sparse sul petto e l'addome.
“E questa?” Andy rabbrividì.
Ogni incantesimo doveva finire; era nella loro natura illusoria. Presto ci sarebbe stato un altro, ingrato trofeo da sfoggiare per James.
La ferita aveva un andamento che dal posteriore del dentato sinistro scorreva sul lato del fianco fino all' inserzione con l'addominale intermedio. Nonostante fosse superficiale, era altrettanto chiaro fosse quello il motivo della febbre improvvisa, stimolata anche dal trauma ricevuto in laboratorio con la rivelazione parziale dei piani dell' HYDRA. Le due labbra erano state chiuse sommariamente con dei punti a farfalla e pulite con un disinfettante operatorio. Erano gonfie, con un colorito rosso acceso per nulla promettente.
“Deve essersi medicato da solo, dopo aver lasciato la baia del Triskelion.”
Andy e Pepper avvertirono lo stomaco contrarsi allo stesso modo, di fronte alla pena contenuta nella voce di Steve.
“Dobbiamo rifare tutto.” Andy si riprese per prima, cominciando a lambiccarsi il cervello su cosa si doveva fare. Possedeva un' infarinatura generica su argomenti infermieristici ma desiderò comunque fortemente di avere sua madre accanto. Realizzando la sua mancanza, strinse i denti e ricacciò indietro le lacrime.
“I punti vanno sostituiti e dopo la medicazione, va messo uno strato di protezione tra la pelle e gli indumenti.” Sì, stava reagendo nel modo giusto. Implorò il suo orgoglio di non mollarla proprio adesso. “Deve essere stato lo sfregamento con la divisa a causare il principio d' infezione.”
“Tu puoi farlo?” chiese Steve, ansioso.
Andy scosse il capo in un cenno negativo carico di sconfitta. “Ho studiato disegno, è mia mamma l'infermiera.”
“Se non sbaglio lo era anche la tua, Rogers.”
Natasha era ferma sulla porta, le braccia conserte. Pareva fosse lì da diverso tempo o riusciva a darne la perfetta impressione.
Alla fine, dopo la risalita dai sotterranei, si era decisa a cercare Steve per cominciare a capire cosa stesse succedendo al suo amico dopo aver ritrovato il Sergente Barnes. Non si era pentita del pugno datogli prima ma se davvero quella macchina di morte stava tornando alla vita, gli doveva la stessa possibilità di riscatto che lei stessa si era meritata lottando con le unghie e con i denti.
Avanzò nella camera e si chinò appena verso il letto.
Era assurdo ma da quando lo aveva visto, poco tempo prima, nel soggiorno open space di Stark, non avvertiva più il terribile gelo che la stava perseguitando dalla distruzione dello SHIELD.
“Sono certa che due teste potranno mettere insieme il modo di uscire da questo momento. Pepper, ci servirebbero garze sterili, un applicatore di suture e dei punti. Oltre a una massiccia dose di antibiotici e disinfettante.”
“La nostra Infermeria ne ha in esubero, di queste cose.”
Si alzò, imitata da Andy. L' agente la bloccò con un'occhiata. “Steve, vai tu. Ci penseremo io e la signorina Martin, quando sarete tornati con l'occorrente.”
La provocazione lanciata sortì subito l'effetto voluto; Steve irrigidì le spalle, pronto a scattare e mettersi davanti alla ragazza per difenderla, fosse stato necessario.
“Perché?”
“Perché ti conosco e non voglio vederti ronzare intorno al tuo amico chiedendomi ogni minuto se lo sto aiutando oppure ammazzando.”
Allora era vero quanto avvertito poche ore prima.
Andy Martin era importante per lui. Molto più di qualsiasi altra donna venuta a incrociare il cammino di Captain America dopo il suo risveglio.
Recuperato il materiale richiesto, Natasha cacciò via senza troppo garbo un preoccupato e impacciato Super Soldato, raccomandando a Pepper di tenerlo buono. Solo dopo si voltò verso Andy, rimasta al capezzale di Bucky.
“Te la senti?”
“Solo se mi spiegherai cosa hai in mente. Credevo non mi sopportassi.”
La ragazza arrossì ma non abbassò lo sguardo. Prima Steve era disposto a mettersi in mezzo pur di proteggerla da un altro scontro verbale con la Vedova Nera; non ce n'era bisogno, dal momento che stava dimostrando di sapersi arrangiare da sola e fronteggiare una donna sicuramente molto più preparata di lei a vincere in una realtà fatta di complotti internazionali, battaglie e morte.
Ha coraggio.
“I civili sono palle al piede, per noi.”
“Ne sono consapevole.”
“Ma se ti sei fidata del Soldato d' Inverno tanto da volerlo aiutare adesso, vuol dire che hai fegato. Volevo solo esserne certa.”
Andy sbuffò un sorriso mordace. “Mi sembrano i presupposti migliori per l'inizio di una splendida amicizia.”
Lavorarono instancabilmente per quasi un'ora; l'operazione più complicata fu togliere la vecchia sutura, fatta male e approssimativamente.
“Passami le forbici.”
Natasha sentì il peso dello strumento, appoggiato sul palmo della mano, proteso dalla parte corretta. Fortunatamente, il tessuto cutaneo aveva già cominciato a guarire e in tempi assai più rapidi di quelli preventivati per ferite di quel tipo.Un altro “regalo” del trattamento di Zola.
“Per fortuna non c'è cattivo odore” mormorò Andy, sollevata. Preparò su una pinza un grosso tampone di ovatta imbevuta di alcol. “Niente rischio di necrosi.”
“Tua madre è una vera infermiera, allora, se sai questi dettagli.”
“Visto che siamo destinate a diventare anime gemelle, imparerai presto non amo mentire.”
La sagacia della giovane disegnatrice era di quelle dotate di denti bianchi e bellissimi, sicuramente capace di piantare morsi dolorosi e profondi tra un sorriso e l'altro. Con l'esperienza accumulata nello studio dei caratteri, Natasha impiegò poco tempo nel vedere l'intento di difesa dietro l'attacco. Esistevano davvero infinite maniere per non andare in pezzi e farsi vincere dalla tensione.
“Abbiamo finito. Vai a chiamare Steve prima che pensi di poter buttare giù la porta con una sola spallata.”
Andy annuì ma prima di andare ad aprire, si fermò.
Attorno a loro aleggiava l'odore chimico tipico di una stanza di ospedale e nei suoi occhi, di nuovo impudentemente in cerca di quelli della spia, aleggiava una domanda precisa.
“E' vero che ti ha sparato contro due volte?”
Niente poteva rendere più audaci dell' aver avuto le mani sporche del sangue di una persona.
“Sì.”
“Allora per quale motivo lo hai aiutato?”
Poteva apparire una stupida richiesta di spiegazioni; era solo ingannevole. Natasha inclinò appena il capo verso terra, continuando a fissarla.
“Nel nostro mondo, il confine tra bene e male può essere distorto e spostato a piacimento. Non posso avercela con chi è stato vittima inconsapevole di questo trucchetto.”
Non avrebbe detto altro. Non a lei. Andy lo comprese senza bisogno di altre stilettate silenziose; annuì solennemente e finalmente fece tornare Steve.
Come previsto, ci volle un po' di pazienza per rassicurarlo sul fatto che Natasha non solo non aveva avvelenato James ma nemmeno accoltellato o dissanguato. Alla fine anche Pepper sospirò di sollievo e raccolse quanto era avanzato delle medicazioni. Non annunciò nemmeno l'intenzione di andarsene; lo fece e basta, in punta di piedi.
“Sembra proprio ti debba ringraziare.”
“Prego, non sforzarti troppo. La gratitudine comporta uno dispendio di energie debilitante persino per un Super Soldato.”
Steve provò a dare un lodevole tentativo di risata; servì solo a rendere maggiore l' imbarazzo provato nel sapere di dover qualcosa a una persona a cui spettava ogni diritto di avercela a morte col Soldato d' Inverno e non in senso figurato.
Alle loro spalle, Andy si schiarì la voce.
“Immagino che l'agente Romanoff sarà stanca dopo il viaggio da Londra.”
Natasha afferrò l'occasione con una soave scrollata di spalle.
“Esatto, Steve; perché non mi accompagni a vedere in quale sgabuzzino mi terrà Stark?”
Per soffocare le probabili obiezioni, afferrò l'uomo per il braccio e dopo due secondi, erano fuori dalla porta.




James ascoltò il racconto di Andy con gli occhi chiusi. Ne aprì solo uno, puntandolo deciso sulla ragazza.
“Lo hai fatto apposta.”
“Si notava molto?”
“Sì, era un tentativo un po' patetico.”
In risposta ottenne un paio di braccia che si tesero verso l'alto, stiracchiandosi voluttuosamente.
“Ho comunque ottenuto il mio scopo; spero si stiano chiarendo.”
Il Soldato richiuse le palpebre, sperando in quel modo di non rendere palese il desiderio che lo stava attraversando; era certo che Andy si sarebbe accorta di qualcosa e non era decisamente pronto a rivelare a una ragazza tanto perspicace cosa lo turbava.
Sperava ardentemente di avere anche lui l'occasione per parlare con Natasha Romanoff. Di saperla nella stessa stanza, di sentire di nuovo la sua voce, ammirare il rosso dei suoi capelli. Forse in quel modo avrebbe ricordato.
Ricordato i reali motivi per cui, tanti anni prima, si era trovato in una base segreta in Siberia ad addestrare l'unica sopravvissuta di un gruppo di ventotto adolescenti provenienti da ogni angolo dell' Unione Sovietica, scelte per determinate caratteristiche. Agilità, intelligenza, abilità nel sopravvivere o raggirare il prossimo.
Lei era stata la bambina di neve.
Malienki edieveska sniecko.
Prima di quel soprannome non c'era nient'altro; solo uno un sipario dal livido colore viola, quello assunto dall'aria invernale quando cominciava a nevicare. James non sapeva, non ancora, dire cosa ci fosse prima: era uno dei tanti, troppi buchi neri in cui era andato a gettarsi il suo passato. Stava riemergendo solo la parte dedicata a Steve ma sapeva, con istinto animale, ci doveva essere molto altro.
Perché lui non era solo Bucky. Non più.
“Andy?”
“Sì?”
“La musica di prima l'hai scelta tu?”
La riservatezza della ragazza andò in mille, lucenti frantumi a quella domanda; si animò di colpo, tendendosi verso di lui. Per l'entusiasmo, congiunse le mani in un piccolo, attutito applauso.
“Ti piaceva? Io l'ascolto sempre, quando disegno.”
“Era molto bella. Di chi è?”
“L'ha composta un musicista italiano per un uno dei miei film preferiti, tratto da un romanzo che avrò letto decine di volte: Orgoglio e Pregiudizio.”
Il titolo gli diceva qualcosa. L' immagine di una ragazzina dagli occhi grigi uguali ai suoi emerse per un istante. Stava leggendo quel libro seduta nella veranda di una casa grande ma decisamente trasandata.
“La faresti ripartire? Era un bel pezzo di pianoforte.”




Steve non stava credendo alle sue orecchie.
“Non devi usare queste scuse.”
Il sopraciglio ramato di Natasha s' inarcò con eleganza. “Pensavo fossimo diventati abbastanza...intimi da farti capire quando scherzo oppure no.”
Cercò di mettere tutta la malizia necessaria in quell'allusione ma vedendo come il suo interlocutore spianava la fronte, senza nemmeno prendere un po' di colore sulle guance, capì di aver perso.
“Non riesco a farti perdere la calma. Stark ti sta abituando alle frecciate.”
“Non ti è mai venuto in mente che già qualcun altro mi aveva abituato alle sue battute?”
Senza dire altro, lasciandole il tempo di intuire a chi si stesse riferendo, il Capitano condusse la Vedova Nera nell' appartamento di Tony. Sul tavolo principale dell' open space troneggiava ancora quanto rimaneva del suntuoso brunch offerto ai Vendicatori.
“Caffé, giusto?”
“Sì. Nero e con un solo cucchiaio di zucchero.”
Per fortuna il bricco era ancora pieno e la bevanda, tollerabilmente tiepida. Sicuramente era uno dei tanti retaggi comportamentali sopravvissuti agli anni Quaranta ma la donna sorrise compiaciuta nel vedere l'amico prepararle personalmente la tazza e offrirgliela.
Dopo aver girato il cucchiaio per qualche istante, ne bevve un sorso, poi un secondo.
“Come è successo? Come lo hai trovato?” gli chiese a bassa voce, come stesse tentando di venire a conoscenza di un segreto. Era sicura di non essere troppo distante dalla verità.
Steve si sedette, posando il pugno destro sulla superficie scura e traslucida di cristallo.
“Ero partito da Washington con l'intento di mostrare a Tony il dossier che mi avevi dato. Mi ci sono volute due settimane per trovare il coraggio necessario; temevo trovasse al suo interno la notizia di come il Soldato d' Inverno avesse ucciso i suoi genitori.”
“Non è stato lui. Vero?”
“No ma questo non cancella il sangue versato per conto degli ordini impartiti dall' HYDRA. Io-”
S'interruppe, stropicciandosi il volto con l'altra mano. Sotto le dita sentì l'ispido di una barba lasciata crescere in quegli ultimi giorni.
“Io so che non era in lui, Natasha. Non lo è più stato, da quando Zola e i suoi uomini lo catturarono e resero un'arma perfetta, senza emozioni e ricordi. Il vero Bucky non avrebbe mai compiuto crimini del genere e ora sto vedendo quel Bucky farsi strada nell' uomo che abbiamo lasciato a riposare.”
Un uomo che era stato annientato e ricostruito secondo una logica di spietata determinazione. Steve non ebbe bisogno di dirlo; osservò la compagna di tante missioni e vide nei suoi occhi felini la comprensione sperata.
“Forse non tornerà più il ragazzo che hai conosciuto e amato.” provò a farlo ragionare, con quella delicatezza scoperta dal momento in cui avevano imparato di potersi fidare l'uno dell' altra.
“Lo so.”
“Questo non toglie che sia stata la vostra amicizia a spezzare le catene con cui lo legava Pierce. Ti ha seguito, per caso?”
“Sì. E' stato allo Smithsonian, ha visto la mostra e mi ha cercato e trovato qui, a New York.”
Natasha sorrise. Non c'era bisogno d' altro per sottolineare l'ovvio: qualsiasi cosa fosse successa, se era bastato Steve a chiamarlo per nome per provocare una scossa tanto devastante in un guerriero privato di tutto, significava l'esistenza di legami capaci di miracoli. L'entità di quest' ultimo si sarebbe scoperta solo col tempo.
“E poi ha salvato Andy Martin dal rapimento.”
Per poco non si mise a ridere, nel vedere Steve agitarsi goffamente sulla sedia. Bevve altro caffé ed attese con la pazienza dei gatti a caccia di ottenere nuove risposte.
“E' stato più complicato di così.”
“Ricordo il racconto di Tony ma io vorrei sentire la tua versione.”
“Devo proprio?”
Natasha tamburellò le dita sul tavolo. Il tichettio delle sue unghie aveva un che di sinistro.
“Vuoi che torni assillante come in passato?”
Vuoi di nuovo chiuderti in te stesso?
Non sarebbe stato giusto proprio nei confronti della ragazza amante dei cappelli con strane orecchie feline. Era stata Andy ad avergli indicato la strada giusta, con un libro.
“L'ho conosciuta per caso qualche giorno fa. A Central Park, dove va sempre a disegnare; è il suo lavoro.”
Un pezzo alla volta, confessato dopo mille e mille ripensamenti, Steve permise a Natasha di vedere quanto non aveva concesso nemmeno a Bucky. E diede la possibilità a se stesso di ammettere quanto era visibile da tempo, proprio davanti ai suoi occhi. Si sentì come un cieco inconsapevole pronto a vedere quanto aveva rinnegato.
“E' una ragazza molto carina. E scommetto non ha piercing sulla lingua.”
“Pensavo non ti piacesse.”
Con un gesto vago della mano, portò dietro le spalle una ciocca di capelli fulvi. “Ho sbagliato a giudicarla. Ero convinta avresti chiamato Sharon, come ti avevo suggerito.”
Questa volta, non c'era nessuna allusione partorita apposta per imbarazzarlo.
“Temo di avere dei problemi con chi cerca di manipolarmi. So che proteggermi era la sua missione ma Fury non voleva solo questo. Non si fidava di me, non completamente e mi aveva assegnato una sorvegliante.”
“Puoi biasimarlo?”
“No ma avrei preferito la verità.”
Il caffé era finito da un pezzo. Non il loro confronto.
“Sempre questa illusione della verità in grado di salvare, Capitano?”
Degli occhi azzurri cercarono pacatamente, con determinazione, i suoi. “L' ultima volta persino tu ci hai creduto.”
Steve Rogers non avrebbe mai posseduto la stoffa della spia; nemmeno la capacità di vendere per oro del volgare piombo placcato. Era per questo che le sue parole erano naturalmente dotate di una t forza pura e incorruttibile.
Natasha sbuffò una risata e tirò più vicino un vassoio di ciambelle.
“Ero solo convinta, beh- che avresti scelto qualcuna come noi. Del nostro mondo.”
“Natasha. Non sono stato completamente del vostro mondo, mai.”
Eppure ci sarebbe stato sempre bisogno di uomini giusti, di spie letali, di soldati infallibili. Persino di egocentrici scienziati milionari. Erano tutti pezzi sopravvissuti di uno scudo, piacesse loro o no. Per alcuni di loro, gli altri componenti di quella squadra destinata a trovare ogni volta nuovi punti di un improbabile equilibrio erano quanto di più simile potessero associare alla parola “famiglia”.
“Adesso cerca di non aspettare mesi per parlare con lei, va bene?”
Steve scosse il capo, esasperato e divertito insieme.
L' umanità poteva essere di nuovo in pericolo ma c'erano bisogni e sentimenti decisamente riottosi a farsi imbrigliare dal senso di responsabilità.
“Te lo prometto, agente Romanoff.”






Angolo (tetro e buio) dell' autrice: il brano scelto da Andy e che sta ascoltando mentre veglia su Bucky, non è per nulla casuale: fa parte della colonna sonora del film Pride and Prejudice con Keira Knigtley. E' stata scritta da Dario Marianelli e vi do un caldissimo consiglio se apprezzate il genere o amate il pianoforte: REPERITELA! E anche il film è un gioiellino!
Grazie a una domanda di una lettrice, mi sono accorta troppo tardi di aver dimenticato una noticina importante nello scorso capitolo: mo chirdre è una parola gaelica e può essere tradotta con "mia bambina" o "mia piccola".
Una cosa però non la scordo: di dirvi ancora grazie. E offrirvi muffin da qui a fine mese per le vostre parole, le chiacchiere, i momenti che condividiamo ridendo. Grazie, grazie davvero!
Maddalena





















 

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Capitolo 24
*** 21 ***


21






Nel laboratorio, erano rimasti Tony, Clint e il Maggiore Wilson.
Sam continuava a studiare la ricostruzione virtuale della base segreta scoperta a Londra; il suo sguardo, sempre vivo e allegro, adesso era un pallido, distorto ricordo della cordialità che lo caratterizzava.
“Non ti quadra qualcosa.”
L' agente Barton non aveva posto una domanda.
“Penso sia la stessa che non quadra a voi. Sembra ci sia uno schema in tutto questo piano folle ma non riesco a interpretare la chiave di lettura.”
“E' compito dei cattivi non renderci le cose semplici” commentò Tony; stava dando le spalle ad entrambi, intento a controllare e manipolare una serie di dati. Un continuo concerto di finestre ridotte, chiuse o allargate, costantemente aggiornate dall' incessante apporto di nuove informazioni, combinate secondo le milioni di ipotesi scatenate dalle notevoli sinapsi di un genio caduto in un momento di profondo autismo creativo.
Seguendo l' esempio di Clint, Sam non si azzardò a disturbare quel processo di creazione e distruzione; se per lui era impossibile pensare di correre veloce come Steve, non voleva nemmeno immaginare cosa si poteva provare nel tentativo di seguire un ragionamento di una mente simile.
Solo Jarvis poteva permettersi di interrompere quello stato di grazia; cosa che fece nel momento esatto in cui Pepper era tornata nei sotterranei per portare notizie del Soldato d' Inverno.
“Signore, il Colonnello Fury desidera parlare con lei.”
Tony sbatté le palpebre e agitò la mano destra in un distratto gesto di permesso. L'attenzione tornò a farsi tensione collettiva, quando un nuovo monitor con la funzione decoy si aprì.
“Stark, non si può dire che sia facile accedere al tuo canale di comunicazione.”
“Ho avuto un buon maestro in fatto di sicurezza. Pensavi non mi mancasse venir comandato da te?”
Nick, anche se svogliatamente, arricciò la bocca perennemente seria in una smorfia divertita.
“Hai rinnovato casa.”
“Qualcuno non aveva pensato a dare un rifugio a poveri Vendicatori bisognosi di un tetto e numerosi pasti caldi.”
A sogghignare, questa volta furono Clint e Sam.
“Dobbiamo parlare di una cosa, ho poco tempo. Forse so collocare le basi che l' HYDRA ha costruito per continuare il suo progetto sul Soldato Perfetto.”
Ci fu il tempo per uno scambio nervoso di occhiate.
“A quanto pare, stasera si cenerà tardi” borbottò Tony “Jarvis, tieni pronto il numero del mio take away cinese di Park Avenue. Ne avremo bisogno.”




Steve e Natasha bussarono alla porta della camera di James. La musica si abbassò, mentre una voce invitava ad entrare.
“Perché non ne fanno più di uomini cresciuti negli anni Quaranta?” sospirò la spia di fronte a quell' ennesimo sfoggio di educazione d'altri tempi. Si accorse una frazione di secondo dopo di qualcosa di strano nella sua domanda; come una distorsione, una velatura su un paesaggio limpido e chiaro.
“Perché il mondo moderno ha relegato le buone maniere nella spazzatura?” le ritorse contro il Capitano, aprendo.
Andy non si era mossa di un passo dal capezzale del paziente. Paziente in chiara convalescenza, a giudicare da come continuava a rigirarsi nel letto. Quando si accorse di essere ancora mezzo nudo e di avere di fronte Natasha in un simile frangente, una strana frenesia nervosa gli fece afferrare la maglia per cacciarsela addosso con gesti bruschi.
Quello era stato uno sfoggio istintivo di pudore, rivolto verso una donna con cui aveva avuto a che fare solo in termini di agguati armati e missioni di morte. Natasha dischiuse appena le labbra ma ci mise poco a ritrovare l'abituale compostezza.
Era inammissibile si fosse sentita intenerita.
“La prossima volta che vorrai spogliarmi, vorrei essere avvisato” sbottò dopo l'operazione, guardando storto Steve.
“Ho dovuto dirglielo, mi dispiace.”
Era abbastanza ovvio che il dispiacere di Andy suonasse falso come l'aria innocente e mortificata assunta prontamente. Lei e il Soldato si guardarono per un istante e per poco non si misero a ridere.
“Da bambini non facevi tutte queste storie” ribatté il Capitano, sorprendentemente rilassato. Era felice ogni volta che scopriva antichi aspetti di Bucky in quell' uomo per cui non riusciva a non provare affetto, anche ora che era tanto diverso. Il guizzo di sfida nei suoi occhi grigi gli fece capire che il sentimento era ricambiato.
“Dovevo curarmi i lividi provocati dalle risse in cui venivo a salvare te. Ci tenevo a essere presentabile, con tua mamma.”
A giudicare dal colorito più acceso sulle guance di Steve, la battuta non era stata fatta con leggerezza.
Sarah Rogers era stata il primo, platonico, amore di Bucky. Aveva sempre avuto un debole per lei e molte volte lui e Steve erano arrivati a un passo dall' azzuffarsi a sangue di fronte a certe esternazioni di puro ardore infantile fatte dal suo miglior amico. Stavolta non se la prese, in virtù del sollievo di vedere un altro frammento della loro amicizia sopravvissuto alla bufera.
“Potrei commuovermi ma siamo stati convocati dal padrone di casa. Ce la fai ad alzarti?”
Come sua abitudine, James non rispose. Calciò via le coperte e si mise in piedi con un gesto fluido.
Andy alzò gli occhi al cielo.
“Devi perdere questo tuo modo di fare, sai? Bastava un semplice “sì”!”
“E perdere l'occasione d' impressionarti di nuovo?”
Soffocando una seconda risata, la ragazza prese il suo album da disegno e l'astuccio delle matite. Non se ne separava più da quando li aveva ricevuti in regalo e notandolo, Steve comprese quale impulso portasse un gatto a voler fare le fusa.
“Non ti dispiace?” mormorò osservando Natasha.
“Stark e qualcun altro non mi perdonerebbero mai se ti dicessi di rimanere qui. Vero, Steve?”
L' agente avvertì, puntati sulle spalle, gli occhi sgranati di James. Il miglior modo per dirle, senza parole, allora lo hai capito anche tu!
Il Capitano chiese aiuto a tutto il suo contegno per rimanere calmo.
“Sarà meglio andare” disse asciutto ma si affiancò ad Andy nell' uscire per primo.
“Ottima mossa” sussurrò una voce profonda, un po' roca alle spalle della donna. Natasha stavolta si voltò per fronteggiare il Soldato e senza riuscire a impedirselo, gli sorrise. Forse non lo avrebbe fatto, se avesse saputo cosa aveva scatenato nello stomaco dell' uomo e in tutto il suo essere con un gesto tanto semplice.
“Gli amici servono a questo” gli rispose, girandosi e seguendo la coppia. I capelli rossi si aprirono con un movimento lieve, a ventaglio. James avrebbe dato volentieri l'altro braccio per poterli sfiorare, anche solo pochi secondi e la potenza di quel pensiero irrazionale fu tale da lasciarlo con la gola secca.
L'aveva già conosciuta.
L'aveva addestrata.
L' aveva-
Neve. Splendida, letale, neve.
Uscì dalla sua camera con un dolore in parti del suo cuore che non avrebbe mai sospettato di possedere.




L' indizio dato da Nick Fury possedeva la sconcertante forza di una verità insospettabile, ancora più quando si nascondeva dietro uno schema tanto semplice da apparire complesso e impenetrabile.
Tony si era subito messo al lavoro, creando in pochi minuti un nuovo data base sotto gli occhi ammirati di Sam, ancora nuovo a certi spettacoli e a quelli intrisi di britannica calma di Clint, che rimase immobile a braccia conserte per tutto il tempo dell' operazione.
Alla spicciolata, richiamati dall' avviso diramato da Jarvis sui dispositivi smarthpone dei vari membri della squadra, arrivarono Steve, l' agente Romanoff, il Soldato d' Inverno e Andy; questa volta la ragazza tenne le spalle ben dritte e sfidò lo sguardo rassegnato di Maria con una dignità sempre più bellicosa.
Non parlò nessuno. Non ci furono saluti o domande.
Lo spazio del laboratorio si era tramutato in un cielo virtuale, le cui stelle erano lo sfarfallare continuo di foto, file e filmati. Il direttore pazzo di quell' orchestra aveva bisogno di silenzio e il suo pubblico fu lieto di concederglielo.
All'improvviso, rimasero aperti solo sei monitor; vennero ingranditi in modo che tutti potessero vederli.
Ciascuno conteneva una cartella personale.
Steve trasalì nel riconoscere i vari uomini presenti nelle foto e in sbiaditi filmati d'epoca.
“Dougan...”
Fu James a mormorare il primo nome, scrutando l'immagine in bianco e nero di un irlandese alto e imponente, le spalle ampie e il viso simpatico definito da una barba d' oro rossiccio.
Nella sua mente risuonò un rumore secco, definitivo; un applauso senza padrone, che aprì uno squarcio nel buio.
Oltre quell' oscurità si trovava una scena ambientata in un fumoso pub di Londra; uno dei pochi, coraggiosi esercizi commerciali tenuti aperti anche dopo il copri fuoco imposto dai continui bombardamenti tedeschi sulla capitale britannica.
E James si rivide, più giovane, più scanzonato, coi capelli corti e curati, le guance impeccabilmente sbarbate, superbo e incosciente pavone nella sua divisa di Sergente.


Fammi capire.”
Il Sergente Barnes temporeggiò e si versò il secondo bicchiere di Wiskey di una serata appena battezzata dall' alcol. Timothy “Dum dum” Dougan aspettò e scandì la sua pazienza con la sua scrosciante risata di pancia.
“Non potrai mai capire, caro il mio Yankee. Il gaelico non fa per voi.”
“E' da incivili avere una lingua che scritta suona in un modo e parlata in un altro!”
“Bada a come parli, ragazzino con la brillantina! Sei stato tu a voler sapere cosa stavo cantando!”
Il sorriso di James era in perfetto equilibrio tra uno angelico e quello che poteva possedere un monello di strada molto sfacciato.
“La melodia era bella. Il testo...beh, come faccio a esprimere un parere, se non so cosa dice? Prova a tradurmela!”
Attorno al loro tavolo era un mare di visi giovani, segnati dalla guerra e con negli occhi la voglia di ridere partecipando silenziosamente al loro battibecco. Seduto al bancone della mescita, c'era il Capitano Rogers; le troppe medaglie finite di recente sulla sua giacca reclamavano un po' di allegria e un istante lontano dagli orrori del conflitto.
“Dum Dum, ti avviso; Bucky non mollerà l'osso fino quando non lo avrai accontentato.”
“In inglese non suona bene come in originale.”
Il gigante irlandese aveva orgogliosamente gonfiato il petto nell' affermarlo, dandosi una lisciatina superba ai folti baffi.
“Senti, fallo ancora e prendo un ago per sgonfiarti, maledetto tacchino borioso. Cantala come vuoi, fammi contento!”
Nemmeno lui sapeva perché si stesse incaponendo tanto su una stupida canzone irlandese. A onor del vero, dovette ammettere che quando si trattava di bella musica, James Buchanan Barnes diventava quasi ossessivo. E il suo migliore amico, quell' ingrato pappa molle, invece di redarguirlo e calmarlo se ne stava a bere la sua birra con gli occhi azzurri brillanti di divertimento.
“Va bene, moccioso. Ti accontenterò, a patto che imparerai a suonarla con la tua stupida chitarrina.”
Bucky finì il suo bicchiere con un sorso e lo posò rumorosamente sul tavolo. “Andata, grosso bastardo. I duetti mi sono sempre piaciuti.”
Al fronte le imprecazioni sapevano nascondere affetto e ammirazione. Dougan chiuse gli occhi e la sua bella voce tenorile intonò la ballata tanto agognata.

“Oidhche mhath leat fhein, a ruin

Nad leabaidh chubhraidh bhlath

Cadal samhach air a chul

Do chusgadh sunndach slan

S nam chluasan fuaim a’ bhais


Gun duil ri faighinn as le buaidh

Tha ‘n cuan cho buan ri shnamh” *


L'ascoltò l'intero locale pieno di soldati. Era la loro canzone. Quella dove un uomo in guerra pensava al suo amore lontano, sapendo che il coraggio non bastava a vincere la paura della morte. Era un esorcismo, pensò Bucky mentre chiudeva gli occhi. E solo la musica poteva donare speranza parlando di disperazione e malinconia.


Il ricordo visse e morì in un battito di ciglia. Era di nuovo nel laboratorio di Stark, con Steve accanto e la foto di Dougan a sorridergli.
Qualcuno stava spiegando qualcosa, qualcosa che aveva a che fare con l'incrocio di date, luoghi ed eventi; un fastidioso, perforante ronzio cacofonico che cessò con un altro rumore secco.
Sei uomini, tra i migliori soldati delle Forze Alleate.
Sei soldati provenienti, per sangue o discendenza, da diversi luoghi del mondo: Inghilterra, Giappone, Irlanda, Francia e Stati Uniti.
Gli stessi Paesi flagellati, ad anni alterni, dai rapimenti orchestrati dagli scienziati dell' HYDRA protetta dall' ombra dello SHIELD.
James sentì il suo cervello venir preso e cacciato a forza in un turbinante vortice con le date sentite poche ore prima, i nomi delle città, quelli delle persone scomparse.
Un viaggio di decenni sfrecciò nel suo cranio sul punto di esplodere e poi si fermò nell'esatto istante in cui anche Jarvis si stava preparando alla conclusione della sua tesi.
“Le basi” sillabò, bloccando l' esposizione del sistema operativo.
Incespicando in un passo, il Soldato si fece avanti e fissò i volti di coloro che un tempo erano stati suoi compagni.
Amici.
“Sono una per ciascuna degli Howling Commandos.” La supposizione non fu smentita; questo significava solo una cosa.
“La più grande deve essere a Brooklyn.”
“Come fai a dirlo?” domandò Clint, le sopraciglia inarcate.
“Perché due dei membri di quella squadra venivano da lì” mormorò Steve, cupo. “E sono davanti a voi adesso."



La perfezione del piano, per quanto ancora incompleto in alcune parti, ebbe lo stesso effetto di un maglio calato pesantemente su una lastra di ferro da lavorare.
Ciascuno accusò il colpo, trovandosi a condividere con gli altri lo stesso silenzio angoscioso e comprensivo.
Il motivo per cui il Soldato d' Inverno non era stato fermato nella sua ricerca di Captain America era terribilmente semplice.
Serviva il sangue eccezionale di un Super Soldato per dare all' HYDRA nuovi prigionieri da assoggettare ai propri voleri; perché fermarsi alla cattura di uno solo?
Avevano scoperto che la loro pedina stava riacquistando memoria e consapevolezza di chi era stato e ne avevano tratto l' unica ipotesi possibile: lasciarlo libero, in modo da vedersi condotti da Steve Rogers.
Lungo la strada per la riconquista di un' umanità mai cancellata del tutto, Bucky aveva portato il guerriero spietato a compiere degli errori, a essere meno attento e più avventato.
Se non fosse stato così, Steve avrebbe perso Andy. Sarebbe stata rapita, destinata a divenire una nuova voce in un' altra, orrenda lista.
Il Capitano si ritrovò a sorridere con amara ironia.
Seduto su uno dei divani in pelle dell' open space della Stark Tower, con in una mano una confezione di spaghetti di soia con verdure e frutti di mare e nell'altra un paio di bacchette, pensò a come tutto fosse nato dall' unica certezza in grado di far acquistare alla sua corsa insensata in un tempo non suo, un significato e un motivo di sprone.
La risata di Sam, per quanto fiacca, gli ricordò il giorno del loro incontro al National Mall di Washington. Aveva appuntato nella sua agenda il nome di un album jazz.
Cercò con lo sguardo i capelli lunghi e scuri di Andy; la trovò intenta a servirsi di alcuni involtini primavera, su insistenza di Pepper. Non era stata l'unica ad accorgersi dell' allarmante inappetenza della ragazza e Steve era disposto a tutto, persino alle suppliche, pur di sapere cosa la turbasse tanto di quanto aveva appreso quel giorno.
Era stata una giovane illustratrice a ritrovare la sua amata agendina e insieme a quella, anche se stesso. Lo aveva aiutato a fermarsi e osservare cosa il suo comportamento stava causando: solitudine, tristezza e un egoismo distaccato, freddo. Dove sarebbe finito, se avesse seguito quel sentiero? Il luogo non lo poteva conoscere ma sapeva vi sarebbe arrivato da solo e solo vi sarebbe rimasto.
Natasha aveva ragione; non poteva aspettare il momento giusto, così proverbiale e quindi inesistente, per mostrarle quanto le era riconoscente e cosa stava cominciando a provare per lei.
Infine c'era stata l' ultima voce aggiunta alla sua lista.
"Dannazione!"
L'imprecazione sommessa con cui James gli si sedette accanto avrebbe potuto farlo ridere di cuore, se quella non fosse stata, con tutta probabilità, l'ultima sera tranquilla prima dell' inizio di una nuova missione. Vederlo lottare contro un paio di bacchette di bambù era decisamente l'ultimo spettacolo immaginato per il suo amico.
A Steve non importava riavere il Bucky di un tempo; le lancette dell' orologio della loro esistenza non potevano venir portate indietro. Avrebbe fatto quanto in suo potere perché tornassero a marciare e senza più altre mani a fermarle.
"Mi spieghi come Morita riuscisse a mangiare con questi cosi infernali?!"
"Infatti Jim non ne era capace. I suoi genitori migrarono negli Stati Uniti giovanissimi e lui è nato sul suolo americano. Non ha mai visto il Giappone."
Da infastidito, lo sguardo di Bucky si tramutò in uno mortificato. Lasciò momentaneamente perdere la sua ingrata lotta con le usanze orientali e scrollò il capo.
"Non lo ricordavo. Scusa."
"Ci vorrà tempo, Buck."
E se io non mi sentissi degno del tempo che volete concedermi?
A volte, come quella mattina, era difficile abituarsi alla semplice idea di essere in un luogo sicuro. Figuriamoci a quella di avere accanto un gruppo pronto a supportarlo. Perdonarlo. Nessuno di loro gli aveva detto apertamente "Non é stata colpa tua" ma non era necessario sprecare parole: erano contenute nei gesti, piccoli e grandi, con cui veniva circondato. A volte avvertiva l' impulso di scattare in piedi e avventarsi contro Stark; era per causa sua, degli uomini che aveva addestrato, comandato, se i suoi genitori erano morti.
La loro condanna era stata scritta dal sospetto che Howard aveva cominciato a nutrire nei confronti di certi progetti dello SHIELD. Gli avevano fatto leggere i rapporti, per indottrinarlo meglio e convincerlo una volta di più della bontà del suo operato. Quell' uomo stava indagando dove non doveva e cosa peggiore di tutte, si stava ponendo delle domande che in piena Guerra Fredda sarebbero costate la vita di cittadini molto più umili di lui. I suoi passi lo avrebbero condotto a scoprire la verità e allora l'intero genere umano avrebbe perso la sua giusta lotta per arrivare a un mondo finalmente sicuro, governato rettamente.
Era l' illusione venduta dall' HYDRA, cui il Soldato d' Inverno era chiamato a seguire, se non poteva crederci perché incapace di conoscere il significato reale di una fede.
Anthony Stark aveva ogni diritto di esigere vendetta e invece era stato lui a svegliarlo e a volerlo presente nel momento di svelare quanto avevano scoperto dei piani dei loro nemici.
Già. Stiamo combattendo gli stessi cattivi.
"Cibo cinese, eh?" mormorò invece, studiando il contenuto del suo piatto con il cipiglio riservato alla pianificazione di chissà quale tattica terroristica. La domanda scettica era di Bucky Barnes; lo sguardo, quello dell' uomo risvegliatosi dopo l' Inverno.
"Avresti mai detto che lo avremmo mangiato?" Steve si allungò verso il tavolino e prese due bottiglie di birra.
"Non sapevo nemmeno che la Cina possedesse una sua tradizione culinaria."
"Aspetta di conoscere quella thailandese o giapponese."
Steve sapeva essere insopportabile: i suoi occhi azzurri, limpidi e fermi, riuscivano sempre a calmarlo e a fargli sperare nella luce di una casa, che indomita e testarda brillava alle finestre contro cui si accaniva una tempesta. Lo portavano indietro nel tempo e su quella scia, nuovi ricordi affioravano e si ricomponevano in un quadro impossibile da definire. Bello? Brutto? Scosse di nuovo il capo, anche se con meno enfasi di prima.
Eppure era impossibile allontanarsi, adesso. Lasciarlo.
Gli voleva bene ed era un tipo di affetto raro, capace di salvare e distruggere insieme. E poi c'era quella ragazza, Andy, così simile a come doveva essere stato prima della Guerra, prima dell' HYDRA e infine-
Natasha Romanoff stava bevendo e parlottando pigramente con Sam ma sarebbe stato pronto a giurare che fino a un istante prima di guardarla, i suoi occhi preziosi e letali erano posati sul suo codino di capelli puliti; se non altro, adesso non aveva più l’aria da barbone instabile con cui era arrivato.
"Steve? C'è una cosa di cui vorrei parlarti. Più tardi."
Il Capitano era diviso in due da sensazioni contrastanti: non c'era persona più lieta di lui nel vedere il suo amico pronto ad aprirsi ma dall'altra parte, un leggero brivido freddo saltellava sulla nuca e sul collo. Non si poteva mai sapere cosa avesse intenzione di fare Bucky.
"Ci possiamo trovare in palestra, dopo cena."
"Dopo che avrai dato la buona notte a Dama Luthien?" La tentazione di chiederglielo era stata troppo forte. Ci mancò davvero poco che Steve si strozzasse col sorso di birra appena mandato giù. Per fortuna, il piccolo, madornale momento d' imbarazzo passò sotto silenzio: la televisione al plasma di Tony diffondeva immagini da un documentario che nessuno stava seguendo e la musica rilassante del filmato serviva a fare da colonna sonora alle conversazioni degli ospiti.
"Non ti ci mettere anche tu!" lo implorò.
"Almeno dimmi chi é questa donna. Sono curioso, fammi contento."
Fammi contento.
Uno degli intercalare preferiti di un certo Sergente, usato fino all' abuso quando voleva ottenere qualche soddisfazione.
Si arrivò così al surreale momento dove un uomo fuori dal tempo si mise spiegare a un secondo chi era la figlia di un Re degli Elfi, inventata dalla sorprendente fantasia di un dotto Professore inglese. La fanciulla più bella del suo popolo, che aveva rinnegato la sua immortalità per amore di un Uomo e al suo fianco aveva combattuto contro il terribile Signore Oscuro della Terra di Mezzo.
"Ora mi trovi ridicolo?"
"Perché un libro ti sta appassionando tanto? No."
"E' stata Andy a suggerirmelo. L'ho comprato subito ma purtroppo l'ho perso durante l' agguato a Central Park."
Un libro.
Un consiglio accettato e seguito con entusiasmo.
Le classiche spiegazioni, ardenti, prolisse e inadeguate che contraddistinguevano l'inizio di un' ammirazione, di una possibilità di amore, erano totalmente superflue.
"E' bella come Luthien per te?"
"Sì."
Nessuna esitazione, stavolta. Una risposta coincisa e netta, contenente tante frasi e ammissioni. Se Steve era capace di una simile determinazione, anche Bucky doveva fare altrettanto e confidargli dei suoi ricordi riguardanti la Vedova Nera.
I due oggetti dei loro discorsi adesso erano vicini; Natasha era riuscita a coinvolgere Andy nella sua chiacchierata con Sam.
"Io non sono mai stato un asso con una matita in mano" stava confessando il Maggiore, dopo aver saputo del suo lavoro.
"Magari sei un genio della matematica" ribatté la ragazza, ridendo "ero terribilmente negata. La disperazione dei miei professori e della mia famiglia!"
L'affermazione fece scattare un campanello d' allarme in Natasha. L'allusione ai suoi genitori poteva dar vita a un' associazione d'idee da evitare, in momenti tanto delicati; non si era dimenticata cosa stava passando e dopo l'aiuto ricevuto nel curare il Soldato d' Inverno, la spia si sentì in dovere di ricambiare il favore.
"Scommetto che leggi anche molto."
La supposizione era stata un azzardo calcolato; in genere un animo sensibile e con inclinazioni artistiche era anche curioso e affamato non solo di un mondo, ma di tutti i mondi reperibili in una pagina scritta.
"I libri un giorno mi butteranno fuori di casa, in effetti. Ne leggo a decine e purtroppo ne compro altrettanti..."
"Fermi."
Clint si avvicinò, infilzando con abilità le bacchette in un sugoso pezzo di maiale in salsa agrodolce.
"Non si può parlare di libri senza di me."
Andy sgranò i suoi grandi occhi verdi: il loro colore, notò l' agente, era più chiaro di quello di Natasha. Più limpido, dove quello della compagna sembrava racchiudere sfumature dorate in cui era sconsigliabile perdersi. Lo squadrò con aria di trionfo e stupore insieme.
"Ecco perché prima, nei sotterranei, te ne sei uscito con quella metafora perfetta sul Sergente Barnes; sembrava una citazione da un romanzo."
Attorno a lei sbocciò un coro di risate e per una volta, Andy comprese che non doveva difendersi. Non c'era scherno ma sollievo, soprattutto da parte di due persone in particolare. Quella spontaneità arguta e senza filtri doveva essere uno dei tanti motivi per cui un certo Capitano stava cominciando a sciogliersi un po'.
La ragazza era grata di simili momenti di distensione; non aveva un' idea precisa di quanto presto sarebbe accaduto ma rispettando l'atmosfera tesa, carica della promessa di un catastrofico temporale, assecondava ogni possibilità di affrontare argomenti piacevoli. Quasi frivoli.
Ci si deve sentire così, prima di una battaglia pensò e l'ammirazione per quanti di loro avevano salvato New York due anni fa e si accingevano a rifarlo anche ora e privi della necessaria protezione dello SHIELD, la fece sorridere in maniera un po' ebete.
"Clint è un appassionato di letteratura inglese" lo blandì Natasha.
"Anche del ramo poliziesco? Sto leggendo Sherlock Holmes e lo trovo magnifico!"
Stava trovando magnifica anche la fame ritrovata e si apprestò ad assecondarla attaccando i suoi involtini.
La musica chill out, perfetta per sottolineare la bellezza remota della barriera corallina, s'interruppe. Lo schermo venne occupato dalla scritta caratteristica delle Breaking News della ABC.
"Interrompiamo le trasmissioni per diffondere un comunicato della Polizia Metropolitana di New York."
La giornalista, col volto atteggiato nella tristezza composta richiesta dalla circostanza, comparve con una foto a fianco.
Andy ebbe voglia di sputare il boccone, divenuto una palla di veleno in bocca.
Quella foto era stata scattata nel giardino del Campus di Kate ad Harvard, durante una sua visita all'amica. Era seduta all' ombra di una quercia, l'immancabile blocco da disegno sulle gambe incrociate e un sorriso radioso rivolto all' obbiettivo.
"Nella giornata di ieri, la famiglia Martin ha perso le tracce della figlia maggiore, Andunie Marjorie, venticinque anni, nata e residente a New York City. Gli accertamenti sono in corso e gl' inquirenti non vogliono azzardare ipotesi prima di ulteriori indagini ma grazie ad alcuni filmati delle telecamere di Mulberry Street, teatro ieri di un tragico incidente, possiamo affermare che la sparizione della giovane è legata a quell' evento insolito e privo di spiegazioni attendibili."
Era stata Natasha a predirlo; vedendo il servizio televisivo in cui James Barnes assaltava un furgone scatenando il panico e scappava con Andy, ferita e scossa, sulle spalle, si pentì di aver avuto ragione.
"Chiunque potesse fornire notizie, può contattare i seguenti numeri."
Lampeggiò una scritta in sovra impressione.
Un fiotto di puro acido e rabbia le chiuse lo stomaco, ammorbandolo.
Andy riconobbe il numero della sua migliore amica, quelli dei famigliari e un altro che sperava di non vedere mai più, nonostante lo ricordasse a memoria.
Lo portava impresso addosso come la peggiore delle cicatrici inferte al suo orgoglio e al suo cuore.
Era il cellulare di Robert Connelly.









Angolo tetro e buio dell' autrice: ed eccoci a un nuovo aggiornamento!
La canzone citata in questo capitolo, di cui fornisco una traduzione gaelico-inglese-italiano, è del gruppo irlandese Capercaillie; s'intitola An Eala Bahn, il Cigno Bianco. Visto il tema (il soldato lontano che pensa al suo amore che probabilmente non vedrà mai più) l'ho trovata perfetta per il momento che ho descritto. Eccovi il link per sentirla:
https://www.youtube.com/watch?v=TwPHdbgyWVQ
Ed eccovi qua sotto la traduzione:
Oidhche mhath leat fhein, a ruin (Good night to you, love) Buona notte, amore mio
Nad leabaidh chubhraidh bhlath (In your warm, sweet-smelling bed) nel tuo caldo letto profumato
Cadal samhach air a chul (May you have a peaceful sleep) Ti auguro un sonno pieno di pace
Do chusgadh sunndach slan (May you waken healthy and in good spirit) Che tu possa svegliarti sana e di buono spirito
S nam chluasan fuaim a’ bhais (With the clamour of death in my eyes) Con il clamore della battaglia nei miei occhi
Gun duil ri faighinn as le buaidh (With no hope of returning victorious) Con nessuna speranza di tornare vittorioso
Tha ‘n cuan cho buan ri shnamh (The ocean is too wide to swim) L'oceano è troppo profondo per attraversarlo
Dopo Dernier, dopo Falsworth, dopo Morita, non poteva mancare la citazione al mio HC preferito, il gigante buono Dougan! A venerdì prossimo!
Maddalena

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Capitolo 25
*** 22 ***


22




"Da quando è diventato un esperto di Astrofisica termonucleare?"
"Ieri sera."

Il mondo a volte era davvero un unico concentrato di ostinazione, pensava Tony Stark. Avrebbe mai visto sorgere il sole sul giorno in cui qualcuno, chiunque, si sarebbe accorto di come la sua mente non dormisse mai o non compisse mai meno di trenta ragionamenti finiti al minuto?
Era la croce e la delizia dei geni, amava ripetere quando era in vena di dare sfogo al suo ego, in modo tale da ricondurlo a una dimensione tollerabile per chi viveva con lui.
Solo una persona poteva comprendere quanta verità ci fosse dietro una battuta da spaccone millantatore e ora, stava passando un braccio attorno alle spalle della Ragazza-Destinata-A-Stevie-Caro.
Pepper stava cercando di fare forza ad Andy; la breaking news della ABC doveva averla colpita allo stomaco con la potenza della miglior sventola rifilabile da un Dio Norreno che ora, presumibilmente, stava facendo tutti i suoi bravi compiti per arrivare a una richiesta di cittadinanza in terra britannica.
Occorreva un rapido riassunto dei fatti.
Notizia del rapimento.
Informazioni di rito.
Numeri di telefono di famigliari e amici.
Stop!

Ecco la variabile.
La ragazza, che in un primo momento si era limitata a impallidire rimanendo immobile, aveva avuto uno scatto rabbioso solo all'ultimo numero passato sullo schermo.
La nuova variabile schizzò debitamente al suo posto e l'equazione si risolse in un secondo: quello doveva essere il contatto del famigerato ex, quello di cui lei aveva parlato con Steve.
Nella sua testa si aprì un piccolo corollario: Andy purtroppo non era ancora insieme a un bisognoso Capitano con all'attivo settant' anni di arretrati ma se aveva interpretato correttamente certe allusioni di Pepper, certi suoi arricciar di labbra, il problema si sarebbe risolto e senza che lui fornisse preziosi consigli su come rimanere senza vestiti e in piacevoli posizioni scarica-stress.
Perché Pepper arriva ad alcune cose prima di me?!
Corollario da chiudere, subito.
Tornando all' equazione principale, era chiaro che la loro illustratrice non aveva fatto salti di gioia nel sapere coinvolto quel ragazzo nella sua sparizione. Un punto in più per il suo attempato amico.
Non c'erano rischi di ritorni di fiamma.
Era tempo di passare al resto dei problemi. Doveva pur riempire i circa due secondi preventivati per la prima soluzione.
Con quella notizia e quei filmati in mano ai media, rischiavano di saltare diversi effetti a sorpresa su cui contava per imbastire il colpo mortale all' HYDRA: avevano scoperto le basi, la loro locazione approssimativa, lo scopo ma rimanevano alcuni dubbi. Jarvis stava ancora lavorando alla tracciabilità dell' hosting dei loro nemici, anche se era chiaro fossero stati una serie di server paralleli e segreti a fornirlo, in modo che le informazioni necessarie venissero travasate senza tema di venir scoperti.
In secondo luogo, avevano una bomba pronta ad esplodere proprio tra loro.
Pare proprio abbia trovato una nuova amica, mh?
Come già ripetuto più volte dalla sua arguta, amabile, impossibile e insostituibile fidanzata, Mr. Stark non era poi tanto un genio nelle questioni riguardanti sentimenti ed empatia ma persino lui si sarebbe accorto di come il Sergente Barnes si fosse affezionato ad Andy.
Anzi, ad Andunie.
Anche adesso era combattuto tra l'avvicinarsi a lei per esprimerle solidarietà o rimanere fermo dove si trovava, con un piatto in mano e delle inutili bacchette nell' altra.
Qualcuno non così amante della discrezione, requisito richiesto in ogni colloquio di lavoro per le Stark Industries, avrebbe potuto ricordare l'arrivo non proprio pacifico del Soldato d' Inverno al grattacielo e riconoscere nella ragazza sporca, ferita e fradicia di pioggia al suo seguito proprio quella andata via con Pepper nemmeno tre giorni prima. Questo significava solo una cosa.
CIA.
FBI.
Consiglio Nazionale per la Difesa.
Guai.

E i guai erano pessimi rallentamenti sulla strada della loro missione. Ah, a questa doveva ancora trovarci un nome, un nome pomposo e d' effetto ma non dubitava di assolvere alla lacuna al più presto.
Messo in temporaneo stand-by quell' inghippo veniale, occorreva risolverne uno urgentissimo.
"Maggiore Wilson?" lo raggiunse con fare amabile, battendogli una mano sulla spalla.
"Mi rendo conto che non faccia ufficialmente parte del club ma ho una cosa da chiederle."
Gli occhi scuri del soldato erano una perfetta sintesi di perplessità e curiosità. Accennò col capo verso Tony.
"Se, ipoteticamente, occorresse andare a fare una gita fuori porta a Brooklyn, lei sarebbe dei nostri?"
"Certamente!"
"Ma non avrebbe il suo cestino per il pranzo sull' erba."
Il fuoco appena acceso venne spento da una pesante, soffocante coperta. Sam dovette annuire, le labbra tese come i muscoli del suo collo, di colpo rigido.
Le sue ali erano andate distrutte e perdute nello scontro di Washington, sul ponte dell' ultimo Helicarrier e il responsabile di tale scempio adesso non poteva nemmeno venir incolpato direttamente; più di non potersi vendicare, gli bruciava la prospettiva di dover addossare nuovi capi d' imputazione a un uomo come il Sergente Barnes.
"Purtroppo dovrei stare a digiuno."
"Non è detto."
Stranito e diffidente, Sam ricambiò lo sguardo di Tony, già scintillante alla prospettiva che si stava edificando tra le quattro ossa craniche destinate a proteggere un cervello da milioni -se non miliardi- di dollari.
"Abbiamo il tempo necessario?"
Davvero in gamba, il Maggiore.
"Dove pensa di trovarsi?"
"Ma i permessi e i progetti-"
Spintonandolo verso l'ascensore, Tony scacciò quella blanda protesta con un pigro cenno della mano.
"Quello era il tempo dello SHIELD vecchia maniera. Adesso ci siamo noi e ho appena deciso che la burocrazia federale è noiosa e fuori moda."




Sam e Tony non furono gli unici ad abbandonare la cena prima della sua naturale conclusione.
Se la loro sparizione fu rapida e silenziosa, quella di Andy seguì i più classici dettami dell' educazione. Borbottò una scusa a Pepper, posò quanto stava mangiando e chiese di potersi ritirare in camera sua. Non ottenendo risposta, si voltò e trovò da sola l' uscita, senza che nessuno trovasse un modo efficace per fermarla.
Steve avrebbe voluto seguirla; la sua espressione nel vedere quel servizio televisivo gli aveva chiuso lo stomaco e per nulla al mondo avrebbe voluto lasciarla sola in un momento simile. Una mano d'acciaio lo prese alla spalla sinistra.
"So che sei animato dalle migliori intenzioni" mormorò Bucky, cercando i suoi occhi "ma non è una principessa in pericolo, né una bambina bisognosa di aiuto. Lasciala andare, vuole rimanere da sola."
Si conoscevano da pochi giorni ma il Capitano si era figurato di avere a che fare con una ragazza capace di far capire chiaramente cosa volesse o no. Il suo incedere era stato fermo, per quanto rigido e stillante gelo e non si era mai voltata indietro. Non stava cercando qualcuno che le offrisse conforto ma solo un momento, un rifugio isolato dove potersi riparare e constatare il danno delle nuove ferite.
"Ora siamo noi gli estranei che non possono capire" mormorò abbassando il capo. Sulla lingua, la frustrazione aveva un pessimo sapore.
"Esatto. Ha deciso di andarsene, non portarle via la dignità di questa scelta."
Steve sorrise; un sorriso triste che preoccupò James, non capendo da dove nascesse. L'amico se ne accorse e posò su quella mano artificiale la propria.
"Una volta, una persona mi disse qualcosa di molto simile. Riuscì a tenermi buono il tempo di organizzare il più grosso attacco degli Howling Commandos contro il Teschio Rosso."
"Questo perché sei un maledetto testone; avrei altri epiteti in mente ma ci sono delle signore presenti. Ti aspetto più tardi."
Se ne andò anche lui, seguito da un'occhiataccia di Natasha.
"Nemmeno io sono una delicata statuetta di porcellana. Non ha idea di che imprecazioni ho imparato, in Afghanistan!" sentenziò brusca. Steve scrollò il capo.
"Pepper, ci dispiace di aver rovinato la cena. Credo sia meglio andare a riposare, per quanto possibile."
La donna sospirò e annuì. "Tenetevi pronti; con le indagini della Polizia in corso, forse saremmo costretti a ben altro tipo di azioni."
Toccò al Capitano l'onore di mostrare gli alloggi privati dei Vendicatori a Occhio di Falco e alla Vedova Nera.
I loro appartamenti si trovavano sotto il suo, dotati ciascuno di una camera da letto, un soggiorno e un bagno personale. Jarvis si premurò di chiarire che al minimo bisogno di aiuto, avrebbe provveduto a qualsiasi esigenza.
Clint sbottò una risata a denti stretti, quando prese possesso della sua stanza: era stata progettata perché avesse un soffitto più alto, in modo da ricavare un soppalco dove troneggiava un letto-futon poggiato sopra una struttura di legno laccato di nero.
"Non ho mai avuto un nido con una vista simile su Manhattan!" commentò divertito, prima di soffocare uno sbadiglio; era il suo ritorno negli Stati uniti dopo la falsa missione, la fuga per le contee d' Inghilterra e la sua riunione fortunosa con la compagna e Nick Fury. Persino un agente preparato e dotato come lui poteva risentire di un periodo simile.
"Niente sgabuzzino delle scope" notò Natasha piantando le mani sui fianchi e osservando l'eleganza della sua camera.
"Forse Stark non ti trova tanto odiosa."
"Controllerò comunque che non abbia piazzato cariche esplosive sotto il materasso. Buonanotte, Steve."
Stavano per lasciarsi, quando la mano destra della Vedova Nera lo afferrò per il polso; una sorella recalcitrante a definirsi tale che bloccava premurosamente un fratello.
"Per quanto il Sergente Barnes sia stato saggio nel consigliarti, accertati che Andy stia bene."
Il Capitano sorrise sornione. "Sai che lo avrei fatto."
"Meglio così, non avevo alcuna voglia di costringerti!" E chiuse la porta.
Steve si trovò solo; ne approfittò per darsi una lavata alla faccia e recarsi all' appuntamento con Bucky.
Non negava di essere curioso di conoscere il motivo di tanta segretezza per il loro incontro ma con l'antica complicità rimasta intatta dopo tutto quel tempo, aveva intuito ce ne dovesse essere uno molto serio.
La palestra era immersa nel buio fasullo di un ambiente sospeso sopra le luci di una delle città più popolose del mondo; il chiarore senza mai fine di New York galleggiava sul pavimento, formando pozze chiare e riverberi strani sui macchinari per gli allenamenti cardiocircolatori e sul ring al centro.
Steve assottigliò gli occhi; Bucky aveva trascinato una delle panche verso le vetrate e ora stava fissando uno spettacolo certamente nuovo per lui.
"Una volta sono salito con mio padre sull' Empire State Building."
"Sì, me lo ricordo; mi raccontasti tutto quella sera mentre mangiavamo insieme; eri dispiaciuto non fossi potuto venire e volevi dirmi ogni dettaglio di quanto avevi visto."
James mosse il capo per guardarlo sedersi vicino. "Avresti dovuto esserci anche tu."
"Era impossibile, con la mia asma."
"E' sempre stata una città piena di luci ma adesso...é persino troppo."
Steve poggiò i gomiti sulle ginocchia, lasciando vagare lo sguardo sui grattacieli. "Alla fine ci si fa l' abitudine."
Sentì gli occhi dell' amico spostarsi dal panorama al suo profilo.
"E' il tuo caso?"
"Lo sarà a breve, Buck. Sono tornato relativamente da poco e al mio risveglio, due anni fa, non sono rimasto qui per molto tempo."
New York sarebbe sempre stata l'unità di misura del suo rimpianto. Il metro di paragone per stabilire quanto aveva perso per sempre. Tornarci a vivere in pianta stabile, senza ricordare i volti di gente amata e perduta nel terribile scorrere di un tempo a lui negato, sarebbe stato troppo.
La vittoria contro Loki e il suo esercito alieno aveva portato alla scoperta di poter essere ancora un Eroe.
Un Eroe utile, con la sua forza e il suo scudo. Tolti quelli però, cosa restava?
Era una rivincita dell' ironia il porsi la domanda che aveva sdegnosamente rifilato a un milionario fatuo ed egocentrico.
Per non chiederselo, aveva accettato il trasferimento a Washington e un impiego stabile nello SHIELD, che lo aveva messo a capo delle missioni più complesse fino alla scoperta del progetto Insight.
"Non riuscivi a rimanere qui, vero?" chiese una voce monocorde. L'uomo sotto una divisa scintillante annuì, sancendo un silenzio più significativo di mille discorsi.
"Di cosa volevi parlarmi?" lo interrogò dopo qualche minuto.
"Di Natasha."
Bucky si alzò con tanta rapidità da non dargli il tempo di sconcertarsi. Stava già puntando il ring, quando Steve si riprese e lo seguì.
"Nat? Senti, alla fine ti ha aiutato con la ferita. Non avercela con lei."
James fece spallucce e scavalcò le corde, entrando nel perimetro di combattimento. Doveva dirlo, senza perdersi in inutili preamboli o per la prima volta dopo il suo ritorno in se, si sarebbe macchiato di vigliaccheria. Guardò Steve dall' alto in basso.
"Il suo vero nome é Natalia e io la conoscevo. Da ben prima che le sparassi, cinque anni fa, in Iran."




L'acqua era calda, il vapore profumato dagli estratti di lavanda e miele del bagnoschiuma.
Natasha chiuse gli occhi, tirò indietro la testa e si mise sotto il getto, lasciando che i capelli si lavassero dello shampoo.
Era strano, non avere più tanto freddo. Si era abituata a quella sensazione, così tanto da sentire fisicamente il vuoto lasciato dalla sua mancanza. Era un persistente angolo di buio, vivo e pulsante come un cuore, in attesa di venir riempito.
Chiuse il rubinetto e tornò a vedere. Aprì le vetrate a scorrimento della doccia e nuda, andò davanti allo specchio del lavandino. La superficie appannata non riusciva a nascondere il riflesso di un corpo di donna meraviglioso, reso più umano e fragile da due tonde cicatrici: una all'altezza del fianco sinistro e la seconda, poco più in alto, tra l'articolazione della spalla col collo.
Sfiorò quest'ultima mentre lo sguardo diveniva più duro.
Aveva avuto paura.
Quando la pallottola le aveva attraversato con la sua scia di fuoco e dolore il muscolo trapezoidale, abbattendola di schianto contro la fiancata di un SUV abbandonato su una strada di Washington, per quel foro minuscolo era passato un dardo di gelo tale da spazzare via l'incendio generato dal trauma del colpo.
Si era trovata braccata, a un passo dalla morte. Come nel deserto iraniano, come prima.
Un prima conosciuto solo perché, da qualche parte, era esistito un corposo dossier sulla Vedova Nera e il suo operato antecedente il suo ingresso nello SHIELD.
Un prima che era stato la causa scatenante dalla sua fuga dalla Ex Unione Sovietica.
Qualche tempo dopo il suo risveglio, con Clint seduto accanto al suo letto d' ospedale, le era stato detto che aveva trent' anni e di essere stata addestrata negli Stati Uniti. Slavate origini russe, una cittadinanza onoraria, la capacità di parlare correttamente svariate lingue e un talento innato per portare la morte con i suoi occhi da gatto.
Non le serviva sapere altro e da donna pragmatica quale era, si era fatto bastare un castello di bugie per dimenticare quanto aveva sperato di ottenere sottoponendosi volontariamente alle sedute di riprogrammazione mentale.
Lasciare che degli scienziati giocassero col suo cervello, per svuotarlo e riempirlo d'altro; l'ultimo tentativo disperato di aprire una porta coperta di ghiaccio e scoprire cosa nascondesse di tanto terribile da sigillarla per sempre.
Aveva perso la partita e non vi aveva più pensato fino a Loki.
Poteva essere un gran vanto, quello di sapere di essere stata l' unica donna mortale in grado di sconfiggere il Dio dell' Inganno ma la fierezza della vittoria non era mai stata assaporata veramente. Forse per colpa del rumore secco provocato da una crepa che si era aperta lungo una porta diventata ormai parte di un paesaggio coperto di neve. La seconda si era creata un varco accanto alla prima sull' eco di uno sparo.
"Non ho paura dell' Inverno."
"Certo che no; tu sei la sua Bambina di Neve, Natalia."

Non riusciva a ricordare quando era avvenuto quello scambio di battute e con chi. Una ruga segnò la fronte nivea, mentre brandiva furiosamente un pettine, cominciando a districare i capelli.
Il freddo era arrivato ed era sparito; a portarlo per poi farlo svanire, era stata la stessa persona.




Steve si mosse con l' istinto collaudato del guerriero.
Fletté le ginocchia, la schiena leggermente curva, i muscoli tesi e gonfi sotto la maglia. Il braccio sinistro scattò in alto con un movimento ad arco e bloccò la mano di James che stava calando di piatto.
Nessuno dei due aveva proposto di allenarsi. Erano finiti entrambi sul ring e l'unico modo per parlare della rivelazione data prima dal Soldato era sfogare altre energie combattendo. Il Capitano ricordava di non aver mai fatto una cosa simile, nemmeno negli anni della guerra. Forse perché non ce n'era stato il tempo; forse perché, all'epoca, certe discipline di lotta libera non erano state ancora inventate.
Ad esempio il Krav Maga.
"Come è possibile?" domandò stupefatto, portandosi indietro di un passo e assumendo una posa di guardia con i gomiti piegati all'altezza dello stomaco.
James aveva sorriso ferino, nel vedere il suo attacco parato con tanta abilità. Quella la rammentava bene, assieme all' agilità di Steve durante il loro primo, terribile scontro a viso aperto a Washington.
"Cosa sai di lei?" gli domandò portando repentino il peso sulla gamba sinistra; con una torsione del busto, sollevò la destra, trovando come in risposta la granitica, perfetta difesa delle braccia dell' amico.
Tornarono a studiarsi. Ad alta voce non lo avrebbero mai ammesso ma entrambi stavano ammirando le capacità l'uno dell' altro.
Prima di partire per l' Europa, quando era ancora una semplice scimmietta addestrata da esibire negli show di propaganda per le truppe mandate contro l'esercito tedesco, Steve non aveva completato la sua formazione come un vero soldato, a differenza di Bucky. Per salvare lui e quelli destinati a diventare i suoi compagni negli Howling Commandos, aveva dovuto affidarsi solo alla nuova forza sbocciata grazie al Siero.
Dopo il suo risveglio, la Battaglia di New York e l'ingresso nello SHIELD, le sue naturali attitudini erano state debitamente sviluppate con un addestramento mirato.
"E' stata reclutata da Nick Fury dopo il suo arrivo negli Stati Uniti" prese ad elencare, provando a sferrare un attacco. "Prima lavorava per il KGB."
"Sbagliato." La risposta di James fu lapidaria, come compatto fu il suo braccio con cui bloccò il gancio in arrivo. Fulmineo, fece scattare il destro dal basso verso l'alto con l' intento di puntare all'osso mobile della mandibola; senza il minimo sforzo, Steve aprì la posizione raccolta d'attacco con uno scarto laterale. Sfruttò l'arto robotico per usarlo come leva e alzare da terra l'avversario; la proiezione in aria funzionò ma la prontezza di riflessi da felino di Bucky lo aiutò, guidandolo in un atterraggio pieno di una grazia letale. Si alzò, soffiando via dalla fronte alcune ciocche di capelli scuri sfuggite all' elastico.
"Non era il KGB, Steve ma una sua divisione: la chiamavano Red Room. Non era solo il regime nazista ad avere dei fanatici guerrafondai di stampo terroristico."
Il Capitano sgranò gli occhi. Il Soldato sogghignò senza divertimento.
"Esatto; lo so proprio perché ero stato chiamato da loro a Kiev e da lì mi hanno mandato nella Kamcatka, in piena Siberia."
"Per fare cosa?" Rammentava fin troppo bene i particolari del dossier datogli da Natasha. Gli erano stati raccontati poche ore prima; dopo un primo periodo a Kiev, dove era stato ufficialmente battezzato col suo nome in codice e forgiato da un addestramento comprensivo di ogni tecnica per arrivare alla rapida e totale eliminazione di qualsiasi nemico e quelli trascorsi agli estremi confini del territorio russo, si trovava l' orrore dei primi esperimenti di manipolazione cerebrale portati sul suo amico.
"Per addestrare una vera rarità."
Il pugno di Bucky saettò verso di lui, elegante, terribile e velocissimo. Soffiando aria fuori dai denti serrati, Steve si difese alzando il braccio piegato e inarcò la schiena indietro; il ginocchio impattò contro la mano sinistra di metallo. Il suono delle micro-placche che stringevano e imprimevano spinta fu l'ultimo che sentì prima di subìre lo stesso volo inferto prima. Compiendo una capriola aerea per controllare la caduta, sentì il sorriso nascergli sulle labbra. La sfida stava solleticando lo spirito di Captain America, rimasto a digiuno di certe emozioni adrenaliniche per un tempo ingiustamente lungo.
"Erano un gruppo di ventotto ragazzine. Alcune molto giovani. Provenivano da tutte le provincie della Repubblica Sovietica, portate in una base segreta dopo essere state strappate via, o cedute, dalle loro famiglie."
Nel buio ingannevole della palestra, Steve si accorse di non star fissando più gli occhi di Bucky; erano quelli del Soldato d' Inverno, dell' uomo annientato che stava provando in ogni modo a ricostruire una coscienza attraverso l'inferno patito.
"Natalia Alianovna Romanoff fu l' unica a sopravvivere alla prima fase dell' addestramento. La seconda ero io."
"Aspetta!"
Fu una richiesta e anche una nuova difesa; stavolta Bucky lo sottopose a una serie di fendenti micidiali, mirati al volto, poi alla compressione della carotide e infine allo stomaco; un frenetico, saettante scambi di colpi, con i piedi di entrambi impegnati ad arretrare ed avanzare. Smisero solo dopo essere rimasti senza fiato, trovandosi uno di fronte all' altro divisi da meno di un metro.
"Erano gli anni Settanta, Buck." esalò ignorando la fronte imperlata di sudore e la t-shirt incollata sulla schiena.
"Piena Guerra Fredda, come l'ha chiamata Jarvis."
"Non può trattarsi di Natal- Natasha. E' nata nel 1984!"
James scrollò il capo. "Sai cosa hanno fatto a me. Pensi non possano aver fatto lo stesso su altre persone?"
A dire il vero, Steve stava pensando a troppe cose e tutte insieme.
Natasha aveva cominciato a lavorare in team con lui dal suo ingresso nello SHIELD e non poteva dire di conoscerla bene, nonostante l' amicizia sincera nata di recente; lo spiazzava sempre il suo modo di fare, così scanzonato e pragmatico, in contrasto con le sue abilità. Una perfetta assassina in grado di passare con disinvoltura tra mille maschere diverse, tutte indossate con disincanto.
Per quanto potesse ricordare, solo una volta non era riuscita nel suo gioco di interpretare un' emozione e indossarla per portare avanti una missione.
"Non farmi questo Nick."
Una supplica ripetuta con un filo di voce, tante volte, sempre più veloce, addosso al vetro che la separava dall' uomo a cui, evidentemente, doveva molto più del suo grado di agente.
La donna impossibile e impenetrabile si era fatta piccola, lasciando intravedere i contorni di una ragazza spaurita i cui occhi sbarrati non riuscivano a contenere tutta la paura scatenata dall' eventualità di ritrovarsi da sola.
James afferrò l' indecisione dell' amico, impugnandola come un' arma. Si scagliò contro di lui tenendo basso il baricentro e con le braccia lo imprigionò in una morsa letale. Steve sentì i polmoni svuotarsi nell' impatto della testa contro la sua gabbia toracica; venne trascinato contro le corde elastiche, con meno di un secondo per raccogliere le forze e sovvertire la forza centrifuga. Riuscendo a non aprire la difesa, fece presa sulle spalle di Bucky per liberarsi e scavalcarlo. L'avversario non riuscì a tenere l'equilibrio. Si ritrovarono stesi sulla pedana dopo un maldestro atterraggio, il fiato corto e gli occhi dalle pupille dilatate fissi sull' alto soffitto dove danzava il riverbero delle luci di Manhattan.
"Le hanno riprogrammato la memoria?" chiese col fiatone.
"Sì. Almeno credo, non ricordo tutto."
"Perché?"
Il cuore del Soldato ebbe uno spasimo. Nulla di fisico ma anche nella sensazione provata a livello inconscio, fu un contorcimento di dolore elettrico.
"Ci avevano scoperti. La Red Room seppe della nostra relazione e ci separarono."
Steve rimase immobile; tutto il mondo sembrò arrestarsi, nel lodevole tentativo di assimilare tutte le implicazioni che una simile ammissione metteva sul tavolo sempre ingombro del Destino.
Avrebbe dovuto sentirsi felice?
Pur ridotto a un fantoccio privo di ricordi e coscienza, il suo migliore amico era riuscito a preservare un cuore. E quel cuore era riuscito ad-
"L'amavo moltissimo" ammise una voce piena di ruvida sabbia. "Potrò non ricordare tutto di lei ma questo lo porto qui."
Steve non si alzò ma con la coda dell' occhio, vide James posare una mano al centro del suo petto.
Avrebbe voluto chiedergli tante cose: come Natasha riuscisse a essere così giovane. Perché fosse finita in una base segreta nel cuore più gelido della Russia. Come doveva essere la ragazza da cui era nata la Vedova Nera.
Una a una, con un lavoro paziente, prese quelle domande per tenerle tutte da parte. Ci sarebbe stato il tempo di farle; ora doveva concentrarsi solo su Bucky.
"Grazie del tuo silenzio. Sapevo non mi avresti subissato di richieste di spiegazioni."
Il Capitano rise e si mise a sedere, passandosi una mano tra i corti capelli biondi, scompigliandoli.
"Non so quanto ci sia dell' uomo che chiamavo Buck qui accanto a me ora." La tristezza del suo tono era un proiettile che si macerava nell' organismo del Soldato. "Ma per quello che ho ritrovato e per l'affetto che provo, sono disposto a seguirlo ovunque."
Era la loro promessa.
James sbatté lentamente le palpebre e poi, inaspettatamente, rise.
"Santo Dio! Sempre in cerca della frase ad effetto, vero?"
"Ho avuto un buon maestro" ribatté sogghignando.
Perché sarò con te fino alla fine.
"E cosa mi dici di te e della figlia segreta del Re degli Elfi?"
"Non è che stai prendendo troppo da Tony?"
"Non è che stai tentando di deviare il discorso?" gli fece il verso; Steve dovette arrendersi al fatto che il sarcasmo era duro a morire. Era stato uno dei tratti distintivi di James Buchanan Barnes fin da bambino e stava dimostrando una tenacia ammirevole nel riemergere.
"Lei ti piace davvero, Buck?"
"Scherzi? Ha tutte le qualità che un uomo capace di ragionare potrebbe apprezzare. E non si fa incantare dal tuo essere Captain America. A dire il vero, non si fa incantare da nessuno."
O spaventare.
Gli mollò un pugno sulla spalla. "E poi non hai bisogno del mio permesso; al massimo, sono pronto a concederti una spinta, se non ti darai una mossa."
Steve si nascose dietro il suo tiepido sorriso; il tempo necessario per rammentare chi stava sdraiato accanto a lui, tenendogli puntato addosso uno sguardo foriero di sventura e nuovi cazzotti, se avesse osato chiudersi da qualche parte col suo riserbo.
"Stasera mi ha fatto paura. Si è raggelata e non so perché."
Lo sospettava ma non ebbe il coraggio di dar corpo a quell' angoscia. La gelosia era una granata molto sensibile e difficile da maneggiare.
"C'è un solo modo per fugare ogni sospetto" osservò James, andando a fissare un punto indefinito molti metri più in alto. La pedana vibrò, sotto la spinta con cui Steve si rimise in piedi.
"Tu che farai? Parlerai con...Nat?"
"Forse. Quando avrò ricordato tutto e mi sentirò totalmente un bastardo egoista senza remore a rovinarle la vita."
Era un modo molto articolato per dire sarebbe stato impossibile: pur di non farle male, pur di preservare la vita che ora aveva, avrebbe taciuto. I suoi occhi grigi perdevano ogni freddezza, ogni timore al solo pensare a lei e Steve conosceva abbastanza bene quel lato del cuore di Bucky da poter affermare di non averlo mai visto così nemmeno da ragazzi, quando il mondo femminile si era svelato loro molto meno astruso e petulante di quanto temuto. Non che Bucky si fosse permesso di condurre il gioco della seduzione e del piacere oltre i confini posti dalla loro educazione vecchio stampo ma era sempre stato lui ad affascinare e farsi affascinare di rimando.
"Vado a controllare che tu non mi abbia lasciato qualche brutto livido."
"Giusto; bisogna essere sempre al meglio, con una donna."
"Sei sempre un maledetto cretino."
"Tu uno scemo. Siamo pari."
Era l'unica lingua con cui riuscivano ad ammettere il loro affetto reciproco; realizzandolo, mentre ascoltava i passi di Steve allontanarsi, James comprese di aver voglia di piangere. Per il sollievo di non trovarsi totalmente da solo in un momento così delicato della sua vita ritrovata. Per la rabbia e la frustrazione serpeggianti nella sua coscienza decisa a tutto pur di ricordargli che non aveva fatto niente per meritarsi Steve, il perdono di Natasha, i sorrisi sinceri di Andy.
"Andunie, eh?" borbottò nell' oscurità.
Poteva solo augurarsi che qualcuno seguisse il suo consiglio. Abbassò le palpebre e cominciò a mormorare una canzone, quella imparata da un soldato irlandese dalla risata poderosa come i suoi pugni.




"Jarvis?"
"Sì, signorina Martin. Non riesce a dormire?"
Andy si ritrovò a sorridere suo malgrado, finendo di asciugarsi il viso. Lo specchio le aveva appena confermato che il suo lungo pianto di rabbia, soffocato contro i cuscini del letto, le avrebbe lasciato per diverse ore gli occhi gonfi, umidi e arrossati.
Erano le tre di notte e il sonno non aveva avuto pietà di lei; dopo essersi sfogata aveva tentato di addormentarsi ma lo stomaco pressoche vuoto, unito alla frustrazione accumulata, avevano dissipato ogni stanchezza.
"Ti ringrazio per il tatto con cui non sottolinei le condizioni in cui mi sono ridotta. Avrei bisogno di-" un caffè, Signore, forte! " poter bere qualcosa di caldo. Posso scendere nell' attico?"
"Certamente, il signor Stark mi ha dato preciso ordine di soddisfare ogni richiesta dei suoi ospiti."
Stava cominciando a conoscere Tony ed era sicura dovesse trovare un sott' inteso a tanta disponibilità. A proposito, lui e il Maggiore Wilson dove erano finiti?
Prese dal suo armadio una felpa con zip, tralasciando volutamente l'ampia scelta di capi di cui si era ritrovata padrona mentre era a cena, la indossò e uscì dalla camera a piedi nudi.
Le luci si accesero non appena entrò nel grande soggiorno dell' open space.
Pepper aveva fatto sparire gli avanzi del pasto; la cucina a vista era in perfetto ordine ma da un genio milionario non ci si poteva aspettare semplici elettrodomestici. Appena Andy diresse i suoi passi strascicati verso la caffettiera, questa si accese da sola.
Quando tutto fosse finito - un brivido le gelò le ossa - e in quale modo non sapeva dirlo, sarebbe stata dura tornare a un mondo di moke da riempire manualmente, dove nessuna voce gentile avrebbe scovato la più rara registrazione della summa delle opere di Bach da farle ascoltare.
Volendo azzardare un paragone letterario, si sentiva come Eowyn, la coraggiosa dama di Rohan, appena destata dall' incubo premonitore prima della battaglia del Pelennor.
L'oscurità gorgogliava ai limiti più remoti di un' ampia vallata, i tuoni brontolavano sulle creste scabre di montagne poste a Occidente, vomitanti orchi ed altri eserciti ripugnanti. Il pericolo era là, pronto a inghiottirla e alle spalle, una pallida luce. Sempre più forte.
Con una tazza colma di caffè appena fatto, Andy cercò un posto dove rannicchiarsi, più che sedersi.
La donna creata da J.R.R. Tolkien era una guerriera, una Scudiera del suo popolo scesa a combattere una guerra disperata. Lei non sapeva reggere in mano una spada, nemmeno combattere eppure era lì: scampata a un rapimento, ferita, esausta, armata solo della sua testa dura e poco altro. Non era in grado di affermare quanto avrebbe resistito ancora ma sentiva di non poter fare diversamente: fronteggiare l'oscurità, certa di avere la speranza alle sue spalle.
Le lacrime dovevano stare a macchiare un cuscino che si poteva nascondere sotto le coperte.
Trovò la poltrona perfetta, quella con la vista su Park Avenue. Raccolse le gambe contro il petto e osservò lo scorrere del tempo mentre il buio raggiungeva il suo culmine, pronto a lasciare posto al primo chiarore dell' alba.
Non si accorse di non essere più sola.


Angolo (tetro e buio dell' autrice): allora? tutti salvi dalla visione del trailer di Age of Ultron? Senza fare spoiler e senza supposizioni (non le voglio fare, come non voglio mettermi a caccia di ipotesi o spiegazioni per non rovinarmi la futura visione), sono ancora qui a balbettare. Spero sarà un film degno di WS e del primo Avengers ma come ho già detto, per potermelo godere voglio solo vedere i trailer, urlare interiormente la mia estasi e attendere. Pazientemente. ...O almeno provarci!
Vi va un angolo di "Ulisse, il piacere della Scoperta?" Vai!
Krav maga: disciplina di combattimento ideata dopo la Seconda Guerra Mondiale da un capo del Mossad israeliano, non è materia di sport. Qui si colpisce per fare male, preferibilmente uccidere, prendendo di mira i punti vitali. Ed è stata usata in WS, come si può notare nel combattimento corpo a corpo tra Steve e il Soldato.
Red Room: questo elemento viene dalla story-line dei fumetti del Soldato d' Inverno e della Vedova Nera. Ogni regime ha i suoi fanatici; se il Nazismo aveva l' HYDRA, il Soviet aveva la Red Room. Fu qiesta ad occuparsi dell' addestramento di Natasha. Ho preso questo dettaglio e l'ho aggiornato e modificato per il mio Universe.
Bene, comunicazione di servizio dopo questo papiro: eccezionalmente, il prossimo aggiornamento di The List slitterà a lunedì 3 Novembre sera. Sarò al Lucca Comics and Games e sapendo della congestione del traffico internet e della sicura baraonda fieristica, preferisco essere a casa per fare le cose con calma. Sarò là col mio stand e le mie matite, più affilate che mai!
Un grosso abbraccio,
Maddalena.









 

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Capitolo 26
*** 23 ***


23




Steve era riuscito a dormire solo poche ore.
La rivelazione di Bucky, il suo amore per Natasha e le implicazioni che poteva avere un simile sentimento nato in un luogo senza ancora confini precisi e in un tempo altrettanto indeterminato, lo avevano fatto svegliare continuamente.
Il Soldato d' Inverno non era stato solo morte, missioni, ordini eseguiti fino al totale annientamento dell' avversario.
James gli aveva detto di ricordare distintamente la forza del sentimento provato per la Vedova Nera; presto, forse, sarebbe emersa l' intera verità ma sarebbe stato un pallido contorno a un' evidenza schiacciante. Nonostante la perdita di memoria, nonostante l' elettricità usata per manipolare quanta ne era rimasta, il bisogno di non essere solo, l' istinto lo avevano spinto verso una ragazza dagli occhi spianati come fucili e i capelli rossi.
Chissà se aveva provato a scherzare, con lei. A ridere, a inseguire l'effetto di una risata.
Bucky era stato chiaro: la loro relazione era stata scoperta. Prima aveva accennato all' addestramento che era stato chiamato a impartirle; era evidente che i loro superiori, chiunque fossero, avevano visto il loro legame come un’ anomalia estremamente pericolosa, capace di scardinare qualsiasi forma di condizionamento e soggezione. Se la loro arma perfetta, appena nata, avesse trovato il modo di tornare l' uomo di un tempo, molti avvenimenti si sarebbero svolti con dinamiche diverse.
Si lavò la faccia gettandosi ampie manate d' acqua gelida su fronte e guance.
Natasha.
Natasha innamorata! E non di uno qualsiasi, ma del suo migliore amico!
S'impose di ragionare con calma; era pur sempre un soldato e non era il momento adatto per abbandonarsi al romanticismo più entusiastico e ingenuo.
Aveva ascoltato la versione di Bucky e non aveva mai fatto cenno diretto a un coinvolgimento tanto profondo anche dall' altra parte. Certo, aveva usato la parola relazione ma era difficile immaginare la Vedova Nera capace di un trasporto giudicato adatto solo ai bambini. Che fosse capace di affetto lo poteva affermare lui stesso; la loro stramba amicizia lo testimoniava ma l' amore, come gli aveva ripetuto spesso sua madre, era tutto un altro paio di maniche.
Forse stava sbagliando prospettiva; stava ragionando alla luce del presente, mentre tutto questo era nato nel passato. Forse Nat era stata un' altra persona, un' adolescente trascinata in un mondo impossibile da immaginare nemmeno nella mente del più fantasioso e impressionante scrittore. Aveva avuto sicuramente sogni diversi, aspirazioni diverse ma qualcosa di lei doveva aver attirato lo sguardo di quei poteri che, segretamente, forgiavano movimenti infinitesimali o macroscopici tali da cambiare, in un giorno, i destini di metà globo. La sua vita era stata presa e distrutta, in modo da far emergere la spia tanto temuta persino dallo SHIELD.
Mancava poco all' alba; nonostante il silenzio, Steve poteva avvertire una strana densità dell' aria, carica della tensione di un fulmine sul punto di scoppiare.
Tutto stava mutando e in modo così veloce da dare l' impressione che il mondo fosse fermo; il passo prima dell' abisso era lì, a un battito di ciglia ma nessuno poteva prevedere chi lo avrebbe compiuto e quando.
Uscì dalla sua camera, con l' intento di approfittare senza rimorsi dell' ospitalità di Tony. Sicuramente non aveva bisogno di bere del caffè per attivare il suo metabolismo ma recentemente, qualcuno gli aveva insegnato quanti sapori poteva avere una semplice bevanda ricca di eccitanti e stimolanti. Il pensiero lo fece sorridere in maniera scema, da solo.
L'attico era già illuminato. Dalle vetrate arrivavano i primi scorci rosei a tingere il limite orientale dell' isola di Manhattan
Perplesso, Steve si guardò intorno.
La trovò accoccolata come un gattino sulla poltrona che inconsciamente, occupava sempre da quando era stato stabilito dovesse rimanere alla Stark Tower. Era un punto di vista molto comodo per ammirare New York e lasciarsi andare alla malinconia. Stringeva una tazza in mano e non ci voleva un genio per intuire cosa contenesse.
Senza dire nulla, il Capitano andò a prepararsi la sua razione di caffè, premurandosi di far rumore in modo da avvertire Andunie della sua presenza. Il suo nome gli piaceva più del soprannome; perché tenerlo nascosto?
La ragazza avvertì dei rumori alle sue spalle e intuì subito di chi poteva trattarsi. Era incredibile come avesse assimilato subito il passo di Steve. Era assurdo figurarsi con tanta precisione cosa stava facendo e rendersi conto di averlo calcolato come presenza fissa e indispensabile nella sua vita.
Aveva già provato una simile famigliarità o credeva di averlo fatto; questo caso era diverso, perché spiegazioni logiche non esistevano. Erano lì entrambi, con l' assoluta certezza senza fondamenta che doveva andare esattamente così.
"Secondo te sto abusando della disponibilità del padrone di casa?" gli venne domandato di punto in bianco, senza voltarsi.
Il Capitano non rispose; versò lo zucchero e afferrata la mug, si diresse verso di lei. Era infagottata in una felpa, i capelli sciolti che ricadevano in ciocche disordinate su spalle e schiena. I piedi nudi spuntavano fuori da un paio di pantaloni neri di cotone elasticizzato.
"Conoscendo Tony, è meglio essere tanto disinvolti. Se ti facessi troppi riguardi, sono certo troverebbe il modo di metterti in imbarazzo per questo."
Doveva aver pianto; notò le palpebre gonfie e arrossate con una stretta al cuore e ancora più male gli fece riconoscere del distacco al posto dell' arguzia, consueta padrona di casa del suo sguardo.
"A SoHo, quando faccio colazione, indosso sempre una felpa" cominciò a raccontare Andy, persa in un ricordo. "Non bella come questa; il signor Hogan, su richiesta di Pepper, mi ha fatto procurare un guardaroba tale da far pensare di dover rimanere qui per settimane."
Steve moriva dalla voglia di sapere se tale prospettiva la rendesse felice o no. Rimase con quell' interrogativo ingrato, in attesa di una risposta che non arrivò mai. Doveva essere molto paziente e lasciarla parlare: riconosceva i sintomi postumi di uno shock. Solitamente, si manifestavano con l'esposizione di una storia apparentemente senza senso. Stava diventando un esperto ed era il genere di vanti di cui avrebbe voluto fare a meno.
"E' un capo ancora più assurdo del mio berretto con le orecchie da gatto, sai?" riprese; la mano sinistra strinse il cappuccio, tirandolo un po' sopra la testa. "E' tutto nero, ricorda la forma di un drago. Ha persino delle minuscole ali attaccate sulle spalle! La indosso sempre con le maniche ben tirate a coprire le mani: terminano con dei buffi guanti artigliati."
La voce le si spezzò. Prese un sorso di caffè ormai freddo e lo ingollò con un automatismo rassegnato.
"So che è un' abitudine insulsa ma io soffro molto il freddo, in inverno. Quella felpa per me é casa: non la metterei mai per uscire, è infantile e bellissima e sa di abitudine, normalità."
"E qui non ti senti allo stesso modo."
Dopo quello che parve un secolo, Andy puntò su di lui i grandi occhi verdi, lucidi frammenti di vetro e altrettanto fragili.
"Apprezzo quanto state facendo per me, davvero ma hai sentito anche tu cosa ha scoperto Tony. Non riesco a fingere non stia accadendo nulla, quando so che là fuori c'è ancora tanto pericolo per-"
La frase non necessitò di conclusione; entrambi la conoscevano già. Un minuscolo, fondamentale pronome galleggiò tra loro e la sua muta presenza modificò radicalmente l' atmosfera.
"C'è qualcos' altro che ti turba" mormorò Steve. Gli sembrava di brancolare a tentoni in una densità diversa, carica della promessa di nuove scosse.
Dimmelo. Ti prego.
"Che mi fa incazzare a morte, vorrai dire." Venne corretto con animosità. "Sono i miei genitori."
La ragazza sentì prendere delicatamente il tessuto del cappuccio, rivelando di nuovo il suo viso pallido e tirato. Istintivamente, la testa scattò indietro, incassandosi tra le spalle in una posizione di difesa; questo non scoraggiò Steve e la sua mano; rimase appoggiata allo schienale della poltrona, a un nulla dallo sfiorarla di nuovo.
"Hai visto anche tu il servizio al telegiornale, ieri sera. C'era il numero di Robert, alla fine. Il motivo per cui è passato in video può essere uno solo: la mia famiglia lo ha contattato e sicuramente, non per dirgli che ero scomparsa ma per chiedergli se ero con lui."
Una risata cattiva e sarcastica spezzò la bellezza della mattina appena nata.
"Conosco bene mamma; nonostante siano passati tre anni, è ancora convinta sia rimasta sola per tutto questo tempo in attesa che lui ci ripensasse e tornasse da me. No, lasciamela!"
"Non se ne parla." Steve fu categorico. "Questa roba adesso è imbevibile."
Da quando, esattamente, era diventato tanto severo e autoritario? Andy vide la sua tazza venirle portata via con un gesto rapido, deciso; rimase con le dita vuote, che si strinsero in due pugni frementi.
La stava sfidando, rimanendo in silenzio e strappandole via l’unica droga a cui si abbandonava. Era una definizione eccessiva ma il cervello di Andy adesso era un continuo saltare da un argomento all’ altro, un pensiero a un altro, tra curve cieche e salti nel vuoto. Gli aveva persino detto il nome del suo ex ragazzo, come se Steve fosse in grado di capire, di comprendere anche stavolta.
"Sono convinto che tua madre ti voglia un mondo di bene; lo avrà chiamato per non arrendersi al fatto che fossi scomparsa. "
"Provare amore per un figlio non significa capirlo automaticamente!" L'acuto in cui s' impennò la sua voce tremula era il segnale ultimo di rottura; l' autocontrollo di Andy si stava sbriciolando ed era una distruzione necessaria. Doveva bruciare fino all' ultimo pugno di cenere, per rivelare la vera ragione del suo malessere, tutta riconducibile al rapporto difficile vissuto con la signora Martin.
"Ma puoi ricordare il suo affetto e senza andare troppo indietro con la mente."
La vergogna piombò fulminea e rovente. Stava seduta accanto a un uomo senza una famiglia da decenni, sul punto di scoppiare a piangere come una bambina viziata. Deglutì e si strinse ancora di più le ginocchia contro il petto, serrandovi attorno le braccia.
"Scusami, Steve." sussurrò dopo un profondo respiro.
"Non devo scusarti di nulla."
Gli angoli delle labbra di Andy si alzarono timidamente verso l'alto. L'incendio aveva compiuto il suo dovere.
"Va meglio?"
"Va sempre meglio, dopo una figuraccia del genere." Il suo sarcasmo era dolce come una carezza, ora che era tornato.
"Da quanto eri sveglia?" domandò cominciando a realizzare quanto fossero vicini. La presenza della ragazza, il calore della sua pelle, l'indice e il medio sinistri che portavano una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Ogni suo movimento, il più piccolo spostamento, erano divenuti segnali da interpretare, da recepire e sempre immersi nell' aria pesante nata poco prima.
"Ho perso il conto delle ore."
"Lo sai che dormire poco non fa bene?"
"Tu allora cosa ci fai qui, esattamente?" ribatté bellicosa, piantandogli addosso un'occhiataccia. La sua espressione minacciosa durò fino al primo sbotto di risata fatta insieme.
Anche Steve sembrava sveglio da diverso tempo e pareva reduce da un brutto incontro, a giudicare dai capelli sparati in ogni direzione e la tenuta da palestra non esattamente in ordine.
"Volevo sapere come stavi." La sincerità della sua risposta le annodò lo stomaco. "Sarei venuto a cercarti, se non ti avessi trovato qui per caso."
“Avrai brillantemente intuito che non sono esattamente serena.”
“Scommetto però che non si tratta solo di Robert e dei tuoi genitori.”
Avrebbe dovuto mentirgli. Doveva mentirgli. Piuttosto di passare per la ragazzina instabile e impaurita che gli era volata tra le braccia due giorni prima, sarebbe stata disposta a fingere contegno e calma.
Era dura portare avanti un simile proposito quando ogni cellula, ogni sinapsi, ogni nervo in corpo esigevano ben altre ammissioni, ben altri contatti.
Andy sussurrò qualcosa, con un tono così basso da costringere Steve a chinarsi verso di lei.
“Cosa?...”
Hodettochesonoinutile.” Lo sputò fuori di nuovo, velocemente, come se tanta fretta potesse esorcizzare la frustrazione.
“Cosa so fare, esattamente, a parte citare interi passi di libri a memoria, tentare di fronteggiare la Vedova Nera, far ridere James con un umorismo talmente di bassa lega da dover consegnare la mia tessera gold del Club del Sarcasmo? Cosa so fare di utile, per te? Posso solo aspettare e sperare, quando invece vorrei saltare in piedi, urlare e combattere e-“
Non volerti lasciar andare via, non senza averti toccato di nuovo?
“Andunie.”
Sentirsi chiamare da Steve col suo vero nome per la prima volta fu un colpo talmente forte da farla zittire.
“Ricordi il complimento più bello che ti hanno fatto di recente?” l’interrogò dolcemente, con fermezza.
Lo ricordava, eccome. E ricordava dannatamente bene che pochi secondi prima della sua affermazione, il Capitano le aveva sfiorato il mento per toglierle del cioccolato e un fulmine l’aveva attraversata da capo a piedi. Annuì, la gola troppo secca per articolare anche la più semplice parola.
“Lo penso ancora adesso. Perciò non pensare mai più una cosa del genere su di te. Ti devo moltissimo, a partire dalla mia lista.”
Quegli occhi blu fissi nei suoi erano odiosamente sinceri. Per gli occhi di Steve, perché avessero sempre quello sguardo per lei, era sul punto di-
Non sapeva, esattamente, di cosa; scoprì semplicemente di avere le punta delle dita indolenzite, tanto era forte il desiderio di sistemargli quella zazzera bionda spettinata.
"Il mio momento di sconforto è stato imperdonabile. Ti assicuro che non me ne vado in giro a cianciare di miei ex con Super Eroi per nascondere conflitti generazionali irrisolti."
"Ex molto stupidi, comunque."
Il nodo allo stomaco divenne doppio.
"...Prego?"
Ho capito male. Sicuramente.
Le guance di Steve erano rosse ma la sua timidezza era tutta lì, perché i suoi occchi non erano stati mai tanto determinati e risoluti.
"E' una frase fatta. In questi casi si dice "non ha idea di cosa ha perso", giusto?"
Oh. All' improvviso non capisco più l' inglese!
"Senti, sei molto carino e galante ma non servono queste lusinghe."
C'era un frastuono assordante. Vicino, vicinissimo. Andy ci mise un po' a comprendere che proveniva dalla sua cassa toracica, diventata un tamburo rullante capace di confonderle le parole e produrre discorsi non molto sensati.
“Ti avverto che è un po’ tardi per dirmi che ti sto imbarazzando” le fece notare, con un sorriso nervoso.
“Non devi dirmi certe cose pensando che abbia bisogno di coccole e conforto!” ribatté piccata. Accidenti, perché le sue gambe si rifiutavano di seguire il suo orgoglio appena ferito, facendola balzare in piedi? Si era sfogata prima, d' accordo e in modi decisamente puerili ma non per avere in cambio quattro sdolcinatezze; le dita facevano ancora male, adesso le loro terminazioni nervose bruciavano.
Steve era lì. A un soffio.
E negli occhi leggeva lo stesso dolore dato dal tentativo disperato di trattenere del contegno. Trascorse l'ultimo, lunghissimo secondo che precedeva il distacco di una valanga.
“A dire il vero, non sto pensando” le rivelò. “Per la prima volta in vita mia.”
Al diavolo!
Avrebbe indagato più tardi, se ne avesse avuto voglia, sulla follia che stava per compiere. La spinta verso di lei non poteva venir contrastata. Ci voleva proprio la determinazione di un pazzo per tentare di distruggere la prigione della sua solitudine, per recuperare la mente martoriata di un amico.
Per dare un bacio.
Al contrario di quel Robert, lui aveva in testa da un bel po' un'idea precisa di cosa aveva perso; la sua colpa era essersene accorto ora che il pericolo gravava su di loro, indistintamente.
La gelosia, il possesso; erano state spie d'allarme e adesso che ne conosceva il significato, avrebbe fatto quanto voleva per spegnerle.
Qualcosa di delicato gli sfiorò i capelli, quando si fece avanti per passarle un braccio attorno alle spalle. Steve batté le lunghe ciglia, stupito nel rendersi conto di avere, a carezzargli le tempie, le dita lunghe e nervose di Andy; le osservò in contro luce, studiandone la forma aggraziata e poi si azzardò a guardarla. Tutto, in lei, era un urlo silenzioso e disperato. Un' imprecazione liberatoria. Una resa.
La sua stessa resa.
Al diavolo!
“Meglio lo faccia anche io, allora.”
Entrambi si stavano immaginando un' attesa snervante, un muto scontro per decidere chi dei due avrebbe avuto il coraggio di avvicinarsi.
Ci volle quella frase e meno di un secondo per smentirsi clamorosamente a vicenda.




La seconda volta che vide la ragazza, fu nella cella assegnatale all'interno della base.
Lo portarono in una stanza attigua, spoglia e dalle spesse pareti di cemento armato e gli dissero di guardare dietro la grande parete di vetro: una branda di ferro, un lavandino senza specchio e sotto una bacinella. L'unica fonte di luce naturale era una feritoia sbarrata da una grata di ferro e da lì si sentiva il fischio del vento.
Natalia -così si chiamava- era seduta su una coperta ruvida marrone, perfettamente tirata. Come una docile bambola, stava cacciando in gola della minestra calda mentre una corpulenta donna in divisa si occupava di pettinarle i capelli.
C'era un ufficiale, col Soldato giunto appositamente dall' Europa. Il suo sorriso era un' oscena caricatura di soddisfazione.
"E' necessario preservare la sua bellezza. Un aspetto gradevole è sempre utile ma nel suo caso, siamo stati particolarmente fortunati."
Detestava essere d'accordo con uno sconosciuto che si lasciava andare a simili esternazioni; tornò a fissare la sua nuova allieva, chiedendosi quale fortuna avesse fatto nascere un simile patrimonio genetico.
"Spero sia anche forte" sussurrò implacabile. L' illuminazione artificiale della minuscola camera guizzava suadente sul colore di fiamma di quelle ciocche, ora pulite e rese vaporose onde dai colpi di spazzola.
"E' l' unica sopravvissuta" gli venne risposto con ovvietà. "Poniamo grandi speranze in lei."
L'ufficiale lasciò perdere la contemplazione tronfia del gioiello della sua organizzazione e prestò maggiore attenzione al nuovo arrivato. Gli avevano raccontato chi fosse e da dove venisse; era l' uomo senza anima, senza passato e senza scrupoli che, uno a uno, aveva ucciso i suoi addestratori a Kiev. Il braccio sinistro, lasciato scoperto dalla sua divisa, baluginava lugubre nella penombra.
Gli avevano anche detto che se avesse manifestato anche la più piccola curiosità sulle origini della ragazza contravvenendo agli ordini ricevuti, avrebbero dovuto imprigionarlo immediatamente e portarlo nel laboratorio appositamente allestito per...l' emergenza.
Aspettò con ingorda, perversa curiosità la domanda che avrebbe potuto sancire una terribile punizione ma si trovò addosso solo occhi grigi colmi di nebbia e ghiaccio. Uno sguardo impenetrabile e terribile.
"Inizieremo domani. Se non dovesse mostrarsi all' altezza, dovrete ricominciare da capo."
Avrebbe ucciso anche lei. La morte violenta poteva essere decisamente misericordiosa e veloce e lui la portava con l'asciutta risoluzione da riservare al compimento di una missione.
Il Soldato stava per voltarsi e andarsene, quando Natalia alzò lo sguardo verso il finto specchio.
Una frazione di secondo.
L'illusione di vedersi, di accorgersi l' uno dell' altra.
Il Soldato d' Inverno avvertì un calore furioso al centro del petto. Un battito di ciglia e aveva già chiuso la porta.





"Hai intenzione di rimanere lì ancora per molto?"
James sbatté le palpebre.
Natasha.
Era lì, comodamente aggrappata alle corde del ring, stagliata nettamente sullo sfondo dalla luce rosea dell' alba in pieno corso. Il profumo di miele e lavanda raggiunse le sue narici allenate, in tempo utile perché scacciasse subito l'immagine di lei appena uscita da una doccia corroborante.
"Ho dormito in posti più scomodi."
"Riuscivi a dormire?"
Il Soldato si mise a sedere, puntellando le mani contro la pedana e la studiò.
"A cosa devo tanta curiosità sulle mie abitudini, Agente Romanoff?"
Quell' adorabile, splendida bocca si aprì e si richiuse subito. Le sopraciglia ramate si corrugarono appena.
"Non lo so", ammise infine, passando sotto le barriere elastiche. S'inginocchiò davanti a lui, ricambiando l'esame.
"Non esploderò di punto in bianco, se è questo a spaventarti."
"Ti sembro il tipo?"
E' la provocazione che vuoi? Bene; so giocare anche io questo gioco.
Un breve scatto e si mise nella stessa posizione accucciata, portandosi a pochi centimetri da lei. Natasha non si mosse.
"Devo ricordarti che io ti ho visto spaventata?" mormorò a voce bassa.
Le labbra tremarono, ma per arricciarsi in un sorriso. "Scommetto che mi hai trovato frustrante."
La loro lotta a Washington era stata una danza mortale.
"Sia te che il Capitano, a essere onesti. Non vi decidavate ad arrendervi e farmi portare a termine la mia missione."
Avrebbe voluto sfiorarle il punto della spalla in cui l'aveva colpita ma la vergogna lo fece rimanere fermo, celato dietro una perfetta maschera di fredda cordialità.
Avrebbe voluto chiederle scusa ma non sapeva precisamente per cosa.
"Tu e Steve vi parlate sempre scazzottandovi?"
"Ci hai seguito?"
La domanda posta con tanta calma nascondeva il più lacerante strillo d'allarme che si potesse immaginare.
"Ti ho trovato qui, tutto arruffato e gli occhi tipici dell' insonne. Stavo cercando te e il tuo amico, mi sono limitata a fare i miei compiti."
Non aveva sentito. Non li aveva visti. Il sollievo lo inondò, riducendo così tanto le sue difese da farlo sogghignare.
"Ho idea che tu sia un' allieva molto diligente."
James si rese conto di aver detto la peggiore delle cazzate dal modo in cui i suoi occhi da gatta s'incupirono sotto la pressione di un dubbio, di una discrepanza. Ed era stato lui a provocarla.
Natasha riuscì a bloccare la sua mano prima che questa, senza un vero comando e un motivo valido per farlo, si alzasse per togliergli dalla fronte un ciuffo di capelli sudati.
"In realtà volevo compagnia per la colazione ma ho trovato l'attico di Stark già occupato."
Era il turno di Bucky per essere perplesso; voleva sapere cosa avesse spinto la Vedova Nera a battere discretamente in ritirata.
"C'era Steve e quanto stava facendo meritava un po' di privacy."
"...Andy?"
"Già." Il sorriso di Natasha si fece più luminoso; il personale, incasinatissimo mondo di James Buchanan Barnes trovò il suo sole per qualche glorioso secondo.
"Avevamo visto giusto entrambi" constatò cercando di assumere l'aria più saccente possibile.
"Sono sollevata."
"Questo è un insulto; Steve può essere timido ma non imbranato."
E quella difesa a spada tratta del suo amico da dove se ne era uscita fuori? Se una simile scemenza fosse stata utile a far ridere Natasha come stava facendo adesso, il Soldato si fece punto d' onore di usarne ancora.
"Gli vuoi bene."
"Temo che questo non cambierà mai."
La spia tornò in piedi; dopo una lieve esitazione, allungò il braccio verso di lui.
"Tienti stretta questa debolezza, Sergente Barnes" gli raccomandò mentre lo aiutava ad alzarsi.
"Non merito la sua amicizia."
"Però non puoi farne a meno."
No. Non poteva. Steve e il suo affetto incondizionato, la sua fiducia, erano l'ago della sua bussola rotta, tornato a girare verso la direzione giusta.
"Grazie."
"Per cosa?"
Per essere qui anche tu. Per potermi ricordare di te, Bambina di Neve.
"Per non avermi ucciso invece di curarmi la ferita."
Natasha saltò giù dal ring. Aggrazziata, rapida. Ed era stato lui in persona a lavorare su quel diamante grezzo di bellezza letale, trovandosi vittima di tanta perfezione.
"E' la tua seconda possibilità. Devi giocartela fino in fondo, come ho fatto io."


"Posa quella maledetta tazza, Capitano, o forniremo la più squallida scena romantica del Ventunesimo secolo."
Andunie lo sussurrò con un paio di soffi goffamente concitati, subito dopo che si erano separati dopo il primo bacio.
"Oh." Steve si accorse di avere l'altra mano ancora occupata. Dal momento che l'intenzione di non interrompere quanto stavano facendo in un modo potenzialmente stupido era condivisa, il soldato fu ben felice di obbedire a tanto buon senso civile.
Il caffé venne dimenticato in favore di Andy. Le sue labbra erano morbide e piene, ottime per venir torturate piacevolmente con piccoli morsi, dettati da un desiderio ingiustamente represso e intenzionato a farla pagare a entrambi con gl' interessi.
Per ottemperare a quel pagamento particolarmente oneroso ci volle un minuto buono.
"Credo di essere un po' arrugginita" sussurrò lei col fiato corto; gli aveva stretto le braccia attorno al collo, la fronte contro quella di Steve, che si contorse per non mettersi a ridere in un momento simile.
"Arrugginita?Tu? Era una battuta?"
Il rossore aggredì come sperava il volto della ragazza, come al loro primo incontro.
"Con questa sono a quota tre figuracce, giusto?"
"C'è un modo per non fartene fare altre."
Steve Rogers, Eroe di un' intera Nazione, Captain America, era capace di battute maliziose! Si godettero entrambi il metodo suggerito, nel momento perfetto in cui contava solo l'altro, il suo respiro contro le guance, l'esigenza di avere ogni volta un po' di più.
Andy sapeva che la memoria selettiva poteva fare brutti scherzi; per questo non seppe spiegarsi come, a un certo punto, non fosse più ranicchiata sulla poltrona ma sulle ginocchia di Steve. Contavano solo le sue labbra, il loro tocco umido e sorprendentemente esigente; aveva appena le facoltà necessarie per rendersi conto della sua risposta altrettanto partecipe. Tutta l'adrenalina in circolo fino a un attimo prima, l'ansia divorante, erano spariti o meglio, si erano trasformati nella calma necessaria per gustare momenti negati solo per orgoglio e paura.
Steve potè finalmente passarle le mani tra i capelli, fermandole a coppa a sorregerle la nuca. Si guardarono ma rimasero in silenzio. Si erano già detti tutto e senza bisogno di discorsi prolissi.
La fece appoggiare alla sua spalla; la ragazza non comprese subito il suo gesto ma poi tornò a vedere le vetrate. Sorrise.
I grattacieli erano enormi sentinelle grigie, con armature di acciaio e cemento; tutti a sorvegliare il sole nato sull' Hudson. L'aria densa di smog pareva persino bella; rifrangeva il pulviscolo arancione e rosa del mattino.
"Troverai la base di Brooklyn, vero?"
Forse non era la domanda più romantica del mondo ma non aveva bisogno di alcuna poesia, mentre era cullata dal respiro quieto di Steve che si mescolava alla sensazione piacevole e languida del calore del suo corpo.
"Sì. E' compito mio sterminare l' HYDRA. L'ho preso molti anni fa e sono in deplorevole ritardo."
La testa di Andy si strofinò appena contro il suo collo. Il brivido che quel movimento gli mandò al centro del cervello e poi per tutti i muscoli fece aumentare la stretta del suo abbraccio. Voleva tenersi ben addosso il suo punto fermo, il lampo rosso fragola che lo aveva costretto a fermarsi. Sapeva cosa stava per accadere; Steve accolse l'occhiata penetrante, quasi solenne della ragazza. Il velo verde dell' ironia si era sollevato dopo mille reticenze, mille difese intentate, lasciandogli vedere per la prima volta la saggezza malinconica custodita gelosamente dietro il sipario. Il vero sguardo di quella ragazza poteva fare paura, così profondo e intenso.
"Questo ti frustra molto."
"Sì. Devo fare qualcosa."
"Per James?"
"Non solo per lui. Devo riportarti a casa, te l'ho promesso." Quanto le piaceva, quando arrossiva; era il segno di essere riuscito a far tacere quel piccolo vulcano d' ironia da cui non riusciva a staccarsi. Letteralmente.
"Come mai lo chiami col suo vero nome?"
L'eco della sua risatina riverberò contro la pelle già sensibile di Steve.
"Sento di non avere la confidenza necessaria per chiamarlo Bucky. E' qualcosa che appartiene a te e lui."
"Non so quanto senta ancora suo quel nomignolo" mormorò, prima di posare un bacio sulla sua testa.
"Lo ha rifiutato?"
"No ma-"
"Una cosa per volta, Capitano. Abbi fiducia in lui."
E questa doveva essere la ragazza inutile, pensò Steve tornando a fissare il cielo, grato come mai di avere lei dove avrebbe dovuto essere da tempo e un motivo in più per amare davvero quell' epoca.
"A proposito di nomi" cominciò, accigliandosi. "Parliamo del tuo, signorina Martin. Quando avevi intenzione di dirmelo?"
"Dopo averti incastrato, ovvio."
"Ah. Le cose stanno così?"
"NO!"
La negazione si trasformò in una seconda risata, più sfrenata e infantile. Il Capitano era molto soddisfatto nel constatare che il solletico poteva avere ragione persino di una sarcastica illustratrice. Andy provò a divincolarsi, scalciando e impennando la schiena; servì solo a farle mancare nuovamente il fiato. Difficile averne, se qualcuno dopo la tortura, aveva deciso di baciarti di nuovo.
"Significa crepuscolo, in Sindarin." Glielo confessò timidamente. La punta del suo naso sfiorava quella di Steve.
"Mamma lesse Il Signore degli Anelli mentre mi aspettava; quando sono nata il pomeriggio tardi del Trenta Ottobre di venticinque anni fa, c'era un tramonto bellissimo, fuori delle finestre della sua stanza d' ospedale."
Avrebbe dovuto andarne fiera ma dover spiegare a tutti un semplice gesto d'amore, tra sorrisi di scherno e plateali alzate di sopracciglia, alla fine era diventato snervante. E così era nata Andy.
"Devo dare ragione a un milionario farabutto" commentò alla fine della spiegazione, incredulo.
"Mh?"
"Ti ha definito un residuo di Suggestiva Irlanda mescolata alla Terra di Mezzo. Ma più attenta alla moda. Sembra proprio che ti porti dietro un' aura di fantastico e dimenticato."
Per qualche istante, la ragazza scrutò il Capitano con un' espressione impenetrabile sul volto; impossibile capire se stesse pensando di aver subìto un' offesa oppure la più strampalata, vera lusinga di tutta la sua vita.
Steve tornò a respirare quando scoppiò a ridere, affondando il naso contro il suo petto per soffocare il volume della risata.
"Dovrai darti da fare."
"Per cosa?"
"Per farmi complimenti più belli di questi, Capitano. Perché io voglio abbracciare solo te."
Se questo è un modo per avere un altro abbraccio, sappi che non funzionerà.
Certi gesti si dovevano guadagnare, concordò Steve con se stesso. Avvolse le braccia con più decisione attorno alla vita sottile della ragazza, sbuffando un sogghigno compiaciuto tra i suoi capelli.
"Cosa c'è di divertente?" lo interrogò una vocina resa ovattata dal tessuto della maglia.
"Non ti sei ancora spostata."
"Hai una superficie toracica estremamente comoda e soda."
"Sei di nuovo rossa."
"Allora, se lo sai, lasciami smaltire l'imbarazzo in questo modo e chiudi il becco!"
Era strano ricevere ordini tanto perentori, dopo un lungo periodo in cui si erano dati. Vi si assogettò volentieri, con l'unico desiderio di strappare quanto tempo possibile al mondo che lo aspettava fuori da lì, con i suoi pericoli e i suoi nemici.
Era sicuro che adesso gli avrebbero fatto meno paura.





Angolo (tetro e buio) dell' autrice: come minacc- come promesso, eccovi l'aggiornamento speciale. E naturalmente, mi sono ben guardata dal dirvi cosa sarebbe successo!
La svolta tanto sospirata è giunta, spero di averla resa bene. Adesso mi congedo con un inchino e vado in coma per un giorno: Lucca Comics è stata folle e bellissima come al solito e piena di soddisfazioni per il mio lavoro d' illustratrice. Nuovi progetti prenderanno forma, nuovi traguardi dovranno essere raggiunti ma sono davvero contenta della partenza.
Un abbraccio immenso e a venerdì!
Maddalena.


















 

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Capitolo 27
*** 24 ***


24




"Siamo pronti, signore."
"Diamo inizio all' operazione. Sono degli ingenui, se ci credono privi di mezzi."
"Abbiamo già un contatto."
"La squadra è pronta?"
"Pronta e operativa."
"Ricordatevi che ci servono vivi."





*




L' ispettore Jackson, cognome da sbirro di serie televisive e pancia da birra da poliziotto comune alle prese con tagli del budget amministrativo e burocrazia asfittica, stentava ancora a crederci.
Incastrato sul sedile del passeggero di un' auto della Polizia di New York, stava sfrecciando lungo la Park Avenue seguito e anticipato dal barbiglio dei lampeggianti di altre due vetture di servizio e altrettanti mezzi blindati della S.W.A.T.
In servizio da vent' anni, l'uomo era avvezzo alle missioni in cooperazione con forze esterne a quelle dei suoi agenti. Aveva collaborato con l' F.B.I, la D.E.A ma non aveva mai avuto il piacere di vedersi scavalcare nella gerachia del suo distretto da due uomini in doppio petto scuro, occhiali da sole d'ordinanza e auricolari incondonfibili.
Allora i film di spionaggio non raccontavano solo balle: chi prestava servizio per la C.I.A. sembrava davvero uscito da una sartoria di lusso con la pretesa di vestire autorevolmente fior fiore di completi tagliati su misura.
Era al suo secondo caffé quando il Tenente Foster, una donna bassa e sottile come un giunco, nota nel loro giro col rivelatore nomignolo di Bloody Mary per via del pugno di ferro con cui dirigeva i sopposti e una passione conclamata per l' omonimo drink, era entrata nel suo ufficio con la faccia tirata prevista solo nel portare grane molto grosse, molto delicate e molto pericolose. Le parole spese erano state poche e taglienti, come suo costume.
"Detective, abbiamo ricevuto una segnalazione attendibile per il caso di scomparsa di Andunie Martin."
Lo ricordava bene.
Per quanto fuori forma e con una calvizie incipiente, era stato uno dei migliori elementi del distretto a raccogliere la denuncia della migliore amica di quella ragazza, incaricata di esporla con il regolare consenso della famiglia.
Il caso voleva fosse anche un servitore della Legge dotato di buon fiuto; per questo aveva intuito subito che tra lei e il ragazzo che l'accompagnava non scorreva buon sangue. Lo aveva fulminato con lo sguardo quando si era presentato a sua volta come amico della giovane risultata rapita e sparita nel nulla nell' incidente inspiegabile di Mulberry Street.
Secondo il rapporto, la vittima era stata prelevata dalla sua casa in Lafayette Street alle prime luci dell' alba del 20 settembre. Era stata la sua amica a trovare la porta dell' appartamento aperta con un abile lavoro di scasso alla serratura blintata; non erano stati rilevati segni di lotta, a parte la tazza di caffé finita in pezzi, ancora piena, sul pavimento di legno.
La telecamera puntata sull' uscita del seminterrato del palazzo era stata manomessa; nel corridoio che lo attraversava erano state rilevate tracce di passaggio recenti. Un testimone, uno dei vicini di casa della signorina Martin, aveva visto un furgone del Servizio Elettrico della città fermo pochi minuti prima proprio in corrispondenza della scaletta di accesso.
Katherine Hale, dottorato in Filologia Classica ad Harvard, aveva dato l'allarme dopo essere tornata dall' amica col proposito di riportare la sua gatta, una fulva Norvegese delle Nevi, presa in consegna il giorno prima. Le ci era voluta tutta la sua testardaggine per convincere un agente di pattuglia a seguirla; era stata data la priorità a quanto stava accadendo a pochissimi isolati di distanza e solo dopo molte ore, grazie ai filmati di alcuni dei tanti occhi artificiali puntati su ogni angolo di New York, le forze dell' ordine avevano visto quella ragazza venir estratta da un van semi distrutto da un solo uomo, impossibile da riconoscere a causa del berretto e del cappuccio calzato sopra.
Miss Hale, alla fine della sua deposizione, aveva mandato un messaggio chiaro e tondo a Mister Connelly, figlio di uno dei maggiori imprenditori di SoHo: lo stava sopportando per pura cortesia formale; era l'unico motivo per cui si era trattenuta dal tirargli addosso il bicchiere di carta, per fortuna vuoto, del suo cappuccino Starbucks. Avrebbe dovuto indagare sui reali rapporti tra lui e Andunie Martin ma gli era sembrata una mossa azzardata e fuori dal contesto delle indagini.
"Sono pronto, Tenente."
"Prima devo presentarle due persone."
Ed erano arrivati: asciutti, naturalmente dotati della stronzaggine snob che si sviluppava assieme alla reticenza durante gli addestramenti del Pentagono. Se suo figlio Simon, un bimbetto sveglio di cinque anni con la fissa per i film di fantascienza li avesse potuti vedere, li avrebbe sicuramente chiamati Agente K e Agente J.
Fossero stati simpatici anche solo un decimo dei personaggi di Tommy Lee Jones e Will Smith, William Jackson sarebbe stato ben lieto di sorvolare sull' arroganza sfoggiata nel notificargli la revoca del suo caso.
"Mi è permesso dissentire?" aveva chiesto con la cortesia di cartapesta dovuta alle persone ritenute insopportabili alla prima occhiata.
"Permesso accordato, detective ma temo sarà spreco di tempo."
Figlio di puttana con una scopa in culo!
Nemmeno si era accorto di essere stato preso per i fondelli.
Mentre la città, ancora intontita dalla notte appena trascorsa, scorreva attorno a lui dai finestrini appannati, il poliziotto finì di rammentare il suo illuminante incontro con la temuta Intelligence.
"Avanti, stiamo parlando di una giovane...concept designer! La sua famiglia è pulita, il suo lavoro un po' bizzarro lo concedo ma cosa potrà mai significare per la CIA?"
La recita aveva funzionato; credendo di trovarsi di fronte a un obeso afro-americano con poco cervello, i due agenti speciali si erano impettiti.
"Abbiamo degli elementi d' indagine che confermano la presenza a New York di persone ritenute sovversive. Miss Martin é spiacevolmente finita in contatto con loro in modo del tutto fortuito ed é rimasta coinvolta in un affare che solo il nostro dipartimento è autorizzato a gestire."
"Allora non vi seccherà se verrò con voi ad accertarmi di questi modi fortuiti."
Era quello il motivo per cui adesso stava tallonando una speciale unità anti crisi diretta alla Stark Tower.
"Siamo sicuri, capo?" domandò l' autista in divisa da recluta. "Stiamo andando a pestare i piedi in casa di Tony Stark?"
"Iron Man, vorrai dire."
"Non è la stessa cosa?"
"Sembra che questi coglioni del governo pratichino una netta distinzione."
Dopo l' annientamento dello SHIELD e i processi a cui erano stati sottoposti alcuni dei suoi più temuti agenti, le persone definite "peculiari" coinvolte nel Progetto Avengers erano diventate, in via del tutto confidenziale e ufficiosa, sorvegliate speciali.
Il detective Jackson doveva queste spiegazioni alla sua faccia da schiaffi e alla magnanima concessione da essa stimolata sui due pezzi grossi della capitale.
Steven Grant Rogers, noto al mondo intero col nome di Captain America, aveva fatto perdere le sue tracce dopo il funerale del Colonnello Nicholas J. Fury ma ora era stata resa nota la sua presenza a New York. Era solo il primo di una serie di eventi giudicati sospetti dai vertici dei servizi segreti e dal Dipartimento della Difesa.
La segnalazione era partita proprio dall' entourage più ristretto di Tony Stark.
"Ci siamo."
La recluta sterzò con abilità e la Tahoe inchiodò esattamente davanti alla gradinata dell' ingresso principale.
Il corpulento polizziotto scese di malumore; quella storia non gli piaceva per niente. La coppia stronza e sbiadita degli Agenti K e J, naturalmente, lo avevano preceduto; stavano già varcando le vetrate, accedendo nell' atrio, seguiti da quattro uomini armati e con gli elmetti calati sulla testa.
L' arrivo in pompa magna di un simile gruppo portò scompiglio in tutti gl' impiegati del piano terra dell' edificio. Una delle ragazze della Reception corse via in modo sorprendentemente veloce per una che caracollava su degli infernali tacchi a spillo e tornò poco dopo, accompagnata da un armadio con le fattezze di un uomo alto e ben piantato.
"Sono Harold Hogan" si qualificò con imperiosità. "Direttore della Sicurezza. Identificatevi."
Il compito delle presentazioni se lo prese l' Agente K, più anziano e azzimato del compagno.
"George Smith, signor Hogan. Incaricato del Pentagono. Necessitiamo d' incontrare il signor Anthony Stark."
Jackson, qualche passo più indietro, alzò gli occhi al cielo. Pensava che gente abituata a segreti, alias e file criptati avesse più fantasia nello scegliersi dei cognomi falsi. Perché non John Doe e si tagliava la testa al toro?
"Il signor Stark non è presente. Stamattina ha lasciato la città."
"Lo verificheremo" rispose amabilmente l'uomo in doppio petto, con un cenno concigliante del capo. Se non altro, sembrava sapessero di non poter piombare senza motivo nel quartier generale di uno degli uomini più ricchi del pianeta e salvatore dell' intera New York dopo essersi caricato in spalle una sciocchezza come una testata nucleare e averla scaricata in un varco spazio-temporale.
"E' possibile parlare con la signorina Potts."
Diverse teste si voltarono verso la nuova arrivata: alta, capelli scuri trattenuti in un crocchia, tailleur blu, passo autorevole. Sostenne lo sguardo sbigottito di Hogan con disinvolta fermezza.
"E' tutto a posto, Happy. Ho avvisato io le autorità."
La dichiarazione di Maria Hill, un tempo braccio destro del defunto Direttore dello SHIELD, alle orecchie del detective suonò come una condanna. Qualcosa gli diceva che presto avrebbe scoperto i colpevoli a cui era indirizzata.




L' Amministratore Delegato delle Stark Industries accolse gli agenti nello splendido attico open space con vista su Manhattan.
Lo spazio, vasto e moderno, non era stato concepito per impressionare il visitatore ma per accoglierlo. Mobili in cristallo e ferro battuto, comode poltrone di pelle. Pavimenti in lastre di cemento smaltato e trattato.
Virginia "Pepper" Potts era da sola; sembrava essere stata sorpresa durante la colazione e ne era palesemente infastidita. Quando le venne spiegato cosa ci facesse lì una simile task force, il suo sguardo azzurro, messo in risalto da un velo di ombretto borgogna, saettò prima sbigottito, poi inferocito sulla signorina Hill. Il suo volto cesellato perse ogni delicatezza mentre diventava una maschera di delusione, poi indifferenza.
Tradimento, pensò cupo il detective, costretto come sempre a stare un passo indietro rispetto ai due rappresentanti del Pentagono.
"Mi dispiace" mormorò la donna; mera cortesia, nessun cenno di sincero pentimento.
"Abbia la decenza di non mentire, signorina Hill." La voce di Pepper Potts era gelida. "Signori, cosa posso fare per voi?"
"Ci dispiace per l'intrusione; siamo lieti che abbia deciso di collaborare."
Un paio di sopraciglia ramate si alzò appena.
"Vorremmo vedesse una cosa."
Il comando adesso era passato al moccioso tra i due. Intanto, gli agenti armati si erano disposti con discrezione ai lati dell' ascensore. L'uomo le porse una minuscola scheda di memoria; Pepper la prese senza commentare e andò verso un tavolo di lavoro apparentemente spoglio. Lo sportello di un plug in si aprì, perfettamente mimetizzato.
"Jarvis, iniziare la trasmissione."
Un monitor-ologramma comparve davanti alla donna; prese a scorrere un filmato. Mostrava lei e una ragazza con lunghi capelli scuri, ferme a parlare e ridere all'ingresso della Stark Tower. William Jackson ebbe un movimento di stupita stizza.
Corrispondeva tutto: il colore degli occhi, l'altezza. Il tratto distintivo e bizzarro del berretto. Il borsone. Quella era senza dubbio Andunie Marjorie Martin, identica a come era nella foto mostratagli da Katherine Hale.
"Conosce la persona con lei?"
"Sì. E' stata nostra ospite."
Smith si avventò sulla preda con consumata educazione. "In quali circostanze?"
"Mi avvalgo della facoltà di non rispondere."
L' agente incassò la prima stoccata con un cenno comprensivo del capo. Era un suo diritto.
Il secondo filmato era quello, ormai famoso, della ragazza portata via da un furgone bloccato in Mulberry Street, a SoHo, due giorni fa.
"Perché la CIA si sta interessando a una semplice illustratrice?" domandò diffidente, spegnendo il monitor.
"Ha visto l'uomo che ha distrutto l'anteriore della vettura dove era stata rinchiusa? Cerchiamo lui. Si tratta di un pericoloso assassino affiliato alla ex-organizzazione nota col nome di HYDRA. Purtroppo é stata coinvolta una civile ma abbiamo motivo di ritenere che lei sappia dove si trovano entrambi."
Smith attese, sorridendo affettatamente alla sua interlocutrice.
Era il momento dei calcoli e dei bilanci. Sapeva di trovarsi di fronte un' avversaria temibile, intelligente ma sicuramente anche scaltra abbastanza dal saper valutare gli effetti di uno scandalo in cui il suo compagno, Tony Stark, sarebbe stato associato al nome del Soldato d' Inverno, uno dei criminali più ricercati del pianeta.
La denuncia fatta da Maria Hill presso gli uffici del Pentagono quella mattina e finita sulla sua scrivania era stata dettagliata, circonstanziata. Quel terrorista era comparso a New York e alla fine si era tradito nel tentativo di rintracciare Captain America, uno dei suoi obiettivi. Era stato ordinato di presevare l'incolumità di Rogers, rimaneva pur sempre un Eroe capace di trascinare dalla sua parte l' intera opinione pubblica ma non quella dell' uomo destinato ad ucciderlo.
Le labbra della signorina Potts si contrassero in una linea dura. Aveva concluso la sua disamina.
"Happy, per favore, vai a prendere la ragazza."
Il Direttore della Sicurezza sembrò sul punto di protestare; alla fine chinò il capo e si congedò con un borbottio indistinguibile.
"Le siamo doppiamente grati. La Commissione del Senato terrà conto della sua disponibilità. Sono tempi difficili, da quando lo SHIELD é stato destituito."
"Questo vi autorizza ad agire contro chi vi ha salvato, piùdi una volta, come fosse un criminale?"
"Sa meglio di noi che i Vendicatori sono come mine anti uomo."
La donna tornò a trincerarsi dietro il suo sdegno di ghiaccio.
Andunie Martin arrivò qualche istante dopo, tremante e impaurita. Si guardava intorno con aria confusa. Non capiva cosa diavolo stava succedendo, valutò impietoso il detective. Doveva ammettere di essere curioso a sua volta di sapere come la sua vita di ordinaria civile fosse finita immischiata con quella di gente tanto pericolosa e utile insieme. C'era stato anche lui, in prima linea, il giorno in cui New York vide il proprio cielo aprirsi per vomitare esseri alieni. Era per quanto aveva visto in prima persona che non gli stava piacendo il suo ruolo di recalcitrante accompagnatore di due burocrati del cazzo, chiaramente intenzionati a trascinare Iron Man e chissà chi altri nel fango.
"Andy, questi signori vorrebbero parlarti" provò a dirle Pepper.
"Avevi promesso che non mi sarebbe accaduto niente!" le urlò contro, impedendole di finire la frase.
"Le circostanze sono cambiate. Lo stanno cercando."
Il minuto successivo sarebbe stato impossibile da descrivere. Nell'aria rimase l' intenzione di un' acceso diverbio tra la ragazza e la donna dai capelli rossi; a vanificarla ci pensò uno strano movimento al limite del capo visivo degli agenti. Una massa scura, veloce, balzò giù dai gradini che conducevano al corridoio delle stanza private dell' attico.
Andunie Martin gridò per alcuni secondi, sufficienti all' uomo vestito di nero, con il braccio sinistro più assurdo mai visto da Jackson in vent' anni di carriera, di avventarsi contro i due spocchiosi Men in Black. Un lampo, poche mosse impossibili da distinguere e alla fine, lo scatto di due pistole puntate su di lui.
"Fermo o sparo!"
Il Soldato d' Inverno si rialzò lentamente e puntò due occhi privi della più piccola emozione sugli uomini in tenuta anti-sommossa, valutandoli fastidiosi come formiche da schiacciare.
Scattò un terzo grilletto, molto più vicino a lui.
"Provaci, maledetto bastardo" lo avvertì Maria Hill "e ti apro quel buco in testa che meriti da quando sei arrivato qui."




*






Il mondo aveva perso i suoi suoni.
Le giungevano ovattati, distanti. Deformati.
Andunie si era lasciata trascinare via come una marionetta priva di volontà; aveva annuito, quando l' avevano informata che sarebbe stata portata in centrale per raccogliere la sua deposizione. Dopo avrebbe potuto contattare la sua famiglia e dire loro che era sana e salva, incolume, disgraziatamente finita in una storia più grande di lei. L'avrebbero sicuramente rilasciata, avevano aggiunto con la delicata pietà riservata a una vittima degli eventi.
Inebetita, aveva chiuso il mondo fuori da se stessa; non aveva quasi battuto ciglio quando, vicino al grosso detective afro-americano, lasciò per sempre il luogo dove si era cullata nell' illusione di essere al sicuro.
Sì, valutò William lanciandole un'occhiata comprensiva destinata a venir assorbita e annullata da uno sguardo vaquo, puntato nel vuoto. La povera ragazza era stata usata e tradita anche se mancavano moventi e spiegazioni fondamentali. Sperò che lasciassero a lui il suo interrogatorio; le due super spie avevano abbastanza da fare con quel pazzo furioso piombato in mezzo a loro armato fino ai denti e coperto da capo a piedi della più futuristica, complessa divisa anti-proiettile mai vista. E poi, quel braccio!
Da dove era saltato fuori?
Sicuramente era pericoloso: era stato preso in custodia dal reparto di forze speciali arrivati con loro. L' ultima immagine del Soldato d' Inverno era stata quella di un uomo fatto entrare in un furgone blindato della S.W.A.T e a quel proposito: l'intera struttura, con tutti i suoi sessanta piani, sarebbe stata perquisita in cerca di Captain America. Sembrava si trovasse lì e uno dei vantaggi di lavorare per la CIA era la possibilità di scavalcare fastidiosi protocolli burocratici come l' ottenimento di un mandato di perquisizione e uno di comparizione in copia cartacea, con la firma del primo giudice voglioso di poter dire, un giorno, di essere stato lui a portare davanti alla Commissione per la Sicurezza Nazionale un personaggio controverso ma amatissimo come il Capitano Rogers.
Che mondo è quello dove dubitiamo di chi ha rischiato la vita per salvare la nostra?
Cristo.
Era già arrivato alle domande filosofiche. Doveva star messo peggio del previsto con la sua coscienza.
La Tahoe ripartì facendosi strada a fatica tra la prima folla di curiosi assiepatasi fuori dalla Stark Tower. Dopo di loro ne sarebbero arrivati altri, sciacalli involontari desiderosi di sapere cosa era successo in casa di Iron Man. Il corteo si sarebbe chiuso con l'arrivo della Stampa; meglio dileguarsi prima che i furgoncini delle principali testate giornalistiche piombassero sul Park Avenue Viaduct.
La ragazza continuava a non spiccicare parola. E dire che sarebbe stata persino bella, se quella posa da bambola inerte non fosse risultata inquietante.
"Sa che dovrà spiegarci molte cose?"
Un secco cenno di assenso del capo.
"Non é in arresto, signorina Martin."
Un altro cenno, ancora più nervoso. Se non altro lo stava ascoltando.
"Dopo il suo arrivo al dipartimento, quei signori vorranno parlare con lei."
Questa volta, la testa rimase ferma.
Davanti a loro, il semaforo del primo incrocio della Park con la Madison scattò sul rosso; il cambio di colore sembrò porre fine a quella sorta di trance. Le palpebre batterono due volte e il detective si trovò addosso due occhi completamente diversi: arguti e insieme imbarazzati.
"Temo che questo non sarà possibile" gli rispose con un sorriso disarmante.
William Jackson non capì cosa volesse dirgli fino a quando non guardò nello specchietto retrovisore.
Chi cazzo é quella?
L' assennatezza della domanda si perse in una nebbia piacevole e fresca, indotta dal narcotico che gli fu iniettato alla base del collo.
La recluta Deavers, da ragazzino fresco di Accademia, in un battito di ciglia era diventato una procace donna dagli occhi felini e i capelli rossi nascosti sotto il berretto della divisa.
E poi arrivò la notte, grigia come piombo e senza sogni.




Natasha sorrise, soddisfatta. Finì di strapparsi dal viso la rete rifrangente: uno dei giocattoli che era riuscita a salvare dagli arsenali tattici dello SHIELD, un dispositivo capace di modellarsi perfettamente su qualsiasi lineamento e in grado di alterlarlo grazie alle fibre ottiche di cui era intessuto, custode di uno dei più sofisticati programmi per l'alterazione dei connotati.
Seduta sul sedile posteriore, Andy si allacciò la cintura di sicurezza e ricambiò il suo sguardo, annuendo con decisione.
La Vedova Nera ingranò la marcia, spense la radio e compì una perfetta e azzardata inversione di percorso. Il traffico di New York si aprì minaccioso per assorbire la manovra spericolata; decine di macchine sfrecciarono a un nulla dalla fiancata bianca recante la scritta blu NYPD. Un concerto di freni premuti allo spasimo e clacson sfrenati accompagnò la loro fuga.
"Tutta intera?" le domandò con levità imboccando la direzione del West Side di Manhattan.
"Se trovi il mio stomaco da qualche parte, pregalo di tornare dove deve stare sempre, grazie!"
Se la vena ironica di Andunie Martin sapeva prodursi in simili battute, andava tutto bene.
"Sei stata grandiosa."
"Sbaglio o sento un certo stupore nella tua affermazione?"
La secca curva di immissione sulla Madison Avenue la sballottò verso il lato opposto dell' auto, contro il povero polizziotto profondamente addormentato.
"Lo ammetto, pensavo non riuscissi a reggere la tua parte."
"Pepper e Maria sono state così convincenti che é stato facile adeguarsi. Per non parlare di-"
"Ecco Clint!"
Ferma sul ciglio di un vicolo incuneato tra due vecchi palazzi di Midtown, c'era un SUV dai vetri oscurati. La faccia stropicciata e impassibile di Occhio di Falco fece capolino, la mano sinistra che si agitò in un saluto svogliato.
Natasha pestò con forza sulla leva del freno e schizzò fuori dall' abitacolo, andando ad aprire la portiera di Andy; la trovò già libera della cintura, pronta a venir afferrata per uscire il più velocemente possibile. Incespicò sul selciato e imprecò, chinandosi sul ginocchio destro.
"La ferita?" chiese la donna, preoccupata.
"Ci penseremo dopo, andiamo!" Avrebbe dovuto rifare la medicazione, come da prescrizione del dottor Scott. Strinse i denti e saltò dentro l'altro abitacolo.
"Santo Dio, Nat, quella divisa ti sta da cani!" constatò Clint con una risatina.
"Scrivi alle forniture militari per protestare" gli suggerì la collega, balzando sul sedile al suo fianco. Partirono in fretta, sgommando in retromarcia sulla strada piena di buche. L' arciere, sopraciglio destro inarcato in un' espressione concentrata, fece sterzare il volante, lo portò dritto e imboccò direzione Sud per trovare un varco sulla Avenue of the Americas; dovevano sfilare lungo i confini di SoHo, diretti a West Houston Street.
"Là dietro come va?" chiese con inedita premura alla loro passeggera. Andy cercò di tastare con cautela la gamba dolorante. La fasciatura, eseguita l'ultima volta l'altro giorno, aveva ceduto. Poteva solo sperare che i tagli non si riaprissero.
"...Credo di aver ritrovato lo stomaco", biascicò arrangiando un sorriso.
"Quindi riesci a vomitare?"
"Non davanti a due assassini provetti. Ho una reputazione da palla al piede con qualche utilità da difendere!"
La frecciata era per Natasha.
La diretta interessata l'accolse con eleganza, ridacchiando. Se l'era meritata ma era pur vero che se la prima parte del folle piano ideato da Steve era riuscito, lo dovevano al sangue freddo sfoggiato dall' ultima persona ritenuta in grado di possederlo. E di sicuro, non era stato solo quanto era successo col Capitano a rendere coraggiosa quella ragazza.
"Ce l'abbiamo fatta davvero?" domandò dubbiosa, aggrappandosi al poggia testa di Clint.
"Sì, per quanto riguarda la nostra parte. Adesso tocca al Soldato d' Inverno."




Angolo (tetro e buio) dell' autrice: dai, vi devo davvero dire chi solo gli Agenti K e J? Fa parte dell' ABC di ogni Nerd che si rispetti!
Se avete altre domande nate in corso di lettura, e spero sia così viste le mie intenzioni poco onorevoli, dovrete attendere una settimana. Perché questi sono solo piccoli fuocherelli, per scaldarvi e darvi un assaggio dell' azione che presto ci travolgerà.
Non mi sono dimenticata delle risposte da dare alle recensioni ma vi chiedo un po' di pazienza: Lucca 2014 è stata spettacolare e folle ma devo ancora ripigliarmi del tutto. Appena saprò ricordare che 2+2= 4 andrà meglio e forse i miei neuroni torneranno in funzione!
Baci e abbracci,
Maddalena.






 

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Capitolo 28
*** 25 ***


25


Ora


Il Brooklyn Bridge Park era uno dei progetti più importanti per il completamento della riqualificazione urbana dell' intera città. I tempi in cui i suoi sobborghi erano stati il ricettacolo naturale di tutte le migrazioni, confluite per dare vita alla popolazione cosmopolita e sempre in fermento di New York, erano finiti.
Esistevano ancora le roccaforti di Little Italy e Chinatown ma i vecchi caseggiati con i mattoni a vista, le banchine del porto con il loro alveare di rimesse umide e cadenti erano stati sostituiti da nuovi palazzi e nuove attività.
La zona verde in via di costruzione possedeva una delle viste più belle sulla skyline di Manhattan: i suoi giardini, grandi prati intersecati da lunghi viali di acciottolato bianco, disegnavano una grande virgola che seguiva sinuosa la riva fino al Brooklyn Bridge. Dolci prospettive di alberi ancora giovani e siepi curate conducevano idealmente alla terrazza panoramica dove ogni visitatore poteva fermarsi e conteplare, rapito, il disegno dei grattacieli più famosi del mondo stagliati contro il cielo.
Nell' estremo quadrante a Sud-Ovest, dove sarebbe sorto da lì a pochi mesi un grande parco-giochi, era spoglia e polverosa. I lavori erano ancora in corso, come testimoniavano la presenza di ruspe, altri mezzi da scavo e camion che quotidianamente scaricavano ghiaia e altri materiali edili.
Il tir arrivò da Sud, scendendo lungo Furman Street. Un operaio infagottato in una divisa sporca di terra scese e andò ad aprire il cancello delimitante l'area dei lavori. Con un forte accento spagnolo, fece segno all' autista di procedere. Il grosso container blu, dalle pareti d'acciaio scrostrate, sfilò sotto i rami di alcuni pioppi, nell' indifferenza di una strada i cui condomini sfitti e in attesa di restauro erano garanzia di silenzio e pochi occhi indiscreti puntati sul cantiere.
L'uomo in tuta saltò a bordo, accolto dalla risatina del compagno.
"Accento ispanico, eh?" domandò Tony da sotto la visiera del suo berretto da baseball.
"All' Accademia non ho imparato solo a sparare" ribatté Sam, asciutto. "Vogliamo parlare di te e del fatto che stai masticando una chewing-gum dopo l'altra da quando abbiamo lasciato i parcheggi della Torre?"
Il milionario gli scoccò un'occhiata grondante risentimento. "E' per aumentare l'aderenza col mio personaggio."
"Quale? "Rude autista dalla dentatura compromessa da eccessiva manducazione"?"
"Vedi che avresti capito al volo?"
A passare tante ore con uno dotato del cervello iper attivo di Tony Stark, si correva il rischio di riuscire a intuire parte dei suoi passaggi logici e cosa li poteva determinare.
"A quanto pare siamo i più puntuali della truppa, Maggiore."
"Avevamo il compito più facile."
Se così si poteva definire il trasporto segreto di una riduzione in scala di parte dei macchinari del laboratorio segreto di Iron Man. Dovevano al piano di Steve la copertura necessaria per essere riusciti ad attraversare indisturbati l'intera Manhattan fino al Lower East Side e prendere il ponte di Brooklyn diretti alla loro meta.
"Signore" La comunicazione di Jarvis si attivò dalla radio dell' abitacolo. "La signorina Martin e l' agente Romanoff sono riuscite a scappare."
Sam spianò involontariamente verso l'alto le sopraciglia.
"Natasha dovrà rimangiarsi le sue preoccupazioni."
Quella notizia significava solo una cosa: Andy era stata capace di attenersi alla parte datale, senza tradire cosa stava nascondendo. E il Soldato d' Inverno era stato catturato.
"Il Capitano?" chiese preoccupato.
"E' pronto ad entrare in azione. Lei, Maggiore?"
"Non ho mai fatto da cavia per un primo volo."
Tony alzò gli occhi al cielo, chiaramente colpito nelle sue capacità.
"Riparleremo della tua insultante sfiducia quando sarai di ritorno col micetto dalla mente confusa e Stevie."


Il prigioniero non si era mosso.
Difficile potesse farlo, dal momento che avevano ammanettato sia le gambe che i piedi e non con semplici manette d'ordinanza. Erano le stesse usate dalla ormai defunta squadra STRIKE, molto più spesse e squadrate.
La perquisizione, effettuata prima di lasciare la Stark Tower, aveva rilevato addosso al Soldato d' Inverno altre armi bianche, oltre al pugnale con cui si era presentato. Dopo la gelida furia che lo aveva animato durante il suo assalto, adesso sembrava essere arrivato il momento della calma. Una calma quasi da catalessi, rilevò l'agente della CIA, controllando il resto del furgone blintato grazie a una micro telecamera installata nel vano.
John Smith si concesse un sorriso a metà, pensando a come erano venuti in possesso dell' informazione contentente l' esatta locazione di uno dei loro maggiori bersagli.
Era stato relativamente facile costruire una rete informatica virtuale parallela a quella sviluppatasi con l'invenzione del World Wide Web. Le nozioni per la costruzione di una rete di scambio dati a livello mondiale era stato uno dei primi punti di sviluppo totale voluto dallo SHIELD; all'epoca l'organizzazione era stata tra le prime agenzie al mondo a voler sfruttare la possibilità infinita nata da quel nuovo codice e non aveva saputo chi altri ne stava approfittando, muovendosi nella sua ombra e compiendo i medesimi gesti per non venire scoperta.
Uno splendido parassita.
L'altra faccia della medesima medaglia.
Se se ne taglia una testa, altre due nasceranno
.
L'uomo sciorinò in mente tre delle definizioni più ricorrenti per quello che lui considerava un sogno, una chimera da concretizzare con ogni mezzo. Il prezzo da pagare in termini di vite umane e risorse non sarebbe mai valso il raggiungimento di un bisogno disperato, a cui anelava tutta l'umanità.
Era ancora una recluta, quando era stato avvicinato da un collega più anziano appartenente a una cerchia di personalità temuta e rispettata in tutto il loro centro di addestramento. Colpito dai suoi esami teorici e da alcune controverse ma brillanti tesi sul cambio degli equilibri di potere nelle zone del mondo più instabili come il Medio Oriente e le sempre inquiete nazioni dell' Est Europa liberate dal giogo russo, il supervisore lo aveva invitato, unico scelto, a incontrare altri che la pensavano esattamente come lui.
Dopo la prima riunione ce n'erano state molte altre.
John, nome fittizio per nascondere un ragazzo di Boston deciso a servire il proprio Paese per imporre una pace duratura perseguendo chiunque si opponesse al benessere collettivo, alla pace, aveva trovato una fede in cui riporre ogni speranza molto più vera. C'era potenza reale dentro quel credo, mezzi e portata tali da rendere l' utopia realtà. Aveva scoperto di non essere solo a bruciare di un tale ardore.
L'antico simbolo del teschio dotato di tentacoli si era affrancato da molto tempo dalla limitante, persino umiliante, dicitura di "Organizzazione Scientifica Nazista". Non c'era alcuna supposizione, nessun inganno.
Nata da un mito, l' HYDRA aveva espulso ogni cellula di leggenda e propaganda dal suo corpo. Non cercava l'affermazione di una razza a discapito di tutte le altre; quelle erano favole per un popolo disperato e affamato, desideroso di vendicarsi su coloro che lo avevano umiliato dopo la fine della Grande Guerra e spogliato di ogni dignità nella conferenza di Pace di Versailles.
Favole per sciocchi, canzoni per intruppare un regge.
La realtà era stata più semplice.
Occorreva il potere per affermare con forza quello che troppe persone avrebbero messo anni a decidere.
L' HYDRA era stata vicinissima ad ottenerlo. Insight avrebbe dovuto essere la corona da posare sul capo del suo ideatore ma era precipitata a terra come gli Helicarrier destinati a forgiarla. Adesso occorreva semplicemente trovarne i pezzi e ricostruirla.
Uno di questi era la loro arma più letale. Difettosa ora, contaminata da emozioni e passioni forse ma in grado di attirare come una calamita l'uomo colpevole di aver sferrato il colpo decisivo al piano di Alexander Pierce.
E per cosa, poi?
Lasciare ancora il libero arbitrio ai pavidi, ai gretti, ai veri terroristi, ai politici belligeranti di quattro continenti convinti di avere alleati quando in realtà ognuno di loro rispondeva unicamente a un grottesco, terribile simbolo color sangue?
Se se ne taglia una testa, altre due nasceranno.
Non vedeva l'ora di mostrare concretamente a Captain America il fallimento dei suoi due tentativi di fermare un esercito, i suoi fedeli soldati. Crociati disposti a morire perché finalmente cessassero guerre, stragi, agguati. Estirpare il male prima che avvenisse era ancora possibile.
"Non le sembra troppo calmo, signore?"
Jared era troppo giovane e troppo ansioso. Vedeva ancora il presente immediato, senza scorgere le mille implicazioni possibili del futuro. Cercava di guidare rilassando i muscoli delle braccia tesi all' invero simile sotto la giacca del completo ma era chiaro che il traffico congestionato del centro di Midtown lo innervosiva.
Il corteo di mezzi blindati procedeva a stento; ai lati della strada c'era la segnaletica d'allarme prevista per un tamponamento; imprevisto di routine, per la viabilità di Manhattan.
"Ha capito che non può lottare da solo."
L'agente più giovane deglutì, nervoso.
"Avanti, sputa il rospo" lo incitò John, sospirando rassegnato.
"Non sono tranquillo, signore. Non abbiamo ancora rintracciato l' informatore che ci ha fornito quel video."
"Vedrai che dopo i nostri controlli di rito, risulterà essere Maria Hill. Era il braccio destro di Fury, allo SHIELD ma se il suo senso del dovere è stato tanto stolido, non é poi tanto intelligente come dicono."
"E che mi dice del Capitano Rogers?"
Smith non ebbe il tempo di calmare il suo sottoposto. Fece cenno di tacere ed estrasse dalla tasca interna della giacca il suo smart phone, che trillava discreto.
Schiacciò il tasto di attivazione di chiamata.
Accaddero due cose nel medesimo istante.
Chiunque fosse dall'altro capo della linea, fu impossibile sentirlo; i radi colpi di clacson, tipici del traffico bloccato come tipici potevano essere i carretti di hot dog a Times Square, nel giro di un battito di ciglia divennero un concerto assordante, prolungato, impazzito.
Le pareti rinforzate del veicolo tremarono e si compressero leggermente verso il basso; le ruote s'infossarono e poi la spinta s'invertì, divenendo uno strappo verso l'alto.
Imprecazioni si mescolarono a urla, mentre il tettuccio veniva divelto e centinaia di persone presero a scappare fuori da taxy, fuoristrada, utilitarie. Sopra le loro facce atterrite, due ombre; la più grossa aveva i contorni stupefacenti di due ali.
Il furgone blindato della SWAT era stato sventrato da sopra e a farlo, era stato l'uomo inerme dagli occhi grigi vuoti e fissi nel nulla che doveva essere condotto alla base.


Prima


"Cosa mi sono perso?"
Tony ci aveva messo decisamente del buon tempo ad accorgersene ma dopo l'ennesimo colpo di tosse di Sam, ora non riusciva più a staccare gli occhi dalla mano di Steve. Mano saldamente allacciata a quella di Andy.
Si erano presentati insieme nel laboratorio e sembravano non avere alcuna voglia di lasciare consenzievolmente l'uno la stretta dell' altra.
"Così sconvolto?"
Più che sconvolto, il milionario pareva ipnotizzato. Sembrava non avesse mai visto un gesto del genere o stava fingendo dannatamente bene uno stupore genuino e ingenuo. Alla fine, Steve alzò gli occhi al cielo.
"Fa spesso così" disse rivolto alla ragazza. "Ci dovrai fare l'abitudine."
"Ma prima o poi dovrai lasciarmi andare."
"Ti riprenderò il prima possibile, non preoccuparti."
"Questo é troppo!"
Tony spalancò le braccia, con Sam accanto impegnato a pensare cose molto tristi per non mettersi a ridere. Il veterano aveva capito subito che quei due stavano inscenando un teatrino fatto di svenevolezze per stuzzicare il loro anfitrione; era davvero contento di scoprire che il Capitano era in grado di ridere, scherzare. Persino prendere in giro.
"Vi prego di smetterla o mi carierò i denti a causa del troppo zucchero!"
"Allora sarà il caso di chiamare tutti gli altri" argomentò pratico Steve, cambiando di colpo espressione.
L'atmosfera mutò in modo così radicale che Andy si sentì intimorita e in soggezione. Vedere quanto serio potesse diventare Tony Stark era davvero uno spettacolo raro.
"Jarvis? Cap ha un piano. Convocazione generale."


Ora


"Fai battute ovvie su quanto peso e sei morto."
"Permalosi, Sergente?"
"Prudente. Le cose banali non mi piacciono"
Sam rise, per quanto il vento gli permettesse di farlo. Le nuove ali bio-meccaniche, realizzate da Stark a tempo di record e nate da una particolare evoluzione del progetto originale "gentilmente" visionato in modo anonimo dagli archivi informatici dell' esercito, si stavano rivelando non solo più efficienti delle precedenti ma anche in grado di sopportare, come calcolato dal suo ideatore, il peso di un pilota e un...passeggero.
Atterrarono su uno dei palazzi che guardavano il Ponte di Brooklyn; venti piani sotto di loro, New York pareva impazzita. Gli strilli acuti di sirene si mescolavano al lamento dei clacson, le tipiche luci rosse e blu s'intrevedevano chiaramente sfrecciare nel traffico bloccato, dirette al punto dove giaceva un furgone blindato ormai distrutto.
Con un processo di scatti fluidi, le due serie di membrane si richiusero sulle spalle; anche l'ingombro era stato ridotto, rendendo più facile a Sam l'operazione di sgancio. James trovò in fretta la sacca lasciata là per nascondere il dispositivo di volo e ce n'era una seconda con degli abiti diversi.
Come preventivato.
"Spicciamoci. Avremo addosso tutta la Polizia della città tra pochi minuti."
"Esattamente come voleva Steve."
La risposta era arrivata senza esitazioni. Sam aprì la porta di accesso alla scala di servizio e fissando il suo compagno, per la prima volta sembrò vederlo davvero.
"Ti fidi di lui."
Solo il Soldato d' Inverno avrebbe potuto capire. E solo adesso che la tempesta si era placata.
"Questo non cambierà mai" mormorò deciso, imboccando la prima rampa e sparendo nel buio. Chi aveva preparato la loro fuga li stava aspettando e, si sperava, col motore di un' auto già acceso.


Prima


"Secondo i dati forniti da Fury, la base che cerchiamo è qui."
Tony fece riprodurre a Jarvis una mappa in tre dimensioni della città di Brooklyn, suddivisa in zone da un fitto reticolo. Una di queste era illuminata da una luce pulsante rossa.
Riconoscendo cosa scenalasse, Steve e James si cercarono con un' occhiata dove malinconia e rabbia si prendevano a pugni per vedere quale delle due sensazioni avrebbe vinto.
"La localizzazione è certa, ottenuta incrociando i dati coincidenti nelle vostre schede personali."
Prendendo forma nello spazio, si profilò la facciata neoclassica e imponente di un palazzo. Il corpo centrale, che divideva in due parti armoniche il complesso, rappresentava la facciata di un tempio con il transetto e il fregio relativo sorretti da cinque colonne doriche. Un' ampia scalinata conduceva ai portoni di accesso principali.
Il Capitano conosceva bene quel posto.
Il Brooklyn Museum, uno dei suoi luoghi preferiti dove andare ad esercitarsi con il disegno, quando doveva studiare la pittura tradizionale e ritrarre sculture.
Tra le sue sale ampie e solenni aveva trascorso molte estati, trovando un rifugio dall' afa opprimente del suo quartiere. Le prime visite erano state con sua madre ma quando la sua salute aveva cominciato a peggiorare, ad accompagnarlo era stato Bucky.
"Ti facevo sempre un sacco di domande, quando passavamo nella parte dedicata all' Antico Egitto" sussurrò il Soldato con sguardo fisso. Non batteva nemmeno le palpebre.
Maledetti bastardi.
Steve non imprecava mai. Nemmeno col pensiero. Il fatto lo stesse facendo ora era segnale evidente di come una scoperta simile lo colpisse in un punto tenuto sempre al sicuro, protetto.
Era lì che si trovava una gonna a fiori, un cardigan celeste e una mano delicata a stringere la sua. Mrs. Rogers non possedeva abiti eleganti ma ogni volta che diceva al figlio "Andiamo al tuo museo, ometto" si vestiva con la massima cura possibile, raccogliendo i capelli rosso fragola in una crocchia, cambiando la borsa del lavoro con una meno rovinata dai turni in ospedale e dalla fatica di una vita semplice in cui combattere ogni giorno.
C'era, in quel giardino nascosto fatto di ricordi delicati, un profumo; l'ultimo regalo del marito, da dosare con parsimonia per non finirlo.
Quando i fiori erano svaniti e il profumo evaporato, erano arrivate le spalle larghe di Bucky, la sua voce ammirata che non mancava mai di sottolineare il sapere artistico dell' amico e le sue esagerate, guascone profferte d'amore alla splendida, slanciata signora in nero con spalle scoperte del dipinto di Giovanni Boldini.
Il pittore italiano, ancora in vita in quegli anni, aveva sempre affascinato quel ragazzino piccolo e magro, con gli occhioni blu sgranati di fronte alla scoperta della bellezza. Con pochi tocchi vigorosi, l'artista era riuscito a fermare sulla tela l'essenza diafana della pelle di alabastro della sua modella, relegando lo sfondo a una semplice comparsa dalla prospettiva accennata.
Quando le spalle larghe di Bucky erano divenute uno dei primi requisiti utili per l'arruolamento e la parola guerra venne sparata in tutte le case americane dal comunicato alla Nazione del Presidente Roosvelt all' indomani di Pearl Harbor, la Signora in Nero era rimasta sola. Spettro bellissimo di un' infanzia perduta e di una giovinezza mai assaporata.
Un istante prima che la rabbia mandasse a tappeto la malinconia, il Capitano avvertì una sensazione calda e rassicurante sfioriargli la nuca.
Andy era a pochi passi da lui, alle sue spalle e lo stava guardando. Alla fine si erano dovuti separare ma la forza della sua semplice presenza lo ancorò alla realtà, facendolo rimanere lucido.
"Questo è un grosso casino" sbottò Clint, sentendo che tutti nel laboratorio condividevano il suo fastidio. "Attaccare uno dei più famosi musei degli Stati Uniti senza tirarci addosso Guardia Nazionale, CIA e compagni sarà impossibile. Non avremmo nessuno a proteggerci le spalle e garantire il nostro operato."
Natasha annuì, l'aria di chi si sarebbe buttata in una vasca piena di squali affamati piuttosto di ammettere di avere le mani legate.
"Tuttavia dobbiamo farlo."
Non ci fu nessuno che non si voltò verso Steve.
"Sarà un attacco frontale. Il più visibile, eclatante possibile."
Pepper lanciò un'occhiata preoccupata al suo compagno, pronta alla prevedibile battuta; aveva visto anche lei come il Capitano aveva tenuto stretta la mano di Andy e nonostante ne fosse felice, sicuramente Tony non si sarebbe fatto scappare l'occasione per stuzzicarlo, citando in modo assolutamente inopportuno la poca razionalità data da un po' di ormoni liberi.
Avrebbe dovuto sapere che Iron Man faceva rima, da sempre, con imprevedibilità.
"Continua, Capitano."


Ora


All' interno del container era stata allestita una base di appoggio per Super Eroi decisamente disordinata ma fornita di ogni aiuto possibile. La parte più ingombrante del carico era costituita dalla nuova Mark di Tony e tra diversi attrezzi per la sua manuntenzione, un paio di computer, un piccolo gruppo elettrogeno per garantire il funzionamento di ogni macchinario e un baule imbottito contenente fucili di precisione smontati e altre armi di cui Andy voleva sapere il meno possibile, c'era stato lo spazio per incastrare una valigetta del Pronto Soccorso.
Era certa che in un kit d'emergenza non fossero previsti elettrodi per la defibrillazione a ventosa, soluzioni iniettabili per l'anestesia totale e un set completo di bisturi con relativo forcipe ma trovò saggio non fare domande, attendendo buona che Natasha finisse di toglierle le bende al ginocchio.
Il taglio più grande si era riaperto, come la spia aveva intuito nel vedere anche lo strato di garza più superficiale macchiato di sangue.
"Ti ha fatto molto male?"
"Non ha importanza."
"Andy, nessuno ti biasimerebbe."
La ragazza scosse il capo. "Non ho il diritto di lamentarmi."
"Adesso comincio a capire cosa ti rende affine a Steve. Avete la testa dura entrambi."
Clint, rimasto fuori a fare la guardia, bussò tre volte. Il segnale convenuto per avvisare dell'arrivo di amici o alleati.
Si udì la lunga frenata di quattro grosse ruote, il concitato aprire e chiudersi di sportelli.
Steve era riuscito a recuperare James e Sam a Murray Hill, portandoli al cantiere del Brooklyn Bridge Park.
La voce del Capitano era ansiosa.
"Come sta?"
"Visita in corso. Nat ha tutto sotto controllo."
Anche Andy udì quello scambio e fissò con aria ancora più critica le gambe nude; per la medicazione era stato necessaio sfilare i jeans e se avesse potuto guarire le ferite con uno sguardo, lo avrebbe fatto di sicuro. Sussultò quando i due lembi di carne di nuovo laceri vennero puliti; strinse più forte i bordi dello sgabello, respirando col naso.
"Fatto. Dovrai restare ferma."
"Ne ho tutta l'intenzione!" esclamò con inaspettato divertimento. Non si era imbarazzata prima nel chiedere una mano per spogliarsi; non lo fece nemmeno ora per rivestirsi. Era davvero dotata di un senso della misura innato, valutò la Vedova Nera, sperando fosse l'ultima volta in cui si sarebbe pentita di non essersi fidata di lei dall' inizio. La situazione era già andata oltre il livello di critico e Andy aveva compreso che eventuali rimostranze e imbarazzi avrebbero peggiorato il quadro, invece di alleggerirlo.
Natasha bussò una volta sola; prima di riuscire ad abbassare la mano, il battente di metallo si aprì, facendo entrare Steve.
Indossava la sua nuova divisa e per quanto le circostanze fossero le più sbagliate del mondo, vedendolo vestito così Andy non riuscì a non sentirsi intimorita e affascinata insieme a una simile vista.
Il colore dominante era il blu; l'unica eccezione erano dei dettagli come i guanti integrali di neoprene e kevlar, le caratteristiche striscie bianche e rosse sull'addome e quelle, sempre rosse, che profilavano i pantaloni non così larghi da nascondere le lunghe gambe muscolose e la loro tonicità. Doveva essere fatta in qualche tessuto spesso, fibra di carbonio forse, lavorata per raggiungere il giusto spessore su gomiti e ginocchia, in modo da proteggerli.
Con lo scudo fissato sulle spalle da un'apposita imbracatura allacciata sul torace, Steve andò a inginocchiarsi davanti a lei.
"Temo di non potermi alzare per il saluto militare" si dispiacque Andy, ironica.
La conosceva abbastanza bene da vedere il complimento lusinghiero nascosto dalla battuta.
"Vistosa, vero?"
"Non così tanto. Non come quella che ti ho visto addosso in televisione, nei servizi sull' invasione di New York. E poi mi sembra di ricordare che vuoi proprio essere notato."
"Già. Non si guida affatto male, vestiti così."
Resistere oltre era fuori discussione. Le passò la mano destra dietro la nuca e attirandola a sé, le baciò la fronte e poi scese verso le labbra. Andy sentì la pesante, ruvida consistenza del guanto contro la pelle; un contrasto perfetto con la morbidezza devota della bocca di Steve.
"Possiamo entrare o volete un momento d' intimità?" s'intromise Tony; non aspettò nessun permesso e andò alla sua postazione informatica, seguito dal resto della squadra.
"Vediamo se ha funzionato" borbottò accendendo uno dei due terminali. Un ghigno estasiato rese la sua faccia deliziata come quella di un bambino lasciato solo con la cioccolata a portata di mano.
"Signore, signori, sono lieto di comunicarvi che siamo su tutte le reti nazionali."
Ogni canale televisivo era tempestato da Edizioni Speciali, collegamenti in diretta, dibattiti.
Un pericoloso criminale associato all' HYDRA, noto col nome in codice di Soldato d' Inverno, era stato catturato dopo una permanenza ancora da verificare presso la Stark Tower del discusso e celeberrimo milionario Tony Stark.
Purtroppo era anche riuscito a fuggire, come stavano testimoniando i servizi dove veniva ripetuto, all' infinito, il filmato in cui un uomo volante in divisa mimetica piombava su un mezzo blindato dei Dipartimenti Speciali, ne apriva il tettuccio come fosse stato fatto di latta e ne estraeva fuori il prigioniero, per portarlo via coinvolgendolo in una spettacolare fuga aerea.
"Soddisfatto, Capitano?" chiese un gongolante genio mai così contento di non avere a che fare con la noia.
"Manca solo una cosa."
"La farò subito; mi piaci troppo quando fai il duro."


Prima


Steve aveva esposto il suo piano in meno di cinque minuti dopo i quali, il suono fermo e determinato della sua voce si era scontrato contro un muro compatto di silenzio.
"Hai sempre avuto pericolose manie di suicidio" esalò James, non sapendo se guardarlo con ammirazione o il suo contrario "Ma questa batte tutte le volte che ti ho visto partire da solo a prendere a pugni qualcuno."
"Tuttavia potrebbe funzionare." Clint si fece avanti e andò a battere su una spalla del Capitano. "E' giusto quanto ci serve."
"Vediamo se ho capito bene" interloquì Maria; per una volta, la sua aria distaccata si era dissolta, lasciando posto a uno sguardo vivo e partecipe "dobbiamo dare delle prove al nostro governo riguardo i piani segreti dell' HYDRA ma non potendo farlo a causa dello scioglimento dello SHIELD, dobbiamo dargliele in diretta?"
"Esattamente. Dobbiamo far sapere a tutti, dalla Polizia Metropolitana allo Studio Ovale passando per il Pentagono, che i Vendicatori stanno per fare qualcosa. Più ambigua e imprecisa sarà, più ci menderanno addosso i loro agenti."
Gli occhi azzurri del Capitano ne cercarono un altro paio di grigi. Passato il primo momento di frastornamento, il Soldato realizzò cosa stava cercando di dirgli. Come da bambini, come da ragazzi, le parole si rivelarono superflue.
"Se sapessero che sono qui si potrebbe scatenare un bel putiferio." realizzò con un mezzo sorriso che fece scuotere il capo a Natasha.
"Hai ragione ma anche se ti segnalassimo a tutti i distretti con una fonte anonima, ci sarà sicuramente qualcuno che ai piani alti s' insospettirà. E sono pronta a scommettere che lassù c'é ancora più di una persona legata a Pierce, abbastanza intelligente da sentire puzza di bruciato."
Il sorriso di James non si spense; divenne più ferino, ampio e non si staccò dal viso della Vedova Nera.
"Abbiamo l'esca perfetta" si limitò a dire incrociando le braccia sul petto.
"Sono d'accordo. Avete me."
Andy era rimasta in attesa del momento giusto. "C'è la mia denuncia di scomparsa, adesso. E' stato James a salvarmi ma dai filmati che abbiamo visto in televisione, nessuno lo crederebbe innocente. Basterebbe dare la prova definitiva e avremo addosso tutta la popolazione in doppio petto e auricolare degli Stati Uniti!"
Avere a che fare con tre persone sulla stessa lunghezza d'onda e momentaneamente sprovviste di un barlume di buon senso poteva essere snervante. Pepper si mise davanti a Steve, pronta a fargli capire la portata di quella follia.
"Vuoi davvero lasciarglielo fare?" domandò stupefatta dall'aria tranqulla sul volto di Captain America.
"Sì. Mi fido di lei."
Era la dichiarazione d'amore più sincera mai udita, dopo quella di Tony a Los Angeles. Capì di doversi arrendere nel momento in cui si trovò a ricambiare lo sguardo determinato di Andunie: le stava dicendo che se quello era il solo modo di aiutarli non si sarebbe tirata indietro.
"Ora che abbiamo convinto anche la signorina Potts, vorrei farvi visionare una cosa."
Tony armeggiò con un minuscolo tablet, dando ordine a Jarvis di pescare nel data base dei filmati della sicurezza.
"Qualche giorno fa, c'era un ombroso individuo fuori dalla Stark Tower. Guarda un po', uguale a te, Sergente. Che combinavi?"
"Una sciocchezza; mi accorgevo di un furgone che inseguiva l'auto dove era sopra Andy."
"Beh, temo che non meriterai la medaglia al valor civile. Perché qualcuno sta per vendere questa informazione alla Polizia."
"Chi?"
Qualcuno si schiarì disinvoltamente la voce. Maria alzò le sopraciglia, con ovvietà. Tony applaudì alla perspicacia della donna e fece una piroetta per osservare gli altri.
"Allora siamo pronti, signore" annunciò Jarvis.
"Diamo inizio all'operazione. Sono degli ingenui, se ci credono privi di mezzi."
"Abbiamo già un contatto" precisò l' ex-agente prendendo il telefono.
"La squadra é pronta?"
"Pronta e operativa" rispose Clint, divenuto relatore collettivo di propositi vendicativi e sovversivi.
"Ricordatevi che ci servono vivi."
"Ehy, perché adesso guardate solo me?"
"Solo per puntualizzare, Sergente."




La spartana scrivania assegnata all' agente Carter non aveva nulla a che fare con il desk occupato nella sala comandi del Triskelion. La sua postazione adesso era un tavolo in ferro e formica, con un computer e cumuli di carte e pratiche da sbrogliare. Chi era ancora convinto che la vita di un soggetto operativo di un' agenzia d' intelligence fosse uscita da un film di James Bond, avrebbe dovuto vedere l'espressione odierna della ragazza, arrivata da poco in ufficio e con davanti la prospettiva di un altro giorno da sprecare con una burocrazia che non le competeva.
Sharon Carter non si era mai lamentata.
Quando la sua domanda di assunzione era stata accettata dal Pentagono, sapeva perfettamente cosa l'aspettava: una seconda versione, forse peggiore, della gavetta ingrata ma necessaria da affrontare per alleggerire un peso non voluto, quello di un cognome non scelto ma affibbiatole dal caso.
Si era chiesta molte volte se il corteo di sguardi che la seguivano all' Accademia, allo SHIELD si sarebbe potuto risparmiare se si fosse chiamata in un altro modo. L'eredità della sua famiglia era un perfetto equilibrio di onore e imbarazzo, col secondo da riscattare sempre spendendo una fatica dieci volte maggiore di quella chiesta a ogni altra recluta.
Poi un giorno, aveva smesso d 'interrogarsi. Era avvenuto quando il Direttore in persona, Fury, le aveva assegnato una missione.
Aveva pensato che vegliare e proteggere su Captain America fosse il modo migliore per rendere il giusto omaggio a sua nonna e per tentare di saldare un debito forse troppo ingombrante e dal significato troppo profondo per venire compreso.
Niente era andato come aveva previsto e adesso si ritrovava a svolgere i compiti di segretaria, cosa che non era, per dimostrare di sopportare la gerarchia in cui era stata accolta e saperla scalare a capo chino, armata delle sue reali qualifiche e di una testardaggine di derivazione sicuramente genetica.
Faceva freddo, quel giorno, a Washington. Era entrata stringendo tra le mani un enorme cappuccino con cannella bollente, l'unico conforto da dosare a piccoli sorsi prima di prendere visione di quante carte erano misteriosamente finite sulla sua scrivania. Aveva visto giusto: erano aumentate nel corso della notte. Gli archivi ditigali dovevano essere prassi per quegli ambienti ma qualcuno più in alto di lei doveva aver deciso di usarla come effettiva fautrice della conversione tra formato cartaceo a formato informatico.
Con un breve sospiro, la ragazza posò il bicchiere chiuso ermeticamente su una pila di fogli, si tolse il giaccone e dopo averlo appeso alla sedia, si mise al lavoro. Era sempre la prima ad arrivare del suo dipartimento, cosa che le evitava di dover salutare i colleghi in arrivo alla spicciolata; bastava arroccarsi dietro l' inespugnabile fortezza di un monitor e si evitavano convenevoli decisamente poco sentiti.
Fu a causa dell' eccessiva concentrazione che si perse lo sfrecciare di una segretaria vera verso l'ufficio del suo responsabile. Dopo di lei, toccò a un esperto della Decriptazione.
A dieci minuti dalla chiusura della spessa porta di vetri smerigliati, scoppiò il caos.
L' agente Smith uscì di gran carriera, passo spedito e sicuro. Il passo di chi non voleva tardare oltre l'appuntamento con la gloria.
Il suo terminale si spense di colpo.
Qualcuno sussurrò a un altro: "Pare lo abbiano trovato. Il Soldato d' Inverno!"
Sharon afferrò per reazione il suo cappuccino, sperando fosse ancora abbastanza caldo da nascondere il freddo suscitato da quel nome. Era cambiato tutto, nella sua vita, dalla prima volta in cui lo aveva sentito nominare. Doveva ancora decidere se in meglio o in peggio, considerando come ogni certezza, fiducia e fede si fossero sbriciolate, mostrando la loro natura di specchi illusori che celavano una verità fatta di dominio, sangue e potere assoluto.
"Andiamo, bello" mormorò stizzita cercando di riavviare il computer. La spia di accensione s' illuminò senza bisogno di essere premuta. Lo schermo s' illuminò.


Buongiorno, agente Carter.
La prego di lasciar fare a me, Jarvis saprà essere molto delicato.
Si goda lo spettacolo e mi raccomando: procuri altri spettatori!



Tony Stark


Avere un master in Informatica e Codici binari poteva servire: Sharon lesse il testo comparso dal nulla strabuzzando gli occhi e non fece nulla, come le era stato chiesto.
Quello che vide poco dopo le bastò a farle capire che non era ancora finita.
I cattivi non dormivano mai e ci voleva qualcuno in grado di fronteggiarli.
Qualcuno di speciale.


Ora


"Ottima idea, quella di farmi hackerare un account della CIA. Stai diventando losco, mi piace!"
"Perché tu non lo hai visto con che battuta alla Clint Eastwood mi ha fatto buttare giù Sitwell da un grattacielo."
"Per favore, possiamo rimanere concentrati?"
Per la prima volta dopo anni, la Vedova Nera e Iron Man si guardarono e videro l' uno nell'altra la stessa cosa: la delusione infantile provata nel veder finire un gioco comune.
"Mi correggo, sei il solito ingessato" borbottò Tony, finendo d' ispezionare l'elmetto della sua nuova armatura.
"Se ora Sharon sta ricevendo il segnale video dopo i dati trasmessi prima, possiamo procedere."
"Quindi è adesso?" domandò Andy. Steve annuì.
"Andiamo a suonare il loro campanello."






Angolo (tetro e buio) dell' autrice: la sentite in sottofondo? E' la musica del nostro momento "Ulisse: il piacere della scoperta" The List edition!
Il Brooklyn Bridge Park è situato lungo la riva dell' Hudson e quando ho fatto le mie ricerche tramite Google Maps, ho trovato una parte del parco ancora in costruzione. Il posto perfetto dove nascondere una base viaggiante per Super Eroi free lance.
Idem per il Brooklyn Museum, che possiede davvero il dipinto da me descritto di Boldini. Perché ho scelto proprio lei? Primo, perché se non conoscete questo nostro grandissimo artista, v' invito caldamente a farlo. Secondo, mi serviva un tipo di donna, per quanto ritratta, la cui bellezza fosse attuale per i due ragazzi.
Spero che la parte action vi piaccia: ci accompagnerà fino alla fine della storia, prima del sospirato epilogo. E anche Sharon è dei nostri, ormai non manca più nessuno!
A venerdì prossimo,
Maddalena


























 

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Capitolo 29
*** 26 ***


26


Dinamite.
Nitroglicerina.
Quello che Sharon Carter stava ricevendo sul suo computer da più di un' ora, era l' equivalente di una bomba sporca, preparata con qualsiasi materiale in grado di distruggere, smembrare, polverizzare nel raggio di kilometri, con una perizia nello scegliere componenti e innesco da poter dare lezione a qualsiasi gruppo terroristico sparso per il globo.
Il caffé era divenuto una brodaglia fredda e disgustosa; i faldoni che aspettavano la sua visione rimasero a formare una traballante pila alta oltre lo schermo del portatile.
Le cartelle di file condivise continuavano ad ammassarsi in tante iconcine sul desktop; si aprivano da sole e le mostravano documenti scritti, foto, date. Ciascuno era un mattone da incastrare sull'altro, a formare un edificio grottesco e spaventoso, colossale e oscuro. Sotterraneo e vasto quanto il mondo intero.
Un fossile, un'impronta lasciata da qualcosa che si credeva sconfitto e debellato. Forse solo una tana impressa in una roccia nera, pronta ad accogliere chi l'aveva lasciata non appena il momento fosse giunto.
Dopo un primo momento di confusione, Sharon batté le palpebre. Un movimento minimo per imporsi autocontrollo e lucidità.
Per prima cosa, procedette a guardarsi intorno.
Nessuno dei suoi colleghi si era accorto degli occhi sgranati, del colore defluito dal viso e della bocca spalancata. Tornò a concentrarsi sul monitor, costantemente bombardato di nuove informazioni; come era possibile che il sistema di sicurezza dei dati virtuali della CIA fosse così facile da bypassare? Perché non compariva nessuna finestra di allerta, con il codide assegnato al procedimento di identificazione e cura del virus?
Capì di starsi ponendo le domande sbagliate con un sorriso di reticente divertimento. Conosceva anche lei le vicende legate alla prima missione degli Avengers; aveva dovuto studiarle accuratamente, in previsione dell' incarico di sorveglianza sotto copertura che aveva accettato lo scorso anno e sapeva come Tony Stark avesse violato, con una sola mossa, tutti i firewall protettivi del sistema operativo del primo Helicarrier.
E sapeva anche che il Capitano Rogers, giunto alle stesse conslusioni di Iron Man per altre vie sui reali propositi d' impiego del Tasserakt, aveva mostrato in quel frangente di detestare chi nascondeva la verità o peggio, cercava di convincerlo del giusto di una versione ritoccata per convenienze giudicate inacettabili.
L'infermiera vicina di casa, con una zia petulante e adorabile che la chiamava tutte le sere per sapere come stava, era stata solo l'ennesima distorsione, una bugia a fin di bene capace di causare la più gelida delle indifferenze.
Da quel giorno, dopo la morte del Direttore Fury, l' agente 13 si era ripromessa di trovare il modo per riscattarsi. Per dimostrare di essere stata solo fedele al suo dovere, ligia a un ordine e per preservare l' incolumità di un uomo prezioso non solo per gli Stati Uniti ma per il mondo intero.
Un uomo inconsapevole di avere un debito da riscuotere presso la famiglia di Sharon.
Scosse il capo, la coda di capelli biondi che scivolò sulla spalla sinistra. Non era il momento di essere emotiva.
Era stata scelta come testimone di un complotto che travalicava i confini del suo Paese e cosa peggiore, non aveva idea di come fermarlo.
Per la seconda volta nella sua vita, la domanda più importante divenne di chi poteva fidarsi, avendo le prove di possibili, nuove infiltrazioni anche in quegli ambienti ritenuti bonificati dopo la distruzione dello stato maggiore dell' HYDRA, insidiatosi nel cuore di potere dello SHIELD.
Un nuovo programma s' installò automaticamente e si aprì con un piccolo schermo dotato di tasti per la riproduzione di un video. Sharon osservò quello con la freccia play con lo stesso, quieto orrore di chi stava per tagliare l' unico filo utile per il disinnesco di una bomba. Attese, sapendo che doveva ricevere altre informazioni.


Dia inizio alle trasmissioni, agente Carter.


Che non fosse uno scherzo di qualche abilissimo hacker adolescente troppo annoiato dal codice binario, lo aveva compreso da un pezzo. Che ci fosse stato qualcuno a indicare lei come tramite degno di fiducia, anche; un qualcuno in grado di comprendere, alla fine, perché avesse accettato una missione dove era previsto mentirgli su ogni cosa.
Rilassando le spalle, decise d'imboccare l'unica via possibile.
Si era fidata del Capitano Rogers già una volta ed era stata la scelta giusta.
C'era sempre un prezzo da pagare per la verità a ma fronte del guadagno, Sharon Carter non si sarebbe mai tirata indietro.
Portò il cursore sul bottone e cliccò.




Ogni museo poggiava le proprie fondamenta su un edificio sottostante, spesso grande quanto quello dove le opere più celebri venivano esposte.
Da porte rigorosamente chiuse ai visitatori, si poteva accedere a livelli sotterranei che ospitavano sterminati magazzini stipati di capolavori che il caso e l'ente dei Beni Culturali destinavano all' oblio.
Stanze quiete e dall' umidità controllata ospitavano laboratori di restauro e conservazione, archivi di catalogazione e servizi di stoccaggio e controllo, destinati alla piena attività quando si dovevano allestire mostre e preparare dei quadri delicati come ali di farfalla, dopo decenni di vita, a prendere il volo per Washington, Boston o addirittura per Parigi o Roma.
Il servizio di vigilanza era proporzionato all' importanza del museo in questione: recentemente, l' amministrazione in carica era stata lieta di far sapere alla cittadinanza di aver dotato uno dei loro monumenti più importanti, polo di attrazione di centinaia di migliaia di turisti, di un nuovo sistema di sicurezza con registrazione e conservazione dei filmati su supporto digitale.
L'impianto d'allarme si gestiva per via telematica da una cabina di regia appositamente ideata, facendo sparire da ogni sala congegni visibili e decisamente anti estetici; bastava superare la zona considerata "rossa" per far scattare dei sensori in grado di mandare un impulso silenzioso nella sala comando.
L'unico problema possibile per uno sfoggio di tanta efficienza aveva un solo nome. E anche un cognome, a dire il vero.
"Tutta questa illegalità sta cominciando a diventare noiosa."
"Dobbiamo usare il nostro sistema di comunicazione per sentire le tue lamentele, Stark?"
Il complesso museale era chiuso da solo un' ora ma nessuno aveva avuto modo di accorgersi di sette ritardatari che vi erano entrati dai parcheggi del personale.
Divisi in squadre di due, i Vendicatori e i loro nuovi supporti esterni recentemente acquisiti, stavano perlustrando l'intera estensione del palazzo, alla ricerca della classica porta di Alice da attraversare per finire nella tana del Bianconiglio e sporcarsi un po' le loro candide code a batuffolo.*
Clint Barton e la sua sterminata cultura letteraria inglese sapevano produrre queste e ben altre metafore. Inutile dire quanto Tony l'avesse apprezzata.
Andare a zonzo per un posto simile, provvisto di un reparto di agenti di sicurezza privato, sarebbe stato impossibile, a meno che non si fosse un genio milionario in grado di sublimare il segnale video delle telecamere notturne, facendo trasmettere da esse intere ore di calma e tranquillità, dove niente si muoveva.
James e Steve si trovavano nell' area riservata all' Arte Moderna. Armati di uno scanner a infrarossi della grandezza di un palmare, cercavano la presenza di corridoi non segnalati dalla mappa scaricata dal catasto, gentilmente messa on line dal Comune di New York. Quando ricevevano un segnale di pericolo tramite auricolare, si appostavano in modo da eludere le ronde.
"Non è cambiato molto, da quando ci venivamo da ragazzi." Nel constatarlo, la voce di James era risuonata meno piatta e monocorde di quanto ci si sarebbe potuto aspettare.
"Spiacente d'interrompere il vostro tour nei ricordi tra gli Impressionisti, ragazzi, ma io e Clint ci staremmo annoiando."
Barton e Natasha erano stati i primi a sparire dai radar, forzando una porta protetta da un sistema alfa-numerico per accadere all'area di restauro.
I loro rilevatori avevano identificato un vuoto sotto quelle stanze e visto il carico che si erano portati appresso, era stato necessario farli entrare per primi nell' area riservata, prima che alla reception principale si potessero accorgere di non aver fatto passare due tecnici specializzati nella rigenerazione dei colori di un affresco rinascimentale e con un' attrezzatura decisamente sui generis in cui non erano previsti macchinari per la lettura a raggi X, set di solventi in grande quantità, valigie con pennelli e computer per le analisi batteriologiche e la spettrografia di massa.
"Vedete di occupare intelligentemente tanto tempo libero. A che punto siete?"
"Esattamente nella sala della TAC per i dipinti. Confermiamo il rimbalzo del segnale, qui sotto c'è qualcosa."
"Facendo un calcolo approssimativo" argomentò una voce femminile che strappò un sorriso appena arricciato sugli angoli delle labbra di Tony "l'area ha una grandezza esattamente speculare a quella dei laboratori ma non un accesso. Non rilevabile, almeno."
Al sicuro nel container-base di Brooklyn Bridge Park, Pepper stava dirigendo le operazioni con l'aiuto di un visore virtuale posto sull' occhio destro. Il microfono a esso collegato le permetteva di comunicare con la squadra e vedere in tempo reale ogni informazione utile reperita in Rete da Jarvis, inclusa la trasmissione di quanto stava avvenendo realmente sotto gli occhi delle telecamere.
"Troveremo dove bussare. Come siamo col nostro show?"
"Siete il programma più seguito dell' intera Intelligence ma per ora i loro tecnici stanno ancora tentando di stabilirne la veridicità comparando i dati che hai inviato all' agente 13."
Tony, accompagnato da Sam, si produsse nella sua plateale alzata d' occhi a bocca leggermente dischiusa.
"Spero si diano una mossa. Segnalateci qualsiasi anomalia, il tempo stringe."
C'era un' altra persona consapevole di quel mero dato di fatto. Era seduta vicino a Pepper, gli occhi incollati su uno dei monitor che mostravano una pianta interattiva del museo, illuminata da sette puntini rossi in movimento.Se li spostava, era unicamente per seguire le immagini catturate dalle microcamere di cui tutti erano dotati.
Andy non aveva più parlato da quando aveva visto Steve partire con Bucky. Avrebbe dovuto essere portata in un luogo più sicuro, magari scortata da Maria ora di guardia al perimetro attorno al loro nascondiglio ma l'ipotesi non era stata suggerita da nessuno ed era stata ben felice di non doversi impuntare inutilmente.
Aveva chiara una sola cosa, sopra tutte le altre: i Vendicatori stavano di nuovo rischiando la loro vita per salvare quella di milioni di persone e per di più lo stavano facendo da soli. Non esisteva più un organo in grado di coadiuvarli e niente per proteggerli.
Lasciarli in una situazione simile le sarebbe pesato sulla coscienza per sempre e nel realizzarlo con tanta lucidità, capì come il suo attaccamento a Steve avesse un ruolo marginale nella ferma intenzione di poterli aiutare, seppure con i suoi limitatissimi mezzi.
Anche lei era in collegamento con ciascuno di loro e osservava quanto stava accadendo, prestando ben poca attenzione alle altre finestre azzurrine disseminate attorno, in quello spazio comunque angusto. Ciascuna di esse feriva l'oscurità con una serie di filmati, mostranti edizioni speciali su edizioni speciali riguardanti l'enorme attacco hacker piombato addosso a tutti i mezzi d' informazione di Polizia, servizi segreti, agenzie federali. Il virus era stato accettato inavvertitamente da un solo terminale e nel giro di secondi aveva infettato qualsiasi altro computer.
New York sembrava un calderone di caos sul punto di esplodere ma niente riusciva a filtrare attraverso le spesse pareti di ferro del container e nella sua testa. Smise di seguire i passi di Tony e Sam e tornò su Steve e Bucky.
"Sono davanti ai Monet, se ricordo bene" mormorò sovrappensiero, senza nemmeno controllare la veridicità dell' affermazione.
Quante volte aveva visitato quel palazzo, spesso da sola a caccia della tranquillità infinita che solo un quadro e il mondo pronto a schiudersi dietro di esso poteva darle. Sbottò una risatina, nel cogliere l'occhiata di Pepper; l' istinto di conservazione le aveva fatto appena trovare l'ennesimo collegamento a una realtà in grado di tenerla razionale e pronta a reagire.
"Memoria visiva?" le domandò dopo aver constatato che aveva intuito correttamente la posizione dei due uomini.
"Credimi, gl' Impressionisti hanno quel nome non a caso. Almeno per me."
"Hai ragione. Non li puoi dimenticare, una volta visti. I giochi della luce sull' acqua della Grenoullière** di Monet sono incredibili."
"Sei stata al Brooklyn Museum di recente?" le chiese con l'intento di stabilire una chiacchierata apparentemente frivola. Sarebbe andato bene parlare anche delle ultime tendenze sul colore degli smalti, pur di non pensare troppo al pericolo contro cui stavano andando persone ormai care.
"Ti stai sbagliando; quel dipinto è parte integrante della raccolta esposta al Metropolitan."
La correzione di Pepper era stata fatta con una levità tale e innocente da renderle incomprensibile la reazione di Andy.
Un attimo prima era seduta compostamente al suo fianco, quello dopo era scattata in piedi con gli occhi sgranati, puntati su un ricordo divenuto tanto concreto da sostituire tutto il resto.
Stava rivedendo il corridoio di marmo chiaro, i quadri esposti e con la mente si girò verso uno dei suoi preferiti: quello raffigurante un pranzo festoso su un ristorante galleggiante della Francia di fine Milleottocento. Al mondo, ne esistevano due versioni, realizzate da una coppia di amici i cui cognomi sarebbero stati destinati alla Storia dell' Arte da quel momento in avanti.
Come era possibile non se ne fosse mai accorta?
"Grenoullière?" ripetè allibita, incredula di fronte alla scoperta di un inganno tanto plateale.
"Sì, certo..." balbettò Pepper, scossa dalla repentinità del suo cambiamento d'espressione "Il quadro é al-"
Invece di calmarsi, la ragazza afferrò uno dei braccioli della sua seggiola, spingendosi in avanti con tanta forza che l'altra si sentì sballottare.
"Jarvis!Fammi parlare con loro, subito!" Più che un ordine, suonò come una preghiera disperata.
"Andunie?" domandò un secondo più tardi un allarmato Capitano, bloccandosi in mezzo al corridoio dell' esposizione e intimando all' amico di fermarsi con un'occhiata.
"Fermatevi! Guardatevi intorno, c'è una tela di formato medio-grande che raffigura un isolotto su un fiume?"
Il sistema operativo doveva aver aperto tutti i microfoni e gli auricolari, a giudicare dall'espressione che James assunse nel voltarsi verso il muro alle sue spalle.
"Ci sono davanti io, credo. A destra c'è una zattera galleggiante?"
"Sì, sì!" Andy ormai saltellava sul posto per sfogare la tensione. " E' un ristorante all' aperto, l'attrazione più famosa di quella località balneare fuori Parigi. Monet e Renoir la dipinsero insieme, nel Milleottocentosessantanove."
"Non mi sembra il momento per una lezione di storia..." provò a dire Clint, che poteva seguire solo le conversazioni in corso senza vedere cosa stava accadendo ai piani superiori.
"Invece temo vi serva" lo interruppe Andy, armata di un'urgente autorità in grado di far tacere ogni timore reverenziale.
"Quel quadro io l' ho visto a Brooklyn, esattamente dove lo sta vedendo James. Il problema è che non può trovarsi lì! Gli Stati Uniti possiedono la copia dipinta da Monet ma è esposta da tutt' altra parte, a Manhattan!"
Steve non aspettò oltre e portò il monitor del palmare davanti al quadro. Il cuore accellerò di colpo.
"C'è una porta, dietro. E' nascosta molto bene e la pulsantiera per inserire il codice è proprio al centro dell'opera, dove convergono le linee prospettiche."
"Pretenzioso, come campanello." constatò Tony che bloccò Sam e gli fece cenno di seguirlo più in fretta possibile, tornando indietro verso l'ingresso
"Ringrazia la tua fidanzata, signor Stark. Altrimenti non me ne sarei mai ricordata."
Andy chiuse il collegamento senza aspettare la risposta; svuotata di ogni energia, piegò le ginocchia e scivolò a terra, lo sguardo vitreo perso nel vuoto.
"Sono stata un'idiota" mormorò cominciando a tremare.
"Io direi tutto il contrario."
"No, non hai capito. Se la professoressa Potter sapesse che ho sempre sbagliato museo per la Grenoullière, mi toglierebbe il diploma della Brooks senza pensarci due volte!"
La tensione, diventata compatta e soffocante, venne soffiata via dalla risata di Virginia Potts.
"Andunie Marjorie Martin, sei decisamente la persona più assurdamente incredibile incrociata di recente!"
Considerato chi doveva aver conosciuto di assurdamente incredibile tra Semi-dei, agenti sotto copertura, scienziati infettati da virus distruttivi e il suo compagno, Andy prese il suo complimento e lo mise al sicuro dietro un sorriso tirato.




Quando il passaggio si svelò a lui, James, Tony e Sam, Steve comprese cosa volesse dire provare un acuto desiderio per qualcosa che non era opportuno avere al momento. Ovvero, Andy a portata di abbraccio e da premiare un bacio.
Il falso della Grenoullière non faceva parte dei quadri esposti in quell' ala negli anni Quaranta del secolo scorso; doveva essere stato collocato molto più recentemente, magari proprio a ridosso del suo risveglio nel nuovo secolo. Solo una ragazza figlia di quel tempo avrebbe potuto accorgersi dell' inganno. Una ragazza amante dell' arte.
L' HYDRA doveva aver accolto con gioia la notizia del suo ritorno alla vita, prospettando una ripresa del loro orrendo piano; lo stomaco, impegnato a sciogliersi in un languore da reprimere per senso del dovere, riprese consistenza solida e divenne pesante; una strana creatura estranea al suo corpo, pericolosa e irta di aculei che si stavano infilzando nelle viscere.
"Andiamo."
La voce e il tocco di James sul braccio lo riportarono nel presente. Doveva aver intuito che mostro si era agitato in lui per un lungo istante e lo aveva anche riconosciuto; quegli occhi grigi erano pieni di una consapevolezza destinata ad alimentare un senso di colpa eterno.
Ciò che hai provato tu lo provo anch'io. Sempre.
"La nostra gita culturale si chiude qui, signori."
Tony e Sam li avevano raggiunti. Il veterano scambiò un' occhiata con James, che annuì in risposta; estrassero entrambi delle pistole di piccolo calibro dalle fondine ascellari nascoste dalle giacche e si misero in testa al piccolo gruppo. Steve drizzò la schiena, portando l'indice destro a premere lievemente l'auricolare perfettamente mimetizzato.
"Natasha, Clint, abbiamo trovato l'accesso. Stiamo per raggiungervi."
"Siete sicuri ci sia un modo per arrivare qui?"
"Jarvis ci sta già lavorando."
"Allora andiamo a prepararci per la festa."
 
*


"Agente Carter, si rende conto di cosa sta sostenendo?"
La ragazza ricambiò con fermezza lo sguardo sprezzante del suo supervisore.
Gordon Renly sarebbe stato a suo agio tra le Montagne Rocciose, a capo di qualche sperduto accampamento di forze speciali in missione di addestramento con delle esche per il fuoco e poco altro per andare a caccia di animali per il rancio della truppa: viso dagli occhi infossati, barba incolta e folta a nascondere una bocca sottile perennemente stretta in una linea di feroce disappunto col mondo intero, rughe d'espressione sulla fronte e attorno agli occhi scolpite con l'accetta.
Per sua somma sfortuna, la bravura con cui plasmava elementi di valore da spedire ai quattro angoli del globo per servire il loro Paese, era stata notata da alcuni Senatori dotati di seggio permanente presso la Segreteria di Stato americana; quindi presa, lustrata con una promozione e spedita ai piani alti del settore relativo dell' Intelligence.
Sharon stava provando la spiacevole sensazione di essersi offerta alla sua sdegnosa ira senza averne mai avuto reale intenzione.
"Perfettamente consapevole, signore. E i nostri tecnici informatici hanno appena dato la conferma."
Attorno ai due, si era sviluppato un silenzioso, invisibile vortice di tensione, così denso e pesante da escludere automaticamente gli altri presenti.
Erano ancora nel grande ufficio open space pieno di scrivanie ma il silenzio era tale da poter dare l'illusione di trovarsi nel proverbiale deserto rosso di qualche sperduta landa western; lo scenario ideale per un classico confronto prima della sparatoria risolutiva.
"Stiamo aspettando notizie dal Consiglio di Sicurezza."
"Lo stesso che è stato manipolato e quasi distrutto da Alexander Pierce?"
Renly, ex ufficiale entrato nella CIA dopo una gloriosa carriera di reclutatore e addestratore per i Marines, ridusse gli occhi a due fessure dandole il tempo di non perdersi un secondo di un gesto che anni prima aveva significato terribili detenzioni disciplinari per le reclute troppo sfrontate. O incubi notturni ben peggiori di qualsiasi punizione.
Tempo due secondi e sicuramente sarebbe arrivata quella.
"Forse allo SHIELD tolleravano la sua lingua lunga, agente ma qui non usiamo tanta cortesia verso gli ultimi arrivati."
Eccola.
Puntuale, spietata, raggelante.
La voce di ghiaccio.
Sharon ingoiò con grande dignità il groppo formatosi in gola e portò la mano sinistra a puntarsi indolente sul fianco.
Non si trattava più di rispettare la gerarchia, di essere disciplinati. In ballo non c'era una promozione o un provvedimento disciplinare; erano cose priva d'importanza, alla luce di quanto tutti stavano vedendo, da ogni schermo reperibile nell' intero complesso del Pentagono. Anche in quell' istante, capannelli di funzionari stavano fissando sbalorditi la clamorosa effrazione di Captain America e Iron Man nei sotterranei del Brooklyn Museum.
"Con tutto il rispetto, signore, non abbiamo tempo di stabilire chi abbia la priorità di azione o un eventuale strappo alle Regole d' Ingaggio."
"Siamo in guerra e hanno avvisato solo lei?" Quello sarebbe dovuto suonare come uno schiaffo ma la ragazza non sbatté nemmeno le palpebre. Da qualche parte sotto la barba di satiro di Renly, un remoto impulso nervoso tese all' insù l'angolo destro della bocca. Era la massima manifestazione di ammirazione che potesse concedere e si verificava solo davanti al riconoscimento di una volontà di ferro.
"Sì. Siamo in guerra. Lo siamo da quando abbiamo scoperto i reali obiettivi di Insight."
Non poteva cedere di un passo. Disperatamente risoluta, l'ex agente 13 si aggrappò al ricordo che sempre le veniva in aiuto nei momenti di maggiore stress emotivo.
Era lì, in uno scrigno ben chiuso, che conservava l'immagine delicata e fragile di un volto femminile un tempo bello, su cui il passare degli anni aveva disegnato un fitto reticolo di rughe. Capelli candidi posati morbidamente su un cuscino, una voce ferma cristallizzata in un sempre più raro momento di lucidità.
"Io ho sempre creduto in lui. Fino in fondo."
Lo farò anche io, nonna.
"Dobbiamo muoverci, andare a vedere se quanto hanno scoperto è vero" riprese testarda, avvertendo abbattersi sulle spalle lo sconcerto, l'ammirazione, lo sdegno dei suoi colleghi. Pensassero quanto più li aggradava; la questione aveva travalicato da tempo i confini personali. Osservò a lungo il supervisore, sperando cogliesse e accettasse il suo implicito invito. Quando vide un guizzo nello sguardo impassibile di Gordon Renly, capì di aver vinto il primo di una lunga serie di round.
"Una squadra di osservazione?"
"Esattamente."
"Si prepari, allora. Pensa forse che la lascerò qui?"
 
*


"Troppo silenzio."
Invece di lasciarsi andare a una facile battuta, Clint annuì in direzione di Bucky, finendo di controllare la quantitàe la qualità delle freccie scelte per completare il suo equipaggiamento.
"Temo stiano preparando il comitato di accoglienza."
La squadra aveva raggiunto Occhio di Falco e la Vedova Nera servendosi di un altro accesso; Jarvis aveva mappato la parte nascosta dei sotterranei con la consueta celerità dopo che l'ingresso dietro il falso dipinto era stato svelato. Tony stava controllando i dati ricevuti sul suo palmare, prima di decidersi a seguire l'esempio di tutti gli altri e vestire la propria armatura.
"A quanto pare ci sarà un terremoto nell' amministrazione di Brooklyn, non appena si saprà chi ha dato in appalto a una forza terrotistica mondiale l'ampliamento di questo museo."
"Ci penseremo una volta scoperto cosa sta succedendo qui." Steve issò lo scudo sulla schiena. Era l'ultimo gesto, quello prima della discesa verso un Inferno ignoto e per questo più pericoloso. Non sapere esattamente dove stessero andando e cosa potevano aspettarsi era una follia, ferma a un solo passo dal suicidio. Eppure dovevano compierlo.
Dovevano mostrare.
Si voltò verso sinistra, osservando James mentre riponeva nella fondina sulla coscia un nuovo pugnale a doppia lama in fibra di carbonio. Aveva montato un piccolo Uzi in pochi secondi, prelevato dalle loro scorte abbastanza proiettili da falcidiare un plotone con poche mosse, posto in tasche predisposte della sua divisa, ora più logora e rovinata, minuscole granate a pressione e altre ad attivazione ritardata.
Quelle mani, meticolose e letali, erano quelle del Soldato d' Inverno. Quando le portò alla nuca, la destra impegnata a reggere tra pollice e indice un comune laccetto di gomma e legarono i capelli in una coda corta e arruffata, Steve assistette a una trasformazione. Un guizzo d'acqua libera sotto lo strato implacabile di gelo e ghiaccio. Una forza di nuovo viva, pronta a premere verso l'alto e spaccare la prigione in cui era stata costretta.
Gli esiti di un tale impeto non erano calcolabili. Bucky aveva ricordato molte cose, cose piacevoli e in grado di ridare un po' di equilibrio a un mondo appena scoperto e ancora impossibile da definire come suo ma adesso erano lontani dal rifugio sicuro dato dalla Stark Tower, impegnati a portare a termine un compito preso sull'onda della vendetta.
"Ti fiderai di me?"
James sbatté le palpebre. Steve gli aveva posato una mano sulla spalla, quella del braccio bio-meccanico. Perplesso, ricambiò lo sguardo dell' amico inarcando le sopraciglia verso l'alto.
"Ho la tua fiducia, come ai tempi della guerra?"
Il ruscello sotto la neve venne percorso da una potente bolla d'aria, che spinse e aprì una breccia nella spessa crosta di brina. L'inverno peròvera ancora pronto a mordere e quando il Capitano lo vide affilare lo sguardo, si rese conto che un nemico ulteriore da combattere era proprio davanti a lui.
"Mi stai chiedendo di non uccidere nessuno?"
"No." Steve rafforzò la sua presa. Questa volta le dita non si sarebbero aperte. Lo avrebbe trattenuto, lo avrebbe salvato.
"Ti sto chiedendo se ti fiderai di me come hai sempre fatto."
James non rispose subito. Si mise a guardare i preparativi finali dei suoi alleati, consapevole che al di là di loro non c'era nessun altro.
Per quanto spietata e priva di scrupoli, l' HYDRA aveva sempre fornito appoggi e mezzi al suo Soldato. Ogni richiesta, ogni bisogno, era stato soddisfatto con la pragmatica precisione di chi era in grado di pianificare uno sterminio su vasta scala semplicemente dando un paio di ordini ai terminali giusti; era certo che una simile organizzazione l' avesse posseduta anche lo SHIELD.
Ora entrambi quei nomi altisonanti erano ridotti a un cumulo di cenere. Provare a spazzarla via senza nulla a proteggere occhi e bocca poteva significare la morte. E vi stavano andando incontro consapevoli del rischio e altrettanto certi di poter trovare le risposte di cui erano in cerca solo alzando quella polvere venefica.
"Sei odioso" sbottò con astio. Steve s'irrigidì.
"A volte ti guardo e provo l'impulso di finire quanto avevo cominciato sull' Helicarrier. Non merito un grammo del tuo affetto ma a te questo non importa."
Con uno scatto, James gli afferrò il braccio. La sua stretta era disperata, una rischiesta muta di appiglio e salvezza.
"Ti vorrò sempre bene, questo non potrà mai cambiare. E temo mi fiderò sempre di te, sperando tu abbia la forza di perdonare ciò che ho fatto per l'ennesima volta."
Il protagonista è l' ultimo che potresti definire un eroe ma non è questo il punto. Il punto è che aveva qualcuno che lo ha portato fino alla fine della sua missione, qualcuno che gli ha voluto bene anche per i suoi silenzi e le ombre nate in lui durante quel lungo viaggio verso il regno del loro nemico.
Le parole di Andy risuonarono tra loro, cariche di tutta una saggezza che Steve comprendeva appieno solo ora.
Una ragazza vestita di rosso, troppo appassionata di caffé, che in quel momento lo conosceva da meno di due giorni, era riuscita a porsi davanti alla fonte del suo dolore senza sapere quanto fosse scavata in profondità e protetta da un perenne senso di colpa. Anche se aveva appena intravisto la realtà dietro il sorriso educato, i modi sempre corretti, istintivamente aveva compreso la situazione e lo aveva aiutato senza giudicarlo. E senza temerlo, gli aveva detto di non poter arrendersi e continuare semplicemente a correre, nell' illusoria ricerca di un confine sfumato entro cui ripetersi di stare bene anche se era solo, anche se non lasciava entrare nessuno nel suo cuore.
Era stata testarda senza impuntarsi, spietata nel colpire senza volerlo. Esattamente come James Buchanan Barnes.
Bucky c'era sempre stato. Sopratutto nei momenti più difficili, dove uno Scricciolo gli domandava perché perdesse tempo a seguirlo invece di starsene con gli altri bambini, ricchi e felici, del loro quartiere; quando aveva bisogno di essere rimesso in piedi, curato da lividi e ferite rimediate nella rissa giornaliera, protetto. Quando lo abbracciava per confortarlo durante un attacco d' asma particolarmente violento.
I ruoli si erano invertiti senza nemmeno se ne accorgessero, nel momento in cui il Sergente Barnes aveva riconosciuto nell' uomo alto e prestante lo sguardo limpido e puro di Steve, giunto a salvarlo e incapace di arrendersi alla notizia della sua morte. Non c'era bisogno di far notare simili sciocchezze e all'uomo dietro il risonante, tuonante titolo di Leggenda Vivente, servivano persone in grado di scardinare le difese issate da un pudore nei sentimenti con una mano tesa, un sorriso sincero; attacchi ben più devastanti di una battuta fatta per imbarazzare, ferire e far riflettere.
E James non aveva ancora finito.
"Se io, ridotto come sono, sono in grado di dirti questo, potrei scommettere l'altro braccio che in questa stanza sono presenti altre quattro persone del mio stesso parere."
"Su una sola cosa dissentirei." Tony aveva ascoltato il precedente scambio tra loro e sembrava ritenesse opportuna una sua chiusura prima di abbassare la visiera dell'elmetto della sua armatura. "Lasciarti il comando e le decisioni mi sta bene ma se ti azzarderai a pensare solamente a qualche stupida azione di sacrificio, sarò io a rovinare il tuo marmoreo sedere con una pedata."
"Non è un gioco, Tony."
"Lo sappiamo" intervenne disinvolta Natasha, assicurando un ultimo caricatore per le sue semi-automatiche alla cintura "Proprio per questo, vediamo di fare i seri e tornare tutti a casa. Te incluso."
Sembrava si stesse rivolgendo a un riluttante Steve ma qualcuno al suo fianco percepì un sottinteso che lo fece tremare in una qualche parte del suo animo dove era ben chiuso un ricordo tanto potente quanto inopportuno. Il Soldato cercò lo sguardo della spia e vi lesse fiducia. Sperimentare gioia immotivata insieme al suo esatto contrario era peggio di una scarica elettrica indirizzata al cervello.
La sala all'improvviso piombò nel buio. Un istante dopo, percorso dallo scatto di diverse armi da fuoco impugnate e armate e il brillare sinistro di un reattore Arc, la luce tornò, violenta, intermittente e di colore rosso.
"Hanno sentito il nostro campanello, finalmente!"
"Non vorremo essere tanto scortesi da scappare, allora."
Un battaglia sotterranea non avrebbe aiutato la manovra di Iron Man e Falcon. Steve lo aveva calcolato come possibile punto debole dalla loro partenza dal container; sarebbe stato inutile chiedere a Sam e Tony di rimanersene in disparte e comunque, non si sarebbe mai privato di loro due per paura di possibili danni immediati.
Non era più solo.
Prima di aprire la porta, prima di entrare di corsa nel corridoio segreto segnalato da Jarvis, scambiò un'occhiata con Bucky e pensò alla ragazza ora con Pepper.
Sarebbe tornato da Andy e non avrebbe mancato l' appuntamento, questa volta. Per nessuna ragione al mondo.




Angolo (tetro e buio) dell' autrice:
*La battuta di Clint è una citazione rivisitata dal primo film di Sherlock Holmes con il nostro RDJ. Quindi è ovvio che Tony l' apprezzasse tanto!
** La Grenoullière: a Bougival, suggestivo villaggio lungo la Senna, c'è un isolotto, il Croissy, che divide in due il corso del fiume. Attrezzato con un tipico ristorante all' aperto, era collegato alla terra ferma da un ponte e dotato di una zattera galleggiante. Monet e Renoir dipinsero la stessa veduta; il primo quadro è davvero al Metropolitan Museum di New York, il secondo al Nationalmuseum di Stoccolma.
Finito il nostro consueto angolo "Ulisse: il piacere della Scoperta" The List! Edition, avviso che mi sono fatta...prendere un po' la mano con la parte action e sto valutando di alzare il rating di una tacca.Tutta colpa della mia mania per i dettagli e dell' essere fan di serie leggere come CSI e simili.
Un abbraccio fortissimo e a venerdì prossimo come sempre!
Maddalena.





























 

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Capitolo 30
*** 27 ***


27




La porta si trovava sul fondo del primo degli sterminati magazzini in cui erano stipate tele e opere su file altissime di scaffali.
Sam pensò fosse un controsenso veder sfilare la loro improbabile squadra tra casse imbottite recanti scritte come "Busto femminile in marmo rosa, epoca Tardo Romana" o rastrelliere che ospitavano "Studi preparatori di Leonardo da Vinci". Stavano avanzando cautamente, in una formazione a cuneo, sperando di non dover sparare col rischio concreto di sbeccare o lacerare capolavori dal valore di svariati milioni di dollari, se non inestimabile.
Chiedersi vagamente come fosse possibile risarcire l'umanità per il danno irreparabile a una pala d'altare del Rinascimento Italiano era un modo efficace per tenere sotto controllo la pulsazione cardiaca.
Da quando erano entrati, l'allarme luminoso e silenzioso era cessato. Un pessimo segno.
"Ci stanno conducendo giù nella loro tana" constatò Clint quando, con la torcia, illuminò una ingombrante, colossale scaffalatura che toccava il soffitto. Dietro le assi di legno, s'intravedeva il baluginio inconfondibile di spessi battenti di piombo.
"Manuale del Cattivo, capitolo Primo: bisogna sempre portare i buoni a vedere la magnifica oscurità del proprio piano."
"Specie se è alloggiato in qualche splendida base segreta che sicuramente non ci farà uscire vivi?"
Steve venne bersagliato da un fuoco incrociato di occhiate storte.
"Era una battuta, l' ultima parte!"
"E ha rovinato decisamente l'effetto d'insieme. Però ti meriti una sufficienza per lo sforzo fatto. Su, vediamo di liberarci di questo affare!"
Iron Man aveva già alzato le mani, attivando simultaneamente i propulsori al centro dei palmi con una limitata quantità di energia, in modo da incanalarla in un raggio in grado di segare senza difficoltà il legno.
"Posso permettermi?"
Lo sfoggio di squisita educazione anni Quaranta del Ventesimo secolo spiazzò Tony quel secondo bastevole a James per andargli davanti e usare il braccio sinistro. Senza la minima difficoltà, divelse la struttura senza comprometterne la stabilità, liberando una porzione di parete bastevole per far accedere tutti alla porta blindata.
Tony, il volto celato dall' elmetto rosso e oro, girò il capo verso Steve. Il Capitano non aveva bisogno di vedere quegli occhi; immaginava perfettamente la loro espressione implorante, da bambino che pregava il genitore di soddisfare una richiesta impossibile. Ed essere il padre putativo di uno come Stark non era una voce in cima alla lista delle aspirazioni future.
"No."
"Andiamo! Una sbirciatina veloce!"
"Ti conosco, vuoi che sia io a chiederglielo!"
"A te non lo negherebbe."
"Riparleremo dell' inestimabile contributo che Bucky potrebbe dare alla Scienza dopo aver finito qui. Natasha?"
"Avevo decriptato il codice di apertura a metà della vostra discussione. Pronti?"
Il corridoio che trovarono non era angusto e polveroso come gli altri attraversati, quando ancora si muovevano seguendo la mappa ufficiale del museo: si trattava di uno spazio ampio, il soffitto alto per essere una zona di passaggio.
"Unica direzione: sempre dritto."
Ovvero, la via d'accesso corrispondeva con la via di fuga. Probabilmente era una voce contenuta nel Secondo Capitolo del Manuale citato prima da Tony. Stava a loro trovare il modo di sfruttarla con vantaggio.
Il secondo allarme era sonoro e fu subito evidente che qualsiasi cosa fosse accaduta tra quelle pareti, lì sarebbe rimasta. I passi del prevedibile comitato di accoglienza risuonarono distorti contro il pavimento di metallo, rendendoli sincopati. Tutto il complesso sotterraneo doveva essere stato insonorizzato.
Si trattava di una squadra di una decina di uomini, privi di qualsiasi connotato riconoscibile. La tenuta da guerriglia li copriva da capo a piedi, comprensiva di elmetto con visiera anti riflesso calata sul volto.
La mente di Steve si spense. Per riaccendersi su un altro piano, un altro canale. Dove venivano trasmesse nozioni velocissime di attacco e difesa.
I loro nemici erano provvisti di giubboti anti proiettili e scudi di protezione con cui evitare i colpi. Natasha, Sam, Clint e Bucky potevano essere facili bersagli; il suo scudo e l'armatura di Iron Man non potevano riparare tutti.
Lo sguardo sotto la maschera blu divenne cupo. La mano destra corse dietro le spalle con un movimento fulmineo.
James lo colse in tempo e s'inginocchiò a terra, lasciando visuale libera al compagno e allo stesso tempo estrasse da una fondina nascosta nello stivale un' automatica.
Quando lo scudo di Captain America volò verso il primo soldato centrandolo all'altezza del collo e facendo schizzare via la protezione, colpendo poi il muro deviando la traiettoria in un taglio che falciò il secondo prendendolo alla nuca, un proiettile scamiciato perforò l'articolazione del ginocchio destro al terzo. L'uomo stava cadendo a terra con un urlo ma se lo vide spegnere in gola a causa del peso del suo commilitone che gli franò sulla schiena di schianto, abbattuto da una freccia conficcata nel lobo frontale.
"Buonanotte, tesoro."
Il quarto poté solo sentire solo una voce roca, femminile e sensuale, prima di una scarica elettrica che dal collo, dove si erano strette un paio di piccole mani sottili, lo percorse fino alla punta dei piedi.
Approfittando della confusione generata dall' inizio dell' attacco, Natasha si era gettata in una scivolata a terra; ritrovato l'equilibrio con una capriola sulla spalla, era stato il classico gioco da ragazzi mettere fuori combattimento il suo obiettivo, certa che Sam e i propulsori di Iron Man stessero facendo altrettanto con i superstiti, resi incapaci di compiere la prima mossa grazie a un'azione orchestrata insieme, nata dalla straordinaria sintonia del Capitano col Soldato d' Inverno. Sarebbe stata ben più lieta di constatare la tenacia di certe abitudini apprese dai due combattendo insieme durante la guerra, se non fosse stata per la nota stonata rappresentata dagli occhi di James.
La stava fissando ed era pronta a giurare che quello indirizzatole fosse stupore. Misto a una disperata confusione.
"Tutto ben-"
"Andiamo, ne stanno arrivando altri!"
Il Soldato era già oltre lei, pronto a combattere di nuovo. Doveva lasciarsela alle spalle, andare lontano dal lampo dei suoi capelli rossi, non vedere più quel corpo capace di una grazia mortale continuare a muoversi sinuoso, subdolo, in una serie di fotogrammi andati a stamparsi col fuoco nelle retine.
James conosceva molto bene quel modo di combattere elegante, veloce e deciso. Il suo obiettivo era la completa inattività del nemico, da ottenersi nel minor tempo possibile. Era il suo prediletto.
Ed era stato lui ad insegnarglielo, in un cortile di cemento armato pieno di neve, quando il mondo da nulla stava diventando inesorabilmente quella ragazza smunta e indomabile, bella e terribile.
Dovette ricordare con tutte le sue forze di cosa fosse capace la neve per non cadere nel suo abbraccio. Non bisognava arrendersi a lei, pena una sensazione di confortante torpore, di beatitudine.
Natalia aveva posseduto quella bellezza e purtroppo per lui, la possedeva ancora oggi.




I cubi di legno galleggiavano attorno a lei, disegnando un cerchio il cui centro era rappresentato dalla ragazza accovacciata per terra.
Con un sorriso estatico, ogni tanto alzava le mani ossute e pallide per correggere la traiettoria di uno dei suoi amati giocattoli. Danzavano per lei e per la continua meraviglia suscitata da quanto sapeva fare, ora.
La porta della sua cella si aprì con uno schianto.
Uno dei cubi esplose in un'onda vermiglia, che riverberò sinistra sulla parete di vetro da cui gli uomini in camice bianco la fissavano a ogni ora del giorno e della notte. Due occhi scuri e minacciosi si piantarono sul nuovo arrivato, macchiatosi della colpa peggiore.
Mi hai disturbato!
L'uomo, alto e dal portamento elegante, sorrise con inaspettato calore alla sua prediletta. Portava una divisa scura, dalla foggia pomposa per quanto sobria; l'importanza del capo veniva accentuata dalla schiena dritta, dalle mani tenute dietro con atteggiamento marziale, a pugni chiusi. Gli occhi dietro un antiquato monocolo erano chiari e gentili.
Per lei, erano sempre stati colmi di gentilezza.
"Perdonami, piccola mia. So che non ami essere interrotta."
Bastò l' umile richiesta di scuse per farla capitolare; le varie forme sospese nel vuoto si erano bloccate e sicuramente gliele avrebbe scagliate contro se il suo risentimento non fosse stato domato.
"Mi rincresce davvero ma sono qui per portarti via."
La bocca della giovane, di un delizioso colorito rosa, si spalancò infantilmente.
Andare via?
Lasciare l'unico luogo dove era stata al sicuro? L'unico di cui possedesse ricordi, per quanto labili e spezzati?
Smarrita, si alzò in piedi e cominciò a guardarsi attorno freneticamente. I suoi poteri telecinetici vibrarono dello stesso allarme. I cubi tornarno in aria, tremando e schizzando irregolarmente in vari punti del soffito.
Andare via?
No, era impossibile.
Cosa doveva fare? Doveva portare con sé qualcosa? Cosa?
E poi arrivò la domanda peggiore. Quella che le fece strozzare un singhiozzo in gola.
Mio fratello?...
Una mano coperta di pelle nera le carezzò il capo. L'uomo si chinò verso di lei.
"Pietro verrà con noi, naturalmente. Lo facciamo per il vostro bene, Wanda. Non vogliamo che vi trovino."
Giusto, ricordò la ragazza, sentendo il sollievo sciogliersi dolcemente lungo la spina dorsale.
I cattivi. Coloro che se li avessero trovati, li avrebbero catturati e portati via dalle uniche persone in grado di comprendere davvero le incredibili abilità che rendevano i due gemelli casi unici al mondo e per questo, pericolosi.
Glielo ripeteva sempre, quella voce, durante le ore passate legate a una strana sedia. Le calavano un casco in testa, portavano una teca con dentro la luce azzurra e il mondo svaniva sbriciolato dall' impulso elettrico generato dai macchinari che convertivano quell' energia devastante in un flusso in grado di calmarla, di farle accettare la terribile verità destinata a chi era diverso.
Come lei e il suo adorato Peter.
Loro erano speciali. Erano sopravvissuti.
Rinati con nuovi, incredibili talenti. Degli autentici miracoli. Per questo andavano protetti.
Entrarono altri uomini, vestiti di grigio, il capo chino.
"Non siete ancora pronti per affrontarli. Ma riusciremo di certo a difendervi. Su, ora andate."
Wanda gli sorrise, un'espressione docile sul bel volto smagrito e pallido.
Rimasto solo, il Barone Von Strucker attivò una comunicazione dalla ricetrasmittente che aveva al polso.
"Dove sono?"
"Nel corridoio principale, signore. Hanno già superato il nostro primo commando."
"Mandategliene incontro un altro e poi agite come abbiamo stabilito. La stanza è pronta?"
"Ci vuole del tempo per portare la temperatura della capsula a quella ottimale per la criostasi-"
"Accellerate. E prima di metterlo lì, assicuratevi i campioni che ci servono e che non possa più nuocerci."
"Signore..."
"Deve morire, Dottore. Ormai è rovinato per sempre."
Le guerre non si vincevano con i sentimenti. La loro, di guerra, poteva essere vinta solo con miracoli in grado di spazzare via ogni imperfezione dall' umanità.




Sam mandò al tappeto l'ultima guardia dopo averla colpita alla spalla, prima che potesse arrivare al pulsante di allarme posto poco sopra di lui.
Se dopo metri e metri di acciaio e nulla cominciavano a comparire pulsantiere del genere, ci si poteva aspettare una sola cosa.
"Eccoci qua."
Tony ordinò a Jarvis una scansione immediata della parete; venne identificata una nuova porta.
"Abbiamo il tempo per trovare come aprirla?"
Steve inarcò il sopraciglio destro sotto la maschera. "Come se tu te lo volessi prendere."
"Chiedevo per educazione ma tranquillo; con altrettanta educazione avrei fatto questo."
Gli altri fecero un passo indietro. Natasha non vide molto del lampo di luce generato dai propulsori di Iron Man, dal momento che un' ombra imponente le si parò davanti. L'esplosione riverberò con un tonfo sonoro e sordo, subito assorbito dallo spessore delle pareti piombate; quando il fumo si diradò, davanti alla squadra si presentò un varco aperto su una stanza immersa nel buio.
Lentamente, come tanti piccoli incubi emananti luci ritmate, presero ad emergere alcune strutture.
James avvertì un brivido gelato scendergli dalla nuca alla base della spina dorsale. Si mosse per primo ma qualcosa lo trattenne.
"Non era necessario". La mano della Vedova Nera continuò a rimanere appoggiata alla sua spalla.
"Chiamalo risarcimento."
"Per la prima o la seconda pallottola?"
Il Soldato le lanciò un'occhiata da sopra la spalla. "Credi davvero che potrò redimermi con un paio di azioni simili e basta?"
Lasciò la donna con il peso di un dubbio ed entrò seguendo Steve ma dovette fermarsi subito: Captain America era immobile davanti a lui, la vista ora abituata alla penombra ma non a quello che si nascondeva nel suo misericordioso oblio.
Il laboratorio era una copia più moderna di quella scoperta da Natasha e Clint a Londra: molto più vasto, le apparecchiature ospitate al suo interno erano in numero maggiore, pulite, pronte all' uso immediato.
Alla loro destra si trovava una serie di consolle dotate di computer di ultima concezione. I led rossi indicavano una condizione di stand by. Una sterilizzatrice stava finendo il suo ciclo di lavaggio; ronzava ingannevolmente quieta nel silenzio opprimente.
"Clint."
Barton non ebbe bisogno di un ordine esplicito del Capitano per intendere le sue intenzioni; annuì con aria dura e prese una delle sue pistole; rivolse un cenno al Maggiore Wilson che lo imitò, andando a coprire con la sua operazione la parte opposta dell' ambiente con l' obiettivo di trovare altre porte e controllare l'arrivo di eventuali nuovi nemici.
Tony trovò lodevole la presenza di spirito dei due soldati, dal momento che gli stava risultando molto difficile distogliere lo sguardo da quanto troneggiava al centro della stanza.
La capsula aveva le dimensioni adatte per contenere un uomo di alta statura e ben piazzato. Giaceva su delle leve idrauliche necessarie per metterla in posizione verticale, con gli sportelli massicci e satinati aperti, osceni petali di un fiore che una volta chiuso, poteva operare un miracolo o una completa distruzione. Tutto dipendeva dai punti di vista con cui uno guardava alla questione.
Il sangue di Steve pulsava furioso, seguendo i battiti accellerati del cuore. Come da copione in queste situazioni, la nausea stava producendo un rumore persistente e fastidioso nel cervello, la era bocca ridotta a un deserto riarso.
Una vita prima, una vita consumata solo sui teatri di battaglia dell' Europa del secondo conflitto mondiale e poi finita sospesa nel ghiaccio artico, era stato fatto sdraiare sul lettino interno che ora stava vedendo.
"Qui c'è dell'altro."
Natasha si era allontanata dai compagni, incuriosita da un forma ovoidale circondata da un alone azzurrino.
Si trattava di un grosso gruppo elettrogeno di supporto a da cui uscivano dei bocchettoni a incastro. Quando James li riconobbe, il mondo diventò una macchia indistinta, freddo come il ghiaccio e letale come una frase.
Congelatelo.
La neve tornò a bruciargli i polmoni, impastandogli la lingua, ficcandosi a manciate crudeli lungo l'esofago. Cercò di respirare, d'incanalare aria prima di soffocare ma riuscì solo a produrre un rantolo prolungato, accasciandosi al suolo con le mani strette attorno alle tempie.
"Bucky!"
Solo l'atroce spettacolo del suo amico avrebbe potuto spezzare l'ipnosi malefica in cui Steve era caduto. Si avvicinò ma venne respinto con una tale forza da farlo capitombolare di lato.
"Non ti avvicinare!" biascicò il Soldato, tremando e cercando di rimettersi in piedi. Gli occhi grigi avevano le pupille ridotte a due capocchie di spillo, si muovevano febbrili tutto attorno per localizzare una via di fuga.
Ci voleva ben altro per dissuadere l'uomo che, per farlo rinsavire, si era lasciato picchiare quasi a morte senza difendersi; Steve gli fu di nuovo addosso, bloccandolo con una presa ai fianchi.
"Ci siamo noi, Buck!" gridò nonostante lo sforzo evidente per doverlo trattenere. "Non ti faranno più del male!"
Un lamento gutturale sfuggì alle labbra di James. La neve scendeva sempre più giù, rendeva insensibili i nervi, spegneva i ricordi faticosamente riacquistati. C'era solo il male, era circondato da esso e quelle voci indistinte, quelle braccia che lo stavano bloccando erano ostacoli, pericoli.
Sapeva solo di doversi liberare. A qualsiasi costo.
Stava per rifilare una gomitata a chi lo stava ancora stringendo quando intercettò uno sguardo azzurro e limpido, che lo stava implorando.
Guardami, ti prego!
Una fiammella di calore si accese all'altezza del cuore e bruciò la tormenta.
"Steve...?"
"All'ultimo istante utile" esalò la voce di Tony alle loro spalle, abbassando le braccia; le varie aperture poste sulle spalle della sua armatura sparirono con un veloce sibilo, tornando a nascondere i due piccoli razzi puntati sul Sergente Barnes.
Steve represse un gemito e sorrise all'amico. "Va tutto bene, va tutto bene."
"Ne sei sicuro? Sai cos'è quella capsula?"
Non c'era bisogno di rendere ancora più ovvia la natura di quel germe di violenza e sopprafazione. Senza aggiungere altro, il Capitano prese sotto braccio James e lo portò nel corridoio. Non si stupì più di tanto nell'accorgersi che Natasha li aveva seguiti.
"James" lo chiamò, incerta. "Cosa è successo?"
"Non è abbastanza chiaro, agente Romanoff?" sbottò l'altro con malcelata ira.
"Proprio perché lo so devi tornare in te il prima possibile" replicò, senza farsi scoraggiare. "Non possiamo andare avanti senza di te."
"Potrei farvi del male, se tornassi a-"
"E io potrei fermarti, come ho appena fatto."
La risposta di Steve era un pugno nello stomaco, diretta e impossibile da parare o evitare in alcun modo. Il Soldato lo soppesò con un' occhiata risentita, rancorosa. Supplichevole. Poco alla volta, Bucky Barnes si fece strada a calci e morsi e si ricongiunse nuovamente con quell' anima spezzata, trovandola decisa a vivere molto più di quanto avrebbe mai ammesso.
Era stato Steve a richiamarlo. Ancora una volta. E se era tornato con tanta rapidità, poteva voler dire solo che quanto aveva dichiarato prima di cominciare quella missione folle era la verità.
"Non mollarmi ora, Scricciolo."
"Non lo farei nemmeno se te lo meritassi."
La ricetrasmittente del Capitano si attivò. Clint sembrava preoccupato.
"Tutto bene?"
"Crisi superata. Adesso proseguiremo."
Il clangore metallico risuonò nel corridoio. Fu seguito da un secondo, poi da un terzo, prodotto da una granata lasciata cadere pochi metri avanti a loro.
Tony ebbe solo il tempo di sentire l'urlo di Natasha prima che qualcuno, non seppe dire se Steve o il Sergente Barnes, chiudesse la porta del laboratorio. Dalle fessure del battente si poté vedere solo una cosa.
Un lampo crescente e immane di luce violentissima, seguito da sibilo acutissimo e perforante, con una frequenza di Decibel tali da provocare un momentaneo scompenso nelle coortinate di Jarvis stesso. L'uomo dentro l'armatura dovette chiudere gli occhi, mentre le immagini trasmesse dal suo computer sgranavano e diventavano sabbia.
I sensi vennero schiacciati in una dimensione folle dove il tatto prendeva il posto della vista, trovandosi smarrito perché non sapeva cosa fare. L'udito venne annichilito, l'olfatto non diede più alcun segno. Come poteva darne, se ogni ricettore era stato inebetito?
Ogni cosa perse il proprio confine, sbriciolandosi e volando via come polvere, sugli ultimi secondo di quella sirena infernale esplosa a pochi metri da loro.
Quando il nulla arrivò, era inconsistente come la nebbia e fitto come un sudario.




Gli schermi virtuali si spensero all' improvviso, facendo riemergere le nude, fredde pareti del container. Il black out durò pochi secondi ma quando tornarono ad attivarsi, non riuscivano più a trasmettere nulla.
Pepper balzò in piedi.
"Jarvis, cosa succede?"
L'intelligenza artificiale non rispose.
Cinque secondi di silenzio divennero cinque secoli.
Poi un ronzio, sottile e persistente, che tornò a modellarsi nella voce confortante e impassibile che la donna conosceva da anni.
"Desolato signorina, ho perso il contatto con la squadra, nessuno risponde."
"Cosa?!"
"Si è verificato un sovraccarico improvviso di dati. Ho perso completamente la telemetria costante dei dati vitali del signor Stark e degli altri Vendicatori."
"Ordina una scansione urgente, subito!"
Il primo schermo tornò a mostrare la pianta dei sotterranei del museo; una alla volta, sette minuscoli puntini tornarono a brillare. Tre erano molto vicini, in un lungo corridoio.
"E' stata lanciata una flashbang e dai primi esami che ho potuto effettuare, non si tratta di quelle date in dotazione alla NATO per le missioni di salvataggio; ne hanno modificato la potenza foto-cinetica in modo da generare per pochi istanti la luce di un'esplosione termica."
"Stanno bene?"
"Una squadra si sta avvicinando al Capitano Rogers, all' agente Romanoff e al Sergente Barnes. Segni vitali stabili ma sono incoscienti e privi di difesa."
Pepper sapeva di dover pensare molto in fretta. Controllò il tremore che la stava scuotendo, lo represse e chiuse gli occhi. Li riaprì subito ed erano colmi della determinazione che poteva nascere da un corretto quanto disumano impiego brutale della disperazione a cui non si poteva abbandonare.
Prese a digitare furiosamente su una tastiera. Visualizzati i dati richiesti, alzò di scatto il viso; sistemò con piglio autorevole il microfono sulla bocca, pronta a dare battaglia. Contro le statistiche, contro le probabilità, contro ogni possibile logica.
"Fai partire l'allarme."
"La potenza del reattore Arc è ancora al massimo-"
"Fai partire l'allarme, Jarvis! Sveglia Tony immedietamente e iniettagli uno dei microchip medici se necessario! Preparane altri per Sam e Clint, sono i più vicini a loro, devono andare ad aiutare gli altri!"
Quando fu certa di aver dato gli ordini corretti, Pepper si concesse di voltarsi indietro. Aveva aspettato fino all' ultimo, ben sapendo di doversi preparare a quanto avrebbe visto.
"Andunie..."
La ragazza sembrava un fantasma. Pallida e col viso inondato da lacrime silenziose, si reggeva in piedi solo grazie alle mani artigliate alla seduta della seggiola dell' altra donna. Nonostante tutto questo, gli occhi non erano sgranati; una maschera traslucida di pena e ansia le aveva congelato i muscoli, rendendola inespressiva. Pepper poteva dire che respirasse solo perché vedeva il petto alzarsi e abbassarsi pianissimo, come se il rilasciare e incamerare aria potesse far esplodere il grido di angoscia represso chissà in quale angolo dei polmoni.
Alla fine, le labbra si schiusero ma per far uscire una voce ferma, una lama puntata contro chiunque avesse osato dirle che poteva essere finita.
"Non finirà così."
Andy lo sentiva. Sotto la pelle, nei muscoli, attraverso le ossa: non avrebbe mai creduto di aver perso Steve Rogers, i suoi sorrisi, i suoi occhi malinconici e nobili pronti a rischiarirsi per l' effetto di una risata.
Aveva un disegno da consegnarli, maledizione! Le aveva promesso che l'avrebbe riportata a casa!
Se lui o quel suo dannato amico si fossero arresi ora, avrebbe smosso il cielo pur di ritrovarli e vomitare loro addosso tutta la rabbia che meritavano.
Alzatevi. Alzatevi, combattete e riprendetevi ciò che vi hanno tolto!




Bianco.
Tutto attorno a lei era bianco.
La foresta era un regno incantato, congelato dalla neve, perfetto e letale.
Respirava a piano. Anche lei si era vestita di bianco, premurandosi di nascondere il rosso dei capelli nel cappuccio ben calato in testa.



Nero.
Tutto attorno a lei era nero.
Il luogo dove si trovava era freddo; la guancia destra era schiacciata contro una superficie metallica.
Respirava a fatica. Sentiva il peso dei capelli rossi scomposti e aperti a nasconderle il viso.


Era scappata dalla base segreta di notte.
Sapeva che avrebbero mandato Lui a prenderla ed era esattamente ciò che voleva per mostrargli quanto aveva imparato.



Era stato impossibile scappare.
In un angolo remoto del cervello sapeva che stavano venendo a prenderli. E che avrebbero catturato Lui prima di tutti gli altri.
No, non voleva aprire gli occhi. Non ancora.


La foresta divenne ancora più silenziosa.
Fu impossibile non sentire distintamente il rumore di un pesante scarpone affondare nella neve. Gli occhi verdi della ragazza vennero percorsi da un lampo di sfida.



Il corridoio si riempì dell' eco di decine di passi.
Fu impossibile non sentire distintamente quel baccano orrendo.
Le palpebre fremettero.


Lui arrivò annunciato dalla promessa di morte che le stava portando. Era scappata, aveva osato eludere la sorveglianza strettissima a cui era sottoposta e doveva essere punita per questo. Nel modo più atroce e definitivo previsto dal codice a cui aveva giurato obbedienza.
Il Soldato d' Inverno procedeva lento e letale come un lupo, sparendo e riapparendo nelle ombre ingannevoli proiettate dagli alberi. La bocca era coperta da una maschera anti gas, gli occhi grigi del predatore senza emozione nascosti dal visore a infrarossi.
La Bambina di Neve sorrise, ferina.
Era giunto il momento di mostrargli quanto era cresciuta.



Loro arrivarono annunciati dalla promessa di morte scritta nei loro mitra spianati, nei teaser pronti a colpire. Dei patetici "Eroi" avevano osato violare il loro santuario, portandosi dietro una loro esclusiva proprietà, dopo averla danneggiata per sempre condannandola alla fine.
Natasha finalmente tornò a vedere. Una massa scura stesa vicina a lei venne alzata di peso e aveva un volto, terreo e indifeso, parzialmente coperto da lunghi capelli scuri.
Il Soldato d' Inverno. Letale come un lupo, ora ridotto ad animale sacrificale.
Un viso di giovane uomo che scopriva nella sua espressione più vulnerabile.


L' allieva non si mosse fino al momento appropriato.
Leggera come un gatto, si staccò dal ramo dove si era appostata. Un balzo privo di sforzo, un euforico secondo di stallo in cui provò l'illusione di volare.
Quando la forza di gravità impose le proprie ragioni sulle sue fantasie, Natalia aveva già snudato il pugnale. Pronta per colpire.



La neve, la foresta.
Lui.
Il suo passo aggrazziato, la sua voce.
"Troppo avventata, malienki."
La sua fuga, la lotta nella radura, la prova che voleva dare a chi le aveva insegnato a uccidere.
E ora era lì. Svenuto, inerte, trascinato via lungo un corridoio troppo simile a quello dove ogni sua speranza era andata a morire, sepolta dall' Inverno.
Quello vero.
Quello che non le aveva mai fatto paura e l'aveva presa per distruggerla.
"Uchitel!"
Maestro.
Il suo mentore senza memoria e coscienza, il più bell' Angelo della Morte mai conosciuto.
Il freddo che l'aveva perseguitata trovò un significato e divenne un colpo di cannone sparato contro la porta blindata e incrostata di ghiaccio del suo passato.
Natasha boccheggiò ancora, tirandosi a sedere sulle ginocchia.
Era già stata costretta a quella posa, a quella resa.
Aveva già visto Lui venirle strappato via.
Questa volta non avrebbe fallito.
Altre grida, ordini latrati contro di lei e un primo sparo. Natasha rise, ebbra di qualcosa che non aveva nome ma solo uno scopo: uccidere.
Uccidere per salvare yego Uchitelem.*




Angolo (tetro e buio) dell' autrice:
Yego Uchitelem: il suo maestro.
Uchitel: maestro.
La granata stordente o flashbang, fa parte della categoria delle armi non letali. Il loro scopo è rendere incapace il nemico per un breve lasso di tempo. Non sviluppa eccessiva energia cinetica, non contiene frammenti metallici e non genera calore termico. Ovviamente, l'HYDRA e la Divizione X non potevano avere in dotazione una versione così normale.
Si comincia a intravedere il passato condiviso da Natasha e Bucky: molto l'ho ideato io basandomi su quanto è stato detto nel ComicVerse ma mi sono presa tutte le libertà del caso. Rimane il fatto che la Vedova Nera fu davvero addestrata dal Soldato d' Inverno ed ebbero una relazione.
Un abbraccio, i miei soliti muffin a tonnellate e a venerdì prossimo!
Maddalena








 

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Capitolo 31
*** 28 ***


28



"Quando stai per attaccare, devi avere già in mente le tue mosse e cosa farà il tuo nemico per fermarti."
La Vedova Nera si umettò le labbra, l'arcata superiore dei denti leggermente in vista; uno splendido felino pronto ad azzannare.
La seconsa squadra d'assalto era composta da cinque elementi. Il primi tre, che stavano arretrando in una formazione a cuneo, erano schierati con uno in testa e due a proteggerne i fianchi pochi passi più indietro. I mitra erano già puntati contro di lei.
Alle loro spalle, gli altri aprivano la ritirata trascinando via il Soldato d' Inverno, tenuto per le braccia. L'uomo era ancora privo di conoscienza.
"Cosa devi valutare, prima di ogni altra azione?"
"Prossimità e opportunità, uchitel."
Aveva sibilato la frase in russo. Il tempo di chiuderla e il piano era lì, nella sua mente, perfetto e mortale.
Cinque bersagli. Cinque morti.
Qualcuno ordinò di aprire il fuoco su di lei.
Prima voce: prossimità.
"Ogni pedina che abbatti deve essere utile per la prossima uccisione. Non puntare a chi è più lontano; daresti le spalle a qualcuno che potrebbe ammazzarti con una sola pallottola."
Natalia raccolse tutto il peso sulle ginocchia piegate e saltò.
Non corse, non si preparò in alcun modo. Agile come un gatto, interruppe di colpo la sua posa statica e scattò, la mano destra che corse alla fondina estraendo la semi automatica.
Il suo punto di atterraggio erano le spalle dell' uomo e lì arrivò, schiacciandolo a terra con tutto il suo peso. Prendere la mira necessitò di una frazione di secondo.
Lo sparo rimbombò plastico nel corridoio, il secondo lo seguì un attimo dopo; le due pallottole erano entrate ed uscite dai lobi parietali dei soldati , mentre il loro compagno finiva rovinosamente a terra col fiato mozzo.
Seconda voce: opportunità.
"Non avere alcuno scrupolo. Valuta istante per istante il progredire di una situazione e sfruttala al meglio."
Uno dei suoi due bracciali a scarica elettrostatica si attivò. Senza battere ciglio, la Vedova Nera chiuse la mano sul collo del primo avversario e strinse. Strinse. Strinse.
Concentrò la forza nelle dita, sentì cedere la cartilagine della trachea, il tessuto grasso dei muscoli del collo e alla fine il respiro della sua vittima si spense.
Alzò gli occhi verdi, inespressivi, sui superstiti. Quello che teneva James per il braccio sinistro urlò al suo compagno, il quale, ancora frastornato, si preparò a fare quanto era stato impedito agli altri.
Scivolando sul fianco, alzò la gamba sinistra in alto con un movimento a forbice, il piede a martello in modo che il tallone arrivasse sotto il mento, il punto più vulnerabile del volto lasciato scoperto dall' elmetto.
Natalia avvertì appena l'impatto dell'osso contro la suola chiodata e con una smorfia appena accennata, impresse la maggiore spinta possibile, ritenendosi soddisfatta solo quanso sentì saltare le articolazioni mandibolari.
Un fiotto di sangue disegnò un arco grottesco contro il metallo del soffitto; evidentemente, l'uomo doveva essersi morso la lingua, con la testa schizzata all'indietro prima di cadere. Lo disarmò prima che il corpo crollasse a terra; spianò il mitra ma l'ultimo ostacolo da eliminare prima di arrivare a James aveva chiamato rinforzi.
In quel punto il corridoio descriveva una secca curva ad angolo.
L'ideale per trovare un rifugio all' inferno di piombo che le venne scaricato addosso.
Con la schiena addossata alla parete, un Kalashnikov armato imbracciato e pronto a venir usato, Natalia sentiva il cuore battere calmo e placido contro le costole.
Il sangue irrorava ogni singola parte del corpo, aumentandone la ricettività.
Le orecchie non erano per niente infastidite dal chiasso immane delle munizioni vomitatele contro.
Una vita prima, quella nascosta dietro la porta impenetrabile che un Dio degli Inganni aveva provato a scardinare, si era vista portare via l'unica ragione per cui viveva.
Si erano promessi insieme di scappare, di trovare un modo per aprire un sentiero grande abbastanza per entrambi nella neve, nel sangue, nella morte.
Erano giuramenti privi di significato; avevano sempre saputo che potevano venir scoperti ma si vinceva meglio la paura, quando si era in due.
Le pupille di Natalia si dilatarono.
Ricordò due mani intrecciate che venivano brutalmente divise.
Ricordò la voce del suo Maestro.
"No, no! Non lei!"
I pugni nello stomaco, le risate di scherno, i pugnali.
Erano stati altri a scrivere la loro storia, a dare a entrambi un nuovo copione pieno solo di pagine bianche. Bianche come il ghiaccio e definitive come una sentenza capitale.
Le pupille tornarono normali, strette dalla morsa di una consapevolezza spietata. Grugnendo appena, infilandosi nell' unico secondo di quiete prima di una nuova bordata, Natalia si alzò e uscì allo scoperto.
"Ne'v etot raz!"
Non questa volta!



"Signore?"
Ok. Udito a posto.
"Signore?"
Ma non ci siamo già passati, vecchio mio?
"Signore!"
Perché diavolo le situazioni critiche si devono ripetere sempre uguali?! Che cazzo di sceneggiatura prevedibile!
Più che prendersela con la scarsa fantasia di chi, giusto un po' più in alto di lui, evidenziava i momenti critici in quel modo, Tony avrebbe dovuto ricordarsi di cambiare il monotono, martellante suono dell' allarme fatto scattare dal sistema informatico installato nella Mark 00.1
Accennò ad aprire gli occhi pesti e subito una lunce rossa, pulsante in modo offensivo, lo costrinse a richiuderli.
Che schifo di sapore aveva la bile in bocca?
Schifoso, senza dubbio.
"Funzioni vitali nella norma, flusso sanguigno in ripresa, funzioni cognitive al ciquanta per cento."
E fino a quel punto tutto era nella norma; i loro nuovi nemici per la pelle avevano decisamente giocato sporco, con quella granata stordente. Si appuntò mentalmente di non distruggere il loro arsenale, col fermo intento di trovare la riserva personale di simili giochetti, studiarli, crearne di più devastanti e stiparci un container da spedire al loro comandante supremo.
...Perché c'era sempre un comandante supremo, no?
Dio santo, rivoleva subito anche la restante metà delle sue ineffabili capacità cerebrali!
"Iniezione del microchip medico in corso."
Prego?
"Jarvis, un momento!" biascicò rimettendosi in piedi a fatica, mentre ogni parte del suo corpo ci teneva a fargli sapere che sarebbe potuto andare in mille pezzi, se non fosse stato per il guscio protettivo dell' armatura; doveva essere stato sbalzato via dalle onde sonore ad alta frequenza generate dall' esplosione, andate a disturbare pesantemente l' intera struttura bio-meccanica.
"Non credo sia necessario arrivare a tanto..."
"Vuoi discutere i miei ordini?"
In un remoto, caldo e sicuro angolo della sua coscienza, Tony Stark fu felice di realizzare di avere ancora delle orecchie funzionanti in grado di sentire la voce di Mrs. Virginia Potts.
Un minuscolo stantuffo premette un ago nella piega del suo gomito destro. L'effetto della prima scarica di adrenalina non tardò a soffiare via con prepotenza il poco di nebbia rimasta agli angoli del suo campo visivo.
"Non mi azzarderei, amore mio. Ci tengo alla mia integrità fisica, specie nella parte creativa."
La risata della sua fidanzata si piazzò al primo posto dei suoni più belli reperibili sulla faccia della Terra e non solo perché era una delle prime cose piacevoli che era tornato a sentire.
"Clint e il Maggiore?"
"Sono poco distanti da te, alle due uscite del laboratorio. Tony, hanno preso James. Natasha li sta inseguendo e non riesco ancora a localizzare Steve!"
"Jarvis, se ci sono ancora campi elettromagnetici attivi a causa della granata, datti da fare."
L'eco di una scarica di colpi d'arma da fuoco risuonò violenta lungo il corridoio, molto più avanti rispetto a dove si trovava.
Tony, aiutato dai sensori incorporati nella Mark, si orientò nel buio pesto. La visione notturna gli fece localizzare per prima Occhio di Falco. Alla fine, l'idea di dotarsi di diversi chip per l'automedicazione di era rivelata quasi più efficace di quelli che si era letteralmente ficcato in corpo per uno dei suoi ultimi esperimenti di vestizione estrema di parti di armatura mobili.
Quasi, eh.
Clint spalancò gli occhi azzurri; ansimò, come stesse imparando a respirare di nuovo in quell'esatto momento e si tranquillizzò solo nel vedere sopra di lui la luce azzurrina dei led di un elmetto dorato.
"Non ti secca se non ammetto che sei la cosa più splendida vista al mondo, vero?"
"Il tuo pessimo humor é confortante. Ce la fai a rimetterti in piedi, Legolas?"
Sapeva di star provocando un soldato e si verificò la reazione sperata.
Trovarono Wilson nell' unico secondo di silenzio prima di un nuovo inferno. Clint s'irrigidì istintivamente; non c'era bisogno parlasse.
"Andremo ad aiutarla subito, non preoccuparti."
"Ho la sensazione che non la troveremo in difficoltà." L'arciere si produsse in uno dei suoi sorrisi storti ma questa volta, la malizia aveva ceduto il passo a un' inedita apprensione.
Era stato addestrato a riconoscere i mutamenti da un' increspatura diversa nell'aria, a leggere i muti rimescolamenti in un' atmosfera e quanto aveva percepito lo riportò a una città lontana, dispersa nel cuore orientale dell' Europa, dove era stato mandato a uccidere uno splendido demone dai capelli rossi.
Aveva visto combattere la Vedova Nera al massimo delle sue capacità distruttive; quanto aveva provato e visto non lo avrebbe mai potuto dimenticare e ora, aveva sentito crearsi attorno la stessa sensazione.




Natalia si accovacciò a terra dopo l'ultimo salto, allungò il braccio, portò l'altra mano a reggere elegantemente il polso di quella impegnata a stringere il calcio della Beretta e sparò.
Il Kalashnikov giaceva ai suoi piedi, ancora fumante e con tutto attorno un barocco cumulo di bossoli vuoti; le era servito per aprire un varco nelle difese nemiche, in modo da avere visuale libera su due soldati ancora impegnati nel trasportare via James.
Il proiettile calibro trentadue perforò la milza del suo bersaglio; un secondo seguì la traiettoria del primo con spietata precisione. I tessuti e i muscoli perforati non avevano avuto il tempo di tentare una disperata contrazione per trattenere il sangue e gli altri liquidi intestinali, per questo fuoriuscì per andare a colpire la parete di una porta. E non il bersaglio sperato.
La Vedova Nera si lasciò scappare una pesante imprecazione in russo; dovevano esserci altri ingressi mimetizzati come quelli del laboratorio e adesso, uno di quelli aveva fagocitato il Soldato d' Inverno.
Con l' istinto ferito di chi aveva già dovuto vivere una simile esperienza, Natalia sapeva dove lo stavano portando; questo rendeva ancora più disperato il suo bisogno di trovarlo prima che fosse troppo tardi.
Non lo faceva solo per lei. Lo realizzò mentre armava nuovamente la sua pistola, allarmata dai passi che la stavano raggiungendo dalle spalle: si stava per posizionare una nuova linea di difensori. Sembravano proliferare come mosche ed erano avvantaggiati dal conoscere meglio dei Vendicatori quella base infestata da cunicoli segreti di grande effetto.
C' era un' altra persona per cui bisognava salvare James a ogni costo.
Col cervello attraversato da pericolose scariche elettriche rosso sangue, la spia russa riusciva a intravedere a fatica un ricordo, dove c'era l' ombra di un uomo alto, dai gentili e malinconici occhi azzurri e una stella d'argento sul pettorale di una divisa.
Si tuffò su uno dei corpi, strappandone lo scudo e alzandolo per proteggersi. Al primo secondo utile, lasciò il suo riparo per rispondere al fuoco, aperto dietro di lei. Sorrise beffarda nel vedere cadere come mosche degli individui che dovevano essere stati addestrati; non tutti potevano vantare il suo maestro, lo stesso che le aveva insegnato ad avere una mira tale con cui centrare più volte di seguito un oggetto già colpito. E perforato, come un organo vitale. Le aveva spiegato che un essere umano non possedeva la stessa compattezza in tutti i punti; alcuni di questi necessitavano di un maggiore impegno per poter uccidere due persone con pochi colpi, se erano a breve distanza reciproca e su una traiettoria ideale.
Una volta finito con la terza tornata, Natalia soffiò via dalle labbra una ciocca di capelli infuocati e si girò verso la maledetta porta.
Sentì troppo tardi un lamento, un muori, puttana e lo scatto di una sicura.
Il colpo non venne mai esploso.
Al suo posto, il guerrigliero rimessosi in piedi a fatica nonostante la gamba destra rotta in tre punti da tre diverse pallottole, venne abbattuto da un lampo argento, rosso e blu che dopo averlo colpito alla schiena incrinandogli senza dubbio diverse vertebre, tornò indietro per venir fermato da una mano con una presa ferrea.
Steve riagganciò lo scudo al guanto e non abbandonò la posizione lievemente china assunta per chiudere la propria difesa. Gli occhi erano glaciali ed inespressivi; lo si poteva capire nonostante le fessure aperte nell'elmetto di pelle e fibra di carbonio blu.
Aveva ripreso conoscienza prima di Tony e gli altri della squadra e aveva visto, come in un sogno, la figuretta scura di Natasha lanciarsi all'attacco.
Quando aveva scoperto contro chi e perché, il cuore gli si era fermato.
Come quel giorno.
Il giorno di una tormenta di neve, di una missione tra le più rischiose e importanti degli Howling Commandos, di un costone di montagna scabro come la lama di un pugnale e di un maledetto secondo.
Quello che non gli era stato dato per riuscire ad afferrare la mano di Bucky prima che l'asta di ferro cedesse e lui precipitasse inghiottito dall' inverno.
Adesso, a costo di sfidare Dio in persona, il secondo negatogli allora se lo sarebbe ripreso.
Con tutti i suoi fottuti interessi.
La Vedova Nera batté le palpebre; il velo sanguigno si alzò e riconobbe Steve. Lo sguardo si fece smarrito, mentre a fatica ricordava di saper parlare inglese e il presente tornava a invaderla trascinandola sotto la valanga fuoriuscita dal suo passato.
"Lo hanno preso!" esalò.
"Non questa volta, Nat. Coprimi!"
Lo scudo tornò a volare e si conficcò nella parete di metallo, deformandola e mettendo a nudo le giunture della porta che nascondeva.
Successivamente, Steve non avrebbe rammentato quante volte si fosse accanito su di essa, fino a sventrarla e accedendo a un ambiente ingombro di casse piombate.
Ma non avrebbe mai dimenticato il numero dei cadevari che cominciò a lasciarsi alle spalle.
L'allarme tornò a suonare, violento e ritmico.
Quella in cui era entrato doveva essere il centro vero e proprio della base: una serie di locali, dai soffitti incredibilmente alti per trovarsi sotto terra, si succedeva davanti a lui, tutti vomitanti nuovi nemici, soldati preparati a opporre resistenza in spazi ristretti.
Non avevano armi da fuoco ma molte altre da taglio o micidiali teaser. Steve torse il busto all'indietro e si trovò a sorridere, ricordando il piccolo battibecco con Tony avvenuto solo ieri.
Era vero: lui combatteva col suo scudo. E si stava apprestando a renderlo un'arma micidiale quanto un fucile da cecchino. Caricò tutto il peso e la forza di lancio sul braccio destro, disteso e teso. Lo fece scattare come una molla e liberò il colpo.
Il Vibranio scintillò disegnando una traiettoria ad arco, spezzata bruscamente da un muro che lo deviò in modo prendesse in pieno tre degli assalitori.
Per non doversi più occupare di loro, procedette a spezzare i loro sterni calpestandoli e correndo in avanti.
Verso James.
Lo aveva promesso a se stesso in un pub distrutto della Londra sotto assedio nazista.
Lo aveva scritto sulla sua agenda.
Un secondo, rivoleva solo un secondo.
Sai di dover lottare; fallo, non tirarti indietro. Provaci con tutte le tue forze e arrenditi solo se e quando dovrai. Almeno non avrai altri rimpianti.
Fulminea, crudele, l'immagine di un paio di occhi verdi più saggi di quanto si mostravano abitualmente, lo spinse a raddoppiare i suoi slanci.
Era anche per lei che non voleva più rimpianti.
I successivi minuti furono un incubo ovattato: sentì grida, ordini.
Lanciò il suo scudo. Lo riprese, lo affondò di taglio nelle articolazioni delle braccia che tentavano invano di attaccarlo. Si parò dietro di esso per schiacciarlo contro altri elmetti, ingaggiando una furiosa carica alla cieca.
Le sue mani si strinsero in pugni affondati contro qualsiasi cosa tentasse di frenare la sua corsa. A volte gli parve di sentire addirittura cedere gli strati dei giubbotti anti proiettile sotto i suoi ganci.
Avvertì il freddo del pavimento in cemento armato quando vi scivolò sopra per puntare alle gambe di un avversario con una sforbiciata, i piedi che piegarono e spezzarono rotule.
Era un concerto di scricchiolii di ossa, rantoli, lampi elettrici destinati a mancarlo.
E poi ci fu uno squarcio di dolore. Quello portato da un proiettile troppo fortunato, che gli aprì la manica della divisa fino a incontrare la pelle nuda dell' avambraccio.
Steve uccise lo sparatore spezzandogli il collo dopo averlo atterrato con un calcio, tenendo il ginocchio piegato; e allora vide chi stava seguendo.
Bucky sembrava un fantoccio privo di vita, trascinato a fatica verso una parte di quel laboratorio separata dal resto dall' ennesima porta, aperta quel tanto che bastava per mostrare una sedia sormontata da un complesso macchinario a tre braccia e con al centro, un casco da calare sulla vittima una volta che questa fosse stata assicurata e legata ai braccioli.
"Fermatelo!"
Captain America sogghignò, ferino e implacabile.
Un secondo.
Gli bastava solo un secondo.
La mano si aprì, scattò in avanti e lo afferrò.


Alla fine, la neve era tornata.
Esplosa davanti a lui, aveva annullato il mondo distruggendolo con le sue lunghe dita di ghiaccio; le stesse che erano affondate di nuovo nel suo cuore, nell' intestino, nei muscoli e nel cervello.
Non aveva potuto urlare.
Gola e polmoni erano stati soffocati, lasciando che il sipario tanto temuto e odiato calasse su suoi occhi chiusi.
Tutto era come quel giorno di settant'anni fa.
Il vuoto, il bianco a sovrastarlo da ogni parte, il silenzio. Il vento che agitava fronde di pini scheletrici. Il sangue.
Il pulsare di vene recise dalle ferite riportare nella caduta, la carne trasformata in polpa macerata.
Sapeva cosa stava per accadere.
Loro.
Loro stavano per arrivare e portarlo via. Ombre livide sul fondale dell' inverno, da dimenticare con l'arrivo dell' incoscienza e della speranza di morire, di non finire i propri giorni in mano al nemico contro cui si era sacrificato.
Aveva provato a scappare ma alla fine il sole ritrovato era sparito.
Avrebbe dimenticato tutto di nuovo. Avrebbe dimenticato lui.
Una prima scossa lo attraversò.
Lampi di dolore, i nervi che si bruciavano, urla impossibili da emettere.
Steve.
Lo scricciolo. Il suo migliore amico.
L'uomo per cui aveva disperatamente tentato di ritrovare Bucky Barnes dentro l' armatura nera del Soldato d' Inverno.
Una nuova scossa.
Interferenza.
"Bucky!"
Interferenza.
Un momento.
Nel caos distorto di ricordi travestiti da incubi, il Sergente imprigionato dalla neve capì una cosa. Non erano scariche di elletricità quelle che lo avevano attraversato. No.
Era una voce.
"Sono qui, Buck..."
Delle mani lo afferrarono per le spalle, trascinandolo fuori da una prigione fatta di gelo. Gli alberi della Foresta Nera della sua giovinezza interrotta tornarono a gemere, il freddo assunse consistenza e peso graffiandolo sulle guance e raschiando il braccio sinistro.
Interferenza, interferenza.
Non aveva quel braccio, quando era caduto. Uno sperone roccioso lo aveva tranciato via di netto quando vi era caduto sopra; come poteva sentirne il peso? Avvertire lo strano sibilo di articolazioni mobili e rispondenti agli impulsi?
"Apri gli occhi, ti prego. Ti prego, Bucky..."
La realtà lo colpì con la più piccola e corrosiva delle sue armi. Una lacrima che gli scivolò lungo la guancia.
Doveva svegliarsi. E lo fece.
La neve sparì, insieme alle ombre, a loro, al fischio lontano di un treno inghiottito dalle nubi basse ancorate su montagne di cui non rammentava il nome.
"...Steve?"
Era Steve, quello che sporco, ferito, con l'elmetto slacciato lo stava reggendo in braccio.
Seduti su un pavimento di linoleum nero, lucido come la superficie oleosa di un mare in cui era sconsigliabile annegare, i due soldati, i due fratelli, si guardarono e si ritrovarono.
"Non starai piangendo, spero!"
"Tu..." il Capitano avvertì la gola contrarsi. "Tu! Razza di bastardo ingrato!"
Senza troppi complimenti, lo risollevò in piedi con quanta rudezza possibile; dopo un primo giramento di testa, Bucky mise a fuoco il resto della stanza.
La sedia col macchinario e gli apparecchi medici per il controllo della lobotomia elettro-cardiaca gli provocarono un brivido di terrore tale da fargli rizzare leggermente i capelli arruffati ma fu la vista dei cadaveri a lasciarlo senza fiato.
Erano due e presentavano chiari i segni di una morte portata da una serie di colpi devastanti ricevuti al volto, al plesso solare e alle gambe. Gli stessi colpi che lui e Steve si erano divertiti a infliggersi solo poche ore prima, in una palestra sospesa a decine di metri sopra Manhattan. Non aveva bisogno di condurre un interrogatorio per capire chi era stato; gli bastò guardare negli occhi ancora lucidi e arrossati dell' Eroe per scorgervi gli ultimi spasmi del furore che lo aveva invaso sapendolo in pericolo.
"Stavano per sottoporti di nuovo al lavaggio del cervello!"
Aveva ucciso, registrò il Soldato. Il suo scricciolo aveva ucciso pur di salvarlo. Il peso della loro promessa lo inchiodò a quel momento con ancora più violenza di quella che lo aveva portato a ricordare chi fosse su un Helicarrier in fiamme, crivellato da razzi e sul punto d'inabissarsi nel bacino del Potomak.
"Hai la minima idea della paura che ho avuto?!"
Sì. L'aveva. Gli bastava vedere cosa aveva fatto per lui per averne una ben precisa e netta. Un foro di proiettile sparato a bruciapelo dove passò la loro amicizia, tutte le volte in cui Bucky Barnes aveva rialzato un pesto Steve Rogers da una pozzaghera dopo l' ennesima rissa, avvolto nelle stesse coperte per non farlo ammalare; il momento cui uno Steve nuovo solo nel corpo ma sempre uguale nel cuore lo aveva salvato dagli esperimenti di Zola. E quando gli urlò contro, in un oceano di esplosioni e incendi, con una base dell' HYDRA sul punto di esplodere, di andarsene via senza di lui.
Cosa gli aveva risposto?
"Io non ti lascio solo."
Steve smise di scuoterlo. Dio, non si era nemmeno accorto di averlo cominciato a fare. Lo fissò con un'espressione che andò a cristallizzarsi in un momento di massima tensione.
"Io non ti lascio solo, Punk..." ripeté realizzando chi fosse a dire una simile frase.
James si trovò imprigionato nell' abbraccio dell'amico, senza alcuna intenzione di sottrarsi. Lo sentì affondare la testa contro la spalla, mentre l'elmetto cadeva a terra. Lo sentì tremare per le lacrime versate in silenzio e come quando erano bambini, lo consolò senza bisogno di parole, premendo le palme delle mani -quella sana e quella artificiale- sulla sua schiena.
Il sollievo poteva essere tanto forte da provocare cali di pressione?
Steve se lo chiese remotamente; era abbastanza certo di essere sul punto di perdere i sensi in maniera assai poco decorosa ma scoprì di non esserne disturbato. Il pianto, il primo che si concedeva da molti anni, scemò con la stessa discrezione con cui era nato, lasciando tornare lucidità e presenza di spirito.
Aveva combattuto, non si era arreso. Qualche mese prima era stato disposto ad accettare il più estremo dei sacrifici, pur di avere la speranza di ottenere una possibilità: far ritrovare il vero sé stesso al suo amico. Dare almeno un significato giusto a un mondo dove tutto si era rivelato sbagliato. Invece di chiudersi nella solitudine, raggiungendo il pericoloso confine che questa aveva in comune con la disperazione, aveva ottenuto sul campo una seconda occasione e non solo con Bucky. Drizzando le spalle, prendendo un profondo respiro per ricomporsi, Steve pensò alla promessa strappatagli da Tony prima di entrare nei sotterranei del museo; alla chiacchierata con Natasha davanti a due tazze di caffé nero.
Ad Andy.
Ai suoi occhi verdi, al suo consiglio di leggere Il Signore degli Anelli.
Al suo modo di ascoltarlo, di capirlo senza spaventarsi delle sue ferite.
Andy. Spaventarsi...
I due corpi erano ancora sulla soglia del laboratorio. Vedendoli di nuovo, Steve avvertì un sapore immondo in bocca e la morsa del panico chiudersi sullo stomaco.
"Pepper!" chiamò premendo una mano contro l'orecchio destro.
"Ti ricevo, Steve."
"Andy...?"
Pepper Potts sapeva intuire le domande giuste senza che venissero formulate. Anche in questo caso, purtroppo, non fallì.
"Non ha l'auricolare ma ha visto tutto."


Pepper si era girata verso di lei non appena aveva finito di parlare.
Quando Jarvis era riuscito a ristabilire un contatto con la rete e i relativi sistemi d'intercettazione delle immagini, le due donne avevano assistito a quanto avevano visto anche tutti gli altri coinvolti nel piano di smascheramento ideato da Captain America: rabbia, dolore, rivalsa.
Erano rimaste atterrite e confuse dalla reazione di Natasha al rapimento di James; forse la Vedova Nera non si era resa conto ma aveva parlato in una lingua sconosciuta ad entrambe, invasa da una furia cieca, talmente divorante da farle dimenticare la necessità di avere prigionieri da interrogare. Andy aveva compreso, con umiltà e profondo senso d 'inadeguatezza, la differenza tra lei e chi si sporcava le mani fino ai gomiti per salvare quello che era anche il mondo di spie spietate, soldati efferati, Eroi senza più una causa.
Il gelo era arrivato dopo. Lo stesso provato nel profondo del suo essere in un giorno d'autunno a Central Park.
Il rumore raccapricciante di un' articolazione divelta risuonò nella testa come un funereo allarme, mentre assisteva al risveglio di un Capitano a discapito del ragazzo, gentile e diretto come pochi altri, imparato a conoscere.
Rigida come una statua, non aveva quasi battuto le palpebre, il respiro ridotto a un sibilo. Pepper dovette stringerle una mano, per costringerla a sussultare.
"Steve. Vuole parlare con te."
Un moto di ribellione le contorse tutto quello che si trovava dall'esofago in giù. Un altro, di natura ben diversa, le fece afferrare con mani tremanti le cuffie.
Avrebbe voluto trovare il nome giusto a una sensazione soverchiante quanto la prima.
L' illustratrice sarcastica e ironica si trovò senza parole, se non quelle che la fecero esordire con un goffo balbettio.
"Sono qui..." soffiò nel microfono, lo sguardo piantato sul monitor dove stava vedendo la soggettiva data dalla microcamera indossata da James, uguale a quella portata da tutti gli altri membri dei Vendicatori.
Il cuore di Steve tornò a battere normalmente solo quando sentì la voce che più gli mancava e più temeva rispondergli.
"Hai...visto tutto?"
Aveva bisogno di saperlo.
"Sì."
Una semplice sillaba si tramutò nell' inizio della lettura di una condanna a morte; quella che stava pendendo sul loro sentimento appena nato, sui loro baci, sulle promesse sciocche che sempre ci si scambiava quando si deponeva ogni difesa ai piedi di chi sapeva renderle inutili.
Se davvero Andunie ora aveva paura di lui, della forza disumana celata dietro uno scudo, sarebbe stato l'inizio di un nuovo sentiero, l' ennesimo da percorrere da solo con la prova che nessuno poteva riuscire a comprenderlo nelle sue luci e nelle sue ombre. Forse avrebbe avuto maggiore fiducia, se avesse potuto intuire quanto la ragazza si stesse battendo contro i suoi stessi mostri; ancora una volta, era un semplice rilevamento: stesse ombre. Stessi incubi.
Andy chiuse gli occhi e cercò il motivo, l' unico valido, per non scappare da tutto questo e ne scoprì uno solo.
"James sta bene?" domandò senza accorgersi del sorriso nascosto nella sua voce. Steve osservò l'amico, confuso.
"E' con me, sono arrivato in tempo."
"Allora conta solo questo. Hai avuto la tua seconda possibilità. Sprecala e..." ti amerò comunque. Perché sei tu, sei sempre stato solo tu "...e ti perseguiterò per il resto della tua vita, Capitano. E so tirare dei pizzicotti micidiali!"
James, che aveva sentito tutta la loro conversazione, vide il viso di Steve schiudersi in una promessa di risata trattenuta solo per rispetto al momento. E pensò che se il suo dannato, ritrovato amico non si fosse dato una mossa a mettere su una relazione stabile con quel portento ironico di donna, lo avrebbe costretto lui.
Il pavimento tremò sotto i loro piedi.
"Se l'avete finita di farmi commuovere, avremmo da fare ragazzi."
Sotto una battuta, Tony Stark aveva celato molto più di quanto sarebbe stato mai disposto a confessare.
"Ce ne sono altri in arrivo?" Captain America era tornato prontamente a capo delle operazioni. Ci sarebbe stato tempo per altro. Tutto il tempo del mondo, si promise.
"Dire che siamo circondati è un eufemismo" interloquì Clint, compassato come suo solito e intento a scoccare frecce di cui si poteva sentire solo il sibilo, preciso e mortale.
"Jarvis ha segnalato un nuovo ambiente proprio a pochi metri da te, Cap. E pare ci sia qualcuno ad aspettarci. Natasha sta per raggiungerti."
"Vi precedo, allora. Troviamoci tutti lì!"
Nel container a Brooklyn Brigde Park, Andy restituì le cuffie a Pepper; nello stesso momento, osservò in silenzio Steve partire alla carica.
Virginia Potts non commentò quanto aveva udito e non disse nulla sull'espressione che la ragazza aveva in quel momento.
Aveva già visto quello sguardo; riflesso negli occhi del suo uomo. Era quello di una persona resasi conto di aver trovato, finalmente, qualcuno abbastanza folle, coraggioso e degno per prendersi cura del suo cuore.






Angolo (tetro e buio) dell' autrice: siamo a tre capitoli dalla fine, contando l'epilogo? Ma davvero? Ok, scusatemi. Vado ad annegarmi sotto la doccia e torno.
No, stavolta sul serio: faccio fatica a credere che una simile avventura stia finendo. Faccio fatica a credere che in origine TL doveva essere composta da meno di dieci parti, subendo un' espansione della trama a causa della storia che premeva per essere raccontata in tutta la sua interezza.
Questa volta, niente approfondimenti o note. Gustatevi il ritorno della Vedova Nera in tutto il suo furioso splendore e il ritrovarsi di due amici. Mi troverete a strafogarmi di biscotti con gli occhi lucidi.
A venerdì prossimo!
Maddalena













 

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Capitolo 32
*** 29 ***


29




"Perché non me lo hai detto?"
Steve lo aveva lasciato da un minuto solo in quel laboratorio, per riprendersi da quanto stava per accadergli; la voce di Natasha lo colpì con la forza di uno schiaffo.
No, si disse James girandosi lentamente verso di lei.
Quella che stava guardando ora non era Natasha ma Natalia.
Essendo passato per la stessa tragedia, sapeva riconoscere quando una persona stava vivendo il trauma di trovarsene un' altra sotto una pelle che si era creduta sempre sola e unica. Troppo martoriata da cicatrici e segni di violenza per credere di averne una seconda, appartenente a qualcuno che era insieme parte di sé e corpo estraneo.
Aleggiava odore di chiuso e chimico, attorno a loro. Il Sergente ricordò che l'ambiente dove si trovavano adesso non era tanto diverso da quello in cui lo avevano segregato prima di sottoporlo al lavaggio del cervello e al più lungo ciclo d' ibernazione riportato nel suo file personale.
Gli occhi della Vedova Nera possedevano lo stesso colore ma era lo spirito albergante in essi a essere stato preso e ribaltato da capo a piedi; rivedere lo sguardo perso, terrorizzato e implorante della ragazza strappatagli via tanti anni prima, gli compresse il cuore fino al punto di farlo esplodere.
Mosse un passo verso di lei, senza capire se ad animarlo fosse un istinto suicida o qualcosa di totalmente diverso.
C' era un modo giusto per iniziare la peggiore delle missioni?
Non ti è stato insegnato il modo giusto. Ti è stato insegnato come fare e basta.
"Natasha..."
"Non chiamarmi così!" gridò lei afferrandolo per le spalle; lo costrinse a fare perno sui piedi, ritrovandosi sbattuto contro il muro con il gomito destro della donna premuto sulla trachea. La furia agitava il verde dei suoi occhi da gatta, rendendoli simili in tutto per tutto a quelli di un felino sul punto di azzannare la giugulare della vittima.
Natasha aveva ricomposto un puzzle dal numero infinito di pezzi in pochi minuti. Si sentiva ferita, tradita, violata nel suo nucleo più intimo: un minuscolo mondo con la forma di una radura piena di neve, che si trovava dietro la porta sbarrata da lei stessa per proteggere e gettare nel nulla i brandelli di un passato disegnato da impietosi colpi di bisturi sulla carne viva.
Adesso l'effetto di una lunga anestesia era finito e aveva battuto le palpebre, svegliandosi.
La prima volta aveva visto un cortile chiuso da mura di cemento e filo spinato.
La seconda, l'uomo alto e impressionante nel suo cappotto di pelliccia, una maschera anti gas a mostrare solo delle iridi grigie, fisse su di lei come coltelli puntati al cuore.
La terza, il loro scontro fuori dalla base.
Quando era fuggita per dimostrargli, nel modo più estremo ed efficace possibile, di essere stata una degna allieva e unica candidata possibile al progetto Vedova Nera.
E la quarta-
"Tu lo sapevi" gli sibilò sulla faccia "per questo continuavi a fissarmi, alla Stark Tower. Avevi ricordato la Siberia! Avevi ricordato me!"
James avrebbe potuto sopraffarla con irridente facilità. La spia era in preda a una frenesia da shock, l'ideale per approfittare della debolezza scatenata sempre da emozioni troppo violente.
Non mosse un muscolo; ognuno era troppo impegnato a ricostruire, prima ancora del cervello, la sensazione quasi animalesca di affinità avuta sempre con lei quando poteva abbracciarla.
Era stato un richiamo senza nome e ora stava tornando, violento e senza filtri, intossicante come un veleno.
Il veleno della sua Bambina di neve, destinata a portare il nome di uno dei ragni più letali al mondo.
"Sì, malienki."
Questa volta, lo schiaffo arrivò davvero; per quanto fosse in corso un trauma simile a un vero terremoto, la sua protetta sapeva come usare la forza fatta nascere nel corso dell' addestramento.
"Per tutta la vita...quella che pensavo essere, la mia vita, c'era sempre quella dannata porta."
Il gomitò affondò maggiormente nella fragile cartilagine tracheale.
"L'avevo chiusa io, quando sono giunta negli Stati Uniti."
Per non vedere più la figlia di Dreikoff.
San Paolo e l'incendio dell' ospedale per l'infanzia.
Clint che un secondo prima di trafiggerla con una delle sue infallibili frecce, come gli era stato ordinato, la risparmiava nonostante gli avesse procurato una frattura scomposta al femore destro.
Per non pensare più al fantasma che di tanto in tanto, nelle notti popolate da incubi, le sfiorava con la gentilezza di un amante devoto i capelli, sussurandole quanto amasse i suoi ricci colore del sangue.
Per non avvertire più il vuoto terribile lasciato dal peggiore dei sopprusi: toglierle il suo Uchitel.
Squadrò James con aria di fremente, folle sfida: ogni cellula del suo corpo lo stava provocando, invitandolo a provare a capire.
"Ora lo so" le mormorò con voice strozzata, lasciando le labbra dischiuse per prendere quel poco di aria che lei misericordiosamente gli stava permettendo di assumere.
"Non avrei mai voluto dirtelo, credimi...l'ultima cosa che volevo era distruggerti, malienki."
"Sei sempre stato così protettivo!"
Era un insulto, non un complimento. Tuttavia lo liberò, facendosi indietro di pochi centimetri. "La neve non ha bisogno di essere protetta."
L'eco martellante di pesanti anfibi chiodati percorse il corridoio. Presto altri uomini sarebbero giunti all' ingresso della stanza e non avrebbero atteso di vedere i cadaveri dei loro compagni per aprire il fuoco o lanciarsi sui due intrusi.
Natasha soffiò aria tra i denti serrati.
Prima di continuare a riempirlo d' ingiurie c'era una cosa molto più importante da fare.
Con un gemito simile a un singhiozzo, l' agente lo afferrò per la nuca e incollò le labbra a quelle di James in un bacio dove l'urgenza e il bisogno di conferme avevano sostituito il semplice desiderio.
Era una domanda fatta di pelle e sangue, a cui il Soldato rispose aggrappandosi ai suoi fianchi per trascinarla contro di sé.
Se il sorriso della sua Natalia era il sole del personale, incasinatissimo mondo di James Buchanan Barnes, i suoi baci erano le stelle che mai si sarebbe stancato di contare.


Captain America si chiese remotamente un paio di cose, mentre continuava ad aprire la strada ai suoi compagni verso il centro pulsante della base.
Quando e come erano riusciti a costruire una cosa simile?
Di quali connivenze aveva goduto l' HYDRA per ottenere i permessi agli scavi?
L'ipotesi di fatti recenti al momento aveva un solo supporto: il falso Monet trovato appeso nel museo, alloggiato in quella sala sicuramente dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Se davvero era stato appeso in anni recentissimi, i lavori per costruire un simile covo non potevano essere partiti dal nulla.
Imbracciò di nuovo lo scudo e dopo averlo lanciato, si tuffò a terra per evitare di avere addosso il corpo dell' ennesimo soldato abbattuto. Poggiate le mani, si diede la spinta per formare una capriola decisamente aggraziata, per un uomo della sua altezza e stazza. Ripresa la sua arma, attivò il canale di comunicazione con gli altri Vendicatori e Bucky.
"Stai per arrivare al corpo principale della struttura, Rogie." Tony lo avvertì pigramente, con in sottofondo il ruggito dei propulsori della sua armatura intenti a colpire qualcuno di poco gradito.
"Clint e Sam?" domandò appostandosi dietro l' angolo descritto dal corridoio; si sporse appena per controllare se la porta blindata fosse presidiata.
"Hanno stretto un' amicizia basata sulle piume, credo."
"Invece di usare paragoni ornitologici, vorrei sapere sove sono Nat e il Sergente Barnes..." provò a dire Occhio di Falco.
Il Capitano udì distintamente il fischio di un proiettile e un tonfo sonoro, seguito dal sogghigno divertito dell' agente.
"Siamo col resto della squadra. James sta bene."
Forse non sarebbe mai stato bravo a mentire o una spia credibile e forse, proprio per queste due imperdonabili lacune, Steve percepì una nota calda in quel nome pronunciato ora dalla Vedova Nera.
"Allora prepariamoci a-"
La cosa arrivò senza annunciarsi. Invisibile e letale.
Steve sentì la forza di cinque dita enormi chiudersi sul suo braccio e strattonarlo con violenza. Nel corrirodio deserto continuava ad esserci soltanto lui.
La cosa, senza connotati, senza forma, solo pura essenza violenta, strappò via lo scudo che ancora brandiva e lo fece volare in avanti a una velocità tale da sventrare il battente chiuso.
Dalle lamiere di acciaio aperte come labbra di una ferita frastagliata, s'intravedevano lontani baluginii di led colorati.
"Non fare cazzate."
Il mondo stava finendo. E uno dei primi segni dell' Apocalisse imminente era ricevere ammonimenti e inviti alla prudenza da parte di Tony Stark.
"E' un invito. E bisogna rispondere, agli inviti."
Sapeva che Sarah Rogers non avrebbe obiettato, davanti alla scelta del figlio di essere educato. Le buone maniere erano indispensabili, sopratutto quando dopo si sarebbe dovuto menare le mani.
Il Capitano si alzò, avanzando con passo sicuro verso la porta.
Era giunto il momento di portare a termine lo spettacolo.


"Andy? Tutto bene?"
"In una scala di relatività tra male e peggio, sono a mezza strada. E' un buon segno."
L'ironia della ragazza lo era. Pepper sorrise, studiando le immagini dei monitor.
"C'è una cosa che non torna..."
"Solo una?"
"E' la più importante. Se abbiamo avuto accesso ai maggiori canali di comunicazione e stanno per arrivare qui CIA, FBI, Guardia Nazionale e Dio solo sa chi altro...non stiamo per rivivere quanto è successo a Washington?"
La donna si voltò a osservarla.
"E' proprio questo che Steve vuole ottenere."
"Una conta degli alleati?"
"Esatto."
L'animale mitologico da cui il loro nemico prendeva il nome era capace di rigenerare ogni testa che veniva mozzata, rammentò Andy deglutendo. L'unico modo per ucciderla era cauterizzare ogni ferita e poi, mirare al cuore.
Osservando uno degli schermi, vide nuovi flash di telegiornali, collegamenti straordinari, interviste. La notte di New York era ancora più caotica del suo solito standard. Cittadini increduli rispondevano a patetiche domande di giornalisti buttati giù dal letto a cercare opinioni inutili in un frangente tanto delicato; cosa stavano facendo i Vendicatori? Era vero che la Casa Bianca aveva in corso un vertice speciale con tutte le forze di governo? Perché un tale dispiegamento di mezzi puntati sulla metropoli?
Scuotendo il capo, Andy si accorse che il morso della paura era meno doloroso. Sì, i suoi denti acuminati si erano ritratti un poco, sicuramente per merito dell' ammissione riuscita a fare a se stessa.
L'orgoglio dell' amore iniettò un po' di lidocaina salvifica nell' ansia martellante e la fece sorridere.
Captain America aveva trovato l' arma infuocata in grado di colpire togliendo ogni segreto da luoghi e verità abituati a camminare per il mondo sottoforma di illusioni; adesso bastava trovare l'angolo giusto per il primo fendente.
Il pensiero contenuto nelle parole dette a Steve la stava cullando, rendendo più sopportabile un' attesa snervante; era leggera, come un palloncino liberato dal filo.
Per quanto assurdo, folle e senza senso, in meno di una settimana, da un' agenda persa sul Park Ride, era nato qualcosa di travolgente e totale. Poteva continuare a ripetersi che era colpa dei pericoli trascorsi, dell' adrenalina ma la realtà prima o poi l'avrebbe riacciuffata e costretta ad ammettere che era solo una questione di pelle, calore e cuore.
Essere pronti per amare e amare di nuovo erano concetti simili solo nella prezenza di un verbo uguale e coniugante; tra di loro vi stava l' enorme distanza esistente tra una ferita e la sua completa guarigione. L 'ultimo punto si era suturato da molto prima di raccogliere quel quadernino da terra e lo aveva scoperto solo grazie a Steve.
"Un momento!"
L'esclamazione di Pepper squarciò l'illusione ovattata dei suoi pensieri. Il palloncino si bucò di colpo, lacerandosi e lasciando cadere brandelli di plastica colorata.
"Cosa succede?" domandò allarmata.
"Jarvis, una mappa tridimensionale dei sotterranei, subito!"
L' I.A. rispose all'ordine con la consueta efficienza.
"Dammi la posizione del Capitano Rogers."
Una sezione del corridoio principale s' illuminò e venne ricostruita in tre dimensioni. I rilevatori vitali e ambientali, evidenziati da nomi in verde e grafici correlati avevano registrato uno sbalzo preoccupante.
"C'è stato un picco di energia dovuto a fattori esterni, signorina Potts."
"Cosa è successo? Il Capitano sta bene?"
"E' incolume e sta dirigendosi al punto che ho contrassegnato e state vedendo ora."
Steve, ridotto a un punto rosso, avanzò in avanti. La luce pulsò frenetica, poi scomparve.
Andy non ebbe bisogno di sentire la preoccupata osservazione di Jarvis per intuire cosa fosse successo: Captain America era sparito, inghiottito da un buco nero.


La bambina era piccola, così magra dall'essere a un passo dal mostrare chiaramente i segni di un' inedia perniciosa.
Seduta dentro un enorme tubo trasparente, stava in mezzo a un locale ingombro di macchinari molto simili a quelli ritrovati da Clint e Natasha a Londra: apparecchiature mediche, un tavolo operatorio. Diversi, tavoli operatori. Tutti dotati di una postazione per analisi e rilevatori bio-metrici, simili a mani ossute pronte a chiudersi sulle loro vittime.
Steve sentì un fortissimo ronzio, poi il silenzio.
La comunicazione radio col resto della squadra era stata interrotta. Ancora senza elmetto, privato della sua arma, procedette nell' oscurità dove brillavano decine di minuscoli scintillii colorati, seguiti da un ritmico pulsare.
Ovunque c'erano sedie scostate di fretta e scaffali sgomberati frettolosamente. Dovevano aver staccato tutti i computer, a giudicare dai massi di cavi pendenti sulle scrivanie in acciaio e vetro. Un camice, anzi, una tuta integrale di gomma giaceva abbandonata sopra una scaffalatura vuota. Per terra, due fogli pestati.
Ma era la prigioniera ad attirare maggiormente in quel luogo grottesco e sinistro.
Le sue braccia ossute erano dolcemente sollevate verso l'alto. Dita sottili danzavano, come stessero intessendo i fili che stavano tenendo sospeso il suo scudo. Galleggiava nel vuoto, al di là della barriera che la separava dal resto del mondo.
Era stata lei a strapparglielo via. Non sapeva ancora in quale modo ci fosse riuscita ma rammentando quanto avevano scoperto dal rapporto sul Soldato d' Inverno, gli esperimenti condotti su altri esseri umani finiti nel tritacarne sempre acceso del Male per un' orrenda casualità e cosa aveva visto ai tempi della guerra, capì di trovarsi di fronte a una forzatura della scienza, nella sua chiave più oscura.
Il vero terrore di Abraham Erskine, evocato in una placida notte di veglia in una baracca di Camp Lieght, era stato trasformato in realtà. La sua scoperta era diventata l'innesco di una bomba.
Doveva aspettare gli altri; era inconcepibile portare avanti un attacco da solo, eppure continuò a camminare. A meno di un metro dal cilindro, la gola gli si strinse e la nausea risalì l'esofago.
La persona rinchiusa lì dentro non era una bambina.
Una maschera per l'ossigeno le copriva le labbra quasi trasparenti e della stessa, patetica consistenza, era la pelle del resto del corpo.
Un corpo che un tempo doveva essere stato di una adolescente pronta a divenire donna, trasformata in una crisalide dal potere che avevano voluto intrudurle dentro a forza.
I capelli, radi e lunghi fino a oltre la vita, scintillavano simili a fili di rame sotto le luci a led accese sopra di lei. I seni, ormai flosci e avizziti, disegnavano appena la lunga veste bianca indossata.
Forse non era segregata in una prigione realizzata a uso e consumo di uno spirito sadico; forse poteva sopravvivere solo lì dentro. Emblema vivente della pazzia e della sete di dominio. Sicuramente aveva posseduto un nome, una famiglia che forse la stava ancora cercando come avevano fatto molte altre nel corso degli anni in cui le basi HYDRA avevano gettato nel panico i quattro angoli del mondo. Doveva aver avuto poco più di sedici anni quando era stata rapita, una decisione presa per un calcolo azzardato fatto da chi scrupoli non poteva averne se si voleva raggiungere un scopo: il più alto e totalizzante.
Lo stesso calcolo che, risolto, avrebbe trascinato Andy nello stesso inferno. Niente nomi, niente età, niente sogni o altro. Solo un esperimento con cui giocare per vedere se si riusciva a portarlo a termine. Il solo pensiero bastò per farlo scattare e tentare di sbattere un pugno contro il vetro.
"Non si avvicini troppo, Capitano. Potrebbe innervosirla."
La voce maschile che aveva appena parlato era dolce, affabile, appena venata da un accento straniero duro e flemmatico.
Steve potè solo vedere un'ombra stagliarsi sullo sfondo, sbozzata grezzamente da una luce di un azzurro intenso tenuta in mano. Spalancò gli occhi.
L'uomo alzò il braccio; impugnava un lungo bastone dorato, dove sopra brillava la fonte di energia. Questa si condensò in un secondo raggiungendo il punto di esplosione; un raggio saettò verso di lui e lo centrò in pieno, costringendolo sulle ginocchia.
Non è possibile.
I muscoli urlavano di dolore; impose con uno sforzo sovrumano al suo corpo di non cedere e si tirò leggermente in su.
Quello non era un bastone come tanti altri.
Era uno scettro, costruito da un ingegno alieno e dato a un principe rinnegato proveniente da un altro pianeta.
Un manufatto nato dalla potenza del Tesserakt, una gemma il cui potere non sarebbe dovuto finire da nessuna parte degli schieramenti contrapposti in un conflitto senza fine.
Qualcosa da tenere segreto per sempre dallo SHIELD.
"Pensava davvero che nessuno lo avrebbe usato?" domandò ancora la voce.
Con la vista ancora parzialmente annebbiata per il colpo, Steve riconobbe finalmente dei connotati in quella sagoma torreggiante: un viso severo e autoritario, monocolo sull' occhio sinistro, una divisa scura.
Prima di poter dire qualsiasi cosa, le mani invisibili di poco prima lo afferrarono per le spalle e lo sollevarono. A fatica, la ragazza-crisalide si era messa in piedi e ora teneva le braccia spalancate a controllare la forza del suo pensiero; il vero motore del potere sviluppato grazie allo scettro di Loki di Asgard.


"No!"
La Vedova Nera scattò ad afferrare James per una spalla, tirandolo rovinosamente indietro. Il Soldato per poco non cadde a terra; appena poté farlo, la fulminò con lo sguardo.
Il raggio di sole era durato pochi, gloriosi secondi. Il tempo per dirsi che potevano ancora esserci belle giornate, speranze piccole e sciocche, momenti per cui sarebbe valsa la pena ricordare. Appena si erano separati, col fiato corto e una meravigliosa confusione negli occhi, James aveva preso Natasha per trascinarla in una corsa interrotta bruscamente da quanto avevano dovuto vedere.
Un campo di energia crepitava a pochi metri da loro, increspato come una superficie d' acqua. Dietro di essa, si era svolto uno spettacolo assurdo e pauroso. Steve adesso era sospeso a un metro da terra, trattenuto da corde senza spessore, forma e colore, strette dalla volontà di una creatura uscita da un inbuco sui folletti. Forse un tempo era stata umana; ora era un guscio limato e trasparente, un involucro utile solo ad albergare un talento non voluto e portato all'estremo.
"Stai scherzando vero? Dobbiamo aiutarlo!" sibilò con le parole rese affilate dalla disperazione. Natasha non si scompose e affondò maggiormente le dita nella fibra di carbonio e nelle placche di kevlar.
"Se ci facciamo scoprire, vanificheremo il piano di Steve. E' questo che vuoi?"
La domanda provocatoria esplose, rivelando cosa nascondeva: l'unico secondo utile per instillare nel Soldato il germe del dubbio.
"L' agente Romanoff ha ragione, dobbiamo aspettare."
Natasha sorrise ironica, rispondendo al messaggio ricevuto tramite auricolare. "E' la prima volta che sei d' accorso con me, signor Stark."
"Non farci l'abitudine. Allora, il punto è questo: quella barriera è pura energia psichica. Non so cosa abbiano fatto ma sono riusciti a stimolare un cervello umano tanto da farlo funzionare al massimo delle sue possibilità; ora siamo totalmente isolati dal Capitano e può essere un vantaggio. Se ci muoveremo con cautela."
Nei soliti, confortevoli tempi record, Jarvis aveva fornito l'analisi del problema. La soluzione stava a cinque persone e alla loro capacità di credersi immortali. A cominciare da Iron Man.
"Cosa proponi di fare?"
"Beh..."
Natasha e James si voltarono di scatto; la luce azzurrina del nuovo reattore Arc disegnava la perplessità sui loro volti tesi e contornava appena i profili scabri dell' armatura, di Sam e di Clint.
"Abbiamo avuto un piano, prima. Atteniamoci a quello."
Uscire allo scoperto. Mostrare. Trovare prove.
La vecchia roccia aveva promesso che sarebbero tornati tutti a casa, lui incluso; basta catarsi, basta piangersi addosso fino a rimanerci secchi per l' autocommiserazione. Tony sapeva di non aver motivi per dubitare della parola avuta e per la seconda volta nella sua vita, si apprestò ad obbedire a un ordine senza soffrirne eccessivamente.
Steve avvertiva una pressione crescente stringergli braccia e gambe. La soglia del dolore non era ancora stata sfiorata ma non ci sarebbe voluto molto. Un impulso pietoso lo portò a contemplare ancora quella crisalide: respirava artificialmente, isolata da tutto per la sua stessa sopravvivenza. Persino lui era in grado di capire che senza una bombola d'ossigeno e la protezione di una parete a prova di proiettile, non sarebbe sopravissuta. Stava di fronte alla nuova croce da mettere sotto la lista dei profili inattivi; l'ennesima rata del prezzo da pagare per disegnare un nuovo pezzo della formula per il Soldato Perfetto.
Lentamente, spostò gli occhi da lei all' uomo sotto di lui.
Non lo aveva mai visto nei corridoi e negli uffici del Triskelion; sarebbe stato comunque difficile stabilire di quanti alletati godesse l' HYDRA e i loro ruoli nell' organizzazione ma il nuovo nemico aveva il fare marziale e dignitoso tipico delle persone abituate al comando militare. Emanava l'ara autorevole del Teschio Rosso senza averne la scintilla fanatica; comprese di avere incontrato qualcosa di molto più importante di una semplice pedina. Quello era un capo.
"Avrei dovuto immaginarlo" commentò incolore.
"Col senno di poi siamo tutti più saggi e lungimiranti, vero?"
Il ponte radio era ancora fuori uso; il Capitano, più che vederlo, sentì muoversi qualcosa distante.
Un baluginio di acciaio.
Avanti!
Doveva tenere l'attenzione su di sé il più a lungo possibile. E sperare.
"Avremmo dovuto incontrarci in altri modi e luoghi, Capitano Rogers ma lei e il Soldato d' Inverno avete scombinato i nostri piani. Poco male; la nostra sentinella è stata gentilmente liberata dal suo amico ed è riuscita a raggiungerci."
Era stato Bucky ad aver rivelato di non aver torturato un prigioniero; questo Steve lo sapeva bene e purtroppo, lo sapeva anche chi stava parlando, a giudicare dal lieve sorriso di sufficienza dipinto sulle labbra sottili.
Quello che forse ignorava era di aver perso la segretezza riguardante la base di Londra e per essere sicuri di avere un vantaggio, c'era un solo modo.
"Vi serviva qualcosa per sostituire il Vita Ray. Lo avete trovato col Tesserakt."
Parlare.
Il Barone Von Strucker accenutò la curva untuosa del suo placido sorriso.
Avevano davvero dovuto stravolgere i loro piani ma alla fine, tutto era stato ricondotto al finale disegnato. Forse l' HYDRA non esisteva più ma a cambiare sarebbe stato solo il nome; era l'evoluzione naturale, l' avvicendarsi di forze distruttive capaci di generare nuovo terrore. E proprio in una simile sacca di terrore la sua Divisione X avrebbe prosperato, proteggendo ed addestrando i suoi tesori più preziosi.
"Sarebbe stato da sciocchi usarlo subito dopo il rinvenimento a opera di Howard Stark. Per fortuna, la sua energia era già stata convogliata in altri macchinari."
E in altre armi; Steve ricordava bene cosa aveva trovato nella base di Krausberg e molti anni dopo, nell' hangar del primo Helicarrier dello SHIELD.
Avantiavantiavanti.
"E' stata grazie a essa che avete condotto esperimenti sul Soldato d' Inverno?"
Una fitta lancinante gli compresse la spalla destra. La ragazza-crisalide si stava alterando.
"Sfortunatamente lui è stato uno dei nostri pochi successi. Un punto di partenza, esattamente come lo è stato lei, Capitano."
"E lei invece cos'è?"
"Un buon tentativo. Sfortunatamente, il suo metabolismo non ha retto al cambiamento indotto e ha subìto una regressione del sistema immunitario, che ne ha alterato profondamente aspetto e condizioni pscico-fisiche."
Un nuovo tremolio dove il buio della stanza confondeva ogni dettaglio. Doveva continuare a tenere l'attenzione su di se, rimanere immobile, nonostante quanto stava ascoltando stava facendo montare in lui una furia strisciante, intossicante e infiammabile come gas.
La barriera che li divideva dal resto del laboratorio era ancora impenetrabile; il fulcro era sempre la ragazza-crisalide, che reggeva il peso maggiore in quel confronto. Vegliava sul suo aguzzino garantendone l' incolumità e allo stesso tempo, era pronta a uccidere l'ostaggio non appena le fosse stato richiesto.
Steve inspirò il più profondamente possibile, pronto a una nuova mossa. Se lui avesse avuto ragione anche in questa occasione, gliene sarebbe stato grato e insieme non lo avrebbe perdonato per il resto della sua vita.
"Prenderà il posto di Alexander Pierce? O del Teschio Rosso?"
"Sono un Barone, direi che non ho bisogno di altri titoli."
"Quindi ora mi verrà prelevato altro sangue?"
"Chi le dice che abbiamo bisogno di lei?"
Avantiavantiavanti.
"Abbiamo ottenuto molto più di quanto possa immaginare. Ora il Soldato d' Inverno e Captain America sono inutili, di fronte all' inizio dell' era dei miracoli."
Codificare il procedimento era costato molti fallimenti; tutti diligentemente catalogati in due liste, attivi contro iinattivi; spiacevoli ostacoli sulla strada che ora aveva portato ai Gemelli.
Il Barone deviò lo sguardo sul suo esperimento difettoso e piegò leggermente il capo; Steve strinse i denti, mentre la compressione al petto aumentava di secondo in secondo. Il battito cardiaco cominciò ad accellerare, il bisogno di aria presto sarebbe divenuto insopportabile.
Un lieve risucchio. Simile a quello di uno stantuffo da cui veniva espluso un corpo ad alta velocità.
Il proiettile disegnò una traiettoria precisa verso il tubo di vetro; all' impatto si aprì una corona di sghegge ma la superficie non cedette, se non dopo un secondo colpo.
Quando l'altro sparo riuscì dove il primo aveva solo aperto una pista, la ragazza rinchiusa spalancò la bocca e si mise a urlare dietro la maschera.
Il Capitano precipitò a terra; nello stesso momento Bucky uscì allo scoperto, imbracciando il fucile che era stato pensato per l'equipaggiamento della Vedova Nera.
Arrivato alle sue spalle, Sam cercò di gettarsi sul Barone per bloccarlo ma l'uomo premette un bottone posto alla base della prigione. Le lastre di cui era composta si abbassarono di colpo. Le grida strazianti della ragazzina superavano quasi quella della sirena d'allarme innestatasi automaticamente.
Von Strucker afferrò la sua cavia, attirandola a sé, indirizzando contro il Soldato lo scettro. James, istintivamente, cercò di alzare le braccia, aspettando di venir colpito.
Qualcosa oscurò la sua vista e quando capì chi era intervenuto, il cuore prima si strinse e subito dopo fu vittima di una dilatazione vertiginosa.
Steve...
"A quanto pare, i cattivi proprio non resistono al fascino del monologo da fare un minuto esatto prima di conquistare il mondo."
Iron Man puntò i propulsori sull' uomo; gli andava riconosciuto di possedere il freon al posto del sangue, vista la calma impiegata per ordinare alla ragazza di fare il suo lavoro, un ordine impartito in tedesco.
"No!"
Steve era l'unico che poteva sapere quanto letale e veloce potesse essere il suo attacco. Si lanciò verso Tony ma prima di lui arrivarono le mani invisibili comandate dalla mente di quel povero essere dal respiro rantolante e sempre più difficoltoso.
Invece di limitarsi ad afferrare, stavolta le dita strinsero, spezzarono e divelsero come stessero giocando con della carta stagnola. Un mare di scintille esplose dalla piastra toracica dell' armatura, dove il reattore Arc, simile al suo padrone, si ostinava a funzionare e brillare.
"Jarvis, adesso!"
L'intero esoscheletro si contorse ma non per colpa dei colpi che stava subendo; si udì distintamente un sovraccarico di energia e quando questa deflagrò in tutta la sua potenza, un secondo prima che la luce divenisse troppo forte s'intravidero pallide forme trasparenti che poi svanirono, dissolvendosi.
L'unica cosa che lasciarono fu il corpo esamine di una ragazza senza nome e la scomparsa del Barone. L' arma di Loki giaceva sul pavimento.


Maria armò la sua Glock quando vide della polvere alzarsi dal viale di accesso all' area dei lavori del Brooklyn Bridge Park. Nonostante fosse notte fonda, era ben visibile sotto le fotovoltaiche accese nel cantiere. Si portò davanti all' ingresso del container, bussando contro la parete col piede.
Al suo interno, Andy e Pepper vennero destate brutalmente dal brutto incantesimo in cui erano state gettate nelle ultime ore.
Avevano identificato di nuovo il segnale della trasmittente di Steve, seguita la battaglia sul laboratorio fino a un istante prima che la Mark 001 esplodesse e ora avevano appena potuto tirare un sospiro di sollievo nel vedere tutti ancora vivi e incolumi; Tony aveva sacrificato la sua nuova armatura pur di far vincere i Vendicatori: era uscito da essa prima di entrare nel laboratorio e compiere una manovra di accerchiamento da stringere attorno alla barriera psichica. L'attacco era stato sferrato non appena James era riuscito a creare il diversivo giusto sparando due volte.
"Due colpi."
Significavano guai.
"Ci sono diversi SUV in arrivo, il primo ha sopra un lampeggiante!"
Il rumore di motori in decelarione riempì il silenzio. Andy cercò e strinse la mano dell' altra donna, che le annuì. Sarebbero state pronte a tutto.
Vennero aperte e chiuse alcune portiere, passi pesanti risuonarono sulla ghiaia. Si animò e si spense un acceso dibattito tra due voci, la più autoritaria appartenente all' agente Hill e poi il grosso chiavistello dell' apertura venne aperto e rimosso.
Le luci sul viale disegnarono lame sui volti pallidi delle due clandestine; Andy fece appena in tempo a scorgere uno sbuffo di capelli biondi e un sorriso incerto in controluce.
Sharon non entrò nel rifugio; rimase sulla soglia, le mani alzate in alto per mostrare di essere disarmata. Portava un pesante giubbotto anti proiettile e sopra una divisa scura; l'auricolare era correttamente portato all' orecchio destro.
Pepper scambiò un'occhiata rapida e interrogativa con Maria; ricevette in risposta uno sguardo sereno e tranquillizzante. L'oscurità era tagliata dal continuo vorticare silenzioso dei lampeggianti.
Andy intuì, più che vedere davvero, l'attesa quieta di molti uomini alle spalle della nuova arrivata.
"Signorina Potts?" la chiamò con gentilezza.
"Sono io."
"Sharon Carter, CIA. Sono qui per scortarvi al Brooklyn Museum."
"E' finita?"
L' agente sorrise; a Andy sembrò che si stesse concedendo quel lusso dopo molte ore di tensione. Un aspetto su cui si sentiva solidale.
"Sì. Credo si possa dire che i Vendicatori hanno vinto ancora una volta."


Clint trovò il quadro elettrico dopo un' accurata ispezione del locale. Il soffitto s'illuminò, mentre i led facevano piovere sul gruppo di eroi una luce livida, bianca e fredda.
Lungo le pareti c'erano altre celle, chiuse da lastre di vetro spesse diversi pollici. Erano tutte vuote e senza alcun mobilio, ad accezione delle due più grandi, dove si potevano vedere delle brande disfatte, di cui una decisamente male in arnese. Ai piedi di questa, avvicinandosi, Sam vide dei cubi giocattolo.
"E' morta."
Era stato Bucky a inginocchiarsi per prendere tra le braccia la ragazza-crisalide e nessuno aveva avuto cuore d' interromperlo, mentre cercava di calmarla con sciocche parole di conforto, ma allo stesso tempo così utili.
I grandi occhi azzurri prima si erano allargati di colpo, poi un velo si era chiuso sulle iridi, insieme all' ultimo respiro, flebile rantolo di un pulcino nato troppo presto. Tutti si aspettavano un accesso d' ira; il Soldato si limitò ad accomodarle i capelli scivolati sul viso esangue.
"Dobbiamo trovare la sua famiglia. Hanno il diritto di piangere sul suo corpo."
La mano di Steve che gli sfiorò la spalla fu l'assicurazione e la promessa che aveva bisogno di sentire.
"Perché?"
Tony osservò il Capitano con l'innocenza consapevole del farabutto immodesto. Inarcò le sopraciglia al suo interrogativo.
"Posso sempre costruirne un' altra, vecchio mio. E' il segno che mi sono disintossicato, non sei contento?"
"Come se non sapessi che dietro c'è dell' altro!"
Il milionario strinse le spalle e allargò le braccia.
"Era l'unico modo venutomi in mente per avere tutte le attenzioni della telepate."
"Telepate?" ripetè Sam, perplesso. "Telecinesi, lettura del pensiero, cose del genere?"
"E manipolazione dei campi elettromagnetici, Maggiore."
Tony osservò in silenzio il corpo inerte tra le braccia del Sergente. Il tempo che ci mise a ritrovare la parola fu il più sincero dei cordogli.
"Per annullarli, dovevo avere addosso, letteralmente, le propaggini che sapeva creare. Crearle un sovraccarico sensoriale e cerebrale ed è quanto ho dovuto fare per privare quel Barone della sua arma."
"E' stato questo...a ucciderla?"
"No."
James si alzò. Contro il suo petto, quella creatura fragile e trasparente sembrava dormire.
"Sarebbe morta a breve. Avete sentito cosa ha detto quell' uomo? Era..."
...Difettosa.
Senza dire nulla, Natasha si mise davanti a lui e lo invitò con un cenno. Fu lei a prendere in consegna il corpo e solo lei e James potevano capire la profonda verità dietro a un simile gesto di compassione.
"Qui hanno provato a crearne altri" constatò Clint, il volto impietrito da un orrore consumato e definito da anni di missioni; sempre vivo ma tenuto celato.
"E forse ci sono riusciti."
Steve si fermò davanti alla cella col letto di metallo dalla sbarre piegate.
Abbassò il capo per un secondo e quando lo rialzò, strinse una nuova promessa con se stesso, con i suoi compagni, con Bucky, con Andy. Con chi era passato e con chi rimaneva ancora.
Si voltò verso la sua squadra.
"Abbiamo scoperto che possiamo fermarli. Possiamo entrare nei loro server. Daremo loro la caccia fino all' ultimo uomo per fare in modo che le loro liste non abbiano più alcuna voce."
Natasha annuì, seguita subito dopo da Clint e Sam. James si astenne, allontanandosi. Si chinò a prendere qualcosa di forma rotonda. Lo contemplò per qualche istante e poi sorrise. Sbuffò persino una risata, il cui suono ricordò a Steve qualcosa di mai dimenticato e in cui non aveva più sperato.
"E io dovrò essere con te. Altrimenti, sbadato come sei, perderai il tuo scudo."






Angolo (tetro e buio) dell' autrice: e alla fine arrivò. WinterWidow. Non ho la minima idea se e quando, nel MCU, ci sarà spazio per la splendida, straziante storia di questa coppia ma da quando l'ho conosciuta e letta, non mi ha più abbandonato. Il fatto che il Soldato d' Inverno, ridotto a un burattino letale, fosse riuscito a ricordare cosa fosse l'amore è uno spunto troppo ghiotto per farmelo scappare. Ovviamente non vi ho voluto anticipare nulla, così vi godrete meglio questo ennesimo colpo di scena. Vi giuro che lo è stato anche per me, non avevo preventivato il loro bacio ma- beh. Bucky e Natasha non erano molto d' accordo e hanno fatto di testa loro!
La giovanissima telepate senza nome è una mia invenzione: un esperimento fallito ma capace di dar filo da torcere al Capitano prima di venir usata nel modo più definitivo possibile. L'esempio di cosa ha fatto la Divisione X partendo dagli ordini avuti dall' HYDRA.
A venerdì prossimo per l' ultimo capitolo prima dell' Epilogo! Ci saranno molte risposte ma anche qualche domanda lasciata in sospeso. Perché?
...Non vorrete davvero che ve lo dica prima del tempo!
Cattivissimamente vostra,
Maddalena






 

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Capitolo 33
*** 30 ***


30




"Signore?"
Una voce, portata dal fruscio crepitante di una scarica elettrostatica.
"L'evaquazione?"
"Procede come previsto. Pensano sia l'allarme per chiamare altri rinforzi."
Era proprio questo, il problema del Bene. Pretendeva di vedere il mondo attraverso una lente trasparente, dividendolo in confini netti, alla caccia disperata delle ombre da dissipare.
Il Barone sorrise mestamente e controllò di avere il monocolo al suo posto. Verificata la posizione, tornò ad addossarsi al muro.
Il passaggio segreto era stato posizionato strategicamente vicino alla prigione della cavia che aveva sacrificato. Tutto era stato preparato in funzione di un' eventuale scoperta della base da parte delle forze rimaste dello SHIELD ma con un punto fermo: lasciare nulla agli scopritori.
Le memorie dei computer erano state svuotate e le macchine riportate al loro programma più semplice. I documenti, spariti. Insieme ai Gemelli e alla mole di files generati dal loro addestramento. Lo scettro di Loki era stato perso ma era un prezzo accettabile, a fronte del sonoro schiaffo rifilato al mondo.
Quel mondo che avrebbe vissuto nell' illusione di aver vinto, trovandosi subito dopo a un punto morto. Doveva continuare a credere alla sopravvivenza dell' HYDRA; agitare il fantasma del Male poteva essere più profiquo dell' impiego sul campo del Male stesso.
Il tunnel deviò a destra e poi prese a salire. I passi riecheggiavano sul metallo degli scalini.
La Crisalide era stato un pegno; l' obolo senza valuta da versare per rendere ancora più umiliante la sconfitta dei Vendicatori. Anche se non erano riusciti a mettere le mani sul sangue del Soldato d' Inverno e quello di Captain America, adesso avevano Pietro e Wanda. Presto sarebbero stati pronti per essere scatenati contro gli Eroi.
Decenni di rapimenti, altrettanti di fallimenti e di poche, avare vittorie, avevano tracciato il giusto sentiero verso la Genia Perfetta; questa volta non sarebbe stata impiegata da nessun governo, da nessuna agenzia, da nessun esercito terroristico. Il Sergente Barnes era stato il Paziente Zero e nemmeno l' HYDRA avrebbe mai saputo il reale significato della sua rinascita come macchina di morte perfetta.
Un semplice, essenziale primo passo.
Verso l' era dei Miracoli.
Il piccolo garage sotterraneo era in fermento: alcuni furgoncini con le insegne del Museo di Brooklyn erano pronti a partire, il personale al suo comando aveva già cambiato i vestiti, lasciando perdere le divise militari della Divisione X in favore di quelle dell' ente di facciata.
"I primi convogli sono già partiti, prima della sortita di Captain America", fu il solerte avviso portatogli da un assistente di laboratorio, assieme agli indumenti per il suo superiore.
"Continuate così. Fate partire gli ultimi scaglioni alle ore stabiliti."
Un altro furgone accellerò sopra la rampa d' uscita, un secondo lo seguì a breve. Il rumore sgraziato e prenetrante della frenata risuonò come un allarme.
"Fermi, FBI!"
"Herr Strucker, di qui!"
I due moniti si sovrapposero in una cacofonia che puzzava di problemi.
Di ostacoli.
Mani coperte di kevlar e neoprene lo afferrano per le spalle, trascinandolo al sicuro ma lasciando una sola domanda, quella indispensabile, sul pavimento di cemento: come era stato possibile trovare la loro via di fuga?
Costruita perché si potesse accedere ai parcheggi del personale del palazzo e collegata ad essi da un ascensore per autoveicoli, non poteva essere stata scoperta se non con il ritrovamento delle mappe della base stessa.
Mappe sepolte al sicuro nei server che fornivano l' hosting necessario alla Rete parallela voluta dall' HYDRA negli anni della nascita del World Wide Web e impossibili da decodificare per chiunque.
"Cosa sta succedendo?" domandò allarmato uno degli scienziati più vicini a lui, mentre venivano cacciati a forza nel tunnel da dove era uscito poco prima.
"Non lo sappiamo signore, fate presto!"
I primi agenti si riversarono nello spiazzo un secondo prima della chiusura della porta. Urlavano a chiunque di fermarsi, minacciandoli con le pistole spianate. I loro ordini seguirono il Barone, un ronzio fastidioso perché privo di logica.
Il sospetto arrivò viscido, pesante e rovente.
Il Ricognitore rilasciato dal Soldato d' Inverno era risultato pulito: nessuna microspia, nessun microfono. C'erano altri collaboratori, sopravissuti all' annientamento del comando generale di Alexander Pierce e rimpiegati nella sorveglianza di obiettivi sensibili.
Come la Stark Tower.
"Accedete alla nostra rete, subito!"
Più che un ordine, l'invettiva suonò patetica nella sua urgenza. Uno dei soldati divenuti frettolosamente la sua scorta annuì e procedette a collegare il palmare.
Quanto vide lo fece impietrire sul posto.
Senza il coraggio di parlare, volse lo schermo in direzione del Barone.
L'account sicuro di Jerry Stenton, infiltrato presso l' Ufficio Sicurezza del grattacielo di Tony Stark, risultava attivo da giorni ma non era quella la catastrofe. Attraverso il suo innoquo log-in, si stavano scaricando ancora adesso una quantità impressionante d' informazioni, date, luoghi e fatti.
"Dobbiamo fermarlo, Herr Strucker!"
"E allora provateci, branco di patetici dichiaratori dell' ovvio!"
I mezzi erano pochi, i programmi inesistenti proprio a causa del totale reset logistico effettuato sui terminali informatici.
Uno dei tecnici riuscì a stabilire un contatto sicuro su uno dei motori di ricerca più popolari, trovandosi di fronte al continuo aggiornamento di notizie sconvolgenti.
A Londra, Parigi, Kyoto, Dublino e New York stavano venendo scoperte una serie di celle terroristiche dormienti, con alloggi e mezzi segreti. Riconducibili al famoso mostro a nove teste, il cui nome echeggiava da mesi dopo la distruzione del Triskelion nell' opinione pubblica, erano stati responsabili di innumerevoli rapimenti ed esperimenti su civili rapiti e poi fatti sparire.
L'operazione finale, con l' assalto a uno dei monumenti culturali più famosi di Brooklyn, era stata orchestrata dal Capitano Rogers. A quanto stavano apprendendo, grazie al supporto di Iron Man e parte della squadra dei Vendicatori, era riuscito a scoprire il loro piano e sventarlo.
Salendo su un SUV, circondato dalla voci concitate di chi lo stava salvando, Von Strucker si rese conto di una cosa.
Il Bene non aveva più paura di sporcarsi.
Era servito da uomini e donne di cui conosceva le fedine penali, i segreti più sordidi, i punti deboli. Le uniche persone in grado di proteggere un mondo inetto e che non li avrebbe mai compresi.
Spezzando uno scudo aveva avuto la convinzione di averli dispersi ma i frammenti in cui si era diviso stavano generando forze al momento incalcolabili.
Per la prima volta, il Barone avvertì il terreno vacillare sotto i piedi.
Era solo l'inizio e non del nuovo tempo tanto auspicato: un'era senza ancora un nome.




Erano molte, le cose che potevano far infuriare un pezzo di granito come Gordon Renly: ai primi posti della classifica si potevano trovare l' indisciplina, l' insubordinazione, l' incompetenza ma nessuna pecca o limite disgustosamente umano avrebbe potuto togliere il primato assoluto alle constatazioni ovvie.
Per questa fondata ragione la sua squadra d'assalto, composta dai migliori agenti operativi sul campo nell' ambito delle missioni anti-terrorismo, non si lasciò scappare una parola davanti all' ingresso scoperto sul fondo di uno dei maggiori magazzini del Brooklyn Museum.
Gli uomini passarono oltre la scaffalatura divelta e i battenti spalancati. Renly si fermò, alzando in aria il pugno destro. Una serie di segni convenzionali diedero l'ordine di formare due gruppi per condurre un' ispezione maggiormente approfondita e coprirsi vicendevolmente le spalle in caso di attacco. Poco importava che al momento attuale, del nemico si sapesse poco o nulla; le informazioni e i filmati ricevuti da Carter erano piombati sulla loro agenzia d' intelligence come un tornado non segnalato per tempo. Solo i Vendicatori avrebbero potuto dare le risposte mancanti.
Le prime presero la forma di corpi riversi a terra e di un laboratorio contente un prototipo di ultima generazione di una bara per il processo di criostasi controllata. Qualcuno mormorò una preghiera masticata; Renly non ebbe il coraggio di sottolineare l' inopportuna richiesta di assistenza divina, dal momento che si trovava a condividere quello stesso attimo di smarrimento e orrore.
"Renly, sono Jackson. Abbiamo intercettato una colonna di fuggitivi, passo."
"Qui i fuggitivi sono ben fermi, stiamo cercando dei superstiti, passo."
"Si tratta del Capitano Rogers e degli altri? Passo."
"Ho ragione di ritenere che siano ben più sani di questi. Passo e chiudo."
Svoltato il primo angolo, i soldati si bloccarono, raggelandosi.
"Cristo!"
Questa volta l'imprecazione sfuggì, acuta e inconfondibile.
I cadaveri dovevano essere una ventina.
Nessun dubbio sul fatto fossero morti tutti: Renly contò, superando l' ispezione, diversi colli spezzati, perforazione di organi vitali per mezzo di armi da fuoco e uno strangolamento condito con un olezzo inconfondibile. Carne bruciata.
"E' fritto come un churros" mormorò sgomento qualcuno, imbracciando con maggior foga il suo fucile ad aria compressa.
"Opera della Vedova Nera senza dubbio. Proseguiamo!"
Se la scoperta della bara li aveva lasciati allibiti e attoniti, quella della postazione per le sedute di elettro-shock fu un colpo sferrato allo stomaco.
Molti dei presenti avevano saputo dei procedimenti di tortura e coercizione del prigioniero in fase di addestramento, pochi erano stati mandati nei teatri di guerra mondiali dove tali pratiche venivano impiegate, tutti sapevano del silenzio da tenere su prigioni come Guantanamo o Abu-Grahib. Vedere di persona la raffinatezza che la Scienza, meticolosa e sempre precisa, poteva raggiungere per distruggere un essere umano, avrebbe sicuramente rimescolato i sonni e le budella di diversi di loro.
Il laboratorio principale era già illuminato, quando poterono accedervi. Tennero le posizioni da combattimento, con le armi spianate.
Tony alzò le spalle, applaudendo sarcasticamente stando seduto sopra un tavolo di metallo. Ai suoi piedi giaceva, contorta e spezzata, la sua armatura. Ogni tanto un cavo scoperto produceva un contatto ma il piccolo scoppio di scintille pareva lasciarlo indifferente.
"Finalmente! Ancora un po' e avrei dato il permesso ai vecchietti di spaccare tutto."
Vecchietti?
Renly si guardò intorno.
Uno accanto all'altro, a vegliare sul corpo macilento di una ragazza dai lunghi e radi capelli biondi sorretto in braccia da Natasha Romanoff, si trovavano Captain America e il Soldato d' Inverno. Uno dei killer più ricercati al mondo, scoperto solo dopo la desecretazione improvvisa di tutta la banca dati dello SHIELD e responsabile della morte di personalità tali da scatenare, con la loro scomparsa, dei veri e propri terremoti negli equilibri geo- politici di tutto il mondo nell' ultima metà del secolo.
Come era possibile che una tale macchina da guerra, un cecchino infallibile, una belva quando si trattava di combattimenti ravvicinati, potesse avere quegli occhi grigi di ragazzo ora puntati proprio sul supervisore?
"Capitano Rogers, si faccia da parte."
Steve si era messo davanti a James prima che quest'ultimo potesse obiettare. Invece di obbedire al consiglio ricevuto, allargò le braccia, piantandosi di fronte all' amico.
"Dovrete spararmi."
"Sempre che prima non facciamo fuoco noi."
Tony sogghignò, esaminadosi accuratamente le unghie, lasciando che fossero Sam e Clint ad armare le proprie pistole per puntarle contro il drappello di soccorso.
"Volete davvero contravvenire agli ordini?"
L'ultima cosa che Gordon desiderava, era aprire un conflitto con certa gente. Era una pessima mossa da fare, considerata l' altissima probabilità di dovere a loro, ancora una volta, la sopravvivenza di New York e di buona parte del pianeta.
"Ordini di chi, supervisore?" Il milionario stiracchiò le braccia, prima di assumere una profonda, circonstanziata espressione stupita.
"Siamo qui di nostra volontà e su nostra iniziativa, signore" aggiunse Steve. Nonostante fosse disarmato, il semplice gesto di tenere le braccia aperte e il petto esposto a qualsiasi proiettile, invece di renderlo inerme serviva solo a rafforzare l' autorità spiccia e scabra della voce.
"Abbiamo scoperto nuovi movimenti di alcune cellule dormienti dell' HYDRA e abbiamo agito. Purtroppo non abbastanza prontamente da salvare delle vite umane e impedire la fuga di alcuni soggetti."
La Vedova Nera mostrò a tutti quanto stava tenendo contro il petto: "Qui volevano creare nuovi Soldati Perfetti. Lei purtroppo non ce l'ha fatta e come lei, molti altri."
"L'unico successo, per diverso tempo, sono stato io."
Nessuno si aspettava di sentir parlare il Soldato d' Inverno e realizzare l'istante dopo di essere ancora vivi per poterlo raccontare. La sua presenza era la prova che i fantasmi potevano esistere e comparire all' improvviso, seguiti da una scia di sangue che si gettava nel buio del passato.
"Volete davvero farmi credere alla storia degli esperimenti condotti con un Siero su un essere umano?"
"Lo avete già fatto una volta, mi sembra."
L'osservazione di Steve era pacata ma definitiva.
"Signore, dica ai suoi di abbassare le armi. Il Sergente Barnes non farà del male a nessuno."
"Mi riesce estremamente difficile crederlo, Capitano."
"Non penso voglia una dimostrazione in senso contrario."
James sorrise storto e con un pizzico di sollievo, nel vedere abbassarsi le canne dei fucili dopo una battuta simile. Renly sostenne con fierezza il suo sguardo; doveva essere davvero uno con le palle d' acciaio per rimanere tanto impassibile ed era una delle prime caratteristiche da mostrare se si voleva andare d' accordo con lui. Un nuovo lui, dove il Sergente Barnes aveva stretto la mano all' uomo nato dalla neve e dalla morte.
"Cominciate la perquisizione. Avvisate l' unità dell' NCIS."
"E il Soldato d' Inverno? Lo arrestiamo?" domandò uno degli ufficiali. Qualche metro dietro di lui, Clint sbuffò.
"Mi sembrava di aver parlato in un inglese chiaro e comprensibile" borbottò, rassegnandosi a nuove discussioni. Il gesto secco di diniego di Renly lo calmò visibilmente.
"Qualcuno garantisce per lui?"
"Io."
"E io."
Steve si voltò di scatto, scontrandosi con l'espressione tronfia e divertita di Tony. La commozione passò rapida e s'impresse con tutto il suo peso sul cuore del Capitano; sapeva che l'amico non avrebbe tollerato esternazioni pubbliche di gratitudine, quindi si limitò a un' occhiata di sincero rispetto.
"Immagino che non esistendo più lo SHIELD, prima di passarvi la palla ci vorrà del tempo. Il Sergente Barnes non lascerà la città e così potremo produrre un dossier che penso troverete estremamente istruttivo. Si divertirà anche la Commissione per la Sicurezza Nazionale, ne sono certo."
L'ispezione non aveva molta importanza per i Vendicatori e il Soldato; lasciarono che fossero i nuovi arrivati a occuparsi del trovare, ciascuno a proprio modo, la sequenza da dare ai pezzi di quel mosaico grondante sangue, prevaricazione e lucida follia.
James si avvicinò a Stark. Un tempo ben più esperto di fiumi di parole sarcastiche e ironiche, ora non sapeva cosa dire e cosa era giusto fare per far comprendere a quell' uomo quanto gli dovesse. Alla fine optò per il silenzio e una speranza, rappresentata dalla sua mano destra alzata timidamente verso di lui.
"Ti costerà una mia accurata scansione del tuo braccio, lo sai?"
"E' uno scambio accettabile."
Steve alzò gli occhi al cielo ma non commentò.
Uno degli agenti si avvicinò a Renly; la sua calma era tradita dalle occhiate scoccate verso il Soldato.
"Qui sono state prigioniere diverse persone. Abbiamo trovato sei celle."
"Sette, con quella centrale dove tenevano la ragazza."
Il supervisore congedò il suo subordinato. Alzò le sopraciglia ispide, piazzandosi di fronte a Stark.
"Immagino sia a voi che debba chiedere cosa fare."
"Mettiamola così; si fida della sua squadra?"
"Naturalmente."
"Penso che fosse la risposta standard che davano anche allo SHIELD prima di scoprire di avere il serpente nel letto."
La constatazione era già umiliante da sola e venne rafforzata da un cupo cenno affermativo da parte del Capitano.
"Fate liberare il laboratorio. Ci penseremo noi."
Il sopraciglio destro scattò più in alto, corrugando la fronte in una ruga perplessa. "E' un modo per dire che terrete sotto chiave le prove?"
"Non tutte."
Il bluff, che Tony avrebbe sempre chiamato "trattativa", stava per giungere al culmine. Se Renly avesse declinato la proposta, Jarvis avrebbe avuto un nuovo nome su cui indagare per trovare nuove tracce dell' HYDRA o di qualsiasi altra mano ci fosse dietro quelle basi sparse per il mondo; nel caso avesse accettato, voleva dire un po' meno fango nell' oceano di sabbie mobili in cui presto ci si sarebbe dovuti tuffare, più la possibilità di non far trovare un certo scettro e avere il tempo per spedirlo in un luogo molto più consono alla sua esistenza e molto più lontano da loro.
Il nuovo problema prevedeva il mettersi in contatto in tempi brevi con un certo Principe in esilio, valutare secondo teorema un trasporto attraverso lo Spazio e le Dimensioni e concludere con un risultato in cui Asgard era la variabile finale.
La prospettiva gli dava la carica di dieci caffé espresso amari, gli stessi che beveva nell' arco di una giornata. Senza tralasciare un dito del suo wisky prediletto.
"Radunate gli uomini!"
Oh, ecco qualcuno di ragionevole.
"Facciamo arrivare la Scientifica militare. Signor Stark, ci seguirà?"
La domanda era tesa anche agli altri Vendicatori. Sam decise di muoversi solo dopo aver ricevuto un cenno affermativo da Steve; Natasha sembrava decisamente poco propensa a lasciare incustodito il corpo della giovane telepate. Quello che accadde fece strabuzzare gli occhi ad Iron Man e far nascere un moto di stupore genuino persino sul volto di Clint.
James carezzò la fronte esangue della creatura e mormorò all' agente qualcosa in una lingua astrusa, tutta intessuta su vocali mangiate da consonanti. Qualsiasi cosa le avesse detto, ebbe l'effetto sperato: la Vedova Nera annuì forzatamente e posò il corpo su un tavolo, componendole le mani in grembo. Non si voltò indietro uscendodalla stanza, accodandosi alla prima parte della squadra.
Russo.
James aveva usato la lingua russa per parlarle; per quanto Steve, negli anni della guerra e grazie alla facoltà sviluppate dal Siero, ne avesse imparate diverse, poteva desumere l'origine di quella appena udita grazie alla confessione di Bucky.
La domanda che avrebbe voluto fargli venne vanificata da un colpo di tosse.
"Sì?" domandò stancamente, rivolto a Tony.
"Prima non stavo mentendo a Mister Orso. Dobbiamo occuparcene noi. Tu e il Sergente, nella fattispecie."
"Per ottenere cosa?"
"Quello che promettesti a mio padre. E sei in deplorevole ritardo."
Steve si ritrovò a dargli ragione prima ancora di capire cosa stesse facendo.
Gli occhi azzurri, affaticati e rossi, spaziarono nell' ambiente. Un punto di dolore, martellante e profondo, prese a pulsare tra le costole compresse dalla forza telecinetica scatenata dalla cavia di quell' uomo.
Il Barone.
"Hai nascosto tu lo scettro?"
"Naturalmente."
"Lo porterai fuori di qui?"
"Un ammasso di ferraglia, per quanto molto tecnologica, è un nascondiglio utile. E non guardarmi in quel modo!"
"Voglio sincerarmi che il tuo amore per la Scienza non valichi i confini stabiliti."
"E io che pensavo stessi davvero diventando più elastico!" si lagnò Tony, armeggiando con quando resta della nuova Mark per caricarla su un carrello e andarsene.
La battaglia si era risolta in una vittoria temporanea, ingannevole come un pareggio. Era stato fatto un passo avanti ma la strada era ancora lunga e poteva sempre condurre alla casa di una Strega Cattiva oppure al confine della foresta, alla libertà
Curioso come le fiabe e i racconti fossero divenuti mattoni fondamentali per le sue metafore. Era così da quando una ragazza vestita di rosso e con delle orecchie da gatto su un cappello gli aveva fatto conoscere piccoli hobbit coraggiosi e anelli magici. Stava vedendo cosa poteva fare tanto potere; per distruggerlo, doveva cominciare col provocarlo.
"Mi sembra il momento giusto per dirti che mi ricordo, cosa ti ho detto in quel pub."
Bucky inserì un caricatore nuovo nella sua mitragliatrice.
"Non volevi seguire Captain America."
"Infatti. Ma il ragazzino scemo di Brooklyn sì."
Casetta di marzapane e strega cattiva. Limiti del bosco, stelle nel cielo. Poteva esserci tutto questo ad aspettarlo ma ora, Steve aveva la certezza di aver già ritrovato un luogo dove fermarsi, posare lo scudo e sentirsi abbracciare.
Adesso, lui e James potevano procedere insieme a spuntare la prima voce della loro lista: sconfiggere l' HYDRA.
Mentre risalivano verso il magazzino da cui erano entrati, Tony e Sam avvertirono a molti metri di distanza gli echi di esplosioni e scosse provocate dal metallo divelto e distrutto.
"Sapranno cosa tenere?" s'interrogòil Maggiore.
"Jarvis esiste per questo, Wilson: a fare da promemoria per due uomini anziani troppo in forma."


La porta era un quadrato di luce bianca incastrata in un' opprimente cornice nera. Era ancora cosìlontana da sembrare irraggiungibile, un miraggio tremante nel buio causato dal black out totale piovuto nei sotterranei quando Captain America e il Soldato d' Inverno avevano portato a termine la loro missione nel più definitivo dei modi.
La ragazza-crisalide era stata portata via da alcuni paramedici fatti intervenire appositamente; una coppia di giovani infermieri, che sicuramente si sarebbero chiesti per molti mesi, forse anni, di quale scampolo d' Inferno erano stati partecipi.
Steve alzò gli occhi verso la fine del corridoio; le forme lontane e scintillanti dei marmi della Sala degli Impressionisti sembrò il più bello dei quadri, il primo dipinto visto dopo un lungo periodo di cecità.
Il passo successivo gli disegnò una smorfia sul volto sporco di fuliggine e sudato. I capelli lo erano altrettanto e arruffati; con tutta probabilità Tony avrebbe dovuto realizzargli un nuovo elmetto.
"Tutto bene?"
Solo Bucky avrebbe potuto accorgersi dell' incertezza nel modo di muoversi del suo amico; anche se non potevano vedersi, Steve sentiva il peso del suo sguardo grigio addosso.
"Era davvero dotata di una forza sovrumana. Mi ha stritolato!"
Inutile specificare a chi si fosse riferito; James gli sollevò il braccio sinistro e se lo passò attorno alle spalle; lo raggiunse lo sbuffo di una risata.
"Cosa c'é di divertente?"
"Nulla."
Era un nulla denso di immagini, ricordi, momenti condivisi.
Bucky che lo aiutava a rimettersi in piedi dopo una rissa, Bucky che sapeva sempre quando ci voleva un caffé; Bucky che era stato il primo a bussare alla porta di casa Rogers il giorno in cui sua madre aveva capito di non poter più combattere.
"Non lo facevo per pietà"
Quindi anche lui stava pensando alla loro infanzia. La risata svanì, sostituita da una consapevolezza leggera e granitica insieme, fatta di certezza e fiducia ritrovate.
Continuarono ad avanzare, l' uno che sosteneva l'altro.
"Lo so. Non mi hai mai compatito."
L'uscita cominciò a diventare sempre più grande, sempre più vicina; i colori e le forme, vaghi accenni astratti di un mondo normale ma ora sporco nel sapersi di nuovo minacciato, divennero colonne e tele dipinte, vociare concitato e sequele di ordini.
Appena emersero, una macchia rossa si delineò al loro fianco.
Natasha era accanto agli agenti della squadra di Renly, le braccia conserte e gli occhi felini che mutarono espressione nel vedere James. Steve ebbe la visione sconcertante del Soldato mentre deglutiva, prigioniero di un imbarazzo di cui era impossibile chiedere scusa.
"Mi sono perso qualcosa?" domandò finalmente.
"Dopo" tagliò corto l'altro; vedendo che nessuno lo fermava, attraversò la stanza diretto verso l'atrio principale del palazzo, sempre puntellando un Capitano un po' stropicciato.
Clint era accovacciato su uno sgabello, la schiena contro il muro, una faretra mezza vuota sulla schiena e in mano una bottiglia d' integratori di sali minerali. Quando di accorse di loro, il volto scolpito da un' accetta perse durezza e compostezza. Un uomo di origini inglesi come lui non avrebbe mai sorriso per davvero ma il pollice destro alzato verso di loro valeva più di qualsiasi pacca sulla spalla condita da risate cameratesche.
Sam stava parlando con una squadra d' assalto della SWAT; a giudicare dal tono troppo calmo delle risposte, stava ribadendo concetti più e più volte per far credere qualcosa. Si congedò dall'interrogatorio con uno spiccio cenno del capo non appena vide chi lo stava raggiungendo; l'ingresso arioso e neoclassico del Brooklyn Museum era un ronzante alverare, brulicante di attività che scemava non appena i vari attori si accorgevano di chi stava arrivando.
"E quello?" domandòJames inarcando un sopraciglio; lo zigomo destro del Maggiore era gonfio e segnato da una cicatrice.
"Non hanno avuto abbastanza mira. Sto aspettando una dolce infermiera che mi ricucirà col suo bel sorriso."
Passi pesanti riverberarono sul marmo; un gruppo di sei persone, tutte con addosso una tuta ignifuga, guanti in lattice già calzati e armate di grosse valigette di metallo, li affiancarono per pochi secondi e si diressero nel punto dove era stato scoperto il passaggio segreto.
"NCIS, di sicuro. Dovranno fare i primi rilevamenti. Avete lasciato intatto qualcosa?"
"L'essenziale." James sogghignò, imitato malamente da Steve; continuava a guardare verso il cortile, la mandibola tesa e serrata.
Doveva arrivare. Sperava con tutto se stesso fosse così.
Il SUV svoltò tenendo un' alta velocità; per non sbandare eccessivamente, si produsse in un mezzo testa coda che lo portò a parcheggiare in qualche modo accanto alle volanti della Polizia Metropolitana e i mezzi blindati della Guardia Nazionale. L'auto non era ancora del tutto ferma quando le portiere posteriori si aprirono all' unisono.
Pepper cercò di trattenere la ragazza scesa dall'altra parte. Fu inutile.
Gli occhi di Steve si allargarono; il petto sembrò fare meno male, di fronte a quanto stava vedendo.
Incurante dei lampeggianti, degli sguardi perplessi e sbigottiti di militari e agenti di lungo corso, Andy stava superando il cordone di sicurezza correndo verso la scalinata.
L'alba fece capolino da Est, rendendo il grigiore del cielo simile a madreperla. Il sole si divertì a illuminare i lunghi capelli scuri, sciolti e scarmigliati, che si gonfiavano a ogni salto.
Andy percepiva il battito sincopato e veloce del cuore nelle orecchie. Chiese scusa, si fece largo, evitò una mano che era scattata con la presunzione di bloccarla.
Dovevano solo provarci; probabilmente, con tutta l'adrenalina da scaricare, sarebbe stata capace di liberarsi con un morso. Affannata, trepidante, salì i gradini due a due, fermandosi solo un istante per esitare e guardarsi in giro.
Uniformi, messaggi radio, poliziotti e militari. Volti sconosciuti e nessuna traccia di chi stava cercando.
Non era ancora del tutto ferma quando trovò Steve e James; la preoccupazione, l'ansia, il terrore si dissolsero come gli ultimi scampoli di quella notte terribile e il mattino poté davvero disegnare la sua splendida aurora sporca di smog anche per lei.
Tornò a correre, capelli al vento e lacrime trattenute agli angoli delle ciglia.
Steve avvertì Bucky sfilarsi via.
Le braccia della ragazza si strinsero violentemente attorno al collo e quelle di lui ricambiarono immediatamente, avvinghiandosi con tanta forza attorno ai suoi fianchi da sollevarla da terra.
Quando la sua fronte si nascose contro la curva del collo, quando il tremore del respiro sfiorò la pelle lasciata libera dalla divisa lacera, Steve comprese di essere tornato a casa.
Nessuna strega, nessun prato sotto le stelle ma Andunie.
Chiuse gli occhi e lasciò che i pezzi in cui il mondo aveva tentato di rompersi si rinsaldassero.
Non c'era davvero più bisogno di correre.
Ad entrambi occorse diverso tempo prima di accorgersi che qualcuno stava cercando, con schiarimenti di voce prossimi alla raucedine, di richiamare la loro attenzione. Per la prima volta, insieme, maledissero lo spirito da Suocera Pettegola di un certo amico.
"Per quanto sia lieto di vedere il ghiaccio sciogliersi, penso sia meglio riportare Dama Luthien al castello."
I piedi di Andy tornarono a sfiorare il pavimento; mancò davvero poco a un suo indecoroso scivolare a terra per l'imbarazzo e la sorpresa.
Tony stava davvero parlando di lei? Con un soprannome simile?
"Signor Stark, capirla è sempre un dilemma ma credo di essere d'accordo."
L' agente Carter, la giovane donna dal sorriso rassicurante che aveva condotto lei e Pepper al museo, annuì incrociando le braccia.
"La Stampa stia già cominciando ad arrivare. Se trovassero qui la ragazza il cui rapimento ha dato il via a tutto questo, non riusciremmo a trattenerli."
Il braccio sinistro di Steve allentò la presa sulla schiena di Andy ma non la lasciò.
"Sharon, ti ringrazio" proclamò con la solenne semplicità che sempre usciva in momenti simili.
"Sono abbastanza sicura che dovrei farlo io" argomentò lei in risposta. "Non pensavo mi avresti dato la possibilità di riparare al mio errore."
Osservò per qualche secondo la coppia e un nuovo sorriso, quasi sollevato per quanto mesto, le increspò le labbra.
"Ho chiesto a Romanoff di portare uno dei nostri mezzi sul retro. Andate, così la signorina Martin potrà avvisare i suoi genitori che tutto é finito."
"Un momento!"
Ad Andy non importò di essere, un' altra volta, al centro di un' attenzione indesiderata. Scoccò un'occhiata preoccupata al Capitano, che poi scivolò timida su James.
"Non lo arresterete, vero?"
"Signorina Martin..." Sharon era in palese difficoltà.
"Mi ha salvato la vita." Anche la sua voce non scherzava, se si trattava di dare il giusto tono a una gratitudine tanto profonda. "Vi prego, non dimenticatelo."
Bucky si umettò appena le labbra, per lavare via il velo della vergogna e percepire sotto di esso l' affetto incontrollabile e sincero nato per la ragazzina. Ebbe la certezza che le loro vite, legate insieme dalla paura e dalla violenza, non si sarebbero più sciolte.
"Vai a darti una sistemata. Ci vedremo più tardi."
Un lampo d'acciaio verde intriso d'ironia lo fece ridacchiare.
"Parla quello che si crede irresistibile con la divisa tutta strappata", chiosò con un sorriso pestifero.
Andy se ne andò ma non quello che aveva voluto dirgli realmente.
Se il Soldato d' Inverno era riuscito a trovare una persona amica quando era ancora prigioniero della tempesta, incapace di vedere dove stesse andando per uscirne, forse poteva davvero combinare ancora del buono.
"Seconda possibilità", sussurrò, ricordando Natasha quando glielo aveva detto. Deciso a comportarsi bene, andò ad avvicinarsi all' altro garante ancora presente, non vedendo Occhio di Falco richiamare l'attenzione di Sharon con un cenno del capo.
"Agente Barton..."
"Agente 13", ricambiò il saluto l'arciere, finendo la sua bottiglietta con un ultimo, generoso sorso.
"Non è più il mio nome in codice."
"Nemmeno io sono più un agente in servizio, se vogliamo stare a guardare ai cavilli tecnici." I suoi occhi azzurri, piccoli e penentranti, osservarono Steve ed Andy dirigersi al loro appuntamento con Natasha.
"Perché non glielo ha detto?" chiese all'improvviso, sapendo di far irrigidire la donna.
"Il mio cognome è sempre stato un peso. Volevo evitare che il Capitano mi guardasse come fanno tutti."
"Oppure non voleva dargli altri rimpianti?"
Sharon non seppe cosa dire per diversi istanti. Alla fine si decise a scrollare le spalle.
"Mia nonna avrebbe voluto così. Sarà contenta di sapere che ora anche lui ha la possibilità di essere di nuovo felice."




Il ritorno alla Torre fu simile a un lento, progressivo risveglio da un incubo durato una notte intera.
Aveva cercato di non seminare indizi allarmanti ma vedendosi riflesso nello specchio del bagno, James realizzò di essere un livido ambulante.
La lotta nei sotterranei aveva lasciato i suoi marchi sul petto e le braccia: contusioni multiple, già tendenti al viola, nuovi graffi e i postumi del rovinoso volo contro il muro di metallo del corridoio generato dalla granata stordente. Avrebbe anche dovuto radersi, non appena il taglio sopra il labbro avesse smesso di sanguinare; lo tamponò con forza con una salvietta asciutta fino a quando non vide i primi segni di stagnazione.
Sciolse i capelli dal codino in cui li aveva legati, operazione assai difficoltosa dal momento che il solo alzare le braccia si traduceva in una lunga, sorda scarica di dolore lungo i dentati e le relative costole.
Aveva chiesto a Jarvis di suonare un po' di musica; l' I. A. aveva prontamente obbedito, riproponendo il brano al piano forte tratto da quel film, Orgoglio e Pregiudizio.
Ora ricordava chi fosse la bambina vista in quel frammento di passato: sua sorella minore, Elizabeth. Adorava leggere e adorava la protagonista del libro scritto da Jane Austen, perché condividevano lo stesso nome. Il peso di quanto aveva perduto era pari a quello di quanto gli era stato negato di vivere; l'umano egoismo di avere accanto Steve non lo avrebbe salvato perché i due amici non erano più soli. Anche se non osava sperare di avere accanto la sua malienki.
"Serve una mano con i pantaloni, Sergente?"
James era ancora mezzo nudo, quando Natasha rese nota la sua presenza con un passo più forte contro il tappeto della sua camera da letto. Lo sguardo della donna perse ogni stilla maliziosa, continuando a sfiorare da lontano le cicatrici, i tagli ancora rossi sulla pelle abbronzata.
"Non ti eri già presa una rivincita? Oppure ti piace sorprendermi alle spalle?"
"Devo pur mostrarti che hai avuto una buona allieva."
James sbuffò una risata, andando a prendere da sopra una sedia una maglia pulita. Pessima idea.
Infilandola, per poco non gli mancò il fiato a causa di una nuova fitta pulsante schizzata lungo tutta la schiena.
Qualcuno afferrò delicatamente i lembi di cotone dell' indumento e lo aiutò a finire di vestirsi. Tornando a vedersi, Natasha sorrise con la gioia incomprensibile di chi fa le cose per istinto.
"Perché lo hai fatto?"
"Non lo so."
Erano destinati a questo, ora? A domande vaghe con risposte altrettanto vaghe? Il Sergente decise di ribellarsi e questa volta nessuno lo avrebbe fermato.
"Cosa siamo noi ora, malienki?"
Malienki.
Era questo che le aveva sussurrato nell' orecchio, la prima volta che avevano fatto l'amore. Un incontro frettoloso, un problema di troppi strati di vestiario da eliminare senza il tempo materiale per farlo e una voglia urgente di sentire qualche centimetro della pelle dell' altro libero di toccare la propria.
"Non lo so, uchitel."
Il suo sgomento era sincero. Come la mano destra che andò a carezzargli le guance.
"Ti stavano portando via da me un' altra volta. Non potevo permetterglielo."
"Io invece so bene cosa voglio permettermi."
I loro baci non erano mai stati una parentesi tenera, un piccolo mondo di dolcezza e sentimento.
Nemmeno il primo che si erano scambiati, nel bosco addormentato dall' ultima nevicata, il giorno in cui Natalia era fuggita dalla base per mostrare al suo maestro e ai superiori di essere diventata tanto brava da eludere una sorveglianza dove ferro spinato e tortura costituivano la malta delle mura dentro cui era stata relegata.
Avevano lottato.
Il pugno sinistro di lui aveva colpito duramente sul plesso solare, il calcio di lei era volato a trovare il fianco esposto da una mossa d'attacco. Lame di pugnali avevano lacerato vestiti e pelle e il sangue aveva reso l'inverno meno bianco e candido.
E poi?
Si erano guardati. I visi a meno di una spanna. Il Soldato schiacciato sopra la Bambina di Neve, una donna giovane, bellissima, il corpo caldo palpitante racchiuso da una divisa termica.
Si guardarono anche ora.
Niente furia, niente istinto animale.
Le labbra di James chiesero ed ottennero, lente e implacabili. Quelle di Natasha risposero, arrendevoli fino a quando i denti non si chiusero delicatamente in un lungo, agognato morso.
"Steve sta aspettando Andy. Vuoi...andare a chiamarla tu?"
Poteva sembrare il momento meno adatto e il commento ancora meno adatto visto che si stavano abbracciando. James sorrise e annuì.
Erano gli scampoli di normalità necessari prima di affrontare una nuova tempesta. Quella che stava nascendo al Campidoglio, a Washington.
Sapeva bene che senza le garanzie fornite da Steve e Stark, non avrebbe potuto lasciare Brooklyn da uomo libero. Il momento di fronteggiare il lago di sangue generato quando serviva l' HYDRA alla fine era giunto.
Si diresse alla porta, avvertendo il primo soffio di benessere rendergli meno difficoltoso camminare; c'erano degli indiscutibili vantaggi, a essere un Super Soldato.
"Non ti porteranno via?"
La domanda lo fece voltare di scatto. Natasha sembrava respirare lentamente, a fatica, gli occhi dilatati. Non c'erano maschere sui lineamenti da bambola di porcellana, se non quella, l'ultima, di una donna confusa da un sentimento a cui non voleva rinunciare.
"No, malienki."
Li avevano dovuti separare con la forza. Le loro mani si erano lasciate a fatica.
Avevano una seconda possibilità entrambi, per scoprire chi erano e se, forse...
"Ne 'v etot raz."
Non questa volta.




"Andunie?"
La trovò in piedi, di fronte a una delle grandi vetrate della sua camera, intenta a osservare il cielo limpido di New York.
Anche lei si era cambiata per il viaggio di ritorno a SoHo; aveva chiuso sopra una maglietta un giubbotto di pelle nera, che nascondeva la grossa e arruffata treccia con cui aveva tentato di dare un po' di ordine ai capelli. Contro il petto reggeva l'album da disegno regalatole da Steve.
Si voltò verso il nuovo arrivato con un grosso, tronfio sorriso.
"Jamie!" esclamò tutta contenta.
James corrugò comicamente le sopraciglia, ficcandosi le mani nelle tasche dei jeans. "Prego?"
"Jamie", gli venne ripetuto con aria saputa. "Ho deciso che il mio soprannome per te sarà Jamie."
Ci stava pensando da diverse ore, ormai; da quando il mondo era ancora ovattato e sicuro, i confini rappresentati dalle braccia muscolose di Steve e dalla loro stretta forte e protettiva. Bucky rimase interdetto ancora per un po', prima di scoppiare a ridere.
"Cosa c'è?". La sicurezza di Andy svaporò in un secondo. "Non... non ti piace?"
"Guarda che Bucky andrà benissimo."
"Ma- io pensavo..."
Il Sergente si avvicinò e le diede un leggero buffetto sulla spalla.
"Lo so cosa pensavi. Credevo anche io di non poter più sentire mio il nomignolo che mi accompagna, approssimativamente, da quando sono nato. E' parte di me, come l'uomo che lo porta; me lo avete fatto capire voi testoni."
Sempre parlando in termini approssimativi, James Barnes non vedeva una ragazza arrossire dal Millenovecentoquaranta e in altri più certi, pensò che era una caratteristca adorabile in qualcuna che solitamente sapeva mettere a posto chiunque con una stoccata verbale.
"Sei pronta?"
"Credo...credo di sì."
Andy si guardò attorno, incapace di stabilire la fine di quell' avventura folle.
In meno di una settimana, la sua vita era cambiata per sempre. Non si trattava di un picco, il punto più alto della prima salita di una Montagna Russa; sicuramente altri giri della morte si sarebbero avvicendati ma ormai era impossibile scendere. In primo luogo, perché era lei stessa a non volerlo.
Sospirò, socchiuse le palpebre e alzò il capo verso James. Timidezza e sarcasmo erano svaniti. Il muro smaliziato eretto contro il mondo aveva lasciato aprirsi una breccia.
"Grazie."
"Per cosa?"
"Per avermi salvata. Per avermi portata da Steve. Non te lo avevo ancora detto."
"Condurti da lui era l'unico modo per ripagarti di quanto hai visto."
"Lo so. Ma non riuscirai a farmi dimenticare che devo a te molto più della mia vita."
Sospinse verso di lui l'album da disegno. "Qui c'è un regalo chiestomi dal Capitano. Riguarda anche te, vorrei glielo consegnassi quando tornerà, prima della partenza per Washington."
"Andunie..." tentò di argomentare, di opporre resistenza. Si trovò davanti un minaccioso dito indice ben dritto.
"Ripeto a te quanto ho già dovuto dire a Steve: non trattatemi come una bambina, per favore. Ascoltami attentamente, perché non sono capace di dare voce a quanto provo veramente senza usare un po' di sarcasmo, ok? Ho pochi minuti di autonomia, quindi non interrompermi."
Ottenuto un riluttante assenso, Andy prese un profondo respiro: "Se tu non mi avessi seguita, se non mi avessi liberata, avrebbero fatto a me quanto hanno fatto a te e a tutti quei ragazzi. Se fossi sopravvissuta, e non ne sono per niente certa, avrei perso ogni cosa che caratterizza me stessa; sarebbe stato peggio della morte. Hai ucciso; lo so. Ma ho un debito con te e per come la penso io, non riuscirò mai ad estinguerlo."
Le mani si posarono sulle spalle di James e anche se Andy era più piccola di lui di una buona mezza testa, in quel momento le sembrò solenne e autoritaria come se potesse guardarlo negli occhi senza fatica.
"Non voglio perderti, Bucky. Qualsiasi cosa una dannata Commissione deciderà, spero che la nostra amicizia sopravviverà."
Il silenzio divenne il sigillo perfetto su una confessione importante.
Passarono i secondi, che divennero minuti.
Certe odiose, scomode fontanelle di sudore diaccio sbocciarono al centro dei palmi della ragazza. Un' altra volta.
"Dovresti rispondermi, a un certo punto."
Ancora silenzio. Gli occhi di Bucky erano pozze trasparenti e fragili.
"Senti, se ho esagerato e ti ho messo a disagio, scusami. Te l'ho detto, io sono una frana a parlare senza battute, mi-"
Andy si sentì scappare un rantolo, mentre veniva afferrata e abbracciata.
Non c'era nulla del calore languido e travolgente che la spingeva a schiacciarsi contro Steve, solo riconoscenza, affetto nella sua forma più goffa e vera reperibile sulla faccia della terra. Le fredde dita d'acciaio della mano sinistra di Bucky le sfiorarono il capo, divenendo tiepide al semplice contatto. E poi la spostò davanti a sé.
"Ci rivedremo. Te lo prometto."
"Sappi che prendo molto seriamente le promesse."
"Oh, anche io."
Perché sarò con te fino alla fine...
Uscendo, vennero fermati da Tony e Pepper, con Sam un passo indietro intento a godersi una delle ciambelle della colazione arrangiata nell' attico dopo il ritorno della squadra.
"Non penserai di portarla al Capitano senza farcela salutare?"
"E rischiare che tu mi porti via il braccio? No, grazie."
Stark ridacchiò gongolante e si produsse in un esagerato inchino di fronte a Andy. "Non ho anelli magici da offrire, Dama Luthien ma qualcosa di più utile."
Aveva pensato ben mezz' ora per intessere un piano efficace a protezione della ragazza che, dettaglio del tutto trascurabile, era diventata la compagna dello scapolo scongelato più desideratoe pericoloso d' America.
"Memoria espandibile, accesso ai database musicali di Jarvis che ti piacciono tanto, linea sicura. Avevo pensato a una nano macchina iniettabile per localizzarti ma qualcuno ha minacciato di usare i miei archi plantari come puntaspilli per le sue Manolo."
Pepper sbuffò, gli occhi al cielo; un sottile pacchetto infiochettato e chiuso da una carta argentata finì tra le mani di Andy. La donna la strinse forte.
"Stai molto bene con questa giacca."
"Hai un ottimo gusto, Miss Potts ma non posso davvero accettare l'intero guardaroba che mi hai procurato."
"Rimarrà qui per le emergenze. E per darti il benvenuto ogni volta che vorrai."
Sarebbe stato molto sciocco mettersi a piangere di fronte alla fidanzata di Iron Man; Andy optò per un energico cenno affermativo.
"Maria?"
"Sta preparando tutta la documentazione per il Ministero della Difesa" intervenne Sam con un sorriso mesto. Simultaneamente, sia lui che Andy cercarono lo sguardo di Bucky.
"Niente promesse strappa lacrime!" supplicò Tony con voce esausta. "Certo, sarà terribile, impossibile e umiliante ma abbiamo visto tutti di peggio. E non è da sottovalutare la leva della corruzione... scherzavo, cuore mio!"
Dopo l'ennesimo attentato all' integrità fisica del signor Stark, ci fu il tempo per altri abbracci e raccomandazioni. Di un ultimo scampanellio dell' ascensore, di altre promesse scambiate sul filo di uno sguardo e quindi una fine che segnava un nuovo inizio.
Bucky rimirò lungamente l'album da disegno e sollevò la copertina solo dopo aver tacitato i sensi di colpa; Andy aveva accennato riguardasse anche lui, non stava violando nulla.
Erano stati ritratti due volti: il primo ovviamente era Steve, gli occhi sbarrati e la bocca dischiusa in un' espressione di stupore, meraviglia e timore tanto forte e inarrestabile da distruggere la nobile calma che solitamente cristallizzava i suoi lineamenti.
Aveva combattuto, si era fermato. Per guardare chi aveva di fronte.
L'altro uomo aveva calcato in testa un cappellino, sopra di questo un cappuccio logoro e strappato. La barba era ispida, i denti in mostra come quelli di un lupo ma il suo sguardo-
James si rese conto di star reprimendo un singhiozzo.
L'abile mano di una giovane artista aveva fermato su un foglio il momento in cui due amici si erano ritrovati, a Central Park.
Una sola settimana prima.
Lesse il titolo e sorrise, deciso a tornare da Natasha per mostrarle il disegno.
Ti ho trovato.






Angolo (tetro e buio) dell' autrice: ultimo capitolo. Sento che dovrei aggiungere altro ma davvero, non ne ho la forza perché ho realizzato che siamo ormai alla fine.
Una piccola comunicazione di servizio: l' Epilogo verrà pubblicato giovedì prossimo e non venerdì. Come regalo di Natale, il primo. Perché ce ne sarà un secondo, una sorpresa speciale scritta proprio per queste feste.
Buona lettura e un immenso, grandissimo abbraccio!
Maddalena












































 

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Capitolo 34
*** Epilogo ***


Epilogo






Londra, inizio Ottobre




L' uomo era seduto su una delle panchine che ornavano le fontane di marmo degli Italian Gardens, affacciati su Lancaster Gate. Il congestionato traffico cittadino s' infrangeva sulla chioma mormorante di salici e pioppi; una brezza frizzante intrisa del ghiaccio portato da Nord in quello scampolo crudo di autunno inglese, increspava le acque scure punteggiate di ninfee.
Una donna attraversò gl' imponenti cancelli di ferro battuto del parco. Teneva un Pastore Tedesco al guinzaglio. Il cappotto indossato era pesante, una sciarpa faceva distinguere a malapena il colore degli occhi e una fronte alta. Si fermò al chiosco vicino al visitatore, ordinò un caffé take away e si allontanò col suo cane per imboccare il viale che costeggiava il Serpentine.
Era una giornata limpida, dove era quasi possibile illudersi di non trovarsi nel centro di una delle più caotiche città al mondo ma faceva freddo; l'inverno già mostrava i denti dietro la malinconica danza delle foglie dorate portate dal vento.
Anche i visitatori di Hyde Park sembravano essere meno, quel pomeriggio. Probabilmente erano concentrati nei bar disseminati lungo il canale, vicino ai moli per le piccole imbarcazioni turistiche: una tazza di punch, un tea caldo, chiacchiere e caffé lungo per scaldarsi.
L'uomo sorrise, soddisfatto; era il momento perfetto per leggere i propri giornali.
Aprì il primo e tra le pagine di cronaca internazionale, trovò una cartella contrassegnata da una sigla rossa.
"Buone notizie?"
La voce alle sue spalle era cordiale, morbida e venata da una costante, latente vena ironica. Il lettore non si scompose e aprì la copertina gialla.
"Credo spetti a te dirmi se lo sono o no."
Laogharie Randall gli aveva consegnato il fascicolo prima di partire per Edimburgo il giorno precedente; aveva ricevuto l'incarico di allertare alcuni uomini leali e fedeli, gente reduce come lei da conflitti in giro per il mondo e desiderosi di porre fine a quelli ancora irrisolti sepolti nelle loro coscienze. Coraggiosi ma abbastanza saggi dal riconoscere quanto il Male sapesse diluire il proprio colore nero e slavarsi in insidiose sfumature grigie, a volte così chiare e trasparenti da confondersi col bianco.
Il dossier conteneva un resoconto molto dettagliato di quanto si era scoperto sulle basi usate dall' HYDRA per la creazione di un esercito di Super Soldati. La strada per ritrovare l'esatta formula di Herskine era disseminata di tombe, tombe senza nome che vegliavano giovani vite strappate via per vederne stillare il sangue e carpirne i segreti.
Il suo compito, il compito di chi era rimasto, era quello di andare a scrivere i nomi mancanti su tutte le lapidi e riparare in parte simili ferite. Aveva la netta sensazione che sarebbe stato l' inizio di un viaggio molto più pericoloso, la cui meta, chissà, poteva portare ancora fuori dai loro confini, fuori dal loro mondo.
"La Commissione del Consiglio per la Sicurezza Nazionale ha chiuso il suo dibattito nell' odierna mattinata, fuso orario della Costa Est."
"Il verdetto?"
"All' imputato è stata riconosciuta l' infermità mentale temporanea, indotta dalle manipolazioni e dalle torture psico-fisiche. Il Governo avrà un bel da fare a placare l' opinione pubblica degli altri Paesi vittime del Soldato d' Inverno."
"Questo significa che la Casa Bianca ha già fatto squillare i telefoni rossi giusti."
Nick Fury non aveva bisogno di vedere in faccia il suo interlocutore; immaginava stesse alzando con fatalità le spalle, annuendo mesto e controllato come sempre.
Il miglior killer dell' HYDRA aveva modellato, con i suoi delitti, la Storia e l' intera morfologia geo-politica degli ultimi sessant'anni. Una marionetta letale e obbediente ricavata da un animo distrutto. Il Colonnello, così come altri uomini nelle più alte gerachie di comando e potere, portava in parte il peso della colpa da cui era nato il Soldato d' Inverno.
La popolazione civile non avrebbe mai potuto comprendere il perché dell' assoluzione del Sergente Barnes; per chi era impegnato a salvare ogni giorno il pianeta da nuova minacce interne ed esterne, era solo un modo per sottolineare un' altra volta che ci volevano persone pericolose, imprevedibili e dalle capacità straordinarie per proteggere l' umanità.
Perché erano le più qualificate a farlo.
Con tutta probabilità, presto i media avrebbero messo le mani sui files contenenti i filmati riservati e secretati catalogati dallo staff più stretto di Alexander Pierce, dove si documentavano i test effettuati sul Soggetto e come, a ogni risveglio dalla criostasi, annullassero ogni volontà con l'uso dell' elettroshock. Si sarebbe scoperto tutto sul passato del miglior amico di Captain America, compagno d'armi e prima ancora di scuola.
L'albero genealogico della famiglia Barnes sarebbe stato perlustrato ramo per ramo, scosso foglia per foglia a caccia della lacrima facile, della sensazione e l' opinione pubblica si sarebbe spaccata. Non era già capitato dopo i servizi sensazionalistici fioccati sulla deposizione di Natasha Romanoff, che aveva sfidato il Consiglio Nazionale dichiarando di sapere dove trovarla, ora, per arrestarla?
Aveva mostrato tutto. Come aveva fatto Steve Rogers. Un piano di ardita, calcolata follia ma stavolta non per distruggere e annichilire.
Aveva trovato un nuovo sentiero, una volta che la cenere dell' HYDRA andata in fiamme si era posata. Percorrendolo aveva ritrovato Barnes e i Vendicatori stessi.
La vita era un continuo scambio di promesse con se stessi. Molte s' infrangevano, alcune sopravvivevano e venivano portate a termine.
L' ideale portato avanti contro tutti era sicuramente una crocetta da porre nella colonna delle vittorie.
"Ora dove si trova, il Sergente?"
"E' ospite di Stark. Sarebbe un ottimo elemento per lo SHIELD."
"Lo SHIELD non esiste più. E non esisterà di nuovo fino a quando non saremo sicuri di non generare altri mostri nella sua ombra."
L'uomo alle spalle di Fury tossì e si sentì il rumore soffocato di una sciarpa che veniva riavvolta più strettamente attorno al collo.
"Avrà bisogno di elementi validi per scovare i topi scappati dalla nave affondata."
Il Barone.
Ora che i vertici dell' HYDRA erano stati scoperti, si veniva a sapere che tra essi non risultava nessuno con un titolo simile. Ma una cosa simile era nulla, senza un nome a cui associarlo.
Era il capo riconosciuto della squadra operante nella base di Brooklyn, costruita in segreto grazie agli appoggi nelle alte sfere del governo locale e federale nel corso di decenni. Sicuramente era servita a Zola per portare avanti le sue ricerche mentre professava fedeltà alla democrazia degli Stati Uniti ma dietro di lui si era profilata una nuova presenza.
Nei sotterranei del museo, sotto i laboratori di restauro e i magazzini, erano state rinvenute diverse celle speciali, i cui prigionieri dovevano aver posseduto capacità incredibili, create o stimolate dai continui esperimenti condotti sul loro organismo. Il pensiero che a dare l'impulso finale a simili torture era lo scettro sequestrato al Dio degli Inganni e non restituito ad Asgard insieme al Tesserakt perché ritenuto meno pericoloso e importante per condurre ricerche sulla natura aliena che lo aveva creato, fece sentire il proprio peso sul cuore dell' ex-Direttore.
"Il gingillo di Loki?"
"Stark vuole sapere quanto costa una spedizione inter-dimensionale verso Asgard. E qui abbiamo una persona a cui chiedere delucidazioni."
"Vuoi pensarci tu?"
"Dopo tutto questo tempo? Non so quanto reagirebbero bene a una simile, lieta notizia."
Un borbottio sommesso. La cosa più simile a risata a cui Fury potesse arrivare. Si voltò verso il suo interlocutore.
"Ho comunque bisogno di te. E di quelli che sei riuscito a salvare."
"I miei ragazzi possono tranquillamente prendere i contatti con Thor. Io posso esserle comunque utile, signore."
"Il tempo della gerarchia è finito, Phil."
L'uomo scosse energicamente il capo: era di corporatura normale, un volto privo di connotati peculiari e con un serio problema di stempiatura. Gli occhiali da sole proteggevano quanto di più caratteristico possedeva: uno sguardo azzurro malinconico ma vivo, capace di passare con sorprendente scioltezza tra i più diversi stati d'animo senza perdere del tutto la calma con cui aveva affrontato, in carriera, Dei del Tuono, milionari geniali sull' orlo di una crisi da ego debordante, divinità pericolose quanto bella era la loro voce.
E quella era solo la punta dell' iceberg dell' eccellente ruolino di servizio di Phil Coulson, vero e unico "occhio buono" del destituito e creduto defunto Direttore dello SHIELD.
Era un destino condiviso da entrambi, quello di una morte fasulla. Ciascuno sapeva di portare addosso conseguenze diverse per una simile bugia.
"Con tutto il rispetto signore, lo vada dire ai nostri nemici. Hanno addirittura dei Baroni."
"Dovremo cominciare proprio da lì; voglio che l'archivio dell' HYDRA e i suoi nominativi vengano rivoltati come calzini. Potranno essere un altro tipo di organizzazione, ma sono nate dallo stesso teschio e dagli stessi tentacoli."
"Ho un paio dei miei che potrebbero seguire questa pista." Phil starnutì, infreddolito da un clima decisamente fuori dai propri gusti. Nessuno avrebbe scommesso un penny bucato su un individuo tanto ordinario, a meno che non sapesse della sua impressionante collezione di cinture nere in varie discipline di lotta e i voti ottenuti a Quantico prima e a West Point dopo.
E dell' indomito, puro coraggio delle persone semplici destinate alla grandezza senza averla mai desiderata.
"Altro, signore?" domandò cercando nelle tasche del giaccone un fazzoletto.
"Dovremo seguire gli sviluppi a casa nostra; scongiurare una rifondazione errata dello SHIELD."
"Potrebbe contattare il Capitano Rogers." Il solo evocarlo, fece drizzare orgogliosamente le spalle dell' uomo. "Era presente, quando nacque la Riserva Scientifica Strategica ed è un buon amico del figlio di uno dei responsabili del progetto originale."
"Mi stai davvero chiedendo di coinvolgere Stark in un' operazione tanto delicata?"
"E' il garante per la libertà vigilata di Barnes e suo tutore legale. Prima di questo, ha decriptato la Rete parallela scoperta da Barton e Romanoff grazie ai suoi satelliti. Sono risposte sufficienti ai suoi dubbi."
Altro che "unico occhio buono"; Coulson era la sua coscienza. Nick si arrese e scivolò un po' in avanti sullo schienale scomodo della panchina.
"Allora direi che non c'è altro, agente."
"Invece ci sarebbe", si permise di dire una voce timida e rispettosa. "La ragazza, signore."
Il granello di polvere nell' ingranaggio perfetto costruito da ogni Cattivo degno di questo nome. La variabile impazzita il cui valore incalcolato aveva permesso ad altri di vedere l'equazione e il piano.
"Andy Martin, giusto?"
"Andunie Marjorie Martin, sì. Andrà protetta con una sorveglianza discreta ma efficace, ora che ha un coinvolgimento sentimentale col Capitano."
Se pensava a Steve Rogers, Fury visualizzava immediatamente un uomo scivolato via dalla linea del Tempo. Incapace di saper dire se era ancora un ragazzo di Brooklyn o un brutale scherzo del destino, destino sadicamente attaccato a lui e sempre pronto a lanciargli addosso nuove insidie.
Incapace di sorridere.
Incapace di vedersi senza il proprio scudo.
Incapace di perdonarsi.
Fino alla scoperta di Insight e del Soldato d' Inverno.
Un sorriso indulgente tese le labbra del Colonnello. Coulson gli aveva ricordato la giovane newyorker per un motivo ben preciso.
"Che ne diresti di supervisionare tu? Stark sicuramente ci avrà già pensato ma servirà un uomo di fiducia nei giusti ambienti dell' Intelligence, per coordinare un modo efficace per vegliare su una civile tanto importante."
"Certamente, signore. Sarà un onore."
Coulson non era tipo da perdere il controllo, nemmeno quando si trattava dell' Eroe idolatrato fin da bambino. Salutò Nick con un ultimo, fragoroso starnuto e si allontanò.
Il cane della donna vista prima abbaiò in lontananza. Uno scoiattolo, uno dei tanti per cui Hyde Park era famoso, saltellò nell' erba davanti a lui.
Il mondo era ancora lì. Davanti, sopra.
Avrebbe fatto quanto in suo potere perché rimanesse così: pieno di miserie, storpiato da orrende cicatrici, vittima sempre di nuove ferite ma vivo. E capace di dirgli, anche con delle cazzate come il musetto fremente di un roditore, che poteva esserci sempre qualcosa di buono, sciocco e bello da difendere.




New York, inizio Ottobre.




Il borsone cadde ai piedi del letto.
James non si curò di dove erano finiti i suoi pochi averi e per quanto lo riguardava, il completo grigio scuro che aveva dovuto indossare nel corso delle udienze del Consiglio di Sicurezza Nazionale al Campidoglio poteva venir tranquillamente stropicciato, tagliuzzato, bruciato.
Non aveva più alcuna intenzione d' indossarlo.
Solo la presenza di Steve e Natasha al dibattimento, insieme a quella insperata di Tony, aveva evitato una terribile crisi di panico. E associare tale emozione a un uomo che per anni non aveva provato nulla, una marionetta con una memoria da cancellare a ogni nuovo attacco dei fili occorrenti per manovrarla, poteva solo portare a conseguenze devastanti.
La camera da letto assegnatagli nella Stark Tower ormai era una vista rassicurante; durante la sua assenza, qualcuno doveva essersi premurato di portare le prime, sostanziali modifiche per renderla più accogliente e meno asettica.
Una veduta di Parigi, opera di uno dei pittori prediletti da Pepper Potts, capeggiava sul muro che guardava il letto. Lo scaffale sotto il televisore al plasma traboccava di DVD. Alcuni libri stavano cominciando a rendere meno vuoto il comodino.
Nell'armadio a scomparsa, trovò un intero guardaroba, tutto della sua misura; lasciò perdere jeans e camicie in favore di una busta porta abiti di spessa tela grigia: conteneva le sue uniformi militari.
Non le vedeva da molti anni; strinse con titubante affetto la manica di quella più semplice.
La restituzione del suo grado era stata solo la prima notizia sconvolgente appresa con la sentenza.
Il sommesso chiudersi della porta lo fece voltare di scatto e scontrare col luminoso sorriso della fidanzata di Stark; sempre raffinata ed elegante, persino in un sobrio tailleur stretto in vita da una cintura sottile, Pepper sapeva come portare calma e fermezza nei luoghi tanto fortunati da ricevere una sua visita. Non era un caso se proprio lei era la compagna perfetta per un uomo incapace di trovare un vero punto fermo in se stesso. La staticità non era forse la prima nemica di un genio?
"Stasera avremo ospiti a cena" esordì la donna, andandogli di fronte. "Spero non ti dispiaccia."
"Riconosco di non essere un esempio di stabilità emotiva ma sarò più che felice di rivedere Andy."
Lei era stata la prima persona contattata, dopo il verdetto, con un sms. In risposta era arrivato un video di pochi secondi in cui la ragazza ballava in giro per la stanza con Morrigan in braccio e in sottofondo, la voce di Kate che la supplicava di calmarsi.
La Commissione aveva votato per l'assoluzione parziale, con ritiro della proposta di un esonero con disonore e penale da versare all' Esercito degli Stati Uniti e cestinazione dell' ergastolo.
I capi d'imputazione pendenti sulla testa di James Buchanan Barnes andavano da esecuzioni di stragi a omicidio premeditato, terrorismo e tradimento ma già dopo il primo giorno di seduta e i filmati portati dalla difesa composta dai migliori avvocati di Diritto Internazionale reperiti da Tony Stark, le pene proposte avevano cominciato a venir ridotte.
Le testimonianze di Steve avevano spianato la strada alla più insolita ed efficace arringa mai udita in un' aula tanto importante. E a farla non era stato un Dottore in Legge.
"Spero di poter ricambiare il gesto di Stark, prima o poi."
"Basterà che tu segua le condizioni che ti sono state imposte."
Domicilio presso una struttura di massima sicurezza, firma giornaliera presso una struttura abilitata e servizio permanente per la comunità civile. Per la prima, il problema non si era posto per più di un secondo: esisteva un edificio più sicuro di una base di Super Eroi?
"Dovrò vedere di progettare qualcosa di più intimo per te, Bucky. In fondo, sei parte della squadra adesso." aveva detto Tony con una pacca sulla spalla e un'occhiata avida, infantile al suo braccio sinistro.
Entrare nei Vendicatori era l'ultimo degli scenari immaginati nel suo tormentato risveglio; all' inizio, a muovere i suoi passi era stata l'ostinata, assillante volontà di ritrovare l'uomo con lo scudo. Colui che sussurando un nome aveva scatenato un uragano tale da alzare ghiaccio, neve, bianco. La vendetta era giunta dopo, bruciante e ingorda, con una sete di sangue finita con il primo atto di una redenzione insperata.
Salvare la ragazza dagli occhi verdi prima che venisse annientata dallo stesso destino da cui era emerso il Soldato d' Inverno. E lei, sfidando una tormenta, lo aveva abbracciato e voluto bene per ciò che era adesso.
"Vi ringrazio, Pepper. Vi devo davvero molto."
"Sei entrato ufficialmente nella peggior squadra di Super Eroi del mondo, Sergente. Sono certa ti troverai benissimo."
La lasciò stringergli la mano e tornare all' organizzazione della serata. Pepper si bloccò sulla porta e cercò nuovamente i suoi occhi per sorridergli ancora.
"Potrai chiedere a Jarvis tutto quello che ti occorrerà. Ah, dimenticavo: Natasha ha deciso di fermarsi da noi qualche tempo e Clint ha borbottato qualcosa simile a "Posso tardare il raccolto delle zucche per festeggiare". A dopo."
Anche James era vagamente perplesso dall' accenno di sapore campestre ma solo una minuscola parte del suo cervello stava elaborando congetture su una simile uscita da parte di Occhio di Falco. Tutto il resto, dall' attività cerebrale a quella cardiaca passando per quella respiratoria, erano impegnate in una furiosa gara a chi avrebbe procurato l'ultimo spasmo al suo povero corpo.
Natasha restava.
Doveva controllare di avere la barba in ordine e in caso rasarla, vedere se ricordava come si abbottonava una camicia. No, i capelli li avrebbe solo legati. Il vecchio Bucky Barnes s' ondignava per quella capigliatura lunga e ribelle, il nuovo l' apprezzava.
Tutto questo circolo vizioso d'ansia e vanità maschile si riduceva a nulla, di fronte al ripetersi della notizia, sparata a tutto volume nella sua testa.
Natasha restava.
La speranza di una simile sciocchezza aveva lo stesso buono sapore di una torta di mele con cannella.




"Ecco la sua ordinazione."
La cameriera posò sul tavolino rotondo laccato di bianco una teiera, due tazze e un vassoio di Scoones caldi. Sul piattino da portata erano state preparate delle porzioni di tre marmellate diverse e al centro, una cocottina con del burro a temperatura ambiente.
Andunie aveva sempre adorato la confettura di arancia e quella ai frutti di bosco; Robert aveva fatto espressa richiesta di averle entrambe.
Per molto tempo aveva dimenticato -rimosso- quanto la conosceva; il colpo di spugna dato dopo alcuni mesi dalla fine della loro relazione era stato definitivo e violento; solo la mano brusca e indelicata del senso di colpa poteva possedere una tale forza.
Il raggazzo sospirò e controllò l'ora sul suo smartphone; per la prima volta in vita sua era in anticipo. L'incapacità di rispettare un determinato orario era parte integrante della sua natura e con la stessa certezza sapeva che lei sarebbe arrivata puntuale.
Se alla fine aveva accettato la sua richiesta di vedersi per sapere cosa le fosse successo e accertarsi se stava bene.
Attorno a lui, i posti a sedere del McNally Café, il locale attiguo alla famosa e omonima libreria indipendente, erano quasi tutti occupati. Alcuni clienti stavano sfogliando e leggendo gli acquisti appena fatti, altri digitavano compulsivamente al computer. Nell'aria c'era l'odore inconfondibile di aroma di caffé e pane caldo.
Era la prima volta che tornava lì.
Dopo la rottura, Robert aveva evitato accuratamente i posti dove avrebbe incontrato la sua ex; il Caffé era a poche centinaia di metri da Lafayette Street e sapeva che Andy ci andava almeno una volta a settimana, per disegnare o leggere in un ambiente diverso da casa sua: per snebbiare il cervello, amava dire e per trovare ispirazione in modo diverso.
Sparire definitivamente, anche se vivevano entrambi a SoHo, era stata la cosa migliore.
Come lo era stato il nasconderle il vero motivo per cui l'aveva lasciata, nonostante fosse riuscito ad ammettere con se stesso di aver rinunciato all' unica persona in grado di capirlo davvero.
"Persona fantastica..." aveva mormorato Andy, la notte della fine di loro due insieme. Sì, l'aveva proprio chiamata così. E lei, come sempre, aveva capito. E le si era spezzato il cuore.
"Non mi definisci più nemmeno ragazza. Io non lo sono più, per te."
L'incrocio di Prince Street si affollò di gente pronta ad attraversarlo. Tra un' onnipresente sfumatura di giacconi pesanti grigi o neri, Robert scorse un lampo rosso fragola.
Andy approdò sull' altro marciapiede e si tolse le cuffie dalle orecchie protette dal suo immancabile cappello con le orecchie da gatto. Mise in una tasca della borsa l' i-Pod e osservò le vetrate del McNally. Vedendolo e riconoscendolo, un sorriso teso fece tremare appena gli angoli delle labbra verso l'alto. Lo salutò persino con un cenno sbrigativo della mano.
"L'ho avvisato", aveva detto Kate il giorno dopo il suo ritorno a casa. "Chiede però se vi potete vedere. Lo sai che non sei costretta."
"E' stato con te alla Polizia, ha aiutato i miei genitori. Ho un debito nei suoi confronti adesso e non ho intenzione di averlo in eterno."
Per lei, i favori resi e da risquotere erano un affare serio. Era solo per questo che ora stava aprendo la porta di uno dei suoi rifugi prediletti e si stava dirigendo a un certo tavolo.
"Ciao, Robb."
Si tolse il cappello ma non la giacca e si sedette. "Scusa se non mi accomodo meglio ma ho un appuntamento e devo andare a Central Park tra poco."
"Cosa hai fatto alla fronte?" domandò preoccupato. La ragazza non afferrò subito il motivo della sua apprensione, poi alzò le spalle e si sfiorò la tempia dove ancora si poteva vedere la cicatrice lasciata dal taglio rimediato durante il tentato rapimento da parte dell' HYDRA.
"Guarirà. Non rimarrà nemmeno il segno."
Odiava lo sguardo dei suoi occhi scuri fissi nei propri. Era uno dei motivi per cui avrebbe voluto rinunciare a un simile incontro; non aveva bisogno di essere compatita o coccolata da nessuno, specie se si trattava di una premura generata dal rimorso.
"Posso chiederti...come stai?" chiese facendo cenno di volerle riempire la tazza. Andy non si oppose, le mani raccolte in grembo.
Si meritava comunque la verità. Una piccola parte, ma pur sempre verità.
"Mi hanno rapito, Robb. Quello che hanno detto in televisione è vero."
"E quello che hanno detto dopo lo scandalo del Brooklyn Museum?"
I media erano impazziti da allora, tornando ai fasti appena consumatisi per la rivelazione di chi si celava davvero dietro la potente organizzazione dello SHIELD.
Il killer conosciuto col nome di Soldato d' Inverno non era stato il responsabile dell' aggressione e successiva sparizione violenta di una giovane cittadina americana. L'aveva salvata e coinvolta in una guerra, ora portata allo scoperto, contro forze insospettabili annidate ancora oggi in ogni alveo di potere.
"E' vero anche quello. In parte."
Robert Connelly era sempre lo stesso, pensò Andy osservandolo. Aveva ancora stampata in mente l'ultima immagine di lui davanti alla porta del palazzo al numero 274: alto, snello, scompigliati capelli scuri che si ribellavano al berretto di lana, lineamenti decisi, barba. Sembrava che il rullino della loro storia si fosse interrotto a quell' ultimo, straziante fotogramma, in cui lei aveva chiuso il portone d'ingresso dicendogli addio per sempre.
Per mesi gl' incubi di Andy erano stati popolati dal suo volto. Un volto che non riusciva più a raggiungere, a carezzare. Al dolore si aggiungeva l'umiliazione di aver visto il loro rapporto fulminarsi come una lampadina difettosa dall' oggi al domani, tirandosi dietro, oltre al buio totale, la sensazione di essere stata una povera stupida accecata dall' amore per non essersi accorta dei sottili, inarrestabili mutamenti avvenuti nel comportamento del suo fidanzato.
La via della guarigione era stata solitaria, amara e piena di momenti drammatici ma l'aveva percorsa da sola, perché appoggiarsi ad altri era fuori discussione. Non avrebbe permesso a nessuno di sminuire il patimento, la vergogna, la delusione. Piuttosto di cercare confortanti sonniferi tra altre braccia si sarebbe tagliata lei stessa un braccio.
La questione non era mai stata dimenticare; era stata il convivere col peso di una perdita simile e trovare un motivo valido per andare avanti.
Dopo tre anni, poteva ammettere di aver avuto ricordi bellissimi con questo ragazzo intelligente, affascinante, tormentato e complicato.
Figlio della SoHo ricca e borghese, la cui fortuna si doveva a investimenti nel mercato dell' arte, con un fratello più grande a cui tutto era dovuto; in pieno contrasto con i genitori, specie il padre, andato via di casa quando lui aveva diciotto anni. Un animo sensibile.
Si erano avvicinati perché entrambi amavano disegnare; Andy era riuscita, a costo di anni di sacrifici, a fare della sua passione un lavoro. L'aveva sempre ammirata per questa forza e segretamente, invidiata.
Si erano amati? Dirlo ora era impossibile; era cosciente solo di un fatto su tutti gli altri: l'amore provato per lui era stato l' unico motivo per cui non si era mai permessa di cercare inutili vendette.
"Arancia e frutti di bosco!" esclamò deliziata nel notarlo. Voleva alleggerire l' atmosfera e se possibile, sviare il discorso da quanto le era successo.
"Ricordo che erano i tuoi preferiti."
Quieti, implacabili, due occhi verdi lo inchiodarono alla sedia con un lampo malinconico.
"Quando lo hai ricordato?"
"Ordinandoli."
"Se non altro sei stato sincero."
Gli ci vollero due generosi sorsi di tea per riprendere coraggio: "Senti, Andunie-"
"Ti prego, no."
Una mano si levò imperiosa.
"Odio questi incipit, va bene? Ci siamo detti tutto il necessario quando ci siamo lasciati definitivamente. Per te era finita da ben prima che mi confessassi di uscire con un' altra già da un mese, anche se non hai avuto il coraggio di dirmi che l' avevi conosciuta quando ancora eri impegnato con me. Non sono qui per riprendere un dialogo interrotto, perché non esiste nessun dialogo interrotto."
Come sempre, Andy aveva ragione. Il suo acume era stato uno dei motivi per cui aveva capito che provava più di una forte attrazione, per la volitiva e sicura illustratrice conosciuta in uno dei locali gestiti dalla società finanziaria del padre. Ed era stato il motivo per cui, alla fine, si era sentito inferiore, puntando la propria attenzione su qualcuna più giovane, più remissiva e bisognosa del tipico uomo forte.
"Come hai fatto a saperlo?"
"Ci sono arrivata. Dopo che la mia impressionante intelligenza si era destata dalla sbornia di amore infranto e ormoni insoddisfatti in cui era piombata."
L'ironia sfoggiata era fiacca. Forse perché non si trattava di battute ma di pura, redimente verità.
Seduta di fronte a lui non c'era la ragazza ridotta a pezzi prima dal suo rifiuto e poi dalla sua decisione. Andy non era mai stata fragile. E se lo era, lo nascondeva dietro la sua lingua caustica e sarcastica.
Il fotogramma si sbloccò e lasciò scivolare nella pellicola quell' immagine, aggiornandosi a tre anni dopo.
"Mi dispiace."
"Non è vero. Avresti avuto il coraggio di dirmelo, se avessi tenuto a me. Odio chi manipola i sentimenti."
Tagliò in due uno Scoones con un movimento netto e definitivo. Senza rendersene conto, Robert deglutì.
"Quindi odi me?"
"Sarebbe comodo, vero?" interloquì con un sorrisetto. "L'odio è definitivo. Brucia tutto, anche il buono. Per me non sarà così."
Andy imburrò e farcì il biscotto di frolla con cura, dandosi il tempo di trovare il punto giusto dove chiudere un paio di forbici e recidere un cordone ombelicale non voluto.
"Io ti ho amato davvero. Quanto ho fatto con te, quanto ho provato con te, non erano illusioni o giochi. Per questo non ti odierò mai. Per l'altra parte, quella che ti spetta, non posso esprimermi."
Prese un tovagliolo.
"Cosa stai facendo?"
"E' una passeggiata lunga, da North Houston fino alla Park Avenue. Questo mi darà le forze, anche se prima devo passare in libreria per un regalo."
Si alzò; ci dovette pensare qualche secondo, prima di affiancare il ragazzo a posargli una mano sulla spalla.
"Grazie per quanto hai detto a Kate sui miei genitori. E grazie per essergli stato accanto."
"Ho anche io del buono da proteggere."
La consolazione era sempre una piccola ricompensa, a fronte di perdite spesso devastanti. Andy si permise di sperare di aver davvero dato qualcosa di bello a quel ragazzo, possibilmente da rimpiangere.
"Buona fortuna, Robb."
"Non mi dirai altro su cosa ti é successo?"
Una lieve risata.
"A dire il vero sì: spiacente, è un segreto di Stato."
Uscì, accompagnata dall' onda dei capelli mori sul rosso del cappotto.
Robert Connely sperò che chiunque la stesse aspettando a Central Park fosse più degno di lui di averla. In quel preciso momento si rese conto di averle nascoto i motivi della fine del loro rapporto non per affetto ma per il suo esatto contrario.
Vigliaccheria.
Ad Andunie Martin serviva qualcuno col suo stesso coraggio e alzando la tazza in un brindisi, si augurò lo avesse trovato.




L'aria era fradda e cristallina. Graffiava la faccia.
Andy scoprì di amarla.
Il cielo era così terso, in quel tardo pomeriggio autunnale, da rendere il sole persino troppo luminoso mentre si stava preparando al tramonto .
Ad Andy non importava.
Leggera come un palloncino, col cuore in gola, reggeva contro il petto un pacchetto infiochettato.
Prima aveva adempiuto a un dovere. I debiti non le erano mai piaciuti.
Adesso stava correndo incontro alla felicità. Persino la cena alla Stark Tower perdeva d'importanza, sapendo chi doveva vedere sul Park Drive.
Si bloccò per un secondo.
Quello appena fatto era un chiaro, lampante ragionamento da innamorata.La cui banalità fu tale da farla inorridire e riprendere a camminare con foga rinnovata. Possibile che il più potente dei sentimenti fosse capace solo di creare frasi fatte?
Forse lo fa perché l'amore non ha tempo per parlare.L'amore agisce. E tu ti perdi sempre in iperboli troppo complicate, benedetta ragazza mia!
Rise nell' autunno di New York e imboccò l'ultimo sotto passo prima di accedere alla pista.
L'orologio dello Zoo batté cinque rintocchi precisi quando Steve vide emergere chi stava aspettando dall'altro capo della galleria sotterranea.
L'emozione lo colpì allo stomaco e poi non lo mollò più. Perché un vero, primo, serio appuntamento non capitava da molto tempo a Captain America. Figuriamoci allo Scricciolo che stava nella divisa, seppur cresciuto.
Prima di lasciare la Torre avrebbe voluto il consiglio di Bucky ma quell' infido di un migliore amico aveva trovato più saggio sparire per aiutare Pepper e Natasha con la cena di festaggiamento per la sua assoluzione e ingresso nei Vendicatori; un modo contorto ma efficace per fargli comprendere che non aveva bisogno di spinte o aiuti. Doveva solo proseguire sulla strada già imboccata.
Se poi sospettava che tanta dedizione a un evento formale fosse causato dalla presenza di una vecchia fiamma di origini russe, Steve lo avrebbe tenuto per sé.
Fino al momento esatto in cui avrebbe saputo di poter mettere sotto terzo grado il Sergente Barnes.
Adesso doveva godersi ben altre sensazioni.
Per la prima volta dopo aver scoperto l' esistenza di una nuova organizzazione terroristica, potevano stare insieme e in pace.
Steve non metteva in conto il giorno trascorso al 274 di Lafayette Street a vegliare sul riposo sfinito di Andy, da poco tornata a casa. C'era stata anche Kate e la presentazione di entrambi era partita sotto i più neri auspici.


"Sì?"
La voce dell' amica era strozzata, resa metallica dal microfono del citofono. Doveva aver pianto molto.
"Kat. Sono io..."
"Maledetta ingrata egoista di una maledetta ingrata egoista!"
La comunicazione era caduta un istante dopo. Sotto lo sguardo allibito di Steve, che l'aveva accompagnata in moto a SoHo, Andy aveva sospirato.
"Beh, l' ha presa meglio di quanto avessi previsto."
Il peggio arrivò quando furono davanti all'appartamento. Kate aveva spalancato la porta, rossa di rabbia e gli occhi pieni di lacrime.
"Sono giorni che aspetto tue notizie, lo sai? No che non lo sai! Credevo di avere il cuore sul punto di esplodere e... e..."
E allora Steve era entrato nel suo campo visivo.Alto, imponente, capelli biondi arruffati schiacciati dal casco, chiodo di pelle e gli occhi intrisi del più profondo e adorabile degli imbarazzi.
"...E non sperare di calmarmi presentandoti a casa con la rincarnazione di una scultura di Apollo, razza di sciagurata!"



Erano accorse due ore per raccontare a Kate cosa fosse successo ma più delle parole spese, il Capitano non avrebbe dimenticato il peso del capo di Andy appoggiato alla sua spalla, seduta accanto a lui sul divano color prugna e in braccio la bellissima e fulva gatta Morrigan.
La signorina Hale sarebbe stata l'unica a sapere i veri fatti accaduti in quell' ultima, folle settimana. Era esattamente il tipo di persona a cui affidare una storia tanto incredibile. Gli aveva ricordato Sam, per alcuni versi; dopo il comprensibile scoppio d'ira e un pianto di sollievo consumato stretta forte alle spalle dell' amica ritornata, aveva ascoltato il racconto del rapimenti di Andy, l'arrivo del Soldato d' Inverno, le basi segrete dell' HYDRA.
Aveva creduto a Captain America. La promessa del suo silenzio fu una solenne, commossa stretta di mano prima di andarsene e una sola parola.
"Grazie."
Steve sogghignò nel vedere la ragazza fermarsi e prendersi qualche secondo per ammirarlo da capo a piedi. Che fosse in divisa o in abiti civili, o quella scandalosa canotta da allenamento che ancora turbava deliziosamente i sogni di Andy, la sua bellezza, la forza espressa persino ora che era immobile ad aspettarla, l'avrebbero sempre affascinata.
Aveva cominciato a farsi fregare proprio a causa dell' attrazione scatenata dall' aspetto del Capitano e da quel punto in poi aveva dovuto ammettere di non essere stata l' unica a venir calamitata da lui. Era stato un coinvolgimento reciproco, inarrestabile.
"Come ti devo chiamare oggi?"
La domanda, invece del saluto, lo spiazzò. Osservò Andy attentamente e intuì la battuta e il motivo. Al loro secondo incontro c'era stato un malinteso su questo.
Sorridendole, si chinò verso di lei togliendosi il cappello da baseball e stringendola per i fianchi, costringendola a mettersi in fretta sulla punta dei piedi, le mani guantate ancora a proteggere il pacchetto regalo.
"Che ne dici di Steve?" mormorò dopo contro la sua bocca, prima di baciarla nuovamente. Sentì un lieve mugolio di assenso, poi un doveroso e lungo silenzio occupato solo dai loro respiri.
"Per sempre?"
"Capitano Rogers tienilo per quando sarai arrabbiata e vorrai sottolinearlo."
"Mi sembra una proposta ragionevole."
Il berretto tornò a coprire i corti capelli biondi. Andy si promise d' infilarci le dita appena le fosse stata data l'occasione.
"Andiamo a trovare Jenna?"
"E devo lasciar offrire te, giusto?"
"Non sei poi tanto digiuna di appuntamenti."
"Credo di sì, invece. Di solito è il ragazzo che fa un regalo ma..." porse il misterioso involto verso di lui con un grosso sorriso soddisfatto "...io odio le tradizioni."
Steve soppesò la sorpresa per qualche istante, notando subito l'etichetta della McNally Jackson Books. Poteva esserci solo una cosa che Andy avebbe desiderato donargli in un pomeriggio tanto importante. Nel luogo dove si erano conosciuti. Dove avevano rischiato insieme la vita.
La copertina verde spento de "La Compagnia dell' Anello" fu una vista famigliare e insieme insperata. C'era una dedica sulla prima pagina.
"Perché é un delitto non accompagnare Frodo fino alla fine" lesse commosso, cercando lo sguardo della ragazza che si limitò ad annuire e ad abbracciarlo con tutta la sua forza.
Anche loro due erano all'inizio di un viaggio. Erano già stati in pericolo e con ogni probabilità, lo sarebbero stati ancora ma non importava, si disse Steve mentre imboccavano il sentiero per addentrarsi nel parco e attraversarlo fino al Reservoir.
"Hai visto Robert?" le chiese, cercando la sua mano da stringere.
"Sì. L'ho ringraziato, glielo dovevo."
Ne avevano parlato insieme pochi giorni fa, lui a Washington dopo l'ennesima testimonianza e lei a SoHo, preoccupatissima per Bucky. La zannuta bestia della gelosia stavolta si limitò a un ringhio soffocato; se Andy gli sorrideva in quel modo, non c'era nulla per cui rabbuiarsi.
"Adesso sono tutta per te, non sei contento?"
"Avevo un rivale, allora?" S' inalberò cercando di essere credibile nel suo ruolo di innamorato oltraggiato; il risultato fu solo una risata a due.
"Sai..." la voce di Andy si abbassò, facendo salire il suo rossore. "Ero per te da molto prima che lo capissi."
"Siamo due imbranati."
"Due imbranati testardi. Riesci a immaginare una combinazione peggiore?"
Il cielo stava cominciando a diventare indaco; da qualche parte, in uno dei giardini, un artista di strada stava suonando la sua chitarra.
"Questo è un luogo magico, Andunie, vero?"
Steve si era fermato, costringendola a fare altrettanto.
"Sì, lo é. Ma non pensare di averne bisogno. Lo è diventato per un caso."
Aveva ragione.
Il caso gli aveva fatto perdere l'agenda, l'unico modo che possedeva per sentirsi parte del tempo in cui si era svegliato e l'aveva fatta finire ai piedi di una giovane concept designer.
Il caso li aveva spinti lì, in quel preciso secondo, l'ultimo da passare l' uno di fronte all' altra prima di strinsersi di nuovo e rinunciare a qualsiasi parola.
Nonostante il freddo della giornata, le labbra di Steve erano calde e morbide. Chiedevano con ingorda, innocente e affamata curiosità: conferme, risposte, amore. A ogni stoccata della sua lingua Andy desiderava esseregli sempre più vicina, più addosso, sperando di fargli capire che si sarebbe presa cura di lui, che poteva dare nuove voci alla sua lista e realizzarle per vederlo felice.
La forza di un simile pensiero le fece perdere il fiato.
"Andy?..."
"Scusami."
"Tutto bene?"
Poteva forse andare male, con le braccia di Steve a circondarle la schiena?
No.
Ed era un' affermazione spaventevole, enorme, importante. Le bastò guardarlo negli occhi per vedere di non essere la sola in quel momento così soverchiante. Gli carezzò la fronte sotto la visiera, avvertendo l'impulso di piangere. E non aveva mai desiderato farlo a causa di una gioia delirante.
Steve prese quella mano e le tolse il guanto, portandola contro la sua guancia.
Era lì. Stretta a lui. Reale, delicata, imbarazzata e felice. La sua possibilità di vivere davvero, di far pace con alcuni dei demoni che si portava dentro. Agli altri non avrebbe più dovuto pensarci da solo.
"Non avere paura."
"Non l'avrò. Tu?"
"Nemmeno io. Perché adesso siamo in due."
Il caffé di Jenna divenne un pretesto, invece di una meta.
L' ottimo inizio di una nuova lista.


fine




Angolo (tetro e buio) dell' autrice:
Italian Gardens: area di Hyde Park, famosa per le sue fontane e i giardini dal gusto prettamente rinascimentale. Collocata all' inizio del Serpentine, si affaccia su Lancaster Gate, trafficatissima arteria che conduce all' inizio di Oxford Street, piena City di Londra. Pochi minuti a piedi e costeggiando il lago a destra, si arriva alla famosa statua di Peter Pan.
McNally Jackson Book e McNally Café: la prima è una delle più famose librerie indipendenti di New York e accanto c'è l'omonimo Caffé. Entrambe sono affacciate su Prince Street, la via che interseca con la Lafayette e la Mulberry, da me più volte citate. Se mai un giorno farete un viaggio nella Grande Mela e visiterete SoHo, ve la consiglio caldamente!
Il capitolo si chiude con uno scambio di battute che è una citazione volutissima a una coppia adorata e amata da anni: si tratta di Claire Beauchamp Fraser e il suo sposo, Jamie Fraser. Se non avete mai sentito parlare della saga storico-fantastica di Outlander, rimediate.
Vi avviso. Sono una schiappa coi ringraziamenti. Perché mi commuovo nel pensarli, perché la fine di questo percorso iniziato nell' Aprile di quest'anno ha portato tanti e tali cambiamenti da rendermene a stento conto ancora adesso.
Perciò preparatevi all' inconclusione, al disagio e al delirio.
Il primo grazie va senza dubbio alla prima fan di questa storia, indomita donna che se n'é fregata del mio "Occhio, non so niente del Comic!Verse. Hai l'autorizzazione a pestarmi con violenza se dirò e scriverò cavolate!" e ha seguito The List fin dai suoi primi passi: Alkimia. Sappi che io e il mio Maestro, che conosci da "Angels and Roses", siamo ancora commossi riguardo cosa dicesti su quella storia.
Grazie a Cowgirl Sara, ammirata per anni in silenzio per le splendide ore regalatemi con le sue fan fiction, causa primaria della mia cotta senza soluzione per Legolas, motivo per cui amo le donne dai capelli rossi da tempi non sospetti. Mi ha onorato leggendo le anteprime, mi ha consigliato ma sopratutto, non si è mai tirata indietro quando c'era da andare giù di ormone pesante con il nostro Cap e l'attore che lo interpreta. "Steve è un cup-cake umano!" Remember that, peasants!
Grazie al Capitano. All' uomo giusto, non al Soldato Perfetto. Che sicuramente adorebbe Tolkien e ha già guardato Guerre Stellari. A te, Steve.
Grazie a tutte le folli, adorabili, intelligenti e argute ragazze del Winterpuccy fan club che mi hanno aiutata facendomi ridere e persino a farmi riflettere nei momenti giusti; sono state spesso motivo d' ispirazione anche con una semplice, geniale battuta.
Grazie al Winterpuccy medesimo. Bucky è stato davvero la mia Musa per TL e motivo principale per cui ho dovuto scrivere. Perché merita felicità insieme al suo Scricciolo di Brooklyn e perché mi diverto troppo a dare resoconti dei folli siparietti della nostra "convivenza".
Grazie a Tony, Pepper, Natasha, Clint, Sam e tutti i meravigliosi personaggi che hanno animato questa avventura. Temevo di confrontarmi con caratteri tanto complessi e sfacettati, invece devo essere stata loro decisamente simpatica perché hanno collaborato egregiamente, facendomi spesso sogghignare o piangere scrivendo le loro peripezie.
Grazie ad Andy, ben più coraggiosa della sua "mamma".
Grazie ad Alessia Mainardi e Caterina Franchi, i due splendori di amiche che sono state fuse in Katherine Hale. La prima mi ha insegnato il vero compito dello scrittore, tra le molte cose. La seconda è stata il mio scudo contro la peggiore delle tempeste.
Grazie alla mia Furia Buia, Salem. Per le fusa, gli attentati mentre ero al monitor, le rotolate nel letto. E per avermi ispirato Morrigan.
Grazie ai litri di caffé consumati in questi sette mesi.
Grazie a Londra arrivata nel momento giusto.
Grazie a Oxford, perché se si cita così massicciamente il Professore è un obbligo parlare della sua cittatina.
Grazie alle centinaia di colonne sonore ascoltate in fase di stesura, ai messaggi divini arrivati per le vie più insolite come lo stesso brano degli AC/DC che passava in radio in momenti cruciali.
E infine, grazie a tutti voi. Lettori e lettrici. Recensori attivi o silenziosi sostenitori. Mi avete supportata, sopportata senza mandarmi al diavolo quando vi facevo prendere un coccolone col colpo di scena n. ventimila. Insieme fino alla fine. E la mega-citazione ve la meritate tutta.
See ya soon, Punks. And Merry Christmas!
Maddalena.






 

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