A damned night

di Miss SunShine
(/viewuser.php?uid=53348)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Risveglio e paura ***
Capitolo 2: *** Ricordi e realtà ***



Capitolo 1
*** Risveglio e paura ***


tour bus Salve a tutti, eccomi ancora qui.
Due parole come al solito, prima di iniziare:
Questa è nata come una one-shot, però è diventata più lunga del previsto, così ho deciso di trasformarla in una mini-fanfiction.Infatti i capitoli non saranno molti.
Gli avvenimenti trattati sono completamente inventati da me, non hanno nulla di reale.
Inoltre, forse è una storia che potrebbe toccare le persone più sensibili.
E... i commenti fanno sempre un'immenso piacere e spronano a migliorare e andare avanti!^^

Buona lettura

Ps:Il narratore è Bill Kaulitz
tour bus
****


Apro gli occhi lentamente.
Mi bruciano e non riesco a distinguere le figure attorno a me,così li richiudo rapidamente.
Rimango per secondi, minuti, o forse ore lì immobile, immerso nel silenzio più totale, avendo quasi l’impressione di non essere più capace di ragionare.
L'ultimo mio ricordo risale alla vasta folla, che intonava con me ogni parola delle nostre canzoni.
La testa mi gira e sento qualcosa colarmi dalla tempia destra.
Istintivamente, mi porto una mano alla fronte e subito mi accorgo, che ho difficoltà a muovermi.
Appena le mie dita toccano la pelle, sento un forte dolore e un liquido quasi denso rimanere sui miei polpastrelli.
Mi costringo a riaprire gli occhi per capire cosa sia.
Quando riesco a mettere a fuoco, vedo che è di un rosso scuro.
Si,è sangue.
Tasto ancora un’altra volta la fronte, facendo scorrere le dita fino alla tempia.
Lì la pelle non è più liscia, ma solcata da un profondo taglio.
Ancora non del tutto cosciente, non collego subito quella ferita a me stesso.
Poverino, si dev'esser fatto male quel tizio...
Passo ancora una volta l'indice su quella che sembra essere una brutta crepa in una statua perfetta.
Già,mi sembra quasi di sentire il suo dolore, mi sembra quasi...
In quell'istate una sensazione di terrore mista a preoccupazione, risveglia tutti i miei sensi.
Oh cazzo.
Con uno scatto dovuto alla crisi di panico che ormai mi pervade, cerco di alzarmi, fallendo però.
Riprovo, ma ancora è inutile.Le mie gambe sono bloccate.
E finalmente, inizio a capire.
La luce fioca che va ad intermittenza e illumina il tour bus,mi offre una di quelle immagini, che non scorderò mai: a qualche metro da me, il mezzo è un insieme di lamiere aggrovigliate.
Oggetti, vestiti, mobili sono ovunque e uno di quest’ultimi è proprio su di me.
Ecco cosa mi impediva di muovermi.
Spigo,tiro,cerco di girarmi:tutto inutile.L’armadio, sradicato dal punto dov'era stato fissato, non si sposta di un centimetro.
Vorrei urlare con tutto il fiato che ho in corpo, però cerco di riprendere il controllo, facendo un profondo respiro.
Nulla, tutto quello che ne ricavo è solo un gran fastidio causato dall'odore di benzina.
L'impressione che i miei polmoni siano schaicciati da un immenso peso non si placa.
Guardandomi intorno, con gli occhi che si spostano schizzofrenici da una parte all'altra, vedo un pezzo di legno, che afferro velocemente e inizio a far leva,mettendoci tutta la forza che possiedo.
Finalmente il peso del mobile sulle mie gambe diminuisce gradualmente.
Così, dopo vari tentativi,riesco a liberarmi.
Gli arti inferiori sono indolenziti e per qualche secondo incapaci di muoversi, per esser stati nella stessa posizione così a lungo.
Seduto su un cumulo di valige, rimango ad osservare l’abitacolo.
Sembra l’inferno.
Come posso essere ancora vivo?
A quella domanda, ne segue immediatamente un’altra, che mi scuote come una bambola nelle mani di una bambina capricciosa.
E gli altri?
Fino a quel momento non ho realizzato, che non ci sono solo io lì.
Il mio viso si trasforma in una maschera di puro terrore.
L’attacco di panico è tornato ancora più forte di prima.
Respirando a fatica, mi rialzo, gemendo per lo sforzo.
Deglutisco rumorosamente e resto a fissare per l’ennesima volta le condizioni del bus.
Non so cosa fare.
Il mio cervello sembra essere andato in stand-by, faccio fatica a formulare un qualunque pensiero logico.
Quell'angosciante presa di coscienza ha totalmente annullato ogni mia capacità mentale.
Le mani fremono dal bisogno di agire, di fare una qualsiasi cosa e proprio in quell'istante mi accorgo delle scale che salgono al piano superiore, come se fossero comparse solo in quel momento.
Miracolosamente sono intatte.
Senza riflettere un secondo, le salgo con foga, non preoccupandomi delle gambe, che urlano di dolore.
Appena appoggio il piede sull’ultimo scalino, ritrovo lo spettacolo nel quale mi ero svegliato.
Come sotto, la parte anteriore dal pullman, che è poco distante da me, è del tutto distrutta.
La osservo ancora e ancora, non capacitandomi di come questa possa essere la realtà.
Un rumore mi fa ritornare nel mondo reale.
Giro di scatto la testa e per qualche secondo provo una sensazione di vertigini e la vista mi si annebbia.
Riesco appena a captare un movimento sotto i materassi e i cuscini rovesciati.
Mi avvicino con cautela, preoccupato da cosa vi potrei trovar sotto.
Forse Tom, forse Georg.
Forse ancora tutti interi o forse no.
Un altro movimento.
Prendo uno dei materassi con entrambe le mani e lo sollevo,riuscendo a spostarlo di lato.
Ora sono visibili dei pantaloncini bianchi.
Solo una persona può indossarli.
“Gustav!” esclamo allo stesso tempo felice e preoccupato.
Lo aiuto a togliersi da lì sotto e il batterista cerca a sua volta di districarsi con le braccia .
Il fatto che avesse le forze per farlo, mi rassicura.
Pochi secondi ed è libero, di fronte a me, che si guarda in giro con un’aria simile a quella di un bambino, che non vede più la mamma.
-Ma cosa..- sono le uniche parole appena sussurrate, che riesce a pronunciare.
-Non lo so!-
La mia voce è un misto tra disperazione e confusione.
-Ho aperto gli occhi il sangue colava era sulle mie mani ho cercato di alzarmi c'era un armadio su di me le gambe mi fanno male gli altri non so come stanno la testa mi gira non so ...-
Mentre continuo il mio racconto gesticolando agitato,senza fare neanche una pausa e prendere fiato,sento due mani stringermi le spalle, scuotendomi leggermente.
-Frenati cazzo!- mi impone un Gustav notevolemente alterato.
Con il fiatone lo guardo negli occhi.
-Stai bene?-
La mia voce è affannosa e la sua risposta è uno sguardo perplesso.
Certo, non è forse la domanda più intelligente da fare in quel momento.
-Intendo dire se non hai nulla di rotto- specifico con un sospiro per rimediare.
I secondi passano e da lui nessun cenno di vita.
Le braccia gli ricadono sui fianchi e fissa un punto, con gli occhi immobili e vuoti.
Mi volto per capire cosa ci sia alle mie spalle, che ha attirato tanto la sua attenzione.
Non imprego molto a comprendere.
Già, lui non aveva ancora visto le condizioni del bus.
Mi rigiro immediatamente, incapace di sostenere ancora quella visione.
Dopo aver deglutito un paio di volte, mormora titubante -Hai detto che non sai dove sono, giusto?-
Un vortice di angoscia mi pervade.
-No, non lo so- gli rispondo, incapace di tener lo sguardo alto.
Gli attimi che seguono, sono intrisi in un silenzio glaciale.
Nessuno di noi ha la forza di prendere in mano la situazione.
A quanto sembra, non sono l’unico che ha paura di scoprire la verità.
La tensione e l'ansia mi impediscono di ragionare.
Lancio un'occhiata a Gustav.
I suoi occhi dopo qualche secondo, sembrano riprender vita.
-Hai già controllato tutto giù?-
Domanda secca e diretta, senza giri di parole.
La mia mente, anche se collabora a fatica, prova a metter insieme tutte le immagini.
A un certo punto, con la bocca semiaperta e guardando il vuoto mormoro -Il bagno..-.
-Cos'hai detto?-
Il ragazzo intanto si è avvicinato a me per sentire meglio.
-Il bagno!- esclamo con una sfumatura quasi isterica.- Gustav, il bagno!Sono sicuro che sia nella parte ancora integra del bus!Non so come non me ne sia ricordato prim...-
-Muoviti!- mi urla mentre lui sta già per scendere le scale.
Senza farmelo ripetere due volte scatto verso di lui.
Fatti però un paio di scalini, le mie gambe cedono.
E’ come se la terra stesse sprofondando sotto di me.
Non capisco più quello che sta succedendo.
Sento il fianco, la spalla, poi la testa picchiare violentemente contro gli spigoli.
Fortunatamente qualcosa blocca la mia caduta.
Cerco di capire cos’è, ma la mia vista è totalmente offuscata e vedo solo ombre attorno a me.
Una voce sempre più lontana mi chiama.
Vorrei risponderle, ma il mio corpo non asseconda la mia volontà.
Sbatto ancora una volta le palpebre.
Tutto è sempre più scuro, buio.
Sento ancora quella voce chiamarmi, poi, il nulla.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Ricordi e realtà ***


'Giorno a tutti!
Sono ritornata, come vedete presto, prestssimo!
Questo perchè il secondo capitolo era già in fase di lavorazione e l'ho dovuto solo ritoccare un pò, quindi non ci ho messo molto.
Inoltre, ho deciso di postarlo con molto anticipo, perchè poi fra un paio di giorni partitò e fino al 20 Agosto sarò via.

Vorrei ringraziare davvero tantissimo tutti quelli che hanno commentato e hanno messo me o la mia storia tra i loro preferiti.Mi ha fatto un enorme piacere!
Spero che sarete così numerosi anche questa volta^^
Grazie ancora!

****


Riapro gli occhi e questa volta riesco a vedere tutto chiaramente.

Sono in piedi, in un parco.
Il cielo azzurro e limpido fa da sfondo a uno scenario, che trasmette tranquillità e quiete:gli alberi in fiore,l’erba verde e soffice e la piccola fontana di pietra.
Quel posto lo conosco ed anche bene.
Ci sono altre persone oltre a me.
Una coppia di ventenni passeggia mano nella mano su uno stretto sentiero fatto di ghiaia.
Voltando lo sguardo a sinistra mi trovo ad osservare una mamma che guarda amorevolmente il figlio di pochi mesi nella carrozzina.
Cammino per qualche metro, per poi scorgere su una panchina quattro ragazzini, poco più che bambini.
Quello seduto all’estremità ha una maglietta gialla, i capelli biondi e corti e porta dei buffi occhiali.
Picchietta ritmicamente le mani sul bordo della panchina.
Un altro invece, imbraccia un basso da pochi soldi, cercando di fare qualche accordo decente.E’ il più grande e i suoi occhi verdi risplendono come smeraldi.
Uno di loro è in piedi e gesticola ampiamente.
E' alto e slanciato, vestito di una canotta verde e dei jeans strappati.
I tratti del suo viso sono immensamente dolci e i suoi occhi sono messi in risalto da un velo di matita nera.
Solo quando mi avvicino capisco che sta cantando.
La sua voce è accompagnata dalla chitarra, suonata da un ragazzino con i rasta e la maglietta larga, che impegnato, ci mette tutto se stesso per far bella figura.
Un sorriso stupito e felice, si dipinge sul mio volto.
I Devilish.
Non mi pongo domande, resto lì ad osservare me stesso e gli altri tre membri dei Tokio hotel, come se fosse del tutto normale.
“Tom hai sbagliato ancora!”sbotta irritato il piccolo Bill.
“E' c olpa tua invece!”replica l’altro con aria scocciata.
La litigata prosegue per un po’,ma alla fine tutto si conclude con una sonora risata.
“Ok d’accordo,questo sarà il nostro primo singolo:”Ho ragione io o il mio demenziale fratellino?” ironizza divertito il moretto con le ciocche rosse.
Non smettendo di pizzicare le corde Tom scuote la testa,sorridendo.
Con un lungo sospiro, il provetto cantante si siede stanco sulla panchina, tra Georg e Gustav.
Guardando il cielo chiede pensieroso“Secondo voi ce la faremo davvero a diventare famosi?”
“L’unico modo per aver almeno una possibilità sarebbe eliminare Georg dal gruppo” risponde ridendo il ragazzino vestito da rapper, stuzzicando come al solito l’amico che lo fulmina e ribatte seccato“Certo certo“.
“Sto parlando seriamente!”esclama arrabbiato il mio piccolo io.
“Secondo me ci riusciremo!.”Prosegue poi,con aria sognante e un sorriso pieno di speranze.“Suoneremo in tutto il mondo,davanti a milioni di persone e …”
“Ehi,terra chiama Bill.”lo interrompe Tom agitandogli una mano davanti al viso, rompendo così l’immagine idilliaca, che si stava creando nella sua mente.”Non darlo così per scontato”
“Ma tu zitto mai eh?!” borbotta deluso ed imbronciato il suo gemello, incrociando le braccia al petto.
“Però” riprende sorridente il chitarrista “non è detto che non ce la faremo. Potremmo anche riuscirci se stiamo uniti e ci impegniamo”.
Stupito positivamente dalle parole del fratello, Bill ricambia il suo sorriso ed esclama contento “Certo!!!Noi non ci divideremo, faremo successo e potremo suonare ovunque!”.
"Ecco che riparte..." commenta sarcastico il chitarrista roteando gli occhi castani, dopo aver fatto un lungo sospiro.
Bill sta per replicare, ma le risate di Georg e Gustav sono già arrivate, contagiose e spensierate.
Così, non può far a meno che aggiungersi a quel dolce suono che sà di sincerità, amicizia e gioia.
Una strana sensazione scorre nel mio corpo.
Un senso di vuoto.
Sono passati anni da quando ho pronunciato quelle parole e da quando abbiamo riso in quel modo, senza preoccupazioni.
Ora le cose sono cambiate.
Tutto è diventato più complicato e forse ci siamo dimenticati troppo spesso di ciò che vogliamo davvero, cioè suonare insieme.
Di colpo i piccoli musicisti diventano figure sempre più lontane e sfocate.
Le loro voci bianche vengono inghiottite dal silenzio e il  parco lascia spazio all’oscurità più assoluta.
Poi, una luce abbagliante , mi costringe a chiudere gli occhi.

-Bill!Bill!- mi chiama insistente qualcuno, che mi è famigliare, ma che lì per lì non riconosco.
E’ la stessa voce di prima.
Cerco di parlare, ma l’unica cosa che esce dalla mia bocca, è qualche sillaba farfugliata.
Sento un dolore acuto alla testa, come se una mano invisibile stesse cercando di schaicciarla  e con gli occhi socchiusi, non vedo praticamente nulla.
-Avanti riprenditi-continua a ripetere affannata la voce.
Con i secondi, che scorrono lenti,la mia lucidità inizia a tornare.
Appena è sufficiente per capire cosa sta accedendo intorno a me, mi accorgo di essere seduto per terra con la schiena appoggiata alla parete del bus e più pensieri, l’uno collegato all’altro, attraversano come lampi la mia mente.
Sono sul tour bus.Il mezzo è distrutto.Non so se gli altri siano vivi o no.
Ed eccomi ritornato alla realtà.
Portandomi una mano alla testa, mi domando ancora parecchio confuso -Cosa è successo?-.
Cerco di alzarmi, ma una mano che preme sulla mia spalla, mi fa risedere.
- Sei caduto dalle scale ed hai perso i sensi per un pò.- mi risponde Gustav con un tono che mi fa capire quanto fosse preoccupato.
O certo, Gustav.
Ora ricordo tutto.
Il dolore del mio corpo debole quando è entrato violentemente a contatto con gli scalini, il buio, il ricordo …
Quell’ultima cosa mi fa trasalire.
Noi non ci divideremo …
Ignorando la mano, che mi ammoniva di non far movimenti, mi alzo di scatto.
Forse quella non è la migliore delle idee.
Infatti, sono costretto ad appoggiarmi alla parete per non finire ancora una volta per terra.
-Ma che diavolo ti dice il cervello?!- mi rimprovera il biondino, aiutandomi nell’impresa di reggermi in piedi.
-Sei andato a controllare il bagno?- chiedo timoroso tutto d'un fiato,non badando a quello che aveva appena detto.
Gustav si rabbuia e scuote la testa distogliendo lo sguardo.
-No-
So il motivo di quella risposta, senza che lui me lo spieghi.
Al suo posto avrei fatto lo stesso.
Abbandonare un mio amico svenuto per andare a vedere se ne trovavo un altro, forse messo peggio, molto peggio?
Si, avrei fatto decisamente la stessa cosa.
Affrontare in due quella situazione è di grande aiuto.
Chi non lo conosce, potrebbe farsi ingannare e pensare che abbia ancora il suo perfetto auto-controllo, ma non è così.
Un velo di profonda angoscia tormenta i suoi occhi, di solito vispi e attenti.
-Ora mi sento meglio, andiamo a vedere-
Mento.
La testa continua a pulsare e sento che da un momento all'altro potrei crollare.
Ma non posso far altro.
Il mio pensiero va a loro, solo ed esculsivamente a loro.
-D'accordo- annuisce Gustav, mettendomi una braccio intorno alla vita per sorreggermi.
Lentamente, ci avviciniamo alla porta e quando siamo lì davanti, il batterista abbassa la maniglia fredda.
Il ritmo del mio cuore è incessante, si fa quasi fatica a distinguere la fine di un battito e l'inizio di un altro.
Quando vediamo ciò che si presenta ai nostri occhi, raggeliamo.
Tipi di cosmetici di tutti i tipi, shampi, bagnoschiumi e asciugamani sommergono la piccola stanza.
Però non è di certo questo a catturare la nostra attenzione.
Georg con i capelli sporchi di sangue, con tagli sul viso e sulle braccia è steso a terra su un letto di vetri frantumati .
Uno di questi è conficcato nella sua spalla e la piastra ormai fredda è di fianco a lui.
Sento Gustav tremare accanto a me.
Passano diversi secondi, prima che lo shock mi permetta di muovermi ancora o dire qualcosa.
-GEORG!- urlo improvvisamente scattando verso il ragazzo.
Appena gli arrivo accanto mi inginocchio e prendendo il suo capo fra le mani.
Sento i piccoli pezzi dello specchio ferirmi le gambe, ma non mi importa nulla.
Prima che io me ne accorga, anche Gustav è al fianco dell'amico e lo guarda come se stesse per impazzire dal dolore.
Per l'ennesima volta, non so come comportarmi.
Fisso incredulo i tagli e i graffi sul suo corpo.
All'improvviso, compare nella mia visuale un capo biondo che si avvicina al viso di Georg  e che con un gesto rapido mette sotto il suo naso un piccolo pezzo di vetro.
Rimango a guardare la scena attento quanto confuso.
Sul residuo dello specchio dopo poco si forma un alone.
Frastornato non capisco sibito.
Respira...o mio Dio, respira.
Un enorme peso si sposta dal mio stomaco.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=260099