Gli angeli del Bluebeam di darkronin (/viewuser.php?uid=122525)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Angels ***
Capitolo 2: *** Love And Mission ***
Capitolo 3: *** RFID ***
Capitolo 4: *** All is under (our) control ***
Capitolo 5: *** Red & white ***
Capitolo 6: *** Changes ***
Capitolo 7: *** New Friends ***
Capitolo 8: *** Ready! (parte I) ***
Capitolo 9: *** Ready? (Parte II) ***
Capitolo 10: *** You can do it ***
Capitolo 11: *** Open the door ***
Capitolo 12: *** Try to stay ***
Capitolo 13: *** Fly ***
Capitolo 14: *** Craft ***
Capitolo 15: *** Smart as a bird ***
Capitolo 16: *** News ***
Capitolo 17: *** Trap ***
Capitolo 18: *** The new and the old ***
Capitolo 19: *** In a cave ***
Capitolo 20: *** D.N.A. ***
Capitolo 21: *** Ex.ternal ***
Capitolo 22: *** Memories ***
Capitolo 23: *** Discover ***
Capitolo 24: *** cut off ***
Capitolo 25: *** Fashion As Life ***
Capitolo 26: *** Close your eyes ***
Capitolo 27: *** Open your eyes. Open your ears. ***
Capitolo 28: *** Run to the hills ***
Capitolo 29: *** You drive ***
Capitolo 1 *** Angels ***
1.
Angels.
They
Are Everywhere
Nel
silenzio delle prime ore del giorno, il canto delle cicale era una
nenia rassicurante.
Era
estate e, quella mattina, faceva terribilmente caldo.
L'umidità era tale che ad Azzurra serviva una doccia all'ora
per rinfrescarsi. Passava il tempo distesa sul tappeto coperto da un
plaid di cotone accanto al letto, la schiena poggiata al muro, a
studiare o a leggere, il cane sempre steso accanto, a crogiolarsi ai
raggi del sole.
Le
strade della campagna erano praticamente deserte. La luce era accecante
e bianca. Ovunque si volgesse lo sguardo sembrava ci fosse un faro
puntato a illuminare l'orizzonte. E sembrava anche che, frapposto agli
occhi, ci fosse uno schermo che movimentava la vista con lingue di
fuoco trasparenti. Una bava di vento fletteva le spighe bionde di grano
maturo al proprio passaggio.
Solo
in queste occasioni eccezionali gli accorgimenti dei vecchi erano
rispettati anche dai giovani, che talvolta ne riconoscevano la
fondatezza e non la ritenevano semplice superstizione.
Da
qualche tempo aleggiava nell'aria anche un altro rumore, leggero,
soffuso e ormai assordante. Il leggero sfrigolio presente nell'aria,
quasi ci fosse qualcuno che stesse preparando le patatine fritte, quel
giorno andava aumentando col passare delle ore.
Si
stese prona cercando di trovare conforto da quel caldo nel sonno,
sperando che il tepore, la quiete e il frinio costante la
conciliassero. Il cane le trottò affianco, si
infilò sotto il suo braccio e si acciambellò.
Una
landa lussureggiante, verde, umida, tropicale... sotto i suoi piedi si
estendeva quasi un paradiso terrestre. Tutto era colorato e profumato,
il clima era mite e la luce soffusa. Il vociare indistinto di diversi
animali, felini ruggenti e pavoni paupulanti, si perdeva in lontananza.
D'improvviso
il cielo si oscurò, coperta da strane nuvole temporalesche.
Scariche elettrostatiche che non si trasformavano in fulmini,
riempivano l'aria. La terra si seccò di colpo, tramutandosi
in una distesa di terra riarsa e screpolata. Un tuono
riecheggiò nel silenzio che aveva preso il sopravvento sui
briosi rumori della natura. Un tuono strano che rimbombò a
lungo. Poi la violenza delle scosse del terremoto. Cadde a terra,
cercando di aggrapparsi a un tronco d'albero ormai avvizzito. Voleva
restare in piedi, la curiosità gli imponeva di farlo, per
scoprire cosa stesse accadendo. E allora la vide. Un'enorme massa
d'acqua, uno tsunami, si stava abbattendo sulla terra già
devastata. In cielo piccole luci si facevano sempre più
grandi. Forme strane, isole abitate, palazzi fluttuanti.
E
la voce, mentre l'acqua giungeva da ogni parte.
Le
sue mani cercavano frenetiche appiglio sui rami più alti e i
piedi si riempivano di schegge per spingerne il corpo più in
alto possibile, in cima, alla salvezza.
La
voce che sembrava venire da dentro, che non era la sua. Frutto di
allucinazioni o di forze divine. La voce presentava se stessa e quanto
stava accadendo.
Era
iniziata.
Azzurra
si svegliò di soprassalto, il fiato corto e la fronte
bagnata di sudore. Fuori dalla finestra, una miriade di goccioline
imperlavano e picchiettavano con insistenza sul vetro. Se avesse fatto
un pochino più freddo, forse, avrebbe nevicato. Ormai non
era più certa nemmeno di quello. Loro potevano
fare qualunque cosa, anche cambiare il clima, come gli antichi dei.
Normalmente,
il mezzo piumino che usava e che la proteggeva appena dal freddo
invernale risultava essere più che sufficiente: era convinta
che il corpo stesse meglio se non era avvolto, nelle ore notturne, dal
caldo soffocante che invece cullava il resto della sua famiglia. Era
già il secondo inverno. Era passato solo un anno e mezzo da
quando il mondo era cambiato eppure quasi non riusciva a ricordare come
fosse la vita prima.
Non
le era mai successo di svegliarsi per un incubo: solitamente riusciva a
risolvere la vicenda nella dimensione onirica, anche se in preda
all'angoscia ma, ora, la cosa
le risultava estremamente difficile.
Prese
un gran respiro, si asciugò la fronte, perplessa sul da
farsi.
“Stai
bene?” chiese un uomo al suo fianco. Nella voce una sincera
sfumatura di preoccupazione.
Lei,
per niente sorpresa, lo guardò truce, con una punta di
sorpresa e irritazione. Gli diede le spalle e si coricò di
nuovo, sperando che il sonno arrivasse subito. Sapeva che lui sapeva
che lei non dormiva. Ma non aveva la minima intenzione di rivolgergli
la parola. Non più dello stretto necessario. Se proprio non
poteva evitarlo.
Improvvisamente
si sentì invadere dalla calma. Sapeva che era opera sua e
non fu affatto contenta del controllo che lui poteva
esercitare su di lei.
Si
maledisse per non essere riuscita ad apprendere in tempo le tecniche
per escluderlo. Ma si ripromise di riuscirci, un giorno o l'altro, con
o senza il suo controllo. Anche a costo di morire.
Ma
prima, voleva soddisfare un po' della sua sete di sapere, la sua
debolezza di essere umano: come poteva sperare di combatterli
adeguatamente, senza un minimo di conoscenza ?
Il
treno delle otto era solitamente pieno di gente, al punto che sembrava
superfluo l'uso dell'impianto di riscaldamento. C'erano forti sospetti,
in effetti, che i dirigenti avessero tagliato proprio su quel versante,
certi che il calore animale di tutti quei corpi ammassati bastasse a
rendere tiepidi gli scomparti anche in pieno inverno. La certezza del
sospetto era data dalla pelle che, per il freddo, si incollava al
corrimano metallico. Eppure, ogni protesta scatenava un coro di
risposte unanimi e false da parte dei responsabili, additando gli
utenti come visionari.
Ora,
lo stesso treno, appariva agli occhi di Azzurra stipato più
di un carro bestiame. Per quanto silenziosi e discreti fossero i nuovi
arrivati, l'imbarazzo era palpabile. Il disagio era accentuato dalla
sensazione claustrofobica di non avere nemmeno lo spazio per sistemarsi
il cappotto. La ragazza si domandava in quali condizioni potessero
essere i treni delle sette, che prendeva regolarmente fino a due anni
prima, in cui si viaggiava sempre e solo in piedi.
Salutò
il suo solito compagno di viaggi, ex collega, e si diresse verso le
porte. Il treno stava rallentando con la consueta poca grazia. Ma
almeno risultava puntuale. Dall'ultima novità: stipati e al
freddo ma puntuali. Le stava per scappare una risata isterica ma
cercò di trattenersi. Non per lui, ma per i propri simili
che non avrebbero capito.
Si
immerse nel flusso di pendolari che fuoriuscivano da quei serpenti
metallici notando, ancora una volta, la grottesca unanimità
in cui sembravano essersi immersi tutti quanti: stessi tagli di capelli
rigidi e perfetti che ricordavano gli anni 60, stessi vestiti a sacco
che infagottavano i corpi in colori smorti e terrosi. Certo, erano
contemplate variazioni e sfumature per soddisfare la naturale
propensione dell'essere umano al cambiamento: qualche onda nella piega
o una frangia, ma il buon gusto imponeva un aspetto sempre estremamente
curato e controllato. Il trucco era stato praticamente bandito: erano
poche le sfumature di rossetti che si trovavano in commercio, gli
ombretti erano disponibili solo in colori tenui e delicati. Il massimo
della bizzarria era dettato dall'uso dell'eyeliner nelle sue varie
declinazioni. Quanto agli abiti modulari, che pendevano sulle persone
come su stampelle ossute, essi erano pensati per permettere diverse
combinazioni e modi di utilizzo dello stesso capo a secondo
dell'utente, del suo gusto e delle sue esigenze: giacche che
diventavano borse, tute che potevano essere maglie con cappuccio e via
dicendo. Dietro c'era sicuramente un grande sforzo collettivo ma
l'impressione che ne aveva Azzurra era che fossero tutti un branco di
straccioni, così simili a quei barboni che, da un anno
all'altro, erano magicamente spariti dagli angoli delle strade di tutte
le città nell'indifferenza generale. Non poteva essere colpa
loro che anzi, sicuramente, nella loro infinita magnanimità, avevano
fatto in modo di reintegrarli tra la popolazione.
All'uscita
della stazione l'attendevano, con relativi accompagnatori, le sue
cinque amiche e compagne di corso che, per quanto cercassero di
distinguersi dalla massa, vestivano, comunque, anche loro, con fogge
pendenti tipiche della nuova società funzionale. Funzionale?
Lei si sentiva costretta al loro interno e impacciata nei movimenti.
Alzò
mentalmente gli occhi al cielo, per l'ennesima volta da quando era
successo tutto. Sembrava essere tornati indietro di almeno cent'anni,
in cui ciascuna donna era accompagnata da uno chaperone. L'unico
vantaggio, a compensare la perdita totale di privacy, era la relativa
tranquillità con cui si poteva girare di notte senza timore
di essere aggredite. Non solo le diverse ombre avrebbero trattenuto i
rispettivi assistiti, ma nemmeno l'ombra stessa sarebbe stata, lei
stessa, fonte di preoccupazione, come poteva succedere prima, nella
vecchia era, dove il cosiddetto “amico” poteva
trasformarsi nel carnefice da cui si cercava di fuggire o dove i
fratelli potevano essere comprati con un gelato. Doveva ammettere che,
almeno da quel punto di vista, le cose avevano avuto un netto
miglioramento. Ma solo lì.
Salutò
calorosamente le ragazze e si mise a capo del piccolo drappello diretto
al bar per la colazione prima dell'inizio dell'esame. Si accalcarono
all'entrata, con le borse cariche di libri, cercando di tenersi aperta
la porta a vicenda senza far danno. Occuparono mezzo locale da sole e
una volta sistematesi, Azzurra prese le ordinazioni. Andò
quindi al banco a fare due chiacchiere con la barista.
“Ciao
cara... ” la salutò con un sorriso
“Buon
giorno” replicò tranquilla esponendo le ordinazioni
“Come
mai tutti quei libroni, oggi?” domandò la donna.
Aveva fluenti capelli mogano raccolti in una mezza crocchia, lasciando
che alcune ciocche ricadessero languide sulle spalle.
“Abbiamo
esame... dobbiamo avere tutto con noi, oggi...”
“E
scommetto che quelli lì non vi daranno una
mano...” disse con una punta di acidità, ma
esponendo semplicemente un dato di fatto
“Già”
confermò la ragazza. “Abbiamo bisogno della
carica” disse sorridendo perché la donna non si
accorgesse del suo malessere nei confronti di quella ingerenza esterna.
Come
la protagonista di ogni buon racconto, d'altronde, Azzurra non poteva
desiderare niente di meglio che essere diversa. Ancora una volta. Ma in
questo caso, la causa della sua diversità non era dovuta a
fattori esterni: se l'era proprio cercata. E la livrea dell'uomo che la
seguiva ovunque andasse dimostrava questa sua diversità. Per
lo meno, questi intrusi avevano la buona decenza di non rendersi
pienamente visibili se non ai loro protetti. In questo modo le
relazioni interpersonali potevano continuare più o meno con
le difficoltà di sempre.
“Andiamo?”
disse una delle altre ragazze dopo un po', guardando l'orologio seccata
“Non ne ho alcuna voglia...ma se vogliamo prenderci posti
decenti...” Le altre annuirono e si alzarono per andare a
pagare, con il conseguente rumore di più sedie strisciate
simultaneamente sul pavimento.
“Accidenti...piove!!”
protestò un'altra quando furono all'aperto
“Azzurra,
vuoi un passaggio?” chiese la ragazza dell'orologio
“Tranquilla,
An, ho il cappuccio e tra poco ci sono i portici...e poi, con tutte le
borse che abbiamo, non ci staremmo in due senza bagnare praticamente
tutto...” disse sorridendo
“Certo
che voi potreste rendervi utili in questi frangenti, razza di macho-man
da strapazzo..” ringhiò Anna all'indirizzo del suo
accompagnatore “O almeno avvisarci!”
Quello
non si degnò nemmeno di risponderle. Si voltò
stizzita e procedette dietro alle altre. Lei e Azzurra erano rimaste un
po' in dietro. Anche se sapeva che un segreto non sarebbe rimasto tale,
tra loro quattro (loro due e la relativa scorta), si azzardò
a chiederle, in un sussurro “Ma ti senti sicura di potergli
parlare così?”
L'altra
la guardò appena accigliata, attraverso la goccia d'acqua
che le era caduta sugli occhiali da vista “Tanto
ormai...” borbottò presa tra sé.
Azzurra
non aveva la più pallida idea di cosa facessero di mestiere
i genitori delle proprie amiche. Quindi non poteva sapere se quello
fosse uno sfogo per situazione imposta o ricercata, come nel suo caso.
Non le era mai importato gran che. Anche perché, erano
notizie che dimenticava due secondi dopo averle sentite, tanto le
riteneva importanti al fine di giudicare una persona. Ma ora, aveva un
database ambulante a cui, eventualmente, chiedere lumi. Anche se
sapevano entrambi che non gli avrebbe mai dato tale soddisfazione.
Arrivate
in classe, riuscirono ad accaparrarsi i loro posti preferiti. Non che
fossero strategici per copiare o farsi notare dal professore. Erano
semplicemente quelli a cui erano affezionate, dove si sentivano comode
e a loro agio. Nonostante la massa di gente presente in aula: da un
anno il pubblico era duplicato, come in qualsiasi attività.
Azzurra non soffriva, fortunatamente, di claustrofobia, ma le dava
davvero fastidio l'idea di essere mentalmente il doppio di quanti erano
in realtà.
L'esame
da nove ore continuate era passato velocemente anche se verso la fine
la stanchezza aveva avuto la meglio su molti, che avevano preso a
ridere sguaiatamente, in modo incontrollato, di quando in quando.
Scese
dal treno esausta, sola, senza i suoi abituali compagni di viaggio che
erano rientrati col treno precedente. Caricò la macchina in
malo modo, desiderando solo tornare a casa e farsi un bel bagno caldo,
senza scocciature. L'auto, ferma per tutto il giorno, era
già calda e disappannata, pronta alla partenza. Solo pochi
anni prima avrebbe dovuto aspettare al gelo una decina di minuti
perché il motore si scaldasse e le permettesse di mettersi
in viaggio. Avrebbe dovuto grattare via dal vetro, con un vecchio cd
masterizzato, il ghiaccio formatosi se non, addirittura, scaldare la
chiave con l'accendino per riuscire ad aprire la portiera. Ora, le auto
si accendevano a chilometri di distanza, riconoscevano solo gli utenti
impostati, impedivano la guida autonoma a un conducente in condizioni
fisiche non ottimali e anzi, il più delle volte, erano
autosufficienti anche nella guida, non più solo nel
parcheggio.
“Vai
subito a letto stasera...” le disse il suo accompagnatore
quando si fu chiusa all'interno dell'abitacolo e si fu allacciata la
cintura “I tuoi livelli sono così bassi che non
basterà una doccia a ripristinarli..”
“Sissignore...”
rispose lei sarcastica. Era la prima volta in tutta la giornata che lui
le rivolgeva la parola
“Guarda
che sono serio” replicò lui
“Sì
sì, quando mai non lo sei...sei stato selezionato
apposta...” rispose lasciando cadere la frase, inizio di una
discussione infinita, tenuta già un migliaio di volte in
quel breve periodo “Senti...risparmia a entrambi la
sofferenza: vedi di non essere così gentile, ok? So che non
te ne frega nulla...e comunque non cambierebbe niente...continuerei a
odiarti lo stesso”
“Non
lo faccio certo per far piacere a te” rispose l'altro
tagliente mentre Azzurra lasciava che l'auto si immettesse
autonomamente nel traffico “Non vedo perché un po'
di semplice cortesia ti dia tanto fastidio. Questa è una
delle poche cose che proprio non riesco a capire di te...”
A
quelle parole, Azzurra rispose con un sibilo seccato e si volse verso
il paesaggio immerso nel buio che scorreva fuori dai finestrini. 24
faceva di tutto per compiacerla. E lei lo sapeva benissimo. Anche il
suo modo di dimostrarsi gentile o arrabbiato in momenti particolari
erano studiati in base alle sue preferenze. Lui era stato quasi creato
appositamente per lei. Per domarla.
E
proprio per questo lui era stato assegnato a lei, perché
sapeva o almeno intuiva troppo della realtà che agli
sciocchi sfuggiva. Paradossalmente, chi davvero sapeva era praticamente
libero da ogni controllo. Gli unici a essere monitorati a quel modo
erano i comuni cittadini che non si erano bevuti tutte le cazzate
propagandistiche, che avevano legato tra loro, negli anni, gli
avvenimenti e i cambiamenti, intuendo la realtà oltre il
velo di scemenze con cui erano stati bombardati e distratti.
Quando,
nei primi giorni di conoscenza gli aveva chiesto cosa avesse fatto di
male per essere assegnato a lei, 24 aveva risposto placidamente, con
orgoglio “Sono nella squadra dei migliori. E' ovvio che mi
abbiano assegnato a te”. In un certo qual modo aveva cercato
anche, con tale affermazione, di lusingarla: i suoi sforzi erano stati
premiati e aveva solo ottenuto di essere posta sotto una sorveglianza
più rigida. Se anche il suo ego avesse abboccato, avrebbe
cercato di non farsi sviare da ciò: non era un caso che a
lei fosse assegnato un esemplare maschile e con quel carattere.
Sapevano
ciò che facevano. Ma lo sapeva anche lei e cercava di
tenergli testa, ben sapendo che Loro erano
più numerosi e meglio organizzati di loro, che non
possedevano quei mezzi e quella diffusione capillare. Loro: i nuovi
dominatori del mondo contro i ribelli che non accettavano tale
controllo, ognuno con la propria, diversa, sfumatura. Fondamentalmente
era un gioco paranoico di dietrologia che poteva non conoscere fine in
base alla psicosi del soggetto.
“Perché
non possiamo cercare di...non dico andare d'accordo...con te ci
rinuncio. Ma almeno di non essere così oppositiva nei miei
confronti..?” finì col chiedere lui
“Sai
meglio di chiunque altro la risposta...o sbaglio?”
ghignò Azzurra sarcastica. 24 parve quasi rattristarsi
“Sì sì” disse e lei dovette
fare uno sforzo per non crederla una delusione sincera. D'altronde, lui
aveva a portata di mano, su un monitor o direttamente in testa,
l'andamento del suo umore e del suo metabolismo, quindi poteva colpirla
come e quando voleva. Ma, fino a quel momento, si era dimostrato
particolarmente magnanimo, perché gli sarebbe bastato molto
poco per affondarla in un colpo solo, in realtà.
O
forse era tutta strategia, ancora una volta. Cuocerli tutti a fuoco
lento, come la rana che muore lessata: abituarli un poco alla volta e
stringere gradualmente i ranghi. Non erano riusciti a piegarli alla
prima ondata perché loro, i paranoici, i complottisti, erano
preparati, sapevano di doversi aspettare qualcosa. Ma ora che le carte
erano scoperte, erano tutti disorientati: c'erano altri assi nella
manica? Altri progetti di cui nessuno sospettava? In effetti, qualcosa
era andato oltre le loro previsioni più catastrofiche e
nessuno si sarebbe mai aspettato un tale bombardamento mediatico, una
tale rivoluzione sociale. Loro erano
ovunque e in ogni luogo. Ed erano un incubo vero e proprio. Almeno, per
quelli come lei.
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Ciao
a tutti.
Eccomi
qui con il mio primo tentativo serio di storia originale.
Tralascio
tutti i discorsi su quanto sia, per me, più complicato
questo tipo di scrittura rispetto a una ff perché credo
siano problemi comuni a tutti.
Ho
cominciato a scrivere questa storia per affrontare un 'problema' che mi
sta a cuore.
Chi
è minimamente interessato all'argomento,
ritroverà dettagli (a partire dal titolo stesso)
già noti. Ho semplicemente preso in prestito parte del
patrimonio mitologico sull'argomento (e con questo termine non voglio
certo sminuire la cosa, altrimenti non starei qua a scriverne, ma
intendo riferirmi a tutta la letteratura che esiste al riguardo) per
parlare di quello che mi angoscia da tempo.
Con
questo scritto non voglio offendere nessuno e se qualcuno si trovasse
in disaccordo, si sentisse offeso (scusate la ripetizione) o
simile...beh... ripeto, non è mia intenzione. Quindi,
piuttosto di riempirmi di insulti, chiuda pure semplicemente la pagina.
Ancora. Non voglio convincere nessuno di niente. Io stessa sono molto
critica riguardo a tutto quello che viene veicolato in rete. Ma dati
oggettivi non mi lasciano presupporre nulla di positivo. Un esempio per
tutti potrebbe essere il chip che oggi si applica ad animali
d'affezione e al bestiame. E' vero che vogliono usarlo sull'uomo, che
già lo fanno e presto verrà reso obbligatorio sui
bambini? Non ho gli strumenti per dirlo. Ma la cosa mi inquieta,
nonostante le scuse siano già pronte e la prospettiva
ottimistica di un miglioramento della vita (sicurezza, monitoraggio,
etc).
Che
ci si creda o meno, che sia vero o meno, quello che viene ipotizzato in
questa mitologia...resta il fatto che qualcuno l'ha pensato. E se fosse
stato solo pensato,
il passo successivo, l'uso reale da parte di menti diaboliche, sarebbe
veramente breve, come la storia insegna.
Infine,
una cosa di fondamentale importanza. Io scrivo più per
raccontare una situazione, gli stati d'animo, come mi caverei
d'impiccio al posto dei protagonisti. Ma non ho pretesa di
scientificità. =_= ahimè ho fatto un liceo
fanta-scientifico. Nel senso che le mie competenze
matematico-scientifico si son perse per strada...forse a causa di 5
anni passati a lettere: non ricordo nulla se non cose che
più basiche di così anche i bambini delle
elementari ne sanno più di me, mi faccio infinocchiare da
qualunque cosa, ma quello penso sia di carattere, dato che posso venir
raggirata anche su un argomento che conosco a mena dito, e non so dire
se la teoria della terra cava è una panzana o meno. Mi
affascina, quindi in qualche modo la butterò dentro.
D'altronde, scrittori ben più seri di me l'hanno utilizzata.
A ben pensarci, ha una sua autorevolezza...
Vabbè,
il succo di tutta sta pappardella qua è: se intendete
seguirmi, vi prego di armarvi di pazienza ed essere pronti a
soprassedere ai miei molti strafalcioni.
Grazie
ancora a chi ha aperto questo questo primo capitolo.
Un
grazie di cuore a Federica, che mi ha spinto finché non ho
postato.
A
tra un mesetto, circa.
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Capitolo 2 *** Love And Mission ***
2.
Love and Mission
Impossible
Arrivata
a casa, Azzurra salutò i genitori e accennò
brevemente all'esame. “Devo andare a farmi il
bagno...” disse “Questo qui vuole che vada subito
di filato a letto...ma io un boccone lo mangio... ”
borbottò ficcandosi un pezzo di pane, unto d'olio e carico
di rosmarino, in bocca e recuperandone un altro da portarsi dietro.
“Alla faccia tua!” ringhiò sommessamente
perché nessuno, a parte 24, la sentisse. “Farsi
il bagno dopo mangiato? Guai! Ma per favore: mi lavo a temperature
altissime e ho solo sbocconcellato del pane. E poi, se mi fossi lavata
subito dopo non sarebbe successo nulla in ogni caso, dato che il
processo digestivo sarebbe stato di là da venire.”
ripensò alle discussioni già sostenute almeno un
centinaio di volte: era snervante avere a che fare con lui.
“Beh,
allora vorrà dire che mi racconterai domani sera con
calma” si sentì rispondere “Loro hanno
sempre ragione e sanno cosa è meglio per noi, vero,
Cortes?” sua madre si rivolse al proprio accompagnatore con
aria sognante.
Azzurra
osservò la scena con aria schifata, come fanno i bambini
piccoli davanti alle smancerie degli adulti, mentre lui le rispondeva
con voce bassa e suadente. Ancora non poteva credere che fosse stato
tanto semplice manipolare i suoi genitori. Entrambi avevano studiato
più della media, erano colti, attenti e avevano studiato
certi fenomeni. Eppure c'erano cascati in pieno.
“A posto,
siamo...” sospirò chiudendosi la porta della
cucina alle spalle e apprestandosi a salire le scale. “Mamma
si è completamente bevuta tutte le stronzate che avete
detto...”
“E'
per il vostro bene, fidati...” 24 proruppe nei suoi pensieri,
in modo che nessun altro potesse sentirli “Ci teniamo alla
vostra salute..”
A
quelle parole, Azzurra non poté fare a meno di esplodere in
una risata sguaiata.
“Touche...”
borbottò lui, sapendo di aver messo piede in un campo minato
e sapendo di essere in torto.
“Spiegami
perché non ci ammazzate tutti e subito!”
sentenziò lei una volta in bagno, l'acqua calda che
scrosciava cadendo sulle pareti metalliche nella vasca vuota,
riempiendola.
“Non
è questa la nostra politica.” Le domande che gli
faceva erano sempre le stesse, come anche le sue risposte. Tentava, di
quando in quando, nella speranza che, tra insofferenza o amicizia (come
classificare il loro rapporto simbiotico anche se imposto e sgradito?),
la risposta potesse cambiare “Se i dissidenti sparissero
all'improvviso, anche se singolarmente, la gente saprebbe che la colpa
è nostra, del nostro reparto in particolare. La popolazione
perderebbe fiducia in noi e si rivolterebbe. Come voi...”
“Già...”
concluse amara Azzurra finendo di spogliarsi. Si immerse in acqua,
ormai abituatasi a quella presenza costante nella sua vita
“Anche se dubito che la nostra sparizione rappresenterebbe
qualcosa, per loro...” Azzurra si scoprì a
esprimere apertamente, davanti a 24, ciò che lui
già sapeva “D'altronde..non ci hanno dato retta
prima, quando i segnali erano lampanti...farebbero mai attenzione a
noi? I rompiballe? Non credo proprio... sarebbero contenti di essersi
liberati di un peso. E chi è critico...chi ha un
cervello..beh...penso che sia nella mia stessa situazione, dico
bene?” 24 restò in silenzio e lei si immerse nella
schiuma bianca al sandalo.
Dopo
i primi giorni di imbarazzo con quell'essere onnipresente, anche nei
momenti più intimi, aveva fatto l'abitudine ai suoi occhi
vitrei che sembravano osservarla sempre. Occhi... una
banda orizzontale riflettente che percorreva in tutta la larghezza
quella che poteva essere definita la testa di un essere antropomorfo.
E,
in realtà, non poteva sapere se lui si scollegasse mai dal
suo cervello, se fosse un programma informatico o che altro. Solo, lo
vedeva sempre. E dietro quella maschera non sapeva cosa potesse
nascondersi. Forse il loro aspetto era solo uno stratagemma per
interagire meglio con loro.
Sospirò
di piacere emergendo dall'acqua calda “Quale sarebbe
altrimenti il vostro compito, se non preservarci in vita, sani e salvi,
eh, caro il mio angelo
custode?”
disse storcendo le ultime parole.
“Azzurra...so
che ci odi, ma vedi noi...” cominciò 24 dopo un
po', ma lei lo fermò.
“Odiarvi?”
replicò isterica “Io non vi odio affatto...vi
detesto! Siete dei maledettissimi stronzi! Non c'è
più un minimo di privacy o libertà e voi ne siete
i complici e gli artefici. Se anche noi dovessimo decidere di
ribellarci, ci impieghereste un nanosecondo a individuarci e ucciderci
con un infarto, un ictus o che so io. Per non parlare di eventuali
nascondigli segreti che individuereste subito, dato che avete
scandagliato ogni angolo di questa Terra, anche il più
remoto, e li bombardereste coi droni ...odiarvi... è un
eufemismo...e non schiarire l'immagine!” Urlò
vedendo che lui attuava la solita tattica: rendere la propria immagine,
da solida e concreta, il più trasparente possibile, quasi
battesse in ritirata “Per quanto possa sembrarmi che tu non
ci sia, tu continui a spiarmi sempre e comunque! Con me questi giochini
non attaccano!” Lui ricomparve, così vivido da
sembrare reale, quasi a farle dispetto, a ubbidirle o a dimostrare che
non aveva paura della sua rabbia
“Calmati”
disse con voce piatta “Il tuo sistema nervoso rischia di
venire danneggiato...”
“Vaffanculo!”
ringhiò lei “Calmami tu, coglione! Premi uno dei
tuoi bei pulsantini e manda una frequenza al mio cervello. Avanti!
Spappolamelo a distanza, così non avresti più
questa rogna!”
“Mi
dispiace...” disse ancora lui, forse nel tentativo di calmarla
“Fottiti!”
sibilò Azzurra.
Si
alzò dalla vasca, per nulla riposata, si asciugò
sommariamente e si infilò il pigiama. Sentì che
lui stava quasi per rivolgerle ancora la parola ma lo
anticipò “Chi se ne frega se dormo coi capelli
bagnati, chi se ne frega se non mi asciugo bene l'acqua dagli
interstizi tra le dita dei piedi e poi mi vengono i funghi, chi se ne
frega se urlo e mi sale la pressione, chi se ne frega se mangio una
foglietta di rosmarino in più e si accumulano tossine nel
mio organismo, cazzo! Fammi morire da essere umano e fammi il piacere
di non rompermi i coglioni!!”
Si
infilò a letto e gli diede le spalle.
Nell'oscurità sapeva che lui compariva sulla soglia di
camera sua, accanto alla scrivania. Compariva...nella sua mente, forse.
Perché 24, come Cortes e tutti gli altri, non erano
tangibili. Forse erano reali. Ma non per i comuni sensi. Azzurra sapeva
che non lo vedeva né udiva realmente. Eppure era tutto
così dannatamente vivido. Forse erano proiezioni
olografiche. Forse, solamente allucinazioni collettive indotte da
qualcuno all'altro capo del mondo.
“E'
stata dura anche oggi?” ghignò, divertita e
sarcastica, una voce alle sue spalle. Era appollaiato alla sua
postazione da... da quanto stava lì? Aveva sentito tutto?
Mat-mon,
un ragazzo dalla corporatura simile alla sua, fasciato nella stessa
tutta bianca e rossa da Shedu1, aveva
l'aria sorniona e sembrava divertirsi un mondo nel vedere 24 alle prese
con la sua pestifera.
Si
alzò dalla postazione, rimuovendo il cappuccio aderente con
visiera integrata e rivelando strani occhi viola con pupilla verticale,
simili a quelli del compagno che, invece, erano di un rosa acceso
“Con Azzurra ogni giorno è la stessa lotta...a te
come è andata?” Disse prima di essersi tolto, da
davanti la bocca, la parte terminale dell'alto collo della tuta.
“Oh,
il solito. Con Zoe è una passeggiata... a differenza della
tua non parla: urla!” rispose l'interpellato facendo spallucce
“Dorme?”
chiese 24 sganciandosi dal terminale. La coda di cavi che gli partiva
dalla base della nuca era ciò che permetteva l'accoppiamento
in ogni sua forma: tra Akero o con le macchine, tutto passava di
lì.
Si
mise in piedi, sgranchendosi le ossa. Quello era l'unico momento in cui
potevano permettersi di tirare un po' il fiato
“Si
è imbottita di sonniferi come ogni sera. Tra un po' non
faranno neanche più effetto visto il mix che si cala anche
durante il giorno. A volte sanno essere davvero stupidi. Debilitarsi a
quel modo... Comunque, il succo è che posso fare quello che
mi pare fino a domattina...” ghignò Mat-mon.
“A te, invece, tocca restare lì davanti tutto il
tempo, vero? Perché non la sedi?” chiese
genuinamente preoccupato
“E'
contro le regole, lo sai.” rispose l'altro con una punta di
acidità “Mai anteporre i propri bisogni personali
all'ospite.”
“Sì,
ma tu hai per le mani una vera sovversiva...credo
che tollererebbero e capirebbero se tu perdessi le staffe... o ogni
tanto ti prendessi cinque minuti” disse sovrappensiero
dirigendosi verso il ponte di vetro dal quale si godeva di una vista
stupenda sulla piccola città che non spegneva mai le sue
luci.
Al
di là del cemento e dell'acciaio si stendeva la massa nera,
sinuosa e silenziosa del deserto. La volta celeste era perennemente
punteggiata di stelle. Era evidente come loro avessero orari
così strani da non riuscire mai a far coincidere le loro
pause con il breve periodo assolato. Invidiava profondamente gli
operatori di altri gruppi che, gestendo persone dall'altro capo del
mondo, lavoravano di notte e uscivano di giorno. Il calore del sole,
lui, lo immaginava solo attraverso il suo collegamento con Azzurra. Se
lei aveva freddo, lui aveva freddo. Il loro rapporto era tutto
così: una particolare simbiosi in cui lui sapeva esattamente
come muoversi, e farla muovere, per ripristinare una situazione di
equilibrio, senza forzarne la psiche. Osservò il paesaggio e
pensò che, in fondo, non gli dispiaceva poi molto: le luci
della città di notte avevano qualcosa di misterioso e
affascinante. E, d'altronde, loro non usavano scandire il tempo come
gli umani né avevano alcun tipo di bisogno fisiologico come
quelle creature inferiori: giorno o notte era la stessa cosa.
“Beh,
è anche contro le mie, di regole”
sentenziò 24, raggiungendolo. Tutta la calma che ostentava
con Azzurra spariva quando era coi suoi colleghi ed emergeva il suo
carattere sanguigno e deciso che l'aveva portato a essere nella squadra
speciale.
Mat-mon
sospirò “Fai attenzione, mi raccomando”
disse
“A
cosa?” chiese perplesso l'altro, poggiandosi alla balaustra e
tenendo sott'occhio i monitor: non voleva allontanarsi troppo dalla
postazione nel caso lei si fosse svegliata a tradimento.
“A
non innamorartene...” concluse malinconica una nuova voce
alla loro destra. 24 era così attento a non perdere mai di
vista la sua ospite che non si era minimamente accorto della sua
presenza. Si voltarono lentamente e si trovarono davanti la figura
androgina di Loki, fasciata nella sua tuta da Potis - Lamassu2.
24
alzò un sopracciglio, perplesso dalla sciocchezza che
avevano in testa quei due. “Innamorarmene?”
Loki
li raggiunse e si arrampicò sulla balconata con un salto
fluido. Inspirò a fondo l'aria della notte, buttò
la testa indietro mentre si stiracchiava, allungando le braccia verso
il cielo stellato, e annuì con un sorriso.
“E'
contro le regole...” le ricordò lui, scettico.
“Sì
sì...” disse con sufficienza Mat-mon agitando la
mano in aria e ributtando il torso oltre il parapetto “E
anche noi siamo controllati...Come noi siamo gli Augur3 degli
umani, gli Hashmallim4 sono i
nostri Augur”
“E
allora...?” 24 non capiva dove volessero arrivare
Loki
gli batté la mano sulla spalla, quasi fosse un cucciolo
innocente “Non capisci, eh? Ricordi cosa ci hanno detto prima
di venire qui? Che il nostro è il settore più
esposto proprio perché può instaurarsi una
sindrome di Stoccolma col nostro controllato”
“Ed
è per questo che siamo i migliori. Ma...” aggiunse
svelto Mat-mon, prevenendo ogni sua obiezione
“...ciò non toglie il fatto che siamo organismi
senzienti anche noi in grado di pensare, dubitare, decidere...
piuttosto...come procede la tua vita sociale, 24?”
24
fu irritato da quella curiosità del collega, ma rispose
ugualmente “Riesco a frequentare solo le altre Lamassu che
seguono casi refrattari quanto il mio...cerchiamo di far coincidere i
tempi...”
Loki
non sembrava troppo convinta della risposta e lo osservò in
silenzio.
Ora,
ne era certo, i loro superiori avrebbero saputo di dover prestare
particolare attenzione al rapporto tra 24 e Azzurra. Ma lui non aveva
nulla da nascondere, quindi rilassò la mascella e
cercò di pensare ad altro.
“Beh...io
vi saluto...devo incontrarmi con due Manowar5. Niente
lavoro!” disse Loki allegra saltando giù leggera
come una piuma, lo sguardo arancione acceso di desiderio
“Birger è confinato a casa da una forte nevicata
che ha bloccato le porte. Resterei a fargli compagnia ma sono stufa.
Che si costruisca pure una bomba casalinga e zompi per
aria...” Così dicendo Loki diede loro le spalle e
si allontanò verso l'ascensore.
“Mi
domando se il suo umano, quel Birger, si renda conto di quanto possa
risultare inappropriato, per noi, il nome che le ha scelto?”
celiò Mat-mon scuotendo la testa. “Un nome
maschile...”
“E'
ora che torni di là” lo interruppe 24 cambiando
bruscamente discorso. Non voleva tornare ancora a parlare ancora dei
loro nomi. Quel particolare, più degli altri, gli dava
parecchio fastidio
“Ok...buonanotte,
campione!” fu il saluto che gli rivolse il Potis –
Shedu mentre si allontanava di buon grado, probabilmente diretto in
sala giochi come ogni notte.: Mat-mon adorava quel luogo caotico e
pieno di colore, così distante dal mutismo ostinato e dalla
follia urlata della sua ospite.
24
rimase solo sulla terrazza, le mani guantate che sporgevano oltre il
parapetto, incrociate tra loro. In realtà erano ben pochi
quelli che avevano il suo daffare. Ma il lavoro gli piaceva. E gli
piaceva anche la sua umana.
Mat-mon,
invece, scendeva a piano terra e si stordiva fino quasi a dimenticare
il proprio compito e l'ora di rientro. Spesso i Karibo6 erano
stati costretti ad andarlo a recuperare per scortarlo alla sua
postazione.
Tornò
alla sua comoda poltrona, imbottita ed ergonomica, in cui stava quasi
disteso. I monitor aggiuntivi, da usare quando restava sconnesso,
fluttuavano sopra la testa. Aprì una nuova schermata
trasparente accanto a quella che dei valori di Azzurra a riposo.
Ricordava di aver visto qualcosa, nella sua mente, qualche giorno
prima. Qualcosa che l'aveva colpito. Il database del loro sistema era
molto più vasto di quello che Azzurra potesse sospettare.
Trovò ciò che cercava. Rilesse il brano che tanto
aveva interessato la sua assistita: la descrizione così
vivida dei rapporti promiscui tra Akero, come quelli di Loki, narrata
nel racconto. La cosa non l'aveva particolarmente colpito per lo
squallore che lui stesso provava7, quanto
il constatare come le diverse società umane avessero teso ad
avvicinarsi davvero a quel modello: un modello che lo scrittore, un
secolo prima del loro arrivo, sembrava conoscere molto bene, quasi
fosse stato uno dei vertici Akero o forse addirittura un Hashmallim col
compito di preparare gli umani.
Oppure,
come sostenevano alcuni umani, loro non erano
altro che altri umani educati a pensare di essere Akero e tale
educazione avrebbe affondato le radici proprio nel periodo in cui fu
scritto il libro.
Sciocchezze,
pensò. Nessuno aveva ricordi di una vita da umano. Tutti
avevano vissuto sempre e solo nello spazio, nelle tre
città-astronavi in viaggio fino alla Terra8.
Aprì
un altro file, una lista che già conosceva molto bene, e lo
soppesò. Perché, per gli umani, tutte le distopie
dovevano sempre volgere a loro favore? Tutte le storie avevano il
retrogusto dell'idea della rivincita finale sul sopruso: non erano
molto credibili. Scorrendo il documento, senza realmente vederlo, si
domandò come mai non fosse stata presa in considerazione,
dai vertici dei Marzuol9, l'idea
(già umanamente nota e che sarebbe stata vissuta,
eventualmente, come un'epifania) di bruciare ogni copia, analogica o
digitale, di documenti che potevano instillare dubbi di un certo tipo e
fomentare le rivolte. Si limitavano a modificare lentamente e
metodicamente le informazioni storico-culturali, a far sparire le fonti
meno recenti o usurate dal tempo senza provvedere, ovviamente, a una
digitalizzazione delle stesse. Probabilmente, era per evitare lo shock
ai fragili cervelli umani: come avevano constatato in un primo periodo
di prova, la perdita di sapere, improvvisa e violenta, per quanto le
cavie potessero essere preparate, era più dannosa della
stessa perdita ma graduale. Forse, avevano ritenuto che l'invasione
fosse stata un trauma sufficiente a destabilizzare le loro labili menti
e per procedere oltre avrebbero dovuto attendere.
Inoltre,
sembrava esserci anche una certa perversione dei loro superiori i quali
giocavano con gli esseri inferiori, buttando esche nel mondo umano,
certi che in pochi le avrebbero colte e che comunque non avrebbero
potuto fare nulla al riguardo: era lo stesso stratagemma di cui si
erano servite le avanguardie. Paradossalmente, coloro che, come
Azzurra, avessero provato a screditare la teoria o la storia ufficiali
non avrebbero fatto altro che rafforzarla. Si accontentò di
questa speculazione, certo di aver colto nel segno.
Già
che c'era, rilesse anche il profilo di Azzurra: lei non aspettava il
salvatore, il principe su cavallo bianco o un guru religioso. Era
disillusa da tutti i sogni terrestri. Sapeva di poter contare solo
sulle proprie forze. Ma loro, quelli come 24, avevano distrutto anche
quella piccola certezza, invadendone così brutalmente la
psiche.
Non
credeva di doversi sentire in colpa. Eppure gli dispiaceva averla
delusa.
“Attento
a questo genere di pensiero...” gli sorrise una donna,
comparendogli davanti. Era una Hashmallim, responsabile dei Potis:
indossava una tuta bianca e azzurra con appariscenti fasce che le
pendevano dalle spalle. “Potresti arrivare a essere in
sintonia col tuo ospite.. e noi non lo vogliamo, vero?”
“Certo
che no” rispose lui asciutto
“Vedo
che state facendo un buon lavoro...” disse ancora lei
“Continuate così, mi raccomando..” disse
e si dileguò.
24
restò un attimo a fissare il punto in cui la donna era
comparsa. Chissà chi era l'altro (o gli altri) che erano
seguiti da lei, oltre a lui...ammesso che quella fosse la sua personale
e non la prima o più vicina o più veloce che
avesse intercettato il suo pensiero.
Mat-mon
gli aveva ricordato come anche loro fossero controllati, esattamente
come gli umani. E come anche questi controllori, a loro volta, fossero
controllati, in coppia o in gruppo, da altri controllori.
Così via, in scala piramidale, fino ad arrivare al vertice
che controllava direttamente solo uno o due responsabili. Tutti
controllavano ed erano controllati.
E
nessuno sapeva quale fosse l'aspetto del proprio Hashmallim personale.
I
normali Akero10, privi di
sottoclassi particolari, controllavano più ospiti
contemporaneamente, quelli mansueti come agnellini e stupidi oche.
Sotto di loro c'erano solo i Manowar, i tecnici addetti ai lavori
manuali. Al di sopra degli Akero, i Potis, divisi tra Shedu e Lamassu,
avevano il compito più ingrato di tutto il sistema:
controllare direttamente un ribelle ciascuno e cercare di zittire la
resistenza. Per assolvere a questo compito c'era la
necessità che questi ultimi venissero sorvegliati
costantemente. Ad aiutarli c'erano i Marzuol, che studiavano le
strategie di persuasione, stilavano classifiche e modus operandi in
base alla personalità dell'ospite. Qualcuno elaborava poi il
rapporto stillato da due o più Akero o Potis e decideva se e
in che modo fosse il caso di intervenire: questi erano gli Augur11, i
detentori del sapere. Ogni contatto eversivo -impossibile- tra Akero,
in particolar modo Potis, e ospite sarebbe saltato subito all'occhio
attento del Hashmallim.
Innamorarsi.
Avere
simpatia per la propria assistita.
Quante
sciocchezze.
Eppure,
tutto ciò gli diede un'idea.
Amarla,
lusingarla... come poteva compiacerla? Aveva
sempre pensato che mostrarsi gentili con lei fosse una perdita di
tempo, visto il suo carattere sprezzante.
Gentile,
remissivo...
debole.
Avrebbe
finto di crederle. Di essere passato dalla sua parte. Di aver perso nel
confronto sulle rispettive forze di volontà. Si sarebbe
spezzato. L'avrebbe sorpresa.
Per
poi richiudersi con un colpo di frusta, come una tagliola,
intrappolandola tra le schegge del bordo frastagliato: gonfia
d'orgoglio, sarebbe stata più vulnerabile e pronta a essere
spezzata a sua volta, avrebbe abbassato la guardia, l'avrebbe accettato
e si sarebbe fatta manipolare.
Forse.
Era
un piano lungo e complicato. Ma aveva molto tempo a disposizione per
attuarlo e per rivederlo man mano.
1
Qui comincio a descrivere il mondo degli
angeli. A cui ho dato i
nomi di divinità alate o di schiere angeliche. In
particolare lo Shedu
è una divinità mesopotamica, spirito benevolo e
protettivo. Per lo più
era raffigurato come un mostro alato dal corpo toro o leone e testa
umana. Il suo corrispettivo femminile è la Lamassu (in
realtà si tratta
solo di un sinonimo, sono io che l'ho reso femminile.)
2
Per Lamassu vedete la nota precedente.
Potis,
invece è la mia versione di Principati “Sono gli
angeli guardiani delle
nazioni e delle contee, e tutto quello che concerne i loro problemi e
eventi, inclusa la politica, i problemi militari, il commercio e lo
scambio. Uno dei loro compiti è quello di scegliere chi tra
l'umanità
può dominare”.
3
Termine che sta per controllore, ombra,
spia...insomma...è la figura che veglia sulla persona da
vero angelo
custode. Tutti gli altri termini identificano la gerarchia, non il
compito
4
Più noti come Dominazioni,
sono quegli angeli che
hanno il compito di regolare i compiti degli angeli inferiori. Ricevono
i loro ordini dai Serafini, Cherubini o direttamente da Dio.
5
Sono i tecnici, il gradino
più basso della gerarchia, che non hanno alcun contatto col
mondo umano.
6
Sono i Cherubini, il gruppo scelto-armato
7
Faccio riferimento implicito a Brave
New World (Il
mondo nuovo) di
Adolf Huxley, pubblicato nel 1932. Nella prima parte, si scopre
praticamente subito come non esista alcun tipo di vincolo familiare e
come certi sentimenti, il possesso, la gelosia o un certo grado di
vergogna, siano disprezzati perché "ognuno
appartiene a tutti”.
Ma sulla cosa torneremo più in là
8
Ho scelto il numero 3, perché
è di tale numero l'ammontare della
presunta flotta in avvicinamento alla Terra (è una bufala,
tanto per
dovere di cronaca)
9
Deriva dall'aggettivo Marziale e
racchiude in sè 4 categorie angeliche: le Virtù
che analizzano i dati
ricevuti (in questo caso dai Potis). Insomma, il compito di capire gli
umani, studiare strategie per meglio interfacciarsi con loro
è il
lavoro più delicato e corposo, per cui ci vogliono diverse
figure
specializzate; le Potenze che formulano un approccio al problema
(segnalato dalle Virtù) e le Autorità si occupano
della parte
'burocratica'; le Potestà, il cui compito è
sorvegliare la
distribuzione del potere all'umanità, sono i consiglieri e i
traghettatori dalla vita alla morte e viceversa.
10
Angelo generico. Gli arcangeli, che qua
non cito, sono i messaggeri.
11
Ho scelto il termine, sempre latino, Augur per indicare le
Potestà: custodi della storia.
-
- - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Salve
a tutti. Comincio col ringraziarvi se, dopo il primo capitolo, avete
deciso di proseguire la lettura.
Volevo
fare alcune precisazioni prima di lasciarvi alla lettura...ma visto
quanto s'è fatto lungo il discorso, ho preferito spostare
qui il tutto.
Comincio,
visto che è una cosa fresca di lettura, col dirvi che per
definire la gerarchia angelica ho usato lo schema delle 3 triadi o sfere
Prima
Gerarchia: Serafini, Cherubini, Troni o Ophanim
Seconda
Gerarchia: Dominazioni, Virtù, Potestà
Terza
Gerarchia: Principati, Arcangeli, Angeli
Per
ciascuna potete vedere qui
Non
ho parlato di Serafini (che farò corpo scelto tra i
cherubini, protettori dell'elite) e i Troni, il gruppo le cui
preoccupazioni generali ruotano attorno al mondo e al genere umano e
hanno un'autorità maggiore rispetto a quella di chiunque
altro.
Detto
questo, proseguo col fare mea culpa per la scena iniziale del
sogno/incubo/ricordo di Azzurra nel precedente capitolo. Quando ho
scritto la storia mi è venuta di getto per motivi che
saranno spiegati più avanti (o se conoscete la teoria,
appunto, del Bluebeam, potete provare a ragionarci). C'era qualcosa,
però, che mi solleticava la memoria e non riuscivo a capire
cosa. Solo dopo aver pubblicato ho capito cosa ci fosse che non andava:
la scena sembra essere presa pari pari dal filmato mostrato al
Congresso di Copenhagen sui cambiamenti climatici del 7 dicembre 2009.
Evidentemente mi è rimasta così impressa che
l'ho, involontariamente, riciclata. Qui avete il
link. Confrontate pure.
Altra
cosa, di cui voglio mettervi a parte, sono le fonti che, almeno a me,
sembra di aver 'riciclato' in modo del tutto involontario: essendo un
amante del genere, probabilmente, sono entrati a far parte del mio modo
di vedere il futuro in modo permanente. Ovvero: gli universi di
scrittori come Arthur C. Clarke, Richard Matheson, Asimov, Philip K.
Dick (in particolare Total
Recall/Atto di Forza e Minority
Report. Qualcuno
ci ha visto anche del Blade
Runner), Jules
Verne, William Gibson (dai cui racconti sono ispirati Matrix e Jhonny
Mnemonic), Pierre
Boulle (Il
pianeta delle scimmie...il
libro! Non il film del '68 e successivi né, tanto meno,
quelli più recenti), i mondi distopici come quello di Fahrenheit
451 (Ray
Bradbury), Brave
New World (Aldous
Huxley),
1984 (George
Orwell), Dune (Frank
Herbert), Hunger
Games (Suzanne
Collins e se Mondadori vuole, è uscito finalmente il
3° libro che aspettavo da un anno! no...non sono fan del film,
se ve lo state chiedendo ma da cmq delle interpretazioni interessanti,
tenendo conto delle diverse esigenze rispetto al libro...che ho letto
in un giorno <3 ), L'ospite
(Stephanie Meyer. Sì, proprio lei. E' stato guardando
principalmente al suo che temevo di aver copiato l'idea di un
controllore onnipresente a man bassa e spingermi a questo papiro post
capitolo, anche se nel suo romanzo è una
casualità che i due convivano e si parlino), The
Giver (Lois
Lowry), Divergent (Veronica
Roth), Il
Labirinto (James
Dashner), Delirium (Lauren
Oliver), La
bussola d'oro (Philip
Pullman. E' evidente nel riferimento nell'assegnazione di un partner
maschile a una donna, e viceversa. E' una cosa che mi ha sempre
affascinata, prima ancora di leggere la trilogia alle medie..
è un po' l'idea dell'amico immaginario da avere sempre con
sé)
Di
film come Gattaca,
Equilibrium, 2001: Odissea nello spazio, The Island, Essi vivono,
Stargate, Interceptor/Mad Max (da cui
fu tratto Ken
il guerriero), Waterworld,
Demolition Man, Avatar, di anime
come Capitan
Harlock, Capitan Futuro (preso
dagli omonimi racconti che però non riesco a reperire), Fushigi
no Umi no Nadia (Il
mistero della pietra azzurra) e di
tutte le vecchie saghe di robotoni (da Baldios a Kyashan,
il ragazzo androide passando
per Daitarn
3
e Cyborg
009), di
cartoni come X-men (anche i
film, ovvio) o Biker
Mice from Mars; manga
come Appleseed e Ghost
in the Shell (Masamune
Shirow), Silent
Möbius (Kya
Asamiya), Seraphic
Feather (Hiroyuki
Utatane), Five
Stars Stories (Mamoru
Nagano), Gene
X
(Kentaro Fumizuki) o Neon
Genesis Evangelion
(Yoshiyuki Sadamoto); serie televisive come Visitors/V e X-Files.
Questi
sono quelli che, sicuramente, nel corso della stesura, mi sono comparsi
in aiuto come flash. Probabilmente ce ne sono centomila altri che ora
non vedo. Volevo avvisarvi che non è fatto con cattiveria e
visto che li ho notati io, forse li avete notati anche voi...
Qualcun
altro, poi, mi ha domandato come mai la vicenda si svolga 'solo' un
anno e mezzo dopo l'invasione. La risposta è molto semplice
(e non spoilero nulla). Appena avvenuto il fatto tutti sono sotto
shock, non si vuole credere a quanto avvenuto o si spera in una
ribellione generale. La stessa Azzurra tergiversa. Andare
più lontano nel tempo (5, 10 anni) a mio avviso sarebbe
stato rischioso: nella speranza del qualcosa cambi/la gente si svegli,
durante la quale non sarebbe successo proprio nulla, anche i
più riottosi si sarebbero abituati all'idea e sarebbe stato
sempre più difficile tentare qualsiasi operazione e
avrebbero fatto la fine della rana che morì lessata.
|
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Capitolo 3 *** RFID ***
3.
RFID1
and
AIDC2
Quella
notte Azzurra dormì serena. Per qualche motivo
sognò la Primavera di
Vivaldi come tappeto musicale. Vide posti meravigliosi e visse
esperienze fantastiche in cui avrebbe voluto affogare...
Ma
davanti allo specchio del bagno si ricordò dell'ingombrante
presenza di 24 che la osservava, immobile, lavarsi i denti.
“Avevo dormito così bene...”
borbottò lanciandogli un'occhiata di fuoco. 24,
però, parve sorridere da dietro la sua maschera inespressiva.
“Vivaldi”
confermò, convinto di aver messo a segno un punto nel
proprio nuovo progetto “Spero sia stato di tuo
gradimento”
Azzurra
si accigliò “Ti ficchi anche nei miei sogni,
adesso?”
“Non
hai appena detto di aver dormito bene?” replicò
lui, serafico
“Ora
che so che è opera tua, no! Mi stai già mandando
a male tutta la giornata.”
Un
leggero raspare la fece voltare. Schiuse la porta e il piccolo
bastardino che girava per casa andò di corsa a strusciarlesi
ai piedi, strappandole un sorriso sincero. Lo sollevò in
braccio, se lo strofinò addosso e, sempre tenendolo stretto,
finì di lavarsi i denti. “Vedi?” disse
rivolgendosi ad 24 “Perché ho avuto la certezza
che non fossi altro che una mia proiezione mentale?”
guardò il cagnolino che le leccò la faccia,
scodinzolando “Perché lui non ti percepisce! Fosse
anche una qualche strana frequenza che produce
ologrammi...percepirebbe l'elettricità che scorre per
produrre l'immagine...”
“Gli
ologrammi sono fatti di sola luce!” la corresse
immediatamente 24, punto nel vivo
“Vabbè
vabbè... comunque, non potresti seguirmi ovunque a meno che
non abbia un dispositivo portatile sempre addosso...Ad ogni modo, lui
ti sentirebbe parlare...ma sarebbe confuso per la sua diversa
percezione visiva...invece...” scivolò nel
silenzio, pensierosa “Ciò vuol dire che sei nel
mio cervello! Vero, Arek, amore?” domandò al
cagnetto che, in tutta risposta, abbaiò un paio di volte.
“Almeno non sono matta, dato che li vedono tutti!”
disse più a se stessa che al cane.
Lo
lasciò andare a terra e gli lanciò uno dei
pupazzetti di pezza di cui era disseminata la casa.
“Se
avessi avuto le sembianze di un cucciolo, scommetto che mi avresti
accettato più facilmente!” borbottò 24
ad alta voce
“Che
c'è?” ghignò lei,
perfidamente “Sei geloso?”
“Noi
non possiamo essere gelosi, non siamo schiavi di qualcosa
così gretto come i sentimenti. E poi, essere gelosi di
esseri inferiori come voi, sarebbe come se tu lo fossi del tuo
cane...” rispose placido
“Ah,
ma io sono gelosa del mio cane quando va a farsi coccolare dagli
altri” rispose Azzurra altrettanto tranquillamente
“Non
come lo intendi tu...noi...” 24 alzò gli occhi al
cielo. Quella dannata ragazza riusciva ad incastrarlo spesso e
volentieri con la sua lingua tagliente “Lasciamo
perdere...”
A
24 prese un colpo. Si trovò, di colpo, scollegato: il
sistema protettivo prevedeva il distacco immediato e automatico in caso
di forti emozioni, per preservare la salute psicofisica dell'operatore
e dell'ospite.
“Ti
sta già mettendo in difficoltà, eh?”
sghignazzò Mat-mon appollaiato ai monitor di 24 che
fluttuavano in aria
“Non
hai di meglio da fare che venire a rompermi mentre lavoro?”
ringhiò 24 all'indirizzo dell'individuo in bianco e rosso.
“E'
divertente vedere le tue reazioni quando non sai come
comportarti” celiò l'altro
24
lo guardò storto. Si rimise la lente spettroscopica sugli
occhi e cercò di tornare al lavoro.
“24?”
chiese Azzurra.
Era
rimasta inspiegabilmente sola in bagno. La cosa era alquanto strana.
Lei non era come le sue amiche, i cui controllori sparivano spesso e
volentieri per andare a sorvegliare qualcun altro: loro non erano
pericolose. Ma che 24 sparisse era una cosa che non era mai successa.
Era rimasto senza argomentazioni? Aveva colpito nel segno? Nessuna
delle due sembrava un'ipotesi plausibile.
Non
fosse stata una cosa tanto anormale da essere allarmante, sarebbe stata
anche contenta. Perché non spariva quando glielo chiedeva
lei ma lo faceva quando erano nel mezzo di un discorso, per futile che
fosse?
All'improvviso,
così come era sparita, l'immagine olografica di 24 le
ricomparve davanti. Azzurra cacciò un urlo tremendo,
saltando all'indietro. Dovette appoggiarsi alla vasca per non cascare a
terra. Arek trottò subito, nuovamente, in bagno abbaiando
ferocemente contro nemici invisibili. Sbuffò, accorgendosi
della sola presenza della propria padrona e scodinzolò fino
da lei.
“Scusa...”
disse 24 fissandola, quasi col fiatone
“Non...non
farlo mai più! Razza di imbecille!” gemette.
“Al diavolo...ricompari così, tutto tranquillo,
come niente fosse... e io mi ero anche preoccupata...fottiti!”
“Preoccupata?”
chiese.
Azzurra
non fece in tempo a rispondere che l'immagine di 24 sparì
un'altra volta
“Ci
risiamo...” sbuffò. Decise di lasciar perdere e
andò in camera a cambiarsi. Sua maestà sarebbe
ricomparso quando più gli sarebbe sembrato opportuno.
“La
vuoi smettere, razza di deficiente?” l'urlo di 24 fece
tremare le pareti della sua postazione.
“Shedu,
a posto!” intimò la voce della Hashmallim
comparendo apparentemente dal nulla. Fulminò 24, per il suo
comportamento per niente pacato, prima di strigliare Mat-mon
“Ti sembra il modo di comportarsi? Sei peggio di un cucciolo
umano.” Mat-mon chinò la testa, mortificato
“Sai già che prenderemo provvedimenti. Hai
qualcosa da dire?” Mat-mon scosse la testa. Le spalle erano
piegate sotto il peso dell'ineluttabilità.
“Inoltre, il tuo atteggiamento, negli ultimi tempi,
è stato assai strano...” La sua non era una nota
di carattere tecnico. Era come se stesse scorrendo una lunga lista di
infrazioni al codice. Tutti, nella sala, sapevano che il destino di
Mat-mon era segnato. Alla meglio sarebbe stato degradato a semplice
Manowar. Nessuno osava pensare al deserto. Era una soluzione tanto
drastica quanto mai applicata. “Ti abbiamo tenuto sotto
osservazione...” Disse, infine, seccata. “Fanne
un'altra e verrai mandato in riabilitazione!”
lo informò l'Hashmallim chinandosi al suo orecchio e
pronunciando piano, ma abbastanza forte perché tutti
sentissero il suo monito, la ripugnante parola. Si
raddrizzò, algida e altera, girò su se stessa e
sparì in un battito di ciglia, lasciando i presenti
sbigottiti e congelati nelle loro postazioni.
Quando
la Hashmallim fu scomparsa, tra gli operatori si levò un
leggero borbottio sorpreso e curioso. Nessuno aveva paura per il
compagno. Non poteva succedere nulla di male. Ma, se anche fosse stato,
loro, per indole naturale, non potevano provare paura.
Nessuno
sapeva esattamente cosa succedesse a chi fosse stato così
inetto da finire a farsi dare una controllata. Tutti, però,
tornavano indietro muovendosi a scatti meccanici con lo sguardo fisso
nel vuoto, quasi incapaci di parlare. E, ultimamente, erano molti
quelli che, per una scusa o per un'altra, erano stati giudicati non
più idonei al servizio attivo. A meno di non farsi riabilitare.
Ma
tra i Potis era la prima volta che veniva ventilata l'ipotesi di un
intervento simile.
“Mi
dispiace averti dato tanti fastidi...” biascicò
Mat-mon, rigido nella sua posizione.
24
notò che aveva le mani strette in pugni, la mascella
contratta e i muscoli del volto tesi sugli zigomi. Che
strano,
pensò. “Mi piacerebbe rivederti, più
avanti...” aggiunse l'altro prima di allontanarsi senza
salutarlo.
Rivederti?
Più avanti? Di che
diamine stava parlando quello squinternato? E cos'era quella strana
sfumatura nella voce? L'aveva avvertita solo lui? Era stata solo una
sua impressione?
24
era sbigottito, non sapeva davvero come comportarsi in quel frangente:
non era stato addestrato a quell'evenienza. Era fortemente indeciso se
tornare al proprio lavoro, ignorandolo, o seguire il collega che si
avviava svelto lungo i corridoi. Decise che Azzurra non poteva entrare
in contatto con nessuno, in quel momento. E se l'avesse fatto coi
canali tradizionali, l'avrebbe tracciata comunque. E aveva tutta la
notte per recuperare il tempo perduto.
Si
alzò dalla poltrona e seguì Mat-mon che,
dileguatosi alla svelta, era sparito alla vista. Si fidò
dell'istinto e puntò diretto a una stanza, di cui non
sospettava nemmeno l'esistenza. La scelta più logica
per una fuga sarebbero state le scale, prima ancora
dell'ascensore. Fuga.
Perché gli era venuta in mente una simile
eventualità?
Spalancò
la porta e chiamò a gran voce il nome del collega ma non
ricevette risposta. Si avviò tra i molti scaffali in cui
stavano stipati centinaia di scatole metalliche ronzanti e che
traboccavano di cavi elettrici, qua e là qualche luce. Lo
chiamò ancora un paio di volte.
Era
ormai certo di essersi sbagliato quando percepì qualcosa.
Era troppo leggero per poter dire di averlo sentito realmente. Si
voltò di scatto e abbassò la testa, cercando di
sbirciare sotto quell'assembramento di armadi aperti. Infine la vide.
Vide un movimento e la fessura di un'altra porticina, immersa nel buio
della sala, illuminata fiocamente dai led rossi dei terminali. Si
rialzò, aggirò i grandi monoliti scuri da cui
pendeva la jungla di cavi e si ritrovò a osservare l'angolo
della stanza, notando dettagli che altrimenti gli sarebbero sicuramente
sfuggiti. Quasi scardinò la porta, lasciata socchiusa, nel
tentativo di raggiungerlo. Quando vi riuscì, Mat-mon aveva
appena gettato qualcosa di metallico lungo un condotto di scarico, un
piede poggiato su di esso, la schiena sulla parete opposta. Il
tintinnio riecheggiò brevemente nel silenzio spezzato solo
dal costante ronzio degli hardware alle loro spalle e dal ritmo
affannato del respiro del fuggiasco. Il ghigno sulle labbra, sporche di
qualcosa di rosso e apparentemente liquido, gli deturpava il bel viso.
A
terra, le poche gocce cadute fino a quel momento avevano già
creato una pozza di una decina di centimetri di diametro.
“Così
non mi troveranno...” disse volgendosi verso il compagno,
senza realmente vederlo, e tentando di pulirsi la bocca con la manica
della tuta di lattice. Fu solo allora che 24 vide lo scempio che
Mat-mon aveva fatto del proprio braccio e degli indumenti: sulla tuta
bianca si apriva una voragine nera e frastagliata che sembrava
allargarsi verso il basso. Il braccio, da cui la tuta era stata rimossa
a forza, sembrava essere stato decorticato, come se fosse stato
estirpato il primo strato di epidermide, lasciando il braccio,
altrimenti candido, solcato da nervature scure su fondo rossastro:
aveva già visto cose simili, ma solo in addestramento e solo
in foto, non certo su quello che lui riteneva il suo migliore amico.
Sentì il compagno imprecare, strapparsi ciò che
restava della manica e cingere quell'orrore in un nodo stretto.
“Cosa....?”
stava per chiedere ma i conati che erano risaliti veloci dal suo
stomaco lo zittirono.
Non
era paura. Non potevano provarla. Era qualcosa di più
atavico e incontrollabile. Era come se un allarme gli stesse risuonando
in testa, cercando di preservarlo. Istinto
di sopravvivenza, lo
chiamavano gli umani. E doveva farti stare così male? Non
doveva spingerti ad allontanarti dalla fonte del pericolo?
Perché non riusciva a connettere alcunché?
Era
la prima volta che vedeva sangue vivo. Rosso e copioso. Come buona
parte degli animali terresti! Come gli umani.
La
prima volta che vedeva una ferita. Dal vivo. E che ferita!
La
prima volta che assisteva a una vera ribellione. Interna, per giunta.
Da parte di una persona a lui vicina, di cui non aveva sospettato
nulla. Perché quella, ne era certo, non poteva che essere
una rivolta.
Paralizzato
da eventi inaspettati e che non sapeva come gestire, lasciò
che il compagno sgattaiolasse fuori dal locale senza salutarlo.
Il
mondo gli girava tutt'attorno. L'odore ferroso del sangue e quello
acido del vomito (del suo proprio vomito, reazione inaspettata alla
vista agghiacciante) lo stordivano ogni secondo che passava.
La
vista gli si annebbiò.
Vide
solo entrare una squadra concitata di Karibo. Il nero delle tute
corazzate, solcate da linee azzurre che sottolineavano le forme dei
corpi. Il nero della stanza rischiarato appena dalle luci rosse degli
hardware.
Si
sentì scivolare a terra, sprofondare in una massa oscura
d'angoscia e perdere il controllo di sé.
Come
in sogno. Non
sapeva dire, con precisione, cosa gli avesse stimolato quel
pensiero. Cos'era un sogno? Sapeva che gli umani sognavano durante il
sonno ma loro...loro non avevano bisogno di dormire. Era
così che sognavano gli umani? Che cadevano addormentati tra
le braccia di Morfeo? Sembrava una cosa piacevole ma per lui era solo
spiazzante oltre che frustrante. Perdere il controllo, non essere
più lucidi. Cosa gli stava succedendo? I bordi della stanza
e delle figure attorno a sé si fecero rapidamente sbiaditi e
confusi. Non ebbe quasi il tempo di rendersi conto razionalmente di
quello che stava succedendo. Solo rapidi impulsi, quasi il tempo fosse
stato congelato. Dopo di che, il buio.
Il
foglietto sul tavolo aveva una lista alquanto scarna di cose da
comprare. Spesa. L'unica
cosa che rimpiangeva di chi viveva in città. Loro vivevano
nella più profonda campagna e tutti i servizi alieni non
erano ancora stati resi disponibili. Un po' perché, come
sempre, si preferiva dare, giustamente, la priorità ai
grandi centri, un po' per l'impraticabilità delle strade non
ancora, totalmente, automatizzate. In città, potevi startene
comodamente stravaccato sul divano di casa, informare la
comunità delle tue necessità e in meno di mezzora
una spesa perfetta e infiocchettata sarebbe arrivata sulla soglia di
casa. Lì non esistevano nemmeno più i
supermercati perché tutte le merci erano stoccate ai mercati
generali. Nessuno, a parte i più miserabili, avrebbe mai
voluto faticare per portare le provvigioni fino alla macchina e da
lì al proprio domicilio.
In
campagna, invece, i supermercati resistevano per la mancanza di
personale e per l'impossibile accentramento delle merci in un unico
luogo, essendo le comunità così sparpagliate sul
territorio.
Azzurra
sbuffò. Avrebbe tanto voluto, anche lei, poter sfogliare il
catalogo delle merci attraverso il proprio tablet e lasciare che il
programma preposto capisse, in base al tempo di permanenza sulla pagina
e ai suoi movimenti oculari, registrati dalla fotocamera, le cose che
le avrebbe voluto trovarsi sulla soglia di casa. Pensava sarebbe stato
carino farsi sorprendere in quel modo. Un piccolo regalo che la
comunità ti faceva. Come quando, negli anni passati, si
andava in centro con le amiche a guardare vetrine e loro capivano al
volo cosa regalare per il compleanno.
Si
riprese di colpo, vergognandosi di quel desiderio. Quello non era altro
che un modo dei dominatori per controllarli meglio: facevano leva sui
punti deboli degli esseri umani. Il sistema di cloud-computing3 non era
altro che una messa a nudo, in piazza, delle proprie
individualità, subito fruibili da chiunque senza il minimo
sforzo. I suoi simili non riuscivano ad andare al di là del
proprio naso e vedevano solo il lato positivo di tutto quel controllo:
salvare le foto, tutte, indistintamente, automaticamente sul proprio
social network preferito perché non
si sa mai che tu perda o ti si rompa il telefono, la
comodità di poter accedere ai dati dei computer casalinghi
anche dal lavoro... a ben
pensarci, lei stessa si era fatta schiavizzare da quelle
comodità. Scosse la testa, affranta. Non credeva nella
bontà delle azioni gratuite, specie dei nuovi visitatori.
Sicuramente li stavano abituando alla mollezza per poi, un giorno,
sottrarglieli e renderli più schiavi di prima.
Si
cacciò in tasca il quadratino a righe (sua madre era di
vecchia generazione e faceva fatica a rinunciare alle vecchie abitudini
analogiche), pronta a uscire per far la spesa, irrequieta. Era ormai
mezz'ora che 24 non si vedeva. Certo, era una gioia riavere la propria
mente, senza nessun guardone che spiasse ogni sua mossa.
Però, era strano che fosse scomparso così
all'improvviso. Sembrava quasi che ci fosse stato qualcosa di simile a
un'interferenza, di quelle che colpivano radio e televisori analogici
fino a qualche decennio prima.
Un'idea
le balenò in mente, rapida ed istintiva.
Che
la ribellione fosse già all'opera e fosse riuscita a
danneggiarli? Avevano distrutto i loro sistemi di comunicazione? E in
che modo c'erano riusciti? Erano già in possesso di tante
informazioni da sferrare un attacco così serio?
Finché
non fosse andata al supermercato e non avesse visto gli ologrammi degli
altri Augur4, non
l'avrebbe mai scoperto, sola com'era in quel momento. Si
cacciò addosso la giacca, pronta a uscire. Stava per
prendere la borsa ma si ricordò di non averne bisogno: non
doveva portare con sé alcuna chiave, alcun documento e tanto
meno i soldi.
Sulla
soglia, però, si fermò di colpo, improvvisamente
abbagliata da un pensiero che giaceva sepolto nella sua memoria. Si
diede della sciocca per non averci pensato subito. Quel tempo
così prezioso, tutto a sua disposizione, l'aveva gettato
alle ortiche per la poca prontezza.
Si
lanciò all'aperto, in giardino, oltrepassò il
garage, dove la sua auto elettrica e impilabile5 stava a
caricare la batteria, e passò ancora oltre i capanni degli
attrezzi improvvisati sotto cui suo nonno ricoverava le macchine
agricole e distillava liquori nei giorni di maltempo, quando non poteva
lavorare per impraticabilità del terreno.
Corse
a perdifiato fino a raggiungere un bivio nel fosso tra le colture. Si
fermò ansante, non abituata a quegli scatti. Non aveva mai
capito quale fosse il reale utilizzo di quelle trincee: aveva pensato
fosse un metodo sbrigativo per delineare confini o introdurre acqua
anche in campi lontani. Ma la cosa non le era mai interessata
abbastanza da indurla ad andare a documentarsi. Né, di
certo, l'avrebbe fatto quel giorno. Le sue priorità, al
momento, erano altre.
Il
suo cane arrivò immediatamente al suo seguito, pensando si
trattasse di una sfida. Si sedette compostamente davanti a lei, la
lingua a penzoloni tra i denti, in attesa di un bocconcino come premio.
“Aiutami,
Arek!!” ordinò al cane che si limitò a
inclinare la testa, non capendo cosa volesse da lui la sua padrona.
Azzurra si mise a scavare con le mani proprio dove finiva il fosso,
secco e duro nel freddo dell'inverno.
Dopo
mezzo minuto, Arek si alzò, scodinzolando, capito il nuovo
gioco, e andò a infilarsi tra il corpo di lei e il punto
dove le mani cercavano. Ficcò il musino nella piccola
apertura ottenuta fino a quel momento. Annusò.
Annusò una seconda volta, perplesso. Leccò, per
sicurezza. Quindi, risalì il fosso e si mise a scavare
dall'alto, tentando quasi di strapparsi la terra da sotto le zampe. Con
l'aiuto di quelle zampine motrici, che sollevarono una nuvola di
terriccio, in breve scavarono abbastanza a fondo da arrivare a raspare
contro qualcosa di metallico.
Finalmente
avevano trovato quello che aveva seppellito anni prima e che Azzurra
non aveva ancora avuto modo di dissotterrare dall'avvento degli ultimi
cambiamenti.
Non
si concesse di cedere a sentimentalismi e nostalgie. Aprì la
piccola scatola di latta con foga e si rovesciò il contenuto
sul palmo sporco della mano. Non erano grandi cose od oggetti che
potessero essere confiscati per la loro pericolosità.
Due
anellini di rame, che Azzurra si sbrigò a far scivolare
lungo il bordo dei padiglioni auricolari, uno per parte.
Una
fialetta che conteneva un liquido verdognolo. Strappò il
tappo a corona con un morso e, sputatolo lontano, lo
tracannò avidamente.
Infine,
una pillola. Era grande, più di una normale aspirina. E rosa.
La
compresse tra i palmi e strinse fino a che non sentì il
suono di un involucro che si sgretolava. Rovesciò tutti i
frammenti su una sola mano, prese tra le dita il contenuto,
ingollò la polvere rosa, quindi fissò il
meccanismo. Era la parte più dura.
Si
sganciò rapidamente un orecchino e con il perno che si
infilava nel foro del lobo toccò appena un pulsante del
piccolo attrezzo, grande poco più di un bottoncino a
pressione. Non attese di sentirlo risvegliarsi: lo stava già
mandando giù.
Il
sordo ronzio di avvio ultimato le giunse quando si era già
rimessa in piedi e si stava riallacciando il pendente. Il rumore giunse
all'altezza dello stomaco, facendola rabbrividire.
Era
fatta, pensò. Ora doveva solo attendere. Quanto, non lo
sapeva. Ma era quasi libera. Anche se con quell'affare elettronico in
corpo.
Si
domandò se da quel momento in poi si sarebbe sentita per
sempre un mezzo robot o se si sarebbe abituata.
Alzò
le spalle. Che importava se era il prezzo della libertà?
Quel piccolo, minuscolo attrezzo disturbava le trasmissioni che loro stavano
mandando.
Certo,
loro
controllavano tutto tramite la fitta rete capillare di gadget
elettronici di cui gli umani si erano riempiti inconsapevolmente.
Agivano sulla psiche umana trattandone il corpo come un semplice
conduttore elettromagnetico. Ma nessun essere umano, a parte loro, i
ribelli, poteva possedere in corpo un simile meccanismo. Certo, c'era
chi aveva arti bionici, by-pass e protesi auricolari. Ma nulla era come
quel piccolo vermetto nanotecnologico strisciante che ora si stava
aprendo e stava diffondendo le sue mille propaggini all'interno del suo
corpo per andare a interferire con le loro
trasmissioni.
1
Radio
Frequency Identification
(Indentificazione a radiofrequenza)
2
Aerospace
Industrial Development Corporation/Centre
(Centro/corporation per lo
sviluppo dell'industria aerospaziale) ma anche Automatic
Identifying
and Data Capture
(Identificazione automatica e raccolta dati).
Volevo
giocare sull'ambiguità del secondo acronimo e la prima
versione rende
di più l'idea “spaziale” mentre la
seconda è, invece, legato all'Rfid,
che è la tecnologia usata per l'AIDC nella sua seconda
accezione (uno
il mezzo, l'altro l'azione).
3
La definizione che fornisce Wikipedia
4
Ricordo la doppia eccezione che ho dato al termine: Augur come spia,
controllore (ovviamente è un Akero, il controllore) e
l'Augur come sottoclasse degli Akero (termine che a sua volta
identifica la razza aliena e uno dei più bassi livelli
gerarchici all'interno della stessa)
5
Non mi invento nulla. Questa è
Hiriko, la concept car ideata dal MIT e questa
è la Stack, progetto finalista della Michelin Challenge
Design, di cui oltre il 50% della lunghezza si può
accavallare a un'altra auto. Se non fosse chiaro dagli esempi,
ciò presuppone una certa uniformità delle vetture
(perché la Stack e la Hiriko non sono tra loro compatibili,
oltre che essere a energia solare ed energia elettrica). Se ci fossero
centinaia di modelli si riproporrebbe il problema dei parcheggi.
-
- - - - - - - - - - - - -
Salve
a tutti!
ù_ù
sono un pò delusa da me stessa... speravo di riuscire a
presentare anche gli altri personaggi ma la cosa si è fatta
troppo lunga e ho deciso di tagliare qui...Pazienza...sarà
per il prossimo capitolo.
Volevo
anche informarvi che, dato che la storia ha preso il via (sono arrivata
al capitolo16....) aggiornerò più frequentemente,
una volta ogni due settimane...All'inzio volevo guadagnare tempo ma ora
che i personaggi mi han preso la mano e fanno quello che più
par loro opportuno.... ù_ù; e io non ho
più voce in capitolo, avanziamo a passo spedito. Spero
vorrete seguirmi nell'avventura anche se, più in
là, a tratti, si farà parecchio cruenta.
Come?
Vi aspettavate che la cosa si srotolasse tra tentativi -logoranti- da
parte di 24 di manipolare Azzurra con adeguata risposta di lei?
Conoscendomi sarebbe stata una cosa nel mio stile.
Invece
no :) i personaggi fanno quello che vogliono e sorprendono anche
me...quindi... benvenuti a bordo!
|
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Capitolo 4 *** All is under (our) control ***
4. All is under (our)
control
Or not?
Bip...
Bip...
Bip...
Biiiiiii.......
L'eco del sibilo dei macchinari echeggiò a lungo nella
grotta immersa nell'oscurità.
“Sì sì sì, ho capito, ho
capito!” una voce riecheggiò nel corridoio di
pietra, sovrastando i passi veloci “Non posso neanche andare
a pisciare un attimo che scoppia il finimondo...”
sputò infastidita. La poltrona logora cigolò
quando ci si buttò di peso. Con la punta degli stivali
agganciò i bracci delle zampe a rotella e, con un colpo di
reni si tirò più vicino alla scrivania.
Le mani scivolarono rapide su una vecchia tastiera dai tasti anneriti,
sui quali non si leggevano più i simboli che un tempo vi
erano incisi. Lo straziante pigolio ebbe fine e le dita continuarono a
muoversi convulsamente, veloci e nervose: quasi non si vedeva cosa
stessero digitando. Lo sfrigolio del monitor accompagnava quel
ticchettio ritmico. Quando questo si interruppe, un sospiro ne prese il
posto, invadendo l'ambiente come una nuvola di fumo. Un sorriso
compiaciuto si stirò sul volto illuminato dalla luce
azzurrina e artificiale! “Hello!”
disse con tono divertito
Riprese a smanettare sui pulsanti, ma meno freneticamente di prima. Sul
terzo dei quattro monitor della sua postazione si aprì la
finestra di una chat su cui digitò rapidamente il messaggio
-Cap_Solo: CD a” ?
Could you come down just
a second? Puoi
venire giù solo un secondo?
Non era una domanda ma un ordine. Quasi in contemporanea comparvero
altri tre messaggi. Tutti con le stesse domande o commenti: te ne occupi tu?, Se servono
rinforzi, non esitare a chiamarci e un più
semplice Yeah!
Han fu grato del sostegno degli altri operatori. Sorrise debolmente
mentre inviava il primo messaggio, che replicò, poi, uguale
in ogni finestra.
-D_L: Qu'est-il arrivé, Han?
Che cosa è
successo, Han?
Ed ecco la risposta che tanto attendeva: ortograficamente puntuale,
senza abbreviazioni o parole in codice. E in francese. Han sorrise
sotto i baffi: Hector era infastidito. Però si
imbronciò ugualmente: possibile che non avesse sentito la
sirena? Doveva mandare una squadra a sistemargli l'altoparlante?
-Cap_Solo: If U C I sA
If you come I'll say.
Ti dico solo se vieni
-D_L: ...
Sicuramente stava scendendo. Non dovette attendere molto che passi
misurati riecheggiarono lontani.
“Alors?”
chiese, irritato, il nuovo arrivato appoggiandosi allo schienale rozzo
e distrutto. “Quante volte devo ripeterti di non scrivere in
aramaico? Ci impiego una vita a decifrare i tuoi messaggi”
L'altro ignorò il commento acido e replicò con
orgoglio “Te ne ho trovato un altro, dear?”
Hector levò un sopracciglio, perplesso: di solito non lo
scomodava mai per certe defezioni. L'avvicendamento di Akero al
controllo umano era abbastanza frequente: non tutti reggevano lo stile
di vita così diverso. Doveva essere qualcosa di grosso dato
che l'aveva scomodato solo quando il n°19 si era disattivato
volontariamente.
“Un altro dei loro?” chiese allora perplesso
Han ghignò “No
no, Hector...” rispose con accento francese,
come se avesse davanti un bambino e gli stesse illustrando la cosa
più semplice del mondo “Dei nostri! Una ragazza.
Previdente!”
“Trique1!”
l'altro rimase a bocca aperta, già meditando sulle strategie
da adottare “Strano che una donna si sia liberata
così in fretta....e da sola... Zoe non conta, dato che in
quel caso si è trattata della defezione del suo
Augur...”
“Eh eh” Han si era lasciato il meglio alla fine e
godeva nel sapere il suo superiore all'oscuro del dettaglio
più succulento “Dev'essere una vera
dura...” dicendo questo sporse le labbra in segno di sfida,
come ad affermare che non avrebbe aggiunto altro.
“Che vuoi dire?” domandò, infatti, Hector
“Han che è successo?” un gruppetto di
cinque persone era arrivato correndo “Abbiamo
sentito...” disse il capo gruppo indicando con il pollice
l'esterno alle sue spalle.
Han gongolava nel tenerli sulla graticola. Stese lentamente le braccia
e le incrociò dietro la nuca e accavallò
mollemente le gambe, con altrettanta noncuranza.
“Avanti!” ordinò Hector
“Non farti pregare!” lo supplicò il capo
del drappello
Si concesse ancora un istante, una pausa enfatica e teatrale. Dopo di
che, tirò un gran sospiro, chiudendo gli occhi. Quando li
riaprì, soffiò, quasi in un gemito “Era
affidata al Potis n°24...o meglio...ora anche lui un Nephilim2...giusto?”
domandò come un bambino che non si fosse reso conto di aver
appena combinato qualche guaio. Dopo aver sganciato la bomba rimase in
attesa della reazione che non tardò ad arrivare. Per lo
più erano sgomenti.
“Un'altra ragazza?” fu l'unico commento compiaciuto
del capogruppo, un ometto dall'età indecifrabile con un covo
di dreadlock biondi in testa. Non si prese la briga di rispondere alla
domanda formulata alla fine: era troppo idiota. Non importava chi o
cosa avesse provocato il distacco: la fine dell'Akero come tale era
già segnata.
“Proprio così, Alain...E in poche sono tenute
sotto una più stretta sorveglianza, ora che
Zoe...” Han sorrise, fiero di sé e di quella
ragazza.
“Questo non lo sapevamo già?” Hector lo
interruppe, sarcastico e sempre più infastidito dal suo
continuo voler ricapitolare ogni dettaglio. Sapeva che lo faceva per
fornire un quadro generale aggiornato. Ma era snervante. “Hai
qualcosa su di lei?” precisò subito
“Tutto quello che vuoi...” rispose Han tornando di
colpo serio. Si voltò sulla sedia e tornò a
smanettare sulla tastiera. “Tra l'altro...guarda un po' chi
sono i genitori...” Aggiunse volgendo il primo dei monitor
verso il gruppetto che sbiancò all'istante.
“Dobbiamo muoverci!” sbraitarono tutti correndo
fuori
“Capo, noi cerchiamo di organizzarci subito! Han, appena hai
qualcosa, mandacelo...” aggiunse Alain scomparendo dietro
agli altri.
“Bravi, bravi...” biascicò il superiore
mentre il drappello era già lontano “E' un bel
casino. Appena si accorgono dell'interferenza rischiamo che la mettano
sotto una sorveglianza ancora più stretta. Se non,
addirittura, che decidano di farle la pelle...”
“Non credo: farebbe crollare la loro messinscena. Ammesso che
se ne accorgano, ovvio.” borbottò Han pensieroso
“Quanto all'ormai ex-Akero... non credo gli interessi che si
sappia di aver un Nephilim nelle loro schiere. E di certo non
vorrebbero che la notizia arrivasse a noi... Quindi dubito faranno
pubblicità all'evento”
“Riesci a schermarla fino al nostro arrivo? Non è
proprio vicinissima...”
“Penso di farcela...non è così assurda
come richiesta...” rispose compiaciuto. In realtà
era la prima cosa che aveva fatto. Non lui: il suo programma.
“Bien...”
disse dandogli le spalle e andandosene. Era inutile aggiungere un Fa alla svelta: Han
era dedito al suo lavoro più che a un'amante.
Hector si avviò lungo lo corridoio che portava all'esterno
quando, all'ultimo Han si ricordò di non avergli detto
l'informazione, al momento, più importante “Ehi!
Dì ad Alain che l'uscita più vicina è
quella di Torino!” urlò con quanto fiato aveva in
gola. Dal fondo della caverna, il francese replicò con una
qualche risposta inarticolata.
Uscì nella piccola radura al di là
dell'imboccatura della grotta e individuò rapidamente un
capannello di gente che discuteva animatamente, probabilmente gli
interessati, indecisi sulla scelta di chi dovesse partire. Rimase in
attesa qualche istante, cogliendo gli umori e le proposte. Alla fine
scosse la testa e prese la parola, sovrastando il vociare confuso.
“Niente donne!” asserì deciso
“Jess e Xing sono già fuori. Basta! Non mi importa
chi altri smani per uscire.” Una ragazza dai capelli lunghi,
neri e ondulati fece per replicare ma lui la zittì
“Ho detto di no, Nives! Siete troppo importanti per noi, in
ogni caso. Siete una manciata appena. Cosa faremmo se
doveste...” cominciò ma le parole gli morirono in
gola. Non voleva pensare e non doveva ventilare agli altri quella
tremenda possibilità di sconfitta “Se avevi tutta
questa voglia di uscire potevi andare con Akira al posto di Xing, che
era agitata per via delle visioni!” Tacque un attimo per
riprendere con tono autoritario “Da quello che ho letto, non
mi sembra che il soggetto sia particolarmente sensibile o instabile,
come nel caso precedente...Quindi andrà un gruppo di soli
uomini, scelti tra coloro che hanno già superato i
test!” Un mormorio di scontento si levò dal gruppo
“Il mondo là fuori non è come lo
ricordiamo, per questo ci vuole gente preparata! Non vi sta
bene?” domandò Hector con una vena di sadismo
nella voce, quasi minacciasse di spedire al fronte proprio i
più deboli, a punizione esemplare, per mostrare la
vulnerabilità della comunità “Allora
sarete ancora più felici quando avrò deciso chi
parte...” Tutti si zittirono all'istante per protesta: non
piaceva a nessuno quando Hector si mostrava così dispotico e
lui, in quel momento, stava fantasticando quale varietà di
bestemmie venissero immaginate a suo indirizzo e trattenute a forza
“Bene...Alain, Fred, Kemal e Razor, ovviamente...”
Un urlo squarciò la calma innaturale che si era venuta a
creare “Was3?”
Strepitò un ragazzo dal mucchio, i capelli erano di un
biondo naturale così chiaro da sembrare platino
“Ma...Non esiste! Io con Kemal non ci vado!”
protestò quello serrando i pugni lungo i fianchi
“E' un mio ordine, Frederick... hai per caso intenzione di
mettere in dubbio le mie scelte?” Quello tacque, mordendosi
la lingua “Bene... Magari è la volta buona che
riuscirete ad andare d'accordo...” Prima di dare le spalle al
gruppo, per tornare al suo lavoro, più importante di quei
battibecchi da comari, lanciò un'occhiata di rimprovero a
Nives che, in risposta, abbassò lo sguardo.
Quel posto cominciava ad assomigliare sempre più a un asilo
infantile. Altro che i ribelli dell'immaginario collettivo, simili ai
briganti... Il rumore di vegetazione spezzata sotto il peso di passi
veloci alle sue spalle lo fermò. “E ora che
c'è? Non ti ci mettere anche tu...”
Sbuffò
“Volevo solo chiederti se la decisione è
irremovibile. Perché quei due assieme non li reggo: rischio
di ammazzarli io prima che lo faccia qualcun altro...”
biascicò Alain esponendo i suoi dubbi sul caso senza,
però, esigere un cambiamento
“Sì, Alain sono sicuro che farà bene a
tutti. Magari riusciranno a chiarirsi e a capire che è Nives
a convogliare su di loro tutta la sua rabbia e che loro non c'entrano
nulla. E, comunque, darà a te un assaggio di cosa voglia
dire avere la responsabilità di un gruppo. Al tuo rientro
riparleremo di ogni questione...” Disse e riprese ad
arrampicarsi su per il terreno scosceso e ricoperto di vegetazione
viscida “Ah, dimenticavo...Han dice di andare a Torino...Poi
vi manderà Zara con i dettagli”
La Hashmallim, che l'aveva sottoposto a un feroce terzo grado
ininterrotto non appena aveva ripreso conoscenza, se n'era appena
andata lasciandolo solo.
Si era svegliato su un'asse orizzontale in un ambiente completamente
buio e minuscolo, per quello che riusciva a teorizzare. Era stato
invitato a restare disteso, durante il colloquio dopo un primo
tentativo, troppo impetuoso, di raddrizzarsi che gli aveva dato la
sgradevole sensazione si essere su un dispositivo rotante. Gli era
stato detto che era una reazione normale del corpo quando sottoposto a
forte stress. Lui non aveva indagato ulteriormente e aveva ubbidito.
Aveva trovato destabilizzante anche il fatto di essere immerso
nell'oscurità: non aveva avuto modo di capire se lei fosse
sola e dove fosse stata per tutto il tempo dell'incontro.
Si tirò a finalmente a sedere, lentamente, per evitare altri
malesseri.
Azzurra avrebbe sicuramente parlato di tecniche di tortura
-deprivazione sensoriale, per la precisione- che si usavano
abitualmente anche tra le mura domestiche fino a qualche decennio
prima, per piacere ma, soprattutto, come punizione: i sensi esclusi dal
processo si acuivano e facevano crescere il panico nel soggetto. Per
contro, l'oscurità, se ricercata volontariamente, poteva
agevolare alla meditazione. Ma lui conosceva tutte ciò e non
era affatto nervoso. D'altronde, si corresse dandosi dello sciocco,
come avrebbe potuto? Loro, gli Akero non potevano fisicamente provare
emozioni. Non era mai successo. Erano esseri logici e razionali.
Infatti, il discorso e le raccomandazioni sul non innamorarsi del
proprio ospite gli sembravano quanto meno superflue. Eppure i vertici
ritenevano necessario rinfrescar loro la memoria, di quando in quando.
E, in quel momento, cosa stavano vedendo con macchinari che nemmeno lui
conosceva? Perché ne era certo, l'oscurità
serviva a occultarli: loro e ciò che facevano. Probabilmente
erano nascosti dietro un vetro e lo osservavano con sensori di vario
tipo. Sospettavano anche di lui? Volevano riabilitarlo? E
Mat-mon, operatore n°19, più alto in grado di lui,
perché si era comportato a quel modo? E dov'era in quel
momento? Dove poteva fuggire? Fuggire... era certo che dopo quello che
aveva fatto, quella fosse l'unica alternativa ma...dove sarebbe andato?
La zona in cui avevano installato la loro base era desertica e
inospitale per qualunque forma di vita, nonostante le sciocche domande
del compagno su cosa celassero le dune. L'avrebbero catturato presto. E
allora che ne sarebbe stato di lui? Poteva permettersi di preoccuparsi
per il suo ex compagno? In quel momento, quella che, dopo gli ultimi
avvenimenti, era diventata praticamente la sua Hashmallim personale,
stava scandagliando tutte queste domande? Che tipo di rapporto stava
stilando sulle sue reazioni?
Ma soprattutto. Perché Mat-mon aveva deciso di comportarsi
così? E cosa gli aveva dato una minima speranza di riuscita?
Ora, 24 era curioso di sapere cosa avesse trovato il collega. E come.
Già, com'era stato possibile che nessuno l'avesse previsto?
Che nessuno si fosse accorto? Cosa diavolo combinava il suo Augur
mentre lui elaborava piani sovversivi?
Una cosa ancora più angosciante lo colpì,
ritornando con la mente ai giorni passati e agli ultimi strani discorsi
dell'amico. Lui e Loki avevano parlato di amore... che si fosse
invaghito dell'umana che seguiva?
L'idea lo schifò al punto da fargli tornare i conati di
vomito.
“Secondo te funziona?”
Azzurra stava imbragando il cane per portarlo con sé al
supermercato e intanto continuava a riflettere sul gesto appena
compiuto.
“Sarò sincera Arek...non ne sono molto convinta...
ma non ho nemmeno un piano di riserva... quindi, in attesa di
svilupparne un altro, tutto quello che posso fare è andare a
vedere se il mio è un caso isolato e procurarmi, comunque,
il cibo che manca a casa...” Sbuffando, caricò il
trasportino rosso nell'auto.
24 non accennava a tornare. E non era comparso nemmeno un qualunque
sostituto. La cosa la impensieriva sempre più. Arrivata al
grande parcheggio si accorse che per tutti gli altri non era cambiato
nulla. E ora come lo spiegava? Il paese era abituato a vederla scortata
da quell'energumeno. Se glielo avessero chiesto, cosa avrebbe risposto?
Seccature. Una dietro l'altra. Quella situazione non aveva portato
altro che seccature. Si caricò il cane in spalla e si
addentrò nel negozio. Come si aspettava, dopo un attimo di
smarrimento, tutti la fissavano stralunati: al disagio iniziale, dato
dalla percezione di qualcosa fuori posto, si sostituiva il terrore per
qualcosa di anormale. E lei era già pericolosa di suo.
Possibile che tutti vedessero nel ritorno al passato, nell'autonomia
del singolo, qualcosa di tanto negativo?
Stupidi omuncoli. Si trovò a ringhiare nella sua testa.
Stupida gente meschina che non sa vedere al di là del
proprio naso, che si alimenta con i cibi ingegnerizzati dei
colonizzatori per essere meglio controllati. Stupide scimmie che non
sanno fare altro che imitare i potenti senza un minimo di senso critico.
Osservò la scatola che stringeva tra le mani. A chi voleva
darla a bere? Lei non era poi molto diversa: era ancora lì e
conduceva una vita organizzata da loro. Come tutti gli altri,
né più né meno. Però
qualcosa di strano doveva pur averlo se l'avevano messa a un
così alto livello di pericolosità.
Alzò la testa, orgogliosa della propria
diversità: non aveva nulla di cui vergognarsi. Ma quanto era
difficile mantenere le proprie fermezze.
Passò dalla cassa, deserta, e si arrangiò a
caricare le merci negli scatoloni.
Ed ecco che, ancora una volta, i dettagli si facevano sentire del
passaggio intermedio. Doveva essere stato così anche nelle
grandi città, prima dello smantellamento definitivo di
strutture come quella. I nuovi venuti avevano cominciato la loro opera
rendendo superflue tutte le figure delle cassiere, avendo introdotto
prima la cassa automatica quindi unicamente la moneta virtuale, che
defalcava i costi solo quando si passava attraverso la porta con la
spesa definitiva. Avevano privato le persone di quel prezioso e
caloroso contatto umano, spesso l'unico all'interno di una dura
giornata lavorativa. Per non parlare delle boutique virtuali dove non
ci si provava nemmeno più i vestiti dal vivo, assaporandone
il fruscio, la morbidezza, il particolare effetto che dava realmente al
corpo, i difetti che si evidenziavano, talvolta, nella persona come nel
capo stesso: i fashionisti, ovviamente, si erano fatti installare
l'attrezzatura direttamente a casa, senza doversi scomodare ad andare
in città per infilarsi in un tubo di vetro dove
chissà chi altro era già entrato4.
Azzurra si rifiutava di comprare nuovi vestiti. Si ostinava a portare
quelli che avevano qualche annetto: tanto erano come nuovi e portava la
stessa taglia da... da tanto tempo, forse dieci anni. Le uniche
novità venivano da quei pochi e sporadici regali.
Sospirò al pensiero: pian piano loro stavano sovvertendo
tutto il mondo che conosceva. Era passato solo un anno e mezzo ma
sembrava passato un secolo da quando aveva ricevuto i primi spiccioli
per andare fuori con le amiche o quando aveva preso la patente con una
vecchia auto diesel più simile a un trattore per arare i
campi che a un elegante mezzo da città, appena prima della
rivoluzione portata dal Blue Beam. Un anno e mezzo e non quasi non
ricordava e riconosceva la propria vita passata.
Il pensiero tornò prepotente alla moneta virtuale. Avrebbe
preferito tornare al baratto. Scosse la testa. Figurarsi: quelli
volevano controllarli e tracciarli costantemente. Ancora si domandava
come facesse lei, che aveva rifiutato ogni tipo di impianto
sottocutaneo, a essere nei loro archivi. Non aveva nemmeno tatuaggi5.
Arek guaì di insofferenza dal trasportino.
“Certo...” biascicò come se gli avesse
appena dato la soluzione. Cellulari, wi-fi, cloud computing, ma anche,
più semplicemente, il face
detection, presente un tempo in macchine fotografiche e in
impianti di alta sicurezza. “Come l'Internet che
fu...” un tempo rete esclusivamente militare poi al servizio
di tutti.
Era giunta a casa e stava già sistemando la spesa quando un
ronzio, ormai familiare, la avvertì del ripristino della
connessione con il suo Potis.
Sospirò: tentativo fallito. Aveva sperato davvero che quel
vermetto nanotecnologico riuscisse a schermarla.
1 Cazzo!
In francese
2 Attenzione,
Rischio Spoiler.
L'appellativo
Nephilim,
presente nella Torah,
si riferisce ad un popolo creato
dall'incrocio tra i "figli di Dio" e le "figlie degli uomini", o a
giganti che abitavano la terra di Canaan.
Un termine simile, ma con
un suono diverso, viene utilizzato nel Libro di Ezechiele 32:27 e si
riferisce ai guerrieri filistei morti. Alcune versioni parlano di eroi
famosi, guerrieri caduti o, ancora, angeli caduti (il nome deriva dalla
radice semitica nafal, cadere).
Ho tenuto anche conto di chi fossero
i Filistei (un popolo che stanzio nell'attuale Palestina -Filastinia-
tra il 1200 e l'800 a.C.) e della loro religione. Quando si fusero con
la popolazione cananea preesistente, e ne adottarono il pantheon (come
sempre in questi casi), scelsero come loro dio principale Dagon, il
padre di Baal. Dagon è quell'uomo pesce mesopotamico, per
intendersi,
la cui simbologia è ripresa pari pari dal Cristianesimo e la
cui tiara
ricorre nei paramenti sacri del Papa. Per fare un paragone si tratta di
una sorta di eterodossia come quella che portò dall'induismo
al
buddhismo.
Dagon era denominato Ba'
al Zəbûl, Il signore della
Soglia (l'Aldilà), è più noto con la
storpiatura biblica Ba'
al Zebub, Il signore delle mosche:
Belzebù, uno
dei "sette prìncipi dell'Inferno", spesso identificato dalla
tradizione
cristiana con Satana. (Avete
notato la scrittura simile? l'equivoco/gioco di parole sarebbe come per
noi dire...che ne so...casa
e cassa o casa e cosa...al momento
non mi vengono paragoni migliori)
Dunque,
tornando a noi, mescolando un po'
questi dati ho ottenuto il concetto di questi angeli ribelli. Vedremo
solo tra una decina di capitoli come il termine identifichi in un colpo
il ribelle, l'incrocio e l'eroe.
E se avete letto fin
qua...beh...provate a immaginare cosa può succedere a tipi
che
incarnano queste tre caratteristiche... o meglio, che tipo di
personaggi. Perché mi pare abbastanza scontata la
reputazione di cui
godono queste figure in ambo gli schieramenti
3 Cosa?
In tedesco
4 Un esempio di camerino
virtuale e uno per provare gli accessori
5 Nessuna novità nemmeno qui...
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Buon giorno a tutti!
Rieccomi qui con questa storia che, spero, continui a
piacervi.
Finalmente ho introdotto anche altri personaggi (all'appello ne mancano
davvero pochi) con una rapida carrellata su alcuni. Ma con calma ci
tornerò su e ve li farò conoscere meglio.
Il prossimo capitolo non vedrà chissà quali
stravolgimenti. Non ancora. Sarà un pò
descrittivo, spero avrete la pazienza di sopportarlo.
Ah, se ve lo state chiedendo, vi rivelo cosa nascondono le sigle usate
nella Chat all'inizio del capitolo: D_L sta per Dangeon Leader, mentre
Cap_Solo, penso sia abbastanza palese il riferimento al Capitano Han
Solo della vecchia trilogia di Guerre Stellari. Essendo Hector francese
sarebbe stato il caso di scrivere una cosa tipo OC oubliette-chef...ma
non mi pareva il caso.
Al prossimo capitolo.
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Capitolo 5 *** Red & white ***
5. Red & White
Blood
& Bones
“Ciao...”
biascicò demoralizzata. Chiuse gli occhi, per imprimersi
nella mente la sensazione di solitudine provata fino a quel momento. E
che non era stata poi così negativa. Ma che,
però, già le mancava.
“E'
successo qualcosa?” domandò 24 con voce
altrettanto mogia.
Strano.
“E
a te?” chiese sospettosa “Ti sono mancata
tanto?” il sarcasmo era tornato prepotente.
“Sì...”
fu la sincera risposta che la spiazzò
“Come
mai?” domandò più imbarazzata che
spiazzata, sapendo che lui percepiva il suo disagio
“Ti
è mai successo... ? Certo che sì, sei
umana...” 24 era davvero strano. Iniziare un discorso e non
finirlo, anzi, rispondersi da solo, non era proprio da lui. Anzi. Che
le chiedesse qualcosa: poteva sondarle la mente, perché
prendersi il disturbo di interrogarla personalmente?
“Sei
sicuro di essere tu?” domandò, mani ai fianchi,
pronta a dare battaglia a chiunque fosse quello strano individuo. Erano
così identici, gli uni gli altri, che potevano raggirarla
facilmente.
“Sì...solo
non è stata una bella giornata...ma non ho voluto che mi
sostituissero...”
Azzurra
non sapeva se esserne orgogliosa o spaventata “Sono
così terribili quelli che potrebbero prendere il tuo
posto?”
“Non
si tratta di quello...” la risposta di 24 arrivò
dopo un attimo di esitazione: più che infastidito per una
sua eventuale sciocchezza...sembrava imbarazzato!
“Cosa
mi stavi chiedendo?” Azzurra cercò di prendere le
redini del discorso. Era strano non dovergli saltare, metaforicamente,
alla gola per farsi dire qualcosa. Era troppo docile per i suoi gusti.
Ed era quasi piacevole averci a che fare ma... non doveva abbassare la
guardia! Poteva benissimo essere tutta una farsa per rendersi
più amichevole. Eppure era curiosa di sapere cosa fosse
successo quella mattina.
“Hai...hai
mai avuto voglia di abbracciare qualcuno senza saperti spiegare
razionalmente perché?” vomitò tutto
d'un fiato
Per
poco Azzurra non si strozzò con la saliva. Che razza di
domanda era? Certo, così a bruciapelo, era indiscutibilmente
nello stile di 24. Sospirò, cercando di pensare solo alla
domanda che gli era stata rivolta.
“Sì...” rispose alla fine
“Senza che ne capissi il motivo, sì...non che sia
prodiga di affettuosità ma... sì! Una volta, che
avevo capito che la mia storia non stava andando dove volevo che
andasse...”
“Amore?”
domandò cauto. Pose la domanda con tanto tatto che
sembrò quasi stesse maneggiando un oggetto delicato e glielo
stesse posando davanti agli occhi in un letto di cuscini.
“Sì”
ammise riluttante. L'ultima cosa che avrebbe voluto era mostrarsi
debole davanti a lui.
“Ti
va di parlarmene?” chiese, apparentemente frastornato, quasi
cercasse di guadagnare tempo per elaborare le informazioni.
“Solo
se mi dici cosa ti è successo” replicò
Azzurra combattiva, mento alzato “Questo è il
prezzo!”
“...”
per la prima volta 24 sembrò valutare seriamente le sue
parole “D'accordo...” acconsentì docile
“Non so se posso... specie a te... quindi... se dovesse
succedere qualcosa...”
“E'
strano da parte tua dirmi di non preoccuparmi.” lo
rimbeccò lei, interrompendolo. Quelle smancerie le stavano
cariando i denti: 24 era un rompiballe di prima categoria, non un
piagnone. Si stava tirando la zappa sui piedi, ne era cosciente. Ma, se
dovevano continuare a convivere, che si spicciasse a tornare quello di
sempre “Volente o nolente sei diventato parte della mia
vita...ed è tutto il giorno che sto in pensiero...che non
siate graditi è un altro paio di maniche.”
24
tacque, colpito e forse lusingato da quelle parole
“...Ecco...” balbettò. Si sentiva in
difficoltà come con la sua responsabile: si era reso conto
che non era affatto semplice fare i conti con le aspettative altrui.
“Un mio collega, al livello 19, ha disertato.”
disse sbrigativo “E' diventato un Nephilim, un reietto, un
ricercato...”
“Capirai...”
rispose Azzurra facendo spallucce e mettendosi ai fornelli, dimostrando
che non era cambiato assolutamente nulla nelle loro dinamiche
“Le mele marce ci sono in tutte le categorie, anche se dovrei
ringraziarlo, no?” gli sorrise, nel goffo tentativo di
tirargli su il morale. Pensò di essere impazzita: da quando
doveva consolare 24?
“Non
è quello... è altro che mi ha
impressionato...” nel dirlo, l'immagine dell'Akero
tremolò, come per un falso contatto “C'era sangue
ovunque...”
“Sangue?”
domandò Azzurra spaesata
“Sì
è dilaniato un braccio e ne è uscito
sangue...rosso, come il vostro...è stato
orrendo...”
“Credo
di poterti capire...” disse Azzurra persa nei suoi pensieri
“Sì?”
24 era curioso e scettico
“Quando
è morto il mio primo cane...lo sai già, no? Da
che ci siamo noi le morti per incidenti stradali sono completamente
sparite dalle statistiche”
Disse facendogli il verso e scimmiottando il modo di fare da prima
della classe “Beh...l'hanno investito... era quasi tutto
integro... anche se il torace era aperto... gli vedevo il cuore
pulsare...e l'asfalto era una pozza di sangue. Ma nell'insieme era il
dettaglio meno rilevante. La cosa mi scioccò quando lo tirai
su e perse sangue dal naso... Quel piccolo, all'apparenza
insignificante, dettaglio mi accecò completamente. Posso
capire come ti senti...non è mai bello. E non te l'avrei
augurato...” disse, sincera: non riusciva nemmeno a
immaginare lo stato d'animo in cui poteva versare il suo custode, per
quanto loro si proclamassero immuni da certe debolezze umane.
“...”
24 tacque pensieroso “E' stato in
quell'occasione...”
“Cosa?”
domandò la ragazza al suo improvviso mutismo
“Sto
controllando...così è questo che successe...sto
guardando i tuoi tabulati di allora...” si
affrettò ad aggiungere per non escluderla dai suoi processi
mentali. Di colpo aveva ritrovato il suo smalto ed era tornato
l'efficiente, freddo umanoide con cui si era relazionata fino a quel
momento.
“Ma
all'epoca voi non c'eravate ancora!” replicò
polemica
“Sbagli...c'eravamo
già. Non ci eravamo ancora manifestati...”
precisò lui
“Ah...”
la notizia aveva preso Azzurra in contropiede. Poteva essere che la
controllassero già quando aveva sotterrato il suo
marchingegno? Che fossero preparati e per questo non avesse funzionato?
Sospirò mentalmente. Avrebbe escogitato qualcos'altro.
D'altronde, dopo essersi specializzata in Esobiologia1, avrebbe
voluto studiare le nanotecnologie, proprio per cacciarli: sarebbe
diventata la più grande scienziata del secondo millennio,
colei che, da sola, avrebbe sconfitto la schiera di invasori.
“I
tuoi livelli erano crollati.” continuò 24 nel
frattempo “Eri in una sorta di trance: perfettamente reattiva
ma quasi incosciente, tanto che ti sei resa conto dell'accaduto solo in
ambulatorio... ma... in quali condizioni hai guidato?”
domandò tra il preoccupato, il curioso e l'irritato.
Probabilmente stava comparando il percorso e i dati biometrici in suo
possesso, notando ogni incongruenza “All'epoca non c'erano
ancora le autocar2 come le
concepiamo ora. Potevi ammazzare qualcuno con la tua guida
sconsiderata!”
Ricordava
di aver fatto la strada in 5 minuti anziché in mezzora.
Cercò di impedire che il dolore provato solo pochi anni
prima tornasse a grattarle la bocca dello stomaco e cercò di
ignorare il tono accusatorio della sua controparte. Improvvisamente
Azzurra si domandò perché 24 fosse
così disponibile alla chiacchiera e la stesse informando
così dettagliatamente. Doveva stare attenta
perché sicuramente era una trappola.
“Comunque...hai mantenuto il patto...” disse per
sviare il discorso e poter tirare il fiato da quegli eventi dolorosi
“...cosa vuoi sapere...?”
“Com'è
innamorarsi? Cosa vuol dire? Cosa sei disposto a fare?” 24
quasi vomitò le domande. Sembravano perle incandescenti che
non riusciva più a trattenere tra i denti. Per l'urgenza o
per lo schifo: difficile dirlo.
Azzurra
strinse gli occhi, colpita da un'idea improvvisa quanto assurda
“Pensi che centri con la defezione del tuo collega?”
La
statua che le ondeggiava accanto sembrò stringersi nelle
spalle “Forse...”
La
cosa la incuriosiva e, forse, poteva ottenere di più. Gli
parlò, quindi, delle difficoltà che lei,
personalmente, incontrava nell'identificare il sentimento,
confondendolo spesso per amicizia o per infatuazione. Gli
spiegò come avesse deciso che l'amore vero poteva essere
dato solo da una profonda conoscenza, accettazione e tolleranza
dell'altro. Ma che poco aveva a che fare con le farfalle in pancia. Non
credeva nemmeno alle follie delle tragedie, vere idiozie per lei.
“Le
reazioni sono diverse: può essere che, all'inizio, qualcuno
stia male da perdere l'appetito e qualcun altro sia così
rincoglionito da non capire più nulla, ma dopo un po'...
l'attrazione resta, la stima e l'affetto anche... ma torni a uno stato
di quiete, diciamo... come quando sei in famiglia: non puoi cancellare
il fatto che quelli sono i tuoi genitori e quelli i tuoi fratelli.
Anche se vai a vivere lontano il legame resta.”
“Ma
se il tuo rapporto si fa piatto sarebbe più logico puntare
qualcun altro per riavere l'emozione, se è questo che
cercate...” Logica! Pur facendo finta di accettare i concetti
di attrazione e di simpatia, pretendeva di ragionare sui sentimenti
senza sganciarsi dalla logica. Come spiegargli allora che non tutto,
nelle relazioni umane, era legato ad essa e all'opportunismo?
“Allora per te ognuno
apparterrebbe a tutti3?”
domandò dubbioso, probabilmente in cerca di un discorso
coerente che legasse tra loro le sue, diverse, esternazioni.
“Beh
no, piano... non sono così drastica: il discorso non
è così asettico. Tanto meno andrei con tutti...
dico solo che sono un po' disillusa e che, se si presta un po'
d'attenzione, l'amore è un istinto controllabile come tanti
altri...la fame o il sonno...” Cercò di spiegarsi
definitivamente, esasperando il concetto, portandolo all'estremo
più assurdo. “Sono stata male anch'io. Certo, per
un cane. Ma per me era il legame più profondo che avessi. E
non mi sono uccisa. Non sarebbe cambiato nulla. Ora convivo col dolore
e col timore di perdere anche Arek. Ma la vita va così.
Bisogna solo accettarlo”
“Tu
non farai mai pazzie, allora?” chiese quasi sollevato.
Forse,
pensò Azzurra, temeva di perdere un'altra amicizia in modo
violento. Ma la considerava un'amica? E da quando? Aveva forti dubbi
che le cose stessero proprio così, ma non indagò.
I loro ruoli erano chiari, non c'era rischio di confondersi: lui, un
Akero, il suo guardiano; lei, una semplice e stupida umana, la sua
prigioniera personale. “Se le farò, saranno sempre
ben pianificate prima. Valutate in ogni aspetto e non soggette
all'emotività del momento” Così dicendo
il suo pensiero corse al meccanismo che aveva ingerito. Non aveva
funzionato oppure gli ci voleva solo un po' di tempo per avviarsi? In
ogni caso, avrebbe dovuto continuare a fare la brava.
Nella
profonda oscurità, di quello che dall'esterno sembrava uno
scantinato, si udì un lieve rumore e una voce maschile, dal
tagliente accento tedesco, imprecò sommessamente maledicendo
il fatto di non poter accendere la luce. “Che
schifo!” biascicò poco dopo
“Non
ti lamentare in continuazione... sono solo ossa!” lo
zittì una voce cantilenante
“Sono
ossa di morti, Alain!
Morti! Che schifo!!!!” continuò a piagnucolare la
prima voce, ignorando il commento serafico.
Alain,
in testa al gruppo, levò gli occhi al cielo. Bambini: aveva
a che fare con due bambini! “Allors? Siamo in
un ossario, Fred. Cosa pretendi?” rispose per sedare gli animi
“Non
potevamo venirci quando ci fosse stata un po' più di
luce?” domandò ancora il tedesco scattando come
una molla a ogni spostamento d'aria.
“Fatti
bastare la luce che filtra dal foro della cupola sopra la tua
testa” lo redarguì nuovamente la voce melodiosa, venendo
deliberatamente ignorata ancora una volta. “O preferivi
uscire in pieno giorno, in mezzo al casino?”
“Ma
scusa...secondo te i satelliti non hanno anche la visione termica? La
bella trovata di girare la sera! Quanta gente vuoi che ci sia in giro a
quell'ora? Ci vedranno subito! Di giorno sarà ben
più semplice confondersi!” ribatté il
tedesco, offeso, ma rivolgendosi sempre al capogruppo
“Certo...” Replicò
il francese, spazientito, stanco di quelle schermaglie indirette in cui
veniva coinvolto suo malgrado "Saremmo anche più visibili da
tutti gli altri che ci sgamerebbero immediatamente e ci
acchiapperebbero all'istante. Dobbiamo fare una via di mezzo,
stupido!”
“Non
darmi sempre dello stupido, Alain!” piagnucolò
ancora quello.
“Alba
e tramonto sono le ore più tranquille e sicure. La sera
abbiamo un minimo di copertura con i nostri bei mantelloni e non
c'è nessuno in giro, al contrario, di giorno siamo visibili
ma appena più protetti dal calore naturale...”
concluse quello, sorvolando sull'interruzione
“Verflixt
noch mal!4
Così ci impiegheremo un'eternità!”
protestò Frederick
“Così,
caro il mio Fred, saremo fuori dalla città prima che cali il
sole e immersi in piena campagna saremo protetti dal fogliamo dei
boschi circostanti. Di giorno basta restare nelle campagne che non sono
ancora ben collegate e viaggiare comunque bardati...” lo
pungolò il francese
“Natura,
aria aperta, paesaggi sterminati in cui far vagare l'occhio...non vi
manca tutto questo?” domandò retorico il terzo
incomodo che si beccò un'occhiataccia dal petulante tedesco.
“Dobbiamo
solo pazientare pochi minuti... usciremo e ci mescoleremo agli ultimi,
che si dirigeranno, affamati, a pranzare. Nessuno si
accorgerà di noi. Nessuno se l'aspetta” li
informò Alain
“Per
l'arabetto qui sarà facile far passare il
tempo...” protestò ancora il biondo
“Certo
che per essere un crucco ti lamenti parecchio, sai?” lo
canzonò quello, tirato in ballo
“Fatela
finita, una volta tanto, piccioncini! Mi sta venendo l'emicrania a star
con voi...mai più! Al ritorno Hector mi sente...”
“Da
solo non sapresti rubare i cavalli, però...” disse
l'arabo tirandosi la kefiah nera e bianca fin sul naso e accomodandosi
per terra “O preferisci fartela tutta a piedi?”
aggiunse, scoccando un'occhiata in tralice al tedesco
“Doch!5”
ringhiò Fred “Kemal sa bene come si
fa...” celiò sarcastico “Lo prendono per
uno di loro, abituato com'è a dormire coi cammelli, vero?
Dì, da quant'è che non ti fai una
doccia?”
“Me
ne faccio sempre più di te, razza di sporco cane infedele
che non conosce l'uso del bidet...” replicò
quello, potendosela prendere, ora, direttamente con Fred
“E
piantatela! Cos'è? Una crociata?” il francese era
davvero stanco di quei due. Se non gli fossero stati indispensabili li
avrebbe volentieri rispediti da dove erano venuti
“Basta
che a metà del lavoro non ci blocchi tirando fuori il suo
tappetino...lui e la sua dannata kefiah... In questo mondo i simboli
religiosi e nazionali sono stati aboliti!” gli
ricordò il tedesco con un'occhiata glaciale.
L'altro
ruotò gli occhi infastidito “Il ghutra, hatta o
shemagh , razza di ignorante, è un copricapo tradizionale
arabo...non è solo palestinese. E' come il colbacco per le
popolazioni del nord. Quanto al tappetino, come dici tu, se lo faccio
è per una questione culturale...per tramandare la nostra
storia...” Kemal non diede a vedere se fosse seccato da
quella frecciata e continuò “Nonostante tutto,
resta un rito che scandisce il mio tempo...come lo sono per te il
Natale e la Pasqua. Sbaglio o ti sei tutto affaccendato a
infiocchettare un albero, la settimana scorsa?”
“Sono
cose ben diverse!” replicò piccato il tedesco
“Ammetti
di aver toppato una buona volta...ha ragione Kem! In modo diverso
è la stessa cosa...la stessa scansione temporale. E loro lo
sapevano...Altrimenti adesso non saremmo qui. Ora mettiti buono a
cuccia che ci siamo quasi...” In quel modo aveva
definitivamente chiuso ogni discussione. Si avvicinò
all'uscio, un piano più in alto rispetto a dove erano
nascosti, e lo schiuse. Le strade sembravano abbastanza vuote, la luce
era all'apice della sua chiarezza, nel grigiore invernale. Era il
momento giusto per andare. Scese a richiamare i suoi compagni e, quando
uscirono in strada, le campane della chiesa lì accanto
batterono le 12.30.
Quando
i genitori della ragazza rientrarono, nel tardo pomeriggio,
accompagnati dalle loro ombre personali (Cortez e Morgaine, entrambi
vestiti del rosso del 3° livello), accantonarono i loro
discorsi per dare alla ragazza la possibilità di resocontare
agli adulti sull'esame del giorno precedente.
Ripresero
i loro discorsi, fattisi ormai filosofici, non appena la famiglia si
sciolse per andare a coricarsi: era come restare svegli fino a tardi a
parlare con i compagni di stanza in una gita scolastica. Solo che il
suo interlocutore era l'Akero suo Augur.
“Azzurra...?”
24 interruppe i suoi pensieri nostalgici. Per un attimo temette che
volesse fargli notare quanto il suo discorso potesse risultare
imparentato con quello che loro andavano predicando: l'astinenza dalle
emozioni rendeva la vita di tutti più civile; dovevano solo
convincersi a farsi curare da quella tremenda malattia che erano le
emozioni umane, come ripeteva sempre. “Vorrei che mi
aiutassi...” disse, invece, lasciandola momentaneamente
sorpresa.
Ad
Azzurra sembrò, però, che la richiesta
nascondesse anche altro. Quasi la stesse pregando di stringerlo a
sé, come un bambino impaurito che corre dalla madre, sua
unica referente. Quel giorno, le cose sembravano vertere attorno
all'improvvisa necessità dell'Akero di calore,
solidarietà e comprensione animale. Qualcosa
totalmente istintivo. Quanto accaduto in mattinata doveva averlo
destabilizzato seriamente. “E come posso io, piccola e
stupida umana, aiutare uno come te?” domandò
all'evidenza della loro disparità, cercando di riequilibrare
il discorso.
“Se
non mi hanno interrotto fino adesso, vuol dire che forse ... non sono
così controllato come vogliono darci a bere o forse sono
consenzienti anche i miei Augur...” Cominciò quasi
rimuginando tra sé “Voglio che mi
istruisci...” disse alla fine.
Azzurra
si era persa nel groviglio di pensieri del suo angelo “Ti ho
fatto diventare paranoico?”
“Mat-mon
ha trovato il modo per andarsene. Voglio capire come gli sia venuta in
mente un'idea simile e perché. Qui c'è solo
deserto!”
Nell'oscurità,
Azzurra rimase imbambolata con la bocca aperta: l'aveva fatta davvero
grossa. Era riuscita a rendere il suo controllore uno dei loro, un
paranoico: lo stava istigando alla ribellione. Doveva trattarsi di un
sogno o di un tranello. Poco le importava... in entrambi i casi, il
meccanismo difensivo che aveva ingurgitato si sarebbe attivato.
Prima
o poi.
Forse.
In
quel momento si rese conto di star sognando ad occhi aperti. Si vedeva
svettare su una montagna, sguardo puntato alla luna e, proprio come un
lupo solitario, urlare la sua sfida personale alle alte sfere degli
invasori.
“Sai,
credo che il tuo Augur non ti abbia fermato perché ritiene,
come tutti, che le nostre teorie siano delle cazzate colossali e che tu
non possa cascare in simili tranelli... nonostante dietro ad alcune di
esse ci siano personalità di spicco come Edomond Halley6. Sai che
ti dico? Arrangiati... leggiti qualche libro di mitologia, guarda
qualcosa su YouTube e fatti da solo la tua idea come abbiamo fatto
noi” Azzurra si tirò le coperte fin sopra il naso,
considerando chiuso l'argomento.
“Hai
ragione” Convenne con lei “E' così
assurdo che... nessuno penserebbe mai che un 24 si lasci infinocchiare
così. Fino a ieri neanch'io lo crederei
possibile...”
“Vabbè,
il succo è che ti devi arrangiare... io devo dormire, da
brava e sfigata umana! Notte” Così dicendo Azzurra
decretò la fine della non belligeranza tra loro.
Sapeva
che l'indomani sarebbe tornato tutto come sempre. Quella doveva essere
solo un piacevole intermezzo per movimentare un po' il loro rapporto.
Oppure era stato un tentativo di farla crollare. Che pensasse quello
che volesse. Lei non sarebbe stata così sciocca da tradirsi
alle prime moine.
Nonostante
tutto, in cuor suo sperava davvero che le cose procedessero
diversamente.
1
Come aveva già intuito qualcuno, la storia, per ora,
è ambientata intorno a Torino. Azzurra prende e prendeva il
treno ogni giorno, quindi pensate un paesino tra Torino e Milano.
Il
CSE (Centro Studi di Esobiologia) ha sede presso il Museo civico di
storia naturale di Milano. Ora, a Milano non c'è un corso
simile, al massimo quello di Biologia (con un solo esame, mi pare, di
astrobiologia). Le uniche università che trattino
l'argomento in Italia sono Bologna, Firenze e Tor Vergata. Ho pensato
che si sarebbe trasferita successivamente, a Bologna, a meno di non
riuscire ad entrare, in qualche modo, al CSE.
2
Autonomous
Car
Le
auto intelligenti che interagiscono tra loro. Componenti primordiali di
questo tipo di vetture possono essere il cruise control (controllo
della velocità), i sensori di parcheggio (nelle migliori
intenzioni dovevano già rilevare, a distanza, i veicoli e
regolare la velocità di conseguenza), il park assistant
(l'auto si parcheggia autonomamente), etc. Per automatic car intendo
quelle auto totalmente autonome. In America e Spagna si parla di
procedere alla messa in strada entro fine anno di auto (le cosiddette
Google Cars) in grado di viaggiare senza pilota, in una sorta di
coordinamento sincronico tra navigatore e sensore .
3
Come già accennato, è il principio che governa il
Mondo Nuovo di Huxley, in cui non c'è alcun vincolo
familiare tra gli individui e l'attaccamento (e quindi il desiderio di
possesso esclusivo) è considerato qualcosa di negativo.
Prima di lui, cmq, il discorso (non solo quello sull'amore, ma quello
più generale del livellamento sociale che ritroviamo anche
in Huxley e che sto cercando di veicolare anch'io) era nato
già con Dostoevskij ne I demoni “Ognuno appartiene
a tutti e tutti appartengono a ognuno. Tutto sono schiavi e nella
schiavitù sono uguali. Nei casi estremi, c'è la
calunnia e l'omicidio, ma l'essenziale è l'uguaglianza. Come
prima cosa si abbassa il livello delle scienze e degli ingegni. Si
può raggiungere un alto livello delle scienze e degli
ingegni solo con doti superiori, e non ci devono essere doti superiori!
Gli uomini di doti superiori si sono sempre impadroniti del potere e
sono stati dei despoti. Gli uomini di doti superiori non possono non
essere despoti e hanno sempre fatto più male che bene,
perciò vengono scacciati e giustiziati. A Cicerone si taglia
la lingua, a Copernico si cavano gli occhi, Shakespeare viene lapidato,
ecco lo šigalëvismo! Gli schiavi devono essere
uguali: senza dispotismo non c'è ancora stata né
libertà né uguaglianza, ma nel gregge deve
esserci uguaglianza [...]”
4
Dannazione
5
Certo!
6 Halley
teorizzò, tra le altre, la terra cava. Teoria affascinante
ma -purtroppo- non ha alcun fondamento scientifico perché il
modello su cui si basa l'attuale concezione del centro della terra
soddisfa molti più dubbi (tra i tanti, l'acqua di mare che
erutta sulle montagne del sudamerica a km di distanza dal mare) di
quanto non ne faccia il suo
-
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Ed ecco
chiuso anche questo capitolo...un pò lento,
descrittivo/riflessivo, lo so.
Ma mi serviva per far parlare 24 di quello che gli era accaduto.
Perché ora le cose cominciano a cambiare, per tutti.
Prometto che il
prossimo capitolo sarà più avvincente -spero- o
quanto meno più movimentato. Ho anche introdotto di
sfuggita la figura di
Morgaine, la guardiana del padre di Azzurra, che nel prossimo capitolo
sarà centrale. Invece, la parte iniziale dei dialoghi dei
ribelli è un pò confusa, vero? Volevo creare un
pò di incertezza su chi, di volta in volta, stesse parlando,
perché sono chiusi nell'oscurità. Ma è
anche vero che, in un film, ad esempio, avremmo tre voci diverse...
vabbè...spero che in qualche modo vi ci siate trovati.
Invece...
mentre formattavo
il pc, in questi giorni, mi sono divertita a disegnare i personaggi
(l'ho fatto in stile manga per un motivo ben preciso)
:) Per ora, di definitivi, ho solo Azzurra e 24. Il
problema delle illustrazioni è che mostrano come sono i
personaggi così
come li ho io in testa. Quindi potrei aver rovinato l'idea che vi
eravate
fatti voi. Volevo postarle sul blog ma visto
che, tra 56k da una parte e chiavetta internet dei miei stivali che si
scollega dopo 10 secondi dall'altra, non riesco ad aggiornare,
la carico direttamente qui.
A voi se andare a guardare o meno ;)
D'altronde,
di Azzurra non ho ancora descritto nulla...
aspettavo l'incontro coi ribelli ;) quindi....
La prossima volta spero di averle finite tutte, così da
potervele mostrare.
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Capitolo 6 *** Changes ***
6. Changes
Not always goods.
Illuminata appena dalla luce del giorno che doveva ancora svegliarsi,
l'ombra si muoveva furtiva nella scuderia. Le code frustavano l'aria
scaldata dai radiatori, sbuffi di vapore si levavano dalle narici degli
alti equini alloggiati nei box puliti. Ripeté l'operazione
tre volte, andando a colpo sicuro, scegliendo le bestie più
consone a ciascun cavaliere. Tenendo le redini dei due cavalli che
già lo seguivano docilmente, si chinò in avanti,
profondendosi in un solenne inchino, fissando negli occhi l'animale di
cui aveva così catturato l'attenzione. Pronunciò,
ancora una volta, uno scioglilingua armonico “Dio fece uscire i puledri dalle
onde del mare in tempesta e furono queste creature a insegnare al vento
la velocità...” Quindi, dal basso,
avvicinò piano la mano al muso del cavallo. Questo si
lasciò avvicinare docile. Conquistata la sua fiducia, con
movimenti dolci e fluidi, lo liberò dal box, gli
passò per la testa un legaccio con uno strano bussolotto a
chiudere i nodi e lo condusse all'aperto insieme agli altri, eludendo i
sistemi di sorveglianza. Per quanto quel posto fosse il maneggio
più grande e ben fornito della zona prospiciente la
città era anche scarsamente sorvegliato. Chiunque, con un
minimo di abilità e destrezza avrebbe potuto rubare i
magnifici esemplari che vi erano custoditi. Ma, in quel mondo
apparentemente semplice, dove le macchine servivano e viziavano gli
uomini, chi mai, a parte gli appassionati -che non avrebbero mai osato
una simile azione-, si sarebbe interessato a quelle bestie, destinate,
ora più che mai, all'estinzione? “In arabo sarebbe stata
più efficace...” commentò
notando come il cavallo che aveva scelto per Frederick cominciasse a
dare segni di nervosismo. Si affrettò e raggiunse
velocemente il vicino boschetto, dove Alain e Fred si erano nascosti.
“Scommetto che il frisone1 lo tieni
per te...” fu l'osservazione piccata di Fred
Senza badarlo di una risposta, Kem diede una pacca agli altri due
cavalli, che si mossero sicuri e con un movimento agile fu subito in
groppa allo snello cavallo nero, orgoglioso della propria scelta
“Certo, avrei preferito il purosangue arabo, ma quello che
c'era era infortunato. Il frisone, invece, è tornato a
essere una rarità... la bellezza non può lottare
con la stupidità...Quindi, a malincuore, preferisco salvare
lui...” sbuffò indispettito. Quindi, quando si fu
sistemato, recitò con trasporto “Quando Dio decise
di creare il cavallo, disse al Vento del Sud Voglio farti diventare una
Creatura. Condensati! e il Vento si condensò.
L' arcangelo Gabriele apparve immediatamente, prese una manciata di
quella materia e la presentò a Dio, che fece un baio oscuro
dicendo: ti
chiamerò cavallo; ti farò arabo e ti
darò il colore della formica; ho appeso la
felicità sul ciuffo che ti ricade sugli occhi. Sarai il
Signore degli animali, gli uomini ti seguiranno ovunque andrai; sarai
abile nell'inseguimento e nella fuga; sulla tua schiena ci saranno
ricchezze e per tua mediazione arriverà la fortuna.
Poi Egli mise sul cavallo il segno della gloria e della
felicità: un segno bianco in mezzo alla fronte...”
Si ridestò dalla sua estasi e si sporse di lato, quasi
cercando di farsi vedere dal destriero “Tu non hai nemmeno
una macchia a stella...” disse dispiaciuto. Il cavallo,
sentendosi chiamato in causa, nitrì sonoramente.
Fred roteò gli occhi, infastidito da quella prosopopea: mai
parlare con Kemal di cavalli, tanto meno dei purosangue arabi. Avrebbe
voluto replicare a modo suo alle parole del compagno ma era troppo
impegnato a gestire la propria cavalcatura che non sembrava voler
collaborare, quasi a fargli dispetto, e lasciò perdere.
“Non si lascia montare!” protestò verso
l'arabo “L'hai controllato bene?”
Kemal gli lanciò un'occhiata sbieca, quindi sorrise sadico
“Non ha la bocca sensibile né è
sofferente ai reni...direi che è più il suo
carattere...o forse il tuo...”
Da lontano, quasi lo sproloquio di Kemal l'avesse richiamato, si
avvertì un grido acuto e sottile. “Finalmente si
degna di mandarci qualcosa! Cosa gli costava spicciarsi
prima?” Borbottò il tedesco, non sapendo
più contro chi scaricare la propria frustrazione.
Distrattosi un attimo, il suo cavallo già si stava liberando
della capezza “No no no!” urlò disperato
“Sta buono! Kemal! Ma che razza di bestia mi hai dato? Non
sta fermo un attimo!”
“E' indice di furbizia... non sei contento?”
celiò l'altro, divertito.
“Fred, sta un po' buono!” si spazientì
Alain stendendo il braccio, pronto ad accogliere il falco che stava
calando su di loro.
“Siamo sicuri che funzioni, vero?”
domandò perplesso Kemal, dopo aver calmato
l'Akal-Tekké2 di Fred.
“Han è un perfezionista... lo scudo antiradar che
ha installato su Zahra e sui finimenti dei cavalli è
studiato per compensare le falle degli scudi troppo potenti3.
E poi il raggio è piccolo, giusto per noi... non siamo un
esercito... Brava!” disse il francese all'uccello che si era
appena artigliato al suo braccio, carezzandogli la testa. Sulla zampa
era agganciato un cilindretto d'ottone che recava tutte le istruzioni
per la missione.
Kemal si era già messo in movimento, Alain, intento a
leggere le istruzioni per la cavalcata, lasciava che il suo Berbero4
lo seguisse: dispiegò la cartina col percorso tracciato e
studiò i luoghi in cui effettuare le tappe. Han prevedeva il
loro arrivo in serata nonostante gli avesse lasciato ben quattro ore di
pausa centrale più altre due piccole soste intermedie da
un'ora. Aveva calcolato anche i tempi morti della condotta a mano dei
destrieri, 10 minuti per ogni ora fatta in sella. Era sbalorditiva la
sua accuratezza fin nei minimi dettagli.
Dietro di loro, intanto, Fred faticava a montare “La prossima
volta, tanto per cominciare, mi porto la sella dato che tu ti rifiuti
di rubarle...” minacciò, rivolto ora all'arabo,
ora al cavallo, quando riuscì a salire “ E anche
un frustino...e gli speroni... dannatissimo ronzino...” Detto
ciò dimostrò le proprie doti di abile
cavallerizzo spronandolo al galoppo leggero per recuperare il terreno
perso, dimostrando, così, alla bestia chi fosse, tra i due,
a comandare.
La sveglia del cellulare suonò con insistenza. Azzurra si
tirò a sedere con poca voglia. Era domenica e doveva finire
di studiare per l'esame che avrebbe avuto da lì a tre
giorni. Arek, che era salito sul letto durante la notte, si
agitò pigramente, infastidito dal disturbo che la sua
padrona gli stava arrecando.
“Arek!! quante volte ti ho detto di non salire sul
letto??” protestò la ragazza spostandolo di peso
verso i piedi. Non aveva cuore di buttarlo giù dal letto.
“Buongiorno...” si annunciò 24,
servizievole come un maggiordomo.
“ 'Giorno...” sbuffò lei alzandosi
svogliatamente e andando a lavarsi i denti, cercando di non guardarlo:
provava una strana sensazione di affiatamento con l'ombra che la
seguiva ovunque.
“Mentre dormivi...mi sono fatto una cultura...” la
informò il suo custode
“Ah-a” biascicò l'altra, la bocca piena
di schiuma. Per un attimo il pensiero indugiò sulla
possibilità che il proprio cambiamento nei confronti del
parassita fosse dovuto al nuovo approccio di 24, dovuto alle
vicissitudini delle ultime ore.
“Devo ammettere che riescono a essere
convincenti...specialmente le documentazioni riportate dai militari...
oserei dire affascinante...
ma tutto questo ciarpame non mi aiuta: non giustifica la nostra
presenza né da indizi certi sulla nostra localizzazione
né qualcosa di vagamente utile...” sembrava
trionfante per non aver ceduto alle panzane umane
“Certo che non lo giustificano...” rispose Azzurra
sciacquandosi la bocca “E' un po' un volo pindarico...
collegamenti azzardati degni dei migliori autori di fantascienza...
nessuna prova scientifica... intuizioni... dovresti sapere che il corpo
umano, dall'occhio alla mente, lavora in questo modo...”
Scartando l'ipotesi più romantica, pensò di
essersi lasciata influenzare dalla vicenda ed essere diventata
più possibilista.
“Per questo siete davvero interessanti e sarebbe uno spreco
uccidervi tutti” confermò 24
“Ma ciò non vuol dire che non abbiano, tutti
insieme, una loro logica... una sorta di Gestalt intellettuale... una
bestemmia per i puristi e gli scienziati, però...”
Disse sedendosi sul WC “...beh... non ho detto che ci
credo... ti ho solo detto di documentarti e farti la tua idea... Ci
sono così tanti luoghi che sono stati descritti per secoli e
da popolazioni diverse... la cosa mi affascina... questa
ricorrenza...dev'esserci una spiegazione razionale. Ma soprattutto,
vorrei vederli anch'io, quei posti...” Infine,
tornò il sospetto. Che lui la stesse prendendo in giro e
stesse recitando secondo un copione. E approfittasse delle falle del
suo inconscio.
“Ammesso che esistano” la canzonò 24
“Mi piacerebbe, però...” ammise sognante
“Un mondo in cui noi non ci siamo...ovvio!”
celiò lui.
Cos'era quel tono irritato? Se fosse stato tutto calcolato,
perché mostrarsi infastiditi? Loro non erano superiori in
tutto e per tutto agli esseri umani?
“Non solo per quello... il mondo ideale, Utopia,
Atlantide...se in tanti ci hanno scritto sopra vuol dire che...
beh...è un'ambizione umana...e forse è anche
possibile... no?”
“Certo...ingenuità umana! Ti ricordo che nel XX
secolo sono stati tentati esperimenti del genere. E sono, tutti,
falliti miseramente.” Tombola! Non era cambiato proprio
nulla: era fastidioso come sempre. Poteva tirare un sospiro di sollievo.
“Piuttosto..hai trovato qualcosa sul tuo amico?”
Domandò sollevata.
“Qualcosina...nulla di interessante, comunque.”
Chiuso tacitamente l'argomento in quel modo, passò la
giornata a studiare intensamente per l'esame ormai imminente. 24 non
interferì minimamente con il suo pensiero: aleggiava leggero
e silenzioso alle sue spalle senza disturbarla.
Arrivò la sera e i suoi genitori, finalmente, rincasarono.
Erano stati nella loro seconda abitazione a curare le piante che, da
sole, sarebbero morte di sete. Chiuse i libri, esausta. Si
stiracchiò sulla sedia come un gatto e lo stomaco
brontolò per l'ora tarda.
“Mi dai una mano?” domandò il padre
dalla cucina. Era un ometto secco e dinoccolato, un vero topo da
biblioteca.
Lei lo raggiunse quasi saltellando, inspiegabilmente euforica
nonostante le molte ore di studio. E, ancora una volta, non sapeva dire
se ciò fosse dovuto al fatto che, semplicemente, le piaceva
cucinare (specie quando era la scusa per allontanarsi dai libri),
all'empatia che si era instaurata col proprio controllore o al fatto
che, in qualche modo, lui la stesse drogando, alterando a distanza i
suoi valori.
Decise che, dopo cena, avrebbero ripreso il discorso abbandonato quella
mattina stessa: quello stato di cose era logorante e, dato che
sarebbero rimasti assieme ancora per molto tempo, dovevano mettere
subito in chiaro le cose. Le era andata bene essere stata immersa nei
libri tutto il giorno, concentrata su altro, ma doveva scrollarsi di
dosso il senso di colpa per aver cercato di ingannarlo e far pace con
la propria coscienza: non aveva fatto nulla di male e tacerglielo non
era un male.
Accese il fuoco sotto la seconda padella, quella che avrebbe usato lei,
mise a scaldare una sfoglia di pasta al minimo della temperatura,
affettò i pomodori e il formaggio. Tornata alla padella, si
accorse di un leggero odore di bruciato. Prese un mestolo di legno e
sollevò un lembo del pane per controllare, dato che le
sembrava strano: era troppo presto. Invece il fondo era già
tutto nero.
“Ma cosa cazz...” smadonnò tirando via
la padella dal fuoco. Per caso, un'occhiata volò veloce sui
pomelli del gas “Ma papà! Mi hai alzato il
fuoco!” protestò alla distrazione del genitore. Se
c'era una cosa che Azzurra detestava, dopo gli invasori, era che
qualcuno smanettasse tra le sue cose o mentre lavorava, specie in
cucina.
“Se non sai farle le cose, evita!” la
zittì lui, spiazzandola: non era stata eccessivamente
aggressiva e la sua esternazione era più che altro
dispiacere per dover, praticamente, buttare via la sfoglia.
“Ma... se l'ho sempre fatto io...” cercò
di protestare, lasciando a intendere che era un errore di distrazione,
suo o di entrambi, e che la cosa sarebbe finita lì.
“E se le fai, falle bene. Ti ho solo chiesto una mano, mica
di fare tutto questo casino...se non ne avevi voglia potevi
dirlo” l'omino tranquillo e minuto che era suo padre quasi
urlò, strappandole la padella dalle mani. Che cosa diamine
gli prendeva così di colpo?
Più offesa che sconvolta, mollò tutto e,
sbattendo involontariamente la porta per la foga, si
allontanò, diretta nuovamente in camera sua. Probabilmente
aveva avuto una giornata storta. Forse una pianta si era seccata o
qualcuno dei suoi intrugli, nel laboratorio, aveva fatto disastri. Ma
lei che c'entrava? Non era proprio entrata nello studio. Anzi, non
sapeva nemmeno a cosa stessero lavorando.
“Non ci si comporta così...” la riprese
24, il quale, fino a quel momento, era rimasto in silenzio.
“E' pur sempre tuo padre”
Infastidita, Azzurra stava per rispondergli a tono quando l'interessato
le comparve alle spalle con aria bellicosa. Sbraitò con
rabbia inaudita, incontrollata e fuori luogo riguardo alla mancanza di
rispetto della figlia. A sua volta, Azzurra si scaldò e
automaticamente e alzò le mani istintivamente, quasi a
volersi proteggere da eventuali pericoli. Riuscì solo ad
ammonirlo di non permettersi di alzarle le mani addosso. Non fu
però abbastanza svelta nel prevenirne le mosse e in un
istante si trovò a terra, i polsi stretti in una presa
ferrea. In un attimo fu in preda al panico più totale e
cieco. Scalciò a vuoto, si dimenò e
cercò di liberarsi graffiando. La gola era stretta in una
morsa di terrore che a mala pena le concedeva di prendere fiato. Ma
alla fine riuscì a deglutire e invocare l'aiuto della madre.
Dopo un attimo di smarrimento, anche 24 si era attivato
“Morgaine!” urlò rivolto alla sua
collega “Cosa cavolo stai facendo?” ma l'altra non
rispondeva. Sbarrò gli occhi e, quasi istantaneamente,
scattò fuori dal suo lettino. I cavi non si erano ancora
sganciati dalle loro prese. Per velocizzare l'operazione ne
afferrò le propaggini e le strappò con poca
grazia e, per ogni estrazione, una scossa elettrica lo percorse lungo
la schiena. Nella foga di allontanarsi, poi, rischiò di
distruggere anche la propria postazione, travolgendo qualunque cosa sul
proprio cammino: non aveva tempo da perdere ad aggirare gli ostacoli.
Tempo cinque secondi dalla disconnessione con Azzurra, 24 stava
già correndo per i corridoi. Se non ricordava male, Morgaine
era al livello 3: la sua tuta era rossa, quindi... doveva,
teoricamente, salire di tre piani. Non si era mai trovato nella
condizione di dover contattare altri Akero, lui, un Potis teoricamente
al di sopra di tutti. Arrivato all'ascensore, premette il pulsante ma,
compreso che ci avrebbe impiegato troppo tempo, e la salvaguardia della
sua assistita era in serio pericolo, decise istintivamente di prendere
le scale. Divorò i gradini a tre a tre, le lunghe gambe
muscolose non avvertivano minimamente lo sforzo improvviso a cui erano
chiamate.
24 non si accorse nemmeno che, dal momento in cui aveva abbandonato
improvvisamente la sua postazione, in aria echeggiava l'eco ossessivo
di una sirena impazzita. Spalancate le porte tagliafuoco che separavano
i diversi livelli, si aggiunsero suoni più assordanti e luci
intermittenti accecanti. Lui sembrava non accorgersene e
passò i livelli uno dopo l'altro. Non si accorse nemmeno di
avere un'intera squadra di Karibo5 alle spalle.
Entrato nella terza area puntò direttamente alla postazione
in cui sapeva esserci la responsabile del padre di Azzurra.
Si stava avvicinando rapidamente quando un uomo armato
riuscì ad atterrarlo, buttandosi praticamente addosso a lui
con il proprio corpo. Di lì a poco arrivò tutta
la squadra, col fiato corto.
I Potis venivano sottoposti ad allenamenti particolari e non c'era da
stupirsi se potevano tener testa tranquillamente a una squadra di
Karibo: Mat-mon ne era stata la dimostrazione pratica.
Un'altra scarica di corrente, più intensa di quella
provocata da una disconnessione frettolosa e traumatica, gli
mozzò il fiato. Il capogruppo dei Karibo avanzò
da dietro il drappello con una lunga asta in mano, alla cui
sommità sfrigolava isterica una saetta azzurra. Sembrava un
taser umano solo che poteva essere usato a grande distanza, grazie,
soprattutto, alla rete capillare di sistemi elettronici, di cui erano
costellati la struttura e gli stessi operatori, Potis compresi, tramite
i quali poteva estendersi e colpire oltre la normale gittata. Le
braccia gli furono portate sulla schiena e i polsi stretti tra loro e
sui quali sembrò gravare un improvviso peso: lo stavano
tenendo fermo con un ginocchio
“Accidenti...cosa combini?” sbuffò la
voce ruvida dell'uomo nascosto da una maschera rigida grande quanto
tutto il volto, dotata di due griglie, una per gli occhi e una per la
bocca. Il corpo massiccio e pesante era fasciato da una tuta integrale
nera dai dettagli blu elettrico, che faceva il paio con l'asta
sfrigolante.
“Mo..Morgaine...fermatela!” riuscì a
biascicare 24 dalla sua emiparesi.
L'uomo volse appena la testa verso la zona dove doveva esserci
l'operatrice. Quindi, fece cenno ad altri due uomini di procedere nella
direzione indicata mentre lui si accucciava accanto a 24, scuotendo la
testa, deluso.
“Comandante...!” dissero i due, allarmati, poco
dopo.
Quello sbuffò seccato: erano giorni che avevano un sacco di
rogne a causa dei Potis. Fece alzare 24, immobilizzato da un campo
magnetico, e lo trascinò con sé. La scena che si
presentò agli occhi del Potis e della squadra di Karibo era
agghiacciante: Morgaine giaceva alla sua postazione priva di coscienza,
occhi sbarrati e schiuma alla bocca. Le onde neuronali erano alterate e
fuori sincrono.
“Allertate la squadra di Anargiri6,
subito!” abbaiò terrorizzato l'uomo. Qualcosa non
andava: i Potis sempre in mezzo a i piedi e una serie di eventi
spiacevoli uno dietro l'altro, a ripetizione. Cosa stava succedendo?
Nell'aria, le sirene assordanti dell'allarme d'infrazione furono
sostituite da un altro richiamo, monotono e a ciclo continuo che
ricalcava il nome della squadra convocata.
In pochi minuti una squadra di esseri fasciati in verdeazzurro
precipitò sul luogo.
“Ti chiedo scusa...” La sua ombra sembrava davvero
contrita e dispiaciuta.
Azzurra se ne stava rannicchiata in bagno, avvolta da una coperta e con
i polsi nella vasca colma di acqua fredda.
“Non è colpa tua...” gli rispose con
poca convinzione. Sembrava essere in uno stato catatonico. Non si
capiva se stava rimuginando sull'accaduto o se fosse sotto shock.
“Azzurra!!!” la voce della madre proruppe,
nuovamente, dall'altra parte della porta. Come tutto, in quel nuovo
mondo, anche la casa rispondeva ai comandi vocali. Ma, in caso di
emergenza, Azzurra era in grado di bypassare il computer e trovare una
soluzione analogica alle sue esigenze. Si era rintanata in bagno,
spaventata, per restare al sicuro, da sola. L'unico che poteva nuocerle
era l'uomo al suo fianco. La soglia, era dotata di un sofisticato
sensore a graffa, su cui andava a innestarsi le porta che scorreva dal
soffitto fino al pavimento, il quale segnava il fine corsa al
meccanismo della porta. Azzurra non aveva fatto altro che infilarci in
mezzo una forcina per capelli, dando così l'idea al sensore
di porta chiusa, perennemente. L'aveva posizionata in modo tale che,
dall'altra parte della soglia, fosse praticamente impossibile rimuovere
per chiunque, se non per chi si fosse chiuso all'interno, e aveva
lasciato appena lo spazio perché la mano scorresse tra il
pavimento e la paratia, per rimuovere la forcina e permettere,
nuovamente, alla porta, di aprirsi. Arek era l'unico che riuscisse a
passare per quel pertugio. “Azzurra, apri ti
prego!” La implorò ancora la madre.
“Non si allarmi...le ho già spiegato che 24
…..” la calda voce di Cortes riprese a cullare la
madre in preda al panico, spiegandole per l'ennesima volta che non
c'era nulla di cui preoccuparsi.
“La mia bambina!” strepitò ancora la
donna accasciandosi contro il la porta scorrevole.
“Cos'è successo?” chiese 24 dopo minuti
di esitazione. La voce della donna di al di là della porta
taceva: forse il collega si era deciso a narcotizzarla e a condurla,
sonnambula, a letto.
“Mi sono dimenata con la forza del panico, ho graffiato e
scalciato... Ma avevo la gola chiusa... quando ci sono riuscita, ho
urlato con quanto fiato avevo in gola che mia madre venisse ad
aiutarmi. Lei non capiva... e poi era alle prese con Arek che era
scappato dalla porta socchiusa. Cortes non ha saputo darle alcun tipo
di informazione... Alla fine è andato tutto
bene...” abbozzò un sorriso che però
non rasserenò il Potis “Tu, invece? Sei scomparso
improvvisamente e... diciamo che il panico è
aumentato...”
“Io... mi sono scollegato per correre a vedere cosa combinava
Morgaine... era...” il ricordo lo fece ammutolire
“Non ti devi preoccupare...nel momento in cui mi hanno
assegnato a te, mi ero preparata a... quasi tutto...” lo
consolò lei con lo sguardo triste di chi sa di essere un
condannato a morte, la cui esecuzione è solo rimandata,
giorno dopo giorno, per farlo precipitare nel panico e nella pazzia o
per condurlo a una serenità rassegnata.
“No, vedi, lei...” Anche lui aveva bisogno di
parlare. Tutto quello che stava succedendo in quei giorni lo stava
destabilizzando. Prima o poi, sarebbe stato richiamato per venire
riabilitato. Stava perdendo il suo sangue freddo e la sua
obiettività “Era sotto shock, suppongo...
è stata subito portata via dalla squadra di Anargiri... e
tuo padre è stato assegnato subito a un'altra operatrice...
la riconversione prenderà del tempo... è la
seconda volta che succede... Non sono ancora riusciti a stabilizzare
Zoe, l'ospite di Mat-mon...” disse a mo' di giustificazione.
“Direi che in questi giorni sono un po' tante le cose che vi
capitano per la prima volta...” mormorò Azzurra
sfregandosi i polsi con un unguento.
“Forse...sono i primi casi di cui io vengo a
conoscenza...” azzardò lui.
“Cominci a parlare come un cospiratore...” lo
canzonò lei “Fa attenzione...” aggiunse
seria.
“Sono preoccupato... e questo la Hashmallim lo
sa...” lasciando intendere che era finito un'altra volta
sotto torchio nella saletta buia.
“Sa cosa?” indagò la ragazza
“Che temo tu... anzi... voi e noi Potis, siamo l'obiettivo di
una qualche... terapia
d'urto di una frangia di Akero stanchi delle vostre
continue resistenze e della nostra tolleranza nei vostri confronti...
d'altronde... dopo la ragazza in stato semi vegetale di Mat-mon, tu sei
la seconda femmina umana più refrattaria...”
“Ah...” fu l'unico commento della ragazza. Questo
era un dettaglio di cui sentiva parlare per la prima volta. E cosa
aveva di così speciale per essere addirittura la seconda in
tutto il globo?
“Ho avuto paura...” le confessò
“Anch'io...” disse sorridendo mestamente e
osservando il chiarore del tramonto riflesso sulle mattonelle bianche.
1 Nel
XIX secolo rischiò l'estinzione del Frisone
perché, giunta in Europa la moda delle corse di trotto, si
cercò di
migliorare le sue già buone prestazioni incrociandolo con
cavalli più
leggeri, come l’Orlov.
Nel 1879, ventidue allevatori si riunirono e determinarono gli elementi
caratteristici della razza per tentare di salvarla: durante la prima
guerra mondiale rimanevano solo tre stalloni puri e un centinaio di
giumente. Gli allevatori, per preservare il patrimonio genetico
decisero, quindi, di escludere qualsiasi incrocio con altre razze. La
seconda guerra mondiale favorì la sua ridiffusione a causa
della
scarsità di mezzi di trasporto e del razionamento dei
carburanti.
Una
seconda crisi colpì la razza quando, in tempi più
recenti, si diffuse
il salto ostacoli: la conformazione del cavallo non permetteva la
pratica della disciplina se non a bassi livelli. Furono le sue doti per
gli attacchi, questa volta a livello sportivo e non più
utilitario, a
salvarlo una seconda volta.
2 O
Akhal/Achal-Teké/Tekké.
Tremila o poco più gli esemplari presenti in totale nel
mondo. E'
un'altra razza che, ancora negli anni 50 stava scomparendo. Il cavallo
celeste! No, non avete le allucinazioni. Sì è
dorato: il pelo è
cangiante.
Questo particolare mantello, Isabella, ha origine dal
Palomino. Discorso un po' contorto: solo di recente il Palomino non
indica più un manto ma è diventata una razza a
sé. Questo cavallo, si
dice abbia avuto origine in Spagna, dove era conosciuto col nome di
Isabella, dall'omonima Regina (1474-1504). In comune col Palomino ha la
base del corpo chiara e i crini dono bianchi. L'effetto cangiante
metallizzato (caratteristico della razza che esiste anche morello
e argento) glielo da , sia la pelle sottilissima, ma soprattutto la
struttura stessa del pelo, corto e morbidissimo (tanto da meritarsi il
paragone con la seta), cavo all'interno, cosicché l'aria al
suo interno
possa diventare una specie di camera d'aria che lo protegge dalle
temperature rigide della regione d'origine.
Una delle più belle e
antiche razze equine (in realtà è più
antico anche dell'arabo..così,
per restare in ambito di rivalità tra i due possessori),
discende
direttamente dal cavallo Turkmeno -oggi estinto-. Allevati in regioni
estremamente aride, sono molto resistenti, possono lavorare e resistere
a grandi sbalzi di temperatura. Nel 1935 parteciparono alla spedizione
russa sa Ashakhabad a Mosca (4000 km). Durante questi raid
attraversarono 375 km nel deserto di Kara-kum in tre giorni, durante i
quali restarono totalmente senz'acqua. Alto 1,55-1,65, per la
velocità
e per la linea slanciata si potrebbe paragonarli ai levrieri (e infatti
sono chiamati anche Levrieri del deserto). Curiosità: aveva
una dieta
assai particolare: orzo, erba medica, grasso di montone, uova e mais.
Si dice, inoltre, che Bucefalo, il cavallo di Alessandro Magno, fosse
un AT ricevuto in dono alle nozze. Leggenda vuole che alla sua morte
l'imperatore gli abbia eretto una tomba in Pakistan e che fossero AT
anche i cavalli di Gengis Khan. Fedelissimo al padrone, apprende alla
svelta, è anche testardo e non facilissimo. Ma d'altronde
è quanto di
più vicino ci sia alla purezza. Quindi, manco fosse
cosciente del
proprio valore, bisogna accostarcisi col dovuto rispetto ;)
3
Ora non ricordo più come e dove l'avevo saputo, fatto sta
che anni fa
era stato costruito un antiradar navale così potente da
risultare
fastidiosamente visibile proprio per l'assenza della benché
minima
attività marina: sul radar c'era un buco nero che
inghiottiva anche il
normale disturbo dell'acqua. Grazie a questa iper-perfezione, la nave
era pienamente visibile come se non avesse avuto il congegno antiradar.
I ragazzi vogliono evitare di essere rintracciati per un eccesso di
prudenza: meglio qualche rumore di fondo dell'assoluta
invisibilità.
4 Berbero
o Barbaro
(o più semplicemente Berb-Barb), cavallo Barbaro,
è arrivato in Europa
solo nell'ottavo secolo (anche se c'è chi sostiene che vi
fosse
arrivato già ai tempi dei romani) e ha contribuito alla
formazione di
razze importanti e famose. Nella sua forma primitiva, immune da
incroci, si riscontra ormai solo in un numero esiguo di esemplari
presso le popolazioni nomadi nordafricane. Veloce e resistente
è docile
e coraggioso, particolarmente resistente ai cambiamenti climatici, alla
fatica e alle malattie, apprezzato come cavallo da guerra.
5 Dalla schiera dei Cherubini, il gruppo
scelto armato, una sorta di corpo di polizia.
6
Sotto il nome di Santi
Anargiri, la Chiesa celebra, in realtà, tre
coppie di martiri: abili nell'arte medica, essi andavano di
città in
città e di villaggio in villaggio, curando gratuitamente i
malati (il
nome significa privi di soldi -la A iniziale è privativo-)
che
incontravano e proclamando a tutti la venuta di Cristo, il vero medico
(delle anime e dei corpi).
- - - -
Una nota sulle cavalcature.
In realtà, per Kemal avevo scelto l'andaluso.
Ma si è lamentato che fosse tarchiato e troppo poco
appariscente. Dico io...dovreste cercare di nascondervi, non attirare
lo sguardo della gente.
Per Fred avevo pensato il purosangue
inglese. Alto circa 1,80 al garrese (dove il collo si innesta
alla schiena, per intendersi...quindi aggiungete collo e testa e avrete
l'altezza totale), volevo che avesse problemi ad arrampicarcisi senza
sella e staffe...Invece ha preteso il cavallo considerato
più bello in assoluto (assolutamente NON appariscente,
vero?), con portamento fiero e altero =_= giusto per lui,
insomma...tanto anche questo ha le sue rogne, essendo testardo e
ribelle ù_ù;;;
Alain, invece, doveva avere il purosangue arabo
ma ha preferito il suo concorrente. “La caratteristica fisica
che distingue il cavallo di razza araba rispetto alle altre razze
è che le vertebre della sua colonna spinale sono
più corte e quindi la schiena è più
corta rispetto agli altri cavalli; da ciò deriva la
compattezza del suo fisico, lasciando inalterati gli altri organi
vitali. Da qui il suo impiego negli sport di resistenza in cui il cuore
(delle stesse dimensioni di un qualsiasi altro cavallo) deve sostenere
ed irrorare un fisico più compatto di un altro cavallo,
dando all'arabo una resistenza maggiore in uno sforzo minore del
cuore.” Ecco perché lo volevo per il capo della
missione... (fonte Wikipedia.)
Dunque, a presto. E grazie ancora a quelli che mi seguono.
|
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Capitolo 7 *** New Friends ***
7.
New friends
New
decisions
Il
sole era ormai tramontato da un pezzo, lasciando in sua vece, a
illuminare le campagne scure e secche, una semplice falce di luna.
Vicino
a un piccolo corso d'acqua, in un cascinale a due piani abbandonato,
divorato dall'edera e transennato alla meglio lungo il perimetro, il
gruppetto di ribelli si stava sistemando per la notte. Il piccolo
gheppio rossastro, Zahra, era andato a nascondersi tra le travi marce
del soffitto mentre uomini e cavalli si erano disposti lungo le pareti.
Kemal era alle prese con l'ultimo di loro: lo stava ringraziando con
una bella spazzolata e con un dolcetto di cui quelle bestie erano
particolarmente ghiotte.
“Sicuro
che siamo dalla parte giusta?”
“Sì
sì, non temere... il problema è... come facciamo
a portarla fuori? A evitare che il suo angelo la segua,
sopratutto...” Borbottò Alain sovrappensiero. Era
il capo della spedizione e avrebbe dovuto avere in mente un piano
eccellente per ogni evenienza. Quando erano partiti gli era sembrato
tutto così facile, come in un romanzo di avventura. Ma ora,
che doveva prendere decisioni serie, e valutare ogni minimo aspetto di
una situazione, aveva la mente vuota. Per un attimo pensò
che quella non fosse altro che una missione suicida.
“Io
continuo a pensare che sarebbe meglio far tutto domattina...”
borbottò il tedesco rigirandosi nel suo sacco a pelo
“Pensateci... potremmo avvicinarla senza che per forza scatti
l'allerta...”
“Per
una volta Fred ha ragione...” concordò Kemal
camminando piegato in due, sotto la controsoffittatura improvvisata dei
mantelli schermanti assemblati alla meglio, per andare a sistemare il
proprio giaciglio lontano dall'apertura nel soffitto.
“Come
sarebbe a dire per
una volta?”
si inalberò quello, mentre Alain si faceva pensieroso.
La
casa della ragazza era nascosta in una viuzza affluente della strada
principale, anch'essa poco frequentata. Tutt'attorno si estendevano
foreste di alte erbe incolte, pungenti e secche, vigneti bitorzoluti,
noccioli scheletrici, acacie piangenti sui corsi d'acqua, nascondigli
prediletti da lepri e volpi. Non era la via di fuga ideale: da un lato
sarebbero potuti scappare mimetizzandosi tra il fogliame ma dall'altro,
la stessa vegetazione avrebbe conservato traccia del loro passaggio.
“Io
spero solo che i tuoi trucchetti ipnotici funzionino...”
disse stancamente il tedesco, la cui maggior preoccupazione era la
possibilità di essere scoperti.
“Vuoi
provare?” chiese Kem da dietro la Kefiah, gli occhi
già chiusi.
“No
grazie...” fu la secca e immediata risposta “Non
sono un cavallo, io!”
“Ah
no?” ribatté l'altro divertito “La
differenza è davvero poca... ma un asino lo si riconosce
più dal culo che dalla faccia”
“Brutto
talebano mujaheddin!” ringhiò Fred “Son
passato da mulo ad asino, ora?”
“Fred...?”
lo chiamò Alain “Kem è arabo1, non
afgano2...”
“Ma
non sei nato a Kandahar???” strepitò il tedesco a
indirizzo dell'altro che non si capiva se stesse già dormendo
“Solo
nato... io sono Arabo! Ed ero musulmano, ma stop, razza di crucco
ignorante!”
“Fred
quanto avevi in geografia?” domandò ancora Alain,
sistemandosi meglio
“Senti...
sono fisico nucleare, io. Che cazzo me ne frega di geografia?”
“Ti
darebbe fastidio solo se ti prendessero per Austriaco, vero?”
replicò il francese sghignazzante “Figuriamoci se
ti credessero di origine turca...”
“Ho
forse la faccia del turco?” replicò inviperito
“Ho il nasino da Cirano? Occhi neri e pelle abbronzata? I
mustacchi?”
“No,
sto solo dicendo che se non si azzecca precisamente il luogo di
origine, chiunque si infastidisce... e molti turchi sono tedeschi a
tutti gli effetti... è come se a uno dei nostri di origine
algerina fosse scambiato per camerunese... loro sono francesi e
giustamente si incazzano se gli dici che sono africani e non europei...
non buttarla sul colore della pelle o cadi nel cliché del
tedesco nazista...” lo redarguì serafico.
“Non
fare tanto il moralista, tu che i tuoi cugini belgi proprio non li
sopporti. E almeno, risparmiami i turchi, per favore...”
“Razzista!”
lo pungolò Kem
“Non
sono razzista, i miei vicini erano turchi e ho brutti ricordi... e poi
cos'è? Gli italiani possono dire abbronzato per nero e io no
solo perché sono tedesco?”
“Fred,
piccolo ariano in erba, lascia stare... e comunque, Cirano è
francese, non c'entra nulla coi turchi, ignorante!”
“Lo
so...” borbottò il tedesco “Certo che a
pensarci... il nasino alla francese è ben
diverso...”
“Come
lo è la puntualità dei tedeschi... ora dormi e
non far casino”
“Vuoi
dire che sono ritardatario cronico?”
“Fred,
stiamo dicendo che ciascuno è se stesso e le
categorizzazioni di genere, cazzate... anche se è automatico
farle... il tuo cervello deve
etichettare le cose per andare avanti” sbuffò Kem
“Ora dormi o ti ipnotizzo...”
Un
abbaiare feroce, distante qualche centinaio di metri, interruppe Kemal
all'istante.
“Ce
l'ha con noi?” domandò Alain allarmato
“Più
che con noi...” precisò l'arabo “Si
è accorto di presenze estranee e poi del
casino...” frecciò a indirizzo del compagno
permaloso. Dietro l'abbaiare forsennato percepirono il rumore di un
cavallo lanciato a un galoppo leggero.
“Arek!”
sbuffò Azzurra seccata, mano al fianco, tenendo fermo il
pony slanciato dalle zampe zebrate.
“Che
cos'ha?” chiese 24 perplesso da quel comportamento,
aleggiando sulla sua spalla.
“Sapete
tutto su di noi e niente su di loro? Che razza di invasori e creatori
sareste mai?” borbottò tra sé con
sarcasmo la ragazza. Quindi, alzando un poco la voce, certa che
comunque lui l'avesse sentita, proseguì “Ce
l'avrà con qualche gatto... oppure ci sarà una
talpa... o un qualche uccello... o la tana di qualche lepre...
oppure... un riccio. Sì... il riccio è il
più probabile...”
“E
perché?” chiese ancora l'altro, curioso
“E'
il tipo di abbaiare isterico. Quando trova un riccio non riesco a
schiodarlo... l'unica è proseguire...mi seguirà
quando si sarà stancato... spero” disse la ragazza
spronando il cavallo. Scese lungo il camminamento accanto al corso
d'acqua segnato dai mezzi agricoli durante il loro passaggio.
“Perché lo fiutano a metri di distanza e si
incaponiscono per stanarlo a costo di farsi male... ho passato notti
insonni perché non capivo con chi ce l'avesse e lui fuori ad
abbaiare anche con la pioggia a qualcosa che non vedevo... Alla fine
vince il riccio, perché il cane, non riesce a fare niente di
più che terrorizzarlo facendo la voce grossa... A meno che
non scopra che, facendogli la pipì addosso, quello si
arrende..” E mentre Arek continuava a entrare e uscire dalla
fitta palizzata verde fin dentro il casolare scuro e diroccato, Azzurra
e 24 si avviarono per quel sentiero nell'erba alta che separava tra
loro i campi, e gli stessi dai fossi e dai corsi d'acqua.
“Quanto
hai intenzione di stare fuori?” domando 24 dopo qualche minuto
“Voglio
solo non pensare... ” disse lei in un soffio, posando lo
sguardo sui propri polsi: in quell'oscurità non sembrava
esserci nulla di strano “Voglio stancarmi e arrivare a letto
distrutta...”
“Farai
preoccupare tua madre...” le fece notare lui.
“Starà
in ospedale tutta la notte e domani deve lavorare...
figurati!” replicò lei con un'alzata di spalle
“Tanto non posso farmi del male, non è vero? Ho il
mio angelo custode che impedirebbe il mio suicidio...”
sputò con acredine. Il cavallo sentì il suo
nervosismo e nitrì di rimando “Sono
così stanca a volte... chi me lo fa fare di combattervi?
Tanto...” Tra loro cadde un pesante silenzio. “Che
c'è?” domandò, dopo un po', perplessa
“Non
dirlo più, ti prego...” soffiò lui,
angosciato. Azzurra non poteva saperlo, perché 24 glielo
tacque, ma il pensiero di lui corse al suo collega disertore e alla sua
assistita, Zoe. Non voleva assolutamente prendere in considerazione
l'ipotesi che quella ragazza potesse rappresentare il futuro prossimo
della sua ospite. Non la mise nemmeno a parte di pensieri
più angoscianti che l'agitavano.
Avrebbe
dovuto indagare, ma non sapeva da che parte cominciare.
La
mattina si preannunciava come abbastanza fredda, vista la nebbia che
aleggiava tutt'attorno. Le piante erano coperte da un sottile strato di
brina che saturava tutti i colori della natura. Il sole, rosso
all'orizzonte, con la sua eccezionalità, in quel grigiore,
feriva gli occhi. Il silenzio era tale che in qualunque altra stagione
sarebbe sembrato angosciante. Invece, insieme al freddo pungente,
sembrava la cosa più azzeccata e romantica che potesse
esserci.
Tre
figure emersero dal loro rifugio stiracchiandosi doloranti.
“Hai una faccia terribile...” biascicò
qualcuno “Pensa per te” fu la risposta di qualcun
altro.
In
breve si sistemarono, pronti ad affrontare quella dura giornata.
“Certo
che ieri sera me la son vista brutta... non fosse per Kem ci avrebbero
scoperto...”
“Gli
animali mi amano...” disse l'interessato avvolgendosi
pesantemente il suo mantello schermante sul giaccone e gesticolando al
modo dei prestigiatori “Anche se normalmente, per
l'alimentazione, gli animali europei tendono a fuggirmi...”
“Allora
ci è andata proprio bene che questo cane abbia girato un po'
il mondo e fosse abituato a odori diversi...”
puntualizzò uno dei due biondi, il più polemico.
“Che ora è?”
“La
madre della ragazza è andata via?”
domandò anche Alain, in contemporanea
“Sì...
e il padre è sotto osservazione in ospedale”
confermò Kem “Mi son svegliato prima di voi e l'ho
sentita andar via. Anche Azzurra è già uscita e
rientrata da una passeggiata mattutina col bastardino... sapeva di
Croissant e caffè espresso...”
Soppesando
il fatto che non potesse averla vista se non da lontano, Fred
commentò disgustato “Sei proprio un
animale...”
“L'avresti
sentito anche tu...” lo rimbrottò il francese,
valutando le condizioni atmosferiche. “Quindi ora
starà studiando... cadiamo a fagiolo... 9.30...direi che
è un buon orario... i cavalli resisteranno ancora un
po'?” domandò dopo aver ragionato a voce alta
“Certo!”
fu la sicura risposta dell'arabo.
I
tre, lasciati gli zaini nell'edificio, si diressero senza ulteriori
esitazioni alla villetta di Azzurra.
All'interno
della casa, Arek drizzò le orecchie sentendoli arrivare, ma
non abbaiò, riconoscendo l'odore di un uomo che gradiva.
Al
tavolo della cucina, Azzurra era già immersa nel ripasso
finale. Sapeva che era inutile ma le dava sicurezza riguardare gli
appunti durante la mattinata. Il pomeriggio, invece, avrebbe chiuso
tutto, cervello compreso, e si sarebbe dedicata al restauro e al relax.
E il giorno successivo l'esame sarebbe andato come avrebbe dovuto: bene
se aveva fatto il suo dovere e le domande non fossero state
particolarmente puntigliose, male se non si era impegnata. Non avrebbe
risolto nulla correndo ai ripari all'ultimo minuto.
Suonò
il campanello della porta d'ingresso ed Arek diede un singolo abbaio
quasi a dire Ti
ho sentito. Azzurra
si alzò controvoglia, togliendosi da sopra tuta pervinca il
plaid avorio: stando ferma tutto il tempo, nonostante i termosifoni
pompassero al massimo, avvertiva tutta l'umidità
dell'esterno.
“Sì?”
disse dubbiosa aprendo la porta e vedendosi quegli sciacquattati
troneggiare all'ingresso. Notò subito i tre lineamenti
diversi e percepì qualcosa nel loro modo di vestire: erano
sul filo della congruità della nuova moda anche se, per gli
uomini, era preferibile un taglio di capelli più marziale.
Il
moro doveva essere di qualche zona del vicino o del medio oriente. Pur
andando a esclusione, le restavano molti paesi di cui non conosceva le
fisionomie e che, a suo avviso, si assomigliavano abbastanza. Era un
bel ragazzo, i lineamenti duri e taglienti, capelli neri come la pece,
lisci fino alle spalle; una kefiah al collo ma nessun simbolo
religioso, a parte un bracciale che poteva essere preso per Kara3,
uno dei cinque segni Sikh4 insieme al pugnale
che portava al fianco, forse un Kirpan5:
paradossalmente, rischiava di più esponendo il monile,
rispetto all'arma. Ma si presupponeva avesse un Akero a controllarlo e
il suo Augur non avrebbe mai permesso nulla che esaltasse il narcisismo
o le ricadute nostalgiche per altri culti del passato.
Gli
altri due, invece, erano entrambi biondi. Uno aveva un cespo di
dreadlock biondo cenere attraverso i quali si intuiva la fronte
spaziosa da cui spiccava il naso tendente all'aquilino. Gli occhi erano
verde bosco, un po' acquosi ma duri. Una barbetta ben curata gli
segnava la linea della mandibola.
L'altro
aveva la testa avvolta da morbide e corte onde più bianche
che bionde, ma la cui radice era nera come l'ebano; gli occhi erano
color del ghiaccio, aveva labbra affilate e naso pronunciato.
Sembravano entrambi nord europei entrambi ma poteva sbagliarsi alla
grande. Gli abiti non aiutavano a sciogliere il dubbio: erano vestiti,
tutti e tre, con morbidi calzoni cargo dai colori terrosi e scuri,
dall'aria comoda e calda, da cui facevano capolino dei vecchi anfibi
militari. Il torso era coperto da giacche a vento imbottite sotto le
quali si intravedevano felpe e maglioni.
Arek
trotterellò al suo fianco e, al posto di fermarsi al comando
della padrona, corse a fare le feste a Kemal.
“Tu
sei Azzurra, vero?” più che una domanda, quella di
Alain suonava come una constatazione: la foto aggiornata, che Han gli
aveva spedito tramite Zahra, era tutta un'altra cosa rispetto a quella
vista sul monitor nel rifugio. Nonostante ciò era abbastanza
sicuro che non potessero esserci altre ragazze come lei: occhi azzurri,
vivi e attenti, labbra carnose che si intuiva essere spesso atteggiate
in smorfie polemiche. Ma quello che la rendeva, a suo avviso,
così particolare era il taglio di capelli assolutamente
fuori di testa, qualcosa che neppure il più folle dei
ribelli avrebbe osato farsi: capelli naturalmente biondi e lisci,
più chiari sulle punte castani alla radice, erano massacrati
da un taglio trasversale che sembrava (e probabilmente era) eseguito da
un raggio laser calibrato per recidere solo le fibre di cheratina. Nel
complesso la visione era destabilizzante, capelli lunghi e scalati su
un lato del volto, rasati sull'altro versante, con un accenno di ispida
spazzola verso l'alto. Anziché essere parallelo al suolo, il
raggio doveva esser stato inclinato volutamente di 45 gradi rispetto
all'asse orizzontale e altrettanto per quello verticale, in modo da
consentirle di avere un accenno di frangia che le velasse gli occhi.
“Possiamo
entrare? Dovremmo parlarti un attimo...” esitò
notando come lei si guardasse attorno, circospetta, quasi in cerca di
conferma da terzi.
Tutto
fu più chiaro quando le sentirono dire “Cosa
dici?”
Quella
che dovette essere la breve risposta di uno spettro, che nessuno dei
tre vedeva, sembrò il monologo interno di una ragazza
impazzita che parlava con amici immaginari.
“D'accordo...
se lo dici tu...” disse asciutta aprendo la porta e facendoli
passare.
Li
guidò fino in cucina dove li fece accomodare scusandosi
maldestramente per il disordine. “Non c'è alcun
problema... sapevamo che stavi studiando... sappiamo anche cosa, a dire
il vero...” biascicò Frederick stranamente gentile.
Lei
teneva gli occhi bassi e accennò con un movimento delle
spalle che la cosa non le dava alcun fastidio “Come mai non
li vedo?” chiese ancora, dopo un attimo, al suo fantasma. La
risposta che ricevette dovette preoccuparla più del
necessario perché, quando rivolse di nuovo loro la parola,
era ancora più impacciata “Posso offrirvi
qualcosa? Un tè? Un caffè?”
“Oh
sì, ti prego, posso avere una tazza di latte
caldo?” piagnucolò il tedesco
“Frederick!”
lo riprese Kem
“Che
c'è? Con tutto il freddo che abbiamo preso
stanotte...” quella risposta sincera fece spuntare un sorriso
ad Azzurra che rispose chiedendo gentilmente anche agli altri due se
accettavano qualcosa.
“Se
non è troppo disturbo...” disse timidamente Alain
“Io prenderei un tè...”
“Io
non ti farò lavorare tanto...come i buzzurri
caucasici...” rispose Kem incrociando ostinatamente le
braccia al petto
“Nessun
disturbo..” disse la ragazza “Era tanto che non
avevo ospiti... sapete... per lui...” li informò
imbarazzata con un gesto della mano che indicava un punto preciso nel
vuoto. Punto in cui, evidentemente, nella sua mente, compariva l'angelo.
“Lui?”
i tre si guardarono perplessi “Scusa se te lo
chiedo...” cominciò, nuovamente irruente, Kemal
“No,
buono un attimo...” lo interruppe Alain “Scusaci,
arriviamo subito al dunque, siediti, per cortesia.” disse,
cercando di essere il più rassicurante possibile. Quindi
proseguì non appena lei si fu accomodata, pronta ad
ascoltarli. Stranamente, il suo volto tradiva impazienza. Come se
sapesse cosa stavano per dirle “... Siamo a conoscenza di
cosa hai fatto due giorni fa” Vedendo la sua espressione
farsi allarmata, si precipitò a precisare “Ma non
devi allarmarti, siamo dalla tua parte...”
“Come?”
rispose la ragazza: non aveva capito praticamente nulla del loro
discorso. O forse non si aspettava una bordata così diretta.
“Cazzo!”
protestò allarmato Frederick, tirando fuori uno strano
aggeggio dalla giacca. Lo puntò contro la ragazza, premette
rapidamente qualche tasto e continuò a borbottare
“Ma vedi? Qua non segna nulla... l'unico... è il
cane...”
“Ma
che cavolo...” protestò anche Kem a quel punto
“Ok,
calmatevi tutti e due, la state spaventando!” li
redarguì il francese che continuò, poi, a
indirizzo di Azzurra “Puoi prepararci quanto avevi
cominciato?” disse accennando ai fornelli “Ne
parliamo con calma” disse sottolineando l'ultima parola,
guardando i suoi compagni di viaggio “Davanti alle tazze
fumanti...”
“D'accordo...”
disse Azzurra che servì in tavola anche biscotti e torte. Un
po' maldestramente chiese loro di darle le giacche: non aveva certo
intenzione di essere una padrona di casa così scortese.
Con
qualche boccone in pancia, gli animi un po' più calmi e le
bocce impegnate (alla fine Kemal aveva accettato una tazza di
caffè all'occidentale), Alain riuscì a presentare
se stesso e i suoi compagni.
“Vedi...
siamo come te... ribelli...” azzardò, ormai
dubbioso che si trattasse della ragazza giusta “E abbiamo...
tracciato il tuo segnale... o meglio... quello che doveva essere
l'interruzione del segnale con loro...”
disse. Vide Azzurra irrigidirsi. Non osava spostare lo sguardo dalla
sua tazza ma era probabile che il suo controllore le stesse dicendo
qualcosa “Ora... noi non lo vediamo... né tu vedi
nessuna accanto a noi. Questo perché noi non siamo
marcati...” a quelle parole, la ragazza alzò lo
sguardo e sembrò illuminarsi, quasi le avesse confermato
qualche folle idea “Potresti farci da interprete?”
disse accennando con la mano al vuoto attorno a lei
“Come?
Oh sì, certo! Scusate!” disse arrossendo, capendo
che fino a quel momento loro erano rimasti all'oscuro di tutti i
dialoghi intercorsi con 24
“Come
prima cosa vorrei sapere cosa ti ha detto per convincerti a farci
entrare...lui avrebbe dovuto sapere che eravamo smarcati e eravamo una
potenziale minaccia per il suo sistema, quindi...”
“Ecco...
pare stiano succedendo delle cose strane, da loro, in questi giorni.
Vedendo voi, ha pensato che potreste avere la risposta che
cerchiamo...”
“Cerchiamo?”
ripeté Fred stupito
“Sì”
confermò con un veemente cenno della testa “Pare
si stia convincendo delle nostre teorie... oh, sì che ti
stai convincendo!” improvvisamente il suo interlocutore era
diventato il fantasma che, a quanto pareva, aveva cercato di
contraddirla
“Ma
non sarà già stato diramato l'allarme per la
nostra presenza?” domandò Kemal perplesso
“No”
lo zittì Alain “Non ci vedono e potremmo fuggire
senza lasciare traccia... e da quello che ha detto lei....”
“Noi
pensiamo che ci sia una qualche falla nel loro sistema...
perché con tutti i dubbi che gli ho instillato e con tutte
le ricerche che ha fatto autonomamente su temi che ritengo siano
pericolosi per loro, è strano che non ci abbiano ancora
separati... sì sì, ora glielo dico...”
sbuffò
“Dirci
cosa?” chiese impaziente Frederick
“24
è convinto che io sia in pericolo e che sia nel mirino di
qualche assurdo piano di uno dei loro...” Prima che potesse
finire, i tre le vomitarono addosso domande sbigottite
“Che
intendi con pericolo?” “24? che razza di nome
è?” “Piano di uno dei loro?”
Alzando
le mani, quasi a proteggersi o a tacerli, Azzurra continuò,
precisando ogni passaggio “Non sono molto brava a scegliere i
nomi, e mi rifiutavo di dargli un nome umano. 24 pare sia il mio
livello di pericolosità e tale è il suo nome: un
numero, quello che siamo noi per loro. Quindi... ieri son stata
aggredita da mio padre...” disse mostrando i polsi ancora
leggermente arrossati “Credo sappiate che, se un umano ha
intenzioni dannose nei confronti di un altro essere vivente o attua
comportamenti poco virtuosi, viene forzato a comportarsi secondo le
regole, tanto da non sapere più distinguere il confine tra
la propria coscienza e la forzatura mentale impostagli. E' quindi da
escludere una -un tempo- normale lite padre-figlia. Inoltre, 24 ha
riferito come l'operatrice addetta al controllo di mio padre sia stata
ritrovata riversa alla propria postazione con la schiuma alla bocca...
da quello che mi ha mostrato, sembravano i sintomi di un
avvelenamento... o di un'intrusione forzata nella sua psiche, rigettata
dal corpo... ma non stiamo parlando di esseri umani, quindi le mie sono
solo teorie... fatto sta che l'operatrice agiva sotto il controllo di
qualcun altro e mio padre a sua volta. Per questo 24 ritiene che forse
sarei più sicura ora, qui con voi, che non sola con lui e i
suoi simili.”
“Wow...”
fu il commento sbalordito di Kemal “Impressionante il grado
di affezione che ha sviluppato”
“Credo
di poter dire che in questo momento è imbarazzato”
aggiunse la ragazza “L'altro fatto particolare, per cui lui
crede che puntino a me, a lui o a noi due è che due o tre
giorni fa, un suo collega ha disertato...”
“Parla
di 19?” chiese piano Frederick
“Sì”
confermò la ragazza. 24 aveva sentito la domanda e aveva
risposto d'impeto “Per dirla in parole povere, lui l'ha
seguito, è svenuto ed è stato interrogato... in
pochi giorni, trovarsi sulla scena del crimine due volte non depone a
favore nemmeno in una società come la loro...
credo...”
“E'
stato quando...” la imbeccò il francese, per non
farla scoprire: se aveva fatto quello che pensavano, il contatto si era
staccato in quell'occasione e lui non se n'era accorto. Ciò
poteva dipendere dal fatto di avere ancora in corpo il marcatore.
“Sì”
rispose lei “Ma non funziona... pensavo che magari dopo un
paio di giorni...”
“Forse
è troppo vecchia, come tecnologia.. forse è della
partita che hanno scoperto e per la quale hanno adottato delle
contromisure... o forse il suo scopo era isolare solo voi due, in modo
che i suoi superiori non si accorgessero di tutto questo o forse,
ancora, semplicemente bucare la schermatura e inviare un
segnale...” disse indicando se stesso e i suoi colleghi.
Azzurra
fece spallucce: non sapeva proprio cosa rispondere. Quindi
girò la questione “I vostri piani quali
sarebbero?”
I
tre si guardarono a vicenda quindi fu Kemal, coi suoi modi gentili, a
risponderle “Se lo vuoi, siamo qui per portarti con noi,
nella nostra comunità di liberti” rise pensando
all'origine del termine “Una società semplice,
autosufficiente e abbastanza estesa... ovviamente è priva di
molte comodità e ha le sue regole, a volte un po'
soffocanti, come tutte le regole...”
“Cosa
devo fare?” chiese senza un attimo di esitazione. Ma subito
il dubbio e l'esitazione la portarono a continuare “L'unica
cosa che mi dispiace, ma davvero mi stringe il cuore, è
lasciare i miei genitori... sapere che loro soffriranno senza di me...
sono la loro unica figlia... sapevo... ho sempre pensato alla fuga...
ma davanti alla possibilità concreta...” disse
mesta “Non posso portarli con me?” chiese
supplichevole
Kem
scosse la testa, più abbacchiato di lei “No, mi
dispiace, e ti capisco... però... no... rischiamo di fare un
danno ancora peggiore rimuovendo il sensore senza che loro ne abbiano
sviluppato il desiderio...”
“L'età
è un dato, una finestra, fondamentale per la riuscita
dell'operazione. Nonostante i tuoi genitori siano chi tutti sappiamo...
hanno un'età che non gli permette di ribellarsi. Anche se, a
questo punto, comincio a pensare che loro possano essere più
liberi di quello che crediamo...” biascicò Alain
tra sé e sé.
La
delusione negli occhi della ragazza, velati da lucciconi che tratteneva
con tutte le sue forze, era palese. “D'accordo...”
disse infine, riuscendo a mantenere salda la voce “Quando
dobbiamo partire?” chiese mentre si alzava e dirigeva al
lavello, dando così loro le spalle, fingendo di aver
qualcosa da fare.
“Se
ti va bene, partiremmo domattina, sul presto... è l'ora
migliore per muoversi...”
“Avrai
tutta stasera per salutarli...” disse Kemal accanto a lei. Si
era alzato immediatamente dopo di lei e ora se la stringeva al petto,
senza obbligarla a voltarsi verso di lui.
Azzurra
non pianse, non le scesero lacrime dagli occhi, non se lo concesse, ma
stretta a quell'uomo così gentile fu scossa da tremendi
singulti che fecero tremare come una foglia la sua fragile struttura.
Quando si fu calmata riprese la conversazione con l'innocenza di chi,
quasi, non avesse appena avuto un conflitto interiore.
“Vi
va una doccia calda? Da quello che ho capito, non ve la passate bene...
almeno da qualche giorno...” Frederick le si buttò
ai piedi, lagnandosi che il clima tedesco non era umido come quello del
nord Italia e che quindi sentiva molto più freddo nonostante
le temperature leggermente più alte. Alain e Kem, dopo aver
preso in giro il tedesco a cui si rovinavano gli splendidi riccioli
d'oro, accettarono cordialmente. “Anche perché,
puliti saremmo anche più credibili nel caso...” ma
si morsero la lingua.
Nel
caso avessero incontrato i genitori di lei, ovviamente.
1
La parola Arabo viene comunemente utilizzata per indicare un'etnia,
presente nell'area vicino-orientale e in Africa del Nord, che ha come
lingua madre la lingua araba
2
I talebani sono studenti di scuole coraniche. Il termine è
stato usato impropriamente dai media per indicare la popolazione
fondamentalista presente in Afghanistan e nel confinante Pakistan che
si è sviluppata come movimento politico e militare per la
difesa dell'Afghanistan dall'invasione sovietica.
I
mujaheddin, invece, è, letteralmente, il combattente (della
Jihad che indica lo sforzo e copre l'ampio spettro dalla lotta
interiore alla guerra santa). Nel XX secolo il termine è
stato usato per indicare i guerriglieri armati che si ispirano
più o meno alla cultura islamica. Ancora una volta,
è andato a indicare gli estremisti afgani di cui sopra.
Quindi,
in realtà, Fred non avrebbe nemmeno tutti i torti, se avesse
usato i termini nel senso originario.
3 Kara
4 La stragrande maggioranza degli indiani
che vediamo in Italia, quelli col turbante, provengono dal Punjab e,
normalmente, sono proprio Sikh.
Ora, Kemal è arabo e questo dimostra sia la cultura di
Azzurra (che è a conoscenza della regola delle 5K) ma anche
una scarsa attenzione all'aspetto altrui.
5 Kirpan
-
- - - - - - - - - - - - -
Eccoci
qui con l'incontro tra Azzurra e i ribelli. In
realtà questo capitolo (come poi tutto il racconto)
è all'insegna della diversità culturale. Il
confronto/scontro/isolamento dall'altro, dal diverso è il
fulcro di tutto: spero solo di non diventare pedante con il discorso -_-
A tra due settimane
|
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Capitolo 8 *** Ready! (parte I) ***
8.
Ready!
Or
not?
Azzurra
preparò per loro il piatto più veloce e semplice
– ma non troppo – che sapesse cucinare ma che fosse
anche buono e sostanzioso: una torta salata che avrebbe incontrato i
gusti di palati così diversi. Si considerava una discreta
cuoca avendo smanettato, sin da piccola, con giochi interattivi su
consolle che illustravano le ricette passo passo. Quando
srotolò sul bancone di marmo nero diverse verdure, tutte
lucenti, bellissime e dalle dimensioni omogenee, i tre rimasero
affascinati da tale perfezione.
“Avevo
dimenticato...” ammise Frederick osservando attentamente il
suo lavoro.
Quando
estrasse la pirofila dal forno, i tre si tuffarono sul cibo e pulirono
le stoviglie fino a farle risplendere.
Una
volta puliti e sfamati, avevano un'aria meno distrutta rispetto a
quando avevano varcato la soglia di quella casa. Aiutarono la ragazza a
rassettare e si riaccomodarono in cucina pronti a consigliarle la lista
da stillare, e preparare entro il giorno dopo, delle cose che le
sarebbero tornate utili una volta lasciata la casa natia. Erano da poco
passate le sei del pomeriggio e il cielo era ormai scuro, quando sua
madre rincasò, accompagnata dall'onnipresente Cortez.
Entrando
in cucina sgranò gli occhi vedendo la figlia non solo in
compagnia di ben tre uomini (e belli, anche) ma uno più
diverso dall'altro.
“Ciao
cara....” salutò un po' perplessa poggiando la
borsa sulla prima sedia oltre l'ingresso “...i tuoi....amici?
Si fermano a cena?”
“Come?”Azzurra
era spaesata. Sarebbe voluta correre in contro alla madre,
aggrapparlesi ai fianchi per non separarsi da lei.
“No,
signora, ma grazie dell'invito...” rispose Alain cordiale,
cercando di distrarre la donna (e la sua ombra) dall'aria contrita
della ragazza. “Dobbiamo rientrare, siamo solo passati a
vedere com'era messa Azzurra per l'esame di domani” aggiunse
con un sorriso
“Oh,
capisco...compagni di università?” più
che una domanda era un'affermazione, ma l'aria interrogativa rimaneva
impressa sul suo volto, come i suoi occhi rimanevano incollati alla
bizzarra e antiquata acconciatura di Alain “Azzurra...come
mai non mi hai mai parlato di loro se siete in così buoni
rapporti?”
“Ecco,
io...” Il terrore invase la giovane. Cosa poteva raccontare a
sua madre, così, su due piedi? Lei non era abituata a mentire
“Credo
che non volesse metterci nei guai...” rispose per lei Kemal,
strizzandole l'occhio di sfuggita “Conoscendola...”
aggiunse con aria canzonatrice.
“Già...”
Aggiunse Frederick sorridente, ancora seduto al tavolo, il mento
poggiato sui pugni “E' proprio da te... potremmo sentirci
quasi offesi...”
Azzurra
ora guardava lui, dando le spalle alla madre, con occhi sgranati in
modo talmente vistoso da non lasciare adito a dubbi sulla sua
confusione. Stavano improvvisando ma lei non riusciva a seguirli: si
reggevano il gioco a vicenda intrecciando una storia plausibile e
coerente, ciascuno coi pezzi proposti dagli altri.
“Azzurra,
non fare sempre l'offesa!” la apostrofò la donna
con tono stanco “Siete fin troppo bravi a esserle
amici...” biascicò poi con rammarico e una punta
di invidia.
La
madre si stava bevendo quel teatrino? Pensava davvero che ora lei fosse
arrabbiata e stesse cercando di zittire il tedesco con un'occhiata
truce? In effetti era nel suo carattere reagire così.
Non
fece in tempo a rispondere a tono, capito ormai il gioco, che Kemal
intervenne un'altra volta. “Penso di parlare a nome di tutti
dicendo che, invece, ammiriamo questo lato a volte fastidioso del suo
carattere. Sua figlia sa essere un'ottima amica, dovrebbe esserne
orgogliosa!”
“Oh,
ma lo sono...” rispose interdetta la donna.
Cominciò a sfilarsi, solo allora, guanti e cappotto nel
tentativo di guadagnare tempo e terreno nella conversazione ma, ancora
una volta, Alain la anticipò.
“Lei
si espone molto: ai rischi, allo scherno, agli insulti e alla
solitudine che ne consegue. Eppure è sempre disponibile con
tutti. Non per un calcolo opportunistico ma perché
è nella sua natura. A volerla vedere in un altro modo
è molto coraggiosa: se fosse vera la minaccia che la
spaventa tanto, per le cui affermazioni è stata posta sotto
un così alto controllo, saremmo noi a doverla ringraziare
per la lotta che porta avanti.”
“Purtroppo
o per fortuna siamo un po' dei pusillanimi miscredenti al punto che
condividiamo il nostro custode con altri. Anzi... siamo così
pecore che non sappiamo nemmeno difenderci da soli e abbiamo dovuto
aspettare che fosse lei a rispondere a tono per noi, perché
potessimo crescere e migliorare.” Disse Fred, apparentemente
immalinconito
“Prenda
i suoi capelli...” suggerì Kemal indicando Alain
“...associati a una vecchia promessa, o il colore della mia
pelle. Nonostante questa sia l'epoca dell'uguaglianza universale,
eravamo emarginati. E Azzurra a messo a posto tutti, allontanando da
noi tutti i sospetti eversivi, attirandoli su di sé,
permettendoci di integrarci”
“Già...noi
siamo solo un po' strani ma non crediamo ai complotti di cui lei si fa
portatrice. Però la apprezziamo per il suo modo di
essere” Aggiunse Fred per non lasciare buchi nella
conversazione “In classe la pensiamo tutti
così...più o meno...”
“Sì,
certo!” sbuffò Kemal. Quindi si rivolse
direttamente ad Azzurra “E ricorda... la prossima volta che
quel deficiente ti dice qualcosa, dimmelo che lo prendo da parte io un
attimo...” il sorriso gli illuminò l'incarnato
scuro “...a volte mi dispiace così tanto non
riuscire più a menare le mani con chi se lo
merita...” sospirò dispiaciuto
“Perché?
Che succede in università? Cos'è che non mi
dici?” la donna era improvvisamente allarmata. E Azzurra con
lei. Cosa doveva rispondere? Cosa si stavano inventando quei tre matti?
“Non
si preoccupi, nulla di grave. Solo tentativi di bullismo da parte di
marmocchi troppo cresciuti...” celiò il tedesco
con uno sguardo che non lasciava presagire nulla di buono
“Male
lingue molto taglienti...” concordò il francese
“Le stesse che facevano stare male noi. Vorrebbero
ghettizzarla per il suo livello 24...ricorda...” disse
rivolgendosi, quindi, direttamente alla ragazza “...sono solo
invidiosi perché tu ricevi attenzioni dalle alte
sfere!” disse con tono imperioso, quasi fosse la centesima
volta che glielo ripeteva
“Ma...cara...chi
è questa gentaglia? Perché non me ne hai mai
parlato?” chiese premurosa la donna. Ad Azzurra tutta quella
preoccupazione suonò vuota e falsa: una recita degna di
quella dei tre estranei. Effettivamente nel suo corso c'erano un paio
di cretini che si divertivano a lanciarle continuamente frecciatine, ma
aveva sempre stretto i denti, per non darla vinta ai propri genitori.
“Sospetto
per pudore, signora...” disse Alain
“Comunque
se ti mettono le mani addosso è la volta buona che gli rompo
il naso...” aggiunse Kemal
“Mi
fanno proprio schifo” commentò Frederick
“Si vede lontano un miglio che in realtà pensano
ad altro, anche se non lo ammetterebbero mai...”
Era
tutto vero... si era accorta anche lei del modo distorto in cui,
effettivamente, quelli la guardassero ma... il punto era: come facevano
i tre ragazzi sbucati dal nulla a sapere tutte quelle cose? Stavano
davvero improvvisando? Il suo poteva essere davvero un caso
così comune? Il panico le strinse la bocca dello stomaco.
E
se non fossero stati chi dicevano di essere ma spie mandate dagli
invasori per farla fuori? Per riprogrammarla come era successo al
collega di 24? Prima la facevano affezionare, stabilivano un rapporto
di fiducia... e poi, con la scusa di scappare l'avrebbero isolata e...
Chiuse
gli occhi con forza per cacciare l'immagine che le si
presentò alla mente: doveva essere fiduciosa. Lì
o da un'altra parte, non importava: se doveva succedere era solo
questione di tempo.
“Tesoro,
ma è terribile! Perché 24 non
interviene?” stava starnazzando sua madre, blaterando una
serie di perché
come un bambino di tre anni.
“Non
dovrebbe esserti tanto difficile da capire, mamma...”
sbottò allora, trovando un attimo di lucidità e
sfogando la rabbia repressa “Tu sei la prima a
guardarmi...” Tacque. Lo sguardo che le rivolgevano i suoi
genitori non aveva un nome. Era un misto di delusione, di angoscia e di
disgusto. Come quello di tutti gli altri.
Si
sentiva trattata come una bambina di due anni, che non capisce e non sa
fare nulla. Frustrazione: era il suo stato d'animo costante, che
riusciva ad alleviare appena solo la mattina, durante la colazione con
quelle poche amiche con cui era riuscita a instaurare una specie di
legame.
Poteva
sbagliare ma allora perché il Padreterno, o chiunque ci
fosse al suo posto nella presunta gerarchia Akero, l'aveva dotata di
libero arbitrio e di pensiero razionale se non poteva fare un passo in
piena autonomia?
Calò
un silenzio imbarazzante.
Fu
Frederick a romperlo. Si alzò piano e, guardando prima i
suoi compagni di viaggio, poi la madre e quindi la figlia, disse
“Credo sia ora di andare, no? La ringraziamo davvero per
l'ospitalità ma non possiamo trattenerci oltre.
Azzurra?” la chiamò in modo gentile “Ci
vediamo domani, allora, intesi?”
Quella
accennò di essere d'accordo con un movimento impercettibile
del capo
“E
mi raccomando...” disse Kemal passandole accanto sorridente
“Prepara tanti fogliettini bianchi per suggerirci le risposte
giuste!”
La
battuta molto cordiale, quasi un messaggio in codice a doppio livello
di lettura, appropriata e spontanea riuscì a farla reagire
“Ecco perché fate tutti i gentili, oggi,
approfittatori che non siete altro!” disse poggiando il pugno
chiuso sulla sua spalla, riuscendo, finalmente a intervenire a dar
credito alla loro montatura “Vedrò cosa posso
fare...” e dicendolo sorrise di cuore.
Erano
persone malvagie? A quel punto non importava. Riuscivano a guardarla
dritto negli occhi e a tirarle anche su il morale. Questo a lei
bastava. E che le facessero quello che dovevano. Loro potevano.
Li
accompagnò alla porta. Si accorse solo allora che non
avevano auto né moto né qualunque altro mezzo di
locomozione. Come l'avevano raggiunta in quel posto sperduto? Dove
avrebbero trascorso la notte?
“Allora
a domani..” la salutarono in coro. Il francese e il tedesco
si incamminarono, ombre scure e invisibili nella notte, lasciando Kemal
indietro. “Mi raccomando...” le disse quest'ultimo
“sii puntuale..”
La
voce, notò, aveva una velatura di preoccupazione. Ma non
riuscì a dedicargli abbastanza attenzione che quello,
inaspettatamente, si chinò appena e la baciò
sulla guancia. Quindi la salutò al volo e corse dietro agli
altri.
Azzurra
rimase sulla porta a lungo, guardandoli andar via, verso la strada
principale.
Un
bacio sulla guancia, nulla di sconvolgente, un gesto considerato antico
e banale, destinato solo ai bambini o agli animali da compagnia. Era un
gesto ritenuto sconveniente, anche tra compagni e fidanzati. Nessuno lo
usava più.
Forse,
proprio per questo, ne fu sconvolta profondamente. Era una richiesta di
intimità e complicità paradossalmente
più profonda di un bacio a fior di labbra.
Quella
notte, Azzurra quasi non chiuse occhio: aveva litigato con la madre
alla vigilia della partenza. O alla vigilia di un esame, nel caso in
cui decidesse di non partire. In ogni caso, non era una bella
situazione.
Chiusa
la porta e tornata in cucina, aveva trovato sua madre ad attenderla.
Stava sistemando, quasi con rabbia, il tavolo lasciato in disordine dal
gruppetto. Quando si era accorta della figlia, si era prodigata in una
serie di domande, per lo più accusatorie, sul
perché non fosse stata tenuta informata sull'evolversi delle
cose e sul perché la ragazza sembrasse avercela tanto con
lei.
“Mamma...”
Azzurra aveva tratto un respiro profondo, decisa a restare calma
“Tu non sei assegnata a un 24...ti vergogni di me come
figlia. Da quant'è che non ti fai più vedere con
me? Fino a qualche anno fa eravamo tutti i giorni fuori assieme, per
questa o quella commissione, per un caffè, sfogliando una
rivista e commentando le immagini, per guardare le vetrine...e
ora?”
“Tu
sei impazzita... li odi e non sai nemmeno di cosa stai parlando quando
li accusi ingiustamente...” aveva replicato secca e rigida la
madre
“Ah
sì?” aveva chiesto lei di rimando, accigliata
“D'accordo...” aveva concesso, dopo un attimo in
cui stava per perdere le staffe “... ok...sorvolando sul
fatto che nessuno mi ha dato motivazioni sensate di una tesi contraria,
ci sto: sono disturbata! Perfetto. E per questo mi tieni alla larga?
Che mi vorresti rinchiudere in manicomio?”
“Io
non....” aveva cominciato a difendersi l'altra
“Io non cosa? Che
hai sempre deriso quelli che la pensavano diversamente! Hai sempre
detto che sarebbe stato giusto abbatterli... e ti stupisci del
perché all'università ci sia un gruppo che tenta
di ghettizzarmi?” Ogni tentativo di mantenere il controllo
era stato vano: mesi di frustrazione avevano rotto gli argini come un
fiume in piena che trova una crepa della massicciata. “Ma
sopratutto... ti stupisci perché c'è chi mi vuole
comunque accanto a sé, nonostante sia diversa, nonostante
sia strana e possa metterli in pericolo?”
La
discussione era poi degenerata, tirando in ballo fatti ormai vecchi e
sepolti, quali il non aver mai ascoltato le sue esigenze e i suoi
desideri, dalla scelta dell'arredo di camera sua, costoso e fragile,
alla scelta della scuola superiore al tal giocattolo negato da bambina.
Azzurra si rendeva benissimo conto che era tutta una forzatura,
perché in realtà era stata sempre una bambina
molto amata e le scelte fatte, forse un po' indirizzate, sempre
ragionate e sempre per il suo bene ma non riusciva più a
contenersi e lacrime di nervosismo le avevano gonfiato gli occhi e
solcato le le guance arrossate. Il tutto si era concluso con porte che
sbattevano e cene solitarie.
Proprio
un bel modo di passare l'ultima sera con la propria madre. Con il padre
in ospedale, tra l'altro, la cui visita le sarebbe stata comunque
preclusa, l'aveva informata 24, senza aver avuto modo di salutarlo e di
chiarirsi sullo spiacevole inconveniente.
“A
cosa pensi?” chiese 24 quando lei si rivoltò
ancora una volta nel letto
“Non
so...” cominciò “...Secondo te? Devo
partire?”
Si
sorprese. Stava chiedendo all'essere che doveva controllarla se,
secondo lui, avrebbe dovuto tentare di divincolarsi da quel legame
soffocante. Che sciocca. Era strano che l'avesse assecondata fino a
quel momento.
“Io
credo di sì...” fu la risposta dopo qualche
istante di silenzioso
“Ma...
non li ho salutati...”
“Vedrai...
capiranno...” Anche 24 si sorprese nello scoprirsi
così accondiscendente e comprensivo “Sono sempre i
tuoi genitori...”
Rimasero
immersi ciascuno nei propri pensieri per un po'.
“E
tu?” domandò lei, improvvisamente allarmata
“Cosa ti succederà?”
“Non
lo so... ma, dato che pare che non controllino granché,
dirò che hai fatto tutto nei momenti in cui c'era
l'automatico al posto mio... E' molto probabile che mi declassino ma...
Non so se essere spaventato, se sperare che tu ce la faccia...
sinceramente non so più cosa pensare, davvero...”
“Sai..?
In fondo, mooooolto in fondo, non sei così male... da un
lato mi dispiace averti ostracizzato per tutto questo tempo... ma,
dall'altro, ringrazio di averlo fatto perché altrimenti
avrei perso di vista i miei obbiettivi” sbuffò in
preda a una piccola crisi
“Ma
ora stai dubitando per motivi tuoi... io non c'entro...”
disse lui confuso
“Già...
come te, non so bene cosa fare... lasciare tutto? In questo modo? O
rinunciare? Tanto sarebbe un'impresa da folli, morte certa e forse
anche una trappola? Non lo so...”
“Allora
dormi... permettimi un'ultima gentilezza...” mentre 24 diceva
così, Azzurra si sentì improvvisamente
stanchissima. Cedette subito al dolce invito di chiudere gli occhi. Ma
ormai erano le due di mattina passate.
Scusa per
ieri.
Buon esame
La
scritta, autografa della madre, campeggiava su un quadratino di carta
azzurro lasciato al centro del tavolo da pranzo. Erano le otto del
mattino. La madre era fuori per il consueto giro in bicicletta salutare
anti-Alzheimer. Sarebbe rientrata solo un paio d'ore dopo, dovendo
passare dal fiorista e dal panettiere nel paese vicino oltre che
fermarsi a fare quattro chiacchiere con un'amica davanti a una
colazione nel bar, situato nel centro dello stesso.
Azzurra
sbuffò. Forse era il caso di smetterla di giocare alla
piccola ribelle e mettere la testa a posto. Accettare il fatto che le
sue fossero paranoie che condivideva con un piccolo gruppo di
squilibrati. Forse era il caso di andare a fare quel benedetto esame.
Era
davanti al bivio. E ora doveva fare la sua scelta. Se era intenzionata
a rimanere, come avrebbe giustificato ai suoi il mancato esame? Doveva
comunque uscire di casa e fingere di averlo dato? O era meglio simulare
un malore? Il problema era che non era abile a camuffare una menzogna.
Lo
scampanellare alla porta interruppe i suoi pensieri. Erano sicuramente
i tre del giorno prima. Andando alla porta di domandò se
fosse la scelta giusta, partire con loro.
Poi,
un flash.
Immaginò
sua madre che la aspettava per cena, da sola, col marito ricoverato. Le
lancette dell'orologio che giravano a vuoto nel silenzio della sala
carica d'angoscia. La donna senza alcuna notizia della figlia. I
tentativi a vuoto di contattare il cellulare. L'immaginò il
giorno seguente, le profonde occhiaie date dal poco sonno della
preoccupazione. Le telefonate in sede, smuovere Cortes a indagare,
mobilitare la polizia che si sarebbe allertata solo dopo 24 ore. La
difficoltà nel reperire gli agenti essendo, i crimini,
divenuti sempre più rari dal cambio della guardia.
Immaginò come si sarebbe accostata al marito per
comunicargli la notizia e l'angoscia di una coppia per la scomparsa
improvvisa e inspiegabile dell'unica figlia. Senza la consolazione di
un corpo o di un fidanzato geloso o di un rapinatore da incolpare.
Il
nulla.
Questo
aveva per la mente quando aprì la porta ai tre stranieri che
entrarono in casa concitatamente, domandando dove avesse i bagagli, se
fosse pronta, se avesse preparato questo o quello.
“Che
c'è?” domandò infine Kemal notando il
suo sguardo assente.
Azzurra
si riscosse. Si strinse nelle spalle e andò alla finestra.
Non osava guardarli per non vedere la delusione che avrebbe sicuramente
scatenato.
“Io...
io non vengo... scusatemi...” disse d'un fiato
Calò
un silenzio carico di imbarazzo. Quindi sentì Frederick
sospirare, spostare una sedia e sprofondarcisi dentro “Ve
l'avevo detto!” disse deluso
“Beh...
immaginiamo di sapere perché... dopo ieri
pomeriggio...” aggiunse Alain.
Azzurra
chinò solo il capo, schiacciata dal senso di colpa.
“Tanto
eravamo preparati anche a questa evenienza...”
sbuffò Kemal seccato
“Perdonatemi,
vi prego... forse... non merito un livello 24...” stava
blaterando, pronta a sciogliersi a piangere, quando l'arabo le fu alle
spalle. La abbracciò, ancora una volta la schiena di lei
contro il petto di lui, senza costringerla a voltarsi.
“Sappiamo cosa stai passando” disse Frederick. Gli
occhi le si fecero lucidi. Provava compassione di se stessa oltre che
un disgusto indicibile. Eppure quei tre erano ancora lì, a
consolarla.
“Ed
è proprio per questo che dobbiamo portarti via!”
disse decido Kemal alzando lo sguardo verso un punto indefinito al di
fuori della finestra.
In
un lampo, estrasse dalla manica sinistra un fazzoletto che
posò, delicatamente ma con forza, con l'altra mano sul volto
di Azzurra. In pochi istanti le cadde addormentata in braccio.
“Ora
parliamo tra noi maschi...” disse Alain con un ringhio
“Noi non possiamo sentirti e il narcotico non
durerà a lungo. Sappiamo che lo stato di trans non inficia
le percezioni esterne – altrimenti, in caso di
necessità non potresti svegliarla e farla fuggire
– né le comunicazioni.”
“Sappiamo
che starai già allertando la squadra di soccorso. In caso
contrario, siamo noi che ti chiediamo di farlo. In questo modo potresti
ricavarne una via d'uscita anche tu.” Aggiunse serio Frederick
“Sappiamo,
inoltre, che voi due eravate isolati già da un pezzo alle
comunicazioni delle alte sfere. A te non interessa sapere come abbiamo
fatto... se sia stata lei o se siamo stati noi a intrometterci nel
flusso di dati...” continuò Kemal
“Beh...
è un 24” si intromise Frederick, alzandosi per
dare una mano all'arabo nel tentativo di mettere a sedere Azzurra.
“Gli basterà pensare che saremmo davvero poco
furbi a intrometterci al suo livello e non a uno più alto,
se avessimo i mezzi Quindi dedurrà subito che non siamo
così avanzati...” I tre parlavano come tra di
loro, scrutandosi truci essendo, per loro, privi di alcun chip o
marcatore, la presenza di 24 totalmente irreale e impalpabile.
“Ma anche che i rivoltosi sono già pronti a ogni
evenienza... e forse la ribellione parte dall'interno... più
di quanto lui stesso non pensi...”
“Sappiamo
di avere pochissimo tempo prima che il tuo allarme materializzi
qualcosa a nostro danno. Noi ora ci porteremo via Azzurra. Sappi che
prima le asporteremo il chip e che una volta tolto lo smagnetizzeremo o
lo frantumeremo. A quel punto cadrà ogni contatto.”
-
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
:3
da qui comincia la parte che mi piace di più. Quella della
fuga, anche se non sarà così rocambolesca come
avrei voluto. E avremo modo di conoscere/approfondire altri personaggi,
finora rimasti sullo sfondo.
A
presto!
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Capitolo 9 *** Ready? (Parte II) ***
9.
Ready?
Go!
Dalla
sua postazione, 24 ascoltava le indicazioni dei ribelli con grande
attenzione. Non aveva ancora dato l'allarme. La mano sollevata a un
centimetro dal pulsante manuale rosso delle emergenze. Non sapeva
spiegarsi il perché. Forse voleva che gli umani ce la
facessero. Forse sperava di riprendere il controllo, anche solo
all'ultimo momento.
Tanti
interrogativi, nessuna risposta.
Tutt'intorno,
nessuno sembrava essersi accorto di nulla. Non si vedevano Karibo, non
si vedeva la Hashmallim. Forse erano davvero isolati in una bolla tutta
loro da cui filtravano solo impulsi positivi. Che fosse possibile?
Oppure non c'era alcun controllo sugli Akero di classe superiore?
Decise
di aspettare fino alla fine: si sarebbe inventato qualcosa.
Azzurra
riprese i sensi dopo pochi minuti. Si trovava seduta in cucina, le
gambe distese sul tavolo rotondo.
“Cos'è
successo?” chiese intontita prendendosi la testa tra le mani.
Aveva la vista sfocata, tutto oscillava e le sembrava di essere una
nave in un mare in tempesta.
“Sei
svenuta sulla soglia...” mentì Kemal, sperando che
il Potis fosse troppo impegnato a dare l'allarme per contraddirlo.
“E'
così?” chiese Azzurra al vuoto. I tre, rendendosi
conto che lei stava chiedendo conferma al suo protettore, si
irrigidirono, sudando freddo. Arrivavano ancora impulsi attivi
dall'Akero? “Ah...ok...scusate...” disse chinando
il capo: 24 aveva retto loro il gioco. Perché?
“Dev'essere stato un calo di pressione...” li
informò pensando alla conversazione tenuta, di cui aveva
brandelli che le vagavano nella mente: forse era solo frutto della sua
smodata fantasia “Mi succede spesso quando...penso troppo...
Stavamo dicendo?”
“A
cosa pensavi con tanta preoccupazione?” chiese Alain
comprensivo ricominciando con la sceneggiata. Dovevano convincerla a
partire, con le buone o con le cattive. E non avrebbe fatto certo male
– oltre a erodere tempo prezioso – tentare una
seconda volta per evitare traumi di sorta.
“Ci
ho pensato molto...” disse la bionda sospirando. Il fatto di
essersi immaginata raccontarlo già una volta le rese
più facile vuotare il sacco “Io non vengo con voi.
Ho cambiato idea, mi dispiace...”
Kemal
sbuffò. Avevano davvero creduto che bastasse farla dormire
perché sognasse un modo diverso per uscire dall'impasse? No:
evidentemente era fortemente decisa a ledersi pur di non far soffrire
la sua famiglia.
Guardò
prima Alain, poi Frederick. Sapevano che avevano i minuti contati.
Dovevano allontanarsi da lì il prima possibile.
Un
movimento secco del braccio e Azzurra gli ricadde, scomposta, tra le
braccia.
Subito,
Alain sfilò un rotolo di stoffa da sotto la giacca e lo
svolse sul tavolo rivelando attrezzatura medica sigillata e
lucentissima. Nel frattempo, Fred scandagliava il corpo della ragazza
con uno strano marchingegno. A intervalli regolari lampeggiava,
emettendo uno squillo sommesso, che si faceva sempre più
frequente man mano che si avvicinava all'esatta allocazione del chip.
“Girala,
per cortesia...” sbuffò rivolto a Kemal che lo
guardò con tanto d'occhi. “Deve avercelo sulla
schiena...girala!” ordinò
“Avanti,
Kemal! Non è il caso di farsi prendere
dall'imbarazzo!” lo incalzò anche Alain. Rosso di
vergogna, l'arabo si girò la ragazza tra le braccia.
“Prendila in braccio che fai prima!”
ringhiò il capogruppo “Fred, aiutalo, prima che la
faccia cadere...” Detto fatto, il tedesco mollò il
marchingegno sul tavolo. Prese Azzurra per le spalle, mentre Kemal si
sedeva alla svelta, quindi gliela risistemava addosso: le braccia oltre
il collo, dove poggiava la testa, le gambe a cavalcioni.
“Non
so se è una cosa intelligente...”
replicò il moro cingendole collo e vita con le braccia
“E' un peso morto. Mi scivola di dosso. Non possiamo usare il
tavolo come pianale per operare?”
“Se
non ti facessi tanti scrupoli a tenerla stretta...” rispose
Alain senza nemmeno guardarlo, intento a preparare del cotone per
disinfettare la pelle della ragazza “Non sarebbe
così attratta dal suolo: stringi la presa e non fare il
bambino. Non è di cartapesta.”
“Appunto...”
replicò ancora Fred “E il tavolo ci serve per
tenerci gli strumenti. Se ce la poggiassi sopra non riusciremmo a
raggiungere il punto da incidere...” disse indicando il
tavolo rotondo.
Ragionando
un attimo, Kemal non poteva non dar loro ragione: se l'avessero tenuta
sul bordo, alla giusta distanza per operare, sarebbe stata appoggiata
solo per una ventina di centimetri; se fosse stata completamente
adagiata sul piano, si sarebbe ritrovata al centro del cerchio, troppo
distante per qualunque manovra. Fondamentalmente, il tutto sarebbe
stato troppo macchinoso e la soluzione in cui si trovava era quella che
offriva il miglior risultato col minimo sforzo. A suo discapito.
“Verginello!”
lo canzonò Fred riprendendo l'attrezzatura e puntandola
sulla schiena “Sti stronzi...” ringhiò
quando lo scampanellio della macchinetta divenne un sibilo uniforme,
che indicava l'individuazione precisa dell'obiettivo
“Gliel'han messo tra le scapole...”
“Non
vorrai spogliarla?” urlò disgustato l'altro non
appena il tedesco si apprestò a sollevarle l'ingombrante
maglione.
“No,
davvero, come pensi che Alain possa operare? Sarebbe meglio se la
operassimo attraverso il maglione che ha addosso...? Così da
prendersi una bella infezione?” sghignazzò con
perfidia il biondo sollevando maglione e canottiera, rivelando la pelle
nuda della schiena “O preferisci che faccia quattro tagli su
spalle e fianchi, così poi sì che ti resterebbe
nuda tra le braccia?”
“Smettila
di scherzare e tieni alzata quella roba...” lo
rimbrottò il francese, accostandosi con una lente
d'ingrandimento alla pelle esposta “Guarda qui che forellino
preciso: sembra solo una puntura d'insetto1...”
disse indicando al tedesco con la coda del bisturi e scatenando la
curiosità dell'arabo, che non sarebbe mai riuscito a vedere
nulla “Ci credo che non lo trovava: è il punto
più difficile da raggiungere. Da soli. E quelli
più sospettosi, e più sorvegliati, sono anche
soli come cani, di solito. Emarginati...mi fanno pena...”
“Meglio
che non finire nei lager Fema2...”
biascicò Kemal da dietro i capelli della ragazza. Tacque per
evitare di far riaffiorare ricordi spiacevoli nella mente dei presenti,
anche se ormai era tardi per tacere.
Azzurra
non era certo la più agguerrita oppositrice degli invasori:
lei apparteneva al secondo grande gruppo di recidivi: quelli che
viaggiavano sul filo del rasoio, che potevano essere ancora
riconvertiti alla causa Akero. Tutti gli altri, quelli senza speranza,
i manifestanti attivi, in piazza come in rete, erano stati fatti
sparire gradualmente per il quieto vivere: troppo chiassosi e rissosi,
erano incontrollabili e per questa ragione erano stati radunati in
luoghi preposti, dove avrebbero potuto urlare, tranquillamente, il loro
dissenso. I vertici alieni continuavano a ripetere che non era stato
torto loro un capello ma nessuno dei ribelli, o aspiranti tali, si
beveva la versione ufficiale. Tutti temevano che la realtà
fosse ben diversa e che i dissidenti fossero stati fatti tacere una
volta per tutte. E che i campi Fema fossero, in realtà, solo
delle distese infinite di fosse comuni.
Alain
fu rapido: incise la pelle e liberò il piccolo frammento di
vetro e metallo dall'intreccio dei muscoli, come non fosse altro che
una piccola pustola in un'operazione di routine. Quindi,
ricucì tutto con l'abilità del maître
di un'atelier di alta sartoria. Fred, con la mano libera, disinfettava
e tamponava il poco sangue che fuoriusciva dal taglio.
Dopo
cinque minuti di concitata operazione, tra le scapole di Azzurra
campeggiava un bel quadrato bianco bloccato da nastro cerato.
“Noi
andiamo...” disse Kemal caricandosela in spalla, sempre
più imbarazzato, una volta che Fred l'ebbe ricoperta e, in
qualche modo, le ebbe rimesso la canottiera nei pantaloni.
“No...facciamo
così...” replicò Alain lasciando cadere
il chip, grande poco più di un chicco di riso, a terra e
disintegrandolo sotto il tacco del proprio stivale. Uno sfrigolio
statico e il brillio di qualche scarica elettrica accompagnarono la
morte del congegno “La porto io...tu va a prendere il cavallo
che tengono nella stalla...tanto servirà più a
noi che ai suoi...”
“E
porta anche il cane: da quello che ho capito è lei che
considera capobranco e lei ci è, comunque, molto
affezionata...” aggiunse Frederick “Io
prenderò i bagagli”
“Ma
non abbiamo abbastanza antiradar! Uno per il cavallo, d'accordo, ma...
il cane?” replicò l'arabo
“Allora
opero anche lui!” concluse il francese con un tono che non
ammetteva repliche. “Vallo a prendere, Kem!”
L'arabo
sbuffò, passò il carico della sessantina di chili
di Azzurra al tedesco e si diresse dove supponeva ci fosse il
bastardino. Quello dormiva tranquillo nella sua cuccetta ricavata da
una scatola. Su un lato era stato praticato un taglio che doveva
ricordare le aperture delle tane naturali. La lingua di cartone
ricadeva, quindi, sul pavimento e ricordava un ponte levatoio al cui
interno era stata posizionata con cura una trapuntina di pile. Quando
Kemal si avvicinò, Arek aveva già gli occhietti
nocciola spalancati e, come avvicinò la mano,
sentì battere all'interno la codina contro il cartone.
Sorrise. Per questo amava gli animali. “Su, vieni, non vorrai
lasciare da sola la tua padroncina, vero?” Il cane si volse
supino a dimostrare la propria totale sottomissione all'uomo che fu
costretto a tirarlo su di peso e portarlo in braccio al compagno.
“Non ti preoccupare...”
Kemal
l'aveva posizionato sul tavolo della cucina mentre armeggiava
nuovamente con il narcotico e con del cibo. La bestiola, dalla sua
posizione privilegiata, stava seduto a osservare curioso quello che
combinavano gli umani attorno a lui. “Su...qui..”
disse Kemal tendendogli la mano chiusa a pugno in cui nascondeva il
bocconcino drogato. Quello puntò il tartufo nella piccola
apertura del pugno e, incuriosito dall'odore dolciastro,
forzò la mano ad aprirsi piantando ben bene il muso nel
fazzoletto, pregno anch'esso di narcotico, in cui era nascosto il cibo
che sgranocchiò avidamente. Immediatamente
sbadigliò e si acciambellò su se stesso, pronto a
dormire ancora. A quel punto, Alain si avvicinò, bisturi
alla mano.
“Sei
un mago con gli animali...” fu l'unico commento neutrale
mentre palpava velocemente le giunture della bestia. Incastrata nella
scapola, tra la zampa anteriore destra e la cassa toracica, si sentiva
distintamente l'innesto simile a una calcificazione. Incise rapido e
cominciò a districare i nervi quando, con sorpresa di tutti,
il cane alzò la testa, si voltò, si
mordicchiò il fianco, lontano dalla zampa su cui stavano
operando, e tornò a dormire come nulla fosse.
“Ma
sei sicuro di averlo narcotizzato?” chiese il tedesco con gli
occhi fuori dalle orbite per la sorpresa
“Credimi:
gli ho dato una dose da cavallo...non so come sia stato
possibile...”replicò Kemal rigirandosi tra le mani
il flacone mezzo vuoto. Il francese finì velocemente di
togliere l'innesto, quindi cucì sommariamente la ferita e lo
fasciò. Lo adagiò, poi, nel suo trasportino, che
l'arabo aveva visto e recuperato accanto alla cuccia, insieme alla sua
copertina.
Frederick
passò Azzurra ad Alain e si caricò il trasportino
in spalla. Si diresse, sicuro, in camera della ragazza, dove sapeva
esserci i bagagli, mentre gli altri due cominciavano i preparativi per
la partenza: avevano già spostato tutti i cavalli,
già imbracati, nelle vicinanze della stalla e non dovevano
far altro che recuperarli.
Trovò
facilmente la stanza della ragazza ma non prese tempo a guardarsi
intorno: quella camera, d'altronde, a lui non diceva proprio nulla
né scatenava alcuna nostalgia. Era solo un ammasso di
oggetti di vario tipo sugli scaffali, due computer dotati di scanner e
stampanti, impianto stereo, un armadio a muro dalle ante scorrevoli,
acchiappasogni alle finestre, il comodino ridotto a mini toletta
stracolmo di prodotti e accessori di bellezza. Forse una camera un po'
anomala per una ragazza. Non un tocco di rosa o di quel particolare
tipo di ordine che solo le ragazze sanno avere. Era semplice, quasi
spartana, traspariva durezza, intransigenza e un carattere particolare
e non facile. Le valigie (dei vecchi, semplici e leggeri borsoni di
tela) giacevano abbandonate ai piedi del letto ma non erano state
disfatte, a testimonianza del forte conflitto interiore di Azzurra: li
aveva stipati di roba da vestire ed effetti personali, le uniche cose
che davvero le sarebbero mancate. Da una tasca, vide spuntare il
fagotto incartato nell'alluminio di un hard disk portatile. Sorrise a
quella ingenuità: certo loro potevano vantare il possesso di
ogni tipo di supporto informativo, ma nulla avrebbe mai potuto
sostituire l'ordine e le preferenze che la ragazza aveva stipato nella
sua memoria, proprio per non doversele ricordare, né
eventuali documenti creati dal nulla. Lo sistemò in modo che
non fosse rintracciabile dai satelliti e si caricò del peso
dei bagagli.
Una
volta all'aperto trovò Kemal sul suo frisone nero con
Azzurra stretta addosso, seduta all'amazzone. Una complicata
imbracatura la teneva stretta al compagno. Il cavallo era coperto da
una lunga gualdrappa di colore scuro, una rete a maglie abbastanza
grosse, lo stesso tessuto in cui si erano avvolti anche i cavalieri.
Alain, invece, stava montando in quel preciso momento.
“Grazie
della premura, ragazzi” disse il tedesco notando che la sua
indisciplinata cavalcatura era ora dotato di sella a cui avevano
assicurato le redini del pony di Azzurra e al cui collo pendeva
l'ultimo congegno antiradar. Passò il carico del cane al
francese e si sbrigò ad assicurare i bagagli sul destriero
libero, un giovane esemplare di Sorraya3.
Legò tra loro i manici dei borsoni, disponendone uno per
ciascun fianco dell'animale, in modo che il peso fosse bilanciato per
non cadere e distribuito sull'animale. Una volta ch'ebbe finito,
salì al volo, mentre gli altri cominciavano già a
muoversi, senza nemmeno curare le staffe che avrebbe, eventualmente,
regolato per strada. Lo stridio di Zahra dal tetto della casa,
appostata come una piccola sentinella, annunciò la loro
partenza.
Davanti
ai monitor sfrigolanti per l'incapacità di rintracciare il
segnale andato perduto, 24 era rimasto a bocca aperta. Si aspettava
almeno un qualche commento caustico da parte dei tre. Invece tutto era
finito di colpo: quasi non gli sembrava vero.
Trafficò
subito, convulsamente, nel tentativo di ripristinare la connessione.
Che diavolo era successo? Prima dovevano estrarle il chip e
distruggerlo ma Azzurra era ancora vigile: “Ho cambiato idea.
Mi dispiace” Erano le ultime parole che le aveva sentito
dire. Come potevano essere riusciti nell'operazione se lei aveva ancora
in corpo il marcatore? Non gliel'avevano estratto quand'era svenuta.
Notando che i tentativi andavano a vuoto, si risolse a pigiare il
grosso pulsante rosso che campeggiava a lato del suo sedile, come
chiesto dai tre umani e come era suo dovere.
Immediatamente
la sirena assordante, che aveva già avvertito quando aveva
sconfinato la propria zona operativa, invase l'aria. Le pareti
cominciarono a lampeggiare di rosso e giallo. E, in davvero poco tempo,
la Hashmallim fu al suo fianco accompagnata da un uomo che 24 non aveva
mai visto. Dalla divisa, però, capì che erano
state allertate anche le forze di polizia.
“Che
è successo?” proruppe la donna, visibilmente
infastidita.
“Non
ne ho la più pallida idea..” si
giustificò pateticamente lui “E' saltata la
connessione e non riesco a ripristinarla in nessun modo...”
“Alzati...”
disse l'uomo prendendo prepotentemente il comando della sua postazione.
Trafficò anche lui per un po' sulla strumentazione
finché non digrignò i denti e si arrese
“Il marcatore è distrutto...ci credo che non la
trovi...”
La
Hashmallim sbiancò.
“Ma
come è possibile?” Protestò 24
“Era viva quando è saltato tutto!”
“L'unica
giustificazione è che sia stata una scarica elettrica che
abbia inibito il chip per il tempo strettamente necessario a
estrarlo... Chi è stato?” chiese ancora l'uomo
fulminandolo con lo sguardo, ritenendo lui colpevole di quanto accaduto.
“Erano
tre uomini e sembravano in buoni rapporti con il soggetto. Io non li
avevo mai visti prima né mi è parso fossero
conoscenze virtuali del soggetto. Hanno detto di essere assegnati a
livello tanto basso di vigilanza da dover condividere uno di noi con
altri...”
“E
tu gli hai creduto?” l'occhiata gelida della donna esprimeva
al meglio quello che le passava per il cervello: lo riteneva
sicuramente in combutta con Mat-mon. E poi era stato trovato troppe
volte, in pochi giorni, sulla scena del crimine.
“Certamente
no. Ho subito cominciato i controlli ma non avevo ancora finito quando
è successo...” rispose indicando con la mano i
monitor che emettevano quelle fastidiose scariche elettrostatiche.
“Dovremo
accertare...” disse l'uomo facendo un cenno oltre 24 che,
improvvisamente, si trovò schiacciato a terra, i polsi
stretti dietro la schiena e un peso, che sembrava quello di un grosso
scarpone, tra le scapole.
“24!”
sentì urlare da poco distante mentre veniva tirato su di
peso. Avvolto e bloccato in una gabbia elettromagnetica non
riuscì a distinguere nemmeno con la coda dell'occhio chi
l'avesse chiamato ma, dalla voce, gli era sembrato che si trattasse di
Loki. Chiuse gli occhi, stranamente stanco, sperando in cuor suo che
l'amica non commettesse qualche sciocchezza e che non finisse coinvolta
anche lei in quella serie di eventi vorticosi.
Il
passo dei quattro cavalli si era ormai sincronizzato anche se non
viaggiavano accorpati. Avanzavano rapidi ma tranquilli, al passo
ritmato del canter4, leggeri
sulla terra, poggiando una zampa alla volta. L'andamento era ritmico e
dolce ma solenne e marziale. In testa, Alain controllava costantemente
il cielo per essere sicuro di andare nella direzione corretta e alla
ricerca costante di punti sicuri dove appartarsi. Non ce l'avrebbero
mai fatta a rientrare in giornata erano partiti troppo tardi e
viaggiavano appesantiti rispetto all'andata. Meglio fare le cose con
tranquillità ed evitare errori dati dalla stanchezza: il
grosso era fatto e un giorno in più non avrebbe certo
compromesso la missione. L'ondulazione in groppa alla bestia somigliava
al cullare vigoroso del mare.
Nel
dormiveglia, Azzurra immaginò di cavalcare un ippocentauro.
Ma quando la sua mente le suggerì che forse non si trattava
di un sogno, si svegliò di colpo, subito consapevole di dove
e con chi fosse. Non si meravigliò nemmeno dell'imbracatura
che le teneva le braccia bloccate tra gomiti e spalle, consentendole
solo movimenti minimi.
“Avevo
detto di no!” ringhiò nell'orecchio di Kemal senza
dargli alcun preavviso, essendo la sua testa poggiata proprio
sull'incavo del collo di lui.
“Oh,
ben svegliata...” celiò Frederick
“Che
cavolo mi avete fatto???”protestò ancora lei
cercando di muoversi ed avvertendo un lieve pizzicore tra le scapole
“E
sta un po' ferma!” fu la risposta seccata dell'arabo che,
nonostante tutto, era riuscito a mantenere il sangue freddo e a non
farsi disarcionare dal nervosismo improvviso del frisone.
Azzurra
si sentì tirare la schiena in un punto preciso tra le
scapole e capì che le avevano asportato il marcatore: un
punto proprio infame per piazzarle il congegno. “Dove
siamo?” chiese con rabbia e rassegnazione
“Abbastanza
lontani da casa. Hai dormito per un bel po'...” fu la
risposta di Alain
“Stronzi!”
“Oh,
buongiorno, ci siamo alzati col piede sbagliato?” chiese
retorico
“E'
così che ci ringrazi?” ringhiò Frederick
“Avevo
detto di no!” ribadì lei
“Sì,
lo sappiamo e sappiamo perché. Ma non temere: il tuo
amichetto avrà già dato l'allarme. Sicuramente
avrà detto a tutti che sei stata rapita: quindi, tu non hai
colpe e i tuoi possono stare abbastanza tranquilli. I cattivi siamo
noi...” sputò, tagliando duramente le parole con
improvviso accento marcato.
Kemal
sentì Azzurra irrigidirsi contro il suo petto e subito dopo
quasi rilassarsi. La vide voltare solo lo sguardo sulla criniera del
cavallo. Forse si era tranquillizzata, afferrando le parole del
compagno: se effettivamente fosse stata rapita non aveva nulla di cui
angustiarsi, rimuginando sui saluti e le pacificazioni mancate.
Dopo
un po', però, la sentì domandare “Come
avete fatto?”
“Cosa?”
chiese Alain paziente
“A
togliermelo...e a portarmi via...” rispose piccata, quasi
offesa che nessuno le leggesse nella mente
“Beh...Kemal
ti ha stesa, ben due volte, ma giustamente la tua memoria a breve
termine è stata danneggiata in entrambe le occasioni.
È normale che tu non ricordi...”
cominciò tranquillo il francese
“Cosa
mi hai fatto?” ringhiò lei all'uomo a cui era
vincolata
“Oh,
non far troppo la principessina delicata...”
sbottò Frederick “Al primo tentativo ti abbiamo
narcotizzato, sperando che al secondo tu ci dessi risposta diversa e ci
seguissi docilmente. Poi ti abbiamo steso con un colpo di taser,
quindi....”
“Taser???”
strepitò voltandosi verso Kemal “Hai usato il
taser su di me? Ma potevi rendermi deficiente!” quello
roteò appena gli occhi in aria, forse pentendosi di averla
salvata “E poi da dove lo avete tirato fuori un taser???? non
sono più in commercio da...anni!”
“Ma
credi che siamo trogloditi che viviamo nelle caverne come al tempo dei
partigiani? Che non abbiamo nessuna comodità?” la
rimbeccò il tedesco, litigioso “Ma che ti credevi
che fosse la resistenza? E se ci pensavi così indietro, chi
è che ti ha dato la malsana idea di raggiungerci?”
“Per
me l'importante era liberarmi di loro...” fu la risposta
imbronciata “E poi cosa posso saperne io di come vivete! Mi
avete solo detto di non portar via peso inutile, tra cui
l'e-reader...”
“Ah...”
Kemal trattenne a stento una risata, beccandosi un'occhiata assassina
in risposta
“Quando
saremo lì vedrai che non ti
dispiacerà...” la rassicurò Fred
“Almeno..se ho capito abbastanza del tuo carattere dalla tua
stanza...” disse sorridendo. “Ma ti stavamo
dicendo: dopo averti fatto perdere i sensi, in modo da disturbare anche
la trasmissione dei dati, Alain ti ha operato. E' un
chirurgo...” precisò notando il suo sguardo
perplesso e stupito “Quindi ti abbiamo cucita e bendata e lo
stesso abbiamo fatto col tuo cane...” precisò
ricordandosene solo in quel momento. Si passò la borsa con
il cane da una spalla all'altra, restando in groppa al cavallo solo con
la stretta delle cosce, e le mostrò il contenuto del
trasportino. Dentro, Arek continuava a dormire tranquillo, l'orecchio
visibile che si piegava all'indietro di quando in quando per
allontanare qualche fastidio.
Azzurra
trattenne un gemito di gioia ma gli occhi le si fecero lucidi. Da quel
momento si fece decisamente più mansueta e docile.
Quando
arrivò il pomeriggio e il sole cominciava a calare
all'orizzonte, i ragazzi cominciarono a fare attenzione al paesaggio,
in cerca di un possibile rifugio per la notte. Avevano puntato ai piedi
delle montagne, mossa che li aveva costretti ad allungare il percorso,
ma almeno erano certi di trovare un paio di piccoli pertugi in cui
ammassarsi a riposare.
Alain
scese con un balzo e corse ad aiutare Frederick, prendendogli il cane
dalle braccia. Quindi, insieme, andarono ad aiutare Kemal. Il cavallo,
per qualche inspiegabile motivo, collaborò, inclinandosi sul
torso, stendendo una zampa e piegando l'altra, creando,
così, col suo corpo, uno scivolo naturale. Una volta tolta
l'imbracatura, l'arabo lo ringraziò con delle vigorose
pacche sul collo e sul sedere e diede, a lui e agli altri tre, delle
zollette nere grandi quanto il pugno di un bambino.
1
Quando l'ho scritto un po' volevo scherzarci su...invece, ecco qui.
Hanno già cominciato a pensarci davvero... Non è
ancora reale, come
vorrebbero alcuni, ma sono in corso gli studi per miniaturizzare i
meccanismi (con le nanotecnologie ormai è possibile fare
tutto). Certo
non sarà possibile usarle per piazzare chip. Ma per
diffondere veleni
e/o vaccini quello sì. Come tutte le cose, sta all'uomo che
le usa,
farne un buon uso.
2
Ancora una volta. I campi di detenzione FEMA, statunitensi sono il
corrispettivo dei nostri prefabbricati della protezione civile. Solo
che noi siamo attrezzati per fronteggiare le situazioni d'emergenza (di
qualsiasi tipo: noi abbiamo una certa familiarità con frane
e terremoti
ma le occasioni di impiego sono molteplici), con le regole che ne
conseguono. In America è cosa relativamente nuova e se ne
vede solo il
possibile rivolto distopico: ma si tratta di semplice prevenzione:
ancora una volta, come detto nel primo capitolo, tutto dipende da chi
usa cosa e in quale modo. L'idea dei campi come nuovi lager
c'è e non
si sa mai che in futuro una mente malata non la metta in pratica. Loro
li chiamano campi di detenzione (che non necessariamente è
sinonimo di
prigione) e sono piccole cittadelle già attrezzate e
perfettamente
funzionanti. Ci sono guardie armate a sorvegliare il perimetro:
eccerto, con quello che sono costate, ci mancherebbe che nessuno
vigilasse che i vandali (ce ne sono sempre a ogni latitudine) non
sfascino tutto. Noi, al contrario, abbiamo i nostri prefabbricati,
anch'essi controllati, che vengono spostati alla bisogna.
Teoria
e risposta alle
accuse di complottto
Ad
ogni modo, qui scelgo di seguire la teoria 'complottista'. Tenetelo a
mente perché tornerà più in
là!
3
Mi sono dimenticata di descriverlo nel capitolo 7. Il Sorraya doveva
essere un Palomino,
ma Azzurra mi ha rognato che il Palomino era troppo da brava ragazza,
aristocratico, borghese, frufru (insomma...il ragionamento contrario di
Kemal): meglio il Sorraia, che è testardo e cmq ha una bella
linea
slanciata. Ed è particolare con la sua zebratura.
4
Canter: andatura
ottimale per i tragitti lunghi in quanto essendo concede al cavallo di
sfruttare il "pendolo viscerale" rendendo questo tipo di galoppo meno
faticoso del trotto, ovvero, durante il movimento le viscere del
cavallo vanno a comprimere in modo ritmato i polmoni dello stesso
favorendo una respirazione regolare con un ridotto utilizzo muscolare
per la stessa.
-
- -
- -
- -
- -
- - -
Salve
a tutti!
Chiedo
scusa per il ritardo, ma avevo perso il conto dei giorni :P Mea Culpa.
Anche perché ero presa dal congedare l'ultimo capitolo della
fic su Labyrinth e dal preparare i bagagli prima della partenza.
Insomma
i nostri eroi sono - finalmente - partiti. E 24? eh eh eh eh
Seguitemi
e scoprirete la sua sorte ;)
a
presto
|
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Capitolo 10 *** You can do it ***
10. You
can do it.
If
you trust
Qualche
ora più tardi, dopo che tutti ebbero espletato i loro
bisogni fisiologici, si ritrovarono per una cena frugale. Ad Azzurra
non era concesso far nulla. Non che ci fosse poi molto da lavorare.
Osservò incuriosita come i tre dicevano di scaldare il cibo:
Alain pestò duramente un paio di sacchetti che sembravano
essere vuoti, ma che si gonfiarono all'istante, e li infilò
rapidamente in una strana busta argentata che gli porgeva Kemal il
quale, tra una e l'altra, infilava qualcos'altro.
Attesero
una buona mezzora, quindi si vide recapitare delle ciotole di legno con
del brodo denso e fumante. Lo guardò con
curiosità ma Frederick fraintese il suo sguardo
“Guarda che non è mica veleno...” disse
sedendolesi accanto
“No..mi
domandavo solo come abbiate fatto...”
“Si
tratta di...boh, un processo chimico, mi pare: i sacchetti che Alain ha
rotto contenevano due sostanze che, reagendo tra loro, provocano un
forte calore. La busta è termoisolante e nei bussolotti che
aveva Kemal c'era la minestra. Ne abbiamo giuste per
tornare...bleah!” disse assaggiando la sua “Alain!
Mi è capitata quella alla verza un'altra volta!”
“Io
ho quella alla cipolla. Vuoi?” chiese l'altro arrivando col
cucchiaio in bocca
“Sì,
meglio, grazie!” disse porgendogli la ciotola
“Tu
che hai trovato?” disse Kemal arrivando anch'egli con la sua
tazza e la busta sotto braccio.
“Carota?”
rispose Azzurra assaggiando
“Ti
va bene? O vuoi fare cambio?” chiese “A me
però è capitata quella ai piselli, non so
se...”
“No
no, va benissimo!” la ragazza si agitò per la
richiesta bislacca “Ma...è normale che vi
scambiate così il cibo?” chiese dopo un po',
rompendo il silenzio della cena
“Beh...noi
ci siamo abituati ma...sì...abbiamo regole un po' strane
là sotto...” Fu la risposta evasiva del tedesco
“Vedi...
siamo una piccola comunità...” cominciò
piano Alain
“Mica
tanto piccola...” rettificò Kemal
“All'incirca venti mila persone. Cerchiamo di creare poi
piccoli insediamenti autonomi da 5040 persone al massimo, a loro volta
distribuite in nuclei da 150. Quelli in esubero, come te, vengono
accolti momentaneamente nella capitale...”
“Le
Leggi di Platone?1
Caspita!” Azzurra spalancò la bocca, sorpresa
oltre ogni dire e non solo per le dimensioni del tutto: pensava che la
resistenza contasse al massimo un paio di decine di persone.
Il
francese annuì, orgoglioso che lei avesse subito colto
quella particolare citazione “Comunque...”
continuò, calato nel ruolo di capogruppo “Non
usiamo i soldi. Non ce n'è bisogno...e nemmeno il baratto se
telo stai domandando...”
“Siamo
lì perché abbiamo tutti qualcosa in
comune...qualcosa che condividiamo anche con te...”
precisò Fred puntando gli occhi sulle spalle della ragazza.
Azzurra capì: il desiderio di non avere parassiti tra i
piedi. Ecco cosa li accomunava tutti.
“Tutti
sono tenuti a fare qualcosa...qualunque cosa, a seconda della propria
naturale inclinazione... Ma prima ancora...tutti zappano, tutti
raccolgono, tutti lavano i piatti o servono in mensa. Ci sono i turni,
nessuno è esente e nessuno tenta di fare il furbo. E'
inutile nella situazione in cui siamo.”
“Situazione
eterogenea, come puoi aver capito...” Fu il turno di Kemal
inserirsi per precisare “Ognuno si porta dietro,
inevitabilmente, pregi e difetti del posto in cui è nato e
della persona che è essa stessa...ma si cerca di dare il
meglio...”
“Tutti
hanno fame o determinate necessità e quindi tutti lavorano.
E tutto è in comune. Ciascuno va e prende quello che gli
serve. Se tu lavori per 3 persone mangi comunque per uno. E' assurdo
stiparsi di cibo che non puoi mangiare. Per te ce ne sarà
sempre. Ma chi non ce la fa, per malattia o per altri accidenti...beh,
comunque contribuisce in altro modo al sostentamento della
comunità”
“Solitamente
i vecchi o gli invalidi si occupano di burocrazia...sì ne
abbiamo anche noi, non credere...un granello di sabbia in confronto al
mondo che abbiamo lasciato...ma serve per amministrare le cose, sapere
cosa c'è in sospeso, in deposito etc.” Disse
Frederick poggiando la ciotola a terra “Oppure insegnano,
intrattengono la comunità e i bambini, che ovviamente non
lavorano e ripagheranno più avanti...Se non sono in grado si
impegnano, si mettono a studiare per poi spiegare a loro
volta...”
“Vecchi?
Bambini? Ma avete detto che l'età adatta per liberarsi
è dalla seconda alla terza decade...” Azzurra era
sbalordita. Aveva sempre pensato ai fuggiaschi come ad uno sparuto
gruppo di adulti e basta.
“Beh...i
primi rifugiati risalgono ancora ai tempi della seconda grande
guerra...” borbottò Kemal “E...per i
bambini...ehi..io sono zio... mia sorella ha avuto una coppia di
gemelli a inizio anno...”
La
ragazza era sempre più sconvolta “E da
chi?” chiese con occhi colmi di curiosità e terrore
Kemal
la guardò di sottecchi, quasi offeso “Se ti ho
detto che siamo un crogiolo di ragazzi dai venti ai
quaranta...” sillabò levando un sopracciglio.
“Kem!”
disse Alain guardandolo storto e alzando appena il tono della voce
“Che
c'è?” protestò quello. Alain si
limitò a guardarlo intensamente, quasi gli stesse impartendo
un ordine telepaticamente.
“Che
c'è?” chiese anche Azzurra posando il suo sguardo
ora su uno ora sull'altro, senza capire e continuando a mangiare
ubbidiente.
“Nulla,
non preoccuparti...” intervenne Frederick
“Finitela, voi due...”
“Ma
se non ho fatto nulla!” protestò ancora Kemal
Fu
il turno di Frederick guardarlo con sarcasmo negli occhi, pregandolo,
al contempo, di tacere, per non peggiorare la sua situazione
“Che
ha fatto?” Domandò Azzurra inserendosi in quello
scambio di battute di cui non capiva nulla
“Non
ci provare....” biascicò Alain con tono duro
“Non
sto facendo nulla!” ribatté Kemal imbarazzato
“Ma
se me ne sono accorto anch'io” celiò Fred
“Provare
a far cosa?” fu l'ennesima domanda della ragazza.
I
tre la fissarono sbalorditi. Quindi sospirarono.
“Dimenticavamo...” “Lasciamo
stare...è meglio...e tu fa attenzione...”
“Sì sì...” e come se nulla
fosse successo, ripresero a pasteggiare.
La
stanza era buia. I suoni attutiti in lontananza, quasi assenti.
Nonostante si fosse ormai abituato a percepire ogni minimo fruscio, non
riusciva a decifrare quei suoni così distanti. Era immerso
nel buio e nel silenzio.
Come
sempre. Quando finiva in gattabuia.
Si
ritrovò a sorridere sarcastico degli ultimi avvenimenti e di
come un così alto rappresentante Akero avesse finito per
essere considerato alla stregua di un criminale. Si tirò a
sedere, avendo avvertito l'arrivo della guardia prima che varcasse
chissà quale soglia. Così, quando irruppe nel
bugigattolo, facendo intenzionalmente quanto più baccano gli
fosse possibile, lui era preparato e non infastidito più di
tanto.
“Hai
visite” disse con tono duro e sprezzante mentre le luci si
accendevano all'istante, accecandolo. Fu costretto a rannicchiarsi sul
suo giaciglio, una spoglia lastra di granito nero, per proteggersi.
Avvertì il Karibo premere qualche pulsante all'esterno della
cella. Subito una serie di meccanismi si misero in moto con un clangore
inaudito. Nel giro di mezzo minuto avvertì il passo leggero
di una donna scavalcare la soglia.
“Cinque
minuti, non di più!” disse brusco sbattendo la
chiusura ermetica della stanza.
“24!”
La voce di Loki, incrinata dalla preoccupazione, si avvicinò
rapidamente e due mani gentili e delicate lo avvolsero, cercando di
trasmettergli sicurezza. “Oddio, guarda in che stato
sei...” la voce le morì in gola e lui
capì che i lividi dovevano essere ancora evidenti.
“Cosa ti hanno fatto?” l'ansia, la rabbia, il
dolore, la preoccupazione, si mescolavano a creare un nuovo e unico
sentimento.
“Devo
essere caduto...”glissò 24. Dopo le minacce
ricevute non sarebbe stato così sprovveduto da mettere in
pericolo una delle poche persone che cercava di proteggere.
“D'altronde...qui di solito è buio
pesto...”
“Sicuro?”
“Stai
tranquilla!” disse allontanandosela di dosso. Lei
indugiò e le lunghe dita affusolate, nel retrocedere,
accarezzarono suadenti e lenitive i tratti somatici del ragazzo.
“Ho
saputo cos'è successo...mi dispiace tanto...”
cominciò fermandosi subito, non avendo idea di come
proseguire.
“E'
normale...fanno solo il loro dovere...specie dopo quello che
è successo a Mat-mon...” e dicendo questo la
fissò intensamente negli occhi, sperando che lei capisse.
Che capisse il messaggio che cercava di comunicarle, ovvero che le cose
erano collegate, che Mat-mon non era sparito nel nulla ma che forse
aveva abbracciato la causa umana. E che, a quel punto, anche lui
desiderava vederci chiaro.
Ma
Loki, pur non capendo lo sguardo del compagno, gli comunicò
comunque informazioni utili: la Lamassu capì solo in quel
momento quanto quello che dicevano gli umani ribelli fosse sensato: il
loro livello di attenzione era estremamente basso e non erano nemmeno
in grado di capire, da un'occhiata, le intenzioni dei compagni con cui
lavoravano gomito a gomito. Un bel vantaggio per gli umani.
“Potevano
trattarti con un po' più di riguardo, in ogni caso... sono
rimasta sconvolta per come ti hanno gettato a terra e... Potrebbe
succedere a chiunque di noi...” disse più afflitta
che spaventata.
“Così
dev'essere” disse lui sapendo che, ora più che
mai, erano tenuti d'occhio e non sapeva da dove li stessero osservando.
Per quanto potevano saperne loro, ogni muro poteva pure essere una teca
di vetro schermata. “E' il sistema...”
“Ma...tu
non hai fatto nulla!” strepitò improvvisamente
isterica, quasi avesse ripetuto quella frase centinaia di volte.
“Vero?” domandò infine, di colpo
perplessa.
24
la guardò ancora negli occhi, sperando di riuscire a
comunicarle qualcosa. Desistette quasi subito. Sbuffò
avvilito “Sì, io non ho fatto nulla....mentre davo
l'allarme, gli umani hanno detto che era strano che non mi fossi
accorto di nulla. Allora mi è venuto il dubbio che Azzurra
fosse riuscita a combinare qualcosa mentre io ero assente, per via di
Mat-mon...”
“Sono
molto più bravi di quello che pensassimo, allora?”
Loki sembrava disorientata. Ma nella sua voce si percepiva una velatura
di ammirazione.
Dimentico
di ogni accortezza, 24 si sentì urlarle “Lascia
perdere!” la afferrò per le spalle e la scosse
violentemente in un moto di rabbia che non gli apparteneva. Ma che allo
stesso tempo sentiva come istintivo. Loki non doveva assolutamente
pensare positivamente agli umani.
Quasi
immediatamente una scarica elettrica lo percorse da capo a piedi,
facendolo stramazzare al suolo. La luce si spense quasi
simultaneamente. Ma Loki aveva visto, anche se solo per un attimo. E
ora si sentiva come abbagliata, altrimenti in grado di vedere anche al
buio. Disorientata, si chinò su di lui, dopo un attimo di
smarrimento. L'aria si era saturata di uno strano odore che non sapeva
identificare. A tentoni lo individuò, steso ai suoi piedi.
Nel percorrerne la figura percepì un lieve sbuffò
caldo innalzarsi dai tessuti: qualcosa stava fumando. Era la sua tuta?
Era il suo corpo? In quale modo barbaro lo avevano sedato? Non fece in
tempo a mettersi in piedi per esternare la propria indignazione che
sentì il cubicolo aprirsi alle proprie spalle. Non
filtrò nemmeno un raggio di luce. Due braccia forti e sicure
l'afferrarono e la trascinarono di peso nel corridoio illuminato. Lo
sbalzo visivo l'accecò nuovamente e quando tornò
a guardare davanti a sé vide solo una parete bianca, priva
di alcun tipo di scanalature: impossibile dire dove fosse l'apertura
della prigione di 24, come era altrettanto impossibile valutare se,
oltre la sua, ce ne fossero altre.
Due
guardie in nero, alte e massicce la scortarono fuori, lungo il
corridoio che si estendeva infinito e bianco, sempre dritto. La scusa
ufficiosa era allontanarla da un soggetto tanto pericoloso.
Loki
esitò, incerta.
La
sua riluttanza fu presa per shock post traumatico. In
realtà, non potevano sapere che anche in lei si era accesa
la scintilla rivoluzionaria. Tutti sembravano aver dimenticato un
dettaglio: il nome che il suo umano le aveva dato, forse intuendone
istintivamente la duplice natura.
Loki
recitò la parte della fanciulla svenevole, nel
più classico degli stereotipi umani, ripromettendosi di
tornare in quel posto quanto prima.
Riparato
da quel poco di luce invernale, sotto l'ombra di un fitto bosco di
abeti rossi, il Neidenelva scorreva silenzioso e, affacciata su di
esso, una villetta dalle pareti di vetro brillava nella tenue notte
norvegese. Al suo interno, note di qualche concerto di musica classica
avvolgevano ogni ambiente. Tutta la casa aveva un design molto semplice
e spartano che non faceva che accentuare la sensazione di freddo
circostante: in lontananza, la consueta tempesta era in veloce
avvicinamento. Le pareti tappezzate di alte librerie, a loro volta
stipate di libri, insieme ai ricchi tappeti turchi che ammantavano il
pavimento, contribuivano, però, a dar corpo al calore
sprigionato dalle potenti pompe d'aerazione. Uno sfrigolio leggero
sferzò l'aria immobile.
“Ben
tornata...” sibilò l'uomo appollaiato alla sua
scrivania senza nemmeno levare gli occhi dalla sua lettura.
“Birger...”
disse Loki con voce monocorde.
Il
tono con cui pronunciò il nome fu sufficiente ad attirare
tutta la sua attenzione. Sfilò le lenti e fissò
la figura traslucida con occhi color del ghiaccio.
Loki
rimase in attesa per qualche secondo. Quindi cominciò a
raccontargli gli accadimenti occorsi negli ultimi giorni, di cui gli
aveva taciuto.
“24
non è quello che stava avendo problemi di
compatibilità con la sua ospite?”
domandò alla fine Birger.
Loki
annuì. “Lei si è liberata, in qualche
modo...”
“Dunque?”
domandò con voce piatta lui, ritornando alla sua lettura. La
cosa non lo riguardava.
“Dunque
noi ora ti raggiungeremo!” rispose seria
Biger
ci impiegò un po' ad afferrare ciò che gli aveva
appena detto. “Scusa, non per sembrarti il solito umano
imbecille ma...cos'è che fai tu?”
“Prendo
24 e ti raggiungiamo” ripeté lei meccanicamente
Biger
scoppiò in una risata divertita e isterica “E come
pensi di farlo? Non scherzare...” disse tornando ad affondare
il naso nel libro “...o mi prendi in giro o sei a rischio
esecuzione anche tu come Mat-mon...”
“Né
l'uno né l'altro...” fu la secca risposta
“Ho imparato da te come schermare le comunicazioni e ho
crackato il sistema per ottenere le informazioni che mi
servivano...” Passò quindi a enunciargli le fasi
del piano che aveva elaborato. Quand'ebbe terminato il briefing, Loki
scomparve ancora una volta, lasciando Briger da solo.
“Nomen
omen” sbuffò buttando la testa indietro sullo
schienale. Si guardò allo specchio: come aveva detto lei, la
spia della trappola che si portava addosso si era spenta. Avrebbe anche
potuto tentare – finalmente – di rimuovere quel
dannato collare con un paio di tenaglie ed evadere in qualunque
momento. Si grattò la testa sotto i lunghi capelli biondi e
selvaggi: se l'avessero beccato, questa volta nessuno gli avrebbe
risparmiato l'esilio sulle isole Svalbard. Doveva già
ringraziare di essere stato sbattuto 'solo' nell'amena
località di Sør-Varanger. Dopo qualche minuto di
perplessità, si decise, facendo spallucce: era il suo
controllore che gli aveva dato il via libera, anzi...che gli aveva
impartito un vero e proprio ordine. Andò in ingresso e si
cacciò addosso la giacca a vento e uscì nel
freddo dell'inverno siberiano.
Aveva
studiato approfonditamente tutte le mappe che aveva trovato in
archivio, anche quelle classificate. Più che studiate, le
aveva caricate direttamente nella propria memoria, divenendo di colpo
cosciente di quale fosse l'unica via di salvezza da quel posto. Senza
averle a disposizione sarebbero finiti subito in trappola. Nemmeno i
Karibo avevano idea di tutti i pertugi in cui potesse nascondersi un
fuggiasco ben istruito. Ma, d'altronde, la loro era una
società che non prevedeva la fuga o la ribellione.
Loki
si rese conto, solo allora, di come una strana associazione li legasse
agli umani. Certo, avevano scelto di modificarne lo stile di vita,
imponendone uno a immagine e somiglianza del loro, alieno e asettico.
Loro erano esseri superiori, vivevano in pace gli uni con gli altri,
sempre disponibili ad aiutarsi a vicenda. Non esisteva una sfera
privata perché questo avrebbe portato all'egoismo. Era
naturale così, doverlo spiegare sembrava sciocco e questa
giustificazione le era sempre bastata. Eppure, il tarlo del dubbio si
era insinuato anche in lei, distruttivo: non era che, come loro avevano
condizionato gli umani a quel tipo di comportamento, anche loro
fossero, effettivamente, vittime di un disegno che sfuggiva alla loro
comprensione? Erano manipolati a loro insaputa? La cosa non le piaceva
per nulla. Non si trattava di paranoia ma le vicende in cui si era
trovato coinvolto 24 non lasciavano intuire nulla di diverso.
Aveva
scaricato anche tutte le informazioni relative alle prigioni e alle
aperture delle diverse porte da lì alla loro meta. La sala
dov'era stato rinvenuto 24, dove Mat-mon si era rintanato in un primo
momento, era il cuore di tutto l'apparato. Scivolò
silenziosa dalla sua postazione. Doveva fingere che nulla, negli eventi
di quella settimana, l'avesse toccata. Camminò veloce,
evitando, nel modo più naturale possibile, ogni incontro.
La
porta era quasi invisibile e nessuno vi aveva mai prestato troppa
attenzione. Sgusciò all'interno e si mise in cerca del tower
che le serviva. Quando lo trovò, riuscì a
scardinarne il pannello laterale senza sforzi eccessivi né
impiego di chiavi particolari e si accoppiò al dispositivo
elettronico tramite la serie di cavi che fuoriuscivano dalla base della
nuca. Inserì un virus nel sistema che le permettesse di
salvare il collega e dileguarsi nella ramificazione urbana. Durante
quell'operazione si imbatté in file compressi, nascosti in
modo alquanto particolare. Decise di salvarli in sé stessa
per una consultazione successiva. Ma, inaspettatamente, si aprirono
tutti in contemporanea, rendendola immediatamente consapevole della
loro natura.
Rimase
impietrita per qualche istante, mentre il corpo assorbiva quella
bordata di informazioni.
Subito
dopo, tornò al suo lavoro: non avrebbero avuto molto tempo
dato che aveva impostato un timer che bruciasse ogni dato dietro di
sé per impedirne la localizzazione ma che, al contempo,
riportava la situazione alla precedente manomissione: una porta aperta
si sarebbe richiusa e via dicendo.
Quando
i vertici avessero capito da dove aveva operato, sarebbe stato
già troppo tardi.
Mat-mon
era stato un impulsivo incosciente ma gli doveva un favore. Nessuno
avrebbe sospettato una manovra simile.
1
Mario Livio, La
sezione aurea. Storia di un numero e di un mistero che dura da tremila
anni, BUR,
Milano, 2002, pag. 102
-
- - -
Ciao
a tutti!
che
dire? Ecco a voi, finalmente, Birger, un personaggio che amo
particolarmente. Spero sia lo stesso per voi.
;)
a presto!
|
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Capitolo 11 *** Open the door ***
11.
Open the door.
And go.
Scollegò
i cavi e rimise apposto la placca, in modo da rallentare un poco
l'individuazione dell'apparato infetto.
Tirò
il collo della tuta nuovamente fin sul naso e calò il
cappuccio
aderente come una cuffia sugli occhi, lasciando che i cavi le
danzassero sulla schiena, e impostò la tuta in
modalità mimetica:
un simpatico gadget incorporato, stranamente, in tutte le loro tute,
che aveva appena scoperto infiltrandosi nel sistema. L'unica cosa che
l'avrebbe resa riconoscibile erano i profili in contrasto la cui
intensità, però, era regolabile anch'essa: i
movimenti oculari
individuavano dove e a quale profondità del piccolo schermo
si
focalizzasse lo sguardo e attivava i menù a tendina1. Ma
tali
operazioni erano possibili anche dall'esterno, tramite le calottine
integrate nel cappuccio su cui ruotava il visore: bastava sfiorarle e
disegnare piccoli cerchi in senso orario o antiorario a seconda
dell'effetto desiderato. Una lieve pressione sulle calottine
confermava la scelta.
Da
parte sua, ora Loki era collegata direttamente con le telecamere a
circuito chiuso della videosorveglianza: in sovrimpressione, nella
visione periferica, avevano preso a scorrere le immagini degli
ambienti controllati. Una rapida occhiata sull'icona desiderata e le
immagini cambiarono: un flusso di dati prese a scivolare verso
l'alto. Si focalizzò su un altro pulsante ancora ed ecco
comparire
la mappa degli edifici. Allo stesso modo poteva modificare il punto
di vista, il grandangolo e lo zoom ma anche l'intensità dei
colori
della tuta. Quelle tute nascondevano un'infinità di segreti
ma non
aveva tempo per studiarli tutti. Scivolò all'esterno, non
vista, e
si diresse spedita al corridoio delle prigioni. La cella di 24
distava una cinquantina di metri dall'ingresso, stando alla mappa che
le compariva sul piccolo monitor. Attivò il tastierino
alfanumerico
all'esterno della porta, invisibile per chi non ne conoscesse
già
l'esatta ubicazione. Digitò il codice d'accesso sui simboli
appena
accennati da una tenue luce azzurrina con la nocca del dito indice
per evitare riuscissero in qualche strano modo a ricondurre le
impronte a lei.
Dal
muro, uniformemente bianco, accompagnato dallo sbuffo sottile di
stantuffi in azione, emerse appena un rettangolo bianco, la
porta.
Loki
digrignò i denti notando il congegno installato sul
perimetro del
vano: sapeva che l'avrebbe trovato ma non aveva avuto tempo per
elaborare alcuna strategia al riguardo. Se ci fosse stata una
qualunque discrepanza tra il codice inserito e la rilevazione
misurata, sarebbe scattato l'allarme. Aveva impostato i computer
perché cancellassero ogni dato dopo cinque minuti
dall'allarme: era
il tempo minimo che poteva impostare. Certo, loro
non avrebbero fatto in
tempo a scaricare i dati ma ora la scelta rischiava di ritorcerlesi
contro ...
Arretrò
fino alla parete opposta per prendere la rincorsa. Per quanto poco,
sarebbe stata comunque più rapida rispetto alla
velocità su cui
erano tarati quei sensori: il body scanner avrebbe avuto problemi a
identificarla. Nel bene e nel male.
Si
lanciò oltre l'apertura e come ruzzolò
all'interno della stanza
sentì nell'aria il lamento isterico delle sirene.
“24!”
chiamò. Non ricevette risposta. Che avesse sbagliato cella?
“24!”
chiamò ancora. Un mugolio nel buio. Si mosse rapidamente
alla cieca
verso il suono sperando fosse davvero lui. Il dubbio che cinque
minuti potessero non essere sufficienti le balenò nella
mente quando
cercò di sollevare il peso morto del compagno: pesava
più dei 75 kg
segnalati sul suo profilo. “Reagisci!”
ringhiò sperando potesse
aiutarla. Ma niente. Lo lasciò cadere a terra, ne
afferrò le
caviglie e cominciò a tirare verso la porta. Dovevano uscire
subito
o le porte si sarebbero richiuse, tornando alla situazione d'origine,
sigillandoli all'interno. “24!” Tirò con
tutte le sue forze fino
a che non fu immersa nella bianca luce abbagliante dei corridoi. Non
avevano molto tempo le guardie sarebbero arrivate da un momento
all'altro. Ma loro erano due Potis: doveva esserci un modo per
riuscire a superare quella difficoltà. Avrebbero mandato
solo cinque
guardie, ne era certa. Poteva affrontarle, stremata com'era da quello
sforzo improvviso a cui era stato chiamato il suo corpo, proteggendo
anche il compagno? Certo!
Diede
un ultimo strattone e anche la testa di 24 fu libera
dall'oscurità
di quella cella senza lucernari. La porta si sigillò pochi
istanti
dopo con un secco suono metallico. Loki si buttò a sedere
accanto al
compagno per tirare un attimo il fiato, preparandosi allo scontro.
Gli osservò la tuta, totalmente inutilizzabile, piena di
tagli,
bruciature e strappi. Le bande luminose rosse brillavano a mala pena,
assecondando il respiro difficoltoso e irregolare. Doveva avere
qualcosa che non andava alla gamba, perché, nonostante le
condizioni
pietose dell'indumento, in quella zona lampeggiava freneticamente.
Spostò lentamente lo sguardo lungo il torace fino a esitare
al
limitare del volto. Il labbro e il sopracciglio erano spaccati,
deformati dal coagulo di sangue fuoriuscito, gli zigomi erano gonfi e
violacei: la fisionomia era così alterata da rendendolo
quasi
irriconoscibile.
Decise
di tentare il tutto per tutto: gli sistemò la tuta in modo
da
coprirgli occhi e bocca come quando si collegavano. Quindi
armeggiò
con i pulsanti sui suoi auricolari finché non
riuscì a vedere il
pavimento sottostante. Certo, qua e là, dov'erano presenti
strappi e
abrasioni, la tuta e le bande rosse erano più che visibili
ma Loki
confidava nel fatto che i Karibo fossero abbastanza distratti per
accorgersi di anomalie presenti nello spigolo tra pavimento e parete,
dove lo aveva trascinato, convinta fosse il punto più sicuro.
Lo
scalpiccio lontano, provocato dalla corsa di un piccolo drappello, si
propagò nel corridoio. Loki sbuffò. Ora avrebbe
dovuto
concentrarsi: erano solo il corpo scelto-armato, non gli Zeraph, gli
unici a poter competere con i Potis. Ma erano armati e lei
no.
Muoversi
nella notte e nel freddo della contea di Finnmark non era certo una
cosa che una persona comune, dotata di buon senso, avrebbe mai fatto.
Solo qualche anno prima, nel vicino comune di Karasjok, si erano
raggiunti i -51° centigradi. E quell'anno prometteva di essere
altrettanto freddo.
Birger
si era infagottato quanto più possibile, non sapendo cosa lo
aspettasse con precisione. Per scrupolo aveva preparato anche dei
termos e del cibo imbustato in contenitori autoriscaldanti. Loki gli
aveva solo detto che avrebbe cercato di ammarare nelle acque di
confine tra la Norvegia e la Russia e di attenderlo al porto di
Kirkenes.
Mentre
scivolava nella tormenta, solcando la neve fresca e già alta
di
quella notte, il pensiero era corso, solo per un attimo, al progetto
HyNor che, partito una trentina di anni addietro2, aveva costretto
tutta la nazione ad adeguarsi ad avere auto ibride, per passare,
successivamente ad auto alimentate solo da fonti rinnovabili,
vietando la vendita di quelle alimentate esclusivamente a
combustibili fossili. Il progetto aveva stentato a coprire anche la
loro contea, così protesa nei ghiacci. Ma alla fine
l'avanzamento e
il benessere tecnologico avevano avuto la meglio e il progetto si era
concluso nei tempi previsti3. Aveva pensato, come molti, fosse il
nuovo modo per tenere la popolazione soggiogata al nuovo dio:
con la scusa dell'esaurimento del petrolio e pilotando la diffusione
di altri tipi di alimentazioni, addirittura boicottando la
circolazione degli stessi quando i tempi non erano ancora maturi,
erano stati tutti obbligati prima a servirsi solo di un tipo di
fornitura e ora di un altro altrettanto vincolante, tenendo i prezzi
elevatissimi in entrambi i casi: una era ormai merce rara, l'altra
doveva ancora ammortizzare i costi della produzione e dello
smaltimento a fine ciclo.
Il
pensiero gli era subito scivolato addosso: ora, che era finalmente
libero di guidare, per un lungo
tratto, una sessantina
scarsa di chilometri, con una macchina decente che non fosse quella
trappola elettrica impilabile4, era stato costretto
a intaccare la sua riserva
di benzina 98 ottani se non voleva essere rintracciato da chi di
dovere.
E tutto
per andare a ripescare quell'altra... Ammarare... ma cosa stava
passando per la testa di quello sgorbio evanescente? Non era nemmeno
chiaro se dovesse noleggiarsi una barca. “Troverai
tutte le istruzioni quando arriverai. Ho predisposto tutto”
gli aveva detto. Vatti a
fidare degli invasori.
L'idea
di dover prendere il mare in quelle condizioni, di notte e con la
tempesta che imperversava, gli ghiacciò il sangue nelle
vene. “Per
una volta, proviamo a fidarci della loro sapienza”
borbottò
nervoso mentre i tergicristalli faticavano a star dietro a tutta la
neve che aveva preso a scendere dal cielo, sperando che il porto
fosse solo il rendez-vous. Arrangiarsi
a guidare, con quel tempo, era un'altra cosa folle.
Aveva
scelto, di proposito, la sua vecchia auto a benzina, senza pilota
automatico, quella che lui definiva, affettuosamente, stupida
perché non era così
intelligente, autonoma nella guida e facilmente rintracciabile come
quella nuova. Le auto stupide
erano state ritirate dal
mercato e dai garage dei privati cittadini a costo zero. Ma la sua,
lo Stato, non aveva potuto pignorargliela perché, quando i
funzionari erano andati per i controlli del caso, l'avevano trovata
su quattro mattoni, senza ruote, senza motore, senza spinterogeno e
senza batteria. Pezzi abilmente occultati e seminati in giro per la
casa e la proprietà in tempi ancora non sospetti e curati
maniacalmente, giorno dopo giorno, proprio per un'evenienza come
quella che stava vivendo. Nemmeno Loki sapeva che l'auto sarebbe
potuta tornare su strada non appena ne avesse avuto l'occasione. Quel
relitto di Jeep era considerato solo come l'ennesima stravaganza di
un folle che osava sfidare i nuovi padroni.
Aveva
perso almeno un paio d'ore tra l'andare a recuperare e il rimettere
al proprio posto ogni pezzo ma fortunatamente per lui, se la cavava
come meccanico.
Le
porte dell'ascensore si aprirono, cigolando, su un corridoio buio
scavato nella pietra. Lo scalpiccio degli anfibi sui ciottoli
rimbombava nell'ambiente freddo e umido.
“Lagazzi...
io ho un blutto
plesentimento...”
disse la voce incerta di una ragazza, con evidenti
difficoltà di
rotacismo. “Secondo me non ci tolniamo
indietlo
tutti inteli...”
“Xing,
ti prego, non fare l'uccello del malaugurio!” rispose
un'altra
ragazza, seccata, in testa al gruppo “Non avevi brutti
presentimenti per il gruppo di Alain! E loro sono più
scoperti di
noi...”
Nell'oscurità,
Xing scosse la testa “A lolo
andlà
tutto bene, Jess, ne sono sicula...”
“E
allora cos'è che prospetti per noi?” la
interrogò, curiosa, la
voce di un uomo poco dietro di lei
“Secondo
me ci stiamo addentlando
in una situazione davvelo
spinosa...” rispose lei, esitando
“Non
ti ho chiesto cosa ne pensi...ti ho chiesto cosa hai visto,
Xing!”
ribatté freddo l'altro.
Si
erano avvicinati all'apertura della grotta e la luce della luna li
illuminava quel tanto che bastava per riuscire a procedere nella
boscaglia “Ci salà
una squadla
almata...io
ho visto solo sangue. Tanto sangue, Akila-kun.”
“E
dovrebbero uccidere noi?” domandò quello divertito
facendosi
comparire in mano un pugnale di acciaio
“Chi
altri?” rispose Jess, sovrappensiero, estraendo dai propri
pantaloni cargo un foglio piegato in quattro
“Vuoi
che intervengano a ste ore di notte? Durante il coprifuoco?”
sbottò
sempre più divertito Akira. “Su su...”
la consolò, poggiando la
mano guantata tra i codini della compagna “Avrai mangiato
pesante...”
L'altra
si volse, scoprendo il volto orientale segnato dalla preoccupazione
“Da quando mi hanno insegnato...non sbaglio mai...”
“Xing...”
sbuffò Akira abbracciandole stancamente le spalle
“Nefti ti ha
insegnato solo a collegarti... sei tu a tirare conclusioni
affrettate...Andrà tutto bene...”
Xing
si rabbuiò “Ela
quello che pensava anche lei, plima
del Blue Beam...”
A
quelle parole Akira si rabbuiò. Per mascherare il nervosismo
si
affaccendò con la zip della tuta nera che avrebbe coperto la
maglia
rosso fuoco.
Il
Blue Beam. L'evento che aveva sconvolto il mondo. E di cui non
sapevano praticamente nulla se non attraverso le testimonianze degli
sfollati. E dei notiziari manipolati dagli Akero.
“Andiamo...sarà
un lavoro veloce... la residenza della numero 19 è a dieci
minuti da
qui...comodo, no?” disse Jess ripiegando la mappa e facendo
l'occhiolino ai suoi compagni.
“Tloppo...”
borbottò Xing
Si
addentrarono per le strade buie di una cittadina che sembrava essere
una località marittima. In giro non si avvertiva alcun
rumore e si
potevano solo intravedere delle luci che filtravano, di quando in
quando, dalle finestre chiuse di qualcuno che, probabilmente, restava
sveglio a leggere o a studiare.
Sembrava
di aggirarsi per una città fantasma. Dopo qualche minuto di
dolce
salita verso il centro, Akira si voltò a disagio a guardarsi
le
spalle. Xing gli aveva attaccato la paranoia. Ma non vedeva nulla
oltre lo specchio del lago ai piedi della cittadina.
Sbuffò
cercando di calmare i battiti accelerati del proprio cuore.
L'importante era che Mogwai fosse al sicuro a un paio di chilometri
scarsi dal loro obiettivo. Il resto non contava.
Quando
arrivarono a destinazione, Akira si accorse che qualcosa non andava.
Agguantò Jess e Xing e le trascinò sotto un
porticato, facendo loro
cenno di tacere. C'era uno strano silenzio tutt'attorno: sembrava che
ogni animale che non fosse stato in letargo fosse sparito. La
tensione nell'aria era palpabile. Aspettarono un paio di minuti, in
completo silenzio. Finché, nell'oscurità, uno
spettro bianco non
scivolò all'interno del giardino della piccola villetta. La
luce
della luna piena illuminava ogni cosa coperta di un leggero stato di
brina ed era impossibile non notare quel movimento. I tre rimasero in
attesa, i sensi all'erta. La situazione non piaceva a nessuno di
loro. Chi è che si era infiltrato nella casa? Un sicario? O
solo uno
sprovveduto che violava il coprifuoco?
Stavano
per tirare il fiato quando uno scalpiccio tutt'attorno li fece
irrigidire. Jess e Akira si guardarono a vicenda, controllando che
ciascuno indossasse le tute termiche. Fecero un cenno e si calarono
il cappuccio, dotato di visiera di materiale plastico trasparente sul
mento.
Mat-mon
rimase nascosto a lungo, in attesa, valutando se ci fosse qualche
guardia nei dintorni, magari allertata da qualche solerte cittadino.
Gli sembrava strano che l'ammaraggio catastrofico del suo velivolo (e
del suo conducente, un Arkein5 a
cui aveva spezzato l'osso del collo con troppa facilità una
volta
che era uscito dal suo nascondiglio per prendere i comandi di un
velivolo di cui non aveva la più pallida idea di come si
comandasse)
fosse passato così inosservato. Ne era scampato per
miracolo,
eiettandosi a due metri dalla superficie lacustre. Lo scontro col
muro d'acqua gli bruciava ancora la pelle, ma non aveva tempo per
pensarci. Aveva atteso un giorno per essere sicuro che nessuno
arrivasse a presidiare la cittadina: fortunatamente per lui il luogo
era sguarnito di truppe stabili come erano, invece, i grandi
agglomerati urbani. Lì sarebbe stato impossibile pensare di
potersi
comportare con quell'azzardo. Ma i pochi, sparuti abitanti di quel
posto non avevano alcun bisogno di presidi, incuneati com'erano tra
la montagna, il lago e il mare.
Si
era mosso, comunque, sfruttando, prudentemente, le zone cieche di
telecamere di sorveglianza.
Quando
fu sicuro che nessuno lo seguisse, schizzò rapido nella
villetta,
scavalcò il cancelletto saltando così lontano da
oltrepassare
agevolmente i sensori di movimento perimetrali. Aggirò
l'edificio
che sembrava essere affondato in una piccola collinetta, curata in
modo fin troppo certosino, in perfetto stile anglosassone, che un po'
strideva col paesaggio circostante più selvaggio, composto
di agavi,
palme e di pini marittimi. Arrivato sotto a una finestra, dalle cui
tende tirate filtrava ovattata la luce di un abat-jour, si
arrampicò
sul muretto che fungeva da ringhiera agli scalini che scendevano al
piano interrato e, da lì, saltò fino al piccolo
pianale di marmo su
cui si schiudevano gli scuri spalancati. L'obsoleto allarme agli
infissi delle finestre era disattivato e la casa era praticamente
deserta. Gli altri quattro inquilini venivano sedati ogni sera: una
forma di gentile premura per i familiari di una ribelle che veniva
spacciata per pazza e che, quando poteva, urlava a pieni polmoni.
Anche, e soprattutto, nel sonno, quando la rabbia era libera dal
controllo razionale della veglia.
Diede
una gomitata al vetro per romperlo, si infilò nel varco
apertosi e
appoggiò le piante degli stivali gommati sulle schegge
scricchiolanti piovute all'interno.
Si
avviò, sicuro, al lettino confinato in un angolo della
stanza
bianca, con imbottitura schiumosa su ogni parete, dove stava un corpo
raggomitolato su se stesso, che soffocava urla camuffate da
gemiti.
“Zoe...”
disse con tono perentorio “Zoe!”
richiamò aggressivo “Zoe,
avanti, alzati!” ringhiò spazientito, scuotendole
le spalle. Una
donna smunta, le guance incavate e gli occhi sospettosi segnati da
pesanti occhiaie, di età indefinita, fece capolino dalle
coltri
“Smettila di prendere quello schifo!” Le
gridò.
Lei
tentennò, cercando di mettere a fuoco la fonte della voce
come anche
le proprie idee “Chi sei?” domandò con
voce impastata dal
sonno
“Senza
cappuccio, bavaglio e occhiali non mi riconosci?”
Sbottò l'Akero
indignato, incrociando le braccia al petto “Sono
Mat-mon”
Zoe
lo fissò con occhi acquosi e dubbiosi “Mat-mon
è gentile... e non
è umano...” disse tornando a coprirsi con le
coperte “Sta
qui...” biascicò indicando convulsamente la tempia
esposta alla
luce della stanza che non veniva mai spenta “Sta nella mia
testa...insieme a tutti gli altri...”
“Gli
altri?” l'Akero si sentì scivolare a terra confuso
ma mantenne
salda la posizione eretta
“Mat-mon...”
disse lei, stringendosi in un abbraccio convulso e cercando di
cullarsi “Mi ha lasciata sola... e al suo posto... a
intervalli
regolari... credo.. io dormo tutto il giorno... arrivano gli altri, i
suoi amici... e mi parlano e mi chiedono e mi fanno test e poi
spariscono per poi tornare ancora, uguali nel modo di fare ma diversi
tra loro...” Sembrava il delirio di una pazza per come la
voce
biascicava strisciando fuori dalle labbra livide
“Avanti
Zoe!” disse allora lui senza aspettare altri dettagli. Sapeva
esattamente cosa stava succedendo: cercavano un altro Akero che le
fosse compatibile e non nascondevano nemmeno i diversi tentativi,
come avevano fatto loro, qualche anno prima. La prese per le braccia
ma gli scivolarono tra le dita guantate sotto il peso morto della sua
ospite che non aveva alcun intenzione di cooperare. “Non
abbiamo
molto tempo prima che arrivino... Sono scappato,
avanti!”
“Lasciami...”
protestò debolmente mentre lui la scopriva
“Morirai
se resti qui! Come se continui a ingurgitare quella roba!”
replicò
l'Akero
“Che
te ne frega?” piagnucolò lei, isterica,
ributtandosi a letto,
abbracciando il cuscino con la poca forza che aveva e avvolgendosi
nuovamente sotto le coperte “Sono solo una schifosa
umana, no? Se sei davvero lui...cosa ci fai qui?”
domandò con uno
sprazzo di lucidità e speranza “Tu sei solo
un'allucinazione dei
miei barbiturici! Vattene!” Urlò improvvisamente e
rannicchiandosi
stretta
Mat-mon sbuffò
esasperato “Quando fai così sei davvero una stupida
umana!” La tirò
nuovamente a sedere “Cammina!” Lei si
ribellò scompostamente
“Non so dove andremo né come ci arriveremo. Quindi
la tua
richiesta potrebbe pure venire accolta. Ma andiamocene da qui,
adesso!” Impose prendendola tra le braccia insieme alle
coperte
“Perché?”
domandò lei, ormai stanca a furia di lottare contro
quell'essere
irremovibile
Mat-mon
era arrivato rapidamente alle scale “Perché non mi
piace come ti
stai riducendo. Ti ho vista letteralmente appassire. E l'altro giorno
i tuoi pensieri mi hanno davvero spaventato” Zoe lo
guardò,
scettica e intontita. Le palpebre cominciavano a farsi, ora,
finalmente, pesanti: il sonnifero stava facendo effetto
“Quando hai
pensato lucidamente al tuo suicidio... ho perso la testa e sono
fuggito. Sono quasi affogato nel lago, intrappolato nella
navetta”
disse cercando di farla sentire in colpa
“Non
hai risposto alla domanda...” gli fece notare lei
nell'incoscienza
“Dormi...
ti spiegherò tutto dopo, con calma...” le rispose
baciandole
delicatamente la fronte.
Zoe
si tirò le coperte sulle spalle, stringendosi al petto
marmoreo di
Mat-mon, accettando docilmente lo stato di cose “Hai sempre
avuto
la mia vita tra le tue mani...” riuscì a
biascicare prima di
crollare definitivamente.
Quell'ovvia
constatazione fece esitare Mat-mon sulla soglia: Zoe non si stava
ribellando per paura ma solo perché aveva sonno. Per il
resto, aveva
ragione. Lui, tanto prima nella sua postazione quanto in quel momento
dal vivo, aveva potere di vita e di morte su di lei. Gli esseri umani
erano così fragili...
Perché
loro, i potenti Akero, avevano così paura di creature che, a
conti
fatti, non erano poi così autonomi?
Non
seppe dire se fu spinto dalla pietà per quella creatura o da
quale
altro impulso ma agì d'istinto, come ormai stava facendo da
diversi
giorni.
Prima di
aprire il portoncino e scomparire nel freddo della notte, si
chinò
su di lei, in un gesto molto umano, che nel corso di quell'anno e
mezzo aveva visto e immaginato, attraverso la mente di lei, almeno un
migliaio di volte e le sfiorò, timidamente e goffamente, le
labbra
con le sue.
1
Questo
è il principio
2
Più precisamente, era il 2003, progetto HyNor
3
Faccio riferimento a questo articolo.
La storia si svolge nell'inverno del 2034 (il Blue Beam l'ho fatto
avvenire nell'estate del 2033 anziché nell'inverno 2032: in
ordine,
dopo il 2012, c'è il 2032 come prossima data di fine del
mondo)
4 Mi
pare di averlo già postato, ma ripeto. Questa è Hiriko,
la concept car ideata dal MIT e questa è la Stack,
progetto finalista della Michelin Challenge Design, di cui oltre il
50% della lunghezza si può accavallare a un'altra auto.
Se
non fosse chiaro dagli esempi, ciò presuppone una certa
uniformità
delle vetture (perché la Stack e la Hiriko non sono tra loro
compatibili, oltre che essere a energia solare ed energia elettrica).
Se ci fossero centinaia di modelli si riproporrebbe il problema dei
parcheggi.
5
Arcangelo, messaggero. Quanto agli Zeraph, mi riferisco ai Serafini.
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Capitolo 12 *** Try to stay ***
12. Try to
stay
Alive!
Il
fantasma ricomparve, guardingo e apparentemente più goffo
nei movimenti, quasi fosse gravato da un qualche peso.
Fu
allora che potenti luci si accesero sull'ingresso, illuminando a giorno
la strada, abbagliando i tre che non si aspettavano niente del genere.
“Mat-Mon
sei in arresto con l'accusa di alto tradimento.”
Ruggì una voce anonima dietro il gracchiare di un antiquato
altoparlante “Arrenditi immediatamente e rilascia l'umana e
non aggraverai la tua posizione!” Xing sbarrò gli
occhi, cercando quello dei compagni. Un corpo di polizia? Si stavano
preparando ad attaccare...il sangue...ecco cosa aveva visto. Ma
là c'era il loro obiettivo. Non potevano tornare indietro e
abbandonarla. Akira si posò un dito all'altezza delle
labbra, invitandola a perseverare nel silenzio e a calmarsi.
Mat-Mon
sembrò quasi sputare per terra, seccato da
quell'intromissione “Pensate davvero di riuscire a
fermarmi?” ringhiò, la voce bassa e gutturale
“Stupidi terrestri...” sibilò stizzito.
Si
sentì l'eco simultaneo di armi automatiche che venivano
caricate e puntate “Posa la ragazza...”
intimò ancora la voce “Il tuo obiettivo era salvarla...”
I
tre ribelli videro la figura dell'Akero esitare, combattuta, e, infine,
cedere: adagiò la ragazza davanti a sé.
Jess
sorrise tra sé: la usava come scudo. Si voltò e,
a gesti, spiegò la sua nuova tattica. Era evidente che
l'Akero si stava preparando allo scontro. Loro sarebbero intervenuti in
quel momento, coprendo la posizione lasciata scoperta dalla battaglia
che si profilava all'orizzonte: Mat-Mon avrebbe attirato su di
sé l'attenzione di tutti, allontanandola dalla ragazza che
sarebbe rimasta esposta al loro sequestro. Era un piano che non poteva
fallire.
Si
prepararono a scattare.
L'Akero
carezzò appena i capelli dell'umana stesa sotto di
sé. Quindi alzò lo sguardo sul plotone davanti a
sé. Erano un piccolissimo drappello di una ventina di
persone, alle cui spalle spuntavano (sicuramente, anche se lui non
poteva più vederli) eterei, i suoi ex-colleghi. Tutti
semplicissimi Akero, probabilmente invidiosi del suo rango e rabbiosi
per il fatto che lui avesse lasciato una posizione tanto ambita,
tradendo, e diventando, di fatto, un Nephilim.
Un
ringhiò ferino, che non sapeva di poter produrre, gli
sfuggì dalle labbra. Quindi scattò, come una
molla e con poche, semplici mosse, uccise i primi tre che si
trovò davanti.
Non
appena fu chiaro cosa stesse succedendo, i proiettili cominciarono a
fischiare in aria, nel tentativo di colpire quel guardiano agile e
indemoniato. Qualche tiro andò a segno e quello
ruggì di dolore come una bestia ferita.
Jess
e Xing non attesero oltre e scattarono verso la donna riversa a terra.
Akira
era subito dietro di loro.
“Uccidetela!”
sentì urlare da qualcuno.
Subito
il sibilo di uno sparo fischiò a poca distanza e da quel
momento Akira vide tutto al rallentatore: il cervello si rifiutava di
dare per buono ciò che vedeva e doveva analizzarlo bene...
Vide
Jess cadere inerme sul corpo del loro obiettivo.
Sentì
un ringhio animale provenire dal Nephilim.
Avvertì,
ovattate, le urla straziate dei soldati uccisi. Con la coda dell'occhio
vide che quell'essere quasi ne squarciava i corpi come fossero state
pagnotte da dividere tra i commensali.
Vide
Xing, presa alla sprovvista, chinarsi su Jess per prenderle il battito
cardiaco. Pochi, eterni, secondi e la vide rialzarsi per correre
dall'umana per tentare di portare a termine la loro missione.
Avvertì
il sibilo di un altro proiettile.
Xing
fece per prendere la donna per le braccia quando anche lei si
afflosciò a terra.
Il
sibilo che aveva sentito era il proiettile di un cecchino (il cervello
gli suggerì la parola con riluttanza) che, trapassandola,
era arrivato al suo vero obiettivo, l'ospite n°19.
“Nooo!!”
si scoprì a urlare.
“Ce
n'è un altro...” sbottò qualcuno nella
calca
L'aria
intorno cominciò a fischiare di proiettili ad altezza uomo
mentre l'istinto lo portava a rannicchiarsi e a cercare riparo: le tute
termiche non li rendevano invisibili a occhio nudo, ma solo ai
rilevatori di calore.
Altri
spari. Diretti a lui, diretti al Nephilim. Non gli importava. Era in
tempo per tornare a riferire. Lì non sarebbe stato di alcuna
utilità per Jess e Xing che erano ormai morte. Correndo a
perdifiato, sondò tra i propri molari con la lingua
ritrovando la capsula di cianuro che vi stava incastonata, pronto a
romperla senza esitazione in caso di cattura.
Jess
e Xing. Sorrise, malgrado tutto, al pensiero: unite anche nella morte.
Se una delle due fosse sopravvissuta era molto probabile che l'esito
finale sarebbe stato il medesimo.
Si
ritrovò in fuga, correndo alla cieca per le strade del
borgo, sperando solo di riuscire a guadagnare il centro d'osservazione
del lago e, di lì, Mogwai. Sperava di arrivargli almeno
abbastanza vicino per comunicargli di fuggire.
Akira
correva con la velocità dei ninja, gli occhi abituati al
buio. Correva cercando di seminare la pattuglia o quel poco che ne
rimaneva dopo l'assalto del traditore. Correva così veloce e
disperato da non accorgersi di essere rimasto da solo.
Quando
si rese conto che nessuno lo seguiva si fermò, piegandosi
sulle ginocchia a riprendere fiato.
Le
sue compagne!
Il
pensiero lo attraverso veloce come un fulmine. Doveva tornare indietro
e cercare di portarle via, per dar loro degna sepoltura.
Ritornò,
cautamente, sui propri passi. Riuscì ad arrivare senza
problemi alla scena dell'agguato. In un primo momento, non avvertendo
alcun rumore, pensò che gli uomini armati fossero andati a
cancellare le memorie, di casa in casa, prima di mettersi a fare
ordine. Ma sotto i suoi occhi, sbarrati dal troppo orrore, si stendeva
un unico lago di sangue, interiora, arti e corpi contorti in pose
innaturali. Contò meccanicamente il numero dei corpi:
c'erano tutti, anche se alcuni smembrati in più parti. Una
ventina di soldati, l'Akero, l'umana e le sue compagne. Nessuno aveva
dato l'allarme.
O
meglio. Nessun soldato. Ma gli abitanti del circondario, non
più abituati agli schiamazzi notturni, sicuramente
sì. A breve sarebbe arrivata sicuramente una nuova squadra
per sistemare quel casino. Si avvicinò ai corpi delle tre
donne, indeciso su quale caricarsi in braccio per primo, contando anche
che, forse, sarebbe stato l'unico che sarebbe riuscito a riportare
indietro.
Un
gemito dal mucchio di corpi maschili che si era lasciato alle spalle lo
fece sobbalzare: qualcuno era ancora vivo.
“Zoe...”
biascicò quel qualcuno che invocava il nome della propria
ospite, la numero 19.
L'allarme
risuonò in aria, ferendo le orecchie di chi si fosse trovato
troppo vicino alla sirena. Il fastidioso ronzio si interruppe
praticamente subito. Come ogni volta, la grotta si riempì di
persone in breve tempo.
Han
era madido di sudore e non aveva avuto nemmeno il tempo di avvisare il
suo superiore. “Dannazione!” sibilò
esasperato
“Che
diavolo succede?” domandò Hector, estremamente
irritato, fendendo la folla.
“...”
Han tacque, la mascella contratta “Sembrerebbe che siano
saltate le capsule di Xing e di Jess...”
“Sei
sicuro?” sbottò qualcuno dal fondo, allarmato
“Così
sta scritto qui ma...” ringhiò l'informatico,
tornando subito ai monitor “Non posso averne la
certezza...è la prima volta che succede!”
sbottò esasperato, picchiando il pugno sul pianale di lavoro.
Hector
rimaneva in piedi accanto a lui, scrutando gli schermi in cerca di
qualsiasi dato potesse aiutarlo.
“Dovremo
aspettare il notiziario...” mormorò alla fine,
accasciandosi sulla poltrona libera. Subito dopo, qualcosa
attirò la sua attenzione. “Han...prova a vedere la
n°19...”
“La...19?”
domandò stralunato
“Qui...”
disse indicandogli un punto sul monitor
Han
mosse istintivamente il mouse, digitò rapidamente qualche
comando e la schermata che si aprì era solo una riga di
comandi verdi su fondo nero.
Vuota.
“Questo
vuol dire..?” stava domandando il capo, per sicurezza
“Significa
che non c'è più segnale.” rispose
stancamente Han “Ma abbinata alle capsule... non mi lascia
presupporre nulla di buono.” ringhiò buttandosi
sullo schienale e stropicciandosi gli occhi. Poggiò la testa
sul pugno chiuso, continuando a scrutare i monitor. “Che
diamine sta succedendo, là sopra?”
domandò a se stesso, desiderando tanto essere telepatico. Di
colpo si rizzò a sedere “Nefti! Chiamate Nefti,
subito! Lei è l'unica che potrebbe dirci
qualcosa...” Alle sue parole, qualcuno scattò e
rumore di passi che si allontanavano rimbombò nella grotta.
Aveva
regolato la tuta perché avesse il massimo grado di
trasparenza per non essere facilmente individuabile. Aveva raccolto le
protesi del collo in una sorta di chignon alla base del collo
affinché nessuno riuscisse ad aggrapparsi nel punto
più sensibile del suo corpo. Si era messa di profilo
rispetto al senso in cui sarebbero arrivati i Karibo così da
non essere comunque subito facilmente individuabile anche a un occhio
attento.
Rilassò
i muscoli, regolò il respiro e con esso il battito cardiaco.
Non avrebbe saputo dire perché ma quello che si apprestava a
fare le sembrava stranamente naturale, come se non avesse fatto altro
per anni. Eppure erano stati tutti preservati in un sonno criogenico
nel loro viaggio di venti anni luce guidato dal computer centrale delle
astronavi. Si erano svegliati solo alle porte del sistema solare. Da
quel momento avevano cominciato a studiare l'essere umano e la sua
psicologia.
Il
ricordo sparì dalla sua mente quando, in fondo al corridoio,
comparvero le guardie nere armate. Effettivamente, sembravano non aver
notato né lei né 24. Trattenne istintivamente il
respiro, stendendo le proprie gambe parallelamente alle pareti,
abbassando il proprio baricentro, pronta a colpire.
I
Karibo arrivarono e quattro di loro si disposero a protezione
dell'ingresso della cella mentre l'ultimo sbloccava l'accesso e vi
entrava. Subito altri due lo seguirono, accendendo bande bianche
luminescenti sulle tute e illuminando l'ambiente interno. Loki
agì senza pensare. Si infilò tra le due guardie
rimaste a piantonare l'ingresso e digitò rapidamente sul
tastierino il codice per sigillare la porta. Usò un codice
che poteva essere rimosso solo andando a toccare il computer centrale.
Il portello si richiuse immediatamente con un tonfo sordo,
imprigionando al proprio interno chiunque vi avesse acceduto. Sorrise
della propria abilità, si appuntò di dover
ringraziare Birger e constatò come, forse, non sarebbe stato
difficile cavarsi d'impiccio: bastava usare un po' di furbizia. E di
quella, secondo l'umano, lei era molto dotata.
I
due Karibo rimasti all'esterno, sentendo il portellone chiudersi, si
voltarono di scatto. Non si guardarono. Avevano già capito
cosa stava succedendo. Erano stati addestrati per quello. Sfoderarono
le armi e appiattirono le schiene tra loro. Dalle auricolari
arrivò il suono ovattato di una voce femminile
“visione notturna, attivata”. Per un attimo Loki si
domandò perché loro non avessero quel piccolo
gadget che era la voce registrata. Poi capì che doveva
trattarsi di un informazione trasmessa direttamente dal centro di
controllo. E che, quindi, doveva esserci un intero team pronto a
studiare le sue mosse. Avrebbe dovuto essere veloce e letale, prima che
la individuassero e capissero come agire. Era fuori dalla loro visuale,
per il momento. Ma presto avrebbero puntato lo sguardo anche sul
pavimento, dov'era tornata ad accucciarsi per evitare eventuali spari
ad altezza uomo. Stirò la gamba verso l'esterno,
sostenendosi sui palmi delle mani. Quindi, caricò un calcio
che, schiantandosi sulla mascella del primo guardiano, gli fece
sbattere la testa, protetta da un elmetto rigido, contro quella del
compare. Subito l'altro scattò, ruotando su se stesso e
puntando l'arma sulla probabile zona d'origine del colpo. Loki era
veloce e si era già spostata alle sue spalle, in modo che
non la trovasse dove avrebbe dovuto essere. Saltò in alto,
tanto per portarsi ulteriormente fuori traiettoria, e calò
un altro calcio, carico di tutto il peso del proprio corpo oltre che
della spinta impressagli nel salto, sulla nuca dello sprovveduto.
Atterrò malamente, la testa dell'Akero tra le proprie cosce.
Si rialzò mentre anche la prima guardia si rimetteva
faticosamente in piedi. Non attese di vedersi puntare contro l'arma:
buttò tutto il peso sulle mani, fletté sui
gomiti, dandosi la spinta per spiccare un salto e, con un semplice
aú-sem-mão lo
atterrò definitivamente. Entrambi giacevano a terra privi di
sensi: gli ci sarebbe voluto un po' per riprendersi e al controllo
centrale avrebbero preferito spedire un nuovo drappello, più
fresco e preparato del primo. Prima di tornare da 24, andò
dai due e gli rimosse elmetto e occhiali, disattivando la ricezione
delle immagini da parte dei loro superiori. Quindi si caricò
24 sulla spalla, ringraziando che la sua tuta fosse mezza distrutta e
ruvida, consentendogli un minimo di appiglio, quel tanto che bastava
per coprire i pochi metri che li separavano dal loro nuovo obiettivo.
Vergognandosi
come un ladro, si prese il permesso di indagare velocemente nella bocca
delle compagne: doveva accertarsene. Pensò, per scusarsi
ulteriormente, che loro avrebbero fatto lo stesso se i ruoli fossero
stati invertiti. Akira si aprì un varco tra i denti delle
amiche morte, stretti in una morsa rigida che lasciava sperare il
meglio. Le capsule erano state entrambe spaccate con l'ultimo residuo
di volontà prima del decesso. Per quanto potesse sembrare
cinico e per quanto la situazione fosse la più disperata in
cui si fosse mai trovato riusciva a vedere qualcosa di positivo in
tutto quel macello: nessuno avrebbe potuto usare i corpi per ricavare
informazioni utili circa la loro ubicazione.
Quand'ebbe
finito l'ispezione ed ebbe affiancato i tre corpi femminili,
sistemandoli in una minima formalità mortuaria, si
inchinò, salutandole. A malincuore, aveva fatto la sua
scelta. Si voltò e andò a recuperare l'unico
corpo che potesse portare con sé, in quel breve lasso di
tempo.
“Andiamo!”
Sibilò trascinandosi dietro lo sconosciuto dall'aspetto
improponibile. Era irrimediabilmente un Akero. Si buttò un
braccio dietro il collo nel tentativo di afferrarlo per i fianchi ma
quella sua dannata tutina liscia, che gli impediva un valido appiglio e
che era la conferma di quell'aspetto bizzarro, non aiutava nel
sostenere il suo peso morto. Lo ributtò a terra senza alcuna
grazia, sbuffando e passandosi una mano tra i capelli, l'altra piantata
sul fianco. “Pensa Akira, pensa!” disse a se
stesso. Lo avrebbe volentieri afferrato per quella specie di codino di
cavi che si dipanava dalla nuca ma, pensando che fosse una protesi
delicata, accantonò l'idea. Gli afferrò le
caviglie e cominciò a tirarselo dietro, la schiena che
strisciava sull'asfalto, le braccia e la coda di cavi che seguivano la
scia del corpo. Dopo pochi metri, durante i quali il Nephilim non aveva
fatto altro che lamentarsi, si fermò, irritato.
“Così non va, dannazione!” Rischiavano
di lasciare tracce organiche dietro di loro e, per rintracciarli,
sarebbe bastato un antiquato e banalissimo luminol. “Dai,
alzati!” sibilò tirandolo nuovamente su per le
braccia “Mi basta che tu riesca a mettere i piedi uno davanti
all'altro...mi senti?” domandò
“Anzi...mi capisci?”
Il
Nephilim mugugnò qualcosa di incomprensibile e Akira
sentì che il peso che gravava sulle sue spalle si era, in
qualche modo alleggerito. Erano poche centinaia di metri che dovevano
percorrere per rientrare in zona protetta, nello scantinato della
stazione lacustre. Sperava solo di farcela prima dell'arrivo dei
soccorsi. Non poteva permettersi di far uscire Mogwai allo scoperto.
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Capitolo 13 *** Fly ***
13. Fly
Away
L'aria
all'esterno era frizzante e stantia insieme. La città le
sembrava stranamente vuota. Come se fosse stata evacuata.
Trascinò il peso del compagno giù per la
scalinata, seguendo il labirinto azzurrino che le compariva in
sovrimpressione sullo specchio degli occhiali. Le tute erano ancora
regolate per avere il massimo grado di trasparenza: i loro inseguitori
avrebbero dovuto concentrarsi per trovarli. Digrignò i
denti, desiderando avere una di quelle coperte termiche umane che
impedivano al calore di essere così visibile ai sensori. A
quel punto, però, sarebbero stati visibili anche a occhio
nudo.
Con
un piccolo sforzo tirò 24 dietro un angolo e si
fermò appena per riprendere fiato. Dovevano raggiungere il
porto. Non sapeva come ma doveva riuscire ad arrivarci prima che il
centro di controllo mandasse un'altra squadra ad accertarsi delle
condizioni di quella che aveva neutralizzato. Ancora una volta, si
sorprese a desiderare gli artefatti umani: un pattino, una carriola,
qualunque cosa fosse dotata di ruote su cui adagiare il peso del
compagno. Se lo ricaricò in spalla e avanzò,
scegliendo i percorsi più tortuosi.
Qualche
decina di metri e un pensiero la colpì per la sua
sorprendente semplicità logica: non si sarebbero messi a
cercarli per le strade della città. Sarebbe stato uno spreco
di tempo, risorse ed energie. In breve tempo avrebbero istituito un
posto di blocco direttamente all'attracco delle navi. Serrò
i denti. Avrebbero concentrato lì tutte le squadre di
Karibo. Che sciocca era stata. Ora, l'urgenza di raggiungere per prima
la navetta, le dava una forza sorprendente. Sollevò 24 senza
sforzo e si mise a correre. Aveva un vantaggio di cinque minuti durante
i quali, diramato l'ordine di raggiungere la sua stessa destinazione,
le squadre sarebbero state in movimento: doveva affrettarsi per
riuscire ad anticiparli.
Corse
a perdifiato per le vie della città, scegliendo la via
più breve, attraversando senza neanche guardare le strade,
stranamente vuote e silenziose, biecamente illuminate da tutti i neon
che ne disegnavano lo skyline. Non c'era stato alcun esodo,
pensò. Dovevano essere stati invitati tutti a rimanere in
luoghi sicuri. Chissà quale scusa avevano usato. Loki si
scoprì a sperare, come un misero umano, di far in tempo a
bypassare la sorveglianza degli Akero.
Ora
solo pochi metri la separavano dal suo obiettivo finale. Poi, forse,
sarebbero stati in salvo. O almeno più tranquilli.
Scivolò
silenziosamente tra i pochi Karibo presenti normalmente all'ingresso,
alcuni con lo sguardo fisso davanti a sé, concentrato,
altri, in seconda linea, più rilassati che scherzavano tra
loro. Le arrivarono alle orecchie dei frammenti di discorsi. Stavano
ridendo di loro, domandandosi chi fosse così folle da
rischiare tanto: la notizia della loro fuga era già
arrivata, ma non le truppe supplementari.
Un
ghigno le increspò le labbra nell'istinto di rispondergli o
di staccargli la testa dal collo. Ma aveva altre priorità
che non fosse perdere le staffe con la semplice marmaglia. Con un colpo
di anca si ridistribuì il peso di 24 e procedette oltre.
Doveva allontanarsi e cercare qualcosa che non desse troppo
nell'occhio, qualcosa che, se si fosse sganciato, si sarebbe potuto
pensare a un errore tecnico. Puntò quindi al ricovero delle
navi danneggiate nella parte più isolata del cantiere,
vicino alle piste di lancio. Certo non il primo posto che un qualunque
Arkein1 avrebbe puntato per scegliere un mezzo di trasporto. Era
pericoloso scegliere una nave non perfettamente funzionante, lo sapeva
bene. Ma era la sua unica possibilità di guadagnare
ulteriormente tempo. L'hangar brulicava di Manowar impegnati nelle
riparazioni e non sembravano affatto turbati dalla notizia della fuga
dei due, ormai, Nephilim. Si accasciò all'esterno,
depositando il corpo privo di sensi di 24 accanto a sé e
poggiando la schiena alla lamiera della parete. Si prese del tempo per
studiare i mezzi ospitati all'interno. Doveva trovare il più
scalcagnato e che fosse, possibilmente, seguito dal più
distratto degli operatori. La mappa che le scorreva davanti agli occhi
si tramutò in una serie di schede tecniche. All'improvviso,
l'allarme di una sirena riecheggiò nell'aria. Era il segnale
che precedeva l'arrivo della squadra di Karibo. L'hangar sarebbe stato
ispezionato per ultimo, ma lei doveva spicciarsi comunque. Si
domandò come avesse fatto Mat-Mon a fuggire. Ammesso che ci
fosse riuscito.
Riportò
la sua attenzione alle schede, scorrendole tutte, quando, infine,
trovò ciò che faceva al caso loro: una navetta
che nessuno si era preso la briga di prendere in considerazione per le
riparazioni, troppo danneggiata e male ancorata. Sembrava quasi che
l'operatore, che l'aveva ricoverata in malo modo, sperasse potesse
sparire da sola, in modo evitargli il fastidio di doverlo smontare per
riciclare eventuali pezzi ancora in buono stato.
La
scheda segnalava la perdita totale dello scudo deflettore, l'avaria dei
vettori direzionali, il malfunzionamento del calcolatore di bordo e la
pressurizzazione dell'abitacolo era data per incerta. Loki non riusciva
a capire cosa potesse esserci i tanto complicato nella sostituzione di
un paio propulsori e di un deflettore. Forse tale operazione era
semplicemente più dispendiosa rispetto al tenere da parte i
mezzi danneggiati per usarli per altri pezzi di ricambio. Ad ogni modo,
nessun Arkein sano di mente si sarebbe mai avventurato con un mezzo
così mal ridotto, figurarsi degli Akero disperati e
inesperti, per quanto braccati. Nessuno, tranne loro.
Si
tirò dritta e si caricò il peso del compagno,
pronta per l'ultimo sforzo. Arrivata alla navetta, sciolse il nodo
della propria coda di terminali. Trovò la bocchetta di
inserzione e si accoppiò. Il virus, precedentemente
incamerato nella sala dei computer, si sganciò da lei e si
propagò nella macchina. Subito il portello si schiuse e lei
e 24 poterono sgusciare all'interno. Ora erano schermati anche dai
visori termici. Il problema sarebbe stato partire. Stese 24 lungo il
piccolo corridoio, piegandogli le gambe sui piccoli divanetti, quindi
si accovacciò vicino al computer e si accoppiò
nuovamente. La macchina prese vita con un fastidioso ronzio. Il piccolo
monitor domandava quale corpo celeste rappresentasse la destinazione.
Loki sbuffò spazientita e digitò il codice della
Terra pestando le dita sullo schermo. “Come se non fosse
ovvio...” ringhiò. Il calcolatore le chiese,
quindi, quali fossero le coordinate. In sequenza comparve la stringa di
comando che aveva impostato: 78°45'N 28°30'E,
l'arcipelago delle Kong Karls Land che si trovava subito sotto l'isola
Nordaustlandet, la più settentrionale del complesso delle
Svalbard, a circa mille chilometri da dove si trovava il suo umano. Ma
il computer sfavillò di rosso e giallo, segnalando un
errore. Lei ridigitò le coordinate e, in ultima istanza, il
computer, sempre lampeggiando di rosso, sembrò accettarle.
Pochi istanti e il calcolatore poneva la domanda più stupida
che le fosse mai stata rivolta “Sei sicura di voler dirigere
la nave alle coordinate 78°45'N 28°30'E?”
Loki
pestò sul icona del Sì, infastidita “Se
ti dico che voglio andarci non farmi tanto la paternale!”
soffiò. Il computer sapeva bene quanto lei che quella era la
zona più rischiosa della terra in cui spedire una navetta:
lì i segnali si facevano deboli ed era quasi impossibile la
ricezione del segnale a causa della vicinanza al polo magnetico.
Il
portellone si sigillò con uno sbuffo e il rombo dei motori
ausiliari riecheggiò nell'abitacolo. Loki gattonò
fino a 24 e si accoccolò al suo fianco, aspettando la spinta
del decollo mentre la cabina veniva scossa da violente oscillazioni.
Nel
silenzio della notte, rientrare da solo nell'hangar abbandonato sulla
bocca del lago gli dava quasi i brividi. Akira non aveva paura del
buio. Non più. Ma quella situazione gli faceva vedere, in
ogni ombra, un corpo che cercasse di nascondersi.
Il
respiro era ormai affannoso nel disperato tentativo di trascinarsi
dietro un peso semi-morto e, al contempo, cercando di tenerlo al riparo
sotto la coperta termica. Non vedeva l'ora di tornare a casa e
dimenticare tutta quella notte. No. Dimenticare sarebbe stato sbagliato
e scorretto. Voleva... riposare, tirare un sospiro di sollievo per
essere riuscito a riportare la pelle a casa, piangere a dirotto, senza
vergogna, per la perdita delle sue amiche. Ma ora non poteva
permettersi quel lusso. Ora non erano ancora al sicuro.
Il
battito regolare delle pale di un paio d'elicotteri riempì
gradualmente il silenzio di quella notte invernale.
Ringraziò mentalmente qualunque vera divinità per
averlo fatto arrivare quasi a destinazione. Gli elicotteri dovevano
essere abbastanza vicini e, forse, sarebbero arrivati proprio dalle
montagne alle sue spalle. A conferma della sua ipotesi, tre fasci di
luce sciabordarono la notte senza stelle. Si chinò vicino a
un cespuglio, sperando che la coperta, il cui colore era di un nero
anonimo, non venisse facilmente individuata. Le luci scivolarono oltre
e con esse l'eco martellante delle eliche e il vento improvviso che
aveva colpito la zona tanto volavano bassi.
Si
rimise in piedi e si trascinò all'apertura. Percorse, al
buio, il percorso fatto con Xing e Jess all'andata.
Incespicò nei propri passi e nelle macerie di quel luogo
abbandonato. Arrivò all'ascensore e pigiò il
pulsante che si illuminò di rosso. Tirò un
sospiro di sollievo. Era quasi fatta. Ora anche Mogwai lo sapeva. Se lo
immaginava piroettare in aria giulivo. Non poteva sapere cosa fosse
successo, ma il fatto che qualcuno avesse richiamato l'ascensore (dopo
che era stato rimandato al piano interrato per sicurezza) era il segno
inequivocabile che qualcuno stava tornando. A Mogwai era stato comunque
impartito l'ordine di nascondersi nel caso qualcuno li avesse scoperti,
fosse riuscito a evitare l'esplosione delle capsule di cianuro e a
recuperare i dati del loro cervello. Senza Mogwai era impossibile
scoprire dove si collocasse la ribellione. E nel caso si fosse
presentato qualcun altro lui sarebbe dovuto fuggire.
Finalmente
le porte si aprirono e lui vi scivolò dentro, abbandonandosi
al muro. Pigiò distrattamente il numero del piano da
raggiungere.
Allora
lo vide: un fascio di luce, probabilmente di una torcia (no, erano
più torce, forse addirittura una ventina), dardeggiare
nell'oscurità davanti a sé. Abbandonò
il corpo dell'Akero e, mentre agguantava il mitra che aveva sottratto a
una delle guardie morte pochi minuti prima, con la mano libera pigiava
il tasto che avrebbe affrettato la chiusura delle porte. Si
appiattì vicino alla pulsantiera, per ricevere un minimo di
protezione dalla paratia di quella trappola di metallo. La luce lo
accecò e lui sparò, senza esitazione.
Colpì nel mucchio e una luce traballò. Doveva
aver centrato qualcuno, ma erano troppi. Le porte cominciarono,
finalmente, a chiudersi. Ma si stavano chiudendo troppo lentamente. I
pochi secondi che ci avevano impiegato all'andata ora sembravano minuti
eterni.
I
suoi inseguitori risposero al fuoco e lui estrasse rapidamente un'altra
arma dalla fondina, le mani una sopra l'altra per sparare nella stessa
direzione. Diverse luci oscillarono e lui sparò senza sosta,
il sudore che quasi gli annebbiava la vista. Ma non poteva tergerselo,
né scrollarselo di dosso.
Finalmente
le porte si chiusero e Akira poté tirare un sospiro di
sollievo mentre altri proiettili si conficcavano nelle porte davanti a
sé, deformando la parete di metallo.
L'ascensore
cominciò a scendere dolcemente. Sperava solo che i suoi
inseguitori non capissero a quale piano fosse diretto e che non
scoprissero che le scale erano perfettamente agibili. Forse essersi
rifugiati così in profondità non era stata una
scelta saggia. Mosse un braccio per asciugarsi il sudore, prima di
riagguantare l'Akero, ma un profondo dolore pulsante si
irradiò dal torace. Abbassò lo sguardo: appena
sotto l'ascella, fino alla vita, era in carne viva. L'avevano colpito.
Quando? Non aveva avvertito alcun dolore. Ora gli sembrava di bruciare.
La vista si annebbiò e mentre si accasciava al suolo, il suo
ultimo pensiero fu che era stato fortunato: non gli avevano perforato i
polmoni.
Scivolò
rapidamente nell'incoscienza e in uno sprazzo di lucidità,
ricordò qual'era il suo dovere: la capsula di cianuro.
Mogwai
avrebbe riportato a casa un campione, importante per la resistenza, e
il suo cadavere, ucciso dal cianuro e non dalle armi degli uomini.
Nel
silenzio dell'hangar, le porte cigolanti del vecchio ascensore si
aprirono, accompagnate da un desueto e allegro trillo, con una lentezza
esasperante. Il fascio di luce proveniente dal vano illuminò
un trapezio di terreno. Il silenzio persisteva.
Improvvisamente,
le luci del piano si accesero, tintinnando come solo i vecchi neon
sapevano fare, uno dopo l'altro, sfarfallando e illuminando l'ambiente
a giorno. Mogwai, titubante, uscì dal proprio nascondiglio.
Fluttuò fino all'ascensore, incapace di capire
perché nessuno uscisse. Gli stavano facendo uno scherzo?
C'erano dei nemici nascosti all'interno dell'elevatore? Per buona
norma, si avvicinò all'apertura dal soffitto. Quando fece
capolino tra le paratie, che in quel momento si stavano chiudendo, vide
l'orrore al suo interno, afferrando perché nessuno si fosse
mosso.
Scivolò
dentro, insieme ai due corpi. Se solo avesse potuto, avrebbe pianto
come i suoi amici umani. Tutto ciò che fece, invece, fu
lasciarsi scuotere da violenti singulti. Le porte alle sue spalle
tornarono ad aprirsi meccanicamente. Fu preso dal panico e, abbassando
lo sguardo sulla fessura, convinto di trovarci degli assalitori che
riaprivano le porte scorrevoli, vide come fosse il piede di Akira a
impedire la chiusura. Si era accasciato contro la parete traforata di
proiettili lasciando dietro di sé una scia di sangue
raccapricciante. Sembrava una cascata che avesse origine a
metà pannello. Le lunghe gambe erano scivolate in avanti e,
quando l'ascensore si era aperto, avevano continuato la loro corsa per
inerzia.
La
rabbia lo scosse. Stupidi umani assassini. Stupidi Akero assassini.
Mogwai
spostò, allora, lo sguardo sul secondo corpo. Un Akero. Un
Akero? Akira era stramazzato al suolo per proteggere uno di
quei...cosi? La rabbia per la stupidità del suo compagno
umano gli fece dimenticare di dover fuggire. Si avvicinò,
invece, ulteriormente ad Akira e sondò il suo corpo. Il
battito cardiaco c'era ancora, flebile e lento ma c'era: non era morto.
E non aveva neanche esploso la capsula. Mogwai si calmò
immediatamente. Ora, tutto ciò che doveva fare era
riportarlo a casa. Non si domandò dove fossero Jess e Xing.
Vedendo quei due aveva capito.
Dal
piano superiore avvertì il tramestio di una ventina di
persone che si muovevano lungo i vecchi gradini di cemento farinoso e
seppe che non erano ancora in salvo. Ora tutto dipendeva da lui.
“Sono
qui!” urlò una voce in fondo al grande ambiente.
“Saranno
morti!” rise qualcun altro ma subito la voce gli
morì in gola “E quello cos'è?”
“E'
un'allucinazione?” domandò sbigottito un terzo
uomo mentre i corpi armati si accalcavano e si spintonavano per farsi
largo.
“No,
lo vedo anch'io sul visore. Sembra...una lampadina a
incandescenza...blu?” borbottò un altro ancora. La
curiosità era palpabile e gli uomini si disponevano
istintivamente a ventaglio attorno all'apertura e a quella palla
luminescente di un profondo blu con venature violacee.
“Roger”
disse quindi il capo pattuglia alla ricetrasmittente “Abbiamo
un...Ovni2 nello scantinato, insieme ai cadaveri di altri due
ribelli... uno dovrebbe essere il Nephilim. Ci avviciniamo per
accertamento, passo.”
Cadaveri?
Mogwai si sentì fremere di rabbia: il suo amico, e
ciò che aveva protetto a costo della propria vita, non erano
cadaveri. Non ancora.
“Sì
sì” disse ancora l'uomo, evidentemente il capo
pattuglia “Un oggetto volante non identificato...vola,
no?” disse rivolto ai suoi uomini, quindi continuò
“Fluttua, se proprio vogliamo essere precisi...quindi un
Uap3...” lo scricchiolio della radio lo interruppe
“Ma no... è poco più grande di un
pugno...”
Mentre
l'uomo parlava, i suoi uomini si erano accorti che qualcosa stava
cambiando. La luminosità del posto era aumentata e anche le
dimensioni apparenti dell'Ovni.
“Un
momento...” disse sentendosi tirare da uno dei suoi soldati
“Pare stia crescendo a vista d'occhio. Sì,
richiedo ulteriori rinforzi!” E mentre lo diceva, Mogwai,
l'essere di luce, esplodeva in tutta la sua rabbia e il suo colore
mutava in un lilla pulsante. Le sue dimensioni avevano raggiunto i
cinque metri di diametro. Non li avrebbe lasciati a quegli esseri
meschini. Si abbassò a fagocitarli: al suo interno sarebbero
stati protetti. Li manipolò dolcemente in modo che si
raggomitolassero in posizione fetale, così da occupare meno
spazio possibile. Freddamente, ridusse le proprie dimensioni.
La
sua luce pulsò una, due, tre volte.
Quindi
scattò, veloce come una saetta e si impennò verso
le scale: erano abbastanza larghe da far scivolare i due corpi al suo
interno senza problemi. Ma lui non era ancora pronto per affrontare il
rientro. Era troppo caldo.
Avvertì
dei colpi esplodere nella sua scia.
Sciocchi.
Ringhiò dentro di sé. Il calore
aumentò ancora, insieme alla vividezza della luce. Pensavano
davvero che dei miseri proiettili potessero fargli qualcosa? Se
scappava era solo perché temeva che gli stessi colpissero
ulteriormente i due feriti che trasportava. Fortunatamente quegli
sciocchi non sembravano essersi resi conto della sua natura plasmatica.
Ma doveva sbrigarsi a calmarsi, così sarebbero riusciti a
rientrare. Non ci sarebbe voluto molto perché quelle scimmie
corazzate elaborassero la strategia per fermarlo e lo trasformassero in
un clarato4. Era molto, troppo, semplice per le loro apparecchiature.
Inoltre, doveva calmarsi più che altro per evitare di
raggiungere il runaway5 e distruggere tutto.
Calmarsi.
Doveva darsi una regolata. Solo così avrebbe diminuito la
sua temperatura e quella dei suoi ospiti, rendendo possibile trapassare
la materia.
Freddo.
Akira era stato freddo. Era riuscito a portare a termine la missione
nonostante tutto. Nonostante la morte di Jess e Xing. Mogwai si
focalizzò su quel pensiero mentre la sua luce bluastra
schizzava sulle acque del lago.
Zazen, gli
diceva sempre Akira sedendosi con le gambe incrociate per ore,
dimenticandosi di qualunque cosa avvenisse intorno. Era la volta buona
di mettere seriamente in pratica i suoi insegnamenti.
Ne
andava della sopravvivenza di tutti e tre.
La
luce tornò a farsi violetta. Così non andava, era
in preda all'ansia.
Calma!
Calma!
Sincronizzati
sul respiro.
Ma
quale respiro, Akira? Io non respiro!
Allora,
sincronizzati sul mio.
Il
ricordò svanì, fulmineo, e Mogwai si
ritrovò a sfrecciare nel cielo stellato. Osservò
Akira, al proprio interno. No, non era stato lui a parlare, anche se
gli era sembrato dannatamente vivido. Era solo un ricordo. Suo? O
dell'umano? Erano in connessione telepatica? Lo stato di abbandono in
cui versava, forse, aveva reso possibile il riaffiorare di una memoria
comune. Si perse nel suo ragionamento, valutando come gli Akero fossero
riusciti a rendere possibile l'intelligenza collettiva, un ritorno alle
origini animali: prima Internet, poi la costante connessione ad
apparecchiature elettroniche, il monitoraggio e la schedatura delle
onde elettromagnetiche. Infine, gli esseri umani che continuavano a
camminare sulla terra, con poche eccezioni, erano diventati tutti parte
di un unico grande ingranaggio, con diverse sfumature e diversi gradi
di libertà. Stolti. Erano convinti di essere liberi ed
erano, invece, più manipolati dei loro stessi animali tenuti
a guinzaglio.
Se
avesse potuto, avrebbe scosso la testa. Invece si rese conto di essere
riuscito a calmarsi.
Dal
buio, inaspettatamente, si levarono un paio di luci e un battere
ciclico e ritmico risuonò nel silenzio notturno. Elicotteri.
Pensavano davvero di potergli stare dietro?
La
calma l'aveva invaso. Era così preso a fluttuare davanti
agli umani che quasi non si accorse del grosso disco metallico alle
loro spalle. I getti di luce lo abbagliavano, impedendogli di notare la
fascia di lucine colorate lungo tutta la circonferenza.
Mogwai
scattò un istante prima che anche l'altro oggetto volante
sfilasse tra i due elicotteri, disponendosi verticalmente.
Il
panico l'attanagliò mentre schizzava in cielo come un
fulmine impazzito.
Calmati!
Calmati! Calmati!
Il
respiro. Devo concentrarmi... il respiro di Akira. E'...lento. E'
troppo lento. Mi prenderanno...non posso fare nulla. Io non ho cianuro
con me.
Calmati!
Calmati! Calmati!
Ingranò
la quinta e guadagnò terreno, allontanandosi il
più possibile da quell'oggetto infernale. Il respiro di
Akira. Lo ritrovò nel rombo assordante dell'aria che fendeva
a grande velocità. Lo ascoltò attentamente,
isolandolo dai ruggiti dei suoni elettrofonici che lui stesso produceva.
Intanto
lasciava che l'istinto lo guidasse lontano dal pericolo.
Inspirare
piano.
…
…
Espirare
ancora più piano.
…
…
e
di nuovo da capo.
Dopo
qualche minuto si guardò intorno. Notò con
immensa soddisfazione di avercela fatta. Era freddo, ora. Non
abbastanza ma poteva cominciare la manovra di discesa. Sarebbe bastato
poco per fare il salto, ora. Il disco alle sue calcagna
sembrò avvicinarsi all'improvviso ma Mogwai si
impennò, piroettando in aria e finendo in coda al suo
inseguitore.
Puntò
il lago. Il rischio di creare da sé la gabbia che l'avrebbe
intrappolato era ancora alto ma non avevano più tempo. Anche
perché Akira e l'Akero rischiavano l'asfissia, al suo
interno, nonostante respirassero molto piano. Si calmò.
Doveva farlo.
Quando
vide la superficie riflettente del lago sotto di sé, era,
ormai, completamente padrone della propria mente. Si tuffò e
vide che l'acqua non lo scalfiva.
Ottimo.
Proseguì,
puntando direttamente al fondale. Si accorse che l'oggetto volante che
lo tampinava lo stava seguendo anche in acqua: non era un Ovni, ma un
Osni6 e poteva benissimo tenergli testa!
Accelerò.
L'Osni poteva fendere l'acqua come fosse burro ma sottoterra, se voleva
mantenere la velocità e sfruttare il suo tunnel, era
costretto a stare nella sua scia. Se Mogwai fosse riuscito ad andare
abbastanza veloce o se fosse riuscito a fare manovre abbastanza
complesse, sarebbero stati a posto: fuori dalla sua scia, nella
migliore delle ipotesi, l'Osni sarebbe rimasto intrappolato nella
crosta terreste diventando tutt'uno con essa. Altrimenti si sarebbe
disperso nel nulla. E anche avesse attivato le trivelle, al massimo
sarebbe riuscito a procedere, molto lentamente, fino a tornare in
superficie.
Mogwai
zigzagò tra la terra e l'acqua, sperando di seminarlo.
Quindi si rituffò un'ultima volta verso il centro della
terra. E, ascoltando il battito di Akira, scivolò nella
materia a velocità impressionante.
1
Arcangelo il cui ruolo è quello di fare da messaggero.
2
Nelle lingue neolatine è l'acronimo dell'Ufo anglosassone.
E'
espressione con cui si indica ogni fenomeno aereo le cui cause non
possono essere individuate facilmente o immediatamente da un
osservatore. Oggi il termine UFO è comunemente utilizzato
per riferirsi a qualsiasi avvistamento non identificabile,
indipendentemente dal fatto che sia stato verificato. Dal 47
è diventato sinonimo di navi spaziali aliene. In
realtà, quindi, il 'semplicissimo' Stealth, prima che tutti
imparassero a conoscerne la sagoma e le proprietà, era
classificato come Ufo, soprattutto dai non addetti ai lavori.
3
Unidentified Aerial Phenomena: Fenomeni Aerei Non Identificati. In
francese PAN.
4
Il clarato idrato è una classe di solidi della chimica
supramolecolare in cui le molecole di gas occupano "gabbie" composte da
molecole d'acqua unite da legami idrogeno. Una volta svuotate, dette
"gabbie" diventano instabili e collassano in cristalli di ghiaccio
ordinario, ma possono essere stabilizzate con l'inclusione di molecole
di dimensioni opportune al loro interno. Fonte Wikipedia
Sostanzialmente
l'Argon con l'acqua diventa solido. E nel caso di un essere composto di
quell'elemento, può essere anche analizzato.
5
In chimica e nell'ingegneria chimica, con il termine runaway (o
run-away) ci si riferisce ad una situazione in cui un incremento di
temperatura crea delle condizioni che determinano un ulteriore aumento
di temperatura, per cui si genera uno scostamento incontrollato dalle
condizioni di equilibrio del sistema. È un particolare caso
di feedback positivo. Nei casi gravi una situazione di runaway
può determinare un'esplosione, che viene detta esplosione
termica. Fonte Wikipedia.
6
Oggetto Sottomarino Non Identificati o Uso (Unidentified Submarine
Object)
|
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Capitolo 14 *** Craft ***
14. Craft
Hovers
the Sea.
Il
mare scorreva veloce e sempre più nero sotto lo scafo
dell'hovercraft. Il vento gli scompigliava i capelli e gli mozzava
sistematicamente il respiro. Era un'esperienza inebriante. Il sole
stava scomparendo all'orizzonte e l'oscurità della notte
polare stava sostituendo la luce crepuscolare. Non si era mai spinto
così a nord. Lasciò che l'adrenalina messa in
circolo da quel viaggio non programmato lo abbandonasse in modo
naturale. Meglio godersi quell'esperienza unica, forse anche l'ultima
della sua vita, finché non avesse avuto di meglio da fare.
Si era già arrabbiato, inutilmente, con Loki. Solo quando ce
l'avrebbe avuta davanti si sarebbe lasciato andare alle escandescenze.
Aveva
guidato per un paio di dannatissime ore sulla E6, deserta a quelle ore,
per coprire solo 57 km, data la gran quantità di neve
caduta, beandosi solo dello spettacolo offerto dal Munkefjord avvolto
dal pulviscolo nevoso. Era arrivato al porto di Kirkens facendo quanta
più attenzione possibile. Infine, non ricevendo ulteriori
istruzioni dalla sua prolissa accompagnatrice, che era praticamente
sparita dopo il loro ultimo scambio di battute, si era costretto ad
andare al ricevitore esposto all'ingresso. Aveva appoggiato la mano
sull'apposito touch-screen, il cui contatto aveva attivato lo scanner
retinico, e aveva atteso le sirene e la polizia. Invece, dal piccolo
altoparlantino, nascosto chissà dove, la voce sintetizzata
lo aveva accolto cordiale.
“Benvenuto,
Jørgen...” Aveva cominciato quella, senza fermarsi
davanti allo sbigottimento di Birger che si era visto riflesso nella
foto identificativa di un altro uomo, che poteva assomigliargli quanto
la Norvegia poteva assomigliare al Brasile. Jørgen? E chi
cavolo era? Già che c'era, Loki (perché ne era
certo, dietro tutto quello c'era lei) poteva anche scegliere di
chiamarlo Roxana e farlo comparire come una bellezza esotica
sculettante in un bikini, dai lunghi capelli neri e dalle tette come
canotti “La tua prenotazione è stata abilitata.
Molo 16, imbarco 7” Birger era rimasto a fissare il
dispositivo finché, perplesso, era risalito sulla jeep ed
aveva varcato la soglia. Ma le sorprese, doveva aspettarselo da Loki,
non erano certo finite. Arrivato al molo indicato aveva scoperto che
l'unica imbarcazione attraccata era la sua, al numero 7. Un hovercraft1 di medie
dimensioni stava immobile nelle fredde acque della baia. Il ponte
posteriore era abbassato, come un qualunque traghetto per il trasporto
misto, quasi in un invito a salire a bordo col veicolo. E Birger non se
l'era fatto ripetere due volte. Sarebbe affondato con la sua
scassatissima Jeep, piuttosto che mollarla nelle mani di chicchessia.
Con la fatica che aveva fatto per preservarla al cambio dei
dominatori...
Aveva
ingranato la prima ed era salito sul ponte, arrivando col muso rostrato
quasi a grattare la porta, e aveva tirato il freno a mano. Il veicolo
era completamente coperto dalla tettoia che, durante le traversate
estive, fungeva da sala esterna per i passeggeri. Era sceso e aveva
chiuso lo sportello con uno scatto metallico. Aveva picchiettato
distrattamente la mano sul cofano, quasi a rassicurare la compagna di
viaggio che andava tutto bene. In realtà, guardandosi
attorno, in quella desolazione, Birger era stato tutto
fuorché tranquillo. E a ben vedere!
Un
hovercraft...in un porto praticamente deserto. Poteva anche scegliersi
un nascondiglio meno appariscente, quella stupida! Aveva sbuffato
nuovamente, incerto se accendersi una sigaretta per scacciare la
tensione. Aveva accantonato il pensiero: prima avessero finito, prima
sarebbe tornato alla sua tranquilla e monotona prigionia.
Mentre
poggiava, nuovamente, la mano sul lettore all'ingresso e veniva
identificato, ancora una volta come il buon Jørgen, il suo
pensiero era corso a 24. Cosa avrebbero fatto loro tre da soli, in quel
mondo? Di certo non poteva portarlo in ospedale. Né a casa
sua. Aveva già abbastanza problemi da solo senza che due
squinternati alieni si mettessero a giocare ai fuggitivi. Aveva varcato
la soglia e la porta a vetri si era chiusa alle sue spalle con un tonfo
attutito, tipico delle nuove porte a scomparsa.
“Loki?”
aveva chiamato senza ricevere risposta. Aveva fatto solo pochi passi
nella pancia di quella rana metallica che le potenti turbine si erano
attivate. Per la sorpresa aveva quasi perso l'equilibrio. Corse alla
finestra e vide come il molo si allontanasse lentamente. Se avesse
spaccato (se ci fosse riuscito) un finestrino, avrebbe potuto
raggiungere la Jeep. Ma a che scopo? Affondare davvero?
Incollerito,
sbraitando il nome della sua ospite, si era acceso una sigaretta e si
era buttato di peso sui pregiati divanetti della sala superiore.
Ricordò di aver pensato che, ormai, era nella merda fino al
collo e che tanto valeva prendersi quel poco che poteva, da
quell'esperienza.
Loki
l'aveva buggerato, raggirato...imprigionato su una barca, sostenuta da
un palloncino, che stava seguendo una rotta tutta sua, senza degnarsi
nemmeno di avvisarlo. Avrebbe potuto cercare di crackare il sistema. Ma
a che pro? Tornare al porto e, alla polizia, giustificarsi dicendo che
il proprio Augur l'aveva spedito fuori casa sotto minaccia? Ma chi gli
avrebbe creduto?
Così
facendo avrebbe anche lasciato i due in balia di loro stessi. Certo, se
lo meritavano ma... ma non aveva cuore di fregarsene così.
Forse era anche per quello che quelli lo
tenevano tanto sotto controllo.
Il
monitor indicava, come destinazione ultima, le acque di Kong Karls
Land, a un migliaio di chilometri da Kirkens, e una velocità
di crociera di circa 81 nodi. Sarebbe arrivato in circa 7 ore. Aveva
tutto il tempo per pensare come affrontare quella scellerata. A
metà navigazione, le porte si erano dissigillate. Aveva
guadagnato la prua, accendendosi una sigaretta e assumendo la posa del
lupo di mare logorato dalla vita. Quando si fu stancato di contemplare
lo spazio infinito del mare privo di orizzonte delle notti polari,
rientrò in cabina e si buttò sul divanetto extra
lusso adiacente il ponte. Tanto valeva schiacciare un pisolino, e
recuperare il sonno non goduto di quella notte, prima di mettersi a
scappare chissà dove, in giro per il polo artico.
Non
era ancora l'alba quando Kemal si alzò dal suo giaciglio. Il
più
silenziosamente possibile, recuperò le sue coperte, le
ripiegò con cura
e le impilò là dove stavano i bagagli. Quindi
uscì nell'aria fresca e
pungente del mattino e si sedette appena fuori dall'apertura della loro
grotta, in contemplazione del paesaggio ghiacciato. Si tirò
la kefiah
sul naso per trattenere un minimo di quel calore che usciva in
nuvolette dalla bocca.
Avvertì
movimenti impacciati alle sue spalle.
Appresso lo scalpiccio entusiasta di un piccolo animale che
trotterellava nella brina. Non ebbe bisogno di voltarsi per sapere chi
lo stesse raggiungendo. Certo, era sorpreso, ma non più di
tanto.
“Sabah
al khayr2...
Come mai già in piedi? Torna a dormire, sarà una
lunga giornata
faticosa...” disse senza distogliere lo sguardo
dall'orizzonte. La
valle pianeggiante, tinta di blu e rosa, si estendeva sotto di loro in
una statica perfezione.
“Potrei
farti la stessa domanda...” replicò
Azzurra affiancandolo e lasciando che Arek esplorasse la zona
lì vicino
“Soprattutto...perché stai qui a prendere
freddo...vieni dentro..le
coperte sono ancora abbastanza calde...e se è vero che
sarà una lunga
giornata e fredda - aggiungo io - non è il caso che tieni un
po' di
quel calore finché puoi?”
Kemal
sorrise della sua gentilezza
“No...preferisco imprimermi bene nella mente questi
momenti... sai..
potrebbero mancarti i paesaggi terrestri...” disse volgendosi
a
guardarla
“Terrestri?
Perché dove andiamo? Su un altro pianeta?”
domandò lei divertita
Kemal
mise il muso e tornò a fissare davanti a sé
“Capirai quando ci
saremo...E tu? Non hai ancora risposto alla domanda.. Fred e Alain
russavano?” domandò ridendo
“No...
semplicemente, non sono abituata
a dormire per terra... mi sento a pezzi...” disse
stiracchiandosi e
piantando le mani sulle reni, inarcandosi all'indietro.
“Se
vuoi...” disse l'altro piano, quasi non volesse spaventarla
“Posso farti un massaggio...”
“Così
quelli lì ricominciano a mangiarti vivo? Una cosa l'ho
capita, in
questa notte insonne...” rispose sghignazzando ma andandosi a
sedere
davanti a lui e chinandosi in avanti, in modo da non oscurargli la
visuale del paesaggio
“E
sarebbe?” domandò lui, prendendo a
massaggiarle le spalle senza distogliere lo sguardo dal paesaggio che
virava, ora, su toni più dorati
“Che
avete delle regole interne
anche nel recuperare noialtri...anche se non capisco cosa ci fosse di
sbagliato nel tuo comportamento...”
Kemal
sbuffò. Non sapeva se
essere imbarazzato o preoccupato “C'è la regola
non detta che nessuno
debba provare...diciamo...a fraternizzare...approcci che vadano al di
là della semplice conoscenza con chi viene recuperato fino
al loro
ingresso nella comunità...lì la legge cade e
ognuno può fare quello che
vuole”
“Che
cosa stupida...” fu il commento di Azzurra “Dopo
come mi
avete trattata...anche con mia madre..cosa ci sarebbe di male
se...”
“No,
è una cosa giusta...” la interruppe Kemal
“Sia per noi, che per voi.
Prima di abbandonare il tuo mondo potresti essere...come dire...sai, la
Sindrome di Stoccolma... ecco..dovresti essere sicura di quello che
fai... dovresti essere convinta della tua scelta...” A quelle
parole si
beccò un'occhiataccia che gli ricordò come,
effettivamente, si fossero
fatti prendere un po' la mano.
“Innamorarmi
dei miei rapitori?”
domandò lei, retorica, sorvolando sull'episodio
“Più
o meno... quanto a noi... finché non siamo a destinazione,
non saremo
al sicuro nemmeno da eventuali minacce... aspetta.. ricomincio. Scusa
la confusione ma è la prima volta che devo spiegarlo...Fa
finta di
essere una loro super
alleata...” le disse serio
“Perché
una loro super
alleata dovrebbe viaggiare con voi?” replicò
quella senza capire
“Ho
detto fa
finta... metti
che tu faccia parte di un progetto per
stanarci...se uno di noi cedesse alle tue, chiamiamole, lusinghe
potrebbe compromettere tutta la comunità.”
“Cioè...io
sono un potenziale pericolo per voi?” Vedendo che Kemal
annuiva grave, continuò “Allora perché
me ne stai parlando?”
Preso
in contro piede, il moro tacque, capendo di essersi infilato da solo in
un vicolo cieco. “Fondamentalmente...” disse dopo
un po'. Aveva smesso
da un pezzo di massaggiarla e lei si era voltata verso di lui,
avvolgendosi le gambe in un abbraccio “...diciamo che voglio credere
che ci sia ancora speranza per il genere umano... e comunque...anche
averti detto tutto, non inficia il nostro metro di giudizio.
Né sai dove siamo diretti precisamente né, anche
se lo sapessi, come fare a procedere oltre. Siamo sempre in tre proprio
per guardarci da questo genere di raggiri. Oltre ad essere un'equipe al
completo: qualcuno che sappia rimuovere il chip è l'elemento
fisso della squadra. Poi ci sono molte variabili. Qualcuno come me, in
questo caso, che sappia comunicare con gli animali per servirsene. E
non per vantarmi ma mi reputo abbastanza bravo a capire le persone in
un'occhiata. E tu non mi dai l'impressione di essere una traditrice o
una doppiogiochista.”
“E
di cosa ti do l'impressione, Mr Teaser?”
domandò lei, curiosa e divertita
Kemal
sollevò un sopracciglio, tra il diverto e l'indispettito
“Di una
piantagrane!” La risata di Azzurra gli confermò di
aver fatto centro
per l'ennesima volta. “Dai...andiamo a prendere i
cavalli...è ora di
metterci in moto...e tu dovrai dar da mangiare anche al cane,
no?”
Lei
rispose solo con un cenno del capo. Aveva dormito, tutto il tempo,
stretta al bastardino che aveva fatto una tirata unica. Arek si era
svegliato solo quando lei si era alzata per seguire Kemal. Lo
richiamò
con un fischio e seguì il moro nella grotta adiacente, dove
la
vicinanza obbligata, aveva tenuto caldi i cavalli.
Un
violento scossone percorse lo scafo e Birger finì gambe
all'aria sul tappeto misto seta che si srotolava sotto i divanetti.
Impiegò qualche istante per capire dove si trovasse e cosa
fosse successo. Si mise a sedere scuotendo debolmente la testa.
Ricordò l'hovercraft e la trappola di Loki. Ma non riusciva
a capire perché il natante si fosse fermato così
di colpo. Per un attimo, il dubbio che le turbine si fossero fermate e
stesse affondando in pieno Mare del Nord lo fece rabbrividire. Bel modo
di sbarazzarsi degli umani molesti. Illuderli e spingerli a fidarsi.
Quante
macchinazioni inutili: per quale motivo gli avevano regalato, allora,
il suo bel collare elettronico?
Quel
pensiero lo fece ritornare alla realtà: le turbine giravano
ancora in sottofondo e l'imbarcazione non stava affondando. Si era
semplicemente fermata. E poi dubitava che un hovercraft potesse
affondare. Le navi mica affondavano ed avevano una superficie di
appoggio inferiore e, in più, era protetto dai canotti
posizionati sotto lo scafo. Lui di fisica capiva poco o niente ma era
chiaro che una cosa del genere non poteva capitare a quella che era
stata, fino a pochi anni prima, la seconda invenzione più
sensazionale dopo lo Space Shuttle. Che fossero arrivati a
destinazione? Si alzò lentamente e andò al
monitor di controllo. Sì, erano arrivati. E rimanevano in
attesa. Di cosa non ne aveva la più pallida idea.
Si
portò all'esterno a contemplare il mare scuro tutt'intorno.
Si buttò per terra e si accese un'altra sigaretta. Lo
stomaco gli brontolò e, guardando il vecchio orologio da
polso a carica meccanica, non poté che dargli ragione.
Stanco marcio di quella situazione prese a gattonare fino all'ingresso,
per raggiungere lo zaino con le provviste, cicca in bocca. Non gliene
fregava nulla di mettersi dritto né, tanto meno, che
saltassero i dispositivi antincendio. Voleva solo stramazzare a terra e
dormire un altro po'. Sbuffò, esausto, ripromettendosi di
ammazzare Loki con le sue stesse mani se gli fosse capitata a tiro.
Stava per alzarsi in piedi (aveva scoperto che gattonare era forse
più faticoso del rimettersi in posizione eretta) quando,
improvvisamente, un allarme isterico squarciò il silenzio
della notte. Riguadagnò immediatamente la postazione di
comando e cercò di farsi dire dal computer quale fosse il
problema. Ma tutto ciò che gli rimandava lo schermo era una
luce rossa pulsante con la scritta Attenzione.
Infastidito, andò sul ponte posteriore, vicino alla sua
amata Jeep e scrutò il mare. Probabilmente avevano scoperto
la sua fuga e la polizia si era messa al suo inseguimento.
Poggiò pesantemente la schiena alla carrozzeria del veicolo,
in paziente e rassegnata attesa.
Il
raspare delle turbine, che copriva lo sciabordio delle onde del mare e
riempiva il pesante silenzio col suo ritmico ronzio, andava man mano
intensificandosi. Capì subito che qualcosa non andava nel
verso giusto: c'era quel fastidioso non-so-che che stonava con la calma
piatta circostante. Nessun faro, nessun megafono, nessun elicottero.
Birger
alzò la testa al cielo stellato, sperando di ricevere
l'illuminazione.
E
così fu.
In
alto nel cielo, giusto sopra l'imbarcazione, vide precipitarsi a
impattare con la superficie gelida un qualcosa di luminescente...
Era
una bolla? Una sfera? Una meteora? Certo che ne aveva di sfiga per
beccarsela giusto lui con tutto lo spazio che c'era.
Poi
collegò le cose. Il sibilo crescente proveniva da quella cosa. E, senza
ombra di dubbio, si trattava di Loki. Strizzò gli occhi,
seccato da quel comportamento. Si rendeva conto cosa avrebbe voluto
dire impattare a quella velocità? Distruggersi, dato che
l'acqua diventava come un muro di cemento. Ma soprattutto, scatenare un
maremoto.
Quel
pensiero gli fece balzare il cuore in gola. Quanto tempo aveva? Una
manciata di minuti? Afferrò le funi elastiche uncinate e si
mosse per assicurare ulteriormente la Jeep al ponte e, quand'ebbe
finito, si precipitò all'interno nell'inutile tentativo di
smuovere l'imbarcazione dal punto di contatto. Quella deficiente doveva
aver impostato le stesse coordinate all'imbarcazione e al velivolo.
Mentre si affaccendava sul computer di bordo, pregò che il
dondolio delle onde del mare l'avesse allontanato a sufficienza dal
punto di incontro. Ogni codice inserito veniva rifiutato con un
rigurgito giallo sul rosso lampeggiante. Frustrato, Birger
tirò un pugno sulla console, conscio che non sarebbe
cambiato nulla. Chiuse gli occhi e si rannicchiò sul fondo
del più angusto corridoio che riuscì a trovare.
Se avesse avuto il culo di schivare l'impatto, avrebbe dovuto essere
pronto all'onda subito successiva.
Attese,
raggomitolato su se stesso. Passarono i secondi. Sembrava che il tempo
si fosse congelato. O che il bolide non fosse più in rotta
di collisione con l'hovercraft. Stava quasi per rimettersi in piedi,
per sbirciare fuori quando l'imbarcazione sembrò
capovolgersi su se stessa. Le imposte sbatterono e sentì
rumore di stoviglie che rovinavano a terra in un clangore fastidioso.
Le pareti ballarono per un po'. Birger aveva l'impressione che l'acqua
stesse invadendo l'interno, sigillato, dell'abitacolo.
Col
cuore in gola, gli occhi strabuzzati, stava quasi per vomitare per
tutte quelle scosse, dato che era pure a stomaco vuoto e lui era uno
che mal sopportava gli sballottamenti.
Dopo
una manciata di interminabili minuti, durante i quali Birger aveva
già rivisto il film della propria vita per intero almeno un
paio di volte, beccheggio e rollio si quietarono, permettendogli di
rimettersi in piedi.
Stordito,
guadagnò il ponte che era, ora, bagnato e scivoloso. Il
mare, ancora mosso, era segnato da onde che si diramavano concentriche
dal punto d'impatto, a pochi metri da lui. Si sporse per vedere meglio.
“E'
proprio colato a picco!” constatò. Il dubbio che,
in realtà, le cose dovessero andare diversamente, lo
raggiunse solo allora. Loro non erano
forse dotati di velivoli tipo harrier, più evoluti degli
stessi hovercraft? Cioè, gli Ovni non erano, per
antonomasia, quelle cosine che schizzavano nel cielo con movimenti
rapidi, improvvisi e impossibili secondo le normali leggi della fisica?
Com'era possibile che quella navetta fosse affondata come un sasso?
Il
panico cominciò ad attanagliargli la bocca dello stomaco.
Improvvisamente non aveva più fame ma solo un disperato
bisogno di aria nei polmoni per poter gridare.
Si
aggrappò al corrimano esterno con tutta la forza che aveva,
temendo il peggio. Per quanto non li sopportasse, ormai Loki faceva
parte della sua vita. Si era, in qualche modo, affezionato.
Le
onde erano, ora, quasi tornate a quietarsi e Birger non sapeva
più cosa pensare. Era tutto finito? Così, in quel
modo stupido?
Si
stava staccando per rientrare e cercare di reimpostare la rotta verso
terra quando un leggero brillio dal fondale attirò la sua
attenzione. Dapprima la luce fu bianca e ovattata, quindi esplose in un
disco aranciato. Poi, tutto ritornò alla consueta
oscurità. Pochi istanti dopo, la superficie ormai piatta del
mare fu scossa come dal contraccolpo di un'esplosione sottomarina e si
increspò nel lasciare esplodere una gigantesca bolla d'aria.
Birger era congelato sul posto, non osava muovere un muscolo
né sbattere le palpebre temendo di perdersi qualche
dettaglio di vitale importanza.
La
superficie si quietò nuovamente. Birger temette davvero il
peggio. Dov'era Loki? Dov'era 24? Erano morti? E allora
perché i cadaveri non erano ancora saliti a galla? Erano
arrivati così in profondità che la pressione li
teneva sotto?
Qualche
piccola bolla raggiunse il pelo dell'acqua. Poi qualcun'altra. Sempre
di più. Infine fu -quasi- certo che ce l'avessero fatta.
Quando
Loki emerse da quella pozza nera, inspirando voracemente l'aria gelida
sentì le lacrime pizzicargli gli angoli degli occhi. Ce
l'avevano fatta! Tutti e tre.
Loki
sputacchiò l'acqua che le scivolava sulle labbra mentre si
guardava intorno. Quando individuò l'hovercraft che
ondeggiava davanti a lei e notò Birger imbambolato a
guardarla come uno stoccafisso, dovette trattenersi dal non insultarlo.
“Ti spiacerebbe?” ringhiò esausta.
Birger
si destò come da un sogno e scomparve alla vista. Quando
ricomparve, stringeva tra le mani un salvagente assicurato a una lunga
fune. Lo vide calcolare la distanza e la direzione in cui lanciare e
prepararsi a recuperarli, issandoli a bordo.
1
In
realtà ho descritto una via di mezzo tra un hovercraft e un
catamarano,
perché il primo, nella versione di trasporto misto ha una
stiva
apposita per le auto, come le navi. Le cabine, però,
solitamente sono a
prua o ai lati. Io l'ho posizionata centralmente, con un ponte
anteriore e un ponte posteriore...ho fatto un po' un mix. Ma essendo
fantascienza vi prego di darlo per buono.
2
Buon
giorno in arabo
(da non confondersi con Sabah
al noor che
è la risposta al saluto, che è sempre Buon
giorno)
-
- - - - - - - - - - - - - - - - -
Ecco...E'
tornata anche Azzurra, siete contenti? Non me n'ero dimenticata... solo
che le tempistiche erano queste: lei di notte dormiva ma nel resto del
mondo accadevano cose. :)
Bene...
e ora preparatevi all'azione (lo so, sono un po' un altalena...ma non
ce la faccio proprio a tenere ritmi serrati e, anzi, preferisco che le
cose evolvano lentamente e per i fatti loro).
A
presto!!
|
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Capitolo 15 *** Smart as a bird ***
Chiedo
scusa per il ritardo nella pubblicazione, ma durante il wend ho avuto
visite dall'Italia e non ce l'ho proprio fatta a (ri)correggere e
postare per tempo, così entrambe le storie che sto scrivendo
sono scivolate di data.
A questo punto, però, manterrei il nuovo calendario.
Buona lettura
15. Smart
as a bird
Stupid as a goat
L'hovercraft ondeggiava tranquillo mentre Birger distendeva 24 sul
ponte di prua. Gli controllò rapidamente i segni vitali
ripescando i rudimenti di primo soccorso che pensava di aver
dimenticato nella sua vita precedente. Trasse un respiro profondo
quando capì che era vivo anche se malridotto
“Ha bisogno di cure!” soffiò, alzando lo
sguardo su Loki che stava ispezionando l'imbarcazione
“Credi che non lo sappia?” replicò lei,
piccata, voltandosi a fronteggiarlo. Subito, però,
lasciò cadere il discorso, allarmata da qualcosa che era
comparso nel suo campo visivo perimetrale. Corse all'interno
dell'abitacolo, lo oltrepassò e si scaraventò sul
ponte di poppa. Si congelò, tesa come un felino che
valutasse il proprio obiettivo, davanti alla jeep ancorata.
“E questa cos'è?” sibilò
astiosa mentre Birger la raggiungeva con tutta calma, le mani affondate
nelle tasche, certo che non ci fosse nulla di strano nell'imbarcazione:
vi era stato a bordo, solo, per diverse ore e si sarebbe accorto se
qualcosa fosse stato fuoriposto.
“Come sarebbe a dire, cos'è? E' la mia
auto...” rispose serafico
“Ma sei completamente deficiente?”
sbottò quella
“Senti,
signorina sono piovuta dal cielo per scappare dai miei simili ficcando
anche te nei casini...si può sapere che ti
prende?” domandò a sua volta, irritato
“C'è che... da dove l'hai riesumata sta ferraglia,
tanto per cominciare?” domandò esasperata lei
“Da casa mia... e tu non te ne sei mai accorta...”
rispose sorridendo, fiero di sé “Non mi hai
fornito molti dettagli e, da quello che mi hai lasciato intendere,
pensavo ci fosse esigenza di una certa segretezza...”
commentò guardando oltre lo stanzino, sul ponte di prua,
verso l'altro alieno “E avevo ragione... Quindi ho
riassemblato la mia vecchia, stupida,
auto da rally...”
Loki era esterrefatta. Lo guardava come si può guardare un
pazzo. Come chiunque avrebbe guardato lei, a ben vedere “Tu
sei fuori...” commentò “Questo... rottame ci
farà ammazzare! E' una bomba a orologeria...”
“Smettila di blaterare a vuoto!” la
redarguì lui “I sistemi di controllo ci sono su
tutte le auto. Ma la benzina, di per sé, non è
affatto più pericolosa degli altri combustibili...anzi... il
GPL tende a concentrarsi al suolo, invisibile, in attesa della
scintilla mentre il metano e l'idrogeno sono altamente infiammabili
anche solo a contatto con l'aria. Tant'è che...”
cominciò sorridente prima di bloccarsi, facendo gesti
strani, quasi volesse riavvolgere il nastro delle proprie parole.
“Niente niente, vedrai!”
Loki tacque, interdetta “Hai ragione...” ammise
quindi “La benzina si incendia solo se colpita direttamente
da fiamme libere. Sta di fatto che se ci prendessero di mira salteremmo
per aria. Perché non hai preso l'auto elettrica?”
Birger la guardò in tralice come se avesse detto una
bestemmia e volesse trattenerne una, in risposta, entro i denti. Non le
rispose ma, dopo qualche istante, replicò con un'altra
domanda “Bene, mia
Augur... e ora cosa facciamo con voi due fuggiaschi? Mi
spaccerai per il cattivo che ti ha sequestrata? Tanto... peggio di
così...” Rise istericamente buttandosi a terra.
Loki lo guardò inespressiva, quindi si accucciò
per mettersi al suo livello. “Guideremo questa
cosa...” disse roteando gli occhi ad abbracciare l'intera
imbarcazione “...fino a Spitsbergen...”
“Tu sei matta...” tossì l'altro,
strozzandosi con la saliva per la sorpresa “Cosa ci andiamo a
fare in quel posto sperduto?”
“Dobbiamo raggiungere Pyramiden” disse convinta
“Ed è meglio muoversi. In acqua ho visto dei
Robojelly1... non pensavo che ne avessero
sparpagliati pure qui...” Tacque un attimo, come se un
pensiero l'avesse colpita per la sua banalità.
Alzò lo sguardo all'improvviso e ridusse gli occhi a due
fessure: Birger avrebbe giurato di sentire il ronzio della messa a
fuoco degli obiettivi digitali “Ci hanno già
avvistato....” Disse rientrando nella cabina e tornando da
24, sul ponte di prua, per tirarlo al coperto “Hai portato la
prolunga, come ti avevo chiesto?” urlò
perché lo sentisse attraverso la stanza
Lui annuì, estrasse uno zaino dalla macchina e le
andò incontro “Non ne avevo di lunghe e non sapevo
quale spinotto ti servisse... ne ho portate diverse da agganciare tra
loro...”
“Basterà...” disse soppesandole
“Ora fatti da parte, per cortesia... anzi... rintanatevi
all'interno... non vorrei mai non riuscire a gestirmi...”
disse passandogli 24 e mettendosi al centro del ponte.
Birger non capiva, ma eseguì l'ordine. Finì di
trascinare 24 all'interno e si nascose nel vano delle scale sotto il
piccolo soggiorno. Con una sorta di specchio periscopico
osservò quello che combinava quella squinternata di aliena.
Vide Loki reclinare la testa all'indietro, mettendo il collo
innaturalmente in asse con il resto del corpo. Quindi gli
sembrò che urlasse anche se non gli arrivò alcun
suono. Non subito.
L'onda d'urto del suono distorto arrivò pochi istanti dopo.
Sentì i vetri del ponte andare in frantumi. Tentò
di proteggersi, istintivamente e inutilmente, dall'improvvisa pioggia
di schegge e, quando tutto fu finito, si scrollò di dosso i
pezzi di vetro e si sporse dal suo rifugio improvvisato mentre Loki
rientrava. “Che cosa...?” stava domandando quando
lo scroscio di un corpo che cade in acqua lo distrasse.
“Ho abbattuto uno Smartbird2... ci
hanno già individuato... spero non abbiano sentito i nostri
discorsi...” rispose lei armeggiando con le prolunghe
“Almeno così guadagniamo un po' di
tempo...”
“E come...?” Birger era letteralmente sconvolto.
Uno Smartbird? Pensava fosse solo fantascienza. Al pari dei Robojelly.
Lui non era un ingegnere e non credeva che tale tecnologia fosse
già stata così ampiamente diffusa.
“Le nostre corde vocali sono formate da particolari valvole,
che mi permettono di emettere ultrasuoni. Determinate frequenze possono
interferire con le armoniche degli apparati elettronici mandandoli in
tilt. Se non, addirittura, fonderne i transistor.”
Spiegò sommariamente mentre si muoveva verso la console e
scardinava i pannelli che rivestivano l'hardware. Si fermò e
imprecò. Nulla era mai sembrato così fuori luogo
come quelle parole sulle labbra di uno strano alieno piombato nel mondo
reale. “Non ci sono porte seriali!”
precisò sentendosi lo sguardo di Birger bruciarle la nuca
“Hai una pinza, una tenaglia... qualunque cosa che possa
spellare i fili?”
Il biondo annuì in silenzio, mettendosi a frugare nello
zaino. Il kit da elettricista non poteva mancare su un auto da rally:
non si sa mai quale inconveniente possa capitare “Devo
accoppiarmi...” precisò Loki, mentre prendeva
l'utensile, fissando Birger dritto negli occhi chiari.
Lui dovette sbattere le palpebre un paio di volte prima di riscuotersi,
far defluire il sangue che gli aveva imporporato le guance e accettare
il fatto che parlasse in termini ingegneristici: doveva mettersi in
comunicazione con il computer della nave. “E
perché?” domandò con voce secca
“Perché devo governarla in qualche modo... Avranno
sicuramente azionato tutti i disturbatori possibili e immaginabili. Hai
idea di quanti satelliti potrebbero abbrustolirci all'istante, se solo
lo volessero? Entrerò nel sistema e creerò una
specie di gabbia di Faraday – lo è già
di per sé ma io voglio schermarla da altro che dai semplici
fulmini- che ci permetta di isolarci dalla loro interferenza”
Con l'aiuto di pinze e forbici, scortecciò i cavi
dell'hardware e quelli dei cavi che gli aveva porto l'umano.
Annodò i fili di rame tra loro, quindi prese il nastro
isolante e lo girò attorno alla parte interessata,
finché nulla del metallo rossastro fu più
visibile.
Lasciò scivolare i cavi a terra e li srotolò man
mano che avanzava verso l'esterno, passando attraverso le aperture
delle finestre. I sei metri di cavo erano appena sufficienti a farla
uscire a contemplare il mare notturno. Birger le fu accanto, curioso.
Loki si tirò il collo della tuta sul naso e, ruotandola
attorno alle calottine al posto delle orecchie, si fece scivolare la
banda spettroscopica sugli occhi. L'hovercraft prese a muoversi
lentamente con sussulti incerti. Poi guadagnò
velocità e puntò a ovest.
Birger, per quanto disgustato dalla presenza aliena a bordo, era
comunque affascinato dalla loro tecnologia. Nonostante il vento gli
frustasse i capelli in faccia, non accennò a rientrare
nell'abitacolo. Si tirò il cappuccio peloso sulla testa e
affondò il naso dell'allacciatura del giubbotto.
“Va a coprire la macchina...” gli intimò
lei senza guardarlo, concentrata in quella sorta di guida con la sola
forza del pensiero “Non vorrei dargli una facile
vittoria” sibilò mentre lui si allontanava. Birger
impiegò una decina di minuti a coprire la jeep, sganciando i
tiranti e riposizionandoli dopo aver sistemato con cura il rettangolo
di tela cerata nascosta nella stiva, insieme ai salvagente.
“Si vede già la riva...” disse Loki
quando tornò ad affiancarla. “Va ad
armarti!”
Birger era sempre più sorpreso. Loki, l'angelo, gli diceva
di armarsi?
Di prepararsi alla possibilità di ammazzare altri uomini?
Cosa era successo in quelle poche ore in cui non erano stati in
contatto? Anzi, in quei giorni
così strani, per loro. Cosa poteva averla fatta cambiare a
quel punto? “Dopo mi spieghi!” disse rientrando.
Un fascio di luce investì improvvisamente l'imbarcazione,
illuminandola a giorno. Loki non batté ciglio e quasi
sembrava che quella luce violenta, che saturava ogni colore, rendendo
netto il contrasto tra le parti in ombra e quelle esposte, non le desse
minimamente fastidio: come se avesse delle potenti lenti protettive che
le permettessero di vedere attraverso tutto quel biancore.
“Arrestate i motori!” Intimò
improvvisamente una voce che non si capiva da dove provenisse.
Birger tornò, trafelato sul ponte e come vi mise piedi,
sentì il motore aumentare di potenza e velocità.
L'hovercraft volava sul pelo dell'acqua senza alcuna esitazione e non
si fermava alle sempre più incalzanti e inutili richieste di
arresto immediato. Le luci si smorzarono, avendo perso l'angolatura con
cui abbagliarli. Ma lo stratagemma sembrava aver funzionato, almeno
sull'umano. “Stai dietro di me!” ringhiò
Loki, tesa nello sforzo di condurre la nave, neanche stesse tenendo le
redini di una mandria di cavalli imbizzarriti. “E sta pronto
a coprirmi...”
Birger era confuso e quando alzò lo sguardo, vide il lungo
il profilo della costa su cui si delineavano le sagome di innumerevoli
imbarcazioni della polizia navale. Verso cui stavano puntando loro.
Le navi erano sempre più vicine e quando furono a un
chilometro di distanza, Loki urlò ancora con quella sua
strana voce. Le luci delle navi nella traiettoria si spensero
all'istante. Alcune imbarcazioni, le più esposte, esplosero,
lasciando via libera al natante terracqueo. “Vai!”
Le ordinò lei con un ruggito rauco.
Birger non sapeva cosa stesse facendo: ubbidì in un istinto
di cooperazione cameratesca con il suo carceriere. Armò un
paio di granate e le lanciò oltre il parapetto con un
cannoncino leggero e portatile. I colpi non andarono a segno, ma
crearono degli spruzzi d'acqua talmente alti e violenti da far
oscillare pericolosamente le navi vicine. Insoddisfatto del risultato
ottenuto, cambiò tattica e lanciò, con lo stesso
sistema, delle Molotov, programmate per innescarsi pochi istanti dopo
il lancio. Le deflagrazioni furono così potenti che
spazzarono via le navi che si trovavano nel loro raggio d'azione.
“Cos'è quella roba?” domandò
Loki, sbalordita
“Idrogeno!” rispose lui tutto fiero della propria
intuizione
“Tu sei un matto suicida... quante altre ne hai,
ancora?” Loki non sapeva se essere sorpresa, spaventata o
compiaciuta dalla follia umana
“Solo un paio: non sapevo se avrebbero
funzionato...” minimizzò lui
“E meno male!” rispose lei, roteando gli occhi:
Birger era completamente folle e rischiava di ammazzarli da un momento
all'altro con la sua idiozia “Va a poppa e
sbarazzatene” ordinò ancora lei “Poi va
giù pesante di mitra”
Mentre Loki si faceva largo verso l'entroterra, sbarazzandosi dei loro
diretti assalitori, Birger copriva la fuga appoggiato alla sua vecchia
compagna impacchettata e infiocchettata: se doveva morire, voleva che
fosse per mano sua, per la sua esplosione. Quando vide scorrere sotto
di sé la sabbia grezza della spiaggia decise che poteva
tornare dal timoniere. Arrivò giusto in tempo per vedere che
lei puntava a travolgere le truppe di terra ammassate nella sua
traiettoria “Loki!” strillò
“Non vorrai investirli?”
“Certo” rispose lei con un ghigno
“Ma...” lui annaspò in cerca d'aria
“Tu
non puoi!”
“Non si faranno nulla...” soffiò quasi
dispiaciuta “Viaggiamo spinti dall'aria che viene convogliata
nelle minigonne... Quasi non lasciamo nemmeno la scia dietro di noi,
sulla sabbia...”
Birger avrebbe voluto replicare ma l'improvvisa impennata del mezzo
anfibio lo costrinse a concentrarsi per ritrovare il baricentro e non
sfasciarsi a terra. Quando riuscì nuovamente a reggersi in
piedi, senza aggrapparsi alla balaustra, si sporse oltre il parapetto e
vide due delle protuberanze, tipo ali, che permettevano al mezzo di
sorvolare appena i mezzi grigio-verde da cui si allontanavano,
terrorizzati, i soldati che avevano tentato di fermare la loro
avanzata. Inutilmente.
Viaggiavano comodamente a una velocità moderata di venti
chilometri orari e sarebbero entrati in città in pieno
giorno, all'orario infausto del pranzo. Era un vero azzardo. Ma i tre
confidavano che la maggior parte della gente fosse impegnata a
ingozzarsi per curarsi di loro. Ormai abituatasi al suo calore e alla
sua sicurezza, Azzurra aveva continuato a viaggiare con Kemal.
Quando aveva saputo quale fosse la loro meta, la ragazza era sbiancata
ed era ammutolita. Intuendo il suo disagio, Kemal aveva spronato il
frisone ad andare un po' più veloce, in modo che, se fosse
riuscito a farla parlare, non dovesse preoccuparsi dei due biondi che
viaggiavano con loro.
“Allora? Vuoi dirmi cosa ti succede?” le
domandò all'orecchio così piano che nessun altro
avrebbe potuto sentirlo. Sentì Azzurra irrigidirsi ancora
una volta sotto di sé. E poi rilassarsi nuovamente. Si
fidava di lui e ciò lo rendeva orgoglioso di sé.
“Ti sei zittita quando hai sentito che la dobbiamo entrare
sotto la Gran Madre di Dio... qual è il problema? Voglio
dire... io sono musulmano e non mi fa specie entrare in...”
“Non è quello...” replicò
lei, interrompendo lo sproloquio del moro, atto a metterla a proprio
agio. “E' che...” inspirò rumorosamente,
nel tentativo di calmarsi “Quando ci sono stata, anni fa...
mi ha... inquietato... Venivo da piazza Vittorio Veneto e
più avanzavo lungo ponte Vittorio Emanuele I e meno mi
sentivo sicura...”
Kemal ridacchiò e lei lo prese come un insulto “Ti
ha inquietato quella chiesa e non la statua di Lucifero?” Lei
sembrò offendersi ma subito domandò delucidazioni
“Sì, vabbè... il monumento dedicato al
traforo del Frejus... il genio alato, i titani. Cos'altro è
se non Lucifero? ” lei annuì, incerta.
“Certo che hanno fatto un bel lavoro... io non me ne sono
accorto... Lo sai che sulla Torino esoterica è stato scritto
di tutto, vero?” lei annuì ancora. “E lo
sai che la statua in Piazza Statuto indicherebbe l'ingresso per
l'Inferno?” Azzurra annuì ancora. “Scusa
se te lo dico, anche se mi sembra ovvio. Se la statua posta a Ovest
è il portale per l'inferno, cosa può esserci dove
stiamo andando noi?” Azzurra tacque, spaesata
“Vedi, si dice che Torino sia una città magica e
che sia sospesa tra bene e male E questo non è certo l'acqua
calda. Ma è interessante sapere che... se la Grande Madre
collega a noi... Lucifero collega a loro...”
“Mi stai dicendo che nella stessa città ci sono
gli ingressi per...?” i
buoni e i cattivi
Kemal roteò gli occhi, meditabondo
“Sì... infatti era considerata
zona neutrale... ma non ci crede più nessuno...”
“Che vuoi dire?” domandò
“Che... beh... Torino, a suo tempo, era il porto franco dei
ribelli. Ma se sono riusciti a far percepire Torino Bianca come
qualcosa di inquietante e Torino Nera come qualcosa di
positivo...”
“...il loro proposito è già
compiuto...” concluse per lui che si limitò ad
annuire. “Gli angeli dominano il mondo e la resistenza
è data per spacciata? E' questo che intendi dire? Torino era
il termometro su scala mondiale?”
“Europea... Ad ogni modo non hai nulla da temere. La Gran
Madre è zona nostra. E non ci saranno sorprese: ne siamo
usciti solo pochi giorni fa...” Lasciò che
l'andaluso si riappaiasse a quello condotto da Alain. “Ad
ogni modo...” disse prima che li raggiungessero
“...non devi vergognarti con noi. Qualunque cosa ti frulli in
testa... non daremo nulla per scontato... non all'inizio, almeno. E
poi, chi più chi meno, ci siamo passati più o
meno tutti. Fuggire di casa, trovarsi in un mondo nuovo. Vedrai... ti
piacerà. Anche la gente. Magari non tutti...”
“Cosa stai borbottando? I tuoi sutra?” lo
apostrofò Fred con tono derisorio
“Sutra?” domandò Azzurra perplessa
“Lascia perdere...” sospirò l'arabo
alzando gli occhi al cielo
“Fred...” cominciò Alain con l'aria di
chi sta contando fino a dieci prima di prendere decisioni di cui si
potrebbe pentire “Sei una capra...Quella è roba
indiana...”
Fred incrociò le braccia, offeso, rischiando di perdere
l'equilibrio “Devo considerarla un'evoluzione o
un'involuzione? Da somaro a capra...”
“Il somaro è cocciuto... la capra è
stupida e testarda...” replicò Alain esasperato
“Fai un po' tu...”
“Dunque...” proseguì Fred imperterrito
“Come facciamo a entrare in città?”
“Aggireremo Superga e arriveremo alla Gran Madre costeggiando
il Po. Semplice. Anche venissero informati, ci sarebbe pochissima gente
che potrebbe intercettarci.” Rispose Alain meccanico come se
quella fosse una lezione che avesse ripetuto così tante
volte da saperla ripescare nella sua interezza dalla propria memoria
ogni volta che si fosse reso necessario.
“L'unico punto debole è il ponte...”
borbottò Kemal
“E' un rischio che possiamo correre... che alternative
abbiamo? Non ci sono nascondigli decenti nei dintorni.”
Replicò Alain, valutando le alternative “Ah no...
non pensarci nemmeno...” sbraitò rivolto al moro
quando tornò a osservarlo: aveva notato una strana scintilla
nei suoi occhi.
“A cosa?” domandò Azzurra, meravigliata
di come riuscissero a comunicare senza parlare. A lei, Kemal, sembrava
sempre uguale.
“Lo conosco, io...”
sibilò Alain “Sta pensando a come sabotare il
ponte. E dato che ha delle granate con sé...”
A quelle parole, Azzurra rabbrividì “A cosa
diavolo ti servono delle armi?” ringhiò furiosa
Ma Kemal non si scompose e replicò sereno “Allora
che bisogno c'è di avere polizia perfettamente equipaggiata?
I malviventi? Sedare le
risse? Cazzate... se si ragiona nell'ottica della non
violenza, ogni corpo armato è inutile. Ma se ne accetti uno,
per la difesa dei cittadini, allora devi accettare la natura violenta
dell'uomo. Di tutti gli uomini. Anzi. Degli animali in generale. Ma
prima dovresti accettare l'idea di essere un animale come tutti gli
altri. Al di là di questo, dovresti accettare il fatto che,
soprattutto, ci sia qualcuno, dall'alto, che si diverte a mettere tutti
contro tutti esasperando la naturale propensione. E poi... no...
lasciamo perdere... sennò mi faccio il sangue
acido...” ringhiò tra sé
“Comunque, carina, anche loro due sono armati, se non
l'avessi notato...”
“Questa è una cosa a cui dovrai
abituarti...” concluse Alain. Non infiorettò il
discorso ma lasciò intendere che l'esperienza era stata
traumatica per tutti e non piacesse a nessuno ma che fosse, in qualche
modo, fondamentale per la propria sopravvivenza.
“Io non lo fermerei...” sbottò Frederick
che fino a quel momento era rimasto in silenzio “Su!
Va'!” disse a Kemal, riprendendo il discorso precedente e
indicando la strada con fare teatrale “Va', sacrificati per
noi e riabilita il nome di tuo fratello!”
“Ma vaffanculo!” gli disse sorridente il moro
“Guarda che era tua sorella la zoccola che ha fatto casino!
Vacci tu a morire sul ponte!”
“No no, prego, vada pure lei!” rispose con tono
provocatorio il tedesco “E' lei che deve dimostrare di non
essere della stessa pasta del fratello. Io non ho il confronto diretto
con un traditore...
solo con una sorella un po' scema... E poi eri già pronto a
lanciarti in un gesto suicida... prego, non fare complimenti!”
“Smettila, cretino!” lo rintuzzò Alain
“Io vado lo stesso!” sbottò Kemal, preso
dal sacro furore della sfida lanciata dal compare “Ti
farò ingoiare i denti, Fred!” sibilò
fermando di botto il cavallo, che nitrì indispettito.
“Azzurra, sali sul tuo pony...” le disse scendendo
con lei e andando a smontare rapidamente i bagagli.
“Perché?” domandò quella
confusa.
Kemal lanciò gli zaini ai rispettivi proprietari, lasciando
il bagaglio di Azzurra assicurato sul retro della sella. Prese il suo
sacco e, prima di buttarselo in spalla, ne estrasse un lungo
coltellaccio ricurvo. Il manico era intarsiato e coperto di
un'infinità di pietre preziose che brillavano come prismi.
Se lo fissò alla cintura, quindi aiutò Azzurra a
salire sulla sua cavalcatura, tornò al proprio frisone e,
quando fu ripartito, decise di risponderle “Perché
tenterò un raid. E cercherò di tornare indietro
vivo.” Disse lanciando un'occhiata di fuoco al tedesco che
fece finta di nulla.
“Che razza di orgoglioso...” lo insultò
Alain sperando di farlo rinsavire.
“Tutto sommato, il crucco non ha tutti i torti. Anch'io ho
bisogno di questa prova.” sibilò convinto.
1 Robojelly
2 Smartbird
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Capitolo 16 *** News ***
16.
News
Broadcasting
L'aria gelida sferzava crudele i loro volti mentre si addentravano
sempre più nell'entroterra dell'isola di Spitsbergen,
diretti a Pyramiden. L'hovercraft superava senza difficoltà
tutti gli ostacoli che gli si paravano davanti. A Birger venne il
sospetto che si trattasse di un mezzo militare camuffato da mezzo
anfibio per ricconi vista la facilità con cui riuscivano a
muoversi in quelle lande desolate.
Si erano lasciati alle spalle qualunque posto di blocco avessero
incontrato e, da un pezzo, ormai, non incontravano più
nessuno. Probabilmente, nessuno si aspettava sarebbero riusciti ad
arrivare tanto in là.
“Cosa stiamo andando a fare, di preciso, a
Pyramiden?” urlò Birger per sovrastare il
mugghiare furioso del vento e farsi sentire da Loki “Ci
stiamo inerpicando nell'entroterra per raggiungere un posto dimenticato
da Dio e dagli uomini... ma non da voi, a quanto
pare...”disse sarcastico
“Non è dimenticata nemmeno dagli uomini, dato che
un gruppo stanzia qui, lavorando per riportarci il
turismo...” rispose lei severa
“Tu non capirai mai il sarcasmo...”
celiò lui demoralizzato
“Mai dire mai” replicò lei, seria,
volgendosi a guardarlo negli occhi. Nei suoi, così
artificialmente aranciati, c'era una strana luce che sembrava quasi
avere a che fare con l'auto-consapevolezza o qualcosa del genere. Il
biondo accantonò la cosa: figurarsi cosa poteva avere mai
Loki. E comunque non era il momento per pensarci.
“Vabbè, non hai risposto... cosa stiamo andando a
fare a Pyramiden?” domandò buttandosi seduto ai
suoi piedi.
“Andiamo a cercare una via di salvezza...” rispose
lei come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Birger, per poco, non si strozzò con la saliva
“Eccerto... al centro dell'arcipelago... tu sei matta! Sai,
Loki? Quel posto è abbandonato. Dal 1998. Sai cosa
significa? Se ne andarono tutti, non c'era più nulla che
quel luogo potesse offrire. Mi domando anche perché i russi
si siano mostrati così interessati negli ultimi
tempi...”
“Te l'ho appena detto...” replicò lei
alzando gli occhi al cielo “Stupido umano ottuso!
Lì c'è una via di fuga...”
Birger non diede a vedere se l'offesa l'avesse infastidito e
replicò “Via di fuga? E per dove? Voglio dire...
siamo nel posto più a nord del mondo... dove vuoi
scappare?”
Loki tacque. Sembrò soppesare se rivelargli o meno i
dettagli della loro fuga “La montagna di
Pyramiden...”
“Una miniera. Carbonifera, per l'esattezza. E abbandonata.
Anch'essa. Guarda un po'. E allora?” insistette Birger
incrociando le braccia al petto
“Mai sentito parlare di Thule?”
“Ti prego!” il biondo proruppe in una risata
incontrollata “Non ci credo... mi farai ammazzare... per una
leggenda? Che per di più stava in mare aperto!”
“Sotto quella montagna c'è un condotto che scende
verso il centro della terra...” ribatté calma
l'Akero
“Certo, e si chiamano tunnel,
guarda un po' te...” rispose battendosi il palmo della mano
sulla fronte, incredulo “Se esistesse davvero l'isola di
Thule, Atlantide, Eldorado, Mu, Shangri-La... non credi che tu lo sapresti con
più precisione? E non credi che loro l'avrebbero
già colonizzata? Che gli scavi sarebbero continuati, magari
con le moderne turbine al plasma?”
“Là sotto c'è qualcosa” disse
ferma, assolutamente immune alle parole del compagno d'avventura
“Lo sento”
“Ah, benone! Andiamo per visioni mistiche. Proprio tu... ah,
no, scusa... dimenticavo... tu sei un angelo... ” La
schernì con cattiveria “Chi meglio di
te...”
“Gli umani non sono scesi oltre, in profondità,
solo per paura del grisù1”lo
rimbeccò ancora lei. “Anche adesso, con le nostre
tecnologie, sarebbero sempre gli umani a fare il lavoro sporco. E voi
siete... mortali...”
“Ti sfido a trovarla, questa terra magica! Lei e i Mégramicres2!”
disse con strafottenza
“Allora, tienti stretto... perché siamo a
Pyramiden...” rispose lei compassata indicando con gli occhi
lo scheletro del sostegno di un cartello stradale, la cui insegna
giaceva a terra, poco distante, completamente divorata dalla ruggine,
su cui si potevano ancora leggere i caratteri cirillici che indicavano
il confine della piccola comunità russa in territorio
norvegese.
Birger alzò lo sguardo: avevano raggiunto nuovamente il mare
e davanti a loro si ergeva una collina, nera e brulla, dall'inquietante
forma squadrata e e fin troppo regolare, ai cui piedi giacevano,
ingrigite e desolate, delle basse costruzioni di legno, i
più alti dei quali erano disposti su quattro piani e si
affacciavano sul tunnel esterno che un tempo aveva condotto i
lavoratori all'interno. Poco più in là, le gru
del porto erano franate a terra, accentuando la sensazione di
desolazione.
La visione gli diede inspiegabilmente i brividi.
Il cielo, appena schiarito a quelle ore del primo mattino, era plumbeo.
Sembrava la classica città dei fantasmi e degli zombie.
Oltrepassarono la piazza centrale, dove era ancora riconoscibile la
statua dedicata a Lenin e uno stormo di gabbiani si alzò in
volo gracchiando infastidito. Percorsero la via principale, il manto
stradale completamente dissestato, puntando dritti verso la parete
scoscesa della montagna e la sua apertura. Sul fianco, notò
Birger, accanto alle rampe d'accesso, c'erano delle scritte russe che
lui non riusciva a decifrare. Sembrava la versione casalinga e
raffazzonata della maestosa scritta in stile hollywoodiano. O una
richiesta d'aiuto per chi fosse passato di lì in volo. In
lontananza, alla sua destra, si avvide di una scultura futuristica, una
via di mezzo tra un traliccio dell'alta tensione in miniatura e la
chiglia di una nave3. “Non vorrai
arrampicarti fin là su, vero?” domandò
l'uomo, riportando l'attenzione alla loro meta finale. Loki si
limitò ad annuire e Birger, di conseguenza, a scuotere la
testa. Non poteva fare nulla. Era letteralmente in balia di quella
furia. Sì, certo, avrebbe potuto lanciarsi a terra. Ma non
era più un ragazzino e la paura di rompersi definitivamente
qualcosa e di finire in grinfie più sadiche di quelle della
sua Akero, gli fece passare ogni proposito oppositivo.
Si rilassò e cominciò a prepararsi mentalmente
alla propria morte. Perché cos'altro poteva attendersi? Che
davvero sul fondo della miniera ci fosse Thule?
Con un incremento improvviso di potenza ai motori, l'hovercraft
cominciò la sua traballante scalata.
Birger chiuse gli occhi mentre costeggiavano il lungo serpentone ligneo
che decenni prima aveva protetto gli operai dal freddo. Non voleva
vedere, voleva estraniarsi dal mondo il più velocemente
possibile. Peccato solo non potesse tenere definitivamente lontani i
suoni che provenivano da tutt'intorno: il sibilare del vento, lo
sferragliare dell'hovercraft, il raschiare della terra brulla sotto di
loro, lo sciabordio delle onde del mare poco lontano, lo squittio
inconsulto dei gabbiani, ancora agitati.
Passarono i minuti senza che nessuno dei due parlasse. Poi,
d'improvviso, tutto si fece buio. Più buio rispetto
all'oscurità di quel posto immerso nella sua notte polare.
Anche la pelle gli sembrava essersi fatta, improvvisamente,
più appiccicosa.
La curiosità lo vinse e schiuse gli occhi. Erano dentro. Si
domandava come facesse un hovercraft di quelle dimensioni a passare
dentro ai canali di una miniera.
Poi si accorse del sibilo che emetteva Loki: stava, letteralmente,
sbriciolando la materia davanti a loro.
La reazione provocava un leggero e continuo bagliore, perché
la sua opera di demolizione era pressoché costante. Rimase
impietrito a osservare la scena mentre polveri sottili gli sfioravano
le guance.
Quand'ebbe ritrovato le forze, si sporse ad avvisarla “Loki,
fermati... rischiamo di saltare in aria...” Le disse piano,
come se avesse davanti a sé un toro imbufalito che non
aspettasse altro che caricarlo.
“Sono già pronta con il deflettore...”
gli rispose interrompendosi un attimo e rallentando, in contemporanea,
la velocità di crociera.
Birger non domandò nulla. Deflettore. E da
quando ne avevano uno? Quello era solo un hovercraft. Per quanto
potesse trattarsi dell'ultimo ritrovato delle tecnologie militari, come
faceva ad averlo a bordo? Non era mica un'astronave.
Improvvisamente, si trovò a essere sbattuto all'interno
della cabina. Un boato fragoroso aveva riempito l'aria, squassandolo da
dentro e facendogli tremare la terra sotto i piedi. Cozzò
violentemente contro il bordo rigido di uno dei divanetti e, mentre
perdeva rapidamente i sensi, si rese conto che una nube luminosa e
calda lo avrebbe investito.
Sarebbe morto arso vivo.
Che bella fine.
Proprio quella che aveva sempre sognato.
Scivolando nell'incoscienza, maledisse Loki, ripensando a quando,
quella sera, aveva deciso di darle retta.
Uno stridio acuto squarciò l'aria di quel tardo mattino.
Azzurra levò gli occhi, incuriosita da quel verso che aveva
sentito solo in alcuni vecchi film in bianco e nero di cappa e spada.
Sopra di loro, due uccelli volteggiavano in una danza frenetica,
rincorrendosi, avventandosi l'uno sull'altro e scartando i rispettivi
attacchi all'ultimo istante. In particolare, uno dei due teneva le ali
spiegate e le zampe protese in avanti, in una posa aggressiva.
“Zahra...” alitò Alain cavalcando al suo
fianco. Un altro stridio acuto e Azzurra vide uno dei due uccelli
attaccare nuovamente l'altro, ma alle spalle. Quindi sentì
il boato di un'esplosione, che subito dopo collegò al fumo
nero che si levava da uno dei due animali. La spirale discendente che
disegnò durante la caduta libera le fece pensare a un aereo
abbattuto. Anche quella, però, era un'informazione di
seconda mano, appresa da documentari o da vecchi film. Lei non aveva
mai visto un aereo precipitare al suolo. “Zahra!”
urlò allora Alain, ora più convinto. Tese il
braccio, cosa che alla ragazza sembrò strana ma al contempo
familiare. Ed ecco che un falco atterrava, in un frullo scomposto
d'ali, sul braccio nudo del francese, artigliandolo. Lo vide barcollare
e ritrarre subito una zampa. “Oh,
Zahra!”esclamò Alain contrito, tirando il braccio
al petto e carezzando amorevole il capo della bestiola, incurante dei
profondi tagli che gli artigli della bestia gli aveva procurato.
“Era uno Smart Bird!” Li informò
Frederick galoppando veloce verso il gruppo. Si era allontanato senza
attirare l'attenzione e ora ritornava reggendo in mano la carcassa
dell'altro uccello. Che, a ben vedere, del volatile aveva solo una vaga
forma stilizzata.
“Dannazione!” imprecò Kemal spronando il
suo cavallo al galoppo
“Che cos'è?” domandò Azzurra
allungando il collo, quando si fu rimessa in pari, dopo aver
strattonato il suo pony.
“Un uccello spia: i cieli ne sono pieni e Zahra ci copriva le
spalle...” disse Frederick che si era lanciato anche lui al
galoppo. “Probabilmente ci ha fotografati e ora saremo su
tutti i notiziari locali, nazionali e internazionali”
“Muovetevi!” ordinò Alain sorpassando
tutti in volata, l'uccello ferito stretto in un abbraccio amorevole. I
tre non poterono far altro che spronare ulteriormente i loro destrieri
per tenere il passo del francese.
“Perché ora?”domandò
ancora Azzurra, sovrastando lo scalpiccio furioso degli zoccoli sul
terreno duro e gelato
“Perché le gualdrappe dei cavalli e le mantelle
che teniamo addosso ci hanno schermati dal visore termico dei
satelliti. Quei cosi...” disse indicando i bussolotti al
collo dei cavalli “...servivano a impedire la localizzazione
GPS. Ma non siamo invisibili a occhio nudo. Finora l'abbiamo
scampata...”
Azzurra si domandò quanto mancasse a Torino e se avrebbero
mai fatto in tempo a evitare la furia dei suoi simili che, con ogni
probabilità, sarebbero stati aizzati dai notiziari. Abituata
com'era a muoversi col treno, in quella zona, non aveva la
più pallida idea di dove fossero e si sentì
pervadere dal panico.
Uuè!
Uuè! Uuè!
…Hector!...
Uuè!
Uuè! Uuè!
...Hector!...
Uuè!
Uuè! Uuè!
Dove si trovava? Nel reparto maternità? Ma… non
erano più sulla superficie... che ci faceva in un ospedale?
Sul lungo corridoio bianco si affacciavano, a intervalli regolari, le
aperture delle stanze delle puerpere. Da ciascuna proveniva il frignare
isterico di neonati che avevano appena visto la luce del sole,
affamati, stanchi o sporchi. E che venivano bellamente ignorati.
Ignorati perché l'attenzione generale era concentrata su di
lui, un adulto. Ma perché?
Dev'essere un sogno,
pensò in uno sprazzo di lucidità. Non abbiamo più
marmocchi che ci tengono svegli la notte... se notte vogliamo
chiamarla.
Cosa poteva esserci di simile ai vagiti, in un posto come quello,
quando non c'erano più bambini in grado di emettere suoni
del genere?
Improvvisamente fu cosciente di quello che stava succedendo.
Sapeva di doversi svegliare.
Ma non ci riusciva.
“Porca puttana, Hector!!!”
Cadde dal letto con un tonfo sordo e rimase confuso per qualche
istante, prima di orizzontarsi.
“Alzati, cazzo!” ringhiò una voce
“O devo prendere a pedate il tuo culo francese fino a che non
ti svegli?”
Solo allora si rese conto dello stridente e fastidioso ronzio
dell'allarme che riempiva il periodo dedicato al riposo e che
costringeva Han ad urlare.
Si alzò a fatica “Che succede?”
biascicò sbadigliando e seguendo il compare fuori dal basso
edificio. Han avanzava a passo svelto nell'erba alta, già
perfettamente vigile nonostante avesse la faccia, come lui, di chi era
stato buttato giù dal letto durante la fase REM del sonno.
“Ma che cazzo ne so!” replicò l'altro,
inviperito, agitando le braccia in aria, per poi affondare una mano tra
i capelli “O meglio... lo so, ma non voglio saperlo... Quei
cretini del settore orientale potevano pure avvisarmi prima... o in
modo meno violento...” concluse scuotendo la testa e
indicando il cielo “Sta cazzo di cosa mi è suonata
dritta nelle orecchie, vaffanculo!”
Hector sghignazzò, nel suo intontimento, immaginandosi Han
che saltava sul letto per aver ricevuto direttamente nelle cuffie, da
cui si separava solo lo stretto indispensabile perché non si sa mai,
l'allarme che, nella radura, stava assordando tutti. Lo
immaginò scagliare lontano la trappola e correre al
terminale per controllare gli avvenimenti.
Ma allora perché stavano correndo verso il lago?
“Hanno detto che ci mandano la trasmissione in differita tra
meno di cinque minuti...” rispose l'altro quasi gli avesse
letto nel pensiero.
Hector non pose altre domande; erano quasi arrivati al promontorio e,
attorno a loro, facevano capolino sempre più persone
svegliate nel cuore del sonno che cercavano di capire, tra supposizioni
e domande, a cosa fosse dovuto tutto quel trambusto.
“Han, eccoti...” disse una donna dai lunghi capelli
ondulati, raccolti in una coda bassa a lato della testa, correndogli
incontro e artigliandogli il braccio
“Ne so poco più di voi...” le rispose
“Aspetto a vedere, Nives... so solo quello che mi hanno
mandato a corredo dell'allarme...” si interruppe quando il
suono fastidioso si zittì di colpo. Tutti si sporsero dal
promontorio per vedere meglio. Qualcuno, per non perdersi alcun
dettaglio, si era arrampicato sulla cima degli alberi.
Il piccolo lago sottostante sfrigolò e un rettangolo
luminoso apparve sulla sua superficie leggermente increspata per poi
innalzarsi e avvolgersi su se stesso come un cilindro. Quindi
arrivò la sigla rassicurante del primo notiziario. Poi
arrivò quella del secondo, del terzo e così via.
Il cilindro traslucido, che ruotava lentamente su se stesso, dando modo
di vedere ogni dettaglio della superficie, seppure riflesso, da ogni
angolazione, si tassellò di tutte le diverse emittenti della
Terra che proclamavano la stessa edizione straordinaria. Tra tutti
emerse un particolare frammento che andò a sovrapporsi agli
altri. Il settore orientale aveva selezionato per loro la versione
inglese. Ovviamente. In casi come quello il protocollo comune era che
si usasse la lingua che tutti, bene o male potevano comprendere. O di
cui, sicuramente, la maggior parte aveva avuto un'infarinatura. Ma solo
in casi come quello.
La giornalista si presentò in mezzo busto, seduta alla sua
scrivania, in un atteggiamento che faceva correre la memoria di molti
agli anni dell'infanzia.
Con voce atona annunciava quanto di più sconvolgente potesse
aver mai turbato la serenità dei ribelli.
“Invitiamo la popolazione alla prudenza. Quello che
più temevamo si è verificato questa mattina
all'alba: i ribelli hanno sferrato il loro attacco alla
società civile...”
Nella folla radunata, gli sguardi si fecero confusi e incerti. Poi
l'attenzione si focalizzò su Hector e Han che ignorarono
forzatamente quelle occhiate curiose.
“Ponete molta attenzione a chiunque risulti non
immediatamente identificabile: i ribelli sono arrivati al punto di
camuffarsi da Akero, quando nessuno li ha mai toccati o visti
realmente, per rapire le nostre figlie.”
L'immagine di Mat-mon che usciva di casa reggendo il peso infagottato
di Zoe comparve accompagnato dalla descrizione della voce fuori campo
che continuava a illustrare le diverse sequenze. L'immagine venne
quindi sostituita, subito, dalla quella che mostrava Birger e Loki che
issavano 24 a bordo dell'hovercraft.
“E quelli chi cavolo sono?” sbottò
Hector, folgorando Han che si limitò a scrollare le spalle.
Ancora, le telecamere si riportarono in Grecia e mostrarono Akira che
faceva fuoco contro l'osservatore, il volto contratto in una maschera
di rabbia e preoccupazione.
Lo videro venir colpito e rimanere saldo al suo posto, le pistole
appaiate che esplodevano colpi a ripetizione. La ripresa
vacillò e sfrigolò, quindi, da un'altra
angolazione, furono mostrati i corpi riversi a terra, nello stretto
vano dell'ascensore.
Tra gli astanti qualcuno soffocò un gemito, coprendosi la
bocca con le mani. Per quanto abilmente intrecciate tra loro e
assemblate in un sapiente montaggio, quelle immagini mostravano,
inequivocabilmente i corpi dell'Akero e di Akira. L'attenzione
tornò nuovamente in strada dove si vide lo stesso Akero,
prima riverso al suolo, combattere con una ferocia inumana. Nelle
intenzioni del regista doveva rappresentare un Akero diverso da quello
precedente, per dare l'illusione di un attacco totalmente differente:
tanto gli umani non sarebbero riusciti a distinguerli tra loro. Ma i
ribelli non erano certo normali esseri umani lobotomizzati: loro
sapevano ancora usarlo, il cervello.
Mat-mon veniva mostrato nella sua versione violenta e istintuale,
lacerava gli uomini armati e ne disarticolava le membra facendo
schizzare sangue rosso ovunque. Ancora, si videro Jess e Xing correre
verso un fagotto, una donna riversa al suolo, abbandonata sul ciglio
della strada. Ancora una volta gli spettatori videro i colpi che le
trafiggevano, una dopo l'altra. Quindi venivano mostrate, in una
ripresa sicuramente successiva allo scontro vero e proprio, supine, una
accanto all'altra, i corpi composti illuminati dai potenti fasci di
luce dei mezzi di soccorso.
“Questi sono i volti dei ribelli! Osservateli attentamente.
Non recano alcun tratto distintivo della società civile:
hanno capelli incolti, fogge stravaganti e variopinte da veri selvaggi
quali sono.” L'attenzione degli spettatori fu portato ancora
nella notte polare delle isole Svalbard dove videro Loki usare le sue
armi contro i posti di blocco e Birger seminare bombe a mano come
fossero sementi. Li videro infilarsi in un apertura nella montagna e
farla crollare su se stessa “Si ritiene, inoltre, che il loro
attacco terroristico, condotto in Grecia e presso le Isole Svalbard, in
Norvegia, avesse come obiettivo finale quello di distruggere le
principali banche di germoplasma, con tutte le conseguenze
catastrofiche del caso.4” Le immagini,
mosse e confuse, e il continuo saltare da un gruppo all'altro davano
l'idea di un vero attacco su larga scala. “Vi chiediamo per
tanto di porre assoluta attenzione a quanto stiamo per comunicarvi e di
informare gli organi di polizia al minimo sospetto.” Su campo
neutro, ruotarono e si disposero ordinatamente quattro foto
segnaletiche “Questi sono i ricercati dell'ultima
ora.”
“Oh, mio dio!” Un coro angosciato si
levò tra i ribelli. Kemal, Alain, Frederick e Azzurra
venivano mostrati in mondovisione come i feroci nemici pubblici, gli
untori da cui tenersi alla larga e contro cui scagliarsi eroicamente.
Pur di fermarli.
“La ragazza, la cui scomparsa era già stata
denunciata ieri dai vertici Akero, è stata avvistata tra
Milano e Torino in compagnia di tre loschi individui, di cui la madre
aveva già rilasciato un identikit abbastanza preciso. La
ragazza è la figlia del bioingegnere e della semiologa che
hanno reso possibile la comunicazione e le interazioni tra noi e gli
Akero. Si ritiene, quindi, che i ribelli vogliano usarla come una prima
leva per una qualche contrattazione. Ma non è arrivata
ancora alcuna richiesta dato che, probabilmente, vogliono prima
assicurarsi di averla dalla loro parte. Chiediamo la collaborazione di
tutti i cittadini, affinché la ragazza venga restituita alla
sua famiglia e i rapitori assicurati alla giustizia...”
Seguivano le istruzioni da seguire nel caso si fosse reso necessario,
ma la finestra sul lago si spense con un tremito e la radura si
riempì di un silenzio orripilato. Nessuno osava fiatare
nella paura che, spezzato il silenzio, quell'incubo divenisse
realtà.
Han sbuffò, frustrato. Stava per parlare quando un secondo,
diverso, allarme, risuonò tutt'attorno. “E ora
cosa diavolo c'è?” ringhiò esasperato
Come un lampo, una palla rosa infuocata attraversò il loro
campo visivo che, all'improvviso, quasi si fosse resa conto di aver
imboccato la direzione sbagliata, virò di 120° e si
diresse verso lo stabilimento bianco con il simbolo del Cristallo Rosso5.
Mormorii sorpresi dilagarono tra la folla.
“Andiamo!” ringhiò Hector scuotendo
tutti dal torpore. La gente cominciò a precipitarsi
giù dalla collina, correndo a rompicollo verso la struttura.
“Vediamo cosa può dirci Mogwai... penseremo dopo
come aiutare Alain e gli altri... ammesso che non siano già
stati presi...” concluse rivolto ai compagni.
1 Non si tratta
del drago che abbiamo conosciuto da bambini, ma anche lui prendeva il
nome da questo gas
incolore e inodore, composto principalmente di metano e
caratteristico delle miniere di carbone.
2 In Italiano adattato a Megamicri,
popolo fantastico descritto da Giacomo Casanova nel suo Icosameron (ou histoire d'Edouard, et
d'Elisabeth qui passèrent quatre vingts ans chez les
Mégramicres habitante aborigènes du Protocosme
dans l'interieur de notre globe)
3 Ingresso a Pyramiden
4 Allora, qua devo spiegare un minimo.
Nella storia, Loki e Birger sono diretti a Pyramiden, mentre la banca
dei semi è situata a Longyearbyen. Entrambi i paesi si
affacciano sulla costa occidentale dell'isola di Spitsbergen. Non sono
nemmeno troppo distanti. Qui si innesta la distorsione
dell'informazione. Eccovi anche la cartina
così vi orientate meglio
Altra distorsione è dovuta al fatto che una delle banche dei
semi italiana sia situata nel Parco naturale del Monte Barro, tra
Milano e Como. Azzurra e gli altri si muovono in una zona che va dai
dintorni -non meglio precisati- di Milano (dovendo prendere il treno,
può benissimo essere che si trovi a Bergamo o nella stessa
provincia di Lecco, ma io ho sempre pensato alla provincia varesotta) a
Torino. Inoltre, nel loro viaggio, i quattro costeggiano le montagne,
quindi...
Le differenze paesaggistico-faunistiche sono difficilmente
riconoscibili se non a un occhio esperto, perché i luoghi in
esame sono troppo vicini tra loro. E qui, ancora una volta, entra la
manipolazione dell'immagine. Chi si sofferma a pensare se quella che
viene mostrata -che sembra così simile- sia o meno la
verità? In certi servizi ho visto filmati inequivocabilmente
girati in Russia, spacciati per Greci. Tanto... chi lo sa
qual'è la differenza tra il cirillico e il greco? La maggior
parte della gente non lo sa. E chi sa a volte è
così bombardato da non far caso ai dettagli più
ovvi. Per non parlare poi dei fotomontaggi e/o ritocchi: la storia
fornisce molti spunti al riguardo. Mai credere a quello che vedete.
D'altronde, non possiamo nemmeno credere ai nostri ricordi, che
alteriamo automaticamente a seconda della bisogna.
5 Nato a causa di una diatriba con
Israele (che chiedeva l'introduzione della Stella di Davide Rossa
a fianco della Croce,
della Mezzaluna
e del Leone e Sole Rosso,
per le popolazioni non cristiane e non musulmane), la richiesta fu
rigettata dal movimento della Croce Rossa poiché, se allo
stato ebraico (o a qualsiasi altro gruppo) fosse stato concesso un
nuovo simbolo, non ci sarebbe stata fine alle richieste di nuovi
emblemi da parte di gruppi religiosi o culturali.
Nel 2005 veniva istituito questo nuovo emblema, il
cristallo rosso, che fosse accettabile da tutte le nazioni,
indipendentemente dalla cultura o religione.
Va comunque ricordato che l'intenzione originaria del simbolo della
Croce Rossa era tutt'altro che religioso (nato come una versione
ribaltata della bandiera Svizzera, per indicare la
neutralità dell'intervento) ed era quella di avere un unico
simbolo per segnalare veicoli ed edifici protetti su base umanitaria.
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Capitolo 17 *** Trap ***
17.
Trap
Door
L'allarme delle sirene turbinò prepotente ancora una volta.
Diverso dalle altre volte, molto più concitato e
preoccupante di quelli che l'avevano preceduto.
Hector si spostò da dietro la tenda, che stava massacrando
per il nervosismo, e fissò Han, preoccupato. Quello
alzò gli occhi al cielo e, sbuffando sonoramente, si
staccò la ricetrasmittente dalla cintura e se la
portò alla bocca. Pigiò un pulsante e vi
parlò dentro “Jordan, Jordan...mi senti?
Passo”
“Forte e chiaro, Han! Passo” gracchiò
una giovane voce dall'altra parte dopo un intervallo di suoni distorti
“Jordan, puoi occupartene tu? Io sono ancora in infermeria.
Passo”
“Nessun problema. Dammi il tempo di arrivare al mio terminale
e vedere cosa succede. Ti informo subito. Attendi. Passo”
La trasmittente prese a frusciare fastidiosamente, così Han
regolò il volume al minimo. Per alleviare, ulteriormente, il
rumore, si premette l'altoparlante contro il collo. Hector, nel
frattempo, per distrarsi, aveva preso a camminare nervosamente su e
giù sul pavimento di fòrmica verde.
Dopo pochi minuti, Han sentì sparire il gracchiare
dell'apparecchio, alzò il volume giusto in tempo per sentire
Jordan urlare dall'altra parte frasi inarticolate nella sua lingua
madre (una delle tante che lui non capiva). Tutto ciò che
intese era il semplice messaggio, già abbastanza chiaro
della sirena, di intrusione: qualcuno aveva violato le loro barriere e
stava arrivando dritto da loro. Nell'improvvisa confusione, creata da
coloro che erano nei pressi della conversazione, riuscì a
farsi dire la direzione da cui sarebbe arrivata la minaccia: per quanto
piccolo, quel posto aveva comunque la ragguardevole estensione di
diversi chilometri e diverse imboccature. Trovare gli invasori, senza
una minima indicazione, sarebbe stato alquanto difficile.
Ordinò, quindi, di spegnere quel baccano assordante che
avrebbe resuscitato pure i morti. Tutti erano già in allarme
e non aspettavano altro che spiegazioni ma metà delle
persone che gli erano state incollate in quei pochi minuti si erano
già volatilizzati.
“Silenzio!” intimò, secco e perentorio
mentre si affrettava alla cabina sospesa a mezz'aria, nel centro del
corridoio. Vi collegò la trasmittente e, quando
sentì che all'esterno il fruscio risuonava amplificato,
diede un paio di colpi di tosse per schiarirsi la voce. Quindi
riportò alla bocca il ricevitore.
“Attenzione, attenzione. E' il capitano Han che vi parla.
Questa non è un'esercitazione! Ripeto, non è
un'esercitazione!” Aveva sempre desiderato pronunciare quelle
frasi banali e retoriche. Ora si rendeva conto di quanto la popolazione
ribelle, in realtà, non aspettasse altro che sapere se si
era trattato di un falso contatto o se la minaccia fosse reale.
Inoltre, dagli sguardi delle persone attorno a sé capiva
come queste necessitassero di avere delle certezze per sapere come
comportarsi nel modo più appropriato. Ogni parola andava
calibrata per esprimere al meglio, e in modo conciso, la
realtà dei fatti e le necessarie istruzioni: poche parole e
semplici, perché il messaggio non si perdesse ma colpisse
con tutta la sua violenza. Non doveva intortare nessuno, doveva
renderli vigili e partecipi. E motivarli. “E' stata rilevata
un'intrusione non autorizzata nel sistema di gallerie. Vi invito a
mantenere la calma.” Fece una pausa, per pensare a cos'altro
dovesse comunicare “Vi prego di osservare le regole base
stabilite unanimemente. Da questo momento, fino a nuovo ordine,
verrà applicata la legge marziale. Ogni trasgressione
sarà punita. Donne, vecchi e bambini, sono pregati di
recarsi immediatamente nelle grotte segnalate come sicure e di
attendere, lì nascosti, il cessato allarme. Se quest'ultimo
non dovesse sopravvenire entro una fase,
siete autorizzati a cercare la asilo nelle altre comunità.
Vi chiedo, altresì, di preoccuparvi della messa in sicurezza
dei nostri laboratori e delle nostre banche dati. Sono la nostra
risorsa più importante. Il personale medico tutto, invece,
deve, ripeto DEVE, pensare alla messa in sicurezza dell'ospedale e dei
degenti, seguendo gli altri sfollati. Noi ci arrangeremo. A tutti i
restanti uomini e giovani in buona salute: andate subito in armeria e
armatevi fino ai denti. Quindi dirigetevi all'imbocco nord, ripeto,
imbocco nord.” Non attese oltre: chiuse la comunicazione,
disassemblò il marchingegno appena creato e si
precipitò all'esterno. Era solo, Hector l'aveva
già anticipato, insieme a tutti gli altri. Si
scapicollò giù dalle scale, mentre il personale
medico accorreva in senso contrario per aiutare i pochi pazienti che
fortunatamente erano ricoverati in quel periodo, e si lanciò
nel fitto della boscaglia. Passò, veloce, nella piccola
armeria, la più vicina all'ospedale e ormai deserta: era
stata saccheggiata senza pietà e rimaneva ben poco di cui
equipaggiarsi. Si buttò sulle spalle un vecchio mitra,
troppo pesante per i più, si legò in vita una
fondina per una Beretta, quindi afferrò quel che era
rimasto: un micidiale Bowie da legare all'avambraccio, una S&W
da allacciare alla caviglia e paio di cartucciere che si
buttò sulle spalle mentre usciva di corsa. Si
lanciò fuori dal deposito ma, all'ultimo, afferrò
anche l'ultimo residuato: una fionda tutt'altro che primitiva. Corse
disperatamente in contro alla morte, volando sulle sterpaglie, fendendo
malamente l'erba alta e i rampicanti che scendevano dagli alberi,
finché non arrivò, ansante per l'enorme peso
sulle spalle, al randez-vous. Si scrollò subito di dosso
l'arma troppo pesante, sollevando un coro ammirato. Quel dannato affare
non sembrava poi così gravoso da portarsi dietro per un paio
di chilometri. Mentalmente segnò un difetto della loro
organizzazione: non erano ancora
abbastanza allenati. Non lo era lui che si teneva in esercizio ogni
giorno, figurarsi i ragazzini-topi di laboratorio o biblioteca. Se ne
fossero usciti vivi, avrebbero cambiato le cose. Si lasciò
cadere a terra, accompagnando il naturale movimento di discesa per
montare l'arma sul treppiedi.
“In quanti sono?” domandò qualcuno non
appena si accorse che il respiro gli si era fatto più
regolare “Da dove vengono?”
“Chiedete a Jordy!” sbottò lui, rauco,
avendo notato la chioma argentina del ragazzino “Tu dovresti
essere tra gli sfollati!” aggiunse guardandolo storto
“Non hai ancora affrontato la terza prova e se ne usciamo
vivi ricordami di metterti in castigo! C'è un motivo per cui
non puoi stare qui!”
Jordy lo ignorò e rispose alla muta richiesta di tutti gli
altri “Il rilevatore ha segnalato solo l'intrusione. Erano
troppo veloci. Ma sembrerebbe essere un mezzo d'assalto: la cella ha
registrato il passaggio per l'equivalente di un autotreno...”
il ragazzino, i lunghi capelli legati in un codino scomposto sulla
sommità del capo, non aveva ancora finito di parlare che Han
lo zittì.
“Sono qui... preparatevi...” sibilò. In
fondo al tunnel si sentiva, chiaro e forte, il raspare disarmonico del
mezzo sulla pietra. Tutti lo imitarono e lo schincagliare unisono della
rimozione della sicura delle armi da fuoco si propagò
nell'area circostante. Gli uomini si erano disposti, istintivamente o
sotto la guida di qualcuno più esperto, a ventaglio attorno
all'ingresso, in una parabola che lasciava spazio al mezzo, lanciato a
gran velocità, di esaurire la spinta propulsiva della
discesa: l'avevano, praticamente, già circondato.
La bestia scapicollò scompostamente nella radura
finché non si fermò, il muso infossato nel
terreno, a una ventina di metri dal gruppo di testa. Subito tutti
alzarono le canne. Erano tesi come corde di violino, nervosi come
scimmie idrofobe: in pochi avevano già impugnato armi e in
ancora meno le avevano usate realmente. Ma a nessuno sarebbe scappato
un colpo anche solo accidentalmente: tutti aspettavano un cenno di
Hector e a quello erano pronti a obbedire istintivamente.
Quello, però, si tirò in piedi sbuffando. Una
reazione anormale che destabilizzò molti ma che diede
comunque il segnale di una relativa serenità.
L'hovercraft, che avevano visto sparire nelle viscere delle montagne
norvegesi, difeso strenuamente da un umano, era lì, davanti
a loro, pesantemente ammaccato ma sostanzialmente integro.
Nel silenzio generale si levò, lentamente, dalla cabina
centrale, la figura bianca e incappucciata di un Akero. Subito in tutti
tornò il terrore e le armi tornarono a puntarsi con
precisione contro l'obiettivo: l'umano era solo uno specchietto per le
allodole.
E loro erano stati scoperti.
Il tessuto urbano si innestò gradualmente sulla natura
piatta, ordinata e colorata, pur nel freddo invernale, della campagna
torinese. Gli edifici si susseguivano sempre più alti e in
file sempre più serrate. L'occhio, che prima si perdeva
all'orizzonte, indugiando ora nel verde delle risaie ora nell'indaco
delle montagne innevate, era costretto nelle strade tortuose e
claustrofobiche della parte povera della città grigia.
Gli zoccoli crepitavano rumorosi sull'asfalto, qua e là
dissestato, scuotendo il torpore dell'ora di pranzo in cui tutti si
rifugiavano all'interno degli edifici per ristorarsi e riposarsi.
Da quando era avvenuto il più grande cambiamento nella
storia dell'umanità, il benessere psicofisico della gente
era al primo posto nelle priorità dei vertici Akero. Le
città si fermavano, impedendo le corse forsennate, pranzi
saltati e nervosismo generale: il ritorno in serenità e
produttività aveva compensato l'accorciamento della
già breve giornata invernale.
Ora, i quattro fuggiaschi, confidavano in quell'ora di pausa per
riuscire a raggiungere la terra franca della Gran Madre.
L'ennesima svolta li portò sulla strada che costeggiava il
fiume. Alain, alla vista dell'acqua, sferzò nuovamente il
proprio destriero, quasi fosse terrorizzato da quella visione.
“Accidenti!” ringhiò Kemal “Ci
avevo quasi sperato...”
Azzurra non capì a cosa facesse riferimento
finché non scandagliò a fondo il paesaggio
circostante: in lontananza, all'imboccatura del grande slargo di piazza
Vittorio Veneto, era asserragliata una piccola folla che muoveva
velocemente verso il ponte. Alcune volanti e un paio di furgoncini
sbucarono a sirene spiegate alle spalle dei fanti che si stavano
riversando in strada, fendendo quel mare a gran velocità.
Qualche telecamera di controllo doveva averli intercettati e le truppe
si erano mosse di conseguenza. Di certo, non ce l'avrebbero mai fatta a
raggiungere immuni la loro destinazione.
“Volete giocare?” domandò Alain con un
ghigno divertito. Mollò le redini e, portandosi lo zaino sul
torace, si mise a rovistarne l'interno. Ne estrasse un piccolo mortaio.
Lo montò e lo posizionò. Sotto gli occhi
esterrefatti di Azzurra, Alain sparò, colpendo al primo
colpo le due camionette che si erano già posizionate
trasversalmente lungo la strada, a impedir loro il passaggio. Il boato
fece tremare tutto e una nuvola rossa e nera oscurò il cielo
davanti a loro. I cavalli, colti di sorpresa e spaventati,
s'impennarono imbizzarriti. Ad Azzurra sfuggì un grido
trattenuto tra i denti ma gli altri cavalieri, che evidentemente la
sapevano lunga al riguardo, impiegarono poco tempo a rimettere
tranquilli gli animali e a farli proseguire lungo la strada designata.
Subito, Alain ricaricò l'arma e sparò verso le
piccole auto che zigzagavano furiosamente, confuse e stordite, nel
piazzale antistante la chiesa. I militari abbandonarono i mezzi in
corsa, rotolando malamente per terra, fuggendo il più
lontano possibile prima del secondo colpo. “Avete sbagliato
topo con cui giocare!” esultò dopo il secondo
colpo andato a segno, alzando un pugno in aria. “Non si
scherza con i cugini francesi, pappemolli italiane!” Dopo un
istante bofonchiò un imbarazzato “Esclusi i
presenti, si intende.” disse lanciando un'occhiata di
sottecchi alla ragazza che, improvvisamente, gli sembrò
sofferente.
I cavalli continuavano, ora preparati, la loro corsa a briglia sciolta.
Improvvisamente, quanto il boato del mortaio, Kemal spronò
il suo frisone con un urlo guerresco. La mano che teneva le redini,
stringeva anche una retina con alcuni strani panetti neri con la
scritta C4 in evidenza: bombe al plastico. Aveva sfilato la scimitarra
dal fianco e si era dato l'ordine d'attacco come un vero principe
arabo, per poi riporla al fianco, forse troppo impedito nei movimenti
da quell'accessorio quanto mai fuori luogo.
Il resto del gruppo lo vide sparire tra le lamiere fumanti e infuocate
dei mezzi incendiati che loro attraversarono, in apnea, subito dopo,
prima di raggiungere la chiesa e lanciarsi, senza indugio, nella
stradina che le girava tutt'intorno.
Prima di dare le spalle al ponte, videro Kemal arrivare alla fine della
lunga striscia d'asfalto, cominciare la manovra di inversione di marcia
e, chinatosi verso il suolo, lanciare un paio di fumogeni per
guadagnare tempo. Quindi, lo videro lanciare qualcosa alla base della
lingua di terra su cui si avviava. Subito una violenta esplosione
coprì loro la visuale del compagno. Ma quando il fumo si
diradò, videro che la detonazione aveva distrutto solo la
spalla del ponte. Il secondo ordigno non era esploso. Azzurra
fermò il proprio pony e si volse, preoccupata, a osservare
la scena mentre Alain e Frederick scendevano per aprire il pesante
portone che si affacciava direttamente sulla strada. Vide il frisone
nero impennare e scartare all'indietro, quasi infastidito da quello
strano esito. Quindi una nuova esplosione: Kemal aveva lanciato un
secondo ordigno nello stesso punto dove giaceva quello inesploso, prima
di allontanarsi ulteriormente, mentre il fumogeno lo copriva ancora.
Stava esultando per la seconda detonazione andata a segno quando vide
che, comunque, una sottile striscia grigia congiungeva ancora la piazza
allo spesso nastro scuro che sorvolava sul fiume. Fu subito chiaro che
non sarebbe mai riuscito a far crollare tutta la prima arcata: il tiro
da effettuare era troppo preciso e non sarebbe mai stato della violenza
adatta a innescare l'esplosione. Però, il passaggio era
ancora sufficientemente largo da far passare i fanti che avanzavano
serrati dal centro della città.
“E' un sacrificio inutile!” sbraitò la
ragazza contro i due biondi. Voltandosi verso di loro, notò,
sopra le loro teste, dei volti appiccicati alle finestre, terrorizzati
e impietriti dalla paura. Fantastico!
Ma quelli erano cittadini ignari di tutto come poteva esserlo stata lei
fino a pochi giorni prima. Come avrebbe reagito, se fosse stata
convinta della buona fede degli Akero, davanti alla notizia che i
ribelli stavano mettendo a ferro e a fuoco la sua città?
Poteva ben capire le loro reazioni violente e le loro espressioni
allarmate. Ma capiva anche la loro curiosità e il loro non
volersi immischiare nella battaglia, nonostante tutto.
Alain e Fred alzarono gli occhi sulla battaglia che si stava consumando
sul ponte giusto in tempo per vedere l'arabo far scivolare alla giusta
altezza la bomba e subito venir colpito da una gragnola di proiettili.
Il cavallo si impennò e il ragazzo cadde a terra,
scompostamente. Trattennero il fiato, finché non lo videro
muoversi nel tentativo di rimettersi in piedi. Azzurra scese malamente
dalla propria cavalcatura, nervosa. “Dobbiamo fare
qualcosa!” strepitò ai due uomini da cui era
scortata e ai quali non sarebbe mai riuscita a fuggire.
“Quel cretino!” Disse Frederick
“Ehi!” protestò Alain, vedendolo
rimontare in sella “Che vuoi fare?”
“Andare a salvarlo! Qui ormai è fatta, voi
rifugiatevi giù, andate da Razor. Noi arriveremo presto.
Cinque minuti al massimo. Se dovesse arrivare qualcuno al posto nostro,
partite senza esitare!” Replicò il tedesco prima
di voltare il cavallo e lanciarlo al galoppo lungo la strada asfaltata.
“Andiamo...” mormorò preoccupato Alain.
Le posò una mano sulla schiena, invitandola ad entrare nello
stretto pertugio. La sentì irrigidirsi, sotto il suo tocco,
e soffocare, stoicamente, un rantolo di dolore. La studiò
attentamente mentre avanzavano, con il Sorraya e il Berbero condotti
per la cavezza, nelle viscere della chiesa dopo essersi accuratamente
chiusi la porta alle spalle.
I passi degli equini rimbombavano come tuoni nella catacomba e il loro
avanzare era scortato da statue angeliche prive di pupille
più inquietanti dei molti teschi che affollavano l'ambiente.
Senza alcun preavviso, la tirò a sé e le
infilò, svelto, una mano sotto i molti strati di vestiti. La
ragazza non ebbe tempo di capacitarsi di quello che stava succedendo
(il frangente, la rapidità, la novità del
contatto) che Alain, tastatole con tocco gentile e veloce in mezzo alle
scapole, aveva già ritirato la mano. “Resisti
ancora un po'” le disse solo, afferrandola per il polso e
affrettando il passo. “Il sangue verrà via...
è fresco e noi saremo a destinazione a breve...”
Azzurra era incredula: Alain si era accorto di quello che la
infastidiva nonostante lei avesse fatto di tutto per tenerlo nascosto.
Evidentemente l'occhio e la mano erano ben allenati perché
si accorgesse dello strappo che l'impennata del cavallo le aveva
procurato.
All'esterno, intanto, Kemal tentava il lancio di un paio di bombe a
mano, che però, finivano immancabilmente in acqua. Gli
spruzzi che si levavano alti dal fiume sottostante, non avevano altro
effetto che infastidirlo: la strada era così crepata da
dargli una speranza di riuscita anche tramite l'effetto riflesso
dell'acqua che, però, si dimostrava troppo blanda. Era a non
più di trenta metri da dove il ponte si protendeva
sull'acqua fredda del Po e la folla armata non accennava a rallentare:
ne sentiva l'avanzare ritmico e cadenzato. Lugubre.
Deluso di se stesso, cercò con la lingua la sicurezza della
capsula di cianuro. Non si sarebbe fatto ammazzare da loro: avrebbero
straziato il suo corpo, ma non gli avrebbero strappato alcuna
informazione. Reclinò la testa all'indietro e si
lasciò andare a terra. Il frisone, al suo fianco, disteso a
simulare la morte, sbuffò di impazienza.
All'improvviso un'ombra offuscò il sole. Forse era morto ed
era piombato nell'oscurità dell'aldilà. Ora
avrebbe scoperto se aveva avuto ragione a dubitare della storia
delle vergini il cui numero, in realtà, non era
specificato da nessuna parte. E....oh, no... Avrebbe incontrato suo
fratello. Beh... a quel punto non si sarebbe certo trattenuto dal
dirgli in faccia quello che pensava di lui.
Schiuse gli occhi quando si rese conto che la luce era tornata
immediatamente a picchiare sulle palpebre, trasmettendo alla retina
l'impressione di un rossore diffuso.
“Per quanto intendi restare lì a dormire?
Rimettiti in sella, razza di cialtrone!” gli
intimò una voce fastidiosa che ben conosceva. Un colpo di
pistola e subito un boato riempì l'aria e l'odore pungente
di zolfo arrivò così intenso da riportarlo alla
realtà. Alzò lo sguardo verso la zona dove
dovevano esserci i loro assalitori. Frederick svettava sullo sfondo
ceruleo del cielo, la gualdrappa nera, che avrebbe dovuto proteggere
sia lui che il suo cavallo da sguardi indiscreti, sventolava furiosa
alle sue spalle, creando un contrasto e uno spettacolo unici: sembrava
l'incarnazione di un dio nordico su mitico destriero, Odino e Sleipnir,
le chiome che brillavano come soli, le protezioni di entrambi, nere,
non facevano che accentuare quell'accecante bagliore.
Il tedesco si voltò a guardarlo, irritato “E'
tanto difficile tirar giù tredici metri di ponte?”
sbottò, scendendo al volo e andando a strattonarlo. Lo prese
poco delicatamente per le ascelle, lo tirò su a forza e lo
trascinò fino a stenderlo, in qualche modo, in groppa al suo
destriero “Ci sei?” domandò retorico.
Gli strappò di mano il sacchetto e, senza aspettare
risposta, diede uno schiaffo sul grosso sedere della bestia nera che si
tirò in piedi di scatto, nitrendo con rabbia.
Risalì veloce sul proprio cavallo dorato, portando con
sé le redini del morello. Spronò gli animali al
galoppo e, non appena si furono avviati, lanciò alle proprie
spalle gli ordigni rimasti: se anche gli assalitori fossero riusciti ad
attraversare la voragine della prima arcata, dopo avrebbero dovuto
faticare un bel po' a scansare le voragini successive.
“Perché sei venuto?” domandò
il moro digrignando i denti per il dolore
“Non ti avrei mai lasciato morire da eroe martire e prenderti
tutta la gloria. Nossignore!” rise Fred, freddo, tagliente e,
paradossalmente, orgoglioso “Io ho una sorella zoccola da
riscattare!”
Kemal stirò un sorriso dolente “E' un modo gentile
per proporre una tregua?” chiese mentre i cavalli
sferragliavano sull'asfalto gelido e l'altro, visibilmente imbarazzato,
continuava a lanciare bombe alle proprie spalle
“Mai detto nulla di simile...” ringhiò
senza guardarlo “Ora tienti!” gli ordinò
prima di affrontare la curva e la brusca frenata. Il biondo
scivolò a terra quasi al volo e lanciò i
destrieri all'interno della cripta, senza guardarsi indietro. Quindi li
condusse con cautela nel buio dell'interno. Kemal rimase saldamente in
groppa al suo frisone, nonostante questo, di quando in quando,
scivolasse grossolanamente sul terreno dissestato.
Avanzarono per qualche metro finché, in una cripta
rischiarata da una tenue luce azzurrina, trovarono i loro compagni.
Alain li salutò sarcastico “Siete in
ritardo...”
“Potevate partire!” ringhiò il tedesco
di rimando, sollevato nel trovarli ancora lì. Sapeva bene il
rischio che avano corso e che stavano correndo: aveva visto anche lui i
cittadini abbarbicati alle finestre, impauriti e curiosi.
“Razor non ha voluto...” disse Azzurra con l'aria
spaesata di chi ha appena incontrato un fantasma.
Kemal sorrise mestamente “E' ora di rientrare!”
disse sentendo l'eco lontano di altre sirene in avvicinamento.
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Capitolo 18 *** The new and the old ***
18.
The new and the old
Under World.
Loki si era rialzata non appena il pavimento dell'imbarcazione aveva
smesso di tremare. Dopo l'esplosione di gas all'interno della montagna,
che aveva fatto crollare l'apertura sul fianco della montagna, aveva
proseguito a scavarsi la strada oltre le gallerie delle miniere, certa
che si gli umani avessero interrotto gli scavi per altri motivi, non
solo per la paura del grisù. Non aveva avuto poi tutti i
torti: sforacchiando le viscere della terra un po' a casaccio, aveva
intercettato dei cunicoli strettissimi, dall'aspetto tutt'altro che
artificiali. Li aveva allargati a forza, spinta dalla convinzione di
essere sulla strada giusta. Certo, nessuno si sarebbe aspettato che un
auto, figurarsi un hovercraft, passasse di lì. Ma degli
esseri umani? Lo spazio era così angusto che in alcuni punti
avrebbero dovuto strisciare, per passare. Ma dei ribelli sarebbero
stati abbastanza disperati da fare di tutto. Specialmente per non dare
nell'occhio.
Dopo un'oretta di lavoro apparentemente inconcludente, la terra si era
aperta naturalmente in una perforazione circolare e perfetta, priva di
increspature, dalla pendenza costante. Aveva smesso di disintegrare
blocchi interi di roccia e aveva fermato i motori del natante
terracqueo. La galleria, che i fari del mezzo non riuscivano a
illuminare fino a scoprirne un fondo, sembrava scendere nella terra per
centinaia, migliaia di metri. Loki aveva alzato lo sguardo sulla
parete, troppo perfetta per essere naturale, aveva deciso di essere
sulla strada giusta e aveva continuato la sua discesa.
Non udendo più boati dal sottosuolo, probabilmente, anche i
vertici Akero si sarebbero persuasi che lei, l'hovercraft e l'umano
fossero rimasti schiacciati o intrappolati sotto i detriti. Il chip di
Birger a quella profondità, inoltre, non sarebbe stato
nemmeno rintracciabile. Quindi, morti o dispersi, per loro era la stessa
cosa.
Quindi, avrebbe dovuto cercare di fare il minimo rumore possibile per
evitare ai sensori in superficie di tracciarli nuovamente e spegnere i
motori che producevano un rumore e delle vibrazioni tutt'altro che
naturali era stato il minimo che potesse fare. Per il resto, bastava la
naturale pendenza della galleria faceva muovere il mezzo.
Aveva virato lentamente e silenziosamente, facendolo scivolare sulla
roccia che sembrava tagliata col laser. Era immersa nel silenzio e
nell'oscurità, infranti solo dal frusciare della carlinga
sulla pietra e dai proiettori posizionati lungo la fiancata del mezzo,
qua e là andati distrutti.
Birger giaceva svenuto accanto al divano del piccolo salotto interno e
lei poteva concentrarsi sulla sua meta. Non le pesava quella solitudine
e quell'isolamento. Né poteva averne paura. Loro non...
Loro! Quale
sarcastica ironia. Stirò un mezzo sorriso.
Cos'era cambiato da quando aveva salvato 24? Assolutamente nulla. Lei
si sentiva sempre uguale. Ma di certo, per il suo compagno di viaggio,
le cose non sarebbero state altrettanto indolori. Si guardò
attorno: era solo una situazione nuova e forse sconcertante. Nulla di
più. Cos'avrebbe dovuto temere?
L'imprevedibile,
si rispose mentre individuava un leggero ronzio di sottofondo e
riemergendo da tutte le sue considerazioni.
Regolò gli occhiali (più per abitudine che per
reale esigenza, ora che sapeva di potersi arrangiare anche su quel
versante) fino ad arrivare al visore termico e ispezionò,
ancora, il condotto. Non sembrava esserci nulla fuori posto, quindi
cambiò modalità percettiva. Lo sentiva. Il ronzio
c'era. Non era una sua allucinazione. Passò dalla
modalità a infrarossi a ultrasuoni. Infine li vide. Tre
piccole scatole, mimetizzate completamente con la natura circostante,
erano disposte a intervalli regolari nella sezione circolare
immaginaria che le collegava tra loro: una sulla sommità
dell'arcata, due lateralmente il piano di scorrimento. Il ronzio si
trasformò in sfrigolio e si fece sempre più
intenso.
Loki esitò un attimo, incerta. Cosa sarebbe successo,
attraversando quel campo di forza invisibile?
Chiuse gli occhi e il bivio delle scelte le si materializzò
davanti agli occhi: restare lì, intrappolati, per sempre o
procedere, verso l'ignoto, e portare Birger in salvo, in qualunque
luogo avesse dovuto andare. Tornare in superficie era escluso:
sarebbero stati individuati immediatamente e, forse, addirittura
giustiziati. Sì. Gli Akero potevano arrivare tranquillamente
a un gesto del genere ma non erano in molti a saperlo. Ovviamente.
Avanzare era, in realtà, l'unica cosa da fare. A costo di
rischiare: cosa avevano da perdere? Lei e 24 nulla, a ben vedere. Ma
Birger... l'aveva coinvolto in qualcosa di più grande di
lui. Se lei non avesse disubbidito, forse, ora lui sarebbe stato ancora
al riparo nella sua piccola dacia. Probabilmente accompagnato da una
nuova e più severa guardia. Ma incolume.
Cos'avrebbe comportato attraversare quel campo di forza? La morte
istantanea o il teletrasporto nel migliore dei casi. Alla peggio,
avrebbero effettuato il salto e sarebbero stati ricomposti con gravi
mutazioni nel codice informativo. I rischi legati alla pratica erano
ben noti anche agli umani, fin dal famoso caso dell'esperimento di
Philadelphia. Gli Akero avevano avuto le loro centinaia di migliaia di
morti per uso smodato della pratica che era stata, quindi, messa al
bando e concessa solo in casi di estrema importanza, dietro lungaggini
burocratiche che vertevano a vagliare la gravità della
domanda d'impiego e le condizioni del richiedente.
Aveva aperto gli occhi, decisa ad andare fino in fondo.
Aveva fatto avanzare il mezzo fino ai tre dispositivi.
Nulla sembrò cambiare. Almeno finché lei non
passò attraverso la barriera invisibile.
Il condotto divenne improvvisamente umido e le pareti si coprirono di
vegetazione muschiata. Loki si volse a guardare il tunnel da cui
proveniva: era completamente diverso da quello che avevano percorso
fino a quel momento. La vista le si annebbiò e fu costretta
a buttarsi carponi a terra prima di crollare su se stessa. La testa le
rimbombava, vuota e confusa, la vista si era fatta offuscata, si
sentiva rimescolare le interiora e una spiacevole sensazione di
malessere le salì dallo stomaco fino in gola.
Riuscì a ricacciare tutto da dove era venuto ma non
riuscì a sentirsi meglio. Dopo pochi minuti, quando, secondo
i suoi calcoli, l'hovercraft ebbe oltrepassato in tutta la sua
lunghezza quello che nella sua mente si stava delineando come portale,
si rese conto che il mezzo stava guadagnando velocità,
trascinato verso il basso da una forza misteriosa. Scivolavano
scompostamente lungo il condotto, fattosi improvvisamente
più ripido e man mano più grezzo e naturale, meno
lavorato e liscio. Sentiva le pareti graffiare sullo scafo in uno
stridulo ruggito di lamiere che venivano sventrate.
Infine, si sentì mancare la terra sotto i piedi. Il vuoto e
uno strano senso di panico, avevano preso il posto del fastidio per il
continuo sballottamento. Quindi il boato, l'impatto a terra, il lungo
trascinarsi scomposto del mezzo fuori controllo tra la vegetazione
lussureggiante.
Quando si riprese, aprì gli occhi su uno strano scenario che
non credeva possibile. Si tirò in piedi per osservare
meglio, sconvolta da tanta bellezza, e avvertì lo scatto
ritmico e simultaneo di centinaia di armi meccaniche. Al di
là del ponte, tra la fitta vegetazione, uno stuolo di uomini
le puntava contro le canne di vecchie armi analogiche.
Istintivamente, da qualche recesso del suo cervello, le
arrivò il comando di resa. Alzò lentamente le
braccia in aria, palmo aperto verso i suoi aggressori. Fece per
togliersi gli occhiali ma quelli, probabilmente temendo un qualche
strano attacco, scattarono ancor più sulla difensiva
“Fermo!” tuonò l'unico che aveva avuto
abbastanza fegato da mettersi in piedi e sfidarla. “Guai a te
se ti muovi!” continuò “Ora vengo a
prenderti. Non fare movimenti strani.”
Loki finì di raddrizzarsi, mettendo le braccia in alto, i
palmi all'altezza della testa.
La folla si aprì per far passare due uomini: Hector e Han,
desunse dal labiale di tutti gli altri. Han aveva abbandonato la
propria arma, pesante e ingombrante e aveva sfoderato una pistola, per
tenerla sotto tiro mentre si avvicinava.
All'interno della cabina percepì dei movimenti. Si volse
appena per avvisare l'umano ma la folla che la presiedeva le fece
cambiare idea: meglio evitare mosse azzardate. Han salì
velocemente a bordo, andando a piantarle la canna sulla nuca, appena
sopra a dove si diramava la coda di cavi, che contraddistingueva ogni
Akero e che lui osservò con rapita curiosità.
“Loki, cos'è successo?”
biascicò Birger, trascinandosi all'esterno dalla cabina e
sbadigliando rumorosamente “Ho una gran confusione in
testa...” disse prima di andare praticamente a sbattere
contro Hector che, salito a bordo, ora lo teneva sotto tiro, anch'egli
armato di pistola. Lo scatto del cane e il contatto della fronte col
freddo metallo lo svegliarono di colpo. Fece un salto indietro per la
paura e, istintivamente, alzò le mani in aria.
“Giù dal mezzo!” ordinò
Hector con fermezza
“Abbiamo un ferito a bordo.” disse Loki senza
muoversi di un millimetro, lo sguardo fisso davanti a sé.
Hector squadrò Han, perplesso. In effetti, il filmato che
avevano visto mostrava due
Akero arrampicarsi a bordo. Lo spacciavano per ferito? E se fosse stata
solo una trappola? La cosa che li aveva sconcertati di più,
però, era stata la voce dell'Akero. Una voce femminile,
calda e sicura. La osservarono meglio e videro che, effettivamente, il
magro corpo androgino non riusciva a nascondere la diversa struttura
fisica e dei seni acerbi, appena accennati sotto la tuta aderente.
Lentamente, l'ex Akero, la Nephilim, osò volgere lo sguardo
verso il capo del gruppo “Collaboreremo. Siamo scappati e
chiediamo asilo.”
“E perché mai dovremmo offrire asilo a esseri
schifosi come voi?” ringhiò Han acchiappandola per
la coda e tirando appena, senza farle male, ma per ricordarle la sua
posizione di inferiorità.
“Perché le informazioni di cui sono in possesso
potrebbero esservi utili!” protestò lei, non per
il dolore ma per dimostrare la sua buona fede.
“Informazioni?” domandò Hector
“Che tipo di informazioni?” domandò
distogliendo lo sguardo dal norvegese
“Non farti comprare da quattro moine di questa
aliena...” ringhiò Han dall'altra parte del ponte
“Perché mai dovresti dare a noi delle
informazioni per combattere quelli come te?” Loki
tacque: il ragionamento dell'umano non faceva una grinza.
“Scusate...” intervenne Birger “Io non
basto? Voglio dire...il mio collare dovrebbe essere sufficiente a
dimostrare che ero controllato... almeno a me non potete offrire
ospitalità?”
Hector si avvide solo allora del collare di sicurezza che il biondo
portava al collo “Che razza di roba è?”
domandò esterrefatto
“Un simpatico souvenir alieno che ti stacca la testa se provi
a rimuoverlo” rispose sorridente il biondo “Se lei,
la mia Augur, non l'avesse disinnescato, io non sarei qui... se volete
studiarlo, prima dovete trovare un modo per togliermelo...”
“Hector!” urlò qualcuno da basso
“Sul retro!”
“Cosa c'è?” domandò il
francese, alzando appena la voce perché da sotto riuscissero
a udire la sua risposta e tornando a puntare rapidamente la canna della
pistola in mezzo alle sopracciglia di Birger.
“Qualcosa di grosso, protetto da un telo cerato!”
fu la risposta che gli arrivò di rimando
“Cos'è che nascondete sull'altro ponte?”
ringhiò il francese, nuovamente sulla difensiva.
“E' la mia jeep... vi prego di trattarla bene... non volevo
lasciarla...” cominciò Birger che Hector lo
interruppe
“Jeep? Parli di una vecchia manuale analogica scassatissima
Jeep?”
“Da rally...” confermò l'altro annuendo
lentamente. Subito Hector rimosse la sicura e fece scomparire l'arma
nella fondina.
“Portate la Nephilim a terra... Jordy, va a dare il via
libera. Un paio salgano a recuperare il secondo essere ferito che si
nasconde nella cabina. Al resto penseremo in seguito” Hector
si rivolse, quindi, all'uomo che aveva tenuto sotto tiro fino a quel
momento “Tu vieni con me!” intimò
minaccioso facendogli segno di precederlo.
Improvvisamente, un altro allarme, diverso dal quello che era risuonato
pochi minuti prima, riempì l'aria con il suo febbricitante
piagnucolio. Hector cercò Han con lo sguardo e, quando lo
trovò, vide che anche lui lo guardava perplesso e confuso
allo stesso modo. Che diavolo stava succedendo in superficie?
Camminavano appaiati lungo quello strettissimo cunicolo leggermente in
discesa, tirandosi dietro i cavalli recalcitranti. Davanti a loro, una
flebile lucina rosa illuminava il passaggio.
Alle loro spalle non era comparso nessuno e questo impensieriva la
ragazza più della sua destinazione.
“Perché nessuno ci segue?”
domandò al suo accompagnatore
“Vorresti che ci seguissero?” domandò,
pungente e sospettoso, Frederick da davanti
“No, no... mi domandavo come foste riusciti a impedirlo...
Non ci sono porte né botole...”
“In realtà ci sono dei pulsanti a pressione lungo
il cammino che non c'erano prima del Blue Beam. Abbiamo ritenuto
più saggio aggiungerli, per la nostra sicurezza. Si
può comunque procedere anche se non scortati da uno di loro
che li attivi... solo che non si arriva da nessuna parte”
rispose Kemal con tranquillità fissando la luce rosata che
oscillava placida in testa al gruppo. Ma la risposta non risolveva
nulla.
“E come ha fa... Razor...
ad attivarli? Voglio dire...è...è...”
disse agitando la mano aperta davanti a sé nella speranza
gli venisse un termine appropriato per descrivere
l'impalpabilità del quarto membro della squadra
“C'è anche un sensore ottico. Uno solo, tarato su
componenti particolari” rispose Fred da davanti
“Mentre i pulsanti vanno attivati secondo uno schema,
calpestandoli, il sensore ottico è tarato appositamente
sugli esseri come lui. Ma anche quello ha un codice, ovviamente, nel
caso qualcuno riuscisse a catturare uno di loro e a mantenerli in vita
quel tanto che basta a raggiungere la destinazione.”
“Quindi potrebbe avvertirvi se venisse catturato?”
domandò Azzurra meravigliata continuando a fissare Razor
ipnotizzata
“In realtà loro possono andare e venire attraverso
la crosta terrestre senza venire danneggiati. Ovviamente, solo in
particolari condizioni, altrimenti si sfracellano come
tutti...” ridacchiò Alain. La luce si fece
improvvisamente violacea e pulsante “Oh, su Razor... ti
stiamo solo sfottendo un po'... eri così carino...”
“Razor è un esemplare giovanissimo...”
disse Kemal per spiegare i sottesi che andavano scivolando in un
apparente monologo del francese “Possono morire anche loro,
se è quello che ti stai domandando... ma non possono farlo
come tutti noi. Il loro nemico mortale è l'acqua.
Altrimenti... mmm” rimuginò cercando una
spiegazione semplice “Sono come il mercurio: se si
infrangono, si suddividono come il mercurio allo stato liquido. E si
infrangono quando non hanno la giusta disposizione atomica per
trapassare gli oggetti. In quel caso sono come... come un bicchiere di
vetro che va a infrangersi contro il pavimento.”
“Macchinoso... ma credo di aver capito...” rispose
lei con un sorriso.
“Quindi, se qualcuno riuscisse a capire come attivare il
corridoio e riuscisse anche a catturarlo e tentasse di usarlo come
lasciapassare, Razor potrebbe dare l'allarme.” Concluse con
un'alzata di spalle “E' una garanzia in più per
noi”
Azzurra tacque per un po' “Ma quindi... se una persona
pincopallina avesse deciso di fuggire e unirsi alla
resistenza...?”
“Poteva scappare di qua. Ma un tempo sarebbe arrivata
direttamente a destinazione dopo un viaggio di diverse settimane. Ora
viene semplicemente indirizzata in una zona di quarantena dove possiamo
intervenire in tutta sicurezza dopo aver controllato la sua natura non
ostile.” rispose Fred “Questo è uno dei
più antichi passaggi nonostante, ora, nessuno lo
adopererebbe mai: è troppo centrale e pericoloso, come hai
potuto vedere.”
“Ma quindi c'è qualcuno che è riuscito
a scappare senza il vostro intervento?” domandò
ancora Azzurra, avida di sapere
“Qualcuno sì...I primissimi ribelli... ancora
un... quanto?” domandò perplesso Kemal
“Un centinaio d'anni? Più o meno. In tempi recenti
ho l'esempio di mio cognato... si è arrangiato in tutto e
per tutto. E' stato davvero in gamba...” aggiunse orgoglioso
Azzurra alzò lo sguardo, meditabonda, e si accorse che,
davanti ai ragazzi in testa, il soffitto del tunnel andava abbassandosi
rapidamente, fino a chiudersi, intrappolandoli là sotto.
Vide Alain consegnare le redini del suo destriero a Frederick e
avanzare sotto la luce protettiva di Razor. Sentì il
picchiettare veloce e sicuro su quello che doveva essere un tastierino
numerico, quindi lo vide protendersi in avanti per una scansione
retinica. “Capo pattuglia Alain Renard”
seguì il numero identificativo: era così lungo
che Azzurra pensò se lo dovesse esser scritto da qualche
parte per non sbagliarsi. O che fosse inventato di sana pianta.
Una voce sintetica, impossibile dire se fosse maschile o femminile,
rispose domandandogli la natura e l'entità del carico.
“Rientro missione di recupero. Quattro umani, quattro equidi,
un canide e un LP”
“Cos'è un LP?” domandò piano
la ragazza a Kemal
“E' l'acronimo per Light Pulse” disse indicando
Razor ancora una volta
“Accesso autorizzato” confermò la voce.
La parete di roccia che impediva loro di procedere oltre si mosse,
svanendo nel nulla e lasciando dietro di sé la voragine di
un tunnel nero. Attraversando la zona di confine, Azzurra
studiò la parete rocciosa. Non vi era segno di porte
scorrevoli né ai lati né sul soffitto. Era strano
non vedere alcun segno di cesura. Che la parete fosse stata un
ologramma?
“Non ti preoccupare...” ridacchiò
l'arabo accanto a lei “Siamo quasi arrivati”
“Di già?” domandò perplessa:
a occhio e croce non erano scesi verso il centro della Terra che di un
paio di chilometri. Lui annuì e non disse altro.
Continuarono la loro discesa per una mezzoretta circa. Non dovevano
aver percorso più di un paio di chilometri che la luce
davanti a loro si fece rapidamente più chiara inglobando
Razor fino a farlo scomparire.
Le pareti cominciavano ad essere scivolose, umide e ricoperte, via via,
di uno strato sempre più folto di un qualche tipo di
vegetazione. Nulla che Azzurra avesse mai visto in tutti i suoi
spostamenti in giro per il mondo.
Infine, sbucarono in una radura illuminata a giorno.
Qualcosa non tornava. Com'era mai possibile? Erano sottoterra, giusto?
Giusto! Rispose una vocina nella sua testa
Allora come si spiegava quel fenomeno così assurdo?
I suoi accompagnatori scesero agevolmente il gradino che li separava
dal terreno mentre lei rimaneva sull'imbocco del cunicolo imbambolata,
bocca spalancata, a fissare quello spettacolo impressionante. Non
sapeva su cosa concentrare l'attenzione e faceva vagare smarrita lo
sguardo tutt'intorno, cercando di acquisire quante più
nozioni nel minor tempo possibile.
Si ritrovava immersa in una sinfonia di versi animali, un miscuglio
tale da sembrare irreale. Sicuramente c'era qualcosa che non andava.
Doveva trattarsi di qualche impianto audio difettoso a cui era sfuggito
il controllo della riproduzione di diverse campionature. Le sembrava di
essere nel suo sogno, quello che ogni tanto tornava ad angosciarla la
notte. Dalla fitta boscaglia, di un verde troppo brillante per essere
naturale, che si affacciava rigogliosa a qualche metro dalla piccola
radura antistante il passaggio, vide alzarsi in volo una paradisea, con
la lunga coda pesante che dava all'animale un aspetto sinuoso e
aggraziato.
E dietro di lui, il cielo era assai strano: qui era di un rosa sereno,
là di un viola plumbeo e temporalesco, ora aveva i toni
metallici di un tramonto infuocato ora quelli morbidi e frizzanti di
una timida alba invernale.
Azzurra rimase col naso per aria per diversi istanti prima di
accorgersi della piccola folla che si stava radunando intorno a loro.
Captò piccole porzioni di discorsi concitati e
capì che, in qualche modo, tutti sapevano del loro arrivo.
Certo, si disse, dandosi della sciocca: se erano partiti dovevano anche
rientrare. Prima o poi.
Vide ragazzi più e meno giovani correre incontro ai suoi
compagni di viaggio, prender loro i bagagli, aiutarli a spogliarsi di
mantelli e cappotti, affaccendarsi attorno ai cavalli con interesse.
Non se ne era ancora resa conto ma, effettivamente là sotto
la temperatura era decisamente più mite che in superficie,
in accordo con la vegetazione tropicale.
Quindi qualcuno la indicò e tutti si volsero a guardarla,
interessati.
Ritrovarsi tanti sguardi, amichevoli e sorridenti, puntati addosso non
era quello che aveva pensato sarebbe stato il suo arrivo tra i ribelli:
si era aspettata rudi uomini ridotti a uno stato praticamente
selvaggio, le barbe lunghe e le vesti sporche per il continuo
nascondersi in cunicoli terrosi.
In più, si era aspettata di essere trattata con freddezza da
questi uomini burberi che non avevano tempo per i giochi e che
lottavano seriamente contro gli invasori. Invece calamitava
l'attenzione e si sentiva un po' un'attrazione da circo. O forse era
per i suoi capelli su cui tutti sembravano focalizzare lo sguardo?
Anche loro la guardavano storto per il suo taglio? Loro che...
Loro che, a ben guardare, erano un'accozzaglia improponibile di colori
e stili uno diverso dall'altro! Il trio che l'aveva scortata fin
lì le appariva, ora, composto dagli elementi più
sobri e meno vistosi di quel gruppo bizzarro. C'era chi aveva i capelli
di colori assolutamente innaturali per qualunque mammifero e con quelle
chiome che sembravano sfidare le leggi di gravità e dai
rossi, verdi, blu brillanti sembravano più delle cocorite
impagliate. E i vestiti: sembravano scappati dalla fossa dei leoni
tanto erano laceri. C'era una ragazza pallidissima che aveva la lunga
chioma nera raccolta in due code ordinate di boccoli neri e un vestito
a campana che le strizzava la vita in un bustino stringato, le maniche
lunghe e ingombranti. Un uomo, drappeggiato di un telo arancione, il
cranio completamente rasato a zero, eccezion fatta per un codino di
capelli scuri sulla nuca, andò a porgerle la mano, per
aiutarla a scendere.
Nessuno le parlò. Forse lì usavano un'altra
lingua e i tre mandati a prenderla erano gli unici che conoscevano
l'italiano abbastanza bene da poter stabilire un contatto con lei.
Rimuginando sulla varietà di fogge dei suoi nuovi compagni,
sulla natura incantevole del luogo, un paradiso terrestre come non ne
aveva mai visto neanche quando era stata in India, si lasciò
guidare e aiutare mentre il piccolo corteo si addentrava nell'alta
vegetazione della sua nuova casa.
- - - - - - - - - - - - - - - - - -
Salve a tutti.
Volevo avvisarvi che d'ora in poi riprenderò il vecchio
calendario di pubblicazione, cioè una volta al mese:
ricomincio i corsi (e saranno belli tosti, essendo gli ultimi)!
Quindi :) ci vediamo tra un mesetto.
E grazie per continuare a seguirmi!
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Capitolo 19 *** In a cave ***
19.
In a Cave
A veil
Camminarono, in fila indiana, per circa un quarto d'ora in mezzo a
quell'intrico di liane e fronde e sotto quello strano cielo congelato
in un perenne tramonto. Poi, all'ennesimo passaggio sotto le larghe
foglie verdi e lucide, Azzurra vide davanti a sé una
costruzione bassa. Era improprio chiamarla costruzione, visto che era
più un gigantesco gazebo che aveva visto altre volte nelle
fiere e nelle sagre: qualche palo, un paio di traverse e dei teli
buttati sopra a mo' di tetto sotto cui si estendevano file e file di
tavoli e sedie. Al momento il posto era praticamente deserto, eccezion
fatta per un capannello di persone sedute vicino a un lungo bancone
metallico.
Si avvide che la loro scorta prendeva una direzione sconosciuta,
portando con sé bagagli e cavalcature, mentre i tre che
l'avevano accompagnata nella sua fuga l'aspettavano pazienti davanti
alla struttura.
“Ho una fame che non ci vedo più...”
borbottò Kemal portandosi le mani al ventre. Effettivamente,
da quella mattina, a colazione, non avevano più toccato
cibo. E, almeno lei, non aveva la minima idea di che ora si fosse
fatta. Arek, che era stato lasciato libero da Alain non appena erano
arrivati a destinazione e che aveva girovagato incuriosito per tutto il
tempo, arrivò all'improvviso alle loro spalle, appoggiandosi
all'incavo delle ginocchia della sua padroncina, abbaiando contento e
scodinzolante: anche lui doveva mangiare.
Il gruppetto si avviò rapido al bancone, che ad Azzurra
sembrava assomigliare a quei sushi-wok che punteggiavano da anni ogni
angolo delle città, dove ognuno si sarebbe servito a buffet
di quello che avrebbe preferito.
“Me ne stra-sbatto di quello che dovrei mangiare...
ho una fame da lupi...” l'incoraggiò Fred
fiondandosi a prendere un piatto e cominciando a studiare le varie
portate. Quand'ebbero finito di riempirsi i piatti di carni brodose e
paste nutrienti, si diressero sicuri verso il gruppetto che sembrava
attendere il loro arrivo.
Per uscire da quella specie di mensa dovevano passare sotto una
particolare porta, su cui erano installati due altoparlanti e una
telecamera. Quando Frederick si avvicinò ad essa, quella
gracchiò suoni statici per qualche istante prima di emettere
la sua comunicazione - Frederick Richter.... - Cominciò
quello che Fred già sbuffava e scivolava al di là
della porta roteando gli occhi - Oltrepassato quantitativo di proteine
animali settimanale. Integrare con...-
“Ma sparati!” ringhiò il tedesco
“Con la cura di carote che ho fatto prima di
partire...”
-Ripeto, Frederick Richter...-
“Sì sì, ho capito, Ed! Il prossimo
turno mangerò verdurine come le caprette. Ora fammi
riprendere le energie!” sibilò quello andando a
sedersi “Non si può impostare perché
capisca che quando uno va in missione ha bisogno di più
energia?” sbottò quando si fu seduto.
Azzurra fu la terza a passare sotto quella strana porta. - Soggetto non
identificato. Nessun parametro di confronto. Aggiornare database -
furono le parole che l'accompagnarono ma a cui non si aggiunse altro.
Seguendo Frederick e Alain si sentì osservata come una cavia
da laboratorio dalle persone che li attendevano al tavolo. Non da tutti
ma solo da due di essi, mentre il terzo la guardava semplicemente
incuriosito. Aveva lo stesso sguardo che sentiva di avere lei
nell'osservare tutta la gente che le scorreva sotto il naso in quel
nuovo posto. Quell'uomo aveva qualcosa di diverso e subito si accorse
che gli abiti che indossava erano più simili ai suoi che a
quelli di tutti gli altri ribelli. Per quanto ognuno vestisse come
volesse loro due erano ugualmente anonimi.
“Dunque, è lei?” sentì dire a
uno dei tre con un perfetto accento inglese.
Alain asserì col capo mentre si sedeva. Cominciando a
sbocconcellare il pane, gli rispose nella stessa lingua, ogni traccia
di francesismo sparita dalla sua
voce.“Sì...” Spostò lo
sguardo da Azzurra al nuovo arrivato, quindi continuò, con
un cenno del mento “Lui chi è?”
“Uno nuovo...” rispose Hector con un sospiro
“Sono successe un po' di cose in questi giorni” I
tre che erano usciti in escursione si guardarono tra loro, perplessi e
allarmati “Ma andiamo con ordine... lui è Birger.
Norvegia.”
“Non avevamo mandato nessuno in Norvegia”
protestò Frederick “Come avete fatto ad andare a
recuperarlo prima che noi rientrassimo? E dove sono Akira e gli
altri?”
Hector lo ignorò “Birger, lei è
Azzurra... giusto?” domandò guardando la ragazza.
Un attimo di perplessità, poi aggiunse “Mi
capisci, vero?”
Lei accennò di sì con la testa. Perché
diavolo, improvvisamente, parlavano tutti in inglese?
“Molto bene... Allora abbiamo fatto bene ad aspettare,
così spiegherò le cose una sola volta. Ma
prima...” continuò il capo sbuffando sonoramente
mentre gli altri mangiavano in silenzio “Devo
ragguagliarvi...” disse ai tre ribelli incrociando le mani
tra loro e poggiandole sul pianale, con fare meditabondo
“Abbiamo un paio di problemi... Per rispondere alla domanda
di Fred, no, non avevamo mandato nessuno e... appena avrete finito vi
porterò da Akira e dal suo pacco...”
“Ce l'hanno fatta, allora!” protestò il
tedesco con la bocca piena. Hector tacque e la cosa allarmò
ulteriormente il trio.
Fu Han a parlare in sua vece “Akira e Mogwai sono rientrati.
Jess e Xing sono morte.” disse piano, fissandoli uno alla
volta. Lasciò loro il tempo di assimilare l'informazione,
quindi continuò “Voi non potete saperlo, ma noi
eravamo stati avvertiti, stamattina, che vi avevano
individuato...”
“Dev'esser stato quando abbiamo abbattuto lo smart
bird...” mugugnò Kemal spezzando il pane e
inzuppandolo nel sugo della carne.
“Akira, al momento, è ancora incosciente e Mogwai
è troppo agitato. E' riuscito a tenersi calmo per portarli
in salvo ma...”
“Portarli?” chiese confuso Alain
“Sì... abbiamo solo un'idea approssimativa di come
possano essere andate le cose, vi farò vedere i notiziari.
Quel che è certo è che Akira è
rientrato con uno di loro.”
Il silenzio calò improvviso e gelido sulla tavolata. Era
così pesante che sembrava che anche la natura circostante,
distante appena un paio di metri, si fosse zittita.
“No, scusa... forse sarò stupido, come dice Alain
ma... cosa intendi con uno
dei loro?” domandò Fred dopo aver
ingollato il suo boccone
Han lo guardò in tralice, pregandolo di evitare domande
idiote
“Quindi abbiamo un campione...” fu la constatazione
più pacata dell'arabo, per niente impressionato
“Ne abbiamo tre...” disse Hector, ritrovando la
parola “In tutto”
“Tre?” i nuovi arrivati, sbiancarono di colpo,
Azzurra compresa, che non era così sciocca da non capire
quanto quell'evento potesse essere particolare.
“Gli altri due...” si intromise Birger
“Sono... uno la mia Augur... uno l'Augur numero
24.” disse appuntando lo sguardo sulla ragazza che
alzò di scatto lo sguardo verso di lui “Il tuo
Akero!” precisò vedendola confusa.
“24...?” biascicò lei in italiano.
“Ti porteremo da lui quanto prima...” rispose
Hector nella stessa lingua per poi riprendere con l'inglese, fissando
Birger “La sua Akero...” disse pensando a Loki
“... è l'unica cosciente, pronta a collaborare e a
offrire informazioni. Prima mi aspetto che voi vi diate una ripulita.
Fatema e Michele son già lì che
vi aspettano. Dopo raggiungeteci al secondo piano.”
Azzurra ora stringeva i pugni sul tavolo, incapace di mandar
giù un altro boccone o di pensare anche alle cose
più semplici.
“Kemal?” chiamò Hector
“Portala da te... al momento non mi viene in mente nessuno a
cui affidarla. Fossimo in altri frangenti le assegnerei una branda e
buonanotte... ma la congiuntura di così tanti fatti
particolari...”
“Ehi, un momento!” strepitò Fred
“Perché la consegni proprio a lui?”
“Perché è quello che può
comprenderla meglio, visto il grado di affinità.”
spiegò Alain in un soffio esasperato, fissando Hector con
l'aria di chi stia supplicando aiuto “E poi a casa di Kemal
potrà parlare nella sua lingua e adattarsi più
rapidamente alla nuova situazione.”
“Che c'è?” rispose l'altro francese,
quasi Alain l'avesse interpellato direttamente “Ne hai avuto
abbastanza di giocare a fare il capo?” rise di gusto,
attirandosi le ire del rasta che si alzò di scatto, facendo
ondeggiare il tavolo. Il brusco movimento svegliò il piccolo
Arek che, satollo, dormiva ai piedi della padrona e, ora, si guardava
intorno, spaesato.
“Visto che per ora è tutto, vado a
riposarmi...” disse Alain con voce piatta, evidentemente
offeso “Guai a chi mi segue!” aggiunse a indirizzo
dei suoi compagni di viaggio.
I commensali concordarono con lui e si alzarono uno alla volta,
portando i vassoi negli appositi carrelli e separando le varie
stoviglie in vasche diverse, ciascuna colma d'acqua calda. Quand'ebbero
finito, Han sbuffò, mani ai fianchi “Direi che
oggi posso starci io, di corvè...”
“Tranquillo... ti aiutiamo anche noi... vero
Birger?” lo rassicurò Hector tutto sorridente.
“Ci vediamo tra circa tre ore. Così avrete il
tempo di arrivare a casa, lavarvi e dormire almeno un'oretta. Poi
farete una tirata fino alla prossima fase. Azzurra? Al tuo cane ci
penso io.”
Salutato il gruppetto, Kemal fece strada ad Azzurra attraverso
un'intricata foresta di mangrovie. Dietro di lei, Frederick camminava
in silenzio. Arrivarono vicino alla parete rocciosa che si inerpicava
dolcemente nel cielo rossastro: più che la parete di una
grotta, quale doveva essere il luogo in cui si stavano infilando,
sembrava il fianco di una montagna. La vegetazione, in alto, impediva
di capire dove finisse il confine di quello strano cielo-soffitto e
dove cominciasse il fianco-parete.
Tutto era assurdamente contorto. Ma, si disse, prima o poi avrebbe
capito... forse.
La bocca della grotta era protetta da una tenda di perline di legno
che, scostate dall'arabo, tintinnarono dolcemente. All'interno, era
buio pesto ma, come i tre si furono infilati all'interno, una tenue
luce violacea si animò dal soffitto e prese a splendere
sempre più intensamente. Una luce che sembrava viva e ad
Azzurra ricordò il bagliore ipnotico di Razor.
“Perché ci stai seguendo?” chiese Kemal
quando anche Fred fu entrato mentre la ragazza continuava a fissare il
soffitto con il naso per aria.
Il tedesco fece spallucce “Devo parlare con tua
sorella...” fu la risposta laconica. Kemal lo
guardò dubbioso ma lasciò correre e li
guidò lungo i corridoi che sembravano essere stati scavati
da un corso d'acqua nel corso del tempo.
Ogni tanto, comparivano delle lettighe e delle tende di lino bianco. Il
terreno era così lucido e levigato da sembrare una
sofisticata pavimentazione che seguisse l'andamento naturale del
terreno. “Questo è una sorta di pronto soccorso.
Ma è difficile che sia stipato di gente” Disse
Fred, notando l'aria spaesata della ragazza, abituata a ospedali
caotici e gremiti di feriti.
Giunsero, infine, in uno slargo che ricordava una sala d'aspetto, il
fianco modellato fino ad ottenere un paio di panche rudimentali. Risate
di bambini riecheggiavano lontane e una voce di donna cantava leggera e
divertita. “Fatema!” chiamò l'arabo.
Ogni risata si spense e uno scalpiccio disordinato ma tranquillo
proruppe nei corridoi. Un fischiettare ritmico cominciò ad
accompagnare, lentamente, i passi che rimbombavano tutt'intorno.
“Kemal!” proruppe la voce femminile raggiungendoli.
Una figura completamente bardata di bianco, attraverso cui non si
vedevano nemmeno gli occhi, arrivò con un bambino
appoggiato sul fianco che posò subito a terra. Quindi si
lanciò sul ragazzo, cingendogli le braccia al collo.
Sciorinò qualcosa in una lingua che Azzurra non
capì, ma che aveva tutto il suono di un ringraziamento
sollevato.
Kemal soffocò una smorfia di dolore. Non era stato ancora
medicato “Shhh Fatema... sono qui.. sto bene...” la
rassicurò lui in lingua italiana.
Ancheggiando, un uomo alto e allampanato, barba incolta e occhialini
sottili appoggiati sul naso aquilino, si fece avanti con un sorriso
sornione. Sulle sue spalle, un altro frugoletto dai grandi occhi da
cerbiatto stringeva i pugnetti sui suoi capelli corti. “U
sarracinu! Bellu guagliuone!” canticchiò il nuovo
arrivato, mentre il marmocchio esplodeva in un grido entusiasta,
tendendo le manine paffutelle nell'aria davanti a sé
Gridacchiò “O!!!” storpiatura di zio,
tendendo i pugnetti quasi potesse, con quel gesto, avvicinarsi di
più a Kemal.
L'uomo mise a terra il pargolo che gattonò veloce verso i
nuovi arrivati mentre il fratellino si guardava attorno spaesato. Kemal
si liberò della stretta della donna e si
inginocchiò pronto a ricevere l'infante, un sorriso luminoso
che gli tagliava il volto e gli ingrossava gli zigomi prominenti.
Libero del peso del figlio, l'uomo alzò lo sguardo su
Azzurra, incuriosito “Allora sei tu la
novità!” disse tendendole la mano.
“Piacere... Michele” Azzurra rispose cordiale,
stringendo a sua volta la mano, ma l'uomo la tirò a
sé per i tre baci di rito in uso solo dalle sue parti.
“Sono italiano anch'io” disse strizzandole l'occhio
e liberandola dalla stretta.
Ripresasi dal saluto a Kemal, la figura ammantata di bianco si
voltò verso Azzurra e le andò incontro,
stritolandola in un abbraccio tra il commosso e l'impaurito
“Grazie!” disse in un italiano melodioso
“Grazie per averlo riportato indietro sano e salvo.”
“Ma... ma io...” balbettò lei interdetta
da quel comportamento. Lei non aveva fatto nulla. Anzi, li aveva
esposti tutti al pericolo.
“Ma prego!” sbottò caustico, non
interpellato, Frederick incrociando le braccia al petto “Non
c'è di che, Fatema... ho salvato il culo al tuo adorato
fratellino a rischio della mia vita... ma non fare
complimenti!”
La figura ammantata si mosse, sembrava forte e strafottente. E
ignorò completamente Fred “Han ed
Hector?” disse rivolta al fratello che scosse la testa
“Nemmeno Alain?”Ancora una volta, Kemal
negò. “Allora...” disse in un'alzata di
spalle. Con un movimento fluido, rimosse il velo che le copriva il
volto e in breve fu completamente libera da tutta la bardatura bianca.
“Sarai stanchissima...” disse rivolgendosi alla
nuova venuta “Un bel bagno. E un tè caldo. E'
tutto quel che ci vuole... Amore...” disse a indirizzo di
Michele “Puoi occuparti tu di Kemal?”
Azzurra era rimasta spiazzata e seguiva stordita lo scambio di battute
tra i ribelli di cui aveva appena fatto conoscenza: il drappo bianco
celava la figura di una donna minuta e proporzionata, dai lineamenti
delicati e armonici. I lunghi capelli neri come l'ebano erano
intrecciati in un'elaborata acconciatura che scendeva sulla pelle
bronzea e tonica fino a sfiorarle la vita. Gli abiti, seppur di foggia
abbastanza semplice e succinta, erano importanti, colorati e ricchi di
ricami. Era la donna più bella che Azzurra avesse mai visto
pur senza un velo di trucco.
“Non mi ignorare così, dannazione!”
ringhiò il tedesco prima che la donna si voltasse per
allontanarsi con Azzurra sottobraccio. Kemal gli poggiò un
braccio sul petto, quasi lo volesse trattenere
“Amore... puoi mettere i bambini a letto? Ho sentito
qualcosa...” disse sarcastica lei, rivolgendosi al marito
“Fatema...” sospirò l'uomo con fare
stanco “Potresti anche smetterla...”
“Smetterla?” domandò spalancando i
grandi occhi neri “E di fare cosa?”
“Quando fai così davvero non ti
sopporto...” disse lui posandole un bacio a fior di labbra
prima di prendere con sé i bambini.
“Fatema, ascolta...” disse Kemal facendo scudo a
Fred “Le cose sono cambiate... smettila con questo
atteggiamento e rivestiti...”
“Che diavolo gli è successo, in
superficie?” domandò la donna ad Azzurra che, per
tutta risposta, alzò le spalle, ignara.
“Frederick mi ha salvato la vita... e, a modo nostro, ci
siamo chiariti su quanto è successo. Ora smetti di
insultarlo col tuo atteggiamento...” fu la risposta che le
diede Kemal.
Fatema squadrò il fratello quasi con disprezzo.
Spostò la treccia dalla spalla con fare seccato.
“Stare con quel cane infedele ti sta rovinando...”
constatò
“Smettila di insultarmi!” ringhiò Fred
facendosi avanti “E smettila di parlare di me come se non ci
fossi!”
“Hai sentito qualcosa?” domandò ancora
la donna, innocente, ad Azzurra “Io no... andiamo... il bagno
ci aspetta!” La riprese sottobraccio e la trascinò
con sé.
Kemal si trascinò stancamente verso una saletta usata
normalmente per le visite di routine, dove Michele lo aspettava con
tutto il necessario all'operazione. Fred lo seguì,
sentendosi bruciare lo sguardo dell'italiano addosso “Se
dovesse servire aiuto...” si giustificò,
abbassando lo sguardo.
“Allora...” disse l'uomo armeggiando con del cotone
e boccette di vetro che contenevano disinfettanti di vario tipo
“Che è successo?”
Kemal raccontò di come fossero stati scoperti e di come
fosse andato in avanscoperta a far saltare il ponte. Anche per
riabilitare il nome del fratello. Raccontò di come Fred
fosse intervenuto per trarlo in salvo e di come lo stesso avesse
ammesso la sua parte di colpa. Ora erano pari. Non c'era più
bisogno che Fatema gli fosse così ostile.
“Tua sorella è più cocciuta di un
mulo” disse estraendo l'ultimo bossolo dalle carni del
ragazzo. “Non sarà facile farle cambiare idea.
Soprattutto... non sarà facile farle accettare una diversa
realtà delle cose. Lei si aggrappava al suo odio per
te...” disse rivolto a Fred “Solo per sopravvivere
al dolore...”
“Lo so...” ammise Fred “Non è
stato facile nemmeno per me. Ma mi ci sono trovato costretto: la mia
evoluzione è stata forzata e accelerata da quello che
è successo oggi. Capisco che per lei ci vorrà un
po' più tempo. Ma gradirei che almeno la piantasse di
togliersi il velo davanti a me, giusto per farmi dispetto.
Cioè... sarebbe già tanto se se lo tenesse anche davanti a me.
Non avrei mai pensato che la cosa potesse infastidirmi così
tanto...”
“Il giorno che Fatema uscirà di casa senza velo
faremo festa grande, te lo prometto. Ma dalle tempo... Il velo
è l'unico ricordo che ha di casa, l'unico segno che la leghi
al fratello. E' al contempo segno di lutto e memoria...”
Fred guardò l'uomo con aria colpevole “Lo stesso
discorso che mi hanno fatto loro...” disse indicando Kemal e
alludendo ad Alain “E sia... aspetterò. Ma non
sarò mai gentile con lei, fino ad allora!” disse
sfidandolo
“Nessuno se l'aspetta, da te!” bofonchiò
l'arabo mentre il cognato gli disinfettava e fasciava le ferite
“Sta zitto!” rispose brusco il tedesco
“Mi fate saltare i nervi, tutti quanti. Basta! Mi avete
scocciato... me ne vado a casa mia!”
“Sei tu che ti sei auto-invitato da me...”
replicò Kemal sarcastico, beccandosi uno spintone
imbarazzato in risposta. Subito Fred si dileguò, lasciando i
due da soli coi medicamenti.
“Frederick!” Strepito l'uomo a cui il tedesco aveva
incasinato il lavoro “Siete incorreggibili...”
sbuffò una volta che furono soli, finendo di sistemare i
bendaggi.
“Meno male che non ce l'ho come cognato...”
replicò l'altro tirandosi lentamente a sedere.
“Non più...”
“Ah, non rognare tanto... datti una lavata e ficcati a
letto...” lo spintonò l'altro, cacciandolo dalla
sala.
Quel posto, a quanto le aveva detto Fatema, era davvero il pronto
soccorso dei ribelli. Essendo tutti in grado di curare le ferite
più superficiali ed essendo tutti molto coscienziosi e
attenti alle proprie azioni,
però,
era raro che il pronto soccorso fosse preso d'assalto. Là
non si registravano casi particolari di gesti avventati: le persone
erano consapevoli di come il buon operato come le bravate avessero
forti ripercussioni su tutta la società. Fatema era uno dei
dottori del gruppo ed era in grado di operare nonostante non fosse
propriamente un chirurgo. Così, quel posto sempre deserto,
era diventato la sua casa. Sua e della sua famiglia. Alain viveva in
una grotta là vicino, collegata al pronto soccorso e adibita
a vero e proprio ospedale. E chiunque si fosse trovato in una
situazione di necessità sapeva di potersi rivolgere
tranquillamente a loro in qualunque momento.
La doccia dello spogliatoio del corpo medico non era esattamente la
cosa più elegante e rilassante del mondo: era certamente
più calda e accogliente di quelle che si trovavano,
comunemente, nelle piscine comunali, in superficie, fredde e asettiche,
puramente funzionali. La doccia vera e propria occupava solo una minima
parte del grande ambiente e ciò la rendeva più
simile a un bagno turco o a una sauna.
La liscia roccia rossastra era striata del bianco calcareo dell'acqua
che l'aveva modellata prima di venir deviata da un doccione a un metro
dalla parete e dal foro d'uscita, ora protetto da una grata di ovvia
fattura umana. L'acqua cadeva a velocità costante, aveva una
calda temperatura gradevole e tirava la pelle della ragazza, abituata
ad acqua molto più dolce. Al confronto, la doccia di casa
sembrava lasciarle la pelle perennemente insaponata. E poi c'era quello
strano odore sulfureo che rendeva il bagno un'esperienza particolare.
Non c'era niente di meglio di un bagno caldo per sentirsi a casa. O per
iniziare una nuova vita. Azzurra si lavò velocemente, non
era solita sprecare acqua e pochi minuti le bastavano per
riappacificarsi col mondo intero.
Il vano
doccia non solo era privo di porta, come le docce delle piscine, ma
mancavano anche le due pareti laterali: era completamente esposta alla
vista di chiunque fosse passato di lì. Allungò la
mano all'esterno e agguantò il telo profumato che Fatema le
aveva lasciato appoggiato su di una sporgenza. Camminò
scalza sul pavimento marmoreo fino alla stanzina vicina adibita a
spogliatoio, dove la donna l'attendeva pazientemente, apparentemente
incurante del tempo che scorreva. Quando la scorse sotto l'arco di
pietra si voltò e le sorrise maternamente. Azzurra
valutò che non doveva essere poi molto più
vecchia di lei. “Ho bagnato dappertutto... non avevo un paio
di ciabatte... mi dispiace” mormorò imbarazzata.
Fatema si alzò in piedi e le fece cenno di avvicinarsi
mentre lei dispiegava dei capi che teneva tra le braccia, ignorando
completamente la questione appena sollevata dall'altra ragazza.
“Dalle informazioni che avevamo su di te, credo che questi
dovrebbero andarti bene. Perdona la mia sfacciataggine: ho scelto a
gusto mio. Se non ti piacciono non preoccuparti: ti porterò
quanto prima a cercare qualcosa che ti si addica di più,
così potrai rifarti completamente il look” disse
strizzandole l'occhio “Ho scelto capi un po' più
pratici. Per i primi tempi, finché non ti sarai abituata a
girare da queste parti.” Così dicendo le
mostrò una strana gonna di una tela blu che in alcuni punti
virava al bianco, lunga più o meno fino al ginocchio, dotata
di cerniere verticali sia sulla parte davanti che su quella posteriore.
Aveva anche delle grosse tasche laterali. “Non sapevo quali
fossero le tue preferenze. Se apri le cerniere e le richiudi
così...” disse aprendo entrambe le lampo e
richiudendole, incrociandole tra loro “Ecco che hai un paio
di pantaloncini...”
Azzurra rimase a bocca aperta. Era una soluzione decisamente ingegnosa,
anche se più che un pantaloncino sembrava una culotte con
delle appendici. Per pudore, avrebbe optato per la prima versione.
“Poi ti ho preso una camicia in jersey, meno costrittivo
della tela comune... l'apertura sul davanti la puoi legare in vita,
scoprendo la pancia, in caso avessi caldo, o puoi allungare le
maniche...” disse sbottonando lo spallino e liberando un
tirante “...basta fare così...” Fece un
sorriso imbarazzato “Io sono abituata a climi caldi e
secchi... questo posto umido per me è un
inferno...” Azzurra sorrise e ringraziò quella
donna che aveva cercato di prevenire ogni sua esigenza.
“Oh!” disse ancora dandosi una pacca sulla fronte
“Che sbadata! Prima devi dormire! Sarai stanchissima...
Ecco...” disse porgendole una maxi maglia “Per ora
questo sarà il tuo pigiama. Fila a dormire!”
Dato che Fatema non accennava ad allontanarsi, Azzurra si
spogliò dell'asciugamano e si rivestì cercando di
dissimulare il proprio imbarazzo. Spogliarsi, lavarsi, evacuare i
propri bisogni davanti a 24 non era un problema. Non più.
Pensava, quindi, di essere abituata a essere osservata. Invece, ecco
che come rientrava in contatto con esseri umani, ogni pudore ancestrale
tornava istintivo. Fu allora che un pensiero la colpì.
“Come mai porti il velo? O meglio... perché l'hai
tolto?” domandò esitante “Voglio dire...
qui non sei obbligata...”
Fatema sorrise. Evidentemente non era la prima volta che le veniva
posta la domanda. “Beh, in climi caldi e polverosi come i
nostri, è l'unico modo per proteggere il corpo e i capelli,
mentre si lavora. Michele mi diceva che anche la sua bis-nonna portava
il fazzoletto e non lo toglieva mai. Pare avesse capelli più
lunghi dei miei.” Spiegò sciogliendo i capelli con
gesti rapidi e sicuri “E poi una forma di rispetto verso il
prossimo e non è affatto un obbligo. Si è creata
una strana mitologia al riguardo...”
“Non sei costretta a coprirti?”
Fatema le fece cenno di seguirla e continuò “Non
nego che ci siano situazioni in cui il padre-padrone, ignorante o
integralista, messo a confronto con mondi diversi e invadenti, travisi
una tradizione e imponga una certa norma suntuaria. Ma la cosa era
suscettibile a variazioni, come l'osservanza cattolica della Quaresima
o della quarantena delle donne ebree dopo il parto. Quarantena che, a
ben vedere, era comune in tutte le società. Ed era un
periodo in cui la puerpera era servita e riverita da tutte le amiche e
parenti. Ancora una volta, qualcuno, presumibilmente uomini invidiosi e
meschini, hanno distorto il significato di quell'usanza, come in molte
altre occasioni. Ma tornando al velo, è così
anche per voi. Magari sotto altre forme. E' una mia decisione scegliere
a chi mostrarmi e a chi no. E' come aprire il tuo cuore alle altre
persone.” Meccanicamente, prese a intrecciare nuovamente la
lunga chioma “Il linguaggio del corpo dice moltissimo di te.
I vestiti ancor di più. Per non parlare del
volto...” Azzurra annuì: fino a quel momento il
ragionamento non faceva una piega “Alle altre donne mi mostro
senza problemi, non ho nulla da temere: sono le mie sorelle, quelle a
cui appoggiarmi in caso di bisogno. Ma gli uomini, sai
com'è... meglio non istigarli... per quanto io non abbia
problemi con loro e per quanto qui ci sia parità in tutto e
per tutto... comunque, a differenza tua, io vengo da una
società in cui ci è stato inculcato che
è la donna a dover prevenire certe spiacevoli
situazioni” disse roteando gli occhi “Inoltre, a me
piace vestirmi così.” aggiunse indicando i propri
abiti scintillanti “Ma se lo facessi alla luce del sole mi
sentirei addosso lo sguardo di tutti. E non mi piace essere fissata.
Invece, col velo, mi nascondo agli altri ma nascondo anche gli altri a
me stessa...”
“Ma il volto... non potresti optare per il chador?”
replicò Azzurra
“Potrei ma non voglio. Così potevo uscire di casa
anche senza trucco e coi capelli sporchi e nessuno lo avrebbe mai
saputo... non credi sia una gran libertà? Le donne
occidentali passavano una buona mezzora ogni giorno a impiastricciarsi
il viso con mille prodotti che non facevano che bloccare la
traspirazione della pelle... Insomma, non è la stessa
cosa?”
“Sì, però le più grandi
critiche ti arrivano dalle donne, da coloro a cui ti mostri senza
problemi.”
Fatema ebbe un moto di stizza mentre entravano in una stanzetta buia
“E' solo invidia: sono le mie sorelle, ma non siamo mica
esenti da difetti. Invidiano il coraggio di mostrarsi anche senza
trucco, con le borse sotto gli occhi. Potrei ribattere che, ad esempio,
io ho sempre trovato orrenda la costrizione di indossare sempre le
scarpe, magari con tacco vertiginoso, anche per rispetto agli altri,
perché una data situazione lo imponeva. Per non parlare dei
reggiseni per essere più attraenti.” Fatema fece
una smorfia “E gli uomini non se ne accorgono nemmeno.
Sacrifichi il tuo corpo in qualcosa per... cosa? Un conto è
proteggere la pianta del piede ma...”
“...Non capisco...” la interruppe Azzurra, confusa
dalle troppe informazioni. Si guardò attorno e
capì di essere arrivata a destinazione: la stanza ospitava
un paio di giacigli “Frederick... perché ti sei
mostrata a lui e a Kemal...?”
“Kemal, è mio fratello... che senso avrebbe
nascondermi a lui? Quanto a Frederick...” disse sfoggiando un
sorriso smagliante “Hai visto come si è
offeso?” Azzurra annuì, perplessa “Non
c'è insulto più grande che una donna possa fare a
un uomo - che conosca il linguaggio del velo - come quello di
toglierselo in sua presenza” disse con aria complice e
soddisfatta “Gli ho ricordato che per me lui non è
nessuno. Non è nemmeno un uomo, è alla stregua di
un animale o forse peggio. Io non lo temo e mi importa così
poco di lui da mostrarmi a viso aperto” Così
dicendo le indicò il letto “Se ti interessa,
continueremo più tardi... ora dormi...” disse
arrampicandosi sull'altro giaciglio e coprendosi con un leggero plaid
“Ci penso io a svegliarti tra un paio d'ore”
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Capitolo 20 *** D.N.A. ***
20.
D.N.A.
Destroying Native Acknowledgement
Il sonno di Azzurra fu tutt'altro che ristoratore. Quando Fatema la
scosse per svegliarla, quella saltò su angosciata e madida
di sudore. Le due donne restarono in silenzio fin quando Azzurra non si
fu calmata “Scusa... devo avere avuto gli
incubi...” disse spingendo le gambe fuori dal giaciglio. A
contatto col pavimento freddo si ricordò di non avere
più con sé né il proprio bagaglio
né i propri vestiti. Fatema le porse subito un paio di
calzini puliti e un paio di stivaletti bassi dall'alta suola di gomma.
Mentre si vestiva rapidamente degli abiti che la sorella di Kemal le
aveva fornito in precedenza, Fatema rifece il letto e
accartocciò le lenzuola in un unico fagotto.
“Dobbiamo andare.” Disse quand'ebbe finito,
facendole strada lungo i corridoi. “Questo è un
giorno davvero memorabile per la comunità... Qua sotto non
è che accada poi molto di interessante. E' come essere in
una comunità rurale di duecento anni fa...”
“Qua sotto?” biascicò Azzurra ancora
intontita mentre Fatema si metteva nuovamente il lungo pastrano,
lasciando scoperta la testa.
La donna annuì “Siamo sottoterra, mia
cara...”
Salirono delle scale scolpite nella roccia rossa, lentamente, una rampa
alla volta, fino ad arrivare al secondo pianerottolo. Da un qualche
punto imprecisato nella struttura si diffondevano le basse vibrazioni
di diverse voci maschili. Stavano...ridendo?
Giunti in prossimità di una curva, probabilmente l'ultima
che le separava dalla meta finale, Fatema si coprì. Quindi
la introdusse nell'ambiente successivo. Tra i presenti calò
subito un pesante silenzio imbarazzato. “Siamo puntuali, che
avete da guardare tanto?” ringhiò la donna, per
niente docile: quelli si limitarono a scrollare la testa imbarazzati
“Kemal arriverà tra poco...” disse suo
marito comparendo alle loro spalle “L'ho dovuto sedare
perché le ferite gli bruciavano.”
“Per il resto ci siamo tutti, no?”
domandò Hector osservando il gruppetto riunito. Erano tutti
assiepati davanti a una stanza che aveva le tende tirate.
“Oh, accidenti...manca Han....” sbuffò
impaziente, passandosi una mano tra i capelli. Dopo un attimo di
esitazione, afferrò il suo walkie-talkie e si mise a cercare
l'altro con fare scocciato.
“Sono qui...un attimo!” replicò la voce
dell'hacker dall'altoparlante. Tempo un paio di minuti e anche lui
comparve nell'ampio corridoio
“Hai fatto?” domandò l'altro indispettito
“Certo...” sputò quello, velenoso.
“Tu cammina avanti!” ringhiò spintonando
la figura fasciata di bianco di un Akero. Azzurra spalancò
la bocca per la sorpresa. Aveva lineamenti umani. La testa era rasata
così bene che sembrava che l'essere fosse calvo di natura e
non, come sospettava lei, vittima di sevizie simili a quelle che aveva
visto più volte nei documentari storici. A parte i ragazzi
che l'avevano salvata, cominciava a ricredersi sulla natura dei
ribelli: che fossero davvero degli spietati tagliagole come venivano
descritti dagli Akero?
Continuò a studiare l'alieno, trovando sempre più
conferme della sua natura umanoide. Chissà
perché, aveva sempre sperato che fossero esseri robotici,
come suggeriva l'immagine che aveva di loro, fasciata in una tuta
rigida e sintetica, percorsa da quello che aveva sempre creduto
filamenti di fibre ottiche: a ben vedere erano solo decori in un
tessuto lucido.
Senza occhiali e senza cuffia, l'Akero le sembrava quasi fragile.
Solo in un secondo tempo si avvide delle manette che legavano i polsi
all'altezza dell'inguine e la cosa le confermò una volta di
più la natura violenta dei ribelli.
La pesante tenda, che tratteneva all'interno suoni, odori e calore,
venne scostata per permettere l'ingresso al gruppo: al suo interno
stavano un paio di letti, due corpi adagiati su di essi, diversi
macchinari medici (tra cui riconosceva con sicurezza un
elettrocardiogramma, un encefalogramma, una flebo e un sondino), uno
strano computer con un cavalletto, posizionato subito lì
accanto, e una cinepresa, montata anch'essa su treppiedi.
La piccola folla si intrufolò lentamente dentro la
stanzetta, lasciando per ultimi i nuovi arrivati che si ritrovarono,
così, nel punto focale e sotto l'attenzione di tutti.
L'Akero fu condotto a sedere in mezzo ai due letti, le mani, incatenate
ciascuna a un letto diverso, stringevano quelle dei corpi distesi.
“Bene... prima di partire con la conferenza...”
cominciò Hector “Devo spiegarvi due cose. Azzurra:
quello..” disse indicando un letto “.. è
il tuo Akero, se vuoi vederlo...” Lei si gelò.
24.
Era lì. In un letto d'ospedale, apparentemente incosciente.
Perché? Ma, soprattutto... voleva vederlo? Gli aveva detto
addio, l'aveva lasciato al suo destino, scappando con i ribelli. E ora
se lo ritrovava ancora in mezzo ai piedi? Sentimenti contrastanti
l'agitavano: da una parte, il rifiuto per gli invasori era ancora
stringente eppure si stava pentendo della sua scelta; dall'altra, 24
era la persona che la conosceva di più, con cui aveva
condiviso -ventiquattro ore su ventiquattro- la sua esistenza negli
ultimi mesi. Si mosse piano, meccanicamente, verso il letto.
Mandò giù, rumorosamente, il groppo che aveva in
gola.
“E' vigile e dovrebbe poterti sentire...” la
incoraggiò Hector.
Lei si limitò a stanziare accanto al letto, stringendo la
barra di metallo che lo delimitava. Il suo sguardo vagò su
quell'essere così anormale e così fuori contesto
in una stanza d'ospedale. Finalmente lo vedeva in faccia. Finalmente,
tra loro, c'era parità. Allora capì il
ragionamento che le aveva fatto Fatema qualche ora prima.
24 non era né bello né brutto: due occhi, un
naso, una bocca; era privo di sopracciglia come di capelli (e quel
dettaglio fece vacillare la sua nuova convinzione sulla cattiveria dei
ribelli: forse gli Akero erano tutti imberbi); le orecchie, se c'erano,
erano coperte dalle calottine su cui, evidentemente, ruotavano gli
occhiali che era abituata a guardare con astio. Pelato com'era, uguale
alla creatura che gli stringeva la mano, dall'altra parte del letto,
non si riusciva a capire che tipo fosse. Certo, aveva lineamenti
regolari, anche se non marcati come quelli degli uomini che stanziavano
attorno a lei.
“24...” chiamò, esitante. Per quel che
ne sapeva lei, poteva essere chiunque. Anche l'altra creatura, aveva
una tuta identica alla sua. Lo sguardo le ripiombò
rapidamente sull'Akero che restava seduto, mansueto, lo sguardo fisso
davanti a sé, orgoglioso. Ora notava delle piccole
differenze: era una femmina. Aveva un seno appena accennato
(così piccolo che Azzurra si sentì orgogliosa
della sua seconda scarsa) vita sottile, fianchi inesistenti. Le braccia
erano magre, il collo flessuoso, le labbra piene e gli occhi erano
più grandi del normale. Le pupille, poi, avevano una strana
colorazione innaturalmente aranciata e una pupilla verticale...
no...non era verticale. Poteva sembrare a un primo sguardo furtivo. La
sua iride era spaccata in quattro spicchi identici, quasi fosse la
commistione tra un occhio felino e uno caprino: sembravano il becco di
qualche mollusco, pronto ad affondare le propaggini nella carne.
Azzurra distolse lo sguardo, turbata e a disagio.
Sotto di sé, 24 si mosse appena e aprì lentamente
gli occhi: i suoi erano viola ma in tutto e per tutto, identici a
quelli dell'altra creatura. “Azzurra?”
domandò confuso con voce roca, impastata dal sonno. Lei
annuì, incerta. Era strano vederlo così debole,
così difettoso... così umano.
Si guardò attorno. Le fecero un cenno e lei capì
cosa le stavano chiedendo i suoi simili. “Ce la fai a
metterti a sedere?” domandò con voce neutra.
Lui annuì semplicemente. Fece leva sulle braccia e,
lavorando con le reni, riuscì a mettersi dritto.
“Che c'è?” domandò vedendo lo
sguardo pietrificato della ragazza.
“Cosa ti è successo?” domandò
lei a sua volta. Senza pensarci stava allungando la mano a toccargli il
braccio, il torace... Ovunque la sua tuta era squarciata, bruciata,
tagliata. E dalle aperture si intravedeva la pelle rossa di sangue
rappreso, i bordi della tuta erano costellati di coaguli neri: in se
stessa l'indumento non era più bianca, ma grigia, di quel
grigio sporco che solo certi elettrodomestici sanno avere dopo anni di
incuria, abbandono e maltrattamento. Alzò lo sguardo,
feroce, sui suoi simili: erano delle bestie e si vergognava a
condividere con loro anche solo l'aria che respirava. Aveva visto come
avevano strapazzato la Akero e aveva collegato tutti i segni di brutale
maltrattamento psico-fisico: non si sarebbe più meravigliata
di nulla. Per quanto odiasse gli invasori, lei non avrebbe mai leso
loro intenzionalmente e con quella crudeltà.
“Non è colpa loro...” mormorò
la voce della Akero, quasi le avesse letto nella mente pur senza
guardarla: anche il suo sguardo si era appuntato sulla tuta malmessa
che stringeva tra le dita “E' successo dopo che tu te ne sei
andata...” disse piano.
Ad Azzurra si contrasse lo stomaco: era colpa sua. Fino all'ultimo
aveva pensato solo a se stessa, ai suoi genitori, ai suoi amici. Il
pensiero di cosa sarebbe stato del suo angelo custode non l'aveva
minimamente sfiorata: era solo un invasore. La rabbia l'aveva resa
cieca e messa sul loro stesso piano. Anzi no, perché loro
non avevano leso nessuno: lei, in fin dei conti, era davvero uguale ai
ribelli, se non nelle azioni, sicuramente nei pensieri. La vergogna la
travolse, costringendola a chinare la testa. “Dove
siamo?” domandò 24 guardandosi attorno, come se
nulla fosse successo
“Al sicuro...” gli rispose la Akero.
“Bene!” intervenne Hector “Dato che sei
reattivo, mostreremo anche a te quello che è successo. Come
dicevo ad Azzurra e a Birger...”
“Birger?” domandò l'Akero sconcertato,
volgendosi verso Loki “Hai coinvolto anche lui?”
quasi urlò alla compagna: un atteggiamento che Azzurra non
gli conosceva e che la spiazzò.
“Ho salvato anche lui...” precisò
l'altra con fare afflitto. 24 si passò una mano sugli occhi.
Tutta quella faccenda sembrava aver dell'incredibile anche per lui.
“Dicevo...” riprese Hector “Voi sapete
cose che noi non sappiamo. Prima vi aggiorniamo su cosa sappiamo tutti
noi, poi ci aspettiamo che voi facciate lo stesso, che condividiate con
noi le vostre informazioni, anche minime. Do ut des. Saremo in
videoconferenza. Ovvero: anche le altre comunità di ribelli
assisteranno. Ma per ora vi mostro cosa sappiamo noi.”
Detto ciò, il francese andò al computer e fece
partire un filmato che si srotolò, tridimensionalmente,
davanti a loro, sopra il cavalletto che gli stava accanto.
Ciò che videro fu il notiziario da cui i ribelli avevano
appreso tutto.
Terminata la riproduzione, tutti puntarono la loro attenzione sui nuovi
arrivati che, frastornati, si guardarono tra loro perplessi e confusi,
senza nemmeno accorgersi che le riprese erano iniziate.
“Io non sapevo nemmeno che in Italia ci fossero banche di
germoplasma... ero convintissima che ne esistesse solo una, quella
nelle isole Svalbard, per me un generico Polo Nord...”
sbottò indispettita Azzurra
“Io neanche sapevo dell'esistenza di una resistenza
né mi era passato per l'anticamera del cervello di togliermi
il chip... Se non fosse stato per Loki io non mi sarei mai potuto
allontanare di un metro da casa mia. A patto che ci tenessi alla mia
testa, ovviamente!” aggiunse Birger, sarcastico, cercando di
strattonarsi il collare metallico e andando a sovrapporsi ad Azzurra. I
due erano imbufaliti.
“Voi due confermate la loro tesi difensiva?”
domandò Han rivolto agli Akero
“Io ancora non ho capito come sia stato possibile: come hai
fatto a dare l'allarme senza che io venissi a saperlo? Ci ho pensato
molto, chiuso in prigione...” biascicò 24,
guardando la sua assistita “E mi sono risposto che
può essere successo solo quando sono corso appresso a
Mat-mon...” disse indicandolo con la testa: il secondo letto
era occupato dal terzo Akero “Quando lui ha disertato, io ti
ho lasciata col pilota automatico. Devi aver fatto qualcosa che ha
interferito con la trasmissione. Non sono riuscito a trovare nulla di
strano...”
“Uno stratagemma di vecchia generazione ma semplice ed
efficace: ha schermato le vostre conversazioni, censurando
opportunamente quello che veniva registrato nei vostri archivi. Per
quello i tuoi superiori non hanno trovato nulla e ti hanno ridotto
così...” disse Loki intromettendosi
“Vuoi continuare tu?” le chiese Hector
“Ti ricordo che dovrai risultare convincente... ci stanno
guardando tutti. E per tutti intendo.. tutti tutti”
Loki annuì, lasciò la mano di 24 e, una volta
liberata dalle manette che la incatenavano alle sbarre dei letti, di
posizionò vicino al proiettore su cui Han stava installando
una specie di cristallo. “Quando vuoi... questo è
il controller...” disse dandole una specie di telecomando in
mano.
Una luce sfavillante colpì il cristallo e subito un nugolo
di quadratini, indicanti altrettanti dati in esso registrati, si
disposero ordinatamente in costellazioni rotanti attorno allo stesso.
Loki cercò di far progredire il dispositivo come le era
stato insegnato ma desistette quasi subito “Sono abituata a
usare gli occhi..” disse, scusandosi.
Han sbuffò impaziente, si infilò dei guanti e
cominciò a manipolare la sfera centrale, estraendone piccoli
frammenti che accatastava da una parte: la scioltezza con cui rivoltava
quella proiezione dimostrava la disinvoltura e l'esperienza nell'uso di
quel tipo di tecnologia. “Dimmi cosa devo fare...”
Loki lo guidò nell'estrazione dei file. Quando fu pronta, si
rivolse alla telecamera.
“Nel tentativo di liberare il mio compagno, l'Akero numero
24, arrivato qui insieme a me, sono entrata in possesso di informazioni
preziose, interessanti e penso sconvolgenti. Ho quindi infettato il
computer centrale dell'astronave, nel tentativo di guadagnare tempo di
fuga. Nel farlo, ho cercato di destare la coscienza di quanti
più possibili miei simili. E' a questo che sono dovute le
numerose segnalazioni che avete ricevuto nelle ultime ore: altri Akero
stanno cercando di ribellarsi e mettere in sicurezza i loro assistiti.
Questi dati possono esservi molto utili per combattere la guerra che si
sta preparando all'insaputa di tutti...”
Hector la interruppe “Scusa... scommetto che se lo stanno
domandando tutti: perché vuoi aiutarci? Cosa c'è
sotto? Voi Akero non fate mai nulla per nulla. E, in ogni caso, chi ci
assicura che quello che ci mostrerai non siano dati alterati di
proposito e che tu non sia una spia mandata dall'alto?”
Loki tacque, ammutolita, e dalla sua espressione fu chiaro che non
aveva pensato a quel tipo di domande: certo, si era aspettata
ostilità e resistenza, ma non di dover fornire
argomentazioni valide a così basso livello.
“Potete controllare i nostri chip” disse 24 dal suo
letto, a fatica “Lì dovrebbero esserci tutti i
nostri dati, le registrazioni delle nostre azioni...”
“24 ti prego!” ringhiò Azzurra
visibilmente imbarazzata
“Non credo interessi a nessuno sapere quante volte al giorno
fai la cacca, Azzurra, o che tipo di intimo prediligi”
replicò lui freddo. Come sempre. Eppure lei non si aspettava
di venir zittita in quel modo.
“In effetti, sarebbe imbarazzante...”
commentò Birger che, fino a quel momento, era rimasto
ammaliato dalla lingua sciolta della sua Akero
“Però, Azzurra, solo noi possiamo dare il via
libera all'utilizzo delle loro informazioni, no?” disse
rivolto alla ragazza.
Lei sbuffò e acconsentì, viola dalla vergogna
“Fate quello che volete!”
“Potete controllare tutte le nostre azioni, dunque, e
scoprire se ho manipolato le nostre informazioni. I nostri chip non
sono riscrivibili.” disse Loki, rispondendo ad Hector
“Voglio... vogliamo aiutarvi perché
fondamentalmente siamo simili.” si volse a guardare il prisma
di cristallo e indicò ad Han un paio di file. Il primo si
aprì e mostrò due doppie eliche a confronto, due
corredi genetici che ruotavano su loro stessi. Sotto ciascuno c'era la
mappatura completa, le corrispondenze e le divergenze tra i due.
“Quello è DNA umano!”
protestò qualcuno dal mucchio
Loki annuì “E l'altro è il nostro
DNA...” lo indicò col dito, trapassando la luce.
Quindi indicò l'altro file a cui, per ogni voce, erano
associate diverse immagini e un ingrandimento di una parte del corpo
umano: praticamente, ogni punto del corpo aveva una corrispondenza con
uno o più animali. “E queste sono le modifiche
apportate al vostro...” Calò un silenzio di piombo
e nessuno osava parlare, chi incerto sull'aver ben inteso le
implicazioni di quelle parole, chi proprio estraneo alle stesse
“Sto dicendo che noi Akero non siamo altro che un
sottoprodotto umano. Siamo una vostra derivazione...”
“Cosa?” sbottò 24 paonazzo dal letto
“Ma non dire scemenze, Loki! Non può
essere!”
“Ti ho mai mentito?” ribatté lei,
fredda, fissandolo dritto negli occhi.
“Allora i dati sono stati alterati di proposito
perché noi ci bevessimo questa stronzata
colossale!” ringhiò ancora lui
Loki chinò il capo, comprensiva e d'accordo con lui
“Ragion per cui ho chiesto ai loro biologi una mappatura
completa dei nostri tre diversi codici genetici.” Quindi
tornò a guardare Hector “Siamo esseri umani
potenziati, modificati geneticamente. La nostra ugola, ad esempio,
è l'elaborazione del sonar dei pipistrelli. Migliorata al
punto da diventare un'arma ultrasonica. Quando ci avete catturato, ci
avrei impiegato un secondo a sbarazzarmi di voi.”
precisò sarcastica
“Non credo proprio...” la rimbeccò Han
estraendo un file: aveva visto caricarli e scriverli nel cristallo,
sapeva, più o meno, dove andare a pescare “Siete
sì una miglioria dell'essere umano, ma in realtà
siete anche dei cyborg, in parte...”
“Ma se avete appena detto che hanno un DNA simile al nostro,
come possono essere degli androidi?” domandò
Azzurra, confusa
Han levò un sopracciglio, lasciando trasparire quanto la
ritenesse stupida “L'androide, razza di capra, è
un robot dalle fattezze umane, iper-realistico, mentre il cyborg
è, appunto, un umano a cui sono state portate migliorie non
solo dal punto di vista genetico ma anche da quello meccanico. Poi ci
siamo noi...” disse sventagliando la mano guantata di sensori
davanti al naso “...i cosiddetti fyborg, che evitano di
istallarsi addosso le macchine ma le usano come controller
remoti”
Vedendo che Azzurra non capiva, Loki intervenne
“Probabilmente, per capire la differenza, devi pensare a
tutta quella serie di Actroid per l'intrattenimento. Già i
vecchi modelli Repliee Q1 e R1 e l'Eve R-11
erano abbastanza realistici da ingannare gli umani: quelli erano
androidi. Noi siamo cyborg, come può esserlo un anziano con
un cuore e polmoni artificiali...” Vedendo che Azzurra aveva
compreso, si girò verso Han “Perché
dici che non avrei potuto attaccarvi?”
“Cara il mio robottino... non siamo mica così
scemi!” ghignò Han “Ogni apertura, qua
sotto, è dotata di disturbatore di frequenza. La tua gola,
modificata anche tramite innesti è momentaneamente fuori
uso. Momentaneamente o forse per sempre, non lo so: dovrei aprirti e
vedere... ” disse con un ghigno crudele, trattandola come se
fosse stata davvero un semplice hardware o una cavia da laboratorio
“...fatto sta che la tua componente elettronica è
addormentata, al momento. E così quella del tuo
compare.” aggiunse con un cenno della testa. “E per
prevenire, ti abbiamo messo delle manette un po' speciali”
“Ti rifaccio la domanda...” disse Hector spezzando
il silenzio imbarazzato che si venne a creare di conseguenza a quelle
rivelazioni “Perché dovresti aiutarci?”
“Per opportunismo. Come volevano soppiantare il genere umano
con gli Akero, ora vogliono soppiantare gli Akero con gli
androidi.” disse levando il capo, fiera.
“Scusate!” intervenne Azzurra, alzando la mano come
una bambina delle elementari “Ma chi sono loro?”
“Sono i nostri creatori...” disse Loki
“Altri esseri umani. Ci hanno creato in batteria per avere
carne fresca e ubbidiente da utilizzare...”
“Menti!” Sbraitò 24 fuori di
sé dalla rabbia, che fino a quel momento era rimasto in
paziente attesa, sperando in una smentita di quelle bestemmie
“Noi siamo arrivati dallo spazio, su tre navi diverse,
immersi in criogenesi...”
“E' quello che ci hanno raccontato...” disse Loki,
indicando un ulteriore file ad Han “Noi ci siamo svegliati
già adulti ma in realtà eravamo stati appena
creati. Le nostre memorie sono innesti. Pochi fotogrammi di
programmazione per darci dei ricordi ed essere, così,
più facilmente controllabili. Noi siamo esseri umani a cui
è stato inibito ogni orpello umano. Tutto ciò che
loro ritenevano superfluo: rabbia, paura, amore. Infatti... Guardati!
Sei sfigurato dal terrore e dalla rabbia nei miei confronti. Hai sempre
avuto un carattere sanguigno ma eri controllato e pacato.”
Tornando a fissare la propria attenzione alla telecamera,
continuò “Ci hanno inibito lo sviluppo,
imbottendoci di ormoni: non abbiamo sviluppato i caratteri
secondari” disse portando una mano al petto praticamente
piatto “Né peluria di alcun tipo”
Alain si mosse, a disagio, e prese la parola “Se dovevate
essere così obbedienti, perché voi tre avete
disertato?”
“Ciclicamente ci controllavano per prevenire l'insorgenza di
qualunque tipo di sintomo di autonomia. Mat-mon..” disse
indicando il letto “..è stato il primo. In
realtà...” disse indicando un altro file che, una
volta aperto, mostrò tutta la documentazione sull'Akero
“...si è trattato di un errore. Mat-mon
è un'aberrazione di quello che loro stessi hanno creato.
Molti altri erano nati come lui e sono stati soppressi. Lui, non si sa
come, è passato indenne ai controlli. In realtà,
non veniva affatto controllato dal suo Hashmallim che, forse, lo
riteneva particolarmente ubbidiente oppure, anche tra i nostri
controllori, c'è chi è difettoso, forse
c'è addirittura una ribellione interna e segreta che avrebbe
tutto l'interesse a far proliferare esemplari come lui se solo ne
avessero l'opportunità. I vertici non si sono resi conto di
nulla fino a quando non è scappato. Ed è scappato
perché si era innamorato della sua ospite.” A
quelle parole 24 trattenne a stento un conato, prodigandosi nel farsi
sentire bene dai presenti. Ma Loki continuò imperterrita
“L'amore, come ogni sentimento, è inibito. Siamo
resi apatici ed eseguiamo il nostro compito seguendo la strada
più logica e razionale. Mat-mon non ha sopportato quello che
le stavano facendo e quando lei ha cominciato a prendere seriamente in
considerazione il suicidio, lui non ha più voluto sottostare
alle regole.”
“Noi veniamo dallo spazio...” protestò
debolmente 24 con voce rotta. Le sue convinzioni venivano demolite ogni
secondo che passava e la disperazione che lo animava era quello di un
bambino abbandonato.
“Quindi è accaduto che 24, per accertarsi delle
condizioni del compagno, abbandonasse la postazione, il tempo
strettamente necessario affinché la sua ospite riuscisse a
inviare il segnale.” proseguì Loki “A
quel punto, coinvolto più volte nelle scene del delitto,
è stato incarcerato. E a me, in quando Akero di prima
classe, sembrava un comportamento bizzarro e oltremodo violento. Siamo
controllati, ma non per questo siamo stupidi., anzi, come spiegato,
tutto il contrario. Nel tentativo di trovare la password per liberarlo,
mi sono imbattuta in tutte queste informazioni, facendole mie
all'istante. A quel punto, restare sarebbe stata la cosa più
stupida che potessi fare. Ho ripensato a quello che continuavano a
sostenere i dissidenti umani e mi son trovata d'accordo con loro.
Questo è quanto. Ora sta a voi decidere cosa fare di noi
tre.” Sul suo letto, 24 ormai piangeva disperato
“Anche loro...” disse indicando i compagni
“...appena saranno in forma, dimostreranno le loro
abilità”
“Non che tu non sia stata convincente ma...” disse
Hector dubbioso, studiando le reazioni dei presenti “Vi
terremo sotto osservazione. Studieremo anche le vostre tute e il vostro
metabolismo nel dettaglio.” Volgendosi, quindi, agli
spettatori assenti, aggiunse “Vi manderemo al più
presto una relazione scritta. Ma per il resto, per me può
bastare così...”
“Cosa?” sbottò Han da dietro il computer
mentre Hector controllava le reazioni, comunicate istantaneamente
tramite messaggio in una chat rudimentale, di tutti i partecipanti alla
riunione “Non dirai sul serio? Vuoi tenere questi schifosi
parassiti?”
“Han, se non ricordo male il nostro statuto...”
sibilò gelido il capo “Noi non siamo specisti. Ci
ha fornito valide argomentazioni. Dalle altre comunità mi
arrivano risposte positive. Che problema c'è?”
“Niente!” ringhiò l'hacker scollegando
tutto. La folla cominciò a diradarsi lentamente in un
vociare leggero e concitato. Gli argomenti erano molteplici e succosi.
“Jordan...riporta tutto nel bunker... Il cristallo lo tengo
io, che devo studiarlo...” borbottò imbufalito al
suo giovane assistente.
“Azzurra, vieni...” disse Kemal andando a prendere
la ragazza per il gomito e tirando delicatamente.
“No, scusa...” rispose lei, a disagio, liberandosi
della presa “Chiedo scusa...” disse rivolta a
Hector. Il francese si girò e andò verso di lei
con un'espressione incuriosita sul volto “Non posso restare
qui a dormire? Non voglio crearti fastidi, Kemal...” aggiunse
in fretta, vedendo la sua faccia sorpresa e delusa “Ma...
sono abituata... mi sento più a mio agio con la presenza
costante di 24...”
“A me non sembra molto stabile...”
protestò l'arabo squadrando in tralice l'Akero disteso
disperatamente sul letto
“Rimango anch'io, allora...” disse Birger
“Loki è tranquilla... e per affrontare un uomo,
serve un uomo...” Tutti parlavano dando per scontato che 24
dovesse avere una crisi di nervi
“E va beh, rimango anch'io, allora... mi
sacrifico...” intervenne Han, avvicinatosi al drappello
“Jordy lascia tutto lì che mi fermo qua a studiare
'sta roba...” disse girandosi verso il ragazzino
già affaccendato sugli hardware. “Così
li controllo anche...” aggiunse con un ghigno che non
prometteva nulla di buono.
“E sia...” sbuffò esasperato Hector
“Ne ho abbastanza di tutta questa faccenda e se te ne prendi
un po' carico, non rifiuto di certo...” ammise uscendo alla
svelta dalla stanza, lasciando che i sei rimasti se la sbrigassero tra
loro.
1.
Repliee Q1
e Repliee R1
e Eve
R-1
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Capitolo 21 *** Ex.ternal ***
21.
Ex.ternal
Ex.planation
“Su, cammina!” disse Hector spintonando Kemal fuori
dalla stanza “Verrai a trovare la tua bella tutte le volte
che vorrai, ora lascia che si riprenda un po'...”
L'arabo chinò la testa, imbarazzato, sotto le occhiate
divertite e maliziose dei compagni. Azzurra si senti in pena per lui.
Non che non fosse praticamente perfetto ma... no, grazie. Era lei che
non voleva saperne, in generale. Quanto prima avrebbe dovuto prenderlo
da parte e fargli un discorsetto, cercando di non ferire il suo Ego.
Rimasti soli, Hector mostrò ai nuovi arrivati dove potessero
trovare biancheria e asciugamani.
“Devo dormire con tutti loro?” domandò
perplessa la ragazza.
“Non far tanto la difficile. Col mostro sì, con
noi no?” ghignò sadico Han alle sue spalle.
Hector gli lanciò un'occhiataccia “Se cominciamo
così, ti esonero: datti una regolata.”
“Non possiamo separare le due... ragazze? Almeno
mettendo un telo di traverso?” intervenne Birger
“Saremo sempre nella stessa stanza...” si
giustificò con un'alzata di spalle “Uno a testa.
Che sia uomo o donna, cosa cambia?”
Hector annuì e guardò Han, il quale
sbuffò sonoramente “Ok ok, ho capito...E tu che
hai da fissare tanto?” sbottò contro Azzurra che
da qualche minuto non gli toglieva gli occhi di dosso
“Io ti ho già visto...”
mugugnò lei, pensierosa.
“Sei stato smascherato, Han!” si
complimentò Hector dando all'hacker una gomitata sul fianco.
“Assomigli a...quello scienziato che anni fa si
infettò il chip che si era installato addosso...”
“Eh sì...” ghignò Han,
compiaciuto “Sono proprio io...”
“Allora sei proprio un deficiente patentato! La prima idea
che mi ero fatta di te era quella giusta!” sbottò
Azzurra, spiazzandolo “Mi ero sempre chiesta chi potesse
essere l'idiota che si faceva installare volontariamente quella
merda... e poi infettarsi pure.... tanto per fare il figo e andare a
infettare altri sistemi...”
“Ma come, non mi reputi un eroe?”
replicò piccato e sarcastico mentre Hector si soffocava
dalle risate “D'altronde sono solo il miglior
hacker mai esistito...”
Azzurra lo guardò con un misto di compassione e
pietà “Sei proprio un geek della peggior specie...
Quanti e quali problemi hai?”
“Bene..” li interruppe Hector per evitare
spargimenti di sangue “Dato che avete già finito
di fare amicizia e che andate tanto d'accordo, te la porto via,
Han....”
“Ma quale d'accordo...” sibilò la
ragazza “Sono finita in un covo di matti: se uno dei leader
è così fuori di testa, non oso pensare cosa siano
gli altri... forse era meglio restar preda loro...” disse
indicando il trio di Akero riuniti sui letti con un cenno del capo.
“Non dirlo nemmeno per scherzo!” Saltò
su Han, visibilmente alterato
“Cosa ti scaldi? Sono fatti miei, no? Oppure...” ci
pensò su per un istante. Poi si fece più sadica
di lui “La tua bella ti ha bidonato e preferito il suo nuovo
angelo custode?” azzardò. Han serrò i
pugni, sempre più nervoso, e lei se ne accorse.
“Devi solo provarti ad alzarmi le mani addosso...”
sibilò avendo notato il suo nervosismo.
Ma, quasi subito, si ricordò che lì non ci
sarebbe stato nessuno a trattenere l'uomo se avesse voluto farle del
male: nessun controllo a distanza poteva fargli rivedere le sue
priorità, dargli una scarica di ossitocina o, più
semplicemente, congelare le sue azioni. Forse Hector o Birger sarebbero
potuti accorrere in suo aiuto, spintonarlo di lato o trattenerlo quando
l'avessero visto in azione, ma sempre troppo tardi. In ogni caso, una
volta che si fossero trovati da soli, nessun sarebbe potuto
intervenuto. Nessun angelo, ora, le guardava costantemente le spalle.
Aveva ancora vivido il ricordo dell'aggressione di suo padre e il
pensiero le fece correre un brivido lungo la schiena.
“Andiamo...Vi faccio fare un tour...” disse Hector,
posandole una mano sulla schiena per invitarla a uscire dalla sala. Poi
si rivolse ai due uomini “Birger, con me! E tu...”
sibilò rivolto ad Han “...vatti a fare una doccia
fredda. Lascio un corpo di guardia piantonato qua davanti per ogni
evenienza.” Disse e uscì. Quindi, fece un cenno
con la testa a tre uomini armati sommariamente, massicci, dai
lineamenti duri e spigolosi e dall'aria poco raccomandabile, che
avevano aspettato all'esterno, per tutta la durata della loro
conferenza. Mentre Hector trascinava fuori loro due novellini, Azzurra
si scoprì a desiderare una volta di più che le
teorie di Lombroso fossero solo folklore medico, che non ci fossero
prove concrete a sostegno di quelle ipotesi che pure la scienza
ufficiale, di tanto in tanto, tirava in ballo per giustificare
familiarità dei soggetti con determinate aberrazioni
cromosomiche o malattie. Ma, ancora di più, sperò
che le brutte facce che vedeva sfilare all'interno non fossero
tagliagole al pari di Han, uomo che, in parte, le ispirava davvero poca
fiducia nonostante potesse essere definito anche un bell'uomo.
Perché, altrimenti, avrebbe fatto immediatamente marcia
indietro e avrebbe preferito restare accanto a 24 e condividere la
sorte di quello che ormai considerava parte di sé. Al
momento, però, lei era solo un'ospite e doveva fidarsi di
loro.
Una volta all'aperto, Hector scoppiò in una risata sguaiata,
che aveva trattenuto fino a quel momento, facendo sobbalzare Azzurra,
ancora immersa nei suoi cupi pensieri. “Ti sento, brutto
stronzo!” imprecò dall'alto la voce di Han che
risuonò in un eco cacofonica attraverso la roccia che si
apriva sulla radura..
“Meglio allontanarsi alla svelta...”
bofonchiò divertito il francese facendo strada
“Dare del matto ad Han... tu devi essere davvero una tosta..
se avevamo ancora dei dubbi...” si complimentò con
Azzurra dandole una pacca sulla schiena. Li condusse lungo un sentiero
apparentemente più battuto di quelli che la ragazza aveva
percorso fino a quel momento. In breve arrivarono in uno spiazzo dove
diverse persone erano indaffarate a zappare o a innaffiare.
“Li porto a fare un giro...” disse per informare i
lavoratori che, per tutta risposta, annuirono con noncuranza. Un feroce
abbaiare e, subito dopo, un raschiare forsennato sulle sue gambe,
attirarono l'attenzione della giovane “Arek!”
esultò vedendo il suo cagnolino da cui si era separata solo
poche ore prima.
“Dannata bestiaccia!” strepitò Alain in
francese stretto comparendo di corsa da dietro una lunga parete di
rampicanti “Dove scappi??? Eri stato buono fino adesso a
cacciar topi! La tua padrona mi ammazza!” Notando i tre si
fermò di colpo. “Oh... E' con te?”
domandò rivolgendosi ad Azzurra in italiano che gli sorrise
grata “Sì... andiamo a fare un giro..”
disse guardando il capo spedizione che aveva acciuffato un paio di
cavalcature che pascolavano tranquille lì vicino e faceva
loro indossare la cavezza. “Già che mi ha
raggiunto, lo porto con me, se sei d'accordo.” disse
prendendo in braccio il bastardino.
“Tanto vale che venga anch'io!” borbottò
quello raggiungendo il gruppetto. Lanciò un fischio
prolungato e andò a prendere anche lui un cavallo. Mentre
lui già montava a pelo il destriero che era arrivato
trotterellando, da quella giungla intricata e incolta comparvero anche
Fred e Kemal.
“Sempre assieme” constatò la ragazza
divertita come se quei tre avessero fatto parte della sua vita da che
aveva memoria.
“Ma quale sempre assieme... Alain è uno
schiavista...” si lamentò Frederick “E,
giacché sulla via del ritorno, io e il signorino, qui,
avevamo deposto le armi per un momento, lui pensa che abbiamo fatto
pace e ci ha messi in squadra assieme...”
“Non è così?” si sorprese
Kemal beccandosi un'occhiata in tralice dal tedesco che arrossiva
“Non c'è bisogno di vergognarsi, Fred!”
rincarò la dose l'arabo abbracciandolo per le spalle.
Vederlo così tranquillo e spensierato, dopo averlo appena
visto andar via dall'ospedale in preda all'imbarazzo, la
lasciò perplessa: forse si era immaginata tutto.
“Te lo do io l'imbarazzo...” sbraitò
l'altro liberandosi della stretta. “Da che pulpito,
poi...”
“Noi andiamo a far loro vedere i dintorni. Per quando torno
voglio che abbiate finito!” ordinò Alain
raggelandoli sul posto.
“Come vuoi...” mugugnarono quelli facendo
dietrofront e scomparendo nella vegetazione.
Appaiati, col cane che trottava felice alle loro calcagna e che si
divertiva a zigzagare tra le zampe di cavalli e muli, i due francesi
cominciarono subito a spiegare alle due reclute le regole base in
vigore nel sottosuolo. Spiegarono loro, tanto per cominciare, la
scansione temporale.
“Dato che qui non c'è mai un momento di buio
totale...” aveva spiegato Hector “...non aveva
senso parlare di mattina di sera. L'unica cosa intelligente da fare era
suddividere l'arco delle ventiquattro ore, secondo il sistema
Leonardesco: Quattro periodi di veglia e quattro di riposo, ciascuno di
tre ore...”
“Dormiamo solo tre ore a volta?” domandò
perplessa Azzurra
“In totale dodici. E' tutto quello di cui il tuo corpo ha
bisogno. Sarà come fare quattro diversi
pisolini...” intervenne Alain. Rifletté un attimo
e aggiunse “In superficie dormivamo circa otto-dieci ore per
notte. Più un pisolino nel pomeriggio. Se
possibile...” disse lanciando un'occhiata divertita ad Hector
“C'era chi se ne prendeva una pure a metà mattina
e una in tarda serata”
“Anche tu ti addormentavi a lezione o in
biblioteca!” replicò l'altro, dimostrando di
conoscersi da parecchio tempo.
“Ma... il sonno profondo..?” protestò la
ragazza.
“Basta superare la mezzora e affrontare almeno due fasi REM
per sentirsi riposati. Se l'obiezione è che troppo sonno fa
male, ti sbagli di grosso. Non c'è nulla di peggio che la
privazione del sonno. Qui non siamo obbligati a seguire i ritmi serrati
che nell'ultimo secolo si sono imposti in tutto il mondo. E' tutto
più naturale. Ovviamente, se non vuoi dormire e hai tante
energie, sei liberissima di farlo. Fatema, ad esempio, in estate si
svegliava regolarmente alle cinque senza sveglia.” disse
Alain facendo spallucce “L'importante è che ci sia
un ritmo, una regola. E che si segua sempre quella. Prima che
evacuassimo qua sotto, uno studio aveva dimostrato come mantenere un
regolare ritmo di sonno-veglia, avesse una ripercussione
fortemente positiva rispetto a chi veniva lasciato libero di dormire
fino a mezzogiorno nei giorni festivi. Lo stesso dicasi per la dieta e
tanti altri aspetti della vita. Quindi, in soldoni, le regole servono!
E, sicuri di quelle, puoi deciderle se infrangerle quando ne dovessi
avere necessità. Un po' come effettuare un sorpasso quando
hai sempre guidato correttamente, rispetto all'essere perennemente in
seconda corsia.” Birger sembrava aver capito la metafora,
mentre Azzurra aveva lo sguardo perplesso. Fece spallucce e
continuò “Ogni due periodi di riposo si
pranza-cena-colaziona...quello
che vuoi...” Da perplessa, Azzurra si fece schifata:
rimpiangeva già la classica colazione con brioche e
cappuccino e si immaginava già di svegliarsi davanti a una
bistecca fumante “Il concetto di colazione dolce, come lo
intendiamo noi mediterranei è una cosa più unica
che rara.” sorrise il francese.
“La nostra colazione tipica...” disse Birger a
conferma “E' generalmente a base di caffè, uova
bollite, qualche fetta di pane, cetrioli e pomodori.” A solo
sentire quella bestialità Azzurra sentì il pranzo
risalire lungo lo stomaco. “Per noi è una cosa
così bizzarra la colazione dolce...”
“Ad ogni modo” la rincuorarono i due “Il
nostro nutrizionista ti fornirà una tabella di
ciò che, secondo le analisi del sangue, delle tue abitudini
e della tua storia genetica sarà meglio -per te-
assumere...”
“Cosa?” sbottò inviperita “No!
Non permettevo a 24 di controllarmi la dieta, non lo farò
fare certo a voi!”
“No, non hai capito!” sorrisero della sua
ingenuità come della sua determinazione “Essendoci
una grande varietà di cibi, il nutrizionista ti
consiglierà ciò che è più
simile al tuo vecchio regime alimentare. Un indiano ha un metabolismo
diverso da un europeo e diverso da un africano, perché
è l'ambiente l'ha elaborato in quel modo nel corso dei
secoli. Ecco perché gli indiani campano cent'anni solo di
verdure e a noi viene l'anemia. Ecco perché i cinesi, tanto
ghiotti di gelato stanno male con una sola pallina: mancano loro gli
enzimi del latte. Ed ecco perché noi francesi, per restare
più vicini al tuo caso, mangiamo quintali di formaggio,
opportunamente accompagnato con vino rosso, e non ci viene il
colesterolo. Sono accorgimenti che la natura ha elaborato e tramandato
di padre in figlio nel corso delle generazioni. Ci sono popolazioni a
cui l'acqua alcalina fa bene, e popolazioni per cui è
tossica. E l'ignoranza, solo pochi decenni fa, l'aveva fatta diventare
una moda pericolosa in tutto il mondo. Devi ricordare che l'uomo
moderno, come lo intendiamo oggi, è frutto di correzioni di
secoli e che, in fondo, siamo ancora come degli uomini primitivi. Il
corpo si è adattato per sopravvivere con gli elementi che
trovava a disposizione: pensa ai tedeschi o agli inglesi...”
“O ai belgi...” frecciò Alain
Hector si rabbuiò un attimo “Sì, pensa
anche ai belgesi...”
disse con tono dispregiativo per poi specificare “Abitavo al
confine col Belgio e tra noi e loro non è mai corso buon
sangue.” Fece una smorfia per giustificarsi “Il
campanilismo esiste ovunque, così come il reciproco
fastidio, ingiustificato ma istintivo nell'uomo, che tende a fare
gruppo per un nonnulla. Gli studi abbondano al riguardo e spiegano
fenomeni i fenomeni dell'aggressività tra gruppi diversi,
identificati solo da un fazzoletto o cose simili, ma senza reali
ripartizioni in giusti e delinquenti.
Ma tornando a noi. I popoli dell'Europa del Nord, Birger può
confermarlo, non hanno la varietà di frutta e verdura
fresche che hanno le popolazioni del mediterraneo. Stiamo, ovviamente,
parlando dell'uomo medio, non del signore che -in ogni tempo- si fa
arrivare frutta fuori stagione e prelibatezze da ogni angolo del globo.
Semplificando, per necessità, il loro organismo si
è adattato a elaborare al meglio le risorse che avevano:
carne e patate. Imporgli la nostra piramide alimentare dall'oggi al
domani sarebbe disastroso. Al contrario, nel mediterraneo era
sconsigliato consumare carni grasse: il clima stesso influenzava la
scelta e favoriva naturalmente alcune colture come il grano, la vite e
l'ulivo. Per questo le mode alimentari non fanno altro che danno...
Ricordo uno studio, condotto all'inizio del secolo: dimostrava come
certe malattie fossero fortemente influenzate dallo stile di vita e
come, popolazioni normalmente più soggette a certe malattie,
migrando e modificando alimentazione e ambiente, acquisivano anche le
malattie del paese ospite. Quindi, provare e assaggiare va bene. Ma non
cambiare drasticamente. Almeno, non subito.”
Azzurra annuì, il discorso non faceva una grinza. E
ciò le assicurava anche una colazione seria, per sua
fortuna: niente stravolgimenti. Pensandoci, era paradossale: era pronta
a rivoluzionare il mondo ma non la sua colazione. Sollevata dal
problema cibo, si accorse che le avevano taciuto un dettaglio.
“E perché non cala mai il buio?”
domandò curiosa guardando il cielo “E come fanno a
non rintracciarci?”
“Ah quello...” commentò Alain alzando
gli occhi al cielo “Noi siamo in una grotta sotterranea, non
dimenticarlo...” I novizi si guardarono, perplessi
“Ha un estensione massima di una quarantina di chilometri. A
te sembrerà infinita ma si tratta, in realtà, di
un gioco di specchi”
“In parole povere...” disse Hector alzando lo
sguardo alla cupola “Ci sono dei Cristalli che percolano la
superficie. Qua e là se ne trova qualcuno che è
sopravvissuto in forma di colonna. Questi cristalli hanno
un'estremità sulla superficie terrestre e come una fibra
ottica conservano intatte le loro informazioni. Ma questi, da soli, non
giustificano una tale luminosità perenne.”
“In realtà, quello che illumina tutto è
… Beh... hai presente Razor? Ecco... sono famiglie di LP,
Light Pulse, in stato di veglia. Si alimentano di una particolare
frequenza filtrata dai cristalli. Motivo per cui in superficie non si
vedono. Al massimo qualcuno sale a fare una capatina ma di notte
venendo scambiati per fuochi fatui. La luce solare diretta li
ucciderebbe. Come i vampiri. Quindi, niente cristalli e luce riflessa e
filtrata, niente LP.”
“Quando arrivammo la prima volta, pensammo potesse essere
salutare avere sopra di noi un surrogato di cielo. Applicammo degli
specchi sulla volta in modo da dare l'illusione di
profondità e l'idea di questa specie di cielo perennemente
arrossato. Almeno non ci sentiamo davvero intrappolati
sottoterra...”
“Ma così avete alterato l'ecosistema!”
protestò la ragazza
“Affatto” risposero i due in coro
“Apportare questa modifica non comportava alcun cambiamento
all'habitat. Comunque non superiore all'introduzione nell'ambiente
degli acari e dei batteri che ci portiamo tutti appresso,
inconsapevolmente. Qua dentro era comunque perennemente illuminato a
giorno. Abbiamo solo modificato le traiettorie dei fasci di luce in
modo che, specchiandosi, si avesse l'illusione di infinità
prospettica...”
“Tra l'altro, ogni nostro covo è diverso
dall'altro e ha particolarità che cerchiamo di rispettare.
E' più che sufficiente la nostra presenza per sballare tutti
gli equilibri...”
“Mi avete detto che la suddivisione delle comunità
segue i capisaldi di Platone...” cominciò Azzurra
cambiando discorso.
Hector annuì “Sì... in
realtà il discorso è più complesso...
Creiamo dei grandi clan da massimo 150 persone. E' un modello stabile,
stando agli antropologi e agli etologi, in cui le morti bilanciano le
nascite: non rischiamo di sovrappopolare ulteriormente il pianeta,
insomma. Per Platone, come ricordavi giustamente tu, 5040 era il numero
perfetto per governare. Quindi siamo in 33 grandi famiglie in ogni
blocco. E ogni blocco rappresenta, su per giù, un
continente. I blocchi, come avrai modo di scoprire, sono eterogenei e
cerchiamo, laddove possibile, di mantenere in vita la
varietà linguistica e culturale. Non è
impossibile.”
“Ma se dovessero liberarsi molte persone, come noi due,
all'improvviso, come le gestireste?” domandò
Birger, curioso.
“Non ci siamo mai posti il problema, in realtà...
è un evento così remoto... credo procederemmo in
questo modo, accogliendo -ciascun blocco- i fuggiaschi del continente
relativo e spostandoci subito dopo: ciclicamente ci spostiamo per
evitare di essere intercettati e per non alterare stabilmente la fauna
e la flora locali.” spiegò Alain guardando il
soffitto della grotta per poi voltarsi verso Azzurra “I boati
in Fadalto, qualche anno fa, erano vere e proprie esplosioni: ci
avevano trovato e una guarnigione è rimasta a combattere per
consentire la fuga a tutti gli altri. Se dovessimo diventare troppi
sarebbe un problema, in effetti... ma vorrebbe dire che avremmo i
numeri per riprenderci la nostra libertà.”
“E' già un problema...”
borbottò tra sé Hector, quasi quel discorso gli
avesse risvegliato l'urgenza di trovare la soluzione a un problema
endemico “Per il pianeta: gli esseri umani sono troppi. Siamo
come colture intensive.”
“Ad ogni modo, voi siete stati assegnati alla nostra
famiglia, all'interno di questo blocco, perché siamo il
nucleo centrale. Quelli che si trovano qui sono quelli predisposti alle
conoscenze tecnologiche. Anche se la spiegazione è
riduttiva. In realtà, tutti fanno tutto. Espletati i compiti
comuni -zappare, cucinare, pulire, stirare e simili- ognuno si dedica a
ciò per cui ha una sua predisposizione.
Laggiù...” continuò Alain indicando col
braccio una parete caratterizzata da uno sperone roccioso che si
estendeva verso la radura. “Ci sono le
biblioteche...” vedendo lo sguardo smarrito dei novellini,
precisò “Vedete...prima di fuggire, abbiamo...come
dire...”
“Rubato” suggerì Hector divertito.
“Non abbiamo rubato! Abbiamo... travasato... il contenuto di
tutte le biblioteche nazionali di tutti i paesi...”
“Ciascuna comunità ha una copia del sapere storico
mondiale.” tagliò corto Hector. “Non
vorremmo mai che, tra una cosa e l'altra, storpiassero tutto il sapere
o lo bruciassero definitivamente. Tra Orwell e Alessandria d'Egitto non
so quale fine sia la peggiore...”
“Ma... come avete fatto?” domandò Birger
con occhi illuminati dalla commozione.
“Come abbiamo trasferito, di volta in volta anche tutti -e
dico tutti- i laboratori, compresi gli esperimenti mollati a
metà” rispose Alain compiaciuto “Avevamo
elaborato una tecnologia che ci permetteva di scansionare,
completamente e nel modo più fedele, qualunque oggetto si
fosse trovato all'interno di un area prestabilita. Un po' alla volta
abbiamo fotocopiato tutto il mondo. Copia di questi dati, riproducibili
facilmente con una stampante 3D di ultima generazione, sono conservati
in cristalli come quello in cui è stata incisa la memoria di
Loki... e solo un determinato tipo di laser può danneggiare
i dati incisi. Senza dover entrare realmente in biblioteca, possiamo
navigare una porzione del cristallo riproducendolo come ologramma...
risparmiandoci la fatica di dover entrare realmente nell'edificio, con
tutto il fastidio che ne consegue.”
“Qual è la differenza tra entrare e navigare,
scusa?” domandò Azzurra, confusa
“Oh, scusa...certo!” disse dandosi una pacchetta in
fronte, quasi a rimproverarsi per la propria superficialità
“In realtà, abbiamo realmente rubato le
biblioteche... Dall'avvento dei tablet sono cadute completamente in
disuso e gli edifici, in un primo momento, erano semplicemente chiusi.
Poi, però, cominciò a esserci il bisogno di
creare nuovi spazi. Per nuovi condomini che sarebbero rimasti, per lo
più, sfitti. Prima che radessero tutto al suolo senza
pietà, noi avevamo già svuotato la zona
interessata e sostituito con una copia grezza... tanto per dare
soddisfazione alle ruspe già mobilitate...
Miniaturizzazione: facemmo così anche coi laboratori. In
realtà è una tecnica che usiamo sempre quando
dobbiamo evacuare: è certamente pratico portarsi tutto
appresso quando questi ambienti non sono più grandi di un
paio di dadi. Anche quando sei arrivato tu...” disse rivolto
a Birger “...avevamo impacchettato tutto.”
“E come fate? Voglio dire... la massa... il
peso...” balbettò Birger letteralmente sotto shock.
“Il congegno di miniaturizzazione è dotato di uno
stabilizzatore, per impedire che il contenuto si rovesci a terra come
durante un terremoto, e di un antimagnetometro, per annullare il peso
totale di tutti gli edifici miniaturizzati e permetterci di spostarli
da un posto all'altro con facilità...”
“Mi stai prendendo in giro?” sbottò
Azzurra, esterrefatta “Edifici interi sarebbero realmente
…”
“Precisamente! Manoscritti compresi. Abbiamo razziato anche
le biblioteche vaticane. Non sospetteresti quanti di noi fossero in
posizioni strategiche...”
“A proposito... come avete fatto ad accordarvi?”
domandò Birger
“Alcuni di noi, molti, si conoscevano già. Ad
esempio... Nives, Frederick e Kemal... sono legati da faccende occorse
prima del Blue Beam. Altri si conoscevano virtualmente, come Han ed
Hector. Casi limite siete voi, che vi conoscevate indirettamente. E'
stata un po' una reazione a catena basata sul passaparola. Ma molti,
nella fuga, sono morti... senza contare che, comunque, anche tra noi,
c'erano delle mele marce, motivo per cui i primi tempi furono
particolarmente duri.”
“Kemal e Frederick... cosa è successo?”
domandò la ragazza mentre i francesi facevano salire ai
cavalli lungo un leggero pendio.
“Non so se è il caso che te ne parliamo
noi...” disse Hector “E' una storia di
corna...” disse mimando il gesto.
Birger lo guardò confuso “Contrabbando?”
“No, no...” Alain scoppiò in una risata
fragorosa “No... Nei paesi dell'Europa Meridionale si parla
così quando ci si riferisce ai tradimenti. Più
l'altro tradisce, più si dice che il partner abbia un palco
di corna...”
“Come le renne?” Birger inclinò la
testa, cercando di figurarsi l'immagine “Ma più
grande è il palco, più potente è
l'animale...” obiettò.
“Da noi è il contrario”
spiegò paziente Azzurra “I peggiori auguri che tu
possa rivolgere a un cornuto, appunto, è che pianti le corna
contro un platano o che, prima o poi, non passerà dalla
porta... modi di dire nostrani...”
“Quindi i vichinghi, per voi...”
cominciò, dubbioso
“Eh sì... se vogliamo prenderli in giro pensiamo
proprio che siano dei poveracci cornificati dalle mogli”
Alain sghignazzò
“Ora basta, Alain... Non la capivo nemmeno io 'sta battuta,
all'inizio... e siamo francesi tutti e due...
Laggiù...” disse per riportare la conversazione su
toni più civili, Hector quando furono sul crinale, lasciando
Birger a rimuginare sul significato dell'espressione
“...c'è il lago... è un po' il nostro
televisore. E' lì che abbiamo assistito al notiziario che vi
abbiamo mostrato prima... Sbrigativamente: la superficie è
come lo schermo di un portatile posizionato orizzontalmente, l'acqua
rifrange l'immagine come i cristalli liquidi. E' come il TouchPad ma al
contrario...” disse rivolto ad Azzurra, che sembrava non
capire “Dove punti il dito, il sensore registra precise
coordinate cartesiane.”
“Battaglia navale...” lo interruppe Birger che,
avendo capito, cercò di semplificare ulteriormente
“Per ogni coordinata fornisci un colore o un impulso ed ecco
che si materializza l'immagine... questo moltiplicato per ogni
fotogramma...”
“Ok, chiaro!” disse la biondina riassumendo
brevemente “Quindi, il perimetro del lago è stata
studiata e segmentata per formare un reticolo come quello di Battaglia
Navale...ci sono...”
“Quella stessa immagine, viene poi elevata in versione
tridimensionale da un dispositivo olografico per consentire a tutti di
assistere alla visione. Da ogni punto della radura. Laggiù
in fondo - credo riusciate a scorgerlo appena da qui - c'è
l'autodromo. E' un capanno che ci permette di esercitarci anche quando
piove ed è il luogo in cui abbiamo portato sia l'hovercraft
che la tua Jeep” continuò Hector
“Autodromo?” domandò Azzurra stupefatta
“Certo! Per alcuni di noi, guidare è una pratica
quasi ascetica: riescono a pensare meglio, a elaborare collegamenti
che, altrimenti, chini su libri e provette, non riuscirebbero nemmeno a
fare. Ma è anche uno sfogo. Un po' come i videogame...
anzi... In realtà c'è una sala attrezzata apposta
anche per quello... Che altro c'è da dire?”
domandò Hector meditabondo.
“L'ospedale lo conoscono già...”
mugugnò Alain “Le cucine e la mensa? Dubito gli
possa interessare ulteriormente... E i laboratori... anche quelli
è inutile mostrarglieli.. sono dall'altra parte della
radura... Li vedranno quando cominceranno a lavorarci”
“Allora, che ne dite se rientriamo e cominciamo a stillare un
dossier e a cercare di inserirvi nell'organigramma?”
Birger e Azzurra non capirono esattamente cosa stessero chiedendo loro,
ma acconsentirono di buon grado. Erano gli ultimi arrivati e non
potevano che ubbidire. E, d'altronde, anche nel regime più
anarchico, doveva esserci un certo ordine per evitare il caos.
Sulla strada del ritorno, vennero anche a sapere che la fine di quel
turno era ormai agli sgoccioli e che i loro due accompagnatori
cominciavano a essere stanchi. Birger e Azzurra si guardarono perplessi
a vicenda: non avevano alcuna intenzione di mettersi già a
dormire. Di nuovo.
Tornati in prossimità dell'ospedale e liberati gli animali i
due francesi li salutarono sbrigativamente e li abbandonarono a loro
stessi. Facendo spallucce, i nuovi arrivati tornarono nell'unico posto
che potessero considerare casa,
dove avessero qualcosa o qualcuno ad aspettarli, dove poter passare
quelle ore di attesa. Camminarono in silenzio, senza sapere cosa dirsi,
precisamente. La loro situazione era alquanto particolare: erano gli
unici due umani scappati al controllo di quegli stessi Akero che si
erano trascinati dietro in quella folle avventura, in un modo o
nell'altro.
Quando arrivarono davanti alla loro camera, sentirono la voce
baritonale di Han imprecare pesantemente a indirizzo di un certo Edwin.
Si squadrarono nuovamente a vicenda: chi era il prossimo folle che
avrebbero avuto il piacere di conoscere?
- - - -
- - -
- - -
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- - -
- - -
- -
Wow, ragazzi...ma davvero sono arrivata a superare il 20°?
Credevo sarei rimasta da sola già dopo due capitoli...
beh... un grazie di cuore a tutti voi che mi seguite!
:) Beh... il capitolo di oggi è un pò noiosetto,
ma prima o poi dovevo spiegare come giravano le cose là
sotto prima di catapultare i ragazzi nel tran-tran quotidiano. In
realtà ho un altro capitolo di discussione sulle regole
interne... e sto cercando in tutti i modi di tagliarlo (non mi piace
quando i protagonisti si impuntano su certe cose e vogliono aver
ragione. Anche se, nella vita di tutti i giorni capita eccome -e pure
spesso e volentieri- di ficcarsi in discussioni infinite...) =_=
abbiate pazienza, ci sto lavorando.
:) vi aspetto al prossimo capitolo!
Scopriremo qualcosa di più sui due superficiali
...
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Capitolo 22 *** Memories ***
22.
Memories
And Tales
Una volta varcata la soglia, Birger e Azzurra, notarono che nulla di
strano era avvenuto nella stanza rispetto a poche ore prima.
Né c'era qualche strano figuro addizionale.
Erano state portate delle brande supplementari ed era cambiata la
disposizione di quelle che c'erano già. Mat-mon giaceva
ancora privo di coscienza in un letto nell'angolo più
appartato; davanti a lui, Han continuava imperterrito a smanettare sui
suoi computer, alle cui spalle era stato sistemato un giaciglio
già ingombro di incartamenti e aggeggi vari che Azzurra non
seppe identificare. Dall'altra parte della porta erano sistemati un
letto vuoto e quello di 24, che era addossato alla vetrata che dava sul
corridoio. Centralmente, infine, uno accanto all'altro, c'erano due
giacigli vuoti. Loki si era arrampicata su uno di quelli e, con
abilità sorprendente, riusciva a incastrare un telo sui
pannelli del soffitto.
Nessuno di loro, per motivi diversi, si accorse dell'ingresso dei due
fino a che una dolce melodia si diffuse nell'aria. Allora Loki smise di
saltellare per gustare quella sinfonia. Chiuse gli occhi per assaporare
l'esperienza ma il gracchiare di una voce sintetica, e la pronta
rispostaccia di Han, la fecero girare di scatto.
-Signore, è già suonata la ritirata sotto
coperta... dovrebbe mettere tutto in stand-by e coricarsi...- disse la
voce metallica
“Ma vaffanculo Edwin! Ho detto che salto il turno, te lo vuoi
ficcare in quei tuoi circuiti spanati? Non mi succede nulla,
avanti...continua a processare che voglio venirne a capo il prima
possibile...”
“Ciao, Birger!” aveva salutato Loki, saltando
agilmente giù dal materasso “Avete fatto un bel
giro?”
“Istruttivo...” rispose lui, seguendo lo sguardo
dell'accompagnatrice che, a sua volta, fissava il proprio Akero con
aria angosciata.
“Siete qui, allora...” borbottò Han
girando su se stesso mentre fulminava con un'occhiata il trespolo che,
solo poche ore prima, era stato il cameraman della loro precedente
riunione. “Tu lavora!” quello chinò una
serie di pinze con fare rassegnato, quasi fossero state l'equivalente
di una testa, si voltò e continuò a trafficare
per i fatti suoi.
“Non sapevamo dove altro andare...” rispose Azzurra
facendo spallucce: un posto valeva l'altro, in effetti.
Han annuì, compiaciuto “Meglio così...
mi aiuterete a finire il lavoro”
“Lavoro?” domandò Birger interessato.
Azzurra, invece, andò a buttarsi a peso morto sul letto
accanto a 24
“Ho analizzato i dati che ci ha fornito la tua Akero...
Effettivamente non sembrano alterati... ora stavo cercando di capire da
dove partire per studiare questa immensa mole di dati...”
disse alzandosi e andando a osservare da vicino lo strano cristallo su
cui Edwin si stava affaccendando, scandagliandolo con un raggio laser.
“Se così fosse, ci sarebbe una qualche
incongruenza, da qualche parte, invece...” scosse la testa
“Dunque, dicevo: ho bisogno di voi per capire cosa, come,
quando e perché...il Blue Beam, le vostre reazioni,
etcetera. Registreremo tutto, cosicché anche le altre
comunità possano avere gli stessi dati su cui
lavorare...”
“Una specie di intervista?” domandò il
norvegese già esaltato “Io sono pronto”
“Dovresti rispondere anche tu...” Disse Han,
rivolto ad Azzurra, con tono seccato.
“Eccomi!” rispose tirandosi su e poggiandosi sui
gomiti
“Allora...” cominciò Han sfogliando un
blocco notes su cui erano appuntate delle domande che doveva
assolutamente rivolgere loro “Ed ci sei o stai
giocando?” disse poi rivolto alla macchina, senza sollevare
lo sguardo dai suoi fogli
-Sì, signore, la registrazione è già
partita- rispose quello, con una calma che solo una macchina poteva
dimostrare.
“Bene... anzitutto... i nomi. Perché li avete
chiamati così? Comincia Birger...”
“Loki è il dio dell'inganno norreno.”
rispose quello, prontamente.
“E' un uomo...” gli fece notare, giustamente, Han
“Sì, certo... Ma lei non era facilmente
identificabile come femmina.. voglio dire.. guardala.. ”
“Sì, l'ho vista...e per quanto scarsa, ho subito
pensato fosse una donna. Basta osservarle il culo –
perdona...” disse alzando le mani “Sappi che non
vuole essere una molestia ma una semplice osservazione antropometrica
– e dimmi che è secco e piatto come quello di
qualunque uomo. La struttura ossea, poi, è visibile lontano
un miglio: vita stretta e fianchi più larghi che non
scendono a colonna... forse sei tu che sei abituato ai donnoni del
nord...” lo pungolò Han, maligno.
“Può essere...” rispose quello senza
offendersi “Ad ogni modo, Loki è il dio
dell'inganno, è astuto, camaleontico ed è un
grande inventore. Tutte caratteristiche che io vedevo in lei.
C'è anche da dire che rappresenta il male necessario per
mantenere l'equilibrio cosmico. In un certo senso, è la loro
missione. Inoltre è ambiguo e si atteggia da donna. Quindi,
quando me la sono trovata di fronte... beh... ho pensato davvero, come
volevano farci credere, che fosse una divinità. Anche se la
cosa non mi convinceva.”
“Di questo parleremo dopo. Tu, invece?” disse
rivolgendosi ad Azzurra.
“24 è semplicemente il livello di
pericolosità. Come già detto al gruppo che mi ha
soccorso, noi per loro siamo un numero e allora volevo che lo stesso
valesse al contrario. Secondo la smorfia, poi, il 24 rappresenta la
guardia. E poi, mi stava incollato 24 ore su 24. Non sono brava a dare
i nomi. Più semplice è, meglio
è.” si giustificò.
“Il tuo cane e il tuo cavallo?” domandò
Han perplesso “Chi ha dato loro i nomi che hanno?”
“Soraya è semplicemente la razza di pony. Arek
è un bastardino e il nome è quello che gli era
stato assegnato nel canile dove l'ho preso. Se, ad esempio, avessi
avuto un cucciolo di Jack Russell da battezzare, probabilmente l'avrei
chiamato Jack.” rispose annoiata
“Che fantasia...” fu il commento sprezzante di Han
“Ti sei proprio sprecata... Per il 19, qualcuno sa
niente?” disse guardando Mat-mon.
Tutti si guardarono vicendevolmente, domandandosi, con lo sguardo, se
l'altro sapesse nulla.
Dopo qualche istante di silenzio, fu 24 a rispondere “Zoe gli
aveva dato quel nome prendendolo direttamente dall'ebraico matmon, la
ricchezza, che, secondo alcuni, sarebbe l'origine etimologica di
Mamona. Da Mamona, la personificazione del profitto, discende il Gatto
Mammone che, a sua volta, è stato modello ispiratore per
Cheshire...lo Stregatto”
specificò in italiano, a beneficio di Azzurra che lo
guardava stralunata.
“Che cavolo è il Gatto Mammone?”
domandò divertita
24 la ignorò e proseguì la sua spiegazione
“Mat è un tipo espansivo e sempre
sorridente...”
“Cheshire” echeggiò Birger, annuendo
“Sì... ma il Gatto Mammone, nelle terre limitrofe
al sud Italia, quindi anche in Grecia, rappresenta il demonio. Nelle
terre d'oltremare, in particolar modo in Egitto, dove è
derivato della antica devozione agli animali, maimòne
rappresenta, invece, qualcosa che è di buon auspicio. Da
quello che so o che ho dedotto, Zoe provava un sentimento ambivalente:
lo odiava per essere l'invasore ma ne amava anche la gentilezza, al
punto da abbreviarlo in Mat, appunto, nome tutto umano.”
Han rimase sbalordito da quella spiegazione che sembrava un fiume in
piena. Scosse la testa: era un Akero, non avrebbe dovuto meravigliarsi.
E se i dati che Loki si era scaricata nel cervello avevano saturato un
intero cristallo, non poteva aspettarsi di meno dalle conoscenze che
quegli esseri avevano al di fuori di qualche dato
rubato. “Chiederò conferma a Kemal o a Fatema...e
anche ad Akira, quando si sarà rimesso” rispose
semplicemente. “Ma procediamo oltre. Le vostre origini?
Comincia sempre Birger”
“Intendi il mio background? Credo che il dato più
rilevante sia il fatto che i miei genitori siano entrambi sciamani: mio
padre, di origine Sami, è un ricercatore e giornalista e ha
ereditato da mia nonna la carica; mia madre, invece, apparteneva sia
alla tribù nord americana dei Cheyenne che a quella dei
Sioux, frutto di un matrimonio politico, se così si
può dire, in uso dalla fine del XIX secolo, quando le
diverse tribù delle praterie si trovarono a dover far fronte
comune contro l'uomo bianco. Sono stato esiliato nella periferia
più settentrionale della Norvegia in quanto, con il Blue
Beam, loro hanno trovato la conferma della loro vicinanza spirituale
mentre io... Io ho praticamente bestemmiato, deludendoli
profondamente...”
“Non ti seguo...” ammise Han
“Mio padre e mia madre mi ripetevano sempre che
ciò che li aveva uniti erano state le radici comuni e la
reciproca comprensione: da una parte un popolo sterminato al Send
Creek, dall'altro la deportazione nell'Europa meridionale per le
diverse esposizioni universali o lo studio sistematico e razzista del
genoma, ancora alle soglie del XXI secolo. Mio padre, nel '75, era
piccolo ma rimase traumatizzato dalla sterilizzazione femminile di
massa in cui rimase coinvolta anche sua sorella. Per non parlare della
superstizione legata alla lontana cultura Komsa: a metà del
secolo scorso, per la follia tedesca della ricerca di sacre reliquie, i
Sami furono torturati al fine di ottenere qualche informazione. Sono
storie che non si raccontano e che, credo, nei libri di storia non
siano mai comparse.
Ancora, loro – i miei genitori – hanno una grande
considerazione di quello che vivono in sogno: dono che io non ho
ereditato.
Già prima del Blue Beam mi ero dimostrato scettico nei
confronti di qualunque religione: com'era possibile che due culti
così lontani tra loro fossero poi così simili?
Cominciai, quindi, ad appassionarmi all'argomento, portando avanti i
miei studi in parallelo con quelli ufficiali sulle telecomunicazioni.
Ironico, non trovate? Alla fine, a ben vedere, tutto ruota attorno alla
comunicazione: prima gli sciamani, intermediari tra gli dei e l'uomo,
poi i giornalisti e quindi i supporti multimediali.”
“E il rally?” lo incalzò Han
“Un passatempo...” rispose in un'alzata di spalle
Han lo guardo storto “Eri uno dei campioni della Camel Trophy
e della Parigi-Dakar... solo un passatempo?”
“Proprio così... questo devo averlo preso dalla
parte di mia madre. Nel mio sangue, in fondo, scorre qualcosa di
Cavallo Pazzo...”
“Dicevi del Blue Beam...” lo incalzò
l'hacker
Birger si adombrò “Quando venne, io esposi il mio
scetticismo con veemenza. Tutto attorno a me vedevo solo gente
impazzita – o lobotomizzata – che si prostrava in
ginocchio alla venuta degli dei.
I miei genitori non tollerarono oltre le mie idee blasfeme e, con il
placet di tutta la comunità, se non di tutta la nazione,
venni isolato nel tugurio vicino al Neidenelva.”
“Se eri isolato, come occupavi il tempo?”
“Studiando.
Sapere è potere, no? Quindi mi dedicai alla mia
seconda passione, quella che avevo portato avanti parallelamente agli
studi più seri: la filologia. Compito assai difficile quando
le tue fonti sono inaccessibili perché sei confinato al
limite del mondo abitato e la rete è stata censurata ed
epurata dai dati scomodi.”
Han annuì “Motivo per cui ancor oggi i dati
sensibili -la verità- stanno a ingiallire sulle pagine di
carta di fascicoli chiusi in scatoloni ammassati negli sgabuzzini delle
basi militari. Ma la filologia non è proprio una materia
superficiale...” gli contestò Han
Azzurra l'aveva ascoltato rapita. Non aveva mai pensato a quanto i
supporti multimediali potessero essere vulnerabili.
“Affatto: richiede attenzione, rigore e un briciolo di
intelligenza. E tanta, tantissima, conoscenza, per meglio interpretare
i testi su cui si lavora. Ma rispetto ai codici di programmazione per
me era come salire sulle giostre”
“Bene... Azzurra?”
“Devo proprio?” domandò seccata.
“Se non vuoi, chiedo a lui...” disse Han, indicando
24 con un'alzata del mento
Azzurra sbuffò. Fece mente locale e cominciò a
raccontare, tenendo come falsariga i punti trattati dal norvegese. Si
rendeva conto che lei, paragonata a Birger, non era che un'insipida
ragazzina: priva di solide radici culturali, priva di convinzioni
così forti, priva di una cultura abbastanza vasta da poter
dire tranquillamente di aver fatto le sue scelte in modo ponderato. Si
sentiva una stupida, per niente eccezionale. E, sempre più,
si domandava come fosse possibile che lei fosse ritenuta tanto
pericolosa. “Sono nata in Italia, da genitori italiani
– papà veneziano mamma milanese –, nonni
friulani da una parte e milanesi, ancora, dall'altra.
Loro sono scienziati. Non so su cosa lavorino di preciso...
Papà è un ingegnere. O un biologo. Forse tutt'e
due, non l'ho mai capito: come passioni ha sempre avuto quella di
trafficare su vecchi congegni analogici rotti – ferrivecchi
li chiama mia madre – e in mezzo a mille alambicchi,
provette, microscopi... Mamma, invece, è una semiologa,
insegna all'università e ha pubblicato anche qualche
articolo. Nulla di più”
“Nulla di
più?” le fece eco Han, divertito e
sarcastico.
Azzurra non capì il suo tono polemico. Evidentemente sapeva
qualcosa che a lei sfuggiva ma sorvolò “Per
lavoro, mio padre, era chiamato spesso in giro per il mondo a tenere
conferenze o qualche lezione e noi lo seguivamo... Si può
dire che abbiamo girato il mondo, anche se come semplici turisti. Per
qualche periodo, quand'ero piccola, ricordo di aver passato parecchio
tempo a bordo di una nave, credo. Era un'enorme città
galleggiante, ma potrei sbagliarmi...”
Han, stranamente annuì con un sorrisetto compiaciuto sulle
labbra “Il Blue Seed, certo...” disse prendendo
nota e invitandola a continuare.
“Mamma ne approfittava per fare ricerche lampo. Io ero spesso
mollata da sola in giro per le città dove finivamo. A scuola
non avevo problemi: alla vigilia delle partenze, i prof mi caricavano
di compiti e di temi che avrei studiato da sola e su cui sarei stata
esaminata al mio rientro.”
“Con in tablet, immagino, non sarà stato nemmeno
un problema di spazio o peso...” commentò Han
rigirandosi tra le dita la matita appuntita con cui giocherellava. Uno
strano residuato di tempi lontani.
“Certo” fu la risposta perplessa di Azzurra
“Altri tempi...” mormorò “E il
cane?” domandò, conoscendo già la
risposta.
“Arek veniva sempre con noi. Soraya, invece, la portavamo in
un maneggio dove veniva tenuta libera ma sorvegliata, insieme a tanti
altri cavalli.”
“I tuoi studi, quindi? Scientifici o umanistici?”
“Scientifici. Ho scelto biologia. Le diavolerie di mio padre
mi hanno sempre affascinato. Anche se poi ho scoperto che c'era ben
poco di romantico nelle colture da preparare e studiare. Ma,
d'altronde, non ho mai avuto una gran passione per le cose scritte. Poi
sono arrivati loro e avevo deciso di specializzarmi in astrobiologia. E
poi di ricominciare con ingegneria per arrivare alle
nanotecnologie”
“Nessuno dei due mi ha accennato a nulla di artistico o
psicologico...” constatò Han fissando il suo foglio
“Direi che essere un capo spirituale ha qualcosa a che fare
con la psicologia. Certo, non a livello dei preti di
paese...” replicò Birger “E
sull'arte...” continuò roteando gli occhi in cerca
di una risposta “Beh... c'è una certa dose di
artisticità nel preparare i riti, gli addobbi e tutto quello
che gli va dietro. Non come nei posti strettamente mediterranei. So che
lì era usanza, ad esempio, decorare le strade con festoni e
realizzare immagini con fiori freschi sulla strada...”
“Non ovunque” rispose Han, prima di focalizzarsi
sulla ragazza “Ma sì, ti posso dar ragione,
pensando anche ai mandala buddisti: arte e religione, come religione e
politica, vanno spesso a braccetto”
“Immagino che le App del tablet non contino. E non so nemmeno
impugnare una matita. Quanto a livello psicologico...vorrai scherzare,
spero. Cercare di capire gli altri? Quegli altri che mi
rifiutano?”
Han mugugnò qualcosa e scarabocchiò sul blocco
notes, quindi continuò con il suo interrogatorio.
“Perché eravate così ostili ai nuovi
venuti?”
“A differenza dei miei genitori, che trovavano miracoloso il
fatto che popolazioni diverse avessero così tante cose in
comune nel loro patrimonio religioso, io ho sempre pensato ci fosse
qualcosa di estremamente sospetto. Permettimi un excursus, per farti
capire cosa intendo.
Io credo nelle fate
urlava Peter Pan per salvare la vita della sua preziosa assistente.
I want to believe
recitava lapidaria la scritta bianca del poster che Mulder aveva alle
spalle. Per non parlare del noto Credo
cattolico.
Io ero ribelle già da piccolo, mal sopportavo la costrizione
degli abiti, della società e da adolescente son stato un
teppista, non lo nascondo...”
“Spiega molte cose...” confermò Han
ripensando al divertimento che gli aveva letto negli occhi mentre
attaccava, con Loki, le forze dell'ordine che cercavano di bloccarli.
“Non mi è mai piaciuto obbedire alla cieca, senza
capire dove stavo andando, almeno approssimativamente.”
continuò Birger “Perché si obbedisce
solo a qualcuno in cui si crede, in cui si ripone fiducia. Ma...cosa
vuol dire fidarsi o avere fiducia in qualcuno? E' la speranza che
quello che ci viene detto, con argomentazioni abbastanza plausibili,
sia vero. E cosa vuol dire credere? Essere persuasi che quello che ci
viene detto sia vero.
Sfumature.
Peccato che io non mi fidi, a prescindere, di nessuno, non do niente
per scontato o assodato se non quello che constato in prima persona. E
nemmeno quello, perché i sensi potrebbero trarmi in inganno:
sono pronto a mettere sempre tutto in discussione. Certo, mi fido del prossimo e
vedo il buono anche dove in realtà non c'è ormai
più nulla da salvare. Forse può sembrare
contraddittorio... Comunque, suppongo
di essere nato senza quel fantastico dono che è la Fede...
che è tutt'altra cosa.
Mi piacerebbe pensare che quello che sogno possa essere reale. E,
accantonando gli Akero, che meritano una trattazione a parte, sono
sempre stato convinto che esistessero altre forme di vita. Non parlo
dell'universo: quello è così vasto che sarebbe
presuntuoso pensare di essere l'unico pianeta ad aver sviluppato forme
di vita intelligenti. E cosa intendiamo con intelligenza? E' un altro
punto in cui scavare perché le formiche coltivano, allevano
e sono socialmente organizzate gerarchicamente...non è forse
intelligenza anche quella? No...io parlavo di altre vite qui, sulla
terra. E non vedevo perché questi esseri altri avrebbero
dovuto essere per forza antropomorfi. Come non riuscivo a farmi
bastare, come giustificazione, il topos della vergine madre di un dio
che è uno e trino, o la ricorrenza di pantheon che erano uno
il calco dell'altro, medesimi riti, medesime storie riadattate per i
luoghi in cui si innestavano. Per non parlare dei calendari. Dai
babilonesi agli indù, dagli egizi alle religioni messianiche.
E qui veniamo al Blue Beam Teniamo sempre da parte il fatto che loro siano qui.
Questi erano i miei ragionamenti prima.
Antropomorfi, dicevo. Certo, la posizione eretta, comoda etc... e
perché dovrebbero avere solo due gambe? Perché
non avere molte paia di braccia come la dea Kalì? O essere
dotati di multi tentacoli o più occhi come le mosche?
Probabilmente, mi dicevo, ci sfuggono perché guardiamo nella
direzione sbagliata. D'altronde, a ben vedere, anche un cane o un gatto
potrebbero essere alieni, no? Non sono 'altre forme di vita
intelligente' rispetto a quella umana? Mi è sempre sembrato,
e mi sembra, troppo banale.
Eppure... folletti o alieni che fossero..io avrei voluto vederli...
Credevo che sarei stato felice se anche avessi avuto qualche difetto al
nervo ottico che mi avesse fatto percepire una realtà
diversa o un cervello che elaborasse le informazioni a modo suo: la
follia o il vedere fantasmi non è altro che questo. Avrei
voluto poter dire di essermi lavato così tanto il cervello
da essermi autosuggestionato. Eppure... continuavo a non vederli. Pur
restando scettico e scientifico, a modo mio, credevo. Non ciecamente
come avrebbero voluto i miei o i guru di qualunque fazione: non sono un
fanatico. Ho semplicemente le mie convinzioni a farmi compagnia.
Convinzioni che mi hanno portato più rogne che altro. Ma non
rinnego nulla.”
“Quindi?” lo incalzò Han dopo quella
lunga tirata “Il Blue Beam doveva rispondere proprio a quelli
come te... non capisco...”
“Questo è stato il suo tallone
d'Achille” disse il biondo riprendendosi da quella lunga
filippica “Era troppo precisa: sembrava studiata apposta per
convincere tutti.
Il fatto che il messaggio sia arrivato a tutti contemporaneamente,
convincendo tutti delle rispettive posizioni, senza scontentare
nessuno, mi ha messo in allarme.”
“Capisco” disse Han con un cenno affermativo della
testa. Quindi guardò Azzurra, in attesa del suo contributo
“Se lui è, praticamente, agnostico, io sono atea.
Non credo né agli dei, né ai folletti,
né agli ufo, né alle varie teorie strampalate che
girano in rete. E non dico che non siano affascinanti. Di volta in
volta mi sono lasciata cullare da questa o quell'idea. Ma
semplicemente, doveva esserci una spiegazione razionale.
Soprattutto, diffido di una cosa quando tutti sono convinti che sia la
strada giusta. Quando un argomento serio finisce sulla bocca di tutti,
al bar, secondo me è segno che non è
più attuale. Che lo era forse vent'anni prima.”
“Hai una grande esperienza...” commentò
sarcastico Han
Azzurra lasciò correre, segnandosi, però,
l'ennesima occasione che l'altro non si era lasciato scappare di
comportarsi da cafone “Quanto basta per farmi la mia idea, giusta o
sbagliata che fosse”
Han annuì “E ora, l'ultima domanda da centomila
dollari – poi abbiamo finito – per ora.
Com'è stato il Blue Beam? Noi ne abbiamo solo testimonianze
edulcorate, rimbalzate dai network, entusiasti dell'evento
così spettacolare.” domandò
preparandosi a vivere per interposta persona quei ricordi che dovevano
avere un retrogusto magico. Almeno in chi li aveva vissuti direttamente.
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Nello scorso capitolo, mi sono dimenticata di segnalarvi che la storia
di Han che si installa il chip infetto nel braccio e va a
infettare i sistemi di mezzo mondo è storia vera. Posso dire
che la sua figura sia modellata sullo scienziato inglese Mark Gasson.
Quanto al Blue Seed, è anch'esso un progetto reale. Se vi
interessa questa città galleggiante zeppa di scienziati, qui trovate tutte le
info.
E oggi abbiamo parlato di come siano arrivati al famigerato Blue Beam.
La prossima volta scopriremo cosa diavolo è stato.
Buona lettura a tutti.
E grazie ancora a chi mi segue con tanta fedeltà: vi voglio
bene!
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Capitolo 23 *** Discover ***
23.
Discover
the Suit
Com'era stato il Blue Beam?
Per un attimo, Azzurra ebbe le vertigini.
Quando si fu ripresa, sentì che Birger stava già
raccontando la sua versione.
Era stata una giornata serena nonostante il cielo coperto, quando,
verso le 16, ora locale dell'evento, si era tuffato in
immersione. Tutt'a un tratto una voce aveva echeggiato nella sua mente,
chiamandolo per nome. Preso alla sprovvista, pensando di aver avuto le
allucinazioni, inghiottì parecchia acqua e cercò
di riemergere il prima possibile. Nella risalita, però, gli
sembrò quasi che l'acqua in cui era immerso stesse
ribollendo: pur non variando – apparentemente – la
temperatura, grosse bolle d'aria avevano preso a salire tutt'intorno a
lui, allarmandolo. Quando si era sollevato, ansante, tra le rocce della
piccola baia usata come campo base, aveva visto una figura antropomorfa
lattea e traslucida, simile a un fantasma, ondeggiare a pochi metri da
lui. La figura – Loki – aveva indicato alle sue
spalle e lì aveva visto la presentazione al mondo della
Nuova Era.
Un essere, di cui, stranamente, non ricordava i tratti somatici nemmeno
a pochi secondi dalla visione, si presentò come
rappresentante degli Akero. E spiegò il motivo della loro
venuta. Birger, nel frattempo, si era tirato a riva, senza mai perdere
di vista l'apparizione, e aveva cominciato ad asciugarsi, quasi
dimentico della figura alle proprie spalle.
Il resto era comune per tutti.
Quando fu il turno di Azzurra, ella si risvegliò come di
colpo da un lungo sonno. Guardò gli ospiti della stanza,
spaesata. Chinò il capo e raccontò la sua
versione, completamente diversa da quella del norvegese.
Quando avvenne, si trovava in India ed erano le sei di sera. Aveva
scoperto solo in seguito che l'evento era stato contemporaneo in tutto
il mondo: le sei del mattino nel fuso orario di San Francisco, le 23 a
Sydney.
Sempre in un secondo momento, aveva giustificato gli eventi di cui era
stata spettatrice ipotizzando di essersi trovata vicina al luogo di
atterraggio della presunta astronave. La valle dei Vimana, i templi
Indù, sembrava essere il luogo adatto, per quella regione,
per il contatto.
Ma non poteva esserne certa, non avendo visto altro che la fitta
vegetazione venir completamente divorata da una tempesta di sabbia. Si
trovava in una zona riparata, tra il verde che avvolgeva il monumentale
tempio indù da cui si stava allontanando per rientrare a
bordo della Blue Seed. Lo spettacolo era stato agghiacciante. Jungla
tropicale lussureggiante e deserto rosso si contendevano il territorio,
lì come a Delhi e in altre zone della penisola, e il confine
tra l'una e l'altro era netto quanto quello che separava le correnti
oceaniche.
Il cielo si era oscurato di colpo e un'elettricità palpabile
scorreva nell'aria. L'umidità monsonica aveva lasciato il
passo a un'aria calda e secca, la pelle si era tesa improvvisamente su
tutto il corpo, le labbra si erano fatte screpolate e la gola riarsa.
Solo allora aveva percepito il rombo lontano e indistinto che aveva
confuso, in un primo momento, con dei tuoni naturali. Il rombo era
stato subito accompagnato da un pesante terremoto che, aveva capito in
seguito, non erano altro che il ruggito dei razzi direzionali per
l'atterraggio che, nella loro spinta propulsiva, avevano sollevato la
tremenda tempesta di sabbia. Sabbia che aveva , così,
oltrepassato il naturale confine, invadendo il terreno rigoglioso.
Aveva alzato lo sguardo, curiosa, per capire, cercando di vedere oltre
la tempesta.
E le aveva viste.
Le luci delle navi, di quelle enormi città galleggianti.
Quindi, era giunta la voce. La voce che tutti sentivano e cercavano di
capire da dove venisse, guardando il vicino in cerca di una risposta.
Un'allucinazione collettiva, una visione di tipo ufologico-mariano.
Invece, non si era trattato di un fenomeno locale ma tutto il mondo ne
era stato vittima. Contemporaneamente.
Nessuno di loro, nella grande calca, si era accorto subito delle nuove
figure spettrali alle proprie spalle. Solo quando era stato spiegato
loro che da quel momento gli Akero avrebbero vigilato sulla giovane,
ingenua e violenta civiltà umana la gente si era guardata
attorno, notando figure che prima le erano sfuggite.
Di colpo, come svegliatisi dall'ipnosi, la gente era impallidita
rendendosi conto del pericolo: dopo un terremoto del genere, c'era
sempre una risposta uguale e contraria. Bisognava cercare di mettere in
salvo coloro che rischiavano di non venire allertati per tempo della
disgrazia imminente. Dimentichi di quanto era appena accaduto, si
attaccarono il telefono, imponendo ai familiari di mettersi in salvo:
uno tsunami di immani dimensioni si sarebbe sicuramente abbattuto a
breve lungo le coste.
Ma gli Akero dimostrarono subito la loro prontezza, allertando
capillarmente chiunque rischiasse di trovarsi in zona ad alto rischio e
pilotando le masse perché evacuassero gli invalidi.
Scongiurato il pericolo, gli invasori dimostrarono la loro potenza
calmando la natura: nessun disastro naturale colpì le coste.
“E' il tuo sogno, Azzurra!” sbottò 24
che, fino a quel momento, era rimasto in silenzio, proprio come Loki
“E' l'incubo che fai spesso e che ti sei sempre rifiutata di
spiegarmi!”
La ragazza annuì mestamente: non voleva fornire ulteriori
spiegazioni dato che aveva trovato estremamente faticoso anche solo
rievocare ed esporre i fatti così come li aveva vissuti.
Birger aveva ascoltato con interesse mentre Han sembrava in qualche
modo distratto nonostante, ogni tanto, prendesse dei veloci appunti. Le
lasciò un minuto per riprendersi, trafficando sulla sua
scrivania, quindi si alzò in piedi “E' ora di
andare. Il periodo di riposo sta per scadere.”
Andò verso Mat-mon e controllò rapidamente le
manette e le imbracature che lo ancoravano al letto: nascoste da un
semplice lenzuolo, erano completamente sfuggite all'attenzione della
ragazza. Istintivamente, Azzurra arricciò il naso: era
incosciente e lo trattavano come una bestia. Ma era un Akero, una
potenziale minaccia, per loro ed era quindi comprensibile la loro paura.
Han si diresse verso Loki e, chiamato anche Birger, li
ammanettò tra loro. “Non fare scherzi!”
minacciò chinandosi alle caviglie della Lamassu per legarle
tra loro. Una volta che si fu raddrizzato, ammanettò anche
se stesso al polso libero della prigioniera. “Per oggi faremo
uno strappo alla regola e prenderemo l'ascensore: non voglio rischiare
di rompermi l'osso del collo giù per le scale, cercando di
coordinarmi ai vostri movimenti. Tu tieni a bada il tuo amichetto: per
quanto malconcio è sempre più forte di
noi.” ringhiò verso la bionda che
incrociò le braccia al petto in segno di sfida: non si
sarebbe mai ammanettata a 24 ed era quasi tentata di ordinargli di
saltare al collo di quell'antipatico di Han, in modo che capisse cosa
volesse dire venire strapazzati a quel modo. Ma tacque e, rivolgendosi
al suo Akero, gli chiese solo di non badarlo e di stare tranquillo, per
il bene di tutti. 24 annuì, evidentemente preoccupato per
Loki.
Scesero al piano terra e seguirono i corridoi rocciosi fino in fondo a
una delle ali di quello strano posto. Scesero ancora una manciata di
gradini e si inoltrarono in un ultimo corridoio corto e dal soffitto
basso. In fondo, le porte erano costituite da pannelli che si
sormontavano tra loro. Sembravano essere di plastica trasparente ma
poteva trattarsi anche di una seta sofisticata. Azzurra si sentiva
spaesata e ignorante in quel mondo in cui antiche conoscenze permeavano
la quotidianità dei ribelli.
All'interno la sala era immersa nella più totale
oscurità e in un odore stantio e pungente. “Le
luci sono sulla sinistra” Disse la voce dell'hacker.
“Eh?” domandò perplessa Azzurra,
abituata com'era all'accensione automatica delle luci.
“Sulla sinistra” scandì Han, con
pazienza forzata “C'è una scatoletta di plastica,
50 per 30. Plastica morbida sul coperchio. Sotto ci sono i pulsanti.
Premili tutti”
La ragazza si mosse a tentoni lungo il muro.
“Azzurra?” la chiamò 24 poco dopo
“Credo sia questa” disse con sicurezza l'Akero, la
cui tuta malconcia quasi splendeva nell'oscurità. Lei
tornò sui propri passi e, raggiunto l'Akero,
pigiò con forza dove lui le indicava. Un forte bagliore
inondò la sala che, ora, si mostrava in tutta la sua
ampiezza.
Leggermente rialzato rispetto al terreno, correva una specie di
ballatoio sormontato da sedili disposti in gradinate. Nella conca
sottostante, stavano diversi lettini, macchinari di vario genere,
alcuni catafalchi ingombranti, altri così maneggevoli da
essere ammonticchiati su un unico tavolo. Le pareti, poi, erano
foderate di altri macchinari ancora.
“Aaahh” protestò Han sbuffando
sonoramente quando si fu avvicinato al mobile più vicino ed
ebbe picchiettato su un pannello verticale “Chi cazzo
è che ha staccato tutte le prese? Fa una cortesia, attacca
le prolunghe!” la invitò, indicando il pavimento
con la mano libera mentre si avvicinava al lettino centrale, dal
pianale di vetro, e ci faceva salire Loki “E poi pigia tutti
i pulsanti di tutte le apparecchiature che trovi...”
Lei e 24 si mossero simultaneamente e quando tutto fu collegato si
accorsero di un lieve ronzio, delle luci che si accendevano lentamente,
scaldandosi un poco alla volta, i monitor che sfarfallavano pigri,
ventole che acceleravano improvvisamente.
“Hallo!” biascicò una voce impastata
facendosi largo tra le tende rigide. Quando Azzurra sollevò
gli occhi, incontrò quelli nocciola di una donna che non
conosceva. Quella, senza degnare nessuno di uno sguardo,
andò ad abbarbicarsi su una delle sedie della prima fila,
sgranocchiando una sorta di panino. Lentamente e alla spicciolata,
diverse altre persone si introdussero nella stanza, andando a prendere
posto sugli spalti.
“Non hai dormito, vero?” domandò Alain,
irritato, vedendo che Han era ancora vestito come durante
l'interrogatorio.
“A me non serve dormire!” replicò Han
all'amico appena arrivato e fresco di doccia, liberando se stesso e
Birger dalle manette.
“Guarda che se il tuo fisico subirà dei
contraccolpi per la tua vita sregolata ce ne dovremo fare carico noi,
dopo!”
“Sì sì, non preoccuparti...”
lo liquidò “L'importante è che faccia
almeno otto ore ogni sedici, no? Piuttosto, siamo tutti? Tu
vai...” disse rivolto a Birger “E mi raccomando...
sai cosa fare, in caso...”
“Quasi... ma possiamo cominciare...”
borbottò il francese, rispondendo alla domanda retorica
dell'hacker che già istruiva il norvegese, senza badare lui.
Scosse la testa: era inutile ricordargli quanto un sonno disordinato
non gli facesse bene. Ma conosceva le regole: che si arrangiasse.
Più di ripeterglielo fino allo sfinimento, non poteva fare
altro.
Quando arrivò anche Hector, Alain si rivolse agli astanti e
presentò gli esami che si sarebbero svolti. Fece un rapido
riassunto di quanto scoperto per quanti fossero stati impegnati e si
fossero persi dei pezzi per strada. “L'Akero qui presente,
Loki, ci ha mostrato come il loro corpo sia una sorta di costruzione
genetica di vari esemplari naturali. L'Akero verrà
sottoposto ad alcuni test per verificare tutte le nozioni riportate
nella sua banca dati. Cominceremo con l'esaminare l'epidermide,
nascosta dalla tuta...”
“Quale epidermide?” sbottò 24 dal suo
angolo, lontano dagli operatori. La platea si voltò,
all'unisono, verso di lui. Sguardi scettici, infastiditi e curiosi si
affastellavano tra loro “Questa è la nostra pelle!
Noi sentiamo attraverso di essa!” proseguì
incurante di tutto, nonostante il respiro si fosse fatto affannato. Era
probabile che fosse una reazione fisiologica ai traumi: loro non
sentivano dolore come gli umani e non si fermavano al primo fastidio.
Era probabile che l'unica spia di malfunzionamento a cui dovessero
prestare attenzione fosse proprio l'inefficienza del sistema.
“Quindi saresti nudo, ora?” domandò
perplesso Han alzando lo sguardo dai suoi macchinari
“Sì. Noi non abbiamo bisogno di vesti. Anche i
vostri studiosi, sociologi e psicologi, avevano pronosticato che, con
l'avanzare della civiltà, l'abito sarebbe diventato un
orpello inutile. E noi siamo una società avanzata.”
“Flügel è sorpassato”
protestò qualcuno dall'alto.
“I vostri costumi non serviranno più a
differenziare i generi, come già avviene in
superficie...” e dicendolo guardò Azzurra, quasi
che lei potesse essere la testimonianza di quanto affermava
“Maschi e femmine non avranno bisogno di mostrare la loro
diversità. Né ci sarà più
bisogno di sottolineare le gerarchie: in una società evoluta
non esistono. Non avrete bisogno nemmeno di coprirvi per pudore,
perché l'imbarazzo appartiene solo a voi che avete problemi
irrisolti con la vostra psiche e siete soggiogati da schemi mentali e
culturali indotti dalle religioni: gli animali sono nudi, l'uomo
è un animale e nasce nudo. E già molti umani
praticano il naturismo.”
“Certo certo...” tagliò corto Han
“E nella terra del fuoco, ai tempi di Darwin se ne stavano
nudi in mezzo alla neve. Allora dimmi, perché la tua amica,
qui...” disse indicandola col pollice da sopra la spalla
“Ha parlato di gerarchie? Di come i corpi armati siano
vestiti di nero e il corrispondente dei nostri medici di verde? O
ancora, tra voi stessi ci siano Akero in bianco e rosso e altri in
rosso e bianco o bianco e blu e così all'infinito?”
“I Karibo devono indossare delle protezioni mentre gli
Anargiri sono vestiti per motivi igenici.” replicò
secco lui “Tutto il resto è la nostra livrea: come
ci sono pappagalli rossi e altri blu, così noi siamo bianchi
e rossi e azzurri...”
Han lo fissò negli occhi, soppesandolo annoiato. Cosa che
stava mandando 24 in bestia “Certo...” convenne
“E perché mai una civiltà avanzata come
la vostra avrebbe bisogno di un corpo armato?”
così dicendo lo zittì e ridiede la parola ad
Alain e a Hector.
“Faremo molta attenzione nella fase preliminare...”
spiegò il francese raccogliendosi i rasta in un unico nodo
in cima alla testa “Come ci ha, giustamente, ricordato il
nostro Akero, per loro è una seconda pelle e, crediamo, sia
irta di terminazioni nervose. L'analisi preliminare...” disse
pigiando il pulsante di un telecomando e facendo scorrere delle
immagini su un proiettore: immagini di pelle scorticata, tagliata,
ustionata o crivellata da colpi di proiettile “...delle
condizioni dell'Akero 19 ci hanno portati a credere che abbia delle
propaggini minuscole che si innestino nel tessuto
sottostante.”
“Lo scopo?” domandò qualcuno dall'alto,
in quello che Azzurra credette spagnolo ma la cui musicalità
era completamente falsata.
“Incrociando i dati con quanto contenuto nella sua memoria,
riteniamo plausibile che si tratti di un sistema di alimentazione
indotto e di un possibile sistema capillarmente diffuso di micro servo
meccanismi per il controllo diretto del corpo” rispose Hector
“Come pilotare un drone...”
“E di riciclo dei rifiuti corporei oltre che per la ricezione
di tutti i dati sensibili registrati dall'esemplare...”
precisò Alain “Anche noi abbiamo tute simili,
ispirate ai romanzi di Herbert1 e che usano
un'evoluzione del dispositivo Imhoff2, ma non
consentono che un autonomia di qualche ora. Non certo degli anni che
hanno servito, sicuramente, i nostri ospiti. I tubi uncinati, che si
innestano nei tessuti sottostanti, servirebbero a tenere il tessuto
teso e adeso sul corpo, irrorandolo, contemporaneamente, di sostanze
nutritive e prelevando quelle totalmente inutilizzabili...”
“E come?” domandò una profonda voce
baritonale in quello che Azzurra identificò come un idioma
non meglio identificato come esteuropeo.
“Tramite questi, Sergei...” disse Han prendendo in
mano, con molta cura, le propaggini che si estendevano dalla nuca di
Loki “Sono cavi, in tutto e per tutto. Per incidere il prisma
di cristallo che avete visto nella conferenza – per evitare
di caricare tutta la sua memoria sui nostri computer, che comunque non
sarebbero stati sufficienti a contenere la mole di dati forniti
– l'ho accoppiata con questi connettori stranamente
universali: una serie di jack e mini-jack tricanali e delle prese usb
sia di tipo A che di tipo B. Sono tutti maschi a parte...”
nel dirlo sollevò due cavi più grossi ma ne
mostrò solo uno alla platea “Questa protuberanza
che ha un innesto femmina. Mi sembra un po' strana. E anche il suo
diametro: siamo intorno al centimetro. Internamente è cava.
Anche il maschio è cavo ma le diverse scanalature permettono
l'identificazione. Dunque... Una sola femmina in un fascio di...due
quattro...una decina di cavi. Non è strano?”
“Se la femmina fosse in realtà una peg?”
domandò una donna dall'ultima fila.
“Probabile. L'alimentazione esterna, di cui parlavo prima si
riferisce alla manutenzione dell'elasticità della pelle,
della sua traspirazione, ma anche di un possibile sistema per
inoculare... chessò io... farmaci? Sospetto che il tessuto
sia sufficientemente traspirante ma per accertarcene dovremo aspettare
l'esito degli esami dei laboratori tessili. Per il resto, siamo qui per
scoprirlo.” Disse Alain
“Tu sai cos'è una peg?”
bisbigliò Birger al fianco di Azzurra che scosse debolmente
la testa nonostante il nome non le suonasse nuovo.
“Percutaneous endoscopic gastrostomy” disse 24 poco
più in là. I due si volsero a guardarlo
“E' il tipo di sonda che alimenta i pazienti che non sono in
grado di nutrirsi autonomamente. Per lo più sono i vostri
anziani, incapaci di deglutire in seguito a un trauma neurologico. In
un soggetto giovane c'è più speranza che, in
breve tempo, riprenda le sue funzioni e viene quindi alimentato tramite
un sondino che scende dal naso direttamente nello stomaco. La peg
è un semplice, brutale, buco nella pancia.” Nel
dirlo, la sua mano si mosse istintivamente all'altezza del ventre
scolpito. Sembrava impossibile che ci fosse un tubo che lo perforasse e
che non fosse visibile attraverso quella tuta così aderente.
“Una specie di cordone ombelicale, insomma”
commentò Birger tornando a fissare la sua Akero personale
che, davanti a tutti quegli sguardi curiosi, non mostrava alcun
turbamento.
Nel frattempo, Hector e Alain si erano messi una pesante mantella blu
aperta sulla schiena, avevano indossato guanti rigidi, avevano fatto
stendere Loki e l'avevano fatta scivolare sotto una grande lampada.
Premettero un pulsante e voltarono la testa “Quella
è una lastra” li informò 24, con un
tono di voce che tradiva tanto il suo orrore quanto la sua
curiosità, mentre la sua amica veniva fatta scivolare sotto
uno strano marchingegno composto da una semplice asta e un dispositivo
circolare che prese a ruotarle attorno al corpo a velocità
sempre maggiore e che eludeva le zampe del lettino. “E quella
è una tac completa”
Silenziosa come un'ombra Fatema era comparsa al loro fianco, i lunghi
capelli neri raccolti in un'elaborata acconciatura. Quando le scansioni
furono portate a termine, sorrise ai tre in disparte e raggiunse il
gruppo di esaminatori. Ora le sue vesti erano semplici, apparentemente
di una taglia più grande. Prive di alcun tipo di decorazione
riusciva ugualmente a essere radiosa. Il suo posto al loro fianco fu
preso da Michele e Kemal che giustificarono il loro ritardo con un
semplice “I bambini...”
Azzurra notò che l'arabo, ora, vestiva una semplice veste,
identica a quella della sorella, composta da una lunga casacca e
morbidi pantaloni di lino. Paradossalmente, pur nella stessa foggia, il
completo dava a lei un'idea superba femminilità e conferiva
a lui un che di virile che fece abbassare lo sguardo alla ragazza,
improvvisamente a disagio. Poi, notò un dettaglio e
alzò lo sguardo sul compagno di viaggio, pronta a
tempestarlo di domande, quando lui l'anticipò “In
questi casi, Fatema cessa di essere una donna e diventa un semplice
medico, anche se la sua funzione, qui è quella di
intermediaria. E', più che altro, un'erborista, una
speziale, non so come la chiamate in Italia o se esista una figura come
la sua. In questo caso si presta a fare da intermediario tra i medici e
il paziente perché, oltre a essere anche lei una donna (e
questo può infondere fiducia) è una mezza
psicologa e sa come calmare gli animi quando si procede a operazioni
complicate e traumatizzanti. Inoltre, la sua identità
è comunque celata da maschera guanti e cuffia.”
“Ma siete tutti medici o ingegneri, qua dentro?”
borbottò Birger, sentendosi uno del mucchio nonostante gli
studi umanistici.
Michele si chinò a rispondergli “Io sono
architetto. E comunque, no. Certo, i primi che potevano accorgersi
delle loro
macchinazioni era queste due categorie. Oltre, ovviamente, ai politici
e ai militari. Ma si parla di alti ranghi che avevano tutta
l'intenzione di favorire la loro realizzazione. Le altre categorie,
però, captavano i segnali emessi dai primi. E chi era un po'
sveglio e aveva una buona conoscenza di come girava il mondo, poteva
collegare i fatti tra loro. Teoricamente... che gliene frega a un
architetto se in Francia vogliono chippare tutti i bambini o se in
Giappone si comincia a pagare ogni cosa col credito
telefonico?”
“E allora tu come hai fatto?” domandò
curiosa Azzurra ma Han, dal centro della stanza, la mise a tacere
levando la sua voce fredda sulla sala e facendo cadere l'attenzione di
tutti sul gruppetto che si scusò, mortificato.
Si accorsero, allora, che Fatema stava incidendo la superficie della
tuta con un bisturi all'altezza delle spalle, facendo attenzione a non
calcare troppo la mano sulla lama, rischiando di perforare i tessuti al
di sotto della stessa.
Azzurra si accorse che, a partire da quel momento, 24 si era irrigidito
e teneva gli occhi fissi sulla compagna: era diventato una statua di
marmo, quasi non si percepiva nemmeno il movimento della cassa toracica.
“Procedo alla rimozione dello strato superficiale”
annunciò Fatema con voce stentorea e professionale. Tutti
stavano col fiato sospeso.
Non appena cominciò a rimuovere il tessuto, videro Loki
irrigidirsi appena ma senza emettere un fiato.
Accadde tutto in un attimo.
24 si irrigidì ulteriormente a sua volta e scattò
per interrompere l'esperimento.
Immediatamente, però, quasi prevedendo una simile reazione,
Birger ruotò violentemente il proprio braccio che
arrivò a colpire l'Akero con gomito e polso, fermandolo
momentaneamente. 24 gli scoccò un'occhiata carica di odio e
si stava già abbattendo su di lui quando, non visto, Michele
aveva preso una delle sue propaggini (quella che Han aveva identificato
come presa usb B 5.0) e cercava di collegarla alla parete mentre Kemal
interveniva in aiuto di Birger e afferrava l'alieno per i polsi,
facendoglieli ruotare e bloccandoglieli dietro la schiena, strappando
all'alieno una smorfia di dolore. Per niente intimorito da quel gesto,
24 si abbassò, sbilanciando l'arabo che lo
riagguantò rapidamente per le spalle. Ma lui fu
più veloce e protese le braccia verso l'alto, pronto a
sgusciar via della stretta, facilitato dalla posizione assunta e dalla
tuta che non consentiva alcun appiglio.
“Ed” Urlò Michele e, improvvisamente, 24
si accasciò su se stesso
“24!” urlarono in coro Loki e Azzurra che avevano
assistito impotenti a tutta la scena.
Michele, in piedi vicino al gruppetto, stava col palmo premuto contro
un piccolo pulsante rettangolare. “Chiedo scusa... non
riuscivo a infilare la presa...”
“Cosa gli avete fatto?” sbraitò Azzurra
afferrando Kemal per il colletto e strattonandolo bruscamente,
lasciandolo in ginocchio dov'era e tirandolo verso di sé
“L'abbiamo solo messo in stand-by” disse Birger
“Tu sapevi!” urlò stravolta
“E' il mio
Augur!”
“E stava per aggredire tutti” replicò lui
“Per difendere Loki, la tua
Augur, di cui sembra non fregartene molto!”
Birger lanciò uno sguardo a Loki e poi tornò a
posarlo su Azzurra “Lei avrebbe agito allo stesso modo. E io
l'avrei fermata allo stesso modo. Loki lo sa.”
“Loki?” Azzurra si voltò esasperata in
cerca di sostegno ma vide che la Lamassu la guardava tranquilla.
“Birger mi avrebbe fermato” confermò,
quindi si rivolse a Fatema “Continua pure, non sento nulla.
Non posso provare dolore. Se mi sono mossa, involontariamente, era per
permetterti di operare meglio”
“Sei sicura? Non vuoi nemmeno un po' di ossigeno3?”
domandò Fatema, improvvisamente preoccupata.
Loki scosse ancora la testa “Mat-mon si è tolto
mezza tuta da solo. Posso farcela anch'io.” e dicendolo, si
voltò e tornò a fissare il soffitto.
1 Tuta dei Fremen
in Dune.
2 Sistema
Imhoff
3 L'ossigeno è usato anche
come gas anestetizzante. Se avete mai provato a respirare ossigeno
puro, vi sarete accorti di come ci si senta storditi e confusi, un po'
come quando si va in alta montagna e la differenza della miscela
nell'aria può scombussolare.
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Ragazzi, ora che ho finito gli esami (alleluja) mi prendo un
pò di tempo per ringraziare tutti quelli che mi seguono (lo
so che l'ho scritto anche il mese scorso, ma vi ringrazio comunque) e a
quanti mi rompono le scatole in via privata perché aggiorni
più frequentemente... vedremo..se, ora che avrò
un pò più di tempo, riuscirò a
produrre di più, potrei anche pensarci ;)
Il problema è che le idee son chiare..sono i protagonisti
che non han voglia di collaborare. Ma loro vivono nel piccolo paradiso
terrestre, che je frega a loro?
ù_ù speriamo.
Spero che vi sia piaciuto anche questo capitolo.
Ciò che è stato spiegato in questo capitolo, in
realtà, non è così chiaro e ci sono
altri dettagli che andranno spiegati, circa l'invasione e gli alieni :)
attendete fiduciosi.
|
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Capitolo 24 *** cut off ***
24.
Cut Off
The tail
Azzurra fu costretta a uscire dalla sala operatoria dopo pochi minuti.
L'espressione dura di Loki, l'odore del sangue che arrivò a
pungerle il naso e la vista della pelle scorticata le diedero la
nausea. Si era convinta che in realtà l'aliena stesse
cercando di sopportare il dolore: le sembrava che il respiro regolare
nascondesse tracce di mugolii trattenuti a stento.
Tutto ciò era orribile. O forse era lei che era
ipersensibile.
Si accasciò appena fuori dalla tenda di seta plasticata,
lungo la parete del corridoio principale. In quale razza di posto era
finita? Se trovava discutibili i metodi degli Akero, ora trovava
rivoltanti quelli dei ribelli.
Passò del tempo, non avrebbe saputo dire quanto, se pochi
minuti o qualche ora. Di certo non era ancora finito quel ciclo, dato
che non erano ancora suonate le sirene della ritirata nei letti. Forse
si era appisolata ma quando alzò lo sguardo vide che dal
fondo del corridoio arrivavano un paio di ragazzi che scherzavano tra
loro. Il chiacchiericcio era appena percepibile. Nel giro di pochi
istanti furono pienamente visibili ed ebbe la conferma della sua
intuizione: tre ragazzi, a occhio e croce, suoi coetanei. Uno
attirò la sua attenzione più degli altri (che
pure erano particolari): sedeva su una rudimentale carrozzina
perché era davvero malconcio, il corpo fasciato per buona
parte della superficie. Indossava solo dei semplici slip (o qualcosa di
molto simile) e sopra tutto, una vestaglia di cotone rosso. Aveva
capelli neri a doppia lunghezza con delle ciocche, qua e là,
rosso vivo che spuntavano in quella matassa come vero fuoco. Alle sue
spalle, gli altri erano, in realtà, ancora più
eccentrici: uno sembrava essere abbronzato visto il caldo color
caramello della sua pelle e aveva lunghi capelli argento; l'altro aveva
la pelle chiazzata come quella di un cavallo ed era completamente calvo
eccezion fatta per una riga di capelli neri intrecciati che gli segava
in due il cranio.
“Tu devi essere quella nuova!” gracchiò
giulivo quello dai capelli argentini. Notando lo sguardo sconcertato di
Azzurra, si affrettò a precisare “Beh, sai... qui
ci conosciamo tutti... almeno di vista”
“Hanno già cominciato?” chiese quello
dalla pelle pezzata. La ragazza annuì appena “Ma
allora tu cosa ci fai qui fuori? Su...” disse andandole
incontro e cercando di sollevarla da terra “Vieni anche
tu!”
“Non toccatemi!” urlò scansandosi come
se avesse toccato un ferro arroventato “Siete dei
mostri!”
I tre si guardarono, perplessi, quindi scoppiarono a ridere
“Puoi ben dirlo! Guarda che facce!”
La ragazza si rabbuiò “Parlavo di quello che state
facendo là dentro!”
L'invalido tirò un lungo fischio ammirato “Lei la
3-18 la passerebbe senza batter ciglio”
“Uffa!!!” sbottò il ragazzino pezzato.
“Non parlate dell'ultimo test come se fosse una faccenda di
Stato. Voi due l'avete già fatto e non vi sbottonate...
siete proprio stronzi!”
“Tra poco toccherà anche a te e Dio solo sa quanto
ti tornerà utile nelle missioni.” lo
rincuorò il più malconcio dei due con un aria
improvvisamente triste.
“Vedo io...” borbottò quello,
indispettito “E io comunque ho ancora strizza del 2-12. Al
prossimo voglio arrivarci preparato!”
“Non puoiii!!!” replicò quello dai
capelli argentini, evidentemente, per l'ennesima volta.
“Dunque, Azùra...”
“Azzurra” replicò lei piccata: come si
faceva a sbagliare la pronuncia di un nome tanto semplice?
“Perché non vieni dentro? Io sono Jordan, dovrei
essere all'incirca albanese, se può tornarti utile e sempre
che studiate ancora geografia o i confini non siano cambiati. Ho
diciannove anni e qui sono ancora considerato minorenne...”
“Infatti, all'allarme ti ho proprio visto evacuare con
noi...” sibilò l'altro sempre più
imbronciato.
“Questo che continua a lamentarsi è Juan, detto
Ferret per il fatto di essere snodato come un furetto”
continuò Jordan imperterrito indicando il suo collega a cui
Azzurra avrebbe dato un soprannome più in linea col suo
aspetto da cavallo pezzato: Pinto o Appalosa “Viene da
– attenzione alla consonanza – Finisterre, in
Spagna, ha... quanti anni hai, niňo? Sedici?” lo
canzonò divertito
“Diciassette e mezzo!” puntualizzò Juan
ormai furibondo.
“Così grande? Allora devi soffrire di
rachitismo” scherzò Jordan prendendosi qualche
maledizione in una lingua simile a quella che Azzurra aveva udito in
sala e che, anch'essa, le ricordava i dialetti settentrionali
“Lui, invece, è Akira”
continuò Jordan senza badare troppo gli isterismi di Juan
“Anni 22: è appena maggiorenne. E' originario del
Giappone, stava in un'altra comunità ma per l'1-6
è dovuto venire qui e quando ha superato il 3-18 ha deciso
di tornarci. Solo che, così facendo, s'è beccato
la missione greca di cui è l'unico sopravvissuto. E ha
riportato pure un trofeo! Un Akero. Mezzo morto, ma almeno ne ha
trovato uno!” Tutto galvanizzato, Jordan lodava l'amico,
mettendo quest'ultimo (il cui volto Azzurra aveva già visto
scorrere nelle immagini del notiziario che le era stato mostrato poche
ore prima) in forte imbarazzo.
“Ho lasciato morire Jess e Xing...”
replicò atono il giapponese, nel tentativo di smorzare
l'entusiasmo
“Non potevi farci nulla” replicò Juan,
addolcendosi “In ogni caso, anche tu ci sei andato molto
vicino e tanto basta. Hai fatto il tuo dovere, smettila! Sappiamo
qual'è il rischio da quando nasciamo...”
“Allora? Abbiamo fatto le presentazioni, ora siamo
amici!” decretò Jordan, senza perdere il proprio
sorriso “Ci vuoi dire perché non vuoi
entrare?”
Azzurra abbassò gli occhi, infastidita da tutto quel buon
umore e dal pensiero dell'operazione in corso “Stanno...
rimuovendo la tuta all'Akero”
“Al tuo?” domandò Juan, curioso.
“No, a Loki” precisò lei
“Loki... è un nome che mi suona
familiare...” borbottò Jordan
“Massì! Non era nei fumetti che mi hai passato,
Akira?”
“I comics americani o i manga?” domandò
quello senza neanche voltarsi
Jordan ci pensò su “L'ho visto in entrambi... uno
era un cane umanoide”
“Credo che il Loki a cui facciano riferimento quelli
americani abbia l'origine comune con il nome di quest'Akero. Non viene
dal nord Europa? Vichinghi e compagnia?” replicò
Akira, quasi l'altro fosse nient'altro che un bambino la cui
curiosità andava premiata e colmata.
“Giusto!” Jordan fece schioccare le dita a
indirizzo del perspicace Juan, un gesto brusco che fece sobbalzare il
pezzato e che lo mise a tacere: era un metodo che si sarebbe aspettata
da Han, non da un ragazzino. “E dunque?” le
domandò ancora, imperterrito, chinandosi alla sua altezza:
aveva piegato le gambe e non era tecnicamente seduto al suolo ma si
aggrappava alle ginocchia e dondolava sulle punte “Ti
imbarazza vedere un'altra donna nuda? Quello che veniva dal nord era
femmina, vero?” domandò subito dopo, voltandosi a
chiedere conferma ai compagni.
“La stavano scorticando viva senza nemmeno la grazia di un
po' di anestesia!” urlò Azzurra
Akira arricciò le labbra “Brutta faccenda davvero,
allora. Però è necessario. Metti che sia
allergica ai composti? Non credo farebbero della tortura gratuita e
credo che la cosa sia tollerabile. Devono capire come funzionano al
più presto e non possono andare tanto per il sottile. O
l'Akero che ho riportato io morirà nel giro di pochi
giorni” la informò tagliente, senza voler essere
offensivo, solo pratico.
“Azzurra!” la richiamò la voce di Kemal
da dietro l'angolo “Azzurra! Ah... sei qui... su, non
importunatela ragazzi!” disse agitando la mano in aria prima
di chinarsi anch'egli.
“Perché, ci devi provare tu?” lo
canzonò Jordan piantando le mani ai fianchi e impettendosi
tutto, assumendo, così una posizione ridicola.
Nonostante tutto, l'arabo sembrò prenderlo sul serio
“Non dire scemenze!” replicò arrossendo
“Hanno finito... se vuoi rientrare... e abbiamo interessanti
novità” disse rivolto ai nuovi venuti
“Come è messo l'esemplare che ho portato?
Onestamente!” lo bloccò Akira, prima che Kemal li
guidasse nuovamente all'interno. Questi guardò prima lui,
poi Azzurra, incerto. “Deve saperlo anche lei,
così capirà che non è
crudeltà fine a se stessa. Vi siete accertati che sapesse
perché lo stiamo facendo?” Akira aveva un modo di
parlare molto carismatico: probabilmente otteneva facilmente la fiducia
e la stima delle persone che lo circondavano.
L'arabo si strinse nelle spalle “Non lo so, non c'ero: sono
arrivato tardi. Io e Michele abbiamo dovuto portare i bambini da Nives
perché li guardasse durante la riunione...” tacque
per un attimo, soppesando le parole. “Mat-mon non sta affatto
bene. Le ferite non si rimarginano, i nostri antibiotici non funzionano
e la parte del corpo colpita che possiamo osservare perché
libera dalla tuta sembra andare in cancrena. Non abbiamo la
più pallida idea di cosa gli stia succedendo. Loki ha
fornito tutte le istruzioni su come funzionano i loro organismi, ma
ancora non siamo arrivati a capo di nulla. L'indagine autoptica
è l'unica che strada che possiamo percorrere” Nel
terminare il suo resoconto, alzò lo sguardo scuro e
penetrante su Azzurra ma lo distolse subito, a disagio: certe parole
erano uguali, non cambiavano col tempo. Autopsia: l'apertura di un
corpo. Morto. Per studiarne le interiora. La bionda
rabbrividì al pensiero di chi dei tre alieni sarebbe stato
sottoposto a tale procedura e strinse gli occhi per cacciare
quell'orrore dalla sua testa.
“Capisco!” Akira accettò le informazioni
con una calma invidiabile. Non era triste né rammaricato.
Era un dato di fatto a cui lui non poteva porre rimedio alcuno
“C'è anche da dire che non era in buone condizioni
nemmeno quando ha assaltato la villetta. Non vorrei si trattasse di
qualche virus per cui se si allontanano dalla nave madre si
ammalano.” azzardò in un sospiro.
“Però, allora, anche gli altri due dovrebbero
essere messi male!” protestò Juan
“Ma loro non sono feriti” protestò
Jordan “Non in quel modo, almeno. Ma, se quello che ha detto
Azzurra è vero e la rimozione della tuta è come
una scorticazione, allora peggiorerà a vista
d'occhio.”
“Speriamo solo che riescano a cavarne fuori qualcosa di
buono” biascicò Kemal tirando gentilmente Azzurra
in piedi, considerando chiuso l'argomento.
Quando rientrò scortata da quella massa di persone, nessuno
diede l'impressione vederla.
Loki era ancora stesa sul lettino - i piedi nudi che spuntavano da un
lenzuolo bianco adagiato, per pudore dei presenti, sul suo corpo magro
- e stava uscendo dal secondo giro di TAC. La pelle visibile era tutta
arrossata, come se le fossero scoppiati i capillari di ogni parte
coperta dalla tuta. Solo il volto e parte del piede erano perfettamente
eburnei. I tubi, invece, continuavano a pendere, inanimati, al suo
fianco, tra cui ce n'era anche uno rosso, nuovo, che non aveva notato
in precedenza. Ai lati del capo, le orecchie erano state liberate dalle
calottine su cui ruotavano i visori: erano a punta, simili alle
parabole dei pipistrelli e leggermente più grandi delle
orecchie umane. Ma soprattutto erano orecchie mobili.
“Assomigliano a quelle della bertuccia”
l'informò Kemal notando dove si fosse posizionato il suo
sguardo “E, comunque, anche tra gli esseri umani
c'è chi riesce a muoverle... non è un fatto
eccezionale. Sono altre le cose sorprendenti. Dovremo farvi un
riassunto di quello che questi esseri non sono: leggerli
su monitor non rende giustizia alla loro perfezione.” Man
mano che parlava, il suo tono si faceva sempre più concitato
“Non temere, Fatema le ha spalmato un unguento che ha
preparato appositamente per lei. Le micro ferite si saneranno in un
batter d'occhio”
“Non potete usarla anche su Mat-mon, allora?”
domandò Jordan perplesso
“E' diverso” sentenziò l'arabo. In quel
mentre Loki si stava mettendo a sedere, lasciando che il lenzuolo le
cadesse di dosso, rivelando un fisico davvero androgino dove il seno
era praticamente inesistente. “Il lenzuolo serviva a evitare
che le mosche le si posassero addosso mentre asciugava”
spiegò.
Accettando l'aiuto di Hector e Alain, Loki scese dal lettino e rimase
in piedi senza alcuna vergogna. L'ombelico era un pozzo nero ma non era
più grosso di qualunque altro Azzurra avesse mai avuto
occasione di intravedere negli spogliatoi “Il
nutrimento...” continuò Kemal “...
arrivava sì direttamente alla pancia, ma in punti diversi
per distribuire omogeneamente il preparato. Altri tubicini, invece, si
diramavano dallo stomaco, estraendone i succhi gastrici che risultavano
eccessivi per una dieta endovenosa. Non ho la più pallida
idea di quale tipo di materiale abbiano utilizzato perché
non si sciogliessero: siamo tutti curiosi di avere il responso dai
laboratori.”
“Quindi...” si intromise Akira “...era
proprio necessario spogliarli. Da quanto tempo sono senza
alimentazione?”
Fu Jordan a rispondere, dato che, in quello stesso periodo anche Kemal
era fuori in missione “Quattro o cinque giorni, a conti
fatti: da quando abbiamo ricevuto il segnale!”
“Da quando Han
ha ricevuto, vorrai dire, piccolo parassita!”
precisò Akira rimettendo al proprio posto il ragazzo che
sbuffò offeso. Dopo aver messo a tacere Jordan,
alzò la mano, chiedendo la parola “Dovremo
insegnare loro anche ad alimentarsi?” domandò
quando Hector gli diede il via libera.
“Suppongo di sì, anche se sanno come funzioniamo e
come facciamo, potrebbero avere dei problemi.” intervenne
qualcuno dall'alto degli spalti. La cosa sorprese Azzurra. Ma poi
ricordò quello che le era stato raccontato: lì
tutti facevano tutto. Quindi si poteva dire che quella non era la
comunità che si riuniva per vedere dei professionisti al
lavoro ma una riunione di tanti tecnici più o meno esperti
che potevano contribuire, con la loro diversa formazione, a individuare
qualunque cosa potesse essere utile al momento.“Andranno
anche svezzati, come i neonati. Dovremo anche controllare che non si
strozzino deglutendo. Ma prima ancora, dobbiamo capire cosa possono
assumere e cosa no. Senza queste informazioni siamo fermi a un punto
morto”
“I laboratori ci stanno già lavorando”
l'informò Alain “Ma se potessi far preparare un
bibitone dei tuoi, Sergei, di quelli totalmente artificiali, almeno
potremo tamponare un po' l'emergenza...”
“Non funzionerà.” replicò
quello, un uomo sulla cinquantina, i capelli brizzolati con due ciuffi
bianchi ai lati della testa “Dovremo incrementare lentamente
le porzioni praticamente da subito e ridurre gli intervalli tra una
poppata e l'altra e non possiamo andare alla cieca. Né
è pensabile mandarli in giro con una flebo sempre attaccata
al braccio o ficcata in una sonda nasogastrica... I miei bibitoni non
tamponerebbero proprio nulla. Anzi, rischierebbero di danneggiare il
loro organismo, se non adeguatamente calibrati.”
“Faremo quello che possiamo...” disse Hector
alzando appena la voce per mettere a tacere l'uomo: era una discussione
sterile e sembravano averne già discusso
“Lasciando il nido,
hanno scelto più o meno consapevolmente di abbandonare
un'alimentazione sicura. Era un suicidio in partenza. Al massimo
vomiteranno il cibo in eccesso.”
Sergei strizzò gli occhi grigi dietro gli affilati occhiali
da presbite e fece cenno di continuare mentre si alzava e usciva dalla
sala. Azzurra pensò fosse diretto in un qualche laboratorio
a sintetizzare pappette schifiltose da propinare ai poveri alieni. Ma
almeno gli avrebbero dato da mangiare e tanto bastava a
tranquillizzarla.
Kemal approfittò di quel silenzio e della ripresa dei lavori
attorno all'aliena per riprendere il discorso lasciato in sospeso.
“I tubi cavi di cui si parlava prima che tu te ne andassi
erano gli unici esterni. Gli unici, cioè, rimovibili dal
corpo, integrati alla tuta: appunto quelli per l'immissione di sostanze
nutritive e l'estrazione degli acidi. Per il resto, gli Akero sembrano
nascere, se così si può dire, con tutti cavi
seriali universali già innestati nel corpo”
“Quello rosso? Cos'è? Non l'avevo notato
prima...” ammise la ragazza, fissando il fascio di cavi tra
cui quello rosso spiccava con prepotenza anche se non riusciva a
capirne il punto d'origine.
Kemal sorrise e alzò la mano “Possiamo cominciare
i test a partire dalle appendici?” domandò senza
rispondere alla bionda che rimase a fissarlo interdetta.
Alain si volse vero Loki e le disse qualcosa. Immediatamente, quella
afferrò qualcosa e la lanciò verso l'arabo. Una
palla da tennis sfrecciò per la sala, dritta verso i due che
erano appena rientrati. Ma consumò quasi subito la sua
spinta propulsiva, rimbalzò sul pavimento, dapprima
violenta, poi sempre più indolente, fino a raggiungere i
piedi dell'arabo. L'esito strappò una smorfia di
disapprovazione all'aliena “Almeno era un tiro ben
indirizzato.” la consolò il francese
“Con un po' di addestramento, sono convinto che avrebbe
potuto piantare un bisturi tra il collo di Kemal e la testa di
Azzurra.” annunciò Hector mentre le immagini dei
volti sbigottiti dei due scorrevano sul monitor fino a scivolare sulla
mano che stringeva la palla “E questa è stata la
dimostrazione di cosa può fare istintivamente la loro coda,
non ancora addestrata: è prensile ed autonoma.”
“Coda?” sbiancò Azzurra, accantonando la
paura che aveva avuto nell'immaginare la punta acuminata d'argento
sfrecciarle vicino alla testa. O, per errore, in mezzo agli occhi.
Alain annuì “Era atrofizzata e nascosta sotto una
delle cuciture della gamba destra. Se non l'avessimo spogliata, non ce
ne saremmo mai accorti. E nemmeno lei”
“Anche 24...?” domandò con un groppo in
gola, improvvisamente terrorizzata.
“Presumibilmente. A meno che non sia tratto discriminante di
genere e potrebbe pure essere: la Natura si diverte a differenziare in
modo alquanto pittoresco, talvolta. Di per sé, ha un
particolare senso dell'umorismo, la Natura. Loro, che sono un
guazzabuglio di diversi DNA, sono un mistero tutto da scoprire. Non
troppo lentamente o ne perderemo uno...”
“La coda...” intervenne Hector consultando un
tablet su cui, evidentemente, aveva scaricato i dati essenziali per il
test “Ha la stessa stringa di quella del...Binturong! Eccolo
qui!” E l'immagine del relativo animale comparve sullo
schermo.
“Questo mammifero aveva la particolarità di avere
una coda prensile” intervenne Kemal. Si staccò dal
muro, raggiunse l'equipe e prese il tablet dalle mani del francese
“Era un animale facilmente addomesticabile e pare ci fossero
proprietari che venivano presi letteralmente per mano dal loro
cucciolotto” disse, suscitando una risatina divertita sugli
spalti. “Ritengo, come nel caso delle orecchie, sia stata
riattivata, con l'inserimento di materiale altro, la coda che avevamo
perso erigendoci su due zampe.” Era evidente, da come
parlava, che avesse studiato il dossier sul palmare che aveva appena
ripreso dalle mani di Hector. E la sua abilità nel saltare
da un dettaglio all'altro lo inseriva con una certa precisione tra i
filosofi naturali: era un biologo e tanto bastava, ad Azzurra, per
spiegare come mai loro due andassero così d'accordo.
“Ma procediamo” disse, restituì il
tablet, prese le mani di Loki tra le sue e le studiò
attentamente. Quindi avvicinò quella che ad Azzurra sembrava
essere la lampada circolare degli studi dentistici. Le immagini delle
mani affusolate ma tremendamente arrossate dell'Akero comparvero sul
grande schermo. “So che le hai già
utilizzate” disse mettendo in risalto gli artigli neri e
sottili “Vorrei capire la loro capacità”
e nel dirlo – la voce calda e gentile - sventolò
davanti a sé e al pubblico un assicella di legno.
“Prego” Con un gesto fluido e annoiato, Loki
tranciò in due la tavoletta spessa tre centimetri
“Vabbè, era solo faggio..” disse
arricciando il naso: era ovvio che non si aspettava un risultato simile
e la platea rise divertita per la sua momentanea difficoltà.
Hector si avvicinò e rimosse i pezzi che erano stati
separati, mentre andava in onda un ingrandimento del solco che veniva
creato. “Dunque sono decisamente resistenti. Questo
è chiaro. E sono retrattili. Ora dovremo capire
quanto.” commentò “Magari raggiungi i
trenta centimetri... così si spiegherebbe la fuga dalla
capsula...”
“Non siamo in un fumetto del secolo scorso. Hanno un
limite!” commentò Alain rivedendo le immagini e
zoomando su alcuni dettagli. “Ora...” disse
riscuotendosi dalla sua fascinazione “Vediamo un po'... Penso
che andremo un po' a caso perché non ho la più
pallida idea di come poter verificare una voce come Holoturia: tutto il corpo”
“Però possiamo dire con un buon margine di
sicurezza che sanno rilevare i campi magnetici come gli squali e quelli
elettrici come l'ornitorinco da cui prendono anche i meccanorecetori,
che sono dotati di termorecettori come i serpenti e di
elettrolocalizzatore come i pipistrelli. Sono addirittura privi della
sostanza P, il neurotrasmettitore del dolore. Non stiamo parlando di
pillole, di ipnosi o di morfina: parliamo di totale assenza al
dolore.” Azzurra alzò lo sguardo esterrefatta.
Sergei si era alzato in piedi e stava arringando la folla. Ma se non
era dolore... era lei a proiettare sull'Akero la propria angoscia? A
leggere dolore e sofferenza nel suo tentativo di restare immobile per
agevolare i carnefici umani? “Per non parlare di
fotorecettori, papille gustative quanto quelle delle mucche... l'elenco
è infinito, lo vedete tutti: filamenti di salamandra, di
castoro, di formica e addirittura di pescegatto. Per non parlare degli
innesti artificiali di cui sono disseminati. In parole povere sono vere
e proprie macchine da guerra La domanda è: perché
dotarli di un'infinità di peculiarità se dovevano
starsene confinati in una presunta navicella a controllarci? E
perché sostituirli con delle macchine? A questo punto do
ragione ad Han...” disse sottintendendo qualcosa che Azzurra
non conosceva e non riusciva nemmeno a immaginare. Cosa aveva
ipotizzato l'hacker?
“Grazie tante!” replicò quello, piccato,
allargando le braccia in un gesto nervoso, con un sorriso irritato e al
contempo rassegnato.
“Forse” rispose Hector “Il loro obiettivo
è rimpiazzarci del tutto. L'essere umano è
obsoleto.”
“Ma come lo è l'uomo, al loro confronto lo
è tutto il regno animale” precisò
qualcuno
“Nives” rispose stancamente Hector “Siamo
tutti d'accordo sulla parità dell'uomo con gli altri
animali. Ma parliamo di noi che non siamo specisti. Ma loro, chiunque ci
sia dietro tutto questo, ritiene il genere umano una minaccia da
controllare e modificare a piacimento. Sappiamo di cosa siamo capaci:
controllo delle nascite, genocidio e non ultima l'eugenetica. Un
atteggiamento speculare a quello che animava i superficiali fino a
qualche tempo fa, dove l'uomo era superiore a tutti, la creatura
prescelta dagli dei. Tutto questo...” disse indicando Loki
“...non è che un'evoluzione esasperata della
più distorta follia di una mente malata”
“Non è detto...” fu la prima volta che
Loki parlò, prendendo parte attiva nella discussione
“...che tutto quello che siamo debba per forza essere usato
contro di voi.”
“Tu forse no, ma il tuo amico, lì...”
replicò Hector feroce indicando 24 con un cenno della testa
“... lui forse sì”
“Io credo di no” ribatté ferma
“Deve solo capire. Arrivare, come dite voi,
all'illuminazione. Provate a mettervi nei suoi panni. Un bel giorno vi
dicono a bruciapelo che siete degli androidi o qualunque altro termine
preferiate usare per indicarci. Come reagireste? C'era un film, un
tempo, che trattava l'argomento...”
“Blade Runner?”
suggerì qualcuno
“No” rispose lei “In quel caso gli
androidi avevano coscienza di ciò che erano e si ribellavano
alla loro natura. Parlo di A.I.”
tutti tacquero “Dategli tempo. Per me non è un
problema: quando ho acquisito le informazioni sono diventata
automaticamente consapevole di tutto ciò, anche se non vuol
dire che io sappia gestire questa mole di dati. Per Mat-mon
sarà ancora più semplice: lui è sempre
stato diverso.”
“D'accordo, i tuoi amici li escludiamo. Ma tutti gli altri?
Tutti i milioni di Akero che svolazzano accanto ad altrettanti esseri
umani?”
“L'unica cosa che potevo fare, l'ho fatta, cercando di
risvegliare le coscienze dei singoli, informandoli di quanto ero venuta
a conoscenza e infettando i sistemi operativi con un virus ideato al
momento. Ma i nostri supervisori possono riabilitarci quando
vogliono. O peggio. Potrebbero distruggerci tutti e ricrearci da zero,
togliendoci quel minimo di libero arbitrio di cui eravamo
dotati.”
“Qual è l'obiettivo finale?”
strepitò Nives dall'alto della sua gradinata
“Perché volete controllarci?” Solo
allora Azzurra si accorse della donna. Chissà da dove era
entrata e a chi aveva affidato i bambini? Fu forse quello a darle la
spinta.
“Temo che le cose siano più complicate di
così!” intervenne Azzurra, staccandosi dal muro e
affiancando la Akero. Non guardò Loki, troppo imbarazzata.
Ma vide il sorriso orgoglioso sul volto di Kemal, poco distante, e
ciò le diede il coraggio per continuare e affrontare la
donna che sembrava sul piede di battaglia. “Io e 24
sospettavamo che qualcuno stesse cercando di screditare il sistema
degli Akero dall'interno. Per questo mi ha permesso di fuggire. Sarebbe
stato in suo potere bloccare me e far uccidere la squadra che era
intervenuta a salvarmi”
“Non stiamo parlando di te, signorinella. Non pensare che il
mondo ruoti attorno a te, per quanto alto sia il livello di
pericolosità che ti hanno assegnato!”
sentenziò Nives con voce cantilenante. “Non
è che tutto sia così semplice, proprio come dici
tu. Quindi figurati se potrebbe essere facile come lo stai descrivendo tu” Era
un'impressione o la stava insultando e dando della stupida? Non la
conosceva e già non la sopportava.
“Però è un campione
rappresentativo!” protestò Kemal prima che Azzurra
riuscisse a riprendersi da quello schiaffo verbale.
“Io non sto dicendo questo! Ho solo detto che c'era qualcosa
all'interno, già tra loro! E che un Akero di alto livello
l'aveva fiutato. Non pretendo di avere alcuna conoscenza della cosa, ho
solo esposto un fatto. E' diverso!” Ma quella mise il muso,
considerandola una sciocca ragazzetta petulante, e incrociò
le braccia al petto
“Quando fa così non la sopporto proprio”
mormorò Kemal dietro di lei, strappando ad Azzurra un
sorriso complice.
“Kemal!” lo redarguì Alain con un colpo
di tosse “Io sospenderei la seduta, per ora”
continuò, poi, a voce più alta “Abbiamo
raggiunto almeno un punto, per curare l'Akero al piano di sopra.
Attenderemo i risultati dei laboratori e vi terremo
informati.” disse e così sciolse l'assemblea. I
partecipanti si allontanarono di buon grado, tranne Nives che,
recalcitrante, folgorò con aria di infastidita
superiorità tutti gli elementi all'interno della sala
operatoria prima di allontanarsi insieme agli altri.
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Ciao ragazzi, oggi mi intrometto solo due secondi, veloci veloci.
Dato che è sparito (o almeno, a me non compare
più) il contatore dei like che mi aiutava a destreggiarmi
per migliorare i capitoli, ho deciso di creare una pagina autore su FB
-soprattutto per coloro che non sono registrati su EFP- in cui
sarà più semplice dialogare, postare contenuti
extra (per le foto, ad esempio, basta caricarle e non ho più
la necessità di trovare un link valido), piccoli spoiler,
avvisi sulla pubblicazione (di solito sono puntuale ma non si sa
mai)... e tutto quello che si può fare con una pagina del
genere. Tipo scambiarsi pareri anche sui film, perché no?
Ho meditato a lungo e mi sembrava presuntuoso ma senza contatore vado
davvero male... quindi... beh, ecco il link. Siete i benvenuti!
DarkRoninEFP
alla prossima!
|
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Capitolo 25 *** Fashion As Life ***
25.
Fashion As Life
To be and to be replace
Avviso
ai lettori.
Il capitolo sarà più che altro una mini lezione
di moda (per quella capra di Azzurra) "limitata" al
secondo paragrafo... Ho provato a tagliare il pezzo in ogni modo (in
questi capitoli mi sta succedendo spesso e non riesco a fare un lavoro
decente: le spiegazioni tornano a bomba involontariamente). Faccio
pubblico Mea Culpa.
Se vi rompete, capirò!
“Ci pensiamo noi a sistemare” dissero Juan e Jordan
in coro, precipitandosi all'interno della sala ovale, avanzando in
senso contrario rispetto alla fiumana che abbandonava il posto.
“Voi pensate ai responsi dei laboratori!”
“Sono arrivati?” domandò Han, eccitato
“Sono su, nella tua nuova camera”
commentò Akira facendosi largo a fatica nella stanza che era
una barriera architettonica naturale.
“Come stai?” domandò l'haker andandogli
in contro “Scusa... siamo stati un po' impegnati e, da che ti
sei svegliato, non sono riuscito a passare a trovarti.”
“Non temere: Jordy mi ha tenuto informato” Rispose
mestamente il giapponese
“Jordy non dovrebbe saperne niente di tutte queste
cose” protestò quello, folgorando bonariamente il
ragazzino incriminato.
“Scusate?” li interruppe Azzurra avvicinandosi
piano ai due “Ma... non ci sarebbero dei vestiti per
lei?”
Han levò un sopracciglio quindi spostò lo sguardo
oltre la ragazza, focalizzandolo su Loki “Per chi? Per
l'alieno? Non se ne parla neanche!” sbottò e
tornò a darle le spalle senza più considerarla.
“Han!” lo riprese Alain dal fondo della sala
“Vieni Azzurra, ti indico io dove puoi trovare
qualcosa...”
“E 24? E' il caso di spogliare anche lui?”
domandò Kemal mani ai fianchi, raggiungendo il francese.
Alain meditò sulla cosa, quindi acconsentì
“Meglio di sì: ne approfittiamo ora che
è in stand-by e non può ribellarsi. Azzura,
già che ci sei, recupera devi vestiti anche per lui, mentre
noi lo spogliamo.” così dicendo presero il lettino
di vetro e lo spostarono verso il muro mentre le due ragazze uscivano
dalla sala, seguendo una rozza mappa manoscritta su un pezzo di carta
igienica.
Come furono fuori dalla stanza, nel lungo corridoio ormai silenzioso,
Azzurra si scoprì cosciente di tutta la disparità
che correva tra lei e l'aliena. Quella camminava senza farsi lasciare
indietro e senza accennare a coprirsi. Forse, più della sua
nudità, la turbava tutta quella pelle irritata esposta
gratuitamente a... a nulla, visto che erano al chiuso. Ma, certamente,
non era nemmeno protetta. A meno di non considerare il sottile strato
d'unguento che Fatema le aveva spalmato in precedenza.
Più passavano i minuti più lei s'innervosiva.
Quindi si fermò, si tolse le scarpe e i calzini e porse
questi ultimi alla donna nuda accanto a lei. Si sfilò la
giacca e le passò anche quella. “Non
sarà lunga abbastanza ma almeno è
qualcosa...” si giustificò non sapendo se quella
potesse capire e/o apprezzare il suo gesto.
Loki accettò senza una parola mentre Azzurra si infilava,
scalza, le scarpe.
“Grazie” disse quando ripartirono “Sei
molto gentile per essere un'umana che ci odiava. Ma io non ho bisogno
di vestirmi.”
Azzurra annuì rigidamente, non riuscendo a collocare le
parole dell'aliena all'interno di un qualunque schema logico: che
voleva dire che non ne aveva bisogno? Proseguì, quindi,
seguendo lo schizzo della mappa nel mutismo più rigoroso,
nel tentativo di non perdersi, distratta da altre questioni.
Quando arrivarono a destinazione, si trovarono davanti una piccola
grotta che subito si illuminò di una luce violacea
sfarfallante. “Un LP” commentò Loki
alzando lo sguardo che Azzurra registrò come trasognato.
Potevano, quegli esseri provare emozioni tanto intense e
così umane? Certo, ok, il DNA diceva che erano in parte
umani... ma i loro sensi ipersviluppati non avevano in qualche modo
anestetizzato la loro percezione della realtà?
“Dobbiamo averlo infastidito col nostro
ingresso...” commentò ancora l'aliena, avanzando
all'interno e tornando a focalizzarsi sull'oggetto della loro missione.
Non c'era altro se non due scaffalature di legno, dall'aspetto
instabile e grezzo ma in realtà solidi come rocce, su cui
erano riposti ordinatamente pacchi di indumenti tutti uguali. Qua e
là, targhette con strani numeri campeggiavano tra i ripiani,
accompagnate, di volta in volta, da strani simboli. In cima a tutti, a
delineare due categorie ben distinte, c'era una targhetta recante
l'immagine stilizzata di un uomo e di una donna. A un esame
più approfondito, Azzurra capì che le tute di
cotone cachi, erano riposte ordinatamente secondo i diversi elementi
che componevano la divisa: un pantalone, una maglia e una giacca.
Perplessa, osservò più da vicino i diversi
scomparti: i materiali erano esattamente gli stessi.“E' uno
scherzo?” strepitò offesa mentre Loki armeggiava
con i componenti dell'una e dell'altra.
“Il taglio è diverso” la
informò l'Akero infilandosi un paio di pantaloni e una
maglia dopo aver controllato la taglia con una rapida occhiata
“Questa è più sciancrata e i pantaloni
sono fatti per esaltare le forme femminili” disse infilandosi
la felpa ancora allacciata dalla testa. Mentre Loki si infilava delle
sottili calzette di cotone -alloggiate in uno scomparto minore che le
era sfuggito- e indossava delle scarpette di tela, recuperate dal fondo
della sala, in cui erano malamente ammonticchiate, la bionda
notò che ora -effettivamente- anche il seno piatto
dell'aliena sembrava acquisire volume. Incuriosita, disfò la
prima felpa maschile che le capitò a tiro: i tagli erano
completamente diversi. Si rimise le sue calze e la sua giacca,
afferrò due completi da uomo e si affrettò a
uscire. Ma Loki la richiamò quasi all'istante.
“Hai preso le taglie sbagliate” commentò
scambiando rapidamente e delicatamente tutti gli indumenti che lei
aveva in mano.
Quando si furono lasciate la stanza alle spalle, che ben presto
tornò buia com'era in precedenza, Azzurra le
domandò, incuriosita “Come fai a sapere delle
taglie?”
Loki non si degnò nemmeno di guardarla. Attese qualche
secondo, quasi stesse riordinando le idee. “E' vero che voi
non usate più il sistema delle taglie: devi scusare la mia
superficialità. Vedi, fino a non molti anni fa il corpo
umano era catalogato in base alle sue misure... Posso farti una piccola
lezione di storia della moda?” domandò perplessa,
volgendosi appena a scrutarla. Azzurra annuì, avida di
sapere: nonostante in un primo momento avesse recepito come spocchiosa
la risposta dell'aliena, ora pendeva dalle sue labbra. E, si
appuntò mentalmente, per una pacifica convivenza ed evitare
fraintendimenti, avrebbe dovuto imparare a interpretarla.
Paradossalmente, Loki, che conosceva a menadito la propria natura
semiumana, era molto più criptica di 24 che si credeva un
alieno completo. “Nell'antichità non c'erano,
ovviamente, le taglie. E neanche in epoca moderna il concetto era
diffuso universalmente nel mondo. Ancora nei primi anni del XXI secolo
molte donne arabe non avevano concezione di questo sistema di
misurazione. Per il semplice fatto che continuavano a farsi fare i
vestiti su misura. O perché, come avveniva in India col sari
e in Giappone col kimono, il capo era uno per diverse corporature e
altezze e si regolava in base all'esigenza. I vostri abiti moderni
derivano da questo concetto. Unisex e taglia unica. I ricchi
continuavano a farsi confezionare tutto dai couturier, i poveri a
riciclare abiti smessi. Il concetto di taglia si diffuse nel mondo
occidentale con l'avvento dell'industria: abiti già pronti,
a buon mercato per le classi medie. La congiunzione con le guerre, poi,
stimolò la produzione di divise sia per uomini che per
donne. Gli uni erano impegnati sul fronte, le altre chiamate
improvvisamente a sopperire ai compiti delle loro controparti maschili.
Non si poteva certo far fare un abito su misura per ciascuno: il prezzo
sarebbe stato sproporzionato per la funzione. Con l'avvento di prodotti
a buon mercato prodotti in serie e il conseguente abbattimento dei
prezzi si scoprì ben presto che, diminuendo la
qualità del prodotto, si costringeva la gente a comprare
continuamente e ad alimentare un sistema di rinnovamento perpetuo della
merce: la moda. Il fenomeno dilagò contemporaneamente in
ogni aspetto del commercio: vestiti, utensili, macchine.
Così, in un sincretismo tra la nascente psicologia e
criminologia e la necessità industriale di avere dei formati
prestabiliti, si sviluppò l'antropometria. Non era una
scienza che nasceva dal nulla. Già Leonardo, col suo uomo
vitruviano, e prima di lui i greci e gli egizi, avevano studiato le
proporzioni del corpo. E anche in ambito popolare i riferimenti erano
molteplici. L'antropometria, quindi non era che un tentativo di
razionalizzare le risorse: dato A, trovare B e C. Dove A sta per il
torace, B la vita e C i fianchi e calcolare, di conseguenza
l'altezza”
“Ma...” protestò la ragazza
“...una può avere molto seno e avere una vita
striminzita o avere una pancia da birra ed essere piatta... o
può avere le gambe lunghe tre chilometri...”
“Hai perfettamente ragione. E queste differenze erano
calcolate, per lo più, tramite la distinzione in gruppi
etnico-geografici: solo tra gli europei-caucasici, si distinguevano una
varietà di classificazioni che andavano dai nordici, alti e
allampanati, ai mediterranei, bassi e tarchiatelli. Ma, nella norma,
una donna o un uomo in buona salute avrebbero oscillato di poco in un
range prestabilito su cui, i singoli, sarebbero potuti intervenire
autonomamente. Inoltre, queste classificazioni variavano sensibilmente
con lo scorrere del tempo e il mutare delle corporature. E questo fatto
era dovuto a cambiamenti alimentari e di abitudini, oltre che
ambientali. Quindi, quando ancora non esistevano i tessuti tecnici che
permettevano una vestibilità maggiore o per tutti quei capi
che non prevedevano l'impiego della maglieria, introdotta solo negli
anni 20, c'era la necessità di distinguere
affinché a una ragazzina come te non venissero rifilati gli
abiti di quella Nives che era sugli spalti.” Azzurra
ripensò al donnone che era stata così tagliente
durante l'assemblea. Non era grassa ma di certo non era gracile come
lei. Aveva un aspetto massiccio, un seno abbondante ma proporzionato
col resto del corpo alto e atletico. Annuì pensando a come
un suo maglione le sarebbe scivolato facilmente dalle spalle.
“Di qui, l'esigenza delle taglie...”
continuò Loki che sembrava felice di poter parlare con
qualcuno e di poter condividere la mole di dati che aveva nella zucca
“...Che poi, ogni zona, al variare del gruppo etnico, aveva
le sue specifiche: i norvegesi, alti e allampanati, avevano un sistema
completamente diverso dai mediterranei, bassi e tarchiatelli. E a
proposito di varietà: prima del nostro avvento e della
conseguente unificazione di tutti i metri di misura, non ti dico la
varietà di scale termometriche. Solo quella monetaria la
superava. Ad ogni modo, l'esercito usava le taglie sartoriali,
affinché fossero standard. Gli eserciti hanno sempre
condizionato la vita dei civili, lo sapevi? Le loro scoperte, gli usi
funzionali della loro attrezzatura come anche il loro lavoro sul
campo... tutto il loro lavoro è sempre stato convertito in
semplice fattore estetico o banalizzato nei controlli di macchinari
utilizzati ogni giorno una volta che, nel loro campo, erano diventati
obsoleti.”
“Come determinavano la taglia?” domandò
Azzurra, ormai all'angolo della sala operatoria e curiosa di saperne di
più sui vestiti, più che su tutte le divagazioni
dell'aliena.
“Col sistema BWH. Il famoso 90-60-90 della donna perfetta.
Non ne hai mai sentito parlare?” Azzurra scosse la testa
“Sono le misure di seno, vita e fianchi che nella loro
totalità determinano con buona approssimazione il tipo di
fisicità del soggetto. Per la taglia, bastava il primo dato,
il giro torace, che è, solitamente il punto estremo della
parte superiore del corpo. Questo dato andava diviso a metà.
Praticamente: il tuo dovrebbe essere all'incirca di 88 cm. Il mio di
80. Quindi io indosso una 40 e tu una 441.
Semplice, no? Così, in un mare di capi catalogati per taglia
potevi vedere subito se c'era quello che ti interessava.”
Sembrava un mondo magnifico, quello descritto da Loki, anche se
dannatamente complicato: trovava molto più comodo dover
decidere solo il modello e il colore. Abituata com'era a evitare di
farsi semplicemente scansionare dal tubo di vetro per provare gli
abiti, non riusciva nemmeno a immaginare tutta quel mare di conti da
fare, probabilmente automatici ai tempi dei suoi genitori.
Tutto quel parlare di numeri, taglie, abiti l'aveva confusa e
proiettata in un mondo distante anni luce. Era stata così
immersa in quel resoconto che la vista della sala medica strideva con
le sue percezioni e le sembrava, paradossalmente, estranea.
Scandagliò la stanza cercando di ricordarsi che quella era
la sua realtà, non il mondo evocato da Loki. Mondo che si
basa, per altro, su documenti discutibilmente attendibili.
Il suo unico punto fermo, da diversi anni a quella parte era 24. Per
quanto vivesse ancora la sua presenza come un incubo, si
focalizzò su di lui, steso sul suo lettino, la pelle coperta
dalla crema di Fatema e dal lenzuolo. Si rese conto solo allora che i
piedi non erano arrossati dalla rimozione della tuta, esattamente come
per Loki. Evidentemente, all'interno, la tuta doveva avere una guaina
più resistente e ammortizzante, priva di sensori.
“Grazie” disse Birger andando loro in contro e
prendendo gli indumenti dalle mani di Loki “Azzurra, se vuoi
aspettare fuori, ci pensiamo noi a vestirlo...”
La bionda non capiva il perché di quello strano invito.
“Ho già visto come viene ridotto il loro
corpo” replicò incrociando le braccia e accennando
all'Akero “Non sono così debole di
stomaco”
“Già” disse lui grattandosi la testa
“Forse è solo a noi che ha fatto una certa... impressione”
disse rabbrividendo
“Volete che ci pensi io?” domandò Loki
“Avverto la vostra paura” disse facendo scivolare
lo sguardo sui presenti. Fatema era sparita (probabilmente, per la sua
sensibilità, scorticare un uomo era più difficile
da sopportare che non fare lo stesso su una sua simile); Akira, Jordan
e Juan si erano volatilizzati; Kemal era rannicchiato in un cantuccio
mentre Alain gli teneva i capelli (Azzurra capì che doveva
aver appena vomitato) ; Han restava appoggiato, rigido, vicino a una
delle sue macchine, stringendo i pugni più del necessario;
Hector era l'unico, insieme a Birger che sembrava reggere abbastanza
bene.
“Avverti cosa?”
domandò Azzurra perplessa. Come poteva percepire la paura?
La poteva vedere, semmai, dipinta sui loro volti... anche se poteva
trattarsi di qualunque altra cosa.
“Squalo?” domandò Birger colpito. Quando
Loki accennò una risposta affermativa, si
affrettò a spiegare “Avverte l'odore del
nervosismo e della paura, come gli squali. E' una cosa che hanno anche
gli esseri umani, ma latente al punto che ci facciamo condizionare
inconsapevolmente. Loro,
invece, sanno esattamente cosa proviamo. In ogni momento.”
“Volete che ci pensi io?” domandò ancora
Loki, rivolgendosi agli altri, non avendo ricevuto risposta da Birger
“Non credo sia il caso...” cominciò
Hector.
“E cosa sarà mai?” sbottò
Azzurra passando davanti al capo del gruppo e, raggiunto il suo Akero,
strappando il lenzuolo di 24. Sentì una serie di gemiti
trattenuti a stento e quando si voltò verso il suo amico
realizzò, finalmente, perché. Si pentì
subito del suo gesto avventato e strattonò il pezzo di
stoffa perché affrettasse la sua discesa e tornasse a
coprire quello scempio.
A turbarla non era stato il fatto che 24 fosse completamente nudo. E
lei non aveva la più pallida idea di come fosse fatto un
corpo maschile.
Non era stata la visione del corpo martoriato di per sé,
visto che, pensando al suo comportamento con Loki, non le era passata
nemmeno per l'anticamera del cervello l'orrore che doveva averla
attraversata.
Eppure l'aveva visto bene il corpo simile al suo. Ma non aveva provato
nulla.
Forse proprio perché non era il suo corpo. Era solo simile. E
sapeva che non era toccato a lei.
Invece, i ragazzi erano sembrati sconvolti dalla vista del corpo
massacrato di 24 tanto quanto lei. Forse, a differenza sua,
proiettavano su loro stessi quello che vedevano.
Se era vero che il corpo femminile era capillarmente più
sensibile, era altrettanto vero che quello maschile non era del tutto
insensibile sulla totalità della sua superficie ma era
estremamente più delicato in una zona particolare, a
differenza della complessa intimità femminile.
Sapeva che il catetere femminile non era così fastidioso
come poteva esserlo per l'uomo, in cui andava a infilarsi in un
pertugio più piccolo della stessa canaletta.
Aveva sentito racconti dell'orrore sulle modalità con cui
molte donne, a inizio secolo, si epilassero ogni centimetro del corpo.
Doveva essere quindi un dolore sopportabile se era pratica
così diffusa. Ma mai, mai, mai aveva sentito simili racconti
sugli uomini, la cui intimità era delicata come... non lo
sapeva e non avrebbe mai voluto scoprirlo. Le bastava sapere che
bastava un colpo ben assestato per provocare dolori lancinanti e
comprometterne la fertilità.
Che sciocca era stata a non pensarci prima.
Si accasciò, imbarazzata e sconvolta, contro il lettino,
coprendosi il volto con le mani. Gli alieni non sentivano dolore. Ma,
se 24 fosse stato un uomo normale, quanto avrebbe sofferto?
“Portala fuori” la voce di Loki le
arrivò ovattata e non si rese nemmeno conto che due paia di
braccia robuste la stavano sollevando da terra e guidando nuovamente
all'esterno. Si lasciò ricadere, ancora una volta, lungo il
muro rossastro, la testa vuota e al contempo piena di orrore: era una
fortuna che 24 fosse privo di coscienza, che non sapesse, che non
potesse vedere e sentire..
“Non ha sentito dolore” La voce di Han le
arrivò dura e fredda come una stilettata, abbastanza
caustica da farla rinvenire. Quando alzò gli occhi azzurri
trovò che lui non la guardava nemmeno “Non hanno
la sostanza P” sottolineò duro “L'ha
detto anche Sergei. E tu meno di noi dovresti fare tante scene, dopo la
spavalderia che hai mostrato poco fa.”
“Smettila, Han” lo rintuzzò Hector, la
voce bassa e calma. “Cosa poteva saperne?”
“E' solo una stupida matricolina”
ringhiò lui “Con quale arroganza si è
messa in mezzo? Poteva immaginare...”
“Non lo sapeva, Han! Nessuno gliel'ha spiegato” la
difese ancora Hector
“Eccerto... vedere l'aliena scorticata non le ha acceso
alcuna lampadina in quel cervello grande come una nocciolina”
sputò ancora velenoso
“Loki non ha fiatato, si muoveva come se non fosse successo
nulla e, se ben ricordi, appena abbiamo cominciato a spogliarla, lei
è uscita dalla stanza, nauseata. Probabilmente, non si
è resa conto della cosa finché non ha associato
quello che vedeva alla posizione supina e priva di coscienza del Akero.
Le sarà sembrato che l'abbiamo torturato!”
“Era steso prima e dopo che alzasse il lenzuolo”
replicò ancora quello, agguerrito
“Han?” la voce di Hector era bassa e ferma. E non
ammetteva repliche “Tu sei quello che non ha mai sbagliato,
vero? Dalle il beneficio dell'inesperienza. La consapevolezza non
illumina tutti nello stesso modo né alla stessa
velocità! Ora cammina: abbiamo un altro malato da spogliare
e curare!” Così dicendo diede a tutti le spalle e
si avviò per il lungo corridoio mentre dalle tende sbucavano
le teste curiose di Alain e Birger. Il francese seguì
immediatamente il connazionale, non prima di aver folgorato l'hacker
con uno sguardo ammonitore.
1 In realtà, questo
è vero per le taglie italiane, dato che i famosi 88 cm sono
una 44 italiana, che corrisponde alla 40 francese, alla 12
inglese e alla 8-10 americana (corrispondono a un 86-91 cm di giro
torace: a conti fatti sarebbero un 43 e un 45...)
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
- - - - - -
Insomma, voi che ne dite? questa parte era parecchio noiosa, vero?
ù_ù; lo so, me ne rendo perfettamente conto.
Spero di riuscire a dare un pò d'azione ai prossimi capitoli
ma, fondamentalmente, siamo ancora in fase ambientazione. =_= odio
questi momenti, quindi cercherò di farla il più
breve possibile. Il fatto è che non posso nemmeno
trascendere :/ devo spiegare le differenze tra il mondo di prima in
superficie e il mondo di ora dei ribelli. Vorrei che fosse tutto
più semplice.
In realtà, è proprio a causa di questa
necessità di spiegare che -lo ammetto- trovo ormai quasi
noioso scriverne e cerco con tutta me stessa di arrivare il prima
possibile al punto di svolta, all'azione... alla ribellione (oh, certo
che ci sarà! Pensavate fosse tutto finito? Eh no!).
Ma sono sicura che, se reggerete con me, riuscirò a uscirne.
Perché le idee le ho. Ma non posso tirarle fuori se prima
questa cretina non si ambienta.
Grazie ancora a tutti quelli che mi seguono silenziosi nell'ombra. Vi
voglio bene! :)
ù_ù; basta...scusate lo sfogo ma volevo rendervi
partecipi del mio travaglio XD
a tra un mese!
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Capitolo 26 *** Close your eyes ***
26. Close your eyes
And rest
In corridoio rimasero solo Birger e Azzurra, seduti per terra, uno
accanto all'altra, in attesa che 24 venisse vestito da quanti erano
rimasti in sala. Dopo qualche minuto, che parve un'eternità,
Loki uscì per chiamarli: preferiva evitare di trovarsi da
sola con 24 al suo risveglio.
Quando tornarono all'interno, il norvegese si chinò vicino
alla presa che collegava il cavo del Akero alla parete, pronto a
risvegliarlo dallo stato catatonico in cui l'avevano fatto cadere. La
stanza era stata rimessa nuovamente in ordine e pulita, un tenue odore
pungente di limone aleggiava nell'aria. Birger fece cenno a Loki di
tenersi pronta, mentre Azzurra si avvicinava cautamente al letto. Non
sapeva bene se dovesse sentirsi preoccupata o se, piuttosto, dovesse
essere spaventata. Ma vederlo vestito come un normale essere umano, la
calmò a sufficienza. E, se non fosse stato per il colore,
completamente diverso dalla sua solita livrea, avrebbe quasi avuto
l'impressione che non fosse cambiato nulla.
Birger staccò il cavo dalla parete e, istantaneamente, 24
aprì gli occhi, di scatto, immediatamente vigile.
“Perché sono steso e legato?”
domandò con voce piatta ma nervosa
“Legato?” domandò Azzurra di rimando
abbassando lo sguardo: non aveva proprio fatto caso alle strisce di
velcro che lo bloccavano in vita, alle caviglie e ai polsi. Dovevano
essere state disposte dopo l'intervento di Loki.
“E' per la tua sicurezza” disse la collega, senza
batter ciglio.
Il pesante silenzio che si creò, venne frustato dalla coda
dell'angelo che, evidentemente, l'aveva mossa involontariamente, in un
moto di nervosismo. Altrettanto rapidamente, la sua coda venne bloccata
da quella di Loki che gli si avvolse attorno, immobilizzandola.
“Che cos'è?” domandò schifato
24 non volendo accettare che quella cosa si fosse mossa seguendo la sua
volontà. E che, con ogni probabilità,
assomigliava alla propaggine che sbucava dai pantaloni della donna
davanti a sé.
“La tua coda” disse quella, semplicemente.
“E' già tutto finito e gli umani hanno trovato il
modo di aiutarci”
“Stronzate!” sbraitò, liberando un
braccio con uno strattone nel tentativo di alzarsi “Cosa
possono mai fare loro per noi?”
Senza perdere un grammo del proprio aplomb, Loki ruotò su se
stessa, come una ballerina, e gli sferrò un calcio al viso,
ributtandolo sul letto. “Farai come ti dico io, 24. Se
ritieni che sia tutta una farsa, ricordati il tuo rango.”
“A che livello eri?” domandò Azzurra,
rendendosi conto di non sapere quanto Birger fosse più
importante di lei, come ostaggio.
“Per meritarmi un collare personalizzato con tanto di
targhettina, come un cane, non potevo essere che nella top
ten” scherzò il norvegese “Ero il numero
9”
24, dal canto suo, sbiancò di rabbia e digrignò i
denti, ma tacque e annuì. “Cominciamo a
capirci” disse Loki, liberandolo con un movimento fluido e
controllato degli artigli, lasciando che il compagno li guardasse
ammirato. “Li hai anche tu” sbuffò lei
dopo un po', spazientita e tirandolo su per un braccio.
“Cos'altro abbiamo?” Improvvisamente 24 si era
fatto calmo e attento. Guardava Loki come un bambino può
guardare un adulto che gli racconti delle fiabe meravigliose. Ma la
scena aveva del surreale, dato che, con la sua altezza scheletrica,
troneggiava sulla ragazza mingherlina e snella: la fissava dall'alto al
basso come se fosse stato una scimmietta abbarbicata sulla spalla del
padrone che si ingozzi di una prelibatezza. Pendeva, letteralmente,
dalle sue labbra.
“Kemal?” chiamò Birger, andando a
recuperare anche l'arabo che, per tutto il tempo, era rimasto disteso
sui sedili della gradinata aggettante sulla sala circolare. Era pallido
come un cencio, sotto lo strato dell'abbronzatura dorata “Non
stai affatto bene” commentò “Dove ti
portiamo?”
“Chiamate Michele...ci penserà lui. A meno che non
vogliate offrirmi un letto” biascicò stordito
“Ti cedo il mio, dopo il casino che ho
combinato...” disse Azzurra seguendo i due e anticipando gli
Akero che li seguivano docili. Spense le luci della stanza al suo
passaggio e si avviò lungo i corridoi in cerca di un
ascensore: era chiaro che il moro non ce l'avrebbe mai fatta a fare le
scale. Ma quel posto aveva un ascensore?
“E tu?” domandò angosciato l'arabo, non
volendo creare disagio a nessuno. Tanto meno a lei.
“Io posso stare con 24 o posso anche non dormire.”
rispose lei, facendo spallucce mentre si girava e camminava
all'indietro per rispondergli.
“Abbiamo ancora il viaggio da recuperare... hai bisogno di
dormire e scommetto che nel precedente turno sei rimasta svegli a
rispondere alle domande di Han” commentò
stancamente l'altro, rifiutando quell'invito.
“Allora vorrà dire che io e Loki ci stringeremo.
Noi siamo qui da più tempo di voi” disse Birger
guardando l'Akero che, a conferma, asserì “Io non
ho bisogno di dormire”
“Anche voi dovreste dormire. Non abbiamo appena detto e
dimostrato che siete esseri umani geneticamente
riprogrammati?” La rimproverò stanco Kemal. Si
sentiva la balia di un gruppo di cerebrolesi “Siete sempre
esseri umani. Non mangiate da giorni e dovete riposare. Per quanto il
vostro metabolismo sia diverso dal nostro, non potrete andare avanti a
lungo e, gradualmente, vi dovrete comunque abituare ai nostri
ritmi”
“Non ti lagnare tanto” sbuffò Azzurra
“Troveremo una soluzione. A costo di sfrattare Han. Ecco,
prendi il suo posto. Meglio te di lui, decisamente”
A quelle parole Kemal proruppe in una risata divertita “Han
sa farsi odiare, quando vuole. Ma, credimi, non è
cattivo”
“Ha uno strano modo di cercare di fare amicizia”
replicò Azzurra
“E' solo che non si fida. E a ragion veduta. In
realtà...” aggiunse dopo una pausa indecisa
“Qui non tutti si fidano gli uni degli altri. Le ferite per
molti sono ancora fresche.”
“Ma la fiducia in un gruppo come il vostro è
fondamentale” si intromise Birger
“Il nostro,
vorrai dire” lo corresse l'altro. Ora anche loro quattro ne
facevano parte, volenti o nolenti “Hai ragione, ma vedi...
non è facile. Quando perdi la tua famiglia, tua moglie, i
tuoi figli e i tuoi fratelli... Nulla ha più senso... non
sai più cosa sia giusto e cosa sbagliato...è
difficile. Per quello abbiamo costretto
Azzurra a seguirci” disse in tono mesto mentre uscivano,
impacciati, dalla tortuosa scala scavata nella roccia: nessun indizio
di elevatori di sorta... alla faccia dell'ambulatorio “Lei
era quello che volevamo essere noi. A costo che fosse una fregatura...
noi non ci fidavamo di lei e viceversa. Eppure... Eccoci qui”
disse raggiungendo la stanza dove Mat-mon era già stato
scorticato e rivestito “Lei era la nostra speranza, un
simbolo.”
“Speranza? Me l'hai già detto, ma non capisco bene
cosa intendi..” ammise lei
“Che sia possibile il cambiamento... tu sei la prima che si
è liberata. E, forse, sarai anche l'unica. Birger non conta:
lui è stato liberato” l'interessato
annuì, consapevole che il merito della sua fuga era da
attribuirsi tutto alla ribellione di Loki.
“Allora, in realtà, è tutto merito di
Mat-mon. Tutto è partito da lui”
precisò 24, in fondo al gruppo. Camminava dritto come un
fuso, con passo sicuro e misurato nonostante l'operazione a cui era
stato appena sottoposto. La voce era suonata distante perché
lui era ancora tutto affascinato dalla propria coda e dai propri
artigli retrattili che faceva scattare in un continuo sciabordio
ticchettante e meccanico.
Raggiunta la stanza, Kemal si lasciò adagiare sul letto
spoglio. “Mi sento come una zattera in mezzo al
mare” commentò chiudendo gli occhi: la nausea non
accennava a svanire. All'esterno suonò la campanella della
ritirata.
“Vuoi che ti spogli?” domandò Birger
fissando i vestiti dell'uomo buttato scompostamente sul materasso.
Quello scosse la testa “Posso dormire vestito, per una
volta...”
“Azzurra?” chiamò Birger “Va'
a cercare un'altra branda. Loki ha visto dove sono.” concluse
fissando la sua Akero. Le ragazze uscirono ancora una volta assieme
dalla stanza ma 24 rimase sulla soglia e non accennò a
muoversi, fissando l'arabo in stato di confusione. “Non mi
serve il tuo aiuto” commentò il biondo, intuendo
le intenzioni dell'Akero dietro quello strano atteggiamento. Erano un
gruppo e doveva aiutare ma non sapeva da dove cominciare. Non senza un
ordine esplicito.
“Volevo solo...” cominciò mentre Birger
sbottonava la casacca di Kemal e, tenendolo seduto a fatica, gliela
sfilava dalla testa nonostante le sue deboli proteste.
24 non capiva perché il norvegese avesse rifiutato il suo
aiuto nonostante fossero evidenti le difficoltà che
incontrava nel sostenere il corpo a peso morto: era un'operazione da
svolgere in due.
“Quando ti renderai conto in che stato è il tuo
corpo, non credo che vorrai ringraziare o altro per essere stato
esentato...” commentò debolmente il moro facendo
appena leva sui piedi per sollevare appena il bacino e permettere a
Birger di togliergli anche i pantaloni, tenuti in vita da un cordino
annodato. “Grazie” biascicò debolmente,
quasi fosse febbricitante.
Birger abbozzò un sorriso e lo coprì con un
semplice lenzuolo e una trapunta. “Ci vediamo dopo”
lo salutò bonariamente.
Loki e Azzurra non fecero in tempo a tornare, reggendo una piccola
brandina dotata di un misero materassino, che Kemal era già
sprofondato in un sonno pesante e il clangore della branda che passava
dalla porta sembrò non disturbarlo minimamente.
“Cosa voleva dire?” domandò 24
guardandosi le mani. Erano arrossate, certo, come il braccio scorticato
di Mat-mon. Vedendo Azzurra irrigidirsi e sbarrare gli occhi,
sentì crescere l'allarme e l'urgenza di capire.
“Ora dormi. Te lo ordino” disse Loki “Ne
parliamo dopo”
“Effettivamente...” biascicò Azzurra
buttandosi ancora vestita su una branda che avevano accostato a quella
precedentemente dedicata a 24 “A conti fatti ora dovrebbe
essere mezzanotte” trattenne a stento uno sbadiglio, si
raggomitolò in posizione fetale e si tirò la
copertina sulle spalle “Ci credo che Kemal è
crollato... forse avremmo dovuto dormire anche nella pausa
precedente”
“Togliti i vestiti o dormirai male” la
rimbeccò 24 con fare paterno. Il solito tono che usava
quando erano da soli.
“Uff” sbuffò Azzurra calciando le
coperte nonostante un pizzico di nostalgia per un passato non troppo
remoto le avesse scaldato il cuore. Quel tono, quelle specifiche
attenzioni, la facevano tornare con la mente a quando era ancora a
casa, coi suoi genitori. Si tolse tutto in gran velocità,
tenendosi solo mutande e canottiera, per rifugiarsi nuovamente e al
più presto sotto le lenzuola “Vieni qui anche tu,
però” gli intimò indicando il suo letto
“Dammi la mano” disse. Vedendo che lui non reagiva
e la guardava perplesso, con poca convinzione, aggiunse “Ho
paura, non ce la faccio a dormire. O recuperi Arek chissà
dove in mezzo alla giungla o, per ora, mi dai la tua mano. Ho bisogno
di calore animale per dormire.” Loki sorrise a quell'astuzia
e si coricò, assieme a Birger, in una branda poco distante.
24 si avvicinò al letto e le diede meccanicamente la mano.
“Ti sembra?” domandò Azzurra stizzita
“Secondo te è comodo?”
“Non saprei” replicò 24 tornando a
guardarsi la mano artigliata “Forse no... potrei
ferirti”
La bionda roteò gli occhi al cielo “Non per
quello” disse strattonandolo finché lui non si
fece cadere sul materasso vicino “Sta
così” disse piantandogli i palmi delle mani sulle
spalle affinché restasse supino. Gli prese il braccio e lo
strattonò a sé, abbracciandolo come un
orsacchiotto “Ora va meglio” disse poggiando la
guancia sul dorso della mano di lui che non aveva più alcuna
scusa per non stare a letto. “Buonanotte a tutti”
aggiunse tirandosi nuovamente le coperte addosso.
“Notte” rispose Birger con voce impastata dal sonno
e soffocata dal cuscino. Probabilmente stava sbracato a X occupando
tutto il letto
“Chiudi gli occhi, 24” lo salutò anche
Loki, stesa rigidamente sul letto vicino, con una smorfia e un tono
troppo rigido per non essere scambiato per un ordine
“Immagina un campo sterminato. Con un pascolo di pecore
sterminato, tendente a infinito. Immagina che ogni capo, per gioco,
salti oltre la recinzione. Conta ciascun capo. Ma in silenzio, nella
tua mente. Impiega queste due ore. Al nostro risveglio voglio sapere a
quanto sei arrivato”
“Beh, calcolando una media al minuto di un capo... per due
ore fa...” replicò subito lui
“Non ti ho detto di dirmi ora quanto fa.
Voglio saperlo tra due ore. E non calcolando. Voglio che tu le conti.
Materialmente” Lo zittì lei.
“Sarà fatto” sbuffò lui,
pensando che fosse un azione assolutamente inutile
Le due ore passarono in un baleno e quando riaprì gli occhi,
svegliata da uno scossone poco delicato, Azzurra avrebbe solo voluto
girarsi dall'altra parte e continuare a dormire. Il commento della voce
tanto odiosa, però, le fece cambiare idea all'istante
“E' pure pigra... Che ce ne facciamo di una
così?”
“Si può sapere cosa ti ho fatto?”
replicò lei alzandosi di scatto e cercando di
schiaffeggiargli la mano. Ma lui, a quella mossa, prese a punzecchiarla
e stuzzicarla agitandole la mano davanti al naso, facendola agitare
come un ossesso nel tentativo di riuscire a colpirlo “Sei
odioso!” ringhiò
“La cosa è reciproca, carina...”
replicò lui, lasciandola perdere e andando alla sua
postazione.
Azzurra si guardò attorno e si accorse che anche gli altri
si stavano tirando in piedi. Tutti, tranne 24 che dormiva come morto
“Alla fine è crollato” disse l'aliena,
soddisfatta, avvicinandosi. La coda guizzò e andò
solleticargli il naso. Quello sternutì e si tirò
su, infastidito, cercando il responsabile di un risveglio tanto
indelicato.
Vedendo le guance di Loki ingrossate da un sorriso canzonatorio, lui
mise il broncio “Brava, avevi ragione, ho dormito... che hai
da fare quella faccia strana?”
“Si chiama sorriso!”
“Compiaciuta per la bravata o per aver avuto
ragione?” domandò Birger trattenendo uno sbadiglio
Loki ci pensò su mentre, in comitiva, si avviavano alle
scale “Tutt'e due” rispose.
Si diressero all'esterno e, quindi, alla mensa. Si accodarono alle
poche persone già presenti che li guardavano confusi. Qua e
là, ad Azzurra sembrò di riconoscere qualche
volto presente il giorno prima in sala. No, si corresse, non il giorno
prima ma il ciclo prima. Quella nuova concezione dello scorrere del
tempo era destabilizzante e pensò che non si sarebbe mai
abituata. Afferrò del pane, cercando di andare sul sicuro
per la sua prima colazione. Stava per agguantare il latte quando la
consapevolezza dello scorrere del tempo la fermò. Aveva
sbocconcellato qualcosa all'inizio del turno precedente, quindi forse
quella era la cena. Abbassò lo sguardo sulle pietanze
fumanti e il suo stomaco borbottò di soddisfazione.
Effettivamente aveva una fame da lupi, nonostante si fosse appena
alzata. Optò, quindi, per quello che sembrava spezzatino e
se ne servì una generosa porzione. Dietro di lei, 24
osservava tutto con sguardo curioso, annusava l'aria come un cane e
deglutiva a vuoto.
“I due Akero vengano con me...” disse Alain
comparendo tra la folla “Non toccate nulla di quello che
c'è lì...”
24 e Loki si guardarono perplessi. Fissarono, poi, i rispettivi umani
che annuirono e fecero loro cenno di seguire il francese. “Ti
hanno dato la parola, Azzurra, per non gesticolare come una scimmia...
Sei fortunata che sappia cosa intendi quando fai
così...” disse asciutto l'alieno dandole le
spalle, la coda di cavi che oscillava tra le spalle.
“Ma che stronzo!” sbottò quella,
allibita dal comportamento del presunto amico
Birger, al suo fianco, ridacchiò e si avviò col
suo vassoio al tavolo dove Kemal aveva preso già posto.
Quello alzò lo sguardo sui piatti dei due e
commentò “Ottima scelta, Azzurra... non posso
certo dire lo stesso della tua...” aggiunse guardando con
sospetto il piatto del norvegese che si era riempito di salmone, uova e
verdure bollite e conservate sott'olio.
“Comunque...” disse il biondo, ignorando il
commento caustico del moro “Credo che loro abbiano seri
problemi a capire il linguaggio del corpo. Sono cresciuti davanti a dei
monitor e tutte le loro conoscenze sono state caricate, non vissute
direttamente.”
“Gli alieni, intendi?” domandò Kemal
sbocconcellando il suo pane e lanciando occhiate di fuoco a quelli che,
sedendosi intorno a loro, indicavano il tavolo senza alcuna vergogna
“Sono d'accordo. Azzurra per prima ha problemi a capire
metà delle sfumature che usiamo quaggiù. E non si
tratta solo della lingua...”
“Mi stai dando della scema?” domandò
quella irritata “Pensavo che quello carino nei miei confronti
fosse Han!”
“Mi hai chiamato?” domandò divertito
l'interessato arrivandole alle spalle e poggiandole il vassoio sulla
testa “Su su, schiena dritta... cos'è quella
postura da donna delle caverne?”
“Smettila!” ringhiò lei
“Su, sta buona un attimo... tienilo in equilibrio mentre mi
siedo, ok? Se lo fai cadere vai a riprendermi tutto...e ti avviso che
c'è la coda...” replicò lui mollandole
il peso senza preavviso.
Lei alzò automaticamente le braccia per fermare
l'oscillazione dell'oggetto. “Sei uno stronzo!”
disse fuori dai denti
“Grazie, lo so” replicò lui divertito.
Quindi si riprese il vassoio e, lanciando un'occhiata a Kemal,
stirò un sorriso di sfida. L'altro si limitò a
stringere il pugno attorno alla posata. Subito, arrivò anche
Alain, seguito dai due alieni a cui indicò il tavolo, prima
di allontanarsi nuovamente. I due Akero portavano con sé,
ciascuno, un bicchiere colmo di una strana sostanza marroncina.
“Cos'è quella roba?” domandò
Azzurra con faccia schifata
“E' una specie di frullato. Contiene tutti i nutrienti di cui
hanno bisogno. Essendo stati sempre alimentati per endovena non hanno
l'apparato digerente sviluppato in modo da poter assorbire il cibo
solido. Dobbiamo abituarli gradualmente.” rispose Han,
improvvisamente professionale.
“Non l'ho chiesto a te!” replicò la
bionda
“Ma sono io che ho calcolato cosa debbano ingurgitare.
Quindi, se ci tieni ai tuoi amichetti, carina, vedi di calare le
arie!”
Azzurra digrignò i denti “Ti meriteresti tanti di
quelle sberle che non hai nemmeno idea!”
“Oh, certo...provaci pure... ho visto la rapidità
dei tuoi riflessi” replicò quello senza badarla e
leccando la forchetta sporca di purea. Lo sguardo corse ancora a Kemal,
appena per un attimo e stirò un altro ghigno.
“Non ridere di me, dannazione!” sbottò,
invece, Azzurra picchiando il pugno sul tavolo.
“Cos'è, vuoi fare a pugni, ragazzina? Dai dai...
mangia le tue pappette e non sporcare troppo in giro. Ti aspetto dopo,
all'ingresso. Se avrai il coraggio di venire...”
ridacchiò, proponendole una sfida -diversamente
interpretabile- vecchia come il mondo di cui, probabilmente, in
superficie si era persa ogni traccia.
24 si spostò al fianco di Azzurra e, al posto si prendere
posto tra lei e l'hacker, le prese il polso e la costrinse a mettersi
in piedi “Mi dispiace per gli altri, ma questo ambiente non
fa per te...” disse poggiando il suo bicchiere sul vassoio
che prese, poi, con la mano libera, prima di trascinarla lontano dal
tavolo.
Gli occupanti del tavolo si volsero a seguire la loro fuga e quando li
videro sistemarsi nel tavolo più lontano dal loro, tornarono
a concentrarsi sui loro piatti “Credo di aver capito cosa
intendevi...” disse Birger a Kemal, apprestandosi ad
assaltare il suo cibo “Nessuno dei due capisce nulla... anche
se, certo, voi due siete spettacolari a sfidarvi solo con lo sguardo...
io vi ho capito a stento...”
“Bello mio...” commentò Michele
prendendo il posto appena liberato da Azzurra “E' una
caratteristica dei popoli commerciali, quella di esprimersi
gesticolando o in cui uno sguardo sbagliato vale come dichiarazione di
guerra. Sono studi affascinanti. Più era trafficato,
più era complesso il codice di comunicazione. E
più immediato. In Cina, mi diceva Xing Xing, c'era tutto un
linguaggio basato sui ventagli. Come lo tenevi, di che colore era...
cose così. Una cosa simile esisteva anche nella Venezia
cinquecentesca. Uhm... per non parlare dell'abbigliamento stesso.
Messaggi non verbali, ecco, come si chiamavano... cose che noi abbiamo
perso o a cui non diamo più molta importanza...”
“La biblioteca è piena di libri al
riguardo...” commento Han “Vieni pure, quando hai
voglia...”
“Tu non è che ne sai molto di scambi
commerciali” replicò tagliente Kemal al proprio
rivale.
“Sto imparando per essere alla tua altezza, caro il mio
sceicco” replicò l'altro con un ghigno
“Bene, si accettano scommesse!” commentò
Michele
“Non scommetterai su questa cosa!” lo
rimproverò Alain ricomparendo col suo vassoio “E
voi due piantatela di fare i galli nel pollaio o vi sbatto in qualche
altra comunità” Così dicendo, il
francese prese posto e dichiarò terminata ogni discussione
infantile circa i nuovi venuti o sulle abilità specifiche di
ciascuno.
- - - - - - - - - - - - - - - -
Ciao ragazzi!
Salve a tutti. Grazie per avermi aspettata in questi mesi.
Volevo chiedervi scusa per non aver più aggiornato ma
è capitata questa cosa chiamata "terza tesi" e pensavo di
riuscire ad avere cmq abbastanza testa per seguire l'originale...e
invece no... -_-
Ho continuato la pubblicazione delle ff perché avevo tanti
capitoli di scorta ma, soprattutto, perchè è
facile farla procedere. L'originale è il mio gioiellino di
cui dubito continuamente e, per questo motivo, voglio cercare di
curarla il più possibile...non pubblicarla allo sbaraglio.
Insomma...sull'originale mi sento sempre molto più carente
rispetto le ff (dare uno scopo e un passato ai personaggi e farli
interagire in modo pseudo-intelligente non è facile)
Ma eccomi di nuovo qui a crescere la mia creaturina (che nella mia
testa so già come procede ma alla cui
realizzazione i personaggi non han molta voglia di
collaborare).
Beh...niente...volevo solo ringraziarvi per essere ancora qui. :) a tra
un mesetto (o forse prima...vediamo come va)
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Capitolo 27 *** Open your eyes. Open your ears. ***
27. Open your eyes. Open your
ears.
Read a book. Listen to some music.
Finito ch'ebbero di pranzare, 24 ricondusse la recalcitrante Azzurra al
tavolo dove stava anche Loki. “Ma se sei stato tu a portarmi
via!” replicò lei esasperata
“Ma Hector mi aveva già comunicato che, dopo aver
pranzato, dovevamo ritrovarci per un ulteriore aggiornamento. Credo
riguardi le mansioni che siamo chiamati a svolgere per meritarci il
loro aiuto... o, quanto meno, il diritto di stare qui”
“Se non mi levano Han di torno, l'aiuto servirà a
qualcun altro!” ringhiò ancora lei
24 stirò un sorriso divertito “Allora
dì a me cosa fare. Tu non saresti capace di fare del male a
una mosca...”
“Non c'è soddisfazione se si delega a qualcun
altro” replicò incrociando le braccia al petto e
lasciandosi sospingere dall'angelo che la guidava con una mano poggiata
sulla schiena “Come fai a startene così
calmo?”
“Mi piace osservare la situazione, prima di intervenire...
non dimenticarti che sono stato... programmato...
in questo modo...”
Si unirono al gruppo, mettendosi alle spalle dell'altra coppia di
disertori, ben distanti dall'hacker, e attesero ulteriori istruzioni.
“Visto che Loki e 24 hanno capacità che esulano
dalla nostra comprensione, direi che è inutile cercare di
potenziarne la fisicità e i riflessi. Mi focalizzerei,
invece, sui lavori minuti e di precisione, oltre che potenziare la loro
concentrazione e la loro memoria: senza più un computer cui
stare perennemente interconnessi, ora dovete allenare il cervello in un
nuovo modo e controllare il pensiero delle persone dev'essere stato
più un lavoro di segreteria, immagino. Inoltre, dubito che
sappiate usare le vostre appendici con la stessa precisione chirurgica
con cui avete allenato il resto del corpo. La vostra responsabile
sarà Nives e vi dedicherete ad affinare la
mobilità più fine oltre che una necessaria e
minima empatia.” Finita l'analisi dei due alieni, Hector si
vocalizzò sul norvegese “Birger, tu sei abbastanza
equilibrato ma dovrai potenziare la muscolatura che, visti i tuoi
trascorsi, è un po' sottosviluppata. Partirai subito con le
basi della lotta e successivamente passerai, anche tu a lavori di
precisione. Pensavamo di mandarti in oreficeria dove passerai dall'una
all'altra e, nel frattempo, apprenderai anche una nobile arte. Verrai
con me e Alain.” disse Hector prima di volgersi verso la
ragazza “Azzurra. Di tutti, sei quella che più di
tutti ha bisogno di crescere in tutti i settori. Dovrai farti i
muscoli: anche se sei una donna, questo non giustifica l'essere
dipendente da altri per qualunque cosa. Imparerai a lottare e dovrai
integrare le lingue e, come loro...” disse, alludendo agli
Akero “... dovrai potenziare memoria e concentrazione.
L'unica cosa che non ti manca è la manualità fine
e l'empatia animale. Per tutti, invece, direi, una sessione di guida,
per consolidare l'attenzione e la multiprocessualità. E'
vero che siete cresciuti tutti sapendo fare più cose
contemporaneamente, ma la vecchia guida manuale è
più complicata di quanto possa sembrare e integra processi
mentali con azioni meccaniche: è un'attività che
coinvolge coordinazione motoria, attenzione costante,
capacità di saper leggere precisamente una serie di segnali
tra loro diversi e saper anticipare le mosse di tutti gli attori in
gioco. In un secondo tempo integreremo la guida tradizionale
all'esperienza già notavi come realtà aumentata,
ma che abbisogna di pratica anch'essa per non esserne distratti: per
iniziare non dovete avere troppi stimoli...”
Quindi batté le mani tra loro a decretare finita la
spiegazione al gruppo per poi avviarsi subito, con Alain, per la sua
strada. Birger si alzò impacciato mentre Azzurra sbigottiva.
“Hector, scusa...” disse alzandosi anche lei mentre
24 andava ad affiancare Loki “Io a chi sono
assegnata?”
Quello si voltò verso il tavolo mentre Kemal si alzava
nervoso.
Azzurra stirò un sorriso sollevato: non le era andata
affatto male.
Ma quando l'arabo non alzò lo sguardo su di lei e si volse a
darle le spalle quasi fosse arrabbiato con lei, il sorriso
svanì. Era un tale peso prendersi cura di una novizia come
lei? “E' Han” disse, invece, Hector, semplicemente.
Quindi, si avviò fuori dalla mensa lasciandola a bocca
aperta.
Han? Aveva capito bene?
Non Kemal ma Han, il suo vicino di tavolata?
Doveva avere una faccia sconvolta perché 24 continuava a
fissarla insistentemente mentre Loki se lo trascinava dietro.
“Cominciamo subito?” domandò sarcastico
l'hacker quando tutti se ne furono andati e la mensa si fu svuotata.
Azzurra abbassò lo sguardo sull'uomo che teneva
sfacciatamente il mento poggiato sul dorso della mano e le gambe
buttate di traverso sulla panca. Dovette ingoiare un insulto,
ricordandosi che, ora, tutto dipendeva da lui. Annuì
semplicemente “Dobbiamo lavare i piatti?”
domandò, invece, sarcastica.
Lui sembrò soppesare la domanda con serietà
“No, i turni sono già pieni. Andiamo in
biblioteca” disse alzandosi e, prevenendo la sua occhiata
scettica, aggiunse “Vedrai che trovo qualcosa da farti
fare...”
Si avviarono in silenzio, lei preparandosi a quella che prevedeva come
una serie di incontri snervanti, lui per niente interessato a colmare
il silenzio con qualunque tipo di chiacchiera. Quando arrivarono
all'imboccatura di una grotta, Han si infilò sicuro tra i
meandri tortuosi, senza aspettarla.
Cominciava la sfida: arrivare integra alla grotta. Ringraziava la
lungimiranza di Fatema che l'aveva dotata di scarponcini che la
facilitavano nell'impresa. Cercò di arrampicarsi con la
stessa disinvoltura mostrata dal suo tutore ma faticava ad aggredire il
terreno troppo morbido sotto i piedi. Inciampò
più volte finché franò a terra e,
sporca per sporca, decise di poggiarsi sui palmi delle mani.
Scoprì che riusciva ad arrampicarsi molto più
facilmente utilizzando tutto il corpo per sospingersi innanzi. E a ben
pensarci, Han si era arrampicato tenendo il busto piegato in avanti,
cosa che a lei costava uno sforzo impossibile da sostenere. Nonostante
tutto, non perse molto tempo, ma quando lo raggiunse, Han, seduto su
uno spuntone di roccia, le mani che giocavano con uno strano congegno
elettronico, alzò lo sguardo sorpreso “Ti eri
persa?”
Azzurra dovette mordersi la lingua per non rispondergli malamente. Si
guardò le mani sporche e graffiate, imprecando tra
sé. Non sapeva cosa si era aspettata, ma di certo non si
aspettava quel genere di trattamento. Lui non la badò oltre
e andò a posizionare il congegno nello spazio libero della
grotta. Tornò rapidamente da lei e protese un braccio,
affinché lei non avanzasse. Aspettarono un paio di minuti e,
là dove la roccia cedeva il passo al vano della grotta,
comparve una porta a doppio battente che aderiva perfettamente a quella
che fino a poco prima era l'apertura nella terra.
“Dopo di te” Han le fece segno di procedere
Ma lei incrociò le braccia “Sei tu il padrone di
casa...non so nemmeno se devo tirare o spingere...”
Lui montò il suo miglior sorriso beffardo “Questo
dimostra anche quanto poco spirito d'osservazione tu
abbia...” disse alzando gli occhi allo stipite della porta:
parte del soffitto del tunnel scendeva fino sotto lo specchio della
porta, rendendo impossibile l'apertura verso l'esterno. Quindi, per
accedere alla struttura, non restava altra scelta che spingere.
Una volta dentro, Han andò a colpo sicuro ad accendere il
generatore di corrente lasciandola sulla soglia. Quando
tornò, si diresse lungo il corridoio che si apriva davanti
alla porta, aspettandosi che lei lo seguisse. “Conosci il
sistema di catalogazione, vero?”
“Di cosa?” domandò lei in risposta.
Han si bloccò di colpo e lei quasi gli andò a
sbattere contro “Dei libri. Di cosa stiamo parlando? Siamo in
una biblioteca. Mai vista una?” Ma lo sguardo allarmato di
lei gli fece sbarrare gli occhi “Davvero? Sai almeno
cos'è un libro, dannazione?”
Azzurra decise che, a costo di ingoiare diversi rospi e tanta vergogna,
conveniva essere sincera sin da subito. Poteva millantare ma la
verità sarebbe presto venuta a galla e si sarebbe ficcata in
ulteriori casini da cui, tutti, si sarebbero aspettati che riuscisse a
cavarsela autonomamente. Inoltre, non osava pensare a cosa avrebbe
potuto chiederle se avesse provato a fare la spaccona. Quello
sbuffò e si ficcò una mano tra i capelli
“Tanto per sapere... So che studiavi... Su quali supporti, di
grazia?”
“Avevamo tutti il nostro tablet e su quello erano caricate
tutte le app che ci servivano. Consultavamo quelle.”
Lui piegò la bocca in una strana smorfia di disappunto.
“Se ti serviva altro? Evidenziare, fare un'orecchia alla
pagina, scrivere, scarabocchiare...”
“Avevamo tutto ciò che ci serviva e i segnalibri
erano applicazioni che tenevano memoria dell'ultimo punto letto o che
avevamo impostato come interessante”
“E' tutto ciò che volevano farvi credere vi
servisse...Va bene...” disse fermandosi alla prima traversa.
Prese un tomo e glielo aprì sotto il naso “Libro!
Alto, basso, davanti, dietro. Si apre sfogliandolo anche a caso. I
libri giapponesi si leggono al contrario. Non necessita corrente e non
ti brucia la retina!” disse riponendolo. “Per ora
mi basta se riuscirai a sistemare le scatole che ti
indicherò. Vieni... ne hai di lavoro...” disse
salendo le scale buie che si affacciavano subito in fondo al corridoio.
Alla terza rampa di scale, però, Azzurra si
fermò, perplessa “Tanta tecnologia e nemmeno un
ascensore?” domandò perplessa
“E' rotto.” rispose prontamente. Fu così
rapido che Azzurra sospettò le stesse mentendo. “E
non mi scocciare con questi atteggiamenti da femminuccia...”
replicò infilando la porta oltre la quale si estendeva una
fila interminabile di armadi metallici, ciascuno dotato di maniglione
circolare come quello che Azzurra aveva visto in vecchie casseforti
analogiche e poco sicure. “Scommetto che non conosci nemmeno
questo sistema di archiviazione...” disse appena lei si fu
affacciata. Andò a sbloccare il meccanismo alzando un'asta
sottostante la maniglia circolare mentre lei restava imbambolata a
osservare quelle file interminabili di raccolte del sapere montate su
meraviglie della tecnica. Vedere la versione analogica dei dati
virtuali che, nel mondo in superficie, poteva aver comodamente
compattate su un unico dispositivo, le dava le vertigini e le dava la
misura di quante cose, ancora e probabilmente, non conosceva
“Girando la maniglia fai scorrere le librerie sui binari e ti
crei lo spazio dove ti serve. Il peso è distribuito e non
farai fatica... Questo è il fermo: in alto sblocchi, in
basso fermi tutto.” disse indicando la leva “Mi
raccomando! Fa attenzione quando ti infili dentro che siano abbassate
da entrambe le parti. Sia mai che arriva qualcuno che non sa che sei
dentro e spinge tutte le scaffalature, travolgendoti e schiacciandoti:
è già successo.”
“Posso sempre gridare...” replicò lei
Lui si fermò interdetto, non aspettandosi una risposta
simile. La guardò come se fosse la creatura più
stupida sulla faccia della terra, quindi tirò un
sorriso.“Rimani qui!” disse girando il maniglione e
aprendosi un varco tra quegli armadi metallici. Bloccò il
meccanismo e avanzò fino in fondo. Poggiò la
schiena al muro, mise le mani a cono attorno alla bocca e disse
qualcosa che Azzurra non afferrò. A quel punto le fece cenno
di avanzare verso di lui “.....Posso anche insultarti, tanto
non senti nulla... avvisami quando senti quello che dico...”
“Ora ti sento!” disse lei a dieci metri di distanza
continuando ad avvicinarsi “D'accordo. Sei stato molto
esaustivo.”
“Vedo che cominciamo a capire. Fai pratica con il sistema,
che poi dovrai usarlo nei laboratori. Ma se combini qualche casino
lì, giuro che ti ammazzo! I libri è difficile che
cadano e se vengono collocati nel posto sbagliato li si può
ritrovare facendo un giro -perdendo tempo- ma in laboratorio, se perdi
campioni, infici anni di ricerca.” Disse serio puntandole il
dito contro. Quindi prese un volume a caso e gliene mostrò
la costina su cui campeggiava un rettangolo di carta con dei caratteri
scritti sopra. “Quasi ovunque troverai questa
classificazione, la Dewey. Non te ne fregherà nulla ma in
realtà il nome è Universale: a suo tempo ci sono
stati problemi perché con la sola Dewey, con cui alcuni
argomenti sembravano avere più importanza di altri. Fu
quindi aggiornata all'Universale. Ma quel nome non l'ha mai usato
nessuno. Lunga e laboriosa, è la più precisa. In
ogni stanza c'è un poster che riassume lo schema. Ma
credendo che per te fosse impossibile ricordare tutto, te ne ho
stampato una versione tascabile” disse estraendo dalla tasca
posteriore dei pantaloni un foglio piegato in quattro. Glielo porse e,
mentre lei lo studiava, continuò “La divisione
comincia con il numero dell'argomento. Da 1 a 9. Le altre cifre, allo
stesso modo, sono una sottoclassificazione che mira a restringere
gradualmente il campo d'interesse. Quindi, se ti interessa la filosofia
in generale vai alla prima categoria.”
Elencò rapidamente le nove categorie nonostante Azzurra
potesse leggerle da sé.
0. Informatica, editori, varie
1. Filosofia, Psicologia, Etica, Logica
2. Religione
3. Sociologia, Economia, Diritto, Educazione
4. Linguistica e Lingue
5. Scienze matematiche, chimiche, fisiche e naturali
6. Scienze applicate: medicina, ingegneria, agricoltura, edilizia
7. Urbanistica, Architettura, Arti grafiche, plastiche e decorative,
Musica
8. Letterature
9. Storia e Geografia
“Si procede di cento in cento. Ma se, per esempio, ti
interessa la psicologia, nata dalla filosofia (che occupa le posizioni
da 100 a 199), dovrai stringere la tua ricerca nella sezione da 150 a
159. Ma attenta. C'è distinzione tra 15, 105 e 150. Devi
ricordarti gli zeri al posto giusto altrimenti ti troveresti in
argomenti tipo...vediamo... bibliografia, metafisica e, appunto,
psicologia Generale. Ancora: ogni tre cifre si scende di categoria. Mi
segui? Il 156 e il 150.6 indicano due cose diverse anche se sempre
sottocategorie del 150... anche se ora non mi ricordo a cosa
corrispondano... numero sulla costina, numero dello scaffale...
Chiaro?”
“Abbastanza...”
“Ottimo. Poi. Lo vedi che ci sono anche delle lettere sotto
il codice numerico?” Lei annuì “Sono le
iniziali dell'autore. E ovviamente vanno in ordine alfabetico. Se la
stessa persona ha scritto diversi volumi sugli stessi argomenti...
niente, li metti vicini, cercando di andare in ordine alfabetico nel
titolo e chi se lo cerca guarderà in questa forbice per
vedere quale può interessargli di più. Non
possiamo fare altro” disse stringendosi nelle spalle e
rimettendo a posto il libro. “Il tuo compito, per ora,
è risistemare questi due scatoloni. Sarà facile,
visto che la maggior parte saranno libri di moda
illustrata...” disse levando gli occhi al cielo
“Donne benedette! Gli altri sono libri di narrativa. Per
qualunque cosa, mi trovi nella stanza in fondo e ricorda...”
disse con fare aggressivo “Meglio una domanda in
più che una in meno. Se sbagli poi è un casino
per tutti e non possiamo perdere tempo a ripassare tutte le
scaffalature. Fa bene al primo colpo, impiegandoci, magari,
più tempo, ma fallo come si deve. E chiedi! Non ti ho ancora
mangiata, se non sbaglio...” ghignò sadico,
lasciando quasi a intendere che dietro a ogni mancanza ci sarebbe stata
una punizione corporale. Si voltò e se ne andò
dicendo “Quando andremo negli archivi e nei laboratori,
ovviamente, la musica cambierà e anche il sistema di
classificazione. Vedi di goderti la pacchia adesso, finché
puoi. E va a lavarti le mani, prima! Là in fondo
c'è il bagno!”
Il lavoro che le era stato assegnato non era malvagio come pensava: era
relativamente semplice e, inoltre, scopriva cose di cui non sospettava
nemmeno l'esistenza. Non solo i libri che le passavano per le mani
avevano delle immagini da sogno con abiti tra l'importabile e il
meraviglioso ma, nel riporli, individuava altri titoli, altri
argomenti, altri ambiti del sapere. Si ripromise di passare
più tempo in biblioteca per vagare tra i volumi: le sue app
erano limitate e non le consentivano di spaziare da un argomento
all'altro come le stava succedendo in quel luogo così,
apparentemente, obsoleto: o conoscevi il nome o l'argomento, o era
molto difficile saltare di palo in frasca in quel modo: un libro vero
potevi sfogliarlo per valutarlo, un libro elettronico potevi solo
acquistarlo prima di consultarlo. I venditori più accorti
lasciavano un paio di pagine in anteprima ma, effettivamente, non era
la stessa cosa. Scoprì anche l'esistenza di una serie di
tomi, enciclopedie e dizionari, che contenevano al loro interno un
riassunto di tutte le parole e argomenti che potevano venire in mente e
che si rimandavano l'un l'altra: sfogliandoli poteva imbattersi in
qualunque cosa. Perse un sacco di tempo solo sfogliando quelle
meraviglie, domandandosi perché fossero stati rimossi dal
suo mondo: i vari servizi offerti dalla rete erano certamente pratici
ma non erano così esaustivi.
E dopo neanche mezzora di lavoro serio, il ragazzo dai capelli
argentini, Jordan, che già aveva incontrato in ospedale,
arrivò urlando e saltellando con le mani in tasca.
“Haaan!!!” gridò infilando la testa
nello scomparto che Azzurra aveva liberato. “Ah, sei tu,
scusa... Vedo che ti hanno messa a fare sollevamento pesi...”
ironizzò lui, amichevolmente
“Non è tanto pesante...” rispose lei,
risistemandosi il carico dei tre volumi sull'anca
“Da quanto lo stai facendo?” replicò lui
scettico
“Mezz'ora, credo...”
“Aspetta la fine del turno...” replicò
lui sorridendo “Sai dove s'è cacciato
Han?”
“Ha detto che se avevo problemi l'avrei trovato nella stanza
in fondo...”
“Che diavolo sta facendo che non mi ha sentito?”
borbottò allontanandosi. “Ci vediamo
più tardi!”
Passò un'oretta e Azzurra cominciava ad accusare i primi
segni di stanchezza. Non credeva che stare in piedi a riordinare libri
potesse essere tanto faticoso. Ma soprattutto aveva i muscoli della
schiena e delle braccia che urlavano di dolore.
Si fermò un attimo studiando la piccola pila di libri che
non era riuscita a collocare a causa di strani simboli matematici che
non erano inclusi nella lista che le aveva fornito Han. Decise che era
ora di andarlo a disturbare. E con così tanti casi tutti in
un colpo, si sarebbe presa la strigliata per la propria incompetenza
una volta sola per tutte.
Si caricò del peso dei volumi e si avviò verso la
stanza che le aveva indicato lui prima di sparire. Ma non c'era che un
altro corridoio oltre la porta che credeva li separasse.
Sbuffò risistemando ancora una volta il peso dei volumi
usando il ginocchio come supporto.
Si avviò verso il corridoio buio in fondo al quale una tenue
luce azzurrina filtrava sinistra dalla porta socchiusa. Quando vi fece
capolino, della musica la colpì con la sua allegria
dirompente e selvaggia. E ne capiva anche le parole: era una canzone
italiana1.
Ma a stupirla, più di tutto, furono i due che si dimenavano
come indemoniati. Restò a guardarli ipnotizzata mentre
ancheggiavano, saltellavano e giravano su se stessi con le mani per aria
“Si, potrebbe anche andare...” stava dicendo Han a
metà canzone
“Aspetta! E poi continuiamo così!” disse
ancora esaltato il ragazzino. Tirò su la maglietta con una
mano e cominciò a schiaffeggiarsi l'addome a ritmo.
Han rise divertito “Le donne si rifiuteranno!”.
“E chi se ne frega! Lo facciamo noi! Per loro inventiamo
qualcos'altro” replicò Jordan continuando a
ballare. “Oh...Ciao!” la salutò,
scorgendola appollaiata in ombra sulla soglia. Si fermò di
colpo e si poggiò, ansante, sulle
ginocchia.“Questo mi lascia intendere che mi son fermato
più del necessario... devo tornare al lavoro... E tu pensa
all'altra canzone! Azzurra...” ordinò all'hacker
prima di salutare la ragazza passandole accanto tutto sudato ma
sorridente “Ci vediamo più tardi alla sessione di
guida!”
Han spense subito la musica e, rimasti soli, tornò a
sbracarsi sulla sedia distrutta “Avevi bisogno?”
Lei si riscosse e gli andò vicino, poggiando i suoi libri
sul banco dove un vecchio computer con monitor a tubo catodico
sfarfallava isterico. Indicò i simboli sulla costina tra i
numeri “Ah...” borbottò lui
“Non te l'ho spiegato?” disse prendendole il foglio
dalle mani “No... bene.. comincio a perdere
pezzi...” sbuffò inarcandosi all'indietro per
aprire un cassetto. Rovistò un attimo e ne estrasse una
matita con la punta mezza consumata
“Basterà” disse, più a se
stesso che a chiunque altro. In un angolo vuoto del foglio
tracciò un riquadro e creò una nuova legenda
“Sono solo cinque e sono abbastanza intuitivi. Se ancora non
sai dove piazzarli, riportameli che poi ci penso io.” disse
scribacchiando in stampatello le istruzioni nel tentativo di risultare
ordinato.
+ Indica che l'argomento
riguarda due categorie: ad esempio Zoologia 59 e allevamento del
bestiame 636
/ Indica che l'argomento
interessa tutta la sezione e tutte le sottocategorie. Di solito lo
posiziono in testa, nella categoria principale
: Indica il collegamento tra
due argomenti. Ad esempio moda e fotografia o moda e architettura
[] Indica...
lascia
stare è troppo complicato per te
= Lo trovi quando non sai bene in che
categoria metterlo: un libro di zoologia in inglese puoi metterlo in
entrambi gli scaffali
“Cos'era quella musica?” domandò quando
lui le riconsegnò il foglio, prima di sgranare gli occhi
davanti a quella sfilza di nuove indicazioni.
Han la guardò con un sorriso canzonatorio “Non
avete nemmeno la musica, lassù?”
“Sì che ce l'abbiamo. Ma, da quello che so, i
brani consultabili non sono molti. E comunque non mi ero mai
interessata. Non c'è nulla come...questo...”
disse fissando il monitor con occhi che brillavano d'eccitazione.
“Mi prendi in giro?” domandò Han,
improvvisamente serio. Quando Azzurra scosse la testa “Il
lavoro che dovremo fare è ancora più grosso di
quello che pensavo. Quindi suppongo tu non abbia mai ballato”
“Beh, ovvio. E comunque se intendi dimenarsi come facevate tu
e Jordan...beh, proprio no.”
“Ho idea che non siamo nemmeno a livelli del ballo del
mattone. Non sai cosa ti perdi...” replicò
l'hacker tra il preoccupato e l'affranto
“Cos'è il ballo del mattone?”
domandò curiosa. Poi, pensando di essersi mostrata troppo
vulnerabile, si giustificò “Ho sempre pensato che
il ballo fosse una cosa ridicola, primitiva e inutile”
Anziché infuriarsi, Han scoppiò a ridere di
gusto. “Inutile!” riuscì a dire soltanto
piegandosi su se stesso per il troppo ridere. “Bene. Molla i
libri, ho cambiato idea. Inutile
dice lei...” disse girandosi e rimettendosi a smanettare sul
computer. “Dunque...vediamo cosa trovo... mmm...
ok!” disse scegliendo dalla prima cartella che aveva aperto
“Questa è una musica popolare conosciuta in tutto
il mondo. Non sapresti dire se è andina o cinese tanto il
ritmo sembra accordarsi con ogni tipo di musicalità, neanche
ce l'avessimo scritto nel DNA. Tra gli altri, anche un'italiana l'ha
riadattata per la vostra lingua. Se ti interessa, dopo ti spiego dove
trovare tutto. Quella che stiamo ascoltando è la versione
più famosa2...” Il volo di
calabrone di una chitarra leggera in sottofondo, mentre il pizzicare
che l'accompagnava, simile al gocciolio di perle che si infrangevano su
un cristallo, si propagava nel piccolo ambiente, cancellando la
realtà circostante. La voce cominciò a cantare,
spezzando la tensione “Dimmi cosa provi, cosa
vedi...” la invitò lui, notando la sua faccia
stravolta.
“Mi... mi viene da piangere...” balbettò
lei “E' così.. nostalgica, straziante...
è triste!”
Lui la guardò perplesso “Io avrei detto solo
rilassante. Quando l'ascolto mi sembra di essere steso in superficie,
in un giorno di primavera, col vento tra i capelli...”
replicò Han chiudendo gli occhi, abbandonandosi all'idea.
“Ok. Proviamo con qualcos'altro. Però non piangere
ogni volta...” ridacchiò “Dovrai
abituarti... qui usiamo la musica come sottofondo per ogni
attività... Ecco... questa, ad esempio.. è una di
quelle che usiamo quando siamo siamo nei campi e dobbiamo darci il
ritmo. Allora usiamo quelle che, tradizionalmente, si usavano per i
lavori ripetitivi3.”
“Posso dire che mi sembra triste anche questa?”
“Ti posso dar ragione sul testo...”
“Il ritmo... mi sembra quello di una sfida... mi immagino un
combattimento”
“Già meglio. Solo che la sfida era con il
caffè...Capirai quando ti toccherà macinare...
Bene...prossima!”
“A cosa serve tutto questo?” lo interruppe Azzurra.
“A renderti un po' più sensibile. Lassù
vi hanno anestetizzato i sensi e tolto ogni forma d'arte: niente
orecchio per la musica e per l'anima, rari contatti fisici. La merce,
poi, la comprate senza vederla né toccarla, quindi niente
tatto. I vostri occhi vedono da schifo, focalizzati una distanza
massima di mezzo metro. In aggiunta, vi hanno privato dell'arte visiva
e la personalizzazione su voi stessi come tela bianca è
ridotta al minimo... I gusti sono standardizzati, l'olfatto ammazzato
dai prodotti chimici..” Han scosse la testa e
lasciò perdere la discussione “Bene... cambiamo
totalmente genere.” disse premendo il tasto d'avvio. Subito
uno sferragliare di chitarre elettrico sostituì la fanfara
di ottoni e tamburi.
“Rumore!” disse subito lei
Han si imbronciò “Impegnati! È il mio
album preferito...4”
“Non mi viene nulla... mi sembra di essere in un'officina
dove vengono smontate le auto, in un modo così violento e
brutale che non riesco nemmeno a immginare ...”
“E' un inizio...” disse scivolando al brano
successivo “E di questo che mi dici?”
Ora la chitarra era lenta e languida. Capendo di essere ancora sul
genere della canzone precedente, Azzurra chiuse gli occhi e
provò a concentrarsi “Sembra un serpente marino
che striscia dalle acque del mare e raggiunge la battigia. E'
notte...” Subito una seconda chitarra raggiunse la prima e
lei continuò la sua descrizione “E le onde del
mare che si infrangono sugli scogli. C'è una tempesta che
spazza l'aria con la sua pioggia tagliente...”
“Molto bene...” si complimentò lui,
sinceramente colpito “Continua...”
Lei provò a concentrarsi ancora ma, prima ancora di arrivare
al ritornello, gettò la spugna “E basta...questa
non è musica: è solo rumore... come fa a
piacerti?” disse lei sul cantato che la disturbava.
Han si accigliò “Faccio finta di non aver
sentito.. e non ti ispira nulla... qualche... sensazione?”
domandò con un ghigno.
Let the beast run wild.
[Lascia
la bestia correre libera]
“Dovrebbe?” replicò lei perplessa non
cogliendo il suggerimento offertole dal testo mentre la canzone tornava
alla strofa.
“Vedi tu...” disse con un sorriso canzonatorio,
come se la cosa fosse ovvia. “Davvero...”
cominciò avvicinandosi con passo insolitamente sinuoso e
sicuro. O era lei che si era autosuggestionata?
“Nulla?” Lei arretrò istintivamente di
un passo e poi ancora un altro. Tanto lui avanzava, tanto lei
arretrava, finché non si trovò spalle al muro
“Ancora niente?” domandò divertito
leggendo il panico nei suoi occhi e avvicinandosi ancora senza
distogliere lo sguardo. Appoggiò le mani al muro dietro di
lei e non accennò a volersi fermare, quasi lei fosse
invisibile. “We're
not for the innocent” le cantò
all'orecchio facendola rabbrividire per una sensazione sconosciuta.
“Not for the
innocent” replicò a un soffio dalle
sue labbra. Per quanto ingenua e inesperta anche Azzurra aveva capito
dove stesse andando a parare e non sapeva come trarsi d'impaccio. Se
l'avesse cacciato, lui avrebbe riso di lei dicendo che si era
immaginata tutto. Se non l'avesse fatto, lui l'avrebbe accusata di
essere predatrice d'uomini. Tutto ciò che sapeva fare, in
definitiva, era restare bloccata dall'indecisione dell'azione. Non
potendo fare di meglio, serrò occhi e labbra e strinse i
pugni. Non gli avrebbe risposto, quello era poco ma sicuro. E sarebbe
stata la giusta risposta al suo comportamento cretino.
Sentiva il suo alito caldo sulla guancia e il suo odore,
così intenso (e... piacevole)
da coprire l'odore di carta e cuoio, era l'unica cosa che riuscisse a
respirare. Ma quando la canzone ripeté per la terza volta
quello che lui le aveva sibilato all'orecchio, Han si ritrasse di
scatto, perplesso, ripetendo ancora quelle poche parole. Dal tono,
sembrò quasi che la canzone gli avesse fatto scattare
qualche meccanismo nella testa e la soluzione fosse stata
così intuitiva da lasciarlo senza parole per non averci
pensato prima. Si volse verso il computer, dimentico della ragazza che,
invece, rossa in volto per la vergogna (lei sperava fosse solo
vergogna), agguantò veloce i suoi libri e infilò
la porta per allontanarsi immediatamente da lui.
1 La canzone che ascoltano non
è altro che L'ombelico
del mondo di Jovanotti, del 1995.
2 Parlo di Simon & Garfunkel e
della famosissima El
Condor Pasa (If I Could) del 1970.
L'originale, del 1913, è una zarzuela peruviana di Daniel
Alomìa Robles, basata su musiche tradizionali.
Per
la versione italiana rimando a Gigliola Cinquetti: il testo,
ovviamente, è completamente diverso, ma all'epoca era prassi
consolidata e tutti i nostri artisti oggi famosissimi operavano questo
tipo di adattamento per far conoscere al grande pubblico le musiche
d'oltreoceano. Oh, tanto per la cronaca, la cosa era reciproca, basta
vedere
la fortuna, all'estero della nostra Bella Ciao.
Cmq se cercate su Youtube, trovate anche la versione cinese e capirete
cosa intendo.
3 Moliendo
cafè di Hugo Blanco del 1958 è stata
riproposta da Mina nel 62.
4 Lick
it Up dei KISS. I brani citati sono i primi due, nella
sequenza di pubblicazione: Exciter
e Not for the innocent.
- - - - - - - - - - - - - - - -
SCHERZONE!
XD c'è anche Han in lizza... non l'avevate ancora capito,
vero? :D
Bene... adesso direi che è abbastanza chiaro. Se per vero
interesse, per infastidirla o per rivalità con Kemal, questo
lo vedremo più in là. Forse... :P
Per il resto, come avete visto, il gruppo si è 'sfsciato'.
Ma non c'è da aver paura...la comunità
è piccola e torneranno sempre lì.
Dunque, al mese prossimo ;)
|
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Capitolo 28 *** Run to the hills ***
28.
Run to the hills
Run for your life
Azzurra scappò in corridoio e si rintanò tra gli
scaffali colmi di libri, improvvisamente accoglienti e protettivi. Per
sua fortuna, Han non ebbe la brillante idea di seguirla ma, per qualche
strano motivo, la lasciò a rimuginare da sola. Si sentiva il
volto in fiamme e continuava a toccarsi le orecchie ogni due secondi,
quasi per accertarsi che fossero ancora al loro posto.
Non era abituata a essere trattata con tanta confidenza. Men che meno
dagli uomini.
Era passato quello che a lei erano sembrati pochi minuti ma che, a
conti fatti, doveva essere stata un'altra oretta di lavoro: si era
appena calmata quando lui la raggiunse silenziosamente alle spalle
facendola trasalire quando parlò.
“E' ora di andare” disse avviandosi veloce verso
l'uscita “Muoviti o ti chiudo dentro”
Azzurra sistemò rapidamente nello scatolone quasi vuoto i
libri che aveva in mano e si affrettò sulla sua scia.
“Quanta fretta... Pensavo ti piacesse questo
posto...” ghignò lui guardandola da sopra la
spalla quando lei lo raggiunse. Azzurra cercò di restare
impassibile anche se non capiva se la stava canzonando per il bacio
mancato o per il suo effettivo interesse per quel luogo colmo di cose
affascinanti.
“Ora dove andiamo?” domandò mentre
l'edificio tornava a chiudersi in un cubo grande come un pugno
“All'autodromo, ovviamente!” disse lui
agganciandosi lo strano solido al passante dei pantaloni
“Abbiamo un autodromo?” domandò lei
scettica ma affascinata
“Abbiamo di meglio...” disse uscendo all'aria
aperta e tenendosi su un percorso di terra battuta che correva lungo la
parete rocciosa.
“Senti...” disse lei dopo una manciata di minuti
che marciava alle sue spalle senza fiatare “Perché
hai accettato di seguirmi se per te sono tanto un fastidio? Non potevi
lasciarmi a qualcun altro? Che ne so... non mi sembrava che Kemal
avrebbe reagito allo stesso modo..”
“Aahh... Avresti preferito lo sceicco, vero?” disse
lui con una risata soffocata “Ma per risponderti,
è solo e semplicemente perché io sono uno dei
capi, qui. E so cosa è meglio che tu sappia. Kemal
è ancora un ragazzino...”
“Questo non gli ha impedito di venire spedito in
superficie...” lo difese lei
“Una volta che hai compiuto i ventun'anni e hai superato il
3-18, sei automaticamente tra gli adulti e puoi essere impiegato in
ogni modo che la comunità ritenga necessario.” la
informò con voce piatta “Noi abbiamo la
responsabilità di quelli che restano qui.”
“Più uguali degli uguali...”
sputò lei con acredine.
Han si fermò di colpo e si voltò, minaccioso
“Se non ti sta bene, tornatene su di sopra!”
tuonò “Qua cerchiamo di essere equi negli oneri
quanto negli onori e di salvarci il culo a vicenda. Non mi piace la
posizione di comando: si hanno solo responsabilità e il
malumore dell'incomprensione altrui. E, in ogni caso, me lo sono
guadagnato: sono tra quelli che sanno più cose, che usano di
più il cervello....mai sentito il detto sapere è potere?
Io e Hector siamo responsabili di tutti quelli che stanno
qui...” disse indicando l'intero paesaggio tutt'attorno
“Perché abbiamo le conoscenze per prendere o
suggerire decisioni in modo più consapevole degli altri. E
nonostante tutto non abbiamo alcun potere.”
ringhiò stringendo i pugni e tornando a seguire il sentiero
“Solo adesso che hanno la prova cominciano a prendere in
considerazione la mia
versione dei fatti...” sibilò con astio
“Eppure non posso farci nulla, vedi? Io so, ho cercato di
spiegarlo, ma non mi hanno creduto. Cosa dovevo fare? Costringerli? Mi
sarebbe tanto piaciuto. Ma non è corretto. Se crediamo
davvero nell'uguaglianza di tutti, non possiamo cestinare l'idea al
primo ostacolo e tornare a un regime. Salvo poi boicottarlo nuovamente
quand'anche questo si trovasse inadeguato nell'accontentare i nostri
capricci. Ogni decisione deve essere consapevole per ciascuno: non puoi
affidarti agli altri come un pesce lesso. E se un giorno dovessi
acquisire più informazioni e rivalutare le tue posizioni,
tanto meglio, non ci sarebbe nulla di cui vergognarsi. E nessuno ne
farebbe una colpa...”
Finito ch'ebbe di sfogarsi, si voltò e proseguì
lungo la sua strada come se niente fosse successo. Azzurra non aveva
capito minimamente le ragioni del suo repentino mutamento d'umore e
lasciò correre: camminarono per altri dieci minuti buoni e
lei non si azzardò più a rivolgergli la parola.
Ne aveva già abbastanza di lui e, al solo pensiero che che
avrebbe dovuto averci a che fare ogni santo giorno, ciclo o quello che
era, le veniva un travaso di bile. Non lo sopportava. E sembrava che la
cosa fosse reciproca. Almeno su una cosa, quindi, sembravano andare
d'accordo.
Quando raggiunsero una rimessa di medie dimensioni infrattata tra le
frasche trovarono un gruppetto di persone che rideva e scherzava tra
loro. Erano tutte facce note ad Azzurra e la cosa la
rincuorò. Probabilmente, pensò, era un modo per
far acclimatare i nuovi arrivati il più velocemente
possibile: facendo gruppo con i primi con cui erano venuti a
conoscenza, avrebbero poi esteso la loro rete, anziché
partire da zero e perdersi nei meandri di quella folta
comunità che seguiva uno schema matematico noto
già agli antichi.
A differenza sua, sembrava che Birger si fosse già
perfettamente integrato con la comunità di ribelli. Sembrava
quasi un loro pari. Azzurra notò anche 24 e Loki in un
angolo, da soli. Si staccò velocemente da Han, che tanto non
la badava, e si rifugiò nel rigido calore che potevano
offrirle le creature aliene.
“Tutto bene?” domandò 24 squadrandola da
capo a piedi “Hai la faccia rossa...Cos'è
successo?”
“Nulla, tutto ok, non ti preoccupare” disse
prendendo tra le dita la ciocca lunga dei suoi capelli asimmetrici
biondi.
Ma 24 non si fece distrarre da quel movimento. Assottigliò
gli occhi, nel tentativo di mettere a fuoco qualcosa che, senza i suoi
occhiali speciali, gli sfuggiva “Sono abituato a sapere tutto
quello che ti passa per il cervello” la informò
offeso “Se stiamo separati e se tu non mi dici cosa ti
succede, come posso...”
“Ma non è più compito tuo...”
lo interruppe Loki che stava imitando Azzurra, giochicchiando con le
proprie appendici elettroniche
Lui rimase interdetto. Aveva ragione lei: non solo non era
più il suo guardiano ma non era nemmeno più un
alieno il cui compito doveva essere quello di controllare gli umani
ribelli. Qual era, allora, lo scopo della sua esistenza?
“Cosa vi hanno fatto fare?” si informò
Azzurra, cambiando argomento e portando il discorso su fatti
più concreti e futili.
“Ci hanno portato nell'atelier”
rispose vago 24
“In sartoria...” precisò Loki, pronta a
lanciarsi in una dissertazione linguistica “Il termine Atelier
può indicare diversi tipi di laboratorio...”
“Io sono stata in biblioteca e ho dovuto sistemare un sacco
di libri, per lo più fotografici e di moda... Non
immaginereste nemmeno le cose strane e bellissime che
c'erano!” replicò lei gasandosi di colpo al
ricordo “Ma, concretamente? Cosa avete fatto? Io è
come se avessi fatto sollevamento pesi...”
“Ci hanno messi a ricamare...” rispose laconico
l'alieno alzando lo sguardo sul gruppo degli umani
“Ci hanno dato dei piccoli pezzi di stoffa, un ago e un filo.
Ci hanno mostrato cosa dovevamo fare. Sembrava facilissimo. Le loro
dita si muovevano veloci e sicure e creavano dei disegni fantastici.
Ma, nonostante la nostra capacità di archiviazione dati, non
ci è riuscito proprio bene. La nostra coordinazione
oculo-manuale è davvero pessima..”
“Dì pure che è venuta una
porcheria...” replicò 24, braccia conserte.
Azzurra notò che, più passava il tempo,
più il vocabolario e la postura del compagno andava
sciogliendosi e assumendo le classiche pose che vedeva spesso fare alla
controparte umana. La cosa la fece sorridere. Sembrava un bambino che
cerca di imitare gli adulti.
“E loro, invece? Cosa facevano?” domandò
ancora Azzurra
“Erano in dieci attorno a un pezzo di stoffa
trasparente...chiffon?” domandò a Loki
“Tulle!” precisò lei “Era un
velo da sposa. E tu non eri attento...” replicò la
compagna
“La cosa curiosa...” disse 24 abbassando appena il
tono della voce “E' che qua e là, tutte si
vantavano di aver intrecciato nel ricamo un loro capello... a me sembra
una cosa sciocca...”
“Avete chiesto il motivo?” domandò
Azzurra
“Pare sia una superstizione antica: la nubile che porta a
termine il compito sarà molto fortunata. Non è
chiaro se in amore o in altri settori. Una delle ragazze, ridendo, ha
detto che per lei era la quinta volta e che ancora non si vedeva
nessuno di decente all'orizzonte...”
“Ma se, praticamente, sono tutti maschi, qui...”
replicò Azzurra, pensando a quella strana usanza
“Basta girarsi per trovare qualcuno...oh....ciao...”
“Di cosa parlate?” chiese Kemal che era appena
arrivato.
“Delle vostre strane usanze.” rispose lei, contenta
di vedere una faccia amica.
“Come è andata in biblioteca? Tutto
bene?” domandò lui con un sorriso tirato. Era
nervoso? Imbarazzato? O era una domanda di cortesia? Perché
prima si era alzato malmostoso, senza guardarla e ora la cercava per
parlarle.. e in modo così rigido?
“Bene... è bellissimo... solo un po'
faticoso...” disse poggiando le mani sulle reni e
stiracchiandosi all'indietro
“Perché non mi hai detto che ti faceva
male?” saltò su 24 preoccupato
“Sapresti cosa fare?” lo canzonò Kemal
“Lo vuoi un massaggio?” le chiese cominciando a
rimboccarsi le maniche.
“No, grazie...” rispose lei imbarazzata, abbassando
subito le mani. Il comportamento di Kemal cominciava a preoccuparla.
Sembrava avere l'umore altalenante ed era convinta che non fosse
sintomo di niente di buono.
“Ma...” borbottò l'arabo perplesso
“L'altra volta...”
“L'altra volta era diverso.” replicò lei
sempre più imbarazzata. In un lampo si era immaginata la
scena e la cosa le sembrava ridicola e fuori luogo: perché
lui non capiva?
“Come vuoi..ma sarebbe meglio sciogliere subito i muscoli...
se aspetti troppo poi ti farà male per giorni...”
“Va bene così...” lo
ringraziò lei
“Allora... se siamo tutti pronti...” disse la voce
stentorea di Alain, al di là del gruppetto, richiamando
l'attenzione dei presenti “Direi che possiamo
cominciare...” qualcuno, alle sue spalle, aprì la
saracinesca a doppio battente non oliata che strideva con uno
sferragliare fastidioso sui binari mezzi arrugginiti.
“Azzurra...tu sai guidare, vero?”
domandò quando la ragazza si apprestò ad entrare
seguendo il flusso di persone che si riversavano all'interno.
“Certo!” rispose lei orgogliosa
“Come no..” la canzonò Han bloccando i
presenti, incuriositi da quella replica “Trasmissione
automatica o manuale?” domandò con fare
professionale e scettico al tempo stesso.
Lei strabuzzò un attimo gli occhi “Che?”
“Appunto! Dicevi Alain?” chiese lui incrociando le
braccia al petto con un sorriso sarcastico
“Scusa, Azzurra... come funzionano le auto, da te? Birger
è arrivato con una vecchia jeep ma... non pensavamo
potessero esserci differenze... Cioè... girate ancora con i
cassoni di quando noi abbiamo abbandonato la superficie. Gli alieni vi
lasciano con ferrivecchi...?”
Fu 24 a rispondere per lei “Hanno sviluppato un sistema di
trasporto praticamente privo di inquinamento. Le auto sono intelligenti
e servo assistite nella maggior parte delle operazioni. Si sale a bordo
dell'auto, accesa a distanza, si aggancia la cintura di sicurezza
automatica e si comanda la destinazione. L'utente può
inserire il pilota manuale solo in autostrada o su terreni non
tracciati a suo rischio e pericolo...”
“Peggio di quanto pensassi...” borbottò
Han, zittendo l'elencazione dell'Akero.
“Cioè... fammi capire... sai come funziona almeno
il volante? Ho capito che per i pedali dovremo aspettare...”
domandò Alain
“So inserire il manuale in autostrada per
sorpassare!” rispose lei con orgoglio, in quanto era
caldamente sconsigliato avere simili alzate d'ingegno e prove di
autonomia a fronte del pericolo di non riuscire a controllare il mezzo.
Ma le sue parole suscitarono solo risatine imbarazzate.
“Che vuol dire che sai pigiare solo l'acceleratore e andare
dritta. E' già qualcosa. Ma niente manovre da parcheggio,
quindi...Han...” Alain si rivolse all'amico con un sospiro
“Credo dovrai cambiare la tua tabella di marcia”
“Ah, me n'ero già accorto... mi domando solo come
facciano a vivere ai piani alti”
“Ormai per oggi è andata. Azzurra, tu siederai
accanto ad Han così avrai un'idea di quello che ti
aspetta... e fai attenzione!” Le raccomandò il
francese “Guardare e osservare attentamente è la
prima e fondamentale cosa da fare per imparare”
“Non posso sedermi accanto a Birger? Anche lui sa
guidare...” protestò quella, esasperata
“Il tuo istruttore è Han.”
tagliò corto Alain.
“Rassegnati... una volta che Hector decide non si
può più tornare indietro”
ghignò l'interessato poggiandosi di peso sulla sua spalla
“Ricorda: ciò che non uccide, fortifica. E non
voglio certo sporcarmi i vestiti...” disse avviandosi
all'interno e lasciandola indietro. Lei, per tutta risposta, non vista,
gli fece la linguaccia. Si armò di pazienza e
avanzò, scortata dai due alieni, all'interno della rimessa
dove erano stipate su due piani, in spazi sovrastanti alti quel tanto
che bastava per far salire le persone a bordo, più di un
centinaio di automobili di ogni tipo e colore. Le sembravano tutte
spigolose e fatiscenti, nulla a che vedere con le piccole, graziose ed
eleganti auto impilabili ed elettriche a cui era abituata. Vide Birger
e Loki scomparire a bordo di un mostro gigantesco, alto quasi il doppio
delle altre vetture, tutto sporco di fango e con una maschera metallica
sul muso che sembrava un bavaglio per una bestia di disumana violenza.
24 scomparve al seguito di Alain e lei rimase a osservare quell'ammasso
di lamiere e pneumatici.
“Ti muovi??” urlò Han in fondo alla
sala. Lei non poté fare altro che raccogliere la propria
pazienza e avanzare, cercando quell'uomo fastidioso tra la folla di
mezzi e persone
“Spider gialla...” disse Jordan affacciandosi da
una cosa che Azzurra non sapeva se poteva essere catalogata tra le auto
tanto era piccola e compatta. Ci stavano a mala pena due persone e gli
interni erano così spogli che pensò che non ci
fosse stato il tempo per ultimarla. “In bocca al
lupo.” disse strizzandole l'occhio “Ricordo bene
come son state le prime lezioni di guida con lui. Non preoccuparti...in
una decina di incontri dovresti essere a posto. E non temere le urla...
can che abbaia non morde”
Azzurra sbiancò al pensiero di dover sorbirsi
così tanti incontri conditi anche di sfuriate isteriche
“Cosa può esserci di così
difficile?”
Ma il ragazzo rise divertito “Vai, prima che si incazzi
definitivamente e decida di venirmi addosso...”
Lei lo guardò scettica prima di dileguarsi, domandandosi
dove potessero mai andare tutti quei mezzi stipati com'erano in quel
buco. Individuò facilmente l'auto gialla. Diversamente dagli
alti veicoli era priva del tetto. Ora che era vicina al veicolo, notava
che le ruote non poggiavano a terra ma erano lasciate libere di pendere
nel vuoto. Tutte le auto, notò osservando meglio
tutt'attorno, erano sospese da uno speciale ponte di metallo.
“Salta dentro!” le disse lui senza badarla,
continuando a rovistare tra strani dischi della larghezza di una
spanna. “Anzi no... non voglio trovarmi i tuoi denti sulla
carrozzeria...”
“Non ci pensavo neanche a saltare...”
replicò lei tirando la portiera verso di sé. Ma
quella rimase ostinatamente al suo posto “C'è la
sicura?” domandò guardando irritata il suo
istruttore
“No...” disse solo, concentrato a sfogliare il suo
catalogo “E' una portiera a serramanico, non vedi? Si apre
verso l'alto... non devi tirare verso di te, devi farla ruotare in
avanti...”
“A serramanico, certo...” replicò lei
non avendo la più pallida idea di cosa fosse.
“Non sai nemmeno che ci sono diversi tipi di
portiera?”
“Quante per la precisione?” domandò
riuscendo a sistemarsi sul suo sedile morbido e avvolgente e a non
sembrare già sconfitta prima ancora di cominciare le lezioni.
“C'è la controvento, la cui cerniera è
messa sul montante centrale” disse indicando il vecchio
macinino in cui si era infilato Jordan “La
scorrevole” e indicò la monovolume con cui 24
stava prendendo confidenza “Quella ad ala di gabbiano, che si
aprono verso l'esterno” disse indicando un'auto aperta e
posta su un piedi stallo, lontano da tutti “E poi
c'è quella a farfalla che è simile a questa solo
che la portiera scorre sul parabrezza, coprendolo...Ah! E...guarda
Hector... Quella è l'apertura a carlinga.”
Il francese arrivò tenendo sottobraccio uno strano casco e
fece scattare l'apertura. Azzurra rimase allibita vedendo come il
cofano e il parabrezza si sollevassero e ruotassero di novanta gradi
per dare modo all'uomo di accomodarsi all'interno.
“Ora infilati il casco...” le ordinò
l'uomo.
Azzurra ubbidì. Inizialmente non vide nulla e stava
già per replicare quando qualcosa comparve sul vetro scuro
che le stava davanti agli occhi. Sembrava essere una sorta di test di
trasmissione. Quindi, l'oscurità si dipanò e si
rivide seduta a bordo della stessa auto ma in uno spazio aperto. Come
avevano fatto a uscire in così breve tempo? Soprattutto.
Dov'erano finite le altre auto? Perché erano soli?
“E' un vecchio trucco da realtà virtuale,
opportunamente migliorato. E' tremendamente realistico” la
informò Han “E non temere. Gli altri sono qua
accanto. Noi non ci siamo mossi.” disse girando la chiave e
ingranando la marcia. L'auto ruggì sotto di loro e
sobbalzò avviandosi sul terreno sterrato per raggiungere la
strada asfaltata. “E' rilassante farsi un giro, ogni tanto. E
mi aiuta a pensare...”
“Perché tu pensi, ora...”
replicò la voce di Frederick giungendo dalle cuffie.
Azzurra si voltò, convinta di riuscire a vedere la vettura
del tedesco ma l'asfalto scivolava sotto di loro come un fiume che si
tuffa in una cascata.
Vide Han arricciare il naso “Dove ti sei nascosto?”
domandò perplesso
“Lo scoprirai presto...” ghignò l'altro
di rimando.
Erano partiti in mezzo a un bosco di betulle e si stavano avvicinando a
un centro abitato lungo una strada sinuosa e pulita. Erano in montagna
e le case erano basse e coi tetti spioventi per permettere alla neve di
scivolare a terra rapidamente. “Il percorso lo scegli tu o
è il computer?” domandò Azzurra
affascinata dal grado di realtà offerto da quel simulatore
“Il computer ridisegna solo l'ambiente al di là
del vetro. Ma dove vado lo decido io. E devo fare attenzione.
Perché se faccio manovre inconsulte rischio di danneggiare
l'auto.”
“Ma se siamo sospesi...” replicò lei
“Certo, i cerchioni non si deformano. Ma se vado in testa
coda devo pregare di essere il solo o mi sfascerò sui
veicoli che sono parcheggiati attorno a me per quanto ci sia dello
spazio di sicurezza tutt'attorno. Le molle su cui è sospesa
la macchina, che danno questo piacevole senso di
realtà...” disse saltando su una cunetta
“Fanno anche ruotare o inclinare l'auto per dare al tuo corpo
la sensazione di essere davvero...qui”
disse mentre sfrecciavano nel centro “Hector?”
chiamò all'interfono “Niente pedoni, niente
casualità...niente di niente?” si
informò confuso.
“E' un giro di prova per i novellini...”
replicò l'altro
“Ma voi dove siete?”
“Siamo quasi tutti andati verso il lago... non mi dirai che
tu stai puntando i tornanti?”
“Certo!”
“Allora ci rivedremo più tardi...”
rispose l'altro chiudendo la comunicazione
Rimasti nuovamente soli, Han proseguì con la sua spiegazione
“Diciamo che è un gigantesco gioco di ruolo
multiplayer. Non dirmi che non sai nemmeno cosa sono i video giochi, ti
prego...” nella sua voce c'era una nota supplichevole. Era un
caso così disperato?
“Certo che so cosa sono. Anche se non so cos'è il
multiplayer.” replicò lei piccata
“Bene... ricordami che dobbiamo fare un giro anche in sala
giochi.”
“Ehi, Han!” lo canzonò la voce di
Frederick, all'improvviso “E gli autoscontri, no?”
disse prima che nella loro visuale comparisse un auto blu con strisce
bianche che correvano dal muso alla coda, passando per il tetto. Han
inchiodò letteralmente mentre l'auto tagliava loro la strada
e si dileguava a gran velocità. Azzurra sentì il
fiato mozzato dalle cinture di sicurezza, il corpo spostato in avanti,
le gomme che stridevano. Gomme che non poggiavano a terra. Possibile
che ci fosse un sensore acustico collegato al pedale del freno?
“Fanculo, stronzo di un crucco su auto americana!”
ringhiò Han dando nuovamente gas. “Ti vengo
addosso la prossima volta che corriamo sul serio!”
“Devi mangiare la polvere Han, voi americani non sapete
guidare!” ridacchiò, chiudendo la comunicazione
con un bip acustico.
Han fece lo stesso, in modo da rimanere isolato con Azzurra all'interno
del veicolo “Te lo faccio vedere io chi non sa
guidare.” Ringhiò ingranando la marcia, la mano
artigliata sul cambio. Da sotto il sedile, estrasse il catalogo di
dischi che stava sfogliando prima che Azzurra salisse a bordo. Se lo
poggiò sulle ginocchia e, senza guardare, girò un
paio di pagine e ne estrasse, sicuro, un disco che infilò in
una fessura orizzontale della macchina. Chiuse di scatto la custodia e
la passò al suo passeggero “Fa' attenzione, due
lezioni in una...” disse mentre i tamburi e le chitarre
cominciavano a scandire il tempo con aggressività
“Questo ti spiegherà anche a cosa può
servire la musica...”
Ora, la velocità che sembrava aver acquisito la macchina
(Azzurra dovette sforzarsi di ricordare che era fittizia) la
schiacciava contro il sedile, dandole le vertigini tanto il cuore le
galoppava in petto. Ma non si trattava di paura. Non ancora o non solo.
Nel giro di pochi secondi, Han riguadagnò la strada persa e
quasi si appoggiò col muso alla coda dell'auto che lo
precedeva. Riaprì la comunicazione “Vuoi una
spinta?” disse pigiando appena l'acceleratore. L'altro
veicolo accelerò a sua volta, ponendo un paio di metri di
distanza tra loro finché, subito dopo una curva, imboccarono
un tunnel scavato nella montagna. Una parete di quel lungo budello di
calcestruzzo armato era traforato da colonne che lasciavano intravedere
la foresta sotto di loro. Han cercò di accostarsi all'auto
blu e bianca nel tentativo di superarla ma l'altra zigzagava in modo da
costringerlo nella sua scia. L'auto blu scodò un paio di
volte nelle curve successive, ma Han conosceva la strada ed
evitò gli errori del tedesco. “Tienti
forte...” disse a un certo punto, prima di svoltare
bruscamente in una laterale nascosta dagli edifici. Mancò
poco che salisse sul marciapiede ma controsterzò
immediatamente e si rimise in carreggiata
“Così lo perdiamo!” protestò
Azzurra, ormai calata completamente in quella sfida
“Non ti preoccupare... conosco questi tracciati come le mie
tasche. L'ho progettato io questo giochino...” disse pieno di
orgoglio, forse convinto di impressionarla.
Lei tacque, effettivamente colpita, ma non disse nulla. Non gli avrebbe
dato quella soddisfazione. Procedevano più lenti, ora,
infilandosi in strade secondarie che curvavano dopo poche centinaia di
metri. Azzurra era ormai convinta che non avrebbero più
rivisto Frederick quando Han le ripeté di tenersi
saldamente. Lo vide impugnare l'asta che stava tra i due sedili e
tirarla. Subito si sentì schiacciata da una forza invisibile
contro lo sportello e non ebbe fiato, forza e prontezza per cacciare un
urlo di terrore. Si sarebbero cappottati, lo sapeva, ne era
più che sicura. Sarebbe morta intrappolata in uno stupido
gioco di realtà virtuale. Invece, l'auto si fermò
e il motore rallentò i suoi giri: erano messi di traverso
lungo la strada che sbucava da un'altra galleria buia. E l'auto di Fred
emerse da quel buio abbagliandoli con i suoi fari. La vide inchiodare
e, all'ultimo, scartare di lato, sullo sterrato, per evitare il muso
della loro auto.
“Dannazione... me l'ha fatta!” replicò
Han irritato rimettendosi all'inseguimento “C'è
nessun altro sul versante nord?” chiese aprendo le
comunicazioni.
“Ci siamo noi...” disse la voce di Birger
“Credo di essermi perso...”
“Puoi darmi le tue coordinate? Le trovi nel visore in alto a
destra.”
Solo allora Azzurra notò che, ovunque girasse lo sguardo,
effettivamente, c'erano dei numerini più chiari in
sovrimpressione e un piccolo reticolo che probabilmente era una mappa
“Benissimo!” sentì dire ad Han
“Alla prossima gira a destra e piazzati al centro della
strada...” ordinò dando ancora gas alla sua
macchina.
Erano nuovamente in coda alla vettura blu. Lo videro inchiodare e
andare in testa coda, intrappolato, in fondo alla strada, da un
bestione nero, il muso minaccioso protetto da un rostro aggressivo.
L'auto ruotò di centottanta gradi e la videro puntare
nuovamente contro di loro per poi fermarsi, come sorpresa di averli
ancora alle calcagna.
“Credi di spaventarmi?” domandò il
tedesco
“Io non mi scanserò!” disse Han in
risposta.
“Vedremo!” e dettò ciò,
Azzurra vide i fari dell'auto blu impennarsi lievemente.
Subito si sentì schiacciare nuovamente dal peso
dell'accelerazione e capì di cosa parlavano “Non
vorrai andargli contro?”
“Di che ti preoccupi? È solo un
simulatore...” replicò lui divertito e stranamente
euforico
“Ma tu hai detto...” protestò lei
“Silenzio!” disse incrementando ancora la marcia.
Le due auto si avvicinavano rapidamente, muso contro muso, al centro
della carreggiata, impedendo a ciascuno di svicolare di lato all'ultimo
momento.
Chiuse gli occhi, preparandosi a impattare.
Ma l'auto, all'ultimo scartò a destra e piroettò
su se stessa. Non aveva sentito alcun colpo. Ma era un simulatore,
quindi....
Aprì gli occhi e vide che anche l'altra auto, specularmente,
stava volteggiando su se stessa: si erano evitati a vicenda nello
stesso momento.
“Ma sei completamente matto?” gli urlò
nelle orecchie quando la macchina si fu fermata e il motore, fumante,
spento.
“Hector, noi usciamo!” disse Han, senza badarla,
disattivando i caschi.
All'improvviso, laddove si stagliavano montagne innevate e abeti
massicci illuminati da un tenue sole invernale, si trovò a
fissare il buio della rimessa. I suoi occhi ci misero un po' ad
abituarsi al buio dopo l'esposizione a tutto quel candore. Quando
riuscì a mettere nuovamente a fuoco l'ambiente circostante,
Han era già sceso dal veicolo e aveva aperto il cofano,
trafficando all'interno e imprecando sommessamente.
“Cos'è successo?” domandò lei
scendendo con cautela dal mezzo e andando a sbirciare quello che faceva
il suo istruttore, immerso in una nuvola di vapore bollente proveniente
dal vano motore.
“Ho fatto una cazzata...” disse levandosi la maglia
e per fasciarci la mano e proteggerla dal calore. Svitò un
tappo e si allontanò immediatamente, prima di venire
investito da un getto concentrato. “Cosa che tu non devi
fare!”
“Sei riuscito a surriscaldare il motore?” disse la
voce divertita di Frederick arrivando a controllare perché
il suo sfidante si fosse scollegato così all'improvviso
“E' grave?” domandò lei che non capiva
se il problema fosse serio o meno
“Andranno controllate un paio di cose, ma in teoria no. E'
solo stata ferma a lungo e Han si è fatto prendere la mano
dalla sfida. E non ha tenuto sott'occhio i valori...”
spiegò Frederick.
“E va beh...” sbuffò “Qualche
stronzata posso farla anch'io, ogni tanto, no?”
replicò l'hacker battendogli una mano sulla spalla. I due
scoppiarono a ridere come se l'hacker avesse appena fatto la battuta
più divertente del mondo. E dopo quella sfida all'ultimo
respiro, quell'inseguimento quasi mortale... i due ridevano di gusto,
più amici di prima.
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Ragazzi, vi chiedo scusa per il ritardo ma da che non vado
più in Università ho perso il conto dei giorni.
Mi accorgo sempre troppo tardi di aver sforato le scadenze. Vi chiedo
scusa.
Dunque, eccoci calati ancora una volta nella realtà dei
ribelli. Prima di tornare all'azione ci saranno un paio di capitoli di
acclimatamento, tanto per far capire quanto i novellini siano
impreparati. Presto, comunque, raggiungeranno gli altri ribelli e,
ahivoi, si avvicina anche questa fatidica 3-18. Cosa sarà
mai? È un nome quanto mai stupido ma...non ho trovato di
meglio.
A presto, dunque. E non temete... i ribelli non rimarranno inattivi a
lungo.
PS: il titolo è omaggio alla famosa canzone degli Iron
Maiden. Se vi piace, pensatela pure come colonna sonora della corsa
(anche se io avevo pensato ai Nickelback, Burn it to the ground)
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Capitolo 29 *** You drive ***
28.
You drive
Me mad
Finita la sessione di guida, Azzurra venne trascinata da Han in una
grotta adiacente, mentre il resto del gruppo si disperdeva per
rientrare negli alloggi per la pausa di riposo. Nel nuovo ambiente era
buio pesto e la ragazza fu costretta a dare la mano a quell'uomo odioso
che la condusse per i cunicoli, impedendole di rovinare a terra. Con la
mano libera tastava lo spazio attorno a sé, talvolta
sfiorando delle superfici rocciose ruvide e umidicce.
Quando, finalmente, si fermarono e Han la lasciò andare, si
sentì persa e abbandonata. Per un attimo la sua mente
pensò che volesse sbarazzarsi di lei, anche se, come
pensiero, non aveva poi molto senso. Una luce soffusa si
diramò da un angolo lontano e cominciò a
fluttuare in alto, verso il soffitto da cui pioveva una foresta di
stalattiti di cui non aveva nemmeno immaginato l'esistenza.
“Sbrigati!” disse la voce ruvida di quell'uomo
impossibile, comparendo nella penombra della grotta “Si
spegnerà subito...”
Lei camminò a passo svelto verso di lui, facendo bene
attenzione, però, a dove poggiava i piedi. Quando raggiunse
il piccolo spiazzo da cui gli era giunta la sua voce si accorse che, in
realtà, non distavano poi molto dall'imboccatura della
grotta da cui erano entrati. Abbassò lo sguardo e lo vide
buttato su un letto improvvisato, una coperta buttata addosso, un
braccio sotto la testa e l'altro appoggiato sulla pancia. “Io
dove mi metto?” domandò perplessa. Han
alzò lo sguardo annoiato e vacuo e le indicò
stancamente la nicchia appena sopra la sua spalla. “Non ho il
pigiama...” cercò di protestare lei,
arrampicandosi nel suo scarno giaciglio
“Dormi vestita...pensa che sia la siesta e non mi
scocciare...”
Lei sbuffò sedendosi sul materasso tutto sommato morbido e
avvolgente “Però non ho sonno...”
replicò quando la luce cominciava a scemare
“Sapevo che l'avresti detto!” replicò
lui. Lo vide frugarsi nelle tasche e allungare il braccio verso l'alto.
Sbatté la mano con poca grazia sullo spigolo del lungo
gradino dove lei stava appollaiata e le rifilò uno strano
rettangolo nero, che occupava tutto il palmo, a cui era attaccato un
cordino di gomma rattoppato in diversi punti con del nastro isolante
che, alla fine, si biforcava di due appendici grandi come bottoni.
“Che cos'è?” domandò lei
osservando lo strano oggetto: la scritta sbiadita, una specie di
molletta sul retro, una serie di quattro pulsanti di cui uno
più grande degli altri, la finestrella da cui si intravedeva
una ruota dentata.
“E' un Walkman, un residuato bellico. Tienilo da
conto.” disse tirandosi a sedere per spiegarle come
funzionava “Questi...” disse indicando i bottoni
che si fondevano coi fili “..li infili dentro
l'orecchio...”
“Dentro?” replicò lei scettica
Han roteò gli occhi esasperato. Prese il cavo in mano, si
alzò e le si avvicinò. Studiò con
attenzione ogni sua reazione mentre cercava di infilarle le auricolari
senza spaventarla o farle male. “Io dormivo sempre col le
cuffie addosso. Di un lettore mp3. Ma non cambia poi molto.
Anzi...forse è meglio...”
“Cos'è un lettore mp3?”
“Te lo spiego un'altra volta...” replicò
lui prendendo il mattone nero e porgendoglielo “Se premi
questo, fai partire il meccanismo. Questi due servono a mandare
indietro o a mandare avanti. Nel caso ti piaccia o meno. Questo ferma
tutto. Nel caso volessi spegnere nel dormiveglia”
“Ferma tutto,
cosa?” domandò ancora, sentendosi asfissiante nel
continuare a porre domande
Lui la guardò divertito ma non rispose “Se non ti
viene sonno, avrai compagnia, almeno... ho scelto la cosa
più tranquilla che potessi trovare... secondo i miei gusti,
che non ti agitasse e che magari potesse aiutarti a dormire. Prima
prendi i nostri ritmi, meglio è. Ah...” disse
indicandole una rotella a lato dell'apparecchio “Questo
è il volume. Troppo alto o troppo basso. C'è
l'autoreverse, così, quando finisce la cassetta, ricomincia
da zero senza che tu debba far nulla e alla fine diventa un surrogato
della ninnananna” Azzurra continuava a fissarlo con sguardo
smarrito mentre lui si allontanava. “Ora buttati
giù....o devo raccontarti anche la fiaba della
buonanotte?”
“Che?” replicò lei sistemandosi meglio
gli auricolari e cercando di accoccolarsi. Ma lui non le rispose. Il
leggero bagliore si era ormai spento del tutto e ad Azzurra non
restò altro da fare che far partire quello strano
marchingegno.
Musica. Era una piccola trappola che conteneva la musica... ingegnoso...
E la musica che aveva scelto per lei era... ipnotica.
Non sapeva nemmeno dire se si trattava di una chitarra pizzicata, di un
pianoforte o di una leggera pioggerellina primaverile.
Nell'oscurità, restò ad ascoltarla rapita,
immaginandosi la natura verdeggiante fuori della grotta e i suoi
invisibili abitanti animali. Immaginò di essere piccolissima
e di incontrare altre persone come lei, rimpicciolite e vestite di
fiori e bacche che, a quel punto, le coprivano totalmente. E la loro
casa non era una grotta nascosta alla luce, ma un maestoso castello
medievale.
Senza rendersene conto, scivolò rapidamente nell'incoscienza.
Dopo le consuete ore di riposo, Han si svegliò prima ancora
che la sveglia cominciasse a pigolare. Rotolò sul posto fino
ad arrivare a poggiare i piedi per terra. Si tirò su
inarcando la schiena per svegliarsi del tutto. Dopo pochi istanti si
ricordò dove, perché e con chi fosse. Si
voltò, cercando di individuarla in quella fitta
oscurità. Prima che gli occhi riuscissero a focalizzarla,
percepì il suo respiro lento e pesante che, a intervalli
regolari, copriva il tappeto musicale che continuava a dipanarsi
leggero dagli auricolari. Stringeva il walkman tra le mani come un
tesoro prezioso. Gli scappò un sorriso, colpito da quella
tenerezza. Peccato che non la sopportasse. Non che le avesse fatto
nulla di male. A parte urtare la sua pazienza con quell'assurdo taglio
di capelli: un giorno l'avrebbe rapata a zero nel sonno. Sarebbe stato
uno scherzo carino. E lui si sarebbe fatto odiare da tutti. Un altro
sorriso gli increspò le labbra all'assurdità del
pensiero: sarebbe stata una fortuna. Tutti lo ammiravano per il suo
carisma e la sua indifferenza. Nessuno provava seriamente a mettere in
discussione la sua figura. Solo Kemal aveva cominciato ad alzare la
cresta. E solo negli ultimi cicli. Chissà
perché... sogghignò fissando la sua ospite. Il
ragazzino doveva mangiarne di pagnotte prima di riuscire a tenergli
testa.
Si chinò a spegnere il mangianastri ma come provò
a sfilarglielo dalle mani, Azzurra si raggomitolò su stessa,
quasi a proteggerlo. Han inarcò un sopracciglio, infastidito.
“Ehi!” disse picchiandole due dita tese sulla
spalla “Avanti, in piedi!” La sua voce aveva
disturbato l'abitante della grotta che si illuminò
indispettito e svolacchiò sul soffitto in segno di protesta.
Lei mugugnò qualcosa di inarticolato e si voltò
per dargli le spalle. Han la fissò allibito. Le
strappò le coperte di dosso “E dire che nemmeno
volevi dormire!”
“Che modi!” protestò lei stropicciandosi
gli occhi e mettendosi a sedere. “Visto che sei
così genio, allungami i miei vestiti che stavano sulla
coperta che tu hai prontamente levato con la grazia di un
bulldozer.”
Han la fissò un attimo, spaesato. In effetti, c'era qualcosa
che non andava e ora che glielo aveva detto, l'aveva notato: si era
spogliata di tutto, eccezion fatta per la biancheria. Piantò
le mani sui fianchi, costringendola ad arrangiarsi a ritrovare le sue
cose. Così imparava, visto che lui le aveva detto di dormire
vestita! “Sei proprio una bambina...” Pur
nell'oscurità la vide arrossire. E dire che sembrava
così disinibita, abituata com'era al controllo totale da
quello strano essere che la seguiva come un'ombra.
Ad ogni modo, non voleva essere un commento cattivo sul suo corpo
(comunque sottosviluppato anche se non ai livelli dell'aliena) ma la
constatazione di come fosse abituata a stare nella bambagia. Come
pretendeva di ribellarsi seriamente se si spogliava anche per dormire?
L'avrebbe costretta alle marce e alle guardie che aveva fatto lui,
dormendo armato di tutto punto, con gli anfibi sempre addosso, pronto a
ogni evenienza, sotto piogge torrenziali, protetto solo da una tendina
che non proteggeva né dal freddo né dal vento.
“Si può sapere perché ti sei tolta
tutto?” le sbraitò contro.
“Se qui non avete una seria distinzione tra pisolino e
sonno...” cominciò lei rivestendosi rapidamente
“... finisce che si dorme sempre vestiti, giusto?”
prima che lui rispondesse, lei continuò “Beh, come
fai a riposarti davvero? E poi non è igienico dormire con
gli abiti sporchi”
“Tutte cagate!” replicò lui senza
voltarsi, tanto per darle ancora più fastidio non
concedendole un minimo di privacy “Sì, certo,
è più comodo. Ma non è mai morto
nessuno. E ora cammina...”
“Tu dormi sempre vestito?” domandò lei
trottandogli dietro quando lui cominciò a muoversi e
afferrandolo per la maglia per non inciampare da qualche parte
“Sì, devo essere sempre pronto. Io... Dormo anche
con le cuffie, collegate al computer, fai un po' tu...”
“Una vita sociale molto intensa...”
replicò lei con sarcasmo.
“No, ho grandi responsabilità. E se non avessi una
vita sociale sarei anche più contento. E' solo una rogna
avere gente appresso”
“E allora perché sei qui? Potevi restartene
isolato nel mondo di sopra.” domandò lei, curiosa
“E tu cosa ci fai qui?” replicò lui,
infastidito “Scommetto che non volevi ti frugassero nel
cervello ogni due secondi... guarda un po'! È quello che
vogliamo tutti!” Quando sbucarono nella radura, la luce
sembrava essersi fatta più grigia e meno satura dei suoi
colori radiosi. “Mmm”
Azzurra seguì lo sguardo di Han, cercando di capire cosa
avesse visto di speciale da renderlo pensieroso “Mmm che?”
domandò alla fine, non essendo riuscita a venire a capo
della cosa
“Tra poco diluvierà. Dobbiamo affrettarci.
Rischiamo di prendercela tutta...” Disse allungando subito il
passo “E non voglio bagnare gli interni!”
replicò prima che lei ponesse qualche altra domanda stupida.
Tipo: ma è pioggia acida? Hai paura di farti una doccia? Da
quando gli interni di un edificio temono l'acqua?
Non la sopportava, lei e la sua petulante parlantina.
Arrivato per primo al capanno, si mise d'impegno per smuovere la
paratia che faticava a scorrere sul binario. Si appuntò,
mentalmente, di doverla oliare. Azzurra, giunta solo quando ormai il
varco era aperto, trottò dentro tranquillamente, gli
scarponi che sollevavano piccole nuvole di polvere dalla terra battuta
della rimessa. Gli si avvicinò incuriosita dalla serie di
scatoline che stava maneggiando indeciso.
Han la guardò da sopra la spalla, seccato.
“Toh” le disse, con la bocca piena, sbolognandole
un sacchetto di carta stropicciato.
Azzurra aprì il cartoccio e vi trovò un paio di
panini all'uvetta e una spremuta d'arancia in una confezione di un
materiale che sembrava plastica. Stava per renderglielo, sostenendo che
aveva mangiato a sufficienza solo sei ore prima, quando nel suo stomaco
si aprì, improvvisamente, una voragine apparentemente
insaziabile rimasta nascosta fino a quel momento. Trangugiò
tutto con gratitudine. Han faceva lo stesso mentre si aggirava per la
rimessa spoglia.
Trovava molto strano il fatto che tutte quelle macchine fossero
scomparse in poche ore. Dove potevano averle spostate se quello era il
loro ricovero? Dando un'occhiata all'ingresso si assicurò
della sua intuizione: la vegetazione all'esterno non mostrava segni del
passaggio di neanche un mezzo.
L'uomo accanto a sé prese una lunga sorsata emettendo strani
versi compiaciuti. Afferrò quella che a lei sembrava solo
una macchina in miniatura, lunga quanto un unghia, andò a
depositarla al centro dello spazio deserto e si allontanò
soddisfatto sotto lo sguardo perplesso della ragazza. Tornato al
tavolo, premette qualche pulsante su una speciale tastiera mezza
distrutta. In un batter d'occhio l'auto assunse le dimensioni di un
comune veicolo.
Azzurra si accigliò: doveva ricordarselo, la prossima volta
che avesse avuto un dubbio simile. I ribelli potevano miniaturizzare
qualunque cosa.
“Cammina!” le impose Han, salendo dal lato
passeggero.
Lei alzò gli occhi al cielo e si impose di fare del suo
meglio, nel tentativo di sbrigare quella scocciatura nel minor tempo
possibile. Ma lui le fece morire ogni speranza “Mediamente
servono una decina di guide. Ai più bravi ne bastano una
mezza dozzina. Tu sei praticamente digiuna, quindi partiremo dall'ABC.
Infila il casco!” disse calzando il suo. Azzurra lo
imitò e si ritrovò al centro di un largo spiazzo
alberato. Il cielo splendeva sereno e sulla strada che scorreva poco
lontano c'erano solo poche macchine che si avvicendavano a ritmo
costante.
Han cominciò la lezione teorica restando seduto al suo posto
e indicandole, di volta in volta, i vari congegni: i pedali, la chiave,
gli specchietti, il contachilometri, il cambio...
Erano tutti accessori che Azzurra non aveva mai avuto il piacere di
affrontare e che le suonavano inutili e mostruosi al tempo stesso.
Le impose di allacciarsi la cintura e di controllare la distanza del
sedile, spiegandole come dovesse regolarlo (a costo di doverlo
sollevare ogni volta per avvicinare il torso, non la voleva vedere
aggrappata come una vecchia
nonna rincoglionita sul disco di gomma e radica). Tutto
perché quella era la posizione ottimale per manovrare e la
più comoda per agire con prontezza. Azzurra sapeva solo che,
dopo cinque minuti in quella scomoda posizione innaturale, le dolevano
già tutte le articolazioni.
Le spiegò come mettere in moto e come ingranare la prima
marcia. Contrariamente a ogni aspettativa, fu molto paziente,
nonostante la ragazza riuscisse a far morire la macchina a ogni
accensione e la vettura non si muovesse che di pochi metri per volta.
“Devi prenderci mano. Solo l'esercizio te lo
renderà istintivo...” la rassicurava ogni volta
che la macchina si spegneva, sobbalzando convulsamente e borbottando
sommessamente.
Dopo mezzora di estenuanti, frustranti e umilianti tentativi, Azzurra
riuscì a far muovere la macchina per un tempo
sufficientemente lungo da far dire al suo istruttore di passare alla seconda.
Non avendo la più pallida idea di cosa dovesse fare e
vedendo il limite dello spiazzo avvicinarsi, si annodò le
gambe sui pedali fino a far spegnere nuovamente la macchina.
“La seconda...” disse lui poggiandole la mano sul
cambio mentre premeva la frizione di riserva sul lato passeggero. Solo
allora Azzurra si accorse dei doppi pedali. “Prima. Seconda.
Tira verso di te in entrambi i casi per non sbagliare. Non è
semplicissimo e spesso si sbaglia. Le prime volte...”
ridacchiò divertito e per nulla imbarazzato “Io
partivo in terza senza capire perché l'auto non volesse
saperne di prendere il via.” Quindi riportò
l'attenzione al cambio “Terza. Quarta. Poi c'è
anche la quinta. Ma non credo le sfrutteremo. Non ora. In ogni caso,
dovrai spingere verso di me. Ah! Quello che vedi, sotto la quinta
è la retromarcia. Non è una vera e propria
marcia. Devi sollevare questo disco che si trova sotto il cambio e
spingere indietro. Metti in moto. Ti mostro come funziona...”
Azzurra, ubbidiente, si aggrappò al volante e
girò la chiave nel quadro, premendo la frizione.
“Lascia i pedali...” disse pigiando sui suoi e
mostrandole come ingranare la marcia “Può capitare
che gratti, come in questo caso. Come passando da prima a seconda, non
spaventarti. Per evitare, se ti accorgi che il passaggio è
ostruito ed è difficile ingranare, metti la prima, vai
avanti di pochi centimetri, e ingrani di nuovo la retro. O viceversa
nel caso della prima. Senti...?” le disse zittendosi e
facendole ascoltare i diversi suoni prodotti dal cambio
“Semplice.” quindi arpionò il sedile di
lei per voltarsi verso il lunotto e con la mano libera guidò
appena il volante, lasciando che la vettura schizzasse indietro nel
lungo parcheggio deserto
“Perché succede? Questa cosa che
gratta...” domandò lei curiosa.
Sulle labbra di Han vide comparire un sorriso compiaciuto
“Potresti pensare che siano i denti degli ingranaggi. Invece
sono quelli del manicotto e della corona dell'ingranaggio...”
il sorriso si spense subito: forse aveva notato come tenesse la bocca
spalancata, non capendo un accidenti di quello che le stava dicendo
“Ne riparleremo alla lezione teorica. Sono cose che devi
sapere!”
Azzurra non replicò che mai, in vita sua, soprattutto ora
che viveva nelle viscere della terra, quelle nozioni le sarebbero
tornate utili. Ma tacque per non innervosirlo ulteriormente.
Ripartirono con i passaggi tra prima e seconda e in breve tempo si
trovarono nuovamente alla fine dello spiazzo “Ora gira il
volante... piano, non serve che inclini le ruote a novanta
gradi...” Lei ubbidì e vide, sotto di
sé, come il paesaggio cambiasse aspetto, indirizzandosi in
una nuova prospettiva. Era a dir poco raggiante di quel suo piccolo
successo. Ma anche quel momento durò poco e Han la
riportò a terra ordinandole di fare lo slalom tra gli alberi
presenti nel parcheggio, posizionati a circa sei metri gli uni dagli
altri. Fuori dalla vettura sarebbe sembrato uno spazio enorme, ma ora
che doveva comandare quella piccola bestia metallica si sentiva un
elefante in una cristalliera.
Dopo i primi goffi tentativi, in cui era salita sui marciapiedi
protettivi o aveva rischiato di cozzare direttamente contro la pianta,
lui le aveva regalato un piccolo trucco “Non inclinare troppo
il volante. Va piano. Pensa di essere
un'onda...così...” e con mano ferma condusse la
vettura tra gli alberi senza incertezze. “Vuoi provare un
giro in strada o per oggi basta così?”
domandò accennando alla strada che scorreva in lontananza
con un cenno del capo.
“Basta così, ti prego!”
“Va bene” concordò lui, spiegandole
quale fosse la procedura corretta per spegnere l'auto e uscirne
“Allora andiamo...abbiamo ancora un paio d'ore da
impiegare.” disse sfilandosi il casco, uscendo dal veicolo.
Azzurra esitò al suo posto: le mani, lo notava solo ora, le
tremavano vistosamente e il ginocchio le doleva per lo sforzo continuo
di pigiare quel dannato pedale. Su una cosa doveva concordare con lui:
stava scoprendo muscoli che non sapeva di avere e stava anche imparando
effettivamente a padroneggiare il proprio corpo, compiendo due azioni
diverse con diverse parti del corpo nello stesso momento. Rimosse il
casco e si accorse che Han la aspettava, pazientemente, fuori
dall'abitacolo. Tirò il freno a mano, sganciò la
cintura e rimosse la chiave per porgerla all'uomo.
“Cosa ne dici di imparare anche ad andare in moto?”
domandò, serio, lui ritirando la vettura
“Moto? Ma sei impazzito?”
“Beh... direi che il caso di battere il ferro
finché è caldo: la tua coordinazione ha fatto
passi da giganti in una sola seduta.”
“Io su quell'aggeggio infernale non ci salgo!”
replicò lei incrociando le braccia al petto
“Oh sì, che lo farai! Dopo essere passata per la
bicicletta” sghignazzò l'altro “Ma non
importa... ne abbiamo di cose da fare...”
“Ad esempio? Posso almeno sapere in cosa sono tanto carente e
come pensi di riuscire in un impresa tanto colossale?”
“Vediamo... anche se mi pareva ti fosse già stato
detto...” fece lui con fare falsamente assorto
“Coordinazione pari a zero. Soluzione: guida, ballo, sport e
videogame. Dovresti essere contenta. Un tempo i ragazzini avrebbero
pagato oro per avere un menù come il tuo. Poi c'è
da irrobustire un po' questo fisico denutrito. Quindi ti aspetta un bel
po' di lavoro in biblioteca e nell'orto. Oltre che un po' di ginnastica
mirata per darti fiato e resistenza. Ancora, in realtà
dubito tu sia un esperta di bricolage o di lavoretti femminili. Il
ché implica che non hai alcuna capacità manuale.
Un po' alla volta imparerai a cucire, ricamare, sferruzzare, piantare
chiodi, riparare semplici congegni e via dicendo. In cucina immagino tu
te la cavi. Almeno. Da quello che mi hanno detto quei tre squinternati,
sei riuscita a sfamarli senza avvelenarli. Quindi si passa oltre. Devi
imparare un bel po' sulla medicina e la chirurgia come di ingegneria e
architettura. Tutte cose che torneranno utili, non temere...”
“Ma se neanche una persona normale riesce a star dietro solo
a una cosa come ingegneria!” protestò lei, allibita
“Nella società che hanno costruito quelli
là...” disse lui indicando col pollice il soffitto
“Atrofizzano la gente negli stessi lavori ripetitivi,
facendoli diventare delle macchine. In realtà l'essere umano
può benissimo imparare moltissime cose. Non solo i geni e
non solo chi ama lo studio. Ma la lista è ancora lunga.
Ovviamente ci sono le lingue. Se pensi di cavartela con italiano e un
inglese stentato, hai capito male. Come minimo ti aspettano tedesco,
cinese, russo e arabo. Poi, essendo di lingua neo latina, puoi imparare
francese e spagnolo, dando per scontato tu sappia il latino. Anche il
portoghese. E se ti impegni puoi arrivare a capire anche lingue come le
nordiche ed est europee.”
“E' uno scherzo...” allibì lei
“Non sono minimamente in grado di immagazzinare tutte queste
informazioni. E sicuramente farò casino tra le diverse
lingue”
“Nessuno ha detto che sarà una passeggiata. Avevo
amici a Bruxelles che parlavano correntemente italiano, francese e
inglese di base, che avevano un'infarinatura di tedesco dal liceo. E,
vista la posizione geografica, avevano imparato anche il fiammingo. Il
cervello è molto più potente di quanto tu non
creda. Va solo allenato. E poi dovresti ringraziarci: stiamo prevenendo
il tuo Alzheimer e la tua demenza senile.”
ridacchiò facendole l'occhiolino, mentre chiudeva il capanno
e si avviava nella giungla umida di pioggia “Fammi pensare se
ho dimenticato qualcosa. Oh, certo, per conto tuo dovrai approfondire
gli altri campi del sapere come la filosofia e di conseguenza la
teologia e le scienze sociali. In realtà è tutto
concatenato. Non puoi studiare realmente una cosa senza toccare anche
tutte le altre. Poi, visto che sai già cavalcare, dovrai
imparare qualcos'altro. Tipo a sciare. Non c'è nulla di
difficile in tutto questo. Dimenticavo. Dovrai anche farti un po' di
cultura e sarai autorizzata a guardarti vecchi film. Con moderazione.
Un paio d'ore ogni quattro cicli puoi chiuderti in biblioteca. E non
pensare di fregarmi: gli ingressi sono registrati.” disse
folgorandola con lo sguardo. Si accorse solo in un secondo momento di
averla terrorizzata più di quanto non avessero
già fatto i suoi propositi. Sbuffò e le
spiegò quell'ultima parte “Ci sono stati tempi in
cui la gente viveva appiccicata a quella scatola, fottendosi gli occhi
e smettendo di ragionare: la televisione pensava per loro e questi si
prendevano i pensieri preconfezionati per loro da altri. Un po' di
svago fa bene, ma troppo ti lobotomizza.”
Si stavano avvicinando a uno spiazzo nel terreno coperto solo da un
semplice telo grezzo, sostenuto da una palizzata. Nell'insieme
ricordava un cono rovesciato. Al di sotto di esso, una piccola folla si
muoveva in sincrono in una coreografia semplice che però
ebbe la forza di ipnotizzarla.
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Salve a tutti coloro che, a dispetto della mia prolungata assenza, sono
rimasti attaccati a questa storia.
Vi chiedo scusa ma dopo l'aggiornamento di fine febbraio sono partita
improvvisamente per l'Irlanda per un corso intensivo di inglese. A
parte il fatto di non aver avuto materialmente il tempo per aggiornare
(ho finito l'altra fanfiction solo per inerzia e solo perché
mancavano 2 capitoli) quello che volevo evitare era vanificare gli
sforzi fatti per la lingua, continuando a ragionare in Italiano.
Il vantaggio è che - a parte questi capitoli un
pò rognosi che in realtà mi hanno
bloccata a lungo, facendomi ora passare la voglia, ora perdere di vista
l'obiettivo finale (insomma, capitoli di cui non sono per
niente fiera e che spero di riuscire a riarrangiare ancora una volta ma
che, se provo a modificare i personaggi si schierano ed è
impossibile toccarli...)- ho visto la luce in fondo al tunnel.
O meglio. Mi si è sbloccata la mente, quasi avessi
individuato un eventuale sequel alla storia dopo quello che io
consideravo la fine. Invece non sarà la fine ma solo un
punto di passaggio.
Lasciamo perdere i miei deliri. Capirete quando ci arriveremo.
Dunque
Per far passare sti due capitoli che odio io per prima, penso proprio
che posterò il prossimo tra due settimane così
potremo arrivare più rapidamente alla fase successiva. (io
voglio il sangue, l'azione...e penso anche voi)
Chiudo con una nota per i curiosi.
La canzone che Han ha fatto ascoltare ad Azzurra è questa
e questa
sono diverse versioni della famosissima Scarborough Fair, dei soliti
Simon & Garfunkel.
Ora torno al lavoro (sì, perché rientrata in
Italia mi sono trovata in una situazione un pò spinosa...si
risolverà tutto tra poche settimane...)
A presto. E grazie a tutti, come sempre.
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