Gli angeli del Bluebeam

di darkronin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Angels ***
Capitolo 2: *** Love And Mission ***
Capitolo 3: *** RFID ***
Capitolo 4: *** All is under (our) control ***
Capitolo 5: *** Red & white ***
Capitolo 6: *** Changes ***
Capitolo 7: *** New Friends ***
Capitolo 8: *** Ready! (parte I) ***
Capitolo 9: *** Ready? (Parte II) ***
Capitolo 10: *** You can do it ***
Capitolo 11: *** Open the door ***
Capitolo 12: *** Try to stay ***
Capitolo 13: *** Fly ***
Capitolo 14: *** Craft ***
Capitolo 15: *** Smart as a bird ***
Capitolo 16: *** News ***
Capitolo 17: *** Trap ***
Capitolo 18: *** The new and the old ***
Capitolo 19: *** In a cave ***
Capitolo 20: *** D.N.A. ***
Capitolo 21: *** Ex.ternal ***
Capitolo 22: *** Memories ***
Capitolo 23: *** Discover ***
Capitolo 24: *** cut off ***
Capitolo 25: *** Fashion As Life ***
Capitolo 26: *** Close your eyes ***
Capitolo 27: *** Open your eyes. Open your ears. ***
Capitolo 28: *** Run to the hills ***
Capitolo 29: *** You drive ***



Capitolo 1
*** Angels ***


1.      Angels.
They Are Everywhere




Nel silenzio delle prime ore del giorno, il canto delle cicale era una nenia rassicurante.
Era estate e, quella mattina, faceva terribilmente caldo. L'umidità era tale che ad Azzurra serviva una doccia all'ora per rinfrescarsi. Passava il tempo distesa sul tappeto coperto da un plaid di cotone accanto al letto, la schiena poggiata al muro, a studiare o a leggere, il cane sempre steso accanto, a crogiolarsi ai raggi del sole.
Le strade della campagna erano praticamente deserte. La luce era accecante e bianca. Ovunque si volgesse lo sguardo sembrava ci fosse un faro puntato a illuminare l'orizzonte. E sembrava anche che, frapposto agli occhi, ci fosse uno schermo che movimentava la vista con lingue di fuoco trasparenti. Una bava di vento fletteva le spighe bionde di grano maturo al proprio passaggio.
Solo in queste occasioni eccezionali gli accorgimenti dei vecchi erano rispettati anche dai giovani, che talvolta ne riconoscevano la fondatezza e non la ritenevano semplice superstizione.
Da qualche tempo aleggiava nell'aria anche un altro rumore, leggero, soffuso e ormai assordante. Il leggero sfrigolio presente nell'aria, quasi ci fosse qualcuno che stesse preparando le patatine fritte, quel giorno andava aumentando col passare delle ore.
Si stese prona cercando di trovare conforto da quel caldo nel sonno, sperando che il tepore, la quiete e il frinio costante la conciliassero. Il cane le trottò affianco, si infilò sotto il suo braccio e si acciambellò.


Una landa lussureggiante, verde, umida, tropicale... sotto i suoi piedi si estendeva quasi un paradiso terrestre. Tutto era colorato e profumato, il clima era mite e la luce soffusa. Il vociare indistinto di diversi animali, felini ruggenti e pavoni paupulanti, si perdeva in lontananza.
D'improvviso il cielo si oscurò, coperta da strane nuvole temporalesche. Scariche elettrostatiche che non si trasformavano in fulmini, riempivano l'aria. La terra si seccò di colpo, tramutandosi in una distesa di terra riarsa e screpolata. Un tuono riecheggiò nel silenzio che aveva preso il sopravvento sui briosi rumori della natura. Un tuono strano che rimbombò a lungo. Poi la violenza delle scosse del terremoto. Cadde a terra, cercando di aggrapparsi a un tronco d'albero ormai avvizzito. Voleva restare in piedi, la curiosità gli imponeva di farlo, per scoprire cosa stesse accadendo. E allora la vide. Un'enorme massa d'acqua, uno tsunami, si stava abbattendo sulla terra già devastata. In cielo piccole luci si facevano sempre più grandi. Forme strane, isole abitate, palazzi fluttuanti.
E la voce, mentre l'acqua giungeva da ogni parte.
Le sue mani cercavano frenetiche appiglio sui rami più alti e i piedi si riempivano di schegge per spingerne il corpo più in alto possibile, in cima, alla salvezza.
La voce che sembrava venire da dentro, che non era la sua. Frutto di allucinazioni o di forze divine. La voce presentava se stessa e quanto stava accadendo.
Era iniziata.


Azzurra si svegliò di soprassalto, il fiato corto e la fronte bagnata di sudore. Fuori dalla finestra, una miriade di goccioline imperlavano e picchiettavano con insistenza sul vetro. Se avesse fatto un pochino più freddo, forse, avrebbe nevicato. Ormai non era più certa nemmeno di quello. Loro potevano fare qualunque cosa, anche cambiare il clima, come gli antichi dei.
Normalmente, il mezzo piumino che usava e che la proteggeva appena dal freddo invernale risultava essere più che sufficiente: era convinta che il corpo stesse meglio se non era avvolto, nelle ore notturne, dal caldo soffocante che invece cullava il resto della sua famiglia. Era già il secondo inverno. Era passato solo un anno e mezzo da quando il mondo era cambiato eppure quasi non riusciva a ricordare come fosse la vita prima.
Non le era mai successo di svegliarsi per un incubo: solitamente riusciva a risolvere la vicenda nella dimensione onirica, anche se in preda all'angoscia ma, ora, la cosa le risultava estremamente difficile.
Prese un gran respiro, si asciugò la fronte, perplessa sul da farsi.
“Stai bene?” chiese un uomo al suo fianco. Nella voce una sincera sfumatura di preoccupazione.
Lei, per niente sorpresa, lo guardò truce, con una punta di sorpresa e irritazione. Gli diede le spalle e si coricò di nuovo, sperando che il sonno arrivasse subito. Sapeva che lui sapeva che lei non dormiva. Ma non aveva la minima intenzione di rivolgergli la parola. Non più dello stretto necessario. Se proprio non poteva evitarlo.
Improvvisamente si sentì invadere dalla calma. Sapeva che era opera sua e non fu affatto contenta del controllo che lui poteva esercitare su di lei.
Si maledisse per non essere riuscita ad apprendere in tempo le tecniche per escluderlo. Ma si ripromise di riuscirci, un giorno o l'altro, con o senza il suo controllo. Anche a costo di morire.
Ma prima, voleva soddisfare un po' della sua sete di sapere, la sua debolezza di essere umano: come poteva sperare di combatterli adeguatamente, senza un minimo di conoscenza ?


Il treno delle otto era solitamente pieno di gente, al punto che sembrava superfluo l'uso dell'impianto di riscaldamento. C'erano forti sospetti, in effetti, che i dirigenti avessero tagliato proprio su quel versante, certi che il calore animale di tutti quei corpi ammassati bastasse a rendere tiepidi gli scomparti anche in pieno inverno. La certezza del sospetto era data dalla pelle che, per il freddo, si incollava al corrimano metallico. Eppure, ogni protesta scatenava un coro di risposte unanimi e false da parte dei responsabili, additando gli utenti come visionari.
Ora, lo stesso treno, appariva agli occhi di Azzurra stipato più di un carro bestiame. Per quanto silenziosi e discreti fossero i nuovi arrivati, l'imbarazzo era palpabile. Il disagio era accentuato dalla sensazione claustrofobica di non avere nemmeno lo spazio per sistemarsi il cappotto. La ragazza si domandava in quali condizioni potessero essere i treni delle sette, che prendeva regolarmente fino a due anni prima, in cui si viaggiava sempre e solo in piedi.
Salutò il suo solito compagno di viaggi, ex collega, e si diresse verso le porte. Il treno stava rallentando con la consueta poca grazia. Ma almeno risultava puntuale. Dall'ultima novità: stipati e al freddo ma puntuali. Le stava per scappare una risata isterica ma cercò di trattenersi. Non per lui, ma per i propri simili che non avrebbero capito.
Si immerse nel flusso di pendolari che fuoriuscivano da quei serpenti metallici notando, ancora una volta, la grottesca unanimità in cui sembravano essersi immersi tutti quanti: stessi tagli di capelli rigidi e perfetti che ricordavano gli anni 60, stessi vestiti a sacco che infagottavano i corpi in colori smorti e terrosi. Certo, erano contemplate variazioni e sfumature per soddisfare la naturale propensione dell'essere umano al cambiamento: qualche onda nella piega o una frangia, ma il buon gusto imponeva un aspetto sempre estremamente curato e controllato. Il trucco era stato praticamente bandito: erano poche le sfumature di rossetti che si trovavano in commercio, gli ombretti erano disponibili solo in colori tenui e delicati. Il massimo della bizzarria era dettato dall'uso dell'eyeliner nelle sue varie declinazioni. Quanto agli abiti modulari, che pendevano sulle persone come su stampelle ossute, essi erano pensati per permettere diverse combinazioni e modi di utilizzo dello stesso capo a secondo dell'utente, del suo gusto e delle sue esigenze: giacche che diventavano borse, tute che potevano essere maglie con cappuccio e via dicendo. Dietro c'era sicuramente un grande sforzo collettivo ma l'impressione che ne aveva Azzurra era che fossero tutti un branco di straccioni, così simili a quei barboni che, da un anno all'altro, erano magicamente spariti dagli angoli delle strade di tutte le città nell'indifferenza generale. Non poteva essere colpa loro che anzi, sicuramente, nella loro infinita magnanimità, avevano fatto in modo di reintegrarli tra la popolazione.
All'uscita della stazione l'attendevano, con relativi accompagnatori, le sue cinque amiche e compagne di corso che, per quanto cercassero di distinguersi dalla massa, vestivano, comunque, anche loro, con fogge pendenti tipiche della nuova società funzionale. Funzionale? Lei si sentiva costretta al loro interno e impacciata nei movimenti.
Alzò mentalmente gli occhi al cielo, per l'ennesima volta da quando era successo tutto. Sembrava essere tornati indietro di almeno cent'anni, in cui ciascuna donna era accompagnata da uno chaperone. L'unico vantaggio, a compensare la perdita totale di privacy, era la relativa tranquillità con cui si poteva girare di notte senza timore di essere aggredite. Non solo le diverse ombre avrebbero trattenuto i rispettivi assistiti, ma nemmeno l'ombra stessa sarebbe stata, lei stessa, fonte di preoccupazione, come poteva succedere prima, nella vecchia era, dove il cosiddetto “amico” poteva trasformarsi nel carnefice da cui si cercava di fuggire o dove i fratelli potevano essere comprati con un gelato. Doveva ammettere che, almeno da quel punto di vista, le cose avevano avuto un netto miglioramento. Ma solo lì.
Salutò calorosamente le ragazze e si mise a capo del piccolo drappello diretto al bar per la colazione prima dell'inizio dell'esame. Si accalcarono all'entrata, con le borse cariche di libri, cercando di tenersi aperta la porta a vicenda senza far danno. Occuparono mezzo locale da sole e una volta sistematesi, Azzurra prese le ordinazioni. Andò quindi al banco a fare due chiacchiere con la barista.
“Ciao cara... ” la salutò con un sorriso
“Buon giorno” replicò tranquilla esponendo le ordinazioni
“Come mai tutti quei libroni, oggi?” domandò la donna. Aveva fluenti capelli mogano raccolti in una mezza crocchia, lasciando che alcune ciocche ricadessero languide sulle spalle.
“Abbiamo esame... dobbiamo avere tutto con noi, oggi...”
“E scommetto che quelli lì non vi daranno una mano...” disse con una punta di acidità, ma esponendo semplicemente un dato di fatto
“Già” confermò la ragazza. “Abbiamo bisogno della carica” disse sorridendo perché la donna non si accorgesse del suo malessere nei confronti di quella ingerenza esterna.
Come la protagonista di ogni buon racconto, d'altronde, Azzurra non poteva desiderare niente di meglio che essere diversa. Ancora una volta. Ma in questo caso, la causa della sua diversità non era dovuta a fattori esterni: se l'era proprio cercata. E la livrea dell'uomo che la seguiva ovunque andasse dimostrava questa sua diversità. Per lo meno, questi intrusi avevano la buona decenza di non rendersi pienamente visibili se non ai loro protetti. In questo modo le relazioni interpersonali potevano continuare più o meno con le difficoltà di sempre.
“Andiamo?” disse una delle altre ragazze dopo un po', guardando l'orologio seccata “Non ne ho alcuna voglia...ma se vogliamo prenderci posti decenti...” Le altre annuirono e si alzarono per andare a pagare, con il conseguente rumore di più sedie strisciate simultaneamente sul pavimento.
“Accidenti...piove!!” protestò un'altra quando furono all'aperto
“Azzurra, vuoi un passaggio?” chiese la ragazza dell'orologio
“Tranquilla, An, ho il cappuccio e tra poco ci sono i portici...e poi, con tutte le borse che abbiamo, non ci staremmo in due senza bagnare praticamente tutto...” disse sorridendo
“Certo che voi potreste rendervi utili in questi frangenti, razza di macho-man da strapazzo..” ringhiò Anna all'indirizzo del suo accompagnatore “O almeno avvisarci!”
Quello non si degnò nemmeno di risponderle. Si voltò stizzita e procedette dietro alle altre. Lei e Azzurra erano rimaste un po' in dietro. Anche se sapeva che un segreto non sarebbe rimasto tale, tra loro quattro (loro due e la relativa scorta), si azzardò a chiederle, in un sussurro “Ma ti senti sicura di potergli parlare così?”
L'altra la guardò appena accigliata, attraverso la goccia d'acqua che le era caduta sugli occhiali da vista “Tanto ormai...” borbottò presa tra sé.
Azzurra non aveva la più pallida idea di cosa facessero di mestiere i genitori delle proprie amiche. Quindi non poteva sapere se quello fosse uno sfogo per situazione imposta o ricercata, come nel suo caso. Non le era mai importato gran che. Anche perché, erano notizie che dimenticava due secondi dopo averle sentite, tanto le riteneva importanti al fine di giudicare una persona. Ma ora, aveva un database ambulante a cui, eventualmente, chiedere lumi. Anche se sapevano entrambi che non gli avrebbe mai dato tale soddisfazione.
Arrivate in classe, riuscirono ad accaparrarsi i loro posti preferiti. Non che fossero strategici per copiare o farsi notare dal professore. Erano semplicemente quelli a cui erano affezionate, dove si sentivano comode e a loro agio. Nonostante la massa di gente presente in aula: da un anno il pubblico era duplicato, come in qualsiasi attività. Azzurra non soffriva, fortunatamente, di claustrofobia, ma le dava davvero fastidio l'idea di essere mentalmente il doppio di quanti erano in realtà.


L'esame da nove ore continuate era passato velocemente anche se verso la fine la stanchezza aveva avuto la meglio su molti, che avevano preso a ridere sguaiatamente, in modo incontrollato, di quando in quando.
Scese dal treno esausta, sola, senza i suoi abituali compagni di viaggio che erano rientrati col treno precedente. Caricò la macchina in malo modo, desiderando solo tornare a casa e farsi un bel bagno caldo, senza scocciature. L'auto, ferma per tutto il giorno, era già calda e disappannata, pronta alla partenza. Solo pochi anni prima avrebbe dovuto aspettare al gelo una decina di minuti perché il motore si scaldasse e le permettesse di mettersi in viaggio. Avrebbe dovuto grattare via dal vetro, con un vecchio cd masterizzato, il ghiaccio formatosi se non, addirittura, scaldare la chiave con l'accendino per riuscire ad aprire la portiera. Ora, le auto si accendevano a chilometri di distanza, riconoscevano solo gli utenti impostati, impedivano la guida autonoma a un conducente in condizioni fisiche non ottimali e anzi, il più delle volte, erano autosufficienti anche nella guida, non più solo nel parcheggio.
“Vai subito a letto stasera...” le disse il suo accompagnatore quando si fu chiusa all'interno dell'abitacolo e si fu allacciata la cintura “I tuoi livelli sono così bassi che non basterà una doccia a ripristinarli..”
“Sissignore...” rispose lei sarcastica. Era la prima volta in tutta la giornata che lui le rivolgeva la parola
“Guarda che sono serio” replicò lui
“Sì sì, quando mai non lo sei...sei stato selezionato apposta...” rispose lasciando cadere la frase, inizio di una discussione infinita, tenuta già un migliaio di volte in quel breve periodo “Senti...risparmia a entrambi la sofferenza: vedi di non essere così gentile, ok? So che non te ne frega nulla...e comunque non cambierebbe niente...continuerei a odiarti lo stesso”
“Non lo faccio certo per far piacere a te” rispose l'altro tagliente mentre Azzurra lasciava che l'auto si immettesse autonomamente nel traffico “Non vedo perché un po' di semplice cortesia ti dia tanto fastidio. Questa è una delle poche cose che proprio non riesco a capire di te...”
A quelle parole, Azzurra rispose con un sibilo seccato e si volse verso il paesaggio immerso nel buio che scorreva fuori dai finestrini. 24 faceva di tutto per compiacerla. E lei lo sapeva benissimo. Anche il suo modo di dimostrarsi gentile o arrabbiato in momenti particolari erano studiati in base alle sue preferenze. Lui era stato quasi creato appositamente per lei. Per domarla.
E proprio per questo lui era stato assegnato a lei, perché sapeva o almeno intuiva troppo della realtà che agli sciocchi sfuggiva. Paradossalmente, chi davvero sapeva era praticamente libero da ogni controllo. Gli unici a essere monitorati a quel modo erano i comuni cittadini che non si erano bevuti tutte le cazzate propagandistiche, che avevano legato tra loro, negli anni, gli avvenimenti e i cambiamenti, intuendo la realtà oltre il velo di scemenze con cui erano stati bombardati e distratti.
Quando, nei primi giorni di conoscenza gli aveva chiesto cosa avesse fatto di male per essere assegnato a lei, 24 aveva risposto placidamente, con orgoglio “Sono nella squadra dei migliori. E' ovvio che mi abbiano assegnato a te”. In un certo qual modo aveva cercato anche, con tale affermazione, di lusingarla: i suoi sforzi erano stati premiati e aveva solo ottenuto di essere posta sotto una sorveglianza più rigida. Se anche il suo ego avesse abboccato, avrebbe cercato di non farsi sviare da ciò: non era un caso che a lei fosse assegnato un esemplare maschile e con quel carattere.
Sapevano ciò che facevano. Ma lo sapeva anche lei e cercava di tenergli testa, ben sapendo che Loro erano più numerosi e meglio organizzati di loro, che non possedevano quei mezzi e quella diffusione capillare. Loro: i nuovi dominatori del mondo contro i ribelli che non accettavano tale controllo, ognuno con la propria, diversa, sfumatura. Fondamentalmente era un gioco paranoico di dietrologia che poteva non conoscere fine in base alla psicosi del soggetto.
“Perché non possiamo cercare di...non dico andare d'accordo...con te ci rinuncio. Ma almeno di non essere così oppositiva nei miei confronti..?” finì col chiedere lui
“Sai meglio di chiunque altro la risposta...o sbaglio?” ghignò Azzurra sarcastica. 24 parve quasi rattristarsi “Sì sì” disse e lei dovette fare uno sforzo per non crederla una delusione sincera. D'altronde, lui aveva a portata di mano, su un monitor o direttamente in testa, l'andamento del suo umore e del suo metabolismo, quindi poteva colpirla come e quando voleva. Ma, fino a quel momento, si era dimostrato particolarmente magnanimo, perché gli sarebbe bastato molto poco per affondarla in un colpo solo, in realtà.
O forse era tutta strategia, ancora una volta. Cuocerli tutti a fuoco lento, come la rana che muore lessata: abituarli un poco alla volta e stringere gradualmente i ranghi. Non erano riusciti a piegarli alla prima ondata perché loro, i paranoici, i complottisti, erano preparati, sapevano di doversi aspettare qualcosa. Ma ora che le carte erano scoperte, erano tutti disorientati: c'erano altri assi nella manica? Altri progetti di cui nessuno sospettava? In effetti, qualcosa era andato oltre le loro previsioni più catastrofiche e nessuno si sarebbe mai aspettato un tale bombardamento mediatico, una tale rivoluzione sociale. Loro erano ovunque e in ogni luogo. Ed erano un incubo vero e proprio. Almeno, per quelli come lei.




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Ciao a tutti.
Eccomi qui con il mio primo tentativo serio di storia originale.
Tralascio tutti i discorsi su quanto sia, per me, più complicato questo tipo di scrittura rispetto a una ff perché credo siano problemi comuni a tutti.

Ho cominciato a scrivere questa storia per affrontare un 'problema' che mi sta a cuore.
Chi è minimamente interessato all'argomento, ritroverà dettagli (a partire dal titolo stesso) già noti. Ho semplicemente preso in prestito parte del patrimonio mitologico sull'argomento (e con questo termine non voglio certo sminuire la cosa, altrimenti non starei qua a scriverne, ma intendo riferirmi a tutta la letteratura che esiste al riguardo) per parlare di quello che mi angoscia da tempo.
Con questo scritto non voglio offendere nessuno e se qualcuno si trovasse in disaccordo, si sentisse offeso (scusate la ripetizione) o simile...beh... ripeto, non è mia intenzione. Quindi, piuttosto di riempirmi di insulti, chiuda pure semplicemente la pagina. Ancora. Non voglio convincere nessuno di niente. Io stessa sono molto critica riguardo a tutto quello che viene veicolato in rete. Ma dati oggettivi non mi lasciano presupporre nulla di positivo. Un esempio per tutti potrebbe essere il chip che oggi si applica ad animali d'affezione e al bestiame. E' vero che vogliono usarlo sull'uomo, che già lo fanno e presto verrà reso obbligatorio sui bambini? Non ho gli strumenti per dirlo. Ma la cosa mi inquieta, nonostante le scuse siano già pronte e la prospettiva ottimistica di un miglioramento della vita (sicurezza, monitoraggio, etc).
Che ci si creda o meno, che sia vero o meno, quello che viene ipotizzato in questa mitologia...resta il fatto che qualcuno l'ha pensato. E se fosse stato solo pensato, il passo successivo, l'uso reale da parte di menti diaboliche, sarebbe veramente breve, come la storia insegna.
Infine, una cosa di fondamentale importanza. Io scrivo più per raccontare una situazione, gli stati d'animo, come mi caverei d'impiccio al posto dei protagonisti. Ma non ho pretesa di scientificità. =_= ahimè ho fatto un liceo fanta-scientifico. Nel senso che le mie competenze matematico-scientifico si son perse per strada...forse a causa di 5 anni passati a lettere: non ricordo nulla se non cose che più basiche di così anche i bambini delle elementari ne sanno più di me, mi faccio infinocchiare da qualunque cosa, ma quello penso sia di carattere, dato che posso venir raggirata anche su un argomento che conosco a mena dito, e non so dire se la teoria della terra cava è una panzana o meno. Mi affascina, quindi in qualche modo la butterò dentro. D'altronde, scrittori ben più seri di me l'hanno utilizzata. A ben pensarci, ha una sua autorevolezza...
Vabbè, il succo di tutta sta pappardella qua è: se intendete seguirmi, vi prego di armarvi di pazienza ed essere pronti a soprassedere ai miei molti strafalcioni.

Grazie ancora a chi ha aperto questo questo primo capitolo.
Un grazie di cuore a Federica, che mi ha spinto finché non ho postato.

A tra un mesetto, circa.



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Capitolo 2
*** Love And Mission ***


2.      Love and Mission
Impossible





Arrivata a casa, Azzurra salutò i genitori e accennò brevemente all'esame. “Devo andare a farmi il bagno...” disse “Questo qui vuole che vada subito di filato a letto...ma io un boccone lo mangio... ” borbottò ficcandosi un pezzo di pane, unto d'olio e carico di rosmarino, in bocca e recuperandone un altro da portarsi dietro. “Alla faccia tua!” ringhiò sommessamente perché nessuno, a parte 24, la sentisse. “Farsi il bagno dopo mangiato? Guai! Ma per favore: mi lavo a temperature altissime e ho solo sbocconcellato del pane. E poi, se mi fossi lavata subito dopo non sarebbe successo nulla in ogni caso, dato che il processo digestivo sarebbe stato di là da venire.” ripensò alle discussioni già sostenute almeno un centinaio di volte: era snervante avere a che fare con lui.
“Beh, allora vorrà dire che mi racconterai domani sera con calma” si sentì rispondere “Loro hanno sempre ragione e sanno cosa è meglio per noi, vero, Cortes?” sua madre si rivolse al proprio accompagnatore con aria sognante.
Azzurra osservò la scena con aria schifata, come fanno i bambini piccoli davanti alle smancerie degli adulti, mentre lui le rispondeva con voce bassa e suadente. Ancora non poteva credere che fosse stato tanto semplice manipolare i suoi genitori. Entrambi avevano studiato più della media, erano colti, attenti e avevano studiato certi fenomeni. Eppure c'erano cascati in pieno.
“A posto, siamo...” sospirò chiudendosi la porta della cucina alle spalle e apprestandosi a salire le scale. “Mamma si è completamente bevuta tutte le stronzate che avete detto...”
“E' per il vostro bene, fidati...” 24 proruppe nei suoi pensieri, in modo che nessun altro potesse sentirli “Ci teniamo alla vostra salute..”
A quelle parole, Azzurra non poté fare a meno di esplodere in una risata sguaiata.
“Touche...” borbottò lui, sapendo di aver messo piede in un campo minato e sapendo di essere in torto.
“Spiegami perché non ci ammazzate tutti e subito!” sentenziò lei una volta in bagno, l'acqua calda che scrosciava cadendo sulle pareti metalliche nella vasca vuota, riempiendola.
“Non è questa la nostra politica.” Le domande che gli faceva erano sempre le stesse, come anche le sue risposte. Tentava, di quando in quando, nella speranza che, tra insofferenza o amicizia (come classificare il loro rapporto simbiotico anche se imposto e sgradito?), la risposta potesse cambiare “Se i dissidenti sparissero all'improvviso, anche se singolarmente, la gente saprebbe che la colpa è nostra, del nostro reparto in particolare. La popolazione perderebbe fiducia in noi e si rivolterebbe. Come voi...”
“Già...” concluse amara Azzurra finendo di spogliarsi. Si immerse in acqua, ormai abituatasi a quella presenza costante nella sua vita “Anche se dubito che la nostra sparizione rappresenterebbe qualcosa, per loro...” Azzurra si scoprì a esprimere apertamente, davanti a 24, ciò che lui già sapeva “D'altronde..non ci hanno dato retta prima, quando i segnali erano lampanti...farebbero mai attenzione a noi? I rompiballe? Non credo proprio... sarebbero contenti di essersi liberati di un peso. E chi è critico...chi ha un cervello..beh...penso che sia nella mia stessa situazione, dico bene?” 24 restò in silenzio e lei si immerse nella schiuma bianca al sandalo.
Dopo i primi giorni di imbarazzo con quell'essere onnipresente, anche nei momenti più intimi, aveva fatto l'abitudine ai suoi occhi vitrei che sembravano osservarla sempre. Occhi... una banda orizzontale riflettente che percorreva in tutta la larghezza quella che poteva essere definita la testa di un essere antropomorfo.
E, in realtà, non poteva sapere se lui si scollegasse mai dal suo cervello, se fosse un programma informatico o che altro. Solo, lo vedeva sempre. E dietro quella maschera non sapeva cosa potesse nascondersi. Forse il loro aspetto era solo uno stratagemma per interagire meglio con loro.
Sospirò di piacere emergendo dall'acqua calda “Quale sarebbe altrimenti il vostro compito, se non preservarci in vita, sani e salvi, eh, caro il mio angelo custode?” disse storcendo le ultime parole.
“Azzurra...so che ci odi, ma vedi noi...” cominciò 24 dopo un po', ma lei lo fermò.
“Odiarvi?” replicò isterica “Io non vi odio affatto...vi detesto! Siete dei maledettissimi stronzi! Non c'è più un minimo di privacy o libertà e voi ne siete i complici e gli artefici. Se anche noi dovessimo decidere di ribellarci, ci impieghereste un nanosecondo a individuarci e ucciderci con un infarto, un ictus o che so io. Per non parlare di eventuali nascondigli segreti che individuereste subito, dato che avete scandagliato ogni angolo di questa Terra, anche il più remoto, e li bombardereste coi droni ...odiarvi... è un eufemismo...e non schiarire l'immagine!” Urlò vedendo che lui attuava la solita tattica: rendere la propria immagine, da solida e concreta, il più trasparente possibile, quasi battesse in ritirata “Per quanto possa sembrarmi che tu non ci sia, tu continui a spiarmi sempre e comunque! Con me questi giochini non attaccano!” Lui ricomparve, così vivido da sembrare reale, quasi a farle dispetto, a ubbidirle o a dimostrare che non aveva paura della sua rabbia
“Calmati” disse con voce piatta “Il tuo sistema nervoso rischia di venire danneggiato...”
“Vaffanculo!” ringhiò lei “Calmami tu, coglione! Premi uno dei tuoi bei pulsantini e manda una frequenza al mio cervello. Avanti! Spappolamelo a distanza, così non avresti più questa rogna!”
“Mi dispiace...” disse ancora lui, forse nel tentativo di calmarla
“Fottiti!” sibilò Azzurra.
Si alzò dalla vasca, per nulla riposata, si asciugò sommariamente e si infilò il pigiama. Sentì che lui stava quasi per rivolgerle ancora la parola ma lo anticipò “Chi se ne frega se dormo coi capelli bagnati, chi se ne frega se non mi asciugo bene l'acqua dagli interstizi tra le dita dei piedi e poi mi vengono i funghi, chi se ne frega se urlo e mi sale la pressione, chi se ne frega se mangio una foglietta di rosmarino in più e si accumulano tossine nel mio organismo, cazzo! Fammi morire da essere umano e fammi il piacere di non rompermi i coglioni!!”
Si infilò a letto e gli diede le spalle. Nell'oscurità sapeva che lui compariva sulla soglia di camera sua, accanto alla scrivania. Compariva...nella sua mente, forse. Perché 24, come Cortes e tutti gli altri, non erano tangibili. Forse erano reali. Ma non per i comuni sensi. Azzurra sapeva che non lo vedeva né udiva realmente. Eppure era tutto così dannatamente vivido. Forse erano proiezioni olografiche. Forse, solamente allucinazioni collettive indotte da qualcuno all'altro capo del mondo.



“E' stata dura anche oggi?” ghignò, divertita e sarcastica, una voce alle sue spalle. Era appollaiato alla sua postazione da... da quanto stava lì? Aveva sentito tutto?
Mat-mon, un ragazzo dalla corporatura simile alla sua, fasciato nella stessa tutta bianca e rossa da Shedu1, aveva l'aria sorniona e sembrava divertirsi un mondo nel vedere 24 alle prese con la sua pestifera.
Si alzò dalla postazione, rimuovendo il cappuccio aderente con visiera integrata e rivelando strani occhi viola con pupilla verticale, simili a quelli del compagno che, invece, erano di un rosa acceso “Con Azzurra ogni giorno è la stessa lotta...a te come è andata?” Disse prima di essersi tolto, da davanti la bocca, la parte terminale dell'alto collo della tuta.
“Oh, il solito. Con Zoe è una passeggiata... a differenza della tua non parla: urla!” rispose l'interpellato facendo spallucce
“Dorme?” chiese 24 sganciandosi dal terminale. La coda di cavi che gli partiva dalla base della nuca era ciò che permetteva l'accoppiamento in ogni sua forma: tra Akero o con le macchine, tutto passava di lì.
Si mise in piedi, sgranchendosi le ossa. Quello era l'unico momento in cui potevano permettersi di tirare un po' il fiato
“Si è imbottita di sonniferi come ogni sera. Tra un po' non faranno neanche più effetto visto il mix che si cala anche durante il giorno. A volte sanno essere davvero stupidi. Debilitarsi a quel modo... Comunque, il succo è che posso fare quello che mi pare fino a domattina...” ghignò Mat-mon. “A te, invece, tocca restare lì davanti tutto il tempo, vero? Perché non la sedi?” chiese genuinamente preoccupato
“E' contro le regole, lo sai.” rispose l'altro con una punta di acidità “Mai anteporre i propri bisogni personali all'ospite.”
“Sì, ma tu hai per le mani una vera sovversiva...credo che tollererebbero e capirebbero se tu perdessi le staffe... o ogni tanto ti prendessi cinque minuti” disse sovrappensiero dirigendosi verso il ponte di vetro dal quale si godeva di una vista stupenda sulla piccola città che non spegneva mai le sue luci.
Al di là del cemento e dell'acciaio si stendeva la massa nera, sinuosa e silenziosa del deserto. La volta celeste era perennemente punteggiata di stelle. Era evidente come loro avessero orari così strani da non riuscire mai a far coincidere le loro pause con il breve periodo assolato. Invidiava profondamente gli operatori di altri gruppi che, gestendo persone dall'altro capo del mondo, lavoravano di notte e uscivano di giorno. Il calore del sole, lui, lo immaginava solo attraverso il suo collegamento con Azzurra. Se lei aveva freddo, lui aveva freddo. Il loro rapporto era tutto così: una particolare simbiosi in cui lui sapeva esattamente come muoversi, e farla muovere, per ripristinare una situazione di equilibrio, senza forzarne la psiche. Osservò il paesaggio e pensò che, in fondo, non gli dispiaceva poi molto: le luci della città di notte avevano qualcosa di misterioso e affascinante. E, d'altronde, loro non usavano scandire il tempo come gli umani né avevano alcun tipo di bisogno fisiologico come quelle creature inferiori: giorno o notte era la stessa cosa.
“Beh, è anche contro le mie, di regole” sentenziò 24, raggiungendolo. Tutta la calma che ostentava con Azzurra spariva quando era coi suoi colleghi ed emergeva il suo carattere sanguigno e deciso che l'aveva portato a essere nella squadra speciale.
Mat-mon sospirò “Fai attenzione, mi raccomando” disse
“A cosa?” chiese perplesso l'altro, poggiandosi alla balaustra e tenendo sott'occhio i monitor: non voleva allontanarsi troppo dalla postazione nel caso lei si fosse svegliata a tradimento.
“A non innamorartene...” concluse malinconica una nuova voce alla loro destra. 24 era così attento a non perdere mai di vista la sua ospite che non si era minimamente accorto della sua presenza. Si voltarono lentamente e si trovarono davanti la figura androgina di Loki, fasciata nella sua tuta da Potis - Lamassu2.
24 alzò un sopracciglio, perplesso dalla sciocchezza che avevano in testa quei due. “Innamorarmene?”
Loki li raggiunse e si arrampicò sulla balconata con un salto fluido. Inspirò a fondo l'aria della notte, buttò la testa indietro mentre si stiracchiava, allungando le braccia verso il cielo stellato, e annuì con un sorriso.
“E' contro le regole...” le ricordò lui, scettico.
“Sì sì...” disse con sufficienza Mat-mon agitando la mano in aria e ributtando il torso oltre il parapetto “E anche noi siamo controllati...Come noi siamo gli Augur3 degli umani, gli Hashmallim4 sono i nostri Augur”
“E allora...?” 24 non capiva dove volessero arrivare
Loki gli batté la mano sulla spalla, quasi fosse un cucciolo innocente “Non capisci, eh? Ricordi cosa ci hanno detto prima di venire qui? Che il nostro è il settore più esposto proprio perché può instaurarsi una sindrome di Stoccolma col nostro controllato”
“Ed è per questo che siamo i migliori. Ma...” aggiunse svelto Mat-mon, prevenendo ogni sua obiezione “...ciò non toglie il fatto che siamo organismi senzienti anche noi in grado di pensare, dubitare, decidere... piuttosto...come procede la tua vita sociale, 24?”
24 fu irritato da quella curiosità del collega, ma rispose ugualmente “Riesco a frequentare solo le altre Lamassu che seguono casi refrattari quanto il mio...cerchiamo di far coincidere i tempi...”
Loki non sembrava troppo convinta della risposta e lo osservò in silenzio.
Ora, ne era certo, i loro superiori avrebbero saputo di dover prestare particolare attenzione al rapporto tra 24 e Azzurra. Ma lui non aveva nulla da nascondere, quindi rilassò la mascella e cercò di pensare ad altro.
“Beh...io vi saluto...devo incontrarmi con due Manowar5. Niente lavoro!” disse Loki allegra saltando giù leggera come una piuma, lo sguardo arancione acceso di desiderio “Birger è confinato a casa da una forte nevicata che ha bloccato le porte. Resterei a fargli compagnia ma sono stufa. Che si costruisca pure una bomba casalinga e zompi per aria...” Così dicendo Loki diede loro le spalle e si allontanò verso l'ascensore.
“Mi domando se il suo umano, quel Birger, si renda conto di quanto possa risultare inappropriato, per noi, il nome che le ha scelto?” celiò Mat-mon scuotendo la testa. “Un nome maschile...”
“E' ora che torni di là” lo interruppe 24 cambiando bruscamente discorso. Non voleva tornare ancora a parlare ancora dei loro nomi. Quel particolare, più degli altri, gli dava parecchio fastidio
“Ok...buonanotte, campione!” fu il saluto che gli rivolse il Potis – Shedu mentre si allontanava di buon grado, probabilmente diretto in sala giochi come ogni notte.: Mat-mon adorava quel luogo caotico e pieno di colore, così distante dal mutismo ostinato e dalla follia urlata della sua ospite.
24 rimase solo sulla terrazza, le mani guantate che sporgevano oltre il parapetto, incrociate tra loro. In realtà erano ben pochi quelli che avevano il suo daffare. Ma il lavoro gli piaceva. E gli piaceva anche la sua umana.
Mat-mon, invece, scendeva a piano terra e si stordiva fino quasi a dimenticare il proprio compito e l'ora di rientro. Spesso i Karibo6 erano stati costretti ad andarlo a recuperare per scortarlo alla sua postazione.
Tornò alla sua comoda poltrona, imbottita ed ergonomica, in cui stava quasi disteso. I monitor aggiuntivi, da usare quando restava sconnesso, fluttuavano sopra la testa. Aprì una nuova schermata trasparente accanto a quella che dei valori di Azzurra a riposo. Ricordava di aver visto qualcosa, nella sua mente, qualche giorno prima. Qualcosa che l'aveva colpito. Il database del loro sistema era molto più vasto di quello che Azzurra potesse sospettare. Trovò ciò che cercava. Rilesse il brano che tanto aveva interessato la sua assistita: la descrizione così vivida dei rapporti promiscui tra Akero, come quelli di Loki, narrata nel racconto. La cosa non l'aveva particolarmente colpito per lo squallore che lui stesso provava7, quanto il constatare come le diverse società umane avessero teso ad avvicinarsi davvero a quel modello: un modello che lo scrittore, un secolo prima del loro arrivo, sembrava conoscere molto bene, quasi fosse stato uno dei vertici Akero o forse addirittura un Hashmallim col compito di preparare gli umani.
Oppure, come sostenevano alcuni umani, loro non erano altro che altri umani educati a pensare di essere Akero e tale educazione avrebbe affondato le radici proprio nel periodo in cui fu scritto il libro.
Sciocchezze, pensò. Nessuno aveva ricordi di una vita da umano. Tutti avevano vissuto sempre e solo nello spazio, nelle tre città-astronavi in viaggio fino alla Terra8.
Aprì un altro file, una lista che già conosceva molto bene, e lo soppesò. Perché, per gli umani, tutte le distopie dovevano sempre volgere a loro favore? Tutte le storie avevano il retrogusto dell'idea della rivincita finale sul sopruso: non erano molto credibili. Scorrendo il documento, senza realmente vederlo, si domandò come mai non fosse stata presa in considerazione, dai vertici dei Marzuol9, l'idea (già umanamente nota e che sarebbe stata vissuta, eventualmente, come un'epifania) di bruciare ogni copia, analogica o digitale, di documenti che potevano instillare dubbi di un certo tipo e fomentare le rivolte. Si limitavano a modificare lentamente e metodicamente le informazioni storico-culturali, a far sparire le fonti meno recenti o usurate dal tempo senza provvedere, ovviamente, a una digitalizzazione delle stesse. Probabilmente, era per evitare lo shock ai fragili cervelli umani: come avevano constatato in un primo periodo di prova, la perdita di sapere, improvvisa e violenta, per quanto le cavie potessero essere preparate, era più dannosa della stessa perdita ma graduale. Forse, avevano ritenuto che l'invasione fosse stata un trauma sufficiente a destabilizzare le loro labili menti e per procedere oltre avrebbero dovuto attendere.
Inoltre, sembrava esserci anche una certa perversione dei loro superiori i quali giocavano con gli esseri inferiori, buttando esche nel mondo umano, certi che in pochi le avrebbero colte e che comunque non avrebbero potuto fare nulla al riguardo: era lo stesso stratagemma di cui si erano servite le avanguardie. Paradossalmente, coloro che, come Azzurra, avessero provato a screditare la teoria o la storia ufficiali non avrebbero fatto altro che rafforzarla. Si accontentò di questa speculazione, certo di aver colto nel segno.
Già che c'era, rilesse anche il profilo di Azzurra: lei non aspettava il salvatore, il principe su cavallo bianco o un guru religioso. Era disillusa da tutti i sogni terrestri. Sapeva di poter contare solo sulle proprie forze. Ma loro, quelli come 24, avevano distrutto anche quella piccola certezza, invadendone così brutalmente la psiche.
Non credeva di doversi sentire in colpa. Eppure gli dispiaceva averla delusa.
“Attento a questo genere di pensiero...” gli sorrise una donna, comparendogli davanti. Era una Hashmallim, responsabile dei Potis: indossava una tuta bianca e azzurra con appariscenti fasce che le pendevano dalle spalle. “Potresti arrivare a essere in sintonia col tuo ospite.. e noi non lo vogliamo, vero?”
“Certo che no” rispose lui asciutto
“Vedo che state facendo un buon lavoro...” disse ancora lei “Continuate così, mi raccomando..” disse e si dileguò.
24 restò un attimo a fissare il punto in cui la donna era comparsa. Chissà chi era l'altro (o gli altri) che erano seguiti da lei, oltre a lui...ammesso che quella fosse la sua personale e non la prima o più vicina o più veloce che avesse intercettato il suo pensiero.
Mat-mon gli aveva ricordato come anche loro fossero controllati, esattamente come gli umani. E come anche questi controllori, a loro volta, fossero controllati, in coppia o in gruppo, da altri controllori. Così via, in scala piramidale, fino ad arrivare al vertice che controllava direttamente solo uno o due responsabili. Tutti controllavano ed erano controllati.
E nessuno sapeva quale fosse l'aspetto del proprio Hashmallim personale.
I normali Akero10, privi di sottoclassi particolari, controllavano più ospiti contemporaneamente, quelli mansueti come agnellini e stupidi oche. Sotto di loro c'erano solo i Manowar, i tecnici addetti ai lavori manuali. Al di sopra degli Akero, i Potis, divisi tra Shedu e Lamassu, avevano il compito più ingrato di tutto il sistema: controllare direttamente un ribelle ciascuno e cercare di zittire la resistenza. Per assolvere a questo compito c'era la necessità che questi ultimi venissero sorvegliati costantemente. Ad aiutarli c'erano i Marzuol, che studiavano le strategie di persuasione, stilavano classifiche e modus operandi in base alla personalità dell'ospite. Qualcuno elaborava poi il rapporto stillato da due o più Akero o Potis e decideva se e in che modo fosse il caso di intervenire: questi erano gli Augur11, i detentori del sapere. Ogni contatto eversivo -impossibile- tra Akero, in particolar modo Potis, e ospite sarebbe saltato subito all'occhio attento del Hashmallim.
Innamorarsi.
Avere simpatia per la propria assistita.
Quante sciocchezze.
Eppure, tutto ciò gli diede un'idea.
Amarla, lusingarla... come poteva compiacerla? Aveva sempre pensato che mostrarsi gentili con lei fosse una perdita di tempo, visto il suo carattere sprezzante.
Gentile, remissivo... debole.
Avrebbe finto di crederle. Di essere passato dalla sua parte. Di aver perso nel confronto sulle rispettive forze di volontà. Si sarebbe spezzato. L'avrebbe sorpresa.
Per poi richiudersi con un colpo di frusta, come una tagliola, intrappolandola tra le schegge del bordo frastagliato: gonfia d'orgoglio, sarebbe stata più vulnerabile e pronta a essere spezzata a sua volta, avrebbe abbassato la guardia, l'avrebbe accettato e si sarebbe fatta manipolare.
Forse.

Era un piano lungo e complicato. Ma aveva molto tempo a disposizione per attuarlo e per rivederlo man mano.









1     Qui comincio a descrivere il mondo degli angeli. A cui ho dato i nomi di divinità alate o di schiere angeliche. In particolare lo Shedu è una divinità mesopotamica, spirito benevolo e protettivo. Per lo più era raffigurato come un mostro alato dal corpo toro o leone e testa umana. Il suo corrispettivo femminile è la Lamassu (in realtà si tratta solo di un sinonimo, sono io che l'ho reso femminile.)

2     Per Lamassu vedete la nota precedente.
Potis, invece è la mia versione di Principati “Sono gli angeli guardiani delle nazioni e delle contee, e tutto quello che concerne i loro problemi e eventi, inclusa la politica, i problemi militari, il commercio e lo scambio. Uno dei loro compiti è quello di scegliere chi tra l'umanità può dominare”.

3     Termine che sta per controllore, ombra, spia...insomma...è la figura che veglia sulla persona da vero angelo custode. Tutti gli altri termini identificano la gerarchia, non il compito

4     Più noti come Dominazioni, sono quegli angeli che hanno il compito di regolare i compiti degli angeli inferiori. Ricevono i loro ordini dai Serafini, Cherubini o direttamente da Dio.

5     Sono i tecnici, il gradino più basso della gerarchia, che non hanno alcun contatto col mondo umano.

6     Sono i Cherubini, il gruppo scelto-armato

7     Faccio riferimento implicito a Brave New World (Il mondo nuovo) di Adolf Huxley, pubblicato nel 1932. Nella prima parte, si scopre praticamente subito come non esista alcun tipo di vincolo familiare e come certi sentimenti, il possesso, la gelosia o un certo grado di vergogna, siano disprezzati perché "ognuno appartiene a tutti”. Ma sulla cosa torneremo più in là

8     Ho scelto il numero 3, perché è di tale numero l'ammontare della presunta flotta in avvicinamento alla Terra (è una bufala, tanto per dovere di cronaca)

9     Deriva dall'aggettivo Marziale e racchiude in sè 4 categorie angeliche: le Virtù che analizzano i dati ricevuti (in questo caso dai Potis). Insomma, il compito di capire gli umani, studiare strategie per meglio interfacciarsi con loro è il lavoro più delicato e corposo, per cui ci vogliono diverse figure specializzate; le Potenze che formulano un approccio al problema (segnalato dalle Virtù) e le Autorità si occupano della parte 'burocratica'; le Potestà, il cui compito è sorvegliare la distribuzione del potere all'umanità, sono i consiglieri e i traghettatori dalla vita alla morte e viceversa.

10     Angelo generico. Gli arcangeli, che qua non cito, sono i messaggeri.

11    Ho scelto il termine, sempre latino, Augur per indicare le Potestà: custodi della storia.



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Salve a tutti. Comincio col ringraziarvi se, dopo il primo capitolo, avete deciso di proseguire la lettura.
Volevo fare alcune precisazioni prima di lasciarvi alla lettura...ma visto quanto s'è fatto lungo il discorso, ho preferito spostare qui il tutto.
Comincio, visto che è una cosa fresca di lettura, col dirvi che per definire la gerarchia angelica ho usato lo schema delle 3 triadi o sfere

Prima Gerarchia: Serafini, Cherubini, Troni o Ophanim

Seconda Gerarchia: Dominazioni, Virtù, Potestà

Terza Gerarchia: Principati, Arcangeli, Angeli

Per ciascuna potete vedere qui 
Non ho parlato di Serafini (che farò corpo scelto tra i cherubini, protettori dell'elite) e i Troni, il gruppo le cui preoccupazioni generali ruotano attorno al mondo e al genere umano e hanno un'autorità maggiore rispetto a quella di chiunque altro.

Detto questo, proseguo col fare mea culpa per la scena iniziale del sogno/incubo/ricordo di Azzurra nel precedente capitolo. Quando ho scritto la storia mi è venuta di getto per motivi che saranno spiegati più avanti (o se conoscete la teoria, appunto, del Bluebeam, potete provare a ragionarci). C'era qualcosa, però, che mi solleticava la memoria e non riuscivo a capire cosa. Solo dopo aver pubblicato ho capito cosa ci fosse che non andava: la scena sembra essere presa pari pari dal filmato mostrato al Congresso di Copenhagen sui cambiamenti climatici del 7 dicembre 2009. Evidentemente mi è rimasta così impressa che l'ho, involontariamente, riciclata. Qui avete il link. Confrontate pure.
Altra cosa, di cui voglio mettervi a parte, sono le fonti che, almeno a me, sembra di aver 'riciclato' in modo del tutto involontario: essendo un amante del genere, probabilmente, sono entrati a far parte del mio modo di vedere il futuro in modo permanente. Ovvero: gli universi di scrittori come Arthur C. Clarke, Richard Matheson, Asimov, Philip K. Dick (in particolare Total Recall/Atto di Forza e Minority Report. Qualcuno ci ha visto anche del Blade Runner), Jules Verne, William Gibson (dai cui racconti sono ispirati Matrix e Jhonny Mnemonic), Pierre Boulle (Il pianeta delle scimmie...il libro! Non il film del '68 e successivi né, tanto meno, quelli più recenti), i mondi distopici come quello di Fahrenheit 451 (Ray Bradbury), Brave New World (Aldous Huxley), 1984 (George Orwell), Dune (Frank Herbert), Hunger Games (Suzanne Collins e se Mondadori vuole, è uscito finalmente il 3° libro che aspettavo da un anno! no...non sono fan del film, se ve lo state chiedendo ma da cmq delle interpretazioni interessanti, tenendo conto delle diverse esigenze rispetto al libro...che ho letto in un giorno <3 ), L'ospite (Stephanie Meyer. Sì, proprio lei. E' stato guardando principalmente al suo che temevo di aver copiato l'idea di un controllore onnipresente a man bassa e spingermi a questo papiro post capitolo, anche se nel suo romanzo è una casualità che i due convivano e si parlino), The Giver (Lois Lowry), Divergent (Veronica Roth), Il Labirinto (James Dashner), Delirium (Lauren Oliver), La bussola d'oro (Philip Pullman. E' evidente nel riferimento nell'assegnazione di un partner maschile a una donna, e viceversa. E' una cosa che mi ha sempre affascinata, prima ancora di leggere la trilogia alle medie.. è un po' l'idea dell'amico immaginario da avere sempre con sé)
Di film come Gattaca, Equilibrium, 2001: Odissea nello spazio, The Island, Essi vivono, Stargate, Interceptor/Mad Max (da cui fu tratto Ken il guerriero), Waterworld, Demolition Man, Avatar, di anime come Capitan Harlock, Capitan Futuro (preso dagli omonimi racconti che però non riesco a reperire), Fushigi no Umi no Nadia (Il mistero della pietra azzurra) e di tutte le vecchie saghe di robotoni (da Baldios a Kyashan, il ragazzo androide passando per Daitarn 3 e Cyborg 009), di cartoni come X-men (anche i film, ovvio) o Biker Mice from Mars; manga come Appleseed e Ghost in the Shell (Masamune Shirow), Silent Möbius (Kya Asamiya), Seraphic Feather (Hiroyuki Utatane), Five Stars Stories (Mamoru Nagano), Gene X (Kentaro Fumizuki) o Neon Genesis Evangelion (Yoshiyuki Sadamoto); serie televisive come Visitors/V e X-Files.

Questi sono quelli che, sicuramente, nel corso della stesura, mi sono comparsi in aiuto come flash. Probabilmente ce ne sono centomila altri che ora non vedo. Volevo avvisarvi che non è fatto con cattiveria e visto che li ho notati io, forse li avete notati anche voi...
Qualcun altro, poi, mi ha domandato come mai la vicenda si svolga 'solo' un anno e mezzo dopo l'invasione. La risposta è molto semplice (e non spoilero nulla). Appena avvenuto il fatto tutti sono sotto shock, non si vuole credere a quanto avvenuto o si spera in una ribellione generale. La stessa Azzurra tergiversa. Andare più lontano nel tempo (5, 10 anni) a mio avviso sarebbe stato rischioso: nella speranza del qualcosa cambi/la gente si svegli, durante la quale non sarebbe successo proprio nulla, anche i più riottosi si sarebbero abituati all'idea e sarebbe stato sempre più difficile tentare qualsiasi operazione e avrebbero fatto la fine della rana che morì lessata.

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Capitolo 3
*** RFID ***


3.      RFID1
and AIDC2




Quella notte Azzurra dormì serena. Per qualche motivo sognò la Primavera di Vivaldi come tappeto musicale. Vide posti meravigliosi e visse esperienze fantastiche in cui avrebbe voluto affogare...
Ma davanti allo specchio del bagno si ricordò dell'ingombrante presenza di 24 che la osservava, immobile, lavarsi i denti. “Avevo dormito così bene...” borbottò lanciandogli un'occhiata di fuoco. 24, però, parve sorridere da dietro la sua maschera inespressiva.
“Vivaldi” confermò, convinto di aver messo a segno un punto nel proprio nuovo progetto “Spero sia stato di tuo gradimento”
Azzurra si accigliò “Ti ficchi anche nei miei sogni, adesso?”
“Non hai appena detto di aver dormito bene?” replicò lui, serafico
“Ora che so che è opera tua, no! Mi stai già mandando a male tutta la giornata.”
Un leggero raspare la fece voltare. Schiuse la porta e il piccolo bastardino che girava per casa andò di corsa a strusciarlesi ai piedi, strappandole un sorriso sincero. Lo sollevò in braccio, se lo strofinò addosso e, sempre tenendolo stretto, finì di lavarsi i denti. “Vedi?” disse rivolgendosi ad 24 “Perché ho avuto la certezza che non fossi altro che una mia proiezione mentale?” guardò il cagnolino che le leccò la faccia, scodinzolando “Perché lui non ti percepisce! Fosse anche una qualche strana frequenza che produce ologrammi...percepirebbe l'elettricità che scorre per produrre l'immagine...”
“Gli ologrammi sono fatti di sola luce!” la corresse immediatamente 24, punto nel vivo
“Vabbè vabbè... comunque, non potresti seguirmi ovunque a meno che non abbia un dispositivo portatile sempre addosso...Ad ogni modo, lui ti sentirebbe parlare...ma sarebbe confuso per la sua diversa percezione visiva...invece...” scivolò nel silenzio, pensierosa “Ciò vuol dire che sei nel mio cervello! Vero, Arek, amore?” domandò al cagnetto che, in tutta risposta, abbaiò un paio di volte. “Almeno non sono matta, dato che li vedono tutti!” disse più a se stessa che al cane.
Lo lasciò andare a terra e gli lanciò uno dei pupazzetti di pezza di cui era disseminata la casa.
“Se avessi avuto le sembianze di un cucciolo, scommetto che mi avresti accettato più facilmente!” borbottò 24 ad alta voce
“Che c'è?” ghignò lei, perfidamente “Sei geloso?”
“Noi non possiamo essere gelosi, non siamo schiavi di qualcosa così gretto come i sentimenti. E poi, essere gelosi di esseri inferiori come voi, sarebbe come se tu lo fossi del tuo cane...” rispose placido
“Ah, ma io sono gelosa del mio cane quando va a farsi coccolare dagli altri” rispose Azzurra altrettanto tranquillamente
“Non come lo intendi tu...noi...” 24 alzò gli occhi al cielo. Quella dannata ragazza riusciva ad incastrarlo spesso e volentieri con la sua lingua tagliente “Lasciamo perdere...”


A 24 prese un colpo. Si trovò, di colpo, scollegato: il sistema protettivo prevedeva il distacco immediato e automatico in caso di forti emozioni, per preservare la salute psicofisica dell'operatore e dell'ospite.
“Ti sta già mettendo in difficoltà, eh?” sghignazzò Mat-mon appollaiato ai monitor di 24 che fluttuavano in aria
“Non hai di meglio da fare che venire a rompermi mentre lavoro?” ringhiò 24 all'indirizzo dell'individuo in bianco e rosso.
“E' divertente vedere le tue reazioni quando non sai come comportarti” celiò l'altro
24 lo guardò storto. Si rimise la lente spettroscopica sugli occhi e cercò di tornare al lavoro.


“24?” chiese Azzurra.
Era rimasta inspiegabilmente sola in bagno. La cosa era alquanto strana. Lei non era come le sue amiche, i cui controllori sparivano spesso e volentieri per andare a sorvegliare qualcun altro: loro non erano pericolose. Ma che 24 sparisse era una cosa che non era mai successa. Era rimasto senza argomentazioni? Aveva colpito nel segno? Nessuna delle due sembrava un'ipotesi plausibile.
Non fosse stata una cosa tanto anormale da essere allarmante, sarebbe stata anche contenta. Perché non spariva quando glielo chiedeva lei ma lo faceva quando erano nel mezzo di un discorso, per futile che fosse?
All'improvviso, così come era sparita, l'immagine olografica di 24 le ricomparve davanti. Azzurra cacciò un urlo tremendo, saltando all'indietro. Dovette appoggiarsi alla vasca per non cascare a terra. Arek trottò subito, nuovamente, in bagno abbaiando ferocemente contro nemici invisibili. Sbuffò, accorgendosi della sola presenza della propria padrona e scodinzolò fino da lei.
“Scusa...” disse 24 fissandola, quasi col fiatone
“Non...non farlo mai più! Razza di imbecille!” gemette. “Al diavolo...ricompari così, tutto tranquillo, come niente fosse... e io mi ero anche preoccupata...fottiti!”
“Preoccupata?” chiese.
Azzurra non fece in tempo a rispondere che l'immagine di 24 sparì un'altra volta
“Ci risiamo...” sbuffò. Decise di lasciar perdere e andò in camera a cambiarsi. Sua maestà sarebbe ricomparso quando più gli sarebbe sembrato opportuno.


“La vuoi smettere, razza di deficiente?” l'urlo di 24 fece tremare le pareti della sua postazione.
“Shedu, a posto!” intimò la voce della Hashmallim comparendo apparentemente dal nulla. Fulminò 24, per il suo comportamento per niente pacato, prima di strigliare Mat-mon “Ti sembra il modo di comportarsi? Sei peggio di un cucciolo umano.” Mat-mon chinò la testa, mortificato “Sai già che prenderemo provvedimenti. Hai qualcosa da dire?” Mat-mon scosse la testa. Le spalle erano piegate sotto il peso dell'ineluttabilità. “Inoltre, il tuo atteggiamento, negli ultimi tempi, è stato assai strano...” La sua non era una nota di carattere tecnico. Era come se stesse scorrendo una lunga lista di infrazioni al codice. Tutti, nella sala, sapevano che il destino di Mat-mon era segnato. Alla meglio sarebbe stato degradato a semplice Manowar. Nessuno osava pensare al deserto. Era una soluzione tanto drastica quanto mai applicata. “Ti abbiamo tenuto sotto osservazione...” Disse, infine, seccata. “Fanne un'altra e verrai mandato in riabilitazione!” lo informò l'Hashmallim chinandosi al suo orecchio e pronunciando piano, ma abbastanza forte perché tutti sentissero il suo monito, la ripugnante parola. Si raddrizzò, algida e altera, girò su se stessa e sparì in un battito di ciglia, lasciando i presenti sbigottiti e congelati nelle loro postazioni.
Quando la Hashmallim fu scomparsa, tra gli operatori si levò un leggero borbottio sorpreso e curioso. Nessuno aveva paura per il compagno. Non poteva succedere nulla di male. Ma, se anche fosse stato, loro, per indole naturale, non potevano provare paura.
Nessuno sapeva esattamente cosa succedesse a chi fosse stato così inetto da finire a farsi dare una controllata. Tutti, però, tornavano indietro muovendosi a scatti meccanici con lo sguardo fisso nel vuoto, quasi incapaci di parlare. E, ultimamente, erano molti quelli che, per una scusa o per un'altra, erano stati giudicati non più idonei al servizio attivo. A meno di non farsi riabilitare.
Ma tra i Potis era la prima volta che veniva ventilata l'ipotesi di un intervento simile.
“Mi dispiace averti dato tanti fastidi...” biascicò Mat-mon, rigido nella sua posizione.
24 notò che aveva le mani strette in pugni, la mascella contratta e i muscoli del volto tesi sugli zigomi. Che strano, pensò. “Mi piacerebbe rivederti, più avanti...” aggiunse l'altro prima di allontanarsi senza salutarlo.
Rivederti? Più avanti? Di che diamine stava parlando quello squinternato? E cos'era quella strana sfumatura nella voce? L'aveva avvertita solo lui? Era stata solo una sua impressione?
24 era sbigottito, non sapeva davvero come comportarsi in quel frangente: non era stato addestrato a quell'evenienza. Era fortemente indeciso se tornare al proprio lavoro, ignorandolo, o seguire il collega che si avviava svelto lungo i corridoi. Decise che Azzurra non poteva entrare in contatto con nessuno, in quel momento. E se l'avesse fatto coi canali tradizionali, l'avrebbe tracciata comunque. E aveva tutta la notte per recuperare il tempo perduto.
Si alzò dalla poltrona e seguì Mat-mon che, dileguatosi alla svelta, era sparito alla vista. Si fidò dell'istinto e puntò diretto a una stanza, di cui non sospettava nemmeno l'esistenza. La scelta più logica  per una fuga sarebbero state le scale, prima ancora dell'ascensore. Fuga. Perché gli era venuta in mente una simile eventualità?
Spalancò la porta e chiamò a gran voce il nome del collega ma non ricevette risposta. Si avviò tra i molti scaffali in cui stavano stipati centinaia di scatole metalliche ronzanti e che traboccavano di cavi elettrici, qua e là qualche luce. Lo chiamò ancora un paio di volte.
Era ormai certo di essersi sbagliato quando percepì qualcosa. Era troppo leggero per poter dire di averlo sentito realmente. Si voltò di scatto e abbassò la testa, cercando di sbirciare sotto quell'assembramento di armadi aperti. Infine la vide. Vide un movimento e la fessura di un'altra porticina, immersa nel buio della sala, illuminata fiocamente dai led rossi dei terminali. Si rialzò, aggirò i grandi monoliti scuri da cui pendeva la jungla di cavi e si ritrovò a osservare l'angolo della stanza, notando dettagli che altrimenti gli sarebbero sicuramente sfuggiti. Quasi scardinò la porta, lasciata socchiusa, nel tentativo di raggiungerlo. Quando vi riuscì, Mat-mon aveva appena gettato qualcosa di metallico lungo un condotto di scarico, un piede poggiato su di esso, la schiena sulla parete opposta. Il tintinnio riecheggiò brevemente nel silenzio spezzato solo dal costante ronzio degli hardware alle loro spalle e dal ritmo affannato del respiro del fuggiasco. Il ghigno sulle labbra, sporche di qualcosa di rosso e apparentemente liquido, gli deturpava il bel viso.
A terra, le poche gocce cadute fino a quel momento avevano già creato una pozza di una decina di centimetri di diametro.
“Così non mi troveranno...” disse volgendosi verso il compagno, senza realmente vederlo, e tentando di pulirsi la bocca con la manica della tuta di lattice. Fu solo allora che 24 vide lo scempio che Mat-mon aveva fatto del proprio braccio e degli indumenti: sulla tuta bianca si apriva una voragine nera e frastagliata che sembrava allargarsi verso il basso. Il braccio, da cui la tuta era stata rimossa a forza, sembrava essere stato decorticato, come se fosse stato estirpato il primo strato di epidermide, lasciando il braccio, altrimenti candido, solcato da nervature scure su fondo rossastro: aveva già visto cose simili, ma solo in addestramento e solo in foto, non certo su quello che lui riteneva il suo migliore amico. Sentì il compagno imprecare, strapparsi ciò che restava della manica e cingere quell'orrore in un nodo stretto.
“Cosa....?” stava per chiedere ma i conati che erano risaliti veloci dal suo stomaco lo zittirono.
Non era paura. Non potevano provarla. Era qualcosa di più atavico e incontrollabile. Era come se un allarme gli stesse risuonando in testa, cercando di preservarlo. Istinto di sopravvivenza, lo chiamavano gli umani. E doveva farti stare così male? Non doveva spingerti ad allontanarti dalla fonte del pericolo? Perché non riusciva a connettere alcunché?
Era la prima volta che vedeva sangue vivo. Rosso e copioso. Come buona parte degli animali terresti! Come gli umani.
La prima volta che vedeva una ferita. Dal vivo. E che ferita!
La prima volta che assisteva a una vera ribellione. Interna, per giunta. Da parte di una persona a lui vicina, di cui non aveva sospettato nulla. Perché quella, ne era certo, non poteva che essere una rivolta.
Paralizzato da eventi inaspettati e che non sapeva come gestire, lasciò che il compagno sgattaiolasse fuori dal locale senza salutarlo.
Il mondo gli girava tutt'attorno. L'odore ferroso del sangue e quello acido del vomito (del suo proprio vomito, reazione inaspettata alla vista agghiacciante) lo stordivano ogni secondo che passava.
La vista gli si annebbiò.
Vide solo entrare una squadra concitata di Karibo. Il nero delle tute corazzate, solcate da linee azzurre che sottolineavano le forme dei corpi. Il nero della stanza rischiarato appena dalle luci rosse degli hardware.
Si sentì scivolare a terra, sprofondare in una massa oscura d'angoscia e perdere il controllo di sé.
Come in sogno. Non sapeva dire, con precisione, cosa gli avesse stimolato quel pensiero. Cos'era un sogno? Sapeva che gli umani sognavano durante il sonno ma loro...loro non avevano bisogno di dormire. Era così che sognavano gli umani? Che cadevano addormentati tra le braccia di Morfeo? Sembrava una cosa piacevole ma per lui era solo spiazzante oltre che frustrante. Perdere il controllo, non essere più lucidi. Cosa gli stava succedendo? I bordi della stanza e delle figure attorno a sé si fecero rapidamente sbiaditi e confusi. Non ebbe quasi il tempo di rendersi conto razionalmente di quello che stava succedendo. Solo rapidi impulsi, quasi il tempo fosse stato congelato. Dopo di che, il buio.


Il foglietto sul tavolo aveva una lista alquanto scarna di cose da comprare. Spesa. L'unica cosa che rimpiangeva di chi viveva in città. Loro vivevano nella più profonda campagna e tutti i servizi alieni non erano ancora stati resi disponibili. Un po' perché, come sempre, si preferiva dare, giustamente, la priorità ai grandi centri, un po' per l'impraticabilità delle strade non ancora, totalmente, automatizzate. In città, potevi startene comodamente stravaccato sul divano di casa, informare la comunità delle tue necessità e in meno di mezzora una spesa perfetta e infiocchettata sarebbe arrivata sulla soglia di casa. Lì non esistevano nemmeno più i supermercati perché tutte le merci erano stoccate ai mercati generali. Nessuno, a parte i più miserabili, avrebbe mai voluto faticare per portare le provvigioni fino alla macchina e da lì al proprio domicilio.
In campagna, invece, i supermercati resistevano per la mancanza di personale e per l'impossibile accentramento delle merci in un unico luogo, essendo le comunità così sparpagliate sul territorio.
Azzurra sbuffò. Avrebbe tanto voluto, anche lei, poter sfogliare il catalogo delle merci attraverso il proprio tablet e lasciare che il programma preposto capisse, in base al tempo di permanenza sulla pagina e ai suoi movimenti oculari, registrati dalla fotocamera, le cose che le avrebbe voluto trovarsi sulla soglia di casa. Pensava sarebbe stato carino farsi sorprendere in quel modo. Un piccolo regalo che la comunità ti faceva. Come quando, negli anni passati, si andava in centro con le amiche a guardare vetrine e loro capivano al volo cosa regalare per il compleanno.
Si riprese di colpo, vergognandosi di quel desiderio. Quello non era altro che un modo dei dominatori per controllarli meglio: facevano leva sui punti deboli degli esseri umani. Il sistema di cloud-computing3 non era altro che una messa a nudo, in piazza, delle proprie individualità, subito fruibili da chiunque senza il minimo sforzo. I suoi simili non riuscivano ad andare al di là del proprio naso e vedevano solo il lato positivo di tutto quel controllo: salvare le foto, tutte, indistintamente, automaticamente sul proprio social network preferito perché non si sa mai che tu perda o ti si rompa il telefono, la comodità di poter accedere ai dati dei computer casalinghi anche dal lavoro... a ben pensarci, lei stessa si era fatta schiavizzare da quelle comodità. Scosse la testa, affranta. Non credeva nella bontà delle azioni gratuite, specie dei nuovi visitatori. Sicuramente li stavano abituando alla mollezza per poi, un giorno, sottrarglieli e renderli più schiavi di prima.
Si cacciò in tasca il quadratino a righe (sua madre era di vecchia generazione e faceva fatica a rinunciare alle vecchie abitudini analogiche), pronta a uscire per far la spesa, irrequieta. Era ormai mezz'ora che 24 non si vedeva. Certo, era una gioia riavere la propria mente, senza nessun guardone che spiasse ogni sua mossa. Però, era strano che fosse scomparso così all'improvviso. Sembrava quasi che ci fosse stato qualcosa di simile a un'interferenza, di quelle che colpivano radio e televisori analogici fino a qualche decennio prima.
Un'idea le balenò in mente, rapida ed istintiva.
Che la ribellione fosse già all'opera e fosse riuscita a danneggiarli? Avevano distrutto i loro sistemi di comunicazione? E in che modo c'erano riusciti? Erano già in possesso di tante informazioni da sferrare un attacco così serio?
Finché non fosse andata al supermercato e non avesse visto gli ologrammi degli altri Augur4, non l'avrebbe mai scoperto, sola com'era in quel momento. Si cacciò addosso la giacca, pronta a uscire. Stava per prendere la borsa ma si ricordò di non averne bisogno: non doveva portare con sé alcuna chiave, alcun documento e tanto meno i soldi.
Sulla soglia, però, si fermò di colpo, improvvisamente abbagliata da un pensiero che giaceva sepolto nella sua memoria. Si diede della sciocca per non averci pensato subito. Quel tempo così prezioso, tutto a sua disposizione, l'aveva gettato alle ortiche per la poca prontezza.
Si lanciò all'aperto, in giardino, oltrepassò il garage, dove la sua auto elettrica e impilabile5 stava a caricare la batteria, e passò ancora oltre i capanni degli attrezzi improvvisati sotto cui suo nonno ricoverava le macchine agricole e distillava liquori nei giorni di maltempo, quando non poteva lavorare per impraticabilità del terreno.
Corse a perdifiato fino a raggiungere un bivio nel fosso tra le colture. Si fermò ansante, non abituata a quegli scatti. Non aveva mai capito quale fosse il reale utilizzo di quelle trincee: aveva pensato fosse un metodo sbrigativo per delineare confini o introdurre acqua anche in campi lontani. Ma la cosa non le era mai interessata abbastanza da indurla ad andare a documentarsi. Né, di certo, l'avrebbe fatto quel giorno. Le sue priorità, al momento, erano altre.
Il suo cane arrivò immediatamente al suo seguito, pensando si trattasse di una sfida. Si sedette compostamente davanti a lei, la lingua a penzoloni tra i denti, in attesa di un bocconcino come premio.
“Aiutami, Arek!!” ordinò al cane che si limitò a inclinare la testa, non capendo cosa volesse da lui la sua padrona. Azzurra si mise a scavare con le mani proprio dove finiva il fosso, secco e duro nel freddo dell'inverno.
Dopo mezzo minuto, Arek si alzò, scodinzolando, capito il nuovo gioco, e andò a infilarsi tra il corpo di lei e il punto dove le mani cercavano. Ficcò il musino nella piccola apertura ottenuta fino a quel momento. Annusò. Annusò una seconda volta, perplesso. Leccò, per sicurezza. Quindi, risalì il fosso e si mise a scavare dall'alto, tentando quasi di strapparsi la terra da sotto le zampe. Con l'aiuto di quelle zampine motrici, che sollevarono una nuvola di terriccio, in breve scavarono abbastanza a fondo da arrivare a raspare contro qualcosa di metallico.
Finalmente avevano trovato quello che aveva seppellito anni prima e che Azzurra non aveva ancora avuto modo di dissotterrare dall'avvento degli ultimi cambiamenti.
Non si concesse di cedere a sentimentalismi e nostalgie. Aprì la piccola scatola di latta con foga e si rovesciò il contenuto sul palmo sporco della mano. Non erano grandi cose od oggetti che potessero essere confiscati per la loro pericolosità.
Due anellini di rame, che Azzurra si sbrigò a far scivolare lungo il bordo dei padiglioni auricolari, uno per parte.
Una fialetta che conteneva un liquido verdognolo. Strappò il tappo a corona con un morso e, sputatolo lontano, lo tracannò avidamente.
Infine, una pillola. Era grande, più di una normale aspirina. E rosa.
La compresse tra i palmi e strinse fino a che non sentì il suono di un involucro che si sgretolava. Rovesciò tutti i frammenti su una sola mano, prese tra le dita il contenuto, ingollò la polvere rosa, quindi fissò il meccanismo. Era la parte più dura.
Si sganciò rapidamente un orecchino e con il perno che si infilava nel foro del lobo toccò appena un pulsante del piccolo attrezzo, grande poco più di un bottoncino a pressione. Non attese di sentirlo risvegliarsi: lo stava già mandando giù.
Il sordo ronzio di avvio ultimato le giunse quando si era già rimessa in piedi e si stava riallacciando il pendente. Il rumore giunse all'altezza dello stomaco, facendola rabbrividire.
Era fatta, pensò. Ora doveva solo attendere. Quanto, non lo sapeva. Ma era quasi libera. Anche se con quell'affare elettronico in corpo.
Si domandò se da quel momento in poi si sarebbe sentita per sempre un mezzo robot o se si sarebbe abituata.
Alzò le spalle. Che importava se era il prezzo della libertà? Quel piccolo, minuscolo attrezzo disturbava le trasmissioni che loro stavano mandando.
Certo, loro controllavano tutto tramite la fitta rete capillare di gadget elettronici di cui gli umani si erano riempiti inconsapevolmente. Agivano sulla psiche umana trattandone il corpo come un semplice conduttore elettromagnetico. Ma nessun essere umano, a parte loro, i ribelli, poteva possedere in corpo un simile meccanismo. Certo, c'era chi aveva arti bionici, by-pass e protesi auricolari. Ma nulla era come quel piccolo vermetto nanotecnologico strisciante che ora si stava aprendo e stava diffondendo le sue mille propaggini all'interno del suo corpo per andare a interferire con le loro trasmissioni.





1    Radio Frequency Identification (Indentificazione a radiofrequenza)

2    Aerospace Industrial Development Corporation/Centre (Centro/corporation per lo sviluppo dell'industria aerospaziale) ma anche Automatic Identifying and Data Capture (Identificazione automatica e raccolta dati).
Volevo giocare sull'ambiguità del secondo acronimo e la prima versione rende di più l'idea “spaziale” mentre la seconda è, invece, legato all'Rfid, che è la tecnologia usata per l'AIDC nella sua seconda accezione (uno il mezzo, l'altro l'azione).

3    La definizione che fornisce Wikipedia

4    Ricordo la doppia eccezione che ho dato al termine: Augur come spia, controllore (ovviamente è un Akero, il controllore) e  l'Augur come sottoclasse degli Akero (termine che a sua volta identifica la razza aliena e uno dei più bassi livelli gerarchici all'interno della stessa)

5    Non mi invento nulla. Questa è Hiriko, la concept car ideata dal MIT e questa è la Stack, progetto finalista della Michelin Challenge Design, di cui oltre il 50% della lunghezza si può accavallare a un'altra auto. Se non fosse chiaro dagli esempi, ciò presuppone una certa uniformità delle vetture (perché la Stack e la Hiriko non sono tra loro compatibili, oltre che essere a energia solare ed energia elettrica). Se ci fossero centinaia di modelli si riproporrebbe il problema dei parcheggi.
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Salve a tutti!
ù_ù sono un pò delusa da me stessa... speravo di riuscire a presentare anche gli altri personaggi ma la cosa si è fatta troppo lunga e ho deciso di tagliare qui...Pazienza...sarà per il prossimo capitolo.
Volevo anche informarvi che, dato che la storia ha preso il via (sono arrivata al capitolo16....) aggiornerò più frequentemente, una volta ogni due settimane...All'inzio volevo guadagnare tempo ma ora che i personaggi mi han preso la mano e fanno quello che più par loro opportuno.... ù_ù; e io non ho più voce in capitolo, avanziamo a passo spedito. Spero vorrete seguirmi nell'avventura anche se, più in là, a tratti, si farà parecchio cruenta.
Come? Vi aspettavate che la cosa si srotolasse tra tentativi -logoranti- da parte di 24 di manipolare Azzurra con adeguata risposta di lei? Conoscendomi sarebbe stata una cosa nel mio stile.
Invece no :) i personaggi fanno quello che vogliono e sorprendono anche me...quindi... benvenuti a bordo!

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Capitolo 4
*** All is under (our) control ***


   4.      All is under (our) control
Or not?





Bip...

Bip...

Bip...

Biiiiiii.......

L'eco del sibilo dei macchinari echeggiò a lungo nella grotta immersa nell'oscurità.
“Sì sì sì, ho capito, ho capito!” una voce riecheggiò nel corridoio di pietra, sovrastando i passi veloci “Non posso neanche andare a pisciare un attimo che scoppia il finimondo...” sputò infastidita. La poltrona logora cigolò quando ci si buttò di peso. Con la punta degli stivali agganciò i bracci delle zampe a rotella e, con un colpo di reni si tirò più vicino alla scrivania.
Le mani scivolarono rapide su una vecchia tastiera dai tasti anneriti, sui quali non si leggevano più i simboli che un tempo vi erano incisi. Lo straziante pigolio ebbe fine e le dita continuarono a muoversi convulsamente, veloci e nervose: quasi non si vedeva cosa stessero digitando. Lo sfrigolio del monitor accompagnava quel ticchettio ritmico. Quando questo si interruppe, un sospiro ne prese il posto, invadendo l'ambiente come una nuvola di fumo. Un sorriso compiaciuto si stirò sul volto illuminato dalla luce azzurrina e artificiale! “Hello!” disse con tono divertito
Riprese a smanettare sui pulsanti, ma meno freneticamente di prima. Sul terzo dei quattro monitor della sua postazione si aprì la finestra di una chat su cui digitò rapidamente il messaggio
-Cap_Solo: CD a” ?
Could you come down just a second? Puoi venire giù solo un secondo?
Non era una domanda ma un ordine. Quasi in contemporanea comparvero altri tre messaggi. Tutti con le stesse domande o commenti: te ne occupi tu?, Se servono rinforzi, non esitare a chiamarci e un più semplice Yeah!
Han fu grato del sostegno degli altri operatori. Sorrise debolmente mentre inviava il primo messaggio, che replicò, poi, uguale in ogni finestra.
-D_L: Qu'est-il arrivé, Han?
Che cosa è successo, Han?
Ed ecco la risposta che tanto attendeva: ortograficamente puntuale, senza abbreviazioni o parole in codice. E in francese. Han sorrise sotto i baffi: Hector era infastidito. Però si imbronciò ugualmente: possibile che non avesse sentito la sirena? Doveva mandare una squadra a sistemargli l'altoparlante?
-Cap_Solo: If U C I sA
If you come I'll say.
Ti dico solo se vieni
-D_L: ...
Sicuramente stava scendendo. Non dovette attendere molto che passi misurati riecheggiarono lontani.
Alors?” chiese, irritato, il nuovo arrivato appoggiandosi allo schienale rozzo e distrutto. “Quante volte devo ripeterti di non scrivere in aramaico? Ci impiego una vita a decifrare i tuoi messaggi”
L'altro ignorò il commento acido e replicò con orgoglio “Te ne ho trovato un altro, dear?”
Hector levò un sopracciglio, perplesso: di solito non lo scomodava mai per certe defezioni. L'avvicendamento di Akero al controllo umano era abbastanza frequente: non tutti reggevano lo stile di vita così diverso. Doveva essere qualcosa di grosso dato che l'aveva scomodato solo quando il n°19 si era disattivato volontariamente.
“Un altro dei loro?” chiese allora perplesso
Han ghignò “No no, Hector...” rispose con accento francese, come se avesse davanti un bambino e gli stesse illustrando la cosa più semplice del mondo “Dei nostri! Una ragazza. Previdente!”
Trique1!” l'altro rimase a bocca aperta, già meditando sulle strategie da adottare “Strano che una donna si sia liberata così in fretta....e da sola... Zoe non conta, dato che in quel caso si è trattata della defezione del suo Augur...”
“Eh eh” Han si era lasciato il meglio alla fine e godeva nel sapere il suo superiore all'oscuro del dettaglio più succulento “Dev'essere una vera dura...” dicendo questo sporse le labbra in segno di sfida, come ad affermare che non avrebbe aggiunto altro.
“Che vuoi dire?” domandò, infatti, Hector
“Han che è successo?” un gruppetto di cinque persone era arrivato correndo “Abbiamo sentito...” disse il capo gruppo indicando con il pollice l'esterno alle sue spalle.
Han gongolava nel tenerli sulla graticola. Stese lentamente le braccia e le incrociò dietro la nuca e accavallò mollemente le gambe, con altrettanta noncuranza.
“Avanti!” ordinò Hector
“Non farti pregare!” lo supplicò il capo del drappello
Si concesse ancora un istante, una pausa enfatica e teatrale. Dopo di che, tirò un gran sospiro, chiudendo gli occhi. Quando li riaprì, soffiò, quasi in un gemito “Era affidata al Potis n°24...o meglio...ora anche lui un Nephilim2...giusto?” domandò come un bambino che non si fosse reso conto di aver appena combinato qualche guaio. Dopo aver sganciato la bomba rimase in attesa della reazione che non tardò ad arrivare. Per lo più erano sgomenti.
“Un'altra ragazza?” fu l'unico commento compiaciuto del capogruppo, un ometto dall'età indecifrabile con un covo di dreadlock biondi in testa. Non si prese la briga di rispondere alla domanda formulata alla fine: era troppo idiota. Non importava chi o cosa avesse provocato il distacco: la fine dell'Akero come tale era già segnata.
“Proprio così, Alain...E in poche sono tenute sotto una più stretta sorveglianza, ora che Zoe...” Han sorrise, fiero di sé e di quella ragazza.
“Questo non lo sapevamo già?” Hector lo interruppe, sarcastico e sempre più infastidito dal suo continuo voler ricapitolare ogni dettaglio. Sapeva che lo faceva per fornire un quadro generale aggiornato. Ma era snervante. “Hai qualcosa su di lei?” precisò subito
“Tutto quello che vuoi...” rispose Han tornando di colpo serio. Si voltò sulla sedia e tornò a smanettare sulla tastiera. “Tra l'altro...guarda un po' chi sono i genitori...” Aggiunse volgendo il primo dei monitor verso il gruppetto che sbiancò all'istante.
“Dobbiamo muoverci!” sbraitarono tutti correndo fuori
“Capo, noi cerchiamo di organizzarci subito! Han, appena hai qualcosa, mandacelo...” aggiunse Alain scomparendo dietro agli altri.
“Bravi, bravi...” biascicò il superiore mentre il drappello era già lontano “E' un bel casino. Appena si accorgono dell'interferenza rischiamo che la mettano sotto una sorveglianza ancora più stretta. Se non, addirittura, che decidano di farle la pelle...”
“Non credo: farebbe crollare la loro messinscena. Ammesso che se ne accorgano, ovvio.” borbottò Han pensieroso “Quanto all'ormai ex-Akero... non credo gli interessi che si sappia di aver un Nephilim nelle loro schiere. E di certo non vorrebbero che la notizia arrivasse a noi... Quindi dubito faranno pubblicità all'evento”
“Riesci a schermarla fino al nostro arrivo? Non è proprio vicinissima...”
“Penso di farcela...non è così assurda come richiesta...” rispose compiaciuto. In realtà era la prima cosa che aveva fatto. Non lui: il suo programma.
Bien...” disse dandogli le spalle e andandosene. Era inutile aggiungere un Fa alla svelta: Han era dedito al suo lavoro più che a un'amante.
Hector si avviò lungo lo corridoio che portava all'esterno quando, all'ultimo Han si ricordò di non avergli detto l'informazione, al momento, più importante “Ehi! Dì ad Alain che l'uscita più vicina è quella di Torino!” urlò con quanto fiato aveva in gola. Dal fondo della caverna, il francese replicò con una qualche risposta inarticolata.
Uscì nella piccola radura al di là dell'imboccatura della grotta e individuò rapidamente un capannello di gente che discuteva animatamente, probabilmente gli interessati, indecisi sulla scelta di chi dovesse partire. Rimase in attesa qualche istante, cogliendo gli umori e le proposte. Alla fine scosse la testa e prese la parola, sovrastando il vociare confuso.
“Niente donne!” asserì deciso “Jess e Xing sono già fuori. Basta! Non mi importa chi altri smani per uscire.” Una ragazza dai capelli lunghi, neri e ondulati fece per replicare ma lui la zittì “Ho detto di no, Nives! Siete troppo importanti per noi, in ogni caso. Siete una manciata appena. Cosa faremmo se doveste...” cominciò ma le parole gli morirono in gola. Non voleva pensare e non doveva ventilare agli altri quella tremenda possibilità di sconfitta “Se avevi tutta questa voglia di uscire potevi andare con Akira al posto di Xing, che era agitata per via delle visioni!” Tacque un attimo per riprendere con tono autoritario “Da quello che ho letto, non mi sembra che il soggetto sia particolarmente sensibile o instabile, come nel caso precedente...Quindi andrà un gruppo di soli uomini, scelti tra coloro che hanno già superato i test!” Un mormorio di scontento si levò dal gruppo “Il mondo là fuori non è come lo ricordiamo, per questo ci vuole gente preparata! Non vi sta bene?” domandò Hector con una vena di sadismo nella voce, quasi minacciasse di spedire al fronte proprio i più deboli, a punizione esemplare, per mostrare la vulnerabilità della comunità “Allora sarete ancora più felici quando avrò deciso chi parte...” Tutti si zittirono all'istante per protesta: non piaceva a nessuno quando Hector si mostrava così dispotico e lui, in quel momento, stava fantasticando quale varietà di bestemmie venissero immaginate a suo indirizzo e trattenute a forza “Bene...Alain, Fred, Kemal e Razor, ovviamente...”
Un urlo squarciò la calma innaturale che si era venuta a creare “Was3?” Strepitò un ragazzo dal mucchio, i capelli erano di un biondo naturale così chiaro da sembrare platino “Ma...Non esiste! Io con Kemal non ci vado!” protestò quello serrando i pugni lungo i fianchi
“E' un mio ordine, Frederick... hai per caso intenzione di mettere in dubbio le mie scelte?” Quello tacque, mordendosi la lingua “Bene... Magari è la volta buona che riuscirete ad andare d'accordo...” Prima di dare le spalle al gruppo, per tornare al suo lavoro, più importante di quei battibecchi da comari, lanciò un'occhiata di rimprovero a Nives che, in risposta, abbassò lo sguardo.
Quel posto cominciava ad assomigliare sempre più a un asilo infantile. Altro che i ribelli dell'immaginario collettivo, simili ai briganti... Il rumore di vegetazione spezzata sotto il peso di passi veloci alle sue spalle lo fermò. “E ora che c'è? Non ti ci mettere anche tu...” Sbuffò
“Volevo solo chiederti se la decisione è irremovibile. Perché quei due assieme non li reggo: rischio di ammazzarli io prima che lo faccia qualcun altro...” biascicò Alain esponendo i suoi dubbi sul caso senza, però, esigere un cambiamento
“Sì, Alain sono sicuro che farà bene a tutti. Magari riusciranno a chiarirsi e a capire che è Nives a convogliare su di loro tutta la sua rabbia e che loro non c'entrano nulla. E, comunque, darà a te un assaggio di cosa voglia dire avere la responsabilità di un gruppo. Al tuo rientro riparleremo di ogni questione...” Disse e riprese ad arrampicarsi su per il terreno scosceso e ricoperto di vegetazione viscida “Ah, dimenticavo...Han dice di andare a Torino...Poi vi manderà Zara con i dettagli”


La Hashmallim, che l'aveva sottoposto a un feroce terzo grado ininterrotto non appena aveva ripreso conoscenza, se n'era appena andata lasciandolo solo.
Si era svegliato su un'asse orizzontale in un ambiente completamente buio e minuscolo, per quello che riusciva a teorizzare. Era stato invitato a restare disteso, durante il colloquio dopo un primo tentativo, troppo impetuoso, di raddrizzarsi che gli aveva dato la sgradevole sensazione si essere su un dispositivo rotante. Gli era stato detto che era una reazione normale del corpo quando sottoposto a forte stress. Lui non aveva indagato ulteriormente e aveva ubbidito. Aveva trovato destabilizzante anche il fatto di essere immerso nell'oscurità: non aveva avuto modo di capire se lei fosse sola e dove fosse stata per tutto il tempo dell'incontro.
Si tirò a finalmente a sedere, lentamente, per evitare altri malesseri.
Azzurra avrebbe sicuramente parlato di tecniche di tortura -deprivazione sensoriale, per la precisione- che si usavano abitualmente anche tra le mura domestiche fino a qualche decennio prima, per piacere ma, soprattutto, come punizione: i sensi esclusi dal processo si acuivano e facevano crescere il panico nel soggetto. Per contro, l'oscurità, se ricercata volontariamente, poteva agevolare alla meditazione. Ma lui conosceva tutte ciò e non era affatto nervoso. D'altronde, si corresse dandosi dello sciocco, come avrebbe potuto? Loro, gli Akero non potevano fisicamente provare emozioni. Non era mai successo. Erano esseri logici e razionali. Infatti, il discorso e le raccomandazioni sul non innamorarsi del proprio ospite gli sembravano quanto meno superflue. Eppure i vertici ritenevano necessario rinfrescar loro la memoria, di quando in quando.
E, in quel momento, cosa stavano vedendo con macchinari che nemmeno lui conosceva? Perché ne era certo, l'oscurità serviva a occultarli: loro e ciò che facevano. Probabilmente erano nascosti dietro un vetro e lo osservavano con sensori di vario tipo. Sospettavano anche di lui? Volevano riabilitarlo? E Mat-mon, operatore n°19, più alto in grado di lui, perché si era comportato a quel modo? E dov'era in quel momento? Dove poteva fuggire? Fuggire... era certo che dopo quello che aveva fatto, quella fosse l'unica alternativa ma...dove sarebbe andato? La zona in cui avevano installato la loro base era desertica e inospitale per qualunque forma di vita, nonostante le sciocche domande del compagno su cosa celassero le dune. L'avrebbero catturato presto. E allora che ne sarebbe stato di lui? Poteva permettersi di preoccuparsi per il suo ex compagno? In quel momento, quella che, dopo gli ultimi avvenimenti, era diventata praticamente la sua Hashmallim personale, stava scandagliando tutte queste domande? Che tipo di rapporto stava stilando sulle sue reazioni?
Ma soprattutto. Perché Mat-mon aveva deciso di comportarsi così? E cosa gli aveva dato una minima speranza di riuscita?
Ora, 24 era curioso di sapere cosa avesse trovato il collega. E come. Già, com'era stato possibile che nessuno l'avesse previsto? Che nessuno si fosse accorto? Cosa diavolo combinava il suo Augur mentre lui elaborava piani sovversivi?
Una cosa ancora più angosciante lo colpì, ritornando con la mente ai giorni passati e agli ultimi strani discorsi dell'amico. Lui e Loki avevano parlato di amore... che si fosse invaghito dell'umana che seguiva?
L'idea lo schifò al punto da fargli tornare i conati di vomito.


“Secondo te funziona?”
Azzurra stava imbragando il cane per portarlo con sé al supermercato e intanto continuava a riflettere sul gesto appena compiuto.
“Sarò sincera Arek...non ne sono molto convinta... ma non ho nemmeno un piano di riserva... quindi, in attesa di svilupparne un altro, tutto quello che posso fare è andare a vedere se il mio è un caso isolato e procurarmi, comunque, il cibo che manca a casa...” Sbuffando, caricò il trasportino rosso nell'auto.
24 non accennava a tornare. E non era comparso nemmeno un qualunque sostituto. La cosa la impensieriva sempre più. Arrivata al grande parcheggio si accorse che per tutti gli altri non era cambiato nulla. E ora come lo spiegava? Il paese era abituato a vederla scortata da quell'energumeno. Se glielo avessero chiesto, cosa avrebbe risposto?
Seccature. Una dietro l'altra. Quella situazione non aveva portato altro che seccature. Si caricò il cane in spalla e si addentrò nel negozio. Come si aspettava, dopo un attimo di smarrimento, tutti la fissavano stralunati: al disagio iniziale, dato dalla percezione di qualcosa fuori posto, si sostituiva il terrore per qualcosa di anormale. E lei era già pericolosa di suo. Possibile che tutti vedessero nel ritorno al passato, nell'autonomia del singolo, qualcosa di tanto negativo?
Stupidi omuncoli. Si trovò a ringhiare nella sua testa. Stupida gente meschina che non sa vedere al di là del proprio naso, che si alimenta con i cibi ingegnerizzati dei colonizzatori per essere meglio controllati. Stupide scimmie che non sanno fare altro che imitare i potenti senza un minimo di senso critico.
Osservò la scatola che stringeva tra le mani. A chi voleva darla a bere? Lei non era poi molto diversa: era ancora lì e conduceva una vita organizzata da loro. Come tutti gli altri, né più né meno. Però qualcosa di strano doveva pur averlo se l'avevano messa a un così alto livello di pericolosità. Alzò la testa, orgogliosa della propria diversità: non aveva nulla di cui vergognarsi. Ma quanto era difficile mantenere le proprie fermezze.
Passò dalla cassa, deserta, e si arrangiò a caricare le merci negli scatoloni.
Ed ecco che, ancora una volta, i dettagli si facevano sentire del passaggio intermedio. Doveva essere stato così anche nelle grandi città, prima dello smantellamento definitivo di strutture come quella. I nuovi venuti avevano cominciato la loro opera rendendo superflue tutte le figure delle cassiere, avendo introdotto prima la cassa automatica quindi unicamente la moneta virtuale, che defalcava i costi solo quando si passava attraverso la porta con la spesa definitiva. Avevano privato le persone di quel prezioso e caloroso contatto umano, spesso l'unico all'interno di una dura giornata lavorativa. Per non parlare delle boutique virtuali dove non ci si provava nemmeno più i vestiti dal vivo, assaporandone il fruscio, la morbidezza, il particolare effetto che dava realmente al corpo, i difetti che si evidenziavano, talvolta, nella persona come nel capo stesso: i fashionisti, ovviamente, si erano fatti installare l'attrezzatura direttamente a casa, senza doversi scomodare ad andare in città per infilarsi in un tubo di vetro dove chissà chi altro era già entrato4. Azzurra si rifiutava di comprare nuovi vestiti. Si ostinava a portare quelli che avevano qualche annetto: tanto erano come nuovi e portava la stessa taglia da... da tanto tempo, forse dieci anni. Le uniche novità venivano da quei pochi e sporadici regali. Sospirò al pensiero: pian piano loro stavano sovvertendo tutto il mondo che conosceva. Era passato solo un anno e mezzo ma sembrava passato un secolo da quando aveva ricevuto i primi spiccioli per andare fuori con le amiche o quando aveva preso la patente con una vecchia auto diesel più simile a un trattore per arare i campi che a un elegante mezzo da città, appena prima della rivoluzione portata dal Blue Beam. Un anno e mezzo e non quasi non ricordava e riconosceva la propria vita passata.
Il pensiero tornò prepotente alla moneta virtuale. Avrebbe preferito tornare al baratto. Scosse la testa. Figurarsi: quelli volevano controllarli e tracciarli costantemente. Ancora si domandava come facesse lei, che aveva rifiutato ogni tipo di impianto sottocutaneo, a essere nei loro archivi. Non aveva nemmeno tatuaggi5.
Arek guaì di insofferenza dal trasportino. “Certo...” biascicò come se gli avesse appena dato la soluzione. Cellulari, wi-fi, cloud computing, ma anche, più semplicemente, il face detection, presente un tempo in macchine fotografiche e in impianti di alta sicurezza. “Come l'Internet che fu...” un tempo rete esclusivamente militare poi al servizio di tutti.
Era giunta a casa e stava già sistemando la spesa quando un ronzio, ormai familiare, la avvertì del ripristino della connessione con il suo Potis.
Sospirò: tentativo fallito. Aveva sperato davvero che quel vermetto nanotecnologico riuscisse a schermarla.








1    Cazzo! In francese

2 Attenzione, Rischio Spoiler.
L'appellativo Nephilim, presente nella Torah, si riferisce ad un popolo creato dall'incrocio tra i "figli di Dio" e le "figlie degli uomini", o a giganti che abitavano la terra di Canaan.
Un termine simile, ma con un suono diverso, viene utilizzato nel Libro di Ezechiele 32:27 e si riferisce ai guerrieri filistei morti. Alcune versioni parlano di eroi famosi, guerrieri caduti o, ancora, angeli caduti (il nome deriva dalla radice semitica nafal, cadere).
Ho tenuto anche conto di chi fossero i Filistei (un popolo che stanzio nell'attuale Palestina -Filastinia- tra il 1200 e l'800 a.C.) e della loro religione. Quando si fusero con la popolazione cananea preesistente, e ne adottarono il pantheon (come sempre in questi casi), scelsero come loro dio principale Dagon, il padre di Baal. Dagon è quell'uomo pesce mesopotamico, per intendersi, la cui simbologia è ripresa pari pari dal Cristianesimo e la cui tiara ricorre nei paramenti sacri del Papa. Per fare un paragone si tratta di una sorta di eterodossia come quella che portò dall'induismo al buddhismo.
Dagon era denominato Ba' al Zəbûl, Il signore della Soglia (l'Aldilà), è più noto con la storpiatura biblica Ba' al Zebub, Il signore delle mosche: Belzebù, uno dei "sette prìncipi dell'Inferno", spesso identificato dalla tradizione cristiana con Satana. 
(Avete notato la scrittura simile? l'equivoco/gioco di parole sarebbe come per noi dire...che ne so...casa e cassa o casa e cosa...al momento non mi vengono paragoni migliori)
Dunque, tornando a noi, mescolando un po' questi dati ho ottenuto il concetto di questi angeli ribelli. Vedremo solo tra una decina di capitoli come il termine identifichi in un colpo il ribelle, l'incrocio e l'eroe.
E se avete letto fin qua...beh...provate a immaginare cosa può succedere a tipi che incarnano queste tre caratteristiche... o meglio, che tipo di personaggi. Perché mi pare abbastanza scontata la reputazione di cui godono queste figure in ambo gli schieramenti


3    Cosa? In tedesco

4    Un esempio di camerino virtuale e uno per provare gli accessori

5    Nessuna novità nemmeno qui...


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Buon giorno a tutti!
Rieccomi qui con questa storia che, spero, continui a piacervi. 
Finalmente ho introdotto anche altri personaggi (all'appello ne mancano davvero pochi) con una rapida carrellata su alcuni. Ma con calma ci tornerò su e ve li farò conoscere meglio.
Il prossimo capitolo non vedrà chissà quali stravolgimenti. Non ancora. Sarà un pò descrittivo, spero avrete la pazienza di sopportarlo.
Ah, se ve lo state chiedendo, vi rivelo cosa nascondono le sigle usate nella Chat all'inizio del capitolo: D_L sta per Dangeon Leader, mentre Cap_Solo, penso sia abbastanza palese il riferimento al Capitano Han Solo della vecchia trilogia di Guerre Stellari. Essendo Hector francese sarebbe stato il caso di scrivere una cosa tipo OC oubliette-chef...ma non mi pareva il caso.
Al prossimo capitolo.

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Capitolo 5
*** Red & white ***


    5. Red & White
Blood & Bones




“Ciao...” biascicò demoralizzata. Chiuse gli occhi, per imprimersi nella mente la sensazione di solitudine provata fino a quel momento. E che non era stata poi così negativa. Ma che, però, già le mancava.
“E' successo qualcosa?” domandò 24 con voce altrettanto mogia.
Strano.
“E a te?” chiese sospettosa “Ti sono mancata tanto?” il sarcasmo era tornato prepotente.
“Sì...” fu la sincera risposta che la spiazzò
“Come mai?” domandò più imbarazzata che spiazzata, sapendo che lui percepiva il suo disagio
“Ti è mai successo... ? Certo che sì, sei umana...” 24 era davvero strano. Iniziare un discorso e non finirlo, anzi, rispondersi da solo, non era proprio da lui. Anzi. Che le chiedesse qualcosa: poteva sondarle la mente, perché prendersi il disturbo di interrogarla personalmente?
“Sei sicuro di essere tu?” domandò, mani ai fianchi, pronta a dare battaglia a chiunque fosse quello strano individuo. Erano così identici, gli uni gli altri, che potevano raggirarla facilmente.
“Sì...solo non è stata una bella giornata...ma non ho voluto che mi sostituissero...”
Azzurra non sapeva se esserne orgogliosa o spaventata “Sono così terribili quelli che potrebbero prendere il tuo posto?”
“Non si tratta di quello...” la risposta di 24 arrivò dopo un attimo di esitazione: più che infastidito per una sua eventuale sciocchezza...sembrava imbarazzato!
“Cosa mi stavi chiedendo?” Azzurra cercò di prendere le redini del discorso. Era strano non dovergli saltare, metaforicamente, alla gola per farsi dire qualcosa. Era troppo docile per i suoi gusti. Ed era quasi piacevole averci a che fare ma... non doveva abbassare la guardia! Poteva benissimo essere tutta una farsa per rendersi più amichevole. Eppure era curiosa di sapere cosa fosse successo quella mattina.
“Hai...hai mai avuto voglia di abbracciare qualcuno senza saperti spiegare razionalmente perché?” vomitò tutto d'un fiato
Per poco Azzurra non si strozzò con la saliva. Che razza di domanda era? Certo, così a bruciapelo, era indiscutibilmente nello stile di 24. Sospirò, cercando di pensare solo alla domanda che gli era stata rivolta. “Sì...” rispose alla fine “Senza che ne capissi il motivo, sì...non che sia prodiga di affettuosità ma... sì! Una volta, che avevo capito che la mia storia non stava andando dove volevo che andasse...”
“Amore?” domandò cauto. Pose la domanda con tanto tatto che sembrò quasi stesse maneggiando un oggetto delicato e glielo stesse posando davanti agli occhi in un letto di cuscini.
“Sì” ammise riluttante. L'ultima cosa che avrebbe voluto era mostrarsi debole davanti a lui.
“Ti va di parlarmene?” chiese, apparentemente frastornato, quasi cercasse di guadagnare tempo per elaborare le informazioni.
“Solo se mi dici cosa ti è successo” replicò Azzurra combattiva, mento alzato “Questo è il prezzo!”
“...” per la prima volta 24 sembrò valutare seriamente le sue parole “D'accordo...” acconsentì docile “Non so se posso... specie a te... quindi... se dovesse succedere qualcosa...”
“E' strano da parte tua dirmi di non preoccuparmi.” lo rimbeccò lei, interrompendolo. Quelle smancerie le stavano cariando i denti: 24 era un rompiballe di prima categoria, non un piagnone. Si stava tirando la zappa sui piedi, ne era cosciente. Ma, se dovevano continuare a convivere, che si spicciasse a tornare quello di sempre “Volente o nolente sei diventato parte della mia vita...ed è tutto il giorno che sto in pensiero...che non siate graditi è un altro paio di maniche.”
24 tacque, colpito e forse lusingato da quelle parole “...Ecco...” balbettò. Si sentiva in difficoltà come con la sua responsabile: si era reso conto che non era affatto semplice fare i conti con le aspettative altrui. “Un mio collega, al livello 19, ha disertato.” disse sbrigativo “E' diventato un Nephilim, un reietto, un ricercato...”
“Capirai...” rispose Azzurra facendo spallucce e mettendosi ai fornelli, dimostrando che non era cambiato assolutamente nulla nelle loro dinamiche “Le mele marce ci sono in tutte le categorie, anche se dovrei ringraziarlo, no?” gli sorrise, nel goffo tentativo di tirargli su il morale. Pensò di essere impazzita: da quando doveva consolare 24?
“Non è quello... è altro che mi ha impressionato...” nel dirlo, l'immagine dell'Akero tremolò, come per un falso contatto “C'era sangue ovunque...”
“Sangue?” domandò Azzurra spaesata
“Sì è dilaniato un braccio e ne è uscito sangue...rosso, come il vostro...è stato orrendo...”
“Credo di poterti capire...” disse Azzurra persa nei suoi pensieri
“Sì?” 24 era curioso e scettico
“Quando è morto il mio primo cane...lo sai già, no? Da che ci siamo noi le morti per incidenti stradali sono completamente sparite dalle statistiche” Disse facendogli il verso e scimmiottando il modo di fare da prima della classe “Beh...l'hanno investito... era quasi tutto integro... anche se il torace era aperto... gli vedevo il cuore pulsare...e l'asfalto era una pozza di sangue. Ma nell'insieme era il dettaglio meno rilevante. La cosa mi scioccò quando lo tirai su e perse sangue dal naso... Quel piccolo, all'apparenza insignificante, dettaglio mi accecò completamente. Posso capire come ti senti...non è mai bello. E non te l'avrei augurato...” disse, sincera: non riusciva nemmeno a immaginare lo stato d'animo in cui poteva versare il suo custode, per quanto loro si proclamassero immuni da certe debolezze umane.
“...” 24 tacque pensieroso “E' stato in quell'occasione...”
“Cosa?” domandò la ragazza al suo improvviso mutismo
“Sto controllando...così è questo che successe...sto guardando i tuoi tabulati di allora...” si affrettò ad aggiungere per non escluderla dai suoi processi mentali. Di colpo aveva ritrovato il suo smalto ed era tornato l'efficiente, freddo umanoide con cui si era relazionata fino a quel momento.
“Ma all'epoca voi non c'eravate ancora!” replicò polemica
“Sbagli...c'eravamo già. Non ci eravamo ancora manifestati...” precisò lui
“Ah...” la notizia aveva preso Azzurra in contropiede. Poteva essere che la controllassero già quando aveva sotterrato il suo marchingegno? Che fossero preparati e per questo non avesse funzionato? Sospirò mentalmente. Avrebbe escogitato qualcos'altro. D'altronde, dopo essersi specializzata in Esobiologia1, avrebbe voluto studiare le nanotecnologie, proprio per cacciarli: sarebbe diventata la più grande scienziata del secondo millennio, colei che, da sola, avrebbe sconfitto la schiera di invasori.
“I tuoi livelli erano crollati.” continuò 24 nel frattempo “Eri in una sorta di trance: perfettamente reattiva ma quasi incosciente, tanto che ti sei resa conto dell'accaduto solo in ambulatorio... ma... in quali condizioni hai guidato?” domandò tra il preoccupato, il curioso e l'irritato. Probabilmente stava comparando il percorso e i dati biometrici in suo possesso, notando ogni incongruenza “All'epoca non c'erano ancora le autocar2 come le concepiamo ora. Potevi ammazzare qualcuno con la tua guida sconsiderata!”
Ricordava di aver fatto la strada in 5 minuti anziché in mezzora. Cercò di impedire che il dolore provato solo pochi anni prima tornasse a grattarle la bocca dello stomaco e cercò di ignorare il tono accusatorio della sua controparte. Improvvisamente Azzurra si domandò perché 24 fosse così disponibile alla chiacchiera e la stesse informando così dettagliatamente. Doveva stare attenta perché sicuramente era una trappola. “Comunque...hai mantenuto il patto...” disse per sviare il discorso e poter tirare il fiato da quegli eventi dolorosi “...cosa vuoi sapere...?”
“Com'è innamorarsi? Cosa vuol dire? Cosa sei disposto a fare?” 24 quasi vomitò le domande. Sembravano perle incandescenti che non riusciva più a trattenere tra i denti. Per l'urgenza o per lo schifo: difficile dirlo.
Azzurra strinse gli occhi, colpita da un'idea improvvisa quanto assurda “Pensi che centri con la defezione del tuo collega?”
La statua che le ondeggiava accanto sembrò stringersi nelle spalle “Forse...”
La cosa la incuriosiva e, forse, poteva ottenere di più. Gli parlò, quindi, delle difficoltà che lei, personalmente, incontrava nell'identificare il sentimento, confondendolo spesso per amicizia o per infatuazione. Gli spiegò come avesse deciso che l'amore vero poteva essere dato solo da una profonda conoscenza, accettazione e tolleranza dell'altro. Ma che poco aveva a che fare con le farfalle in pancia. Non credeva nemmeno alle follie delle tragedie, vere idiozie per lei.
“Le reazioni sono diverse: può essere che, all'inizio, qualcuno stia male da perdere l'appetito e qualcun altro sia così rincoglionito da non capire più nulla, ma dopo un po'... l'attrazione resta, la stima e l'affetto anche... ma torni a uno stato di quiete, diciamo... come quando sei in famiglia: non puoi cancellare il fatto che quelli sono i tuoi genitori e quelli i tuoi fratelli. Anche se vai a vivere lontano il legame resta.”
“Ma se il tuo rapporto si fa piatto sarebbe più logico puntare qualcun altro per riavere l'emozione, se è questo che cercate...” Logica! Pur facendo finta di accettare i concetti di attrazione e di simpatia, pretendeva di ragionare sui sentimenti senza sganciarsi dalla logica. Come spiegargli allora che non tutto, nelle relazioni umane, era legato ad essa e all'opportunismo? “Allora per te ognuno apparterrebbe a tutti3?” domandò dubbioso, probabilmente in cerca di un discorso coerente che legasse tra loro le sue, diverse, esternazioni.
“Beh no, piano... non sono così drastica: il discorso non è così asettico. Tanto meno andrei con tutti... dico solo che sono un po' disillusa e che, se si presta un po' d'attenzione, l'amore è un istinto controllabile come tanti altri...la fame o il sonno...” Cercò di spiegarsi definitivamente, esasperando il concetto, portandolo all'estremo più assurdo. “Sono stata male anch'io. Certo, per un cane. Ma per me era il legame più profondo che avessi. E non mi sono uccisa. Non sarebbe cambiato nulla. Ora convivo col dolore e col timore di perdere anche Arek. Ma la vita va così. Bisogna solo accettarlo”
“Tu non farai mai pazzie, allora?” chiese quasi sollevato.
Forse, pensò Azzurra, temeva di perdere un'altra amicizia in modo violento. Ma la considerava un'amica? E da quando? Aveva forti dubbi che le cose stessero proprio così, ma non indagò. I loro ruoli erano chiari, non c'era rischio di confondersi: lui, un Akero, il suo guardiano; lei, una semplice e stupida umana, la sua prigioniera personale. “Se le farò, saranno sempre ben pianificate prima. Valutate in ogni aspetto e non soggette all'emotività del momento” Così dicendo il suo pensiero corse al meccanismo che aveva ingerito. Non aveva funzionato oppure gli ci voleva solo un po' di tempo per avviarsi? In ogni caso, avrebbe dovuto continuare a fare la brava.



Nella profonda oscurità, di quello che dall'esterno sembrava uno scantinato, si udì un lieve rumore e una voce maschile, dal tagliente accento tedesco, imprecò sommessamente maledicendo il fatto di non poter accendere la luce. “Che schifo!” biascicò poco dopo
“Non ti lamentare in continuazione... sono solo ossa!” lo zittì una voce cantilenante
“Sono ossa di morti, Alain! Morti! Che schifo!!!!” continuò a piagnucolare la prima voce, ignorando il commento serafico.
Alain, in testa al gruppo, levò gli occhi al cielo. Bambini: aveva a che fare con due bambini! “Allors? Siamo in un ossario, Fred. Cosa pretendi?” rispose per sedare gli animi
“Non potevamo venirci quando ci fosse stata un po' più di luce?” domandò ancora il tedesco scattando come una molla a ogni spostamento d'aria.
“Fatti bastare la luce che filtra dal foro della cupola sopra la tua testa” lo redarguì nuovamente la voce melodiosa, venendo deliberatamente ignorata ancora una volta. “O preferivi uscire in pieno giorno, in mezzo al casino?”
“Ma scusa...secondo te i satelliti non hanno anche la visione termica? La bella trovata di girare la sera! Quanta gente vuoi che ci sia in giro a quell'ora? Ci vedranno subito! Di giorno sarà ben più semplice confondersi!” ribatté il tedesco, offeso, ma rivolgendosi sempre al capogruppo
“Certo...” Replicò il francese, spazientito, stanco di quelle schermaglie indirette in cui veniva coinvolto suo malgrado "Saremmo anche più visibili da tutti gli altri che ci sgamerebbero immediatamente e ci acchiapperebbero all'istante. Dobbiamo fare una via di mezzo, stupido!” 
“Non darmi sempre dello stupido, Alain!” piagnucolò ancora quello.
“Alba e tramonto sono le ore più tranquille e sicure. La sera abbiamo un minimo di copertura con i nostri bei mantelloni e non c'è nessuno in giro, al contrario, di giorno siamo visibili ma appena più protetti dal calore naturale...” concluse quello, sorvolando sull'interruzione
Verflixt noch mal!4 Così ci impiegheremo un'eternità!” protestò Frederick
“Così, caro il mio Fred, saremo fuori dalla città prima che cali il sole e immersi in piena campagna saremo protetti dal fogliamo dei boschi circostanti. Di giorno basta restare nelle campagne che non sono ancora ben collegate e viaggiare comunque bardati...” lo pungolò il francese
“Natura, aria aperta, paesaggi sterminati in cui far vagare l'occhio...non vi manca tutto questo?” domandò retorico il terzo incomodo che si beccò un'occhiataccia dal petulante tedesco.
“Dobbiamo solo pazientare pochi minuti... usciremo e ci mescoleremo agli ultimi, che si dirigeranno, affamati, a pranzare. Nessuno si accorgerà di noi. Nessuno se l'aspetta” li informò Alain
“Per l'arabetto qui sarà facile far passare il tempo...” protestò ancora il biondo
“Certo che per essere un crucco ti lamenti parecchio, sai?” lo canzonò quello, tirato in ballo
“Fatela finita, una volta tanto, piccioncini! Mi sta venendo l'emicrania a star con voi...mai più! Al ritorno Hector mi sente...”
“Da solo non sapresti rubare i cavalli, però...” disse l'arabo tirandosi la kefiah nera e bianca fin sul naso e accomodandosi per terra “O preferisci fartela tutta a piedi?” aggiunse, scoccando un'occhiata in tralice al tedesco
Doch!5” ringhiò Fred “Kemal sa bene come si fa...” celiò sarcastico “Lo prendono per uno di loro, abituato com'è a dormire coi cammelli, vero? Dì, da quant'è che non ti fai una doccia?”
“Me ne faccio sempre più di te, razza di sporco cane infedele che non conosce l'uso del bidet...” replicò quello, potendosela prendere, ora, direttamente con Fred
“E piantatela! Cos'è? Una crociata?” il francese era davvero stanco di quei due. Se non gli fossero stati indispensabili li avrebbe volentieri rispediti da dove erano venuti
“Basta che a metà del lavoro non ci blocchi tirando fuori il suo tappetino...lui e la sua dannata kefiah... In questo mondo i simboli religiosi e nazionali sono stati aboliti!” gli ricordò il tedesco con un'occhiata glaciale.
L'altro ruotò gli occhi infastidito “Il ghutra, hatta o shemagh , razza di ignorante, è un copricapo tradizionale arabo...non è solo palestinese. E' come il colbacco per le popolazioni del nord. Quanto al tappetino, come dici tu, se lo faccio è per una questione culturale...per tramandare la nostra storia...” Kemal non diede a vedere se fosse seccato da quella frecciata e continuò “Nonostante tutto, resta un rito che scandisce il mio tempo...come lo sono per te il Natale e la Pasqua. Sbaglio o ti sei tutto affaccendato a infiocchettare un albero, la settimana scorsa?”
“Sono cose ben diverse!” replicò piccato il tedesco
“Ammetti di aver toppato una buona volta...ha ragione Kem! In modo diverso è la stessa cosa...la stessa scansione temporale. E loro lo sapevano...Altrimenti adesso non saremmo qui. Ora mettiti buono a cuccia che ci siamo quasi...” In quel modo aveva definitivamente chiuso ogni discussione. Si avvicinò all'uscio, un piano più in alto rispetto a dove erano nascosti, e lo schiuse. Le strade sembravano abbastanza vuote, la luce era all'apice della sua chiarezza, nel grigiore invernale. Era il momento giusto per andare. Scese a richiamare i suoi compagni e, quando uscirono in strada, le campane della chiesa lì accanto batterono le 12.30.


Quando i genitori della ragazza rientrarono, nel tardo pomeriggio, accompagnati dalle loro ombre personali (Cortez e Morgaine, entrambi vestiti del rosso del 3° livello), accantonarono i loro discorsi per dare alla ragazza la possibilità di resocontare agli adulti sull'esame del giorno precedente.
Ripresero i loro discorsi, fattisi ormai filosofici, non appena la famiglia si sciolse per andare a coricarsi: era come restare svegli fino a tardi a parlare con i compagni di stanza in una gita scolastica. Solo che il suo interlocutore era l'Akero suo Augur.
“Azzurra...?” 24 interruppe i suoi pensieri nostalgici. Per un attimo temette che volesse fargli notare quanto il suo discorso potesse risultare imparentato con quello che loro andavano predicando: l'astinenza dalle emozioni rendeva la vita di tutti più civile; dovevano solo convincersi a farsi curare da quella tremenda malattia che erano le emozioni umane, come ripeteva sempre. “Vorrei che mi aiutassi...” disse, invece, lasciandola momentaneamente sorpresa.
Ad Azzurra sembrò, però, che la richiesta nascondesse anche altro. Quasi la stesse pregando di stringerlo a sé, come un bambino impaurito che corre dalla madre, sua unica referente. Quel giorno, le cose sembravano vertere attorno all'improvvisa necessità dell'Akero di calore, solidarietà e comprensione animale. Qualcosa totalmente istintivo. Quanto accaduto in mattinata doveva averlo destabilizzato seriamente. “E come posso io, piccola e stupida umana, aiutare uno come te?” domandò all'evidenza della loro disparità, cercando di riequilibrare il discorso.
“Se non mi hanno interrotto fino adesso, vuol dire che forse ... non sono così controllato come vogliono darci a bere o forse sono consenzienti anche i miei Augur...” Cominciò quasi rimuginando tra sé “Voglio che mi istruisci...” disse alla fine.
Azzurra si era persa nel groviglio di pensieri del suo angelo “Ti ho fatto diventare paranoico?”
“Mat-mon ha trovato il modo per andarsene. Voglio capire come gli sia venuta in mente un'idea simile e perché. Qui c'è solo deserto!”
Nell'oscurità, Azzurra rimase imbambolata con la bocca aperta: l'aveva fatta davvero grossa. Era riuscita a rendere il suo controllore uno dei loro, un paranoico: lo stava istigando alla ribellione. Doveva trattarsi di un sogno o di un tranello. Poco le importava... in entrambi i casi, il meccanismo difensivo che aveva ingurgitato si sarebbe attivato.
Prima o poi.
Forse.
In quel momento si rese conto di star sognando ad occhi aperti. Si vedeva svettare su una montagna, sguardo puntato alla luna e, proprio come un lupo solitario, urlare la sua sfida personale alle alte sfere degli invasori.
“Sai, credo che il tuo Augur non ti abbia fermato perché ritiene, come tutti, che le nostre teorie siano delle cazzate colossali e che tu non possa cascare in simili tranelli... nonostante dietro ad alcune di esse ci siano personalità di spicco come Edomond Halley6. Sai che ti dico? Arrangiati... leggiti qualche libro di mitologia, guarda qualcosa su YouTube e fatti da solo la tua idea come abbiamo fatto noi” Azzurra si tirò le coperte fin sopra il naso, considerando chiuso l'argomento.
“Hai ragione” Convenne con lei “E' così assurdo che... nessuno penserebbe mai che un 24 si lasci infinocchiare così. Fino a ieri neanch'io lo crederei possibile...”
“Vabbè, il succo è che ti devi arrangiare... io devo dormire, da brava e sfigata umana! Notte” Così dicendo Azzurra decretò la fine della non belligeranza tra loro.
Sapeva che l'indomani sarebbe tornato tutto come sempre. Quella doveva essere solo un piacevole intermezzo per movimentare un po' il loro rapporto. Oppure era stato un tentativo di farla crollare. Che pensasse quello che volesse. Lei non sarebbe stata così sciocca da tradirsi alle prime moine.
Nonostante tutto, in cuor suo sperava davvero che le cose procedessero diversamente.







1    Come aveva già intuito qualcuno, la storia, per ora, è ambientata intorno a Torino. Azzurra prende e prendeva il treno ogni giorno, quindi pensate un paesino tra Torino e Milano.
Il CSE (Centro Studi di Esobiologia) ha sede presso il Museo civico di storia naturale di Milano. Ora, a Milano non c'è un corso simile, al massimo quello di Biologia (con un solo esame, mi pare, di astrobiologia). Le uniche università che trattino l'argomento in Italia sono Bologna, Firenze e Tor Vergata. Ho pensato che si sarebbe trasferita successivamente, a Bologna, a meno di non riuscire ad entrare, in qualche modo, al CSE.

2    Autonomous Car 
Le auto intelligenti che interagiscono tra loro. Componenti primordiali di questo tipo di vetture possono essere il cruise control (controllo della velocità), i sensori di parcheggio (nelle migliori intenzioni dovevano già rilevare, a distanza, i veicoli e regolare la velocità di conseguenza), il park assistant (l'auto si parcheggia autonomamente), etc. Per automatic car intendo quelle auto totalmente autonome. In America e Spagna si parla di procedere alla messa in strada entro fine anno di auto (le cosiddette Google Cars) in grado di viaggiare senza pilota, in una sorta di coordinamento sincronico tra navigatore e sensore .

3    Come già accennato, è il principio che governa il Mondo Nuovo di Huxley, in cui non c'è alcun vincolo familiare tra gli individui e l'attaccamento (e quindi il desiderio di possesso esclusivo) è considerato qualcosa di negativo. Prima di lui, cmq, il discorso (non solo quello sull'amore, ma quello più generale del livellamento sociale che ritroviamo anche in Huxley e che sto cercando di veicolare anch'io) era nato già con Dostoevskij ne I demoni “Ognuno appartiene a tutti e tutti appartengono a ognuno. Tutto sono schiavi e nella schiavitù sono uguali. Nei casi estremi, c'è la calunnia e l'omicidio, ma l'essenziale è l'uguaglianza. Come prima cosa si abbassa il livello delle scienze e degli ingegni. Si può raggiungere un alto livello delle scienze e degli ingegni solo con doti superiori, e non ci devono essere doti superiori! Gli uomini di doti superiori si sono sempre impadroniti del potere e sono stati dei despoti. Gli uomini di doti superiori non possono non essere despoti e hanno sempre fatto più male che bene, perciò vengono scacciati e giustiziati. A Cicerone si taglia la lingua, a Copernico si cavano gli occhi, Shakespeare viene lapidato, ecco lo šigalëvismo! Gli schiavi devono essere uguali: senza dispotismo non c'è ancora stata né libertà né uguaglianza, ma nel gregge deve esserci uguaglianza [...]”

4    Dannazione

5    Certo!

6    Halley teorizzò, tra le altre, la terra cava. Teoria affascinante ma -purtroppo- non ha alcun fondamento scientifico perché il modello su cui si basa l'attuale concezione del centro della terra soddisfa molti più dubbi (tra i tanti, l'acqua di mare che erutta sulle montagne del sudamerica a km di distanza dal mare) di quanto non ne faccia il suo







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Ed ecco chiuso anche questo capitolo...un pò lento, descrittivo/riflessivo, lo so. Ma mi serviva per far parlare 24 di quello che gli era accaduto. Perché ora le cose cominciano a cambiare, per tutti. Prometto che il prossimo capitolo sarà più avvincente -spero- o quanto meno più movimentato. Ho anche introdotto di sfuggita la figura di Morgaine, la guardiana del padre di Azzurra, che nel prossimo capitolo sarà centrale. Invece, la parte iniziale dei dialoghi dei ribelli è un pò confusa, vero? Volevo creare un pò di incertezza su chi, di volta in volta, stesse parlando, perché sono chiusi nell'oscurità. Ma è anche vero che, in un film, ad esempio, avremmo tre voci diverse... vabbè...spero che in qualche modo vi ci siate trovati.
Invece...
mentre formattavo il pc, in questi giorni, mi sono divertita a disegnare i personaggi (l'ho fatto in stile manga per un motivo ben preciso)
:) Per ora, di definitivi, ho solo Azzurra e 24. Il problema delle illustrazioni è che mostrano come sono i personaggi così come li ho io in testa. Quindi potrei aver rovinato l'idea che vi eravate fatti voi. Volevo postarle sul blog ma
visto che, tra 56k da una parte e chiavetta internet dei miei stivali che si scollega dopo 10 secondi dall'altra, non riesco ad aggiornare, la carico direttamente qui. A voi se andare a guardare o meno ;)
D'altronde, di Azzurra non ho ancora descritto nulla... aspettavo l'incontro coi ribelli ;) quindi....
La prossima volta spero di averle finite tutte, così da potervele mostrare.

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Capitolo 6
*** Changes ***


   6.      Changes

Not always goods.




Illuminata appena dalla luce del giorno che doveva ancora svegliarsi, l'ombra si muoveva furtiva nella scuderia. Le code frustavano l'aria scaldata dai radiatori, sbuffi di vapore si levavano dalle narici degli alti equini alloggiati nei box puliti. Ripeté l'operazione tre volte, andando a colpo sicuro, scegliendo le bestie più consone a ciascun cavaliere. Tenendo le redini dei due cavalli che già lo seguivano docilmente, si chinò in avanti, profondendosi in un solenne inchino, fissando negli occhi l'animale di cui aveva così catturato l'attenzione. Pronunciò, ancora una volta, uno scioglilingua armonico “Dio fece uscire i puledri dalle onde del mare in tempesta e furono queste creature a insegnare al vento la velocità...” Quindi, dal basso, avvicinò piano la mano al muso del cavallo. Questo si lasciò avvicinare docile. Conquistata la sua fiducia, con movimenti dolci e fluidi, lo liberò dal box, gli passò per la testa un legaccio con uno strano bussolotto a chiudere i nodi e lo condusse all'aperto insieme agli altri, eludendo i sistemi di sorveglianza. Per quanto quel posto fosse il maneggio più grande e ben fornito della zona prospiciente la città era anche scarsamente sorvegliato. Chiunque, con un minimo di abilità e destrezza avrebbe potuto rubare i magnifici esemplari che vi erano custoditi. Ma, in quel mondo apparentemente semplice, dove le macchine servivano e viziavano gli uomini, chi mai, a parte gli appassionati -che non avrebbero mai osato una simile azione-, si sarebbe interessato a quelle bestie, destinate, ora più che mai, all'estinzione? “In arabo sarebbe stata più efficace...” commentò notando come il cavallo che aveva scelto per Frederick cominciasse a dare segni di nervosismo. Si affrettò e raggiunse velocemente il vicino boschetto, dove Alain e Fred si erano nascosti.
“Scommetto che il frisone1 lo tieni per te...” fu l'osservazione piccata di Fred
Senza badarlo di una risposta, Kem diede una pacca agli altri due cavalli, che si mossero sicuri e con un movimento agile fu subito in groppa allo snello cavallo nero, orgoglioso della propria scelta “Certo, avrei preferito il purosangue arabo, ma quello che c'era era infortunato. Il frisone, invece, è tornato a essere una rarità... la bellezza non può lottare con la stupidità...Quindi, a malincuore, preferisco salvare lui...” sbuffò indispettito. Quindi, quando si fu sistemato, recitò con trasporto “Quando Dio decise di creare il cavallo, disse al Vento del Sud Voglio farti diventare una Creatura. Condensati! e il Vento si condensò. L' arcangelo Gabriele apparve immediatamente, prese una manciata di quella materia e la presentò a Dio, che fece un baio oscuro dicendo: ti chiamerò cavallo; ti farò arabo e ti darò il colore della formica; ho appeso la felicità sul ciuffo che ti ricade sugli occhi. Sarai il Signore degli animali, gli uomini ti seguiranno ovunque andrai; sarai abile nell'inseguimento e nella fuga; sulla tua schiena ci saranno ricchezze e per tua mediazione arriverà la fortuna. Poi Egli mise sul cavallo il segno della gloria e della felicità: un segno bianco in mezzo alla fronte...” Si ridestò dalla sua estasi e si sporse di lato, quasi cercando di farsi vedere dal destriero “Tu non hai nemmeno una macchia a stella...” disse dispiaciuto. Il cavallo, sentendosi chiamato in causa, nitrì sonoramente.
Fred roteò gli occhi, infastidito da quella prosopopea: mai parlare con Kemal di cavalli, tanto meno dei purosangue arabi. Avrebbe voluto replicare a modo suo alle parole del compagno ma era troppo impegnato a gestire la propria cavalcatura che non sembrava voler collaborare, quasi a fargli dispetto, e lasciò perdere. “Non si lascia montare!” protestò verso l'arabo “L'hai controllato bene?”
Kemal gli lanciò un'occhiata sbieca, quindi sorrise sadico “Non ha la bocca sensibile né è sofferente ai reni...direi che è più il suo carattere...o forse il tuo...”
Da lontano, quasi lo sproloquio di Kemal l'avesse richiamato, si avvertì un grido acuto e sottile. “Finalmente si degna di mandarci qualcosa! Cosa gli costava spicciarsi prima?” Borbottò il tedesco, non sapendo più contro chi scaricare la propria frustrazione. Distrattosi un attimo, il suo cavallo già si stava liberando della capezza “No no no!” urlò disperato “Sta buono! Kemal! Ma che razza di bestia mi hai dato? Non sta fermo un attimo!”
“E' indice di furbizia... non sei contento?” celiò l'altro, divertito.
“Fred, sta un po' buono!” si spazientì Alain stendendo il braccio, pronto ad accogliere il falco che stava calando su di loro.
“Siamo sicuri che funzioni, vero?” domandò perplesso Kemal, dopo aver calmato l'Akal-Tekké2 di Fred.
“Han è un perfezionista... lo scudo antiradar che ha installato su Zahra e sui finimenti dei cavalli è studiato per compensare le falle degli scudi troppo potenti3. E poi il raggio è piccolo, giusto per noi... non siamo un esercito... Brava!” disse il francese all'uccello che si era appena artigliato al suo braccio, carezzandogli la testa. Sulla zampa era agganciato un cilindretto d'ottone che recava tutte le istruzioni per la missione.
Kemal si era già messo in movimento, Alain, intento a leggere le istruzioni per la cavalcata, lasciava che il suo Berbero4 lo seguisse: dispiegò la cartina col percorso tracciato e studiò i luoghi in cui effettuare le tappe. Han prevedeva il loro arrivo in serata nonostante gli avesse lasciato ben quattro ore di pausa centrale più altre due piccole soste intermedie da un'ora. Aveva calcolato anche i tempi morti della condotta a mano dei destrieri, 10 minuti per ogni ora fatta in sella. Era sbalorditiva la sua accuratezza fin nei minimi dettagli.
Dietro di loro, intanto, Fred faticava a montare “La prossima volta, tanto per cominciare, mi porto la sella dato che tu ti rifiuti di rubarle...” minacciò, rivolto ora all'arabo, ora al cavallo, quando riuscì a salire “ E anche un frustino...e gli speroni... dannatissimo ronzino...” Detto ciò dimostrò le proprie doti di abile cavallerizzo spronandolo al galoppo leggero per recuperare il terreno perso, dimostrando, così, alla bestia chi fosse, tra i due, a comandare.



La sveglia del cellulare suonò con insistenza. Azzurra si tirò a sedere con poca voglia. Era domenica e doveva finire di studiare per l'esame che avrebbe avuto da lì a tre giorni. Arek, che era salito sul letto durante la notte, si agitò pigramente, infastidito dal disturbo che la sua padrona gli stava arrecando.
“Arek!! quante volte ti ho detto di non salire sul letto??” protestò la ragazza spostandolo di peso verso i piedi. Non aveva cuore di buttarlo giù dal letto.
“Buongiorno...” si annunciò 24, servizievole come un maggiordomo.
“ 'Giorno...” sbuffò lei alzandosi svogliatamente e andando a lavarsi i denti, cercando di non guardarlo: provava una strana sensazione di affiatamento con l'ombra che la seguiva ovunque.
“Mentre dormivi...mi sono fatto una cultura...” la informò il suo custode
“Ah-a” biascicò l'altra, la bocca piena di schiuma. Per un attimo il pensiero indugiò sulla possibilità che il proprio cambiamento nei confronti del parassita fosse dovuto al nuovo approccio di 24, dovuto alle vicissitudini delle ultime ore.
“Devo ammettere che riescono a essere convincenti...specialmente le documentazioni riportate dai militari... oserei dire affascinante... ma tutto questo ciarpame non mi aiuta: non giustifica la nostra presenza né da indizi certi sulla nostra localizzazione né qualcosa di vagamente utile...” sembrava trionfante per non aver ceduto alle panzane umane
“Certo che non lo giustificano...” rispose Azzurra sciacquandosi la bocca “E' un po' un volo pindarico... collegamenti azzardati degni dei migliori autori di fantascienza... nessuna prova scientifica... intuizioni... dovresti sapere che il corpo umano, dall'occhio alla mente, lavora in questo modo...” Scartando l'ipotesi più romantica, pensò di essersi lasciata influenzare dalla vicenda ed essere diventata più possibilista.
“Per questo siete davvero interessanti e sarebbe uno spreco uccidervi tutti” confermò 24
“Ma ciò non vuol dire che non abbiano, tutti insieme, una loro logica... una sorta di Gestalt intellettuale... una bestemmia per i puristi e gli scienziati, però...” Disse sedendosi sul WC “...beh... non ho detto che ci credo... ti ho solo detto di documentarti e farti la tua idea... Ci sono così tanti luoghi che sono stati descritti per secoli e da popolazioni diverse... la cosa mi affascina... questa ricorrenza...dev'esserci una spiegazione razionale. Ma soprattutto, vorrei vederli anch'io, quei posti...” Infine, tornò il sospetto. Che lui la stesse prendendo in giro e stesse recitando secondo un copione. E approfittasse delle falle del suo inconscio.
“Ammesso che esistano” la canzonò 24
“Mi piacerebbe, però...” ammise sognante
“Un mondo in cui noi non ci siamo...ovvio!” celiò lui.
Cos'era quel tono irritato? Se fosse stato tutto calcolato, perché mostrarsi infastiditi? Loro non erano superiori in tutto e per tutto agli esseri umani?
“Non solo per quello... il mondo ideale, Utopia, Atlantide...se in tanti ci hanno scritto sopra vuol dire che... beh...è un'ambizione umana...e forse è anche possibile... no?”
“Certo...ingenuità umana! Ti ricordo che nel XX secolo sono stati tentati esperimenti del genere. E sono, tutti, falliti miseramente.” Tombola! Non era cambiato proprio nulla: era fastidioso come sempre. Poteva tirare un sospiro di sollievo.
“Piuttosto..hai trovato qualcosa sul tuo amico?” Domandò sollevata.
“Qualcosina...nulla di interessante, comunque.”
Chiuso tacitamente l'argomento in quel modo, passò la giornata a studiare intensamente per l'esame ormai imminente. 24 non interferì minimamente con il suo pensiero: aleggiava leggero e silenzioso alle sue spalle senza disturbarla.
Arrivò la sera e i suoi genitori, finalmente, rincasarono. Erano stati nella loro seconda abitazione a curare le piante che, da sole, sarebbero morte di sete. Chiuse i libri, esausta. Si stiracchiò sulla sedia come un gatto e lo stomaco brontolò per l'ora tarda.
“Mi dai una mano?” domandò il padre dalla cucina. Era un ometto secco e dinoccolato, un vero topo da biblioteca.
Lei lo raggiunse quasi saltellando, inspiegabilmente euforica nonostante le molte ore di studio. E, ancora una volta, non sapeva dire se ciò fosse dovuto al fatto che, semplicemente, le piaceva cucinare (specie quando era la scusa per allontanarsi dai libri), all'empatia che si era instaurata col proprio controllore o al fatto che, in qualche modo, lui la stesse drogando, alterando a distanza i suoi valori.
Decise che, dopo cena, avrebbero ripreso il discorso abbandonato quella mattina stessa: quello stato di cose era logorante e, dato che sarebbero rimasti assieme ancora per molto tempo, dovevano mettere subito in chiaro le cose. Le era andata bene essere stata immersa nei libri tutto il giorno, concentrata su altro, ma doveva scrollarsi di dosso il senso di colpa per aver cercato di ingannarlo e far pace con la propria coscienza: non aveva fatto nulla di male e tacerglielo non era un male.
Accese il fuoco sotto la seconda padella, quella che avrebbe usato lei, mise a scaldare una sfoglia di pasta al minimo della temperatura, affettò i pomodori e il formaggio. Tornata alla padella, si accorse di un leggero odore di bruciato. Prese un mestolo di legno e sollevò un lembo del pane per controllare, dato che le sembrava strano: era troppo presto. Invece il fondo era già tutto nero.
“Ma cosa cazz...” smadonnò tirando via la padella dal fuoco. Per caso, un'occhiata volò veloce sui pomelli del gas “Ma papà! Mi hai alzato il fuoco!” protestò alla distrazione del genitore. Se c'era una cosa che Azzurra detestava, dopo gli invasori, era che qualcuno smanettasse tra le sue cose o mentre lavorava, specie in cucina.
“Se non sai farle le cose, evita!” la zittì lui, spiazzandola: non era stata eccessivamente aggressiva e la sua esternazione era più che altro dispiacere per dover, praticamente, buttare via la sfoglia.
“Ma... se l'ho sempre fatto io...” cercò di protestare, lasciando a intendere che era un errore di distrazione, suo o di entrambi, e che la cosa sarebbe finita lì.
“E se le fai, falle bene. Ti ho solo chiesto una mano, mica di fare tutto questo casino...se non ne avevi voglia potevi dirlo” l'omino tranquillo e minuto che era suo padre quasi urlò, strappandole la padella dalle mani. Che cosa diamine gli prendeva così di colpo?
Più offesa che sconvolta, mollò tutto e, sbattendo involontariamente la porta per la foga, si allontanò, diretta nuovamente in camera sua. Probabilmente aveva avuto una giornata storta. Forse una pianta si era seccata o qualcuno dei suoi intrugli, nel laboratorio, aveva fatto disastri. Ma lei che c'entrava? Non era proprio entrata nello studio. Anzi, non sapeva nemmeno a cosa stessero lavorando.
“Non ci si comporta così...” la riprese 24, il quale, fino a quel momento, era rimasto in silenzio. “E' pur sempre tuo padre”
Infastidita, Azzurra stava per rispondergli a tono quando l'interessato le comparve alle spalle con aria bellicosa. Sbraitò con rabbia inaudita, incontrollata e fuori luogo riguardo alla mancanza di rispetto della figlia. A sua volta, Azzurra si scaldò e automaticamente e alzò le mani istintivamente, quasi a volersi proteggere da eventuali pericoli. Riuscì solo ad ammonirlo di non permettersi di alzarle le mani addosso. Non fu però abbastanza svelta nel prevenirne le mosse e in un istante si trovò a terra, i polsi stretti in una presa ferrea. In un attimo fu in preda al panico più totale e cieco. Scalciò a vuoto, si dimenò e cercò di liberarsi graffiando. La gola era stretta in una morsa di terrore che a mala pena le concedeva di prendere fiato. Ma alla fine riuscì a deglutire e invocare l'aiuto della madre.



Dopo un attimo di smarrimento, anche 24 si era attivato
“Morgaine!” urlò rivolto alla sua collega “Cosa cavolo stai facendo?” ma l'altra non rispondeva. Sbarrò gli occhi e, quasi istantaneamente, scattò fuori dal suo lettino. I cavi non si erano ancora sganciati dalle loro prese. Per velocizzare l'operazione ne afferrò le propaggini e le strappò con poca grazia e, per ogni estrazione, una scossa elettrica lo percorse lungo la schiena. Nella foga di allontanarsi, poi, rischiò di distruggere anche la propria postazione, travolgendo qualunque cosa sul proprio cammino: non aveva tempo da perdere ad aggirare gli ostacoli.
Tempo cinque secondi dalla disconnessione con Azzurra, 24 stava già correndo per i corridoi. Se non ricordava male, Morgaine era al livello 3: la sua tuta era rossa, quindi... doveva, teoricamente, salire di tre piani. Non si era mai trovato nella condizione di dover contattare altri Akero, lui, un Potis teoricamente al di sopra di tutti. Arrivato all'ascensore, premette il pulsante ma, compreso che ci avrebbe impiegato troppo tempo, e la salvaguardia della sua assistita era in serio pericolo, decise istintivamente di prendere le scale. Divorò i gradini a tre a tre, le lunghe gambe muscolose non avvertivano minimamente lo sforzo improvviso a cui erano chiamate.
24 non si accorse nemmeno che, dal momento in cui aveva abbandonato improvvisamente la sua postazione, in aria echeggiava l'eco ossessivo di una sirena impazzita. Spalancate le porte tagliafuoco che separavano i diversi livelli, si aggiunsero suoni più assordanti e luci intermittenti accecanti. Lui sembrava non accorgersene e passò i livelli uno dopo l'altro. Non si accorse nemmeno di avere un'intera squadra di Karibo5 alle spalle. Entrato nella terza area puntò direttamente alla postazione in cui sapeva esserci la responsabile del padre di Azzurra.
Si stava avvicinando rapidamente quando un uomo armato riuscì ad atterrarlo, buttandosi praticamente addosso a lui con il proprio corpo. Di lì a poco arrivò tutta la squadra, col fiato corto.
I Potis venivano sottoposti ad allenamenti particolari e non c'era da stupirsi se potevano tener testa tranquillamente a una squadra di Karibo: Mat-mon ne era stata la dimostrazione pratica.
Un'altra scarica di corrente, più intensa di quella provocata da una disconnessione frettolosa e traumatica, gli mozzò il fiato. Il capogruppo dei Karibo avanzò da dietro il drappello con una lunga asta in mano, alla cui sommità sfrigolava isterica una saetta azzurra. Sembrava un taser umano solo che poteva essere usato a grande distanza, grazie, soprattutto, alla rete capillare di sistemi elettronici, di cui erano costellati la struttura e gli stessi operatori, Potis compresi, tramite i quali poteva estendersi e colpire oltre la normale gittata. Le braccia gli furono portate sulla schiena e i polsi stretti tra loro e sui quali sembrò gravare un improvviso peso: lo stavano tenendo fermo con un ginocchio
“Accidenti...cosa combini?” sbuffò la voce ruvida dell'uomo nascosto da una maschera rigida grande quanto tutto il volto, dotata di due griglie, una per gli occhi e una per la bocca. Il corpo massiccio e pesante era fasciato da una tuta integrale nera dai dettagli blu elettrico, che faceva il paio con l'asta sfrigolante.
“Mo..Morgaine...fermatela!” riuscì a biascicare 24 dalla sua emiparesi.
L'uomo volse appena la testa verso la zona dove doveva esserci l'operatrice. Quindi, fece cenno ad altri due uomini di procedere nella direzione indicata mentre lui si accucciava accanto a 24, scuotendo la testa, deluso.
“Comandante...!” dissero i due, allarmati, poco dopo.
Quello sbuffò seccato: erano giorni che avevano un sacco di rogne a causa dei Potis. Fece alzare 24, immobilizzato da un campo magnetico, e lo trascinò con sé. La scena che si presentò agli occhi del Potis e della squadra di Karibo era agghiacciante: Morgaine giaceva alla sua postazione priva di coscienza, occhi sbarrati e schiuma alla bocca. Le onde neuronali erano alterate e fuori sincrono.
“Allertate la squadra di Anargiri6, subito!” abbaiò terrorizzato l'uomo. Qualcosa non andava: i Potis sempre in mezzo a i piedi e una serie di eventi spiacevoli uno dietro l'altro, a ripetizione. Cosa stava succedendo?
Nell'aria, le sirene assordanti dell'allarme d'infrazione furono sostituite da un altro richiamo, monotono e a ciclo continuo che ricalcava il nome della squadra convocata.
In pochi minuti una squadra di esseri fasciati in verdeazzurro precipitò sul luogo.



“Ti chiedo scusa...” La sua ombra sembrava davvero contrita e dispiaciuta.
Azzurra se ne stava rannicchiata in bagno, avvolta da una coperta e con i polsi nella vasca colma di acqua fredda.
“Non è colpa tua...” gli rispose con poca convinzione. Sembrava essere in uno stato catatonico. Non si capiva se stava rimuginando sull'accaduto o se fosse sotto shock.
“Azzurra!!!” la voce della madre proruppe, nuovamente, dall'altra parte della porta. Come tutto, in quel nuovo mondo, anche la casa rispondeva ai comandi vocali. Ma, in caso di emergenza, Azzurra era in grado di bypassare il computer e trovare una soluzione analogica alle sue esigenze. Si era rintanata in bagno, spaventata, per restare al sicuro, da sola. L'unico che poteva nuocerle era l'uomo al suo fianco. La soglia, era dotata di un sofisticato sensore a graffa, su cui andava a innestarsi le porta che scorreva dal soffitto fino al pavimento, il quale segnava il fine corsa al meccanismo della porta. Azzurra non aveva fatto altro che infilarci in mezzo una forcina per capelli, dando così l'idea al sensore di porta chiusa, perennemente. L'aveva posizionata in modo tale che, dall'altra parte della soglia, fosse praticamente impossibile rimuovere per chiunque, se non per chi si fosse chiuso all'interno, e aveva lasciato appena lo spazio perché la mano scorresse tra il pavimento e la paratia, per rimuovere la forcina e permettere, nuovamente, alla porta, di aprirsi. Arek era l'unico che riuscisse a passare per quel pertugio. “Azzurra, apri ti prego!” La implorò ancora la madre.
“Non si allarmi...le ho già spiegato che 24 …..” la calda voce di Cortes riprese a cullare la madre in preda al panico, spiegandole per l'ennesima volta che non c'era nulla di cui preoccuparsi.
“La mia bambina!” strepitò ancora la donna accasciandosi contro il la porta scorrevole.
“Cos'è successo?” chiese 24 dopo minuti di esitazione. La voce della donna di al di là della porta taceva: forse il collega si era deciso a narcotizzarla e a condurla, sonnambula, a letto.
“Mi sono dimenata con la forza del panico, ho graffiato e scalciato... Ma avevo la gola chiusa... quando ci sono riuscita, ho urlato con quanto fiato avevo in gola che mia madre venisse ad aiutarmi. Lei non capiva... e poi era alle prese con Arek che era scappato dalla porta socchiusa. Cortes non ha saputo darle alcun tipo di informazione... Alla fine è andato tutto bene...” abbozzò un sorriso che però non rasserenò il Potis “Tu, invece? Sei scomparso improvvisamente e... diciamo che il panico è aumentato...”
“Io... mi sono scollegato per correre a vedere cosa combinava Morgaine... era...” il ricordo lo fece ammutolire
“Non ti devi preoccupare...nel momento in cui mi hanno assegnato a te, mi ero preparata a... quasi tutto...” lo consolò lei con lo sguardo triste di chi sa di essere un condannato a morte, la cui esecuzione è solo rimandata, giorno dopo giorno, per farlo precipitare nel panico e nella pazzia o per condurlo a una serenità rassegnata.
“No, vedi, lei...” Anche lui aveva bisogno di parlare. Tutto quello che stava succedendo in quei giorni lo stava destabilizzando. Prima o poi, sarebbe stato richiamato per venire riabilitato. Stava perdendo il suo sangue freddo e la sua obiettività “Era sotto shock, suppongo... è stata subito portata via dalla squadra di Anargiri... e tuo padre è stato assegnato subito a un'altra operatrice... la riconversione prenderà del tempo... è la seconda volta che succede... Non sono ancora riusciti a stabilizzare Zoe, l'ospite di Mat-mon...” disse a mo' di giustificazione.
“Direi che in questi giorni sono un po' tante le cose che vi capitano per la prima volta...” mormorò Azzurra sfregandosi i polsi con un unguento.
“Forse...sono i primi casi di cui io vengo a conoscenza...” azzardò lui.
“Cominci a parlare come un cospiratore...” lo canzonò lei “Fa attenzione...” aggiunse seria.
“Sono preoccupato... e questo la Hashmallim lo sa...” lasciando intendere che era finito un'altra volta sotto torchio nella saletta buia.
“Sa cosa?” indagò la ragazza
“Che temo tu... anzi... voi e noi Potis, siamo l'obiettivo di una qualche... terapia d'urto di una frangia di Akero stanchi delle vostre continue resistenze e della nostra tolleranza nei vostri confronti... d'altronde... dopo la ragazza in stato semi vegetale di Mat-mon, tu sei la seconda femmina umana più refrattaria...”
“Ah...” fu l'unico commento della ragazza. Questo era un dettaglio di cui sentiva parlare per la prima volta. E cosa aveva di così speciale per essere addirittura la seconda in tutto il globo?
“Ho avuto paura...” le confessò
“Anch'io...” disse sorridendo mestamente e osservando il chiarore del tramonto riflesso sulle mattonelle bianche.








1     Nel XIX secolo rischiò l'estinzione del Frisone perché, giunta in Europa la moda delle corse di trotto, si cercò di migliorare le sue già buone prestazioni incrociandolo con cavalli più leggeri, come l’Orlov. Nel 1879, ventidue allevatori si riunirono e determinarono gli elementi caratteristici della razza per tentare di salvarla: durante la prima guerra mondiale rimanevano solo tre stalloni puri e un centinaio di giumente. Gli allevatori, per preservare il patrimonio genetico decisero, quindi, di escludere qualsiasi incrocio con altre razze. La seconda guerra mondiale favorì la sua ridiffusione a causa della scarsità di mezzi di trasporto e del razionamento dei carburanti.
Una seconda crisi colpì la razza quando, in tempi più recenti, si diffuse il salto ostacoli: la conformazione del cavallo non permetteva la pratica della disciplina se non a bassi livelli. Furono le sue doti per gli attacchi, questa volta a livello sportivo e non più utilitario, a salvarlo una seconda volta.

2    O Akhal/Achal-Teké/Tekké. Tremila o poco più gli esemplari presenti in totale nel mondo. E' un'altra razza che, ancora negli anni 50 stava scomparendo. Il cavallo celeste! No, non avete le allucinazioni. Sì è dorato: il pelo è cangiante.
Questo particolare mantello, Isabella, ha origine dal Palomino. Discorso un po' contorto: solo di recente il Palomino non indica più un manto ma è diventata una razza a sé. Questo cavallo, si dice abbia avuto origine in Spagna, dove era conosciuto col nome di Isabella, dall'omonima Regina (1474-1504). In comune col Palomino ha la base del corpo chiara e i crini dono bianchi. L'effetto cangiante metallizzato (caratteristico della razza che esiste anche morello e argento) glielo da , sia la pelle sottilissima, ma soprattutto la struttura stessa del pelo, corto e morbidissimo (tanto da meritarsi il paragone con la seta), cavo all'interno, cosicché l'aria al suo interno possa diventare una specie di camera d'aria che lo protegge dalle temperature rigide della regione d'origine.
Una delle più belle e antiche razze equine (in realtà è più antico anche dell'arabo..così, per restare in ambito di rivalità tra i due possessori), discende direttamente dal cavallo Turkmeno -oggi estinto-. Allevati in regioni estremamente aride, sono molto resistenti, possono lavorare e resistere a grandi sbalzi di temperatura. Nel 1935 parteciparono alla spedizione russa sa Ashakhabad a Mosca (4000 km). Durante questi raid attraversarono 375 km nel deserto di Kara-kum in tre giorni, durante i quali restarono totalmente senz'acqua. Alto 1,55-1,65, per la velocità e per la linea slanciata si potrebbe paragonarli ai levrieri (e infatti sono chiamati anche Levrieri del deserto). Curiosità: aveva una dieta assai particolare: orzo, erba medica, grasso di montone, uova e mais. Si dice, inoltre, che Bucefalo, il cavallo di Alessandro Magno, fosse un AT ricevuto in dono alle nozze. Leggenda vuole che alla sua morte l'imperatore gli abbia eretto una tomba in Pakistan e che fossero AT anche i cavalli di Gengis Khan. Fedelissimo al padrone, apprende alla svelta, è anche testardo e non facilissimo. Ma d'altronde è quanto di più vicino ci sia alla purezza. Quindi, manco fosse cosciente del proprio valore, bisogna accostarcisi col dovuto rispetto ;)

3    Ora non ricordo più come e dove l'avevo saputo, fatto sta che anni fa era stato costruito un antiradar navale così potente da risultare fastidiosamente visibile proprio per l'assenza della benché minima attività marina: sul radar c'era un buco nero che inghiottiva anche il normale disturbo dell'acqua. Grazie a questa iper-perfezione, la nave era pienamente visibile come se non avesse avuto il congegno antiradar. I ragazzi vogliono evitare di essere rintracciati per un eccesso di prudenza: meglio qualche rumore di fondo dell'assoluta invisibilità.

4    Berbero o Barbaro (o più semplicemente Berb-Barb), cavallo Barbaro, è arrivato in Europa solo nell'ottavo secolo (anche se c'è chi sostiene che vi fosse arrivato già ai tempi dei romani) e ha contribuito alla formazione di razze importanti e famose. Nella sua forma primitiva, immune da incroci, si riscontra ormai solo in un numero esiguo di esemplari presso le popolazioni nomadi nordafricane. Veloce e resistente è docile e coraggioso, particolarmente resistente ai cambiamenti climatici, alla fatica e alle malattie, apprezzato come cavallo da guerra.

5    Dalla schiera dei Cherubini, il gruppo scelto armato, una sorta di corpo di polizia.

6    Sotto il nome di Santi Anargiri, la Chiesa celebra, in realtà, tre coppie di martiri: abili nell'arte medica, essi andavano di città in città e di villaggio in villaggio, curando gratuitamente i malati (il nome significa privi di soldi -la A iniziale è privativo-) che incontravano e proclamando a tutti la venuta di Cristo, il vero medico (delle anime e dei corpi). 





- - - -

Una nota sulle cavalcature.
In realtà, per Kemal avevo scelto l'andaluso. Ma si è lamentato che fosse tarchiato e troppo poco appariscente. Dico io...dovreste cercare di nascondervi, non attirare lo sguardo della gente.
Per Fred avevo pensato il purosangue inglese. Alto circa 1,80 al garrese (dove il collo si innesta alla schiena, per intendersi...quindi aggiungete collo e testa e avrete l'altezza totale), volevo che avesse problemi ad arrampicarcisi senza sella e staffe...Invece ha preteso il cavallo considerato più bello in assoluto (assolutamente NON appariscente, vero?), con portamento fiero e altero =_= giusto per lui, insomma...tanto anche questo ha le sue rogne, essendo testardo e ribelle ù_ù;;;
Alain, invece, doveva avere il purosangue arabo ma ha preferito il suo concorrente. “La caratteristica fisica che distingue il cavallo di razza araba rispetto alle altre razze è che le vertebre della sua colonna spinale sono più corte e quindi la schiena è più corta rispetto agli altri cavalli; da ciò deriva la compattezza del suo fisico, lasciando inalterati gli altri organi vitali. Da qui il suo impiego negli sport di resistenza in cui il cuore (delle stesse dimensioni di un qualsiasi altro cavallo) deve sostenere ed irrorare un fisico più compatto di un altro cavallo, dando all'arabo una resistenza maggiore in uno sforzo minore del cuore.” Ecco perché lo volevo per il capo della missione... (fonte Wikipedia.)
Dunque, a presto. E grazie ancora a quelli che mi seguono.


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Capitolo 7
*** New Friends ***


 7.     New friends
New decisions




Il sole era ormai tramontato da un pezzo, lasciando in sua vece, a illuminare le campagne scure e secche, una semplice falce di luna.
Vicino a un piccolo corso d'acqua, in un cascinale a due piani abbandonato, divorato dall'edera e transennato alla meglio lungo il perimetro, il gruppetto di ribelli si stava sistemando per la notte. Il piccolo gheppio rossastro, Zahra, era andato a nascondersi tra le travi marce del soffitto mentre uomini e cavalli si erano disposti lungo le pareti. Kemal era alle prese con l'ultimo di loro: lo stava ringraziando con una bella spazzolata e con un dolcetto di cui quelle bestie erano particolarmente ghiotte.
“Sicuro che siamo dalla parte giusta?”
“Sì sì, non temere... il problema è... come facciamo a portarla fuori? A evitare che il suo angelo la segua, sopratutto...” Borbottò Alain sovrappensiero. Era il capo della spedizione e avrebbe dovuto avere in mente un piano eccellente per ogni evenienza. Quando erano partiti gli era sembrato tutto così facile, come in un romanzo di avventura. Ma ora, che doveva prendere decisioni serie, e valutare ogni minimo aspetto di una situazione, aveva la mente vuota. Per un attimo pensò che quella non fosse altro che una missione suicida.
“Io continuo a pensare che sarebbe meglio far tutto domattina...” borbottò il tedesco rigirandosi nel suo sacco a pelo “Pensateci... potremmo avvicinarla senza che per forza scatti l'allerta...”
“Per una volta Fred ha ragione...” concordò Kemal camminando piegato in due, sotto la controsoffittatura improvvisata dei mantelli schermanti assemblati alla meglio, per andare a sistemare il proprio giaciglio lontano dall'apertura nel soffitto.
“Come sarebbe a dire per una volta?” si inalberò quello, mentre Alain si faceva pensieroso.
La casa della ragazza era nascosta in una viuzza affluente della strada principale, anch'essa poco frequentata. Tutt'attorno si estendevano foreste di alte erbe incolte, pungenti e secche, vigneti bitorzoluti, noccioli scheletrici, acacie piangenti sui corsi d'acqua, nascondigli prediletti da lepri e volpi. Non era la via di fuga ideale: da un lato sarebbero potuti scappare mimetizzandosi tra il fogliame ma dall'altro, la stessa vegetazione avrebbe conservato traccia del loro passaggio.
“Io spero solo che i tuoi trucchetti ipnotici funzionino...” disse stancamente il tedesco, la cui maggior preoccupazione era la possibilità di essere scoperti.
“Vuoi provare?” chiese Kem da dietro la Kefiah, gli occhi già chiusi.
“No grazie...” fu la secca e immediata risposta “Non sono un cavallo, io!”
“Ah no?” ribatté l'altro divertito “La differenza è davvero poca... ma un asino lo si riconosce più dal culo che dalla faccia”
“Brutto talebano mujaheddin!” ringhiò Fred “Son passato da mulo ad asino, ora?”
“Fred...?” lo chiamò Alain “Kem è arabo1, non afgano2...”
“Ma non sei nato a Kandahar???” strepitò il tedesco a indirizzo dell'altro che non si capiva se stesse già dormendo
“Solo nato... io sono Arabo! Ed ero musulmano, ma stop, razza di crucco ignorante!”
“Fred quanto avevi in geografia?” domandò ancora Alain, sistemandosi meglio
“Senti... sono fisico nucleare, io. Che cazzo me ne frega di geografia?”
“Ti darebbe fastidio solo se ti prendessero per Austriaco, vero?” replicò il francese sghignazzante “Figuriamoci se ti credessero di origine turca...”
“Ho forse la faccia del turco?” replicò inviperito “Ho il nasino da Cirano? Occhi neri e pelle abbronzata? I mustacchi?”
“No, sto solo dicendo che se non si azzecca precisamente il luogo di origine, chiunque si infastidisce... e molti turchi sono tedeschi a tutti gli effetti... è come se a uno dei nostri di origine algerina fosse scambiato per camerunese... loro sono francesi e giustamente si incazzano se gli dici che sono africani e non europei... non buttarla sul colore della pelle o cadi nel cliché del tedesco nazista...” lo redarguì serafico.
“Non fare tanto il moralista, tu che i tuoi cugini belgi proprio non li sopporti. E almeno, risparmiami i turchi, per favore...”
“Razzista!” lo pungolò Kem
“Non sono razzista, i miei vicini erano turchi e ho brutti ricordi... e poi cos'è? Gli italiani possono dire abbronzato per nero e io no solo perché sono tedesco?”
“Fred, piccolo ariano in erba, lascia stare... e comunque, Cirano è francese, non c'entra nulla coi turchi, ignorante!”
“Lo so...” borbottò il tedesco “Certo che a pensarci... il nasino alla francese è ben diverso...”
“Come lo è la puntualità dei tedeschi... ora dormi e non far casino”
“Vuoi dire che sono ritardatario cronico?”
“Fred, stiamo dicendo che ciascuno è se stesso e le categorizzazioni di genere, cazzate... anche se è automatico farle... il tuo cervello deve etichettare le cose per andare avanti” sbuffò Kem “Ora dormi o ti ipnotizzo...”
Un abbaiare feroce, distante qualche centinaio di metri, interruppe Kemal all'istante.
“Ce l'ha con noi?” domandò Alain allarmato
“Più che con noi...” precisò l'arabo “Si è accorto di presenze estranee e poi del casino...” frecciò a indirizzo del compagno permaloso. Dietro l'abbaiare forsennato percepirono il rumore di un cavallo lanciato a un galoppo leggero.



“Arek!” sbuffò Azzurra seccata, mano al fianco, tenendo fermo il pony slanciato dalle zampe zebrate.
“Che cos'ha?” chiese 24 perplesso da quel comportamento, aleggiando sulla sua spalla.
“Sapete tutto su di noi e niente su di loro? Che razza di invasori e creatori sareste mai?” borbottò tra sé con sarcasmo la ragazza. Quindi, alzando un poco la voce, certa che comunque lui l'avesse sentita, proseguì “Ce l'avrà con qualche gatto... oppure ci sarà una talpa... o un qualche uccello... o la tana di qualche lepre... oppure... un riccio. Sì... il riccio è il più probabile...”
“E perché?” chiese ancora l'altro, curioso
“E' il tipo di abbaiare isterico. Quando trova un riccio non riesco a schiodarlo... l'unica è proseguire...mi seguirà quando si sarà stancato... spero” disse la ragazza spronando il cavallo. Scese lungo il camminamento accanto al corso d'acqua segnato dai mezzi agricoli durante il loro passaggio. “Perché lo fiutano a metri di distanza e si incaponiscono per stanarlo a costo di farsi male... ho passato notti insonni perché non capivo con chi ce l'avesse e lui fuori ad abbaiare anche con la pioggia a qualcosa che non vedevo... Alla fine vince il riccio, perché il cane, non riesce a fare niente di più che terrorizzarlo facendo la voce grossa... A meno che non scopra che, facendogli la pipì addosso, quello si arrende..” E mentre Arek continuava a entrare e uscire dalla fitta palizzata verde fin dentro il casolare scuro e diroccato, Azzurra e 24 si avviarono per quel sentiero nell'erba alta che separava tra loro i campi, e gli stessi dai fossi e dai corsi d'acqua.
“Quanto hai intenzione di stare fuori?” domando 24 dopo qualche minuto
“Voglio solo non pensare... ” disse lei in un soffio, posando lo sguardo sui propri polsi: in quell'oscurità non sembrava esserci nulla di strano “Voglio stancarmi e arrivare a letto distrutta...”
“Farai preoccupare tua madre...” le fece notare lui.
“Starà in ospedale tutta la notte e domani deve lavorare... figurati!” replicò lei con un'alzata di spalle “Tanto non posso farmi del male, non è vero? Ho il mio angelo custode che impedirebbe il mio suicidio...” sputò con acredine. Il cavallo sentì il suo nervosismo e nitrì di rimando “Sono così stanca a volte... chi me lo fa fare di combattervi? Tanto...” Tra loro cadde un pesante silenzio. “Che c'è?” domandò, dopo un po', perplessa
“Non dirlo più, ti prego...” soffiò lui, angosciato. Azzurra non poteva saperlo, perché 24 glielo tacque, ma il pensiero di lui corse al suo collega disertore e alla sua assistita, Zoe. Non voleva assolutamente prendere in considerazione l'ipotesi che quella ragazza potesse rappresentare il futuro prossimo della sua ospite. Non la mise nemmeno a parte di pensieri più angoscianti che l'agitavano.
Avrebbe dovuto indagare, ma non sapeva da che parte cominciare.



La mattina si preannunciava come abbastanza fredda, vista la nebbia che aleggiava tutt'attorno. Le piante erano coperte da un sottile strato di brina che saturava tutti i colori della natura. Il sole, rosso all'orizzonte, con la sua eccezionalità, in quel grigiore, feriva gli occhi. Il silenzio era tale che in qualunque altra stagione sarebbe sembrato angosciante. Invece, insieme al freddo pungente, sembrava la cosa più azzeccata e romantica che potesse esserci.
Tre figure emersero dal loro rifugio stiracchiandosi doloranti. “Hai una faccia terribile...” biascicò qualcuno “Pensa per te” fu la risposta di qualcun altro.
In breve si sistemarono, pronti ad affrontare quella dura giornata.
“Certo che ieri sera me la son vista brutta... non fosse per Kem ci avrebbero scoperto...”
“Gli animali mi amano...” disse l'interessato avvolgendosi pesantemente il suo mantello schermante sul giaccone e gesticolando al modo dei prestigiatori “Anche se normalmente, per l'alimentazione, gli animali europei tendono a fuggirmi...”
“Allora ci è andata proprio bene che questo cane abbia girato un po' il mondo e fosse abituato a odori diversi...” puntualizzò uno dei due biondi, il più polemico. “Che ora è?”
“La madre della ragazza è andata via?” domandò anche Alain, in contemporanea
“Sì... e il padre è sotto osservazione in ospedale” confermò Kem “Mi son svegliato prima di voi e l'ho sentita andar via. Anche Azzurra è già uscita e rientrata da una passeggiata mattutina col bastardino... sapeva di Croissant e caffè espresso...”
Soppesando il fatto che non potesse averla vista se non da lontano, Fred commentò disgustato “Sei proprio un animale...”
“L'avresti sentito anche tu...” lo rimbrottò il francese, valutando le condizioni atmosferiche. “Quindi ora starà studiando... cadiamo a fagiolo... 9.30...direi che è un buon orario... i cavalli resisteranno ancora un po'?” domandò dopo aver ragionato a voce alta
“Certo!” fu la sicura risposta dell'arabo.
I tre, lasciati gli zaini nell'edificio, si diressero senza ulteriori esitazioni alla villetta di Azzurra.



All'interno della casa, Arek drizzò le orecchie sentendoli arrivare, ma non abbaiò, riconoscendo l'odore di un uomo che gradiva.
Al tavolo della cucina, Azzurra era già immersa nel ripasso finale. Sapeva che era inutile ma le dava sicurezza riguardare gli appunti durante la mattinata. Il pomeriggio, invece, avrebbe chiuso tutto, cervello compreso, e si sarebbe dedicata al restauro e al relax. E il giorno successivo l'esame sarebbe andato come avrebbe dovuto: bene se aveva fatto il suo dovere e le domande non fossero state particolarmente puntigliose, male se non si era impegnata. Non avrebbe risolto nulla correndo ai ripari all'ultimo minuto.
Suonò il campanello della porta d'ingresso ed Arek diede un singolo abbaio quasi a dire Ti ho sentito. Azzurra si alzò controvoglia, togliendosi da sopra tuta pervinca il plaid avorio: stando ferma tutto il tempo, nonostante i termosifoni pompassero al massimo, avvertiva tutta l'umidità dell'esterno.
“Sì?” disse dubbiosa aprendo la porta e vedendosi quegli sciacquattati troneggiare all'ingresso. Notò subito i tre lineamenti diversi e percepì qualcosa nel loro modo di vestire: erano sul filo della congruità della nuova moda anche se, per gli uomini, era preferibile un taglio di capelli più marziale.
Il moro doveva essere di qualche zona del vicino o del medio oriente. Pur andando a esclusione, le restavano molti paesi di cui non conosceva le fisionomie e che, a suo avviso, si assomigliavano abbastanza. Era un bel ragazzo, i lineamenti duri e taglienti, capelli neri come la pece, lisci fino alle spalle; una kefiah al collo ma nessun simbolo religioso, a parte un bracciale che poteva essere preso per Kara3, uno dei cinque segni Sikh4 insieme al pugnale che portava al fianco, forse un Kirpan5: paradossalmente, rischiava di più esponendo il monile, rispetto all'arma. Ma si presupponeva avesse un Akero a controllarlo e il suo Augur non avrebbe mai permesso nulla che esaltasse il narcisismo o le ricadute nostalgiche per altri culti del passato.
Gli altri due, invece, erano entrambi biondi. Uno aveva un cespo di dreadlock biondo cenere attraverso i quali si intuiva la fronte spaziosa da cui spiccava il naso tendente all'aquilino. Gli occhi erano verde bosco, un po' acquosi ma duri. Una barbetta ben curata gli segnava la linea della mandibola.
L'altro aveva la testa avvolta da morbide e corte onde più bianche che bionde, ma la cui radice era nera come l'ebano; gli occhi erano color del ghiaccio, aveva labbra affilate e naso pronunciato. Sembravano entrambi nord europei entrambi ma poteva sbagliarsi alla grande. Gli abiti non aiutavano a sciogliere il dubbio: erano vestiti, tutti e tre, con morbidi calzoni cargo dai colori terrosi e scuri, dall'aria comoda e calda, da cui facevano capolino dei vecchi anfibi militari. Il torso era coperto da giacche a vento imbottite sotto le quali si intravedevano felpe e maglioni.
Arek trotterellò al suo fianco e, al posto di fermarsi al comando della padrona, corse a fare le feste a Kemal.
“Tu sei Azzurra, vero?” più che una domanda, quella di Alain suonava come una constatazione: la foto aggiornata, che Han gli aveva spedito tramite Zahra, era tutta un'altra cosa rispetto a quella vista sul monitor nel rifugio. Nonostante ciò era abbastanza sicuro che non potessero esserci altre ragazze come lei: occhi azzurri, vivi e attenti, labbra carnose che si intuiva essere spesso atteggiate in smorfie polemiche. Ma quello che la rendeva, a suo avviso, così particolare era il taglio di capelli assolutamente fuori di testa, qualcosa che neppure il più folle dei ribelli avrebbe osato farsi: capelli naturalmente biondi e lisci, più chiari sulle punte castani alla radice, erano massacrati da un taglio trasversale che sembrava (e probabilmente era) eseguito da un raggio laser calibrato per recidere solo le fibre di cheratina. Nel complesso la visione era destabilizzante, capelli lunghi e scalati su un lato del volto, rasati sull'altro versante, con un accenno di ispida spazzola verso l'alto. Anziché essere parallelo al suolo, il raggio doveva esser stato inclinato volutamente di 45 gradi rispetto all'asse orizzontale e altrettanto per quello verticale, in modo da consentirle di avere un accenno di frangia che le velasse gli occhi.
“Possiamo entrare? Dovremmo parlarti un attimo...” esitò notando come lei si guardasse attorno, circospetta, quasi in cerca di conferma da terzi.
Tutto fu più chiaro quando le sentirono dire “Cosa dici?”
Quella che dovette essere la breve risposta di uno spettro, che nessuno dei tre vedeva, sembrò il monologo interno di una ragazza impazzita che parlava con amici immaginari.
“D'accordo... se lo dici tu...” disse asciutta aprendo la porta e facendoli passare.
Li guidò fino in cucina dove li fece accomodare scusandosi maldestramente per il disordine. “Non c'è alcun problema... sapevamo che stavi studiando... sappiamo anche cosa, a dire il vero...” biascicò Frederick stranamente gentile.
Lei teneva gli occhi bassi e accennò con un movimento delle spalle che la cosa non le dava alcun fastidio “Come mai non li vedo?” chiese ancora, dopo un attimo, al suo fantasma. La risposta che ricevette dovette preoccuparla più del necessario perché, quando rivolse di nuovo loro la parola, era ancora più impacciata “Posso offrirvi qualcosa? Un tè? Un caffè?”
“Oh sì, ti prego, posso avere una tazza di latte caldo?” piagnucolò il tedesco
“Frederick!” lo riprese Kem
“Che c'è? Con tutto il freddo che abbiamo preso stanotte...” quella risposta sincera fece spuntare un sorriso ad Azzurra che rispose chiedendo gentilmente anche agli altri due se accettavano qualcosa.
“Se non è troppo disturbo...” disse timidamente Alain “Io prenderei un tè...”
“Io non ti farò lavorare tanto...come i buzzurri caucasici...” rispose Kem incrociando ostinatamente le braccia al petto
“Nessun disturbo..” disse la ragazza “Era tanto che non avevo ospiti... sapete... per lui...” li informò imbarazzata con un gesto della mano che indicava un punto preciso nel vuoto. Punto in cui, evidentemente, nella sua mente, compariva l'angelo.
“Lui?” i tre si guardarono perplessi “Scusa se te lo chiedo...” cominciò, nuovamente irruente, Kemal
“No, buono un attimo...” lo interruppe Alain “Scusaci, arriviamo subito al dunque, siediti, per cortesia.” disse, cercando di essere il più rassicurante possibile. Quindi proseguì non appena lei si fu accomodata, pronta ad ascoltarli. Stranamente, il suo volto tradiva impazienza. Come se sapesse cosa stavano per dirle “... Siamo a conoscenza di cosa hai fatto due giorni fa” Vedendo la sua espressione farsi allarmata, si precipitò a precisare “Ma non devi allarmarti, siamo dalla tua parte...”
“Come?” rispose la ragazza: non aveva capito praticamente nulla del loro discorso. O forse non si aspettava una bordata così diretta.
“Cazzo!” protestò allarmato Frederick, tirando fuori uno strano aggeggio dalla giacca. Lo puntò contro la ragazza, premette rapidamente qualche tasto e continuò a borbottare “Ma vedi? Qua non segna nulla... l'unico... è il cane...”
“Ma che cavolo...” protestò anche Kem a quel punto
“Ok, calmatevi tutti e due, la state spaventando!” li redarguì il francese che continuò, poi, a indirizzo di Azzurra “Puoi prepararci quanto avevi cominciato?” disse accennando ai fornelli “Ne parliamo con calma” disse sottolineando l'ultima parola, guardando i suoi compagni di viaggio “Davanti alle tazze fumanti...”
“D'accordo...” disse Azzurra che servì in tavola anche biscotti e torte. Un po' maldestramente chiese loro di darle le giacche: non aveva certo intenzione di essere una padrona di casa così scortese.
Con qualche boccone in pancia, gli animi un po' più calmi e le bocce impegnate (alla fine Kemal aveva accettato una tazza di caffè all'occidentale), Alain riuscì a presentare se stesso e i suoi compagni.
“Vedi... siamo come te... ribelli...” azzardò, ormai dubbioso che si trattasse della ragazza giusta “E abbiamo... tracciato il tuo segnale... o meglio... quello che doveva essere l'interruzione del segnale con loro...” disse. Vide Azzurra irrigidirsi. Non osava spostare lo sguardo dalla sua tazza ma era probabile che il suo controllore le stesse dicendo qualcosa “Ora... noi non lo vediamo... né tu vedi nessuna accanto a noi. Questo perché noi non siamo marcati...” a quelle parole, la ragazza alzò lo sguardo e sembrò illuminarsi, quasi le avesse confermato qualche folle idea “Potresti farci da interprete?” disse accennando con la mano al vuoto attorno a lei
“Come? Oh sì, certo! Scusate!” disse arrossendo, capendo che fino a quel momento loro erano rimasti all'oscuro di tutti i dialoghi intercorsi con 24
“Come prima cosa vorrei sapere cosa ti ha detto per convincerti a farci entrare...lui avrebbe dovuto sapere che eravamo smarcati e eravamo una potenziale minaccia per il suo sistema, quindi...”
“Ecco... pare stiano succedendo delle cose strane, da loro, in questi giorni. Vedendo voi, ha pensato che potreste avere la risposta che cerchiamo...”
“Cerchiamo?” ripeté Fred stupito
“Sì” confermò con un veemente cenno della testa “Pare si stia convincendo delle nostre teorie... oh, sì che ti stai convincendo!” improvvisamente il suo interlocutore era diventato il fantasma che, a quanto pareva, aveva cercato di contraddirla
“Ma non sarà già stato diramato l'allarme per la nostra presenza?” domandò Kemal perplesso
“No” lo zittì Alain “Non ci vedono e potremmo fuggire senza lasciare traccia... e da quello che ha detto lei....”
“Noi pensiamo che ci sia una qualche falla nel loro sistema... perché con tutti i dubbi che gli ho instillato e con tutte le ricerche che ha fatto autonomamente su temi che ritengo siano pericolosi per loro, è strano che non ci abbiano ancora separati... sì sì, ora glielo dico...” sbuffò
“Dirci cosa?” chiese impaziente Frederick
“24 è convinto che io sia in pericolo e che sia nel mirino di qualche assurdo piano di uno dei loro...” Prima che potesse finire, i tre le vomitarono addosso domande sbigottite
“Che intendi con pericolo?” “24? che razza di nome è?” “Piano di uno dei loro?”
Alzando le mani, quasi a proteggersi o a tacerli, Azzurra continuò, precisando ogni passaggio “Non sono molto brava a scegliere i nomi, e mi rifiutavo di dargli un nome umano. 24 pare sia il mio livello di pericolosità e tale è il suo nome: un numero, quello che siamo noi per loro. Quindi... ieri son stata aggredita da mio padre...” disse mostrando i polsi ancora leggermente arrossati “Credo sappiate che, se un umano ha intenzioni dannose nei confronti di un altro essere vivente o attua comportamenti poco virtuosi, viene forzato a comportarsi secondo le regole, tanto da non sapere più distinguere il confine tra la propria coscienza e la forzatura mentale impostagli. E' quindi da escludere una -un tempo- normale lite padre-figlia. Inoltre, 24 ha riferito come l'operatrice addetta al controllo di mio padre sia stata ritrovata riversa alla propria postazione con la schiuma alla bocca... da quello che mi ha mostrato, sembravano i sintomi di un avvelenamento... o di un'intrusione forzata nella sua psiche, rigettata dal corpo... ma non stiamo parlando di esseri umani, quindi le mie sono solo teorie... fatto sta che l'operatrice agiva sotto il controllo di qualcun altro e mio padre a sua volta. Per questo 24 ritiene che forse sarei più sicura ora, qui con voi, che non sola con lui e i suoi simili.”
“Wow...” fu il commento sbalordito di Kemal “Impressionante il grado di affezione che ha sviluppato”
“Credo di poter dire che in questo momento è imbarazzato” aggiunse la ragazza “L'altro fatto particolare, per cui lui crede che puntino a me, a lui o a noi due è che due o tre giorni fa, un suo collega ha disertato...”
“Parla di 19?” chiese piano Frederick
“Sì” confermò la ragazza. 24 aveva sentito la domanda e aveva risposto d'impeto “Per dirla in parole povere, lui l'ha seguito, è svenuto ed è stato interrogato... in pochi giorni, trovarsi sulla scena del crimine due volte non depone a favore nemmeno in una società come la loro... credo...”
“E' stato quando...” la imbeccò il francese, per non farla scoprire: se aveva fatto quello che pensavano, il contatto si era staccato in quell'occasione e lui non se n'era accorto. Ciò poteva dipendere dal fatto di avere ancora in corpo il marcatore.
“Sì” rispose lei “Ma non funziona... pensavo che magari dopo un paio di giorni...”
“Forse è troppo vecchia, come tecnologia.. forse è della partita che hanno scoperto e per la quale hanno adottato delle contromisure... o forse il suo scopo era isolare solo voi due, in modo che i suoi superiori non si accorgessero di tutto questo o forse, ancora, semplicemente bucare la schermatura e inviare un segnale...” disse indicando se stesso e i suoi colleghi.
Azzurra fece spallucce: non sapeva proprio cosa rispondere. Quindi girò la questione “I vostri piani quali sarebbero?”
I tre si guardarono a vicenda quindi fu Kemal, coi suoi modi gentili, a risponderle “Se lo vuoi, siamo qui per portarti con noi, nella nostra comunità di liberti” rise pensando all'origine del termine “Una società semplice, autosufficiente e abbastanza estesa... ovviamente è priva di molte comodità e ha le sue regole, a volte un po' soffocanti, come tutte le regole...”
“Cosa devo fare?” chiese senza un attimo di esitazione. Ma subito il dubbio e l'esitazione la portarono a continuare “L'unica cosa che mi dispiace, ma davvero mi stringe il cuore, è lasciare i miei genitori... sapere che loro soffriranno senza di me... sono la loro unica figlia... sapevo... ho sempre pensato alla fuga... ma davanti alla possibilità concreta...” disse mesta “Non posso portarli con me?” chiese supplichevole
Kem scosse la testa, più abbacchiato di lei “No, mi dispiace, e ti capisco... però... no... rischiamo di fare un danno ancora peggiore rimuovendo il sensore senza che loro ne abbiano sviluppato il desiderio...”
“L'età è un dato, una finestra, fondamentale per la riuscita dell'operazione. Nonostante i tuoi genitori siano chi tutti sappiamo... hanno un'età che non gli permette di ribellarsi. Anche se, a questo punto, comincio a pensare che loro possano essere più liberi di quello che crediamo...” biascicò Alain tra sé e sé.
La delusione negli occhi della ragazza, velati da lucciconi che tratteneva con tutte le sue forze, era palese. “D'accordo...” disse infine, riuscendo a mantenere salda la voce “Quando dobbiamo partire?” chiese mentre si alzava e dirigeva al lavello, dando così loro le spalle, fingendo di aver qualcosa da fare.
“Se ti va bene, partiremmo domattina, sul presto... è l'ora migliore per muoversi...”
“Avrai tutta stasera per salutarli...” disse Kemal accanto a lei. Si era alzato immediatamente dopo di lei e ora se la stringeva al petto, senza obbligarla a voltarsi verso di lui.
Azzurra non pianse, non le scesero lacrime dagli occhi, non se lo concesse, ma stretta a quell'uomo così gentile fu scossa da tremendi singulti che fecero tremare come una foglia la sua fragile struttura. Quando si fu calmata riprese la conversazione con l'innocenza di chi, quasi, non avesse appena avuto un conflitto interiore.
“Vi va una doccia calda? Da quello che ho capito, non ve la passate bene... almeno da qualche giorno...” Frederick le si buttò ai piedi, lagnandosi che il clima tedesco non era umido come quello del nord Italia e che quindi sentiva molto più freddo nonostante le temperature leggermente più alte. Alain e Kem, dopo aver preso in giro il tedesco a cui si rovinavano gli splendidi riccioli d'oro, accettarono cordialmente. “Anche perché, puliti saremmo anche più credibili nel caso...” ma si morsero la lingua.
Nel caso avessero incontrato i genitori di lei, ovviamente.






1    La parola Arabo viene comunemente utilizzata per indicare un'etnia, presente nell'area vicino-orientale e in Africa del Nord, che ha come lingua madre la lingua araba

2    I talebani sono studenti di scuole coraniche. Il termine è stato usato impropriamente dai media per indicare la popolazione fondamentalista presente in Afghanistan e nel confinante Pakistan che si è sviluppata come movimento politico e militare per la difesa dell'Afghanistan dall'invasione sovietica.
I mujaheddin, invece, è, letteralmente, il combattente (della Jihad che indica lo sforzo e copre l'ampio spettro dalla lotta interiore alla guerra santa). Nel XX secolo il termine è stato usato per indicare i guerriglieri armati che si ispirano più o meno alla cultura islamica. Ancora una volta, è andato a indicare gli estremisti afgani di cui sopra.
Quindi, in realtà, Fred non avrebbe nemmeno tutti i torti, se avesse usato i termini nel senso originario.

3    Kara

4    La stragrande maggioranza degli indiani che vediamo in Italia, quelli col turbante, provengono dal Punjab e, normalmente, sono proprio Sikh. Ora, Kemal è arabo e questo dimostra sia la cultura di Azzurra (che è a conoscenza della regola delle 5K) ma anche una scarsa attenzione all'aspetto altrui.

5    Kirpan 





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Eccoci qui con l'incontro tra Azzurra e i ribelli. In realtà questo capitolo (come poi tutto il racconto) è all'insegna della diversità culturale. Il confronto/scontro/isolamento dall'altro, dal diverso è il fulcro di tutto: spero solo di non diventare pedante con il discorso -_-
A tra due settimane

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Capitolo 8
*** Ready! (parte I) ***


 8.    Ready!
Or not?




Azzurra preparò per loro il piatto più veloce e semplice – ma non troppo – che sapesse cucinare ma che fosse anche buono e sostanzioso: una torta salata che avrebbe incontrato i gusti di palati così diversi. Si considerava una discreta cuoca avendo smanettato, sin da piccola, con giochi interattivi su consolle che illustravano le ricette passo passo. Quando srotolò sul bancone di marmo nero diverse verdure, tutte lucenti, bellissime e dalle dimensioni omogenee, i tre rimasero affascinati da tale perfezione.
“Avevo dimenticato...” ammise Frederick osservando attentamente il suo lavoro.
Quando estrasse la pirofila dal forno, i tre si tuffarono sul cibo e pulirono le stoviglie fino a farle risplendere.
Una volta puliti e sfamati, avevano un'aria meno distrutta rispetto a quando avevano varcato la soglia di quella casa. Aiutarono la ragazza a rassettare e si riaccomodarono in cucina pronti a consigliarle la lista da stillare, e preparare entro il giorno dopo, delle cose che le sarebbero tornate utili una volta lasciata la casa natia. Erano da poco passate le sei del pomeriggio e il cielo era ormai scuro, quando sua madre rincasò, accompagnata dall'onnipresente Cortez.
Entrando in cucina sgranò gli occhi vedendo la figlia non solo in compagnia di ben tre uomini (e belli, anche) ma uno più diverso dall'altro.
“Ciao cara....” salutò un po' perplessa poggiando la borsa sulla prima sedia oltre l'ingresso “...i tuoi....amici? Si fermano a cena?”
“Come?”Azzurra era spaesata. Sarebbe voluta correre in contro alla madre, aggrapparlesi ai fianchi per non separarsi da lei.
“No, signora, ma grazie dell'invito...” rispose Alain cordiale, cercando di distrarre la donna (e la sua ombra) dall'aria contrita della ragazza. “Dobbiamo rientrare, siamo solo passati a vedere com'era messa Azzurra per l'esame di domani” aggiunse con un sorriso
“Oh, capisco...compagni di università?” più che una domanda era un'affermazione, ma l'aria interrogativa rimaneva impressa sul suo volto, come i suoi occhi rimanevano incollati alla bizzarra e antiquata acconciatura di Alain “Azzurra...come mai non mi hai mai parlato di loro se siete in così buoni rapporti?”
“Ecco, io...” Il terrore invase la giovane. Cosa poteva raccontare a sua madre, così, su due piedi? Lei non era abituata a mentire
“Credo che non volesse metterci nei guai...” rispose per lei Kemal, strizzandole l'occhio di sfuggita “Conoscendola...” aggiunse con aria canzonatrice.
“Già...” Aggiunse Frederick sorridente, ancora seduto al tavolo, il mento poggiato sui pugni “E' proprio da te... potremmo sentirci quasi offesi...”
Azzurra ora guardava lui, dando le spalle alla madre, con occhi sgranati in modo talmente vistoso da non lasciare adito a dubbi sulla sua confusione. Stavano improvvisando ma lei non riusciva a seguirli: si reggevano il gioco a vicenda intrecciando una storia plausibile e coerente, ciascuno coi pezzi proposti dagli altri.
“Azzurra, non fare sempre l'offesa!” la apostrofò la donna con tono stanco “Siete fin troppo bravi a esserle amici...” biascicò poi con rammarico e una punta di invidia.
La madre si stava bevendo quel teatrino? Pensava davvero che ora lei fosse arrabbiata e stesse cercando di zittire il tedesco con un'occhiata truce? In effetti era nel suo carattere reagire così.
Non fece in tempo a rispondere a tono, capito ormai il gioco, che Kemal intervenne un'altra volta. “Penso di parlare a nome di tutti dicendo che, invece, ammiriamo questo lato a volte fastidioso del suo carattere. Sua figlia sa essere un'ottima amica, dovrebbe esserne orgogliosa!”
“Oh, ma lo sono...” rispose interdetta la donna. Cominciò a sfilarsi, solo allora, guanti e cappotto nel tentativo di guadagnare tempo e terreno nella conversazione ma, ancora una volta, Alain la anticipò.
“Lei si espone molto: ai rischi, allo scherno, agli insulti e alla solitudine che ne consegue. Eppure è sempre disponibile con tutti. Non per un calcolo opportunistico ma perché è nella sua natura. A volerla vedere in un altro modo è molto coraggiosa: se fosse vera la minaccia che la spaventa tanto, per le cui affermazioni è stata posta sotto un così alto controllo, saremmo noi a doverla ringraziare per la lotta che porta avanti.”
“Purtroppo o per fortuna siamo un po' dei pusillanimi miscredenti al punto che condividiamo il nostro custode con altri. Anzi... siamo così pecore che non sappiamo nemmeno difenderci da soli e abbiamo dovuto aspettare che fosse lei a rispondere a tono per noi, perché potessimo crescere e migliorare.” Disse Fred, apparentemente immalinconito
“Prenda i suoi capelli...” suggerì Kemal indicando Alain “...associati a una vecchia promessa, o il colore della mia pelle. Nonostante questa sia l'epoca dell'uguaglianza universale, eravamo emarginati. E Azzurra a messo a posto tutti, allontanando da noi tutti i sospetti eversivi, attirandoli su di sé, permettendoci di integrarci”
“Già...noi siamo solo un po' strani ma non crediamo ai complotti di cui lei si fa portatrice. Però la apprezziamo per il suo modo di essere” Aggiunse Fred per non lasciare buchi nella conversazione “In classe la pensiamo tutti così...più o meno...”
“Sì, certo!” sbuffò Kemal. Quindi si rivolse direttamente ad Azzurra “E ricorda... la prossima volta che quel deficiente ti dice qualcosa, dimmelo che lo prendo da parte io un attimo...” il sorriso gli illuminò l'incarnato scuro “...a volte mi dispiace così tanto non riuscire più a menare le mani con chi se lo merita...” sospirò dispiaciuto
“Perché? Che succede in università? Cos'è che non mi dici?” la donna era improvvisamente allarmata. E Azzurra con lei. Cosa doveva rispondere? Cosa si stavano inventando quei tre matti?
“Non si preoccupi, nulla di grave. Solo tentativi di bullismo da parte di marmocchi troppo cresciuti...” celiò il tedesco con uno sguardo che non lasciava presagire nulla di buono
“Male lingue molto taglienti...” concordò il francese “Le stesse che facevano stare male noi. Vorrebbero ghettizzarla per il suo livello 24...ricorda...” disse rivolgendosi, quindi, direttamente alla ragazza “...sono solo invidiosi perché tu ricevi attenzioni dalle alte sfere!” disse con tono imperioso, quasi fosse la centesima volta che glielo ripeteva
“Ma...cara...chi è questa gentaglia? Perché non me ne hai mai parlato?” chiese premurosa la donna. Ad Azzurra tutta quella preoccupazione suonò vuota e falsa: una recita degna di quella dei tre estranei. Effettivamente nel suo corso c'erano un paio di cretini che si divertivano a lanciarle continuamente frecciatine, ma aveva sempre stretto i denti, per non darla vinta ai propri genitori.
“Sospetto per pudore, signora...” disse Alain
“Comunque se ti mettono le mani addosso è la volta buona che gli rompo il naso...” aggiunse Kemal
“Mi fanno proprio schifo” commentò Frederick “Si vede lontano un miglio che in realtà pensano ad altro, anche se non lo ammetterebbero mai...”
Era tutto vero... si era accorta anche lei del modo distorto in cui, effettivamente, quelli la guardassero ma... il punto era: come facevano i tre ragazzi sbucati dal nulla a sapere tutte quelle cose? Stavano davvero improvvisando? Il suo poteva essere davvero un caso così comune? Il panico le strinse la bocca dello stomaco.
E se non fossero stati chi dicevano di essere ma spie mandate dagli invasori per farla fuori? Per riprogrammarla come era successo al collega di 24? Prima la facevano affezionare, stabilivano un rapporto di fiducia... e poi, con la scusa di scappare l'avrebbero isolata e...
Chiuse gli occhi con forza per cacciare l'immagine che le si presentò alla mente: doveva essere fiduciosa. Lì o da un'altra parte, non importava: se doveva succedere era solo questione di tempo.
“Tesoro, ma è terribile! Perché 24 non interviene?” stava starnazzando sua madre, blaterando una serie di perché come un bambino di tre anni.
“Non dovrebbe esserti tanto difficile da capire, mamma...” sbottò allora, trovando un attimo di lucidità e sfogando la rabbia repressa “Tu sei la prima a guardarmi...” Tacque. Lo sguardo che le rivolgevano i suoi genitori non aveva un nome. Era un misto di delusione, di angoscia e di disgusto. Come quello di tutti gli altri.
Si sentiva trattata come una bambina di due anni, che non capisce e non sa fare nulla. Frustrazione: era il suo stato d'animo costante, che riusciva ad alleviare appena solo la mattina, durante la colazione con quelle poche amiche con cui era riuscita a instaurare una specie di legame.
Poteva sbagliare ma allora perché il Padreterno, o chiunque ci fosse al suo posto nella presunta gerarchia Akero, l'aveva dotata di libero arbitrio e di pensiero razionale se non poteva fare un passo in piena autonomia?
Calò un silenzio imbarazzante.
Fu Frederick a romperlo. Si alzò piano e, guardando prima i suoi compagni di viaggio, poi la madre e quindi la figlia, disse “Credo sia ora di andare, no? La ringraziamo davvero per l'ospitalità ma non possiamo trattenerci oltre. Azzurra?” la chiamò in modo gentile “Ci vediamo domani, allora, intesi?”
Quella accennò di essere d'accordo con un movimento impercettibile del capo
“E mi raccomando...” disse Kemal passandole accanto sorridente “Prepara tanti fogliettini bianchi per suggerirci le risposte giuste!”
La battuta molto cordiale, quasi un messaggio in codice a doppio livello di lettura, appropriata e spontanea riuscì a farla reagire “Ecco perché fate tutti i gentili, oggi, approfittatori che non siete altro!” disse poggiando il pugno chiuso sulla sua spalla, riuscendo, finalmente a intervenire a dar credito alla loro montatura “Vedrò cosa posso fare...” e dicendolo sorrise di cuore.
Erano persone malvagie? A quel punto non importava. Riuscivano a guardarla dritto negli occhi e a tirarle anche su il morale. Questo a lei bastava. E che le facessero quello che dovevano. Loro potevano.
Li accompagnò alla porta. Si accorse solo allora che non avevano auto né moto né qualunque altro mezzo di locomozione. Come l'avevano raggiunta in quel posto sperduto? Dove avrebbero trascorso la notte?
“Allora a domani..” la salutarono in coro. Il francese e il tedesco si incamminarono, ombre scure e invisibili nella notte, lasciando Kemal indietro. “Mi raccomando...” le disse quest'ultimo “sii puntuale..”
La voce, notò, aveva una velatura di preoccupazione. Ma non riuscì a dedicargli abbastanza attenzione che quello, inaspettatamente, si chinò appena e la baciò sulla guancia. Quindi la salutò al volo e corse dietro agli altri.
Azzurra rimase sulla porta a lungo, guardandoli andar via, verso la strada principale.
Un bacio sulla guancia, nulla di sconvolgente, un gesto considerato antico e banale, destinato solo ai bambini o agli animali da compagnia. Era un gesto ritenuto sconveniente, anche tra compagni e fidanzati. Nessuno lo usava più.
Forse, proprio per questo, ne fu sconvolta profondamente. Era una richiesta di intimità e complicità paradossalmente più profonda di un bacio a fior di labbra.



Quella notte, Azzurra quasi non chiuse occhio: aveva litigato con la madre alla vigilia della partenza. O alla vigilia di un esame, nel caso in cui decidesse di non partire. In ogni caso, non era una bella situazione.
Chiusa la porta e tornata in cucina, aveva trovato sua madre ad attenderla. Stava sistemando, quasi con rabbia, il tavolo lasciato in disordine dal gruppetto. Quando si era accorta della figlia, si era prodigata in una serie di domande, per lo più accusatorie, sul perché non fosse stata tenuta informata sull'evolversi delle cose e sul perché la ragazza sembrasse avercela tanto con lei.
“Mamma...” Azzurra aveva tratto un respiro profondo, decisa a restare calma “Tu non sei assegnata a un 24...ti vergogni di me come figlia. Da quant'è che non ti fai più vedere con me? Fino a qualche anno fa eravamo tutti i giorni fuori assieme, per questa o quella commissione, per un caffè, sfogliando una rivista e commentando le immagini, per guardare le vetrine...e ora?”
“Tu sei impazzita... li odi e non sai nemmeno di cosa stai parlando quando li accusi ingiustamente...” aveva replicato secca e rigida la madre
“Ah sì?” aveva chiesto lei di rimando, accigliata “D'accordo...” aveva concesso, dopo un attimo in cui stava per perdere le staffe “... ok...sorvolando sul fatto che nessuno mi ha dato motivazioni sensate di una tesi contraria, ci sto: sono disturbata! Perfetto. E per questo mi tieni alla larga? Che mi vorresti rinchiudere in manicomio?”
“Io non....” aveva cominciato a difendersi l'altra
Io non cosa? Che hai sempre deriso quelli che la pensavano diversamente! Hai sempre detto che sarebbe stato giusto abbatterli... e ti stupisci del perché all'università ci sia un gruppo che tenta di ghettizzarmi?” Ogni tentativo di mantenere il controllo era stato vano: mesi di frustrazione avevano rotto gli argini come un fiume in piena che trova una crepa della massicciata. “Ma sopratutto... ti stupisci perché c'è chi mi vuole comunque accanto a sé, nonostante sia diversa, nonostante sia strana e possa metterli in pericolo?”
La discussione era poi degenerata, tirando in ballo fatti ormai vecchi e sepolti, quali il non aver mai ascoltato le sue esigenze e i suoi desideri, dalla scelta dell'arredo di camera sua, costoso e fragile, alla scelta della scuola superiore al tal giocattolo negato da bambina. Azzurra si rendeva benissimo conto che era tutta una forzatura, perché in realtà era stata sempre una bambina molto amata e le scelte fatte, forse un po' indirizzate, sempre ragionate e sempre per il suo bene ma non riusciva più a contenersi e lacrime di nervosismo le avevano gonfiato gli occhi e solcato le le guance arrossate. Il tutto si era concluso con porte che sbattevano e cene solitarie.
Proprio un bel modo di passare l'ultima sera con la propria madre. Con il padre in ospedale, tra l'altro, la cui visita le sarebbe stata comunque preclusa, l'aveva informata 24, senza aver avuto modo di salutarlo e di chiarirsi sullo spiacevole inconveniente.
“A cosa pensi?” chiese 24 quando lei si rivoltò ancora una volta nel letto
“Non so...” cominciò “...Secondo te? Devo partire?”
Si sorprese. Stava chiedendo all'essere che doveva controllarla se, secondo lui, avrebbe dovuto tentare di divincolarsi da quel legame soffocante. Che sciocca. Era strano che l'avesse assecondata fino a quel momento.
“Io credo di sì...” fu la risposta dopo qualche istante di silenzioso
“Ma... non li ho salutati...”
“Vedrai... capiranno...” Anche 24 si sorprese nello scoprirsi così accondiscendente e comprensivo “Sono sempre i tuoi genitori...”
Rimasero immersi ciascuno nei propri pensieri per un po'.
“E tu?” domandò lei, improvvisamente allarmata “Cosa ti succederà?”
“Non lo so... ma, dato che pare che non controllino granché, dirò che hai fatto tutto nei momenti in cui c'era l'automatico al posto mio... E' molto probabile che mi declassino ma... Non so se essere spaventato, se sperare che tu ce la faccia... sinceramente non so più cosa pensare, davvero...”
“Sai..? In fondo, mooooolto in fondo, non sei così male... da un lato mi dispiace averti ostracizzato per tutto questo tempo... ma, dall'altro, ringrazio di averlo fatto perché altrimenti avrei perso di vista i miei obbiettivi” sbuffò in preda a una piccola crisi
“Ma ora stai dubitando per motivi tuoi... io non c'entro...” disse lui confuso
“Già... come te, non so bene cosa fare... lasciare tutto? In questo modo? O rinunciare? Tanto sarebbe un'impresa da folli, morte certa e forse anche una trappola? Non lo so...”
“Allora dormi... permettimi un'ultima gentilezza...” mentre 24 diceva così, Azzurra si sentì improvvisamente stanchissima. Cedette subito al dolce invito di chiudere gli occhi. Ma ormai erano le due di mattina passate.



Scusa per ieri.
Buon esame


La scritta, autografa della madre, campeggiava su un quadratino di carta azzurro lasciato al centro del tavolo da pranzo. Erano le otto del mattino. La madre era fuori per il consueto giro in bicicletta salutare anti-Alzheimer. Sarebbe rientrata solo un paio d'ore dopo, dovendo passare dal fiorista e dal panettiere nel paese vicino oltre che fermarsi a fare quattro chiacchiere con un'amica davanti a una colazione nel bar, situato nel centro dello stesso.
Azzurra sbuffò. Forse era il caso di smetterla di giocare alla piccola ribelle e mettere la testa a posto. Accettare il fatto che le sue fossero paranoie che condivideva con un piccolo gruppo di squilibrati. Forse era il caso di andare a fare quel benedetto esame.
Era davanti al bivio. E ora doveva fare la sua scelta. Se era intenzionata a rimanere, come avrebbe giustificato ai suoi il mancato esame? Doveva comunque uscire di casa e fingere di averlo dato? O era meglio simulare un malore? Il problema era che non era abile a camuffare una menzogna.
Lo scampanellare alla porta interruppe i suoi pensieri. Erano sicuramente i tre del giorno prima. Andando alla porta di domandò se fosse la scelta giusta, partire con loro.
Poi, un flash.
Immaginò sua madre che la aspettava per cena, da sola, col marito ricoverato. Le lancette dell'orologio che giravano a vuoto nel silenzio della sala carica d'angoscia. La donna senza alcuna notizia della figlia. I tentativi a vuoto di contattare il cellulare. L'immaginò il giorno seguente, le profonde occhiaie date dal poco sonno della preoccupazione. Le telefonate in sede, smuovere Cortes a indagare, mobilitare la polizia che si sarebbe allertata solo dopo 24 ore. La difficoltà nel reperire gli agenti essendo, i crimini, divenuti sempre più rari dal cambio della guardia. Immaginò come si sarebbe accostata al marito per comunicargli la notizia e l'angoscia di una coppia per la scomparsa improvvisa e inspiegabile dell'unica figlia. Senza la consolazione di un corpo o di un fidanzato geloso o di un rapinatore da incolpare.
Il nulla.
Questo aveva per la mente quando aprì la porta ai tre stranieri che entrarono in casa concitatamente, domandando dove avesse i bagagli, se fosse pronta, se avesse preparato questo o quello.
“Che c'è?” domandò infine Kemal notando il suo sguardo assente.
Azzurra si riscosse. Si strinse nelle spalle e andò alla finestra. Non osava guardarli per non vedere la delusione che avrebbe sicuramente scatenato.
“Io... io non vengo... scusatemi...” disse d'un fiato
Calò un silenzio carico di imbarazzo. Quindi sentì Frederick sospirare, spostare una sedia e sprofondarcisi dentro “Ve l'avevo detto!” disse deluso
“Beh... immaginiamo di sapere perché... dopo ieri pomeriggio...” aggiunse Alain.
Azzurra chinò solo il capo, schiacciata dal senso di colpa.
“Tanto eravamo preparati anche a questa evenienza...” sbuffò Kemal seccato
“Perdonatemi, vi prego... forse... non merito un livello 24...” stava blaterando, pronta a sciogliersi a piangere, quando l'arabo le fu alle spalle. La abbracciò, ancora una volta la schiena di lei contro il petto di lui, senza costringerla a voltarsi. “Sappiamo cosa stai passando” disse Frederick. Gli occhi le si fecero lucidi. Provava compassione di se stessa oltre che un disgusto indicibile. Eppure quei tre erano ancora lì, a consolarla.
“Ed è proprio per questo che dobbiamo portarti via!” disse decido Kemal alzando lo sguardo verso un punto indefinito al di fuori della finestra.
In un lampo, estrasse dalla manica sinistra un fazzoletto che posò, delicatamente ma con forza, con l'altra mano sul volto di Azzurra. In pochi istanti le cadde addormentata in braccio.
“Ora parliamo tra noi maschi...” disse Alain con un ringhio “Noi non possiamo sentirti e il narcotico non durerà a lungo. Sappiamo che lo stato di trans non inficia le percezioni esterne – altrimenti, in caso di necessità non potresti svegliarla e farla fuggire – né le comunicazioni.”
“Sappiamo che starai già allertando la squadra di soccorso. In caso contrario, siamo noi che ti chiediamo di farlo. In questo modo potresti ricavarne una via d'uscita anche tu.” Aggiunse serio Frederick
“Sappiamo, inoltre, che voi due eravate isolati già da un pezzo alle comunicazioni delle alte sfere. A te non interessa sapere come abbiamo fatto... se sia stata lei o se siamo stati noi a intrometterci nel flusso di dati...” continuò Kemal
“Beh... è un 24” si intromise Frederick, alzandosi per dare una mano all'arabo nel tentativo di mettere a sedere Azzurra. “Gli basterà pensare che saremmo davvero poco furbi a intrometterci al suo livello e non a uno più alto, se avessimo i mezzi Quindi dedurrà subito che non siamo così avanzati...” I tre parlavano come tra di loro, scrutandosi truci essendo, per loro, privi di alcun chip o marcatore, la presenza di 24 totalmente irreale e impalpabile. “Ma anche che i rivoltosi sono già pronti a ogni evenienza... e forse la ribellione parte dall'interno... più di quanto lui stesso non pensi...”
“Sappiamo di avere pochissimo tempo prima che il tuo allarme materializzi qualcosa a nostro danno. Noi ora ci porteremo via Azzurra. Sappi che prima le asporteremo il chip e che una volta tolto lo smagnetizzeremo o lo frantumeremo. A quel punto cadrà ogni contatto.”



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:3 da qui comincia la parte che mi piace di più. Quella della fuga, anche se non sarà così rocambolesca come avrei voluto. E avremo modo di conoscere/approfondire altri personaggi, finora rimasti sullo sfondo.

A presto!

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Capitolo 9
*** Ready? (Parte II) ***


 9. Ready?

Go!




Dalla sua postazione, 24 ascoltava le indicazioni dei ribelli con grande attenzione. Non aveva ancora dato l'allarme. La mano sollevata a un centimetro dal pulsante manuale rosso delle emergenze. Non sapeva spiegarsi il perché. Forse voleva che gli umani ce la facessero. Forse sperava di riprendere il controllo, anche solo all'ultimo momento.
Tanti interrogativi, nessuna risposta.
Tutt'intorno, nessuno sembrava essersi accorto di nulla. Non si vedevano Karibo, non si vedeva la Hashmallim. Forse erano davvero isolati in una bolla tutta loro da cui filtravano solo impulsi positivi. Che fosse possibile? Oppure non c'era alcun controllo sugli Akero di classe superiore?
Decise di aspettare fino alla fine: si sarebbe inventato qualcosa.



Azzurra riprese i sensi dopo pochi minuti. Si trovava seduta in cucina, le gambe distese sul tavolo rotondo.
“Cos'è successo?” chiese intontita prendendosi la testa tra le mani. Aveva la vista sfocata, tutto oscillava e le sembrava di essere una nave in un mare in tempesta.
“Sei svenuta sulla soglia...” mentì Kemal, sperando che il Potis fosse troppo impegnato a dare l'allarme per contraddirlo.
“E' così?” chiese Azzurra al vuoto. I tre, rendendosi conto che lei stava chiedendo conferma al suo protettore, si irrigidirono, sudando freddo. Arrivavano ancora impulsi attivi dall'Akero? “Ah...ok...scusate...” disse chinando il capo: 24 aveva retto loro il gioco. Perché? “Dev'essere stato un calo di pressione...” li informò pensando alla conversazione tenuta, di cui aveva brandelli che le vagavano nella mente: forse era solo frutto della sua smodata fantasia “Mi succede spesso quando...penso troppo... Stavamo dicendo?”
“A cosa pensavi con tanta preoccupazione?” chiese Alain comprensivo ricominciando con la sceneggiata. Dovevano convincerla a partire, con le buone o con le cattive. E non avrebbe fatto certo male – oltre a erodere tempo prezioso – tentare una seconda volta per evitare traumi di sorta.
“Ci ho pensato molto...” disse la bionda sospirando. Il fatto di essersi immaginata raccontarlo già una volta le rese più facile vuotare il sacco “Io non vengo con voi. Ho cambiato idea, mi dispiace...”
Kemal sbuffò. Avevano davvero creduto che bastasse farla dormire perché sognasse un modo diverso per uscire dall'impasse? No: evidentemente era fortemente decisa a ledersi pur di non far soffrire la sua famiglia.
Guardò prima Alain, poi Frederick. Sapevano che avevano i minuti contati. Dovevano allontanarsi da lì il prima possibile.
Un movimento secco del braccio e Azzurra gli ricadde, scomposta, tra le braccia.
Subito, Alain sfilò un rotolo di stoffa da sotto la giacca e lo svolse sul tavolo rivelando attrezzatura medica sigillata e lucentissima. Nel frattempo, Fred scandagliava il corpo della ragazza con uno strano marchingegno. A intervalli regolari lampeggiava, emettendo uno squillo sommesso, che si faceva sempre più frequente man mano che si avvicinava all'esatta allocazione del chip.
“Girala, per cortesia...” sbuffò rivolto a Kemal che lo guardò con tanto d'occhi. “Deve avercelo sulla schiena...girala!” ordinò
“Avanti, Kemal! Non è il caso di farsi prendere dall'imbarazzo!” lo incalzò anche Alain. Rosso di vergogna, l'arabo si girò la ragazza tra le braccia. “Prendila in braccio che fai prima!” ringhiò il capogruppo “Fred, aiutalo, prima che la faccia cadere...” Detto fatto, il tedesco mollò il marchingegno sul tavolo. Prese Azzurra per le spalle, mentre Kemal si sedeva alla svelta, quindi gliela risistemava addosso: le braccia oltre il collo, dove poggiava la testa, le gambe a cavalcioni.
“Non so se è una cosa intelligente...” replicò il moro cingendole collo e vita con le braccia “E' un peso morto. Mi scivola di dosso. Non possiamo usare il tavolo come pianale per operare?”
“Se non ti facessi tanti scrupoli a tenerla stretta...” rispose Alain senza nemmeno guardarlo, intento a preparare del cotone per disinfettare la pelle della ragazza “Non sarebbe così attratta dal suolo: stringi la presa e non fare il bambino. Non è di cartapesta.”
“Appunto...” replicò ancora Fred “E il tavolo ci serve per tenerci gli strumenti. Se ce la poggiassi sopra non riusciremmo a raggiungere il punto da incidere...” disse indicando il tavolo rotondo.
Ragionando un attimo, Kemal non poteva non dar loro ragione: se l'avessero tenuta sul bordo, alla giusta distanza per operare, sarebbe stata appoggiata solo per una ventina di centimetri; se fosse stata completamente adagiata sul piano, si sarebbe ritrovata al centro del cerchio, troppo distante per qualunque manovra. Fondamentalmente, il tutto sarebbe stato troppo macchinoso e la soluzione in cui si trovava era quella che offriva il miglior risultato col minimo sforzo. A suo discapito.
“Verginello!” lo canzonò Fred riprendendo l'attrezzatura e puntandola sulla schiena “Sti stronzi...” ringhiò quando lo scampanellio della macchinetta divenne un sibilo uniforme, che indicava l'individuazione precisa dell'obiettivo “Gliel'han messo tra le scapole...”
“Non vorrai spogliarla?” urlò disgustato l'altro non appena il tedesco si apprestò a sollevarle l'ingombrante maglione.
“No, davvero, come pensi che Alain possa operare? Sarebbe meglio se la operassimo attraverso il maglione che ha addosso...? Così da prendersi una bella infezione?” sghignazzò con perfidia il biondo sollevando maglione e canottiera, rivelando la pelle nuda della schiena “O preferisci che faccia quattro tagli su spalle e fianchi, così poi sì che ti resterebbe nuda tra le braccia?”
“Smettila di scherzare e tieni alzata quella roba...” lo rimbrottò il francese, accostandosi con una lente d'ingrandimento alla pelle esposta “Guarda qui che forellino preciso: sembra solo una puntura d'insetto1...” disse indicando al tedesco con la coda del bisturi e scatenando la curiosità dell'arabo, che non sarebbe mai riuscito a vedere nulla “Ci credo che non lo trovava: è il punto più difficile da raggiungere. Da soli. E quelli più sospettosi, e più sorvegliati, sono anche soli come cani, di solito. Emarginati...mi fanno pena...”
“Meglio che non finire nei lager Fema2...” biascicò Kemal da dietro i capelli della ragazza. Tacque per evitare di far riaffiorare ricordi spiacevoli nella mente dei presenti, anche se ormai era tardi per tacere.
Azzurra non era certo la più agguerrita oppositrice degli invasori: lei apparteneva al secondo grande gruppo di recidivi: quelli che viaggiavano sul filo del rasoio, che potevano essere ancora riconvertiti alla causa Akero. Tutti gli altri, quelli senza speranza, i manifestanti attivi, in piazza come in rete, erano stati fatti sparire gradualmente per il quieto vivere: troppo chiassosi e rissosi, erano incontrollabili e per questa ragione erano stati radunati in luoghi preposti, dove avrebbero potuto urlare, tranquillamente, il loro dissenso. I vertici alieni continuavano a ripetere che non era stato torto loro un capello ma nessuno dei ribelli, o aspiranti tali, si beveva la versione ufficiale. Tutti temevano che la realtà fosse ben diversa e che i dissidenti fossero stati fatti tacere una volta per tutte. E che i campi Fema fossero, in realtà, solo delle distese infinite di fosse comuni.
Alain fu rapido: incise la pelle e liberò il piccolo frammento di vetro e metallo dall'intreccio dei muscoli, come non fosse altro che una piccola pustola in un'operazione di routine. Quindi, ricucì tutto con l'abilità del maître di un'atelier di alta sartoria. Fred, con la mano libera, disinfettava e tamponava il poco sangue che fuoriusciva dal taglio.
Dopo cinque minuti di concitata operazione, tra le scapole di Azzurra campeggiava un bel quadrato bianco bloccato da nastro cerato.
“Noi andiamo...” disse Kemal caricandosela in spalla, sempre più imbarazzato, una volta che Fred l'ebbe ricoperta e, in qualche modo, le ebbe rimesso la canottiera nei pantaloni.
“No...facciamo così...” replicò Alain lasciando cadere il chip, grande poco più di un chicco di riso, a terra e disintegrandolo sotto il tacco del proprio stivale. Uno sfrigolio statico e il brillio di qualche scarica elettrica accompagnarono la morte del congegno “La porto io...tu va a prendere il cavallo che tengono nella stalla...tanto servirà più a noi che ai suoi...”
“E porta anche il cane: da quello che ho capito è lei che considera capobranco e lei ci è, comunque, molto affezionata...” aggiunse Frederick “Io prenderò i bagagli”
“Ma non abbiamo abbastanza antiradar! Uno per il cavallo, d'accordo, ma... il cane?” replicò l'arabo
“Allora opero anche lui!” concluse il francese con un tono che non ammetteva repliche. “Vallo a prendere, Kem!”
L'arabo sbuffò, passò il carico della sessantina di chili di Azzurra al tedesco e si diresse dove supponeva ci fosse il bastardino. Quello dormiva tranquillo nella sua cuccetta ricavata da una scatola. Su un lato era stato praticato un taglio che doveva ricordare le aperture delle tane naturali. La lingua di cartone ricadeva, quindi, sul pavimento e ricordava un ponte levatoio al cui interno era stata posizionata con cura una trapuntina di pile. Quando Kemal si avvicinò, Arek aveva già gli occhietti nocciola spalancati e, come avvicinò la mano, sentì battere all'interno la codina contro il cartone. Sorrise. Per questo amava gli animali. “Su, vieni, non vorrai lasciare da sola la tua padroncina, vero?” Il cane si volse supino a dimostrare la propria totale sottomissione all'uomo che fu costretto a tirarlo su di peso e portarlo in braccio al compagno. “Non ti preoccupare...”
Kemal l'aveva posizionato sul tavolo della cucina mentre armeggiava nuovamente con il narcotico e con del cibo. La bestiola, dalla sua posizione privilegiata, stava seduto a osservare curioso quello che combinavano gli umani attorno a lui. “Su...qui..” disse Kemal tendendogli la mano chiusa a pugno in cui nascondeva il bocconcino drogato. Quello puntò il tartufo nella piccola apertura del pugno e, incuriosito dall'odore dolciastro, forzò la mano ad aprirsi piantando ben bene il muso nel fazzoletto, pregno anch'esso di narcotico, in cui era nascosto il cibo che sgranocchiò avidamente. Immediatamente sbadigliò e si acciambellò su se stesso, pronto a dormire ancora. A quel punto, Alain si avvicinò, bisturi alla mano.
“Sei un mago con gli animali...” fu l'unico commento neutrale mentre palpava velocemente le giunture della bestia. Incastrata nella scapola, tra la zampa anteriore destra e la cassa toracica, si sentiva distintamente l'innesto simile a una calcificazione. Incise rapido e cominciò a districare i nervi quando, con sorpresa di tutti, il cane alzò la testa, si voltò, si mordicchiò il fianco, lontano dalla zampa su cui stavano operando, e tornò a dormire come nulla fosse.
“Ma sei sicuro di averlo narcotizzato?” chiese il tedesco con gli occhi fuori dalle orbite per la sorpresa
“Credimi: gli ho dato una dose da cavallo...non so come sia stato possibile...”replicò Kemal rigirandosi tra le mani il flacone mezzo vuoto. Il francese finì velocemente di togliere l'innesto, quindi cucì sommariamente la ferita e lo fasciò. Lo adagiò, poi, nel suo trasportino, che l'arabo aveva visto e recuperato accanto alla cuccia, insieme alla sua copertina.
Frederick passò Azzurra ad Alain e si caricò il trasportino in spalla. Si diresse, sicuro, in camera della ragazza, dove sapeva esserci i bagagli, mentre gli altri due cominciavano i preparativi per la partenza: avevano già spostato tutti i cavalli, già imbracati, nelle vicinanze della stalla e non dovevano far altro che recuperarli.
Trovò facilmente la stanza della ragazza ma non prese tempo a guardarsi intorno: quella camera, d'altronde, a lui non diceva proprio nulla né scatenava alcuna nostalgia. Era solo un ammasso di oggetti di vario tipo sugli scaffali, due computer dotati di scanner e stampanti, impianto stereo, un armadio a muro dalle ante scorrevoli, acchiappasogni alle finestre, il comodino ridotto a mini toletta stracolmo di prodotti e accessori di bellezza. Forse una camera un po' anomala per una ragazza. Non un tocco di rosa o di quel particolare tipo di ordine che solo le ragazze sanno avere. Era semplice, quasi spartana, traspariva durezza, intransigenza e un carattere particolare e non facile. Le valigie (dei vecchi, semplici e leggeri borsoni di tela) giacevano abbandonate ai piedi del letto ma non erano state disfatte, a testimonianza del forte conflitto interiore di Azzurra: li aveva stipati di roba da vestire ed effetti personali, le uniche cose che davvero le sarebbero mancate. Da una tasca, vide spuntare il fagotto incartato nell'alluminio di un hard disk portatile. Sorrise a quella ingenuità: certo loro potevano vantare il possesso di ogni tipo di supporto informativo, ma nulla avrebbe mai potuto sostituire l'ordine e le preferenze che la ragazza aveva stipato nella sua memoria, proprio per non doversele ricordare, né eventuali documenti creati dal nulla. Lo sistemò in modo che non fosse rintracciabile dai satelliti e si caricò del peso dei bagagli.



Una volta all'aperto trovò Kemal sul suo frisone nero con Azzurra stretta addosso, seduta all'amazzone. Una complicata imbracatura la teneva stretta al compagno. Il cavallo era coperto da una lunga gualdrappa di colore scuro, una rete a maglie abbastanza grosse, lo stesso tessuto in cui si erano avvolti anche i cavalieri. Alain, invece, stava montando in quel preciso momento.
“Grazie della premura, ragazzi” disse il tedesco notando che la sua indisciplinata cavalcatura era ora dotato di sella a cui avevano assicurato le redini del pony di Azzurra e al cui collo pendeva l'ultimo congegno antiradar. Passò il carico del cane al francese e si sbrigò ad assicurare i bagagli sul destriero libero, un giovane esemplare di Sorraya3. Legò tra loro i manici dei borsoni, disponendone uno per ciascun fianco dell'animale, in modo che il peso fosse bilanciato per non cadere e distribuito sull'animale. Una volta ch'ebbe finito, salì al volo, mentre gli altri cominciavano già a muoversi, senza nemmeno curare le staffe che avrebbe, eventualmente, regolato per strada. Lo stridio di Zahra dal tetto della casa, appostata come una piccola sentinella, annunciò la loro partenza.



Davanti ai monitor sfrigolanti per l'incapacità di rintracciare il segnale andato perduto, 24 era rimasto a bocca aperta. Si aspettava almeno un qualche commento caustico da parte dei tre. Invece tutto era finito di colpo: quasi non gli sembrava vero.
Trafficò subito, convulsamente, nel tentativo di ripristinare la connessione. Che diavolo era successo? Prima dovevano estrarle il chip e distruggerlo ma Azzurra era ancora vigile: “Ho cambiato idea. Mi dispiace” Erano le ultime parole che le aveva sentito dire. Come potevano essere riusciti nell'operazione se lei aveva ancora in corpo il marcatore? Non gliel'avevano estratto quand'era svenuta. Notando che i tentativi andavano a vuoto, si risolse a pigiare il grosso pulsante rosso che campeggiava a lato del suo sedile, come chiesto dai tre umani e come era suo dovere.
Immediatamente la sirena assordante, che aveva già avvertito quando aveva sconfinato la propria zona operativa, invase l'aria. Le pareti cominciarono a lampeggiare di rosso e giallo. E, in davvero poco tempo, la Hashmallim fu al suo fianco accompagnata da un uomo che 24 non aveva mai visto. Dalla divisa, però, capì che erano state allertate anche le forze di polizia.
“Che è successo?” proruppe la donna, visibilmente infastidita.
“Non ne ho la più pallida idea..” si giustificò pateticamente lui “E' saltata la connessione e non riesco a ripristinarla in nessun modo...”
“Alzati...” disse l'uomo prendendo prepotentemente il comando della sua postazione. Trafficò anche lui per un po' sulla strumentazione finché non digrignò i denti e si arrese “Il marcatore è distrutto...ci credo che non la trovi...”
La Hashmallim sbiancò.
“Ma come è possibile?” Protestò 24 “Era viva quando è saltato tutto!”
“L'unica giustificazione è che sia stata una scarica elettrica che abbia inibito il chip per il tempo strettamente necessario a estrarlo... Chi è stato?” chiese ancora l'uomo fulminandolo con lo sguardo, ritenendo lui colpevole di quanto accaduto.
“Erano tre uomini e sembravano in buoni rapporti con il soggetto. Io non li avevo mai visti prima né mi è parso fossero conoscenze virtuali del soggetto. Hanno detto di essere assegnati a livello tanto basso di vigilanza da dover condividere uno di noi con altri...”
“E tu gli hai creduto?” l'occhiata gelida della donna esprimeva al meglio quello che le passava per il cervello: lo riteneva sicuramente in combutta con Mat-mon. E poi era stato trovato troppe volte, in pochi giorni, sulla scena del crimine.
“Certamente no. Ho subito cominciato i controlli ma non avevo ancora finito quando è successo...” rispose indicando con la mano i monitor che emettevano quelle fastidiose scariche elettrostatiche.
“Dovremo accertare...” disse l'uomo facendo un cenno oltre 24 che, improvvisamente, si trovò schiacciato a terra, i polsi stretti dietro la schiena e un peso, che sembrava quello di un grosso scarpone, tra le scapole.
“24!” sentì urlare da poco distante mentre veniva tirato su di peso. Avvolto e bloccato in una gabbia elettromagnetica non riuscì a distinguere nemmeno con la coda dell'occhio chi l'avesse chiamato ma, dalla voce, gli era sembrato che si trattasse di Loki. Chiuse gli occhi, stranamente stanco, sperando in cuor suo che l'amica non commettesse qualche sciocchezza e che non finisse coinvolta anche lei in quella serie di eventi vorticosi.



Il passo dei quattro cavalli si era ormai sincronizzato anche se non viaggiavano accorpati. Avanzavano rapidi ma tranquilli, al passo ritmato del canter4, leggeri sulla terra, poggiando una zampa alla volta. L'andamento era ritmico e dolce ma solenne e marziale. In testa, Alain controllava costantemente il cielo per essere sicuro di andare nella direzione corretta e alla ricerca costante di punti sicuri dove appartarsi. Non ce l'avrebbero mai fatta a rientrare in giornata erano partiti troppo tardi e viaggiavano appesantiti rispetto all'andata. Meglio fare le cose con tranquillità ed evitare errori dati dalla stanchezza: il grosso era fatto e un giorno in più non avrebbe certo compromesso la missione. L'ondulazione in groppa alla bestia somigliava al cullare vigoroso del mare.
Nel dormiveglia, Azzurra immaginò di cavalcare un ippocentauro. Ma quando la sua mente le suggerì che forse non si trattava di un sogno, si svegliò di colpo, subito consapevole di dove e con chi fosse. Non si meravigliò nemmeno dell'imbracatura che le teneva le braccia bloccate tra gomiti e spalle, consentendole solo movimenti minimi.
“Avevo detto di no!” ringhiò nell'orecchio di Kemal senza dargli alcun preavviso, essendo la sua testa poggiata proprio sull'incavo del collo di lui.
“Oh, ben svegliata...” celiò Frederick
“Che cavolo mi avete fatto???”protestò ancora lei cercando di muoversi ed avvertendo un lieve pizzicore tra le scapole
“E sta un po' ferma!” fu la risposta seccata dell'arabo che, nonostante tutto, era riuscito a mantenere il sangue freddo e a non farsi disarcionare dal nervosismo improvviso del frisone.
Azzurra si sentì tirare la schiena in un punto preciso tra le scapole e capì che le avevano asportato il marcatore: un punto proprio infame per piazzarle il congegno. “Dove siamo?” chiese con rabbia e rassegnazione
“Abbastanza lontani da casa. Hai dormito per un bel po'...” fu la risposta di Alain
“Stronzi!”
“Oh, buongiorno, ci siamo alzati col piede sbagliato?” chiese retorico
“E' così che ci ringrazi?” ringhiò Frederick
“Avevo detto di no!” ribadì lei
“Sì, lo sappiamo e sappiamo perché. Ma non temere: il tuo amichetto avrà già dato l'allarme. Sicuramente avrà detto a tutti che sei stata rapita: quindi, tu non hai colpe e i tuoi possono stare abbastanza tranquilli. I cattivi siamo noi...” sputò, tagliando duramente le parole con improvviso accento marcato.
Kemal sentì Azzurra irrigidirsi contro il suo petto e subito dopo quasi rilassarsi. La vide voltare solo lo sguardo sulla criniera del cavallo. Forse si era tranquillizzata, afferrando le parole del compagno: se effettivamente fosse stata rapita non aveva nulla di cui angustiarsi, rimuginando sui saluti e le pacificazioni mancate.
Dopo un po', però, la sentì domandare “Come avete fatto?”
“Cosa?” chiese Alain paziente
“A togliermelo...e a portarmi via...” rispose piccata, quasi offesa che nessuno le leggesse nella mente
“Beh...Kemal ti ha stesa, ben due volte, ma giustamente la tua memoria a breve termine è stata danneggiata in entrambe le occasioni. È normale che tu non ricordi...” cominciò tranquillo il francese
“Cosa mi hai fatto?” ringhiò lei all'uomo a cui era vincolata
“Oh, non far troppo la principessina delicata...” sbottò Frederick “Al primo tentativo ti abbiamo narcotizzato, sperando che al secondo tu ci dessi risposta diversa e ci seguissi docilmente. Poi ti abbiamo steso con un colpo di taser, quindi....”
“Taser???” strepitò voltandosi verso Kemal “Hai usato il taser su di me? Ma potevi rendermi deficiente!” quello roteò appena gli occhi in aria, forse pentendosi di averla salvata “E poi da dove lo avete tirato fuori un taser???? non sono più in commercio da...anni!”
“Ma credi che siamo trogloditi che viviamo nelle caverne come al tempo dei partigiani? Che non abbiamo nessuna comodità?” la rimbeccò il tedesco, litigioso “Ma che ti credevi che fosse la resistenza? E se ci pensavi così indietro, chi è che ti ha dato la malsana idea di raggiungerci?”
“Per me l'importante era liberarmi di loro...” fu la risposta imbronciata “E poi cosa posso saperne io di come vivete! Mi avete solo detto di non portar via peso inutile, tra cui l'e-reader...”
“Ah...” Kemal trattenne a stento una risata, beccandosi un'occhiata assassina in risposta
“Quando saremo lì vedrai che non ti dispiacerà...” la rassicurò Fred “Almeno..se ho capito abbastanza del tuo carattere dalla tua stanza...” disse sorridendo. “Ma ti stavamo dicendo: dopo averti fatto perdere i sensi, in modo da disturbare anche la trasmissione dei dati, Alain ti ha operato. E' un chirurgo...” precisò notando il suo sguardo perplesso e stupito “Quindi ti abbiamo cucita e bendata e lo stesso abbiamo fatto col tuo cane...” precisò ricordandosene solo in quel momento. Si passò la borsa con il cane da una spalla all'altra, restando in groppa al cavallo solo con la stretta delle cosce, e le mostrò il contenuto del trasportino. Dentro, Arek continuava a dormire tranquillo, l'orecchio visibile che si piegava all'indietro di quando in quando per allontanare qualche fastidio.
Azzurra trattenne un gemito di gioia ma gli occhi le si fecero lucidi. Da quel momento si fece decisamente più mansueta e docile.
Quando arrivò il pomeriggio e il sole cominciava a calare all'orizzonte, i ragazzi cominciarono a fare attenzione al paesaggio, in cerca di un possibile rifugio per la notte. Avevano puntato ai piedi delle montagne, mossa che li aveva costretti ad allungare il percorso, ma almeno erano certi di trovare un paio di piccoli pertugi in cui ammassarsi a riposare.
Alain scese con un balzo e corse ad aiutare Frederick, prendendogli il cane dalle braccia. Quindi, insieme, andarono ad aiutare Kemal. Il cavallo, per qualche inspiegabile motivo, collaborò, inclinandosi sul torso, stendendo una zampa e piegando l'altra, creando, così, col suo corpo, uno scivolo naturale. Una volta tolta l'imbracatura, l'arabo lo ringraziò con delle vigorose pacche sul collo e sul sedere e diede, a lui e agli altri tre, delle zollette nere grandi quanto il pugno di un bambino.




1    Quando l'ho scritto un po' volevo scherzarci su...invece, ecco qui. Hanno già cominciato a pensarci davvero... Non è ancora reale, come vorrebbero alcuni, ma sono in corso gli studi per miniaturizzare i meccanismi (con le nanotecnologie ormai è possibile fare tutto). Certo non sarà possibile usarle per piazzare chip. Ma per diffondere veleni e/o vaccini quello sì. Come tutte le cose, sta all'uomo che le usa, farne un buon uso.

2    Ancora una volta. I campi di detenzione FEMA, statunitensi sono il corrispettivo dei nostri prefabbricati della protezione civile. Solo che noi siamo attrezzati per fronteggiare le situazioni d'emergenza (di qualsiasi tipo: noi abbiamo una certa familiarità con frane e terremoti ma le occasioni di impiego sono molteplici), con le regole che ne conseguono. In America è cosa relativamente nuova e se ne vede solo il possibile rivolto distopico: ma si tratta di semplice prevenzione: ancora una volta, come detto nel primo capitolo, tutto dipende da chi usa cosa e in quale modo. L'idea dei campi come nuovi lager c'è e non si sa mai che in futuro una mente malata non la metta in pratica. Loro li chiamano campi di detenzione (che non necessariamente è sinonimo di prigione) e sono piccole cittadelle già attrezzate e perfettamente funzionanti. Ci sono guardie armate a sorvegliare il perimetro: eccerto, con quello che sono costate, ci mancherebbe che nessuno vigilasse che i vandali (ce ne sono sempre a ogni latitudine) non sfascino tutto. Noi, al contrario, abbiamo i nostri prefabbricati, anch'essi controllati, che vengono spostati alla bisogna.
Teoriarisposta alle accuse di complottto 
Ad ogni modo, qui scelgo di seguire la teoria 'complottista'. Tenetelo a mente perché tornerà più in là!

3    Mi sono dimenticata di descriverlo nel capitolo 7. Il Sorraya doveva essere un Palomino, ma Azzurra mi ha rognato che il Palomino era troppo da brava ragazza, aristocratico, borghese, frufru (insomma...il ragionamento contrario di Kemal): meglio il Sorraia, che è testardo e cmq ha una bella linea slanciata. Ed è particolare con la sua zebratura.

4   Canter: andatura ottimale per i tragitti lunghi in quanto essendo concede al cavallo di sfruttare il "pendolo viscerale" rendendo questo tipo di galoppo meno faticoso del trotto, ovvero, durante il movimento le viscere del cavallo vanno a comprimere in modo ritmato i polmoni dello stesso favorendo una respirazione regolare con un ridotto utilizzo muscolare per la stessa.


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Salve a tutti!
Chiedo scusa per il ritardo, ma avevo perso il conto dei giorni :P Mea Culpa. Anche perché ero presa dal congedare l'ultimo capitolo della fic su Labyrinth e dal preparare i bagagli prima della partenza.
Insomma i nostri eroi sono - finalmente - partiti. E 24? eh eh eh eh
Seguitemi e scoprirete la sua sorte ;)
a presto

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Capitolo 10
*** You can do it ***


10. You can do it.

If you trust





Qualche ora più tardi, dopo che tutti ebbero espletato i loro bisogni fisiologici, si ritrovarono per una cena frugale. Ad Azzurra non era concesso far nulla. Non che ci fosse poi molto da lavorare. Osservò incuriosita come i tre dicevano di scaldare il cibo: Alain pestò duramente un paio di sacchetti che sembravano essere vuoti, ma che si gonfiarono all'istante, e li infilò rapidamente in una strana busta argentata che gli porgeva Kemal il quale, tra una e l'altra, infilava qualcos'altro.
Attesero una buona mezzora, quindi si vide recapitare delle ciotole di legno con del brodo denso e fumante. Lo guardò con curiosità ma Frederick fraintese il suo sguardo “Guarda che non è mica veleno...” disse sedendolesi accanto
“No..mi domandavo solo come abbiate fatto...”
“Si tratta di...boh, un processo chimico, mi pare: i sacchetti che Alain ha rotto contenevano due sostanze che, reagendo tra loro, provocano un forte calore. La busta è termoisolante e nei bussolotti che aveva Kemal c'era la minestra. Ne abbiamo giuste per tornare...bleah!” disse assaggiando la sua “Alain! Mi è capitata quella alla verza un'altra volta!”
“Io ho quella alla cipolla. Vuoi?” chiese l'altro arrivando col cucchiaio in bocca
“Sì, meglio, grazie!” disse porgendogli la ciotola
“Tu che hai trovato?” disse Kemal arrivando anch'egli con la sua tazza e la busta sotto braccio.
“Carota?” rispose Azzurra assaggiando
“Ti va bene? O vuoi fare cambio?” chiese “A me però è capitata quella ai piselli, non so se...”
“No no, va benissimo!” la ragazza si agitò per la richiesta bislacca “Ma...è normale che vi scambiate così il cibo?” chiese dopo un po', rompendo il silenzio della cena
“Beh...noi ci siamo abituati ma...sì...abbiamo regole un po' strane là sotto...” Fu la risposta evasiva del tedesco
“Vedi... siamo una piccola comunità...” cominciò piano Alain
“Mica tanto piccola...” rettificò Kemal “All'incirca venti mila persone. Cerchiamo di creare poi piccoli insediamenti autonomi da 5040 persone al massimo, a loro volta distribuite in nuclei da 150. Quelli in esubero, come te, vengono accolti momentaneamente nella capitale...”
Le Leggi di Platone?1 Caspita!” Azzurra spalancò la bocca, sorpresa oltre ogni dire e non solo per le dimensioni del tutto: pensava che la resistenza contasse al massimo un paio di decine di persone.
Il francese annuì, orgoglioso che lei avesse subito colto quella particolare citazione “Comunque...” continuò, calato nel ruolo di capogruppo “Non usiamo i soldi. Non ce n'è bisogno...e nemmeno il baratto se telo stai domandando...”
“Siamo lì perché abbiamo tutti qualcosa in comune...qualcosa che condividiamo anche con te...” precisò Fred puntando gli occhi sulle spalle della ragazza. Azzurra capì: il desiderio di non avere parassiti tra i piedi. Ecco cosa li accomunava tutti.
“Tutti sono tenuti a fare qualcosa...qualunque cosa, a seconda della propria naturale inclinazione... Ma prima ancora...tutti zappano, tutti raccolgono, tutti lavano i piatti o servono in mensa. Ci sono i turni, nessuno è esente e nessuno tenta di fare il furbo. E' inutile nella situazione in cui siamo.”
“Situazione eterogenea, come puoi aver capito...” Fu il turno di Kemal inserirsi per precisare “Ognuno si porta dietro, inevitabilmente, pregi e difetti del posto in cui è nato e della persona che è essa stessa...ma si cerca di dare il meglio...”
“Tutti hanno fame o determinate necessità e quindi tutti lavorano. E tutto è in comune. Ciascuno va e prende quello che gli serve. Se tu lavori per 3 persone mangi comunque per uno. E' assurdo stiparsi di cibo che non puoi mangiare. Per te ce ne sarà sempre. Ma chi non ce la fa, per malattia o per altri accidenti...beh, comunque contribuisce in altro modo al sostentamento della comunità”
“Solitamente i vecchi o gli invalidi si occupano di burocrazia...sì ne abbiamo anche noi, non credere...un granello di sabbia in confronto al mondo che abbiamo lasciato...ma serve per amministrare le cose, sapere cosa c'è in sospeso, in deposito etc.” Disse Frederick poggiando la ciotola a terra “Oppure insegnano, intrattengono la comunità e i bambini, che ovviamente non lavorano e ripagheranno più avanti...Se non sono in grado si impegnano, si mettono a studiare per poi spiegare a loro volta...”
“Vecchi? Bambini? Ma avete detto che l'età adatta per liberarsi è dalla seconda alla terza decade...” Azzurra era sbalordita. Aveva sempre pensato ai fuggiaschi come ad uno sparuto gruppo di adulti e basta.
“Beh...i primi rifugiati risalgono ancora ai tempi della seconda grande guerra...” borbottò Kemal “E...per i bambini...ehi..io sono zio... mia sorella ha avuto una coppia di gemelli a inizio anno...”
La ragazza era sempre più sconvolta “E da chi?” chiese con occhi colmi di curiosità e terrore
Kemal la guardò di sottecchi, quasi offeso “Se ti ho detto che siamo un crogiolo di ragazzi dai venti ai quaranta...” sillabò levando un sopracciglio.
“Kem!” disse Alain guardandolo storto e alzando appena il tono della voce
“Che c'è?” protestò quello. Alain si limitò a guardarlo intensamente, quasi gli stesse impartendo un ordine telepaticamente.
“Che c'è?” chiese anche Azzurra posando il suo sguardo ora su uno ora sull'altro, senza capire e continuando a mangiare ubbidiente.
“Nulla, non preoccuparti...” intervenne Frederick “Finitela, voi due...”
“Ma se non ho fatto nulla!” protestò ancora Kemal
Fu il turno di Frederick guardarlo con sarcasmo negli occhi, pregandolo, al contempo, di tacere, per non peggiorare la sua situazione
“Che ha fatto?” Domandò Azzurra inserendosi in quello scambio di battute di cui non capiva nulla
“Non ci provare....” biascicò Alain con tono duro
“Non sto facendo nulla!” ribatté Kemal imbarazzato
“Ma se me ne sono accorto anch'io” celiò Fred
“Provare a far cosa?” fu l'ennesima domanda della ragazza.
I tre la fissarono sbalorditi. Quindi sospirarono. “Dimenticavamo...” “Lasciamo stare...è meglio...e tu fa attenzione...” “Sì sì...” e come se nulla fosse successo, ripresero a pasteggiare.



La stanza era buia. I suoni attutiti in lontananza, quasi assenti. Nonostante si fosse ormai abituato a percepire ogni minimo fruscio, non riusciva a decifrare quei suoni così distanti. Era immerso nel buio e nel silenzio.
Come sempre. Quando finiva in gattabuia.
Si ritrovò a sorridere sarcastico degli ultimi avvenimenti e di come un così alto rappresentante Akero avesse finito per essere considerato alla stregua di un criminale. Si tirò a sedere, avendo avvertito l'arrivo della guardia prima che varcasse chissà quale soglia. Così, quando irruppe nel bugigattolo, facendo intenzionalmente quanto più baccano gli fosse possibile, lui era preparato e non infastidito più di tanto.
“Hai visite” disse con tono duro e sprezzante mentre le luci si accendevano all'istante, accecandolo. Fu costretto a rannicchiarsi sul suo giaciglio, una spoglia lastra di granito nero, per proteggersi. Avvertì il Karibo premere qualche pulsante all'esterno della cella. Subito una serie di meccanismi si misero in moto con un clangore inaudito. Nel giro di mezzo minuto avvertì il passo leggero di una donna scavalcare la soglia.
“Cinque minuti, non di più!” disse brusco sbattendo la chiusura ermetica della stanza.
“24!” La voce di Loki, incrinata dalla preoccupazione, si avvicinò rapidamente e due mani gentili e delicate lo avvolsero, cercando di trasmettergli sicurezza. “Oddio, guarda in che stato sei...” la voce le morì in gola e lui capì che i lividi dovevano essere ancora evidenti. “Cosa ti hanno fatto?” l'ansia, la rabbia, il dolore, la preoccupazione, si mescolavano a creare un nuovo e unico sentimento.
“Devo essere caduto...”glissò 24. Dopo le minacce ricevute non sarebbe stato così sprovveduto da mettere in pericolo una delle poche persone che cercava di proteggere. “D'altronde...qui di solito è buio pesto...”
“Sicuro?”
“Stai tranquilla!” disse allontanandosela di dosso. Lei indugiò e le lunghe dita affusolate, nel retrocedere, accarezzarono suadenti e lenitive i tratti somatici del ragazzo.
“Ho saputo cos'è successo...mi dispiace tanto...” cominciò fermandosi subito, non avendo idea di come proseguire.
“E' normale...fanno solo il loro dovere...specie dopo quello che è successo a Mat-mon...” e dicendo questo la fissò intensamente negli occhi, sperando che lei capisse. Che capisse il messaggio che cercava di comunicarle, ovvero che le cose erano collegate, che Mat-mon non era sparito nel nulla ma che forse aveva abbracciato la causa umana. E che, a quel punto, anche lui desiderava vederci chiaro.
Ma Loki, pur non capendo lo sguardo del compagno, gli comunicò comunque informazioni utili: la Lamassu capì solo in quel momento quanto quello che dicevano gli umani ribelli fosse sensato: il loro livello di attenzione era estremamente basso e non erano nemmeno in grado di capire, da un'occhiata, le intenzioni dei compagni con cui lavoravano gomito a gomito. Un bel vantaggio per gli umani.
“Potevano trattarti con un po' più di riguardo, in ogni caso... sono rimasta sconvolta per come ti hanno gettato a terra e... Potrebbe succedere a chiunque di noi...” disse più afflitta che spaventata.
“Così dev'essere” disse lui sapendo che, ora più che mai, erano tenuti d'occhio e non sapeva da dove li stessero osservando. Per quanto potevano saperne loro, ogni muro poteva pure essere una teca di vetro schermata. “E' il sistema...”
“Ma...tu non hai fatto nulla!” strepitò improvvisamente isterica, quasi avesse ripetuto quella frase centinaia di volte. “Vero?” domandò infine, di colpo perplessa.
24 la guardò ancora negli occhi, sperando di riuscire a comunicarle qualcosa. Desistette quasi subito. Sbuffò avvilito “Sì, io non ho fatto nulla....mentre davo l'allarme, gli umani hanno detto che era strano che non mi fossi accorto di nulla. Allora mi è venuto il dubbio che Azzurra fosse riuscita a combinare qualcosa mentre io ero assente, per via di Mat-mon...”
“Sono molto più bravi di quello che pensassimo, allora?” Loki sembrava disorientata. Ma nella sua voce si percepiva una velatura di ammirazione.
Dimentico di ogni accortezza, 24 si sentì urlarle “Lascia perdere!” la afferrò per le spalle e la scosse violentemente in un moto di rabbia che non gli apparteneva. Ma che allo stesso tempo sentiva come istintivo. Loki non doveva assolutamente pensare positivamente agli umani.
Quasi immediatamente una scarica elettrica lo percorse da capo a piedi, facendolo stramazzare al suolo. La luce si spense quasi simultaneamente. Ma Loki aveva visto, anche se solo per un attimo. E ora si sentiva come abbagliata, altrimenti in grado di vedere anche al buio. Disorientata, si chinò su di lui, dopo un attimo di smarrimento. L'aria si era saturata di uno strano odore che non sapeva identificare. A tentoni lo individuò, steso ai suoi piedi. Nel percorrerne la figura percepì un lieve sbuffò caldo innalzarsi dai tessuti: qualcosa stava fumando. Era la sua tuta? Era il suo corpo? In quale modo barbaro lo avevano sedato? Non fece in tempo a mettersi in piedi per esternare la propria indignazione che sentì il cubicolo aprirsi alle proprie spalle. Non filtrò nemmeno un raggio di luce. Due braccia forti e sicure l'afferrarono e la trascinarono di peso nel corridoio illuminato. Lo sbalzo visivo l'accecò nuovamente e quando tornò a guardare davanti a sé vide solo una parete bianca, priva di alcun tipo di scanalature: impossibile dire dove fosse l'apertura della prigione di 24, come era altrettanto impossibile valutare se, oltre la sua, ce ne fossero altre.
Due guardie in nero, alte e massicce la scortarono fuori, lungo il corridoio che si estendeva infinito e bianco, sempre dritto. La scusa ufficiosa era allontanarla da un soggetto tanto pericoloso.
Loki esitò, incerta.
La sua riluttanza fu presa per shock post traumatico. In realtà, non potevano sapere che anche in lei si era accesa la scintilla rivoluzionaria. Tutti sembravano aver dimenticato un dettaglio: il nome che il suo umano le aveva dato, forse intuendone istintivamente la duplice natura.
Loki recitò la parte della fanciulla svenevole, nel più classico degli stereotipi umani, ripromettendosi di tornare in quel posto quanto prima.



Riparato da quel poco di luce invernale, sotto l'ombra di un fitto bosco di abeti rossi, il Neidenelva scorreva silenzioso e, affacciata su di esso, una villetta dalle pareti di vetro brillava nella tenue notte norvegese. Al suo interno, note di qualche concerto di musica classica avvolgevano ogni ambiente. Tutta la casa aveva un design molto semplice e spartano che non faceva che accentuare la sensazione di freddo circostante: in lontananza, la consueta tempesta era in veloce avvicinamento. Le pareti tappezzate di alte librerie, a loro volta stipate di libri, insieme ai ricchi tappeti turchi che ammantavano il pavimento, contribuivano, però, a dar corpo al calore sprigionato dalle potenti pompe d'aerazione. Uno sfrigolio leggero sferzò l'aria immobile.
“Ben tornata...” sibilò l'uomo appollaiato alla sua scrivania senza nemmeno levare gli occhi dalla sua lettura.
“Birger...” disse Loki con voce monocorde.
Il tono con cui pronunciò il nome fu sufficiente ad attirare tutta la sua attenzione. Sfilò le lenti e fissò la figura traslucida con occhi color del ghiaccio.
Loki rimase in attesa per qualche secondo. Quindi cominciò a raccontargli gli accadimenti occorsi negli ultimi giorni, di cui gli aveva taciuto.
“24 non è quello che stava avendo problemi di compatibilità con la sua ospite?” domandò alla fine Birger.
Loki annuì. “Lei si è liberata, in qualche modo...”
“Dunque?” domandò con voce piatta lui, ritornando alla sua lettura. La cosa non lo riguardava.
“Dunque noi ora ti raggiungeremo!” rispose seria
Biger ci impiegò un po' ad afferrare ciò che gli aveva appena detto. “Scusa, non per sembrarti il solito umano imbecille ma...cos'è che fai tu?”
“Prendo 24 e ti raggiungiamo” ripeté lei meccanicamente
Biger scoppiò in una risata divertita e isterica “E come pensi di farlo? Non scherzare...” disse tornando ad affondare il naso nel libro “...o mi prendi in giro o sei a rischio esecuzione anche tu come Mat-mon...”
“Né l'uno né l'altro...” fu la secca risposta “Ho imparato da te come schermare le comunicazioni e ho crackato il sistema per ottenere le informazioni che mi servivano...” Passò quindi a enunciargli le fasi del piano che aveva elaborato. Quand'ebbe terminato il briefing, Loki scomparve ancora una volta, lasciando Briger da solo.
“Nomen omen” sbuffò buttando la testa indietro sullo schienale. Si guardò allo specchio: come aveva detto lei, la spia della trappola che si portava addosso si era spenta. Avrebbe anche potuto tentare – finalmente – di rimuovere quel dannato collare con un paio di tenaglie ed evadere in qualunque momento. Si grattò la testa sotto i lunghi capelli biondi e selvaggi: se l'avessero beccato, questa volta nessuno gli avrebbe risparmiato l'esilio sulle isole Svalbard. Doveva già ringraziare di essere stato sbattuto 'solo' nell'amena località di Sør-Varanger. Dopo qualche minuto di perplessità, si decise, facendo spallucce: era il suo controllore che gli aveva dato il via libera, anzi...che gli aveva impartito un vero e proprio ordine. Andò in ingresso e si cacciò addosso la giacca a vento e uscì nel freddo dell'inverno siberiano.



Aveva studiato approfonditamente tutte le mappe che aveva trovato in archivio, anche quelle classificate. Più che studiate, le aveva caricate direttamente nella propria memoria, divenendo di colpo cosciente di quale fosse l'unica via di salvezza da quel posto. Senza averle a disposizione sarebbero finiti subito in trappola. Nemmeno i Karibo avevano idea di tutti i pertugi in cui potesse nascondersi un fuggiasco ben istruito. Ma, d'altronde, la loro era una società che non prevedeva la fuga o la ribellione.
Loki si rese conto, solo allora, di come una strana associazione li legasse agli umani. Certo, avevano scelto di modificarne lo stile di vita, imponendone uno a immagine e somiglianza del loro, alieno e asettico. Loro erano esseri superiori, vivevano in pace gli uni con gli altri, sempre disponibili ad aiutarsi a vicenda. Non esisteva una sfera privata perché questo avrebbe portato all'egoismo. Era naturale così, doverlo spiegare sembrava sciocco e questa giustificazione le era sempre bastata. Eppure, il tarlo del dubbio si era insinuato anche in lei, distruttivo: non era che, come loro avevano condizionato gli umani a quel tipo di comportamento, anche loro fossero, effettivamente, vittime di un disegno che sfuggiva alla loro comprensione? Erano manipolati a loro insaputa? La cosa non le piaceva per nulla. Non si trattava di paranoia ma le vicende in cui si era trovato coinvolto 24 non lasciavano intuire nulla di diverso.
Aveva scaricato anche tutte le informazioni relative alle prigioni e alle aperture delle diverse porte da lì alla loro meta. La sala dov'era stato rinvenuto 24, dove Mat-mon si era rintanato in un primo momento, era il cuore di tutto l'apparato. Scivolò silenziosa dalla sua postazione. Doveva fingere che nulla, negli eventi di quella settimana, l'avesse toccata. Camminò veloce, evitando, nel modo più naturale possibile, ogni incontro.
La porta era quasi invisibile e nessuno vi aveva mai prestato troppa attenzione. Sgusciò all'interno e si mise in cerca del tower che le serviva. Quando lo trovò, riuscì a scardinarne il pannello laterale senza sforzi eccessivi né impiego di chiavi particolari e si accoppiò al dispositivo elettronico tramite la serie di cavi che fuoriuscivano dalla base della nuca. Inserì un virus nel sistema che le permettesse di salvare il collega e dileguarsi nella ramificazione urbana. Durante quell'operazione si imbatté in file compressi, nascosti in modo alquanto particolare. Decise di salvarli in sé stessa per una consultazione successiva. Ma, inaspettatamente, si aprirono tutti in contemporanea, rendendola immediatamente consapevole della loro natura.
Rimase impietrita per qualche istante, mentre il corpo assorbiva quella bordata di informazioni.
Subito dopo, tornò al suo lavoro: non avrebbero avuto molto tempo dato che aveva impostato un timer che bruciasse ogni dato dietro di sé per impedirne la localizzazione ma che, al contempo, riportava la situazione alla precedente manomissione: una porta aperta si sarebbe richiusa e via dicendo.
Quando i vertici avessero capito da dove aveva operato, sarebbe stato già troppo tardi.
Mat-mon era stato un impulsivo incosciente ma gli doveva un favore. Nessuno avrebbe sospettato una manovra simile.



1    Mario Livio, La sezione aurea. Storia di un numero e di un mistero che dura da tremila anni, BUR, Milano, 2002, pag. 102




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Ciao a tutti!
che dire? Ecco a voi, finalmente, Birger, un personaggio che amo particolarmente. Spero sia lo stesso per voi.
;) a presto!

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Capitolo 11
*** Open the door ***


11. Open the door.

And go.





Scollegò i cavi e rimise apposto la placca, in modo da rallentare un poco l'individuazione dell'apparato infetto.
Tirò il collo della tuta nuovamente fin sul naso e calò il cappuccio aderente come una cuffia sugli occhi, lasciando che i cavi le danzassero sulla schiena, e impostò la tuta in modalità mimetica: un simpatico gadget incorporato, stranamente, in tutte le loro tute, che aveva appena scoperto infiltrandosi nel sistema. L'unica cosa che l'avrebbe resa riconoscibile erano i profili in contrasto la cui intensità, però, era regolabile anch'essa: i movimenti oculari individuavano dove e a quale profondità del piccolo schermo si focalizzasse lo sguardo e attivava i menù a tendina1. Ma tali operazioni erano possibili anche dall'esterno, tramite le calottine integrate nel cappuccio su cui ruotava il visore: bastava sfiorarle e disegnare piccoli cerchi in senso orario o antiorario a seconda dell'effetto desiderato. Una lieve pressione sulle calottine confermava la scelta.
Da parte sua, ora Loki era collegata direttamente con le telecamere a circuito chiuso della videosorveglianza: in sovrimpressione, nella visione periferica, avevano preso a scorrere le immagini degli ambienti controllati. Una rapida occhiata sull'icona desiderata e le immagini cambiarono: un flusso di dati prese a scivolare verso l'alto. Si focalizzò su un altro pulsante ancora ed ecco comparire la mappa degli edifici. Allo stesso modo poteva modificare il punto di vista, il grandangolo e lo zoom ma anche l'intensità dei colori della tuta. Quelle tute nascondevano un'infinità di segreti ma non aveva tempo per studiarli tutti. Scivolò all'esterno, non vista, e si diresse spedita al corridoio delle prigioni. La cella di 24 distava una cinquantina di metri dall'ingresso, stando alla mappa che le compariva sul piccolo monitor. Attivò il tastierino alfanumerico all'esterno della porta, invisibile per chi non ne conoscesse già l'esatta ubicazione. Digitò il codice d'accesso sui simboli appena accennati da una tenue luce azzurrina con la nocca del dito indice per evitare riuscissero in qualche strano modo a ricondurre le impronte a lei.
Dal muro, uniformemente bianco, accompagnato dallo sbuffo sottile di stantuffi in azione, emerse appena un rettangolo bianco, la porta.
Loki digrignò i denti notando il congegno installato sul perimetro del vano: sapeva che l'avrebbe trovato ma non aveva avuto tempo per elaborare alcuna strategia al riguardo. Se ci fosse stata una qualunque discrepanza tra il codice inserito e la rilevazione misurata, sarebbe scattato l'allarme. Aveva impostato i computer perché cancellassero ogni dato dopo cinque minuti dall'allarme: era il tempo minimo che poteva impostare. Certo, loro non avrebbero fatto in tempo a scaricare i dati ma ora la scelta rischiava di ritorcerlesi contro ...
Arretrò fino alla parete opposta per prendere la rincorsa. Per quanto poco, sarebbe stata comunque più rapida rispetto alla velocità su cui erano tarati quei sensori: il body scanner avrebbe avuto problemi a identificarla. Nel bene e nel male.
Si lanciò oltre l'apertura e come ruzzolò all'interno della stanza sentì nell'aria il lamento isterico delle sirene.
“24!” chiamò. Non ricevette risposta. Che avesse sbagliato cella? “24!” chiamò ancora. Un mugolio nel buio. Si mosse rapidamente alla cieca verso il suono sperando fosse davvero lui. Il dubbio che cinque minuti potessero non essere sufficienti le balenò nella mente quando cercò di sollevare il peso morto del compagno: pesava più dei 75 kg segnalati sul suo profilo. “Reagisci!” ringhiò sperando potesse aiutarla. Ma niente. Lo lasciò cadere a terra, ne afferrò le caviglie e cominciò a tirare verso la porta. Dovevano uscire subito o le porte si sarebbero richiuse, tornando alla situazione d'origine, sigillandoli all'interno. “24!” Tirò con tutte le sue forze fino a che non fu immersa nella bianca luce abbagliante dei corridoi. Non avevano molto tempo le guardie sarebbero arrivate da un momento all'altro. Ma loro erano due Potis: doveva esserci un modo per riuscire a superare quella difficoltà. Avrebbero mandato solo cinque guardie, ne era certa. Poteva affrontarle, stremata com'era da quello sforzo improvviso a cui era stato chiamato il suo corpo, proteggendo anche il compagno? Certo!
Diede un ultimo strattone e anche la testa di 24 fu libera dall'oscurità di quella cella senza lucernari. La porta si sigillò pochi istanti dopo con un secco suono metallico. Loki si buttò a sedere accanto al compagno per tirare un attimo il fiato, preparandosi allo scontro. Gli osservò la tuta, totalmente inutilizzabile, piena di tagli, bruciature e strappi. Le bande luminose rosse brillavano a mala pena, assecondando il respiro difficoltoso e irregolare. Doveva avere qualcosa che non andava alla gamba, perché, nonostante le condizioni pietose dell'indumento, in quella zona lampeggiava freneticamente. Spostò lentamente lo sguardo lungo il torace fino a esitare al limitare del volto. Il labbro e il sopracciglio erano spaccati, deformati dal coagulo di sangue fuoriuscito, gli zigomi erano gonfi e violacei: la fisionomia era così alterata da rendendolo quasi irriconoscibile.
Decise di tentare il tutto per tutto: gli sistemò la tuta in modo da coprirgli occhi e bocca come quando si collegavano. Quindi armeggiò con i pulsanti sui suoi auricolari finché non riuscì a vedere il pavimento sottostante. Certo, qua e là, dov'erano presenti strappi e abrasioni, la tuta e le bande rosse erano più che visibili ma Loki confidava nel fatto che i Karibo fossero abbastanza distratti per accorgersi di anomalie presenti nello spigolo tra pavimento e parete, dove lo aveva trascinato, convinta fosse il punto più sicuro.
Lo scalpiccio lontano, provocato dalla corsa di un piccolo drappello, si propagò nel corridoio. Loki sbuffò. Ora avrebbe dovuto concentrarsi: erano solo il corpo scelto-armato, non gli Zeraph, gli unici a poter competere con i Potis. Ma erano armati e lei no.



Muoversi nella notte e nel freddo della contea di Finnmark non era certo una cosa che una persona comune, dotata di buon senso, avrebbe mai fatto. Solo qualche anno prima, nel vicino comune di Karasjok, si erano raggiunti i -51° centigradi. E quell'anno prometteva di essere altrettanto freddo.
Birger si era infagottato quanto più possibile, non sapendo cosa lo aspettasse con precisione. Per scrupolo aveva preparato anche dei termos e del cibo imbustato in contenitori autoriscaldanti. Loki gli aveva solo detto che avrebbe cercato di ammarare nelle acque di confine tra la Norvegia e la Russia e di attenderlo al porto di Kirkenes.
Mentre scivolava nella tormenta, solcando la neve fresca e già alta di quella notte, il pensiero era corso, solo per un attimo, al progetto HyNor che, partito una trentina di anni addietro2, aveva costretto tutta la nazione ad adeguarsi ad avere auto ibride, per passare, successivamente ad auto alimentate solo da fonti rinnovabili, vietando la vendita di quelle alimentate esclusivamente a combustibili fossili. Il progetto aveva stentato a coprire anche la loro contea, così protesa nei ghiacci. Ma alla fine l'avanzamento e il benessere tecnologico avevano avuto la meglio e il progetto si era concluso nei tempi previsti3. Aveva pensato, come molti, fosse il nuovo modo per tenere la popolazione soggiogata al nuovo dio: con la scusa dell'esaurimento del petrolio e pilotando la diffusione di altri tipi di alimentazioni, addirittura boicottando la circolazione degli stessi quando i tempi non erano ancora maturi, erano stati tutti obbligati prima a servirsi solo di un tipo di fornitura e ora di un altro altrettanto vincolante, tenendo i prezzi elevatissimi in entrambi i casi: una era ormai merce rara, l'altra doveva ancora ammortizzare i costi della produzione e dello smaltimento a fine ciclo.
Il pensiero gli era subito scivolato addosso: ora, che era finalmente libero di guidare, per un lungo tratto, una sessantina scarsa di chilometri, con una macchina decente che non fosse quella trappola elettrica impilabile4, era stato costretto a intaccare la sua riserva di benzina 98 ottani se non voleva essere rintracciato da chi di dovere.
E tutto per andare a ripescare quell'altra... Ammarare... ma cosa stava passando per la testa di quello sgorbio evanescente? Non era nemmeno chiaro se dovesse noleggiarsi una barca. “Troverai tutte le istruzioni quando arriverai. Ho predisposto tutto” gli aveva detto. Vatti a fidare degli invasori.
L'idea di dover prendere il mare in quelle condizioni, di notte e con la tempesta che imperversava, gli ghiacciò il sangue nelle vene. “Per una volta, proviamo a fidarci della loro sapienza” borbottò nervoso mentre i tergicristalli faticavano a star dietro a tutta la neve che aveva preso a scendere dal cielo, sperando che il porto fosse solo il rendez-vous. Arrangiarsi a guidare, con quel tempo, era un'altra cosa folle.
Aveva scelto, di proposito, la sua vecchia auto a benzina, senza pilota automatico, quella che lui definiva, affettuosamente, stupida perché non era così intelligente, autonoma nella guida e facilmente rintracciabile come quella nuova. Le auto stupide erano state ritirate dal mercato e dai garage dei privati cittadini a costo zero. Ma la sua, lo Stato, non aveva potuto pignorargliela perché, quando i funzionari erano andati per i controlli del caso, l'avevano trovata su quattro mattoni, senza ruote, senza motore, senza spinterogeno e senza batteria. Pezzi abilmente occultati e seminati in giro per la casa e la proprietà in tempi ancora non sospetti e curati maniacalmente, giorno dopo giorno, proprio per un'evenienza come quella che stava vivendo. Nemmeno Loki sapeva che l'auto sarebbe potuta tornare su strada non appena ne avesse avuto l'occasione. Quel relitto di Jeep era considerato solo come l'ennesima stravaganza di un folle che osava sfidare i nuovi padroni.
Aveva perso almeno un paio d'ore tra l'andare a recuperare e il rimettere al proprio posto ogni pezzo ma fortunatamente per lui, se la cavava come meccanico.



Le porte dell'ascensore si aprirono, cigolando, su un corridoio buio scavato nella pietra. Lo scalpiccio degli anfibi sui ciottoli rimbombava nell'ambiente freddo e umido.
Lagazzi... io ho un blutto plesentimento...” disse la voce incerta di una ragazza, con evidenti difficoltà di rotacismo. “Secondo me non ci tolniamo indietlo tutti inteli...”
“Xing, ti prego, non fare l'uccello del malaugurio!” rispose un'altra ragazza, seccata, in testa al gruppo “Non avevi brutti presentimenti per il gruppo di Alain! E loro sono più scoperti di noi...”
Nell'oscurità, Xing scosse la testa “A lolo andlà tutto bene, Jess, ne sono sicula...”
“E allora cos'è che prospetti per noi?” la interrogò, curiosa, la voce di un uomo poco dietro di lei
“Secondo me ci stiamo addentlando in una situazione davvelo spinosa...” rispose lei, esitando
“Non ti ho chiesto cosa ne pensi...ti ho chiesto cosa hai visto, Xing!” ribatté freddo l'altro.
Si erano avvicinati all'apertura della grotta e la luce della luna li illuminava quel tanto che bastava per riuscire a procedere nella boscaglia “Ci salà una squadla almata...io ho visto solo sangue. Tanto sangue, Akila-kun.”
“E dovrebbero uccidere noi?” domandò quello divertito facendosi comparire in mano un pugnale di acciaio
“Chi altri?” rispose Jess, sovrappensiero, estraendo dai propri pantaloni cargo un foglio piegato in quattro
“Vuoi che intervengano a ste ore di notte? Durante il coprifuoco?” sbottò sempre più divertito Akira. “Su su...” la consolò, poggiando la mano guantata tra i codini della compagna “Avrai mangiato pesante...”
L'altra si volse, scoprendo il volto orientale segnato dalla preoccupazione “Da quando mi hanno insegnato...non sbaglio mai...”
“Xing...” sbuffò Akira abbracciandole stancamente le spalle “Nefti ti ha insegnato solo a collegarti... sei tu a tirare conclusioni affrettate...Andrà tutto bene...”
Xing si rabbuiò “Ela quello che pensava anche lei, plima del Blue Beam...”
A quelle parole Akira si rabbuiò. Per mascherare il nervosismo si affaccendò con la zip della tuta nera che avrebbe coperto la maglia rosso fuoco.
Il Blue Beam. L'evento che aveva sconvolto il mondo. E di cui non sapevano praticamente nulla se non attraverso le testimonianze degli sfollati. E dei notiziari manipolati dagli Akero.
“Andiamo...sarà un lavoro veloce... la residenza della numero 19 è a dieci minuti da qui...comodo, no?” disse Jess ripiegando la mappa e facendo l'occhiolino ai suoi compagni.
“Tloppo...” borbottò Xing
Si addentrarono per le strade buie di una cittadina che sembrava essere una località marittima. In giro non si avvertiva alcun rumore e si potevano solo intravedere delle luci che filtravano, di quando in quando, dalle finestre chiuse di qualcuno che, probabilmente, restava sveglio a leggere o a studiare.
Sembrava di aggirarsi per una città fantasma. Dopo qualche minuto di dolce salita verso il centro, Akira si voltò a disagio a guardarsi le spalle. Xing gli aveva attaccato la paranoia. Ma non vedeva nulla oltre lo specchio del lago ai piedi della cittadina.
Sbuffò cercando di calmare i battiti accelerati del proprio cuore. L'importante era che Mogwai fosse al sicuro a un paio di chilometri scarsi dal loro obiettivo. Il resto non contava.
Quando arrivarono a destinazione, Akira si accorse che qualcosa non andava. Agguantò Jess e Xing e le trascinò sotto un porticato, facendo loro cenno di tacere. C'era uno strano silenzio tutt'attorno: sembrava che ogni animale che non fosse stato in letargo fosse sparito. La tensione nell'aria era palpabile. Aspettarono un paio di minuti, in completo silenzio. Finché, nell'oscurità, uno spettro bianco non scivolò all'interno del giardino della piccola villetta. La luce della luna piena illuminava ogni cosa coperta di un leggero stato di brina ed era impossibile non notare quel movimento. I tre rimasero in attesa, i sensi all'erta. La situazione non piaceva a nessuno di loro. Chi è che si era infiltrato nella casa? Un sicario? O solo uno sprovveduto che violava il coprifuoco?
Stavano per tirare il fiato quando uno scalpiccio tutt'attorno li fece irrigidire. Jess e Akira si guardarono a vicenda, controllando che ciascuno indossasse le tute termiche. Fecero un cenno e si calarono il cappuccio, dotato di visiera di materiale plastico trasparente sul mento.



Mat-mon rimase nascosto a lungo, in attesa, valutando se ci fosse qualche guardia nei dintorni, magari allertata da qualche solerte cittadino. Gli sembrava strano che l'ammaraggio catastrofico del suo velivolo (e del suo conducente, un Arkein5 a cui aveva spezzato l'osso del collo con troppa facilità una volta che era uscito dal suo nascondiglio per prendere i comandi di un velivolo di cui non aveva la più pallida idea di come si comandasse) fosse passato così inosservato. Ne era scampato per miracolo, eiettandosi a due metri dalla superficie lacustre. Lo scontro col muro d'acqua gli bruciava ancora la pelle, ma non aveva tempo per pensarci. Aveva atteso un giorno per essere sicuro che nessuno arrivasse a presidiare la cittadina: fortunatamente per lui il luogo era sguarnito di truppe stabili come erano, invece, i grandi agglomerati urbani. Lì sarebbe stato impossibile pensare di potersi comportare con quell'azzardo. Ma i pochi, sparuti abitanti di quel posto non avevano alcun bisogno di presidi, incuneati com'erano tra la montagna, il lago e il mare.
Si era mosso, comunque, sfruttando, prudentemente, le zone cieche di telecamere di sorveglianza.
Quando fu sicuro che nessuno lo seguisse, schizzò rapido nella villetta, scavalcò il cancelletto saltando così lontano da oltrepassare agevolmente i sensori di movimento perimetrali. Aggirò l'edificio che sembrava essere affondato in una piccola collinetta, curata in modo fin troppo certosino, in perfetto stile anglosassone, che un po' strideva col paesaggio circostante più selvaggio, composto di agavi, palme e di pini marittimi. Arrivato sotto a una finestra, dalle cui tende tirate filtrava ovattata la luce di un abat-jour, si arrampicò sul muretto che fungeva da ringhiera agli scalini che scendevano al piano interrato e, da lì, saltò fino al piccolo pianale di marmo su cui si schiudevano gli scuri spalancati. L'obsoleto allarme agli infissi delle finestre era disattivato e la casa era praticamente deserta. Gli altri quattro inquilini venivano sedati ogni sera: una forma di gentile premura per i familiari di una ribelle che veniva spacciata per pazza e che, quando poteva, urlava a pieni polmoni. Anche, e soprattutto, nel sonno, quando la rabbia era libera dal controllo razionale della veglia.
Diede una gomitata al vetro per romperlo, si infilò nel varco apertosi e appoggiò le piante degli stivali gommati sulle schegge scricchiolanti piovute all'interno.
Si avviò, sicuro, al lettino confinato in un angolo della stanza bianca, con imbottitura schiumosa su ogni parete, dove stava un corpo raggomitolato su se stesso, che soffocava urla camuffate da gemiti.
“Zoe...” disse con tono perentorio “Zoe!” richiamò aggressivo “Zoe, avanti, alzati!” ringhiò spazientito, scuotendole le spalle. Una donna smunta, le guance incavate e gli occhi sospettosi segnati da pesanti occhiaie, di età indefinita, fece capolino dalle coltri “Smettila di prendere quello schifo!” Le gridò.
Lei tentennò, cercando di mettere a fuoco la fonte della voce come anche le proprie idee “Chi sei?” domandò con voce impastata dal sonno
“Senza cappuccio, bavaglio e occhiali non mi riconosci?” Sbottò l'Akero indignato, incrociando le braccia al petto “Sono Mat-mon”
Zoe lo fissò con occhi acquosi e dubbiosi “Mat-mon è gentile... e non è umano...” disse tornando a coprirsi con le coperte “Sta qui...” biascicò indicando convulsamente la tempia esposta alla luce della stanza che non veniva mai spenta “Sta nella mia testa...insieme a tutti gli altri...”
“Gli altri?” l'Akero si sentì scivolare a terra confuso ma mantenne salda la posizione eretta
“Mat-mon...” disse lei, stringendosi in un abbraccio convulso e cercando di cullarsi “Mi ha lasciata sola... e al suo posto... a intervalli regolari... credo.. io dormo tutto il giorno... arrivano gli altri, i suoi amici... e mi parlano e mi chiedono e mi fanno test e poi spariscono per poi tornare ancora, uguali nel modo di fare ma diversi tra loro...” Sembrava il delirio di una pazza per come la voce biascicava strisciando fuori dalle labbra livide
“Avanti Zoe!” disse allora lui senza aspettare altri dettagli. Sapeva esattamente cosa stava succedendo: cercavano un altro Akero che le fosse compatibile e non nascondevano nemmeno i diversi tentativi, come avevano fatto loro, qualche anno prima. La prese per le braccia ma gli scivolarono tra le dita guantate sotto il peso morto della sua ospite che non aveva alcun intenzione di cooperare. “Non abbiamo molto tempo prima che arrivino... Sono scappato, avanti!”
“Lasciami...” protestò debolmente mentre lui la scopriva
“Morirai se resti qui! Come se continui a ingurgitare quella roba!” replicò l'Akero
“Che te ne frega?” piagnucolò lei, isterica, ributtandosi a letto, abbracciando il cuscino con la poca forza che aveva e avvolgendosi nuovamente sotto le coperte “Sono solo una schifosa umana, no? Se sei davvero lui...cosa ci fai qui?” domandò con uno sprazzo di lucidità e speranza “Tu sei solo un'allucinazione dei miei barbiturici! Vattene!” Urlò improvvisamente e rannicchiandosi stretta
Mat-mon sbuffò esasperato “Quando fai così sei davvero una stupida umana!” La tirò nuovamente a sedere “Cammina!” Lei si ribellò scompostamente “Non so dove andremo né come ci arriveremo. Quindi la tua richiesta potrebbe pure venire accolta. Ma andiamocene da qui, adesso!” Impose prendendola tra le braccia insieme alle coperte
“Perché?” domandò lei, ormai stanca a furia di lottare contro quell'essere irremovibile
Mat-mon era arrivato rapidamente alle scale “Perché non mi piace come ti stai riducendo. Ti ho vista letteralmente appassire. E l'altro giorno i tuoi pensieri mi hanno davvero spaventato” Zoe lo guardò, scettica e intontita. Le palpebre cominciavano a farsi, ora, finalmente, pesanti: il sonnifero stava facendo effetto “Quando hai pensato lucidamente al tuo suicidio... ho perso la testa e sono fuggito. Sono quasi affogato nel lago, intrappolato nella navetta” disse cercando di farla sentire in colpa
“Non hai risposto alla domanda...” gli fece notare lei nell'incoscienza
“Dormi... ti spiegherò tutto dopo, con calma...” le rispose baciandole delicatamente la fronte.
Zoe si tirò le coperte sulle spalle, stringendosi al petto marmoreo di Mat-mon, accettando docilmente lo stato di cose “Hai sempre avuto la mia vita tra le tue mani...” riuscì a biascicare prima di crollare definitivamente.
Quell'ovvia constatazione fece esitare Mat-mon sulla soglia: Zoe non si stava ribellando per paura ma solo perché aveva sonno. Per il resto, aveva ragione. Lui, tanto prima nella sua postazione quanto in quel momento dal vivo, aveva potere di vita e di morte su di lei. Gli esseri umani erano così fragili...
Perché loro, i potenti Akero, avevano così paura di creature che, a conti fatti, non erano poi così autonomi?
Non seppe dire se fu spinto dalla pietà per quella creatura o da quale altro impulso ma agì d'istinto, come ormai stava facendo da diversi giorni.
Prima di aprire il portoncino e scomparire nel freddo della notte, si chinò su di lei, in un gesto molto umano, che nel corso di quell'anno e mezzo aveva visto e immaginato, attraverso la mente di lei, almeno un migliaio di volte e le sfiorò, timidamente e goffamente, le labbra con le sue.



1    Questo è il principio

2    Più precisamente, era il 2003, progetto HyNor

3    Faccio riferimento a questo articolo. La storia si svolge nell'inverno del 2034 (il Blue Beam l'ho fatto avvenire nell'estate del 2033 anziché nell'inverno 2032: in ordine, dopo il 2012, c'è il 2032 come prossima data di fine del mondo)

4    Mi pare di averlo già postato, ma ripeto. Questa è Hiriko, la concept car ideata dal MIT e questa è la Stack, progetto finalista della Michelin Challenge Design, di cui oltre il 50% della lunghezza si può accavallare a un'altra auto.
Se non fosse chiaro dagli esempi, ciò presuppone una certa uniformità delle vetture (perché la Stack e la Hiriko non sono tra loro compatibili, oltre che essere a energia solare ed energia elettrica). Se ci fossero centinaia di modelli si riproporrebbe il problema dei parcheggi.

5    Arcangelo, messaggero. Quanto agli Zeraph, mi riferisco ai Serafini.

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Capitolo 12
*** Try to stay ***


  12. Try to stay

Alive!






Il fantasma ricomparve, guardingo e apparentemente più goffo nei movimenti, quasi fosse gravato da un qualche peso.
Fu allora che potenti luci si accesero sull'ingresso, illuminando a giorno la strada, abbagliando i tre che non si aspettavano niente del genere.
“Mat-Mon sei in arresto con l'accusa di alto tradimento.” Ruggì una voce anonima dietro il gracchiare di un antiquato altoparlante “Arrenditi immediatamente e rilascia l'umana e non aggraverai la tua posizione!” Xing sbarrò gli occhi, cercando quello dei compagni. Un corpo di polizia? Si stavano preparando ad attaccare...il sangue...ecco cosa aveva visto. Ma là c'era il loro obiettivo. Non potevano tornare indietro e abbandonarla. Akira si posò un dito all'altezza delle labbra, invitandola a perseverare nel silenzio e a calmarsi.
Mat-Mon sembrò quasi sputare per terra, seccato da quell'intromissione “Pensate davvero di riuscire a fermarmi?” ringhiò, la voce bassa e gutturale “Stupidi terrestri...” sibilò stizzito.
Si sentì l'eco simultaneo di armi automatiche che venivano caricate e puntate “Posa la ragazza...” intimò ancora la voce “Il tuo obiettivo era salvarla...”
I tre ribelli videro la figura dell'Akero esitare, combattuta, e, infine, cedere: adagiò la ragazza davanti a sé.
Jess sorrise tra sé: la usava come scudo. Si voltò e, a gesti, spiegò la sua nuova tattica. Era evidente che l'Akero si stava preparando allo scontro. Loro sarebbero intervenuti in quel momento, coprendo la posizione lasciata scoperta dalla battaglia che si profilava all'orizzonte: Mat-Mon avrebbe attirato su di sé l'attenzione di tutti, allontanandola dalla ragazza che sarebbe rimasta esposta al loro sequestro. Era un piano che non poteva fallire.
Si prepararono a scattare.
L'Akero carezzò appena i capelli dell'umana stesa sotto di sé. Quindi alzò lo sguardo sul plotone davanti a sé. Erano un piccolissimo drappello di una ventina di persone, alle cui spalle spuntavano (sicuramente, anche se lui non poteva più vederli) eterei, i suoi ex-colleghi. Tutti semplicissimi Akero, probabilmente invidiosi del suo rango e rabbiosi per il fatto che lui avesse lasciato una posizione tanto ambita, tradendo, e diventando, di fatto, un Nephilim.
Un ringhiò ferino, che non sapeva di poter produrre, gli sfuggì dalle labbra. Quindi scattò, come una molla e con poche, semplici mosse, uccise i primi tre che si trovò davanti.
Non appena fu chiaro cosa stesse succedendo, i proiettili cominciarono a fischiare in aria, nel tentativo di colpire quel guardiano agile e indemoniato. Qualche tiro andò a segno e quello ruggì di dolore come una bestia ferita.
Jess e Xing non attesero oltre e scattarono verso la donna riversa a terra.
Akira era subito dietro di loro.
“Uccidetela!” sentì urlare da qualcuno.
Subito il sibilo di uno sparo fischiò a poca distanza e da quel momento Akira vide tutto al rallentatore: il cervello si rifiutava di dare per buono ciò che vedeva e doveva analizzarlo bene...
Vide Jess cadere inerme sul corpo del loro obiettivo.
Sentì un ringhio animale provenire dal Nephilim.
Avvertì, ovattate, le urla straziate dei soldati uccisi. Con la coda dell'occhio vide che quell'essere quasi ne squarciava i corpi come fossero state pagnotte da dividere tra i commensali.
Vide Xing, presa alla sprovvista, chinarsi su Jess per prenderle il battito cardiaco. Pochi, eterni, secondi e la vide rialzarsi per correre dall'umana per tentare di portare a termine la loro missione.
Avvertì il sibilo di un altro proiettile.
Xing fece per prendere la donna per le braccia quando anche lei si afflosciò a terra.
Il sibilo che aveva sentito era il proiettile di un cecchino (il cervello gli suggerì la parola con riluttanza) che, trapassandola, era arrivato al suo vero obiettivo, l'ospite n°19.
“Nooo!!” si scoprì a urlare.
“Ce n'è un altro...” sbottò qualcuno nella calca
L'aria intorno cominciò a fischiare di proiettili ad altezza uomo mentre l'istinto lo portava a rannicchiarsi e a cercare riparo: le tute termiche non li rendevano invisibili a occhio nudo, ma solo ai rilevatori di calore.
Altri spari. Diretti a lui, diretti al Nephilim. Non gli importava. Era in tempo per tornare a riferire. Lì non sarebbe stato di alcuna utilità per Jess e Xing che erano ormai morte. Correndo a perdifiato, sondò tra i propri molari con la lingua ritrovando la capsula di cianuro che vi stava incastonata, pronto a romperla senza esitazione in caso di cattura.
Jess e Xing. Sorrise, malgrado tutto, al pensiero: unite anche nella morte. Se una delle due fosse sopravvissuta era molto probabile che l'esito finale sarebbe stato il medesimo.
Si ritrovò in fuga, correndo alla cieca per le strade del borgo, sperando solo di riuscire a guadagnare il centro d'osservazione del lago e, di lì, Mogwai. Sperava di arrivargli almeno abbastanza vicino per comunicargli di fuggire.
Akira correva con la velocità dei ninja, gli occhi abituati al buio. Correva cercando di seminare la pattuglia o quel poco che ne rimaneva dopo l'assalto del traditore. Correva così veloce e disperato da non accorgersi di essere rimasto da solo.
Quando si rese conto che nessuno lo seguiva si fermò, piegandosi sulle ginocchia a riprendere fiato.
Le sue compagne!
Il pensiero lo attraverso veloce come un fulmine. Doveva tornare indietro e cercare di portarle via, per dar loro degna sepoltura.
Ritornò, cautamente, sui propri passi. Riuscì ad arrivare senza problemi alla scena dell'agguato. In un primo momento, non avvertendo alcun rumore, pensò che gli uomini armati fossero andati a cancellare le memorie, di casa in casa, prima di mettersi a fare ordine. Ma sotto i suoi occhi, sbarrati dal troppo orrore, si stendeva un unico lago di sangue, interiora, arti e corpi contorti in pose innaturali. Contò meccanicamente il numero dei corpi: c'erano tutti, anche se alcuni smembrati in più parti. Una ventina di soldati, l'Akero, l'umana e le sue compagne. Nessuno aveva dato l'allarme.
O meglio. Nessun soldato. Ma gli abitanti del circondario, non più abituati agli schiamazzi notturni, sicuramente sì. A breve sarebbe arrivata sicuramente una nuova squadra per sistemare quel casino. Si avvicinò ai corpi delle tre donne, indeciso su quale caricarsi in braccio per primo, contando anche che, forse, sarebbe stato l'unico che sarebbe riuscito a riportare indietro.
Un gemito dal mucchio di corpi maschili che si era lasciato alle spalle lo fece sobbalzare: qualcuno era ancora vivo.
“Zoe...” biascicò quel qualcuno che invocava il nome della propria ospite, la numero 19.



L'allarme risuonò in aria, ferendo le orecchie di chi si fosse trovato troppo vicino alla sirena. Il fastidioso ronzio si interruppe praticamente subito. Come ogni volta, la grotta si riempì di persone in breve tempo.
Han era madido di sudore e non aveva avuto nemmeno il tempo di avvisare il suo superiore. “Dannazione!” sibilò esasperato
“Che diavolo succede?” domandò Hector, estremamente irritato, fendendo la folla.
“...” Han tacque, la mascella contratta “Sembrerebbe che siano saltate le capsule di Xing e di Jess...”
“Sei sicuro?” sbottò qualcuno dal fondo, allarmato
“Così sta scritto qui ma...” ringhiò l'informatico, tornando subito ai monitor “Non posso averne la certezza...è la prima volta che succede!” sbottò esasperato, picchiando il pugno sul pianale di lavoro.
Hector rimaneva in piedi accanto a lui, scrutando gli schermi in cerca di qualsiasi dato potesse aiutarlo.
“Dovremo aspettare il notiziario...” mormorò alla fine, accasciandosi sulla poltrona libera. Subito dopo, qualcosa attirò la sua attenzione. “Han...prova a vedere la n°19...”
“La...19?” domandò stralunato
“Qui...” disse indicandogli un punto sul monitor
Han mosse istintivamente il mouse, digitò rapidamente qualche comando e la schermata che si aprì era solo una riga di comandi verdi su fondo nero.
Vuota.
“Questo vuol dire..?” stava domandando il capo, per sicurezza
“Significa che non c'è più segnale.” rispose stancamente Han “Ma abbinata alle capsule... non mi lascia presupporre nulla di buono.” ringhiò buttandosi sullo schienale e stropicciandosi gli occhi. Poggiò la testa sul pugno chiuso, continuando a scrutare i monitor. “Che diamine sta succedendo, là sopra?” domandò a se stesso, desiderando tanto essere telepatico. Di colpo si rizzò a sedere “Nefti! Chiamate Nefti, subito! Lei è l'unica che potrebbe dirci qualcosa...” Alle sue parole, qualcuno scattò e rumore di passi che si allontanavano rimbombò nella grotta.



Aveva regolato la tuta perché avesse il massimo grado di trasparenza per non essere facilmente individuabile. Aveva raccolto le protesi del collo in una sorta di chignon alla base del collo affinché nessuno riuscisse ad aggrapparsi nel punto più sensibile del suo corpo. Si era messa di profilo rispetto al senso in cui sarebbero arrivati i Karibo così da non essere comunque subito facilmente individuabile anche a un occhio attento.
Rilassò i muscoli, regolò il respiro e con esso il battito cardiaco. Non avrebbe saputo dire perché ma quello che si apprestava a fare le sembrava stranamente naturale, come se non avesse fatto altro per anni. Eppure erano stati tutti preservati in un sonno criogenico nel loro viaggio di venti anni luce guidato dal computer centrale delle astronavi. Si erano svegliati solo alle porte del sistema solare. Da quel momento avevano cominciato a studiare l'essere umano e la sua psicologia.
Il ricordo sparì dalla sua mente quando, in fondo al corridoio, comparvero le guardie nere armate. Effettivamente, sembravano non aver notato né lei né 24. Trattenne istintivamente il respiro, stendendo le proprie gambe parallelamente alle pareti, abbassando il proprio baricentro, pronta a colpire.
I Karibo arrivarono e quattro di loro si disposero a protezione dell'ingresso della cella mentre l'ultimo sbloccava l'accesso e vi entrava. Subito altri due lo seguirono, accendendo bande bianche luminescenti sulle tute e illuminando l'ambiente interno. Loki agì senza pensare. Si infilò tra le due guardie rimaste a piantonare l'ingresso e digitò rapidamente sul tastierino il codice per sigillare la porta. Usò un codice che poteva essere rimosso solo andando a toccare il computer centrale. Il portello si richiuse immediatamente con un tonfo sordo, imprigionando al proprio interno chiunque vi avesse acceduto. Sorrise della propria abilità, si appuntò di dover ringraziare Birger e constatò come, forse, non sarebbe stato difficile cavarsi d'impiccio: bastava usare un po' di furbizia. E di quella, secondo l'umano, lei era molto dotata.
I due Karibo rimasti all'esterno, sentendo il portellone chiudersi, si voltarono di scatto. Non si guardarono. Avevano già capito cosa stava succedendo. Erano stati addestrati per quello. Sfoderarono le armi e appiattirono le schiene tra loro. Dalle auricolari arrivò il suono ovattato di una voce femminile “visione notturna, attivata”. Per un attimo Loki si domandò perché loro non avessero quel piccolo gadget che era la voce registrata. Poi capì che doveva trattarsi di un informazione trasmessa direttamente dal centro di controllo. E che, quindi, doveva esserci un intero team pronto a studiare le sue mosse. Avrebbe dovuto essere veloce e letale, prima che la individuassero e capissero come agire. Era fuori dalla loro visuale, per il momento. Ma presto avrebbero puntato lo sguardo anche sul pavimento, dov'era tornata ad accucciarsi per evitare eventuali spari ad altezza uomo. Stirò la gamba verso l'esterno, sostenendosi sui palmi delle mani. Quindi, caricò un calcio che, schiantandosi sulla mascella del primo guardiano, gli fece sbattere la testa, protetta da un elmetto rigido, contro quella del compare. Subito l'altro scattò, ruotando su se stesso e puntando l'arma sulla probabile zona d'origine del colpo. Loki era veloce e si era già spostata alle sue spalle, in modo che non la trovasse dove avrebbe dovuto essere. Saltò in alto, tanto per portarsi ulteriormente fuori traiettoria, e calò un altro calcio, carico di tutto il peso del proprio corpo oltre che della spinta impressagli nel salto, sulla nuca dello sprovveduto. Atterrò malamente, la testa dell'Akero tra le proprie cosce. Si rialzò mentre anche la prima guardia si rimetteva faticosamente in piedi. Non attese di vedersi puntare contro l'arma: buttò tutto il peso sulle mani, fletté sui gomiti, dandosi la spinta per spiccare un salto e, con un semplice aú-sem-mão lo atterrò definitivamente. Entrambi giacevano a terra privi di sensi: gli ci sarebbe voluto un po' per riprendersi e al controllo centrale avrebbero preferito spedire un nuovo drappello, più fresco e preparato del primo. Prima di tornare da 24, andò dai due e gli rimosse elmetto e occhiali, disattivando la ricezione delle immagini da parte dei loro superiori. Quindi si caricò 24 sulla spalla, ringraziando che la sua tuta fosse mezza distrutta e ruvida, consentendogli un minimo di appiglio, quel tanto che bastava per coprire i pochi metri che li separavano dal loro nuovo obiettivo.



Vergognandosi come un ladro, si prese il permesso di indagare velocemente nella bocca delle compagne: doveva accertarsene. Pensò, per scusarsi ulteriormente, che loro avrebbero fatto lo stesso se i ruoli fossero stati invertiti. Akira si aprì un varco tra i denti delle amiche morte, stretti in una morsa rigida che lasciava sperare il meglio. Le capsule erano state entrambe spaccate con l'ultimo residuo di volontà prima del decesso. Per quanto potesse sembrare cinico e per quanto la situazione fosse la più disperata in cui si fosse mai trovato riusciva a vedere qualcosa di positivo in tutto quel macello: nessuno avrebbe potuto usare i corpi per ricavare informazioni utili circa la loro ubicazione.
Quand'ebbe finito l'ispezione ed ebbe affiancato i tre corpi femminili, sistemandoli in una minima formalità mortuaria, si inchinò, salutandole. A malincuore, aveva fatto la sua scelta. Si voltò e andò a recuperare l'unico corpo che potesse portare con sé, in quel breve lasso di tempo.
“Andiamo!” Sibilò trascinandosi dietro lo sconosciuto dall'aspetto improponibile. Era irrimediabilmente un Akero. Si buttò un braccio dietro il collo nel tentativo di afferrarlo per i fianchi ma quella sua dannata tutina liscia, che gli impediva un valido appiglio e che era la conferma di quell'aspetto bizzarro, non aiutava nel sostenere il suo peso morto. Lo ributtò a terra senza alcuna grazia, sbuffando e passandosi una mano tra i capelli, l'altra piantata sul fianco. “Pensa Akira, pensa!” disse a se stesso. Lo avrebbe volentieri afferrato per quella specie di codino di cavi che si dipanava dalla nuca ma, pensando che fosse una protesi delicata, accantonò l'idea. Gli afferrò le caviglie e cominciò a tirarselo dietro, la schiena che strisciava sull'asfalto, le braccia e la coda di cavi che seguivano la scia del corpo. Dopo pochi metri, durante i quali il Nephilim non aveva fatto altro che lamentarsi, si fermò, irritato. “Così non va, dannazione!” Rischiavano di lasciare tracce organiche dietro di loro e, per rintracciarli, sarebbe bastato un antiquato e banalissimo luminol. “Dai, alzati!” sibilò tirandolo nuovamente su per le braccia “Mi basta che tu riesca a mettere i piedi uno davanti all'altro...mi senti?” domandò “Anzi...mi capisci?”
Il Nephilim mugugnò qualcosa di incomprensibile e Akira sentì che il peso che gravava sulle sue spalle si era, in qualche modo alleggerito. Erano poche centinaia di metri che dovevano percorrere per rientrare in zona protetta, nello scantinato della stazione lacustre. Sperava solo di farcela prima dell'arrivo dei soccorsi. Non poteva permettersi di far uscire Mogwai allo scoperto.

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Capitolo 13
*** Fly ***


  13.      Fly

Away








L'aria all'esterno era frizzante e stantia insieme. La città le sembrava stranamente vuota. Come se fosse stata evacuata. Trascinò il peso del compagno giù per la scalinata, seguendo il labirinto azzurrino che le compariva in sovrimpressione sullo specchio degli occhiali. Le tute erano ancora regolate per avere il massimo grado di trasparenza: i loro inseguitori avrebbero dovuto concentrarsi per trovarli. Digrignò i denti, desiderando avere una di quelle coperte termiche umane che impedivano al calore di essere così visibile ai sensori. A quel punto, però, sarebbero stati visibili anche a occhio nudo.
Con un piccolo sforzo tirò 24 dietro un angolo e si fermò appena per riprendere fiato. Dovevano raggiungere il porto. Non sapeva come ma doveva riuscire ad arrivarci prima che il centro di controllo mandasse un'altra squadra ad accertarsi delle condizioni di quella che aveva neutralizzato. Ancora una volta, si sorprese a desiderare gli artefatti umani: un pattino, una carriola, qualunque cosa fosse dotata di ruote su cui adagiare il peso del compagno. Se lo ricaricò in spalla e avanzò, scegliendo i percorsi più tortuosi.
Qualche decina di metri e un pensiero la colpì per la sua sorprendente semplicità logica: non si sarebbero messi a cercarli per le strade della città. Sarebbe stato uno spreco di tempo, risorse ed energie. In breve tempo avrebbero istituito un posto di blocco direttamente all'attracco delle navi. Serrò i denti. Avrebbero concentrato lì tutte le squadre di Karibo. Che sciocca era stata. Ora, l'urgenza di raggiungere per prima la navetta, le dava una forza sorprendente. Sollevò 24 senza sforzo e si mise a correre. Aveva un vantaggio di cinque minuti durante i quali, diramato l'ordine di raggiungere la sua stessa destinazione, le squadre sarebbero state in movimento: doveva affrettarsi per riuscire ad anticiparli.
Corse a perdifiato per le vie della città, scegliendo la via più breve, attraversando senza neanche guardare le strade, stranamente vuote e silenziose, biecamente illuminate da tutti i neon che ne disegnavano lo skyline. Non c'era stato alcun esodo, pensò. Dovevano essere stati invitati tutti a rimanere in luoghi sicuri. Chissà quale scusa avevano usato. Loki si scoprì a sperare, come un misero umano, di far in tempo a bypassare la sorveglianza degli Akero.
Ora solo pochi metri la separavano dal suo obiettivo finale. Poi, forse, sarebbero stati in salvo. O almeno più tranquilli.
Scivolò silenziosamente tra i pochi Karibo presenti normalmente all'ingresso, alcuni con lo sguardo fisso davanti a sé, concentrato, altri, in seconda linea, più rilassati che scherzavano tra loro. Le arrivarono alle orecchie dei frammenti di discorsi. Stavano ridendo di loro, domandandosi chi fosse così folle da rischiare tanto: la notizia della loro fuga era già arrivata, ma non le truppe supplementari.
Un ghigno le increspò le labbra nell'istinto di rispondergli o di staccargli la testa dal collo. Ma aveva altre priorità che non fosse perdere le staffe con la semplice marmaglia. Con un colpo di anca si ridistribuì il peso di 24 e procedette oltre. Doveva allontanarsi e cercare qualcosa che non desse troppo nell'occhio, qualcosa che, se si fosse sganciato, si sarebbe potuto pensare a un errore tecnico. Puntò quindi al ricovero delle navi danneggiate nella parte più isolata del cantiere, vicino alle piste di lancio. Certo non il primo posto che un qualunque Arkein1 avrebbe puntato per scegliere un mezzo di trasporto. Era pericoloso scegliere una nave non perfettamente funzionante, lo sapeva bene. Ma era la sua unica possibilità di guadagnare ulteriormente tempo. L'hangar brulicava di Manowar impegnati nelle riparazioni e non sembravano affatto turbati dalla notizia della fuga dei due, ormai, Nephilim. Si accasciò all'esterno, depositando il corpo privo di sensi di 24 accanto a sé e poggiando la schiena alla lamiera della parete. Si prese del tempo per studiare i mezzi ospitati all'interno. Doveva trovare il più scalcagnato e che fosse, possibilmente, seguito dal più distratto degli operatori. La mappa che le scorreva davanti agli occhi si tramutò in una serie di schede tecniche. All'improvviso, l'allarme di una sirena riecheggiò nell'aria. Era il segnale che precedeva l'arrivo della squadra di Karibo. L'hangar sarebbe stato ispezionato per ultimo, ma lei doveva spicciarsi comunque. Si domandò come avesse fatto Mat-Mon a fuggire. Ammesso che ci fosse riuscito.
Riportò la sua attenzione alle schede, scorrendole tutte, quando, infine, trovò ciò che faceva al caso loro: una navetta che nessuno si era preso la briga di prendere in considerazione per le riparazioni, troppo danneggiata e male ancorata. Sembrava quasi che l'operatore, che l'aveva ricoverata in malo modo, sperasse potesse sparire da sola, in modo evitargli il fastidio di doverlo smontare per riciclare eventuali pezzi ancora in buono stato.
La scheda segnalava la perdita totale dello scudo deflettore, l'avaria dei vettori direzionali, il malfunzionamento del calcolatore di bordo e la pressurizzazione dell'abitacolo era data per incerta. Loki non riusciva a capire cosa potesse esserci i tanto complicato nella sostituzione di un paio propulsori e di un deflettore. Forse tale operazione era semplicemente più dispendiosa rispetto al tenere da parte i mezzi danneggiati per usarli per altri pezzi di ricambio. Ad ogni modo, nessun Arkein sano di mente si sarebbe mai avventurato con un mezzo così mal ridotto, figurarsi degli Akero disperati e inesperti, per quanto braccati. Nessuno, tranne loro.
Si tirò dritta e si caricò il peso del compagno, pronta per l'ultimo sforzo. Arrivata alla navetta, sciolse il nodo della propria coda di terminali. Trovò la bocchetta di inserzione e si accoppiò. Il virus, precedentemente incamerato nella sala dei computer, si sganciò da lei e si propagò nella macchina. Subito il portello si schiuse e lei e 24 poterono sgusciare all'interno. Ora erano schermati anche dai visori termici. Il problema sarebbe stato partire. Stese 24 lungo il piccolo corridoio, piegandogli le gambe sui piccoli divanetti, quindi si accovacciò vicino al computer e si accoppiò nuovamente. La macchina prese vita con un fastidioso ronzio. Il piccolo monitor domandava quale corpo celeste rappresentasse la destinazione. Loki sbuffò spazientita e digitò il codice della Terra pestando le dita sullo schermo. “Come se non fosse ovvio...” ringhiò. Il calcolatore le chiese, quindi, quali fossero le coordinate. In sequenza comparve la stringa di comando che aveva impostato: 78°45'N 28°30'E, l'arcipelago delle Kong Karls Land che si trovava subito sotto l'isola Nordaustlandet, la più settentrionale del complesso delle Svalbard, a circa mille chilometri da dove si trovava il suo umano. Ma il computer sfavillò di rosso e giallo, segnalando un errore. Lei ridigitò le coordinate e, in ultima istanza, il computer, sempre lampeggiando di rosso, sembrò accettarle. Pochi istanti e il calcolatore poneva la domanda più stupida che le fosse mai stata rivolta “Sei sicura di voler dirigere la nave alle coordinate 78°45'N 28°30'E?”
Loki pestò sul icona del Sì, infastidita “Se ti dico che voglio andarci non farmi tanto la paternale!” soffiò. Il computer sapeva bene quanto lei che quella era la zona più rischiosa della terra in cui spedire una navetta: lì i segnali si facevano deboli ed era quasi impossibile la ricezione del segnale a causa della vicinanza al polo magnetico.
Il portellone si sigillò con uno sbuffo e il rombo dei motori ausiliari riecheggiò nell'abitacolo. Loki gattonò fino a 24 e si accoccolò al suo fianco, aspettando la spinta del decollo mentre la cabina veniva scossa da violente oscillazioni.



Nel silenzio della notte, rientrare da solo nell'hangar abbandonato sulla bocca del lago gli dava quasi i brividi. Akira non aveva paura del buio. Non più. Ma quella situazione gli faceva vedere, in ogni ombra, un corpo che cercasse di nascondersi.
Il respiro era ormai affannoso nel disperato tentativo di trascinarsi dietro un peso semi-morto e, al contempo, cercando di tenerlo al riparo sotto la coperta termica. Non vedeva l'ora di tornare a casa e dimenticare tutta quella notte. No. Dimenticare sarebbe stato sbagliato e scorretto. Voleva... riposare, tirare un sospiro di sollievo per essere riuscito a riportare la pelle a casa, piangere a dirotto, senza vergogna, per la perdita delle sue amiche. Ma ora non poteva permettersi quel lusso. Ora non erano ancora al sicuro.
Il battito regolare delle pale di un paio d'elicotteri riempì gradualmente il silenzio di quella notte invernale. Ringraziò mentalmente qualunque vera divinità per averlo fatto arrivare quasi a destinazione. Gli elicotteri dovevano essere abbastanza vicini e, forse, sarebbero arrivati proprio dalle montagne alle sue spalle. A conferma della sua ipotesi, tre fasci di luce sciabordarono la notte senza stelle. Si chinò vicino a un cespuglio, sperando che la coperta, il cui colore era di un nero anonimo, non venisse facilmente individuata. Le luci scivolarono oltre e con esse l'eco martellante delle eliche e il vento improvviso che aveva colpito la zona tanto volavano bassi.
Si rimise in piedi e si trascinò all'apertura. Percorse, al buio, il percorso fatto con Xing e Jess all'andata. Incespicò nei propri passi e nelle macerie di quel luogo abbandonato. Arrivò all'ascensore e pigiò il pulsante che si illuminò di rosso. Tirò un sospiro di sollievo. Era quasi fatta. Ora anche Mogwai lo sapeva. Se lo immaginava piroettare in aria giulivo. Non poteva sapere cosa fosse successo, ma il fatto che qualcuno avesse richiamato l'ascensore (dopo che era stato rimandato al piano interrato per sicurezza) era il segno inequivocabile che qualcuno stava tornando. A Mogwai era stato comunque impartito l'ordine di nascondersi nel caso qualcuno li avesse scoperti, fosse riuscito a evitare l'esplosione delle capsule di cianuro e a recuperare i dati del loro cervello. Senza Mogwai era impossibile scoprire dove si collocasse la ribellione. E nel caso si fosse presentato qualcun altro lui sarebbe dovuto fuggire.
Finalmente le porte si aprirono e lui vi scivolò dentro, abbandonandosi al muro. Pigiò distrattamente il numero del piano da raggiungere.
Allora lo vide: un fascio di luce, probabilmente di una torcia (no, erano più torce, forse addirittura una ventina), dardeggiare nell'oscurità davanti a sé. Abbandonò il corpo dell'Akero e, mentre agguantava il mitra che aveva sottratto a una delle guardie morte pochi minuti prima, con la mano libera pigiava il tasto che avrebbe affrettato la chiusura delle porte. Si appiattì vicino alla pulsantiera, per ricevere un minimo di protezione dalla paratia di quella trappola di metallo. La luce lo accecò e lui sparò, senza esitazione. Colpì nel mucchio e una luce traballò. Doveva aver centrato qualcuno, ma erano troppi. Le porte cominciarono, finalmente, a chiudersi. Ma si stavano chiudendo troppo lentamente. I pochi secondi che ci avevano impiegato all'andata ora sembravano minuti eterni.
I suoi inseguitori risposero al fuoco e lui estrasse rapidamente un'altra arma dalla fondina, le mani una sopra l'altra per sparare nella stessa direzione. Diverse luci oscillarono e lui sparò senza sosta, il sudore che quasi gli annebbiava la vista. Ma non poteva tergerselo, né scrollarselo di dosso.
Finalmente le porte si chiusero e Akira poté tirare un sospiro di sollievo mentre altri proiettili si conficcavano nelle porte davanti a sé, deformando la parete di metallo.
L'ascensore cominciò a scendere dolcemente. Sperava solo che i suoi inseguitori non capissero a quale piano fosse diretto e che non scoprissero che le scale erano perfettamente agibili. Forse essersi rifugiati così in profondità non era stata una scelta saggia. Mosse un braccio per asciugarsi il sudore, prima di riagguantare l'Akero, ma un profondo dolore pulsante si irradiò dal torace. Abbassò lo sguardo: appena sotto l'ascella, fino alla vita, era in carne viva. L'avevano colpito. Quando? Non aveva avvertito alcun dolore. Ora gli sembrava di bruciare. La vista si annebbiò e mentre si accasciava al suolo, il suo ultimo pensiero fu che era stato fortunato: non gli avevano perforato i polmoni.
Scivolò rapidamente nell'incoscienza e in uno sprazzo di lucidità, ricordò qual'era il suo dovere: la capsula di cianuro.
Mogwai avrebbe riportato a casa un campione, importante per la resistenza, e il suo cadavere, ucciso dal cianuro e non dalle armi degli uomini.



Nel silenzio dell'hangar, le porte cigolanti del vecchio ascensore si aprirono, accompagnate da un desueto e allegro trillo, con una lentezza esasperante. Il fascio di luce proveniente dal vano illuminò un trapezio di terreno. Il silenzio persisteva.
Improvvisamente, le luci del piano si accesero, tintinnando come solo i vecchi neon sapevano fare, uno dopo l'altro, sfarfallando e illuminando l'ambiente a giorno. Mogwai, titubante, uscì dal proprio nascondiglio. Fluttuò fino all'ascensore, incapace di capire perché nessuno uscisse. Gli stavano facendo uno scherzo? C'erano dei nemici nascosti all'interno dell'elevatore? Per buona norma, si avvicinò all'apertura dal soffitto. Quando fece capolino tra le paratie, che in quel momento si stavano chiudendo, vide l'orrore al suo interno, afferrando perché nessuno si fosse mosso.
Scivolò dentro, insieme ai due corpi. Se solo avesse potuto, avrebbe pianto come i suoi amici umani. Tutto ciò che fece, invece, fu lasciarsi scuotere da violenti singulti. Le porte alle sue spalle tornarono ad aprirsi meccanicamente. Fu preso dal panico e, abbassando lo sguardo sulla fessura, convinto di trovarci degli assalitori che riaprivano le porte scorrevoli, vide come fosse il piede di Akira a impedire la chiusura. Si era accasciato contro la parete traforata di proiettili lasciando dietro di sé una scia di sangue raccapricciante. Sembrava una cascata che avesse origine a metà pannello. Le lunghe gambe erano scivolate in avanti e, quando l'ascensore si era aperto, avevano continuato la loro corsa per inerzia.
La rabbia lo scosse. Stupidi umani assassini. Stupidi Akero assassini.
Mogwai spostò, allora, lo sguardo sul secondo corpo. Un Akero. Un Akero? Akira era stramazzato al suolo per proteggere uno di quei...cosi? La rabbia per la stupidità del suo compagno umano gli fece dimenticare di dover fuggire. Si avvicinò, invece, ulteriormente ad Akira e sondò il suo corpo. Il battito cardiaco c'era ancora, flebile e lento ma c'era: non era morto. E non aveva neanche esploso la capsula. Mogwai si calmò immediatamente. Ora, tutto ciò che doveva fare era riportarlo a casa. Non si domandò dove fossero Jess e Xing. Vedendo quei due aveva capito.
Dal piano superiore avvertì il tramestio di una ventina di persone che si muovevano lungo i vecchi gradini di cemento farinoso e seppe che non erano ancora in salvo. Ora tutto dipendeva da lui.
“Sono qui!” urlò una voce in fondo al grande ambiente.
“Saranno morti!” rise qualcun altro ma subito la voce gli morì in gola “E quello cos'è?”
“E' un'allucinazione?” domandò sbigottito un terzo uomo mentre i corpi armati si accalcavano e si spintonavano per farsi largo.
“No, lo vedo anch'io sul visore. Sembra...una lampadina a incandescenza...blu?” borbottò un altro ancora. La curiosità era palpabile e gli uomini si disponevano istintivamente a ventaglio attorno all'apertura e a quella palla luminescente di un profondo blu con venature violacee.
“Roger” disse quindi il capo pattuglia alla ricetrasmittente “Abbiamo un...Ovni2 nello scantinato, insieme ai cadaveri di altri due ribelli... uno dovrebbe essere il Nephilim. Ci avviciniamo per accertamento, passo.”
Cadaveri? Mogwai si sentì fremere di rabbia: il suo amico, e ciò che aveva protetto a costo della propria vita, non erano cadaveri. Non ancora.
“Sì sì” disse ancora l'uomo, evidentemente il capo pattuglia “Un oggetto volante non identificato...vola, no?” disse rivolto ai suoi uomini, quindi continuò “Fluttua, se proprio vogliamo essere precisi...quindi un Uap3...” lo scricchiolio della radio lo interruppe “Ma no... è poco più grande di un pugno...”
Mentre l'uomo parlava, i suoi uomini si erano accorti che qualcosa stava cambiando. La luminosità del posto era aumentata e anche le dimensioni apparenti dell'Ovni.
“Un momento...” disse sentendosi tirare da uno dei suoi soldati “Pare stia crescendo a vista d'occhio. Sì, richiedo ulteriori rinforzi!” E mentre lo diceva, Mogwai, l'essere di luce, esplodeva in tutta la sua rabbia e il suo colore mutava in un lilla pulsante. Le sue dimensioni avevano raggiunto i cinque metri di diametro. Non li avrebbe lasciati a quegli esseri meschini. Si abbassò a fagocitarli: al suo interno sarebbero stati protetti. Li manipolò dolcemente in modo che si raggomitolassero in posizione fetale, così da occupare meno spazio possibile. Freddamente, ridusse le proprie dimensioni.
La sua luce pulsò una, due, tre volte.
Quindi scattò, veloce come una saetta e si impennò verso le scale: erano abbastanza larghe da far scivolare i due corpi al suo interno senza problemi. Ma lui non era ancora pronto per affrontare il rientro. Era troppo caldo.
Avvertì dei colpi esplodere nella sua scia.
Sciocchi. Ringhiò dentro di sé. Il calore aumentò ancora, insieme alla vividezza della luce. Pensavano davvero che dei miseri proiettili potessero fargli qualcosa? Se scappava era solo perché temeva che gli stessi colpissero ulteriormente i due feriti che trasportava. Fortunatamente quegli sciocchi non sembravano essersi resi conto della sua natura plasmatica. Ma doveva sbrigarsi a calmarsi, così sarebbero riusciti a rientrare. Non ci sarebbe voluto molto perché quelle scimmie corazzate elaborassero la strategia per fermarlo e lo trasformassero in un clarato4. Era molto, troppo, semplice per le loro apparecchiature. Inoltre, doveva calmarsi più che altro per evitare di raggiungere il runaway5 e distruggere tutto.
Calmarsi. Doveva darsi una regolata. Solo così avrebbe diminuito la sua temperatura e quella dei suoi ospiti, rendendo possibile trapassare la materia.
Freddo. Akira era stato freddo. Era riuscito a portare a termine la missione nonostante tutto. Nonostante la morte di Jess e Xing. Mogwai si focalizzò su quel pensiero mentre la sua luce bluastra schizzava sulle acque del lago.
Zazen, gli diceva sempre Akira sedendosi con le gambe incrociate per ore, dimenticandosi di qualunque cosa avvenisse intorno. Era la volta buona di mettere seriamente in pratica i suoi insegnamenti.
Ne andava della sopravvivenza di tutti e tre.
La luce tornò a farsi violetta. Così non andava, era in preda all'ansia.
Calma! Calma!
Sincronizzati sul respiro.
Ma quale respiro, Akira? Io non respiro!
Allora, sincronizzati sul mio.
Il ricordò svanì, fulmineo, e Mogwai si ritrovò a sfrecciare nel cielo stellato. Osservò Akira, al proprio interno. No, non era stato lui a parlare, anche se gli era sembrato dannatamente vivido. Era solo un ricordo. Suo? O dell'umano? Erano in connessione telepatica? Lo stato di abbandono in cui versava, forse, aveva reso possibile il riaffiorare di una memoria comune. Si perse nel suo ragionamento, valutando come gli Akero fossero riusciti a rendere possibile l'intelligenza collettiva, un ritorno alle origini animali: prima Internet, poi la costante connessione ad apparecchiature elettroniche, il monitoraggio e la schedatura delle onde elettromagnetiche. Infine, gli esseri umani che continuavano a camminare sulla terra, con poche eccezioni, erano diventati tutti parte di un unico grande ingranaggio, con diverse sfumature e diversi gradi di libertà. Stolti. Erano convinti di essere liberi ed erano, invece, più manipolati dei loro stessi animali tenuti a guinzaglio.
Se avesse potuto, avrebbe scosso la testa. Invece si rese conto di essere riuscito a calmarsi.
Dal buio, inaspettatamente, si levarono un paio di luci e un battere ciclico e ritmico risuonò nel silenzio notturno. Elicotteri. Pensavano davvero di potergli stare dietro?
La calma l'aveva invaso. Era così preso a fluttuare davanti agli umani che quasi non si accorse del grosso disco metallico alle loro spalle. I getti di luce lo abbagliavano, impedendogli di notare la fascia di lucine colorate lungo tutta la circonferenza.
Mogwai scattò un istante prima che anche l'altro oggetto volante sfilasse tra i due elicotteri, disponendosi verticalmente.
Il panico l'attanagliò mentre schizzava in cielo come un fulmine impazzito.
Calmati! Calmati! Calmati!
Il respiro. Devo concentrarmi... il respiro di Akira. E'...lento. E' troppo lento. Mi prenderanno...non posso fare nulla. Io non ho cianuro con me.
Calmati! Calmati! Calmati!
Ingranò la quinta e guadagnò terreno, allontanandosi il più possibile da quell'oggetto infernale. Il respiro di Akira. Lo ritrovò nel rombo assordante dell'aria che fendeva a grande velocità. Lo ascoltò attentamente, isolandolo dai ruggiti dei suoni elettrofonici che lui stesso produceva.
Intanto lasciava che l'istinto lo guidasse lontano dal pericolo.
Inspirare piano.


Espirare ancora più piano.


e di nuovo da capo.
Dopo qualche minuto si guardò intorno. Notò con immensa soddisfazione di avercela fatta. Era freddo, ora. Non abbastanza ma poteva cominciare la manovra di discesa. Sarebbe bastato poco per fare il salto, ora. Il disco alle sue calcagna sembrò avvicinarsi all'improvviso ma Mogwai si impennò, piroettando in aria e finendo in coda al suo inseguitore.
Puntò il lago. Il rischio di creare da sé la gabbia che l'avrebbe intrappolato era ancora alto ma non avevano più tempo. Anche perché Akira e l'Akero rischiavano l'asfissia, al suo interno, nonostante respirassero molto piano. Si calmò. Doveva farlo.
Quando vide la superficie riflettente del lago sotto di sé, era, ormai, completamente padrone della propria mente. Si tuffò e vide che l'acqua non lo scalfiva.
Ottimo.
Proseguì, puntando direttamente al fondale. Si accorse che l'oggetto volante che lo tampinava lo stava seguendo anche in acqua: non era un Ovni, ma un Osni6 e poteva benissimo tenergli testa!
Accelerò. L'Osni poteva fendere l'acqua come fosse burro ma sottoterra, se voleva mantenere la velocità e sfruttare il suo tunnel, era costretto a stare nella sua scia. Se Mogwai fosse riuscito ad andare abbastanza veloce o se fosse riuscito a fare manovre abbastanza complesse, sarebbero stati a posto: fuori dalla sua scia, nella migliore delle ipotesi, l'Osni sarebbe rimasto intrappolato nella crosta terreste diventando tutt'uno con essa. Altrimenti si sarebbe disperso nel nulla. E anche avesse attivato le trivelle, al massimo sarebbe riuscito a procedere, molto lentamente, fino a tornare in superficie.
Mogwai zigzagò tra la terra e l'acqua, sperando di seminarlo. Quindi si rituffò un'ultima volta verso il centro della terra. E, ascoltando il battito di Akira, scivolò nella materia a velocità impressionante.






1    Arcangelo il cui ruolo è quello di fare da messaggero.

2    Nelle lingue neolatine è l'acronimo dell'Ufo anglosassone.
E' espressione con cui si indica ogni fenomeno aereo le cui cause non possono essere individuate facilmente o immediatamente da un osservatore. Oggi il termine UFO è comunemente utilizzato per riferirsi a qualsiasi avvistamento non identificabile, indipendentemente dal fatto che sia stato verificato. Dal 47 è diventato sinonimo di navi spaziali aliene. In realtà, quindi, il 'semplicissimo' Stealth, prima che tutti imparassero a conoscerne la sagoma e le proprietà, era classificato come Ufo, soprattutto dai non addetti ai lavori.

3    Unidentified Aerial Phenomena: Fenomeni Aerei Non Identificati. In francese PAN.

4    Il clarato idrato è una classe di solidi della chimica supramolecolare in cui le molecole di gas occupano "gabbie" composte da molecole d'acqua unite da legami idrogeno. Una volta svuotate, dette "gabbie" diventano instabili e collassano in cristalli di ghiaccio ordinario, ma possono essere stabilizzate con l'inclusione di molecole di dimensioni opportune al loro interno. Fonte Wikipedia
Sostanzialmente l'Argon con l'acqua diventa solido. E nel caso di un essere composto di quell'elemento, può essere anche analizzato.

5    In chimica e nell'ingegneria chimica, con il termine runaway (o run-away) ci si riferisce ad una situazione in cui un incremento di temperatura crea delle condizioni che determinano un ulteriore aumento di temperatura, per cui si genera uno scostamento incontrollato dalle condizioni di equilibrio del sistema. È un particolare caso di feedback positivo. Nei casi gravi una situazione di runaway può determinare un'esplosione, che viene detta esplosione termica. Fonte Wikipedia.

6    Oggetto Sottomarino Non Identificati o Uso (Unidentified Submarine Object)

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Capitolo 14
*** Craft ***


14. Craft
Hovers the Sea.





Il mare scorreva veloce e sempre più nero sotto lo scafo dell'hovercraft. Il vento gli scompigliava i capelli e gli mozzava sistematicamente il respiro. Era un'esperienza inebriante. Il sole stava scomparendo all'orizzonte e l'oscurità della notte polare stava sostituendo la luce crepuscolare. Non si era mai spinto così a nord. Lasciò che l'adrenalina messa in circolo da quel viaggio non programmato lo abbandonasse in modo naturale. Meglio godersi quell'esperienza unica, forse anche l'ultima della sua vita, finché non avesse avuto di meglio da fare. Si era già arrabbiato, inutilmente, con Loki. Solo quando ce l'avrebbe avuta davanti si sarebbe lasciato andare alle escandescenze.
Aveva guidato per un paio di dannatissime ore sulla E6, deserta a quelle ore, per coprire solo 57 km, data la gran quantità di neve caduta, beandosi solo dello spettacolo offerto dal Munkefjord avvolto dal pulviscolo nevoso. Era arrivato al porto di Kirkens facendo quanta più attenzione possibile. Infine, non ricevendo ulteriori istruzioni dalla sua prolissa accompagnatrice, che era praticamente sparita dopo il loro ultimo scambio di battute, si era costretto ad andare al ricevitore esposto all'ingresso. Aveva appoggiato la mano sull'apposito touch-screen, il cui contatto aveva attivato lo scanner retinico, e aveva atteso le sirene e la polizia. Invece, dal piccolo altoparlantino, nascosto chissà dove, la voce sintetizzata lo aveva accolto cordiale.
“Benvenuto, Jørgen...” Aveva cominciato quella, senza fermarsi davanti allo sbigottimento di Birger che si era visto riflesso nella foto identificativa di un altro uomo, che poteva assomigliargli quanto la Norvegia poteva assomigliare al Brasile. Jørgen? E chi cavolo era? Già che c'era, Loki (perché ne era certo, dietro tutto quello c'era lei) poteva anche scegliere di chiamarlo Roxana e farlo comparire come una bellezza esotica sculettante in un bikini, dai lunghi capelli neri e dalle tette come canotti “La tua prenotazione è stata abilitata. Molo 16, imbarco 7” Birger era rimasto a fissare il dispositivo finché, perplesso, era risalito sulla jeep ed aveva varcato la soglia. Ma le sorprese, doveva aspettarselo da Loki, non erano certo finite. Arrivato al molo indicato aveva scoperto che l'unica imbarcazione attraccata era la sua, al numero 7. Un hovercraft1 di medie dimensioni stava immobile nelle fredde acque della baia. Il ponte posteriore era abbassato, come un qualunque traghetto per il trasporto misto, quasi in un invito a salire a bordo col veicolo. E Birger non se l'era fatto ripetere due volte. Sarebbe affondato con la sua scassatissima Jeep, piuttosto che mollarla nelle mani di chicchessia. Con la fatica che aveva fatto per preservarla al cambio dei dominatori...
Aveva ingranato la prima ed era salito sul ponte, arrivando col muso rostrato quasi a grattare la porta, e aveva tirato il freno a mano. Il veicolo era completamente coperto dalla tettoia che, durante le traversate estive, fungeva da sala esterna per i passeggeri. Era sceso e aveva chiuso lo sportello con uno scatto metallico. Aveva picchiettato distrattamente la mano sul cofano, quasi a rassicurare la compagna di viaggio che andava tutto bene. In realtà, guardandosi attorno, in quella desolazione, Birger era stato tutto fuorché tranquillo. E a ben vedere!
Un hovercraft...in un porto praticamente deserto. Poteva anche scegliersi un nascondiglio meno appariscente, quella stupida! Aveva sbuffato nuovamente, incerto se accendersi una sigaretta per scacciare la tensione. Aveva accantonato il pensiero: prima avessero finito, prima sarebbe tornato alla sua tranquilla e monotona prigionia.
Mentre poggiava, nuovamente, la mano sul lettore all'ingresso e veniva identificato, ancora una volta come il buon Jørgen, il suo pensiero era corso a 24. Cosa avrebbero fatto loro tre da soli, in quel mondo? Di certo non poteva portarlo in ospedale. Né a casa sua. Aveva già abbastanza problemi da solo senza che due squinternati alieni si mettessero a giocare ai fuggitivi. Aveva varcato la soglia e la porta a vetri si era chiusa alle sue spalle con un tonfo attutito, tipico delle nuove porte a scomparsa.
“Loki?” aveva chiamato senza ricevere risposta. Aveva fatto solo pochi passi nella pancia di quella rana metallica che le potenti turbine si erano attivate. Per la sorpresa aveva quasi perso l'equilibrio. Corse alla finestra e vide come il molo si allontanasse lentamente. Se avesse spaccato (se ci fosse riuscito) un finestrino, avrebbe potuto raggiungere la Jeep. Ma a che scopo? Affondare davvero?
Incollerito, sbraitando il nome della sua ospite, si era acceso una sigaretta e si era buttato di peso sui pregiati divanetti della sala superiore. Ricordò di aver pensato che, ormai, era nella merda fino al collo e che tanto valeva prendersi quel poco che poteva, da quell'esperienza.
Loki l'aveva buggerato, raggirato...imprigionato su una barca, sostenuta da un palloncino, che stava seguendo una rotta tutta sua, senza degnarsi nemmeno di avvisarlo. Avrebbe potuto cercare di crackare il sistema. Ma a che pro? Tornare al porto e, alla polizia, giustificarsi dicendo che il proprio Augur l'aveva spedito fuori casa sotto minaccia? Ma chi gli avrebbe creduto?
Così facendo avrebbe anche lasciato i due in balia di loro stessi. Certo, se lo meritavano ma... ma non aveva cuore di fregarsene così. Forse era anche per quello che quelli lo tenevano tanto sotto controllo.
Il monitor indicava, come destinazione ultima, le acque di Kong Karls Land, a un migliaio di chilometri da Kirkens, e una velocità di crociera di circa 81 nodi. Sarebbe arrivato in circa 7 ore. Aveva tutto il tempo per pensare come affrontare quella scellerata. A metà navigazione, le porte si erano dissigillate. Aveva guadagnato la prua, accendendosi una sigaretta e assumendo la posa del lupo di mare logorato dalla vita. Quando si fu stancato di contemplare lo spazio infinito del mare privo di orizzonte delle notti polari, rientrò in cabina e si buttò sul divanetto extra lusso adiacente il ponte. Tanto valeva schiacciare un pisolino, e recuperare il sonno non goduto di quella notte, prima di mettersi a scappare chissà dove, in giro per il polo artico.



Non era ancora l'alba quando Kemal si alzò dal suo giaciglio. Il più silenziosamente possibile, recuperò le sue coperte, le ripiegò con cura e le impilò là dove stavano i bagagli. Quindi uscì nell'aria fresca e pungente del mattino e si sedette appena fuori dall'apertura della loro grotta, in contemplazione del paesaggio ghiacciato. Si tirò la kefiah sul naso per trattenere un minimo di quel calore che usciva in nuvolette dalla bocca.
Avvertì movimenti impacciati alle sue spalle. Appresso lo scalpiccio entusiasta di un piccolo animale che trotterellava nella brina. Non ebbe bisogno di voltarsi per sapere chi lo stesse raggiungendo. Certo, era sorpreso, ma non più di tanto.
Sabah al khayr2... Come mai già in piedi? Torna a dormire, sarà una lunga giornata faticosa...” disse senza distogliere lo sguardo dall'orizzonte. La valle pianeggiante, tinta di blu e rosa, si estendeva sotto di loro in una statica perfezione.
“Potrei farti la stessa domanda...” replicò Azzurra affiancandolo e lasciando che Arek esplorasse la zona lì vicino “Soprattutto...perché stai qui a prendere freddo...vieni dentro..le coperte sono ancora abbastanza calde...e se è vero che sarà una lunga giornata e fredda - aggiungo io - non è il caso che tieni un po' di quel calore finché puoi?”
Kemal sorrise della sua gentilezza “No...preferisco imprimermi bene nella mente questi momenti... sai.. potrebbero mancarti i paesaggi terrestri...” disse volgendosi a guardarla
“Terrestri? Perché dove andiamo? Su un altro pianeta?” domandò lei divertita
Kemal mise il muso e tornò a fissare davanti a sé “Capirai quando ci saremo...E tu? Non hai ancora risposto alla domanda.. Fred e Alain russavano?” domandò ridendo
“No... semplicemente, non sono abituata a dormire per terra... mi sento a pezzi...” disse stiracchiandosi e piantando le mani sulle reni, inarcandosi all'indietro.
“Se vuoi...” disse l'altro piano, quasi non volesse spaventarla “Posso farti un massaggio...”
“Così quelli lì ricominciano a mangiarti vivo? Una cosa l'ho capita, in questa notte insonne...” rispose sghignazzando ma andandosi a sedere davanti a lui e chinandosi in avanti, in modo da non oscurargli la visuale del paesaggio
“E sarebbe?” domandò lui, prendendo a massaggiarle le spalle senza distogliere lo sguardo dal paesaggio che virava, ora, su toni più dorati
“Che avete delle regole interne anche nel recuperare noialtri...anche se non capisco cosa ci fosse di sbagliato nel tuo comportamento...”
Kemal sbuffò. Non sapeva se essere imbarazzato o preoccupato “C'è la regola non detta che nessuno debba provare...diciamo...a fraternizzare...approcci che vadano al di là della semplice conoscenza con chi viene recuperato fino al loro ingresso nella comunità...lì la legge cade e ognuno può fare quello che vuole”
“Che cosa stupida...” fu il commento di Azzurra “Dopo come mi avete trattata...anche con mia madre..cosa ci sarebbe di male se...”
“No, è una cosa giusta...” la interruppe Kemal “Sia per noi, che per voi. Prima di abbandonare il tuo mondo potresti essere...come dire...sai, la Sindrome di Stoccolma... ecco..dovresti essere sicura di quello che fai... dovresti essere convinta della tua scelta...” A quelle parole si beccò un'occhiataccia che gli ricordò come, effettivamente, si fossero fatti prendere un po' la mano.
“Innamorarmi dei miei rapitori?” domandò lei, retorica, sorvolando sull'episodio
“Più o meno... quanto a noi... finché non siamo a destinazione, non saremo al sicuro nemmeno da eventuali minacce... aspetta.. ricomincio. Scusa la confusione ma è la prima volta che devo spiegarlo...Fa finta di essere una loro super alleata...” le disse serio
“Perché una loro super alleata dovrebbe viaggiare con voi?” replicò quella senza capire
“Ho detto fa finta... metti che tu faccia parte di un progetto per stanarci...se uno di noi cedesse alle tue, chiamiamole, lusinghe potrebbe compromettere tutta la comunità.”
“Cioè...io sono un potenziale pericolo per voi?” Vedendo che Kemal annuiva grave, continuò “Allora perché me ne stai parlando?”
Preso in contro piede, il moro tacque, capendo di essersi infilato da solo in un vicolo cieco. “Fondamentalmente...” disse dopo un po'. Aveva smesso da un pezzo di massaggiarla e lei si era voltata verso di lui, avvolgendosi le gambe in un abbraccio “...diciamo che voglio credere
che ci sia ancora speranza per il genere umano... e comunque...anche averti detto tutto, non inficia il nostro metro di giudizio. Né sai dove siamo diretti precisamente né, anche se lo sapessi, come fare a procedere oltre. Siamo sempre in tre proprio per guardarci da questo genere di raggiri. Oltre ad essere un'equipe al completo: qualcuno che sappia rimuovere il chip è l'elemento fisso della squadra. Poi ci sono molte variabili. Qualcuno come me, in questo caso, che sappia comunicare con gli animali per servirsene. E non per vantarmi ma mi reputo abbastanza bravo a capire le persone in un'occhiata. E tu non mi dai l'impressione di essere una traditrice o una doppiogiochista.”

“E di cosa ti do l'impressione, Mr Teaser?” domandò lei, curiosa e divertita
Kemal sollevò un sopracciglio, tra il diverto e l'indispettito “Di una piantagrane!” La risata di Azzurra gli confermò di aver fatto centro per l'ennesima volta. “Dai...andiamo a prendere i cavalli...è ora di metterci in moto...e tu dovrai dar da mangiare anche al cane, no?”
Lei rispose solo con un cenno del capo. Aveva dormito, tutto il tempo, stretta al bastardino che aveva fatto una tirata unica. Arek si era svegliato solo quando lei si era alzata per seguire Kemal. Lo richiamò con un fischio e seguì il moro nella grotta adiacente, dove la vicinanza obbligata, aveva tenuto caldi i cavalli.




Un violento scossone percorse lo scafo e Birger finì gambe all'aria sul tappeto misto seta che si srotolava sotto i divanetti. Impiegò qualche istante per capire dove si trovasse e cosa fosse successo. Si mise a sedere scuotendo debolmente la testa. Ricordò l'hovercraft e la trappola di Loki. Ma non riusciva a capire perché il natante si fosse fermato così di colpo. Per un attimo, il dubbio che le turbine si fossero fermate e stesse affondando in pieno Mare del Nord lo fece rabbrividire. Bel modo di sbarazzarsi degli umani molesti. Illuderli e spingerli a fidarsi.
Quante macchinazioni inutili: per quale motivo gli avevano regalato, allora, il suo bel collare elettronico?
Quel pensiero lo fece ritornare alla realtà: le turbine giravano ancora in sottofondo e l'imbarcazione non stava affondando. Si era semplicemente fermata. E poi dubitava che un hovercraft potesse affondare. Le navi mica affondavano ed avevano una superficie di appoggio inferiore e, in più, era protetto dai canotti posizionati sotto lo scafo. Lui di fisica capiva poco o niente ma era chiaro che una cosa del genere non poteva capitare a quella che era stata, fino a pochi anni prima, la seconda invenzione più sensazionale dopo lo Space Shuttle. Che fossero arrivati a destinazione? Si alzò lentamente e andò al monitor di controllo. Sì, erano arrivati. E rimanevano in attesa. Di cosa non ne aveva la più pallida idea.
Si portò all'esterno a contemplare il mare scuro tutt'intorno. Si buttò per terra e si accese un'altra sigaretta. Lo stomaco gli brontolò e, guardando il vecchio orologio da polso a carica meccanica, non poté che dargli ragione. Stanco marcio di quella situazione prese a gattonare fino all'ingresso, per raggiungere lo zaino con le provviste, cicca in bocca. Non gliene fregava nulla di mettersi dritto né, tanto meno, che saltassero i dispositivi antincendio. Voleva solo stramazzare a terra e dormire un altro po'. Sbuffò, esausto, ripromettendosi di ammazzare Loki con le sue stesse mani se gli fosse capitata a tiro. Stava per alzarsi in piedi (aveva scoperto che gattonare era forse più faticoso del rimettersi in posizione eretta) quando, improvvisamente, un allarme isterico squarciò il silenzio della notte. Riguadagnò immediatamente la postazione di comando e cercò di farsi dire dal computer quale fosse il problema. Ma tutto ciò che gli rimandava lo schermo era una luce rossa pulsante con la scritta Attenzione. Infastidito, andò sul ponte posteriore, vicino alla sua amata Jeep e scrutò il mare. Probabilmente avevano scoperto la sua fuga e la polizia si era messa al suo inseguimento. Poggiò pesantemente la schiena alla carrozzeria del veicolo, in paziente e rassegnata attesa.
Il raspare delle turbine, che copriva lo sciabordio delle onde del mare e riempiva il pesante silenzio col suo ritmico ronzio, andava man mano intensificandosi. Capì subito che qualcosa non andava nel verso giusto: c'era quel fastidioso non-so-che che stonava con la calma piatta circostante. Nessun faro, nessun megafono, nessun elicottero.
Birger alzò la testa al cielo stellato, sperando di ricevere l'illuminazione.
E così fu.
In alto nel cielo, giusto sopra l'imbarcazione, vide precipitarsi a impattare con la superficie gelida un qualcosa di luminescente...
Era una bolla? Una sfera? Una meteora? Certo che ne aveva di sfiga per beccarsela giusto lui con tutto lo spazio che c'era.
Poi collegò le cose. Il sibilo crescente proveniva da quella cosa. E, senza ombra di dubbio, si trattava di Loki. Strizzò gli occhi, seccato da quel comportamento. Si rendeva conto cosa avrebbe voluto dire impattare a quella velocità? Distruggersi, dato che l'acqua diventava come un muro di cemento. Ma soprattutto, scatenare un maremoto.
Quel pensiero gli fece balzare il cuore in gola. Quanto tempo aveva? Una manciata di minuti? Afferrò le funi elastiche uncinate e si mosse per assicurare ulteriormente la Jeep al ponte e, quand'ebbe finito, si precipitò all'interno nell'inutile tentativo di smuovere l'imbarcazione dal punto di contatto. Quella deficiente doveva aver impostato le stesse coordinate all'imbarcazione e al velivolo. Mentre si affaccendava sul computer di bordo, pregò che il dondolio delle onde del mare l'avesse allontanato a sufficienza dal punto di incontro. Ogni codice inserito veniva rifiutato con un rigurgito giallo sul rosso lampeggiante. Frustrato, Birger tirò un pugno sulla console, conscio che non sarebbe cambiato nulla. Chiuse gli occhi e si rannicchiò sul fondo del più angusto corridoio che riuscì a trovare. Se avesse avuto il culo di schivare l'impatto, avrebbe dovuto essere pronto all'onda subito successiva.
Attese, raggomitolato su se stesso. Passarono i secondi. Sembrava che il tempo si fosse congelato. O che il bolide non fosse più in rotta di collisione con l'hovercraft. Stava quasi per rimettersi in piedi, per sbirciare fuori quando l'imbarcazione sembrò capovolgersi su se stessa. Le imposte sbatterono e sentì rumore di stoviglie che rovinavano a terra in un clangore fastidioso. Le pareti ballarono per un po'. Birger aveva l'impressione che l'acqua stesse invadendo l'interno, sigillato, dell'abitacolo.
Col cuore in gola, gli occhi strabuzzati, stava quasi per vomitare per tutte quelle scosse, dato che era pure a stomaco vuoto e lui era uno che mal sopportava gli sballottamenti.
Dopo una manciata di interminabili minuti, durante i quali Birger aveva già rivisto il film della propria vita per intero almeno un paio di volte, beccheggio e rollio si quietarono, permettendogli di rimettersi in piedi.
Stordito, guadagnò il ponte che era, ora, bagnato e scivoloso. Il mare, ancora mosso, era segnato da onde che si diramavano concentriche dal punto d'impatto, a pochi metri da lui. Si sporse per vedere meglio.
“E' proprio colato a picco!” constatò. Il dubbio che, in realtà, le cose dovessero andare diversamente, lo raggiunse solo allora. Loro non erano forse dotati di velivoli tipo harrier, più evoluti degli stessi hovercraft? Cioè, gli Ovni non erano, per antonomasia, quelle cosine che schizzavano nel cielo con movimenti rapidi, improvvisi e impossibili secondo le normali leggi della fisica? Com'era possibile che quella navetta fosse affondata come un sasso?
Il panico cominciò ad attanagliargli la bocca dello stomaco. Improvvisamente non aveva più fame ma solo un disperato bisogno di aria nei polmoni per poter gridare.
Si aggrappò al corrimano esterno con tutta la forza che aveva, temendo il peggio. Per quanto non li sopportasse, ormai Loki faceva parte della sua vita. Si era, in qualche modo, affezionato.
Le onde erano, ora, quasi tornate a quietarsi e Birger non sapeva più cosa pensare. Era tutto finito? Così, in quel modo stupido?
Si stava staccando per rientrare e cercare di reimpostare la rotta verso terra quando un leggero brillio dal fondale attirò la sua attenzione. Dapprima la luce fu bianca e ovattata, quindi esplose in un disco aranciato. Poi, tutto ritornò alla consueta oscurità. Pochi istanti dopo, la superficie ormai piatta del mare fu scossa come dal contraccolpo di un'esplosione sottomarina e si increspò nel lasciare esplodere una gigantesca bolla d'aria. Birger era congelato sul posto, non osava muovere un muscolo né sbattere le palpebre temendo di perdersi qualche dettaglio di vitale importanza.
La superficie si quietò nuovamente. Birger temette davvero il peggio. Dov'era Loki? Dov'era 24? Erano morti? E allora perché i cadaveri non erano ancora saliti a galla? Erano arrivati così in profondità che la pressione li teneva sotto?
Qualche piccola bolla raggiunse il pelo dell'acqua. Poi qualcun'altra. Sempre di più. Infine fu -quasi- certo che ce l'avessero fatta.
Quando Loki emerse da quella pozza nera, inspirando voracemente l'aria gelida sentì le lacrime pizzicargli gli angoli degli occhi. Ce l'avevano fatta! Tutti e tre.
Loki sputacchiò l'acqua che le scivolava sulle labbra mentre si guardava intorno. Quando individuò l'hovercraft che ondeggiava davanti a lei e notò Birger imbambolato a guardarla come uno stoccafisso, dovette trattenersi dal non insultarlo. “Ti spiacerebbe?” ringhiò esausta.
Birger si destò come da un sogno e scomparve alla vista. Quando ricomparve, stringeva tra le mani un salvagente assicurato a una lunga fune. Lo vide calcolare la distanza e la direzione in cui lanciare e prepararsi a recuperarli, issandoli a bordo.




1    In realtà ho descritto una via di mezzo tra un hovercraft e un catamarano, perché il primo, nella versione di trasporto misto ha una stiva apposita per le auto, come le navi. Le cabine, però, solitamente sono a prua o ai lati. Io l'ho posizionata centralmente, con un ponte anteriore e un ponte posteriore...ho fatto un po' un mix. Ma essendo fantascienza vi prego di darlo per buono.


2    Buon giorno in arabo (da non confondersi con Sabah al noor che è la risposta al saluto, che è sempre Buon giorno)


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Ecco...E' tornata anche Azzurra, siete contenti? Non me n'ero dimenticata... solo che le tempistiche erano queste: lei di notte dormiva ma nel resto del mondo accadevano cose. :)
Bene... e ora preparatevi all'azione (lo so, sono un po' un altalena...ma non ce la faccio proprio a tenere ritmi serrati e, anzi, preferisco che le cose evolvano lentamente e per i fatti loro).

A presto!!



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Capitolo 15
*** Smart as a bird ***


Chiedo scusa per il ritardo nella pubblicazione, ma durante il wend ho avuto visite dall'Italia e non ce l'ho proprio fatta a (ri)correggere e postare per tempo, così entrambe le storie che sto scrivendo sono scivolate di data.
A questo punto, però, manterrei il nuovo calendario.
Buona lettura



  15.      Smart as a bird
Stupid as a goat





L'hovercraft ondeggiava tranquillo mentre Birger distendeva 24 sul ponte di prua. Gli controllò rapidamente i segni vitali ripescando i rudimenti di primo soccorso che pensava di aver dimenticato nella sua vita precedente. Trasse un respiro profondo quando capì che era vivo anche se malridotto
“Ha bisogno di cure!” soffiò, alzando lo sguardo su Loki che stava ispezionando l'imbarcazione
“Credi che non lo sappia?” replicò lei, piccata, voltandosi a fronteggiarlo. Subito, però, lasciò cadere il discorso, allarmata da qualcosa che era comparso nel suo campo visivo perimetrale. Corse all'interno dell'abitacolo, lo oltrepassò e si scaraventò sul ponte di poppa. Si congelò, tesa come un felino che valutasse il proprio obiettivo, davanti alla jeep ancorata. “E questa cos'è?” sibilò astiosa mentre Birger la raggiungeva con tutta calma, le mani affondate nelle tasche, certo che non ci fosse nulla di strano nell'imbarcazione: vi era stato a bordo, solo, per diverse ore e si sarebbe accorto se qualcosa fosse stato fuoriposto.
“Come sarebbe a dire, cos'è? E' la mia auto...” rispose serafico
“Ma sei completamente deficiente?” sbottò quella
Senti, signorina sono piovuta dal cielo per scappare dai miei simili ficcando anche te nei casini...si può sapere che ti prende?” domandò a sua volta, irritato
“C'è che... da dove l'hai riesumata sta ferraglia, tanto per cominciare?” domandò esasperata lei
“Da casa mia... e tu non te ne sei mai accorta...” rispose sorridendo, fiero di sé “Non mi hai fornito molti dettagli e, da quello che mi hai lasciato intendere, pensavo ci fosse esigenza di una certa segretezza...” commentò guardando oltre lo stanzino, sul ponte di prua, verso l'altro alieno “E avevo ragione... Quindi ho riassemblato la mia vecchia, stupida, auto da rally...”
Loki era esterrefatta. Lo guardava come si può guardare un pazzo. Come chiunque avrebbe guardato lei, a ben vedere “Tu sei fuori...” commentò “Questo... rottame ci farà ammazzare! E' una bomba a orologeria...”
“Smettila di blaterare a vuoto!” la redarguì lui “I sistemi di controllo ci sono su tutte le auto. Ma la benzina, di per sé, non è affatto più pericolosa degli altri combustibili...anzi... il GPL tende a concentrarsi al suolo, invisibile, in attesa della scintilla mentre il metano e l'idrogeno sono altamente infiammabili anche solo a contatto con l'aria. Tant'è che...” cominciò sorridente prima di bloccarsi, facendo gesti strani, quasi volesse riavvolgere il nastro delle proprie parole. “Niente niente, vedrai!”
Loki tacque, interdetta “Hai ragione...” ammise quindi “La benzina si incendia solo se colpita direttamente da fiamme libere. Sta di fatto che se ci prendessero di mira salteremmo per aria. Perché non hai preso l'auto elettrica?”
Birger la guardò in tralice come se avesse detto una bestemmia e volesse trattenerne una, in risposta, entro i denti. Non le rispose ma, dopo qualche istante, replicò con un'altra domanda “Bene, mia Augur... e ora cosa facciamo con voi due fuggiaschi? Mi spaccerai per il cattivo che ti ha sequestrata? Tanto... peggio di così...” Rise istericamente buttandosi a terra.
Loki lo guardò inespressiva, quindi si accucciò per mettersi al suo livello. “Guideremo questa cosa...” disse roteando gli occhi ad abbracciare l'intera imbarcazione “...fino a Spitsbergen...”
“Tu sei matta...” tossì l'altro, strozzandosi con la saliva per la sorpresa “Cosa ci andiamo a fare in quel posto sperduto?”
“Dobbiamo raggiungere Pyramiden” disse convinta “Ed è meglio muoversi. In acqua ho visto dei Robojelly1... non pensavo che ne avessero sparpagliati pure qui...” Tacque un attimo, come se un pensiero l'avesse colpita per la sua banalità. Alzò lo sguardo all'improvviso e ridusse gli occhi a due fessure: Birger avrebbe giurato di sentire il ronzio della messa a fuoco degli obiettivi digitali “Ci hanno già avvistato....” Disse rientrando nella cabina e tornando da 24, sul ponte di prua, per tirarlo al coperto “Hai portato la prolunga, come ti avevo chiesto?” urlò perché lo sentisse attraverso la stanza
Lui annuì, estrasse uno zaino dalla macchina e le andò incontro “Non ne avevo di lunghe e non sapevo quale spinotto ti servisse... ne ho portate diverse da agganciare tra loro...”
“Basterà...” disse soppesandole “Ora fatti da parte, per cortesia... anzi... rintanatevi all'interno... non vorrei mai non riuscire a gestirmi...” disse passandogli 24 e mettendosi al centro del ponte.
Birger non capiva, ma eseguì l'ordine. Finì di trascinare 24 all'interno e si nascose nel vano delle scale sotto il piccolo soggiorno. Con una sorta di specchio periscopico osservò quello che combinava quella squinternata di aliena. Vide Loki reclinare la testa all'indietro, mettendo il collo innaturalmente in asse con il resto del corpo. Quindi gli sembrò che urlasse anche se non gli arrivò alcun suono. Non subito.
L'onda d'urto del suono distorto arrivò pochi istanti dopo. Sentì i vetri del ponte andare in frantumi. Tentò di proteggersi, istintivamente e inutilmente, dall'improvvisa pioggia di schegge e, quando tutto fu finito, si scrollò di dosso i pezzi di vetro e si sporse dal suo rifugio improvvisato mentre Loki rientrava. “Che cosa...?” stava domandando quando lo scroscio di un corpo che cade in acqua lo distrasse.
“Ho abbattuto uno Smartbird2... ci hanno già individuato... spero non abbiano sentito i nostri discorsi...” rispose lei armeggiando con le prolunghe “Almeno così guadagniamo un po' di tempo...”
“E come...?” Birger era letteralmente sconvolto. Uno Smartbird? Pensava fosse solo fantascienza. Al pari dei Robojelly. Lui non era un ingegnere e non credeva che tale tecnologia fosse già stata così ampiamente diffusa.
“Le nostre corde vocali sono formate da particolari valvole, che mi permettono di emettere ultrasuoni. Determinate frequenze possono interferire con le armoniche degli apparati elettronici mandandoli in tilt. Se non, addirittura, fonderne i transistor.” Spiegò sommariamente mentre si muoveva verso la console e scardinava i pannelli che rivestivano l'hardware. Si fermò e imprecò. Nulla era mai sembrato così fuori luogo come quelle parole sulle labbra di uno strano alieno piombato nel mondo reale. “Non ci sono porte seriali!” precisò sentendosi lo sguardo di Birger bruciarle la nuca “Hai una pinza, una tenaglia... qualunque cosa che possa spellare i fili?”
Il biondo annuì in silenzio, mettendosi a frugare nello zaino. Il kit da elettricista non poteva mancare su un auto da rally: non si sa mai quale inconveniente possa capitare “Devo accoppiarmi...” precisò Loki, mentre prendeva l'utensile, fissando Birger dritto negli occhi chiari.
Lui dovette sbattere le palpebre un paio di volte prima di riscuotersi, far defluire il sangue che gli aveva imporporato le guance e accettare il fatto che parlasse in termini ingegneristici: doveva mettersi in comunicazione con il computer della nave. “E perché?” domandò con voce secca
“Perché devo governarla in qualche modo... Avranno sicuramente azionato tutti i disturbatori possibili e immaginabili. Hai idea di quanti satelliti potrebbero abbrustolirci all'istante, se solo lo volessero? Entrerò nel sistema e creerò una specie di gabbia di Faraday – lo è già di per sé ma io voglio schermarla da altro che dai semplici fulmini- che ci permetta di isolarci dalla loro interferenza”
Con l'aiuto di pinze e forbici, scortecciò i cavi dell'hardware e quelli dei cavi che gli aveva porto l'umano. Annodò i fili di rame tra loro, quindi prese il nastro isolante e lo girò attorno alla parte interessata, finché nulla del metallo rossastro fu più visibile.
Lasciò scivolare i cavi a terra e li srotolò man mano che avanzava verso l'esterno, passando attraverso le aperture delle finestre. I sei metri di cavo erano appena sufficienti a farla uscire a contemplare il mare notturno. Birger le fu accanto, curioso. Loki si tirò il collo della tuta sul naso e, ruotandola attorno alle calottine al posto delle orecchie, si fece scivolare la banda spettroscopica sugli occhi. L'hovercraft prese a muoversi lentamente con sussulti incerti. Poi guadagnò velocità e puntò a ovest.
Birger, per quanto disgustato dalla presenza aliena a bordo, era comunque affascinato dalla loro tecnologia. Nonostante il vento gli frustasse i capelli in faccia, non accennò a rientrare nell'abitacolo. Si tirò il cappuccio peloso sulla testa e affondò il naso dell'allacciatura del giubbotto. “Va a coprire la macchina...” gli intimò lei senza guardarlo, concentrata in quella sorta di guida con la sola forza del pensiero “Non vorrei dargli una facile vittoria” sibilò mentre lui si allontanava. Birger impiegò una decina di minuti a coprire la jeep, sganciando i tiranti e riposizionandoli dopo aver sistemato con cura il rettangolo di tela cerata nascosta nella stiva, insieme ai salvagente.
“Si vede già la riva...” disse Loki quando tornò ad affiancarla. “Va ad armarti!”
Birger era sempre più sorpreso. Loki, l'angelo, gli diceva di armarsi? Di prepararsi alla possibilità di ammazzare altri uomini? Cosa era successo in quelle poche ore in cui non erano stati in contatto? Anzi, in quei giorni così strani, per loro. Cosa poteva averla fatta cambiare a quel punto? “Dopo mi spieghi!” disse rientrando.
Un fascio di luce investì improvvisamente l'imbarcazione, illuminandola a giorno. Loki non batté ciglio e quasi sembrava che quella luce violenta, che saturava ogni colore, rendendo netto il contrasto tra le parti in ombra e quelle esposte, non le desse minimamente fastidio: come se avesse delle potenti lenti protettive che le permettessero di vedere attraverso tutto quel biancore. “Arrestate i motori!” Intimò improvvisamente una voce che non si capiva da dove provenisse.
Birger tornò, trafelato sul ponte e come vi mise piedi, sentì il motore aumentare di potenza e velocità. L'hovercraft volava sul pelo dell'acqua senza alcuna esitazione e non si fermava alle sempre più incalzanti e inutili richieste di arresto immediato. Le luci si smorzarono, avendo perso l'angolatura con cui abbagliarli. Ma lo stratagemma sembrava aver funzionato, almeno sull'umano. “Stai dietro di me!” ringhiò Loki, tesa nello sforzo di condurre la nave, neanche stesse tenendo le redini di una mandria di cavalli imbizzarriti. “E sta pronto a coprirmi...”
Birger era confuso e quando alzò lo sguardo, vide il lungo il profilo della costa su cui si delineavano le sagome di innumerevoli imbarcazioni della polizia navale. Verso cui stavano puntando loro.
Le navi erano sempre più vicine e quando furono a un chilometro di distanza, Loki urlò ancora con quella sua strana voce. Le luci delle navi nella traiettoria si spensero all'istante. Alcune imbarcazioni, le più esposte, esplosero, lasciando via libera al natante terracqueo. “Vai!” Le ordinò lei con un ruggito rauco.
Birger non sapeva cosa stesse facendo: ubbidì in un istinto di cooperazione cameratesca con il suo carceriere. Armò un paio di granate e le lanciò oltre il parapetto con un cannoncino leggero e portatile. I colpi non andarono a segno, ma crearono degli spruzzi d'acqua talmente alti e violenti da far oscillare pericolosamente le navi vicine. Insoddisfatto del risultato ottenuto, cambiò tattica e lanciò, con lo stesso sistema, delle Molotov, programmate per innescarsi pochi istanti dopo il lancio. Le deflagrazioni furono così potenti che spazzarono via le navi che si trovavano nel loro raggio d'azione.
“Cos'è quella roba?” domandò Loki, sbalordita
“Idrogeno!” rispose lui tutto fiero della propria intuizione
“Tu sei un matto suicida... quante altre ne hai, ancora?” Loki non sapeva se essere sorpresa, spaventata o compiaciuta dalla follia umana
“Solo un paio: non sapevo se avrebbero funzionato...” minimizzò lui
“E meno male!” rispose lei, roteando gli occhi: Birger era completamente folle e rischiava di ammazzarli da un momento all'altro con la sua idiozia “Va a poppa e sbarazzatene” ordinò ancora lei “Poi va giù pesante di mitra”
Mentre Loki si faceva largo verso l'entroterra, sbarazzandosi dei loro diretti assalitori, Birger copriva la fuga appoggiato alla sua vecchia compagna impacchettata e infiocchettata: se doveva morire, voleva che fosse per mano sua, per la sua esplosione. Quando vide scorrere sotto di sé la sabbia grezza della spiaggia decise che poteva tornare dal timoniere. Arrivò giusto in tempo per vedere che lei puntava a travolgere le truppe di terra ammassate nella sua traiettoria “Loki!” strillò “Non vorrai investirli?”
“Certo” rispose lei con un ghigno
“Ma...” lui annaspò in cerca d'aria “Tu non puoi!”
“Non si faranno nulla...” soffiò quasi dispiaciuta “Viaggiamo spinti dall'aria che viene convogliata nelle minigonne... Quasi non lasciamo nemmeno la scia dietro di noi, sulla sabbia...”
Birger avrebbe voluto replicare ma l'improvvisa impennata del mezzo anfibio lo costrinse a concentrarsi per ritrovare il baricentro e non sfasciarsi a terra. Quando riuscì nuovamente a reggersi in piedi, senza aggrapparsi alla balaustra, si sporse oltre il parapetto e vide due delle protuberanze, tipo ali, che permettevano al mezzo di sorvolare appena i mezzi grigio-verde da cui si allontanavano, terrorizzati, i soldati che avevano tentato di fermare la loro avanzata. Inutilmente.



Viaggiavano comodamente a una velocità moderata di venti chilometri orari e sarebbero entrati in città in pieno giorno, all'orario infausto del pranzo. Era un vero azzardo. Ma i tre confidavano che la maggior parte della gente fosse impegnata a ingozzarsi per curarsi di loro. Ormai abituatasi al suo calore e alla sua sicurezza, Azzurra aveva continuato a viaggiare con Kemal.
Quando aveva saputo quale fosse la loro meta, la ragazza era sbiancata ed era ammutolita. Intuendo il suo disagio, Kemal aveva spronato il frisone ad andare un po' più veloce, in modo che, se fosse riuscito a farla parlare, non dovesse preoccuparsi dei due biondi che viaggiavano con loro.
“Allora? Vuoi dirmi cosa ti succede?” le domandò all'orecchio così piano che nessun altro avrebbe potuto sentirlo. Sentì Azzurra irrigidirsi ancora una volta sotto di sé. E poi rilassarsi nuovamente. Si fidava di lui e ciò lo rendeva orgoglioso di sé. “Ti sei zittita quando hai sentito che la dobbiamo entrare sotto la Gran Madre di Dio... qual è il problema? Voglio dire... io sono musulmano e non mi fa specie entrare in...”
“Non è quello...” replicò lei, interrompendo lo sproloquio del moro, atto a metterla a proprio agio. “E' che...” inspirò rumorosamente, nel tentativo di calmarsi “Quando ci sono stata, anni fa... mi ha... inquietato... Venivo da piazza Vittorio Veneto e più avanzavo lungo ponte Vittorio Emanuele I e meno mi sentivo sicura...”
Kemal ridacchiò e lei lo prese come un insulto “Ti ha inquietato quella chiesa e non la statua di Lucifero?” Lei sembrò offendersi ma subito domandò delucidazioni “Sì, vabbè... il monumento dedicato al traforo del Frejus... il genio alato, i titani. Cos'altro è se non Lucifero? ” lei annuì, incerta. “Certo che hanno fatto un bel lavoro... io non me ne sono accorto... Lo sai che sulla Torino esoterica è stato scritto di tutto, vero?” lei annuì ancora. “E lo sai che la statua in Piazza Statuto indicherebbe l'ingresso per l'Inferno?” Azzurra annuì ancora. “Scusa se te lo dico, anche se mi sembra ovvio. Se la statua posta a Ovest è il portale per l'inferno, cosa può esserci dove stiamo andando noi?” Azzurra tacque, spaesata “Vedi, si dice che Torino sia una città magica e che sia sospesa tra bene e male E questo non è certo l'acqua calda. Ma è interessante sapere che... se la Grande Madre collega a noi... Lucifero collega a loro...”
“Mi stai dicendo che nella stessa città ci sono gli ingressi per...?” i buoni e i cattivi
Kemal roteò gli occhi, meditabondo “Sì... infatti era considerata zona neutrale... ma non ci crede più nessuno...”
“Che vuoi dire?” domandò
“Che... beh... Torino, a suo tempo, era il porto franco dei ribelli. Ma se sono riusciti a far percepire Torino Bianca come qualcosa di inquietante e Torino Nera come qualcosa di positivo...”
“...il loro proposito è già compiuto...” concluse per lui che si limitò ad annuire. “Gli angeli dominano il mondo e la resistenza è data per spacciata? E' questo che intendi dire? Torino era il termometro su scala mondiale?”
“Europea... Ad ogni modo non hai nulla da temere. La Gran Madre è zona nostra. E non ci saranno sorprese: ne siamo usciti solo pochi giorni fa...” Lasciò che l'andaluso si riappaiasse a quello condotto da Alain. “Ad ogni modo...” disse prima che li raggiungessero “...non devi vergognarti con noi. Qualunque cosa ti frulli in testa... non daremo nulla per scontato... non all'inizio, almeno. E poi, chi più chi meno, ci siamo passati più o meno tutti. Fuggire di casa, trovarsi in un mondo nuovo. Vedrai... ti piacerà. Anche la gente. Magari non tutti...”
“Cosa stai borbottando? I tuoi sutra?” lo apostrofò Fred con tono derisorio
“Sutra?” domandò Azzurra perplessa
“Lascia perdere...” sospirò l'arabo alzando gli occhi al cielo
“Fred...” cominciò Alain con l'aria di chi sta contando fino a dieci prima di prendere decisioni di cui si potrebbe pentire “Sei una capra...Quella è roba indiana...”
Fred incrociò le braccia, offeso, rischiando di perdere l'equilibrio “Devo considerarla un'evoluzione o un'involuzione? Da somaro a capra...”
“Il somaro è cocciuto... la capra è stupida e testarda...” replicò Alain esasperato “Fai un po' tu...”
“Dunque...” proseguì Fred imperterrito “Come facciamo a entrare in città?”
“Aggireremo Superga e arriveremo alla Gran Madre costeggiando il Po. Semplice. Anche venissero informati, ci sarebbe pochissima gente che potrebbe intercettarci.” Rispose Alain meccanico come se quella fosse una lezione che avesse ripetuto così tante volte da saperla ripescare nella sua interezza dalla propria memoria ogni volta che si fosse reso necessario.
“L'unico punto debole è il ponte...” borbottò Kemal
“E' un rischio che possiamo correre... che alternative abbiamo? Non ci sono nascondigli decenti nei dintorni.” Replicò Alain, valutando le alternative “Ah no... non pensarci nemmeno...” sbraitò rivolto al moro quando tornò a osservarlo: aveva notato una strana scintilla nei suoi occhi.
“A cosa?” domandò Azzurra, meravigliata di come riuscissero a comunicare senza parlare. A lei, Kemal, sembrava sempre uguale.
“Lo conosco, io...” sibilò Alain “Sta pensando a come sabotare il ponte. E dato che ha delle granate con sé...”
A quelle parole, Azzurra rabbrividì “A cosa diavolo ti servono delle armi?” ringhiò furiosa
Ma Kemal non si scompose e replicò sereno “Allora che bisogno c'è di avere polizia perfettamente equipaggiata? I malviventi? Sedare le risse? Cazzate... se si ragiona nell'ottica della non violenza, ogni corpo armato è inutile. Ma se ne accetti uno, per la difesa dei cittadini, allora devi accettare la natura violenta dell'uomo. Di tutti gli uomini. Anzi. Degli animali in generale. Ma prima dovresti accettare l'idea di essere un animale come tutti gli altri. Al di là di questo, dovresti accettare il fatto che, soprattutto, ci sia qualcuno, dall'alto, che si diverte a mettere tutti contro tutti esasperando la naturale propensione. E poi... no... lasciamo perdere... sennò mi faccio il sangue acido...” ringhiò tra sé “Comunque, carina, anche loro due sono armati, se non l'avessi notato...”
“Questa è una cosa a cui dovrai abituarti...” concluse Alain. Non infiorettò il discorso ma lasciò intendere che l'esperienza era stata traumatica per tutti e non piacesse a nessuno ma che fosse, in qualche modo, fondamentale per la propria sopravvivenza.
“Io non lo fermerei...” sbottò Frederick che fino a quel momento era rimasto in silenzio “Su! Va'!” disse a Kemal, riprendendo il discorso precedente e indicando la strada con fare teatrale “Va', sacrificati per noi e riabilita il nome di tuo fratello!”
“Ma vaffanculo!” gli disse sorridente il moro “Guarda che era tua sorella la zoccola che ha fatto casino! Vacci tu a morire sul ponte!”
“No no, prego, vada pure lei!” rispose con tono provocatorio il tedesco “E' lei che deve dimostrare di non essere della stessa pasta del fratello. Io non ho il confronto diretto con un traditore... solo con una sorella un po' scema... E poi eri già pronto a lanciarti in un gesto suicida... prego, non fare complimenti!”
“Smettila, cretino!” lo rintuzzò Alain
“Io vado lo stesso!” sbottò Kemal, preso dal sacro furore della sfida lanciata dal compare “Ti farò ingoiare i denti, Fred!” sibilò fermando di botto il cavallo, che nitrì indispettito. “Azzurra, sali sul tuo pony...” le disse scendendo con lei e andando a smontare rapidamente i bagagli.
“Perché?” domandò quella confusa.
Kemal lanciò gli zaini ai rispettivi proprietari, lasciando il bagaglio di Azzurra assicurato sul retro della sella. Prese il suo sacco e, prima di buttarselo in spalla, ne estrasse un lungo coltellaccio ricurvo. Il manico era intarsiato e coperto di un'infinità di pietre preziose che brillavano come prismi. Se lo fissò alla cintura, quindi aiutò Azzurra a salire sulla sua cavalcatura, tornò al proprio frisone e, quando fu ripartito, decise di risponderle “Perché tenterò un raid. E cercherò di tornare indietro vivo.” Disse lanciando un'occhiata di fuoco al tedesco che fece finta di nulla.
“Che razza di orgoglioso...” lo insultò Alain sperando di farlo rinsavire.
“Tutto sommato, il crucco non ha tutti i torti. Anch'io ho bisogno di questa prova.” sibilò convinto.



1    Robojelly 
2    Smartbird 

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Capitolo 16
*** News ***


16.    News
Broadcasting






L'aria gelida sferzava crudele i loro volti mentre si addentravano sempre più nell'entroterra dell'isola di Spitsbergen, diretti a Pyramiden. L'hovercraft superava senza difficoltà tutti gli ostacoli che gli si paravano davanti. A Birger venne il sospetto che si trattasse di un mezzo militare camuffato da mezzo anfibio per ricconi vista la facilità con cui riuscivano a muoversi in quelle lande desolate.
Si erano lasciati alle spalle qualunque posto di blocco avessero incontrato e, da un pezzo, ormai, non incontravano più nessuno. Probabilmente, nessuno si aspettava sarebbero riusciti ad arrivare tanto in là.
“Cosa stiamo andando a fare, di preciso, a Pyramiden?” urlò Birger per sovrastare il mugghiare furioso del vento e farsi sentire da Loki “Ci stiamo inerpicando nell'entroterra per raggiungere un posto dimenticato da Dio e dagli uomini... ma non da voi, a quanto pare...”disse sarcastico
“Non è dimenticata nemmeno dagli uomini, dato che un gruppo stanzia qui, lavorando per riportarci il turismo...” rispose lei severa
“Tu non capirai mai il sarcasmo...” celiò lui demoralizzato
“Mai dire mai” replicò lei, seria, volgendosi a guardarlo negli occhi. Nei suoi, così artificialmente aranciati, c'era una strana luce che sembrava quasi avere a che fare con l'auto-consapevolezza o qualcosa del genere. Il biondo accantonò la cosa: figurarsi cosa poteva avere mai Loki. E comunque non era il momento per pensarci.
“Vabbè, non hai risposto... cosa stiamo andando a fare a Pyramiden?” domandò buttandosi seduto ai suoi piedi.
“Andiamo a cercare una via di salvezza...” rispose lei come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Birger, per poco, non si strozzò con la saliva “Eccerto... al centro dell'arcipelago... tu sei matta! Sai, Loki? Quel posto è abbandonato. Dal 1998. Sai cosa significa? Se ne andarono tutti, non c'era più nulla che quel luogo potesse offrire. Mi domando anche perché i russi si siano mostrati così interessati negli ultimi tempi...”
“Te l'ho appena detto...” replicò lei alzando gli occhi al cielo “Stupido umano ottuso! Lì c'è una via di fuga...”
Birger non diede a vedere se l'offesa l'avesse infastidito e replicò “Via di fuga? E per dove? Voglio dire... siamo nel posto più a nord del mondo... dove vuoi scappare?”
Loki tacque. Sembrò soppesare se rivelargli o meno i dettagli della loro fuga “La montagna di Pyramiden...”
“Una miniera. Carbonifera, per l'esattezza. E abbandonata. Anch'essa. Guarda un po'. E allora?” insistette Birger incrociando le braccia al petto
“Mai sentito parlare di Thule?”
“Ti prego!” il biondo proruppe in una risata incontrollata “Non ci credo... mi farai ammazzare... per una leggenda? Che per di più stava in mare aperto!”
“Sotto quella montagna c'è un condotto che scende verso il centro della terra...” ribatté calma l'Akero
“Certo, e si chiamano tunnel, guarda un po' te...” rispose battendosi il palmo della mano sulla fronte, incredulo “Se esistesse davvero l'isola di Thule, Atlantide, Eldorado, Mu, Shangri-La... non credi che tu lo sapresti con più precisione? E non credi che loro l'avrebbero già colonizzata? Che gli scavi sarebbero continuati, magari con le moderne turbine al plasma?”
“Là sotto c'è qualcosa” disse ferma, assolutamente immune alle parole del compagno d'avventura “Lo sento”
“Ah, benone! Andiamo per visioni mistiche. Proprio tu... ah, no, scusa... dimenticavo... tu sei un angelo... ” La schernì con cattiveria “Chi meglio di te...”
“Gli umani non sono scesi oltre, in profondità, solo per paura del grisù1”lo rimbeccò ancora lei. “Anche adesso, con le nostre tecnologie, sarebbero sempre gli umani a fare il lavoro sporco. E voi siete... mortali...”
“Ti sfido a trovarla, questa terra magica! Lei e i Mégramicres2!” disse con strafottenza
“Allora, tienti stretto... perché siamo a Pyramiden...” rispose lei compassata indicando con gli occhi lo scheletro del sostegno di un cartello stradale, la cui insegna giaceva a terra, poco distante, completamente divorata dalla ruggine, su cui si potevano ancora leggere i caratteri cirillici che indicavano il confine della piccola comunità russa in territorio norvegese.
Birger alzò lo sguardo: avevano raggiunto nuovamente il mare e davanti a loro si ergeva una collina, nera e brulla, dall'inquietante forma squadrata e e fin troppo regolare, ai cui piedi giacevano, ingrigite e desolate, delle basse costruzioni di legno, i più alti dei quali erano disposti su quattro piani e si affacciavano sul tunnel esterno che un tempo aveva condotto i lavoratori all'interno. Poco più in là, le gru del porto erano franate a terra, accentuando la sensazione di desolazione.
La visione gli diede inspiegabilmente i brividi.
Il cielo, appena schiarito a quelle ore del primo mattino, era plumbeo. Sembrava la classica città dei fantasmi e degli zombie. Oltrepassarono la piazza centrale, dove era ancora riconoscibile la statua dedicata a Lenin e uno stormo di gabbiani si alzò in volo gracchiando infastidito. Percorsero la via principale, il manto stradale completamente dissestato, puntando dritti verso la parete scoscesa della montagna e la sua apertura. Sul fianco, notò Birger, accanto alle rampe d'accesso, c'erano delle scritte russe che lui non riusciva a decifrare. Sembrava la versione casalinga e raffazzonata della maestosa scritta in stile hollywoodiano. O una richiesta d'aiuto per chi fosse passato di lì in volo. In lontananza, alla sua destra, si avvide di una scultura futuristica, una via di mezzo tra un traliccio dell'alta tensione in miniatura e la chiglia di una nave3. “Non vorrai arrampicarti fin là su, vero?” domandò l'uomo, riportando l'attenzione alla loro meta finale. Loki si limitò ad annuire e Birger, di conseguenza, a scuotere la testa. Non poteva fare nulla. Era letteralmente in balia di quella furia. Sì, certo, avrebbe potuto lanciarsi a terra. Ma non era più un ragazzino e la paura di rompersi definitivamente qualcosa e di finire in grinfie più sadiche di quelle della sua Akero, gli fece passare ogni proposito oppositivo.
Si rilassò e cominciò a prepararsi mentalmente alla propria morte. Perché cos'altro poteva attendersi? Che davvero sul fondo della miniera ci fosse Thule?
Con un incremento improvviso di potenza ai motori, l'hovercraft cominciò la sua traballante scalata.
Birger chiuse gli occhi mentre costeggiavano il lungo serpentone ligneo che decenni prima aveva protetto gli operai dal freddo. Non voleva vedere, voleva estraniarsi dal mondo il più velocemente possibile. Peccato solo non potesse tenere definitivamente lontani i suoni che provenivano da tutt'intorno: il sibilare del vento, lo sferragliare dell'hovercraft, il raschiare della terra brulla sotto di loro, lo sciabordio delle onde del mare poco lontano, lo squittio inconsulto dei gabbiani, ancora agitati.
Passarono i minuti senza che nessuno dei due parlasse. Poi, d'improvviso, tutto si fece buio. Più buio rispetto all'oscurità di quel posto immerso nella sua notte polare. Anche la pelle gli sembrava essersi fatta, improvvisamente, più appiccicosa.
La curiosità lo vinse e schiuse gli occhi. Erano dentro. Si domandava come facesse un hovercraft di quelle dimensioni a passare dentro ai canali di una miniera.
Poi si accorse del sibilo che emetteva Loki: stava, letteralmente, sbriciolando la materia davanti a loro.
La reazione provocava un leggero e continuo bagliore, perché la sua opera di demolizione era pressoché costante. Rimase impietrito a osservare la scena mentre polveri sottili gli sfioravano le guance.
Quand'ebbe ritrovato le forze, si sporse ad avvisarla “Loki, fermati... rischiamo di saltare in aria...” Le disse piano, come se avesse davanti a sé un toro imbufalito che non aspettasse altro che caricarlo.
“Sono già pronta con il deflettore...” gli rispose interrompendosi un attimo e rallentando, in contemporanea, la velocità di crociera.
Birger non domandò nulla. Deflettore. E da quando ne avevano uno? Quello era solo un hovercraft. Per quanto potesse trattarsi dell'ultimo ritrovato delle tecnologie militari, come faceva ad averlo a bordo? Non era mica un'astronave.
Improvvisamente, si trovò a essere sbattuto all'interno della cabina. Un boato fragoroso aveva riempito l'aria, squassandolo da dentro e facendogli tremare la terra sotto i piedi. Cozzò violentemente contro il bordo rigido di uno dei divanetti e, mentre perdeva rapidamente i sensi, si rese conto che una nube luminosa e calda lo avrebbe investito.
Sarebbe morto arso vivo.
Che bella fine.
Proprio quella che aveva sempre sognato.
Scivolando nell'incoscienza, maledisse Loki, ripensando a quando, quella sera, aveva deciso di darle retta.



Uno stridio acuto squarciò l'aria di quel tardo mattino.
Azzurra levò gli occhi, incuriosita da quel verso che aveva sentito solo in alcuni vecchi film in bianco e nero di cappa e spada. Sopra di loro, due uccelli volteggiavano in una danza frenetica, rincorrendosi, avventandosi l'uno sull'altro e scartando i rispettivi attacchi all'ultimo istante. In particolare, uno dei due teneva le ali spiegate e le zampe protese in avanti, in una posa aggressiva.
“Zahra...” alitò Alain cavalcando al suo fianco. Un altro stridio acuto e Azzurra vide uno dei due uccelli attaccare nuovamente l'altro, ma alle spalle. Quindi sentì il boato di un'esplosione, che subito dopo collegò al fumo nero che si levava da uno dei due animali. La spirale discendente che disegnò durante la caduta libera le fece pensare a un aereo abbattuto. Anche quella, però, era un'informazione di seconda mano, appresa da documentari o da vecchi film. Lei non aveva mai visto un aereo precipitare al suolo. “Zahra!” urlò allora Alain, ora più convinto. Tese il braccio, cosa che alla ragazza sembrò strana ma al contempo familiare. Ed ecco che un falco atterrava, in un frullo scomposto d'ali, sul braccio nudo del francese, artigliandolo. Lo vide barcollare e ritrarre subito una zampa. “Oh, Zahra!”esclamò Alain contrito, tirando il braccio al petto e carezzando amorevole il capo della bestiola, incurante dei profondi tagli che gli artigli della bestia gli aveva procurato.
“Era uno Smart Bird!” Li informò Frederick galoppando veloce verso il gruppo. Si era allontanato senza attirare l'attenzione e ora ritornava reggendo in mano la carcassa dell'altro uccello. Che, a ben vedere, del volatile aveva solo una vaga forma stilizzata.
“Dannazione!” imprecò Kemal spronando il suo cavallo al galoppo
“Che cos'è?” domandò Azzurra allungando il collo, quando si fu rimessa in pari, dopo aver strattonato il suo pony.
“Un uccello spia: i cieli ne sono pieni e Zahra ci copriva le spalle...” disse Frederick che si era lanciato anche lui al galoppo. “Probabilmente ci ha fotografati e ora saremo su tutti i notiziari locali, nazionali e internazionali”
“Muovetevi!” ordinò Alain sorpassando tutti in volata, l'uccello ferito stretto in un abbraccio amorevole. I tre non poterono far altro che spronare ulteriormente i loro destrieri per tenere il passo del francese.
“Perché ora?”domandò ancora Azzurra, sovrastando lo scalpiccio furioso degli zoccoli sul terreno duro e gelato
“Perché le gualdrappe dei cavalli e le mantelle che teniamo addosso ci hanno schermati dal visore termico dei satelliti. Quei cosi...” disse indicando i bussolotti al collo dei cavalli “...servivano a impedire la localizzazione GPS. Ma non siamo invisibili a occhio nudo. Finora l'abbiamo scampata...”
Azzurra si domandò quanto mancasse a Torino e se avrebbero mai fatto in tempo a evitare la furia dei suoi simili che, con ogni probabilità, sarebbero stati aizzati dai notiziari. Abituata com'era a muoversi col treno, in quella zona, non aveva la più pallida idea di dove fossero e si sentì pervadere dal panico.



Uuè! Uuè! Uuè!
…Hector!...
Uuè! Uuè! Uuè!
...Hector!...
Uuè! Uuè! Uuè!
Dove si trovava? Nel reparto maternità? Ma… non erano più sulla superficie... che ci faceva in un ospedale?
Sul lungo corridoio bianco si affacciavano, a intervalli regolari, le aperture delle stanze delle puerpere. Da ciascuna proveniva il frignare isterico di neonati che avevano appena visto la luce del sole, affamati, stanchi o sporchi. E che venivano bellamente ignorati. Ignorati perché l'attenzione generale era concentrata su di lui, un adulto. Ma perché?
Dev'essere un sogno, pensò in uno sprazzo di lucidità. Non abbiamo più marmocchi che ci tengono svegli la notte... se notte vogliamo chiamarla.
Cosa poteva esserci di simile ai vagiti, in un posto come quello, quando non c'erano più bambini in grado di emettere suoni del genere?
Improvvisamente fu cosciente di quello che stava succedendo.
Sapeva di doversi svegliare.
Ma non ci riusciva.
“Porca puttana, Hector!!!”
Cadde dal letto con un tonfo sordo e rimase confuso per qualche istante, prima di orizzontarsi.
“Alzati, cazzo!” ringhiò una voce “O devo prendere a pedate il tuo culo francese fino a che non ti svegli?”
Solo allora si rese conto dello stridente e fastidioso ronzio dell'allarme che riempiva il periodo dedicato al riposo e che costringeva Han ad urlare.
Si alzò a fatica “Che succede?” biascicò sbadigliando e seguendo il compare fuori dal basso edificio. Han avanzava a passo svelto nell'erba alta, già perfettamente vigile nonostante avesse la faccia, come lui, di chi era stato buttato giù dal letto durante la fase REM del sonno.
“Ma che cazzo ne so!” replicò l'altro, inviperito, agitando le braccia in aria, per poi affondare una mano tra i capelli “O meglio... lo so, ma non voglio saperlo... Quei cretini del settore orientale potevano pure avvisarmi prima... o in modo meno violento...” concluse scuotendo la testa e indicando il cielo “Sta cazzo di cosa mi è suonata dritta nelle orecchie, vaffanculo!”
Hector sghignazzò, nel suo intontimento, immaginandosi Han che saltava sul letto per aver ricevuto direttamente nelle cuffie, da cui si separava solo lo stretto indispensabile perché non si sa mai, l'allarme che, nella radura, stava assordando tutti. Lo immaginò scagliare lontano la trappola e correre al terminale per controllare gli avvenimenti.
Ma allora perché stavano correndo verso il lago? “Hanno detto che ci mandano la trasmissione in differita tra meno di cinque minuti...” rispose l'altro quasi gli avesse letto nel pensiero.
Hector non pose altre domande; erano quasi arrivati al promontorio e, attorno a loro, facevano capolino sempre più persone svegliate nel cuore del sonno che cercavano di capire, tra supposizioni e domande, a cosa fosse dovuto tutto quel trambusto.
“Han, eccoti...” disse una donna dai lunghi capelli ondulati, raccolti in una coda bassa a lato della testa, correndogli incontro e artigliandogli il braccio
“Ne so poco più di voi...” le rispose “Aspetto a vedere, Nives... so solo quello che mi hanno mandato a corredo dell'allarme...” si interruppe quando il suono fastidioso si zittì di colpo. Tutti si sporsero dal promontorio per vedere meglio. Qualcuno, per non perdersi alcun dettaglio, si era arrampicato sulla cima degli alberi.
Il piccolo lago sottostante sfrigolò e un rettangolo luminoso apparve sulla sua superficie leggermente increspata per poi innalzarsi e avvolgersi su se stesso come un cilindro. Quindi arrivò la sigla rassicurante del primo notiziario. Poi arrivò quella del secondo, del terzo e così via. Il cilindro traslucido, che ruotava lentamente su se stesso, dando modo di vedere ogni dettaglio della superficie, seppure riflesso, da ogni angolazione, si tassellò di tutte le diverse emittenti della Terra che proclamavano la stessa edizione straordinaria. Tra tutti emerse un particolare frammento che andò a sovrapporsi agli altri. Il settore orientale aveva selezionato per loro la versione inglese. Ovviamente. In casi come quello il protocollo comune era che si usasse la lingua che tutti, bene o male potevano comprendere. O di cui, sicuramente, la maggior parte aveva avuto un'infarinatura. Ma solo in casi come quello.
La giornalista si presentò in mezzo busto, seduta alla sua scrivania, in un atteggiamento che faceva correre la memoria di molti agli anni dell'infanzia.
Con voce atona annunciava quanto di più sconvolgente potesse aver mai turbato la serenità dei ribelli.
“Invitiamo la popolazione alla prudenza. Quello che più temevamo si è verificato questa mattina all'alba: i ribelli hanno sferrato il loro attacco alla società civile...”
Nella folla radunata, gli sguardi si fecero confusi e incerti. Poi l'attenzione si focalizzò su Hector e Han che ignorarono forzatamente quelle occhiate curiose.
“Ponete molta attenzione a chiunque risulti non immediatamente identificabile: i ribelli sono arrivati al punto di camuffarsi da Akero, quando nessuno li ha mai toccati o visti realmente, per rapire le nostre figlie.”
L'immagine di Mat-mon che usciva di casa reggendo il peso infagottato di Zoe comparve accompagnato dalla descrizione della voce fuori campo che continuava a illustrare le diverse sequenze. L'immagine venne quindi sostituita, subito, dalla quella che mostrava Birger e Loki che issavano 24 a bordo dell'hovercraft.
“E quelli chi cavolo sono?” sbottò Hector, folgorando Han che si limitò a scrollare le spalle.
Ancora, le telecamere si riportarono in Grecia e mostrarono Akira che faceva fuoco contro l'osservatore, il volto contratto in una maschera di rabbia e preoccupazione.
Lo videro venir colpito e rimanere saldo al suo posto, le pistole appaiate che esplodevano colpi a ripetizione. La ripresa vacillò e sfrigolò, quindi, da un'altra angolazione, furono mostrati i corpi riversi a terra, nello stretto vano dell'ascensore.
Tra gli astanti qualcuno soffocò un gemito, coprendosi la bocca con le mani. Per quanto abilmente intrecciate tra loro e assemblate in un sapiente montaggio, quelle immagini mostravano, inequivocabilmente i corpi dell'Akero e di Akira. L'attenzione tornò nuovamente in strada dove si vide lo stesso Akero, prima riverso al suolo, combattere con una ferocia inumana. Nelle intenzioni del regista doveva rappresentare un Akero diverso da quello precedente, per dare l'illusione di un attacco totalmente differente: tanto gli umani non sarebbero riusciti a distinguerli tra loro. Ma i ribelli non erano certo normali esseri umani lobotomizzati: loro sapevano ancora usarlo, il cervello.
Mat-mon veniva mostrato nella sua versione violenta e istintuale, lacerava gli uomini armati e ne disarticolava le membra facendo schizzare sangue rosso ovunque. Ancora, si videro Jess e Xing correre verso un fagotto, una donna riversa al suolo, abbandonata sul ciglio della strada. Ancora una volta gli spettatori videro i colpi che le trafiggevano, una dopo l'altra. Quindi venivano mostrate, in una ripresa sicuramente successiva allo scontro vero e proprio, supine, una accanto all'altra, i corpi composti illuminati dai potenti fasci di luce dei mezzi di soccorso.
“Questi sono i volti dei ribelli! Osservateli attentamente. Non recano alcun tratto distintivo della società civile: hanno capelli incolti, fogge stravaganti e variopinte da veri selvaggi quali sono.” L'attenzione degli spettatori fu portato ancora nella notte polare delle isole Svalbard dove videro Loki usare le sue armi contro i posti di blocco e Birger seminare bombe a mano come fossero sementi. Li videro infilarsi in un apertura nella montagna e farla crollare su se stessa “Si ritiene, inoltre, che il loro attacco terroristico, condotto in Grecia e presso le Isole Svalbard, in Norvegia, avesse come obiettivo finale quello di distruggere le principali banche di germoplasma, con tutte le conseguenze catastrofiche del caso.4” Le immagini, mosse e confuse, e il continuo saltare da un gruppo all'altro davano l'idea di un vero attacco su larga scala. “Vi chiediamo per tanto di porre assoluta attenzione a quanto stiamo per comunicarvi e di informare gli organi di polizia al minimo sospetto.” Su campo neutro, ruotarono e si disposero ordinatamente quattro foto segnaletiche “Questi sono i ricercati dell'ultima ora.”
“Oh, mio dio!” Un coro angosciato si levò tra i ribelli. Kemal, Alain, Frederick e Azzurra venivano mostrati in mondovisione come i feroci nemici pubblici, gli untori da cui tenersi alla larga e contro cui scagliarsi eroicamente. Pur di fermarli.
“La ragazza, la cui scomparsa era già stata denunciata ieri dai vertici Akero, è stata avvistata tra Milano e Torino in compagnia di tre loschi individui, di cui la madre aveva già rilasciato un identikit abbastanza preciso. La ragazza è la figlia del bioingegnere e della semiologa che hanno reso possibile la comunicazione e le interazioni tra noi e gli Akero. Si ritiene, quindi, che i ribelli vogliano usarla come una prima leva per una qualche contrattazione. Ma non è arrivata ancora alcuna richiesta dato che, probabilmente, vogliono prima assicurarsi di averla dalla loro parte. Chiediamo la collaborazione di tutti i cittadini, affinché la ragazza venga restituita alla sua famiglia e i rapitori assicurati alla giustizia...” Seguivano le istruzioni da seguire nel caso si fosse reso necessario, ma la finestra sul lago si spense con un tremito e la radura si riempì di un silenzio orripilato. Nessuno osava fiatare nella paura che, spezzato il silenzio, quell'incubo divenisse realtà.
Han sbuffò, frustrato. Stava per parlare quando un secondo, diverso, allarme, risuonò tutt'attorno. “E ora cosa diavolo c'è?” ringhiò esasperato
Come un lampo, una palla rosa infuocata attraversò il loro campo visivo che, all'improvviso, quasi si fosse resa conto di aver imboccato la direzione sbagliata, virò di 120° e si diresse verso lo stabilimento bianco con il simbolo del Cristallo Rosso5. Mormorii sorpresi dilagarono tra la folla.
“Andiamo!” ringhiò Hector scuotendo tutti dal torpore. La gente cominciò a precipitarsi giù dalla collina, correndo a rompicollo verso la struttura. “Vediamo cosa può dirci Mogwai... penseremo dopo come aiutare Alain e gli altri... ammesso che non siano già stati presi...” concluse rivolto ai compagni.




1    Non si tratta del drago che abbiamo conosciuto da bambini, ma anche lui prendeva il nome da questo gas incolore e inodore, composto principalmente di metano e caratteristico delle miniere di carbone.

2    In Italiano adattato a Megamicri, popolo fantastico descritto da Giacomo Casanova nel suo Icosameron (ou histoire d'Edouard, et d'Elisabeth qui passèrent quatre vingts ans chez les Mégramicres habitante aborigènes du Protocosme dans l'interieur de notre globe)

3    Ingresso a Pyramiden

4    Allora, qua devo spiegare un minimo. Nella storia, Loki e Birger sono diretti a Pyramiden, mentre la banca dei semi è situata a Longyearbyen. Entrambi i paesi si affacciano sulla costa occidentale dell'isola di Spitsbergen. Non sono nemmeno troppo distanti. Qui si innesta la distorsione dell'informazione. Eccovi anche la cartina così vi orientate meglio 
Altra distorsione è dovuta al fatto che una delle banche dei semi italiana sia situata nel Parco naturale del Monte Barro, tra Milano e Como. Azzurra e gli altri si muovono in una zona che va dai dintorni -non meglio precisati- di Milano (dovendo prendere il treno, può benissimo essere che si trovi a Bergamo o nella stessa provincia di Lecco, ma io ho sempre pensato alla provincia varesotta) a Torino. Inoltre, nel loro viaggio, i quattro costeggiano le montagne, quindi...
Le differenze paesaggistico-faunistiche sono difficilmente riconoscibili se non a un occhio esperto, perché i luoghi in esame sono troppo vicini tra loro. E qui, ancora una volta, entra la manipolazione dell'immagine. Chi si sofferma a pensare se quella che viene mostrata -che sembra così simile- sia o meno la verità? In certi servizi ho visto filmati inequivocabilmente girati in Russia, spacciati per Greci. Tanto... chi lo sa qual'è la differenza tra il cirillico e il greco? La maggior parte della gente non lo sa. E chi sa a volte è così bombardato da non far caso ai dettagli più ovvi. Per non parlare poi dei fotomontaggi e/o ritocchi: la storia fornisce molti spunti al riguardo. Mai credere a quello che vedete. D'altronde, non possiamo nemmeno credere ai nostri ricordi, che alteriamo automaticamente a seconda della bisogna.

5    Nato a causa di una diatriba con Israele (che chiedeva l'introduzione della Stella di Davide Rossa a fianco della Croce, della Mezzaluna e del Leone e Sole Rosso, per le popolazioni non cristiane e non musulmane), la richiesta fu rigettata dal movimento della Croce Rossa poiché, se allo stato ebraico (o a qualsiasi altro gruppo) fosse stato concesso un nuovo simbolo, non ci sarebbe stata fine alle richieste di nuovi emblemi da parte di gruppi religiosi o culturali.
Nel 2005 veniva istituito questo nuovo emblema, il cristallo rosso, che fosse accettabile da tutte le nazioni, indipendentemente dalla cultura o religione.
Va comunque ricordato che l'intenzione originaria del simbolo della Croce Rossa era tutt'altro che religioso (nato come una versione ribaltata della bandiera Svizzera, per indicare la neutralità dell'intervento) ed era quella di avere un unico simbolo per segnalare veicoli ed edifici protetti su base umanitaria.

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Capitolo 17
*** Trap ***


17.     Trap
Door






L'allarme delle sirene turbinò prepotente ancora una volta. Diverso dalle altre volte, molto più concitato e preoccupante di quelli che l'avevano preceduto.
Hector si spostò da dietro la tenda, che stava massacrando per il nervosismo, e fissò Han, preoccupato. Quello alzò gli occhi al cielo e, sbuffando sonoramente, si staccò la ricetrasmittente dalla cintura e se la portò alla bocca. Pigiò un pulsante e vi parlò dentro “Jordan, Jordan...mi senti? Passo”
“Forte e chiaro, Han! Passo” gracchiò una giovane voce dall'altra parte dopo un intervallo di suoni distorti
“Jordan, puoi occupartene tu? Io sono ancora in infermeria. Passo”
“Nessun problema. Dammi il tempo di arrivare al mio terminale e vedere cosa succede. Ti informo subito. Attendi. Passo”
La trasmittente prese a frusciare fastidiosamente, così Han regolò il volume al minimo. Per alleviare, ulteriormente, il rumore, si premette l'altoparlante contro il collo. Hector, nel frattempo, per distrarsi, aveva preso a camminare nervosamente su e giù sul pavimento di fòrmica verde.
Dopo pochi minuti, Han sentì sparire il gracchiare dell'apparecchio, alzò il volume giusto in tempo per sentire Jordan urlare dall'altra parte frasi inarticolate nella sua lingua madre (una delle tante che lui non capiva). Tutto ciò che intese era il semplice messaggio, già abbastanza chiaro della sirena, di intrusione: qualcuno aveva violato le loro barriere e stava arrivando dritto da loro. Nell'improvvisa confusione, creata da coloro che erano nei pressi della conversazione, riuscì a farsi dire la direzione da cui sarebbe arrivata la minaccia: per quanto piccolo, quel posto aveva comunque la ragguardevole estensione di diversi chilometri e diverse imboccature. Trovare gli invasori, senza una minima indicazione, sarebbe stato alquanto difficile. Ordinò, quindi, di spegnere quel baccano assordante che avrebbe resuscitato pure i morti. Tutti erano già in allarme e non aspettavano altro che spiegazioni ma metà delle persone che gli erano state incollate in quei pochi minuti si erano già volatilizzati.
“Silenzio!” intimò, secco e perentorio mentre si affrettava alla cabina sospesa a mezz'aria, nel centro del corridoio. Vi collegò la trasmittente e, quando sentì che all'esterno il fruscio risuonava amplificato, diede un paio di colpi di tosse per schiarirsi la voce. Quindi riportò alla bocca il ricevitore.
“Attenzione, attenzione. E' il capitano Han che vi parla. Questa non è un'esercitazione! Ripeto, non è un'esercitazione!” Aveva sempre desiderato pronunciare quelle frasi banali e retoriche. Ora si rendeva conto di quanto la popolazione ribelle, in realtà, non aspettasse altro che sapere se si era trattato di un falso contatto o se la minaccia fosse reale. Inoltre, dagli sguardi delle persone attorno a sé capiva come queste necessitassero di avere delle certezze per sapere come comportarsi nel modo più appropriato. Ogni parola andava calibrata per esprimere al meglio, e in modo conciso, la realtà dei fatti e le necessarie istruzioni: poche parole e semplici, perché il messaggio non si perdesse ma colpisse con tutta la sua violenza. Non doveva intortare nessuno, doveva renderli vigili e partecipi. E motivarli. “E' stata rilevata un'intrusione non autorizzata nel sistema di gallerie. Vi invito a mantenere la calma.” Fece una pausa, per pensare a cos'altro dovesse comunicare “Vi prego di osservare le regole base stabilite unanimemente. Da questo momento, fino a nuovo ordine, verrà applicata la legge marziale. Ogni trasgressione sarà punita. Donne, vecchi e bambini, sono pregati di recarsi immediatamente nelle grotte segnalate come sicure e di attendere, lì nascosti, il cessato allarme. Se quest'ultimo non dovesse sopravvenire entro una fase, siete autorizzati a cercare la asilo nelle altre comunità. Vi chiedo, altresì, di preoccuparvi della messa in sicurezza dei nostri laboratori e delle nostre banche dati. Sono la nostra risorsa più importante. Il personale medico tutto, invece, deve, ripeto DEVE, pensare alla messa in sicurezza dell'ospedale e dei degenti, seguendo gli altri sfollati. Noi ci arrangeremo. A tutti i restanti uomini e giovani in buona salute: andate subito in armeria e armatevi fino ai denti. Quindi dirigetevi all'imbocco nord, ripeto, imbocco nord.” Non attese oltre: chiuse la comunicazione, disassemblò il marchingegno appena creato e si precipitò all'esterno. Era solo, Hector l'aveva già anticipato, insieme a tutti gli altri. Si scapicollò giù dalle scale, mentre il personale medico accorreva in senso contrario per aiutare i pochi pazienti che fortunatamente erano ricoverati in quel periodo, e si lanciò nel fitto della boscaglia. Passò, veloce, nella piccola armeria, la più vicina all'ospedale e ormai deserta: era stata saccheggiata senza pietà e rimaneva ben poco di cui equipaggiarsi. Si buttò sulle spalle un vecchio mitra, troppo pesante per i più, si legò in vita una fondina per una Beretta, quindi afferrò quel che era rimasto: un micidiale Bowie da legare all'avambraccio, una S&W da allacciare alla caviglia e paio di cartucciere che si buttò sulle spalle mentre usciva di corsa. Si lanciò fuori dal deposito ma, all'ultimo, afferrò anche l'ultimo residuato: una fionda tutt'altro che primitiva. Corse disperatamente in contro alla morte, volando sulle sterpaglie, fendendo malamente l'erba alta e i rampicanti che scendevano dagli alberi, finché non arrivò, ansante per l'enorme peso sulle spalle, al randez-vous. Si scrollò subito di dosso l'arma troppo pesante, sollevando un coro ammirato. Quel dannato affare non sembrava poi così gravoso da portarsi dietro per un paio di chilometri. Mentalmente segnò un difetto della loro organizzazione: non erano ancora abbastanza allenati. Non lo era lui che si teneva in esercizio ogni giorno, figurarsi i ragazzini-topi di laboratorio o biblioteca. Se ne fossero usciti vivi, avrebbero cambiato le cose. Si lasciò cadere a terra, accompagnando il naturale movimento di discesa per montare l'arma sul treppiedi.
“In quanti sono?” domandò qualcuno non appena si accorse che il respiro gli si era fatto più regolare “Da dove vengono?”
“Chiedete a Jordy!” sbottò lui, rauco, avendo notato la chioma argentina del ragazzino “Tu dovresti essere tra gli sfollati!” aggiunse guardandolo storto “Non hai ancora affrontato la terza prova e se ne usciamo vivi ricordami di metterti in castigo! C'è un motivo per cui non puoi stare qui!”
Jordy lo ignorò e rispose alla muta richiesta di tutti gli altri “Il rilevatore ha segnalato solo l'intrusione. Erano troppo veloci. Ma sembrerebbe essere un mezzo d'assalto: la cella ha registrato il passaggio per l'equivalente di un autotreno...” il ragazzino, i lunghi capelli legati in un codino scomposto sulla sommità del capo, non aveva ancora finito di parlare che Han lo zittì.
“Sono qui... preparatevi...” sibilò. In fondo al tunnel si sentiva, chiaro e forte, il raspare disarmonico del mezzo sulla pietra. Tutti lo imitarono e lo schincagliare unisono della rimozione della sicura delle armi da fuoco si propagò nell'area circostante. Gli uomini si erano disposti, istintivamente o sotto la guida di qualcuno più esperto, a ventaglio attorno all'ingresso, in una parabola che lasciava spazio al mezzo, lanciato a gran velocità, di esaurire la spinta propulsiva della discesa: l'avevano, praticamente, già circondato.
La bestia scapicollò scompostamente nella radura finché non si fermò, il muso infossato nel terreno, a una ventina di metri dal gruppo di testa. Subito tutti alzarono le canne. Erano tesi come corde di violino, nervosi come scimmie idrofobe: in pochi avevano già impugnato armi e in ancora meno le avevano usate realmente. Ma a nessuno sarebbe scappato un colpo anche solo accidentalmente: tutti aspettavano un cenno di Hector e a quello erano pronti a obbedire istintivamente.
Quello, però, si tirò in piedi sbuffando. Una reazione anormale che destabilizzò molti ma che diede comunque il segnale di una relativa serenità.
L'hovercraft, che avevano visto sparire nelle viscere delle montagne norvegesi, difeso strenuamente da un umano, era lì, davanti a loro, pesantemente ammaccato ma sostanzialmente integro.
Nel silenzio generale si levò, lentamente, dalla cabina centrale, la figura bianca e incappucciata di un Akero. Subito in tutti tornò il terrore e le armi tornarono a puntarsi con precisione contro l'obiettivo: l'umano era solo uno specchietto per le allodole.
E loro erano stati scoperti.



Il tessuto urbano si innestò gradualmente sulla natura piatta, ordinata e colorata, pur nel freddo invernale, della campagna torinese. Gli edifici si susseguivano sempre più alti e in file sempre più serrate. L'occhio, che prima si perdeva all'orizzonte, indugiando ora nel verde delle risaie ora nell'indaco delle montagne innevate, era costretto nelle strade tortuose e claustrofobiche della parte povera della città grigia.
Gli zoccoli crepitavano rumorosi sull'asfalto, qua e là dissestato, scuotendo il torpore dell'ora di pranzo in cui tutti si rifugiavano all'interno degli edifici per ristorarsi e riposarsi.
Da quando era avvenuto il più grande cambiamento nella storia dell'umanità, il benessere psicofisico della gente era al primo posto nelle priorità dei vertici Akero. Le città si fermavano, impedendo le corse forsennate, pranzi saltati e nervosismo generale: il ritorno in serenità e produttività aveva compensato l'accorciamento della già breve giornata invernale.
Ora, i quattro fuggiaschi, confidavano in quell'ora di pausa per riuscire a raggiungere la terra franca della Gran Madre. L'ennesima svolta li portò sulla strada che costeggiava il fiume. Alain, alla vista dell'acqua, sferzò nuovamente il proprio destriero, quasi fosse terrorizzato da quella visione.
“Accidenti!” ringhiò Kemal “Ci avevo quasi sperato...”
Azzurra non capì a cosa facesse riferimento finché non scandagliò a fondo il paesaggio circostante: in lontananza, all'imboccatura del grande slargo di piazza Vittorio Veneto, era asserragliata una piccola folla che muoveva velocemente verso il ponte. Alcune volanti e un paio di furgoncini sbucarono a sirene spiegate alle spalle dei fanti che si stavano riversando in strada, fendendo quel mare a gran velocità.
Qualche telecamera di controllo doveva averli intercettati e le truppe si erano mosse di conseguenza. Di certo, non ce l'avrebbero mai fatta a raggiungere immuni la loro destinazione.
“Volete giocare?” domandò Alain con un ghigno divertito. Mollò le redini e, portandosi lo zaino sul torace, si mise a rovistarne l'interno. Ne estrasse un piccolo mortaio. Lo montò e lo posizionò. Sotto gli occhi esterrefatti di Azzurra, Alain sparò, colpendo al primo colpo le due camionette che si erano già posizionate trasversalmente lungo la strada, a impedir loro il passaggio. Il boato fece tremare tutto e una nuvola rossa e nera oscurò il cielo davanti a loro. I cavalli, colti di sorpresa e spaventati, s'impennarono imbizzarriti. Ad Azzurra sfuggì un grido trattenuto tra i denti ma gli altri cavalieri, che evidentemente la sapevano lunga al riguardo, impiegarono poco tempo a rimettere tranquilli gli animali e a farli proseguire lungo la strada designata. Subito, Alain ricaricò l'arma e sparò verso le piccole auto che zigzagavano furiosamente, confuse e stordite, nel piazzale antistante la chiesa. I militari abbandonarono i mezzi in corsa, rotolando malamente per terra, fuggendo il più lontano possibile prima del secondo colpo. “Avete sbagliato topo con cui giocare!” esultò dopo il secondo colpo andato a segno, alzando un pugno in aria. “Non si scherza con i cugini francesi, pappemolli italiane!” Dopo un istante bofonchiò un imbarazzato “Esclusi i presenti, si intende.” disse lanciando un'occhiata di sottecchi alla ragazza che, improvvisamente, gli sembrò sofferente.
I cavalli continuavano, ora preparati, la loro corsa a briglia sciolta.
Improvvisamente, quanto il boato del mortaio, Kemal spronò il suo frisone con un urlo guerresco. La mano che teneva le redini, stringeva anche una retina con alcuni strani panetti neri con la scritta C4 in evidenza: bombe al plastico. Aveva sfilato la scimitarra dal fianco e si era dato l'ordine d'attacco come un vero principe arabo, per poi riporla al fianco, forse troppo impedito nei movimenti da quell'accessorio quanto mai fuori luogo.
Il resto del gruppo lo vide sparire tra le lamiere fumanti e infuocate dei mezzi incendiati che loro attraversarono, in apnea, subito dopo, prima di raggiungere la chiesa e lanciarsi, senza indugio, nella stradina che le girava tutt'intorno.
Prima di dare le spalle al ponte, videro Kemal arrivare alla fine della lunga striscia d'asfalto, cominciare la manovra di inversione di marcia e, chinatosi verso il suolo, lanciare un paio di fumogeni per guadagnare tempo. Quindi, lo videro lanciare qualcosa alla base della lingua di terra su cui si avviava. Subito una violenta esplosione coprì loro la visuale del compagno. Ma quando il fumo si diradò, videro che la detonazione aveva distrutto solo la spalla del ponte. Il secondo ordigno non era esploso. Azzurra fermò il proprio pony e si volse, preoccupata, a osservare la scena mentre Alain e Frederick scendevano per aprire il pesante portone che si affacciava direttamente sulla strada. Vide il frisone nero impennare e scartare all'indietro, quasi infastidito da quello strano esito. Quindi una nuova esplosione: Kemal aveva lanciato un secondo ordigno nello stesso punto dove giaceva quello inesploso, prima di allontanarsi ulteriormente, mentre il fumogeno lo copriva ancora. Stava esultando per la seconda detonazione andata a segno quando vide che, comunque, una sottile striscia grigia congiungeva ancora la piazza allo spesso nastro scuro che sorvolava sul fiume. Fu subito chiaro che non sarebbe mai riuscito a far crollare tutta la prima arcata: il tiro da effettuare era troppo preciso e non sarebbe mai stato della violenza adatta a innescare l'esplosione. Però, il passaggio era ancora sufficientemente largo da far passare i fanti che avanzavano serrati dal centro della città.
“E' un sacrificio inutile!” sbraitò la ragazza contro i due biondi. Voltandosi verso di loro, notò, sopra le loro teste, dei volti appiccicati alle finestre, terrorizzati e impietriti dalla paura. Fantastico!
Ma quelli erano cittadini ignari di tutto come poteva esserlo stata lei fino a pochi giorni prima. Come avrebbe reagito, se fosse stata convinta della buona fede degli Akero, davanti alla notizia che i ribelli stavano mettendo a ferro e a fuoco la sua città? Poteva ben capire le loro reazioni violente e le loro espressioni allarmate. Ma capiva anche la loro curiosità e il loro non volersi immischiare nella battaglia, nonostante tutto.
Alain e Fred alzarono gli occhi sulla battaglia che si stava consumando sul ponte giusto in tempo per vedere l'arabo far scivolare alla giusta altezza la bomba e subito venir colpito da una gragnola di proiettili. Il cavallo si impennò e il ragazzo cadde a terra, scompostamente. Trattennero il fiato, finché non lo videro muoversi nel tentativo di rimettersi in piedi. Azzurra scese malamente dalla propria cavalcatura, nervosa. “Dobbiamo fare qualcosa!” strepitò ai due uomini da cui era scortata e ai quali non sarebbe mai riuscita a fuggire.
“Quel cretino!” Disse Frederick
“Ehi!” protestò Alain, vedendolo rimontare in sella “Che vuoi fare?”
“Andare a salvarlo! Qui ormai è fatta, voi rifugiatevi giù, andate da Razor. Noi arriveremo presto. Cinque minuti al massimo. Se dovesse arrivare qualcuno al posto nostro, partite senza esitare!” Replicò il tedesco prima di voltare il cavallo e lanciarlo al galoppo lungo la strada asfaltata.
“Andiamo...” mormorò preoccupato Alain. Le posò una mano sulla schiena, invitandola ad entrare nello stretto pertugio. La sentì irrigidirsi, sotto il suo tocco, e soffocare, stoicamente, un rantolo di dolore. La studiò attentamente mentre avanzavano, con il Sorraya e il Berbero condotti per la cavezza, nelle viscere della chiesa dopo essersi accuratamente chiusi la porta alle spalle.
I passi degli equini rimbombavano come tuoni nella catacomba e il loro avanzare era scortato da statue angeliche prive di pupille più inquietanti dei molti teschi che affollavano l'ambiente. Senza alcun preavviso, la tirò a sé e le infilò, svelto, una mano sotto i molti strati di vestiti. La ragazza non ebbe tempo di capacitarsi di quello che stava succedendo (il frangente, la rapidità, la novità del contatto) che Alain, tastatole con tocco gentile e veloce in mezzo alle scapole, aveva già ritirato la mano. “Resisti ancora un po'” le disse solo, afferrandola per il polso e affrettando il passo. “Il sangue verrà via... è fresco e noi saremo a destinazione a breve...”
Azzurra era incredula: Alain si era accorto di quello che la infastidiva nonostante lei avesse fatto di tutto per tenerlo nascosto. Evidentemente l'occhio e la mano erano ben allenati perché si accorgesse dello strappo che l'impennata del cavallo le aveva procurato.



All'esterno, intanto, Kemal tentava il lancio di un paio di bombe a mano, che però, finivano immancabilmente in acqua. Gli spruzzi che si levavano alti dal fiume sottostante, non avevano altro effetto che infastidirlo: la strada era così crepata da dargli una speranza di riuscita anche tramite l'effetto riflesso dell'acqua che, però, si dimostrava troppo blanda. Era a non più di trenta metri da dove il ponte si protendeva sull'acqua fredda del Po e la folla armata non accennava a rallentare: ne sentiva l'avanzare ritmico e cadenzato. Lugubre.
Deluso di se stesso, cercò con la lingua la sicurezza della capsula di cianuro. Non si sarebbe fatto ammazzare da loro: avrebbero straziato il suo corpo, ma non gli avrebbero strappato alcuna informazione. Reclinò la testa all'indietro e si lasciò andare a terra. Il frisone, al suo fianco, disteso a simulare la morte, sbuffò di impazienza.
All'improvviso un'ombra offuscò il sole. Forse era morto ed era piombato nell'oscurità dell'aldilà. Ora avrebbe scoperto se aveva avuto ragione a dubitare della storia delle vergini il cui numero, in realtà, non era specificato da nessuna parte. E....oh, no... Avrebbe incontrato suo fratello. Beh... a quel punto non si sarebbe certo trattenuto dal dirgli in faccia quello che pensava di lui.
Schiuse gli occhi quando si rese conto che la luce era tornata immediatamente a picchiare sulle palpebre, trasmettendo alla retina l'impressione di un rossore diffuso.
“Per quanto intendi restare lì a dormire? Rimettiti in sella, razza di cialtrone!” gli intimò una voce fastidiosa che ben conosceva. Un colpo di pistola e subito un boato riempì l'aria e l'odore pungente di zolfo arrivò così intenso da riportarlo alla realtà. Alzò lo sguardo verso la zona dove dovevano esserci i loro assalitori. Frederick svettava sullo sfondo ceruleo del cielo, la gualdrappa nera, che avrebbe dovuto proteggere sia lui che il suo cavallo da sguardi indiscreti, sventolava furiosa alle sue spalle, creando un contrasto e uno spettacolo unici: sembrava l'incarnazione di un dio nordico su mitico destriero, Odino e Sleipnir, le chiome che brillavano come soli, le protezioni di entrambi, nere, non facevano che accentuare quell'accecante bagliore.
Il tedesco si voltò a guardarlo, irritato “E' tanto difficile tirar giù tredici metri di ponte?” sbottò, scendendo al volo e andando a strattonarlo. Lo prese poco delicatamente per le ascelle, lo tirò su a forza e lo trascinò fino a stenderlo, in qualche modo, in groppa al suo destriero “Ci sei?” domandò retorico. Gli strappò di mano il sacchetto e, senza aspettare risposta, diede uno schiaffo sul grosso sedere della bestia nera che si tirò in piedi di scatto, nitrendo con rabbia. Risalì veloce sul proprio cavallo dorato, portando con sé le redini del morello. Spronò gli animali al galoppo e, non appena si furono avviati, lanciò alle proprie spalle gli ordigni rimasti: se anche gli assalitori fossero riusciti ad attraversare la voragine della prima arcata, dopo avrebbero dovuto faticare un bel po' a scansare le voragini successive.
“Perché sei venuto?” domandò il moro digrignando i denti per il dolore
“Non ti avrei mai lasciato morire da eroe martire e prenderti tutta la gloria. Nossignore!” rise Fred, freddo, tagliente e, paradossalmente, orgoglioso “Io ho una sorella zoccola da riscattare!”
Kemal stirò un sorriso dolente “E' un modo gentile per proporre una tregua?” chiese mentre i cavalli sferragliavano sull'asfalto gelido e l'altro, visibilmente imbarazzato, continuava a lanciare bombe alle proprie spalle
“Mai detto nulla di simile...” ringhiò senza guardarlo “Ora tienti!” gli ordinò prima di affrontare la curva e la brusca frenata. Il biondo scivolò a terra quasi al volo e lanciò i destrieri all'interno della cripta, senza guardarsi indietro. Quindi li condusse con cautela nel buio dell'interno. Kemal rimase saldamente in groppa al suo frisone, nonostante questo, di quando in quando, scivolasse grossolanamente sul terreno dissestato.
Avanzarono per qualche metro finché, in una cripta rischiarata da una tenue luce azzurrina, trovarono i loro compagni.
Alain li salutò sarcastico “Siete in ritardo...”
“Potevate partire!” ringhiò il tedesco di rimando, sollevato nel trovarli ancora lì. Sapeva bene il rischio che avano corso e che stavano correndo: aveva visto anche lui i cittadini abbarbicati alle finestre, impauriti e curiosi.
“Razor non ha voluto...” disse Azzurra con l'aria spaesata di chi ha appena incontrato un fantasma.
Kemal sorrise mestamente “E' ora di rientrare!” disse sentendo l'eco lontano di altre sirene in avvicinamento.

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Capitolo 18
*** The new and the old ***


18. The new and the old

Under World.




Loki si era rialzata non appena il pavimento dell'imbarcazione aveva smesso di tremare. Dopo l'esplosione di gas all'interno della montagna, che aveva fatto crollare l'apertura sul fianco della montagna, aveva proseguito a scavarsi la strada oltre le gallerie delle miniere, certa che si gli umani avessero interrotto gli scavi per altri motivi, non solo per la paura del grisù. Non aveva avuto poi tutti i torti: sforacchiando le viscere della terra un po' a casaccio, aveva intercettato dei cunicoli strettissimi, dall'aspetto tutt'altro che artificiali. Li aveva allargati a forza, spinta dalla convinzione di essere sulla strada giusta. Certo, nessuno si sarebbe aspettato che un auto, figurarsi un hovercraft, passasse di lì. Ma degli esseri umani? Lo spazio era così angusto che in alcuni punti avrebbero dovuto strisciare, per passare. Ma dei ribelli sarebbero stati abbastanza disperati da fare di tutto. Specialmente per non dare nell'occhio.
Dopo un'oretta di lavoro apparentemente inconcludente, la terra si era aperta naturalmente in una perforazione circolare e perfetta, priva di increspature, dalla pendenza costante. Aveva smesso di disintegrare blocchi interi di roccia e aveva fermato i motori del natante terracqueo. La galleria, che i fari del mezzo non riuscivano a illuminare fino a scoprirne un fondo, sembrava scendere nella terra per centinaia, migliaia di metri. Loki aveva alzato lo sguardo sulla parete, troppo perfetta per essere naturale, aveva deciso di essere sulla strada giusta e aveva continuato la sua discesa.
Non udendo più boati dal sottosuolo, probabilmente, anche i vertici Akero si sarebbero persuasi che lei, l'hovercraft e l'umano fossero rimasti schiacciati o intrappolati sotto i detriti. Il chip di Birger a quella profondità, inoltre, non sarebbe stato nemmeno rintracciabile. Quindi, morti o dispersi, per loro era la stessa cosa.
Quindi, avrebbe dovuto cercare di fare il minimo rumore possibile per evitare ai sensori in superficie di tracciarli nuovamente e spegnere i motori che producevano un rumore e delle vibrazioni tutt'altro che naturali era stato il minimo che potesse fare. Per il resto, bastava la naturale pendenza della galleria faceva muovere il mezzo.
Aveva virato lentamente e silenziosamente, facendolo scivolare sulla roccia che sembrava tagliata col laser. Era immersa nel silenzio e nell'oscurità, infranti solo dal frusciare della carlinga sulla pietra e dai proiettori posizionati lungo la fiancata del mezzo, qua e là andati distrutti.
Birger giaceva svenuto accanto al divano del piccolo salotto interno e lei poteva concentrarsi sulla sua meta. Non le pesava quella solitudine e quell'isolamento. Né poteva averne paura. Loro non...
Loro! Quale sarcastica ironia. Stirò un mezzo sorriso.
Cos'era cambiato da quando aveva salvato 24? Assolutamente nulla. Lei si sentiva sempre uguale. Ma di certo, per il suo compagno di viaggio, le cose non sarebbero state altrettanto indolori. Si guardò attorno: era solo una situazione nuova e forse sconcertante. Nulla di più. Cos'avrebbe dovuto temere?
L'imprevedibile, si rispose mentre individuava un leggero ronzio di sottofondo e riemergendo da tutte le sue considerazioni.
Regolò gli occhiali (più per abitudine che per reale esigenza, ora che sapeva di potersi arrangiare anche su quel versante) fino ad arrivare al visore termico e ispezionò, ancora, il condotto. Non sembrava esserci nulla fuori posto, quindi cambiò modalità percettiva. Lo sentiva. Il ronzio c'era. Non era una sua allucinazione. Passò dalla modalità a infrarossi a ultrasuoni. Infine li vide. Tre piccole scatole, mimetizzate completamente con la natura circostante, erano disposte a intervalli regolari nella sezione circolare immaginaria che le collegava tra loro: una sulla sommità dell'arcata, due lateralmente il piano di scorrimento. Il ronzio si trasformò in sfrigolio e si fece sempre più intenso.
Loki esitò un attimo, incerta. Cosa sarebbe successo, attraversando quel campo di forza invisibile?
Chiuse gli occhi e il bivio delle scelte le si materializzò davanti agli occhi: restare lì, intrappolati, per sempre o procedere, verso l'ignoto, e portare Birger in salvo, in qualunque luogo avesse dovuto andare. Tornare in superficie era escluso: sarebbero stati individuati immediatamente e, forse, addirittura giustiziati. Sì. Gli Akero potevano arrivare tranquillamente a un gesto del genere ma non erano in molti a saperlo. Ovviamente. Avanzare era, in realtà, l'unica cosa da fare. A costo di rischiare: cosa avevano da perdere? Lei e 24 nulla, a ben vedere. Ma Birger... l'aveva coinvolto in qualcosa di più grande di lui. Se lei non avesse disubbidito, forse, ora lui sarebbe stato ancora al riparo nella sua piccola dacia. Probabilmente accompagnato da una nuova e più severa guardia. Ma incolume.
Cos'avrebbe comportato attraversare quel campo di forza? La morte istantanea o il teletrasporto nel migliore dei casi. Alla peggio, avrebbero effettuato il salto e sarebbero stati ricomposti con gravi mutazioni nel codice informativo. I rischi legati alla pratica erano ben noti anche agli umani, fin dal famoso caso dell'esperimento di Philadelphia. Gli Akero avevano avuto le loro centinaia di migliaia di morti per uso smodato della pratica che era stata, quindi, messa al bando e concessa solo in casi di estrema importanza, dietro lungaggini burocratiche che vertevano a vagliare la gravità della domanda d'impiego e le condizioni del richiedente.
Aveva aperto gli occhi, decisa ad andare fino in fondo.
Aveva fatto avanzare il mezzo fino ai tre dispositivi.
Nulla sembrò cambiare. Almeno finché lei non passò attraverso la barriera invisibile.
Il condotto divenne improvvisamente umido e le pareti si coprirono di vegetazione muschiata. Loki si volse a guardare il tunnel da cui proveniva: era completamente diverso da quello che avevano percorso fino a quel momento. La vista le si annebbiò e fu costretta a buttarsi carponi a terra prima di crollare su se stessa. La testa le rimbombava, vuota e confusa, la vista si era fatta offuscata, si sentiva rimescolare le interiora e una spiacevole sensazione di malessere le salì dallo stomaco fino in gola. Riuscì a ricacciare tutto da dove era venuto ma non riuscì a sentirsi meglio. Dopo pochi minuti, quando, secondo i suoi calcoli, l'hovercraft ebbe oltrepassato in tutta la sua lunghezza quello che nella sua mente si stava delineando come portale, si rese conto che il mezzo stava guadagnando velocità, trascinato verso il basso da una forza misteriosa. Scivolavano scompostamente lungo il condotto, fattosi improvvisamente più ripido e man mano più grezzo e naturale, meno lavorato e liscio. Sentiva le pareti graffiare sullo scafo in uno stridulo ruggito di lamiere che venivano sventrate.
Infine, si sentì mancare la terra sotto i piedi. Il vuoto e uno strano senso di panico, avevano preso il posto del fastidio per il continuo sballottamento. Quindi il boato, l'impatto a terra, il lungo trascinarsi scomposto del mezzo fuori controllo tra la vegetazione lussureggiante.
Quando si riprese, aprì gli occhi su uno strano scenario che non credeva possibile. Si tirò in piedi per osservare meglio, sconvolta da tanta bellezza, e avvertì lo scatto ritmico e simultaneo di centinaia di armi meccaniche. Al di là del ponte, tra la fitta vegetazione, uno stuolo di uomini le puntava contro le canne di vecchie armi analogiche.
Istintivamente, da qualche recesso del suo cervello, le arrivò il comando di resa. Alzò lentamente le braccia in aria, palmo aperto verso i suoi aggressori. Fece per togliersi gli occhiali ma quelli, probabilmente temendo un qualche strano attacco, scattarono ancor più sulla difensiva
“Fermo!” tuonò l'unico che aveva avuto abbastanza fegato da mettersi in piedi e sfidarla. “Guai a te se ti muovi!” continuò “Ora vengo a prenderti. Non fare movimenti strani.”
Loki finì di raddrizzarsi, mettendo le braccia in alto, i palmi all'altezza della testa.
La folla si aprì per far passare due uomini: Hector e Han, desunse dal labiale di tutti gli altri. Han aveva abbandonato la propria arma, pesante e ingombrante e aveva sfoderato una pistola, per tenerla sotto tiro mentre si avvicinava.
All'interno della cabina percepì dei movimenti. Si volse appena per avvisare l'umano ma la folla che la presiedeva le fece cambiare idea: meglio evitare mosse azzardate. Han salì velocemente a bordo, andando a piantarle la canna sulla nuca, appena sopra a dove si diramava la coda di cavi, che contraddistingueva ogni Akero e che lui osservò con rapita curiosità.
“Loki, cos'è successo?” biascicò Birger, trascinandosi all'esterno dalla cabina e sbadigliando rumorosamente “Ho una gran confusione in testa...” disse prima di andare praticamente a sbattere contro Hector che, salito a bordo, ora lo teneva sotto tiro, anch'egli armato di pistola. Lo scatto del cane e il contatto della fronte col freddo metallo lo svegliarono di colpo. Fece un salto indietro per la paura e, istintivamente, alzò le mani in aria.
“Giù dal mezzo!” ordinò Hector con fermezza
“Abbiamo un ferito a bordo.” disse Loki senza muoversi di un millimetro, lo sguardo fisso davanti a sé. Hector squadrò Han, perplesso. In effetti, il filmato che avevano visto mostrava due Akero arrampicarsi a bordo. Lo spacciavano per ferito? E se fosse stata solo una trappola? La cosa che li aveva sconcertati di più, però, era stata la voce dell'Akero. Una voce femminile, calda e sicura. La osservarono meglio e videro che, effettivamente, il magro corpo androgino non riusciva a nascondere la diversa struttura fisica e dei seni acerbi, appena accennati sotto la tuta aderente. Lentamente, l'ex Akero, la Nephilim, osò volgere lo sguardo verso il capo del gruppo “Collaboreremo. Siamo scappati e chiediamo asilo.”
“E perché mai dovremmo offrire asilo a esseri schifosi come voi?” ringhiò Han acchiappandola per la coda e tirando appena, senza farle male, ma per ricordarle la sua posizione di inferiorità.
“Perché le informazioni di cui sono in possesso potrebbero esservi utili!” protestò lei, non per il dolore ma per dimostrare la sua buona fede.
“Informazioni?” domandò Hector “Che tipo di informazioni?” domandò distogliendo lo sguardo dal norvegese
“Non farti comprare da quattro moine di questa aliena...” ringhiò Han dall'altra parte del ponte “Perché mai dovresti dare a noi delle informazioni per combattere quelli come te?” Loki tacque: il ragionamento dell'umano non faceva una grinza.
“Scusate...” intervenne Birger “Io non basto? Voglio dire...il mio collare dovrebbe essere sufficiente a dimostrare che ero controllato... almeno a me non potete offrire ospitalità?”
Hector si avvide solo allora del collare di sicurezza che il biondo portava al collo “Che razza di roba è?” domandò esterrefatto
“Un simpatico souvenir alieno che ti stacca la testa se provi a rimuoverlo” rispose sorridente il biondo “Se lei, la mia Augur, non l'avesse disinnescato, io non sarei qui... se volete studiarlo, prima dovete trovare un modo per togliermelo...”
“Hector!” urlò qualcuno da basso “Sul retro!”
“Cosa c'è?” domandò il francese, alzando appena la voce perché da sotto riuscissero a udire la sua risposta e tornando a puntare rapidamente la canna della pistola in mezzo alle sopracciglia di Birger.
“Qualcosa di grosso, protetto da un telo cerato!” fu la risposta che gli arrivò di rimando
“Cos'è che nascondete sull'altro ponte?” ringhiò il francese, nuovamente sulla difensiva.
“E' la mia jeep... vi prego di trattarla bene... non volevo lasciarla...” cominciò Birger che Hector lo interruppe
“Jeep? Parli di una vecchia manuale analogica scassatissima Jeep?”
“Da rally...” confermò l'altro annuendo lentamente. Subito Hector rimosse la sicura e fece scomparire l'arma nella fondina.
“Portate la Nephilim a terra... Jordy, va a dare il via libera. Un paio salgano a recuperare il secondo essere ferito che si nasconde nella cabina. Al resto penseremo in seguito” Hector si rivolse, quindi, all'uomo che aveva tenuto sotto tiro fino a quel momento “Tu vieni con me!” intimò minaccioso facendogli segno di precederlo.
Improvvisamente, un altro allarme, diverso dal quello che era risuonato pochi minuti prima, riempì l'aria con il suo febbricitante piagnucolio. Hector cercò Han con lo sguardo e, quando lo trovò, vide che anche lui lo guardava perplesso e confuso allo stesso modo. Che diavolo stava succedendo in superficie?



Camminavano appaiati lungo quello strettissimo cunicolo leggermente in discesa, tirandosi dietro i cavalli recalcitranti. Davanti a loro, una flebile lucina rosa illuminava il passaggio.
Alle loro spalle non era comparso nessuno e questo impensieriva la ragazza più della sua destinazione. “Perché nessuno ci segue?” domandò al suo accompagnatore
“Vorresti che ci seguissero?” domandò, pungente e sospettoso, Frederick da davanti
“No, no... mi domandavo come foste riusciti a impedirlo... Non ci sono porte né botole...”
“In realtà ci sono dei pulsanti a pressione lungo il cammino che non c'erano prima del Blue Beam. Abbiamo ritenuto più saggio aggiungerli, per la nostra sicurezza. Si può comunque procedere anche se non scortati da uno di loro che li attivi... solo che non si arriva da nessuna parte” rispose Kemal con tranquillità fissando la luce rosata che oscillava placida in testa al gruppo. Ma la risposta non risolveva nulla.
“E come ha fa... Razor... ad attivarli? Voglio dire...è...è...” disse agitando la mano aperta davanti a sé nella speranza gli venisse un termine appropriato per descrivere l'impalpabilità del quarto membro della squadra
“C'è anche un sensore ottico. Uno solo, tarato su componenti particolari” rispose Fred da davanti “Mentre i pulsanti vanno attivati secondo uno schema, calpestandoli, il sensore ottico è tarato appositamente sugli esseri come lui. Ma anche quello ha un codice, ovviamente, nel caso qualcuno riuscisse a catturare uno di loro e a mantenerli in vita quel tanto che basta a raggiungere la destinazione.”
“Quindi potrebbe avvertirvi se venisse catturato?” domandò Azzurra meravigliata continuando a fissare Razor ipnotizzata
“In realtà loro possono andare e venire attraverso la crosta terrestre senza venire danneggiati. Ovviamente, solo in particolari condizioni, altrimenti si sfracellano come tutti...” ridacchiò Alain. La luce si fece improvvisamente violacea e pulsante “Oh, su Razor... ti stiamo solo sfottendo un po'... eri così carino...”
“Razor è un esemplare giovanissimo...” disse Kemal per spiegare i sottesi che andavano scivolando in un apparente monologo del francese “Possono morire anche loro, se è quello che ti stai domandando... ma non possono farlo come tutti noi. Il loro nemico mortale è l'acqua. Altrimenti... mmm” rimuginò cercando una spiegazione semplice “Sono come il mercurio: se si infrangono, si suddividono come il mercurio allo stato liquido. E si infrangono quando non hanno la giusta disposizione atomica per trapassare gli oggetti. In quel caso sono come... come un bicchiere di vetro che va a infrangersi contro il pavimento.”
“Macchinoso... ma credo di aver capito...” rispose lei con un sorriso.
“Quindi, se qualcuno riuscisse a capire come attivare il corridoio e riuscisse anche a catturarlo e tentasse di usarlo come lasciapassare, Razor potrebbe dare l'allarme.” Concluse con un'alzata di spalle “E' una garanzia in più per noi”
Azzurra tacque per un po' “Ma quindi... se una persona pincopallina avesse deciso di fuggire e unirsi alla resistenza...?”
“Poteva scappare di qua. Ma un tempo sarebbe arrivata direttamente a destinazione dopo un viaggio di diverse settimane. Ora viene semplicemente indirizzata in una zona di quarantena dove possiamo intervenire in tutta sicurezza dopo aver controllato la sua natura non ostile.” rispose Fred “Questo è uno dei più antichi passaggi nonostante, ora, nessuno lo adopererebbe mai: è troppo centrale e pericoloso, come hai potuto vedere.”
“Ma quindi c'è qualcuno che è riuscito a scappare senza il vostro intervento?” domandò ancora Azzurra, avida di sapere
“Qualcuno sì...I primissimi ribelli... ancora un... quanto?” domandò perplesso Kemal “Un centinaio d'anni? Più o meno. In tempi recenti ho l'esempio di mio cognato... si è arrangiato in tutto e per tutto. E' stato davvero in gamba...” aggiunse orgoglioso
Azzurra alzò lo sguardo, meditabonda, e si accorse che, davanti ai ragazzi in testa, il soffitto del tunnel andava abbassandosi rapidamente, fino a chiudersi, intrappolandoli là sotto. Vide Alain consegnare le redini del suo destriero a Frederick e avanzare sotto la luce protettiva di Razor. Sentì il picchiettare veloce e sicuro su quello che doveva essere un tastierino numerico, quindi lo vide protendersi in avanti per una scansione retinica. “Capo pattuglia Alain Renard” seguì il numero identificativo: era così lungo che Azzurra pensò se lo dovesse esser scritto da qualche parte per non sbagliarsi. O che fosse inventato di sana pianta.
Una voce sintetica, impossibile dire se fosse maschile o femminile, rispose domandandogli la natura e l'entità del carico. “Rientro missione di recupero. Quattro umani, quattro equidi, un canide e un LP”
“Cos'è un LP?” domandò piano la ragazza a Kemal
“E' l'acronimo per Light Pulse” disse indicando Razor ancora una volta
“Accesso autorizzato” confermò la voce.
La parete di roccia che impediva loro di procedere oltre si mosse, svanendo nel nulla e lasciando dietro di sé la voragine di un tunnel nero. Attraversando la zona di confine, Azzurra studiò la parete rocciosa. Non vi era segno di porte scorrevoli né ai lati né sul soffitto. Era strano non vedere alcun segno di cesura. Che la parete fosse stata un ologramma?
“Non ti preoccupare...” ridacchiò l'arabo accanto a lei “Siamo quasi arrivati”
“Di già?” domandò perplessa: a occhio e croce non erano scesi verso il centro della Terra che di un paio di chilometri. Lui annuì e non disse altro.
Continuarono la loro discesa per una mezzoretta circa. Non dovevano aver percorso più di un paio di chilometri che la luce davanti a loro si fece rapidamente più chiara inglobando Razor fino a farlo scomparire.
Le pareti cominciavano ad essere scivolose, umide e ricoperte, via via, di uno strato sempre più folto di un qualche tipo di vegetazione. Nulla che Azzurra avesse mai visto in tutti i suoi spostamenti in giro per il mondo.
Infine, sbucarono in una radura illuminata a giorno.
Qualcosa non tornava. Com'era mai possibile? Erano sottoterra, giusto?
Giusto! Rispose una vocina nella sua testa
Allora come si spiegava quel fenomeno così assurdo?
I suoi accompagnatori scesero agevolmente il gradino che li separava dal terreno mentre lei rimaneva sull'imbocco del cunicolo imbambolata, bocca spalancata, a fissare quello spettacolo impressionante. Non sapeva su cosa concentrare l'attenzione e faceva vagare smarrita lo sguardo tutt'intorno, cercando di acquisire quante più nozioni nel minor tempo possibile.
Si ritrovava immersa in una sinfonia di versi animali, un miscuglio tale da sembrare irreale. Sicuramente c'era qualcosa che non andava. Doveva trattarsi di qualche impianto audio difettoso a cui era sfuggito il controllo della riproduzione di diverse campionature. Le sembrava di essere nel suo sogno, quello che ogni tanto tornava ad angosciarla la notte. Dalla fitta boscaglia, di un verde troppo brillante per essere naturale, che si affacciava rigogliosa a qualche metro dalla piccola radura antistante il passaggio, vide alzarsi in volo una paradisea, con la lunga coda pesante che dava all'animale un aspetto sinuoso e aggraziato.
E dietro di lui, il cielo era assai strano: qui era di un rosa sereno, là di un viola plumbeo e temporalesco, ora aveva i toni metallici di un tramonto infuocato ora quelli morbidi e frizzanti di una timida alba invernale.
Azzurra rimase col naso per aria per diversi istanti prima di accorgersi della piccola folla che si stava radunando intorno a loro. Captò piccole porzioni di discorsi concitati e capì che, in qualche modo, tutti sapevano del loro arrivo. Certo, si disse, dandosi della sciocca: se erano partiti dovevano anche rientrare. Prima o poi.
Vide ragazzi più e meno giovani correre incontro ai suoi compagni di viaggio, prender loro i bagagli, aiutarli a spogliarsi di mantelli e cappotti, affaccendarsi attorno ai cavalli con interesse. Non se ne era ancora resa conto ma, effettivamente là sotto la temperatura era decisamente più mite che in superficie, in accordo con la vegetazione tropicale.
Quindi qualcuno la indicò e tutti si volsero a guardarla, interessati.
Ritrovarsi tanti sguardi, amichevoli e sorridenti, puntati addosso non era quello che aveva pensato sarebbe stato il suo arrivo tra i ribelli: si era aspettata rudi uomini ridotti a uno stato praticamente selvaggio, le barbe lunghe e le vesti sporche per il continuo nascondersi in cunicoli terrosi.
In più, si era aspettata di essere trattata con freddezza da questi uomini burberi che non avevano tempo per i giochi e che lottavano seriamente contro gli invasori. Invece calamitava l'attenzione e si sentiva un po' un'attrazione da circo. O forse era per i suoi capelli su cui tutti sembravano focalizzare lo sguardo? Anche loro la guardavano storto per il suo taglio? Loro che...
Loro che, a ben guardare, erano un'accozzaglia improponibile di colori e stili uno diverso dall'altro! Il trio che l'aveva scortata fin lì le appariva, ora, composto dagli elementi più sobri e meno vistosi di quel gruppo bizzarro. C'era chi aveva i capelli di colori assolutamente innaturali per qualunque mammifero e con quelle chiome che sembravano sfidare le leggi di gravità e dai rossi, verdi, blu brillanti sembravano più delle cocorite impagliate. E i vestiti: sembravano scappati dalla fossa dei leoni tanto erano laceri. C'era una ragazza pallidissima che aveva la lunga chioma nera raccolta in due code ordinate di boccoli neri e un vestito a campana che le strizzava la vita in un bustino stringato, le maniche lunghe e ingombranti. Un uomo, drappeggiato di un telo arancione, il cranio completamente rasato a zero, eccezion fatta per un codino di capelli scuri sulla nuca, andò a porgerle la mano, per aiutarla a scendere.
Nessuno le parlò. Forse lì usavano un'altra lingua e i tre mandati a prenderla erano gli unici che conoscevano l'italiano abbastanza bene da poter stabilire un contatto con lei.
Rimuginando sulla varietà di fogge dei suoi nuovi compagni, sulla natura incantevole del luogo, un paradiso terrestre come non ne aveva mai visto neanche quando era stata in India, si lasciò guidare e aiutare mentre il piccolo corteo si addentrava nell'alta vegetazione della sua nuova casa.



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Salve a tutti.
Volevo avvisarvi che d'ora in poi riprenderò il vecchio calendario di pubblicazione, cioè una volta al mese: ricomincio i corsi (e saranno belli tosti, essendo gli ultimi)!
Quindi :) ci vediamo tra un mesetto.
E grazie per continuare a seguirmi!

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Capitolo 19
*** In a cave ***


19. In a Cave
A veil





Camminarono, in fila indiana, per circa un quarto d'ora in mezzo a quell'intrico di liane e fronde e sotto quello strano cielo congelato in un perenne tramonto. Poi, all'ennesimo passaggio sotto le larghe foglie verdi e lucide, Azzurra vide davanti a sé una costruzione bassa. Era improprio chiamarla costruzione, visto che era più un gigantesco gazebo che aveva visto altre volte nelle fiere e nelle sagre: qualche palo, un paio di traverse e dei teli buttati sopra a mo' di tetto sotto cui si estendevano file e file di tavoli e sedie. Al momento il posto era praticamente deserto, eccezion fatta per un capannello di persone sedute vicino a un lungo bancone metallico.
Si avvide che la loro scorta prendeva una direzione sconosciuta, portando con sé bagagli e cavalcature, mentre i tre che l'avevano accompagnata nella sua fuga l'aspettavano pazienti davanti alla struttura.
“Ho una fame che non ci vedo più...” borbottò Kemal portandosi le mani al ventre. Effettivamente, da quella mattina, a colazione, non avevano più toccato cibo. E, almeno lei, non aveva la minima idea di che ora si fosse fatta. Arek, che era stato lasciato libero da Alain non appena erano arrivati a destinazione e che aveva girovagato incuriosito per tutto il tempo, arrivò all'improvviso alle loro spalle, appoggiandosi all'incavo delle ginocchia della sua padroncina, abbaiando contento e scodinzolante: anche lui doveva mangiare.
Il gruppetto si avviò rapido al bancone, che ad Azzurra sembrava assomigliare a quei sushi-wok che punteggiavano da anni ogni angolo delle città, dove ognuno si sarebbe servito a buffet di quello che avrebbe preferito.
“Me ne stra-sbatto di quello che dovrei mangiare... ho una fame da lupi...” l'incoraggiò Fred fiondandosi a prendere un piatto e cominciando a studiare le varie portate. Quand'ebbero finito di riempirsi i piatti di carni brodose e paste nutrienti, si diressero sicuri verso il gruppetto che sembrava attendere il loro arrivo.
Per uscire da quella specie di mensa dovevano passare sotto una particolare porta, su cui erano installati due altoparlanti e una telecamera. Quando Frederick si avvicinò ad essa, quella gracchiò suoni statici per qualche istante prima di emettere la sua comunicazione - Frederick Richter.... - Cominciò quello che Fred già sbuffava e scivolava al di là della porta roteando gli occhi - Oltrepassato quantitativo di proteine animali settimanale. Integrare con...-
“Ma sparati!” ringhiò il tedesco “Con la cura di carote che ho fatto prima di partire...”
-Ripeto, Frederick Richter...-
“Sì sì, ho capito, Ed! Il prossimo turno mangerò verdurine come le caprette. Ora fammi riprendere le energie!” sibilò quello andando a sedersi “Non si può impostare perché capisca che quando uno va in missione ha bisogno di più energia?” sbottò quando si fu seduto.
Azzurra fu la terza a passare sotto quella strana porta. - Soggetto non identificato. Nessun parametro di confronto. Aggiornare database - furono le parole che l'accompagnarono ma a cui non si aggiunse altro.
Seguendo Frederick e Alain si sentì osservata come una cavia da laboratorio dalle persone che li attendevano al tavolo. Non da tutti ma solo da due di essi, mentre il terzo la guardava semplicemente incuriosito. Aveva lo stesso sguardo che sentiva di avere lei nell'osservare tutta la gente che le scorreva sotto il naso in quel nuovo posto. Quell'uomo aveva qualcosa di diverso e subito si accorse che gli abiti che indossava erano più simili ai suoi che a quelli di tutti gli altri ribelli. Per quanto ognuno vestisse come volesse loro due erano ugualmente anonimi.
“Dunque, è lei?” sentì dire a uno dei tre con un perfetto accento inglese.
Alain asserì col capo mentre si sedeva. Cominciando a sbocconcellare il pane, gli rispose nella stessa lingua, ogni traccia di francesismo sparita dalla sua voce.“Sì...” Spostò lo sguardo da Azzurra al nuovo arrivato, quindi continuò, con un cenno del mento “Lui chi è?”
“Uno nuovo...” rispose Hector con un sospiro “Sono successe un po' di cose in questi giorni” I tre che erano usciti in escursione si guardarono tra loro, perplessi e allarmati “Ma andiamo con ordine... lui è Birger. Norvegia.”
“Non avevamo mandato nessuno in Norvegia” protestò Frederick “Come avete fatto ad andare a recuperarlo prima che noi rientrassimo? E dove sono Akira e gli altri?”
Hector lo ignorò “Birger, lei è Azzurra... giusto?” domandò guardando la ragazza. Un attimo di perplessità, poi aggiunse “Mi capisci, vero?”
Lei accennò di sì con la testa. Perché diavolo, improvvisamente, parlavano tutti in inglese?
“Molto bene... Allora abbiamo fatto bene ad aspettare, così spiegherò le cose una sola volta. Ma prima...” continuò il capo sbuffando sonoramente mentre gli altri mangiavano in silenzio “Devo ragguagliarvi...” disse ai tre ribelli incrociando le mani tra loro e poggiandole sul pianale, con fare meditabondo “Abbiamo un paio di problemi... Per rispondere alla domanda di Fred, no, non avevamo mandato nessuno e... appena avrete finito vi porterò da Akira e dal suo pacco...”
“Ce l'hanno fatta, allora!” protestò il tedesco con la bocca piena. Hector tacque e la cosa allarmò ulteriormente il trio.
Fu Han a parlare in sua vece “Akira e Mogwai sono rientrati. Jess e Xing sono morte.” disse piano, fissandoli uno alla volta. Lasciò loro il tempo di assimilare l'informazione, quindi continuò “Voi non potete saperlo, ma noi eravamo stati avvertiti, stamattina, che vi avevano individuato...”
“Dev'esser stato quando abbiamo abbattuto lo smart bird...” mugugnò Kemal spezzando il pane e inzuppandolo nel sugo della carne.
“Akira, al momento, è ancora incosciente e Mogwai è troppo agitato. E' riuscito a tenersi calmo per portarli in salvo ma...”
“Portarli?” chiese confuso Alain
“Sì... abbiamo solo un'idea approssimativa di come possano essere andate le cose, vi farò vedere i notiziari. Quel che è certo è che Akira è rientrato con uno di loro.”
Il silenzio calò improvviso e gelido sulla tavolata. Era così pesante che sembrava che anche la natura circostante, distante appena un paio di metri, si fosse zittita.
“No, scusa... forse sarò stupido, come dice Alain ma... cosa intendi con uno dei loro?” domandò Fred dopo aver ingollato il suo boccone
Han lo guardò in tralice, pregandolo di evitare domande idiote
“Quindi abbiamo un campione...” fu la constatazione più pacata dell'arabo, per niente impressionato
“Ne abbiamo tre...” disse Hector, ritrovando la parola “In tutto”
“Tre?” i nuovi arrivati, sbiancarono di colpo, Azzurra compresa, che non era così sciocca da non capire quanto quell'evento potesse essere particolare.
“Gli altri due...” si intromise Birger “Sono... uno la mia Augur... uno l'Augur numero 24.” disse appuntando lo sguardo sulla ragazza che alzò di scatto lo sguardo verso di lui “Il tuo Akero!” precisò vedendola confusa.
“24...?” biascicò lei in italiano.
“Ti porteremo da lui quanto prima...” rispose Hector nella stessa lingua per poi riprendere con l'inglese, fissando Birger “La sua Akero...” disse pensando a Loki “... è l'unica cosciente, pronta a collaborare e a offrire informazioni. Prima mi aspetto che voi vi diate una ripulita. Fatema e Michele son già che vi aspettano. Dopo raggiungeteci al secondo piano.”
Azzurra ora stringeva i pugni sul tavolo, incapace di mandar giù un altro boccone o di pensare anche alle cose più semplici.
“Kemal?” chiamò Hector “Portala da te... al momento non mi viene in mente nessuno a cui affidarla. Fossimo in altri frangenti le assegnerei una branda e buonanotte... ma la congiuntura di così tanti fatti particolari...”
“Ehi, un momento!” strepitò Fred “Perché la consegni proprio a lui?”
“Perché è quello che può comprenderla meglio, visto il grado di affinità.” spiegò Alain in un soffio esasperato, fissando Hector con l'aria di chi stia supplicando aiuto “E poi a casa di Kemal potrà parlare nella sua lingua e adattarsi più rapidamente alla nuova situazione.”
“Che c'è?” rispose l'altro francese, quasi Alain l'avesse interpellato direttamente “Ne hai avuto abbastanza di giocare a fare il capo?” rise di gusto, attirandosi le ire del rasta che si alzò di scatto, facendo ondeggiare il tavolo. Il brusco movimento svegliò il piccolo Arek che, satollo, dormiva ai piedi della padrona e, ora, si guardava intorno, spaesato.
“Visto che per ora è tutto, vado a riposarmi...” disse Alain con voce piatta, evidentemente offeso “Guai a chi mi segue!” aggiunse a indirizzo dei suoi compagni di viaggio.
I commensali concordarono con lui e si alzarono uno alla volta, portando i vassoi negli appositi carrelli e separando le varie stoviglie in vasche diverse, ciascuna colma d'acqua calda. Quand'ebbero finito, Han sbuffò, mani ai fianchi “Direi che oggi posso starci io, di corvè...”
“Tranquillo... ti aiutiamo anche noi... vero Birger?” lo rassicurò Hector tutto sorridente. “Ci vediamo tra circa tre ore. Così avrete il tempo di arrivare a casa, lavarvi e dormire almeno un'oretta. Poi farete una tirata fino alla prossima fase. Azzurra? Al tuo cane ci penso io.”
Salutato il gruppetto, Kemal fece strada ad Azzurra attraverso un'intricata foresta di mangrovie. Dietro di lei, Frederick camminava in silenzio. Arrivarono vicino alla parete rocciosa che si inerpicava dolcemente nel cielo rossastro: più che la parete di una grotta, quale doveva essere il luogo in cui si stavano infilando, sembrava il fianco di una montagna. La vegetazione, in alto, impediva di capire dove finisse il confine di quello strano cielo-soffitto e dove cominciasse il fianco-parete.
Tutto era assurdamente contorto. Ma, si disse, prima o poi avrebbe capito... forse.
La bocca della grotta era protetta da una tenda di perline di legno che, scostate dall'arabo, tintinnarono dolcemente. All'interno, era buio pesto ma, come i tre si furono infilati all'interno, una tenue luce violacea si animò dal soffitto e prese a splendere sempre più intensamente. Una luce che sembrava viva e ad Azzurra ricordò il bagliore ipnotico di Razor.
“Perché ci stai seguendo?” chiese Kemal quando anche Fred fu entrato mentre la ragazza continuava a fissare il soffitto con il naso per aria.
Il tedesco fece spallucce “Devo parlare con tua sorella...” fu la risposta laconica. Kemal lo guardò dubbioso ma lasciò correre e li guidò lungo i corridoi che sembravano essere stati scavati da un corso d'acqua nel corso del tempo.
Ogni tanto, comparivano delle lettighe e delle tende di lino bianco. Il terreno era così lucido e levigato da sembrare una sofisticata pavimentazione che seguisse l'andamento naturale del terreno. “Questo è una sorta di pronto soccorso. Ma è difficile che sia stipato di gente” Disse Fred, notando l'aria spaesata della ragazza, abituata a ospedali caotici e gremiti di feriti.
Giunsero, infine, in uno slargo che ricordava una sala d'aspetto, il fianco modellato fino ad ottenere un paio di panche rudimentali. Risate di bambini riecheggiavano lontane e una voce di donna cantava leggera e divertita. “Fatema!” chiamò l'arabo. Ogni risata si spense e uno scalpiccio disordinato ma tranquillo proruppe nei corridoi. Un fischiettare ritmico cominciò ad accompagnare, lentamente, i passi che rimbombavano tutt'intorno.
“Kemal!” proruppe la voce femminile raggiungendoli. Una figura completamente bardata di bianco, attraverso cui non si vedevano nemmeno gli occhi, arrivò con un bambino appoggiato sul fianco che posò subito a terra. Quindi si lanciò sul ragazzo, cingendogli le braccia al collo. Sciorinò qualcosa in una lingua che Azzurra non capì, ma che aveva tutto il suono di un ringraziamento sollevato.
Kemal soffocò una smorfia di dolore. Non era stato ancora medicato “Shhh Fatema... sono qui.. sto bene...” la rassicurò lui in lingua italiana.
Ancheggiando, un uomo alto e allampanato, barba incolta e occhialini sottili appoggiati sul naso aquilino, si fece avanti con un sorriso sornione. Sulle sue spalle, un altro frugoletto dai grandi occhi da cerbiatto stringeva i pugnetti sui suoi capelli corti. “U sarracinu! Bellu guagliuone!” canticchiò il nuovo arrivato, mentre il marmocchio esplodeva in un grido entusiasta, tendendo le manine paffutelle nell'aria davanti a sé
Gridacchiò “O!!!” storpiatura di zio, tendendo i pugnetti quasi potesse, con quel gesto, avvicinarsi di più a Kemal.
L'uomo mise a terra il pargolo che gattonò veloce verso i nuovi arrivati mentre il fratellino si guardava attorno spaesato. Kemal si liberò della stretta della donna e si inginocchiò pronto a ricevere l'infante, un sorriso luminoso che gli tagliava il volto e gli ingrossava gli zigomi prominenti.
Libero del peso del figlio, l'uomo alzò lo sguardo su Azzurra, incuriosito “Allora sei tu la novità!” disse tendendole la mano. “Piacere... Michele” Azzurra rispose cordiale, stringendo a sua volta la mano, ma l'uomo la tirò a sé per i tre baci di rito in uso solo dalle sue parti. “Sono italiano anch'io” disse strizzandole l'occhio e liberandola dalla stretta.
Ripresasi dal saluto a Kemal, la figura ammantata di bianco si voltò verso Azzurra e le andò incontro, stritolandola in un abbraccio tra il commosso e l'impaurito “Grazie!” disse in un italiano melodioso “Grazie per averlo riportato indietro sano e salvo.”
“Ma... ma io...” balbettò lei interdetta da quel comportamento. Lei non aveva fatto nulla. Anzi, li aveva esposti tutti al pericolo.
“Ma prego!” sbottò caustico, non interpellato, Frederick incrociando le braccia al petto “Non c'è di che, Fatema... ho salvato il culo al tuo adorato fratellino a rischio della mia vita... ma non fare complimenti!”
La figura ammantata si mosse, sembrava forte e strafottente. E ignorò completamente Fred “Han ed Hector?” disse rivolta al fratello che scosse la testa “Nemmeno Alain?”Ancora una volta, Kemal negò. “Allora...” disse in un'alzata di spalle. Con un movimento fluido, rimosse il velo che le copriva il volto e in breve fu completamente libera da tutta la bardatura bianca. “Sarai stanchissima...” disse rivolgendosi alla nuova venuta “Un bel bagno. E un tè caldo. E' tutto quel che ci vuole... Amore...” disse a indirizzo di Michele “Puoi occuparti tu di Kemal?”
Azzurra era rimasta spiazzata e seguiva stordita lo scambio di battute tra i ribelli di cui aveva appena fatto conoscenza: il drappo bianco celava la figura di una donna minuta e proporzionata, dai lineamenti delicati e armonici. I lunghi capelli neri come l'ebano erano intrecciati in un'elaborata acconciatura che scendeva sulla pelle bronzea e tonica fino a sfiorarle la vita. Gli abiti, seppur di foggia abbastanza semplice e succinta, erano importanti, colorati e ricchi di ricami. Era la donna più bella che Azzurra avesse mai visto pur senza un velo di trucco.
“Non mi ignorare così, dannazione!” ringhiò il tedesco prima che la donna si voltasse per allontanarsi con Azzurra sottobraccio. Kemal gli poggiò un braccio sul petto, quasi lo volesse trattenere
“Amore... puoi mettere i bambini a letto? Ho sentito qualcosa...” disse sarcastica lei, rivolgendosi al marito
“Fatema...” sospirò l'uomo con fare stanco “Potresti anche smetterla...”
“Smetterla?” domandò spalancando i grandi occhi neri “E di fare cosa?”
“Quando fai così davvero non ti sopporto...” disse lui posandole un bacio a fior di labbra prima di prendere con sé i bambini.
“Fatema, ascolta...” disse Kemal facendo scudo a Fred “Le cose sono cambiate... smettila con questo atteggiamento e rivestiti...”
“Che diavolo gli è successo, in superficie?” domandò la donna ad Azzurra che, per tutta risposta, alzò le spalle, ignara.
“Frederick mi ha salvato la vita... e, a modo nostro, ci siamo chiariti su quanto è successo. Ora smetti di insultarlo col tuo atteggiamento...” fu la risposta che le diede Kemal.
Fatema squadrò il fratello quasi con disprezzo. Spostò la treccia dalla spalla con fare seccato. “Stare con quel cane infedele ti sta rovinando...” constatò
“Smettila di insultarmi!” ringhiò Fred facendosi avanti “E smettila di parlare di me come se non ci fossi!”
“Hai sentito qualcosa?” domandò ancora la donna, innocente, ad Azzurra “Io no... andiamo... il bagno ci aspetta!” La riprese sottobraccio e la trascinò con sé.



Kemal si trascinò stancamente verso una saletta usata normalmente per le visite di routine, dove Michele lo aspettava con tutto il necessario all'operazione. Fred lo seguì, sentendosi bruciare lo sguardo dell'italiano addosso “Se dovesse servire aiuto...” si giustificò, abbassando lo sguardo.
“Allora...” disse l'uomo armeggiando con del cotone e boccette di vetro che contenevano disinfettanti di vario tipo “Che è successo?”
Kemal raccontò di come fossero stati scoperti e di come fosse andato in avanscoperta a far saltare il ponte. Anche per riabilitare il nome del fratello. Raccontò di come Fred fosse intervenuto per trarlo in salvo e di come lo stesso avesse ammesso la sua parte di colpa. Ora erano pari. Non c'era più bisogno che Fatema gli fosse così ostile.
“Tua sorella è più cocciuta di un mulo” disse estraendo l'ultimo bossolo dalle carni del ragazzo. “Non sarà facile farle cambiare idea. Soprattutto... non sarà facile farle accettare una diversa realtà delle cose. Lei si aggrappava al suo odio per te...” disse rivolto a Fred “Solo per sopravvivere al dolore...”
“Lo so...” ammise Fred “Non è stato facile nemmeno per me. Ma mi ci sono trovato costretto: la mia evoluzione è stata forzata e accelerata da quello che è successo oggi. Capisco che per lei ci vorrà un po' più tempo. Ma gradirei che almeno la piantasse di togliersi il velo davanti a me, giusto per farmi dispetto. Cioè... sarebbe già tanto se se lo tenesse anche davanti a me. Non avrei mai pensato che la cosa potesse infastidirmi così tanto...”
“Il giorno che Fatema uscirà di casa senza velo faremo festa grande, te lo prometto. Ma dalle tempo... Il velo è l'unico ricordo che ha di casa, l'unico segno che la leghi al fratello. E' al contempo segno di lutto e memoria...”
Fred guardò l'uomo con aria colpevole “Lo stesso discorso che mi hanno fatto loro...” disse indicando Kemal e alludendo ad Alain “E sia... aspetterò. Ma non sarò mai gentile con lei, fino ad allora!” disse sfidandolo
“Nessuno se l'aspetta, da te!” bofonchiò l'arabo mentre il cognato gli disinfettava e fasciava le ferite
“Sta zitto!” rispose brusco il tedesco “Mi fate saltare i nervi, tutti quanti. Basta! Mi avete scocciato... me ne vado a casa mia!”
“Sei tu che ti sei auto-invitato da me...” replicò Kemal sarcastico, beccandosi uno spintone imbarazzato in risposta. Subito Fred si dileguò, lasciando i due da soli coi medicamenti.
“Frederick!” Strepito l'uomo a cui il tedesco aveva incasinato il lavoro “Siete incorreggibili...” sbuffò una volta che furono soli, finendo di sistemare i bendaggi.
“Meno male che non ce l'ho come cognato...” replicò l'altro tirandosi lentamente a sedere. “Non più...”
“Ah, non rognare tanto... datti una lavata e ficcati a letto...” lo spintonò l'altro, cacciandolo dalla sala.



Quel posto, a quanto le aveva detto Fatema, era davvero il pronto soccorso dei ribelli. Essendo tutti in grado di curare le ferite più superficiali ed essendo tutti molto coscienziosi e attenti alle proprie azioni
, però, era raro che il pronto soccorso fosse preso d'assalto. Là non si registravano casi particolari di gesti avventati: le persone erano consapevoli di come il buon operato come le bravate avessero forti ripercussioni su tutta la società. Fatema era uno dei dottori del gruppo ed era in grado di operare nonostante non fosse propriamente un chirurgo. Così, quel posto sempre deserto, era diventato la sua casa. Sua e della sua famiglia. Alain viveva in una grotta là vicino, collegata al pronto soccorso e adibita a vero e proprio ospedale. E chiunque si fosse trovato in una situazione di necessità sapeva di potersi rivolgere tranquillamente a loro in qualunque momento.
La doccia dello spogliatoio del corpo medico non era esattamente la cosa più elegante e rilassante del mondo: era certamente più calda e accogliente di quelle che si trovavano, comunemente, nelle piscine comunali, in superficie, fredde e asettiche, puramente funzionali. La doccia vera e propria occupava solo una minima parte del grande ambiente e ciò la rendeva più simile a un bagno turco o a una sauna.
La liscia roccia rossastra era striata del bianco calcareo dell'acqua che l'aveva modellata prima di venir deviata da un doccione a un metro dalla parete e dal foro d'uscita, ora protetto da una grata di ovvia fattura umana. L'acqua cadeva a velocità costante, aveva una calda temperatura gradevole e tirava la pelle della ragazza, abituata ad acqua molto più dolce. Al confronto, la doccia di casa sembrava lasciarle la pelle perennemente insaponata. E poi c'era quello strano odore sulfureo che rendeva il bagno un'esperienza particolare. Non c'era niente di meglio di un bagno caldo per sentirsi a casa. O per iniziare una nuova vita. Azzurra si lavò velocemente, non era solita sprecare acqua e pochi minuti le bastavano per riappacificarsi col mondo intero.
Il vano doccia non solo era privo di porta, come le docce delle piscine, ma mancavano anche le due pareti laterali: era completamente esposta alla vista di chiunque fosse passato di lì. Allungò la mano all'esterno e agguantò il telo profumato che Fatema le aveva lasciato appoggiato su di una sporgenza. Camminò scalza sul pavimento marmoreo fino alla stanzina vicina adibita a spogliatoio, dove la donna l'attendeva pazientemente, apparentemente incurante del tempo che scorreva. Quando la scorse sotto l'arco di pietra si voltò e le sorrise maternamente. Azzurra valutò che non doveva essere poi molto più vecchia di lei. “Ho bagnato dappertutto... non avevo un paio di ciabatte... mi dispiace” mormorò imbarazzata.
Fatema si alzò in piedi e le fece cenno di avvicinarsi mentre lei dispiegava dei capi che teneva tra le braccia, ignorando completamente la questione appena sollevata dall'altra ragazza. “Dalle informazioni che avevamo su di te, credo che questi dovrebbero andarti bene. Perdona la mia sfacciataggine: ho scelto a gusto mio. Se non ti piacciono non preoccuparti: ti porterò quanto prima a cercare qualcosa che ti si addica di più, così potrai rifarti completamente il look” disse strizzandole l'occhio “Ho scelto capi un po' più pratici. Per i primi tempi, finché non ti sarai abituata a girare da queste parti.” Così dicendo le mostrò una strana gonna di una tela blu che in alcuni punti virava al bianco, lunga più o meno fino al ginocchio, dotata di cerniere verticali sia sulla parte davanti che su quella posteriore. Aveva anche delle grosse tasche laterali. “Non sapevo quali fossero le tue preferenze. Se apri le cerniere e le richiudi così...” disse aprendo entrambe le lampo e richiudendole, incrociandole tra loro “Ecco che hai un paio di pantaloncini...”
Azzurra rimase a bocca aperta. Era una soluzione decisamente ingegnosa, anche se più che un pantaloncino sembrava una culotte con delle appendici. Per pudore, avrebbe optato per la prima versione.
“Poi ti ho preso una camicia in jersey, meno costrittivo della tela comune... l'apertura sul davanti la puoi legare in vita, scoprendo la pancia, in caso avessi caldo, o puoi allungare le maniche...” disse sbottonando lo spallino e liberando un tirante “...basta fare così...” Fece un sorriso imbarazzato “Io sono abituata a climi caldi e secchi... questo posto umido per me è un inferno...” Azzurra sorrise e ringraziò quella donna che aveva cercato di prevenire ogni sua esigenza. “Oh!” disse ancora dandosi una pacca sulla fronte “Che sbadata! Prima devi dormire! Sarai stanchissima... Ecco...” disse porgendole una maxi maglia “Per ora questo sarà il tuo pigiama. Fila a dormire!”
Dato che Fatema non accennava ad allontanarsi, Azzurra si spogliò dell'asciugamano e si rivestì cercando di dissimulare il proprio imbarazzo. Spogliarsi, lavarsi, evacuare i propri bisogni davanti a 24 non era un problema. Non più. Pensava, quindi, di essere abituata a essere osservata. Invece, ecco che come rientrava in contatto con esseri umani, ogni pudore ancestrale tornava istintivo. Fu allora che un pensiero la colpì.
“Come mai porti il velo? O meglio... perché l'hai tolto?” domandò esitante “Voglio dire... qui non sei obbligata...”
Fatema sorrise. Evidentemente non era la prima volta che le veniva posta la domanda. “Beh, in climi caldi e polverosi come i nostri, è l'unico modo per proteggere il corpo e i capelli, mentre si lavora. Michele mi diceva che anche la sua bis-nonna portava il fazzoletto e non lo toglieva mai. Pare avesse capelli più lunghi dei miei.” Spiegò sciogliendo i capelli con gesti rapidi e sicuri “E poi una forma di rispetto verso il prossimo e non è affatto un obbligo. Si è creata una strana mitologia al riguardo...”
“Non sei costretta a coprirti?”
Fatema le fece cenno di seguirla e continuò “Non nego che ci siano situazioni in cui il padre-padrone, ignorante o integralista, messo a confronto con mondi diversi e invadenti, travisi una tradizione e imponga una certa norma suntuaria. Ma la cosa era suscettibile a variazioni, come l'osservanza cattolica della Quaresima o della quarantena delle donne ebree dopo il parto. Quarantena che, a ben vedere, era comune in tutte le società. Ed era un periodo in cui la puerpera era servita e riverita da tutte le amiche e parenti. Ancora una volta, qualcuno, presumibilmente uomini invidiosi e meschini, hanno distorto il significato di quell'usanza, come in molte altre occasioni. Ma tornando al velo, è così anche per voi. Magari sotto altre forme. E' una mia decisione scegliere a chi mostrarmi e a chi no. E' come aprire il tuo cuore alle altre persone.” Meccanicamente, prese a intrecciare nuovamente la lunga chioma “Il linguaggio del corpo dice moltissimo di te. I vestiti ancor di più. Per non parlare del volto...” Azzurra annuì: fino a quel momento il ragionamento non faceva una piega “Alle altre donne mi mostro senza problemi, non ho nulla da temere: sono le mie sorelle, quelle a cui appoggiarmi in caso di bisogno. Ma gli uomini, sai com'è... meglio non istigarli... per quanto io non abbia problemi con loro e per quanto qui ci sia parità in tutto e per tutto... comunque, a differenza tua, io vengo da una società in cui ci è stato inculcato che è la donna a dover prevenire certe spiacevoli situazioni” disse roteando gli occhi “Inoltre, a me piace vestirmi così.” aggiunse indicando i propri abiti scintillanti “Ma se lo facessi alla luce del sole mi sentirei addosso lo sguardo di tutti. E non mi piace essere fissata. Invece, col velo, mi nascondo agli altri ma nascondo anche gli altri a me stessa...”
“Ma il volto... non potresti optare per il chador?” replicò Azzurra
“Potrei ma non voglio. Così potevo uscire di casa anche senza trucco e coi capelli sporchi e nessuno lo avrebbe mai saputo... non credi sia una gran libertà? Le donne occidentali passavano una buona mezzora ogni giorno a impiastricciarsi il viso con mille prodotti che non facevano che bloccare la traspirazione della pelle... Insomma, non è la stessa cosa?”
“Sì, però le più grandi critiche ti arrivano dalle donne, da coloro a cui ti mostri senza problemi.”
Fatema ebbe un moto di stizza mentre entravano in una stanzetta buia “E' solo invidia: sono le mie sorelle, ma non siamo mica esenti da difetti. Invidiano il coraggio di mostrarsi anche senza trucco, con le borse sotto gli occhi. Potrei ribattere che, ad esempio, io ho sempre trovato orrenda la costrizione di indossare sempre le scarpe, magari con tacco vertiginoso, anche per rispetto agli altri, perché una data situazione lo imponeva. Per non parlare dei reggiseni per essere più attraenti.” Fatema fece una smorfia “E gli uomini non se ne accorgono nemmeno. Sacrifichi il tuo corpo in qualcosa per... cosa? Un conto è proteggere la pianta del piede ma...”
“...Non capisco...” la interruppe Azzurra, confusa dalle troppe informazioni. Si guardò attorno e capì di essere arrivata a destinazione: la stanza ospitava un paio di giacigli “Frederick... perché ti sei mostrata a lui e a Kemal...?”
“Kemal, è mio fratello... che senso avrebbe nascondermi a lui? Quanto a Frederick...” disse sfoggiando un sorriso smagliante “Hai visto come si è offeso?” Azzurra annuì, perplessa “Non c'è insulto più grande che una donna possa fare a un uomo - che conosca il linguaggio del velo - come quello di toglierselo in sua presenza” disse con aria complice e soddisfatta “Gli ho ricordato che per me lui non è nessuno. Non è nemmeno un uomo, è alla stregua di un animale o forse peggio. Io non lo temo e mi importa così poco di lui da mostrarmi a viso aperto” Così dicendo le indicò il letto “Se ti interessa, continueremo più tardi... ora dormi...” disse arrampicandosi sull'altro giaciglio e coprendosi con un leggero plaid “Ci penso io a svegliarti tra un paio d'ore”

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Capitolo 20
*** D.N.A. ***


20. D.N.A.

Destroying Native Acknowledgement






Il sonno di Azzurra fu tutt'altro che ristoratore. Quando Fatema la scosse per svegliarla, quella saltò su angosciata e madida di sudore. Le due donne restarono in silenzio fin quando Azzurra non si fu calmata “Scusa... devo avere avuto gli incubi...” disse spingendo le gambe fuori dal giaciglio. A contatto col pavimento freddo si ricordò di non avere più con sé né il proprio bagaglio né i propri vestiti. Fatema le porse subito un paio di calzini puliti e un paio di stivaletti bassi dall'alta suola di gomma. Mentre si vestiva rapidamente degli abiti che la sorella di Kemal le aveva fornito in precedenza, Fatema rifece il letto e accartocciò le lenzuola in un unico fagotto.
“Dobbiamo andare.” Disse quand'ebbe finito, facendole strada lungo i corridoi. “Questo è un giorno davvero memorabile per la comunità... Qua sotto non è che accada poi molto di interessante. E' come essere in una comunità rurale di duecento anni fa...”
“Qua sotto?” biascicò Azzurra ancora intontita mentre Fatema si metteva nuovamente il lungo pastrano, lasciando scoperta la testa.
La donna annuì “Siamo sottoterra, mia cara...”
Salirono delle scale scolpite nella roccia rossa, lentamente, una rampa alla volta, fino ad arrivare al secondo pianerottolo. Da un qualche punto imprecisato nella struttura si diffondevano le basse vibrazioni di diverse voci maschili. Stavano...ridendo?
Giunti in prossimità di una curva, probabilmente l'ultima che le separava dalla meta finale, Fatema si coprì. Quindi la introdusse nell'ambiente successivo. Tra i presenti calò subito un pesante silenzio imbarazzato. “Siamo puntuali, che avete da guardare tanto?” ringhiò la donna, per niente docile: quelli si limitarono a scrollare la testa imbarazzati
“Kemal arriverà tra poco...” disse suo marito comparendo alle loro spalle “L'ho dovuto sedare perché le ferite gli bruciavano.”
“Per il resto ci siamo tutti, no?” domandò Hector osservando il gruppetto riunito. Erano tutti assiepati davanti a una stanza che aveva le tende tirate. “Oh, accidenti...manca Han....” sbuffò impaziente, passandosi una mano tra i capelli. Dopo un attimo di esitazione, afferrò il suo walkie-talkie e si mise a cercare l'altro con fare scocciato.
“Sono qui...un attimo!” replicò la voce dell'hacker dall'altoparlante. Tempo un paio di minuti e anche lui comparve nell'ampio corridoio
“Hai fatto?” domandò l'altro indispettito
“Certo...” sputò quello, velenoso. “Tu cammina avanti!” ringhiò spintonando la figura fasciata di bianco di un Akero. Azzurra spalancò la bocca per la sorpresa. Aveva lineamenti umani. La testa era rasata così bene che sembrava che l'essere fosse calvo di natura e non, come sospettava lei, vittima di sevizie simili a quelle che aveva visto più volte nei documentari storici. A parte i ragazzi che l'avevano salvata, cominciava a ricredersi sulla natura dei ribelli: che fossero davvero degli spietati tagliagole come venivano descritti dagli Akero?
Continuò a studiare l'alieno, trovando sempre più conferme della sua natura umanoide. Chissà perché, aveva sempre sperato che fossero esseri robotici, come suggeriva l'immagine che aveva di loro, fasciata in una tuta rigida e sintetica, percorsa da quello che aveva sempre creduto filamenti di fibre ottiche: a ben vedere erano solo decori in un tessuto lucido.
Senza occhiali e senza cuffia, l'Akero le sembrava quasi fragile.
Solo in un secondo tempo si avvide delle manette che legavano i polsi all'altezza dell'inguine e la cosa le confermò una volta di più la natura violenta dei ribelli.
La pesante tenda, che tratteneva all'interno suoni, odori e calore, venne scostata per permettere l'ingresso al gruppo: al suo interno stavano un paio di letti, due corpi adagiati su di essi, diversi macchinari medici (tra cui riconosceva con sicurezza un elettrocardiogramma, un encefalogramma, una flebo e un sondino), uno strano computer con un cavalletto, posizionato subito lì accanto, e una cinepresa, montata anch'essa su treppiedi.
La piccola folla si intrufolò lentamente dentro la stanzetta, lasciando per ultimi i nuovi arrivati che si ritrovarono, così, nel punto focale e sotto l'attenzione di tutti. L'Akero fu condotto a sedere in mezzo ai due letti, le mani, incatenate ciascuna a un letto diverso, stringevano quelle dei corpi distesi.
“Bene... prima di partire con la conferenza...” cominciò Hector “Devo spiegarvi due cose. Azzurra: quello..” disse indicando un letto “.. è il tuo Akero, se vuoi vederlo...” Lei si gelò.
24.
Era lì. In un letto d'ospedale, apparentemente incosciente.
Perché? Ma, soprattutto... voleva vederlo? Gli aveva detto addio, l'aveva lasciato al suo destino, scappando con i ribelli. E ora se lo ritrovava ancora in mezzo ai piedi? Sentimenti contrastanti l'agitavano: da una parte, il rifiuto per gli invasori era ancora stringente eppure si stava pentendo della sua scelta; dall'altra, 24 era la persona che la conosceva di più, con cui aveva condiviso -ventiquattro ore su ventiquattro- la sua esistenza negli ultimi mesi. Si mosse piano, meccanicamente, verso il letto. Mandò giù, rumorosamente, il groppo che aveva in gola.
“E' vigile e dovrebbe poterti sentire...” la incoraggiò Hector.
Lei si limitò a stanziare accanto al letto, stringendo la barra di metallo che lo delimitava. Il suo sguardo vagò su quell'essere così anormale e così fuori contesto in una stanza d'ospedale. Finalmente lo vedeva in faccia. Finalmente, tra loro, c'era parità. Allora capì il ragionamento che le aveva fatto Fatema qualche ora prima.
24 non era né bello né brutto: due occhi, un naso, una bocca; era privo di sopracciglia come di capelli (e quel dettaglio fece vacillare la sua nuova convinzione sulla cattiveria dei ribelli: forse gli Akero erano tutti imberbi); le orecchie, se c'erano, erano coperte dalle calottine su cui, evidentemente, ruotavano gli occhiali che era abituata a guardare con astio. Pelato com'era, uguale alla creatura che gli stringeva la mano, dall'altra parte del letto, non si riusciva a capire che tipo fosse. Certo, aveva lineamenti regolari, anche se non marcati come quelli degli uomini che stanziavano attorno a lei.
“24...” chiamò, esitante. Per quel che ne sapeva lei, poteva essere chiunque. Anche l'altra creatura, aveva una tuta identica alla sua. Lo sguardo le ripiombò rapidamente sull'Akero che restava seduto, mansueto, lo sguardo fisso davanti a sé, orgoglioso. Ora notava delle piccole differenze: era una femmina. Aveva un seno appena accennato (così piccolo che Azzurra si sentì orgogliosa della sua seconda scarsa) vita sottile, fianchi inesistenti. Le braccia erano magre, il collo flessuoso, le labbra piene e gli occhi erano più grandi del normale. Le pupille, poi, avevano una strana colorazione innaturalmente aranciata e una pupilla verticale... no...non era verticale. Poteva sembrare a un primo sguardo furtivo. La sua iride era spaccata in quattro spicchi identici, quasi fosse la commistione tra un occhio felino e uno caprino: sembravano il becco di qualche mollusco, pronto ad affondare le propaggini nella carne.
Azzurra distolse lo sguardo, turbata e a disagio.
Sotto di sé, 24 si mosse appena e aprì lentamente gli occhi: i suoi erano viola ma in tutto e per tutto, identici a quelli dell'altra creatura. “Azzurra?” domandò confuso con voce roca, impastata dal sonno. Lei annuì, incerta. Era strano vederlo così debole, così difettoso... così umano.
Si guardò attorno. Le fecero un cenno e lei capì cosa le stavano chiedendo i suoi simili. “Ce la fai a metterti a sedere?” domandò con voce neutra.
Lui annuì semplicemente. Fece leva sulle braccia e, lavorando con le reni, riuscì a mettersi dritto. “Che c'è?” domandò vedendo lo sguardo pietrificato della ragazza.
“Cosa ti è successo?” domandò lei a sua volta. Senza pensarci stava allungando la mano a toccargli il braccio, il torace... Ovunque la sua tuta era squarciata, bruciata, tagliata. E dalle aperture si intravedeva la pelle rossa di sangue rappreso, i bordi della tuta erano costellati di coaguli neri: in se stessa l'indumento non era più bianca, ma grigia, di quel grigio sporco che solo certi elettrodomestici sanno avere dopo anni di incuria, abbandono e maltrattamento. Alzò lo sguardo, feroce, sui suoi simili: erano delle bestie e si vergognava a condividere con loro anche solo l'aria che respirava. Aveva visto come avevano strapazzato la Akero e aveva collegato tutti i segni di brutale maltrattamento psico-fisico: non si sarebbe più meravigliata di nulla. Per quanto odiasse gli invasori, lei non avrebbe mai leso loro intenzionalmente e con quella crudeltà.
“Non è colpa loro...” mormorò la voce della Akero, quasi le avesse letto nella mente pur senza guardarla: anche il suo sguardo si era appuntato sulla tuta malmessa che stringeva tra le dita “E' successo dopo che tu te ne sei andata...” disse piano.
Ad Azzurra si contrasse lo stomaco: era colpa sua. Fino all'ultimo aveva pensato solo a se stessa, ai suoi genitori, ai suoi amici. Il pensiero di cosa sarebbe stato del suo angelo custode non l'aveva minimamente sfiorata: era solo un invasore. La rabbia l'aveva resa cieca e messa sul loro stesso piano. Anzi no, perché loro non avevano leso nessuno: lei, in fin dei conti, era davvero uguale ai ribelli, se non nelle azioni, sicuramente nei pensieri. La vergogna la travolse, costringendola a chinare la testa. “Dove siamo?” domandò 24 guardandosi attorno, come se nulla fosse successo
“Al sicuro...” gli rispose la Akero.
“Bene!” intervenne Hector “Dato che sei reattivo, mostreremo anche a te quello che è successo. Come dicevo ad Azzurra e a Birger...”
“Birger?” domandò l'Akero sconcertato, volgendosi verso Loki “Hai coinvolto anche lui?” quasi urlò alla compagna: un atteggiamento che Azzurra non gli conosceva e che la spiazzò.
“Ho salvato anche lui...” precisò l'altra con fare afflitto. 24 si passò una mano sugli occhi. Tutta quella faccenda sembrava aver dell'incredibile anche per lui.
“Dicevo...” riprese Hector “Voi sapete cose che noi non sappiamo. Prima vi aggiorniamo su cosa sappiamo tutti noi, poi ci aspettiamo che voi facciate lo stesso, che condividiate con noi le vostre informazioni, anche minime. Do ut des. Saremo in videoconferenza. Ovvero: anche le altre comunità di ribelli assisteranno. Ma per ora vi mostro cosa sappiamo noi.”
Detto ciò, il francese andò al computer e fece partire un filmato che si srotolò, tridimensionalmente, davanti a loro, sopra il cavalletto che gli stava accanto.
Ciò che videro fu il notiziario da cui i ribelli avevano appreso tutto.
Terminata la riproduzione, tutti puntarono la loro attenzione sui nuovi arrivati che, frastornati, si guardarono tra loro perplessi e confusi, senza nemmeno accorgersi che le riprese erano iniziate.
“Io non sapevo nemmeno che in Italia ci fossero banche di germoplasma... ero convintissima che ne esistesse solo una, quella nelle isole Svalbard, per me un generico Polo Nord...” sbottò indispettita Azzurra
“Io neanche sapevo dell'esistenza di una resistenza né mi era passato per l'anticamera del cervello di togliermi il chip... Se non fosse stato per Loki io non mi sarei mai potuto allontanare di un metro da casa mia. A patto che ci tenessi alla mia testa, ovviamente!” aggiunse Birger, sarcastico, cercando di strattonarsi il collare metallico e andando a sovrapporsi ad Azzurra. I due erano imbufaliti.
“Voi due confermate la loro tesi difensiva?” domandò Han rivolto agli Akero
“Io ancora non ho capito come sia stato possibile: come hai fatto a dare l'allarme senza che io venissi a saperlo? Ci ho pensato molto, chiuso in prigione...” biascicò 24, guardando la sua assistita “E mi sono risposto che può essere successo solo quando sono corso appresso a Mat-mon...” disse indicandolo con la testa: il secondo letto era occupato dal terzo Akero “Quando lui ha disertato, io ti ho lasciata col pilota automatico. Devi aver fatto qualcosa che ha interferito con la trasmissione. Non sono riuscito a trovare nulla di strano...”
“Uno stratagemma di vecchia generazione ma semplice ed efficace: ha schermato le vostre conversazioni, censurando opportunamente quello che veniva registrato nei vostri archivi. Per quello i tuoi superiori non hanno trovato nulla e ti hanno ridotto così...” disse Loki intromettendosi
“Vuoi continuare tu?” le chiese Hector “Ti ricordo che dovrai risultare convincente... ci stanno guardando tutti. E per tutti intendo.. tutti tutti”
Loki annuì, lasciò la mano di 24 e, una volta liberata dalle manette che la incatenavano alle sbarre dei letti, di posizionò vicino al proiettore su cui Han stava installando una specie di cristallo. “Quando vuoi... questo è il controller...” disse dandole una specie di telecomando in mano.
Una luce sfavillante colpì il cristallo e subito un nugolo di quadratini, indicanti altrettanti dati in esso registrati, si disposero ordinatamente in costellazioni rotanti attorno allo stesso. Loki cercò di far progredire il dispositivo come le era stato insegnato ma desistette quasi subito “Sono abituata a usare gli occhi..” disse, scusandosi.
Han sbuffò impaziente, si infilò dei guanti e cominciò a manipolare la sfera centrale, estraendone piccoli frammenti che accatastava da una parte: la scioltezza con cui rivoltava quella proiezione dimostrava la disinvoltura e l'esperienza nell'uso di quel tipo di tecnologia. “Dimmi cosa devo fare...”
Loki lo guidò nell'estrazione dei file. Quando fu pronta, si rivolse alla telecamera.
“Nel tentativo di liberare il mio compagno, l'Akero numero 24, arrivato qui insieme a me, sono entrata in possesso di informazioni preziose, interessanti e penso sconvolgenti. Ho quindi infettato il computer centrale dell'astronave, nel tentativo di guadagnare tempo di fuga. Nel farlo, ho cercato di destare la coscienza di quanti più possibili miei simili. E' a questo che sono dovute le numerose segnalazioni che avete ricevuto nelle ultime ore: altri Akero stanno cercando di ribellarsi e mettere in sicurezza i loro assistiti. Questi dati possono esservi molto utili per combattere la guerra che si sta preparando all'insaputa di tutti...”
Hector la interruppe “Scusa... scommetto che se lo stanno domandando tutti: perché vuoi aiutarci? Cosa c'è sotto? Voi Akero non fate mai nulla per nulla. E, in ogni caso, chi ci assicura che quello che ci mostrerai non siano dati alterati di proposito e che tu non sia una spia mandata dall'alto?”
Loki tacque, ammutolita, e dalla sua espressione fu chiaro che non aveva pensato a quel tipo di domande: certo, si era aspettata ostilità e resistenza, ma non di dover fornire argomentazioni valide a così basso livello.
“Potete controllare i nostri chip” disse 24 dal suo letto, a fatica “Lì dovrebbero esserci tutti i nostri dati, le registrazioni delle nostre azioni...”
“24 ti prego!” ringhiò Azzurra visibilmente imbarazzata
“Non credo interessi a nessuno sapere quante volte al giorno fai la cacca, Azzurra, o che tipo di intimo prediligi” replicò lui freddo. Come sempre. Eppure lei non si aspettava di venir zittita in quel modo.
“In effetti, sarebbe imbarazzante...” commentò Birger che, fino a quel momento, era rimasto ammaliato dalla lingua sciolta della sua Akero “Però, Azzurra, solo noi possiamo dare il via libera all'utilizzo delle loro informazioni, no?” disse rivolto alla ragazza.
Lei sbuffò e acconsentì, viola dalla vergogna “Fate quello che volete!”
“Potete controllare tutte le nostre azioni, dunque, e scoprire se ho manipolato le nostre informazioni. I nostri chip non sono riscrivibili.” disse Loki, rispondendo ad Hector “Voglio... vogliamo aiutarvi perché fondamentalmente siamo simili.” si volse a guardare il prisma di cristallo e indicò ad Han un paio di file. Il primo si aprì e mostrò due doppie eliche a confronto, due corredi genetici che ruotavano su loro stessi. Sotto ciascuno c'era la mappatura completa, le corrispondenze e le divergenze tra i due.
“Quello è DNA umano!” protestò qualcuno dal mucchio
Loki annuì “E l'altro è il nostro DNA...” lo indicò col dito, trapassando la luce. Quindi indicò l'altro file a cui, per ogni voce, erano associate diverse immagini e un ingrandimento di una parte del corpo umano: praticamente, ogni punto del corpo aveva una corrispondenza con uno o più animali. “E queste sono le modifiche apportate al vostro...” Calò un silenzio di piombo e nessuno osava parlare, chi incerto sull'aver ben inteso le implicazioni di quelle parole, chi proprio estraneo alle stesse “Sto dicendo che noi Akero non siamo altro che un sottoprodotto umano. Siamo una vostra derivazione...”
“Cosa?” sbottò 24 paonazzo dal letto “Ma non dire scemenze, Loki! Non può essere!”
“Ti ho mai mentito?” ribatté lei, fredda, fissandolo dritto negli occhi.
“Allora i dati sono stati alterati di proposito perché noi ci bevessimo questa stronzata colossale!” ringhiò ancora lui
Loki chinò il capo, comprensiva e d'accordo con lui “Ragion per cui ho chiesto ai loro biologi una mappatura completa dei nostri tre diversi codici genetici.” Quindi tornò a guardare Hector “Siamo esseri umani potenziati, modificati geneticamente. La nostra ugola, ad esempio, è l'elaborazione del sonar dei pipistrelli. Migliorata al punto da diventare un'arma ultrasonica. Quando ci avete catturato, ci avrei impiegato un secondo a sbarazzarmi di voi.” precisò sarcastica
“Non credo proprio...” la rimbeccò Han estraendo un file: aveva visto caricarli e scriverli nel cristallo, sapeva, più o meno, dove andare a pescare “Siete sì una miglioria dell'essere umano, ma in realtà siete anche dei cyborg, in parte...”
“Ma se avete appena detto che hanno un DNA simile al nostro, come possono essere degli androidi?” domandò Azzurra, confusa
Han levò un sopracciglio, lasciando trasparire quanto la ritenesse stupida “L'androide, razza di capra, è un robot dalle fattezze umane, iper-realistico, mentre il cyborg è, appunto, un umano a cui sono state portate migliorie non solo dal punto di vista genetico ma anche da quello meccanico. Poi ci siamo noi...” disse sventagliando la mano guantata di sensori davanti al naso “...i cosiddetti fyborg, che evitano di istallarsi addosso le macchine ma le usano come controller remoti”
Vedendo che Azzurra non capiva, Loki intervenne “Probabilmente, per capire la differenza, devi pensare a tutta quella serie di Actroid per l'intrattenimento. Già i vecchi modelli Repliee Q1 e R1 e l'Eve R-11 erano abbastanza realistici da ingannare gli umani: quelli erano androidi. Noi siamo cyborg, come può esserlo un anziano con un cuore e polmoni artificiali...” Vedendo che Azzurra aveva compreso, si girò verso Han “Perché dici che non avrei potuto attaccarvi?”
“Cara il mio robottino... non siamo mica così scemi!” ghignò Han “Ogni apertura, qua sotto, è dotata di disturbatore di frequenza. La tua gola, modificata anche tramite innesti è momentaneamente fuori uso. Momentaneamente o forse per sempre, non lo so: dovrei aprirti e vedere... ” disse con un ghigno crudele, trattandola come se fosse stata davvero un semplice hardware o una cavia da laboratorio “...fatto sta che la tua componente elettronica è addormentata, al momento. E così quella del tuo compare.” aggiunse con un cenno della testa. “E per prevenire, ti abbiamo messo delle manette un po' speciali”
“Ti rifaccio la domanda...” disse Hector spezzando il silenzio imbarazzato che si venne a creare di conseguenza a quelle rivelazioni “Perché dovresti aiutarci?”
“Per opportunismo. Come volevano soppiantare il genere umano con gli Akero, ora vogliono soppiantare gli Akero con gli androidi.” disse levando il capo, fiera.
“Scusate!” intervenne Azzurra, alzando la mano come una bambina delle elementari “Ma chi sono loro?”
“Sono i nostri creatori...” disse Loki “Altri esseri umani. Ci hanno creato in batteria per avere carne fresca e ubbidiente da utilizzare...”
“Menti!” Sbraitò 24 fuori di sé dalla rabbia, che fino a quel momento era rimasto in paziente attesa, sperando in una smentita di quelle bestemmie “Noi siamo arrivati dallo spazio, su tre navi diverse, immersi in criogenesi...”
“E' quello che ci hanno raccontato...” disse Loki, indicando un ulteriore file ad Han “Noi ci siamo svegliati già adulti ma in realtà eravamo stati appena creati. Le nostre memorie sono innesti. Pochi fotogrammi di programmazione per darci dei ricordi ed essere, così, più facilmente controllabili. Noi siamo esseri umani a cui è stato inibito ogni orpello umano. Tutto ciò che loro ritenevano superfluo: rabbia, paura, amore. Infatti... Guardati! Sei sfigurato dal terrore e dalla rabbia nei miei confronti. Hai sempre avuto un carattere sanguigno ma eri controllato e pacato.” Tornando a fissare la propria attenzione alla telecamera, continuò “Ci hanno inibito lo sviluppo, imbottendoci di ormoni: non abbiamo sviluppato i caratteri secondari” disse portando una mano al petto praticamente piatto “Né peluria di alcun tipo”
Alain si mosse, a disagio, e prese la parola “Se dovevate essere così obbedienti, perché voi tre avete disertato?”
“Ciclicamente ci controllavano per prevenire l'insorgenza di qualunque tipo di sintomo di autonomia. Mat-mon..” disse indicando il letto “..è stato il primo. In realtà...” disse indicando un altro file che, una volta aperto, mostrò tutta la documentazione sull'Akero “...si è trattato di un errore. Mat-mon è un'aberrazione di quello che loro stessi hanno creato. Molti altri erano nati come lui e sono stati soppressi. Lui, non si sa come, è passato indenne ai controlli. In realtà, non veniva affatto controllato dal suo Hashmallim che, forse, lo riteneva particolarmente ubbidiente oppure, anche tra i nostri controllori, c'è chi è difettoso, forse c'è addirittura una ribellione interna e segreta che avrebbe tutto l'interesse a far proliferare esemplari come lui se solo ne avessero l'opportunità. I vertici non si sono resi conto di nulla fino a quando non è scappato. Ed è scappato perché si era innamorato della sua ospite.” A quelle parole 24 trattenne a stento un conato, prodigandosi nel farsi sentire bene dai presenti. Ma Loki continuò imperterrita “L'amore, come ogni sentimento, è inibito. Siamo resi apatici ed eseguiamo il nostro compito seguendo la strada più logica e razionale. Mat-mon non ha sopportato quello che le stavano facendo e quando lei ha cominciato a prendere seriamente in considerazione il suicidio, lui non ha più voluto sottostare alle regole.”
“Noi veniamo dallo spazio...” protestò debolmente 24 con voce rotta. Le sue convinzioni venivano demolite ogni secondo che passava e la disperazione che lo animava era quello di un bambino abbandonato.
“Quindi è accaduto che 24, per accertarsi delle condizioni del compagno, abbandonasse la postazione, il tempo strettamente necessario affinché la sua ospite riuscisse a inviare il segnale.” proseguì Loki “A quel punto, coinvolto più volte nelle scene del delitto, è stato incarcerato. E a me, in quando Akero di prima classe, sembrava un comportamento bizzarro e oltremodo violento. Siamo controllati, ma non per questo siamo stupidi., anzi, come spiegato, tutto il contrario. Nel tentativo di trovare la password per liberarlo, mi sono imbattuta in tutte queste informazioni, facendole mie all'istante. A quel punto, restare sarebbe stata la cosa più stupida che potessi fare. Ho ripensato a quello che continuavano a sostenere i dissidenti umani e mi son trovata d'accordo con loro. Questo è quanto. Ora sta a voi decidere cosa fare di noi tre.” Sul suo letto, 24 ormai piangeva disperato “Anche loro...” disse indicando i compagni “...appena saranno in forma, dimostreranno le loro abilità”
“Non che tu non sia stata convincente ma...” disse Hector dubbioso, studiando le reazioni dei presenti “Vi terremo sotto osservazione. Studieremo anche le vostre tute e il vostro metabolismo nel dettaglio.” Volgendosi, quindi, agli spettatori assenti, aggiunse “Vi manderemo al più presto una relazione scritta. Ma per il resto, per me può bastare così...”
“Cosa?” sbottò Han da dietro il computer mentre Hector controllava le reazioni, comunicate istantaneamente tramite messaggio in una chat rudimentale, di tutti i partecipanti alla riunione “Non dirai sul serio? Vuoi tenere questi schifosi parassiti?”
“Han, se non ricordo male il nostro statuto...” sibilò gelido il capo “Noi non siamo specisti. Ci ha fornito valide argomentazioni. Dalle altre comunità mi arrivano risposte positive. Che problema c'è?”
“Niente!” ringhiò l'hacker scollegando tutto. La folla cominciò a diradarsi lentamente in un vociare leggero e concitato. Gli argomenti erano molteplici e succosi. “Jordan...riporta tutto nel bunker... Il cristallo lo tengo io, che devo studiarlo...” borbottò imbufalito al suo giovane assistente.
“Azzurra, vieni...” disse Kemal andando a prendere la ragazza per il gomito e tirando delicatamente.
“No, scusa...” rispose lei, a disagio, liberandosi della presa “Chiedo scusa...” disse rivolta a Hector. Il francese si girò e andò verso di lei con un'espressione incuriosita sul volto “Non posso restare qui a dormire? Non voglio crearti fastidi, Kemal...” aggiunse in fretta, vedendo la sua faccia sorpresa e delusa “Ma... sono abituata... mi sento più a mio agio con la presenza costante di 24...”
“A me non sembra molto stabile...” protestò l'arabo squadrando in tralice l'Akero disteso disperatamente sul letto
“Rimango anch'io, allora...” disse Birger “Loki è tranquilla... e per affrontare un uomo, serve un uomo...” Tutti parlavano dando per scontato che 24 dovesse avere una crisi di nervi
“E va beh, rimango anch'io, allora... mi sacrifico...” intervenne Han, avvicinatosi al drappello “Jordy lascia tutto lì che mi fermo qua a studiare 'sta roba...” disse girandosi verso il ragazzino già affaccendato sugli hardware. “Così li controllo anche...” aggiunse con un ghigno che non prometteva nulla di buono.
“E sia...” sbuffò esasperato Hector “Ne ho abbastanza di tutta questa faccenda e se te ne prendi un po' carico, non rifiuto di certo...” ammise uscendo alla svelta dalla stanza, lasciando che i sei rimasti se la sbrigassero tra loro.




1.    Repliee Q1 e Repliee R1Eve R-1

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Capitolo 21
*** Ex.ternal ***


21.    Ex.ternal
Ex.planation




“Su, cammina!” disse Hector spintonando Kemal fuori dalla stanza “Verrai a trovare la tua bella tutte le volte che vorrai, ora lascia che si riprenda un po'...”
L'arabo chinò la testa, imbarazzato, sotto le occhiate divertite e maliziose dei compagni. Azzurra si senti in pena per lui. Non che non fosse praticamente perfetto ma... no, grazie. Era lei che non voleva saperne, in generale. Quanto prima avrebbe dovuto prenderlo da parte e fargli un discorsetto, cercando di non ferire il suo Ego.
Rimasti soli, Hector mostrò ai nuovi arrivati dove potessero trovare biancheria e asciugamani.
“Devo dormire con tutti loro?” domandò perplessa la ragazza.
“Non far tanto la difficile. Col mostro sì, con noi no?” ghignò sadico Han alle sue spalle.
Hector gli lanciò un'occhiataccia “Se cominciamo così, ti esonero: datti una regolata.”
“Non possiamo separare le due... ragazze? Almeno mettendo un telo di traverso?” intervenne Birger “Saremo sempre nella stessa stanza...” si giustificò con un'alzata di spalle “Uno a testa. Che sia uomo o donna, cosa cambia?”
Hector annuì e guardò Han, il quale sbuffò sonoramente “Ok ok, ho capito...E tu che hai da fissare tanto?” sbottò contro Azzurra che da qualche minuto non gli toglieva gli occhi di dosso
“Io ti ho già visto...” mugugnò lei, pensierosa.
“Sei stato smascherato, Han!” si complimentò Hector dando all'hacker una gomitata sul fianco.
“Assomigli a...quello scienziato che anni fa si infettò il chip che si era installato addosso...”
“Eh sì...” ghignò Han, compiaciuto “Sono proprio io...”
“Allora sei proprio un deficiente patentato! La prima idea che mi ero fatta di te era quella giusta!” sbottò Azzurra, spiazzandolo “Mi ero sempre chiesta chi potesse essere l'idiota che si faceva installare volontariamente quella merda... e poi infettarsi pure.... tanto per fare il figo e andare a infettare altri sistemi...”
“Ma come, non mi reputi un eroe?” replicò piccato e sarcastico mentre Hector si soffocava dalle risate “D'altronde sono solo il miglior hacker mai esistito...”
Azzurra lo guardò con un misto di compassione e pietà “Sei proprio un geek della peggior specie... Quanti e quali problemi hai?”
“Bene..” li interruppe Hector per evitare spargimenti di sangue “Dato che avete già finito di fare amicizia e che andate tanto d'accordo, te la porto via, Han....”
“Ma quale d'accordo...” sibilò la ragazza “Sono finita in un covo di matti: se uno dei leader è così fuori di testa, non oso pensare cosa siano gli altri... forse era meglio restar preda loro...” disse indicando il trio di Akero riuniti sui letti con un cenno del capo.
“Non dirlo nemmeno per scherzo!” Saltò su Han, visibilmente alterato
“Cosa ti scaldi? Sono fatti miei, no? Oppure...” ci pensò su per un istante. Poi si fece più sadica di lui “La tua bella ti ha bidonato e preferito il suo nuovo angelo custode?” azzardò. Han serrò i pugni, sempre più nervoso, e lei se ne accorse. “Devi solo provarti ad alzarmi le mani addosso...” sibilò avendo notato il suo nervosismo.
Ma, quasi subito, si ricordò che lì non ci sarebbe stato nessuno a trattenere l'uomo se avesse voluto farle del male: nessun controllo a distanza poteva fargli rivedere le sue priorità, dargli una scarica di ossitocina o, più semplicemente, congelare le sue azioni. Forse Hector o Birger sarebbero potuti accorrere in suo aiuto, spintonarlo di lato o trattenerlo quando l'avessero visto in azione, ma sempre troppo tardi. In ogni caso, una volta che si fossero trovati da soli, nessun sarebbe potuto intervenuto. Nessun angelo, ora, le guardava costantemente le spalle.
Aveva ancora vivido il ricordo dell'aggressione di suo padre e il pensiero le fece correre un brivido lungo la schiena.
“Andiamo...Vi faccio fare un tour...” disse Hector, posandole una mano sulla schiena per invitarla a uscire dalla sala. Poi si rivolse ai due uomini “Birger, con me! E tu...” sibilò rivolto ad Han “...vatti a fare una doccia fredda. Lascio un corpo di guardia piantonato qua davanti per ogni evenienza.” Disse e uscì. Quindi, fece un cenno con la testa a tre uomini armati sommariamente, massicci, dai lineamenti duri e spigolosi e dall'aria poco raccomandabile, che avevano aspettato all'esterno, per tutta la durata della loro conferenza. Mentre Hector trascinava fuori loro due novellini, Azzurra si scoprì a desiderare una volta di più che le teorie di Lombroso fossero solo folklore medico, che non ci fossero prove concrete a sostegno di quelle ipotesi che pure la scienza ufficiale, di tanto in tanto, tirava in ballo per giustificare familiarità dei soggetti con determinate aberrazioni cromosomiche o malattie. Ma, ancora di più, sperò che le brutte facce che vedeva sfilare all'interno non fossero tagliagole al pari di Han, uomo che, in parte, le ispirava davvero poca fiducia nonostante potesse essere definito anche un bell'uomo. Perché, altrimenti, avrebbe fatto immediatamente marcia indietro e avrebbe preferito restare accanto a 24 e condividere la sorte di quello che ormai considerava parte di sé. Al momento, però, lei era solo un'ospite e doveva fidarsi di loro.



Una volta all'aperto, Hector scoppiò in una risata sguaiata, che aveva trattenuto fino a quel momento, facendo sobbalzare Azzurra, ancora immersa nei suoi cupi pensieri. “Ti sento, brutto stronzo!” imprecò dall'alto la voce di Han che risuonò in un eco cacofonica attraverso la roccia che si apriva sulla radura..
“Meglio allontanarsi alla svelta...” bofonchiò divertito il francese facendo strada “Dare del matto ad Han... tu devi essere davvero una tosta.. se avevamo ancora dei dubbi...” si complimentò con Azzurra dandole una pacca sulla schiena. Li condusse lungo un sentiero apparentemente più battuto di quelli che la ragazza aveva percorso fino a quel momento. In breve arrivarono in uno spiazzo dove diverse persone erano indaffarate a zappare o a innaffiare. “Li porto a fare un giro...” disse per informare i lavoratori che, per tutta risposta, annuirono con noncuranza. Un feroce abbaiare e, subito dopo, un raschiare forsennato sulle sue gambe, attirarono l'attenzione della giovane “Arek!” esultò vedendo il suo cagnolino da cui si era separata solo poche ore prima.
“Dannata bestiaccia!” strepitò Alain in francese stretto comparendo di corsa da dietro una lunga parete di rampicanti “Dove scappi??? Eri stato buono fino adesso a cacciar topi! La tua padrona mi ammazza!” Notando i tre si fermò di colpo. “Oh... E' con te?” domandò rivolgendosi ad Azzurra in italiano che gli sorrise grata “Sì... andiamo a fare un giro..” disse guardando il capo spedizione che aveva acciuffato un paio di cavalcature che pascolavano tranquille lì vicino e faceva loro indossare la cavezza. “Già che mi ha raggiunto, lo porto con me, se sei d'accordo.” disse prendendo in braccio il bastardino.
“Tanto vale che venga anch'io!” borbottò quello raggiungendo il gruppetto. Lanciò un fischio prolungato e andò a prendere anche lui un cavallo. Mentre lui già montava a pelo il destriero che era arrivato trotterellando, da quella giungla intricata e incolta comparvero anche Fred e Kemal.
“Sempre assieme” constatò la ragazza divertita come se quei tre avessero fatto parte della sua vita da che aveva memoria.
“Ma quale sempre assieme... Alain è uno schiavista...” si lamentò Frederick “E, giacché sulla via del ritorno, io e il signorino, qui, avevamo deposto le armi per un momento, lui pensa che abbiamo fatto pace e ci ha messi in squadra assieme...”
“Non è così?” si sorprese Kemal beccandosi un'occhiata in tralice dal tedesco che arrossiva “Non c'è bisogno di vergognarsi, Fred!” rincarò la dose l'arabo abbracciandolo per le spalle. Vederlo così tranquillo e spensierato, dopo averlo appena visto andar via dall'ospedale in preda all'imbarazzo, la lasciò perplessa: forse si era immaginata tutto.
“Te lo do io l'imbarazzo...” sbraitò l'altro liberandosi della stretta. “Da che pulpito, poi...”
“Noi andiamo a far loro vedere i dintorni. Per quando torno voglio che abbiate finito!” ordinò Alain raggelandoli sul posto.
“Come vuoi...” mugugnarono quelli facendo dietrofront e scomparendo nella vegetazione.



Appaiati, col cane che trottava felice alle loro calcagna e che si divertiva a zigzagare tra le zampe di cavalli e muli, i due francesi cominciarono subito a spiegare alle due reclute le regole base in vigore nel sottosuolo. Spiegarono loro, tanto per cominciare, la scansione temporale.
“Dato che qui non c'è mai un momento di buio totale...” aveva spiegato Hector “...non aveva senso parlare di mattina di sera. L'unica cosa intelligente da fare era suddividere l'arco delle ventiquattro ore, secondo il sistema Leonardesco: Quattro periodi di veglia e quattro di riposo, ciascuno di tre ore...”
“Dormiamo solo tre ore a volta?” domandò perplessa Azzurra
“In totale dodici. E' tutto quello di cui il tuo corpo ha bisogno. Sarà come fare quattro diversi pisolini...” intervenne Alain. Rifletté un attimo e aggiunse “In superficie dormivamo circa otto-dieci ore per notte. Più un pisolino nel pomeriggio. Se possibile...” disse lanciando un'occhiata divertita ad Hector “C'era chi se ne prendeva una pure a metà mattina e una in tarda serata”
“Anche tu ti addormentavi a lezione o in biblioteca!” replicò l'altro, dimostrando di conoscersi da parecchio tempo.
“Ma... il sonno profondo..?” protestò la ragazza.
“Basta superare la mezzora e affrontare almeno due fasi REM per sentirsi riposati. Se l'obiezione è che troppo sonno fa male, ti sbagli di grosso. Non c'è nulla di peggio che la privazione del sonno. Qui non siamo obbligati a seguire i ritmi serrati che nell'ultimo secolo si sono imposti in tutto il mondo. E' tutto più naturale. Ovviamente, se non vuoi dormire e hai tante energie, sei liberissima di farlo. Fatema, ad esempio, in estate si svegliava regolarmente alle cinque senza sveglia.” disse Alain facendo spallucce “L'importante è che ci sia un ritmo, una regola. E che si segua sempre quella. Prima che evacuassimo qua sotto, uno studio aveva dimostrato come mantenere un regolare ritmo di sonno-veglia, avesse una ripercussione fortemente positiva rispetto a chi veniva lasciato libero di dormire fino a mezzogiorno nei giorni festivi. Lo stesso dicasi per la dieta e tanti altri aspetti della vita. Quindi, in soldoni, le regole servono! E, sicuri di quelle, puoi deciderle se infrangerle quando ne dovessi avere necessità. Un po' come effettuare un sorpasso quando hai sempre guidato correttamente, rispetto all'essere perennemente in seconda corsia.” Birger sembrava aver capito la metafora, mentre Azzurra aveva lo sguardo perplesso. Fece spallucce e continuò “Ogni due periodi di riposo si pranza-cena-colaziona...quello che vuoi...” Da perplessa, Azzurra si fece schifata: rimpiangeva già la classica colazione con brioche e cappuccino e si immaginava già di svegliarsi davanti a una bistecca fumante “Il concetto di colazione dolce, come lo intendiamo noi mediterranei è una cosa più unica che rara.” sorrise il francese.
“La nostra colazione tipica...” disse Birger a conferma “E' generalmente a base di caffè, uova bollite, qualche fetta di pane, cetrioli e pomodori.” A solo sentire quella bestialità Azzurra sentì il pranzo risalire lungo lo stomaco. “Per noi è una cosa così bizzarra la colazione dolce...”
“Ad ogni modo” la rincuorarono i due “Il nostro nutrizionista ti fornirà una tabella di ciò che, secondo le analisi del sangue, delle tue abitudini e della tua storia genetica sarà meglio -per te- assumere...”
“Cosa?” sbottò inviperita “No! Non permettevo a 24 di controllarmi la dieta, non lo farò fare certo a voi!”
“No, non hai capito!” sorrisero della sua ingenuità come della sua determinazione “Essendoci una grande varietà di cibi, il nutrizionista ti consiglierà ciò che è più simile al tuo vecchio regime alimentare. Un indiano ha un metabolismo diverso da un europeo e diverso da un africano, perché è l'ambiente l'ha elaborato in quel modo nel corso dei secoli. Ecco perché gli indiani campano cent'anni solo di verdure e a noi viene l'anemia. Ecco perché i cinesi, tanto ghiotti di gelato stanno male con una sola pallina: mancano loro gli enzimi del latte. Ed ecco perché noi francesi, per restare più vicini al tuo caso, mangiamo quintali di formaggio, opportunamente accompagnato con vino rosso, e non ci viene il colesterolo. Sono accorgimenti che la natura ha elaborato e tramandato di padre in figlio nel corso delle generazioni. Ci sono popolazioni a cui l'acqua alcalina fa bene, e popolazioni per cui è tossica. E l'ignoranza, solo pochi decenni fa, l'aveva fatta diventare una moda pericolosa in tutto il mondo. Devi ricordare che l'uomo moderno, come lo intendiamo oggi, è frutto di correzioni di secoli e che, in fondo, siamo ancora come degli uomini primitivi. Il corpo si è adattato per sopravvivere con gli elementi che trovava a disposizione: pensa ai tedeschi o agli inglesi...”
“O ai belgi...” frecciò Alain
Hector si rabbuiò un attimo “Sì, pensa anche ai belgesi...” disse con tono dispregiativo per poi specificare “Abitavo al confine col Belgio e tra noi e loro non è mai corso buon sangue.” Fece una smorfia per giustificarsi “Il campanilismo esiste ovunque, così come il reciproco fastidio, ingiustificato ma istintivo nell'uomo, che tende a fare gruppo per un nonnulla. Gli studi abbondano al riguardo e spiegano fenomeni i fenomeni dell'aggressività tra gruppi diversi, identificati solo da un fazzoletto o cose simili, ma senza reali ripartizioni in giusti e delinquenti.
Ma tornando a noi. I popoli dell'Europa del Nord, Birger può confermarlo, non hanno la varietà di frutta e verdura fresche che hanno le popolazioni del mediterraneo. Stiamo, ovviamente, parlando dell'uomo medio, non del signore che -in ogni tempo- si fa arrivare frutta fuori stagione e prelibatezze da ogni angolo del globo. Semplificando, per necessità, il loro organismo si è adattato a elaborare al meglio le risorse che avevano: carne e patate. Imporgli la nostra piramide alimentare dall'oggi al domani sarebbe disastroso. Al contrario, nel mediterraneo era sconsigliato consumare carni grasse: il clima stesso influenzava la scelta e favoriva naturalmente alcune colture come il grano, la vite e l'ulivo. Per questo le mode alimentari non fanno altro che danno... Ricordo uno studio, condotto all'inizio del secolo: dimostrava come certe malattie fossero fortemente influenzate dallo stile di vita e come, popolazioni normalmente più soggette a certe malattie, migrando e modificando alimentazione e ambiente, acquisivano anche le malattie del paese ospite. Quindi, provare e assaggiare va bene. Ma non cambiare drasticamente. Almeno, non subito.”
Azzurra annuì, il discorso non faceva una grinza. E ciò le assicurava anche una colazione seria, per sua fortuna: niente stravolgimenti. Pensandoci, era paradossale: era pronta a rivoluzionare il mondo ma non la sua colazione. Sollevata dal problema cibo, si accorse che le avevano taciuto un dettaglio.
“E perché non cala mai il buio?” domandò curiosa guardando il cielo “E come fanno a non rintracciarci?”
“Ah quello...” commentò Alain alzando gli occhi al cielo “Noi siamo in una grotta sotterranea, non dimenticarlo...” I novizi si guardarono, perplessi “Ha un estensione massima di una quarantina di chilometri. A te sembrerà infinita ma si tratta, in realtà, di un gioco di specchi”
“In parole povere...” disse Hector alzando lo sguardo alla cupola “Ci sono dei Cristalli che percolano la superficie. Qua e là se ne trova qualcuno che è sopravvissuto in forma di colonna. Questi cristalli hanno un'estremità sulla superficie terrestre e come una fibra ottica conservano intatte le loro informazioni. Ma questi, da soli, non giustificano una tale luminosità perenne.”
“In realtà, quello che illumina tutto è … Beh... hai presente Razor? Ecco... sono famiglie di LP, Light Pulse, in stato di veglia. Si alimentano di una particolare frequenza filtrata dai cristalli. Motivo per cui in superficie non si vedono. Al massimo qualcuno sale a fare una capatina ma di notte venendo scambiati per fuochi fatui. La luce solare diretta li ucciderebbe. Come i vampiri. Quindi, niente cristalli e luce riflessa e filtrata, niente LP.”
“Quando arrivammo la prima volta, pensammo potesse essere salutare avere sopra di noi un surrogato di cielo. Applicammo degli specchi sulla volta in modo da dare l'illusione di profondità e l'idea di questa specie di cielo perennemente arrossato. Almeno non ci sentiamo davvero intrappolati sottoterra...”
“Ma così avete alterato l'ecosistema!” protestò la ragazza
“Affatto” risposero i due in coro “Apportare questa modifica non comportava alcun cambiamento all'habitat. Comunque non superiore all'introduzione nell'ambiente degli acari e dei batteri che ci portiamo tutti appresso, inconsapevolmente. Qua dentro era comunque perennemente illuminato a giorno. Abbiamo solo modificato le traiettorie dei fasci di luce in modo che, specchiandosi, si avesse l'illusione di infinità prospettica...”
“Tra l'altro, ogni nostro covo è diverso dall'altro e ha particolarità che cerchiamo di rispettare. E' più che sufficiente la nostra presenza per sballare tutti gli equilibri...”
“Mi avete detto che la suddivisione delle comunità segue i capisaldi di Platone...” cominciò Azzurra cambiando discorso.
Hector annuì “Sì... in realtà il discorso è più complesso... Creiamo dei grandi clan da massimo 150 persone. E' un modello stabile, stando agli antropologi e agli etologi, in cui le morti bilanciano le nascite: non rischiamo di sovrappopolare ulteriormente il pianeta, insomma. Per Platone, come ricordavi giustamente tu, 5040 era il numero perfetto per governare. Quindi siamo in 33 grandi famiglie in ogni blocco. E ogni blocco rappresenta, su per giù, un continente. I blocchi, come avrai modo di scoprire, sono eterogenei e cerchiamo, laddove possibile, di mantenere in vita la varietà linguistica e culturale. Non è impossibile.”
“Ma se dovessero liberarsi molte persone, come noi due, all'improvviso, come le gestireste?” domandò Birger, curioso.
“Non ci siamo mai posti il problema, in realtà... è un evento così remoto... credo procederemmo in questo modo, accogliendo -ciascun blocco- i fuggiaschi del continente relativo e spostandoci subito dopo: ciclicamente ci spostiamo per evitare di essere intercettati e per non alterare stabilmente la fauna e la flora locali.” spiegò Alain guardando il soffitto della grotta per poi voltarsi verso Azzurra “I boati in Fadalto, qualche anno fa, erano vere e proprie esplosioni: ci avevano trovato e una guarnigione è rimasta a combattere per consentire la fuga a tutti gli altri. Se dovessimo diventare troppi sarebbe un problema, in effetti... ma vorrebbe dire che avremmo i numeri per riprenderci la nostra libertà.”
“E' già un problema...” borbottò tra sé Hector, quasi quel discorso gli avesse risvegliato l'urgenza di trovare la soluzione a un problema endemico “Per il pianeta: gli esseri umani sono troppi. Siamo come colture intensive.”
“Ad ogni modo, voi siete stati assegnati alla nostra famiglia, all'interno di questo blocco, perché siamo il nucleo centrale. Quelli che si trovano qui sono quelli predisposti alle conoscenze tecnologiche. Anche se la spiegazione è riduttiva. In realtà, tutti fanno tutto. Espletati i compiti comuni -zappare, cucinare, pulire, stirare e simili- ognuno si dedica a ciò per cui ha una sua predisposizione. Laggiù...” continuò Alain indicando col braccio una parete caratterizzata da uno sperone roccioso che si estendeva verso la radura. “Ci sono le biblioteche...” vedendo lo sguardo smarrito dei novellini, precisò “Vedete...prima di fuggire, abbiamo...come dire...”
“Rubato” suggerì Hector divertito.
“Non abbiamo rubato! Abbiamo... travasato... il contenuto di tutte le biblioteche nazionali di tutti i paesi...”
“Ciascuna comunità ha una copia del sapere storico mondiale.” tagliò corto Hector. “Non vorremmo mai che, tra una cosa e l'altra, storpiassero tutto il sapere o lo bruciassero definitivamente. Tra Orwell e Alessandria d'Egitto non so quale fine sia la peggiore...”
“Ma... come avete fatto?” domandò Birger con occhi illuminati dalla commozione.
“Come abbiamo trasferito, di volta in volta anche tutti -e dico tutti- i laboratori, compresi gli esperimenti mollati a metà” rispose Alain compiaciuto “Avevamo elaborato una tecnologia che ci permetteva di scansionare, completamente e nel modo più fedele, qualunque oggetto si fosse trovato all'interno di un area prestabilita. Un po' alla volta abbiamo fotocopiato tutto il mondo. Copia di questi dati, riproducibili facilmente con una stampante 3D di ultima generazione, sono conservati in cristalli come quello in cui è stata incisa la memoria di Loki... e solo un determinato tipo di laser può danneggiare i dati incisi. Senza dover entrare realmente in biblioteca, possiamo navigare una porzione del cristallo riproducendolo come ologramma... risparmiandoci la fatica di dover entrare realmente nell'edificio, con tutto il fastidio che ne consegue.”
“Qual è la differenza tra entrare e navigare, scusa?” domandò Azzurra, confusa
“Oh, scusa...certo!” disse dandosi una pacchetta in fronte, quasi a rimproverarsi per la propria superficialità “In realtà, abbiamo realmente rubato le biblioteche... Dall'avvento dei tablet sono cadute completamente in disuso e gli edifici, in un primo momento, erano semplicemente chiusi. Poi, però, cominciò a esserci il bisogno di creare nuovi spazi. Per nuovi condomini che sarebbero rimasti, per lo più, sfitti. Prima che radessero tutto al suolo senza pietà, noi avevamo già svuotato la zona interessata e sostituito con una copia grezza... tanto per dare soddisfazione alle ruspe già mobilitate... Miniaturizzazione: facemmo così anche coi laboratori. In realtà è una tecnica che usiamo sempre quando dobbiamo evacuare: è certamente pratico portarsi tutto appresso quando questi ambienti non sono più grandi di un paio di dadi. Anche quando sei arrivato tu...” disse rivolto a Birger “...avevamo impacchettato tutto.”
“E come fate? Voglio dire... la massa... il peso...” balbettò Birger letteralmente sotto shock.
“Il congegno di miniaturizzazione è dotato di uno stabilizzatore, per impedire che il contenuto si rovesci a terra come durante un terremoto, e di un antimagnetometro, per annullare il peso totale di tutti gli edifici miniaturizzati e permetterci di spostarli da un posto all'altro con facilità...”
“Mi stai prendendo in giro?” sbottò Azzurra, esterrefatta “Edifici interi sarebbero realmente …”
“Precisamente! Manoscritti compresi. Abbiamo razziato anche le biblioteche vaticane. Non sospetteresti quanti di noi fossero in posizioni strategiche...”
“A proposito... come avete fatto ad accordarvi?” domandò Birger
“Alcuni di noi, molti, si conoscevano già. Ad esempio... Nives, Frederick e Kemal... sono legati da faccende occorse prima del Blue Beam. Altri si conoscevano virtualmente, come Han ed Hector. Casi limite siete voi, che vi conoscevate indirettamente. E' stata un po' una reazione a catena basata sul passaparola. Ma molti, nella fuga, sono morti... senza contare che, comunque, anche tra noi, c'erano delle mele marce, motivo per cui i primi tempi furono particolarmente duri.”
“Kemal e Frederick... cosa è successo?” domandò la ragazza mentre i francesi facevano salire ai cavalli lungo un leggero pendio.
“Non so se è il caso che te ne parliamo noi...” disse Hector “E' una storia di corna...” disse mimando il gesto.
Birger lo guardò confuso “Contrabbando?”
“No, no...” Alain scoppiò in una risata fragorosa “No... Nei paesi dell'Europa Meridionale si parla così quando ci si riferisce ai tradimenti. Più l'altro tradisce, più si dice che il partner abbia un palco di corna...”
“Come le renne?” Birger inclinò la testa, cercando di figurarsi l'immagine “Ma più grande è il palco, più potente è l'animale...” obiettò.
“Da noi è il contrario” spiegò paziente Azzurra “I peggiori auguri che tu possa rivolgere a un cornuto, appunto, è che pianti le corna contro un platano o che, prima o poi, non passerà dalla porta... modi di dire nostrani...”
“Quindi i vichinghi, per voi...” cominciò, dubbioso
“Eh sì... se vogliamo prenderli in giro pensiamo proprio che siano dei poveracci cornificati dalle mogli” Alain sghignazzò
“Ora basta, Alain... Non la capivo nemmeno io 'sta battuta, all'inizio... e siamo francesi tutti e due... Laggiù...” disse per riportare la conversazione su toni più civili, Hector quando furono sul crinale, lasciando Birger a rimuginare sul significato dell'espressione “...c'è il lago... è un po' il nostro televisore. E' lì che abbiamo assistito al notiziario che vi abbiamo mostrato prima... Sbrigativamente: la superficie è come lo schermo di un portatile posizionato orizzontalmente, l'acqua rifrange l'immagine come i cristalli liquidi. E' come il TouchPad ma al contrario...” disse rivolto ad Azzurra, che sembrava non capire “Dove punti il dito, il sensore registra precise coordinate cartesiane.”
“Battaglia navale...” lo interruppe Birger che, avendo capito, cercò di semplificare ulteriormente “Per ogni coordinata fornisci un colore o un impulso ed ecco che si materializza l'immagine... questo moltiplicato per ogni fotogramma...”
“Ok, chiaro!” disse la biondina riassumendo brevemente “Quindi, il perimetro del lago è stata studiata e segmentata per formare un reticolo come quello di Battaglia Navale...ci sono...”
“Quella stessa immagine, viene poi elevata in versione tridimensionale da un dispositivo olografico per consentire a tutti di assistere alla visione. Da ogni punto della radura. Laggiù in fondo - credo riusciate a scorgerlo appena da qui - c'è l'autodromo. E' un capanno che ci permette di esercitarci anche quando piove ed è il luogo in cui abbiamo portato sia l'hovercraft che la tua Jeep” continuò Hector
“Autodromo?” domandò Azzurra stupefatta
“Certo! Per alcuni di noi, guidare è una pratica quasi ascetica: riescono a pensare meglio, a elaborare collegamenti che, altrimenti, chini su libri e provette, non riuscirebbero nemmeno a fare. Ma è anche uno sfogo. Un po' come i videogame... anzi... In realtà c'è una sala attrezzata apposta anche per quello... Che altro c'è da dire?” domandò Hector meditabondo.
“L'ospedale lo conoscono già...” mugugnò Alain “Le cucine e la mensa? Dubito gli possa interessare ulteriormente... E i laboratori... anche quelli è inutile mostrarglieli.. sono dall'altra parte della radura... Li vedranno quando cominceranno a lavorarci”
“Allora, che ne dite se rientriamo e cominciamo a stillare un dossier e a cercare di inserirvi nell'organigramma?”
Birger e Azzurra non capirono esattamente cosa stessero chiedendo loro, ma acconsentirono di buon grado. Erano gli ultimi arrivati e non potevano che ubbidire. E, d'altronde, anche nel regime più anarchico, doveva esserci un certo ordine per evitare il caos.
Sulla strada del ritorno, vennero anche a sapere che la fine di quel turno era ormai agli sgoccioli e che i loro due accompagnatori cominciavano a essere stanchi. Birger e Azzurra si guardarono perplessi a vicenda: non avevano alcuna intenzione di mettersi già a dormire. Di nuovo.
Tornati in prossimità dell'ospedale e liberati gli animali i due francesi li salutarono sbrigativamente e li abbandonarono a loro stessi. Facendo spallucce, i nuovi arrivati tornarono nell'unico posto che potessero considerare casa, dove avessero qualcosa o qualcuno ad aspettarli, dove poter passare quelle ore di attesa. Camminarono in silenzio, senza sapere cosa dirsi, precisamente. La loro situazione era alquanto particolare: erano gli unici due umani scappati al controllo di quegli stessi Akero che si erano trascinati dietro in quella folle avventura, in un modo o nell'altro.
Quando arrivarono davanti alla loro camera, sentirono la voce baritonale di Han imprecare pesantemente a indirizzo di un certo Edwin. Si squadrarono nuovamente a vicenda: chi era il prossimo folle che avrebbero avuto il piacere di conoscere?

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Wow, ragazzi...ma davvero sono arrivata a superare il 20°? Credevo sarei rimasta da sola già dopo due capitoli... beh... un grazie di cuore a tutti voi che mi seguite!
:) Beh... il capitolo di oggi è un pò noiosetto, ma prima o poi dovevo spiegare come giravano le cose là sotto prima di catapultare i ragazzi nel tran-tran quotidiano. In realtà ho un altro capitolo di discussione sulle regole interne... e sto cercando in tutti i modi di tagliarlo (non mi piace quando i protagonisti si impuntano su certe cose e vogliono aver ragione. Anche se, nella vita di tutti i giorni capita eccome -e pure spesso e volentieri- di ficcarsi in discussioni infinite...) =_= abbiate pazienza, ci sto lavorando.
:) vi aspetto al prossimo capitolo!
Scopriremo qualcosa di più sui due superficiali ... 

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Capitolo 22
*** Memories ***


22. Memories
And Tales






Una volta varcata la soglia, Birger e Azzurra, notarono che nulla di strano era avvenuto nella stanza rispetto a poche ore prima. Né c'era qualche strano figuro addizionale.
Erano state portate delle brande supplementari ed era cambiata la disposizione di quelle che c'erano già. Mat-mon giaceva ancora privo di coscienza in un letto nell'angolo più appartato; davanti a lui, Han continuava imperterrito a smanettare sui suoi computer, alle cui spalle era stato sistemato un giaciglio già ingombro di incartamenti e aggeggi vari che Azzurra non seppe identificare. Dall'altra parte della porta erano sistemati un letto vuoto e quello di 24, che era addossato alla vetrata che dava sul corridoio. Centralmente, infine, uno accanto all'altro, c'erano due giacigli vuoti. Loki si era arrampicata su uno di quelli e, con abilità sorprendente, riusciva a incastrare un telo sui pannelli del soffitto.
Nessuno di loro, per motivi diversi, si accorse dell'ingresso dei due fino a che una dolce melodia si diffuse nell'aria. Allora Loki smise di saltellare per gustare quella sinfonia. Chiuse gli occhi per assaporare l'esperienza ma il gracchiare di una voce sintetica, e la pronta rispostaccia di Han, la fecero girare di scatto.
-Signore, è già suonata la ritirata sotto coperta... dovrebbe mettere tutto in stand-by e coricarsi...- disse la voce metallica
“Ma vaffanculo Edwin! Ho detto che salto il turno, te lo vuoi ficcare in quei tuoi circuiti spanati? Non mi succede nulla, avanti...continua a processare che voglio venirne a capo il prima possibile...”
“Ciao, Birger!” aveva salutato Loki, saltando agilmente giù dal materasso “Avete fatto un bel giro?”
“Istruttivo...” rispose lui, seguendo lo sguardo dell'accompagnatrice che, a sua volta, fissava il proprio Akero con aria angosciata.
“Siete qui, allora...” borbottò Han girando su se stesso mentre fulminava con un'occhiata il trespolo che, solo poche ore prima, era stato il cameraman della loro precedente riunione. “Tu lavora!” quello chinò una serie di pinze con fare rassegnato, quasi fossero state l'equivalente di una testa, si voltò e continuò a trafficare per i fatti suoi.
“Non sapevamo dove altro andare...” rispose Azzurra facendo spallucce: un posto valeva l'altro, in effetti.
Han annuì, compiaciuto “Meglio così... mi aiuterete a finire il lavoro”
“Lavoro?” domandò Birger interessato. Azzurra, invece, andò a buttarsi a peso morto sul letto accanto a 24
“Ho analizzato i dati che ci ha fornito la tua Akero... Effettivamente non sembrano alterati... ora stavo cercando di capire da dove partire per studiare questa immensa mole di dati...” disse alzandosi e andando a osservare da vicino lo strano cristallo su cui Edwin si stava affaccendando, scandagliandolo con un raggio laser. “Se così fosse, ci sarebbe una qualche incongruenza, da qualche parte, invece...” scosse la testa “Dunque, dicevo: ho bisogno di voi per capire cosa, come, quando e perché...il Blue Beam, le vostre reazioni, etcetera. Registreremo tutto, cosicché anche le altre comunità possano avere gli stessi dati su cui lavorare...”
“Una specie di intervista?” domandò il norvegese già esaltato “Io sono pronto”
“Dovresti rispondere anche tu...” Disse Han, rivolto ad Azzurra, con tono seccato.
“Eccomi!” rispose tirandosi su e poggiandosi sui gomiti
“Allora...” cominciò Han sfogliando un blocco notes su cui erano appuntate delle domande che doveva assolutamente rivolgere loro “Ed ci sei o stai giocando?” disse poi rivolto alla macchina, senza sollevare lo sguardo dai suoi fogli
-Sì, signore, la registrazione è già partita- rispose quello, con una calma che solo una macchina poteva dimostrare.
“Bene... anzitutto... i nomi. Perché li avete chiamati così? Comincia Birger...”
“Loki è il dio dell'inganno norreno.” rispose quello, prontamente.
“E' un uomo...” gli fece notare, giustamente, Han
“Sì, certo... Ma lei non era facilmente identificabile come femmina.. voglio dire.. guardala.. ”
“Sì, l'ho vista...e per quanto scarsa, ho subito pensato fosse una donna. Basta osservarle il culo – perdona...” disse alzando le mani “Sappi che non vuole essere una molestia ma una semplice osservazione antropometrica – e dimmi che è secco e piatto come quello di qualunque uomo. La struttura ossea, poi, è visibile lontano un miglio: vita stretta e fianchi più larghi che non scendono a colonna... forse sei tu che sei abituato ai donnoni del nord...” lo pungolò Han, maligno.
“Può essere...” rispose quello senza offendersi “Ad ogni modo, Loki è il dio dell'inganno, è astuto, camaleontico ed è un grande inventore. Tutte caratteristiche che io vedevo in lei. C'è anche da dire che rappresenta il male necessario per mantenere l'equilibrio cosmico. In un certo senso, è la loro missione. Inoltre è ambiguo e si atteggia da donna. Quindi, quando me la sono trovata di fronte... beh... ho pensato davvero, come volevano farci credere, che fosse una divinità. Anche se la cosa non mi convinceva.”
“Di questo parleremo dopo. Tu, invece?” disse rivolgendosi ad Azzurra.
“24 è semplicemente il livello di pericolosità. Come già detto al gruppo che mi ha soccorso, noi per loro siamo un numero e allora volevo che lo stesso valesse al contrario. Secondo la smorfia, poi, il 24 rappresenta la guardia. E poi, mi stava incollato 24 ore su 24. Non sono brava a dare i nomi. Più semplice è, meglio è.” si giustificò.
“Il tuo cane e il tuo cavallo?” domandò Han perplesso “Chi ha dato loro i nomi che hanno?”
“Soraya è semplicemente la razza di pony. Arek è un bastardino e il nome è quello che gli era stato assegnato nel canile dove l'ho preso. Se, ad esempio, avessi avuto un cucciolo di Jack Russell da battezzare, probabilmente l'avrei chiamato Jack.” rispose annoiata
“Che fantasia...” fu il commento sprezzante di Han “Ti sei proprio sprecata... Per il 19, qualcuno sa niente?” disse guardando Mat-mon.
Tutti si guardarono vicendevolmente, domandandosi, con lo sguardo, se l'altro sapesse nulla.
Dopo qualche istante di silenzio, fu 24 a rispondere “Zoe gli aveva dato quel nome prendendolo direttamente dall'ebraico matmon, la ricchezza, che, secondo alcuni, sarebbe l'origine etimologica di Mamona. Da Mamona, la personificazione del profitto, discende il Gatto Mammone che, a sua volta, è stato modello ispiratore per Cheshire...lo Stregatto” specificò in italiano, a beneficio di Azzurra che lo guardava stralunata.
“Che cavolo è il Gatto Mammone?” domandò divertita
24 la ignorò e proseguì la sua spiegazione “Mat è un tipo espansivo e sempre sorridente...”
“Cheshire” echeggiò Birger, annuendo
“Sì... ma il Gatto Mammone, nelle terre limitrofe al sud Italia, quindi anche in Grecia, rappresenta il demonio. Nelle terre d'oltremare, in particolar modo in Egitto, dove è derivato della antica devozione agli animali, maimòne rappresenta, invece, qualcosa che è di buon auspicio. Da quello che so o che ho dedotto, Zoe provava un sentimento ambivalente: lo odiava per essere l'invasore ma ne amava anche la gentilezza, al punto da abbreviarlo in Mat, appunto, nome tutto umano.”
Han rimase sbalordito da quella spiegazione che sembrava un fiume in piena. Scosse la testa: era un Akero, non avrebbe dovuto meravigliarsi. E se i dati che Loki si era scaricata nel cervello avevano saturato un intero cristallo, non poteva aspettarsi di meno dalle conoscenze che quegli esseri avevano al di fuori di qualche dato rubato. “Chiederò conferma a Kemal o a Fatema...e anche ad Akira, quando si sarà rimesso” rispose semplicemente. “Ma procediamo oltre. Le vostre origini? Comincia sempre Birger”
“Intendi il mio background? Credo che il dato più rilevante sia il fatto che i miei genitori siano entrambi sciamani: mio padre, di origine Sami, è un ricercatore e giornalista e ha ereditato da mia nonna la carica; mia madre, invece, apparteneva sia alla tribù nord americana dei Cheyenne che a quella dei Sioux, frutto di un matrimonio politico, se così si può dire, in uso dalla fine del XIX secolo, quando le diverse tribù delle praterie si trovarono a dover far fronte comune contro l'uomo bianco. Sono stato esiliato nella periferia più settentrionale della Norvegia in quanto, con il Blue Beam, loro hanno trovato la conferma della loro vicinanza spirituale mentre io... Io ho praticamente bestemmiato, deludendoli profondamente...”
“Non ti seguo...” ammise Han
“Mio padre e mia madre mi ripetevano sempre che ciò che li aveva uniti erano state le radici comuni e la reciproca comprensione: da una parte un popolo sterminato al Send Creek, dall'altro la deportazione nell'Europa meridionale per le diverse esposizioni universali o lo studio sistematico e razzista del genoma, ancora alle soglie del XXI secolo. Mio padre, nel '75, era piccolo ma rimase traumatizzato dalla sterilizzazione femminile di massa in cui rimase coinvolta anche sua sorella. Per non parlare della superstizione legata alla lontana cultura Komsa: a metà del secolo scorso, per la follia tedesca della ricerca di sacre reliquie, i Sami furono torturati al fine di ottenere qualche informazione. Sono storie che non si raccontano e che, credo, nei libri di storia non siano mai comparse.
Ancora, loro – i miei genitori – hanno una grande considerazione di quello che vivono in sogno: dono che io non ho ereditato.
Già prima del Blue Beam mi ero dimostrato scettico nei confronti di qualunque religione: com'era possibile che due culti così lontani tra loro fossero poi così simili? Cominciai, quindi, ad appassionarmi all'argomento, portando avanti i miei studi in parallelo con quelli ufficiali sulle telecomunicazioni. Ironico, non trovate? Alla fine, a ben vedere, tutto ruota attorno alla comunicazione: prima gli sciamani, intermediari tra gli dei e l'uomo, poi i giornalisti e quindi i supporti multimediali.”
“E il rally?” lo incalzò Han
“Un passatempo...” rispose in un'alzata di spalle
Han lo guardo storto “Eri uno dei campioni della Camel Trophy e della Parigi-Dakar... solo un passatempo?”
“Proprio così... questo devo averlo preso dalla parte di mia madre. Nel mio sangue, in fondo, scorre qualcosa di Cavallo Pazzo...”
“Dicevi del Blue Beam...” lo incalzò l'hacker
Birger si adombrò “Quando venne, io esposi il mio scetticismo con veemenza. Tutto attorno a me vedevo solo gente impazzita – o lobotomizzata – che si prostrava in ginocchio alla venuta degli dei. I miei genitori non tollerarono oltre le mie idee blasfeme e, con il placet di tutta la comunità, se non di tutta la nazione, venni isolato nel tugurio vicino al Neidenelva.”
“Se eri isolato, come occupavi il tempo?”
“Studiando. Sapere è potere, no? Quindi mi dedicai alla mia seconda passione, quella che avevo portato avanti parallelamente agli studi più seri: la filologia. Compito assai difficile quando le tue fonti sono inaccessibili perché sei confinato al limite del mondo abitato e la rete è stata censurata ed epurata dai dati scomodi.”
Han annuì “Motivo per cui ancor oggi i dati sensibili -la verità- stanno a ingiallire sulle pagine di carta di fascicoli chiusi in scatoloni ammassati negli sgabuzzini delle basi militari. Ma la filologia non è proprio una materia superficiale...” gli contestò Han
Azzurra l'aveva ascoltato rapita. Non aveva mai pensato a quanto i supporti multimediali potessero essere vulnerabili.
“Affatto: richiede attenzione, rigore e un briciolo di intelligenza. E tanta, tantissima, conoscenza, per meglio interpretare i testi su cui si lavora. Ma rispetto ai codici di programmazione per me era come salire sulle giostre”
“Bene... Azzurra?”
“Devo proprio?” domandò seccata.
“Se non vuoi, chiedo a lui...” disse Han, indicando 24 con un'alzata del mento
Azzurra sbuffò. Fece mente locale e cominciò a raccontare, tenendo come falsariga i punti trattati dal norvegese. Si rendeva conto che lei, paragonata a Birger, non era che un'insipida ragazzina: priva di solide radici culturali, priva di convinzioni così forti, priva di una cultura abbastanza vasta da poter dire tranquillamente di aver fatto le sue scelte in modo ponderato. Si sentiva una stupida, per niente eccezionale. E, sempre più, si domandava come fosse possibile che lei fosse ritenuta tanto pericolosa. “Sono nata in Italia, da genitori italiani – papà veneziano mamma milanese –, nonni friulani da una parte e milanesi, ancora, dall'altra.
Loro sono scienziati. Non so su cosa lavorino di preciso... Papà è un ingegnere. O un biologo. Forse tutt'e due, non l'ho mai capito: come passioni ha sempre avuto quella di trafficare su vecchi congegni analogici rotti – ferrivecchi li chiama mia madre – e in mezzo a mille alambicchi, provette, microscopi... Mamma, invece, è una semiologa, insegna all'università e ha pubblicato anche qualche articolo. Nulla di più”
Nulla di più?” le fece eco Han, divertito e sarcastico.
Azzurra non capì il suo tono polemico. Evidentemente sapeva qualcosa che a lei sfuggiva ma sorvolò “Per lavoro, mio padre, era chiamato spesso in giro per il mondo a tenere conferenze o qualche lezione e noi lo seguivamo... Si può dire che abbiamo girato il mondo, anche se come semplici turisti. Per qualche periodo, quand'ero piccola, ricordo di aver passato parecchio tempo a bordo di una nave, credo. Era un'enorme città galleggiante, ma potrei sbagliarmi...”
Han, stranamente annuì con un sorrisetto compiaciuto sulle labbra “Il Blue Seed, certo...” disse prendendo nota e invitandola a continuare.
“Mamma ne approfittava per fare ricerche lampo. Io ero spesso mollata da sola in giro per le città dove finivamo. A scuola non avevo problemi: alla vigilia delle partenze, i prof mi caricavano di compiti e di temi che avrei studiato da sola e su cui sarei stata esaminata al mio rientro.”
“Con in tablet, immagino, non sarà stato nemmeno un problema di spazio o peso...” commentò Han rigirandosi tra le dita la matita appuntita con cui giocherellava. Uno strano residuato di tempi lontani.
“Certo” fu la risposta perplessa di Azzurra
“Altri tempi...” mormorò “E il cane?” domandò, conoscendo già la risposta.
“Arek veniva sempre con noi. Soraya, invece, la portavamo in un maneggio dove veniva tenuta libera ma sorvegliata, insieme a tanti altri cavalli.”
“I tuoi studi, quindi? Scientifici o umanistici?”
“Scientifici. Ho scelto biologia. Le diavolerie di mio padre mi hanno sempre affascinato. Anche se poi ho scoperto che c'era ben poco di romantico nelle colture da preparare e studiare. Ma, d'altronde, non ho mai avuto una gran passione per le cose scritte. Poi sono arrivati loro e avevo deciso di specializzarmi in astrobiologia. E poi di ricominciare con ingegneria per arrivare alle nanotecnologie”
“Nessuno dei due mi ha accennato a nulla di artistico o psicologico...” constatò Han fissando il suo foglio
“Direi che essere un capo spirituale ha qualcosa a che fare con la psicologia. Certo, non a livello dei preti di paese...” replicò Birger “E sull'arte...” continuò roteando gli occhi in cerca di una risposta “Beh... c'è una certa dose di artisticità nel preparare i riti, gli addobbi e tutto quello che gli va dietro. Non come nei posti strettamente mediterranei. So che lì era usanza, ad esempio, decorare le strade con festoni e realizzare immagini con fiori freschi sulla strada...”
“Non ovunque” rispose Han, prima di focalizzarsi sulla ragazza “Ma sì, ti posso dar ragione, pensando anche ai mandala buddisti: arte e religione, come religione e politica, vanno spesso a braccetto”
“Immagino che le App del tablet non contino. E non so nemmeno impugnare una matita. Quanto a livello psicologico...vorrai scherzare, spero. Cercare di capire gli altri? Quegli altri che mi rifiutano?”
Han mugugnò qualcosa e scarabocchiò sul blocco notes, quindi continuò con il suo interrogatorio. “Perché eravate così ostili ai nuovi venuti?”
“A differenza dei miei genitori, che trovavano miracoloso il fatto che popolazioni diverse avessero così tante cose in comune nel loro patrimonio religioso, io ho sempre pensato ci fosse qualcosa di estremamente sospetto. Permettimi un excursus, per farti capire cosa intendo.
Io credo nelle fate urlava Peter Pan per salvare la vita della sua preziosa assistente.
I want to believe recitava lapidaria la scritta bianca del poster che Mulder aveva alle spalle. Per non parlare del noto Credo cattolico.
Io ero ribelle già da piccolo, mal sopportavo la costrizione degli abiti, della società e da adolescente son stato un teppista, non lo nascondo...”
“Spiega molte cose...” confermò Han ripensando al divertimento che gli aveva letto negli occhi mentre attaccava, con Loki, le forze dell'ordine che cercavano di bloccarli.
“Non mi è mai piaciuto obbedire alla cieca, senza capire dove stavo andando, almeno approssimativamente.” continuò Birger “Perché si obbedisce solo a qualcuno in cui si crede, in cui si ripone fiducia. Ma...cosa vuol dire fidarsi o avere fiducia in qualcuno? E' la speranza che quello che ci viene detto, con argomentazioni abbastanza plausibili, sia vero. E cosa vuol dire credere? Essere persuasi che quello che ci viene detto sia vero.
Sfumature.
Peccato che io non mi fidi, a prescindere, di nessuno, non do niente per scontato o assodato se non quello che constato in prima persona. E nemmeno quello, perché i sensi potrebbero trarmi in inganno: sono pronto a mettere sempre tutto in discussione. Certo, mi fido del prossimo e vedo il buono anche dove in realtà non c'è ormai più nulla da salvare. Forse può sembrare contraddittorio... Comunque, suppongo di essere nato senza quel fantastico dono che è la Fede... che è tutt'altra cosa.
Mi piacerebbe pensare che quello che sogno possa essere reale. E, accantonando gli Akero, che meritano una trattazione a parte, sono sempre stato convinto che esistessero altre forme di vita. Non parlo dell'universo: quello è così vasto che sarebbe presuntuoso pensare di essere l'unico pianeta ad aver sviluppato forme di vita intelligenti. E cosa intendiamo con intelligenza? E' un altro punto in cui scavare perché le formiche coltivano, allevano e sono socialmente organizzate gerarchicamente...non è forse intelligenza anche quella? No...io parlavo di altre vite qui, sulla terra. E non vedevo perché questi esseri altri avrebbero dovuto essere per forza antropomorfi. Come non riuscivo a farmi bastare, come giustificazione, il topos della vergine madre di un dio che è uno e trino, o la ricorrenza di pantheon che erano uno il calco dell'altro, medesimi riti, medesime storie riadattate per i luoghi in cui si innestavano. Per non parlare dei calendari. Dai babilonesi agli indù, dagli egizi alle religioni messianiche.
E qui veniamo al Blue Beam Teniamo sempre da parte il fatto che loro siano qui. Questi erano i miei ragionamenti prima.
Antropomorfi, dicevo. Certo, la posizione eretta, comoda etc... e perché dovrebbero avere solo due gambe? Perché non avere molte paia di braccia come la dea Kalì? O essere dotati di multi tentacoli o più occhi come le mosche? Probabilmente, mi dicevo, ci sfuggono perché guardiamo nella direzione sbagliata. D'altronde, a ben vedere, anche un cane o un gatto potrebbero essere alieni, no? Non sono 'altre forme di vita intelligente' rispetto a quella umana? Mi è sempre sembrato, e mi sembra, troppo banale.
Eppure... folletti o alieni che fossero..io avrei voluto vederli...
Credevo che sarei stato felice se anche avessi avuto qualche difetto al nervo ottico che mi avesse fatto percepire una realtà diversa o un cervello che elaborasse le informazioni a modo suo: la follia o il vedere fantasmi non è altro che questo. Avrei voluto poter dire di essermi lavato così tanto il cervello da essermi autosuggestionato. Eppure... continuavo a non vederli. Pur restando scettico e scientifico, a modo mio, credevo. Non ciecamente come avrebbero voluto i miei o i guru di qualunque fazione: non sono un fanatico. Ho semplicemente le mie convinzioni a farmi compagnia. Convinzioni che mi hanno portato più rogne che altro. Ma non rinnego nulla.”
“Quindi?” lo incalzò Han dopo quella lunga tirata “Il Blue Beam doveva rispondere proprio a quelli come te... non capisco...”
“Questo è stato il suo tallone d'Achille” disse il biondo riprendendosi da quella lunga filippica “Era troppo precisa: sembrava studiata apposta per convincere tutti. Il fatto che il messaggio sia arrivato a tutti contemporaneamente, convincendo tutti delle rispettive posizioni, senza scontentare nessuno, mi ha messo in allarme.”
“Capisco” disse Han con un cenno affermativo della testa. Quindi guardò Azzurra, in attesa del suo contributo
“Se lui è, praticamente, agnostico, io sono atea. Non credo né agli dei, né ai folletti, né agli ufo, né alle varie teorie strampalate che girano in rete. E non dico che non siano affascinanti. Di volta in volta mi sono lasciata cullare da questa o quell'idea. Ma semplicemente, doveva esserci una spiegazione razionale. Soprattutto, diffido di una cosa quando tutti sono convinti che sia la strada giusta. Quando un argomento serio finisce sulla bocca di tutti, al bar, secondo me è segno che non è più attuale. Che lo era forse vent'anni prima.”
“Hai una grande esperienza...” commentò sarcastico Han
Azzurra lasciò correre, segnandosi, però, l'ennesima occasione che l'altro non si era lasciato scappare di comportarsi da cafone “Quanto basta per farmi la mia idea, giusta o sbagliata che fosse”
Han annuì “E ora, l'ultima domanda da centomila dollari – poi abbiamo finito – per ora. Com'è stato il Blue Beam? Noi ne abbiamo solo testimonianze edulcorate, rimbalzate dai network, entusiasti dell'evento così spettacolare.” domandò preparandosi a vivere per interposta persona quei ricordi che dovevano avere un retrogusto magico. Almeno in chi li aveva vissuti direttamente.




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Nello scorso capitolo, mi sono dimenticata di segnalarvi che la storia di Han che si installa il chip infetto nel braccio e va a infettare i sistemi di mezzo mondo è storia vera. Posso dire che la sua figura sia modellata sullo scienziato inglese Mark Gasson.

Quanto al Blue Seed, è anch'esso un progetto reale. Se vi interessa questa città galleggiante zeppa di scienziati, qui trovate tutte le info.

E oggi abbiamo parlato di come siano arrivati al famigerato Blue Beam. La prossima volta scopriremo cosa diavolo è stato.
Buona lettura a tutti.
E grazie ancora a chi mi segue con tanta fedeltà: vi voglio bene!

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Capitolo 23
*** Discover ***


23. Discover

the Suit






Com'era stato il Blue Beam?
Per un attimo, Azzurra ebbe le vertigini.
Quando si fu ripresa, sentì che Birger stava già raccontando la sua versione.
Era stata una giornata serena nonostante il cielo coperto, quando, verso le 16, ora locale dell'evento, si era tuffato in immersione. Tutt'a un tratto una voce aveva echeggiato nella sua mente, chiamandolo per nome. Preso alla sprovvista, pensando di aver avuto le allucinazioni, inghiottì parecchia acqua e cercò di riemergere il prima possibile. Nella risalita, però, gli sembrò quasi che l'acqua in cui era immerso stesse ribollendo: pur non variando – apparentemente – la temperatura, grosse bolle d'aria avevano preso a salire tutt'intorno a lui, allarmandolo. Quando si era sollevato, ansante, tra le rocce della piccola baia usata come campo base, aveva visto una figura antropomorfa lattea e traslucida, simile a un fantasma, ondeggiare a pochi metri da lui. La figura – Loki – aveva indicato alle sue spalle e lì aveva visto la presentazione al mondo della Nuova Era.
Un essere, di cui, stranamente, non ricordava i tratti somatici nemmeno a pochi secondi dalla visione, si presentò come rappresentante degli Akero. E spiegò il motivo della loro venuta. Birger, nel frattempo, si era tirato a riva, senza mai perdere di vista l'apparizione, e aveva cominciato ad asciugarsi, quasi dimentico della figura alle proprie spalle.
Il resto era comune per tutti.

Quando fu il turno di Azzurra, ella si risvegliò come di colpo da un lungo sonno. Guardò gli ospiti della stanza, spaesata. Chinò il capo e raccontò la sua versione, completamente diversa da quella del norvegese.
Quando avvenne, si trovava in India ed erano le sei di sera. Aveva scoperto solo in seguito che l'evento era stato contemporaneo in tutto il mondo: le sei del mattino nel fuso orario di San Francisco, le 23 a Sydney.
Sempre in un secondo momento, aveva giustificato gli eventi di cui era stata spettatrice ipotizzando di essersi trovata vicina al luogo di atterraggio della presunta astronave. La valle dei Vimana, i templi Indù, sembrava essere il luogo adatto, per quella regione, per il contatto.
Ma non poteva esserne certa, non avendo visto altro che la fitta vegetazione venir completamente divorata da una tempesta di sabbia. Si trovava in una zona riparata, tra il verde che avvolgeva il monumentale tempio indù da cui si stava allontanando per rientrare a bordo della Blue Seed. Lo spettacolo era stato agghiacciante. Jungla tropicale lussureggiante e deserto rosso si contendevano il territorio, lì come a Delhi e in altre zone della penisola, e il confine tra l'una e l'altro era netto quanto quello che separava le correnti oceaniche.
Il cielo si era oscurato di colpo e un'elettricità palpabile scorreva nell'aria. L'umidità monsonica aveva lasciato il passo a un'aria calda e secca, la pelle si era tesa improvvisamente su tutto il corpo, le labbra si erano fatte screpolate e la gola riarsa.
Solo allora aveva percepito il rombo lontano e indistinto che aveva confuso, in un primo momento, con dei tuoni naturali. Il rombo era stato subito accompagnato da un pesante terremoto che, aveva capito in seguito, non erano altro che il ruggito dei razzi direzionali per l'atterraggio che, nella loro spinta propulsiva, avevano sollevato la tremenda tempesta di sabbia. Sabbia che aveva , così, oltrepassato il naturale confine, invadendo il terreno rigoglioso.
Aveva alzato lo sguardo, curiosa, per capire, cercando di vedere oltre la tempesta.
E le aveva viste.
Le luci delle navi, di quelle enormi città galleggianti.
Quindi, era giunta la voce. La voce che tutti sentivano e cercavano di capire da dove venisse, guardando il vicino in cerca di una risposta. Un'allucinazione collettiva, una visione di tipo ufologico-mariano.
Invece, non si era trattato di un fenomeno locale ma tutto il mondo ne era stato vittima. Contemporaneamente.
Nessuno di loro, nella grande calca, si era accorto subito delle nuove figure spettrali alle proprie spalle. Solo quando era stato spiegato loro che da quel momento gli Akero avrebbero vigilato sulla giovane, ingenua e violenta civiltà umana la gente si era guardata attorno, notando figure che prima le erano sfuggite.
Di colpo, come svegliatisi dall'ipnosi, la gente era impallidita rendendosi conto del pericolo: dopo un terremoto del genere, c'era sempre una risposta uguale e contraria. Bisognava cercare di mettere in salvo coloro che rischiavano di non venire allertati per tempo della disgrazia imminente. Dimentichi di quanto era appena accaduto, si attaccarono il telefono, imponendo ai familiari di mettersi in salvo: uno tsunami di immani dimensioni si sarebbe sicuramente abbattuto a breve lungo le coste.
Ma gli Akero dimostrarono subito la loro prontezza, allertando capillarmente chiunque rischiasse di trovarsi in zona ad alto rischio e pilotando le masse perché evacuassero gli invalidi. Scongiurato il pericolo, gli invasori dimostrarono la loro potenza calmando la natura: nessun disastro naturale colpì le coste.

“E' il tuo sogno, Azzurra!” sbottò 24 che, fino a quel momento, era rimasto in silenzio, proprio come Loki “E' l'incubo che fai spesso e che ti sei sempre rifiutata di spiegarmi!”
La ragazza annuì mestamente: non voleva fornire ulteriori spiegazioni dato che aveva trovato estremamente faticoso anche solo rievocare ed esporre i fatti così come li aveva vissuti.
Birger aveva ascoltato con interesse mentre Han sembrava in qualche modo distratto nonostante, ogni tanto, prendesse dei veloci appunti. Le lasciò un minuto per riprendersi, trafficando sulla sua scrivania, quindi si alzò in piedi “E' ora di andare. Il periodo di riposo sta per scadere.” Andò verso Mat-mon e controllò rapidamente le manette e le imbracature che lo ancoravano al letto: nascoste da un semplice lenzuolo, erano completamente sfuggite all'attenzione della ragazza. Istintivamente, Azzurra arricciò il naso: era incosciente e lo trattavano come una bestia. Ma era un Akero, una potenziale minaccia, per loro ed era quindi comprensibile la loro paura.
Han si diresse verso Loki e, chiamato anche Birger, li ammanettò tra loro. “Non fare scherzi!” minacciò chinandosi alle caviglie della Lamassu per legarle tra loro. Una volta che si fu raddrizzato, ammanettò anche se stesso al polso libero della prigioniera. “Per oggi faremo uno strappo alla regola e prenderemo l'ascensore: non voglio rischiare di rompermi l'osso del collo giù per le scale, cercando di coordinarmi ai vostri movimenti. Tu tieni a bada il tuo amichetto: per quanto malconcio è sempre più forte di noi.” ringhiò verso la bionda che incrociò le braccia al petto in segno di sfida: non si sarebbe mai ammanettata a 24 ed era quasi tentata di ordinargli di saltare al collo di quell'antipatico di Han, in modo che capisse cosa volesse dire venire strapazzati a quel modo. Ma tacque e, rivolgendosi al suo Akero, gli chiese solo di non badarlo e di stare tranquillo, per il bene di tutti. 24 annuì, evidentemente preoccupato per Loki.
Scesero al piano terra e seguirono i corridoi rocciosi fino in fondo a una delle ali di quello strano posto. Scesero ancora una manciata di gradini e si inoltrarono in un ultimo corridoio corto e dal soffitto basso. In fondo, le porte erano costituite da pannelli che si sormontavano tra loro. Sembravano essere di plastica trasparente ma poteva trattarsi anche di una seta sofisticata. Azzurra si sentiva spaesata e ignorante in quel mondo in cui antiche conoscenze permeavano la quotidianità dei ribelli.
All'interno la sala era immersa nella più totale oscurità e in un odore stantio e pungente. “Le luci sono sulla sinistra” Disse la voce dell'hacker.
“Eh?” domandò perplessa Azzurra, abituata com'era all'accensione automatica delle luci.
“Sulla sinistra” scandì Han, con pazienza forzata “C'è una scatoletta di plastica, 50 per 30. Plastica morbida sul coperchio. Sotto ci sono i pulsanti. Premili tutti”
La ragazza si mosse a tentoni lungo il muro. “Azzurra?” la chiamò 24 poco dopo “Credo sia questa” disse con sicurezza l'Akero, la cui tuta malconcia quasi splendeva nell'oscurità. Lei tornò sui propri passi e, raggiunto l'Akero, pigiò con forza dove lui le indicava. Un forte bagliore inondò la sala che, ora, si mostrava in tutta la sua ampiezza.
Leggermente rialzato rispetto al terreno, correva una specie di ballatoio sormontato da sedili disposti in gradinate. Nella conca sottostante, stavano diversi lettini, macchinari di vario genere, alcuni catafalchi ingombranti, altri così maneggevoli da essere ammonticchiati su un unico tavolo. Le pareti, poi, erano foderate di altri macchinari ancora.
“Aaahh” protestò Han sbuffando sonoramente quando si fu avvicinato al mobile più vicino ed ebbe picchiettato su un pannello verticale “Chi cazzo è che ha staccato tutte le prese? Fa una cortesia, attacca le prolunghe!” la invitò, indicando il pavimento con la mano libera mentre si avvicinava al lettino centrale, dal pianale di vetro, e ci faceva salire Loki “E poi pigia tutti i pulsanti di tutte le apparecchiature che trovi...”
Lei e 24 si mossero simultaneamente e quando tutto fu collegato si accorsero di un lieve ronzio, delle luci che si accendevano lentamente, scaldandosi un poco alla volta, i monitor che sfarfallavano pigri, ventole che acceleravano improvvisamente.
“Hallo!” biascicò una voce impastata facendosi largo tra le tende rigide. Quando Azzurra sollevò gli occhi, incontrò quelli nocciola di una donna che non conosceva. Quella, senza degnare nessuno di uno sguardo, andò ad abbarbicarsi su una delle sedie della prima fila, sgranocchiando una sorta di panino. Lentamente e alla spicciolata, diverse altre persone si introdussero nella stanza, andando a prendere posto sugli spalti.
“Non hai dormito, vero?” domandò Alain, irritato, vedendo che Han era ancora vestito come durante l'interrogatorio.
“A me non serve dormire!” replicò Han all'amico appena arrivato e fresco di doccia, liberando se stesso e Birger dalle manette.
“Guarda che se il tuo fisico subirà dei contraccolpi per la tua vita sregolata ce ne dovremo fare carico noi, dopo!”
“Sì sì, non preoccuparti...” lo liquidò “L'importante è che faccia almeno otto ore ogni sedici, no? Piuttosto, siamo tutti? Tu vai...” disse rivolto a Birger “E mi raccomando... sai cosa fare, in caso...”
“Quasi... ma possiamo cominciare...” borbottò il francese, rispondendo alla domanda retorica dell'hacker che già istruiva il norvegese, senza badare lui. Scosse la testa: era inutile ricordargli quanto un sonno disordinato non gli facesse bene. Ma conosceva le regole: che si arrangiasse. Più di ripeterglielo fino allo sfinimento, non poteva fare altro.
Quando arrivò anche Hector, Alain si rivolse agli astanti e presentò gli esami che si sarebbero svolti. Fece un rapido riassunto di quanto scoperto per quanti fossero stati impegnati e si fossero persi dei pezzi per strada. “L'Akero qui presente, Loki, ci ha mostrato come il loro corpo sia una sorta di costruzione genetica di vari esemplari naturali. L'Akero verrà sottoposto ad alcuni test per verificare tutte le nozioni riportate nella sua banca dati. Cominceremo con l'esaminare l'epidermide, nascosta dalla tuta...”
“Quale epidermide?” sbottò 24 dal suo angolo, lontano dagli operatori. La platea si voltò, all'unisono, verso di lui. Sguardi scettici, infastiditi e curiosi si affastellavano tra loro “Questa è la nostra pelle! Noi sentiamo attraverso di essa!” proseguì incurante di tutto, nonostante il respiro si fosse fatto affannato. Era probabile che fosse una reazione fisiologica ai traumi: loro non sentivano dolore come gli umani e non si fermavano al primo fastidio. Era probabile che l'unica spia di malfunzionamento a cui dovessero prestare attenzione fosse proprio l'inefficienza del sistema.
“Quindi saresti nudo, ora?” domandò perplesso Han alzando lo sguardo dai suoi macchinari
“Sì. Noi non abbiamo bisogno di vesti. Anche i vostri studiosi, sociologi e psicologi, avevano pronosticato che, con l'avanzare della civiltà, l'abito sarebbe diventato un orpello inutile. E noi siamo una società avanzata.”
“Flügel è sorpassato” protestò qualcuno dall'alto.
“I vostri costumi non serviranno più a differenziare i generi, come già avviene in superficie...” e dicendolo guardò Azzurra, quasi che lei potesse essere la testimonianza di quanto affermava “Maschi e femmine non avranno bisogno di mostrare la loro diversità. Né ci sarà più bisogno di sottolineare le gerarchie: in una società evoluta non esistono. Non avrete bisogno nemmeno di coprirvi per pudore, perché l'imbarazzo appartiene solo a voi che avete problemi irrisolti con la vostra psiche e siete soggiogati da schemi mentali e culturali indotti dalle religioni: gli animali sono nudi, l'uomo è un animale e nasce nudo. E già molti umani praticano il naturismo.”
“Certo certo...” tagliò corto Han “E nella terra del fuoco, ai tempi di Darwin se ne stavano nudi in mezzo alla neve. Allora dimmi, perché la tua amica, qui...” disse indicandola col pollice da sopra la spalla “Ha parlato di gerarchie? Di come i corpi armati siano vestiti di nero e il corrispondente dei nostri medici di verde? O ancora, tra voi stessi ci siano Akero in bianco e rosso e altri in rosso e bianco o bianco e blu e così all'infinito?”
“I Karibo devono indossare delle protezioni mentre gli Anargiri sono vestiti per motivi igenici.” replicò secco lui “Tutto il resto è la nostra livrea: come ci sono pappagalli rossi e altri blu, così noi siamo bianchi e rossi e azzurri...”
Han lo fissò negli occhi, soppesandolo annoiato. Cosa che stava mandando 24 in bestia “Certo...” convenne “E perché mai una civiltà avanzata come la vostra avrebbe bisogno di un corpo armato?” così dicendo lo zittì e ridiede la parola ad Alain e a Hector.
“Faremo molta attenzione nella fase preliminare...” spiegò il francese raccogliendosi i rasta in un unico nodo in cima alla testa “Come ci ha, giustamente, ricordato il nostro Akero, per loro è una seconda pelle e, crediamo, sia irta di terminazioni nervose. L'analisi preliminare...” disse pigiando il pulsante di un telecomando e facendo scorrere delle immagini su un proiettore: immagini di pelle scorticata, tagliata, ustionata o crivellata da colpi di proiettile “...delle condizioni dell'Akero 19 ci hanno portati a credere che abbia delle propaggini minuscole che si innestino nel tessuto sottostante.”
“Lo scopo?” domandò qualcuno dall'alto, in quello che Azzurra credette spagnolo ma la cui musicalità era completamente falsata.
“Incrociando i dati con quanto contenuto nella sua memoria, riteniamo plausibile che si tratti di un sistema di alimentazione indotto e di un possibile sistema capillarmente diffuso di micro servo meccanismi per il controllo diretto del corpo” rispose Hector “Come pilotare un drone...”
“E di riciclo dei rifiuti corporei oltre che per la ricezione di tutti i dati sensibili registrati dall'esemplare...” precisò Alain “Anche noi abbiamo tute simili, ispirate ai romanzi di Herbert1 e che usano un'evoluzione del dispositivo Imhoff2, ma non consentono che un autonomia di qualche ora. Non certo degli anni che hanno servito, sicuramente, i nostri ospiti. I tubi uncinati, che si innestano nei tessuti sottostanti, servirebbero a tenere il tessuto teso e adeso sul corpo, irrorandolo, contemporaneamente, di sostanze nutritive e prelevando quelle totalmente inutilizzabili...”
“E come?” domandò una profonda voce baritonale in quello che Azzurra identificò come un idioma non meglio identificato come esteuropeo.
“Tramite questi, Sergei...” disse Han prendendo in mano, con molta cura, le propaggini che si estendevano dalla nuca di Loki “Sono cavi, in tutto e per tutto. Per incidere il prisma di cristallo che avete visto nella conferenza – per evitare di caricare tutta la sua memoria sui nostri computer, che comunque non sarebbero stati sufficienti a contenere la mole di dati forniti – l'ho accoppiata con questi connettori stranamente universali: una serie di jack e mini-jack tricanali e delle prese usb sia di tipo A che di tipo B. Sono tutti maschi a parte...” nel dirlo sollevò due cavi più grossi ma ne mostrò solo uno alla platea “Questa protuberanza che ha un innesto femmina. Mi sembra un po' strana. E anche il suo diametro: siamo intorno al centimetro. Internamente è cava. Anche il maschio è cavo ma le diverse scanalature permettono l'identificazione. Dunque... Una sola femmina in un fascio di...due quattro...una decina di cavi. Non è strano?”
“Se la femmina fosse in realtà una peg?” domandò una donna dall'ultima fila.
“Probabile. L'alimentazione esterna, di cui parlavo prima si riferisce alla manutenzione dell'elasticità della pelle, della sua traspirazione, ma anche di un possibile sistema per inoculare... chessò io... farmaci? Sospetto che il tessuto sia sufficientemente traspirante ma per accertarcene dovremo aspettare l'esito degli esami dei laboratori tessili. Per il resto, siamo qui per scoprirlo.” Disse Alain
“Tu sai cos'è una peg?” bisbigliò Birger al fianco di Azzurra che scosse debolmente la testa nonostante il nome non le suonasse nuovo.
“Percutaneous endoscopic gastrostomy” disse 24 poco più in là. I due si volsero a guardarlo “E' il tipo di sonda che alimenta i pazienti che non sono in grado di nutrirsi autonomamente. Per lo più sono i vostri anziani, incapaci di deglutire in seguito a un trauma neurologico. In un soggetto giovane c'è più speranza che, in breve tempo, riprenda le sue funzioni e viene quindi alimentato tramite un sondino che scende dal naso direttamente nello stomaco. La peg è un semplice, brutale, buco nella pancia.” Nel dirlo, la sua mano si mosse istintivamente all'altezza del ventre scolpito. Sembrava impossibile che ci fosse un tubo che lo perforasse e che non fosse visibile attraverso quella tuta così aderente.
“Una specie di cordone ombelicale, insomma” commentò Birger tornando a fissare la sua Akero personale che, davanti a tutti quegli sguardi curiosi, non mostrava alcun turbamento.
Nel frattempo, Hector e Alain si erano messi una pesante mantella blu aperta sulla schiena, avevano indossato guanti rigidi, avevano fatto stendere Loki e l'avevano fatta scivolare sotto una grande lampada. Premettero un pulsante e voltarono la testa “Quella è una lastra” li informò 24, con un tono di voce che tradiva tanto il suo orrore quanto la sua curiosità, mentre la sua amica veniva fatta scivolare sotto uno strano marchingegno composto da una semplice asta e un dispositivo circolare che prese a ruotarle attorno al corpo a velocità sempre maggiore e che eludeva le zampe del lettino. “E quella è una tac completa”
Silenziosa come un'ombra Fatema era comparsa al loro fianco, i lunghi capelli neri raccolti in un'elaborata acconciatura. Quando le scansioni furono portate a termine, sorrise ai tre in disparte e raggiunse il gruppo di esaminatori. Ora le sue vesti erano semplici, apparentemente di una taglia più grande. Prive di alcun tipo di decorazione riusciva ugualmente a essere radiosa. Il suo posto al loro fianco fu preso da Michele e Kemal che giustificarono il loro ritardo con un semplice “I bambini...”
Azzurra notò che l'arabo, ora, vestiva una semplice veste, identica a quella della sorella, composta da una lunga casacca e morbidi pantaloni di lino. Paradossalmente, pur nella stessa foggia, il completo dava a lei un'idea superba femminilità e conferiva a lui un che di virile che fece abbassare lo sguardo alla ragazza, improvvisamente a disagio. Poi, notò un dettaglio e alzò lo sguardo sul compagno di viaggio, pronta a tempestarlo di domande, quando lui l'anticipò “In questi casi, Fatema cessa di essere una donna e diventa un semplice medico, anche se la sua funzione, qui è quella di intermediaria. E', più che altro, un'erborista, una speziale, non so come la chiamate in Italia o se esista una figura come la sua. In questo caso si presta a fare da intermediario tra i medici e il paziente perché, oltre a essere anche lei una donna (e questo può infondere fiducia) è una mezza psicologa e sa come calmare gli animi quando si procede a operazioni complicate e traumatizzanti. Inoltre, la sua identità è comunque celata da maschera guanti e cuffia.”
“Ma siete tutti medici o ingegneri, qua dentro?” borbottò Birger, sentendosi uno del mucchio nonostante gli studi umanistici.
Michele si chinò a rispondergli “Io sono architetto. E comunque, no. Certo, i primi che potevano accorgersi delle loro macchinazioni era queste due categorie. Oltre, ovviamente, ai politici e ai militari. Ma si parla di alti ranghi che avevano tutta l'intenzione di favorire la loro realizzazione. Le altre categorie, però, captavano i segnali emessi dai primi. E chi era un po' sveglio e aveva una buona conoscenza di come girava il mondo, poteva collegare i fatti tra loro. Teoricamente... che gliene frega a un architetto se in Francia vogliono chippare tutti i bambini o se in Giappone si comincia a pagare ogni cosa col credito telefonico?”
“E allora tu come hai fatto?” domandò curiosa Azzurra ma Han, dal centro della stanza, la mise a tacere levando la sua voce fredda sulla sala e facendo cadere l'attenzione di tutti sul gruppetto che si scusò, mortificato.
Si accorsero, allora, che Fatema stava incidendo la superficie della tuta con un bisturi all'altezza delle spalle, facendo attenzione a non calcare troppo la mano sulla lama, rischiando di perforare i tessuti al di sotto della stessa.
Azzurra si accorse che, a partire da quel momento, 24 si era irrigidito e teneva gli occhi fissi sulla compagna: era diventato una statua di marmo, quasi non si percepiva nemmeno il movimento della cassa toracica.
“Procedo alla rimozione dello strato superficiale” annunciò Fatema con voce stentorea e professionale. Tutti stavano col fiato sospeso.
Non appena cominciò a rimuovere il tessuto, videro Loki irrigidirsi appena ma senza emettere un fiato.
Accadde tutto in un attimo.
24 si irrigidì ulteriormente a sua volta e scattò per interrompere l'esperimento.
Immediatamente, però, quasi prevedendo una simile reazione, Birger ruotò violentemente il proprio braccio che arrivò a colpire l'Akero con gomito e polso, fermandolo momentaneamente. 24 gli scoccò un'occhiata carica di odio e si stava già abbattendo su di lui quando, non visto, Michele aveva preso una delle sue propaggini (quella che Han aveva identificato come presa usb B 5.0) e cercava di collegarla alla parete mentre Kemal interveniva in aiuto di Birger e afferrava l'alieno per i polsi, facendoglieli ruotare e bloccandoglieli dietro la schiena, strappando all'alieno una smorfia di dolore. Per niente intimorito da quel gesto, 24 si abbassò, sbilanciando l'arabo che lo riagguantò rapidamente per le spalle. Ma lui fu più veloce e protese le braccia verso l'alto, pronto a sgusciar via della stretta, facilitato dalla posizione assunta e dalla tuta che non consentiva alcun appiglio.
“Ed” Urlò Michele e, improvvisamente, 24 si accasciò su se stesso
“24!” urlarono in coro Loki e Azzurra che avevano assistito impotenti a tutta la scena.
Michele, in piedi vicino al gruppetto, stava col palmo premuto contro un piccolo pulsante rettangolare. “Chiedo scusa... non riuscivo a infilare la presa...”
“Cosa gli avete fatto?” sbraitò Azzurra afferrando Kemal per il colletto e strattonandolo bruscamente, lasciandolo in ginocchio dov'era e tirandolo verso di sé
“L'abbiamo solo messo in stand-by” disse Birger
“Tu sapevi!” urlò stravolta “E' il mio Augur!”
“E stava per aggredire tutti” replicò lui
“Per difendere Loki, la tua Augur, di cui sembra non fregartene molto!”
Birger lanciò uno sguardo a Loki e poi tornò a posarlo su Azzurra “Lei avrebbe agito allo stesso modo. E io l'avrei fermata allo stesso modo. Loki lo sa.”
“Loki?” Azzurra si voltò esasperata in cerca di sostegno ma vide che la Lamassu la guardava tranquilla.
“Birger mi avrebbe fermato” confermò, quindi si rivolse a Fatema “Continua pure, non sento nulla. Non posso provare dolore. Se mi sono mossa, involontariamente, era per permetterti di operare meglio”
“Sei sicura? Non vuoi nemmeno un po' di ossigeno3?” domandò Fatema, improvvisamente preoccupata.
Loki scosse ancora la testa “Mat-mon si è tolto mezza tuta da solo. Posso farcela anch'io.” e dicendolo, si voltò e tornò a fissare il soffitto.




1    Tuta dei Fremen in Dune.

2    Sistema Imhoff

3    L'ossigeno è usato anche come gas anestetizzante. Se avete mai provato a respirare ossigeno puro, vi sarete accorti di come ci si senta storditi e confusi, un po' come quando si va in alta montagna e la differenza della miscela nell'aria può scombussolare.

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Ragazzi, ora che ho finito gli esami (alleluja) mi prendo un pò di tempo per ringraziare tutti quelli che mi seguono (lo so che l'ho scritto anche il mese scorso, ma vi ringrazio comunque) e a quanti mi rompono le scatole in via privata perché aggiorni più frequentemente... vedremo..se, ora che avrò un pò più di tempo, riuscirò a produrre di più, potrei anche pensarci ;)
Il problema è che le idee son chiare..sono i protagonisti che non han voglia di collaborare. Ma loro vivono nel piccolo paradiso terrestre, che je frega a loro?
ù_ù speriamo.
Spero che vi sia piaciuto anche questo capitolo.
Ciò che è stato spiegato in questo capitolo, in realtà, non è così chiaro e ci sono altri dettagli che andranno spiegati, circa l'invasione e gli alieni :) attendete fiduciosi.

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Capitolo 24
*** cut off ***


24. Cut Off
The tail







Azzurra fu costretta a uscire dalla sala operatoria dopo pochi minuti. L'espressione dura di Loki, l'odore del sangue che arrivò a pungerle il naso e la vista della pelle scorticata le diedero la nausea. Si era convinta che in realtà l'aliena stesse cercando di sopportare il dolore: le sembrava che il respiro regolare nascondesse tracce di mugolii trattenuti a stento.
Tutto ciò era orribile. O forse era lei che era ipersensibile.
Si accasciò appena fuori dalla tenda di seta plasticata, lungo la parete del corridoio principale. In quale razza di posto era finita? Se trovava discutibili i metodi degli Akero, ora trovava rivoltanti quelli dei ribelli.
Passò del tempo, non avrebbe saputo dire quanto, se pochi minuti o qualche ora. Di certo non era ancora finito quel ciclo, dato che non erano ancora suonate le sirene della ritirata nei letti. Forse si era appisolata ma quando alzò lo sguardo vide che dal fondo del corridoio arrivavano un paio di ragazzi che scherzavano tra loro. Il chiacchiericcio era appena percepibile. Nel giro di pochi istanti furono pienamente visibili ed ebbe la conferma della sua intuizione: tre ragazzi, a occhio e croce, suoi coetanei. Uno attirò la sua attenzione più degli altri (che pure erano particolari): sedeva su una rudimentale carrozzina perché era davvero malconcio, il corpo fasciato per buona parte della superficie. Indossava solo dei semplici slip (o qualcosa di molto simile) e sopra tutto, una vestaglia di cotone rosso. Aveva capelli neri a doppia lunghezza con delle ciocche, qua e là, rosso vivo che spuntavano in quella matassa come vero fuoco. Alle sue spalle, gli altri erano, in realtà, ancora più eccentrici: uno sembrava essere abbronzato visto il caldo color caramello della sua pelle e aveva lunghi capelli argento; l'altro aveva la pelle chiazzata come quella di un cavallo ed era completamente calvo eccezion fatta per una riga di capelli neri intrecciati che gli segava in due il cranio.
“Tu devi essere quella nuova!” gracchiò giulivo quello dai capelli argentini. Notando lo sguardo sconcertato di Azzurra, si affrettò a precisare “Beh, sai... qui ci conosciamo tutti... almeno di vista”
“Hanno già cominciato?” chiese quello dalla pelle pezzata. La ragazza annuì appena “Ma allora tu cosa ci fai qui fuori? Su...” disse andandole incontro e cercando di sollevarla da terra “Vieni anche tu!”
“Non toccatemi!” urlò scansandosi come se avesse toccato un ferro arroventato “Siete dei mostri!”
I tre si guardarono, perplessi, quindi scoppiarono a ridere “Puoi ben dirlo! Guarda che facce!”
La ragazza si rabbuiò “Parlavo di quello che state facendo là dentro!”
L'invalido tirò un lungo fischio ammirato “Lei la 3-18 la passerebbe senza batter ciglio”
“Uffa!!!” sbottò il ragazzino pezzato. “Non parlate dell'ultimo test come se fosse una faccenda di Stato. Voi due l'avete già fatto e non vi sbottonate... siete proprio stronzi!”
“Tra poco toccherà anche a te e Dio solo sa quanto ti tornerà utile nelle missioni.” lo rincuorò il più malconcio dei due con un aria improvvisamente triste.
“Vedo io...” borbottò quello, indispettito “E io comunque ho ancora strizza del 2-12. Al prossimo voglio arrivarci preparato!”
“Non puoiii!!!” replicò quello dai capelli argentini, evidentemente, per l'ennesima volta. “Dunque, Azùra...”
“Azzurra” replicò lei piccata: come si faceva a sbagliare la pronuncia di un nome tanto semplice?
“Perché non vieni dentro? Io sono Jordan, dovrei essere all'incirca albanese, se può tornarti utile e sempre che studiate ancora geografia o i confini non siano cambiati. Ho diciannove anni e qui sono ancora considerato minorenne...”
“Infatti, all'allarme ti ho proprio visto evacuare con noi...” sibilò l'altro sempre più imbronciato.
“Questo che continua a lamentarsi è Juan, detto Ferret per il fatto di essere snodato come un furetto” continuò Jordan imperterrito indicando il suo collega a cui Azzurra avrebbe dato un soprannome più in linea col suo aspetto da cavallo pezzato: Pinto o Appalosa “Viene da – attenzione alla consonanza – Finisterre, in Spagna, ha... quanti anni hai, niňo? Sedici?” lo canzonò divertito
“Diciassette e mezzo!” puntualizzò Juan ormai furibondo.
“Così grande? Allora devi soffrire di rachitismo” scherzò Jordan prendendosi qualche maledizione in una lingua simile a quella che Azzurra aveva udito in sala e che, anch'essa, le ricordava i dialetti settentrionali “Lui, invece, è Akira” continuò Jordan senza badare troppo gli isterismi di Juan “Anni 22: è appena maggiorenne. E' originario del Giappone, stava in un'altra comunità ma per l'1-6 è dovuto venire qui e quando ha superato il 3-18 ha deciso di tornarci. Solo che, così facendo, s'è beccato la missione greca di cui è l'unico sopravvissuto. E ha riportato pure un trofeo! Un Akero. Mezzo morto, ma almeno ne ha trovato uno!” Tutto galvanizzato, Jordan lodava l'amico, mettendo quest'ultimo (il cui volto Azzurra aveva già visto scorrere nelle immagini del notiziario che le era stato mostrato poche ore prima) in forte imbarazzo.
“Ho lasciato morire Jess e Xing...” replicò atono il giapponese, nel tentativo di smorzare l'entusiasmo
“Non potevi farci nulla” replicò Juan, addolcendosi “In ogni caso, anche tu ci sei andato molto vicino e tanto basta. Hai fatto il tuo dovere, smettila! Sappiamo qual'è il rischio da quando nasciamo...”
“Allora? Abbiamo fatto le presentazioni, ora siamo amici!” decretò Jordan, senza perdere il proprio sorriso “Ci vuoi dire perché non vuoi entrare?”
Azzurra abbassò gli occhi, infastidita da tutto quel buon umore e dal pensiero dell'operazione in corso “Stanno... rimuovendo la tuta all'Akero”
“Al tuo?” domandò Juan, curioso.
“No, a Loki” precisò lei
“Loki... è un nome che mi suona familiare...” borbottò Jordan “Massì! Non era nei fumetti che mi hai passato, Akira?”
“I comics americani o i manga?” domandò quello senza neanche voltarsi
Jordan ci pensò su “L'ho visto in entrambi... uno era un cane umanoide”
“Credo che il Loki a cui facciano riferimento quelli americani abbia l'origine comune con il nome di quest'Akero. Non viene dal nord Europa? Vichinghi e compagnia?” replicò Akira, quasi l'altro fosse nient'altro che un bambino la cui curiosità andava premiata e colmata.
“Giusto!” Jordan fece schioccare le dita a indirizzo del perspicace Juan, un gesto brusco che fece sobbalzare il pezzato e che lo mise a tacere: era un metodo che si sarebbe aspettata da Han, non da un ragazzino. “E dunque?” le domandò ancora, imperterrito, chinandosi alla sua altezza: aveva piegato le gambe e non era tecnicamente seduto al suolo ma si aggrappava alle ginocchia e dondolava sulle punte “Ti imbarazza vedere un'altra donna nuda? Quello che veniva dal nord era femmina, vero?” domandò subito dopo, voltandosi a chiedere conferma ai compagni.
“La stavano scorticando viva senza nemmeno la grazia di un po' di anestesia!” urlò Azzurra
Akira arricciò le labbra “Brutta faccenda davvero, allora. Però è necessario. Metti che sia allergica ai composti? Non credo farebbero della tortura gratuita e credo che la cosa sia tollerabile. Devono capire come funzionano al più presto e non possono andare tanto per il sottile. O l'Akero che ho riportato io morirà nel giro di pochi giorni” la informò tagliente, senza voler essere offensivo, solo pratico.
“Azzurra!” la richiamò la voce di Kemal da dietro l'angolo “Azzurra! Ah... sei qui... su, non importunatela ragazzi!” disse agitando la mano in aria prima di chinarsi anch'egli.
“Perché, ci devi provare tu?” lo canzonò Jordan piantando le mani ai fianchi e impettendosi tutto, assumendo, così una posizione ridicola.
Nonostante tutto, l'arabo sembrò prenderlo sul serio “Non dire scemenze!” replicò arrossendo “Hanno finito... se vuoi rientrare... e abbiamo interessanti novità” disse rivolto ai nuovi venuti
“Come è messo l'esemplare che ho portato? Onestamente!” lo bloccò Akira, prima che Kemal li guidasse nuovamente all'interno. Questi guardò prima lui, poi Azzurra, incerto. “Deve saperlo anche lei, così capirà che non è crudeltà fine a se stessa. Vi siete accertati che sapesse perché lo stiamo facendo?” Akira aveva un modo di parlare molto carismatico: probabilmente otteneva facilmente la fiducia e la stima delle persone che lo circondavano.
L'arabo si strinse nelle spalle “Non lo so, non c'ero: sono arrivato tardi. Io e Michele abbiamo dovuto portare i bambini da Nives perché li guardasse durante la riunione...” tacque per un attimo, soppesando le parole. “Mat-mon non sta affatto bene. Le ferite non si rimarginano, i nostri antibiotici non funzionano e la parte del corpo colpita che possiamo osservare perché libera dalla tuta sembra andare in cancrena. Non abbiamo la più pallida idea di cosa gli stia succedendo. Loki ha fornito tutte le istruzioni su come funzionano i loro organismi, ma ancora non siamo arrivati a capo di nulla. L'indagine autoptica è l'unica che strada che possiamo percorrere” Nel terminare il suo resoconto, alzò lo sguardo scuro e penetrante su Azzurra ma lo distolse subito, a disagio: certe parole erano uguali, non cambiavano col tempo. Autopsia: l'apertura di un corpo. Morto. Per studiarne le interiora. La bionda rabbrividì al pensiero di chi dei tre alieni sarebbe stato sottoposto a tale procedura e strinse gli occhi per cacciare quell'orrore dalla sua testa.
“Capisco!” Akira accettò le informazioni con una calma invidiabile. Non era triste né rammaricato. Era un dato di fatto a cui lui non poteva porre rimedio alcuno “C'è anche da dire che non era in buone condizioni nemmeno quando ha assaltato la villetta. Non vorrei si trattasse di qualche virus per cui se si allontanano dalla nave madre si ammalano.” azzardò in un sospiro.
“Però, allora, anche gli altri due dovrebbero essere messi male!” protestò Juan
“Ma loro non sono feriti” protestò Jordan “Non in quel modo, almeno. Ma, se quello che ha detto Azzurra è vero e la rimozione della tuta è come una scorticazione, allora peggiorerà a vista d'occhio.”
“Speriamo solo che riescano a cavarne fuori qualcosa di buono” biascicò Kemal tirando gentilmente Azzurra in piedi, considerando chiuso l'argomento.
Quando rientrò scortata da quella massa di persone, nessuno diede l'impressione vederla.
Loki era ancora stesa sul lettino - i piedi nudi che spuntavano da un lenzuolo bianco adagiato, per pudore dei presenti, sul suo corpo magro - e stava uscendo dal secondo giro di TAC. La pelle visibile era tutta arrossata, come se le fossero scoppiati i capillari di ogni parte coperta dalla tuta. Solo il volto e parte del piede erano perfettamente eburnei. I tubi, invece, continuavano a pendere, inanimati, al suo fianco, tra cui ce n'era anche uno rosso, nuovo, che non aveva notato in precedenza. Ai lati del capo, le orecchie erano state liberate dalle calottine su cui ruotavano i visori: erano a punta, simili alle parabole dei pipistrelli e leggermente più grandi delle orecchie umane. Ma soprattutto erano orecchie mobili. “Assomigliano a quelle della bertuccia” l'informò Kemal notando dove si fosse posizionato il suo sguardo “E, comunque, anche tra gli esseri umani c'è chi riesce a muoverle... non è un fatto eccezionale. Sono altre le cose sorprendenti. Dovremo farvi un riassunto di quello che questi esseri non sono: leggerli su monitor non rende giustizia alla loro perfezione.” Man mano che parlava, il suo tono si faceva sempre più concitato “Non temere, Fatema le ha spalmato un unguento che ha preparato appositamente per lei. Le micro ferite si saneranno in un batter d'occhio”
“Non potete usarla anche su Mat-mon, allora?” domandò Jordan perplesso
“E' diverso” sentenziò l'arabo. In quel mentre Loki si stava mettendo a sedere, lasciando che il lenzuolo le cadesse di dosso, rivelando un fisico davvero androgino dove il seno era praticamente inesistente. “Il lenzuolo serviva a evitare che le mosche le si posassero addosso mentre asciugava” spiegò.
Accettando l'aiuto di Hector e Alain, Loki scese dal lettino e rimase in piedi senza alcuna vergogna. L'ombelico era un pozzo nero ma non era più grosso di qualunque altro Azzurra avesse mai avuto occasione di intravedere negli spogliatoi “Il nutrimento...” continuò Kemal “... arrivava sì direttamente alla pancia, ma in punti diversi per distribuire omogeneamente il preparato. Altri tubicini, invece, si diramavano dallo stomaco, estraendone i succhi gastrici che risultavano eccessivi per una dieta endovenosa. Non ho la più pallida idea di quale tipo di materiale abbiano utilizzato perché non si sciogliessero: siamo tutti curiosi di avere il responso dai laboratori.”
“Quindi...” si intromise Akira “...era proprio necessario spogliarli. Da quanto tempo sono senza alimentazione?”
Fu Jordan a rispondere, dato che, in quello stesso periodo anche Kemal era fuori in missione “Quattro o cinque giorni, a conti fatti: da quando abbiamo ricevuto il segnale!”
“Da quando Han ha ricevuto, vorrai dire, piccolo parassita!” precisò Akira rimettendo al proprio posto il ragazzo che sbuffò offeso. Dopo aver messo a tacere Jordan, alzò la mano, chiedendo la parola “Dovremo insegnare loro anche ad alimentarsi?” domandò quando Hector gli diede il via libera.
“Suppongo di sì, anche se sanno come funzioniamo e come facciamo, potrebbero avere dei problemi.” intervenne qualcuno dall'alto degli spalti. La cosa sorprese Azzurra. Ma poi ricordò quello che le era stato raccontato: lì tutti facevano tutto. Quindi si poteva dire che quella non era la comunità che si riuniva per vedere dei professionisti al lavoro ma una riunione di tanti tecnici più o meno esperti che potevano contribuire, con la loro diversa formazione, a individuare qualunque cosa potesse essere utile al momento.“Andranno anche svezzati, come i neonati. Dovremo anche controllare che non si strozzino deglutendo. Ma prima ancora, dobbiamo capire cosa possono assumere e cosa no. Senza queste informazioni siamo fermi a un punto morto”
“I laboratori ci stanno già lavorando” l'informò Alain “Ma se potessi far preparare un bibitone dei tuoi, Sergei, di quelli totalmente artificiali, almeno potremo tamponare un po' l'emergenza...”
“Non funzionerà.” replicò quello, un uomo sulla cinquantina, i capelli brizzolati con due ciuffi bianchi ai lati della testa “Dovremo incrementare lentamente le porzioni praticamente da subito e ridurre gli intervalli tra una poppata e l'altra e non possiamo andare alla cieca. Né è pensabile mandarli in giro con una flebo sempre attaccata al braccio o ficcata in una sonda nasogastrica... I miei bibitoni non tamponerebbero proprio nulla. Anzi, rischierebbero di danneggiare il loro organismo, se non adeguatamente calibrati.”
“Faremo quello che possiamo...” disse Hector alzando appena la voce per mettere a tacere l'uomo: era una discussione sterile e sembravano averne già discusso “Lasciando il nido, hanno scelto più o meno consapevolmente di abbandonare un'alimentazione sicura. Era un suicidio in partenza. Al massimo vomiteranno il cibo in eccesso.”
Sergei strizzò gli occhi grigi dietro gli affilati occhiali da presbite e fece cenno di continuare mentre si alzava e usciva dalla sala. Azzurra pensò fosse diretto in un qualche laboratorio a sintetizzare pappette schifiltose da propinare ai poveri alieni. Ma almeno gli avrebbero dato da mangiare e tanto bastava a tranquillizzarla.
Kemal approfittò di quel silenzio e della ripresa dei lavori attorno all'aliena per riprendere il discorso lasciato in sospeso. “I tubi cavi di cui si parlava prima che tu te ne andassi erano gli unici esterni. Gli unici, cioè, rimovibili dal corpo, integrati alla tuta: appunto quelli per l'immissione di sostanze nutritive e l'estrazione degli acidi. Per il resto, gli Akero sembrano nascere, se così si può dire, con tutti cavi seriali universali già innestati nel corpo”
“Quello rosso? Cos'è? Non l'avevo notato prima...” ammise la ragazza, fissando il fascio di cavi tra cui quello rosso spiccava con prepotenza anche se non riusciva a capirne il punto d'origine.
Kemal sorrise e alzò la mano “Possiamo cominciare i test a partire dalle appendici?” domandò senza rispondere alla bionda che rimase a fissarlo interdetta.
Alain si volse vero Loki e le disse qualcosa. Immediatamente, quella afferrò qualcosa e la lanciò verso l'arabo. Una palla da tennis sfrecciò per la sala, dritta verso i due che erano appena rientrati. Ma consumò quasi subito la sua spinta propulsiva, rimbalzò sul pavimento, dapprima violenta, poi sempre più indolente, fino a raggiungere i piedi dell'arabo. L'esito strappò una smorfia di disapprovazione all'aliena “Almeno era un tiro ben indirizzato.” la consolò il francese
“Con un po' di addestramento, sono convinto che avrebbe potuto piantare un bisturi tra il collo di Kemal e la testa di Azzurra.” annunciò Hector mentre le immagini dei volti sbigottiti dei due scorrevano sul monitor fino a scivolare sulla mano che stringeva la palla “E questa è stata la dimostrazione di cosa può fare istintivamente la loro coda, non ancora addestrata: è prensile ed autonoma.”
“Coda?” sbiancò Azzurra, accantonando la paura che aveva avuto nell'immaginare la punta acuminata d'argento sfrecciarle vicino alla testa. O, per errore, in mezzo agli occhi.
Alain annuì “Era atrofizzata e nascosta sotto una delle cuciture della gamba destra. Se non l'avessimo spogliata, non ce ne saremmo mai accorti. E nemmeno lei”
“Anche 24...?” domandò con un groppo in gola, improvvisamente terrorizzata.
“Presumibilmente. A meno che non sia tratto discriminante di genere e potrebbe pure essere: la Natura si diverte a differenziare in modo alquanto pittoresco, talvolta. Di per sé, ha un particolare senso dell'umorismo, la Natura. Loro, che sono un guazzabuglio di diversi DNA, sono un mistero tutto da scoprire. Non troppo lentamente o ne perderemo uno...”
“La coda...” intervenne Hector consultando un tablet su cui, evidentemente, aveva scaricato i dati essenziali per il test “Ha la stessa stringa di quella del...Binturong! Eccolo qui!” E l'immagine del relativo animale comparve sullo schermo.
“Questo mammifero aveva la particolarità di avere una coda prensile” intervenne Kemal. Si staccò dal muro, raggiunse l'equipe e prese il tablet dalle mani del francese “Era un animale facilmente addomesticabile e pare ci fossero proprietari che venivano presi letteralmente per mano dal loro cucciolotto” disse, suscitando una risatina divertita sugli spalti. “Ritengo, come nel caso delle orecchie, sia stata riattivata, con l'inserimento di materiale altro, la coda che avevamo perso erigendoci su due zampe.” Era evidente, da come parlava, che avesse studiato il dossier sul palmare che aveva appena ripreso dalle mani di Hector. E la sua abilità nel saltare da un dettaglio all'altro lo inseriva con una certa precisione tra i filosofi naturali: era un biologo e tanto bastava, ad Azzurra, per spiegare come mai loro due andassero così d'accordo. “Ma procediamo” disse, restituì il tablet, prese le mani di Loki tra le sue e le studiò attentamente. Quindi avvicinò quella che ad Azzurra sembrava essere la lampada circolare degli studi dentistici. Le immagini delle mani affusolate ma tremendamente arrossate dell'Akero comparvero sul grande schermo. “So che le hai già utilizzate” disse mettendo in risalto gli artigli neri e sottili “Vorrei capire la loro capacità” e nel dirlo – la voce calda e gentile - sventolò davanti a sé e al pubblico un assicella di legno. “Prego” Con un gesto fluido e annoiato, Loki tranciò in due la tavoletta spessa tre centimetri “Vabbè, era solo faggio..” disse arricciando il naso: era ovvio che non si aspettava un risultato simile e la platea rise divertita per la sua momentanea difficoltà. Hector si avvicinò e rimosse i pezzi che erano stati separati, mentre andava in onda un ingrandimento del solco che veniva creato. “Dunque sono decisamente resistenti. Questo è chiaro. E sono retrattili. Ora dovremo capire quanto.” commentò “Magari raggiungi i trenta centimetri... così si spiegherebbe la fuga dalla capsula...”
“Non siamo in un fumetto del secolo scorso. Hanno un limite!” commentò Alain rivedendo le immagini e zoomando su alcuni dettagli. “Ora...” disse riscuotendosi dalla sua fascinazione “Vediamo un po'... Penso che andremo un po' a caso perché non ho la più pallida idea di come poter verificare una voce come Holoturia: tutto il corpo
“Però possiamo dire con un buon margine di sicurezza che sanno rilevare i campi magnetici come gli squali e quelli elettrici come l'ornitorinco da cui prendono anche i meccanorecetori, che sono dotati di termorecettori come i serpenti e di elettrolocalizzatore come i pipistrelli. Sono addirittura privi della sostanza P, il neurotrasmettitore del dolore. Non stiamo parlando di pillole, di ipnosi o di morfina: parliamo di totale assenza al dolore.” Azzurra alzò lo sguardo esterrefatta. Sergei si era alzato in piedi e stava arringando la folla. Ma se non era dolore... era lei a proiettare sull'Akero la propria angoscia? A leggere dolore e sofferenza nel suo tentativo di restare immobile per agevolare i carnefici umani? “Per non parlare di fotorecettori, papille gustative quanto quelle delle mucche... l'elenco è infinito, lo vedete tutti: filamenti di salamandra, di castoro, di formica e addirittura di pescegatto. Per non parlare degli innesti artificiali di cui sono disseminati. In parole povere sono vere e proprie macchine da guerra La domanda è: perché dotarli di un'infinità di peculiarità se dovevano starsene confinati in una presunta navicella a controllarci? E perché sostituirli con delle macchine? A questo punto do ragione ad Han...” disse sottintendendo qualcosa che Azzurra non conosceva e non riusciva nemmeno a immaginare. Cosa aveva ipotizzato l'hacker?
“Grazie tante!” replicò quello, piccato, allargando le braccia in un gesto nervoso, con un sorriso irritato e al contempo rassegnato.
“Forse” rispose Hector “Il loro obiettivo è rimpiazzarci del tutto. L'essere umano è obsoleto.”
“Ma come lo è l'uomo, al loro confronto lo è tutto il regno animale” precisò qualcuno
“Nives” rispose stancamente Hector “Siamo tutti d'accordo sulla parità dell'uomo con gli altri animali. Ma parliamo di noi che non siamo specisti. Ma loro, chiunque ci sia dietro tutto questo, ritiene il genere umano una minaccia da controllare e modificare a piacimento. Sappiamo di cosa siamo capaci: controllo delle nascite, genocidio e non ultima l'eugenetica. Un atteggiamento speculare a quello che animava i superficiali fino a qualche tempo fa, dove l'uomo era superiore a tutti, la creatura prescelta dagli dei. Tutto questo...” disse indicando Loki “...non è che un'evoluzione esasperata della più distorta follia di una mente malata”
“Non è detto...” fu la prima volta che Loki parlò, prendendo parte attiva nella discussione “...che tutto quello che siamo debba per forza essere usato contro di voi.”
“Tu forse no, ma il tuo amico, lì...” replicò Hector feroce indicando 24 con un cenno della testa “... lui forse sì”
“Io credo di no” ribatté ferma “Deve solo capire. Arrivare, come dite voi, all'illuminazione. Provate a mettervi nei suoi panni. Un bel giorno vi dicono a bruciapelo che siete degli androidi o qualunque altro termine preferiate usare per indicarci. Come reagireste? C'era un film, un tempo, che trattava l'argomento...”
Blade Runner?” suggerì qualcuno
“No” rispose lei “In quel caso gli androidi avevano coscienza di ciò che erano e si ribellavano alla loro natura. Parlo di A.I.” tutti tacquero “Dategli tempo. Per me non è un problema: quando ho acquisito le informazioni sono diventata automaticamente consapevole di tutto ciò, anche se non vuol dire che io sappia gestire questa mole di dati. Per Mat-mon sarà ancora più semplice: lui è sempre stato diverso.”
“D'accordo, i tuoi amici li escludiamo. Ma tutti gli altri? Tutti i milioni di Akero che svolazzano accanto ad altrettanti esseri umani?”
“L'unica cosa che potevo fare, l'ho fatta, cercando di risvegliare le coscienze dei singoli, informandoli di quanto ero venuta a conoscenza e infettando i sistemi operativi con un virus ideato al momento. Ma i nostri supervisori possono riabilitarci quando vogliono. O peggio. Potrebbero distruggerci tutti e ricrearci da zero, togliendoci quel minimo di libero arbitrio di cui eravamo dotati.”
“Qual è l'obiettivo finale?” strepitò Nives dall'alto della sua gradinata “Perché volete controllarci?” Solo allora Azzurra si accorse della donna. Chissà da dove era entrata e a chi aveva affidato i bambini? Fu forse quello a darle la spinta.
“Temo che le cose siano più complicate di così!” intervenne Azzurra, staccandosi dal muro e affiancando la Akero. Non guardò Loki, troppo imbarazzata. Ma vide il sorriso orgoglioso sul volto di Kemal, poco distante, e ciò le diede il coraggio per continuare e affrontare la donna che sembrava sul piede di battaglia. “Io e 24 sospettavamo che qualcuno stesse cercando di screditare il sistema degli Akero dall'interno. Per questo mi ha permesso di fuggire. Sarebbe stato in suo potere bloccare me e far uccidere la squadra che era intervenuta a salvarmi”
“Non stiamo parlando di te, signorinella. Non pensare che il mondo ruoti attorno a te, per quanto alto sia il livello di pericolosità che ti hanno assegnato!” sentenziò Nives con voce cantilenante. “Non è che tutto sia così semplice, proprio come dici tu. Quindi figurati se potrebbe essere facile come lo stai descrivendo tu” Era un'impressione o la stava insultando e dando della stupida? Non la conosceva e già non la sopportava.
“Però è un campione rappresentativo!” protestò Kemal prima che Azzurra riuscisse a riprendersi da quello schiaffo verbale.
“Io non sto dicendo questo! Ho solo detto che c'era qualcosa all'interno, già tra loro! E che un Akero di alto livello l'aveva fiutato. Non pretendo di avere alcuna conoscenza della cosa, ho solo esposto un fatto. E' diverso!” Ma quella mise il muso, considerandola una sciocca ragazzetta petulante, e incrociò le braccia al petto
“Quando fa così non la sopporto proprio” mormorò Kemal dietro di lei, strappando ad Azzurra un sorriso complice.
“Kemal!” lo redarguì Alain con un colpo di tosse “Io sospenderei la seduta, per ora” continuò, poi, a voce più alta “Abbiamo raggiunto almeno un punto, per curare l'Akero al piano di sopra. Attenderemo i risultati dei laboratori e vi terremo informati.” disse e così sciolse l'assemblea. I partecipanti si allontanarono di buon grado, tranne Nives che, recalcitrante, folgorò con aria di infastidita superiorità tutti gli elementi all'interno della sala operatoria prima di allontanarsi insieme agli altri.





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Ciao ragazzi, oggi mi intrometto solo due secondi, veloci veloci.
Dato che è sparito (o almeno, a me non compare più) il contatore dei like che mi aiutava a destreggiarmi per migliorare i capitoli, ho deciso di creare una pagina autore su FB -soprattutto per coloro che non sono registrati su EFP- in cui sarà più semplice dialogare, postare contenuti extra (per le foto, ad esempio, basta caricarle e non ho più la necessità di trovare un link valido), piccoli spoiler, avvisi sulla pubblicazione (di solito sono puntuale ma non si sa mai)... e tutto quello che si può fare con una pagina del genere. Tipo scambiarsi pareri anche sui film, perché no?
Ho meditato a lungo e mi sembrava presuntuoso ma senza contatore vado davvero male... quindi... beh, ecco il link. Siete i benvenuti!

DarkRoninEFP

alla prossima!

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Capitolo 25
*** Fashion As Life ***


25. Fashion As Life

To be and to be replace






Avviso ai lettori.
Il capitolo sarà più che altro una mini lezione di moda (per quella capra di Azzurra) "limitata" al secondo paragrafo... Ho provato a tagliare il pezzo in ogni modo (in questi capitoli mi sta succedendo spesso e non riesco a fare un lavoro decente: le spiegazioni tornano a bomba involontariamente). Faccio pubblico Mea Culpa.
Se vi rompete, capirò!




“Ci pensiamo noi a sistemare” dissero Juan e Jordan in coro, precipitandosi all'interno della sala ovale, avanzando in senso contrario rispetto alla fiumana che abbandonava il posto. “Voi pensate ai responsi dei laboratori!”
“Sono arrivati?” domandò Han, eccitato
“Sono su, nella tua nuova camera” commentò Akira facendosi largo a fatica nella stanza che era una barriera architettonica naturale.
“Come stai?” domandò l'haker andandogli in contro “Scusa... siamo stati un po' impegnati e, da che ti sei svegliato, non sono riuscito a passare a trovarti.”
“Non temere: Jordy mi ha tenuto informato” Rispose mestamente il giapponese
“Jordy non dovrebbe saperne niente di tutte queste cose” protestò quello, folgorando bonariamente il ragazzino incriminato.
“Scusate?” li interruppe Azzurra avvicinandosi piano ai due “Ma... non ci sarebbero dei vestiti per lei?”
Han levò un sopracciglio quindi spostò lo sguardo oltre la ragazza, focalizzandolo su Loki “Per chi? Per l'alieno? Non se ne parla neanche!” sbottò e tornò a darle le spalle senza più considerarla.
“Han!” lo riprese Alain dal fondo della sala “Vieni Azzurra, ti indico io dove puoi trovare qualcosa...”
“E 24? E' il caso di spogliare anche lui?” domandò Kemal mani ai fianchi, raggiungendo il francese.
Alain meditò sulla cosa, quindi acconsentì “Meglio di sì: ne approfittiamo ora che è in stand-by e non può ribellarsi. Azzura, già che ci sei, recupera devi vestiti anche per lui, mentre noi lo spogliamo.” così dicendo presero il lettino di vetro e lo spostarono verso il muro mentre le due ragazze uscivano dalla sala, seguendo una rozza mappa manoscritta su un pezzo di carta igienica.



Come furono fuori dalla stanza, nel lungo corridoio ormai silenzioso, Azzurra si scoprì cosciente di tutta la disparità che correva tra lei e l'aliena. Quella camminava senza farsi lasciare indietro e senza accennare a coprirsi. Forse, più della sua nudità, la turbava tutta quella pelle irritata esposta gratuitamente a... a nulla, visto che erano al chiuso. Ma, certamente, non era nemmeno protetta. A meno di non considerare il sottile strato d'unguento che Fatema le aveva spalmato in precedenza.
Più passavano i minuti più lei s'innervosiva. Quindi si fermò, si tolse le scarpe e i calzini e porse questi ultimi alla donna nuda accanto a lei. Si sfilò la giacca e le passò anche quella. “Non sarà lunga abbastanza ma almeno è qualcosa...” si giustificò non sapendo se quella potesse capire e/o apprezzare il suo gesto.
Loki accettò senza una parola mentre Azzurra si infilava, scalza, le scarpe.
“Grazie” disse quando ripartirono “Sei molto gentile per essere un'umana che ci odiava. Ma io non ho bisogno di vestirmi.”
Azzurra annuì rigidamente, non riuscendo a collocare le parole dell'aliena all'interno di un qualunque schema logico: che voleva dire che non ne aveva bisogno? Proseguì, quindi, seguendo lo schizzo della mappa nel mutismo più rigoroso, nel tentativo di non perdersi, distratta da altre questioni.
Quando arrivarono a destinazione, si trovarono davanti una piccola grotta che subito si illuminò di una luce violacea sfarfallante. “Un LP” commentò Loki alzando lo sguardo che Azzurra registrò come trasognato. Potevano, quegli esseri provare emozioni tanto intense e così umane? Certo, ok, il DNA diceva che erano in parte umani... ma i loro sensi ipersviluppati non avevano in qualche modo anestetizzato la loro percezione della realtà? “Dobbiamo averlo infastidito col nostro ingresso...” commentò ancora l'aliena, avanzando all'interno e tornando a focalizzarsi sull'oggetto della loro missione. Non c'era altro se non due scaffalature di legno, dall'aspetto instabile e grezzo ma in realtà solidi come rocce, su cui erano riposti ordinatamente pacchi di indumenti tutti uguali. Qua e là, targhette con strani numeri campeggiavano tra i ripiani, accompagnate, di volta in volta, da strani simboli. In cima a tutti, a delineare due categorie ben distinte, c'era una targhetta recante l'immagine stilizzata di un uomo e di una donna. A un esame più approfondito, Azzurra capì che le tute di cotone cachi, erano riposte ordinatamente secondo i diversi elementi che componevano la divisa: un pantalone, una maglia e una giacca. Perplessa, osservò più da vicino i diversi scomparti: i materiali erano esattamente gli stessi.“E' uno scherzo?” strepitò offesa mentre Loki armeggiava con i componenti dell'una e dell'altra.
“Il taglio è diverso” la informò l'Akero infilandosi un paio di pantaloni e una maglia dopo aver controllato la taglia con una rapida occhiata “Questa è più sciancrata e i pantaloni sono fatti per esaltare le forme femminili” disse infilandosi la felpa ancora allacciata dalla testa. Mentre Loki si infilava delle sottili calzette di cotone -alloggiate in uno scomparto minore che le era sfuggito- e indossava delle scarpette di tela, recuperate dal fondo della sala, in cui erano malamente ammonticchiate, la bionda notò che ora -effettivamente- anche il seno piatto dell'aliena sembrava acquisire volume. Incuriosita, disfò la prima felpa maschile che le capitò a tiro: i tagli erano completamente diversi. Si rimise le sue calze e la sua giacca, afferrò due completi da uomo e si affrettò a uscire. Ma Loki la richiamò quasi all'istante. “Hai preso le taglie sbagliate” commentò scambiando rapidamente e delicatamente tutti gli indumenti che lei aveva in mano.
Quando si furono lasciate la stanza alle spalle, che ben presto tornò buia com'era in precedenza, Azzurra le domandò, incuriosita “Come fai a sapere delle taglie?”
Loki non si degnò nemmeno di guardarla. Attese qualche secondo, quasi stesse riordinando le idee. “E' vero che voi non usate più il sistema delle taglie: devi scusare la mia superficialità. Vedi, fino a non molti anni fa il corpo umano era catalogato in base alle sue misure... Posso farti una piccola lezione di storia della moda?” domandò perplessa, volgendosi appena a scrutarla. Azzurra annuì, avida di sapere: nonostante in un primo momento avesse recepito come spocchiosa la risposta dell'aliena, ora pendeva dalle sue labbra. E, si appuntò mentalmente, per una pacifica convivenza ed evitare fraintendimenti, avrebbe dovuto imparare a interpretarla. Paradossalmente, Loki, che conosceva a menadito la propria natura semiumana, era molto più criptica di 24 che si credeva un alieno completo. “Nell'antichità non c'erano, ovviamente, le taglie. E neanche in epoca moderna il concetto era diffuso universalmente nel mondo. Ancora nei primi anni del XXI secolo molte donne arabe non avevano concezione di questo sistema di misurazione. Per il semplice fatto che continuavano a farsi fare i vestiti su misura. O perché, come avveniva in India col sari e in Giappone col kimono, il capo era uno per diverse corporature e altezze e si regolava in base all'esigenza. I vostri abiti moderni derivano da questo concetto. Unisex e taglia unica. I ricchi continuavano a farsi confezionare tutto dai couturier, i poveri a riciclare abiti smessi. Il concetto di taglia si diffuse nel mondo occidentale con l'avvento dell'industria: abiti già pronti, a buon mercato per le classi medie. La congiunzione con le guerre, poi, stimolò la produzione di divise sia per uomini che per donne. Gli uni erano impegnati sul fronte, le altre chiamate improvvisamente a sopperire ai compiti delle loro controparti maschili. Non si poteva certo far fare un abito su misura per ciascuno: il prezzo sarebbe stato sproporzionato per la funzione. Con l'avvento di prodotti a buon mercato prodotti in serie e il conseguente abbattimento dei prezzi si scoprì ben presto che, diminuendo la qualità del prodotto, si costringeva la gente a comprare continuamente e ad alimentare un sistema di rinnovamento perpetuo della merce: la moda. Il fenomeno dilagò contemporaneamente in ogni aspetto del commercio: vestiti, utensili, macchine. Così, in un sincretismo tra la nascente psicologia e criminologia e la necessità industriale di avere dei formati prestabiliti, si sviluppò l'antropometria. Non era una scienza che nasceva dal nulla. Già Leonardo, col suo uomo vitruviano, e prima di lui i greci e gli egizi, avevano studiato le proporzioni del corpo. E anche in ambito popolare i riferimenti erano molteplici. L'antropometria, quindi non era che un tentativo di razionalizzare le risorse: dato A, trovare B e C. Dove A sta per il torace, B la vita e C i fianchi e calcolare, di conseguenza l'altezza”
“Ma...” protestò la ragazza “...una può avere molto seno e avere una vita striminzita o avere una pancia da birra ed essere piatta... o può avere le gambe lunghe tre chilometri...”
“Hai perfettamente ragione. E queste differenze erano calcolate, per lo più, tramite la distinzione in gruppi etnico-geografici: solo tra gli europei-caucasici, si distinguevano una varietà di classificazioni che andavano dai nordici, alti e allampanati, ai mediterranei, bassi e tarchiatelli. Ma, nella norma, una donna o un uomo in buona salute avrebbero oscillato di poco in un range prestabilito su cui, i singoli, sarebbero potuti intervenire autonomamente. Inoltre, queste classificazioni variavano sensibilmente con lo scorrere del tempo e il mutare delle corporature. E questo fatto era dovuto a cambiamenti alimentari e di abitudini, oltre che ambientali. Quindi, quando ancora non esistevano i tessuti tecnici che permettevano una vestibilità maggiore o per tutti quei capi che non prevedevano l'impiego della maglieria, introdotta solo negli anni 20, c'era la necessità di distinguere affinché a una ragazzina come te non venissero rifilati gli abiti di quella Nives che era sugli spalti.” Azzurra ripensò al donnone che era stata così tagliente durante l'assemblea. Non era grassa ma di certo non era gracile come lei. Aveva un aspetto massiccio, un seno abbondante ma proporzionato col resto del corpo alto e atletico. Annuì pensando a come un suo maglione le sarebbe scivolato facilmente dalle spalle. “Di qui, l'esigenza delle taglie...” continuò Loki che sembrava felice di poter parlare con qualcuno e di poter condividere la mole di dati che aveva nella zucca “...Che poi, ogni zona, al variare del gruppo etnico, aveva le sue specifiche: i norvegesi, alti e allampanati, avevano un sistema completamente diverso dai mediterranei, bassi e tarchiatelli. E a proposito di varietà: prima del nostro avvento e della conseguente unificazione di tutti i metri di misura, non ti dico la varietà di scale termometriche. Solo quella monetaria la superava. Ad ogni modo, l'esercito usava le taglie sartoriali, affinché fossero standard. Gli eserciti hanno sempre condizionato la vita dei civili, lo sapevi? Le loro scoperte, gli usi funzionali della loro attrezzatura come anche il loro lavoro sul campo... tutto il loro lavoro è sempre stato convertito in semplice fattore estetico o banalizzato nei controlli di macchinari utilizzati ogni giorno una volta che, nel loro campo, erano diventati obsoleti.”
“Come determinavano la taglia?” domandò Azzurra, ormai all'angolo della sala operatoria e curiosa di saperne di più sui vestiti, più che su tutte le divagazioni dell'aliena.
“Col sistema BWH. Il famoso 90-60-90 della donna perfetta. Non ne hai mai sentito parlare?” Azzurra scosse la testa “Sono le misure di seno, vita e fianchi che nella loro totalità determinano con buona approssimazione il tipo di fisicità del soggetto. Per la taglia, bastava il primo dato, il giro torace, che è, solitamente il punto estremo della parte superiore del corpo. Questo dato andava diviso a metà. Praticamente: il tuo dovrebbe essere all'incirca di 88 cm. Il mio di 80. Quindi io indosso una 40 e tu una 441. Semplice, no? Così, in un mare di capi catalogati per taglia potevi vedere subito se c'era quello che ti interessava.” Sembrava un mondo magnifico, quello descritto da Loki, anche se dannatamente complicato: trovava molto più comodo dover decidere solo il modello e il colore. Abituata com'era a evitare di farsi semplicemente scansionare dal tubo di vetro per provare gli abiti, non riusciva nemmeno a immaginare tutta quel mare di conti da fare, probabilmente automatici ai tempi dei suoi genitori.



Tutto quel parlare di numeri, taglie, abiti l'aveva confusa e proiettata in un mondo distante anni luce. Era stata così immersa in quel resoconto che la vista della sala medica strideva con le sue percezioni e le sembrava, paradossalmente, estranea.
Scandagliò la stanza cercando di ricordarsi che quella era la sua realtà, non il mondo evocato da Loki. Mondo che si basa, per altro, su documenti discutibilmente attendibili.
Il suo unico punto fermo, da diversi anni a quella parte era 24. Per quanto vivesse ancora la sua presenza come un incubo, si focalizzò su di lui, steso sul suo lettino, la pelle coperta dalla crema di Fatema e dal lenzuolo. Si rese conto solo allora che i piedi non erano arrossati dalla rimozione della tuta, esattamente come per Loki. Evidentemente, all'interno, la tuta doveva avere una guaina più resistente e ammortizzante, priva di sensori.
“Grazie” disse Birger andando loro in contro e prendendo gli indumenti dalle mani di Loki “Azzurra, se vuoi aspettare fuori, ci pensiamo noi a vestirlo...”
La bionda non capiva il perché di quello strano invito. “Ho già visto come viene ridotto il loro corpo” replicò incrociando le braccia e accennando all'Akero “Non sono così debole di stomaco”
“Già” disse lui grattandosi la testa “Forse è solo a noi che ha fatto una certa... impressione” disse rabbrividendo
“Volete che ci pensi io?” domandò Loki “Avverto la vostra paura” disse facendo scivolare lo sguardo sui presenti. Fatema era sparita (probabilmente, per la sua sensibilità, scorticare un uomo era più difficile da sopportare che non fare lo stesso su una sua simile); Akira, Jordan e Juan si erano volatilizzati; Kemal era rannicchiato in un cantuccio mentre Alain gli teneva i capelli (Azzurra capì che doveva aver appena vomitato) ; Han restava appoggiato, rigido, vicino a una delle sue macchine, stringendo i pugni più del necessario; Hector era l'unico, insieme a Birger che sembrava reggere abbastanza bene.
“Avverti cosa?” domandò Azzurra perplessa. Come poteva percepire la paura? La poteva vedere, semmai, dipinta sui loro volti... anche se poteva trattarsi di qualunque altra cosa.
“Squalo?” domandò Birger colpito. Quando Loki accennò una risposta affermativa, si affrettò a spiegare “Avverte l'odore del nervosismo e della paura, come gli squali. E' una cosa che hanno anche gli esseri umani, ma latente al punto che ci facciamo condizionare inconsapevolmente. Loro, invece, sanno esattamente cosa proviamo. In ogni momento.”
“Volete che ci pensi io?” domandò ancora Loki, rivolgendosi agli altri, non avendo ricevuto risposta da Birger
“Non credo sia il caso...” cominciò Hector.
“E cosa sarà mai?” sbottò Azzurra passando davanti al capo del gruppo e, raggiunto il suo Akero, strappando il lenzuolo di 24. Sentì una serie di gemiti trattenuti a stento e quando si voltò verso il suo amico realizzò, finalmente, perché. Si pentì subito del suo gesto avventato e strattonò il pezzo di stoffa perché affrettasse la sua discesa e tornasse a coprire quello scempio.
A turbarla non era stato il fatto che 24 fosse completamente nudo. E lei non aveva la più pallida idea di come fosse fatto un corpo maschile.
Non era stata la visione del corpo martoriato di per sé, visto che, pensando al suo comportamento con Loki, non le era passata nemmeno per l'anticamera del cervello l'orrore che doveva averla attraversata.
Eppure l'aveva visto bene il corpo simile al suo. Ma non aveva provato nulla.
Forse proprio perché non era il suo corpo. Era solo simile. E sapeva che non era toccato a lei.
Invece, i ragazzi erano sembrati sconvolti dalla vista del corpo massacrato di 24 tanto quanto lei. Forse, a differenza sua, proiettavano su loro stessi quello che vedevano.
Se era vero che il corpo femminile era capillarmente più sensibile, era altrettanto vero che quello maschile non era del tutto insensibile sulla totalità della sua superficie ma era estremamente più delicato in una zona particolare, a differenza della complessa intimità femminile.
Sapeva che il catetere femminile non era così fastidioso come poteva esserlo per l'uomo, in cui andava a infilarsi in un pertugio più piccolo della stessa canaletta.
Aveva sentito racconti dell'orrore sulle modalità con cui molte donne, a inizio secolo, si epilassero ogni centimetro del corpo. Doveva essere quindi un dolore sopportabile se era pratica così diffusa. Ma mai, mai, mai aveva sentito simili racconti sugli uomini, la cui intimità era delicata come... non lo sapeva e non avrebbe mai voluto scoprirlo. Le bastava sapere che bastava un colpo ben assestato per provocare dolori lancinanti e comprometterne la fertilità.
Che sciocca era stata a non pensarci prima.
Si accasciò, imbarazzata e sconvolta, contro il lettino, coprendosi il volto con le mani. Gli alieni non sentivano dolore. Ma, se 24 fosse stato un uomo normale, quanto avrebbe sofferto?
“Portala fuori” la voce di Loki le arrivò ovattata e non si rese nemmeno conto che due paia di braccia robuste la stavano sollevando da terra e guidando nuovamente all'esterno. Si lasciò ricadere, ancora una volta, lungo il muro rossastro, la testa vuota e al contempo piena di orrore: era una fortuna che 24 fosse privo di coscienza, che non sapesse, che non potesse vedere e sentire..
“Non ha sentito dolore” La voce di Han le arrivò dura e fredda come una stilettata, abbastanza caustica da farla rinvenire. Quando alzò gli occhi azzurri trovò che lui non la guardava nemmeno “Non hanno la sostanza P” sottolineò duro “L'ha detto anche Sergei. E tu meno di noi dovresti fare tante scene, dopo la spavalderia che hai mostrato poco fa.”
“Smettila, Han” lo rintuzzò Hector, la voce bassa e calma. “Cosa poteva saperne?”
“E' solo una stupida matricolina” ringhiò lui “Con quale arroganza si è messa in mezzo? Poteva immaginare...”
“Non lo sapeva, Han! Nessuno gliel'ha spiegato” la difese ancora Hector
“Eccerto... vedere l'aliena scorticata non le ha acceso alcuna lampadina in quel cervello grande come una nocciolina” sputò ancora velenoso
“Loki non ha fiatato, si muoveva come se non fosse successo nulla e, se ben ricordi, appena abbiamo cominciato a spogliarla, lei è uscita dalla stanza, nauseata. Probabilmente, non si è resa conto della cosa finché non ha associato quello che vedeva alla posizione supina e priva di coscienza del Akero. Le sarà sembrato che l'abbiamo torturato!”
“Era steso prima e dopo che alzasse il lenzuolo” replicò ancora quello, agguerrito
“Han?” la voce di Hector era bassa e ferma. E non ammetteva repliche “Tu sei quello che non ha mai sbagliato, vero? Dalle il beneficio dell'inesperienza. La consapevolezza non illumina tutti nello stesso modo né alla stessa velocità! Ora cammina: abbiamo un altro malato da spogliare e curare!” Così dicendo diede a tutti le spalle e si avviò per il lungo corridoio mentre dalle tende sbucavano le teste curiose di Alain e Birger. Il francese seguì immediatamente il connazionale, non prima di aver folgorato l'hacker con uno sguardo ammonitore.




1    In realtà, questo è vero per le taglie italiane, dato che i famosi 88 cm sono una 44 italiana, che corrisponde alla 40 francese, alla 12 inglese e alla 8-10 americana (corrispondono a un 86-91 cm di giro torace: a conti fatti sarebbero un 43 e un 45...)



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Insomma, voi che ne dite? questa parte era parecchio noiosa, vero? ù_ù; lo so, me ne rendo perfettamente conto. Spero di riuscire a dare un pò d'azione ai prossimi capitoli ma, fondamentalmente, siamo ancora in fase ambientazione. =_= odio questi momenti, quindi cercherò di farla il più breve possibile. Il fatto è che non posso nemmeno trascendere :/ devo spiegare le differenze tra il mondo di prima in superficie e il mondo di ora dei ribelli. Vorrei che fosse tutto più semplice.
In realtà, è proprio a causa di questa necessità di spiegare che -lo ammetto- trovo ormai quasi noioso scriverne e cerco con tutta me stessa di arrivare il prima possibile al punto di svolta, all'azione... alla ribellione (oh, certo che ci sarà! Pensavate fosse tutto finito? Eh no!).
Ma sono sicura che, se reggerete con me, riuscirò a uscirne. Perché le idee le ho. Ma non posso tirarle fuori se prima questa cretina non si ambienta.
Grazie ancora a tutti quelli che mi seguono silenziosi nell'ombra. Vi voglio bene! :)
ù_ù; basta...scusate lo sfogo ma volevo rendervi partecipi del mio travaglio XD
a tra un mese!

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Capitolo 26
*** Close your eyes ***


  26.       Close your eyes
And rest






In corridoio rimasero solo Birger e Azzurra, seduti per terra, uno accanto all'altra, in attesa che 24 venisse vestito da quanti erano rimasti in sala. Dopo qualche minuto, che parve un'eternità, Loki uscì per chiamarli: preferiva evitare di trovarsi da sola con 24 al suo risveglio.
Quando tornarono all'interno, il norvegese si chinò vicino alla presa che collegava il cavo del Akero alla parete, pronto a risvegliarlo dallo stato catatonico in cui l'avevano fatto cadere. La stanza era stata rimessa nuovamente in ordine e pulita, un tenue odore pungente di limone aleggiava nell'aria. Birger fece cenno a Loki di tenersi pronta, mentre Azzurra si avvicinava cautamente al letto. Non sapeva bene se dovesse sentirsi preoccupata o se, piuttosto, dovesse essere spaventata. Ma vederlo vestito come un normale essere umano, la calmò a sufficienza. E, se non fosse stato per il colore, completamente diverso dalla sua solita livrea, avrebbe quasi avuto l'impressione che non fosse cambiato nulla.
Birger staccò il cavo dalla parete e, istantaneamente, 24 aprì gli occhi, di scatto, immediatamente vigile. “Perché sono steso e legato?” domandò con voce piatta ma nervosa
“Legato?” domandò Azzurra di rimando abbassando lo sguardo: non aveva proprio fatto caso alle strisce di velcro che lo bloccavano in vita, alle caviglie e ai polsi. Dovevano essere state disposte dopo l'intervento di Loki.
“E' per la tua sicurezza” disse la collega, senza batter ciglio.
Il pesante silenzio che si creò, venne frustato dalla coda dell'angelo che, evidentemente, l'aveva mossa involontariamente, in un moto di nervosismo. Altrettanto rapidamente, la sua coda venne bloccata da quella di Loki che gli si avvolse attorno, immobilizzandola.
“Che cos'è?” domandò schifato 24 non volendo accettare che quella cosa si fosse mossa seguendo la sua volontà. E che, con ogni probabilità, assomigliava alla propaggine che sbucava dai pantaloni della donna davanti a sé.
“La tua coda” disse quella, semplicemente. “E' già tutto finito e gli umani hanno trovato il modo di aiutarci”
“Stronzate!” sbraitò, liberando un braccio con uno strattone nel tentativo di alzarsi “Cosa possono mai fare loro per noi?”
Senza perdere un grammo del proprio aplomb, Loki ruotò su se stessa, come una ballerina, e gli sferrò un calcio al viso, ributtandolo sul letto. “Farai come ti dico io, 24. Se ritieni che sia tutta una farsa, ricordati il tuo rango.”
“A che livello eri?” domandò Azzurra, rendendosi conto di non sapere quanto Birger fosse più importante di lei, come ostaggio.
“Per meritarmi un collare personalizzato con tanto di targhettina, come un cane, non potevo essere che nella top ten” scherzò il norvegese “Ero il numero 9”
24, dal canto suo, sbiancò di rabbia e digrignò i denti, ma tacque e annuì. “Cominciamo a capirci” disse Loki, liberandolo con un movimento fluido e controllato degli artigli, lasciando che il compagno li guardasse ammirato. “Li hai anche tu” sbuffò lei dopo un po', spazientita e tirandolo su per un braccio.
“Cos'altro abbiamo?” Improvvisamente 24 si era fatto calmo e attento. Guardava Loki come un bambino può guardare un adulto che gli racconti delle fiabe meravigliose. Ma la scena aveva del surreale, dato che, con la sua altezza scheletrica, troneggiava sulla ragazza mingherlina e snella: la fissava dall'alto al basso come se fosse stato una scimmietta abbarbicata sulla spalla del padrone che si ingozzi di una prelibatezza. Pendeva, letteralmente, dalle sue labbra.
“Kemal?” chiamò Birger, andando a recuperare anche l'arabo che, per tutto il tempo, era rimasto disteso sui sedili della gradinata aggettante sulla sala circolare. Era pallido come un cencio, sotto lo strato dell'abbronzatura dorata “Non stai affatto bene” commentò “Dove ti portiamo?”
“Chiamate Michele...ci penserà lui. A meno che non vogliate offrirmi un letto” biascicò stordito
“Ti cedo il mio, dopo il casino che ho combinato...” disse Azzurra seguendo i due e anticipando gli Akero che li seguivano docili. Spense le luci della stanza al suo passaggio e si avviò lungo i corridoi in cerca di un ascensore: era chiaro che il moro non ce l'avrebbe mai fatta a fare le scale. Ma quel posto aveva un ascensore?
“E tu?” domandò angosciato l'arabo, non volendo creare disagio a nessuno. Tanto meno a lei.
“Io posso stare con 24 o posso anche non dormire.” rispose lei, facendo spallucce mentre si girava e camminava all'indietro per rispondergli.
“Abbiamo ancora il viaggio da recuperare... hai bisogno di dormire e scommetto che nel precedente turno sei rimasta svegli a rispondere alle domande di Han” commentò stancamente l'altro, rifiutando quell'invito.
“Allora vorrà dire che io e Loki ci stringeremo. Noi siamo qui da più tempo di voi” disse Birger guardando l'Akero che, a conferma, asserì “Io non ho bisogno di dormire”
“Anche voi dovreste dormire. Non abbiamo appena detto e dimostrato che siete esseri umani geneticamente riprogrammati?” La rimproverò stanco Kemal. Si sentiva la balia di un gruppo di cerebrolesi “Siete sempre esseri umani. Non mangiate da giorni e dovete riposare. Per quanto il vostro metabolismo sia diverso dal nostro, non potrete andare avanti a lungo e, gradualmente, vi dovrete comunque abituare ai nostri ritmi”
“Non ti lagnare tanto” sbuffò Azzurra “Troveremo una soluzione. A costo di sfrattare Han. Ecco, prendi il suo posto. Meglio te di lui, decisamente”
A quelle parole Kemal proruppe in una risata divertita “Han sa farsi odiare, quando vuole. Ma, credimi, non è cattivo”
“Ha uno strano modo di cercare di fare amicizia” replicò Azzurra
“E' solo che non si fida. E a ragion veduta. In realtà...” aggiunse dopo una pausa indecisa “Qui non tutti si fidano gli uni degli altri. Le ferite per molti sono ancora fresche.”
“Ma la fiducia in un gruppo come il vostro è fondamentale” si intromise Birger
“Il nostro, vorrai dire” lo corresse l'altro. Ora anche loro quattro ne facevano parte, volenti o nolenti “Hai ragione, ma vedi... non è facile. Quando perdi la tua famiglia, tua moglie, i tuoi figli e i tuoi fratelli... Nulla ha più senso... non sai più cosa sia giusto e cosa sbagliato...è difficile. Per quello abbiamo costretto Azzurra a seguirci” disse in tono mesto mentre uscivano, impacciati, dalla tortuosa scala scavata nella roccia: nessun indizio di elevatori di sorta... alla faccia dell'ambulatorio “Lei era quello che volevamo essere noi. A costo che fosse una fregatura... noi non ci fidavamo di lei e viceversa. Eppure... Eccoci qui” disse raggiungendo la stanza dove Mat-mon era già stato scorticato e rivestito “Lei era la nostra speranza, un simbolo.”
“Speranza? Me l'hai già detto, ma non capisco bene cosa intendi..” ammise lei
“Che sia possibile il cambiamento... tu sei la prima che si è liberata. E, forse, sarai anche l'unica. Birger non conta: lui è stato liberato” l'interessato annuì, consapevole che il merito della sua fuga era da attribuirsi tutto alla ribellione di Loki.
“Allora, in realtà, è tutto merito di Mat-mon. Tutto è partito da lui” precisò 24, in fondo al gruppo. Camminava dritto come un fuso, con passo sicuro e misurato nonostante l'operazione a cui era stato appena sottoposto. La voce era suonata distante perché lui era ancora tutto affascinato dalla propria coda e dai propri artigli retrattili che faceva scattare in un continuo sciabordio ticchettante e meccanico.
Raggiunta la stanza, Kemal si lasciò adagiare sul letto spoglio. “Mi sento come una zattera in mezzo al mare” commentò chiudendo gli occhi: la nausea non accennava a svanire. All'esterno suonò la campanella della ritirata.
“Vuoi che ti spogli?” domandò Birger fissando i vestiti dell'uomo buttato scompostamente sul materasso.
Quello scosse la testa “Posso dormire vestito, per una volta...”
“Azzurra?” chiamò Birger “Va' a cercare un'altra branda. Loki ha visto dove sono.” concluse fissando la sua Akero. Le ragazze uscirono ancora una volta assieme dalla stanza ma 24 rimase sulla soglia e non accennò a muoversi, fissando l'arabo in stato di confusione. “Non mi serve il tuo aiuto” commentò il biondo, intuendo le intenzioni dell'Akero dietro quello strano atteggiamento. Erano un gruppo e doveva aiutare ma non sapeva da dove cominciare. Non senza un ordine esplicito.
“Volevo solo...” cominciò mentre Birger sbottonava la casacca di Kemal e, tenendolo seduto a fatica, gliela sfilava dalla testa nonostante le sue deboli proteste.
24 non capiva perché il norvegese avesse rifiutato il suo aiuto nonostante fossero evidenti le difficoltà che incontrava nel sostenere il corpo a peso morto: era un'operazione da svolgere in due.
“Quando ti renderai conto in che stato è il tuo corpo, non credo che vorrai ringraziare o altro per essere stato esentato...” commentò debolmente il moro facendo appena leva sui piedi per sollevare appena il bacino e permettere a Birger di togliergli anche i pantaloni, tenuti in vita da un cordino annodato. “Grazie” biascicò debolmente, quasi fosse febbricitante.
Birger abbozzò un sorriso e lo coprì con un semplice lenzuolo e una trapunta. “Ci vediamo dopo” lo salutò bonariamente.
Loki e Azzurra non fecero in tempo a tornare, reggendo una piccola brandina dotata di un misero materassino, che Kemal era già sprofondato in un sonno pesante e il clangore della branda che passava dalla porta sembrò non disturbarlo minimamente.
“Cosa voleva dire?” domandò 24 guardandosi le mani. Erano arrossate, certo, come il braccio scorticato di Mat-mon. Vedendo Azzurra irrigidirsi e sbarrare gli occhi, sentì crescere l'allarme e l'urgenza di capire.
“Ora dormi. Te lo ordino” disse Loki “Ne parliamo dopo”
“Effettivamente...” biascicò Azzurra buttandosi ancora vestita su una branda che avevano accostato a quella precedentemente dedicata a 24 “A conti fatti ora dovrebbe essere mezzanotte” trattenne a stento uno sbadiglio, si raggomitolò in posizione fetale e si tirò la copertina sulle spalle “Ci credo che Kemal è crollato... forse avremmo dovuto dormire anche nella pausa precedente”
“Togliti i vestiti o dormirai male” la rimbeccò 24 con fare paterno. Il solito tono che usava quando erano da soli.
“Uff” sbuffò Azzurra calciando le coperte nonostante un pizzico di nostalgia per un passato non troppo remoto le avesse scaldato il cuore. Quel tono, quelle specifiche attenzioni, la facevano tornare con la mente a quando era ancora a casa, coi suoi genitori. Si tolse tutto in gran velocità, tenendosi solo mutande e canottiera, per rifugiarsi nuovamente e al più presto sotto le lenzuola “Vieni qui anche tu, però” gli intimò indicando il suo letto “Dammi la mano” disse. Vedendo che lui non reagiva e la guardava perplesso, con poca convinzione, aggiunse “Ho paura, non ce la faccio a dormire. O recuperi Arek chissà dove in mezzo alla giungla o, per ora, mi dai la tua mano. Ho bisogno di calore animale per dormire.” Loki sorrise a quell'astuzia e si coricò, assieme a Birger, in una branda poco distante. 24 si avvicinò al letto e le diede meccanicamente la mano. “Ti sembra?” domandò Azzurra stizzita “Secondo te è comodo?”
“Non saprei” replicò 24 tornando a guardarsi la mano artigliata “Forse no... potrei ferirti”
La bionda roteò gli occhi al cielo “Non per quello” disse strattonandolo finché lui non si fece cadere sul materasso vicino “Sta così” disse piantandogli i palmi delle mani sulle spalle affinché restasse supino. Gli prese il braccio e lo strattonò a sé, abbracciandolo come un orsacchiotto “Ora va meglio” disse poggiando la guancia sul dorso della mano di lui che non aveva più alcuna scusa per non stare a letto. “Buonanotte a tutti” aggiunse tirandosi nuovamente le coperte addosso.
“Notte” rispose Birger con voce impastata dal sonno e soffocata dal cuscino. Probabilmente stava sbracato a X occupando tutto il letto
“Chiudi gli occhi, 24” lo salutò anche Loki, stesa rigidamente sul letto vicino, con una smorfia e un tono troppo rigido per non essere scambiato per un ordine “Immagina un campo sterminato. Con un pascolo di pecore sterminato, tendente a infinito. Immagina che ogni capo, per gioco, salti oltre la recinzione. Conta ciascun capo. Ma in silenzio, nella tua mente. Impiega queste due ore. Al nostro risveglio voglio sapere a quanto sei arrivato”
“Beh, calcolando una media al minuto di un capo... per due ore fa...” replicò subito lui
“Non ti ho detto di dirmi ora quanto fa. Voglio saperlo tra due ore. E non calcolando. Voglio che tu le conti. Materialmente” Lo zittì lei.
“Sarà fatto” sbuffò lui, pensando che fosse un azione assolutamente inutile



Le due ore passarono in un baleno e quando riaprì gli occhi, svegliata da uno scossone poco delicato, Azzurra avrebbe solo voluto girarsi dall'altra parte e continuare a dormire. Il commento della voce tanto odiosa, però, le fece cambiare idea all'istante “E' pure pigra... Che ce ne facciamo di una così?”
“Si può sapere cosa ti ho fatto?” replicò lei alzandosi di scatto e cercando di schiaffeggiargli la mano. Ma lui, a quella mossa, prese a punzecchiarla e stuzzicarla agitandole la mano davanti al naso, facendola agitare come un ossesso nel tentativo di riuscire a colpirlo “Sei odioso!” ringhiò
“La cosa è reciproca, carina...” replicò lui, lasciandola perdere e andando alla sua postazione.
Azzurra si guardò attorno e si accorse che anche gli altri si stavano tirando in piedi. Tutti, tranne 24 che dormiva come morto
“Alla fine è crollato” disse l'aliena, soddisfatta, avvicinandosi. La coda guizzò e andò solleticargli il naso. Quello sternutì e si tirò su, infastidito, cercando il responsabile di un risveglio tanto indelicato.
Vedendo le guance di Loki ingrossate da un sorriso canzonatorio, lui mise il broncio “Brava, avevi ragione, ho dormito... che hai da fare quella faccia strana?”
“Si chiama sorriso!”
“Compiaciuta per la bravata o per aver avuto ragione?” domandò Birger trattenendo uno sbadiglio
Loki ci pensò su mentre, in comitiva, si avviavano alle scale “Tutt'e due” rispose.
Si diressero all'esterno e, quindi, alla mensa. Si accodarono alle poche persone già presenti che li guardavano confusi. Qua e là, ad Azzurra sembrò di riconoscere qualche volto presente il giorno prima in sala. No, si corresse, non il giorno prima ma il ciclo prima. Quella nuova concezione dello scorrere del tempo era destabilizzante e pensò che non si sarebbe mai abituata. Afferrò del pane, cercando di andare sul sicuro per la sua prima colazione. Stava per agguantare il latte quando la consapevolezza dello scorrere del tempo la fermò. Aveva sbocconcellato qualcosa all'inizio del turno precedente, quindi forse quella era la cena. Abbassò lo sguardo sulle pietanze fumanti e il suo stomaco borbottò di soddisfazione. Effettivamente aveva una fame da lupi, nonostante si fosse appena alzata. Optò, quindi, per quello che sembrava spezzatino e se ne servì una generosa porzione. Dietro di lei, 24 osservava tutto con sguardo curioso, annusava l'aria come un cane e deglutiva a vuoto.
“I due Akero vengano con me...” disse Alain comparendo tra la folla “Non toccate nulla di quello che c'è lì...”
24 e Loki si guardarono perplessi. Fissarono, poi, i rispettivi umani che annuirono e fecero loro cenno di seguire il francese. “Ti hanno dato la parola, Azzurra, per non gesticolare come una scimmia... Sei fortunata che sappia cosa intendi quando fai così...” disse asciutto l'alieno dandole le spalle, la coda di cavi che oscillava tra le spalle.
“Ma che stronzo!” sbottò quella, allibita dal comportamento del presunto amico
Birger, al suo fianco, ridacchiò e si avviò col suo vassoio al tavolo dove Kemal aveva preso già posto. Quello alzò lo sguardo sui piatti dei due e commentò “Ottima scelta, Azzurra... non posso certo dire lo stesso della tua...” aggiunse guardando con sospetto il piatto del norvegese che si era riempito di salmone, uova e verdure bollite e conservate sott'olio.
“Comunque...” disse il biondo, ignorando il commento caustico del moro “Credo che loro abbiano seri problemi a capire il linguaggio del corpo. Sono cresciuti davanti a dei monitor e tutte le loro conoscenze sono state caricate, non vissute direttamente.”
“Gli alieni, intendi?” domandò Kemal sbocconcellando il suo pane e lanciando occhiate di fuoco a quelli che, sedendosi intorno a loro, indicavano il tavolo senza alcuna vergogna “Sono d'accordo. Azzurra per prima ha problemi a capire metà delle sfumature che usiamo quaggiù. E non si tratta solo della lingua...”
“Mi stai dando della scema?” domandò quella irritata “Pensavo che quello carino nei miei confronti fosse Han!”
“Mi hai chiamato?” domandò divertito l'interessato arrivandole alle spalle e poggiandole il vassoio sulla testa “Su su, schiena dritta... cos'è quella postura da donna delle caverne?”
“Smettila!” ringhiò lei
“Su, sta buona un attimo... tienilo in equilibrio mentre mi siedo, ok? Se lo fai cadere vai a riprendermi tutto...e ti avviso che c'è la coda...” replicò lui mollandole il peso senza preavviso.
Lei alzò automaticamente le braccia per fermare l'oscillazione dell'oggetto. “Sei uno stronzo!” disse fuori dai denti
“Grazie, lo so” replicò lui divertito. Quindi si riprese il vassoio e, lanciando un'occhiata a Kemal, stirò un sorriso di sfida. L'altro si limitò a stringere il pugno attorno alla posata. Subito, arrivò anche Alain, seguito dai due alieni a cui indicò il tavolo, prima di allontanarsi nuovamente. I due Akero portavano con sé, ciascuno, un bicchiere colmo di una strana sostanza marroncina.
“Cos'è quella roba?” domandò Azzurra con faccia schifata
“E' una specie di frullato. Contiene tutti i nutrienti di cui hanno bisogno. Essendo stati sempre alimentati per endovena non hanno l'apparato digerente sviluppato in modo da poter assorbire il cibo solido. Dobbiamo abituarli gradualmente.” rispose Han, improvvisamente professionale.
“Non l'ho chiesto a te!” replicò la bionda
“Ma sono io che ho calcolato cosa debbano ingurgitare. Quindi, se ci tieni ai tuoi amichetti, carina, vedi di calare le arie!”
Azzurra digrignò i denti “Ti meriteresti tanti di quelle sberle che non hai nemmeno idea!”
“Oh, certo...provaci pure... ho visto la rapidità dei tuoi riflessi” replicò quello senza badarla e leccando la forchetta sporca di purea. Lo sguardo corse ancora a Kemal, appena per un attimo e stirò un altro ghigno.
“Non ridere di me, dannazione!” sbottò, invece, Azzurra picchiando il pugno sul tavolo.
“Cos'è, vuoi fare a pugni, ragazzina? Dai dai... mangia le tue pappette e non sporcare troppo in giro. Ti aspetto dopo, all'ingresso. Se avrai il coraggio di venire...” ridacchiò, proponendole una sfida -diversamente interpretabile- vecchia come il mondo di cui, probabilmente, in superficie si era persa ogni traccia.
24 si spostò al fianco di Azzurra e, al posto si prendere posto tra lei e l'hacker, le prese il polso e la costrinse a mettersi in piedi “Mi dispiace per gli altri, ma questo ambiente non fa per te...” disse poggiando il suo bicchiere sul vassoio che prese, poi, con la mano libera, prima di trascinarla lontano dal tavolo.
Gli occupanti del tavolo si volsero a seguire la loro fuga e quando li videro sistemarsi nel tavolo più lontano dal loro, tornarono a concentrarsi sui loro piatti “Credo di aver capito cosa intendevi...” disse Birger a Kemal, apprestandosi ad assaltare il suo cibo “Nessuno dei due capisce nulla... anche se, certo, voi due siete spettacolari a sfidarvi solo con lo sguardo... io vi ho capito a stento...”
“Bello mio...” commentò Michele prendendo il posto appena liberato da Azzurra “E' una caratteristica dei popoli commerciali, quella di esprimersi gesticolando o in cui uno sguardo sbagliato vale come dichiarazione di guerra. Sono studi affascinanti. Più era trafficato, più era complesso il codice di comunicazione. E più immediato. In Cina, mi diceva Xing Xing, c'era tutto un linguaggio basato sui ventagli. Come lo tenevi, di che colore era... cose così. Una cosa simile esisteva anche nella Venezia cinquecentesca. Uhm... per non parlare dell'abbigliamento stesso. Messaggi non verbali, ecco, come si chiamavano... cose che noi abbiamo perso o a cui non diamo più molta importanza...”
“La biblioteca è piena di libri al riguardo...” commento Han “Vieni pure, quando hai voglia...”
“Tu non è che ne sai molto di scambi commerciali” replicò tagliente Kemal al proprio rivale.
“Sto imparando per essere alla tua altezza, caro il mio sceicco” replicò l'altro con un ghigno
“Bene, si accettano scommesse!” commentò Michele
“Non scommetterai su questa cosa!” lo rimproverò Alain ricomparendo col suo vassoio “E voi due piantatela di fare i galli nel pollaio o vi sbatto in qualche altra comunità” Così dicendo, il francese prese posto e dichiarò terminata ogni discussione infantile circa i nuovi venuti o sulle abilità specifiche di ciascuno.




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Ciao ragazzi!
Salve a tutti. Grazie per avermi aspettata in questi mesi.
Volevo chiedervi scusa per non aver più aggiornato ma è capitata questa cosa chiamata "terza tesi" e pensavo di riuscire ad avere cmq abbastanza testa per seguire l'originale...e invece no... -_-
Ho continuato la pubblicazione delle ff perché avevo tanti capitoli di scorta ma, soprattutto, perchè è facile farla procedere. L'originale è il mio gioiellino di cui dubito continuamente e, per questo motivo, voglio cercare di curarla il più possibile...non pubblicarla allo sbaraglio.
Insomma...sull'originale mi sento sempre molto più carente rispetto le ff (dare uno scopo e un passato ai personaggi e farli interagire in modo pseudo-intelligente non è facile)
Ma eccomi di nuovo qui a crescere la mia creaturina (che nella mia testa so già come procede ma alla cui realizzazione i personaggi non han molta voglia di collaborare).
Beh...niente...volevo solo ringraziarvi per essere ancora qui. :) a tra un mesetto (o forse prima...vediamo come va)

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Capitolo 27
*** Open your eyes. Open your ears. ***


27. Open your eyes. Open your ears.

Read a book. Listen to some music.



Finito ch'ebbero di pranzare, 24 ricondusse la recalcitrante Azzurra al tavolo dove stava anche Loki. “Ma se sei stato tu a portarmi via!” replicò lei esasperata
“Ma Hector mi aveva già comunicato che, dopo aver pranzato, dovevamo ritrovarci per un ulteriore aggiornamento. Credo riguardi le mansioni che siamo chiamati a svolgere per meritarci il loro aiuto... o, quanto meno, il diritto di stare qui”
“Se non mi levano Han di torno, l'aiuto servirà a qualcun altro!” ringhiò ancora lei
24 stirò un sorriso divertito “Allora dì a me cosa fare. Tu non saresti capace di fare del male a una mosca...”
“Non c'è soddisfazione se si delega a qualcun altro” replicò incrociando le braccia al petto e lasciandosi sospingere dall'angelo che la guidava con una mano poggiata sulla schiena “Come fai a startene così calmo?”
“Mi piace osservare la situazione, prima di intervenire... non dimenticarti che sono stato... programmato... in questo modo...”
Si unirono al gruppo, mettendosi alle spalle dell'altra coppia di disertori, ben distanti dall'hacker, e attesero ulteriori istruzioni.
“Visto che Loki e 24 hanno capacità che esulano dalla nostra comprensione, direi che è inutile cercare di potenziarne la fisicità e i riflessi. Mi focalizzerei, invece, sui lavori minuti e di precisione, oltre che potenziare la loro concentrazione e la loro memoria: senza più un computer cui stare perennemente interconnessi, ora dovete allenare il cervello in un nuovo modo e controllare il pensiero delle persone dev'essere stato più un lavoro di segreteria, immagino. Inoltre, dubito che sappiate usare le vostre appendici con la stessa precisione chirurgica con cui avete allenato il resto del corpo. La vostra responsabile sarà Nives e vi dedicherete ad affinare la mobilità più fine oltre che una necessaria e minima empatia.” Finita l'analisi dei due alieni, Hector si vocalizzò sul norvegese “Birger, tu sei abbastanza equilibrato ma dovrai potenziare la muscolatura che, visti i tuoi trascorsi, è un po' sottosviluppata. Partirai subito con le basi della lotta e successivamente passerai, anche tu a lavori di precisione. Pensavamo di mandarti in oreficeria dove passerai dall'una all'altra e, nel frattempo, apprenderai anche una nobile arte. Verrai con me e Alain.” disse Hector prima di volgersi verso la ragazza “Azzurra. Di tutti, sei quella che più di tutti ha bisogno di crescere in tutti i settori. Dovrai farti i muscoli: anche se sei una donna, questo non giustifica l'essere dipendente da altri per qualunque cosa. Imparerai a lottare e dovrai integrare le lingue e, come loro...” disse, alludendo agli Akero “... dovrai potenziare memoria e concentrazione. L'unica cosa che non ti manca è la manualità fine e l'empatia animale. Per tutti, invece, direi, una sessione di guida, per consolidare l'attenzione e la multiprocessualità. E' vero che siete cresciuti tutti sapendo fare più cose contemporaneamente, ma la vecchia guida manuale è più complicata di quanto possa sembrare e integra processi mentali con azioni meccaniche: è un'attività che coinvolge coordinazione motoria, attenzione costante, capacità di saper leggere precisamente una serie di segnali tra loro diversi e saper anticipare le mosse di tutti gli attori in gioco. In un secondo tempo integreremo la guida tradizionale all'esperienza già notavi come realtà aumentata, ma che abbisogna di pratica anch'essa per non esserne distratti: per iniziare non dovete avere troppi stimoli...”
Quindi batté le mani tra loro a decretare finita la spiegazione al gruppo per poi avviarsi subito, con Alain, per la sua strada. Birger si alzò impacciato mentre Azzurra sbigottiva. “Hector, scusa...” disse alzandosi anche lei mentre 24 andava ad affiancare Loki “Io a chi sono assegnata?”
Quello si voltò verso il tavolo mentre Kemal si alzava nervoso.
Azzurra stirò un sorriso sollevato: non le era andata affatto male.
Ma quando l'arabo non alzò lo sguardo su di lei e si volse a darle le spalle quasi fosse arrabbiato con lei, il sorriso svanì. Era un tale peso prendersi cura di una novizia come lei? “E' Han” disse, invece, Hector, semplicemente. Quindi, si avviò fuori dalla mensa lasciandola a bocca aperta.
Han? Aveva capito bene?
Non Kemal ma Han, il suo vicino di tavolata?
Doveva avere una faccia sconvolta perché 24 continuava a fissarla insistentemente mentre Loki se lo trascinava dietro.
“Cominciamo subito?” domandò sarcastico l'hacker quando tutti se ne furono andati e la mensa si fu svuotata.
Azzurra abbassò lo sguardo sull'uomo che teneva sfacciatamente il mento poggiato sul dorso della mano e le gambe buttate di traverso sulla panca. Dovette ingoiare un insulto, ricordandosi che, ora, tutto dipendeva da lui. Annuì semplicemente “Dobbiamo lavare i piatti?” domandò, invece, sarcastica.
Lui sembrò soppesare la domanda con serietà “No, i turni sono già pieni. Andiamo in biblioteca” disse alzandosi e, prevenendo la sua occhiata scettica, aggiunse “Vedrai che trovo qualcosa da farti fare...”
Si avviarono in silenzio, lei preparandosi a quella che prevedeva come una serie di incontri snervanti, lui per niente interessato a colmare il silenzio con qualunque tipo di chiacchiera. Quando arrivarono all'imboccatura di una grotta, Han si infilò sicuro tra i meandri tortuosi, senza aspettarla.
Cominciava la sfida: arrivare integra alla grotta. Ringraziava la lungimiranza di Fatema che l'aveva dotata di scarponcini che la facilitavano nell'impresa. Cercò di arrampicarsi con la stessa disinvoltura mostrata dal suo tutore ma faticava ad aggredire il terreno troppo morbido sotto i piedi. Inciampò più volte finché franò a terra e, sporca per sporca, decise di poggiarsi sui palmi delle mani. Scoprì che riusciva ad arrampicarsi molto più facilmente utilizzando tutto il corpo per sospingersi innanzi. E a ben pensarci, Han si era arrampicato tenendo il busto piegato in avanti, cosa che a lei costava uno sforzo impossibile da sostenere. Nonostante tutto, non perse molto tempo, ma quando lo raggiunse, Han, seduto su uno spuntone di roccia, le mani che giocavano con uno strano congegno elettronico, alzò lo sguardo sorpreso “Ti eri persa?”
Azzurra dovette mordersi la lingua per non rispondergli malamente. Si guardò le mani sporche e graffiate, imprecando tra sé. Non sapeva cosa si era aspettata, ma di certo non si aspettava quel genere di trattamento. Lui non la badò oltre e andò a posizionare il congegno nello spazio libero della grotta. Tornò rapidamente da lei e protese un braccio, affinché lei non avanzasse. Aspettarono un paio di minuti e, là dove la roccia cedeva il passo al vano della grotta, comparve una porta a doppio battente che aderiva perfettamente a quella che fino a poco prima era l'apertura nella terra.
“Dopo di te” Han le fece segno di procedere
Ma lei incrociò le braccia “Sei tu il padrone di casa...non so nemmeno se devo tirare o spingere...”
Lui montò il suo miglior sorriso beffardo “Questo dimostra anche quanto poco spirito d'osservazione tu abbia...” disse alzando gli occhi allo stipite della porta: parte del soffitto del tunnel scendeva fino sotto lo specchio della porta, rendendo impossibile l'apertura verso l'esterno. Quindi, per accedere alla struttura, non restava altra scelta che spingere.
Una volta dentro, Han andò a colpo sicuro ad accendere il generatore di corrente lasciandola sulla soglia. Quando tornò, si diresse lungo il corridoio che si apriva davanti alla porta, aspettandosi che lei lo seguisse. “Conosci il sistema di catalogazione, vero?”
“Di cosa?” domandò lei in risposta.
Han si bloccò di colpo e lei quasi gli andò a sbattere contro “Dei libri. Di cosa stiamo parlando? Siamo in una biblioteca. Mai vista una?” Ma lo sguardo allarmato di lei gli fece sbarrare gli occhi “Davvero? Sai almeno cos'è un libro, dannazione?”
Azzurra decise che, a costo di ingoiare diversi rospi e tanta vergogna, conveniva essere sincera sin da subito. Poteva millantare ma la verità sarebbe presto venuta a galla e si sarebbe ficcata in ulteriori casini da cui, tutti, si sarebbero aspettati che riuscisse a cavarsela autonomamente. Inoltre, non osava pensare a cosa avrebbe potuto chiederle se avesse provato a fare la spaccona. Quello sbuffò e si ficcò una mano tra i capelli “Tanto per sapere... So che studiavi... Su quali supporti, di grazia?”
“Avevamo tutti il nostro tablet e su quello erano caricate tutte le app che ci servivano. Consultavamo quelle.”
Lui piegò la bocca in una strana smorfia di disappunto. “Se ti serviva altro? Evidenziare, fare un'orecchia alla pagina, scrivere, scarabocchiare...”
“Avevamo tutto ciò che ci serviva e i segnalibri erano applicazioni che tenevano memoria dell'ultimo punto letto o che avevamo impostato come interessante”
“E' tutto ciò che volevano farvi credere vi servisse...Va bene...” disse fermandosi alla prima traversa. Prese un tomo e glielo aprì sotto il naso “Libro! Alto, basso, davanti, dietro. Si apre sfogliandolo anche a caso. I libri giapponesi si leggono al contrario. Non necessita corrente e non ti brucia la retina!” disse riponendolo. “Per ora mi basta se riuscirai a sistemare le scatole che ti indicherò. Vieni... ne hai di lavoro...” disse salendo le scale buie che si affacciavano subito in fondo al corridoio.
Alla terza rampa di scale, però, Azzurra si fermò, perplessa “Tanta tecnologia e nemmeno un ascensore?” domandò perplessa
“E' rotto.” rispose prontamente. Fu così rapido che Azzurra sospettò le stesse mentendo. “E non mi scocciare con questi atteggiamenti da femminuccia...” replicò infilando la porta oltre la quale si estendeva una fila interminabile di armadi metallici, ciascuno dotato di maniglione circolare come quello che Azzurra aveva visto in vecchie casseforti analogiche e poco sicure. “Scommetto che non conosci nemmeno questo sistema di archiviazione...” disse appena lei si fu affacciata. Andò a sbloccare il meccanismo alzando un'asta sottostante la maniglia circolare mentre lei restava imbambolata a osservare quelle file interminabili di raccolte del sapere montate su meraviglie della tecnica. Vedere la versione analogica dei dati virtuali che, nel mondo in superficie, poteva aver comodamente compattate su un unico dispositivo, le dava le vertigini e le dava la misura di quante cose, ancora e probabilmente, non conosceva “Girando la maniglia fai scorrere le librerie sui binari e ti crei lo spazio dove ti serve. Il peso è distribuito e non farai fatica... Questo è il fermo: in alto sblocchi, in basso fermi tutto.” disse indicando la leva “Mi raccomando! Fa attenzione quando ti infili dentro che siano abbassate da entrambe le parti. Sia mai che arriva qualcuno che non sa che sei dentro e spinge tutte le scaffalature, travolgendoti e schiacciandoti: è già successo.”
“Posso sempre gridare...” replicò lei
Lui si fermò interdetto, non aspettandosi una risposta simile. La guardò come se fosse la creatura più stupida sulla faccia della terra, quindi tirò un sorriso.“Rimani qui!” disse girando il maniglione e aprendosi un varco tra quegli armadi metallici. Bloccò il meccanismo e avanzò fino in fondo. Poggiò la schiena al muro, mise le mani a cono attorno alla bocca e disse qualcosa che Azzurra non afferrò. A quel punto le fece cenno di avanzare verso di lui “.....Posso anche insultarti, tanto non senti nulla... avvisami quando senti quello che dico...”
“Ora ti sento!” disse lei a dieci metri di distanza continuando ad avvicinarsi “D'accordo. Sei stato molto esaustivo.”
“Vedo che cominciamo a capire. Fai pratica con il sistema, che poi dovrai usarlo nei laboratori. Ma se combini qualche casino lì, giuro che ti ammazzo! I libri è difficile che cadano e se vengono collocati nel posto sbagliato li si può ritrovare facendo un giro -perdendo tempo- ma in laboratorio, se perdi campioni, infici anni di ricerca.” Disse serio puntandole il dito contro. Quindi prese un volume a caso e gliene mostrò la costina su cui campeggiava un rettangolo di carta con dei caratteri scritti sopra. “Quasi ovunque troverai questa classificazione, la Dewey. Non te ne fregherà nulla ma in realtà il nome è Universale: a suo tempo ci sono stati problemi perché con la sola Dewey, con cui alcuni argomenti sembravano avere più importanza di altri. Fu quindi aggiornata all'Universale. Ma quel nome non l'ha mai usato nessuno. Lunga e laboriosa, è la più precisa. In ogni stanza c'è un poster che riassume lo schema. Ma credendo che per te fosse impossibile ricordare tutto, te ne ho stampato una versione tascabile” disse estraendo dalla tasca posteriore dei pantaloni un foglio piegato in quattro. Glielo porse e, mentre lei lo studiava, continuò “La divisione comincia con il numero dell'argomento. Da 1 a 9. Le altre cifre, allo stesso modo, sono una sottoclassificazione che mira a restringere gradualmente il campo d'interesse. Quindi, se ti interessa la filosofia in generale vai alla prima categoria.”
Elencò rapidamente le nove categorie nonostante Azzurra potesse leggerle da sé.

0. Informatica, editori, varie
1. Filosofia, Psicologia, Etica, Logica
2. Religione
3. Sociologia, Economia, Diritto, Educazione
4. Linguistica e Lingue
5. Scienze matematiche, chimiche, fisiche e naturali
6. Scienze applicate: medicina, ingegneria, agricoltura, edilizia
7. Urbanistica, Architettura, Arti grafiche, plastiche e decorative, Musica
8. Letterature
9. Storia e Geografia

“Si procede di cento in cento. Ma se, per esempio, ti interessa la psicologia, nata dalla filosofia (che occupa le posizioni da 100 a 199), dovrai stringere la tua ricerca nella sezione da 150 a 159. Ma attenta. C'è distinzione tra 15, 105 e 150. Devi ricordarti gli zeri al posto giusto altrimenti ti troveresti in argomenti tipo...vediamo... bibliografia, metafisica e, appunto, psicologia Generale. Ancora: ogni tre cifre si scende di categoria. Mi segui? Il 156 e il 150.6 indicano due cose diverse anche se sempre sottocategorie del 150... anche se ora non mi ricordo a cosa corrispondano... numero sulla costina, numero dello scaffale... Chiaro?”
“Abbastanza...”
“Ottimo. Poi. Lo vedi che ci sono anche delle lettere sotto il codice numerico?” Lei annuì “Sono le iniziali dell'autore. E ovviamente vanno in ordine alfabetico. Se la stessa persona ha scritto diversi volumi sugli stessi argomenti... niente, li metti vicini, cercando di andare in ordine alfabetico nel titolo e chi se lo cerca guarderà in questa forbice per vedere quale può interessargli di più. Non possiamo fare altro” disse stringendosi nelle spalle e rimettendo a posto il libro. “Il tuo compito, per ora, è risistemare questi due scatoloni. Sarà facile, visto che la maggior parte saranno libri di moda illustrata...” disse levando gli occhi al cielo “Donne benedette! Gli altri sono libri di narrativa. Per qualunque cosa, mi trovi nella stanza in fondo e ricorda...” disse con fare aggressivo “Meglio una domanda in più che una in meno. Se sbagli poi è un casino per tutti e non possiamo perdere tempo a ripassare tutte le scaffalature. Fa bene al primo colpo, impiegandoci, magari, più tempo, ma fallo come si deve. E chiedi! Non ti ho ancora mangiata, se non sbaglio...” ghignò sadico, lasciando quasi a intendere che dietro a ogni mancanza ci sarebbe stata una punizione corporale. Si voltò e se ne andò dicendo “Quando andremo negli archivi e nei laboratori, ovviamente, la musica cambierà e anche il sistema di classificazione. Vedi di goderti la pacchia adesso, finché puoi. E va a lavarti le mani, prima! Là in fondo c'è il bagno!”



Il lavoro che le era stato assegnato non era malvagio come pensava: era relativamente semplice e, inoltre, scopriva cose di cui non sospettava nemmeno l'esistenza. Non solo i libri che le passavano per le mani avevano delle immagini da sogno con abiti tra l'importabile e il meraviglioso ma, nel riporli, individuava altri titoli, altri argomenti, altri ambiti del sapere. Si ripromise di passare più tempo in biblioteca per vagare tra i volumi: le sue app erano limitate e non le consentivano di spaziare da un argomento all'altro come le stava succedendo in quel luogo così, apparentemente, obsoleto: o conoscevi il nome o l'argomento, o era molto difficile saltare di palo in frasca in quel modo: un libro vero potevi sfogliarlo per valutarlo, un libro elettronico potevi solo acquistarlo prima di consultarlo. I venditori più accorti lasciavano un paio di pagine in anteprima ma, effettivamente, non era la stessa cosa. Scoprì anche l'esistenza di una serie di tomi, enciclopedie e dizionari, che contenevano al loro interno un riassunto di tutte le parole e argomenti che potevano venire in mente e che si rimandavano l'un l'altra: sfogliandoli poteva imbattersi in qualunque cosa. Perse un sacco di tempo solo sfogliando quelle meraviglie, domandandosi perché fossero stati rimossi dal suo mondo: i vari servizi offerti dalla rete erano certamente pratici ma non erano così esaustivi.
E dopo neanche mezzora di lavoro serio, il ragazzo dai capelli argentini, Jordan, che già aveva incontrato in ospedale, arrivò urlando e saltellando con le mani in tasca.
“Haaan!!!” gridò infilando la testa nello scomparto che Azzurra aveva liberato. “Ah, sei tu, scusa... Vedo che ti hanno messa a fare sollevamento pesi...” ironizzò lui, amichevolmente
“Non è tanto pesante...” rispose lei, risistemandosi il carico dei tre volumi sull'anca
“Da quanto lo stai facendo?” replicò lui scettico
“Mezz'ora, credo...”
“Aspetta la fine del turno...” replicò lui sorridendo “Sai dove s'è cacciato Han?”
“Ha detto che se avevo problemi l'avrei trovato nella stanza in fondo...”
“Che diavolo sta facendo che non mi ha sentito?” borbottò allontanandosi. “Ci vediamo più tardi!”



Passò un'oretta e Azzurra cominciava ad accusare i primi segni di stanchezza. Non credeva che stare in piedi a riordinare libri potesse essere tanto faticoso. Ma soprattutto aveva i muscoli della schiena e delle braccia che urlavano di dolore.
Si fermò un attimo studiando la piccola pila di libri che non era riuscita a collocare a causa di strani simboli matematici che non erano inclusi nella lista che le aveva fornito Han. Decise che era ora di andarlo a disturbare. E con così tanti casi tutti in un colpo, si sarebbe presa la strigliata per la propria incompetenza una volta sola per tutte.
Si caricò del peso dei volumi e si avviò verso la stanza che le aveva indicato lui prima di sparire. Ma non c'era che un altro corridoio oltre la porta che credeva li separasse. Sbuffò risistemando ancora una volta il peso dei volumi usando il ginocchio come supporto.
Si avviò verso il corridoio buio in fondo al quale una tenue luce azzurrina filtrava sinistra dalla porta socchiusa. Quando vi fece capolino, della musica la colpì con la sua allegria dirompente e selvaggia. E ne capiva anche le parole: era una canzone italiana1.
Ma a stupirla, più di tutto, furono i due che si dimenavano come indemoniati. Restò a guardarli ipnotizzata mentre ancheggiavano, saltellavano e giravano su se stessi con le mani per aria
“Si, potrebbe anche andare...” stava dicendo Han a metà canzone
“Aspetta! E poi continuiamo così!” disse ancora esaltato il ragazzino. Tirò su la maglietta con una mano e cominciò a schiaffeggiarsi l'addome a ritmo.
Han rise divertito “Le donne si rifiuteranno!”.
“E chi se ne frega! Lo facciamo noi! Per loro inventiamo qualcos'altro” replicò Jordan continuando a ballare. “Oh...Ciao!” la salutò, scorgendola appollaiata in ombra sulla soglia. Si fermò di colpo e si poggiò, ansante, sulle ginocchia.“Questo mi lascia intendere che mi son fermato più del necessario... devo tornare al lavoro... E tu pensa all'altra canzone! Azzurra...” ordinò all'hacker prima di salutare la ragazza passandole accanto tutto sudato ma sorridente “Ci vediamo più tardi alla sessione di guida!”
Han spense subito la musica e, rimasti soli, tornò a sbracarsi sulla sedia distrutta “Avevi bisogno?”
Lei si riscosse e gli andò vicino, poggiando i suoi libri sul banco dove un vecchio computer con monitor a tubo catodico sfarfallava isterico. Indicò i simboli sulla costina tra i numeri “Ah...” borbottò lui “Non te l'ho spiegato?” disse prendendole il foglio dalle mani “No... bene.. comincio a perdere pezzi...” sbuffò inarcandosi all'indietro per aprire un cassetto. Rovistò un attimo e ne estrasse una matita con la punta mezza consumata “Basterà” disse, più a se stesso che a chiunque altro. In un angolo vuoto del foglio tracciò un riquadro e creò una nuova legenda “Sono solo cinque e sono abbastanza intuitivi. Se ancora non sai dove piazzarli, riportameli che poi ci penso io.” disse scribacchiando in stampatello le istruzioni nel tentativo di risultare ordinato.

+ Indica che l'argomento riguarda due categorie: ad esempio Zoologia 59 e allevamento del bestiame 636
/ Indica che l'argomento interessa tutta la sezione e tutte le sottocategorie. Di solito lo posiziono in testa, nella categoria principale
: Indica il collegamento tra due argomenti. Ad esempio moda e fotografia o moda e architettura
[] Indica... lascia stare è troppo complicato per te
= Lo trovi quando non sai bene in che categoria metterlo: un libro di zoologia in inglese puoi metterlo in entrambi gli scaffali

“Cos'era quella musica?” domandò quando lui le riconsegnò il foglio, prima di sgranare gli occhi davanti a quella sfilza di nuove indicazioni.
Han la guardò con un sorriso canzonatorio “Non avete nemmeno la musica, lassù?”
“Sì che ce l'abbiamo. Ma, da quello che so, i brani consultabili non sono molti. E comunque non mi ero mai interessata. Non c'è nulla come...questo...” disse fissando il monitor con occhi che brillavano d'eccitazione.
“Mi prendi in giro?” domandò Han, improvvisamente serio. Quando Azzurra scosse la testa “Il lavoro che dovremo fare è ancora più grosso di quello che pensavo. Quindi suppongo tu non abbia mai ballato”
“Beh, ovvio. E comunque se intendi dimenarsi come facevate tu e Jordan...beh, proprio no.”
“Ho idea che non siamo nemmeno a livelli del ballo del mattone. Non sai cosa ti perdi...” replicò l'hacker tra il preoccupato e l'affranto
“Cos'è il ballo del mattone?” domandò curiosa. Poi, pensando di essersi mostrata troppo vulnerabile, si giustificò “Ho sempre pensato che il ballo fosse una cosa ridicola, primitiva e inutile”
Anziché infuriarsi, Han scoppiò a ridere di gusto. “Inutile!” riuscì a dire soltanto piegandosi su se stesso per il troppo ridere. “Bene. Molla i libri, ho cambiato idea. Inutile dice lei...” disse girandosi e rimettendosi a smanettare sul computer. “Dunque...vediamo cosa trovo... mmm... ok!” disse scegliendo dalla prima cartella che aveva aperto “Questa è una musica popolare conosciuta in tutto il mondo. Non sapresti dire se è andina o cinese tanto il ritmo sembra accordarsi con ogni tipo di musicalità, neanche ce l'avessimo scritto nel DNA. Tra gli altri, anche un'italiana l'ha riadattata per la vostra lingua. Se ti interessa, dopo ti spiego dove trovare tutto. Quella che stiamo ascoltando è la versione più famosa2...” Il volo di calabrone di una chitarra leggera in sottofondo, mentre il pizzicare che l'accompagnava, simile al gocciolio di perle che si infrangevano su un cristallo, si propagava nel piccolo ambiente, cancellando la realtà circostante. La voce cominciò a cantare, spezzando la tensione “Dimmi cosa provi, cosa vedi...” la invitò lui, notando la sua faccia stravolta.
“Mi... mi viene da piangere...” balbettò lei “E' così.. nostalgica, straziante... è triste!”
Lui la guardò perplesso “Io avrei detto solo rilassante. Quando l'ascolto mi sembra di essere steso in superficie, in un giorno di primavera, col vento tra i capelli...” replicò Han chiudendo gli occhi, abbandonandosi all'idea. “Ok. Proviamo con qualcos'altro. Però non piangere ogni volta...” ridacchiò “Dovrai abituarti... qui usiamo la musica come sottofondo per ogni attività... Ecco... questa, ad esempio.. è una di quelle che usiamo quando siamo siamo nei campi e dobbiamo darci il ritmo. Allora usiamo quelle che, tradizionalmente, si usavano per i lavori ripetitivi3.”
“Posso dire che mi sembra triste anche questa?”
“Ti posso dar ragione sul testo...”
“Il ritmo... mi sembra quello di una sfida... mi immagino un combattimento”
“Già meglio. Solo che la sfida era con il caffè...Capirai quando ti toccherà macinare... Bene...prossima!”
“A cosa serve tutto questo?” lo interruppe Azzurra.
“A renderti un po' più sensibile. Lassù vi hanno anestetizzato i sensi e tolto ogni forma d'arte: niente orecchio per la musica e per l'anima, rari contatti fisici. La merce, poi, la comprate senza vederla né toccarla, quindi niente tatto. I vostri occhi vedono da schifo, focalizzati una distanza massima di mezzo metro. In aggiunta, vi hanno privato dell'arte visiva e la personalizzazione su voi stessi come tela bianca è ridotta al minimo... I gusti sono standardizzati, l'olfatto ammazzato dai prodotti chimici..” Han scosse la testa e lasciò perdere la discussione “Bene... cambiamo totalmente genere.” disse premendo il tasto d'avvio. Subito uno sferragliare di chitarre elettrico sostituì la fanfara di ottoni e tamburi.
“Rumore!” disse subito lei
Han si imbronciò “Impegnati! È il mio album preferito...4
“Non mi viene nulla... mi sembra di essere in un'officina dove vengono smontate le auto, in un modo così violento e brutale che non riesco nemmeno a immginare ...”
“E' un inizio...” disse scivolando al brano successivo “E di questo che mi dici?”
Ora la chitarra era lenta e languida. Capendo di essere ancora sul genere della canzone precedente, Azzurra chiuse gli occhi e provò a concentrarsi “Sembra un serpente marino che striscia dalle acque del mare e raggiunge la battigia. E' notte...” Subito una seconda chitarra raggiunse la prima e lei continuò la sua descrizione “E le onde del mare che si infrangono sugli scogli. C'è una tempesta che spazza l'aria con la sua pioggia tagliente...”
“Molto bene...” si complimentò lui, sinceramente colpito “Continua...”
Lei provò a concentrarsi ancora ma, prima ancora di arrivare al ritornello, gettò la spugna “E basta...questa non è musica: è solo rumore... come fa a piacerti?” disse lei sul cantato che la disturbava.
Han si accigliò “Faccio finta di non aver sentito.. e non ti ispira nulla... qualche... sensazione?” domandò con un ghigno.
Let the beast run wild.
[Lascia la bestia correre libera]

“Dovrebbe?” replicò lei perplessa non cogliendo il suggerimento offertole dal testo mentre la canzone tornava alla strofa.
“Vedi tu...” disse con un sorriso canzonatorio, come se la cosa fosse ovvia. “Davvero...” cominciò avvicinandosi con passo insolitamente sinuoso e sicuro. O era lei che si era autosuggestionata? “Nulla?” Lei arretrò istintivamente di un passo e poi ancora un altro. Tanto lui avanzava, tanto lei arretrava, finché non si trovò spalle al muro “Ancora niente?” domandò divertito leggendo il panico nei suoi occhi e avvicinandosi ancora senza distogliere lo sguardo. Appoggiò le mani al muro dietro di lei e non accennò a volersi fermare, quasi lei fosse invisibile. “We're not for the innocent” le cantò all'orecchio facendola rabbrividire per una sensazione sconosciuta. “Not for the innocent” replicò a un soffio dalle sue labbra. Per quanto ingenua e inesperta anche Azzurra aveva capito dove stesse andando a parare e non sapeva come trarsi d'impaccio. Se l'avesse cacciato, lui avrebbe riso di lei dicendo che si era immaginata tutto. Se non l'avesse fatto, lui l'avrebbe accusata di essere predatrice d'uomini. Tutto ciò che sapeva fare, in definitiva, era restare bloccata dall'indecisione dell'azione. Non potendo fare di meglio, serrò occhi e labbra e strinse i pugni. Non gli avrebbe risposto, quello era poco ma sicuro. E sarebbe stata la giusta risposta al suo comportamento cretino.
Sentiva il suo alito caldo sulla guancia e il suo odore, così intenso (e... piacevole) da coprire l'odore di carta e cuoio, era l'unica cosa che riuscisse a respirare. Ma quando la canzone ripeté per la terza volta quello che lui le aveva sibilato all'orecchio, Han si ritrasse di scatto, perplesso, ripetendo ancora quelle poche parole. Dal tono, sembrò quasi che la canzone gli avesse fatto scattare qualche meccanismo nella testa e la soluzione fosse stata così intuitiva da lasciarlo senza parole per non averci pensato prima. Si volse verso il computer, dimentico della ragazza che, invece, rossa in volto per la vergogna (lei sperava fosse solo vergogna), agguantò veloce i suoi libri e infilò la porta per allontanarsi immediatamente da lui.





1    La canzone che ascoltano non è altro che L'ombelico del mondo di Jovanotti, del 1995.

2    Parlo di Simon & Garfunkel e della famosissima El Condor Pasa (If I Could) del 1970.
L'originale, del 1913, è una zarzuela peruviana di Daniel Alomìa Robles, basata su musiche tradizionali.
Per la versione italiana rimando a Gigliola Cinquetti: il testo, ovviamente, è completamente diverso, ma all'epoca era prassi consolidata e tutti i nostri artisti oggi famosissimi operavano questo tipo di adattamento per far conoscere al grande pubblico le musiche d'oltreoceano. Oh, tanto per la cronaca, la cosa era reciproca, basta vedere la fortuna, all'estero della nostra Bella Ciao.
Cmq se cercate su Youtube, trovate anche la versione cinese e capirete cosa intendo.

3 Moliendo cafè di Hugo Blanco del 1958 è stata riproposta da Mina nel 62.

4 Lick it Up dei KISS. I brani citati sono i primi due, nella sequenza di pubblicazione: Exciter e Not for the innocent.

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SCHERZONE!
XD c'è anche Han in lizza... non l'avevate ancora capito, vero? :D
Bene... adesso direi che è abbastanza chiaro. Se per vero interesse, per infastidirla o per rivalità con Kemal, questo lo vedremo più in là. Forse... :P
Per il resto, come avete visto, il gruppo si è 'sfsciato'. Ma non c'è da aver paura...la comunità è piccola e torneranno sempre lì.
Dunque, al mese prossimo ;)

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Capitolo 28
*** Run to the hills ***


28. Run to the hills

Run for your life






Azzurra scappò in corridoio e si rintanò tra gli scaffali colmi di libri, improvvisamente accoglienti e protettivi. Per sua fortuna, Han non ebbe la brillante idea di seguirla ma, per qualche strano motivo, la lasciò a rimuginare da sola. Si sentiva il volto in fiamme e continuava a toccarsi le orecchie ogni due secondi, quasi per accertarsi che fossero ancora al loro posto.
Non era abituata a essere trattata con tanta confidenza. Men che meno dagli uomini.
Era passato quello che a lei erano sembrati pochi minuti ma che, a conti fatti, doveva essere stata un'altra oretta di lavoro: si era appena calmata quando lui la raggiunse silenziosamente alle spalle facendola trasalire quando parlò.
“E' ora di andare” disse avviandosi veloce verso l'uscita “Muoviti o ti chiudo dentro”
Azzurra sistemò rapidamente nello scatolone quasi vuoto i libri che aveva in mano e si affrettò sulla sua scia.
“Quanta fretta... Pensavo ti piacesse questo posto...” ghignò lui guardandola da sopra la spalla quando lei lo raggiunse. Azzurra cercò di restare impassibile anche se non capiva se la stava canzonando per il bacio mancato o per il suo effettivo interesse per quel luogo colmo di cose affascinanti.
“Ora dove andiamo?” domandò mentre l'edificio tornava a chiudersi in un cubo grande come un pugno
“All'autodromo, ovviamente!” disse lui agganciandosi lo strano solido al passante dei pantaloni
“Abbiamo un autodromo?” domandò lei scettica ma affascinata
“Abbiamo di meglio...” disse uscendo all'aria aperta e tenendosi su un percorso di terra battuta che correva lungo la parete rocciosa.
“Senti...” disse lei dopo una manciata di minuti che marciava alle sue spalle senza fiatare “Perché hai accettato di seguirmi se per te sono tanto un fastidio? Non potevi lasciarmi a qualcun altro? Che ne so... non mi sembrava che Kemal avrebbe reagito allo stesso modo..”
“Aahh... Avresti preferito lo sceicco, vero?” disse lui con una risata soffocata “Ma per risponderti, è solo e semplicemente perché io sono uno dei capi, qui. E so cosa è meglio che tu sappia. Kemal è ancora un ragazzino...”
“Questo non gli ha impedito di venire spedito in superficie...” lo difese lei
“Una volta che hai compiuto i ventun'anni e hai superato il 3-18, sei automaticamente tra gli adulti e puoi essere impiegato in ogni modo che la comunità ritenga necessario.” la informò con voce piatta “Noi abbiamo la responsabilità di quelli che restano qui.”
“Più uguali degli uguali...” sputò lei con acredine.
Han si fermò di colpo e si voltò, minaccioso “Se non ti sta bene, tornatene su di sopra!” tuonò “Qua cerchiamo di essere equi negli oneri quanto negli onori e di salvarci il culo a vicenda. Non mi piace la posizione di comando: si hanno solo responsabilità e il malumore dell'incomprensione altrui. E, in ogni caso, me lo sono guadagnato: sono tra quelli che sanno più cose, che usano di più il cervello....mai sentito il detto sapere è potere? Io e Hector siamo responsabili di tutti quelli che stanno qui...” disse indicando l'intero paesaggio tutt'attorno “Perché abbiamo le conoscenze per prendere o suggerire decisioni in modo più consapevole degli altri. E nonostante tutto non abbiamo alcun potere.” ringhiò stringendo i pugni e tornando a seguire il sentiero “Solo adesso che hanno la prova cominciano a prendere in considerazione la mia versione dei fatti...” sibilò con astio “Eppure non posso farci nulla, vedi? Io so, ho cercato di spiegarlo, ma non mi hanno creduto. Cosa dovevo fare? Costringerli? Mi sarebbe tanto piaciuto. Ma non è corretto. Se crediamo davvero nell'uguaglianza di tutti, non possiamo cestinare l'idea al primo ostacolo e tornare a un regime. Salvo poi boicottarlo nuovamente quand'anche questo si trovasse inadeguato nell'accontentare i nostri capricci. Ogni decisione deve essere consapevole per ciascuno: non puoi affidarti agli altri come un pesce lesso. E se un giorno dovessi acquisire più informazioni e rivalutare le tue posizioni, tanto meglio, non ci sarebbe nulla di cui vergognarsi. E nessuno ne farebbe una colpa...”
Finito ch'ebbe di sfogarsi, si voltò e proseguì lungo la sua strada come se niente fosse successo. Azzurra non aveva capito minimamente le ragioni del suo repentino mutamento d'umore e lasciò correre: camminarono per altri dieci minuti buoni e lei non si azzardò più a rivolgergli la parola. Ne aveva già abbastanza di lui e, al solo pensiero che che avrebbe dovuto averci a che fare ogni santo giorno, ciclo o quello che era, le veniva un travaso di bile. Non lo sopportava. E sembrava che la cosa fosse reciproca. Almeno su una cosa, quindi, sembravano andare d'accordo.
Quando raggiunsero una rimessa di medie dimensioni infrattata tra le frasche trovarono un gruppetto di persone che rideva e scherzava tra loro. Erano tutte facce note ad Azzurra e la cosa la rincuorò. Probabilmente, pensò, era un modo per far acclimatare i nuovi arrivati il più velocemente possibile: facendo gruppo con i primi con cui erano venuti a conoscenza, avrebbero poi esteso la loro rete, anziché partire da zero e perdersi nei meandri di quella folta comunità che seguiva uno schema matematico noto già agli antichi.
A differenza sua, sembrava che Birger si fosse già perfettamente integrato con la comunità di ribelli. Sembrava quasi un loro pari. Azzurra notò anche 24 e Loki in un angolo, da soli. Si staccò velocemente da Han, che tanto non la badava, e si rifugiò nel rigido calore che potevano offrirle le creature aliene.
“Tutto bene?” domandò 24 squadrandola da capo a piedi “Hai la faccia rossa...Cos'è successo?”
“Nulla, tutto ok, non ti preoccupare” disse prendendo tra le dita la ciocca lunga dei suoi capelli asimmetrici biondi.
Ma 24 non si fece distrarre da quel movimento. Assottigliò gli occhi, nel tentativo di mettere a fuoco qualcosa che, senza i suoi occhiali speciali, gli sfuggiva “Sono abituato a sapere tutto quello che ti passa per il cervello” la informò offeso “Se stiamo separati e se tu non mi dici cosa ti succede, come posso...”
“Ma non è più compito tuo...” lo interruppe Loki che stava imitando Azzurra, giochicchiando con le proprie appendici elettroniche
Lui rimase interdetto. Aveva ragione lei: non solo non era più il suo guardiano ma non era nemmeno più un alieno il cui compito doveva essere quello di controllare gli umani ribelli. Qual era, allora, lo scopo della sua esistenza?
“Cosa vi hanno fatto fare?” si informò Azzurra, cambiando argomento e portando il discorso su fatti più concreti e futili.
“Ci hanno portato nell'atelier” rispose vago 24
“In sartoria...” precisò Loki, pronta a lanciarsi in una dissertazione linguistica “Il termine Atelier può indicare diversi tipi di laboratorio...”
“Io sono stata in biblioteca e ho dovuto sistemare un sacco di libri, per lo più fotografici e di moda... Non immaginereste nemmeno le cose strane e bellissime che c'erano!” replicò lei gasandosi di colpo al ricordo “Ma, concretamente? Cosa avete fatto? Io è come se avessi fatto sollevamento pesi...”
“Ci hanno messi a ricamare...” rispose laconico l'alieno alzando lo sguardo sul gruppo degli umani
“Ci hanno dato dei piccoli pezzi di stoffa, un ago e un filo. Ci hanno mostrato cosa dovevamo fare. Sembrava facilissimo. Le loro dita si muovevano veloci e sicure e creavano dei disegni fantastici. Ma, nonostante la nostra capacità di archiviazione dati, non ci è riuscito proprio bene. La nostra coordinazione oculo-manuale è davvero pessima..”
“Dì pure che è venuta una porcheria...” replicò 24, braccia conserte.
Azzurra notò che, più passava il tempo, più il vocabolario e la postura del compagno andava sciogliendosi e assumendo le classiche pose che vedeva spesso fare alla controparte umana. La cosa la fece sorridere. Sembrava un bambino che cerca di imitare gli adulti.
“E loro, invece? Cosa facevano?” domandò ancora Azzurra
“Erano in dieci attorno a un pezzo di stoffa trasparente...chiffon?” domandò a Loki
“Tulle!” precisò lei “Era un velo da sposa. E tu non eri attento...” replicò la compagna
“La cosa curiosa...” disse 24 abbassando appena il tono della voce “E' che qua e là, tutte si vantavano di aver intrecciato nel ricamo un loro capello... a me sembra una cosa sciocca...”
“Avete chiesto il motivo?” domandò Azzurra
“Pare sia una superstizione antica: la nubile che porta a termine il compito sarà molto fortunata. Non è chiaro se in amore o in altri settori. Una delle ragazze, ridendo, ha detto che per lei era la quinta volta e che ancora non si vedeva nessuno di decente all'orizzonte...”
“Ma se, praticamente, sono tutti maschi, qui...” replicò Azzurra, pensando a quella strana usanza “Basta girarsi per trovare qualcuno...oh....ciao...”
“Di cosa parlate?” chiese Kemal che era appena arrivato.
“Delle vostre strane usanze.” rispose lei, contenta di vedere una faccia amica.
“Come è andata in biblioteca? Tutto bene?” domandò lui con un sorriso tirato. Era nervoso? Imbarazzato? O era una domanda di cortesia? Perché prima si era alzato malmostoso, senza guardarla e ora la cercava per parlarle.. e in modo così rigido?
“Bene... è bellissimo... solo un po' faticoso...” disse poggiando le mani sulle reni e stiracchiandosi all'indietro
“Perché non mi hai detto che ti faceva male?” saltò su 24 preoccupato
“Sapresti cosa fare?” lo canzonò Kemal “Lo vuoi un massaggio?” le chiese cominciando a rimboccarsi le maniche.
“No, grazie...” rispose lei imbarazzata, abbassando subito le mani. Il comportamento di Kemal cominciava a preoccuparla. Sembrava avere l'umore altalenante ed era convinta che non fosse sintomo di niente di buono.
“Ma...” borbottò l'arabo perplesso “L'altra volta...”
“L'altra volta era diverso.” replicò lei sempre più imbarazzata. In un lampo si era immaginata la scena e la cosa le sembrava ridicola e fuori luogo: perché lui non capiva?
“Come vuoi..ma sarebbe meglio sciogliere subito i muscoli... se aspetti troppo poi ti farà male per giorni...”
“Va bene così...” lo ringraziò lei
“Allora... se siamo tutti pronti...” disse la voce stentorea di Alain, al di là del gruppetto, richiamando l'attenzione dei presenti “Direi che possiamo cominciare...” qualcuno, alle sue spalle, aprì la saracinesca a doppio battente non oliata che strideva con uno sferragliare fastidioso sui binari mezzi arrugginiti. “Azzurra...tu sai guidare, vero?” domandò quando la ragazza si apprestò ad entrare seguendo il flusso di persone che si riversavano all'interno.
“Certo!” rispose lei orgogliosa
“Come no..” la canzonò Han bloccando i presenti, incuriositi da quella replica “Trasmissione automatica o manuale?” domandò con fare professionale e scettico al tempo stesso.
Lei strabuzzò un attimo gli occhi “Che?”
“Appunto! Dicevi Alain?” chiese lui incrociando le braccia al petto con un sorriso sarcastico
“Scusa, Azzurra... come funzionano le auto, da te? Birger è arrivato con una vecchia jeep ma... non pensavamo potessero esserci differenze... Cioè... girate ancora con i cassoni di quando noi abbiamo abbandonato la superficie. Gli alieni vi lasciano con ferrivecchi...?”
Fu 24 a rispondere per lei “Hanno sviluppato un sistema di trasporto praticamente privo di inquinamento. Le auto sono intelligenti e servo assistite nella maggior parte delle operazioni. Si sale a bordo dell'auto, accesa a distanza, si aggancia la cintura di sicurezza automatica e si comanda la destinazione. L'utente può inserire il pilota manuale solo in autostrada o su terreni non tracciati a suo rischio e pericolo...”
“Peggio di quanto pensassi...” borbottò Han, zittendo l'elencazione dell'Akero.
“Cioè... fammi capire... sai come funziona almeno il volante? Ho capito che per i pedali dovremo aspettare...” domandò Alain
“So inserire il manuale in autostrada per sorpassare!” rispose lei con orgoglio, in quanto era caldamente sconsigliato avere simili alzate d'ingegno e prove di autonomia a fronte del pericolo di non riuscire a controllare il mezzo. Ma le sue parole suscitarono solo risatine imbarazzate.
“Che vuol dire che sai pigiare solo l'acceleratore e andare dritta. E' già qualcosa. Ma niente manovre da parcheggio, quindi...Han...” Alain si rivolse all'amico con un sospiro “Credo dovrai cambiare la tua tabella di marcia”
“Ah, me n'ero già accorto... mi domando solo come facciano a vivere ai piani alti”
“Ormai per oggi è andata. Azzurra, tu siederai accanto ad Han così avrai un'idea di quello che ti aspetta... e fai attenzione!” Le raccomandò il francese “Guardare e osservare attentamente è la prima e fondamentale cosa da fare per imparare”
“Non posso sedermi accanto a Birger? Anche lui sa guidare...” protestò quella, esasperata
“Il tuo istruttore è Han.” tagliò corto Alain.
“Rassegnati... una volta che Hector decide non si può più tornare indietro” ghignò l'interessato poggiandosi di peso sulla sua spalla “Ricorda: ciò che non uccide, fortifica. E non voglio certo sporcarmi i vestiti...” disse avviandosi all'interno e lasciandola indietro. Lei, per tutta risposta, non vista, gli fece la linguaccia. Si armò di pazienza e avanzò, scortata dai due alieni, all'interno della rimessa dove erano stipate su due piani, in spazi sovrastanti alti quel tanto che bastava per far salire le persone a bordo, più di un centinaio di automobili di ogni tipo e colore. Le sembravano tutte spigolose e fatiscenti, nulla a che vedere con le piccole, graziose ed eleganti auto impilabili ed elettriche a cui era abituata. Vide Birger e Loki scomparire a bordo di un mostro gigantesco, alto quasi il doppio delle altre vetture, tutto sporco di fango e con una maschera metallica sul muso che sembrava un bavaglio per una bestia di disumana violenza. 24 scomparve al seguito di Alain e lei rimase a osservare quell'ammasso di lamiere e pneumatici.
“Ti muovi??” urlò Han in fondo alla sala. Lei non poté fare altro che raccogliere la propria pazienza e avanzare, cercando quell'uomo fastidioso tra la folla di mezzi e persone
“Spider gialla...” disse Jordan affacciandosi da una cosa che Azzurra non sapeva se poteva essere catalogata tra le auto tanto era piccola e compatta. Ci stavano a mala pena due persone e gli interni erano così spogli che pensò che non ci fosse stato il tempo per ultimarla. “In bocca al lupo.” disse strizzandole l'occhio “Ricordo bene come son state le prime lezioni di guida con lui. Non preoccuparti...in una decina di incontri dovresti essere a posto. E non temere le urla... can che abbaia non morde”
Azzurra sbiancò al pensiero di dover sorbirsi così tanti incontri conditi anche di sfuriate isteriche “Cosa può esserci di così difficile?”
Ma il ragazzo rise divertito “Vai, prima che si incazzi definitivamente e decida di venirmi addosso...”
Lei lo guardò scettica prima di dileguarsi, domandandosi dove potessero mai andare tutti quei mezzi stipati com'erano in quel buco. Individuò facilmente l'auto gialla. Diversamente dagli alti veicoli era priva del tetto. Ora che era vicina al veicolo, notava che le ruote non poggiavano a terra ma erano lasciate libere di pendere nel vuoto. Tutte le auto, notò osservando meglio tutt'attorno, erano sospese da uno speciale ponte di metallo.
“Salta dentro!” le disse lui senza badarla, continuando a rovistare tra strani dischi della larghezza di una spanna. “Anzi no... non voglio trovarmi i tuoi denti sulla carrozzeria...”
“Non ci pensavo neanche a saltare...” replicò lei tirando la portiera verso di sé. Ma quella rimase ostinatamente al suo posto “C'è la sicura?” domandò guardando irritata il suo istruttore
“No...” disse solo, concentrato a sfogliare il suo catalogo “E' una portiera a serramanico, non vedi? Si apre verso l'alto... non devi tirare verso di te, devi farla ruotare in avanti...”
“A serramanico, certo...” replicò lei non avendo la più pallida idea di cosa fosse.
“Non sai nemmeno che ci sono diversi tipi di portiera?”
“Quante per la precisione?” domandò riuscendo a sistemarsi sul suo sedile morbido e avvolgente e a non sembrare già sconfitta prima ancora di cominciare le lezioni.
“C'è la controvento, la cui cerniera è messa sul montante centrale” disse indicando il vecchio macinino in cui si era infilato Jordan  “La scorrevole” e indicò la monovolume con cui 24 stava prendendo confidenza “Quella ad ala di gabbiano, che si aprono verso l'esterno” disse indicando un'auto aperta e posta su un piedi stallo, lontano da tutti “E poi c'è quella a farfalla che è simile a questa solo che la portiera scorre sul parabrezza, coprendolo...Ah! E...guarda Hector... Quella è l'apertura a carlinga.”
Il francese arrivò tenendo sottobraccio uno strano casco e fece scattare l'apertura. Azzurra rimase allibita vedendo come il cofano e il parabrezza si sollevassero e ruotassero di novanta gradi per dare modo all'uomo di accomodarsi all'interno.
“Ora infilati il casco...” le ordinò l'uomo.
Azzurra ubbidì. Inizialmente non vide nulla e stava già per replicare quando qualcosa comparve sul vetro scuro che le stava davanti agli occhi. Sembrava essere una sorta di test di trasmissione. Quindi, l'oscurità si dipanò e si rivide seduta a bordo della stessa auto ma in uno spazio aperto. Come avevano fatto a uscire in così breve tempo? Soprattutto. Dov'erano finite le altre auto? Perché erano soli?
“E' un vecchio trucco da realtà virtuale, opportunamente migliorato. E' tremendamente realistico” la informò Han “E non temere. Gli altri sono qua accanto. Noi non ci siamo mossi.” disse girando la chiave e ingranando la marcia. L'auto ruggì sotto di loro e sobbalzò avviandosi sul terreno sterrato per raggiungere la strada asfaltata. “E' rilassante farsi un giro, ogni tanto. E mi aiuta a pensare...”
“Perché tu pensi, ora...” replicò la voce di Frederick giungendo dalle cuffie.
Azzurra si voltò, convinta di riuscire a vedere la vettura del tedesco ma l'asfalto scivolava sotto di loro come un fiume che si tuffa in una cascata.
Vide Han arricciare il naso “Dove ti sei nascosto?” domandò perplesso
“Lo scoprirai presto...” ghignò l'altro di rimando.
Erano partiti in mezzo a un bosco di betulle e si stavano avvicinando a un centro abitato lungo una strada sinuosa e pulita. Erano in montagna e le case erano basse e coi tetti spioventi per permettere alla neve di scivolare a terra rapidamente. “Il percorso lo scegli tu o è il computer?” domandò Azzurra affascinata dal grado di realtà offerto da quel simulatore
“Il computer ridisegna solo l'ambiente al di là del vetro. Ma dove vado lo decido io. E devo fare attenzione. Perché se faccio manovre inconsulte rischio di danneggiare l'auto.”
“Ma se siamo sospesi...” replicò lei
“Certo, i cerchioni non si deformano. Ma se vado in testa coda devo pregare di essere il solo o mi sfascerò sui veicoli che sono parcheggiati attorno a me per quanto ci sia dello spazio di sicurezza tutt'attorno. Le molle su cui è sospesa la macchina, che danno questo piacevole senso di realtà...” disse saltando su una cunetta “Fanno anche ruotare o inclinare l'auto per dare al tuo corpo la sensazione di essere davvero...qui” disse mentre sfrecciavano nel centro “Hector?” chiamò all'interfono “Niente pedoni, niente casualità...niente di niente?” si informò confuso.
“E' un giro di prova per i novellini...” replicò l'altro
“Ma voi dove siete?”
“Siamo quasi tutti andati verso il lago... non mi dirai che tu stai puntando i tornanti?”
“Certo!”
“Allora ci rivedremo più tardi...” rispose l'altro chiudendo la comunicazione
Rimasti nuovamente soli, Han proseguì con la sua spiegazione “Diciamo che è un gigantesco gioco di ruolo multiplayer. Non dirmi che non sai nemmeno cosa sono i video giochi, ti prego...” nella sua voce c'era una nota supplichevole. Era un caso così disperato?
“Certo che so cosa sono. Anche se non so cos'è il multiplayer.” replicò lei piccata
“Bene... ricordami che dobbiamo fare un giro anche in sala giochi.”
“Ehi, Han!” lo canzonò la voce di Frederick, all'improvviso “E gli autoscontri, no?” disse prima che nella loro visuale comparisse un auto blu con strisce bianche che correvano dal muso alla coda, passando per il tetto. Han inchiodò letteralmente mentre l'auto tagliava loro la strada e si dileguava a gran velocità. Azzurra sentì il fiato mozzato dalle cinture di sicurezza, il corpo spostato in avanti, le gomme che stridevano. Gomme che non poggiavano a terra. Possibile che ci fosse un sensore acustico collegato al pedale del freno?
“Fanculo, stronzo di un crucco su auto americana!” ringhiò Han dando nuovamente gas. “Ti vengo addosso la prossima volta che corriamo sul serio!”
“Devi mangiare la polvere Han, voi americani non sapete guidare!” ridacchiò, chiudendo la comunicazione con un bip acustico.
Han fece lo stesso, in modo da rimanere isolato con Azzurra all'interno del veicolo “Te lo faccio vedere io chi non sa guidare.” Ringhiò ingranando la marcia, la mano artigliata sul cambio. Da sotto il sedile, estrasse il catalogo di dischi che stava sfogliando prima che Azzurra salisse a bordo. Se lo poggiò sulle ginocchia e, senza guardare, girò un paio di pagine e ne estrasse, sicuro, un disco che infilò in una fessura orizzontale della macchina. Chiuse di scatto la custodia e la passò al suo passeggero “Fa' attenzione, due lezioni in una...” disse mentre i tamburi e le chitarre cominciavano a scandire il tempo con aggressività “Questo ti spiegherà anche a cosa può servire la musica...”
Ora, la velocità che sembrava aver acquisito la macchina (Azzurra dovette sforzarsi di ricordare che era fittizia) la schiacciava contro il sedile, dandole le vertigini tanto il cuore le galoppava in petto. Ma non si trattava di paura. Non ancora o non solo.
Nel giro di pochi secondi, Han riguadagnò la strada persa e quasi si appoggiò col muso alla coda dell'auto che lo precedeva. Riaprì la comunicazione “Vuoi una spinta?” disse pigiando appena l'acceleratore. L'altro veicolo accelerò a sua volta, ponendo un paio di metri di distanza tra loro finché, subito dopo una curva, imboccarono un tunnel scavato nella montagna. Una parete di quel lungo budello di calcestruzzo armato era traforato da colonne che lasciavano intravedere la foresta sotto di loro. Han cercò di accostarsi all'auto blu e bianca nel tentativo di superarla ma l'altra zigzagava in modo da costringerlo nella sua scia. L'auto blu scodò un paio di volte nelle curve successive, ma Han conosceva la strada ed evitò gli errori del tedesco. “Tienti forte...” disse a un certo punto, prima di svoltare bruscamente in una laterale nascosta dagli edifici. Mancò poco che salisse sul marciapiede ma controsterzò immediatamente e si rimise in carreggiata
“Così lo perdiamo!” protestò Azzurra, ormai calata completamente in quella sfida
“Non ti preoccupare... conosco questi tracciati come le mie tasche. L'ho progettato io questo giochino...” disse pieno di orgoglio, forse convinto di impressionarla.
Lei tacque, effettivamente colpita, ma non disse nulla. Non gli avrebbe dato quella soddisfazione. Procedevano più lenti, ora, infilandosi in strade secondarie che curvavano dopo poche centinaia di metri. Azzurra era ormai convinta che non avrebbero più rivisto Frederick quando Han le ripeté di tenersi saldamente. Lo vide impugnare l'asta che stava tra i due sedili e tirarla. Subito si sentì schiacciata da una forza invisibile contro lo sportello e non ebbe fiato, forza e prontezza per cacciare un urlo di terrore. Si sarebbero cappottati, lo sapeva, ne era più che sicura. Sarebbe morta intrappolata in uno stupido gioco di realtà virtuale. Invece, l'auto si fermò e il motore rallentò i suoi giri: erano messi di traverso lungo la strada che sbucava da un'altra galleria buia. E l'auto di Fred emerse da quel buio abbagliandoli con i suoi fari. La vide inchiodare e, all'ultimo, scartare di lato, sullo sterrato, per evitare il muso della loro auto.
“Dannazione... me l'ha fatta!” replicò Han irritato rimettendosi all'inseguimento “C'è nessun altro sul versante nord?” chiese aprendo le comunicazioni.
“Ci siamo noi...” disse la voce di Birger “Credo di essermi perso...”
“Puoi darmi le tue coordinate? Le trovi nel visore in alto a destra.”
Solo allora Azzurra notò che, ovunque girasse lo sguardo, effettivamente, c'erano dei numerini più chiari in sovrimpressione e un piccolo reticolo che probabilmente era una mappa “Benissimo!” sentì dire ad Han “Alla prossima gira a destra e piazzati al centro della strada...” ordinò dando ancora gas alla sua macchina.
Erano nuovamente in coda alla vettura blu. Lo videro inchiodare e andare in testa coda, intrappolato, in fondo alla strada, da un bestione nero, il muso minaccioso protetto da un rostro aggressivo. L'auto ruotò di centottanta gradi e la videro puntare nuovamente contro di loro per poi fermarsi, come sorpresa di averli ancora alle calcagna.
“Credi di spaventarmi?” domandò il tedesco
“Io non mi scanserò!” disse Han in risposta.
“Vedremo!” e dettò ciò, Azzurra vide i fari dell'auto blu impennarsi lievemente.
Subito si sentì schiacciare nuovamente dal peso dell'accelerazione e capì di cosa parlavano “Non vorrai andargli contro?”
“Di che ti preoccupi? È solo un simulatore...” replicò lui divertito e stranamente euforico
“Ma tu hai detto...” protestò lei
“Silenzio!” disse incrementando ancora la marcia.
Le due auto si avvicinavano rapidamente, muso contro muso, al centro della carreggiata, impedendo a ciascuno di svicolare di lato all'ultimo momento.
Chiuse gli occhi, preparandosi a impattare.
Ma l'auto, all'ultimo scartò a destra e piroettò su se stessa. Non aveva sentito alcun colpo. Ma era un simulatore, quindi....
Aprì gli occhi e vide che anche l'altra auto, specularmente, stava volteggiando su se stessa: si erano evitati a vicenda nello stesso momento.
“Ma sei completamente matto?” gli urlò nelle orecchie quando la macchina si fu fermata e il motore, fumante, spento.
“Hector, noi usciamo!” disse Han, senza badarla, disattivando i caschi.
All'improvviso, laddove si stagliavano montagne innevate e abeti massicci illuminati da un tenue sole invernale, si trovò a fissare il buio della rimessa. I suoi occhi ci misero un po' ad abituarsi al buio dopo l'esposizione a tutto quel candore. Quando riuscì a mettere nuovamente a fuoco l'ambiente circostante, Han era già sceso dal veicolo e aveva aperto il cofano, trafficando all'interno e imprecando sommessamente.
“Cos'è successo?” domandò lei scendendo con cautela dal mezzo e andando a sbirciare quello che faceva il suo istruttore, immerso in una nuvola di vapore bollente proveniente dal vano motore.
“Ho fatto una cazzata...” disse levandosi la maglia e per fasciarci la mano e proteggerla dal calore. Svitò un tappo e si allontanò immediatamente, prima di venire investito da un getto concentrato. “Cosa che tu non devi fare!”
“Sei riuscito a surriscaldare il motore?” disse la voce divertita di Frederick arrivando a controllare perché il suo sfidante si fosse scollegato così all'improvviso
“E' grave?” domandò lei che non capiva se il problema fosse serio o meno
“Andranno controllate un paio di cose, ma in teoria no. E' solo stata ferma a lungo e Han si è fatto prendere la mano dalla sfida. E non ha tenuto sott'occhio i valori...” spiegò Frederick.
“E va beh...” sbuffò “Qualche stronzata posso farla anch'io, ogni tanto, no?” replicò l'hacker battendogli una mano sulla spalla. I due scoppiarono a ridere come se l'hacker avesse appena fatto la battuta più divertente del mondo. E dopo quella sfida all'ultimo respiro, quell'inseguimento quasi mortale... i due ridevano di gusto, più amici di prima.

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Ragazzi, vi chiedo scusa per il ritardo ma da che non vado più in Università ho perso il conto dei giorni. Mi accorgo sempre troppo tardi di aver sforato le scadenze. Vi chiedo scusa.

Dunque, eccoci calati ancora una volta nella realtà dei ribelli. Prima di tornare all'azione ci saranno un paio di capitoli di acclimatamento, tanto per far capire quanto i novellini siano impreparati. Presto, comunque, raggiungeranno gli altri ribelli e, ahivoi, si avvicina anche questa fatidica 3-18. Cosa sarà mai? È un nome quanto mai stupido ma...non ho trovato di meglio.
A presto, dunque. E non temete... i ribelli non rimarranno inattivi a lungo.

PS: il titolo è omaggio alla famosa canzone degli Iron Maiden. Se vi piace, pensatela pure come colonna sonora della corsa (anche se io avevo pensato ai Nickelback, Burn it to the ground)

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Capitolo 29
*** You drive ***


28. You drive
Me mad






Finita la sessione di guida, Azzurra venne trascinata da Han in una grotta adiacente, mentre il resto del gruppo si disperdeva per rientrare negli alloggi per la pausa di riposo. Nel nuovo ambiente era buio pesto e la ragazza fu costretta a dare la mano a quell'uomo odioso che la condusse per i cunicoli, impedendole di rovinare a terra. Con la mano libera tastava lo spazio attorno a sé, talvolta sfiorando delle superfici rocciose ruvide e umidicce.
Quando, finalmente, si fermarono e Han la lasciò andare, si sentì persa e abbandonata. Per un attimo la sua mente pensò che volesse sbarazzarsi di lei, anche se, come pensiero, non aveva poi molto senso. Una luce soffusa si diramò da un angolo lontano e cominciò a fluttuare in alto, verso il soffitto da cui pioveva una foresta di stalattiti di cui non aveva nemmeno immaginato l'esistenza.
“Sbrigati!” disse la voce ruvida di quell'uomo impossibile, comparendo nella penombra della grotta “Si spegnerà subito...”
Lei camminò a passo svelto verso di lui, facendo bene attenzione, però, a dove poggiava i piedi. Quando raggiunse il piccolo spiazzo da cui gli era giunta la sua voce si accorse che, in realtà, non distavano poi molto dall'imboccatura della grotta da cui erano entrati. Abbassò lo sguardo e lo vide buttato su un letto improvvisato, una coperta buttata addosso, un braccio sotto la testa e l'altro appoggiato sulla pancia. “Io dove mi metto?” domandò perplessa. Han alzò lo sguardo annoiato e vacuo e le indicò stancamente la nicchia appena sopra la sua spalla. “Non ho il pigiama...” cercò di protestare lei, arrampicandosi nel suo scarno giaciglio
“Dormi vestita...pensa che sia la siesta e non mi scocciare...”
Lei sbuffò sedendosi sul materasso tutto sommato morbido e avvolgente “Però non ho sonno...” replicò quando la luce cominciava a scemare
“Sapevo che l'avresti detto!” replicò lui. Lo vide frugarsi nelle tasche e allungare il braccio verso l'alto. Sbatté la mano con poca grazia sullo spigolo del lungo gradino dove lei stava appollaiata e le rifilò uno strano rettangolo nero, che occupava tutto il palmo, a cui era attaccato un cordino di gomma rattoppato in diversi punti con del nastro isolante che, alla fine, si biforcava di due appendici grandi come bottoni.
“Che cos'è?” domandò lei osservando lo strano oggetto: la scritta sbiadita, una specie di molletta sul retro, una serie di quattro pulsanti di cui uno più grande degli altri, la finestrella da cui si intravedeva una ruota dentata.
“E' un Walkman, un residuato bellico. Tienilo da conto.” disse tirandosi a sedere per spiegarle come funzionava “Questi...” disse indicando i bottoni che si fondevano coi fili “..li infili dentro l'orecchio...”
“Dentro?” replicò lei scettica
Han roteò gli occhi esasperato. Prese il cavo in mano, si alzò e le si avvicinò. Studiò con attenzione ogni sua reazione mentre cercava di infilarle le auricolari senza spaventarla o farle male. “Io dormivo sempre col le cuffie addosso. Di un lettore mp3. Ma non cambia poi molto. Anzi...forse è meglio...”
“Cos'è un lettore mp3?”
“Te lo spiego un'altra volta...” replicò lui prendendo il mattone nero e porgendoglielo “Se premi questo, fai partire il meccanismo. Questi due servono a mandare indietro o a mandare avanti. Nel caso ti piaccia o meno. Questo ferma tutto. Nel caso volessi spegnere nel dormiveglia”
Ferma tutto, cosa?” domandò ancora, sentendosi asfissiante nel continuare a porre domande
Lui la guardò divertito ma non rispose “Se non ti viene sonno, avrai compagnia, almeno... ho scelto la cosa più tranquilla che potessi trovare... secondo i miei gusti, che non ti agitasse e che magari potesse aiutarti a dormire. Prima prendi i nostri ritmi, meglio è. Ah...” disse indicandole una rotella a lato dell'apparecchio “Questo è il volume. Troppo alto o troppo basso. C'è l'autoreverse, così, quando finisce la cassetta, ricomincia da zero senza che tu debba far nulla e alla fine diventa un surrogato della ninnananna” Azzurra continuava a fissarlo con sguardo smarrito mentre lui si allontanava. “Ora buttati giù....o devo raccontarti anche la fiaba della buonanotte?”
“Che?” replicò lei sistemandosi meglio gli auricolari e cercando di accoccolarsi. Ma lui non le rispose. Il leggero bagliore si era ormai spento del tutto e ad Azzurra non restò altro da fare che far partire quello strano marchingegno.
Musica. Era una piccola trappola che conteneva la musica... ingegnoso...
E la musica che aveva scelto per lei era... ipnotica.
Non sapeva nemmeno dire se si trattava di una chitarra pizzicata, di un pianoforte o di una leggera pioggerellina primaverile.
Nell'oscurità, restò ad ascoltarla rapita, immaginandosi la natura verdeggiante fuori della grotta e i suoi invisibili abitanti animali. Immaginò di essere piccolissima e di incontrare altre persone come lei, rimpicciolite e vestite di fiori e bacche che, a quel punto, le coprivano totalmente. E la loro casa non era una grotta nascosta alla luce, ma un maestoso castello medievale.
Senza rendersene conto, scivolò rapidamente nell'incoscienza.



Dopo le consuete ore di riposo, Han si svegliò prima ancora che la sveglia cominciasse a pigolare. Rotolò sul posto fino ad arrivare a poggiare i piedi per terra. Si tirò su inarcando la schiena per svegliarsi del tutto. Dopo pochi istanti si ricordò dove, perché e con chi fosse. Si voltò, cercando di individuarla in quella fitta oscurità. Prima che gli occhi riuscissero a focalizzarla, percepì il suo respiro lento e pesante che, a intervalli regolari, copriva il tappeto musicale che continuava a dipanarsi leggero dagli auricolari. Stringeva il walkman tra le mani come un tesoro prezioso. Gli scappò un sorriso, colpito da quella tenerezza. Peccato che non la sopportasse. Non che le avesse fatto nulla di male. A parte urtare la sua pazienza con quell'assurdo taglio di capelli: un giorno l'avrebbe rapata a zero nel sonno. Sarebbe stato uno scherzo carino. E lui si sarebbe fatto odiare da tutti. Un altro sorriso gli increspò le labbra all'assurdità del pensiero: sarebbe stata una fortuna. Tutti lo ammiravano per il suo carisma e la sua indifferenza. Nessuno provava seriamente a mettere in discussione la sua figura. Solo Kemal aveva cominciato ad alzare la cresta. E solo negli ultimi cicli. Chissà perché... sogghignò fissando la sua ospite. Il ragazzino doveva mangiarne di pagnotte prima di riuscire a tenergli testa.
Si chinò a spegnere il mangianastri ma come provò a sfilarglielo dalle mani, Azzurra si raggomitolò su stessa, quasi a proteggerlo. Han inarcò un sopracciglio, infastidito.
“Ehi!” disse picchiandole due dita tese sulla spalla “Avanti, in piedi!” La sua voce aveva disturbato l'abitante della grotta che si illuminò indispettito e svolacchiò sul soffitto in segno di protesta. Lei mugugnò qualcosa di inarticolato e si voltò per dargli le spalle. Han la fissò allibito. Le strappò le coperte di dosso “E dire che nemmeno volevi dormire!”
“Che modi!” protestò lei stropicciandosi gli occhi e mettendosi a sedere. “Visto che sei così genio, allungami i miei vestiti che stavano sulla coperta che tu hai prontamente levato con la grazia di un bulldozer.”
Han la fissò un attimo, spaesato. In effetti, c'era qualcosa che non andava e ora che glielo aveva detto, l'aveva notato: si era spogliata di tutto, eccezion fatta per la biancheria. Piantò le mani sui fianchi, costringendola ad arrangiarsi a ritrovare le sue cose. Così imparava, visto che lui le aveva detto di dormire vestita! “Sei proprio una bambina...” Pur nell'oscurità la vide arrossire. E dire che sembrava così disinibita, abituata com'era al controllo totale da quello strano essere che la seguiva come un'ombra.
Ad ogni modo, non voleva essere un commento cattivo sul suo corpo (comunque sottosviluppato anche se non ai livelli dell'aliena) ma la constatazione di come fosse abituata a stare nella bambagia. Come pretendeva di ribellarsi seriamente se si spogliava anche per dormire? L'avrebbe costretta alle marce e alle guardie che aveva fatto lui, dormendo armato di tutto punto, con gli anfibi sempre addosso, pronto a ogni evenienza, sotto piogge torrenziali, protetto solo da una tendina che non proteggeva né dal freddo né dal vento. “Si può sapere perché ti sei tolta tutto?” le sbraitò contro.
“Se qui non avete una seria distinzione tra pisolino e sonno...” cominciò lei rivestendosi rapidamente “... finisce che si dorme sempre vestiti, giusto?” prima che lui rispondesse, lei continuò “Beh, come fai a riposarti davvero? E poi non è igienico dormire con gli abiti sporchi”
“Tutte cagate!” replicò lui senza voltarsi, tanto per darle ancora più fastidio non concedendole un minimo di privacy “Sì, certo, è più comodo. Ma non è mai morto nessuno. E ora cammina...”
“Tu dormi sempre vestito?” domandò lei trottandogli dietro quando lui cominciò a muoversi e afferrandolo per la maglia per non inciampare da qualche parte
“Sì, devo essere sempre pronto. Io... Dormo anche con le cuffie, collegate al computer, fai un po' tu...”
“Una vita sociale molto intensa...” replicò lei con sarcasmo.
“No, ho grandi responsabilità. E se non avessi una vita sociale sarei anche più contento. E' solo una rogna avere gente appresso”
“E allora perché sei qui? Potevi restartene isolato nel mondo di sopra.” domandò lei, curiosa
“E tu cosa ci fai qui?” replicò lui, infastidito “Scommetto che non volevi ti frugassero nel cervello ogni due secondi... guarda un po'! È quello che vogliamo tutti!” Quando sbucarono nella radura, la luce sembrava essersi fatta più grigia e meno satura dei suoi colori radiosi. “Mmm”
Azzurra seguì lo sguardo di Han, cercando di capire cosa avesse visto di speciale da renderlo pensieroso “Mmm che?” domandò alla fine, non essendo riuscita a venire a capo della cosa
“Tra poco diluvierà. Dobbiamo affrettarci. Rischiamo di prendercela tutta...” Disse allungando subito il passo “E non voglio bagnare gli interni!” replicò prima che lei ponesse qualche altra domanda stupida. Tipo: ma è pioggia acida? Hai paura di farti una doccia? Da quando gli interni di un edificio temono l'acqua?
Non la sopportava, lei e la sua petulante parlantina.
Arrivato per primo al capanno, si mise d'impegno per smuovere la paratia che faticava a scorrere sul binario. Si appuntò, mentalmente, di doverla oliare. Azzurra, giunta solo quando ormai il varco era aperto, trottò dentro tranquillamente, gli scarponi che sollevavano piccole nuvole di polvere dalla terra battuta della rimessa. Gli si avvicinò incuriosita dalla serie di scatoline che stava maneggiando indeciso.
Han la guardò da sopra la spalla, seccato. “Toh” le disse, con la bocca piena, sbolognandole un sacchetto di carta stropicciato.
Azzurra aprì il cartoccio e vi trovò un paio di panini all'uvetta e una spremuta d'arancia in una confezione di un materiale che sembrava plastica. Stava per renderglielo, sostenendo che aveva mangiato a sufficienza solo sei ore prima, quando nel suo stomaco si aprì, improvvisamente, una voragine apparentemente insaziabile rimasta nascosta fino a quel momento. Trangugiò tutto con gratitudine. Han faceva lo stesso mentre si aggirava per la rimessa spoglia.
Trovava molto strano il fatto che tutte quelle macchine fossero scomparse in poche ore. Dove potevano averle spostate se quello era il loro ricovero? Dando un'occhiata all'ingresso si assicurò della sua intuizione: la vegetazione all'esterno non mostrava segni del passaggio di neanche un mezzo.
L'uomo accanto a sé prese una lunga sorsata emettendo strani versi compiaciuti. Afferrò quella che a lei sembrava solo una macchina in miniatura, lunga quanto un unghia, andò a depositarla al centro dello spazio deserto e si allontanò soddisfatto sotto lo sguardo perplesso della ragazza. Tornato al tavolo, premette qualche pulsante su una speciale tastiera mezza distrutta. In un batter d'occhio l'auto assunse le dimensioni di un comune veicolo.
Azzurra si accigliò: doveva ricordarselo, la prossima volta che avesse avuto un dubbio simile. I ribelli potevano miniaturizzare qualunque cosa.
“Cammina!” le impose Han, salendo dal lato passeggero.
Lei alzò gli occhi al cielo e si impose di fare del suo meglio, nel tentativo di sbrigare quella scocciatura nel minor tempo possibile. Ma lui le fece morire ogni speranza “Mediamente servono una decina di guide. Ai più bravi ne bastano una mezza dozzina. Tu sei praticamente digiuna, quindi partiremo dall'ABC. Infila il casco!” disse calzando il suo. Azzurra lo imitò e si ritrovò al centro di un largo spiazzo alberato. Il cielo splendeva sereno e sulla strada che scorreva poco lontano c'erano solo poche macchine che si avvicendavano a ritmo costante.
Han cominciò la lezione teorica restando seduto al suo posto e indicandole, di volta in volta, i vari congegni: i pedali, la chiave, gli specchietti, il contachilometri, il cambio...
Erano tutti accessori che Azzurra non aveva mai avuto il piacere di affrontare e che le suonavano inutili e mostruosi al tempo stesso.
Le impose di allacciarsi la cintura e di controllare la distanza del sedile, spiegandole come dovesse regolarlo (a costo di doverlo sollevare ogni volta per avvicinare il torso, non la voleva vedere aggrappata come una vecchia nonna rincoglionita sul disco di gomma e radica). Tutto perché quella era la posizione ottimale per manovrare e la più comoda per agire con prontezza. Azzurra sapeva solo che, dopo cinque minuti in quella scomoda posizione innaturale, le dolevano già tutte le articolazioni.
Le spiegò come mettere in moto e come ingranare la prima marcia. Contrariamente a ogni aspettativa, fu molto paziente, nonostante la ragazza riuscisse a far morire la macchina a ogni accensione e la vettura non si muovesse che di pochi metri per volta.
“Devi prenderci mano. Solo l'esercizio te lo renderà istintivo...” la rassicurava ogni volta che la macchina si spegneva, sobbalzando convulsamente e borbottando sommessamente.
Dopo mezzora di estenuanti, frustranti e umilianti tentativi, Azzurra riuscì a far muovere la macchina per un tempo sufficientemente lungo da far dire al suo istruttore di passare alla seconda. Non avendo la più pallida idea di cosa dovesse fare e vedendo il limite dello spiazzo avvicinarsi, si annodò le gambe sui pedali fino a far spegnere nuovamente la macchina.
“La seconda...” disse lui poggiandole la mano sul cambio mentre premeva la frizione di riserva sul lato passeggero. Solo allora Azzurra si accorse dei doppi pedali. “Prima. Seconda. Tira verso di te in entrambi i casi per non sbagliare. Non è semplicissimo e spesso si sbaglia. Le prime volte...” ridacchiò divertito e per nulla imbarazzato “Io partivo in terza senza capire perché l'auto non volesse saperne di prendere il via.” Quindi riportò l'attenzione al cambio “Terza. Quarta. Poi c'è anche la quinta. Ma non credo le sfrutteremo. Non ora. In ogni caso, dovrai spingere verso di me. Ah! Quello che vedi, sotto la quinta è la retromarcia. Non è una vera e propria marcia. Devi sollevare questo disco che si trova sotto il cambio e spingere indietro. Metti in moto. Ti mostro come funziona...” Azzurra, ubbidiente, si aggrappò al volante e girò la chiave nel quadro, premendo la frizione. “Lascia i pedali...” disse pigiando sui suoi e mostrandole come ingranare la marcia “Può capitare che gratti, come in questo caso. Come passando da prima a seconda, non spaventarti. Per evitare, se ti accorgi che il passaggio è ostruito ed è difficile ingranare, metti la prima, vai avanti di pochi centimetri, e ingrani di nuovo la retro. O viceversa nel caso della prima. Senti...?” le disse zittendosi e facendole ascoltare i diversi suoni prodotti dal cambio “Semplice.” quindi arpionò il sedile di lei per voltarsi verso il lunotto e con la mano libera guidò appena il volante, lasciando che la vettura schizzasse indietro nel lungo parcheggio deserto
“Perché succede? Questa cosa che gratta...” domandò lei curiosa.
Sulle labbra di Han vide comparire un sorriso compiaciuto “Potresti pensare che siano i denti degli ingranaggi. Invece sono quelli del manicotto e della corona dell'ingranaggio...” il sorriso si spense subito: forse aveva notato come tenesse la bocca spalancata, non capendo un accidenti di quello che le stava dicendo “Ne riparleremo alla lezione teorica. Sono cose che devi sapere!”
Azzurra non replicò che mai, in vita sua, soprattutto ora che viveva nelle viscere della terra, quelle nozioni le sarebbero tornate utili. Ma tacque per non innervosirlo ulteriormente.
Ripartirono con i passaggi tra prima e seconda e in breve tempo si trovarono nuovamente alla fine dello spiazzo “Ora gira il volante... piano, non serve che inclini le ruote a novanta gradi...” Lei ubbidì e vide, sotto di sé, come il paesaggio cambiasse aspetto, indirizzandosi in una nuova prospettiva. Era a dir poco raggiante di quel suo piccolo successo. Ma anche quel momento durò poco e Han la riportò a terra ordinandole di fare lo slalom tra gli alberi presenti nel parcheggio, posizionati a circa sei metri gli uni dagli altri. Fuori dalla vettura sarebbe sembrato uno spazio enorme, ma ora che doveva comandare quella piccola bestia metallica si sentiva un elefante in una cristalliera.
Dopo i primi goffi tentativi, in cui era salita sui marciapiedi protettivi o aveva rischiato di cozzare direttamente contro la pianta, lui le aveva regalato un piccolo trucco “Non inclinare troppo il volante. Va piano. Pensa di essere un'onda...così...” e con mano ferma condusse la vettura tra gli alberi senza incertezze. “Vuoi provare un giro in strada o per oggi basta così?” domandò accennando alla strada che scorreva in lontananza con un cenno del capo.
“Basta così, ti prego!”
“Va bene” concordò lui, spiegandole quale fosse la procedura corretta per spegnere l'auto e uscirne “Allora andiamo...abbiamo ancora un paio d'ore da impiegare.” disse sfilandosi il casco, uscendo dal veicolo.
Azzurra esitò al suo posto: le mani, lo notava solo ora, le tremavano vistosamente e il ginocchio le doleva per lo sforzo continuo di pigiare quel dannato pedale. Su una cosa doveva concordare con lui: stava scoprendo muscoli che non sapeva di avere e stava anche imparando effettivamente a padroneggiare il proprio corpo, compiendo due azioni diverse con diverse parti del corpo nello stesso momento. Rimosse il casco e si accorse che Han la aspettava, pazientemente, fuori dall'abitacolo. Tirò il freno a mano, sganciò la cintura e rimosse la chiave per porgerla all'uomo.
“Cosa ne dici di imparare anche ad andare in moto?” domandò, serio, lui ritirando la vettura
“Moto? Ma sei impazzito?”
“Beh... direi che il caso di battere il ferro finché è caldo: la tua coordinazione ha fatto passi da giganti in una sola seduta.”
“Io su quell'aggeggio infernale non ci salgo!” replicò lei incrociando le braccia al petto
“Oh sì, che lo farai! Dopo essere passata per la bicicletta” sghignazzò l'altro “Ma non importa... ne abbiamo di cose da fare...”
“Ad esempio? Posso almeno sapere in cosa sono tanto carente e come pensi di riuscire in un impresa tanto colossale?”
“Vediamo... anche se mi pareva ti fosse già stato detto...” fece lui con fare falsamente assorto “Coordinazione pari a zero. Soluzione: guida, ballo, sport e videogame. Dovresti essere contenta. Un tempo i ragazzini avrebbero pagato oro per avere un menù come il tuo. Poi c'è da irrobustire un po' questo fisico denutrito. Quindi ti aspetta un bel po' di lavoro in biblioteca e nell'orto. Oltre che un po' di ginnastica mirata per darti fiato e resistenza. Ancora, in realtà dubito tu sia un esperta di bricolage o di lavoretti femminili. Il ché implica che non hai alcuna capacità manuale. Un po' alla volta imparerai a cucire, ricamare, sferruzzare, piantare chiodi, riparare semplici congegni e via dicendo. In cucina immagino tu te la cavi. Almeno. Da quello che mi hanno detto quei tre squinternati, sei riuscita a sfamarli senza avvelenarli. Quindi si passa oltre. Devi imparare un bel po' sulla medicina e la chirurgia come di ingegneria e architettura. Tutte cose che torneranno utili, non temere...”
“Ma se neanche una persona normale riesce a star dietro solo a una cosa come ingegneria!” protestò lei, allibita
“Nella società che hanno costruito quelli là...” disse lui indicando col pollice il soffitto “Atrofizzano la gente negli stessi lavori ripetitivi, facendoli diventare delle macchine. In realtà l'essere umano può benissimo imparare moltissime cose. Non solo i geni e non solo chi ama lo studio. Ma la lista è ancora lunga. Ovviamente ci sono le lingue. Se pensi di cavartela con italiano e un inglese stentato, hai capito male. Come minimo ti aspettano tedesco, cinese, russo e arabo. Poi, essendo di lingua neo latina, puoi imparare francese e spagnolo, dando per scontato tu sappia il latino. Anche il portoghese. E se ti impegni puoi arrivare a capire anche lingue come le nordiche ed est europee.”
“E' uno scherzo...” allibì lei “Non sono minimamente in grado di immagazzinare tutte queste informazioni. E sicuramente farò casino tra le diverse lingue”
“Nessuno ha detto che sarà una passeggiata. Avevo amici a Bruxelles che parlavano correntemente italiano, francese e inglese di base, che avevano un'infarinatura di tedesco dal liceo. E, vista la posizione geografica, avevano imparato anche il fiammingo. Il cervello è molto più potente di quanto tu non creda. Va solo allenato. E poi dovresti ringraziarci: stiamo prevenendo il tuo Alzheimer e la tua demenza senile.” ridacchiò facendole l'occhiolino, mentre chiudeva il capanno e si avviava nella giungla umida di pioggia “Fammi pensare se ho dimenticato qualcosa. Oh, certo, per conto tuo dovrai approfondire gli altri campi del sapere come la filosofia e di conseguenza la teologia e le scienze sociali. In realtà è tutto concatenato. Non puoi studiare realmente una cosa senza toccare anche tutte le altre. Poi, visto che sai già cavalcare, dovrai imparare qualcos'altro. Tipo a sciare. Non c'è nulla di difficile in tutto questo. Dimenticavo. Dovrai anche farti un po' di cultura e sarai autorizzata a guardarti vecchi film. Con moderazione. Un paio d'ore ogni quattro cicli puoi chiuderti in biblioteca. E non pensare di fregarmi: gli ingressi sono registrati.” disse folgorandola con lo sguardo. Si accorse solo in un secondo momento di averla terrorizzata più di quanto non avessero già fatto i suoi propositi. Sbuffò e le spiegò quell'ultima parte “Ci sono stati tempi in cui la gente viveva appiccicata a quella scatola, fottendosi gli occhi e smettendo di ragionare: la televisione pensava per loro e questi si prendevano i pensieri preconfezionati per loro da altri. Un po' di svago fa bene, ma troppo ti lobotomizza.”
Si stavano avvicinando a uno spiazzo nel terreno coperto solo da un semplice telo grezzo, sostenuto da una palizzata. Nell'insieme ricordava un cono rovesciato. Al di sotto di esso, una piccola folla si muoveva in sincrono in una coreografia semplice che però ebbe la forza di ipnotizzarla.




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Salve a tutti coloro che, a dispetto della mia prolungata assenza, sono rimasti attaccati a questa storia.

Vi chiedo scusa ma dopo l'aggiornamento di fine febbraio sono partita improvvisamente per l'Irlanda per un corso intensivo di inglese. A parte il fatto di non aver avuto materialmente il tempo per aggiornare (ho finito l'altra fanfiction solo per inerzia e solo perché mancavano 2 capitoli) quello che volevo evitare era vanificare gli sforzi fatti per la lingua, continuando a ragionare in Italiano.
Il vantaggio è che - a parte questi capitoli un pò rognosi che in realtà mi hanno bloccata a lungo, facendomi ora passare la voglia, ora perdere di vista l'obiettivo finale (insomma, capitoli di cui non sono per niente fiera e che spero di riuscire a riarrangiare ancora una volta ma che, se provo a modificare i personaggi si schierano ed è impossibile toccarli...)- ho visto la luce in fondo al tunnel.
O meglio. Mi si è sbloccata la mente, quasi avessi individuato un eventuale sequel alla storia dopo quello che io consideravo la fine. Invece non sarà la fine ma solo un punto di passaggio.
Lasciamo perdere i miei deliri. Capirete quando ci arriveremo.
Dunque
Per far passare sti due capitoli che odio io per prima, penso proprio che posterò il prossimo tra due settimane così potremo arrivare più rapidamente alla fase successiva. (io voglio il sangue, l'azione...e penso anche voi)
Chiudo con una nota per i curiosi.
La canzone che Han ha fatto ascoltare ad Azzurra è questa e questa sono diverse versioni della famosissima Scarborough Fair, dei soliti Simon & Garfunkel.
Ora torno al lavoro (sì, perché rientrata in Italia mi sono trovata in una situazione un pò spinosa...si risolverà tutto tra poche settimane...)
A presto. E grazie a tutti, come sempre.

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