Unmei no hana

di Night_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il fato può essere cambiato? ***
Capitolo 2: *** Il fiore della speranza. ***



Capitolo 1
*** Il fato può essere cambiato? ***


La prima fan fiction originale... o meglio, la prima fan fiction originale che pubblico con questo accunt! x°D Parlando di cose fatte per la prima volta, questa è la prima storia di fantascienza e guerra che scrivo, ma stranamente - già, stranamente ò___ò - mi sento molto fiduciosa. Speriamo di non star solo ingannando me stessa x°3 . In ogni caso, ho iniziato a scrivere le prime parole del primo capitolo... beh... così. Ho aperto Open Office e ho iniziato a scrivere. Fine xD.
Anyway, vi lascio alla storia... spero sia di vostro gradimento! *33*


By Night, ovviamente, con affetto ♥.



Il fato può essere cambiato?
















Avete mai anche solo pensato di provare a cambiare il corso degli eventi? Di provare, ad agire diversamente da come ti saresti aspettato di fare. Io no, non ci avevo mai provato. Senza nessun motivo, in realtà.
Forse avrei dovuto aspettarmi qualcosa nella mia vita, ma non sino a un certo apparentemente tranquillo giorno d'inverno, mentre mi incamminavo per la scuola che frequentavo. 
Dopo quella forte scossa di terremoto, dopo che la guerra iniziò, e infine dopo che gli umani non ebbero più rispetto per quest'ultimi, tutto fu mandato a rotoli.
Tutto quello che ai miei occhi sembrava normale, divenne irrazionale e privo di significato. 
Quindi, mi dissi, che provarci – a vivere, a cambiare - non nuoceva a nessuno.

 

 
 

 

2012
«Lo sapevi?» mi chiedeva la mia migliore amica, Ayane. Io la guardai senza capire.
«Haruka-chan, ci sei?» mi sventolò una mano davanti al naso, e mi riscossi con uno scatto violento. 
«Ti ascolto» confermai sorridente. Lei mi guardò, storcendo le labbra.
«Sicura di essere ancora con noi?» mi chiese lei, e poco dopo, ridacchiò. 
Io risi brevemente, guardandomi attorno; come al solito, la strada che percorrevo quotidianamente era gremita di studenti, la maggior parte imbottiti tra guanti, cappelli di lana e sciarpe pesanti. Era inverno, e come ogni inverno che si rispetti, faceva un freddo cane. 
Mi strinsi di più nel mio giaccone. 
«Allora? Cosa dicevi riguardo..» m'interruppi. In effetti non ricordavo di aver sentito una sola parola di quello che aveva detto Ayane. Mi morsi la lingua, annuendo come per incitarla a continuare.
Ayane si accigliò, ma alla fine sospirò. «Dicevo... sapevi che, quel cacciatore di oni, Momotaro, si è reincarnato in uno studente della nostra scuola?» 
La guardai per alcuni attimi. Da prima ridacchiai leggermente, un modo più che altro per soffocare le risate, ma alla fine dovetti cedere e scoppiai a ridere. 
«Cosa c'è da ridere? E' una cosa serissima!» mi riprese Ayane severa. Io l'abbracciai con dolcezza. 
«Sì sì, infatti Momotaro è alle tue spalle solo che tu non te ne sei accorta» le mormorai in un orecchio. Lei mi scostò, voltandosi allarmata. Nuovamente, trattenni una risata. 
Lei sbuffò spazientita, mentre io, pian piano, camminavo all'indietro. 
«Uffa, Haruka! Alle volte sei propri..» non terminò la frase che io avevo iniziato a correre ridendo divertita. Ayane borbottò qualcosa, e cominciò a venirmi appresso anche lei. 
Sì. Erano queste le mie giornate. Passarle con Ayane a chiacchierare, a prenderla in giro, ad andare a scuola, a prendere i miei brutti voti in algebra senza preoccuparmi del giudizio altrui. 
Quindi mi sorse naturale questa domanda: perché hanno spazzato via tutto questo?
 
 
 
 
2014
Malgrado non fossi mai stata incline al pessimismo, quella volta, dovetti fare un'eccezione. Pensare che, due anni addietro ridevo gioiosa con Ayane mentre andavamo insieme a scuola, e adesso invece scrutavo quello scenario di distruzione era quasi disarmante. 
Ovunque mi voltassi, vedevo sempre la stessa cosa; masse di macerie, che una volta probabilmente erano palazzi imponenti, corpi distesi l'uno sull'altro senza vita, sangue dappertutto, animali morti... era troppo. Persino per il killer più spietato e crudele del mondo quella era una cattiveria contro gli umani e la Terra.
Mentre mi guardavo attorno, constatando che non vi era anima viva, qualcosa mi toccò la gamba destra. 
Chinai lo sguardo tranquilla, perché ormai non mi sorprendevo più di niente. 
Una donna, - sembrava giapponese, ma dalla pelle stranamente scura non potevo esserne sicura – mi scrollava presa dalla disperazione. Io continuai nel mio mutismo imperturbabile. 
Mi abbassai, inclinando leggermente il capo. La donna, i cui occhi neri mi sorpresero per la loro profondità – rimasi perplessa anche dal fatto di riuscire a trovare stupore nelle cose – mi porse un fagotto bianco. Da principio esitai, ma presa da chissà quale rimorso di coscienza, lo presi delicatamente. 
La donna mi sorrise, - prima di accasciarsi al suolo in esanime - e per un attimo, pensai che fino a quel momento era la cosa migliore che mi fosse successa. Almeno da quando era successo tutto quel finimondo.
 
 
 
 




***
 
 
 




Seduta ai piedi di alcune macerie, che sembrava anche il punto più sicuro lì in mezzo, scoprii con meraviglia che la donna mi aveva affidato un neonato avvolto in un lenzuolo bianco. 
Contrariamente da come pensavo, non era ferito, anzi, era in perfetta salute. Ero diventata piuttosto cinica e sospettosa nei riguardi degli umani, sopratutto se soldati. 
Dopotutto erano stati loro a scatenare l'inferno nella nostra amata patria, senza curarsi di ciò che sarebbe poi accaduto nei paesi e nelle città. Persino Tokyo era inginocchio. 
Come la madre, il bambino aveva gli occhi neri e profondi, ma in quelli del neonato brillava una luce piena di speranza. Provai invidia nei suoi confronti. 
Ma il problema era: come può una bambina occuparsi di un altro bambino? 
Sospirai afflitta, e prima che potei alzarmi per cominciare la ricerca di qualche sopravvissuto, qualcuno mi toccò la spalla. 
Come mai mi toccavano tutti con tanta disinvoltura? 
Mi volsi, e un ragazzo seduto su un'alta piattaforma mi sorrideva con enfasi. Aveva neri capelli scompigliati, e occhi di un insolito azzurro. La pelle era bianca come il latte, ma era pieno di graffi e lividi.
«Prima che tu me lo chieda, no, non prenderò tuo figlio o tua figlia in adozione e bla bla bla» dissi, prima che il ragazzo poté dirmi alcunché.
Cominciavo a diventare anche antipatica. 
Il ragazzo scrollò il capo. «Ma no. E' che qui è una noia, la maggior parte della gente è morta quindi non c'è nessuno con cui poter giocare.» 
Lo guardai allibita. Come poteva pensare di giocare in un momento come quello?
«Ricapitoliamo» mormorai, massaggiandomi le tempie. «Stai cercando qualcuno con cui giocare, giusto?» 
Lui annuì.
«E sei un sopravvissuto» aggiunsi. Lui annuì con vigore. A quanto pare stava anche bene. Meno una domanda. 
«Come ti chiami?» chiesi paziente. 
«Nori Takanashi» rispose lui, dondolandosi avanti e indietro in modo fastidioso. Ero sul punto di prenderlo a pugni. «Tu? Come ti chiami, quanti anni hai?» 
Ma non ero io a fare le domande?
Aggrottai la fronte. «Haruka Murakawa e... ho sedici anni.»
Nori fece un verso di stupore, sempre con la stessa mania vispa. 
«Oh, abbiamo la stessa età! Posso chiamarti Haruka? Tu chiamami Nori» mi disse. Annuii incerta, emettendo l'ennesimo sospiro. 
«Senti Nori...» gli dissi, indicando col mento il bambino che portavo cullato tra le mie braccia. Nori allungò il collo, guardando curioso il bimbo.
«E' tuo?» domandò battendo le palpebre. Io aprii leggermente la bocca, pronta a sparare qualche insulto più o meno educato. 
«Sì, certo che è mio, ovvio, l'ho partorito circa dieci minuti fa'!» esclami piccata, allontanandomi di un passo indietro. Nori scoppiò a ridere. 
«Dai che scherzavo» mi rassicurò, agitando una mano in segno di non curanza. Io sbuffai. Almeno questo... 
«Riprendendo il discorso» dissi. «Una donna mi ha lasciato questo neonato, ma io onestamente non so come potrei aiutarli. Cioé, non so niente di bambini appena nati, e cosa più importante qui c'è solo miseria e distruzione.» 
Nori si guardò attorno, come se ancora non avesse preso atto di quella tragedia. Mi parve di vederlo per un istante veramente serio. 
«Hai ragione, però non possiamo certo lasciarlo qui solo» disse incrociando le braccia al petto. 
«Già» gli diedi corda senza nemmeno rendermene conto. «Almeno lui deve avere la possibilità di vivere un'infanzia felice.»
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Il fiore della speranza. ***


Zalve, gentaglia! /O\ 
Non ci credo che ho messo il 2° di Unmei no Hana, mio Kami, saranno passati anni! ò_ò E il bello è che gli altri capitoli sono a portata di mano (?) ma non mi decido a postarli! *v* Lo so, la mia pigrizia non ha confini. Lo Zo. 
Intanto, l'ho postato *spara coriandoli* e noterete #SeViFrega# che lo stile di Unmei no Hana è meno dettagliato rispetto a Vampire Devil... ovvio risultato visto che il 7° capitoli di VD l'ho scritto di recente e Unmei no Hana decenni fa. x° 
Ringraziamo No.6 e il suo potere di ispirarmi (?)! *O* 
E... buona lettura. <3 


By Night, ovviamente, con affetto.   









- “ Gli esseri umani sono facilmente condizionabili, basta vedere come un semplice uomo è riuscito a gettare uno Stato nel caos più totale, per una minaccia” -

 

 

 

 

Il fiore della speranza

 

 

 

 

 

 

Non mi sorpresi più di tanto, quando constatai che la miseria con la quale vivevo io, era dappertutto. Se vogliamo essere ottimisti, magari, l'unico dettaglio positivo era che i supermarket e i combini erano sbaragliati ed entrare per sgraffignare qualcosa non era certo un problema. Intanto che camminavamo io, Nori e il bambino, quest'ultimo si era svegliato si soprassalto cominciando a piangere a dirotto. Probabilmente aveva fatto un brutto sogno.
Cercai di cullarlo, alla menopeggio.
«Dai... ti prego, non piangere! Siamo già messi male così... accidenti, su su...», lo agitai a destra e sinistra, sinceramente desiderosa di metterlo a tacere, quando Nori mi fermò prendendomi il bimbo tra le braccia.
Non appena Nori prese il bambino, smise di piangere. «Non ci sai proprio fare coi bambini. Ci penso io, dai. Prima di tutto, devi prendere i bambini con delicatezza senza incertezza, poi devi mettere una mano sotto il suo collo – sempre piano – e poi...».
Guardai Nori perplessa.
«Tu invece sei bravo», osservai, con un sorriso. «Hai fratelli?».
Lui annuì.
«Avevo una sorella di alcuni mesi», disse, con improvvisa voce malinconica. Metabolizzai le sue parole. Aveva.
«Non è sopravvissuta», mormorai, scioccata quanto schifata – stavamo andando sempre peggio. Lui mi sorrise, nonostante, probabilmente, il suo cuore si era appesantito.
Decisi di evitare di toccare ancora questo argomento, lasciando galleggiare lo sguardo attorno a me.
Camminammo per una decina di minuti, - intanto il bambino si addormentò beatamente - finché non scorgemmo un combini mezzo distrutto. L'insegna era sparita e le porte di vetro scorrevoli erano fatte a pezzi, con schegge che puntavano verso il centro delle due porte, con tutta l'intenzione di ferirci.
Entrammo silenziosamente, e all'erta, poiché ormai potevi aspettarti tutto.
Lo scenario del market faceva molto film dell'orrore; i neon che lampeggiavano tentennando, polvere ovunque, vasi di non so cosa rovesciati a terra, prodotti scaduti che emanavano un odore discutibile, mosche che ci volavano vicino... orrendo era dir poco.
«Non c'è che dire, questo è l'unico combini messo non troppo male», commentai. «Credo. Non so se voglio saperlo».
Nori ridacchiò sommessamente, mentre ci aggiravamo per il market controllando la data di scadenza di ogni bibita, snack e quant'altro.
«Qui c'è una bottiglia d'acqua ancora integra!», esclamò Nori, dall'altro capo del combini. Io sibilai.
«Non urlare! Prima di tutto svegli il bambino, e poi metti caso che c'è qualche ladro?», dissi a denti stretti. Lui scrollò il capo.
«Non siamo già noi dei ladri?», disse, indicando la confezione che avevo in mano. Io abbassai lo sguardo e sospirai.
In effetti aveva ragione.


 

 

 

***

 

 

 

 

Non appena uscimmo dal combini, la prima cosa che facemmo era mangiare qualcosa, benché io fossi contraria.
«Prima cerchiamo una farmacia dove comprare gli omogeneizzati per il bambino!», replicavo, indicando una lampeggiante croce verde poco distante da noi. Nori scollò le spalle, affranto.
«Mangiamo qualcosa prima, ti prego, penso che potrei morire di fame», obiettò Nori. Io sbuffai, lanciandogli un'occhiata risentita – avrei dovuto lasciarti dove ti avevo “trovato”. Dopo che lui finì di mangiare - io non avevo fame... - un panino preparato sul momento, ci dirigemmo alla farmacia.
«Oh, ci servirebbero dei cucchiai», dissi, battendo un pugno chiuso sul palmo dell'altra mano. Nori annuì.
«Giusto. Secondo te al combini potevano esserci?», mi chiese, schioccando la lingua. Io scrollai le spalle.
«Ne dubito». Entrati in farmacia, non immaginavamo che l'ambiente era così vasto e pieno di roba. Io mi dedicai all'entrata, dove c'erano due scaffali gremiti di antibiotici, sciroppi e così via.
«Trovato niente?», chiesi, cercando di non alzare troppo la voce.
«No... sicura che qui troveremo qualcosa per il bambino?», domandò Nori. Io annuii, a vuoto però, visto che lui non poteva vedermi ,considerato che controllava la parte centrale vicino al bancone dove si portavano i farmaci da comprare.
Mentre mandavo a rassegna ogni sorta di medicinale, sentii un sottile rumore di passetti, che mi fecero sobbalzare dallo spavento. Voltandomi, constatai che era un orribile, enorme e nero topo. La coda rosa si muoveva guizzante. Soffocai a stento un grido, con il terrore che mi scavava le viscere; quell'essere poteva saltarmi addosso da un momento all'altro.
Adagiando la schiena agli scaffali dietro le mie spalle, camminai lentamente, tenendo gli occhi fissi sul topone. Quando finalmente ne fui abbastanza lontana, mi avvinghiai a Nori tipo sanguisuga.
«Nori, Nori, Nori», balbettai. «C'è un... topo, direi, ma è così grande che assomiglia a un'iguana. Ti prego, caccialo!».
Nori scoppiò a ridere, scompigliandomi i capelli. Io arrossii, sorridendo timidamente. Ma invece di spettinarmi i capelli, perché non andavi a cacciare quel maledetto animale e basta?!
Nori camminò quatto quatto sino all'animale e, semplicemente battendo un piede sul pavimento a piastrelle, fece scappare il topo che sussultò. Quando lo vidi tornare, non potei non tirare un sospiro di sollievo.
«Ti fanno così schifo i topi?», disse Nori sogghignando. Io annuii piano, con un sospiro.
«Tremendamente», confermai, agghiacciata. Nori mi sorrise, prima di voltarsi per continuare la ricerca.
«Certo che ce n'é di roba, qui... peccato che gli abitanti di Osaka non hanno mai capito a pieno di vivere in una città davvero ben fornita», osservò Nori. Io non potei che dargli ragione. Neanch'io, dopotutto, avevo mai lodato più di tanto Osaka per la sua bellezza e pensare che era davvero una bella città.
«Trovato!», esclamò Nori, afferrando di slancio un barattolo tondo dal contenuto color biscotto.
Io sorrisi raggiante. «Bene, ci manca solo il cucchiaio! O insomma, una posata per far mangiare il bambino...».
Nori annuì, mentre uscivamo dalla farmacia. Stranamente, il bambino non aveva frignato per niente, e anzi, era rimasto silenzio per tutto il tempo.
«Senti, ma com'era la madre?», mi chiedeva Nori, mentre viaggiamo alla ricerca di un supermarket dove prendere delle sacrosante posate.
Io lo guardai perplessa. «Di chi?».
«Del bambino!», esclamò lui, inarcando un sopracciglio. Feci una risatina nervosa. Ero fin troppo persa nei miei pensieri.
«Che intendi per, “com'era”?», dissi, distogliendo lo sguardo per puntarlo sulla strada.
«Cioè, voglio dire... era bella?», mi chiese, incespicando.
«In realtà... inizialmente, mi aveva fatto un brutta impressione. Ma quando presi il bambino, dopo che lei me l'aveva proteso, mi sorrise in una maniera talmente bella che... adesso sono sicura di ciò che ho sempre affermato: le madri sono sempre belle».

 

 

 

 

***

 

 

 

 

«Quindi, propongo di... non so cosa dirti in realtà», disse Nori, mentre poggiava sull'asfalto l'omogeneizzato, con cui fino a poco fa' aveva trafficato. Il bimbo stava ridendo.
«Neanche io», borbottai mesta, mentre il bambino giocava con il mio dito indice. Mi guardai intorno; non è che palazzi distrutti, oppure gente ferita che camminava alla ricerca di qualche fonte di cibo mi desse molta speranza.
«A proposito», dissi alzando gli occhi. «Non sappiamo neanche se il bambino è maschio o femmina».
Nori annuì con vigore. «E' vero! E... per scoprire il suo sesso dobbiamo... ».
Non lasciai finire di parlare Nori, che brontolai un grugnito pieno di disapprovazione.
«Ci penso io a vedere se è maschio o femmina», borbottai scontrosa, prendendogli dalle mani il bambino delicatamente.
Nori teneva gli occhi puntati su di me, tant'è che fui sul punto di gridargli qualche sorta di insulto, scurrile o no che fosse.
Sollevai lo sguardo su di lui inarcando le sopracciglia.
«Ehm, potresti evitare di fissarmi così? Anzi, sai che fai? Voltati», gli dissi.
«E perché?», mi chiese guardandomi interrogativo. Io arrossii lievemente.
«Non mi piace essere fissata dalla gente» mormorai. Lui rise brevemente, e infine si voltò. Riportando l'attenzione sul bambino, scostai dolcemente la stoffa bianca.
«E' femmina!», esclamai raggiante, ricoprendo la bambina. Nori cantilenò qualcosa che chiaramente era d'approvazione, per poi voltarsi verso di noi e sorridere a trentadue denti.
«E' un'ottima cosa, no?», disse. Io feci un cenno con la testa, senza alzare gli occhi posati sulla nostra compagna.
«E adesso, il nome», continuò Nori, accarezzando la guancia della bambina. Pensierosa – un nome, eh? –, la fissai più intensamente, come se solo guardandola si potesse trovare il nome più adatto a lei.
«Io penso che... dovremmo darle il nome che più la rappresenta», mormorò Nori. Aveva ragione, ma non sapeva proprio cosa potesse rappresentare quella bambina per me, sconosciuta, ma a cui credevo di essermi affezionata almeno un po'.
«Hana», dissi. «Hana, perché lei, è un fiore che sta sbocciando».
Nori mi regalò un altro gentile sorriso e annuì.
«Vada per Hana». 

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