La Coppa del Dio (Fanfiction Interattiva)

di Its Ellie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Il risveglio del re del cielo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Uno - La Profezia ***
Capitolo 3: *** Capitolo Due - I preparativi ***



Capitolo 1
*** Prologo - Il risveglio del re del cielo ***


Prologo
Il risveglio del re del cielo

C’era uno strano odore nell’aria.
Chirone sollevò la testa, rivolgendo uno sguardo turbato al cielo.
Sembrava una giornata come tutte le altre, lì al Campo Mezzosangue: il cozzare metallico delle armi risuonava tra le pareti rocciose dell’arena, l’acqua del lago delle canoe s’increspava leggermente alla carezza del vento, mentre creste luminose risplendevano tra le piccole onde e un semidio appena arrivato veniva gettato da Clarisse ed i suoi fratelli dentro l’acqua. Un gruppetto di figlie di Afrodite ridacchiava in disparte, mentre ogni tanto la figura di un pegaso si stagliava in controluce nel cielo. I figli di Hermes erano impegnati a cercare di sabotare la partita di basket dei figli di Apollo, mentre i ragazzi della casa di Ipno russavano alla grande. Tutto normale, se non fosse stato per la strana sensazione che gravava sulle spalle del centauro.
Continuò a scrutare il cielo con gli occhi socchiusi, come se fosse stato lui la fonte di tutti i problemi. Be’, tenendo conto che lì si trovava la dimora degli dèi, in effetti era proprio così. Eppure c’era anche qualcos’altro, oltre alle divinità, che lo preoccupava. Qualcosa di molto più grosso.
I suoi sospetti ebbero conferma quando un cespuglio fatto di capelli rossi, ricci e selvaggi, comparve ai lati del suo campo visivo.
L’oracolo del Campo, Rachel Elizabeth Dare, gli si avvicinò con gli occhi verdi velati da un’espressione cupa, che non aveva niente a che vedere con il suo solito sguardo allegro e vivace. Chirone capì che c’era un problema prima ancora che la ragazza potesse aprir bocca.
«Cos’è?» le chiese semplicemente, sistemandosi nervosamente l’arco e la faretra sulle spalle.
Rachel scosse la testa, come per dire “non qui”, poi si girò ed entrò a passi veloci nella Casa Grande. Il centauro la seguì dentro.
Entrarono in quella che sarebbe dovuta essere la sala delle riunioni, ma che in realtà era un semplice stanzino con un tavolo da ping pong e delle sedie intorno. Strano pensare che proprio lì erano state prese un sacco di decisioni importanti.
L’oracolo prese posto su una sedia, mentre Chirone rimase in piedi davanti a lei. La ragazza aveva davvero un’aria sfinita: gli occhi grandi erano segnati da profonde occhiaie, gli angoli della bocca erano piegati innaturalmente all’ingiù e la schiena era curvata in avanti. Sembra proprio che ultimamente non avesse dormito.
«La senti anche tu, vero?» gli chiese infine. «Questa sensazione di...»
«Pericolo?» suggerì lui. Rachel rimase in silenzio per un attimo, poi annuì.
«Sì» disse, passandosi una mano tra i capelli, inquieta. «Di pericolo. Ho uno strano presentimento, ho avuto un sacco di visioni in questi giorni.»
Chirone ebbe il buonsenso di non farle notare che il suo aspetto parlava già per lei.
«Qualcosa di antico si sta risvegliando. Qualcosa di malvagio. Vuole vendetta, vuole eliminare gli dèi per sempre, vuole riuscire dove gli altri hanno fallito.»
Il centauro si irrigidì. «Di nuovo? Sono passati solo pochi mesi da...»
Ma non c’era bisogno di dirlo, sapevano entrambi cos’era successo. Il risveglio di Gea, la missione potenzialmente suicida che sette semidei, greci e romani, avevano dovuto intraprendere per fermarla, l’interminabile lotta contro i suoi terribili figli, i giganti, la guerra che per poco non si era scatenata tra i due campi.
E adesso, dopo appena cinque mesi di pausa, il ciclo stava per ricominciare.
«Non siamo pronti per tutto questo, non un’altra volta, non dopo così poco tempo» la ragazza sembrò leggergli nel pensiero.
«Eppure non abbiamo scelta» Chirone sospirò. «Dobbiamo parlare con i romani.»
L’oracolo annuì di nuovo. Il silenzio calò nuovamente nella stanza, interrotto all’improvviso da un forte tuono.
Un tuono?
Rachel e Chirone corsero alla finestra, giusto in tempo per vedere un fulmine squarciare il cielo.
«Fino a qualche minuto fa c’era ancora il sole» osservò Rachel perplessa. «Com’è possibile che...?»
Ma fu interrotta da una voce potente che parlò nelle loro menti. Una voce simile al tuono di una tempesta, al boato che lo accompagna. Una voce vecchia quanto il cielo stesso.
Temete, voi tutti, il ritorno del re del cielo.
Chirone sbiancò improvvisamente, mentre Rachel si portava le mani alla testa, come se non riuscisse a contenere quella voce malvagia dentro di sé.
Dèi, semidei, titani, giganti, nessuno di voi sarà risparmiato.
Ci furono altri tuoni e fulmini, poi cominciò a piovere. Una pioggia violenta e inarrestabile.
Per la prima volta da un sacco di tempo. pioveva dentro i confini del campo.
Non riuscirete a scampare alla mia potenza.
 
 
Reyna, la testa appoggiata alle mani e gli occhi chiusi, cercava di mantenere la calma, mentre Octavian sembrava sul punto di svenire.
Si era presentato per lamentarsi – tanto per cambiare – dei “dannati semidei greci e le loro stupide idee”, ma era stato violentemente interrotto da quella voce terribile.
Ora non sembrava avere molta voglia di proseguire.
«E quello cosa... cosa...» balbettò con gli occhi sgranati dal terrore. Di fuori, la pioggia colpiva con forza il suolo e il cielo veniva illuminato dai fulmini che lo attraversavano con lampi improvvisi.
Reyna alzò la testa e prese un gran respiro.
«Riunione con il Senato tra mezz’ora» fu l’unica cosa che disse, cercando disperatamente di mantenere saldo il tono della voce. «Vai e fa’ in modo che tutti mantengano la calma.»
Octavian non se lo fece ripetere due volte e si precipitò di fuori.
E così quella strana sensazione che l’aveva accompagnata per tutta la mattina era fondata. Qualcosa di molto pericoloso stava per accadere.
Il risveglio del re del cielo. Le faceva ancora male la testa e i suoi pensieri giravano vorticosamente senza fermarsi. Impiegò diversi minuti per rimetterli in ordine.
Il “re del cielo” non avrebbe risparmiato nessuno. Odiava tutti: dèi, semidei, titani e giganti. Avrebbe ripreso il controllo.
Man mano che la sua mente si schiariva, una lenta comprensione si fece spazio dentro di lei. Il re del cielo, un re molto antico, che odiava tutti.
Antico come il cielo stesso, perché lui era il cielo stesso.
Odiava i giganti: erano suoi figli, ma erano brutti, così li aveva gettati nel Tartaro.
Odiava i titani: erano suoi figli, ma lo avevano fatto a pezzi per impadronirsi del suo potere.
Odiava gli déi: ora erano loro a regnare sul cielo, che in realtà apparteneva a lui.
Odiava i semidei: be’, tutti odiavano i semidei.
Nascose nuovamente il viso tra le braccia.
Erano passati appena cinque mesi dalla loro ultima impresa – anche se la parola “impresa” era un eufemismo, lei piuttosto l’avrebbe definito “suicidio evitato per un pelo” – e già avevano una nuova entità malvagia a cui pensare.
E non era un’entità qualunque. Era il re del cielo.
Urano.



Note dell'autrice
Ciao a tutti!
Come avete visto, questa è una fanfiction interattiva, dove saranno i vostri personaggi a partecipare all'impresa per fermare la vendetta di Urano.
Sì lo so, ormai è una moda quelle delle fanfiction interattive, ma ho voluto comunque provare, anche solo per dar vita all'idea del risveglio di Urano che aveva preso forma da tempo ormai.
Il massimo di semidei che parteciperanno è di sei. Sceglierò quelli che mi sembreranno più interessanti ed originali, perciò date spazio alla fantasia!
Dovranno essere sia greci che romani, e cercate di far in modo che non siano tutte ragazze o tutti ragazzi!
Qui sotto vi lascio la scheda che potete usare come base per creare i vostri personaggi (ovviamente potete aggiungere tutto ciò che volete):

Nome e cognome:
Età:
Figlio/a di:
Abilità e poteri speciali:
Aspetto fisico:
Carattere:

Storia: (da dove viene, qualcosa sulla famiglia e gli amici, come ha scoperto di essere semidio/semidea...)
Arma preferita:
Altro:
(qui potete aggiungere tutto ciò che volete, anche richieste particolari se ce ne sono)

Spero che vi vada di partecipare, mi farebbe molto piacere!
Potrete mandarmi le schede fino a domani (12 maggio), poi deciderò quali personaggi far partecipare e naturalmente ve lo farò sapere subito.
Ah, la storia è ambientata in un futuro ipotetico dove la battaglia contro Gea è finita ed è andato tutto bene (insomma, i sette della profezia sono ancora vivi, anche se verrano citati raramente nella storia), i campi sono ancora separati l'uno dall'altro ma non ci sono più ostilità (almeno non apparenti) e hanno spesso contatti.
Grazie mille se parteciperete!


N.B: la scheda del personaggio va mandata per messaggio privato e non scritta nella recensione!

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Capitolo 2
*** Capitolo Uno - La Profezia ***


Capitolo Uno
La Profezia
 
Reyna non fece una piega quando Rachel si trasformò in uno spettro, tant’era sfinita.
 
Era passata una settimana da quando Urano aveva fatto la sua spettacolare entrata in scena, mandando nel panico due campi interi di semidei e causando un bel po’ di problemi anche lassù all’Empire State Building.
Una settimana di perenne cielo grigio, temporali e fulmini. Apollo non doveva essere molto contento.
Dopo aver condotto una disastrata riunione nel Senato – durata tre lunghe ore – con l’aiuto del nuovo praetor Frank Zhang, era arrivata alla conclusione che avrebbe dovuto chiedere nuovamente aiuto ai greci, con il grande disappunto di Octavian e di molti altri. Non era stato facile tenerli a bada e Zhang non aveva di certo facilitato le cose.
Povero ragazzo, non che lui potesse farci niente. Dopo la guerra con Gea era cambiato molto: ora non era più goffo e impacciato come una volta, in qualche modo a lei sconosciuto era cresciuto di parecchi centimetri e i suoi muscoli si erano fatti molto più scolpiti, così che non sembrava più uno di quegli orsacchiotti giganti che si vincono alle fiere. Ma non era cambiato solo esteriormente, infatti aveva acquistato una nuova consapevolezza si sé che lo portava a mostrarsi più determinato, più sicuro delle sue scelte, in grado di gestire le situazioni di pericolo e di guidare un esercito di soldati. Insomma, ora era molto più romano.
Tuttavia – anche dopo aver partecipato alla più grande impresa di sempre, aver combattuto orde di mostri, aver sconfitto i Giganti e la dea della terra in persona e aver anche avuto a che fare con un padre non esattamente affettuoso – il suo cuore tenero non si era indurito. Sotto sotto era rimasto il Frank Zhang di sempre e questo significava anche che faticava ad imporsi contro tutte quelle persone.
Reyna aveva sperato che i Romani avessero avuto abbastanza buonsenso da capire che avevano bisogno dell’aiuto dei greci, soprattutto dopo la guerra contro Gea, ma così non era stato. I suoi compagni faticavano ancora ad ammettere che per affrontare i pericoli la soluzione migliore era allearsi con i loro ex-nemici e, orgogliosi e testardi come sempre, si rifiutavano di unire nuovamente le forze. Ma dopo altre dieci riunioni, cinque attentati, un’esplosione e infiniti battibecchi, era riuscita a convincere i Romani a collaborare. Così, in seguito, aveva tenuto ancora più riunioni insieme a Chirone, Rachel Dare, i sette semidei della Seconda Grande Profezia, Nico Di Angelo e, per sua sfortuna, Octavian, che insisteva a voler essere presente. Era quasi sicura che presto avrebbe sviluppato un’allergia alle riunioni.
Fino a quel giorno non si erano rivelate molto utili, però. Tutti avevano concordato che fosse necessario partire per una nuova impresa e la squadra avrebbe compreso sia greci che romani, ma le loro decisioni erano finite lì.
Chirone era convinto che non bisognasse essere così avventati, che prendere tempo e cercare di formare un piano preciso fosse la soluzione migliore, ma – pensava Reyna – quando mai i semidei, nella loro storia, avevano fatto affidamento ad un piano preciso? Lo schema delle imprese era sempre lo stesso: ascoltare profezia – non capire niente – partire verso un luogo che potrebbe servire a qualcosa – rischiare la morte – affidarsi ad intuizioni basate sui sogni – rischiare la morte – creare un piano suicida – rischiare la morte – portarlo a termine (rischiando la morte).
Infondo, era già un miracolo che Urano non li avesse ancora uccisi tutti quanti.
 
Quel giorno Octavian si era fatto ancora più insopportabile del solito, il che richiedeva una pazienza sovraumana da parte di Reyna per gestirlo.
A mandarlo fuori dalle staffe erano stati Jason e Percy, che avevano avanzato l’ipotesi della partenza dei sette semidei della Profezia.
«Come se io vi permetta di fare una cosa del genere!» stava sbraitando, agitando le braccia esili in aria. «Non vi è bastata la spedizione contro Gea? Avete tutti quanti rischiato la morte in più di un’occasione!»
Puntò il dito contro Hazel Lavesque. «A cominciare da te! Sei viva soltanto grazie alla clemenza di tuo padre Plutone che è riuscito a convincere Tanato a chiudere un occhio sul tuo caso anormale!»
La povera ragazza sembrava essere rimasta senza parole. Non le piaceva parlare dell’enorme favore che le aveva fatto il dio lasciandola vivere. Certo, in cambio di un atro favore, del quale lei però era restia a parlare.
Il dito di Octavian si spostò in direzione di Leo Valdez. «Per non parlare di te! Hai quasi mandato a monte l’impresa per salvare la tua stupida ragazza!»
La faccia di Leo si tinse di un rosso così accesso che per un attimo Reyna si chiese se non avrebbe preso fuoco.
«Oh, e non ho finito! Tu, Frank Zhang, con quel tuo dannato bastoncino! Giunone è stata davvero gentile a toglierti la maledizione!»
Le labbra di Frank si ridussero ad una linea sottile. Octavian aveva ragione: la vita del ragazzo non dipendeva più dal legnetto che aveva protetto tanto a lungo. Finita la guerra contro Gea, Giunone aveva tolto la maledizione a Frank, sostenendo che era cresciuto molto, in tutti i sensi, ed era quindi riuscito a dimostrare di saper reggere il peso del suo potere.
Octavian aveva tutta l’intenzione di proseguire. Puntò il suo sguardo su Nico Di Angelo, ma a quel punto Reyna scattò in piedi e gli lanciò un’occhiata di ghiaccio, pietrificandolo.
Non avrebbe tollerato nessun tipo di commento su Nico Di Angelo, non dopo aver condiviso così tante esperienze insieme a lui. Con lui aveva attraversato l’intero Oceano Atlantico: lo aveva protetto da centinaia di mostri quando era troppo debole per combattere, guadagnandosi a poco a poco la sua fiducia, gli aveva confidato tutta la sua storia, soffermandosi sul periodo in cui aveva creduto che tra lei e Jason avrebbe potuto funzionare e lui aveva fatto lo stesso, confessandole ciò che aveva provato per Percy e alla fine si erano fatti forza l’un l’altro ed erano andati avanti, arrivando al Campo Mezzosangue per portare a termine la loro missione.
Non avrebbe mai più dimenticato il momento in cui era comparsa all’improvviso nel bel mezzo della battaglia con una statua di Atena alta dodici metri.
Dire che i semidei, sia greci che romani, erano rimasti a bocca aperta era dire poco. Molti erano arretrati così velocemente da cadere gli uni sugli altri, altri erano rimasti pietrificati dal terrore (come biasimarli, l’espressione della statua poteva incutere un certo timore, soprattutto se la statua in questione era alta dodici metri), altri ancora avevano urlato e i più coraggiosi si erano fatti avanti con le armi spianate per capire cosa stesse succedendo.
Così Reyna era riuscita ad ottenere in appena un secondo l’attenzione di tutti i presenti. Da lì era cominciata la lunga intermediazione tra i due campi, che culminò nella dichiarazione di pace (alla quale Octavian, e non solo lui, continuava ad opporsi con insistenza) che stabiliva che da quel giorno i due campi avrebbero collaborato e si sarebbero impegnati ad imparare l’uno dall’altro per migliorarsi.
Così anche le due forme degli Dèi avevano trovato l’equilibrio e le divinità, insieme ai loro figli, avevano finalmente potuto prepararsi alla guerra, il vero obbiettivo di tutti quanti.
E alla fine, unendo le forze – Dèi e semidei, greci e romani – avevano sconfitto i giganti e la loro madre, Gea, in una battaglia epica durata una notte intera.
«Octavian» disse Reyna con tono duro. «Tu porti il nome di uno dei più grandi imperatori romani della storia.»
Octavian la fissò sorpreso e un po’ smarrito. Cos’era quello, un complimento? Dove voleva andare a parare Reyna?
«Ottaviano, come ben saprai, chiese a Virgilio di scrivere un poema che esaltasse le origini divine di Roma, non è vero?»
«Sì, ma questo cosa...»
«Lasciami finire. Il poema in questione è l’Eneide e tutti sappiamo benissimo che quello non è solo un poema, ma la verità. Enea era il figlio di Anchise e Venere, dico bene? Venere che però a quel tempo era ancora Afrodite.»
Octavian serrò la mascella. «Lo so bene, Enea era un dannato graecus
«Quel “dannato graecus”, come ti ostini a chiamarlo, era un antenato di Romolo. Romolo nacque dall’unione di Rea Silvia e Marte, che tuttavia esisteva ancora nella sua forma greca, Ares.»
Molti dei presenti ormai sembravano aver perso il filo del discorso, ma Octavian sapeva benissimo dove Reyna volesse arrivare. Ne avevano discusso parecchie volte: Octavian continuava a sostenere che tra Enea e Romolo non ci fosse nessun legame, che fosse tutto frutto della mente di Virgilio che simpatizzava per i greci e voleva inutilmente includerli nella storia di Roma, ma Reyna non era stupida e sapeva bene che la sua era solo una scusa per non dover ammettere che i Romani erano strettamente legati ai Greci.
Dopo un lungo momento di silenzio, la ragazza proseguì. «Octavian, sai meglio di me che siamo destinati a collaborare per poter imporci su forze come Gea o Urano.»
Octavian era impallidito e stringeva convulsamente le mani.
«Bene» disse infine in un sussurrò strozzato. «Benissimo.»
Si sedette di nuovo e girò la testa dall’altra parte. Anche Reyna prese nuovamente posto, sospirando. Gli altri la fissavano in silenzio in un misto tra timore e rispetto.
Fu a quel punto che Rachel sbarrò gli occhi improvvisamente e afferrò il bordo del tavolo, stringendolo con forza. I suoi occhi si fecero vuoti e cominciarono a brillare come la strana aura verde che era comparsa intorno a lei. Una sottile nebbiolina l’avvolse e i suoi capelli presero a fluttuare in aria. Reyna aveva già visto comparire lo spirito dell’Oracolo di Delfi in lei, ma ancora non riusciva ad abituarsi alla visione e le sembrava di assistere all’apparizione di uno spettro.
Tuttavia quella volta mantenne la calma, per niente sorpresa, e aspettò che l’Oracolo recitasse la sua profezia.
 
Otto semidei sono chiamati alla partenza,
per fermare del Re la fatale potenza.
Su di loro un segno è stato imposto,
ma ogni onore, si sa, ha un suo costo:
la figlia dell’Amore e colei che lavora nella fucina,
il principe del Tempo e delle selve la bambina,
i fratelli delle Tenebre e il ragazzo della Notte
e infine colei che con la Foschia combatte,
insieme salveranno l’umanità,
o il mondo nella tempesta cadrà.
Ma prima la Coppa del dio, prigione perfetta,
va trovata per impedire la grande vendetta.
 
Dopo aver recitato quelle parole, lo spirito dell’Oracolo scomparve e Rachel perse i sensi, accasciandosi sulla sedia.
I presenti si fissarono stupiti. Chirone era impallidito e le sue spalle si fecero così tese che cominciarono a tremare.
«Chirone?» lo chiamò Reyna. «Va tutto bene?»
«Il principe del Tempo...» ripeté lui, come in trance. «Non può essere...»
«Essere cosa?» l’espressione di Octavian si fece sospettosa.
Il centauro si riprese velocemente. «Niente, è troppo assurdo per essere vero. Pensiamo piuttosto ai semidei che dovranno partire. La Profezia è molto chiara in merito.»
Octavian lanciò uno sguardo a Reyna, che scosse la testa per dire di non insistere.
Più tardi, cercò di fargli capire con gli occhi. Lui annuì.
«D’accordo. La Profezia parla di un segno imposto, quindi dobbiamo solo capire di quale segno si tratta e scoprire a chi è stato assegnato.»
 
La prima cosa che pensò Lex quando vide la strana linea ricurva, come la lama di una falce, che si era formata sul polso, simile ad un tatuaggio, fu che probabilmente doveva essere uno scherzo di suo padre, nonostante Plutone non fosse un tipo molto scherzoso.
Osservò attentamente il polso, cercando di capire da dove spuntasse fuori quella specie di tatuaggio. Forse avrebbe dovuto chiedere ad Octavian, nonostante non gradisse molto la sua presenza, ma era impegnato in una delle solite riunioni nel Senato.
Graeci. Lex non li aveva mai incontrati. Per andare nell’altro campo, il Campo Mezzosangue, ci voleva il permesso di uno dei due pretori, ma il ragazzo non ne aveva mai avuto la possibilità. Molte persone erano curiose di visitare l’altro campo e di certo Reyna e Frank non potevano mandare tutti, così Lex non era mai riuscito ad andare a visitare le loro controparti greche. Era molto curioso di conoscerli.
«Lex?» lo chiamò Dakota. Fino a poco prima erano impegnati in un combattimento – Dakota con la sua spada, Lex con la falce di ferro dello Stige che il padre gli aveva regalato e che il ragazzo aveva interpretato come una presa in giro, dal momento sopra di essa erano state incise le parole DURA LEX SED LEX.
Lui si riscosse. «Scusa amico, ma qui sta succedendo qualcosa di strano.»
«Già, questo lo avevo notato» commentò Dakota. Sicuramente si riferiva all’episodio di una settimana prima, quando una terrificante voce aveva quasi distrutto le loro menti.
«Non intendevo quello» gli mostrò il polso. «Guarda qui.»
Dakota aggrottò la fronte. «E quello cos’è?»
«Non ne ho idea.»
«Vieni, sarà meglio parlarne con Reyna.»
 
Quando Alexandra vide lo strano tatuaggio che le era comparso sul polso, per un attimo aveva sperato che fosse il segno di riconoscimento da parte della sua madre divina.
Tuttavia, quale divinità poteva avere un simbolo così strano?
Si stava esercitando nel manipolare la Foschia, cercando di trasformare un canarino che era capitato lì per caso in un pegaso, ma il tatuaggio si era illuminato all’improvviso e per la sorpresa il potere le era sfuggito e ad un tratto si era ritrovata davanti un enorme drago sputa fuoco.  Aveva strillato, credendo lei stessa per un attimo alla sua illusione, ma subito dopo il drago era ritornato il canarino giallo di prima.
Ora frugava nella memoria, alla ricerca di un indizio che potesse suggerirle quale potesse essere il suo genitore divino. Purtroppo il suo potere di manipolare la Foschia non le era d’aiuto, Chirone le aveva infatti spiegato che non poteva essere considerato un tratto distintivo come il saper controllare le masse d’acqua o essere immune al fuoco.
Sbuffò. Era al Campo Mezzosangue da tre anni, eppure il suo genitore divino non l’aveva ancora riconosciuta, nemmeno dopo il patto che gli dèi avevano stretto con Percy Jackson finita la guerra con Crono.
Si ravviò il ciuffo colorato e decise di andare a chiedere ad Annabeth. Lei ne sapeva sicuramente qualcosa.
 
Alison fissò accigliata il tatuaggio che le era spuntato sul polso.
Suo padre le stava giocando un altro dei suoi brutti tiri? Come se non fosse bastato il tatuaggio misterioso che le compariva a pezzi sotto la schiena! Era comparso quando aveva quattordici anni e adesso, dopo tre anni, non riusciva ancora a capire cosa fosse. E se n’era aggiunto anche un altro! Cupido doveva divertirsi davvero tanto a prendersi gioco di lei.
Prima la collana con il diamante che non si poteva togliere, poi un tatuaggio misterioso che si andava componendo da solo ed infine un altro strano tatuaggio che apparentemente non serviva a niente. Sì, doveva divertirsi davvero un mondo.
Non ti preoccupare, un giorno capirai, le aveva detto in una visione. Ma lei non capiva proprio niente.
Ne aveva parlato con Reyna, ma la semidea non aveva saputo aiutarla. Le aveva promesso che si sarebbe informata, ma alla fine non era riuscita a scoprire niente.
Alison si chiese se non sarebbe dovuta andare a parlarle di nuovo. Infondo, non si poteva mai sapere, soprattutto dopo gli avvenimenti di quella settimana.
Un brivido le percorse la schiena e la ragazza si diresse verso Nuova Roma.
 
«Ehi, Alex.»
Il ragazzo era appoggiato con la schiena al tronco di un albero, gli occhi chiusi e le labbra leggermente piegate in un sorriso. Amava ascoltare il rumore delle fronde degli alberi che venivano mosse dal vento, gli dava un senso di pace che non riusciva a trovare da nessun altra parte.
«Sì?» chiese, aprendo gli occhi. A ricambiare il suo sguardo c’era la sua ragazza, Ambra, figlia di Nike. I suoi occhi azzurri sembravano inghiottirlo, i capelli dorati erano mossi dal vento e, in controluce, Ambra sembrava risplendere di luce propria. Come un piccolo sole, pensò Alex.
Le carezzò una guancia. «Cosa c’è?»
Ambra gli prese il polso con un gesto delicato. «Guarda, ti è apparso questo... cos’è, un tatuaggio?»
Alex si guardò il polso: in effetti c’era una specie di tatuaggio, dalla forma simile ad una falce, che brillò alla luce del sole.
«E questo da dove spunta?» chiese più a se stesso che ad Ambra.
«Non lo so, perché non chiediamo a Percy?» suggerì lei.
Alex si accigliò. «Perché proprio Percy? Sarebbe meglio Annabeth.»
Anche Ambra aggrottò la fronte. «Mhh... Annabeth?»
Si fissarono seri per un po’, poi scoppiarono a ridere.
«Hai ragione, è meglio chiedere ad Annabeth» ammise la ragazza.
Alex si alzò e le porse la mano ed insieme si avviarono verso l’arena.
 
 
Acquaaa!
Clelia si voltò verso i fiorellini blu che spuntavano da una delle aiuole situate lungo il corso principale di Nuova Roma.
Abbiamo sete!
La ragazzina sorrise e aprì la sua bottiglietta d’acqua, versando il contenuto alla pianta. I fiorellini sembrarono sospirare. Grazie!
«Di niente!» rispose Clelia. Qualcuno si girò per lanciarle un’occhiata curiosa. Suo fratello Fermo scosse la testa.
«Clelia, va bene che sei figlia di Ferona, ma dovresti provare ad essere un po’ più discreta» la riprese, ma aveva un tono divertito.
«Uffa, sono loro che mi parlano, hanno sempre sete!» protestò la bambina, per poi aggiungere in tono dispiaciuto «Nessuno si occupa di loro. E poi che colpa ho io se mamma è la dea delle selve?»
Fermo le sorrise. «D’accordo, ma devi ammettere che vedere una ragazzina che cammina a testa bassa chiacchierando con l’erba non è esattamente...»
S’interruppe, fissando sbalordito il suo polso. «Clelia Lowglas! Ti sei fatta un tatuaggio
«Cosa? No!» replicò sorpresa la ragazzina, per poi accorgersi che effettivamente le era comparsa una strana linea ricurva sul polso. «Ehi, e questo cos’è?»
Fermo aggrottò la fronte. «Va bene, andiamo a chiedere ai pretori.»
 
Liz, sorpresa, lasciò cadere a terra il martello incandescente quando la linea ricurva che le si era magicamente tatuata sul polso brillò.
L’oggetto finì a pochi centimetri di distanza dal suo piede, che prese fuoco. La ragazza sbuffò: era immune alle fiamme, ma non le andava che i suoi anfibi preferiti finissero carbonizzati.
Afferrò un secchio d’acqua – che nelle fucine dei figli di Efesto non mancava mai, visti i continui incidenti che capitavano – e ci immerse dentro la scarpa.
Quel tatuaggio stava diventando davvero fastidioso. L’aveva notato subito – ma aveva pensato che fosse uno dei soliti scherzi dei figli di Hermes. Adesso ne era convinta. Ogni volta che cominciava a brillare, lei si distraeva e puntualmente faceva cadere qualcosa che nella metà dei casi prendeva fuoco.
Sbuffando, decise di andare a cercare i fratelli Stoll per farsi togliere quel dannato coso dal polso, o prima o poi si sarebbe fatta cadere un’incudine sul piede.
Quando però fu uscita dalle fucine, si accorse che c’erano due ragazzi che stavano parlando con Annabeth, che sembrava piuttosto tesa. I ragazzi continuavano a mostrarle i loro polsi.
All’improvviso una strana forza sembrò attrarre la ragazza verso quei semidei. Il tatuaggio prese a brillare. Liz, confusa, si avvicinò.
 
Jack se ne stava in disparte, seduto ai piedi di una grossa quercia.
Annabeth Chase, davanti a lui, discuteva animatamente con un gruppo di tre ragazzi, che sembravano nel panico. Agitavano le braccia, confusi. Annabeth invece era accigliata e fissava il suolo, forse pensando a qualcos’altro.
La linea che era apparsa sul suo polso continuava a brillare sempre più intensamente, finché il ragazzo non si accorse che anche i polsi dei tre ragazzi erano illuminati.
Che storia è mai questa?
Si chiese se tutta quella faccenda non avesse a che fare con gli avvenimenti della settimana scorsa. Quella voce, il cielo che continuava a tuonare, la pioggia violenta che sembrava non avere fine...
Rabbrividì. Qualsiasi cosa fosse, aveva la sensazione che ben presto ci sarebbe stato dentro fino al collo.
Volse lo sguardo al cielo e desiderò che fosse già notte. Di notte si sentiva più forte, i suoi poteri aumentavano, si sentiva in grado di fare qualsiasi cosa. La notte era il suo territorio.
Non a caso era figlio della notte stessa.
Nyx, cosa sta succedendo?
Si alzò e raggiunse Annabeth Chase e gli altri tre ragazzi.
 
Aerea fece ricadere i lunghi capelli castano scuro sul viso, sistemandoli in modo da nascondere la collana con le sette perle nere, il suo più grande potere e la sua più grande maledizione.
Le faceva male la testa. Non aveva smesso di pulsare da quando, una settimana prima, aveva avuto la sensazione che la sua mente si fosse spezzata a metà.
Come se non bastasse, il suo nuovo tatuaggio magico non la smetteva più di brillare. Una strana sensazione la faceva sentire come se si stesse perdendo qualcosa di importante. Doveva correre.
La cabina di Ade era deserta. Nico Di Angelo si trovava nell’altro campo ad una delle solite riunioni. Le sarebbe piaciuto rivolgersi a lui per un consiglio – sembrava saperne molto in merito.
Continuava ad avere quell’impressione di dover correre.
Devo andare.
Ma andare dove? Come in un sogno, uscì di fuori, dove per la prima volta da una settimana non stava piovendo. Anzi, era proprio una bella giornata: non c’era nemmeno una nuvola in cielo e il sole riscaldava le colline del Campo Mezzosangue con i suoi raggi. L’eco delle risate e delle lame metalliche che si scontravano riecheggiava di nuovo. Per il momento il re del cielo si era ritirato.
Aerea cominciò a correre, le gambe che sembravano muoversi da sole.
Alla fine giunse davanti a una grossa quercia, dietro alla quale delle voci agitate discutevano nervosamente. Il tatuaggio brillò ancora di più, segno che era nel posto giusto.
Aggirò l’albero e vide un gruppetto compatto di persone. Avevano tutti un’espressione cupa dipinta sul viso.
Aerea si avvicinò.
«Ehm, scusate...»
Annabeth Chase si girò a fissarla. «Lasciami indovinare, anche tu hai un tatuaggio sul polso che brilla?»
 
Quando Reyna si ritrovò davanti tre ragazzi piuttosto confusi che le chiedevano spiegazioni su una strana linea che brillava sul loro polso, pensò che era stato davvero facile trovare i semidei prescelti.
«D’accordo, calmatevi» disse infine, e i tre semidei si zittirono all’istante. «C’è un motivo se proprio voi avete questo segno.»
«Segno?» ripeté una ragazzina sugli undici anni, strizzando gli occhi. «Che vuol dire?»
Reyna rimase in silenzio svariati secondi, poi rispose «Che siete stati scelti per fermare il risveglio di Urano.»
 
«D-di... di Urano?» esclamò Alexandra spalancando gli occhi verdi. «Che cosa?!»
Annabeth non sembrava per niente contenta. «Sentite, è meglio se chiamiamo l’altro campo e ci riuniamo alla svelta, gli altri vostri compagni probabilmente si sono già radunati.»
«Aspetta un attimo!» protestò Alex. «Ci stai dicendo che dobbiamo partire per un’impresa?»
«Già» Annabeth storse la bocca. «E da quello che ho capito, è meglio che partiate entro domani mattina.»
Non ce n’è bisogno.
Un vento forte li travolse così violentemente che per poco non vennero tutti sbalzati via dalla corrente.
Perché non ci sarà mai più una mattina.





Note dell'autrice

Ciao!
Eccomi qua con il nuovo capitolo!
Lo so, i conti non tornano. Avevo detto che il massimo di semidei che avrebbero partecipato era di sei, invece ce ne sono ben otto.
Non so contare? Forse. Ma non ce la facevo a sceglierne solo sei, così ne ho aggiunti altri due ^^
In questo capitolo li ho solo presentati brevemente, ma dal prossimo saranno i protagonisti assoluti ;)
Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare tra una settimana se tutto andrà bene, altrimenti potrei metterci qualche giorno di più.
Ho cambiato il titolo della storia, perché come vedrete la storia sarà incentrata su questa Coppa del Dio. Staremo a vedere cosa succederà!
Bene, spero che vi sia piaciuto, per qualsiasi cosa fatemi sapere :)
Alla prossima!
It's Ellie
 

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Capitolo 3
*** Capitolo Due - I preparativi ***


Capitolo Due
I preparativi

Non ci sarà mai più una mattina.
 
Urano era stato fin troppo chiaro.
Dopo che il dio era sparito per la seconda volta – non senza prima aver regalato loro un grandissimo mal di testa – i semidei greci si erano precipitati al Campo Giove, dove avevano trovato i Romani ad attenderli.
 
Aerea era rimasta senza parole; quel posto doveva essere almeno il doppio del Campo Mezzosangue, per non parlare di Nuova Roma! All’improvviso alla ragazza sembrava di essere stata catapultata direttamente dentro la capitale italiana originale.
«Non ci sarà mai più una mattina» ripeté per la quinta volta in quella mezz’ora Lex Pirce, uno dei semidei Romani che sarebbero partiti per l’impresa. «Che vorrà dire?»
Era un po’ inquietante, a dire il vero. Con quei capelli biondo platino, la pelle bianchissima, quegli occhi neri come due pozzi di catrame e l’aria da pazzo sembrava un tipo davvero inaffidabile. Proprio per questo gli era piaciuto sin dal primo momento in cui l’aveva visto. Più tardi le aveva rivelato di essere figlio di Plutone, la controparte romana di suo padre Ade.
Ad Aerea sembrava di capirlo perfettamente. Tutti e due tendevano a mettere a disagio le persone che incontravano a causa del loro aspetto, nonostante entrambi fossero in realtà persone aperte e solari, pronte a far nuove conoscenze. Tra figli della divinità degli Inferi ci s’intendeva bene.
«Be’, a me le parole di Urano sembrano chiare» replicò Alison Wayland, una ragazza Romana figlia di Cupido. Nel pronunciare quel nome la temperatura sembrò calare improvvisamente di parecchi gradi e una folata di vento investì i tre ragazzi.
«Ehm, Alison» mormorò Aerea, mentre un brivido le risaliva la schiena. «Credo sia meglio non nominarlo, sai com’è, con tutta quella storia che i nomi sono potenti eccetera...»
«Oh» fece lei, spalancando leggermente gli occhi scuri. «Oh, hai ragione, scusate!»
«Ad ogni modo, cosa stavi dicendo prima?» le chiese Lex, puntando i suoi occhi neri in quelli della bionda. A differenza degli altri, Alison sembrava non aver problemi a sostenere lo sguardo del ragazzo. «Per te è più chiaro?»
«Diciamo di sì» rispose lei. «Non ci sarà più una mattina, no? Questo vuol dire che sarà sempre notte.»
Aerea capì dove volesse arrivare la Romana. «Cioè stai dicendo che non sorgerà più il sole?»
«Esatto, secondo me è così» annuì lei. Aerea ci pensò su: come ragionamento filava. Niente mattina significava niente sole. Niente sole significava notte perenne.
«Questo sarebbe un problema» commentò Lex. «I mostri sono più forti se c’è oscurità, vero?»
«Già» si limitò a convenire Aerea. Eppure sentiva che c’era anche qualcos’altro...
I tre ragazzi rimasero in silenzio per un po’. Non era un silenzio imbarazzato, ognuno era preso dai propri pensieri.
Aerea osservò meglio Alison. Ogni volta che la guardava sembrava sempre un po’ più bella. Alta e statuaria, capelli biondi, lunghi e ricci, sorriso perfetto. Eppure non sembrava avere un comportamento... da figlia di Afrodite. Era simpatica, forse un po’ civettuola, ma nel complesso piacevole come compagnia.
Si chiese se sarebbe riuscita ad andare d’accordo con tutti i suoi compagni. Dopotutto erano in otto, era probabile che la sintonia non sarebbe nata fin da subito.
Poteva solo sperare che tutto andasse per il meglio.
 
Per qualche motivo, dopo che gli otto semidei della Nuova Profezia si erano divisi, Alex si era ritrovato a passeggiare per le vie di Nuova Roma con Elizabeth Mills, Liz per tutti al Campo Mezzosangue, e Jack Blacknight, lo schivo figlio di Nyx che aveva dato confidenza solo ai suoi fratelli al campo.
E, se la figlia di Efesto continuava a sorridere eccitata e ad indicare tutti i monumenti e le statue che vedeva e non smetteva un attimo di parlare di quanto fosse fantastico quel posto, Jack non aveva ancora aperto bocca. Si limitava ad annuire ogni tanto o scrollare le spalle. Alex aveva capito che non lo faceva per antipatia, ma solo perché faceva parte del suo carattere. In effetti, tutti i figli di Nyx che abitavano al Campo Mezzosangue erano abbastanza schivi e riservati, non poteva di certo fargliene una colpa.
«Non preoccuparti» gli aveva sussurrato Liz ad un certo punto. «Sono sicura che prima o poi farà amicizia con tutti.»
Alex ne dubitava, ma in effetti prima o poi il figlio di Nyx sarebbe stato costretto a socializzare. Almeno credeva.
Era un tipo davvero singolare: snello ma dal fisico scolpito, occhi neri risaltati da piccole striature argentate, capelli blu notte – sì, blu notte, e non sembrava nemmeno che fossero tinti – e sguardo sfuggente. Una persona davvero misteriosa.
Tutto il contrario di Liz, che era probabilmente la ragazza più aperta che avesse mai conosciuto. Era amica di tutti al campo, sempre allegra e di buonumore, divertente e con una battuta pronta per ogni occasione. Alex si era spesso ritrovato a scambiare qualche chiacchiera con lei, suscitando la gelosia di Ambra. Così puntualmente si ritrovava a doverla rassicurare sul fatto che tra lui e la figlia di Efesto non ci fosse niente. Non che gli dispiacesse, ogni occasione era buona per ricordarle quanto fosse speciale e dirle che era innamorato solo ed unicamente di lei.
«Ehi, guardate!» Liz continuava a sorridere ed agitare le braccia mentre parlava. Era proprio un vortice di energia. Indicò un monumento poco distante da loro. «Sbaglio o quello è il Colosseo?»
Jack annuì di nuovo e la ragazza spalancò gli occhi. «Wow, è proprio bello! E non è nemmeno quello originale, forte!»
Alex sorrise tra sé e sé e pensò a quanto sarebbe stato bello avere Ambra lì con lui, passeggiare con lei mano nella mano per il corso principale e baciarla proprio lì, davanti al Colosseo. Sentiva già la sua mancanza, proprio come sentiva la mancanza del Campo Mezzosangue. Il fatto che soffrisse di agorafobia poi non lo aiutava per niente. Si sentiva a disagio in quel posto, sapeva di non essere il benvenuto. Lì era fuori posto, non era la sua casa quella.
Sospirò e cercò di cacciare quei pensieri neri dalla mente. Come avrebbe fatto a partire per l’impresa se continuava a voler essere legato al campo? No, doveva raccogliere tutto il coraggio che aveva e superare quella fobia. L’avrebbe fatto per Ambra, per tornare da lei.
«Ah, che fame!» si stava lamentando Liz, portandosi le mani allo stomaco. «Quando si cena?»
«Tra poco, credo» rispose Alex. «Sarà meglio che ci avviamo, dobbiamo incontrarci di nuovo con tutti gli altri.»
Poi sarebbero partiti per l’impresa, aggiunse mentalmente, ma non lo disse.
A certe cose era meglio non pensare per il momento. Tanto valeva godersi la cena in pace.
 
Ad Alexandra quella bambina piaceva ogni minuto di più.
Era adorabile, continuava a fermarsi per parlare con fiori, alberi ed animali, sostenendo che si sentivano soli e che più persone avrebbero dovuto parlare con le piante.
Quando Annabeth e Reyna avevano annunciato che si sarebbero riunite per ideare velocemente un piano, così da lasciarli partire la sera stessa, avevano anche aggiunto che fino all’ora di cena avrebbero potuto tranquillamente farsi un giro.
Così i semidei si erano divisi in piccoli gruppi e avevano cominciato a passeggiare.
Lei, ad un tratto, si era sentita tirare per la manica da qualcuno. Si era girata ed eccola lì, Clelia Lowglas, una ragazzina Romana di undici anni, figlia di Feronia, la dea dei boschi e delle selve.
«Vieni con me!» aveva esclamato con un grande sorriso. «Ti faccio visitare io Nuova Roma!»
Così avevano cominciato a camminare finché all’improvviso Alexandra non si era ritrovata la ragazzina attaccata alle spalle, stile koala, che continuava a parlare e ad indicarle tutti i monumenti della città.
Se l’era portata a spasso così per un po’, poi lei era scesa e aveva annunciato «Ora di cena!»
Adesso, nella mensa, continuava a parlarle della sua famiglia, di quanto volesse bene a suo fratello, del fatto che non vedeva l’ora di incontrare sua madre, della sua fobia per le rane.
Alexandra non era mai stata il tipo che faceva amicizia in fretta e con tutti. Anzi, a dirla tutta era una ragazza abbastanza solitaria, eppure quella bambina la contagiava con la sua allegria e le aveva ispirato fiducia sin da subito.
«E poi, quando mi è spuntato questo coso sul polso mio fratello ha pensato che mi fossi fatta un tatuaggio!» Rise di gusto e anche Alexandra non riuscì a trattenere un sorriso. «E come avrei fatto, secondo lui? Ho undici anni! Poi quando Reyna ha detto che significava che sarei dovuta partire per un’impresa è stato fantastico! Non avrei mai pensato di partecipare ad una missione così presto!»
Alexandra si accigliò. Osservò Clelia e si chiese come fosse possibile che lasciassero partire una ragazzina come lei, dolce e ingenua. Sapeva combattere? Sarebbe riuscita a sopravvivere? A prima vista sembrava così indifesa, con gli occhi verdi da cerbiatto e il visetto da bambola. Poi, con quei capelli lunghi e castani e la pelle chiarissima sembrava proprio una bambola di porcellana, fragile e delicata. Eppure ci doveva essere un motivo se anche lei era stata scelta.
Cercò di non pensarci e si concentrò sul resto dei suoi compagni. Li scrutò uno ad uno, chiedendosi con chi avrebbe fatto amicizia e con chi invece non sarebbe andata tanto d’accordo.
Greci e Romani. Avrebbe funzionato? Per la battaglia contro Gea l’unione aveva fatto la forza, ma sarebbe successo di nuovo? C’era ancora molta diffidenza tra i due campi, nonostante tutto.
Se avesse potuto, avrebbe pregato sua madre si starle vicina ed aiutarla in quella missione, ma non poteva affidarsi nemmeno a lei.
In certi momenti si era rassegnata al fatto che non sarebbe mai stata riconosciuta, in altri, invece, si era convinta che prima o poi sua madre le avrebbe mandato un segno.
Mamma...
«Ehi, tutto bene?» le chiese preoccupata Clelia, schioccandole le dita sotto il naso. «A che pensi?»
Alexandra si riprese velocemente. «Oh, a niente, non preoccuparti.»
Porterò a termine il mio compito, si disse determinata. Se l’impresa andrà bene, sono sicura che mi riconoscerai. Ti renderò orgogliosa di me.
 
Dopo il dolce l’agitazione crebbe sempre di più in Alison.
Di lì a poco sarebbero dovuti partire. Andare in missione contro Urano non era in cima alla sua lista di “cose divertenti da fare”, ma era stata scelta e non si sarebbe di certo tirata indietro. Dopo tanto tempo, finalmente aveva l’occasione di dimostrare a tutti che non era solo una ragazza carina a cui piaceva flirtare, ma anche una semidea Romana, una combattente.
Mischiare la femminilità alla forza era ciò che aveva sempre fatto e avrebbe continuato a farlo, pazienza se gli altri la credevano diversa da com’era.
Certo, non l’aveva sempre pensata così, anzi. Quando era arrivata al campo, la sua reputazione non era delle migliori. Essere figlia di Cupido non era facile, tutti l’avevano vista come una ragazza superficiale, alla quale piaceva attirare l’attenzione, quando non era per niente così. Dopo un po’, tuttavia, aveva cominciato a comportarsi come gli altri si aspettavano che lei si atteggiasse, nonostante fosse consapevole del fatto che quello non fosse il suo vero carattere.
Alla fine, quando si era resa conto che sempre più ragazzi si stavano facendo avanti, volendo costringerla a fare cose che lei mai avrebbe desiderato, aveva deciso di darci un taglio.
Si era mostrata per ciò che era, una persona dolce e sensibile, e alla fine era stata accettata.
Mentre lasciava che la mente si riempisse di ricordi, sentì qualcuno sedersi accanto a lei.
«Ehi.» Una voce maschile la distolse dai suoi pensieri e la costrinse ad alzare lo sguardo dalla sua fetta di torta al cioccolato.
Era Lex Pirce. Alison non ci aveva mai parlato fino a quel giorno, nonostante entrambi fossero Romani. Lo conosceva, sì, era impossibile non notarlo quando passava, tuttavia non gli aveva mai rivolto la parola, visto che non ne aveva mai avuto l’occasione.
Aveva sentito parecchie voci girare su di lui, ma non si era mai permessa di giudicare. Magari all’apparenza il ragazzo poteva sembrare un po’ strano, ma alla fine aveva l’aria di essere un tipo simpatico. E poi aveva uno sguardo particolare, penetrante. Niente che riuscisse a metterla in soggezione, chiaro.
«Ciao» lo salutò lei. Non le venne in mente nient’altro da aggiungere. Era troppo agitata per pensare a fare quattro chiacchiere tranquillamente.
«Sembri nervosa» osservò lui. Alison lo guardò sorpresa. Come aveva fatto a capirlo? In genere non dava mai a vedere quando era triste o irritata per qualcosa.
«A-ah... tu dici?» Avrebbe voluto cambiare argomento, non era brava a parlare di se stessa.
«Già» Lex continuava a studiarla. Alison non riusciva a capire se il suo fosse uno sguardo critico come quello di tutti i ragazzi che aveva incontrato oppure qualcosa di diverso. «Sicura di star bene?»
«Sì, tranquillo» si affrettò a rispondere. «Non ho molta fame, tutto qui.»
Che centrava la fame adesso? Non le era venuto in mente niente di meglio.
Rimasero in silenzio per qualche secondo.
«Oh, guarda» fece lui ad un tratto, puntando gli occhi in un punto della mensa.
«Cosa?» Alison cercò di seguire il suo sguardo.
«Sono arrivate Annabeth e Reyna.»
 
È il momento.
Liz notò subito le due ragazze entrare nella mensa. Quelle due insieme formavano un’aura di potere impossibile da non avvertire.
Smise subito di giocare con il cibo che era rimasto nel piatto e si concentrò su di loro, che intanto si stavano avvicinando sempre più al loro tavolo.
Reyna fu la prima ad arrivare. Si accomodò in silenzio vicino ad Alison, mentre anche Annabeth li raggiungeva e prendeva posto accanto a lei.
All’improvviso tutta la mensa si fece silenziosa. Anche gli spiriti del vento, le aurae, avevano smesso di svolazzare da un tavolo all’altro. Tutta l’attenzione era concentrata sulle due ragazze.
«Ragazzi, vi annuncio che abbiamo ideato il piano, o almeno una parte» esordì Reyna. Liz sentì lo stomaco contrarsi mentre aspettava ulteriori spiegazioni.
«Abbiamo deciso che viaggerete via mare, visto che il cielo non è per niente sicuro e comunque la vostra meta è il Mare dei Mostri» proseguì Annabeth.
Il Mare dei Mostri, fantastico, pensò Liz. Scommetto che il Disney Resort in confronto è una noia mortale.
«E cosa dobbiamo fare quando saremo arrivati là?» chiese Alexandra. La figlia di Efesto ebbe come l’impressione che la semidea al posto di quando avrebbe voluto dire se.
Reyna per un po’ non disse niente. La tensione si fece così tagliente che ci si sarebbe potuto affettare il salame, pensò la ragazza.
«Dovrete cercare Circe» rispose infine la figlia di Bellona. Parecchie persone nella mensa cominciarono a mormorare.
Liz ricordava di aver sentito Percy Jackson raccontare qualcosa a proposito della maga. Qualcosa riguardante una spa e i porcellini d’india. Niente con cui le sarebbe piaciuto avere a che fare.
«Circe? Non è quella maga che trasformava gli uomini in maiali?» chiese Clelia.
«Sì» rispose Reyna. «Mia sorella Hylla mia ha detto che dopo la lotta con Gea è ritornata nel Mare dei Mostri e ha intenzione di riaprire la sua spa. Voglio che andiate a cercarla.»
«E... come mai?» s’informò Alex. Liz si girò per lanciargli un’occhiata. Ad un tratto sembrava essere più pallido e aveva le labbra ridotte ad una linea sottile.
«Quando lavoravo ancora per lei, ho avuto modo di vederla all’opera» cominciò a spiegare la semidea Romana. «Perciò so riconoscere la magia quando la vedo, ed i segni che avete sul polso sono magici. Non so chi ve li abbia messi, ma sono sicura che Circe saprà dirvelo. Chiunque sia stato, potrebbe essere d’aiuto.»
Alex non sembrava convinto. «Circe è quella maga che aveva trasformato dei pirati e Percy Jackson in porcellini d’india, vero?»
«Sì, ma quella è acqua passata» ribatté decisa Reyna. «Dite che vi mando io e andrà tutto bene.»
Liz avrebbe desiderato di essere sicura come lei ma, nonostante fosse una ragazza, non aveva molta voglia di incontrare la famigerata maga.
 
Lex non era granché entusiasta. La prospettiva di venir trasformato in maiale, porcellino d’india o qualsiasi animale da compagnia non lo attirava per niente.
Poteva solo fidarsi di Reyna e sperare che sarebbero usciti di lì tutti interi. Il Mare dei Mostri era pericoloso, ne aveva sentito parlare centinaia di volte.
Tuttavia quella era anche la sua prima impresa ed era eccitato all’idea di un’avventura. I suoi compagni di viaggio sembravano delle persone a posto e aveva già conosciuto la sua nuova sorella. Fino a poco prima lui ed Hazel erano stati gli unici due semidei figli di Plutone ad abitare al Campo, con l’eccezione di Nico Di Angelo che di tanto in tanto li andava a trovare, perciò era felice di avere con lui una persona che potesse capirlo.
E poi c’era anche quella ragazza, Alison, che era davvero simpatica. Nonostante anche lei fosse una Romana non l’aveva mai vista in giro, fatto strano visto che pensava di conoscere tutti. Ad ogni modo non era solo e la cosa gli dava forza.
«E con che mezzo viaggeremo?» chiese, curioso. Ovviamente non si aspettava niente che fosse l’Argo II, ma comunque sperava in una bella nave.
«Un mezzo progettato da Leo Valdez» rispose Annabeth. «Ci ha lavorato negli ultimi mesi e l’ha finito la settimana scorsa, credo che andrà bene per quest’impresa.»
Lex si ricordava di Leo Valdez. Una volta l’aveva incontrato a Nuova Roma. Era un tipo geniale e divertente, l’aveva trovato subito simpatico. Da quel giorno era cresciuta in lui la voglia di visitare il Campo Mezzosangue e i graeci. Se erano tutti simpatici come lui allora ci sarebbe stato da divertirsi.
Lex sapeva anche che al Campo Mezzosangue le regole erano molto, molto meno severe che dai Romani e per questo aveva sempre un po’ invidiato i semidei greci, che non dovevano preoccuparsi di avere con loro una lettera di raccomandazione quando arrivavano al campo, che non venivano messi in stato di probatio il primo anno, che non dovevano essere puntuali a tutti i costi, avere un comportamento degno di un soldato Romano che si rispetti, rischiare di venir gettati nel Piccolo Tevere con un sacco in testa per punizione. Si chiese quando il Campo Giove si sarebbe deciso a prendere un po’ d’esempio.
«Quale progetto? Lo conosco?» chiese Liz, una dei Greci. «Ultimamente l’ho aiutato spesso.»
«Credo di sì» replicò Annabeth. «Leo mi ha detto che hai partecipato anche tu al progetto.»
Gli occhi azzurri della ragazza brillarono. «Oh, se è quello che penso, allora...»
Ma non fece in tempo a finire la frase che un ragazzo comparve all’improvviso, attirando l’attenzione di tutta la mensa, e cominciò a correre verso di loro. Un ragazzo dai mille ricci scuri in testa, le orecchie da folletto e un enorme sorriso stampato in faccia.
«Ragazzi, l’ho portata!» esclamò, sollevando un pugno in aria, due dita alzate in segno di vittoria. «L’adorerete, ne sono sicuro!»
«Leo!» urlò Liz. «L’hai portata? È la nave che abbiamo progettato insieme?»
«Proprio quella!» Leo Valdez le fece l’occhiolino. «Forza, venite a vederla, lucidata è ancora più bella!»
 
Usciti fuori, sotto gli occhi di tutti, gli otto ragazzi, Reyna, Annabeth e Leo s’incamminarono fino a Nuova Roma e, dopo aver fatto i conti con la statua di Termine, che non la finiva più di urlare “Siano maledetti i semidei greci e i loro aggeggi infernali! Come avete osato introdurre una nave nei confini della città?! Una nave nemica, per giunta!”, raggiunsero il lago formato dal Piccolo Tevere.
Lì li aspettava una nave che Clelia trovò bellissima.
Non era molto grande, però era splendida: era fatta interamente di un legno chiaro e lucido, decorata da motivi dorati e con a prua – come polena – una riproduzione della statua di Nike fatta interamente d’oro. Sottocoperta, li informò Leo, c’erano otto cabine, una per ogni semidio, una sala da pranzo, due bagni – uno per le ragazze e uno per i ragazzi – e la sala motori. Sul ponte, invece, il figlio di Efesto aveva provveduto a sostituire il timone con la stessa console che aveva usato per l’Argo II.
«E chi la guiderà?» chiese dubbiosa la ragazzina. «E poi... cos’è una Wii?»
«Non sai cos’è una Wii?» il ragazzo la fissò interdetto. «Ma... tutti sanno cos’è una Wii!»
«Be’, io sono sempre vissuta dentro il Campo Giove, sono qui da quando avevo un anno e non sono uscita quasi mai, quindi non capisco molto di queste cose...» tentò di giustificarsi Clelia.
«Allora te lo spiego io. Una Wii è...» fece per replicare Leo, ma venne interrotto da un’altra voce.
«La guiderò io!» intervenne Liz per salvare tutti da quella conversazione che non avrebbe portato da nessuna parte. «So come si fa!»
«Sì, è vero» concordò il fratello. «Le ho insegnato ad usare la console dell’Argo II, perciò non avete nulla da temere!»
«E mi occuperò anche della sala motori, infondo sono o non sono una figlia di Efesto?» l’entusiasmo della ragazza stava cominciando a contagiare il resto del gruppo, che d’improvviso, dopo aver visto la nave che li avrebbe condotti lungo la loro impresa, era di nuovo di buonumore.
«Allora... tutti a bordo!» li incitò Valdez con un sorriso.
«Prima di andare» si affrettò ad aggiungere Annabeth. «Un paio di dritte: cercate di separarvi il meno possibile, provate ad andare d’accordo, collaborate e soprattutto ricordatevi che qualsiasi informazione può essere utile!»
Nessuno seppe bene cosa dire. Clelia sorrise. «Va bene, grazie!»
Dopodiché salirono tutti a bordo. Liz si precipitò subito alla console e cominciò a trafficare all’impazzata con i tasti, agitando ogni tanto il telecomando della Wii con movimenti così ampi che sembrava stesse dirigendo un’orchestra invisibile.
La nave cominciò ad allontanarsi dalla riva. Si sentì la voce di Leo gridare «Troverete tutte le provviste nella sala da pranzo, nei bagni ci sono i kit del pronto soccorso e anche nettare e ambrosia, le vostre armi si trovano già nelle cabine, c’è una tv perciò non preoccupatevi! Ah, e ha anche aggiunto l’opzione di volo alla nave, non credo servirà ma non si sa mai! Buona fortuna!»
Annabeth e Reyna urlarono qualcosa in coro, ma ormai i semidei erano troppo lontani per capire. La nave salpò.
 
Il gruppo si radunò sul ponte. Jack, invece, si allontanò.
Si sporse lungo il parapetto, lasciando che la brezza serale gli scompigliasse i capelli scuri.
Circe. Chissà se sarebbe stata davvero disposta ad aiutarli.
Preferiva non pensarci. Si chiese invece se suo padre stesse bene. Sì, probabilmente sì. Gli sembrava quasi di vederlo, con il suo telescopio, ad osservare le stelle che tanto amava, che gli ricordavano della donna della quale si era innamorato.
Il sole aveva cominciato a tramontare, il cielo si era scurito. Si sentiva già meglio, poteva percepire l’apatia scomparire lentamente, i suoi sensi amplificarsi.
Era contento che stessero viaggiando via mare. Non avrebbe retto un altro viaggio aereo, non dopo l’incidente. Quando quell’enorme drago aveva assalito il volo Toronto – New York, facendo precipitare l’aereo in mare, non aveva più staccato i piedi da terra.
Nel ripensarci, gli parve quasi di sentire la cicatrice che gli attraversava la schiena – ricordo dell’attacco – fargli male, ma preferì non farci caso.
«Ehi!» esclamò qualcuno all’improvviso. Era Clelia, la più piccola del gruppo.
«Ehi» fece lui a sua volta. La ragazzina lo guardò per un po’, poi disse «Perché non vieni anche tu con noi?»
Jack si limitò a fissarla, senza sapere bene cosa rispondere. «Non amo molto la compagnia, sai...»
«Ma non puoi mica stare tutto il tempo da solo» replicò lei mettendo il broncio. «E dai, vieni!»
Il sole era ormai quasi scomparso all’orizzonte. Jack si sentiva decisamente meglio adesso. Sorrise a Clelia. «E va bene, vengo.»
«Questo è lo spirito!» esclamò lei, per poi spostarsi dietro di lui. Poco dopo la sentì saltargli addosso. Lui rise e la la caricò sulle spalle. «Allora andiamo.»
Raggiunsero il resto del gruppo, mentre anche Liz inseriva gli ultimi comandi nella console e si avvicinava. Così si ritrovarono tutti seduti in cerchio sul ponte.
«E quindi» sospirò Alison. «Si parte.»
«Già» fece Alexandra. «Mi chiedo cosa ci aspetta.»
«Guai» rispose Alex. «Un sacco di guai.»
Clelia rise. «Non facciamo i pessimisti!»
«Già, tanto che potrà mai succederci? Al massimo ci trasformiamo tutti in criceti» commentò Lex.
«Otto porcellini d’india contro il dio del cielo.» Liz annuì. «Ce la faremo di sicuro!»
Jack sorrise. «Magari se lo divertiamo abbastanza ci risparmierà e ci terrà come animali da compagnia.»
I semidei rimasero zitti a fissarsi per un attimo, poi scoppiarono a ridere.
Intanto il sole scompariva oltre il mare.
Nessuno poteva sospettare che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbero assistito ad un tramonto.






Angolo dell'autrice

*cerca di scappare via*
Sono una persona orribile, lo so. Ho aggiornato con un ritardo mostruoso, ma perdonatemi, vi prego!
Purtroppo fino all'ultimo giorno di scuola non sono riuscita a far niente, sono stata impegnata fino all'ultimo per cercare di recuperare matematica *dà fuoco al libro di matematica*.
Poi ho cominciato a buttar giù il capitolo, ma sono dovuta partire per le vacanze perciò non se n'è fatto niente. Solo ora riesco a finirlo.
D'ora in poi, però, sarò più costante, questo è certo. Non credo che vi farò aspettare più così tanto.
Ma commentiamo il capitolo.
Ormai i nostri otto semidei sono diventati i protagonisti, perciò ho cercato di approfondire un po' di più tutti i personaggi (naturalmente, andando più avanti, scopriremo le loro storie per intero). Come al solito spero di averli caratterizzati bene, se c'è qualche errore o qualcosa di sbagliato non esitate a farmelo notare!
Come avete letto, la prossima tappa sarà Circe. Ma la maga sarà veramente diposta ad aiutare i ragazzi? Staremo a vedere!
Bene, per ora è tutto.
Alla prossima!
It's Ellie

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