The Sins Of The Fathers

di Preussen Gloria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Neve, ghiaccio, freddo ***
Capitolo 2: *** Prigione ***
Capitolo 3: *** Calore ***
Capitolo 4: *** Complice ***
Capitolo 5: *** Mano ***
Capitolo 6: *** Conquista ***
Capitolo 7: *** Somiglianza ***
Capitolo 8: *** Doppio ***
Capitolo 9: *** Ustioni ***
Capitolo 10: *** Sangue ***
Capitolo 11: *** Sogni ***
Capitolo 12: *** Fratelli ***
Capitolo 13: *** Piacere ***
Capitolo 14: *** Guerra ***
Capitolo 15: *** Caos ***
Capitolo 16: *** Regina ***
Capitolo 17: *** Diverso ***
Capitolo 18: *** Peccato ***
Capitolo 19: *** Cuore ***
Capitolo 20: *** Figlio ***
Capitolo 21: *** Ombra ***
Capitolo 22: *** Frammenti ***
Capitolo 23: *** Cancellato ***
Capitolo 24: *** Confessione ***
Capitolo 25: *** Debole ***



Capitolo 1
*** Prologo: Neve, ghiaccio, freddo ***


Prologo:
Neve, ghiaccio, freddo.

[Midgar, svariati secoli fa.]


Neve, ghiaccio, freddo.
Lo chiamavano inverno in quel mondo ma agli occhi del giovane assomigliava ad un giorno come tanti altri. Forse più caldo degli altri.
Calore. Era una sensazione che credeva di aver già sperimentato nella sua lunga vita, eppure gli sembrava  del tutto estranea ora, completamente nuova. Nuova, sì, come la piccola creatura davanti ai suoi occhi che gradualmente si abituava alla vita tra limiti sicuri della sua culla. In realtà, non vi era posto più pericoloso di quello nell’intero universo ma il bambino non lo sapeva. Innocente e inconsapevole com’era, non aveva altra preoccupazione al mondo se non quella d’imparare a sorridere sempre meglio tentativo dopo tentativo. Nessun neonato era in grado di farlo a poco tempo della nascita, alcune loro smorfie potevano assomigliare a dei sorrisi ma non lo erano mai realmente. Quel bambino però era diverso, sapeva esattamente quello che stava facendo mentre lo fissava dal basso, la boccuccia sdentata con gli angoli rivolti verso l’alto.
Calore. Il giovane dai capelli corvini non poté fare a meno di sorridere a sua volta. Un pesante rumore di passi seguito da una veloce quanto gelida brezza alle sue spalle, lo informò che non era più solo all’interno della tenda. Avvertì la tensione appesantire l’aria ancor prima che si voltasse per incontrare gli occhi blu del re, “sapevo che saresti venuto.”
Il giovane uomo scrollò le spalle rivolgendogli una smorfia, “sei padre da meno di due ore e hai già fallito miseramente nel compito di proteggere il tuo erede,” commentò sarcastico. “Ti ho visto arrivare,” replicò l’altro con sicurezza ma il moro non poté fare a meno di notare la cautela con cui esauriva la distanza tra loro, “non potresti mai difendere te stesso con questa sembianze.”
“Un pugnale per uccidere un neonato è in grado di usarlo chiunque,” fu la risposta sarcastica. “A che pro?” Domandò il re, “non puoi recuperare le tue sembianze senza lo scrigno e tutto l’esercito di Asgard ti sarebbe sopra in meno di mezzo minuto. Sei un re, combatti le guerre, non commetti infanticidi.”
Il giovane sbuffò, “la tua fiducia nel buon cuore del tuo peggior nemico è quasi commuovente, mio re. Cosa credi? Che il giorno in cui ti avrò alla portata della mia arma mi asterrò dall’ucciderti mosso da chissà quale pietà?”
“Quella che descrivi è una battaglia tra re,” rispose il monarca fissando il profilo dell’altro, “è una fine inevitabile, lo sappiamo entrambi. Non è biasimabile come l’omicidio di un bambino.”
Il giovane uomo piegò appena la testa osservando il neonato nella culla da un’altra angolazione, “volevo solo assicurarmi che fosse vero. Che non avessi ritirato i miei uomini per un tuo ben riuscito colpo di genio.”
Il re sorrise appena, “nel dubbio, però, hai deciso di non infierire.”
Gli occhi verdi dell’altro lo fissarono freddamente, “non ho alcun interesse nell’arrecare danno alla persona della tua regina,” ammise senza vergogna, “l’hai detto tu. Questa è una guerra tra re. È una guerra tra me e te. In ogni caso, solo tu puoi essere tanto stupido da far nascere il tuo primogenito nel bel mezzo dell’inferno.”
“Non conosci mia moglie…”
“La conosco eccome e so che sarebbe un re migliore di te.”
“Allora sai che, se decide di venirmene a dire quattro, deve farlo di persona! Guerra o non guerra! Gravidanza o non gravidanza!” Il re si concesse un secondo per osservare il neonato che si era ficcato un pugnetto in bocca, “non lo aspettavamo così presto. Ci ha colto di sorpresa.”
Il moro sospirò stancamente, “solo tuo figlio poteva essere tanto furbo da nascere nel bel mezzo di una battaglia in un mondo in cui i curatori fanno pratica sulle pecore!” Quando abbassò di nuovo lo sguardo, il piccolo aveva ripreso a ridere da solo, felice per il solo fatto di essere vivo, “non ha fatto altro che sorridermi.”
“Lo so,” il re annuì. “Sorride spesso. Beato lui.”
Gli occhi verdi lo guardarono di nuovo, “quindi?” Il re rispose con uno sguardo confuso, “lui è Thor o Loki?”
Il monarca si passò una mano tra i capelli biondi sorridendo al neonato, “secondo Frigga, assomiglia più ad un Thor.”
“Perché? Un Loki come dovrebbe essere?”
Il re smise di sorridere immediatamente, mentre una mano andava a posarsi protettiva sul corpicino del piccolo principe. “Non ci sarà mai un Loki,” confessò infine, “non ci sarà un altro erede. Questo bambino non è destinato ad avere un fratello, non importa quanto i sogni di mia moglie si ostinino ad illuderla del contrario.”
L’altro annuì gravemente, “capisco…”
Il re si lasciò andare ad una risata senza gioia, “non credo che tu possa capire il dolore di mia moglie,” si pentì immediatamente di quanto aveva appena detto. Erano in guerra, non c’erano regole, non c’erano codici d’onore da rispettare tra loro. Eppure, quando quegli occhi verdi si riempirono di lacrime incredule, il re sapeva di aver commesso un terribile errore. Fece appena in tempo ad afferrarlo per un braccio, “Nàl, aspetta…”
“Non chiamarmi così!” Urlò l’altro e il neonato scoppiò a piangere immediatamente, “non è il mio nome. Non lo è mai stato.”
“Io… Io ti chiedo perdono… Io…”
“È troppo tardi per chiedere perdono,” replicò il moro liberandosi dalla stretta del re, “sei in ritardo di anni!” Raggiunta l’entrata della tenda, si voltò un’ultima volta, “porta via tuo figlio e tua moglie finché sei in tempo. All’alba questa guerra ricomincerà!”

[Jotunheim, diversi anni dopo.]


Neve, ghiaccio, freddo.
Per il re quello poteva sembrare il peggiore degli inverni, ma quel mondo non aveva mai conosciuto un tempo migliore. Il cielo era scuro, ma non sapeva dire se fosse notte o se le nuvole coprissero ogni possibile fonte di luce naturale. Aveva passato anni tra quelle distese di candido nulla, eppure non aveva mai imparato a calcolare il tempo in quell’inferno gelido. Il re sapeva che l’avevano visto arrivare, sapeva che lo stavano seguendo tutt’ora con cautela, mentre alcuni di loro erano andati ad avvisare chi di dovere della sua tanto improvvisa quanto sgradita visita.
Non gli avrebbero fatto di male, chi li comandava non si sarebbe mai sogna di dare un ordine del genere.
Se la sua vita doveva finire in quel luogo di morte, sarebbe stato per mano del re e del re soltanto.
Ma non sarebbe accaduto, non quel giorno.
Il palazzo di ghiaccio era un cumulo di rovine a stento abitabili per qualsiasi creatura e, ad occhio inesperto, sarebbe anche potuto apparire disabitato da tempo, tanto tempo. Ma il re sapeva e non indugiò nel salire le scale di ghiaccio che conducevano alla sala delle trono.
Buia, fredda, in rovina.
Quello che una volta era stato il podio del potere, ora era solo il simbolo di una lunga e interminabile decadenza senza vie di ritorno. Non vi era nessuno ad attenderlo seduto su quel seggio di ghiaccio, non vi erano giganti o mostri nelle vicinanze. C’era solo un giovane uomo dai capelli corvini di fronte a lui, gli occhi verdi erano più freddi del vento di quell’inverno perenne. Non c’erano più sguardi indiscreti intorno a loro, erano completamente soli.
“Qualunque cosa tu abbia da dire, dilla,” disse il moro con fare minaccioso, “e fallo in fretta, prima che decida che questa pace umiliante a cui ci hai legati non vale quanto il piacere di ucciderti con le mie mani.”
Il re scosse la testa, “sei un re troppo rispettato per mandare la tua gente a morire per un tuo capriccio.”
“E se la mia gente preferisse morire in una guerra già persa piuttosto che vivere un altro giorno di questa vita miserabile?”
“Sappiamo entrambi che sono minacce vuote,” replicò il re con gentilezza non richiesta, “è finita l’età in cui confondevamo le nostre ragioni personali con le ragioni di stato. Siamo degli adulti, ormai.”
Il moro sorrise sarcastico, “questo non è sufficiente per dimenticare.”
“Nulla sarà mai sufficiente per dimenticare…”
“Allora che cosa vuoi?” Suonava quasi come un'implorazione, “pensi che sia sopportabile, per me, vederti camminare sulle mie terre senza poter fare niente per non mettere a rischio ogni singola vita di questo regno?”
“Lo vedi?” C’era una nota nostalgica nella voce del re, “è passata l’era in cui potevamo permetterci di comportarci come ragazzini in preda all’impulsività e alle passioni. Ora possiamo solo essere re.”
“Ed è come re che sei qui?”
Un attimo di esitazione, “no, questa volta no.”
“Allora non hai motivo di restare…”
“Cresce,” sussurrò il monarca e fu abbastanza perché quegli occhi tanto verdi quanto gelidi incontrassero di nuovo i suoi. “Assomiglia a te.”
Odino accennò un sorriso, nulla di paragonabile alla smorfia sarcastica con cui l’altro gli rispose. “Al principe delle illusioni o al re dei mostri?” Il re ignorò il veleno dietro quelle parole deliberatamente, “al giovane con gli occhi verdi e i capelli corvini che una volta conoscevo.”
“Non è mai esistita quella persona, Odino!”
“Non puoi dirmi questo, Laufey!” Replicò con forza il Padre degli Dei, “non mentre mi guardi con gli stessi occhi di mio figlio!”
“Non è tuo figlio!” Sbottò il re di Jotunheim, “non lo è mai stato. È nato nell’inganno! Vive nell’inganno! Le bugie sono l’unica cosa che possiede,” Laufey spostò gli occhi sulla distesa di neve che circondava loro, il palazzo, ogni cosa. “E un giorno, forse, ne diverrà il principe…”
“Vuoi dire come te?” Era il turno di Odino di essere velenoso. L’altro rise in modo glaciale, “pensi che la tua illusione dorata sia meno viscida della mia solo perché non ha come fine lo scoppio di una guerra? Sei stato tu il primo ad usarlo come perno per ogni progetto politico che ti veniva pensato. Un’arma, uno strumento, una reliquia di guerra…. E adesso rivesti il ruolo del padre amorevole solo perché sei perfettamente consapevole che qualsiasi piano coinvolga quel piccolo bastardo ti si potrebbe rivoltare contro in modo tragico.”
“L’unica tragedia che temo è la verità e…”
“Già,” Laufey annuì, “la verità. Mi chiedo chi di noi due condannerà più amaramente quando la scoprirà. Ma non siamo qui per parlare di questo, vero?”
“Non posso credere che tu non sia nemmeno curioso di vederlo.”
“Chi?” Laufey si avvicinò di un passo, “quel fallimento a cui ho dato la vita?”
Odino scosse la testa, “non hai idea a che cosa hai voluto rinunciare.”
“Ah no?” Replicò il moro acido, “hai detto che assomiglia a me? Che significa? Che la tua regina guarda in faccia la peggiore vergogna della sua vita ogni giorno o che il piccolo Thor si sta dimostrando il degno erede di suo padre?”
“Lascia fuori Thor da tutto questo…”
“Ma non lo è!” Proruppe Laufey furibondo, “come fa ad esserne fuori quando quel che sente sono solo storie di come suo padre ha valorosamente sbaragliato i mostri, mentre ne ha uno per fratello che cresce proprio accanto a lui?”
“Loki è un principe di Asgard. È mio figlio e nemmeno tu possiedi più il potere di negare questo.”
Laufey annuì, “hai ragione,” ammise, “io non ho questo potere ma lui lo avrà. Quando si accorgerà di essere diverso, quando capirà che non appartiene al tuo mondo come a nessun altro di quelli conosciuti. Quando scoprirà la verità, perché la scoprirà, prega che non assomigli a me tanto come dici, perché in quel caso non credo che potremmo uscirne vivi.”
“Non gli hai dato nemmeno una possibilità, Laufey.”
Quanti ricordi c’erano nello sguardo malinconico che il suo eterno nemico gli rivolse? Quante volte Odino ne era stata la causa? Quante volte, invece, ne era stata la soluzione? C’erano tutti i suoi peggiori errori riflessi in quegli occhi verdi e la sua punizione era ritrovarli ogni giorno della sua vita sul viso di Loki.
Loki che era innocente, inconsapevole di ogni cosa e Odino pregava che lo sarebbe rimasto per sempre.
“Nemmeno tu gliela stai dando proteggendolo con le tue false verità, Odino,” replicò Laufey in modo che suonava più triste che velenoso. Si scambiarono uno sguardo che sarebbe potuto durare un minuto o tutta l’eternità, fino a che Laufey non si voltò.
“Nàl…” Odino ritornò alla realtà bruscamente, “aspetta!”
“Questa è l’ultima volta,” dichiarò il re di Jotunheim rivolgendo al Padre degli Dei un’occhiata che sarebbe dovuta essere distaccata, “se mai Loki ti chiederà del principe da cui ha ereditato gli occhi verdi e i capelli neri, digli che è morto la notte in cui è nato. E questa notte, morirà anche per te.”
“Nàl…”
“Vattene ora.” 

*****

Varie ed eventuali note di comprensione: Nàl è uno dei nomi con cui Laufey viene chiamato all'interno dei miti, qui avrà una funzione particolare che verrà svelata nel prossimo capitolo. In questo prologo sono stati lanciati dei messaggi confusi che, ovviamente, andranno via via a chiarirsi con l'evolversi della trama che partirà dagli eventi (parecchio!)  precedenti la guerra tra Odino e Laufey. Il rating e gli avvertimenti potrebbero cambiare nel corso della storia!

Commenti ed opinioni sono molto graditi (ma siamo sinceri e diciamo che sono attesi con particolare ansia, va')! 

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Capitolo 2
*** Prigione ***


 


Prigione


Il sogno non era mai uguale ma era sempre lo stesso.
Ogni volta si trovava davanti a quello specchio o a una qualunque superficie riflettente che gli mostrasse il suo aspetto: troppo giovane, troppo ingenuo, troppo impulsivo e passionale.
Troppo uomo per essere un re.
La stanza era calda, illuminata da una luce tenue, due vocette infantili erano l’unica cosa ad infrangere il silenzio della notte. Doveva essere tardi ed il suo letto era occupato ma non poteva sentirsi disturbato da un immagine tanto dolce. Il bambino più grande, quello biondo, continuava a fare facce buffe al fagottino steso al centro del materasso. Doveva riuscirgli molto bene perché il piccino, quello con la testolina piena di ciuffetti neri, rideva contento ed era pronto a protestare sonoramente se il fratello decideva di sparire dal suo campo visivo anche solo per un istante.
Sì, erano fratelli, non sapeva il motivo per cui ne fosse così certo ma lo erano.
Il bambino biondo fece un ampio sbadiglio strofinandosi entrambi gli occhi con le manine chiuse a pugno, si accoccolò accanto al fagotto in cui era avvolto il fratello minore, si portò un pollice alle labbra con naturalezza e chiuse gli occhi addormentandosi prima che il più piccolo potesse protestare.
Ma il piccino non sembrava proprio sul punto di seguire il fratellone tanto presto e, annoiato dall’assenza di suoni o immagini divertenti, prese a tirare piccoli calcetti all’altro bambino nel tentativo di attirare di nuovo la sua attenzione.
“No, no e no, principino,” qualcun altro comparve nel suo campo visivo e per un attimo trattenne il fiato, “che devo fare per farti addormentare?” Gli occhi verdi del giovane erano stanchi ma sorrideva mentre cullava il piccino con pazienza, “è inutile che continui a guardarti intorno, non c’è niente di nuovo o interessante qui. Dovrai aspettare domani.”
“È troppo curioso per aspettare domani!” Si ritrovò ad esclamare senza neanche rendersene conto, gli occhi verdi si voltarono nella sua direzione immediatamente, “suo fratello si può comprare con qualche dolcetto in più e qualche coccola ma lui,” quando fu a portata prese una delle manine del piccolo tra le dita, “lui è molto più furbo di quello che crediamo. Anche se credo che impazziremo se comincerà a scombinare il clima del regno coi suoi pianti notturni”
Il giovane coi capelli scuri gli concesse un sorriso appena accennato, “oh, ma lui non piange! È solo incredibilmente sveglio!”
Ricambiò il sorriso appoggiando la fronte contro la tempia del compagno, “vorrà dire che saprà badare a suo fratello quando nessun altro sarà in giro per farlo.”

 
La prima volta che vennero separati, Thor aveva nove anni e Loki sette.
Quell’inverno, il germe di una malattia sconosciuta era strisciato sotto le porte dei cittadini di Asgard strappando alcuni bambini dalle braccia dei loro genitori e trascinando gli altri in un pericoloso stato di semi-incoscienza che li rendeva deboli oltre ogni limite. Ogni volta che un piccolo malato chiudeva gli occhi, nessuno poteva dire se si sarebbe risvegliato dopo poche ore o se la notte se lo sarebbe portato via lentamente, senza far rumore.
Quel terrore aveva marchiato l’anima di ogni genitore della città dorata, senza risparmiare nessuno. Nemmeno la coppia reale.
Loki non aveva un ricordo chiaro di come tutto era cominciato. Non ricordava Thor divenire più debole ora dopo ora nell’arco di una sola giornata, non ricordava quando la tosse era cominciata. Ricordava solo sua madre che di colpo lasciava cadere il libro di favole che stava leggendo a lui e suo fratello, la ricordava mentre lo sollevava di peso tra le braccia come per proteggerlo da un pericolo imminente, ricordava la voce di lei che chiamava disperatamente il nome di suo padre.
Ma non ricordava di aver visto suo fratello tossire sangue sulle lenzuola. Non poteva ricordarlo, perché Frigga gli aveva tenuto ferma la testa per impedirgli di voltarsi, “non guardare, tesoro,” aveva sussurrato tra le lacrime, “fai il bravo, Loki, non guardare.”
E Loki non si era mosso, era rimasto lì, tra le braccia di sua madre, mentre un numero indefinibile di persone entrava ed usciva dalla camera sua e di Thor. “Il bambino non può restare qui,” disse qualcuno poco dopo, “è più piccolo, è più fragile, se viene contagiato…”
“Non lo è!” Aveva urlato suo padre più per convincere se stesso che altri, “mio figlio e mia moglie sono già abbastanza terrorizzati! Occupati del bambino malato, ora!”
Da qualche parte dietro di lui, Loki aveva sentito suo fratello piangere e urlare ma aveva avuto troppa paura di lasciare la presa sulla veste di sua madre per coprirsi le orecchie. Era scoppiato a in lacrime silenziosamente, come era suo solito fare ma sua madre se n’era accorta comunque.
“Caro, per favore, portalo via. Loki non può restare qui,” quando suo padre l’aveva strappato dall’abbraccio materno, Loki aveva singhiozzato terrorizzato.
Sapeva che non avrebbe dovuto voltarsi! Sapeva che non poteva venirne fuori nulla di buono dal disubbidire a sua madre! Ma Thor aveva smesso di urlare…
“Thor…” Non era arrivata nessuna risposta dal bambino quasi cianotico e privo di conoscenza, “Thor! No! Thor! Thor!” Ma ogni tentativo di liberarsi dalla stretta di suo padre era stata inutile, “fratello…”
Il terrore, Loki avrebbe preferito non conoscerlo così presto.

La seconda volta, erano entrambi adulti, due giovani uomini sulla soglia della stagione più gloriosa della loro vita. Quel che accade era divenuto presto materiale su cui tessere nuove leggende da tramandare alle generazioni a venire. L’esilio dell’erede al trono nel giorno della sua incoronazione, la follia del secondogenito lasciato solo ad affrontare una verità troppo pesante e dolorosa per un’anima già ferita.
Le bugie, i complotti, lo scontro. Il gesto estremo del più giovane, la disperazione dell’altro.
Quello era stato il turno di Thor di piangere suo fratello.
La terza volta era avvenuta poco più di un anno dopo e, se possibile, era stata la peggiore di tutte.
C’erano  voluti cinque uomini per tenere fermo Thor, non ne sarebbero bastati cento se Odino non lo avesse disarmato prima di procedere. Frigga aveva cercato di opporsi con altrettante insistenza, non fu difficile tenerla lontana dal condannato, non vide nulla, ma il solo sentire le fu sufficiente a spezzare qualcosa nel suo cuore di madre. Qualcosa per cui Odino avrebbe dovuto pagare per sempre.
Loki, da parte sua, non aveva avuto la forza di opporre resistenza. Ferito, rassegnato, tradito, non aveva potuto far altro che piangere, mentre suo padre dava ordine ai suoi uomini di cucirgli la bocca per impedirgli di usare ulteriormente quel suo spregevole talento da principe delle menzogne.
Quell’ordine era stato eseguito in modo orribilmente letterale.
Loki aveva pianto per tutta la procedura e non aveva smesso nemmeno quando le guardie lo avevano abbandonato inerme sul pavimento di pietra della cella. Non aveva potuto evitare di lamentarsi, ma, non potendo urlare liberamente, quel che ne era uscito fuori era stato un suono straziante che Frigga si era ritrovata a coprire con le sue stesse urla.  
Alla fine, quel che Odino aveva visto davanti a sé, era stata la realizzazione dei suoi peggiore incubi e nulla avrebbe potuto svegliarlo, oramai.
Ancora una volta, si era ritrovato costretto a fare una scelta. Aveva scelto di essere un re, prima di essere un marito, prima di essere un padre.
E ne avrebbe pagato l’amaro prezzo.

[Asgard, oggi.]

Freddo, buio e ancora freddo.
Loki non ricordava più come fosse la luce del sole, non rammentava quella sensazione confortevole chiamata calore. Ad essere onesti, quella non credeva di averla mai provata davvero, se non in un’illusione, in un sogno, in un’altra vita. Il primo giorno, quando lo avevano abbandonato in quell’oscurità riempita solo dal silenzio costante, aveva pensato che sarebbe impazzito velocemente. Lo sperava, quasi.
Sperava che la sua mente lo tradisse definitivamente regalandogli una falsa via di fuga da quella tortura.
Il dolore alla bocca era constante, ogni ferita cicatrizzata finiva per aprirsi e sanguinare di nuovo ad ogni movimento, anche involontario, delle sue labbra. Il sapore del suo stesso sangue in gola era diventato da nauseante a familiare. Col tempo, anche l’agonizzante e persistente morso della fame era scivolato via, lasciando che il suo corpo si abituasse a quelle strane sostanze liquide che gli facevano ingoiare a forza e che mantenevano in vita quel cadavere ambulante che doveva essere diventato.
Certe volte piangeva, nel buio, colmando quel vuoto insopportabile con la sua disperazione.
Lo avevano chiamato criminale, poi avevano preso ad additarlo come condannato.
Solo Thor aveva continuato a chiamarlo fratello. Solo sua madre aveva continuato a chiamarlo figlio.
Suo padre…  Odino sembrava disgustato anche solo all’idea di pronunciare il nome che tanti secoli addietro gli aveva donato. L’unico cosa vera che avesse mai ricevuto da quell’uomo, il suo nome, Loki.
“Madre, perché quando siamo nati ci avete chiamati Thor e Loki?”
Loki non aveva mai avuto bisogno di fare quel genere di domande, ci aveva sempre pensato Thor a dare voce alla curiosità di entrambi senza pensarci due volte.
“Vostro padre ha scelto i vostri nomi, bambini. Siete stati voi a suggerirglieli in un sogno.”
Spesso Loki si ritrovava a pensare a degli episodi della sua infanzia, come quello. Alle parole dei suoi genitori, alle loro reazioni o ai dettagli delle loro espressioni. Ripercorreva ogni suo ricordo, cercava in quelle immagini un segno, un qualcosa che potesse lasciar filtrare la verità su quel secondogenito tanto diverso dagli altri bambini. Tanto diverso dal suo stesso fratello maggiore.
Ma si fermava sempre prima di poter compiere un’analisi razionale, perché ricordare faceva troppo male.
Ricordare…
Per assurdo, era l’unica cosa che gli rimaneva all’interno di quella cella buia e fredda.
Nessuno era mai sceso in quell’inferno per fargli visita.
Thor, il quale era sempre stato pronto ad ignorare la volontà del re per soddisfare i suoi capricci infantili, non aveva nemmeno provato a ribellarsi al divieto che gli impediva di avvicinarsi a Loki in alcuno modo. Il suo così detto fratello, sempre disponibile a pronunciare belle parole nei momenti più sbagliati, aveva dato prova di essere un menzognero migliore di lui con la sua accondiscendenza nei confronto di un sovrano tiranno, di un padre bugiardo. Loki non ne era sorpreso, non si aspettava nulla da Thor, figlio di Odino, futuro re di Asgard e protettore dei nove regni. Non si aspettava nulla dal fratello che, pur essendo sempre stato accanto a lui, non era mai riuscito a sfiorare. E non si aspettava nulla dal giovane uomo che l’aveva implorato di arrendersi, di tornare a casa prima di peggiorare le cose, prima che fosse troppo tardi. No, non poteva aspettarsi nulla da Thor, il quale continuava ad essere tanto cieco e tanto sciocco da non capire che era troppo tardi da troppo tempo.
Thor, Thor e ancora Thor! Troppo testardo e orgoglioso per accettare che con Loki aveva fallito sotto ogni punto di vista. Troppo egoista per comprendere che Loki non solo non poteva essere salvato ma non voleva essere salvato. Il così detto amore di Thor, la sua pietà, il suo perdono…  Tutto ciò, per Loki, era peggio di una droga. Era qualcosa con cui non poteva vivere ma che avrebbe sempre desiderato con crescente agonia.

Tuoni, fulmini, pioggia e ancora fulmini.
Nessuno ad Asgard ricordava più come fosse una giornata di sole. Ovviamente, tutti erano lungi dal lamentarsene apertamente. Come se poi questo fosse servito a qualcosa! Da quando Thor era nato, i cieli di Asgard si erano oscurati e schiariti al ritmo dei suoi capricci e malumori senza sosta, ma questa volta era ben diverso. Non c’erano minacce o punizioni in grado d’intimorire il principe ereditario, non c’era il potere di Odino a placare la sua ira infantile perché, in realtà, d’immaturo nel risentimento di Thor non c’era davvero nulla. Quello che fuori si manifestava come un catastrofico evento naturale era solo l’immagine concreta di quel che Thor sentiva dentro e non c’era modo di controllarlo, non c’era modo di racchiuderlo nei labili confini della sua anima. Faceva troppo male per essere controllato, era troppo forte per essere placato da qualcosa che non fosse la piena realizzazione del suo desiderio.
Era qualcosa di tanto potente che lo stesso Odino si era rifiutato di affrontarlo, chiudendo il mondo e tutto ciò che vi accadeva fuori dalle porte dorate delle sue stanze. Faceva finta di nulla, il re degli dei, perché, in caso contrario, era ben consapevole che Thor non si sarebbe fermato fino a quando non fosse riuscito a piegare la volontà di suo padre. Era un rischio che il re non poteva permettersi di correre.
Privare suo figlio di Mjolnir era la sola cosa che aveva avuto il potere di fare, onde evitare di ritrovarsi, insieme all’intera corte, sotto le macerie del palazzo reale. Sigillare i suoi poteri naturali sarebbe equivalso a renderlo un prigioniero nella sua stessa casa e Odino non poteva osare tanto davanti agli occhi del suo popolo e di sua moglie. Soprattutto di sua moglie.
E non c’era da escludere la possibilità che, una volta spogliato di ogni sua capacità, Thor decidesse di far presente che allora la sua presenza nella cella di Loki non aveva più ostacoli pratici. Ci mancava solo che il principe ereditario facesse le valige per trasferirsi nelle prigioni insieme al principe perduto! Portandosi dietro anche la regina, come minimo!
“Esci fuori, vecchio! Affrontami faccia a faccia se non sei un codardo!”
Lo era, Odino ne era perfettamente consapevole. Un codardo e un debole.
“È tuo figlio! È tuo figlio, maledetto bastardo!”
Perché sapeva che, se avesse avuto il poco buon senso di aprire quella porta e affrontare il suo primogenito, si sarebbe piegato.
“È mio fratello…”
Sapeva che, se fosse sceso in quella prigione di oscurità e silenzio, se avesse guardato Loki in quegli occhi verdi che erano stati la sua benedizione ed il suo tormento dal giorno in cui era nato, si sarebbe inginocchiato e avrebbe chiesto perdono. Come se il criminale in tutta quella storia fosse lui, come se non vi fosse nessun altro colpevole al di fuori di se stesso.
“Quanto ancora hai intenzione di mandare avanti questa pazzia?” La sua regina non aveva bisogno di essere altrettanto rispettosa dei sacri confini  in cui si era rinchiuso. Non si sarebbe mai abbassata ad implorarlo sulla porta. Non si sarebbe mai abbassata nemmeno a chiedere il permesso di entrare.
“Ti ho chiesto,” Frigga misurò la camera con ampi passi arrivando davanti al marito, “quanto hai intenzione di osare ancora?” Aveva gli occhi di chi aveva smesso di piangere appena pochi minuti prima, ma era troppo orgogliosa per crollare di nuovo davanti a lui. “È passato più di un anno!” Esclamò con rabbia, “c’è nostro figlio in quel posto maledetto, Odino! Nostro figlio!”
“È un criminale, Frigga!” Sbottò il re, “deve essere punito come tale!”
“Punito, Odino! Punito! Non torturato!” Replicò Frigga con altrettanta fermezza, “l’abbiamo già torturato abbastanza e chi è venuto dopo di noi ha finito il lavoro. O stai fingendo di non ricordare che nostro figlio ha passato un intero anno nelle mani di un esercito di mostri che l’ha raccolto dopo che aveva tentato di suicidarsi sotto i tuoi occhi!”
Odino sferrò un pugno contro il muro, “è inutile rivangare quella tragedia, Frigga. Quel che è accaduto è accaduto!”
“Ed è stata tutta colpa tua!” Odino non ebbe tempo di replicare che se n’era già andata, sbattendo la porta per di più. Non che il re avesse molto da ridire contro quell’accusa. Non avrebbe mai avuto nulla da ridere a proposito.
Lui stesso non si sarebbe mai perdonato per quel che era successo su quel ponte. Mai.

“Thor…”
Frigga trovò suo figlio seduto per terra, sulla soglia del balcone. Non reagì in alcun modo al suo richiamo.
“Thor, tesoro,” fu il dolore e la stanchezza nella voce di sua madre a convincerlo a voltarsi, “Sif ha chiesto nuovamente di vederti.”
“E tu che le hai risposto?”
Frigga sospirò stancamente sedendosi sul bordo del letto del figlio, “che sarebbe stata più fortunata quando il tempo sarebbe migliorato.”
Thor si lasciò sfuggire un sorriso, “non credo accadrà a breve.”
“Non sarà così per sempre, Thor, te lo prometto.”
Thor sospirò preso da uno strano moto di nostalgia, “sei tornata a farmi promesse, madre? Come quando io e Loki eravamo bambini?”
Frigga gli sorrise amorevolmente, “non avete mai smesso di essere bambini per me, Thor. Mai.”
“È una cosa che non riuscirò mai a spiegarmi, temo.”
“Non potresti, non ora. Quando sarai padre… Se sarai padre, capirai.”
La regina avrebbe voluto scorgere un po’ di luce nell’espressione del figlio, un po’ di quella solarità con cui Thor era nato e che faceva parte di lui tanto quanto quel potere che gli permetteva di oscurare il sole. Ma l’alone dorato, quello sembrava circondare Thor ovunque andasse, era sparito insieme a Loki. L’oscurità era l’unica cosa che si poteva scorgere ad occhio nudo all’interno di quel palazzo che era stato simbolo di gloria, di onore, di protezione per i membri della famiglia reale. Ora, non era altro che una gabbia che nascondeva tutte le sue orride sfumature dietro una facciata dorata.
E Frigga sapeva che, nonostante il disprezzo e il silenzio che li separava, Thor e Odino ne soffrivano in egual misura ma in modi diversi. Thor con la passione che, prima di lui, era appartenuta anche a suo padre, Odino con la stanchezza e il senso di sconfitta di un vecchio re che si era ritrovato impotente nonostante le sue passate glorie. Prima di essere re e principe, erano entrambi uomini orgogliosi costretti in ginocchio di fronte alla stessa sconfitta: Loki.
Loki, per cui entrambi non avevano dimostrato abbastanza amore.
Loki, che entrambi amavano e avevano sempre amato, sebbene uno dei due avesse deciso di comportarsi come se volesse negarlo e l’altro come se avesse improvvisamente capito che senza suo fratello nulla aveva senso. Si finisce sempre per perderle le cose date per scontate.
Thor aveva imparato la sua lezione, Odino, dopo secoli di errori, sembrava che ancora non volesse capire.
E Loki?
Loki avrebbe capito? Avrebbe creduto a quell’amore?
Loki sarebbe tornato da loro?
E se non da loro, almeno da Thor?
Già, almeno da Thor. Frigga non osava chiedere altro, non si aspettava che il loro secondogenito gli accogliesse nuovamente come suoi genitori. Per quello, probabilmente, era troppo tardi anche se Frigga moriva all’idea che il più giovane dei suoi figli non l’avrebbe più considerato una madre. Non aveva importanza che l’avesse tenuto in grembo qualcun altro, non aveva importanza che non fosse stata lei a darlo alla luce. Loki era suo figlio! Nessuno sarebbe mai riuscito a convincerla del contrario. Nessuno.
Suo figlio, il suo bambino divorato dalle tenebre, dal dolore e dall’odio. Traditore, assassino, bugiardo, lo chiamavano con mille nomi che lei non conosceva. Nomi che ancora stentava ad associare a quel figlio così diverso dagli altri bambini e fanciulli, ma che per lei era sempre stato un figlio e basta.
Se la guardia bussò nessuno dei due se ne accorse ed entrambi sobbalzarono quando entrò nella camera senza permesso, l’urgenza era evidente nella sua espressione.
Thor fece per cacciarlo in malo modo ma sua madre lo zittì gentilmente con un gesto della mano permettendo all’uomo di parlare. Le parole furono poche, chiare, veloci.
Thor chiese di ripetere perché non avrebbe accettato un malinteso, non per una questione come quella.
“Vostro padre vuole che portiate vostro fratello fuori dalle prigioni, mio principe,” ripeté la guardia cercando di mantenere una voce ferma, “ha detto che voi e la regina avete il permesso di prendervi cura di lui e delle sue ferite. Nei giorni seguenti vi convocherà nelle sue stanze per stabilire in che modo il prigioniero dovrà scontare il resto della pena.”
Frigga volle correre. Correre più veloce che poteva ma non riuscì a muovere un passo mentre si portava una mano alla bocca per soffocare un singhiozzo.
Thor fu più pronto di lei, superò la guardia a grandi passi e prese a correre per i corridoi del palazzo ignorando deliberatamene chi scontrava per sbaglio e pronto a fracassare contro il muro la testa di chiunque avesse osato fermarlo.
Nessuno dei soldati di guardia alle prigioni osò tanto e, quando raggiunse la cella di Loki, i suoi secondini avevano avuto la geniale pensata di sparire prima che il principe ereditario avesse avuto il tempo di mettere piede in quel lurido e oscuro posto. Thor scardinò letteralmente la pesante porta rinforzata che lo divideva da ciò che aveva agognato di riavere da tanto, troppo tempo.
Bastò un istante perché la rabbia e l’urgenza sparissero.
Thor fece uno sforzo enorme per evitare di guardarsi attorno, di vedere in che razza di piccolo inferno suo padre aveva recluso il più giovane dei suoi figli. Suo fratello. Un traditore, un conquistatore distruttivo, forse ma pur sempre suo fratello. Pur sempre la vittima di un destino crudele di cui la sua stessa famiglia era colpevole.
Loki era lì. Loki era ad un passo da lui e a Thor sarebbe bastato allungare una mano per toccarlo.
Ma qualcosa non andava, le dita gli tremavano terribilmente e ogni traccia di risoluzione era stata sostituita dal dolore. Il dolore peggiore.
“Loki…”
Il sogno non era mai uguale ma era sempre lo stesso.
Faceva freddo, molto freddo.
“Dobbiamo fare piano, i bambini dormono.”
C’era qualcosa di sbagliato in quella voce, c’era qualcosa di sbagliato in quel bacio. Tutto era sbagliato!
“Che c’è? L’abbiamo fatto di nascosto altre volte, non è così?”
Da che si doveva nascondere? Dai loro figli? No! Non erano i loro figli.
“Che cosa hai fatto ai bambini?”
“Di che parli?” Un altro bacio, “sono nella culla proprio accanto a noi, li ho solo fatti addormentare.”
“Voglio vederli!”
“Dopo…” Faceva freddo, tanto freddo, “avrai tutto il tempo di fare il padre ma su questo letto sei solo un uomo.”
Sembrava più una minaccia che un invito sensuale.
“Voglio vedere i miei figli!”
Occhi verdi. Sarebbe mai arrivato il giorno in cui avrebbe dimenticato il dolore e l’accusa dietro quello sguardo?
Freddo, freddo e ancora freddo.
“Perché mi tieni lontano dai miei figli?” Sussurrò quasi dolcemente, “perché mi fai questo, Nàl?”
Occhi verdi. Occhi verdi pieni di lacrime.
“Perché non posso sopportare che tu faccia tuo tutto ciò che poteva essere nostro.”

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Capitolo 3
*** Calore ***


(Avvertenze: uso e abuso di miti e leggende.)

2
Calore

[Asgard, secoli fa.]

 
“È un rituale sacro, non è un gioco.”
“Quando sarò re, sarò il signore di ogni rituale.”
“Ma tu non sei re,” protestò il fanciullo con i capelli scuri, “non ancora, Oden.”
“Odino,” lo corresse il ragazzino biondo, “pensavo fossimo entrambi d’accordo, comunque.”
“Lo siamo,” l’altro annuì, “ma se tuo padre ci scopre, ci ucciderà tutti e due.”
Odino scrollò le spalle, “è lui l’unico responsabile, non mi ha donato il fratello che meritavo.”
“Ne hai due di fratelli, Oden!”
“Ma Vìli e Vè non sono te, Loki!”
Il fanciullo con i capelli scuri sbuffò, “me ne pentirò, lo so.”
Odino estrasse dalla cintura il piccolo coltello che aveva rubato dalle cucine e si sedette sull’erba di fronte all’amico d’infanzia, “siamo destinati a grandi cose io e te. Le leggende ci ricorderanno come i gloriosi fratelli di Asgard.”
“Io non appartengo ad Asgard e tu lo sai bene,” protesto l’altro ragazzino tristemente, “vivo qui da appena…”
“Non sono dettagli importanti!”
“Per te nulla è importante, Oden!” Sbottò Loki incrociando l braccia contro il petto, “la tua cecità interiore ti costerà anche un occhio prima o poi, vedrai.”
“Odino! Non chiamarmi col soprannome di Frigga, non vogliamo incoraggiarla!”
“Tu non vuoi incoraggiarla!”
Odino sospirò annoiato fissando il coltello stretto tra le dita della mano e il palmo della sinistra: decise che sarebbe stato meglio farlo velocemente e strinse la lama con forza sotto gli occhi attoniti di Loki. Si morse le labbra, troppo orgoglioso per lasciar andare un gemito, poi prese un respiro profondo passando il coltello all’amico, “è il tuo turno.”
Loki impugnò la piccola arma ma la fissò esitante, “questo non è uno scambio equo.”
“Non so di cosa tu stia parlando.”
“Tu sei un principe, sei nato per essere re.”
“E come futuro re,” cominciò il ragazzino solennemente, “scelgo per me il fratello che ritengo più degno.”
 

“Papà! Perché quando sono nato mi avete chiamato Loki?”
“Perché sei venuto al mondo per essere amato, figlio mio.”

 

[Asgard, oggi]

Thor non aveva impiegato nemmeno un’ora a tornare ma, per Frigga, l’attesa era stata lunga dei secoli e, quando il maggiore dei suoi figli fece ritorno nella propria camere stringendo al petto quel che rimaneva del più giovane, si pentì di aver atteso quel momento con tanta ansia.
Loki non sapeva quel che stava accadendo intorno a lui, era rimasto prigioniero del regno oscuro dei suoi incubi troppo a lungo perché la realtà potesse farlo reagire automaticamente in qualche modo. Gli sembrava di aver udito la voce di Thor, gli sembrava di averlo sentito singhiozzare come in preda ad un crisi di pianto, ma non poteva essere altro che un tiro mancino dei suoi sensi torturati fino allo stremo. Non era possibile che il grande, potente, glorioso Thor piangesse ai piedi di un nemico, un criminale, un traditore in ginocchio sul lercio pavimento della sua altrettanto lercia cella.
Fu il contatto fisico a scatenare il panico.
Il suo corpo era così crudele con se stesso da simulare qualcosa… qualunque cosa che potesse far vibrare di nuovo le sue membra. Un tocco fuggevole, una carezza. Troppe volte, Loki si era risvegliato da un sogno in cui veniva toccato amorevolmente solo per ritrovarsi stretto nel gelido abbraccio dell’oscurità della sua prigionia.  A volte, erano le mani di quei mostri schifosi a graziarlo con le loro attenzioni nei suoi incubi. Era disgustoso, raccapricciante ma tutto questo era quanto gli rimaneva per ricordarsi di essere vivo . Quell’abbraccio non era gelido, però. Era tutto, purché gelido.
Calore. Calore. Calore.
Era ancora vivo, la sue pelle poteva ancora percepire qualcosa di tanto banale quanto prezioso. Era vivo! Era vivo! Ma no… Non poteva essere vero! La sua mente non poteva giocargli un simile scherzo, non ora che tutte le sue sofferenza si stavano affievolendo sull’argine di quella sensazione sconosciuta, desiderata per quanto spaventosa. La sensazione del vuoto, del nulla.
Loki non voleva sentire niente! Perché sentire, percepire, provare tutto avrebbe potuto portare al dolore, alla sofferenza fisica e non solo. Non poteva sopportarlo! Non poteva!
Tento di urlare e si ritrovò la bocca inondata di sangue per l’ennesima volta in non sapeva quanto tempo.
Il calore lo avvolse con cura e lo trascinò via. Fu il panico!
La confusione totale dei sensi, sommata al dolore e a tutto ciò che di disumano era successo fuori e dentro di lui lo ridussero ad un ammasso di gemiti e lerciume che tentava di liberarsi da non sapeva cosa. Nessun orgoglio, nessuna dignità. Qualunque traccia di umanità perduta.
Il buio scomparve ma la luce non era benevola, era accecante.
Voleva solo che tutto tacesse, che tutto finisse, che tutto scomparisse per sempre.
In un ultimo momento disperato, il suo corpo dovette avvertire quel desiderio con particolare chiarezza, perché ogni sensazione, ogni cosa scomparve.
 
C’era un buon odore intorno a lui. Odore di pulito, di fresco, di casa.
“Nessuno curatore sarà disposto ad aiutarci.”
“Li minaccerò se necessario!”
“Se si prenderanno cura di tuo fratello con timore oltre che con disprezzo, che cosa pensi che potrebbe accadere?”
Voci. Fu come avvertire le sue orecchie funzionare per la prima volta.
“Ha la febbre alta. Non dovrebbe nemmeno essere caldo!”
“Lo so, Thor! Lo so!”
Thor! Thor! Thor!
In un gesto meccanico cercò di pronunciare quel nome. Non avvertì alcun suono uscire dalla sua bocca, poi realizzò: era riuscito a muovere le labbra. Quella novità gli fece aprire gli occhi di colpo ma la luce, quell’adorata luce che tanto gli era mancata, lo aggredì senza pietà e si ritrovò a dimenarsi sonoramente in un letto in cui non ricordava di essere finito. “Loki! Loki!” Qualcuno gli afferrò le braccia. Fece quasi male e Loki si bloccò di colpo.
Non dolore, vi prego. Non ancora dolore!
Una mano calda si posò sulla sua guancia, “apri gli occhi lentamente.”
Se li sarebbe cavati piuttosto.
“Va tutto bene, non sei più abituato alla luce,” disse la voce gentilmente, mentre quella mano si spostava tra i suoi capelli, “prova a guardarmi. Ti prego, Loki, provaci, non importa se per poco.”
Non lo fece perché gli veniva chiesto, ma solo perché aveva passato troppo tempo al buio per non tentare di afferrare la luce ancora e ancora e ancora. Aprì gli occhi al mondo come se fosse la prima volta e due iridi blu lo accolsero con inspiegabile sollievo e commozione. Thor piegò le labbra in un sorriso tremante, non sapeva se sarebbe riuscito a parlare, “ciao…” riuscì a mormorare con tono appena udibile ma i sensi di Loki si aggrappavano a qualsiasi percezione a disposizione. Qualsiasi cosa che gridasse: vivo! Vivo! Vivo!
Thor non aggiunse altro, liberò la mano dall’intreccio dei sui capelli corvini passando due dita sulle sue labbra con estrema gentilezza, “non fa più male, vero?”
Era troppo! Troppo! Tutto quello che poteva fare era arrendersi e collassare.
L’espressione di Loki si contorse dolorosamente mentre dalla sua bocca uscivano i prima singhiozzi e gli occhi liberavano le prime lacrime. Quell’orgoglio duro a morire lo costrinse a girarsi su un fianco in un vano tentativo di nascondere a Thor quella sua insopportabile e indistruttibile debolezza. Suo fratello appoggiò la fronte contro la sua spalla sospirando pesantemente e stancamente, una mano rassicurante stretta intorno al suo avambraccio.
Solo allora Loki si accorse della seconda persona presente nella stanza, della donna in piedi accanto al letto a meno di un metro da lui. Frigga piangeva in silenzio, entrambe le mani premute contro il petto, come se avesse paura che il cuore avesse potuto sfuggirle da quanto le batteva forte. “Amore mio…” Singhiozzò abbozzando un sorriso che era poco più di una smorfia, a Loki sembrò l’immagina più radiosa dell’intero universo. Sì, la luce era accecante, ma Loki decise che preferiva ritrovarsi cieco piuttosto che venirne privato di nuovo.
 
“Hai la febbre.”
Uno sguardo silenzioso da parte di quegli occhi spenti fu l’unica risposta che Thor ricevette. Sorrise, “nostra madre ed io siamo autorizzati a prenderci cura di te quanto a lungo è necessario,” aggiunse ma Loki non si mosse dalla posizione raggomitolata che aveva assunto da quando Frigga era uscita dalla stanza. Thor leggeva confusione nella sua espressione, mute domande che suo fratello non accennava a voler fare ad alta voce. Era passata quasi un’ora da quando aveva ripreso conoscenza e Loki non aveva detto neanche una parola. “Fratello,” mormorò dolcemente e l’espressione dell’altro s’indurì immediatamente, gli occhi si spostarono dal suo viso alla finestra di fronte al letto. Thor scosse appena la testa, “fratello, parlami.”
Loki strinse involontariamente la federa del cuscino tra le dita fingendo di non aver sentito.
“Non m’importa cosa dirai,” cercò di rassicurarlo Thor, “dimmi tutto quello che vuoi ma parlami, ti prego.”
Loki si sfiorò le labbra con i polpastrelli della mano destra, tremava come se non potesse credere a quello che toccava, poi nascose il viso contro il cuscino raggomitolandosi ancor di più, come un bambino spaventato da un incubo. Thor si mosse impacciato verso il letto, “Loki, va bene,” disse con urgenza, “non voglio che tu ti senta obbligato, volevo solo…”
Il fratello emerse dal cuscino ancora una volta per lanciargli un’occhiata raggelante che valeva più di mille parole e Thor tacque alzando ed abbassando il viso, indeciso su cosa fare e su come comportarsi.
“Sai per quanto tempo sei rimasto là sotto?”
Loki scosse la testa.
“Lo vuoi sapere?”
Seguì un distratto cenno d’assenso.
“Poco più di un anno.”
E Thor si accorse di come Loki trattenne il respiro per appena un istante mordendosi il labbro inferiore e, per un orribile momento, pensò che sarebbe scoppiato a piangere di nuovo. Loki non poteva stressare se stesso più di quanto tutto quello che era successo negli ultimi due anni avesse già fatto. Non c’era nulla di logico che potesse spiegare come Loki era potuto sopravvivere a tutto quello, come ne fosse uscito abbastanza lucido da essere cosciente di se stesso e ciò che aveva attorno.
Loki era forte, poteva rispondersi Thor.
No, Loki era troppo distrutto dentro e fuori per rompersi ulteriormente. Questa era la crudele verità e il dio del tuono ne era perfettamente consapevole. Thor si ritrovò a prendere una di quelle mani pallide tra le sue, l’attenzione di Loki tornò su di lui immediatamente.
Suo fratello aveva sempre avuto delle mani particolari, femminili avrebbe osato dire. Ignare di cosa volesse dire brandire un’arma o uno strumento da lavoro. Le mani di Loki erano sempre state belle, delicate, da fare invidia a molte dame decisamente meno aggraziate del secondo principe di Asgard, Sif compresa.
Quella che ora Thor stringeva con cautela tra le sue, sembrava la mano di un cadavere. Tanto pallida da avere sfumature grigie, corrosa dai maltrattamenti e dalla malnutrizione.
Il futuro re di Asgard aveva quasi paura di vederla tramutarsi in polvere davanti ai suoi occhi e proprio per questo la stringeva come il più prezioso dei tesori. La sollevò quanto bastava per posarne un bacio sul dorso, un gesto spontaneo.
Loki non lo accettò, liberò la mano dalla presa di Thor senza incontrare troppa resistenza e, quando quegli occhi blu si alzarono a fissarlo nuovamente, li vide offuscati dal dolore e dal fallimento. La cosa lo compiacque.
“Sei caldo,” commentò e Loki inarcò un sopracciglio, Thor sorrise, “volevo solo assicurarmi che fossi vero, che non fossi un altro dei miei incubi. Ogni volta che ti prendevo la mano, nei miei sogni intendo, eri così freddo e debole e non aveva importanza quanto provassi, non riuscivo a riscaldarti, non riuscivo a…” Una pausa, “non riuscivo a salvarti, Loki.”
Il principe perduto chiuse gli occhi tornando a celare il viso contro il cuscino.
Nessuno può salvarmi. Non puoi tu ora, Thor e non poteva Odino il giorno in cui ha raccolto quel neonato senza futuro.
 
[Asgard, secoli fa]
Qualcuno potrebbe faticare a crederlo, potrebbe pensare a questo come pura assurdità ma c’era stato un tempo in cui Asgard e Jotunheim esistevano senza pianificare di distruggersi e conquistarsi a vicenda.
Odino figlio di Borr era stato il primo principe ereditario a venire alla luce nella città dorata degli dei, finalmente completa dopo secoli di continua costruzione. Era stata proprio una figlia di Jotunheim a darlo alla luce: Bestla, una mezzo sangue che era stata donata a Borr dal suo stesso popolo. Troppo fragile e minuta per vivere tra la sua gente, Bestla era divenuta regina di un regno agli albori dei suoi giorni più gloriosi, senza che le origini che la contraddistinguevano  le fossero di alcun danno.
Al contrario, il popolo e la corte le furono riconoscenti quando diede alla luce un primogenito maschio, sano e forte. Degno dell’eredità che gli sarebbe spettata quando fosse giunto il suo momento.
Seguirono in breve tempo altri due figli, due maschi, Vìli e Vè e, assicurando un futuro alla famiglia reale della città dorata, Bestla si spense improvvisamente prima che il suo terzogenito avesse imparato a camminare. Il principe Odino era solo un bambino e i suoi fratellini a stento si resero conto di quanto era accaduto alla loro mamma.
Il re Borr non si riprese mai del tutto da quel lutto, invero. Non si risposò mai e concentrò tutte le sue energie nell’educazione dei tre principi, con particolare attenzione per l’erede al trono.
Non che Odino rischiasse di deludere le aspettative.
Crescendo dimostrò di possedere più talenti di quanti un re necessitasse per essere tale.
Nel suo aspetto non vi era nulla che tradisse la sua diretta discendenza dai Giganti di Ghiaccio, sebbene avesse ereditato da sua madre una particolare armonia dei lineamenti che si sposava perfettamente con i capelli biondi e gli occhi blu di suo padre. Era bello, il principe del regno dorato e le sue naturali doti di guerriero fuse ad un’inattesa disposizione per le arti magiche, lo facevano apparire praticamente perfetto.
“Peccato che siano in pochi a sapere che di perfetto non hai assolutamente niente!” Frigga sbuffò lasciandosi cadere sulla sedia alle sue spalle, “quando imparerai?”
Il ragazzo con gli occhi blu le sorrise dal lato opposto del tavolo, “a fare che?”
“Ad evitare di uscire da questo palazzo, trascinandoti dietro Loki tra l’altro, con l’intenzione di far scoppiare una guerra universale!”
Fu il turno di Odino di sbuffare, “quanto sei catastrofica, Frig! Non sono vere battaglie, sono duelli per mettere alla prova i giovani guerrieri e spronarli a migliorare.”
La fanciulla gli lanciò un’occhiata sbieca, “e l’arena reale a tua completa disposizione non è sufficiente?” Chiese sarcastica, “no! Il grande Odino deve andare a giocare alle risse con i Giganti di Ghiaccio di Jotunheim!”
“Non c’è nessuno qui ad Asgard in grado di combattere realmente con me.”
“Su Jotunheim sì, invece?” Chiese Frigga certa di conoscere già la risposta. Odino chiuse il libro sul tavolo con un movimento secco sorridendo con fare arrogante, “ovviamente no. Non ancora.”
“Ti farai male ostentando tutta questa tua sicurezza, Oden.”
“Odino,” la corresse il principe, “e non vedo perché dovrei ricoprirmi di falsa modestia.”
“Perché l’arroganza può mettere in cattiva luce la figura del re non solo agli occhi degli altri popoli ma anche dei suoi stessi sudditi,” Odino sorrise voltandosi verso l’entrata della biblioteca, “e l’eccessiva sicurezza in se stessi rende ciechi anche di fronte alle minacce più evidenti.”
“Ho capito perché lo hai scelto come fratello,” commentò Frigga sorridendo all’indirizzo del ragazzo dai capelli scuri che si avvicinava a loro, “avevi bisogno di un cervello! Uno vero, che funzionasse!”
“È sempre un piacere Lady Frigga,” disse Loki di Utgard con un sorriso appena accennato.
Odino si mosse sulla sedia con fare agitato, “non chiamarla Lady! Non essere così formale, come se voi due non passaste le vostre giornate a complottare contro di me.”
“L’universo non gira tutto intorno a te, Oden.”
“È Odino! E comunque un giorno lo farà!”
“Non credo che passare il tuo tempo a provocare risse tra i mondi e studiando arti tradizionalmente femminili, ti possano portare molto lontano, fratello,” commentò Loki sedendosi sul bordo del tavolo e lanciando un’occhiata derisoria al libro di magia chiuso sul tavolo. Odino afferrò il volume con la mano destra sventolandolo di fronte al fratello-di-sangue, “quest’arte femminile, come la chiami tu, è ciò che mi permette di darti l’aspetto che hai.”
“Ma siamo onesti e diciamo che è ciò che ti permette di simulare una specie di dialogo con tutte quelle smorfiosette che usi per scaldarti il letto,” commentò Frigga con naturalezza facendo ridere Loki e avvampare il principe che incassò il colpo con un sorrisetto sarcastico, “è gelosia quella che sento, Frig?”
“Ah!” Esclamò lei con una smorfia alzandosi dal suo posto, “dovrebbe verificarsi un evento devastate per convincermi a giacere con un moccioso come te!”
 

[Asgard, oggi]


Loki se ne stava raggomitolato sull’enorme sedia dorata osservando, quasi con timore, la propria madre mentre testava l’acqua della vasca per l’ennesima volta, “penso che possa andare,” commentò asciugandosi la mano con un asciugamano, “Loki vuoi che ti aiuti io o…” Gli occhi della regina incontrarono quelli di Thor che se n’era rimasto in un angolo per tutto il tempo, “o preferisci che lo faccia tuo fratello.”
Loki avrebbe voluto annegarsi da solo, se avesse potuto scegliere.
Sua madre dovette indovinare il suo pensiero perché sorrise dolcemente, “non devi vergognarti, tesoro.”
Loki non replicò, abbassò solo lo sguardo indeciso su cosa gli provocasse meno noia, se l’idea che sua madre dovessi prendersi cura di lui come se fosse un disabile o un lattante, o se lasciare che un simile onore passasse a magnifico, e decisamente poco adatto a questo genere di mansioni, Thor.
Il dio del tuono s’irrigidì un attimo quando gli occhi verdi di Loki si voltarono nella sua direzione e sua madre annuì senza commentare la sua scelta in alcun modo. “Thor, sii gentile,” la regina ammonì il maggiore dei suoi figli che annuì velocemente, mentre la madre gli spiegava brevemente cosa sarebbe stato meglio usare per pulire nel modo più indolore possibile le ferite di Loki. Li lasciò soli solo dopo aver posato un’ulteriore carezza tra i capelli corvini del più giovane e, quando la porta si richiuse, Thor rimase a temporeggiare passando il peso del corpo da un piede all’altro. Loki non dovette esaminarlo troppo per intuire il suo disagio e, non con poca fatica, tentò di alzarsi dalla sedia. Thor gli fu subito accanto, “no, no e no!” Esclamò con un po’ troppo impeto e quando posò una mano sulla spalla del fratello minore per tenerlo fermo, Loki spalancò gli occhi, accucciandosi contro la spalliera dell’enorme sedia, come se volesse passarci attraverso. Il terrore nel suo sguardo ferì Thor più di mille pugnalate nello stomaco, “non voglio farti del male,” disse con espressione esterrefatta, come se quelle parole non esprimessero altro che un’ovvietà.
Per Loki non doveva essere altrettanto scontato perché seguì con paranoica attenzione ogni movimento della mano di Thor finché non si limito a posarsi sull' avambraccio stringendo appena le dita, “ti aiuto io, appoggiati a me,” il più giovane non poté opporre alcuna resistenza mentre l’altro lo sollevava in piedi con inaspettata gentilezza invitandolo ad aggrapparsi alle proprie spalle, “devo toglierti i vestiti.”
Loki alzò gli occhi verdi per incontrare quelli blu del fratello, Thor non seppe dire se quel che vi lesse fosse timore, vergogna o semplice disgusto, “voltati,” propose, “sì, così non sarai costretto a guardarmi.”
Loki annuì ubbidendo quanto più velocemente poteva.
Thor non capiva, aveva dato per scontato che suo fratello avrebbe scelto la madre per farsi accudire. Non sembrava nutrire alcun rancore nei suoi confronti e Frigga possedeva la pazienza e l’amorevolezza necessaria a far sentire Loki al sicuro in quel momento tanto delicato. Una madre che si prendeva cura del figlio creduto perso per sempre, sembrava una cosa naturale. Un sospiro stanco sfuggì dalle labbra di Loki quando si ritrovò con la schiena appoggiato contro il petto del suo peggiore nemico, le mani calde e forti di Thor strette sui suoi fianchi per non farlo cadere. Loki si adoperò a slacciare i pochi bottoni che erano rimasti sui suoi vestiti, Thor lo aiutò a liberare le spalle e le braccia ben attento a non lasciarlo mai andare. Fu più semplice con i pantaloni, caddero a terra non appena Loki ebbe finito di disfarsi della cintura logora.
“Oh, Loki…” Qualunque pensiero Thor volesse esprimere morì ancor prima di essere tramutato in parole. Loki chiuse gli occhi e si morse il labbro inferiore come se questo bastasse a nascondere se stesso e il corpo che portava ancora i segni di tutte le agonie che aveva dovuto subire. Non poteva vedere l’espressione di Thor, ma se avesse avuto il coraggio di voltarsi avrebbe visto in quegli occhi blu tutto il dolore che può provocare un cuore che s’infrange.
“Non volevi che nostra madre vedesse tutto questo,” mormorò Thor osservando tutti i punti in cui la pelle era stata dilaniata, squarciata, persino strappata. Le ferite dovevano essere vecchie di almeno due anni ma era come se fossero state inferte solo il giorno prima tanto era fresco il sangue che macchiava la pelle candida. Thor si sentì gelare: quante volte si erano riaperte nel corso del tempo? Il corpo di Loki era ridotto in quello stato mentre lui e i suoi compagni lo combattevano per salvare Midgard?
Sospirò pesantemente cercando d’ignorare il nodo alla gola che gli impediva di respirare. Posò un bacio tra i capelli corvini di Loki e poi vi poggiò la fronte, “che cosa ti hanno fatto?” Quasi singhiozzò, “che cosa ti hanno fatto?”
Loki avvolse le braccia intorno al proprio corpo in un inutile tentativo di coprire lo scempio che portava addosso, solo dopo tentò di recuperare le sue vesti. “No, no, no…” Mormorò gentilmente Thor tenendolo fermo, “non coprirti, non vergognartene. Non devi! Specialmente, non di fronte a me!”
Senza volerlo, si ritrovarono nuovamente faccia a faccia. Loki era nudo, indifeso e privo di barriere di fronte all’ultima persona che avrebbe dovuto vederlo così! Cercò di divincolarsi ma Thor lo strinse a sé in un implacabile senso di protezione, “non nasconderti da me,” era quasi una preghiera, “ti aiuterò a nasconderti da chiunque vorrai. Manterrò tutti i tuoi segreti, ma non nasconderti da me!”
Loki non parlò, non emise un suono, smise semplicemente di divincolarsi e Thor decise che se lo sarebbe fatto bastare, per ora.
 

[Asgard, secoli fa]

Odino fissava il cielo azzurro sopra di lui inebriandosi della semplice pace che lo circondava in quel piccolo angolo di paradiso, lontano dalle mura dorate del suo palazzo e della sua città. “Vederti così pensieroso dopo aver giaciuto con me è quasi un’offesa, Odino,” il principe sorrise voltando lo sguardo verso la fanciulla stesa accanto a lui, “non sono pensieroso, Jӧrd. Piuttosto, mi definirei piacevolmente soddisfatto.”
“Così va meglio,” rispose la giovane dai lunghi capelli biondi, “deduco che i miei servigi non sono più richiesti,” non c’era nessuna particolare emozione nella sua voce. Era questa sua freddezza che l’aveva resa l’amante prediletta del principe: nessun falso sentimentalismo, nessuna stupida fantasia romantica, tutto era facile tra loro. Jӧrd era troppo selvaggia e ribelle per pensare di unirsi stabilmente a qualsiasi uomo e Odino era troppo giovane anche solo per pensare alla definizione della parola unione.
“Aspetta,” disse lui afferrandole gentilmente un braccio ed invitandola a stendersi accanto a lui sul mantello rosso che era diventato il loro giaciglio in quell’ennesima, fugace ma non altrettanto segreta avventura erotica, “non ho detto che abbiamo finito.”
Jӧrd rise, “piccolo moccioso viziato, egoista e sfacciato.”
Odino continuò a sorridere senza curarsi delle sue parole, “sono il principe, posso ottenere tutto quello che voglio.”
La fanciulla scosse la testa ma non oppose resistenza mentre il suo giovane amante la bloccava a terra dolcemente col peso del suo corpo, “arriverà il giorno in cui qualcuno ti farà combattere per ciò che desideri, mio principe. E quel giorno, penso che l’intera corte si divertirà un sacco.”
“Ma quel giorno non è oggi, mia adorata,” replicò Odino impedendole di rispondere con un bacio tanto passionale da spezzarle il fiato.
 
“Una volta i guerrieri giacevano con le loro fanciulle dopo una vittoria,” commentò Frigga sarcastica, mentre Odino andava avanti e indietro per la stanza mettendo insieme ciò che gli serviva per il viaggio su Jotunheim, “non il contrario.”
Il principe le sorrise, “tutta questa gelosia mal celata è adorabile Frigga, sul serio.”
“Sei sempre stato un povero illuso, Oden e sempre lo sarai.”
“Non è che lei abbia tutti i torti,” commentò Loki con un mezzo sorriso controllando che il principe ereditario non stesse dimenticando nulla d’indispensabile, “tuo padre si è lamentato della totale indiscrezione.”
“Non ci ha visto nessuno!”
“No, siete solo spariti insieme,” Loki sospirò, “il re teme che il suo primogenito possa sfornare più figli illegittimi ora di quanti eredi concepirà una volta divenuto re.”
“Sciocchezze!” Odino esclamò divertito, “so quello che faccio quando lo faccio e Jӧrd è abbastanza sveglia e talentuosa da non far capitare incidenti.”
“Già!” Esclamò Frigga scuotendo la testa, “proprio sveglia e talentuosa non ci sono dubbi!”
Odino le lanciò un’occhiata genuinamente confusa e Loki rise sommessamente, “va bene, cospiratori! Posso sapere che diabolico pensiero vi è passato per la testa in contemporanea?” Domandò il principe vagamente annoiato guardando il fratello, perché Frigga non si sarebbe mai degnata di rispondergli. “Frig pensa che un bel giorno Jӧrd darà alla luce il tuo primogenito sostenendo che non si è trattato d’altro che di un incidente di percorso,” spiegò Loki.
Frigga fece una smorfia, “e indovinate chi sarà l’unico a crederci?”
Odino fece un gesto esasperato camminando verso la porta, “siete diabolici, ecco cosa siete!”
“E tu il principe degli ingenui!” Replicò Frigga andandosene stizzita, mentre Loki seguiva il fratello con le labbra piegate in un mezzo sorriso.
 

[Jotunheim, nello stesso momento.]

“Che… Che ne pensi?” Per la prima volta da quando lo conosceva sentiva una nota d’incertezza nella sua voce. E l’avevano conosciuto per tutta la sua vita.
“Penso che sei perfetto,” rispose, “come sempre, del resto.”
“Non prenderti gioco di me,” adorava quella falsa modestia.
“Non oserei mai e tu lo sai bene.”
“Ma non sono abbastanza perfetto da ingannarli.”
“Non essere così severe con te stesso. Il principe porta sempre con sé uno dei nostri scarti, si nasconde dietro una perfetta maschera creata da Odino in persona ma non può ingannare il suo stesso popolo.”
“Assomiglio ad uno scarto? È questo che stai cercando di dirmi.”
“Non lasciare che la tua insicurezza oscuri la tua capacità di comprensione.”
“Io non sono insicuro!”
“Non mentire,” lo supplicò, “menti a chi vuoi. A tuo padre, all’intero regno, menti ad ogni singolo Aesir che incontrerai sulla tua strada, compreso il loro principe. Ma, ti prego, non mentire mai a me. Io ho bisogno di fidarmi di te e tu hai bisogno di qualcuno di cui fidarti, abbiamo bisogno l’uno dell’altro.”
Un sorriso, troppo caldo perché appartenesse a quel mondo di ghiaccio, “abbiamo bisogno l’uno dell’altro. Ci apparteniamo a vicenda, dopotutto. Ci siamo scelti, ci siamo voluti.”
“Non hai idee di quanto ti voglio ancora, ancora e ancora.”
Una risata, “anche così?”
“Sempre e per sempre. È un legame che non può essere spezzato nemmeno dagli dei.”
“Nemmeno dagli dei.”
 
“E chi sarebbe questo Fàrbauti?” Chiese Odino ben attento che il suo cavallo non scivolasse a causa della neve e del ghiaccio che ricopriva la pianura. Loki sospirò, “è uno dei guerrieri più forti di questo mondo, Oden. E quando intendo forte, mi riferisco al fatto che un giorno sarà re di Jotunheim quando tu sarai re di Asgard,” ripeté per l’ennesima volta spostando il proprio cavallo accanto a quello del fratello. Odino inarcò un sopracciglio, “mi mandano il principe in persona da sconfiggere?”
“Non è detto che tu possa sconfiggerlo, Oden, non essere così sicuro di te!” Esclamò Loki, “è pericoloso contro un nemico come lui.”
“È il principe o non è il principe?” Domandò Odino ignorando completamente l’avvertimento dell’altro.
Loki sbuffò, “no, non lo è,” rispose, “ma ne è il compagno. È il futuro consorte reale, è poco più grande di me che io sappia.”
“Mi mandano per avversario un moccioso!”
“Più alto di te di un metro!” Replicò Loki vagamente annoiato, “e se non ti ricordassi quanti anni hai, siete più o meno coetanei.”
“Ma non avrà mai combattuto una guerra in vita sua!”
“Perché? Tu sì?”
 

[Asgard, qualche ora dopo.]

Nessuno ebbe il che minimo sentore di quando stava per accadere quel giorno.
E chi avrebbe dovuto preoccuparsi di niente? Il principe ereditario era stato sfidato in un duello amichevole da uno dei giovani e più promettenti guerrieri di Jotunheim. Nulla di tutto ciò faceva notizia, persino Frigga si era rifiutata di seguire Odino e Loki ben consapevole che, alla fine, si sarebbe ritrovata ad assistere all’ennesima rissa da cui il principe sarebbe uscito ammaccato e vincitore. Seduta nella sua camera con un libro tra le mani, la fanciulla scosse la testa al pensiero di Odino che s’inventava un lungo e insopportabile vaneggiamento riguardo la sua ultima, gloriosa.
Il povero Loki si sarebbe sorbito l’intero processo in completa solitudine e questo la faceva sentire un po’ in un colpa. Ma solo un po’!
Roteò gli occhi quando la porta della sua camera si aprì senza preavviso, sbattendo contro il muro e rimbalzandovi contro. Chiuse gli occhi aspettando che Odino cominciasse la sua solita, noiosa solfa prima ancora di rendersi conto che Frigga non ne era lontanamente interessata. Ma ciò non accadde.
Chiunque fosse entrato nella sua camera, non aveva portato con sé altro che un pesante silenzio.
Confusa, sbirciò oltre il libro con cui si era coperta il viso: Loki era di fronte a lei, il fiato corto e i capelli sulla fronte madidi di sudore, “Fr-Frig…”
“Loki!” Esclamò lei alzandosi immediatamente in piedi e avvicinandosi all’amico, “che succede? Che è successo? Dov’è Oden?”
Loki cercò di rispondere ma dovette prendere tre respiri profondi prima di riuscire a parlare nuovamente, “Fàrbauti…” Mormorò debolmente, “lui e Odino…”
“Cosa?” Chiese Frigga con urgenza, “lui e Odino cosa?”
“L’ha scaraventato fuori dall’arena!” Esclamò Loki alla fine, “stavano combattendo e poi… Odino è letteralmente volato via, lontano, tra i ghiacci. L’ho cercato per ore, Frigga! Devi credermi, non ce n’è più traccia in giro!”
Lo sguardo di Frigga si oscurò di colpo, “e il re?”
“Non sapeva nulla nemmeno della nostra partenza, non mi ascolterebbe mai. Se siamo fortunati penserà che sono stati io stesso a provocare la sua sparizione!”
“Va bene,” Frigga annuì velocemente, “gli parlerò io.”
“Cosa?” Loki sgranò gli occhi, “conosci il re! Potrebbe punire entrambi e…”
“Oh, ma lui non saprà mai che tu eri lì!” Replicò lei. “No! No! No, Frig! Mi rifiuto!” Replicò Loki quasi con astio, “io ho assecondato Odino, tu…”
“Sappiamo entrambi che il re avrebbe un occhio di riguardo nei miei confronti,” lo interruppe Frigga accennando un sorriso, “nessuna sa che me ne sono stata qui per le ultime ore, nessuno saprà mai niente.”
“Il re non ti crederà mai.”
“Sarà costretto a farlo!”
“Come?”
“Non lo so! Ma dubito che sprecherà tempo a cercare indizi su chi era o chi non era su Jotunheim, quando il suo erede prediletto è disperso tra i ghiacci eterni non ti pare?”
 

[Jotunheim, nello stesso momento.]


Per un momento, Odino credette seriamente di essere morto.
Poi, si rese conto che, se lo fosse stato, la testa, la schiena e tutto il resto del corpo non gli avrebbero fatto così dannatamente male. “Maledizione…” Imprecò tra i denti cercando di capire ad occhi chiuse se tutti gli arti erano al loro posto e se poteva sollevarsi dalla dura e gelide superficie su cui era caduto. Cos’era successo? Era stato sconfitto? Oh! Adesso sarebbe tornato indietro e avrebbe dimostrato a tutti i presenti che non bastava così poco per sconfiggere il principe degli dei! Doveva solo… Solo…
Tirarsi a sedere non fu una grande impresa, ma, quando tentò di rimettersi in piedi, un dolore insopportabile alla gamba destra lo fece cadere in avanti. Non poteva essere rotta, non doveva essere rotta… Non…Non… “Maledizione!” Urlò e la sua voce riecheggiò tra le pareti di ghiaccio che lo circondavano. Come fosse riuscito ad atterrare intero e vivo era qualcosa che proprio non si riusciva a spiegare.
Altrettanto assurdo fu ritrovare la spada ancora stretta nel suo pugno destro. Sospirò girandosi sulla schiena: non poteva dirsi disarmato perlomeno. Magra consolazione. Davvero, magra consolazione.
Chiuse gli occhi stancamente obbligandosi a placare l’immonda confusione che infuriava nella sua testa.
Il freddo e il dolore sembravano quasi invitarlo a perdere nuovamente i sensi, ma dubitava che sarebbe stato abbastanza fortunato da risvegliarsi una seconda volta. I fiocchi di neve continuavano a fiorargli il viso, un gelida e sarcastica carezza per il principe del mondo dorato. Il corpo comincio a rilassarsi e i sensi a concentrarsi su ciò che potevano percepire nei paraggi.
Una voce che chiamava il suo nome, la voce di Loki magari. Un movimento, qualunque cosa!
Una presenza…
A stento fu in grado di registrare il movimento improvviso del suo corpo ed il dolore che questo provocò. Non fu in grado di controllarlo, come un cacciatore naturale non può controllare il proprio istinto predatorio. Una percezione sospetta, un impulso e la natura da guerriero di Odino aveva avuto la meglio sul resto. Un terzo della lama aveva trafitto la parete di ghiaccio, l’elsa ancora stretta nel suo pugno.
Il principe aveva il fiato corto, come se avesse smesso di correre appena un istante prima.
Il battito accelerato del cuore tornò regolare gradualmente.
La luce della ragione tornò ad illuminare gli occhi blu, mentre l’espressione feroce lentamente diveniva una maschera di confusione e stupore. Dal filo della spada cadde una singola goccia di sangue che sulla neve  sembrò quasi brillare tanto era il contrasto tra la superficie candida e il rosso vivo. Odino si ritrovò a fissarla quasi incantato, poi risalì il solco che la spada aveva provocato trapassando la parete di ghiaccio, incontrò la lama con lo sguardo e la seguì fino al punto in cui era stata macchiata di cremisi.
Quella fu la prima volta che li vide, quegli occhi verdi e, come era accaduto per la goccia di sangue, sembrarono risplendere di luce propria in tutto quel candore che li circondava. In un primo momento, Odino vide solo quelle iridi dal colore impossibile e fu più che sufficiente per perdere temporaneamente il contatto con la realtà.
Solo in un secondo momento vide il viso dalla pelle tanto pallida e liscia da sembrare fatto di porcellana ed i corti capelli corvini che lo incorniciavo. Ad Odino ricordarono vagamente i lunghi capelli neri di sua madre, un colore tanto perfetto che nessuno poteva vantarne uno simile in tutta Asgard. Nessuno.
Il pensiero lo fece sorridere involontariamente e la creatura abbassò lo sguardo smeraldino timidamente.
“Non volevo farti del male,” mormorò immediatamente il principe, “non volevo nemmeno spaventarti, ti chiedo perdono.”
Gli occhi verdi si alzarono timidamente per incontrare di nuovo i suoi e solo allora Odino notò il graffio sulla guancia destra che insozzava quel viso tanto surreale ai suoi occhi. “Oh, perdonami!” Disse sinceramente costernato estraendo la spada alla parete di ghiaccio e gettandola a terra, “mi hai preso di sorpresa, capisci? Pensavo fosse… Non importa, ci penso io.”
Odino fece per toccare la guancia offesa ma la creatura si ritrasse contro la parete di ghiaccio, come se l’avesse minacciato con l’arma di cui si era appena disfatto. “Posso aiutarti,” spiegò il principe accennando un sorriso, “posso guarire quella ferita, se me lo permetti. Non è mia intenzione farti del male, te lo giuro.”
La creatura sembrò comprendere e, al secondo tentativo di Odino, non fece nulla per  allontanarsi. Una scintilla dorata fuoriuscì dalle dita del principe e in un batter d’occhio il graffio era sparito e la pelle era di nuovo intatta e perfetta. “Visto? Non ti ho fatto male,” disse Odino, mentre la creatura si toccava la guancia sperimentalmente.
Quando tornò a fissare il principe c’era una sfumatura d’ingenua sorpresa nella sua espressione e Odino non poté fare a meno di pensare che fosse adorabile in modo irresistibile. Poi, lo sguardo gli cadde sull’intera figura di quello strano fanciullo e il sorriso sparì dal viso del principe in meno di un secondo.
L’altro se ne accorse e guardò il proprio corpo. Un secondo più tardi si raggomitolò su se stesso quando poteva e si spinse contro la parete di ghiaccio facendo l’impossibile per non incontrare gli occhi blu dell’altro, come se si fosse accorto della sua nudità solo in quel momento. Se Odino fosse stato nelle sue piena facoltà motorie si sarebbe voltato e allontanato con discrezione, ma, visto lo stato in cui versava la sua gamba, non poté fare altro che allontanare lo sguardo.
“Tieni,” disse dopo poco porgendo alla creatura il proprio mantello, “non ho altro con me, ma dovrebbe essere sufficiente per coprirti.”
Il fanciullo dagli occhi verdi esitò, poi accettò l’offerta stringendo la stoffa scarlatta con le piccole dita.
“È caldo…”
Odino impiegò un minuto buono per capire chi aveva parlato ma non osò alzare lo sguardo prima che l’altro si fosse coperto, “hai detto qualcosa?” Chiese incerto. La creatura sorrise, “il tuo mantello è caldo,” ripeté più chiaramente e Odino quasi sobbalzò, “oh, sì…”
Il fanciullo rise appena, “non eri così timido un attimo fa.”
“Avevo pensato che non capissi una parola di quello che stavo dicendo,” ammise il principe con naturalezza. “Questo popolo comprende la tua lingua, no?” Gli fece notare l’altro.
“Sì, ma tu non hai proprio l’aspetto di qualcuno che appartiene a questo mondo.”
La creatura abbassò gli occhi con un sorriso enigmatico, “forse non sono uno qualunque.”
“Questo è poco ma sicuro!” Esclamò Odino con un sorriso compiaciuto, poi si rese conto di quanto aveva detto e arrossì terribilmente simulando un paio di colpi di tosse. Il fanciullo rise.
“Qual è il tuo nome?” Domandò il principe.
La creatura si rabbuiò appena, “mi ha appena aggredito con una spada e non so nemmeno chi sei. Non credo sia saggio dirti il mio nome, no?”
Odino sorrise, “posso essere chiunque tu vuoi che io sia, per degli occhi come i tuoi.”
Il fanciullo non replicò, piacevolmente sorpreso da una simile risposta, “e qual è il prezzo per un simile previlegio?”
“Solo un nome. Il tuo nome.”
L’ultima esitazione del ragazzo dagli occhi verdi s’infranse contro un sorriso spontaneo, “Nàl…” Mormorò, “il mio nome è Nàl.”

***

Varie ed eventuali note:
Gente, vi ringrazio infinitamente per le recensioni. Questo capitolo è decisamente più lungo e spero che rispetti le aspettative di tutti voi. Qui di seguito lascio qualche nota per eventuali confusioni che potrebbero crearsi nell’identificare i personaggi.
Loki di Utgard. Dunque, qui la faccenda è parecchio complessa. Cercherò di essere il più chiara possibile. Qualcuno forse sa che Loki nella mitologia fa un patto di sangue con Odino che crea tra loro una sorta di legame fraterno. “Loki di Utgard” in realtà è un secondo Loki (un personaggio completamente diverso) che è presente sia nel comic che nella mitologia (ma non ho molti dettagli del suo ruolo in nessuna delle due versioni). In quanto mi piace abusare della mitologia altrui, qui il ruolo di “Loki-Mitologia” e “Loki-Utgard” si è fuso dando vita ad un singolo personaggio da NON confondere con “Loki-Dio-Del-Caos” che continua ad essere basato solo e unicamente sul Movieverse e appare solo nelle scene del presente (in quanto in quelle passate non è ancora nato).  Spero di non aver creato più confusione di quanta ce ne fosse prima, in caso chiedete pure chiarimenti e vi saranno dati.
Borr & Bestla, sono i reali genitori di Odino e degni fratelli secondo la versione mitologica originale.
Jord, è la dea della terra non civilizzata, personaggio sia della mitologia che del comic (ed in entrambi è la madre naturale di Thor, ma su questo punto continuerò a basarmi sul film).
Fàrbauti, in questo capitolo è appena accennato, ma ve lo presento per il futuro. Nella mitologia è ufficiale che si tratti del PADRE di Loki, nel comic viene citato come uno dei suoi genitori naturali ma personalmente non possiedo ulteriori informazioni sul suo ruolo.
Oden, in realtà è solo un altro modo per traslitterare Odin, qui ha la funzione di soprannome alla stregua di Nàl per Laufey.
Per ulteriori informazioni più chiare e specifiche delle mie googlate i nomi in grassetto, ve lo consiglio.
 

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Capitolo 4
*** Complice ***


Avvertenze: riferimenti ad abusi nella penultima scena.

3
Complice

[Asgard, oggi]

Da che ricordava, la torre nord era stata sempre usata come una sorta di ripostiglio a più piani. Troppo piccola perché vi si potesse allestire un’area per la corte, troppo distante dalle aree principali del palazzo dorato. Thor e Loki solevano andarci da bambini, ancora troppo piccoli per esplorare il mondo esterno, ma troppo grandi per rimanere a gironzolare tra le loro stanze e quelle della madre. Nessuno li avrebbe disturbati lì, nessuno li avrebbe sgridati perché, in fin dei conti, non vi era nulla di così pericoloso tra quegli scaffali ricoperti di polvere e ragnatele. Tuttavia, Frigga aveva sempre proibito loro di andarci a giocare perché, isolata com’era quella zona, se entrambi si fossero ritrovati disgraziatamente nei guai, nessuno gli avrebbe sentiti. Non aveva importanza quanto forte avrebbero potuto gridare.
Vista da quella prospettiva, la seconda parte della punizione di Odino, a Thor ricordava tanto un esilio forzato, “io non riesco a capire per quale motivo non lo possiamo trasferire nelle sue stanze.”
Frigga sospirò pesantemente passandosi una mano tra i capelli biondi con aria stanca, “Thor, cerchiamo di non lamentarci delle decisioni di tuo padre. È pur sempre meglio di una cella e noi due possiamo avervi accesso liberamente.”
Thor diede un’ulteriore occhiata alla stanza circolare, semi-buia e polverosa. C’erano tre piccole finestre in tutto, poste talmente in alto che persino lui avrebbe avuto bisogno dell’ausilio di una sedia per aprirle e Loki a stento riusciva a reggersi in piedi autonomamente. Lui e sua madre avevano allestito l’ultimo piano in modo tale che sembrasse una camera. Piccola, umile, un po’ triste ma pur sempre una camera.
Loki non aveva protestato in alcun modo quando Thor l’aveva condotto su per le scale della piccola botola che fungeva da unica entrata alla stanza. Si era guardato intorno per un minuto abbondante, poi si era avvicinato lentamente al piccolo letto nell’angolo e vi si era seduto sopra fissando il pavimento.
Il disagio che Thor provava di fronte a quel muro di perenne silenzio, lo rendeva incapace di reagire degnamente il più delle volte. Si sentiva come una ragazzino impacciato che cercava di attirare l’attenzione di una persona importante per la prima volta. Thor non aveva mai avuto bisogno di attirare l’attenzione di nessuno e non sapeva bene da dove cominciare.
“Non abbiamo portato via i libri,” spiegò accennando un timido sorriso e Loki gli concesse uno sguardo, sebbene privo di qualsiasi luce o interesse, “abbiamo cercato di liberarli dalla polvere e li abbiamo lasciati al loro posto. È una magra consolazione, lo so, ma hai sempre amato i libri.”
Loki lanciò un’occhiata ai numerosi volumi in parte ordinati su un paio di librerie e in parte disposti ordinatamente in colonne sul pavimento. “Posso restare qui tutto il tempo che vuoi,” disse Thor gentilmente ma Loki fece finta di non sentirlo superandolo in silenzio per studiare una serie di volumi che sembrava aver attirato la sua attenzione, “non c’è molto da fare qui, ora… Io non ho voglia di fare nulla, almeno, non riesco più a dargli un senso.”
Un tuono sembrò quasi far tremare l’intera struttura, Loki sobbalzò e lanciò a Thor un’occhiata storta colpevolizzandolo in silenzio. Il maggiore rise appena, “perdona il mio cattivo umore.”
Loki scrollò le spalle prendendo un libro tra le mani ed esaminandolo con interesse per pochi secondi, per poi gettarlo a terra con aria annoiata. Thor sbatté le palpebre un paio di volte, “quelli che non ti piacciono puoi metterli in un angolo, me ne sbarazzerò e te ne porterò degli altri, così…”
Il secondo libro cadde pericolosamente vicino al piede destro di Thor e, se Loki non gli avesse rivolto le spalle tutto il tempo, avrebbe giurato che l’avesse fatto intenzionalmente. “Sai, ci sono dei libri da Midgard che potrebbero…” Il terzo libro atterrò direttamente sulla sua testa e quando Thor riaprì gli occhi sbigottito, portando una mano sulla parte lesa, Loki lo fissava con uno sguardo carico di odio e rabbia. Thor sospirò stancamente, “che cosa ho detto adesso?”
Per tutta risposta, Loki afferrò un altro volume e, senza nemmeno degnare la copertina di uno sguardo, lo lanciò in direzione di Thor che questa volta lo afferrò prontamente, “Loki, adesso bast…”
Il principe ereditario non fece in tempo a finire la frase che un quinto libro lo colpi direttamente sul naso facendolo indietreggiare di un paio di passi. “Vuoi picchiarmi?” Bofonchiò con gli occhi lacrimanti a causa del dolore, “va bene, picchiami! Fammi male, se ti fa sentire meglio!”
Il mondo aveva imparato presto quanto fosse pericoloso provocare il principe Thor ma il principe Thor aveva imparato solo di recente quando fosse rischioso provocare il fratello minore. Peccato che tendesse a dimenticarlo troppo facilmente.
Thor dovette schivare almeno altri tre o quattro volumi mentre tentava di avvicinarsi a Loki che, trovandoselo a portata di mano, decise di passare al combattimento corpo a corpo. “Basta!” Esclamò Thor mentre Loki lo prendeva a pugni, mettendoci maggior forza ogni volta che riscontrava un effetto nullo sull’avversario, “Loki, non puoi fare sforzi eccessivi! Fermati!”
Loki replicò tentando di dargli uno schiaffo ma, a causa di un movimento improvviso di Thor, si trasformò in un graffio. Entrambi si bloccarono completamente per una manciata di secondi, fissandosi l’un l’altro allibiti.
Inutile dire che il danno arrecato a Thor era in sé per sé quasi ridicolo ma Loki si ritrovò a fissare le proprie dita sporche di sangue come se ai suoi occhi fosse uno spettacolo impossibile da sopportare.
Thor portò subito una mano al viso di Loki vedendolo impallidire di colpo, “Fratello…?”
Un istante dopo, Loki si piegò su se stesso riversando sul pavimento qualsiasi cosa il suo stomaco avesse deciso di espellere.  

“Non credo che ci sia una causa fisica specifica,” commentò sua madre più di mezz’ora più tardi, dopo che la servitù si era preoccupata di ripulire il pavimento della nuova stanza di Loki, “c’è qualcosa che ti ha infastidito, tesoro?” Frigga chiese amorevolmente sedendosi sul letto accanto al figlio minore che se ne stava accucciato nell’angolo tra la tastiera del letto ed il muro. Loki la guardò ma rimase in silenzio e Thor sospirò stancamente, “dubito che sia per paura di avermi fatto male, giusto?” Domandò indicando i graffi sulla sua guancia che avevano smesso di sanguinare e sarebbero guariti presto.
Loki si limitò a lanciargli un’occhiata glaciale, poi tornò a fissare il vuoto.
Frigga sollevò la brocca appoggiata sul comodino lì accanto e vi riempì il bicchiere posto a poca distanza, “tieni, Loki, devi bere qualcosa o le contrazioni allo stomaco peggioreranno.”
Thor osservò suo fratello accettare il bicchiere e berne metà del contenuto, sua madre lo riprese quando capì che Loki non avrebbe bevuto un sorso di più, “te la senti di mangiare qualcosa?” Domandò speranzosa, ma l’altro scosse la testa raggomitolandosi ancora di più su se stesso.
“Loki, devi mangiare o la febbre non si abbasserà mai e il tuo corpo diverrà sempre più debole,” obbiettò Thor con una certa fermezza che suo fratello decise d’ignorare totalmente. “Thor ha ragione, tesoro,” gli diede man forte sua madre cercando di far ragionare il minore dei suoi figli, “non vogliamo che ti sforzi più del dovuto, questo provocherebbe solo danni ulteriori, ma devi provare.”
“In alternativa, possiamo lasciarti nelle mani dei curatori,” propose Thor mal celando la minaccia nascosta in quelle parole. Loki sgranò gli occhi guardando il fratello con uno sguardo di puro terrore.
“Probabilmente preferisci farti aiutare da loro, piuttosto che da noi.”
“Thor…” Mormorò confusa Frigga afferrando il polso destro del figlio maggiore per calmarlo, ma fu inutile.
“Non era l’amore quello che dicevi di non avere?” Domandò Thor con ira crescente mentre Loki si spingeva sempre di più contro il muro, “guarda tua madre, Loki! Guardala mentre si distrugge per te e tu non fai che ripagarla con i tuoi rifiuti e il tuo stramaledetto silenzio!”
“Thor!” Frigga afferrò il figlio per un braccio trascinandolo con poca grazia verso la botola e costringendolo a scendere al piano inferiore. “Mi vuoi dire che cosa ti è preso?” Domandò furibonda dopo essersi premurata di aver chiuso l’accesso alla camera soprastante, “non basta tuo padre a fargliela pagare torturandolo?”
Thor la guardò come se si fosse svegliato da un sogno di soprassalto.
“Sto aspettando una risposta, Thor!” Esclamò Frigga senza lasciare la presa sul figlio, “cosa pensi di ottenere minacciandolo? Come credi che…”
“Ha delle ferite aperte in tutto il corpo,” confessò Thor senza nemmeno pensare a quanto stava dicendo, come se a parlare non fosse lui, come se qualcun altro stesse usando la sua bocca e la sua voce al suo posto. L’ira di Frigga scomparve e venne sostituita da un’espressione di puro orrore, “che cosa hai detto?”
Thor abbassò il capo, come un bambino colto a fare qualcosa che gli è sempre stato proibito, “non ha voluto che tu lo aiutassi a fare il bagno perché non voleva che tu vedessi in che stato è ridotto il suo corpo,” spiegò lentamente, in modo che sua madre non gli chiedesse di ripetere, “o forse l’ha fatto per mostrarle a me e farmi sentire in colpa più di quanto non mi ci senta da solo. Sa bene che basta poco per farmi male, se si sa dove colpire. E Loki sa ogni singolo punto in cui bisogna colpire per distruggermi dentro.”
“Thor…” Sua madre gli prese il viso tra le mani, “parlami di quelle ferrite.”
Il principe sospirò pesantemente, “le ho pulite, le ho medicate. Sono un guerriero, questo so farlo ma non ho la minima idea di come poterle guarire. Serve un guaritore per questo o qualcuno che sappia usare bene la magia e non è decisamente il mio campo.”
Frigga annuì, “ho capito.”
“Madre,” Thor le afferrò i polsi con urgenza ma senza farle male, “se ora entri in quella stanza e decidi di aiutarlo…”
“Non ho intenzione di far finta di nulla, Thor.”
“Lo so ma, forse, io posso…”
“No,” Frigga scosse lentamente la testa, “serve tempo per imparare certe arti, Thor. Tuo fratello ha bisogno di qualcuno che lo possa aiutare davvero, non solo di qualcuno che ci voglia provare. Non sarebbe sufficiente, capisci?”
“Madre, non credo che tu voglia vedere quello che ho visto io,” Thor si oppose con forza, “te l’ho detto. L’ha fatto per punire me e, credimi, c’è riuscito.”
Frigga chiuse gli occhi e si morse il labbro inferiore, “Ho bisogno di sapere dove sono, nel caso lui cerchi di nascondermele.”
Thor trattenne il fiato per un istante, “ovunque,” mormorò alla fine, “su tutto il suo corpo, madre.”

Entrambi decisero che sarebbe stato molto più facile se Thor se ne fosse rimasto di sotto ad aspettare per tutto il tempo. Così, il dio del tuono non seppe mai cosa sua madre disse a suo fratello per convincerlo a farsi aiutare, ma le grida di dolore che seguirono non sarebbe riuscito a dimenticarle tanto facilmente. Non seppe quante volte si ritrovò con la mano stretta intorno alla maniglia della botola e quante volte dovette costringersi a lasciarla andare e allontanarsi di qualche passo. Smise di contare anche i minuti o avrebbe dovuto realizzare che si erano tramutati in ore e sarebbe stato sufficiente a farlo impazzire.
Quando il silenzio regnò di nuovo sovrano, Thor non seppe se esserne lieto o terrorizzato. Se ne rimase seduto sul pavimento di pietra, come congelato. Dovette attendere ancora qualche minuto prima che sua madre decidesse di scendere le piccole scale di legno.
Thor non ebbe bisogno di chiedere nulla, l’espressione e la figura tremolante di lei furono più che sufficienti per indurlo a tacere. “Erano avvelenate,” mormorò la regina con una calma che non sapeva da dove le venisse, “per questo non si cicatrizzavano mai. Per aiutarlo ho dovuto fargli del male.”
Thor si alzò in piedi. Sua madre sembrava sul punto di collassare ma non riusciva a capire se fosse il caso di avvicinarsi o meno, “il sangue infetto aveva sporcato i vestiti,” continuò a spiegare Frigga, “li ho bruciati, ne farò portare degli altri.”
Thor annuì, insicuro su cosa dire o fare. “È estremamente debole, ora,” Frigga si asciugò velocemente una lacrima, “ho bisogno che tu resti con lui stanotte, ti prego.”
“Le preghiere non sono necessarie, madre,” rispose prontamente Thor correndo su per la botola senza ulteriori preamboli.
Un fuocherello assurdamente allegro scoppiettava nel piccolo camino sul muro opposto a quello del letto. Loki se ne stava disteso prono con gli occhi chiusi, sfinito, nudo e debole. L’unica cosa che riuscì a consolare Thor fu la visione di quella pelle pallida di nuovo intatta e priva d’imperfezioni.
Cercò di avvicinarsi senza far rumore, ma Loki socchiuse subito gli occhi puntandoli nella sua direzione. Thor non poteva giurarlo a causa della stanza semi-buia, ma credette di vedere suo fratello arrossire un poco. O, forse, era solo una conseguenza evidente della febbre alta. Nel dubbio, Thor afferrò il lembo della coperta tirandolo fin sopra le spalle di Loki che sembrò rilassarsi di nuovo.
Il maggiore accarezzò la schiena ora coperta del fratello ritrovandosi con quelle iridi verdi di nuovo addosso, “starai bene,” mormorò Thor inginocchiandosi accanto al letto, “starai bene.”
Non era ben chiaro chi stesse cercando di convincere.

[Asgard, secoli fa.]

Borr era un buon re.
Non era un’opinione artificialmente costruita o una convinzione senza solide basi, era la pura e semplice realtà. Il popolo lo amava, come aveva amato la sua bella regina e come amava suo figlio, il principe ereditario. Ma quel che accadeva tra le mura dorata del palazzo reale, era ben altra cosa.
Il buon re non poteva dirsi altrettanto capace nel ruolo di genitore.
Sebbene, agli occhi dei più, Borr apparisse come un modello di paternità esemplare, lui ed Odino non avevano mai perso un’occasione per scontrarsi. Caratteri troppo simili, caratteri troppo diversi, era difficile giudicare oggettivamente. La cosa certa era che con la mediazione di una moglie, di una madre, molte occasione di tensione tra loro si sarebbero anche potute evitare.
Ma non c’era posto per un po’ di saggezza femminile nella famiglia reale, c’era spazio solo per l’orgoglio di un uomo ormai giunto alla maturità e di suo figlio che della maturità e di tutte le sue implicazione non ne voleva proprio sentir parlare. Il popolo amava Odino, amava il modo in cui si mischiava ai giovani soldati della sua età al solo scopo di farseli amici, amava la sua sincerità, la sua solarità e il coraggio e l’orgoglio che dimostrava puntando a migliorarsi continuamente.
Il popolo non vedeva il moccioso ribelle ed arrogante che Borr aveva cercato inutilmente di plasmare sin dal giorno della sua nascita. Non vedeva il ragazzino dalle frivole passioni che avrebbe potuto riempire la corte di figli illegittimi, se solo il fato avesse deciso di tirargli un colpo basso. Non vedeva quel pericolo immenso dal potere incalcolabile e dalle idee pericolosamente suicide dovute ad una troppo intensa sete di gloria.
Il popolo vedeva il principe dorato.
Il re vedeva la possibile rovina di Asgard.
Per questo, quando Frigga e Loki entrarono nella sala del trono, chiuse gli occhi con fare esasperato attendendo che i due giovani lo informassero dell’ennesima catastrofe di cui Odino era causa e protagonista allo stesso tempo. Quel che accadde dopo sfuggì alla sua comprensione.
Col senno del poi, Loki e Frigga avrebbero pensato ad un caso fortuito concesso loro dal destino, poi avrebbero avuto modo di ricordarsi che il fato non concede coincidenze. Il re aveva appena dato loro il permesso di parlare, che il uno dei curatori era entrato senza permesso nella sala del trono informando il sovrano che il principe Odino si trovava nella sala della guarigione con una gamba rotta.
“Come ha fatto quell’idiota a tornare a casa sulle proprie gambe, quando una delle due è fratturata?” Fu la prima cosa che disse Frigga non appena il re se ne fu andato di corsa, completamente dimentico della presenza dei due giovani. “Oh, una gamba rotta sarà l’ultima dei suoi problemi quando il re lo vedrà,” commentò Loki scuotendo la testa amaramente.
“Allora perché ce ne stiamo qui impalati?!” Esclamò Frigga dirigendosi verso l’enorme portone dorato, “se il tragico momento in cui il re, in preda alla follia, uccide il figlio ribelle è arrivato, servirà qualche testimone che possa raccontare la storia!”
Loki sospirò rassegnato seguendo l’amica senza opporsi in alcun modo.

Odino era solito narrare a gran voce le sue gesta quando, alla fine di ogni sua avventura leggendaria, qualcuno lo trascinava nella stanza della guarigione, dove un gruppetto numeroso di giovani e belle curatrici era ben che lieto di ascoltarlo. Solo dopo, la sera stessa e le notti successive, Odino si sarebbe premurato di approfondire la loro conoscenza in privato.
Ma quel giorno non accadde.
Il principe non pronunciò neanche una parola, anzi, ignorò deliberatamente una o due giovani più audaci e sfacciate delle altre che tentarono, inutilmente, di attirare la sua attenzione. Quel giorno, a differenza di tutte le altre volte, Odino aveva portato qualcuno con sé e non sembrava sul punto di togliergli gli occhi di dosso molto presto.
Il bel fanciullo di Jotunheim, Nàl, non aveva esitato ad aiutarlo nel suo ritorno a casa, ma, non appena avevano messo piede nel mondo dorato, Odino era passato in secondo piano nei pensieri del giovane sconosciuto, troppo occupato ad incantarsi per interi istanti di fronte a tutto ciò poteva vedere intorno a sé.
Anche in quel momento, mentre Odino se ne stava sul letto della sua camera attendendo che le curatrici ricevessero ordini da suo padre, Nàl era seduto su di un’enorme poltrona accanto a lui ma la sua attenzione era rivolta altrove, lontano, oltre le alte finestre da cui si poteva scorgere Asgard in tutto il suo splendore.
“È bella, non è vero?” Domandò Odino in un ingenuo tentativo di riportare quei meravigliosi occhi verdi su di sé. Nàl sobbalzò appena, come se si fosse appena svegliato da un sogno. Odino si accorse con piacere che gli riusciva molto più facile studiare i suoi lineamenti e le sue espressioni ora che gli avevano fatto indossare dei vestiti degni di tale nome. “È diversa…” commentò Nàl con naturalezza e Odino inarcò un sopracciglio, “diversa da cosa?”
“Dal mio mondo,” chiarì Nàl con un mezzo sorriso, “sapevo che lo era, ma non ero mai riuscito ad immaginarmela così.”
“Ne sei deluso?” Fu curioso di sapere il principe. “No, assolutamente,” fu la risposta sincera che ricevette e ne fu soddisfatto. Odino si ritrovò a sorridere, “ ne sono lieto,” si sorprese di scoprire che era vero, che non si trattava di una replica nata al fine di guadagnarsi la simpatia di qualcuno e nulla più.
“Grazie per l’accoglienza,” aggiunse Nàl e abbassò un poco lo sguardo in segno di rispetto, “non me l’aspettavo, non per uno come…”
“Come te?” Odino rise, “avevo dieci anni quando ho raccolto il primo… Come li chiamano su Jotunheim? Ah sì, indegni, impuri, scarti… Hanno molti nomi per quelli come te.”
L’espressione di Nàl si raffreddò notevolmente ma Odino era troppo distratto per notarlo, “stavo dicendo: avevo dieci anni quando ho portato a casa un bambino da Jotunheim per la prima volta, era più giovane di me di pochi anni. Era piccolo, abbandonato, oserei dire che sarebbe morto se non l’avessi preso con me.”
Nàl annuì distrattamente.
“Non aveva un nome, lui ha deciso di chiamarsi Loki ed ora è la persona di cui mi fido di più al mondo.”
“Il tuo compagno?”
“Mio fratello!” Esclamò Odino ridacchiando, “ho deciso di stringere con lui un patto di sangue e lui ha accettato. Ci siamo scelti per essere la famiglia l’uno dell’altro e viceversa. Non esistono cose del genere su Jotunheim?”
“Tuo fratello non ti ha raccontato nulla del suo popolo?” Chiese Nàl seriamente interessato all’argomento. Odino scrollò le spalle, “era un bambino quando lo trovai. Prima di allora, era più sopravvissuto che vissuto realmente. Ricorda poche cose di quegli anni e, alle volte, mi racconta qualcosa della sua terra natale ma sono conoscenze vaghe, ricordi sbiaditi.”
“Non è mai stato curioso di apprendere di più?” Domandò Nàl con urgenza, “non ha mai voluto conoscere sul serio la propria gente?”
Odino scosse la testa sospirando, “Loki odia Jotunheim. È nato lì ma non l’ha mai considerato il suo mondo.”
Nàl artigliò istintivamente la stoffa dei pantaloni e distolse lo sguardo per celare un’espressione che rifletteva qualcosa di molto simile al rancore, “capisco…” Quasi sibilò.
“Vedrai che ti troverai bene qui!” Esclamò Odino con un entusiasmo da cui Nàl non riuscì a farsi contagiare, “potrai stare a corte, o posso trovarti un’abitazione in città… Ovunque vorrai! Non siamo soliti abbandonare nessuno, qui.”
“Non mi sognerei mai di abusare della tua cortesia,” replicò Nàl umilmente, “penso sia una decisione del tuo sovrano se accogliermi nel suo regno o no.”
Odino fece un gesto annoiato con la mano, “il sovrano si adeguerà, per quel che m’importa.”
Nàl inarcò le sopracciglia in un’espressione vagamente scandalizzata, “è permesso parlare in modo così avventato della volontà del proprio re, in questo luogo?”
“No,” ammise Odino con un sorrisetto furbetto, “ma ancora non ci sono leggi che vietino ai figli di entrare in conflitto con i propri padri.”
La luce della realizzazione illuminò gli occhi verdi di Nàl in meno di un istante, Odino sorrise ancor più intensamente. “Tu sei…” Mormorò il fanciullo, “tu sei…”
“Odino!” La voce irosa di re Borr fece sobbalzare i due ancor prima che la porta della stanza fosse aperta con particolare violenza, permettendo al sovrano di fare il suo ingresso. L’espressione del principe s’indurì notevolmente, mentre si tirava a sedere contro i cuscini del letto, “padre…” mormorò a mezza voce.
Il re attraversò la stanza con ampi passi, “spero vivamente che tu non abbia scatenato una guerra con la tua naturale arroganza o mi premurerò di risolvere la faccenda consegnandoti al re di Jotunheim entro l’alba.”
“Sono stato io l’unica a rischiare di morire in quell’arena!” Esclamò Odino già stufo di quelle vuote minacce, “se non fossi qui, la guerra saresti stato tu a dichiararla all’alba.”
“E rischiare un centinaio di soldati valorosi e nobili per vendicare il capriccio di un moccioso?” Domandò Borr velenoso, “no, Odino! Preferirei lasciare Asgard senza principi, piuttosto che vedere la sua gente dilaniata da una guerra per un figlio ingrato e indegno erede come te!”
Odino sbuffò incrociando le braccia contro il petto, “hai finito?”
Borr stava quasi per voltarsi ed andarsene, quando lo sguardo gli cadde sul giovane seduto alla destra del letto in cui giaceva suo figlio. “E lui chi sarebbe?” Sbottò e il fanciullo s’irrigidì nella sua posizione spaventato a morte. “È il giovane a cui devi la vita di tuo figlio!” Esclamò Odino sporgendosi verso Nàl con fare protettivo, “mi ha scortato fino a casa quando a stento ero capace di muovermi. Gli devo la mia vita e lo ripagherò rendendogli più facile la sua.”
Borr roteò gli occhi, “pensavo avessi smesso di raccogliere gatti randagi da Jotunheim, Odino.”
“Non è nei miei usi abbandonare i più sfortunati che incrociano il mio cammino.”
“Sei sempre stato armato di falsa benevolenza, Odino,” commentò Borr, “non sei capace di far qualcosa per qualcuno senza pensare ad un possibile guadagno. Basta vedere in che stato di schiavitù hai ridotto quel tuo sgorbietto.”
“Loki non è un mio schiavo!” Si oppose Odino con rabbia, “è mio fratello. Il legame che ho con lui vale molto di più di quello familiare tra me, Vìli e Vè!”
“Non osare sminuire i tuoi fratelli confrontandoli con un bastardo di Jotunheim.”
Nàl si morse il labbro inferiore per obbligarsi a non replicare e Odino lo notò, “la tua volgarità sta offendendo il mio nuovo amico, ti chiederei di andartene.”
Borr fissò nuovamente il giovane dai capelli corvini che, sentendo lo sguardo del sovrano su di sé, abbassò il viso ancora di più, “tienimelo lontano dalla vista il più possibile, come hai fatto con quello scarto che chiami fratello,” ordinò con freddezza, “e fai di lui quel che vuoi.”

 “Ti chiedo profondamente scusa,” disse Odino sinceramente costernato, non appena Borr se ne fu andato dalla stanza. Nàl tornò a guardarlo ma nei suoi occhi non c’era più la stessa gentilezza di poco prima, “non mi hai detto che eri il principe.”
Odino sorrise, “è una cosa che mi scordo di dire spesso.”
“Non vedo come sia possibile dimenticare una cosa del genere,” replicò Nàl scuotendo la testa.
“Tu stesso non volevi dirmi il tuo nome perché non potevi fidarti di metterlo nelle mani di uno sconosciuto,” gli fece notare il principe, “ora sono nel mio palazzo e la verità sulla mia identità non può più minacciami. Sono stato solo furbo.”
“Pensavi che se avessi saputo chi eri, ti avrei arrecato qualche danno?” Domandò Nàl indignato e Odino scosse immediatamente la testa per negare con urgenza, “non si tratta di questo!”
“Lo hai appena detto!”
“Ma non è il primo motivo per cui dimentico di presentarmi agli altri come principe.”
“Ti ascolto…”
Odino sospirò, “il mio titolo mette in soggezione la gente e questo m’impedisce di conoscerle.”
Nàl sbatté un paio di volte le palpebre, “è questo che vuoi da me? Conoscermi?”
“Sì… Cioè no…”
“Non credo di capire.”
“Quello che vorrei è…” Odino si guardò intorno cercando di esprimere quel concetto che gli ronzava in testa senza suonare ambiguo, “mi piacerebbe ripagare il mio debito con te con la mia amicizia, la quale, sì, ha valore proprio perché si tratta dell’amicizia di un principe ma… Sii onesto con me, sii te stesso. Non dire cose per compiacermi, non seguire le mie decisioni se le trovi sbagliate. Saremo alla pari, in parole povere.”
Nàl annuì lentamente, sebbene fosse più confuso di quanto non fosse prima, “penso di poterlo fare.”
Odino sorrise di nuovo, “grandioso! Spero che mio padre si decida a mandare qui delle curatrici molto presto! Ho bisogno di camminare! Devo farti vedere il palazzo e voglio presentarti tante persone. Ci divertiremo insieme, fidati!”
“Dovrai restare a letto per un mese!” Proclamò Eir con un sorrisetto fin troppo soddisfatto, “questi sono gli ordini.”
Odino la guardò come se avesse appena detto qualcosa di scandaloso, “prego?”
“Questi sono gli ordini di vostro padre, mio principe. Sono terribilmente dispiaciuta!”
“Non lo sei affatto!” Replicò Odino, “non fingere di esserlo e non fare la formale!”
Eir sospirò, “forse avresti dovuto pensarci due volte prima di cacciarti in un altro guaio.”
“E mio padre mi punisce impedendo ai curatori di fare il loro dovere e curare la mia gamba?” Odino sbuffò sonoramente, “assurdo…”
Nàl non disse niente ma sorrise appena all’espressione imbronciata del principe. “E lui sarebbe?” Domandò Eir curiosa. Odino tornò a sorridere in meno di un secondo, “lui è Nàl, mi ha aiutato quando ho ripreso i sensi,” spiegò e il fanciullo dai capelli corvini chinò appena la testa sorridendo con cortesia, “è un piacere conoscerla Lady Eir.”
La guaritrice quasi arrossì, “oh, com’è educato. Che ci fa un giovanotto dalle buone maniere insieme al principe dei rozzi?” Domandò sarcastica e Odino le lanciò un’occhiataccia senza replicare. “Nàl vivrà qui d’ora in poi,” spiegò, poi si voltò verso il fanciullo di Jotunheim, “se mai avrai qualche problema di salute, vai nella stanza della guarigione e chiedi di lei. Eir può sembrare giovane ma è sulla buona strada per divenire la nuova leader dei curatori.”
Eir sospirò, “adulatore, come sempre.”
“Possibile che le donne non accettino nemmeno i complimenti sinceri!”
“Da te, non è consigliabile accettare nessun tipo di commento positivo!”
Odino tornò ad imbronciarsi immediatamente quando vide chi aveva osato parlare senza chiedere il permesso, “alla buon’ora!” Esclamò come Frigga e Loki entrarono nella stanza, “vi avevo dato per dispersi!”
“A te invece ti hanno ritrovato subito, purtroppo,” commentò Frigga sarcastica, mentre Loki si avvicinava al letto del principe velocemente, “stai bene?” Chiese preoccupato stringendo una mano del fratello e Odino gli rivolse un sorriso rassicurante, “temevi per la mia vita?”
“Non scherzare! Conosco quel posto e conosco te, chiunque si sarebbe preoccupato a morte!”
“Forse hai ragione,” ammise Odino scrollando le spalle, “ma la mia buona stella mi ha mandato di nuovo qualcuno che mi facesse da guida per ritrovare la strada di casa,” aggiunse indicando Nàl sul lato opposto del letto con un cenno del capo.
Loki alzò gli occhi scuri incrociando quelli verdi di Nàl e, in un istante, la stanza sembrò raffreddarsi improvvisamente. Odino passò lo sguardo dall’uno all’altro senza capire cosa stesse succedendo, nemmeno Frigga ne aveva la minima idea ma decise d’intervenire in qualche modo, “bene…” Mormorò, “Eir, in che stato versa il nostro Oden?”
“Odino! Il mio nome è Odino!”
Eir rise, “il re ci ha proibito di curargli la gamba, sarà quindi costretto a letto per almeno un mese… Anche più se non la smette di agitarsi.”
“Oh, poveri noi!” Gemette Frigga, “chiudiamo la porta e doppia mandata e gettiamo via la chiave!”
“Te l’ho detto che avresti dovuto imparare a curare anche le ossa,” commentò Loki.
“Appena Eir se ne va di qui, tu corri in biblioteca e rimediamo subito!” Esclamò Odino strizzando un occhio in direzione del fratello. “Sarà meglio che torni nella stanza della guarigione, prima che si chiedano che fine ho fatto,” disse Eir e poi guardò Frigga, “assicurati che non tenti qualche colpo di testa dei suoi. Il re sarebbe capace di spezzargli tutte le ossa, questa volta.”
“È in buone mani con me,” le assicurò Frigga con un sorriso complice. “Non è vero!” Obbiettò Odino ma nessuna delle due fanciulle gli diede peso. Solo dopo che Eir se ne fu andata, Frigga rivolse tutta la sua attenzione al nuovo arrivato, “Dunque… Il tuo nome è Nàl, ho capito bene?”
Nàl accennò un sorriso annuendo.
“Grazie per aver salvato il nostro adorabile idiota… Oh, volevo dire, il nostro adorato principe!” Frigga ridacchiò mentre Odino le rivolgeva una smorfia, “io sono Frigga. Vieni da Jotunheim, vero?”
“Sì,” rispose Nàl, “è un piacere fare la vostra conoscenza, Lady Frigga.”
“Non chiamarla Lady!” Lo avvertì Odino, “ne ha l’aspetto ma non lo è!”
“Frigga è più che sufficiente, Nàl,” aggiunse la giovane gentilmente, “quindi tu sei… Come Loki, vero? Perdona la mia ignoranza in materia.”
I due Jotun si scambiarono una breve occhiata, “sì,” rispose Nàl, “proprio così.”
“Senza ombra di dubbio,” sottolineò Loki con mal celata freddezza di cui Frigga si accorse immediatamente, di fatto, lanciò un’occhiata confusa all’amico che la ignorò deliberatamente.
“Loki, dovresti fare qualcosa in mia vece,” intervenne Odino del tutto cieco di fronte al muro di ghiaccio che era sceso tra suo fratello e il suo nuovo amico, “accompagneresti Nàl a fare un giro per il palazzo? Io non posso e non voglio costringerlo a stare nella mia stanza senza potersi muovere liberamente. Fagli vedere Asgard, ordina ai servi di preparargli una stanza degna di un amico del principe e mettilo a suo agio. Avrete tanto di cui parlare, credo. Puoi farlo, per me?”
Frigga gli lanciò un’occhiata fulminante che Odino non seppe come interpretare. Loki sembrò pensarci un attimo. Guardò Nàl che ricambiò l’occhiataccia e poi guardò Odino che gli sorrideva con un’espressione carica di aspettative, “certo,” rispose infine, “per te, lo farò.”
Alzò poi gli occhi sull’altro Jotun, “il miglior modo per sentirsi a proprio agio in questo posto, quando si viene da un mondo come Jotunheim, è un bel bagno caldo, senza ombra di dubbio. Sembra quasi di essere rinati, alla fine.”
“Non ne dubito,” rispose Nàl.

Nàl quasi si sentì mancare quando entrò nella grande stanza offuscata dai vapori caldi dell’acqua e dovette chiudere gli occhi e prendere un respiro profondo prima di continuare a camminare, “non è facile abituarsi, all’inizio,” spiegò Loki un paio di metri davanti a lui, “ben presto, non te ne accorgerai più.”
Nàl scosse la testa ma quel semplice movimento gli provocò un capogiro, “sembra impossibile.”
“Lo so, ci sono cresciuto in questo mondo. So quello che dico, fidati.”
Il giovane Jotun si avvicinò al suo simile scrutandolo con attenzione, “c’è un motivo per cui mi hai portato qui, vero?”
Loki annuì, “dopo un bagno caldo, il tuo corpo si aggiusterà meglio alla temperatura esterna. So che è di gran lunga sopra la media per te. Se ripeteremo questo processo per diversi giorni, in meno di un mese non ricorderai più la sensazione della neve sulla pelle.”
“Non so se la voglio dimenticare,” ammise Nàl, Loki sorrise amaramente, “per me è un incubo riviverla ogni volta che torno su Jotunheim con Odino.”
Nàl si astenne dal replicare e fissò la superficie dell’acqua nell’enorme vasca circolare come se fosse lava incandescente. “Togliti i vestiti,” lo istruì Loki e Nàl ubbidì lentamente, liberandosi prima della tunica troppo larga e poi dei pantaloni privi di forma. L’altro Jotun li prese e li fissò facendo una smorfia, “con che coraggio ti hanno fatto indossare i vecchi vestiti di Odino? Sei fortunato che ti siano rimasti addosso i pantaloni.”
“Avevo solo un mantello con cui coprirmi,” ammise Nàl avvicinandosi con cautela al bordo della vasca, “sembrava che l’urgenza di coprire il mio corpo avesse la priorità sulle apparenze.”
Loki annuì, “te ne farò trovare o preparare alcuni che ti stiano a pennello.”
“Non è necessario tanto disturbo.”
“Non è un disturbo, né un gesto di cortesia,” si affrettò a dire Loki con freddezza, “mio fratello ti vuole a corte, vuole il meglio per te. È dovere mio e di tutti coloro che abitano in questo palazzo rispettare e realizzare i suoi desideri.”
Nàl toccò la superficie dell’acqua con la punta delle dita e ritrasse la mano immediatamente, “hai intenzione di bollirmi?”
Loki roteò gli occhi, “non essere ridicolo, immergiti lentamente.”
Nàl seguì il consiglio ma l’istinto iniziale fu quello di correre il più velocemente possibile e mettere tra sé e quel posto pericoloso quanta più distanza poteva. Il calore era dannoso, questo era ciò che gli avevano sempre insegnato. “Siediti, avanti,” quello di Loki assomigliava troppo ad un ordine, ma Nàl era troppo occupato a cercare di non scivolare e finire completamente nell’acqua in un colpo solo per avere qualcosa da ridire sul tono della sua voce. All’inizio fu come soffocare, come se il calore contro il petto nudo gli comprimesse dolorosamente la cassa toracica in una morsa fatale. “Rilassati,” lo istruì Loki sedendosi sul pavimento dietro di lui, “prendi dei bei respiri profondi e chiudi gli occhi. È la tua mente ad ingannarti, non c’è nulla di pericoloso in quello che stai facendo.”
Nàl seguì quelle parole alla lettera e, in pochi istanti, il cerchio alla testa sparì e gli occhi verdi si aprirono lentamente. “Visto?” Domandò Loki immergendo una mano nell’acqua e passando le dita umida tra i capelli corvini di Nàl, “non era poi così difficile.”
Nàl sbuffò, “non vedo come qualcuno possa definirlo piacevole.”
“Presto lo capirai anche tu, quando la smetterai di vivere il calore come qualcosa di nemico ed estraneo.”
“Pensavo che per noi non potesse essere diversamente,” commentò Nàl con freddezza. Loki rise appena, “è questo che ti hanno insegnato?” Domandò, “è questo che ti piace credere?”
“Come potrei credere qualcosa di diverso?” Nàl voltò il viso per incontrare gli occhi scuri dell’altro Jotun, “sono nato e cresciuto nel freddo.”
Loki annuì, “io, nello stesso freddo in cui sei nato e cresciuto tu, ci sono quasi morto,” commentò, “il calore è ciò che mi ha salvato, che mi ha permesso di vivere davvero.”
Nàl rise, “sì, il tuo principe sembra molto ben disposto a distribuire il suo a chiunque sia ben contento di accettarlo.”
“Non osare offendere mio fratello,” lo avvertì Loki tirandogli appena i capelli.
“Era solo un dato di fatto,” si giustificò Nàl, “o ti rode che conceda alle fanciulle un tipo di calore che non concederà mai a te?”
Loki fermò la propria mano per un istante e Nàl ghignò, soddisfatto di aver toccato il punto che più doleva a quel piccolo traditore bastardo. Poi, le dita tra i suoi capelli scesero fino alla base della nuca e fu allora che Loki lo strattonò con violenza, costringendolo a reclinare la testa verso l’altro. Ad attenderlo, trovò due occhi dello stesso colore del sangue, mentre qualcosa di freddo contro la sua gola lo informò che l’altro Jotun avrebbe potuto sgozzarlo con uno stiletto di ghiaccio in qualsiasi momento.
“Non cercare di combattere,” lo avvertì Loki, “non puoi usare i tuoi poteri in questo posto, il tuo corpo non è ancora in grado di farlo.”
Nàl fece una smorfia, “hai pensato a questo fin dall’inizio, vero?”
“E tu, invece, sei stato troppo ingenuo fin dal principio, Nàl… Pur sempre che questo sia il tuo vero nome e ne dubito!”
Nàl tentò di dimenarsi e la pressione sulla sua gola divenne maggiore, “gli Aesir non possono vedere la verità e Odino era troppo occupato a studiare il tuo bel faccino per rendersi conto di qualcosa ma non puoi ingannare me. Non me!” Esclamò Loki con rabbia, “ti sei fatto passare per uno scarto. Probabilmente non hai la minima idea dello stato in cui sono ridotti quelli come me che riescono a raggiungere la nostra età su Jotunheim. Nel migliore dei casi, gli scarti muoiono che sono ancora neonati, ma se si ritrovano a dover sopravvivere da soli… Si trovano presto a pentirsi di essere nati, quelli con più coraggio si tolgono la vita per non dover subire ulteriori sofferenze, lo sapevi?”
Nàl non rispose continuando a fissare Loki con determinata arroganza.
“I bambini muoiono di fame, gli adolescenti o di qualche anno di più grandi vengono usati come svago dai soldati e dai nobili per poi essere gettati via di nuovo. Sui corpi di tutti loro, ci sono i segni di quanto hanno dovuto subire. La fame, le torture, le violenze, tutto lascia il suo segno.”
Loki si morse il labbro inferiore con forza.
“Il bel corpicino che ti ritrovi non ha mai conosciuto un giorno di lavoro o sofferenza in vita sua…” Sibilò e lasciò cadere lo stiletto di ghiaccio nell’acqua bollente. Nàl non reagì, confuso da una simile azione e, da principio, non capì quali fossero le intenzioni di Loki quando affondò la mano libera nell’acqua fino all’altezza del gomito. Solo quando avvertì le dita dell’altro premere contro la parte più intima di sé, Nàl si dimenò con forza ma Loki scoprì ben presto quel che voleva sapere e lo lasciò andare quasi subito.
Nàl si raggomitolò in un angolo imbarazzato ed indignato al tempo stesso.
“Come immaginavo…” Mormorò Loki fissando le proprie dita con un sorriso sarcastico, “sei ancora inviolato.”
“No, non lo sono!” Replicò Nàl in modo quasi infantile.
“Sai bene cosa intendo,” sbuffò Loki, “se fossi stato uno scarto, con quel bel faccino, tutta Jotunheim avrebbe fatto la fila per lasciare prova del suo passaggio. Evidentemente, non solo sei un nobile ma sei anche troppo giovane per lasciare che il tuo compagno ti prenda in modo degno.”
Nàl rise sarcastico, “sai molte più cose della tua gente di quelle che racconti al tuo principe.”
“Odino non ha bisogno di sapere tutto,” si limitò a dire Loki, “ma io voglio sapere ogni cosa di te. Qual è il tuo vero nome? Chi è il tuo compagno? E, soprattutto, che cosa vuoi da mio fratello?”
“Dovrai torturarmi per farmi rispondere…”
Loki reclinò la testa da un lato, “va bene, diciamo che io penso che tu sia Laufey figlio di Ymir, principe ereditario di Jotunheim e futuro consorte di Fàrbauti. Tu che mi diresti?”
Nàl si chiuse dietro ad un attonito silenzio e Loki sorrise soddisfatto, “probabilmente mi chiederesti come faccio a saperlo ed io ti risponderei che i giovani Jotun tendono a portare con loro i propri compagni, specie se ancora giovani e Fàrbauti era da solo al duello con Odino. Tutti sanno che è destinato a sedere sul trono di ghiaccio vicino a te, in pochi sanno che uno Jotun che lascia da solo il proprio compagno, senza che vi sia stato almeno il primo accoppiamento, è uno Jotun decisamente stupido,” una pausa, “se poi il compagno in questione è il principe, non vi è un termine che possa descriverlo senza suonare offensivo.”
Nàl non rispose, la freddezza dei suoi occhi verdi era l’unica arma a sua disposizione, ormai.
“Sei qui per far del male a mio fratello?” Domandò Loki diretto. Nàl scosse immediatamente la testa, “sono un solo uomo contro un intero regno, non sono tano idiota. Inoltre, l’hai detto tu stesso, non posso usare i miei poteri in queste condizioni.”
“Sei qui per fare la spia?”
“E come potrei spedire informazioni a Jotunheim senza che il vostro guardiano se ne accorga?”
Loki inarcò un sopracciglio, “mi sfugge il motivo della tua bella recita, mio principe.”
“Lo dici come se il mio titolo fosse un insulto.”
“Lo è.”
“È per l’abbandono che hai dovuto subire?” Chiese Nàl, “sono principe del mondo che ti ha fatto del male, ma non ho ancora nessuno potere su quel regno e, probabilmente, ero un neonato come te quando ti è stato arrecato danno.”
“Può essere una buona base per un’amicizia,” commentò Loki sarcastico, “ma non c’è nulla che m’impedisca di andare dal re seduta stante. Giustificherai davanti a lui il tuo piccolo inganno!”
Nàl afferrò Loki per un polso costringendolo a rimanere in ginocchio sul pavimento, “non farlo,” mormorò con gli occhi ricolmi di terrore, “ti supplico, non tradirmi.”
“Non ti ho giurato alcuna fedeltà.”
“Sii fedele a ciò che siamo.”
“Il tuo popolo mi ha rinnegato quando sono nato, mio principe.”
“Ed io ho rinnegato loro!” Esclamò Nàl disperato, Loki decise di restare ad ascoltare, “spiegati.”
Nàl scosse appena la testa, “pensi che basti una vita agiata per amare un mondo di morte come quello in cui siamo nati?” Domandò, “da bambini io e Fàrbauti usavano giocare insieme, per mio padre fu sufficiente a riconoscerlo come mio compagno. La mia vita è sempre stata incatenata alla sua per una decisione presa da altri.”
“Sì, lo so,” Loki annuì, “la nostra gente viene obbligata a passare ogni minuto della propria vita con chi più si è legato durante l’infanzia. Se non si conosce altro che quello che si ha sempre avuto, si finisce con l’amarlo per forza, credo.”
Nàl annuì, “non potevo accettarlo, capisci?”
“Non è un buon compagno?”
“Non posso saperlo,” mormorò Nàl, “non ho mai avuto altro. Non ho mai conosciuto altro, sono sempre stato prigioniero del mio stesso palazzo e…” Si morse il labbro inferiore con forza, “l’odio che provi per quel mondo, non lo biasimo.”
L’espressione di Loki si addolcì appena, “se le tue intenzioni sono tanto innocenti, perché non chiedi aiuto al re direttamente?” Domandò con una nota di sospetto. Nàl abbassò lo sguardo, “dicono che ci odia. Che, da quando è morta la sua regina, vorrebbe solo estirparci dalla faccia dell’universo ma non lo fa solo per ragioni politiche superiori. Prima l’ho incontrato, non credo sia stato molto gentile nemmeno nei tuoi riguardi in questi anni.”
Loki annuì sospirando profondamente.
“Inoltre,” aggiunse Nàl, “nessuno sa dove sono con questo falso nome. Se la mia presenza su Asgard fosse di dominio pubblico, mio padre potrebbe usarla come scusa per scatenare una guerra e non è mio desiderio arrecare danno ad un mondo tanto bello.”
Loki e Nàl si guardarono per un lungo istante, “tu ami il tuo principe, posso vederlo nei tuoi occhi. Questa bugia è anche per proteggere lui. Sei legato a lui da un patto di sangue, vuoi essere legato a me da questo segreto?”
Loki sembrò titubante, “sai quanto mi costerebbe mentire ad Odino?”
“Posso solo immaginarlo,” ammise Nàl, “ma so che riesci a capire cos’è giusto per tutti noi.”
Loki sospirò profondamente ancora una volta scuotendo la testa, “sarò tuo complice a patto che tu non cerchi d’ingannarmi ulteriormente.”
Gli occhi verdi di Nàl s’illuminarono di gratitudine, “non oserei mai. Mai!”

[Asgard, oggi.]

Quella notte, Loki si addormentò nel giro di pochi minuti e Thor ne fu sollevato ma non si mosse dal suo posto sul pavimento per nessuna ragione al mondo. Per qualunque cosa, non volevo che suo fratello si svegliasse e si ritrovasse accolto da una stanza vuota. Non sarebbe stato molto felice di trovare lui, ma Thor se ne sarebbe stato decisamente più tranquillo con Loki sotto il suo stretto controllo.
Il sonno, però, non gli rendeva facile il suo compito.
Non osava dormire. Col sonno pesante che si ritrovava, non si sarebbe potuto accorgere di ogni minimo cambiamento nel respiro di Loki e l’idea lo allarmava a livello quasi paranoico. Fece viaggiare gli occhi blu per tutta la stanza, alla ricerca di qualcosa che potesse tenerlo impegnato fino all’alba, fino a che sua madre non fosse risalita a dargli il cambio.
Libri. L’unica cosa che non mancava in quella stanza, erano i libri e Thor odiava i libri.
Sbuffò sonoramente alzandosi in piedi e facendo qualche passo avanti ed indietro per tenersi sveglio. Fu solo quando diede un calcio a qualcosa per sbaglio, che si ricordò dei volumi che Loki gli aveva tirato contro e che erano rimasti incustoditi sul pavimento di pietra. Sospirò stancamente raccogliendone uno ad uno e sistemandoli sullo scaffale più vicino, tanto per assicurarsi che Loki non v’inciampasse per sbaglio, nel caso avesse deciso di alzarsi.
Involontariamente, Thor si ritrovò ad osservare la copertina di ogni libro prima di riporlo, leggendo ciò che vi era scritto tanto per concentrare la propria attenzione su qualcosa. Dimenticò il titolo dei primi tre volumi non appena li ebbe appoggiati sullo scaffale, ma dovette interrompersi quando si ritrovò faccia a faccia con una copertina color cuoio piuttosto semplice e su cui non vi era scritto assolutamente niente.
Sistemò i due libri rimanenti alla male e peggio e tornò a concentrarsi su quello strano oggetto tra le sue mani. Lo girò e lo rigirò ma non trovò nulla che potesse dargli qualche indicazione sul suo contenuto.
Preso da un attacco della sua proverbiale curiosità sfacciata, Thor lo aprì sulla prima pagina e lesse la prima riga. Quel che lesse fu sufficiente a fargli sfuggire il libro di mano che cadde a terra con un sonoro tonfo.
Thor lanciò un’occhiata al letto nell’angolo opposto della stanza ma Loki continuava a dormire indisturbato. Sospirò e si chino a raccogliere il libro una seconda volta.
Lo osservò come se fosse un oggetto proibito, poi si guardò intorno assicurandosi che non ci fossero occhi indiscreti ad assistere a quanto stava per fare. Prese un respiro profondo e, dopo un ultimo istante di esitazione, sollevò la copertina e lesse quella prima riga una seconda volta.

Il mio nome è Odino figlio di Borr, principe di Asgard ed è mio desiderio imprimere in queste pagine ciò che la mia memoria potrebbe dimenticare o distorcere, ciò di cui solo pochi déi sono a conoscenza e nessuno uomo mortale potrà mai immaginare. Quella verità che nelle leggende non verrà mai narrata…

***

Varie ed eventuali note:
Buonasera a tutti! In primo luogo è doveroso ringraziare i recensori e lettori che continuano a seguire questa storia nonostante i casini s cui si basa la sua trama.

Qualcuno di voi ha cominciato ad avere i primi sospetto sul nostro caro Laufey\Nàl e sulla sua futura relazione con Odino. Mi limito a incitarvi e continuare su questa strada.
Per quanto riguarda i personaggi del passato e quelli del presente, molti, come leggete, sono presenti solo nella prima tipologia di scene ma il come ed il perché di ciò verrà rivelato caso per caso solo con il proseguire della trama. Mentre le differenze di carattere, piuttosto plateali, tra alcuni personaggi da giovani e in età matura non sono lasciati al caso! Non è mia intenzione sforare in un OOC insensato, tutto sarà chiaro a tempo debito (spero…)
Se posso sbilanciarmi di un poco, vi consiglierei di prestare particolare attenzione alla scena tra i due piccoli Jotun, in un futuro prossimo quel dialogo sarà fondamentale. Sarei molto felice di sapere le vostre ipotesi e\o osservazioni (se ne avete).
Alla prossima!

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Capitolo 5
*** Mano ***


4
Mano


Il sogno non era mai uguale ma era sempre lo stesso.

Odino non era nemmeno un giovane uomo la prima volta che accadde e che ne serbò il ricordo con totale chiarezza.

“Papà?”
Aprì gli occhi lentamente, ma la sonnolenza scomparve non appena vide i due bambini che lo fissavano in piedi accanto al bordo del letto. Sospirò pesantemente, “che cosa è successo questa volta?” Chiese con una pazienza che non gli apparteneva. “Ha avuto un altro incubo,” spiegò il bambino più grande, quello biondo, quello che gli assomigliava in modo quasi inquietante. L’altro piccolino, quello con i capelli neri, non disse nulla per giustificare la sua presenza fuori dal suo letto ad un’ora tanto tarda, ma il modo tranquillo in cui era attaccato alla mano del fratello e si stropicciava gli occhioni verdi con la mancina non lo facevano assomigliare proprio ad un bambino spaventato. Annoiato, forse.
“Tuo fratello ha avuto un incubo?” Chiese.
“Sì!” Risponde il bambino biondo con convinzione, “e vuole dormire nel letto grande, vero?” Si rivolse al più piccolo con un gran sorriso e quest’ultimo annuì con aria distratta. Decisamente poco convincente.
Sorrise, perché non poteva fare altrimenti di fronte a quella scena. Si mise a sedere e sollevò il più piccolo tra le braccia, “venite qui, tutti e due.”
Il maggiore non se lo fece ripetere due volte e si accoccolò accanto al fratello che era tornato nel mondo dei sogni non appena aveva avuto modo di toccare il cuscino e ficcarsi il pollice in bocca. Il bimbo biondo sorrise di nuovo, “sono stato bravo, papà? L’ho protetto dagli incubi, non si è nemmeno messo a piangere.”
Quanto era bello quel bambino? Quanto era luminoso il suo sorriso?
“Sei stato bravo,” mormorò, “ora dormi, Thor.”

[Asgard, oggi]

Thor era sempre stato un pessimo bugiardo, la sua naturale tendenza alla sincerità e alla condivisione con chi riusciva a guadagnarsi la sua stima ed il suo affetto gli impedivano di tenere qualsiasi cosa esclusivamente per sé. Non si sarebbe mai permesso di tradire la fiducia di qualcuno, sarebbe stato pronto a morire pur onorare una promessa o mantenere una segreto. Gli bastava non essere solo.
Thor era sicuro che sarebbe scoppiato, se non avesse parlato con qualcuno di ciò che aveva trovato nella torre.
Loki era sempre stato un talentuoso bugiardo, la sua naturale tendenza all’introversione e al silenzio di fronte a tutti, gli impedivano di confidarsi sinceramente con chiunque. C’erano state delle volte, in tempi ancora non sospetti, durante la loro adolescenza, in cui Loki sembrava essere lui stesso un segreto vivente. Nessuno poteva immaginare quanto quell’impressione corrispondesse a verità.
Thor era sicuro che Loki sarebbe morto prima di mostrare a qualcuno anche solo un frammento della propria anima. Loki non si sarebbe fatto scrupoli ad usare i segreti di qualcun altro pur di proteggere i propri, pur di ottenere ciò che voleva.
L’assurdità di quella situazione era che Thor non credeva che vi esistesse qualcun altro nell’intero universo a cui poter confidare quel segreto. Loki era l’unico con cui avrebbe potuto condividere ciò che si era ritrovato tra le mani. Loki era suo fratello e, se l’altro non poteva più accettare di considerarsi tale, niente e nessuno poteva negare che fossero compagni di vita. Thor non possedeva un ricordo che non comprendesse Loki e sapeva che per suo fratello era lo stesso. Non poteva essere altrimenti.
“Siamo stati allevati insieme, abbiamo giocato insieme, abbiamo combattuto insieme.”
Non le aveva pensate quelle parole.
Non aveva avuto il tempo di pensare a niente quel giorno. Un momento conviveva con il dolore di un persona amata ormai morta ed il momento dopo si era ritrovato a realizzare che Loki viveva! Viveva! Loki che, per lui, non era solo incredibilmente lontano, come Jane. Era perduto per sempre…
No, Thor quelle parole non le aveva pensate, le aveva solo sentite.
“Loki?” Suo fratello se ne stava seduto accanto al piccolo camino acceso, osservando il fuocherello scoppiettare con uno sguardo che poteva definirsi vuoto e assente ma, al contempo, profondamente triste. Le vesti che sua madre gli aveva portato erano semplici, quasi le vesti di un servo. Thor, in principio, aveva anche pensato d’innervosirsi per una cosa tanto stupida, poi sua madre gli aveva ricordato che erano fortunati che Loki potesse indossare dei vestiti puliti e degni di tale nome considerate le accuse che gravavano su di lui. “Loki?” Thor riuscì appena a sfiorargli i capelli che il più giovane si alzò in piedi, malfermo sulle gambe, per nascondersi nell’angolo più vicino. Le braccia scheletriche serrate attorno al proprio corpo, gli occhi verdi ricolmi di rabbia e paura erano appena visibili tra le lunghe ciocche di capelli corvini che gli ricadevano disordinatamente sul viso.
Thor annuì appena, accettando mentalmente che più vicino non si sarebbe potuto spingere e che, prima di rivelare alcun che, avrebbe dovuto assicurarsi almeno un briciolo dell’attenzione di Loki. Un po’ di fiducia? Un po’ di affetto? Persino Thor, cocciuto com’era, si stava arrendendo di fronte all’impossibilità di recuperarli, almeno in parte.
Ma non poteva arrendersi con Loki! Poteva continuare ad odiarlo, forse con quello avrebbe imparato a convivere. Vedere Loki trasformato nell’ombra più degradata e oscura di se stesso… A quello avrebbe volentieri preferito la morte.
“Ho bisogno di capire perché non parli,” erano sincere la parole di Thor, “voglio solo comprendere se parte della punizione di nostro padre ha ancora effetto sulla tua voce o se dipende da una tua scelta.”
Loki appoggiò stancamente una tempia alla parete fredda, poi abbassò gli occhi sul pavimento.
“Non è mia intenzione obbligarti a parlare, se non vuoi farlo,” aggiunse Thor gentilmente, “ma se posso essere franco, Loki, potresti anche rimanere muto di tua iniziativa tutta l’eternità ed io ogni giorno sarei qui comunque,” fece una pausa assicurandosi che il suo tono non avesse assunto nessuna inclinazione minacciosa per sbaglio, “quindi, se lo fai per tenermi lontano, non funziona.”
Thor accennò un sorriso.
“Nemmeno se mi urlassi contro di andarmene funzionerebbe, nel caso stessi pensando ad un piano alternativo dei tuoi.”
Fu il suo turno di contemplare il pavimento, quasi stesse pensando ad alta voce, “onestamente, credo tu abbia ragione. Dovresti uccidermi per liberarti di me!” Rise. Rise e non seppe nemmeno spiegarsene il motivo, dato che sentiva solo amarezza e tristezza nel cuore.
Gli occhi di Loki non tradivano alcuna emozione.
“Loki, io ho bisogno di capire…” Mormorò Thor sommessamente, “ho bisogno di capirti. Perché, vedi, nostro padre mi ha ripetuto la sua versione per un intero anno. Ha usato parole difficili, ha usato parole semplici, ma ripeteva sempre la stessa cosa. L’ha ripetuta talmente tante di quelle volte che la saprei recitare a memoria qui, ora, davanti a te. Il punto è che, non aveva importanza quanto chiaro lui parlasse, non aveva importanza quante domande io facessi… Io, semplicemente, non riuscivo a capirlo.”
Loki alzò appena il viso nella sua direzione.
“Quando è successo quel che è successo due anni fa,” continuò Thor imperterrito, “l’incoronazione, il disastro che è successo dopo e tu… Tu!
Loki lo guardò.
Loki lo guardò, veramente, per la prima volta da quando i loro occhi si erano incrociati di nuovo. Oh no, non lo guardava così attentamente da quando quell’idiota aveva recitato la parte del fratello amorevole nel bel mezzo della battaglia di New York.
“Possiamo fermarlo… Insieme…”
Quasi gli venne da ridere a ripensarci. Thor ne aveva fatta di strada, era stato così convincete che persino il principe delle bugie era quasi riuscito a credergli. Quasi… Mai abbastanza…
Ma in quel momento, a Loki sembrò di rivedere la stessa espressione perduta che Thor gli aveva rivolto quel giorno, in quella stanza, quando aveva informato suo fratello di essere la causa della morte del padre e del dolore della madre. Era riuscito a vedere con impressionante chiarezza come il cuore del grande Thor si frantumava in mille pezzi ed il peso dei suoi errori lo obbligava ad inginocchiarsi di fronte all’inevitabile condanna del destino.
Forse era stata questa la differenza più grande tra loro fin dall’inizio della storia.
Thor si era arreso di fronte al destino. Aveva urlato la sua rabbia al cielo e poi era rimasto a fissare la sua Mjolnir, non più sua, incurante della pioggia che continuava a cadere.
Loki contro al destino ci si era letteralmente lanciato. Era partito dal rifiutare la sua nascita come figlio di Jotunheim ed era finito col rinnegare la sua intera vita come principe di Asgard. Alla fine, era arrivato alla solenne e devastante conclusione di non essere nessuno, di non appartenere a nessuno luogo e di non avere niente.
“No, Loki…”
E dopo, lo avevano raccolto i Chitauri.
“Tu mi hai mentito,” riuscì a dire Thor, alla fine. “Io ti ho creduto perché… Come potevo non crederti, Loki? Ti conosco meglio di quanto tu creda. So che non riesci ad essere sincero, ho sempre pensato che lo facessi per paura… per timidezza, forse,” si rese perfettamente conto di quando quell’aggettivo fosse fuori luogo ma le parole non erano il suo campo. Loki era l’esperto di parole, non lui, “ma quel giorno, come avrei potuto non credere a mio fratello? Il mio unico fratello! Il compagno di tutta una vita e la nostra è stata davvero lunga, Loki!”
Il più giovane si mosse di scatto, profondamente annoiato da tanto vittimismo da parte dell’ultima persona che doveva osare ostentarlo sotto i suoi occhi! Andò a rifugiarsi dalla parte opposta della stanza circolare, in modo da non dover guardare il principe dorato negli occhi.
“Loki, ti ho combattuto su quel ponte senza sapere il perché!” Esclamò Thor esasperato, “piangevi, continuavi ad urlare che non eri mio fratello ed io non avevo la minima idea di cosa stesse succedendo!”
Loki si coprì il viso con entrambe le mani: il dolore di quei momenti l’aveva cancellato, non gli apparteneva più. Le uniche cose che si era permesso di lasciare dentro di sé erano la rabbia e l’odio.
Eppure tremava, eppure era sul punto di scoppiare a piangere come era successo su quel ponte, come era successo su quella maledetta torre a New York. Solo che ora non aveva un’arma da usare contro Thor che lo aiutasse a riprendersi da quell’inutile, falso, venefico sentimentalismo. Che fungesse da conduttore per la sua rabbia e per il suo odio, lasciando il dolore in un angolo dove avrebbe finito per essere dimenticato.
“Chiederti scusa per qualsiasi cosa avessi mai fatto per ferirti, impedirti di compiere un errore irreversibile, queste sono state le uniche cose che mi hai dato il potere di fare!”
Era troppo tardi, sciocco! Era troppo tardi perché tu potessi fare alcun che!
“Tutti qui non fanno altro che giustificarmi ma io non giustifico me stesso!” Thor si avvicinò lentamente ma Loki non si voltò, non si mosse. “Ho bisogno di sentire la tua versione dei fatti, Loki. Ho bisogno che tu mi dica quel che hai sentito dentro di te quel giorno e tutti giorni che sono venuti dopo, perché io ho cercato di comprenderti, ho cercato di mettermi nei tuoi panni ma non ci riesco!”
Stai zitto!
“È troppo devastante perché io possa immaginarlo!”
Stai zitto!
“Quello che ti chiedo è… Per una volta, una sola volta, fidati di me abbastanza d’affidarmi il tuo cuore, perché è mio desiderio poterlo riparare in qualche modo, per quanto impossibile possa sembrare.”
Vuoi comprendere? Vuoi capire? Vuoi vedere, Thor?
“Loki, se vuoi che ti supplichi lo farò, ma voglio solo…” Thor smise si parlare di colpo, nella foga aveva cercato di afferrare la mano del fratello ma gli era bastato abbassare lo sguardo per raggelare di colpo. Le dita ossute di Loki che, fino ad un istante prima, erano state di un colore pallido e malaticcio avevano assunto un sinistro colore bluastro.
Thor alzò lentamente gli occhi penetrando la schiena di Loki con il proprio sguardo. Le spalle del più giovane presero a tremare violentemente, il respiro corto e il cuore che batteva come impazzito.
Se vuoi capirmi, devi vedere, Thor!
Thor sapeva che sarebbe bastato poco per costringere suo fratello a voltarsi.
Non potrai mai comprendere, se non hai il coraggio di vedere questo!
L’immobilità di quel momento eterno venne spezzata dall’inconfondibile rumore della botola che si apriva e veniva richiusa.
Loki per un attimo non si mosse, come se non avesse capito quel che era appena accaduto. Poi inspirò violentemente, come se fosse rimasto in apnea fino a quel momento e avesse rischiato il soffocamento. Le gambe non lo sorressero più ma l’impatto con il pavimento non fece male tanto quanto quello che stava accadendo dentro di lui.
Onestamente, credo tu abbia ragione. Dovresti uccidermi per liberarti di me!”
Era bastato molto ma molto meno.
Sei un bugiardo, Thor! Sei un maledetto bugiardo!

[Asgard, secoli fa.]

“Te lo ripeto ancora una volta, non era un sogno comune!”
Frigga non si degnò nemmeno di alzare gli occhi dal libro che aveva tra le mani, annuì distrattamente rispondendo senza aver minimamente udito ciò che il principe aveva detto, “certo, è come dici tu, Oden!”
“Frig!” Esclamò Odino quasi isterico, “io non so niente delle magie che girano intorno ai sogni, ho sempre pensato che fossero inutili!”
“Tu pensi che siano inutili un sacco di cose indispensabili,” gli fece notare lei continuando a leggere il suo libro con noncuranza. “Sono serio, Frig! Un sogno così non l’ho mai fatto e questo m’inquieta!” Odino incrociò le braccia contro il petto lasciandosi ricadere tra i cuscini del grande letto, “era come se la stessi vivendo veramente quella scena: non riuscivo a vedere me stesso sul letto, vedevo soltanto quei due bambini.”
Frigga gli concesse un’occhiata di pochi secondi, “e com’erano?”
Odino scrollò le spalle, “dei bambini come tanti altri.”
“Se fossero stati dei bambini come tanti altri non saresti qui a parlarmene, Oden.”
“Il più grande mi assomigliava, penso che mi abbia anche chiamato papà un paio di volte e…” Il principe non riuscì a finire di parlare che l’amica scoppiò a ridere, “oh! Ma l’interpretazione di questo sogno è molto semplice, amico mio!” Esclamò Frigga decidendosi a chiudere il libro che aveva tra le mani.
“Sarebbe a dire?” Chiese Odino inarcando un sopracciglio.
“Sarebbe a dire che, presto, la tua cara amichetta di letto potrebbe venire a farti una sorpresa,” Il sorriso malizioso che Frigga gli rivolse non gli piacque affatto. “Non ricominciamo a parlare di Jӧrd!” Esclamò esasperato.
“Invece sì, mio adorato principe!”
“Jӧrd non è incinta!” Obbiettò fermamente Odino, “Frig, credimi! L’ultimo desiderio di quella ragazza è diventare madre e legarsi ad un uomo per il resto della sua esistenza! Jӧrd non vuole legami o restrizioni, lei è… libera! Selvaggia! E dovessi vedere quanto sa essere selvaggia quando…”
“Risparmiati le volgarità per qualcun altro!” Lo bloccò Frigga infastidita, “in ogni caso, dubito che la tua Lady Selvaggia si farebbe scappare l’occasione di divenire madre di un erede al trono e futura regina di un regno come questo.”
“Possibile che tu non possa parlare di un altro essere femmina in modo gentile? Potresti cominciare ad insultare gli uomini, tanto per fare una cosa nuova…”
Frigga gli rivolse un sorrisetto, “gli insulti che lancio a te non contano?”
Odino ricambiò l’espressione complice, “no, quelli sono solo il tuo modo personale di dirmi quanto mi ami.”
E se il principe non fosse stato il moccioso distratto che era, probabilmente avrebbe notato l’ombra che per un secondo oscurò gli occhi di Frigga, prima che quest’ultima gli tirasse addosso il libro che aveva tra le mani, “idiota…”
Odino rise massaggiandosi distrattamente la fronte su cui il pensante volume era andato ad atterrare, “certe volte penso che ti annoieresti, senza di me.”
“Certe volte penso che avrei più fiducia nel cervello degli uomini, senza di te,” replicò Frigga ma sorrideva di nuovo, “ma sì, penso proprio che mi annoierei.”
Odino sorrise soddisfatto di quella piccola vittoria puerile, “sai…” Mormorò dopo un po’, “penso che il bambino biondo avesse il tuo naso e la tua bocca…”
Frigga sospirò roteando gli occhi, “non sei capace nemmeno d’inventare qualcosa di lontanamente carino da dire, Oden!”
“Non me lo sono inventato, è inquietantemente vero.”
“Pensaci meglio, magari l’altro bambino era il ritratto di Jӧrd.”
Odino scosse la testa, “a me non assomigliava e di sicuro con Jӧrd non aveva nulla a che fare. Dubito che ne sarà la madre, amica mia!”
“Ti ricordi i loro nomi?” Chiese Frigga particolarmente seria. “Lo chiedi come se fosse qualcosa d’importante,” commentò Odino sospettoso.
“Lo è…” Annuì lei, “ad esempio, se la tua donna… O meglio, una delle tante, stesse portando in grembo tuo figlio, il nome del tuo sogno potrebbe esserlo quello che quel bambino è predestinato ad avere. È un buon presagio, significa che sarà un nome che si farà ricordare.”
Odino ci pensò un attimo, “non ho idea di come si chiamasse il più piccolo, quello con i capelli scuri. Ma il più grande penso di averlo chiamato Thor, ad un certo punto.”
Frigga rimase impietrita per una manciata di secondi, “non è un sogno significativo,” decretò infine.
“Per quale ragione?”
“Oden…” Frigga rise, “tu hai chiamato con quel nome ogni singola cosa che avesse valore per te. Il tuo giocattolo preferito, il primo cavallo, la tua prima spada!” Esclamò e poi aggiunse, “se non ricordo male, hai anche cercato di chiamarci Loki con quel nome!”
“Ehi!” Odino s’imbronciò improvvisamente, “non cominciamo ad offendere.”
“Solo tu potresti chiamare un bambino con un nome di quattro lettere che, probabilmente, ti sei inventato.”
“Forse un giorno significherà qualcosa, l’hai detto tu!” Replicò Odino.
“Un giorno…” Si arrese Frigga, sapeva che era inutile combattere contro quel testone del suo principe e non aveva energie da sprecare in una simile impresa, “quel giorno, potrai dirmi te l’avevo detto.”
“Oh, sta pur certa che lo farò!”

“Vuoi che divida la camera con te?”
“Esattamente…”
Nàl si lasciò andare ad una risata gelida, “sei diventato mio complice, ma non sembri fidarti così tanto di me con questa precauzione.”
“Odino ne sarà contento,” replicò Loki con altrettanta freddezza, “penserà che mi voglio impegnare a farti sentire a casa e nulla di più. E noi saremo molto bravi a farglielo credere, giusto?”
Nàl annuì, non che avesse molte alternative. Loki non indugiò oltre ed aprì la porta della propria camera, che nelle ultime ore era stata arredata di nuovo per ospitare comodamente due persone, “scegli pure il letto che preferisci.”
Nàl lo seguiva con passi lenti permettendosi di osservare l’ambiente circostante abbastanza profondamente da studiarne i particolari: non c’era niente di familiare in ciò che vedeva. Era tutto così estraneo che, in cuor suo, non poteva fare a meno di sentirsi esposto, minacciato, smarrito ma era lungi dal mostrare simili sentimenti. Non si poteva permettere di esprimere nulla che non fosse recitato ad arte, ne andava del piano ed il piano aveva la priorità assoluta su di ogni cosa.
“Il tuo armadio è ancora vuoto,” spiegò Loki indicando il mobile con un cenno del capo, “provvederò a farti confezionare qualche altro vestito in serata.”
Nàl abbassò lo sguardo sulla propria figura: i nuovi vestiti che Loki gli aveva procurato non erano molto diversi dai precedenti. Sebbene fossero più nuovi e gli calzassero perfettamente, a differenza degli altri, ma non era il modello in sé per sé che attirava la sua attenzione.
“Perché il verde?” Chiese con naturalezza stringendo tra le dita l’orlo della propria tunica. Loki aprì la bocca ma non fu lui a rispondere.
“Si addice ai tuoi occhi.”
Nàl si voltò e gli occhi scuri di Frigga ricambiarono lo sguardo. “Se mi posso mettere, è un colore che ti dona,” commentò con totale sincerità. Nàl sorrise, “siete gentile…”
“Oh, ma dammi pure del tu!” Esclamò Frigga avvicinandosi, “come ho già detto, chiamarmi per nome è più che sufficiente.”
“Nella cerchia del principe i formalismi sono proibiti, Nàl,” spiegò Loki con la stessa serietà con cui avrebbe esposto i contenuti di una legge inviolabile.
“E proprio per questo,” Frigga passò gli occhi dal nuovo arrivato all’amico di sempre, “mi piacerebbe capire il motivo del muro di ghiaccio che vi siete costruiti tra l’uno e l’altro,” poi aggiunse, “a scanso di equivoci, la mia non vuole essere una battuta offensiva.”
Nàl guardò Loki, che non ricambiò lo sguardo, “colpa mia,” ammise quest’ultimo, “non mi è facile essere amichevole con altri della mia specie. Mi conosci, sai cosa voglio dire.”
Frigga annuì e sospirò profondamente, per lei sembrò essere una giustificazione più che sufficiente. Si voltò verso Nàl, “scusalo, ma c’ero quando è arrivato qui e…”
“Non mi dovete alcuna giustificazione,” la interruppe lui, “sono io l’ospite nella vostra bella casa ed è mio dovere adattarmi.”
Frigga sorrise apertamente, “abituarti a me e Loki non sarà difficile, ma se ti senti di mandare al diavolo il principe, ogni tanto, non trattenerti. È una sensazione completamente naturale.”
“Frigga…” La rimproverò silenziosamente Loki con un mezzo sorriso.
“Sì, lo so che devi fare il bravo fratellino e difendere il tuo adorato principe, ma il nostro nuovo amico deve essere messo in guardia,” Frigga osservò Nàl attentamente e le venne spontaneo passargli una mano tra i capelli con fare quasi materno. Inizialmente, Nàl fu tentato di ritrarsi tanto era estraneo ed imbarazzante quel semplice gesto gentile, ma non poteva arrecare dispiacere ad una fanciulla tanto vicina al principe ereditario, non poteva permettersi di mostrare ad altri un comportamento che potesse sembrare anche solo lontanamente strano o sospetto.
Doveva sottostare alle regole del gioco.
Frigga sospirò ed un velo di preoccupazione le coprì il viso, “sei più bello di molte delle nostre fanciulle, lo sai?”
Nàl non seppe che rispondere, “è un problema?”
Frigga rise. Non lo derise, semplicemente rise intenerita, “assolutamente…” Sospirò di nuovo, “non del tutto.”
“Frig, forse stai correndo un po’ troppo,” la bloccò Loki avvicinandosi con urgenza. Frigga gli lanciò un’occhiata particolarmente seria, “Loki, sul serio, non difendiamo tuo fratello in questioni in cui è indifendibile.”
“Non capisco di cosa tu stia parlando!”
“Invece lo sai benissimo!”
“Vorrei capire anche io, se mi è possibile,” domandò Nàl in modo tanto educato da attirare l’attenzione dei due amici. Frigga incrociò le braccia sotto al seno, “gli parli tu o gli parlo io?”
“Potresti uscire, per favore…” La pregò Loki con espressione stanca, “presumo che Odino ci voglia tutti pronti per l’ora di cena.”
Frigga annuì, “ho capito, ma tu parlagli.”
La fanciulla se ne andò. Nàl aspettò qualche secondo per assicurarsi che non stesse pensando di tornare indietro, poi rivolse tutta la sua attenzione a Loki, “ti dispiacerebbe essere chiaro?” Domandò con agitazione mal celata. Loki scosse la testa, “non è nulla di cui preoccuparsi, sul serio.”
“Non mi sembra una fanciulla tanto sciocca da preoccuparsi per niente.”
“Hai ragione, Frigga è tutto meno che una sciocca ma spesso sa essere ansiosa.”
“Dimmi almeno a cosa si riferiva!” Esclamò Nàl impaziente.
“Vedi di moderare il tono della voce…”
“Ti ordino di dirmi che cosa…!”
La frase gli morì in gola come cinque dita gelide gliela strinsero con forza spingendolo sul pavimento con violenza. Loki sorrise, un sorriso che non aveva niente a che vedere con quelli che mostrava a Odino, “allora?” Domandò divertito, “come ci si sente ad essere nel pugno di uno scarto, mio principe?”
Nàl gli artigliò il polso ma Loki non mollò la presa, “esigo essere trattato con rispetto nella mia casa, Laufey,” sibilò con voce glaciale, “tu non ordini niente a nessuno, tra queste mura, in questo mondo. Tu qui non sei nessuno e se vuoi continuare a non esserlo, ti conviene ascoltarmi quando ti parlo.”
Loki lo lasciò andare e si ritrasse, in modo che l’altro Jotun potesse tirarsi a sedere tastandosi la gola con mano tremante, “pensavo fossimo alleati.”
“Siamo complici, non alleati.”
Nàl rise, “ottima replica, Loki.”
Non disse nulla di quel che pensava, non disse nulla di quel che provava. Desiderava poter uccidere quel piccolo traditore nel modo più lento e più doloroso che conosceva. Non voleva che rimpiangesse il giorno in cui era nato, voleva che rimpiangesse il momento in cui aveva abbandonato Jotunheim per donare il suo cuore al principe di un mondo che cresceva dorato e glorioso a discapito di quello della sua gente.
La moglie di Borr era figlia di Jotunheim, dicevano.
Bestla sarebbe corsa in soccorso del suo popolo, credevano.
La regina di Asgard non aveva fatto altro che dare alla luce tre eredi maschi e morire lasciando la sua opera incompiuta. Jotunheim moriva, Asgard cresceva. Gli Jotun agonizzavano e gli Aesir erano ciechi di fronte a qualsiasi cosa che fosse esterna dal loro mondo. Nemici, alleati… Asgard aveva dimenticato chiunque.
“Tu sei la prova che Jotunheim si perde qualcosa abbandonando i propri figli.”
Io dimostrerò ad Asgard che cosa si arriva a perdere quando si abbandonano i propri alleati.

Il re alla cena non si era nemmeno presentato, non che fosse qualcosa di cui stupirsi o scandalizzarsi: una volta terminati i propri doveri di sovrano, Borr preferiva di gran lunga ritirarsi nelle sue stanze, piuttosto che ricordarsi che il mondo andava avanti. Che Asgard viveva e, con essa, i suoi splendidi figli.
Odino, invece, aveva fatto il suo ingresso in scena sorretto da due poveri servi, che dovettero faticare duramente per portarlo alla sua poltrona senza farlo cadere visto quanto si agitava.
Loki e Nàl furono  gli ultimi ad arrivare, in quanto il primo voleva assicurarsi che il secondo fosse istruito quanto bastava per potersi muovere a proprio agio nell’ambiente di corte, per quanto difficile potesse essere da fare in una sola sera. “Il re non ci sarà,” lo rassicurò ancor prima che entrassero, era tornato improvvisamente gentile dopo quello spiacevole episodio, “preferisce cenare in privato, nelle sue stanze.”
Nàl annuì segretamente rincuorato da una simile notizia.
“Noi ci siederemo vicino a Odino e Frigga,” spiegò Loki, “forse accanto a noi troveremo Vìli e Vè ma non tendono a rispettare le regole, figuriamoci i posti a tavola!”
“Pensavo che il banchetto della cena fosse affollato.”
“Lo è.”
“Allora perché parli come se in quella stanza dovessimo essere al massimo sei?”
Loki abbassò lo sguardo mordendosi per breve tempo il labbro inferiore, “è giusto che tu lo sappia: ci ignoreranno tutti gli altri. Il poco amore del re per quelli come noi è contagioso tra i nobili, è un piccolo prezzo da pagare per restare nella cerchia del re.”
Nàl strinse le labbra e fece per replicare ma Loki gli strinse un polso con inaspettata gentilezza, “Odino non è così!” Si affrettò a dire, “certo, non è ancora re ma il popolo lo ama ed un giorno, forse, riuscirà a cambiare molti pensieri comuni che si fanno su di noi.”
Nàl sbatté un paio di volte le palpebre, “se posso essere sincero, Loki, non capisco a chi ti riferisci quando parli di noi. Mi sembra chiaro che il tuo disprezzo per gli Jotun sia superiore a quello di questa gente.”
Loki annuì senza vergogna, “certo, Nàl, ma ci sono centinaia di altri bambini e giovani come me tra quei ghiacci e, a volte, penso che se sapessero che Asgard può essere un luogo sicuro per loro, forse si potrebbe fare qualcosa per evitare quegli abbandoni.”
“Vuoi dire che dovrebbero tradire Jotunheim anche loro per una vita migliore?” Chiese Nàl disgustato. Loki parve seriamente confuso, “non è quello che hai fatto anche tu?”
Nàl trattenne il fiato per un istante ed abbassò gli occhi fingendo vergogna, “è che vorrei che molte cose fossero diverse per la nostra gente.”
Loki sorrise, il primo sorriso spontaneo che Nàl gli vide comparire sul viso, “allora, per assurdo, lo scarto ed il principe vogliono la stessa cosa,” la sua espressione si raffreddò non appena si rese conto della confidenza che stavo dando all’ultima persona a cui voleva darla, “in ogni caso, fai quello che faccio io e tutto andrà bene.”
Odino li accolse entrambi con un gran sorriso, ma i suoi occhi avevano attenzione soltanto per Nàl. Frigga, che di solito sedava alla sua destra, non c’era. Loki ed il nuovo ospite di corte presero posto alla sua sinistra. “È andato tutto bene?” Chiese Odino al fratello. Loki annuì sorridendo gentilmente, “sì, l’ho fatto sistemare in camera mia. Non credo dovrebbe rimanere da solo, io avevo paura a rimanerci, ricordi?”
Odino gli diede un fraterno buffetto sul naso, “e come potrei dimenticare quei giorni?”
Nàl non si lasciò sfuggire il modo in cui Loki abbassò lo sguardo con un sorriso discreto, si sforzò di non ostentare l’amara verità che si nascondeva dietro a quegli occhi scuri. Ma il principe non si accorse di niente e, come se nulla fosse, rivolse la sua attenzione ad un paio di fanciulle che facevano il loro ingresso nella sala proprio in quel momento. Nàl fece una smorfia disgustata e non riuscì ad astenersi dallo sbuffare.
Loki gli lanciò subito un’occhiataccia, “non attiriamo l’attenzione.”
“Come se qualcuno potesse notarci col tuo principe che da spettacolo di se stesso,” commentò Nàl acido osservando con sguardo critico Odino che alzava il suo calice in direzione di un gruppetto di fanciulle gongolanti. Loki lo guardò con fare velenoso, “non ti permettere…”
“Perché neghi l’evidenza?” Domandò Nàl con tono annoiato, “sei il primo a pensare che si stia rendendo ridicolo con certi comportamenti frivoli. Non gli fai nessun piacere difendendolo in questo modo!”
“Non è mio dovere rimproverarlo.”
“Il tuo affetto per lui ti piega fino a questo punto?”
Loki fece per ribattere ma una nuova presenza accanto a loro interruppe la discussione sul nascere. “Le voci erano vere, dunque,” commentò un giovane uomo dai capelli biondi. Per un attimo, Nàl pensò che quegli Aesir sembrassero tutti uguali, solo in un secondo momento riuscì a soffermarsi sui dettagli di quel viso estraneo. Rozzo, squadrato e animato da un’espressione volgare. “Il nostro principe ha raccolto un altro bel micetto delle nevi,” il tizio buttò giù una vigorosa sorsata dal suo calice ricolmo di vino rosso e Nàl non riuscì a trattenere una chiara espressione di disgusto.
“Ehi Loki!” Chiamò battendo, con poca grazia, una mano sulla spalla del giovane Jotun, “perché non mi presenti questo gattino?”
Nàl guardò Loki e vide che fissava il tavolo con la sua stessa espressione di ribrezzo.
“Non ho bisogno di essere presentato da nessuno,” replicò con dignitosa freddezza, “tuttavia, se siete così curioso di conoscere il mio nome, potreste prima farmi la cortesia di favorire il vostro, signore.”
Il tipo rise fragorosamente poggiando il proprio calice sul tavolo abbastanza distrattamente da versarne metà del contenuto. “Il mio nome è Tyr, piccolo Jotun,” rispose il tizio sorridendo in modo fin troppo fuori luogo, “uno dei più forti guerrieri di Asgard, secondo solo al principe Odino in persona.”
“E futuro generale del mio esercito, se il destino sarà clemente!” Aggiunse Odino allegramente, come se si fosse accorto solo in quel momento della presenza del guerriero, “ma rischi di perdere la tua occasione se continui a tenere quella mano sulla spalla di mio fratello.”
Lo ammonì con simulata gentilezza il principe e Loki sospirò confortato quando quelle dita sudice lasciarono la presa su di lui. Tyr rise senza il minimo ritegno, “possessivo! Come ogni futuro re che si rispetti!”
Protettivo, Tyr, lo preferisco,” replicò Odino abbassando lo sguardo su Loki che ricambiò volentieri quell’occhiata d’intesa, “come ogni buon fratello maggiore nei riguardi del suo adorato fratellino.”
Tyr fece una smorfia tornando a fissare Loki con chiaro interesse, “ogni volta che lo vedo penso che tu abbia commesso un grave spreco legandolo a te con quel patto di sangue,” commentò malizioso avvicinando lentamente una mano al viso di Loki. “Attenzione, Tyr,” Odino gli afferrò fulmineamente il polso, “ti ho dato un ordine poco fa e lo stai già ignorando.”
“Pensavo fosse una richiesta, amico mio.”
“In entrambi i casi, ti ricordo che sono il tuo principe.”
Il sorriso di Tyr si ridimensionò notevolmente e Nàl non riuscì a trattenere un piccolo ghigno soddisfatto.
“Come non detto, vostra altezza,” Il guerriero alzò entrambe le mani in segno di resa prendendo le distanze da Loki a discapito dell’altro giovane Jotun. “Ma questo bel micino non appartiene ancora a nessuno, vero?” Domandò malizioso prendendo tra le dita una delle ciocche corvine del nuovo arrivato. Nàl non riuscì a controllarsi, il disgusto era tanto che avrebbe anche potuto vomitare seduta stante, “toglietemi le mani di dosso,” ordinò con tono glaciale e con uno sguardo che non era da meno. Loki mosse un braccio sotto il tavolo e gli afferrò una mano per invitarlo a mantenere la calma. Nàl comprese il motivo di quel gesto, ma non era così incline a piegarsi di fronte alle attenzioni di un essere tanto volgare.
“E tanto perché lo sappiate, non esiste nessuno nell’intero universo che possa ventarsi di possedermi e mai vi sarà.”
Odino era stato sul punto d’intervenire fin dal primo passo che Tyr aveva compiuto in direzione del suo nuovo ospite, ma Nàl aveva reagito ancor prima che lui avesse tempo di aprire bocca e l’aveva fatto con un orgoglio ed una dignità tale che il principe si era ritrovato a fissarlo incantato, senza parole. Tyr si lasciò andare ad una risata isterica per coprire la rabbia e l’umiliazione che un simile rifiuto gli provocava, “il nostro principe vi raccoglie con tanta benevolenza, vi offre una casa di gran lunga migliore di quella che voi piccoli figli di razza bastarda vi meritate e pensate di non dover pagare nemmeno un piccolo prezzo per la vostra permanenza?”
Odino non poté trattenersi oltre, Tyr aveva osato anche troppo! Dimentico della gamba rotta, tentò di alzarsi solo per ricadere dolorante al suo posto. “Fratello!” Esclamò Loki aiutandolo di nuovo a sedersi compostamente.
Il rumore di cristallo che s’infrangeva al suolo fu abbastanza forte da far tacere il chiacchiericcio che aveva riempito la sala fino a quel momento. Loki e Odino si voltarono e videro la brocca giacere sul pavimento in mille pezzi. Tyr era caduto in ginocchio reggendosi la testa con entrambe le mani, mentre dei versi animaleschi e doloranti uscivano dalla sua bocca senza vergogna.
Nàl se ne stava in piedi davanti a quel bello spettacolo, il braccio destro ancora sospeso in aria e l’espressione di chi aveva agito nel giusto, senza meritarsi alcun rimprovero. Odino restò sbigottito di fronte alla glaciale fierezza di quegli occhi verdi e non riuscì a staccare lo sguardo di dosso dal giovane Jotun mentre si voltava ed usciva dalla stanza a testa alta, senza guardare in faccia nessuno, senza giustificarsi, senza  voltarsi esitante nemmeno per un istante.
Il principe prese un bel respiro, come se l’avesse trattenuto fino a quel momento.
“Maledizione…” Sibilò Loki accanto a lui lasciando la presa sulle sue spalle per correre dietro all’altro Jotun ed ignorando completamente il povero Odino, il quale tornò ad aggrapparsi ai braccioli della sua sedia per non essere il secondo Aesir della serata a cadere rovinosamente sul pavimento.

“Hai aggredito il guerriero più forte del regno!”
“Lo so.”
“L’hai fatto di fronte all’intera corte!”
“Sì, me ne sono reso conto.”
“Con tutto il rispetto,” Loki chiuse la porta della loro camera con particolare violenza, “quello non era il comportamento di qualcuno che non vuole attirare l’attenzione.”
Nàl si voltò di colpo a guardarlo, “con tutto il rispetto, ma penso di aver fatto l’unica cosa che andava fatta in quel momento. E non provare a negarlo!”
Loki aprì la bocca ma si ritrovò solo a sospirare profondamente, “io sono disposto ad aiutarti che se questo è per il bene della mia casa e di mio fratello ma…”
“Casa?” Nàl lo fissò sbigottito, “tu riesci a chiamare casa un posto dove devi convivere con degli esseri disgustosi e volgari come quello?”
“Non sono tutti come Tyr, te lo assicuro!” Esclamò Loki con convinzione, “sì, è vero, non posso biasimarti in alcun modo per come hai reagito. A differenza mia, sei un principe, sei abituato al totale rispetto della tua persona, immagino.”
“Qui non si tratta di questioni di rango, Loki,” replicò Nàl con improvvisa calma, “se il re ci odia per dei motivi personali che non mi è dato comprendere, bene. Ma non me ne starò zitto a sopportare, mentre la sua cerchia di fedelissimi mi tratta e guarda come se fossi una prostituta a loro completa disposizione.”
Inaspettatamente, Loki rise e Nàl lo guardò con espressione sconcertata, “cosa ci trovi di così divertente?”
L’altro scosse la testa, “forse dovrei smettere di rendermi così insopportabile e spiegarti alcune cose, prima che tu possa sfondare la testa a qualsiasi giovane uomo del palazzo.”
“Non riesco ancora a capire l’ironia della cosa.”
“Ti aiuto a cambiarti, vuoi?” Nàl annuì, “ci sono cose di questo mondo che devi sapere.”
Il principe di Jotunheim non disse nulla mentre Loki lo invitava ad alzare le braccia per liberarlo della tunica, “scommetto che, nella tua posizione, a nessuno era permesso guardarti nel tuo mondo. Sbaglio?”
Nàl scosse la testa, “no, non sbagli. Tempo fa, quando ero più giovane, troppo giovane persino per essere toccato dal mio compagno. Fàrbauti uccise due guardie che aveva osato fissarmi con troppa intensità.”
Loki fece una smorfia e Nàl gli lanciò un’occhiata sbieca slacciandosi la cintura dei pantaloni.
“Per essere brevi, qui siamo un tantino più permissivi,” spiegò Loki aprendo l’anta dell’armadio del suo nuovo compagno di stanza. Nàl roteò gli occhi, “grazie, l’avevo notato.”
“Devi capire che noi due siamo completamente diversi da tutto ciò che gli uomini di Asgard possono avere.”
“Mi hanno insegnato a temere il diverso,” mormorò Nàl chiarendo il perché della sua incomprensione.
“Cercano di farlo anche qui,” mormorò Loki avvicinandosi di nuovo con una camicia da notte bianca stretta al petto, “ma la verità è che il diverso sa di proibito. E il proibito…”
“Ho compreso, “ lo interruppe il principe vagamente infastidito da simili argomenti. Loki accennò un sorriso, “non lasciare che i loro sguardi t’infastidiscano. Il comportamento di Tyr è stato spregevole, ma molti giovani ti guarderanno solo per guardarti, senza permettersi d’insultarti in alcun modo.”
“Anche il tuo principe lo fa,” mormorò Nàl infilandosi velocemente la camicia da notte, “ma mi sembra lo faccia con ogni cosa che respiri.”
Loki si rabbuiò appena, “sì, mio fratello lo fa spesso ma non continua a farlo a lungo con la stessa persona.”
“I suoi desideri hanno vita breve…”
“Già…”
“È di questo che Frigga voleva parlarmi?” Intuì Nàl, “voleva mettermi in guardia dal modo in cui il vostro principe mi guarda.”
“Laufey…” la voce di Loki era gentile, “Odino non farebbe mai nulla contro la tua volontà. Non è quel genere di uomo. Tu sei già stato con il tuo compagno, hai detto… Non nel modo in cui è richiesto alle coppie adulte, certo ma se quello che so sul modo in cui gli Jotun prendono i loro compagni per la prima volta è vero, allora non sono i giovani come mio fratello che devi temere.”
L’espressione di Nàl s’indurì di colpo, si morse il labbro inferiore con forza ma si rifiutò di abbassare lo sguardo e Loki decise di voltarsi per non far gravare su di lui pressioni ulteriori: non era il genere di argomento su cui gli piaceva infierire.
Qualcuno bussò alla porta e Loki diede il permesso ad entrare. Frigga fece capolino nella stanza sorridendo gentilmente, “Nàl, Odino vuole parlarti… Oh, ti sei già cambiato.”
“Non è un problema,” s’intromise Loki recuperando il mantello verde dalla sedia su cui l’aveva appoggiato e avvolgendolo attorno alle spalle di Nàl, “così dovrebbe andare.”
L’altro lo guardò come se lo avesse appena tradito nel più spregevole dei modi. Loki tentò di sorridere, “so quello che faccio, devi imparare a fidarti di me.”
“Lo accompagno io,” la rassicurò Frigga, “Buonanotte, Loki.”

“Sembri teso,” commentò Frigga guidando il giovane ospite lungo i corridoi.
“No, affatto,” replicò Nàl fissando un punto nel vuoto di fronte a sé ma, a dispetto delle sue parole, strinse il lembo del mantello con forza. Frigga gli sorrise di nuovo con fare materno, come aveva fatto quel pomeriggio, “rilassati, non sei una sposa alla sua prima notte di nozze.”
Nàl si astenne dal replicare.
“So che cosa pensi,” continuò Frigga con fare spontaneo, “ma non è così. Non devi concedere nulla a nessuno per restare qui.”
“Il vostro guerriero non sembrava dello stesso avviso.”
“Oh! Tyr è l’uomo più depravato del regno, sarebbe capace di accoppiarsi con una capra.”
Nàl strabuzzò gli occhi e Frigga simulò un colpo di tosse per darsi un contegno, “scusa, ma lo penso sul serio! E penso che tu gli abbia dato una gran lezione oggi, era ora che qualcuno lo mettesse al suo posto. Oden mi ha raccontato tutto.”
Il giovane Jotun accennò un sorriso, “spero di non offenderti, se ti confido che sei diversa da tutte le altre fanciulle che ho avuto modo di vedere nelle ultime ore.”
“Ah, mio caro! Sono la sola e unica della specie, tutte le altre appartengono a quella che muore dietro al principe senza un briciolo di dignità.”
Nàl annuì, il profondo disagio di poco prima attenuato di colpo, “non sono una fanciulla, ma… Non appartengo nemmeno io a quella categoria.”
“Oh sì, l’ho capito subito!” Rispose lei aprendo una porta alla loro destra lentamente ed abbassando notevolmente il timbro della voce, “per questo volevo che Loki ti avvertisse, ma dopo quello che hai fatto, penso che Oden abbia capito molte cose da solo.”

La camera era buia e questo fu più che sufficiente ad inquietarlo. L’atmosfera dorata che aveva avuto modo di saggiare nelle altre stanze, lì era sostituita da un evanescente bagliore argentato che la luce della luna donava ad ogni cosa. Le grandi finestre erano aperte e la brezza leggere faceva volteggiare le tende ai loro lati con movimenti infintamente eleganti. Il giovane Jotun si ritrovò a fissarle incantato per qualche secondo, prima che un figura scura comparisse proprio davanti ai suoi occhi.
S’irrigidì ma il sorriso radioso che l’altro gli rivolse fu inconfondibile, “Nàl…” Mormorò Odino muovendo qualche passo dentro la stanza, “non ti ho sentito entrare.”
Il giovane Jotun non replicò, si limitò a fissare sbigottito il principe dorato che si reggeva senza sforzo sulle proprie gambe. Odino fissò la propria figura con orgoglio, “sorprendente cosa può fare la magia, vero?”
Nàl avrebbe voluto rispondere che lo sapeva fin troppo bene, ma si limitò ad annuire in silenzio.
“Ho convinto una delle giovani curatrici che si trovava al banchetto ad aiutarmi,” spiegò Odino con ingenuità guadagnandosi un’inevitabile espressione contrariata, “ho detto qualcosa che ti ha infastidito?”
Nàl scosse la testa velocemente abbassando lo sguardo, “la vostra amica ha detto che volete parlarmi.”
“Arrivi subito al punto, eh?” Odino gli porse la mano, “vieni, andiamo sul balcone. La luna è così bella questa notte.”
Nàl rifiutò la mano ma seguì il principe ereditario docilmente e questi lo invitò ad accomodarsi su una delle poltrone che, probabilmente, aveva fatto preparare appositamente per l’occasione. Odino indugiò lo sguardo sul mantello in cui il proprio ospite era avvolto, “perdonami, ti ho sorpreso in veste da camera.”
“Non c’è problema,” mentì Nàl con impeccabile educazione.
Odino dimenticò velocemente la questione sedendosi di fronte al proprio ospite, “spero che, con Loki, sia andato tutto per il meglio.”
Nàl annuì, “vostro fratello è molto gentile con me, vostra altezza.”
“Oh, ti prego! Ti ho già detto di chiamarmi Odino!”
“Con tutto il rispetto, non ho ancora abbastanza confidenza per eliminare i formalismi tra di noi, mio principe,” replicò Nàl sperando che il suo comportamento non fosse giudicato arrogante. Odino gli concesse un sorrise un po’ meno solare, “capisco, prenditi pure tutto il tempo di cui hai bisogno.”
“Vi ringrazio.”
“Era mio desiderio scusarmi con tutto il cuore per quel che è successo a cena,” disse il principe con estrema sincerità, “non sei riuscito a toccare cibo e mi dispiace. Per il comportamento del mio guerriero, non mi permetto di pronunciarmi. Se desideri che venga punito, io…”
Nàl fissò il principe sbalordito, “io… Io… Non potete cedere ad un’umile creatura come me un simile potere.”
Odino rise, “sono il principe, posso fare tutto quello che voglio!”
Nàl scosse la testa, “perdonatemi, ma credo che siate nel torto.”
Il principe sbatté le palpebre un paio di volte, “non credo di capire. Un giorno questo regno sarà mio e…”
“Avere un regno significa un gran numero di responsabilità, mio signore,” lo interruppe Nàl, “e avere delle responsabilità è del tutto diverso dal desiderio di fare ciò che si vuole. Le ritengo due cose completamente opposte, se posso permettermi di essere franco.”
Odino restò senza parole di fronte ad una risposta tanto sincera e per nulla formulata per asseconda le sue convinzioni. Sorrise: era una novità che gli piaceva. “Puoi permetterti di essere franco quanto vuoi, Nàl,” rispose con tranquillità, “e detto questo, quale pensi che sia la punizione migliore per il comportamento di Tyr.”
“Non penso che vi sia nessuna punizione che meriti, signore.”
Odino inarcò un sopracciglio, “questa è una risposta piuttosto strana.”
Nàl fece una piccola smorfia, “ho il permesso di essere sincero con voi. Ho capito bene?”
“Totalmente…”
“Bene,” lo Jotun sospirò, “ritengo che sia inutile, per non dire scorretto, punire un giovane esponente della nobiltà solo per aver ostentato un comportamento che nel vostro palazzo, signore, sembra più che normale.”
Odino s’issò sulla sua poltrona, “qualcun altro ha arrecato offesa a te o a mio fratello in mia assenza, oggi?”
“No,” ammise Nàl scuotendo appena la testa, “ma voi stesso vi permettere di civettare con ogni fanciulla che vi aggrada di fronte agli occhi della vostra corte.”
Odino gelò.
“Il vostro uomo è forse stato più volgare ed insistente di voi, ma in sostanza il vostro comportamento non è poi così diverso dal suo,” una pausa, “per questo, ritengo che non sia giusto punirlo in alcun modo. Sebbene  personalmente ritenga che uomini di quel genere siano pericolosamente simili a delle fecce, vostra altezza.”
Odino restò a fissare il proprio interlocutore per un lungo istante, “io non mi permetterei mai di usare una persona come un oggetto per svagarmi.”
“Ah no?” Nàl sorrise sarcastico, “vostro fratello mi ha raccontato che i vostri desiderio possono vivere al massimo per un paio di notti.”
Odino sospirò coprendosi gli occhi con una mano, “Oh, Loki…”
“La vostra amica Frigga è stata molto più onesta su questo punto.”
“Non credo di voler sapere…”
“È arrivata a mettere in guardia me, vostra altezza,” spiegò Nàl con totale sincerità, “e dato che questa conversazione si è orientata in questa direzione. Rinnovo quanto ho detto al vostro guerriero, non esisterà mai un uomo in grado di ottenere la mia proprietà. Non mi ritengo un oggetto e pretendo che gli altri non mi considerino tale.”
Odino annuì, “questo ti è più che dovuto.”
“Non mi è parso.”
Il principe rise, “è tutto il giorno che ti guardo senza nascondere il mio apprezzamento,” ammise, senza alcuna vergogna. “Sei la cosa più bella che abbia visto in parecchio tempo, lo sai?” Allungò una mano per sfiorare una delle guance pallide dello Jotun. Nàl non si mosse.
“Ma ho capito perfettamente che non asseconderai i miei desideri facilmente come speravo.”
Nàl lo guardò disgustato. Fece per alzarsi ma il principe fu più veloce e lo bloccò sulla sedia stringendogli entrambe le spalle. Dannato in momento in cui si era fidato di Loki! Dannato il momento in cui si era lasciato condurre lì, senza nemmeno opporre resistenza!
“Non è mia intenzione farti del male, Nàl.”
“Non è mia intenzione essere la tua sgualdrina di questa notte, Odino!” Sibilò l’altro con disprezzo ed il principe sorrise, “è bastato poco per farti pronunciare il mio nome spontaneamente.”
Nàl ghignò, “prova a toccarmi e ti farò urlare il mio, ma non come vuoi tu.”
“È un rischio che sono disposto a correre per due occhi come i tuoi.”
“Vi state ripetendo, mio principe.”
“Ho la mente occupata a pensare ad altro,” rispose Odino malizioso, mentre faceva scendere la mano destra lungo il braccio coperto del suo ospite, “hai quello sguardo così fiero e velenoso anche mentre fai l’amore?”
“Temo che non lo scoprirete mai,” rispose Nàl senza togliersi quel sorrisetto diabolico dalla faccia.
“Mi piacciono le sfide, mi piace combattere.”
“Ma questa è un guerra persa.”
“Ripetimelo quando sarai tu quello a perdere,” la mano di Odino s’infilò sotto il mantello incontrando quella di Nàl. La prese e la sollevò, l’altro non oppose alcuna resistenza.
“Dici che nessun uomo potrà mai possederti,” Odino sorrise, “vogliamo vedere se sarà lo stesso per il principe degli déi?” Posò le labbra sul dorso di quella piccola mano fredda, come se fosse la cosa più fragile e preziosa al mondo. Nàl rimase in silenzio, non capiva, non sapeva quale fosse il significato di quel gesto.
Odino si drizzò permettendogli di muoversi liberamente di nuovo, ma Nàl rimase immobile.
“Ora, se non ti dispiace,” Odino gli offrì una mano per aiutarlo ad alzarsi, “ho degli obblighi verso una giovane curatrice da rispettare.”
Lo stato di sbigottimento in cui Nàl era caduto svanì nel giro di un secondo. Scoccò al principe un’ennesima occhiata glaciale, per poi alzarsi con violenza dalla propria poltrona e precipitarsi fuori dalla stanza senza troppe cerimonie.
Odino sorrise divertito sfiorando le proprie labbra ancora leggermente fredde dopo il contatto con quella mano pallida, “buona notte anche a te, Nàl.”

*****
 
Varie ed eventuali note:
Tyr:
nella mitologia è il dio della guerra, identificato come l’equivalente di Marte della mitologia romana (per quel che ne so in un’edizione dell’Edda è anche citato come figlio di Odino). Per quel che ne so ha anche un ruolo di qualche importanza nel comic ma onde evitare di dire fesserie invito, come sempre, i curiosi ad affidarsi più a google che a me.
Tra questo e lo scorso capitoli sono stati lanciati, letteralmente, dei particolari a riguardo delle usanze degli Jotun che però mi sono ancora soffermata a spiegare del tutto. Giuro che non si tratta di una svista, il motivo di questa “vaghezza” è più che voluto.
Come ho fatto un paio di capitoli fa, invito sempre a fare particolare attenzioni alle scene dei sogni, si moltiplicheranno molto presto con il proseguire della trama e arriveranno al punto di non rappresentare più delle semplici parentesi oniriche, ma ho detto anche troppo!

Ringrazio di cuore tutti i recensori e lettori, spero di trovare nei capitoli successivi il tempo necessario per rispondervi degnamente, perdonato se non l’ho ancora fatto. Non vorrei che questo fosse scambiato per ingratitudine, anzi un ringraziamento anche per chi segue questa storia pur senza recensirla. Fa sempre piacere sapere di avere un pubblico!

A presto!

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Capitolo 6
*** Conquista ***


V
Conquista

[Asgard, oggi.]

Quasi lo disgustava il modo in cui ancora riusciva a lasciarsi andare tra le braccia di sua madre.
“Thor mi ha raccontato tutto, Loki.”
Quasi lo faceva vergognare per tutto ciò che aveva fatto.
“Hai tutto il diritto di essere in collera con lui. Ti ha deluso. Devi esserti sentito tradito, vero?”
Loki non rispose, chiuse gli occhi lasciando che le carezze della regina tra i suoi capelli lo cullassero e portassero la sua mente lontano, dove il pensiero di Thor non faceva male, dove il pensiero dell’uomo che aveva creduto suo padre non poteva più ferirlo, dove la verità sulla sua nascita non lo spingeva ad odiare se stesso più di quanto la sua diversità innata non avesse fatto per tutta la sua vita. “Tuttavia, Loki, io ti chiedo di comprenderlo…” Frigga ponderò con prudenza le proprie parole, “lo so che è impensabile, ora. Ma ho passato tutta la mia vita a fianco di un uomo che era così simile a tuo fratello in gioventù. Così passionale ed impulsivo. Così dannatamente onesto nell’esprimere i propri pensieri e sentimenti da spiazzarmi. Eppure, questa loro sincerità è capace di renderli così vulnerabili, a volte. Li spinge a compiere passi che non sono ancora pronti a fare.”
Loki alzò il viso che per guadarla negli occhi: non mentiva, era sincera. Frigga sorrise amorevolmente, “non dubitare dell’amore di tuo fratello. Ha passato gli ultimi tre giorni e le ultime tre notti a sorvegliare la tua stanza fuori da quella botola. Prova vergogna per la codardia che ha dimostrato, prova dolore per quello che è sicuro di averti provocato.”
Loki guardò la botola con viso inespressivo e, con una smorfia, tornò a fissare il muro appena un istante dopo.
“Non tornerà da te di sua spontanea volontà, ha troppa paura di farti altro male. Conosci tuo fratello, di fronte ad una difficoltà anche piccola è capace di cadere nel panico più totale, eri tu a prenderti cura di lui quando cadeva in errore. Te lo ricordi, tesoro?”
No, non lo ricordo.
“Tu non sai cosa darei per sentire la tua voce chiamarmi madre ancora una volta, amore mio.”
Loki la guardò di nuovo, c’era una chiara nota di confusione nei suoi occhi verdi questa volta e Frigga gli concesse un altro sorriso ma questa volta era triste, “ti ho visto nelle tue sembianze di Jotun quando eri ancora un neonato, figlio mio.”
Il giovane non si mosse ma s’irrigidì come un pezzo di marmo.
“Eri come loro quando ti ho tenuto tra le braccia per la prima volta. Thor non era con noi, era troppo piccolo perché potesse vedere, capisci?” Frigga gli scostò una ciocca scura da davanti agli occhi, “il tuo aspetto non mi ha impedito di amarti fin dal primo istante.”
Loki si morse il labbro inferiore e fu costretto a voltare il viso per impedirle di vedere le lacrime nei suoi occhi. Non è sufficiente, nulla è più sufficiente, ormai.
“Quello che voglio dirti è che Thor non ha mai smesso di amarti, nemmeno quando ha saputo la verità, ha aggredito vostro padre, piuttosto. Lui sa chi sei e ti vuole con sé, nonostante questo. Non mente quando lo dice, ogni parola che ti rivolge viene direttamente dal suo cuore. È un principe tra gli dei, sì, ma… Quando è con te, è solo un giovane uomo che cerca di proteggere ciò che ha già perso una volta e la paura che accada ancora, di fallire di nuovo, lo porta a commettere degli errori infantili.”
Loki affondò il viso nel cuscino, non era sicuro di poter sopportare oltre quelle parole pronunciate con voce così materna e gentile.
“Thor è qui, vicino a te,” mormorò Frigga posandogli una bacio sulla guancia e alzandosi lentamente dal letto, “sa di non esserlo stato in passato e non si allontanerà così facilmente, ora,” accennò un sorriso divertito, “in ogni caso, si rifiuta di bere o mangiare… Penso che sia il suo modo per punirsi e tra poco collasserà, se ti fa piacere saperlo.”

[Asgard, secoli fa.]

“Dal tuo sguardo, deduco che non ci siano molti libri su Jotunheim nemmeno all’interno del palazzo reale.”
“No,” rispose Nàl guardandosi intorno meravigliato, “non così tanti.”
Loki sorrise dalla cima della scaletta scorrevole passando al principe un pesante volume, “potresti appoggiarlo laggiù, per favore?” Nàl annuì afferrando l’oggetto e studiandolo per tutto il tragitto fino al tavolo da lettura più vicino, “ma questo parla del nostro mondo.”
“Il tuo mondo,” lo corresse Loki con fermezza. Nàl sbuffò, “il mio mondo, come preferisci.”
“Voglio mostrarti quel che gli Aesir sanno su di noi e dirti qualcos’altro di quel che so io.”
“Per quale motivo?” Domandò Nàl inarcando un sopracciglio, “conosco Jotunheim, conosco la mia gente, perché dovrebbe importarmi di quel che pensano i sudditi di Borr?”
“È per aiutarti a capire alcune cose,” spiegò Loki, “potrebbe esserti utile per saperti muovere e comportare all’interno della corte. Per me lo è stato.”
“Non è stato Odino a guidarti all’interno di questa realtà dorata?” Domandò il principe con una nota di sarcasmo nella voce. “Mio fratello ha fatto del suo meglio, ma io ero più curioso di quel che gli ho lasciato credere,” rispose Loki.
Nàl lo squadrò con attenzione prendendo posto al tavolo di fianco a lui, “non è vero che non ti sei mai interessato della tua gente, allora.”
Loki scrollò le spalle, “ero un bambino, Laufey. Quel che sapevo non giustificava quel che mi era stato fatto, volevo capire, dovevo sapere ma la maggior parte delle cose che so su quelli come noi le ho lette tra queste pagine. Molte informazioni non sono vere, lo posso vedere su di me. Ora ho l’occasione di scoprire se ci sono altri errori e tu puoi capire il motivo per cui molti nobili ci guardano come esseri inferiori.”
“Qualcosa mi dice che non mi piacerà.”
“Saranno poche le cose che ti piaceranno di questo mondo, mio principe.”
“Odio quando mi chiami così, lo sai?” Gli fece notare Nàl con espressione annoiata.
“Ne sono perfettamente consapevole, mio principe,” ripeté Loki con un sorrisetto che fece sbuffare sonoramente l’altro. Il fratello dell’erede di Asgard prese il libro tra le mani aprendone la copertina e fissando l’altro Jotun con fare inquisitorio. Nàl rise, “cosa c’è? Vuoi interrogarmi?”
Loki fece un mezzo sorriso abbassando gli occhi sulla prima pagina, “qui c’è scritto che il nostro popolo ha l’abitudine di mangiare i bambini nati con caratteristiche poco coerenti a quelli della specie, tipo me.”
Nàl commentò con un silenzio allibito che interruppe con un altro sbuffo, “lo sapevo che non mi sarebbe piaciuto,” commentò vagamente adirato ma Loki gli afferrò il polso prima che potesse alzarsi dalla sedia.
“Per favore,” chiese con un sospiro, “non costringermi a ricordarti per la terza volta che, nelle tue attuali sembianze, non puoi usare il ben che minimo potere, mentre io ho il totale controllo di tutte le mie capacità.”
Nàl strinse le labbra fino a farle diventare una linea sottile e, suo malgrado, tornò ad accomodarsi contro lo schienale della sedia. “Come dicevo,” continuò Loki con tono assurdamente gentile, “questo libro è pieno di falsi luoghi comuni. Gli scarti o i mezzosangue non vengono mangiati, sappiamo entrambi quale sorte devono subire.”
“Ehi…”
“Non provare a negare l’evidenza, almeno!”
Nàl si zittì immediatamente, “gli scarti… Quelli come te, non sono considerati come i mezzosangue. Voi siete come bambini deformati per noi. I mezzosangue sono ibridi, è quasi impossibile che ne esistano due uguali.”
Loki annuì, “deduco che la madre di Odino fosse quel genere di mezzosangue che la tua gente era capace di apprezzare.”
Nàl scrollò le spalle, “era di stirpe nobile,” raccontò, “a dispetto di quello che può sembrare, i nobili di Jotunheim sono esperti di magia. Io stesso sono stato educato per usarla, anche se penso che tu l’abbia dedotto guardandomi. Suo padre aveva le sembianze di un Aesir quando sedusse sua madre, almeno così mi è stato raccontato. Un membro del popolo non avrebbe mai osato tanto: come ho detto, c’insegnano a temere il diverso ma penso che a quei tempi l’alleanza tra Asgard e Jotunheim fosse abbastanza forte da sorvolare su incidenti di questa natura.”
“Da quel che so, la regina Bestla non ha mai odiato le sue origini…”
“Suo padre l’amava, perché era una cosa rara. Nessuno avrebbe osato farle del male.”
Loki voltò un paio di pagine, “rara hai detto?” Domando, sebbene avesse capito benissimo, “ti riferisci al fatto che fosse una femmina?”
Nàl annuì, “era più un’Aesir che una Jotun, per questo le è stato possibile divenire regina di Asgard. Dicono fosse molto bella.”
“Sì, lo dicono anche qui,” confermò Loki, “dicono anche che Odino abbia ereditato la sua bellezza.”
Nàl storse il naso, “il tuo principe non sembrerebbe uno Jotun nemmeno sotto un incantesimo come quello che ha cambiato le nostre sembianze.”
Loki sorrise, “sì, forse hai ragione. Ha sangue Jotun solo per un quarto, dopotutto e, come hai detto tu, non si può mai sapere cosa possa nascere da l’incontro di due popoli così diversi.”
“Tu non l’hai mai vista, vero?” domandò Nàl curioso.
“No,” Loki scosse appena la testa, “so che aveva i capelli neri come i nostri e gli occhi rossi. Oltre a questo, però, sembrava un’Aesir come tutte le altre. A dire il vero, Odino dice che era più bella di tutte le altre, l’ha avuta solo per pochi anni ma penso che il legame tra loro fosse forte.”
Nàl sospirò, “forse è per questo che è così amorevole nei nostri confronti.”
Loki alzò gli occhi dal libro, “cosa?” Chiese non riuscendo ad afferrare il senso di quella frase.
“Il re ci odia perché gli ricordiamo qualcosa che ha perso,” spiegò Nàl, “Odino ha un debole per noi perché assomigliamo alla prima cosa che ha realmente amato al mondo. È lo stesso sentimento espresso in due modi opposti, credo.”
Loki sbatté le palpebre un paio di volte, “non l’avevo mai vista da questa prospettiva.”
Nàl gli rivolse un sorrisetto, “la tua brillate capacità deduttiva si offusca di fronte al tuo principe dorato, mio caro Loki.”
L’altro Jotun gli tirò una gomitata, “piantala…”
“La verità fa male…” Commentò con insistenza Nàl e Loki decise d’ignorarlo tornando a concentrarsi sul libro che aveva tra le mani, “per la cronaca, non penso che Odino sappia che sua madre era… un’eccezione.”
Nàl lo guardò confuso, “cioè pensa che su Jotunheim esistano creature che corrispondono a quelle che qui chiamano donne?”
“Sì, penso di sì. Perlomeno, io non gli ho mai confermato il contrario.”
Nàl si lasciò andare ad una risatina acida, “non solo non vede come lo guardi, non ti ha nemmeno mai visto nudo.”
“Quell’insopportabile pudicizia dei giorni scorsi che fine ha fatto, per sapere?”
“Mi è stato dimostrato che qui è illegale!” Rispose sarcastico il principe di Jotunheim e Loki non seppe come ribattere, “e per sapere, come si spiega che non abbiamo una regina e che tutti gli Jotun hanno per compagni quelli che ai suoi occhi appaiono come degli uomini?”
Loki scrollò le spalle, “Odino ha tanta fantasia, specie riguardo a queste cose, si sarà dato una risposta logica e non avrà indagato oltre.”
“Qualcosa mi dice che si è raccontato una storiella idiota.”
“Andiamo avanti,” Loki sospirò, “una cosa m’interessa saperla veramente, non ho mai potuto confermarla.”
“Ti ascolto…” Gli concesse Nàl guardandolo negli occhi.
“La legge sui bambini dei criminali è vera?” Domandò Loki con filo d’ansia, “è vero che per un crimine che da noi verrebbe punito condannando il colpevole a morte, su Jotunheim ha conseguenze sui figli del criminale?”
Gli occhi verdi di Nàl si rabbuiarono di colpo, “vuoi sapere se i figli pagano per i peccati dei padri?”
Loki annuì con un movimento appena percettibile: non era sicuro di voler sapere.
“Su Jotunheim,” cominciò Nàl senza staccare gli occhi da quelli dell’altro, “i figli di chi si macchia di una colpa imperdonabile vengono giustiziate di fronte agli occhi del genitore colpevole. Neonati, bambini, fanciulli… Non ha importanza.”
Loki abbassò lo sguardo, “lo dici come se fosse un’ovvietà,” commentò con voce tremante.
“La propria morte non fa male quanto quella di un figlio.”
“Anche questo lo dici come se fosse scontato,” gli occhi scuri di Loki tornarono a guardare il principe dallo sguardo gelido, “eppure nessun genitore esita ad abbandonare i bambini come me. Dov’è l’amore in tutto ciò?”
“Non è una cosa paragonabile,” spiegò Nàl con convinzione, “le umiliazioni non sono ammesse su Jotunheim ed un figlio indegno è la peggiore delle vergogne, capace di disonorare un’intera stirpe.”
“Noi non siamo deboli!” Esclamò Loki improvvisamente, “non siamo indegni! Il nostro aspetto è differente ma siamo in grado di ragionare e provare emozioni proprio come voi.”
Fu il turno di Nàl di abbassare lo sguardo, “se posso confidarti una cosa in totale sincerità, Loki, nessun giovane Jotun ha mai avuto occasione di conoscere un proprio coetaneo scarto. Nessuno ha mai avuto la possibilità che abbiamo io e te ora, qui. A che cosa dovremmo credere, se non a quello che c’insegnano gli adulti?”
“Allora ti faccio un’altra domanda, Laufey,” Loki gli afferrò di nuovo il polso, “tu sei un principe, potresti diventare re un giorno, se il destino sarà clemente con te. Quindi ti chiedo, come re, ora che hai conosciuto me, ora che hai visto che uno scarto può avere limiti e talenti come qualsiasi altro Jotun, permetteresti a questa pazzia di continuare?”
Nàl s’irrigidì immediatamente, fissò Loki per un lungo istante prima di rispondere, “non so cosa farei come re,” ammise, “ma come genitore spererei con tutto il cuore di non avere un figlio diverso dagli altri.”
Loki abbassò lo sguardo e annuì, un po’ deluso e un po’ amareggiato, “e se andasse male, se tuo figlio fosse come me?”
Nàl sospirò pesantemente, “consolati, avere un bambino non è nelle mie priorità.”
“Se quel trono sarà tuo, un giorno, dovrai pensarci.”
“Non so se voglio il trono di un mondo da cui sono scappato.”
Loki sorrise appena e scosse la testa, “io non tornerei mai lì, neanche se quelli come me venissero accolti con il calore con cui un popolo dovrebbe accogliere ogni suo figlio. Ma tu… Tu sarai re e, una volta morto tuo padre, nulla potrà schiacciarti.”
Nàl sorrise a sua volta ma con sarcasmo, “e pensi che il popolo accetterà un principe che si è dato alla fuga?”
“Per quel che ho sentito dire, il popolo ti ama.”
“Il popolo ama Fàr, non me. Io sono cresciuto isolato lontano da tutto e tutti.”
“Fàr?” Loki rise appena, “è così che chiamavi il tuo compagno?”
“Non intenerirti, ora.”
“Non era mia intenzione,” Loki riportò tutta la sua attenzione sulle pagine del libro che aveva tra le mani e voltò pagina, “ma questo ci porta velocemente al prossimo punto da analizzare.”
Nàl roteò gli occhi, “non vedo l’ora.”
“Secondo questo libro,” cominciò Loki sfogliando altre tre o quattro pagine, “le relazioni su Jotunheim hanno parecchie restrizioni.”
Nàl inarcò un sopracciglio, “pensavo ne avessimo già parlato.”
“Sì,” ammise l’altro annuendo appena, “ma quando ho accennato alla modalità di accoppiamento degli Jotun, ti sei oscurato immediatamente.”
“Non so a che cosa tu ti riferisca.”
Loki fece una smorfia, “ti dirò quello che ho scoperto sul tuo popolo leggendo queste pagine. Dopo i primissimi anni dalla nascita i bambini di alcune generazioni successive le une alle altre vengono fatti tutti giocare insieme, mi chiedo come sia possibile tenere sotto controllo un’usanza di questo genere.”
“Non nascono molti bambini su Jotunheim,” spiegò Nàl, “per questo è fattibile creare un ambiente che possano condividere.”
“E questo vale per tutti, giusto? Indipendentemente dall’estrazione sociale, vero?”
“Sì…”
“Andando avanti, qui c’è scritto che è in questo periodo che gli adulti decidono a chi promettere i propri figli. È naturale che un bambino si affezioni con più intensità ad uno, rispetto ad un altro.”
Nàl si lasciò andare ad una risatina priva di gioia, “ti danno l’illusione di poter scegliere ed io ho scelto Fàrbauti. In realtà, non aveva la minima idea di quello che stavo facendo preferendo lui rispetto ad altri bambini. Nessuno te lo spiega, finché non ci sei dentro. Per me era un gioco, c’era affetto in quel gioco, sì, ma era l’affetto di un bambino.”
“E dopo?”
“Dopo… Senza rendermene conto, i nostri genitori fecero di tutto per intensificare il nostro legame, non gli diedi peso perché non ci vedevo nulla di sbagliato e minaccioso. Alla fine, sai che succede? Ti ritrovi isolato da tutti gli altri e qualunque cosa tu faccia, qualunque cosa ti passi per la testa, ogni cosa finisci per condividerla con la stessa persona… E il legame diventa più forte, l’affetto cresce perché… Perché quando passi ogni giorno della tua vita con qualcuno è inevitabile che succeda, prima o poi,” Nàl abbassò gli occhi, “non ho un ricordo al mondo che non sia con Fàrbauti, non ho mai avuto altro, oltre a lui.”
Loki tornò a fissare le pagine sotto i suoi occhi, “sembra una bella cosa…”
Nàl accennò un sorriso, uno vero, uno sincero, “lo è, non potrei mai provare qualcosa di più forte e intenso di quello che provo per lui.”
“E della violenza che mi dici?”
Il sorriso sparì dal volto di Nàl con la stessa velocità con cui era apparso.
“Qui c’è scritto che, una volta raggiunta la pubertà, i due giovani hanno una specie di scontro per mettere alla prova la propria forza, alla fine del quale il più debole viene… Viene preso sessualmente.”
“Smettila…” mormorò Nàl quasi sommessamente.
“È un modo per decidere chi è più degno per concepire i figli e chi è più adatto a darli alla luce.”
“Ti ho detto di smetterla.”
“Deve essere una cosa violenta, dato che qui c’è scritto che concedersi per la prima volta di propria volontà alla fine dello scontro è considerata un’umiliazione di un certo peso.”
“Piantala, Loki…”
“Hai lottato mentre ti prendeva, vero?” Chiese l’altro Jotun, “hai voluto dimostrare fino alla fine di essere il degno erede di Jotunheim, invece la persona che più amavi e di cui più ti fidavi ti ha fatto male nel più intimo dei modi, è così?”
“Smettila!” Nàl sbatté un pugno sul tavolo alzandosi in piedi talmente tanto violentemente che la sedia per poco non cadde a terra. Loki lo guardò tristemente, “è per questo che sei scappato, mio principe? Un tradimento simile da parte della persona più importante della tua vita ti ha fatto tanto male?”
“Ti ho detto perché sono scappato,” la voce di Nàl tremava ma la sua espressione era ferma e glaciale, “ero come un prigioniero nella mia stessa casa, il legame con Fàrbauti era come una catena per me!”
“Eppure sorridi quando parli di lui!”
“Perché non lo odio! Non è colpa sua! Noi due non abbiamo scelto niente!”
“Ma lui ha scelto di farti di male, non è così?” Inquisì Loki.
“Non puoi sapere se è già successo…”
“Lo hai ammesso tu stesso nella stanza da bagno.”
“Non puoi sapere se ho perso o vinto quello scontro,” tentò ancora Nàl. Loki sospirò, “Fàrbauti è il guerriero più forte del tuo regno, tu sei un principe che non ha mai messo piede nell’arena per quel che ne so. Non perché sei debole, ma perché sei troppo giovane. Non c’è storia in uno scontro impari come questo. Fàrbauti lo sapeva, lui che aveva giurato di proteggerti e amarti ma non si è tirato indietro quando si è trattato di ottenere ciò che la tradizione gli garantiva di prendersi anche con i mezzi più sporchi.”
Nàl non replicava più, fissava l’altro Jotun con gli occhi verdi sbarrati e increduli.
“Sai come si chiama questo su Asgard?” Domandò Loki, “si chiama stupro, Laufey.”
“Noi non lo vediamo così…”
“Lo so,” ammise Loki, “voi non vedete come stupro nemmeno quel che fate a quelli come me.”
“Non ha mai preso altro per sé.”
Loki annuì, “ti ha preso solo come un uomo può prendere un altro uomo.”
“Non mi avrebbe mai posseduto nell’altro modo,” sibilò Nàl con convinzione.
“Non volevate dei figli?”
Mio padre voleva che li avessimo immediatamente,” il principe sbuffò riprendendo posto, “Fàr era raggiante all’idea ma mi ha sempre assicurato che avremmo provato solo quando sarei stato pronto. Non gliel’ho mai detto, ma era mia intenzione aspettare fino alla morte di mio padre.”
Loki lo guardò, un barlume di comprensione gli illuminò le iridi scure, “è lui che odi.”
Nàl reclinò la testa da un lato, “è quel genere di genitore per cui la legge capitale di Jotunheim non avrebbe alcun peso. Non penso si sentirebbe punito nel vedermi morire davanti ai suoi occhi.”
“Scopriti”, gli aveva detto suo padre, “sii sincero su ciò che ti fa del male e nessuno dubiterà della tua onestà. Scopriti fino al punto da umiliarti e nessuno sospetterà di te, nessuno.”
Loki lo fissò per un lungo istante di silenzio, poi chiuse il libro che aveva tra le mani e lo posò sul tavolo.
“Che cosa fai?” Domandò Nàl.
“È orribile.”
“Cosa?”
“Tutto,” rispose Loki, “tutto quello che mi ha raccontato è orribile. Hai detto che non ti sarebbe piaciuto questo esperimento. Bene! Ora non piace più a me. Non è poi così incomprensibile che tu abbia deciso di rinunciare a quel trono maledetto.”
Il fratello del principe di Asgard si alzò dal suo posto per rimettere a posto il volume che era stato causa e soggetto di quel lungo ed intenso dialogo. Non si accorse del diabolico ghigno che era comparso sul viso del principe di Jotunheim.

[Asgard, oggi.]

Loki aspettò altri due giorni, prima di decidere di sbirciare quanto accadeva sotto quella botola.
Lo fece di notte e solo dopo essersi assicurato che nessuno si stesse muovendo come un animale in gabbia là sotto. Vide Thor addormentato contro una delle pareti di pietra, il mantello rosso stretto intorno alle spalle. La barba era più lunga ed i capelli non era lucenti come Loki era abituato a vederli.
Il principe ereditario di Asgard sembrava il più trasandato dei popolani con degli abiti addosso che qualche giorno prima potevano anche essere sembrati regali.
Loki fece una smorfia e richiuse la botola tornandosene a letto: poteva anche morire di fame o di sete quell’idiota, per quel che gliene importava. Nulla avrebbe placato il suo dolore e la sua rabbia, non aveva importanza quanto Thor si autopunisse. Non sarebbe mai bastato, mai.
Non seppe cosa lo spinse la notte successiva a dare una seconda occhiata a quanto accadeva sotto la sua stanza. Sua madre non si era fatta vedere e lui aveva preso a risvegliarsi in una stanza vuota ogni volta che la febbre non lo sfiniva al punto da farlo collassare tra le coperte per ore.
Questa volta, sollevò del tutto la botola e se ne rimase seduto sul pavimento e fissare la figura addormentata di suo fratello. Solo un animale come Thor poteva addormentarsi così profondamente sul pavimento di una vecchia anticamera polverosa.
Fu un capogiro a spingerlo a richiudere l’ingresso della sua stanza e tornare a letto.
La terza notte, Loki osò andare oltre.
Aspettò che la notte giungesse alla sua ora più buia e scese lentamente le scale di legno che conducevano fuori dalla sua confortevole prigione. Thor non si accorse minimamente di nulla, stremato  com’era dalla sete, dalla fame e dalla stanchezza. Se fosse stato mortale, sarebbe morto da un pezzo. Restò in piedi ad osservarlo per dei minuti interminabili.
Sembrava così indifeso ed innocente mentre dormiva.
Cosa sarebbe servito per eliminarlo? Quanto difficile poteva essere uccidere nel sonno un illuso che credeva di poter salvare un’anima corrotta dall’oscurità immortale?
Loki non aveva più il controllo dei suoi poteri e si era rifiutato di esplorare il suo potenziale di Jotun. Che Odino, il re, lo avesse privato anche di questo? Non lo sapeva, non gli importava di saperlo. La sua natura di Jotun era morente da qualche parte, soffocata da rabbia e rancore, accanto alla sua natura di Aesir.
La più lunga, bella e grande menzogna della sua vita, non gli apparteneva nemmeno. Era la macchinazione di qualcun altro, di un altro uomo che aveva amato tanto e con tanta disperazione che dopo un simile tradimento non aveva potuto fare altro che odiarlo, come odiava Thor, come odiava Asgard.
S’inginocchiò accanto alla figura dormiente di suo fratello. Se solo avesse avuto un pugnale o qualsiasi altra arma… Sapeva che a mani nude non avrebbe potuto fare molto, non nelle condizioni in cui versava.
Poteva solo restarsene lì a fissare il giovane uomo che era stato suo fratello, che ora era il suo peggior nemico e che, nonostante tutto quello che era successo tra loro, non riusciva ancora ad odiarlo.
Forse se avesse mantenuto la minaccia che aveva urlato durante il loro primo scontro, se avesse ucciso la mortale a cui Thor aveva dato il suo cuore. Forse, allora, Thor avrebbe smesso di credere in un’illusione che non aveva il potere di realizzare. Che nemmeno Odino, re degli dei, aveva il potere di tramutare in realtà.
Il principe cadetto di Asgard non sarebbe tornato indietro, ma nessuno lo avrebbe realmente pianto, nessuno avrebbe seriamente sentito la sua mancanza, forse la vita a corte sarebbe stata un po’ più noiosa senza i suoi scherzetti velenosi, senza quell’oscurità misteriosa che lo circondava e che non faticava a far parlare di sé.  Solo questo, niente più.
C’era stato un periodo in cui Loki si era impegnato per piacere agli altri, poi aveva smesso. Si era arreso all’evidenza che nulla di quello che aveva poteva piacere ad Asgard ed alla sua gente. Nessuno lo diceva ad alta voce, ma molti, probabilmente, si domandavano il perché della nascita di un simile principe.
Vi era già un erede per  la famiglia reale.
Un figlio degno, forte e baciato dal sole.
Perché la regina aveva dato alla luce quella strana creatura delle tenebre che non sembrava poter servire a nessuno scopo? “Lo guiderai quando sarà re?” Aveva chiesto Odino poco tempo prima dell’incoronazione, “gli resterai accanto affinché regni con saggezza?”
Loki aveva sentito parole completamente diverse, “resterai nell’ombra a cui appartieni, affinché la tua oscurità non offuschi la luce di tuo fratello?”
Loki non riusciva a capire.
Entrambi siete nati per essere re.
Loki era figlio di un re, ma un bambino bastardo ha meno diritti di un bambino di umili origini.
Odino aveva saputo fin dal principio che Thor era quello degno, che Loki non solo era un secondo genito, ma non era nemmeno un vero erede. Era una reliquia di guerra, un bambino adottato per uno scopo che non aveva senso. In che modo la sua nascita poteva essere utile a creare una pace duratura con Jotunheim, quando la sua venuta al mondo era stata vista come un errore fin dall’inizio?
Loki ci aveva pensato a lungo al destino, a quel che doveva essere successo il giorno della sua nascita e quello in cui Odino l’aveva preso tra le braccia per la prima volta.
Aveva concluso che il destino non aveva alcuno scopo e che spesso metteva al mondo delle creature fallimentari che dovevano scegliere tra soccombere o trasformarsi in demoni senz’anima in grado di sopravvivere anche nel più oscuro degli inferni.
Proprio così, forse Loki non avrebbe mai dovuto nascere. Forse Laufey l’aveva capito e l’aveva abbandonato tra le braccia di una morte gelida per evitare ulteriori ripercussioni.
Nessuno gli aveva dato una possibilità, perché non era destino che ne avesse.
Era nato sbagliato, era una colpa di cui non poteva ricordare di essersi macchiato ma sapeva che non avrebbe mai potuto cancellarla. Aveva provato ad essere degno agli occhi di Odino, aveva provato ad essere re di un mondo mortale conquistato attraverso ad un piano che era suo, solo suo.
Aveva fallito ma sapeva che avrebbe tentato di nuovo, di nuovo e di nuovo. Se il destino aveva compiuto un errore, allora tutti ne avrebbero pagato le conseguenze.
Non si sarebbe fermato fino a che non avrebbe trovato un posto che fosse suo, un trono su cui sedere ed un popolo di fronte ad esso pronto ad onorarlo, servirlo, venerarlo. Perché Loki poteva, Loki lo meritava, Loki era nato e cresciuto come principe, anche se nessuno l’aveva riconosciuto degno di essere re, se non per occupare un posto lasciato vacante. Un posto non suo, mai suo.
“Loki?”
Il giovane alzò gli occhi verdi per incontrare quelli blu del principe non più dormiente. Scattò in piedi ma Thor non si fece prendere di sorpresa, “Loki, aspetta! Aspetta! Aspetta!” Dovette bloccarlo contro il muro per impedirgli di rinchiudersi dentro la camera che era divenuta la sua cella.
Thor accennò un sorriso, “sei sceso, volevi parlarmi?”
Loki abbassò lo sguardo con espressione disgustata.
“Volevi vedermi, almeno?”
Il principe dai capelli corvini non rispose.
“Non hai nulla per uccidermi, quindi temo di aver esaurito le possibilità.”
Intuitivo, Thor, davvero intuitivo!
“Forse ho qualcosa per farmi perdonare…” Mormorò Thor non sapendo più a che cosa aggrapparsi, “quel giorno ero venuto per parlarti di questo, ma avevo bisogno d’instaurare una sorta di dialogo con te, prima. Non è andata bene…”
Loki annuì distrattamente.
“Possiamo salire?” Domandò Thor gentilmente, “è una cosa delicata e complicata, vorrei parlartene con calma.”
Come se avessi modo di oppormi! Pensò Loki, mentre Thor richiudeva la botola sul pavimento della sua stanza. “Siediti, è una storia lunga,” lo invitò il più grande e Loki ubbidì solo perché non aveva intenzione di affaticarsi mentre Thor si lanciava in uno dei suoi deliri senza capo né coda. Appoggiò la schiena contro la tastiera del letto e suo fratello prese posto ai piedi del materasso osservandolo per un lungo istante, prima di armeggiare con qualcosa che aveva nascosto sotto il mantello. Loki si strinse la coperta intorno alle spalle e inarcò le sopracciglia quando Thor gli mostrò un libro dalla copertina piuttosto anonima.
“Prendilo, leggi le prime righe.”
Loki sbuffò, già stufo di un simile giochetto puerile. Sollevò la copertina con noncuranza facendo scorrere gli occhi verdi sui caratteri scritti elegantemente nero su bianco, appena un istante e il libro gli cadde dalle mani, come se fosse diventato improvvisamente incandescente. Thor lo guardò: gli occhi verdi sgranati, l’espressione spaventata e confusa al tempo stesso.
“Ho avuto la tua stessa reazione quando l’ho trovato,” spiegò Thor e Loki lo guardò in cerca di spiegazioni, “era qui, tra i libri dimenticati da secoli.”
Il minore aprì la bocca e, per un brevissimo istante, Thor sperò di sentirvi uscire un suono. Non accadde.
Loki indicò il libro, poi guardò il fratello maggiore con sguardo inquisitorio.
“Vuoi sapere se l’ho letto?” Domandò tentativamente. Loki annuì e Thor si lasciò sfuggire un mezzo sorriso, “solo le prime pagine. Non sono riuscito ad andare oltre, avevo bisogno di condividerlo con qualcuno e la persona più giusta sei tu.”
Loki inarcò un sopracciglio. Sei più idiota di quel che pensavo…
“Loki,” Thor cercò di afferrargli la mano ma il più giovane ritrasse il braccio, “tu non hai idea di quello che ho scoperto leggendo solo una dozzina di pagine o poco più. Lo sapevi che nostra nonna era una mezza Aesir e mezza Jotun? Lo sapevi che nostro padre aveva fatto un patto di sangue per legare a sé un bambino Jotun come te? Loki, era il suo nome… È il tuo nome, nostro padre ti ha chiamato come il trovatello di Jotunheim che aveva scelto come fratello!”
Loki ascoltava allibito, indeciso se credere che suo fratello fosse definitivamente uscito di senno o se tentare di dare un minimo credito alle sue parole. “E c’è di più!” Esclamò Thor, “nostro padre parla anche di un altro piccolo Jotun, qui. Il suo nome era Nàl e… E…” Abbassò gli occhi imbarazzato, “penso che a nostro padre piacesse.”
Per la prima volta in vita sua, Loki ammise di non capire una parola di quello che Thor stava cercando di dirgli. “E dovresti leggere come descrive nostra madre!” Esclamò Thor, “ha sempre avuto un caratterino niente male, è un miracolo se noi due siamo nati, cred…”
Si bloccò di colpo, gli occhi di Loki si erano riempiti di tristezza ma l’espressione con cui lo fissava era carica di rabbia. “Non volevo dire… Io…” Thor abbassò lo sguardo e scosse la testa, “nostro padre ti ha dato il nome di una persona che amava, uno Jotun, Loki!”
Questo non sembrò aver alcun effetto positivo.
“Fratello,” mormorò Thor cercando di spiegarsi, “riesco a capire quanto te, ma questa,” sollevò il libro, “è la storia di un giovane uomo che a nostro padre non assomiglia nemmeno e si è scelto per fratello uno Jotun e si è invaghito di un altro e… È tutto completamente assurdo, LokI!” Esclamò infine, “queste sono le parole di nostro padre, lo stesso uomo che ci raccontava tutte quelle storie terribili su Jotunheim e sul suo popolo, quindi lui… Lui…”
Lui è sempre stato affetto da un qualche tic nervoso che lo portava a raccogliere piccolo Jotun abbandonati? Avrebbe voluto dire Loki con il tono più sarcastico del suo repertorio.
Thor lasciò ricadere il libro sul letto con un sospiro, “prima di tutto, volevo dirti che due anni fa forse mi sarei scandalizzato all’idea di nostro padre così affezionato a quei…”
Loki attese, pronto a fargliela pagare e Thor decise di lasciare la frase incompiuta.
“Quello che voglio dire è che,” si grattò la nuca con fare goffo, “non credo che mi sconvolga poi così tanto, ora. Anzi, non credo che me ne importi veramente nulla. Forse, perché so cosa vuol dire amare un piccolo Jotun ed è una delle cose che mi riesce più naturale al mondo, perciò…”
Loki alzò un braccio per farlo tacere: non se ne sarebbe rimasto a perdere tempo, mentre Thor si lanciava in un'altra delle sue scene sentimentali e strappalacrime che gli facevano salire il vomito in gola. Indicò il libro con un cenno del capo e Thor capì quale era l’unico oggetto del suo interesse.
“Vorrei che lo leggessi,” proclamò Thor con solennità, “ho piegato in due la pagina a cui sono arrivato. Ho bisogno che tu lo legga con me, ho bisogno che andiamo avanti in questa cosa insieme.”
Loki sbatté le palpebre confuso.
“Ti accorgerai da solo che non ingigantisco le cose quando dico che la persona di cui parla questo diario non assomiglia nemmeno lontanamente a quella che ci ha cresciuti,” ripeté Thor con maggior enfasi, “penso che tra quelle pagine ci sia scritto il motivo. Penso che lì troverai tutte le rispose di cui ha bisogno tu e tutte quelle di cui ho bisogno io. È la storia che ha portato a noi, in pratica… Almeno credo.”
Loki guardò il libro dalla copertina scura con esitazione.
“Lo so, spaventa anche a me.”
Loki fece una smorfia. Come se ci fosse rimasto spazio per la paura dopo tutto quello che è successo. Allungò una mano ossuta ed afferrò il diario stringendoselo contro il petto. Thor capì che non avrebbe letto una riga di più in sua presenza, “vado a mangiare qualcosa, tornerò domani mattina.”

[Asgard, secoli fa.]

Nàl dovette attendere due settimane prima che Loki gli indicasse un modo sicuro per lasciare il palazzo ed uscire fuori dai confini della città. Non era abituato a stare negli spazi chiusi troppo a lungo, era nato nel bel mezzo di sconfinate distese di candida neve, era cresciuto osservando l’orizzonte confondersi  con la linea divisoria del cielo. Nàl non era abituato a restare a lungo in uno spazio chiuso, bastava che Loki continuasse ad essere convinto che suo padre l’aveva cresciuto come un recluso nella sua stessa casa. Poco importava se aveva passato la sua intera infanzia a vagabondare per le terre di Jotunheim in compagnia di Fàrbauti, esplorando e imparando a conoscere quella terra che un giorno sarebbe stata sua.
Asgard era così diversa, tanto dentro quanto fuori le sue mura dorate.
Il verde più intenso la circondava grazie ai suoi alti alberi colmi di foglie. Nàl apprezzò comunque il cambiamento, felice di conoscere qualcosa di nuovo e del netto abbassamento della temperatura rispetto a quella all’interno del palazzo reale. Prese un respiro profondo e si sentì come se lo avesse trattenuto per due intere settimane.
Camminò con sicurezza sull’erba verde, di un tono molto simile a quello della tunica e del mantello che indossava. C’era una tale pace lì, interrotta solo dal naturale canto degli uccellini e dal frusciare delle foglie mosse da quella brezza primaverile. Il piano poteva essere accantonato in un angolo per un pomeriggio, nessuno era lì per rimproverarlo o biasimarlo, se dimenticava i propri doveri solo per qualche ora. Non poteva sapere quando gli sarebbe ricapitato di esplorare un mondo che non fosse il proprio e finché suo padre avrebbe continuato a regnare, le possibilità di viaggiare e di conoscere cose nuove erano praticamente nulle.
Nàl era sempre stato attento a seguire le lezioni che il re e i precettori che erano responsabili della sua educazione gli avevano impartito sin dall’infanzia. Il loro popolo si era chiuso ed isolato da tutti gli altri in risposta al menefreghismo degli Aesir di mantenere le promesse fatte e di seguire gli accordi presi. Da bambino, Nàl non aveva potuto fare altro che accettare quelle verità e pensarle come assolute e indiscutibili ma la sua natura curiosa e la sua innata sete di conoscenza lo avevano spinto oltre ai confini di ciò che era permesso a corte già all’inizio della sua adolescenza.
Fàrbauti diceva di capirlo ma, in realtà, lo faceva per non farlo sentire più isolato di quanto non fosse.
Nàl era convinto che, se solo suo padre l’avesse ascoltato, se solo avesse preso in considerazione l’idea di potenziare le abilità magiche del loro popolo, se solo si fosse spinto oltre i confini di Jotunheim e avesse visto cosa c’era intorno a loro. Se solo… Se solo… I modi per salvare la loro terra morente ed il loro popolo agonizzante potevano essere centinaia ma, confinando sé stesso e la sua gente fuori dai nove mondi, re Ymir non faceva che condannarli ad ulteriori sofferenze.
L’unica cosa che quel vecchio folle aveva saputo ideare per il suo popolo era il piano e non ci aveva pensato due volte a sacrificare il proprio figlio per poterlo realizzare. “Sei scaltro e bugiardo con il tuo sovrano,” aveva detto con tono sarcastico, “dimostrami quanto grande può essere questo tuo talento, figlio mio.”
Dimostrare, dimostrare, dimostrare…
Già, essere eredi di un regno ma non essere abbastanza forti da sconfiggere il proprio compagno nello scontro che aveva determinato il suo ruolo davanti agli occhi di Jotunheim per il resto della sua vita, aveva il suo prezzo. Dimostrare di non essere uno scarto travestito da principe, era il minimo che suo padre potesse richiedere dopo la vergogna che aveva arrecato alla casa reale con quella sconfitta.
“È compito del consorte dare alla luce il futuro erede al trono, non del principe!”
Scosse la testa, non voleva pensarci, non in un posto tanto bello e pieno di luce. Non seppe per quanto tempo continuò a camminare, potevano essere ore o solo pochi minuti. La quiete era tale che sembrava essere in grado di distorcere la percezione del tempo e dello spazio.
Era una sensazione che gli dava le vertigini ma, al contempo, era così piacevole!
Sentì nelle vicinanze il rumore di acqua che scorreva e decise di seguirlo, colto da un puerile slancio di curiosità. La scena che lo accolse pochi passi più avanti lo incantò: l’acqua ricadeva da una piccola cascata per finire nel bacino di un piccolo lago tanto blu da non sembrare vero. Nàl si ritrovò a sorridere senza neanche rendersene conto.
Gli alberi erano tanto alti in quel punto della foresta, che i rami più lungi s’intrecciavano tra loro costruendo un tetto di foglie dalle sfumature smeraldine. La luce del sole filtrava in alcuni punti, regalando a quel luogo un’atmosfera da favola che a stento si poteva credere fosse reale.
Nàl si avvicinò alla sponda del lago e s’inginocchiò sull’erba per immergere una mano nell’acqua.
Un piacevole brivido freddo lo fece quasi sentire a casa.
Come poteva Loki preferire quella soffocante stanza da bagno ad un posto del genere? Sempre ammesso che ne conoscesse l’esistenza, ovvio. Un pensiero fece capolino nella mente di Nàl che, preso dall’entusiasmo di quell’improvvisa boccata di libertà, non se la sentì di soffocarlo. Si guardò intorno con attenzione e rimase immobile per alcuni istanti per assicurarsi che i suoi sensi non captassero la presenza di qualche altro individuo nei paraggi.
Tutto sembrava immobile, inviolato, selvaggio e Nàl sorrise soddisfatto. Si liberò dei vestiti velocemente ripiegandoli con cura ad una distanza tale che l’acqua della riva non potesse bagnarli ed appoggiò gli stivali lì accanto. L’acqua era fredda, incredibilmente piacevole e i brividi che gli corsero lungo la schiena lo spinsero solo ad immergersi ancor più velocemente. Un sospiro gli sfuggì, chiuse gli occhi e piegò le labbra in un sorriso spontaneo.
Possibile che fosse così semplicemente bella la libertà?
Nàl decise di non rifletterci, non ora, non voleva rovinare un momento tanto semplice e perfetto con l’assordante caos dei suoi pensieri. Prese un bel respiro e s’immerse completamente.
Per un istante desiderò di rimanere così per sempre, isolato dal mondo ma in modo dolce e confortevole. Pensò che una pace simile fosse possibile solo nel grembo materno, un tipo di calore che nessuno è realmente in grado di ricordare di aver provato.
Calore…
Si accorse che lì sotto i raggi del sole di Asgard non lo raggiungevano più.
Calore… Freddo, troppo freddo.
Senza rendersene conto, riemerse di colpo, come se avesse rischiato di annegare. L’acqua non gli arrivava nemmeno all’altezza della vita, la brezza primaverile gli toccò la pelle bagnata ed un brivido gelido lo scosse portandolo ad avvolgersi entrambe le braccia intorno al corpo. Il freddo non lo confortava più.
I pochi raggi di luce che filtravano tra i rami lo sfioravano appena e Nàl si vergognò della dipendenza del suo corpo per quel poco di calore malevolo. Questo era quello che gli avevano sempre insegnato: il calore non era qualcosa che apparteneva a Jotunheim, il calore era male, era il nemico di qualsiasi creatura nata tra la neve ed il ghiaccio. Un concetto vagamente logico, ma a Nàl erano bastate appena due settimane per provare il contrario. Fosse dannato Loki ed i suoi tentativi d’integrarlo in quel nuovo mondo partendo da quelle immersioni nell’acqua bollente!
Lui era il principe di Jotunheim e avrebbe dovuto odiarlo il calore.
Qualcosa si mosse nell’acqua alle sue spalle ed ogni voce nella sua testa tacque. Si voltò con fare aggressivo, come se non fosse nudo, disarmato e dall’aspetto particolarmente gracile. Ogni sfumatura combattiva sparì dal suo volto non appena incrociò gli occhi blu dell’altro giovane, alto, dai capelli biondi e vergognosamente nudo a sua volta.
Odino aprì la bocca ma non fece in tempo a dire niente che Nàl si riaccovacciò nell’acqua in tutta fretta.
“Che stai facendo, maledetto?!” Esclamò il giovane Jotun, rabbioso per essersi fatto cogliere in un momento tanto intimo dall’ultima persona nell’intero universo a cui l’avrebbe permesso. Il principe di Asgard spalancò di più la bocca ma sembrava che la capacità di parlare gli fosse stata improvvisamente negata. Quale sortilegio in tutti i novi regni poteva mai fare tanto?
“N-Non credevo ci fosse qualcun altro…” Balbettò infine.
“Ed io dovrei essere tanto ingenuo da crederti?” Domandò Nàl voltandosi indignato, “il tuo aspetto è disgustoso.”
Odino guardò il proprio corpo privo di qualsiasi barriera, “volevo solo farmi un bagno…”
“Potevi assicurarti che non ci fosse nessuno!”
“Te l’ho già detto!” Replicò il principe, “eri sott’acqua, pensavo di essere solo!”
Nàl si passò una mano tra i capelli bagnati con agitazione, “potresti rivestirti e allontanarti? È mia intenzione uscire di qui, recuperare i miei vestiti e togliere il disturbo.”
“La tua presenza non mi è di alcuno di disturbo…”
Nàl replicò con uno sbigottito silenzio prima di scoppiare a ridere, “sono lusingato, mio principe. Ma la vostra è più che un disturbo per me!”
Odino sorrise appena continuando ad immergersi nell’acqua lentamente.
“Che cosa stai facendo?” Chiese l’altro avvertendo la vibrazione del suo movimento.
“Mi sto facendo il bagno, come era mia intenzione, nulla di più.”
“Non è mia intenzione esserti di compagnia!”
“Non mi sembra che nessuno ti stia trattenendo…” Commentò Odino con un ghigno che Nàl non poté vedere ma s’irrigidì visibilmente quando fu certo che il principe fosse alle sue spalle. “Se non vuoi restare,” Odino affondò il naso tra i capelli corvini sulla nuca dell’altro e Nàl trattenne il fiato, “puoi sempre alzarti e andartene.”
Nàl abbassò gli occhi sulla sua figura: se avesse fatto come gli era stato proposto, Odino avrebbe visto tutto ciò che voleva vedere e l’umiliazione sarebbe stata inevitabile…
“Oppure puoi restare e rendere il tuo principe particolarmente felice,” Odino posò un bacio tra i capelli bagnati del giovane Jotun che emise un verso nervoso a malapena percettibile, “la scelta è solo tua, Nàl.”
La bocca di Odino scese a posargli un bacio delicato alla base del collo, per poi proseguire con un dolce serie lungo la linea della spalla. Nàl capì che se fosse rimasto, il cuore gli sarebbe letteralmente scoppiato.
Odino ricadde nell’acqua a causa del movimento improvviso dell’altro che corse a recuperare i suoi averi lasciati sull’erba, ma questo non impedì al principe di gustarsi l’immagine fugace di quel bel corpo che animava la sua fantasia da ben quindici giorni. Un primato che nessuna fanciulla di quel mondo o di altri aveva mai saputo eguagliare.
La prima cosa che Nàl indossò fu la tunica verde perché sapeva che, senza la cintura, sarebbe stata abbastanza lunga da schermare gran parte del suo corpo dallo sguardo affamato di quel moccioso capriccioso e questo gli sarebbe bastato per tornare a respirare regolarmente. Di arrivare ai pantaloni, non ne ebbe il tempo.
L’atterraggio sull’erba fu improvviso ma non si fece male: Odino ebbe la premura di cingerli le braccia intorno al corpo per guidarlo gentilmente con la schiena contro il suolo. Il principe era sopra di lui, gli sorrideva e, d’un tratto, il calore lo avvolse completamente.
“Sei stato dispettoso, piccolo Jotun,” mormorò Odino nascondendo il viso nell’incavo del suo collo per posarvi un ennesimo bacio, “mi hai evitato per ben due settimane.”
Nàl si ostinò a fissare il tetto di foglie e rami sopra le loro teste, “la sola idea di ripetere l’esperienza di quella sera mi dava la nausea.”
Odino rise risalendo con la bocca il collo dello Jotun, “quella è stata la prima sera che una delle belle fanciulle di Asgard non ha saputo soddisfarmi affatto, sai?” Ammise senza vergogna, come se questo potesse essere causa di lusinga per l’altro, “e tutte quelle che sono seguite le notti successive, non sono riuscite a darmi il piacere che io mi sarei potuto donare con l’ausilio della mia stessa mano.”
Nàl tentò di spingerlo via, “sei l’essere più rivoltante dei nove regni, Odino!”
Il principe nemmeno ebbe bisogno di bloccargli le mani, “e tu invece sei il più delizioso.”
“Mi disgusti…” Sibilò Nàl guardandolo dritto negli occhi. Odino gli baciò l’angolo sotto l’orecchio destro, “tu, invece, non hai idea di quanto mi fai impazzire.”
“La durata di un orgasmo, ecco quanto!” Esclamò Nàl ed il principe alzò il viso per guardarlo nuovamente, “mi vuoi? Prendimi e dimostra a te stesso quanto sono vuote le tue parole, mio principe!”
“E darti ragione?”
“Sì!”
Odino gli baciò una tempia, “allora non hai capito proprio niente, mio piccolo Jotun.”
Nàl si guardò bene dal mostrare la confusione che provò, l’espressione dura sul suo viso non mutò. “Se il mio desiderio si limitasse ad un orgasmo,” mormorò il principe tra i suoi capelli, “ti avrei sostituito nei miei pensieri al tuo primo rifiuto.”
Nàl non replicò.
“Ma tu hai messo in ginocchio il più forte dei miei guerrieri e hai giurato di fronte a me, il tuo principe, che nessuno uomo nell’interno universo potrà mai dire di possederti,” Odino gli accarezzò la fronte con le labbra, “mi hai letteralmente tolto il fiato in quel momento, lo sai?”
“Sei solo un moccioso facilmente impressionabile…” Commentò acido Nàl.
“Sono un conquistatore per natura, mio piccolo Jotun,” continuò Odino, “se una creatura tanto meravigliosa dichiara con un orgoglio tanto splendente ed uno sguardo di ghiaccio che mai e poi mai concederà qualcosa di tanto unico, come se stesso, a nessuno…” Un sorriso che sembrava emanare più luce del sole stesso, “allora mi è impossibile non combattere per divenire l’unica eccezione di quella creatura.”
Nàl ghignò, “tu vuoi conquistarmi…”
Odino non smise di sorridergli, “non voglio infilarmi tra le tue gambe con stupidi trucchetti di seduzione, voglio sentirti dire che mi vuoi ed io ti concederò tutto me stesso, a patto che tu faccia lo stesso.”
“E una volta che ti avrò concesso tutto, mio principe?” Domandò Nàl alzandosi sui gomiti, “che cosa accadrà allora?”
Odino rise e scosse la testa, “non ne ho la minima idea.”
“Peccato,” distratto dall’espressione quasi complice dello Jotun, il principe cadde rovinosamente all’indietro quando questi tentò di spintonarlo via di nuovo con entrambe le mani. Nàl si issò in piedi sbuffando annoiato e recuperando il resto dei propri indumenti, mentre Odino si dimenava nell’acqua come un naufrago alla deriva.
“Non sapremo mai cosa accadrà dopo,” mormorò Nàl agli alberi del bosco, “perché quel giorno non arriverà mai, mio principe.”

[Asgard, oggi.]

Quella mattina, fu la voce allarmata della regina a svegliare Thor. “Loki ha qualcosa che non va,” disse sull’orlo delle lacrime, “si è autoinflitto delle ferite, le pareti della stanza sono rosse di sangue e non fa che piangere e piangere…”
Thor non seppe mai la fine di quella frase, non aveva bisogno di sapere altro per correre quanto più velocemente poteva sulla cima di quella torre. Fin da subito, il pensiero che fosse tutto a causa sua e del segreto che aveva così egoisticamente deciso di condividere con suo fratello nel momento di maggiore fragilità, lo dilaniò passo dopo passo. Nemmeno si accorse delle guardie che avevano affollato la torre e che cercavano di fermarlo per fornire spiegazioni di quanto era successo al prigioniero. In un primo momento d’ira, Thor provò l’irrefrenabile desiderio di fracassare le loro teste contro il muro una dopo l’altra.
Erano stati dati loro ordini precisi! Erano perfettamente consapevoli che, in assenza sua e di sua madre, era compito loro premurarsi di controllare le condizioni di Loki ogni ora e avvisarli immediatamente al primo comportamento strano. Quando Thor riuscì finalmente a risalire la scale della botola, dopo essersi fatto largo tra i soldati e alcuni curatori che erano intervenuti sul posto, gli fu chiaro che Loki doveva essere rimasto abbandonato a se stesso delle ore per avere il tempo di fare tutto quello.
Di sangue, in realtà, non ve ne era una grande quantità ma Loki vi aveva imbrattato la parete accanto al suo letto usandolo come se fosse inchiostro. Sulle pietre grigie si leggeva una sola parola dai distorti caratteri scarlatti: perché?
Thor capì che doveva trattarsi di un modo per esternare un urlo disperato che Loki non aveva potuto emettere. Era raggomitolato sul pavimento, suo fratello. Era silenzioso e quasi immobile, il palmo e le dita della mano destra erano imbrattate di sangue e Loki faceva scorrere l’indice cremisi sulla pagina di un libro qualunque che doveva aver gettato a terra nella foga del suo delirio. Le lacrime silenziose scendevano dagli occhi verdi, mentre quel dito trasferiva sulla carta quel vago interrogativo che sembrava perseguitarlo fino a farlo agonizzare.
Perché?
Thor richiuse con violenza la botola, isolando al di fuori le voci, la confusione ed il via vai di persone inutili. Loki alzò appena la testa per guardarlo e la maschera di apatia che era il suo volto, si contorse subito in preda ad un’ennesima crisi di pianto. Thor gli fu subito accanto, decise di non alzarlo fino a che non avesse trovato la ferita da cui fuoriusciva il sangue e controllato se ve ne fossero altre. Appoggiò la testa del più giovane sulle proprie ginocchia e Loki non si oppose, bensì strinse tra le dita pulite la stoffa dei suoi pantaloni affondandovi il viso, mentre la gracile schiena veniva scossa da interminabili singhiozzi.
Thor gli ispezionò la mano sporca di sangue e vi trovò un’incisione obliqua sul palmo. Lasciò vagare gli occhi sul pavimento e non faticò a scorgere la brocca dell’acqua infranta in un angolo, insieme ad un frammento più grosso degli altri sul cui bordo erano nitidamente visibili delle macchie scarlatte. Thor tastò con cautela il petto e lo stomaco del fratello ma non trovò danni ulteriori e di natura pericolosa. Sospirò stancamente, “Loki?” L’interpellato si girò lentamente sulla schiena per poter guardare il maggiore negli occhi e Thor non poté trattenersi dall’accarezzargli i capelli dolcemente cercando di donargli una briciola di conforto, “che cosa è successo?”
Loki girò il viso verso il camino e Thor ne seguì lo sguardo individuando tra i libri imbrattati di sangue uno che non sembrava aver subito alcun danno: il diario. Chiuse gli occhi mordendosi con violenza il labbro inferiore. “Mi dispiace…” Mormorò prendendo tra le proprie la mano ferita di Loki e baciandone il palmo leso con estrema dolcezza, “mi dispiace infinitamente, sono stato un idiota a pensare che leggere quelle pagine ti sarebbe stato d’aiuto. Mi dispiace! Mi dispiace, che idiota sono stato!”
Loki lo guardava piangendo e senza replicare, non che Thor se lo aspettasse, certo.
“Farò venire qualcuno a curarti, a rimettere in sesto questo posto e poi lo distruggerò,” giurò solennemente, “lo farò davanti ai tuoi occhi, se lo vorrai. Faremo finta che nulla sia successo, non ha importanza cosa nostro padre ha nascosto nelle sue memorie, noi…”
Loki scosse la testa violentemente, poi camminò a carponi sul pavimento, fino a che non raggiunse l’oggetto che era causa di tanto trambusto e lo strinse protettivamente al petto. “Loki…” Lo chiamò Thor seguendolo in breve tempo, “pensavo che potesse essere utile per capire, ma se deve farti così male preferisco non sapere.”
Loki scosse di nuovo la testa e indicò con una mano la scritta sul muro. Thor sbatté le palpebre un paio di volte, “di che cosa vuoi capire il perché?”
Loki dischiuse le labbra in un gesto automatico, poi ci ripensò e premette una mano contro il proprio petto. “Tu cosa?” Chiese Thor ma suo fratello scosse la testa ripetendo lo stesso gesto una seconda volta, “Loki, io…”
Il moro annuì improvvisamente nel sentir pronunciare il proprio nome. “Loki…” Ripeté Thor e seguì un nuovo cenno d’assenso, “tu vuoi sapere perché nostro padre non ci ha mai parlato di lui?”
Loki annuì.
“Vuoi sapere perché ti ha dato il suo nome?”
Loki annuì.
“Vuoi sapere perché uno Jotun era così importante per nostro padre, quando noi siamo cresciuti sentendoci raccontare sono storie orribili su quel popolo?”
Loki annuì per la terza volta.
“Vuoi sapere perché ne abbia amato uno di loro al punto da legarlo a se stesso con un patto di sangue, ma sia finito per disprezzarli apertamente nonostante avesse te?”
Loki abbassò lo sguardo stringendo il diario a sé con più forza e Thor capì di aver afferrato correttamente i suoi pensieri, “e di questo Nàl? Non mi dici niente di lui?”
Loki scrollò le spalle, come se fosse una cosa secondaria in confronto a quanto rivelato prima.
“Se vogliamo fare questa cosa, non ti permetterò di leggere quel diario da solo.”
Il minore gli lanciò un’occhiata annoiata.
“Non provare ad opporti! Ti sono bastate una manciata di pagine per crollare emotivamente, la prossima volta che quelle parole riveleranno qualcosa di troppo forte per te, voglio esserci. Chiaro?”
Loki sbuffò ma annuì. Thor lo fissò per un lungo istante, poi alzò una mano spostandogli una ciocca di capelli corvini dietro l’orecchio, “vorrei tanto sentire il suono della tua voce,” ammise con un sorriso, “ma è un piacere parlare di nuovo con te, Loki.”

*****

 
Varie ed eventuali note:
È un orario vergognoso, di quelli che non si sa bene se è tardi oppure presto. Questo è per giustificare l’eventuale presenza di note inutili a seguire.
Prima che il deliro abbia la meglio, il mio pensiero va ovviamente a voi che continuate a sostenere questa storia che, un paio di mesi fa, temevo quasi di pubblicare. Se va avanti è grazie anche a voi (in secondo luogo, ringraziamo il cervello contorto e delirante dell’autrice che non dorme… Coff…Coff…)!
Mi astengo ancora dal rilasciare spoiler, la trama non è abbastanza matura per farlo, ma vi lancio qualche spunto su cui riflettere per i capitoli futuri: nel dialogo tra i piccolo Jotun vengono fornite un paio d’informazioni particolari che diverranno presto (una non tanto, a dire il vero) punti focali della trama. Mi diverto a lanciarvi una sfida: fatemi sapere se qualcosa vi ha acceso una lampadina.

Alla prossima!

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Capitolo 7
*** Somiglianza ***


VI
Somiglianza

[Asgard, oggi.]


Fa male…
“Avanti, piccolo principe. Perché non urli?”
Fa dannatamente male!
“Che fai? Piangi? E tu dovresti essere il figlio di Odino?”
Buio, buio, buio. C’è solo buio.
“Vediamo cosa succede se ti tocco qui…”
Non devo urlare! Non devo urlare! Non devo urlare!
“Non era una punizione per le tue debolezze ciò che volevi?”
La morte doveva essere la mia punizione.
“Non volevi espiare il peccato della tua nascita e della vita che non eri destinato a vivere?”
Solo io posso avere potere su me stesso, solo io posso decidere la mia condanna! Io! Io! Solo io!
“Ti stiamo solo facendo un favore, principe Loki.”
Nessuno deve permettersi di decidere per me! Nessuno!
“Toglimi una curiosità. Cos’è che fa più male? Il dolore dell’anima o quello della carne?”
Buio. C’è solo buio.
Eppure il dolore tinge ogni cosa di scarlatto…

“Qualcosa turba il sonno di tuo fratello.”
Thor allontanò lo sguardo dal paesaggio oltre la finestra per posarlo sulla figura di sua madre intenta a pettinarsi i lunghi capelli biondi, “che cosa te lo fa pensare?”
“Piccoli cambiamenti,” Frigga gli rivolse un sorriso dal riflesso nello specchio, “una madre se ne accorge.”
Thor attraversò la stanza con ampi passi, “parlamene,” domandò sedendosi accanto alla regina.
“Dovrebbe migliorare,” commentò Frigga, “faccio tutto il necessario perché il suo corpo si rafforzi, perché la febbre sparisca. Eppure, ogni volta che penso di rivedere un po’ di colorito sulle sue guance, succede qualcosa. Non so dire cosa sia, ma ha difficoltà a farsi toccare persino da me quando succede.”
“Temi che qualcosa infesti i suoi sogni?” Domandò Thor e Frigga annuì, “sì, tesoro, è una possibilità ma non lo scopriremo mai se lo lasciamo solo ogni notte.”
“Il re non ci permette di visitarlo senza la luce del sole.”
“E guarda che cosa è successo la notte scorsa!” Esclamò la regina sarcastica, “penso che dovremmo smettere di andare a lamentarci da tuo padre e ignorare le sue disposizioni senza troppi indugi.”
Thor inarcò un sopracciglio squadrando la madre con eccessiva attenzione.
“Qualcosa non va, tesoro?” Chiese lei guardandolo negli occhi.
“Niente,” Thor scosse la testa ed abbassò lo sguardo, sapeva che se sua madre avesse studiato la sua espressione si sarebbe accorta che qualcosa non andava, che c’era qualcosa che le teneva nascosto. Se ne accorgeva sempre, se n’era sempre accorta, anche quando non lo dava a vedere.
“Vorrei che passassi la notte con Loki, Thor.”
Il principe rivolse al pavimento un’occhiata confusa, “come hai detto, madre?”
“Stai con lui,” Frigga riprese a spazzolarsi una lunga ciocca di capelli dorati, “osservalo da vicino, cerca di capire cosa gli fa del male.”
“In tutta sincerità, madre, temo che la lista potrebbe essere lunga…”
“Mi riferisco a qualcosa di specifico, Thor,” spiegò la regina con pazienza, “c’è qualcosa che sistematicamente impedisce a tuo fratello di migliorare le sue condizioni fisiche. Penso che accada di notte perché è l’unico momento in cui né io né te siamo accanto a lui. Me ne accorgerei se qualche maleficio stesse torturando dall’interno mio figlio, se lo vedessi accadere di fronte a me.”
“Maleficio?” Domandò Thor terrorizzato. Frigga annuì, “hanno avvelenato le sue ferite affinché non si rimarginassero, non mi sorprenderei se avessero fatto qualcosa anche alla sua mente.”
Buio, freddo. Tanto freddo.
Allungo una mano. È la mia? È troppo piccola per essere la mia.
Neve. No, in quel lurido posto non c’era la neve, eppure sta nevicando.
Qualcuno piange? Un bambino… Sono io?
Fa freddo, tanto freddo.
“Che cosa stai facendo?”
Di chi è questa voce?
“Ti rendi conto di cosa stavi per fare?”

Io la conosco questa voce…
“Shhh… Calmo, sono qui. Va tutto bene, adesso.”
Calore. È familiare questo calore.
“Andrà tutto bene. Starai bene.”
Perché stai mentendo? Perché so che stai mentendo?
“Staremo bene, insieme. Te lo prometto.”
Sei sempre stato uno stupido sentimentale…

“… Thor?”
Loki sapeva che le sue labbra si erano mosse, ma non vi era uscito alcun suono, alcun nome. Gli occhi verdi scrutarono il luogo buio in cui si trovava. Tremava, aveva freddo.
Buio. Freddo.
Un sensazione di morte gli artigliò il cuore. L’immagine di un neonato che giaceva tra il ghiaccio e la neve gridando perché qualcuno lo raccogliesse, lo stringesse con amore e lo confortasse. Qualcuno, chiunque… L’abbandono, la consapevolezza che il prossimo abbraccio che avrebbe ricevuto sarebbe stato quello della morte. Si può odiare un bambino appena nato fino a questo punto? Ci si può vergognare di qualcosa di tanto piccolo e fragile al punto da volerlo eliminare nel modo più lento e doloroso possibile?
Quale peccato poteva aver mai commesso quella creatura venendo al mondo? Quale?
Non conosceva la risposta, non ancora.
Urlò.

[Asgard, secoli fa.]


“Loki è con suo fratello. Sarò io a farti compagnia, oggi.”
Nàl ne era felice in cuor suo. L’intesa tra lui e il gattino adorante del principe sembrava aver raggiunto una certa stabilità, al punto da divenire quasi un rapporto piacevole. Tuttavia, se Loki era con Odino, Nàl poteva star certo che il principe avesse abbastanza con cui essere occupato da dimenticarsi momentaneamente della sua presenza a corte. “Ehi, Nàl! Che cosa ti piacerebbe fare?” Domandò Frigga con un sorrisetto pieno di luce.
“Fare qualcosa che vada contro l’etichetta di corte è permesso?” Chiese con un velo di sarcasmo che la fanciulla sembrò apprezzare, “felice di sapere che le formalità inutili ti annoiano. Abbiamo qualcosa in comune con cui poter cominciare.”
A Frigga non piacevano troppo gli spazi chiusi, come non piacevano a Nàl. Lei non vedeva come si potesse perdere tempo all’interno del palazzo in una bella giornata di sole come quella e lui era perfettamente d’accordo. Si era lasciato guidare nei dei giardini reali, quelli che, in passato, erano stati gli ambienti privati della regina e, sebbene non potessero eguagliare l’atmosfera del laghetto nella foresta, Nàl dovette ammettere che erano incantevoli.
“Spero che Odino continui a comportarsi con te gentilmente,” si premurò Frigga sfiorando con le dita la superficie dell’acqua della fontana. Erano entrambi seduti sul bordo allietati da niente altro che non fosse la quiete intorno a loro e la compagnia l’uno dell’altra.
Nàl sospirò annoiato alla domanda, “non si può dire che il vostro principe si scoraggi facilmente.”
Frigga rise con contegno, “lo so. Se decide di starti tra i piedi, non c’è modo di liberarsene. Mi raccomando, se provasse a fare qualcosa di troppo, come dire… Sfacciato, non esitare a venire da me.”
Nàl le sorrise, “sei una strana fanciulla, se mi è concesso dirlo.”
“Lo prendo come un complimento.”
“Lo è,” il giovane Jotun annuì, “nell’ultimo mese ho visto solo frivolezze nelle altre giovani. Tu non sei così.”
“Ti ringrazio per averlo notato,” dall’espressione di lei, Nàl capì che era sincera, “ho notato anche molta invidia nei tuoi riguardi, se posso confidartelo.”
“Quella è un’altra cosa che abbiamo in comune, credimi.”
Nàl la guardò confuso e Frigga sorrise, “io potrò essere vicina al principe Odino sin dall’infanzia, ma... È te che guarda con desiderio per nulla celato. Le ragazze si accorgono di cose simili quando ce l’hanno sotto gli occhi e devo ammettere che è divertente vederle gonfiarsi d’invidia davanti ad un bellissimo fanciullo. È una bella novità!”
Nàl arrossì appena ed abbassò lo sguardo per nascondere il suo imbarazzo, “quindi, tutte le donne di corte mi ridono dietro.”
“No, no e no!” Esclamò Frigga agitando l’indice della mano destra nella sua direzione, “non osare provare vergogna per te stesso solo perché un moccioso viziato non sa tenersi un’emozione per sè.”
Nàl sorrise amaramente, “come potrei?” Domandò con un filo di acidità, “per tutta la vita sono rimasto chiuso in una campana di vetro, sai?  Non sono abituato ad essere guardato liberamente o essere al centro dell’attenzione. È una cosa che mi disturba moltissimo.”
Frigga annuì, “penso di capire,” concordò, “io ci sono cresciuta. Ho conosciuto Odino quando ero una bambina e, sebbene lui fosse il principe ereditario già allora, non mi è mai stato possibile considerarlo interamente come tale, capisci?”
Nàl annuì. In un certo senso tra lui e Fàrbauti era lo stesso. Erano cresciuti insieme, quando erano da soli il titolo di principe era come se non gli appartenesse. Non voleva che gli appartenesse…
“Ma crescendo, mi sono resa conta che essere così vicina ad un principe ha il suo prezzo,” continuò Frigga, “non ho amiche all’interno della corte, non posso averne. Sono tutte talmente occupate a morire dietro ad Oden che, un legame con una qualunque di loro, significherebbe solo veleno ed interesse. Troppe volte hanno provato ad usarmi per attirare l’attenzione del principe.”
Nàl storse il naso, “ignobile a dir poco.”
“Penso che tu possa immaginare come si sentono ora che il loro bel principe è completamente perso per te.”
Il giovane roteò gli occhi verdi, “Odino è invaghito di me, niente di più.”
“Lo credevo anche io, sai?” Frigga si fece più vicino, “l’unica volta che Odino si è interessato a qualcuno per un periodo che fosse più di un paio di notti è stato con Jӧrd.”
“Loki non me ne ha mai parlato.”
“Perché è molto difficile vederla a corte,” spiegò Frigga, “è una selvaggia, una guerriera in un certo senso. Non vuole legami, non vuole restrizioni. È il perfetto contrario della maggior parte delle fanciulle di Asgard.”
“Allora perché ne parli come se fosse la peggior donna sulla faccia dell’intero universo?”
Frigga rise, “è così chiaro?”
Nàl sorrise ed annuì.
“La disprezzo,” confessò Frigga senza troppe remore, “tra lei e Odino c’è solo sesso. Anche se non ho idea di quanti amanti abbia contemporaneamente, non che il nostro principe sia da meno, certo. Quello che mi disturba non è la loro relazione passionale,” fece una smorfia mentre lo disse, “è il sospetto che Oden ne uscirà incastrato.”
Nàl inarcò un sopracciglio, “che intendi dire?”
“Mio caro Nàl, il nostro principe gioca a fare il grand’uomo ma è un bambino ingenuo quando si tratta del gentil sesso. Pensa di avere il controllo totale della situazione e con le ragazzine della corte potrebbe anche essere vero, ma Jӧrd è una donna risoluta, che sa quello che vuole e non si fa scrupoli per ottenerlo. Se Oden fosse stato solo un amante con cui appagarsi carnalmente, lo avrebbe rimpiazzato da un pezzo.”
“Vuole il trono…” Intuì Nàl.
“Vedo che mi segui,” commentò Frigga soddisfatta, “sono certa che non vuole legami e sono certa che non vuole restrizioni, ma una donna tanto ambiziosa non rinuncerebbe mai alla possibilità di diventare regina.”
“Vuole concepire un figlio con Odino e avanzare delle pretese di una certa importanza, è questo che pensi?”
Frigga annuì vigorosamente, “tutte le fanciulle ben istruite vengono iniziate alle arti magiche e curative, almeno quelle più elementari e ci sono metodi semplici per evitare incidenti. Jӧrd conosce questi metodi ed Odino ha totale fiducia in questo.”
Nàl rise, “che ingenuità!”
“È la stessa cosa che dico anche io!” Esclamò Frigga con enfasi, “ma credo che i suoi piani salteranno.”
“Perché?” Domandò il giovane Jotun confuso, “credevo fossi preoccupata.”
“Lo ero prima che il mio caro Oden si prendesse una vera e propria cotta per un certo bel fanciullo dagli occhi verdi.”
Nàl sbuffò, “ti prego, non tu…”
Frigga rise, “perdonami, ma conosco Oden da tutta la vita e come ti ho messo in guardia appena sei arrivato, mi trovo costretto ad avvisarti anche ora.”
“Di cosa?”
“Del fatto che sei l’unico nella storia, Nàl,” Frigga gli passò una mano tra i capelli corvini, “Oden al massimo ti sfiora, non ti toglie gli occhi di dosso, non si sfoga con qualcun altro per eliminare il suo desiderio. Aspetta te, vuole te.”
Nàl la guardò per un minuto intero, poi fece una smorfia, “quante sciocchezze…”
“Fidati del mio intuito femminile!”
“Non so cosa sia e non credo di volermene fidare,” confidò Nàl ora irritato che la discussione avesse preso una simile piega. “Nàl…” Lo Jotun fu costretto a guardarla di nuovo, “quelle fanciulle saranno anche delle cosine frivole da collezionare, ma sanno riconoscere una minaccia quando la vedono e né io né Jӧrd lo siamo mai state.”
“E di Loki che mi dici? Lui l’ha notato nessuno?” Domandò con acidità, “Odino non lo vede o fa finta di non vederlo?”
Il sorriso di Frigga sparì nel giro di un istante, “come l’hai saputo?” Domandò preoccupata.
“Me l’ha detto lui,” la tranquillizzò Nàl, “non esplicitamente ma… Gli ho fatto presente che avevo avuto un’intuizione e, a modo suo, l’ha confermata. Tu invece quando l’hai scoperto?”
Frigga abbassò gli occhi tristemente, “era un ragazzino quando me l’ha confidato in lacrime. Non è successo molti anni fa, a dire il vero. Era disperato, non sapeva che fare…”
Nàl annuì, “Odino lo sa?”
“No,” Frigga scosse la testa “e se l’ha intuito, non me l’ha mai detto.”
“Tu dici di essere felice di vedere il tuo principe seriamente interessato a me, ammesso che sia vero. Ogni volta che mi guarda di fronte a Loki in quel modo, avrei voglia di fracassargli la testa contro il muro.”
“No, no, no…” Frigga gli posò una mano sulla spalla, “Odino non deve sapere, non deve capire.”
“Perché no?!” Esclamò Nàl, “non sono fratelli! Sono due mocciosi che hanno giocato con un rituale senza nemmeno sapere quel che stavano facendo!”
Nemmeno io sapevo cosa stavo facendo quando da bambino ho deciso di giocare solo con Fàrbauti, piuttosto che con gli altri bambini. Nemmeno io sapevo quel che stava succedendo quando il mio compagno mi ha bloccato a terra e mi ha costretto a…
Frigga sospirò tristemente, “è stato un patto di sangue sugellato con la magia, Nàl. Non si può spezzare, nemmeno il re ha potuto e avrebbe fatto qualsiasi cosa per allontanare quello Jotun da suo figlio. Una relazione che non sia fraterna tra loro, sarebbe un crimine di fronte ad Asgard.”
“Io, al suo posto, morirei ogni giorno…”
“Anche io,” confessò Frigga sinceramente, “non fraintendere le mie parole. Loki di sicuro soffre ogni volta che Odino passa il suo tempo con una giovane dama e, forse, soffre ancora di più nel vedere che non demorde con te. Forse, Loki guarda te e pensa che potrebbe essere al tuo posto. Ma ti confido una cosa, Nàl. Loki ha sempre voluto che Odino s’innamorasse di qualcuno.”
Nàl spalancò gli occhi verdi guardando la fanciulla con espressione incredula.
“Se Odino s’innamorasse sul serio di qualcuno, Loki smetterebbe di sperare, capisci?”


Odino non si era mai accorto di niente.
“Era da un po’ che non passavamo del tempo insieme, io e te,” commentò il principe giocando con una ciocca corvina dei capelli del fratello. “Nàl ci ha occupati fin troppo entrambi,” commentò Loki continuando a fissare il tetto smeraldino che le foglie degli alberi costruivano sopra le loro teste. “Cosa ne pensi di lui?” Domandò Odino con sincera curiosità alzandosi su un gomito per guardare l’altro dall’alto in basso.
“Penso che siamo arrivati ad un’intesa,” ammise Loki ed era sincero. Sapeva che ci sarebbe voluto molto più tempo per far sì che Nàl sapesse muoversi all’interno della corte in totale autonomia, ma i loro dialoghi erano diventati quasi piacevoli nel corso di quel primo mese trascorso insieme.
“Questo mi rende molto felice!” Esclamò Odino con un gran sorriso. Loki si voltò a guardarlo con estrema intensità, “è la prima volta che t’interessi della mia opinione nei riguardi di un tuo amante.”
“Ma Nàl non è un mio amante.”
“Lo so,” Loki annuì appena, “quello che non so, è come poterlo definire.”
Il sorriso di Odino si ridimensionò notevolmente, “vuoi che ti dia qualche giustificazione in merito a qualche mio comportamento, fratello?”
“Non sei obbligato…” Mormorò Loki, “vorrei solo capire le tue intenzioni e guidarti, se mi sarà possibile.”
Odino strinse le labbra, “non voglio che nessuno s’intrometta in questa… cosa.
Loki rise appena, “nemmeno tu sai di cosa si tratta, capisco.”
“Lo so bene, invece!” Esclamò Odino puerilmente indignato.
“Prova a spiegarmelo, mio principe,” lo esortò il giovane Jotun scrutando l’erede di Asgard con quegli splendidi occhi scuri che ad Odino sembrò potessero leggergli dentro. Dopotutto, erano ben poche le cose che poteva nascondere a Loki… E a Frigga, sì, ma quella era una questione completamente diversa.
“Certe volte mi sembra d’impazzire, sai?” Confidò il principe con una serietà tale, che Loki non seppe come interpretare quelle parole, “ogni volta che ti vedo parlare con qualcuno, ogni volta che vedo Frig intrattenersi con un fanciullo un secondo di troppo. Ogni volta che mi ricordo che non mi appartenete completamente, come la parte peggiore di me vorrebbe.”
Loki non replicò, decise che sarebbe rimasto in silenzio ad ascoltare fino alla fine.
“So che non siete degli oggetti, so che avete dei desideri, so che potete prendere delle decisioni indipendentemente da me e so che non dovete per forza comportarvi in modo da rendermi felice ma… So anche che non saprei cosa fare, se vi perdessi, Loki. E non so se mi spaventi di più ammettere una debolezza tanto vergognosa o prendere in considerazione l’ipotesi che una tale eventualità possa verificarsi.”
“Ma tu non mi perderai mai, Odino,” replicò Loki con una spontaneità che lo spaventò, “nulla potrebbe dividermi da te, soltanto la morte e la tua volontà.”
Odino rise amorevolmente, “abbiamo l’eternità davanti a noi, Loki. Temo che siano davvero poche le cose di cui possiamo essere certi per tutto questo tempo…”
Loki scosse la testa ed afferrò la mano del fratello in un gesto improvviso, “vuoi che sia solo tuo?”
Prendimi, Odino. Prendimi! Sono già tuo, devi solo saperlo vedere.
“E allora chiedimelo, Odino,” sembrava quasi una preghiera la sua, “vuoi che non rivolga più la mia parola a nessuno? Lo farò. Vuoi che nessuno incroci mio sguardo? Va bene, avrò occhi solo per te. Devi solo chiedermelo, mio principe, solo questo.”
Odino inarcò un sopracciglio confuso, poi afferrò con gentilezza Loki per le spalle spingendolo a sedersi sull’erba di fronte a lui, prese quel bel faccino pallido tra le mani e appoggiò la fronte contro quella del fratello minore, “non permettere mai a nessuno di farti una cosa del genere, perché annullarti in una maniera simile per qualcun altro è il peggior crimine che potresti fare a te stesso.”
“Fratello…”
“Non devi permetterlo a me e non devi permetterlo a nessuno altro, Loki, “ insistette Odino con più fermezza, “e giuro qui davanti a te, che se qualcuno mai oserà forzarti a fare una cosa del genere, lo ucciderò con le mie stesse mani.”
“Pensi di essere l’unico che abbia paura di perdere qualcuno?” Replicò Loki sull’orlo della disperazione. Odino sorrise, sospirò e gli baciò la fronte, “è destino che stiamo insieme, Loki. È destino che io abbia incontrato te e ti abbia reso mio fratello. È destino che io possa contare su Frigga fin da quando ho memoria. Anche se temo che l’eternità potrebbe allontanarci, voglio credere che per noi esista un destino in cui possiamo restare insieme. Voglio lottare per questo.”
Loki accennò un timido sorriso, “sì, è destino che restiamo insieme…” Mormorò appoggiando le proprie mani su quelle appoggiate sulle sue guance. E se sia il destino che l’eternità avessero voluto fermarsi lì, sì, proprio lì, con Odino accanto a lui. Loki lo avrebbe accettato senza ulteriori pretese.
“E penso che il destino abbia in serbo qualcosa di speciale per me e Nàl.”
Loki gelò. Ah, già, Laufey… Stavamo parlando di Laufey.
Odino si allontanò da lui e Loki lo guardò mentre tornava a sorridergli in quel modo spontaneo e solare che lo faceva impazzire, “Nàl è destinato a me ed io lo sono a lui. Non chiedermi come faccio a saperlo! L’ho capito fin dal primo momento in cui l’ho visto, come per i miei genitori! Mia madre soleva dire che quando vide mio padre semplicemente seppe che doveva essere lui.”
“I tuoi genitori si sono sposati per un matrimonio combinato, Odino…”
Ma il principe non lo ascoltava, “io pensavo fosse una sciocchezza!”
“Lo è!”
“No, Loki!” Esclamò Odino, “sai, ho fatto un sogno la notte in cui ho trovato Nàl. Ho sognato due bellissimi bambini che mi chiamavano papà e Frigga mi ha preso in giro per tutto il giorno seguente ma non è questa la parte importante. Erano due maschietti, il più grande era identico a me… Ma che dico? Era anche più bello! Indovina come si chiamava? Thor, sì, Thor! Il mio nome preferito sin da quando ero bambino…”
Loki cominciò ad annuire meccanicamente alla fine di ogni frase che Odino pronunciava con emozione crescente, senza realmente capire metà dei dettagli che il fratello gli stava illustrando con cura quasi maniacale. “E sai com’era il bambino più piccolo?” Domandò Odino facendo una breve pausa, “aveva i capelli nerissimi e due meravigliosi occhi verdi. Quando mi sono svegliato non ho capito, ma… Poi lo stesso sogno si è ripetuto ancora, ancora e ancora. La notte in cui ho giaciuto con la guaritrice che mi ha curato la gamba, li ho sognati per la seconda volta. Poi c’è stato quel pomeriggio al lago…”
“Il lago? Quale lago?”
“Ed è successo di nuovo. Non appena mi sono addormentato, ho rivisto quei due bambini,” Odino si lasciò andare ad una breve risata, “ho rivisto i figli miei e di Nàl.”
E per la prima volta da quando il suo adorato principe lo aveva salvato dalle crudeltà di Jotunheim, Loki desiderò profondamente di morire.

[Asgard, oggi]

 
Thor ci mise un po’ prima di realizzarlo.
La consapevolezza lo colse di sorpresa un tardo pomeriggio, mentre reggeva il diario tra le mani e Loki se ne stava seduto davanti a lui ad osservare il fuocherello scoppiettante nel piccolo camino con sguardo assente. Thor si era ritrovato a fissarlo senza neanche rendersene conto: aveva abbandonato la lettura sul finire di una descrizione del giovane Jotun chiamato Nàl, l’ennesima che suo padre si era premurato d’inserire e l’associazione era stata talmente spontanea, che Thor non aveva potuto fare a meno di spostare automaticamente gli occhi sulla figura di Loki.
“Posso essere chiunque tu vuoi che io sia, per degli occhi come i tuoi.”
Loki dovette avvertire la pressione del suo sguardo insistente, perché si voltò a guardarlo con quelle iridi tanto verdi da non sembrare reali.
“È un rischio che sono disposto a correre, per due occhi come i tuoi”
Che vuoi?
Suo fratello non aveva parlato ma quella domanda era scritta a chiare lettera nei tratti della sua espressione annoiata. “Vi assomigliate molto,” spiegò Thor con totale sincerità, “tu e loro, intendo.”
Loki lo fissò per un lungo istante in cui Thor capì di aver per detto, per l’ennesima volta, la cosa sbagliata.
“Voglio dire… Nostra nonna, il fratello di nostro padre, Nàl, hanno tutti i capelli neri. Tutti! Solo gli occhi sono diversi… Solo quelli di Nàl erano verdi come i tuoi… Cioè, non credo possibile che fossero come i tuoi! È impossibile avere due occhi così… Credo…”
Loki strinse le labbra fino a che non divennero una linea sottile. Thor scosse la testa avvicinandosi a lui, “non so se sia un caso, ma tutti gli Jotun che nostro padre ha amato si assomigliavano un po’ tra loro,” Thor si sedette sul pavimento accanto al fratello aprendo il diario sull’ultima pagina che aveva letto, “leggendo le sue parole, mi sembra quasi di vedere te.”
Loki scrollò le spalle: il principe di Asgard poteva recitare il ruolo del sentimentale quanto voleva ma sbagliava, se pensava che l’avrebbe assecondato. Aveva accettato la compagnia di Thor solo perché non poteva rischiare che quelle pagine preziose andassero perdute e, nella sua attuale posizione, non aveva altro modo per ottenere le rispose che cercava. Le risposte che, dopo gli avvenimenti degli ultimi due anni, pensava di non volere più.
“Non ti vogliono, non ti hanno mai voluto.”
Poteva ancora sentirle quelle voci strisciare come viscidi serpenti dentro la sua testa.
“Guarda alla tua vita, Loki. Vuoi davvero finirla qui? Vuoi togliere il disturbo senza lasciare che loro si ricordino di te?”
Perché non era morto quando lo aveva desiderato?
“Che cosa sei? Chi sei?”
Perché non era morto fin dal principio?
“Non conosci la risposta, vero?”
“Loki?” L’interpellato sobbalzò quando una mano calda gli sfiorò il viso e Thor ritrasse il braccio istintivamente, “a cosa stavi pensando?”
Loki scrollò le spalle e scosse la testa ma Thor non demorse così facilmente, “nostra madre è molto preoccupata per te,” disse il principe ereditario, sperando che questo potesse toccare l’interesse del fratello minore, “pensa che tu abbia difficoltà a dormire o qualcosa del genere.”
Loki non scollò gli occhi dal pavimento che aveva deciso di fissare con sguardo impassibile.
“Ogni qual volta che vede segni di miglioramento in te, il giorno dopo è come se non fossero mai esistiti.”
Ancora silenzio.
“Loki,” Thor gli posò una mano alla base dal collo affondando le dita tra le lunghe ciocche corvine, “siamo entrambi consapevoli che nulla potrebbe toccarti intimamente, senza che tu ne sia completamente consapevole. I tuoi poteri sono molto forti, per tanto, quel che ti fa male dovrebbe esserlo ancora di più.”
Loki sbuffò e prese il diario dalle mani di suo fratello, Thor sorrise, “nostro padre ci vedeva nei suoi sogni, ci credi? Ci vedeva moltissimo tempo prima della nostra nascita. Ci vedeva insieme, ci vedeva solo e sempre insieme.”
Loki roteò gli occhi annoiato.
“Lui lo vedeva come un segno che lui e Nàl erano destinati a finire insieme. Logico considerando la vostra somiglianza, ma entrambi sappiamo che la storia è andata ben diversamente,” Thor mosse le dita per sentire quei ciuffi d’ebano scivolare sul palmo della sua mano, “io la vedo in modo diverso. Penso che quei sogni siano la prova che…” Rifletté ancora un istante prima di dirlo, “io e te eravamo destinati ad essere insieme.”
Loki sbuffò sonoramente. Sei un visionario, Thor, come tuo padre prima di te.
Thor gli afferrò la mano tanto improvvisamente che il diario gli cadde di mano. Loki fu costretto a guardarlo negli occhi e non gli piacque la speranza che vide in quelle iridi blu, “siamo predestinati, Loki,” mormorò Thor, “siamo nati l’uno per l’altro.”
Loki rimase in silenzio, mentre il dio del tuono gli baciava il dorso della mano dolcemente.
“E se l’eternità ha diviso nostro padre dalle persone che amava, io morirò prima di permettere a qualcosa di separarmi di nuovo da te.”
Il principe degli inganni liberò la propria mano dalla stretta del fratello con aria disgustata.
“Anche se dovesse nascondersi nei tuoi sogni, Loki.”

[Asgard, secoli fa.]

Loki era stranamente silenzioso quella sera, mentre aiutava Nàl a togliersi i vestiti per il bagno caldo che segnava la fine di ogni giornata che il principe di Jotunheim passava alla corte di Asgard. Per più di un mese avevano continuato con quel rituale e Nàl doveva ammettere che il suo corpo reagiva al calore con meno difficoltà di volta in volta. A dispetto dei momenti di tensione che c’erano stati tra loro, Loki e Nàl parlavano…Parlavano molto, ma quella sera il fratello del principe non era con lui, nonostante gli fosse fisicamente accanto.
“Qualcosa non va?” Chiese Nàl, prima che Loki avesse modo di passargli una mano umida d’acqua tra i capelli corvini ancora asciutti. L’altro Jotun scosse la testa fin troppo velocemente perché potesse passare come un gesto sincero.
“Loki…” Chiamò di nuovo il principe di Jotunheim.
“Non sono dell’umore per essere di compagnia questa sera, mi dispiace,” tentò di giustificarsi l’altro.
“Frigga mi ha detto che hai passato l’intera giornata con Odino.”
“Oh, ti sei trovato bene con lei?”
Nàl annuì ma non abboccò al tentativo dell’altro di cambiare argomento, “è successo qualcosa?” Domandò, “l’idiota ti ha detto qualcosa di sbagliato senza nemmeno rendersene conto?”
Loki contrasse le dita tra i suoi capelli tirandoglieli appena ma Nàl non se la prese e non oppose resistenza quando l’altro Jotun lo spinse a voltarsi per guardarlo negli occhi. C’era solo un’incredibile tristezza nelle iridi scure di Loki. Anche il più superficiale dei villani che frequentavano quella corte sarebbe stato in grado di scorgere la ferita che faceva sanguinare il suo cuore.
Nàl continuò a fissarlo aspettando che facesse o dicesse qualcosa. Loki gli sistemò solo una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio percorrendo con la punta delle dita la linea del suo zigomo destro, “hanno ragione a temerti, proprio come Odino ha ragione a desiderarti. Molti guerrieri di Asgard, anche i più virtuosi, sarebbero pronti a morire per degli occhi come i tuoi, lo sai?”
Nàl inarcò la sopracciglia, “non comincerai anche tu con questo ritornello, ora, vero? Sai bene che è solo un artifizio, un’illusione.”
Loki sorrise amaramente, “non è un ritornello. È un dono, Laufey. Non ci scegliamo l’aspetto che abbiamo come Aesir, proprio come nessuno può scegliersi il proprio alla nascita. Il nostro aspetto in questa forma è quello che avremmo avuto se fossimo nati in questo mondo. Non è un artifizio, non è un’illusione, questi sono i tuoi occhi come Aesir e li hai solo tu. E, forse, un giorno, li avrà anche vostro figlio…”
Il copioso schizzo d’acqua che gli arrivò in pieno viso lo costrinse a tacere a chiudere gli occhi.
“Vedi di tornare in te o non resisterò in questo posto un minuto di più,” Loki sentì la voce rabbiosa di Nàl ancor prima di vedere la sua espressione iraconda, “dimmi cos’è successo e questo è un ordine, LokI!”
“Un ordine,” ripeté Loki scostandosi la frangia bagnata da davanti agli occhi, “già, tu sei un principe. Odino è un principe.”
“Congratulazioni per questa tua conclusione!” Esclamò l’altro sarcastico.
“No, tu non capisci!” Il sorriso di Loki gli illuminava il viso di una luce quasi malsana, “mio fratello vede i vostri figli nei suoi sogni. Vede un bambino biondo con gli occhi azzurri ed uno coi capelli corvini e gli occhi verdi. Vede gli eredi di Jotunheim ed Asgard, tutto ha un senso da questa prospettiva.”
Nàl lo guardò allibito, “stai delirando…”
“Sua madre aveva la stessa capacità! Vedeva nei suoi sogni il destino di chi amava…”
“Lo so! Mi è stato raccontato, non è poi così raro in creature che nascono con la magia nel sangue.”
Loki gli prese il viso tra le mani in un gesto improvviso e disperato, “vai da lui…”
“Cosa?”
“Va’ da lui!” Esclamò Loki sull’orlo delle lacrime, “dagli una possibilità! Permettigli di amarti, permettiti di amarlo, perché ti assicuro che prima o poi t’innamorerai di lui…”
Nàl allontanò le mani di Loki dal suo viso e le strinse tra le sue, “ti ascolti mentre parli? Non sei tu!”
“Lui è tutto ciò che non è mai stato Fàrbauti.”
Nàl s’irrigidì come un pezzo di marmo ed indietreggiò nell’acqua di mezzo metro, “stai superando il limite, Loki.”
“Odino è dolce come amante, Laufey,” continuò Loki imperterrito, “io non l’ho mai provato ma… Lo so. Se tiene a te come dice, sarà con te come non è stato con nessun altro. Ed è di questo che hai bisogno vero? Calore, dolcezza… E mio fratello è tutto questo.”
“Smettila immediatamente, Loki!”
“Odino non tradirebbe mai la tua fiducia per una stupida tradizione, Laufey.”
“Smettila, ho detto!”
“Portamelo via!” Gridò Loki alla fine e Nàl sentì l’ira scivolargli addosso velocemente, mentre l’altro nascondeva il viso tra le proprie mani scoppiando a piangere, “portamelo via, ti prego Laufey, portamelo via… Siete predestinati l’uno per l’altro…”
Nàl sospirò pesantemente avvicinandosi di nuovo allo Jotun singhiozzante, “tu pensi che, vedendolo felice con qualcun altro, ti passerà?”
“Sì!” Esclamò Loki guardandolo dritto negli occhi, “ho quasi perso il controllo oggi e non ho idea di quello che potrebbe accaderci se lo facessi di nuovo in presenza di qualcun altro.”
“Anche un sentimento può essere un crimine qui?”
“Sì, se si tratta di un amore incestuoso nei confronti del principe ereditario.”
“Non è tuo fratello, maledizione!”
“Per la legge di Asgard lo è, per la legge magica dei nove regni lo è! Sono più fratello io di quanto non lo siano i due figli minori del re!”
Nàl afferrò i polsi di Loki con gentilezza, “io non sono predestinato ad Odino. Io sono predestinato ad un’altra persona, lo sai questo.”
Loki scosse appena la testa, “c’è qualcosa che non mi porta in quello che dici, lo sai?” Commentò, “sei scappato di casa, dici di odiare tuo padre, dici di disprezzare Jotunheim e le sue leggi assurde ma Fàrbauti… Il compagno che ti ha stuprato quando, probabilmente, eri poco più di un bambino… Lui continui a difenderlo.”
“Te l’ho già detto!” Esclamò Nàl esasperato, “è la tradizione, non è…”
“Allora perché sei qui?!” Urlò Loki, “per tutti i nove regni, Laufey! Se Fàrbauti è l’amore di cui parli, se lui è il compagno che il destino vuole che tu abbia, perché sei qui? Perché vedi, se Odino ricambiasse i miei sentimenti, non ci sarebbe odio o ragion di stato che potrebbero tenermi lontano da lui!”
Ragion di stato… Ragione di stato…Ragion di stato…
Nàl abbassò lo sguardo lasciando andare la presa su Loki.
“Vieni con me?”
“Non posso e lo sai.”
Si morse il labbro inferiore con forza, fino a farlo quasi sanguinare.
“Possiamo farlo insieme, non dobbiamo separarci.”
“Gli ordini del re sono chiari.”
“Io sto andando a rischiare la mia vita, te ne rendi conto, vero?”
“Lo so…”
“Non ti sei opposto alla decisione del re, nonostante potessi. Lasci che mi mandi a morire e non provi nemmeno ad insistere per venire con me?”
“La parola del re è legge, Laufey. Il bene di Jotunheim viene prima di qualsiasi cosa.”

Gli sfuggì un singhiozzo.
“Sì, il bene di Jotunheim prima di qualsiasi cosa.”
“Laufey?” Era Loki quello con lo sguardo allibito ora, “non volevo. Scusami, non volevo…” Il fratello del principe tentò di toccare il viso dell’altro Jotun che, invece, abbassò lo sguardo per nascondere le lacrime rabbiose che gli rigavano le guance.
“Lasciami solo…” Sibilò.
“Laufey…”
“Vattene!” Urlò il principe di Jotunheim e Loki non poté fare altro che chinare la testa ed ubbidire.

[Asgard, oggi.]

Il sogno non era mai uguale ma era sempre lo stesso.
Alle volte, gli capitava di essere protagonista della scena. Altre volte, ne era mero spettatore.
Questa era una di quelle volte.
Nevicava fuori dalle grandi finestre della camera dei suoi genitori. Sì, riconosceva quel posto. Durante l’infanzia, aveva creduto fosse il luogo più sicuro al mondo.
“Ti piace la neve, vero?” Non sapeva a chi appartenesse quella voce, eppure sapeva di conoscerla, “la neve fa parte di te tanto quanto il sole, amore mio.”
Avanzò senza realmente volerlo, fino a che non poté scorgere tra i tendaggi il sontuoso letto matrimoniale.
Non riuscì ad andare oltre.
Un giovane dai capelli corvini e la pelle candida se ne stava seduto contro i cuscini stringendo tra le braccia un fagottino verde incredibilmente piccolo. Il giovane sorrideva, di un sorriso innamorato che vagamente gli ricordò quello che sua madre rivolgeva a lui e suo fratello durante l’infanzia.
Il neonato starnutì e scoppiò a piangere.
“No, no, no…” Mormorò il giovane appoggiando la testolina corvina del piccolo contro la spalla cullandolo per rassicurarlo.
Si sentì morire dentro: le manine del neonate strinsero con forza la tunica del genitore e fu impossibile non notare che erano di un sinistro colore bluastro.
Un moto di panico lo spinse a muovere un passo indietro troppo velocemente, fece rumore ed attirò l’attenzione del giovane sul letto.
Questi alzò immediatamente gli occhi verdi nella sua direzione e, solo per un momento, gli parve quasi di rivedere se stesso. L’espressione allarmata dell’altro svanì nella luce di un sorriso.
Non capì ma non si mosse quando il giovane dai capelli corvini si alzò dal letto per andargli incontro.
“Non sapevo che fossi qui, mi hai colto di sorpresa…”
Scosse la testa senza capire.
“Volevo far addormentare il bambino, ma quando cambia forma è difficile indurlo a rilassarsi.”
Il giovane allontanò il corpicino dal proprio petto sorreggendolo con entrambe le mani.
“Forse tu sarai più fortunato, nessuno lo conosce come te, in fin dei conti.”
Voleva voltarsi e scappare ma non aveva più il controllo delle proprie gambe. Abbassò gli occhi sul neonato sospeso tra di loro che, perduta la protezione dell’abbraccio del genitore, aveva cercato di assumere una posizione fetale. Lo fissò per un lungo istante, studiò la pelle blu e seguì le linee che percorrevano quel corpicino fragile e tremante. Un pugnetto era premuto contro la piccola bocca e due grandi occhi scarlatti lo guardavano implorandogli di accettare l’offerta che gli era stata fatta.
Non indugiò oltre. Prese il piccolo tra le braccia e lo strinse contro il suo petto ignorando il disgusto che il suo aspetto gli provocava: non appena avesse smesso si di singhiozzare, lo avrebbe restituito al legittimo proprietario e se ne sarebbe andato. Avrebbe voluto staccargli gli occhi di dosso ma non ci riuscì.
“Eri bellissimo, vero?”
Inarcò un sopracciglio guardando il giovane con espressione confusa.
“Non ti riconosci?” Chiese l’altro con un sorriso.
Guardò con ribrezzo la cosa tra le sue braccia, “io non sono così…”
“Lo dici come se fosse una cosa orribile.”
Avrebbe voluto dire che lo era, che non c’era niente di più mostruoso nell’intero universo. Poi, però, abbassò lo sguardo e vide che il neonato gli sorrideva. Il piccolo pugnetto era ancora premuto contro la bocca sdentata ma le pieghe che quei lineamenti infantili avevano assunto parlavano da soli. Lo sollevò per squadrarlo meglio e il piccolo allungò una mano per taccargli il viso: era caldo.
Il blu su quel faccino paffuto scomparve lentamente sostituito dalla pelle candida e completamente liscia di un bambino Aesir. Non poté evitare di sorridere a sua volta mentre il piccino lo fissava con quei meravigliosi occhi ora verdi.
Ne baciò una guancia: era caldo, morbido e odorava di buono.
Il giovane di fronte a lui sorrise, “era impossibile non innamorarsi di te.”
Scosse la testa con un sorriso amaro, “nessuno mi ha amato… Nessuno…”
Il giovane scosse la testa alzando una mano per accarezzare una delle guance morbide del piccino e, quando alzò di nuovo gli occhi su di lui, le iridi smeraldine che gli erano sembrate tanto simili alle sue avevano lasciato il posto a due demoniaci occhi color sangue, “avresti dovuto essere solo mio…”

“Thor!”
Sapeva che quel nome non era mai uscito dalla sua bocca, eppure le sue labbra l’avevano pronunciato in silenzio lo stesso. Quando si era addormentato? Perché l’avevano lasciato dormire? Dov’era Thor? Thor… Thor… Thor!
Una mano calda s’infilò tra i capelli corvini che gli coprivano la nuca e Loki sobbalzò. “Ehi…” Due preoccupati occhi blu lo accolsero con amore, “era un incubo?”
Quando si erano spostati sul letto?
“Cos’è che ti tortura, Loki?” L’interpellato abbassò lo sguardo, l’espressione terrorizzata sostituita dalla maschera di ghiaccio che usava portare in pubblico, “di che incubo si trattava? Parlami, ti prego.”
Loki scosse la testa ma Thor gli prese il viso con entrambe le mani costringendolo a guardarlo, “non posso sopportare che qualcuno ti faccia del male, lo capisci?” Chiese con una nota di rabbia a cui il fratello rispose con una smorfia sarcastica, “saresti capace di lasciarti morire nel più lento e doloroso dei modi pur di continuare a punirmi, vero?”
Loki rise, una risata priva di gioia, ebbra di tutta la sua disperazione che lo faceva barcollare sul baratro della follia. Sì, sì e sì, l’avrebbe fatto. Allontanò le mani di Thor da sé con forza, poi si coricò di nuovo, in modo da dare le spalle al fratello maggiore.
Thor non si mosse, rimase al suo posto accanto a lui, il diario ancora tra le mani.
Riprese a leggere.

[Asgard, secoli fa.]

Odino saltò la cena quella sera: suo padre gli aveva comunicato che sarebbe stato presente, un motivo più che valido per farsi passare l’appetito. La sua corte avrebbe pensato a fargli onore e piacere, i suoi fratelli non si sarebbero sottratti ad un tale compito e Odino… Odino poteva benissimo lasciare che il bagliore di Asgard lo abbandonasse per una notte permettendogli di nascondersi tra le ombre del palazzo reale, come un ladro, come un intruso, come un escapista che, pur signore della realtà che lo circonda, a volte, ha bisogno di una pausa da tutto e tutti.
I giardini fu il luogo in cui pensò di nascondersi, non vi andava mai nessuno durante il banchetto serale e a lui ricordavano sua madre. Di quel piccolo luogo di pace e silenzio, Odino aveva fatto un suo personale tempio commemorativo, dove era libero di crogiolarsi nel tiepido ricordo di un’infanzia perduta alla larga da occhi indiscreti.
“Penso di averlo trovato, madre,” mormorò al cielo stellato, mentre scendeva le scale di pietra e si lasciava avvolgere dalla brezza della notte, “il compagno a cui sono predestinato. È un figlio di Jotunheim come te, ha i capelli corvini come i tuoi, ha il tuo stesso orgoglio, la tua stessa bellezza…”
Il silenzio fu l’unica risposta che ricevette, ma lo accettò con un sorriso amaro.
“Vorrei che lo avessi conosciuto. Vorrei lui avesse potuto conoscere te.”
Ma sua madre non aveva avuto occasione di conoscere nessuna delle persone più importanti della sua vita. Aveva cominciato a giocare con Frigga solo dopo la sua morte, aveva incontrato Loki anni dopo, la prima volta che disubbidì a suo padre. E ora Nàl… Nàl che era arrivato senza che Odino lo aspettasse. Nàl che aveva incrociato il suo cammino, senza che Odino dovesse cercarlo.
Nàl, Nàl, Nàl…
Stava diventando un pensiero fisso. Un’ossessione. Quante volte Odino si era sorpreso a sognarlo anche ad occhi aperti, in pieno giorno? Il principe libero e ribelle legato ad una persona che si rifiutava persino d’incrociare il suo sguardo. Era terrorizzante e gli piaceva proprio per questo.

Nàl non sapeva perché si era andato a rifugiare lì. Era stato in quel posto per la prima volta solo quella mattina, ma vi aveva trovato una pace e una familiarità che non sapeva in che altro luogo andare a cercare. Forse lo aiutava il pensiero che un luogo simile era appartenuto ad una figlia di Jotunheim abbandonata anche lei in un mondo tanto estraneo per ragioni di stato più grandi di qualsiasi altra cosa. Più della vita e della dignità di qualcuno.
Era stata felice Bestla in quel regno dorato dalle mille sfumature oscure? Era stata felice pur portando nel cuore la consapevolezza che era stata venduta dal suo popolo per una ragion di stato?
“Valevi meno di una ragion di stato per tuo padre?” Chiese Nàl alla notte silenziosa, “io valgo meno di molte cose per il mio ma…”
“E se non ce la facessi?”
“Ce la farai.”
“E se non ce la facessi?”
“Ce la farai, Laufey.”
Era stato talmente terrorizzato dall’idea di farlo, era stato talmente orgoglioso da non aver mostrato alcun segno d’incertezza di fronte a suo padre.
“Se non ce la facessi più, verresti a prendermi?”
Ma a Fàrbauti aveva aperto il cuore, con tutte le sue paure e le sue debolezze.
“Se chiamassi il tuo nome, verresti da me?”
Perché con chi altri avrebbe potuto farlo, se non con il compagno della sua vita?
“Fàr…” Singhiozzò incapace di arginare le lacrime che da più di un’ora gli rigavano le guance, “Fàr?” Sapeva che lo sentiva. Era nato come un gioco, un modo per esercitare i suoi poteri, per sentire il suo compagno vicino a lui quando l’addestramento aveva cominciato ad allontanarli più del dovuto.
“Fàr!”
Aveva sempre funzionato.
“Fàr…”
Fino a quel giorno. Nàl guardò il proprio riflesso sulla superficie dell’acqua della fontana. Vide il bel fanciullo con i capelli corvini e gli occhi verdi, vide il se stesso che non sentiva se stesso. Vide qualcosa di completamente sbagliato. E Fàrbauti non c’era, Fàrbauti che non aveva mai promesso di venirlo a prendere perché nemmeno per lui valeva più di Jotunheim, nemmeno per lui veniva prima di qualunque altra cosa.
Nascose il viso tra le mani piangendo silenziosamente, perché tanto nessuno avrebbe ascoltato la sua voce.
Nessuno. Nessuno…
“Laufey,” avrebbe dato tutto pur di sentire la voce di Fàrbauti pronunciare il suo nome.
“Nàl?” Ma fu la voce di Odino quella che rispose alla sua muta preghiera.
Il principe di Jotunheim alzò gli occhi lentamente fino a che non incontrò le iridi blu dell’erede di Asgard. “Nàl…” Chiamò Odino preoccupato estinguendo velocemente la distanza tra loro e sedendosi sul bordo della fontana accanto a lui, “che cosa è successo?”
Nàl non poté fare altro che guardarlo con fare smarrito.
“Ehi…” Odino gli prese il viso tra le mani, “che cos’hai che non va? Stai male? Qualcuno ti ha offeso o infastidito in alcuno modo? Perché altrimenti posso…”
Nàl scosse la testa senza togliere gli occhi di dosso al principe ereditario.
“Ehi,” Odino fece un sorriso forzato, “non mi parli nemmeno più ora?”
Il giovane Jotun lo squadrò ancora per qualche istante, “tu mi ami?”
Odino aprì la bocca, poi la richiuse, poi la riaprì e restò lì a boccheggiare come un pesce fuor d’acqua per un interminabile ed imbarazzante minuto, “non… Non lo so…” Ammise infine. Nàl fece una smorfia, “no, certo che no. Come potresti? Non sai nulla di me.”
Fece per alzarsi ma Odino gli afferrò un polso costringendolo a rimanere seduto, “se non ti ricordassi, sei tu che continui a respingermi!”
Nàl si lasciò andare ad una risata sarcastica, “scusa se non è nei miei piani futuri diventare la tua puttana ufficiale.
“Modera i termini…”
“Moderare?” Nàl scosse la testa, “tuo fratello viene dirmi che vedi nei tuoi sogni i nostri figli e mi dici di moderare?!”
Odino sbarrò gli occhi, “Loki ti ha parlato di…”
“Loki mi dice un sacco di cose,” lo interruppe Nàl,”ma tu… Tu non t’illudere nemmeno per un istante che mi avrai. Nessuno può avermi, se chi scelgo io non mi vuole, se non sono abbastanza nemmeno per chi decido di amare, allora…”
“Chi ha detto che non sei abbastanza?” Domandò Odino confuso, “non capisco una parola di quello che mi stai dicendo.”
“Volevo essere di qualcuno, Odino, volevo esserlo ma quel qualcuno non mi vuole abbastanza.”
Che stai dicendo, Laufey?
“Chi mai potrebbe non volerti,” chiese il principe di Asgard seriamente incredulo, “quando mi fai perdere il respiro con uno sguardo? Io… Io che potrei avere tutte le fanciulle ed i fanciulli dei nove regni, non riesco a fare meno di pensare a te.”
Nàl si alzò in piedi guardandolo dall’alto al basso, “patetico…”
“No,” Odino scosse la testa, “chiunque abbia il coraggio di metterti al secondo posto pur avendo il tuo amore è patetico.”
“Non ti permettere…”
“Non mi permetto?” Ripeté Odino sarcastico alzandosi a sua volta, “io sono qui che muoio per te. Io che non ho mai provato attaccamento per nessuno che non fosse il fratello che mi sono scelto e la sola amica che ho. Io che provo vergogna per il mio stesso padre e che a stento conosco i miei fratelli di sangue. Ho scoperto troppo presto come può essere facile perdere qualcuno che si ama con tutto il cuore, per questo ho deciso di prendere solo il piacere e lasciare a marcire i sentimenti.”
“Codardo…”
“Sì,” Odino gli afferrò entrambe le mani, “sì, Nàl sono un dannato codardo e non hai idea di quanto mi terrorizzi questo legame senza nome che continua a stringermi a te. È l’arroganza che ho per natura che mi fa insistere, solo quella.”
Nàl scosse la testa, “ti rendi conto che è assurdo, vero? Tu nemmeno mi conosci.”
“Come non conoscevo tutte le altre…”
Odino gli prese di nuovo il viso tra le mani obbligando i loro occhi a rimanere incollati, “sei pazzo, principe di Asgard…”
“Chi è il vero pazzo? Io che sto per baciarti o l’uomo che ti ha lasciato permettendomi di farlo?”
“Odin…” La sua voce scemò fino ad estinguersi d’improvviso. Odino gli aveva avvolto le braccia calde intorno al corpo e aveva incollato con forza le loro labbra. Nàl rimase immobile per alcuni istanti, pietrificato dalla sorpresa e dall’incertezza di un contatto tanto intimo e completamente estraneo. Nessuno l’aveva mai toccato così. Fàrbauti non l’aveva mai toccato così.
La lingua di Odino lo accarezzò sulla soglia delle labbra chiedendogli di lasciarla entrare. Si arrese poco a poco, senza pensarci, senza nemmeno rendersene conto abbassando le difese, schiudendo le porte del suo orgoglio, assecondando la sete di calore. Quel calore che gli avevano imparato a temere e a cui ora si aggrappava come se fosse aria.
Si abbandonarono entrambi all’ebrezza del bacio. Odino scoprì di averne avuto bisogno come mai aveva avuto bisogno di qualcos’altro prima. Aveva desiderato farlo dal momento stesso in cui aveva visto Nàl su Jotunheim, sotto la neve, bello e proibito come il più peccaminoso dei sogni e ora che lo stava finalmente stringendo come non aveva desiderato fare con nessun altro, niente sembrava più giusto, più sensato.
E per la prima volta, c’era quel sciocco e puerile desiderio nella sua testa. Quello che aveva sempre considerato una stupida frase dell’innamoramento, quello da cui si era sempre sentito immune.
Quello che finiva con le parole per sempre.

Il destino aveva giocato bene le sue carte.

[Asgard, oggi.]


Il sogno non era mai uguale ma era sempre lo stesso.
La camera da letto dei suoi genitori era sempre uguale ma insolitamente fredda e, suo malgrado, si ritrovò a rabbrividire spiacevolmente muovendo qualche passo in avanti per identificare il proprietario della voce gentile che continuava a parlare sottovoce.
La vocetta di un neonato gli arrivò chiaramente alle orecchie ed esaurì la distanza che lo separava dalla scena in atto con passo più spedito.
Due meravigliosi occhi verdi incrociarono i suoi e non poté fare a meno di sorridere al bel faccino paffuto del neonato disteso in mezzo al grande letto. Era adorabile, a dir poco adorabile con quel pugnetto premuto contro la bocca ed i corti ciuffetti neri in disordine. C’era qualcuno chino sul piccino, un giovane dai capelli corvini…
“Lok…”
S’interruppe quando l’altro alzò lo sguardo per incrociare il suo. Gli stessi occhi verdi del neonato, gli stessi occhi verdi di suo fratello. “Tu che cosa ci fai qui?” Chiese sorpreso prendendo il bambino tra le braccia con fare protettivo. “Assomigli a qualcuno che conosco…” Mormorò.
“Che cosa ci fai qui?” Insistette di nuovo l’altro.
“Non lo so…”
Una brezza fredda entrò dalla finestra aperta e investì il neonato che starnutì improvvisamente scoppiando a piangere. Rimase impietrito ad osservare mentre le piccole membra pallide si coloravano di blu seguite dal faccino paffuto. “No, no, va tutto bene,” mormorò amorevolmente il giovane stringendo il bambino al petto, “non devi aver paura del freddo, piccolo mio. Non può farti del male.”
Non chiese perché quell’individuo si trovasse nella camera dei suoi genitori e perché sembrasse tanto a suo agio. Non chiese il suo nome, sapeva che non gliel’avrebbe mai detto. “Come si chiama?” Domandò invece indicando il bambino. L’altro guardò la creatura tra le sue braccia,* aveva smesso di strillare ma non sembrava sul punto di rilassarsi contro il suo petto tanto presto, “tu lo conosci bene il suo nome.”
Fece qualche passo in avanti e il neonato lo guardò con due occhioni scarlatti pieni di lacrime, mentre si succhiava un pollice per rassicurarsi, “posso tenerlo?”
Il giovane lo guardò sospettoso, “non sei disgustato dall’idea di toccare un mostro?”
“Un mostro?” Domandò sfiorando con un dito una guancia fredda del piccolo, “io vedo solo un adorabile bambino.”
Il giovane sembrò sinceramente sorpreso, esitò ma alla fine concedette all’altro il privilegio di stringere il proprio piccolo tra le braccia. “Ehi…” Mormorò cullando il fagottino goffamente, “ciao piccolino.”
Il bambino sorrise accoccolandosi contro di lui, “il tuo bambino è bellissimo.”
Il giovane scosse la testa con un sorriso amaro che era identico a quello di suo fratello, “no, non è mio. Loki è tuo… È sempre stato tuo, io e tuo padre l’abbiamo saputo fin dal principio.”
Lo guardò pietrificato, “tu conosci mio fratello?”
L’altro rise, “l’ho conosciuto prima di chiunque altro.”
“Ma chi sei? Qual è il tuo nome?”
“Non è un tuo diritto saperlo…”
“Ti prego,” implorò, “io ho bisogno di aiutare, Loki. C’è qualcosa che gli fa del male, tu sai di cosa si tratta?”
“Nulla sta facendo del male a Loki.”
“Invece sì, qualcosa infesta i suoi sogni…”
“Se qualcuno stesse invadendo i suoi sogni me ne sarei accorto.”
“Ma tu chi sei?!” Quasi urlò. “Chi sei? Chi sei?!”
“Papà!”
Si voltò, due occhi blu identici ai suoi lo fissarono dal basso. Il bambino biondo corse verso di loro avvolgendo le piccole braccia intorno ad una gambe del giovane dai capelli corvini. Questi guardò il bambino amorevolmente accarezzandogli i capelli lentamente, ma, quando spostò lo sguardo di nuovo su di lui, gli occhi verdi erano scomparsi, “sono qualcuno che avrebbe dovuto avervi entrambi…”
Vide solo rosso.

Thor scattò a sedere sul letto, il fiato corto, la fronte umida di sudore. Si guardò intorno velocemente per capire dove si trovava: non era la sua camera, non era la camera dei suoi genitori. Si voltò e vide il corpo rannicchiato accanto a sé. Si calmò.
Loki era al sicuro.
Loki era accanto a lui.
“Era solo un sogno…” Mormorò a se stesso.
Loki era lì, vicino a lui. Loki dormiva sereno e Thor decise che non si sarebbe mosso dalla sua stanza per molto, molto tempo.
“Era solo un sogno…”
No, non lo era, lo sapeva bene, ma era meglio convincersene fino all’alba. Al mattino avrebbe saputo a chi rivolgere le sue domande e non sarebbe stato divertente.
Asgard meritava almeno un’ultima notte di tranquillità. 

***
Varie ed eventuali note:
Che dire? Qualsiasi cosa da questo momenti in poi potrebbe risultare drammaticamente come uno spoiler.

Quindi, rinnoviamo i ringraziamenti per i recensori ed i lettori che continuano a seguire fiduciosi questo dramma familiare (siamo onesti, è un drammone familiare!), ma per tutti quelli che aspettavano la grande svolta Odino\Laufey non cantate vittoria, mentre il principe dorato vaneggia sul destino, l'altro ha ancora un orgoglio di ferro da difendere. In compenso, il riscaldamento è ufficialmente finito e con la prossima entrata in scena del vecchio Odino nelle scene del "presente" ve ne renderete conto anche voi.

Ovviamente ipotesi e supposizioni da parte vostra sono come aria per me, quindi sentitevi liberi di esplorle insieme ad eventuali commenti\critiche!

Alla prossima!

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Capitolo 8
*** Doppio ***


VII
Doppio


“Allora? Hai scelto i nomi?”

“Sì, se sarà un Aesir, Thor e se sarà un piccolo Jotun, Loki.”

“Pensavo che nel tuo mondo si scegliessero due nomi per un ipotetico maschio ed un’ipotetica femmina.”

“Ah! Dubito che qualche volontà superiore correrebbe il rischio di concederci una figlia femmina, amore mio.”

“Ma nei tuoi sogni è il bambino Aesir ad essere più grande…”

“Allora sarà Thor.”

“Sì, sarà Thor.”

Loki si svegliò bruscamente ma, dopo lo scatto iniziale, un gelo interiore gli impedì di muoversi o reagire in alcun modo. Thor se ne accorse comunque, perché lui era lì e c’era rimasto tutta la notte.
“Loki?” Chiamò abbassando lo sguardo sul viso terrorizzato del fratello, “un altro incubo?”
Il più giovane scosse la testa tentando di mettersi seduto per recuperare i respiri che non si era reso conto di trattenere. “Non mentire,” lo avvisò Thor scoprendogli il viso aggiustando una lunga ciocca di capelli corvini dietro l’orecchio destro. Loki non lo guardava. Loki fissava il vuoto.
“Loki…”
“Amore mio…”
Loki si voltò di colpo in direzione di Thor, sapeva che suo fratello non aveva potuto pronunciare quelle due parole. Sapeva che le avrebbe rivolte a chiunque tranne che a lui, ma il suo cervello intorbidito dalla confusione gli stava lanciando un suggerimento: la voce di Thor e quella del giovane nel suo sogno erano molto simili. Il tono, il modo di pronunciare la parole, la percezione di un sorriso non visibile.
Thor lo guardò con attenzione per diversi istanti, “ho intenzione di vedere nostro padre, oggi.”
Loki inarcò un sopracciglio, come se non avesse capito quello che aveva detto.
“Ieri notte qualcuno è entrato nella mia testa attraverso i miei sogni,” spiegò e Loki non lo interruppe, “quel qualcuno non voleva me. Penso cercasse te, penso che fosse la tua mente quella che cercava di penetrare ma la mia presenza lo ha portato a compiere un errore. Non credo si aspettasse che fossi qui.”
Loki alzò una mano e si toccò la tempia destra con fare distratto.
“Credo fosse un’illusione ma il giovane nel mio sogno ti assomigliava moltissimo…”
Loki dovette interrompere quella frase con uno sguardo glaciale ed improvviso. Lo sguardo di Thor s’indurì appena, “se continui a proteggerti dietro ad un muro, dovrò distruggerlo, Loki.”
Il più giovane fece una smorfia sarcastica scuotendo appena la testa. Sei così stupido Thor.
Fu allora che il principe di Asgard gli afferrò entrambi i polsi spingendolo con la schiena contro il muro, eliminando ogni sua possibile via di fuga. Negli occhi verdi di Loki, Thor intravide una nota di fugace sorpresa subito sostituita da una penetrante occhiata di sfida.
Fammi male, dicevano quelle iridi smeraldine. Fammi male, se ne hai la forza. Dimostra di essere il principe che tutti acclamano. Coraggio! Avanti, fammi male, Thor!
Ma Thor lo guardò e basta.
“È assurdo…”
Loki non capiva, ma nemmeno gli interessava farlo.
“Come potevano non amarti?”
Thor alzò una mano sfiorando con le nocche una guancia pallida del principe perduto.
“Chi ti ha dato questo viso…”
Prese una lunga ciocca corvina tra le dita.
“Questi capelli…”
Sfiorò con la punta dell’indice lo zigomo destro del fratello minore.
“Questi occhi…”
Tornò a guardare il tutto con estrema serietà, “il potere che ti scorre nel sangue. Sono tutti dei doni generosi, doni per un bambino che è nato per essere amato.”
L’espressione di Loki s’indurì notevolmente. Se avesse potuto parlare, avrebbe rivolto a Thor parole tanto velenose da sorprendere persino se stesso. Poi, suo fratello si avvicinò, affondando il viso nell’incavo del suo collo.
Loki rimase impassibile.
“Hai ancora lo stesso profumo di quando eri bambino.”
Loki si morse il labbro inferiore fissando tenacemente un qualunque punto davanti a sé, fino a che gli occhi di Thor non tornarono a scrutare i suoi, “il tuo profumo mi ricorda casa ancor più di quello di nostra madre, sai? Mi ricorda il tepore dei primi anni della nostra vita. Per tutta la vita ho pensato che, per ogni giorno con mio fratello, avrei dovuto essere grato ad i nostri genitori. Ora so che, almeno dal punto di vista tecnico, non è così.”
No, Thor non poteva affrontare una questione del genere. Thor non doveva affrontare una questione come quella, non ora.
“Devi pur assomigliare a qualcuno. Non ho mai visto nessuno in tutti i nove regni che potesse assomigliarti, Loki. Nostro padre ha memoria di almeno due piccoli Jotun che tu, probabilmente, gli ricordi ed ora appare nei miei sogni un giovane che, con la luce sbagliata, ho quasi scambiato per te. E non devo essere l’unico a pensare che c’è qualcosa di terribilmente assurdo in tutto questo.”
Loki non rispose.
“Tutti sanno che Laufey aveva un compagno. Nostro padre ce ne ha parlato un paio di volte, ricordi? Non rammentavo nemmeno il suo nome, fino a pochi giorni fa, quando l’ho letto tra le pagine di quel diario. Ne parla appena, è vero, ma ricordi qualcosa riguardo al suo destino dopo la guerra?”
Loki sgranò gli occhi, ma fu la reazione di un istante, prima che una maschera di gelo tornasse a coprirgli il viso.
Thor sorrise trionfante, “non lo sai nemmeno tu…”
Dove vuoi arrivare, Thor? Dove vuoi arrivare?
“Per quanto questo non cambi nulla tra noi, Laufey era il tuo vero padre e il suo compagno, Fàrbauti, non era da meno. E c’è di più, Loki! Nemmeno Heimdall riesce a vedere quel che succede su Jotunheim da quando hai cercato di distruggerlo. È ancora dove deve essere ma non abbiamo alcuna notizia di quel che stia succedendo laggiù e, con il Bifrost ridotto in quello stato, non abbiamo mezzi sicuri per scoprirlo.”
Loki sbuffò. Stai delirando, Thor, quello che dici non ha un senso logico.
“E se qualcuno da Jotunheim stesse entrando nei tuoi sogni?” Ipotizzò Thor, come se stesse pensando ad alta voce, “quel giovane ti assomiglia in modo assurdo, Loki. Forse qualcuno della famiglia reale sta…” Thor si bloccò e Loki lo fissò, in attesa.
Questa bella trama complicata deve avergli fuso il cervello.
Gli occhi blu fissarono il giovane dai capelli corvini per un lungo, interminabile, istante di silenzio, “chi è l’erede al trono di Jotunheim?”

[Asgard, secoli fa.]


Il bambino era piccolo e, a dispetto della pelle blu marchiata, era caldo.
Una manina era stretta intorno al suo indice, mentre la boccuccia succhiava avidamente dal suo petto, gli occhi rossi puntanti sul suo viso. Sorrise. “Fa male?” Chiese il bambino biondo seduto sul letto accanto a lui.
Scosse la testa, “no, il tuo fratellino mangia la metà di te, è quasi piacevole.”
Era incredibilmente piacevole a dire il vero. Un tipo di piacere che non aveva nulla a che fare con quello erotico, ma sembrava essere più intenso…
Il bambino biondo sgranò gli occhioni blu, “hai dato il tuo latte anche a me, quando sono nato?”
Liberò la mano dalla stretta del piccino per passare le dita tra le ciocche dorate del maggiore dei suoi figli, “sì, mio adorato e, quando cominciavi, sembrava che non volessi mai staccarti.”
“Anche io ero così piccolo?”
Quasi si sorprese del sospiro sereno che gli uscì, “no, tesoro mio, il tuo fratellino è molto più piccolo di te.”
“Non sarà troppo piccolo, vero?”
“No, stai tranquillo,” anche se, in cuor suo, aveva passato gli ultimi nove mesi della sua vita a sperare che il bambino fosse un Aesir, come il suo primogenito e non un ibrido che non portava onore a nessuna delle due stirpi reali di cui era erede. Odino, ovviamente, lo amava e basta, come aveva cominciato a fare quando ancora era nella pancia.
“È perfetto,” aveva detto quasi in lacrime, stringendo il neonato tra le braccia per la prima volta, “il nostro Loki è il frutto perfetto dell’unione tra Asgard e Jotunheim.”
Il piccino si staccò da lui con un versetto soddisfatto ed il bimbo biondo si avvicinò immediatamente, “con gentilezza, Thor,” lo ammonì gentilmente, ma il suo piccolo aveva una predisposizione naturale nel sapersi comportare a dovere nei dintorni del suo fratellino. Sorrise, Thor, mentre sfiorava la testolina di Loki con una manina e il miracolo si avverava,  ancora una volta, tra le sue braccia.
Quando il suo piccolo Loki lo guardò di nuovo, quei meravigliosi occhi scarlatti erano stati sostituite da due, ancor più belle, iridi verdi.

Nàl si svegliò di soprassalto in un letto che non era il proprio.
“Che cosa c’è?” Domandò una voce alle sue spalle mentre un braccio caldo gli circondava la vita, “hai fatto un brutto sogno?” Al secondo interrogativo seguì un bacio alla base del collo. Il giovane Jotun scosse appena la testa rilassandosi di nuovo contro il cuscino, “no, non lo so che cosa fosse.”
Il suo compagno di letto lo indusse a voltarsi e due iridi blu assonnate furono la successiva cosa che vide, “ne vuoi parlare?”
“Io… Non…” Nàl si bloccò, studiò il viso del giovane accanto a lui che lo stringeva amorevolmente contro il suo corpo, “Odino…”
Scattò a sedere come se qualcosa lo avesse scottato e Odino imitò il movimento di rimando, “Nàl, che succede?” Chiese spaventato, mentre l’altro premeva le spalle contro i cuscini come se volesse passarci attraverso e sparire per sempre.
“Che cosa ho fatto?” Mormorò con voce tremante fissando il principe di Asgard con occhi terrorizzati.
“Che vuoi dire?” Chiese Odino avvicinandosi con cautela.
“Stai lontano!”
Odino raggelò.
“Io… Io non…” Nàl scosse la testa violentemente, “non sarebbe mai dovuto accadere.”
“Cosa?” Domandò il principe confuso, “cosa non sarebbe dovuto accadere?”
“Quello che è successo stanotte, idiota!” Esclamò lo Jotun passandosi una mano tra i capelli corvini, “non avrei dovuto dormire nel letto di un altro uomo, non avrei dovuto lasciare che mi toccassi, non avrei dovuto… Non avrei…”
Sono un debole! Un debole! Un maledetto debole!
“Nàl…” Odino si fece più vicino sorridendo gentilmente, “non è successo niente. Ci siamo solo baciati e ci siamo addormentati, tutto qui.”
“Tutto qui?!” Sbottò Nàl, “forse per un essere volgare come te non è niente, ma non per me.”
“Niente? Non è stato niente per me?” Odino rise appoggiando la proprio fronte contro quella di Nàl.
“Stammi lontano,” sibilò questi.
“È troppo tardi, amore mio.”
“Non sono il tuo amore, non sono il tuo amante, non sono niente.”
“Sono io a decidere se sei il mio amore,” gli fece notare Odino, “amanti lo diverremo a breve, ne sono convinto.”
Nàl gli diede un calcio sullo stomaco facendolo ricadere sul letto. Odino si teneva la pancia ma rideva, rideva di cuore. “È stato un errore…” Commentò lo Jotun glaciale.
Odino fissò il soffitto con una smorfia rilassata, “ti ho preso per mano, ti ho guidato nelle mie stanze, ci siamo baciati e accarezzati fino all’alba. L’hai voluto anche tu, amore mio.”
“Non ero in me,” si giustificò Nàl e la stanza sembrò divenire più fredda. Odino s’issò sui gomiti osservando l’oggetto del suo desiderio per un lungo momento di silenzio, “no, forse eri più in te ieri di quanto non lo sei stato nelle ultime settimane. Forse, mentre piangevi ed eri così bello da fermarmi il cuore, eri più sincero di quando ti ho trovato completamente nudo tra i ghiacci di Jotunheim.”
“Taci…”
“No, Nàl,” Odino si avvicinò di nuovo cercando di far incontrare le loro labbra ma Nàl scivolò contro i cuscini per sfuggirgli senza rendersi conto che così gli permetteva di bloccarlo contro il materasso con il peso del suo stesso corpo. “Ah, ah…” Odino rise divertito, “qualcuno si è messo in trappola da solo, a quanto pare.”
“Prova anche solo a sfiorarmi e vedrai quanto ci metto a liberarmi,” Nàl gli rivolse un sorriso velenoso.
Odino sorrise, temporeggiò muovendo una mano sotto la tunica verde per saggiare la pelle nascosto sotto di essa, “sei freddo…”
“Spero che ti dispiaccia.”
“Neanche un po’.”
Nàl sentì le dita calde dell’altro carezzargli il fianco ed il ventre piatto sfiorando la linea dei pantaloni con mal celata sensualità, “vuoi farti del male, vero?”
“No,” Odino scosse la testa posandogli un bacio sulla fronte ed uno sulla punta del naso, una tenerezza a cui Nàl non seppe dare un significato preciso, “voglio solo farti stare bene.”
“Non sei tu che dovresti farmi star bene…”
Odino alzò gli occhi ma il giovane Jotun aveva voltato lo sguardo smeraldino verso la grande finestra per evitare d’incrociare il suo, “ieri piangevi veramente per un altro uomo?”
“Non è un altro uomo.”
“E chi è?” Chiese il principe con improvvisa freddezza. Nàl tornò a guardarlo, la sorpresa iniziale venne sostituita da un sorriso di diabolica soddisfazione, “qualcosa vi ha infastidito, mio principe?” Chiese sarcastico.
“Eri solo, quando ti ho trovato,” commentò Odino, “versavi in uno stato di totale abbandono e non hai esitato a venire con me. Se ci fosse realmente qualcuno che ami tra quei ghiacci, perché hai deciso di lasciarlo?”
“Te l’ho detto no?” Nàl allontanò di nuovo lo sguardo, “pensavo che mi amasse, volevo metterlo alla prova.”
“Te ne sei andato solo per…”
Nàl chiuse gli occhi e si morse il labbro inferiore.
“Non c’è nulla di nuovo nel re che sacrifica il suo unico figlio per il bene di Jotunheim, ma tu… tu…”
“Saremo re insieme, un giorno. È bene imparare che Jotunheim viene prima di noi e dei nostri desideri.”

“Non ha più importanza ormai,” mormorò raggomitolandosi su un fianco, Odino lo lasciò fare, “sai, penso che sarai un pessimo re.”
Odino sbatté le palpebre un paio di volte, “perché dici questo, ora?” Non c’era rabbia né noia nella sua voce, solo confusione e curiosità.
Nàl lo guardò, gli occhi verdi di nuovo lucidi a causa di lacrime che non si sarebbe mai permesso di versare di fronte a nessun altro, “perché sei così vero, sincero, passionale. Sei capace di osare con la consapevolezza che potresti sbagliare, dici di desiderarmi e lo fai apertamente, senza difese e, nonostante questo, ammetti di avere paura.”
“Ho un’anima, Nàl. Ho delle emozioni, dei desideri, dei timori. Posso essere semi-immortale, posso essere potente, posse essere un principe ma, come tutti, ho un cuore che batte e che si può spezzare.”
Il giovane Jotun tornò a guardare la finestra, “come tutti…”
Odino annuì e si chinò in modo da poggiare la fronte contro la tempia dell’altro, “sì, tutti. È questo che ci rende vivi, amore mio.”
Nàl sorrise amaramente, “no, Odino. Io non ce l’ho… Non ce l’ho più.”
Il principe sorrise posandogli un bacio tra i capelli corvini, “è quello che dicono tutti quelli con un cuore spezzato, Nàl. Lo dicono per proteggersi da altro male. Dopo la morte di mia madre, l’ho fatto anche io, lo faccio con tutti, anche con mio padre; Loki e Frigga sono stati la mia eccezione.”
“Anche se fosse vero, io non ho eccezioni.”
“L’uomo che amavi lo era…”
“L’uomo che non riesce ad amarmi abbastanza. L’uomo che non mi amerà mai più di qualsiasi altra cosa.”
“Io ti amerei più di qualsiasi altra cosa…” Odino gli posò un bacio sul collo, “non sarei mai capace di metterti al secondo posto, mai.”
Nàl rise, una risata senza gioia, “non mi conosci, Odino… Non puoi conoscermi.”
“Quel che conosco mi ha rubato il cuore.”
E quel che non conosci ti distruggerà, pensò Nàl, “sei un bambino, Odino. Un pazzo, un visionario che vede legami predestinati dove non possono esserci.”
“Io scelgo te…” Odino sorrise dolcemente, “se non vuoi credere al destino, credi alla mia volontà. Io scelgo te come mio compagno, come ho scelto Loki come mio fratello.”
Nàl lo guardò sprezzante, “non dovresti nemmeno permetterti di pronunciare il suo nome dopo quello che gli hai fatto per seguire un tuo puerile bisogno di legami duraturi.”
“Loki non ti ha mai parlato del nostro patto?” Chiese Odino confuso.
“Mi ha parlato di un sacco di cose, Odino. Con me e Frigga parla di cose che con te non osa nemmeno affrontare, fa finta che non esistano, prova a soffocarle con qualsiasi soluzione esterna che possa capitargli a portata di mano. Dentro, però… Dentro muore ogni giorno, lentamente, agonizzando in silenzio e tu, che sei l’unica cosa che ha al mondo, non sospetti nulla.”
Odino s’issò guardando il giovane Jotun dall’alto al basso, “c’è qualcosa che fa del male a Loki?” Chiese a metà tra l’iracondo e il mortalmente preoccupato, “c’è qualcosa che lo ferisce e non me ne vuole parlare per non turbarmi?” Domandò il principe con più insistenza, “rispondimi, Nàl! Rispondimi!”
Odino provò a scuoterlo per le spalle ma l’unica risposta che ricevette fu no schiaffo in pieno viso. Quando abbassò di nuovo gli occhi, le iridi verdi di Nàl erano cariche dell’odio più profondo, “vuoi sapere perché piangevo ieri notte, mio principe?”
Odino non rispose.
“Piangevo perché un uomo come te mi ha incantato quand’ero un bambino inconsapevole, sebbene lui fosse più grande e ben istruito a proposito di quel che stava facendo. Mi sono fidato, non che avessi particolare scelta, ma mi sono fidato. Sebbene ora mi renda conto della crudeltà che entrambi abbiamo subito, io avrei accettato di passare tutta la mia vita con lui, perché ero riuscito ad amarlo.”
Odino ingoiò a vuoto cercando di buttar giù anche un improvviso istinto rabbioso.
“Poi mi ha tradito, mi ha ferito. Ogni parola doveva farmi sentire speciale, ma ogni azione non mi rendeva altro che una delle tante parti di un’entità più grande che andava avanti da generazioni e che non aveva ragione di essere modificata o distrutta. Io non valgo quanto quell’entità per lui, eppure sono incatenato al suo fianco da un legame che non posso spezzare,” Nàl prese un respiro profondo, “e vuoi sapere perché non potrà mai esserci amore tra me e te? Non è solo una questione di gusti o di personalità, sebbene all’inizio lo pensassi. No, Odino, tra noi non potrà mai esserci amore perché quel che quell’uomo ha fatto a me, tu lo stai facendo a Loki ogni giorno, senza neanche rendertene conto.”
[Asgard, oggi.]
La pioggia non aveva mai smesso di bagnare Asgard da mesi, ma quel giorno batteva con una certa insistenza contro le mura dorate del palazzo reale. Odino poteva aver perso un occhio in guerra ed aver voluto essere cieco di fronte a molte cose che avrebbero richiesto la sua piena attenzione, ma non era tanto stolto da ignorare i presagi.
“Ti converrà aprirgli la porta fin da subito, oppure  rischieremo di non avere più un tetto sopra le nostre teste che ci ripari da tutto questo,” commentò Frigga indicando le nubi grigie con un cenno del capo. Odino non replicò e continuò a fissare la pioggia che rimbalzava sull’enorme balconata di fronte ai suoi occhi.
“Sai cosa mi ha raccontato Thor?” La voce della regina era fredda ed il biasimo nelle sue parole non era per nulla celato, “che la prima cosa che Loki gli ha ricordato era che tu non eri suo padre. Davvero complimenti, mio re! I tuoi peccati sono ben nascosti dietro la mezza verità che gli hai rivelato due anni fa!”
Odino voltò lo sguardo verso di lei, “non capisco perché sei ancora qui, lo sai?”
Frigga sbuffò.
“L’ultima volta che ti ho fatto tanto male, te ne sei andata in un mondo mortale senza dire nulla a nessuno e portando con te ciò che di più prezioso avevamo,” rammentò lui, “certe volte mi sembra assurdo che Thor e Loki non abbiano alcun ricordi di quegli ultimi anni di guerra. Alcuni giorni, sono grato per questo. Altri, vorrei che avessero potuto vedere coi loro occhi ciò che non ho mai avuto il coraggio di raccontare.”
Forse Odino si aspettava un briciolo di compassione da parte della moglie, ma Frigga aveva perdonato fin troppe cose per troppo a lungo e il re di Asgard era l’unico colpevole presente che potesse pagare per il suo dolore. Il suo complice era stato Loki a punirlo con la più violenta delle pene.
“Loro non devono ricordare nulla, Odino,” replicò Frigga sedendosi accanto a lui, “sei tu ad aver dimenticato quel che vi era prima.”
“Prima…”Ripeté Odino e sorrise sarcastico, “prima di cosa? Prima di mio fratello? Prima di Laufey? Prima di noi due? Prima di Thor e Loki? Prima di cosa, Frigga? Non è stato un singolo evento a distruggerci. Semplicemente, la nostra storia non poteva avere un lieto fine.”
“E tu stai condannando i nostri figli allo stesso destino, mio re.”
Odino alzò lo sguardo su di lei, la squadrò a fondo, cercando nei suoi occhi un suggerimento che potesse rimettere sulla giusta strada, come era stato in passato. Vi trovò solo freddezza.
“Cosa vuoi che faccia, mia regina, ascolterò ogni tua parola.”
Frigga sospirò e scosse la testa, “è troppo tardi, Odino.”
“Non finché Thor e Loki sono qui…”
“No,” Frigga si alzò in piedi ed annuì, “per loro, no, non è troppo tardi. Nemmeno per Loki se Thor saprà combattere bene questa battaglia. Per noi, Odino, per noi è troppo tardi. Non c’è nulla che io possa dirti per aiutarti a recuperare ciò che ti sei lasciato sfuggire.”
“Io ho solo fatto ciò…”
“No!” Esclamò Frigga con gli occhi pieni di lacrime, “No, Odino. Non hai fatto quel che era giusto fare. Hai smesso di farlo quando mi hai messo Loki tra le braccia e ti sei voltato senza nemmeno fargli una carezza. Hai promesso che l’avresti reso felice, hai promesso che lui e Thor avrebbero avuto tutto ciò che spettava loro. Hai promesso di non essere come tuo padre. Parole vuote, mio re.”
“Loki è vivo,” le ricordò il sovrano di Asgard.
“Loki è morto dentro e l’abbiamo ucciso noi, con le nostre mani, giorno dopo giorno.”
“Abbiamo fatto tutto…”
“Avresti dovuto prenderlo in braccio!” Sbottò Frigga ed una lacrime scese a bagnarle una guancia, “avresti dovuto stringerlo come stringevi Thor. Avresti dovuto guardarlo con lo stesso sguardo innamorato e fiero con cui guardavi Thor.”
“Non gli è mancato nulla...”
“Allora perché Loki dice di non essere mai stato amato?”
“Perché è un bugiardo per natura, Frigga!” Sbottò il re alzandosi in piedi di colpo, “è un attore consumato, un illusionista talmente folle da essere ingannato dai suoi stessi intrighi!”
Lo schiaffo che gli arrivò lo colse di sorpresa. Frigga lo fissava con un disprezzo che non gli aveva rivolto nemmeno quando aveva scoperto di essere stata tradita dal suo uomo, nemmeno quando Odino l’aveva delusa ancora fallendo nel proteggere i suoi figli.
“Illusioni, dici? Parli di bugie?” Sibilò Frigga, “proprio tu, Odino? Dimmi una cosa, mio re, era per non rivedere lui in quelle iridi verdi che non sei mai riuscito a guardare Loki negli occhi?”
Odino gelò ma non lo diede a vedere.
“Era per paura che gli assomigliasse che non incoraggiavi mai Loki in ciò che gli veniva naturale?”
“Loki non ha niente a che fare con lui,” rispose Odino con una calma innaturale, “non c’è nulla inmio figlio che mi ricordi lui…”
Frigga si morse il labbro inferiore e scosse la testa, “adesso chi è il bugiardo, Odino?”
Il re tornò a sedersi e a fissare il temporale che infuriava all’esterno, ma Frigga non era abituata ad arrendersi per così poco. “Quando i nostri figli erano piccoli… Spesso, le dame che frequentavano le mie stanze, giocavano a trovare le loro somiglianze con noi. Tutte avevano molto da commentare su Thor, ma nessuna sapeva mai cosa dire su Loki. Allora ho cominciato a fare una cosa, inconsciamente, in realtà. Guardavo Loki e ripensavo al giovane con i capelli corvini e quegli stupendi occhi verdi con cui abbiamo condiviso la nostra giovinezza. Ho raccolto tutti i dettagli che la mia memoria mi ha concesso di trattenere. L’ho fatto per tutta la vita di nostro figlio, Odino. Lo faccio ancora, anche se fa male…” Frigga prese un respiro profondo, “e lo rivedo, mio re. Rivedo Laufey in Loki e, a differenza tua, non riesco a vederci nulla che non sia naturale.”
“Loki è nostro figlio, Frigga!” La voce di Odino rimbombò per tutta la grande sala, “ed è l’unica verità che riconosco con tutte le responsabilità, anche crudeli, che questo fatto implica.”
Frigga si passò una mano tra i capelli muovendo qualche passo nervoso per la stanza, “se solo tu non…”
“Se solo io cosa?” Domandò Odino iracondo, “se avessi lasciato che crescesse facendogli sapere la verità? Facendo sapere a tutti la verità? Cosa sarebbe successo, eh? Noi avremmo perso il rispetto dei nobili e del nostro popolo e nostro figlio… Saremmo stati costretti a segregare nostro figlio per impedire a qualche stolto di fargli del male quando ancora non era in grado di difendersi.”
“Se solo tu non avessi alzato la spada quel giorno!” Urlò Frigga piangendo, “Laufey si era arreso! Aveva tradito tutto e tutti per farti vincere quella dannata guerra e tu… Tu non potevi accontentarti, vero? Non potevi accettare che vi fosse una soluzione in cui tu non eri il solo ed unico vincitore! No, Odino! Hai rispettato il tuo ruolo di re fino alla fine, ha cercato di conquistare tutto il conquistabile fino a che non ti è rimasto niente!”
Odino la guardò quasi con disprezzo ma non ebbe il tempo di reagire che il portone della camera si aprì provocando un gran baccano seguito dalle voci insicure delle guardie, “principe, vi prego. Vostro padre ci ha ordinato di…”
“Fatevi da parte!”
Il re si voltò appena in tempo per vedere i suoi uomini a terra e Thor superarle senza pensarci due volte. Frigga si asciugò il viso con le mani velocemente, ma suo figlio non le rivolse alcuna attenzione.
Odino, il motivo per cui il principe dorato era lì non era altri che suo padre.
“Dobbiamo parlare,” ringhiò fermandosi a meno di un metro dal sovrano che con un’espressione di pietra annuì per evitare ulteriori danni.
“Lasciateci, non ci saranno conseguenze per quanto successo,” ordinò alle guardie che, non appena rialzatesi in piedi, fecero un veloce inchino e tolsero il disturbo. Il rumore delle pesanti porte che si richiudevano annunciò ai membri della famiglia che potevano parlare liberamente.
“Pensavo che tua madre ti avesse educato a bussare prima di entrare nelle stanze private di qualcuno,” commentò acidamente il re, mentre Frigga alzava gli occhi al cielo.
“Non ho nessun rispetto per i codardi!” Replicò duramente Thor.
“Bada a quel che dici, ragazzo, non solo stai parlando a tuo padre ma anche al tuo re.”
“Pur sempre un re che si rinchiude dietro le sue porte dorate fingendo di non vedere quel che succede al suo regno e alla sua famiglia!”
“Del mio regno posso dire che non soffrirà la siccità per lungo tempo, grazie ai tuoi infantili cambiamenti di umore!”
“Volevi parlarci di qualcosa, tesoro?” Intervenne Frigga facendo qualche passo in avanti, “se ti sei deciso ad irrompere qui con la forza, dopo tutti questi mesi, deve trattarsi di qualcosa d’importante.”
Thor la guardò ed annuì mestamente e Odino si sentì vagamente frustrato dal modo semplice e veloce con cui sua moglie sapeva placare le ribellioni del loro primogenito, quando lui non vi sarebbe riuscito nemmeno smuovendo mari e monti. Solo l’esilio aveva funzionato, solo quello! E i risultati non sembravano avere una lunga scadenza…
“Avevi ragione, madre,” continuò Thor, “qualcosa disturba il sonno di Loki, penso che penetri nei suoi sogni.”
L’argomento catturò subito l’interesse del re.
“Ne sei certo?” Chiese Frigga preoccupata.
Thor annuì, “quel qualcosa è penetrato anche nei miei sogni, questa notte. Non credo l’abbia fatto volontariamente. La mia vicinanza a Loki deve averlo mandato fuori strada…”
“Ne parli come se fosse una persona,” commentò Odino e Thor tornò a guardarlo, “perché lo è…”
“Che intendi dire, Thor?” Chiese Frigga.
“Ho parlato con un giovane nel mio sogno,” raccontò lui, “non mi ha detto il suo nome, ma non era un’immagine partorita dalla mia mente, ne sono certo! Stava aspettando Loki, si è allamato improvvisamente quando ha visto me!”
“Qual’era il suo aspetto?” Chiese Odino con voce funerea.
“Capelli neri, occhi verdi… Mi ha ricordato Loki e…” Thor si bloccò, non poté evitare di notare l’occhiata terrorizzata che sua madre lanciò a suo padre e che Odino non ricambiò volutamente, “voi sapete di chi si tratta…” Non era una domanda.
“Thor…” Cominciò sua madre, ma Odino la zittì con un brusco movimento del braccio.
“Stai cadendo in un inganno di Loki per l’ennesima volta, figlio mio.”
Thor inarcò un sopracciglio confuso, “come può…”
“Lo sai bene, Thor,” continuò Odino, “Loki finge di essere in difficoltà o in pericolo, tu cerchi di salvarlo e poi? Nel momento in cui abbasserai la guardia definitivamente ti ritroverai con un coltello piantato dietro la schiena.”
“Che sciocchezze sono mai queste?” Urlò Frigga.
“Pensate che mi faccia piacere dirlo? Pensate che goda nel vedere mio figlio trasformarsi in un traditore?” Replicò Odino, “Loki non ci ha perdonato e non possiamo fidarci di lui. Lo sapete bene entrambi!”
“Mi stai chiedendo di abbandonarlo perché tu sospetti di lui?” Domandò Thor.
“No,” replicò Odino, “ti sto chiedendo di fidarti di me e di non abbassare la guardia. Hai fatto bene ad informarci ma non spetta a te agire!”
“A chi allora?” Sbottò Thor, “chi altro c’è? Mia madre ha notato che qualcosa non andava, io ho cercato di capire che cosa. Se non agiamo noi, chi?”
“Hai così poca fiducia in me, figlio mio?” Chiese Odino quasi sarcastico, “sono un re. Ho protetto il nostro regno e tutti gli altri per lunghissimi secoli. So quello che va fatto.”
Thor lo fissò freddamente per un lungo istante di silenzio, “chiedi fiducia, padre? La chiedi dopo che hai mentito ai tuoi figli tutta la vita?”
“Thor…” Lo pregò sua madre, ma il principe non aveva più orecchie per ascoltarla.
“Ho detto che non sarebbe mai esistito un re ed un padre migliori di te, ma mi sbagliavo. Non posso giudicare le azioni di un sovrano, non ho avuto modo di conoscere il reale peso di una tale responsabilità, ma in quanto tuo figlio… In quanto tuo erede…”
“Non azzardarti ad aggiungere altro!” Sbottò Odino stringendo il braccio del figlio con violenza, “dici che non essendo mai stato re, non puoi giudicarmi. Hai ragione a dirlo, ma non sei mai stato padre e non hai idea di cosa questo voglia dire, pertanto, prima di accusare me, forse dovresti rivedere la tua posizione come fratello!”
“Odino!” Ormai la voce di Frigga non era altro che un rumore di sottofondo appena udibile.
“Codardo fino alla fine!” Urlò Thor, “scarichi le tue responsabilità su…”
“No, non sto scaricando niente, Thor. Sto solo dicendo che, dato che ti credi tanto saggio da poter giudicare il mio operato come padre, perché non rispondi davanti a Loki della tua parte di colpa, prima di erigerti davanti al tuo sovrano come protettore di un parricida?”
“Basta!” Strillò Frigga.
Thor fece un passo indietro ed Odino lo lasciò andare. Se quest’ultimo riuscì a nascondere bene lo shock per le parole che lui stesso aveva pronunciato, il più giovane nemmeno ci provò, “che cosa hai detto?” Domandò incredulo.
Il re si ritrovò costretto a voltare lo sguardo per non incrociare quello di suo figlio.
“Come ti sei permesso di chiamarlo?”
“Basta, Thor,” mormorò Frigga piangendo mettendosi tra suo marito e suo figlio, “tuo padre ha sbagliato a dire quel che ha detto ma… Ti prego!”
Thor la ignorò, “è così che lo consideri?!” Urlò, “rispondimi, maledizione! Loki può essere molte cose ma un parricida, no, padre! Non ti permetto di dire una cosa del genere quando continui a dichiarare di amarlo come se fosse sangue del tuo sangue!”
“Thor…” Sua madre lo abbracciò con quanta forza aveva, “Thor, tesoro, ti prego.”
Thor non ricambiò l’abbraccio, non era dell’umore adatto.
Si voltò e se ne andò sbattendo la porta furiosamente.

[Asgard, secoli fa.]

Quando Nàl provò ad abbassare la maniglia per la prima volta e si rese conto che la porta era bloccata, cercò automaticamente le chiavi con lo sguardo. Non si sorprese di non trovarle al loro posto.
“La porta è incantata,” disse il principe alla sue spalle circondandogli la vita con entrambe le braccia, “rimarrai qui dentro fin tanto che io lo desidero.”
Un bacio sulla nuca e Nàl sorriso diabolicamente, “vediamo che succede se mi metto ad urlare?”
“Nessuno ti sentirà, ho pensato ad un incantesimo anche per questo.”
“Oh,” Nàl si voltò premendo le spalle contro la superficie dorata della porta, Odino ricambiò il sorriso di sfida, “è guerra, mio principe?”
“Fino a che uno dei due non si arrenda.”
“Allora non farmi perdere altro tempo, tu e il tuo stupido desiderio carnale siete già con un piede nella fossa.”
“Ma davvero?”
Le loro labbra erano a pochi millimetri di distanza e nessuno dei due sembrava sul punto di allontanarsi.
“Pensavo che non volessi tradire il tuo uomo.”
“Non c’è più nessun uomo da tradire…”
“Ti concedi a me, piccolo Jotun?”
“No, ti combatto con le tue stesse armi, mio principe” sibilò Nàl prima di congiungere le loro labbra in un bacio lento e sensuale dal quale Odino dovette scostarsi presto per riprendere fiato.
“Vuoi soffocarmi, Nàl?” Domandò inebriato da quel nuovo evolversi degli eventi.
“Strangolarti sarebbe più piacevole di un orgasmo,” replicò l’altro facendo aderire la propria fronte a quella del principe.
“Che fine ha fatto il povero fanciullo pudico?” Chiese Odino compiaciuto.
“Mentivo,” e non sai quanto.
“Davvero?” Odino chiuse gli occhi avvicinandosi per catturare quelle labbra rosse per l’ennesima volta. Il dolore fu tanto improvviso quanto intenso.
“Oops, ho mentito ancora,” mormorò Nàl dolcemente mentre Odino si portava entrambe le masi al naso sanguinante e retrocedeva di un passo, “confermo: sarai un pessimo re, Odino.”
E con quest’ultimo, velenoso commento, Nàl se ne andò sbattendo la porta.
Mai prima di allora aveva provato tanto disgusto per se stesso.
“Che tu sia maledetto, Odino,” imprecò a bassa voce strofinandosi il dorso della mano contro la bocca per l’ennesima volta.
L’hai voluto anche tu, mormorò una vocina diabolica nella sua testa.
“No, non l’ho voluto!” Urlò agli alberi che lo circondavano, “la debolezza ha preso il sopravvento.”
E ti è piaciuto, vero?
“Non è successo nulla di grave!”
Allora da cosa sta scappando!
“Zitto!” Urlò portandosi entrambi le mani alla testa e smettendo di correre. Il silenzio della foresta fu come una benedizione per i suoi sensi, non vi era nulla nei dintorni che potesse distruggere la sua quiete. Nàl aveva bisogno di questo: pace, solitudine, un po’ di tempo per pensare alla prossimo mossa.
Forse quello scivolamento poteva essere rigirato a suo favore, forse l’amicizia di Odino non bastava, forse doveva sedurlo come un amante per poter portare a termine la sua missione.
Pensò a Fàrbauti, pensò che forse lo stava aspettando, che se fosse tornato vittorioso sarebbe stato orgoglioso di lui che… Il bene di Jotunheim prima di qualsiasi cosa, ricordi?
Nàl chiuse gli occhi prendendo un respiro profondo e ricominciando a camminare: il suo compagno aveva ignorato la sua chiamata, il suo compagno lo aveva abbandonato. Fàrbauti non c’era, come non c’era mai stato suo padre e come non c’era mai stato nessun altro.
Laufey, principe di Jotunheim, era solo e lo sarebbe sempre stato.
“Chiunque abbia il coraggio di metterti al secondo posto pur avendo il tuo amore è patetico.”
Un sospiro dolorante gli sfuggì dalle labbra, mentre abbassava lo sguardo con fare sconfitto. Se avesse conosciuto un modo per eliminare dalla sua testa i ricordi dell’ultima notte, lo avrebbe usato.
“Come se quell’idiota potesse dimenticare una cosa tanto sciocca così facilmente!” Sbottò.
Ma quanto era stata sciocca quella notte? Pur ammettendo che nulla era successo tra loro, che quelle che si erano scambiati erano effusioni talmente innocenti che avrebbero potuto sperimentarle anche i bambini. Odino si era premurato di stringerlo a sé tutta la notte e l’aveva fatto con dolcezza, non con pretensione od ossessione. Odino non l’aveva obbligato a fare nulla, lo aveva solo baciato fin tanto che entrambi non si erano lasciati cullare dal calore dei loro corpi così vicini.
Per Nàl era comunque troppo… Veramente ma veramente troppo.
Nàl non era abituato al contatto fisico, quando Odino sembrava addirittura abusarne. Nàl non si era mai fatto toccare da nessuno oltre a Fàrbauti, non ricordava nemmeno l’ultima volta che era stato sfiorato dal suo stesso padre. E, per tutta la notte, Odino non lo aveva lasciato mai andare.
Si era addormentato stringendolo a sé.
Fàrbauti non l’aveva mai fatto. Ma Fàrbauti non aveva mai fatto tante cose.
Si rese conto di essere arrivato a destinazione solo quando immerse uno stivale nell’acqua per puro sbaglio. Sobbalzò e fece un passo indietro, si ritrovò a fissare la sua stessa immagine riflessa sulla superficie dell’acqua. Odiò quello che vide, lo odiava di più di volta in volta che incrociava quel volto in uno specchio e doveva fare uno sforzo di memoria prima di ricordarsi che era il suo.
“Mi disgusti!” Esclamò al riflesso che scomparve come diede un calcio all’acqua bagnandosi stivali e pantaloni.
“Non siate così severo con voi stesso, mio principe.”
Nàl raggelò.
“Quell’acqua non rifletteva altro che la vostra perfezione.”
Alzò lo sguardo di colpo, gli occhi verdi sbarrati ed il respiro mozzato.
“Non mi riconoscete, mio principe?” Chiese il giovane dai capelli corvini e gli occhi di ghiaccio che gli si presentò davanti. Nàl dischiuse le labbra incerto, “Fàr…?”
Il giovane sorrise, “la pratica rende perfetti, vero?”
Le labbra di Nàl si piegarono in un sorriso immediato che, però, appassì nel giro di un istante sostituito da un’espressione a dir poco gelida, “cosa vuoi?” Domandò con disinteressa.
Fàrbauti inarcò un sopracciglio, “a cosa devo una simile accoglienza?”
“Non ti aspettavo,” ammise Nàl con voce pregna di sarcasmo, “non stai venendo meno al uo dovere di soldato di Jotunheim concedendomi parte del tuo tempo?”
“Io…” Fàrbauti abbassò lo sguardo, “non capisco, pensavo mi avessi chiamato.”
“Ieri notte, Fàrbauti!” Esclamò Nàl adirato, “ieri notte! Non ho più bisogno di te, ora!” Si voltò del tutto intenzionato ad andarsene. No, se avesse potuto, sarebbe rimasto nascosto in quella foresta in eterno. Se fosse stato appena appena più codardo e sincero, si sarebbe buttato tra le braccia del suo amante e lo avrebbe implorato di riportarlo a casa. Ma il principe Laufey era sempre stato un attore talentuoso e aveva imparato a mettere l’orgoglio prima dei sentimenti in qualsiasi occasione.
“Laufey…” Lo afferrò per un polso.
Nàl si fermò ma non si voltò, non voleva sentire le scuse che aveva da presentargli, lui non aveva alcun perdono da concedere. “Laufey, sono venuto appena tuo padre me l’ha concesso!” Disse il soldato con un sincerità che fece quasi male. Nàl si voltò di scatto, liberandosi dalla prese dell’amante, “non è mio padre che devi interpellare, quando sono io a chiamarti! Non è a lui che devi rispondere! Non è a lui che appartieni! Sei mio, maledizioni, mio!”
Chi sarà il pessimo re, adesso?
Domandò la vocetta sarcastica nella sua testa.
Chi è quello troppo emotivo, ora?
“Imploro il vostro perdono, mio principe,” lo pregò Fàrbauti con estrema umiltà inchinandosi su un ginocchio, “non era mia intenzione arrecarti nessun tipo di delusione.”
“Non me ne faccio nulla delle tue scuse, vattene,” disse con fredda calma prendendo a camminare tra gli alberi per tornare a palazzo.
“Laufey…”
Nàl non aveva intenzione di voltarsi, non aveva intenzione di fermarsi. Non aveva intenzione di voltarsi ma, suo malgrado, Fàrbauti lo superava di stazza anche nella sua forma Aesir e non fece un grande sforzo nel prenderlo e bloccarlo contro il tronco di un albero.
“Il mio letto è incredibilmente vuoto senza di voi, mio principe,” sussurrò direttamente nel suo orecchio e Nàl s’irrigidì di colpo, “concedetemi il vostro perdono, vi supplico.”
Nàl sentì i denti dell’amante solleticargli l’incavo tra la spalla ed il collo ed, involontariamente, si protese verso quel contatto, “pensi sia un sacrificio solo per te?”
Il principe gli artigliò le spalle, “se mi fossi devoto come devi, non permettesti a nessuno di sacrificarmi, nemmeno al tuo re.”
“Sono solo un soldato, mio principe.”
“Non è una giustificazione, codardo.”
“Laufey, io…” Fàrbauti premette il viso contro il suo collo e s’irrigidì di colpo.
“Cosa c’è?” Domandò Nàl con distacco. L’altro non rispose, “Fàr…?”
La prese sulle sue braccia divenne improvvisamente dolorosa ed automaticamente tentò di liberarsi ma era uno sforzo inutile.
“Hai l’odore di qualcun altro addosso,” commentò Fàrbauti alzando il viso per guardarlo negli occhi.
Nàl ghignò, “ cos’hai? Ti da fastidio? Sei geloso?”
L’espressione di Fàrbauti non era più così docile come prima, “qualcuno ti ha toccato?”
“No,” Nàl rise con fare diabolicamente, “sono io che mi sono lasciato toccare…”
Fàrbauti trattenne il fiato ed il principe rise soddisfatto, “cosa c’è, mio soldato? Non era per il bene di Jotunheim che dovevano essere pronti a sacrificare tutto? Mio padre ha sacrificato me, suo figlio, per portare a termine questa missione ed io, da principe devoto quale sono, concedo tutto me stesso a questa causa.”
Arrabbiati, Fàr! Fammi vedere quanto soffri all’idea che qualcun altro mi tocchi e mi desideri. Fammi vedere cosa sei disposto a fare per me, avanti!
Fàrbauti lo guardò con ira crescente per qualche secondo, poi fece un passo indietro e lo lasciò andare.
Nàl sbarrò gli occhi incredulo.
“Sono felice che tu sia devoto a questa causa con tutto te stesso,” mormorò sforzandosi di sorridere e quell’espressione ferì il principe più di mille spade, “io farò altrettanto con te e ti aspetterò pazientemente e, quando tutto questo sarà finito, dimenticherò ogni cosa.”
L’orrore negli occhi di Nàl era indescrivibile.
“Riferirò a tuo padre che stai bene e…”
“Vattene…” Sibilò Nàl a denti stretti.
Fàrbauti lo fissò confuso ancora una volta, “Laufey…”
“Vattene ho detto!”
Il soldato lo fissò ancora un istante, poi si voltò. Nàl rimase a fissarlo ancora per un istante, prima di voltarsi con sdegno e allontanarsi con poche, impetuose falcate. Poi si fermò, strinse i pugni e si girò, “Fàr, aspetta!” Ma il suo compagno era ormai sparito tra gli alberi. Accettò la cosa con un’espressione glaciale che nessuno poteva vedere. Si disse che doveva essere così, che non aveva ragioni d’inseguire un uomo che era disposto a venderlo per una ragione di stato che nemmeno loro erano in grado di comprendere, che non se ne faceva nulla dell’ennesimo, stolto schiavo di suo padre.
Non aveva bisogno di Fàrbauti, non aveva bisogno del re, avrebbe riportato Jotunheim alla gloria con le sue sole forze e avrebbe costretto tutti a riconoscere il suo valore e ad inginocchiarsi ai suoi piedi.
Il principe dell’eterno inverno si appoggiò ad un albero, si lasciò scivolare a terra e pianse.
Solo.

[Asgard, oggi.]


Il sogno non era mai uguale ma era sempre lo stesso.
Loki guardò il proprio riflesso nell’enorme specchio davanti cui aveva trovato seduta sua madre tante, tantissime volte durante la sua infanzia. Ricordava che spesso era lei stessa a prenderlo tra le braccia e farlo accomodare tra i suoi cuscini per pettinarlo con la stessa cura con cui una bambina pettina la sua bambola, ma con l’amore che può provare solo una vera madre.
Ricordava che simili tenerezze le erano state negate da un destino dispettoso che le aveva concesso due figli maschi e Thor non era mai stato il tipo dal sedersi composto e godere di quelle semplici carezza. Erano cose da femmina, diceva, eppure a Loki piacevano tanto proprio perché sua madre condivideva quei momenti solo con lui.
Ma quella sera…
“Hai dei capelli meravigliosi, amor mio,” non fu la voce di sua madre ad accompagnare la spazzola che strecciava i nodi dei suoi capelli corvini.
Loki si guardò nello specchio e si vide bambino, il bambino che ancora non aveva realizzato quanto sbagliata fosse la sua esistenza. Alzò una manina verso la superficie riflettente ma un’altra, pallida quanto la sua ma ben più grande, lo bloccò. “Se lo tocchi rischi di lasciarci delle impronte e, dopo, l’immagine non sarà più perfetta,” continuò quella voce maschile passando una mano tra i suoi capelli incredibilmente neri.
Loki non si voltò, osservò il riflesso del giovane uomo seduto dietro di lui. Teneva lo sguardo basso per poterlo guardare e sorrideva orgoglioso, “potresti conquistare tutti gli uomini di Asgard e Jotunheim con uno sguardo, sai?”
Loki si afferrò le lunghe ciocche corvine. Per un periodo, sia lui che Thor avevano avuto i capelli lunghi poi, crescendo, suo padre aveva realizzato che l’effetto estetico che avevano su di lui era ben più vergognoso di quello che aveva su suo fratello.
Thor era stato un bambino talmente bello che, per parecchi anni, sarebbe anche potuto passare per una femmina e Loki lo aveva superato in questo. Con la pubertà, Thor aveva acquisito velocemente i caratteri maschili che in pochi anni lo avevano fatto diventare il giovane uomo, bello e forte, desiderato ed ammirato da tutti. Loki no, per Loki non era mai arrivata quell’ondata di virilità improvvisa che l’avrebbe reso un degno uomo di Asgard.
Loki fu costretto a sbarazzarsi dei bei capelli color della notte che erano stati l’orgoglio di sua madre e il motivo dell’invidia di molte donne giovani e adulte. Sua madre l’aveva sempre definito bello, come aveva fatto con Thor.
Tuttavia, erano due tipi di bellezza diversi.
Quella di Thor era la bellezza maschile a cui tutti dovevano aspirare.
Quella di Loki, su Asgard, era una vergogna a cui dover rimediare.
“È tutto sbagliato,” mormorò con la sua voce da bambino. Il giovane alle sue spalle scosse la testa, “non dire così, sei perfetto.”
“Non sono una bambola da pettinare.”
“No, certo che non lo sei…”
“Non sono nemmeno come mio padre vorrebbe che fossi.”
L’espressione del giovane divenne di ghiaccio, “guardami, Loki.”
Lui obbedì voltandosi appena per incontrare quegli occhi verdi identici ai suoi, “chi sei veramente?” Domandò.
“È importante?” Chiese l’altro con un sorriso.
“Riesci ad entrare nella mia testa come ti pare e piace,” spiegò Loki alzandosi in piedi, “se sapessi come distruggerti non saresti qui a parlarmi.”
Il sorriso dell’altro non si scalfì nemmeno di poco, “vieni qui,” mormorò attirandolo in un abbraccio a cui Loki non poté sottrarsi, “sei così simile a me, piccolo Jotun. Tuo padre teme ciò, per questo è scontento del tuo aspetto. La sua è una debolezza senza ripari, non una dimostrazione di potere.”
Loki scosse la piccola testa corvina, “io non sono come te.”
“Non sai quanto ti sbagli, bambino.”
“Nessuno è come me,” replicò Loki, “non esiste nessun altro essere che mi assomigli. Non in questo tempo, almeno. Sono diverso da qualsiasi creatura cammini nei Nove Regni e, in quanto tale, non appartengo a nessun posto se non a quello che riuscirò a conquistare con le mie stesse mani.”
“Così orgoglioso e determinato anche dopo l’ennesima sconfitta…”
“Mia è l’intenzione di sopravvivere.”
“Non andrai lontano da solo.”
“Come puoi dirlo?”
“Dove sei giunto fin’ora?” Domandò il giovane prendendogli il piccolo viso tra le mani, “hai voluto conquistarti l’amore di tuo padre con un piano più grande di te, hai cercato di conquistare Midgar usando una forza che non potevi controllare, mentre tu stesso eri sacrificabile dei tuoi stessi alleati… O dovrei dire carnefici?”
Loki fece un passo indietro, “non hai il diritto di dire nulla! Non conosci niente di me, sei solo l’ombra di un codardo che, per paura di mostrarsi, penetra nella mia mente per chissà quale ragione.”
“Educarti è la mia ragione.”
“Educarmi a cosa?”
“Avevi il talento delle bugie, Loki. I Chitauri ti hanno portato via anche questo?”
“Stai delirando…”
“Il tuo piano per avere Asgard era geniale, quello per Midgar faceva acqua da tutte le parti. Dov’è finito il principe degli inganni? Il giovane dalla lingua d’argento che con il solo potere delle parole poteva evitare o causare guerre e rimediare a tutti i disastri che suo fratello disseminava intorno a sé?” Una pausa, “ti hanno mai ringraziati per questo? Si sono mai resi conto che metà delle gloriose vittorie di Thor sono tali grazie a te?”
“Non ho perso nessun talento…”
“Hai l’impulsività di un ragazzino,” il giovane fece una smorfia, “tuo fratello riesce a capire quello che pensi dai tuoi sguardi e dalle tue espressioni. Due anni fa non sarebbe mai stato capace.”
“Due anni fa non si scomodava nemmeno a guardarmi!” Esclamò Loki e, quando si voltò e si guardò alla specchio, vide che il bambino era sparito per lasciare il posto al giovane principe dai lunghi capelli corvini e il viso segnato da innumerevoli fallimenti e sconfitte.
L’altro gli circondò le spalle con entrambe le braccia costringendolo a fissare il suo riflesso, “guarda cosa vede ora Thor, Loki? Vede il suo povero fratellino in frantumi e malato di odio ed oscurità. Ti teme meno di quanto potrebbe temere un insetto e si sente in obbligo nei tuoi confronti per un egoistico senso di colpo che non ha nulla a che fare con l’amore. Lo stesso senso di colpa che ha portato Odino a stringerti con quelle mani lorde del sangue dell’intera Jotunheim. “

“Se pensi di piegarmi raccontami ciò di cui sono già perfettamente consapevole, stai sbagliando strategia.”
“Il solo fatto che tu mi faccia parlare è sintomo della tua debolezza, Loki.”
Il principe tentò di liberarsi dall’abbraccio ma la presa dell’altro era ferrea. Loki guardò davanti vedendo i loro visi riflessi nello specchio. L’altro ghignava soddisfatto, “non ho bisogno di piegarti, lo sei al punto da non renderti conto che stringi il principe di Asgard nel tuo pugno.”
“Io non ho alcun interesse per Thor, a parte quello di farlo cadere tanto in basso da fargli desiderare la morte.”
“Allora amalo, Loki.”
Il principi s’irrigidì, “cosa?”
“Fino ad ora non hai mai considerato Thor nel piano, no? L’hai sempre voluto fuori dai piedi, hai portato la morte a lui… Bene, fa che sia lui a venire incontro alla sua morte.”
“Perché mi dici una cosa del genere? Che ci guadagni dal suggerirmi un piano simile.”
“Nulla,” ammise l’altro ridendo, “io non sono qualcosa di estraneo a te, Loki. Sono qualcosa di così simile a te da poterti comprendere nel profondo. Questo è il motivo per cui ti consiglio, Loki. Ama Thor, amalo come lui vorrebbe che tu lo amassi e ancora di più, amalo finché non sarà lui stesso a permetterti di stringere il suo ed allora strapparglielo!”
“Che cosa stai facendo?!”
Il giovane si allontanò improvvisamente da lui e Loki si ritrovò libero di voltarsi: sull’ingresso vi era un altro giovane identico a quello con cui aveva parlato fino a quel momento, ma senza la stessa luce malata negli occhi verdi.
“Come hai fatto ad arrivare qui?!” Urlò il nuovo arrivato e Loki sentì il tizio alle sue spalle ridere spasmodicamente. Fu allora che se ne reso conto, non c’era solo un essere ad avere libero accesso alla sua mente, ma ve ne erano due!
“Loki, svegliati!” Esclamò il nuovo arrivato, il giovane che aveva visto anche nei suoi sogni precedenti, “Loki, maledizione, svegliati!”

[Asgard, secoli fa.]

Loki se ne stava seduto sul bordo della vasca senza dire una parola. Nàl se ne era rimasto con il viso nascosto tra le mani per tutto il tempo, mentre le sue spalle tremavano per i singhiozzi a stento trattenuti. Non si era vergognato di piangere di fronte o, probabilmente, non aveva la forza di trattenersi.
Passò una mano tra i capelli neri umidi d’acqua, “che cosa è successo?”
“Stai zitto!” Fu la replica velenosa e Loki sbuffò sonoramente alzando gli occhi al cielo. Non se la sentì di ricordargli che non aveva nessun diritto di dare ordini, non ora. Forse, più tardi.
“Mio fratello sta andando in giro per il palazzo con il naso rotto,” raccontò Loki, “dal bernoccolo che ti ho trovato in fronte, non mi è difficile capire chi gliel’abbia procurato.”
Nàl non rispose.
“Dice che non se lo farà curare da nessuno che non sia tu. Io gli ho detto che non ne sono sicuro tu nei sia in grado…”
“Non lo curerei nemmeno fosse in punto di morte!” Esclamò Nàl.
“Laufey…” Chiamò Loki pazientemente, “che cosa ha fatto mio fratello?”
Il principe prese un respiro profondo e alzò il viso per guardare di fronte a sé, “so che mi odierai, ma ricordati che sei stato tu a chiedere.”
Loki sgranò gli occhi, “è successo quel…?”
“No, no,” Nàl scosse la testa, “non ero particolarmente in me ieri dopo la discussione che abbiamo avuto.”
“Ti chiedo scusa, Laufey, io…
“Nessuno di noi due era particolarmente in sé ieri,” tagliò corto il principe, “solo che io non ho avuto la decenza di nasconderlo al mondo.”
“Si tratta di mio fratello, vero?”
Nàl annuì.
“Che cosa è successo ieri notte, Laufey?”
“Lui mi ha… Ci siamo… Baciati, credo,” si voltò quanto bastava per poter guardare l’altro Jotun negli occhi, “è così che si dice quando una persona tocca le labbra di un altro con le proprie, vero?”
Loki sorriso sorpreso, “non sai che cos’è un bacio?”
L’espressione di Nàl divenne glaciale di colpo, “non ti permettere di deridermi!”
“Non è mia intenzione, sul serio!” Esclamò Loki col cuore improvvisamente sincero, “su Jotunheim non…”
“Il massimo che ho ricevuto dalla bocca di Fàrbauti sono stati dei morsi. Detto questo, non osare chiedere altro.”
Loki annuì per nulla intimorito da quelle parole, ma non si sarebbe mai permesso d’indagare oltre su qualcosa di tanto intimo. Era altro che gli interessava, “mio fratello ti ha baciato?”
“Sì,” ammise Nàl, “ci siamo baciati per tutta la notte.”
“E ti è piaciuto?”
La domanda colse Nàl di sorpresa ma non lo infastidì, non c’era volgare curiosità nella voce di Loki, solo il bisogno di vedere il quadro con più chiarezza. Nàl sospirò e s’immerse completamente nell’acqua restando in apnea per alcuni istanti. Forse, se fosse rimasto in quella posizione abbastanza a lungo tutti i suoi dubbi e la sua confusione sarebbero annegati in quell’acqua calda.
Calda quanto i baci del tuo principe, Laufey?
Ma quella voce sembrava seguirlo ovunque ormai.
Pensi di poter annegare anche il tuo desiderio, principino?
Riemerse di colpo avvolgendosi le braccia intorno alle spalle come se avesse freddo, “non dovrebbe…” Rispose infine. Loki non la presa tanto negativamente, “penso che un bacio sia la cosa più dolce che due amanti possano scambiarsi, sai? Come abbracciarsi o tenersi la mano, non sono gesti volgari…”
“Non vi era niente d’innocente nei baci di ieri notte…” Replicò Nàl acidamente.
“Quella non è volgarità,” Loki scosse appena la testa con un sorriso, “è passione, Laufey.”
“Bene, io non la voglio!”
Loki rise ma non a lungo, non era sua intenzione alterare il giovane principe, “Odino non è mai stato capace di controllarla e dubito comincerà proprio con te. In quanto a te… Hai sfiorato con un dito quel paradiso proibito da cui la tua gente ha sempre tentato di metterti in guardia e sei così scontroso perché ti stai rendendo conto che, invece, è la cosa più bella che ti sia mai capitata.”
Laufey gli lanciò un’occhiata obliqua, “non mettermi in bocca parole che non ho osato pronunciare.”
“Vediamo un po’,” c’era sarcasmo nell’espressione di Loki ora, “non appena sei tornato in te, scommetto che ti sei ritratto terrorizzato, poi sei passato all’offensiva con quella recita del fanciullo arrogante e sicuro di sé che ti riesce tanto bene.”
Nàl sorrise diabolico, “cosa c’è? Mi stai invidiando per caso? Ti ricordo che sei stato il primo a spingermi tra le braccia del tuo amato, o sbaglio?”
Loki lo fissò per un lungo istante, poi rise di nuovo, “colpito in pieno,” commentò e Nàl sgranò gli occhi confuso, “Odino è un giovane impulsivo ed ingenuo, può cadere nei tuoi comportamenti ingannevoli mille volte senza mai imparare la lezione, ma io no. Quel comportamento velenoso che simuli con tanta maestria altri non è che la tua armatura per difendere un cuore spezzare che hai paura di far battere.”
“Stai osando troppo, Loki.”
“Ieri stavi talmente male che di alzare le difese non avevi neanche la forza, vero? Per questo Odino è riuscito a baciarti, perché è riuscito a toccare il vero te. Non Nàl, ma Laufey. La mia domanda è… Ora che hai realizzato che cedere tra le sue braccia è tutto men che una cosa spiacevole, come hai intenzioni di agire?”
Nàl non fece in tempo a rispondere che la porta dei bagni si aprì senza preavviso. Loki si alzò di scatto e Nàl s’immerse fino al collo.
“Perdonami, Loki, ma questo è l’unico modo con cui posso parlare con Nàl senza che fugga via.”
Nàl sentì il cuore saltargli un battito nell’udire quella voce.
“Questo non è un atteggiamento da principe, Odino,” lo rimproverò Loki con un velo di acidità, “ti sei intromesso in un momento privato.”
Odino scrollò le spalle appoggiando una spalla ad una delle colonne di marmo che circondavano la vasca, “me ne starò proprio qui, non riesco nemmeno a scorgerlo da questa distanza. Devo, però, chiederti di lasciarci.”
“Non ti azzardare, Loki!” Esclamò Nàl prima ancora che potesse rendersi conto di aver parlato.
“Vedo che ho la tua attenzione, mio piccolo Jotun,” Odino rise, “il mio naso si gonfia di ora in ora, davvero un bel colpo.”
“Ringrazia che non abbia voluto sporcarmi le mani…”
“Dipende da con cosa volevi sporcartele, Nàl.”
Loki passava gli occhi dall’uno all’altro interlocutore senza intromettersi. Odino era perfettamente a suo agio, in una posizione rilassata. Nàl, dietro di lui, si spingeva talmente tanto contro il bordo della vasca che Loki pensò che stesse tentando di passarci attraverso.
“Volevo solo chiederti scusa nel modo più sincero per aver preso il sopravvento in un tuo momento di dolore,” continuò Odino e Nàl ne fu talmente sorpreso che fu costretto a continuare a sentire, “se ti ho fatto male intimamente, non era mia intenzione. Tuttavia, non mi pento di quanto ho fatto. Possedere le tue labbra e stringerti tra le braccia è stato stupendo e vorrei che te ne convincessi. Vorrei che ricordassi che, mentre piangevi e ti stringevi a me, ti ho sentito rabbrividire più volte mentre ti toccavo. Era come se nessuno ti avesse mai omaggiato con delle attenzioni simili prima e, in tutta onestà, se l’uomo che ti ha abbandonato non ha mai speso un secondo della sua vita per darti qualcosa di simile allora non te lo meriti.”
Loki lanciò a Nàl un’occhiata veloce ma il principe fissava l’acqua di fronte a sé senza un reale espressione. Odino sospirò e s’incamminò verso la porta. Solo quando abbassò la maniglia si voltò un’ultima volta, “sono stato il tuo primo bacio, vero?”
Loki ingoiò a vuoto temendo che Nàl sarebbe scoppiato in un attacco di furia belligerante a breve.
Odino sorrise soddisfatto, “prendo il tuo silenzio per un sì…”
La porta si chiuse lentamente ma il tonfo che provocò sembrò quasi assordante.
Loki non fece nemmeno in tempo a sedersi e ad assicurarsi che Nàl non fosse sul punto di un’altra crisi d’isteria che la porta si aprì di nuovo, con più violenza questa volta.
Sbuffò ed alzò gli occhi al cielo, “che altro vuoi, Odin…?” La voce gli morì in gola come si voltò, non era il principe di Asgard l’uomo che si ritrovò di fronte, “vostra maestà…”

***

Varie ed eventuali note:
Questo capitolo è stata una letterale tragedia. Tante cose da scrivere e molteplici modi per farlo, alla fine non ho inserito appena la metà dei fatti che volevo raccontare ma nel prossimo saprò farmi perdonare.
Sta per avere inizio una guerra, letteralmente.

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Capitolo 9
*** Ustioni ***


VIII
Ustioni


Il sogno non era mai uguale ma era sempre lo stesso.
Non vi furono ricchi tendaggi ad accoglierlo questa volta, né il tepore familiare delle sue stanze private. C’era solo ghiaccio intorno a lui e il desertico paesaggio di Jotunheim si estendeva al di là della balconata sempre uguale, senza sfumature, il candido nulla.
Ricordava quelle scale troppo alte per lui, ricordava di averle salite di corsa dimentico di che cosa volesse dire provare fatica, ricordava di averle ridiscese poco dopo con la schiena ricurva e il più prezioso dei tesori stretto tra le braccia. L’occhio sinistro non vedeva più e sapeva bene il perché, ma non provava dolore.
Il giorno dell’assedio non aveva avuto tempo di provare dolore, la sola idea di quello che lo attendeva se non fosse arrivato in tempo era stata più che sufficiente a convincerlo ad espugnare il Palazzo di Ghiaccio da solo anche con una ferita aperta e sanguinante.
Non aveva un piano. Non aveva una strategia. Aveva solo le sue gambe e la consapevolezza che se avesse fallito, tanto valeva morire. Perché tutto avrebbe accettato. Tutto avrebbe potuto sopportare. Tutto! Men che la morte di quell’innocente.
Nel sogno non aveva alcuna fretta, aveva già portato a termine la sua missione personale ma era finito col fallire ogni singolo giorno che era seguito. Sapeva che l’innocente era vivo, sebbene non in salvo.
Sapeva che non era più un innocente.
Sapeva che era troppo tardi per poterlo stringere di nuovo con amore ed aspettarsi che questo bastasse a guadagnarsi un sorriso. Anche in mezzo alla morte, anche ad un passo dalla sua stessa fine, Loki gli aveva sorriso.
Ma Odino aveva perso quel sorriso per sempre da molti secoli, oramai.
Non c’erano vagiti a guidarlo quella volta. Non c’erano le urla dei suoi guerrieri e di quelli di Laufey che riecheggiavano sotto le mura. C’era solo l’insistente sibilo del vento e l’eco dei suoi passi, mentre varcava la soglia del tempio reale con passo titubante.
Non era solo.
L’altro non alzò lo sguardo su di lui immediatamente, troppo preso dalla creaturina silenziosa che stringeva tra le braccia. Era rosea la pelle del piccino, erano corvini i folti capelli sulla piccola testa ed Odino sapeva che, se si fosse svegliato, avrebbe guardato il mondo con due meravigliose iridi verdi.
In compenso, il principe che glieli aveva donati non esitò ancora a lungo a puntare i suoi su di lui. Era seduto sulle poche scale che conducevano all’altare, la tunica slacciata, il bambino stretto contro il petto.
“Te la ricordi questa scena, vero?” Domandò con un sorriso dolce che gli provocò una fitta al petto, “non te ne volevi mai andare, nonostante te lo chiedessi.”
“Sei l’ennesima follia creata dalla mia mente, vero?” Sembrava quasi una supplica quella di Odino.
“Era una vergogna, per me, farlo davanti a te e tu morivi di gelosia ogni volta perché sapevi che se ci fosse stato Fàrbauti al tuo posto, non lo avrei mai cacciato.”
“Taci!” Urlò. Non c’era nessun altro al mondo, a parte lui, a sapere quelle cose. Nessuno. Si era ben guardato dal confidarle a Frigga anche a distanza di anni, faceva male ricordare. Avrebbe fatto ancor più male guardare Loki ogni giorno ripensando a quei giorni prima della fine.
Tuttavia, non era riuscito mai a cancellarli dalla sua memoria.
“Sai qual è stato il tuo più grande errore con noi?” Domandò il principe dai capelli corvini rivolgendo di nuovo lo sguardo al neonato, “è stato amare lui più di me.”
“Soltanto in un’illusione creata dalla mia mente sapresti ripetere così bene tutte queste follie!”
“Stai cercando di convincerti di cosa, Odino?” Domandò l’altro riallacciandosi la tunica ed alzandosi in piedi, “che non sono qui?  Che il complice dei tuoi peggiori peccati non è più nel mondo dei vivi pronto a ricordarti ogni tua colpa?”
“Laufey è morto,” sibilò Odino.
“Già,” mormorò l’altro accarezzando con due dita il viso del piccino tra le sue braccia, “e sei stato tu ad ucciderlo, non è vero, piccolino?”
“Non lo toccare…”
“Perché?” Chiese con un’espressione sarcastica, “è solo un’illusione creata da te stesso, parole tue.”
“Nemmeno nel peggiore dei miei deliri ti lascerei toccare mio figlio.”
“Oh e hai fatto un ottimo lavoro nel proteggerlo in tutti questi anni, non è vero?”
“Non avrei mai voluto proteggerlo da Laufey, è stato lui a costringermi…”
“Attento, mio re, ti stai confessando ad una mera illusione.”
“Non prendermi in giro!” Tuonò, “chi sei? Cosa sei? Perché entri nella mia mente ed in quella di mio figlio?” L’altro rise. “Gioco con la testa di Loki da quando hai deciso di rinchiuderlo nelle segrete della tua bella città dorata e non te ne sei mai accorto!”
Odino sgranò gli occhi, “che cosa hai fatto a mio figlio?”
“Non è tuo figlio…”
“Che cosa hai fatto a mio figlio?!” Urlò avvicinandosi con possenti falcate. Il neonato tra le braccia dell’altro scoppiò a piangere, “che cosa vuoi dalla mia famiglia?”
“Se ti decidessi a vedere la verità lo capiresti da solo.”
“Quale verità? Chi sei? Cosa sei?”
“Sono quello che vedi…”
“Laufey è morto!” Urlò Odino ed il piccolo emise uno strillo ancora più acuto, “ed è stato Loki ad ucciderlo…”
Cadde un silenzio di morte interrotto solo dai lamenti spaventati del bambino.
“È questa la tua verità?”
“Non può esisterne un’altra,” rispose Odino, “non questa volta.”
“E di verità su Loki quante ne conosci?” Chiese il giovane dagli occhi verdi.
Odino non cambiò nemmeno espressione, “non ho la minima idea di quel di cui stai parlando.”
L’altro rise, “risparmiami questo giochetto dell’inconsapevolezza. Puoi essere un buon attore, ma di fronte a me sei come un moccioso che tenta di nascondere che ha rubato i dolci dalle cucine reali.”
“Non deridermi, chiunque tu sia!” Sbottò il sovrano con rabbia ed il neonato pianse con maggior vigore. Il giovane lo cullò con un’espressione sarcastica, “non sei capace di essere padre nemmeno con questo piccolo bastardo, Odino.”
“Non ti permettere…”
“Non mi permetto?” Fece una smorfia poi lasciò andare il fagottino di colpo. Odino non seppe dove trovò i riflessi di afferrarlo prima che toccasse terra, ma, non appena si rese conto di esservi riuscito, lo strinse al petto con forza cullandolo dolcemente, “va tutto bene, Loki, sono qui.”
“L’hai detto anche quella notte…” Non c’era più sarcasmo nella voce dell’altro, “mentre me lo portavi via, non facevi altro che ripetere queste parole. Va tutto bene, va tutto bene, va tutto bene… Chi cercavi di convincere, Odino?”
Il sovrano si rifiutò di alzare lo sguardo sull’altro e continuò a fissare il faccino del bambino tra le sue braccia, “Laufey non lo voleva…”
“Nemmeno tu l’hai voluto.”
Fu allora che Odino alzò di nuovo gli occhi per incontrare quelli scarlatti dell’altro, “Come osi…”
“Come oso?” Domandò l’altro con voce glaciale, “che cosa hai detto a Loki quando ha scoperto di essere uno Jotun?”
“La verità…”
“Quale verità, Odino?” Urlò l’altro, “quella di una notte di neve su Midgar? Quella della fuga di Frigga? Quella delle bestie del Ragnarok? Quella della fine della guerra? Quale verità gli hai raccontato, Odino?!”
Il sovrano gelò e non seppe come replicare.
“Te lo dico io, mio re,” sibilò il giovane dai capelli corvini, “gli hai raccontato solo la verità più facile. Quella che ti faceva più comodo. Gli hai raccontato quella parte di verità che ha distrutto lui ma ha lasciato illeso te.”
Odino fissò l’altro con un’espressione indescrivibile, il respiro mozzato, l’unico occhio rifletteva shock e confusione, “Laufey?”
“Portalo via,” disse semplicemente l’altro indicando il neonato con un cenno del capo, “non gli farò del male, se non sarà necessario, ma devi portarlo via da Asgard prima che sia troppo tardi. Non è al sicuro lì.”
“Troppo tardi?” Ripeté stordito, “troppo tardi per cosa?”
“Hai salvato quel bastardo da me una volta, Odino!” Esclamò con rabbia il giovane dai capelli corvini, “non ti permetterò di vincere ancora, per questo, ascolta bene il mio avvertimento.”
Odino non replicò.
“Se ami Loki, se hai mai amato Loki, come dici. Portalo via da Asgard e assicurati che il suo cammino non lo porti mai più su Jotunheim o mi assicurerò di portare a termine ciò che mi ero ripromesso di fare secoli fa.”

“Loki?” Frigga voleva alzarsi, correre da suo figlio e stringerlo tra le braccia con tutto l’amore di cui era capace, ma sapeva che Loki non l’avrebbe accettato. Sapeva che si sarebbe ritratto sentendosi scottato da quell’amore. “Tesoro, chi è che ti fa del male?”
Loki continuò a fissare il fuocherello acceso rifiutandosi di voltare lo sguardo verso sua madre. No, non era sua madre, per quanto questo gli facesse male, era un pensiero a cui doveva abituarsi e presto.
Frigga non era sua madre.
Odino non era suo padre.
Thor non era suo fratello.
Nemmeno Laufey era suo padre. Non aveva importanza se gli aveva permesso di nascere, contava che avesse tentato di rimediare all’errore appena poco tempo dopo la sua venuta al mondo. Era suo padre meno di quanto lo fosse Odino. Era solo un nemico da uccidere e l’aveva ucciso.
“Per nascondere la verità.”
No, per proteggere la mia casa, la mia famiglia. Per rendere il re fiero di me.

“La più forte negazione della verità è distruggere le prove della stessa, principino.”
No, no, io l’ho fatto per…
“Per proteggere un regno da cui non sei mai stato accettato? Per proteggere una famiglia in cui ti sei sempre sentito di troppo, sbagliato? Per rendere fiero un padre che prima voleva usarti e poi non ha saputo amarti?”
No! No! Volevo dimostrare di poter essere migliore di Thor!
“Pensavi che distruggendo le tue origini avresti distrutto anche il diverso dentro di te.”
No! Voi luridi esseri inferiori non potete capire!
“Hai ucciso Laufey perché è stato il primo a non volerti. Perché è stato il primo ad abbandonarti. Volevi fargliela pagare, non è vero?”
Basta!

“Loki?” Una mano di Frigga tra i suoi capelli lo fece sobbalzare, “scusami, amor mio,” mormorò la regina dolcemente inginocchiandosi a terra accanto a lui, “è mio desiderio aiutarti e proteggerti, Loki, nulla di più.”
Loki la guardò senza espressione per un lungo minuto, poi abbassò lo sguardo.
Frigga sospirò, “lo so, non è facile capirmi ma non è facile spiegarlo nemmeno, tesoro. So che non comprendi come sia possibile che io ti ami come faccio ma ti giuro… Te lo giuro sulla vita di tuo padre, Loki, non ho mai amato Thor più di te! Mai!”
Loki si morse il labbro inferiore decidendo di rimanere indifferente a quella confessione.
Perché non me l’hai mai detto prima? Perché non me l’hai detto quel maledetto giorno in cui tutto è andato distrutto? Hai detto che ero vostro figlio, è vero, ma non era abbastanza. Non è mai stato abbastanza!
“Vuoi sapere una cosa?” Domandò Frigga con un sorriso tirato e la voce tremante, “non c’è giorno in cui io non desideri che voi non siate mai cresciuti. Mi hanno sempre detto che l’infanzia è la stagione più difficile di un figlio ma non è vero! Non è assolutamente vero! Sapevo come proteggervi quando eravate bambini, sapevo come rendervi felici, sapevo esattamente che cosa fare allora,” una lacrima le solcò la guancia, “ora guardo te, guardo tuo fratello e, sebbene siate entrambi qui vicino a me, non riesco a sentirvi più come un tempo.”
La mano di lei continuava ad accarezzargli i capelli ed il viso ma Loki non la guardava. Non poteva guardarla.
“Ero folle di paura il giorno in cui tuo padre ti ha messo tra le mie braccia.”
Non parliamo di quel giorno, non c’è nulla che voglio sapere.
“Piangevi ed io non sapevo come comportarmi. Con Thor era stato diverso, con lui avevo saputo fin da subito cosa fare, ma con te… Ero folle di paura, Loki! Paura di fallire, di non essere all’altezza.”
Odino ha mai sofferto per lo stesso timore?
Frigga gli avvolse le braccia intorno alle spalle stringendolo al petto come faceva durante la sua infanzia. Loki non ricambiò la stretta ma nemmeno si sottrasse.
“Non ero pronta quando sei arrivato, Loki e temo che la mia impreparazione abbia avuto delle ripercussioni più grandi di quel che temevo. Ma è ancora lontano il giorno in cui mi pentirò di averti stretto a me, di averti nutrito col mio latte, di averti dato metà del mio cuore. Tu sei la creatura che ho desiderato per tutta la vita ma che il destino non mi ha concesso di portare dentro di me. Thor è figlio di Odino, non esiste qualcosa che possa provare il contrario ma tu, amore mio…”
Hai già pronunciato queste parole, mia regina.
“Tu sei sempre stato più mio che di tuo padre.”
L’avete pronunciate molti… Moltissimi anni fa.
 “Tu sei la cosa più bella che mi sia mai capitata.”
Ero un fanciullo quando me le avete rivolte per la prima volta ed io ci credetti.
“Non dirlo agli altri due…” Mormorò Frigga con un sorrisetto complice che Loki non poté vedere ma sapeva che c’era.
No, non lo farò, mia regina. Questa è la tua bugia, non la mia.

[Asgard, secoli fa.]


Mai Asgard ricordò un giorno più macabro di quello.
Il giorno in cui scoppiò la guerra che avrebbe concesso al principe Odino il battesimo del sangue.
Nessuno aveva insegnato al principe fino a che punto potesse spingersi la crudeltà di un re.
Nessuno aveva mai accennato al fatto che i comportamenti folli di un sovrano potevano essere facilmente giustificati con la ragion di stato.
Odino non era mai riuscito a pensare come re spontaneamente, era sempre stato troppo umano per farlo.
Sarebbe stata una questione di tempo e ne avrebbe pagato il prezzo.

Mai Jotunheim rimase in silenzio come quel giorno.
Il giorno in cui il principe ereditario venne condotto di fronte al re nemico con una falsa identità, un complotto che, se svelato, gli sarebbe costato la vita e la totale incapacità di difendersi in alcun modo.
Il principe sapeva fin troppo bene che il bene di un regno valeva di gran lunga di più del bene di un singolo individuo, nobile o meno.
Il principe sapeva che persino il peggiore dei crimini, il più imperdonabile dei peccati, poteva trasformarsi in un atto politico o, peggio, in un eroico sacrificio, se si faceva appello alla ragion di stato.
Laufey avrebbe tanto voluto abnegare se stesso di fronte alla volontà di suo padre e alla malasorte che aveva incontrato nel seguirla, sarebbe stato tutto immensamente più semplice così. Ma aveva un intelletto troppo brillante ed un orgoglio troppo grande per poter sacrificare la sua individualità per una qualsiasi causa.
Sarebbe stata una questione di tempo e ne avrebbe pagato il prezzo, a sua volta.

Le parole di supplica di Loki erano state inutili, come ogni suo tentativo di fuga. Erano bastate due guardie a trascinare Nàl fuori dall’acqua e alla male e peggio gli avevano buttato addosso una tunica per condurlo a forza nella sala del trono. La voce di Loki era divenuta man mano più fioca, mentre tentava di ribellarsi alla prese di quegli uomini armati, corazzati e di gran lunga superiori a lui in quanto forza fisica.
Quando l’enorme portone venne chiuso alle sue spalle, il mondo all’esterno sembrò cristallizzarsi e persino Nàl si ritrovò schiacciato da quel solenne silenzio che lo circondava.
Per la prima volta in vita sua, un brivido di freddo gli attraversò la schiena e tremò.
Non lo avevano incatenato, né picchiato, soltanto i segni di quelle mani sgraziate sulle sue braccia sarebbero rimasti sulla sua pelle ancora per un po’. Eppure, Nàl non riusciva a muoversi, a stento riusciva ancora a respirare.
Il re gli passò davanti con grandi falcate e in breve tempo salì le poche scale che lo separavano dal suo trono dorato. Nàl sapeva che avrebbe dovuto inginocchiarsi o, perlomeno, abbassare gli occhi in segno di rispetto ma non ci riuscì. Non per timore, per quanto quello fosse forte, l’assenza di rispetto nei confronti dell’uomo che gli sedeva di fronte era troppo grande perché potesse essere ignorata.
Persino le sue menzogne avevano un limite.
Il re lo studiò con attenzione, sebbene nessuna reale espressione fosse presente sul su viso.
“Non hai la minima idea del perché sei qui, vero?”
Lo chiese con casualità, come se il giovane di fronte a lui non fosse mezzo nudo, con i capelli ancora gocciolanti e la rigidità di chi non sa che cosa sta affrontando.
“Se esiste un motivo per cui un ospite di vostro figlio debba essere trattato con una simile cortesia, sarei curioso di conoscerlo,” replicò Nàl con sarcasmo. Le guardie nella sala si lanciarono delle veloci occhiate di sorpresa, ben consapevoli che bisognava essere pazzi per avere l’arroganza di rispondere al re con un tono simile. Il re sorrise, un’espressione lungi dall’essere gentile.
“Non sembra che tu voglia incantarmi con qualche bella recita, piccolo Jotun.”
“Io mio nome è Nàl, vostra maestà e non vedo il motivo per cui dobbiate rivolgermi un tale insulto.”
“Insulto?” Domandò il re, “ingannare gli altri può essere un talento molto raro, ragazzino.”
“Non posso vantare di possederlo, né devo ammettere di averne bisogno.”
“Bisogno per cosa?” Indagò il re.
“Siete voi ad avere dei sospetti, mio re, sarebbe cortese illustrarmeli in modo che io possa difendermi,” la voce di Nàl non aveva tremato nemmeno per un istante e la sua espressione non aveva tradito alcuna insicurezza.
Il re rise, “non puoi dire di essere povero di arroganza.”
“Questo ve lo concedo.”
“Sei un mezzosangue?”
“Uno scarto,” lo corresse Nàl, “non ho avuto la fortuna della vostra defunta regina. Tuttavia, condivido l’amaro destino del fratello del principe, Loki.”
L’espressione del re si oscurò, “hai nominato due persone di cui non ho il piacere di parlare.
“Domando scusa, signore, non era mia intenzione,” ovviamente non vi era traccia di dispiacere negli occhi verdi del giovane Jotun. Borr sospettò che avesse nominato sua moglie e quel piccolo bastardo proprio per vederlo perdere una briciola di autocontrollo, ma decise di sorvolare.
“Sei molto bene educato per essere uno di quelle cose…”
“Sono stato più fortunato di molti altri,” qualcosa doveva pur inventarsi, “ho una naturale predisposizione alla magia, sebbene non sappia chi siano i miei genitori, penso sia un talento che devo a loro.”
“Questo è il motivo del tuo aspetto?”
“Sì, signore.”
“E quanta magia avresti usato per sedurre mio figlio, giovane Jotun?”
Nàl strinse le labbra fino a farle diventare una linea sottile. Odino, Odino, maledetto Odino!
“Non so di cosa voi stiate parlando…” Non era proprio una bugia.
“Non è un segreto che mio figlio provi un particolare interesse per te,” spiegò Borr, “in realtà, la cosa non mi sorprende poi così tanto. Odino prova interesse per qualsiasi cosa abbia il sapore del proibito. Evidentemente le vergini promesse ad altri non lo soddisfano più.”
“Visto che ne siete perfettamente consapevole, per quale motivo sono costretto a presentarmi a voi in questo stato?” Domandò Nàl tradendo una nota di rabbia.
“Perché a differenza delle giovani donne di questa corte, temo che tu non conosca le regole, Nàl.”
“Illuminatemi, mio re.” Fu l’arrogante risposta.
“Le giovani di questa corte sanno bene che è concesso loro prendersi il piacere e nulla più.”
“Non ho bisogno che mi spieghiate cosa facciano le sgualdrine reali, mio signore, è una conoscenza universale.”
Le guardie s’innervosirono nel sentire le donne del loro rango venir apostrofate in un modo tanto volgare ma il sovrano li mise a tacere con un gesto della mano.
“Non si può dire altrettanto delle pratiche degli Jotun.”
“Il sangue di Jotunheim scorre nelle vene dei vostri eredi, non mi sorprende che siate ben istruito in materia,” Nàl non aveva intenzione di vacillare, nemmeno di fronte all’argomento più umiliante.
“Hai ragione di crederlo,” il re annuì, “di fatto, sono perfettamente consapevole di come uno Jotun può essere un soldato sul campo di battaglia ed una vacca partoriente in privato.”
Le guardie risero e Nàl lanciò loro uno sguardo raggelante che non sortì alcun effetto, “insultavo Odino per la sua carente predisposizione al comando, ma il suo mentore in materia manca di personalità al punto da dover ricorrere a dei trucchetti di natura volgare per far valere una volontà sovrana che potrebbe vacillare di fronte al primo buon interlocutore di passaggio.”
Il re scattò in piedi e Nàl, in cuor suo, esultò, perché così agendo non faceva che dar prova di quelle fatali debolezze che gli aveva appena sbattuto in faccia.
“Se ho ben inteso i vostri timori, mio re,” continuò il giovane Jotun con voce più gentile, “vostro figlio, come nessun altro uomo sulla faccia di questo regno, non ha mai avuto niente da me. Non temete, il seme della vostra stirpe divina è ben lontano dal mio grembo e dalla possibilità di generare una creatura dal sangue corrotto.”
Il re sembrò calmarsi e, dopo un lungo momento d’indecisione, tornò a sedersi sul suo trono dorato fingendo l’aria tranquilla di chi ha tutto completamente sotto controllo.
“Ed io dovrei credere che un nullità di Jotunheim non ha ceduto alla tentazione di prendere dal principe di Asgard tutto ciò che si potrebbe prendere?”
“Ho troppo rispetto per la mia persona per abbassarmi ad essere un oggetto di piacere destinato ad essere scartato in poco tempo,” replicò Nàl.
Borr non parlò per un po’, fissando la piccola figura davanti a sé con maggiore sospetto di quanto non ne sentisse prima.
“Stavo ripensando al giorno in cui mio figlio portò al palazzo quel piccolo cucciolo randagio di uno Jotun,” spiegò mestamente, come se fosse uno dei ricordi più brutti della sua vita, “Loki era una creaturina tremante e terrorizzata. Se vi fosse un briciolo di ragione in quella povera testolina ricolma di tenebre e orrori, nessuno seppe dirlo, da principio. Solo Odino aveva fiducia, ma mio figlio è sempre stato malato di una folle sicurezza di sé e delle proprie convinzioni senza fondamenta. Il Loki di quel giorno, era un Loki senza personalità, né educazione, né orgoglio. Il Loki di quel giorno era solo una povera bestiolina abbandonata che avrebbe venduto l’anima pur di vivere solo un’ora in più.”
Nàl sentì l’arroganza cedere ad un sentimento fastidioso, che gli faceva venire un nodo alla gola, “non comprendo di che utilità sia questo racconto.”
“Tu sei uno scarto…” Mormorò Borr, “eppure hai negli occhi la sicurezza di sé che nessuna creatura perennemente ciondolante sull’abisso della distruzione dovrebbe avere.”
Nàl si morse il labbro inferiore con forza: vacillare ora gli sarebbe costato la vita, doveva mantenere una linea sicura ed inattaccabile.
“Non tutti siamo deboli…”
“Ottima replica, ma questo non spiega un bel po’ di altre cose.”
Nàl fece un passo indietro, il controllo della situazione vacillava, “siate diretto e ponetemi davanti alle accuse che mi rivolgete in modo che io possa dimostrarvi che non sono altro che timori infondati.“
Borr abbassò lo sguardo e Nàl giurò di vedere un briciolo di sincera tristezza nei suoi occhi, “pur ammesso che tu sia stato più fortunato o più forte di molti altri, come preferisci tu. Come me lo spieghi che il tuo linguaggio sia arguto e raffinato al pari di quello della mia defunta moglie, nobile per nascita?”
“Ve l’ho già detto!” Esclamò Nàl, “ho un talento naturale per la magia che mi ha permesso di sopravvivere!”
“Che la magia sia un dono naturale non lo metto in dubbio, ma ci sono creature dal grande potenziale che non lo scoprono mai a causa di una mancata educazione in materia.”
“Sono uno scarto, questo non significa che sia uno stupido.”
“Stupido no, ma ingenuo di sicuro…”
Le enormi porte della sala del trono si spalancarono lasciando entrare un allarmatissimo Odino seguito dagli altrettanto preoccupati Loki e Frigga. Nàl non seppe se sospirare di sollievo o cominciare a pregare per la sua, ormai inevitabile, condanna.
Nessuna guardia si mosse per evitare ad Odino di avanzare: nessuno era tanto stolto da osare.
“Che cosa sta succedendo qui?” Chiese freddamente rivolgendosi all’uomo seduto sul trono. Nàl lo guardò e non seppe se scoppiare a ridere o morire dalla vergogna per lui: con quel naso rosso e l’espressione di un fiero combattente, Odino sembrava quasi la caricatura del principe dorato che tutti dicevano che fosse.
“Un interrogatorio,” fu la funerea risposta di Borr.
“Con quali accuse?” Sbottò Odino affiancandosi a Nàl, “cosa può legittimare un simile comportamento nei confronti di un mio ospite?”
Sfiducia nelle tue facoltà intellettive a favore della libido, pensò Nàl ma si guardò dal dirlo ad alta voce.
“Complotto segreto a sfavore del regno.”
Nàl gelò. In un primo momento pensò di non aver compreso quelle parole, di aver trasformato una frase in quella che più temeva di dover udire in quella sala e da quella bocca ma, quando alzò gli occhi, non c’erano segni d’incomprensione sul viso del sovrano.
Odino scoppiò a ridere, “hai sempre avuto una grande fantasia, padre!”
“Il tuo adorato Nàl è stato visto scambiare delle parole sospette con un altro individuo che non ha mai varcato nessuno dei nostri cancelli.”
Nàl smise di respirare.
“Visto?” Domandò Odino per nulla convinto, “visto da chi?”
“Da me, mio principe.”
Tutti i presenti si voltarono in direzione dell’enorme portone dorato per assistere all’ingresso della testimone, “ho visto con i miei occhi questo individuo complottare contro il re ed il nostro popolo,” precisò Jӧrd con un sorriso sensuale.
“Lo ammetto, fino a questo punto non credevo sarebbe arrivata,” mormorò Frigga stringendo con forza il polso di Loki che non riuscì a spiccicar parola. “Jӧrd…” Chiamò Odino confuso, mentre lei gli avvicinava e si aggrappava al suo braccio con entrambe le mani.
“Non avrei mai permesso a questo Jotun di farti del male,” mormorò dolcemente.
Odino la guardò e scosse la testa, “io… Io non capisco,” gli occhi blu si voltarono in direzione di Nàl che, però, aveva attenzione solo per la giovane donna languidamente attaccata al principe.
Così quella era la puttana ufficiale del principe dorato. Nàl non poté trattenere uno sguardo disgustato.
“Mi stai offendendo con quei tuoi occhi, piccolo Jotun,” sibilò lei.
“Jӧrd!” Esclamò Odino allontanandosi da lei.
“Voi siete un’offesa per questa corte e tutte le nobil donne degne di tale nome che vi risiedono, signora,” replicò Nàl guadagnandosi un’occhiata esterrefatta da parte del principe.
“Nàl…”
Il giovane Jotun si scomodò a guardarlo, alla fine. “Che c’è?” Domandò con aria sarcastica.
“Non provi nemmeno a negare?”
“Mi crederesti?” Replicò freddamente puntando quei penetranti occhi verdi in quelli blu del principe. Odino aprì la bocca, si voltò verso Jӧrd, poi di nuovo verso Nàl.
Lo Jotun sospirò, “appunto…” Mormorò, “te l’ho detto, Odino. Non si può parlare di amore per quel che non si conosce.”
Borr si alzò in piedi, “confessi dunque?”
Nàl tornò a guardarlo, “confesso di aver parlato con un giovane sconosciuto nella foresta, questa mattina. Non so quale sia il suo nome, né la sua provenienza, non c’era nulla di pericoloso nelle nostre parole. Voleva solo quello che molti uomini di questo mondo desiderano senza ammetterlo…”
“Non è insinuando blasfemie che ti salverai.”
“Ah, sì, blasfemie?” Domandò Nàl con ira crescente, “una puttana d’alto borgo che mira a concepire un erede con vostro figlio sotto i vostri occhi ciechi viene a denunciare un crimine che non ho commesso solo perché, a causa della mia presenza, Odino non è più incline ad infilarsi tra le sue gambe e voi venite a parlare a me di blasfemia?” Sbuffò, “no, signore, questa recita grottesca che voi chiamate giustizia… Questa è la vera blasfemia! Credere alla bugia di una capricciosa donnetta che tenta di sbarazzarsi della concorrenza per vie non pregiudicabili e lo fa ben consapevole che il suo sovrano è talmente rancoroso nei confronti di quelli come me che non esiterebbe a condannarmi anche solo per un banale insulto… Questa è blasfemia!”
Nàl strinse forte gli occhi prima di proseguire, “fatemi quel che volete. Sappiate che anche la scusante della ragion di stato ha un limite e se mi condannate ora per un complotto immaginario, tutti i Nove Regni lo sapranno e dovrete, allora, pagare il prezzo delle vostre azioni, mio re. La mia parola contro quella di questa donna. Volete davvero che le dicerie sul vostro odio verso Jotunheim diventino reali con la condanna di un innocente, mandato al patibolo senza prove certe? Pensate che vi sia un regno tra i Nove disposto ad accettare questa vostra giustizia?”
Odino era sempre più confuso e decise di cercare risposta dall’unica persona che diceva di averle, “che cosa hai visto esattamente?” Domandò a Jӧrd.
Lei fece una smorfia, “dal modo in cui si avvinghiavano contro quell’albero, non credo che il tuo ospite disprezzasse poi così tanto quella compagnia.”
“Allora non devi aver udito poi così bene le mie parole,” replicò Nàl freddamente.
“Non mi stavo rivolgendo a te,” sottolineò lei con disprezzo.
Nàl piegò appena le labbra in un sorriso incolore, poi guardò Odino, “sei davvero tanto stupido da concederti da anni a questa serpe velenosa?”
“Io almeno non mi prostituisco al mio principe per meglio complottare alle sue spalle, mentre il mio complice e amante va e viene dal regno indisturbato.”
Nàl rise, “troppo umile, signora. Il vostro complotto per ottenere il titolo di regina è di sicuro più ingegnoso di qualunque altro!”
Jӧrd fece per avvicinarsi ma Odino l’afferrò per un braccio prima che potesse fare qualsiasi cosa, “smettetela!”
“Portate qui la prigioniera!” Ordinò di colpo Borr alzandosi dal trono, poi abbassò gli occhi su Nàl, “dimostriamo a questo giovane quanto blasfema è la nostra giustizia per i Nove Regni.”
Nàl sbatté la palpebre un paio di volte, poi si voltò per incontrare gli occhi di Loki ma l’altro Jotun risposte al suo sguardo scuotendo a testa. Gli occhi verdi si alzarono su Odino, le cui iridi blu erano animate dalla stessa confusione.
Non passarono che una manciata di minuti, prima che un pianto lieve ma continuo giungesse alle orecchie dei presenti. Altre guardie attraversarono l’enorme portone trascinando all’interno una fanciulla dai lunghi capelli ricciuti.
Nàl non avrebbe voluto fissarla come fece, ma era difficile allontanare gli occhi da un simile orrore. La giovane era piuttosto giovane, non come Frigga, ma non sembrava aver raggiunto da molto l’età adulta. Le guardie la lasciarono andare lentamente ed ella cadde a terra in ginocchio, non riuscendo più a sorreggersi con le magre gambe tremanti perfettamente visibili sotto l’orlo dello straccio che a stento le copriva il pube. Incrociò le braccia altrettanto fragili contro il petto, un debole tentativo di coprire la sua nudità.
Doveva essere stata bella, prima che i maltrattamenti e la malnutrizione avessero la meglio sul suo corpo.
Nàl provò una profonda compassione per lei, più forte della confusione che la sua presenza alimentava. Tuttavia, non ne fu sconvolto quanto Odino.
Il principe di Jotunheim era stato iniziato alle crudeltà nella sua stessa casa, per mano dei suoi stessi cari, in un modo o nell’altro. Il principe di Asgard era sempre stato convinto di vivere in un mondo dorato in cui le ombre dell’orrore non potessero nemmeno venir concepite.
“Padre…” Mormorò con voce vagamente tremante, senza distogliere lo sguardo dalla fanciulla, “che follia è mai questa?”
Borr fece una smorfia e scese i gradini che lo separavano dal gruppo di giovani con estenuante lentezza, i suoi passi riecheggiarono nell’enorme sala come un tamburo di guerra.
“Il suo nome è Gullveig,” spiegò il sovrano, “è una spia di Vanaheim.”
Sia Nàl che Odino si voltarono a fissare il re.
“Vanaheim?” Chiese il secondo, “non sapevo che i Vanir avessero spedito una spia nel nostro regno.”
“È accaduto più di un anno fa,” confessò Borr con una naturalezza che fece venire a Nàl i brividi per il disgusto.
“È più di un anno che torturate questa giovane, mio signore?” Domandò Nàl con voce rotta. Odino guardò il giovane Jotun, poi tornò a fissare suo padre attendendo una risposta.
Borr sospirò, “vedi, Nàl, mi hai chiesto se i Nove Regni possono accettare la mia giustizia… Com’è che l’hai definita? Blasfema?” Si avvicinò ad una delle colonne dorate estraendo una fiaccola dal suo apposito sostegno, “bene…” mormorò superando il giovane Jotun e suo figlio per fermarsi di fronte alla fanciulla terrorizzata. Ella alzò gli occhi sul sovrano solo per un istante, poi si raggomitolò a terra coprendosi la testa con entrambe le mani ed implorando il re con una preghiera talmente disperata che a stento si riusciva a comprenderne le parole.
“Padre…” Chiamò Odino esterrefatto incapace di aggiungere alcunché.
“Silenzio!” Tuonò Borr tornando a guardare il giovane Jotun, “prima di appellarti alla volontà dei Nove Regni, ragazzino, sappi che è più di un anno che i Nove Regni mi permettono di fare questo!”
Il re lasciò andare la fiaccola che cadde tra i capelli della fanciulla dandole completamente fuoco in meno di un istante. L’urlo di dolore della ragazza coprì quello dei giovani che furono costretti ad assistere a quella scena raccapricciante.
Frigga nascose il viso contra la spalla di Loki che l’abbracciò in un gesto meccanico. Jӧrd si portò  una mano alla bocca cercando con l’altra di afferrare quella di Odino che, però, era già corso in direzione della ragazza per tentare di soccorrerla. Per sua sfortuna, Borr fu pronto a bloccare il figlio con tutta la forza necessaria, “qual è il motivo di questa follia padre?” Urlò accecato dallo sgomento e dalla rabbia, “rispondimi!”
Le fiamme scomparvero di colpo, ammutolendo tutti presenti.
Allora e solo allora, Nàl fece qualche passo in avanti per assistere a quello spettacolo che aveva dell’incredibile. La giovane si lamentava debolmente, come se avesse difficoltà a respirare ma non era morta. Le orrende ustioni scure che si erano estese su tutto il suo corpo cominciarono a sparire lentamente, fino a che la pelle non tornò ad avere un colore sano e roseo.
Tuttavia, le condizioni della fanciulla non sembrarono migliorare con la stessa velocità del suo aspetto, bensì perse i sensi dopo pochi istanti.
Borr sbuffò lasciando andare il braccio di Odino che non si mosse comunque, “portatela via,” comandò e le guardie si mossero velocemente per eseguire l’ordine.
Nàl non sapeva da quanto aveva smesso di respirare, ma il nodo che gli stringeva la gola cominciava seriamente a fargli male, sapeva che sarebbe passato solo se si fosse messo ad urlare o a piangere ma non aveva il coraggio di fare nessuna delle due cose.
Borr si fermò accanto a lui, “nessuno dei Nove Regni ha potere su di me, nemmeno Vanaheim osa salvare una propria figlia nonostante mi sia premurato di far sapere alla famiglia reale che trattamento le riservo.”
Nàl ingoiò una boccata d’aria che non fece che aumentare il senso di soffocamento.
“Vuoi sapere perché le faccio tanto male, invece di giustiziarla?” Domandò con un sorriso sarcastico, “compio quel rituale col fuoco tre volte al giorno da mesi ed ogni volta, Gullveig sboccia di nuovo in tutta la sua bellezza sotto i miei occhi, come se il fuoco non l’avesse mai toccata. Sai com’è possibile una cosa del genere, giovane Jotun?”
Nàl scosse appena la testa.
“Seiðr…” Mormorò.
Nàl non capì e si voltò a guardare il sovrano con un’espressione confusa. Il re gli rivolse un sorriso diabolico, “non fare il finto ingenuo con me.”
Nàl scosse la testa di nuovo, incapace di pronunciar parola.
“Il Seiðr è la magia più potente dell’universo. I Vanir sembrano averne la chiave teorica ma il destino vuole che, alle volte, qualche creatura particolarmente fortunata venga al mondo con il sangue pregno di questo potere,” spiegò Borr lentamente, “mia moglie era una di queste, ma nessuno dei miei figli sembra averne ereditato la forza magica, sebbene Odino provi piacere a dilettarsi in certi passatempi femminili di tanto, in tanto…”
Il principe lanciò al padre uno sguardo rancoroso avvicinandosi di poco, “stategli lontano, padre.”
“Vuoi sapere con precisione i motivi per cui ti ho trascinato di fronte al mio trono, giovane Nàl?” Il re prese tra le dite una ciocca di capelli corvini, “tu e la mia amata sposa avete molte cose in comune.”
“Allontanatevi, padre!”
“A parte un’indubbia bellezza,” il re rise, “questo bell’aspetto che ti sei procurato, Odino ci ha messo mesi per poterlo donare a Loki. Sì, Odino, principe di Asgard e tu, piccolo scarto, sempre ammesso che tu lo sia, dici di esserci riuscito con le tue sole forze in un mondo in cui nemmeno l’erede al trono potrebbe ricevere un’educazione magica pari a quelle di un giovane nobile di questo regno.”
Nàl indietreggiò sottraendosi a quella carezza, “che cosa volete da me?!” Urlò.
“In primo luogo,” concesse Borr, “ti voglio lontano dal letto di mio figlio. Non accetterò uno Jotun bastardo  mezzosangue sul mio trono!”
“Padre!” Urlò Odino.
“Mi sembra di avervi già tranquillizzato su questo punto!” Replicò Nàl con rabbia premendo la schiena contro una delle grandi colonne dorate. Il re gli si avvicinò fermandoglisi davanti.
“In secondo e terzo luogo, se stai complottando qualcosa contro di me o il mio regno e se possiedi la conoscenza antica che da mesi cerco di strappare dalla bocca di quella sgualdrina Vanir, ti conviene essere sincero fino in fondo.”
“Non so cosa sia questo Seiðr!” Urlò Nàl, “qualsiasi potere io abbia, lo possiedo dal giorno della mia nascita, non ho nessuna conoscenza che qualunque precettore di magia non sarebbe in grado di spiegarvi!”
Non era mai stato così sincero in vita sua.
Non era mai stato così spaventato in vita sua.
Borr sorrise. Un sorriso viscido, cattivo. Poi, alzò la mano sopra la testa del giovane Jotun, “se è vero che non possiedi nessun potere particolare,” disse afferrando la fiaccola sospesa sopra di Nàl, “allora dimostralo…”
“Padre!” Urlò Odino correndo nella sua direzione. Tutto finì nel giro di un istante.
Nàl gridò ma il fuoco non toccò mai la sua pelle, bensì la fiaccola si spense e cadde a terra ricoperta di ghiaccio, mentre il re collassò sul pavimento coprendosi il viso con entrambe le mani urlando e dimenandosi, come la ragazza di Vanaheim aveva fatto pochi minuti prima.
Loki si avvicinò velocemente seguito da Frigga ma si arrestò di colpo come incrociò gli occhi di Nàl. Il giovane Jotun si era portato le mani al petto in un istintivo gesto di autodifesa, il suo aspetto non era mutato in modo particolarmente visibile ma le iridi che erano state verdi fino ad un istante prima, ora erano scarlatte. Due guardie intervennero prontamente, ignorando i richiami iracondi del principe.
“No, fermi!” Urlò Loki, “no!”
Troppo tardi. Entrambi fecero appena in tempo a toccare Nàl che caddero a terra a loro volta, il primo con un’ustione al braccio sinistro, il secondo al destro. Odino ignorò completamente l’accaduto e corse in direzione del giovane Jotun, “Nàl!”
Loki corse a sua volta, “Odino, no! Non lo taccare! No!”
Ma Odino fece molto di più. Credendo di essere di qualche aiuto, strinse entrambe le braccia intorno al corpo di Nàl facendolo aderire contro il suo petto. Non registrò la prima fitta di dolore lancinante e nemmeno quelle a seguire. Quando Loki lo afferrò per le spalle scaraventandolo a terra nella foga, aveva già trequarti del corpo coperto di ustioni.
“Oden!” Chiamò Frigga terrorizzata inginocchiandosi accanto al principe privo di sensi.
Loki strinse entrambe le braccia dello Jotun spaventato, “Nàl! Nàl! Guardami!”
Ma Nàl non lo ascoltava troppo occupato a fissare i quattro uomini che giacevano a terra per causa sua.
È finita! È finita!
“Laufey…” Mormorò Loki e il principe fu costretto a guardarlo, “calmati! È tutto finito, ora calmati.”
Nàl scosse la testa lentamente.
“Non peggiorare la situazione,” lo pregò Loki prendendogli il viso tra le mani.
“Rinchiudetelo!” Urlò Borr emettendo versi simili a quelli di un animale scannato, “rinchiudetelo, è un ordine del vostro re?”
Le guardie si mossero immediatamente ma Loki si voltò facendo da scudo all’altro Jotun, “se provate a toccarlo, farete la stessa fine!” Li avvertì ma non per gentilezza, “scortatemi, se volete, ma sarò io a condurlo in cella.”
Nàl trattenne il fiato nel sentirle quelle parole e tentò di divincolarsi, ma era troppo scosso e tremante perché potesse avere la meglio. “Non rendere le cose più difficili!” Esclamò Loki, “se vuoi ancora avere una possibilità di uscire da questa situazione vivo, devi fidarti di me e collaborare.”
Nàl si morse il labbro inferiore e chiuse gli occhi con forza, poi annuì debolmente.

[Asgard, oggi.]

Thor non ebbe tempo di chiedere spiegazioni.
“Padre, io…”
Dopotutto, Odino non aveva spiegazioni da dare. Afferrò il figlio per un braccio spingendolo a camminare più veloce, “fai silenzio e continua a seguirmi.”
Thor non si era opposto, ma quando il re aveva imboccato la strada per la torre in cui era rinchiuso Loki aveva puntato i piedi per terra, “che intenzioni avete, padre?” Domandò rabbioso. Uno schiaffo gli arrivò in pieno viso senza preavviso, “non farmi perdere tempo, Thor!” Sbottò il re riprendendo a camminare velocemente.
Thor il dolore alla guancia nemmeno lo sentì, troppo confuso da un simile comportamento da parte del genitore, “perché stiamo andando da Loki?” Domandò correndogli dietro, “che cosa vuoi fargli?”
“Taci!”
Le numerose scale sembrarono essere pochi gradini per la fretta con cui le salirono. Solo una volta giunti sotto la botola che conduceva alla stanza di Loki, Odino si fermò e guardò Thor negli occhi, “tieni a tuo fratello?” Chiese con urgenza.
Thor inarcò un sopracciglio, “cosa?”
“Tieni a tuo fratello?” Urlò Odino, “lo ami davvero come dici di fare? Sei seriamente disposto ad impegnarti per proteggerlo da ulteriori sofferenze e dall’oscurità che cova dentro di sé.”
Thor sbatté le palpebre un paio di volte, poi annuì.
“Devi dirlo, ragazzo!”
“S-Sì…” Era dal giorno del suo esilio due anni addietro che Thor non si sentiva così schiacciato dalla figura di suo padre, così dipendente dalla sua volontà.
“Va avanti tu…”
“Padre, che cosa…?”
“Muoviti, ragazzo!” Odino spinse il figlio sotto la botola e Thor non osò protestare ulteriormente.
Quando il principe fece capolino nella stanca, venne accolto dal sorriso di sua madre e dallo sguardo smeraldino e freddo di Loki che aveva la testa appoggiata sulle sue ginocchia. Frigga capì immediatamente che c’era qualcosa di strano, “cosa c’è che non va, tesoro?”
“Io…” Thor scosse la testa, mentre la figura di Odino emergeva dalla botola mettendo nel panico la regina ed il figlio minore. Loki scattò a sedere sul pavimento e, quando vide che l’unico occhio del re era puntato su di lui, si alzò per nascondersi in un angolo. Frigga si piantò davanti a lui in un gesto di protezione, “che cosa vuoi, Odino?”
Il re si prese un attimo per sospirare e guardò la sua regina con aria improvvisamente tranquilla, “dobbiamo portare Loki via da qui.”
L’interessato sgranò gli occhi verdi stringendosi le braccia intorno al corpo.
“Qual è il motivo di una tale decisione?” Domandò Frigga sospettosa, “sono appena pochi mesi che l’hai rinchiuso in questa torre, non possiamo dargli un po’ di pace?”
“Non ne avrà più se lasciamo che resti ad Asgard!”
“Che storia è mai questa?” Intervenne Thor, “come può esistere un posto più sicuro di…”
“Sta’ zitto, Thor!” Lo interruppe Odino, poi tornò a rivolgersi alla sua regina, “ho paura Frigga ed è solo per questo motivo che ti chiedo di fidarti di me e di lasciare che porti nostro figlio via di qui.”
Loki premette la schiena contro la parete di pietra, come se volesse passarci attraverso e scomparire.
“Mi stai spaventando, Odino…”
“Allora lascia che i nostri timori rimangano tali e permettimi di portare via Loki.”
“Ma padre…”
Odino si voltò verso Thor, ma non lo rimproverò questa volta, “tu andrai con lui,” era un ordine non una richiesta, “te lo affido, figlio mio. Abbia cura di tuo fratello perché se falliamo ora, perderemo anche quelle pallide speranze a cui ci stiamo aggrappando così tenacemente.”
“Padre…!” Thor non capiva.
“Avrai le tue risposte a tempo debito,” concluse il re voltandosi ancora una volta, “ti prego, Frigga. Ti ho tradito molte volte ed in molti modi, ma oggi devi fidarti di me ancora una volta.”
La regina chiuse gli occhi e sospirò, si voltò verso il minore dei suoi figli che la guardò implorante scuotendo appena la testa, si morse il labbro inferiore con forza e si mise da parte.
“Prendilo tu,” comandò Odino al suo erede e Thor annuì avvicinandosi con cautela.
“Loki…” Accennò un sorriso, “lo sai che non permetterei mai a nessuno di farti del male, vero?”
Nonostante la rassicurazione di quelle parole, Loki si dimenò con tutta la sua forza quando Thor tentò di afferrargli un braccio.
“Loki, per favore…”
“Non perdere tempo, Thor,” lo rimproverò suo padre.
“È terrorizzato!”
“Sarà morto, se non lo portiamo subito via di qui.”
Thor guardò suo padre con gli occhi sgranati, “cosa?”
“Mi hai sentito, ragazzo.”
Il principe guardò il fratello minore che ricambiò lo sguardo con due occhi pieni di odio e rabbia.
Tradiscimi ancora!
Dicevano quegli occhi verdi.
Tradiscimi ancora, non sei capace di fare altro!
Thor non sapeva se sarebbe mai riuscito ad imparare a convivere con quel rancore, ma sapeva che non avrebbe mai accettato di vedere suo fratello morire.

***
Varie ed eventuali note:

Gullveig, nel mito viene bruciata viva tre volte nel salone di Odino per poi rinascerne altrettante volte. Si pensa che questo trattamento sia stato la causa dello scoppio della guerra tra Aesir e Vanir.

Ringrazio tutti i commentatori ed i lettori, oggi sono breve per questioni di tempo ma mi auguro che questo capitolo compensi un poco la lentezza del precedente.

Alla prossima!

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Capitolo 10
*** Sangue ***


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IX
Sangue

[Midgard, Tønsberg-Norvegia, oggi.]

“Quindi voi due siete i giovani Odinson?”
La giovane sorrise e a Loki non piacque quel sorriso: era lo stesso che aveva visto per secoli sul viso delle fanciulle che sperano d’infilarsi nel letto di suo fratello.
“S-Sì…” Rispose Thor con una timidezza che non gli apparteneva. La giovane annuì e fissò suo fratello con un’intensità che sfiorava il volgare, peccato che Thor fosse troppo occupato a guardarsi intorno per concederle la ben che minima attenzione, “questa casa è di nostro padre?”
“Certo!” La giovane mortale fece una risatina stridula, forse per sembrare adorabile. Fu abbastanza per strappare a Loki una smorfia annoiata.
“L’agenzia per cui lavoro si occupa di tenerla perfettamente in ordine, nel caso suo padre o altri decidano di risiedervi improvvisamente.”
Loki lanciò uno sguardo ai pavimenti perfettamente lucidi e pensò che, sì, i mortali erano particolarmente bravi in quel tipo di compiti.
“Assomigliate molto a vostro padre, signor Odinson,” commentò la mortale con un sorriso incantato, “siete entrambi due bellissimi uomini, considerando la differenza d’età, s’intende.”
Fu allora che Loki alzò gli nuovo gli occhi e la ragazza incrociò il suo sguardo con casualità, come se non si fosse accorta della sua presenza nella stanza: il sorriso beato che le illuminava il volto sparì nel giro di un istante.
Non era un granché bella: un po’ in carne, decisamente sgraziata sia per fisico che per lineamenti e, probabilmente, tutta la disponibilità che dimostrava era la prova che non riuscisse ad ottenere altro che avventure fugaci dagli uomini. La cosa peggiore fu che Thor arrossì.
Arrossì come non aveva mai fatto nemmeno da adolescente di fronte a fanciulle ben più grandi ed esperte di lui e Loki non poté evitare di sbuffare.
Quel poco bastò per riportare l’attenzione di Thor su di lui ed immediatamente riprese il controllo della situazione, “la ringrazio per l’ottimo lavoro, signorina. Posso avere le chiavi?”
“Oh, certamente!” La ragazza trafficò per breve tempo nella borsetta nera, per poi porgere a Thor due mazzi di chiavi, “ecco a voi! Uno per lei ed uno per vostro… fratello?”
Thor si voltò verso Loki e sorrise, “sì, è mio fratello.”
“Oh…” La ragazza lo squadrò da capo a piedi e Loki si astenne dall’istinto di tirarle il pesante vaso di fiori alla sua destra, “non vi somigliate per niente, devo dire.”
Il giovane Jotun vide chiaramente Thor irrigidirsi di fronte a quel commento così sfacciato, ma l’altro non vi diede particolare peso. No, non si assomigliavano. Non c’era mai stato nulla di simile tra loro, nemmeno da bambini. Era un fatto che Loki aveva imparato ad accettare molto tempo prima di sapere della sua adozione.
“Mi perdoni se sono brusco, ma noi avremmo molte cose da fare e…”
“Oh certo! Certo!” Esclamò la signorina dirigendosi velocemente verso la porta d’ingresso, “non è mia intenzione disturbarvi ulteriormente. Per qualsiasi cosa non esitate a chiamare l’agenzia!”
Loki non le tolse gli occhi di dosso fino a che non fu scomparsa dietro la porta d’ingresso.
Thor sospirò pesantemente, “è andata…”
È più idiota di te, poteva solo andare, pensò Loki concedendosi il tempo per guardarsi intorno a sua volta. La casa era grande, su due piani e con una moltitudine di alte finestre che permettevano alla luce naturale del sole d’illuminarla completamente.
“Tu ne sapevi nulla?” Domandò Thor avvicinandosi a lui, “di tutto questo, intendo?”
Loki scosse la testa e salì i pochi gradini di legno che dividevano l’entrata dal salotto luminoso riscaldato da un camino scoppiettante.
“Perché i nostri genitori non ci hanno mai detto di avere una casa su Midgard?” Domandò Thor seguendolo. Loki non disse nulla: non aveva risposte per tutte le curiosità di Thor e non aveva voglia di formulare ipotesi. Quelle che gli venivano più naturali non erano molto lusinghiere nei confronti di Odino.
Considerando il principe frivolo che è stato in gioventù, probabilmente questo è stato il suo bordello privato dopo essere asceso al trono.
In realtà non voleva pensare fosse vero. Non voleva dover pensare a quello che aveva subito sua madre nei secoli, se fosse stato vero.
Guardò Thor e si chiese cosa sarebbe diventato, se non avesse mai conosciuto il dolore e l’umiliazione. Thor che si comportava così gentilmente con lui, che un anno prima aveva dimenticato tutti gli inganni subiti chiedendogli di tornare a casa, nonostante sapesse chi era, nonostante sapesse cos’era.
Diceva di amarlo comunque, Thor.
Thor che, se solo avesse scoperto la sua vera identità in un altro modo, si sarebbe vergognato al punto di avere uno Jotun per fratello che, nel migliore dei casi, si sarebbe limitato a cancellarlo dalla sua vita. A fingere che non esistesse, riuscendo a dimenticarsene persino, come tendeva a fare da ragazzino.
“Sei troppo piccolo… Sei troppo debole… Sei noioso… Sei diverso… Strano… Sbagliato.”
Su Asgard nessuno accettava la diversità.
Loki non era un figlio maschio capace d’impugnare un’arma e guidare un esercito.
Poteva studiare una strategia d’attacco migliore di quella di molti generali rozzi e assetati di sangue, poteva salvare delle vite con un trattato che avrebbe risparmiato sacrifici inutili, ma questo non aveva importanza.
Loki non era potuto scendere nell’arena ad allenarsi come tutti i fanciulli nobili e questo lo rendeva un debole, un diverso, uno sbaglio. Un oggetto da deridere nel qual caso avesse deciso di far vedere la sua faccia in pubblico.
E Thor l’aveva deriso molte volte. Lui e i suoi maledetti amici.
Aveva imparato a giocare da solo, Loki, quando Thor aveva detto che non poteva portarlo con sé perché non era capace di fare i giochi da grandi. Sua madre era stata benevola con lui, non l’aveva cacciato dalle sue stanze, sebbene i bambini della sua età fossero soliti giocare all’aperto, senza adulti.
Gli aveva detto che avrebbe parlato con Thor, che avrebbe dovuto imparare ad essere meno egoista.
Loki aveva detto di no, perché non voleva nessun amore elemosinato per cui poi avrebbe pagato comunque. Poteva trovarlo da solo un modo per farsi accettare, doveva solo impegnarsi.
Secoli dopo, in fin dei conti, lo stava ancora cercando.
Thor, a modo suo, continuava a ripetergli che non c’era nulla da cercare.
Loki aveva smesso di dar credito alle sue parole da troppo tempo per ascoltarlo.
“Loki?”
Suo fratello non si voltò, troppo assorto nei suoi pensieri. Thor decise di non disturbarlo, di lasciare che si prendesse il suo tempo, ma non per questo gli tolse gli occhi di dosso. Era strano vedere Loki così.
Sua madre gli aveva tagliato i capelli, ma non erano perfettamente pettinati all’indietro come solevano essere prima che quell’incubo cominciasse. Veniva voglia di accarezzarli, ora, liberi da qualsiasi costrizione, un po’ arricciati sulle punte.
Sembrava un bambino, Loki, con quei jeans e quella felpa forse un po’ troppo grandi per lui. Se non avesse avuto quel velo opaco a celare il verde intenso dei suoi occhi, nessuno avrebbe saputo dire che era più vecchio di qualsiasi altro mortale vivente.
Era diverso Loki in quella luce così umana, così naturale.
Thor sorrise e decise che gli piaceva.

Il sogno non era mai uguale ma era sempre lo stesso.
Il balcone era ricoperto da un soffice strato di neve. Al bambino piaceva, perché non poteva sentire il freddo sotto ai piccoli piedini scalzi.
Non aveva motivo di tremare, sebbene indossasse solo una leggere tunichetta bianca. Odino seguiva i suoi movimenti con occhio vigile, un sorriso gli illuminava il viso, mentre il piccolo muoveva alcuni passetti incerti sul manto bianco.
Loki aveva cominciato a camminare tardi, questo lo ricordava.
“Papà…”
Parlare gli era sembrato molto più facile.
Il bambino avvolse le piccole braccia intorno alla sua gamba ed Odino gli accarezzò i capelli dolcemente, “cosa c’è, piccolo?”
Loki indicò la neve ai suoi piedi, poi guardò il genitore con un’espressione interrogativa.
“È neve, tesoro.”
Il bambino stropicciò l’orlo della tunica riflettendo, “Thor…”
“No, Loki, Thor non può venire a giocare con te sulla neve?”
Il bambino non sembrava capire il perché ed Odino non credeva di essere in grado di spiegarlo.
“Vedi, a Thor la neve potrebbe fare male.”
Loki sgranò gli occhi verdi spaventato.
“No, no, a te non può fare alcun male, perché tu sei speciale.”
Loki reclinò la testa da un lato, non era stata un gran spiegazione, ma Odino fu felice di vedere che gli fu più che sufficiente per tornare a giocare. In tutta onestà, Odino si prendeva un colpo ogni volta che vedeva il più piccolo dei suoi figli giocare al freddo e al gelo con solo un misero strato di stoffa addosso, ma sua madre voleva così. Doveva abituarsi, diceva. Doveva imparare a conoscere tutto della propria natura.
Era giusto, senza ombra di dubbio ma questo non bastava a convincere Odino che il suo bambino non poteva prendere un malanno giocando quasi senza indumenti, mentre lui stesso non riusciva a smettere di tremare.
Un tonfo sordo gli fece perdere qualsiasi percezione del freddo o del caldo. Correndo e saltellando, Loki era scivolato ed era atterrato dritto dritto sul piccolo di dietro. Non sembrava versare in brutte condizioni, ma ciò non gli impedì di voltarsi verso suo padre con gli occhi verdi pieni di lacrime.
“No, tesoro, non è successo niente,” mormorò Odino sollevando il piccolino tra le sue braccia e Loki prontamente nascose il faccino contro la spalla singhiozzando disperatamente, “facciamola finita per stasera.”
Riportò il bambino nella grande camera da letto, lo cambiò e lo portò con sè al centro del grande letto, dove Thor li accolse con uno sguardo confuso, “tuo fratello è caduto,” spiegò Odino sedendosi contro i cuscini e il suo primogenito gli si accoccolò subito accanto, mentre Loki aveva smesso di singhiozzare ma non ne voleva sapere di staccarsi da lui.
Odino appoggiò il piccolo Jotun sulle sue ginocchia per poterlo guardare negli occhi. Loki teneva lo sguardo basso ed un pollice in bocca, “che devo fare, con te?” Mormorò il genitore tirando indietro la frangia di capelli corvini, “che devo fare?”

“È troppo tardi per chiederselo…”
Odino chiuse gli occhi sospirando profondamente, prima di rispondere, “a che gioco stai giocando?”
“Nessuno,” mormorò il giovane con i capelli corvini avvicinandosi al letto, “sto solo facendo il mio dovere.”
“Loki non è più qui,” rispose l’Aesir stringendo di nuovo il bambino più piccolo tra le sue braccia e voltandosi in direzione dell’intruso.
“Lo so…”
“Che cosa vuoi?”
Laufey gli rivolse un sorrisetto sarcastico, “hai idea della volte che ho interferito con la tua mente da quando il tuo piccolo bastardo mi ha… Per così dire… Ucciso?”
“Ho cominciato a contarle dopo quel che è successo la notte scorsa.”
“Ma che bravo, allora non ti sei del tutto rimbambito, Odino,” Laufey si sedette sul bordo del letto allungando una mano per accarezzare i capelli di Loki, ma l’altro gli afferrò il polso prima che potesse anche solo sfiorarlo.
“Ti conviene cominciare ad essere sincero.”
“Altrimenti?” Il tono dello Jotun era derisorio, “non puoi raggiungere Jotunheim, è troppo lontana e comunque non saresti in grado di andare e venire indisturbato come nel mondo in cui hai spedito i tuoi mocciosi.”
“Se Jotunheim è troppo lontana per me. Midgard è troppo lontana per te.”
“Te l’ho già detto, Odino. Non provo interesse per Loki fin tanto che se ne sta lontano da me.”
“Perché? Hai paura di quello che potrebbe farti se scoprisse che hai ancora il potere di giocare con me e con lui anche dal regno dei morti?”
Laufey rise, “chi lo dice che sono morto?”
Odino aprì la bocca ma non replicò.
“Cosa?” Lo Jotun scosse la testa, “sono stato figlio di un padre crudele, prima che Loki nascesse, Odino.”
“No, no, no… Io c’ero… Io…”
“Sembri confuso…”
“Ti hai disintegrato proprio accanto a questo letto, maledizione!”
“Allora non mi stai ascoltando,” Laufey allungò le braccia per afferrare Loki e, questa volta, Odino non glielo impedì. Il sorriso dolce che lo Jotun rivolse al suo bambino  fu come veleno.
“Tuo padre ha ragione,” mormorò Laufey accarezzando i capelli corvini di Loki, “mi assomigli davvero molto, lo sai?”
Loki lo guardò timidamente, “papà?”
“Oh no, amore mio, io non sono il tuo papà e non lo è nemmeno il bugiardo qui accanto.”
“Falla finita, Laufey…”
“Tu non li hai dei genitori, Loki.”
“Smettila immediatamente!”
“I bambini morti non ne hanno…”

[Asgard, secoli fa.]

“Non devi rimanere qui...”
“Stai zitto,” sebbene la risposta fosse brusca, Loki gli passò una mano tra i capelli con fare amichevole.
“Odino starà male,” lo informò Nàl continuando a fissare il muro scuro della cella, “starà molto male e tu non sarai lì. Chiederà di te e lo sai.”
“C’è Frigga con lui,” rispose l’altro Jotun continuando a fissare il vuoto di fronte a sé, “ci sono i curatori, Eir saprà cosa fare. È il principe ereditario, sanno tutti cosa fare.”
“Anche io sono un principe ereditario,” mormorò Nàl accovacciandosi ancora di più sul giaciglio di paglia che era il suo nuovo letto, “scommetto che il re sa bene cosa fare di me.”
Loki era seduto dietro di lui da ore, non lo aveva lasciato solo nemmeno per un istante.
Da cosa gli venisse tutta quella gentilezza, Nàl non lo capiva.
Erano complici ed era nato una sorta di cameratismo tra loro, ma, a quel punto, non riusciva proprio a comprendere che cosa lo spingesse a rimanergli accanto anche ad un istante dalla fine.
“Non hai nessun obbligo nei miei confronti, Loki.”
“Piantala…” Un’altra carezza convinse Nàl che l’altro non se ne sarebbe andato.
“Sei uno stupido.”
“E tu sei un bugiardo…”
“Questo lo sapevi fin dall’inizio,” replicò Nàl voltandosi per guardarlo dal basso in alto, “non puoi rivolgermi una simile accusa.”
Loki gli concesse un mezzo sorriso, “hai ragione, ma ora ho bisogno che tu sia sincera con me.”
“Perché? Perché tu possa confermare quel che quella puttana ha detto di aver visto?”
“Se avessi voluto condannarti, Nàl, l’avrei potuto fare fin dal tuo primo giorno qui.”
Il principe di Jotunheim non rispose continuando a fissare l’insperato amico aspettando che gli ponesse la domanda che più gli interessava.
“Era Fàrbauti, vero?”
Nàl chiuse gli occhi e, sospirando dolorosamente, tornò a rivolgere la propria attenzione al muro.
“Cosa ti ha detto per averti fatto tanto male, Nàl?”
“Gli ho lasciato intendere che Odino mi aveva toccato,” mormorò il principe con voce appena tremante, “era vero, ma ho voluto che fraintendesse, che vedesse nelle mie insinuazioni una verità più seria dei fatti reali.”
Loki annuì, sebbene l’altro non lo stesse guardando.
“Lo ha accettato…”
Loki inarcò le sopracciglia e abbassò gli occhi sull’altro Jotun, “cosa?”
“Lo ha accettato,” ripeté Nàl con un sorriso amaro, quando avrebbe tanto voluto mettersi a piangere come un bambino. Non poteva dire altro a Loki, non poteva dirgli che il suo compagno era orgoglioso dell’idea che aprisse le gambe per il principe nemico perché così dimostrava totale devozione alla loro causa.
Non poteva, sì, ma non aveva importanza.
Non era necessario spiegare i dettagli per capire il motivo della suo dolore.
La delusione nel capire che nemmeno la persona che più amava nell’universo era disposta a combattere per lui.
“Ti voleva con sé comunque?”
“Sì…”
“Allora perché lo hai cacciato?”
“Perché non lo voglio più io…”
Perché voglio un compagno che sia mio.
Perché non voglio uno schiavo che appartiene a mio padre.

Borr poteva essere un tiranno, ma non era tanto folle da anteporre se stesso alla vita di suo figlio.
Se erano necessari tutti i guaritori del palazzo per salvare Odino, che così fosse.
Se questo significava che nessuno avrebbe pensato a curare l’ustione sul suo viso abbastanza in fretta perché non vi rimanesse segno, avrebbe accettato di convivere con un volto sfregiato per il resto della sua vita.
Il suo aspetto non aveva la ben che minima importanza.
La vita di Odino ed il futuro di Asgard non conoscevano prezzo.
Ciò nonostante, il re non si era avvicinato al letto del figlio nemmeno per un istante. Poco importava, se Odino aveva urlato fino a non avere più voce, se aveva pianto fino a allo stremo.
Già, la sua creatura stava agonizzando per rimanere in vita e Borr se ne era rimasto in disparte a guardare, senza che il suo viso tradisse la ben che minima emozione.
Frigga, al contrario, aveva dimostrato una forza ed un coraggio che nemmeno la metà dei soldati di Asgard avrebbe saputo eguagliare. Aveva preso tra le sue una mano di Odino, quella ancora sana ed era rimasta a stringerla per tutte le ore che ci erano volute a strapparlo dal pericolo di una morte atroce.
Non si era allontanata neanche per un istante, nemmeno quando aveva giurato che si sarebbe strappata le orecchie pur di non sentirlo più urlare in quel modo, nemmeno quando aveva chiuso gli occhi per non dover vedere l’espressione contorta dal dolore del principe.
Non aveva pianto, non aveva smesso di rassicurare Odino con parole gentili nemmeno quando lui era giunto ad un stato di sofferenza tale da essere folle. Aveva retto per tutta la notte, Frigga e non aveva mostrato segni di cedimento neanche per un secondo.
Non si era mossa, quando Odino aveva perso i sensi e tutti i guaritori si erano ritirati.
“Frigga?” Eir si avvicinò quasi timidamente appoggiandole una mano sulla spalla, “non puoi distruggerti anche tu,” le mormorò accarezzandole i capelli biondi.
“È fuori pericolo?” Domandò lei fissando il volto stremato di Odino, ora libero dalla tortura del dolore.
“Frigga…”
“È fuori pericolo?” Domandò nuovamente la fanciulla non riuscendo a trattenere un singhiozzo, “dimmi che è fuori pericolo e me ne andrò, Eir! Te lo giuro, non mi vedrai qui fino a domani, ma devi assicurarmi che quando tornerò, lo troverò vivo, sveglio e con quell’insopportabile sorriso stampato in faccia, perché… Perché…”
“Puoi piangere ora, tesoro,” la rassicurò la guaritrice allontanando la mano di lei da quella di Odino. Frigga strinse le labbra ma non riuscì a trattenere il gemito di dolore che bloccò Eir di colpo.
La guaritrice esaminò la piccola mano con estrema cura, “Frigga…”
“Sto bene, Eir.”
“No che non stai bene! Ti ha rotto la mano!”
“Con un dolore simile…”
“Oh, perché non hai detto nulla?”
“Mi avreste portata via,” fu la semplice risposta, mentre Frigga alzava gli occhi sull’uomo che era rimasto seduto nell’ombra a diversi metri di distanza. Borr, il loro re, il sovrano che si vergognava di dover riconoscere come il proprio.
“Sii sincera con me, Eir. A che cosa dobbiamo prepararci?”
La guaritrice chiuse gli occhi e sospirò profondamente, sapeva che se avesse mentito, Frigga lo avrebbe capito immediatamente. Non era una stupida, tantomeno un’ingenua e sapeva che l’avrebbe odiata se avesse tentato di nasconderle la verità.
“Non siamo riusciti a curare le ustioni…”
“Questo lo vedo,” mormorò Frigga fissando il giovane mezzo nudo che giaceva sfinito sul letto. Quel corpo, una volta perfetto, ora era corroso da delle ustioni blu e nerastre che sembrava lo stessero divorando minuto, dopo minuto.
“Lo abbiamo tranquillizzato con un incantesimo che gli impedisce di sentire dolore. È temporaneo e… È solo un trucchetto per prendere tempo quando non si sa che cosa fare.”
Frigga cercò di mantenere la calma, “non è la prima volta che avete a che fare con queste ustioni.”
Eir annuì, “quello che non ci dicono, Frigga, per non creare il panico o per lasciarci credere che, essendo delle divinità per i mortali, non abbiamo limiti è che per le ustioni superficiali con cui tornano i giovani dall’arena di Jotunheim siamo completamente preparati ma…”
“Ma?”
“Questo è quello che è in grado di fare uno Jotun quando attacca, quando lo fa sul serio, non per un duello come tanti. Uno Jotun che attacca in questo modo, è uno Jotun che vuole uccidere.”
“Prima dell’alleanza…” Mormorò Frigga, mentre alcune lacrime le bagnavano il viso, “c’erano soldati che tornavano versando in queste condizioni?”
“Mia madre mi ha detto di sì.”
“Quanti di loro sopravvivevano?”
“Nessuno…”
Frigga si morse il labbro inferiore con forza. Avrebbe voluto urlare, avrebbe voluto imprecare contro il re e contro la follia che aveva dimostrato  di possedere nella sua stessa sala del trono. Avrebbe voluto chiedere di Loki, avrebbe voluto chiedere di Nàl ma sapeva che nessuno le avrebbe risposto sinceramente.
Se il fratello del principe non era tornato, c’era ancora speranza che Nàl fosse vivo, ma se le guardie lo stavano torturando come…
Frigga scosse la testa e se la prese tra le mani: non voleva pensarci, non poteva pensarci.
“Seiðr…”
Quell’eco la investì come un’onda improvvisa.
“Non ci resta che sperare, Frigga,” ora anche Eir piangeva ma l’altra non udì le sue parole.
“Compio quel rituale col fuoco tre volte al giorno da mesi ed ogni volta, Gullveig sboccia di nuovo in tutta la sua bellezza sotto i miei occhi, come se il fuoco non l’avesse mai toccata.”
Frigga alzò lentamente lo sguardo.
“Il Seiðr è la magia più potente dell’universo.”
I suoi occhi incrociarono l’unico con cui Borr poteva rispondere al suo sguardo. Il solo che gli era rimasto, dopo l’attacco di Nàl.
“Vuoi sapere con precisione i motivi per cui ti ho trascinato di fronte al mio trono, giovane Nàl?”
Frigga s’issò in piedi con rabbia facendo trasalire la giovane guaritrice accanto a sé, “che cosa state aspettando?” Sibilò con rabbia ed Eir la fissò confusa.
Borr capì immediatamente che quella domanda era rivolta a lui, ma non diede segno di voler rispondere.
“Rispondetemi!” Urlò Frigga facendo il giro del letto per avvicinarsi al sovrano.
“Frigga!” La richiamò Eir terrorizzata, “Frigga, non ti rendi conto chi è l’uomo a cui ti rivolgi con un tono simile?”
“Lo so benissimo, Eir,” rispose lei senza distogliere lo sguardo dal volto sfregiato del re, “e che si senta libero di punirmi perché da me non ne sentirà uno diverso.”
“Frigga…”
“Ti conviene dar ascolto alla tua amica, mia cara,” l’avvertì gentilmente il re rivolgendole l’ombra di un sorriso, “troppe persone si sono già fatte male, in un solo giorno.”
“Non potete interpretare il ruolo del re benevolo dopo la dimostrazione di abuso di potere che ci avete mostrato quest’oggi.”
Eir si alzò in piedi allarmata, “Frigga, per favore, non peggioriamo la situazione.”
“Volevate metterlo alla prova?” Domandò Frigga con rabbia, “eravate disposto a torturare un innocente per mettere alla prova i suoi poteri. Che cosa aspettate ad implorarlo di salvare vostro figlio?”
Borr rise sarcastico, “sei pazza, ragazzina, se pensi che lascerò che quel mostro tocchi il mio erede anche solo con un dito, dopo che lo ha ridotto in quello stato.”
“Voi lo avete ridotto in quello stato!” Urlò Frigga e Eir si portò una mano alla bocca per far tacere il suo sgomento, “Nàl non ha mai mosso un dito contro di noi, tantomeno contro Odino. Se avesse voluto farci del male, avrebbe potuto farlo in qualsiasi momento! L’unico motivo per cui vostro figlio giace in quel letto è perché avete messo a repentaglio la vita di una creatura che si è difesa nell’unico modo che conosce!”
“Mi accusi di aver attentato alla vita di mio figlio, giovane?”
“Vi accuso di essere un tiranno, un torturatore e di molte altre cose, mio signore,” ammise Frigga con una naturalezza che lasciò il sovrano senza parole, “non lasciate che vi accusi dell’omicidio di vostro figlio, vi prego.”
Borr abbassò gli occhi: non ci sarebbero state conseguenze per quella giovane, era la lealtà verso suo figlio che la spingeva a parlare e, come padre, come re, non poteva che essere grato che Odino vantasse di una simile alleata tra la nobiltà di Asgard.
“Apprezzo il tuo coraggio, lady Frigga,” disse quasi con gentilezza, “il re che accetterà la vostra sincerità, avrà molte più possibilità di diventare un grande sovrano.”
“Non vi sarà nessun grande sovrano, se non agite ora…”
“Il giovane Nàl non lascerà la sua cella fino a che non avrò deciso come punirlo.”
“Allora Odino morirà,” Frigga piangeva, ma la sua voce era ferma e crudele, “il nostro amato Odino morirà e guardatevi dal voler condannare Nàl per questo, perché nemmeno una sua condanna a morte potrà mai cancellare la verità… Ricordate, mio re, è stata lo vostra volontà ad uccidere vostro figlio.”

[Midgard, Tønsberg-Norvegia, oggi.]

C’era uno svariato numero di camere al piano superiore, ma solo due erano arredate.
Thor aveva deciso autonomamente che ne avrebbero usata una sola.
Non c’era niente che potesse convincerlo a lasciare Loki da solo, anche se si trattava di una stanza a meno di due metri di distanza dalla sua.
Aveva controllato gli armadi e li aveva trovati pieni di vestiti adatti ad ogni occasione. Thor ne capiva abbastanza per sapere che una singola moneta d’oro di Asgard poteva valere una fortuna secondo i metri e le misure dei mortali, ma non capiva il motivo per cui i suoi genitori si era impegnati tanto.
In così poco tempo, oltretutto!
Suo padre non si era azzardato a dargli alcuna spiegazione ed il modo frettoloso in cui si erano congedati aveva impedito a Thor d’indagare oltre. Da parte sua, Loki non sembrava nutrice alcun sospetto o, meglio, il ben che minimo interesse riguardo all’intera faccenda.
Qualcosa frullava nella testa di suo fratello, senza dubbio ma Thor non aveva i mezzi per capire di cosa si trattasse. Suo fratello non aveva fatto grandi cose durante la loro prima giornata nella nuova casa, se ne era rimasto sul divano del salotto a fissare la foresta e le montagne innevate al di là della finestra in silenzio.
Sempre e comunque in silenzio.
Thor non aveva parole per esprimere quanto quella situazione lo rendesse frustrato.
Col tempo ci si abitua anche alle cose peggiori, dicevano gli uomini di gran lunga più vecchi di lui.
Thor sapeva che se Loki non avesse ricominciato a parlare di sua volontà, si sarebbe ritrovato a passare le sue giornate a cercare un modo perché questo accadesse.
“Tieni,” aveva detto a metà giornata porgendogli il diario, dopo che la totale inattività di Loki aveva cominciato seriamente a preoccuparlo, “se non vuoi avere niente a che fare con me, almeno leggi.”
Dammi prova che sei vivo, prima che cominci a venire da te ogni ora per assicurarmi che respiri ancora.
Loki aveva accettato l’offerta di buon grado, ma, dopo poche ore, Thor lo aveva ritrovato con lo sguardo perso nel vuoto ed il diario appoggiato sul divano accanto ai suoi piedi.
“Lo so, il nonno non era un gran bella persona,” commentò Thor nella speranza di dare inizio a qualche tipo di conversazione, “nostro padre non è così, ne sono lieto.”
Loki non aveva nemmeno voltato lo sguardo, come se suo fratello non fosse seduto accanto a lui e non lo stesse guardando dritto in faccia.
“Io non lo giustifico per quel che ti ha fatto…” Mormorò Thor, ma Loki non sembrare poter udire nessuna delle sue parole, “non giustifico nemmeno me stesso, se ti fa piacere saperlo. Sarei dovuto scendere in quelle prigioni il giorno dopo della tua condanna, avrei dovuto portarti via allora. Avrei dovuto disubbidire agli ordini del re, avrei dovuto distruggere mezzo palazzo, se necessario. Perché dovevi pagare, sì, dovevi farlo, ma prima dovevo sapere… Dovevi parlarmi del giorno in cui ho cominciato a sbagliare…”
Fu allora che Loki allontanò gli occhi dal paesaggio esterno per incrociare quelli di suo fratello.
“Ogni tuo crimine è anche mio, Loki, come lo è di nostro padre. Lui forse può negarlo a me, di sicuro non è tanto folle da negarlo a se stesso. Io te lo confesso, perché… Perché io sono così, lo sai.”
Sei un idiota, ecco quello che so.
So che dovevi pagare, ma non avrei mai voluto vederti soffrire.”
Gran bella contraddizione, Thor.
“Sono contradditorio, lo so,” rise lui.
Che bravo! Conosci il significato di quella parola…
“Io…” Thor si passò una mano tra i capelli frustrato, “io non so cosa devo fare, Loki,” confessò alla fine, “mi chiedo se la punizione che hai subito sia stata sufficiente, mi chiedo se sia stata giusta. Mi rispondo che un processo per difenderti dovevano pur concedertelo. Ho detto ai Vendicatori che avresti affrontato la giustizia di Asgard, un secondo prima ti ho pregato di tornare a casa e due giorni dopo ti ho implorato di combattere al mio fianco. Sapevo che avevi un prezzo da pagare, sapevo che era giusto… Poi ho pensato… E Loki? Cos’ha da dire, Loki? Nessuno di noi lo ha mai ascoltato, nessuno di noi sa cosa gli stia accadendo dentro, nessuno… Ha cercato di distruggere Jotunheim, sta cercando di conquistare Midgard, ha tentato di uccidere me… Ma perché? Non volevi il trono, volevi essere mio pari… Non è una risposta sufficiente, dice tutto ma, in realtà, non spiega niente. Ho cercato di capirti, Loki, mi sono messo nei tuoi panni ed ho immaginato come mi sarei sentito io al tuo posto…”
Gli occhi di Thor erano lucidi, quelli di Loki erano rimasti freddi ed impassibili per tutto il tempo.
“E non ci sono riuscito,” lo disse come un guerriero che accetta la sconfitta dopo una lunga, epica battaglia, “non sono riuscito a capirti e, probabilmente, non ci sono mai riuscito, solo che non ho mai voluto provarci. Lo credevo inutile. E tutti intorno a noi non fanno altro che dire è tuo fratello, non è tuo fratello, è un criminale, è una vittima, è un folle che non sa quel che sta facendo… Sei il compagno di tutta la mia vita, Loki ed io non so più chi sei e la cosa che mi fa più male è pensare che, probabilmente, non l’ho mai saputo.”
Thor non sapeva che cosa si aspettava, aveva previsto che si sarebbe fatto male, ma era sempre stato troppo stupidamente sincero ed ottimista per perdere le speranze e pensare che aprire completamente il suo cuore fosse inutile.
Già, stupide ingenue speranze.
Loki scosse appena la teste, mentre le sue labbra si piegavano in un sorrisetto sarcastico che fece più male delle lance di un intero esercito. Si alzò dal divano, come se non avesse udito una singola parola di quella discussione e se ne andò.
Loki, però, non aveva calcolato una cosa prendendo la via di quell’uscita di scena.
Non aveva calcolato che Thor, per quanto gli ultimi avvenimenti lo avessero, per così dire, mitigato, era pur sempre Thor.
C’era un basso tavolinetto di vetro al centro del salotto.
Loki a stento vi aveva fatto caso, ma lo riconobbe immediatamente quando lo sfiorò, per poi infrangersi in mille pezzi contro il muro di fronte a lui.
Loki non aveva calcolato che, una volta visto il lampo è solo questione di attimi, prima che si oda il tuono.
Si voltò con naturalezza, come se fosse perfettamente in grado di affrontare l’ira che presto gli si sarebbe scagliata contro. La pioggia cominciò a battere sui vetri delle grandi finestre, mentre un fulmine cadeva lontano, tra gli alberi della foresta.
“Che cosa vuoi che faccia?” Domandò Thor con voce incredibilmente tranquilla, “Che cosa vuoi che faccia, Loki, dimmelo?”
Thor mosse un passo in avanti, Loki non si mosse affatto.
“Cos’altro vuoi da me?!” Sbottò, infine. Un tuono fece tremare violentemente i vetri, ma Loki era stato vittima e complice di troppi orrori per tradire anche il più flebile timore.
“Smettila di guardarmi in quel modo e rispondimi!”
Non ti devo alcuna risposta, dio del tuono.
“Rispondimi, maledizione!”
Alza il tuo martello su di me, se ci tieni tanto. Con solo le tue minacce ed i tuoi fulmini non puoi piegarmi.
“Piantala di nasconderti dietro quel tuo silenzio codardo!” Thor lo afferrò per le spalle sbattendolo contro il muro. Loki non reagì, non aveva più il potenziale necessario per farlo, ma nei suoi occhi verdi c’era tutta la violenza di anni ed anni di rabbia incatenata nell’oscurità di un cuore che, pieno di schegge com’era, si era frantumato al primo urto troppo brusco: una menzogna lunga una vita intera.
Thor portò una mano dietro al suo collo tirandogli i capelli mentre premeva la fronte contro la sua, “parlami…”
Prova a supplicarmi come il cane che sei e potrei prendere la cosa in considerazione!
“Parlami, Loki!”
Il principe perduto chiuse gli occhi e si morse il labbro inferiore con forza, fino a farlo sanguinare.
“Vuoi essere mio pari?”
No, non mi accontento più di così poco. Quel tempo è finito…
“Allora dammi qualcosa di tuo…” Sibilò Thor, la sua voce tremava, come il resto del corpo, “ho avuto pazienza, ho cercato di esprimere in parole tutto ciò che avevo dentro. Ora è il tuo turno!”
Non ci sono parole, ci sono solo ricordi e non sono tuoi! Non potrai mai capire, perché non potrò mai raccontartelo a parole!
Quando avvertì il sapore del proprio sangue in bocca, Loki spintonò Thor via con forza ma non servì a niente.
Thor rise, “vuoi combattere, Loki?” Domandò, “vuoi combattermi, vuoi sconfiggermi, vuoi dimostrare di essere più forte!”
Loki mise tutto il peso del suo corpo nel secondo tentativo di liberarsi, fu inutile.
“Mettici tutta la rabbia che hai, Loki! Sfogati, avanti! Colpiscimi! Fammi male! Dimostrami quanto sei forte, avanti!”
Loki urlò. Qualcosa si sprigionò da lui, qualcosa che non era affatto familiare, qualcosa che allontanò Thor da sé facendolo cadere a terra. Non sapeva quello che aveva fatto, ma quando abbassò lo sguardo seppe che, per un istante, la sua pelle aveva assunto un’inquietante sfumatura blu.
Un momento dopo, il fragore del temporale venne soppiantato dalle urla di dolore di Thor.

[Asgard, secoli fa.]

“Rischiamo entrambe di essere giustiziate in questo modo,” mormorò Eir tremando appena.
“Puoi benissimo tornartene nella camera della guarigione, se preferisci,” disse Frigga con un sorriso benevolo, “ma non perdere tempo a convincermi a seguirti.”
Eir sospirò pesantemente, “che cosa ti da tanta fiducia nel fatto che non ci saranno conseguenze tragiche?”
“Semplice,” rispose la fanciulla con un sorrisetto, “perché Nàl può salvare Odino e, se lo fa e tutto va bene, nessuno si ricorderà di noi, il nostro principe sarà salvo ed un innocente tornerà ad essere libero.”
“Perché sei così convinta che Jӧrd abbia mentito?”
“Perché è una puttana?” Domandò di rimando lei.
“Frigga, per l’amor del cielo, sei una signora!”
“Mai stata e mai lo sarò. Non come tutte le altre almeno…”

“Vorrei sapere come hai fatto a convincere le guardie a farti passare, ma ho seriamente paura della risposta,” disse Loki con un mezzo sorriso aprendo la porta della cella per far entrare le due fanciulle. Nàl si alzò immediatamente in piedi nel riconoscerle, “Frigga?”
Lei sospirò e sorrise sollevata, “stai bene…”
Lo Jotun annuì confuso.
“Possiamo sbrigarci, Frigga?” Domandò Eir con una nota di agitazione, “non so quanto la nostra scusa possa valere.”
“Quale scusa?” Chiese Loki decisamente curioso.
“Serve la collaborazione di uno Jotun per curare delle ustioni provocate da uno Jotun, mi sembrava un piano più che logico.”
“O una bugia…” La corresse Loki, “ho paura di sapere come educherai i tuoi figli, quando diventerai madre.
Se diventerò madre,” replicò lei, “questo regno deve smetterla di dare per scontate certe cose!”
“Frigga!” La richiamò Eir.
La fanciulla sbuffò e si avvicinò a Nàl in tutta fretta, “Odino sta male, molto male,” mormorò a voce abbastanza bassa perché Loki non potesse udirli.
Nàl annuì, “sì, lo so.”
“Tu sai come curare quelle ustioni, vero?” Domandò Frigga speranzosa.
“Non mi hanno educato per farlo,” ammise Nàl e la giovane sgranò gli occhi atterrita, “ma sei stai chiedendo a me e non a Loki, che non differisce da me in questo, devo dedurre che non sia per una semplice questione di tatto, dico bene?”
Frigga sospirò e si voltò verso la complice e l’amico, Eir era troppo agitata per intercettare il suo sguardo, ma Loki non se lo fece sfuggire.
“Non credo che i poteri di Loki siano sufficienti,” sussurrò Frigga, “non sono bastati quelli dei curatori più potenti di tutta la corte, Nàl.”
Lo Jotun sospirò pesantemente, “sei stai parlando del Seiðr, io non so davvero che cosa sia…”
Frigga si morse il labbro inferiore e afferrò la mano del giovane Jotun in segno di supplica, “va bene, Nàl. Non pretendo che tu abbia successo, ma c’è una cosa che il re ha detto che non riesco a togliermi dalla testa.”
Nàl annuì dando segno che l’ascoltava.
“Se nel sangue della regina vi era un simile potere, Odino deve averne almeno un po’, ma Borr non ha mai voluto che suo figlio fosse educato alla magia. Quel che Odino sa fare, lo ha imparato da autodidatta…”
Nàl sbuffò, “tortura chiunque gli capiti sotto mano, quando potrebbe semplice tentare con…”
“Lo so!” Esclamò Frigga con urgenza, “è un bastardo, non lo nego, non lo negherò mai ma prendiamo per ipotesi che Odino abbia quel potere e che debba solo essere risvegliato…”
“Ti seguo.”
“Prendiamo per ipotesi che lo abbia anche tu.”
“Nel sangue, ha detto Borr…”
Frigga annuì con un sorriso stampato in faccia, “sì, Nàl, nel sangue…”
Lo Jotun la guardò per un lungo istante di silenzio esaminando la questione nei dettagli.
“Se Odino ha quel potere e tu potessi risvegliarlo…”
“… Il suo corpo guarirà da solo come è successo per quella fanciulla Vanir.”
Frigga annuì con più vigore, “e se non lo ha, ma lo hai tu, dovrebbe andare nello stesso modo.”
Nàl scosse la testa, “se quel potere è nel mio sangue e non nel suo, nessuno ci assicura che le conseguenze saranno positive, la magia è una cosa infima e pericolosa se…”
“Lo so,” Frigga strinse la mano dello Jotun contro il suo petto, “e so che se quel potere non fosse in nessuno di voi, non cambierebbe niente e Odino… E Odino…”
Nàl le appoggiò una mano sulla guancia, “anche io sono condannato comunque…”
“Se lo salvi, il re non potrà rimanere cieco.”
“Non è detto…”
“Te lo garantisco, Nàl. Se salvi Odino e Borr non ti concede alcuna grazia, farò in modo che l’intera corte sappia e si scandalizzi per un simile comportamento. Un re che perde il rispetto del suo popolo, è come un morto che cammina.”
“E se non ci riesco, Frigga?” Domandò Nàl, “se fallisco.”
Frigga gli rivolse un sorriso complice, “allora ci terremo per mano, mentre cammineremo verso il patibolo.”
E di fronte a tanto carisma, Nàl non poté evitare di ricambiare il sorriso.
Strane creature queste femmine…

[Midgard, oggi.]

Vuoi che ti mostri il mio dolore, Thor?
Gli occhi azzurri si aprirono di colpo ed il corpo scattò immediatamente in avanti, senza motivo.
“No! No! No!” Esclamò Frigga afferrando il figlio per le spalle e spingendolo a riadagiarsi sul materasso, “hai avuto la febbre tutta la notte, devi riposare!”
“M-Madre?” Chiamò guardandola come se fosse un’estranea.
“Sì, Thor, sono io,” lo rassicurò lei con un sorriso sedendosi sul bordo del letto per evitare che tentasse altri colpi di testa, “come ti senti, tesoro?”
“Dolorante,” ammise passandosi una mano sul petto, “che è successo?”
Frigga abbassò lo sguardo, “Heimdall ha perso il contatto visivo con voi per pochi minuti. Stavate litigando, poi il nulla, un istante dopo ti ha visto che giacevi dolorante a terra e Loki era sparito.”
Thor sgranò gli occhi, “sparito? Come sparito?!”
“Tuo padre è già sulle sue tracce, non andrà lontano,” lo tranquillizzò Frigga passandogli una mano tra i capelli, “ha usato i suoi poteri da Jotun e ti ha ustionato il petto.”
La voce di Frigga tremava, ma nella sua espressione, Thor non vi trovò lo stesso sgomento che provò lui, “come?” Domandò a mezza voce prima di sollevare l’orlo della maglietta per controllare lo stato in cui versava il suo corpo.
“Tuo padre ti ha curato in tempo,” raccontò Frigga, “non porterai nessun segno di quell’ustione, stai tranquillo.”
Thor si passò una mano sulla petto roseo e scolpito, perfetto. “Non ricordo nulla…”
“Lo so,” Frigga sorrise, “molti guerrieri tornati dalla guerra nelle tue condizioni lo dicevano, una volta guariti. Per quel che mi riguarda, proverò a convincere vostro padre a riportarvi a casa…”
“No! No! No! Madre, aspettate!”
“È chiaro che non puoi prenderti cura di Loki da solo, Thor,” replicò la regina.
“Siamo rimasti qui appena un giorno, sono stato io a cominciare col piede sbagliato, Loki avrebbe… Se non avessi parlato a vanvera, Loki avrebbe passato tutto il tempo a guardare fuori da quelle maledette finestre!”
“Heimdall ci ha raccontato del dialogo che avete avuto…”
“Non è stato un dialogo, ho parlato solo io!” La corresse Thor, “la responsabilità è solo mia. L’ho sfidato io!”
Una porta che sbatteva al piano di sotto, li avvisò che non erano più soli in casa. Frigga fissò suo figlio con uno sguardo d’avvertimento, Thor ricambiò con uno dispiaciuto, prima di alzarsi di colpo dal letto.
“Thor! Fermati, Thor!”
Troppo tardi, Thor era già a metà della rampa di scale che conduceva al piano di sotto, quando Loki venne scaraventato contro il muro sotto i suoi occhi.
“Che cosa avevi intenzione di fare?” Urlò suo padre fuori dal suo campo visivo, “rispondimi, piccolo bastardo! Che cosa avevi intenzione di fare?”
Thor si buttò di fronte a suo fratello senza pensarci.
Odino era a poco più di mezzo metro da lui, “che cosa stai facendo, Thor?”
“Ti prego, padre…”
“Levati di torno!”
Odino fece per afferrarlo, ma Thor fece un passo indietro facendo aderire la propria schiena contro il petto di Loki che si ritrovò incastrato tra il muro ed il corpo del fratello maggiore. Thor decise che quella era la posizione più strategica per cercare di parlare, “è stata colpa mia, padre…”
“Fai silenzio!”
“L’ho incitato io ad attaccarmi!”
“Un ottimo motivo per cui ora te ne torni a casa e lasci il resto a me, Thor!”
“Io non mi muovo di qui!”
“Non c’è niente che tu possa fare per lui, Thor!” Sbottò Odino al massimo della rabbia, “non importa quanto ci provi! Non migliorerà mai, può solo peggiorare, fino a che l’oscurità e la distruzione non saranno le uniche cose in grado di tenerlo vivo, proprio come suo padre!”
Frigga, in cima alla scale, si sentì mancare nel sentire il marito pronunciare parole simili.
Thor sgranò gli occhi irrigidendosi di colpo, non ebbe il coraggio di voltarsi e guardare l’espressione sul viso di Loki.
“Sono creature maledette per natura, Thor…”
“Padre…”
“E se non imparerai a combatterlo, trascinerà la tua anima nella sua oscurità!”
“Basta!”
L’intero mondo gelò.
Odino fissò Thor, ma sapeva che non era stato il suo primogenito ad urlare.
Frigga si portò una mano alla bocca.
Thor si sentì mancare e non seppe dove trovò la forza di rimanere in piedi.
“Siate maledetti,” mormorò la voce alle sue spalle, “tutti… Tutti voi, nessuno escluso! Siete voi la mia oscurità! Mi avete fatto sentire un fallito, quando gli unici perdenti eravate voi perché, pur avendomi salvato, non siete mai riusciti ad amarmi! Cosa volevate dimostrare? Di essere migliori del vostro peggior nemico? Bene, mi avete ucciso ogni giorno lentamente, piuttosto che lasciare che il freddo mi portasse via in una singola notte! Questa è la sola differenza…”
“No, Loki, no…” Mormorò sua madre con voce rotta.
Thor sentì due mani fredde spingerlo gentilmente in avanti, per poco non cadde, poi Loki gli si piazzò davanti.
Odino non mostrò alcun tentennamento, solo Frigga, che di lui conosceva anche la parte peggiore, vide che a stento riusciva a respirare, mentre si esponeva al fatale giudizio di quegli occhi verdi.
“Quando ho scoperto l’inganno dentro cui mi avevi cresciuto e ti ho chiesto chi ero, mi hai risposto che ero tuo figlio…” Mormorò con voce gelida, “per tutta la mia vita mi hai guardato vedendo lui, non è così?”
Frigga guardò suo marito trattenendo il fiato. Nega, pensò, maledetto, nega!
Odino dischiuse le labbra. Per tutta la vita ti ho guardato rivedendo in te…Rivedendo in te…
“Gli hai rivelato solo quella parte di verità che ha distrutto lui, ma ha lasciato illeso te.”
Sei un codardo, Odino.
Il re chiuse le labbra, fino a farle divenire una linea sottile.
Silenzio assenso.
Frigga gemette come se fosse stata colpita e ferita.
Thor avvertì uno sgradevole prurito alle dite e lo combatté stringendo i pugni con forza.
Il sorriso che Loki gli rivolse fu la cosa più orribile che Odino avesse mai visto, “siete veramente un grande re, mio signore. Col vostro silenzio oggi avete rivoluzionato quella che su Asgard è una verità assoluta.”
Nulla avrebbe potuto preparare Odino a quel colpo.
“In fin dei conti, Jotun e Aesir non sono poi così diversi…”
Entrambi sono capaci di essere dei mostri.

[Asgard, secoli fa.]

“Loki…” Frigga lo afferrò per una mano, prima che potesse mettere piede nella stanza della guarigione, “tu fai la guardia.”
Il giovane Jotun inarcò un sopracciglio perplesso, poi cercò lo sguardo di Nàl nella speranza di trovarvi risposte ma l’altro fu bene attento a fissare il pavimento per tutto il tempo.
“So che Odino non sta bene, non sono così ingenuo.”
“No, Loki,” Frigga scosse la testa con espressione funerea, “non lo sai e non voglio che tu lo sappia.”
Loki non seppe come replicare e il nodo che gli stringeva la gola non gli fu di alcun aiuto, “Frigga, ti prego…”
“Loki, ti voglio bene… Ti voglio un mondo di bene e proprio per questo ti chiedo di rimanere qui a fare la guardia. Tra noi due, è più che sufficiente che solo io veda cosa vi è dietro quella porta. Odino non si perdonerà mai per averci reso testimoni di un simile spettacolo, quindi, ti prego, almeno tu, risparmiatelo.”
“Penserò io ad Odino, Loki,” intervenne Nàl a sorpresa.
Il fratello del principe lo fissò con gli occhi lucidi di lacrime.
“Hai la mia parola, come tu mi diedi la tua quando sono giunto qui…”
“Muoviamoci!” Sibilò Eir al limite della pazienza.
Loki annuì, guardò Frigga un’ultima volta, poi si sedette sul pavimento prendendo un respiro profondo.
“Non ci metteremo molto,” lo rassicurò lei sparendo dietro la porta che si richiuse con un rumore sordo.

“Bene, non c’è nessuno!” Esclamò Eir esultante.
“Tutto secondo i piani,” le rispose Frigga con un sorriso rassicurante, poi abbassò gli occhi sul letto, “come sta?”
Eir si avvicinò per controllare le condizioni del principe, “l’incantesimo per il dolore non durerà ancora a lungo e nessuno di noi vorrà essere qui, quando si sveglierà.”
Frigga rabbrividì al solo ricordo di quella voce e di quella mano stretta con disperazione alla sua, “bene, Nàl… Nàl?”
Lo Jotun era rimasto indietro, osservando il risultato delle sue azioni da quella che poteva definire una distanza di sicurezza, “sono stato io a fare questo?”
“Tu non hai colpe, Nàl,” Frigga sorrise benevola scuotendo la testa, “i tuoi poteri hanno preso il controllo in un momento di pericolo, non sei la prima creatura a cui succede e non sarai nemmeno l’ultima.”
La fanciulla alzò una mano nella sua direzione e Nàl si avvicinò per afferrarla, un contatto a cui non era abituato ma a cui si aggrappò con tutte le poche speranze che aveva.
Odino sembrava dormire sereno, sfiancato come poteva esserlo un qualsiasi giovane guerriero dopo un’intera giornata nell’arena, se non fosse stato per l’orrenda ustione che gli ricopriva completamente il petto scoperto.
“Come riesce a respirare con una ferita del genere?” Chiese Nàl.
“Miracoli…” Mormorò Eir alzando le spalle, “così definiamo ciò che non riusciamo a spiegarmi con la magia.”
Nàl sospirò profondamente e guardò Frigga, “sei con me?”
Lei gli sorrise, “tu sei con me, io sono con te.”
“Comunque vada, sono felice di essere stato tuo complice.”
“Il piacere è tutto mio.”
“Sentite!” Intervenne Eir irritata, “sono felice che siate completamente sicuri di voi stessi, ma presto le guardie si chiederanno quanto ci mette il loro carcerato a tornare al suo posto e chiederanno spiegazioni al re e basta poca fantasia per immaginare come finirà allora…”
“Molto bene,” mormorò Frigga prendendo un respiro profondo, “qual è il piano?”
Nàl inarcò un sopracciglio, “pensavo lo avessi tu.”
“Sì, io ho tutta la teoria ma come pensi di svolgere la pratica?”
Eir si schiaffò una mano sul viso, “siamo morti… Siamo morti…”

Jӧrd aveva pianto tutto il giorno stando ben attenta a non farsi vedere da nessuno.
Non aveva avuto il coraggio di andare a trovare Odino.
No, le urla che avevano riecheggiato per i corridoi del palazzo dorato per ore intere l’aveva convinta a restare dov’era ed aspettare.
Ma aspettare cosa? Nessuno sarebbe andato da lei ad informarla dello stato in cui versava Odino. Quell’odiosa mocciosa di Frigga sarebbe stata capace di dirgli che era morto, pur di farle dispetto.
Perché il suo principe continuava a tenersela intorno?
Perché non riusciva ad allontanarsi da qual fratello fantoccio che si era creato?
Perché aveva preso ad ignorarla in favore di quel randagio di uno Jotun?
Jӧrd non capiva. La passione che li univa era forte, intensa, senza fine. Era un fuoco che non si sarebbe esaurito nel giro di poco, che avrebbe permesso a Jӧrd di fare di Odino quel che voleva con calma, senza negarsi la libertà di cui ancora sentiva il bisogno ma che sapeva non poter durare per sempre.
Eppure, Odino non si era mai fatto scrupoli ad andare con altre donne, in sua assenza.
Il suo desiderio per lei non lo aveva mai stregato a tal punto dal far cessare quello per tutte le altre.
Nàl non gli aveva dato niente, solo rifiuti ed un naso rotto.
Ed Odino non aveva occhi che per lui.
Amore lo chiamava, l’ingenuo. Ovviamente non era né la prima né l’ultima volta che lo dichiarava a cuor così leggero. Quello di Odino era l’amore di un bambino, breve ed intenso.
L’unico motivo per cui Nàl aveva avuto tutta la sua attenzione in quei mesi, probabilmente dipendeva dal fatto che Odino una preda così non l’aveva mai incontrata. Un piccolo coniglietto delle nevi che, sotto sotto, era un lupo bianco pronto a mordere se stuzzicato troppo.
Odino non era solo un guerriero, era un principe, un futuro re… La conquista ce l’aveva nel sangue e la guerra, passionale o di sangue, era la sua natura più intima.
Jӧrd non era disposta a perdere quella guerra contro l’ultimo arrivato.
Per questo, quando aveva visto il piccolo bastardo parlare con un giovane di bell’aspetto, non aveva esitato ad inventarsi una bella trama per toglierlo di mezzo.
Non aveva capito una parola di quello che si erano detti, sussurravano come sussurrano gli amanti… O i traditori. Fondere le due cose, le era sembrata l’idea migliore per sbarazzarsi della concorrenza e dimostrare ad Odino che il suo nuovo adorato, non era altro che una piccola puttana.
Ma quel che era successo nella sala del trono. No, quello non l’aveva proprio calcolato…
“Che cosa ci fai qui?”
Intrufolarsi nella stanza di guarigione di notte, le era sembrato il modo migliore per stare un poco accanto ad Odino lontano da occhi indiscreti. Peccato che il gattino in calore del principe fosse fedelmente seduto sul pavimento a fare la guardia…
“Potrei dirlo di voi, mia signora,” replicò Loki sospettoso alzandosi in piedi, “se siete qui per mio fratello, non può ricevere visite.”
Jӧrd sbuffò, “eppure, so che la tua cara amichetta gli è rimasta attaccata tutto il giorno.”
“Gli ha tenuto la mano mentre era agonizzante, compito che, se mi è concesso dirlo, non è da tutte le signore.”
“Povera piccola, deve aver piagnucolato tutto il tempo!”
“Non vi permetto di parlare di una persona a me cara con questo tono, specie dopo che siete stata causa dell’orrendo spettacolo a cui tutti abbiamo dovuto assistere quest’oggi.”
Jӧrd tradì un momento di tentennamento, “come sta?”
“Non ve lo dirò…” Mormorò Loki con espressione sarcastica.
“Piccolo bastardo di uno Jotun,” sibilò lei in risposta, “lasciami entrare o te la farò pagare.”
“Come? Dicendo a mio fratello che ho un amante segreto… O che mando avanti un complotto su Jotunheim ai danni del re? Mi piacerebbe proprio sapere cosa v’inventereste per me, dopo che vi siete impegnata tanto per rovinare Nàl.”
Jӧrd strinse i pugni con forza, poi si mosse velocemente verso la porta. Loki le afferrò il polso prima che potesse sfiorare la maniglia.
“Se provi a toccarmi con quelle luride mani ancora per un istante,” sibilò lei mentre assumeva un aspetto terribilmente simile a quello di una biscia, “mi metto ad urlare finché l’intero palazzo non si sveglia e farò in modo di rovinarti, Loki, oh, sì, mi sbarazzerò anche di te nel giro di poche ore.”
“Mi piacerebbe vedervi provare…”
Non era una sfida che si sarebbe potuto permettere di lanciare.

Il primo urlo fece sobbalzare i tre giovani nella sala della guarigione gelando loro il sangue.
“Cos’era?” Domandò Eir in panico.
Frigga e Nàl si astennero dal rispondere.
“Non mi toccare, sporco Jotun, toglimi le mani di dosso…” La porta si spalancò ed un attonito silenzio cadde tra i presenti. Jӧrd spalancò bocca ed occhi fissando i giovani uno ad uno.
“Tu…” Mormorò puntando un dito in direzione di Nàl, “Tu dovresti essere in una cella a marcire!”
Frigga si era sempre vantata dell’autocontrollo e della pazienza di cui disponeva.
In cuor suo, sapeva che quelle due caratteristiche sommate ad una naturale sincerità, le avevano permesso di passare da compagna di giochi di Odino a sua migliore amica.
Ne andava fiera, sul serio, sapeva che l’aiutavano ad avere quella dignità che molte giovani della sua età avevano buttato via con un calcio.
Tuttavia, Frigga era perfettamente consapevole di una cosa…
“Guardie! Guardie! Il prigioniero è fuggito!”
… In caso di necessità, poteva tatticamente dimenticarle anche lei.
Il modo in cui Frigga scattò in direzione della porta ebbe il potere di spaventare persino Nàl, “Frigga, che intenzioni hai?”
“Se devo essere giustiziata, voglio che sia per il suo omicidio!”

[Midgard, oggi.]

“Loki…” Frigga scese le scale tremando come una foglia e rischiando di cadere ad ogni gradino, “Loki, ti scongiuro, tesoro…”
Loki finse di non ascoltarla, non aveva più orecchie nemmeno per le parole della donna che aveva chiamato madre.
“Amore mio, ti supplico…” Frigga allungò una mano per fargli una carezza ma Loki allontanò il viso con un gesto secco per non farsi toccare. Se l’avesse accoltellata al cuore, probabilmente, le avrebbe fatto meno male. Thor si sentì morire quando udì i singhiozzi di sua madre spezzare il silenzio e l’indifferenza sul volto di suo padre, quando ella gli arrivò accanto, lo disgustò al punto da fargli venir il voltastomaco.
Loki sapeva che, probabilmente, quella sarebbe stata l’ultima immagine che avrebbe avuto delle due persone che aveva chiamato genitori per quasi tutta la sua vita e non mosse un dito per rendere la separazione più dolce.
Non c’era nulla che potesse semplificare le cose o aggiustarle. Nulla.
La scena s’interruppe com’era iniziata: con la porta d’ingresso che si chiudeva. Lentamente, questa volta.
Thor era rimasto congelato al suo posto, incapace di fare qualsiasi cosa che non fosse respirare.
Loki si voltò lentamente nella sua direzione e, quando il verde incontrò l’azzurro, qualcosa cambiò nella sua espressione. Vi era una sorta di sorpresa sul suo viso, come se non si fosse accorto che era stato lì per tutto quel tempo o come se non capisse il motivo per cui era rimasto.
“Vattene…”
Thor non reagì.
“Vattene,” ripeté Loki con più chiarezza.
Allora, Thor scosse la testa.
“Vattene! Vattene! Vattene!” Urlò con quanto fiato aveva in gola.
I vetri delle finestre s’infransero all’unisono provocando un gran baccano che nessuno dei due sembrò udire. La catena di Odino si era spezzata, Loki aveva di nuovo i suoi poteri.
Lasciami andare! Hai perso! L’ha capito il tuo re e non riesci a capirlo tu?
“Vat… tene… Vat…” Loki si portò la mancina allo stomaco e premette la mano destra contro la bocca. Thor si mosse d’istinto, gli circondò le spalle con un braccio e lo guidò in cucina più veloce che poteva.
Una volta giunti al lavello, Loki si chinò rigurgitando quel poco che aveva nello stomaco.
Thor lo sorresse stringendogli un braccio intorno alla vita e tenendogli la testa sollevata.
Lasciò che Loki finisse e si fosse calmato, prima aprire il rubinetto e lasciare che l’acqua facesse il resto.
“Pulisciti la bocca e bevi un sorso d’acqua o la nausea non passerà.”
Loki fece come gli era stato detto, poggiò entrambe le mani ai lati del lavandino per sorreggersi, il corpo scosso dal tremore e dai singhiozzi, il viso madido di lacrime.
Thor era dietro di lui e non aveva alcuna intenzione di muoversi.
Come poteva anche solo pensare di muoversi, quando stringeva tra le braccia una creatura tanto pericolosa e tanto fragile.
I suoi genitori si erano voltati e se ne erano andati.
Si erano arresi.
Lo avevano abbandonato.
Il bambino che non avevano messo al mondo ma che avevano raccolto di proprio volontà.
Un bambino che non era stato dato loro dal destino, ma che avevano avuto la possibilità di scegliere.
“Dove hanno trovato il coraggio?” Mormorò a se stesso, “dove avete trovato il coraggio?”
Circondò il corpo di Loki con entrambe le braccia rimettendolo in posizione eretta. Suo fratello appoggiò il capo sulla sua spalla chiudendo gli occhi e respirando profondamente. Aveva un labbro spaccato, probabilmente a causa dello scontro col padre.
Thor l’osservò per un lasso di tempo che sembrò durare un’eternità, non si rese nemmeno conto di aver parlato, “mostrami il tuo dolore.”

[Asgard, secoli fa.]

Nàl non riusciva a pensare, c’era troppo rumore.
Le urla di quella sgualdrina non erano niente in confronto alla moltitudine di passi che riecheggiavano nel corridoio. Nel giro di una manciata di secondi, tutta la corte sarebbe stata su di loro e avrebbero trovato un gruppo di ragazzini urlanti che si tiravano i capelli e lo Jotun che aveva sfregiato il loro re accanto al letto del loro principe moribondo.
Pensa, Laufey, pensa, pensa…
Oltre le grandi finestre della stanza della guarigione, il sole cominciava a sorgere.
Pensa, maledizione, pensa!
Un flebile gemito scivolò dalla labbra di Odino e Nàl quasi sobbalzò. I suoi lineamenti, prima rilassati, si contrassero in una fugace espressione dolorante. Sapeva che era solo questione di tempo prima che la sofferenza peggiorasse ed il principe riprendesse coscienza.
Sangue, serve sangue!
Sollevò la manica sinistra della tunica portandosi il polso alla bocca. Fece male. Fece dannatamente male ma chiuse gli occhi e resistette. Il sapore del proprio sangue gli fece venire la nausea ma riuscì a rimanere concentrato. Doveva rimanere concentrato.
“Avanti, idiota, collabora,” afferrò il mento del principe privo di sensi e gli aprì le labbra quel poco che bastava per farvi scivolare dentro alcune gocce, “avanti, ingoia.”

[Midgard, oggi.]

Loki aprì gli occhi verdi incontrando quelli azzurri di Thor.
Aveva udito le sue parole ma non credeva di averle comprese.
“So che puoi farlo…” Thor lo voltò gentilmente per guardarlo dritto negli occhi, bloccandolo col proprio corpo contro il ripiano della cucina, “non c’è cosa che mi faccia più male che vederti soffrire e tu vuoi punirmi, non è così?”
Loki lo guardava in silenzio, senza una reale espressione. Il viso era ancora madido di lacrime, più pallido del solito a causa del malore appena avuto, eppure il verde dei suoi occhi sembrava essere divenuto più intenso.

[Asgard, secoli fa.]

Non appena avvertì il sapore metallico del sangue, Odino mosse la testa da un lato in un gesto automatico, sputando fuori quelle poche gocce che lo Jotun aveva tentato di fargli ingerire.
“Maledizione!” Imprecò Nàl prendendo la testa del principe tra le mani per tenerlo fermo, “Odino, so che puoi sentirmi, quindi ascolta con attenzione le mie parole, devi…”
Odino non udì nemmeno la sua voce, man mano che riprendeva conoscenza l’unica cosa che riusciva a percepire era il dolore crescente su tutto il corpo e sarebbe bastato molto meno per rendere anche il guerriero più forte un folle.
Cominciò ad urlare sovrapponendo la propria agonia alle voci rabbiose delle due fanciulle che continuavano ad insultarsi e picchiarsi sull’entrata della stanza.
“Odino!” Urlò Nàl cercando di arrivare a toccare quel poco di ragione che rimaneva al principe, “Odino, sono io!”
In risposta gli arrivò un colpo dritto in faccia e fu abbastanza forte da fargli perdere l’equilibrio.
“Pensate agli altri ma lasciate il piccolo bastardo di Jotunheim a me!” La voce di Borr sembrò far tremare l’intero palazzo.

[Midgard, oggi.]

“Hai di nuovo i tuoi poteri,” mormorò Thor con solennità, “mostrami il tuo dolore, fammi sentire quello che hai provato, so che puoi farlo!”
Loki dischiuse le labbra ma qualsiasi replica morì, come avvertì in bocca il sapore del sangue.
Il suo sangue.
Si portò una mano al labbro ferito, come se si fosse reso conto del taglio solo in quel momento. Fissò i polpastrelli umidi di liquido cremisi, poi alzò gli occhi su Thor.
Suo fratello annuì.

[Asgard, secoli fa.]

Quando si rialzò, Nàl sentì le labbra pulsargli dolorosamente, come se stessero andando in fiamme.
Vi passò sopra il dorso della mano solo per scoprire che il colpo di Odino era stato sufficiente per farlo sanguinare.
“Che tu sia… Che tu sia…” Sibilò, poi un’idea lo bloccò.
I rumori intorno a lui divennero distanti, persino le urla di Odino che si agitava sul letto agonizzante sembrarono essere appena percettibili.
Le guardie erano alla porta, il re dietro di loro.
Nàl si chinò sul letto, prendendo la testa di Odino tra le mani e tenendola ferma con tutta la forza di cui disponeva in quella sembianze, “qualunque cosa accada…” Mormorò mentre Odino tentava di liberarsi, “sappi che te la sei meritata.”
Quando le unì, le loro labbra combaciarono talmente perfettamente da spaventarlo.

[Midgard, oggi.]

Thor non se l’era aspettato, come non si era aspettato un sacco di altre cose da parte di Loki.
E sapeva che era proprio, o almeno in parte, a causa di questa sua cecità se si ritrovavano a quel punto.
Come sapeva che quel bacio non poteva essere paragonato a nulla di quel che aveva vissuto fino a quel giorno.
Il sapore delle labbra di Loki.
“Sono maledetto?”
“No?”
“Che cosa sono?”

Il sapore del sangue di Loki.
“Sei mio figlio…”
“E cosa più di questo?”
Il sapore del potere che vi scorreva dentro penetrandolo senza pietà.

[Asgard, secoli fa.]

Odino non capiva da dove venisse tutta quella pace improvvisa.
Un secondo prima si era sentito la bocca inondata di sangue ed aveva pensato fosse il proprio, aveva tentato di lottare contro quello che credeva fosse il primo segnale di una morte inevitabile. Poi qualcosa lo aveva imprigionato, bloccato, soffocato ed il sangue era ripreso a scorrere ma non fuori dal suo corpo, no, fino in fondo alla gola.
E l’onirica sensazione che un soffice fiocco di neve gli toccasse le labbra.
Aveva dimenticato il dolore nel giro di un battito di ciglia, aveva cominciato a riconoscere le dita fredde che prima lo imprigionavano e che ora gli accarezzavano i capelli lentamente in un gesto di rassicurazione. Riconobbe le labbra sulle sue, le aveva conosciute appena la notte prima e le aveva amate per ore senza pretendere altro.
Baciare quella bocca, accarezzare quei capelli corvini e stringere a sé la creatura a cui appartenevano era come fare l’amore con la neve senza rischiare di congelare.
Nàl…” Mormorò, mentre una goccia di quel gelido sangue gli usciva dall’angolo della bocca.

[Midgard, oggi.]

Non appena la morbidezza delle labbra di Loki lo abbandonò, rimase solo il sapore del sangue e tutto ciò che vi era racchiuso dentro lo invase con la forza di un esercito di mille uomini.
Fece male.
“Loki…” Quasi gemette.
Fece dannatamente male.
“Loki, che cosa...?”
Gli occhi verdi di suo fratello erano gelidi, mentre l’agonia prendeva il controllo del corpo di Thor.
“Allora io non sono niente più che un'altra reliquia rubata, relegata quassù fino a quando non potrò esserti utile!”
“Volevi il mio dolore, fratello?” Domandò Loki, la sua voce era gelo ed odio, “allora prendilo, Thor. Questo è il mio dono per te, prendilo tutto…”
Thor cercò di replicare ma una sofferenza mai provata lo costrinse sulle ginocchia con inaudita violenza.
“Perché deformi le mie parole?”
“Avresti potuto dirmi cos'ero fin dal principio, perché non l'hai fatto?”
“Tu sei mio figlio, ho cercato di proteggerti dalla verità.”
“Perché? Perché i-io sono il mostro da cui i genitori mettono in guardia i propri figli la notte?!”

Conosceva quelle parole, suo padre si era guardato bene dal mentirgli quando gli aveva raccontato tutta la scena, ma sentirle… Sentirle come le aveva sentite Loki, come se una delle due persone a cui doveva la vita, a cui l’avrebbe affidata senza esitazioni, gli stesse strappando il cuore lentamente, assicurandosi di fargli percepire ogni legamento che cedeva, ogni vena che scoppiava… Ogni… Tutto.
Thor si circondò il corpo con entrambe le braccia ed urlò.

[Asgard, secoli fa.]

Odino aprì gli occhi lentamente solo per incontrare quelle iridi di un verde impossibile.
Le labbra di Nàl erano rosse di sangue e, sebbene lo spettacolo fosse vagamente inquietante, Odino credette che fosse la cosa più bella del mondo.
Un sorriso leggero gli illuminò il viso distrutto ed un istante dopo portò una mano su quella guancia gelida per spingerlo a baciarlo di nuovo.
Un bacio vero, questa volta.
Non c’era spazio per nient’altro nella mente di Odino. Né per il gran fracasso che fecero le guardie entrando nella stanza, né per le urla iraconde di suo padre, né per le voci agitate dei suoi amici.
Nulla, c’era solo quella creatura di neve ed orgoglio che, ovviamente, non pensò nemmeno lontanamente di rispondere alle attenzioni delle sue labbra.

[Midgard, oggi.]

“Bene, tutto ha senso ora, perché hai sempre preferito Thor in tutti questi anni, perché nonostante tu affermi di amarmi...”
“Ascoltami…”
“...non potresti mai accettare un Gigante di ghiaccio sul trono di Asgard!”
Thor si contorse sul pavimento cercando di sfuggire a qualcosa che era dentro di lui, che si diffondeva nel suo corpo alla velocità del flusso sanguineo portandosi dietro tutto ciò che Loki aveva deciso di dargli.
Era un guerriero, era sceso sul campo di battaglia molto prima di quanto i suoi genitori avessero voluto.
Si era fatto male molte volte, aveva sfiorato la morte altrettante.
Loki gliel’aveva anche fatta saggiare, in più di un modo.
Si era sentito morire, quando suo fratello gli aveva detto di essere stato la causa della morte di suo padre e del dolore di sua madre.
Era fisicamente morto, quando Loki aveva usato il Distruttore contro di lui.
Aveva desiderato la morte, quando aveva distrutto il Bifrost rinunciando ad una donna che avrebbe potuto amare sul serio.
Aveva desiderato la morte, quando Loki si era lasciato cadere.
Perché il dolore era così. Era una ferità mortale a cui non si poteva porre un reale rimedio.
Quello di Thor era finito.
Quello di Loki sembrava non avere fine.
“Ci sarei riuscito, padre! Ci sarei riuscito! Per te! per tutti noi.”
“No Loki!”
“Loki no…”

“No!”

[Asgard, secoli fa.]

Quando il contatto venne interrotto bruscamente, Odino volle combattere per ristabilirlo, volle alzarsi, prendere quella creatura tra le braccia e far male… Molto male a chiunque tentasse di portargliela via.
Non ci riuscì, non poteva.
L’unica cosa che lo addolorò fu aprire gli occhi e non poter trovare più quelli verdi di Nàl a fissarlo.
Si portò due dita alle labbra: in bocca aveva il sapore del sangue ma non lo disgustava. Sentiva il potere di Nàl scorrergli nelle vene ed era come sentire dentro il freddo vento dell’inverno.
Ma non faceva male, no.
Odino sorrise. Sorgeva il sole ad Asgard, il suo principe dorato si sentiva rinascere.

[Midgard, oggi.]

“Lo-Loki…” Thor nemmeno riusciva a pronunciarlo il nome di suo fratello, tanto era stretto il nodo che gli comprimeva la gola. Non riuscì a vederli chiaramente gli occhi verdi che lo fissavano dall’alto al basso, perché le lacrime erano tanto copiose da offuscargli la vista.
Loki non si era mosso, non aveva detto una parola. Nulla, era rimasto impassibile e Thor non capiva come potesse essere umanamente possibile con tutto quello che aveva dentro… Con tutto quello che Thor si era sentito riversare nell’animo.
Pazzo, lo avevano definito molti. No, Loki non era pazzo, aveva tutte le ragioni per esserlo ma se lo fosse stato non avrebbe avuto tutto quel controllo, quella capacità di elaborazione, quello spaventoso talento nel dissimulare e recitare ad arte qualsiasi ruolo fosso consono alla situazione.
No, Loki non era pazzo, non lo era mai stato. Se fosse stato pazzo, non avrebbe cercato di distruggere Jotunheim e conquistare Midgard. No, avrebbe tentato di radere al suolo l’intero universo per dar sfogo a tutto quello che comprimeva in quell’anima fatta a pezzi… E, alla fine, non sarebbe stato nemmeno sufficiente.
Aveva convissuto con un complesso d’inferiorità che era diventato ossessione.
Si era abituato alle tenebre perché aveva capito che nessuna delle sue recite gli avrebbe permesso di vivere alla luce. O, forse, si era rifiutato di fingere al punto di rinnegare completamente se stesso, la magia era sempre stato il suo talento e nessuno aveva saputo dargli un valore.
Le bugie erano divenute la sua arma e tutti avevano imparato a temerlo.
Mai a rispettarlo, mai.
Sua madre l’aveva amato. Una madre che non era nemmeno sua, che, forse, in principio l’aveva accettato per pura pietà. Per quale altro motivo avrebbe potuto accettare un mostro come figlio?
Suo padre l’aveva amato. A modo suo, dicevano. Già, a modo suo…
Perché non esiste un modo con cui si possa amare un mostro, no?
Suo fratello… Thor. Thor aveva amato Loki. Certo che lo aveva amato, era l’unico fratello che aveva.
Non sapeva impugnare un’arma, perdeva tempo a fare cose da femmine ed era noioso Loki, però era il suo fratellino, gli voleva bene.
Perché avrebbe dovuto tenere ad un ragazzino sbagliato se non per il legame di sangue?
“Non sono tuo fratello, non lo sono mai stato!”
“Loki, questa è demenza.”

Questo era Loki.
“Demenza?”
Questa era la confessione che non avrebbe mai fatto.
“Lo è?”
Questa era la realtà in cui credeva.
“Lo è?!”
“Loki…” Quando fu in grado di guardarlo in faccia, suo fratello sorrideva. Quell’orrendo sorriso da demone, la maschera perfetta del bambino ferito ed abbandonato che era, sebbene innocente non lo fosso più.
No, nessuno di loro era innocente, non lo era mai stato.
Ogni crimine di Loki era loro, ogni peccato di Loki era loro.
Era stato sadico, Loki ad esaudire la sua richiesta con un gesto dolce come un bacio, quando col suo sangue gli aveva iniettato dentro il fiele ricavato da odio e dolore.
E Thor l’aveva voluto.
Sì, Thor l’aveva voluto.
“Ora lo sai,” mormorò Loki senza smettere di sorridere, eppure una lacrima gli bagnò la guancia, “tuo fratello è morto.”
Thor chiuse gli occhi e pianse. Asgard ormai lontana, il suo principe dorato ridotto in pezzi.

**

Varie ed eventuali note:
Salve popolo! Ce l’abbiamo fatta!
Ho pensato che sarei caduta sul campo di battaglia una volta o due, ma sono orgogliosa del risultato finale tutto sommato. L’idea di una bella sequenza di scene parallele me la porto dietro da quando è cominciato a nascere il progetto di questa storia, ma non ero mai d’accordo su come elaborarla.
Spero che la decisione definitiva sia stata di vostro gradimento!

IMPORTANTE: diamo il benvenuto all’ “Incest” tra gli avvertimenti, probabilmente atteso da molti (almeno così spero). Mi raccomando adoratrici del ThunderFrost (tipo me, se non si fosse capito), voi conoscete Loki e sapete che Thor dovrà sputare sangue ancora un pochino, quindi abbiate pazienza! Tuttavia, posso dire ufficialmente che la dimensione passiva in cui avevo incastrato l’arco del “presente” è definitivamente conclusa! Da qui in poi la trama s’infittisce da entrambe le parti…

INFO di SERVIZIO: in questo capitolo abbiamo sfiorato le 12.000 parole, spero che aiutino a colmare i tempi di attesa. Non saremo più fortunati col capitolo 11, ma almeno posso darvi una data quasi precisa: si progetta d’inserirlo all’incirca per il secondo week end di marzo perché, come dicono i fan writers inglesi, “Real life happens…”

SPOILER: nell’attesa ve ne lascio qualcuno, nella speranza d’incuriosirvi.
-Conoscete Helblindi? Chi legge fanfiction straniere, probabilmente sì. Per tutti gli altri, Wikipedia non delude mai! In entrambi in casi, comparirà presto insieme a questa nuova indicazione temporale [Jotunheim, oggi].

-Nelle scorse note vi avevo implicitamente annunciato l’inizio di una guerra, per rispondere nuovamente ai timori nelle recensioni: no, non è ancora con Jotunheim.

-Penso che sia ora di sfruttare quell’avvertimento “Lime” lì in mezzo, voi che dite?

Detto questo! Ringrazio con tutto il cuore i lettori ed i recensori.

Un grazie particolare va a Callie_Stephanides per aver dato una chance in più a questa storia.

Spero che la lettura sia stata di vostro gradimento, eventuali commenti e critiche sono sempre ben accetti (ma siamo onesti e diciamo che ad un’autrice servono come il pane)!

Alla prossima!


 

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Capitolo 11
*** Sogni ***


X
Sogni

[Asgard, secoli fa.]

Laufey non sapeva spiegarsene il motivo, ma quei sogni sembravano verificarsi sempre dopo un bacio.
Il sole era caldo contro il suo viso, una sensazione a cui non era ancora abituato.
Le lenzuola erano fresche a contatto con le gambe nude ed il posto accanto a lui era vuoto.
Non se ne preoccupò, quella scena era troppo serena per permettergli di agitarsi. Si guardò intorno: doveva essere una delle camere reali del palazzo di Asgard.
Non era su Jotunheim, questo era poco ma sicuro.
Si sollevò su un gomito tentando di mettersi a sedere e si sorprese della fatica con cui ci riuscì, poi qualcosa gli colpì il fianco. Non fece eccessivamente male, ma fu più che sufficiente per bloccarlo e spingerlo a toccare la parte coinvolta. Non gli piacque affatto quando qualcosa dentro di lui rispose alla pressione delle sue dita.
Trattenne il fiato e scostò le lenzuola tremando.
Avrebbe dovuto provare terrore di fronte a quel che vide, ma non vi riuscì. L’unica cosa che gli venne naturale fare fu poggiare entrambi i palmi sul ventre rigonfio aspettando che la creaturina al suo interno facesse sentire di nuovo la sua presenza. Non dovette attendere molto ed un sorriso spontaneo gli illuminò il viso.
“Buongiorno…” Mormorò alla cosina che si muoveva abilmente dentro lui, ancora troppo piccola per avere problemi di movimento, ma già abbastanza grande da farsi sentire. Si alzò dal letto con cautela ergendosi davanti allo specchio.
La tunica che indossava non poteva essere la sua, era troppo grande e doveva far aderire la stoffa contro l’addome per poter studiare il suo profilo nel riflesso. C’era ancora tempo: il bambino era vivace ma la pancia era troppo piccola perché fosse sul punto di nascere.
Non riusciva a capire quel che provava, le emozioni erano chiare, ma non le riconosceva come sue.
Era come essere ospite del suo stesso corpo e guardarsi dall’esterno nello stesso momento.
Laufey sentiva la piccola vita che cresceva dentro di lui, sentiva la felicità che provava ma non la comprendeva.
Il vero se stesso non si sarebbe mai sentito così bene in quella posizione, non sarebbe stato orgoglioso di quel parassita che si sviluppava a sue spese. Il vero se stesso avrebbe pensato che era disgustoso, umiliante…
Almeno, così gli avevano insegnato che doveva essere.
Si guardò mentre sorrideva alla sua stessa pancia: un’espressione tanto serena da spaventarlo.
“Sei la cosa più bella che mi sia capitata, Loki.”
E nemmeno quell’amore gli apparteneva.

“Nàl…” Loki gli strinse una spalla ma il giovane Jotun era già cosciente da un po’ benché continuasse a tenere gli occhi chiusi, “Nàl, devi svegliarti.”
Il principe rivolse lo sguardo assonnato al compagno di cella, “dov’è Frigga?” Domandò, dopo una breve ispezione.
“L’hanno appena portata via,” rispose Loki con un sorriso, “hanno detto che Odino sta scendendo a compromessi anche per noi.”
Nàl si mise a sedere sbuffando, “e casualmente i piccoli Jotun sono gli unici ad essere rimasti in gabbia.”
“Ti sorprende?”
“Mi disgusta,” fu la risposta acida, “Odino può fare appello al vostro patto di sangue per salvare te, ma cos’ha per me?”
“Jӧrd ha confessato di aver mentito, di non aver alcuna prova contro di te, che ha agito per gelosia nei tuoi confronti. Il re l’ha punita esiliandola dalla corte fino a nuovo ordine.”
Nàl a stento riuscì a trattenere un sorrisetto di trionfo nell’apprendere quella notizia, sperava solo che, oltre all’umiliazione pubblica, le fosse rimasto un bell’occhio nero, regalatole da Frigga, a deturpare la sua bellezza. Non meritava altro quella sgualdrina bugiarda.
“Odino come l’ha presa?” Chiese con sincera curiosità, ma senza la minima traccia di preoccupazione.
“Sembra che ne sia uscito piuttosto sconvolto,” ammise Loki, “rimpiango soltanto che non potrò essere lì quando Frigga gli sbatterà in faccia quanto aveva ragione fin dal principio.”
“Mi trovi d’accordo,” ammise il principe  di Jotunheim con sguardo spento, “e vorrei che quella donnetta avesse mentito su tutto anche nella realtà.”
Loki gli posò una mano sulla spalla, “passerà, col tempo…”
Nàl scosse la testa, “non posso farmela passare senza avergli sputato in faccia ogni cosa…”
“Gli hai detto di andarsene, gli hai detto che hai un altro uomo… Hai mentito, certo, ma pensi che non sia stato sufficiente per umiliarlo?”
“No,” ammise il giovane Jotun fissando il pavimento sporco della cella, “credo che non abbia capito il suo errore e non credo di averlo capito nemmeno io.”
Loki lo guardò confuso, “pensavo ti fossi deciso a non volerlo più.”
“Ed è così!” Esclamò Nàl quasi con rabbia, “ma sarebbe la sola verità se, dopo averlo cacciato, non mi fossi voltato chiamando il suo nome…”
Loki sospirò profondamente, “lo ami?”
“Siamo al momento delle domande di autoanalisi?”
“Lo ami?” Insistette Loki.
Nàl appoggiò la schiena contro il muro freddo e lercio fissando il soffitto alla ricerca di una risposta che potesse convincere se stesso. Fàrbauti era tutto quello che aveva in un regno di cui era principe ma che non era mai riuscito a sentire suo. Era stato l’unico ad essergli rimasto accanto tutta la vita, quando suo padre si era limitato a crescerlo con il disprezzo alternato all’indifferenza.
Fàrbauti era diverso, si diceva. Non aveva perso il rispetto per lui quando, poco più che bambino, lo aveva costretto ad allargare le gambe per sfogare il suo piacere. Un re di Jotunheim incapace di montare il proprio compagno: la vergogna di tutti i Nove Regni, l’avevano chiamato. Fàr l’aveva consolato dicendogli quanto sarebbero stati perfetti i loro figli cresciuti nel suo grembo.
Fàrbauti lo amava. Sì, di questo era certo.
Semplicemente, amava Jotunheim più di lui.
“Non lo so più…” 

 [Jotunheim, oggi.]

Il sogno non era mai uguale ma era sempre lo stesso.
Il sole era caldo contro il suo viso, una sensazione che aveva temuto di dimenticare.
Le lenzuola erano fresche a contatto con le gambe nude ed il posto accanto a lui era vuoto.
Sospirò pesantemente aprendo gli occhi verdi, “Odino…”
A rispondergli fu la vocetta acuta di un neonato.
Dopo due figli aveva cominciato a rispondere istintivamente a quel tipo di richiami, ma non trovò né Helblindi né Bỳleistr accanto a lui. Nessuno dei due aveva ereditato i suoi occhi ed il neonato avvolto nel drappo verde lo fissava con due iridi smeraldine che solo una volta nella vita aveva visto sul viso di un’altra creatura.
“Buono, Loki, sta buono,” mormorò con espressione annoiata aggiustando la piccola tunica che il bambino si era tirato fin sopra l’ombelico a furia di scalciare in aria per attirare l’attenzione, “se abbiamo pazienza, forse quell’idiota di tuo padre verrà a riprenderti.”
Se la ricordava quella scena, sapeva che Odino sarebbe arrivato giusto in tempo per assistere alla poppata di Loki, ma Laufey si rifiutò di prendere quel fagottino tra le braccia.
Si limitò ad accarezzargli il pancino per farlo stare buono e prendere tempo.
Non poteva ignorarlo: Loki tirava certi strilli acuti quando si ritrovava da solo.
Colpa di Odino e della sua iperprotettività.
“Padre…”
Quella voce infantile la conosceva fin troppo bene, come il bambino dagli occhi di ghiaccio ed i capelli neri che lo fissava dal bordo del letto. Laufey sospirò pesantemente: quanto assomigliava a Fàrbauti.
“Che cosa ci fai qui, Helblindi?”
Il bambino non rispose arrampicandosi sul letto per guardare meglio il neonato dagli occhi verdi, “è lui?”
Laufey annuì, “tu lo ricordi, vero?”
“Sì, padre.”
“Non hai risposto alla mia domanda.”
“Volevo vederlo,” disse Helblindi scrollando le spalle e passando una mano sulla testolina ricoperta di capelli neri sperimentalmente.
“Non toccarlo,” intervenne Laufey afferrando il piccolo polso e allontanandolo.
“Perché?”
Lo sguardo di Laufey fu gelido, “ubbidisci e basta. Non è un sogno che comando io e non mi sorprenderei se quella piccola serpe stesse cercando di vincerci al nostro stesso gioco.”
“Hai detto che su Midgard non avrebbe…”
“Senza il controllo di Odino ha di nuovo i suoi poteri, non ho intenzione di scoprire quanto siano potenti…”
Helblindi lo guardò confuso, “è un tuo ricordo questo?”
“Sì, lo è.”
“Allora cos’hai da temere?” Domandò il bambino tornando ad accarezzare i capelli corvini del neonato, “lui non può ricordarlo, non può riprodurlo.”
Loki alzò gli occhi su di lui studiandolo senza vergogna. Helblindi rise, “com’era bello…”
Laufey fece una smorfia, senza distogliere lo sguardo dalla creatura stesa tra loro, “sì, un bellissimo abominio.”
Helblindi s’irrigidì appena, “non lo capirò mai, sai?”
“Che cosa?” Domandò Laufey irritato, “che non abbia permesso ad una creatura informe di prendere il tuo posto?”
Helblindi abbassò lo sguardo con fare vergognoso, “scusami è che quel ricordo mi fa paura…”
“Sei un guerriero, non dovresti avere paure…”
“Ero un bambino quando hai tentato di ucciderlo,” obbiettò Helblindi, “non avrò mai parole per descrivere quella scena. Lui che tremava dal freddo ma sorrideva fiducioso perché eri lì con lui. Non posso dimenticare l’espressione con cui lo guardavi: non ho mai visto niente di più orribile in tutta la mia vita.”
Laufey non rispose, non doveva giustificarsi di fronte ad Helblindi, non gli doveva nessuna spiegazione.
Non c’erano parole, non ci sarebbero mai state.
Suo figlio si sporse in avanti sollevando il fagottino con cautela.
“Fermo…”
“Padre, è solo un’illusione…”
“Fermo, Helblindi!” Sbottò Laufey strappando il neonato dalla stretta del primogenito. Loki scoppiò a piangere cercando rifugio contro il petto del giovane che lo aveva preso tra le braccia.
Laufey lo rigettò sul letto con un’espressione disgustata.
“Padre!” Esclamò Helblindi spalancando gli occhi azzurrissimi chinandosi sul neonato terrorizzato.
Il re si alzò velocemente, “svegliati, avanti…” Lo disse gentilmente da principio.
Helblindi scosse la testa massaggiando il piccolo stomaco di Loki per farlo tranquillizzare.
“Helblindi, svegliati subito!”
Il bambino continuò a fissare il neonato, “com’è ora?”
“Perché dovrebbe interessarti?”
“Perché è mio fratello!”
Lo schiaffo fu improvviso e fece male, molto male.
“Non azzardarti più a dirla una cosa del genere,” Laufey tremava per la rabbia, “non è tuo fratello, non è niente per te… O meglio, non è niente di più dell’assassino che ha progettato di uccidere me e poi ha cercato di sterminarci tutti.”
Helblindi non versò una lacrima, premette le labbra con forza ma la sua espressione era più gelida del ghiaccio di Jotunheim. Laufey ne fu orgoglioso e sorrise, “non dimenticare cos’è, Helblindi. Può essere bello, è vero, ma non basterà metà del suo sangue a renderlo tuo fratello. Non lo sarà mai, chiaro?”
Helblindi annuì e abbassò gli occhi sul neonato: era piccolo, fragile e, sì, era molto bello. Una parte di lui era curiosa di vedere il bellissimo giovane che doveva essere diventato.
Il carnefice che suo padre non gli aveva mai permesso di guardare negli occhi.
Helblindi fissò quelle iridi verdi lucide di lacrime e ne capì il motivo.
Laufey l’aveva cresciuto assicurandosi che non nutrisse altro che rancore per quel piccolo abominio che aveva avuto occasione di tenere tra le braccia una volta soltanto. Con Bỳleistr era stato più semplice: suo fratello non ricordava quel neonato, suo fratello non aveva visto il padre che adoravano trasformarsi in un demone senz’anima.
Helblindi aveva saputo la verità, Laufey gli aveva spiegato le sue ragioni ma, prima che l’ira di Loki si abbattesse su di loro, c’era sempre stato qualcosa a spingerlo a pensare con la propria testa. Qualcosa che gli aveva fatto ripercorrere le parole di suo padre con spirito critico.
Qualcosa che gli diceva che Laufey, re di Jotunheim, quella notte stava per compiere il più spregevole degli assassinii e Helblindi non poteva che biasimarlo.
Ora, Loki era di fronte a lui.
Il piccolo Loki dei ricordi di suo padre, il piccolo Loki che, forse, anche se non l’avrebbe mai ammesso, suo padre aveva amato. Non c’erano altre ragioni valide per cui Laufey avrebbe dovuto permettere a quella creatura di venire al mondo.
Helblindi guardava quegli occhi meravigliosi e capiva perché suo padre non gli aveva mai permesso di vederlo: non poteva tollerare che suo figlio sapesse che il peggiore dei suoi peccati aveva il suo stesso viso.


Bỳleistr era stressato.
Dopo aver superato duri addestramenti, essere vissuto all’ombra di una sconfitta vecchia di secoli, mentre il regno di cui era principe si trasformava nella prova concreta dell’umiliazione che il suo popolo aveva dovuto subire e da cui, probabilmente, non si sarebbe mai risollevato, era certo che una guerra civile non sarebbe stato niente di più di una noia.
Invece, se non fosse giunta presto la fine, si sarebbe preoccupato personalmente di trasformarla in tragedia!
“Io non ne posso più!”
Doveva quasi arrampicarsi su quelle maledette scale per salirle ed era umiliante, stressante… Diabolico!
Avrebbe potuto percorrerle tutte in poche falcate, eccome se avesse potuto! Invece no! Altrimenti la copertura sarebbe saltata e non ci sarebbe stata nessuna guerra civile da combattere perché sarebbero tutti morti.
Combattere? Era il fratello del futuro re e Helblindi era talmente bravo in quell’assurda pratica del ragionare che nessuno aveva mai messo in discussione il suo titolo di erede al trono. Bỳleistr, in quanto secondogenito, era stato cresciuto affinché diventasse il più temuto generale dei Nove Regni.
In passato, bastava la parola esercito per convincere Bỳleistr a fare qualsiasi cosa. Poi, il secondo principe di Jotunheim si era reso conto che la sua eredità era ciò che rimaneva di una carneficina compiuta dagli Aesir e che di gloriose gesta probabilmente non avrebbe mai compiute.
Eppure, difendere quel che rimaneva della sua casa gli era sembrata una ragione più che onorevole per mettersi a capo di un, seppur solo per modo di dire, esercito.
Poi il principesco nano biondo era arrivato con la sua armatura splendente e quell’incredibile faccia da idiota e nessuno aveva notato il coso, ancor più basso, al suo fianco. No, nessuno aveva guardato Loki.
Era stato un drammatico errore.
“Helblindi!” Cominciò a chiamarlo solo una volta giunto in cima alle scale, tanto per assicurarsi che non tentasse la fuga, “Helblindi!”
“Cosa?” Esclamò suo fratello di rimando comparendo sulla porta degli alloggi del re. Bỳleistr a stento trattenne un gemito di dolore, “perché devi sempre ricordarmi che sono basso?”
Helblindi inarcò un sopracciglio, “io faccio che?”
Il più giovane sbuffò, “lascia perdere, dov’è nostro padre?”
“Si è appena svegliato,” rispose Helblindi facendosi da parte per lasciar passare il fratello minore. Bỳleistr gli lanciò un’occhiata fugace, “ancora con quella storia dei sogni?”
“Forse dovresti cominciare a capire che c’è sempre una ragione dietro le azioni di nostro padre,” lo rimproverò Helblindi, prima che l’altro cominciasse a lamentarsi di quanto fosse umiliante vivere con gli scarti di Jotunheim all’ombra dei ribelli.
“Io capisco moltissime cose, Helblindi,” replicò acidamente Bỳleistr, “capisco che siamo costretti a rimanere in queste forme disgustose per la nostra sicurezza, capisco che abbiamo trovato rifugio presso la feccia di Jotunheim per guadagnare tempo, capisco anche che stiamo perdendo la fiducia dei pochi alleati che ci sono rimasti, dato che il re perde tempo ad inseguire vendette personali che non ci porteranno alcun profitto!”
“Nostro padre deve assicurarsi che Loki non ci rechi alcun danno!”
“Oh! E ci è riuscito piuttosto bene negli ultimi tempi, giusto?” Commentò Bỳleistr sarcasticamente.
“Non pretendo che tu abbia ancora fiducia in me,” intervenne improvvisamente la voce di Laufey, “non pretendo nemmeno che tu capisca, quando sono stato il primo a tradirvi.”
“Padre…” Bastò uno sguardò per zittire Helblindi. Non sarebbe bastato un esercito per convincere Bỳleistr a fidarsi ancora di lui: era un guerriero il suo secondogenito, i fatti parlavano più chiaramente di qualsiasi bella spiegazione. I fatti gridavano a gran voce che Laufey aveva fallito come re sotto ogni punto di vista.
“Io invece pretendo che tu esca da questa maledetta stanza e cominci a prenderti cura di quel che rimane qui, piuttosto che preoccuparti di errori a cui non riuscirai mai a porre rimedio!”
“Bỳleistr!” Esclamò Helblindi.
“Cosa?” Il più giovane guardò il fratello, “anche tu lo pensi! Sei solo talmente rispettoso nei suoi confronti da sembrare stupido! Sei proprio il figlio di Fàrbauti in questo, Helblindi, sei fin troppo bravo a piegarti di fronte ad un re!”
“Non azzardarti a disonorare tuo padre con quella lingua velenosa che ti ritrovi, Bỳleistr!” Tuonò Laufey ed il più giovane dei suoi figli fu costretto ad abbassare lo sguardo, “porterai rispetto a Fàrbauti, come ne porterai a Helblindi, tuo fratello e future re. Ci siamo capiti?”
“Porterò rispetto ad un re quando ne vedrò uno!” Ribatté Bỳleistr iracondo voltandosi ed uscendo dalla stanza con ampie e rabbiose falcate.
“Bỳleistr!” Chiamò Helblindi, ma suo fratello si era già precipitato giù per le scale, “padre…” Chiamò voltandosi, “se vuoi che…”
“Non è necessario, Helblindi,” Laufey sorrise amaramente, “non posso punirlo perché mi assomiglia, sarebbe ipocrita da parte mia.”

[Jotunheim, secoli fa.]

Laufey era ancora un ragazzino, quando cominciò ad infilarsi nella mente degli altri attraverso i sogni.
Non gli riusciva con tutti, sebbene fosse stato abbastanza superbo da provarci.
Tuttavia, non c’era nulla che lo ostacolasse quando faceva esperimenti con i sogni di chi amava.
Fàrbauti capì immediatamente che non era da solo e sapeva che non doveva temere nulla, ma Laufey non aveva mai usata i suoi poteri su di lui a distanza di mondi e, quando lo vide, non poté evitare di mostrarsi sorpreso.

Laufey sorrise, “sembrate terrorizzato, mio signore.”
Fàrbauti scosse la testa, “no, solo piacevolmente sorpreso.”
Non erano su Jotunheim. Il guerriero aveva visto quel luogo una sola volta nella sua vita ma lo riconobbe subito: il laghetto nella foresta di Asgard, l’ultimo posto in cui aveva incrociato quegli occhi verdi e li avevi trovati ricolmi di delusione e rabbia.
“Non hai idea di quanto mi sei mancato, mio principe,” Fàrbauti fece per toccarlo ma Laufey indietreggiò con un sorriso crudele, metà del viso coperta dai capelli corvini.
“Vi ho dato il permesso di toccarmi, per caso?”
Fàrbauti inarcò un sopracciglio, “come?”
“Pensate che sia qui per compiacervi?”
“Assolutamente no, Laufey, non avrei mai preteso…”
“Errore, Fàr! Grave errore!” Esclamò Laufey con rabbia, “Appena un paio di giorni fa ho detto che un altro uomo s’infila tra le mie gambe ed ora tu non provi nemmeno a riconquistare ciò che ti apparteneva.”
Fàrbauti si morse il labbro inferiore, “sapevo che ci sarebbero stati dei sacrifici da fare, Laufey, ma…”
“Già, sacrifici!” Ripeté Laufey con espressione teatrale, “il tuo compagno si umilia, si prostituisce per la causa e tu che fai? Ne sei orgoglioso! Sei fiero di vederlo totalmente succube alla causa di Jotunheim, perché non sia mai che al tuo fianco vi sia uno sporco ribelle capace di pensare con la sua testa, vero?”
Fàrbauti fece un passo in avanti ma Laufey si preoccupò di mantenere la distanza tra loro allontanandosi di un paio di metri, “mio adorato, io…”
“Adorato?” Laufey rise senza gioia, “sì, dovevi adorarmi davvero tanto tutte le volte che mi hai costretto sotto di te violentandomi senza riguardo.”
Fàrbauti scosse la testa, “stavamo solo…”
“No, Fàr!” Lo interruppe Laufey, “non stavamo. Tu stavi! Tu mi hai penetrato senza preoccuparti di null’altro tranne che del tuo piacere! Toglimi una curiosità, la notte in cui mi hai preso la prima volta a chi pensavi?”
“Ma che domande…”
“Non a me, Fàr!” Esclamò il principe, gli occhi verdi lucidi di lacrime, a suo malgrado, “perché se mi avessi guardato anche solo per un istante, se il mio pensiero ti avesse sfiorato anche solo lontanamente, ti saresti accorto che mi dimenavo, che piangevo, che t’imploravo di fermarti perché mi stavi facendo del male!”
“Laufey!” Fàrbauti riuscì, infine, a prenderlo per le spalle, “io non ho fatto di male. Non ho fatto nulla di diverso da quello che avrebbe  fatto chiunque!”
Laufey lo spinse via con rabbia, “è proprio questo, Fàr! È questo che mi ha ferito! È questo che ferisce Jotunheim ogni giorno! Tradizioni, leggi di cui nessuno ricorda l’origine! Sono cose morte… Cose morte che consacriamo come fondamenta per un mondo che sta cadendo in pezzi!”
Fàrbauti lo studiò per un lungo istante, “ma tu chi sei?”
“Lo conosci il mio nome…”
“Sì, ma non credo di conoscere più lo Jotun a cui appartiene.”
“Sono cresciuto, Fàrbauti,” spiegò Laufey freddamente, “sono cambiato, un evento che su Jotunheim non è contemplato.”
“Jotunheim può migliorare, Laufey!” Ribatté il guerriero, “sei ad Agsard per questo, per permettere a tutti noi di avere un futuro.”
Il principe abbassò lo sguardo, rimase in silenzio per alcuni istanti, poi mormorò qualcosa che il guerriero non riuscì ad udire completamente, ma quel che percepì fu sufficiente a farlo raggelare, “cosa?”
“Costruitevelo da soli il vostro futuro!” Urlò Laufey, “non sarà lo Scrigno a darvelo! Nessun potere darà un futuro al nostro regno, se non sarà Jotunheim a cambiare!”
Fàrbauti si sforzò di sorridere, “sei arrabbiato, ora…”
“Non sono mai stato tanto lucido, Fàr.”
“Laufey, non puoi abbandonare la missione, ora!” Sbottò il guerriero.
“Forse non ho voglia di smettere di farmi scopare dal principe di Asgard!”
“Basta con questa storia…”
“Perché?” La risata di Laufey era veleno, “non vuoi sapere come mi fa sentire quando mi penetra? Non vuoi sapere che viene dentro di me ogni notte? Non vuoi sapere che mi da un piacere che tu non saresti mai capace di eguagliare?”
La mano di Fàrbauti si abbatté sul suo viso senza pietà. Laufey rise portandosi una mano alla guancia, c’era solo sgomento negli occhi di ghiaccio del suo guerriero.  “È troppo tardi per giocare a fare l’uomo, Fàrbauti,” sibilò quasi sensualmente, “sei solo un suddito ed io sono un principe. Concederò tutto ciò che mi è rimasto solo ad un mio pari!”

“Amante del figlio di Borr… “ Ripeté il re di Jotunheim sommessamente.
“Vi è qualcosa che non va,” commentò Fàrbauti con ansia, “non può esserci altra spiegazione, non…”
“Metti da parte la tua emotività, giovane, non è quel di cui Jotunheim ha bisogno.”
Il guerriero cambiò immediatamente espressione abbassando lo sguardo, “perdonatemi, mio re.”
Ymir sorrise quasi benevolo, “comprendo la tua rabbia al pensiero che qualcun altro tocchi il tuo compagno, Fàrbauti, ma rendere questa missione un fatto personale ci porterà alla rovina.”
“Certo, mio signore.”
“Laufey vuole tradire tutti noi,” Ymir sorrise diabolico fissando l’infinita distesa di neve oltre le finestre della sala del trono, “e noi glielo lasceremo fare.”
Fàrbauti sgranò gli occhi, “come?”
“L’illusione del potere può rendere il più abile dei ribelli un povero sciocco e noi staremo buoni, nell’ombra ad aspettare che Laufey sia convinto della sua vittoria…”
“Mio signore, Jotunheim non ha più tempo…”
“Ordina che vengano selezionati solo i neonati più forti, allora.”
“È quello che già facciamo,” replicò il guerriero confuso.
“No, Fàrbauti,” Ymir scosse la testa, “ci limitiamo a liberarci degli scarti che, per nostro orgoglio, continuano ad essere la minoranza ma non tutti i bambini che risparmiamo saranno in grado di divenire i grandi guerrieri di cui Jotunheim ha bisogno.”
“Signore, io…” Fàrbauti non sapeva come replicare, “nessuno dei nostri guaritori è in grado di prevedere cosa un bambino diverrà dopo lo sviluppo, non…”
“Allora cominciate ad uccidere gli ultimi nati!” Sbottò Ymir, come se fosse un’ovvietà per la quale non avrebbe perso ulteriori parole. Fàrbauti ingoiò a vuoto, “vostra maestà…”
“La metà di loro non supereranno comunque il primo inverno,” commentò il sovrano sedendosi stancamente sul trono di ghiaccio, “non vedo motivo di sprecare risorse per servi che non diverranno mai abbastanza grandi per prestare servizio a me.”
“Ma per quale motivo uccidere i neonati capaci di sopravvivere? Io non…”
“Per concedere ai loro fratelli, già attivi per la comunità, di continuare a vivere.”
Fàrbauti sospirò, “mi è concesso fare una proposta, mio signore?”
“Ti è concesso…” Rispose Ymir con sguardo annoiato.
“Soltanto Utgard conta centinaia di nuovi nati ogni giorno e dovremmo essere orgogliosi dei frutti che il nostro popolo ci concede, non estirparli.”
“Mi stai proponendo di peggiorare la situazione, giovane?”
“No signore,” Fàrbauti scosse la testa, “ma vorrei farvi notare che i bambini dei nobili, pur essendo in numero notevolmente minore, usufruiscono delle risorse che sarebbero sufficienti a sostenere non solo loro stessi ma anche molti dei piccoli del popolo e…”
“Silenzio!” Sbottò Ymir alzandosi in piedi, “vieni qui a denunciare i vaneggiamenti di Laufey ma ti sei lasciato contagiare dal suo stesso veleno, Fàrbauti?”
“N-No, mio signore…”
“Allora per quale motivo mi chiedi di rinunciare a ciò che mi rende potente? A ciò che mi permette di mandare avanti questo regno?” Domandò Ymir con astio, “se perdo il consenso dei nobili, hai idea di quali potrebbero essere le conseguenze?”
“Mio re, io non volevo…”
“Guerra civile, Fàrbauti,” Ymir lo fissò dall’alto in basso, con superiorità, “tu cammini per le strade di Utgard, tu guardi negli occhi il nostro popolo e, dimmi, pensi che una guerra civile risolverebbe  i loro problemi?”
Fàrbauti chiuse gli occhi arrendendosi all’evidenza, non aveva un granché da scegliere: l’omicidio di molti innocenti o la rovina di tutti.
La prima era un’azione compiuta per il bene di Jotunheim, la seconda era un crimine compiuto contro il regno.
“Eseguirò le vostre indicazioni, mio re.”

[Midgard, oggi.]

“È stato il temporale, ha detto?” Domandò la ragazza dell’agenzia con eccessivo interesse. Thor era certo che le avesse detto il suo nome almeno un paio di volte, ma non si era minimamente preoccupato di memorizzarlo.
“Sì, penso siano state le vibrazioni causate dai tuoni,” commentò, come se non fosse affatto un esperto in materia. La ragazza annuì vigorosamente facendosi più vicino, “mi spiace che un simili incidente sia accaduto così presto, ma i temporali in questa zona sono sempre molto forti, anche nel periodo estivo.”
“Grazie dell’avvertimento,” Thor si sforzò di sorriderle, “mi guarderò dal scordarlo.”
Un paio di operai lo superarono senza troppe cerimonie, scaricando poco fuori la porta la carcassa di una delle finestre fatte a pezzi dall’ira di Loki. Thor sapeva che, ora che suo fratello aveva recuperato i suoi poteri, sarebbe stato sufficiente uno schiocco di dita da parte sua per rimediare a tutto quel trionfo di frammenti di vetro, ma per farglielo fare avrebbe dovuto chiederlo e per chiederglielo avrebbe dovuto parlargli.
La porta chiusa a chiave della camera da letto era un motivo più che sufficiente per scartare l’idea a priori.
Loki non voleva parlare e nemmeno Thor si sentiva pronto per farlo, non così presto, almeno.
“Lei e suo fratello avete intenzione di scendere in città, questa sera?”
“Come?”
La giovane rise, “le ho chiesto se questa sera verrete in città.”
“No,” rispose Thor confuso, “non ne abbiamo motivo.”
“Il divertimento non è un motivo più che sufficiente per voi due?”
“A mio fratello non piace molto divertirsi,” tagliò corto il semi-dio, “e nemmeno a me, ultimamente.”
La giovane mise su il broncio, “peccato, le avrei potuto far conoscere i posti più divertenti della città. È piccola rispetto a molte altre, ma non è deludente come potrebbe sembrare.”
“È una bella città, non ne dubito,” convenne educatamente Thor, “tuttavia, preferiamo rimanere qui ed abituarci alla nuova casa.”
La ragazza non si preoccupò di nascondere la delusione e la noia per una simile risposta.
“Chiamatemi, quando il lavoro sarà ultimato,” le chiese gentilmente Thor prendendo la via delle scale, “devo parlare con mio fratello.”
Non pensava che fosse sicuro farlo con una decina di mortali in casa, ma sapeva che, se non ci avesse provato, non sarebbe riuscito a comportarsi normalmente e non era sicuro alimentare sospetti di alcuna natura.
Fissò la porta chiusa per un lasso di tempo che non seppe se fu di pochi secondi o di eterni minuti, prima di bussare delicatamente, “Loki?” Chiamò. Non si aspettava una risposta.
Non aveva avuto tempo di ammetterlo con se stesso, ma una parte di lui credeva che Loki fosse tornato a chiudersi dietro quel terribile muro di silenzio forzato.
“Loki?” Abbassò la maniglia. Sospirò pesantemente: chiusa a chiave, ovviamente.

[Agsard, secoli fa.]

Sapeva che era un sogno.
Sapeva che non era reale.
Eppure, faceva male come se lo fosse.
“Coraggio, spingi… Spingi!”
La mano che stringeva la sua era forte e calda e vi era appigliato come un naufrago in mezzo all’oceano.
“Manca poco, te lo prometto…”
La voce che gli parlava era gentile, spaventata ma pregna d’amore.
“Lo vedo! Riesco a vederlo!”
Faceva male, ma doveva farlo, non sapeva perché, sapeva solo che doveva.
“Ancora una spinta e sarà tutto finito, solo una!”
Urlò e quando non ebbe più fiato per farlo, ci pensò la voce di una nuova vita a fargli eco.
“Ciao bellissimo… È perfetto…”
C’era commozione nella voce di chi gli stava accanto: quel bambino era amato, era voluto.
Suo figlio non avrebbe mai sofferto dell’indifferenza in cui era cresciuto lui e ne era lieto.
Un momento. Suo figlio? Aveva un figlio?
“Guarda… Guarda che cosa abbiamo messo al mondo,” il fagottino venne appoggiato sul suo petto con estrema cautela e non ebbe occhi che per la piccola creatura che vi era avvolta. Passò le dita tremanti sulla testolina ricoperta da ciuffetti corvini, poi suo figlio si svegliò e lo guardò: aveva i suoi occhi.
No, quella felicità non era la sua.
“Ciao, Loki…”
Eppure, era maledettamente bello provarla.


“Hai fatto un brutto sogno, vero?”
Nàl era profondamente turbato dalla facilità con cui Loki aveva imparato a conoscerlo in quei pochi mesi.
“Non so di cosa tu stia parlando,” disse freddamente.
“Lo immaginavo,” non se la prese, “dovresti essere felice, no? Borr non potrà mai più attentare alla tua incolumità senza giocarsi l’approvazione della corte. Hai salvato la vita ad Odino e lui ha saputo ricambiare il favore egregiamente.”
“Non sia mai che la prostituta ufficiale del principe venga condannata a morte dal re in persona, senza che questo scuota l’opinione pubblica,” commentò con disgusto Nàl guardando la propria immagine riflessa nel grande specchio. Loki gli stava pettinando i capelli appena lavati.
La tunica verde ricamata d’oro era degna di un principe e non di un mero ospite della corte.
Una puttana ben pagata ancor prima dei suoi servigi, ecco come si sentiva.
“Non pretenderai anche di truccarmi, come una sgualdrina di alto rango, vero?”
“Non ne hai assolutamente bisogno,” Frigga era entrata nella camera senza bussare, “saresti stupendo anche sporco di fango e con un semplice straccio per abito.”
Nàl sbuffò senza risponderle.
“Tu che ci fai qui?” Domandò Loki.
“Volevo vedere il nostro Nàl, prima della notte di nozze.”
“Non sei divertente,” la zittì il giovane Jotun lanciandole uno sguardo obliquo.
“Avanti, Nàl!” Esclamò lei posando entrambe le mani sulle sue spalle. L’altro vide il riflesso del suo viso sorridente nello specchio ma non riuscì a ricambiare l’espressione solare, “Odino ti ha assicurato un posto a corte che nessuno potrà mai portarti via. A meno che non intervenga una moglie legittima, ma questo non accadrà…”
“La tua sicurezza è contagiosa,” disse sarcastico lo Jotun tornando a guardare la propria immagine con profonda vergogna, “non poteva pensare a qualcosa di meglio, quell’idiota?”
“Ringraziamo che sia il re ad essere idiota,” replicò Frigga passandogli una mano tra i capelli corvini, “quando ha visto che Odino poteva tranquillamente camminare con le sue gambe, ha delirato che gli avrebbe concesso qualsiasi cosa… Come se si fosse salvato da solo!”
“Volevi ricevere un’onorificenza?” Domandò Loki ridendo.
“Se non per aver salvato il principe ereditario, almeno per aver picchiato la puttana che voleva attentare al trono…”
“Frigga!”
“Che c’è?”
“Perché non ammetti che ti piace che tutti sappiano che passerò il resto della mia vita negli alloggi del principe solo perché Jӧrd potrà sprofondare nella totale umiliazione della sconfitta?” La punzecchiò Nàl e lei gli aggiustò un ciuffo di capelli corvini dietro l’orecchio.
“Quanto sei intelligente, Nàl!” Esclamò, poi gli s’inginocchiò davanti sfoderando un’espressione ben più seria, “non devi prenderla così. Quando Borr ha concesso ad Odino di esprimere un desiderio e lui ha scelto te come amante ufficiale, non voleva umiliarti, voleva salvarti. Sai bene che, nonostante questo, il nostro caro Oden non ti obbligherà a fare nulla.”
“È disgustoso che per salvare la vita di una persona bisogni chiederle di svendere la propria dignità!” Esclamò Nàl scandalizzato voltandosi verso gli altri due, “c’è stata veramente qualche donna ad essersi abbassata a questo titolo?”
Frigga sospirò, “sai cosa non la rende una cosa disgustosa? Odino non è sposato, non è promesso a nessuno, con questa scelta promette se stesso a te. Siete solo voi due… Lo so! È squallido! Ma non c’è una regina a cui fare del male, non c’è nessuno da tradire. Non ha potuto chiederti come sposo perché… Perché…”
“Perché sarebbe stato troppo,” concluse Loki, “e non può prenderti come suo futuro compagno perché… Perché sarebbe troppo anche quello ma, se accadesse qualcosa…”
“Non accadrà mai nulla!” Sbottò Nàl.
“Se accadesse qualcosa,” insistette Loki, “Borr non dovrebbe far altro che ufficializzare un dato di fatto.”
Nàl scattò in piedi, “voi non capite! Odino può avermi salvato la vita ma mi rifiuto di essere… O anche solo fingere di essere la sua puttana ufficiale! Solo l’idea di sentirmi addosso tutti gli occhi di quei viscidi…”
“Non c’è pericolo, non temere.”
“Non si usa più bussare?” Esclamò Frigga voltandosi in direzione del nuovo arrivato.
“Ho imparato da te,” rispose Odino con un sorriso luminoso, “e comunque questi sono i miei alloggi privati.”
Nàl si preoccupò di continuare a dargli le spalle: voleva evitare di vedere quell’espressione compiaciuta per cui lo avrebbe odiarlo ancora di più.
“Potete lasciarmi da solo col mio compagno, per favore?” Domandò il principe con gli occhi puntati sulla nuca dello Jotun che continuava ad ignorarlo. Loki annuì stringendo fugacemente la spalla di Nàl prima di allontanarsi.
“Fratello, ascolta…” Mormorò al principe.
“Mi comporterò da signore, promesso.”
Loki sorrise ed annuì, lasciando il posto a Frigga, “sii rispettoso e trattalo con cura, non credo che tu sappia quanto gli devi.”
Odino sospirò, “perché mi sottovaluti sempre?”
“Perché qualcuno deve pur preoccuparsi di sgonfiare regolarmente il pallone gonfiato che sei,” rispose lei facendogli l’occhiolino e seguendo l’altro Jotun fuori dalla camera da letto.
Il rumore della porta che si chiudeva per Nàl fu come il suono del tamburo prima della sua esecuzione.
“Tutti sanno che sei qui, vero?” Domandò freddamente guardando Odino attraverso il riflesso nello specchio.
Il principe annuì con un sorriso leggero avvicinandosi lentamente.
“E tutti sanno che io sono qui ad aspettarti…”
“Tutti sanno che qualunque cosa decidiamo di fare, abbiamo l’approvazione del re.”
“Decidiamo?” Domandò Nàl sarcasticamente voltandosi, “io non ho deciso nulla. Hai scelto tu per me.”
Odino annuì con aria grave, “reclamarti come mio avrebbe impedito a mio padre di toccarti.”
“Che animo nobile, mio principe!” C’era solo veleno nelle parole di Nàl.
“Consultarti avrebbe implicato un tuo rifiuto, lo sapevo fin dall’inizio.”
“E hai deciso saggiamente di scavalcare la mia volontà, come se non fossi in grado di scegliere per me!”
Odino si sedette accanto a lui e Nàl non ebbe paura di fissarlo negli occhi per tutto il tempo, “hai un orgoglio tale che avresti preferito farti decapitare, piuttosto che scendere a patti con me.  Mi spiace, Nàl, non è una cosa che sono disposto a lasciarti fare…”
“Oh!” Esclamò lo Jotun con sarcasmo, “il tuo amore per me è tanto grande?”
Odino abbassò gli occhi sorridendo imbarazzato, “se vogliamo che questa cosa funzioni, penso che dovremmo cominciare ad essere sinceri l’uno con l’altro, non credi?”
“Comincia pure, ma non aspettarti nulla da me.”
“Una volta mi hai chiesto se ti amavo,” Odino cercò di prendergli la mano ma lo Jotun la ritrasse, “ti ho risposto che non lo sapevo. È vero, Nàl, non lo so. Non so cosa voglia dire amare e non starò qui ad illuderti di questo…”
Nàl sbuffò, “grazie per avermi confermato l’ovvio!”
“Ciò non toglie che mi piaci,” Continuò Odino imperterrito, “mi piaci da impazzire e sono sincero quando dico che non mi è mai successo con nessun altro. Nemmeno con Jӧrd.”
Nàl resse quello sguardo cristallino ancora per pochi istanti, poi fu costretto a voltarsi verso lo specchio. Ovviamente, a testa alta.
“Non ti lascerò violarmi per delle parole,” gli spiegò quasi gentilmente.
“No, non lo farai,” annuì il principe con aria soddisfatta, “ed io non ti obbligherò.”
Nàl sbuffò, “devo credere che non t’infilerai nel mio letto di nascosto mentre dormo ad appena pochi metri da te?”
Odino rise, “hai ragione, non posso assicurartelo.”
“Siamo disgustosamente sinceri, oggi.”
“Potrei passare notti intere sulla porta della tua camera solo per vederti dormire e sognare ad occhi aperti tutto quello che potrei farti per darti piacere.”
“Piacere?” Nàl si alzò in piedi di scatto, “è questa la nostra nuova parola d’ordine?”
Odino lo seguì con lo sguardo, mentre si avvicinava alla grande balconata, “se lo vorrai…”
Nàl incrociò le braccia contro il petto osservando Asgard alla luce del tramonto, “Frigga mi ha spiegato che le donne posso fingere di provarlo.”
Odino rise di nuovo, “oh! Le mie non hanno mai finto!”
“Ne sei sicuro?” Domandò lo Jotun lanciando al principe un’occhiata obliqua.
“Vuoi provare?” Propose il principe malizioso, alzandosi in piedi a sua volta.
“No,” fu la risposta sarcastica, “so che rimarrei deluso.”
Odino incassò il colpo con una falsa espressione dolorante, ma non bastò per togliergli quel sorriso dalla faccia, “vuoi sapere cosa penso?”
“No.”
“Penso che sia il tuo compagno quello che ti ha deluso in questo senso.”
Schiaffo.

[Midgard, oggi.]

I mortali avevano lasciato la loro casa al tramonto, anche se Thor aveva dovuto faticare parecchio prima che la giovane dell’agenzia si decidesse ad andarsene. Che gli piaceva l’aveva capito fin dal primo giorno, ma era meglio che comprendesse che non avrebbe mai ricambiato tante attenzioni, nemmeno per divertimento.
Non appena era riuscito a rinchiudere la porta d’ingresso e il silenzio della casa gli era arrivato addosso con la forza di un mare in tempesta, Thor si era precipitato su per le scale fermando la sua corsa solo di fronte all’unica porta che portava ad una stanza arredata.
Non vi avevano dormito la prima notte, a causa dell’incidente. Thor credeva che si sarebbe ritrovato costretto a trasferirsi in corridoio per mantenere una sorta di vicinanza non invasiva.
Non bussò questa volta, non chiamò alcun nome: non avrebbe ricevuto nessuna risposta comunque.
Abbassò la maniglia. Sobbalzò: la porta non era più chiusa a chiave.
Un pensiero terribile lo folgorò e lo costrinse ad irrompere nella stanza quasi con ferocia.
Loki non era sul letto, Loki non era da nessuna parte.
“Loki…” Mormorò in panico, ben sapendo che non sarebbe servito a nulla, “maledizione, Loki!”
Stava per girare i tacchi e lanciarsi all’inseguimento, in che direzione non lo sapeva, ma rimanere fermo in quella casa non avrebbe portato a nulla, quando.... Se fosse arrivato al corridoio, non avrebbe mai udito quel movimento flebile.
Il suo corpo si bloccò insieme al suo cuore, mentre la sua mente tentava d’individuare la direzione giusta da prendere. Solo allora vide l’ombra accanto alla finestra, solo allora si accorse di ciò che, nel panico, non era riuscito a notare.
Un vizio che doveva correggere ed in fretta.
Si avvicinò con cautela, non aveva paura, ma aveva come la sensazione che Loki volesse così. Scostò la tenda dall’angolo in un gesto quasi automatico, non fece nemmeno in tempo ad elaborare completamente l’immagine di quel che vide che scattò all’indietro cadendo seduto sul materasso.
In un gesto istintivo alzò il braccio destro per chiamare Mjolnir: non arrivò a farlo.
Il viso di Loki era ancora coperto a metà dalla tenda, la penombra della stanza e le pieghe della stoffa contribuivano a creare un sensuale effetto di vedo-non-vedo, ma Thor non faticò a capire che era completamente nudo sotto il suo sguardo.
Tremava, anche se in quelle iride scarlatte non vi era alcuna esitazione.
E Thor capì: quella era l’ultima parte del dono oscuro di Loki.
Prima gli aveva concesso di sentire, ora doveva vedere. Solo dopo, se fosse stato abbastanza bravo da superare la prova, avrebbe potuto illudersi di capire.
Aveva senso. Era giusto.
Thor si alzò lentamente, insicuro sulle gambe. Loki strinse un lembo della tenda con forza, ma non si mosse.
Per quante ore era rimasto chiuso in quella stanza per progettare quel momento? Quanto aveva dovuto combattere con se stesso prima di prendere una decisione definitiva? Quanto si sentiva dilaniato ora che era senza maschere o barriere di fronte alla persona che più diceva di odiare?
Quanto faceva male?
Il dolore di Loki era divenuto come una droga per Thor: sapeva che faceva male, sapeva che l’avrebbe spinto verso la distruzione, ma avrebbe volentieri bevuto un’altra goccia di quel fiele per sentirsi più vicino a quel cuore distrutto.
Thor sfiorò la pelle bluastra della guancia del fratello con la punta delle dita: non fece male. Trovò il coraggio ed azzardò a portare la mano alla base del suo collo, sfiorando le punte dei capelli corvini ora corti. Un contatto che era sempre stato familiare tra loro.
Continuarono a guardarsi in silenzio.
Thor non aveva idea di quel che stava pensando Loki, ma lui… Lui riusciva solo a pensare che, finalmente, poteva farsi un’immagine mentale integrale della persona che aveva avuto accanto per tutta la vita.
 Si voltò verso l’armadio, afferrò una maglietta tra le tante, poi tornò davanti a Loki e gliela porse.
“Hai fame?” Chiese con naturalezza.
Schiaffo.

[Asgard, secoli fa.]

Il sogno non era mai uguale, ma era sempre lo stesso.
Laufey se ne stava seduto sulla riva del laghetto, i piedi immersi nell’acqua fresca, seguendo con attenzione i movimenti del bambino che giocava nell’acqua bassa.
“Fai attenzione a non scivolare, Loki.”
Il piccolo si voltò e gli sorrise, poi saltellò nella sua direzione bagnandosi l’orlo della piccola tunica verde, “papà…”
“Sì?” Domandò Laufey avvolgendo le braccia intorno al bambino facendolo sedere tra le sue gambe. Loki non si oppose, rilassò la piccola schiena contro il suo petto sbattendo le manine sulla superficie dell’acqua. Laufey passò una mano tra i capelli corvini del piccolo, poi v’immerse il naso: aveva un odore fresco, come quello dei primi fiori di primavera che riescono a sbocciare nonostante il freddo.
“Laufey!” La voce allarmata di Fàrbauti non lo sorprese affatto, né lo sguardo di sorpresa che sapeva che gli stava rivolgendo, nonostante non lo stesse guardando in faccia.
Laufey sospirò tra i capelli del suo bambino e sorrise, “è bellissimo, vero?”
Fàrbauti si avvicinò con piccoli passi, “chi è?”
Laufey prese le piccole mani tra le sue accarezzandone il dorso morbido, “non l’ho ancora conosciuto,” ammise con un sorriso amaro, “so che si chiama Loki e che sono suo almeno quanto lui è mio.”
Il piccolo lanciò a Fàrbauti un’occhiata fugace, poi si rigirò nell’abbraccio del genitore nascondendo il viso contro il suo petto timidamente.
Laufey sorrise, “non devi aver paura…”
“Stai parlando con un’illusione della tua mente, Laufey,” gli fece notare il compagno.
“Ho sognato che lo allattavo qualche notte fa, lo sai?” Raccontò il principe alzandosi in piedi con il bimbo tra le braccia, “era così piccolo, ma era lui, ne sono certo.”
Fàrbauti scosse la testa, “Laufey, dobbiamo parlare…”
“E la scorsa notte, ho sognato che lo portavo in grembo e lo partorivo.”
“Laufey, ascolta…”
“Non ti sembra assurda questa felicità?” Domandò stringendo a sé il bambino, “non è mia, eppure la sento ed è totale, devastante…”
“Laufey!”
Loki si spaventò raggomitolandosi contro di lui più che poteva. Laufey gli passò una mano tra i capelli per rassicurarlo, “sei impazzito?”
“No, Laufey, sei tu ad avere qualcosa di strano!” Sbottò il guerriero.
Loki si dimenò tra le sue braccia e Laufey fu costretto a rimetterlo a terra. Il piccolo corse via piangendo sparendo tra gli alberi della foresta.
“Loki!” Chiamò il principe, ma sapeva che il bimbo non sarebbe tornato, “guarda cos’hai fatto!” Esclamò rabbioso voltandosi verso Fàrbauti che lo fissò sconcertato.
“Cos’ho fatto, mi chiedi?”
“Esatto!” Laufey si avvicinò spintonandolo con forza, “come hai osato spaventare mio figlio, come…”
Fàrbauti sgranò gli occhi, “che cosa hai detto?”
Laufey sbatté la palpebre un paio di volte, l’espressione rabbiosa divenne una di pura confusione, “io… Io non lo so…”
Fàrbauti lo afferrò per le spalle scuotendolo con forza, “figlio tuo e di chi, Laufey?”
“Non lo so!” Sbottò il principe tentando di liberarsi e fallendo, “è il sogno a confondermi…”
“Quello è un bambino Aesir!”
“Lo so!” Laufey riuscì a divincolarsi ma finì solo col ritrovarsi con la schiena contro il tronco di un albero, “non so perché succeda, lo sento e basta.”
“Quale veleno ha usato Asgard per renderti così?” Domandò Fàrbauti quasi disperatamente.
Laufey scosse la testa, “nessuno ha fatto niente, io non… Sto cambiando, Fàr, tutto qui.”
“Non puoi cambiare, Laufey!”
Il principe s’irrigidì improvvisamente spaventato da tanta rabbia.
“Jotunheim ha bisogno di te e non lascerò che continui a morire giorno, dopo giorno, solo perché il suo principe è troppo preso da se stesso e dalle sue stesse illusioni per farsi degli scrupoli!”
“Non accusarmi di questo, Fàr! Non tu che strappi i piccoli scarti dalle braccia dei loro genitori senza che questo ti tocchi minimamente!”
“Sono ordini, Laufey!”
“Questa è la giustificazione a cui si appigliano gli schiavi, Fàr!”
Il guerriero lo spinse contro il tronco con forza, fino a fargli male, ma ci voleva ben altro per piegare il principe di Jotunheim, “cosa vuoi fare, Fàr? Pensi che picchiarmi mi convincerà ad inginocchiarmi alla volontà di mio padre?” Voleva piangere, ma era troppo orgoglioso per farlo, “sai perché ho accettato di venire qui? All’inizio pensavo fosse per recuperare almeno un briciolo del suo rispetto, ma mi son reso tristemente conto che del re non m’importa nulla.”
“Laufey…”
“Se morisse domani, banchetterei per celebrare la sua dipartita!”
“Laufey, ‘sta zitto…”
“Sono venuto qui per te!” Una lacrima rabbiosa sfuggì al suo controllo, “il progetto era il tuo! Sei tu ad aver proposto a mio padre di riprendere lo Scrigno, perché i nobili non avrebbero mai sprecato vite per un’impresa suicida simile!”
Era faticoso urlare, piangere e parlare lucidamente nello stesso tempo.
“I nobili di Jotunheim non soffrono nulla, noi non avremmo sofferto nulla, ma tu sei un figlio del popolo e non ti vergogni di ammetterlo, tu sai come amare Jotunheim perché la conosci, a differenza di chi la governa. Ti amavo per questo, lo sai? Ti amavo perché credevo che non fossi come loro, ti amavo perché credevo che doveva esserci un motivo più alto se il destino ci aveva messo insieme.”
“E c’è, Laufey, c’è!” Replicò Fàrbauti con forza, “con noi, Jotunheim potrà finalmente tornare a splendere come narrano le antiche leggende. Io e te possiamo fare grandi cose su quel trono, se solo…”
“Io non voglio fare niente per Jotunheim…”
Non c’era esitazione nella voce di Laufey, né nei suoi occhi verdi.
“Che cosa hai detto?”
“Non lo voglio quel regno!” Esclamò il principe con rabbia, “non lo voglio un regno che uccide i suoi bambini per ragion di stato o violenta i suoi figli perché è tradizione. Non lo voglio un inferno simile.”
“Questa storia della violenza sta cominciando a stancarmi, Laufey.”
“È la verità!”
“Siamo un popolo guerriero, noi…”
“Anche gli Aesir lo sono!” Com’era tremendo quel momento. Laufey era stato affamato di conoscenza per tutta la vita, gli era bastato uscire dai cancelli di ghiaccio di Jotunheim per capire che ciò per cui combatteva era un mondo limitato, un popolo oppresso ed un nobiltà tirannica che sopravviveva sulla base di tradizioni nocive e l’ignoranza delle masse.
“Lo sapevi che uno di quelli che noi chiamiamo scarti è fratello dell’erede al trono?”
“Lo sanno tutti e…
“E credimi, Fàr, ha più valore lui di tutta la nostra corte di nobili Jotun purosangue!”
“Quel che dici è blasfemia…”
“Quel che dico è realtà! Sono padrone delle bugie e riconosco una verità assoluta quando la vedo! I bambini che noi condanniamo a quel destino orribile potrebbero essere più utili di qualsiasi esercito di bestie assetate di sangue, se solo ci disturbassimo ad insegnare loro la magia.”
Fàrbauti scosse la testa, “chi ti ha fatto il lavaggio del cervello?”
“Il mio cervello è perfettamente autonomo, un vizio che non ho intenzione di togliermi, nemmeno per il bene del tuo adorato regno.”
Il cielo si era oscurato e alcune gocce di pioggia erano cominciate a scendere su di loro, ma non vi fecero caso.
Laufey prese il viso di Fàrbauti tra le mani, “sai che quel che noi chiamiamo tradizione, su Asgard viene chiamato stupro? Ciò che per noi è normale, su Asgard è un crimine anche punibile con la morte.”
“Piantala di paragonarci a loro!”
“E tu smettila di chiuderti dietro l’isolamento a cui ci hanno condannato per generazioni!”
“Laufey, basta…”
“Tu mi hai stuprato, Fàr…”
“Basta!”
“Ho ingenuamente pensato che fossi al di sopra di tutto questo, poi ho stupidamente deciso di accettarlo perché per la loro diabolica mentalità ero io ad essere sbagliato… Non credevo che potesse esistere altro, ma esiste, Fàr! Esiste il rispetto per il proprio amante, esiste il desiderio di darsi piacere a vicenda, esiste la possibilità di farlo liberamente, lontano dagli occhi calunniosi degli altri, senza paura di sentirsi usati o umiliati.”
Il principe appoggiò la fronte contro quella del guerriero, “accetterò di combattere per un mondo che odio, se almeno tu mi ascolti. Accetterò di cancellare tutto quel che è successo fino ad oggi, se cerchi di amarmi come merito. Non sarà lo Scrigno a rendere Jotunheim migliore, saremo noi, se decidiamo di dare vita a quel cambiamento…”
Fàrbauti lo fissò come se non riuscisse a comprendere nemmeno metà delle sue parole. Laufey sospirò e chiuse gli occhi facendo aderire le loro labbra in un bacio veloce e leggero: un dolce contatto che in secoli d’amanti non avevano mai sperimentato.
Il principe sorrise contro le labbra dell’altro, “possiamo salvare Jotunheim, se decidiamo di farlo insieme. Possiamo…”
Ma Fàrbauti non lo ascoltava più, non lo vedeva più. In quegli occhi di ghiaccio, Laufey vide solo la rabbia più cieca e si ritrovò ad allontanarsi, suo malgrado, “Fàr?”
“Chi ti ha insegnato a fare una cosa del genere?”
“Cosa… È solo un bacio, Fàr.”
“E con chi l’hai provato prima di me?” Sibilò il guerriero.
Laufey rise, “no! No! Mentivo, Odino non mi ha mai toccato, volevo solo…”
“Odino?” Ripeté Fàrbauti, sordo a qualsiasi spiegazione, “è stato il principe di Asgard a baciarti? È lui che ti ha messo in testa tutti questi vaneggiamenti sul piacere?”
“Fàr…”
“O magari gli hai anche sperimentati?”
“Mentivo, Fàr! L’ho fatto per farti arrabbiare, io e Odino non abbiamo mai…”
“E quel bambino Aesir?”
“Loki? L’hai detto tu, è solamente un sogno!”
“Odino ti ha baciato?”
“Avresti accettato che mi scopava, ma non riesci ad accettare che…?”
“Ti ha baciato o no?”
“Sì!” Sbottò il principe al culmine della rabbia, “sì, mi ha baciato per una notte intera, mi ha stretto a sé senza pretendere altro e mi è piaciuto! Sei contento, ora? Mi è piaciuto baciare il principe di Asgard e lo rifarei dato che tu non saresti mai stato capace di farmi provare qualcosa del genere!”
Era stato stupido, Laufey.
Ne fu consapevole appena un istante dopo aver smesso di parlare.
Soleva essere lucido e controllato un tempo, ma con Fàrbauti quell’odiosa cosa chiamata impulsività spesso prendeva il sopravvento su tutto il resto. E la cosa peggiore era che Odino riusciva a scatenare lo stesso effetto.
“Fàr…”
Non seppe mai come sarebbe terminata quella frase, non avrebbe saputo cosa dire, per essere onesti.
Seppe solo che il terreno era freddo e fangoso e che la pioggia non migliorava la situazione.
“Fàr!”
L’altro gli rispose mordendogli con forza l’incavo tra il collo e la spalla.
“L’ultima volta, mi hai detto che avresti voluto vedermi riconquistare ciò che mi apparteneva,” sibilò Fàrbauti prima di strappargli via i pantaloni con forza, “perdonatemi, se vi ho fatto aspettare, mio principe…”
“Fàr!”
Fu l’unico urlo che emise, un istante dopo si sentì come spaccato in due e seppe che era troppo tardi per salvare quel che era rimasto di loro. Non era reale. Era un sogno, al risveglio non avrebbe trovato alcuna traccia di quella violenza sul suo corpo.
Non aveva importanza…
Faceva male, faceva dannatamente male. Avrebbe continuato a far male per sempre.
Artigliò il terreno fangoso ed aspettò che tutto terminasse con gli occhi serrati e il labbro inferiore stretto tra i denti. Non fu come la prima volta, fu infinitamente peggio. Non c’era nessuna orribile tradizione a giustificare quell’atto, Fàrbauti gli stava facendo del male volontariamente.
Fàrbauti gli stava dimostrando che non erano mai stati diversi dagli altri. Laufey aveva perso al primo accoppiamento e questo non lo rendeva inferiore solo agli occhi di un padre deluso o di una corte divertita, ma anche a quelli del compagno che, nonostante tutto, aveva sempre creduto lo amasse.
Il guerriero venne con un gemito gutturale, “È mio, sarà sempre mio…”
Laufey aprì gli occhi: non si stava rivolgendo a lui. Si voltò verso gli alberi e l’orrore che lo colse fu tanto forte da fargli fermare il cuore.
Odino lo guardò con un’espressione traumatizzata che doveva essere lo specchio della sua.
Si svegliò.

[Midgard, oggi.]

Thor cominciava a rendersi conto che non aveva la minima idea di come superare le prove di Loki.
Essere duro, gli faceva guadagnare reazioni violente.
Essere gentile, provocava reazioni ancor peggiori.
Non gli restava che la buona e vecchia soluzione impulsiva.
“Cosa vuoi?” Ringhiò, “vuoi che ti dia ragione? Vuoi che prenda il martello e ti massacri perché non posso sopportare l’idea di aver avuto un mostro al mio fianco per tutta la vita? È questo che vuoi?”
Loki continuò a fissarlo con freddezza, senza rispondere.
“Ovviamente!” Esclamò Thor con un gesto teatrale, “perché se c’è una cosa in cui ci assomigliamo è che non ci piace che le nostre convinzioni vengano contraddette, mi sbaglio?”
Loki sbuffò e fece per andarsene ma Thor lo bloccò contro la finestra afferrandogli entrambe le spalle.
“Saresti stato felice, se ti avessi aggredito, vero?” Gli occhi azzurri erano gelidi quanto quelli scarlatti dello Jotun, “perché tu non vuoi essere amato o rispettato. Forse un tempo, sì, ma ora… Ora vuoi solo che le nostre azioni confermino le tue convinzioni, così che tu possa odiarci liberamente biasimandoci senza pietà, dico bene?”
Loki lo guardò minaccioso.
Thor rise, “puoi credermi un idiota quanto vuoi, ma non li sai usare i tuoi poteri di Jotun, altrimenti non saresti scappato così terrorizzato e disorganizzato l’altra notte, e se avessi voluto usare gli altri contro di me, lo avresti già fatto. Non so cosa ti trattenga, seriamente non lo so, ma la mia presenza sembra esserti di qualche utilità e farmi del male non è nelle tue priorità. Almeno non dal punto di vista fisico…”
Loki lo guardò con uno sguardo altezzoso che gli fece prudere le mani.
“Se è una guerra di odio e rabbia quella che vuoi combattere. Mi dispiace, non riesco ad odiarti!” Urlò infine Thor voltandosi di botto. Non vide l’espressione sconvolta di Loki, non vide il modo in cui sgranò gli occhi e cominciò a recuperare il pallido colorito che su Agard lo aveva sempre caratterizzato.
“Stai mentendo,” commentò d’istinto.
Thor tornò a guardarlo immediatamente, “oh! Allora parli!” Esclamò sarcastico.
“Come puoi illuderti ancora?” Domandò Loki con espressione derisoria, “ti ho mostrato l’agonia che ha distrutto tuo fratello, te l’ho fatta provare sulla tua stessa pelle. Cos’altro hai da sperare?”
“Non lo so!” Ammise Thor alzando le braccia al cielo in segno di resa, “non so se sono in grado di recuperarti dal vortice oscuro in cui ti trovi ora, ma sono qui e nessuno mi costringe ad esserci. Questo non ti dice niente?”
“Che sei l’essere più stupido esistente.”
“Il sarcasmo non ti porterà da nessuna parte, fratellino.”
“Non sono tuo fratello.”
“Nemmeno ripeterti ti porterà da nessuna parte,” il sorriso arrogante sul viso di Thor lo faceva tornare indietro di almeno due anni. Erano passati solo due anni? Perché gli sembrava fossero trascorse mille vite?
Thor si prese il labbro inferiore tra i denti e morse con forza fino a farlo sanguinare.
“Che stai facendo?” Domandò Loki scocciato.
Thor si portò due dita alle labbra per assicurarsi che la ferita fosse aperta, “puoi sentirmi, non è vero?”
“Cosa stai delirando, ora?”
Il più grande si avvicinò ancora, fino ad arrivargli davanti, “puoi sentire la mia anima, come io ho sentito la tua, dico bene?”
Loki sgranò gli occhi, poi gli rivolse un’espressione disgustata, “se non morirai per mano mia, ti auguro una fine miserabile!”
Thor lo sbatté contro la finestra prima che potesse muovere un passo, “baciami…”
“La sola idea mi fa vanire la nausea,” soffiò Loki velenoso, “ho combattuto con i conati di vomito tutto il giorno, ripensando a quel che è successo ieri. Non ti toccherei nemmeno se fossi l’ultimo uomo sulla faccia dell’intero universo! Mi fai schifo! Mi fa schifo il modo in cui t’infili tra le gambe di qualsiasi donna anche solo lontanamente passabile e tutto perché questo ti fa sentire maschio, quando non hai la minima di cosa voglia dire essere uomo! Sei una prostituta d’alto borgo! Ecco quello che sei! Nessuna donna avrebbe mai assecondato le tue attenzioni, se non fossi stato il principe ereditario! Non sei un conquistare, non sei un amante, non sei niente! Sei solo una scopata e lo saresti stato anche per quella sporca mortale alla quale hai consacrato il tuo cuore dopo appena due giorni! Non è lei che ti ha cambiato! Sono stato io! Io ti ho reso migliore con quelle azioni che tanto biasimi, quell’esserino mediocre non ha compreso nemmeno metà di quel che le è successo attorno e, nonostante questo, tu sostieni di amarla! È facile amare qualcosa d’inferiore a te, vero? È facile amare senza sapere cosa sia l’amore, dico bene?”
Questa era la verità…
Essere duro, gli faceva guadagnare reazioni violente.
Essere gentile, provocava reazioni ancor peggiori.
Non gli restava che la buona e vecchia soluzione impulsiva.
Il colpo partì prima ancora che Thor realizzasse di essersi mosso.
Loki cadde a terra come un corpo vuoto e lì rimase, come un giocattolo rotto.
Poi, l’impulsività fece un passo indietro e Thor si rese conto di quel che aveva fatto.
“Loki…”

Il sogno non era mai uguale ma era sempre lo stesso.
Loki odiava la neve e proprio perché la detestava tanto questa non faceva che infestare i suoi incubi.
Non sapeva se fosse Jotunheim, il mondo in cui si ritrovò.
Sapeva solo che faceva freddo e quella maledetta cosa bianca lo circondava.
Forse erano le scale di un tempio quelle su cui era seduto, forse la sua mente si prendeva gioco di lui rielaborando una scena che non poteva ricordare ma di cui era stato protagonista.
Forse era su un altare di ghiaccio come quello che era stato abbandonato, forse era in un posto simile che Odino l’aveva trovato ed era iniziata la sua personale tragedia.
Si alzò e sfiorò la superficie di ghiaccio, come se potesse trovarvi la risposta a tante domande che si era rifiutato di fare persino a sé stesso.
“Chi sei?”
Loki si voltò verso il proprietario di quella voce sconosciuta in un gesto automatico. Un giovane dagli occhi di ghiaccio e i capelli corvini lo fissava dall’entrata del tempio: dalla corporatura e dal vestiario dedusse che doveva essere un guerriero.
“Chi sei tu?” Replicò Loki con tono gelido, incapace di capire se quell’individuo fosse frutto della sua mente, oppure un intruso. Un altro…
Il giovane si avvicinò lentamente studiandolo con sguardo rapito. Un gesto piuttosto irritante.
“Ti ordino di dirmi chi sei?” Sbottò il principe perduto di Asgard.
L’altro si fermò, sgranò gli occhi come se avesse intuito qualcosa d’estremamente importante. Loki rimase in silenzio ed attese.
Il principe di Jotunheim sorrise, “il mio nome è Helblindi…”

***
Lo ammetto, quando parlavo di Lime non mi riferivo alla scena di stupro in questo capitolo, ma nel prossimo mi farò perdonare!


Helblindi & Bỳleistr: nel dubbio, ve li presento ufficialmente. Sono i figli di Laufey e Fàrbauti secondo le alte fonti della mitologia nordica e, quindi, fratelli di Loki. 

Ymir: non è la prima volta che lo incontriamo, ma merita una nota anche lui. Si tratta di una sorta di Gigante di Ghiaccio da cui hanno avuto origine tutti gli altri (e non solo loro, mi pare.) . Qui è comodamente reinterpretato come il re di Jotunheim che ha preceduto Laufey.

Diamo il benvenuto a "Contenuti Forti" e "Mpreg"! La prima è piuttosto facile da collocare, la seconda ha solo carattere onirico... Per ora!



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Capitolo 12
*** Fratelli ***


XI
Fratelli

 [Midgard, oggi.]


Helblindi credeva che vi fosse una qualche simbolica crudeltà nelle infinite trame del caso.
Laufey non gli aveva mai nascosto nulla: era solo un bambino quando accadde la tragedia, ma era comunque troppo grande per illudersi che potesse dimenticarsi ogni cosa. Si era limitato ad aspettare che lui e suo fratello crescessero abbastanza per poter comprendere la sua storia.
Bỳleistr non l’aveva mai accettata del tutto.
Helblindi aveva deciso di provarci ma non sapeva fino a che punto fosse riuscito ad ingoiare tutta la verità sui suoi genitori. Gli errori. Le ferite. I tradimenti.
No, a nessun bambino dei Nove Mondi sarebbe piaciuto sapere che non era nato da un atto d’amore.
Laufey lo amava ed era questo l’importante, si diceva. Tuttavia, c’erano stati giorni in cui si era fermato a riflettere su suo padre e su Fàrbauti e non era riuscito a sopprimere il disgusto che aveva provato, né l’assurdo desiderio di volersi strappare la pelle di dosso pur di cancellare ciò che lo legava ai suoi genitori.
Doveva essere quello il disprezzo ed invidiava Bỳleistr per riuscire a sfogarlo ad alta voce, senza vergogna. Era più semplice per lui, dopotutto: non c’era realmente nulla di Fàrbauti in lui.
Da Jotun, portava addosso i segni della sua stirpe, certo. Da Aesir aveva gli stessi occhi di ghiaccio, ma Bỳleistr non era il ritratto di Fàrbauti.
Helblindi sì e, certe volte, temeva d’incrociare lo sguardo di suo padre per vedervi riflesso un odio che non era per lui. Come si poteva sopportare di vedere negli occhi del proprio figlio la persona a cui si è dato tutto per ricevere in cambio solo dolore?  
Qualcosa gli diceva che il re Odino doveva saperne qualcosa.
In questo vi era la crudeltà.
Quattro vite concepite. Tre bambini nati. Due eredi ed un errore.
E indovina un po’ quale dei tre figli è il ritratto integrale del re di Jotunheim…

“Ti ordino di dirmi chi sei!”
Il principe di Jotunheim sorrise: quella fredda arroganza gli era familiare.
“Il mio nome è Helblindi…”
Se Loki fu sorpreso dalla sua collaborazione, non lo diede a vedere, “il tuo nome non ha alcun significato per me.”
“Lo immaginavo…”
Odino aveva sempre saputo della sua esistenza: la guerra era stata sospesa per la sua nascita, come per quella di suo fratello e suo padre aveva ricambiato il favore quando, poco dopo, era nato Thor. Ma nessuno ha mai tempo di far correre le voci in tempo di morte e nulla è concesso agli eredi dei perdenti.
“Ma il tuo lo ha per molti, dico bene, Loki?”
Sì, Helblindi era proprio figlio di Fàrbauti. Sempre pronto ad inginocchiarsi di fronte ad un re, aveva detto
Bỳleistr. Incredibilmente stupido nel sottovalutare una creatura apparentemente più debole di lui.
Loki non si era mosso, eppure c’era stata una forza incredibile e schiacciare Helblindi contro il muro di ghiaccio.
“Farai bene ed essere sincero con me, inutile essere,” sibilò il principe oscuro di Asgard esaurendo lentamente la distanza tra loro. Helblindi aveva perso tutta la sicurezza con cui gli si era presentato con la guardia abbassata ed il viso scoperto e lo fissava con espressione tesa, stando ben attento a prevedere la sua prossima mossa.
“Chi ti manda?” Ringhiò.
“Se ti dicessi che sono venuto di mia spontanea volontà e senza brutte intenzioni ,non mi crederesti…”
“Sei intuitivo, complimenti,” il sorriso di Loki era sarcasmo puro, come il tono della sua voce, “se non vuoi danneggiarmi in qualche modo, per quale motivo dovresti trascinarmi nel tuo sogno?”
Era più basso di lui. Di poco, dovette ammettere. Per quanto
Bỳleistr si divertisse a definire nani tutte le creature bipedi al i fuori degli Jotun, Loki ,probabilmente, superava l’altezza media dei giovani di Asgard.
A compensare ci pensava la scarsa prestanza fisica…
“Non è il mio sogno,” lo informò Helblindi, “è tuo, io mi sono limitato ad entrarci. La tua mente non ha barriere.”
Loki rise senza gioia, “e dopo avermi sbattuto in faccia le mie debolezze e avermi praticamente suggerito che, per te, la mia testa è come un libro aperto, pensi che possa credere che questo sogno è completamente frutto del mio inconscio?”
Helblindi si guardò intorno, ma non ne aveva bisogno: aveva riconosciuto quel luogo non appena vi aveva messo piede, “no, non del tuo inconscio, di un tuo ricordo.”
Loki gli strinse la gola con rabbia, il viso deformato da un ghigno orribile, “dici di sapere molte cose di me, ma sembra che tu non conosca il regno da cui provengo…”
Helblindi ingoiò con fatica, “sì, lo conosco, invece,” disse con sicurezza, “è questo, è Jotunheim.”
Loki gli conficcò le dita nella carne: non poteva ucciderlo nel sogno ma la sensazione che ne derivò non fu affatto piacevole.
“Come osi?”
“Oso cosa, principe di Asgard?” Lo disse con sarcasmo, prima di alzare il braccio destro e stringergli il polso.
Per Loki fu come rivivere un incubo. Un freddo intenso gli attraversò il corpo da capo a piedi e la pelle della sua mano cominciò a tingersi, lentamente, di blu.
Scattò all’indietro, come se quel contatto gli provocasse qualche tipo di dolore fisico, ma il danno era ben più profondo e più difficile da riparare. Helblindi restò a guardarlo in silenzio massaggiandosi il collo: l’espressione minacciosa di Loki si era trasformata in una maschera di panico e sbigottimento, mentre guardava la sua pelle tornare pallida e priva di segni.
Helblindi fece un passo in avanti, “Loki…”
“Sta lontano da me!” Urlò indietreggiando di un paio di metri, “non toccarmi, lurido essere, non pensare nemmeno di…”
“Non voglio farti del ma…”
“Non m’interessa cosa vuoi, vattene!” Loki indietreggiò ancora finendo con l’inciampare sui gradini ghiacciati dell’altare. Helblindi non fece un passo di più.
“Perché non mi sono svegliato?” Gli domandò Loki accusandolo con lo sguardo.
Helblindi scosse la testa, “non ho poteri simili, posso solo entrare nei tuoi sogni, non posso alterare i tuoi stati di coscienza a mio piacimento. Probabilmente, non stai semplicemente dormendo…”
Loki sembrò crederli o, perlomeno, decise di sorvolare sulla questione della sincerità, “che cosa vuoi?” Sibilò nuovamente, come se fosse una serpe sul punto di mordere.
“Vederti, a dire il vero,” Helblindi scrollò le spalle, “non pensavo di riuscirci, non avevo pianificato altro.”
“E per quale motivo uno Jotun dovrebbe volermi incontrare?” Domandò Loki sospettoso, “come principe di Asgard ti sono nemico, come figlio di Jotunheim dovrei essere un traditore. Non mi riconosco in nessuno dei due ruoli, a dire il vero, ciò non toglie che ho cercato di distruggere il tuo mondo. Penso che questo non ti sia sfuggito.”
Helblindi gli concesse un sorriso amichevole, “sei andato e venuto da Jotunheim per mesi, pensando di non essere notato. Poi hai fatto uccidere tre di noi come esperimento, prima di entrare nella nostra corte solo, disarmato e a viso scoperto promettendo al nostro re una vendetta che aveva sempre agognato ed una rinascita in cui non osava più sperare.”
Loki non disse nulla, nemmeno quando smise di parlare.
“Tutti su Jotunheim conoscono il tuo aspetto, tutti conoscono il tuo nome. Non è stato difficile intuire per quale ragione alla partenza del re sia succeduta la catastrofe…”
“Eppure siete vivi,” soffiò Loki.
Helblindi annuì, “eppure siamo vivi.”
“E perché sostieni che questo luogo è un mio ricordo?”
“Conosci la risposta…”
“M’interessa sapere se la conosci anche tu.”
Helblindi abbassò gli occhi per alcuni istanti di riflessione, “molti hanno visto Laufey lasciare quel neonato in quel tempio in rovina. Molti hanno visto il re di Asgard portarlo via… Ma nessun Aesir. Era importante, vero? Nessun Aesir.”
Loki reclinò la testa di lato, “tu come puoi averlo visto? Avrai all’incirca la mia età.”
“Ero un bambino abbastanza grande da poter ricordare,” rispose Helblindi gentilmente, “nessuno poteva immaginare che il secondo principe di Asgard fosse quel neonato, tutte le creature tentano di dimenticare l’indimenticabile. Sopravvivere al ricordo di una guerra disastrosa rende superfluo l’abbandono di un neonato.”
Loki lo guardò con disprezzo, “volevi vedere con i tuoi occhi la feccia della tua stirpe reale?”
“No…” Helblindi sapeva che doveva giocare bene le sue carte, se non voleva che quell’incontro insperato fosse la scintilla per far scoppiare un nuovo conflitto, “volevo incontrare qualcuno che fosse come me.”
Loki rise senza gioia, “nessuno è come me.”
Helblindi scosse la testa con un sorriso, “non sai quanto ti sbagli.”
Comparve un bagliore di sfida in quelle iridi verdi, “sorprendimi, chiunque tu sia. Dimmi come fai a presentarti ai miei occhi con un simile aspetto. Dimmi come puoi entrare nei miei sogni. Dimmi cosa vuoi.”
“E tu cosa vuoi, Loki?”
“Non giocare la carta dell’impertinenza con me…”
“Non è mia intenzione, davvero,” Helblindi era sincero, “ma immagino che tu abbia molte domande a cui non riesci a dare risposta.”
Loki rise di nuovo, “se pensi di ottenere qualcosa da me svelandomi qualche grande segreto sulle mie origini bastarde, mi spiace deluderti, non m’interessano.”
“E se quel grande segreto te lo avesse tenuto nascosto Odino?”
Loki divenne serio di colpo. Gli occhi verdi ora liberi da quel velo di ghiaccio.
“Odino ha saputo giocarli bene i suoi segreti, solo che non aveva calcolato le conseguenze delle sue confessioni…”
“Che cosa ti ha detto?”
“Oh, questo allora non lo sai…”
“Conosco una storia lunga secoli e ricca di dettagli e sfumature che tu sembri completamente ignorare.”
Loki forzò un sorriso, “stai mentendo…”
Helblindi era funereo, “pensi che ci sia un accoppiamento tra bestie dietro la tua nascita, Loki? Pensi che ci sia un banale errore genetico dietro quello che sei?”
Loki sbuffò, “e tu che cosa sei?”
“Un mezzosangue,” mentì.
“Oh! Ma non mi dire…”
“Prima di giudicare mostri gli Jotun, dovresti chiedere ad alcuni veterani di quell’assurda guerra come si procuravano piacere nelle lunghe notti lontano dalle loro puttane.”
Il sorriso sarcastico di Loki sparì, “pensi che non lo sappia già?” Si alzò in piedi facendo qualche passo nella grande stanza di ghiaccio, “qual è il grande segreto? Sono figlio di una violenza? Sul serio, se è questo il grande colpo di scena risparmiamelo. È stata la mia terza ipotesi, dopo figlio illegittimo scomodo e bambino deforme di cui liberarsi prima che procuri vergogna al buon nome di famiglia.”
Helblindi strinse i pugni: non poteva essere impulsivo. Se Loki avesse intuito la sua vera identità, le conseguenze avrebbero potuto essere devastanti.
“Ti ho appena detto che è una storia complicata.”
“Uno storia di stupro è complicata.”
“Ci si può liberare dei figli non voluti prima che nascano, dovresti saperlo.”
“È una cosa che ci si aspetta da un essere pensate,” replicò Loki, “il tuo re si è fatto ammazzare ancor prima che avesse il tempo di farsi venire qualche sospetto.”
Helblindi si morse l’interno bocca con forza.
Loki gli concesse un sorriso quasi amichevole, “facciamo un patto,” propose, “io ti permetto di entrare nei miei sogni senza fare a pezzi la tua psiche,” l’espressione tornò ad essere glaciale, “ma, in cambio, tu risponderai con sincerità ad ogni domanda che ti farò. Mi dirai il motivo per cui sei qui, prima di tutto…”
“Te l’ho detto…”
“No!” Sbottò Loki, “perché se non hai mentito sulle tue intenzioni, hai mentito sulla tua identità: nessuno Jotun che sa quello che sai tu, che ha visto quello che hai visto tu può essere un paesano qualunque e, di sicuro, non sarebbe semplicemente interessato a conoscere il carnefice della propria specie.”
Helblindi ingoiò a vuoto, il respiro corto ed il cuore a mille, “per quale motivo non ti sei ancora liberato di me, allora?”
“Sono il principe delle bugie, dovresti saperlo,” rispose Loki, “sei talmente incapace di mentire che non sei una minaccia per me, ma sei stato sincero su due punti: vuoi conoscermi e c’è qualcosa che Odino non ha voluto dirmi e che, per qualche strana ragione, tu sai. Sono due verità che devono appartenermi…”

 

[Asgard, secoli fa.]

Nàl non aveva mai desiderato darsi la morte come in quel momento.
“Apri!”
E Odino non faceva che rendere quel desiderio più urgente.
“Apri questa maledetta porta!”
“Vattene!” Urlò Nàl raggomitolandosi ancora di più sul letto: non voleva parlare con nessuno, non voleva vedere nessuno. Men che meno lui! Voleva solo darsi il tempo per ritrovare la forza di reggersi sulle proprie gambe e pianificare il proprio trapasso. Voleva morire Nàl, Laufey, il principe di Jotunheim.
Non sarebbe sopravvissuto ad un dolore e ad un’umiliazione simile.
Faceva male persino respirare.
Un colpo improvviso e Nàl alzò gli occhi solo per trovare la porta scardinata ed un Odino folle di rabbia sull’uscio. Tentò di alzarsi, di correre via, il più lontano possibile. Voleva sparire. Doveva sparire.
Odino fu più veloce: gli saltò letteralmente sopra e lo bloccò contro il materasso con una violenza che non era per lui, mai per lui.
“Quante volte è successo?” Ringhiò il principe.
“Lasciami!” Urlò Nàl, sordo ad ogni domanda.
“Rispondimi!” Odino lo prese per le spalle con forza, “quante volte ha osato toccarti? Quante?”
Nàl tentò di dimenarsi, ma in quanto mera forza fisica, Odino gli era infinitamente superiore.
“Qual è il suo nome?” Continuò il principe, senza tregua, “chi è? Dimmelo maledizione! Dimmi dove posso trovarlo o giuro su tutti i miei avi che non rispondo di me!”
“Lasciami! Lasciami!”
Nàl non era preparato al colpo che ricevette in pieno viso. Dovette bloccarsi, il respiro ed il cuore non tardarono a fare lo stesso. Si portò una mano alla guancia, mentre fissava Odino con un’espressione tra il terrorizzato e lo sbigottito.
“Quante volte?” Ripeté il principe di Asgard con più calma ed in quegli occhi blu, Nàl vide una disperazione che doveva essere la sua, “quante volte ti ha fatto del male?”
Nàl non riusciva a smettere di tremare, aveva perso completamente il controllo di sé. Girò il viso da un lato per non doverlo guadare in faccia, “sempre…”
Odino chiuse gli occhi, si morse il labbro inferiore e respirò profondamente, poi si chinò e poggiò le labbra contro la guancia dello Jotun.
“No! No! Non mi toccare!” Lo respinse Nàl con una forza ridicola, ma fu sufficiente per convincere Odino a tirarsi indietro.
“Io lo devo ammazzare…”
“Cosa?”
“Io lo devo ammazzare!”
Nàl lo afferrò per un braccio, prima che potesse compiere qualsiasi movimento, “non sono affari che ti riguardano.”
Odino rise isterico, “non sono affari… Ma ti rendi conto di quello che stai dicendo?”
“Era il mio sogno!” Sbottò Nàl con rabbia, “non avevi diritto di entrarvi dentro, non avevi diritto di vedere quello che hai visto.”
Odino gli rivolse un’occhiata glaciale, “non l’ho fatto nemmeno di mia volontà, ma non credere che chinerò la testa e ti chiederò scusa, perché non lo farò mai.”
Nàl lo schiaffeggiò con rabbia ed Odino lo accettò, senza ribellarsi, “il tuo sogno ha interferito con il mio,” si giustificò il principe, “hai perso il controllo del tuo potere.”
Un istante di silenzio.
“Forse dovremmo smetterla di mentirci a vicenda, a questo punto…”
Nàl inarcò un sopracciglio.
“Sono ingenuo ed impulsivo, lo ammetto,” la voce di Odino era gentile, nonostante il significato delle sue parole, “ma, a differenza di quello che sembra, non sono un completo idiota.”
Nàl riuscì a mascherare magistralmente il terrore che gli comprimeva il petto, mentre tornava a guardarlo negli occhi, “non so di cosa…”
“Smettila!” Odino gli bloccò le mani sopra la testa e lo fissò con freddezza, “ho deciso di credere che fossi uno scarto, ma sono stato io a trovare Loki sotto le mura di Utgard secoli orsono e a stento lo si poteva distinguere da un’animale agonizzante. Tu eri nudo, sì, ma intatto, bellissimo, assomigliavi più ad un demone tentatore che ad una povera creatura abusata ed abbandonata,” una pausa, “qualunque fosse il piano, ha funzionato: ho deciso di portarti con me.”
“Lasciami…” Sibilò lo Jotun, senza nemmeno tentare di ribellarsi.
“No,” Odino sorrise sarcastico scuotendo la testa, “questa volta non ci saranno lacrime o parole velenose con cui potrai vincermi.”
Nàl si lasciò cadere contro i cuscini ridendo istericamente, “era questo il tuo piano fin dal principio, mio principe? Di qualunque cosa tu mi voglia accusare ora, sarò costretto ad aprire le gambe per garantirmi la tua protezione, vero?”
L’espressione di Odino era di nuovo funerea, “tu pensi che il mondo si divida tra coloro che sfruttano e coloro che vengono sfruttati, vero?”
“Hai un’interpretazione migliore dell’esistenza?” Domandò lo Jotun con maggior sarcasmo.
“Hai un potere eccezionale…” Commentò Odino, “ho dovuto studiare mesi per poter dare a Loki l’aspetto Aesir che ha ora e sono passati anni, prima che mio fratello fosse abbastanza forte per poter controllare il suo aspetto in modo automatico. Tu non hai ceduto una volta, neanche una…”
“Potrei essere un mezzosangue come tua madre, ci hai mai pensato?”
Odino lo afferrò per la gola bloccandogli la testa contro il cuscino, “non giocare con me, Nàl, non ulteriormente.”
Lo Jotun lo fissò con disprezzo, “credi che io menta fin dal giorno in cui mi hai trovato, eppure mi hai tenuto con te…”
“Comandi i sogni,” commentò Odino ignorandolo.
“No,” Nàl scosse la testa, “ho del talento nelle arti magiche, è vero, ma, qualunque cosa io sappia fare, l’ho imparata con i libri e con ore di pratica. Non possiedo nulla del potere di cui il re parlava…”
“Sei un nobile?” Domandò Odino irrigidendosi immediatamente.
Nàl sbuffò e girò la testa da un lato.
“Rispondimi, maledizione!” Esclamò il principe prendendolo per il mento ed obbligandolo a voltarsi, “nessuno scarto è mai stato educato abbastanza da essere in grado di leggere! Sei un nobile?”
“Chi lo sa…?” Il sorriso di sfida che illuminò il viso di Nàl chiedeva solo di essere cancellato con un pugno, “hai sospettato di me fin dal principio, eppure mi hai portato qui, perché?”
Odino lo guardò a lungo, sembrava stesse cercando qualcosa dentro quei gelidi occhi verdi, poi il sospetto e la tensione scemarono improvvisamente. Allontanò le mani dal corpo del giovane Jotun sedendovisi accanto.
Nàl non si mosse, continuò a sorridergli in quel modo tra il malizioso ed il diabolico: un’espressione del tutto fuori luogo per qualcuno che ha appena subito uno stupro. Lo Jotun reclinò la testa da un lato con un’espressione trionfante, “oh…” Mormorò, “sei la prova vivente di quanto le leggende ingigantiscano le virtù di creature come voi Aesir. Eroi, divinità, gesta gloriose…” Rise freddamente, “che cosa racconteranno di te, quando sapranno che il loro principe dorato ha ignorato volutamente dei sospetti che avrebbero potuto nuocere a tutta Asgard, per il bene di un desiderio basso, egoista e completamente personale?”
“Pensi che abbia deciso di stare al gioco perché sei bello?” Domandò Odino.
Nàl si alzò a sedere sul letto, “ne sono certo, mio principe,” fu la risposta, “l’hai detto tu stesso: un demone tentatore, no?”
Odino sospirò profondamente ad abbassò lo sguardo, “chi sei?”
Nàl sorrise istericamente, un nuovo nodo alla gola lo costrinse ad allontanare lo sguardo dal viso del principe. Si morse il labbro inferiore, ma una lacrima sfuggì al suo controllo, “non credo di ricordarmelo più…”

[Midgard, oggi.]

Il risveglio fu dolce, ma quel che seguì fu decisamente doloroso.
“Lentamente…” Mormorò una voce gentile accanto a lui.
Loki, in vita sua, si era ubriacato un numero di volte che potevano essere contate sulle dita di una sola mano, eppure ricordava con estrema lucidità i postumi che doveva sopportare il mattino seguente e quel dolore era terribilmente simile.
“Mi dispiace,” mormorò ancora la voce, “mi dispiace tantissimo, Loki.”
Ovviamente, avrebbe voluto rispondere ma il senso di nausea e di vertigine gli impediva di parlare. Due mani calde gli presero il viso e Loki ne afferrò i polsi alla cieca nella speranza che così potesse dar fine a quell’insopportabile capogiro.
“Ti chiedo scusa…”
Loki aprì gli occhi verdi lentamente incontrandone un paio di un blu intenso. Se la sua infanzia aveva avuto un profumo, probabilmente era stato quello di sua madre. Se aveva avuto una voce, era stata quella a tratti ferma, a tratti gentile di suo padre. Ma quello… Quello era il colore che lo aveva accompagnato per tutta la vita. Il colore che cercava nell’unico occhio di Odino, quando il suo sguardo gli incuteva timore.
Per logica, Thor doveva aver ereditato gli occhi di suo padre.
Per Loki, era sempre stato l’assurdo contrario…
Ci pensò, Loki. Pensò al giovane che doveva essere stato Odino, pensò al principe di quel diario, pensò che riusciva ad immaginarlo solo con il viso che aveva davanti agli occhi, a pochi centimetri di distanza dal suo.
“Non ti ho ferito, per fortuna,” mormorò Thor accennando un sorriso, “ma ti ho stordito per diverse ore. È già mattina, lo sai?”
Quasi come volesse accertarsene, Loki voltò lo sguardo verso la grande finestra alla destra del letto.
Sì, era giorno e, a giudicare dalla luce, doveva esserlo da un pezzo.
“Non credevo che il pensiero di Jane continuasse a ferirti.”
Loki si costrinse a non guardarlo negli occhi.
“Non la vedo da due anni. Non l’ho cercata, mi sono limitato ad assicurarmi che stesse bene. La mia presenza sarebbe solo un pericolo per lei, ora.”
Loki sapeva cosa intendeva. Io sono un pericolo per la tua sgualdrinella mortale, ma non finché sei qui a farmi da guardia.
“Ma tu vuoi vederla, vero?” Domandò freddamente, “vuoi tornare da lei a qualunque costo. Perché l’hai promesso e non sia mai che il Dio del Tuono non mantenga la sua parola.”
“Io la amo, Loki…”
E non avrebbe mai ammesso quanto una semplice ovvietà come quella lo mandasse in bestia.
“Questo non significa che un giorno smetterò di amare te.”
“Oh…” Loki sorrise istericamente tornando a guardare suo fratello negli occhi, “ho perso la speranza a questo proposito, principe dorato. Per usare le tue parole, questo non significa che un giorno sarai in grado di comprendermi, nonostante i tuoi patetici sforzi.”
Thor chiuse gli occhi e sospirò, “Loki, ho sentito il tuo dolore dentro di me…”
“Eppure non riesci ancora a capire.”
“Non posso giustificarti.”
“Certo che no,” Loki scosse lentamente la testa.
“Il mio perdono non avrebbe valore per ciò che non è stato fatto a me.”
“Non lo chiedo, non lo voglio.”
“C’era bisogno di giustizia, Loki.”
“Eppure hai urlato il mio nome, mentre mi facevano del male, nonostante sapessi perfettamente che lo meritavo.”
“Meritavi almeno un processo…”
“Ero colpevole di ogni accusa e lo sai.”
“Loki, io…”
“Quanto imparerai che è inutile cercare di salvare i dannati?”
Thor scosse la testa con forza appoggiando la propria fronte contro quella di Loki, “non puoi chiedermi di lasciarti cadere nell’oscurità, non di nuovo.”
“Che cosa ami di me?” Domandò Loki quasi gentilmente, “chieditelo e avrai risposte che appartengono a qualcosa che fu e che ora non è più. Combattere per riavere quel qualcosa, non solo è inutile, è folle…"
Thor lo fissò in silenzio: i loro visi così vicini, i loro cuori a mezzo palmo di distanza ma impossibilitati a sfiorarsi. Non importava quanto quello di Thor si sporgesse verso l’altro, non era sufficiente che superasse di gran lunga la sua metà di strada da percorrere. Quello di Loki scappava, si nascondeva, fingeva di non esistere più ed era talmente bravo a farlo che Thor, alle volte, si fermava a riflettere se stesse realmente combattendo per qualcosa di vivo. Se scorresse ancora sangue nel corpo di Loki o vi fosse rimasto solo il ghiaccio di un’origine che malediceva, che non voleva e che non avrebbe mai accettato.
Sangue…
Le idee tornarono a girare, la mente tornò a prima del panico per aver colpito suo fratello, prima della rabbia che lo aveva indotto a farlo, prima… Prima… Si portò una mano al labbro inferiore: sanguinava ancora.
Se Loki previde le sue intenzioni, non fece nulla per fermarlo. Thor ebbe appena il tempo di vedere un bagliore sospettoso in quegli occhi verdi, prima di far aderire le loro labbra in un altro bacio al sapore di sangue.


[Asgrad, secoli fa.]

“Non ci speravo più…” Il sorriso di Jӧrd era l’ombra di quello malizioso e sicuro che soleva rivolgergli, “pensavo di averti perso per sempre, mio principe.”
Lei cercò di prendergli il viso tra le mani, Odino le afferrò i polsi prima che potesse riuscirci, “non peggiorare le cose, Jӧrd.”
La luce sparì dal viso della giovane, “non sei tornato per me.”
Il principe scosse la testa.
“Non mi vuoi più?”
“Devo parlarti di quanto hai detto di fronte a mio padre,” spiegò Odino freddamente, “hai detto di aver visto Nàl parlare con un giovane.”
“Ho ritirato le mie accuse, io…”
“Il suo aspetto,” ordinò Odino, lei lo guardò confusa, “dimmi che aspetto aveva, è un ordine, Jӧrd!” Sbottò e la giovane fece un passo indietro spaventata.
“Che importanza può avere?”
“Non sono questioni che ti riguardano!” Ringhiò il principe, “voglio che mi racconti nei minimi dettagli quel che hai visto e stai bene attenta a non mentire o l’umiliazione pubblica sarà l’ultimo dei tuoi problemi!”
Il principe trovò suo fratello nella biblioteca completamente perso nella lettura di qualche libro complicato che venne messo immediatamente da parte, quando Loki incontrò lo sguardo furibondo dell’erede al trono.
“Che cosa è accaduto?” Domandò allarmato, mentre si alzava dal suo posto, “è passato appena un giorno e…”
“Tu lo sapevi, vero?”
Loki inarcò un sopracciglio, “cosa?”
“Di Nàl!” Sbottò Odino, “o meglio, di Nàl che non è Nàl!”
Loki s’irrigidì improvvisamente, gli occhi scuri divennero vitrei e le labbra una linea sottile, “stai delirando, fratello?”
Odino sospirò stancamente scuotendo la testa, “smettiamola di dirci bugie, Loki,” lo pregò, “sapevo fin dall’inizio che Nàl non era quel che diceva di essere,” si avvicinò fino ad arrivargli davanti, “e so che l’hai capito, fin dal principio, anche tu.”
Loki lo guardò imbarazzato per un manciata di secondi, poi si ritrovò costretto ad abbassare lo sguardo, incapace di mentire ulteriormente, “Odino…”
La reazione fu assurda, il principe gli appoggiò le mani sulle spalle, “hai mantenuto il suo segreto,” commentò, ma non c’era rabbia nella sua voce.
Loki annuì tremante, “era terrorizzato ed io… Avevo tutto sotto controllo, lo giuro!”
“Non è un criminale…”
“No!” Esclamò Loki d’impulso scuotendo la testa, “no, non devi pensarlo! Non ha mai fatto nulla che potesse… Voleva solo andarsene, Odino. L’ha fatto ingannando, lo so, ma non chiedeva altro che una via di fuga dall’inferno in cui è nato.”
Odino chiuse gli occhi e sospirò confortato, “grazie…”
“Fratello?”
Il principe si lasciò cadere sulla sedia in precedenza occupata dal giovane Jotun. Loki s’inginocchiò immediatamente accanto a lui, “tutto bene, fratello?” Domandò allarmato.
Odino si passò una mano tra i capelli sorridendo come un isterico, “era un gioco…”
“Cosa era un gioco, Odino?”
“Tutto!” Ammise ridendo senza gioia, “Nàl era lì, bellissimo, indifeso e pronto a venire con me, senza la minima resistenza… L’ho capito subito che Jotunheim voleva giocarmi un tiro mancino, ma non sapevo di che genere. Pensavo fosse un modo per far scoppiare uno scandalo: se avessi fornicato con uno Jotun sotto false sembianze, sarei diventato lo zimbello dei Nove Regni… E se ci avessi concepito un erede, sarebbe stato anche peggio…”
Loki fece una smorfia, “da quando tu sai che gli Jotun possono partorire?”
“So leggere, fratellino, a dispetto di quanto voi mi sottovalutiate,” rispose Odino annoiato, “volevo giocare al loro stesso gioco. Non so perché, forse ingravidare uno Jotun mi sembrava il modo migliore per ribellarmi a mio padre… Al diavolo la reputazione ed i Nove!”
Loki lo guardò storto, “Ecco perché ti sottovalutiamo, Odino.”
“Invece, guarda un po’!” Continuò Odino ignorandolo, “Nàl non mi vuole, gioca a fare il malizioso a tratti e solo per distrarmi ma, in realtà, è troppo pudico per concedermi anche solo un bacio senza avere un attacco di pentimento. L’unica cosa che vuole è stare qui, null’altro…”
Loki annuì accennando un sorriso, “ci sono cose di Jotunheim che nemmeno tu conosci, Odino e, alle volte, non sono solo quelli come me a soffrirne…”
Odino lo guardò dall’alto in basso, “tu sapevi del suo compagno, vero?”
Loki annuì, “non ti chiederò scusa per non avertene parlato.”
“Invece dovresti,” la voce di Odino si era raffreddata di colpo, “sapevi che Jӧrd non aveva mentito del tutto. Sapevi che quello Jotun era penetrato nel nostro regno senza che nessuno se ne accorgesse…”
“Anche la giovane Vanir vi è riuscita,” commentò Loki, “non è agli Jotun o ai Vanir che tuo padre dovrebbe guardare, ma alle sue stesse difese,” sospirò, “ma non è questo a darti fastidio…”
“Jӧrd ha detto di averli visti in una posizione che poco aveva di ambiguo.”
“Il compagno di Nàl ha tentato di riprenderselo,” spiegò velocemente Loki, “sei tu a morirgli dietro. Puoi biasimarlo per averci provato?”
“No, non è questo che mi da fastidio.”
“Bugiardo…”
“Non è solo questo!” Sbottò Odino alzandosi di nuovo in piedi, “Nàl ha aspettato che se ne andasse, poi si è voltato di colpo e l’ha chiamato per nome.”
Il cuore di Loki si bloccò di colpo.
“Vuoi sapere che nome ha chiamato, fratello?”
Ne aveva il terribile sospetto…
“Ha chiamato Fàr…”

[Jotunheim, oggi.]

Bỳleistr giurò che se l’avesse beccato un’altra volta a fissarlo, gli avrebbe cavato gli occhi e a mani nude.
“Cosa vuoi?” Sbottò di colpo e Helblindi sobbalzò di riflesso.
“Nulla d’importante,” rispose il maggiore dei due fratelli accennando un sorriso.
Bỳleistr sbuffò alzando gli occhi al cielo, “hai ricominciato a dire le bugie…”
Helblindi si oscurò di colpo, “io non mento mai…”
“Errore!” Bỳleistr decise di lasciar perdere il pezzo di ghiaccio che stava cercando d’incidere e si avvicinò al principe ereditario, “a nostro padre non menti mai! Non potresti, in fin dei conti. Tuttavia, a nostro padre non ha proprio parlato oggi e questo mi rende sospettoso… Molto sospettoso.”
Helblindi scrollò le spalle, “ti stavo solo guardando, è un reato?”
“Tutto ciò che m’irrita è reato.”
“Ti chiedo scusa.”
“Tu m’irriti spesso.”
“Sono fortunato ad essere nato prima di te, allora,” commentò Helblindi con un smorfia.
“Il tuo segreto m’irrita! Come tutta questa dannata situazione. Vuoi aiutarmi? Liberami da un paio di noie…”
“Vorresti che mi ammazzassi?” Fu la proposta sarcastica.
“No, vorrei che mi dicessi cos’hai combinato,” rispose Bỳleistr con espressione funerea, “perché mi fissi? Che cosa vai cercando in questa faccia schifosamente Aesir che mi ritrovo?”
Helblindi scrollò di nuovo le spalle, “Secondo te, noi ci assomigliano?”
Bỳleistr fece una smorfia, “come Aesir abbiamo gli stessi occhi e… I capelli neri, sì, ma qui tutti sembrano avere i capelli neri, quando diventano dei nani disgustosi, sarà una deformazione di razza. Si vede che siamo fratelli, per tagliare corto.”
“E assomigliamo a nostro padre?”
Bỳleistr rimase a riflettere per un lungo momento di silenzio, questa volta, “io vedo qualcosa di lui in me, ma non posso dire lo stesso di te…”
Helblindi sorrise amaramente, “in linea di massima assomigliamo a Fàrbauti, almeno così ci è stato fatto intendere.”
“E con questo?” Domandò il più giovane con irritazione, “non siamo meno figli del re, per una sciocchezza simile.”
“Su Jotunheim una scioccezza simile è un affare di stato,” gli ricordò Helblindi seriamente, “come Aesir non assomigliamo a nostro padre, come Jotun non abbiamo i suoi marchi dinastici e…”
“Non stare qui a crucciarti solo perché un gruppo di nobili malpensanti ha deciso che non siamo figli di Laufey…”
“È una delle ragioni per cui è scoppiata questa guerra civile, sai?” Domandò Helblindi tristemente, “se sui nostri corpi ci fosse anche solo una prova della nostra paternità, sarebbe stato molto più difficile per Thrym architettare tutto questo.”
Bỳleistr rise sarcasticamente, “ringrazia che si sia limitato a dubitare del nostro diritto ad ereditare…”
Helblindi inarcò un sopracciglio, “perché dici questo?
“Pensaci…” Il secondo principe di Jotunheim osservò la distesa di neve oltre le grandi finestre, “pensa cosa sarebbe successo, se Thrym avesse scoperto che siamo in tre!”
Helblindi si guardò intorno allarmato, “abbassa la voce, maledizione…” Sibilò.
“Gli assomiglia, non è vero?” Le voce di Bỳleistr era più fredda del ghiaccio che li circondava. Helblindi si astenne dal guardarlo negli occhi e l’altro sospirò con aria drammatica, “maledizione, Helblindi…”
“Dovevo vederlo…”
“Nostro padre ci ha proibito…”
“Da quando ubbidisci a nostro padre?”
“Da quando gli disubbidisci tu, credo,” replicò Bỳleistr tentando di abbassare il tono della voce, sebbene volesse urlare con quanto fiato aveva in gola e prendere a pugni il fratello fin tanto che non avesse perso i sensi, “come ti è saltato in mente?”
“Dovevo capire,” spiegò Helblindi, “e ho compreso tante cose  solo guardandolo negli occhi.”
“Cosa? Che per qualche tiro mancino del destino, il piccolo bastardo è il ritratto di nostro padre?”
“Il re non gioca con i sogni del sovrano di Asgard per un suo sfizio vendicativo, Bỳleistr,” l’espressione di Helblindi era funerea, “Loki è tutto quello che noi non siamo, se Thrym o i ribelli sapessero della sua esistenza…”
“Pensi che non lo sappia?” Sbottò il più giovane, “se per qualche assurda ragione, nostro padre avesse deciso di tenerlo… Non voglio nemmeno pensarci…”
“Non pensare che sia debole…”
“Oh! Ne ho avuto la prova materiale un anno fa!” Bỳleistr si lasciò cadere a sedere accanto a suo fratello, “l’hai visto? Bene. Sei contento, ora?”
Helblindi sospirò, “tu non capisci… Tu non ricordi…”
“Cosa? Che nostro padre ci ha traditi tutti per farsi scopare dal nostro peggior nemico? No, Helblindi, preferisco davvero non ricordarlo…”
“Se non fosse stato per Loki, lui non avrebbe…”
“Ma Loki è nato, Helblindi!” Replicò con durezza Bỳleistr, “e nessuno ha costretto Laufey a farlo nascere, l’ha voluto lui!”
Helblindi annuì, “è proprio questo che non sono mai riuscito a capire.”
“Cosa c’è da capire? Se fosse stato un neonato di degne dimensioni, a quest’ora non staremmo qui a parlarne, punto.”
“Pensi che fosse realmente questo il problema?”
“Sì, Helblindi!” Sbottò Bỳleistr, “nostro padre sperava in un erede cresciuto nel suo grembo. Sperava di poter rimediare al bambino che Ymir gli aveva strappato via, quando era ancora principe, invece è nato Loki. Ha dato alla luce la prova di tutti i suoi peccati, non poteva far altro che eliminarla.”

[Asgard, secoli fa.]

Il sogno non era mai uguale, ma era sempre lo stesso.
Il calore era assoluto. Non solo lo circondava, ma sembrava quasi entrargli dentro permettendo al suo cuore di pompare senza che questo facesse male.
Si tastò il corpo alla cieca e scoprì che non aveva vestiti addosso. La cosa lo inquietò.
Il pianto di un neonato lo indusse immediatamente ad aprire gli occhi.
C’era una culla bianca accanto al suo letto: gli bastò sporgersi per vedere la splendida creatura che vi era all’interno. Due magnifici occhi verdi lo fissarono dal basso con aspettativa e le piccole labbra si piegarono in un sorrisetto umido.
Non riuscì a trattenere le lacrime.
“Vieni qui…” Mormorò sollevandolo. Sebbene le braccia gli tremassero, riuscì a stringerlo contro il petto nudo affondando le labbra tra quei ciuffetti corvini che odoravano di buono. Di nuovo.
“Sei tornato…”
Il piccolo si muoveva debolmente contro di lui strofinando il piccolo naso contro la sua spalla e graffiandolo appena con le unghiette nel tentativo di trovare un buon appiglio attorno a cui stringere le piccole dita.
Era caldo. Era vivo. Era suo…
“Loki…” Lo chiamò, allontanandolo da sé per poterlo guardare: adorabile, bellissimo, perfetto. La prima cosa bella, l’unica… Decise di perdersi nelle emozioni che il sogno gli suggeriva, si lasciò sopraffare da quell’amore irrazionale e totale. Baciò il suo bambino sperando, per la prima volta da quando lo sognava, che un giorno tutto quello sarebbe stato vero.


“Laufey…”
Il principe di Jotunheim non avrebbe mai voluto svegliarsi, perché sapeva che se avesse aperto gli occhi, tutto l’orrore del suo personale mondo si sarebbe di nuovo riversato dentro di lui con la violenza della più devastante delle tempeste ed era troppo stanco per poterlo affrontare così presto.
La mano tra i suoi capelli era calda, gentile, un tipo di carezza che non era nato per ricevere. Alla fine, se ne era convinto.
Non c’era altra spiegazione, se persino il compagno di una vita riusciva ad esternare i suoi sentimenti per lui solo con la più intima e più spregevole delle violenze.
Fiducia, non avrebbe chiesto altro e Laufey sarebbe tornato a casa.
Un bacio, se Fàrbauti avesse ricambiato almeno quello, avrebbe dimenticato ogni cosa.
Laufey… Ricordava la sua voce sibilare il suo nome al suo orecchio mentre lo violava con rabbia.
“Laufey…”
Era del tutto diversa la voce che lo chiamava ora.
Aprì gli occhi di colpo ritrovandosi davanti il viso di Odino, “sei riuscito a riposare un po’?” Non c’era nulla che tradisse un qualche cambiamento nel viso del principe di Asgard.
“Laufey?”
Allontanò lo sguardò dal viso di Odino per incrociare le iridi scure di Loki che era rimasto vicino alla porta della stanza: gli occhi lucidi, il corpo teso, le labbra tremanti. Il principe di Jotunheim gli lanciò un’occhiata più velenosa di mille accuse, “tu…” Sibilò e l’altro abbassò lo sguardo con vergogna, “traditore! Io mi fidavo di te.”
Tentò di alzarsi: doveva punirlo, doveva fargliela pagare, doveva…
“No! No! Loki non centra niente!” Esclamò Odino afferrandolo per le spalle, “ci sono arrivato da solo, lui non ha dovuto far altro che confermare.”
“Bastardo!”
“Laufey…” Loki si avvicinò di un paio di metri al letto, “non devi più mentire, basta così…” Lo disse gentilmente, come il consiglio di un amico ma Laufey non lo ascoltava.
“Ti avevo pregato…”
Quante persone dovevano ancora tradirlo, prima che fosse abbastanza?
“Mi avevi dato la tua parola!”
Quante?
“Ed ora…”
“Ora niente!” Intervenne Odino prendendogli il viso tra le mani obbligandolo a guardarlo negli occhi, “sei scappato da Jotunheim, va bene. Lo hai fatto perché non potevi accettare l’unica vita che potevano offrirti, bene. L’hai fatto mentendo… È comprensibile, non ti avrei portato con me così facilmente se avessi saputo chi eri.”
Laufey era rigido come un pezzo di marmo, “ed ora? Cosa hai intenzione di farmi ora?”
Odino sorriso dolcemente accarezzandogli i capelli, “nulla,” ammise con naturalezza, “cosa potrei mai farti di più di quanto non hai già subito?”
Laufey scosse la testa, “tu non mi conosci…”
“Vero,” Odino annuì, “ma se ti concedi una pausa. Se mi permetti di aiutarti…”
“Nessuno può aiutarmi...”
“Non è vero questo, Laufey,” anche Loki si sedette sul letto, “sei abbastanza forte per tenere Fàrbauti fuori dai tuoi sogni e se cercasse di tornare qui…”
“Lo ammazzerei io…” Concluse Odino. Loki sospirò ed appoggiò una mano sul braccio del fratello, “non ti accadrà niente, fin tanto che rimani qui.”
Laufey rise istericamente, “pensate che Fàrbauti sia la cosa peggiore che possa capitare? Lo credete sul serio?”
“Che venga il re con tutto l’esercito!” Sfidò Odino alzandosi in piedi.
“Fratello…”
“No, che lo facciano!” Insistette il principe, “sono il futuro re, posso decidere a chi concedere asilo.”
“Odino,” lo richiamò Loki, “io e te… e Frigga, forse, non siamo un pericolo per Laufey. Ma guardati bene dal far arrivare voci sulla sua vera identità alla corte: i nobili non ci metteranno molto a riconsegnarlo al padre pur di evitare anche la più remota possibilità di tensione politica. Tuo padre farebbe di peggio: renderebbe la sua esecuzione pubblica, col risultato che Jotunheim ci attaccherebbe comunque!”
Laufey fece una smorfia, “mio padre non muoverebbe nemmeno un esercito di scarti per me.”
“Ma Jotunheim non aspetta che un motivo per farci la guerra e noi non saremo qui a concederglielo,” commentò Loki.
“mi trovi d’accordo, sporco traditore.”
“Sarei stato un traditore, se ti avessi ubbidito ciecamente ora!” Replicò Loki con forza.
“E quindi…” Odino li fissò confuso, “come dobbiamo chiamarti?”
Entrambi gli Jotun lo fissarono: Loki alzò gli occhi al cielo, ma lasciò che fosse l’altro a rispondere.
“Continuate a chiamarmi Nàl,” rispose il principe di Jotunheim, “Laufey è il nome dell’erede al trono di un regno che non è mai stato mio. È un nome che non mi appartiene più.”
Gli occhi verdi incontrarono quelli blu del principe, “possiamo dar fine a questa follia e permettermi di tornare nel mio vecchio alloggio con tuo fratello?”
Odino aprì la bocca ma si chiuse dietro ad un silenzio incerto. Toccò a Loki prendere in mano la situazione, “puoi lasciarci soli, Odino?”
“Ma…”
“Per favore…”
Nàl non lo ammise espressamente, ma provò un senso di gratitudine verso Loki, quando il principe di Asgard fece la sua uscita, “non sopporto che mi guardi così…” Sibilò.
“Orgoglio,” commentò Loki accarezzandogli i capelli gentilmente, “troppo orgoglio per la persona sbagliata.”
Nàl si lasciò ricadere tra i cuscini stancamente, “mi hai tradito, almeno evita di giudicarmi.”
Loki accennò un sorriso, “se mi odiassi davvero per la scelta che ho preso, non mi permetteresti di stare al tuo fianco.”
“Forse,” il principe di Jotunheim fissava il vuoto mentre parlava, “o forse sono ancora abbastanza lucido da capire che se ti strappo un capello, la mia così detta protezione potrebbe svanire come per incanto.”
“Avremmo dovuto fidarci di Odino molto prima , Laufey.”
“Nemmeno tu ti fidavi di lui…”
“Mi serviva tempo per capire quanto tenesse a te. Invece ti aveva beccato fin dal primo momento, ma ha ignorato la minaccia.”
“Idiota.”
“Parli dell’idiota che ti ha concesso una nuova possibilità di vita,” gli ricordò duramente Loki. Nàl strinse le dita intorno alla stoffa del cuscino, “a che prezzo?”
“Non deve per forza…”
“A che prezzo?” Ripeté Nàl guardandolo dritto negli occhi, “pensi che non arriverà il giorno in cui non pretenderà di più? Pensi che accetterò di giocare al ruolo della puttana reale per tutta la vita?” Nàl scosse la testa, “volevo essere libero…”
Sì, tra tutti gli inganni e tutte le recite, questo lo volevo sul serio e pensavo che buttarmi in un’impresa suicida per farmi amare da mio padre, dal mio compagno, dal mio popolo, sarebbe stata la strada giusta…
“Ma, alla fine, la libertà è come l’amore: una bellissima bugia.”
Chiuse gli occhi.
Nella sua mente comparve l’immagine di un neonato con i capelli corvini e gli occhi verdi serenamente accoccolato tra le sue braccia.
L’unica cosa bella: una proiezione onirica.
“Ora lasciami, Loki: ho bisogno di riposare.”

 [Midgard, oggi.]

Loki lottò.
Loki lottò contro quel bacio, come per tutta la vita aveva lottato contro ogni pulsione che portava il fetore del sentimento.
Thor era più forte.
Thor era sempre stato più forte. Thor era assoluto. Metteva tutto in ogni cosa ed il risultato non poteva che essere letale, sia in caso di vittoria che di sconfitta.
Non esisteva il colore grigio, per Thor.
Non esistevano mezze bugie o mezze verità.
O tutto o niente.
E Loki, in quel momento, sentiva tutto.
Era dolorosamente stupendo, era tristemente meraviglioso. Ed era per lui. Lui. Solo ed unicamente lui.
Non seppe quando smise di lottare, ma percepì chiaramente le carezze di Thor tra i suoi capelli quando si arrese. Quanto lo odiava! Non aveva parole per esprimerlo…
Era tutto così caldo ed intenso. Aveva il sapore delle lacrime ed il retrogusto del sangue.
Passione. Loki l’aveva sempre temuta come un anatema mortale. L’amore ha bisogno di tempo per sbocciare e lo si può schiacciare quel fiore, se si è abbastanza svegli da vederlo, ma la passione… Come ci si fa a difendersi da qualcosa che ti condanna, senza appello, a bruciare nella tua stessa pelle?
Passione. Per Loki era sempre stata sinonimo di perdita di controllo e se il principe oscuro avesse, accidentalmente, mollato le redini… Beh, Odino aveva saputo strappargliele con crudele gentilezza.
Ma Thor… Thor non era passionale. Thor era passione e non era solo una mera pulsione erotica… No, era molto, molto di più e Loki era troppo poco per poter sopportare.
Quando si separarono sembrò che fosse trascorso un secolo.
Thor aveva chiuso gli occhi ed ora non voleva riaprirli. Lo fece.
Se ne pentì.
Non sapeva cosa si era aspettato da Loki, ma si sentì morire quando gli lesse negli occhi lo stesso smarrimento atterrito che, probabilmente, anche suo padre aveva visto quel giorno tragico, prima della tragedia.
“Loki…” Thor cercò di toccarlo, di raggiungerlo nella dimensione interna ed oscura in cui doveva averlo fatto perdere, ma Loki era cresciuto troppo per permettersi di essere confuso. Scattò in piedi, come se Thor l’avesse minacciato brutalmente ed apertamente.
Lo fissò come se fosse sul punto di conficcargli una lama nel cuore o, peggio, come se lo avesse già fatto e gli stesse comunicando il proprio senso di tradimento tramite un ultimo, morente sguardo. Thor si alzò, Loki indietreggiò atterrito.
Non era normale. Loki doveva aver avuto paura da sempre in qualche angolo della propria anima, ma la paura non era mai stata la sua risposta. Il silenzio e l’aggressione passiva, prima.
La rabbia e la violenza, ora.
Paura, no, mai paura e Thor si sentì atterrito, almeno quanto lui.
“Loki…”
“Non mi toccare!” Scoppiò a piangere immediatamente premendo le spalle contro il muro più vicino, quasi tentasse di sparirvi attraverso, “non mi toccare!”
Thor non era mai stato bravo ad ascoltare, “Loki!” Si avvicinò con ampi passi prendendolo per le spalle.
Loki si dimenò con rabbia, “non mi toccare! Non mi toccare!”
Thor si sentì come se lo stesse violando di forza e si ritrovò a mollare la presa. Loki lo fissò per un manciata di secondi, poi, quando realizzò che non aveva intenzione di toccarlo ulteriormente, corse al piano di sopra.
Thor non lo seguì.
Loki si chiuse in camera. Avrebbe voluto fuggire via, lontano. Poteva. Non lo fece: perché Thor l’avrebbe trovato sicuramente e poi… poi… Le sue emozioni sarebbero state ancora più intense e…
Si prese la testa tra le mani piangendo con una disperazione che credeva di aver superato, sconfitto, sepolto e, invece, no, era ancora viva e pulsante.  Faceva male… Non lo faceva respirare, gli comprimeva il cuore e… Quello che aveva provato su quel ponte, quello che lo aveva indotto a lasciarsi cadere, lo risentiva di nuovo con l’intensità che può avvertire un’anima ulteriormente distrutta da altri eventi.
C’era un differenza: era tutto al contrario.
Allora, suo padre gli aveva confermato quello che, in cuor suo, aveva sempre temuto e saputo.
Ora, Thor gli aveva schiaffato dentro l’esatto contrario, non a parole, non a fatti: entrambi sarebbero apparsi ingannevoli, entrambi avrebbe potuto negarli. No, aveva usato il metodo più intimo: gli aveva fatto assaggiare il sapore del suo cuore.
Ora, Loki non poteva più negare.

[Asgard, secoli fa.]

Il sogno non era mai uguale, ma era sempre lo stesso.
Loki era caldo.
Deliziosamente caldo ed anche il suo corpo da Aesir lo era, sebbene non fossero su Asgard.
Non fu difficile capirlo.
Non fu difficile riconoscere la sua stanza all’interno del palazzo di ghiaccio.
Fu più difficile comprendere per qualche ragione sia lui che il bambino non fossero nello loro sembianze Jotun. Il nido di pelli in cui erano accoccolati li proteggeva dal freddo e Loki stava ben attento a non scivolare troppo lontano da lui per poter godere anche del suo calore naturale. Era così che nascevano i bambini nella terra dell’eterno inverno: soli con chi li metteva al mondo.
Era una delle prime cose che veniva insegnata ai più deboli, quelli destinati ad avere un ruolo esclusivamente passivo in età adulta: i piccoli andavano protetti dal freddo e necessitavano di una cura costante. A questo serviva il nido, a concedere un luogo caldo e sicuro in cui permettere ai nuovi nati di fortificarsi con il tempo necessario.
Gli Jotun sono figli del ghiaccio e della neve, solevano dire le leggende. Nessuno diceva quanto fosse dura, anche per gli adulti più forti, sopravvivere agli inverni peggiori. Nessuna creatura appena strappata dal tepore del grembo materno sarebbe riuscita a sopravvivere in quel mondo, senza le cure di qualcuno.
Laufey l’aveva sempre vista come un’umiliante schiavitù.
A differenza del popolo, a lui sarebbe stato concesso un gruppo di curatori per rendere la nascita più sicura possibile, ma l’idea di dover essere lo schiavo di un mostriciattolo urlante, non lo allettava più di tanto.
Ma ora… Ora…
Loki non piangeva. Laufey gli accarezzava la testolina ricoperta di capelli corvini, le labbra appoggiate sulla piccola tempia, un pugnetto premuto contro la bocca e tutto sembrava sufficiente a rendere quel momento quasi magico.
Un’intimità assoluta, completamente diversa da quella di due amanti, più dolce. Loki doveva essere nato con un’infinita dose di pazienza, per sopportare la pressione dei sei occhi che lo fissavano con curiosa insistenza.
Il bambino biondo sembrava quello meno convinto.
“Che cosa c’è?” Domandò Laufey con un mezzo sorriso.
“Oglioso…” Bofonchiò.
“Oglioso!” Esclamò il bambino di mezzo, quello con gli occhi di ghiaccio ed i capelli corvini ed il viso vagamente simile al suo.
“Vogliono dire noioso, padre,” tradusse il bambino più grande seduto sulla sinistra.
“Oglioso!” Urlò il bambino di mezzo.
Il visino di Loki si contrasse pericolosamente e Laufey gli massaggiò il pancino baciandogli la testolina.
“Bỳleistr…” Chiamò Laufey con un’espressione carica di rimprovero. Il bambino mise su il broncio e girò il viso indignato. Laufey si ritrovò a sorridere, suo malgrado: era nato principe, non lo si poteva riprendere ulteriormente.
“Loki… Loki…” Thor non aveva ancora imparato a pronunciare una parola in modo decente, non aveva importanza quanto suo padre s’impegnasse a ripetergli “papà, papà, papà…” Fino al punto che non gli arrivava più fiato ai polmoni. Eppure, il nome di suo fratello aveva imparato a pronunciarlo con assurda facilità.
“Loki… Loki…” Il faccino di Thor sembrava non fosse sufficiente a contenere il sorriso che stava rivolgendo al neonato steso accanto a lui, “Loki… Loki…”
Laufey lo avvolse nella pelliccia insieme a loro: era gelido. Troppo Aesir, pensò scuotendo la testa.
Bỳleistr sgranò gli occhi color ghiaccio in un’espressione scandalizzata, poi scoppio a piangere con rabbia. “Buono, Bỳleistr, buono…” Mormorò Helblindi accarezzandogli la testolina: quel bambino era troppo responsabile per la sua età, un dettaglio che preoccupava Laufey più che renderlo fiero.
Nel frattempo, Thor aveva preso a giocare con le manine di Loki che fissava il fratello maggiore con uno sguardo carico di noia, eppure non si lamentava.
“Buono anche tu, Thor,” lo riprese Laufey e il bimbo biondo s’imbronciò immediatamente, “Bỳleistr, Helblindi, venite dentro anche voi.”
Il primo non se lo fece ripetere due volte, il secondo strisciò sotto la pelliccia lentamente. Riscaldato ulteriormente dalla vicinanza dei fratelli, Loki sbadigliò e chiuse gli occhi. Laufey sorrise baciandogli una guancia morbida: fuori uno.
Alzò lo sguardo incontrando sei occhi ben aperti e ben svegli. Sospirò stancamente: ora toccava agli altri tre…


Era passato qualche mese dalla violenza e Laufey… Nàl non si era mai allontanato dalle sue stanze ed il principe Odino passava la maggior parte del suo tempo in sua compagnia.
Alla corte si mormoravano volgarità che Loki e Frigga fingevano d’ignorare con una smorfia: solo loro due sapevano che Nàl dormiva per la maggior parte del tempo e che Odino vegliava il suo sonno per intervenire quando i sogni divenivano incubi troppo violenti.
Ciò non accadeva spesso, tutt’altro: Nàl sembrava trovare un qualche conforto nel mondo onirico. Alle volte, quando si svegliava, si poteva notare un vago sorriso sul suo viso. Un’eco di felicità che spariva non appena la realtà tornava ad investirlo con prepotenza.
“Che cosa sogni?” Domandò un giorno Odino.
“Non sono affari tuoi,” fu la risposta velenosa.
“Sembrano dei bei sogni,” commentò il principe con gentilezza, “sai, io non ho più sognato quei bambini. Forse Loki aveva ragione, forse la mia mente stava giocando con me, come io stavo giocando con la mia attrazione per te trasformandola in sentimento.”
Nàl fissò il soffitto facendo finta di non averlo sentito.
“Sai, quando sono finito nel tuo sogno… Ho quasi pensato che quei bambini fossero illusioni create da te…”
Nàl rise sarcastico, “quanta fiducia che mi dai…”
“Mettiti nei miei panni!”
“Non sono un principino viziato, lascivo ed ingenuo. Non posso.”
Odino accennò un sorriso, poi si spostò dalla sedia su cui era seduto al bordo del letto “m’insegneresti?”
Nàl lo guardò, “a fare cosa?”
“A controllare i sogni.”
“Io non li controllo.”
Odino scosse la testa, “lo so, scusa, volevo dire… Qualunque cosa tu riesca a fare, me la insegneresti?”
Negli occhi verdi di Nàl c’era tutto il ghiaccio di Jotunheim, “l’ultima volta che l’ho insegnato a qualcuno, mi hanno violentato nella mia mente.”
Il sorriso di Odino morì come un fiore bruciato dal sole.
“Fàrbauti non è una minaccia per me. È molto più forte della maggior parte di quelli del suo rango, senza dubbio ma… Se sta cercando di penetrare nei miei sogni, non me ne sto nemmeno accorgendo.”
“A che rango appartiene?” La domanda sfuggì alle labbra di Odino.
Nàl lo fissò con rabbia ed il principe scosse immediatamente la testa, “scusa, non dovevo.”
“Già, principe, non dovevi…”

Il sogno non era mai uguale… No, questa volta era del tutto diverso.
C’era solo neve intorno a lui, eppure sapeva che non era Jotunheim.
Era caldo. Che assurdità…
Nevicava… Nevicava lentamente, con gentilezza, non come durante una bufera.
Laufey sentì uno strano tepore salirgli al viso ed era impossibile, dato che c’era solo un mantello verde a coprire la sua figura. Camminò lunga la distesa bianca a piedi scalzi: ad ogni passo un’ondata di calore improvviso gli attraversava il corpo facendolo sospirare di piacere.
Non credeva di aver mai provato una sensazione simile…
Non c’era Loki. Non c’era Thor. Non c’era nessun bambino.
Solo il candido nulla e quella piacevole sensazione di avere un fuoco dentro che lo divorava dolcemente.
Si fermò, un gemito leggerò gli sfuggì e chiuse gli occhi per mantenere il controllo del proprio corpo.
Quando li riaprì, non era più solo.
I due amanti non lo avevano visto, oppure non potevano proprio vederlo.
Le voci cariche di piacere giungevano con chiarezza alle sue orecchie. Disgustoso, avrebbe voluto pensare, eppure non riusciva ad allontanarsi.
Le due figure erano attaccate e si muovevano coordinatamente, avvolte in un mantello rosso che in tutto quel bianco sembrava quasi risplendere di luce propria. Avrebbe voluto svegliarsi, avrebbe voluto dimenticare quell’orribile scena.
I gemiti rimbombavano nella sua testa, quasi volessero deriderlo della sua ignoranza riguardo al piacere.
No, no… Non vi era alcuno piacere in tutto quello, solo un gioco di dominio che poteva essere vinto o essere perso.
“Vi piace, mio principe?”
Gelò.
“Potrei morire dal piacere…”
Il cuore smise di battere.
Fissò i due amanti con rinnovato interesse e solo allora riuscì a vedere quel che realmente aveva davanti: le spalle forti e la testa ricoperta di capelli dorati sporgevano dal drappo rosso. Gli occhi blu erano chiusi e le lebbra erano piegate in un sorriso soddisfatto, mentre batteva il ritmo di una passione a lungo agognata. Quando riaprì le palpebre, nelle iridi blu vi era qualcosa che Laufey non vi aveva mai visto. Raggiunse il picco del piacere di fronte a lui, senza staccare gli occhi dall’amante che s’inarcò per ricevere tutto quel che un amante dovrebbe concedere.
Si fermarono. I respiri pesanti ed un insensato senso di felicità investì l’animo di Laufey.
“Oh, Nàl…” Il drappo rosso scoprì la seconda figura ed il principe di Jotunheim sgranò gli occhi con indignazione nel vedere l’espressione sognante su quel viso che era il suo pur non appartenendogli. Gli occhi verdi lucidi appena socchiusi, le labbra gonfie piegate in un sorriso leggero, le dita ancora intrecciate a quelle di Odino.
Il principe di Asgard stava per chinarsi e posare un bacio su quelle labbra ancora vogliose, quando si accorse della sua presenza. Alzò gli occhi blu, incontrò quelli verdi dell’altro.
Il sogno si ruppe.

[Midgard, oggi.]

“Loki…” Thor appoggiò la fronte contro la superficie della porta chiusa sospirando stancamente, “Loki, per favore, parlami…”
Tre giorni. Tre maledetti giorni che Loki non usciva da quella camera, che non mangiava, che non gli rivolgeva la parola. Il rumore dei suoi passi dal piano di sotto era l’unica cosa che potesse provare a Thor che c’era ancora.
“Loki, devi mangiare…” Come se questo potesse servire a convincere suo fratello ad abbassare quella maledetta maniglia. Cosa spingesse Thor a mantenere la calma e ad impedirgli di buttarsi contro quella porta per sfondarla, era una faccenda complicata. La reazione di Loki dopo il secondo bacio che si erano scambiati lo aveva spaventato al punto che aveva deciso di mettere da parte qualsiasi terapia d’urto gli venisse in mente.
“Loki?”
Dopo l’ennesimo minuto di silenzio, decise di voltarsi.

[Asgard, secoli fa.]


Odino sentì lo schiaffo ancor prima di capire che era sveglio e che la porta della sua camera era stata spalancata con rabbia. In secondo luogo, quando fu in grado di mettere a fuoco l’ambiente circostante, la prima cosa che riconobbe fu un paio di occhi verdi iracondi. In terzo, aveva un labbro spaccato.
“Bastardo…” Sibilò il principe di Jotunheim alzando di nuovo la mano destra, “bastardo!” Odino gli afferrò un polso bloccandolo contro il letto senza particolare sforzo.
Nàl scalciò e si dimenò ma senza particolare risultati.
“Io non ho fatto niente!” Esclamò Odino in risposta.
“Le tue fantasie oscene sono una colpa!” Urlò Nàl di rimando guardandolo in cagnesco, “Come hai osato? Come puoi…”
Odino gli strattonò con forza un polso verso il basso premendo la piccola mano contro la parte più intima di sé. Nàl s’irrigidì sgranando gli occhi scandalizzato.
“Lo vedi cosa mi fai?” Abbaiò Odino, “passi che non mi ricambi. Passi anche che non mi vuoi, non è un crimine ed io non ti obbligherei mai a fare a nulla a differenza di quel mostro che per tanto tempo hai sostenuto di amare!”
Era Odino quello iracondo ora.
“Ma non venire a biasimarmi per i miei sogni, chiaro? Non sono stato io a trascinartici dentro, esattamente come non mi sono introdotto nel tuo mesi fa! Forse le mie pulsioni erotiche hanno interferito con i tuoi poteri ma non me ne dispiaccio neanche un po’!”
Nàl allontanò la mano dalla sua intimità con disgusto, “mi fai schifo…”
“Perché?” Domandò Odino con freddezza, “perché nei miei sogni, invece di violentarti, m’impegno a farti star bene?”
“Smettila!”
“No! Vieni da me a dirmi che ti faccio schifo perché sogno di fare l’amore con te, quando hai sopportato per secoli stupri ed umiliazioni. Non ti farò sfogare su di me la rabbia che provi per tuo padre che ha permesso questo e per il tuo amante che ti ha inflitto tutto, senza il minimo senso di colpa!”
Nàl smise di lottare: gli occhi verdi sgranati.
“Qualunque cosa ti abbiano ficcato in testa, sai benissimo che è sbagliata, solo che…” Odino sospirò cercando di ritrovare il controllo di sé, “solo che non è facile mettere in discussione tutto di noi. I nostri genitori, le persone che amiamo… Per quanto ci facciano del male, realizzare che hanno dei limiti, realizzare che ciò che credono e che hanno insegnato a noi possa essere sbagliato… È pericoloso, fa male, ci fa sentire soli…”
Nàl si morse il labbro inferiore dolorosamente.
“Io non ricordo il giorno in cui ho perso mia madre, ma so che la rabbia provocata da quella tragedia… Mio padre l’ha… L’ha sfogata su di me ed i miei fratelli. Ho cominciato presto ad odiare mio padre ed è stato terribile, perché è come odiare se stessi… Ma io avevo Frig, dopo ho avuto Loki, ho resistito, avevo qualcosa per cui farlo.”
Un pausa.
“Tu avevi Fàr.”
Nàl non respirava più.
“E ti ha violentato, ti ha tradito, ti ha abbandonato. L’ultima cosa che avevi, in realtà non l’hai mai posseduta.”
Non c’era più rabbia negli occhi blu di Odino, “sei solo? Sì, ora lo sei,” annuì, “ma se riversi la tua rabbia su di me, su Loki… Alla fine non riusciremo più a toccarti ed una volta caduti nell’oscurità, nessuno può dire quando sarai capace di riemergere o come…”
Il principe fece una smorfia.
“Almeno così dicono i vecchi bavosi e noiosi, ma penso che con te possa avere significato.”
Nàl sentì una lacrima solcargli una guancia e si odiò.
“Laufey…”
“No… no…” Scosse la testa, “non quel nome, ti prego.”
“Nàl,” Ripeté Odino accarezzandogli i capelli. Lo Jotun si alzò a sedere ed Odino lo lasciò andare.
Se ne andò come era entrato: senza permesso.

[Midgard, oggi.]

Accadde il quinto giorno, a poco più di due settimana dal loro arrivo su Midgard.
Thor era in cucina, seduto al tavolo, il diario aperto sotto gli occhi a rileggere per l’ennesima volta una riga di cui il suo cervello non sembrava cogliere il significato.
I passi che scesero le scale erano troppo leggeri perché potesse udirli, così fu altrettanto silenziosa la presenza che lo fissò dall’uscio della stanza per un lasso di tempo indeterminato.
Thor sobbalzò quando, per pure caso, i suoi occhi incrociarono le iridi verdi di suo fratello.
“Loki!” Chiamò con un sorriso spontaneo, quasi inciampando mentre si alzava, “oh, Loki…” Gli arrivò davanti preoccupatissimo: suo fratello aveva il viso più pallido del solito, gli occhi stanchi e lucidi di chi ha dormito poco e pianto molto.
Thor gli passò una mano tra i capelli, “aspetta, ti faccio qualcosa da mangiare, sei…”
Non tentò nemmeno di muoversi e Loki gli afferrò un polso, Thor si bloccò immediatamente.
I loro occhi non si separarono nemmeno per un istante.

[Asgard, secoli fa.]

Il sogno non era mai uguale, ma era sempre lo stesso.
“Papà!” Odino sentì la vocina stridula ancor prima di sentire i passetti veloci nella stanza, “papà!” Nonostante questo, si ritrovò a sorridere ancora prima di aprire gli occhi.
“Oh, Thor!” Esclamò a metà tra lo disgustato ed il divertito.
“Ho sconfitto un mostro, papà!” Esultò il bambino biondo mostrando con orgoglio quel che rimaneva di una ranocchia stecchita.
Odino sospirò stancamente, “col risultato che sei interamente ricoperto di fango già di prima mattina,” si sedette sul bordo del letto massaggiandosi la fronte. Thor lasciò subito andare il piccolo trofeo, alzando le braccia in una chiara richiesta… Ordine, sì, forse era meglio definirlo ordine.
Odino lo accontentò, “andiamo a farci un bagno nella vasca dei grandi,” sospirò, prima di rendersi conto che il suo bambino emetteva un intenso fetore, “Thor, ma dove l’hai trovato il tuo mostro?”
Il bambino alzò gli occhioni blu su di lui, “nelle stalle.”
Odino chiuse gli occhi facendo appello a tutto il suo autocontrollo, “ovviamente…”

[Midgard, oggi.]

Thor rimase immobile, fissando il viso inespressivo di Loki con un’espressione che tradiva confusione ed un briciolo di timore. Trattenne il fiato, quando Loki alzò la mano destra. Sentì il cuore saltargli un battito, quando gli passò tra i capelli in una timida carezza gentile. Le dita fredde viaggiarono lungo la tempia, poi sullo zigomo, percorsero il profilo del naso, per poi ripassare il contorno delle labbra: il taglio si era rimarginato senza lasciar traccia, una seccatura da poco.
“Loki, io…”
Due labbra sulle sue lo indussero al silenzio.

[Asgard, secoli fa.]

“Sei triste, padre?”
Odiava quando lo chiamava così. Odiava il gelo ed il distacco. Gli ricordava il modo in cui soleva relazionarsi con suo padre. Ma Laufey non era suo padre e Loki non era lui. No, non avrebbe mai voluto che suo figlio diventasse come lui: avrebbe implicato farlo soffrire per troppe cose.
“No, Loki…” Mormorò accarezzando distrattamente i capelli neri, “stavo solo pensando.”
Loki si limitò ad annuire accoccolandosi meglio accanto a lui. Laufey gli baciò la fronte e gli accarezzò lo zigomo, “sai chi ti ha dato questi occhi?”
“Tu, padre.”
“E questi capelli?” Prese tra le dita una ciocca di capelli corvini.
“Sempre tu, padre.”
Laufey passò le dita su una delle guance morbide e rosee, “e questo calore?” Domandò, “chi ti ha dato questo calore, Loki?”

[Midgard, oggi.]

Thor non rispose, da principio.
Non si ritrasse. Non fece assolutamente niente.
“Lo… Ah!” E non appena tentò di opporre resistenza Loki gli morse il labbro inferiore con forza, fino a spaccarlo. “Shhh…” Sussurrò suo fratello, leccando avidamente il sangue che ne usciva e socchiudendo gli occhi verdi languidamente, “a lei hai mai dato questo?”
“Cosa?”
“La tua anima…” Loki lo baciò ancora macchiandosi le labbra col suo sangue, “l’hai concessa a nessuno, prima di me?”
Thor era confuso, irrigidito, impaurito in un certo senso. Poi, Loki si prese il labbro inferiore tra i denti ferendosi a sua volta, “vuoi la mia? Ti ho dato il mio dolore, ma non è stato sufficiente.”
E mentre Thor sentiva il sangue di Loki sulla lingua, lentamente, qualunque pensiero, qualunque ricordo, qualunque… Tutto sparì.

[Asgard, secoli fa.]

Odino sollevò il bambino dalla vasca. Thor non si mosse, mentre suo padre lo asciugava con estrema cura ed Odino lo osservò incantato. Studiò i grandi occhi vivaci e cercò i memorizzare l’esatta sfumatura blu delle iridi, passò una mano tra gli umidi capelli biondi e pensò che erano un poco più chiari dei suoi, poi posò la mano sul piccolo petto e sentì il cuoricino che vi batteva all’interno.
“Sei triste, papà?”
Odino scosse la testa. No, era esattamente il contrario. Gli infilò una tunica pulita, poi lo sollevò tra le braccia stringendolo più del dovuto, godendosi quella folle sensazione di felicità.
“Torniamo da papà, nel letto grande?”
Odino si bloccò, guardò Thor che non sembrò turbato in alcun modo.
“Papà?”

[Midgard, oggi.]

Thor fece appello a tutto il suo autocontrollo. Davvero, ci provò…
Poi, decise che avrebbe avuto tutto il tempo per odiarsi più tardi. I desideri di Loki scorrevano nel suo sangue come la più dolce e la più potente delle droghe e sapeva che suo fratello sentiva le medesime cose con la medesima intensità dal modo famelico in cui continuava a mordicchiargli il labbro contuso.
Fu Loki a guidare tutto. Thor ne su vittima e complice, nello stesso momento.
Non sapeva come fossero finiti in camera. Non ricordava nemmeno di aver salito le scale… E come avrebbe potuto con le braccia impegnate a tenere Loki stretto a sé ed il respiro ridotto al minimo a causa della bocca sulla sua.
Il rumore di stoffa che si strappava invece le udì e con particolare chiarezza, seguito da un brivido freddo lungo la schiena provocato dal contatto della pelle nuda contro la parete addosso a cui Loki lo aveva spinto.
Avrebbe dovuto capire. Avrebbe dovuto fermarsi lì.
Se fosse stato in sé, l’avrebbe fatto, perché quello non era giusto…
Se… Se… Se…
La maglietta di Loki andò a fare compagnia alla sua sul pavimento.

[Asgard, secoli fa.]

“Non vado bene, papà?” C’era terrore negli occhi verdi di Loki e il freddo rispetto con cui si era rivolto a lui fino a quel momento sfumò di colpo.
“No…” Laufey scosse la testa sedendosi sul materasso, “no, non sei tu…”
Come poteva? Era la cosa più bella in una vita completamente sbagliata. Solo che… Solo che…
“Chi è tuo padre, Loki?”
Doveva sapere. Perché se un tempo aveva dato per scontato la risposta, ora non avrebbe saputo cosa immaginare. Cosa sperare…
“Sei tu…” Rispose il bambino incerto. Perché lo temeva in quel modo?
“Certo, amore mio, lo so,” rispose Laufey prendendolo tra le braccia e stringendolo contro al petto, “ma i bambini si fanno in due, lo sai, vero?”
Loki annuì.
“Sei uno Jotun, Loki?”
Il bambino lo fissò confuso, “non lo so…”
“Sai che cos’è uno Jotun?”
Loki abbassò lo sguardo, “un mostro…”
Laufey si sentì morire e la stretta allo stomaco fu così dolorosa da impedirgli di sentire il rumore di passi alle sue spalle. Gli occhi di Loki s’illuminarono, “papà!”
Laufey rimase in silenzio e seguì suo figlio con lo sguardo, mentre lo superava e scendeva dal letto per gettarsi tra le braccia del giovane uomo appena entrato nella stanza.
Odino se ne rimase lì in piedi: un bambino biondo con gli occhi blu appoggiato ad una spalla ed il suo Loki con i capelli corvini e gli occhi verdi appoggiato all’altra. Due eredi. Due principi. Due fratelli.
Uno dorato ed uno oscuro.
Uno per Asgard ed uno Per Jotunheim.

 
Il sogno si spezzò…




***
Varie ed eventuali note
Penso di dovere delle scuse a tutti voi. In primo luogo ai recensori a cui non ho risposto nonostante abbiano perso il loro tempo per lasciare un'amorevole traccia del loro passaggio. Un grazie immenso, vedrò di rimediare entro domani (anche se ho superato di gran lunga la linea della maleducazione...)
In secondo a tutti i lettori che mi hanno contattato per sapere se la storia fosse stata abbandonata. Siete a dir poco magnifici! E voglio assicurare tutti che, anche per il futuro, qualunque cosa accada la storia di questa fanfiction è già tutta abbozzata fino all'ultimo capitolo di conseguenza rallentamenti (anche osceni) non sono dovuti a crisi d'ispirazioni o mancanza di feeling con la trama. In terzo, a tutti i colleghi autori che probabilmente mi hanno dato per morta ma di cui ho continuato a seguire i lavori anche se indirettamente.

Vergognose giustificazioni: un classico ed ingombrante "Real Life Happened" non ce lo toglie nessuno... Una volta superato quello, la Marvel ha avuto la brillante idea di far uscire Iron Man 3 ed il primo trailer di Thor 2 insieme! Se al primo sono uscita indenne, al secondo... Sto ancora facendo i conti con il trauma che ne è derivato (e so che non sono l'unica, quindi comprenderete...)

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Capitolo 13
*** Piacere ***


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XII

Piacere

 

[Midgard, oggi.]

(Scena censurata in rispetto alle regole del sito. Vedi note)

“Qual è il tuo vero nome?”
Il principe di Jotunheim sorrise, “Helblindi, non ti ho mentito su questo…”
Loki lo scrutò per un breve istante e decise che era sincero, “qual è la tua storia?”
“T’interessa?”
“No,” ammise il principe oscuro tornando a studiare l’ambiente di ghiaccio che lo circondava, “ma rispondi ugualmente.”
“Sono figlio di un nobile,” Helblindi si era preparato il copione alla perfezione, “mio padre… Lo Jotun che mi ha dato alla luce, per essere precisi, ha guadagnato me dalla guerra.”
Loki fece una smorfia, “un Aesir può violentare uno Jotun? Trovo delle difficoltà pratiche…”
“Un gruppo di Aesir,” non era un’esagerazione, “Jotunheim è piena di mezzo sangue a causa della guerra, molti sono stati uccisi alla nascita dai loro stessi genitori. Altri, come me, sono cresciuti reclusi ma amati…”
Il sorriso sarcastico di Loki era insopportabile, “così, sei un nobile… Questo spiega perché hai del potenziale magico. Quali sono le tue reali sembianze?”
“Te l’ho detto, no?” Helblindi sorrise, “sono come te, ho imparato a variare autonomamente il mio aspetto crescendo.”
Loki scosse la testa, “sai quante volte mi sono trasformato in Jotun, in tutta la vita?”
“Poche, deduco…”
“Quattro,” Loki annuì, “e due erano per far del male ad una persona.”
“Tuo fratello?” Domandò Helblindi curioso, “Thor?”
Loki scosse la testa, “non è mio fratello,” lo guardò, “perché sei interessato a me?”
“Laufey non sopportava che vivessero dei mezzosangue tra noi. Se li scopriva, li condannava a morte seduta stante. Gli devo la mia vita da recluso.”
Loki rifletté su quelle parole per alcuni istanti, “che tipo di condanna a morte?”
Helblindi non fu colto impreparato, “venivano sacrificati nei templi: era una morte lenta…” Non era del tutto vero, suo padre non era un re superstizioso e sua era stata l’idea di liberare la sua gente da sciocche credenze ed antiche tradizioni velenose, ma il principe doveva pur colpire il suo interlocutore in un modo o nell’altro per indurlo ad indebolire le sue difese.
Loki annuì, “e quelli come me? Questi scarti…”
Helblindi fece spallucce, “nascono e basta. I curatori non riescono a spiegarlo. Non dipende da nulla, se deve succedere, succede.”
“Li considerate deformi?”
“Sì…”
“Una situazione diversa da un mezzosangue…”
Helblindi annuì, “c’è stato un tempo in cui i mezzosangue nascevano liberamente, prima della grande guerra. La cosa pericolosa con loro è che… Non si prevede mai il risultato.”
Loki assottigliò gli occhi, “che vuol dire?”
“Gli scarti sono considerati deboli, deformi ma… Guardati, tu sei vivo, hai un potere eccezionale…”
“Adularmi non ti sarà utile.”
“Volevo solo essere sincero.”
“Vai avanti.”
Helblindi annuì, “i mezzosangue sono un’incognita. La madre di Odino era una mezzosangue potente, ma ho visto bambini di Jotun ed Aesir nascere con l’aspetto di piccoli mostri deformi. Li ho visti vivere con arti orribili da vedere, con organi in vista, con visi simili a quelli dei demoni… Li ho visti agonizzare, per minuti, per ore, prima che fosse chiaro che non erano compatibili con la vita.”
Loki annuì registrando tutte quelle informazione con facilità, “bambini di Jotun ed Aesir,” sorrise sghembo, “mi sembra impossibile ora.”
“Non ci sono rimasti mezzosangue nel vostro mondo, vero?”
Loki scosse la testa, “conoscendo il temperamento degli Aesir, non mi sorprenderei di sapere che in tempo di pace i giovani si avventuravano tra i ghiacci del tuo mondo per provare esperienze… Proibite.”
Helblindi fece una smorfia, “le vostre donne non condividono gli stessi desideri?”
Loki fece spallucce, “non mi considero un esperto dei desideri delle donne e nemmeno me ne interesso. La regina di Asgard è stata una mezzosangue, ma parliamo di un tempo che i giovani della nostra generazione non possono concepire.”
Helblindi annuì, “perché odi essere uno Jotun?”
Loki lo fissò gelido, “tu non odi essere Aesir per metà?”
Il principe di Jotunheim esitò: era una domanda troppo intima perché potesse mentire con nonchalance, “mio padre mi ha amato così…” E si sentì un bastardo nel dirlo, ma non appena vide quel velo oscuro di rabbia e dolore calare sugli occhi verdi del principe oscuro, capì di aver toccato il punto che voleva.
“Io ho passato tutta la vita ad essere disprezzato per un motivo che non comprendevo,” ammise Loki, “mentirei se dicessi che i miei genitori mi maltrattavano severamente, sì. La donna che mi ha fatto da madre è stata una madre e basta, per me. Anche se, in fondo, penso di considerarla una complice di Odino.”
“Come sono le donne?” Domandò Helblindi con sincera curiosità. Loki inarcò un sopracciglio. “Oh, pensavo sapessi che…”
“Lo so,” Loki annuì, “ma l’idea mi disgusta al punto che ogni volta cerco di cancellarla.”
“Non hai pensato fosse strano?” Helblindi si sedette sulle scale dell’altare, “voglio dire, è un particolare ben nascosto ma… Una volta raggiunta la pubertà…”
“Mia madre disse che era il
Seiðrnel mio sangue,” tagliò corto Loki, “ero un ragazzino, cosa avrei dovuto credere?”
“Non ti è mai venuto il dubbio che…?”
“Gli Jotun erano mostri da favola per me, se vi erano libri ad Asgard sul tuo popolo, sono stati distrutti prima che io riuscissi a trovarli.”
“Casualmente…”
“Già, casualmente…”
“E con gli altri?”
“Gli altri chi?”
“Gli altri Aesir?”
Loki fece una smorfia, “non è difficile tenere un segreto così intimo, quando non sei abituato alla condivisione.”
“E tuo fratello?” Chiese Helblindi sorpreso, “ne ho uno anche io, sai?”
“Condoglianze…”
“Minore,” precisò lo Jotun, “penso che i ghiacci di Jotunheim si scioglieranno prima che io riesca a nascondergli qualcosa.”
“Nemmeno Thor può mentirmi, eppure non siamo fratelli.”
“Il sangue non è tutto…” Commentò Helblindi facendo spallucce.
Loki si fermò di colpo, si voltò e l’altro credette di leggere sorpresa nei suoi occhi, “ameresti tuo fratello se fosse il piccolo abominio di un Aesir?”
Helblindi sorrise, “che differenza fa? Potrebbe essere biondo con gli occhi azzurri, ma se avesse lo stesso orrendo carattere, sarebbe sempre la stessa persona, no?”

Thor sapeva che il cuore avrebbe finito per cedergli.
E se non il cuore, sarebbe toccato ai polmoni.
Il sole sorgeva alle sue spalle e lui non aveva chiuso occhio per tutta la notte. Loki, al contrario, si era addormentato con tanta serenità e naturalezza che Thor ne era rimasto inquietato.
Oh, no, c’era ben altro ad inquietarlo.
E non era il fatto che suo fratello fosse completamente nudo tra le sue braccia, no.
Ad inquietarlo era la reazione spontanea che la vicinanza di Loki gli provocava tra le gambe.
Non era successo nulla!
Assolutamente… Nulla!
O quasi…
Si erano baciati, sì. Era stato stupendo, sì. Lo avevano fatto senza i vestiti addosso, sì, ma al buio completo: Loki aveva voluto così. Non si erano sfiorati neanche una volta, nemmeno per sbaglio. Loki non sembrava volere quello. Thor non aveva capito cosa volesse e lo comprendeva ancor meno ora.
Se suo fratello avesse notato l’erezione premuta contro la sua gamba, non lo aveva dato a vedere. Gli si era attaccato addosso bramando un contatto fisico assoluto e totale: non c’era erotismo in tutto quello, anche se Thor lo aveva sentito fino a star male, c’era solo la più intima e passionale delle disperazioni.
Loki aveva tremato per tutto il tempo, come se stesse combattendo contro la volontà di spingerlo via disgustato e la fame di averlo di più, ancora, tutto… E non sarebbe stato abbastanza.
Una fame che non aveva nulla a che fare con il sesso, ma parlava di carezze negate, di parole mai dette, di una solitudine che non si poteva spezzare… Perché dopo… Dopo sarebbe stato insopportabile ricaderci.
Calore. Loki era affamato di calore.
Thor gli aveva fatto sentire il suo attraverso il sangue, ma non era stato sufficiente a placare la fame…
Ed ora si ritrovava lì, con il compagno di tutta la sua vita, con suo fratello a condividere un’intimità tanto… Intima che non aveva mai concesso a nessuna donna, prima. E la cosa peggiore, era che non riusciva a sentirsi spontaneamente disgustato da ciò.
Era immorale. Era sbagliato. Era incesto. Eppure…
Loki si mosse appena contro di lui. Stava per svegliarsi e Thor avrebbe solo voluto sparire. Quegli occhi verdi furono su di lui troppo presto.
Non c’era espressione sul viso di Loki. Non c’era nessuna luce particolare nel suo sguardo, come se ritrovarsi in quella situazione così compromettente non fosse compromettente affatto. Thor avrebbe voluto sorridere, avrebbe dovuto sforzarsi di farlo.
Non ce la fece. La guerra con se stesso lo occupava troppo perché potesse fare alcun che. Credeva che Loki si sarebbe alzato e se ne sarebbe andato, come se nulla fosse successo. Lo sperava. Non lo fece.
Suo fratello rimase lì a guardarlo in silenzio, studiandolo.
Cosa andasse cercando, Thor non sapeva dirlo.
Aveva perso completamente il senso di tutta la storia. Se pensava di conoscere il suo ruolo e quello di Loki in tutta quella faccenda, ora dubitava persino che la creatura accanto a lui potesse definirsi, in qualunque modo possibile, suo fratello.
Suo… Semplicemente suo? Era un discorso troppo vasto e complesso perché venisse affrontato in un momento di caos silenzioso come quello. Loki si mosse e Thor sobbalzò. Non andò lontanò: rotolò dalla parte opposta del letto e vi rimase disteso in modo da dare le spalle all’altro. Thor vide le dita affusolate stringere con forza la federa del cuscino, ma Loki non emise un suono.
Ne approfittò per fare il codardo: si alzò in piedi con cautela con tutte le intenzioni di andare al bagno e farsi una doccia fredda. Gelida. Mortale, se necessario.
Non aveva previsto che Loki si sarebbe voltato improvvisamente per godersi l’immagine di tutta la sua gloriosa nudità. Non aveva previsto che gli occhi gli sarebbero caduti proprio lì. Non aveva previsto l’espressione smarrita e di pura sorpresa che seguì.
Non aveva previsto nemmeno la sua rabbia, “che cosa ti aspettavi?!” Tuonò ed il cielo al di là della finestra si fece più scuro, “Ti disgusto? Bene! Allora comportati con coerenza, non mi sembravi tanto schifato ieri notte.”
L’espressione di Loki divenne terribile e il ghiaccio nei suoi occhi gli fece venire la pelle d’oca.
“Non era questo che volevi?” Continuò Thor con un sorriso a dir poco atroce, “sì, il principe dorato di Asgard è depravato al punto da provare attrazione erotica per il suo fratellino! Sii fiero di te stesso!” Sparì in bagno sbattendo la porta. Chiuse gli occhi. Sospirò. Abbassò di nuovo la maniglia.
“Loki, mi disp…” Sobbalzò quando si ritrovò suo fratello davanti, completamente nudo, investito dalla luce dell’alba. Fece uno sforzo non indifferente per cercare di guardarlo negli occhi, “Loki?”
“Non mi ero mai bagnato prima,” disse Loki, “siamo depravati in due. Siamo pari…”

[Asgard, secoli fa]

“Loki, riflettiamo…” Propose Frigga con lo sguardo fisso sui due principi dal lato opposto dell’enorme sala lettura. Lo Jotun alzò lo sguardo dal suo libro, “su che cosa vorresti riflettere, di grazia?”
“Non si parlano,” commentò la giovane osservando Nàl che era tutto preso da un libro da ore ed Odino che gli era seduto immediatamente dietro e non faceva che fissarlo dal medesimo lasso di tempo, “è successo qualcosa…”
Loki sospirò, “credo che mio fratello abbia qualche problema a porsi con Nàl dal…”
“No! No!” Frigga scosse la testa, “Odino gli è rimasto appiccicato per tutti i mesi che ha passato recluso in camera… Come mai è uscito, poi?”
Loki scrollò le spalle, “dice che non vuole passare da puttana a tempo pieno.”
“Veleno di copertura,” commentò Frigga.
“Già…” Loki annuì, “è Odino quello strano.”
“Molto strano,” Frigga assottigliò gli occhi, “se non gli parla entro breve, potrebbe finire con lo scoppiare, ma non si azzarda a farlo. Non è decisamente da Odino un comportamento del genere.”
Loki sentì un tuffo al cuore, “pensi che…” Guardò l’amica in cerca di conferma. Frigga scosse la testa, “ne dubito, a meno che non sia stato un gran fallimento ma… Dubito anche di questo!”
“Come fai a dirlo?”
“Primo, perché se fosse successo e Nàl ne fosse uscito insoddisfatto, ora il nostro adorato principe si starebbe suicidando in qualche modo lenta e doloroso. Secondo, penso che se non ci stesse pensando da solo, Nàl sarebbe felice di dargli una spintarella…”
Loki rise lievemente, “ottima analisi. Oppure potrebbe essere andato tutto bene, ma, essendo successo per puro caso, ora Nàl è in fase di negazione ed Odino sente la necessità di dire quanto significativo è stato per lui.”
Frigga scosse di nuovo la testa, “no, questo lo posso escludere.”
“Sono curioso di sentire.”
“Anche se il nostro adorato principe sembra che queste cose le sappia fare solo per sbaglio, non credo proprio che Nàl, dopo quello che gli è successo, lascerebbe semplicemente che…che accadesse, ecco. È lui che darebbe reale significato a tutto.”
“Allora, forse è successo, forse è andato tutto bene e stanno fingendo in nostra presenza.”
“Devo discordare anche qui, Loki. Primo, Odino sembra più sul punto di fare una confessione pubblica, che di nascondere qualcosa d’intimo e dolce come una notte d’amore. Secondo, non si guardano… Dopo aver fatto l’amore, due amanti si cercano sempre con lo sguardo, quando nessuno li vede.”
“Come fai a dirlo, mentre tu li fissi continuamente?”
“Chiese colui che dubita,” Frigga si alzò in piedi, “vieni con me.”
“Dove?”
“Smettila di fare domande e seguimi!”
Loki lasciò il suo libro sopra il tavolo da lettura e seguì l’amica in direzione degli alti scaffali per raggiungere l’uscita. “Dove andate?” Domandò prontamente Odino.
“Fuori, Loki non si sente tanto bene, gli faccio prendere un po’ d’aria.”
Loki le lanciò un’occhiata obliqua.
“Volete che…”
“No, ci penso io Odino!” Frigga sorrise raggiante, “i giardini a quest’ora sono assai affollati e a Nàl non piace stare in mezzo alla gente e non è carino lasciarlo da solo, non ti pare?”
“Sì, ma…”
“A dopo, fratello,” insistette Loki accelerando l’andatura.
Il tempo che i loro passi sparissero tra gli scaffali della biblioteca ed Odino si voltò verso il giovane Jotun, “Laufey…”
Nàl chiudette il libro con un tonfo che riecheggiò nella grande sala per qualche secondo.
“Nàl…” Si corresse il principe di Asgard, “dobbiamo parlare.”
“Oh, lo so!” Esclamò il principe alzandosi dalla sedia, “proprio per questo me ne vado.”
“Nàl!” Lo richiamò Odino fermamente, “non possiamo ignorare quello che è successo. Doveva avere un significato! Non era un sogno mio o un sogno tuo, era nostro. Due persone non possono fare lo stesso sogno nella stessa notte e lo sai bene.”
“Forse i miei poteri hanno interferito ancora con la tua attività onirica!” Sbottò Nàl esasperato voltandosi verso l’altro.
Odino scosse la testa, “è stato diverso e lo sai anche tu.”
Nàl sospirò frustrato.
“Per questo passavi la maggior parte del tuo tempo a dormire, vero?” Intuì Odino, “nei tuoi sogni vedevi quei bambini, provavi quell’amore e quella felicità irrazionali… Ne avevi bisogno per guarire, giusto?”
“Sono solo sogni, Odino!” Urlò Nàl, “Tutto! L’amore, la felicità… Ogni cosa è illusione! Non è reale! Non esiste e non esisterà mai! Come non esiste Thor e…”
Odino sgranò gli occhi, “che cosa hai detto?”
“Che è solo un sogno ed è una follia cercare di vedervi qualcosa più di questo.”
Il principe dorato esaurì la distanza tra loro in un lampo e Nàl, suo malgrado, si ritrovò ad indietreggiare ed a collidere contro il tavolo. “Tu sai il suo nome,” mormorò Odino con un sorriso incredulo.
“Cosa?”
“Thor…” Spiegò Odino scuotendo la testa, “tu non lo puoi sapere, ma io ho sempre adorato quel nome, fin da bambino! Ho sempre pensato che se avessi avuto un figlio maschio, è così che l’avrei chiamato.”
“Thor?” Ripeté Nàl con una smorfia, “sembra l’onomatopea di un tuono, più che un nome.”
Odino rise, “chissà, forse anche questo avrà il suo significato.”
“Peccato che non sarò qui per scoprirlo,” replicò Nàl duramente ma Odino gli prese gentilmente il viso tra le mani.
“Perché?” Domandò tristemente, “hai idea di quanto sia bello il regalo che il destino ci ha fatto? I nostri figli sono bellissimi, loro…”
“Non sono i nostri figli!” Urlò Nàl lasciandosi ricadere sulla sedia, una lacrima sfuggì al suo controllo, “in quel sogno ho chiesto a mio figlio cos’era uno Jotun. Sai cosa mi ha risposto? Un mostro…” Tirò su col naso, “è questo che darò a mio figlio? Un’educazione a causa della quale imparerà ad odiare me e se stesso? No! Jotunheim può essere l’inferno, ma non oso immaginare cosa sarebbe Asgard per un bambino così!”
Odino s’inginocchiò davanti a lui, “c’ero anche io in quel sogno, Nàl. Mia madre era per metà Jotun, io ho del sangue Jotun nelle vene. Mio fratello è uno Jotun!” Fece una pausa, “il padre dei miei figli lo è…”
Nàl si morse il labbro inferiore con forza, “smettila, Odino, smettila…”
“Pensi davvero che lascerei che i nostri figli crescano all’ombra delle velenose menzogne di mio padre? L’hai detto tu, Jotunheim può essere l’inferno ma vi sono nate anche creature meravigliose ed è questo che dovrà aver valore per i nostri figli!”
Nàl rise istericamente, “ti senti quando parli?” Si portò una mano in grembo, “parli come se uno di quei bambini fosse già dentro di me. Parli come se la loro nascita fosse un fatto esclusivamente privato e non consideri affatto il caos politico che ne deriverebbe.”
“E allora uniremo le corone di Asgard e Jotunheim…”
Nàl strinse gli occhi passandosi una mano tra i capelli, “stai delirando.”
“Perché?” Domandò Odino allargando le braccia, “è così semplice!”
Nàl lo guardò terrorizzato.
“Sposami!”
“Per l’amor dei Nove!” Nàl scattò in piedi e la sedia cadde sul pavimento con un gran baccano, “hai detto tu di aver ingigantito le cose! Hai detto tu di non amarmi come…”
“Ma tengo a te,” lo interruppe Odino alzandosi in piedi, “ti voglio bene e… E mi piaci da impazzire è molto più di quanto abbia mai avuto dalle mie amanti.”
“Ma non è abbastanza…” Nàl scosse la testa, “che io possa essere dannato se accetterò mai un matrimonio con un essere che tiene a me. L’ultimo aveva detto chiaramente di amarmi, di adorarmi… E guarda che è successo…”
“Nàl, no…”
“Che io sia maledetto se non darò alla luce un figlio voluto! Amato! Io… Io non penso che sopporterei di divenire come mio padre e se ora, Odino, tu mi spossassi… Se, ora, concepissimo un figlio insieme, io finirei solo con l’odiarlo…”
Odino sospirò tristemente, “sì, hai ragione,” annuì, “cambiare due mondi è difficile, essere genitori… Non credo di riuscire ad immaginarlo. Amarsi, non possiamo obbligarcelo. Dovremmo cominciare dalla cosa più semplice.”
Nàl lo fissò confuso.
“Ti va se… Io vorrei…” Odino arrossì appena, “facciamo l’amore?”

[Midgard, oggi.]

Thor aspettò mezza giornata abbondante, prima di trovare il coraggio per affrontare l’argomento.
Dopo la sua piccola rivelazione, Loki si era voltato e si era coricato di nuovo. Thor aveva deciso che la porta d’uscita era troppo lontana, così si era chiuso in bagno e lì era rimasto per ore.
Quando riemerse da quella stanza: aveva le pelle fredda ed umida a causa della doccia gelida ed un asciugamano stretto con particolare cura intorno alla vita.
Loki gli dava le spalle ma poteva vedere i suoi occhi verdi riflessi sullo specchio dell’armadio accanto al letto. Notò che l’osservavano, ma Thor fece il possibile per evitare d’incrociarli.
Si sedette sul letto appoggiando la schiena contro il cuscino e fissando un punto a caso tra le lenzuola, “da quando?” Era una domanda talmente stupida che si pentì di averla sputata così.
Loki fece una smorfia divertita, “da sempre. Nel caso che tu l’abbia dimenticato ci sei nato col tuo sesso, non ti è cresciuto a forza di dire idiozie.”
Thor s’imbronciò, “smettila di trattarmi da idiota.”
“La tua domanda lo era…”
“Non me ne sono mai accorto,” si giustificò il principe dorato.
Loki sospirò, “è un punto ben nascosto, non lo si nota, se non lo si vuole cercare.”
“Ti ho visto nudo da quando eravamo bambini,” insistette Thor.
Loki si voltò a guardarlo dritto in faccia, “a meno che tu non studiassi quello che avevo tra le gambe fin dall’infanzia e sarebbe inquietante, non c’è ragione di sorprendersi tanto.”
“Non me l’hai mai detto…” Soffiò Thor con voce appena percettibile. Loki rise girandosi sulla schiena: il lenzuolo gli copriva appena il pube e l’altro giurò che lo stesse facendo a posta.
“Che avrei dovuto dirti?” Domandò con tono velenoso, “che i nostri genitori, sfortunatamente, non solo aveva dato alla luce una creatura fragile ma anche deforme? Due qualità che ad Asgard vengono temute al punto che ci si augura la morte dei bambini che ne portano i segni. Poco importa se la fragilità è solo fisica, ma l’intelletto è vivo e forte. Nessuno si cura del fatto che le deformità son ben altra cosa e che le differenze dagli schemi non sono né mortali, né impediscono un’ottima qualità della vita,” Loki si morse il labbro inferiore, “né, tantomeno, sono una colpa.”
“Non sei deforme,” tentò di dire Thor scuotendo la testa, “sei solo uno…”
“Jotun?” Terminò Loki con un sorriso orribile, “ora mi dici come avrei potuto lasciare che qualcun altro mi toccasse? Uomo o donna che fosse. Ora capisci quel che facevi quando deridevi quel ragazzino che non sembrava decidersi a sbocciare in tutta la gloriosa virilità che da lui ci si aspettava? Per te era ridicolo pensare ai sentimenti, quando tutte le donne di Asgard ti aprivano le gambe ben volentieri.”
“Non mi sembra che tu…”
“Pensi che volessero me?” Domandò Loki con voce straordinariamente ferma, “tu saresti potuto essere anche il soldato col rango più basso di tutta Asgard e ti sarebbero cadute ai piedi, in ogni caso. Quando guardavano me, non vedevano Loki, vedevano solo il secondo principe. Vedevano un’opportunità di vita che, dopotutto, non era poi così male.”
Thor rimase in silenzio, non sapeva come ribattere.
Loki fissò il soffitto, “hai idea di come sia essere un adolescente e non riuscire a capire per cosa si prova attrazione? Non lo capivo. Non ce la facevo… E se c’erano fanciulle e fanciulli abbastanza depravati da essere pronti a prostituire se stessi a me, neanche per piacere, per comodità, io non ero pronto a sottostare al gioco.”
Thor lo guardò per un lungo minuto di silenzio, “non lo sei mai stato…”
Loki lo fissò.
“Hai ragione, col tuo titolo avresti potuto avere chi volevi. Non sei mai stato una creatura pronta ad accontentarsi, vero? Non potevi essere il più grande guerriero di Asgard. Non potevi essere il fanciullo più desiderato della corte. Hai deciso di essere qualcos’altro. Hai un talento con il Seiðr a cui persino i più grandi maestri Vanir si sono dovuti inginocchiare e…”
Loki scosse la testa ridendo senza gioia, “continui a non capire? Non era il primo posto che volevo, non per forza. Non m’interessava nemmeno essere un guerriero al tuo livello. Forse da ragazzino mi sforzavo di credere che la polvere dell’arena fosse il mio mondo, ma non sono mai stato io,” una pausa dolorosa, “io volevo che, mentre giocavo a creare illusioni di fumo e luce per imparare a controllare il mio potere, Odino mi guardasse con la stessa espressione orgogliosa ed innamorata con cui guardava te, mentre sconfiggevi l’ennesimo guerriero che nessuno avrebbe creduto sarebbe potuto essere battuto da un ragazzino, seppur il principe.”
Thor non disse nulla per diverso tempo: una parte di lui avrebbe voluto chiedere scusa, ma sapeva che sarebbe stato inutile e ridicolo. “Come hai fatto a tenertelo dentro?” Domandò invece, perché davvero non riusciva a capacitarsi di tutto quel che Loki aveva celato nel suo cuore.
“Sopravvivenza,” fu la pronta risposta, “nostra madre sapeva… Ha sempre saputo.”
Thor sgranò gli occhi, “cosa?”
Loki accennò un sorriso triste, “fu lei a dirmi di non preoccuparmi, che era il Seiðr nel mio sangue a rendermi speciale. Usò questa parola con particolare cura… Speciale… Se avesse detto diverso mi avrebbe fatto del male e lo sapeva.”
“Nostro padre?” Domandò Thor.
Loki scrollò le spalle, “mi ha raccolto lui dalla mia culla di morte e neve, penso che lo abbia sempre saputo.”
“Ma perché?” C’era qualcosa in quella storia che a Thor continuava a sfuggire, “perché sei… perché hai…” Non sapeva nemmeno come impostarla quella domanda, senza avvampare come un bambino.
Loki aveva gli occhi accesi per il divertimento, “non esistono due sessi su Jotunheim,” confessò, “ho dovuto faticare parecchio per trovarne la conferma, dopo che Odino era stato vinto dal sonno. Si erano premurati di far sparire ogni cosa dalla biblioteca che potesse farmi sospettare della mia diversità. Ho interrogato qualche vecchio veterano di guerra che, dopo la vittoria, non si è curato di mantenere un briciolo d’onore ed ha preferito affogare quell’inferno di ricordi nel vino.”
“Che cosa ti hanno detto?” In cuor suo, Thor sapeva che non gli sarebbe piaciuta la risposta.
“Il più sobrio riusciva a stento a stare seduto…” Mormorò Loki fissando il vuoto, come se stesse cercando di far riaffiorare quella scena nei dettagli, “hanno parlato di piccoli Jotun… Piccoli Jotun che, per usare le loro parole, potevano stringerli tra le cosce come cagne in calore.”
Thor sentì un’ondata di vergogna travolgerlo a quelle parole: quelli erano stati i soldati di suo padre? Quelli erano stati gli eroi delle storie della sua infanzia? E quelle povere creature stuprate? Loro erano stati i suoi mostri…
“Mi hanno detto che nel loro campo se li passavano con la grazia con cui si sarebbero passati delle prostitute costose in un bordello. Non c’erano state donne disposte a seguirli fin lì, non c’era compenso per convincere una puttana a concedere i propri servigi laggiù, nell’inferno di ghiaccio.”
Thor non voleva immaginarselo, ma non poté impedirselo. Ricordò un evento della loro adolescenza, un periodo della loro vita in cui Loki era stato l’invidia di tutte le fanciulle della corte e la vergogna della famiglia reale. Un tempo, in cui la fragilità di Loki non era stata solo apparente come Thor aveva imparato.
Ricordava l’ira di suo padre. Oh, sì, la ricordava molto bene ed ora non riusciva a capacitarsi che non avesse fatto nulla per delle creature che, senza ombra di dubbio, non potevano vantare nemmeno metà del potere di Loki.
“Nascevano dei bambini, alle volte” continuò a raccontare suo fratello e Thor desiderò che smettesse, “alcuni venivano deformi e malati e morivano agonizzando per delle ore. Altri erano l’incrocio perfetto di un Aesir e di uno Jotun. I piccoli mostri amavano i loro cuccioli, mi dissero, si disperavano quando il destino li strappava dalle loro braccia.”
Thor non disse nulla per un minuto di sbigottito silenzio, “ci sono mezzosangue su Asgard?”
Loki scosse la testa.
Thor inarcò un sopracciglio, “come sarebbe a dire? Che ne è stato di quei bambini? Erano figli dei nostri soldati e…”
Loki lo guardò dritto negli occhi e lo zittì, “sei un guerriero, sei votato al combattimento e ciò nonostante sei così ingenuo da far paura.”
Thor non seppe come replicare a quella critica.
“Sai cosa mi ha detto una di quei veterani? Che la sua piccola puttana Jotun gli aveva fatto perdere la testa al punto che non permetteva a nessun altro di toccarla. Mi ha raccontato che la sua cagna adorava farsi montare, fino al giorno in cui non è rimasta gravida. Sai cosa mi ha detto poi?”
“Loki, per favore…”
“Il bambino era sano, era forte… Aveva anche i capelli biondi, mi ha detto. Sai che ha fatto per festeggiare la nascita di suo figlio?”
Thor chiuse gli occhi ascoltando l’inevitabile.
“L’ha strangolato di fronte a sua madre perché era nato con le iridi rosse.”
Thor provò lo spiacevole bisogno di vomitare.
“Vuoi che ti confessi una cosa? Da principio, l’idea di essere il cucciolo bastardo dei mostri delle favole della nostra infanzia mi dilaniava,” Loki non smise di guardarlo nemmeno per un istante, “quando ho sentito questa storia, ho capito che ero senza appello. Jotun, Aesir… Non sapevo cosa mi facesse più schifo essere.”

[Asgard, secoli fa.]


Nàl non si era mai sentito tanto codardo.
Facciamo l’amore?
Non aveva risposto, non era riuscito a dire niente. Se ne era, semplicemente, rimasto lì come un perfetto ebete, poi Odino aveva tentato di aggiungere qualcos’altro e non aveva potuto trattenere il desiderio di fuggire.
“Ti ha offeso?” Frigga era seduta con lui sulla balconata della sua stanza: non l’aveva fatta chiamare, ma non si era sentito di cacciarla, quando si era presentata. Loki era troppo adorante nei confronti di suo fratello per poter essere un confidente obbiettivo.
“No,” ammise fissando la città dorata oltre il parapetto.
“Allora perché hai quell’espressione smarrita?” Chiese lei con una gentilezza quasi materna, “per quel che ti conosco, mi sarei immaginata una reazione più forte da te ad una simile proposta.”
“Tu come avresti reagito?” Domandò Nàl curioso voltandosi a guardarla. Frigga sorrise incrociando le braccia sopra il parapetto ed appoggiandovi il mento, “a me piace prendere l’iniziativa. Non mi piacciono le pressioni.”
Nàl roteò gli occhi, “il tuo principe è una pressione continua.”
Frigga ridacchiò girando la testa per guardarlo, “cos’è che ti ha conquistato di quel che è successo?”
“Conquistato?”
“Sì, non hai saputo reagire a modo tuo, quindi, volente o nolente, qualcosa di quelle parole ti ha vinto.”
Nàl sbuffò, “non mi piace quest’analisi.”
“A nessuno piace perdere il controllo, anche se per una buona ragione.”
Nàl inarcò un sopracciglio, “e quale sarebbe questa tua buona ragione?” Domandò sarcastico.
“Il piacere,” rispose con insopportabile naturalezza lei. L’espressione di Nàl divenne una maschera di pietra, “non ne voglio parlare…”
Frigga accennò un sorriso, “sei rimasto piacevolmente sorpreso che Odino ti abbia proposto di farlo, invece che di farlo e basta.”
Nàl sorrise tristemente, “nel mio mondo chiedere il permesso per una cosa del genere è una debolezza. Chi è più forte si prende quel che vuole, quando lo vuole.”
“Hai sempre saputo che Odino non ti avrebbe costretto.”
“Sì, ma non me l’ha mai chiesto,” replicò Nàl, “mi ha fatto intendere le sue intenzioni ed ha lasciato che mi ritirassi… Per poi tornare all’attacco ma… Ma non è mai rimasto al suo posto, lasciando che fosse una mia risposta verbale a comandare la sua prossima azione. È un potere che nessuno Jotun darebbe al suo amante.”
Frigga gli scostò una ciocca corvina da davanti agli occhi, “non è potere, principe delle nevi. È rispetto. Un qualcosa che è ben più importante dell’amore, alle volte. Posso credere che due persone possano darsi piacere senza che vi sia un reale sentimento profondo tra loro, ma senza rispetto… No, Nàl, senza rispetto non può consumarsi nemmeno la più animalesca delle fornicazioni.”
“Il rispetto è ciò che porta piacere?”
Frigga scrollò le spalle, “non credo che il sesso sia comparabile all’unione di due anime che si desiderano, ma se ci fermiamo al mero livello sensoriale, sì… Se provi rispetto per il tuo amante, t’interessi a dargli piacere, altrimenti… Tanto vale usare le mani!”
“Frigga…” Mormorò Nàl ridendo appena.
“Oh, non ti ci mettere anche tu! Pensi che le fanciulle di corte che aprono le gambe a tutte le guardie ma fingano di non sapere nulla sull’amore carnale, siano meno volgari di me?”
“Mai pensato,” rispose Nàl in totale sincerità. Rimasero in silenzio per qualche secondo. Un silenzio complice, rilassante, quasi.
“Com’è fare l’amore?” Chiese d’impulso Nàl. Non sapeva perché, ma pensava che a lei avrebbe potuto chiedere tutto, senza sentirsi mortalmente umiliato. Nemmeno con Loki si sentiva così.
Frigga scrollò di nuovo le spalle, “non ne ho idea,” confidò arrossendo appena e Nàl abbassò lo sguardo immediatamente, “scusa, non aveva pensato che…”
“Di che ti devi scusare?” Lo interruppe gentilmente, “non è un segreto paragonabile ai tuoi.”
Nàl non replicò.
“Se ti può consolare, nemmeno chi l’ha provato sa come descriverlo.”
Un istante dopo, una guardia entrò nella camera senza bussare.

[Jotunheim, oggi.]

Bỳleistr soleva andare a caccia da solo da quando la guerra civile era scoppiata ed erano stati costretti a rifugiarsi tra le terre più remote di Jotunheim. Si era ribellato al punto, quella notte, che le guardie avevano pensato che suo padre stesse tentando di sgozzarlo.
Non gli era mai stato promesso un trono, nessuno l’aveva mai illuso e Bỳleistr era troppo razionale per perdere tempo a covare invidie inutili nei confronti di suo fratello. Che Helblindi passasse la vita ad appoggiare il suo di dietro su quel trono di ghiaccio, a Bỳleistr non erano mai piaciute le cose monotone.
Gli era stato detto che era nato per difendere il suo popolo e la sua casa e come idea gli era, semplicemente, piaciuta.
Per questo, quando suo padre l’aveva trasformato in un Aesir, aveva combattuto con tutte le sue forze. Per questo, aveva pianto come un bambino per tutta la notte.
Prima, il piccolo bastardo di suo padre aveva tentato di distruggerli tutti.
Poi, un’orda di traditori, con Thrym al comando, li aveva costretti ad abbandonare la loro casa natia.
E Bỳleistr non era riuscito a fare niente. Niente! Quell’aspetto schifosamente Aesir non era uno scudo, come diceva suo padre, era la prova della loro codardia.
Come avrebbe mai potuto difendere la sua casa così?
Come?
Per questo cacciava da solo, per provare a se stesso che, almeno in parte, riusciva ancora ad essere un guerriero in grado di distinguersi, sebbene il destino non lo avesse baciato di fortuna. Non solo era più basso di suo fratello, ma era infinitamente meno robusto di lui. Qualche vecchio bavoso gli aveva confidato che era una caratteristica che aveva ereditato da suo padre, Bỳleistr era dovuto uscire dalla stanza a grandi passi per evitare di prenderli tutti a bastonate.
“Su Asgard, molti s’inginocchierebbero di fronte ad una bellezza di ghiaccio come la tua.”
Bỳleistr non sapeva cosa lo mandasse più in bestia di quel commento di suo padre: se il sorrisetto divertito con cui lo diceva o l’inquietante nota d’orgoglio nella sua voce.
Cosa c’era di così glorioso nel mettere in ginocchio un branco d’idioti con la sua bellezza? Davvero! La fine arte della seduzione era una cosa che non aveva mai capito.
Quei trucchetti complicati erano per i tipi strani. Suo padre era strano. Helblindi era strano.
Bỳleistr aveva solo un brutto carattere.
Il lupo grigio che aveva puntato era morto con una facilità tale che si era avvicinato sbuffando a più non posso, “anche i lupi sono minuscoli qui!” Sbottò inginocchiandosi accanto alla povera bestia ed estraendo il coltello dalla sua cintura, “tutto è piccolo! Ah! Cose piccole in un mondo di giganti, mah!”
Ci mancava poco che cominciasse a lamentarsi che la neve fosse bianca, il cielo grigio e Jotunheim troppo fredda. Sì, ci mancava davvero pochissimo.
Stava quasi per cominciare, quando la lancia attraversò l’aria passandogli ad appena pochi centimetri dalla spalla. Pensò di essere morto, perché smise di respirare, eppure il cuore che gli galoppava nel petto non sembrava essere dello stesso avviso. Un tonfo alle sue spalle lo costrinse a voltarsi…
“Per tutti i Nove…”
Un lupo grigio, almeno quattro volte più grosso del suo, giaceva sulla neve a pochi metri di distanza da lui: la lancia ben conficcata in mezzo agli occhi. Bỳleistr si alzò, sebbene le gambe gli tremassero: pochi secondi e si sarebbe ritrovato i denti di quella bestia a stringergli il collo. Non l’aveva minimamente sentito…
“Mai uccidere i cuccioli.”
Sobbalzò quando udì quella voce ed il proprietario scese da una rupe ricoperta di neve con particolare abilità, “la madre non è mai troppo lontano,” aggiunse con un mezzo sorriso. Bỳleistr lo fissò da capo a piedi: era un mezzosangue o uno scarto. La carnagione bluastra e gli occhi rossi erano prova delle sue origini Jotun. I capelli neri come la notte e la bassa statura lo rendevano un diverso del tipo sbagliato.
Bỳleistr era troppo occupato a pensare che fosse almeno di un palmo più alto di lui, per rendersi conto che gli aveva salvato la vita.
“Mi stai seguendo?” Domandò con aria che avrebbe dovuto essere minacciosa, di sicuro fu glaciale.
L’altro sorrise, “vostro fratello era preoccupato per voi, mio principe.”
“Non sono il tuo principe,” si affrettò a dire Bỳleistr, “ se vuoi qualcuno davanti a cui inginocchiarti, Helblindi è perfetto!”
“Sono tenuto a rispettarvi, mio principe. Questo non significa che mi faccia piacere.”
Bỳleistr sgranò gli occhi, “cosa?” Chiese scandalizzato.
Il cacciatore lo ignorò per avvicinarsi alla bestia che aveva abbattuto: estrasse la lancia dalla sua testa senza particolare sforzo. Bỳleistr s’imbronciò.
“Ho l’ordine di riportarvi alle cave, mio principe.”
“Ubbidisco solo ai miei ordini,” si oppose Bỳleistr, “quindi sarò io a riportare me stesso alle cave, se vuoi puoi seguirmi.”
“Un mio dovere è anche scortarvi, sì.”
Bỳleistr alzò gli occhi al cielo, “non scortarmi, piccolo idiota! Se mi scorti significa che non sono affatto in grado di badare a me stesso, il che è falso! Quindi… Seguimi!”

[Midgard, oggi.]

(S.C.)

“Ti sei mai dato piacere pensando a lei?”
La prima volta era stata pura impulsività, quelle che erano seguite erano state un diabolico perseverare. Si baciavano, nulla di più. I vestiti gettati in un angolo e le virilità preventivamente tenute a distanza. Thor aveva smesso di chiedersi che cosa stava facendo dal secondo giorno: non aveva una risposta soddisfacente da ripetere a se stesso.
Si baciavano, al buio, finché Loki non si addormentava tra le sue braccia. Per Thor era l’inferno, ma sembrava l’unico modo per regalare a Loki un po’ di pace.
Fino a che suo fratello non aveva cominciato a parlare…
Non voleva rispondere a quella domanda, così leccò una goccia di sangue dal labbro spaccato di Loki aspettando che quel suo frammento di anima lo stordisse abbastanza d’accettare di essere complice di quell’insana passione. Il bacio che seguì fu breve e s’interruppe bruscamente, “ti sei mai dato piacere pensando a lei?” Domandò di nuovo Loki scivolando sulle gambe di Thor in modo d’avvicinare pericolosamente i loro corpi, “ti sei mai sentito così pensando a lei?”
Ad un passo dalla follia, intendi?
“Loki…”
“È uno scambio di anime, non di sporchi fluidi corporali.”
Era una frase tremendamente romantica per essere uscita da quella bocca velenosa.
“Io mi nutro di te. Tu ti nutri di me.”
Oh, ora è molto più chiaro.
“Vince chi divora interamente l’altro per primo.”
Hai vinto, Loki. Hai vinto… Ora basta, non ce la faccio più…
“Perché la odi così tanto, Loki?”
Loki si mosse sulle sue gambe, Thor si morse il labbro inferiore: anche la minima vibrazione era una tortura, ora.
“Le ho odiate tutte,” confessò a pochi millimetri dalle sue labbra, “tutte. A partire da quella puttana di Jӧrd, fino a quella finta ribelle di Sif.”
“Sif ed io non siamo mai stati amanti.”
“Lo so, ma è stata la più vicina a prendersi il tuo cuore, tra le donne accanto a te.”
“Jane ha il mio cuore.”
“Allora non chiedermi perché la odio,” sibilò, prima di baciarlo di nuovo.

[Asgard, secoli fa.]

La sala del trono era ghermita di gente: nobili, servi, giovani guerrieri. Frigga e Nàl erano rimasti vicini mentre si muovevano a fatica dietro le colonne dorate, ancora ignari del motivo della loro convocazione.
“Eccovi!” Esclamò Loki riconoscendoli tra le centinaia di volti, “sapete quel che sta succedendo?”
Frigga scosse la testa, “speravo potessi delucidarci tu.”
Nàl non disse una parola, esplorando la stanza con lo sguardo.
“Odino non c’è,” lo informò Loki intuendo il motivo della sua ispezione, “è in consiglio con il re ed i due principi minori.”
“Non mi piace,” commentò Frigga irrigidendosi appena.
“Neanche a me,” concordò Loki, “ho sentito delle guardie mormorare cose strane, mentre venivo scortato qui.”
“Che tipo di cose strane?” Domandò Nàl sospettoso.
“Parlavano di quella ragazza,” rispose Loki abbassando lo sguardo, “la giovane Vanir.”
Nàl sentì un brivido lungo la schiena al ricordo della scena a cui aveva dovuto assistere in quella stessa sala, “che le è successo?”
Loki fece per rispondere, quando l’enorme portone dorato si aprì ed il re fece il suo ingresso, seguito dai suoi tre figli. Nàl portò immediatamente tutta la sua attenzione su Odino: gli occhi azzurri del principe sembravano un mare in tempesta.
Borr si sedette sul suo trono dorato senza troppe cerimonie. Odino ed i suoi fratelli rimasero ai piedi delle scale.
“Miei fratelli!” Tuonò il sovrano allargando le braccia, “il destino ha voluto concedere alla nostra gente l’occasione di ricoprirsi di gloria, dopo un lungo tempo di pace ed ozio!”
“Che razza di re è uno che parla della pace come se fosse una noia?” Domandò Frigga irritata.
“Re?” Domandò Nàl fissando con astio l’uomo seduto sul trono, “io non vedo nessun re.”
“Ieri notte, uno dei nostri messaggeri reali è stato inviato su Vanaheim per annunciare ai Vanir bastardi la morte della loro lurida spia!”
Nella stanza si alzarono una moltitudine di voci esultanti.
“Povera ragazza,” mormorò Frigga, “ha lottato fino alla fine, non deve essere stato indolore.”
“All’alba, i Vanir ci hanno risposto… Rimandando indietro il cavallo del nostro messaggero con la sua testa recisa all’interno di una sacca.”
Il fragore intorno a loro divenne assordante. Nàl fissò Odino, ma il principe si ostinava a fissare il suolo con sguardo vuoto.
“Con questo affronto, i Vanir hanno segnato la loro caduta!” Ruggì Borr alzandosi in piedi, “quest’oggi Asgard dichiara guerra a Vanaheim!”
Nàl sentì come se qualcosa si fosse rotto. Le urla che lo circondavano divennero un brusio lontano, mentre incrociava gli occhi di Loki e Frigga e vi vedeva riflesso il suo stesso terrore e sgomento.
“Quest’oggi, io, re Borr figlio di Bùri, affido a Odino, mio primogenito, mio erede, il comando dell’esercito più potente che Asgard abbia mai avuto.”
“È una follia!”
Nàl fu sorpreso di non essere stato lui a gridarlo, perché lo pensava sinceramente.
Odino ed i suoi fratelli si voltarono, mentre il giovane Jotun al centro della stanza urlava il proprio disappunto, “non ha mai guidato un esercito!” Urlò Loki, mentre la gente intorno a loro cominciava a mormorare, “non gli state offrendo nessuna opportunità di gloria, lo state condannando a morte.”
“Loki!” Chiamò Frigga incurante che altri la sentissero, “Loki torna immediatamente qui!”
Nàl non aveva fiato per parlare.
Odino fece per avvicinarsi al fratello, quando Borr intervenne, “guardie! Portate quella piccola feccia nelle segrete!”
Odino guardò il padre sconvolto, “no…” Scosse la testa, “no! No! No!” Esclamò come le guardie si avvicinarono a Loki.
“Nàl, dobbiamo fare qualcosa… Nàl?” Come si voltò, Frigga non vide più il giovane Jotun accanto a sé. Lo ritrovò pochi metri davanti a lei, al centro della stanza, il braccio destro puntato contro le tre guardie che si erano mosse per portare via Loki.
“Ancora un passo e lo sfregio che ho regalato al vostro re sarà come il graffio di un gattino a confronto di quel che vi farò,” li avvisò con un sorriso diabolico che fece raggelare i presenti.
Frigga sorrise tra sé e sé, si chiese se Odino si sarebbe scomodato per intervenire o sarebbe rimasto a guardare i suoi piccoli Jotun che si battevano per lui con quell’imperdibile espressione da ebete stampata in faccia.
Optò per la prima strada.
“A riposo,” ordinò superando le tre guardie.
“Mio principe…”
“A riposo!” Tuonò portandosi a fianco dello Jotun che, per la corte, era il suo amante ufficiale. Le guardie non poterono fare altro che ubbidire sotto gli occhi sconcertati del proprio re.
“Mi hai reso il tuo campione!” Esclamò il principe rivolgendosi a suo padre, “mi hai reso il tuo generale! Per tanto, mio è il potere di decidere cosa fare delle mie proprietà.”
Nàl gli lanciò un’occhiata velenosa, ma lasciò correre.
“E se decido che non vengano toccate, come è vero che sono Odino, figlio di Borr, futuro re di Asgard, mi opporrò fino allo stremo ad ogni tuo ordine che vada contro i miei desideri!”
Nella stanza cadde un silenzio pauroso. Lo scontro di sguardi che il principe ed il re combatterono sembrò durare in eterno, fino a che Borr non accennò un sorriso che sorprese tutti. Nàl giurò di vedere un bagliore di orgoglio nella sua espressione.
“Che così sia, mio generale,” acconsentì sebbene non vi fosse alcuna benevolenza nella sua voce, “che così sia, mio principe.”

[Jotunheim, oggi.]

“Nano, mi annoio” dichiaro Bỳleistr voltandosi verso la propria silenziosa e non voluta scorta, “e quando mi annoio divento facilmente irritabile.”
“Fatevi passare l’irritazione allora, mio principe,” rispose quasi con sarcasmo il cacciatore. Bỳleistr lo fissò torvo, “sai che, in un'altra occasione, ti avrei già ucciso, vero?”
“Non è quello che dicono del secondo principe di Jotunheim,” replicò l’altro.
Bỳleistr rise, “giungono voci della famiglia reale in questo posto dimenticato da tutti?”
“Molti di noi non sono stati realmente abbandonati da bambini,” spiegò il cacciatore con espressione triste, “alcuni sono stati portati qui dai loro genitori per essere protetti. Non sono cresciuti nella loro casa, ma i loro genitori non li hanno lasciati alla loro sorte.”
Bỳleistr lo squadrò, “ci sono Jotun che lasciano qui i loro bambini venuti male per poi venirli a trovare?”
“Perché siete convinto che quelli come me siano… Venuti male?”
Bỳleistr scrollò le spalle, “così mi hanno insegnato.”
Il cacciatore fece una smorfia, “la vostra è ignoranza dell’anima, principe.”
“Senti!” Sbottò Bỳleistr voltandosi di colpo, “posso non piacerti, mi sta bene! Non posso toccarti perché dopo i tuoi compagni avrebbero tutte le ragioni di cacciare la mia famiglia ed i nostri alleati e, per quanto mi duole ammetterlo, entrambi sappiamo chi ha il coltello dalla parte del manico. Ciò nonostante, portami rispetto o, quando questa guerra sarà finita, mi ricorderò di te!”
“Vi hanno mai detto perché vostro padre conosce così bene questo posto?”
Bỳleistr lo guardò perplesso, “che centra mio padre, ora?”
“Vi siete chiesto perché vi garantiamo ospitalità, quando siamo dei condannati per le vostre leggi?”
Bỳleistr lo fisso, “in realtà no, pensavo che, in quanto creature inferiori, vi foste piegate per naturale inclinazione.”
“Superbo…”
“Lo ammetto, lo sono.”
“L’infanticidio è ancora un crimine su Jotunheim?” Domandò il cacciatore.
“Con l’eccezione dei casi in cui si vuole evitare a bambini nati deformi di agonizzare per ore, prima del trapasso,” ripeté a memoria Bỳleistr rammentando le sue interminabili lezioni dell’infanzia.
“E che legge vi è per quelli come me?”
“Ho appena parlato di deformità, sei sordo?”
“Non sono deforme,” disse il cacciatore, “la mia statura non m’impedisce di uccidere le bestie della neve e non mi ha impedito di salvarvi la vita, oggi.”
Bỳleistr rimase in silenzio a riflettere per un lungo momento, “perché hai nominato mio padre?”
“Si racconta,” cominciò il cacciatore abbassando lo sguardo, “che siano nati molti bambini mezzosangue durante e dopo la guerra, anche tra i nobili.”
Bỳleistr annuì.
“Si racconta che la gente comune accettò quei bambini, mentre i nobili estirparono le loro vite non appena li diedero alla luce. Poi, comandarono alle loro guardie di fare lo stesso coi figli della gente. Il re esiliò qui tutti i mezzosangue e gli scarti. Sarebbe toccato a Jotunheim riprendersi i suoi figli-errori, senza che i nobili si sporcassero le mani di sangue.”
“Se ti può consolare, le famiglie nobili che hanno avuto dei mezzosangue hanno anche avuto la bella idea di allearsi con Thrym e divenire traditori… Pagheranno, per una cosa o per l’altra. Per quanto riguarda mio padre...”
“Ci ha salvato la vita.”
“Sì… Eh? Cosa?”
“Re Laufey ci ha salvato la vita esiliandoci alle cave. Ha suggerito alle famiglie dei disperati un modo per salvare i loro piccoli. Ha dato loro una speranza per una nuova Jotunheim che non era ancora possibile realizzare, senza che scoppiasse una guerra civile prima del dovuto. I tuoi nobili traditori sono stati troppo stupidi per accorgersene.”
Bỳleistr fissò la neve ai suoi piedi con aria smarrita.
“Non era mia intenzione confondervi, mio principe.”
Bỳleistr tornò a guardare il cacciatore dritto negli occhi, “hai un nome?”
“Bàli, mio principe.”
“Oh, Bàli,” Bỳleistr annuì, “bene, incamminiamoci, Bàli, casa è ancora lontana.”

“Nessun potere darà un futuro al nostro regno, se non sarà Jotunheim a cambiare!”
Forse, a secoli di distanza, qualcuno erano riuscito a sentirlo quel grido.

[Midgard, oggi.]

(S.C.)

“Parlami del consorte reale,” domandò Loki sedendosi sulle scale dell’altare.
“Che vuoi sapere?” Domandò Helblindi. Non si aspettava una simile domanda
“Quel che dovrebbe interessarmi sapere,” rispose Loki, “so che il suo nome è Fàrbauti.”
“Era,” lo corresse il principe di Jotunheim.
“Era,” ripeté Loki con un ghigno, “è morto durante il mio attacco?”
Helblindi scosse la testa, “morì alla fine della grande guerra.”
Loki lo guardò divertito, “è questo il grande segreto che Odino non mi ha rivelato? Il mostro da cui sono nato è morto dandomi alla luce ed il tuo re si è vendicato del destino abbandonandomi?”
“Non è stato Fàrbauti a partorirti,” Helblindi non avrebbe voluto dirlo così e, soprattutto, non avrebbe voluto dirlo così presto. Loki sapeva terribilmente poco del popolo di Jotunheim e lui dubitava che Odino avesse avuto il tempo di specificare che tipo di padre era Laufey per il quel neonato abbandonato sull’altare di quel tempio. Semplicemente, alle volte, l’espressione di Loki gli ricordava troppo quella di suo padre nella notte in cui tutto aveva avuto inizio e fine ed il desiderio di cancellarla era troppo grande.
lo sbigottimento negli occhi di Loki gli fu di qualche conforto.
Il sogno si spezzò.

Loki si svegliò di scatto: il respiro corto e lo sguardo smarrito.
Si voltò. Non c’era nessuno accanto a lui.
Notò che la porta del bagno era aperta ed udì il rumore dell’acqua che scorreva nella doccia.
Si alzò in piedi, non si preoccupò di raccogliere i suoi vestiti.
Thor era seduto sul piatto doccia, la schiena contro la parete, i capelli biondi che gli coprivano la parte destra del viso. Era stanco il suo sguardo, quando lo guardò.
“Mi sono toccato…” Confessò, come se fosse stordito, “ho pensato a te per tutto il tempo.”
Sembrava sul punto di scoppiare a piangere per la vergogna.
“L’ho capito adesso.”
“Che cosa?” Domandò Loki entrando cautamente nella doccia.
“Hai vinto,” rispose Thor tirando su col naso, “sei stato tu a divorarmi per primo.”
Loki s’inginocchiò davanti a lui, l’acqua lo bagnò, “un giorno, andai da tua madre in lacrime. Tu eri nella stanza accanto alla mia che ti scopavi non so chi ed io stavo impazzendo perché, sebbene fossi poco più di un bambino, per Asgard ero sul punto di divenire un adulto e… Del piacere non sapevo ancora niente.”
Thor rimase in silenzio ad ascoltare.
“Frigga mi strinse a sé e mi disse che non dovevo temere nulla, che nel mio destino c’era qualcuno di speciale che mi avrebbe accettato per quello che ero, che non si sarebbe sentito disgustato dal… Toccarmi,” Loki sorrise tristemente, “mentiva, ovviamente, eppure con l’ingenuità della mia adolescenza ho cercato d’immaginarmela quella persona speciale. Ho cercato di vedere nella mia mente chi sarebbe stato il folle capace di accettare una cosa del genere. Mi sono chiesto… Chi sarebbe tanto stupido da desiderare di dare piacere ad un errore?”
Thor respirava a fatica e non era colpa dell’acqua.
“Sono tornato in camera mia. Sentivo ancora quella puttana gemere nella stanza accanto, poi ho sentito te… Fu un attimo, fu breve… Quella notte mi sono accarezzato immaginando che fossi io la persona che ti faceva gemere in quel modo.”
Thor rimase immobile, solo gli occhi sgranati tradivano il suo sbigottimento.
“Ti senti umiliato, ora?” Domandò Loki con le lacrime rabbiose agli occhi, “ti senti divorato? Tu mi hai divorato ogni minuto di ogni giorno. Quello che provi è solo un frammento di quel che ho dovuto sopportare io.”
Loki fece per alzarsi, Thor lo bloccò afferrandogli entrambi i polsi.
“Non fuggire,” sibilò, “non fare il codardo, ora, non fuggire.”
Loki tremava e non riusciva ad opporre resistenza. Thor lo tirò a cavalcioni su di sé, Loki premette le mani contro la parete per non cadere e se ne rimase lì con le gambe divaricate e le mani di Thor sui fianchi.
“E così…” Mormorò Thor contro il suo petto, “nessuno ti ha mai dato piacere?”

[Asgard, secoli fa.]

Loki pianse.
Pianse come un bambino, mentre suo fratello lo stringeva a sé. Erano seduti su una delle panchine del giardino della regina e Nàl se ne rimase in disparte, osservandoli dalla balconata.
Qualcuno tiro su col naso ed il principe di Jotunheim si voltò, “vuoi una spalla su cui piangere, mia signora?”
Frigga si sforzò di sorridere, “comprendo i sentimenti di Loki, ma non credo che vedermi in lacrime sarebbe di qualche aiuto ad Oden.”
Nàl annuì, “se tutte le donne fossero come te, Jotunheim si sarebbe perso una gran cosa.”
Frigga rise appena, “piangerò, lo ammetto. Ma lo farò domani notte, quando lui non potrà vedermi.”
Nàl la guardò, “è la prima volta che venite separati in questo modo, vero?”
Frigga annuì, “posso darti un consiglio?”
Il principe annuì.
“Non perdere la tua occasione,” mormorò lei, “ci sono uomini gentili e uomini orrendi a questo mondo e negli altri. Ti auguro d’incontrare tutti gli uomini gentili che esistano, Laufey, ma non ti nasconderò che quelli come Odino sono una fortuna che è riservata a pochi.”
Nàl la fissò, non sapeva cosa dire, non conosceva un modo per replicare.
“Non chiamarmi con quel nome, per favore.”
Frigga sembrò capire la sua difficoltà ed annuì, “ti chiedo, scusa,” guardò i due fratelli che si abbracciavano sotto i loro occhi, “ma non troverai mai più un uomo che ti chiede di fare l’amore con lui in ginocchio e con sguardo adorante.”

[Midgard, oggi.]

Loki piangeva.
Non aveva fatto altro che piangere da quando era venuto grazie alle esperte carezze di Thor in quel punto di sé che nemmeno lui aveva mai osato toccare.
Loki piangeva al punto che Thor gli infilò l’accappatoio quasi di forza. Il maggiore appoggiò entrambe le mani sul lavandino, la testa china, “non ti è piaciuto?”
Loki tiro su col naso.
“Non lo volevi?”
Loki gemette. Se gli era piaciuto? Se l’aveva voluto? Non era quello il problema, era la consapevolezza che ora non ne avrebbe potuto più fare a meno. Le mani di Thor su di lui… Le mani di Thor che lo accarezzavano come un amante.
Il suo amante.
Thor, il suo amante.
“Quante donne hanno toccato quelle mani?” Domandò con disprezzo: non poteva lasciare che lo smarrimento per quelle emozioni lo sopraffacesse. Thor alzò il viso e lo guardò.
“A cosa penserai quando le userai per toccare Jane?”
Thor non rispose.
“Perché è questo che vuoi davvero, no? Toccare lei. Dare piacere a lei. L’accarezzerai in mezzo alle cosce e ti dimenticherai di ogni cosa. Le entrerai dentro, la marcherai con il tuo seme… Farai tutto quello che un maschio degno di tale nome può fare per la sua femmina vogliosa, giusto?”
Thor dovette trattenersi dal prenderlo a schiaffi.
“Siamo fratelli, Loki.”
“Fammi un piacere,” gemette Loki chiudendo gli occhi, “usa un’altra scusa. Dimmi che ti disgusto, lo accetterò più volentieri.”
Loki uscì dalla stanza con passo lento. Thor non si mosse ma sentì chiaramente il rumore della porta della camera che veniva chiusa. Si guardò allo specchio e si sentì come se il suo riflesso lo stesso accusando.
Codardo! Diceva. Sei come tuo padre, codardo!
Non gli aveva detto che toccarlo in quel modo gli era piaciuto più di quanto fosse sano ammettere. Non gli aveva detto che fargli raggiungere il piacere per primo era stato come dare piacere per la prima volta. Non gli aveva detto che non aveva chiuso gli occhi, mai, nemmeno una volta.
Non gli aveva detto quanto lo aveva sentito giusto e quanto si odiava per questo.
Thor si portò la mano destra al viso e l’appoggiò contro il naso chiudendo gli occhi, perdendosi in quel che rimaneva dell’odore di Loki.
Non gli aveva detto che non avrebbe più accarezzato nessuna donna, nemmeno Jane, senza evitare di pensare a lui.

[Asgard, secoli fa.]

Odino lo sorprese che stava leggendo un libro seduto sulla balconata.
“Non volevo disturbarti,” La voce del principe era stranamente gentile.
“Non mi disturbi,” rispose Nàl con altrettanta gentilezza scuotendo la testa.
Odino abbassò gli occhi, “sto per dirti una cosa che non ti piacerà, ma che non faremo. Vorrei solo che tu fossi informato su questa piccola tradizione non scritta.”
“Prego,” gli concesse il principe di Jotunheim.
“Prima di una guerra, è tradizione che gli uomini passino la notte con la loro donna o il loro amante o, se non ne anno…”
“Con qualche prostituta di turno,” concluse Nàl con una smorfia, “la corte si aspetta che il suo principe passi la sua ultima notte a casa con quella che gli appartiene, ho capito.”
“Tu non mi appartieni,” ammise Odino con un sorriso, “sono io che vorrei essere tuo, in qualche modo.”
“Se fossi mio, sarei tu di riflesso.”
L’espressione di Odino era più luminosa del tramonto.
“In realtà, c’è una cosa che devo domandarti, prima di partire.”
“Di che si tratta?”
Odino arrossì appena, “il nome di nostro figlio.”
Nàl inarcò un sopracciglio, “pensavo che nei tuoi deliri si chiamasse Thor.”
Il principe scosse la testa, “sì, il più grande, quello che assomiglia a me,” sottolineò con orgoglio, “io mi riferisco all’altro. Quello con i tuoi capelli corvini ed i tuoi splendidi occhi verdi. Non ho mai saputo il suo nome.”
Nàl prese un respiro profondo, “è solo questo che vuoi da me, prima di partire per la guerra?”
“Sì,” Odino annuì, “non pretendo altro.”
E Nàl si odiò per il senso di delusione che lo assalì, “mi poni una domanda sul nostro futuro, quando ancora non hai ricevuto una risposta per la proposto sul nostro prossimo futuro.”
Odino sorrise tristemente, “non stavo per partire per la guerra, questa mattina.”
“E con ciò?” Replicò Nàl con un po’ troppa emotività, “tanto finirà comunque, in un modo o nell’altro.”
Odino sgranò gli occhi incapace di comprendere se la sua intuizione fosse esatta o meno, “che cosa mi stai chiedendo, Nàl?”
“No,” il principe di Jotunheim scosse la testa, “che cosa ti sto rispondendo…”
Odino s’irrigidì notevolmente, mentre Nàl gli si avvicinava appoggiandogli sperimentalmente una mano sul petto, “la guerra è una cosa d’adulti,” mormorò cercando di non incontrare lo sguardo del principe, “anche il piacere lo è. Sei perfettamente capace di affrontare la prima da solo, per quanto tu possa fare lo stupido.”
Un respiro profondo.
“Ma io non credo di voler conoscere il secondo tra le braccia di qualcun altro.”
Odino non riusciva più a parlare.
“Non ti amo,” ammise Nàl, “non so se ti amerò mai, ma sei l’unica persona che mi abbia rispettato in una cosa tanto intima. Non so cosa vogliano dire quei sogni e non credo di volerlo sapere ma…”
Le labbra di Odino contro le sue furono un dolce freno alle sue parole. Fu un bacio casto e veloce ma fu come se fosse il primo. Il principe dorato prese tra le mani il viso dell’altro, “non sai quanto… tu non sai…” Odino non trovava le parole e finì la frase con un risatina nervosa, “ma non ti farò conoscere il piacere, oggi.”
Nàl lo guardò confuso.
“Questa notte dormirò accanto a te, ti stringerò a me e all’alba mi aiuterai a mettere l’armatura. Poi, il giorno del mio ritorno, concepiremo il piccolo Thor e sarà la prova che la nostra vittoria è stata benedetta.”
Nàl alzò gli occhi al cielo, “con che superbia pensi di concepire un figlio al primo colpo?”
Odino non rispose, lo strinse a sé e Nàl lo lasciò fare. Si baciarono. Si baciarono tutta la notte e, quando l’alba li sorprese, Nàl fece come Odino voleva: lo aiutò a mettersi l’armatura e nessuno dei due disse una parola.
Un sorriso fu l’unica cosa con cui il principe dorato si congedò e Nàl, da principio, non trovò il coraggio nemmeno di ricambiare quell’espressione.
“Odino,” lo chiamò che era già sulla porta, “quando tornerai… Se tornerai…” Si corresse con voce sarcastica ed il principe sorrise.
“Allora e solo allora…” C’era una nuova luce negli occhi verdi di Nàl, “ti rivelerò il nome di nostro figlio.”



 

 

***

Capitolo 12 "Piacere". Versione NON-Censurata: http://preussen-g.livejournal.com/746.html

Varie ed Eventuli note:
 
IMPORTANTE: Non so veramente come ringraziarvi per aver risposto in massa al mio avviso! Perdonate se non vi dimostro la mia gratitudine singolarmente, spero che la mia scelta finale possa compensare.
Dunque, ho analizzato bene i futuri sviluppi della trama, studiando bene i pro e i contro del caso. Consultandomi con altre autrici, sono arrivata alla conclusione che non sarà necessario trasferire l'intera storia su un altro sito.
TUTTAVIA, onde evitare spiacevole inconvenienti, i capitoli "più a rischio" verranno pubblicati in due versioni:
-una censurata nei punti più critici, senza che la trama venga mutilata, che verrà pubblicata qui su EFP. Le scene censurate verranno segnatala da un avviso tra parentesi (S.C.)
-una NON-censurata che potrete leggere sul mio LJ e che mi preoccuperò di linkare nelle note finali  (come sopra indicato).

Spero che questa risoluzione non interferisca con la piacevolezza della lettura più del dovuto. A rischio di sembrar paranoica, mi sento più tranquilla nel tutelare il mio lavoro con questo piccolo accorgimento.

Ancora un GRAZIE infinito a tutti!  

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Capitolo 14
*** Guerra ***


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XIII

Guerra

[Midgard, oggi.]

(S.C.)

Il sogno era diverso, completamente diverso.

Helblindi non conosceva quel luogo, non era più nel tempio di ghiaccio in cui tutta quella tragedia era cominciata. Tendaggi rossi e dorati lo circondavano. Un cielo blu trapunto di stelle era visibile oltre la balconata alle sua destra, un camino acceso alla sinistra riscaldava la stanza.
L’oro e lo scarlatto erano i padroni della scena.
Fin da principio, ebbe la sensazione di avere sotto gli occhi qualcosa che non avrebbe mai dovuto vedere, ma il principe di Jotunheim andò avanti. C’era qualcuno al di là delle tende del sontuoso baldacchino di fronte a sé: sussurri, sospiri, gemiti flebili erano l’unica cosa a spezzare il silenzio della stanza. Non serviva una gran immaginazione per intuire cosa si stesse consumando tra quelle lenzuola.
Helblindi sapeva che avrebbe dovuto svegliarsi ma non lo fece, andò avanti.
Prese la tenda tra le mani ma non la scostò di colpo, no, non voleva interrompere niente. Voleva vedere.
All’inizio, riuscì a scorgere solo un intreccio di corpi e lenzuola. Non riuscì a riconoscere i due amanti, ma fu certo fin da subito che si trattassero di due uomini.
Un sorrisetto maligno gli illuminò il viso: sapeva di essersi spinto in un territorio che nessuno aveva mai osato esplorare. Il lato erotico di Loki, principe oscuro di Asgard, figlio rinnegato di Jotunheim.
Helblindi sapeva che era un luogo pericoloso quello in cui si trovava e quella consapevolezza lo intrigava più di quanto non dovesse.
Poi, uno dei due amanti si sollevò a sedere e Helblindi sentì tutta la sua sicurezza svanire come una nuova di fumo. C’era qualcun altro al mondo che potesse vantarsi di avere un’immagine integrale del principe del caos in tutta la sua gloriosa nudità?
Le guance di Loki erano rosse, le labbra gonfie ed i capelli corvini in disordine. Non vi era un’imperfezione su quella pelle di neve. Helblindi pensò a suo fratello, pensò al modo sprezzante in cui definiva deforme ogni Jotun che non superava i due metri di altezza. Pensò che era questo che si erano sentiti ripetere per tutta la vita. Pensò anche che, se quella che aveva davanti agli occhi era deformità, allora era l’errore migliore che la natura avesse mai commesso.
Non aveva mai visto nulla di più bello in tutta la sua vita e per un fuggente, folle istante si chiese se non fosse stata quella stessa meraviglia a piegare Fàrbauti e a sedurre Odino.
Loki sorrise, un sorriso abbagliante e l’uomo sotto di lui si sollevò a sedere.
Una sorta di panico assalì Helblindi nel riconoscerlo: capelli biondi, occhi azzurri…
Fu come vedere una scena del passato di suo padre che non avrebbe mai voluto immaginare. Abbassò lo sguardo quasi con disgusto ma, con la coda dell’occhio, vide Thor baciare Loki, lo vide sfilarsi da sotto di lui per adagiarlo sulle lenzuola, lo vide sussurrargli qualcosa che non riuscì ad udire, lo vide andarsene.
Quando tornò a guardare Loki, il principe oscuro era coperto solo dalla vita in giù e sorrideva a se stesso, felice per qualcosa che Helblindi non riusciva a comprendere.
Una rabbia improvvisa lo spinse a fare un passo in avanti con foga per spezzare quella felicità.
Loki scattò a sedere portandosi le lenzuola fino al petto, come se ci fosse ancora qualcosa che Helblindi non avesse visto. Il principe di Jotunheim ghignò di fronte all’orrore riflesso in quegli occhi verdi.
“Che cosa ci fai qui?” Sibilò Loki.
“Entro nei tuoi sogni,” spiegò Helblindi, “mi hai dato il permesso, ricordi?”
“Non hai alcun diritto di essere qui!” Urlò Loki.
“Shhh…” Mormorò lo Jotun, “non vogliamo che il tuo adorato principe venga a disturbarci, vero?”
Loki inorridì, “da quanto tempo sei qui?”
Helblindi rise istericamente appoggiando un ginocchio sul bordo del letto, “abbastanza da essermi memorizzato ogni dettaglio del tuo corpo.”
“Maledetto!” Loki alzò una mano per schiaffeggiarlo, ma Helblindi gli bloccò un polso con forza.
Quando i loro occhi s’incontrarono di nuovo, non vi era alcuna paura in quelli di Loki, solo rabbia.
“Sostieni di odiare tutto ciò che ami alla follia?” Domandò Helblindi, poi sorrise sarcastico, “oh, dimenticavo che sei un bugiardo.”
“Ma che t’importa di giudicarmi?” Domandò Loki iracondo e confuso.
Non lo sapeva, Helblindi, oppure non voleva comprenderlo. Perché se fosse stato onesto con se stesso, avrebbe dovuto affrontare il fatto che, assistere a quello spettacolo, era stato come rivivere coscientemente il tradimento di suo padre. Era stato come vedere con i suoi occhi il peccato che aveva portato a Loki.
Loki, che era quanto più di simile a Laufey ci fosse ,che si perdeva in simili volgarità tra le braccia di un altro principe di Asgard, di Thor, che era quanto più di simile a Odino esistesse.
Non si rese neanche conto di aver alzato la mancina ed aver schiaffeggiato Loki con quanta forza aveva.
Quando tornò a ragionare lucidamente, Loki aveva un labbro spaccato e lui, Helblindi, era talmente disorientato da non riuscire nemmeno a comprendere se ne fosse felice o se si sentisse dispiaciuto.
Non era per Loki quello schiaffo, non realmente.
Era per Laufey, per il giovane re che aveva abbandonato lui e suo fratello per mesi per tradire Fàrbauti col nemico giurato della loro gente, per crescere nel suo grembo l’incarnazione di quel crimine, per trascinarli tutti nell’oscurità di una sconfitta per cui ancora i figli di Jotunheim soffrivano inermi
Helblindi non poteva ricordare quando aveva cominciato ad odiare suo padre, ma ora sapeva di farlo e, mentre guardava l’espressione smarrita di Loki, sapeva di avere una buona ragione per odiare anche se stesso.

Thor sarebbe dovuto andare di sotto.
Avrebbe dovuto parlare con Loki.
Invece, si rimise i jeans e si lasciò cadere seduto sul letto.
Che cos’ho che non va? Perché qualcosa doveva esserci se, dopo quasi due anni di assenza di desiderio, il suo unico fratello gli faceva perdere la testa in quel modo. Forse, era proprio quello. Forse, l’assenza del calore erotico aveva offuscato la lucidità di Thor al punto che… No, era una scusa che non reggeva neanche un po’!
Non era più un ragazzino! E, anche se lo fosse stato, gli sarebbe bastato respingere Loki ed andare a sfogare i propri istinti animaleschi altrove!
Non aveva importanza quanto ci provasse, non c’era modo di rendere se stesso innocente di fronte a quanto avevano condiviso. Non è successo niente, quel ritornello aveva cominciato a perdere la sua efficacia.
No, non c’era stato del vero sesso ma non era l’assenza di una penetrazione a rendere quei baci e quelle carezze meno biasimevoli. Era stato Loki a dargli il primo bacio per fargli assaggiare il suo dolore. Un modo come un altro per farsi beffa di lui, forse.
Era stato Thor a chiedergli il secondo. Voleva che Loki potesse sentire la verità della sua anima attraverso il suo sangue. In quanti altri modi avrebbe potuto farglielo bere, senza che le loro labbra si sfiorassero?
Thor si prese la testa tra le mani fissando il pavimento con disperazione, “cosa ci sta succedendo?”
Non era la domanda giusta. A Loki era già successo anni… Secoli prima, gli ultimi eventi lo avevano solo spinto a tirarlo fuori, come era accaduto per l’odio, la rabbia ed il dolore.
Avrebbe voluto convincersi che, di fronte a tutti i suoi fallimenti, era stato spinto a seguire quello che era stato un desiderio di Loki perché, in un folle momento di disperazione, aveva creduto che così avrebbe riportato suo fratello da lui.
Si era prostituito per la causa, in breve.
Si fece schifo il momento dopo averlo pensato. Se si fosse sentito costretto a farlo, se non lo avesse voluto, avrebbe chiuso gli occhi e avrebbe lasciato che Loki si prendesse quello che voleva.
Non era stato così.
Non era assolutamente stato così.
Ripensò a quel momento nella doccia. Ripensò a quanto si era sentito inadeguato, una sensazione che non aveva più provato in quelle situazioni dal giorno in cui aveva perso la verginità tra le cosce di Jӧrd. Per un attimo, aveva temuto che, dopo due anni d’inattività, si fosse scordato che cosa fare.
L’entità di quell’insicurezza, però, era di tutt’altra natura. Fino a quel giorno, aveva sempre avuto come primo pensiero il mantenere alto il suo orgoglio di maschio attraverso il piacere delle sue amanti.
Con Loki, non aveva pensato assolutamente a nulla.
Gli era piaciuto e basta.
Sentì un tonfo sordo al piano di sotto.
Sentì la televisione del salotto accendersi.
“Loki?” Chiamò alzando lo sguardo confuso in direzione della porta. Dubitava che suo fratello lo avesse udito, come dubitava che avesse deciso di guardare il telegiornale. Stava per alzarsi dal letto, quando la porta della camera si aprì.
Loki aveva ancora gli occhi lucidi per il pianto ma c’era una luce totalmente diversa ad illuminare le sue iridi verdi. Thor lo guardò meglio e, per poco, non gli venne un colpo, “Loki!” Scattò in piedi talmente velocemente che l’altro sobbalzò andando a sbattere contro l’architrave della porta.
Il terrore dal volto di Loki sparì immediatamente e, forse recuperando un briciolo di autocontrollo, girò il viso da un lato per impedire al fratello maggiore di guardarlo. Troppo tardi, Thor aveva visto quanto bastava.
“Che cosa ti è successo?” Thor gli prese il volto tra le mani: la guancia destra era violacea ed un rigolo di sangue usciva dal labbro spaccato, “sei caduto? Che… Cosa hai fatto?”
Qualunque cosa fosse successa, Loki si era spaventato abbastanza d’agire completamente d’istinto e venire da lui. “Vieni,” Thor lo portò a sedersi sul letto, l’altro ubbidì, “che ti è successo?”
Loki gli lanciò un’occhiata glaciale rimanendo chiuso dietro il suo muro di silenzio.
“Loki, se c’è qualcosa che ti minaccia, non posso restare qui ad aspettare che succeda qualcosa d’irreparabile, lo capisci?”
“No!” Sbottò Loki alzandosi in piedi, “no, principe dorato, non capisco…”
Thor si guardò bene dal muoversi o dire qualcosa che potesse agitare Loki ulteriormente.
“Che cosa devo fare perché tu te la smetta di giocare a fare il fratello maggiore?”
“Loki…”
“Ho complottato contro di te. Ti ho quasi ucciso. Ho minacciato la tua sgualdrina e ho macchiato di sangue la tua adorata Midgard ed ora ti ho anche sporcato in modo irreversibile. Perché continui a rincorrermi? Perché continuo ad essere io quello che ne esce in ginocchio?”
“Loki, mi dispiace tantissimo per quello che è successo in questi giorni!”
Fu un errore. Fu un dannato errore.
“Lo so,” Loki annuì, la voce tremante, “ma non ti dispiace per me. Ti dispiace perché ora non riesci a guardarti allo specchio senza pensare che ti fai schifo. Ti scusi, magari ti accusi anche, perché il tuo povero fratellino è un folle accecato da un dolore ed una rabbia che tu stesso, pur avendoli assaggiati dalla sua anima, non riesci a comprendere. Che colpa potrebbe mai avere un folle?” Loki rise istericamente, “ti piace mascherare tutto in questo modo, non è vero? Loki non è in sé, non c’è altra spiegazione per le sue azioni! Loki deve essere malato, fantastica su un incesto dalla sua prima erezione e, in un momento di estrema generosità, gli ho dato un assaggio del suo peccato perché si rendesse conto, finalmente, quanto era sporco!”
Thor scosse la testa, “perché mi metti in bocca certe calunnie?”
“Non è quello che hai sempre ripetuto? Hai definito il mio operato follia fin dal giorno su quel ponte!”
“Perché è questo che è stato!” Replicò l’altro con rabbia, “se fossi stato nel pieno delle tue capacità, Loki, a quest’ora saresti re di Asgard ed io sarei ancora in esilio sulla Terra.”
Loki rise istericamente, “oh certo! A me il trono, a te la tua puttana! Che peccato allora che stessi completamente delirando, vero?”
“Senti solo quello che vuoi sentire…”
“Come tutti!” Loki si avvicinò al fratello con espressione minacciosa, Thor non si mosse di un passo, “tutti hanno visto la mia follia quando ho cercato di distruggere Jotunheim, nessuno ha visto la tua quando ci hai portati in sei a farci massacrare.”
“Sono stato punito per questo!”
“Certo ma quando ti ho chiesto un buon motivo per non distruggere tutti gli Jotun, non mi hai saputo rispondere.”
Thor rimase in silenzio per un lungo momento di difficoltà, “non era una guerra una tua, non gli hai permesso di difendersi. Il tuo era uno sterminio.”
“Oh davvero?” Chiese Loki sarcastico, “e dopo anni a sentir parlare della grande vittoria di Odino contro Laufey, del glorioso modo in cui Asgard ha privato i suoi nemici della loro unica fonte di energia in un mondo infernale… Tu stai qui a giudicare me perché non li guardavo in faccia mentre li massacravo, come hai fatto tu?”
Suo malgrado Thor si ritrovò ad abbassare lo sguardo con vergogna: quella storia lo stava portando a rivalutare il suo mondo ed il suo re più di quanto gli sarebbe stato sopportabile fare.
“Puoi dirmi cosa ti è successo ora, Loki?”
Suo fratello continuava a sorridergli in quel modo isterico, “cos’è che non riesci a capire esattamente? La parte in cui dico di odiarti fino a volerti morto o quella in cui ti confesso che ho desiderato scoparti fin da quando ho raggiunto l’età per avere delle fantasie?”
“Loki, ora tu…”
“Cosa?” Loki era di nuovo sulla soglia delle lacrime, “sono confuso? È questo che stavi per dire. Puoi credere folle il fratello che ha tentato di ucciderti, puoi credere folle il conquistatore sconfitto di Midgard. Puoi negare che la mia vera identità abbia cambiato ogni cosa. Puoi illuderti che tutto tornerà come prima. Sì, sei abbastanza idiota per farlo. Ma quel ragazzino che piangeva… Quel ragazzino che ti guardava, ma aveva paura di farlo nel modo sbagliato. Quel ragazzino che negli anni ha smesso di toccarti, senza che tu te ne rendessi nemmeno conto, perché aveva paura di tradirsi in qualche modo. Quel ragazzino che soffriva e si sentiva sbagliato per il motivo della sua sofferenza. Quel ragazzino era innocente, principe dorato.”
Gli sfuggì un singhiozzo.
“Volevi capire. Ti ho dato il mio dolore e non hai capito nulla. Mi hai dato un assaggio della tua anima ed ho dovuto accettare che ci fosse veramente dell’amore per me nel tuo cuore… Io accetto la tua verità, tu accetta la mia: non è abbastanza… Il tuo amore non è abbastanza.”
Era Thor quello sul punto di scoppiare a piangere ora.
Loki abbassò lo sguardo prendendo un respiro profondo, “che cosa sei disposto a fare per riavere tuo fratello?”
“Qualunque cosa…”
Il principe oscuro alzò gli occhi e, per un attimo, il mondo fu solo verde e blu.
Allora sii mio… Avrebbe mai avuto il coraggio di dirlo? Solo mio.
Loki aprì la bocca e prese fiato.
-… E la giovane ricercatrice Jane Foster è ora a Oslo per…-
La televisione in salotto era rimasta accesa. Un dettaglio… Una stupida frase in sottofondo…
Thor non lo guardava più.
No, Thor era addirittura corso fuori dalla stanza.
Loki si ritrovò a seguirlo come un automa. Lo trovò a metà delle scale che fissava l’enorme schermo appeso al muro: l’immagine di Jane fu, per lui, più terribile dei gemiti delle sgualdrine di Thor che, in gioventù, era stato costretto ad udire nelle lunghe notti di vergogna e solitudine.
Guardò suo fratello: le labbra piegate in un sorriso sorpreso e felice al tempo stesso.
Crack!
Assurdo che, dopo tutto quello che aveva passato, Loki avesse ancora un cuore da poter essere spezzato.
Tornò in camera ed appoggiò la schiena contro la porta chiusa.
Scivolò a terra come un corpo vuoto.
Strinse i pugni talmente forte da ferirsi entrambi i palmi.
Urlò. Urlò con quanto fiato aveva in gola: Thor non aveva più orecchie per sentirlo, comunque.

[Asgard, secoli fa.]

“Che cos’hai da sorridere?” Chiese Nàl.
Loki era seduto al suo fianco e non faceva che fissarlo da quando il banchetto era cominciato, “riflettevo…”
“Su cosa?”
“La prima sera che ti sei seduto a questo tavolo, eri un gattino spaventato,” commentò Frigga versando dell’acqua nella propria coppa, “è passato un anno da quella sera, lo sai?”
Nàl sgranò gli occhi passandoli dalla fanciulla alla sua sinistra al giovane Jotun alla sue destra, poi abbassò lo sguardo, “è già passato un anno…”
“Sì ed il re ti fissa aspettando che tu gli dia qualche notizia del suo figlio perduto,” gli fece notare Frigga con un vago cenno del capo. Nàl nemmeno si voltò: poteva sentirli chiaramente gli occhi di Borr su di sé e non gli piacevano affatto.
“Mi chiedo perché attenda delle novità da me.”
“Siamo in guerra, i suoi figli sono sul campo di battaglia, forse spera in una sorpresina che lo rassicuri sulla sua discendenza,” ipotizzò Frigga con una smorfia.
Loki e Nàl la guardarono confusi.
La fanciulla sorrise, “Il tuo principe ha già fatto progetti a lunga scadenza. Che io sappia non è stato ancora concepito, ma Odino è convinto che sarà maschio, avrà i capelli biondi, gli occhi azzurri e si chiamerà Thor.”
Nàl si nascose il viso tra le mani sospirando frustrato, “spero che torni mutilato in modo interessante.”
“Io, piuttosto, spero che tu abbia già un nome per l’altro,” Frigga bevve un lungo sorso.
“L’altro?” Chiese Loki.
“Quello che, probabilmente, vedremo tra un secolo o due,” rispose lei continuando a ridere, “ma che, parole sue, sarà talmente bello che, una volta raggiunta l’adolescenza, tutti i principi dei Nove Mondi verranno a chiedere l’elemosina davanti alla porta del palazzo e, sempre parole sue, allora sì che ci sarà da divertirsi.”
“Non ho intenzione di concepire nessun figlio,” ribatté Nàl freddamente.
“Se accetti suggerimenti,” continuò Frigga imperterrita, “se avessi un figlio maschio, lo chiamerei Balder. Che ne pensi?”
“Che voi Aesir avete qualche serio problema nell’accostare i suoni!”
“ A me piacerebbe Sleipnir,” rispose Loki vagamente, poi s’irrigidì di colpo, quando gli altri due lo fissarono sgomenti, “non è un crimine fantasticare sui propri figli.”
Frigga sorrise intenerita, “comincio a pensare che ogni ragazza che si rispetti dovrebbe avere uno Jotun per amico.”
Loki sospirò profondamente, “mi rifiuto d’indagare sul significato nascosto di questa tua frase.”
“Su Jotunheim, partorire figli è qualcosa d’ambiguo,” intervenne Nàl.
“Ovvero?” Domandò Frigga curiosa.
Il principe di Jotunheim scrollò le spalle, “cose senza senso… Non essendoci due sessi distinti, i primi atti sessuali sono legati a delle prove di forza, questo lo sapete già.”
Loki abbassò lo sguardo. Frigga si morse l’interno bocca e non rispose.
“Eppure, a partorire i figli è sempre e comunque lo Jotun della coppia con il lignaggio più alto,” spiegò Nàl stringendo appena i pugni, “mio padre ha avuto la meglio sul suo consorte in gioventù ma, quando si è trattato di generare un erede, ha dovuto partorirmi.”
“Quindi…” Rifletté Frigga ad alta voce, “essere sottomessi durante un atto sessuale è disdicevole ma dare alla luce i figli è un onore?”
Nàl scrollò di nuovo le spalle, “come ho detto, è una cosa stupida.”
Frigga fece una smorfia, “qui viene detto che i figli appartengono ai padri, questa è una cosa stupida!”
Nàl inarcò un sopracciglio, “come si può dire che un figlio appartenga ad un genitore che non è certo?”
“È quello che dico sempre anche io!” Esclamò Frigga.
“Controllati,” disse Loki cercando di non ridere.
“Per questo motivo gli Jotun importanti partoriscono i loro figli,” continuò Nàl, “almeno è certo che il loro erede avrà il sangue ed i marchi della loro stirpe.”
“I marchi?” Domandò Frigga.
“Sono delle linee ereditarie,” spiegò pazientemente il principe, “ogni stirpe ne ha diverse e vengono trasmesse dalla… Madre, così dite voi, giusto?”
“Interessante tutto ciò…” Commentò Frigga ascoltando con interesse, “Quindi tu…”
“Lord Nàl!” Un giovane entrò nella sala da pranzo urlando il suo nome a squarcia gola.
Improvvisamente, tutti i nobili seduti al tavolo tacquero.
“Lord Nàl…” Ripeté il ragazzino prendendo un respiro profondo.
“Calma,” disse Nàl alzandosi in piedi, “rischi di prenderti un collasso così.”
“Un messaggio per voi dal Bifrost…” Riuscì a dire il giovane messaggero abbozzando un inchino e porgendo la missiva allo Jotun, “il principe Odino, mio signore.”
Di colpo, un insopportabile brusio riempì la sala e Nàl sentì gli occhi di tutti su di sé. In particolare, quelli del re.
Nàl prese la lettera tra le mani con fare incerto, “siediti al mio posto, giovane,” disse, “bevi e mangia, te lo meriti.” Non si trattenne oltre a vedere per vedere il ragazzino accettare il suo invito, prese la via della balconata e scese le scale che conducevano ai giardini reali.

[Asgard, oggi.]

Il sogno non era mai uguale ma era sempre lo stesso.
Laufey riconobbe immediatamente quel luogo, come intuì che non doveva essere solo la sua mente a ricrearlo nella dimensione onirica. Nevicava ma non vi era vento, proprio come quella fatidica notte di secoli prima.
Era a metà del sentiero che conduceva fin sopra la montagna. Si voltò: non vi era alcun accampamento lì sotto, dove ricordava che fosse. Sapeva esattamente dove quell’illusione lo stava conducendo. Come avrebbe potuto dimenticare, il re di Jotunheim? In quel luogo aveva dato alla luce l’unico bambino cresciuto nel suo grembo.
L’entrata della caverna era molto più in alto, quasi vicino alla cima. Era piuttosto bassa, dovette chinarsi per entrare. Sapeva che, una volta fatto capolino dall’altra parte, avrebbe trovato alti soffitti sorretti da colonne di ghiaccio, mentre ai suoi piedi avrebbe scorto un fitto tappeto di fiori neri. Gli unici fiori di Jotunheim.
Non aveva mai capito da dove filtrasse la luce, lì sotto, eppure ve ne era abbastanza per camminare senza difficoltà.
L’eco della vocina di un bambino  lo costrinse a riprendere il suo cammino.
Non andò lontano.
Il giovane re dai capelli dorati era seduto ai piedi di una delle alte colonne, sopra un soffice strato di muschio, una benda insanguinata gli copriva la parte destra del viso. Il neonato tra le sue braccia aveva folti capelli neri e lo guardava con due svegli occhi verdi.
Sì, la prima volta che aveva visto Loki, aveva gli occhi aperti ma non di quel colore.
Il re alzò l’unico occhio azzurro su di lui, “Nàl…”
Odiava quando lo chiamava così.
“È un inganno perfido il tuo,” sibilò Laufey avvicinandosi, “perfido come quello che ti ha portato via lui, prima che tu… Prima che tu…”
Non era riuscito a finire la frase: il bambino aveva alzato lo sguardo su di lui.
Odino gli afferrò un polso invitandolo ad inginocchiarsi. Laufey obbedì docilmente, non aveva occhi che per quella creatura di ghiaccio e oscurità.
“Sai quante volte ho rivisto questo momento nei miei sogni?” Domandò Odino.
Laufey passò una mano sulla testolina del neonato, “non lo ricordi bene,” commentò, “io ero seduto in questo punto, il muschio si era tinto dello stesso sangue che mi scorreva lungo le gambe… Le tue dita grondavano. Io piangevo… Non per il dolore, quello non lo sentivo più… Piangevo perché avevo paura che quel sangue non fosse solo mio.”
Loki sbadigliò ficcandosi un pugnetto in bocca.
“Lui era coperto di sangue, quando è uscito,” Laufey lo accarezzò di nuovo, “forse avremmo dovuto capirlo allora.”
“Tutti i bambini sono sporchi di sangue, quando nascono. Abbiamo fatto nascere Sleipnir e Hela… Hai avuto due figli prima di lui, dovresti saperlo.”
“Non ho assistito alla nascita di Helblindi e Byleistr… Avrei voluto, avrei saputo aiutare Fàrbauti meglio di qualunque curatore di Jotunheim ma… Ha voluto fare tutto da solo, ho quasi perso Helblindi in quel modo,” Laufey allargò le braccia ed Odino capì la sua richiesta: Loki non fece un verso mentre il re di Jounheim lo prendeva tra le braccia.
“E pensare che i suoi fratelli mi sono sembrati così piccoli, quando li ho tenuti tra le braccia per la prima volta,” mormorò Laufey, mentre Loki si accoccolava contro di lui, “avevo paura di toccarlo, temevo che avrei potuto ferirlo con una carezza.”
Odino sorrise tristemente, “valutarlo debole è stato anche un mio errore…” Prese una delle manine del bambino tra le dita, “volevo proteggerlo dalla verità, volevo difenderlo dalla sua diversità, ho finito col creare qualcosa di pericoloso…”
Laufey strinse il piccolo a sé appoggiando il naso tra quei soffici capelli corvini, “che cosa vuoi, Odino?”
“Mio figlio mi ha rinnegato.”
Lo Jotun accennò un sorriso sarcastico, “l’aveva già fatto.”
“Non così…” Replicò Odino, “non come te.”
Laufey tornò a guardare il faccino paffuto di Loki, “è mio anche se non lo vorrei.”
“Ti guardi mentre lo dici?”
“Questo bambino è morto nel tempio del palazzo di ghiaccio, per me.”
“Non riuscirò mai a capirlo, lo sai?”
“Che cosa c’è da capire?” Laufey guardò il re di Asgard, “eravamo giovani, eravamo stupidi e sentimentali. Avremmo dovuto dar fine a tutto quando eravamo ancora in tempo, quando quella bambina maledetta ha riassunto il suo destino in una profezia di morte.”
“L’hai quasi uccisa quel giorno, Laufey.”
“Non si può uccidere la morte, Odino,” replicò lo Jotun con tono gelido, “se tu avessi  saputo del bambino dentro di me, avresti tentato di farle del male anche tu.”
“L’ho mandata lontano…”
“Non l’hai mandata lontano, le hai dato un regno. Le hai dato potere e hai lasciato che suo padre, tuo fratello, pagasse per questo!”
“Avrebbe pagato comunque, Laufey!” Sbottò Odino e Loki scoppiò a piangere, “potevo scegliere tra tre cose: uccidere nostro figlio, uccidere i suoi figli o lasciare che mio fratello si sacrificasse e confinare le sue creature dove nessuno le avrebbe mai toccate.”
Laufey sorrise istericamente, “e guarda che abbiamo fatto… Tuo fratello, l’unico amico che ho mai avuto, sta soffrendo l’inferno che sarebbe dovuto spettare a tuo figlio. Loki ti odia e ha tentato di uccidere me. Le bestie del Ragnarok vivono recluse attendendo il giorno in cui potranno vendicare il padre.”
Odino scosse la testa, “Loki può ancora essere salvato…”
“Vuoi sapere un’ultima verità, Odino?” Laufey baciò la creatura tra le sue braccia, “io desideravo che Fàrbauti morisse. Io volevo che Frigga se ne andasse…”
Odino sospirò, “è il passato ormai, ma Loki…”
“Nulla può salvarlo, ormai."
"No, possiamo... Insieme..."
Laufey prese un respiro tremante e, quando si rese conto di star per oltrepassare un limite inviolabile, baciò un’ultima volta il suo bambino e lo riconsegnò a suo padre,"Quando il sole smetterà di scaldare Asgard, quando le nevi dell'eterno inverno smetteranno di ricoprire Jotunheim. Quando i nove regni non saranno più e tutto ricomincerà da capo."
"Laufey..."
"Quando riuscirò a salvare quel bambino perduto e lo chiamerò Thor... Allora... Sì, forse allora riuscirai a scegliere me... Ed io a scegliere lui."

Odino non si curò di cosa avrebbero detto di lui.
Sapeva che scendere nelle stalle nel cuore della notte non era da considerarsi un comportamento normale ma sapeva anche che non avrebbe più dormito quella notte e che non avrebbe avuto il coraggio di fare ciò che andava fatto, l’indomani.
Sleipnir non era con gli altri cavalli della corte. Odino si era preoccupato di fargli avere uno spazio personale lontano da ogni sporcizia, privo di corde o cancelli che potessero limitare la sua libertà. Per i più, Sleipnir rimaneva un animale e, in cuor suo, Odino sperava che questa verità non mutasse. Non c’era modo in cui si potesse difendere, altrimenti.
Un servitore era a suo completo servizio notte e giorno. L’unico. Odino lo aveva minacciato con particolare freddezza quando lo aveva scelto per quell’incarico: se si fosse azzardato a tradire la sua fiducia, la sua morte non sarebbe stata né veloce né indolore.
Odino spalancò la porta di legno con un singolo gesto: la stanza era illuminata da poche candele e gli ci vollero alcuni istanti, prima di distinguere le due figure nella semi-oscurità. Il servitore si affrettò ad alzarsi in piedi ed ad inchinarsi, la figura raggomitolato sul letto, oltre i tendaggi blu, non si mosse.
“Lasciaci,” ordinò il giovane nascosto nell’ombra.
Il servitore ubbidì velocemente rischiando d’inciampare sui suoi stessi piedi.
“Non sono stato avvertito,” si giustificò il giovane mettendosi seduto sul letto.
Odino annuì, “lo so, non volevo che lo fossi.”
“Per quale motivo dovresti aver bisogno di un cavallo nel cuore della notte?”
“Se avessi bisogno di un cavallo a quest’ora, non disturberei te, Sleipnir.”
Il giovane scese dal letto scostando la tenda del baldacchino per poter guardare il suo ospite in faccia.
Odino trattenne il fiato per un istante: quanto assomigliava a suo fratello…
“Che cosa volete, mio re?” Domandò con freddezza.
“Ti prego…”
“Vi siete dimenticato di me per due anni,” gli ricordò Sleipnir torturandolo con quegli occhi scuri che facevano riaffiorare nella memoria del sovrano ricordi antichi e dolorosi, “perdonate, se sono sorpreso.”
Odino abbassò gli occhi con vergogna, “vorrei dire che sono stato occupato, ma…”
“Ho saputo,” disse Sleipnir con tristezza, “Loki, lui…”
“Thor non mi preoccupa meno, a dire il vero.”
Sleipnir si avvolse le braccia intorno al corpo: indossava solo una tunica da notte e la stanza era troppo fredda per essere una camera da letto, “povero ragazzo…” Mormorò fissando il pavimento con sguardo vuoto, “se solo tu…”
“Cosa?” Lo interruppe Odino, sebbene non vi fosse rabbia nella sua voce, “mi sono comportato con Loki nello stesso modo in cui mi sono comportato con te. Era mio dovere proteggervi.”
“No, non è vero,” Sleipnir scosse appena la testa sorridendo in modo terribile, “da bambino ti chiesi di rendermi un guerriero e lo sono stato. Mio padre ti ha chiesto di proteggermi e tu l’hai fatto. Pensi che non sappia cosa mi sarebbe successo, se i nobili avessero saputo di me? Mio padre era tuo fratello, ma non era nessuno all’interno di quelle mura, in realtà. Io sono figlio di un ospite indesiderato e di uno schiavo… Metà mutaforma, metà Jotun… Un mostro.”
Odino appoggiò entrambi le mani sulle fragili spalle del fanciullo, “sai bene che non è così.”
Sleipnir lo guardò e annuì, “certo che lo so. So che l’unico motivo della mia prigionia è l’arretratezza d’animo della tua gente.”
“Sleipnir…”
“Io so chi sono,” sottolineò il giovane, “a Loki non hai concesso nemmeno questo privilegio.”
Odino sospirò profondamente, “è un po’ più complicato di così.”
“Perché?” Domandò Sleipnir.
“Laufey era un nemico, io…”
“Era il tuo amante e Loki non era un bambino cercato ma è stato voluto,” lo interruppe, “mi assomiglia in molte cose, a dire il vero. Se mi avessi permesso di stargli accanto, mentre cresceva, io…”
“Ne abbiamo già parlato, Sleipnir.”
“Sì ed ogni volta mi ritrovo a pensare che ti vergogni di noi.”
Odino sorrise istericamente, “che cosa stai dicendo?”
“Loki non sa niente di sé stesso. I tuoi figli non sanno nulla di me, di mio padre, di Bestla… Tutto ciò che di Jotun c’era nella tua vita è stato cancellato…”
“Era appena finita una guerra, Sleipnir.”
“No, era appena finita la storia tua e di Laufey, è ben diverso,” replicò il giovane, “ma Loki era lì. Era vivo e, per chissà quale volontà, era il ritratto di ciò che non potevi smettere di amare ma che non potevi evitare di odiare. L’incoerenza del cuore fa male, eppure, qualcuno doveva prendersi cura di lui…” Una pausa, “perché non lo ammetti? Perché non dici a te stesso che hai pensato più di una volta a quanto sarebbe stato tutto più facile, se non fossi arrivato in tempo?”
Odino lo spintonò indietro con rabbia e Sleipnir accettò il gesto in silenzio.
“Perché sei venuto da me?” Domandò il giovane.
Il re ci mise qualche istante, prima di rispondere, “hai detto che ti ho protetto e ti ho concesso di divenire un guerriero. Sei felice di questo?”
“Certo…”
“Ma non ti basta, vero?”
Sleipnir abbassò lo sguardo posandosi una mano sul grembo “sono un adulto, ormai…”
“Questo lo so,” Odino non si fece sfuggire quel movimento.
“Ci sono giorni in cui penso a come sarebbe,” confessò il giovane con un timido sorriso, “un compagno, un figlio… Non è quello che sognano tutti, prima o poi?”
No, non nel modo in cui lo fai tu. Pensò Odino intenerito da quella richiesta implicita.
“Vuoi…” Il pensiero gli faceva male, “vuoi che ti organizzi un buon matrimonio?”
Il sorriso di Sleipnir morì.
“Posso trovare un compagno leale che si prenda cura di te e ti renda felice. Non posso prometterti un principe o un nobile, ma…”
“Non m’interessa nulla di tutto questo,” disse Sleipnir scuotendo la testa, “non ti sto chiedendo la carità.”
“Se ti ho offeso, io…”
“No,” il giovane si avvicinò sorridendo gentilmente, “capisco che tu stia pensando alla soluzione più ragionevole,” gli occhi scuri erano pieni di lacrime, “sei un re, ormai. Quello che chiedo non è un’unione d’interesse per strappare un briciolo di vuota felicità. So che cosa stai per dire, so che… Per uno come me, il tuo modo sarebbe l’unico,” una pausa, “tuttavia, io non pretendo una famiglia giocattolo. Io vorrei… Io vorrei innamorarmi, zio… Vorrei che mi capitasse qualcosa come è successo a mio padre ed è successo a te, io voglio…”
“Qualcosa di pericoloso,” concluse Odino con aria preoccupata.
Sleipnir accennò un sorriso, “cosa c’è di più rischioso?” Domandò, “innamorarsi o diventare genitore?”
Il re sorrise amaramente, “mio padre era un genitore… Ho pianto la sua morte, ma… Era l’idea che fosse stato il padre di Laufey a massacrarlo che mi faceva più male. Qualunque cosa fosse successa dopo, non avrei più potuto tenerlo con me, senza rischiare una frattura tra la famiglia reale e la nobiltà.”
Sleipnir pensò di capire.
“Quando ho ucciso Fàrbauti… No, non credo che Laufey mi abbia mai odiato per quello. Penso che abbia cominciato a farlo quando, dopo la nascita di Loki, si è reso conto di aver lasciato che la sua gente venisse violata e massacrata perché, invece di proteggerli con la sua stessa vita, li aveva traditi concedendomi tutto.”
“E tu?”
Odino lo guardò negli occhi, “non ci ho pensato due volte a massacrarlo per riprendermi mio figlio.”
A Sleipnir non piacque l’oscurità che pensò di percepire.
“Mi chiedi che cos’è pericoloso? Non si muore per amore, Sleipnir. Sì, dentro ci può ferire in modo irreversibile, ma… Se t’innamori di un figlio, non hai scampo. Qualunque cosa gli succeda, si rifletterà su di te moltiplicata in modo inverosimile e non c’è modo di slegarsi da una cosa del genere.”

[Asgard, secoli fa.]

-Mio amato principe,
Vorrei che questa guerra fosse abbastanza tragica da farmi dimenticare quanto ti vorrei al mio fianco ora, subito. C’è l’oro tra i capelli delle donne Vanir. C’è il fuoco ed il colore della terra bruciata dal sole d’estate.
Nessuna indossa l’elegante oscurità della notte.
Nessuna ha l’impenetrabilità dell’inverno negli occhi.
È finita l’estate su  Vanaheim…-

“Che cosa dice?”
Nàl sobbalzò e alzò lo sguardo di colpo.
Il re Borr lo fissava in cagnesco attendendo una risposta, “che cosa c’è scritto?”
C’era veleno nello sguardo del principe di Jotunheim ma si guardò bene da sputarlo addosso al sovrano, “nulla d’interessante,” rispose ripiegando la lettera ed infilandosela in tasca, “romanticherie tra ragazzini.”
Non era una bugia. Fu il tono sprezzante che usò ad essere falso.
Gli si scaldavano le guance nel leggere quelle righe, una sensazione che odiava ma che gli regalava una strana illusione di leggerezza.
Il re lo fissò a lungo valutando quanto di vero ci fosse nelle sue parole. Nàl non riuscì a sopportare una tale oppressione silenziosa a lungo, “se volete lanciare calunnie contro di me, vi pregherei di fare in fretta… Sono… Sono molto stanco.”
“Che genere di calunnie pensi di ricevere?”
“Non lo so,” Nàl fece spallucce, “forse volete accusarmi di aver sedotto vostro figlio o qualcosa del genere.”
“Mi sembra di averti già detto che l’attrazione di Odino per te non mi sorprende,” rispose Borr avvicinandosi di qualche passo.
Nàl si alzò in piedi, pronto a reagire in caso di bisogno. Metà del viso del re portava ancora i segni del suo ultimo attacco, non doveva essere così stupido da minacciarlo ulteriormente.
“Quello che non sopporterei è un erede mezzosangue.”
“Il vostro lo è già,” commentò Nàl.
“Nessuno dei miei figli ha ricevuto la maledizione di Jotunheim.”
Il giovane fece una smorfia, “se fossero nati con i capelli corvini, sarebbe stato un problema, vero?”
Borr sorrise beffardo, “tu hai qualcosa che mi ricorda mia moglie,” commentò, “la freddezza, l’orgoglio, quell’istinto alla ribellione che le impediva di stare al suo posto.”
Nàl ghignò, “gli Jotun non sono creature facili da domare. Un bel faccino non rende la natura più docile.”
“Eppure non c’è principe di Asgard che vi sia caduto in ginocchio.”
“Perdonate la franchezza, ma, da morta, vostra moglie ha più potere su di voi di quanto non lo vogliate ammettere.”
“Frena la lingua, moccioso o smetterò di essere gentile.”
“Le storie della gente dicono che l’amavate,” continuò Nàl, “è una rarità che i racconti di Asgard e Jotunheim coincidano.”
Borr lo fissò per un lungo istante, prima di aggiungere altro, “era la cosa più bella che avesse mai camminato tra i nostri due mondi,” disse, “quel che temo è che tu finirai per fare la stessa fine.”
“Mio signore…?”
“Mi credi un idiota, moccioso?” Domandò il sovrano, “Odino ha richiesto che tu venissi riconosciuto come suo amante ufficiale. Questo impedisce a chiunque di toccarti e non solo in modo carnale. Hai gli stessi privilegi di una moglie, dato che non ve ne è una ufficiale.”
“Conosco i dettagli della mia posizione.”
“Ma non sai che, a differenza di quanto si mormora, so perfettamente che Odino non ti ha mai toccato.”
Nàl si rifiutò di rispondere.
“Se avessi voluto qualcosa da lui, gli avresti aperto le gambe alla prima opportunità. Invece, no… Hai stuzzicato il cacciatore e tu non sei un coniglietto facile, dico bene?”
“Cosa volete sapere, mio re?” Chiese il giovane con tono sprezzante.
“Che cosa vuoi?” Domandò questi.
Non lo so più…
“Nulla…”
“Stai aspettando mio figlio, qualcosa devi pur volere.”
Nàl si morse il labbro inferiore, avrebbe voluto rispondere a tono ma era troppo giovane per poter controllare emozioni talmente grandi. Arrossì e si odiò per questo.
Borr rise sprezzante, “sì, forse siete difficili da domare…” Si voltò, “ma, alla fine, cadete sempre di fronte agli stessi sentimentalismi. È questo che vi rende perdenti.”
Quando Nàl alzò gli occhi, il sovrano era già sparito.

-… Certe volte mi ritrovo a chiedermi se fare l’amore con te sarà come fare l’amore con la neve, però senza far male.-

[Jotunheim, oggi.]

“Deve avere gli occhi verdi!” Tuonò Helblindi, “possibile che non esistano scarti con gli occhi verdi?”
Bàli cominciava a trovarsi in seria difficoltà di fronte a quell’improvviso capriccio del suo principe.
“Vi sono fanciulli molto belli che sarebbero onorati di dar piacere al principe,” propose.
Helblindi sbuffò fermandosi davanti alla alta finestra della sua stanza, “lo so che vi sono creature molto belle fuori di qui ma io ho bisogno che corrisponda a quella descrizione.”
Bàli accennò un sorriso, “la vostra descrizione assomigliava più a quella di un principe di altri mondi, mio signore.”
Già, proprio un principe d’altri mondi.
“E non hai idea di quanto le parole non gli rendano giustizia,” mormorò, mentre nella sua mente l’immagine di quella meraviglia candida e oscura veniva proiettata con tutti i particolari del caso. Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo: sapeva che era bello, lo aveva pensato fin dalla prima volta che lo aveva visto entrare nel tempio della sua realtà onirica.
Per un momento, pensò di sapere cosa aveva provato Fàrbauti.
Un oggetto del desiderio… Bello, potente… Perfetto! Tra le braccia di uno sporco Aesir.
“Se mi posso permettere,” mormorò Bàli, “per quale motivo non andate da questa creatura tanto bella e la corteggiate? A che vi serve un sostituto? Non farà sparire il desiderio…”
Helblindi gli concesse un sorriso forzato, “c’è saggezza nelle tue parole, Bàli,” commentò, “per mia sfortuna, questo mio desiderio è quanto di più proibito io possa provare in vita mia.”
“Parlate di un Aesir, mio principe?”
La sua guardia era tutto, meno che stupida.
“Se fosse solo un Aesir non sarebbe poi un gran problema.”
È il mio fratellastro. Il nostro distruttore. La copia di mio padre. Il principe oscuro di Asgard.
“È l’incarnazione del peccato…”
Bellissimo, tentatore… Dannato.
“Chi è l’incarnazione del peccato?” Domandò Bỳleistr entrando nella stanza senza chiedere il permesso.
Bàli guardò il proprio principe. Helblindi continuò a sforzarsi di sorridere.
Bỳleistr simulò un’espressione dolente, “ed eccolo sul punto di mentire…”
“Hai così poca fiducia in me, fratello?” Domandò l’erede di Jotunheim.
Bỳleistr lo scrutò con attenzione, una luce preoccupata gli oscurò gli occhi color ghiaccio, “che cosa c’è, Helblindi?”
Il grande errore di nostro padre è divenuto l’oggetto del mio desiderio.
Sarebbe morto, prima di ammetterlo. Sarebbe impazzito, prima di deludere suo fratello in quel modo.
Sono il figlio di Fàrbauti, Bỳleistr, per questo, alle volte, nostro padre non riesce a guardarmi.
“Bàli, accompagna mio fratello a caccia,” ordinò all’altro Jotun sospingendo gentilmente Bỳleistr verso di lui, “gli farà bene distrarsi un po’.”
Bàli accennò un inchino facendo strada al più giovane dei principi che non smise di fissare il fratello maggiore, finché non scomparve dalla sua vista.

[Vanaheim, secoli fa.]

-Mio amato principe…-

“Da generale a poeta?” Domandò Tyr dandogli una pacca un po’ troppo forte sulla spalla, “brutto passaggio!”
Odino accennò un sorriso ripiegando il foglio di carta in modo che l’altro non potesse sbirciare. L’inchiostro gli si era rovesciato su tutti i pantaloni.
“Scommetto che sbatterlo da dietro è una gran goduria, vero?” Domandò Tyr con aria complice prendendo un gran sorso di vino dalla bottiglia che aveva in mano.
“Cosa?” Domandò Odino distrattamente alzandosi in piedi, “sei ubriaco?”
“Il tuo piccolo Jotun,” sottolineò Tyr strizzando l’occhio destro, “ha un bel faccino, ma, guardato da dietro, è una meraviglia! Deve essere divertente infilarglielo…”
Odino lo prese per il bavero sbattendolo contro il tronco dell’albero più vicino.
“Non credo di aver capito, Tyr…”
L’altro si lasciò andare ad un risatina isterica, “si fa per scherzare, mio principe.”
“Non ti devi permettere di parlare di lui con quella lingua volgare che ti ritrovi!” Sbottò il principe di Asgard con rabbia, “gli porterai lo stesso rispetto che si porta ad un consorte reale, intesi?”
“Fratello?”
Odino lasciò la presa , prima di voltarsi in direzione del giovane guerriero che era intervenuto sulla scena. Tyr cadde a terra, la bottiglia di vino ancora salda in mano.
“Che vuoi Vìli?” Domandò acidamente allontanandosi dal giovane generale ubriaco.
“Penso che dovresti mantenere la calma,” commentò il secondo principe di Asgard seguendo il fratello con passo spedito, “Tyr è…”
“Non m’importa chi è!” Tuonò Odino, voltandosi il tempo di lanciare all’altro un’occhiata obliqua, “esigo rispetto per il mio compagno!”
Vìli sospirò profondamente, “non dire sciocchezze, Odino…”
“Lo sciocco è colui che giudica le mie parole pur non conoscendo la creatura a cui sono riferite.”
“Intendi che dovremmo presentarci ufficialmente ad ognuna delle tue puttane?”
Odino era un’anima impulsiva e quello era il suo più grande pregio ed il suo peggior difetto. Estrasse la spada al suo fianco e la puntò contro suo fratello, prima che potesse pensare di farlo, “esigo rispetto per il mio compagno,” ripeté sibilando.
Vìli non si sentì affatto minacciato dalla lama di fronte al suo petto, piuttosto parve sorpreso, “ti piace seriamente così tanto?”
“Non è una semplice questione di gusti,” spiegò Odino rifoderando l’arma, “è solo il destino…” Mormorò, prima che il corno d’avvertimento spezzasse l’aria immobile di quella sera d’inverno.

[Midgard, oggi.]

“Perché non vieni con me?”
Thor si era lavato, si era cambiato… Si era fatto bello per il grande incontro, come se fosse una fanciuletta dei sobborghi a cui non era mai stata concessa un’attenzione in vita sua.
Si è premurato di togliersi di dosso ogni traccia di me, continuava a pensare Loki, seduto silenziosamente sul letto. Poi, quella domanda improvvisa lo aveva strappato dal torpore in cui si era rifugiato, costringendolo a guardare in faccia la cruda realtà a cui era condannato.
Ombra.
Thor sorrideva e Loki non lo aveva mai odiato così tanto in tutta la sua vita.
“Sarei felice, se tu… Insomma, se mio fratello conoscesse la donna che amo.”
Il viso di Loki non aveva espressione.
“Sei completamente uscito di senno?”
Il sorriso di Thor sparì immediatamente.
“Poche ore fa mi hai scopato con la tua bocca ed ora mi chiedi se voglio conoscere la tua sgualdrina mortale?”
Le guance dell’altro divennero color porpora.
“Hai pensato che bacerai lei con quella stessa bocca?”
“Loki…”
“Cos’è? Un altro livello del gioco per me non cambia nulla?” Loki rise istericamente, “Loki è uno Jotun ma gli voglio bene lo stesso. Loki è il figlio di Laufey ma è comunque mio fratello. Loki non è in sé, lo salverò e ritornerà tutto come prima…”
“Loki, ti prego…”
“Io e Loki abbiamo giocato a fare i quasi-amanti ma, è mio fratello, che male c’è se gli presento la donna di cui mi sono innamorato nel giro di quarantotto ore?”
“Io… Io…” Thor non sapeva cosa dire.
“Vuoi assicurarti che non le faccia del male?” Domandò Loki quasi dolcemente, “non temere, non mi sfiora nemmeno lontanamente l’idea di toccarla… Che senso avrebbe renderla immortale nel tuo cuore attraverso la sua morte?”
Thor non rispose.
“Perché sai che capiterà prima o poi, vero?” Domandò Loki diabolicamente, “così come potrebbe capitare ai vostri figli per metà mortali, chi lo sa? Vuoi restare giovane in eterno a guardare il sangue del tuo sangue che muore?”
“Perché dici delle cose del genere?”
“Perché è la verità!” Sbottò Loki, “da me si accettano solo bugie ed inganni?”
“Io devo andare da lei,” sottolineò Thor con urgenza.
“Non te lo sto impedendo,” gli fece notare Loki. Perché se ci provassi arriverei a farti del male pur di riuscirci e non sarebbe comunque abbastanza.
“Vieni con me…” Propose di nuovo Thor porgendogli la mano, “ti voglio con me in questa cosa.”
Loki ghignò, “non m’interessa accoppiarmi con una mortale, principe dorato.”
Thor tentò d’ignorarlo, “dalle una possibilità…”
“Chiedilo a Sif…”
“Come?”
“Chiedilo a Sif!” Ripeté Loki con rabbia, “proponiglielo, sicuramente dirà di sì e sai perché? Perché ti ama più di se stessa, probabilmente. Ma guardala bene mentre lo fai, perché Sif può essere molte cose ma un’attrice… No, pur volendolo non riuscirebbe mai a nascondere la tortura che le infliggi nel concederle un onore simile.”
Thor inarcò un sopracciglio, “Cosa centra Sif, ora? Tu sei mio fratello!”
“Smettila!” Urlò Loki, “ti stai comportando da demente, mio principe. Tu vuoi che esista una soluzione perché entrambi i tuoi desideri vengano realizzati. Stare con lei e riavere me… Sarebbe bello se potessi avere entrambi, non è così? Forse il suo calore ti aiuterà a dimenticare che, per un breve periodo, hai cercato il mio. Eppure, questo non t’impedirebbe di amarmi nell’unico modo che ti concederai di esternare. È questo che cerchi, vero?”
Thor non parlava più.
Gli occhi di Loki erano due lame di ghiaccio, “non sono tuo fratello e, per tutta la vita, ho odiato esserlo… Per un motivo o per l’altro.”
Thor s’inginocchiò accanto al letto, “Loki, ti prego…” Tentò di prendergli la mano ma l’altro la ritrasse.
“Devi imparare a perdere, Dio del Tuono,” mormorò il principe oscuro, “o me o lei. Non esiste nessuna sfumatura di grigio in tutto questo.”
Thor scosse la testa, “come puoi chiedermi di…”
“O me o lei,” ripeté il principe oscuro, “puoi riavere Loki, se sei disposto a vederlo per quello che è, non puoi riavere tuo fratello. Sarebbe una strada oscura, biasimevole, per cui dovresti rinunciare a tutto quello che sei nato per avere e, probabilmente, molte delle persone che ami finirebbero con l’odiarti, alla fine.”
Una pausa.
“Puoi avere Jane, in molti non capiranno, altri decideranno di accettarlo. Sarebbe la scelta più facile, il percorso in discesa… Una vita di sola luce e di poche ombre di passaggio ma solo questo sarebbe: una vita. Meno di mezzo secolo ed ogni cosa sparirà lasciandoti a convivere col dolore, senza dubbio e, forse, con il rimpianto. In conclusione, mio principe, è per questo che la libertà è la più grande delle bugie… Alla fine, tutti detestiamo l’idea di dover fare delle scelte e di doverci addossare la responsabilità di qualsiasi conseguenza.”
Thor non aveva smesso di guardarlo negli occhi nemmeno per un istante.
“O me o lei…”
Il principe dorato si morse il labbro inferiore dolorosamente, “Loki…”
“O me o lei!”
Scegli me! Ama me!
“Non posso, Loki…”

[Asgard, secoli fa.]

Il bambino lo fissava con quegli occhi azzurri con estrema attenzione, i riccioli biondi in disordine.
“Anche io,” ordinò fermamente alzando entrambe le piccole braccia. Già si esercitava per essere re.
Laufey sospirò aggiustando meglio Loki contro il suo petto, “sei grande per queste cose, Thor.”
Il piccolo principe s’imbronciò gattonando sul letto per avvicinarsi all’adulto e scrutando il fratellino con sguardo critico, “No giochi…”
“Ancora è troppo piccolo,” gli spiegò lo Jotun ricambiando lo sguardo di quei grandi occhi verdi, “dovrai essere paziente con lui, toccherà a te insegnargli tante cose.”
Thor inclinò la testa da una parte, “papà?”
“Certo, anche io e papà gli insegneremo delle cose ma tu dovrai aiutarci.”
Il faccino paffuto di Thor divenne improvvisamente triste. Laufey sostenne Loki con un solo braccio per accarezzare la testolina dorata dell’altro bambino, “qualcosa non va, piccolo?”
“Dov’è papà?” Domandò Thor con gli occhi azzurri pieni di lacrime.
Laufey si sentì stringere il cuore, “sta combattendo per proteggerci, Thor ma tonerà presto.”
“Perché?”
“Perché, certe volte, i regni si fanno male tra loro e… Ma non devi preoccuparti, papà sta bene ed è il guerriero più forte dei Nove Regni. Tornerà a casa molto presto.”
Thor si accoccolò contro il suo fianco in cerca di ulteriori rassicurazioni. Laufey sospirò appoggiando la schiena contro i cuscini e distendendo Loki contro il suo petto, “vieni qui, Thor.”
Il piccolo si coricò accanto a lui appoggiando la testolina bionda contro la sua spalla.
“Cerca di dormire, piccolo.”

“Lord Nàl! Lord Nàl!”
Nàl si alzò di scatto ritrovandosi a fissare la propria camera da letto col fiato corto.
“Impeditegli di entrare o giuro che lo strozzo,” sibilò Frigga accanto a lui. Loki, dal centro del letto, impiegò ancora qualche istante, prima d’issarsi sui gomiti, “che succede?”
“Odino fa il poeta di notte, il guerriero di giorno e noi riceviamo i suoi componimenti all’alba!” Esclamò Frigga alzandosi in piedi.
“Il sole è alto…” Commentò Loki voltandosi verso la balconata.
La giovane sbuffò sonoramente.
“Lord Nàl!” Urlò il giovane messaggero entrando nella camera senza permesso. Frigga si premette le mani contro le orecchie imprecando a bassa voce.
“Sei nelle camere reali, qui si esige rispetto,” lo rimproverò freddamente Loki scendendo dal letto.
“Lascia stare,” concesse Nàl avvicinandosi al giovane, “deduco sia urgente.”
Il ragazzino annuì tremando appena.
“Non temere, non verrai punito,” lo rassicurò il giovane Jotun, “lascia la lettera e vai.”
Il messaggero ubbidì e Nàl si sedette in fondo al letto aprendo la missiva con un sospiro stanco, però, la sua espressione era serena. Frigga si gettò sul letto alle sue spalle, “spero che non sia un’altra lista di nomi abominevoli!”
“Forse dovremmo andare,” propose Loki con un sorriso, “e lasciare che Nàl legga… Laufey?”
Sentendo l’amico chiamare il principe col suo vero nome, Frigga scattò a sedere per cercare gli occhi del giovane Jotun. Le mani di Nàl tremavano pericolosamente, gli occhi verdi oscurati dal terrore.
“Laufey?” Frigga gli gattonò vicino appoggiandogli le mani sulle spalle e gelò: la lettera tra le sue mani era macchiata di sangue.

“Dovete mandare l’esercito dei volontari, subito!”
La voce del principe di Jotunheim riecheggiò tra le mura della sala del trono. Borr rimase impassibile, “non prendo ordini da…”
“Vi sembra il momento di mettervi a dettare regole insulse?!” Sbottò il giovane Jotun alzando in aria la lettera macchiata di scarlatto, “i vostri figli… Tutti e tre i vostri figli stanno combattendo su quel campo di battaglia!”
Borr non rispose.
“Odino sta chiedendo rinforzi!” Ripeté Nàl per la centesima volta da quando aveva attraversato le porte dorate della grande sala.
“Mio re, vi prego…” Loki s’inginocchiò in segno di rispetto. Frigga si limitò a fissare il sovrano con rabbia e disprezzo, “che cosa volete provare assassinando tre principi?” Domandò.
“Non provocarlo, Frig…” Mormorò Loki.
Nàl le diede man forte, “è col sangue del vostro sangue che volete sporcarvi le mani?”
Borr scattò in piedi ed i tre giovani sobbalzarono, “l’esercito dei volontari è necessario per difendere Asgard!”
“Asgard non ha un futuro se perde tre principi prima che tramonti il sole!” Ribatté Nàl.
“Odino porterà i suoi uomini alla vittoria!” Tuonò Borr con convinzione, “e se dovesse fallire,” aggiunse con sguardo funereo, “le canzoni renderanno il suo nome e le sue gesta immortali. La sua morte gli consentirà di accedere al Valhalla.”
Nàl sgranò gli occhi inorridito, “voi siete pazzo…”
“Nàl!” Esclamò Loki scattando in piedi e afferrandogli un polso, l’altro si liberò velocemente.
Il sovrano ed il giovane Jotun si fissarono per un lungo istante, prima che quest’ultimo scoppiasse a ridere istericamente, “fino a questo punto arriva il vostro odio per il popolo della vostra defunta sposa?”
Loki e Frigga lo guardarono confusi.  
“Preferite vedere Odino morto e investito dall’eterna gloria di un principe caduto in battaglia per il suo regno, piuttosto che vederlo con me,” Nàl tremava da capo a piedi, “preferite la morte di vostro figlio, all’idea di vederlo inginocchiarsi e giurare fedeltà di fronte ad uno Jotun. Preferite che la dinastia reale giunga al collasso, piuttosto che vedere un nostro possibile figlio sul vostro trono.”
Borr sospirò, “hai parlato abbastanza…”
“Il vostro odio per Jotunheim è davvero più grande dell’amore per le vostre creature?!” La rabbia era tale che Nàl perse il controllo del nodo che gli stringeva la gola e le lacrime cominciarono a rigargli le guance, “è questo che succede nel divenire re? Si diventa anche mostri?”
Loki e Frigga si scambiarono un’occhiata allarmata, poi il primo si fece avanti afferrando il braccio del giovane Jotun, “andiamo Nàl…”
“Lasciami!” Sbottò il principe.
“Non aiuterai Odino così,” disse Loki fermamente, “e se sfoghi l’odio che provi per tuo padre contro il re di Asgard, alimenterai troppi sospetti.”
Nàl sgranò gli occhi continuando a piangere, “è suo figlio…”
Frigga si morse il labbro inferiore afferrando il polso dello Jotun, “andiamo, troveremo un modo,” gli disse con convinzione, “lo abbiamo salvato una volta. Cosa può impedirci di farlo di nuovo?”

[Midgard, oggi.]

 

Il sogno non era mai uguale ma era sempre lo stesso.
C’era neve tutt’intorno a loro.
“Che cosa vuoi?” La voce di Loki avrebbe dovuto suonare minacciosa, ma l’espressione distrutta che indossava gli impediva di sembrare un pericolo di qualunque tipo.“Che cosa vuoi?”
Era avvolto in un mantello rosso. Helblindi dubitava che indossasse altro, oltre quel velo scarlatto.
Possibile che nel dolore fosse ancora più bello?
“Loki…”
“Che cosa vuoi?!” Sbottò il principe oscuro stringendosi di più nella sua unica protezione dal freddo, “mi hai picchiato e quello schiaffo si è riflesso nella realtà, lo sai?”
Helblindi sgranò gli occhi, poi li abbassò confuso, “quando agisco impulsivamente perdo il controllo dei miei poteri…”
“Esci immediatamente dalla mia testa!”
“Loki…”
“Esci!”
“No, sei tu che mi hai dato il permesso di entrarvi e non mi sembri nelle condizioni per alzare un muro ora!” Esclamò Helblindi senza pietà.
“Ma tu chi sei?” Domandò Loki per l’ennesima volta e si sentì uno stupido colossale nell’aver lasciato che quell’individuo entrasse in contatto con lui perché portatore di una verità a lui negata. Poteva vivere benissimo senza, ormai, nulla su di sé che non sapesse avrebbe potuto cambiare la sua esistenza d’ombra.
Helblindi sospirò profondamente, “non volevo picchiarti. Quello schiaffo non era per te…”
“E per chi, allora?”
“Per una persona che amo che mi ha abbandonato per amore di un Aesir,” confessò il principe di Jotunheim, le lacrime agli occhi, “quando ti ho visto lì, nudo, acceso dalla passione, bellissimo… Ti ho desiderato, Loki. Ti ho desiderato immensamente.”
“Tu hai perso la ragione…” Concluse Loki alzandosi in piedi, “vattene!”
“No!” Si oppose Helblindi avvicinandosi con passi spediti, “no è il tuo principe dorato ad essere un pazzo. Perché se versi in questo stato è sicuramente perché non ha saputo vedere che occasione gli si era presentata davanti.”
Loki tentò di colpirlo, l’altro gli bloccò un polso.
“Visto? Lo stai facendo anche tu…”
“Cosa stai delirando?”
“Non è me che vorresti colpire e lo sai.”
“Tu non sai niente di me!” Sbottò Loki liberandosi dalla stretta dell’altro.
“Ho visto quel che mi basta per volerti,” Heliblindi gli prese il viso tra le mani, Loki tremava visibilmente: probabilmente, non era abituato ad essere toccato, “tu non hai idea di che cosa sei.”
“E tu non hai il diritto di dirmelo!” Replicò Loki velenoso.
“Sei perfetto, Loki, sei perfetto.”
“Non m’interessa esserlo per un feccia di Jotunheim,” sibilò il secondo principe di Asgard, “due anni fa avevo più possibilità di raggiugere una perfezione con cui sarei stato in pace con me stesso. Oggi, nessuna di quelle possibilità esiste più.”
“Non hai bisogno di lui…”
“Non ho bisogno di te, Helblindi.”
“Sarebbe più facile con me.”
Loki rise isterico, “pensi che sia il tipo che si accontenta?” Domandò maligno, “forse c’è stato un periodo della mia vita in cui parole come le tue mi avrebbero reso felice. Sai, fino a pochi giorni fa ti avrei accusato di mentire e mi sarei sentito bene con me stesso. Oggi, lo so che sei sincero, stai bruciando per un’infatuazione che finirà nel giro di un orgasmo e, forse, pensi che il povero principe solo e deriso di Asgard possa accontentarsi di questo ma… No, la verità è che ora potresti inginocchiarti di fronte a me ed offrirmi la tua anima e, contrariamente ad ogni aspettativa, non me ne importerebbe nulla. È finito il tempo delle favole, non sono più un bambino…”
E il sogno si spezzò.

[Vananheim, secoli fa.]

“Quando tornerai… Se tornerai…”
Se avesse perso quel poco di ragione che gli restava, si sarebbe messo a ridere istericamente.
“Solo allora ti rivelerò il nome di nostro figlio.”
Ora, Odino si sentiva morire all’idea che, se la stanchezza avesse avuto la meglio, se il braccio non gli avesse retto più ed il prossimo nemico avesse avuto la meglio su di lui, quella piccola meraviglia non sarebbe mai venuta al mondo.



[Jotunheim, oggi.]



“Che cosa ti stava ordinando di fare, mio fratello?” Bỳleistr non era famoso per essere una persona tranquilla e posata e, quando lo era, il motivo non poteva essere banale.
Bàli abbassò lo sguardo imbarazzato, “non credo che il principe vorrebbe…”
“Sono io il tuo principe!” Sbottò il giovane Jotun affiancando il cacciatore, “Helblindi non è qui. Helblindi non è nemmeno il tuo padrone, lui…”
“Io non ho padroni,” lo corresse Bàli, “vostro fratello mi ha chiesto di essere i suoi occhi, le sue orecchie e la vostra protezione. È stata una proposta, la sua… Io ho solo accettato.”
“Io non ho bisogno di alcuna protezione…” Sibilò il secondo principe di Jotunheim.
Bàli sorrise, “no, certo che no ma non posso biasimare l’amore di vostro fratello per voi, quindi non verrò meno al mio compito.”
“Di che cosa avrebbe paura Helblindi?” Domandò Bỳleistr tremando per la rabbia, “e se ne ha, perché non ne parla con me?”
Bàli gli aggiustò una ciocca di capelli dietro l’orecchio destro. Bỳleistr avrebbe dovuto infuriarsi per quel gesto, non lo fece. “È vero quello che dicono riguardo a vostro padre?”
“Dipende a cosa ti riferisci…”
“Dicono che quando aveva la vostra età, da Aesir era talmente bello da far perdere la testa all’attuale re.”
Bỳleistr fece una smorfia, “così dicono…”
“Dicono che voi gli assomigliate molto.”
L’espressione di principe divenne di pietra, “io odio questa mia forma…”
“Se mi posso permettere, non dovreste.”
“Non potevi ma l’hai già fatto.”
“Vostro padre ha gli occhi verdi, voi li avete come il ghiaccio.”
“Mi hanno detto che Fàrbauti li aveva così,” Bỳleistr abbassò lo sguardo, “io li odio.”
Bàli sorrise, “si può odiare qualcosa di bello?”
“Se appartiene ad uno stupratore, sì,” rispose Bỳleistr con voce funerea, “non credo tu lo sappia, ma prima che mio padre diventasse re, era normale per lo Jotun più forte della coppia violentare il proprio compagno per prendersi il suo piacere.”
Il principe non si fece sfuggire l’espressione di disgusto che passò sul viso del cacciatore.
“Mio padre e Fàrbauti solevano giocare da bambini… Per quelle generazioni era normale finire per accoppiarsi con chi si aveva condiviso la stagione dell’infanzia. Fàrbauti divenne il più grande guerriero di questo mondo, sì, ma non aveva nobili origini, eppure gli fu possibile avere per compagno l’erede al trono.”
“Che successe?”
“Fàrbauti era più grande di mio padre, il suo corpo divenne quello di un giovane guerriero molto prima che il fiore rosso del principe sbocciasse. Non poté opporsi in alcun modo, quando quella promessa del mondo bellico decise che voleva conoscere il piacere…”
Bàli rimase in silenzio, fissando il proprio principe ben sapendo che qualunque parola sarebbe stata superflua.
“Mio padre perse due dei bambini di Fàrbauti, quando venne l’ora di concepire un’erede,” continuò a raccontare Bỳleistr, “era colpa della… Sua magia, non ho mai capito bene ma era come se il seme di Fàrbauti fosse troppo debole per quel potere, i piccoli ne venivano avvelenati ancor prima che la loro presenza fosse percepibile. Fu allora che decisero d’invertirsi i ruoli,” il principe si morse il labbro inferiore, “nel corpo di Fàrbauti, i piccoli non sarebbero stati continuamente bombardati da quel potere maligno. Helblindi è nato su Midgard, qualche anno prima dell’erede di Asgard. Fàrbauti fece tutto da solo e, quando ebbe finito, lasciò mio fratello nel nido di pelli in cui era venuto alla luce. Mio padre lo trovò che era tremante, sporco di sangue e col muco che ancora gli bloccava le vie respiratorie… Se fosse arrivato più tardi, sarebbe morto soffocato. Un bambino sano, forte, ucciso dalla mancanza d’amore di chi l’aveva messo al mondo. Io arrivai che gli Aesir aveva già invaso Jotunheim , mio padre obbligò Fàrbauti ad assisterlo durante il parto… Ci lasciò soli non appena emisi il primo vagito. Morì che avevo appena imparato a camminare, mi hanno detto, non ricordo nulla di lui. Helblindi sì. Ero un neonato, mio padre sparì per più di un anno… Helblindi era un bambino ed è stato l’unico a prendersi cura di me in quel periodo.”
Bỳleistr ingoiò a vuoto, “capisci perché mio fratello è un paranoico, quando si tratta di me?” Domandò con un sorriso tristissimo, “capisci perché detesto avere qualcosa che apparteva a Fàrbauti?”
Bàli non riuscì a rispondere.
“E, per la cronaca, mio padre era più bello di me,” Bỳleistr si voltò e continuò a camminare spedito sulla neve.
“Non credo sia possibile, mio principe,” mormorò Bàli al vento invernale.



[Asgard, secoli fa.]

Nàl era steso su un fianco, Loki era seduto accanto a lui e Frigga rischiava seriamente di scavare un solco nel bel mezzo della camera, se non avesse smesso di camminare avanti ed indietro.
“Non credo che Borr avesse previsto che i Vanir potessero essere una minaccia reale,” commentò Loki ad alta voce.
“Per prevedere bisogna pensare,” replicò Frigga acidamente, “e il nostro re sembra capace di farlo solo quando deve dimostrare a voi Jotun quanto vi stima.”
“Che io possa essere maledetto…” Mormorò Nàl fissando il vuoto.
“Come?” Domandò Loki.
“Che io possa essere maledetto, se il destino mi concederà un trono e mi trasformerà in un mostro capace di uccidere il proprio figlio…”
Loki sorrise, “non credo che tu debba avere un simile timore. Non daresti mai alla luce un figlio senza averlo desiderato e, una volta averlo visto, realizzeresti subito che non saresti capace di fargli soffrire i tuoi stessi dolori.”
“Ha parlato di gloria, il pazzo, “ Nàl rise istericamente, “io lascerei che la mia gente venisse massacrata pur di salvare mio figlio.”
 “Ed io scambierei volentieri Borr con Odino, ma penso che per i complotti seri contro la corona dovremmo aspettare un’occasione più propizia…”
“Frigga!”
“No!” sbottò, “è un suicidio lasciare che un uomo distrugga ogni cosa per cui dovrebbe vivere e morire solo per dimostrare il suo disprezzo verso creature come voi! Lo ammetto, spero che tu divenga il consorte reale Nàl, così che quel vecchio pazzo decida di buttarsi dal Bifrost e togliere il disturbo!”
“Frigga, adesso calmati.”
“No che non mi calmo! Piuttosto sarei contenta di guidare un esercito di Jotun a salvare l’erede al trono, tanto per fargli dispetto!”
Nàl ci pensò un attimo, poi la guardò, “penso di avere un’idea…”
Sia Loki che Frigga gli regalarono tutta la loro attenzione.
“Uno di voi può rimediarmi un’armatura?”
 

[Midgard, oggi.]

Loki non viveva più.
Erano giorni che dormiva per la maggior parte del tempo, sperando che l’oblio del sonno potesse essergli di qualche conforto. Che cosa avrebbe fatto, ora?
Non lo sapeva, non riusciva a pianificarlo… Avrebbe vagato per i mondi, probabilmente, aspettando che qualche evento gli regalasse l’ispirazione giusta per poter agire. Per cosa? Cosa voleva?
Niente…
Una risposta più terribile non sarebbe mai stato capace di darsela.
Il nulla, come il vuoto in cui era caduto due anni prima.
“Loki…” Helblindi s’inginocchiò sulla neve davanti a lui, “se non ti svegli, finirai per farti del male.”
Loki avrebbe volute chiedergli di andarsene, di lasciarlo solo. Avrebbe volute avere la forza necessaria per cacciarlo ancora, ancora, ancora…
“Sei così bello, Loki…” Helbldini si sporse in avanti per far aderire le loro labbra.
Loki, semplicemente, voltò il viso da una parte per impedirglielo.
Helblindi si bloccò ma solo per un istante, poi lo prese per le spalle e lo spinse ad adagiarsi contro il suolo ghiacciato. Il mantello si aprì come un fiore scarlatto sulla neve e la pelle candida venne morsa dal freddo.
Il principe di Jotunheim si chinò su di lui, ricoprendo il corpo del fratello perduto con il proprio. Gli sfiorò il collo con le labbra.“Sei perfetto, Loki…”
Questa volta, il principe delle bugie non si oppose.

[Vanaheim, secoli fa]

Si, era inverno su Vanaheim, ma Odino non sentiva il freddo da ore.
Sapeva che, se lo avesse avvertito di nuovo, la morte sarebbe stata vicina e non poteva permetterselo. No, davvero non poteva. Non prima di aver rivisto Nàl, non prima di essere divenuto il suo compagno, non prima di aver tenuto tra le braccia il piccolo Thor e quella piccola meraviglia del suo fratellino.
Non poteva morire. Non poteva.
Allora perché la spada gli era caduta di mano?
Perché le gambe non lo reggevano più?
Perché il Vanir davanti a lui alzava la spada per decapitarlo senza che lui opponesse resistenza?
Freddo… Odino lo sentì molto prima che quella lama lo sfiorasse, ma non lo avvertì dentro, nell’anima… Non sentì le membra perdere sensibilità lentamente.
No, il freddo non era dentro di lui… Era intorno a lui.
Abbassò lo sguardo: venature di ghiaccio attraversavano il terreno parzialmente coperto di neve. Quando tornò a guardare il Vanir di fronte a lui, il suo braccio si era bloccato, la lama della sua spada era congelata e il suo viso era divenuto un’espressione di terrore e gelo.
Odino rimase immobile a guardarlo, mentre si sgretolava di fronte a sé.
Tremante, si guardò intorno e vide i guerrieri Vanir cadere a pezzi uno dopo l’altro, come se fossero pupazzi di vetro. Un bagliore smeraldino gli passò accanto, ma lo scorse solo con la coda dell’occhio.
Quando guardò di nuovo di fronte a lui, il principe di Jotunheim procedeva a testa alta, il mantello verde mosso dal vento dell’inverno. Si fermò appena pochi metri più avanti.
Odino rimase a terra, mentre i suoi fratelli guidavano i soldati all’attacco, rianimatisi dopo un simile vantaggio. Il ghiaccio aveva ucciso appena un centinaio di soldati, fu sufficiente a terrorizzare i Vanir.
Il principe di Jotunheim si voltò.
Il principe di Asgard lo guardò. Alzò un ginocchio da terra, ma rimase dov’era: un segno di rispetto.
L’espressione del giovane Jotun era indecifrabile, mentre si avvicinava all’erede al trono degli Aesir.
Azzurro. Verde.
Non sembrava esistere altro colore.
Quanti battiti ancora, prima che il principe dorato dichiarasse il suo cuore conquistato?
Quanti respiri ancora, prima che il principe dell’eterno inverno si arrendesse all’evidenza che non riusciva a respirare di fronte a quegli occhi azzurri?
Nàl cadde in ginocchio ed Odino si mosse appena prima che collassasse completamente al suolo.
“Nàl!” Era la voce di Loki quella in lontananza, “Nàl!”
“Nàl…” Gli fece eco il giovane Aesir, stringendo quel corpo debole contro il petto, “Nàl!”
L’interpellato aprì gli occhi verdi, un sorriso stanco gli illuminò il viso.
Fu come un raggio di sole nel giorno più freddo dell’inverno.
“Loki…” Mormorò lo Jotun.
“Sta arrivando!” Esclamò Odino, “non ti addormentare, ti portiamo subito al campo!”
Nàl scosse appena la testa, “idiota…” Sospirò.
“Cosa?”
“Si chiama Loki,” ripeté, “il bambino… Nostro figlio. Il suo nome è Loki.”




[Midgard, oggi.]

Thor non sapeva cosa aspettarsi, quando aprì quella porta.
Non sapeva cosa sperare.
Non sapeva di che cosa aveva paura.
La casa era buia e silenziosa, solo la luce del tramonto che entrava dalle finestre le regalava un po’ di vita.
Erano passati dieci giorni e non era cambiato niente.

Helblindi gli baciava il collo e Loki lo lasciava fare.
Erano fredde le sue labbra e non gli piacevano.
Quelle di Thor erano sempre state calde, anche sotto l’acqua gelida della doccia.
“Non hai idea di quanto ti voglio…”
Loki chiuse gli occhi lasciando che lo Jotun mormorasse tutte le oscenità che voleva. L’aveva visto nudo una volta ed era stato sufficiente ad accendere un folle desiderio in lui, che assurdità…
Thor l’aveva toccato e baciato per notti intere e non aveva nemmeno provato ad infilarsi tra le sue gambe.
Non era qualcosa che Loki aveva pianificato. Non era quello che pretendeva mentre si perdeva nel calore del corpo di Thor. Eppure, pensava, se Thor gli avesse stretto le cosce tra le mani e lo avesse preso, si sarebbe limitato a chiamare il suo nome.
Forse, invece, l’aveva voluto fin dall’inizio. Aveva voluto provocare Thor al punto da rendere il desiderio il suo tutto ma, no, Thor non vedeva un amante. Thor non vedeva nemmeno Loki. Thor vedeva suo fratello… Un’illusione, una bugia, un sogno sfumato…
Sentì le dita gelide di Helblindi sfiorargli l’interno coscia.
Avrebbe perso il controllo dei suoi poteri anche ora? Le azioni verificatesi in quel sogno si sarebbero riflesse sulla realtà? Un Jotun con un nome ed un volto ma nessuna importanza si stava per prendere quel che Loki non aveva mai potuto concedere a nessun altro… Ciò per il quale, in cuor suo, aveva saputo essere degno solo Thor.
Sentì vagamente il rumore di una cintura che veniva slacciata: avrebbe dovuto dirlo che era la sua prima volta? Avrebbe dovuto dirlo che, in realtà, non lo voleva ma che se avesse fatto male o gli avesse dato piacere sarebbe stato indifferente? Sarebbe stata solo una scossa elettrica, prima di una nuova morte.
“Loki…”
Strinse gli occhi. Gli avevano detto che la miglior vittima del suo talento da mentitore era lui.
“Oh, Loki…”
Forse, ma solo forse, se ci avesse provato avrebbe anche potuto immaginare la voce di Thor, mentre chiamava il suo nome.
“Loki?”
Helblindi si bloccò.
“Loki!”
Il principe oscuro aprì gli occhi.
“Loki, svegliati!”

 

Il sogno si spezzò.

 

***

Capitolo 13 "Guerra". Versione Integrale:
 Parte 1http://preussen-g.livejournal.com/1220.html/

Parte 2http://preussen-g.livejournal.com/1454.html

Perchè al lj ogni tanto prende male.

"Fake King" by Callie_Stephanides

 https://www.youtube.com/watch?v=Qh2UPN37GZ4. 

Ho tentato di ringraziare l'autrice di questa meraviglia privatamente, ma continuavo a scrivere deliri senza un senso reale. Quindi lo faccio pubblicamente, così mi costringo a mantenere un briciolo di dignità. Mi sento obbligata ed onorata al contempo a poter condividere con voi con questo splendido dono ispirato alla fanfiction. Mi fai tornare la voglia di fare la video-maker, carissima! E sono anni che l'ispirazione da quel punto di vista era morta e sepolta...
Chiunque sia arrivato a leggere fin qui è obbligato a visualizzare e prostrarsi di fronte al talento! 
Ovviamente si fa dello spirito (forse) ma si parla tanto di questo fandom che in Italia trova pochi esponenti seriamente attivi e, bene, questo video si distingue dalla massa di montaggi di scene fatti a casaccio con sopra una canzone buttata lì, quindi è doveroso, da parte mia, spenderci qualche riga.
Ovviamente all'autrice vanno tutti i miei più commossi ringraziamenti! 

 

 

Varie ed eventuali note.

Possiamo anche gridare al miracolo! Il mio pc è tornato sano e salvo a casa ed anche i problemi di linea sono stati risolti con un ritardo vergognoso che mi ha fatto rimanere decisamente indietro con la tabella di marcia. 
Per questo capitolo erano state previste almeno altre quattro scene, ma, onde evitare che il ritardo passasse da vergognoso ad apocalittico, lo interrompiamo proprio sul più bello! La risatina diabolica che state udendo è frutto della vostra immaginazione...

Ho tante cose da dire su questo capitolo.
Prima di tutto, v'invito a leggere i dialoghi con particolare attenzione perchè in questi, più dei precedenti, vengono rivelate\confermate alcune cose che, ovviamente, verranno successivamente approfondite. 
Secondo, Sleipnir: cavallo a otto zampe cavalcato da Odino e partorito da Loki, nella mitologia. Nel film compare! Sì, è il cavallo con cui Odino arriva su Jotunheim per recuperare i pargoli ribelli. In questa storia è un mutaforma per questioni pratiche.
Terzo, nel prossimo capitolo Laufey e Odino potrebbero costringermi a cambiare rating (sì, gente, è un spoiler), ma è mia intenzione cercare di evitarlo quanto possibile. Per quanto riguarda Loki e Thor... Le scene censurate potrebbero aumentare... Forse... Chi lo sa...

Per tranquillizzare gli animi, il capitolo 15 è scritto per 1\3 e, con un po' di fortuna, in massimo 10 giorni la storia verrà nuovamente aggiornata. Parola mia!

Alla prossima!

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Capitolo 15
*** Caos ***


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XIV

Caos

[Vananheim, secoli fa.]

Faceva male.
“Va tutto bene, respira…”
Eppure non era per il suo corpo spinto fino al limite che si preoccupava.
“Ci siamo quasi, coraggio!”
Era il terrore che gli faceva dimenticare qualsiasi sofferenza. Il terrore che qualcosa potesse andare male, il terrore che tutti i suoi sforzi si traducessero in una tragica sconfitta.
Il dolore non lo aveva mai preoccupato. L’attesa era stata ben peggio.
La vocina di un neonato lo strappò dallo stato di trance in cui era caduto.
“Sei stato bravissimo…” Era la voce di Loki quella, furono sue le labbra fredde a baciargli la fronte in un gesto rassicurante. Lasciò scorrere le lacrime, perché la paura era stata tanta, enorme…
“Sta bene?”
Maschio, femmina, non gli importanza. Jotun, Aesir, non contava nulla.
“Sta benissimo,” rispose prontamente Eir dal fondo del letto, avvolgendo la creaturina in un regale drappo verde, “è un piccolo Jotun sanissimo.”
Sorrideva e piangeva, mentre Loki gli metteva quel dolce fagotto tra le braccia. Il piccolo si calmò immediatamente, gli occhi scarlatti fissi sui suoi.
Era bello, bellissimo. Perfetto come solo il figlio di due re poteva essere.
Guardò Loki: sorrideva ma era un sorriso forzato.
“Odino?” Domandò.
Loki sembrò in difficoltà, “è sul campo di battaglia, Nàl.”
“Che campo di battaglia?” Domandò confuso stringendo di più a sé il fagotto, quando Eir tentò di portarglielo via. L’altro sorrise paziente, “non ricordi? Odino è su Jotunheim, sta combattendo contro tuo padre.”
“C-Cosa?”
“Nàl, devo prendere il bambino, ora,” mormorò Eir gentilmente, eppure c’era qualcosa d’inquietante nella sua voce.
Il principe scosse la testa vigorosamente, “ha bisogno di essere nutrito,” disse slacciandosi la tunica con pochi, veloci gesti, “non ho ancora scelto il suo nome, più tardi.”
Il bambino si attaccò a lui debolmente, poi prese a succhiare con vigore.
“Che crudeltà!” Commentò qualcuno, non era più la voce di Loki.
“Laufey, così tuo figlio non farà che soffrire di più, quando lo sacrificheremo nel tempio,” non era più la voce di Eir.
Anche la camera intorno a lui si era trasformata: il dolce tepore di Asgard ed i suoi colori dorati erano spariti nel nulla, così come il drappo verde in cui era avvolto il suo bambino. Vi erano solo pareti di ghiaccio intorno a lui, la nuda roccia sotto il suo corpo stremato ed il piccino… La sua stupenda creatura di neve e oscurità tremava piangendo cercando di prendere da lui tutto il calore che poteva offrire. I capelli corvini, la pelle rosea, gli occhi verdi.
Un coro di battaglia veniva cantato sotto le mura del palazzo di ghiaccio.
“Avanti, Laufey, è venuto il momento,” Fàrbauti era accanto a lui col suo aspetto Aesir, le braccia protese in avanti in una chiara richiesta.
Scosse la testa perché non aveva più voce.
“Lo facciamo per te,” disse dolcemente il guerriero  cercando di afferrare il piccolo ma il principe lo spinse via con rabbia, “perché ti amiamo e perché è la cosa giusta.”
“No!” Si decise ad urlare. Il neonato strillò.
“Non è colpa tua, se quello sporco Aesir ti ha violato, è stato fatto contro la tua volontà.”
“Non è vero!” Si affrettò a replicare il principe, “non mi ha mai fatto del male, mai! Mi ama, come ha amato nostro figlio ancor prima che nascesse.”
“Sciocchezze, prendi il mezzosangue,” era la voce di suo padre quella nel buio.
Il principe di Jotunheim non poté fare nulla, era troppo debole, mentre gli strappavano la sua creatura dalle braccia. “Dallo a me!”
Il re prese il neonato senza la minima gentilezza, “sarò clemente,” decise, mentre uno stiletto di ghiaccio compariva nella sua mano, “non soffrirà.”
Il principe lottò. Lottò con tutte le sue forze, ma Fàrbauti lo teneva fermo con il minimo sforzo.
“Se ora lo fai…!” Urlò all’indirizzo di suo padre, “se ora lo fai, lo giuro su tutti i Nove, vivrò per distruggere quello per cui hai vissuto ogni giorno della tua esistenza! Distruggerò Jotunheim con le mie stesse mani ed ogni Jotun che oserà inginocchiarsi chiamando il tuo nome! Renderò questo regno un territorio di Asgard ed i miei figli mezzosangue vi regneranno, fino al giorno della fine! E lascerò che tu sia l’ultimo a cadere, così che tu possa assistere alla realizzazione del peggiore dei tuoi incubi e, dopo, non t’illudere che ti regalerò una morte indolore!”
Ci fu un attimo di silenzio, uno solo. Gli occhi scarlatti dello Jotun incontrarono i suoi.
“E sia…” Rispose il re tagliando la gola del neonato.

Nàl scattò a sedere.
Qualcuno sobbalzò al suo fianco, “Nàl! Nàl calmati, va tutto bene!”
“Loki!” Chiamò disperatamente il principe di Jotunheim, “dov’è Loki? Restituitemi Loki!”
“Ma che stai dicendo? Sono proprio qui!”
Nàl si fermò e mise a fuoco la persona che gli stringeva le spalle cercando di fargli mantenere la calma, “Loki…” Mormorò.
“Sì, sono io,” disse gentilmente il giovane Jotun, invitando il principe ad accomodarsi contro i cuscini del letto.
Nàl evitò di rispondere e si guardò intorno, “dove…?”
“Sei nella tenda dell’erede al trono,” rispose Loki allontanandosi per rianimare il fuocherello posto al centro di quello spazio chiuso, un foro era posto sul soffitto di tendaggi proprio sopra di esso.
“Nevica,” commentò Nàl.
“Sì, qui è inverno ma nei villaggi già c’incolpano se i loro raccolti stanno per essere soffocati dal ghiaccio.”
“Cosa?” Domandò il principe confuso.
Loki sorrise, “è corsa la voce che i piccoli Jotun randagi del principe hanno raggiunto il fronte e che l’amante di Odino, cioè tu, ha maledetto questa terra condannandola all’eterno inverno.”
“Scommetto che non hanno usato propriamente la parola amante, come presumo si siano dimenticati che nevicava già da prima che noi mettessimo piede nel loro mondo.”
Loki sospirò stancamente, “non importa chi sei, non importa cosa fai. Il disprezzo per Jotunheim ti perseguiterà anche se diverrai consorte reale.”
“Non è nei miei progetti…”
“Però sembra che il destino ti suggerisca che uno dei tuoi figli avrà i capelli corvini, gli occhi verdi, il mio nome ed il titolo di principe di Asgard.”
Nàl fece una smorfia, “sono sogni…”
“Sì e tu sei una persona tanto romantica per natura da promettere ad un principe in partenza per il fronte il nome di un figlio che non vuoi e a cui non credi?”
Nàl si astenne dal rispondere girandosi su un fianco in modo da dargli le spalle, “dov’è Odino?”
“Gli ho fatto intendere che, dopo ore sul campo di battaglia ed altrettante al tuo capezzale, forse non emanava proprio un buon odore.”
“Per quanto tempo ho dormito?”
“Quasi un giorno, ora più ora meno. Eir non era preoccupata, ma ci ha ordinato di tenerti a letto: hai avuto la febbre alta per tutta la notte ed ora non hai una cera migliore.”
“Ti ringrazio.”
“C’è poco da fare il permaloso. Tutti al campo vogliono vederti.”
“Mi vogliono lapidare perché ho disonorato la loro invincibile armata?”
Loki rise, “al contrario,” rispose, “i fratelli di Odino vogliono presentarsi ufficialmente a te. È un’usanza riservata solo ai promessi sposi.”
“Che non si scomodino, allora,” borbottò Nàl chiudendo gli occhi stancamente, “non è mia intenzione avere quel loro trono dorato né come consorte, né come conquistatore. Che si tengano i loro vuoti onori per qualcun alt…”
Nàl si bloccò, Loki lo guardò e, dopo, si accorse del giovane principe che aveva fatto capolino nella tenda. Odino aveva ancora i capelli visibilmente umidi ma, perlomeno, aveva perso qualche minuto per indossare un paio di pantaloni ed una tunica puliti.
“Sei… Sei sveglio…” Commentò quasi timidamente. Loki dovette mordersi il labbro inferiore per non ridere, quando le guance di Nàl si colorarono appena di rosso.
“Vi lascio soli,” annunciò e non evitò di accorgersi che erano entrambi troppo presi l’uno dall’altro per rispondergli.

[Midgard, oggi.]

Il personale mondo di Loki si era sempre caratterizzato dalla presenza di quattro colori: verde, rosso, oro e blu.
Il verde gli apparteneva, aveva sempre detto sua madre. “È il colore dei tuoi occhi,” era stata la sua scusante ma, ora, Loki si ritrovava a chiedersi se anche dietro quell’antico dettaglio di se stesso vi fosse nascosta una verità simbolica, come era accaduto per il suo nome.
L’oro non rappresentava nulla in particolare. Era solo il colore dominante in tutta Asgard, ma non gli ricordava casa, solo le sue differenze rispetto agli altri. Nessun bambino della corte dorata aveva mai osato nascere con i capelli neri disonorando i suoi nobili genitori. Loki ricordava Fulla e Hlin bisticciare per pettinare i riccioli di suo fratello.
“Il piccolo Thor ha i vostri stessi capelli dorati, mia regina,” commentavano, alle volte. Frigga sorrideva orgogliosa e Loki, guardato da nessuno, prendeva tra le piccole dita una delle ciocche color inchiostro guardandola con disprezzo. L’oro non aveva mai fatto per lui.
Il rosso rappresentava due stagioni: quella dell’infanzia in cui a vestirlo era stato suo padre e quella della giovinezza in cui, tra le altre cose, quel colore era stato ereditato da Thor. Con quella tonalità addosso, Loki aveva sempre pensato che fosse più bello di quanto fosse sano ammettere. Ricordava le volte in cui Thor se l’era tolto per metterlo sulle spalle di Sif o della sgualdrina di turno, pronta a fingere un attacco di freddo.
Loki aveva fantasticato molto su quel mantello scarlatto. Nelle sue notti di solitudine e peccato aveva pregato che gli venisse concesso di tenerlo solo un poco, una notte, il tempo necessario per avvolgerselo intorno alle fragili spalle e sentirsi circondato dall’odore di Thor. Sarebbe stato più facile immaginare che la sua mano fosse quella del fratello maggiore, mentre si accarezzava?
Non l’aveva mai saputo.
Infine, era il colore del cielo d’estate che Loki non riusciva a togliersi dalla testa. Era possibile che tutto in Thor fosse, contrariamente alle credenze popolari, errato, mentre quel colore non perdeva mai la sua perfezione? Non aveva importanza quanto intensa fosse la luce in una stanza. Anzi, non aveva importanza che vi fosse proprio luce. Loki avrebbe potuto dire di che colore erano gli occhi di Thor anche al buio completo, non solo perché la sua memoria aveva registrato ogni possibile sfumatura di quelle iridi.
Thor, da cui aveva agognato uno sguardo per tutta la vita.
Thor, che l’aveva guardato in mille modi diversi negli ultimi due anni ma mai così.
Mai come ora, mentre lo fissava dall’alto al basso con gli occhi limpidi, sereni o rassegnati, Loki non sapeva dirlo.
“Loki,” sorrise, mentre allungò una mano per toccargli il viso. Loki reagì come se gli si fosse avvicinato con una lama rovente. Si ritrovò con la schiena contro una delle alte finestre, gli occhi verdi sbarrati. “È un incubo…” Non era una domanda.
Thor scosse la testa confuso, “no, sei sveglio, Loki.”
“Tu non puoi essere qui…”
“Sì, sono tornato.”
“Tu non puoi essere qui!” Urlò il secondo principe di Asgard stringendo i pugni fino a ferirsi i palmi, “ che cosa vuoi?”
Thor tentò di avvicinarsi, “Loki, ascoltami…”
“Che cosa vuoi?” Ripeté l’altro con rabbia ed i vetri del salotto tremarono pericolosamente. Il principe dorato decise di non muovere un passo di più, “sono tornato,” ripeté. Era evidente che non sapeva cos’altro dire, che non aveva un’altra verità da offrire se non quella.
“E per cosa saresti tornato?” Loki era sicuro di conoscere la risposta ma, se l’avesse udita, non avrebbe saputo contenersi oltre, “ero stato chiaro: o me, o lei.”
“Ricordo bene le tue parole, ma…”
“Bene! Allora ricorderai anche che ti sei voltato e sei uscito da quella porta con una meta precisa quindi, perdona se mi ripeto, per cosa saresti tornato?”
Fu il turno di Thor di assumere un’espressione adirata, “non è ovvio?”
Ci fu un momento d’immobile silenzio, poi Loki attraversò la stanza con ampie falcate, “vattene…” Poteva anche sembrare un invito educato.
Thor gli afferrò il braccio non appena gli passò accanto.
Loki sospirò annoiato: se lo aspettava.
“Perché non mi chiami mai per nome?”
Ecco, quello invece non lo aveva previsto.
Si voltò per incontrare gli occhi azzurri del fratello maggiore.
“Non chiami mai il mio nome,” commentò Thor, “me ne sono reso conto solo…”
“Solo mentre ti scopavi la tua mortale?” Attaccò Loki con sguardo diabolico, “cosa c’è? Non sa cavalcare come le Valchirie?”
Il viso di Thor si addolcì appena ma solo per un istante, poi i suoi occhi divennero freddi, distanti, “al contrario. Non ho mai fatto l’amore così.”
E Loki sentì le viscere contorcersi dolorosamente.
“Lo volevamo così tanto entrambi,” continuò Thor con voce devota fissando un angolo nel buio, un dolce sorriso gli increspò le labbra. Un sorriso innamorato per Jane.
Loki si sentì morire.
“È stato bellissimo…”
Loki tentò di liberarsi ma si accorse che Thor gli stringeva il braccio con molta più forza di quanto avesse immaginato. “Allora perché sei tornato?” Sibilò, quando realizzò che l’altro non avrebbe aggiunto altro, “vai da lei.”
“Solo allora ho capito… L’abbiamo capito entrambi.”
“Vai da lei!”
Thor lo tirò verso di sé afferrandogli le spalle quasi a fargli male, “non c’è storia, Loki,” ora quegli occhi non stavano guardando altro, se non lui. “Tre giorni con lei… Tutta la vita con te…”
Loki impiegò qualche istante, prima di capire il reale significato di quelle parole. Abbassò lo sguardo, poi lo alzò di nuovo: Thor era ancora lì, davanti a lui e gli stava rivolgendo tutta la devozione che quegli occhi azzurri potevano esprimere.
Scosse la testa, poi sorrise istericamente, “tu non… Non puoi…” La rabbia era l’unica forza che gli era rimasta, “Non capisci niente, principe dorato!” Sbottò liberandosi dalla stretta calda di quelle mani, “non hai mai capito niente!”
Corse in direzione delle scale, ma non riuscì nemmeno a salire il primo gradino.
“Alcune cose le ho capite…”
Da quando Thor era così bravo ad avere la risposta pronta?
“Ho capito che ti amo, anche se non come vorrei.”
Loki strinse il corrimano come un naufrago che sta per affogare. Non respirava più.
“Ho capito che mi ami e cerchi di odiarmi perché pensi che questo faccia meno male.”
I loro occhi s’incontrarono ed il principe oscuro temette seriamente di affogare nel blu di quelle iridi.
“Ho capito che, se continuiamo a negarlo, finiremo per ucciderci a vicenda lentamente in un modo in cui le ferite non saranno mai visibili o curabili ma, non per questo, sanguineranno meno copiosamente.”
Thor mosse un passo in avanti. Loki desiderò con ogni fibra del suo essere di scappare, ma non riuscì a muovere un muscolo, “stai zitto…” Sibilò, perché le parole erano l’unica difesa che gli era rimasta.
“Ho capito che distruggeremo ogni cosa intorno a noi durante l’intero processo, se non ci arrendiamo.”
Thor era ad appena un paio di metri da lui, poi avrebbe potuto toccarlo di nuovo.
“A cosa?” Domandò Loki con una disperazione che non avrebbe mai voluto esternare, “a chi dovremmo arrenderci?”
Thor non esitò, “alla verità che siamo nati l’uno per l’altro,” rispose, “possiamo scegliere se inseguirci e vivere una vita senza pace, oppure…” Abbassò gli occhi.
“Oppure?” Chiese il più giovane ingoiando aria dolorosamente.
Quando Thor tornò a guardarlo, non c’era traccia di ambiguità o dubbio nella sua espressione, “l’alternativa mi spaventa ancora di più…”
Per la prima volta, Thor non si era sforzato di addolcire la cruda realtà per nessuno. L’aveva accettata e basta. Salì tre gradini, Loki non si mosse mentre lo superava. Si accorse che gli aveva preso la mano solo quando la tirò appena: un muto invito che non lasciava spazio a fraintendimenti.
Lo seguì senza dire una parola.

[Vananheim, secoli fa.]

Odino impiegò una manciata di minuti abbondanti, prima di parlare.
“Ciao…” Mormorò.
“Ciao,” rispose Nàl accennando un sorriso ed il principe di Asgard arrossì di botto.
“Abbiamo vinto.”
“Lo so.”
“Grazie a te…”
“So anche questo.”
“I miei fratelli ed i miei uomini vorrebbero…”
“Loki mi ha già detto ogni cosa,” lo fermò il giovane Jotun con voce stanca, “dirai loro che mi fanno onore, ma che sono molto debole e che non ho fatto altro che dimostrare la mia lealtà al mio principe.”
“Solo questo?” Domandò Odino arrivando di fianco al letto.
Nàl inarcò le sopracciglia, “che altro vorrebbero sentirsi dire?”
“Non loro,” precisò il principe dorato abbassando lo sguardo imbarazzato. Nàl non disse nulla per diversi secondi, “sei un idiota…”
Odino tornò a guardarlo, “prego?”
“Volevi sapere che cosa avevo da dirti, no?” La voce del principe di Jotunheim era veleno, “due cose: il nome di nostro figlio e ricordarti che hai uno spazio vuoto al posto del cervello!”
“Perché sei arrabbiato con me, ora?” Domandò Odino quasi disperatamente.
“Perché la prossima volta che invii una missiva sporca di sangue ragiona su chi potrebbe essere la persona giusta per leggerla!” Esclamò Nàl alzandosi a sedere.
Odino reclinò la testa da un lato, “mi sembra di aver scelto bene…”
Nàl sorrise istericamente, “scelto bene? Una volta tornati su Asgard, tuo padre mi decapiterà per aver tradito la corona.”
“Pensi che gli permetterò di toccarti?” Odino si sedette sul letto, “pensi che lascerei che qualcuno ti faccia del male per le sue manie?”
Nàl strinse le lenzuola tra le dita e si morse il labbro inferiore con forza.
“Cosa c’è?” Chiese Odino sospettoso.
L’altro voltò il viso altrove.
“Laufey,” lo chiamò col suo vero nome prendendogli il mento tra le dita ed obbligandolo a guardarlo, “che cos’è successo?”
Nàl sospirò tristemente, “non farmelo dire…”
“Nemmeno Loki ha voluto dirmelo!” Esclamò il principe frustrato, “cos’è accaduto su Asgard da spingervi a chiudervi dietro un simile muro di silenzio?”
Nàl strinse gli occhi un istante.
“Non ha creduto che la missiva fosse mia? Pensava fosse un tuo piano?”
“No, niente del genere.”
“Cosa, allora? Perché l’esercito volontario non è intervenuto, perché…?”
“Tuo padre voleva che morissi,” confessò, infine, il giovane Jotun, “mi ha impedito di aiutarti perché preferisce vedere il suo sangue estinguersi che permettergli di mischiarsi col mio.”
L’Aesir rimase immobile, in silenzio. L’altro non osava guardarlo negli occhi.
Il giovane generale tentò di alzarsi ma una mano fredda gli afferrò il polso, “aspetta…” Mormorò Nàl istintivamente, sebbene non avesse la minima idea di cosa aggiungere, “Odino, aspetta…”
L’altro lo guardò: non aveva una reale espressione ed era terribile vedere quel bel viso, continuamente animato, devastato in quel modo.
“So cosa significa,” ammise Nàl, “se tornassi a Jotunheim, mio padre mi ucciderebbe solo perché ho respirato l’aria di Asgard. Non ci sono fratelli che possano prendere il mio posto ma non avrebbe importanza. Le ragioni di stato sono sempre venute prima di me, ma non si fermerebbe a riflettere un secondo, se il suo unico figlio gli arrecasse qualche disonore.”
Odino sembrò convincersi e tornò a sedersi sul bordo del letto, “sono vivo grazie a te,” disse facendo aderire le loro fronti, “siamo traditori entrambi.”
Nàl sorrise ma l’idea che Odino gli nascondesse il suo reale dolore lo destabilizzava. Dunque, era capace anche lui di mentire ad arte?
“Se Asgard vorrà condannarci,” continuò il principe dorato passando una mano tra quei capelli corvini, “andremo in un mondo in cui nessuno conosce i nostri nomi e le nostre storie. Lì, daremo alla luce tanti figli mezzosangue che disonoreranno le nostre dinastie in eterno e noi li ameremo con tutti noi stessi.”
Nàl avrebbe voluto trovare la forza di contraddirlo ma, per quanto lo spaventava ammetterlo, credeva di averla persa da qualche parte tra la partenza di Odino per la guerra ed il rischio di poterlo perdere a causa di essa.
“Loki…” Mormorò infine il principe, gustandosi il suono di quelle due sillabe pronunciate dalla sua voce, “è un bel nome per un piccolo Jotun.”
Nàl lo guardò storto, “Thor continua ad essere un nome orribile.”
Odino rise e lo baciò a fior di labbra. Terribile come quel gesto fu naturale per entrambi, tremendo il modo in cui le loro bocche si cercarono nuovamente per sperimentare un contatto ben più intimo ed umido. Si fermarono quando l’Aesir sfiorò una guancia dell’altro, “scotti di nuovo!” Esclamò tirandosi indietro ed un’insopportabile cappa di razionalità sembrò cadere su di loro, “Eir ha detto che devi riposare! Recupera ancora un po’ di forze, vado a cercarti qualcosa da mangiare.”
Da prima, Nàl annuì confuso seguendo quel vecchio istinto che lo spingeva ad accettare ben volentieri ogni occasione che portava il principe degli idioti lontano da sé. Poi, uno strano malcontento l’investì e l’immagine di quel campo di battaglia tornò ad infestare i suoi pensieri.
Odino era già con un piede fuori dalla tenda, quando parlò.
“Se te ne vai ora, potresti non trovarmi quando ti volterai a cercarmi.”
Quella frase non aveva alcun senso reale. Nàl non sarebbe andato da nessuna parte ed Odino lo avrebbe sempre avuto a portata di occhio, se non per pochi, brevi intervalli.
Il messaggio era tutt’altro.
Se mi vuoi davvero, prendimi.
Diceva.
Fammi tuo. Fallo ora, prima che perda il coraggio di mettermi nelle tue mani.
Ma un principe di Jotunheim non avrebbe mai potuto chiedere all’erede di Asgard di fare l’amore con lui. Odino doveva capirlo, doveva accettarlo… Se lo ritrovò accanto dopo pochi, agonizzanti istanti.
“Sei così debole…” Mormorò insicuro.
Nàl lo sfidò con quegli occhi tanto verdi da non sembrare reali, “ho tradito Jotunheim, sto ingannando l’intera Asgard portando un nome che non mi appartiene e mi sono appena condannato di fronte al giudizio del tuo sovrano per salvare la tua miserabile vita,” gli ricordò ,”non chiamarmi debole.”
Odino ingoiò a vuoto, era vagamente impaurito da una simile determinazione.
“Quando sono partito, hai detto che saresti morto prima di dare alla luce il figlio di un uomo che non ami.”
Nàl prese a slacciargli lentamente la cintura.
“Mi ami?” Domandò Odino all’apice della confusione, “sei sicuro di volerlo con me?”
Lo Jotun tornò a guardarlo, “per tutta la vita sono stato convinto di amare Fàrbauti,” rispose, “la vera domanda è: se non con te, con chi altri?”
Odino si sentì un poco deluso, “non puoi sapere se…”
“So che mi vuoi,” lo interruppe Nàl, “so che mi hai sempre voluto ma non mi hai mai forzato fino a farmi male. Non hai mai voluto piegarmi, solo conquistarmi. So che, anche se non lo ammetto, questo genere d’intimità mi disgusta oltre ogni limite, mentre i giovani che mi stanno intorno non fanno che parlare di rispetto e piacere. Non ho idea di cosa siano queste cose. Non le ho mai immaginate, prima di te ed ora dovrei rischiare di perdere questa possibilità? Perché non siamo altro che questo io e te: possibilità. Per i nostri genitori, per i nostri regni, per noi stessi. Hai la possibilità di amarmi ora. Ho la possibilità di lasciarmi amare da qualcuno che sa chi sono e non mi disprezza per questo. Ho la possibilità di avere qualcosa quando non ho mai avuto niente, non farmi domande a cui non posso rispondere.”
“Oh, Nàl…” Odino era senza fiato, eppure non aveva detto una parola, “se adesso ti faccio mio, domani non ti permetterò di cambiare idea.”
Il principe di Jotunheim sorrise malizioso, “pensate d’intimorirmi, mio signore?”
L’altro gli appoggiò una mano su una guancia appena arrossata dalla febbre, “sono io ad essere intimorito da te, dal desiderio che provo per te.”
Nàl tirò appena l’erede di Asgard verso di sé, poi lo adagiò gentilmente sul materasso di fortuna. Le coperte finirono in fondo al letto, mentre il giovane Jotun si spostava sopra il corpo del principe dorato per bloccarlo col suo peso. Sotto la veste da notte, Nàl non indossava nulla ed Odino lo sapeva bene. La stoffa bianca terminava in un orlo ricamato sobriamente appena sopra il ginocchio. Sarebbe bastato il minimo sforzo per liberarsene, ma ogni cosa sembrava stesse per verificarsi troppo velocemente.
Nàl era fermo sopra di lui, stupendo… Perfetto, come l’aveva sempre voluto e… E Odino non sapeva che cosa fare.
“Che cosa c’è?” Chiese lo Jotun con una nota di confusione. L’altro non rispose e Nàl si chinò per baciargli le labbra e smorzare la tensione. Odino lo prese per le spalle rifiutandolo in un gesto improvviso, gentile, sì ma più letale della lama che, poche ore prima, stava per decapitarlo.
“Mi dispiace, Laufey.”
Si sfilò da sotto di lui e si alzò stando ben attento a non guardarlo negli occhi, “cerca di riposare,” cercò anche di forzare un sorriso, “domani starai meglio.”
Il principe di Jotunheim rimase lì, immobile e lo guardò andarsene senza dire una parola.

[Jotunheim, oggi.]

Helblindi era fuori di sé.
Svegliatosi dal sogno febbricitante per l’eccitazione, aveva cercato di sfogarsi con un piccolo Jotun ben disposto a concedere un po’ di piacere al principe. Helblindi aveva finito solo col spaventarlo con le sue imprecazioni, cacciandolo prima ancora che uno dei due raggiungesse il letto ricoperto di pellicce.
Era inutile: Loki non era un desiderio che si potesse estinguere con un rimpiazzo scelto a caso.
Fu solo questione di tempo, prima che suo padre salisse nella sua stanza a chiedere spiegazioni.
“Che cosa è successo?” Cercò di essere paziente.
Helblindi continuò a fissare il pavimento in silenzio.
“Esigo delle spiegazioni!” Tuonò Laufey ma neanche questo sembrò scuotere il suo primogenito, “perché hai maltrattato quel giovane?”
Helblindi sbuffò, “non l’ho toccato. Ho solo perso la pazienza perché non riusciva a fare il suo dovere!”
Lo schiaffo che gli arrivò sembrò far tremare le pareti.
Il principe era scandalizzato. Il re, invece, era furibondo, “non ha importanza che tu non lo abbia picchiato, ragazzino,” sibilò a denti stretti, “urlerai come un tirannico moccioso viziato a tutti i soldati che non ti porteranno una vittoria facile? Al compagno che non accoglierà nel suo grembo il tuo erede, dopo solo poche notti? Ai figli che disubbidiranno perché è nella loro natura farlo?”
Helblindi non replicò: avrebbe rischiato di mettersi a piangere come un bambino.
“Non accetto un simile comportamento da un futuro re,” concluse Laufey con tono velenoso, “dov’è tuo fratello?”
Il principe si sentì mancare l’aria nel rendersi conto che non conosceva la risposta.
“Helblindi?”
“Io… Io…” Boccheggiò per una manciata di secondi, “non… Non lo so, padre. Bàli non è qui, penso sia con lui.”
“Pensi?” Ripeté Laufey quasi ringhiando, “prega che non sia successo qualcosa a Bỳleistr o uno schiaffo come quello ti sembrerà una carezza, quando avrò finito.”
Il re uscì dalla camera con ampie falcate. Helblindi si morse il labbro inferiore con rabbia, “chi è il tirannico ora, padre?”

Bỳleistr fissava il soffitto della grotta con aria sognante, mentre il respiro di Bàli s’infilava tra i suoi capelli.
“Lo immaginavi così?” Domandò il cacciatore gentilmente.
Bỳleistr chiuse gli occhi e sospirò sereno, “no,” rispose, “non credevo mi sarei sentito così bene, dopo.”
Bàli gli baciò una tempia, “ti ho fatto molto male?”
Il secondo principe di Jotunheim si rigirò nel suo abbraccio incrociandogli le braccia sul petto nudo, “no,” ripeté percorrendo con l’indice una delle linee sulla spalla dell’amante, “è stato strano all’inizio ma è andata meglio quando mi sono rilassato.”
Una pausa.
“Se avessimo provato nell’altro modo, non sarebbe stato piacevole, vero?”
Bàli sorrise paziente accarezzandogli una guancia, “dare alla luce i bambini non è piacevole, concepirli dovrebbe essere un’esperienza indescrivibile.”
“L’hai mai provato?” Domandò il principe con una nota di gelosia e possesso che fece venire i brividi caldi al cacciatore.
“No,” ammise quest’ultimo con un sorriso dolcissimo, “quello che abbiamo condiviso oggi è tutto ciò che ho sperimentato.”
“Sei mai stato al mio posto?”
“Qualche volta…”
Bỳleistr accettò la sua sincerità ma non poteva dire che la risposta gli piacque, “li amavi?”
Bàli rise, “sei così giovane ed emotivo…”
“Lo dici come se avessi l’età di mio padre,” il principe sbuffò e si girò su un fianco, dando le spalle all’amante, “non sei più grande di mio fratello.”
“Avete ragione, altezza.”
“Siamo tornati al voi, ora?” Domandò Bỳleistr acido. Il cacciatore gli circondò la vita con un braccio baciandogli una spalla e aggiustando la pelliccia in modo che lo coprisse fino alla vita: sapeva che il giovane non poteva sopportare al meglio il freddo in quella sua forma.
“Sei la cosa più bella che abbia mai avuto l’onore di amare, Bỳleistr.”
Era la prima volta che pronunciava il suo nome e l’emozione che scatenò gli fece quasi male, “stai zitto…” Avrebbe voluto sbottare, ma a stento riuscì a mormorarlo, mentre affondava il viso nella pelliccia per nascondere il rossore delle guance. Bàli gli baciò il collo e, quando il cacciatore lo strinse a sé con dolcezza, non ebbe nulla da ridire.

[Midgard, oggi.]

Le loro dita persero contatto non appena entrarono in camera da letto.
Ma i loro occhi no. Mai i loro occhi.
In quelli di Thor vi era riflessa la paura di chi ha capito qual è la cosa giusta da fare ma viene divorato dal terrore all’idea di farla. In quelli di Loki vi era il caos totale.
“Hai detto di volermi,” mormorò Thor.
Loki ghignò, “no, ho confessato di averti voluto durante la mia fanciullezza,” lo guardò con disgusto, “non me ne faccio niente dello scarto di una mortale.”
Thor ignorò deliberatamente il veleno nelle sue parole, “e se mi concedessi a te, ora?”
“Non ci posso credere…” Loki rise senza gioia, “hai appena finito di venire dentro di lei ed ora mi proponi di allargarti le gambe col suo odore ancora addosso?!”
Thor scosse la testa. Loki lo ignorò.
“Pensi che abbia voglia di farmi scopare da te?” Domandò quasi isterico, “desidero le tue mani su di me meno di quanto ho desiderato quelle di quei mostri, mentre mi torturavano nel tentativo di studiarmi!”
“Non hai capito, Loki.”
“Ho capito benissimo!” Replicò l’altro con rabbia, “bene, sono io che rifiuto te, ora! Il ragazzino che ti amava non c’è più! Il fratellino che si dava piacere piangendo per te è morto!”
Thor ingoiò a vuoto, “forse…” Ammise per la prima volta da quando quella follia era cominciata, “ma Loki no. Loki è qui davanti a me.”
Il principe oscuro scosse la testa, “non sai quello che stai dicendo,” disse con voce spezzata, “tu non provi nulla per Loki.”
“Te l’ho appena detto quello che provo.”
Ed il sorriso dolce di Thor era quanto di più terribile avesse mai visto.
“Tu ti riferisci al passato,” replicò Loki.
“E dovrei rinnegare tutta la nostra vita per essere degno di te?!” Sbottò Thor, “no, Loki. Accetto tutto. Ogni cosa, anche le responsabilità della conseguenze che ne deriveranno. Ma non puoi chiedermi di dimenticare, questo mai!”
“Stupido! Stupido, ragazzino!”
Loki era fuori di sé ma Thor non aveva intenzione di ritrattare.
“Sei tu lo stupido!” Replicò furibondo, “sei talmente stupido da non riuscire nemmeno a capire quello che ti sto dicendo.”
“Che cosa stai vaneggiando, ora? Quale messaggio complicato starebbe cercando di trasmettermi il principe degli idioti?”
“Che sono io a concedermi a te, Loki!”
Il principe oscuro si bloccò. Thor sembrava sull’orlo del pianto: quanto gli costava dire parole simili?
“Che sono io ad offrirti me stesso,” continuò con voce triste e gentile, “ti sto chiedendo di prendermi, di farmi tuo come non ho mai chiesto o permesso a nessuno. Ti sto chiedendo di essere ciò che nessuno è mai stato e mai sarà. Ti sto offrendo quella parte di me che non ho mai concesso ad altri. Ti sto dicendo che voglio te per la mia prima volta con un… Voglio che tu sia il primo, voglio che tu sia l’unico, voglio che sia tu… Solo tu…”
Loki doveva aver smesso di respirare.Thor, il principe dorato, l’erede di Odino… Thor! Proprio lui, voleva donargli ciò che di più proibito c’era per un guerriero di Asgard.
“Sei consapevole di quello che mi stai chiedendo?” Loki ne dubitava.
Thor sembrava confuso, come un bambino, “di fare l’amore con me,” rispose, come se fosse una cosa talmente naturale da essere ovvia
Loki non sapeva se essere divertito o terrorizzato da tanta ingenuità, “perché vuoi essere umiliato in questo modo?”
Perché non lo sto umiliando e basta?
Thor sorrise timidamente arrossendo appena, “io… Io non la vedo così…”
“Certo che la vedi così,” replicò Loki, “ti hanno educato perché tu la pensassi esattamente così!”
“Credo sia troppo tardi per fare appello alla nostra educazione, ora.”
Loki scosse la testa sconvolto, “tu… Tu non lo vuoi davvero… Stai solo cercando un modo perché io… Perché noi…”
“Pensi che te lo stia chiedendo per punirmi?”
“Sì!”
“Ti arrendi, quindi?”
“Cosa?”
Lo sguardo di Thor s’incupì appena, “Jӧrd mi ha conquistato!” Affermò, “Sif c’è quasi riuscita. Jane l’ha fatto in tre giorni. Tu non hai la forza di farlo nemmeno con tutto il desiderio represso che hai e le mie suppliche?”
Loki strinse i pugni con forza, “non ti permettere di paragonarmi alle tue puttane!”
L’espressione di Thor era terribile, “di cos’hai paura?”
“Io non ho paura!”
“Temi di non essere all’altezza, forse?”
“Stai zitto!”
Thor ebbe la netta sensazione che l’intera casa avesse tremato.
“Stai ben attento, Dio del Tuono!” Loki gli puntò un dito contro, “ho molta più fantasia di quella che immagini! Posso farti gridare il mio nome, fino a rendere i tuoi tuoni dei patetici echi di sottofondo!”
“Voglio proprio vedere se ci riesci…” Fu la replica di Thor.
A dispetto di quanto aveva appena dichiarato, Loki prese la via della porta e corse lungo il corridoio. Era quasi arrivato alle scale, quando si bloccò, strinse i pugni con forza, poi tornò sui suoi passi.
Thor era ancora lì, in piedi in fondo al letto. Se vi fosse sorpresa o trionfo nei suoi occhi, Loki non si diede il tempo di scoprirlo: lo prese per il bavero della felpa baciandolo violentemente e sbattendolo contro il muro per lo slancio.
Thor si animò della sua stessa rabbiosa passione. Cercò i pantaloni di Loki e riuscì ad alzargli la t-shirt quanto bastava per arrivare alla cintura, ma, dopo una serie d’inutili tentativi, grugnì frustrato. Loki interruppe il bacio per intervenire: una volta slacciata la cintura, il bottone e la lampo dei jeans neri vennero strappati via dalla stoffa. Thor ebbe il tempo di abbassarli di pochi centimetri, prima che Loki lo liberasse della felpa tirandogli i capelli nel processo. Disorientato, non poté opporsi quando Loki lo afferrò per le spalle e lo sbatté sul materasso.
L’azione subì una battuta d’arresto. Loki lo fissò dall’alto in basso, i jeans che pendevano pericolosamente sulle anche. Si chinò e, senza interrompere il contatto visivo, gli slacciò i pantaloni e glieli sfilò insieme ai boxer. Era ridicolo: si erano visti nudi in innumerevoli episodi che, di recente, non erano stati particolarmente innocenti, eppure Thor si ritrovò ad arrossire come un ragazzino alla sua prima esperienza. Non si era mai esposto così di fronte a nessuno.
Non era una questione di nudità fisica. Era qualcosa di ben diverso, molto più pericoloso. Non c’erano sfumature di grigio in quella circostanza: Thor poteva uscirne ottenendo tutto ciò che desiderava, oppure venire completamente distrutto durante l’intero processo.
Un dito tracciò il suo profilo. Aprì gli occhi ma non ricordava di averli chiusi: Loki era sopra di lui senza più nulla addosso.
“Stai tremando…” Commentò.
Thor forzò un sorriso, “ho paura…” Confessò. Udire tanta sincerità era un privilegio raro.
“Dopo tutto quello che è successo, hai ancora paura?” Domandò Loki chinandosi lentamente sopra di lui.
“Questo non è mai successo,” replicò Thor, cercando la mano di Loki vicino alla sua testa, gli strinse il polso.
“Ti fidi di me?” Loki sapeva che era una domanda idiota ma se Thor avesse risposto negativamente, sarebbe passato alla storia come il peggiore degli imbecilli.
“Ti amo,” rispose ingenuamente.
Loki gli rivolse un sorriso triste, prima di baciarlo, “sei uno stupido,” commentò, “sei sempre stato uno stupido, Thor.”
Nell’udire suo fratello pronunciare il suo nome, Thor si sentì morire di una morte dolcissima.
Inizialmente, non fu nulla di diverso da quanto avevano già sperimentato. Si baciarono. Si accarezzarono. Temporeggiavano. Aspettavano che il desiderio dicesse loro cosa fare.
Non dissero una parola per tutto il tempo: sarebbe stato superfluo. Thor continuava a tremare, sebbene quasi impercettibilmente. Loki non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.
C’era qualcosa di più bello del potente Thor così arrendevole sotto di lui? C’era qualcosa di più peccaminoso della mano del principe oscuro che scivolava lentamente su quel corpo perfetto compromettendolo irrimediabilmente?
Si sarebbe mai sentito tanto potente su un qualunque trono?
Avrebbe mai trovato un tale equilibrio tra calma e caos tra le braccia di qualcun altro?
Si sforzò di memorizzare ogni dettaglio del viso di Thor, anche il minimo cambiamento era un capolavoro agli occhi di Loki. Non era mai stato così bello. Mai. Nemmeno nel delirio della battaglia a cui apparteneva per natura. Sì, Odino poteva anche aver fatto di Thor il principe dorato ma solo sotto di lui, la leggenda vivente, l’eroe, il semi-dio raggiungeva la perfezione.
Ad un certo punto, Thor lo bloccò: gli afferrò una mano con forza, lo guardò intensamente. E Loki avrebbe tanto voluto fuggire da quello sguardo, perché era pregno di devozione, di dolcezza, d’emozioni che non erano mai state per lui e, ora che le poteva assaggiarle, temeva di morire se ne fosse stato privato.
Debolezza. Debolezza imperdonabile.
Poi Thor sorrise e una lacrima, una sola, gli solcò la guancia. C’era gioia in quelle iridi blu. C’era tristezza. C’era amore.
“Non tradirmi…” Mormorò.
Perché nell’amore gioia e tristezza convivono in una perfezione che solo l’incontro di due opposti può creare.
Caos.
“Non tradirmi, Loki.”
Il principe oscuro non aveva espressione. Un bacio a fior di labbra fu la sua risposta.
Non tradirmi e sarò tuo per sempre.
Fuori cominciò a piovere.

[Vananheim, secoli fa.]

Loki lo trovò che cercava di bere un calice d’idromele nell’angolo più buio e più lontano dal falò attorno a cui i soldati festeggiavano la loro vittoria ubriacandosi e palpando, senza remore, alcune prostitute del posto.
Lo schiaffo lo svegliò dal suo torpore, prima ancora che riuscisse a guardare suo fratello in faccia.
“Come hai potuto?!” Loki aveva le lacrime agli occhi, “il suo cuore non era stato già abbastanza calpestato? Come hai potuto lasciarlo solo in quel modo?”
Odino non aveva bisogno di chiedere spiegazioni, sapeva benissimo a cosa si riferiva.
“Lasciami in pace, Loki!”
“Lasciarti in pace?” Domandò il giovane Jotun inseguendolo tra gli alberi scuri, lontano dai festeggiamenti, “lui ti ha chiesto di lasciarlo in pace un numero di volte che sarebbe impossibile contarle. L’hai voluto. Ti ha rifiutato. Hai fatto di tutto per averlo e, quando si è concesso a te, l’hai educatamente scansato da una parte!”
Odino sbuffò sonoramente, “voglio restare da solo.”
“Hai idea di cosa abbia significato per lui quel gesto?” Continuò Loki imperterrito, “si è messo nelle tue mani… Dopo tutto quello che ha subito, si è messo nelle tue mani!”
Il principe si passò una mano tra i capelli, “proprio per questo non ce l’ho fatta…” Mormorò imbarazzato, “era la cosa più bella che avessi mai visto ed era lì, tutta per me. Poi ho pensato a quei bambini. Ho pensato al fatto che lui non gli avrebbe mai voluti, senza amore. Gli ho chiesto se mi amava. Ha detto di non saper rispondere.”
Loki rimase un attimo in silenzio, poi rise. Rise disperatamente. “Quando… Quando smetterai di fare l’idiota?” Non era mai stato così irrispettoso nei confronti di suo fratello, “non ti sei minimamente curato di tutte le strazianti e fasulle dichiarazioni d’amore delle dame di corte che ti portavi a letto, ma ora non riesci a provare desiderio per Laufey perché ti ha dato una risposta sincera?”
“Non hai capito niente!” Sbottò il principe, “è tutto il contrario! Sono divorato dal desiderio per lui. Ne sono schiavo. Il suo schiavo! Io, Odino, principe di Asgard ed erede al trono, sono schiavo di una stupenda e pericolosa creatura che mi strappa il cuore con ogni bacio ma non mi permette di sfiorare il suo!”
“Sei completamente uscito di senno?” Loki si avvicinò e lo prese per il bavero della tunica, “come pensi che possa dire di amarti a cuor leggero, dopo che il compagno di tutta una vita l’ha ferito nel più spregevole dei modi?”
“Se mi faccio conquistare, mi distruggerà nello stesso modo…” Mormorò Odino con voce tremante, “ne ha il potere. Nessuno l’ha mai avuto. Non ho mai creduto possibile che potesse esistere una creatura in grado di vantarlo ma è successo e, sì, sono stato io a dare inizio a questo processo ma…”
“Brutto bastardo egoista e vigliacco!” Lo interruppe Loki spingendolo con violenza, “tu non avevi la minima idea di cosa fosse l’amore, quando dicevi di amarlo. Sì, eri sulla strada giusta ma era solo il desiderio a farti parlare. Ora, invece… Ora che ti sei fermato a conoscerlo. Ora che lui ti ha accettato. Ora che il vostro sentimento potrebbe divenire qualcosa di più maturo, di più vero, ti tiri indietro perché ti rendi conto che nell’amare si mette in gioco tutto. Anche la propria anima…”
Odino sospirò frustrato, “è successo qualcosa su quel campo di battaglia.”
“Lo so.”
“Ho sempre guardato Nàl come quella bellissima, oscura creatura che aveva bisogno di me per restare alla luce.”
“Sciocca vanità, Odino.”
“Su quel campo di battaglia mi ha salvato la vita,” ricordò il mantello verde, il modo in cui l’aveva superato a testa alta. Si appoggiò al tronco di un albero e si lasciò cadere a terra, prendendosi la testa tra le mani, “non potrò più guardarlo e vedere il mio piccolo Jotun da proteggere. Quella era solo un’illusione che avevo creato per me stesso. No, Laufey non ha bisogno di me. È nato per essere re. È come me. Non mi lascerebbe mai combattere le mie guerre da solo, rischierebbe di morire al mio fianco. Non gli permetterei mai di partorire i nostri figli lontano da me, condivideremmo ogni cosa.”
Loki s’inginocchiò di fronte al fratello, “ed è la cosa più bella a cui si possa aspirare nell’amare un’altra persona, Odino.”
“Sì, ma è terribile.”
“Tutte le grandi cose lo sono, perché vanno al di là della nostra possibilità di comprensione. Ci prendono, ci dominano e ci tengono in loro potere ma è solo la nostra paura che ci spinge a credere che questo sia solo un male. Non puoi rinunciare ad amare qualcuno per paura di soffrire. Hai idea di quanto Laufey abbia combattuto per capirlo, per permettersi d’impararlo un poco alla volta con te ed ora… Ora tu stai vanificando non solo i suoi sforzi ma anche i tuoi.”
Odino non rispose. La sua testa era in caos totale.
“Fratello,” disse dolcemente Loki prendendogli il viso tra le mani, “se quei bambini sono nel vostro destino, sono la benedizione più grande in cui qualsiasi uomo, immortale o meno, possa sperare. E quella benedizione nascerà da voi due e saranno una cosa tanto bella e potente da non poterla descrivere,” sospirò pesantemente, “il giorno in cui terrai quel piccolo Jotun tra le braccia, Odino. Il giorno in cui gli darai il mio nome, sarà il giorno in cui capirai che nulla… Nulla può più toccarti. E lo sai perché? Perché ci sarà tanta felicità in quel singolo momento, da darti tutto il coraggio necessario per affrontare qualsiasi brutta cosa che avverrà in seguito.”
Odino lo guardò come un bambino smarrito prendendo gli esili polsi nelle sue mani.
“Ma quel bambino…” Continuò Loki, “quel bambino può nascere solo con quei capelli neri e quegli occhi verdi e sappiamo bene entrambi chi sarà a donarglieli.”

[Midgard, oggi.]

Il sogno non era mai uguale ma era sempre lo stesso.
Non provava dolore, non più. Eppure, sapeva di esserne impazzito fino a pochi istanti prima.
Ma era diverso dal dolore che aveva provato fino a quel giorno: aveva accettato quel dolore… Lo aveva accettato come un benedizione, anche se l’aveva distrutto.
Gli parve di vedere ghiaccio intorno a sé, ma era talmente stordito da non esserne sicuro.
Il suo corpo era caldo, però. Non provava il minimo disagio, solo un’enorme stanchezza.
Una creatura strillava a gran voce ma non riusciva a vederla.
Un istinto che non conosceva lo spronò ad alzarsi ma non ci riuscì ed una mano gentile gli accarezzò i capelli.
“È tutto finito, tesoro,” mormorò una voce che conosceva bene, ma non ricordava a chi appartenesse, “sei stato bravissimo.”
Provò l’improvviso bisogno di piangere ed una paura inspiegabile, che nulla era in paragone a ciò che aveva provato fino ad ora, lo assalì con violenza.
“Thor…” Chiamò, perché sapeva che tutta quell’insopportabile tensione si sarebbe spezzata non appena suo fratello fosse spuntato dal nulla con una delle sue espressioni inebetite.
“Tonerà presto, piccolo, non temere.”
“Thor…” Singhiozzò, poi qualcosa gli venne appoggiato sul petto: era piccolo, caldo e singhiozzava appena muovendosi su di lui lentamente. Le sue mani si mossero automaticamente: una andò a reggere la testolina del neonato, la seconda si appoggiò sulla piccola schiena. Era così piccolo che con quel gesto riusciva quasi a coprirlo interamente.
“Sta benissimo,” lo rassicurò la voce accanto a lui, “è un piccolo Jotun sano e forte.”
Ma non aveva più orecchie per ascoltare. Qualcuno ricoprì il corpicino tremante con un drappo verde e si preoccupò di avvolgerglielo intorno meglio che poteva. Si stese su un fianco e sistemò il suo cucciolo contro il suo petto: i pugnetti erano chiusi, premuti sotto il piccolo mento. Le palpebre abbassate: il respiro sereno gli suggerì che doveva essersi addormentato, sfinito quanto lui dall’intero processo che lo aveva portato al mondo. Aveva i capelli neri… Tanti, morbidi capelli neri.
Gli assomigliava. Sì, poteva dirlo fin da subito accarezzando la perfetta pelle di neve, ma c’era qualcosa nel modo in cui imbronciava quella piccola bocca a cuore e arricciava  il naso che non gli apparteneva. Sapeva perfettamente che cosa gli ricordava, a chi appartenevano quelle espressioni.
Nessuno poteva avergliele insegnate, erano semplicemente una parte di lui.
Lo amò per questo, lo amò infinitamente, più di quanto si credeva capace.
“Ti ho aspettato tanto,” mormorò senza nemmeno rendersene conto, “ti ho aspettato per tutta la vita.”
“Benvenuto piccolo principe,” mormorò la voce gentile, mentre una mano tornava ad accarezzargli i capelli e due dita sfioravano la testolina corvina della sua creatura.
Il bambino si destò ed aprì due meravigliosi occhi scarlatti sul mondo. Loki assistette in silenzio allo spettacolo che quelle iridi offrirono nell’incontrare il suo sguardo tingendosi lentamente dello stesso verde intenso delle sue.

Si svegliò che era ancora notte o, forse, non si era mai addormentato del tutto.
Era steso su un fianco, il viso di Thor premuto contro il suo petto ed i capelli biondi che gli solleticavano il braccio al minimo movimento. L’altro era rimasto bloccato tra il cuscino e la guancia dell’amante.
“Amante…” Mormorò, Thor nemmeno si mosse. Era serena la sua espressione, dovevano essere dolci i suoi sogni.
Aveva distrutto il suo onore da uomo e guerriero.
Avevano consumato quanto di più peccaminoso si potesse condividere.
Eppure, Thor dormiva tranquillo tra le sue braccia, come se avessero semplicemente fatto l’amore. Loki, invece, non riusciva a placare il caos che infuriava dentro di lui.
Era sempre stato una persona razionale fino all’eccesso.
Quello che aveva provato non poteva avere una spiegazione di quel tipo.
Avere Thor arrendevole, tremante e teso, al contempo, sotto di lui, mentre si lasciava prendere come nessuno l’aveva mai preso, era stata un’esperienza totalizzante. I loro occhi non si erano mai lasciati, nemmeno quando il respiro di Thor si era spezzato e Loki aveva seriamente temuto di perdere il controllo nel conoscere il suo calore.
Tutto doveva essersi consumato in pochi minuti, ma erano valsi una vita intera.
Il piacere della carne non era stato niente in confronto a quello degli occhi.
Thor che cercava la sua mano, Thor che s’inarcava sotto di lui, per lui, Thor che chiamava il suo nome, mentre timidamente gli veniva incontro. Se aveva provato vergogna, Loki non se ne era accorto.
Il viso di Thor nel culmine del piacere era quanto di più bello avesse mai visto in vita sua. Sapeva che non si sarebbe mai sentito tanto virile tra le cosce di una donna o di un altro giovane. Sentiva che non avrebbe mai raggiunto un appagamento simile nemmeno tra le braccia del più esperto degli amanti. Capì che qualunque esperienza avesse avuto dopo quella, se non fosse stata con Thor, sarebbe stata solo una brutta copia della notte in cui suo fratello gli aveva sacrificato la sua anima ed il suo onore, solo per pochi minuti di amore proibito.
Impiegò una forza minima per spingere Thor sul materasso e spostarsi sopra di lui.
Avvertendo la pressione, il principe dorato aprì gli occhi ma solo un istante, il tempo di riconoscerlo.
“Loki…” Mormorò stancamente accennando un sorriso.
Sì, Thor, sono qui.
Si mosse su di lui, ma Thor gli afferrò un braccio in un gesto istintivo, “lentamente…”
Sì, poi mi pregherai ancora… ancora… ancora…
E Loki non poteva ammettere a se stesso che, prendendolo di nuovo, era lui il primo a volerne ancora.

[Jotunheim, oggi.]

“Dove sei stato?”
Essere il piccolo della famiglia reale per Bỳleistr aveva sempre significato un sacco di cose: un addestramento militare più duro, contatti sociali piuttosto ristretti ed un fratello maggiore paranoico. Ma mai in vita sua si era trovato a fare i conti con suo padre per essere tornato tardi a casa. Non era un bambino da un pezzo! Non era affatto indifeso e, a differenza degli altri membri della sua famiglia, non aveva bisogno di ricorrere alla complicata arte della menzogna per poter ottenere qualcosa.
“Ero a caccia…” Non era una bugia, semplicemente non aveva cacciato.
“È buio da ore,” replicò Laufey seduto sul letto del secondogenito.
“Pensavo avessimo concluso che è Helblindi quello che rischia di farsi male,” commentò il secondo principe di Jotunheim con sarcasmo, “è già troppo che tu non gli abbia dato una guardia del corpo che lo aiutasse a salire le scale.”
“Non cercare di tirar fuori discussioni morte da tempo,” lo avvertì il padre con tono minaccioso.
“Oh, non sono poi così morte se siamo ancora qui a parlare della mia incolumità e di come sembra che io provi piacere nel metterla a rischio.”
“Sai bene in che situazione ci troviamo, esigo che…”
“Perché?” Domandò Bỳleistr estraendo quattro grandi conigli morti dalla sua sacca. Un regalo di Bàli. “In che situazione siamo esattamente?” Continuò sfilando il coltello dalla cintura e cominciando a prendersi cura delle sue prede, “morivamo di fame ad Utgard, come qui, se non ricordo male.”
Laufey si guardò bene dal replicare.
“Tu che m’insegnavi a cacciare. Io che lo facevo da solo di nascosto, perché i nostri alleati diminuivano di giorno in giorno, come il cibo e nessuno si preoccupava più di salvaguardare qualcuno al di fuori della propria famiglia. Come biasimarli…”
“Bỳleistr…”
“Questo era Utgard, padre, e, sebbene sorprenda me stesso nell’ammetterlo, non ci tornerei per nessuna ragione al mondo.”
Laufey scattò in piedi, “che stai dicendo?”
“Quello che ho detto!” Esclamò il giovane Jotun lasciando perdere il coniglio e voltandosi verso il genitore, “pensi che per noi fosse tutto ovattato e indistinto? Pensi che non sapessimo che ci procuravi il cibo personalmente per paura che qualche nobile ci avvelenasse per vendicarsi del fallimento totale che si era dimostrata la tua guerra di conquista? Pensi che non intuissimo il motivo per cui siamo cresciuti lontano possibile dalla corte circondati da persone, per lo più, appartenenti al popolo? Ci sono molti modi per far del male a dei bambini, non è vero? Come le proposte di matrimonio dei Vanir! I nobili insistevano che questo ci avrebbe risollevato ed avevano ragione!”
“E cederti a loro?” Domandò Laufey, “tu non hai idea di quello che dici, ti avrei ucciso, piuttosto che lasciarti tra le mani del figlio di Njord!”
“Lo sapevano anche loro, padre,” Bỳleistr annuì, “per questo i consiglieri insistettero tanto. Se avessi deciso di lasciarmi andare, ti avrebbero punito. Se non lo avessi fatto, avresti perso ancor più alleati. Ci hanno fatto del male per tutta la vita, non verserei una goccia di sangue per riprendermi quella città!”
Laufey si morse il labbro inferiore, poi riprese, “pensavo che odiassi vivere in questa forma.”
“Forse…” Ammise il giovane, “ma è un prezzo quasi ridicolo per poter vivere in un luogo in cui la gente, almeno, ti sorride per davvero e non in quel modo orrido e viscido in cui facevano i membri della corte che ora è di Thrym.”
“Bỳleistr, se non li sconfiggiamo…”
“Ci daranno per morti, prima o poi.”
“Thrym non è così ingenuo. Possiamo starcene buoni anche per secoli ma non rischierà che uno di voi due o qualcuno dei vostri figli lo cacci da Utgard! Sa bene che il popolo non aspetterebbe altro per ribellarsi a lui!”
Bỳleistr scosse la testa, “io non voglio nulla a che fare con quel trono…”
Laufey sospirò stancamente, “Bỳleistr, capisco che…”
“No, no, tu non capisci,” lo interruppe il principe, “che cosa mi aspetta lì, eh? Una vita da eterno secondo? Una in cui dovrò annullare me stesso nel ruolo di generale o aspettare che arrivi un’altra proposta da parte di qualcuno che non mi ama e non mi amerà mai. Come se ci fossero regni tanto disperati d’aver bisogno di stringere un’alleanza con noi, poi…”
L’espressione di Laufey s’indurì, “non offendere la tua famiglia!”
“Oh, no! Come potrei?” Bỳleistr rise istericamente, “la mia famiglia… Giurerò fedeltà ai figli di Helblindi, guardandomi bene dall’averne dei miei, questa sì che è una bella idea di famiglia.”
“Bỳleistr…” Laufey appoggiò una mano sulla spalla del figlio, “io pensavo che volessi… Pensavo che sognassi un esercito, che…”
“Oh, certo!” Il principe sorrise tristemente, “che altro potevo fare? Non avevo di meglio…”
Laufey rimase in silenzio per un po’, “perché?” Domandò sospettoso, “qui che cos’hai?”
Bỳleistr sgranò gli occhi nel rendersi conto di essersi tradito da solo. Tentò di voltarsi ma suo padre gli prese il mento tra le dita, “rispondi alla mia domanda!”
Il giovane si liberò dalla stretta del genitore ma non poté che allontanarsi di qualche metro. Si morse il labbro inferiore con forza.
“Bỳleistr, dimmi che non…”
“Io credo di amarlo!” Esclamò il principe, infine, “so solo che è la cosa più bella che ho avuto in vita mia e non ci rinuncerò per il trono di Helblindi! Non lo farò!”
“Che cosa hai fatto?” Domandò il re con un fil di voce.
“Nulla!”
“Che cosa hai fatto, Bỳleistr?!” Sbottò il sovrano.
Il principe sembrò intimorito per alcuni istanti, poi strinse i pugni e lo guardò come si guarda un proprio pari. Laufey sentì un brivido percorrergli la schiena: in quell’espressione rivide se stesso e, allora, seppe di essere sconfitto in partenza.
“Non temere, padre,” sibilò Bỳleistr, “non sono tanto idiota da mettermi a concepire bambini per le pianure, come una puttana qualunque!”
Il riferimento era tutto, meno che casuale.
Quella fu la prima volta che Bỳleistr venne schiaffeggiato da suo padre.

[Vananheim, secoli fa.]

C’era un laghetto ghiacciato poco distante dall’accampamento.
Nàl sapeva che nessuno vi ci sarebbe avventurato finché avesse continuato a nevicare e sapeva anche che presto Eir sarebbe venuta a controllarlo e avrebbe scoperto che aveva disubbidito all’ordine alzandosi dal letto.
Il seguito era prevedibile, ma non intendeva rinunciare a quella piccola parentesi di pace.
Non voleva pensare. Se lo avesse fatto, sarebbe finito col strapparsi un altro pezzo d’anima e credeva di averla ridotta a brandelli un po’ troppo per una sola vita. Si tolse il mantello verde e la tunica da notte gustandosi la familiare sensazione delle mani del gelido inverno che gli accarezzavano la pelle nuda. Appoggiò un piede sulla sponda ricoperta di neve del laghetto, il ghiaccio che ne ricopriva la superficie si dissolse, letteralmente.
Nàl immerse le dita nell’acqua gelida e la superficie solida intorno divenne liquida, come se fosse stata baciata dal calore dell’estate. Non era propriamente così: il ghiaccio non si era sciolto, si era solo ritratto seguendo un ordine che solo uno Jotun poteva impartire.
S’immerse lentamente, lasciando dietro di sé un corridoio d’acqua circondato dal ghiaccio. Quando arrivò a bagnarsi la linea dei fianchi si fermò e s’inginocchiò.
Ricordò Loki insistere sul fatto che l’acqua calda gli avrebbe permesso di abituarsi prima alle temperature di Asgard.
Asgard… Il regno che era stato la sua casa durante l’ultimo anno.
Quello era un modo per rifiutare tutto quello che era accaduto in quei mesi.
Lasciandosi abbracciare dal gelo di quel mondo, Nàl voleva simbolicamente ritornare al grembo dell’eterno inverno in cui era venuto al mondo e da cui era fuggito. Perché, nonostante per qualche, fugace istante ci avesse creduto, non esisteva alcun calore per lui.
Solo l’illusione che esso poteva lasciare nello sfiorare per sbaglio la pelle di una creatura di ghiaccio e oscurità. Si strinse tra le braccia e chiuse gli occhi.
Pensò a Loki.
Pensò che, se il calore di Odino fosse stato abbastanza intenso da raggiungere il suo cuore congelato, ora sarebbero state le sue braccia forti a cingerlo.
Poi, pensò di nuovo a quel bambino e quanto dolce e totalizzante era stata la felicità che aveva provato nei suoi sogni nel sentirlo dentro di sé, nel tenerlo tra le braccia, nel guardarlo negli occhi solo per scoprire che erano i suoi.
E sia…
Suo padre che tagliava la gola di suo figlio appena nato. Era forse un avvertimento?
Siamo dei mostri, papà?
“Laufey…”
Aprì gli occhi, si voltò e, sebbene non potesse guardarsi, sapeva che le sue iridi si erano tinte di scarlatto.
“Che cosa stai facendo?” Domandò il principe dorato con un’espressione idiota stampata in faccia.
“Sto cercando di lavar via tutto il calore che mi hai lasciato addosso,” fu la risposta velenosa, “mi fa schifo…”
Odino guardò i vestiti ripiegati con cura sulla neve, come se non riuscisse a comprendere nulla di ciò che aveva davanti agli occhi, nemmeno le cose più semplici.
“Hai…” Tentò di dire, “hai appena avuto la febbre.”
“E pensi che sia stato il freddo?” Domandò sarcastico lo Jotun, “pensavo che conoscessi il mio nome, principe di Asgard.”
Odino sbuffò, poi raccolse da terra il pesante mantello verde. Quando realizzò che era madido per via della neve, lo lasciò cadere e si tolse quello scarlatto che portava sulle spalle.
“Per favore,” lo pregò, avvicinandosi alla riva del laghetto e porgendogli una mano, “vieni qui. Andiamo al caldo, dobbiamo parlare.”
“Io non ho niente da dirti, Odino.”
“Vorrà dire che ascolterai, mentre parlo io!” Esclamò il principe gettando il proprio mantello a terra, seguito dai pettorali e dalla tunica.
“Che cosa stai facendo, ora?” Domandò Nàl osservandolo mentre affondava gli stivali nell’acqua gelida e si avvicinava a grandi falcate.
“Discutere con te è una guerra persa!” Esclamò il principe mordendosi il labbro inferiore per non far tremare la voce: dire che l’acqua era gelida non avrebbe reso giustizia alla realtà. “Vengo a prenderti, risparmio tempo! Se c’è una cosa che ho imparato da tutta questa storia è che non c’è nessun avvertimento, prima della fine. Non capisci quando arriva la tua ora, arriva e basta.”
“E sei arrivato a questa brillante conclusione tutto da solo?” Domandò acido il giovane Jotun, prima che l’altro lo afferrasse per le spalle e lo sollevasse in piedi.
Si guardarono negli occhi per un lungo momento di silenzio: Odino tremava come un pulcino ma non sembrava sul punto di cedere tanto in fretta, Nàl lo sfidava passivamente attendendo la sua prossima mossa.
“Ho capito anche un’altra cosa,” aggiunse il principe dorato con tono solenne, “che preferisco passare questa notte con te e morire domani, piuttosto che vivere una lunga vita senza mai averti amato come vorrei, almeno una volta.”
Gli occhi verdi divennero grandi e vivi di colpo, “sei sincero…”
Era un bugiardo, Nàl, un attore, un illusionista ma non vide inganno negli occhi blu del principe di Asgard.
Odino sorrise e gli baciò le mani in un gesto gentile, “sono tuo,” confessò infine, “non è facile ammetterlo, ma sono tuo. Sono io a mettermi nelle tue mani, ora.”
Nàl non seppe cosa dire per un bel po’. Come poteva replicare ad una cosa del genere? Era qualcosa di sconosciuto, di spaventoso… Di devastante.
“Stai congelando,” disse infine, posando una mano sulla guancia gelida dell’altro, “andiamo, non qui.”
Non arrivarono molto lontano.
Appena uscito dall’acqua, Nàl si voltò mostrandosi ad Odino in tutta la sua bellezza: la luce della luna era come un sole riflessa nei suoi occhi, il suo corpo era perfetto, surreale e la neve che li circondava non faceva che riportarlo al loro primo incontro, un anno prima.
Strappò la pelliccia dal mantello e la gettò sulla neve. Vi adagiò Nàl con cura e si godette il piacevole contrasto della sua pelle candida contro il manto scuro sotto di lui. Gli occhi verdi sembravano liquidi.
Odino si chinò su di lui lentamente, attento a qualsiasi possibile segno di rifiuto.
Il drappo rosso scivolò su di lui guidato dalle mani di uno dei due. Chi non era importante.
Nàl allungò un braccio verso l’esterno stringendo il pugno sulla neve fresca. Un gesto istintivo che aveva ripetuto molte volte negli anni, mentre Fàrbauti lo prendeva come ci si aspettava che un giovane guerriero prendesse il proprio compagno.
Strinse gli occhi, poi Odino gli afferrò il polso e si portò la mano ricoperta di neve alle labbra. La scaldò con il suo respiro, poi intrecciò le loro dita e la spinse dolcemente contro la pelliccia accanto al viso del giovane Jotun.
“Sei mio…” Mormorò Nàl.
Odino annuì.
“Allora prendimi come un compagno, come se fossi tuo, come se non dovessi essere di nessun altro.”
Odino esitò, “se ti faccio male…”
“Male?” Nàl sorrise tristemente, “potrà mai fare più male di tutto il resto?”
Odino non era del tutto convinto ma il desiderio era troppo grande e Nàl troppo bello e la vita troppo sfuggevole per poter esitare ancora.
Nàl guardò le stelle, mentre una lacrima scivolava dall’angolo dell’occhio sinistro. Non seppe mai dire se fu per il dolore iniziale o per il modo in cui Odino gli baciò la guancia mormorando: “perdonami…”
Rimase a guardare la neve cadere su di loro, fino a che le sensazioni non divennero piacere e, infine, perse completamente il contatto con la realtà, quando quest’ultimo divenne caos permettendo quell’assurdo processo che portò due creature distinte e, per molti versi, opposte a divenire un tutto perfetto, sebbene solo per pochi, irripetibili istanti.
La neve continuò a cadere.

[Midgard, oggi.]

Fu il pianto di un neonato a svegliarlo ma impiegò una manciata di secondi, prima di capire di che cosa si trattasse. “Shhh... Va tutto bene,” mormorò dolcemente una voce che assomigliava a quella di Loki, “siamo qui, non hai nulla di cui aver paura.”
Si rigirò tra le lenzuola per cercare quei magnifici occhi verdi. Li trovò ma non sul viso su cui se gli aspettava. Il neonato era tranquillo, ora. La piccola bocca allacciata al petto glabro dalla pelle color latte che si alzava e abbassava lentamente al ritmo di un respiro sereno.
Loki aveva occhi solo per quella creatura accoccolata tra le sue braccia ed il sorriso che gli rivolgeva era qualcosa senza paragone. Il piccolo alzò una manina tentativamente, senza smettere di nutrirsi. Loki la prese tra le dita e la baciò con devozione, come se fosse la mano di un grande re.
Probabilmente, un giorno, sarebbe stato l’unico di fronte a cui il principe oscuro si sarebbe inginocchiato ben volentieri.

Thor si svegliò di soprassalto, dopo aver percepito che non c’era nessuno accanto a lui su quel letto.
Fuori pioveva ancora: aveva la netta sensazione che fosse colpa sua ma non se ne curò.
Prese a guardarsi intorno col terrore riflesso negli occhi. C’era solo silenzio intorno a lui.
“Loki…” Chiamò con voce tremante. Nessuno gli rispose.
“Loki!” Urlò.
Ancora silenzio.
No, no, no! Non può essere vero! No!
Si alzò dal letto di colpo afferrando al volo gli unici pantaloni rimasti sul pavimento: dopo una breve ispezione, si rese conto che a terra vi erano solo i suoi vestiti.
No! Ti prego, no!
Era rimasto accanto a lui tutta la notte! Se avesse voluto andarsene l’avrebbe fatto subito, no? Perché aspettare? Perché rischiare che Thor opponesse resistenza con tutte le conseguenze del caso?
Perché mi hai svegliato per fare l’amore, allora?
“Loki!” Arrivò fino alle scale e guardò di sotto. Il salotto era vuoto e non proveniva alcun rumore dalla cucina.
Il respiro cominciò a bloccarglisi in gola facendogli lacrimare gli occhi.
Non l’hai fatto. Non puoi averlo fatto! No, ti prego, no!
Thor aveva saputo che c’era il rischio che accadesse, quando aveva deciso di concedere a Loki il dono più intimo che possedeva. Sapeva che mettendo il suo cuore in mano a Loki gli aveva affidato molto più della sua vita… La sua anima.
Aveva calcolato i rischi.
Loki avrebbe potuto violarlo senza rispetto, ma non l’aveva fatto.
Loki avrebbe potuto dargli piacere solo per umiliarlo, ma non aveva fatto nemmeno questo.
Loki era stato insicuro, timido… Dolcissimo.
Vedere Loki scoprire il piacere attraverso di lui. Sentirlo divenire uomo dentro di sé… Non c’erano parole per descrivere un’esperienza simile.
“Thor…”
Si era messo a piangere senza nemmeno rendersene conto. Loki era sulla porta della loro camera, un asciugamano intorno alla vita, i capelli neri umidi pettinati all’indietro.
“Che cosa ti prende adesso?”
Il principe dorato rimase immobile per una manciata di secondi stringendo con forza il corrimano delle scale, poi si sedette sull’ultimo gradino della rampa appoggiando una spalla contro il muro e lasciando la testa ciondolare davanti, come se fosse troppo stanco per sorreggerla.
Sentì una serie di rumori indistinti dietro di lui, poi vide Loki comparire di fronte a sé: si era infilato i jeans anche lui.
“Che ti prende?” Chiese tra il confuso e l’irritato. Thor lo guardò con l’espressione dura e le lacrime agli occhi, gli afferrò un polso. Da principio, fu un contatto gentile. Pochi secondi e Loki si ritrovò con la nuca premuta contro l’angolo di un gradino, mentre Thor lo comprimeva sulle scale con il peso del proprio corpo.
“Non puoi farmi questo!” Urlò isterico. In una vita insieme, Loki non l’aveva mai visto così fuori di sé.
“Non puoi farmi risvegliare in un letto vuoto, hai capito?!” Continuò Thor prendendogli la testa tra le mani. Per un istante, Loki pensò che volesse fracassargliela.
“Non puoi sparire e ricomparire quando vuoi! Non te lo permetto!”
Il principe oscuro sapeva bene che era inutile ragionare con l’incarnazione della rabbia più cieca, quindi rimase in silenzio cercando di liberarsi.
“Sono stufo d’inseguirti! Sono stanco di chiudere gli occhi con la paura di risvegliarmi senza trovarti! Che cos’altro vuoi?” Singhiozzava a questo punto, “che cos’altro devo darti per farti restare?”
Non c’è niente che tu possa darmi per convincermi a restare.
Pensò Loki.
Ma c’è qualcosa che può prolungare il nostro tempo insieme, se ti fa piacere.
Si ritrovarono sul pavimento del corridoio senza neanche rendersene conto, le posizioni invertire.
Loki prese a strattonare i jeans di Thor senza curarsi di slacciarli. Intuite le sue intenzioni, il maggiore assecondò i suoi movimento, facendo lo stesso con i pantaloni dell’amante.
Non fu dolce, quella volta. No, ma fu dannatamente bello comunque.
E fuori continuò a piovere.

[Vananheim, oggi.]

Odino non respirava più… Letteralmente.
Eir scosse la testa aggiungendo ancora un ingrediente alla sua pozione curativa, “io, davvero, non riesco a commentare.”
“Allora non farlo…” Sibilò Odino combattendo l’ennesima colata di muco.
“Ti sei addormentato in mezzo alla neve, quasi nudo e con i pantaloni bagnati! Spero che fossi abbastanza ubriaco da poterti giustificare!” Esclamò la curatrice porgendo al principe un bicchiere ripieno di qualcosa che emetteva un odore terribile, “nel caso tu stessi cercando di provarlo a te stesso, a te non è arrivato nulla dell’eredità Jotun di tua madre.”
“Questa era pessima…” Commentò Odino prendendo un sorso della pozione e facendo un’espressione disgustata il secondo dopo.
“Non mi sembra proprio il caso di fare quella faccia.”
“Poco male, non ho tempo da perdere!” Odino ingurgitò l’intruglio in una solo sorsata, poi tirò su col naso energicamente e si alzò in piedi, “devo tornare da Nàl.”
“Che, per inciso, questa notte non era nel suo letto,” disse Eir lanciandogli un’occhiata casuale, “Loki mi sta aiutando con i feriti nel a bordo del campo. Devo fargli sapere che devi dirgli qualcosa?”
Ah! Le donne e la loro paurosa capacità d’intuizione!
“No,” rispose Odino prendendo la strada per la sua tenda, “ma puoi dire che non voglio essere disturbato.”

Nàl aveva evitato lo specchio da quando Odino lo aveva riaccompagnato alla tenda dicendo che sarebbe stato da lui il più velocemente possibile. Non era poi così difficile guarire un raffreddore, ma il giovane Aesir aveva insistito perché il suo compagno approfittasse della sua assenza per riposare un po’.
Nàl non aveva avuto il coraggio di dire che non sarebbe riuscito nemmeno a rilassarsi da solo.
Aveva attraversato lo spazio all’interno della tenda almeno una decina di volte, quando la sensazione di umido che sentiva tra le gambe scese sull’interno coscia. Si voltò verso la superficie riflettente che gli restituì il suo stesso sguardo smarrito.
Sono cambiato?
No, non lo era, gli rispose lo specchio. Eppure, sapeva per certo che non era più lo stesso, che si era appena verificato uno di quegli eventi senza ritorno. Prese tra le mani l’orlo della tunica da notte: era ancora bagnata a causa della neve ma non aveva freddo. Non poteva averne.
Sfiorò la pelle bagnata con la punta delle dita e, quando le sollevò di fronte al suo viso, si accorse che i polpastrelli erano sporchi di sangue e sperma.
Avrebbe voluto sentirsi disgustato.
Non ci riuscì.
“Laufey?”
Gli occhi di Odino erano un mare in tempesta quando li incontrò. Il principe non sapeva se guardare lui o la sua mano macchiata del loro peccato. Peccato, quella parola faceva sussultare il cuore del principe di Jotunheim di una gioia oscura.
Solo allora si accorse che l’erede al trono di Asgard reggeva tra le mani una catino ricolmo d’acqua.
Non si dissero una parola: era calato un muro invisibile tra loro col sorgere del sole, nessuno dei due sembrava dispiacersene.
Si cresce insieme, si matura da soli.
Il catino venne appoggiato accanto al fuoco acceso.
Una volta avvicinatosi, Odino sfilò la tunica dal corpo di Nàl con estrema gentilezza. Il giovane Jotun lo assecondò, senza obbiettare in alcun modo, poi aiutò l’amante a disfarsi dei suoi vestiti.
Pochi istanti dopo, Nàl si ritrovò con un panno bagnato in mano ad accarezzare il petto del principe, poi le braccia, poi la schiena. Odino fece lo stesso con lui.
“Sei eccitato…” Commentò casualmente il principe di Jotunheim abbassando lo sguardo.
Odino non seppe come rispondere, così scrollò le spalle e alzò la mano per portare il panno bagnato sul collo dell’altro. Nàl lo fermò gentilmente guardandolo dritto negli occhi.
Da principio, Odino non capì il motivo di quel gesto.
Quando Nàl lo baciò sulle labbra, il panno gli cadde di mano e si lasciò condurre verso il letto.

“Non ne abbiamo ancora parlato…” Mormorò Odino fissando il soffitto della tenda.
Nàl sorrise giocando con i capelli biondi del principe che era steso in obliquo tra le lenzuola, con la nuca appoggiata contro il suo grembo, “di che cosa dovremmo parlare?”
Odino girò il viso per guardarlo, “abbiamo fatto l’amore due volte in meno di dieci ore e non posso ancora definirmi sazio.”
Nàl roteò gli occhi, “dov’è finita l’insopportabile solennità di ieri notte?”
“Ero sincero…”
“Lo so, l’ho sentito.”
Odino gli posò un bacio appena sotto le costole, “nessuno ti ha mai avuto in questo modo, prima di me.”
Nàl si astenne dal rispondere.
“Ho visto il sangue,” aggiunse il principe, “ma penso di averlo capito ieri notte, mentre entravo dentro di te”. Il giovane Jotun guardò il soffitto per un’istante, “non hai visto l’espressione che hai fatto…”
“Non me l’aspettavo,” si giustificò il principe, “credevo che…”
Nàl gli passò l’indice sulle labbra gentilmente, “non gli avrei mai permesso di prendermi in quel modo, anche se mio padre insisteva perché io cedessi.”
Odino rimase in silenzio.
“Mio padre voleva a tutti i costi assicurarsi che il suo sangue continuasse ad avere un seguito sul trono di Jotunheim attraverso i miei figli. Io sapevo di non essere obbligato ad averli, prima della mia incoronazione… Fàrbauti non mi ha mai fatto pressioni in merito, penso sapesse che non li volevo.”
“Dei figli?”
Nàl annuì, “ero consapevole che prima o poi sarebbe arrivato il momento, ma, una parte di me, ha sempre sperato che non dovesse mai succedere. Continuavo ad immaginarlo uguale a me, mio figlio ed impazzivo all’idea che potesse subire il mio stesso destino.”
Odino gli afferrò una mano e gli baciò un palmo, “forse ho sbagliato qualcosa, forse…”
Nàl scosse immediatamente la testa, “non hai fatto nulla di sbagliato.”
“Avrei dovuto essere più cauto, andare per gradi, magari.”
“Ti ho chiesto di prendermi come il tuo compagno,” gli ricordò il principe di Jotunheim, “non era un ordine che si potesse fraintendere.”
Odino sembrò rifletterci ed annuì, “ma… se adesso tu… noi…?”
“Cosa?”
Il giovane Aesir si morse il labbro inferiore arrossendo, “sono venuto dentro di te…” Mormorò. “Due volte.”
Nàl sorrise passando una mano tra i capelli biondi dell’amante, “pensavo che avessimo deciso di lasciar fare al destino.”
“Vuoi i miei figli?” Domandò Odino con espressione estatica.
“Io voglio Loki,” rispose Nàl in totale sincerità, “voglio sentirlo dentro di me, voglio tenerlo in braccio… Voglio… Lo voglio. Sì, lo voglio e so che è tuo e…”
“Parlamene,” chiese Odino con aria sognante, “non mi hai mai detto con esattezza cosa sogni. Com’è, quando lo vedi?”
Nàl ci pensò, perché non aveva parole più precise per descrivere quella creatura proibita quanto meravigliosa. Pensò a quel bambino dal sangue perfettamente diviso a metà tra Jotun ed Aesir.
Tutto e niente.
“È caos…”
Luce e oscurità.
“È perfetto.”
La sintesi di due perfetti opposti.

 

 

[Midgard, oggi.]

“Non sono mai stato con Jane…”
Loki aveva la testa appoggiata sulle gambe di Thor. Era stato l’altro a spingerlo in quella posizione, Loki aveva semplicemente accettato, mentre le mani di Thor s’intrufolavano lentamente tra i suoi capelli e lui fissava qualunque angolo del corridoio per non essere costretto a guardarlo negli occhi.
“Sono andato da lei, abbiamo parlato ma… Non ci sono riuscito.”
Loki continuava a tacere fissando il vuoto.
“Ti ho mentito, perché sapevo che solo attraverso la rabbia sarei riuscito a tocarti.”
Loki aspetto qualche istante, poi si alzò in piedi prendendo la via delle scale.
Thor lo seguì, fino a toccare il corrimano, “Loki?”
L’altro era già a metà rampa, quando si voltò a guardarlo, “hai dello sperma sull’interno coscia…”
Thor arrossì come un ragazzino, ma decise d’insistere, “hai capito cosa ho detto? Non ho mai toccato Jane… Sei la prima persona che sfioro dal giorno della mia fallita incoronazione.”
Scese ancora un paio di gradini, la luce del giorno che entrava dalle finestre del salotto lo investì e qualcosa cambiò nell’espressione di Loki.
“Sei arrabbiato perché ti ho mentito?”
L’altro scosse appena la testa ma non lo stava nemmeno ascoltando, qualcosa aveva attirato la sua attenzione in modo doloroso. Qualcosa che, nel corridoio semibuio a causa delle nuvole che oscuravano il sole, non aveva notato.
“Loki?” Chiamò Thor improvvisamente confuso, “cos’hai?”
Gli occhi smeraldini erano fissi sul suo braccio, l’altro abbassò lo sguardo per capire quale fosse il problema. Solo allora se ne accorse: c’erano cinque segni bluastri sul suo avambraccio sinistro, come cinque dita di una mano. Sembravano lividi ma non lo erano e ve ne erano anche sul suo polso destro, sul fianco e sulla coscia sinistra.
“Sono…”
“Ustioni,” finì Loki in un mormorio, “ustioni da ghiaccio.”
Rimasero un secondo immobili, poi  Loki riprese a scendere velocemente le scale.
“Loki! Loki, fermati!” Esclamò Thor correndogli dietro, “succede a chiunque! Succede anche a me, guarda fuori!”
Loki si fermò davanti alle grande finestre del salotto, “sì…” Disse voltandosi verso il fratello, “tu fai piovere ed io non posso nemmeno toccarti senza che il mostro prenda il sopravvento.”
“Ma che cosa stai dicendo?!” Esclamò Thor, “sono superficiali, prima di stanotte saranno scomparse da sole!”
Loki fece un gesto irritato con la mano e si voltò verso il paesaggio uggioso.
“Loki…” Thor sorrise, “è stata l’esperienza più bella di tutta la mia vita e non lo dico tanto per dire. Non mi sono nemmeno reso conto di…”
“Non accadrà più…”
Thor gelò, “cosa?”
Loki lo guardò, “se sei tu a scatenare il mostro, allora sarà bene che non ti lasci toccare da me.”
Thor sorrise istericamente, “non pensare che me ne vada.”
“Posso costringerti,” Loki ghignò.
“Perché impegnarsi tanto? Hai paura che avendomi intorno, prima o poi cederai alla tentazione?”
“Vedi di frenare la lingua, principe dorato…”
“Oh, adesso sei tornato al non chiamarmi più per nome.”
“Vatti a vestire e sparisci dalla mia vista.”
“Spiacente, ne voglio ancora,” ammise Thor con una voce che fece venire a Loki i brividi caldi, “e so che lo vuoi anche tu…”

Un paio d’ore dopo, Loki guardò la ragnatela di gocce sul vetro delle finestre e decise che quei comuni mortali avrebbero anche potuto sopportare il brutto tempo, fino all’insorgere di un’inondazione.
Thor aveva la guancia appoggiata contro il suo petto e fissava il fuoco scoppiettare nel camino.
“Arriverà il giorno in cui l’insaziabile passione si accenderà di nuovo,” commentò Loki continuando a guardare la pioggia cadere, “tornerai a desiderare il corpo di una donna ed allora ti farò pentire di ogni cosa.”
Doveva essere una minaccia ma Thor alzò lo sguardo e gli sorrise, “se potessi fare l’amore con te stesso, sapresti che quel che hai appena detto è solo una sciocchezza.”
“Allora, forse un giorno sarò io a desiderare una donna.”
Lo sguardo di Thor si oscurò improvvisamente.
“Non pretendi mica che mi fermi al mio primo amante?”
Thor non rispose, riadagiando la guancia contro il suo petto. Il cuore di Loki batteva sotto il suo orecchio e Thor non poteva fare a meno di pensare: mio, mio, mio. Era sempre stato un tipo possessivo, ma i suoi desideri non erano mai durati abbastanza da renderlo geloso.
Ora, sapeva che sarebbe impazzito, se qualcun altro avesse toccato Loki. Impazzito, letteralmente.
Ora sai come ci si sente, pensò il principe oscuro fissando gli alberi oltre le alte vetrate. Un fulmine illuminò il paesaggio scuro e Loki sobbalzò tirandosi a sedere di colpo.
“Cosa c’è?” Domandò Thor allarmato.
Loki tornò a guardare le sagome scure della foresta che circondava la casa, “niente…” Mormorò, “pensavo di aver visto qualcuno.”
Thor non sembrò preoccuparsene: aveva altro per la testa. Si chinò e posò un bacio sul collo di Loki.
L’altro lo guardò e sorrise malizioso, “se fossi nato femmina, saresti diventato una Valchiria, probabilmente,” disse stendendosi sul tappeto e portando Thor a cavalcioni sopra di sé, “fammi vedere se avresti saputo cavalcare a dovere i tuoi amanti.”
E la pioggia continuava a cadere.

 

 

***

non sono state eseguite censure

Varie ed eventuali note:

Forse dovrei smetterla di farmi un tabella di marcia dato che, se non il caldo, a distruggermela ci pensano gli spoiler per The Dark World. Non introduco nemmeno l'argomento o potrei finire per scriverci sopra un trattato che non interessa a nessuno.
Veniamo al capitolo.
Ci sono voluti 14 capitoli ed un Prologo ma, alla fine, ce l'abbiamo fatta! Casualmente, qui sta piovendo per l'occasione... 
Mi sento obbligata a spendere due parole per quanto riguarda l'evoluzione psico-sessuale del ThunderFrost. Spero che le fan della coppia non siano scappate a gambe levate (gente! Non pensate male, sono una di voi anche io!). So bene che il il pubblico è abituato ad un altro genere di approccio per quanto riguarda Thor e Loki ma, come forse si è capito, questa storia non tiene particolarmente conto dei luoghi comuni, preferisce reinterpretarli in luce un tantino più complessa e vi è molta psicologia dietro alla scelta di mettere Loki alla guida in queste prime scene pseudo-erotiche e spero che ne sia uscita una cosa comunque gradita (personalmente ho un debole per Loki al comando, probabilmente si è notato).
Qui sono comparsi due o tre nomi nuovi che non sto qui ad elencare perchè saranno protagonisti del prossimo capitolo ed allora avrò modo di presentarli come si deve. Se escludiamo le varie introspezioni, in questo capitolo non succede assolutamente niente... Chiedo perdono, ma i grandi sviluppi riprenderanno immediatamente. Diciamo che buttare l'elemento erotico in mezzo ai protagonisti in un paio di scene non mi lasciava esprimere ciò che, di fondo, volevo che passasse al pubblico... Così ne son venute fuori 21 pagine di roba circa.
Spero che il risultato sia apprezzabile e sia valso il tempo di attesa (mai breve come io vorrei...).
Altre due cose...
Jane! Spero di non aver deluso nessuno nel non farla comparire ma ci terrei a sottolineare che non è per pigrizia o altro, semplicemente è utile che il suo incontro con Thor sia avvenuto a "porte chiuse". Non è mia intenzione accantonare nè lei, nè la questione del suo episodio con Thor ma non restate col fiato sospeso, perchè avrà un ruolo più importante solo nella seconda parte di questa storia.
Ultimo... Ma non ultimo... Penso che tutti abbiate notato l'evoluzione che hanno subito i sogni dei due disastrosi pargoli... Mi avvalgo del diritto a rimanere in silenzio da qui in poi, a voi le ipotesi!
Grazie per aver letto.

Alla prossima!

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Capitolo 16
*** Regina ***


XV
Regina 

[Vananheim, secoli fa.]
Si svegliò con addosso una strana debolezza.
“Buongiorno…” Mormorò una voce accanto a lui, prima che due labbra calde si posassero sulla sua bocca, “ho beccato Eir che veniva a portarti la colazione. L’ho fermata in tempo.”
Nàl si stiracchiò stancamente, poi aprì gli occhi per incontrare quelli blu del suo amante.
“Buongiorno,” ripeté Odino addentando una fetta di dolce in modo decisamente sgraziato, “hai fame?”
No, gli veniva da vomitare.
Tentò di mettersi seduto ma un capogiro gli impedì di riuscirci. Gli era difficile tenere gli occhi aperti, a dire il vero. Sentì che il vassoio veniva allontanato dal letto.
“Ehi, se vuoi riposare ancora, fallo,” disse gentilmente Odino stendendosi accanto a lui, “potrei restare a guardarti dormire tutto il giorno.”
Nàl avrebbe voluto rispondere con qualche frasetta sarcastica, ma aveva paura che, se avesse aperto la bocca, non sarebbero state solo le parole ad uscire fuori.
“Nàl…”
Fece un respiro profondo. Dalla voce di Odino doveva avere un aspetto orribile.
“Laufey?”
Sì, aveva decisamente un aspetto orribile, se lo chiamava col suo vero nome. Sentì le labbra di lui sulla sua fronte e si aggrappò alla sue braccia, come se stesse per annegare. “Ma tu scotti!” Esclamò spaventato il principe di Asgard, “vado a chiamare Eir!”
“No… Solo che…” Obbiettò il giovane Jotun debolmente, infilando la mancina sotto le coperte.
“Nàl, non stai bene!” Esclamò Odino, “devo trovare qualcuno che possa…” Si bloccò, il respiro gli morì in gola. Nàl aveva sollevato la mano sinistra davanti al suo viso: era sporca di sangue.
Odino scostò le coperte senza neanche pensarci. Per poco non si sentì mancare: un’enorme macchia scarlatta si espandeva sulla superficie immacolata del materasso.
“Ma che…?”
“Loki,” riuscì a dire Nàl con voce rotta, “cerca Loki.”
Odino non se lo fece ripetere due volte.
[Midgard, oggi.]
 
Loki si frizionò i capelli con l’asciugamano, poi se lo lasciò cadere sopra le spalle.
Gli occhi verdi fissi sugli alberi oltre il parapetto della balconata.
“Che cosa stai guardando?” Thor comparve alle sue spalle con solo un asciugamano stretto intorno alla vita, i capelli umidi gli ricadevano sulle spalle. 
Loki continuò a fissare la foresta appoggiando una spalla contro lo schienale della sdraio su cui era seduto, “mi sento come se qualcuno ci osservasse…” Commentò a voce basse, come se avesse paura che qualcun altro potesse udire.
Thor si avvicinò, “nostro padre?” Chiese ansioso.
“No…” Loki accennò un ghignetto, “ho imparato a schermarmi dallo sguardo di Heimdall molto tempo prima che tutta questa storia avesse inizio.”
Thor annuì e si sedette in fondo alla sdraio, “potrebbe trattarsi del tipo che entrava nei nostri sogni a casa?”
E Loki avrebbe voluto chiedere a chi si stava riferendo. Se ai due giovani che gli assomigliavano in modo inverosimile o se a Helblindi. Poi ricordò che Thor era consapevole dell’esistenza di un solo individuo, il primo, quello che gli aveva messo una piccola copia del suo fratellino tra le braccia ed ignorava quello che, una sola volta, era entrato nel suo sogno suggerendogli di arrivare al cuore di suo fratello con dolcezza per poi distruggerlo crudelmente. Come ignorava Helblindi.
Helblindi, che aveva giurato di conoscere verità sul principe oscuro che nemmeno Odino aveva avuto il coraggio di rivelargli, ma che si era lasciato travolgere da uno stupido desiderio carnale.
Non entrava più nei suoi sogni, Helblindi. Da quando Thor era tornato, erano altre immagini che dominavano il suo mondo onirico. Immagini di cui non capiva il significato.
“Ho un sogno ricorrente…” Disse Thor all’improvviso, “in realtà sono tanti sogni diversi ma, alla fine, mi mostrano sempre la stessa cosa.”
Loki lo guardò con la coda dell’occhio, “che cosa?”
“Un bambino,” rispose Thor con naturalezza, “un bambino con i tuoi occhi… Penso abbia anche i capelli neri, ma il dettaglio che rimane impresso nella mia mente sono sempre quelle iridi verdi.”
Loki scrollò di nuovo le spalle, “non è la prima volta che mi vedi neonato nei tuoi sogni. Eri troppo piccolo, quando sono arrivato, perché tu potessi conservare un ricordo nitido dell’evento ma… La nostra mente sa giocarci strani scherzi.”
“No, no, no,” Thor accennò un sorriso, “sei tu a tenere in braccio quel bambino, Loki.”
Il principe oscuro s’irrigidì.
“Lo culli, lo baci… Dovresti vedere come gli sorridi. Alle volte, lo tieni stretto a te come se lo stessi allattando,” Thor rise pensando all’assurdità della scena, poi un dubbio attraversò la sua mente e l’ilarità sparì come era venuta, “gli Jotun possono nutrire i loro piccoli, come le donne?”
Loki s’innervosì, “non lo so,” fu la risposta secca.
“Se possono partorirli,” rifletté Thor ad alta voce, “non vedo perché non…”
“Ho detto che non lo so!” Sbottò Loki guardandolo in cagnesco, “e piantala di perdere tempo a parlare di sciocchezze…”
“Se non lo avessi notato, non abbiamo parlato molto negli ultimi tre giorni,” replicò acidamente Thor.
“Parlare non ci è mai riuscito bene, lo sai.”
“Sì,” Thor annuì, “ma, ultimamente, abbiamo scoperto che ci riescono bene tutt’altro genere di cose.”
Loki avrebbe voluto negare, tanto per distruggere quel poco di orgoglio virile che Thor ancora possedeva e risollevarsi la giornata, ma non ne sarebbe mai uscita fuori una menzogna ad arte. Non dopo tre giorni di sesso evidentemente appagante e causante dipendenza. Si stese sulla sdraio e Thor gli fu sopra ancora prima che potesse fare un cenno di assenso.
“Siamo sul balcone,” fece notare Loki.
Thor sorrise. Un sorriso complice, bellissimo, “ ma non c’è nessuno qui,” rispose, aprendo l’asciugamano stretto intorno alla vita del fratello minore.
Loki si voltò verso gli alberi, mentre Thor gli baciava l’angolo della bocca, “forse…” Ghignò.
E se così non è, offriamo al nostro ospite uno spettacolo senza precedenti.
[Vananheim, secoli fa.]

Il sogno… Non era mai stato così.
Era strano, perché si vedeva esattamente come era ora, eppure sapeva benissimo chi era il giovane uomo di fronte a sé. “Padre…” Era steso su di un letto di ghiaccio ricoperto di pellicce, un fagottino verde era stato deposto accanto a lui. Lacrime silenziose scorrevano sulle sue guance, “ho paura, padre…”
Lo so, avrebbe voluto rispondere, ne ho avuta tanta anche io. Ma non era vero… Non ancora…
Non poteva esprimere quanto lo rassicurasse vedere suo figlio, ora adulto, ora padre a sua volta, appoggiarsi a lui in un momento di così intimo timore. Quello di un giovane genitore che, dopo nove mesi di attesa, dubbi e paure, si ritrovava con un creatura sua, solo sua, tra le braccia ma, ciò nonostante, provava una sorta d’inadeguatezza nel capire che si sentiva ancora figlio più che mai.
Quanto avrebbe voluto che qualcuno fosse stato al suo fianco ripetendogli com’era normale tutto ciò che provava, perché ci era passato prima di lui. Suo figlio non avrebbe mai dovuto soffrire quella solitudine.
No, Loki aveva lui, lo avrebbe sempre avuto.
Si sedette sul letto: il neonato era tranquillo e giocava con le dita del genitore. Capelli neri. Occhi verdi.
Sorrise orgoglioso, poi passò una mano tra i capelli corvini del giovane, “andrà tutto bene.”
Avrebbe fatto di tutto perché fosse così.
Loki baciò la testolina del suo bambino.
“Non devi aver paura di quel che provi…” Mormorò dolcemente, “genitori ci si diventa, Loki, ma si è figli per tutta la vita e non c’è nulla di sbagliato in questo.”


Nàl si rese conto di essersi addormentato solo quando una mano fredda si posò sulla sua fronte.
Aprì gli occhi ma non riuscì a vedere niente.
“Loki?”
Non era sicuro a quale dei due si stesse riferendo.
“Shhh…”
Una carezza tra i suoi capelli.
“Odino…”
Tentò di muoversi ma non si era mai sentito così debole in vita sua.
“Va tutto bene,” nessuno gli aveva mai parlato in quel modo, “non hai nulla da temere, bambino. Penserò io a te, ora.”
Bambino?
“Dov’è Odino?” Nàl fece di tutto per cercare di mettere a fuoco l’individuo accanto al suo letto ma non ci riuscì.
“Non temere,” un panno bagnato venne posato sulla sua fronte, “tornerà presto.”
No, non andava bene. Chi era quello sconosciuto? Che cosa ci faceva nella tenda del principe? Che cosa gli stava facendo?
Nàl si sentì sollevare la testa e premere qualcosa contro le labbra. Voltò il viso in un gesto automatico.
“Serve a farti star meglio,” spiegò la voce con pazienza.
“Odino…” Chiamò Nàl disperatamente. E se fosse stato un assassino dei Vanir venuto ad avvelenarlo? “Vi prego…” Non aveva mai implorato nessuno in vita sua. Nessuno, al di fuori di suo padre nei suoi momenti di crudeltà, o di Fàrbauti durante la loro prima notte insieme.
“Non è mia intenzione farti alcun male, bambino.”
“No, vi prego, no…” Era delirante, ormai, “non lo faccio per la mia vita… Lo faccio per la vita di mio figlio…”
Loki, sì. Loki. Era così piccolo, non sarebbe mai stato uno Jotun che suo padre avrebbe giudicato degno ma per lui, per Laufey, sarebbe stato l’incarnazione della perfezione. Non avrebbe mai permesso a nessuno di toccarlo. Non avrebbe mai permesso ad alcuno di fargli del male. Loki… Loki… Solo Loki.
E sia…
E quello stiletto di ghiaccio che stroncava quella vita appena nata. Strinse gli occhi e pianse.
Pianse come se quell’incubo fosse reale.
“Il mio bambino…”
La figura accanto a lui s’irrigidì. Si sentì riadagiare sul letto e le coperte gli vennero strappate via. Qualcuno sollevò l’orlo della sua tunica. Quando l’aveva indossata di nuovo?
Sentì un’inconfortevole pressione tra le gambe e tentò di ribellarsi ma non vi riuscì. “Rilassati, farò presto…”
Qualcosa gli entrò dentro. Non qualcosa di fisico. Una forza invisibile, potente e tremenda.
Gli sfuggì un gemito. Un istante dopo, due mani gentili lo invitarono a rilassare di nuovo le gambe sul materasso.
“Mi spiace, tesoro ma non c’è nessun bambino dentro di te… Non c’è mai stato.”
Nàl scosse la testa. “Odino…” Chiamò per l’ennesima volta, “voglio Odino…”
Si sentì sollevare di nuovo ed il bicchiere venne premuto ancora contro la sua bocca, “so quello che faccio, tranquillo.”
Si ritrovò costretto a bere.
“È successo anche a me…”
Rumore di passi. Una spada che veniva estratta.
“E tu chi sei?”
Odino?
“Che cosa gli hai fat…?”
Odino!
“Fratello?” Era la voce di Loki quella.
“Non temere,” solo allora Nàl si rese conto che la voce dell’intruso era di una donna, “il tuo compagno starà meglio in pochi giorni. Non sei tu la causa del suo dolore, non direttamente.”
Odino tremava. Nàl non poteva vederlo ma sentiva la lama della sua spada vibrare o, almeno, così credeva.
“Che ti prende, fratello?” Domandò Loki, “e voi chi siete?” Si rivolse alla donna.
“Una regina morta,” fu la risposta sarcastica.
Una mano si posò sulla sua guancia e Nàl riuscì finalmente a vedere qualcosa di fronte a sé. L’immagine era sfocata ma non abbastanza. La donna accanto a lui era giovane… Tremendamente giovane. I lunghi capelli corvini le incorniciavano il viso pallido regalandole un aspetto incantevole ed inquietante al tempo stesso.
Gli occhi scarlatti gli ricordarono casa, sebbene Jotunheim non fosse mai stata veramente tale.
Gli sorrise. Lo stesso sorriso di Odino.
“Hai degli occhi bellissimi,” commentò amorevolmente. Nàl era senza parole. “La pozione che ti ho dato è per la febbre. Entro domani la temperatura tornerà regolare. Per il sangue… Ne hai perso molto e, probabilmente, ne perderai ancora. Non temere, nulla di grave ma dovrai restare a letto per recuperare le forze. Il tuo corpo ha subito un grosso trauma.”
“Ch-Che…?” Non riusciva neanche a parlare.
“Shhh…” La donna gli premette un indice contro le labbra, “ti lascio con il tuo principe. Istruirò il giovane Jotun affinché si prenda cura di te nel modo migliore. Non è una cosa che i curatori Aesir possano comprendere…” Gli regalò un’ultima carezza gentile, poi si alzò con eleganza.
Odino e Loki erano rimasti bloccati sull’entrata della tenda. C’era devozione negli occhi scarlatti di lei, quando incrociò quelli blu di lui, “sei cresciuto…” Commentò con imbarazzo, come se non sapesse cosa dire tra i mille pensieri che si affollavano nella sua testa, “tu devi essere Loki…”
Il giovane Jotun annuì confuso.
“Seguimi fuori, per favore: ho bisogno di spiegarti alcune cose. Lasciamo i due principi da soli.”
Una volta rimasti soli, il giovane Aesir non si mosse.
“Odino…” Chiamò Nàl.
Il principe sembrò risvegliarsi da uno strano torpore e si avvicinò al letto lentamente, “Io… Tu…” Si morse il labbro inferiore, “stai bene?”
Nàl scansò la domanda scuotendo appena la testa, “che ti è successo?”
“Nulla…”
“Il tuo cuore ha smesso di battere quando l’hai vista.”
Odino abbassò lo sguardo, “è solo che…”
“Cosa?”
“Mi avevano detto che era morta.”
Fu il turno di Nàl d’irrigidirsi, “chi era quella donna, Odino?”
Il principe lo guardò, poi gli prese la mano baciandone il dorso, “il suo nome è Bestla,” rispose, “è mia madre.”
[Midgard, oggi.]
“Che cosa stai facendo?”
Thor smise si giocare col suo ombelico, alzò gli occhi e gli sorrise, “esperimenti…”
Loki si stiracchiò tra le lenzuola, ricambiando l’espressione stancamente, “so cosa stai pensando, non farlo…”
“Non ho nemmeno cominciato.”
“Non lo fare.”
Thor sospirò con fare annoiato lasciandosi ricadere tra le lenzuola, “ti fa schifo l’idea?”
Loki rise divertito, “in realtà, mi eccita parecchio…”
L’altro si alzò su un gomito per guardarlo in faccia, “allora lasciamelo fare!” Esclamò, coprendo una delle mani che Loki si era stancamente appoggiato in grembo con la sua.
Sembrava un bambino capriccioso.
Loki lo guardò, poi chiuse gli occhi, “più tardi…”
Thor gli fu sopra immediatamente.
“Lasciami in pace, bruto…”
Thor gli posò un bacio sul collo e sospirò, “chiamami per nome.”
Loki aprì gli occhi di nuovo, quelli blu dell’amante sembravano pregarlo in silenzio.
“L’ho fatto.”
“Sì,” Thor annuì, “tre giorni fa, poi hai smesso di nuovo.”
“Piantala con queste sciocchezze sentimentali,” disse Loki sbuffando e girandosi su un fianco, costringendo Thor a sedersi sul materasso, “voglio riposare.”
“Non devi fare, per forza, qualcosa tu,” replicò Thor ma l’altro non gli diede peso, “l’amore si può fare in molti modi, sai?”
Loki sbarrò gli occhi, s’irrigidì ma non si mosse. Thor cominciò a posargli un’infinità di baci dolcissimi tra la spalla ed il collo ed i brividi che ne derivavano lo distrassero abbastanza da non fargli percepire i polpastrelli che gli percorrevano il fianco, passando sotto l’ombelico e s’infilavano più in basso, verso il quella parte di sé che Loki odiava di più.
La reazione fu violenta.
“Toglimi le mani di dosso!” Si ritrovò in piedi accanto al letto ancor prima che si rendesse conto di essersi mosso. Thor era rimasto steso su un fianco fissandolo a metà tra il confuso ed il terrorizzato.
“Non farlo mai più!” Sbottò Loki stringendo i pugni, “non devi nemmeno pensare di farlo!”
 Thor si mise a sedere con gli occhi sgranati, “tu… Ti vergogni ancora di… Provi ancora vergogna a farti toccare da me in quel modo, dopo quello che…?”
“Non facciamone una questione personale, ora!” Lo interruppe Loki, “o devo cominciare a credere che tu mi abbia servito la tua patetica seconda verginità su di un piatto d’argento nella speranza di poter avere quella di uno Jotun deforme in cambio?”
“Ma cosa stai dicendo?!” Esclamò Thor.
Loki sorrise maligno sfiorandosi l’interno coscia, “è perverso, non è vero?” Domandò malizioso e velenoso nelle stesso momento, “mi hai iniziato alle gioie del sesso lasciandoti prendere solo come un altro uomo potrebbe fare, ma basterebbe tenermi aperte le gambe perché tu possa prendere me come solevi prendere le tue puttane.”
“Falla finita, Loki.”
“Sì, è tutto deliziosamente perverso,” Loki rise disperatamente, “ora capisco perché i piccoli Jotun, quelli di cui parlavano i soldati di tuo padre, hanno goduto di un così grande successo nei letti degli accampamenti militari… Il giocattolo erotico perfetto, non è così?”
“Quando la smetterai di mettermi in bocca parole che non ho mai detto?” Domandò Thor stancamente, “forse c’è qualcosa di perverso in quello che facciamo, Loki ma, di sicuro, non ve ne è in quello che sei.”
La maschera maligna di Loki si scheggio sotto la pressione di quella confessione.
“Dovrei dirti che non è particolarmente eccitante? Dovrei dirti che non fantastico mai su questo tuo particolare? Mi spiace, non sono mai stato bravo a dire bugie e tu lo sai bene!” Le guance di Thor erano rosse. Forse, si sentiva ridicolo o umiliato. Loki lo guardava mentre si metteva, ancora una volta, completamente a nudo davanti a lui e non poteva che pensare che fosse bellissimo.
“Averti dentro di me è qualcosa che non riesco a descrivere,” confessò, “alle volte, avevo bisogno di due donne nella stessa notte per raggiungere il piacere. Me ne vantavo. Con te… Ogni cosa è talmente intensa che io…” L’imbarazzo era tale che dovette bloccarsi, poi rise istericamente, “ad essere sincero, ho una paura matta che, se mi concedessi di… Di… Non credo che durerei abbastanza da farti sentire qualcosa di piacevole ed allora dovrei andarmi a sotterrare perché… Perché…”
“Shhh…” Loki s’inginocchiò sul materasso sfiorando le labbra di Thor con le proprie. Non bastò.
“Loki, io ti voglio tutto!” Esclamò, mentre l’altro si stendeva su di lui facendo aderire completamente i loro corpi. Non c’erano particolari intenzioni in quel gesto, solo bisogno di contatto fisico.
“E poi… Quel bambino…” Quanta disperazione c’era nella voce di Thor?
“Che bambino?”
“Quello dei miei sogni,” rispose Thor. Perché aveva gli occhi lucidi, ora? Sorrise imbarazzato. “Lo so che è un’assurdità, Loki, lo so! Ma è mio… Lo sento che lo è e… Ed assomiglia a te ed ogni volta che lo vedo è tra le tue braccia ed io…”
Loki s’irrigidì, “è solo un sogno.”
“E se fosse come ha detto la mamma?”
Da quanti secoli non chiamava sua madre in quel modo?
“Ci ha sempre raccontato che sapevano i nostri nomi ancor prima che arrivassimo, perché glieli avevamo suggeriti in un sogno.”
“Eravamo dei bambini…”
“Ma ora sta capitando a me!” Esclamò Thor. “Non voglio prendermi nulla che tu non mi voglia dare, Loki, ma quel bambino è…”
“Shhh…” Loki lo baciò di nuovo, con più passione, questa volta.
Un boato al piano di sotto li fece trasalire entrambi.
“Che cosa è stato?” Domandò Thor, l’espressione di Loki era rabbiosa, “Ehi?”
“Rivestiti,” ordinò Loki alzandosi in piedi ed afferrando i jeans, “prendi il martello.”
“Ma che succede?” Chiese Thor confuso.
Loki ghignò, “il nostro oscuro spettatore deve essersi stancato dello spettacolo.”
 
[Vananheim, secoli fa.]

Bestla e Loki tornarono quasi un’ora più tardi. La prima sorridendo amorevolmente, il secondo con la faccia di chi ha appena intrattenuto una conversazione con un fantasma. Nàl credeva di comprenderlo.
“Stai già meglio, vedo,” commentò lei, felice di vedere il principe di Jotunheim seduto sul letto completamente cosciente.
“Vi ringrazio,” rispose Nàl. Odino era accanto a lui e gli teneva la mano, “sapete quel che gli è successo?” La domanda era fredda e formale e non si voltò nemmeno a guardarla, mentre gliela porgeva. Nàl lo fissò indeciso se dire o fare qualcosa.
Bestla sospirò, “è una questione delicata.”
“Oh, non ne dubito,” fu la risposta sarcastica del principe di Asgard, “più delicata di una resurrezione improvvisa?”
Nàl gli accarezzò la mano invitandolo silenziosamente a mantenere la calma. Odino si fece più vicino posandogli un bacio sulla fronte, “starà bene?”
“Molto presto,” rispose Bestla, “ma per darvi delle spiegazioni decenti, è necessario che io parli di cose o vi ponga domande che potrebbero non essere piacevoli.”
Loki guardò i due principi insicuro su cosa fare. Nàl si sistemo meglio contro i cuscini, “avvicinati, Loki,” disse ed il giovane Jotun eseguì. Odino gli lasciò il suo posto sul letto e Loki prese immediatamente la mano di Nàl, “ci hai fatto preoccupare a morte…” Mormorò.
Nàl accennò un sorriso, “facci l’abitudine.”
“Non scherziamo…”
“Che cosa volete sapere?” Domandò Odino, senza togliere gli occhi di dosso dai suoi piccoli Jotun. Bestla incrociò lo sguardo di Nàl. Il principe annuì.
“Con tutto il rispetto,” cominciò lei, “da quanto tempo siete divenuti amanti?”
Loki inarcò le sopracciglia confuso. Nàl tentò di non guardarlo in faccia. Odino continuò a fissare il pavimento.
“Due notti fa,” rispose quest’ultimo. Loki aprì la bocca ma ebbe la decenza di tenere il suo stupore per sé e non dire niente.
Bestla annuì, “come immaginavo, è una cosa recente.”
Solo allora, Odino la guardò negli occhi, “sono stato io a…”
“No,” lei scosse la testa con un sorriso gentile, “o meglio, non volontariamente.”
“Spiegatevi,” insistette il principe di Asgard.
Bestla si avvicinò al letto, senza allontanare i suoi occhi da quelli di Nàl, “il tuo fiore rosso è mai sbocciato, tesoro?”
Odino aggrottò la fronte, “stiamo parlando di…”
“Sì, stiamo parlando di quello, Odino,” confermò Loki, prima che il principe rendesse la cosa più imbarazzante di quanto già non fosse per Nàl.
“No,” rispose il giovane Jotun con espressione funerea, “no, non è mai sbocciato.”
Gli occhi di Bestla erano tristi, allungò una mano e gli sfiorò una guancia con la punta dei polpastrelli, “dovevi essere così piccolo, la prima volta che il compagno che ti hanno scelto ti ha fatto del male.”
Nàl si morse il labbro inferiore ed Odino reagì spintonando la donna lontano da lui, “state attenta a quel che dite!”
“Odino!” Lo rimproverò Nàl afferrandogli il polso, “ci aveva detto che non sarebbe stato piacevole, ma è necessario.”
Bestla non perse la sua eleganza nemmeno per un istante, “devo invitare il vostro compagno ad uscire, altezza.”
“Debole com’è?!” Esclamò Odino scandalizzato.
“Penso che altezza fosse riferito a Nàl,” intervenne Loki.
Il principe di Jotunheim guardò la donna con fare allarmato, Bestla gli sorrise di nuovo con quel fare materno, “non temere. È che solo uno Jotun, prima di te, ha avuto degli occhi tanto belli. Ho solo avuto un’intuizione…”
“Di cosa state parlando, mia regina?” Il titolo gli venne spontaneo.
Odino grugnì qualcosa, Loki gli tirò una gomitata per farlo tacere.
“Tu sei Laufey, vero?” Domandò sedendosi sul letto. Odino la fulminò con lo sguardo ma lei non lo vide, “ricordo che era giunta notizia che Ymir aveva dato alla luce un erede, poche stagioni dopo la nascita del mio primogenito.”
 Nàl non sapeva come rispondere.
“Siamo cresciuti insieme, io e tuo padre…” Spiegò la donna aggiustandogli una ciocca di capelli corvini dietro l’orecchio, “i nobili Jotun giocano a fare gli Aesir da molto tempo prima che tu nascessi, mio principe.”
Odino fece una smorfia, “per quale ragione?” La risposta gli comparve sotto gli occhi prima ancora che avesse il tempo di rendersene conto. Tre paia di occhi si erano voltati nella sua direzione. Quelli scuri di suo fratello, quelli verdi del principe di Jotunheim e quelli scarlatti di sua madre.
Capelli corvini.
Pelle di neve.
Oscurità e ghiaccio.
Conosceva quella sensazione, era l’irresistibile richiamo del canto del mistero e del proibito. Se, di fondo, vi era anche una natura letale in delle spoglie apparentemente fragili, il gioco della seduzione non lasciava scampo nemmeno ai più impavidi.
Pensò a tutte le volte che i giovani guerrieri erano andati su Jotunheim alla ricerca di un duello degno di tale nome ed erano tornati raccontando storie di spade e campi di battaglia che nulla avevano a che fare con l’arena. Odino non aveva mai capito, nemmeno con Loki. Poi, era arrivato Laufey…
Poteva vederli quei giovani guerrieri, mentre si facevano ammaliare senza la minima possibilità di scampo. Per tutti loro vi erano state decine di bellissime fanciulle, su Asgard, pronte a concedersi senza troppa esitazione. Eppure, per nessuna avevano perso un pezzo di cuore.
Per creature come quelle, ora Odino ne era consapevole, ci si poteva dannare l’anima.
“Era divertente,” raccontò Bestla guardando i piccoli Jotun che l’ascoltavano come bambini a cui viene raccontata la favola della buona notte, “c’erano giovani che si avventuravano per le pianure innevate anche allora: potevano essere ingannati con una tale semplicità. Molti della nostra generazione sono riusciti a lasciare Jotunheim con questo espediente…”
“Che volete dire, mia signora?” Domandò Loki.
Bestla piegò la testa di lato, “non è, forse, quello che avete fatto entrambi?”
Nàl e Loki si guardarono non riuscendo a comprendere.
Bestla sorrise, “vi do un indizio: non ero ancora sposata quando rimasi incinta del vostro principe dorato.”
Nessuno notò l’espressione scandalizzata di Odino.
“Bambini?” Domandò Nàl con una nota di disgusto, “seducevano i giovani Aesir nella speranza di concepire dei bambini che avrebbero garantito loro l’ingresso ad Asgard.”
Bestla non sembrò sorpresa dell’espressione contrariata del principe.
“Noi non abbiamo fatto nulla di simile!” Intervenne Loki lievemente offeso.
“L’obbiettivo non è concepire un bambino,” spiegò Bestla, “chiunque può aprire le gambe e farsi venire dentro ripetutamente, finché il seme non diviene vita.”
Loki arrossì come un ragazzino. L’espressione di Nàl si era indurita notevolmente.
Odino non poté fare a meno di notare che il suo compagno ora guardava sua madre con la stessa rabbia dignitosa con cui aveva affrontato suo padre, la prima volta.
“Il gioco è molto più difficile…” Continuò la dama con un sorrisetto che aveva perso qualsiasi traccia di dolcezza materna, “è inutile divenire genitori di un bastardo, se poi si viene abbandonati al proprio destino con quel fardello.”
Odino sentì il vago bisogno di prendere quella donna a calci e non sapeva se quel pensiero lo disgustasse di più perché era indirizzato ad una dama o perché quella dama era sua madre. Mai, in vita sua, si sarebbe sognato di toccare una donna, se non per cortesia o per darle piacere…
“Il gioco è divorare il cuore del proprio Aesir e renderlo vostro schiavo in un modo che nulla a che fare con le fruste e le catene.”
… Ma quella non era una donna.
“Anche mio padre giocava a questo gioco?” Domandò Nàl incerto.
Bestla fece spallucce, “ti svelo un segreto, mio principe,” sorrise maliziosamente, “Borr era il premio di una nostra personale contesa…”
E non era nemmeno sua madre.
Odino ingoio a vuoto, ma presto si sarebbe ritrovato a soffrire a causa di un rigurgito insistente. Si mosse con fare agitato sul posto, poi indicò l’uscita della tenda.
“Aspetto fuori…” Sibilò.
Prima di voltarsi, cercò un segno di approvazione da parte di Nàl ed uno sguardo comprensivo fu più che sufficiente per congedarsi. Bestla sorrise, ora materna, “l’avevo detto che era meglio domandargli di uscire…”
Nàl strinse i pugni, “siete stata crudele,” commentò glaciale, “avete parlato di questioni scomode ma questa storiella non ha nulla a che fare con le mie condizioni fisiche.”
“Oh sì, invece, mio principe,” replicò lei con risolutezza alzandosi in piedi, “e, comunque, nei vostri occhi vedevo la curiosità di capire corrodervi…”
“Lo avete fatto per ferirlo,” insistette Nàl.
“O, forse, ho ferito te, piccolo Laufey?”
Il principe di Jotunheim strinse le labbra, “se, in questo preciso momento, mi dicessero che mio padre è morto, non sussulterei nemmeno, mia signora.”
Gli occhi di Bestla si spensero appena, “è questo che è divenuto Ymir, quindi?”
“Un tiranno con brame di potere troppo ambiziose per la sua anima cieca e schiava d’inutili tradizioni.”
“E così tu sei riuscito in quello in cui tuo padre ha fallito,” continuò Bestla guardando un punto imprecisato della coperta, “siederai alla destra del trono dorato un giorno, ne partorirai gli eredi e vivrai all’ombra di un uomo che non è degno né capace del ruolo che gli spetta per diritto di sangue e starà a te reggere ogni cosa, accettando di non ottenere in cambio nemmeno il più semplice ringraziamento.”
Nàl sgranò gli occhi, “voi non avete idea di quello che state dicendo, mia signora.”
Bestla lo guardò con pietà, “è successo a me, mio principe,” confidò, “sarebbe successo a tuo padre, se Borr non lo avesse rifiutato con la cortesia che non è toccata a me.”
“Piantatela di parlare di mio padre!” Sbottò Nàl, “vi siete introdotta qui con la dolce maschera di una madre e vi siete fatta strada strisciando come una serpe per ottenere la nostra attenzione e giocare con noi! Voi non avete la minima idea di quel che mi è successo, v’interessava solo sapere se i piccolo Jotun di vostro figlio stavano giocando lo stesso gioco della vostra giovinezza, dico bene?”
Bestla scosse la testa, poi guardò Loki, “potresti seguire mio figlio, per cortesia.”
Il giovane Jotun non le concesse nemmeno uno sguardo rispettoso, si voltò immediatamente verso Nàl che annuì, “non voglio che tu sia obbligato a sentire altro.”
“Non sono queste storie che mi preoccupano,” ribatté Loki.
“Vai…” Mormorò gentilmente, “evita che quell’altro faccia qualsiasi sciocchezza che sia degna del suo nome. Ha bisogno di te più di me, ora.”
Loki annuì e se ne andò in silenzio.
Bestla sorrise soddisfatta.
Nàl fece una smorfia, “siate pure libera di sputare il vostro fiele quanto volete, me ne scorre nelle vene a volontà, come  voi.”
La donna ridacchiò, “sei figlio di tuo padre…”
“Smettetela, siete noiosa.”
Lei si alzò dal letto guardandolo dall’alto in basso, “dato che, per usare le tue parole, mi sono introdotta come una serpe nei territori pericolosi del tuo cuore. C’è qualche domanda che vuoi pormi?”
“Parlatemi della questione di Borr…”
“Oh, allora t’interessa.”
“M’interessa sapere fino a che punto mio padre ha sporcato il suo nome, così che io possa terminare l’impresa,” rispose il principe sarcastico, ma non era divertito, “in secondo luogo, qualunque informazione possa rovinare Borr è preziosa, per me.”
“Ti ha accolto a braccia aperte, vedo.”
“Il vostro gioco non gli è piaciuto,” commentò Nàl. Ora vedeva le cose da una prospettiva completamente diversa, “è convinto che io lo stia giocando con Odino. Come voi, del resto.”
Bestla annuì, “non sapevo nulla di te, fino a due giorni fa, dopo il tuo intervento sul campo di battaglia. Sapevo qualcosa riguardo ad un patto di sangue tra mio figlio ed un piccolo scarto. Il potere che hai usato per aiutare Odino non poteva essere di uno Jotun qualunque e mi sono incuriosita. Di voci ne girano poche, in realtà, la corte di Asgard morirà di fame di pettegolezzi a causa tua.”
“Su di me non ci sono pettegolezzi, solo fatti certi.”
“Dicono che hai attaccato il re nella sua sala del trono.”
“Voleva bruciarmi vivo…”
“Sì, sembra il miglior modo per torturare un principe del ghiaccio…”
“E non sto giocando il vostro gioco.”
Bestla sembrò trattenere il respiro per un istante. Nàl arrossì appena ma tenne lo sguardo alto, “avrei dovuto, era il piano ma ero ancora innamorato del mio promesso, quando sono arrivato su Asgard.”
“Fàrbauti, giusto? La sua fama da temibile guerriero è giunta anche qui.”
Nàl annuì, “Odino non è un gioco,” disse solennemente, “lui è mio ed io sono suo. Ci siamo scelti…”
Bestla gli rivolse ancora quello sguardo pieno di pietà, “dimmi che non sei serio, tesoro.”
Nàl si morse il labbro inferiore, “avete detto che un giorno siederò accanto al trono dorato. Ve lo giuro, mia signora, preferirei vederlo bruciare che esserne legato in alcun modo. Volevo scappare da Jotunheim come molti di voi, sì, ma non voglio quel potere. Solo se fosse il prezzo per restare accanto ad Odino, solo così lo acetterei.”
Nàl tremava ma la sua voce era ferma.
“Per quanto riguarda gli eredi, l’idiota ha già scelto i nomi…”
“E tu speravi di averne già uno dentro di te,” lo interruppe Bestla, “l’hai detto mentre deliravi.”
“Non voglio far del male a vostro figlio, in alcun modo,” la rassicurò Nàl, “in tutta onestà, l’unica cosa che voglio, ora, è poter dare alla luce i suoi figli.”
Quando aveva cominciato a crederci in questo modo? Un risolutezza simile non l’aveva provata nemmeno mentre concedeva la sua verginità ad Odino. O, forse, era proprio quello ad avergliela messa.
Fare l’amore col principe dorato aveva minato ad alla sua sanità mentale più del dovuto.
Si sarebbe messo a ridere come un isterico, se non fosse stato del tutto fuori luogo.
“Peccato…”
Nàl sperò di aver capito male.
“Vedere il figlio di Borr cadere nella sua stessa trappola sarebbe stato delizioso.”
Il principe di Jotunheim si sentì mancare l’aria. Non chiese di ripetere: aveva capito benissimo.
Bestla fece una smorfia e sospirò, “avevo Odino dentro di me da due mesi, quando divenni regina di Asgard. Il gioco mio e di tuo padre era contorto: non volevamo il trono, forse, non volevamo nemmeno lasciare Jotunheim. Volevamo sconfiggere Asgard nel più intimo e subdolo dei modi. Sedurre il principe per renderlo nostro schiavo e spezzargli il cuore. Puoi immaginare un’umiliazione peggiore per l’erede al trono del regno dorato?”
Nàl ascoltò senza riuscire a parlare.
“L’obbiettivo era conquistare il suo cuore, prima dell’avversario,” continuò Bestla con una naturalezza infinitamente crudele, “non ci toccò per tutta la durata della sfida, se vuoi saperlo.”
No, non voleva. Voleva strapparsi le orecchie pur non ascoltare oltre.
“Alla fine, Ymir venne rifiutato… Non avevo capito quanta importanza avesse per lui, fino a quel giorno. A me non sarebbe toccato nessun compagno forzato, comunque, per via delle mie dimensioni. Ymir era già stato condannato da tempo… Vinse lui lo scontro col tuo secondo genitore ma, quando venne il momento di concepirti, il consorte reale gli restituì il favore senza sconti. Tieni presente che non sei arrivato in fretta, come Ymir si augurava…”
Nàl non riusciva più a respirare.
“Quando sei nato, ha ucciso il consorte reale per festeggiare,” continuò Bestla con tono casuale, “oh, non lo sapevi…”
Nàl avrebbe voluto chiamare Odino, avrebbe voluto ordinargli di punire quella donna nel modo peggiore che era previsto dalla legge di Asgard.
“Lo odiava al punto da non poterlo vedere vivo,” Bestla lo guardò dritto negli occhi, come se stesse per lanciargli una maledizione, “odia anche te, vero?”
Nàl si lasciò sfuggire un singhiozzo.
“Lo capisco,” era triste la voce di lei, “non giudicarmi male, Laufey. Non è che io incolpi i miei figli per essere venuti alla luce, semplicemente non sopporto che dal mio grembo siano nati gli eredi di quel mostro. Quando Borr venne da me porgendomi il suo cuore e concedendomi tutto quello che aveva, io lo derisi. Avevo vinto! Avevo fatto subire ad Asgard la più umiliante delle sconfitte, di quelle che non possono essere ripulite come il sangue che scorre su di un campo di battaglia. Ero così giovane, più di te ora. Ero così stupida…”
“Vi prego…”
“Pensavo si sarebbe piegato a me,” lei non lo vedeva più, non lo ascoltava più, “mi ha strappato le vesti e mi ha violentata contro la dura superficie di una lastra si ghiaccio. Concepimmo Odino, quel giorno. Borr ne fu entusiasta, tuo nonno e quello di Odino pensarono fosse la scusa giusta per firmare un’alleanza. Lo Scrigno dell’Antico Inverno fu la mia dote di nozze…”
Nàl trasalì. Lo scrigno… La mia missione…
“Quando Borr spariva all’alba, io ero felice ma, poi, quando entrava nel nostro letto… Io piangevo. Le donne mi dissero che mi sarei abituata che, dopo la nascita del bambino, sarebbe andato meglio. Fu peggio… Molto peggio… Guardavo quel figlio, quella piccola, adorabile cosina con gli occhi azzurri e pensavo che era mia, che avrei dovuto amarlo. È difficile spiegarlo ma, se fosse nato deforme, sarei anche riuscita a farlo. Un piccolo abominio concepito con un crimine, sì, nella mia testa aveva senso. Sarebbe stato un altro modo per dimostrare a Borr che non poteva usarmi, che non poteva vincere contro di me… Ma quella creatura… Quella creatura era perfetta, sana, forte, bellissima. Borr aveva quello che di più aveva desiderato al mondo ed ero stata io, che volevo solo vederlo soffrire, a concederglielo.”
Nàl tremava e piangeva, respirare gli era quasi impossibile, “l-lui… V-Vostro figlio vi ricorda…”
“Non sapeva nemmeno leggere e scrivere, quando lo lasciai,” lo interruppe lei, “le giovani menti possono fare delle cose per combattere il dolore che gli adulti possono solo invidiare. Deve aver confuso le carezze di qualche ancella con le mie e deve essersi creato un’immagine di me che forse conforme ai suoi desideri.”
“L’avete abbandonato…”
“No, è stato Borr a cacciarmi,” confessò Bestla, “l’ultimo dei miei figli era nato da poco. Ero molto debole, perché il parto era stato lungo e avevo perso molto sangue. Jotunheim cominciava a divenire la terra moribonda in cui sei nato. Ymir voleva che, in segno di rispetto dell’alleanza, concedessi loro di usare lo Scrigno per risollevare la situazione.”
Da quanti anni mio padre cerca di riavere quel potere? Pensò Nàl. Da quanti anni aspettava il momento giusto per usarmi?
“Ormai sazio di me, ormai padre di tre figli maschi… Borr onorò l’alleanza facendomi rinchiudere qui a Vananheim e simulando la mia morte.”
Asgard ha tradito Jotunheim…
Bestla si avvicinò al piccolo tavolo nell’angolo della tenda versando in un bicchiere un liquido che Nàl pensò si trattasse dell’intruglio che gli aveva fatto per rimediare alla sua situazione fisica. Quando si voltò, sorrideva di nuovo come una madre amorevole.
Terribile…
“Ora che sai tutto, tesoro,” disse sedendosi di nuovo sul letto, “possiamo pensare a te.”
“Che cos’è quella roba?” Domandò Nàl fissando il bicchiere: non aveva lo stesso odore di quella che aveva bevuto in precedenza.
“Un modo per prevenire che la prossima generazione soffra le nostre stesse pene.”
“Come?”
“La violenza che hai subito ha bloccato il tuo corpo per tutti questi anni,” spiegò dolcemente la donna, “il tuo fiore rosso non è mai sbocciato perché, fino ad oggi, hai rifiutato quella parte di te.”
“Cosa state delirando?”
“È successo anche a me, per questo ho impiegato molto tempo, prima di avere i fratelli di Odino. Stesso motivo per cui tuo padre ha dovuto subire i trattamenti del consorte reale più tempo del previsto, prima di avere te.”
“E perché ora mi sta succedendo questo?”
Bestla sorrise paziente, “perché un principe dorato a caso ti ha fatto perdere la testa, tesoro mio. Hai fatto l’amore con lui, desideri i suoi figli… Il tuo corpo ha recuperato il tempo perduto nel giro di una notte,” gli premette il bicchiere contro le labbra, ma Nàl le prese il polso e lo allontanò da sé.
“Che cos’è?” Sibilò pretendendo una risposta.
“Shhh…” Bestla gli accarezzò i capelli dolcemente, “sei ancora un bambino, non come me quando ebbi il mio primo figlio, ma comunque troppo giovane, Laufey.”
“Che cos’è quella roba?!” Urlò, infine.
Fu un attimo.
Qualcuno entrò nella tenda e strattonò il braccio di Bestla abbastanza violentemente da far cadere il bicchiere per terra. Gli occhi verdi di Nàl si riempirono di orrore: Odino stringeva con forza il polso di lei, lo sguardo ardente d’odio.
“Vattene…” Sibilò.
Bestla si liberò e fece qualche passo indietro.
“Vattene!”
Non scappò ma se ne andò senza dire una parola.
Il principe dorato aveva udito ogni cosa.
[Midgard, oggi.]
 
Thor stringeva Mjölnir nel pugno destro scrutando la semi oscurità della stanza come se dovesse spuntare fuori un Pentapalmo da un momento all’altro. Si sentiva un perfetto idiota.
Loki era sceso al piano di sotto a controllare e lo aveva lasciato alle retrovie.
Che affronto era mai quello? Thor apparteneva alla prima linea, all’azione, al rischio, alla gloria!
Sì, la famosa, maledetta, inutile gloria. Aveva passato tutta la vita a credere di averne bisogno di come aria ed ora si rendeva improvvisamente conto di aver trovato un briciolo di felicità autentica in due cose molto umili. Sopra ad un tetto a fissare le stelle con Jane, prima. Tra quattro mura ed un letto da condividere con Loki, dopo. I jeans gli pendevano pericolosamente alle anche. Non gli aveva allacciati, sperava che l’oscuro presentimento di Loki si rilevasse solo un colpo di vento incredibilmente forte e che avrebbe potuto liberarsene in breve tempo.
Con gli sconvolgimenti climatici che Thor causava mentre facevano l’amore, non sarebbe stato poi così assurdo. Con le spalle appoggiate al muro, si ritrovò a rigirarsi il martello tra le dita distrattamente, mentre un sorriso sognante gli increspava le labbra.
E si sentiva un’idiota più di prima ma in modo diverso. Pensava a tutte le esperienze sessuali che aveva avuto e di come, tra le braccia di Loki, si sentiva come se non avesse mai assaggiato il sesso, prima. All’inizio aveva pensato che dipendesse dal fatto che Loki fosse il primo uomo da cui si era asciato toccare ma più facevano l’amore, più si rendeva conto che non ne sarebbe mai stato sazio.
Il grande Thor… Completamente perso mentre si concedeva ad un altro uomo, un incantatore, uno Jotun, suo fratello, il suo peggiore nemico, l’unico amore che sarebbe durato per sempre… Loki.
Si ritrovò a ridacchiare sommessamente, come un adolescente alla prima cotta.
Poi alzò lo sguardo e fu allora che vide. Non rise più.
Qualunque tentativo di usare Mjölnir fu inutile, Thor si ritrovò completamente immobilizzato contro il muro, mentre la gravità bastava a spingerlo a scivolare sul pavimento.
La donna di fronte a lui sbuffò, “piccolo stupido…” Commentò acida, a bassa voce avvicinandosi.
Thor era completamente cosciente, si rese conto, ma aveva perso, non solo la capacità di muoversi, anche quella di parlare. Che razza di maledizione è mai questa?
La donna s’inginocchiò accanto a lui: era vecchia, molto vecchia ma i capelli erano ancora lunghi, folti e di un intenso colore nero. Furono gli occhi, però, che spinsero Thor a lottare con tutte le sue forze contro quella forza maligna.
Occhi scarlatti, come li avevi visti solo su Jotunheim. “È inutile sforzarsi, bambino,” disse lei dolcemente, “non sono catene da cui puoi liberarti con la tua sciocca forza bruta.”
La donna cominciò a scrutare il suo corpo con estrema attenzione, come se potesse studiarne le interiora con uno sguardo. Appoggiò una mano sul suo grembo premendo al punto da fargli male.
Loki, tentò di chiamare ma non aveva voce. Loki!
La donna sospirò, “è troppo presto per capirlo,” commentò scuotendo la testa, “voi mocciosi vi accoppiate di continuo. Stupide creature, i cuccioli non dovrebbero avere altri cuccioli, l’ho sempre detto io.”
Thor non aveva la minima idea di cosa stesse parlando e nemmeno gli interessava. Sperava solo che Loki tornasse presto al piano di sopra e risolvesse quella spiacevole situazione.
La donna cominciò ad armeggiare con i suoi jeans e fu allora che il panico arrivò.
Loki! Loki! Loki!
Thor si vide la donna tolta di dosso in un movimento che non fu nemmeno in grado di registrare, per quanto veloce. Loki le stringeva la gola bloccandola contro la parete.
“Chi sei?” Sibilò.
Lei non sembrava affatto intimorita. Gli sorrise. Loki la lasciò andare e cadde a terra, poi s’inginocchiò accanto a Thor esaminandolo con la stessa attenzione che aveva usato lei. L’altro lo fissò speranzoso e, dopo pochi istanti, Loki gli appoggiò una mano sul petto e, dopo una breve luce bluastra, il suo corpo sembrò riprendere vita.
“Piano, piano…” Mormorò Loki, mentre Thor tentava di mettersi a sedere, “riesci a parlare.”
“S-Sì…”
Il più giovane annuì e tornò ad occuparsi della donna rimasta a terra, “chi sei?” Domandò di nuovo. Ella non rispose. Loki le tirò un calcio.
Thor volle protestare ma la voce gli morì in gola.
“Perché lo stavi toccando, eh?” Chiese rabbioso, “che cosa volevi fargli?”
La donna rise ed alzò gli occhi scarlatti su di lui. Thor sapeva che Loki li aveva notati, sarebbe stato impossibile non farlo.
“Perfetto,” mormorò mettendosi a sedere, “sei perfetto, bambino.”
Il viso di Loki non tradì alcuna espressione, “non mi ripeterò una terza volta…”
La vecchia sorrise stancamente, “un mezzosangue perfetto, ancora più di me.”
Loki alzò il braccio per colpirla.
“Loki!” Esclamò Thor alle sue spalle, “Non farlo, non è necessario…”
L’altro non si voltò ma riabbassò la mano.
Quel gesto non parve piacere alla vecchia che scosse la testa, “giovane, ribelle e, nonostante questo, domato da un lurido Aesir…”
Thor sgranò gli occhi scandalizzato, “come mi ha chiamato?”
Loki ghignò, “hai assistito ai nostri spettacoli erotici per almeno due giorni, dovresti sapere chi dei due è bravo a domare puledri selvaggi.”
Thor divenne paonazzo. La donna lo fissò per un istante di silenzio, “è un Aesir?”
“Non si vede?”
“Completamente Aesir?” Sottolineò la donna con urgenza. Loki divenne improvvisamente serio, “i suoi genitori sono due Aesir,” fu la sua risposta.
La vecchia sbuffò, “non ha importanza! Nelle sue vene scorre il sangue di Jotunheim, comunque. È Jotun in qualche modo?”
“No,” si affrettò a rispondere Loki, “non lo è.”
“Nemmeno i suoi organi interni?”
“Cosa sta delirando questa donna?!” Sbottò Thor spazientito.
“Si sta chiedendo se c’è una vaga possibilità che io e te possiamo aver concepito un bambino negli ultimi tre giorni,” rispose Loki continuando a fissare la vecchia, “deduzione corretta?”
Lei continuò a sorridere alzandosi in piedi: sembrava un vecchio corvo con i vestiti neri e la lunga chioma scura. “Odino deve essersi premurato di scoprire se il suo successore ha ereditato segni distintivi del suo ramo materno.”
“Conoscete nostro padre?” Domandò Thor in totale confusione.
“Per quel che ne sappiamo, il principe dorato potrebbe avere anche un utero funzionante, mia signora…”
“Perché dovrei avere un utero?!” Gemette il diretto interessato.
“…Ed il sommo re non si scomoderebbe nemmeno a darci un indizio in merito. Ha un debole per i segreti scomodi.”
La donna cacciò una mano dentro la sacca di pelle che teneva appesa ad una spalla e ne estrasse una bottiglietta dal contenuto scuro. La porse a Loki, “fagliela bere.”
Il giovane la prese ma rimase immobile a studiarla con lo sguardo, “di cosa si tratta?”
“Già!” Esclamò Thor alle sue spalle, “di cosa si tratta?”
La vecchia scrollò le spalle, “è una pozione abortiva,” rispose con naturalezza, “se avete causato qualche danno, starà male per un po’ ma non andrete incontro a conseguenze troppo scomode.”
Loki inarcò un sopracciglio. Thor la fissò con la bocca spalancata e gli occhi sgranati,” io non… N-Non ho alcun motivo per prendere quella roba.”
La donna lo ignorò e si rivolse al giovane Jotun, “puoi giurare sulla tua vita che non ci sono possibilità che tuo fratello abbia ereditato le capacità riproduttive di uno Jotun.”
“Non è mio fratello,” si limitò a rispondere Loki continuando a fissare la bottiglietta sospetta.
“Posso giurarlo io!” Intervenne Thor.
“Sei mai stato con un altro uomo prima di questi giorni?” Domandò la sconosciuta, senza troppe premesse.
“No, io sono il primo,” fu Loki a parlare.
La donna sbuffò, “allora non può giurare un bel niente e, dalla tua espressione, posso dedurre che non puoi nemmeno tu.”
Thor rise istericamente, “ma è ridicolo!” Esclamò con voce stridula, “Loki tu sai benissimo che…”
“Il re di Asgard è un bugiardo talentuoso per qualsiasi cosa che possa risultare anche solo lontanamente scomoda,” il giovane Jotun si voltò e porse al principe dorato la bottiglietta, “fa quel che dice.”
Thor scosse la testa, “e se fosse veleno? Ci hai pensato?”
“Non lo è!”
“Non puoi esserne sicuro!”
“A differenza tua, sono perfettamente consapevole delle azioni che compio.”
Thor fissò il liquido scuro con espressione titubante, “non la voglio, non ne ho bisogno.”
“Se non ne hai bisogno, non avrà alcun effetto e ci saremo tolti un dubbio.”
“Andiamo! Non puoi realmente credere che…”
“Se ne sei così convinto, perché hai così tanto timore?”
Thor non rispose, abbassò lo sguardo imbarazzato e voltò il viso da un lato in un chiaro segno di rifiuto, “s-se è… Successo qualcosa…” Incespicò sulle parole, “allora è successo, punto!”
Ci fu un attimo di silenzio in cui Loki si limitò a fissarlo senza una reale espressione, poi tornò a rivolgersi alla vecchia intrusa, “la decisione è presa,” disse restituendole la pozione.
Questa scosse la testa riprendendosela, “piccoli stupidi…”
“Il corpo è suo,” le ricordò Loki, “è sua l’ultima parola.”
La donna sospirò sconfortata rivolgendosi direttamente a Thor, “andiamo, ragazzino!” Esclamò, “sai bene di non essere in grado di affrontare una simile eventualità.”
“Non so chi siate,” Thor si alzò in piedi aggiustandosi i jeans che gli pendevano pericolosamente dalle anche, “e non so perché v’interessi tanto l’ipotetico concepimento di un bambino mio e di mio fratello.”
“Non sono suo fratello,” corresse Loki.
Thor lo ignorò, “quel che so per certo è che è una cosa che non riguarda voi né nessun altro all’infuori di noi due.”
La donna guardò Loki, “per quanto mi scocci tanta ingenuità in un uomo adulto… Un futuro re, per giunta!” Sorrise orgogliosa, “devo riconoscere che, pur assomigliando incredibilmente a tuo padre, sei riuscito a superarlo. Hai ammaliato questo principino al punto che sarebbe disposto a dare alla luce tuo figlio. In tutti questi anni, non ho mai visto un Aesir provare una simile devozione per uno Jotun...”
Loki s’irrigidì e sentì che Thor, dietro di lui, aveva trattenuto il respiro per una frazione di secondo.
“Perché tu sai di essere uno Jotun, non è vero, bambino?”
Il diretto interessato non rispose ed il giovane Aesir gli si parò davanti, “come fate a conoscere nostro padre?” Domandò, “come potete sapere che…?”
“Certo che conosco Odino, ragazzino. L’ho conosciuto prima di chiunque altro.”
Loki inarcò un sopracciglio.
“Ma non era a lui che mi stavo riferendo,” aggiunse la donna tornando a guardare il giovane Jotun. Anche Thor si voltò nella sua direzione, ma Loki a stento riusciva a respirare, figurarsi parlare.
“Chi siete?” Il principe dorato afferrò il polso del fratello in segno di rassicurazione, questi non ebbe la forza di rifiutarlo.
“Ci fu un tempo in cui sedetti a fianco del trono dorato.”
Fu il turno di Thor di rimanere senza parole.
“Il mio nome è Bestla…”
[Vananheim, secoli fa.]
Seduto sul suo trono, Njord appariva come un re vecchio e stanco.
Eppure, pensò Odino, avrebbe dovuto appartenere alla stessa generazione di suo padre.
“Entrate senza esercito, senza arazzi, senza espressioni derisorie per un nemico sconfitto,” commentò con voce cavernosa, “voi, principe, solo con la vostra armatura, il vostro mantello rosso ed i vostri giovani Jotun al seguito.”
Odino si voltò verso destra per incontrare gli occhi verdi di Nàl, Loki era ad appena un metro dietro di loro. Non aveva voluto nessun altro con sé, né gli altri generali, né i suoi fratelli.
“È la guerra di mio padre,” sottolineò Odino, “sono qui per dovere nei confronti del mio popolo, non per dar ragione a chi vi ha fatto torto.”
Nàl abbassò appena la sguardo per nascondere un sorrisetto orgoglioso.
“Non sono così stolto da deridere un nemico che mi ha quasi strappato la vittoria, inoltre.”
Gli occhi stanchi di Njord si accesero per un istante, “eppure non vi inginocchiate.”
Le iridi azzurre di Odino divennero di ghiaccio, “questo mai.”
Ed il sorriso di Nàl si trasformò in un ghigno dalle sfumature diaboliche e carico di trionfo.
Loki riusciva a stento a scorgere il profilo di entrambi, eppure, suo malgrado, vide un’immagine chiara del futuro dei Nove Regni in quel momento.
Vide quel che quei due principi sarebbero potuti divenire insieme una volta cresciuti, una volta re.
Una parte di lui ne ebbe paura.
“Chi di voi due è il giovane che ha sconfitto il mio esercito nell’ultima battaglia?” Domandò il vecchio re fissando i due Jotun. Loki abbassò il capo, Nàl rimase dov’era a testa alta.
Njord guardò Odino, “il suo nome?”
“Nàl,” rispose il diretto interessato, “non faccio parlare altri per me, vostra maestà.”
Njord ghignò in modo disgustoso, “arrogante,” commentò con approvazione, “bellissimo. È straordinario come Jotunheim sia capace di partorire mostri giganteschi capaci di simulare un aspetto tanto desiderabile.”
“Non simulo assolutamente nulla,” replicò Nàl, “questo è solo l’aspetto che avrei se fossi nato Aesir.”
“E mi vorresti far credere, giovane, che tutte quelle creature informi possono essere dei meravigliosi fiori d’inverno per natura?”
“Se pensate di avere la vostra rivincita umiliandomi, avete sbagliato gioco, mio re,” lo informò Nàl con un’espressione talmente rilassata che il re sembrò indispettirsene.
“Dovresti tenere a freno la tua puttana, principe di Asgard.”
“Ancora una parola di scortesia rivolta al mio compagno e l’esercito di cui parlavate sfonderà le porte del vostro palazzo e appenderà gli arazzi scarlatti di Asgard sulle vostre pareti.”
Njord sembrò tornare il vecchio stanco che era stato fino ad un istante prima, poi rise. Una risata insopportabile, simile al rantolo di un animale ferito, “già era incredibile che tuo padre ti avesse lasciato prendere uno Jotun per fratello, giovane. Non volli credere alle voci, quando dissero che il principe dorato divideva il letto con un figlio di Jotunheim,” rise ancora. “Ed ora, vengo a sapere che il piccolo randagio non solo è una puttana con un talento per la guerra letale e la lingua lunga… È  riuscito persino a convincervi a metterlo sul trono accanto a voi. Vostro padre farà scoppiare una guerra civile.”
“Preoccupiamoci di far finire questa di guerra,” sibilò Odino con urgenza.
Njord guardò i due Jotun in cagnesco, “non voglio loro tra i piedi.”
Le grandi porte della sala del trono si aprirono ed una dama dai lunghi e capelli fece il suo ingresso con passo sicuro e sfoggiando un sorriso che non tradiva nulla di diabolico. Odino strinse i pugni. Nàl si morse il labbro inferiore.
“Vostra madre mi ha consigliato di non sprecare altre vite in questo conflitto.”
Bestla rimase in silenzio: il perfetto ritratto della nobile eleganza ed il principe di Jotunheim voleva solo poterle togliere quell’espressione serena dalla faccia.
“Dimostratemi quanto sia stato prezioso questo suo consiglio.”
Odino sospirò e guardò Nàl un ultimo volta. Il giovane Jotun, sebbene a malincuore, annuì e si avvicinò a Loki, entrambi pronti a seguire la regina di Asgard ovunque lei volesse portarli per intrattenerli nell’attesa.
“Tienimi lontano qualsiasi oggetto contundente che possa capitarmi a portata di mano o, alla sua prima frase, non risponderò di me,” mormorò Nàl all’altro Jotun.
Loki sorrise, “perché mi chiedi di trattenere la tua impulsività quando meno lo vorrei?”
[Jotunheim, oggi.]
“Volevate vedermi, mio re?”
Bàli lo guardava a testa alta, rispettoso ma non tradiva alcun timore di fronte al sovrano caduto di Jotunheim. Suo malgrado, Laufey dovette ammettere che gli piaceva.
“Ti chiami Bàli, non è così?”
“Sì, vostra maestà.”
“Perché il mio primogenito ti ha preso a suo servizio?”
“Sono un cacciatore,” rispose il giovane con sincerità, “uno dei migliori qui, nella terra degli scarti. Riesco a cacciare abbastanza da poter aiutare alcuni bisognosi della mia gente. Il principe Helblindi aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse ad ambientarsi a questa situazione e badasse a suo fratello. Gli piace la caccia ma non conosce queste pianure, non sono frequentate come quelle che circondano le città.”
Laufey era molto interessato all’argomento, “è così che funziona questa comunità? I più forti si prendono cura dei più deboli.”
“Le insidie di questa terra unirebbero qualsiasi minoranza in difficoltà, signore.”
“Minoranza…” Laufey sorrise amaramente, “dopo i massacri dei principi di Asgard, non credo che possiate più definirvi una minoranza.”
Bàli abbassò lo sguardo, “molti di quelli Jotun erano genitori di alcuni scarti che vivono qui. Il dolore per quelle perdite appartiene a noi quando ad Utgard.”
Laufey annuì, “vi sono moltissimi giovani e bambini qui.”
Bàli accennò un sorriso, “questo luogo è divenuto un rifugio per noi solo con il vostro regno. I pochi anziani sono scarti che rammentano degli anni peggiori, quando venivano uccisi, abbandonati o venduti. Mi hanno raccontato che molti sono arrivati dopo la fine della guerra. Alcuni con più di un bambino piccolo a presso. I giovani che crescono qui finiscono per formare numerose famiglie tra di loro, per questo vi sono molti bambini.”
“Ad Utgard non ve ne erano,” raccontò Laufey con sguardo assente, “non ve ne sono stati per molto tempo. I giovani Jotun fuggivano dalla capitale.”
“Mi è permesso sapere la ragione?”
“Non lo so,” ammise il re, “forse, per loro, tra quelle mura continuava a rimbalzare l’eco delle urla disperate, violente… Le urla della guerra.”
“Anche per voi era così?”
Il re puntò i gelidi occhi verdi sul cacciatore e questi chinò il capo, “perdonatemi, sire, sono stato arrogante.”
Laufey scosse la testa, “Bỳleistr te ne ha parlato?”
Il cacciatore sgranò gli occhi scarlatti ma l’espressione del sovrano non era minacciosa.
“Lo ami?” Fu la risposta diretta.
“Vostra maestà, io…”
“Lo ami?” Insistette Laufey con fermezza.
Bàli strinse le labbra, “come nessun altro…” Fu la risposta appena mormorata.
Il re si morse il labbro inferiore e strinse i pugni, “Bỳleistr non… La sua vita è stata imperniata sull’addestramento militare e sulla devozione verso suo fratello, il futuro re.”
“Mi è stato raccontato, sire.”
“Lui non ha la minima idea di quel che sa facendo con te.”
Bàli alzò timidamente gli occhi, “mi è possibile esprimere liberamente un’opinione, sire.”
Laufey non avrebbe voluto, “ti ascolto.”
“Bỳleistr è giovane, ne convengo ma non è un bambino,” disse con una voce particolarmente emotiva, “gioca a fare il sarcastico, l’impulsivo ma, mio re, riesce a scrutare le cose tanto a fondo che, spesso, si ritrova a dire verità scomode e questo gli rende difficile piacere agli altri.”
Laufey rimase in silenzio, incapace di dire qualsiasi cosa.
“Con tutto il rispetto, mio re, penso che l’abbiate cresciuto in modo non corretto,” la voce del cacciatore tremò appena, “non l’avete mai guardato come una persona, solo come un ruolo che doveva essere recitato a dovere.”
“Ti sbagli…” Laufey parlò senza nemmeno rendersene conto
“Non sono in grado di giudicare,” ammise Bàli, “tuttavia, questo è quello che sente Bỳleistr, ora che non deve più portare costantemente quel fardello sulle spalle. Non ha mai avuto occasione di conoscere nulla di diverso da quel che voi avevate deciso per lui.”
Laufey strinse i pugni, “stai osando troppo, giovane.”
“Perdonatemi, sire.”
“In ogni caso,” la voce del re era fredda ora, “ho bisogno di sapere se tu abbia toccato mio figlio in alcun modo.”
Il cacciatore s’irrigidì, “non ho fatto nulla che non volesse anche Bỳleistr,” si difese, “questo ve lo posso…”
“Silenzio!” Laufey si avvicinò e, questa volta, la paura fu evidente negli occhi del giovane Jotun, “come?”
“Mio signore?”
“In che modo siete divenuti amanti?”
L’espressione di Bàli divenne una maschera di sorpresa e delusione insieme, “non temete, mio re,” quasi sibilò, “non c’è rischio che il sangue della vostra stirpe venga sporcato.”
Laufey sembrò calmarsi un poco, “bene…” Si voltò mettendo tra di loro qualche metro di distanza. Lo sguardò rivolto alla grande finestra. Bàli gli fissò la schiena, “pensavo che per voi… Pensavo che non vi fosse differenza, per voi, tra uno Jotun normale e… E quelli come me.”
“Qualunque idea tu ti sia fatto su mio figlio, cancellala dalla tua mente,” il re continuò a rivolgergli le spalle, “Bỳleistr vuole esplorare il piacere? È normale che lo faccia, non sarò io ad impedirglielo. Un gioco, nulla di più.”
Bàli scosse la testa, “io non sto giocando con vostro figlio, sire.”
“Non m’interessa,” il re si voltò, “alla fine di questa storia, i miei figli faranno valere i loro diritti. Morirò per garantirglielo, se necessario! Helblindi sarà re, Bỳleistr avrà in mano il potere militare ed entrambi, con un po’ di fortuna, riusciranno a guidarci fuori da quest’epoca buia. Non c’è posto nel futuro di mio figlio, per te.”
Bàli avrebbe voluto ribattere. Avrebbe potuto farlo in mille modi ma rimase in silenzio.
Perché quello era il re di Jotunheim e lui non era nessuno.
Perché Bỳleistr era un principe e lui solo un cacciatore.
“Confido che mio figlio non venga a sapere nulla di questa nostra conversazione.”
Le scelte erano due: amare Bỳleistr per il tempo che quella guerra civile avrebbe concesso loro e non chiedere di più, oppure mettersi contro il proprio sovrano.
“Certamente, mio signore.”
Non era sicuro di potersi accontentare…
[Midgard, oggi.]


Bestla si era accomodata in salotto senza fare troppi complimenti.
Loki aveva deciso di darsi alla fuga simbolica chiudendosi dietro il suo proverbiale muro del silenzio.
Thor era l’unico che, tra un balbettio e l’altro, cercasse di chiarire la situazione, “No-Nostro padre non ha ma-mai…”
Bestla fece spallucce, “Odino mi ha esiliata da Asgard anni fa, molti anni prima che voi nasceste. Mi sorprende che voi conosciate il mio nome.”
“Il vostro nome potevamo leggerlo sull’albero genealogico dei registri reali,” intervenne Loki fissandola in cagnesco, “sono le vostre origini che abbiamo scoperto di recente.”
Bestla lo guardò con un sorrisetto, “l’atto di purificazione di mio figlio è andato a buon fine, vedo,” commentò con sarcasmo, “non solo ha omesso le origini Jotun di alcuni membri della dinastia dorata. Ti ha anche fatto credere di essere un Aesir.”
Loki non replicò.
“Questo è l’aspetto che usi quotidianamente?”
Ancora silenzio.
Bestla sgranò gli occhi, “tu te ne vergogni…”
Loki si alzò di scattò dalla poltrona su cui era seduto e si piazzò davanti alla finestra dando la schiena al fratello e alla donna. Bestla si alzò in piedi a sua volta, “come puoi provare vergogna per una cosa simile?” Domandò scandalizzata, “sei libero di non considerarti parte di quelle masse di bruti idioti e non lo accetti nemmeno?”
Thor inarcò un sopracciglio, “Bruti cosa?”
Bestla lo guardò con aria schifata, “quando ho visto che i figli di Odino giocavano all’incesto, ho temuto per il peggio,” confessò, “ma più ti guardo, più mi chiedo come sia possibile che scorra del sangue Jotun nelle tue vene. Un banale Aesir. Chiedi a tua madre quanto ho desiderato che potessi avere parte della mia eredità.”
Thor non capiva: perché veniva aggredito in quel modo da una donna che, sì, forse era sua nonna, ma che, di fatto, non era nulla di diverso da una perfetta estranea?
“Come puoi giudicarmi se nemmeno mi conosci?”
“Tu come hai potuto giudicare gli Jotun per tutta la tua vita?” Loki si era voltato a guardarlo, le braccia incrociate sul petto. “Lo stesso gioco, Thor. Rancore che si delinea chiaramente nella forma del razzismo. Gli Aesir lo fanno con gli Jotun. Gli Jotun lo fanno con gli Aesir. Elementare…”
“Ma è stata una regina di Asgard!” Obbiettò Thor.
Loki spostò gli occhi sulla donna, “come replicate a questo?”
Bestla fece una smorfia, “replico che non tutti i matrimoni reali hanno una parvenza di serenità, come quello dei vostri genitori e che non tutti i mariti vedono le loro mogli come qualcosa di diverso da una vacca da ingravidare.”
Loki annuì, “sì, di recente abbiamo scoperto anche che Borr era un gran bastardo.”
Thor si ritrovò ad annuire, suo malgrado.
“Lo chiederò ancora una volta,” il giovane Jotun si avvicinò, “che cosa volete? Siete rimasta nascosta per secoli ed ora arrivate preoccupandovi di una nuova generazione che non è stata nemmeno immaginata riempiendoci di dubbi con le vostre parole enigmatiche.”
Bestla guardò Thor, “cosa potrei volere da questo essere inutile?”
Il principe dorato le lanciò un’occhiata obliqua ma riuscì a controllare l’ondata di rabbia che lo investì.
“Ma tu, Loki,” L’antica regina sorrise amorevolmente, “tu hai superato le mie speranze più rosee.”
 Tentò di accarezzargli una guancia ma il principe fece un passo indietro per evitare il contatto.
Lei sorrise, “sei uguale a tuo padre.”
“Smettila di ripeterlo,” sibilò Loki al limite della sopportazione, “non c’è mai stato un padre, non c’è mai stato niente. Io sono tutto ciò che possiedo e su cui posso contare.”
Thor lo guardò come un cucciolo ferito ma non disse nulla per obbiettare.
Ma nulla sembrava scalfire l’orgoglio che faceva splendere gli occhi scarlatti di Bestla, “anche Laufey alla tua età era perfetto.”
Thor si alzò in piedi d’istinto, Loki s’irrigidì fino allo spasmo.
“Capelli corvini. Occhi verdi. Pelle di neve. Sei il suo ritratto Loki, lo vedo in ogni espressione che fai, nel modo in cui cammini, nel tuo tono di voce.”
Loki strinse i pugni fino a farsi male.
“Sei suo, non importa quanto tu lo detesti,” Bestla gli accarezzò i capelli, “non c’è mai stata possibilità che tu potessi divenire l’erede di Odino.”
Loki non pensò a quanto seguì. Semplicemente, afferrò la gola della donna in un impeto di violenza e rabbia che li fece cadere entrambi sul tappeto del salotto. Thor non esitò ad intervenire e tentò di allontanare il fratello minore da Bestla, sebbene senza successo.
“Loki!” Lo chiamo allora, ma fu tutto inutile. “Loki, calmati!”
“Non sono suo!” Sbottò Loki all’indirizzo della donna che stava soffocando per sua mano, “non ero di Laufey, non lo sono mai stato!”
Non voglio esserlo!
“Loki!” Thor cercò di tirarlo via, ma fu inutile.
“E non ho bisogno nemmeno di essere di Odino,” sibilò il giovane Jotun sentendo che le forze abbandonavano lentamente il corpo sotto di sé, “ero un debole, quando lo credevo. Non c’è nessuno a cui debba la mia vita, non c’è nessuno che meriti la mia gratitudine. Il mio nome è Loki e non appartengo ad altri che a me!”
Era talmente rapito dal modo in cui il viso di Bestla perdeva gradualmente colore, che non si accorse delle dita affusolate che riuscirono a posarsi sulla sua tempia. Da principio, tutto divenne ovattato. La voce di Thor alle sue spalle, la rabbia dentro di sé. Tutto sembrava talmente lontano da non essere mai stato reale.
“Oh, ma… ma che fai? Ti muovi?”
Chi aveva parlato? Non conosceva quella voce.
“Sai, tu sei un po’ come quei pulcini… Perché mi cresci dentro, tu.”
Il battito di un cuore. Il battito di due cuori. Una sensazione di tepore, di protezione… La sensazione di sentirsi amati.
Loki alzò gli occhi: non era più nel salotto della casa in Norvegia, non era da nessuna parte. Non era lui.
“Va tutto bene.”
Quella voce la conosceva, invece… La conosceva bene. “È tutto finito.”
Qualcuno piangeva. Un bambino… Un bambino molto piccolo. Era lui che stava piangendo.
Vide il viso di un giovane re dai capelli dorati e dagli occhi azzurri. Vide la paura lasciare il suo viso, mentre la commozione prendeva il sopravvento. Le immagini divennero confuse, le parole storpiate.
Il pianto continuava incessante.
“Guardalo… Guarda che cosa abbiamo messo al mondo.”
Conosceva quel giovane: l’aveva visto nei suoi sogni per molte notti, dopo che Thor l’aveva salvato dalla sua prigionia di buio e silenzio. Sembrava esausto, eppure era il ritratto della felicità. Aveva i capelli neri. Aveva gli occhi verdi. Aveva i suoi occhi verdi.
Una nocca sulla guancia. “È caldo…”
Il calore di un altro corpo che avvolgeva con amore il suo. Due labbra fredde sulla fronte.
“Sei proprio come ti avevo sognato…”
Il neonato… Loki non piangeva più.
[Jotunheim, oggi.]
 
“Non ho intenzione di ripeterlo un’altra volta, quindi ascoltatemi con attenzione,” Bỳleistr lanciò un’occhiata ai due bambini che teneva per mano, “andare nelle pianure è pericoloso. Non fatelo mai più, sono stato chiaro?”
Il bambino più piccolo piangeva in silenzio e si limitò ad annuire. L’altro chinò il capo, “perdonateci, principe. Non volevamo disturbare le vostre ore di caccia.”
Bỳleistr sbuffò, “troppo tardi per chiedere scusa, moccioso,” rispose acido. Il piccolo arrossì per la vergogna ed il principe si sentì vagamente in colpa.
“Che cosa ci facevate là fuori, comunque?” Domandò con tono casuale.
Il bambino più grande lo guardò, “per trovare cibo, principe.”
Bỳleistr inarcò un sopracciglio, “e i vostri genitori vi mandano a caccia senza armi, senza un’adeguata preparazione e senza un adulto?”
“Lo-Loro non…” Cercò di dire il più piccolo.
“Loro non sanno nulla, principe,” completò il maggiore. Bỳleistr rallentò il passo per un istante, “dove sono i vostri genitori?”
“Uno è cagionevole di salute. L’altro si è ferito per cacciare, ma le scorte stavano finendo e noi…”
“Perché non avete chiesto aiuto ad altre famiglie?”
“L’abbiamo fatto una volta, principe… Solo che l’inverno…”
Bỳleistr sapeva cosa intendeva. Quando l’inverno diveniva più oscuro e più freddo, persino ad Utgard la vita era difficile. In quelle terre desolate, non riusciva ad immaginare.
“Bỳleistr!”
Il principe alzò lo sguardo e sorrise nel vedere il suo cacciatore che gli si avvicinava.
“Ti ho cercato dappertutto,” disse Bàli con espressione preoccupata.
Il giovane Jotun scrollò le spalle, “ho salvato questi mocciosetti da morte certa.”
Solo allora il cacciatore si accorse dei due piccoli attaccati alle mani del principe, “Glam e Glaumar?”
Bỳleistr fece una smorfia, “per fortuna mio padre ha avuto più fantasia…”
“Salve Bàli…” rispose il maggiore, Glaumar.
Il cacciatore s’inginocchio di fronte a lui scostandogli gentilmente un ciuffo di capelli corvini dal viso, “che cosa è accaduto?”
“Li ho trovati che stavano per essere sbranati da un lupo,” raccontò il principe, “volevano trovare del cibo per i loro genitori.”
Bàli sgranò gli occhi, “cos’è accaduto a Guma e Gusir.”
“Per i Nove, allora è proprio una maledizione di famiglia!” Commentò Bỳleistr.
“Ma-Mamma è de-debole,” rispose Glam, il più piccolo.
“E papà è ferito ad una gamba,” concluse l’altro fratello.
Bàli annuì e si rialzò in piedi, “capisco,” guardò il principe, “posso riaccompagnarli io, Bỳleistr. Vivono in fondo alla Gola dei Reietti, conosco i loro genitori.”
Glaumar scosse la testa, poi lasciò la mano del principe per afferrare quella del fratellino, “da qui possiamo andare da soli, non ci sono pericoli tra i ghiacci.”
Bỳleistr sorrise scompigliando i capelli corvini del ragazzino, “coraggioso il moccioso, eh?” Si chinò quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi, “quando sarai più grande t’insegnerò a combattere, così da adulto potrai diventare un guerriero del mio esercito.”
Glaumar sorrise imbarazzato, “mi fate onore, mio principe,” disse arrossendo, “ma nessun esercito accetterà mai uno scarto tra i suoi soldati.”
Bỳleistr si rabbuiò appena e sollevò il busto fissando il piccolo dall’alto in basso.
“Vi ringrazio per tutto,” disse il bambino prendendo a camminare nella neve tirando appena il fratellino minore ancora in lacrime.
“Aspetta!” Bỳleistr lo bloccò dopo poco e i piccoli si voltarono a guardarlo. Il principe porse loro la sacca di pelle che portava ad una spalla, “ci sono tre coniglie qui dentro, un regalo per voi e per i vostri genitori.”
Glaumar sgranò gli occhi scarlatti, “no, mio principe, voi e la vostra famiglia non avrete di che mangiare, dopo.”
“La famiglia reale è dura a morire ragazzino,” replicò Bỳleistr costringendo il bambino ad afferrare la sacca, “devi dire ai tuoi genitori che, entro pochi giorni, uno Jotun della corte verrà a far loro visita per trovare un rimedio alla loro situazione fisica.”
Glaumar aveva gli occhi pieni di lacrime, “grazie, mio principe.”
“Vai, ora, si sta facendo buio…”
Bỳleistr si voltò ed afferrò la mano di Bàli che abbassò gli occhi incredulo, poi prese a guardarsi intorno con estrema premura. Il principe sbuffò, “siamo soli... Ed anche se non lo fossimo, sono il principe, faccio quello che voglio.”
Bàli gli rivolse un sorriso orgoglioso, “non è da tutti fare quello che hai fatto.”
“Cosa? Aiutare un bambino a sfamare la sua famiglia? Ti sembrerà assurdo ma son fin troppo bene cosa vuol dire tenere a qualcuno quando il mondo tutto intorno è un perfetto schifo.”
“Saresti perfetto sul trono di ghiaccio, Bỳleistr.”
Il principe lo guardò serio ma solo per un istante, “ti apro le gambe anche se non mi riempi di complimenti con voce solenne.”
Più tardi, quando furono entrambi caldi del loro amore, mentre Bỳleistr era disteso su un fianco e Bàli era dietro di lui che gli accarezzava dolcemente un fianco, il cacciatore venne colto da un pensiero improvviso.
“Sei bravo con i bambini,” commentò.
Bỳleistr sbuffò, “inutili creature: piangono, vogliono giocare, devono essere nutriti, lavati e coccolati regolarmente. Quelli di loro che diverranno guerrieri potranno avere una possibilità di attirare il mio interesse. Fino ad allora, lungi da me!”
Bàli gli baciò una spalla, “saresti un ottimo genitore, Bỳleistr.”
Il principe sospirò tristemente, “per essere buoni genitori bisogna… Vivere in un luogo che ti permetta di esserlo. All’inferno puoi solo cavartela nel meno peggio dei modi.”
“È questo che pensi di tuo padre?”
Bỳleistr s’irrigidì per un istante, “se ti racconto una storia… Una storia scomoda, prometti di non parlarne con nessuno fino alla fine dei tuoi giorni?”
“Non potrei mai tradirti, Bỳleistr, io…”
“Prometti!”
“Lo prometto…”
Bỳleistr si rigirò tra le pellicce calde per poter guardare l’amante negli occhi, “io e Helblindi… Noi non siamo gli unici figli di nostro padre.”
Bàli inarcò un sopracciglio, “sapevo che il re aveva perso dei bambini, prima che…”
“Infatti,” Bỳleistr, “ma il primo bambino che perse non era figlio di Fàrbauti… Così come l’ultimo, l’unico che riuscì a dare alla luce lui stesso…”
 
[Midgard, oggi.]
 
“Va tutto bene,” mormorò Thor dolcemente coprendo Loki con la trapunta del letto, “andrà tutto bene, te lo prometto!”
Il secondo principe di Asgard affondò il viso nel cuscino continuando a piangere disperatamente. Thor non capiva, non poteva: suo fratello si era accasciato a terra, come colpito da un’arma invisibile, poi, quando aveva tentato di sollevarlo, gli si era avvinghiato addosso ed era divenuto inconsolabile.
Thor gli posò un bacio tra i capelli cercando d’ignorare il dolore che provava lui stesso nel vederlo così.
“La verità tende a distruggere i bugiardi, bambino.”
Quando i suoi occhi azzurri incontrarono quelli scarlatti della donna sulla porta, la sua espressione doveva essere terribile.
“Se la caverà, non è destinato a spezzarsi per…”
Thor le fu addosso in un attimo. La spinse in corridoio chiudendosi la porta della camera alle spalle.
“Era già spezzato,” sibilò, “ho dato l’anima per aggiustarlo ed ora voi… Voi…”
Qualcosa tremò all’interno della camera alla sue spalle: Mjölnir aveva avvertito la sua rabbia, la sua sete di violenza, di sangue.
“Che cosa volete da noi?” Domandò per l’ennesima volta, “per nostro padre siete morta, per noi siete un’estranea. Perché intromettervi? Perché?!”
Un tuono improvviso fece tremare i vetri delle finestre di tutta la casa.
Bestla osservò stupita, “non sei così inutile dopotutto, bambino.”
“Non m’importa che cosa sono. Voglio solo sapere che cosa avete fatto a mio fratello e come posso porvi rimedio.”
La donna sospirò annoiata, “l’ho appena detto, ragazzino,” rispose, “la verità e, no, non c’è nulla che tu possa fare in proposito.”
“Che verità?!” Urlò Thor, “cos’altro potrebbe ridurlo in questo modo, oltre a quello che già sa?”
“Oh, no…” Bestla sorrise diabolica, “c’è un dettaglio che Odino ha omesso di sua volontà, anche quando le sue bugie sono crollare insieme alla dorata illusione che vi aveva costruito intorno. Ha dichiarato a Loki tutto ciò che avrebbe potuto distruggere lui, ma ha mentito, ancora una volta, su ciò che avrebbe potuto distruggere lui, te e tua madre.”
“Cosa centra mia madre, ora?”
“Ti do un indizio… Ormai è appurato che Laufey sia il padre di Loki, quello che devi chiederti è chi l’abbia aiutato a…”
“Vattene…”
Thor si voltò e vide che Loki era comparso sulla porta: l’espressione distrutta ma rabbiosa, le guance bagnate a causa delle lacrime.
“Vattene da questa casa…”
Bestla sorrise soddisfatta.
“Ora!”
La regina fece un breve inchino, “come desiderate, mio re.”
Nessuno dei due fratelli si mosse, fino a che non si udì distintamente la porta d’ingresso che si apriva e chiudeva.
“Loki…” Thor gli prese il viso tra le mani, “che ti ha fatto quella donna? Stai bene?”
L’altro gli prese i polsi e lo allontanò lentamente da sè.
“Prima volevi fare una cosa…” Mormorò Loki con voce distante.
Thor non capì.
“Volevi fare l’amore con me usando la… Volevi baciarmi, ma non sulle labbra.”
Thor annuì ma continuò a non capire.
“Facciamolo,” ordinò Loki.
“Cosa?”
“Tu a me,” il principe annuì, “poi, io a te.”
“Loki, io non credo che…”
Il minore fece aderire le loro labbra in un bacio umido e disperato. Bellissimo.

Thor si era addormentato senza coperte addosso e Loki si era ritrovato a fissare le spalle forti, la fossetta della colonna vertebrale ed i glutei perfetti desiderando solo di poterlo svegliare per prenderlo ancora, ancora e ancora.
Non lo fece.
Non poteva.
Aveva altro da fare.
Passò una mano tra quei capelli dorati per assicurarsi che Thor stesse dormendo abbastanza profondamente da non essere disturbato dalla sua assenza. Non si rivestì, scese in salotto con passo lento cercando con gli occhi un’oggetto che era stato dimenticato troppo a lungo.
Lo trovò semi nascosto sotto un cuscino del divano: il diario di Odino.
Loki si sedette e lo fissò a lungo, in silenzio, prima di prenderlo tra le mani tremanti. La pagina era piegata nel punto in cui lui e Thor avevano smesso d’indagare nel passato del re di Asgard.
Improvvisamente, ogni dettaglio di quanto avevano già scoperto sembrò avere un significato completamente diverso. Il primo Loki, uno Jotun fratello dell’antico principe dorato. Bestla, la mezza Jotun, madre dell’erede al trono. E Nàl… Sì, Nàl, il primo amore di Odino. Un primo amore dagli occhi verdi, i capelli corvini e la pelle neve.
Sei proprio come ti avevo sognato…
Loki aprì il diario e cominciò a leggere.

***

Varie ed eventuali note:

non sono state eseguite censure 


Domani questa storia compie un anno ed io sono precisamente due mesi in ritardo.
Ovviamente mi scuso ma tra, vacanze, caldo e probelmi estivi vari, ho preso in mano il capitolo solo dieci giorni fa e, lo ammetto, sarebbe dvuto essere molto più lungo ma il mio iper-perfezionismo mi avrebbe fatto andare troppo oltre. 

Perdonate anche se non rispondo alle recensioni ma, purtroppo, il destino mi ha privato dello smatphone e mi ritrovo, ancora una volta, con un pc non mio, quindi aggiorno come se fossi una latitante. Chiedo scusa in attesa di tempi migliori! 

Passiamo al capitolo.
Pseudo-spoiler, avrei voluto far comparire anche Freyja (ed io so che voi esperti del mito e\o del fandom inglese la conoscete bene), invece Bestla (ma veramente pensavate che l'avessi fatta morire, salvandola dalla mia distorsione?) ha rubato completamente la scena e ho deciso di lasciare fa. Qui sotto alcune presentazioni.
Bestla, probabilmente l'avevo già scritto ma, nel dubbio, ripetiamo. Madre naturale di Odino e dei suoi due fratelli (ma penso che questo fosse chiaro), quindi moglie di Borr. Nel mito è una Jotun, qui è una mezzosangue per questioni di comodità. 
Njord, lo approfondiremo meglio nel prossimo capitolo. Nei miti è il dio del mare e dei venti, ebbe due figli dalla sua stessa sorella: Freyja e Freyr. Successivamente si sposò con una Jotuna sua volta (di cui non aggiungo altro perchè sarà materia del prossimo capitolo). Fu lui a firmare la pace con Aesir. Qui lo vediamo in veste di re dei Vanir (personalmente non ho prove certe che avesse un simile titolo nel mito, quindi se qualcuno che ne sa più di può confermare o meno, gliene sarei grata).
I nomi dei bambini che compaiono nella scena con 
Bỳleistr e Bàli e dei loro genitori sono quelli di quattro Jotun realmente citati nei miti ma di cui non sono riuscita a trovare informazioni necessarie per farne dei personaggi meglio collocati.

Veniamo ai contenuti.
Che cosa vuole la cara nonnina dai fratelli coltelli (l'ho trovato in una rivista che parlava di The Dark World, pardon)? Tante cose ma non dovrete attendere molto perchè siano chiarite. Il fatto che provi odio praticamente pet tutto è un buon indizio, credetemi!

Come sta succedendo da qualche capitolo ma, da qui in poi, accadrà più frequentemente, in alcuni dialoghi dei personaggi del presente compaiono degli spoiler su quanto succederà ai giovani Odino e Laufey e, forse, a Loki ne è arrivato uno particolarmente scomodo che potrebbe compromettere (ulteriormente) la sua sanità mentale e lo pseudo-equilibrio sentimentale(\erotico) che è riuscito a creare con Thor.

Detto e considerato che ormai la stagione estiva è (finalmente) finita, spero di non incimpare in ulteriori impedimenti! 
In ogni caso, ho intenzione di aggiornare parecchio prima di The Dark World perchè, dopo, ci sarà d'assorbire l'onda d'urto. Penso che in molti capiate cosa intendo.

Grazie mille della pazienza e dell'amore che mostrate per questa storia.
Non le faccio gli auguri perchè il giorno prima porta sfortuna!

Alla prossima!




 

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Capitolo 17
*** Diverso ***


XVI
Diverso

[Midgard, oggi.]
Il diverso era sempre stato qualcosa di universale.
Non aveva importanza il mondo di origine o l’era in cui viveva.
Il diverso era tale e lo sarebbe sempre stato agli occhi dell’infinità realtà.
Si era travestito da mortale, aveva recitato la parte della persona normale per tutta la notte.
Nemmeno con un attore consumato come lui aveva funzionato.
La ragazza dai lunghi capelli biondi, la quale aveva smesso di ballare per sedersi, casualmente, accanto a lui sui divanetti a bordo pista, non conosceva il suo nome, non conosceva la sua natura ma, pur con gli occhi di una formica, aveva saputo vedere la sua diversità.
E gli era piaciuta.
Perché, a dispetto delle leggi del suo mondo, il diverso può essere carico di forza magnetica. Tutta colpa di quel letale istinto di curiosità che porta i più coraggiosi, o stupidi ad avventurarsi in territori che, prima, nessuno aveva osato esplorare.
Era stato così per chi gli aveva dato la vita e per chi gliel’aveva salvata finendo solo per rovinarla?
Non lo sapeva.
Se prima aveva voluto risposte, dopo aveva fatto finta che non esistessero le domande ma ora… Ora…
La ragazza non gli aveva nemmeno parlato, gli aveva lanciato un’occhiata maliziosa, poi l’aveva preso per mano. Aveva tentato di appiccicargli quelle labbra troppo rosse contro la bocca. Si era scansato.
Si era lasciato trascinare dentro la toilette e aveva permesso che l’estranea facesse il suo dovere da gatta in calore, prima di far aderire la sua mano contro il cavallo dei pantaloni e scoprire, indignata, che le sue moine da sgualdrinella non avevano accesso il ben che minimo desiderio.
Il diverso l’aveva lasciata lì, nella toilette ed era tornato nella sala principale del locale.
Si era seduto al bancone e non aveva dovuto aspettare molto, prima che un altro amente dell’ignoto lo notasse.
“Sei di qui?”
Aveva i capelli biondi anche quel giovane.
“Ti posso offrire da bere?”
Non sapeva dire di che colore avesse gli occhi, ma era certo che quelli di Thor sarebbero stati blu anche in quella stanza buia dalle luci violente e veloci.
“Sei molto bello, lo sai?” Gli sfiorò una guancia, “sei, probabilmente, la cosa più bella in questo posto noioso.”
Banale. Ridicolo. Irritante.
Gli serviva solo un cenno d’assenso, prima che anche questo sconosciuto lo portasse nella toilette e gli si strusciasse addosso. Non provava alcun interesse per lui, solo per le cosce fasciate dai jeans neri. Le fissava immaginandosele strette intorno alla vita. Schifoso.
Pensò a tutte le volte che Thor aveva accettato simili compromessi per qualche piacere fugace.
Pensò che, dopo essersi sbloccato, usare un mortale come giocattolo erotico di una notte sarebbe stato un gioco da ragazzi. Evidentemente, il desiderio non era una cosa poi così automatica come gli impazienti giovani di Asgard l’avevano sempre fatto passare.
No, non era vero. Era lui il diverso, quello pretenzioso, quello che si era accarezzato per la maggior parte della sua vita e non aveva alcuna intenzione di provare la stessa esperienza vuota tra mani estranee, sporche, avide e superficiali. Avrebbe potuto dare a quel ragazzo quello che, ancora, non aveva dato a Thor. Quella sua parte maschile ben poco virile ma che nulla aveva a che fare con la sua natura Jotun.
Sapeva già come sarebbe andata a finire. Quello glielo avrebbe messo dentro ancora prima di finire di abbassargli i pantaloni. Se soddisfatto, lo avrebbe toccato, oppure lo avrebbe lasciato prendere un po’ di piacere, se fosse venuto. Lui se ne sarebbe stato lì, piegato in avanti, senza emettere suono, senza provare niente… Né dolore, né piacere. Forse, pensando con fare annoiato a quanto sarebbe durato quello squallore. Poi, si sarebbe ritrovato da solo, in compagnia di un solo, scontato ma letale pensiero: non aveva bisogno di cercare il suo desiderio ed il suo piacere in amanti clandestini nelle brave notti dall’odore alcolico. 
“Non bevo nulla…” Si alzò e se ne andò.
Non sapeva perché lo aveva fatto. Dopo quel che aveva letto sul diario dell’uomo che era stato suo padre, aveva fatto l’ultima cosa che la sua natura superba avrebbe voluto, ma verso cui il suo lato masochista l’aveva spinto con forza. Quelle formiche avrebbero potuto allargargli le gambe o infilarsi tra le sue quanto volevano. Nulla di quello lo avrebbe stordito abbastanza da dargli un istante di pace illusoria.
Nessuno di loro sarebbe arrivato tanto a fondo.
C’era solo una creatura nell’universo che poteva annebbiargli la mente con un desiderio tanto intenso ed un piacere tanto violento da cancellare, se pur per un istante, tutto.
Sapeva di non doverla cercare, perché stava già dormendo nel suo letto.
E il suo nome era Thor.

Gli occhi blu cominciarono ad aprirsi che il sole era già alto nel cielo.
Loki era rimasto fermo per ore, seduto sul pavimento della loro camera, con le braccia incrociate sul bordo del letto ad appena pochi centimetri dal viso di Thor.
Quando vide che lo fissava, non sobbalzò. Al contrario, gli sorrise come se quello fosse il suo risveglio ideale.
“Buongiorno…”
Loki non rispose e lo guardò stiracchiarsi, poi inarcare le sopracciglia, “sei vestito…”
Chinò il capo per osservarsi ed un ciuffo di capelli cadde all’indietro rivelando il segno di rossetto che aveva sul collo. Quando tornò a guardarlo, quegli occhi blu erano immobili.
Loki si toccò, istintivamente, il punto in cui sembravano essersi incantati e comprese.
Thor attendeva in silenzio, come un condannato a morte.
“Ci ho provato,” ammise Loki, senza vergogna, “volevo tradirti… Volevo riuscirci con tutto il cuore…”
Thor prese un respiro profondo, “e ce l’hai fatta?” Chiese fissando le lenzuola.
Loki non rispose. Si alzò in piedi e si liberò della t-shirt grigia che indossava.
Thor rimase in silenzio, mentre l’altro si spostava sul letto, sopra di lui, costringendolo dolcemente con la schiena contro il materasso. Si guardarono negli occhi per un’infinità di tempo.
Poi Loki sospirò. Sconfitto, si era arreso…
“Facciamo l’amore…”
Non era una domanda, non si sarebbe mai abbassato a tanto ma era la prima volta che usava quelle parole.
Thor sorrise… Sorrise semplicemente perché era felice, poi si alzò sui gomiti e fece incontrare le loro bocche.
“Sì! Sì!” Loki non aveva bisogno di una risposta ma Thor voleva dargliela comunque, “mille volte sì…”
Gli slacciò i jeans scuri e, impacciatamente, le mani di entrambi cercarono di liberarsene.
Non erano nemmeno arrivati alle ginocchia che già stavano facendo l’amore.
 
[Jotunheim, oggi.]
 
Skaði era sempre stato un tipo riservato, continuamente impegnato ad approfondire le proprie conoscenze nel campo della guarigione e addestrando i giovani a divenire dei curatori attenti e pronti a qualsiasi catastrofe. La sua lealtà nei confronti del re era indiscussa ma Bỳleistr era sempre stato troppo testardo per arrendersi di fronte ad una battaglia già persa in partenza.
“Tu vorresti che scendessi nella gola per visitare una famiglia di scarti?”
Nella sua forma Aesir non era molto alto e ciò mise al principe ulteriore sicurezza, “il capofamiglia è ferito, chi si occupa dei bambini è malato e… Sul serio, Skaði, non ho alcuna voglia di raccogliere le carcasse di quei due mocciosi in un bel pomeriggio di caccia!”
“Tuo padre ha ordinato ai membri della corte di non esporsi e…”
“Troppo tardi, ormai! Mi sento responsabile per quella famiglia: ho regalato loro tre conigli… E anche belli grossi, io…”
Il curatore sgranò gli occhi, “che cosa hai fatto?!”
Bỳleistr sbuffò, “siamo onesti!” Esclamò, “viviamo nelle loro terre a loro spese! Come se non bastasse, pretendiamo anche che ci trattino come se fossero i nostri umili sudditi e servitori.”
“Lo sono!” Replicò Skaði, “Laufey, tuo padre è il loro re! Devono a lui la loro vita!”
Bỳleistr alzò gli occhi al cielo, “devono la loro vita ad uno Jotun che, in un giorno di noia, decise di montare un altro Jotun!”
“Bỳleistr…”
“Se essere volgare potrà aiutarmi a convincerti, andrò avanti tutto il giorno!”
Il curatore sospirò profondamente e chinò la testa sul libro che stava leggendo: uno dei pochi, preziosi volumi che erano riusciti a portar via da Utgard. Bỳleistr si avvicinò al tavolo di ghiaccio e vi appoggiò le mani con estrema calma, “siamo noi a dovere loro le nostre vite,” replicò, “mi capita spesso di scendere nella gola, sai? Vedo quelle famiglie, sento la loro gentilezza e so che non ne meritiamo neanche la metà…”
Quella voce solenne costrinse Skaði a guardare, di nuovo, il proprio principe negli occhi.
“Diamo loro un po’ della nostra di gentilezza e, se non sappiamo farlo, mettiamoci a riflettere profondamente su noi stessi perché, allora, non siamo quella stirpe superiore di cui la nobiltà di Utgard blaterava!”
Skaði si lasciò ricadere contro lo schienale della sedia di ghiaccio e fissò il principe per un lungo momento di silenzio.
“Cosa c’è?” Domandò il giovano confuso.
“Niente…” Rispose il curatore con aria distratta, “mi hai solo mostrato una cosa che non vedevo da moltissimo tempo,” accennò un sorriso, “grazie per averlo fatto…”
Bỳleistr non capì. Scrollò le spalle e poi incrociò le braccia contro il petto, “lo farai?”
Il curatore rise alzandosi dal suo posto, “fatemi strada, mio principe.”
[Vananheim, secoli fa.]
 
“Spero che la stanza sia di vostro gradimento.”
Bestla era rimasta sulla porta, mentre Nàl vagava distrattamente per la camera che gli era stata assegnata, “non è una stanza per gli ospiti,” commentò, infine.
Loki era al suo fianco .
“Era la stanza della sorella del re,” raccontò la vecchia regina di Asgard con un’espressione che simulava la più profonda tristezza.
“Che le è successo?”
“Poche stagioni fa, diede alla luce un bambino morto,” raccontò Bestla, “solo qualche anno prima, aveva già perso una bambina nello stesso modo. Il dolore e le sue condizioni fisiche non hanno avuto pietà di lei.”
“Capisco…” Nàl annuì.
“Il re è onorato che il futuro consorte reale di Asgard risieda in questa stanza per tutta la durata della vostra visita.”
Il giovane Jotun alzò gli occhi al cielo, “non sono il consorte reale di nessun regno e la mia visita non è affatto di cortesia, smettetela di recitare la parte della perfetta dama d’alta nobiltà. Mi date la nausea.”
Il sorriso gentile di Bestla divenne un gelido ghigno, “io nascondo il tuo segreto e tu il mio. Pensavo fossimo tacitamente in sintonia su questo, mio principe.”
“Ovvio,” Nàl si fece avanti, “questo non ci costringe ad andare d’accordo.”
“Nemmeno per il bene di Odino?”
“Voi non sapete cos’è il bene di Odino,” intervenne Loki e Bestla gli regalò un’occhiata sprezzante, “i giovani d’oggi non hanno idea di cosa sia il rispetto.”
“Non costringetemi a dimostrarvelo,” replicò Nàl acidamente, “lasciateci. Non voglio che nessuno ci disturbi, prima del ritorno del principe.”
Bestla accennò un inchino e gli sorrise con falsità, “sarà fatto, vostra altezza.”
Non appena la porta si richiuse, Loki gli si avvicinò preoccupato, “forse non dovresti sfidarla così apertamente.”
“Perché?” Nàl si voltò e si sedette sul bordo del letto, “in che modo potrebbe minacciarmi?”
“Sa chi sei,” le ricordò l’altro Jotun, “ed è abbastanza sveglia da sapere quanto può essere letale quest’arma nelle sue mani.”
Nàl sospirò stancamente e si lasciò cadere tra i cuscini, “che lo faccia. Non m’interessa.”
Loki si sedette sul lato opposto del materasso, “hai preso in considerazione le conseguenze?”
“Odino non avrebbe il trono. Borr venderebbe l’anima per avere la mia testa. Mio padre rigirerebbe la cosa per dichiarare guerra e tutti i Nove Regni si schiererebbero come più riterranno comodo.”
“E ti pare poco?” Loki inarcò un sopracciglio.
“A me interessa Odino,” ammise Nàl, senza vergogna, “tutti i troni ed i regni di questo universo possono anche distruggersi a vicenda, per quel che mi riguarda… Cosa c’è?”
Loki lo guardava e sorrideva, “hai detto che t’interessa mio fratello.”
Nàl inarcò un sopracciglio, “e con ciò?”
“Fino a due giorni fa lo avresti negato…”
Il principe di Jotunheim scosse la testa sorridendo con leggerezza, “non ha più senso, ormai.”
“È vero quel che ha detto Odino?” Loki gli si fece più vicino, “è successo?”
“Vuoi sapere se abbiamo fatto l’amore?”
Il fratello del principe dorato arrossì appena ed abbassò lo sguardo, “non volevo suonare inopportuno…”
Nàl rise e si alzò sui gomiti, “abbiamo fatto l’amore,” dichiarò a bassa voce, come se fosse un segreto talmente intimo che nemmeno le pareti della stanza avrebbero dovuto udirlo, “in mezzo alla neve…” Aggiunse con un sorriso un po’ amaro, “lui non lo sa ma, con Fàrbauti, lo scenario era identico.”
Loki annuì, “ti ha infastidito?”
“No…” Rispose prontamente il principe di Jotunheim guardando il giovane accanto a lui, “è stato come se qualcuno mi toccasse per la prima volta. Non c’era… Non sentivo…” Rise quasi istericamente mettendosi a sedere e nascondendo il viso tra le mani, “per la prima volta in tutta la mia vita, ho vissuto qualcosa che non avesse delle sfumature oscure. C’era solo calore e neve.”
Loki sorrise sentendo sua parte di quell’emozione, “bellissimo…” Poi divenne serio di colpo, “gli hai concesso qualcosa di più di quello che hai dato a Fàrbauti, vero?” Sapeva che non avrebbe dovuto chiederlo, che non erano affari suoi e tutto il resto ma si sentiva responsabile, in qualche modo e doveva sapere.
Nàl s’inumidì il labbro inferiore e restò in silenzio.
Loki annuì e comprese.
“Ma su Jotunheim è come…”
“Lo voglio,” lo interruppe Nàl guardandolo, “so che su Asgard ha tutt’altro tipo di valore ma… So cosa voglio. Ora lo so.”
“Mi sento in dovere di dirti che le fanciulle di Asgard usano dei metodi per… Evitare cose scomode…”
“Non è solo il piacere che voglio da Odino.”
“Lo so,” Loki gli passò una mano tra i capelli, “e so che potrebbe volerci molto tempo, prima che accada qualcosa di cui preoccuparsi ma, Laufey, non sei più su Jotunheim… E sei… Siamo… A stento ci considerano adulti a questa età. Se è solo il piacere che vuoi ed hai tutto il diritto di volerlo… Possiamo parlare con Eir.”
Il principe di Jotunheim sorrise amaramente, “mio figlio si chiama come te, lo sai?”
Loki sorrise, “Odino mi ha raccontato qualcosa…”
“È bellissimo…” Gli occhi di Nàl erano distanti, “assomiglia a me, ma spero che, dandogli il tuo nome, erediterà parte del tuo carattere.” Ne parlava come se il piccolo Loki fosse già nato.
Loki rise, “ad Odino non concedi nulla?”
Nàl sbuffò, “un detto popolare afferma che i primogeniti sono quelli che ereditano i difetti e, se il destino ha ragione, ne abbiamo già uno biondo, con gli occhi azzurri e dal nome orribile che può rendere onore a suo padre perfettamente!”
 
[Midgard, oggi.]
 
“Se continuiamo di questo passo, questo mondo si ritroverà ad affrontar un’alluvione totale per colpa mia!”
Thor sorrideva, rideva, scherzava… Era felice. E Loki lo lasciava fare giocando con i capelli biondi, mentre l’altro rilassava la nuca sul suo petto facendo aderire parte della schiena contro il suo ventre.
Fuori continuava a piovere, sembrava che Thor non riuscisse proprio a mantenere il controllo quando facevano l’amore.
“Su Asgard non era così,” commentò Loki osservando le gocce di pioggia che solcavano la vetrata accanto al loro letto. Thor inclinò il viso quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi, “non facevo l’amore ad Asgard.”
Loki era inespressivo ma Thor non se la prese e tornò a guardare il temporale che scuoteva le chiome degli alti alberi, oltre il parapetto della balconata. “Mi piace…”
“Che cosa?”
“Stare qui, tra le coperte, mentre fuori piove.”
Loki fece una smorfia, “il principe dorato apprezza le piccole cose, ora?”
“Mi sono sempre sfuggite le piccole cose,” Thor si rigirò appoggiando il mentre proprio sopra il cuore dell’altro, “non mi chiami per nome nemmeno mentre facciamo l’amore, ora.”
“Perché ci tieni tanto?” Domandò Loki fissando il soffitto.
“A te piace quando chiamo il tuo nome mentre sto per venire,” commentò Thor, “e non provare a negarlo.”
“Non era mia intenzione,” gli occhi verdi si riabbassarono su quelli blu, “è quasi celebrativo… Mi sento investito di un potere infinito, quando lo fai. Posso farti qualsiasi cosa. Posso darti piacere, posso farti male… Non ha importanza, sei mio in quel momento… Completamente nelle mie mani. È saperlo che mi fa raggiungere l’orgasmo.”
Thor lo guardava infinitamente serio, “l’hai reso una cosa orribile.”
“Non mi sembri sorpreso…”
“È per questo che non ti concederai mai a me? Non vuoi rischiare di darmi quel potere?”
“Comincio a comprendere perché ad Asgard questo genere di fornicazione è considerato un tabù.”
Thor sbuffò e si alzò a sedere, gli occhi fissi sul fondo del letto, “hai sempre considerato le idee di Asgard delle idiozie. Perché dargli credito ora?”
Loki fece viaggiare la punta delle dita sulla schiena scolpita sfiorando le ciocche più lunghe, appena arricciolate. “Le credenze di Asgard non hanno alcun valore per me.”
“Allora perché parli dall’amore tra uomini come qualcosa di vergognoso?” Thor si voltò a guardarlo.
“Non parlo dell’amore tra uomini. Parlo del concedersi in generale, parlo nel mettersi nelle mani di un altro, parlo di dare a questi un potere su noi stessi che può essere devastante.”
“O meraviglioso…”
Loki gli rivolse un sorriso sghembo, “è così che definiresti il nostro incesto davanti a tuo padre? Meraviglioso…”
Thor si morse il labbro inferiore, “non riesco a pentirmi di nulla, mentre facciamo l’amore… Sul serio, non riesco a provare vergogna, disgusto… Sento solo piacere e desiderio, mentre sei dentro di me.”
“E dopo?” Domandò Loki con reale interesse, “quando l’orgasmo scema e rimangono solo due corpi tremanti, segnati dal peccato… Dopo, come ti senti?”
Thor si voltò e si mise a cavalcioni su di lui, “pensi che, se me ne pentissi, te ne chiederei ancora?”
“Penso che potresti volerne ancora, fino al giorno della tua morte, per non essere costretto ad affrontare la cruda realtà.”
“Posso dire lo stesso di te.”
“È così per me,” ammise Loki, “al di là degli stupidi sentimentalismi, dall’orgasmo e tutto il resto. Ciò che facciamo è l’unica cosa capace di concedermi una breve, necessaria, parentesi di pace.”
Thor gli bloccò le mani sopra la testa. Loki non si sentì minacciato neanche un po’.
“Ti riferisci al sesso o all’amore?” Domandò.
L’altro ghignò. Si sfilò da sotto il corpo caldo di Thor e lo invitò ad alzarsi, “facciamo un gioco.”
“Non gioco nessuno dei tuoi giochi.”
“Oh, questo sarai tu a pregarmi di giocarlo…” Loki si avvicinò alla vetrata e l’aprì lasciando che la pioggia investisse in pieno il suo corpo nudo.
“Loki?” Chiamò Thor confuso ed incuriosito, mentre si alzava dal letto e gli si avvicinava.
Il giovane Jotun si voltò a guardarlo, “la tua voce non mi basta più,” mise un piede sulla balconata, “voglio sentire tutti gli elementi di Midgard chiamare il mio nome, mentre faccio l’amore con te.”
E Thor lo odiò e si odiò, di un odio che non fece poi così male, perché lo animò di un’eccitazione mai provata prima. Semplicemente, da giovane uomo, non sopportava di arrossire come un ragazzino solo per una frase dannatamente sensuale.
Rimase in silenzio: aveva il fiato corto e, se avesse parlato, gli sarebbero uscite di bocca solo suppliche volgarissime e sarebbe stato un peccato rovinare la peccaminosa poesia del momento.
Voleva sapere perché su Asgard non erano mai scoppiati temporali durante i suoi amplessi?
Oh, se solo Loki avesse potuto fare l’amore con se stesso l’avrebbe saputo.
Con quella bocca riusciva a farlo andare in estasi, anche senza toccarlo, bastava che parlasse.
Thor…
E se quella bocca avesse chiamato il suo nome.
Thor!
Aveva paura di conoscere un piacere simile.
[Jotunheim, oggi.]
 
Bỳleistr afferrò il polso del bambino con cura, “stai mettendo la mano nel modo sbagliato, per questo non ti riesce…”
Glaumar strinse le dita a pugno ma non le chiuse del tutto.
“Bravo, ora concentrati…”
Il piccolo Jotun rimase teso per qualche istante, poi uno stiletto di ghiaccio apparve dal nulla e prese forma nella sua mano. Glam, il fratellino minore, prese a saltellare sul posto e ad applaudire, “anche io! Anche io!”
“No, no, no!” Bỳleistr lo afferrò per la vita e lo mise a sedere sulle sue gambe, “tu sei ancora troppo piccolo per preoccuparti delle armi, finiresti per farti male.”
Glam mise su il broncio, mentre Glaumar si avvicinava a Bàli per mostrargli il risultato di quella sua prima lezione da guerriero, “visto?” Alzò lo stiletto con un sorriso luminoso e pieno d’orgoglio, “mi porterai a caccia con te, quando sarò diventato più grande?”
Il cacciatore sorrise e scompigliò i capelli corvini del bambino, “hai tutto il tempo del mondo per crescere, non metterti fretta, piccolo.”
“Bỳleistr…”
Il principe si voltò e si alzò in piedi non appena incontrò l’espressione funerea del curatore. Glaumar e Glam gli si avvicinarono immediatamente. “Possiamo entrare, adesso?” Chiese il maggiore guardando l’entrata della grotta che era la loro casa. Skaði forzò un sorriso appoggiandogli una mano sulla testa in segno di consolazione, poi tornò a guardare il suo principe.
Bỳleistr comprese. “Mocciosi, esercitatevi un po’ con Bàli. È un cacciatore di gran lunga migliore di me…”
I piccoli ubbidirono sorridendo emozionati, mentre il principe si avvicinava al curatore.
“Che succede?” Domandò.
Skaði sospirò tristemente, “la gamba di Gusir è andata in cancrena,” spiegò, “tenterò di curarla come posso, ma l’infezione è andata troppo oltre anche per il Seiðr… Temo sia stato ferito da una creatura il cui corpo ne fosse pregno.”
Bỳleistr strinse le labbra, poi scosse la testa, “questa famiglia sopravvive cacciando, se il capo famiglia…”
“Farò il possibile, ma non posso promettere miracoli.”
Il secondo principe di Jotunheim abbassò lo sguardo, “perché non vuoi che entrino?” Domandò riferendosi ai bambini.
“Guma… Era debole perché aspettava un bambino, lo sapevano ma…”
“Perché aspettava?”
“Malnutrizione, il piccolo non ce l’ha fatta ma il suo corpo non ha dato il via ad un’espulsione spontanea, si è creata un’infezione e devo…” Il curatore s’interruppe. Non aveva importanza quanti anni di esperienza avesse, Jotunheim aveva ucciso troppe vite in quel modo e non sarebbe mai riuscito a farci l’abitudine.
“Sarà veloce, Bỳleistr ma molto doloroso… Non è necessario che i piccoli sentano.”
L’espressione di Bỳleistr era indecifrabile, “porterò bambini via con me per qualche ora.”
Skaði annuì, “qualunque cosa ora stia attraversando la tua mente…”
“Non temere,” il principe annuì, “non ho intenzione di perdermeli per strada.”
“Non è questo che temo e lo sai…”
Il principe di Jotunheim finse di non capire, “tornerò al tramonto…”
[Vananheim, secoli fa.]
 
Il sogno era caldo come il sole d’estate.
“Lo odio…” Il ragazzino davanti a lui doveva aver appena toccato l’adolescenza.
“Di cosa stai parlando, Loki?”
Era la sua voce? Si vide, mentre invitava il fanciullo a sedersi davanti allo specchio e prendeva la spazzola dorata in mano.
“Di tutto,” rispose il ragazzino, “odio tutto questo.”
Prese a pettinargli i corti capelli corvini all’indietro, prima che si trasformassero in un ammasso di onde scure e ribelli. Sorrise aggiustando una ciocca più lunga dietro il piccolo orecchio con l’aiuto delle dita.
“Sei un principe…”
“Asgard ha già il suo principe,” fu la risposta secca.
“Allora Jotunheim avrà bisogno del suo,” replicò con lui con fermezza, mentre il ragazzino si voltava per guardarlo negli occhi, “come posso essere principe di due mondi, se sono un diverso per entrambi?”
Sospirò ed accarezzò una delle guance pallide, prive d’imperfezioni, “la diversità non è un crimine, figlio mio, né, tantomeno, è una colpa…”
“Mio fratello non la pensa così,” disse Loki abbassando lo sguardo.
“Tuo fratello ha bisogno di te più di quanto credi.”
“Per cosa? Per rendere la sua luce un po’ meno accecante con la mia oscurità?”
Gli prese il viso tra le mani e gli baciò la fronte, “qualunque cosa accada,” mormorò tra quei capelli corvini, “non devi mai sentirti inferiore. Mai!”
“Ma padre…”
“Tuo padre non è infallibile, Loki! Ha paura per te, crede che tu sia più fragile di tuo fratello, per questo ti tiene lontano da tutte le possibilità di ottenere un po’ di gloria per te, ma si sbaglia… Sei forte, tesoro mio, solo non nel modo in cui lo sono tuo padre o tuo fratello.”
“Mi odio…”
La confessione peggiore. Si sedette accanto a lui e gli sorrise, “mentre eri nella pancia, usavi già i tuoi poteri, lo sai?”
“Anche Thor…”
“Appunto, Loki. Non esiste un inferiore o un superiore. Solo due pari,” gli baciò una guancia, “siete due metà di un’unica, straordinaria cosa e, un giorno, tutti se ne accorgeranno…”

 
Qualcosa cominciò a sbattere e Nàl si svegliò di colpo. Non ricordava nemmeno di essersi addormentato.
Loki era accanto a lui e si stropicciò gli occhi stancamente.
“Che cosa è stato?” Domandò, mentre il rumore si ripeteva.
Qualcuno aveva bussato alla porta. I due Jotun si guardarono per alcuni istanti, poi Loki scese dal letto avvicinandosi alla porta. Nàl si mise seduto sul bordo del materasso, in attesa.
Non appena la maniglia fu abbassata e l’uscio aperto, entrambi si ritrovarono ad abbassare lo sguardo.
“Disturbo?” Domandò una bambina dai lunghi capelli biondi, il cui piccolo corpo era fasciato in un regale vestito da dama in miniatura. Nàl pensò che assomigliava in modo inquietante ad una bambola.
“Penso che abbiate sbagliato stanza…” Commentò Loki un poco confuso, fissando il servitore silenzioso in piedi dietro alla piccola. Guardava il pavimento e non sembrava voler alzare gli occhi per nessuna ragione al mondo.
“Lasciala entrare, Loki,” disse Nàl alzandosi in piedi ed aggiustandosi i vestiti con pochi movimenti veloci.
La bambina aspettò che lo Jotun si facesse da parte ed entrò, seguita dalla figura silenziosa del servo.
Nàl e Loki si scambiarono un’occhiata ma nessuno dei due sembrava avere risposte ai dubbi dell’altro.
La bambina sorrise con eleganza e fece un inchino perfetto.
“È un onore conoscervi, Principe Consorte,” disse con un’educazione perfetta.
Nàl tornò a guardare Loki, il quale si fece subito avanti per prendere la parola.
“Credo ci sia stato un errore, piccola signora,” disse con un sorriso, “Nàl non è il Principe Consorte di nessun regno.”
“Ma siete il compagno dell’erede al trono di Asgard, no?” Insistette la bambina con voce emozionata.
Nàl si ritrovò ad annuire senza neanche rendersene conto, poi il suo sguardo cadde sul viso del servitore silenzioso e lì rimase.
“Possiamo sapere il vostro nome?” Domandò Loki, dato che il principe di Jotunheim non sembrava voler spiccicare parola.
“Perdonate la maleducazione,” parlava come una donna adulta ma non era neanche vicina all’adolescenza, “il mio nome è Freya, primogenita del re Njord, signore di Vananheim.”
Loki arrossì e improvvisò un inchino alla male a peggio, “perdonate la scortesia, principessa.”
“Non potevate saperlo,” lo giustificò lei continuando a sorridere. Nàl sembrava essersi completamente dissociato dalla situazione e continuava a scrutare il viso del servitore, il quale sembrava far di tutto pur di non ricambiare il suo sguardo.
“Sì,” disse la piccola Freya alzando una manina per afferrare quella del giovane silenzioso, “anche lui viene da Jotunheim, come voi.”
Nàl sembrò ricordarsi di lei solo nell’udire quelle parole.
“Skaði, non devi temere nulla, mentre sei con me,” mormorò la principessa con voce improvvisamente triste.
Il servitore accennò un sorriso e s’inchinò, “è un onore conoscervi, Principe Consorte.”
“Non sono il Principe Consorte,” lo corresse Nàl con voce calma.
“Perdonateci, dama Bestla ha detto che potevamo chiamarvi così.”
“Dama Bestla potrebbe morire sgozzata per il genere di parole che escono dalla sua bocca.”
Freya sgranò gli occhi e Loki simulò un paio di colpi di tosse, “chiamatelo pure Nàl. È il suo nome e a lui non dispiace.”
Il diretto interessato annuì e la principessa si fece ancor più vicino, “siete anche più bello di Dama Bestla.”
Nàl trattenne a stento un ghignetto, “mi lusingate, principessa.”
“Speravo di poter fare amicizia.”
Il servitore, Skaði, sospirò intenerito, “abbiate pazienza, miei signori: è una bambina molto curiosa.”
Nàl s’inginocchiò sul pavimento per poterla guardare dritto negli occhi “e noi non abbiamo nulla da fare in queste grandi stanze silenziose, mia principessa.”
Freya sorrise radiosa e gli afferrò la mano.
“Venite, vi mostro i giardini del palazzo!”

Freya volle farsi raccontare nel dettaglio tutto ciò che c’era da sapere su Asgard e Nàl fu felice di scaricare questo ingrato compito a Loki: dubitava di poter soddisfare la meravigliosa curiosità della principessa senza lasciarsi sfuggire qualche commento poco conveniente. “È molto sveglia,” commentò a Skaði, mentre Loki e la bambina camminavano per i giardini, persi nella loro discussione, “troppo per la sua età.”
Il servitore annuì, “è una gioia sentirla parlare,” disse intenerito, “ma è triste vedere una bambina così solare esclusa dai giochi con i suoi coetanei.”
“La posso capire…” Mormorò Nàl, “non ci sono piccoli nobili qui?”
“Il re non le permette di giocare con nessuno, all’infuori del suo fratellino… Un neonato che ancora nemmeno riesce a camminare.”
“Capisco,” Nàl alzò lo sguardo, “sei veramente di Jotunheim, quindi?”
La carnagione pallida ed i lunghi capelli neri, raccolti in una treccia, erano già una prova di quanto la principessa aveva confessato ma a Nàl serviva una conferma.
Skaði s’incupì appena ed annuì, “fui portato qui poche stagioni prima che la principessa nascesse.”
“Eri un bambino, quindi?”
Annuì.
“Dobbiamo avere all’incirca la stessa età.”
“Probabile…”
Nàl lo guardò indeciso, “come sei arrivato su Vananheim?”
Skaði trattenne il fiato.
“Scusa, non dovevo chiedere,” il principe di Jotunheim allungò il passo.
“Un duello…” Mormorò Skaði per fermarlo, “mio padre perse un duello contro Njord. Fu costretto a cedermi, in seguito.”
Nàl lo guardò in silenzio per un poco, ragionando attentamente su quelle parole.
“Il nome di tuo padre?”
Skaði sorrise imbarazzato, “perché tante domande, mio signore?”
Nàl scrollò le spalle, “potremmo aver giocato insieme, quando eravamo bambini.”
Il servitore scosse la testa, “ne dubito,” replicò, “non rammento il vostro nome e ricordo quelli di tutti i miei compagni di giochi.”
Nàl non insistette oltre.
“Siete nobile?” chiese, invece, Skaði.
“Forse…” Fu la risposta enigmatica di Nàl.
“Vi devo confessare che avete un’aria familiare ma non sapevo che il principe di Asgard avesse iniziato una relazione ufficiale con un giovane nobile di Jotunheim. Avrebbe una notevole importanza politica come cosa.”
Nàl si astenne dal rispondere.
“Perdonatemi, mio signore, ho parlato troppo.”
Accennò un sorriso, “ti manca Jotunheim?”
Skaði arrossì, “non so rispondervi, mio signore.”
“Skaði!” La voce cavernosa del re fece trasalire entrambi e persino Loki e Freya smisero di passeggiare per voltarsi. Il re si avvicinò a loro con grandi falcate, Odino qualche metro dietro di lui.
“Padre! Padre!” Chiamò Freya preoccupatissima correndo da Skaði e circondandogli la vita con le piccole braccia, “non è stata colpa sua, gli ho chiesto io di…”
“Silenzio!” Tuonò Njord.
Freya nascose il viso contro il grembo di Skaði scoppiando a piangere. Il servitore le accarezzò i capelli dorati amorevolmente.
Nàl strinse i pugni e si fece avanti, “vi sembra il modo?” Domandò indignato.
Il re lo guardò con la medesima espressione.
“Non rispettate vostra figlia e poi, magari, pretendete che lei rispetti voi? Riservate lo stesso trattamento alla corte e al popolo, maestà?”
“Nàl,” Odino gli arrivò accanto e gli afferrò la mano, “calmiamoci ora.”
Njord lo guardò con espressione offesa, “tenete a bada il vostro cane, principe dorato o, un giorno di questi, vi darà molte noie.”
“Vi ho già detto di avere rispetto per il compagno,” sibilò Odino e Njord tacque, poi afferrò il polso di Skaði tirandolo appena.
“Vieni…”
Il servitore tremava ed aveva lo sguardo basso.
“La principessa, mio re.”
Njord afferrò una piccola spalla della figlia e la scansò dallo Jotun con forza. Odino l’afferrò prima che potesse cadere a terra.
“Hai del lavoro da sbrigare, muoviti!”
Skaði si lasciò condurre via senza guardare nessuno negli occhi, eppure Nàl pensò che stesse piangendo.
 
[Midgard, oggi.]
 
Fuori pioveva più forte di prima e Loki non poteva che ridere sommessamente, gli occhi verdi puntati sul fuoco nel camino ed una coperta stretta alla male e peggio intorno alla vita. Aveva i capelli ancora umidi ma non aveva freddo. Al contrario di lui, Thor, dalla cucina, non sembrava riuscire a smettere di starnutire.
“Non giocherò mai più, lo giuro…” Mormorò con voce vagamente nasale, mentre tornava in salotto con due tazze fumanti in mano e la coperta tirata fin sopra la testa a mo’ di mantello.
Loki ghignava divertito ed accettò automaticamente ciò che l’altro gli offriva, “di che si tratta?”
“Gli umani lo chiamano caffè,” spiegò Thor con un sorriso accomodandosi sul divano accanto a lui: assomigliava ad un pulcino bagnato, “a me piace.”
Loki ne prese un sorso e contrasse il viso in un’espressione disgustata, “è terribile…”
“Non essere esagerato!” Esclamò Thor bevendone un po’ del suo ed irrigidendosi di colpo, “sì…” Concordò con voce strozzata, “non era esattamente così, quando l’ho provato io.”
Appoggiarono entrambe le tazze sul pavimento.
“Tu nella cucina ci sei sempre passato solo per mangiare fuori orario,” ricordò Loki, invitandolo indirettamente a non provare altri esperimenti in quella parte della casa.
“Non tutti possono vivere di aria e spuntini saltuari.”
“Freya non mi permetteva d’interrompere le sue lezioni per delle inutili pause pranzo…”
“O non glielo permettevi tu?”
“Mangiare con qualche ora di ritardo non mi ha ancora ucciso.”
“Sì, però, quando hai raggiunto l’adolescenza, nostro padre ti ha trascinato da Lady Eir per dei problemi di peso, se non sbaglio…”
“Anche tu assomigliavi ad una scopa in quel periodo…”
“A differenza tua, mi sono ripreso.”
I loro occhi s’incontrarono per un breve, fuggevole istante. Guardarono di colpo dall’altra parte perché colti da un improvviso imbarazzo: Thor arrossì, Loki assunse di nuovo quella sua proverbiale espressione di ghiaccio.
“Chi l’avrebbe detto che ci saremmo ritrovati così…” Commentò Thor sommessamente.
“A cosa ti riferisci?” Loki continuò a fissare il fuocherello scoppiettante, “alla brutale verità? Agli oscuri segreti di tutti i giorni? All’odio? Al tradimento? All’incesto?”
Thor fece una smorfia, “in questo preciso momento stavo pensando a te sopra di me, mentre, intorno a noi, infuria il peggiore dei temporali,” una pausa, “nemmeno da ragazzino riuscivo a fare fantasie simili.”
Loki sbuffò, “il modo in cui continui a parlarmi come se fossi una qualche divinità del sesso mi da i nervi.”
“Perché?” Thor sorrise, “per un uomo, dovrebbe essere il complimento migliore.”
“Ma io non sono un uomo…” Fu la replica glaciale.
“Certo che lo sei.”
“Non solo quello, allora.”
Thor gli afferrò una mano, “sei l’amante migliore che io abbia mai avuto,” commentò con totale sincerità, “mi fai perdere la testa, quando facciamo l’amore… Completamente…”
Loki si liberò dalla stretta, “non ho mai avuto nessun altro…”
“Lo so.”
“Non è possibile che sia tanto bravo, come dici. Stai mentendo per tenermi legato qui con le tue lusinghe.”
“Allora è meraviglioso semplicemente perché sei tu!” sbottò Thor annoiato, “non sono una dama frigida, Loki! Non posso fingere!”
Il giovane Jotun lo guardò, poi si mosse sensualmente sul divano spostandosi sopra di lui. La coperta cadde da una parte, mentre quella di Thor si aprì come un paio d’ali. Lo baciò.
Un bacio lento, umido, passionale… Talmente sentito che quasi scappò un gemito ad entrambi.
Loki era sollevato sui gomiti. Thor aveva le gambe divaricate per sentirlo più vicino e le mani appoggiate sui fianchi stretti. Gli occhi di entrambi si abbassarono per osservare la prova tangibile del loro desiderio reciproco.
“No, non puoi fingere,” ammise Loki, “e nemmeno io.”
“Rimani così…”
“Perché?”
“Per nessuna ragione in particolare… Rimani così.”
Loki non si mosse.
“Quello che hai detto a Bestla…” Aggiunse Thor, poco dopo, “tu sapevi perfettamente che non avevamo concepito un bambino.”
“Ovvio.”
“Allora perché mi hai fatto pressioni perché prendessi quella pozione?”
Loki gli accarezzò le labbra con l’indice, poi tornò a sedersi dalla sua parte di divano.
Thor lo imitò avvolgendosi di nuovo nella coperta. Rimase a fissare il profilo del fratello per dei minuti di parvero eterni, “hai mai voluto un figlio?”
Fu la domanda solenne.
“No.”
Fu la risposta secca. Thor appoggiò la tempia contro lo schienale del divano, “io non credo di essermi mai immaginato con un bambino.”
Loki lo guardò, “per il tuo ruolo, la paternità è un obbligo.”
“Sì, ma se ci allontaniamo dal punto di vista teorico, cambia ogni cosa.”
“Perché?”
Thor rise amaramente, “cosa potrei mai fare io con un bambino?”
“Oh! Un’ammissione di umiltà!” Esclamò Loki sarcastico, “non so risponderti. Un bambino non l’ho mai voluto, non mi sono mai posto certi problemi.”
“Perché no?”
“Che senso avrebbe avuto?”
“I figli sono l’onore più grande che…”
“Hai appena detto che volevi allontanarti dal punto di vista teorico,” gli ricordò Loki, “sì, essere padri su Asgard è un motivo di gran vanto. Più mocciosi si hanno e più ce se ne può vantare, esattamente come accade per il numero di guerrieri che si è capaci di massacrare, prima di cadere a terra.”
“A sentire te, pare che i bambini siano paragonabili a dei bottini di guerra.”
“Perché? Non è così?” Loki lo sfidò con lo sguardo, “si mettono al mondo i figli per dimostrare di essere degni agli altri di chissà cosa. Ecco a voi la prova che riesco a farmelo venire duro per penetrare una donna!”
“Ancora non riesco ad abituarmi a questa tua volgarità!”
“Hai fatto e detto di molto peggio!”
“Avresti lasciato che lo tenessi…”
Loki lo guardò confuso.
“Hai detto a Bestla che, trattandosi del mio corpo, era mia l’ultima parola.”
Scrollò le spalle, “sapevo che non era possibile in alcun modo…”
Thor si fece più vicino, “allora perché mi hai fatto tante pressioni, davanti a lei?”
Loki ghignò, “ero curioso di vedere la tua reazione,” ammise, “quindi, se messo alle strette, preferiresti veder un figlio non voluto nascere, piuttosto che ucciderlo?”
L’espressione di Thor si era notevolmente indurita, “generalmente parlando,” rispose, “mi prenderei le mie responsabilità e basta.”
Un attimo di silenzio assoluto.
“Anche se fosse mio?” Domandò Loki di colpo.
Thor inspirò profondamente e tornò ad appoggiare la testa contro lo schienale del divano, “in quel caso… Ci sarebbe comunque uno di noi due che non lo vorrebbe, giu…?” la voce gli morì in gola, come un bambino dai capelli neri gli corse davanti agli occhi ridendo. Eppure, gli sembrava che la scena fosse rallentata.
Lo seguì con lo sguardo e lo vide avvicinarsi alla vetrata che dava sul balcone.
Fuori non pioveva più. Nevicava.
I fiocchi candidi cadevano lentamente a terra, come se danzassero. Un uomo maturo e dai capelli scuri era fermo sulla soglia. Il bambino gli tirò una manica della camicia nera e questi abbassò lo sguardo: aveva gli occhi verdi, proprio come quelli di Loki. Ma non era suo fratello.
Lo vide sorridere, mentre si chinava per sollevare il bambino tra le braccia.
Il piccolo aveva l’espressione emozionata di chi ha un sacco di domande alle quali non vede l’ora di trovare delle risposte. Alzò il minuscolo indice verso il cielo e disse qualcosa che Thor non riuscì ad udire. L’uomo gli rispose con espressione orgogliosa, ben felice di condividere la propria conoscenza con quella creatura.
Thor vide qualcos’altro muoversi accanto a lui e si voltò appena, un movimento automatico.
Rimase di sasso, mentre il giovane uomo dai capelli corvini lo superava per avvicinarsi agli altri due. La bocca di Loki si muoveva ma Thor non udiva la sua voce.
Era bello.
Bellissimo, mentre sorrideva sereno al bambino tra le braccia dello sconosciuto. Il piccolo si sporse verso di lui e Loki lo accolse nel suo abbraccio immediatamente. Gli baciò una guancia, gli accarezzò i capelli e strofinò il naso contro il suo.
Il bimbo rise, poi appoggiò la testa contro la spalla di suo fratello e guardò nella sua direzione.
Aveva gli occhi verdi. Gli occhi di Loki.
Aveva i capelli corvini. I capelli di Loki.
Lo fissò. Lo riconobbe. Sorrise.
Thor aveva visto quel sorriso innumerevoli volte ma non sul viso di qualcun altro. No, gli era stato rivolto dal proprio riflesso nello specchio.
“Papà!”
“Thor…?”
Il principe dorato si voltò: Loki era ancora seduto sul divano, accanto a lui, senza alcun vestito addosso.
Guardò, di nuovo, la vetrata. Fuori pioveva. Non c’era nessuno.
“Mi hai chiamato per nome?” Domandò incerto.
Loki annuì, confuso quanto lui, “continuavo a parlarti e sembrava che non mi sentissi.”
Thor si passò una mano tra i capelli, “vado di sopra a riposarmi un po’,” si alzò e guardò il bel giovane seminudo dai capelli corvini, “vieni con me?”
Loki ghignò, “forse…”
Il maggiore ricambiò l’espressione di sfida e lo precedette. L’altro aspetto che di sentire la porta della camera che veniva chiusa, poi lo seguì lasciando la coperta sul divano.

“È lui, dunque?”
La fanciulla osservò il giovane uomo completamente nudo che si allontanava dal divano per scomparire in cima alla rampa di scale.
“Ti piace, bambina?” Domandò Bestla amorevolmente aggiustandole il cappuccio scura sulla testa.
La fanciulla si guardò intorno, “è tutto così vivo.
Dalla finestra del piano superiore, vide l’altro giovane fingere di guardare all’esterno con un sorrisetto stampato in faccia. Si voltò non appena la porta si aprì: sapeva perfettamente chi era venuto a disturbarlo.
Voleva essere disturbato.
“È già di qualcun altro…” Mormorò, mentre osservava i due amanti avvinghiarsi tra le lenzuola con fare quasi giocoso.
“Non per molto,” la rassicurò Bestla giocando con una delle sue lunghe ciocche corvine, “è solo un impedimento momentaneo.”
La fanciulla scosse la testa: i due amanti sorridevano, mentre si baciavano.
“Quel giovane dorato…” Alzò appena l’indice per indicarlo, “è vita… Come può lui non amarlo.”
“È caos, bambina,” spiegò Bestla, “è distruzione. Non è capace di amare.”
La giovane rimase a guardare, mentre i due amanti si fermavano di colpo. Quello dai capelli biondi sembrava confuso, quello oscuro si voltò verso la finestra e sembrò quasi poterli vedere.
Lei sapeva che era impossibile e non si preoccupò. Tuttavia, il principe del caos si alzò dal letto e si preoccupò di chiudere bene le tende, prima di tornare dal suo compagno.
“Allora perché è così vivo anche lui?”
[Vananheim, secoli fa.]
 
“E ci sono immensi saloni completamente ricoperti d’oro!”
Odino era un maestro nel campo dell’esagerazione ed era proprio di questo che Freya aveva bisogno per non pensare a quello che era appena accaduto con suo padre ed il suo servitore.
“E sono immensi anche i giardini, sai?”
Nàl rise sommessamente: la natura infantile del suo compagno lo rendeva adorabile in presenza dei bambini, anche se odiava doverlo ammettere, persino con se stesso.
“Quando gli accordi per la pace saranno finiti, mi porterete ad Asgard con voi?”
Nàl divenne serio di colpo e Odino fissò la bambina con espressione ebete.
“Non credo che vostro padre approverebbe, principessa,” intervenne Nàl. Odino si limitò ad annuire.
“Mio padre ha già il suo adorato erede maschio, può fare a meno di me,” replicò Freya fermamente, “però, dovete promettermi che permetterete a Skaði di venire con noi.”
Nàl fece una smorfia, “vostro padre non mi sembra tanto incline a voler lasciare andare nemmeno lui.”
“Certo che lo farà!” Ribatté, “lo tratta male continuamente, si vede che non lo vuole tra i piedi.”
“Non è così semplice, principessa,” commentò Odino grattandosi la nuca con imbarazzo.
“Voi promettete di provarci!” Esclamò la bambina.
“Non so se…”
“State negando la vostra parola ad una principessa, mio signore?” Domandò Nàl sarcastico.
Odino forzò un sorriso, “prometto che proverò, mia signora.”
Freya applaudì emozionatissima e soddisfatta. Fu allora che Loki entrò nella camera, seguito da Bestla.
“Volevate parlarmi, Principe Consorte?”
Odino si guardò intorno confuso, “Principe cosa?”
Nàl prese un respiro profondo, strinse i pugni ed invitò Freya ad alzarsi in piedi, “se volete scusarci, principessa, ora dovremmo parlare di alcune faccende private.”
Freya annuì e guardò Odino, “Bestla è la tua mamma, vero?”
Il principe di Asgard non rispose.
“Vorrei tanto che anche la mia mamma tornasse dal mondo in cui è nascosta…” Aggiunse tristemente, poi Loki le si avvicinò, “vorreste mostrarmi il resto del palazzo, principessa?”
Lei gli prese la mano senza indugio, “se, camminando, mi racconterete altre storie.”
“Certamente.”
Prima di andarsene, Loki lanciò un’ultima occhiata ai due principe augurando loro buona fortuna.
“Di cosa volevi parlarmi?” Chiese Bestla guardando Odino.
“Io non ho nulla da dirti,” rispose freddamente il giovane Aesir alzandosi dalla poltrona su cui era seduto e avvicinandosi alla balconata, “fai quello che devi fare, Nàl.”
La perduta regina di Asgard non si sforzò di mascherare il suo disappunto quando incontrò gli occhi verdi del principe di Jotunheim, “credo di sapere il motivo di questa convocazione, allora.”
Nàl scattò in piedi, “Thiazi…”
“Prego?”
“Quel giovane Jotun… Il servitore di Freya è il figlio del generale Thiazi, non è così?”
Bestla sembrò improvvisamente interessata all’argomento, “mi è impossibile mentirti, dunque? Dato che sei già padrone della verità…” Si accomodò sulla poltrona lasciata libera dal figlio, senza chiedere il permesso. “Cos’altro ti preme sapere, se già lo conosci?”
“Non lo conosco veramente,” ammise Nàl, “suo padre ha addestrato Fàrbauti, fu il suo pupillo… Prese il suo posto come generale, quando venne il momento.”
Odino portò la sua attenzione su entrambi gli Jotun, non appena udì quel nome.
“Thiazi è morto?”
“No,” Nàl scosse la testa, “si diverte a mettere insieme piani inconcludenti con mio padre e usare Fàrbauti come suo erede spirituale.”
Bestla annuì, “quando, in realtà, non ha esitato a vendere il suo stesso figlio per ripagare un debito d’onore.”
“Che cosa accadde durante quel duello?”
La donna si rilassò completamente contro lo schienale della poltrona, “giravano voci per le corti dei Nove, al tempo. Voci davvero scomode per il principe di Vananheim.”
“Che genere di voci?”
“Njord sembrava non condividere il letto con nessuna delle centinaia di donne che camminavano per la sua corte. Comportamento bizzarro per un principe.”
Nàl ghignò, “forse non erano le donne ad interessarlo.”
“Sì,” Bestla reclinò il capo verso sinistra, “e no.”
“Spiegati…”
“Dovrai fartelo raccontare da tuo padre, se mai avrai modo di rivederlo. Perché fu molto divertente…”
“Mi accontenterò della tua versione,” disse Nàl annoiato.
Bestla ridacchiò, “Njord era appena entrato nella pubertà, quando venne a Jotunheim per la prima volta. Viaggi politici, anche Borr era presente.”
Odino borbottò qualcosa a bassa voce. Entrambi gli Jotun lo ignorarono.
“Vai avanti…”
“Dopo la mia dipartita, su Asgard molti luoghi comuni sono finiti col morire ma, durante la mia gioventù, a chiunque piaceva credere che a Jotunheim si potesse scoprire il piacere come in nessun altro mondo…”
“Che mi venga un…!” Odino si bloccò non appena Nàl gli lanciò un’occhiata obliqua.
“Perché siamo l’unico popolo a non avere due sessi distinti.”
“Eccellente, mio principe,” commentò Bestla lanciando un’occhiata maliziosa al figlio, “giacere con un uomo che non è realmente un uomo. Il più grande tabù per un guerriero veniva così accompagnato da un’inconsistente giustificazione che, però, era sufficiente a spingerli ad osare.”
“Stiamo parlando ancora una volta dell’attrazione letale per il proibito?” Domandò Odino.
“Felice di sapere che sei più sveglio di tuo padre,” Bestla simulò un sorriso orgoglioso, “era noto che gli Jotun capaci di usare il Seiðr… Sai di cosa si tratta, vero, bambino?”
Nàl fece una smorfia, “Borr mi ha quasi bruciato vivo pensando che lo possedessi.”
“Ed è così, mio principe.”
“Io non ho nulla a che fare con quel potere!”
“Non è una cosa con cui avere a che fare,” spiegò Bestla, “ce l’hai nel sangue ed anche il tuo compagno Aesir ne ha a volontà nelle sue vene. Borr deve essersi prodigato a soffocare quel talento da subito.”
“Io possiedo cosa?” Odino inarcò un sopracciglio.
La donna fece un veloce e scocciato gesto con la mano, “ne parleremo poi… Vi ho già parlato dei nobili Jotun che riducevano le loro dimensioni per poter fornicare con altre razze.”
“Anche troppo…” Commentò Nàl.
“Bene,” Bestla annuì, “gli Aesir si erano già spinti ad esplorare simili territori erotici. Nessuno avrebbe osato commentare in alcun modo per via della loro privilegiata posizione nella scala gerarchica dell’Albero. Njord era un ragazzino ed il piacere era già una tentazione impossibile da frenare… Figurarsi un piacere superiore e l’eccitazione di essere il primo del suo mondo a provarlo.”
“E noi stiamo facendo tutto questo gran discorso per concludere che il re di Vananheim ha perso la verginità con uno Jotun?” Odino si fece più vicino arrivando di fianco a Nàl.
“Non è così semplice, anche se le cose andarono esattamente come dici tu,” l’espressione di Bestla si oscurò di colpo, “solo… Con un dettaglio in più da non trascurare.”
“Ovvero?” Domandò Nàl.
La donna lo guardò, “ti è stato mai raccontato di Idi e Gangr?”
Il principe di Jotunheim sgranò gli occhi.
“Non ci sto capendo più nulla!” Esclamò Odino, “parlate chiaro!”
“Idi e Gangr erano i fratelli minori di Thiazi,” spiegò Nàl, “mio padre mi raccontò che furono uccisi da degli stranieri. Gli adulti li usano per spiegare come ciò che non nasce e appartiene a Jotunheim sia pericoloso.”
Bestla aggrottò la fronte, “che storia orribile da raccontare a dei bambini.”
“Spaventare è lo scopo.”
“Non entrano nei dettagli, immagino…” Bestla si alzò in piedi e prese un respiro profondo, “i Vanir sono maestri di Seiðr. Per gli Aesir è un arte minore, tipicamente femminile, per gli Jotun è un talento o una possibilità per pochi. Per i Vanir, imparare a domare il Seiðr è come imparare a camminare.”
“Che accadde?” Nàl ingoiò a vuoto.
“Dicono che Njord consumò un rapporto a tre insieme ai due fratelli di Thiazi e che la cosa gli piacque più del dovuto.”
“Non credo di voler sentire,” l’avvisò Odino. Nàl lo guardò esasperato.
“Riuscì a tenere legato il loro Seiðr, così fu in grado di portarli via dal palazzo di ghiaccio in una grotta o in una gola… Un posto isolato, comunque. Ci giocò finché poté poi, prima che potessero riacquistare i loro poteri… Si ritrovò costretto ad ucciderli, disse. Io credo che gli abbia fatti tacere per evitare che potessero compromettere la sua situazione.”
“Thiazi lo scoprì e lo sfidò a duello,” intuì Nàl.
“Thiazi sapeva con chi avevano condiviso il letto i suoi fratelli, prima che venissero ritrovati massacrati… Per il re di allora, tuo nonno, non vi erano prove sufficienti per rendere la cosa una faccenda politica. Così Thiazi la trasformò in una guerra personale.”
“Perse lo scontro, però.”
Bestla sorrise, “nemmeno il più forte guerriero dei Nove potrebbe nulla contro un maestro di Seiðr. A Thiazi venne offerta una scelta: morire o donare a Njord qualcosa che nemmeno le sue vittime avevano saputo dargli.”
“Ubbidienza…” Mormorò Nàl con disgusto.
Bestla annuì, schifata quanto lui, “già, ubbidienza.”
“E non c’è nulla che si addestri meglio di un bambino, dico bene?”
Odino li guardò confuso, “non ho capito.”
Nàl sbuffò e lo fissò, “il tanto raffinato e rispettato re Njord di Vananheim si diletta a stuprare uno Jotun da quanto era bambino, obbligando ad ubbidire a qualsiasi sua fantasia malata!”
Il principe dorato sgranò gli occhi, “ma se, con me, non ha fatto che delirare su quanto gli manca la madre dei suoi figli!”
“Sua sorella…” Intervenne Bestla.
Odino scosse la testa, “non ha detto una parola su sua sorella, continuava a ripetermi di non ingravidare mai la donna a cui avrei dato il mio cuore perché, prima o poi, l’avrei condannata a morte.”
“La donna del suo cuore era sua sorella, idiota…” Gli spiegò Nàl al limite della pazienza, “la madre di Freya e di suo fratello era, al contempo, la loro zia?”
Bestla annuì, “i bambini vennero fatti passare per figli di serve di cui nessuno conosce il nome e che il re riconobbe per non essere obbligato a sposarsi. Dissero che entrambe le gravidanze di sua sorella non erano andate a buon fine. Aveva un marito… Non ha mai sospettato di nulla.”
“Improvvisamente,” mormorò Odino, “provo l’irrefrenabile impulso di prendere te e Loki e rispedirvi a casa il prima possibile.”
Nàl rimase impassibile, “non c’è altro?”
“Sì,” Bestla gli rivolse un sorrisetto, “sai perché ti offende tanto? Perché gli piaci…”
Odino strabuzzò gli occhi, “rettifico: tu e Loki tornate ad Asgard, ora!”
“Tutto qui?” Domandò il principe di Jotunheim con espressione glaciale.
Bestla sorrise soddisfatta, “hai tutto ciò che ti serve, mio principe,” si voltò, “non deludere le mie aspettative, mi raccomando.”
“Un attimo!” Esclamò Odino, “e tutta quella questione sul Sed o come si chiama?”
“Oh…” La donna ridacchiò, “non sono un’esperta, s’intende, non in questo genere di calcoli, almeno ma… Nàl, Njord vi ha scrutati con attenzione, mentre eravate l’uno accanto all’altro nella sala del trono… Vi ha temuti e posso dire che, se il bambino che chiamavi nel tuo delirio dovesse mai venire al mondo, probabilmente avrebbe nel sangue il potere più grande che i Nove Mondi abbiano mai visto.”
 
[Midgard, oggi.]
 
Loki rimase sveglio per tutta la notte.
Thor dormiva indisturbato accanto a lui ed era meglio che fosse così: non voleva renderlo partecipe dei suoi sospetti, non finché non aveva prove precise per confermarli.
Mancavano poche ore al mattino, quando si alzò e si rivestì prendendo la via della porta.
Aveva smesso da poco di piovere e l’aria era fredda ma ciò non lo disturbava.
Non poteva disturbarlo.
Cominciò a camminare in direzione degli alberi seguendo un istinto che non avrebbe saputo spiegare nemmeno a se stesso. Semplicemente, era lì che doveva andare.
Non seppe per quanto camminò ma non per molto perché, tra gli alberi, poteva ancora scorgere la sagoma scura della casa, se si voltava.
Sobbalzò, quando, inavvertitamente, affondò il piede nell’acqua gelida.
C’era un lago di fronte a sé. Un bellissimo specchio d’acqua con le montagne innevate sullo sfondo.
Di giorno, doveva essere uno spettacolo superbo.
“È cominciato tutto qui…”
Non si sorprese di udire quella voce.
“L’inizio della fine ha preso vita qui, sulle rive di questo lago.”
Bestla strisciò fuori dagli alberi come un grande serpente nero. Sorrideva.
“So che sai a cosa mi sto riferendo, Loki.”
Il principe oscuro la guardò rabbioso, “il diario non parla di questo lago.”
“No,” la donna si voltò in direzione della casa, “ma deve accennare ad una capanna che, occhio e croce, doveva sorgere da quelle parti.”
“Il bambino che è stato concepito in quella capanna non potevo essere io,” obbiettò Loki stringendo i pugni, “sono nato molti… Moltissimi anni dopo.”
“E l’idea che Odino e Laufey, all’età tua e di Thor, fossero ad un passo dal dare alla luce un figlio… L’erede di due mondi, non ti tocca minimamente?”
“È un passato che non ha nulla a che fare con me…”
“Ah sì?” Bestla gli sorrise con pazienza, come se stesse parlando con un bambino capriccioso, “come termina quel diario?”
“Con il massacro su Asgard,” rispose Loki, “quello che ha permesso ad Odino di salire sul trono.”
La donna annuì, “Odino non può aver scritto nulla riguardo alla fine che fece il bambino suo e di Laufey, perché non lo sapeva.”
“Quel bambino non sono io!” Sbottò Loki.
Lei scosse la testa, “no, hai ragione… Quel bambino non è mai nato.”
Il giovane si sedette sulla sponda del lago prendendosi la testa fra le mani, “Odino e Laufey erano amanti… Secondo i loro sogni, io e Thor saremmo dovuti essere loro ma, casualmente, una tragedia dopo l’altra li ha deviati dal percorso.”
Bestla annuì, “Odino ha scelto Frigga come sua regina ed è nato Thor.”
“Fine della storia!” Sbottò Loki esasperato.
“E tu? Tu come sei venuto al mondo, Loki?”
“Non m’interessa conoscere i dettagli…”
“Non potrai chiuderti dietro questa tua convinzione per molto tempo ancora.”
“Laufey aveva un compagno.”
“Fàrbauti ti ha partorito? È questa la tua ultima versione? Sei nato deforme e ti hanno abbandonato nel bel mezzo di un covo di morte? Tutto qui, sul serio?”
“Non è stato Fàrbauti a darti alla luce.”
Loki ricordava nitidamente le parole di Helblindi. Ricordava che effetto gli avevano fatto.
Laufey l’aveva tenuto dentro di sé per mesi… L’aveva nutrito, l’aveva protetto e, per qualche ragione, l’aveva voluto abbastanza da metterlo al mondo. Poi, l’aveva buttato via.
“Laufey mi ha partorito…”
“Molto bravo,” si complimentò Frigga, “e Fàrbauti è tuo padre?”
Loki la guardò in cagnesco, “che cosa stai cercando di dirmi?”
Bestla gli accarezzò i capelli, “voglio solo aiutarti ad accettare quello che sai già.”
“Non c’è nulla che io debba accettare…” Obbiettò Loki a bassa voce.
“Coraggio, dimmi cos’è che ti fa più male? Che Odino ti abbia mentito ancora? Che sei figlio di una tradimento ai danni di Frigga?” Una pausa, “che, alla fine, è veramente tuo fratello quello che ti scopi ad ogni ora del giorno?”
Loki scattò in piedi trattenendo a stento un irrefrenabile bisogno di uccidere.
“Vattene…”
“Oh…” Bestla ridacchiò, “è farlo sapere a Thor che ti preoccupa, vero?”
“Non c’è nulla che Thor debba sapere!” Urlò il principe oscuro.
Lei si voltò a guardare lo specchio d’acqua accanto a loro, “non riconosci questo posto?”
Loki si fermò e seguì il suo sguardo per una manciata di secondi, “non lo so…”
“Odino ti portò qui, un giorno.”
“Ho detto che non lo so!”
“Eravate soltanto tu e lui. Niente Frigga. Niente Thor. Non so perché lo fece… Forse, voleva concederti un frammento di quel che aveva portato alla tua nascita, pur senza potertelo raccontare.”
“Non mi ricordo niente del genere.”
Bestla scrollò le spalle, “non vuoi ricordare, è ben diverso,” lo guardò dritto negli occhi, “la guerra era agli sgoccioli. Laufey e Odino erano esausti ma persino la morte sarebbe stata più dolce di una resa facile. Il destino volle che si recassero entrambi qui, quella notte…”
Loki si voltò e prese a camminare in direzione della casa, “non voglio sentire nessun’altra delle tue storie!”
“Avevano cominciato ad odiarsi perché non potevano smettere di amarsi,” continuò Bestla, imperterrita.
“Stai zitta, ho detto!”
“Li avevano separati senza permettere loro di dirsi addio,” la donna s’inginocchiò e accarezzò la superficie dell’acqua con la punta delle dita, “era inverno, nevicava… Il mantello scarlatto risaltava sul bianco, come un’enorme macchia di sangue.”
Loki non aveva più fiato per urlare.
“Ti hanno concepito qui, sotto la neve.”
“Chi?” Si ritrovò a chiedere con un filo di voce, sebbene conoscesse già la risposta.
“Odino e Laufey,” rispose Bestla con tristezza perfettamente simulata, “tu sei l’ultimo dei peccati dei tuoi padri, Loki.”

“Venivi qui con la mamma?”
“No… No, Loki, non con la mamma.”
“Un amico?”
“Sì, un amico…”
“E dov’è ora?”
“Troppo lontano perché io lo possa raggiungere.”




***
Varie ed eventuali note.
Questo capitolo doveva essere molto ma molto più lungo di così… Mi sono resa conto che per farci entrare tutto avrei scritto una cosa esageratamente lunga ed avrei impiegato una quantità di tempo scandalosa e vorrei evitare.

Questo capitolo è leggermente più corto dei precedenti, ma è l’unico taglio che avesse senso fare… Dal prossimo solo tragedie! Sì, perché questo è già molto allegro di suo.
Non è nel mio stile creare sovrani canonici senza macchia e senza paura, quindi non me ne vogliate troppo per Njord. Abbiamo conosciuto la piccola Freya (ho usato la versione anglicizzata di proposito) e ben presto la vedremo anche nella sua versione adulta nell’arco del presente. Penso che possiate intuire il ruolo che ha avuto nella vita di Loki jr ma, se così non è, non aggiungo altro.

Se state pensando che gli Jotun siano il popolo più maltrattato (e maltrattante) e abusato (e abusante) qui descritto, allora siete sulla strada giusta per meglio capire la futura evoluzione di Laufey e le idee malsane di Bestla. Invito a porre particolare attenzione alla scena in cui quest’ultima parla con una fanciulla senza nome. Se avete qualche ipotesi, io son sempre felice di ascoltarle e ridacchiare diabolicamente nell’ombra.

Altro punto da sottolineare: Thor.
Thor che vede della cose anche da sveglio. Come interpretare tali visioni? Anche questo lo lascio completamente alla vostra immaginazione, per ora. Io vi anticipo solo che se, per ora, gli abusi psicologici sono stati tutti per Loki (o quasi)… Ora è il momento che anche Thor si prenda la sua parte di mal di testa.  
In ultimo, ma non ultimo, grazie mille per le stupende recensioni!
Lo scorso capitolo è stato quello più commentato e non avete idea di quanto mi faccia piacere!

Alla prossima! 

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Capitolo 18
*** Peccato ***


XVII
Peccato


[Midgard, oggi.]
 
Loki si svegliò perché un insopportabile senso di nausea gli chiudeva la gola.
Si alzò a fatica dall’erba umida della rugiada del mattino, raggiunse la prima fila di alberi e appoggiò il gomito contro il tronco. Prese un respiro profondo, poi si piegò in avanti e vomitò.
Sei l’ultimo dei peccati dei tuoi padri.
Voleva urlare ma se l’avesse fatto sarebbe soffocato.
Dov’era Bestla?
Non lo sapeva. Non ricordava nemmeno di essersi riaddormentato.
Si avvicinò alla riva del lago. Tremava da capo a piedi ma non aveva freddo.
Cadde in ginocchio nell’acqua bassa: aveva una sete terribile, ora.
Alzò la mano destra per poter tirar su la manica della maglietta, come se i pantaloni non fossero già fradici dal ginocchio in giù. Guardò le proprie dita. Sgranò gli occhi.
Rimase immobile, congelato.
Guardò la mancina e il cuore gli saltò un battito.
Era sporco di sangue.
Le sue mani erano scarlatte, come se le avesse immerse in quel liquido vitale per ore.
Si alzò in piedi di scatto e cadde seduto. Le labbra gli tremavano, come le braccia e le gambe.
Non aveva importanza, doveva reagire.
Strinse i denti e prese a correre tra gli alberi.
“Thor!” Urlò, come se il fratello potesse sentirlo ad una simile distanza, “Thor!”

Thor si svegliò in un letto vuoto.
“Loki?”
Silenzio.
Lo odiava a morte, quando faceva così.
Sospirò con frustrazione passandosi una mano tra i capelli biondi e recuperando un paio di boxer ed una t-shirt abbandonati alla peggio sul comodino.
Si sarebbe dato mezz’ora, poi avrebbe cominciato a farsi prendere dal panico e ribaltare tutta Midgard pur di ritrovarlo. Ora, però, aveva solo un gran mal di testa.
Aveva appena messo un piede in corridoio, quando qualcosa lo bloccò: un motivetto, assomigliava ad una ninna nanna. Notò che la porta della stanza accanto alla loro era aperta, ma non vi avevano mai messo piede, che lui ricordasse.
“Loki?” Chiamò confuso avvicinandosi con cautela.
Qualcuno rise. Non poteva trattarsi di suo fratello: suonava troppo come la voce di un bambino.
Just close your eyes the sun is going down…”
Thor appoggiò il palmo contro la porta spingendola con cautela.
“You’ll be alright. No one can hurt you now…”
La stanza era arredata come la cameretta di un bambino piuttosto piccolo.
Tre bambini. Vi erano due lettini con piccole sponde bianche su entrambi i lati ed una culla al centro della stanza.
“Come morning light…”
Il piccolo cantante era seduto a terra, il neonato a cui si rivolgeva giaceva in uno di quei cestini-culla che Thor aveva visto molte volte nei giardini di sua madre, quando le dame decidevano di portare i loro piccoli all’aria aperta.
“You will now be safe and sound…”
Il neonato sorrise: aveva i capelli biondi, gli occhi scarlatti, una tenera boccuccia a cuore e due belle guance paffute. Era sano e forte, lo si poteva vedere chiaramente. Il bambino seduto accanto a lui si chinò per baciargli la fronte. I capelli erano neri, ondulati.
Si voltò e Thor smise di respirare. Gli sembrò di rivivere uno dei primi ricordi della sua infanzia. In verità, il principe ereditario di Asgard ricordava poco o niente del giorno in cui sua madre gli aveva mostrato quella ranocchia dai capelli scuri e gli aveva detto che era suo fratello. Probabilmente, molte di quelle immagini erano frutto della sua immaginazione.
Ma quel faccino pallido, un po’ allungato, illuminato da quei grandi occhi verdi era il primo ricordo nitido e Thor aveva di Loki.
Il bambino sorrise e fu il suo cuore, questa volta, ad incassare il colpo: quel sorriso non era di Loki.
Le piccole mani si protesero verso di lui, “papà!”
E Thor si sentì morire e rinascere allo stesso tempo.
Si allontanò dalla porta con cautela, come se avesse paura che un suo movimento brusco potesse mandare in frantumi ogni cosa. Il bambino lo guardava con aspettativa e Thor decise di non deluderlo sedendosi sul pavimento davanti a lui. Il piccolo si alzò e gli circondò il collo con le braccia.
“Papà…” Chiamò di nuovo e Thor lo strinse a sé di riflesso assaggiando la consistenza di quel corpicino fragile contro il suo petto, “Modi non dorme, papà.”
Gli occhi di Thor si posarono sul neonato nel cestino che aveva preso a giocare con le proprie manine ignorandoli completamente.
“Modi…” Ripeté sperimentalmente “va bene lo stesso,” si ritrovò a rispondere affondando il naso tra quei capelli corvini ed inalandone l’odore: era identico a quello di Loki. Il bambino lo lasciò andare e si sedette tra le sue gambe appoggiando una guancia contro il suo petto. Sbadigliò.
Thor sorrise, “tu mi sembri avere un gran sonno, invece.”
Il piccolo si stropicciò gli occhi, “mi manca Magni, papà.”
“Magni…”
Descrivere quel che stava succedendo dentro di lui gli risultava impossibile persino con se stesso.
“Dov’è, ora?”
Il bambino lo guardò confuso, “Non te lo ricordi più, papà? È ad Asgard con i nonni.”
“I nonni,” gli veniva quasi da ridere, “certo…”
“Papà?”
“Sì?”
“La mamma non ci vuole più bene, vero?”

“Thor!”
Loki si precipitò nell’ingresso lasciando la porta spalancata.
“Thor…”
Non aveva più fiato nemmeno per chiamarlo ma questo non gli impedì di salire le scale due a due.
Entrò in camera: era vuota.
Preso dal panico, senza rendersi conto che era già aperta, si lanciò sulla porta accanto.
Per poco non cadde rovinosamente a terra, dov’era Thor.
Seduto sul pavimento, solo, in una stanza vuota.
Il principe dorato lo guardava confuso.
Thor era vivo, stava bene. Non poteva essere suo il sangue quello che aveva sulle mani.
“Che cosa stai facendo?”
Il maggiore si guardò intorno con l’aria smarrita di un bambino risvegliatosi di colpo da un incubo.
“Non eri nel nostro letto,” rispose Thor alzandosi in piedi e studiando la figura dell’altro, “che cosa ti è successo?”
Sei l’ultimo dei peccati dei tuoi padri.
“Niente,” mentì Loki.
“Non hai dormito nel nostro letto, hai i jeans completamente bagnati e... È vomito quello che hai sulla maglietta?”
Ma il giovane Jotun non sembrava ascoltarlo, lo scrutava come se stesse cercando qualcosa su sul corpo.
“Non sei ferito.”
“No, certo che no…”
“Ma come…?” Loki si portò le mani davanti al viso e si sentì morire: non c’era alcuna traccia di sangue sulla pelle pallida.
“Non eri nel nostro letto,” fece notare Thor per la terza volta. Non sembrava di buon umore.
“È successo qualcosa…” Commentò Loki distrattamente, continuando a fissare le proprie dita.
“Il tuo esperimento sul tradimento è riuscito, dunque?” La voce di Thor era velenosa, ma tradiva un certo tremore. Loki lo guardò come se non sapesse di cosa stava parlando.
“Ti sei preso anche una sbronza nel processo?”
Lo lasciò fare, perché non aveva afferrato la situazione.
“Non hai mai retto più di due calici di vino! A cosa ti serviva ubriacarti? Oh, certo! Dovevi stordirti un po’ per lasciarti andare tra delle braccia estranee, non è così?”
Il pugno che arrivò lo prese di sorpresa.
Era Loki quello furibondo, ora.
“Se avessi voluto farmi una scopata, ti avrei svegliato e ti avrei scopato!” Si sentiva offeso, “se c’è qualcuno qui che ha l’indole di una sgualdrina mancata, non sono io!”
Si bloccò. Qualcosa in lui si era spezzato.
Cos’è che ti fa più male?
Gli occhi blu di Thor lo guardavano feriti ed iracondi allo stesso tempo.  
Che Odino ti abbia mentito ancora?
Il senso di nausea tornò più forte di prima.
Che sei figlio di una tradimento ai danni di Frigga?
Si premette una mano contro la bocca e fece un passo indietro. L’espressione sul viso di Thor era mutata, “Loki?”
Tradimento…
Frigga lo sapeva? Oh, certo! Come avrebbe potuto non saperlo. Odino aveva saputo mentire all’intera Asgard per secoli ma non sarebbe mai riuscito ad ingannare la sua regina. Loki lo sapeva. Loki la conosceva bene.
Sua madre aveva sempre saputo e, nonostante questo, aveva provato ad amarlo comunque.
Il primo singhiozzo gli bruciò la gola e Thor esaurì subito la distanza tra loro.
“Non toccarmi!” Urlò, finendo in corridoio e appoggiando la schiena contro la parete fredda ma l’Aesir di fronte a lui non si sarebbe arreso, lo sapeva bene.
 Il giovane uomo che lo guardava terrorizzato aspettava solo che abbassasse la guardia per potergli prendere la mano e tirarlo di forza via da quell’oscurità che era stata la sua unica amica e la sua più grande dannazione.
Sei l’ultimo dei peccati dei tuoi padri.
Loki aveva messo in dubbio l’amore di Thor talmente tante volte che, alla fine, aveva dovuto convincersi che non gliene importava assolutamente niente. Ma quelle settimane su Midgard avevano cambiato troppe cose.
Che avessero consumato un incesto in piena regola non era nemmeno tra le peggiori.
Che, alla fine, è veramente tuo fratello quello che ti scopi ad ogni ora del giorno?
Lo era anche prima.
Per Thor, lo era sempre stato.
Ma non così… Non così.
“Loki…” Thor alzò una mano lentamente ma la riabbassò immediatamente. Aveva paura, forse?
Faceva bene ad averne, perché Loki non aveva nemmeno un briciolo di autocontrollo in quel momento e non sapeva come avrebbe reagito ad un contatto non richiesto. Non gli importava dell’incesto. No, sul serio, non sarebbero state due spruzzate di sperma da parte dello stesso uomo a fargli venire dei complessi morali.
Si chiedeva solo se Thor avesse accettato di divenire il suo amante facendosi forza con quel piccolo ma non trascurabile dettaglio: che, per quanto la storia li vedesse come fratelli, non si poteva dire che nelle loro vene scorresse lo stesso sangue.
Figli di due padri, cresciuti come fratelli e, in seguito, divenuti amanti.
Figli dello stesso padre, fratelli di sangue e amanti.
Per Loki era un dettaglio. Davvero, lo era.
Cosa sarebbe stato per Thor?
Il frantumarsi dell’unica giustificazione che l’aveva spinto a compiere quell’ultimo, fatale passo verso il peccato. La parte peggiore di sé, vedeva quell’evento come la migliore delle vittorie.
Alla fine, Loki non aveva perso nulla.
Thor, invece, aveva commesso tutti gli errori che un giovane uomo di Asgard potesse compiere. Si era concesso ad un altro maschio, ad uno Jotun, ad un traditore, a suo fratello. E l’aveva fatto ad un livello che superava di gran lunga l’animalesco accoppiamento.
Se tutto quello fosse stato esposto alla luce del sole, per lui, per il principe dorato, la prigione era solo la conseguenza migliore. L’umiliazione… Sì, quella sì che sarebbe stata una tortura senza fine.
Un tempo sarebbe stato divertente.
Loki, invece, non si sentiva divertito affatto.
Continuava a pensare alle parole di Bestla. Continuava a rivedere la riva di quel lago e se la immaginava coperta di neve, mentre due amanti ne insozzavano il candore con la loro lussuria. Pensò alle frasi scritte sul diario di Odino, alla devozione con cui aveva descritto il giovane Jotun che l’aveva ammaliato con due occhi talmente verdi da non sembrare reali.
Nàl… No, Laufey.
Loki.
Sì…
Loki guardò Thor ma non vide il giovane che era suo fratello. Vide un principe dagli occhi blu e dai capelli dorati, vide uno Jotun dai capelli corvini e dalla natura oscura e glaciale. Vide l’amore disperato. Vide l’odio. Vide la guerra, la distruzione…
Caos!
Li avevano già vissuti quei capitoli.
A che punto della storia erano?
Laufey e Odino erano esausti…
Sì, Midgard era stata il loro rifugio in quell’abisso infinito di morte.
Ti hanno concepito qui, sotto la neve.
Una tregua. Una pausa per riprendere fiato e vincere o perire.
La loro tregua era stata una notte di follia da cui era stato generato il caos.
È questo che stavano vivendo lui e Thor? È questo che consumavano, realmente, tra le lenzuola del loro letto, mentre si davano piacere? Una tregua…
Nulla di più, nulla di meno.
L’ultimo capitolo, prima del tragico epilogo?
“Vado a farmi una doccia. Mi sento l’odore di vomito addosso, è disgustoso.”
 
[Vananheim, secoli fa.]
 
Odino si era addormentato con la testa appoggiata sulle sue gambe. Nàl gli accarezzava i capelli distrattamente osservando il cielo scuro oltre le grandi finestre. Due dita calde gli toccarono le labbra ed abbassò gli occhi.
“Sento il rumore dei tuoi pensieri,” disse Odino con un sorriso stanco, “che cos’hai?”
Nàl scrollò le spalle, “riflettevo…”
“Su cosa?”
“Sulle parole di Bestla.”
Odino si stiracchiò per nascondere un’espressione un poco irritata, “quali delle tante?”
“Seiðr…” Mormorò il giovane Jotun.
Il principe dorato sbuffò, “non vorrai mica credere a quel che dice riguardo ad un nostro ipotetico bambino?”
Nàl non rispose e riprese a giocare con i capelli biondi dell’amante cercando di scacciare tutti i pensieri oscuri che annebbiavano la sua capacità di giudizio.
Odino sospirò e gli afferrò il polso, “parlami, Laufey, non chiudermi fuori dai tuoi pensieri.”
Lo Jotun si umettò le labbra per prendere tempo, “hai visto come Njord tratta Skaði?”
“Tutti i nobili trattano i loro schiavi come…”
“Lo stai giustificando?” Domandò il principe di Jotunheim. Odino si alzò a sedere per guardare il proprio amante dritto negli occhi, “hai sentito cos’ha detto mia madre: Skaði è qui perché doveva saldare un debito.”
Suo padre doveva saldare un debito!”
Odino gli passò una mano tra i capelli amorevolmente, “non c’è nulla che tu possa fare per lui, smettila di pensarci.”
Nàl si scostò in malo modo, “mi vergogno per quello che hai appena detto,” si alzò dal letto e si diresse verso la balconata.
“Laufey, per favore…”
“No!” Gli occhi verdi erano pieni di lacrime, quando incontrarono quelli blu del principe dorato, “se fosse stato un Aesir, non avresti esitato a consegnare Njord al tuo esercito! Per la giovane Vanir che tuo padre ha ucciso, è scoppiata una guerra… Chi ci sarà per Skaði? Chi c’è stato per Bestla? Perché tutti gli abusi divengono diritti quando è uno Jotun a subirli?”
“Io ci sono stato per te,” replicò Odino con voce ferita, “ci sono stato per Loki. Non vi ho abbandonato. Non vi ho usato e non mi sarei mai permesso di umiliarvi.”
“Tu…” Nàl sorrise amaramente, “a sentire tua madre, devo ringraziare mio padre per questo mio aspetto. Gli assomiglio, dice… Alla fine, con gran sorpresa di tutti, è al mio carnefice che devo te.”
“Ma che cosa stai dicendo?”
“Siamo onesti, Odino. Mi avresti mai preso in considerazione, se non avessi avuto questo viso?”
Il principe di Asgard alzò gli occhi al cielo, “non ricominciamo con questa storia!”
“La curiosità ti ha spinto a prendere Loki. La lussuria ti ha convinto a portarmi via con te.”
“Stupidaggini! Sono solo stupidaggini!”
“Non sto mettendo in discussione il tuo affetto per noi! Ti sto dicendo che se fossimo stati Jotun o mortali, per te non avrebbe fatto alcuna differenza.”
Odino alzò le braccia in segno di resa, “ti prometto che me ne starò qui, zitto e tranquillo, mentre cerchi di spiegarmi quello che ti passa per la testa… Perché, sai, mia madre ti ha passato informazioni come se fosse assolutamente sicura che tu le avresti usate in un qualche modo!”
“Cosa mi passa per la testa, Odino?” Nàl alzò gli occhi verso le stelle cercando tra loro qualcosa di familiare con quelle che soleva guardare da bambino. Per la prima volta, a più di un anno di distanza dall’inizio della sua missione e dal suo tradimento, il principe Laufey si ritrovava a pensare a Jotunheim.
“So che Loki pensa che quelli come lui siano le uniche vittime di una società che disprezza la debolezza, ma non è così,” sospirò profondamente, “su Jotunheim i padri vendono i loro figli, lasciano che subiscano le stesse cose che hanno subito loro. Non ha importanza che siano nobili o gente comune. Mio padre sapeva che Fàrbauti mi avrebbe violentato e non ha fatto nulla per impedirlo. È vero quel che ha raccontato Bestla, io non conosco nemmeno il nome dello Jotun che ha dato il suo seme per dar seguito alla dinastia reale.”
“Anche mio padre mi avrebbe condannato a morte per un suo capriccio, Laufey, non è solo Jotunheim che…”
“Borr è un mostro, Odino,” non si vergognò a dirlo, “se invece di amarmi, mi avessi violentato, probabilmente, ti avrebbe dato una pacca sulla spalla e si sarebbe congratulato con te.”
“Non ti sembra di esagerare?”
Nàl lo guardò sorridendo appena, “non temere. I genitori di Asgard amano i loro figli, non è del tuo popolo che ti devi preoccupare.”
“Sei tu a preoccuparti per il tuo.”
Il principe di Jotunheim annuì, “ovunque vada, uno Jotun può trovare una certezza solo nell’odio. I Nove Mondi ci detestano, ci usano nel modo abominevole in cui viene usato Skaði o anche peggio. Come potrebbe essere diversamente? Non abbiamo rispetto nemmeno per noi stessi. Fondiamo la nostra società su continue prove di forza che, se superate, ci rendono degni… In caso contrario, ci condannano per tutta la vita.”
Odino si alzò dal letto e si avvicinò, “a te non accadrà mai niente di tutto questo,” lo rassicurò sfiorandogli una guancia pallida.
Nàl sorrise tristemente, “mi è già capitato, Odino e continuerà a capitare, se qualcuno non deciderà di cambiare le cose.”
“E vorresti farlo tu?”
L’espressione del giovane Jotun s’indurì, “non guardarmi così…”
“Come?
“Come fece Fàrbauti l’ultima volta che mi vide!”
Odino si sentì morire.
Nàl si voltò ed uscì sulla balconata, “gli avevo detto che avrei perdonato tutto, se fosse stato al mio fianco nel restaurare Jotunheim!”
Il principe di Asgard sgranò gli occhi, “che cosa gli hai detto?”
“È successo tanto tempo fa, Odino!” Gli occhi verdi di Nàl erano veleno puro, “e tu non ti stai dimostrando migliore di lui!”
Odino allargò le braccia, “che cosa vuoi da me?” Sbottò esasperato, “che cosa posso darti, dopo che ti ho dato tutto?”
“No…” Nàl guardò il cielo distrattamente, “non tutto. Non ancora.”
Odino lo fissò confuso aspettando che fosse lui stesso a chiarire le sue parole. Quando Nàl tornò a guardarlo, i suoi occhi sembravano avere dei riflessi rossastri, “fai di me un re.”
“Cosa?”
Lo Jotun gli arrivò vicino afferrandogli le mani, “fai di me un re!”
“Sei impazzito?”
“Solo tu puoi farlo!”
“E come? Non sono un re io stesso!”
“Borr perde il suo potere su Asgard giorno dopo giorno. La corte, forse, s’inginocchia ancora davanti al suo trono ma l’esercito ha seguito te in questa guerra. Ha acclamato te, dopo la vittoria. Nessuno si ricorda il nome di tuo padre nell’accampamento degli Aesir, nemmeno i tuoi fratelli!”
Odino era allibito, “cosa vuoi che faccia? Che assedi Utgard per tirar giù Ymir dal suo trono ed incoronare te?”
Nàl gli prese il viso tra le mani e si avvicinò fino a far sfiorare i loro nasi, “esatto…” La risposta fu uno spintone a cui lo Jotun reagì con uno sguardo ferito, “Odino?”
“Sei uscito di senno, Laufey?” Chiunque fosse il giovane di fronte a lui, di certo non era più il suo amante. “Vuoi che sacrifichi le vite di centinaia… Migliaia dei miei soldati, contro un regno che non è nemmeno ostile?”
Nàl rise istericamente, “non ostile? Povero, patetico…” Scoppiò a ridere come un folle.
“Comprendo che tu voglia migliorare la vita della tua gente,” il tono di Odino era più gentile, ora. “Ma non è questo il tempo e non è questo il modo.”
“Per quale ragione pensi che tu mi abbia trovato?!” Urlò Nàl in preda alla rabbia.
Odino non capì.
“Doveva scontrarti con Fàrbauti quel giorno,” gli rammentò, “è stato lui a portarti da me, quando ti ha sbalzato fuori dall’arena! Era pianificato che tu mi trovassi…”
“Certo,” Odino annuì, “volevi fuggire, avevi pensato a tutto, tu…”
“Non volevo fuggire, Odino!” Nàl continuava ad urlare, “Era lo Scrigno degli Antichi Inverni che dovevo recuperare e sedurti era il mio modo per arrivarci!”
Il respiro dello Jotun si bloccò, sgranò gli occhi e si premette una mano contro la bocca.
Il principe di Asgard non parlava più.
“Che cosa hai detto?” Domandò, dopo alcuni, eterni minuti.
“Odino…” Nàl tentò di ritrattare. Si avvicinò e cercò di toccare il viso dell’amante ma questi fece un passo indietro. “Odino, ti prego…”
Non sapeva per cosa lo stava implorando.
“Tu vuoi…”
“No!” Si affrettò ad interromperlo il principe di Jotunheim afferrandogli il viso ma non aggiunse altro perché sapeva che sarebbe stato inutile. Ormai, aveva commesso il peggiore degli errori.
“Volevi distruggerci…” Mormorò Odino, come in trance.
“Odino guardami!” Gli ordinò Nàl, “sono io! Non sono nulla di diverso da quello che vedi!”
“Stavi facendo l’amore con me, fino a qualche minuto fa.”
“Smettila di fare l’idiota ed ascoltami!”
Ma gli occhi blu di Odino erano pieni di lacrime, “dovevi essere tu a dare alla luce i miei figli.”
“Se solo tu volessi ascoltare…”
Ma il principe si allontanò da lui, come scottato. Raccolse i suoi vestiti da terra e corse fuori dalla camera.
Nàl rimase lì, immobile e lasciò che il silenzio lo schiacciasse.
“Odino…”
Ma non c’era più nessuno a rispondergli, ormai.
“Che cosa ho fatto?”
Affondò le dita tra i capelli neri e tirò con forza.
“Che cosa ho fatto?!”

[Jotunheim, oggi.]
 
“Dove sei stato?”
Skaði non fu affatto sorpreso da quella visita.
Era tornato a quel disastro architettonico che era divenuto il loro nuovo palazzo di ghiaccio che era già buio ma Laufey era sempre stato troppo sveglio per farsi sfuggire qualcosa. Eh, già, certe cose non sarebbero mai cambiate, non aveva importanza che gli anni continuassero a passare.
“Conosci già la risposta,” disse il curatore, per nulla intimorito dalla presenza del proprio sovrano nell’angolo più buio della stanzetta che aveva fatto sua.
“Avevo dato degli ordini precisi.”
“Non è colpa mia, se hai messo al mondo un figlio identico a te,” Skaði si sedette sulla sua sedia di ghiaccio con aria stanca, “dovevi vederlo, quando è venuto da me. Se non fosse stato per il colore degli occhi, sarebbe stato il tuo ritratto.”
Laufey non rispose.
“Completamente devoto all’idea di un cambiamento.”
“Te l’ha detto lui?”
“Non esplicitamente, ma l’ho saputo leggere tra le righe. Penso che si stia dando del tempo per ragionarci su e organizzare un piano d’azione efficace.”
Il re si prese qualche altro istante per riflettere.
“Bỳleistr è solo un ragazzino.”
Il curatore ridacchiò, “forse lo hai dimenticato ma non eri molto più grande di lui, quando hai dichiarato guerra ai Nove Regni.”
“La mia era un’età diversa,” replicò Laufey uscendo lentamente dal buio, “la nostra era un’età diversa. Quando eravamo giovani, come Bỳleistr, avevamo visto e vissuto troppe cose che non potevano ignorare.”
“E pensi di aver protetto i tuoi figli da questo? Sono cresciuti in un mondo distrutto, Laufey!”
“Lo renderanno migliore…”
“Non ne dubito,” Skaði era sincero, “ma non come vuoi tu e, perdonami se lo dico, non sarà Helblindi a risollevare le nostre sorti. Non da solo.”
Laufey scosse la testa, “è nato per essere re.”
“Il fatto che sia stato partorito per primo, non lo rende adatto ad un trono!” Esclamò il curatore.
“Ora osi troppo,” lo avvertì il sovrano stringendo i pugni con forza, “Helblindi è il mio primogenito e siederà sul trono di ghiaccio, dopo aver sconfitto Thrym!”
Skaði sospirò tristemente, “io capisco quello che hai fatto, lo sai? Hai educato Bỳleistr perché avesse la personalità di un guerriero e…”
“Perché è quello il ruolo che gli spetta!”
“No, Laufey, perché lo vedevi essere tanto simile a te che avevi paura che subisse la tua stessa sorte!”
C’era rabbia negli occhi verdi del re ma il curatore non se ne curò, “Helblindi se la caverà. Ha ereditato il tuo raziocinio e la natura da soldato di Fàrbauti. Giudicherà con lucidità e non farà mai mosse avventate. Seguirà le regole del gioco e non ne verrà sopraffatto. Questo, senza dubbio, lo renderà un buon re.”
“Ma non un grande re, vero?” Laufey fece una smorfia, “questo mondo non ha bisogno di altro caos. Bỳleistr è troppo impulsivo per un trono.”
“È solo molto vivo,” lo corresse Skaði, “ho visto il modo in cui si guardano, sai? Il nostro piccolo principe e quel cacciatore…”
Laufey si passò una mano sul viso con aria stanca, “ho già pensato io a tutto.”
“Oh, non ne dubitavo.”
“Avverto una nota di contrarietà nella tua voce, Skaði.”
Il curatore abbassò gli occhi sulla moltitudine di carte sparse sul suo tavolo di ghiaccio, “sai perfettamente che il tuo è stato un intervento inutile.”
“Con mio figlio lo sarebbe stato, ma quello scarto…”
“Lo scarto, come lo chiami tu, è il compagno di Bỳleistr… Che tu lo voglia o no!”
“Il suo amante,” corresse il re.
“No, Laufey, non è solo un amante e non far finta di non essertene accorto. Quelli di Helblindi sono degli amanti, Bỳleistr non si è mai fatto toccare da nessuno in vita sua, prima che conoscesse quel giovane.”
Il sovrano abbassò lo sguardo, “mi minaccia…”
“Figlio di suo padre.”
“Non vuole tornare ad Utgard. Non ne vuole più sapere del trono o del suo titolo. Dice di amarlo, il piccolo stolto!”
Skaði non sembrò affatto sorpreso, “e speri che intimorire quel giovane cacciatore servirà a qualcosa? Non siamo ad un passo da una vittoria. Potremmo rimanere qui per anni, pensi che Bỳleistr si accontenterà di fare l’amore di nascosto per tutta la vita? Prima o poi pretenderà di più e, quando succederà, il suo bel cacciatore vuoterà il sacco e sai quale sarà la sua reazione?”
Laufey si rifiutò di rispondere.
“Sappi solo una cosa, mio re,” aggiunse il curatore, “moltissimo tempo fa, tu mi pregasti di mentire a Fàrbauti e all’intera Jotunheim per proteggere un bambino che non era ancora nato.”
Il sovrano rimase in silenzio.
“Quando sarà Bỳleistr a chiedermi di custodire il suo segreto, perché, credimi, accadrà, sarò leale a lui. Proprio come lo fui con te, quando decidesti di tradirci tutti per il cucciolo bastardo del re dorato.”
Laufey sentì che le mani gli tremavano e strinse i pugni con forza, “non mi hai mai detto perché lo feci.”
“Tu non mi hai mai detto perché resi il sacrificio del nostro regno completamente vano,” replicò Skaði.
“Avevo tradito la mia gente,” la voce di Laufey era distante, incolore, “potevo morire o rimediare.”
Skaði sorrise tristemente e scosse la testa, “e tu avresti giaciuto col nemico, abbandonato i tuoi figli e la tua gente, portato in grembo un bambino dal destino oscuro e donato un secondo principe ad Asgard per scoprire, improvvisamente, di aver commesso un errore? Non riusciresti ad essere così stupido nemmeno se lo volessi.”
Quando Laufey lo guardò, gli occhi verdi erano pieni d’ira. Skaði non se ne preoccupò, “voglio darti solo un ultimo avvertimento, mio re.”
“Ti ascolto…”
“L’ultima volta che hai abbandonato un figlio, questi è divenuto il tuo assassino e la nostra rovina. Non fare lo stesso errore con Bỳleistr, Jotunheim non può permettersi di perdere nessun membro della sua famiglia reale.”

[Midgard, oggi.]
 
“Perché non vuoi fare più l’amore con me?”
Un mese.
Trenta tormentosi giorni e Thor si era finalmente deciso a dare voce al problema.
Loki era seduto al tavolo della cucina con una tazza di caffè fumante in mano perché, sì, gli faceva schifo ma gli ricordava Thor. Come se l’idiota in questione non fosse perennemente a meno di un metro di distanza da lui per tutto il maledettissimo giorno.
“Non sono una puttana.”
Risposta velenosa e poco esauriente.
“Ah, perché fare l’amore con me ti fa sentire una puttana, ora?” Thor era furibondo. Loki sapeva che non era l’astinenza dal sesso a parlare: per quanto gli fosse piaciuto costruire un’immagine di sé differente, Thor non viveva per quello. Viveva per la gloria, per la battaglia, la violenza.
Il piacere fisico era una delle tante conseguenze di essere l’imbattuto campione, non molto diverso da una sbronza con i soldati, dopo aver sbaragliato qualche bestia selvaggia di qualche mondo lontano.
Ma con lui era diverso.
Loki poteva quasi riuscire ad ammetterlo con sé stesso in quel momento.
A Thor non mancava l’orgasmo a Thor mancava lui e, per la prima volta nella sua lunga vita da glorioso amante, si sentiva insicuro, forse minacciato e tutto grazie al suo futile tentativo di provare a scambiare liquidi corporei con qualche inutile essere mortale. Loki ne era divertito… Oh, sì, divertito da morire.
Chiunque lo sarebbe a battere il proprio nemico al suo stesso gioco!
“C’è qualcun altro?”
Com’era banale.
“Oh sì!” Esclamò Loki sarcastico, “vanto di una vita sociale molto attiva!”
Thor si spostò dalla porta e sbatté entrambe le mani sul tavolo, “è da quella mattina che non sei più lo stesso.”
Almeno aveva spirito di osservazione.
“Quale me stesso?” Domandò Loki prendendo un sorso di caffè, “il fratellino? Il pazzo distruttore? L’amante clandestino?”
Thor strinse i pugni con forza, “sembriamo di nuovo punto a capo…” Mormorò frustrato, “voglio sapere che cosa è successo!”
E Loki lo fece, senza troppe remore.
“Sono il frutto di una scopata clandestina tra il re di Asgard e quello di Jotunheim, “ alzò gli occhi su Thor, “tua madre lo sa.”
Peccato che suo fratello non lo ascoltò. Fece il giro del tavolo, lo prese per le spalle e lo mise a sedere sul bordo.
Lo baciò con la stessa rabbia con cui avrebbe voluto prenderlo a schiaffi e Loki sentì il desiderio traditore prendersi gioco di lui. Per questo non aveva toccato Thor per tutti quei giorni ma non poteva fare a meno di fare qualcosa che gli desse l’illusione di un contatto con suo fratello.
Oh, sì, fratello…
Ti hanno concepito sotto la neve.
Il bacio s’interruppe.
Loki guardò Thor.
Thor guardò Loki.
Loki fu il primo ad abbassare lo sguardo.
Thor sbatté un pugno sul tavolo ed uscì dalla cucina.
Loki chiuse gli occhi, quando udì la porta finestra aprirsi e richiudersi con rabbia. Scese dal bordo del tavolo e si adagiò sul pavimento portandosi le ginocchia al petto. Non ci riusciva.
Non riusciva a fare l’amore con Thor.
Come poteva, se ogni volta che lo guardava vedeva Odino?
Come poteva, se ogni volta che si guardava allo specchio vedeva…?
Scattò in piedi con rabbia. Quelle immagini lo disgustavano al punto che avrebbe voluto strapparsi la pelle di dosso ma non poteva evitare di pensarci. Non poteva proprio eliminare dalla sua testa il pensiero che lui e Thor stessero recitando un copione già scritto, che tutto ciò che stavano facendo era già stato fatto da altri e che nulla… Nulla poteva garantirgli che non avrebbe avuto le stesse conseguenze.
E Loki conosceva la sua sorte.
Loki aveva visto Laufey su quel trono di ghiaccio, nel bel mezzo di un mondo distrutto. Re di un popolo in ginocchio. Lui non aveva né un trono, né un popolo.
Non aveva niente e nessuno.
L’unica cosa che poteva permettersi di sfiorare ma senza illudersi che fosse sua, era destinata ad un futuro dorato con una moglie che non sarebbe mai stata all’altezza di Frigga, ma che avrebbe saputo dargli dei figli degni di Asgard.
Loki, in quella storia, era spacciato fin dall’inizio.
Un risata femminile giunse dall’entrata.
Si sentì morire.
Quando si affacciò dalla porta della cucina, vide la giovane che aveva dato loro le chiavi della casa settimane prima. Thor le sorrideva sereno, le parlava allegramente, come se non fosse stato sull’orlo di una crisi di nervi appena pochi minuti prima.
Si salutarono, lui le prese la mano e la baciò. Lei arrossì e sorrise come se fosse la donna più felice dell’universo.
Loki ebbe un immensa voglia di annunciare la propria presenza vomitando nell’atrio in quel preciso momento.
La porta si richiuse e, quando si voltò, gli occhi di Thor incontrarono i suoi.
“Che cosa vuoi?” Quasi ringhiò e Loki dischiuse le labbra perché capì. Vide l’infantile giochetto di Thor, mentre scherzava con quell’insulsa mortale ben sapendo che lui avrebbe potuto udire ogni cosa.
Non ci pensò. Esaurì la distanza tra loro ed omaggiò il suo viso con uno schiaffo.
Quando Thor tornò a guardarlo, sembrava indeciso se restituirglielo o meno. Loki fu più veloce: gli circondò il collo con le braccia e lo baciò. Non fu un gesto rabbioso ma disperato.
“Aspetta, Loki…”
Non c’è più tempo…
Per tutta risposta, si alzò in punta di piedi e Thor lo sollevò tra le braccia, sebbene fosse indeciso su cosa fare. Arrivarono in salotto, davanti al caminetto.
Thor adagiò Loki sul tappeto, ma questi non voleva saperne di smettere di baciarlo. Alla cieca, riuscì ad afferrare uno dei cuscini del divano e a metterlo sotto la testa del più giovane. Le gambe di Loki erano ancora strette intorno alla sua vita.
La t-shirt blu di Thor fu la prima a finire sul pavimento, quella di Loki seguì un istante dopo. I jeans sembrarono scivolare via da soli, tanto erano impegnati a baciarsi.
Thor passò una mano sulla coscia ancora stretta intorno alla sua vita ma Loki non sembrava volerne sapere.
“No… No…” Mormorò a pochi millimetri dalle labbra dell’amente, “no…”
Un altro bacio, poi il Dio del Tuono dovette fermarsi per scrutare con attenzione quegli occhi verdi. Loki piangeva ma non sapeva quando aveva cominciato, né perché lo stava facendo.
“Ehi…” Thor gli accarezzò il viso, l’altro gli prese la mano ma non la scansò, la strinse.
“Fammi male…”
Non era un ordine, era una preghiera.
“Cosa?”
“Ti concedo quello che vuoi,” come Loki riuscisse a piangere e a mantenere una voce tanto ferma era un mistero, “ma fallo come io voglio che accada. Fammi male.”
Thor non si mosse, l’eccitazione di un istante prima era svanita di colpo.
Loki fece scorrere la mano che stringeva nella sua su tutto il corpo con languida lentezza. Thor sapeva dove voleva arrivare e quando avvertì il calore, allontanò le dita come scottato. L’altro ne sembrò infastidito.
“L’ho sembra odiata,” confidò, “è la parte di me che odio di più…”
Thor sospirò ed allungò una mano per riafferrare la t-shirt del fratello, questi gli afferrò il polso.
“La prima volta che ho provato desiderio, l’ho sentito lì,” non riusciva a smettere di piangere, mentre parlava, “era estate… Eravamo al lago, credo. Tu ti eri addormentato sotto il sole ed io ti guardavo… Tutto quel che volevo era toccarti, farmi toccare, far aderire i nostri corpi, nulla di più… Pensavo sarebbe stato sufficiente.”
“Basta così, Loki.”
“Ti ho sempre voluto così!” Esclamò, come se pronunciare quelle parole gli facesse terribilmente male, “ti ho desiderato in ogni modo…”
Thor non parlava più.
“Ma se non te lo lascio fare in questo modo, sarà come non averti mai avuto. Tu mi vuoi… Lo so che mi vuoi! Ma ho il diritto di decidere come questo deve accadere.”
Loki gli prese il viso fra le mani, “fammi male.”
“No,” Thor scosse la testa, “no, tu…”
“Ne ho bisogno!” Urlò il più giovane, “mi hai fatto male in modi peggiori, se vuoi saperlo.”
“Non sai di quello che stai parlando! Non sai quello che chiedi!”
“So che puoi farmi male abbastanza da farlo smettere!”
Thor lo fissò, “fare smettere cosa?”
L’espressione di Loki s’indurì.
“Fare smettere cosa?!”
Il dolore…
Loki chiuse gli occhi.
Il dolore dei padri…
Thor si alzò, recuperò i suoi vestiti e si dileguò, “rivestiti, dobbiamo parlare.”
Loki aspettò di sentire i suoi passi sparire in cima alle scale, poi si raggomitolò sul tappeto e pianse ancora un po’.

“Sta soffrendo…”
Bestla passò amorevolmente le dita tra i capelli della fanciulla, “l’amore fa soffrire, bambina.”
“Che amore?” Domandò lei distrattamente, “per chi?”
“Ci sono tanti tipi di amore, quelli che feriscono il nostro principe hanno molte forme…”
“Perché il suo compagno non l’ha voluto?”
“Non è il suo compagno, principessa,” la corresse l’antica regina, “tu sarai la sua compagna… Tu ed i tuoi fratelli. L’unico amore che il nostro principe proverà, alla fine di questa storia, sarà per voi e voi soltanto.”
“E se a lui non piacessi?” Domandò la fanciulla con voce incolore, “se io non riuscissi ad amarlo?”
“Oh…” Bestla sorrise, “lo amerai, bambina mia…” I suoi occhi vagarono al piano di sopra, dove Thor si era chiuso in camera e si era lasciato cadere sul pavimento: sembrava stanco, frustrato, sconfitto…
“Lo amerai…”

Loki si rivestì e si trascinò in cucina. Fece scorrere l’acqua nel lavandino e si sciacquò il viso.
Thor voleva parlare? Povero stolto!
Gli venne da ridere: un tempo la sua più grande apertura al dialogo sarebbe stata prendersi gioco del nemico un istante prima di farlo a pezzi. Anche su Jotunheim era stato così, quel maledetto giorno.
Ora, invece, Thor sembrava essersi convinto che con le parole si potesse risolvere ogni cosa.
Thor… Che pensava che nelle parole non si nascondesse altro significato se non quello più superficiale. Loki non viveva di simili convinzioni. Per lui, le parole era quanto di più distruttivo e letale potesse esistere e non conosceva altro modo per usarle.
In alternativa, vi era il silenzio.
Però, sapeva bene che Thor non avrebbe accettato quel compromesso a lungo e non poteva sperare che una battaglia a letto gli avrebbe fatto dimenticare la cosa. Forse posticiparla, ma se c’era una cosa di cui quell’idiota era re assoluto, era la testardaggine.
In questo, forse, si somigliavano.
Qualcosa gli toccò la gamba e lo fece trasalire. Abbassò lo sguardo e vide i suoi stessi occhi ricambiare l’occhiata. Non reagì, non sapeva come farlo…
Il bambino lo guardava dal basso all’alto senza timore.
Loki sapeva che non era reale, lo capì immediatamente ma questo non gli impedì di allungare una mano per toccargli i capelli corvini. Il piccolo fece un passo indietro e lo guardò con freddezza.
Una rabbia improvvisa lo possedette e strinse le dita intorno al bordo del bancone per impedirsi di colpire quel piccolo bastardo. Odiava quell’espressione. La odiava, perché la conosceva.
“Non guardarmi così…” Sibilò.
Il bambino non sembrò curarsene.
“Non guardarmi così!”
Ma non era sufficiente per spaventare quel piccolo intruso.
“Non sei niente..” Mormorò dopo poco.
“Come hai detto?” Domandò Loki con voce appena tremante.
“Senza mio padre,” rispose il bambino, “non sei niente. La tua esistenza ha valore soltanto in relazione alla luce generata dall’esistenza di qualcun altro.”
Loki non fu in grado di ribattere. Quel bambino era troppo piccolo perché potesse esprimersi in una tale maniera. Chi c’era dietro quell’illusione? Chi gli stava parlando, veramente?
“Chi sei?” Quasi ringhiò nel chiederlo.
“Esattamente quello che sei tu.”
“No,” Loki ghignò, “mi assomigli al punto da farmi paura ma non sei me.”
“Non ho detto questo,” replicò il bambino, “non sono te, sono come te.”
“Non esiste nessuno come me.”
“Lo hai già detto, sei ripetitivo.”
“Non osare, piccolo mostro…”
“No, non mostro,” lo corresse il bambino, “gli Jotun sono mostri per gli Aesir. Gli Aesir sono mostri per gli Jotun. Il mostro è un’entità relativa.”
Loki fece una smorfia, “e come ti definiresti?”
“Tu come definisci te stesso?”
Il principe non rispose, l’illusione si fece più vicino. Loki s’inginocchiò ed il bambino lo guardò dritto negli occhi, “che cos’è il figlio di un Aesir e di uno Jotun?”
“Un abominio…”
Il piccolo scosse la testa, “no,” si sporse in avanti, come se la risposta fosse un segreto terribile, “un peccato,” sussurrò all’orecchio dell’adulto. Loki rimase immobile ed in silenzio.
Il bambino fece un passo indietro, lo guardò un’ultima volta, poi corse in salotto.
“Un peccato…”
Loki si alzò e gli andò dietro: una decisione di cui si sarebbe pentito per tutta la vita.
Dapprima, pensò che la testa bionda che intravide in salotto appartenesse a Thor.
“No, non fermarti…”
Ma quella voce non apparteneva a nessuno che conosceva.
“Se ti fermi, mi uccidi.”
Solo allora, si accorse che il profilo era diverso da quello di suo fratello, che i capelli erano troppo corti e che quell’espressione affamata Thor non l’aveva mai avuta, nemmeno prima di fare l’amore.
Loki fece un passo in avanti. Non si preoccupò di non fare rumore: semplicemente, l’illusione non poteva vederlo. Non era stata costruita per interagire con lui, solamente per essere guardata.
Si avvicinò ancora un poco, poi trattenne il respiro.
Il giovane uomo dai capelli biondi non indossava alcun vestito e, sotto di lui, ve ne era uno dalle lunghe ciocche corvine che si muoveva al ritmo di una melodia da lui stesso intonata e che Loki aveva conosciuto solo nelle ultime settimane. Era stato Thor ad insegnargliela.
La mano del biondo, un Aesir, senza dubbio, si muoveva con maestria tra le cosce del secondo omaggiando quel frutto proibito che nessun uomo degno di tale nome avrebbe potuto avere: l’altro era uno Jotun.
Il cielo si era oscurato e il fuocherello nel camino compieva sensuali giochi di luci ed ombre sui corpi dei due amanti. Giacevano su di un mantello scarlatto dall’aria terribilmente familiare.
Loki non si mosse, quando i sospiri dello Jotun divennero più rapidi e l’Aesir decise che non c’era più tempo per giocare. Avrebbe dovuto voltarsi, Loki o, perlomeno, abbassare lo sguardo.
Non lo fece.
Restò a guardare, mentre i due amanti consumavano quel momento erotico che Thor tanto bramava e che disgustava lui più di ogni altra cosa al mondo. Lo Jotun non tradì alcun tentennamento, quando l’Aesir entrò in lui. Si accontentò di tenere gli occhi incollati a quelli dell’amante e gettò la testa all’indietro, mentre l’altro lo violava dolcemente.
Loki sapeva quello che stava guardando.
Non era stato difficile intuirlo, non per la sua mente.
Era la sua anima che rifiutava quella verità e la etichettava come bugia.
Il diario che lui e Thor aveva ereditato terminava la sua narrazione moltissimi anni prima della guerra tra Asgard e Jotunheim. Non c’era alcuna traccia di loro in quella storia. Solo i sogni di due principi talmente stupidi e sentimentali che Loki dubitava potessero mai essere esistiti.
Ancora una bugia da raccontare a se stesso.
Avevano cominciato ad odiarsi perché non potevano smettere di amarsi.
Bestla aveva descritto un’ultima notte di compassione per due re per cui non potevano che esistere l’abisso della sconfitta o l’oscura gloria di una vittoria sanguinosa. Nella sua mente, Loki si era dipinto qualcosa di orrido, violento, maniacale.
Perché era questo che faceva con tutto ciò che non poteva accettare: lo dipingeva con tutte le sfumature di nero che conosceva e, in questo modo, lo rendeva accettabile.
Davanti a lui vi erano solo due amanti che stavano facendo l’amore.
Ti hanno concepito qui, sotto la neve.
Raggiunsero il piacere insieme. Si guardarono smarriti per un po’, poi l’Aesir si voltò nella sua direzione e Loki perse il controllo. Un occhio azzurro era fisso sul suo viso, mentre la parte sinistra del viso era coperta da una fasciatura parzialmente sporca di sangue.
Non ce la fece più e corse al piano di sopra.
Entrò in camera sbattendo la porta, Thor non era lì ma non gli importava: voleva rimanere da solo.
Si rese conto di essere madido di sudore e, con un’espressione schifata, si chiuse in bagno. Il primo getto della doccia fu gelido ma nemmeno trasalì. Loki non sentiva nulla, nulla! A parte quell’orribile sensazione che lo portava ad odiare il fatto stesso di essere vivo. Chiuse gli occhi ed appoggiò la fronte contro le mattonelle.
Sei l’ultimo dei peccati dei tuoi padri.
Scoppiò a piangere, come se fosse un bambino disperato che gridava per essere accolto nel calore di un abbraccio materno. Singhiozzò violentemente, nessuno l’avrebbe sentito.
“Avevano cominciato ad odiarsi perché non potevano smettere di amarsi.”
Urlò e colpì il muro con un pugno. Non lo sopportava! Era così orribile sapere di essere nato da una notte d’amore e non dalla violenza dell’odio? Sì. Sì, lo era. Perché se avesse accettato quell’amore, avrebbe cominciato a porsi delle domande. Avrebbe cominciato a voler cercare le ragioni di quanto era successo.
Per questo aveva chiesto a Thor di fargli male, così avrebbe distrutto la parte più intima del suo essere Jotun e, forse, sarebbe riuscito ad odiarsi di meno. Sarebbe riuscito a cancellare quel peccato che lo macchiava fin dalla nascita. Un peccato commesso con amore…
Ma allora perché? Perché…?!
Troppe domande. Nessuna risposta.
Prese un respiro profondo, come se stesse annegando. Come potevano due re votati alla distruzione potersi amare in quel modo?
Quel modo… Quella disperazione, quella passione, quel desiderio, quella complicità…
Come si poteva amare il proprio nemico, fino a quel punto?
Con quale coraggio ci si poteva concedere e lasciarsi andare completamente tra le sue braccia? Loki non ci riusciva nemmeno con Thor, per questo non poteva cedergli il comando.
E se ci fosse riuscito?
Aprì appena gli occhi: c’era solo vapore intorno a lui. Li richiuse, vide il lago e la neve… Sì, la neve.
Se fosse riuscito ad accettare quel desiderio tanto odiato?
Vide il mantello scarlatto e vide i due amanti.
Sentì la propria mano accarezzargli il ventre.
E vide Thor… Sì, Thor. Nudo, bellissimo, suo…
Divaricò appena le cosce.
Thor, Thor… Thor che lo amava su quel mantello rosso come non aveva mai osato immaginare.
Un gemito sfuggì al suo controllo.
Thor che lo prendeva in mezzo alla neve come non avrebbe mai permesso a nessun altro.
Il respiro si fece veloce, frammentato.
Thor che faceva intrecciare le loro dita, che lo baciava, che non si limitava ad amarlo ma lo adorava e provava piacere nel farlo.
Thor che lo faceva suo con fermezza ed estrema dolcezza.
Forte ma mai violento.
Appoggiò una mano al muro come per aggrapparsi, le gambe gli tremavano.
Thor che lo faceva sbocciare sotto le sue mani esperte e diveniva uomo, ancora una volta, dentro di lui.
Loki gettò la testa all’indietro e non si preoccupò di controllare la voce, “Thor…” Mormorò con voce tremante, “Thor…”
Il piacere fu estremo, improvviso, annientante.
Loki si appoggiò completamente contro il muro. Il respiro velocissimo, il cuore impazzito, la testa leggera e gli occhi chiusi.
Meravigliosa… Era un sensazione meravigliosa.
Poi aprì gli occhi e non provò mai tanta vergogna in tutta la sua vita.
Thor lo guardava con la bocca socchiusa e gli occhi sgranati. Era immobile, non respira neanche.
Nella foga dell’isteria Loki non aveva nemmeno chiuso il pannello della doccia. Non aveva idea da quanto Thor fosse lì.
Abbastanza.
Rispose una vocina maligna nella sua testa.
Abbastanza.
Suo fratello allungò un braccio con cautela, senza interrompere il contatto visivo.
Il rumore del box di vetro che si chiudeva sembrò più forte del boato di un tuono. 



***
Varie ed eventuali note:
Dunque, quello che trovate qui sopra è la metà di un pezzo di 26 pagine che, tra l'altro, non accenna a volersi concludere. Per tanto, ho deciso di darmi all'ennesimo taglio strategico. 
La buona notizia: per il prossimo aggiornamento abbiamo una data certa, tra il 19-20 novembre! No, non è assolutamente casuale! 
Questo mini-capitolo sembra interamente finalizzato a frullare il cervello dei quattro protagonisti e, lo dichiaro, questo è solo l'inizio!
Per i fan del Thunderfrost (di cui, non smetterò mai di ricordarlo, io faccio parte), prendete queste scenette tra i fratelli coltelli (specialmente l'ultima), come un assaggio di quel che vi aspetterà al prossimo aggiornamento. Penso di aver detto anche troppo.
Naturalmente, ringrazio tutti i lettori e recensori!
Spero che il capitolo, sebbene cortino, sia di vostro gradimento.

Alla prossima!
 

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Capitolo 19
*** Cuore ***


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 XVIII
Cuore
 
 
[Vananheim, oggi.]
 
Il sogno non era mai uguale ma era sempre lo stesso.
Laufey conosceva quel luogo.
Lo conosceva tanto bene quanto si poteva conoscere la propria casa.
Era tradizione che, tra quelle mura di pietre, spirassero quelli che erano considerati gli errori di Jotunheim.
Quelli che contavano, perlomeno.
Quelli nati da famiglie con alto lignaggio.
Per tutti gli altri vi era un destino ben peggiore.
Il vento di Jotunheim cantava la sua litania di morte e desolazione e portava con sé la canzone di una vita nuova, appena sbocciata. Un bambino piangeva dentro quel tempio.
Laufey corse… Corse, perché sembrava che quella vocina stesse chiamando lui.
L’altare era spoglio, cosparso di crepe ma ancora solido e oscuro, come ciò che andava a simboleggiare.
Per quel luogo passavano due tipi di bambini: i principi di Jotunheim e i piccoli errori.
Nati da un grembo caldo e accogliente, consegnanti ad un mondo freddo e dannato.
I nobili che partorivano piccoli diversi lasciavano lì i loro bambini: la legge di Jotunheim prevedeva che sarebbero entrati a far parte della comunità degli Jotun, se fossero sopravvissuti un intero giorno ed un’intera notte al freddo del loro mondo.
La maggior parte dei mezzosangue era forte abbastanza da farcela.
Per uno scarto, non c’era alcuna possibilità di scampo.
Ogni erede al trono era stato sottoposto alla stessa prova: che re sarebbe stato un principe che non riusciva a piegare l’inverno al suo volere?
Folli, pazzi… Non c’erano parole degne per descrivere quanto avveniva in quel luogo.
Nel sogno, l’altare non era vuoto.
Un giovane dai capelli corvini vi era davanti e fissava la superficie ghiacciata senza una reale espressione. Stringeva a sé un fagottino urlante.
Laufey cercò di farsi avanti ma le gambe non gli ubbidivano.
Il giovane adagiò il suo fardello su quella lastra di ghiaccio macchiata del sangue di tanti innocenti e la copertina cadde per rivelare un neonato dalla pelle rosea, grandi occhi verdi e curiosi ed una testolina ricoperta da ciuffetti corvini.
“Loki…” Chiamò Laufey e tentò disperatamente di muoversi, “Loki!”
Il giovane si voltò nella sua direzione: aveva il suo viso e gli occhi scarlatti ma non era lui, non poteva essere lui!
Il neonato piangeva disperatamente.
“Ha freddo!” Esclamò il principe di Jotunheim, “che cosa stai aspettando? Prendilo in braccio!”
L’altro non sembrava riuscire a comprendere.
“Questo non è posto per lui! Morirà se resterà qui!”
“Già…” L’altro se stesso annuì, “come deve essere, dopotutto.”
Laufey sgranò gli occhi, “che assurdità è mai questa?”
L’illusione non rispose.
“L’abbiamo desiderato!” Urlò, “Lo amiamo.”
L’altro sorrise tristemente piangendo lacrime silenziose.
“Già, proprio perché lo amiamo…” Sollevò una mano ed uno stiletto di ghiaccio comparve tra le sue dita.
“No!” Urlò Laufey inorridito, “No! No! No!”
Un frazione di secondo: Loki non piangeva più.
 
Stava piangendo e urlando, quando una guardia lo strappò dal suo letto.
“Cosa…?” 
Mani estranee lo stringevano con poco grazia e lo trascinavano di peso.
“Il re vuole vedervi!”
Nàl non capì e tentò, ancora, di liberarsi. Fu inutile.
“Lasciatemi!”
I corridoi del palazzo erano  bui e le improvvise luci delle torce non faceva che confondere i suoi sensi ancora intorbiditi dal sonno. Non seppe quantificare il tempo che impiegarono per giungere la destinazione ma non fu comunque pronto quando lo sbatterono con prepotenza sul pavimento.
“Basta così…”
Mormorò gentilmente una voce che conosceva bene.
“Potete andare.”
“Mia signora,” rispose con rispetto una delle guardie. Rumore di passi, una porta che veniva chiusa e, poi, il più assoluto silenzio. La mano di Bestla gli posò una fredda carezza tra i capelli.
“Dov’è Odino?” Domandò, suonava preoccupata. 
Nàl alzò il viso: gli occhi verdi pieni di rabbia.
“Perché ti ha lasciato da solo? Dov’è?”
“Che ve ne importa?”
Bestla sospirò e gli porse una mano per aiutarlo ad alzarsi. Nàl si rimise in piedi ignorandola completamente. Si guardò intorno: era stato portato in degli appartamenti che non riusciva a riconoscere. L'atmosfera era scura, con l’eccezione del fuocherello morente nel camino. Sembrava fosse avvenuta una rissa lì dentro.
Bestla era composta, come suo solito, ma c’era una luce quasi umana nel suo sguardo scarlatto.
“Il re ha richiesto la tua presenza,” lo informò. La sua voce tremava appena.
“Sì, mi è stato detto!” Replicò lui invelenito, “qualcuno dovrebbe ricordare al re come si trattano gli ospiti, specie se sono dei nemici vittoriosi!”
“Abbassa la voce, Nàl…”
“Non mi faccio condurre come una puttana nelle stanze del re nel cuore della notte!” Continuò il giovane imperterrito, “qualcuno lo informi che Jotun non è sinonimo di sgualdrina. Anche se, con voi come esempio, non posso biasimarlo così tanto.”
Bestla strinse i pugni ma non rispose alla provocazione, “abbassa la voce, Laufey.”
E il principe di Jotunheim raggelò: perché l’aveva chiamato col suo vero nome? Aveva tanta necessità di attirare la sua attenzione? Bene, qualunque cosa fosse, poteva aspettare il mattino!
“Io me ne vado,” la informò voltandosi ma lei gli afferrò il polso.
“Se esci da quella porta, te ne pentirai.”
“Siamo passati alle minacce, mia regina?”
“Non è una minaccia,” il tono di lei era fermo e serio, “il re ha chiesto la tua presenza e, se non rispondi alla sua convocazione, il sangue di un innocente ricadrà sulle mani di entrambi.”
Nàl sgranò gli occhi e la guardò: un orribile presentimento gli ostruì la gola.
“Seguimi, bambino…”
Annuì e si lasciò condurre nella stanza accanto.
La camera da letto del re giaceva in uno stato peggiore dell’ambiente precedente. Vi erano almeno tre calici rotti sul pavimento ed i loro frammenti  sembravano piccole isole su di un mare scarlatto di vino. Si voltò: Bestla era rimasta sulla soglia.
“Non mi è permesso andare oltre,” spiegò timorosa, poi accennò al letto, “sul lato in ombra.”
Nàl guardò le tende strappate del baldacchino, stando ben attendo a non calpestare un frammento tagliente con i piedi nudi. Tuttavia, non poté evitare di bagnarsi le piante con il vino. Una mano comparve nella sua visuale dall’angolo scuro: era pallida, quasi grigiastra.
Appoggiò una mano ad una delle colonne del letto, come se temesse che, una volta ammirato quel macabro spettacolo, le gambe non lo avrebbero più retto. Si sporse ma non si mosse: aveva paura di vedere. Sgranò gli occhi, poi fece un passo all’indietro portandosi una mano alla bocca.
Nel tentativo di respirare attraverso le dita, gli sfuggì un singhiozzo.
Guardò il pavimento bagnato su cui poggiava i piedi, mentre le lacrime gli offuscavano la vista: non era vino…
“Skadi…” Chiamò inginocchiandosi accanto a quel corpo immobile.
Gli occhi scuri erano spalancati ma non lo vedevano.
“Skadi…” Nàl gli alzò la testa e l’appoggiò sulle sue ginocchia, gli portò due dita sotto il naso: respirava ancora. Njord era stato bravo: aveva creato un cadavere che fosse ancora in grado di sanguinare quando voleva.
“Che cosa ti ha fatto?” Mormorò con voce rotta dal pianto, “Perché? Perché?” Cominciò a ripeterlo come una litania posando un bacio disperato tra i capelli dell’altro Jotun. 
Perché? Quante domande contenute in una sola parola e Laufey, principe di Jotunheim, non possedeva neppure una risposta. 
“Guariscilo…”
Alzò il viso di colpo: Njord lo fissava dalla parte opposta del letto. 
Nàl si morse il labbro inferiore: avrebbe voluto fare tante cose a quell’uomo e nessuna di quelle che gli venivano in mente erano brevi o indolori. Si morse il labbro inferiore e sospirò: un altro giorno, era più importante altro, in quel momento.
“Gli serve un curatore, ha perso molto sangue.”
Njord cominciò a girare intorno al letto, “guariscilo.”
“Non ne sono capace!” Urlò Nàl, poi guardò Bestla che era rimasta muta ed immobile, “lei può! Lei ha delle conoscenze riguardo all’arte della guarigione.”
La donna abbassò lo sguardo.
“Lei no,” rispose Njord, “solo tu.”
Nàl scosse la testa, “vi ho appena detto che non lo so fare…”
“Allora morirà,” il re annuì, “se non sarai tu, morirà.”
Il giovane Jotun si sentiva soffocare e sapeva bene che cosa l’avrebbe liberato da un simile costrizione:  “ve la farò pagare…”
“Che cosa?”
“Ve lo giuro sulla mia stessa vita,” gli occhi di Nàl si tinsero di scarlatto, “ve la farò pagare con le mie stesse mani! A voi e a chiunque abbia mai osato torcere un capello alla mia gente e non avrà importanza se dovrò cominciare dai miei stessi simili. Non avrò pace, fino al giorno in cui tutti i Nove Regni s’inginocchieranno davanti al trono di Jotunheim!”
E se Nàl fosse stato un po’ più attento, avrebbe notato l’espressione di raccapricciante soddisfazione sul viso di Bestla, mentre pronunciava quelle parole. Al contrario, Njord ne sembrò divertito.
“Attento a quello che minacci, bambino,” disse, quasi dolcemente, “perché potresti scatenare una guerra che non puoi permetterti di perdere.”
Nàl fece per replicare, quando una mano gli toccò debolmente il braccio. Abbassò gli occhi per incontrare le iridi scure di Skadi.
“Mi dispiace,” singhiozzò disperatamente, “non so cosa fare, non so come aiutarti.”
L’altro Jotun scosse appena la testa ed il sorriso tremante che gli rivolse fu tanto gentile da fargli male.
“Non è vero che non puoi,” commentò Njord maligno, “posso sentire l’odore del potere che ti scorre nelle vene.”
Nàl lo guardò in cagnesco, “non so di cosa stiate parlando.”
“Della stessa cosa per cui Borr ti ha quasi bruciato vivo.”
“Il potere di cui parlate è solo il delirio di un folle!”
Njord scosse la testa, “io non credo, bambino,” replicò, “Borr è un folle, certo. Non riuscendo ad avere in pugno il seidr, decide di combatterlo ma, in cuor suo, desidera tutta la conoscenza che si possa avere su quell’energia. È così assurdo che un re di Asgard ne sia quasi privo, come è assurdo che non si sia mai accorto che il suo adorato erede potrebbe divenirne un maestro, se solo fosse educato in tal senso.”
“Odino ha molti talenti ma non quello che voi gli affibbiate.”
“Eppure gioca con la magia,” Njord ridacchiò, “è a lui che quel patetico scarto deve il suo aspetto Aesir, non è così?”
“Loki è completamente autonomo nel controllo del suo aspetto.”
Il re fece una smorfia disgustata, “già, alle volte, il seidr si nasconde nelle creature più infime,” lanciò un’occhiata carica di disprezzo a Skadi, “tipo questa bambola rotta.”
S’inginocchiò.
Nàl strinse Skadi a sé come poteva, “non vi azzardate a toccarlo… Non lo devete nemmeno guarda…”
Le dita di Njord si conficcarono nella carne tenera della sua gola impedendogli di respirare.
“Le Norne hanno parlato, bambino,” disse con tono glaciale, “non ha importanza cosa tu faccia. Potrai anche sedere accanto al trono dorato, un giorno, ma ciò che non cambierà il fatto che tu, i tuoi figli e qualunque altra feccia Jotun vivente non potrà mai… Mai! In nessuna era, sfiorare la luce del sole! Siete creature d’ombra ed è nell’ombra che siete destinati a rimanere! E se, per caso, qualcuno di voi possa disgraziatamente dimenticare questo fato…”
Qualcosa scintillò nell’ombra, sopra la spalla di Njord.
“Lascialo andare…”
Il re sorrise.
“Il tuo principe è venuto a salvarti.”
Odino premette maggiormente la lama della spada contro il collo del sovrano, “lascialo, ho detto!”
Njord eseguì e si alzò in piedi.
Nàl piegò la testa in avanti tossendo violentemente. Odino gli si parò davanti, l’arma puntata contro il re.
“Se solo sapessi cosa stai facendo, bambino,” disse il Vanir con tono pietoso.
“So quello che stavate facendo voi e mi basta,” sibilò Odino, “tornerò ad Asgard e racconterò a tutti i Nove Mondi che razza di essere malato siete e, statene certo, quando avrò finito, non ci saranno alleati pronti a correre in vostro soccorso!”
“Odino…” Mormorò Nàl alle sue spalle.
Il principe dorato allungò il bracciò sinistro all’indietro e il giovane Jotun gli afferrò la mano tirandosi in piedi. Gli occhi verdi si spostarono sull’entrata della stanza: Bestla era sparita.
“Non hai ascoltato tuo padre, ragazzino,” parlò Njord, “abbi un po’ di attenzione per la parole di un povero vecchio: uno Jotun è sinonimo di condanna.”
“È stato così anche per i fratelli di Thiazi?” Urlò Nàl, “li avete uccisi per impedire loro di condannarvi.”
Njord lo ignorò, “sono maledetti dalla nascita, Odino.”
L’espressione del principe non tradì il ben che minimo tentennamento, “il sangue di Jotunheim scorre anche nelle mie vene, non avrei speranza comunque,” rispose con sarcasmo.
Nàl gli strinse la mano.
“Forse,” Njord annuì, “ma non posso permetterti di condannarci tutti e restare a guardare, mentre raccogliete il frutto avvelenato del vostro patetico amore.”
Alzò la mano destra e la roteò di qualche grado: Odino cadde a terra urlando e la spada scivolò sul pavimento.
“Odino…” Nàl cercò di aiutarlo ma il re fu più veloce e gli afferrò, di nuovo, la gola spingendolo contro una delle colonne del letto.
“Non lo toccare, bastardo!” Urlò il giovane Aesir.
Nàl vide Njord sorridergli, poi alzare la mano libera e schioccare le dita. Le urla di Odino divennero disumane.
“Lo devo ammettere, però,” Njord si leccò le labbra, “dietro l’aspetto di mostri, nascondete dei veri capolavori.”
Nàl gli sputò in faccia colpendolo dritto in un occhio. 
Njord si pulì con una manica, poi strinse maggiormente le dita sulla sua gola.
“Laufey!” Urlò Odino in preda al panico, “Laufey!”
Nàl sentì un poco di aria entrargli nei polmoni.
Gli occhi di Njord erano pieni di sorpresa e di compiacimento.
“Laufey,” ripeté, “Laufey Ymirson…  Ora capisco perché questi magnifici occhi verdi mi erano così familiari. Assomigli tanto a tuo padre quando giocava a fare l’Aesir, lo sai? Non sono mai riuscito a togliermi lo sfizio con lui…”
Nàl sentì lo stomaco comprimersi, quando sentì due dita fredde accarezzargli la coscia e sollevare l’orlo della camicia da notte.
L’aria gli mancò di colpo.
“Non vedo l’ora di vedere l’espressione sul viso di Ymir, quando gli riconsegnerò il suo cucciolo soffocato e violentato,” Njord gli rivolse un sorriso malato, “è questo che ho fatto con i fratelli di Thiazi: li ho soffocati lentamente, mentre li prendevo. Uno ha dovuto assistere alla fine dell’altro ed ora, il tuo bel principe assisterà alla…”
Il re sgranò gli occhi di colpo, il respiro gli si bloccò. Nàl sentì la stretta sulla sua gola sparire lentamente, poi abbassò gli occhi: Skadi era riuscito a sollevarsi in ginocchio ed aveva trafitto il fianco sinistro del re con uno stiletto di ghiaccio. 
Gli occhi scuri incrociarono quelli verdi, poi lo Jotun perse i sensi e cadde a terra.
Nàl non esitò a reagire: estrasse l’arma accidentata dal corpo del re che indietreggiò di un paio di passi.
Un istante. Uno solo.
Lo pugnalò dritto allo stomaco e, quando ritrasse la mano, una gran quantità di sangue cadde sul pavimento mischiandosi a quello già versato.
Non si fermò. Il terzo colpo arrivò al petto ma non al cuore. No, aveva tutte le intenzioni di farlo durare più che poteva. Il quarto gli trafisse una spalla, il quinto finì sul fianco rimasto sano…
Un istante prima che la porta si aprisse ed un gran numero di persone diventasse testimone di quell’orrida scena, Nàl sentì due braccia forti e calde circondarlo
“Lasciami!” Urlò, ormai cieco dalla rabbia, “lasciami andare!”
“Laufey…” La voce di Odino era dolcissima, mentre lo chiamava, “è tutto finito. È tutto finito…”
Lo ripeté come una litania, fino a che lo Jotun non decise di rilassarsi contro le sue braccia e lasciò andare lo stiletto di ghiaccio: si sciolse non appena toccò terra.
Nàl scoppiò in un pianto dirotto.
Odino lo strinse contro il suo petto, mentre entrambi scivolavano sul pavimento.
Una risata li riscosse.
Il giovane Jotun alzò gli occhi e rabbrividì: Njord non era ancora morto e, peggio, sorrideva. 
Tossì e barcollò ancora, finendo contro il parapetto della balconata. 
“Le Norne hanno parlato,” disse, “non ho bisogno di maledirvi perché siete già condannati.”
Nàl volle strapparsi le orecchie pur di non ascoltarlo.
“Ricordate le mie parole, miei principi: Caos…”
Nàl singhiozzò. 
“È questo che siete destinati a dare alla luce… Caos…”
Njord si sporse oltre il parapetto e cadde dalla balconata.
 
[Midgard, oggi.]
 
Thor sapeva che aveva visto qualcosa che non avrebbe mai dovuto vedere.
Non ci voleva certo un genio per capirlo.
Loki gli aveva mostrato, con l’estrema sincerità di chi crede di essere da solo, la versione integrale del frutto proibito che tanto agognava di poter assaggiare e che gli veniva negato. No, Thor non si riferiva al segreto che suo fratello custodiva tra le gambe, no.
Era tutto… Tutto…
Era Loki.
Era la sua espressione mentre quel piacere nuovo, inesplorato prendeva il sopravvento.
Era il modo in cui si muoveva inconsciamente, mentre si accarezzava.
Era il suono della sua voce, mentre chiamava il suo nome.
Thor corse in cucina ed aprì il rubinetto: immerse la testa sotto l’acqua gelida perché temeva che, se non avesse fatto qualcosa, sarebbe scoppiata da un momento all’altro, come il suo cuore.
Era stata la cosa più bella che avesse mai visto, che nulla aveva a che fare con le volgarità a cui era abituato lui. In realtà, ora che l’aveva sbirciata, Thor aveva addirittura paura di poterla toccare, quella bellezza.
Chiuse il rubinetto e rise istericamente: non c’erano pericoli, Loki non gli avrebbe mai concesso nulla di tutto quello. Non aveva importanza che lo desiderasse anche lui.
Probabilmente, gli avrebbe dato la colpa di quanto era accaduto, poi avrebbe negato ogni cosa. Avrebbe sporcato quella meraviglia con qualche velenosa menzogna che potesse separare i loro cuori ancora di un palmo. Loki gli aveva chiesto di distruggere quella parte di sé, quando gli aveva chiesto di violentarlo.
Non era vero ciò che aveva detto, suo fratello sapeva esattamente cosa stava chiedendo, mentre lo supplicava di fargli male.
Durante la loro adolescenza, secoli addietro, era quasi successo.
L’unica volta in cui Thor aveva visto suo padre perdere completamente il controllo.
Chissà se Loki ci aveva pensato, mentre tentava di concedersi sul pavimento del salotto? 
Chissà se, invece, aveva tentato di dimenticarlo?
A quel tempo, Thor aveva avuto una reazione pessima e l’aveva avuta con la persona sbagliata.
Solo ora rammentava, solo ora vedeva il fatale errore che aveva commesso quel giorno quando, con una crudeltà che ora lo faceva rabbrividire dall’orrore, aveva detto a Loki che, se si era ritrovato in una situazione così umiliante, era soprattutto colpa sua.
Ricordava lo schiaffo di sua madre. L’unico che avesse mai ricevuto da lei.
Quel gesto non era servito ad altro che separarli ulteriormente.
Ora, Thor vedeva tutt’altra cosa in quell’evento. Vedeva quei cinque ragazzi avventarsi su suo fratello. Vedeva Loki tentare di difendersi con ogni mezzo che conosceva, tranne l’implorazione.
Non avrebbe implorato mai, non il secondo principe di Asgard.
Si sarebbe fatto violentare, piuttosto che chiedere aiuto.
Erano state sua madre e le sue dame ad intervenire sulla scena.
Era stato un puro e semplice colpo di fortuna.
Nessuno c’eraservito stato per proteggere Loki.
Loki stesso non avrebbe permesso a nessuno di aiutarlo, pur di non farsi vedere da altri in quella situazione.
Thor conosceva quei giovani, erano stati i suoi compagni d’addestramento.
Avevano all’incirca la sua età. Thor immaginò le loro mani sporche e indegne toccare la pelle candida di suo fratello. Immaginò cosa avrebbero fatto, se nessuno li avesse fermati.
Avrebbero scoperto il segreto di Loki e avrebbero avvertito un’eccitazione mai provata prima di fronte ad una simile opportunità. E Loki non avrebbe comunque implorato.
Gli avrebbero tenuto le gambe aperte e si sarebbero fatti strada dentro di lui a turno, trovando nel suo dolore la conferma del loro malato concetto di virilità. 
E Loki non avrebbe urlato.
No, neanche per il dolore.
Non avrebbe concesso a loro niente che non potessero prendersi con la forza.
Non l’avrebbero mai piegato. Mai.
Questo era Loki Odinson e, con un ritardo incalcolabile, Thor vedeva quanto grande fosse il ragazzino che si nascondeva dietro a quella tragedia sfiorata. L’aveva additato come debole, effeminato, indegno… diverso. 
Quello stesso ragazzino, ora uomo, gli toglieva i vestiti di dosso e s’infilava tra le sue cosce prendendosi e dando piacere.
Un’altra risata isterica gli sfuggì dalle labbra. Si prese tra le mani la testa, i capelli erano ancora grondanti d’acqua ma non se ne curò.
Chissà che immagine c’era dietro le palpebre chiuse di Loki, mentre si accarezzava?
Thor premette un braccio contro la credenza e vi appoggiò la fronte.
Dietro le sue cosa c’era?
C’era Loki disteso sul suo mantello rosso. Tutt’intorno, vi era solo neve. 
Non indossava vestiti.
La pelle nuda era pallida, perfetta, quasi surreale.
Lo sguardo smeraldino di Loki era a tratti malizioso e a tratti annoiato, mentre lo accarezzava.
E Thor era lì per sentirsi inadeguato, perché nessuno aveva mai toccato Loki, ma il sé stesso nelle sue fantasie aveva fatto un ottimo lavoro negli ultimi secoli e avvalendosi solo di una mano che non era neanche la sua. Avrebbe mai retto il confronto?
Oppure, il potente desiderio che Loki aveva sempre covato per lui si sarebbe affievolito non appena avrebbe capito che il grande Thor, a sorpresa, soffriva di una forma improvvisa di eiaculazione precoce?
Perché, che le Norne fossero maledette, se Loki avesse avuto quell’espressione e avesse chiamato il suo nome con quella voce… Thor sarebbe venuto ancora prima che la sua verginità potesse dirsi persa.
No, non era un pensiero confortante,
E la fama da grande amante che correva per i corridoi dorati di Asgard non migliorava la sua situazione.
L’amore che voleva Thor era molto più modesto delle gloriose imprese sessuali di cui sembrava essere protagonista. Chiuse gli occhi e lo vide…
Vide Loki che lo attendeva disteso sul mantello, mentre si mordicchiava distrattamente un’unghia e si solleticava la peluria scura del pube. Vedeva  i suoi occhi verdi accendersi e le sue labbra piegarsi in un sorriso, mentre si chinava su di lui e lo accoglieva in quell’alcova d’inverno.
Thor nemmeno si rese conto che le due dita erano scese a slacciare il solo bottone dei jeans.
La pelle morbida delle cosce sarebbe stata la prima cosa che avrebbe sentito.
S’infilò una mano dentro i boxer.
Le dita fredde sul viso e tra i capelli sarebbero state le seconde.
Un pesante sospiro gli sfuggì dalla bocca.
 Le labbra umide e affamate sarebbero arrivate per terze.
Le gambe lo reggevano a stento.
E, alla fine… Alla fine…
Si morse il polso per non far uscire alcun suono dalla sua gola, mentre la mano esperta compieva il suo dovere in modo automatico. Quando riabbassò lo sguardo c’erano tracce di sperma anche sul ripiano d’acciaio del lavandino. 
“Eiaculazione precoce…” Mormorò, senza pensarci. Diede un pugno contro la credenza e l’intero mobile si smembrò facendo un gran baccano. Thor rimase immobile a fissare il muro, ora vuoto.
“Fanculo…” Sibilò. 
Non aveva mai capito realmente cosa volesse dire, ma sentiva che l’atmosfera della situazione era adatta per sperimentare quel modo di dire mortale per la prima volta. 
“Sei arrabbiato, papà?”
Thor sobbalzò e si ritrovò premuto contro il bancone della cucina con il cuore in gola.
Un bambino lo guardava dalla porta. Aveva i capelli neri ma non era lo stesso che aveva visto più di un mese prima. 
Quello assomigliava a Loki.
Questo, invece…
“Va tutto bene, papà?”
C’era preoccupazione negli occhi azzurri del piccolo. I suoi stessi occhi azzurri
Thor si rese conto che aveva ancora i pantaloni slacciati e si affrettò a ricomporsi, per quanto le sue mani tremanti gli permettevano. 
“Sei arrabbiato, papà?” Chiese il bambino una seconda volta.
Aveva i capelli di Loki ed il suo viso.
“Magni…” Mormorò ripensando ad eco vecchio di quattro di settimane.
“Sì, papà?” Il piccolo era confuso, “hai promesso che mi avresti portato al lago, oggi.”
Thor non rispose.
“Dove sono i tuoi fratelli?” Chiese, invece.
Magni scrollò le spalle, “Thrud non vuole venire…”
“Thrud…” Occhi verdi. Capelli neri. Il ritratto di Loki. Thor sorrise, “Thrud…”
“Modi è con la nonna…”
“Perché non andiamo al lago tutti insieme?” Si ritrovò a proporre, come se quella fosse una situazione del tutto normale. Magni non rispose: non sorrideva facilmente come Thrud, dedusse.
Aveva ereditato il lato serioso di Loki, oltre ai suoi capelli neri.
Di Loki, sì… Perché non poteva che essere suoi, vero?
“Il nonno non lo permetterà mai,” Magni scosse la testa.
Thor sgranò gli occhi, “per quale ragione?”
Il bambino abbassò lo sguardo, “il nonno dice delle cose brutte… Ne ha detta una molto brutta a Thrud e lui non vuole vederti più.”
“Cosa?” Thor fece il giro del tavolo e s’inginocchiò davanti al piccolo.
“E la nonna? Perché Modi è con la nonna?”
“Dice che non è il caso che stiamo con te tutti insieme.”
“Perché?” Thor non comprendeva, né quelle parole, né il dolore acuto che sentiva all’altezza del cuore.
“Dice che è pericoloso…” Gli occhi di Magni erano tristi e pieni di lacrime.
“Pericoloso?” Thor sorrise e scosse la testa, “sono vostro padre, no? È con me che siete al sicuro!” 
Lui stesso aveva pensato questo di suo padre, quando era bambino. 
Magni scoppiò a piangere, “che cosa hai fatto alla mamma, papà?”
Thor si sentì gelare, “Cosa? Perché me lo chiedi?”
“Il nonno,” un singhiozzo scosse il bambino, “il nonno ha detto a Thrud che, se la mamma non c’è più, è colpa tua.”
Il Dio del Tuono si sentì morire. 
“Non è vero,” si alzò in piedi, “non devi credere a quel che dice Odino! Non è vero!” Tuonò e Magni indietreggiò di un paio di passi, “non ho fatto nulla a Loki! Nulla!”
No, non poteva essere. Non era possibile che fosse successo.
"Abbiamo solo litigato," tentò di convinversi forzando un sorriso, "abbiamo sempre litigato spesso, fin da quando eravamo piccoli come te e Thrud."
Prese il viso del bambino tra le mani. Avrebbe voluto stringerlo a sè e tenerlo vicino al suo cuore fino a che non avesse smesso di piangere e si fosse convinto che non c'era niente da temere, che la mamma ed il papà ci sarebbero sempre stati per lui e oer i suoi fratelli e che nulla... nulla sarebbe mai andato male.
Ma Magni non gli diede nemmeno la metå della fiducia che quel gesto richiedeva. Fece un passo all'indietro allontanandosi dalle sue mani come se lo avessero schiaffeggiato. 
Thor sentí la voce della ragione avvertirlo, dirgli che tutto quello non era reale che, se solo ne avesse avuto ilncoraggio, si sarebbe voltato e quel bambino sarebbe sparito per sempre insieme al suo cuore infranto. 
Perchė non esistevano occhi come i suoi che potessero guardarlo con delusione da dietro una zazzera di capelli neri. Non esisteva Magni, come non esistevano Thrud e Modi.
Quel dolore non era reale proprio come non era reale.
Allora perchè sentiva di amare quella creatura così tanto?
Perchè ricordava cose che non erano mai avvenute? Perchè credeva di riuscire a rammentare con estrema esattezza i nove mesi in cui lui e Loki lo avevano aspettato? Perchè percepiva l'emozione che aveva provato la prima volta che lo aveva stretto tra le braccia? Perchè sentiva con così tanta urgenza che sarebbe morto, se non avesse avuto il suo amore?
"Tesoro, ti prego vieni qui..."
Magni piangeva.
Thor protese le braccia in avanti.
"Come puoi credere che potrei farti del male, amore mio?"
Fu lui ad avvicinarsi, ad afferrare le piccole spalle e a stringere quel corpicino contro il suo petto.
Magni non si ribellò, anzi, si lasciò andare completamente tra le sue braccia piangendo e pretedendo una rassicurazione che Thor sapeva sarebbe stato pronto a garantirgli fino alla fine dei suoi giorni. 
Baciò una guancia morbida e madida di lacrime, poi la fronte ed i capelli e fu certo che sarebbe morto se mai avessere cercato di portarglielo via. 
Il cuoricino batteva in sincronia con il suo e non esisteva musica più dolce per le orecchie del principe dorato.
"Andrå tutto bene," promise, anche se non poteva saperlo, "andrà tutto bene, piccolo. Papà è qui e non vi lascerà mai, lo giuro!"
Semplicemente, disse l'unica bugia che suo padre non aveva mai avuto il coraggio di dire a loro.
Chiuse gli occhi.
Un istante.
Freddo.
Thor sollevò le palpebre: nel suo abbraccio stringeva il vuoto.
Scattò in piedi, "no..." Scosse la testa impercettibilmente, "no!"
"Perchè ti disperi?" 
Thor si voltò talmente velocemente che cadde a terra, tra l'atrio ed il salotto: una fanciulla era comparsa alle sue spalle. Non riusciva ad intuirne l'età: poteva essere solo una ragazzina, ma quegli occhi scuri sembravano aver visto cose antiche quanto l'universo stesso.
I capelli erano neri, lunghi, intrecciati e sporchi.
A coprirla vi era solo una lunga tunica sporca di terra.
"Non era reale, perchè ti disperi?"
Se fosse stato nel pieno delle sue facoltà, Thor avrebbe reagito con fermezza di fronte all'intrusa ma, al momento, la sua percezione del reale e dell'illusorio era troppo confusa per permettergli di organizzare un'azione. Si tirò in piedi a fatica e la fissò come se non ci fosse nulla di strano nella sua presenza.
"Sei tu a farli venire qui?"
La fanciulla non rispose.
"Falli tornare da me, ti prego."
Lei scosse la testa, "non posso, non dipende da me."
"E da chi allora?"
"Da te."
Thor inarcò le sopracciglia, "da me?"
"Certo, sono i tuoi sogni... I tuoi desideri."
"I miei desideri?"
Lei sorrise dolcemente, "non è questo che vuoi? Dei bambini... I bambini tuoi e di Loki."
Thor sorrise tristemente, "quello di cui parli non ha senso."
"No, forse nella realtà in cui vivi no," la fanciulla annuì, "ma in quella che hai dentro non c'è nulla d'impossibile. Basta che lo desideri abbastanza intensamente da dargli vita."
"Non esiste una magia così potente."
"Odino non si è servito di alcuna magia con te e Loki, no?" Il sorriso di lei divenne una smorfia sinistra.
Thor sgranò gli occhi e fece un passo indietro, "ma chi sei...?"
Un inteso dolore al petto gli bloccò il respiro e lo fece collassare a terra. Non riuscì neanche a gridare ma sentì chiaramente la fanciulla emettere una risata cristallina.
"La regina non poteva più avere figli, non ci sarebbe stato nessuno fratellino per il piccolo principe... Eppure, è bastata la bugia giusta al momento giusto per dare ad Asgard il principe oscuro di cui non aveva bisogno. Tutto questo è molto più potente della magia, principe Thor."
Lei gli girò intorno, mentre Thor sentiva che, velocemente, il dolore che lo invadeva stava prendendo il sopravvento su tutto il resto. 
Loki, non aveva più voce per chiamarlo, Loki...
Sarebbe morto e suo fratello non si sarebbe accorto di nulla. 
Mjölnir!
Se quella doveva essere la sua fine, non l'avrebbe accettata senza opporre la minima reistenza. No... Non l'avrebbe accettata e basta. Non prima di aver salvato il cuore di Loki, non prima di avere avuto l'occasione di amarlo almeno una volta, non prima di aver stretto Thrud, Magni e Modi tra le braccia. Non aveva importanza quanti secoli avrebbe dovuto aspettare, non avrebbe accettato la morte, fino a che non avesse potuto prendere quelle fredde manine tra le sue con la certezza che fossero vive, reali.
Un tonfo improvviso gli fece sgranare gli occhi. Il suo martello era lì, a poco più di due metri da lui, a terra, come se fosse un oggetto comune senza alcun valore.
"Le tue armi non possono nulla contro di me, tuonante."
La creatura s'inginocchiò accanto a lui, "tuttavia, c'è ancora una cosa che voglio da te, prima di porre fine alle tue sofferenze..."
Gli prese la testa tranle mani e lo obbligò a guardarla negli occhi.
"Dammi il suo cuore."
La stretta al petto si fece impossibile dansopportare e Thor reclinò la testa all'indietro lasciando finalmente libero l'urlo che aveva bloccato in gola. Lei lo colpì in faccia per farlo tacere.
"Dammi il suo cuore," sibilò, "se non vuoi che ti strappi il tuo, mentre sei ancora cosciente!"
Gli appoggiò una mano sul petto e Thor ebbe come la sensazione di essere trafitto da una lama rovente. Urlò ancora e ancora, per nulla intenzionato a perdere i sensi.
Il martello vibrava accanto a lui ma c'era come un muro invisibile a separarlo dal suo potere.
Il suo cuore... Il suo cuore... Il cuore chi?
"Dammelo..." La fanciulla piangeva, "dammelo, lo voglio."
Gli occhi azzurri si aprirono di colpo. Nonostante il dolore indescrivibile che provava, le rivolse un ghigno pregno di arroganza e sicurezza di sè. Da quanto tempo non provava una sensazione simile sul campo di battaglia: la certezza che il suo nemico poteva anche ucciderlo, ma avrebbe perso comunque.
È mio, mosse le labbra ma non pronunciò alcun suono, e se mi uccidi prima che lo faccia lui, sarà mio per sempre.
La creatura, in qualche modo, dovette comprenderlo, perchè gli rivolse un'espressione tanto rabbiosa da deformarle ogni angolo del volto. Uno stiletto di ghiaccio apparve nella mano grigiastra e ossuta, lo sollevò... Thor battè la testa contro il pavimento. Il dolore era sparito di colpo.
"Che cosa sei?"
Thor avvertì quella voce glaciale prima di vederne il proprietario e gli venne quasi da ridere: non sapeva se l'idea che il suo fratellino lo avesse salvato lo divertississe o, addirittura, lo commuovesse. 
"Che cosa sei?!" urlò Loki, poi s'inginocchiò sul pavimento per sollevare la testa di Thor ed appoggiarla contro il suo petto.
La creatura fissava i due fratelli con aria confusa. Il colpo del giovane Jotun le aveva provocato una ferita alla testa, ma lei non sembrava curarsene.
Loki lanciò un'occhiata veloce allo stiletto che si stava sciogliendo a terra, una mano oremuta contro il petto di Thor, mentre la sua magia esaminava il suo corpo alla ricerca di eventuali danni.
"Che cosa sei?" chiese per la terza volta.
La creatura piangeva.
"Loki..." Chiamò Thor, alzando una mano per toccargli il viso. Il principe oscuro ne afferrò il polso e posò un bacio veloce sul palmo. Quando alzò di nuovo gli occhi' la creatura non c'era più.
"Che cos'era?"
"Non lo so..."
 
[Vananheim, secoli fa.]
 
"Che cosa è successo?"
Loki era accanto a lui ma Nàl lo percepiva come se fosse distante chilometri.
"Tutto il palazzo è in delirio, nessuno vuole spiegarmi nulla!"
Se le braccia di Odino non lo avessero sorretto, dubitava sarebbe stato capace di camminare.
"Trova mia madre," sentì dire il principe dorato, "fatti raccontare ogni cosa, devo pensare a lui ora."
Una porta che si apriva, due mani gentili che lo spingevano all'interno di una stanza.
"Siete sporchi di sangue, fratello..."
"Loki, vai!"
Nàl chiuse gli occhi, non appena il frastuono che proveniva dal corridoio venne chiusi fuori dalla pesante porta lastrata d'oro. "Va tutto bene," si sentì dire, poi due kabbra sfiirarono le sue, "è tutto finito, ora."
No, avrebbe voluto replicare, no, non è vero, non finirà mai!
Odino lo condusse nel loro bagno privato, sentì il rumore dell'acqua mentre riempiva la vasca, poi il suo principe gli tolse di dosso i vestiti sporchi di sangue, senza scordarsi di baciargli il viso e mormorargli parole di conforto durante l'intero processo. 
Nàl non si era reso conto che Odino si era sbarazzato, a sua volta, dei propri vestiti.
Non si oppose in alcun modo, quando lo invitò ad entrare in acqua e lo seguì avvolgendogli subito le braccia intorno al corpo ed adoperandosi per lavar via ogni traccia di sangue da quella pelle di neve.
Nella tranquillità di quel bagno, circondato dai vapori dell'acqua calda, Nàl sentiva solo un suono riecheggiare nella sua testa, l'ultima parola che Njord aveva pronunciato: caos.
E, come se tutto quel calore avesse sciolto il dolore e la rabbia congelati nel suo cuore, scoppiò a piangere.
"Shhh..." Odino lo strinse contro il petto baciandogli i capelli neri, "siamo soli, Laufey, va tutto bene."
Nàl lo spinse via, gli occhi scarlatti, "dove lo trovi il coraggio di dire una bugia simile?"
Odino scosse la testa, "Njord non può più fare del male a nessuno."
"Ma nulla cancellerà quel che i Nove Regni gli hanno permesso di fare!"
"Lo so ma... Io devo pensare a te, ora!"
Nàl si ritrasse come l'altro cercò di toccarlo, "che cosa c'è nel nostro sangue?"
Odino inarcò le sopracciglia, "cosa?"
"Che cosa vuol dire che da noi non può nascere altro che caos?"
"Sono solo i deliri di un pazzo in punto di morte, Laufey!"
"Non è vero!" Nàl scosse la testa, "continuo a fare degli incubi tremendi! Ho sognato mio padre tagliare la gola al nostro bambino nappena nato, poi vedo me stesso compiere il medesimo crimine!"
Odino sgranò gli occhi.
"Loki piangeva... Piangeva così tanto ed io sapevo che stava chiamando me ed io non..." Nàl nascose il viso tra le mani e l'Aesir gli si avvicinò.
"Temi che le parole di Njord si riferiscano, in qualche modo, ai nostri figli?"
Nàl lo fissò implorante, "dimmi che starà bene," ne aveva bisogno più di qualunque altra cosa al mondo, non aveva importanza che fosse una bugia, "dimmi che sarà nostro, che sarà libero e che il suo nome sarà Loki ed è con questo che tutti lo conosceranno non... Caos."
Odino inclinò la testa da un lato, "è questo che temi? Che il nostro bambino sia il Caos?"
"Una paura più che plausibile," commentò una voce alle loro spalle.
Odino trasalì e si voltò facendo scudo a Nàl col proprio corpo ma questi si sporse oltre la sua spalla per identificare l'intruso che aveva osato spingersi così oltre nei loro appartamenti.
"Bestla..." Sibilò.
Lei sorrise, "felice di vedere che sono utile a farti riacquistare la tua forza di carattere, mio principe... Oh, Odino, tesoro, non arrossire: ti ho visto nudo molto tempo prima che le donne di Asgard potessero godere del mio capolavoro," un sorrisetto sarcastico, "e non solo loro."
"Crepa..." Fu la lapidaria replica di Nàl.
"Che cosa vorresti?" Domandò Odino con urgenza con le guance paonazze.
"C'è una storia che non vi ho ancora raccontato, bambini," prese la via della porta, "finite pure con calma, vi aspetto in camera. Tuttavia, vi sarei grata se voleste rimandare il comcepimento del futuro erede al tronondi Asgard e Jotunheim a più tardi."
Nàl fece una smorfia, "puoi sempre restare e lasciare che ti mostri come si monta un principe Aesir, se la cosa non t'imbarazza," Odino lo fissò con gli occhi quasi fuori dalle orbite, lo ignorò, "dopotutto, sembra che tra me, te e mio padre... L'unico che sia riuscito nell'impresa sia io."
Bestla sorrise divertita, "stai cercando d'impressionarmi, bambino?" Domandò, "sali su quel trono di ghiaccio e falli inginocchiare tutti davanti a Jotunheim... Tutti, nessuno escluso. Allora, forse, riuscirai a stupirmi..."
 
[Jotunheim, oggi]
 
Helblindi aveva un ricordo molto chiaro del giorno in cui suo padre l'aveva preso da una parte e gli aveva spiegato che nel giro di un paio di stagioni sarebbe divenuto un fratello maggiore. Il principe di Jotunheim, al tempo, era troppo piccolo piccolo perchè potesse avere una reale reazione alla notizia, ma Laufey l'aveva detto sorridendo, come se ne fosse sinceramente felice e Helblindi non era abituato a vederlo così.
Quindi, non aveva potuto fare altro che esserne contento a sua volta.
Poi Býleistr era nato e non era stato semplice accettarlo.
Non era facile da capire per un bambino il concetto di fratello.
L'interpretazione che Helblindi decise di fare sua fu la creatura più vicina e simile a me.
Gli era sembrato un pensiero logico, dato che erano venuti al mondo allo stesso modo, dagli stessi genitori, durante la stessa guerra, solo nel bel mezzo di due inverni differenti.
Crescendo, però, Býleistr era divenuto il suo esatto opposto.
Impulsivo, spontaneo, sincero fino al fastidioso e con un carisma che intimoriva i nobili ostili a suo padre più di quano il titolo di erede al trono che possedeva lui potesse fare. Di Helblindi avevano sempre detto che era il degno figlio di Fàrbauti ma non aveva neanche un briciolo della stoffa del guerriero che aveva contraddistinto lo Jotun che lo aveva messo al mondo.
Helblindi apparteneva a quella derisa razza d'intellettuali a cui nessun primogenito sarebbe dovuto appartenere.
Era curioso, affamato di conoscenza ma evitava di esporsi, se possibile. Un difetto che nessuna corte avrebbe accettato dal proprio re.
"Quando verrà il suo momento, tutti i giovani della sua generazione lo monteranno senza rispetto, se non fai qualcosa, Laufey," dicevano i nobili più vicini a suo padre lanciandogli occhiate che avrebbero fatto rabbrividire anche la prostituta di un bordello.
Suo padre aveva reagito, isolando lui e suo fratello dal resto del mondo.
Condizione che Helblindi aveva accettato di buon grado, perchè se c'era qualcosa della natura da soldato che aveva ereditato era questa: l'assoluto rispetto degli ordini, quasi fino all'abnegazione di sè.
Býleistr invece poteva non avere l'oscura ambiguità che aveva contraddistinto Laufey nella sua giovinezza, ma aveva la stessa indole ribelle, la stessa superbia, la stessa insofferenza nel sentirsi inferiore a qualcuno.
Helblindi lo aveva sempre invidiato per questo.
Il suo fratellino non lo aveva mai guardato con l'adorazione con cui si guardano i fratelli maggiori, era stato Helblindi a guardarlo dal basso verso l'alto per tutta la vita. Nella sua umiliante solitudine, Býleistr era stato la sua luce e la sua oscurità. La sua personalità riflessiva lo aveva salvato da molti guai, ma non era mai stato capace di proteggere il suo fratellino. Era sempre stato il contrario.
C'erano cose dei suoi figli che nemmeno Laufey sapeva. 
Il re non sapeva che, durante l'adolescenza, Helblindi si era lasciato andare molte volte trable braccia di giovani nobili dalle cattive intenzioni. L'aveva fatto nella speranza che lasciandosi amare da qualcuno avrebbe trovato quella normalità che tanto desiderava.
Nessuno l'aveva mai amati, nessuno.
Tutti si lasciavano sedurre ed erano ben felici di dargli un poco di piacere, prima di proporgli di fare ancora un passo in avanti. L'ultimo...
Nessuno veniva a letto con lui solo per desiderio.
Tutti lo facevano per sete di potere.
Credevano che se lo avessero tenuto buono con qualche orgasmo, lui, alla fine, avrebbe accettato di accogliergli dentro di sè in quel modo che era riservato solo ai compagni. tenuto
"Mi fareste l'onore di dare alla luce mio figlio, mio principe?"
Quante volte Helblindi aveva desiderato essere abbastanza stupido da poter dire di sì.
Nessuno dei suoi amanti aveva mai voluto un bambino, sul serio, solo lo strumento che avreebbe permesso a loro e alle loro famiglie di ottnere il trono di Jotunheim e far decadere il re che gli aveva coinvolti in una guerra catastrofe.
"Noi siamo nati per essere degli strumenti!" Býleistr era crudele.
Crudele come poteva esserlo un figlio di Laufey.
"Vorresti veramente condannare una creatura a questa vita solo per illuderti che qualcuno ami te e non quello che rappresenti?"
No, Helblindi non avrebbe mai compiuto un crimine simile.
Poi, però, pensava al secondo fratello che non aveva mai visto crescere. Pensava all'espressione di suo padre, mentre tentava di ucciderlo e pensava che quello era l'unico dei suoi figli ad essere venuto al mondo per amore ed era stato destinato a subire una sorte ben peggiore della loro.
Alla fine, qualunque cose fosse nata da loro era destinata ad essere maledetta ed era con questa convinzione che Helblindi aveva preso a collezionare amanti senza, però, la speranza di poter trovare un compagno in una di loro.
Býleistr sarebbe stato il suo unico compagno in quella vita dannata.
E gli stava bene.
Sì, gli era sempre sembrato più di quel che potesse sperare. Il dono più grande che i suoi genitori gli avessero mai fatto.
Poi, quel dono aveva smesso di essere suo.
Alla fine, Helblindi si era deciso che l'unico modo per poter guarire da quella ossessione che aveva preso le fattezze di Loki, era parlarne con suo fratello. Questa era la sola ragione che lo aveva spinto a strisciarennegli appartamenti di Býleistr nel cuore della notte, proprio come quando erano bambini e si svegliavano a vicenda quando un incubo ricorrente tormentava uno dei due.
Býleistr era sempre stato più furbo di lui, non aveva mai concesso le sue attenzioni a nessuno, ben consapevole che ad Utgard non c'erano giovani degni di lui. Aveva imparato la sua stessa lezione senza essere costretto a subirla, il suo fratellino.
Per questo, non si era posto il problema che potesse già esserci qualcuno a far compagnia a Býleistr, quella notte.
Qualcuno... Una persona che conosceva bene...
"Býleistr, devo parlar..." Non aveva annunciato la sua presenza in alcun modo. Era stato un completo stupido.
Gli occhi di ghiaccio di suo fratello erano colmi di sorpresa e timore, le guance rosse per l'imbarazzo.
Helblindi, invece, era pallido come un morto.
Bàli sibilò qualocosa tra i denti e si spostò, permettendo al principe di sedersi e coprisi con la pelliccia sotto di loro. 
L'erede al trono non faticò a riconoscerlo ma lo ignorò completamente, la sua attenzione era tutta per il fratello minore che sosteneva il suo sguardo senza la minima vergogna.
"Helblindi," chiamò, nel tentativo d'infrangere il muro di silenzio che era calato tra loro, "io... Te lo avrei detto, dopo che... Puoi uscire, per favore? Aspettami in corridoio."
Helblindi non se lo fece ripetere due volte ma non assecondò le intenzioni del fratello minore.
Non lo aspettò.
Non voleva parlare.
Non c'era nulla da dire.
Strinse la tunica tra le dita all'altezza del petto.
Non voleva sapere, non voleva sentire.
Corse via.
 
[Midgard, oggi]
 
Loki era fuori di sè.
Spalancò l'armadio e buttò sul letto un borsone a cui Thor non aveva mai fatto caso.
"Mettici dentro più vestiti che puoi," ordinò.
Thor non si mosse, "che intenzioni hai, Loki?"
"Fa come ti dico e non perdere tempo!" Tuonò lui prendendo i propri abiti dalla sua parte di armadio.
L'altro lo afferrò per le spalle e lo costrinse a guardarlo negli occhi, "che intenzioni hai?"
Loki sbuffò, "facciamo i bagagli, io porto entrambi via da qui e poi pianifico qualcos'altro per te!"
"Per me?" Thor non capiva, "vuoi andartene? Hai ragione, andiamocene! Ma dove vai tu, vengo io, fine della pianifcazione!"
"Andiamo a New York," dichiarò Loki occupandosi anche dei vestiti del fratello, dato che quell'energumeno non sembrava avere alcuna intenzione di collaborare.
"A New York?"
"Cercherò di capire le loro intenzioni, poi li spingerò a seguirmi in qualche luogo remoto dei Nove Regni."
Thor sgranò gli occhi, "vuoi scappare?"
Loki chiuse il borsone con un gesto veloce.
"Vuoi liberarti di me?"
"Piantala!" Urlò Loki, "se volessi liberarmi di te, ti lascerei qui e permetterei a quel mostro di ucciderti come meglio crede!"
"Oh, certo!" Thor rise istericamente, "proteggiamo la povera, indifesa principessina di Asgard!"
Loki gli lanciò addosso il borsone, "quanto sei infantile!" Esclamò, "non prendi come un'umiliazione che ti scopi ma non sopporti che ti protegga, sei un moccioso stuoido e viziato!"
"Tu non vuoi proteggermi, tu vuoi liberarti di me! Te ne vuoi andare!" 
Loki si passò una mano tra i capelli esasperato.
"Non hai mai lottato contro nemici simili!" Gli spiegò il più giovane, "sei quasi morto per mano di una ragazzina, senza che tu riuscissi a difenderti!"
"Insegnami a farlo," era una preghiera.
Loki scosse la testa, "non posso."
"Per quale ragione?"
"Ho impiegato tutta la vita per diventare quello che sono oggi," rispose Loki, "esattamente come te. C'è del Seiðr anche nel tuo sangue, lo sento ma non posso insegnarti ad usarlo in pochi giorni. Quella creatura era Seiðr puro, nemmeno il tuo martello può scalfirla! Non avrai alcuna possibilità se ti ritrovi con lei da solo!"
"E quale sarebbe il tuo piano, sentiamo!"
"Te l'ho già detto mi pare!"
"Dopo?" Domandò Thor minaccioso, "dopo che avrai capito chi ci sta dando la caccia e li avrai attirati via da me? Dopo, Loki?"
Il più giovane lo guardò negli occhi per una manciata di secondi, poi sospirò pesantemente, "ti lascerò dai tuoi amici mortali. Non sono un esercito, ma il nostro nemico non sarà più lì per minacciarti. Una volta scomparso io, Heimdall sarà in grado di vederti e non ci sono dubbi sul fatto che Odino e Frigga verranno a recuperarti."
Thor sentì un nido stringergli dolorosamente la gola.
"E come farò a ritrovarti, allora?" Domandò timoroso.
Loki non rispose.
Il principe dorato scosse la testa, "no..." Gettò il borsone a terra, "assolutamente no!"
"Sapevi che non sarebbe durata..."
"Ma non ho alcuna intenzione di lasciare che finisca sotto i miei occhi, senza che io possa oppormi in alcun modo!"
Loki si lasciò cadere in fondo al letto con espressione stanca, "smettila di sognare, siamo nella vita reale."
"Questa non è una buona ragione per lasciarti andare."
"Non devi lasciarmi andare!" Esclamò Loki, "potrebbero volerci mesi a New York prima che io possa completare il piano. Quella creatura è come noi, ha tutto il tempo dell'universo per organizzarsi e tentare di attaccare di nuovo."
"Ed io dovrei vivere ogni giorno con la paura di svegliarmi in un letto vuoto?"
"Non è quello che fai già?" Fu la domanda diabolica di Loki, "non sei continuamente vigile per paura che me ne vada mentre dormi? Non conti a mente tutte le volte che facciamo l'amore così che tu possa convincerti che, finchè provo desiderio per te, non c'è rischio che ti abbandoni? Non durerà per sempre, fratello ed è arrivato il momento che tu cominci ad accettarlo. Oggi siamo noi. Domani potremmo essere solo io e te."
"Fino a che tu non deciderai che è ora di scrivere la parola fine, vero?" Gli occhi di Thor erano lucidi ma la sua voce era ferma. Si chinò, aprì il borsone e recuperò una felpa da indossare sopra la t-shirt.
"Che cosa stai facendo?" Domandò Loki confuso.
Thor recuperò il martello che aveva appoggiato sul letto.
“Ti rendo felice,” rispose, “finiamola qui.”
Loki lo osservò in silenzio, mentre apriva la porta a si voltava a lanciargli un’ultima occhiata: c’era tristezza e rassegnazione in quegli occhi azzurri e ne fu terrorizzato.
Si avvicinò, gli posò una mano sulla guancia e fece incontrare le loro labbra in un bacio semplice ma col potere dibspezzare il cuore di entrambi.
Se ti arrendi
Scosse la testa ma Thor se ne andò comunque.
Combattendomi ci ferisci, ma se ti arrendi mi uccidi.
“Thor…” Chiamò con voce tremante, quando capì che suo fratello non sarebbe tornato indietro, “Thor!”
Uscì di casa, stava cominciando a piovere.
Sapeva dov’era andato ma l’angoscia lo portò a correre, come se avesse paura di non arrivare in tempo. Per cosa, poi? Che cosa poteva accadere per terrorizzarlo in quel modo?
Si bloccò, fissò la fila di alberi ed intravide l’acqua scura in lontananza. 
Finiamola qui. 
Anche Odino l’aveva detto secoli prima? O, forse, era stato Laufey?
Era così che doveva finire il suo momento? Senza nessuno evento eclatante, senza nessun addio sentimentale come piaceva tanto a suo fratello?
Finiva così e basta.
Che cosa si aspettava? Un colonna sonora strappalacrime in sottofondo?
“Thor!”
Nessuno rispose.
Thor se n’era andato, gli aveva solo concesso un ultimo bacio. 
“Thor!” Prese a correre tra gli alberi.
Faceva dannatamente male inseguire, quando era stato capace solo di scappare.
“Thor!”
Scappare e capire che la direzione era quella sbagliata.
Un luce abbagliante, improvvisa, violenta. Un fulmine? Un’illusione ottice?
Il Bifrost?
Loki scosse la testa con forza, “Thor! No, Thor!”
Aveva esaudito il suo desiderio, alla fine.
L’aveva fatto senza fare nessuno dei soliti capricci. Se n’era andato, l’aveva lasciato solo, come lui sempre aveva chiesto. Loki era libero, finalmente, da Odino, da Asgard, dal fratello che era divenuto sua ossessione, suo nemico, suo amante.
Loki non aveva più catene, non aveva più padroni, non aveva più limiti inviolabili tracciati dai sentimenti perché tutto finiva lì. Con Thor che se ne andava e Loki re di se stesso.
Era scritto nel destino.
Era scritto persino nella storia di Jotunheim e Asgard.
Era, semplicemente, così che doveva andare.
E a me non sta bene per niente! 
“Thor!” Non si fermò in tempo e finì con i piedi nell’acqua gelida del lago. La pioggia divenne più fitta, “Thor…” Non c’era alcuna traccia di suo fratello nei paraggi. Non era arrivato in tempo. Si lasciò cadere in ginocchio nell’acqua e si prese la testa tra le mani.
Perché faceva così?
Perché si sentiva morire?
Ti senti morire quando svanisce quell’illusione?
Ma la loro non era un’illusione!
La pioggia cadeva e Loki piangeva, piangeva e piangeva non riuscendo a dare ordine al caos che era divenuta la sua anima. 
“Thor!” Urlò con rabbia e disperazione.
“Sono qui, Loki…”
Nell'alzarsi e voltarsi rischiò quasi di cadere, ma due mani forti lo sorressero, due occhi azzurri lo rassicurarono.
Lo aveva già lasciato cadere una volta, Thor non avrebbe compiuto lo stesso errore due volte.
Non lo avrebbe lasciato andare. Mai.
Loki lo capì. Non aveva mai avuto intenzione di andarsene, voleva solo metterlo alla prova.
Thor aveva bisogno di vedere quel cuore che stringeva senza esserne consapevole.
Loki, invece, lo sapeva... L'aveva sempre saputo anche se aveva lottato per non accettarlo.
Ma ora... Ora che il freddo dell'abbandono l'aveva sfiorato ancora una volta, anche se solo in una dispettosa illusione, quelle mani calde erano le sole cose nell'intero universo a farlo sentirenal sicuro.
"Ti odio..." Mormorò Loki, ma le sue dita si aggrapparono con più forza alla felpa del suo principe, "ti odio..."
Thor sorrise, "ti amo, ti amo, ti amo..."
Solo le labbra di suo fratello ebbero il potere di farlo tacere.
 
Pioggia, pioggia.
Un tuono.
Ancora pioggia.
Loki tremava ma non per il freddo: riusciva solo a percepire il calore del corpo che ricopriva il suo, il profumo della sua pelle lo confondeva e, dove non potevano arrivare le mani di Thor, ci pensava la pioggia ad accarezzarlo, ad adorarlo, ad amarlo.
Suo fratello era bellissimo con i capelli gocciolanti e i muscoli lucidi. L’immagine perfetta della virilità, la rappresentazione del suo più antico e profondo desiderio. Loki lo baciava e, quando riprendeva fiato, cercava disperatamente i suoi occhi, perché solo quelle iridi blu in tempesta potevano stordirlo abbastanza da indurlo a lasciarsi andare tra le sua braccia.
Quelle dita esperte conoscevano il modo giusto per toccarlo ma erano caute, lente, delicate. Avevano impugnato un arma per secoli, Loki lo sapeva bene, aveva assaggiato quella violenza sulla sua pelle ma, in quel preciso istante, le pensò impossibili di compiere azioni simili.
Le mani di Thor erano quelle di un artista e Loki era la sua opera. La migliore. La più importante.
Tutto ciò che era venuto prima era servito solo a prepararlo a quel momento.
Ora, da uomo vero, consapevole del dolore e della sconfitta, come del rispetto e dell’umiltà, Thor sapeva come far sbocciare quel giovane corpo: petalo, dopo petalo, fino a renderlo il fiore più bello che in tutto l’universo si fosse mai visto.
Le labbra di Loki si schiudevano tremanti, le palpebre si abbassavano e, dopo poco, si riaprivano mostrando due iridi più verdi dell’erba bagnata su cui erano distesi.
Aveva paura, Thor.
Loki cercava di nascondere la sua.
Le loro dita si cercarono, si trovarono, s’intrecciarono. I loro occhi non si erano mai persi.
Thor gli sfiorò le labbra con le proprie.
Posso avere l’onore di amarti?
Loki rispose con un bacio altrettanto leggero, “Thor…” Lo chiamò.
Gli occhi blu si accesero di colpo.
Non ti fermare… Se ti fermi, mi uccidi…
“Thor…”
 
[Vananheim, secoli fa.]
 
Bestla li accolse con un sorriso perfettamemte costruito.
Si era accomodata su di una poltrona davanti al caminetto acceso e aveva dato ordine di portare vino e cibo.
Come se qualcuno di loro potesse avere lo forza di mangiare, dopo tutto il sangue che avevano lavato via.
"Coraggio, sedetevi."
Nàl si accomodò sulla seconda poltrona, dal lato opposto a quello di lei.
Odimo rimase in piedi al suo fianco.
"Di cosa volevi parlarci?" Chiese quest'ultimo.
"Non essere impaziente, tesoro, la storia che devo raccontarvi è molto lunga."
"Allora sbrighiamoci," fece pressione Nàl, "vorrei recarmi nella stanza della guarigione il più in fretta possibile."
"Il giovane Jotun se la caverà, se è questo che temi," rispose Bestla prontamente, "e la principessa non è rimasta sconvolto dalla dipartita del padre, quanto dal sapere che il suo unico amico giace in pessime condizioni."
"Nemmeno io piangerei mio padre," replicò Nàl, "questa notizia non mi sorprende affatto."
Bestala annuì, "tornamdo a noi... Nàl, hai fatto deinsogmi di recente?"
"Siate più precisa."
"Quando ti ho curato, deliravi qualcosa su di un bambino," ricordò lei.
"E voi eravate ben disposta a farlo rimanere un delirio, se non ricordo male."
La donna sospirò, "non essere così scontroso. Sono ancora dell'idea che un figlio vostro sarebbe solo causa di sofferenze inutili, non ve lo nascondo."
"Il tuo giudizio non influenza la nostra volotà, sappilo," Odino appoggiò una mano sulla spalla di Nàl ed il giovane Jotun l'afferrò.
"Non lo pretendo, figlio mio," Bestla afferrò un calice e si versò del vino, "ho solo bisogno di sapere se il tuoncompno vede quella creatura che tanto desiderate nei suoi sogni."
"Non ne vedo solo una, in reltà," confessò Nàl.
"E non li vede solo lui," aggiunse Odino.
Bestla sembrava sorpresa, "quanti per l'esattezza."
"Due," risposero i due principi all'unisono.
"Thor e Loki," completò Odino con un sorriso talmemte orgoglioso da sembrare ebete. Nàl gli lanciò un'occhiata storta, "una volta... Una sola volta, mi è capitato di vederne quattro."
Odino lo guardò esterrefatto.
"Una sola volta può non avere significato," disse Bestla, "sono i sogni ricorrenti che c'interessano."
"Loki è sempre presente nei miei sogni. In età diverse, forse... Ma è sempre davanti a me e lo vedo chiaramemte come ora vedo voi."
Bestla fece un smorfia, "Loki..." Ripetè, "nome umile per il principe di due regni..."
"Tieni per te i tuoi commenti," l'avvisò Odino.
"È l'unico nome che mi sentirei onorato di dare a mio figlio," sottolineò il principe di Jotunheim.
"Oh, se vi fa piacere chiamare il vostro bambino come l'animale da compagnia..."
Odino scattò in vanati, Nàl gli afferrò il polso ma non celò il disgusto riflesso nei suoi occhi, "non so come mi facciate più schifo, se come madre o se come Jotun."
"Com'è Loki nei tuoi sogni, Nàl?"
"Assomiglia a lui," rispose Odino guardando il proprio compagno, "stessi capelli corvini, stessi occhi verdi... So già che mi farà impazzire, quando nascerà."
Nàl ghignò, "perchè sarà troppo bello o troppo intelligente?"
"Perchè sarà entrambe le cose e questo lo renderà tremendamente pericoloso, io ne so qualcosa."
Bestla rise interrompendo quella piccola parentesi di tenerezza, "sai, Nàl, ti credevo troppo razionale per fantasticare su cose inesistenti."
"Loki non è inesistente!"
"Ah, no? E come lo sai?"
"Perchè..." Nàl non possedeva una risposta reale, "perchè lo so e basta."
"Uhm... Un po' deboluccia come ragione."
"Ora basta!" Tuonò Odino, "dicci quello che devi e vattene."
La donna sorrise con accondiscendenza, "scommetto che, entrambi, avete delle domande da farmi riguardo a ciò che è accaduto la scorsa notte."
Nàl la squadrò per un istante, "che cosa significa Caos?"
Bestla annuì, "domanda diretta... Bene, Nàl... Njord era convinto che questo sia il vero nome di Loki o..."
"Thor..." Sibilò Odino.
"E la Fine?" Insistette Nàl, "di cosa si tratta?"
"Esattamemte quello che sembra," rispose Bestla, "la fine... La conclusione di ogni cosa. Di ogni tempo, di ogni luogo..."
"Ragnarok," pensò Odino ad alta voce.
Bestla annuì, "esattamente..."
Nàl sbuffò, "so cosa è il Ragnarok e so che Njord era un folle, ma non vedo come una leggenda catastrofica possa..."
Bestla alzò l'indice muovendolo ritmicamente a destra e sinistra, "il Ragnarok non è una leggenda, bambino... È una profezia."
Nàl guardò Odino, "che cosa significa?"
"Mio padre me lo raccontò così: disse che sotto l'Albero del mondo vivono tre divinitànalndi sopra delle divinità stesse, le Norne."
"Le tessitrici del destino," aggiunse Bestla, "loro sono l'unica cosa a ricordare agli Aesir e a tutti i grandi Regni che non esiste alcuna immortlità, nemmenonper loro. Giochiamo tutti a fare le entità superiori con esseri arretrati, come gli esseri umani ma il filo della nostra esistenza e finito quanto il loro, è solo più difficile da tagliare."
"E questa Fine dovrebbe essere il fantomatico evento in grado di spezzarli tutti?"
"Non è così semplice, Laufey," intervenne Odino, "il Ragnarok non è una guerra qualsiasi, è quella in cui è la realtà stessa a sgretolarsi per rinascere dalle sue stesse macerie."
Nàl riflettè per un istante, "ma che cos'ha a che fare il mio bambino con tutto questo?"
"Caos..." Ripetè Bestla alzandosi in piedi ed avvicinandosi alla balconata, "accadde moltissimo tempo fa ma io, Borr e Ymir ce lo ricordiamo bene. Quel che accaddenquel giorno, segnò definitivamente il destino di Jotunheim e della sua gente agli occhi dei Nove."
"Spiegati," le ordinò Nàl.
"Tutte le personalità dei Regni che contassero vennero chiamate a riunirsi sotto l'Albero perchè una nuova profezia era stata tessuta nel complicato stendardo del destino," raccontò la donna con aria grave, "quel giorno, le Norne dissero che il Ragnarok era alle porte, che sarebbe iniziato lentamente, nell'ombra e che si sarebbe scatenato in tutta la sua gloria distruttiva solo quando sarebbe stato troppo tardi per porvi rimedio."
"Che cosa avevano predetto per poter dire una cosa del genere?" Domandò Odino.
Bestla li guardò con attenzione, prima di rispondere, "la nascita del portatore del Caos."
 
 
***
Varie ed eventuali note:
Salve gente.
Ho riscritto questo capitolo 4 volte e ho sentito il bisogno di fare una pausa tra la terza e la quarta stesura per evitare di buttare tutto dalla finestra! Alla fine qui trovate solo metà di quello che questo capitolo doveva effettivamente raccontare.
Rimando tutte le note accumulate al prossimo aggiornamento che GIURO sarà a breve.
Ringrazio immensamente tutti quelli che si sono interessati del destino di questa fafiction privatamente e tutti i meravigliosi recensori.
 

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Capitolo 20
*** Figlio ***


IXX
Figlio

[Midgard, oggi.]

Il silenzio fu come una benedizione. 
Era l’unica cosa che poteva seguire. 
Non servivano parole, sarebbero state troppo pericolose. Loki fissava la pioggia cadere accanto a loro, con la mano destra stringeva ancora il braccio di Thor, mentre le dita della mancina erano ancora intrecciate a quelle dell’amante. 
Thor era ancora sopra di lui, ancora incapace di riprendere un respiro regolare, ma la stretta innocente sulla sua mano e quella possessiva sulla sua coscia non si erano indebolite neanche di poco. Mentre il delirio della passione e dell’orgasmo scemavano lentamente, Loki poteva ora prendersi tutto il tempo per concentrarsi su quella sensazione. Quella che Thor, così vicino, così forte, così caldo, così suo, poteva provocargli. 
Pensò che in quel momento non aveva niente, a parte l’uomo che aveva amato ed odiato contemporaneamente per tutta la sua vita. 
Pensò alla gloria, al trono, all’idea di essere chiamato re e di una folla inginocchiata ai suoi piedi. La venerazione, il trionfo, la luce, tutto ciò che, nemmeno da principe di due mondi, gli sarebbe mai stato concesso. 
Ciò che, con la disperazione di un bambino deprivato d’amore che vuole dimostrare a se stesso di valere qualcosa, aveva cercato di conquistarsi. 
Ciò che, si rese orrendamente conto in quel momento, non aveva più bisogno di ottenere per vivere in pace con se stesso. 
Thor voltò il viso e cominciò a baciargli il collo con dolcezza e Loki si sorprese di non provare nessuna vergogna per quel gesto di tenerezza, nemmeno ora che era ridisceso nel mondo reale e tutto ciò che era appena successo gli si presentava davanti agli occhi come un fatto innegabile. 
La sua mente non riusciva a pentirsi di nulla, non ricordava più cosa volesse dire il disgusto a stento sembrava rielaborare il concetto di dolore. L’unica sensazione davvero chiara nel suo corpo e nella sua testa era il piacere e la consapevolezza che non era stata un’esperienza vuota, che non sarebbe mai stato così appagante con nessun altro. 
Thor era il suo piacere. 
Thor era il suo desiderio. 
Thor era tutto quello a cui non osava dare un nome, perché se l’avesse fatto sapeva che non sarebbe riuscito a guardarsi allo specchio senza odiarsi più di quanto si odiava. Alla fine, Loki si arrese tra le braccia di Thor ma nessuna sconfitta è tanto dolce da non ferire almeno un po’, da impedire alla paura di stringere un cuore spezzato. 
Quando suo fratello liberò le proprie dita dalle sue, fu come se l’avesse lasciato cadere nel baratro. Ma Thor non se ne andò, si sollevò solo sui gomiti per poterlo guardare. Non te sei mai andato, realizzò Loki, eri lontano, troppo lontano per me, ma non te ne sei mai andato, davvero. 
Loki sapeva che non avrebbe dovuto incrociare quegli occhi blu, sapeva che dentro ci avrebbe trovato un amore tanto grande che nemmeno il principe delle bugie avrebbe saputo negare. Ma Thor era troppo bello perché potesse distogliere lo sguardo da lui. 
Le guance ancora rosse, i capelli biondi più disordinati del solito e quello sguardo adorante per cui Loki non poteva che smettere di respirare. 
Il principe perduto si dimenticò di ogni cosa quando il principe dorato lo guardò in quel modo. 
Si dimenticò del mostro che con vergogna si portava dentro, si dimenticò di che colore era l’oscurità, perché intorno a lui tutto sembrava essere divenuto luce. Loki dimenticò il dolore e la disperazione e forse, solo forse, pensò di capire cosa fosse l’amore. 
Thor gli accarezzò lo guancia con un’espressione che era tra il timido e il solenne, come un ragazzino che non ha appena cominciato ad affacciarsi all’amore e non sa come comportarsi, come se tutto potesse finire e sparire come uno sogno da un momento all’altro. 
“Hai chiamato il mio nome…” Mormorò con voce incerta. Loki continuò a fissarlo con quello sguardo smarrito da bambino indifeso, perché ci si sentiva, in un certo senso. Come quando da fanciullo aveva capito che la sola presenza di Thor poteva regalargli emozione che nessun altro essere vivente nell’intero universo avrebbe mai saputo concedergli.
"Ti prego, dì il mio nome…” 
Quando la prima lacrima scese, Loki sentì il cuore fermarsi. 
“Ti prego, Loki, ho bisogno di sentire la tua voce,” Thor affondò il viso contro il suo petto stringendolo forte e Loki non poté che ricambiare la stretta, “ho bisogno di sentirti chiamare il mio nome.” 
Thor, smettila, ti prego. 
“Solo un’altra volta, ti scongiuro.” 
Thor, così mi uccidi. 
Loki chiuse gli occhi maledicendosi per le lacrime su cui non aveva alcuno controllo. 
Thor singhiozzava tra le sue braccia come un bambino che viene deprivato di qualcosa di prezioso e vitale e Loki non poteva che piangere in silenzio di fronte al grande principe di Asgard che si piegava a lui per qualcosa di tanto semplice come un nome. 
Era stato pronto a distruggere l’intero universo per vederlo cadere in ginocchio ai suoi piedi ed ora, dopo tante battaglie, Thor si arrendeva alla disperazione solo per sentire la sua voce? 
Non puoi crollare, quando non lo decido io. Non puoi farmi questo, Thor! 
“Ti prego,” singhiozzò Thor tornando a guardarlo negli occhi, “ti prego, amore, ti prego.” 
Per Loki fu troppo da sopportare. Si rigirò tra le sue braccia nascondendo il viso contro la felpa che gli faceva da cuscino, non si preoccupò più di trattenere i singhiozzi. da
Thor appoggiò una mano accanto al suo viso, “Loki?” Chiamò mortalmente preoccupato, “Loki? Perché piangi, amore?” 
Come poteva chiamarlo amore con tanta naturalezza dopo tutto quello che aveva fatto? Dopo aver saputo chi era e cos’era veramente? Sei uno stupido, Thor! 
Thor sospirò tristemente muovendosi quel che bastava per far capire a Loki che l’avrebbe lasciato in pace. Fece appena in tempo ad alzare la mano da terra che Loki l’afferrò con tutta la determinata disperazione che lo aveva fatto sopravvivere fino a quel giorno. 
Thor gelò e fissò le spalle tremanti di Loki per paura di aver mal interpretato quel gesto. 
Resta! Gridò Loki dentro di sé. Resta, Thor, non te ne andare. Non lasciarmi, ora. Morirò se lo farai. 
Thor non chiese nulla ma capì. Loki sentì quel petto forte e caldo aderire contro la sua schiena e due labbra morbide sulla sua spalla, “sono qui, Loki. Sono qui.” 
Loki prese un respiro profondo rilassandosi sotto quel corpo che sembrava volesse proteggerlo da tutto e da tutti. Allora vedi di restarci.

[Yggdrasil, secoli fa.]

Laufey non aveva paura.
"Non temete," disse Bestla dolcemente, "non ci faranno alcun male."
No, era letteralmente terrorizzato.
Avrebbe tanto voluto voltarsi ed incontrare gli occhi azzurri di Odino, oppure allungare la mano all'indietro in una chiara richiesta di conforto. Tuttavia, era troppo impegnato a mettere un piede davanti all'altro senza incimpare per poter fare altro.
L'atmosfera era buia, come se fosse notte.
Eppure, riusciva a vedere piuttosto bene tutt'intorno a sè, sebbene non riuscisse ad individuare nessuna fonte di luce. Erano nel bel mezzo di una foresta ma non vedeva nessun albero che avesse qualcosa di diverso da tutti quelli che aveva visto in vita sua.
"Come è possibile che tu conosca la strada per arrivare fino a qui?" Domandò Odino guardandosi intorno, "molti signori dei Nove Regni ne ignorano completamente l'esistenza."
Bestla non si voltò, "non tutti i signori dei Nove Regni possono vantare di possedere una gran quantità di Seiðr," gli fece notare, "in reltà, se escludiamo i Vanir, solo in pochi riescono a domarlo o a potenziarlo."
"Se il Seiðr è un po' ovunque ed in chiunque, perchè la maggior parte dei popoli non ne sa nulla?" 
Bestla si bloccò e si girò a guardare i due giovani, "se conoscessi la chiave per il più forte dei poteri... Un potere che potrebbe traducersi in bene supremo o in male assoluto, che cosa faresti?"
Odino scrollò le spalle.
"Lo nasconderei," rispose Laufey, "farei in modo che nessuno lo trovasse o, peggio, lo usasse."
Bestla annuì e riprese a camminare, "pensi che nessuno ad Asgard sappia che cosa sia il Seiðr? Pensi che il nostro piccolo principe sia l'unico Jotun ad averne studiato qualche utilizzo su dei vecchi libri?"
"Mio padre possiede questo potere?"
"Oh, certo... Era il solo Jotun con cui potevo dilettarmi in simili giochetti, in gioventù," raccontò Bestla, "Ymir ha sempre saputo che cosa c'era nel tuo sangue ma su Jotunheim, più che in qualunque altro mondo, gli adulti si guardano bene dall'insegnare ai giovani talentuosi a potenziare le loro capacità... Asgard viene immeditamente dopo. Tuttavia, Borr pretende di conoscere quel potere, pur sapendo di non poterlo stringere in pugno, perchè l'ignoranza lo fa sentire minacciato più di qualsiasi altra cosa."
Laufey fece una smorfia, "pensavo volesse usarlo per scopi bellicci o qualcosa del genere..."
"Un dubbio più che legittimo, principe di Jotunheim."
Odino sospirò, "è, quindi, a conoscenza anche del mio di potere?"
"Non lo so," ammise Bestla, "proprio come Ymir ha cercato di soffocare quello di Laufey, Borr non è riuscito ad accettare il tuo e così ti ha lasciato fare finchè giocavi a cambiare l'aspetto di Loki in quello di un Aesir. Ha fatto si che la magia venisse vista come una cosa tipicamente femminile, tipica della curatrici, così che tu stesso non ti spingessi oltre."
"Perchè Borr dovrebbe gettare sul Seiðr una luce così sessista?" Domandò Laufey camminando più velocemente.
"Non è pericoloso in mano ad una donna Aesir, come non lo è con nessun Vanir... Ogni Jotun con un simile potenziale, invece, è un potenziale pericolo per il cosmo."
Il giovane Jotun allargò le braccia esasperato, "Ma per quale ragione?"
"Abbi pazienza, mio principe."
Bestla rivolse loro un ultimo sorriso, poi lasciò il sentiero e si addentrò nella foresta.
"Madre?" Chiamò Odino ma la donna non accennò a fermarsi.
Laufey non indugiò oltre e le corse dietro, prima che potesse sparire dalla loro vista. Sentiva Odino dietro di sè ma non si voltò per assicurarsi che fosse abbastanza vicino: non aveva tempo per preoccuparsi del suo compagno.
Nella sua testa riecheggiava solo un nome ed era quello di un bambino non ancora nato.
La luce diveniva ma mano più forte ma non vi fece caso fino a che gli alberi non sparirono e Laufey si ritrovò al limitare di un'enorme radura. Spalancò gli occhi verdi di fronte allo spettacolo senza precedenti che gli si presentò davanti.
"Laufey..." Qualsiasi cosa avesse voluto dirgli, Odino la dimenticò non appena vide anche lui l'oggetto di tanto stupore. Il principe di Jotunheim aveva avuto modo di vedere molte costruzioni imponenti nella sua vita, nlo stesso palazzo di ghiaccio di Utgard non aveva nulla da invidiare a quello dorato di Asgard, ma nessuno dei due poteva reggere il paragone con la creatura di fronte a lui.
Perchè di questo doveva trattarsi, no?
Laufey poteva sentire il battito del suo cuore riecheggiare nella sua testa. Era un suono ritmico, dolce, quasi come una ninnananna. Il suono della vita di una madre avvertito da un bambino ancora nel suo grembo.
Un'eco antico quanto il mondo.
"È bellissimo," commentò Odino con un sorriso quasi infantile.
Laufey non poteva vedere la cima dell'Albero ma la parte superiore delle radici fuoriusciva dalla terra formando un corridoio di archi legnosi simile a quelli che conducevano alla sala del trono di molti palazzi. La corteccia emanava una luce azzurrognola. Era forte ma non faceva male agli occhi.
Il principe di Jotunheim fu il primo a procedere, come se conoscesse già la strada da percorrere.
Odino lo seguì in silenzio.
Le dimensioni di quel corridoio erano titaniche.
Laufey sapeva che si sarebbe sentito minuscolo anche se avesse indossato le sue sembianze di Jotun.
Doveva esere una sensazione comune per chiunque avesse l'opportunità di camminare nel nucleo stesso dell'intero creato. 
Il percorso fu più breve di quel che sembrava.
Bestla li attendeva con il sorriso materno che lo contraddistingueva.
Li aveva attesi ai piedi di una scala che conduceva a tre troni: sembravano essere stati plasmati dalla corteccia stessa di Yggdrasil. Su di essi, sedevano tre figure incappucciate.
"Fatevi avanti."
La voce di donna riecheggiò nelle orechie dei principi come se parlasse direttamente dentro la loro testa.
"Non abbiate timore," aggiunse Bestla allungando una mano verso i due giovani, "non può esservi fatto alcun male qui."
Laufey annuì lentamente, poi esaurì la distanza che lo separava dalla donna camminando a testa alta.
"Laufey figlio di Ymir, principe di Jotunheim."
Disse la stessa voce.
Il giovane Jotun si toccò la tempia, "siete nella mia testa?"
Le tre figure rimsero immobili.
"Non temere," ripetè Bestla passandogli una mano tra i capelli, "lascia parlare me."
Odino gli arrivò accanto, mezzo passo più avanti, come se volesse prepararsi a fargli da scudo in qualsiasi momento.
"Mie Signore," la regina di Asgard s'inchinò con eleganza, "secoli addietro, fu pronunciata una profezia in questa stessa stanza. Un destino di morte e distruzione fu rivelato ai Nove Regni, quel giorno."
"Caos..." Corresse la voce.
Laufey si morse il labbro inferiore.
"Fu predetta la nascita del portatore del Caos."
Bestla annuì, "porto al vostro cospetto i principi che ne saranno i genitori, mie Signore."
La creatura incappucciata seduta al centro si alzò in piedi, "questo lascia che siamo noi a deciderlo, regina Bestla."
Scese le scale lentamente.
Odino afferrò il polso di Laufey istintivamente. 
La donna sembrò guardarlo. Era difficile dirlo: il cappuccio le copriva completamente la parte superiore del volto, lasciando liberi solo il piccolo naso e la bocca delicata.
"Odino figlio di Borr, principe di Asgard."
Le sue labbra non si mossero per pronunciare quelle parole. Laufey rabbrividì.
"Puntate il dito verso la vostra stessa creatura, regina di Asgard?"
"Non io," rispose Bestla, "il sovrano di Vananheim, Njord."
La donna tornò a guardare i due giovani di fronte a sè, "sono troppo giovani per essere genitori."
"Sono troppo ingenui," li corresse Bestla. 
Laufey le lanciò un'occhiata storta.
"Vivono di pulsioni e sentimenti puerili! Potrebbero aver già concepito un bambino, senza che ne siano ancora consapevoli."
"Madre..." Sibilò Odino.
"Avvicinati, principe dell'Eterno Inverno," la creatura allungò una mano verso il giovane Jotun.
Laufey trattenne il fiato e salì i pochi gradini che lo separavano dalla donna, lo studiò in silenzio e gli premette una mano contro il ventre, senza preavviso. Il giovane trasalì.
"È vuoto..." Dichiarò la donna, "è corrotto."
Laufey la guardò e allontanò la mano con rabbia, "non toccatemi..."
La donna non tradì alcuna espressione, "il mio nome è Urðr, principe," mormorò nella sua testa, "è giusto che voi conosciuta l'identità di chi vi parla."
"Molto gentile," rispose Laufey con sarcasmo, "non porto in grembo il vostro principe del Caos, non abbiamo altro da dirci." 
"Non ancora..." Replicò Urðr, poi gli prese la mano obbligandolo a rivolgere il palmo verso l'alto. La studiò per un poco, poi sollevò la mancina: l'unghia dell'indice si allungò di qualche centimetro sotto gli occhi increduli del giovane Jotun.
Gli tagliò la pelle in un gesto veloce e Laufey si lasciò sfuggire un lamento sorpreso.
Odino fece un passo in avanti, Bestla gli afferrò un braccio.
La donna incappucciata si chinò sul taglio e vi premette contro la bocca, fino a che Laufey non si ritrasse di colpo.
Le labbra scarlatte si curvarono in sorriso sinistro, "la linfa di Yggdrasil."
"Come dicevo," mormorò Bestla.
Odino la guardò, "cosa significa?"
"Sulle radici di Yggdrasil poggia ogni cosa che esiste. Il portatore del Caos deve avere un potere pari a quello dell'Albero per poterlo sradicare e far precitare nell'oblio tutto ciò che sorregge."
"Io non possiedo un potere simile," disse Laufey.
"No, giovane principe... L'inverno da solo non può nulla, nemmeno quello Eterno."
Urðr inclinò appena la testa da un lato.
Il giovane Jotun si voltò ed incontrò gli occhi azzurri del principe di Asgard.
"Ma che potere può generarsi quando la luce incontra l'oscurità? Quando due opposti universali s'incontrano, s'innamorano e generano qualcosa senza precedenti?"
"Esistono molti figli mezzosangue tra la nostra gente!" obbiettò Odino.
La donna incappucciata lo ignorò.
"Concepito dal seme del sole. Nutrito in un grembo di neve e ghiaccio. Un fiore nero ai piedi del trono dorato. L'unico dell'Eterno Inverno. L'oscurità e la solitudine saranno i suoi compagni di giochi. La morte sarà sua alleata e sposa. Il lupo ed il serpente saranno suoi amanti e guerrieri. Nato principe maledetto, sarà re di un regno di distruzione. Il suo trono di ombra e sangue cadrà solo con la venuta della Fine."
Un silenzio spettrale cadde su di loro.
Laufey avrebbe voluto scoppiare in lacrime ma un vuoto insopportabile aveva preso il posto del suo cuore.
Urðr passò l'artiglio sotto il suo ombellico.
Il principe lo avvertì appena ma fu come se un pugnale lo squacciasse da parte a parte.
"Il tuo ventre è la culla del caos, principe Laufey di Jotunheim."
Il giovane Jotun scosse la testa e scese i gradini lentamente, senza voltarsi. 
Odino lo afferrò per le spalle non appena fu abbastanza vicino.
"No..." Mormorò con voce tremante, "non darò alla luce un mostro simile..."
"Le Norne hanno parlato," concluse Urðr, prima di risalire fino al suo trono.
"Mi rifiuto di credere che da me possa nascere una creatura come quella che avete descritto!"
Bestla gli si avvicinò, "andiamo, Laufey."
"No!" Odino si spostò davanti al compagno, "non ci è stata data alcuna risposta di quelle che cercavamo."
"Conoscete il vostro destino," ribattè la creatura incappucciata, "non a tutti è concesso tanto."
"Io lo rifiuto questo destino!" Urlò Laufey, "lo rifiuto per me e per mio figlio!"
Odino gli prese una mano cercando di calmarlo, "non c'è nulla che possiamo fare per evitarlo?"
"Le Norne hanno parlato," ripetè Urðr, "non siamo qui per dare consiglio, non siamo qui per dispensare soluzioni o false speranze. Yggdrasil ci parla, noi tessiamo la sua storia e, alle volte, abbiamo il compito di gettare un po' di luce sugli enigmi del futuro, prima ancora che quella trama venga tessuta."
Odino sembrava non capire, "predicete la distruzione e non avete nulla da dire?"
"Siamo al di sopra di comuni sentimentalismi. Siamo state partorite da Yggdrasil stesso, non conosciamo altro che l'inevitabile e, pertanto, conosciamo la fragilità e l'inutilità di tutto ciò che credete dia senso alla vostra vita."
"È inutile tentare di evitare l'inevitabile," commentò Laufey con voce sibilante.
"Avanti, bambini," Bestla afferò il braccio del figlio e il polso dello Jotun, "siamo rimasti per troppo tempo."
I due giovani si voltarono, poi la voce di Urðr raggiunse le loro menti un'ultima volta.
"Solo una cosa non ci è data sapere."
Laufey e Odino si guardarono.
"Il vero nome del partatore del Caos."
I due principi rimasero in silenzio, poi Laufey sorrise e si voltò, "conoscete il nostro destino," rispose, "a molti di noi non è concesso tanto, giusto?"
Il principe di Jotunheim non ne fu certo, ma credette di vedere Urðr sorridere.

[Jotunheim, oggi.]

"Bàra! Smettila di picchiare tuo fratello!" Esclamò Býleistr agitando le braccia.
Bàli sorrise, "credo che quello sia Dùfa, mio principe!"
"Zitto tu!" Gli ordinò il giovane Jotun correndo in direzione dei bambini litiganti, "volete essere dei guerrieri? Comportatevi come tali!"
Quello che doveva essere Dùfa guardò in cagnesco il fratello, "ha cominciato lui!"
"Non è vero!" Urlò il minore, Bàra. Býleistr strinse gli occhi e giurò di essere diventato sordo da un orecchio.
"Non m'interessa chi ha cominciato! Non solo siete fratelli di sangue ma lo siete anche in quanto guerrieri dello stesso esercito. Ricordate... Dico a tutti!"
In un attimo, ogni bambino intorno al principe si voltò a guardarlo.
"Avete tutto il tempo del mondo per imparare ad usare il vostro potere!" Disse sorridendo, "ma c'è una lezione che tutti voi dovete imparare fin dal principio."
Bàli guardò con orgoglio il proprio compagno e non si accorse che qualcun altro lo fissava nel medesimo modo, appena qualche metro dietro di lui.
"La vostra vittoria... La vostra incolumità non dipendono unicamente dalla vostra forza ma dal compagno d'armi al vostro fianco. La potenza di un esercito non si misura dal numero dei soldati da cui è composto ma dalla lealtà che i suoi membri provano gli uni nei comfronti degli altri."
Laufey rimase nell'ombra osservando a distanza suo figlio che insegnava ad altri ciò che, in un'epoca che sembrava infinitamente lontana, lui stesso aveva cercato di tramandargli, quando, ancora, Býleistr aveva bisogno di stringere la sua mano per sentirsi al sicuro in quel mondo di tenebra e ghiaccio. Ora, era quello stesso bambino a porgere la sua mano ad un'intera generazione di piccoli Jotun.
Sorrise in segreto, non poteva fare altro.
"Proteggete il guerriero a fianco a voi come se fosse vostro fratello e, siatene certi, lui vi consacrerà la sua vita."
"In battaglia, Býleistr proteggerebbe di sicuro Bàli!" Commentò il piccolo Glam.
"Ma non sono fratelli..." Replicò Bàra.
"Certo, loro si proteggono in un altro modo," concluse Glaumar con un sorrisetto furbetto. 
Býleistr sgranò gli occhi e arrossì di colpo, mentre tutti i bambini scoppiavano a ridere.
"Piantatela subito, se non volete che vi prenda a calci fino alla fine della gola!" Urlò il principe, mentre i bambini fingevano di fuggire spaventati emettendo acuti strilletti infantili.
Bàli rise beandosi di quella serenità.
"Fai tesoro di questi momenti," gli consigliò una voce alle sue spalle, "non sono eterni."
Non appena il re comparve nel suo campo visivo, il cacciatore s'inginocchiò velocemente, "vostra maestà!"
"Non fingere un rispetto che non provi," replicò Laufey, quasi con benevolenza, "alzati in piedi."
Il giovane ubbidì ma tenne gli occhi bassi.
"Guardavi mio figlio con orgoglio."
"Sono molto fiero di quello che sta facendo," confermò il giovane.
Laufey osservò Býleistr rincorrere due piccoli scarti e sorrise, "di cosa si tratta esattamente?"
"Il principe è dell'idea che non si possa riconquistare Utgard in un giorno ma che gli impostori potrebbero attaccarci in qualsiasi momento. Vuole che i bambini possano difendersi."
"Molto scaltro..." Laufey annuì, "quelli non sono i nove figli di Lord Aegir?"
"Býleistr pensa che far interagire bambini di classi sociali diverse sia costruttivo e aiuti a creare una forte identità di popolo... O qualcosa del genere, è difficle stare dietro ai pensieri di Býleistr quando comincia a pensare ad alta voce."
Laufey sorrise ed annuì, "è così da quando ha cominciato a parlare... Che è stato molto prima della maggior parte dei bambini che ho visto crescere."
"Non ne dubito, Býleistr è speciale," gli occhi scarlatti del cacciatore incontrarono quelli verdi del sovrano e simulò un colpetto di tosse, "se mi è permesso dirlo, mio re."
"Hai appena definito mio figlio speciale, non è quello che si augura di sentire ogni genitore?"
Bàli annuì e vide Býleistr sollevare in aria uno dei bambini più piccoli.
"Helblindi è venuto a parlarmi di voi," confessò il re.
Il cacciatore si morse il labbro inferiore, "mi dispiace, sire."
"Vuole un bambino?"
"Come dite?"
"Býleistr," ripetè Laufey sospirando, "vuole dei figli?"
Bàli scosse la testa, "dice di odiare i bambini... So che non è vero ma io non potrei permettermi di lasciare la caccia per avere un bambino, quindi..."
"Non vorrebbe mai un bambino da te," lo interruppe il re, "lo vorrebbe con te, sarebbe lui a metterlo al mondo, ci scommetto quei pochi alleati nobili che mi rimangono."
Bàli abbassò lo sguardo indeciso su cosa dire.
"Ti farebbe felice essere il padre di un principe di Jotunheim?"
Bàli guardò Býleistr, lo vide riadagiare il piccolo a terra e spettinargli i capelli corvini.
"No," rispose con sicurezza, "mi farebbe felice essere il padre del figlio di Býleistr," aggiunse, guardando il sovrano dritto negli occhi.
Laufey sorrise.
"Padre?" Býleistr si era avvicinato e li guardava confuso.
Il re gli concesse una carezza veloce sulla guancia, "sei un bambino sveglio," commentò tristemente, "troppo per il mondo in cui sei nato."
Si voltò lanciando un'occhiata veloce al cacciatore, "se mai quel problema dovesse presentarsi, vieni a parlarne con me."
Bàli strinse i pugni ed annuì.
Laufey se ne andò.
Býleistr guardò il compagno più confuso di prima, "di che cosa stava parlando?"
Il cacciatore forzò un sorriso, "nulla che riguardi noi due," mentì.


Helblindi si avvolse la pelliccia intorno alle spalle, mentre Eldir si alzava dal letto di ghiaccio per rivestirsi.
"Se il re dovesse scoprirmi nelle vostre stanze, mio principe..."
"Non accadrà," lo rassicurò l'erede al trono di Jotunheim continuando a fissare il vuoto.
Eldir sapeva che non avrebbe dovuto fare altro che andarsene, che aveva assolto il suo compito e che il giovane nobile non aveva bisogno di altro da lui. Non era la prima volta che uno Jotun di alto lignaggio gli chiedeva un favore simile. Non era la prima volta che Helblindi lo invitava nel suo letto.
Dalla fuga da Utgard, era accaduto con una certa regolarità.
Forse, perchè era l'unico membro della corte ancora fedele al re ad avere all'incirca la sua età.
Sarebbe stato troppo rischioso sedurre un giovane Lord quando gli alleati di Laufey si erano ridotti così tanto, ma nessuno si sarebbe accorto dell'assenza di un servitore.
"Sono stato soddisfacente, mio principe?" Domandò, quasi velenoso.
Helblindi lo guardò con rabbia, "non ti ho dato il permesso di parlare."
"Perdonatemi, ma non eravate così contrario, mentre vi sussurravo volgarità all'orecchio."
"Fuori di qui!" Urlò Helblindi indignato.
Il servitore strinse le labbra indossando i vestiti velocemente e sparendo dalla sua vista.
Rimasto solo, il principe si prese la testa tra le mani prendendo un respiro profondo per trattenere le lacrime.
"Helblindi?" 
Quando alzò lo sguardo, suo fratello era sulla porta e lo guardava preoccupatissimo. 
Helblindi si strinse ancor di più nella pelliccia di lupo arrossendo per la vergogna.
"Ho incrociato il servo di Aegir per le scale, non sembrava di buon umore, che cosa..." Býleistr si bloccò di colpo e sospirò, "fratello..."
"Non giudicarmi!" Lo bloccò il maggiore, "non tu, non sei migliore di me!"
Býleistr s'irrigidì, poi fece velocemente il giro del letto, "ti ha fatto del male?" Domandò, ignorando deliberatamente la rabbia che suo fratello gli aveva scagliato contro, "sai che mi basta una parola ed io..."
"Non ho bisogno della tua protezione, Býleistr."
"Ma che ti prende?" Il più giovane si sedette sul letto, "siamo fratelli, se non ci proteggiamo tra di noi chi..."
"Tu non hai mai avuto bisogno che io ti proteggessi," replicò Helblindi, "ed ora che hai un cacciatore nel tuo letto, non hai più bisogno neanche di un fratello!"
"Helblindi!" Urlò Býleistr, "sii arrabbiato con me quanto vuoi ma smettila di dire stupidaggini!"
Il fratello lo guardò con gli occhi pieni di lacrime, "perchè non me lo hai mai detto?"
"Perchè..." Il secondo principe di Jotunheim gesticolò nervosamente, "è successo ancora prima che io potessi rendermene conto!" Si giustificò, "andavamo a caccia tutti i giorni e poi... Abbiamo fatto l'amore ma... È successo e basta, Helblindi! È stata la cosa più naturale del mondo, nessuno mi ha costretto a fare nulla!"
"Nostro padre lo sa?"
Býleistr annuì con aria grave.
Helblindi si morse il labbro inferiore, "maledizione, Býleistr..."
"Lo so."
"E ti permette di farlo così liberamente?"
Býleistr scrollò le spalle, "penso che creda che finirà velocemente come è iniziata."
"E tu?"
Il giovane accennò un timido sorriso, "io voglio solo passare il resto della mia vita con Bàli, non m'importa d'altro."
Helblindi sentì il cuore riscaldarsi nell'udire le parole di suo fratello. Il suo piccolo, ribelle e per nulla romantico Býleistr si era veramente innamorato di qualcuno che non avrebbe mai dovuto avere al suo fianco.
Avrebbe voluto stringerlo forte a sè e rassicurarlo, come negli anni della guerra. Lui non li poteva ricordare, ma Helblindi confortato molte notti, mentre piangeva chiamando un padre che li aveva abbandonati e cercando l'attenzione di un altro che non si era mai veramente curato di loro.
Býleistr, però, non ne aveva più bisogno.
Era cresciuto forte ed orgoglioso e l'amore per il suo compagno lo aveva rafforzato ulteriormente.
"Non tornerai più ad Utgard, vero?"
Býleistr lo guardò tristemente, senza rispondere.
"Vieni qui," Helblindi gli prese il viso tra le mani e gli baciò la fronte, "resta con chi ti ama, Býleistr. Nostro padre non capirà, è stato tradito troppe volte per poter capire ma, al mio fianco, ci sarà sempre un posto per te."
Býleistr sorrise commosso, "fino al giorno in cui non arriverà un principe degno di te," aggiunse abbracciando il fratello.
"Un principe..." Helblindi chiuse gli occhi e l'immagine di uno sguardo disperato e smeraldino gli strinse il cuore in una morsa. 
E se ti dicessi che il principe degno di me è il peccato più grande di nostro padre?


[Midgard, oggi.]

Le sue labbra erano bagnate, rosse e morbidissime. 
Ma quando si piegavano in quel sorriso inedito, sincero, sebbene un po’ amaro, divenivano meravigliose.
Thor le avrebbe potute disegnare con ogni loro singolo dettaglio ma sapeva che non avrebbero mai retto il confronto con le originali. Quelle dita fredde gli sfiorarono una guancia, gli occhi verdi si allontanarono dai suoi per fissarsi sulla sua bocca, poi lo guardarono di nuovo.
Il sorriso divenne aperto, acceso e Thor si commosse per tanta bellezza.
Le lenzuola erano pregne del loro odore e calde, come i loro corpi.
I capelli corvini erano ancora umidi, così come quelli dorati.
Lo baciò, quasi con timidezza. 
C’era odore di pioggia tutt’intorno e a Loki piaceva, perché quell’odore era Thor.
I loro nasi si sfioravano, i loro respiri si confondevano.
Le dita di Loki erano leggere mentre accarezzavano il braccio di Thor, poi il suo viso, poi s’infilavano tra i capelli biondi. Tutto sembrava rallentato, intriso di tenerezza.
Il mondo era immobile e non si sarebbe mosso fino a che entrambi non l’avessero deciso.
Per sempre.
Mai.
"Aspetta qui..." Loki gli premette le mani contro il petto per farlo spostare, poi si alzò dal materasso con un'eleganza che il principe dorato non aveva mai visto in nessuna delle sue amanti. Non cercò nulla per coprirsi, non provava vergogna per la sua nudità, nè per i segni del loro amore perfettamente visibili sulla pelle di neve.
Thor gli afferrò il polso, trovando l'idea di non averlo vicino insopportabile. 
Loki lo guardò confuso, poi sorrise.
Il maggiore allentò la stretta. 
Le loro dita si sfiorarono, prima che il più giovane si voltasse e sparisse in bagno.
Thor intravide un bagliore verdognolo. Suo fratello tornò un istante più tardi, stringeva qualcosa contro il petto.
Si mise in ginocchio sul materasso ed il maggiore si tirò su a sedere per comprendere le sue intenzioni.
Loki accennò un sorriso, quasi con timidezza, poi porse al giovane Aesir un fazzoletto merlato di verde: alcune macchie scarlatte ne decoravano il centro.
"Un dono," mormorò.
Thor sgranò gli occhi azzurri, accettando quel regalo con l'esitazione di chi prova un onore tanto grande da non saperlo esprimere a parole. Sorrise imbarazzato, "nessuno, ormai, lo fa più."
"No, nessuno lo fa," concordò Loki, senza guardarlo negli occhi, "molto tempo fa, ti dissi di non dubitare."
Erano passati appena un paio di anni. Un battito di ciglia per due giovani baciati dalla semi-immortalità ma, sì, nel cuore di entrambi sembravano essere trascorsi secoli dal giorno di quell'incoronazione mancata. 
"Le parole possono ingannare, io lo so bene."
Loki prese la mano di Thor tra le sue e lo spinse a chiuderla sul fazzoletto sporco di sangue.
"Questo è reale... Non dubitare che sia reale."
Gli occhi di Thor brillavano di commozione. Baciò quel semplice pezzo di stoffa, come se fosse il più prezioso dei tesori, poi osservò Loki con sguardo carico di timore, "ti ho fatto molto male?"
Il più gioivane scosse la testa e si sporse in avanti per posare un bacio su quelle labbra calde, "non ci sei riuscito nel bel mezzo di una guerra," commentò, facendo aderire le loro fronti, "come puoi aver paura di averlo fatto mentre mi amavi?"
Thor gli posò una mano sulla guancia, "vedo i nostri figli nei miei sogni."
Loki sgranò gli occhi e si ritrasse appena, "non posso prometterti nulla, Thor."
Il principe dorato sorrise e scosse la testa, "non voglio che tu mi faccia una promessa," gli strinse un fianco dolcemente, "voglio solo che tu sappia che se non sarà con te, non sarà con nessun altro."
Loki non seppe come rispondere per un po', poi sorrise, "sei un idiota, Dio del Tuono."
Il sorriso di Thor fu abbagliante come il sole.
Lo prese per la vita e lo buttò sul letto.
Loki non oppose alcuna resistenza. Gli occhi verdi erano accesi di malizia.
Un fulmine squarciò il cielo.
Il giovane Jotun s'irrigidì e dischiuse le labbra, come colto da un piacere improvviso.
"Fallo di nuovo..." Ordinò senza fiato.
Thor s'infilò tra le sue gambe e Loki lo accolse senza timore.
"Per sempre," mormorò contro quelle labbra fredde, "per sempre."

1 anno dopo
[Midgard, New York
]

L'appartamento era piuttosto piccolo rispetto alla villa in Norvegia.
A Loki sarebbe bastato un monolocale.
Thor aveva insistito perchè vi fossero almeno due camere: un tenero modo per dare voce a quel desiderio di paternità che suo fratello fingeva di non vedere.
Lo S.H.I.E.L.D. aveva pensato ad ogni cosa.
A Loki era venuto da ridere ma Thor gli aveva ricordato di essere prudente, se mai avesse deciso di mettere piede fuori di casa. A Fury aveva raccontato di essere stato esiliato, ancora una volta, dopo una sfuriata di suo padre e di non sapere a chi altri rivolgersi per trovare un posto dove stare.
Fury se ne era uscito con una spiacevole battuta sulla lunaticità dei membri della sua famiglia, Thor aveva ottenuto un appartamento e tutta la discrezione di cui aveva bisogno per rivolvere le sue questioni. 
Loki aveva storto il naso nel vedere quanto si poteva ottenere da delle formiche a cui era stato salvato il formicaio, poi, però, suo fratello lo aveva condotto in quell'anonima ma accogliente tana per topi che sarebbe stata, ufficialmente, la loro prima casa e aveva riso divertito.
Aveva fatto l'amore con Thor nel loro nuovo letto, appena dieci minuti dopo aver chiuso la porta d'ingresso.
Aveva ripetuto l'esperienza nella doccia, dopo quaranta minuti.
Avevano cenato completamente nudi, seduti ai due lati della penisola della cucina. Una pizza ordinata da un locale in fondo alla strada, Thor l'aveva definito il loro banchetto nuziale e Loki aveva continuato a ridere.
Perchè tutto quello era così poco da Thor e molto da lui.
Per la prima volta in tutta la loro vita da fratelli, Loki aveva avvertito qualcosa di nuovo.
Qualcosa di ben più profondo di una vivace vita sessuale.
Thor non solo era divenuto suo amante ma era, ufficialmente, suo complice.
Quel pensiero lo aveva folgorato al punto che la pizza era rimasta abbandonata sul tavolo, mangiata solo a metà, mentre Thor si faceva condurre in camera per soddisfare l'improvviso desiderio di fare l'amore con lui ancora una volta.
Per undici mesi avevano potuto celebrare quella loro felicità al ritmo di carezze proibite e di baci voluttuosi, innalzando un inno di soffici gemiti e nomi mormorati con voce tremante. Non avevano quasi mai abbandonato quella casa, se non in casi di estrema necessità... Di cui, ovviamemte, era felice di occuparsi Thor.
Il dodicesimo mese, qualcosa cambiò.
Il mondo che, per quasi un anno, avevano cercato di chiudere fuori dalle loro vite, cominciò a bussare alle porte delle loro menti e delle loro anime con particolare insistenza.
Thor fu il primo a cedere a quel richiamo.
Fu un cambiamento silenzioso, ma Loki se ne accorse ancora prima che suo fratello ne fosse cosciente. 
Thor cominciò a sorridere meno e con meno spontaneità. 
Prese ad uscire sempre più spesso e a chiamare gli stupidi mortali per chiedere se poteva essere utile in qualche modo. 
"Per quale motivo dovresti preoccupartene?" Chiedeva Loki con fare irritato.
"Ci stanno aiutando e noi gli stiamo solo mentendo."
"Sei così stupido, Thor."
C'erano notti in cui Loki si coricava a letto con le più alte aspettative e suo fratello non faceva che dargli la schiena e dormire. Peggiori erano le volte in cui si ricordava di averlo nel letto accanto a lui.
I rapporti erano veloci, Thor si dimenticava anche di baciarlo.
Una volta, lo svegliò nel cuore della notte con carezze veloci ed insistenti. Loki lo assecondò più per il bisogno di sentirlo vicino in quel modo che per passione. Thor non disse una parola, mentre lo prendeva. 
Non ci mise nemmeno la dolcezza che aveva fatto sciogliere il cuore di ghiaccio del più giovane.
Loki lo lasciò fare solo per paura di quel che sarebbe accaduto, se avesse distrutto quel momento. Cercò la sua bocca con insistenza ma Thor nascose il viso contro la sua spalla per non doverlo baciare.
Loki strinse le labbra ed affondò le unghie nella sua carne con rabbia e frustrazione.
Thor si bloccò e alzò il viso per guardarlo negli occhi.
I loro corpi immobili.
Loki avrebbe voluto urlargli contro, chiedere una spiegazione per quel comportamento assurdo ma rimase zitto, rigido, incapace di respirare correttamente. 
Thor appoggiò la sua fronte a quella dell'altro.
"Ti prego..."
Loki rimase impassibile.
"Dammi un figlio, ti prego."
L'espressione del più giovane fu indecifrabile per una manciata di secondi, poi scostò l'amante da sè con un violento spintone e si mise a sedere sul bordo del letto. Sarebbe voluto scappare via, ma si rese conto che temeva più l'idea di andarsene che quella di restare.
Se Loki era stato il più forte tra loro un tempo, ora non ricordava più come esserlo.
"Ti avevo detto che non potevo prometterti nulla."
"Un anno fa."
"Che cosa è cambiato in un anno, secondo te?" Fu la domanda irritata.
Thor si mosse alle sue spalle, poi gli posò un bacio tra le scapole.
"Credevo che ora mi amassi," mormorò, prima di spostarsi dalla sua parte del letto per addormentarsi.
Passarono diversi giorni, prima che il giovane Aesir si sforzasse di essere un amante devoto, come soleva essere.
Fu solo una breve parentesi.
Qualche notte più tardi, Loki si svegliò in un letto vuoto.
Thor non era lontano, era in piedi di fronte alla grande vetrata che dava sui grattacieli illuminati della città. Loki rimase un attimo ad osservare il contorno di quel corpo perfetto, completamente nudo, poi lo chiamò.
Non sembrò udirlo.
Il giovane Jotun inarcò le sopracciglia e scese lentamente dal letto, senza trattenere un sospiro stanco.
"Thor?" Chiamò quando gli fu accanto.
Il maggiore sobbalzò, come se non rammentasse che in quella camera era solito dormire anche lui.
Gli occhi azzurri erano colmi di tristezza mista a qualcosa che Loki riconobbe bene ma al quale si rifiutò di dare importanza: nostalgia. 
Nevicava. La prima neve della stagione fredda.
Thor sorrise dolcemente ed appoggiò una mano sul vetro, "che stagione sarà su Asgard, adesso?"
Per Loki, quell'innocente domanda fu come una pugnalata al cuore.
"Non ricordo neanche che stagione fosse il giorno in cui siamo partiti," rispose freddamente, osservando la neve cadere senza realmente vederla. Era questo che teneva sveglio Thor? Il pensiero di un mondo che era stato suo e che, ora, non avrebbe rivisto mai più?
"Stavi facendo l'amore con me," disse Loki, "appena un'ora fa."
Il giovane Aesir lo guardò perplesso.
"Oh, scusa... Vuoi farlo di nuovo?" 
Loki sgranò gli occhi e strinse i pugni.
Thor si rese conto del suo errore un istante troppo tardi, "fratello, io..."
"Scusa se ho interrotto il tuo melodramma interiore," sputò Loki con sarcasmo tornando a coricarsi.
"Loki, scusa non..." Thor lo raggiunse cercando di abbracciarlo da dietro. L'altro era rigido contro il suo petto.
"Mi manca casa, tutto qui."
Loki strinse le labbra, "pensavo che questa fosse casa..."
Thor esitò, "sì, è così," mormorò, "ma a tutti capita di provare nostalgia per i luoghi in cui si è camminato da bambini, no?"
Loki non rispose,"dormi, Thor," ordinò, invece.
L'altro, per tutta risposta, si sollevò su un gomito per poter scrutare il profilo dell'amante.
"Dimmi quello che pensi sul serio e lo farò."
Loki lo guardò negli occhi, la bocca storta in un ghigno orribile.
"Che cosa ti manca, Thor? La vasta schiera di puttane regali tra cui potevi scegliere?"
Il principe dorato si sentì offeso, "non mi sembra di averti mai mancato di rispetto in alcun modo."
"Le urla adoranti della folla?" Continuò Loki imperterrito, "la polvere dell'arena? Cosa? Cosa c'è in quel regno di menzogne che rimpiangi tanto?"
Tentò di alzarsi ed andarsene ma Thor lo bloccò contro il materasso, "mi manca il sorriso di nostra madre," confessò, "mi manca la voce seriosa di nostro padre. Mi manca andarmene a caccia per i boschi. Mi manca il cielo trapunto di stelle che Midgard non ha. Mi manca l'oro dei saloni in cui siamo cresciuti... Mi manca e basta e non riuscirai a farmi sentire in colpa per questo!"
Si lasciò ricadere sul letto, dando di proposito le spalle all'amante.
Loki non si mosse, rimase dov'era a fissare il soffitto bianco, "vorresti tornarci?"
Thor non rispose.
"Se ci fosse un modo... Vorresti tornarci?"
Thor chiuse gli occhi e sospirò stancamente, "non esiste alcun modo."
E Loki sentì una familiare, oscura sensazione nel cuore. Thor era a meno di un metro da lui.
Se avesse allungato una mano, lo avrebbe toccato di sicuro e lui non si sarebbe ritratto.
Ma non poteva.
Quella notte, dopo dodici mesi, Loki sapeva che non sarebbe riuscito nemmeno a sfiorarlo, suo fratello.

[Asgard, oggi.]

La regina Frigga si era rinchiusa negli appartamenti che, in passato, erano appartenuti ai due principi e lì era rimasta, gettando una certa inquietudine sull'intera corte dorata.
I servi mormoravano che, almeno una volta al giorno, quando i corridoi erano deserti, il re andasse a bussare con violenza contro quelle porte chiuse ordinando alla consorte di uscire.
"Non puoi rimanere chiusa lì dentro per sempre, Frigga!" Urlava Odino.
Le ancelle della sovrana non dicevano nulla in proposito ma, se avessero potuto, avrebbero messo in guardia il re riguardo alla testardaggine della sua sposa e alla forza del dolore che la spingeva ad isolarsi in quella precisa area del palazzo.
Frigga aveva scelto quel modo per illudersi di avere Thor e Loki ancora vicino a lei, per stringere a sè il ricordo di due figli che Odino si ostinava a fingere non fossero mai esistiti. 
Come poteva una madre fare altrettanto? Come poteva lei, che ancora ricordava il giorno in cui aveva sentito muovere Thor dentro di sè per la prima volta, come se non fossero passati secoli e secoli? Come poteva, dopo che aveva stretto Loki al seno per intere notti insonni e lo aveva nutrito con il suo latte?
Frigga non poteva uccidere le sue creature.
Che Odino facesse come meglio credeva!
Che morisse solo, se non voleva mettere in discussione le sue convinzioni!

"Non ti vuole più?" Sleipnir era l'unica creatura a cui il re potesse confidare i suoi dolori.
Era l'eco di quel fratello non di sangue che aveva perduto per sempre.
Odino si prese la testa tra le mani. La tenue luce del fuoco non faceva che renderlo più vecchio, "le passerà," disse con convinzione, "mi ha perdonato cose peggiori."
Sleipnir sorrise sarcastico, "no, io non credo..."
"Ho riportato a casa il figlio di un tradimento pochissimi anni dopo la nascita del nostro erede. Che cosa c'è peggio di questo?"
"Per una regina nulla, probabilmente," concordò il giovane dai capelli corvini, "per una madre, quel tradimento è stato come una benedizione..."
Odino lo guardò indignato, "spiegati, ragazzo."
Sleipnir accenò un sorriso, aveva la prestanza di un guerriero che suo padre non aveva mai avuto, eppure gli assomigliava tanto. "Non fraintendermi, zio," disse subito, "non sto mettendo in discussione i sentimenti di tua moglie... Ti sto solo invitando a ricordare come Loki sia stato importante per Frigga, come lui l'abbia fatta sentire madre in un modo totalmente diverso da Thor. Per assurdo, il figlio che non aveva partorito era proprio quello di cui lei aveva bisogno per sentirsi completa."
Odino sbuffò, "detestavo vederli così vicini, lo sai?"
"Lei e Laufey andavano d'accordo..."
"Lei e Laufey sono sempre stati molto simili sotto molteplici aspetti," Odino annuì distrattamente, "uno di questi era il modo impeccabile in cui riuscivano a mandarmi in bestia, senza che io fossi in grado di far pagare loro le conseguenze."
"Le hanno pagate, zio," lo corresse il giovane mutaforma, "le hanno pagate eccome."
"Ci sono stati giorni in cui mi sono chiesto se Frigga non stesse facendo di tutto per crescere Loki come la copia perfetta di Laufey, poi mi sono reso conto che quello che mi faceva impazzire era nei dettagli..."
Sleipnir si sdette sul pavimento, davanti al fuoco, "che dettagli?"
Odino lo guardò tristemente, "gli stessi che mi fanno rivedere mio fratello in te," rispose, "l'espressione che aveva mentre leggeva, il modo in cui camminava e poi c'era quell'espressione... Quella in cui guardava Thor ogni volta che combinava qualche sciocchezza. Noia, disapprovazione... Poi si voltava... Oh, lo faceva lentamente così che suo fratello potesse vedere fino all'ultima sfumatura di verde dei suoi occhi. Infine, di colpo, guardava dritto davanti a sè e se ne andava a testa alta per lasciare che Thor credesse che, in fin dei conti, sarebbe anche potuto tornare con la testa tagliata e la cosa non lo avrebbe minimamente toccato."
Odino rise senza gioia.
"Dovevi vedere Thor! Ci cascava col martello e tutto in quel piccolo inganno e passava il resto della giornata a correre dietro a Loki, determinato ad impressionarlo positivamente in qualche modo," sospirò stancamente, "ci sono caduto anche io, innumerevoli volte... Loki ce l'ha nel sangue, nessuno avrebbe potuto insegnargli una cosa del genere."
Il fuoco era a meno di un metro da lui, eppure sentiva così freddo.
"Neanche Laufey..."

"Mia regina..."
Frigga non guardò il guardiano negli occhi.
"Ho delle notizie per voi, mia regina."
Non gli diede ordine di parlare, ma nemmeno di tacere.
"Li ho trovati, mia regina."
Solo allora, Frigga concesse a Heimdall tutta la sua attenzione.
[Midgard-New York, oggi]
Il modo maturo in cui lui e suo fratello riuscivano ad affrontare i problemi aveva dell'incredibile.
Per la prima volta, dopo tanto tempo, Loki era arrivato alla conclusione che Thor doveva essere seriamente, puerilmente, stupidamente arrabbiato con lui. 
Gli parlava a stento da più di una settimana.
Non facevano più l'amore, a stento dormivano nello stesso letto.
Loki lo aveva accanto a sè ogni minuto di ogni giorno e tutto quello che avrebbe voluto fare era allungare un braccio e toccarlo, sbatterlo contro il muro, baciarlo fino a che non si fosse deciso a ricambiare. Si sentiva esattamente come Thor aveva dovuto sentirsi durante il loro ultimo mese nella casa in Norvegia.
Vedeva l'interesse per lui affievolirsi giorno dopo giorno e temeva, mentre la rabbia gli seccava la gola e gli impediva di ragionare lucidamente, che una mattina si sarebbe svegliato in una casa vuota.
La grande differenza tra i loro timori?
Nel fuggire, Loki avrebbe perso quel poco che era riuscito a conquistarsi pur non volendolo, Thor, invece, avrebbe recuperato tutto ciò che aveva buttato via nel prendere suo fratello come un amante. E il giovane Jotun sapeva che Asgard, con tutte le sue dorate possibilità, era un rivale molto difficile da battere.
Alla fine, Loki era tornato a vedere solo il lato oscuro di quella relazione.
La paura che Thor aveva di perderlo, era stata la sua fonte di potere per tutti quei mesi. Se avesse cominciato a pensare a lui con distacco, se avesse cominciato ad immaginare la sua vita senza un fratello incestuoso tra i piedi ad oscurare la sua aurea dorata... Loki sarebbe uscito da quella storia con una sconfitta in più da non riuscir ad accettare.
A meno che, ovviamente, lui non fosse il primo a fare la prossima mossa.
"Vuoi un figlio?"
Thor era seduto sul letto leggendo una rivista che doveva aver recuperato dal suo ultimo viaggio di perlustrazione del quartiere. Da principio, non si voltò a guardarlo e continuò a fissare il giornale tra le sue mani.
"Ti ho chiesto se vuoi un figlio."
Thor lo guardò freddamente, "non lo so più."
Loki rise istericamente, "non lo sai più?" Domandò con voce stridula, "pochi giorni fa avresti fatto qualsiasi cosa con me."
"Non mi va di parlare, fratello..."
"Oh, lo farai invece!" Loki gli strappò la rivista di mano e si mise a cavalcioni su di lui. Thor non battè ciglio. "Credi che non ti veda? Passi giornate intere a guardare il cielo, quando pensi che io non me ne accorga, sfiori l'impugnatura di quel maledetto martello e, con frustrazione, ti rendi conto che non hai più un motivo per sollevarlo."
Thor lo fissò in silenzio.
"Tu non la sopporti questa vita, non è vero?"
"Ancora una volta, mi metti in bocca parole che non ho mai nemmeno pensato," replicò il maggiore.
"Se mi ami come dici, Asgard non dovrebbe toccarti il cuore come io non riesco a fare!"
Thor gli afferrò i polsi e li strinse con forza, "il mio cuore è esattamente lì, dove ti è più facile raggiungerlo! Non riesci a vederlo perchè non riesci ad accettare che parte di esso sia rimasto in un altro mondo!"
Il cipiglio con cui Loki lo guardò era orribile, "allora perchè mi hai voluto? Perchè mi hai seguito? Perchè hai sputato sangue per farmi capire quanto..." Si bloccò. Non poteva dirlo. Aveva dato a Thor troppe cose per potergli concedere anche questa.
"Mi vuoi o mi ami?" Domandò il principe Aesir.
"Che differenza c'è?" Loki non riusciva a capire.
"Se mi amassi, non proveresti la rabbia che provi ora nel renderti conto che, come è naturale che sia, ci sono cose del nostro passato che non posso semplicemente lasciarmi alle spalle... Se mi amassi, non mi chiederesti di avere un figlio, senza desiderarlo."
"Tu hai fatto la stessa cosa!"
Thor lo gettò sul materasso con poca grazia. Loki si mise a sedere velocemente, mentre l'altro si alzava dal letto e si avvicinava alla vetrata lì accanto.
"E tu mi ami?"
"Non te ne è mai importanto..." Replicò Thor.
"È questo che credi di me?" Loki non riusciva a fare altro che fissargli la schiena, "non sai se ti amo, non sai se vuoi un figlio da me, dici che non me ne importa nulla di quello che provi... Maledizione, Thor, ma con chi credi di aver scopato per un intero anno?"
Suo fratello lo guardò di traverso indeciso su come rispondere, "hai una vaga idea della portata delle azioni che ho compiuto per stare con te?"
"Mi credi così stupido?"
"Sai perchè, nonostante tutto, c'è ancora spazio nel mio cuore per sentire la mancanza di Asgard?" Domandò Thor con gli occhi lucidi, "perchè vorrei che, qualche volta, ci fosse qualcosa in te, nelle tue azioni, nelle tue parole che possa provarmi che quel che ho fatto è valso a qualcosa."
"Temo di non comprendere," fu la risposta annoiata del più giovane, "perdonami se per te è poco il fatto che mi lasci toccare da te, quando non sono mai riuscito ad accettare me stesso per tutta la vita! Scusami se non ti venero come una cagna in calore, come le tue belle sgualdrine!"
"Mi basterebbe che tu dicessi di amarmi, qualche volta."
"Pensavo di averti fatto un dono, un anno fa..."
"Allora perchè da qualche tempo non riesco a sentirmi vivo, nemmeno quando facciamo l'amore?"
Loki non cambiò espressione. No, gli era troppo difficile respirare per fare altro.
"Che cosa vuoi, Thor?"
"Sono stanco di nascondermi, Loki."
Già, perchè suo fratello non era come lui.
"Non possiamo scappare per sempre."
Per Loki, poter condividere quella vita all'ombra dei Nove Regni, lontano da tutto e tutti, solo loro due, era stato quanto di più simile ci fosse alla felicità. 
"Pensiamo ad un modo per poter risolvere tutto questo e torniamo su Asgard. Torniamo a casa, Loki."
Ma Loki non apparteneva ad Asgard, come a nessun altro luogo.
Loki avrebbe chiamato casa ogni luogo in cui sarebbe potuto vivere con Thor.
Ma a Thor questo non sarebbe mai bastato.
"Non sono abbastanza," mormorò il principe oscuro con rasegnazione, "non ho imparato proprio niente, che folle che sono stato!"
Si alzò dal letto ed uscì dalla camera.
"Loki?" Thor sbattè le palpebre, "Loki..."
"Torna su Asgard," gli disse il più giovane, senza voltarsi.
"Loki, forse, ho usato le parole sbagliate ma..."
"Ti sei spiegato benissimo!" Urlò l'latro guardandolo di colpo, "vorresti tornare ad essere il Dio del Tuono pronto a vincere qualsiasi guerra. Se resti con me, le uniche guerre che combatterai saranno quelle contro i nemici che vorranno arrivare a me e, tra questi, potrebbero esserci coloro che ami. Vorresti tornare ad Asgard perchè la ami... Perchè ami tutto ciò che hai lasciato lì. Ma non puoi avere entrambi. Vuoi che trovi una soluzione? Posso farlo immeditamente! Torneremo, tuo padre insisterà perchè tu m'impedisca di fare qualcosa di pericoloso ed io diverrò il tuo prigioniero a vita. Forse, per un po' potremo illuderci... Potremo credere di averli ingannati tutti. Poi, imporvvisamente, mi renderei conto che l'unica libertà che possiedo è quella di decidere se prenderti o lasciarmi prendere, durante la notte. Sempre ammesso che tornare a casa non ti ricordi che ci sono cose che un guerriero degno di tale nome non deve fare."
"Loki, aspetta, io..."
"Poi, succederà qualcosa... Dovrai diventare re, dovrai prendere una moglie e sentirai il bisogno di dirlo a nostra madre e lei non capirà... Non importa quanto ci ami, non capirà. A quel punto le possibilità saranno due. Sposerai una donna, Sif probabilmente, che partorirà i tuoi figli, mentre io me ne starò ad aspettare che quella cagna rimanga incinta per poterti riavere solo per poche ore, fino ad una nuova alba. Oppure, quel giorno, tornerai a farmi ancora una proposta crudele."
Thor scosse violentemente la testa, "non possiamo sapere se accadrà nulla di tutto questo, noi non..."
"Mi chiederai di avere un figlio ed allora le possibilità non faranno che divenire sempre più macabre. Potresti obbligare la corte a riconoscerlo come figlio tuo ma saremo costretti a mentirgli per tutta la vita, perchè nessuno lo rispetterebbe come frutto di un incesto! Peggio, potrebbero portarcelo via!"
Una pausa.
"Ancora peggio... Potrebbe essere come me e, credimi, Thor, posso essere tanto crudele e disperato da dare alla luce un figlio che non voglio solo per avere ancora il potere di legarti a me, ma non condannerò mai un'altra creatura all'esistenza che ho avuto io nel tuo maledetto regno dorato!"
Loki sorrise amaramente, mentre una lacrime gli solcava una guancia.
"In ultimo, sai perchè non riesci a provare più nulla, mentre fai l'amore con me?"
Thor si avvicinò immediatamente prendendogli le mani, "Loki, ero arrabbiato," gli baciò una guancia, "non lo credo davvero, ero solo furioso perchè pensavo stessi usando la storia del bambino per ferirmi."
Il più giovane fece un passo indietro, "perchè non sono io a non amarti."
Sparì in un battito di ciglia, lasciando Thor da solo a fissare le sue mani, ora vuote.

[Jotunheim, oggi.]

"Noi non sappiamo proprio come ringraziarvi, mio principe," Guma prese la mano del piccolo Glam, "i nostri bambini ora sanno usare i loro poteri alla perfezione, noi non saremmo mai riusciti ad insegnare loro così bene... Spesso siamo costretti a lasciarli da soli per andare a caccia e..."
"Non avete nulla da rimproveravi," lo rassicurò Bỳleistr. "Sono cresciuto nella capitale ma non pensiate che non sappia cosa vuol dire crescere continuamente minacciati da qualcosa."
"Anche il re sa cacciare, sai, papà?" Raccontò il piccolo Glam, "è stato lui ad insegnare a Bỳleistr."
"Tesoro, non puoi puoi rivolgerti al principe chiamandolo per nome."
"Oh, no, no!" Bỳleistr scosse la testa, "ho chiesto io ai bambini di chimarmi per nome. Sono un principe, ma mio padre mi ha educato per essere un generale e voglio il rispetto dei miei piccoli soldati, non scatenare timore in loro."
"Non importa con che titolo siamo nati, il guerriero al nostro fianco è come un fratello e va protetto come tale," recitò Glam a memoria. Suo padre gli accarezzò i capelli orgoglioso, "saluta il principe, piccolo."
"Ci vediamo domani, Bỳleistr!" Il bambino gli abbracciò la vita con entusiasmo ed il giovane nobile s'irrigidì appena di fronte a quella dimostrazione di affetto. 
Guma lo ringraziò nuovamente, poi prese il figlio per mano e s'incamminarono verso casa.
Bỳleistr rimasi a fissarli, finchè non scomparvero dalla sua vista.

"Voglio un bambino."
Bỳleistr fu in grado di dar voce a quel desiderio solo qualche notte dopo, mentre era intento a fissare il soffitto di ghiaccio della sua camera. Bàli, accanto a lui, si riscosse dallo stato di dormiveglia in cui era caduto alla fine del loro amplesso.
"Come dici?" Sperò di aver capito male.
Bỳleistr lo guardò. Il ghiaccio nei suoi occhi sembrava essersi sciolto un poco, le guance rosse.
"Voglio un bambino," ripetè, "voglio un figlio da te."
Era un desiderio spontaneo, sincero... Era quanto di più bello uno Jotun potesse sentirsi dire dal proprio compagno e Bàli lo amò per questo. Lo amò ancora più di quanto lo aveva amato nell'ultimo anno, se era possibile.
Avrebbe voluto stringerlo a sè con urgenza.
Avrebbe voluto baciarlo.
Avrebbe voluto fare l'amore con lui fino a rendere vivo quel dolcissimo desiderio.
Poi, l'eco delle parole del re congelarono il suo cuore e l'unica cosa che Bỳleistr vide fu un'espressione allarmata.
Il principe si morse il labbro inferiore, "che idiota che sono stato..." Si alzò a sedere cercando di recuperare i vestiti dal pavimento: odiava soffrire il freddo ed, improvvisamente, odiava di nuovo la sua forma Aesir e quello che gli aveva permesso di condividere con lo Jotun accanto a lui.
"No, no, aspetta, Bỳleistr!" Bàli lo prese e bloccò contro il materasso, "non è come credi. Non è assolutamente come credi."
Il principe voltò il viso per non doverlo guardare negli occhi.
"Mi hai reso l'uomo più felice del mondo con quelle parole," disse baciandogli una guancia.
"Non mi è sembrato."
"È solo che..."
"Cosa?" Urlò Bỳleistr voltandosi di colpo a guardarlo.
Bàli avrebbe potuto spiegare ma sarebbe morto, prima di fare del male al suo principe, "come la prenderebbe tuo padre, se succedesse?" Poteva solo provare a convincerlo che non era una buona idea. Non ancora, almeno.
Peccato che Bỳleistr fosse nato Laufeyson e questo lo rendeva quanto di più diverso ci fosse da uno stupido.
"Che cosa ti ha detto mio padre?" 

[Midgard, oggi.]

Thor si vestì in fretta e furia rischiando anche d'inciampare, mentre s'infilava i jeans.
Doveva muoversi.
Doveva trovare Loki, prima che combinasse qualcosa che potesse attirare l'attenzione.
Era stato uno stupido, un perfetto imbecille!
Era consapevole di quanto fragile fosse l'equilibrio che era riuscito a creare tra loro. Sarebbe dovuto essere stato abbastanza forte da poter sopportare la nostangia che aveva di casa, senza accusare suo fratello di nulla.
Non avrebbe dovuto tirar fuori la questione del bambino in un momento come quello.
Erano giovani. Avevano secoli per poterne parlare, per renderla una cosa quasi naturale.
Forse, se Thor avesse usato l'amore e la pazienza, invece della disperazione e dell'insistenza, sarebbe anche riuscito a far diventare quel desiderio di entrambi.
Ma ora... Ora...
Sentì un rumore di passi provenire dalla cucina.
"Loki!" Chiamò con un sorriso speranzoso, "Loki, scusami, scusami davvero, io..."
Si bloccò a metà del piccolo corridoio che divideva la zona giorno dalla zona notte.
La creatura dai lunghi capelli neri stringeva tra le mani il suo martello e lo fissava con un sorriso terribile. 
"Urla," commentò accarezzando l'impugnatura, "ha paura di me."
Alzò gli occhi scuri nella sua direzione.
"Gli manchi, sai?"
Thor non riusciva a parlare, le mani gli tremavano.
"Oh..." Il sole la investiva da capo a piedi facendola assomigliare ancor di più ad un cadavere, "non è lei ad aver paura di me."
Fece un passo in avanti e Thor retrocedette di due.
"Sei tu."
Il giovane Aesir avrebbe voluto negare ma aveva perso il controllo della sua voce.
Lei gettò Mjölnir a terra come se nulla fosse. Thor fissò la sua fedele arma terrorizzato: Loki aveva ragione, non poteva nulla contro quella creatura. Nulla.
"Che ti prende, principe dorato?" Domandò lei divertita, "una povera fanciulla è in grado di atterrirti fino a questo punto?" Rise, "lui ha sempre avuto ragione, non sei mai stato degno di alcun trono. Non sarai mai tanto potente da difendere la tua bella Asgard da nemici partoriti dall'oscurità più pura."
Era solo, Thor, completamente solo.
"Ma chi sei?" Urlò, infine. "Che cosa vuoi?"
"Mi sembra di aver già chiarito cosa voglio da te."
"Che cosa vuoi da Loki?" 
La fanciulla sorrise dolcemente, "Tutto..."
Thor si lasciò sfuggire una smorfia sarcastica, "allora hai perso in partenza."
"Oh, non hai idea di quanto possa donare un'anima in cambio della fine della solitudine," replicò lei allungando la mano per sfiorargli il petto, "tu non sei abbastanza forte per essere il suo compagno."
Il giovane Aesir allontanò quella carezza con uno schiaffo.
Non gli importava che fosse la metà di lui, quella creatura di fragile aveva solo l'aspetto.
"Che cosa vuoi da mio fratello?" Chiese ancira.
"Sei sordo per caso, Dio del Tuono?"
"Voglio una spiegazione!" 
Il cielo di New York cominciò ad oscurarsi.
"La pretendo!"
Lei guardò divertita le nubi oltre la vetrata del salotto.
"Diciamo, semplicemente, che ti sei preso qualcosa che il fato aveva destinato a me," reclinò la testa di lato, "ti sei preso il principe sbagliato, Thor. Sarà mio fratello ad essere il tuo compagno nella Fine, non il tuo."
"Smettila di parlare per enigmi."
"Sei tu che non riesci a comprendere, mio principe," gli sfiorò una guancia dolcemente, "la paura ti domina."
Thor si morse il labbro inferiore, poi alzò la mano destra di colpo.
Mjölnir si animò e si sollevò dal pavimento putando alla nuca della creatura.
Essa alzò la mano destra con grazia ed il martello si bloccò rimanendo sospeso in aria.
"Quanto sei noioso..." Commentò irritata, "perchè insistere, quando sai benissimo che non funziona?"
Strinse le dita e Thor sentì le gambe cedergli di colpo.
Cadde a terra e Mjölnir con lui.
"Non voglio ucciderti, anche se Loki vorrebbe, probabilmente."
Thor la guardò in cagnesco, "prova qualcos'altro, questo trucchetto è vecchio come il mondo."
"Credi quel che vuoi ma deve esserci una ragione, se vi ha protetto entrambi per un anno, mentre ora non ho compiuto il minimo sforzo per trovare te... Tuttavia, lui continua a nascondersi piuttosto bene..."
Thor non seppe come replicare e chinò la testa per nascondere qualunque emozione fosse riflessa nei suoi occhi.
Paura. Sconfitta. Delusione.
Non voleva che quell'essere potesse vedere quel che infuriava dentro di lui.
"Oh, nemmeno tu sai dov'è."
Sentì le gelide mani di lei tra i capelli.
"Avrei voluto ucciderti," mormorò posandogli un bacio sul capo, "ma, a differenza di Loki, io amo troppo mio fratello per fargli un torto."
Thor s'irrigidì, mentre le dita di lei gli accarezzavano il capo dolcemente, come ad indurlo a rilassarsi.
"Voglio farti un regalo, prima di prendermi tutto quel che possiedi."
Thor cercò di sottrarsi dalla sua portata ma la stretta sulla sua testa divenne ferrea.
"Anche se solo in un'illusione, voglio realizzare il tuo desiderio."
La magia eruppe dalle sue dita e violò il corpo, l'anima e la mente del principe di Asgard.
Thor non potè fare altro che urlare.
Un fulmine squarciò il cielo di New York.

[Jotunheim, oggi.]

Quando Bỳleistr irruppe negli appartamenti di suo padre, Laufey non sembrò particolarmente sorpreso di vedere quegli occhi di ghiaccio ricolmi di rabbia ed incredulità.
"Ha disubbidito ai miei ordini, dunque," commentò incrociando le braccia contro il petto, "il tuo cacciatore, intendo."
Bỳleistr scosse la testa lentamente, "non avevi alcun diritto..."
"Di fare cosa? D'impedirti di fare qualche abominevole sciocchezza?"
Il giovane Jotun strinse i pugni, "tu... tu..." Era talmente pieno d'ira da non riuscire a formulare un pensiero coerente, "per un istante, ho quasi pensato che fossi riuscito ad accettarlo."
Laufey gli rivolse una smorfia sarcastica, "sì, concederei di buon grado la mano di mio figlio ad uno Jotun lontano anni luce dal suo livello!"
"Avresti preferito che mi fossi scelto uno di quei nobili traditori che ci hanno portato via Utgard? Quelli sarebbero stati abbastanza vicini al mio livello, per te?"
"Non dire sciocchezze, Bỳleistr."
"Io amo Bàli!"
"Questo non ha alcuna importanza!" Sbottò il re ed il giovane indietreggiò di un paio di passi, "non c'è alcna felicità nella strada che stai percorrendo, solo tragedie e disperazione!" Laufey era fuori di sè, "quello che ora chiami amore è la tua condanna a qualcosa di ben peggiore della morte. Quel che hai ora può, forse, darti l'illusione della felicità ma non è la cosa giusta."
"E chi lo decide cosa lo è?" Replicò Bỳleistr, "cosa c'è di più giusto del volere un figlio dal proprio compagno?"
"Non è il tuo compagno!"
"L'ho scelto e lo avrò!" Bỳleistr insistette con forza, "l'ho già avuto..."
Laufey sgranò gli occhi ma non si lasciò trascinare da quella bugia, "stai mentendo..."
"Non puoi saperlo," il principe si posò una mano in grembo, "il tuo incubo peggiore potrebbe già essersi tramutato in vita, dentro di me."
Il re fece una smorfia, "te lo leggo negli occhi, Bỳleistr..." Si fece più vicino, "e anche se così non fosse, ti terrei a gambe aperte io stesso, mentre un curatore me lo conferma!"
Bỳleistr rabbrividì: non aveva mai realmente temuto suo padre, non aveva mai avuto un motivo serio per farlo.
Eppure, sentì che, in quell'occasione, le sue non erano semplici minacce vuote, sputate per troppa irritazione.
"Che cosa mi faresti, se fosse vero?"
Ci fu esitazione negli occhi verdi di Laufey.
"Se con la nascita della prossima luna, scoprissi di aspettare un bambino," Bỳleistr non era certo di voler sapere la risposta, "veramente tu..." Non riuscì a chiederlo. Il solo pensiero che suo padre potesse essere capace di far loro tanto male, quando era stato pronto a subire di tutto per proteggerli dalle brutture di quel mondo, lo dilaniava.
Laufey rimase in silenzio.
"Padre..." Bỳleistr aveva sempre avuto paura di mostrare le proprie debolezze ma, ora, a fatica riusciva a mantenere il controllo sulle lacrime che gli offuscavano la vista. 
Laufey fissò il pavimento per non guardarlo negli occhi.
"Padre!"
Se non si fosse sentito al sicuro nemmeno accanto alla persona che gli aveva dato la vita, come poteva...
"Mi faresti subire un'orrore simile, pur avendolo sofferto tu stesso?!" Urlò il giovane Jotun disperato.
Il re s'irrigidì, "basta, Bỳleistr."
Voleva farlo suonare come un ordine, ma assomigliò più ad una preghiera.
"Amare il tuo peggior nemico nel bel mezzo di una guerra totale... Era la cosa giusta da fare quella?"
Laufey non rispose, avrebbe voluto strapparsi le orecchie pur di non ascoltare.
"Dare alla luce un bambino mostro abbandonando i tuoi figli ed il tuo popolo?!"
"Ho detto basta!" 
Il re sbattè il pugno destro contro la parete di ghiaccio. Il pavimento si deformò e una dozzina di lame di ghiaccio spuntarono dal nulla costringendo Bỳleistr contro il muro opposto della stanza. Non si mosse abbastanza velocemente per evitare che una gli penetrasse nella spalla.
"Cosa sta... Bỳleistr!" 
La voce di Helblindi arrivò alle orecchie di Laufey come se fosse lontano chilometri. Bỳleistr piangeva in silenzio e lo fissava, mentre suo fratello spezzava la punta di ghiaccio che gli impedivadi muoversi e la estraeva dalla ferita. Solo allora, il secondo principe di Jotunheim si lasciò sfuggire un gemito.
"Ce la fai a camminare?" Domandò Helblindi.
Il fratello minore si limitò ad annuire.
"Bỳleistr..." Chiamò Laufey. 
Il ghiaccio si ritirò e la superficie del pavimento tornò ad essere regolare. Nessuno dei due figli gli prestò la minima attenzione. "Vieni nelle mie stanze," disse Helblindi sorreggendo il fratello, "non è grave, ti farò curare... Non piangere."
Bỳleistr, il dolore alla spalla non lo sentiva nemmeno. Era tutt'altro genere di dolore ad alimentare le sue lacrime e Laufey lo capì non appena i loro occhi s'incontrarono.
"Bỳleistr!" Laufey mosse un passo ma Helblindi si frappose immediatamente tra lui edil fratello.
"Stagli lontano!" Esclamò, "stacci lontano..."
Il re non si mosse, cercò ancora gli occhi del figlio minore ma Bỳleistr fissava ostinatamente il suolo.
"Ci hai fatto del male per troppo tempo," fu la terribile accusa dell'erede al trono, prima che entrambi uscissero dalla camera del re.
[Midgard, oggi.]

"Non ti aspettavo così tardi."
Bestla assomigliava ad un corvo con la neve bianca tutta intorno.
"Ti sei nascosto bene," commentò orgogliosa, "tu ed il tuo principe siete scomparsi per un intero anno."
Loki ghignò, "sapevo che ci avresti raggiunti in breve tempo."
"Lo prendo come un complimento."
"Dove hai lasciato il tuo mostro dalle cadaveriche sembianze?" Domandò diretto.
"Devo dedurre che non hai abbassato il tuo scudo per noi..." 
"No, infatti," Loki infilò le mani nelle tasche del cappotto grigio,"ma finchè il mio piano non sarà giunto al termine, non posso permetterti d'intralciarmi."
"Chi stai aspettando, mio principe?"
"Non ti riguarda."
"Deve riguardare Thor, se non lo hai portato con te."
"Di lui non devi pronunciare nemmeno il nome," sibilò Loki in risposta, "forse, un tempo, sei stata una regina ed hai seduto sul trono più alto dei Nove Regni ma non ho permesso ad Odino di sottrarmi ciò che mi appartiene e non rimarrò quieto la prossima volta che ordinerai alla tua bestia di attaccare le mie proprietà."
Bestla si sporse oltre il parapetto del grattacielo, "è incredibile come la neve, una volta caduta, faccia sembrare uguale tutti i mondi ma non ne faccia mai assomigliare uno a Jotunheim."
Loki fece una smorfia, "hai intenzione d'intrattenermi con una bella scenetta nostalgica?" 
La voce di lui era sarcastica ma il dolore negli occhi di lei era sincero.
"Non sai cosa darei per poterti far vedere la Jotunheim in cui sono nata e cresciuta."
"Non crucciarti, la mia esistenza può continuare anche senza saperlo," replicò il giovane.
"Jotunheim era un gran regno, un tempo," continuò Bestla, "tuo padre era quasi riuscito a renderlo il più grande di tutti."
Il viso di Loki si oscurò notevolmente, "vuoi distrarmi affinchè tu possa sguinzagliare il tuo mostro contro Thor, senza che io me ne accorga?"
Bestla lo guardò sorpresa ed eccittata al contempo, "non lo hai lasciato indifeso, dunque?"
"Mi credi tanto stupido?"
"No," la donna scosse la testa lentamente, "Laufey non lo era, non puoi esserlo nemmeno tu."
Loki rise, "Laufey era un perfetto idiota, invece," commentò con arroganza, "si è fatto ammazzare ancor prima di aver realizzato di essere caduto in una trappola!"
Bestla sorrise benevolmente, "povero bambino, dovevi essere davvero fuori di te, quando Odino ti ha rivelato quella mezza verità."
"Evitami la tua falsa comprensione."
"Considerando lo stato mentale in cui dovevi versare, non c'è da sorprendersi che il re sopravvissuto alla più grande sconfitta della storia di Yggdrasil sia riuscito a confonderti."
Loki la fissò, "di che cosa stai parlando?"
Bestlà sgranò gli occhi fingendosi sorpresa, "oh! Tu non lo sai!"
"Parla chiaro, strega, altrimenti..."
Un tuono squarciò il cielo.
Loki sentì il cuore fermarsi di colpo.
"Non avevo bisogno di distrarti," confessò Bestla, "lei è un mostro della tua stessa specie e, come tale, è molto brava a nascondersi."

A differenza di Frigga, Odino non aveva bisogno di ricevere informazioni da Heimdall per sapere che qualcosa era cambiato. Ciò che sua moglie non aveva intuito era che non doveva essere successo nulla di buono.
Odino aveva atteso una stagione, poi era tonato in Norvegia deciso a riportare i due figli ad Asgard.
Con la forza, se fosse stato necessario.
Aveva trovato una casa vuota e nulla che gli indicasse la posizione di Thor e Loki.
Frigga non gli aveva più parlato da quel giorno. 
Era uscita dalle stanze in cui si era confinata solo quando i loro figli erano tornati visibili agli occhi di chi sapeva guardare.
"Lasciami venire con te!" L'aveva pregato, "Loki non ascolterà mai te ma, forse, io posso..."
Odino non l'aveva nemmeno lasciata parlare. Aveva dato odirne ad Heimdall d'impedire alla regina di lasciare Asgard ed era partito. 
New York.
La città in cui si era abbattuta la furia di Loki.
Una furia per cui Frigga accusa lui e se stessa. 
Odino preferiva non rifletterci: quel che era fatto era fatto, affliggersi era inutile. Frigga non comprendeva che se avessero cominciato a farsi un esame di coscienza tardivo, sarebbero finiti con il realizzare che il loro unico errore era stato lasciare che Loki nascesse.

Thor si svegliò nel suo letto.
Non ricordava come vi era arrivato.
Non ricordava neanche di essersi addormentato.
L'ultima cosa che rammentava era la discussione che aveva avuto con Loki e che era finita, inevitabilmente, con la sua dipartita. Poi, il buio.
Si sentiva stanco, spossato, come se uno Jotun gli fosse passato sopra e, non contento, avesse deciso di continuare a pestarlo. Era sudato, col fiato corto ed aveva un impossibile cerchio alla testa che gli impediva di aprire gli occhi. Sentiva qualcosa muoversi debolmente accanto a sè.
"Loki..." Chiamò istintivamente.
Forse, dopo essersi fatto un giro, gli era passata.
"Loki..." Con gli occhi socchiusi, Thor afferò il lenzuolo e lo sollevò. 
Quel che vide lo sorprese al punto che indietreggiò istintivamente, fino a ruzzolare giù dal letto.
La creaturina, causa di tanto sgomento, non fu felice di essere esposta alla luce bianca di quella giornata invernale e cominciò a lamentarsi sonoramente. Thor si sporse oltre il bordo del materasso, come se avesse paura di avvicinarsi troppo. 
La bambina tentava inutilmente di sottrarsi alla luce agitando le piccole braccia e gambe.
Il principe dorato impiegò un intero minuto, prima di convincersi che non c'era nulla di cui preoccuparsi.
Tornò sul letto e s'inginocchiò accanto al corpicino nudo e minuscolo.
"Shhh... Va tutto bene," si sentì in dovere di dirlo allungando una mano per sfiorare la testolina ricoperta da corti ciuffetti biondi. La bambina si calmò di colpo girando il faccino rosso e paffuto nella sua direzione: gli occhi verdi erano socchiusi ma lo guardavano come se lo conoscessero.
Thor si sentì mancare per un istante, poi scosse la testa e tornò in sè.
"Aspetta qui," disse stupidamente, come se quella cosina potesse muoversi autonomamente.
Tornò pochi secondi più tardi con un asciugamano blu tra le mani. 
"Non preoccuparti," mormorò dolcemente avvolgendo la creaturina nel tessuto scuro, "ci sono io qui, va tutto bene."
La piccola non emise alcun suono, mentre Thor si accomodava contro i cuscini stringendola tra le braccia.
Lei lo guardò e lui guardò lei.
Rimasero a guardarsi in silenzio per un sacco di tempo.
Qualunque ombra avesse oscurato l'animo di Thor sembrava essersi dissolta nel nulla. 
Il principe dorato sorrise. Il sorriso innamorato di un uomo pronto a morire per la creatura stretta contro il suo petto.
"Ti abbiamo aspettata per tanto tempo."
Quelle parole non avevano senso.
"Il tuo papà arriverà presto, non temere."
Ma Thor Odinson non faceva più parte del mondo reale.

Odino lo vide che correva tra la folla.
Lo seguì con lo sguardo, senza farsi notare.
Sembrava spaventato.
Non gli importava.
Aspettò che gli arrivasse a portata e lo afferrò per un braccio.
La presa ferrea della sua mano dovette sorprenderlo perchè, quando si voltò, l'espressione era rabbiosa.
Solo dopo, quando lo riconobbe, la luce nei suoi occhi mutò improvvisamente.
"Che cosa ci fai qui?" Urlò ma, nel caos della folla, lo udì appena.
"Dov'è tuo fratello?" Chiese Odino con espressione minacciosa.
Loki lo guardò come se si fosse appena destato da un sogno, poi tentò di correre via ma il re non aveva la minima intenzione di lasciarlo andare.
"È in pericolo!" Esclamò esasperato.
"Hai inventato bugie migliori, Loki!"
"Potrai punirmi fino alla fine dei tempi, se mento ma non hai idea di quello che farò a te, se non mi lasci andare ora!"
Odino lo guardò dritto negli occhi e, per un istante, giurò di aver visto le iridi verdi tingersi di scarlatto.
Fu sufficiente per lasciarlo andare.

"Che io sia dannata in eterno, se pensa di potermi comandare ancora, come se fossi una bambola," sibilò Frigga tra sè e sè, come le porte scorrevoli dell'ascensore si aprivano.
Se era fortunata, Odino non aveva avuto il tempo di fare troppi danni e, se il grattacielo era ancora integro, significava che nessuno dei due ragazzi aveva avuto motivo di agitarsi più del dovuto. 
Lasciò perdere i convenevoli.
Non bussò alla porta, non si annunciò in alcun modo, si limitò a roteare la mano e l'uscio si aprì senza che dovesse toccarlo con mano. 
"Loki?" Chiamò. "Thor?"
La casa era piccola, semplice... Nulla che fosse paragonabile agli ambienti in cui i suoi figli erano cresciuti. Eppure, i ragazzi erano stati felici in quella dimora. Frigga poteva percepirlo, poteva quasi toccarla con mano, quella felicità. Loki era stato felice con suo fratello? Era stato felice assaggiando una vita totalmente contraria a quella che diceva di desiderare?
Quale forza era riuscita a placare la sua rabbia, ad illuminare la sua oscurità?
"Madre..." 
Frigga si voltò. Thor era proprio davanti a lei e le sorrideva radioso.
"Amore mio!" Esclamò lei, sentendo il cuore più leggero di colpo. Fece per correre ad abbracciarlo, quando notò il fagottino stretto contro il suo petto.
Thor abbassò gli occhi azzurri e il suo sorriso divenne anche più luminoso, "oh... Lei è nostra figlia."
Frigga trattenne il fiato, "la figlia di chi, Thor?"
Lui rise divertito, "mia e di Loki. Di chi altri?"
La regina si premette una mano contro il petto, incapace di pronunciare un'altra parola.
"Ha gli occhi del suo papà," mormorò Thor con voce innamorata, accarezzando il piccolo naso con la punta dell'indice, "speriamo non abbia lo stesso carattere difficile, vero, principessina?"
Frigga lo guardò inebetita: come faceva ad essere così tranquillo e naturale? 
"Thor..." Si avvicinò di un paio di passi, "per questo siete fuggiti dalla Norvegia? Tu e tuo fratello avete..." Non riusciva a dirlo, non risciva nemmeno a pensarlo! "Loki aspettava il tuo bambino e vi siete nascosti per paura che noi...?"
Il giovane scosse immediatamente la testa, "Loki non l'ha portata in grembo, lei è nata da me."
Frigga inarcò un sopracciglio, "prego?"
"Sì," Thor annuì, senza smettere di sorridere, "la desideravo così tanto, madre e Loki me l'ha data... La mia bambina," baciò la testolina bionda con una dolcezza che nemmeno sua madre gli aveva mai visto usare.
"Desideravi una bambina, tesoro?"
Thor era un ragazzino. Gli avvenimenti degli ultimi anni lo avevano fatto maturare moltissimo ma non aveva mai parlato di... Non con lei, almeno e nemmeno con suo padre.
Per quale motivo Thor... Il suo arrogante, dolcissimo e pericolosamente vivace Thor aveva, improvvisamente, sviluppato un desiderio di paternità così forte? 
"Thor!" Loki irruppe nell'appartamento chiamando il fratello a gran voce ma si bloccò immediatamente appena riconobbe la donna dai lunghi capelli biondi di fronte a sè. Era strana con addosso quegli abiti mortali, eppure non aveva perso una brinciola della regale eleganza che sfoggiava indossando i ricchi indumenti di una regina.
"Madre..." Chiamò con uno filo di voce. 
"Loki," non c'era tempo per parole affetuose in quel momento, "cosa sigmifica tutto questo?"
Odino oltrepassò l'ingresso in quel preciso momento ed ebbe la decenza di richiudersi la porta alle spalle. Sospirò frustrato nel vedere la propria consorte, "avevo dato degli ordini ben precisi."
"Non mi hai scelta perchè ero brava a seguire i tuoi ordini," replicò lei con una freddezza per cui Loki si sorprese.
"Padre!" 
L'attenzione del giovane principe si spostò immediatamente sul fratello ma, se l'istinto l'avrebbe portato a corrergli incotro per assicurarsi che stesse bene, quel che vide tra le braccia di Thor lo scoraggiò dal fare anche un solo passo.
"Thor..." Mormorò incredulo.
La bambina si destò muovendo lentamente i piccoli pugnetti chiusi.
Il giovane Aesir sorrise incantato, "ha riconosciuto la tua voce!"
Loki sentì immeditamente gli occhi di entrambi i genitori su di sè, "che cosa stai dicendo, Thor?"
"La nostra bambina è innamorata di te," commentò Thor con orgoglio, "non reagisce alla tua voce come reagisce alla mia."
Loki si avvicinò studiando la creatura tra le braccia del fratello, "noi non abbiamo nessuna bambina, Thor."
Alle sue spalle, Frigga e Odino si scambiarono un'occhiata.
Il principe dorato rise, "sei stato tu a farla nascere da me, ricordi?"
Loki scosse la testa, "io non saprei nemmeno farla una cosa del genere."
La piccola allungò una manina nella sua direzione.
"Vuole venire da te," Thor gliela porse, Loki fece un passo indietro. "Che cosa ti prende?"
Il più giovane studiò il viso del fratello con attenzione, "Thor, guardami negli occhi..."
"Lo sto già facendo," rispose l'latro, continuando a sorridere alla bambina.
"Thor!" Loki gli prese il viso tra le mani, "guardami, ho detto!"
Qualcosa lo afferrò con forza scaraventandolo contro la parete opposta della stanza. 
"Che cosa gli hai fatto?!" Sbraitò Odino afferrandolo per il bavero del cappotto e costringendolo in piedi, "che cosa hai fatto, maledetto?!"
"Nulla di cui io sia al corrente!" Urlò Loki in risposta.
C'era dolore nelle iridi azzurre di Thor, "hai detto di amarmi... Lei è nata dal nostro amore, Loki."
Frigga lanciò un'occhiata ad entrambi i figli con occhi sgranati.
Odino fissò il minore in cagnesco.
"Mi sono concesso a te per provare ad avere lei..."
"Thor!" Esclamò Loki tentando, inutilmente, di liberarsi dalla stretta di Odino, "Thor, stai zitto!"
"Avevi detto che tu non l'avresti mai partorita ma che c'era sangue Jotun nelle mie vene e che, forse..."
"Non ho mai detto niente di simile, Thor!"
Frigga si premette una mano contro la bocca.
"Ti vergogni di dire davati a loro di aver fatto l'amore con me?" Domandò Thor con le lacrime agli occhi.
"Thor, per favore..."
"Oh..." Frigga cadde a sedere sul divano prendendosi la testa tra le mani, poi si voltò a guardare il figlio minore, "Loki..."
Odino, invece, lo fissava in silenzio.
"Ci siamo amati per più di un anno, fratello!" Esclamò Thor, "perchè vuoi negarlo? Perchè ti vergogni di noi?"
Suo fratello non era in sè, non ci voleva certo un genio per capirlo.
Doveva essergli successo qualcosa.
Quella straga ed il suo mostro dovevano aver creato quel picclo parassita tra le braccia di Thor per fargli il lavaggio del cervello. Fossero maledetti i suoi genitori ed il modo in cui avevano esposto il loro unico figli ad attacchi come quello, con la loro educazione basata sulla mera forza fisica!
"L'hai toccato?"
Odino lo avrebbe ucciso, ne era certo.
"Hai toccato mio figlio come se fosse la tua puttana?"
"Odino..." Implorò Frigga. Non voleva sapere, la regina di Asgard.
"Diglielo Loki!" Urlò, invece, Thor. "Voglio sentirtelo dire..."
Il giovane Jotun si morse il labbro inferiore, poi guardò negli occhi l'uomo che, un tempo, aveva chiamato padre.
"Non so come si tocchi una puttana, signore," confessò con fredda fermezza, "ho toccato vostro figlio come un amante, lo ammetto e non gli ho mai mancato di rispetto in quanto tale."
Le nocche di Odino divennero bianche, mentre stringeva il bavero del cappotto grigio, "maledetto..." Sibilò, poi lo sbattè con violenza contro il muro, "maledetto!" Lo fece ancora tre volte, "avrei dovuto lasciarti morire!"
"Odino!" Frigga gli strinse le spalle cercando di fermarlo.
"Avrei dovuto lasciarti morire!" Il re lasciò andare il giovane che era stato suo figlio.
Loki cadde a terra e si toccò la nuca per assicurarsi che fosse ancora integra.
La bambina piangeva e Thor era completamente perso nel tentativo di calmarla, "shhh... Va tutto bene, papà ed il nonno hanno solo litigato un poco, non preoccuparti."
"Torniamo su Asgard..." Odino trascinò Loki fuori dall'appartamento e pretese che la moglie ed il figlio lo seguissero, "ora!"
[Asgard, oggi.]

"Quanto è bella, la mia principessa..."
Loki non credeva che lo avrebbe mai detto ma non sopportava di vederlo così.
"Non hai idea di quanto ti amo, bambina mia."
Li avevano portati ad Asgard di nascosto e li avevano isolati nelle loro vecchie stanze, come se fossero portatori di una qualche malattia contagiosa. Loki, in fin dei conti, era bituato a ben peggio ma vedere Thor in quello stato era insopportabile.
Sanguinante, sconfitto, a terra su di un campo di battaglia... Quello sì, quello era il genere di fine che avrebbe potuto infliggergli lui stesso. Ma così... Folle, visionario, quasi demente.
No, non riusciva a guardarlo mentre versava in quella pietosa condizione.
Sapeva che Odino e Frigga provavano lo stesso ma il re era troppo codardo per affrontare la situazione di petto, mentre la regina non poteva fare a meno di comportarsi da madre.
"Dovrebbe mangiare," consigliò amorevolmente, mentre Thor muoveva la sontuosa culla per far addormentare la piccola, "cercherò una nutrice."
"No," Thor scosse la testa sorridendo amorevolmente, "non ha bisogno di mangiare, lei è speciale."
"Allora dovresti darle un nome..."
"Non ha bisogno di un nome," Thor non staccava mai gli occhi da quella maledetta creatura, "lei è speciale."
Loki non sopportò di udire quel ritornello per molto.
Dopo la prima settimana di reclusione, lasciò la stanza di Thor per dirigersi in quello che era stato il suo vecchio studio. Odino non si era mai interessato al suo lavoro con il Seiðr ed ora non sembrava riuscire a fare altro che sfogliare i suoi libri ed i suoi appunti alla ricerca di qualcosa che potesse accusarlo definitivamente e potesse aiutare Thor.
"È inutile," disse appoggiandosi all'architrave della porta, "non mi piace ammetterlo, ma non posso creare una vita dal nulla!"
Odino lo guardò di traverso, "ma hai conosciuto un potere capace di controllare le menti," replicò il re gettando un libro a terra ed aprendone un altro sulla grande scrivania in disordine.
"Se fosse un semplice controllo mentale, solo Thor potrebbe vedere la bambina, invece..."
"Non voglio sentirti pronunciare una sola parola di più," il tono di Odino era calmo e perentorio, "non so nemmeno che cosa mi spinga a lasciarti libero di respirare l'aria di Asgard."
Loki gli sorrise beffardo, "sapete cosa è oltraggioso, mio re?" Domandò, "che dopo tutto quello che ho fatto, ora riusciate ad odiarmi solo perchè ho sporcato il vostro erede dorato."
Odino sbattè un pugno contro la superficie di legno ma non alzò gli occhi nella sua direzione.
"Che cosa hai fatto per costringerlo a..."
"Non ho costretto nessuno," lo interruppe Loki, "è stato Thor a concedersi a me ed io non gli ho fatto nulla che non volessimo entrambi."
Odino si prese la testa tra le mani, "perchè dovrei crederti?" Domandò, "perchè non dovrei semplicemente pensare che hai violentato mio figlio e lo hai reso il povero demente che è ora?"
Loki sorrise tristemente, "forse, perchè Thor non è l'unico principe dorato ad aver ceduto ad una simile tentazione."
Odino inarcò le sopracciglia e non capì.
"Ho fatto un dono a Thor, un anno fa," confessò Loki con un nodo alla gola, "lui non lo sa, ma l'ho fatto per imitare il gesto di un altro giovane di Jotunheim... Uno che conoscevate molto bene."
Odino continuò a fissarlo in silenzio.
"Se volete che vi racconti ogni cosa dovete imparare a fidarvi di me," si voltò, "smettete di essere un codardo e chiedete a vostro figlio di quel dono. Poi, vedremo se avrete il coraggio di affrontarmi."
[Vananheim, secoli fa.]

"So quanto possa essere difficile," mormorò Bestla versando la pozione in un calice dorato, "è una strada su cui non si può tornare indietro."
Nàl si morse il labbro inferiore e non rispose. Gli occhi verdi fissi sulle braci che ardevano nel camino.
"Volevi che parlassi con le Norne, prima di farmi una proposta simile?"
"Volevo che comprendessi il mio punto di vista," rispose la regina appoggiando il calice sul basso tavolino di fronte al principe e sedendosi davanti a lui, "quando mi sono premurata che non concepissi un bambino, non l'ho fatto per crudeltà. Mi credi, ora?"
Il giovane si rifiutò di rispondere.
"Sei un bambino intelligente, Laufey," continuò lei, "Odino passerà il resto della sua vita a cercare una soluzione che non esiste. Tu hai già compreso che, qualunque cosa farete, siete condannati e vostro figlio con voi."
Nàl fissò il calice di fronte a sè.
"Farà male, vero?"
Bestla sospirò, "danneggerà i tuoi organi al punto che non potrai più partorire dei figli, non è una pratica indolore."
Il viso di Nàl nin aveva espressione, "perchè mi sento come se stessi per uccidere mio figlio?"
"Non puoi uccidere qualcosa che non vive ancora, Laufey."
"Loki è vivo," una lacrima gli solcò una guancia, "è vivo..."
Bestla sorrise tristemente ed afferrò il calice, "allora salvalo," disse porgendoglielo, "salva lui ed il tuo popolo dal giudizio senza appello."
"Il mio popolo..."
"Se impedisci al principe del Caos di nascere, Jotunheim può avere una speranza per risollevarsi agli occhi dei Nove. Gli Jotun non saranno, per forza, additati come mostri... Non era il rispetto che volevi per la nistra gente?"
"Ad un tale prezzo..."
Bestla depose, di nuovo, il calice sul tavolino, "Laufey, nessuno ti porterà via Loki... Continuerai a sentirlo vivo anche dopo, continuerai a vederlo in sogno e..."
"E finirò con l'impazzire realizzando che non potrò mai conoscerlo sul serio," concluse il principe di Jotunheim con un sorriso terribile, "voglio parlarne con Odino..."
"No!" Esclamò Bestla, "non capirà..."
"No, è vero ma se gli impedisco di diventare padre ne morirà."
"Esistono le concubine, sai?"
"Oh, certo! Dovrei lasciare che una decisione presa in relazione a fatti ancora non accaduti possa distruggere la vita mia e di tuo figlio!"
"Siete nati per essere re," replicò Bestla, "prima o poi farete cose giuste per molti e tremende per voi."
Nàl si alzò in piedi passandosi una mano tra i capelli, "ci devo pensare."
Bestla annuì, "è comprensibile che ti serva tempo," lasciò il suo posto e si diresse verso la porta, "ti lascio solo."
Nàl annuì aspettando che la donna se ne adasse, poi si avvicinò al letto facendo scivolare una mano sotto il cuscino che, di solito, usava lui. Sentì la stoffa del fazzoletto che vi era nascosto e chiuse gli occhi: c'era stato un momento in cui il per sempre di Odino aveva raggiunto il suo cuore di ghiaccio.
Ritirò la mano voltandosi verso il tavolino.
Ora, non c'era nessuno per sempre nel loro futuro.
Si avvicinò ed afferrò il calice con entrambe le mani.
Ora, c'era solo la Fine.
"Perdonami..."
Ma nemmeno lui sapeva a chi rivolgere quella supplica.

***
Varie ed eventuali note:
Spero che tutti abbiate passato delle belle feste!
I miei più sentiti auguri anche se in ritardo, come di norma!

Passiamo subito alle note che negli ultimi capitoli ho continuato a saltare.
Thrud, Magni & Modi: avremo modo di vederli meglio in futuro. Nella mitologia, sono i figli che Thor ha avuto rispettivamente da Sif e Jàrnsaxa. Le mie informazioni sulla madre di Modi sono piuttosto confuse, quindi non ci metterei la mano sul fuoco. Nei miti, Thrud è una bella fanciulla con i capelli biondi, qui viene presentato come piccolo Jotun intersex particolarmente assomigliante a Loki.
Freya: come già detto, ho usato il nome anglicizzato di proposito. È la figlia di Njord e di sua sorella (di cui le mie fonti non citano il nome), ha un fratello che avremo modo di approfondire più avanti. Viene spesso confusa con Frigga e sembra che in alcune versioni finiscano per divenire lo stesso personaggio. È una dea legata alla feritilità, alla sessualità e alla bellezza.
Skaði: nella mitologia è una Jotun ed una dea associata all'inverno e alle montagne. È la figlia del gigante Thiazi e moglie di Njord. Qui ha subito il tradizionale cambio di sesso ed è stato venduto dal padre al re dei Vanir come giocattolo sessuale. Nell'arco del presente è un curatore ancora fedele a Laufey.
Norne: vivono tra le radici di Yggdrasill, l'albero della Vita al centro del cosmo. I loro nomi sono Urðr, Verðandi e Skuld. Tessono l'arazzo del destino. La vita di ogni persona è una corda nel loro telaio e la lunghezza della corda è la lunghezza della vita dell'individuo. 
Jotun citati: tutti gli altri personaggi Jotun citati nei capitoli hanno ruoli pseudo-secondari che verranno approfonditi con il procedere della storia.
Safe & Sound: titolo dalla canzone cantata dal piccolo Thrud all'inizio del capitolo XVI.

Veniamo a noi.
Io continuo a rimandare delle scene per fare spazio ad altre ma qui vediamo tutti e quattro i protagonisti fare un grosso passo in avanti che vedrà le sue conseguenze nel prossimo capitolo e poi comincerà la seconda, traggica, ultima parte di questo dramma infinito. Non è un caso che il Ragnarok sia spuntato fuori proprio ora.
Lo so, Thor era una specie rara in via di estinzione ma per torturare meglio Loki, devo torturare un poco anche lui.
Non odiatemi per questo!

Grazie mille a tutti lettori e recensori.
Alla prossima!

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Capitolo 21
*** Ombra ***


XX
Ombra
[Vananheim, secoli fa.]


"Che stai facendo?"
Nàl sobbalzò, il calice gli cadde di mano e ribalzò sul tavolino: il contenuto al suo interno finì in parte sul tappeto, in parte sul pavimento. 
Quando si voltò, di fronte a lui vi era solo un bambino, eppure era certo di aver udito la voce di un uomo.
"Che stai facendo?"
Capelli dorati, occhi di cielo ed un adorabile broncetto che chiedeva solo di essere cancellato a suon di baci.
Era bellissimo e Nàl non faticava ad immaginare che tipo di uomo sarebbe diventato con lo scorrere delle stagioni.
"Ti sei perso?"
Il bimbo scosse la testa.
"Come sei entrato?"
Il piccolo non rispose e gli corse incontro avvolgendogli le piccole braccia intorno alla vita.
Nàl s'irrigidì.
"Loki piange," spiegò il bambino premendo volutamente la guancia contro il ventre dello Jotun.
Il principe smise di respirare e quegli occhi azzurri si alzarono sul suo viso, "non lo senti?"
Nàl prese il piccolo per le spalle e lo allontanò da sè un po' bruscamente, "che cosa sei?"
Lui piegò il capo da un lato riflettendo, "papà mi chiama in tanti modi," si giustificò.
"E chi è tuo padre?"
"È il re più fortissimo di tutti!" Esclamò il bambino facendo un gesto teatrale con entrambe le mani.
"Il più fortissimo, senza dubbio..." Commentò Nàl sarcastico, "di sicuro non il più istruito. Si è scomodato a darti un nome, almeno?"
Il suo piccolo interlocutore lo ignorò bellamente tornando a toccare il suo ventre senza il minimo rispetto, "si è addormentato," spiegò con soddisfazione premendosi l'indice sotto il naso, "non arrabbiarti, se ti arrabbi lo svegli."
"Non posso svegliare qualcosa che non esiste."
"Non puoi nemmeno parlare con le cose che non esistono."
"Che bravo! Te l'ha insegnato tuo padre questo?"
"Eppure, tu parli con me..."

"Non ti è rimasto addosso nessun segno," spiegò Eir con un sorriso, "ma sarei felice di visitare anche Nàl."
"È con lady Bestla," rispose Odino lapidario lanciando un'occhiata alla curatrici intente a prendersi cura dello Jotun ancora privo di coscienza, "se la caverà?"
Eir si morse il labbro inferiore, "fisicamente sì..."
"Ma?"
"Aspettava un bambino," spiegò la curatrice con aria grave, "non credo potrà averne altri, non in quel modo, almeno."
"Oh..." Mormorò il principe abbassando lo sguardo, " lo sapeva?"
"Sì."
"Capisco..."
Loki irruppe nella stanza della guarigione in quel momento e corse subito nella sua direzione, "ma dov'eri finito? Sono ore che ti cerco!"
Odino nemmeno lo guardò, "sto bene."
"Con permesso," si congedò Eir lasciando i due giovani da soli.
Loki si sedette sul letto accanto al fratello, "Odino..." Chiamò preoccupato, "la servitù mi ha raccontato tutto, mi sono spaventato a morte e Nàl dove..."
Il principe strinse i pugni nel sentir pronunciare quel nome, "è nella nostra stanza," si affrettò a dire.
Sempre ammesso che esistesse ancora qualcosa al mondo che potesse essere deinfito di entrambi.
Persino il sogno di un figlio che, per un breve periodo, aveva fatto toccare le loro anime si era dissolto ed era divenuto un presagio di morte per tutti. 
"È saggio che stia da solo, dopo quello che è successo?"
"Non è solo," replicò il principe dorato, "è con mia madre."
Loki sgranò gli occhi, "una ragione in più per non lasciarlo!" Esclamò tirandosi in piedi.
Odino lo fissò con rabbia, "ma cosa vuoi da me?!" Sbottò e qualche curatrice si voltò a guardarlo, "non sono la sua balia ed è perfettamente in grado di badare a se stesso!"
Lo Jotun sgranò gli occhi e non seppe come replicare.
Il principe si morse il labbro inferiore ma non chiese scusa, si voltò ed uscì velocemente: non voleva parlare con nessuno, non ora. Prese a camminare per i corriodi del palazzo senza una meta precisa.
Non aveva alcuna intenzione di tornare da Nàl, non dopo tutto quello che era successo nelle ultime ore.
Le sue bugie, la morte di Njord e la condanna delle Norne.
Il principe dorato voleva solo addormentarsi e non risvegliarsi per molto molto tempo. 
Affrontare la situazione era troppo complesso ed era stanco, molto stanco.
Arrivato ai giardini, si sedette sul bordo di una delle fontane e si passò una mano tra i capelli biondi: quand'era diventato tutto così difficile? Un tempo, una sbronza, una puttana costosa e una bella nottata di sonno avrebbero risolto ogni cosa.
Ora, non credeva di avere la forza nemmeno di sollevare un calice pieno.
"Sei triste, papà?"
Alzò gli occhi ed il cuore gli saltò un battito.
Era molto tempo che non lo vedeva nei suoi sogni, a differenza di suo fratello che non sembrava volerlo lasciare in pace.
Per Nàl era esattamente il contrario.
Loki non era neanche nato e già preferiva Laufey a lui.
Che cosa c'era di diverso, quella notte? A parte il fatto che fosse completamente sveglio e che quello non potesse essere un sogno...
Il bambino saltellò nella sua direzione e appoggiò le piccole mani sulle sue ginocchia: che cosa c'era della natura Jotun in quel pulcino di corvo dagli occhi grandi e verdissimi? Se non fosse assomigliato a Laufey al punto da spaventarlo, non lo avrebbe mai scambiato per un mezzosangue.
"Perchè sei triste, papà?"
Odino sorrise passando una mano tra quei morbidi capelli neri, "papà è stanco, Loki."
"Non puoi essere stanco," lo rimproverò il bambino, "non hai avuto abbastanza tempo per stancarti."
Gli venne da ridere: anche se fosse stato biondo e con gli occhi azzurri non avrebbe faticato a capire di chi era figlio.
"Tu non sei nemmeno nato," replicò, quasi diverito, "cosa ne puoi sapere, tu?"
"È vero, non sono ancora nato," il bambino annuì, "eppure le parole di qualcuno che non ha nulla a che fare con me vi hanno terrorizzati."
Odino s'irrigidì.
"Non sono nato e non mi avete dato neppure una possibilità."

Nàl passò una mano sotto il mento del bambino obbligandolo a guadarlo negli occhi, "Thor?"
Il piccolo sorrise e gli posò un bacio sopra la pancia, "te lo ha detto Loki?"
Lo Jotun scosse la testa.
Thor strofinò il faccino contro il suo grembo, "Loki ha paura, lo sai?"
"Perchè ha paura?"
"Perchè pensa che tu e papà non lo volete," rispose il bambino con fare irritato, "io gli ho detto che, se anche voi non lo volete più, ci penso io a lui!"
"Che sciocchezza è mai questa?"
Thor scrollò le spalle, "non lo avete nemmeno conosciuto e già siete certi che sarà un mostro, anche io sarei arrabbiato, al posto suo."

"Sono un mostro, papà?"
Odino lo sollevò e lo mise a sedere sulle sue gambe, "come ti vengono in mente stupidaggini simili?"
Loki scrollò le spalle, "perchè sono bastate le parole di quelle donne cattive per non volermi più."
"Tu non hai idea di quanto ti vogliamo, piccolo mio."
"Se mi voleste," replicò il bambino, "ora vi amereste più di prima, lottereste per mettermi al mondo... Invece, non riuscite a stare insieme."
"È complicato, tesoro."
Loki tornò con i piedi per terra, "certo che è complicato, per questo lui vuole uccidermi, vero?"

"Perchè non volete Loki?"
C'era una chiara accusa negli occhi di Thor.
Nàl gli passò una mano tra i capelli, "lo vuoi così tanto ancor prima di venire al mondo tu stesso?" Domandò con un sorriso. Anche il piccolo sorrise, "nascerà per me."
"Modesto!" Esclamò lo Jotun. Tutto suo padre!
"Me lo fai questo regalo?" 
"Non posso fartelo da solo, piccolo."
Thor gli rivolse un sorriso furbetto. Un sorriso che non era nè suo, nè di Odino, eppure gli era familiare.
"Allora, prima devi dare a papà il regalo che tieni sotto il cuscino."
Nàl trattenne il fiato, poi la porta della camera si aprì e si voltò.
"Laufey..." Odino aveva i capelli in disordine, il fiato corto: doveva aver corso.
Lo Jotun abbassò di nuovo lo sguardo: il bambino era sparito.
"Thor?"
Odino chiuse la porta lentamente, "Thor?"
"Era qui!" Esclamò Nàl guardando il principe dorato negli occhi, "era qui! Lo vedevo come ora vedo te!"
Il giovane Aesir fece per aggiungere altro, poi vide il liquido nero che, lentamente, stava corrodendo il tappeto ed il pavimento, "Laufey...?"
Il principe di Jotunheim abbassò lo sguardo e sgranò gli occhi.
"Che diamine..." Odino non riuscì ad andare oltre. Serrò le labbra e prese lo Jotun per le spalle con violenza costringendolo contro il muro, "che cosa volevi fare? Eh?! Che cosa stavi tentando di...?"
Nàl lo spinse all'indietro e lo guardò in cagnesco, "non hai alcun diritto di..."
"Diritto? Tu devi dimenticarla quella parola! Hai idea di quello che posso farti, se solo decidedo di confidera a mio padre il grande piano di Jotunheim per riappropriarsi dello Scrigno dell'Antico Inverno?"
Nàl trattenne il fiato ma strinse i pugni, "preferisco condannarmi uccidendoti ora, piuttosto che permetterti di condannare il mio popolo."
"Il tuo popolo?" Odino rise, "tu sei scappato dal tuo popolo, caro il mio principe dell'Eterno Inverno!"
"Se mi odi così tanto..." Nàl si avvicinò al punto che i loro nasi si sfiorarono, "perchè non hai lasciato che Njord facesse di me ciò che voleva, eh?"
Il principe dorato strinse le labbra, poi abbassò lo sguardo, "cos'era quella roba?"
Nàl prese un respiro profondo cercando, a sua volta, di ritrovare la calma, "tua madre voleva sterilizzarmi, come una cagna a cui non si può permettere di avere dei cuccioli scomodi."
Odino lo guardò negli occhi: non mentiva.
"L'hai gettato?"
"Mi è caduto di mano..."
"Volevi prenderlo?"
Nàl si morse il labbro inferiore e si voltò, "non riesco a smettere di pensare ad una cosa."
Odino gli afferrò il polso, "che cosa?"
"Loki..." Mormorò lo Jotun, "è un nome semplice, non è comune ma è l'unico che darei al bambino che, una volta uomo, siederà sul trono di Jotunheim, dopo di me."
"Laufey, il nome di quel bambino ora non è..."
"Non lo sapevano," lo interruppe Nàl guardandolo, "ci hanno predetto il destino peggiore che potesse esistere ma non sapevano il suo nome."
Odino lo fissò in silenzio.
"Io conosco il nome di mio figlio, come lo conosci tu o chiunque sia abbastanza vicino a noi da saperlo," si sfiorò il grembo in un gesto automatico, "perchè lei lo ha chiesto a me? Perchè non ha saputo vederlo nel mio destino?"
"Loki mi ha chiesto perchè non lo vogliamo," mormorò Odino senza pensare, "mi ha chiesto se è un mostro."
Nàl inarcò un sopracciglio e scosse la testa confuso.
"Hai detto che Thor è venuto da te... Bene, Loki è venuto da me..."
Gli occhi verdi si accesero improvvisamente.
"Possono dirmi quello che vogliono, Nàl ma negli ultimi giorni ho visto più mostri di quelli che potevo sopportare di conoscere e nessuna profezia di morte e distruzione potrà convincermi che il mio bambino sarà come loro."
L'espressione dello Jotun s'infranse ed appoggiò la fronte alla spalla del principe dorato per non dover mostrargli le sue lacrime, "io non penso che Loki venga da solo..."
"Che intendi dire?"
"Thor..." Mormorò Nàl tornando in posizione eretta, "ha detto che Loki nascerà per lui, ha detto che è il nostro regalo per lui."
"E tu che cosa ne pensi?"
"Penso che ci sia sfuggito qualcosa," rispose lo Jotun, "penso che abbiamo sempre visto Loki e Thor come una possibilità, un sogno ma deve esserci qualcosa di più."
"Spiegati..."
"Loki non può nascere senza Thor... Thor non ha ragione di venire al mondo, se non per aspettare Loki..."
Odino cercò di rifletterci, "le Norne non ne hanno parlato."
"Perchè non lo sanno," concluse Nàl con un sorriso trionfante, "Thor non c'è in quella profezia, loro non conoscono il nome di Loki e forse è tutto, semplicemente, sbagliato."
Odino fissò il fuoco nel camino per qualche secondo, "quindi, siamo sbagliati anche noi?"
Quando tornò a guardarlo, Nàl non tradiva alcuna emozione particolare, "sei libero di far di me ciò che vuoi," non era una concessione ma un dato di fatto, "se riesci a punirmi per un complotto che non ho mai realizzato e dimenticare tutto il resto, fai pure ma sei stato il primo a credere in quei sogni e, che tu lo voglia o no, quel figlio ancora non nato ci unisce più di quanto pensi."
Odino sorrise amaramente, "dovrei dimenticare che la tua prima intenzione era sedurmi, usarmi ed uccidermi? Dovrei credere che, ora, quello che ho davanti agli occhi è il vero te e non l'ennesima bugia?"
Per tutta risposta, Nàl si avvicinò al letto e recuperò qualcosa da sotto il suo cuscino.
Odino attese in silenzio, mentre il giovane Jotun stringeva l'oggetto misterioro contro il petto, "non abbiamo due sessi distinti su Jotunheim, questo già lo sai," Nàl sorrise amaramente, "non esiste una cerimonia per unire due persone ma solo un gesto privato."
Si guardarono negli occhi per un minuto che parve eterno.
"Si può vivere la sessualità senza rischiare di avere qualche incidente," ridacchiò, "i nobili ne fanno una questione di forza, le persone comuni non hanno una simile sfortuna. Tutti, però, abbiamo un solo modo per unirci fino alla morte: quando vogliamo chiedere ad uno Jotun di essere il nostro compagno, gli chiediamo di essere il padre di nostro figlio."
Nàl gli porse il fazzoletto che stringeva così gelosamente.
"E con questo dono suggelliamo la promessa di divenire una cosa sola in una nuova creatura, una nuova vita."
Odino afferrò il pezzo di stoffa e lo aprì sul palmo della mano: al centro, era macchiato di sangue.
Sgranò gli occhi azzurri.
Nàl lo guardava con aria solenne.
"Non ti avrei mai concesso quella parte di me solo per avere l'occasione di ucciderti. Ho mentito su tante cose ma ho giurato col sangue, quando mi hai chiesto di rimanere al tuo fianco. Riesci a credere almeno a questo?"
Odino strinse il fazzolletto nel pugno e se lo portò al petto.
"Sì, mio principe."
 
[Asgard, oggi.]


Odino accettò la sfida di Loki e trovò il coraggio di affrontare la condizione di Thor due giorni più tardi.
Suo figlio se ne stava seduto sulla balconata con quella maledetta bambina stretta contro il petto.
Il sorriso radioso che gli rivolse, quando lo vide, gli fece male.
"Il nonno è venuto a trovarci," mormorò alla creaturina semi-addormentata, "vuoi prenderla in braccio, padre?"
Odino fece un passo indietro e scosse la testa.
Gli occhi di Thor si oscurarono per la delusione ma non disse nulla.
"Hai scelto il nome?" Domandò il re cercando di far apparire quella conversazione naturale.
Thor non aveva colpe, non era giusto infierire su di lui più del necessario.
Era Loki quello destinato ad incassare la sua rabbia.
Ma più tardi... Più tardi...
"Non ne ha bisogno," rispose suo figlio prontamente, "lei è speciale."
Odino si costrinse ad annuire e a non insistere, "tuo fratello vuole che tu mi mostri una cosa."
Thor lo guardò con occhi pregni di meraviglia, "tu e Loki vi parlate?"
Il re sospirò ed annuì di nuovo.
"Ne sono felice!" Si alzò in piedi e depose la bambina addormentata nella culla sontuosa che, secoli prima, era stata occupata da lui e, successivamente, da suo fratello, "che cosa vuole che ti mostri?"
Odino strinse le labbra fissando un punto qualunque del pavimento.
C'era una domanda che continuava ad ossessionarlo da quando i due giovani erano tornati a casa. Una domanda di cui temeva la risposta. Scosse la testa e la cacciò via.
"Loki, un anno fa, ti ha dato in dono qualcosa?"
Gli occhi di Thor s'illuminarono, le guance si colorarono appena, poi estrasse un fazzoletto da una tasca interna della tunica, "mi piace tenerlo vicino al cuore," confidò timidamente porgendo il pezzo di stoffa al genitore.
Odino lo prese tra le mani e lo studiò con cura.
Un mancamento improvviso lo costrinse ad appoggiare una mano sul parapetto della balconata.
Thor lo afferrò per le spalle, "ti senti male, padre?"
Odino scosse la testa e si allontanò.
Doveva porla quella domanda. Doveva o sarebbe impazzito.
"Thor," strinse il fazzoletto nel pugno, "tuo fratello ti ha fatto del male in qualche modo?"
Il giovane sorrise e scosse la testa, "no, mai..."
"Thor, sii sincero con me," insistette Odino con una gentilezza che non ricordava di aver mai usato nei confronti di nessuno dei suoi due figli, "non devi vergognarti di nulla, non è stata colpa tua."
Il giovane scosse la testa, "perchè stiamo parlando di colpe, ora?"
"Perchè ti conosco!" Esclamò, "come conosco tuo fratello e non è possibile che tu abbia compiuto azioni simili con lui, senza che... Senza che..."
"Io non ho fatto nulla contro la mia volontà," insistette Thor, "perchè è così difficile da credere?"
Odino sbattè il pugno contro la superficie del parapetto.
Thor sobbalzò ed indietreggiò finendo seduto sulla poltrona.
"Perchè non esiste..." Sibilò il sovrano, "non è assolutamente possibile che mio figlio si sia fatto sodomizzare da Loki Laufeyson!"
"Allora non conoscete i vostri figli, mio re," rispose Thor duramente.
Lo schiaffo che ricevedette gli fece sbattere la testa contro lo schienale della poltrona.
"Odino!"
Il re fu spintonato all'indietro, mentre sua moglie prendeva tra le mani il viso del loro primogenito per controllare la guancia lesa, "sei impazzito?" Tuonò Frigga voltandosi verso il consorte.
"Impazzito?" Odino gettò il fazzoletto a terra, "se la mia è pazzia, questa come la definisci?"
Frigga raccolse il pezzo di stoffa e fissò le macchie scarlatte al suo centro con gli occhi sgranati.
"Oh..." Si portò una mano alla bocca, "T-Thor..."
Il figlio glielo strappò di mano e si alzò in piedi fissando entrambi i genitori dall'alto al basso, "perchè vi comportate in questo modo?"
"Thor," Frigga prese un respiro profondo, "tu conosci il valore di quell'oggetto?"
"Non ha alcun valore!" Sbottò Odino di colpo.
La bambina cominciò a piangere.
"Non siamo su Jotunheim! Non ha alcun valore!"
Thor lo ignorò e prese la piccola tra le braccia baciandone la testolina bionda, "tranquilla, amore, tranquilla..."
Odino non poteva sopportare oltre, "Thor, torna in te!"
"Odino, ti prego..." Frigga gli strinse un polso con aria supplicante.
"Quella bambina non è tua figlia!" Ruggì, "è un gioco diabolico di tuo fratello per distruggerti!"
"Loki mi ama!" Fu la replica furibonda, "mi ama ed io amo lui."
"Thor, non sei tu a parlare!" Esclamò Odino disperatamente, "ti rendi conto che confessare questi tuoi sentimenti è una follia? Comprendi che potrei condannarti per le tue parole?"
"Perchè amo uno Jotun? È questo il problema, padre?"
"No, Thor..." Il re scosse la testa, "credimi, non è questo..."
"Allora cosa...?"
"È un incesto, Thor!" Urlò Odino, "è un incesto con un fratello che ci ha traditi tutti! È un crimine contro natura e contro Asgard, Thor!"
"Odino, basta!" Esclamò Frigga frapponendosi tra il marito ed il figlio. Fece un respiro profondo, poi si voltò verso il giovane che, per quanto si sforzasse, non riusciva più a riconoscere nemmeno lei.
"Tesoro..." Mormorò.
Le attenzioni di Thor erano tutte per la bambina, ora.
"Conosci il significato del gesto di Loki?"
Lui nemmeno la guardò.
"Buona, amore mio," il principe rientrò in camera e si sedette sul letto, "il tuo papà ci ama con tutto se stesso. Ha detto che non dobbiamo dubitare mai di questo."
"Io non ce la faccio..." 
Frigga guardò il marito, come se non avesse compreso le sue parole.
"Io non ce la facco," ripetè il sovrano più chiaramente prendendo la via della porta.
Loki l'aveva sfidato e, lo giurava su tutti i Nove Regni, gliel'avrebbe fatta pagare.

 
[Asgard, secoli fa.]



Borr aveva insistito perchè Odino partecipasse alle riunioni ufficiali del consiglio subito dopo la sua vittoria contro i Vanir.
Quella guerra, al principe, era sembrata la prima di una lunga serie di gesta gloriose.
Invece, aveva smesso di contare le stagioni che erano trascorse dall'ultima volta che aveva visto un campo di battaglia.
"Forse, dovresti stare a sentire quello che dicono," propose la fanciulla seduta accanto a lui.
Sembrava ieri che Freya era solo una bambina, erede di un regno distrutto. Ora, a mezzo metro da lui, vi era una bellissima adolescente sul punto di far ritorno alla sua terra per sedere sul trono che le apparteneva di diritto.
"Stanno per scatenare una guerra?" Domandò Odino con aria assorta.
"No," lei sorrise.
"Allora, è meglio che taccia o potrei rischiare di farla scoppiare io."
Qualcuno si lamentava del guardiano del Bifrost.
Qualcun altro dello spreco di risorse belliche per la lunga occupazione di Vananheim.
E Odino avrebbe tanto voluto aggiungere che, se non l'avessero fatta finita molto presto, si sarebbe ritrovato al cospetto di un principe di Jotunheim particolarmente irritato. Era politica anche quella, dopotutto!
Per questo, quando vide suo padre lasciare il suo posto, non esitò a fiondarsi in direzione della porta: non fosse mai che qualcuno lo trattenesse per chiedere la sua opinione riguardo il colore delle tende della sala del trono!
Quando entrò in una camera completamente illuminata e con ben due Jotun occupati a piegare asciugami e vestiti, realizzò di aver fatto tardi.
Loki fu il primo a rivolgergli un sorrisetto di rimprovero, "il sole è tramontato da un pezzo..."
Odino sbuffò, "ho dei doveri io!" Alzò volutamente la voce, in modo che l'essere chiuso in bagno potesse udirlo.
"Sì, e lui è il primo," commentò Loki indicando la stanza adiacente con un movimento del capo.
"Mio principe," Skaði chinò la testa in segno di rispetto, prima di appoggiare in fondo al letto gli abiti da notte per lui e per la cosa viziata che sprecava acqua calda a tarda sera, "Lady Frigga vi porge i suoi saluti."
"Oh, è passata anche lei!" Odino forzò un sorriso, "chissà come si sono divertiti lei e quell'altro a parlare male di me!" 
"Invece di sbraitare per farti sentire, fratello," Loki si avvicinò e gli porse una pila di asciugami puliti, "perchè non finisci il lavoro per noi e ti fai perdonare? Skaði ha un'altra principessa di cui prendersi cura ed io devo dare ordine agli stallieri di preparare i cavalli per domani mattina."
Odino sbuffò ma accettò l'incarico in silenzio.
Loki sorrise, "andiamo, Skaði."
L'altro Jotun lo seguì sorridendo, a sua volta, sotto i baffi.
"Vuoi sapere una cosa?" Cominciò dirigendosi verso il bagno, "uno dei miei fratelli, non mi sovviene quale, mi ha domandato come è possibile che io mi accontenti di prendere lo stesso amante da tanti anni che una vita mortale non potrebbe contenere."
La stanza era calda e piena di vapore. Odino sorrise, appoggiò gli asciugamani su di un tavolino dorato e poi prese a liberarsi dei propri vestiti. 
"Io ho cominciato a parlare di cose meravigliose ed onorevoli come sentimenti d'amore e di rispetto e l'altro mio fratello, non mi ricordo chi nemmeno ora, ha sottolineato che sono motivazioni accettabili solo nel qual caso siano ricambiati."
Una figura emerse improvvisamente dal centro della vasca da bagno.
La pelle nivea accarezzata da una miriade di goccioline.
I capelli corvini che gli ricadevano sugli occhi verdi.
E, infine, il filo dell'acqua che sembrava farci a posta ad accarezzargli a stento la linea dei fianchi.
"Ti stavi lamentando di qualcosa, principe dorato?"
E Odino sorrise, perchè non poteva fare altro, "assolutamente no, principe di Jotunheim."

 
[Jotunheim, oggi.]



"Prenditi cura di mio fratello."
"Lo farò, mio principe."
"Giuralo!"
"Sulla mia vita."
Býleistr aveva giurato a sè stesso che non avrebbe pianto ma, quando suo fratello gli aveva baciato una guancia e lo aveva abbracciato un'ultima volta, non aveva potuto trattenersi oltre. 
"Non ti permetto di essere triste," Helblindi aveva sorriso dolcemente, fino all'ultimo istante, "oggi comincia la tua vita, fa che sia degna di tale nome!"
Non era più sicuro rimanere alla gola.
Býleistr non avrebbe mai rinunciato a Bàli e Laufey non avrebbe mai permesso loro di rimanere insieme.
Helblindi aveva dato loro tutto il necessario per poter cominciare una nuova vita insieme, dove meglio credevano.
Bàli conosceva un posto.
Una montagna ad un giorno di viaggio da lì, al cui interno, il ghiaccio aveva formato un'enorme cavità con alte colonne che reggevano il soffitto.
"Assomiglia al salone di un palazzo reale!" Commentò Bàli afferrando la mano del compagno.
Una volta messo piede in quel luogo, Býleistr comprese che non si trattava di una semplice esagerazione.
Quello che, però, il suo cacciatore aveva dimenticato era il dettaglio più bello.
"I firoi di Jotunheim!" Esclamò subito, "sono i fiori neri di Jotunheim."
Tutto il pavimento ne era ricoperto.
Il principe lasciò a terra il proprio bagaglio e s'inginocchio di fronte a quelle strane creature.
Erano vive, soleva dire suo padre, quando raccontava loro storie di un passato che non potevano rammentare.
Vivevano della stessa forza che animava il cuore dell'Antico Inverno.
"Non li avevi mai visti?" Domandò Bàli con un sorriso.
"No," rispose il più giovane, "mio padre dice che vivono grazie al Seiðr, la forza che era sprigionata dallo Scrigno... Quello che riusciva a comandare l'inverno."
"Appartiene agli Aesir ora, vero?"
Býleistr annuì con aria grave sfiorando un petalo corvino, "ricordi cosa ti dissi riguardo al fratello che non ho mai conosciuto?"
Bàli non rispose: nessuno avrebbe potuto dimenticare un segreto così.
"Mio padre ci raccontò che lo diede alla luce in un luogo in cui crescevano questi fiori," Býleistr si tirò in piedi, "stavano appassendo perchè la guerra stava distruggendo Jotunheim stessa. Disse che, quando quel bambino aprì gli occhi, sbocciarono di colpo, uno ad uno."
"Come fu possibile?"
Býleistr scrollò le spalle, "era maledetto, doveva averne il potere."
"Parli sempre di lui al passato," gli fece notare il cacciatore, "se sai chi è, se sai che è vivo, perchè...?"
"Per Laufey, re di Jotunheim, quella creatura è morta il giorno della nostra sconfitta," lo interruppe Býleistr, "è una legge non scritta che, chiunque sappia della sua esistenza, lo consideri tale."

 
[Asgard, oggi.]



Odino irruppe nello studio del traditore con violenza.
Loki era seduto dietro la sua scrivania, la guancia destra appoggiata contro il pugno chiuso, l'espressione annoiata.
Non battè ciglio, quando incontrò gli occhi furenti del re.
"Thor non sa nulla," dichiarò, prima che l'altro potesse parlare, "e non sarò io a dirglielo... Mai..."
Odino esuarì lentamente la distanza tra loro, "da quanto?"
"Da un anno."
"Come?"
"Nella torre in cui mi hai rinchiuso, alla fine della mia punizione, abbiamo trovato un diario."
Odino sgranò l'unico occhio, poi fissò il pavimento ricoperto di carte e libri, "lo avevo distrutto..."
"È scritto a metà," proseguì Loki, "le altre pagine sono bianche. Risale a prima della guerra, vero?"
Odino non rispose continuando a guardarsi intorno con aria smarrita.
"Io..." Strinse le labbra, prima di riprendere, "il bambino di cui hai letto nelle ultime pagine delle mie memorie..."
"L'hanno ucciso su Jotunheim, vero?"
Il sovrano non parlò di nuovo, fissò un punto nel vuoto, mentre le tremende immagini di quel maledetto giorno gli passavano davanti agli occhi con mostruosa chiarezza. Il sapore del sangue in bocca, Laufey che urlava il suo nome, mentre Ymir e Fàrbauti lo trascinavano via. 
Suo padre era morto.
Lo Scrigno dell'Eterno Inverno era tornato a Jotunheim.
E suo figlio...
Il primo Thor.
Il bambino che sarebbe dovuto essere il loro primogenito ed unire due troni sotto una sola corona...
"Non gli hanno permesso di nascere," disse lapidario.
Loki non aveva alcuna intenzone di essere misericordioso, però.
"Jotunheim vi ha messo in ginocchio, quel giorno."
"Quando rividi Laufey, eravamo entrambi re e non c'era più nulla che ci legasse!" Tuonò il sovrano, "questo è tutto ciò che c'è da sapere."
Loki rise istericamente, "bugie, bugie, bugie..." Sibilò, "è incredibile come tutta Asgard ignori, o finge d'ignorare che la tua vita è girata tutta intorno a degli Jotun. Per quale motivo mi hai chiamato Loki, eh? Era un amichevole suggerimento ai vecchi nobili che, sì, c'era qualcosa di diverso in me?"
"Ho dato al fratello di mio figlio il nome di quello che avevo perso, perchè speravo che saresti stato per Thor quello che Loki fu per me."
Loki sbattè un pugno sul tavolo e si alzò in piedi, "basta menzogne!"
"Puoi calunniarmi quanto vuoi!" Lo sfidò Odino, "hai letto le mie memorie! Devi soffrire di manie di persecuzione, se credi che ci sia altro da dire."
Loki si passò una mano tra i capelli, "so tutto!" Non riusciva a smettere di ridere come un folle, "so tutto, mio re!"
"Non c'è nulla da sapere, pazzo!"
Loki sgranò gli occhi, "pazzo?" Chiese con voce stridula facendo, lentamente, il giro della scrivania, "sì, potrei esserlo... Sono cose che capitano quando si è nati dalla follia di due sovrani."
Odino non disse nulla ma il terrore nei suoi occhi era evidente, "il modo in cui sei nato non è rilevante."
"Lo chiamavi Nàl, vero?" Il viso di Loki era una maschera di rabbia e disperazione. Esaurì la poca distanza che lo seperava dal genitore, "come lo hai chiamato quella notte d'inverno in cui te lo sei scopato sotto la neve, su Midgard, mentre tua moglie ti aspettava a casa col vostro bambino ancora attaccato al seno?"
Loki non aveva mai ricevuto molti schiaffi in vita sua.
C'era stato un tempo, in cui invidiava tutti quelli che Thor riceveva dalle mani del padre: erano pur sempre un tipo di attenzione che premetteva l'esistenza di un sentimento piuttosto forte. Molto più della fredda gentilezza con cui veniva mascherata l'indifferenza nei suoi confronti.
Nel sentire la guancia bruciare, Loki rise. 
Rise perchè aveva ottenuto una briciola di quelle attenzioni solo ora che non ne aveva più bisogno.
Odino gli afferrò le spalle.
"Che cosa vuoi?" Domandò con disperazione guardandolo dritto negli occhi, "la libertà? Un trono? Cosa?"
E Loki lo odiò più che mai, "per il mio silenzio, intendete?"
"Perchè io possa essere liberato."
"Da cosa?" Loki sorrise beffardo, "siete un re tra i re e m'implorate? Sono il vostro peccato più grande, non avrete alcuna pace da me."
"Allora vattene!" Sbottò Odino spintonandolo all'indietro, "sparisci dalla mia vista e non tornare mai più!"
"Non senza ciò che mi spetta di diritto..." Gli occhi di Loki erano divenuti improvvisamente lucidi.
"Non hai alcun diritto sul trono di Asgard."
"Ma non voglio quel trono. Io voglio Thor."
Non un tentennamento.
Non una vibrazione di paura.
Non c'era via di fuga. Solo la crudele realtà.
Odino rilassò le braccia lungo i fianchi, l'espressione stanca: si era arreso.
"E non importa quanto sia alto il trono su cui sedete," aggiunse Loki, "non avete alcun diritto di decidere se Thor deve essere mio o meno."
"Ti ammazzerò, prima che tu possa sfiorare mio figlio ancora."
"Troppo tardi, padre," una lacrima sfuggì al controllo del principe, "avreste dovuto lasciarmi morire secoli fa, quando ne avevate l'occasione. Ora, non ho alcuna intenzione di morire."
Si dissolse in un bagliore verde.

 
[Asgard, secoli fa.]



Nàl alzò il viso e Odino gli sfiorò le labbra con le proprie, prima che lo Jotun tornasse a rilassarsi contro la sua spalla.
"Ci avresti mai creduto?" Domandò il principe dorato affondando il naso tra quei capelli corvini.
"A cosa?" Domandò Nàl stancamente.
"Eravamo due adolescenti o poco più ed ora potremmo sembrare degli adulti anche su Midgard."
Lo Jotun lo guardò, "che, alla fine, ti avrei concesso le mie grazie o che ti avrei sopportato per tutti questi anni?"
"Stai zitto..." Odino si mosse e lo bloccò sotto di sè.
"Domani è una giornata impegnativa," gli ricordò lo Jotun, eppure cercò le sue labbra.
"Penseremo domani a domani," replicò Odino afferrando una delle morbide cosce ed invitandola a circondargli la vita. 
Nàl gli diede una spinta a tradimento e lo buttò sul letto, invertendo le loro posizioni.
"Hai già avuto la tua cavalcata, mio principe."
"Che volgarità!"
"Lascia che abbia la mia..." Nàl si chinò a baciarlo un'ultima volta afferrandogli i polsi e portando le mani di Odino su suoi 
fianchi, poi gli premette i palmi contro il petto per farsi leva. Lo accolse dentro di sè con un sospiro, seguito da un sorriso malizioso. 
Odino, semplicemente, lo adorava.
La luce della luna era l'unica cosa ad illuminare lo splendido amante che si prendeva il suo piacere facendolo impazzire.
S'illudeva sempre che, dopo il primo amplesso, il secondo gli avrebbe permesso di dare il meglio di sè, invece gli bastava sentire il suo calore per morire di desiderio.
Il verde dei suoi occhi sembrava essere l'unico colore al mondo.
Suo padre gli aveva insegnato a prendersi piaceri fugaci e bellissimi perchè la vita di un guerriero, per essere gloriosa, non poteva che essere, inevitabilmente, breve. Una fine da grande guerriero, per il principe dorato, era sempre stato il destino che aveva immaginato per se stesso. 
Ma ora... Ora... Non avrebbe sprecato nemmeno un giorno di più della sua vita da semi-dio ad inseguirlo.
Voleva vivere a lungo e voleva farlo per poter fare l'amore col principe di Jotunheim fino alla fine dei tempi.
Si alzò di colpo e lo strinse a sè, mentre Nàl affondava le mani tra i suoi capelli e consumava per entrambi gli ultimi istanti di quell'indimenticabile parentesi erotica. L'ultima di un milione.
Forse, era la vita reale ad essere una parentsi per loro, mentre, tra quelle lenzuola, prendeva vita il loro vero mondo, solo per loro due. 
Tre... Quattro, un giorno...
Odino alzò il viso e Nàl fece incontrare le loro labbra, senza smettere di accarezzargli i capelli biondi.
Il palmo del principe dorato si posò sotto l'ombellico dell'amante.
Il desiderio, la speranza di qualcosandi più.
Quel dolce dettaglio che avrebbe regalato ad entrambi la perfezione.
Nell'oscurità della loro alcova, Odino sorrise contro le labbra del suo principe, mentre Nàl tratteneva il respiro ed il dolore che quella calda mano contro la sua pelle gli provocava.


Loki si strinse nel mantello: le scuderie erano inquietanti di notte, buie e silenziose.
Gli occhi scuri dei cavalli ancora svegli lo fissavano con insistenza e non gli piaceva.
Aveva sempre avuto paura di quelle creature, sebbene non ne avesse mai capito il motivo.
Uno stallone nero scrollò la criniera facendolo sobbalzare.
Loki imprecò qualcosa a denti stretti ed accellerò il passo: dove si era nascosta la servitù? Possibile che tutti si fossero già ritirati nelle loro stanze?
Un cigolio alle sue spalle lo fece voltare e, involontariamente, andò a sbattere contro qualcuno.
"Guarda dove metti i piedi!" Esclamò il giovane e Loki sobbalzò.
"Chiedo scusa," disse costernato, "non ti avevo visto."
Il giovane cambiò tono di colpo, "oh, perdonatemi, non credevo che i nobili scendessero quaggiù."
Loki alzò gli occhi: non conosceva quel ragazzo, eppure era troppo grande per essere un'apprendista.
"Non era mia intenzione mancarvi di rispetto, mio signore."
Il suo aspetto cozzava con la compostezza delle sue parole: indossava solo un paio di pantaloni molto semplici, i capelli color mogano erano in disordine ed il viso sporco di terra. Loki si chiese quando doveva essere stata l'ultima volta che aveva fatto un bagno, eppure non era disgustato.
"Non sono un nobile," rispose con gentilezza, "ho un ordine da comunicare: domani mattina, devono essere preparati sei cavalli e portati nel cortile principale."
Il giovane annuì, "siete il giovane Jotun che l'erede al trono ha preso come compagno?"
Loki sorrise amaramente, "spiacente deludervi, lo Jotun di cui parlate non vanta di alcun titolo ma è trattato al pari del giovane che un giorno prenderà posto sul trono dorato."
L'altro fece una smorfia, "bella fregatura, vero?"
"Prego?"
"Che un tuo pari possa diventare tanto importante pur non essendo nessuno," spiegò l'altro avvicinandosi ad uno dei cavalli ed accarezzandogli il muso, "e tutto per aver aperto le gambe al momento giusto."
Loki sgranò gli occhi, "rimangiati subito quello che hai appena detto."
Il giovane lo guardò confuso, "hai detto di non essere un nobile."
"Le persone più care a me lo sono."
Lui rise, "devi aver avuto una vita molto triste, allora."
"Come osi?!" Esclamò lo Jotun rabbioso, "giudichi persone che non hai mai incontrato per un titolo che non hanno chiesto, lo hanno solo ereditato."
"Che amaro destino il loro, vero?" Domandò il giovane sarcastico, voltandosi a guardarlo negli occhi, "è un peccato."
"Che cosa?"
"Che tu appartenga a qualcuno che non ti vuole."
Loki scosse la testa con fermezza, "io non appartengo a nessuno."
"Tutti gli schiavi appartengono a qualcuno."
"Io non sono uno schiavo!"
"Tutti gli Jotun lo sono," replicò il giovane distrattamente, "riferirò il tuo ordine," aggiunse, sparendo nel buio della scuderia, "buona notte, piccolo Jotun."
E Loki rimase lì, fermo, immobile.
"Come l'ha capito?"

"Sei molto bella, questa mattina," commentò Frigga giocando con una ciocca di capelli biondi di Freya.
La fanciulla sorrise, "nessuna dama di questa corte sarà mai bella quanto te."
La giovane donna sospirò, "non invidiarmi, piccola mia! Ho raggiunto l'età in cui mio padre si dispera perchè io trovi marito... Che follia!"
"Se mi permetti, non è poi necessario che tu debba guardare così lontano," Freya indicò i due fratelli dell'erede al trono con un cenno del capo. Frigga alzò gli occhi al cielo, quando Vìli e Vè ammiccarono nella sua direzione.
"Devo confidarti che non li sopporto."
"Non sono belli quanto Odino, ma non sono poi così orribili!"
Le due fanciulle scoppiarono a ridere, mentre Nàl prendeva posto al tavolo accanto a Frigga sospirando stancamente.
"Non hai l'aria molto riposata," commentò quest'ultima con malizia.
Lui le lanciò un'occhiata storta, "comincio a capire perchè tutte le coppie nobili hanno camere separate."
"Una volta sapevi mentire meglio, ora non ti crede più nessuno quando ti lamenti del nostro principe dorato."
"È un'offesa?"
"No, sono solo felice di sapere che state bene."
"Per me, è un'offesa."
Freya si sporse con urgenza nella direzione dello Jotun, "Odino ti ha detto se qualche altro nobile parteciperà alla battuta di caccia di stamattina?" Gli occhi le brillavano e Nàl dovette trattenere una risata.
"Dimmi il nome del guerriero che ha attirato la tua attenzione e farò in modo che venga a quella di domani."
Freya arrossì di colpo e Frigga le passò una mano tra i capelli, "non c'è nulla di cui vergognarsi, tesoro!"
"Chi non deve vergognarsi?" Chiese Odino sedendosi accanto al compagno ed afferrando subito una fetta di dolce.
"Nessuno!" risposero Frigga e Nàl all'unisono e con pefetta nonchalance.
Odino li fissò, "ricominciate a nascondermi le cose?"
"Non abbiamo mai smesso," ammise Nàl con un sorrisetto furbetto che il principe non potè evitarsi di rubare con un bacio.
Lo Jotun si scansò di colpo."Cosa c'è?" Chiese l'Aesir.
"C'è che l'intera corte sta facendo colazione intorno a noi," sibilò Nàl.
Odino fece un gesto scocciato con la mano, "come se non avessero abbastanza fantasia per immaginare cosa facciamo in camera da letto!"
Per la fortuna del giovane Aesir, Loki scelse quel momento per presentarsi, "Nàl, devo parlarti..."
Il principe di Jotunheim, in altre occasioni, non lo avrebbe nemmeno guardato, prima di aver inflitto ad Odino quella che avrebbe ritenuto una degna punizione, ma il tono della sua voce era quello di una persona profondamente allarmata che non vuole farlo notare.
"Con permesso!" Disse velocemente il giovane Jotun alzandosi dalla tavola imbandita, poi afferrò il polso di Loki ed uscirono entrambi sulla balconata, "che ti prende?"
L'altro tremava da capo a piedi.
"Loki, che cosa è successo?"
Il fratello del principe dorato si morse il labbro inferiore, poi si decise a parlare, "ieri notte, c'era un ragazzo nelle scuderie."
"Un membro della servitù?"
Loki scosse la testa, "non lo avevo mai visto prima," rispose, "era giovane, sì ma era comunque troppo grande per essere un nuovo arrivato. Borr è molto severo con la scelta dei membri della servitù, la maggior parte di loro sono bambini cresciuti in questi saloni ed educati fin da piccoli al mestiere."
Nàl fece una smorfia, "il re pretende totale ubbidienza, dico bene?"
"Non è solo questo," Loki scosse la testa, "è questione di sicurezza, Nàl... Alle volte, credo che Borr non mi abbia cacciato da questo palazzo, dopo che Odino mi aveva legato a sè con quel rituale di sangue, perchè era certo che così suo figlio sarebbe stato al sicuro... Non si fidava della mia razza ma vedeva chiaramente la mia devozione."
"Pensi che quel giovane sia un intruso?" Domandò il principe cercando di seguire la linea di quei pensieri.
Loki si strinse nelle braccia e scosse la testa, "non posso puntargli il dito contro."
"Ma c'è qualcosa che ti turba, se sei venuto a parlarmi..."
"Sapeva che sono uno Jotun," confessò, infine, il fratello del principe.
Nàl lo fissò, "ti ha riconosciuto, intendi?"
"No," Loki scosse la testa, "non sapeva chi fossi. Mi ha scambiato per un nobile, prima, forse per i miei abiti... Ha pensato che fossi il servo di una persona importante, dopo. Ho cercato di correggerlo ma, poi, ha detto che tutti gli Jotun sono degli schiavi... L'ha detto come se sapesse..."
Nàl rimase a riflettere per un attimo, "assomigliamo agli Aesir ma, anche con questa forma, abbiamo i nostri tratti distintivi... Capelli scuri, pelle chiara..."
"Ma in quanti sanno come appare uno Jotun nelle spoglie di un Aesir?"
"Che cosa pensi, sinceramente?"
Loki prese un respiro profondo, prima di parlare, "penso che, per Jotunheim, sei un traditore e che nessuno regno lascia impunito qualcuno con una simile colpa, specialmente se è un principe."
[Asgard, oggi.]

"Avete bisogno di altro, mio signore?"
Sleipnir scosse la testa passandosi le dita bagnate tra i capelli, "va bene, così, puoi andare."
Il servitore ubbidì, dopo un breve inchino.
Il giovane si rilassò contro il bordo della grande vasca e chiuse gli occhi con un sospiro.
"Capelli neri, carnagione pallida..."
Spalancò le palpebre atterrito.
"Sì, decisamente banale."
Sleipnir si voltò spingedosi verso il centro della vasca: c'era un giovane appoggiato al muro.
Lo conosceva... Lo conosceva bene.
"Loki?"
L'intruso annuì, "proprio così."
Sleipnir arrossì non sapendo come comportarsi di fronte a quel principe che della sua esistenza non avrebbe nemmeno dovuto sapere nulla. Abbassò gli occhi e rimase in silenzio, mentre il giovane muoveva qualche passo lungo il bordo della vasca.
"Ti credevo più gracilino," ammise Loki osservandolo, "invece, potresti anche permetterti di batterti con il principe dorato."
Sleipnir continuò a rimanere in silenzio.
Loki accenò un sorriso, "so chi sei, non devi temere nulla da me."
"Non avresti dovuto saperlo..."
"Perchè?" La voce del principe era tagliente come il freddo dell'inverno, "sarebbe stato troppo bello sapere che c'era qualcuno lontanamente simile a me in questo mondo?"
Sleipnir sorrise gentilmemte, "mi spiace deluderti, mio principe," sospirò, "temo che siate unico nel vostro genere."
"Perchè? Perchè tu sei un figlio voluto ed io no?"
"Non devi dirlo questo, tuo padre..."
"Non farlo," lo interruppe Loki, "non ho bisgno di sentirmi dire quanti sacrifici Odino abbia fatto per il bene dei suoi figli."
"È mio dovere dirti che ti ama."
"Certo..." L'altro ghignò, "come ama te, vero?"
"Non so di che cosa tu stia parlando..."
"Ti ha rinchiuso qui dentro e ha cancellato con un colpo di spugna quella parte della tua identità che gli era scomoda."
Sleipnir non rispose, "Odino mi ha proposto spesso dei compromessi... Non li ho mai accettati."
"Ma non ti ha mai fatto scegliere, vero?"
"Perchè sei qui?" Domandò il mutaforma recuperando un asciugamano dalla parte opposta della vasca e riemergendo dall'acqua, "non è stato tuo padre a parlarti di me, ovviamente..."
Loki sorrise tristemente, "ho intenzione di lasciare Asgard... Per sempre, questa volta."
Sleipnir s'irrigidì: non era sicuro di voler sentire quanto sarebbe seguito.
"Porto Thor via con me."
Il mutaforma sgranò gli occhi scuri, "l'erede al trono vuole..." Scosse la testa, "perchè?"
"Perchè?" Loki rise, "sei l'unico testimone di tutti i peccati del re e non riesci a prevedere quelli dei suoi figli?"
"Che cosa hai fatto a Thor?"
"Sempre il solito ritornello!"
"Dimmelo!" Esclamò Sleipnir, "che cosa hai fatto a tuo fratello?"
Loki temporeggiò, poi fece il giro della vasca per arrivargli vicino, "ha smesso di essere un fratello ed è divenuto mio in un altro senso."
Sleipnir sgranò gli occhi e l'altro rise.
"Alla fine, cadono sepre ai piedi di uno Jotun, questi principi dorati, vero?"
"Odino...?"
"Il re mi crede uno stupratore e aspetta solo che Thor torni in sè per confermarglielo."
"Torni in sè?" Il mutaforma era confuso.
Loki fece una smorfia, "è vittima di una maledizione che intendo spezzare entro oggi," scosse la testa, "ma tu non devi preoccuparti di questo."
"Che cosa vuoi da me?" Domandò Sleipnir, ancora una volta.
Loki fissò il soffitto dorato con aria distratta, "hai mai fatto l'amore, Sleipnir?" 
Era la prima volta che pronunciava il suo nome.
"No," rispose l'altro, senza pensarci.
Loki gli sorrise tristemente, "Thor è stato il primo per me," ammise senza vergogna, "dopotutto, quando si cresce con deformazioni fisiche come quelle degli Jotun, non è poi così semplice mettersi nelle mani di un amante."
"Non ho mai dovuto pormi il problema."
"Non hai mai desiderato essere amato da qualcuno in quel modo?"
Sleipnir fece una smorfia, "che domanda assurda..."
"Se è così assurda, rispondi."
"Sono di carne e sangue, desidero e sento quello che desidera e sente chiunque!" Affermò il mutaforma.
Loki annuì, "sei mai uscito da queste stanze... Con queste sembianze, intendo."
Sleipnir lo guardò per un lungo momento di silenzio, poinsi morse il labbro inferiore ed abbassò lo sguardo, "Odino non mi ha mai fatto mancare nulla."
"Vuoi un consiglio? Smettila di esserne convinto, non è un'illusione che dura per sempre e quando svanisce fa decisamente male."
"La tua non è svanita," gli ricordò Sleipnir, "l'ha distrutta lui."
Loki s'inginocchiò per poterlo guardare dritto negli occhi, "e quanto tempo pensi impiegherà, prima che distrugga anche la tua? Prima che ti sbatta in faccia che la tua condizione non cambierà? Che vive solo per essere il suo destriero e niente altro?"
Sleipnir voltò il viso per non doverlo guardare.
"Ci hai già pensato, non è vero?" Domandò Loki.
L'altro scosse la testa, "non ho nulla fuori di qui."
Il principe sorrise, si tirò in piedi e gli porse la mano, "allora lascia che ti dia qualcosa io."
[Asgard, secoli fa.]

Il Padrone era stata l'unica costante nella vita di Svadilfari.
Il Padrone lo aveva trovato moltissimi anni addietro, l'aveva allevato, l'aveva addestrato, gli aveva dato un mestiere che sosteneva essere onesto e, ripetendogli quanto generoso era stato nell'offrirgli tutto questo, gli aveva riservato una serie di frustate ogni qual volta si comportasse come un essere pensante.
Prima del Padrone, Svadilfari aveva solo ricordi confusi.
Ricordi d'inverno, di neve, di ghiaccio.
Ricordi di pianure sconfinate e di occhi scarlatti che lo guardavano con amore.
Anche il suo Padrone aveva occhi scarlatti ma erano crudeli ed orribili da guardare. Di fronte ai cittadini dei grandi regni, li nascondeva con un trucchetto e gli ricordava a suon di sberle che nulla delle loro origini doveva essere rivelato.
Svadilfari si chiedeva il perchè di tanta preoccupazione, quando la maggior parte del suo tempo era costretto in delle sembianze che gli impedivano di parlare. Quando, però, il Padrone aveva annunciato che la loro successiva destinazione sarebbe stata Asgard, Svadilfari aveva sentito qualcosa... Un presentimento...
Troppo... Troppo pericoloso era quel mondo per delle creature dell'Antico Inverno.
Eppure, il Padrone non ne aveva voluto sapere.
La paga era imponente, diceva.
Un giorno, aggiunse che una sguadrinella Jotun era stata regina di Asgard per alcune stagioni e che uno scarto dal bel faccino e dalla mente pronta aveva avuto la bella idea di aprire le gambe all'erede al trono guadagnandosi tutti i diritti di un Consorte ufficiale.
Svadilfari non disse la sua.
Alla fine, qualunque figlio dell'Antico Inverno, agli occhi dei Nove Mondi, poteva essere solo un mostro o uno schiavo.
Lui era entrambe le cose.
Nulla poteva cambiare nella sua esistenza.
La sola via d'uscita in cui poteva sperare era la morte ma era troppo giovane e ancora troppo stolto per arrendersi di fronte all'inevitabilità del crudele destino. Così, era entrato ad Asgard, Svadilfari e aveva messo a tacere i suoi presentimenti.
Sarebbero rimasti nel regno dorato fino all'estate successiva, non poteva far altro che tacere e lavorare, come aveva sempre fatto.
Poi, il suo destino gli era venuto addosso nel buio corridoio di una scuderia e non gli aveva chiesto nemmeno il suo nome.
"Salve..."
Solo il giorno dopo, quando lo Jotun dagli occhi verdi venne a cercarlo, capì che avrebbe dovuto dar ragione al suo istinto.
"Sei nuovo di qui," commentò Nàl avvicinandosi al giovane dai capelli scuri intento a spazzolare la schiena di uno splendido stallone nero, "è per il principe, non è vero?"
Svadilfari si limitò ad annuire.
"Strano, di solito servono almeno tre servi per riuscire a sellarlo."
Nàl posò una carezza sul fianco dell'animale.
"I cavalli assomigliano ai loro padroni," replicò con voce incolore, "è il cavallo di un futuro re, non è fatto per essere sottomesso. Sarà sempre un ribelle con chi non gli darà almeno l'illusione di poter dominare."
Nàl si mise in punta di piedi per poter vedere il giovane da sopra il dorso dell'animale, "teoria interessante."
"So molto sui cavalli," ammise Svadilfari.
L'altro girò intorno all'animale e gli arrivò accanto, "e cosa sai di me?"
Gli occhi scuri si accesero per la confusione, "perdonatemi?"
"Siete un giovane intuitivo," Nàl sorrise quasi amichevolmente, "siete riuscito a descrivere alla perfezione il principe dorato solo osservando il suo cavallo. Come siete riuscito ad indovinare la vera natura di uno dei membri della corte più vicino a lui?"
Svadilfari smise di occuparsi del cavallo e rilassò il braccio lungo il fianco, "non era mia intenzione offendere quel giovane, ieri notte," disse con umiltà, "chiedo scusa, se gli ho mancato di rispetto."
Nàl scosse la testa, "siamo Jotun, non damigelle altezzose."
Svadilfari sgranò gli occhi scuri, poi s'inginocchiò, "perdonatemi, mio signore."
"Se mi hai riconosciuto, non hai motivo d'inginocchiarti," replicò Nàl, "noi Jotun siamo tutti degli schiavi, dico bene?"
"Non era mia intenzione offendere la vostra persona."
Lo Jotun sospirò, "alzati, non sono nessuno qui... Non hai realmente motivo di prostrarti in questo modo."
L'altro ubbidì ma tenne lo sguardo basso.
"Posso sapere il tuo nome?"
"Svadilfari, mio signore."
"Chiamami Nàl," gli concesse, "ho ragione di credere che vieni da Jotunheim anche tu?"
Svadilfari lo guardò quasi timidamente, "i ricordi della mia infanzia non sono abbastanza chiari perchè io possa riapondervi con certezza, sono cresciuto in giro per i Nove Mondi al seguito del mio Padrone."
"Chi è il tuo padrone?" Domandò Nàl.
"Si fa chiamare il Costruttore, è stato convocato dal re."
"Ma non mi dire," Nàl fece una smorfia, "spero che sappia lavorare l'oro. Non si può creare una nuova area di questo palazzo senza rivestirla d'oro."
Svadilfari lo guardò negli occhi, "perdonatemi, ma la natura del nostro lavoro è tutt'altra."

"Un muro?" Domandò Odino aggrottando la fronte, "per quale ragione mio padre dovrebbe alzare un muro?"
Nàl alzò gli occhi al cielo, "forse, perchè ci sono creature dotate che vanno e vengono da questo regno senza troppi problemi, forse perchè il guardiano dei cancelli è più cieco dell'occhio che ho fatto fuori al re, forse perchè Freya diverrà regina entro l'estate e Borr si prepara alla remota possibilità di una guerra di vendetta iniziata da Vananheim... Io so che in questo modo, tutti i grandi regni diverranno sospettosi perchè un re che teme in modo paranoico per la salvezza del proprio regno è un re che nasconde una buona ragione per essere attaccato!"
Odino montò sul suo cavallo, "al ritorno dalla battuta di caccia, parlerlò con mio padre insieme ai miei fratelli e chiarirò questa storia."
Nàl annuì incorciando le braccia contro il petto.
"Tu non vieni?" Domandò il princioe un poco ferito.
Lo Jotun scosse la testa,"non sono dell'umore giusto."
"Mi lasci da solo ad andare a caccia con due signore?"
"Aspetta che ti roviniamo, mio principe!" Esclamò Frigga superandolo, seguita da una Freya tutta sorridente.
Nàl sorrise tra sè e sè: dubitava che durante quekka battuta di caccia qualcuno avrebbe effettivamente cacciato.
"Resto con Loki," aggiunse, "non preoccuparti per me."
Odino sospirò frustrato, "non voglio colpi di stato in mia assenza."
Il principe di Jotunheim ghignò, "non posso prometterlo, temo."
[Midgard, Norvegia, oggi.]

Bestla sorrise soddisfatta, "mi chiedo come mio figlio abbia potuto avere il controllo su di te per tutti questi anni," disse fissando distrattamente la superficie del lago ghiacciato.
"Solo una mia concessione," rispose Loki calpestando la neve ormai ghiacciata.L'inverno era giunto su quelle terre molto tempo prima che New York fosse toccata dai primi fiocchi bianchi. 
Bestla guardò il cielo trapunto di stelle, "era una notte così," raccontò, "una notte di neve, senza vento."
"Stai zitta," la interruppe subito Loki, "sai bene perchè sono qui e non ho tempo da perdere."
Bestla si voltò a guardarlo, "sei bellissimo con addosso gli abiti di un principe Aesir," commentò, "tuo padre ti ha confessato che Laufey soleva indossarne di simili, durante gli anni vissuti ad Asgard?"
"Che cosa hai fatto a Thor?" 
"Diretto, come sempre."
"Rispondi!"
"Io nulla," ammise lei avvolgendosi meglio nel lungo mantello nero, "il mio tesoro ha deciso di concedergli un assaggio di quella felicità che tu gli negavi con così tanto egoismo."
"Come mi libero di quel parassita?"
"Non è un parassita."
Loki strinse i pugni e si voltò: la fanciulla dai lunghi capelli corvini emerse dalla fila di alberi camminando nella neve a piedi scalzi. La sua veste non era più cenciosa, le lunghe ciocche erano state raccolte in una treccia che le ricadeva su di una spalla. Era diversa. Era quasi bella, quasi viva.
"Ti piace quello che vedi, mio principe?" Domandò lei speranzosa.
"Dammi una buona ragione per cui non dovrei ucciderti seduta stante?" Sibilò lui.
"Primo, non puoi," rispose la fanciulla sorridendo, "secondo, hai bisogno di me."
Loki ghignò, "alla prima possiamo provare a porre rimedio."
Lei sospirò tristemente, "tanto combattere per un amore che non puoi avere."
"Non raccontiamoci favole sull'amore!" Sbottò Loki, "restituiscimi ciò che è mio!"
La giovane scosse la testa, "perchè non capisci? Voglio solo che tu veda."
"Ho visto tutto quello di cui avevo bisogno."
"Allora perchè continui a combattere per Thor?"
"Perchè è mio, maledetta! Mio!" La sua voce iraconda riecheggiò per la valle per una manciata di secondi.
"E se non fosse così?" Domandò Bestla alle sue spalle.
"Tu taci, vecchia!" Le urlò contro Loki, "qualunque cosa tu abbia contro Odino, non m'interessa. Fai di lui ciò che vuoi, se riesci a toccarlo ma non devi azzardarti ad usare Thor per raggiungere i tuoi scopi."
"Usarlo è la cosa meno pericolosa che potrebbe accadere," replicò la fanciulla dolcemente, "che cosa pensi di fare, eh? Se Thor torna in sè, nessuno avrà pietà di voi... Vuoi possederlo al punto di essere la causa della sua rovina?"
"Temi per il mio destino, piccolo mostro?"
"Tu non hai idea di quel che è stato deciso per noi."
"E nemmeno m'interessa," replicò il principe velenoso, "so la strada che devo prendere e me la sono scelta da solo e, per rassicurarti, non sono tanto stolto da lasciare che una mia proprietà mi condanni per l'eternità ma, al contempo, non ho alcuna intenzione di rinunciarci."
La giovane scosse la testa, "ti farai solo del male..."
"Chi sei tu per curartene?"
"Qualcuno che ti ama," rispose lei con le lacrime agli occhi.
Loki sorrise istericamente, "l'unica creatura abbastanza folle, idiota e dolce da potermi amare giace in uno stato di demenza per causa tua."
La fanciulla abbassò lo sguardo, poi sospirò, "non ha un nome."
"Chi?"
"La bambina di Thor non ha un nome."
Loki rimase in attesa.
"Scegline uno e cesserà di esistere."
"Che maleficio è mai questo?"
"Oh, è molto più di un maleficio, Loki."
Il principe non indagò oltre, non gli serviva sapere altro.
Doveva solo voltarsi, tornare a casa e riportare Thor da lui.
"Pensi che sarete felici?" Domandò la fanciulla, "Tu e Thor sarete felici?"
Loki non rispose.
"Perchè sappilo, mio principe, tanto più sarà grande la vostra felicità, tanto più lo farò soffire quando, finalmente, avrò la mia occasione di ucciderlo."
Il giovane rise divertito, "Thor non ha bisogno di me per difendersi."
Lei reclinò la testa da un lato, "infatti, è stato molto difficile piegarlo alla mia volontà, l'ultima volta," disse sarcastica.
E Loki si bloccò.
"Non ha potuto fare nulla! Nulla! Oh, ci ha provato... Ha tentato con ogni fibra del suo essere di combattermi e, a me, sono bastati pochi minuti per fargli quello che ho fatto."
Loki strinse i pugni con rabbia.
"E tu non solo non c'eri ma non ti sei nemmeno accorto della mia presenza."
Voleva ucciderla e voleva farlo lentamente, godendosi il suo trapasso.
"Quindi, immagina, Loki," la fanciulla si fece più vicino, "immagina un'eternità a scappare ma non da Asgard. Immagina dover vivere col terrore di quello che potrebbe succedere nel momento in cui volti lo sguardo in un'altra direzione. Io voglio che tu immagini quello che potrei fare a Thor, se solo ti allontanassi da lui per più di pochi minuti... Immaginalo, Loki, perchè io non farò altro dal momemto in cui porterai il tuo amato principe dorato via da Asgard."
Loki non ci vide più.
Agì d'impulso e le saltò addosso con tutte le intenzioni di farla a pezzi.
Finì col cadere nella neve gelida.
Quando si rialzò, era completamente da solo.
[Asgard, secoli fa.]


"Non hai seguito mio figlio, oggi."
Nàl era seduto sotto un albero dei giardini del palazzo, quando il re lo sorprese a leggere l'ennesimo libro rubato dalla biblioteca reale.
"Posso conoscerne il motivo?"
Da principio, gli occhi verdi non si staccarono dalle parole scritte nero su bianco, "se pensate che stia complottando qualcosa, dopo tutti questi anni, potreste suonare paranoico."
Borr non era mai guarito dalle ustioni che gli aveva inferto. Aveva perso la vista all'occhio leso e metà del suo viso era stata compromessa irrimediabilmente. Il giovane Jotun fece una smorfia: poco male, gli Aesir solevano indossare le ferite di guerra come se fossero prove del loro valore. Che importanza aveva se il sovrano di Asgard si era guadagnato le sue minacciando un ragazzino disarmato?
"Che cosa volete, Borr?"
Il re alzò la mano destra: stringeva una lettera che era stata accuratamente ripiegata ma il sigillo era spezzato.
"Mia moglie è molto preoccupata per le tue condizioni," commentò il re.
Nàl gettò il libro a terra con rabbia e si alzò in piedi per strappare la missiva di mano al sovrano, "non ho mai risposto a nessuno dei suoi messaggi," lo informò velocemente, "in ogni caso, non avete alcun diritto di aprire le mie lettere. Sospettate di me? Convocatemi nella sala del trono e lasciate che vi racconti la mia verità!"
"Odino mi aveva già parlato di lei," spiegò il re con tono funereo, "inutile dire che, dopo Vananheim, molte cose sono cambiate in questo regno."
"Già," Nàl annuì distrattamente, "molte... Moltissime cose. Vorrei restare solo, se non vi dispiace."
Recuperò il libro che aveva abbandonato sull'erba: era meglio rifugiarsi nelle sue stanze, nessuno lo avrebbe cercato lì.
"Aspetti un bambino?" Domandò il re di colpo, "per questo non hai accompagnato Odino alla battuta di caccia?"
Nàl si bloccò, "temete una risposta positiva, mio re?"
"Non temo nulla," rispose Borr, "non da te, ma temo Bestla."
Il giovane Jotun si voltò, "mi sottovalutate, se credete che lei abbia qualche potere su di me."
"Siete figli dello stesso mondo."
"Non è una buona ragione di coesione," rispose Nàl, "quel che è successo tra voi e vostra moglie non è affar mio! Odino, ora, sa la verità e questo è tutto quello che m'interessa. Nessun figlio dovrebbe essere vittima delle bugie dei suoi genitori."
"Le bugie, alle volte, sono atti d'amore."
"Oh, voi non sapete cosa sia l'amore, Borr," sibilò il principe di Jotunheim, "come non lo sa Bestla... Come due esseri come voi siano riusciti a dare alla luce una creatura come Odino è un mistero a cui non riesco a giungere a capo."
Il re sorrise tristemente, "Bestla non vuole che tu abbia un bambino da lui, vero?"
"Fare dispiacere a Bestla è un divertimento per me, lo confesso," ammise Nàl, "ma non do alla luce un figlio per questo."
"Siete amanti da anni," commentò il re, "quanto pensi che passi, prima che Odino ti chieda di più?"
Nàl sospirò stancamente, "vostra moglie vuole solo rovinarvi, voi volete solo che questa dinastia dorata abbia seguito," ghignò, "se pensate di aggiungere mio figlio a questa equazione, vi sbagliate di grosso."
Si voltò e s'incamminò verso le scale.
"C'è una persona con cui dovresti parlare per me."
Gli venne da ridere, "prego?"
"C'è una persona che devi vedere," ripetè Borr, "ho un presentimento ed ho bisogno di sapere se lo condividi."
Nàl trovava la situazione molto divertente, "il re di Asgard che chiede aiuto ad una sgualdrina Jotun? Scusatemi ma c'è qualcosa che non riesco proprio a comprendere."
Borr si avvicinò, allungò una mano e gli sfiorò una guancia.
Nàl rabbrividì.
"È strano che mia moglie non ti abbia già tirato qualche tiro mancino," commentò, "sei molto più bello di lei alla tua età."
Lo Jotun indietreggiò di un paio di passi, "siete un viscido."
Il re rise, "non temere, non l'avrei mai guardata se non fosse stata una donna... Una donna vera."
E Nàl pensò ai racconti di Bestla, pensò al gioco che lei e suo padre solevano fare e di cui Borr era stato vittima... Prima di divenire il carnefice. 
"Bugiardo..." Sibilò.
Il re lo ignorò, "manderò il mio ospite nelle tue stanze all'ora di pranzo," disse, "tieni Loki e Skaði con te. Odino e Freya non saranno a casa prima del tramonto e non voglio che tu ed il Costruttore restiate da soli."
"Il Costruttore?" Nàl inarcò un sopracciglio.
"È così che si fa chiamare," chiarì Borr, "voglio che gli parli, voglio che lo induci ad aprirsi... Spingilo a fare un passo falso."
"Perchè lo chiedete a me?"
Il re fece una smorfia, "perchè entrambi sappiamo che le sgualdrinelle Jotun sono le migliori nel gioco della manipolazione."
 
[Asgard, oggi.]


Quando Loki fece ritorno, Thor non era in camera e sua madre era intenta a preparargli i vestiti per la notte.
"Oh, sei tu!" Esclamò accennando un sorriso.
Per lei era impossibile dimenticare le emozioni di secoli e secoli di vita da madre. Sua madre.
Forse, Loki non avrebbe più dovuto pretenderlo.
Forse, avrebbe dovuto chiederle scusa, prima della fine.
Almeno a lei, anche se gli aveva mentito come tutti gli altri.
"Dov'è Thor?" Chiese, invece.
"Sta facendo un bagno," rispose lei appoggiando una tunica pulita in fondo al letto. Loki lanciò un'occhiata alla culla nell'angolo della stanza.
"Dorme?"
Frigga guardò nella sua stessa direzione, "lo fa sempre, quando non è con lui," sospirò stancamente. Aveva nascosto un figlio maledetto per tutta la vita, ora doveva farlo con uno demente.
"Ci penso io," disse di colpo fissando i sobri ricami dorati sul colletto della tunica di suo fratello.
Frigga lo guardò sospettosa, poi forzò un sorriso, "una madre non è mai stanca di prendersi cura dei suoi figli."
"Ci penso io," insistette Loki.
Sua madre lo fissò a lungo, si morse il labbro inferiore, poi lo superò.
Il giovane non aveva bisogno di voltarsi per sapere che era rimasta sulla porta.
"Domandamelo avanti..." Mormorò.
Frigga prese un respiro profondo, "dimmi che non sei stato tu a fare questo a tuo fratello," lo pregò, "ti prego, tesoro, dimmi che tuo padre si sbaglia."
"Non sono stato io," si affrettò a dire Loki, "avrei potuto fargli molte cose ma questo no."
Frigga strinse gli occhi per non piangere, "e riguardo l'altra questione?"
Loki rimase in silenzio.
"Che cos'è successo tra te e tuo fratello in quest'ultimo anno, tesoro?"
Loki strinse i pugni e si costrinse a non dire una parola.
"Crederò a qualsiasi cosa tu mi dica, lo giuro."
Il giovane si morse il labbro inferiore.
"Loki, tesoro mio, ti prego..."
"Non voglio mentirti," rispose il principe, "ma tu vorresti che io lo facessi."
Frigga si premette una mano contro la bocca.
Cercò di dire qualcosa ma le parole le rimasero congelate in gola.
" Non so darti una spiegazione," ammise Loki, "non ne ho una. È sempre stato così, da quando... È sempre stato così."
Frigga scosse la testa, "vi ho avuti sotto gli occhi per tutta la vita, Thor non ha mai..."
"No," Loki si voltò a guardarla, "non Thor..."
La regina incontrò lo sguardo del giovane che aveva amato come un figlio, che aveva tenuto vicino più della creatura che aveva dato alla uce in una notte di pioggia e fulmini. Aveva sempre pensato che Thor fosse la sua più grande vittoria, aveva sempre visto Loki come il suo piccolo capolavoro, non aveva mai smesso di vederli come i suoi bambini... Ed aveva sbagliato.
Non era stata abbastanza attenta per impedire a Thor di finire tra le braccia delle donne sbagliate, mentre Loki dimenticava persino cosa volesse dire sentirsi stretto da qualcuno. 
"Da quanto?" Domandò con paura.
"Non lo so," ammise Loki con un sorriso amaro, "non c'è stato un momento preciso. Prima Thor era il mio idolo, poi era tutto ciò che io non ero ma che il mondo pretendeva che fossi e, all'inizio, lo volevo anche io... Per questo ero geloso. Poi ho cercato di crearmi un'idetità che fosse solo mia, un talento che mi appartenesse sul serio, senza un modelo prefabbricato a cui ispirarmi... Allora, è cominciato l'odio: ho capito che non aveva importanza quanto fossi bravo nell'essere me. Non ero Thor e questo mi rendeva sbagliato."
"Loki, io e tuo padre non abbiamo mai..."
"È troppo tardi per le giustificazioni," la interruppe il giovane, "penso che, prima del desiderio, sia arrivato il possesso. Quando Thor ha cominciato a preferire una compagnia che non fosse la mia, mi sono sentito dilaniato, usato, abbandonato. Poi tutti hanno cominciato a vedere solo lui e a calpestare me e, non lo so... Thor era di tutti, tranne mio. E se lo fosse stato... Se fosse stato solo mio, allora..."
Frigga non voleva udire oltre e Loki tacque.
"Perchè Thor ha accettato una cosa simile?" Domandò lei, "ho perso il conto dei cuori che ha spezzato, come è stato possibile che..."
"Ho cominciato io," ammise Loki appoggiando la spalla all'architrave della porta, "mi ha fatto assaggiare un pezzo della sua anima, perchè voleva che comprendessi..."
"E che cos'hai compreso?"
"Non l'ho spinto a fare nulla, quel giorno, volevo solo un altro assaggio e, poi, un altro ancora... È stato Thor il primo a toccarmi, non io," si sentì un bambino nel pronunciare quella frase.
Frigga strinse le labbra e si costrinse ad annuire.
"Penso che volesse così tanto trascinarmi fuori dalla mia oscurità che ho finito per spingercelo un poco dentro."
"È per questo che siete scomparsi per un intero anno?"
Loki fece una smorfia, "non mi piaceva l'idea di fare l'amore in un luogo in cui potevano entrare i suoi genitori."
"Perchè hai smesso di schermarvi dalla nostra vista?"
Il giovane non rispose subito, "perchè c'è qualcosa che Thor ama più di me, non importa quanto si ostini a dire il contrario."
"E tu, Loki?" Domandò Frigga, "tu lo ami?"

Thor era bellissimo.
Loki non avrebbe saputo mentire abbastanza da negarlo.
Aveva i capelli ancora umidi, quando tornò in camera ed il sorriso che gli rivolse era più luminoso del sole.
"Ah, sei qui..."
Il viso del più giovane non tradiva alcuna espressione. Rimase in silenzio a guardare il fratello maggiore infilare gli abiti da notte. 
"Si è svegliata?" Domandò. 
Loki lanciò un'occhiata alla creatura maledetta nella culla accanto a lui, "no..."
"È più serena, quando ci sei tu," commentò Thor, riferendosi ad asperienze che esistevano solo nella sua testa, "è innamorata del suo papà."
L'altro fece una smorfia, poi si chinò sulla neonata sollevandola tra le braccia.
La piccola si destò immediatamente ma non pianse. Si guardarono e Thor rimase ad osservarli.
"Sai che cos'è un'ombra, Thor?" Domandò Loki.
"Non ci ho mai capito molto di magia, lo sai."
Il più giovane tracciò il profilo della bambina con la lunta dell'indice, "è una creatura che non è un essere vivente reale. È viva ma la sua vita è un'illusione."
Thor ridacchiò, "pensavo fossi venuto per alietarmi in qualche modo, non per terrorizzarmi."
"Dicono che siano anime che non hanno mai avuto la possibilità di essere vive sul serio," continuò Loki avvicinandosi al fratello, "anime di bambini morti alla nascita, ad esempio."
Thro non sorideva più, "è una storia orribile."
Loki accennò un sorriso, "è solo una leggenda soaventosa, come tante altre," porse la neonata al fratello e questi la prese subito tra le braccia. Loki lo guardò in viso: Thor era bellissimo, sì. La sua felicità era luminosa come il sole d'estate anche allora, mentre era provocata da una maledizione. C'era stato un tempo in cui quella luce aveva illuminato la loro stanza anche durante le notti più buie. 
Loki sorrise, anche se avrebbe voluto solo mettersi a piangere: a separarlo da quei ricordi vi erano poche settimane ed erano state più che sufficienti per distruggere ciò che con fatica avevano costruito l'uno per l'altro.
Pensò alla giovinezza di Odino, quella che aveva condiviso con Laufey.
Pensò a quel bambino che non aveva avuto nemmeno l'occasione di nascere. 
Pensò a quanto l'avevano voluto, pur essendo una follia. 
Pensò che, quando era stata concessa loro una seconda possibilità, quando avevano dato alla luce il peggiore dei loro peccati, quando avevano ottenuto, infine, tutto quello che avevano sempre desiderato... Era, semplicemente, troppo tardi.
Loki passò una mano sulla testolina bionda di quel piccolo mostro accocolato tra le braccia dell'unica persona che era stata capace di amarlo.
"Hela..." Mormorò.
L'orrore negli occhi di Thor fu improvviso e devastante ma non ebbe il tempo di fare nulla per impedire a quell'illusione d'infrangersi.
"Il tuo nome è Hela."
La piccola sbarrò gli occhi iniziando a respirare a fatica. 
"No..." Thor scosse la testa stringendola a sè, "no! No! No!"
La neonata si agitò convulsamente: fu uno spettacolo orribile ma Loki non allontanò gli occhi, mentre diveniva gradualmente di colore grigiastro e si frantumava sotto le dita di suo fratello, come se fosse di porcellana.
Thor continuava ad urlare disperatamente.
Loki rimase impassibile, mentre quei frammenti di bambola cadevano a terra e divenivano polvere.
"Perchè?" Thor pianse inginocchiandosi sul pavimento, "perchè lo hai fatto? Perchè?"
Poi qualcosa cambiò nella sua espressione.
Gli occhi di Loki s'illuminarono appena, mentre Thor osservava la copertina ormai vuota sul pavimento come se se si fosse appena svegliato da un sonno. 
"Loki..." Chiamò in panico, guardandosi intorno, "Loki? Loki!"
Il più giovane calpestò quel che era rimasto di quella creatura maledetta e s'inginocchiò davanti al fratello, "sono qui, Thor, sono qui."
Lo afferrò per le spalle e Thor gli strinse le dita intorno ad entrambi i polsi, come se avesse paura di cadere, "dove siamo? Che cosa è successo?"
"Qual'è l'ultima cosa che ricordi?"
Thor fissò le pareti dorate come se fossero enormi mostri da incubo, "siamo ad Asgard?"
"Thor, rispondi..."
"Non lo so," rispose frettolosamente, "perchè siamo ad Asgard?" Era terrorizzato.
"Thor concentrati, avanti."
"Avevamo litigato, te n'eri andato," il principe dorato fissò il vuoto confuso, "ero venuto a cercarti... Che cosa è successo? Io..."
"Va tutto bene," mormorò Loki aiutandolo ad alzarsi in piedi, "non è successo nulla per cui tu ti debba preoccupare."
"Ma siamo su Asgard, cosa...?"
"Shhh..." Loki gli premette l'indice contro le labbra e Thor lo fissò in silenzio, "fra poco finirà tutto, non c'è bisogno di aver paura."
Thor sorrise stringendogli una mano, "io non ho paura Loki, io..."
Il più giovane si alzò sulle punte e gli posò un bacio sulle labbra.
Fu breve.
Thor, da principio, sorrise contro la bocca del fratello, poi qualcosa cambiò...
Aprì gli occhi di colpo e tentò di toccare Loki ma le braccia non gli ubbidivano più.
Suo fratello si allontanò da lui e gli passò una mano dietro la nuca un istante prima che la sensibilità gli abbandasse le gambe. Thor tentò di lottare ma era troppo tardi.
"Va tutto bene," mormorò Loki mettendolo a sedere sul pavimento, la schiena appoggiata al bordo del letto, "non potrai muoverti e parlare per un po'," lo informò, "ma non temere, gli effetti svaniranno velocemente, una volta che me ne sarò andato."
Thor sgranò gli occhi azzurri, mentre Loki gli passava amorevolmente le mani tra i capelli.
Sorrise in modo orribile.
"È ora di smettere di giocare, Thor," sibilò come un serpente, "mi sarebbe piaciuto prendermi ancora qualcosa da te ma non posso rischiare che Asgard si riprenda il tuo cuore, prima che io abbia finito di distruggerlo."
Seguì una risata leggera.
"È in credibile, lo sai?" Gli accarezzò una guancia, "dopo tutto quello che ho fatto, mi è bastato dirti di non dubitare, mi è bastato aprire le gambe perchè tu mi credessi. Pensavi davvero che fosse qualcosa di speciale, principe dorato? Proprio tu, che hai scaldato più letti di una prostituta in calore!"
Il ghigno di Loki era divertito.
"Quando mi hai concesso di prenderti, ho pensato di avere un'occasione imperdibile," spiegò con dolcezza, "non temere, sei stato un amante eccezionale. Sul serio, mi spiace un poco che non potrò più infilarmi tra le tue cosce per prendermi il mio piacere. Peccato che abbia già ottenuto tutto ciò di cui avevo bisogno per massacrarti in un modo che non lascia nè lividi nè ferite."
Loki si chinò a baciargli le labbra ancora una volta.
"Eri bellissimo, Thor," gli si strofinò addosso come una serpe, "caldo, voglioso, da perdere il fiato... Saresti la miglior puttana di tutti Nove Regni," rise, "peccato che tu abbia commesso il peggior erroredi una puttana: hai concesso il tuo cuore al tuo miglior cliente."
Gli occhi di Thor erano grandi e lucidi.
Loki gli baciò le labbra ancora una volta, "ecco," mormorò dolcemente, "ecco il momento, amore mio."
Thor avrebbe voluto chiuderegli occhi: non voleva vedere, non era vero... Non poteva essere vero.
"Questo è il momento in cui il tuo cuore si spezza," Loki gli premette una mano contro il petto.
Le loro bocche erano a pochi millimetri di distanza.
"Questo è il momento in cui diventi mio per l'eternità."
Una singola lacrima scivolò lungo la guancia di Thor.
Loki sorrise un'ultima volta, poi sparì in un bagliore verde.
Pochi, interminabili, letali secondi e Thor prese ad ingoiare aria come un naufrago in mezzo alla tempesta.
L'urlo disperato che uscì dalla sua gola rimbalzò contro le pareti dorate.
Seguì un silenzio di morte.
Il cielo si oscurò, un tuono fece tremare l'intera Asgard.
Avrebbe piovuto a breve e avrebbe continuato a farlo per molto tempo.


***


Varie ed eventuali note:
Un grazie immenso a tutti i lettori e recensori di questa storia che alla conclusione della sua prima parte si ritrova con più di 100 recensioni! Grazie mille a tutti!
E rieccoci qua!
Con questo capitolo si conclude simbolicamente la prima parte di questa storia.
Da qui in poi solo tragedie... Sì, perchè la situazione è già molto allegra di suo!
E, finalmente, ecco Svadilfari. Non inserisco una nota apposita per il momento.
Gli esperti di mitologia comprenderanno, per tutti gli altri, Wiki può fornirvi qualche anticipazioni sui prossimi capitoli.









 

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Capitolo 22
*** Frammenti ***


XXI
Frammenti
[Jotunheim, oggi.]


Býleistr non era mai stato un tipo romantico.
Vedere suo fratello credere negli amori sbagliati era stata una lezione sufficiente per convincerlo che non valeva la pena provare.
Eppure, non riusciva a staccare gli occhi di dosso dal viso di Bàli, mentre una felicità mista a malinconia gli animava il cuore al punto da impedirgli di dormire. Era bellissimo, il suo cacciatore.
Lo sapeva... L'aveva sempre saputo ma era come se lo realizzasse per la prima volta.
Scarti, errori... Aveva sentito un sacco di nomi con cui riferirsi a quelle creature ed ora Býleistr, il principe dal cuore di ghiaccio, il futuro primo generale di Jotunheim, si commuoveva di fronte a tanta bellezza e sapeva che avrebbe sgozzato chiunque avesse osato definire debole, indegno, deforme il suo compagno o chiunque altro come lui. Si sporse in avanti e gli baciò la fronte liberandola da una lunga ciocca di capelli corvini. Ci aveva infilato le mani molte volte, mentre facevano l'amore e, ogni volta, gli erano scivolati tra le dita come seta.
Býleistr non aveva ancora avuto il tempo di farseli crescere così lunghi: i suoi a stento gli coprivano il collo ma già sapeva che non avrebbe potuto permettersi di più con quelle ridicole punte arricciolate all'insù. Helblindi non li aveva così.
Un altro dettaglio che lo faceva assomigliare a Laufey e lo distanziava da Fàrbauti.
Si stese sulla schiena e fissò l'alto soffitto di ghiaccio, mentre distrattamente si accarezzava la pancia sotto l'ombellico.
"Ci sei?" Non si rese conto di averlo detto ad alta voce.
L'amante al suo fianco ridacchiò e coprì quella mano con la sua.
Býleistr voltò il viso nella sua direzione e sorrise nell'incontrare quegli occhi scarlatti.
"È troppo presto, amore mio."
Il principe fece una smorfietta, "non è detto."
"Ci vuole tempo per avere un bambino, Býleistr."
"Il tempo è per le persone pazienti," replicò il più giovane, "nè io nè lui lo siamo."
"Hai già deciso da chi erediterà i difetti?"
Býleistr gli tirò una gomitata e Bàli rise tirandolo verso di sè per stringerlo forte.
"Non ha importanza, se avrà un carattere terribile."
"Grazie, davvero!"
"Quel che è certo è che sarà bellissimo..."
Il principe si rilassò ma decise di portare quel broncio stampato in faccia ancora per un po', "sarà uno... Sarà come te, vero?"
Bàli lo guardò, un poco ferito da quella domanda, "non ho mai visto il figlio di uno scarto divenire uno Jotun degno di tale nome."
Býleistr lo guardò, "tu sei uno Jotun degno di tale nome," protestò, "lo sei più dei nobili rimasti ad Utgard."
Il cacciatore gli concesse un bacio leggero, "con te potrebbe essere diverso, però."
"Non m'importa, Bàli."
E lo pensava davvero.
"Pretendo solo una cosa da nostro figlio: che sia forte e sano, il resto non ha importanza... Non deve avere importanza."

Laufey fissava la sconfinata pianura bianca da un numero di ore che non sapeva calcolare e nemmeno gli importava.
"Padre..." Se Helblindi era preoccupato per lui, non lo dava a vedere.
Il re non si voltò a guardarlo: e se Býleistr fosse comparso all'orizzonte proprio nel momento in cui voltava lo sguardo? Se fosse tornato indietro ferito, zoppicando tra la neve e non se ne fosse accorto in tempo per aiutarlo?
"Padre, lui non tornerà."
Non lo aveva punito. Che senso avrebbe avuto? Far del male a Helblindi, che era tutto ciò che gli era rimasto, non avrebbe riportato Býleistr da lui. 
"Non gli ho detto addio," mormorò il re distrattamente, "non mi ha concesso nemmeno questo."
"Tu non lo avresti lasciato andare," gli fece notare Helblindi con voce incolore.
"Smettila..." Il re si coprì gli occhi con una mano.
"Di fare cosa?"
"Di parlare in questo modo!" Sbottò il re concedendogli un'occhiata, "come se per te fosse una cosa ormai conclusa e non si possa fare altro che accettarlo."
"È una lezione che ho imparato da te," replicò Helblindi, "mi hai educato per pensare come re, ricordi? Býleistr ha fatto la sua scelta, non sarà la nostra emotività a riportarlo indietro e, ora, il nostro popolo ha bisogno che rimaniamo lucidi!"
Laufey sorrise amaramente. Fuori aveva ricominciato a nevicare.
"Non recitare, Helblindi," quasi lo pregò, "arriverà un giorno in cui non riuscirai più a smettere di farlo ed allora ti accorgerai di aver perso te stesso, senza che tu te ne accorgessi."
"È questo che è successo a te?"
"No, figlio mio, questo è quello che succede ai re," rispose con una nota di tristezza, "il primo nemico che un sovrano deve sconfiggere è il suo cuore. Io pensavo di esserci riuscito il giorno in cui mi sono seduto sul trono di ghiaccio ma non è stato così."
"È una storia vecchia, padre."
"Allora la ascolterai ancora una volta!" Esclamò il re, "perchè tuo fratello non deve averla ascoltata abbastanza bene per aver fatto quello che ha fatto..."
"Ha seguito il suo amore," Helblindi fece un passo in avanti, "possiamo davvero condannarlo per questo?"
Laufey alzò gli occhi verdi verso il cielo grigio: non ricordava quando era stata l'ultima volta che aveva visto il cielo di Jotunheim trapunto di stelle. O, forse, sì.
Era un ricordo antico di secoli... Troppi per poterli ricordare con precisione.
"Vedi quella stella, piccolo?"
La prima volta che aveva visto Loki, aveva gli occhi aperti e grandissimi.
"Quella è Asgard... È da lì che viene il tuo papà!"
La prima volta che Loki aveva visto le stelle, gli era sembrato che in quelle iridi di smeraldo liquido potesse contenerle tutte.
"E un giorno sarà tua e di tuo fratello ed entrambi ne sarete i re."
 
[Asgard, oggi.]



Odino fissò il mare di stelle di fronte a sè, come se potesse trovare ciò che cercava da una distanza simile.
"Non c'è traccia di lui?"
"No..." La risposta del Guardiano al suo fianco fu lapidaria, "non mi fa piacere ammetterlo, ma Loki sa come nascondersi agli occhi dei Nove, mio re."
Odino annuì, "la prossima volta che avremo sue notizie sarà per suo diletto e non per un suo errore," si voltò a guardare il palazzo dorato in lontananza, "facciamo che questa sia l'ultima volta che ci sfugge."
"Sì, mio re."
"Qualunque informazione deve essere riferita direttamente a me e non per bocca di terzi, mi sono spiegato?"
"La regina è venuta ad interrogarmi prima di voi," ammise Heimdall, "mi ha chiesto la medesima cosa."
Odino lo guardò a lungo ma senza rancore, "a chi devi la tua fedeltà?"
"A voi, mio signore."
"Non serve che ti dica altro."

Thor non parlava da dieci giorni.
A stento mangiava e, sebbene passasse a letto la maggior parte del suo tempo, non riposava neanche un poco.
"Amore..." Frigga aveva lasciato la sua stanza una volta soltanto, quando era andata da Heimdall e chiedere notizie di quel figlio che, ancora una volta, gli era sfuggito di mano, "Thor, non puoi continuare così."
Il principe dorato fissava un punto nel vuoto e fingeva. Alle volte, incontrava i suoi occhi ma le dava le spalle l'istante successivo.
"Piangi!" Esclamò Frigga, "urla, disperati, maledicilo, se devi!" Gli passò una mano tra i capelli biondi, "ma non puoi lasciarti morire per questo, tesoro mio."
Thor strinse le labbra e trattenne il fiato.
"Siamo solo io e te, Thor, non devi nasconderti con tua madre... Non ne hai motivo."
Gli occhi azzurri la guardarono e fu il turno della regina di smettere di respirare.
"Non sono una fanciulla dal cuore spezzato," disse freddamente lui.
Frigga lasciò andare un sospiro di sollievo: gli sembrava di non udire la sua voce da secoli.
"Forse non sei una fanciulla," ammise lei accennando un sorriso, "ma non fingere che il tuo cuore sia integro, Thor. Non farai che farti altro male."
Lui scrollò le spalle, "che cosa vuoi dirmi?" Domandò, "che col tempo passerà? Sappiamo entrambi che è una bugia, madre. Loki non può passare... Loki non passerà mai..."
"È sveglio?" Odino era entrato senza chiedere il permesso: una brutta abitudine che aveva sviluppato quando aveva smesso di fidarsi dei suoi figli. Thor si voltò a guardarlo ma non ricambiò il sorriso che suo padre gli rivolse, "pensavamo che fossi sotto un altro maleficio," commentò il re. Il principe si mise a sedere contro i cuscini, "sto bene..."
Anche uno stolto si sarebbe accorto di quanto Thor fosse incapace di mentire.
Ma Odino era molto più di uno stolto, era un vecchio re che preferiva vedere solo quello che gli faceva comodo.
"Posso vederlo."
Frigga rimase in silenzio, mentre il marito le arrivava a fianco, "ha ancora la febbre," sottolineò lei, "non chiedere a lui, sai che negherebbe di star male anche se fosse stato trapassato da parte a parte con una lancia."
"Sto bene," ripetè Thor con più convinzione.
Frigga sbuffò, come se si ritrovasse davanti ad un bambino capriccioso.
"I tuoi amici non vedono l'ora di vederti," lo informò il sovrano, "rimettiti in sesto velocemente o sarò costretto a mettere delle guardie alla tua porta per impedire a Sif di passare."
Frigga sgranò gli occhi, "lo sanno?"
"Tutto il regno lo sa," rispose Odino guardando la consorte, "non vedo perchè dovremmo tenere nascosto il ritorno dell'erde al trono."
"Forse, perchè è necessario parlare di tutto quello che è successo negli ultimi mesi?" Propose Frigga irritata.
"Non dire sciocchezze, donna," il sovrano si oscurò di colpo, "non è successo niente e non c'è nulla di cui si debba parlare."
"Loki se ne è andato, Odino!" La regina quasi urlò, "Thor è stato vittima di una maledizione di cui non conosciamo l'attefice e..."
"Loki è l'artefice," la corresse il re.
"Mi ha giurato di non conoscere un maleficio simile."
"Se non lo conosceva, come ha fatto a spezzarlo?"
"Conosce a memoria tutti i testi scritti presenti su Asgard e ti sembra così assurdo che abbia trovato una soluzione, senza essere la causa del problema?"
Odino fece una smorfia, poi si fermò a riflettere, "c'è solo una cosa che voglio sapere da Thor," guardò suo figlio con fiducia, "Loki ha mosso delle calunnie contro di te, mentre versavi in quello stato."
Thor lo fissò senza una reale espressione.
"Figlio mio," Odino temporeggiò un poco, "ho motivo di credere che tra te e tuo fratello siano successe cose che, di fronte alla legge di Asgard, possono essere definite dei crimini?"
"No..." La rispose di Thor fu veloce, spontanea, per nulla ragionata.
Frigga ne rimase stupita.
"Non avrei mai fatto nulla che potesse disonorare il tuo nome, padre," aggiunse Thor con una compostezza che non gli apparteneva, "nè mi sarei mai permesso di gettare nuove ombre sulla famiglia reale di Asgard."
Frigga non aveva parole.
"Il mio cuore appartiene a questo regno, per esso batte e per esso smetterà, se sarà necessario."
Non sapeva cosa fosse peggio: Thor che recitava un copione già scritto come un attore consumato o suo padre, il re, che gli credeva, nonostante del vero principe dorato non ci fosse più nulla su quel viso. 
Ma, di nuovo, Odino vide semplicemente ciò che voleva vedere.
"Non avevo dubbi, figlio mio."

Sif era nell'armeria, quando le giunse notizia che il principe Thor era sceso nell'arena per salutare gli amici e i vecchi compagni di allenamento. Era stato uno dei nuovi allievi ad informarla, un ragazzino giunto pochi giorni prima e che mai aveva avuto occasione di vedere l'erede al trono da così vicino.
"Non correte a salutarlo anche voi, Lady Sif?"
"Si, vengo tra un attimo," aveva risposto lei. Non poteva ammettere che avrebbe voluto correre e spintonare chiunque si fosse messo tra lei e il centro dell'arena ma, di colpo, era stata certa che le gambe non l'avrebber retta. 
Thor era tornato.
Thor era a casa.
Che cos'era un anno nelka vita di un semi-dio? Nulla. Eppure, a Sif era parso un millennio e il fatto di non sapere dove fosse, perchè se ne fossè andato e il motivo per cui avesse deciso di farlo senza salutare nessuno non aveva fatto altro che estendere la durata di ogni istante, fino a che il sole sembrava non voler mai tramontare o la notte credeva che il cielo non si sarebbe rischiarato più.
Non brillava il sole, quel giorno e c'erano troppe nuvole perchè si potessero vedere le stelle, una volta calata la notte.
Ma a Sif parve di vedere tutte le luci dell'universo, quando quegli occhi color cielo incontrarono i suoi.
"Ciao," la salutò lui con naturalezza avvicinandosele.
Per un istante, lei non seppe che cosa dire, "sei in ritardo!" Lo rimproverò, infine.
Lui allargò le braccia, "accetterò qualsiasi punizione, mio generale."
Il sorriso di Thor non brillava come ricordava ed erano stanchi quegli occhi meravigliosi, quelli che aveva cercato in altri guerrieri senza mai ritrovarli, ma Sif non se ne curò. Se la felicità non le avesse offuscato la ragione e lo sforzo di trattenerla non l'avesse impegnata troppo, forse glielo avrebbe fatto notare. Forse, avrebbe indagato e fondo e sarebbe anche riuscita a scorgere gli innumerevoli pezzi in cui era ridotto il cuore di Thor.
Forse... Se fossero stati ancora ragazzini, se non ci fossero stati così tanti segreti a dividerli... Forse, in un tempo perduto.
Ora, Sif vedeva l'uomo che amava circondato da una folla festante e non le serviva altro.
Ora, Thor non vedeva nessuno delle decine di volti intorno a lui, tranne quello dell'unica persona assente.
 
[Asgard, secoli fa.]


"Il re ha commissionato un lavoro da cui potrebbe dipendere il destino del regno ad una persona di cui non si fida?" Domandò Loki completamente confuso.
"Conoscendo Borr, non è nemmeno la più atroce delle assurdità che abbia commesso," replicò Nàl passandosi una mano tra i capelli per lisciarli all'indietro.
"Pensate che sia uno Jotun?" Domandò Skaði.
Nàl scrollò le spalle, "il giovane che lavora per lui non ha nè confermato, nè smentito."
"Ma se è uno Jotun..." 
"Aspettiamo Odino!" Propose Loki d'impulso.
"No," rispose il principe di Jotunheim guardandolo attraverso il rilfesso nello specchio, "il Costruttore sarà qui a momenti e vi voglio preparati."
"A cosa?" Domandò Skaði confuso.
Nàl ghignò, "siete degli Jotun, fate quello che vi riesce meglio."
"Congelare l'atmosfera?" Cercò d'indovinare Loki, strappando un sorriso agli altri due.
"Osservatelo," ordinò Nàl, "studiatene l'aspetto, i movimenti, qualunque cosa. Cercate di vedere in lui qualcosa che un Aesir, con i suoi limiti, non scorgerebbe mai."
In quel mentre, qualcuno bussò alla porta della camera. I tre Jotun si scambiarono un'ultima occhiata d'intesa, poi Skaði si allontanò dai compagni per permettere all'ospite di entrare.
Il Costruttore si presentò con un sorriso elegante che sfumò in un'espressione delusa.
"Non siete il re," commentò fissando il giovane Jotun negli occhi.
Nàl gli rivolse un sorrisetto, "siete intuitivo, mio signore."
"Mi lusingate con la vostra cortesia ma temo di non avere il titolo per essere il vostro signore," replicò l'uomo facendo a stento un passo in avanti. Aveva l'aria di chi aveva gran fretta di andarsene.
"Il re ha chiesto a me di accogliervi," lo informò Nàl alzandosi dalla poltrona davanti allo specchio e muovendo qualche passo verso le alte colonne che delimitavano l'interno della camera dalla balconata esterna, "mi sono permesso di farvi preparare qualcosa per pranzo. È una splendida giornata, ho pensato che voleste consumarlo godendovi la vista della città dorata."
Il Costruttore tornò a sorridere rillassando le spalle e Nàl seppe di aver conquistato la sua attenzione.
"Non siete nemmeno il principe ereditario, vero?" Domandò.
"No, temo di no," rispose il giovane Jotun, "se, ora, volete seguirmi..."
Il costruttore non se lo fece ripetere due volte ed entrò nella stanza senza degnare di uno sguardo nè Skaði, nè Loki. 
Quest'ultimo si avvicinò al primo sorridendo sotto i baffi, "sarà meglio prepararsi..."
"Che vuoi dire?" Chiese Skaði curioso.
"Se Borr esce soddisfatto da questa storia, sarà il primo a pretendere Nàl sul trono dorato al fianco di mio fratello."
"Pensavo che il re odiasse quelli come noi," obbiettò Skaði.
Loki annuì, "ma è perfettamente consapevole che quel che sta facendo Nàl adesso, Odino non sarebbe mai in grado di farlo e, con lui, nessuna delle fanciulle ritenute degne di divenire regine per vicinanza alla famiglia reale."
Skaði guardò il suo principe, mentre invitava il Costruttore a sedersi alla tavola imbandita che i servi avevano preparato sulla balconata, "è nato per essere re."
"Molti re non lo sono."
"Lui sì!" Esclamò Skaði, "si è battuto per me. Si è sporcato le mani per uno sconosciuto, solo perchè era come lui... Faceva parte della sua gente. Questo è il genere di re che potrei seguire."
Loki fece una smorfia, "ho smesso da molto tempo di considerare gli Jotun la mia gente."
Skaði lo guardò intensamente, "eppure, sei devoto a Laufey."
"Sono devoto ad Odino."
"Ma se Laufey e Odino fossero re di un solo trono..."
"Un mondo con Laufey e Odino come re, che sia Asgard o Jotunheim, sarebbe un mondo migliore," Loki ne era convinto, "quel giorno, m'inginocchierò davanti ad entrambi senza remore. Quel giorno, accanto a mio fratello, Laufey sarà il mio re."
Skaði gli concesse un sorriso, poi tornò a guardare Nàl che sorrideva con arte, mentre il Costruttore parlava di cose che non lo interessavano affatto. "T'immagini che cosa significherebbe, per quelli come noi, avere il principe di Jotunheim sul trono di Asgard?"
"Tu non sei uno scarto..."
"Ed ho subito una sorte peggiore della tua."
"Scusami..." Loki abbassò lo sguardo.
"Forse, è solo un sogno," Skaði sorrise amaramente.
Loki appoggiò un palmo al centro della porta rimasta aperta, "però è un bel sogno," fece per chiuderla, quando una seconda figura comparve dal corridoio. Entrambi gli Jotun trasalirono per la sorpresa.
Il giovane li squadrò dall'alto al basso con i grandi occhi scuri e Loki fece un passo all'indietro nel riconoscerlo.
Con il viso pulito, i capelli in ordine ed i vestiti di un giovane della nobiltà minore sembrava una persona completamente diversa.
"Il mio Padrone?" Domandò con voce incolore.
Loki lo fissò senza riuscire a pronunciare una singola parola.
Non capiva il motivo di una simile soggezione: quel ragazzo non era nessuno e lui aveva convissuto con le occhiate velenose delle più alte personalità di Asgard per tutta la vita, senza che queste riuscissero ad affliggerlo come avrebbero dovuto. Poi, ricordò...
Ricordò di essere corso da Nàl perchè aveva visto in lui qualcosa che lo aveva fatto scattare.
Ricordò di aver sospettato di lui e di averlo, in un modo o nell'altro, accusato senza prove concrete.
Era, forse, vergogna quella che gli comprimeva il petto? Probabile...
Sentì la mano di Skaði stringerli la spalla, "il Costruttore è sulla balconata insieme a Lord Nàl," rispose.
Il giovane dai capelli scuri nemmeno lo guardò e continuò a tenere gli occhi fissi sul viso di Loki che, a sua volta, non riusciva a voltare il viso. 
Si girò di colpo ed uscì sulla balconata senza chiedere il permesso.
Loki riprese a respirare: non sapeva quando aveva cominciato a trattenere il fiato.
"Stai bene?" Gli chiese Skaði preoccupato.
"S-Sì," balbettò Loki.
No, non stava bene per niente.

"Padrone?"
Nàl voltò immediatamente lo sguardo in direzione del proprietario di quella voce. 
Svadilfari ricambiò l'occhiata chinando la testa, "mio signore."
Il Costruttore si alzò dal suo posto per posare una mano sulla spalla del ragazzo, "giovane Lord, permettetemi di presentarvi Svadilfari, il mio apprendista ed assistente."
Nàl forzò un sorriso, "ho avuto il piacere di conoscerlo questa mattina, mentre sellava lo stallone del principe ereditario."
"È un piacere incontrarvi ancora, mio signore."
"Unisciti a noi," lo invitò Nàl indicandogli una sedia vuota.
"Che ragioni avevate per preoccuparvi dello stallone del principe?" Domandò il Costruttore sedendosi nuovamente al suo posto.
"È il mio compagno," rispose Nàl con naturalezza.
Il Costruttore inarcò le sopracciglia, "voi siete...?" Sgranò gli occhi senza aggiungere altro.
"La mia fama mi precede, vedo."
"Le voci non rendevano giustizia alla vostra bellezza."
"Non sono una dama, Costruttore," la voce dello Jotun divenne appena più gelida, "non me ne faccio nulla di simili complimenti."
"Allora," l'uomo allargò le braccia e sorrise con fare amichevole, "assecondiamo le volontà del re e non annoiamoci oltre."
Nàl sorrise, "da dove venite, Costruttore?"
L'uomo rise, poi si grattò il mento: non aveva un pelo in faccia, eppure i capelli scuri erano folti e lunghi.
"Temo, principe Consorte, di non avere mai avuto una fissa dimora... Vengo da ogni Mondo conosciuto. Andando indietro nei secoli, potrei anche rispondervi che vengo da qui, da Asgard."
Nàl guardò Svadilfari, "sì, il vostro apprendista mi ha confidato che viaggiate molto."
"Fa parte del lavoro."
"Posso capire," non aveva importanza quanto il principe di Jotunheim cercasse lo sguardo del giovane seduto accanto al Costruttore, Svadilfari non ne voleva sapere di alzare gli occhi dal suo piatto.
"Chiederete di sicuro un prezzo per il vostro lavoro."
"Oh, sì!" Esclamò l'uomo.
"E come vi fate pagare?"
"Dipende dal lavoro."
"Che prezzo avete chiesto al re?"
In quel preciso istante, la porta della camera si spalancò ed una felicissima Freya saltellò in direzione di Skaði.
"Óðr era alla battuta di caccia!" Esclamò raggiante, "l'ho visto! Era bellissimo, avresti dovuto vederlo!"
"Ha trattenuto tutto questo entusiasmo fino a casa?" Domandò Odino facendo capolino dalla porta, seguito da Frigga.
"È una signora," gli ricordò quest'ultima, "una vera signora non disonora se stessa sbavando dietro ad un uomo, questo è compito di voi maschietti."
Il principe dorato le rivolse una smorfia, poi si accorse che il suo compagno non era da solo, "oh..." Fu tutto quello che riuscì a dire.
Il Costruttore sgranò gli occhi alzandosi da tavola e rientrando nella stanza, "ho l'onore di conoscere il glorioso principe Odino?" Era un modo particolarmente sfacciato di rivolgersi ad un erede al trono ma Odino non era mai stato particolarmente pignolo su questo genere di cose.
Inoltre, l'aggettivo glorioso aveva oscurato tutto il resto.
"In persona," rispose gonfiando il petto.
Nàl si schiaffò una mano in faccia per eviatarsi di andare a prendere a ceffoni la sua.
"Con chi ho l'onore di parlare?"
"Chiamatemi Costruttore," rispose l'uomo, "sono colui che vostro padre, il re, ha assunto per poter rendere più sicuro il vostro regno con un muro difensivo."
Frigga inarcò le sopracciglia, "un muro?"
"Il re ritiene che il guardiano del vostro cancello non sia così attento agli intrusi, mia cara" spiegò il Costruttore, "Asgard è un gran regno e necessita una degna protezione dalle minacce esterne."
"Che protezione?" Domandò Freya confusa, "i Regni sono in pace con Asgard e, molti di loro, ne sono alleati."
Il modo in cui gli occhi del Costruttore s'illuminarono, quando si posarono sulla minuta figura di Freya, costrinse Nàl ad alzarsi in piedi e rientrare nella stanza, "mio signore, dovete scusarmi ma il principe è appena tornato da una battuta di caccia, come le due signore e ritengo giusto che..."
"Una meraviglia," commentò il Costruttore avvicinandosi alla fanciulla di un passo, "il re Borr è stato molto onesto nel descrivervi, fiorellino."
"Come osate?" Skaði si parò davanti alla sua signora con fare difensivo, "è alla futura regina di Vananheim che state rivolgendo la parola."
L'uomo fissò lo Jotun con disprezzo.
Nàl temette che potesse colpirlo, quando Svadilfari posò una mano sulla spalla dell'uomo, "padrone?"
il Costruttore lo guardò con gli occhi febbricitanti d'ira.
"Penso che non dovremmo disturbare il principe ereditario oltre," disse con gentilezza.
L'uomo sembrò pensarci, poi lanciò un'ultima occhiata a Freya da sopra la spalla di Skaði, "a presto, mia principessa," si rivolse poi ad Odino, "mio principe," sia lui che Svadilfari s'inchinarono, poi uscirono dalla porta senza chiedere il permesso.

"L'avete venduta?"
Nàl non si era preoccupato di bussare, nè di controllare il tono della voce.
No, irruppe nella stanza del consiglio armato solo della sua rabbia e della sua indignazione.
Il re era da solo: si aspettava una sua visita.
"Te lo ha detto lui?"
"Mi è bastato vedere come la guardava," ringhiò Nàl in risposta, "ed è così che proteggete il vostro regno? Dando un'ottima ragione ai Nove Regni per attaccarvi?"
"Vananheim è sotto il governo di Asgard," gli ricordò Borr, "quel regno è una mia proprietà, come lo è la sua principessa."
Nàl ghignò, "ma non per molto, dico bene?" Strinse i pugni, "se la vendete a quell'essere finchè ancora avete potere su di lei, non dovrete più temere il suo regno."
Borr sbuffò, "rilassati, ragazzino..."
"Come posso rilassarmi, quando il sovrano del regno più alto di tutti vende giovani principesse come se fossero carne da macello?" 
"Siediti!" Ordinò.
"Non ascolterò nulla che..."
"Siediti!"
Nàl strinse le labbra ed ubbidì.
A tenerli distanti vi era un tavolo di almeno dieci metri, ghignò: aveva paura della sua ira, il re dei re.
"Freya è solo un diversivo," ammise il re, senza girarci troppo intorno.
"Spiegatevi."
"Questo Costruttore è famoso nei Nove per il modo assurdo in cui compie il suo lavoro."
Nàl incrociò le braccia contro il petto, "sarebbe a dire?"
"I tempi che impiega per completare le sue commissioni sono spiegabili solo con l'utilizzo del Seiðr."
Nàl sgranò gli occhi, poi rise istericamente.
Borr lo lasciò fare.
"Io non vi capisco," confessò il giovane, "voi temete questo potere. Lo odiate. Poi, lo ricercate in tutte le persone che potrebbero nuocervi e lo usate come giustificazione per attaccarle."
"Ho permesso a Freya d'insegnare alle nostre fanciulle," replicò Borr, "ho permesso ai curatori Vanir d'istruire i nostri ed ora le nostre donne non sono più indifese, come in principio."
"Ma guai, se un ragazzo prova ad appassionarsi all'arte della guarigione."
Borr ghignò, "voglio rivelarti un segreto, Nàl," disse quasi amichevolmente, "a noi uomini piace pensare di mandare avanti questo universo ma è un'illusione che ci creiamo per non dover affrontare il fatto che siamo delle bestie imbecilli."
Nàl inarcò un sopracciglio, "è l'unica verità che vi sento pronunciare, da quando vi conosco."
Borr rise, "arma una donna e questa si limiterà a proteggere la sua casa ed i suoi figli. Arma un uomo e questi ucciderà il suo vicino per conquistare la sua casa per sè."
"Ve lo ha insegnato Bestla?" Domandò Nàl con sarcasmo.
"Bestla è una regina, Nàl," gli ricordò il sovrano, "quando si sale su di un trono, si deve essere disposti a rinunciare alla propria umanità, se si vuol e essere grandi... Bestla sarebbe stata una grande regina, se solo non mi avesse tradito."
"Voleva solo che voi onoraste i patti di pace con Jotunheim."
"Pensavo la odiassi."
"La odio," Nàl annuì, "non ho mai accompagnato Freya su Vananheim con Odino per paura di doverle parlare ma penso abbiate dimenticato che, fancendola la vostra regina, non avete cancellato il suo essere una Jotun. Non si sarebbe mai permessa di essere grande per Asgard ed abbandonare la sua gente."
Borr non replicò e Nàl si umettò le labbra, "voi accettate che le donne studino l'arte del Seiðr perchè le considerate non pericolose," sorrise, "vengo da un mondo in cui le donne non esistono, mio signore e lasciatemi dire che, negli anni che ho vissuto qui, ho imparato che alcune di loro sarebbero più temibili di molti guerrieri sia di Asgard che di Jotunheim, se solo venisse concessa loro una possibilità su di un campo di battaglia."
Una pausa.
"Temete il Costruttore perchè potrebbe usare quel potere in un modo che non potete controllare?" 
"Che cosa hai scoperto di lui?"
"Che è un porco ed un violento," rispose Nàl, "caratteristiche comuni a troppi uomini perchè io possa dirvi di più. Ora, ditemi come Freya dovrebbe fungere da diversivo."
"Ho fatto una scommessa," spiegò Borr, "ho sfidato il Costruttore a completare il muro prima dell'estate."
Nàl sgranò gli occhi e rise, "questo è assurdo, siamo quasi alle porte dell'inverno!"
"Ha accettato."
"Non è possibile," il giovane Jotun scosse la testa.
"Ti ho appena detto che i suoi metodi sono piuttosto ambigui."
"Ma perchè v'interessa?" Domandò Nàl, "avete messo in gioco la vita di Freya, solo perchè un uomo qualunque ha avuto la fortuna di nascere con del potenziale."
"Non c'è solo questo..."
"Cos'altro, allora?"
"Ho ragione di credere che sia uno Jotun."
Nàl tacque e sgranò gli occhi, "anche io sono uno Jotun."
"Ho ragione di credere che viaggi per le corti dei Nove facendosi commissionare lavori e facendo la spia per conto di re Ymir."
Nàl strinse i pugni nel sentir pronunciare il nome di suo padre, "è assurdo, lo capite, vero?"
Borr si alzò in piedi e fissò la città dorata oltre le alte colonne che reggevano il soffitto, "no, non lo è."
"Spiegatevi..."
"Non sono stato io a cercarlo," spiegò Borr fissando il sole, mentre spariva dietro la linea dell'orizzonte, "è stato lui a venire da me, a presentarsi come il miglior costruttore mai conosciuto. Mi ha chiesto di sfidarlo, di dargli un'impresa impossibile da svolgere. Io gli ho commissionato un muro protettivo per Asgard, lui ha scommesso che avrebbe completato tutto prima dell'estate, io ho detto che, per essere impossibile, non doveva avvalersi dell'aiuto di nessun uomo. Lui mi ha chiesto solo un cavallo."
"Nemmeno mille uomini riuscirebbero nell'impresa, Borr, lo sapete bene!"
"Sì," il sovrano annuì, "io lo so, per questo gli ho concesso Freya come vincita. Però..."
"Però?"
"Quando gli ho stretto la mano, mi ha guardato come un uomo che è certo di avere già la vittoria in tasca e ne era troppo convinto, perchè si trattasse di semplice follia."
 
[Asgard, oggi.]


Festeggiamenti.
C'era stato un tempo in cui Thor non viveva per altro.
Lo scontro, certo.
Senza di quello, non avrebbe avuto una ragione per festeggiare.
Idromele, calici a pezzi in terra, canzoni volgari urlate da uomini ormai sbronzi.
Un tempo, Thor sarebbe stato un di loro. Avrebbe bevuto, cantato e riso come un folle, fino all'alba e, se non fosse stato soddisfatto da questo, avrebbe trovato una bella fanciulla con cui scaldare il letto, prima che il sonno lo vincesse. 
Quella sera, nessuno era ancora sbronzo, quando si alzò dal suo posto e prese la via delle sue stanze.
Un silenzio inquietante cadde nella sala dei banchetti, quando varcò la porta ma non si voltò per rassicurare nessuno. 
A stento aveva parlato con i suoi amici.
Aveva fatto l'impossibile per non incrociare lo sguardo dei suoi genitori.
Si era tenuto lontano da qualsiasi fanciulla e, a stento, aveva posto attenzione alle parole che Sif gli aveva rivolto.
Aveva perso la voglia di festeggiare, Thor.
L'aveva persa il giorno in cui l'unico fratello che aveva si era tolto la vita davanti ai suoi occhi e si era ritrovato costretto a rinunciare all'unica donna da cui aveva mai desiderato tornare. Poi, Loki era tornato e persino il pensiero di Jane era stato accantonato per un po'.
L'aveva pensata durante la prigionia di Loki.
Sì, l'aveva pensata, quando aveva avuto bisogno di prendersi una pausa dalle oscure riflessioni che alimentavno i suoi incubi.
Poi, si era ritrovato di nuovo su Midgard con una passione proibita a fargli ribollire il sangue e la possibilità di tornare da lei, eliminando un peccato con uno minore, perdonabile. A Loki aveva detto che l'aveva amata.
Aveva dovuto mentirgli, così che lui potesse distruggere il muro che impediva ad entrambi di scatenare quel fuoco che corrompeva l'anima di entrambi e che, prima o poi, li avrebbe consumati. Non era durata molto, quella bugia.
Thor aveva dovuto dire a Loki che non aveva mai toccato Jane.
Aveva dovuto dirgli che era andato da lei ma che, alla fine, non ce l'aveva fatta, perchè il prezzo da pagare sarebbe stato troppo grande per lui da sopportare.
Alla fine, tra Jane e Loki, Thor aveva scelto Loki.
Aveva scelto mille anni di vita insieme, contro tre giorni di rivoluzione interiore.
Aveva scelto male.
Una sola vita felice sarebbe valsa molto di più di un'eternità di dolore.
Ora, non aveva più voglia di festeggiare.
Ora, non poteva più nemmeno tornare su suoi passi, perchè il cuore con cui avrebbe amato Jane non esisteva più.
"Thor?"
Si bloccò. Si voltò.
Lo sguardo preoccupato di Sif era la cosa peggiore che potesse vedere in quel momento. 
"Ehi..." Lui forzò un sorriso.
"Va tutto bene?"
Non avrebbe mai potuto dirle che nulla sarebbe più andato bene.
"Sono molto stanco," si giustificò.
Lei annuì, "preferisci fare qualcosa di più tranquillo? Non hai l'aria di chi si può permettere di stare da solo."
E Thor non aveva il cuore di dirle che, non aveva importanza quanti sforzi avessero fatto lei, i suoi genitori, tutti gli altri.
Thor era solo.
Lo era dal momento in cui aveva deciso di amare una mortale.
Era condannato ad esserlo per sempre, perchè aveva amato il solo uomo a cui non avrebbe dovuto concedere nulla.
Alla fine, le uniche cose che in vita sua erano state veramente in grado di toccare un cuore ormai rubato, seviziato e gettato via, erano state le più sbagliate che un principe di Asgard potesse scegliere.
"Perdonami, Sif ma penso che farò un bagno caldo e andrò a dormire."
Lei annuì nuovamente, "ci vediamo domani per allenarci?"
"Non lo so, Sif."
"Oh..."
Thor non aveva la forza di preoccuparsi della delusione nei suoi occhi, "buona notte, Sif..."
"Buona notte, Thor."
Non sarebbe riuscito a chiudere occhio, quella notte.


Alla fine, almeno sul bagno caldo non aveva mentito.
L'acqua bollente, almeno, sembrava stordirlo abbastanza da concedergli qualche minuto di pace.
Appoggiò la testa contro il bordo e chiuse gli occhi con un sospiro.
Quanti secondi, prima che i ricordi cominciassero a perseguitarlo?
"L'acqua del lago non era così calda."
Sollevò le palpebre: gli occhi verdi che lo fissavano brillavano di una luce calda e maliziosa.
"Non mi ricordo," ammise, mentre l'altro aggiustava meglio le gambe ai lati del suo bacino e accendeva di passione quel corpo che non ne voleva proprio sapere di ricordarsi di essere ancora vivo. Respirava, in fondo, anche senza il suo cuore.
"L'acqua della doccia era calda," aggiunse.
L'altro gli sfiorò la bocca con la punta dell'indice, "e la pioggia?" Domandò, "te la ricordi la pioggia?"
"Amavi la pioggia."
"Era come fare l'amore con te mille volte al secondo," rispose Loki baciandolo a fior di labbra, "per colpa tua, ora vedo i temporali come la cosa più erotica che esista."
"Allora, faremo l'amore sotto la pioggia per tutta la vita."
"Lo prometti?"
Loki non gli aveva mai chiesto di promettergli niente.
Nella sua recita era stato abbastanza onesto, in fin dei conti, da non pretendere da lui nulla più di quel che avevano.
Però, era dolce, nella sua immaginazione, sentire quella voce chiedergli di fare un giuramento... Un qualcosa che potesse unirli oltre la realtà delle cose.
"Te lo prometto."
Quell'illusione svanì troppo in fretta.
Thor dovette mordersi il polso per trattenere il gemito finale che uscì dalla sua gola.
Nessuno lo avrebbe sentito ma non voleva udire se stesso gemere come un ragazzino, mentre veniva nella sua stessa mano.
C'erano ancora tracce di sperma tra le dita, quando riemersero dall'acqua.
Strinse le labbra con rabbia e disgusto, poi lavò via quello che rimaneva di quella solitaria parentesi di piacere con violenza, graffiandosi il dorso ed il palmo della mano. Poi, si strinse le ginocchia contro il petto artigliandosi le spalle.
Cominciò a piangere, quando le unghie penetrarono la carne e alcune goccioline cremisi sporcarono l'acqua cristallina della vasca ma non per il dolore fisico. Quello avrebbe voluto sentirlo di più, forse sarebbe riuscito a non pensare, in quel modo.
Si passò entrambe le mani tra i capelli bagnati tirandoli.
Sentiva ancora il suo odore addosso ed il suo sapore in bocca.
Sentiva la voce alterata dal piacere nelle sue orecchie.
Sentiva il calore umido del suo corpo accoglierlo.
Sentiva ancora l'incertezza che lo aveva bloccato, un istante prima che Thor lo lasciasse prendere ciò che non aveva concesso a nessun altro.
Nessun altro...
Un pensiero orribile gli attraversò la mente.
Il vecchio se stesso se lo sarebbe lasciato scivolare addosso provando vergogna.
Quello che era ora vi si aggrappò con tutte le sue forze.
Scosse la testa in un improvviso momento di lucidità.
Uscì dalla vasca e sperò che almeno il sonno fosse clemente con lui e lo prendesse in fretta.
 
[Asgard, secoli fa.]

Quando le guardie scesero fino alle scuderie per cercarlo, Svadilfari strinse i denti per obbligarsi a non perdere la calma.
"Ho commesso qualche errore per il quale devo rispondere?" Domandò ma non gli venne spiegato nulla.
Indossò gli abiti migliori che aveva e si limitò a seguire le due guardia nascondendo magistralmente il suo timore.
L'area del palazzo era quella riservata ai membri della famiglia reale, ma non venne condotto negli stessi appartamenti in cui aveva messo piede quella stessa mattina. 
Si fermarono davanti ad una porta dorata identica a tutte le altre.
Uno dei due uomini bussò, prima di tornare sull'attenti.
L'uscio si aprì un po' troppo velocemente, come se l'occupante della stanza avesse aspettato il suo arrivo con particolare urgenza.
Il giovane Jotun gli sorrise timidamente, poi si rivolse alle guardie, "potete andare," ordinò e queste si voltarono senza congedarsi in alcun modo. 
Svadilfari rimase immobile fissando il giovane dai capelli corvini senza una reale espressione.
"Prego, accomodati," Loki si fece da parte permettendo al suo ospite di entrare.
Svadilfari ubbidì, senza emettere suono.
Loki richiuse la porta, poi prese a torcersi le mani con agitazione, mentre l'altro osservava incantato il fuoco acceso nel camino, "ho saputo che il Costruttore ha una stanza a palazzo."
"È così," confermò il giovane apprendista senza guardarlo.
Loki avvertì uno spiacevole calore salirgli alle guance ma andò avanti, "tu dormi nelle scuderie?"
"I cavalli sono migliori di molte persone."
"Non ne dubito ma non deve essere molto comodo..."
Svadilfari lo guardò dritto in faccia e Loki si sentì costretto ad abbassare gli occhi per troppo imbarazzo, "mi avete fatto chiamare per invitarmi nel vostro letto?"
Il giovane Jotun sgranò gli occhi ed avvampò, "I-Io..."
"Non avete motivo di vergognarvi," Svadilfari accennò un sorriso, "se avete intenzione di divertirvi, sarò lieto di farvi compagnia."
L'espressione di Loki era indescrivibile, "temo di non apprezzare quel genre di divertimento."
Svadilfari inarcò le sopracciglia, "dite sul serio?"
"Ti sarei grato, se non mi deridessi per questo."
"Non lo sto facendo."
"Volevo solo chiederti scusa!" Esclamò Loki di colpo ed a voce troppo alta. 
Svadilfari reclinò la testa da un lato, "per cosa, mio signore?"
L'altro scosse la testa, "ti prego, non sono il signore di nessuno."
"Eppure dormite accanto al principe e al suo promesso."
"È una storia lunga, temo."
"Mi avete sottratto al mio giaciglio, penso che possiate intrattenermi con una storia."
Loki abbozzò un sorriso e lo invitò a sedersi accanto al fuoco co un veloce gesto della mano, "io ed il principe Odino siamo legati da un patto di sangue," raccontò accomodandosi di fronte al suo ospite, "un antico rituale che, da bambini, abbiamo trovato in un libro di magia."
Svadilfari lo guardò incredulo, "il principe dorato ed un piccolo Jotun, suona incredibile."
"Uno di quei piccoli Jotun è nel suo letto, in questo preciso momento," gli ricordò Loki, "questo è incredibile."
"Come siete giunto in queste terre."
"Chiamami Loki, ti prego."
"Loki... Mormorò Svadilfari, quasi volesse assaggiare il suono del suo nome, "perchè ti trovi così lontano da casa, Loki?"
"Jotunheim non è la mia casa," si affrettò a rispondere, "i piccoli Jotun non sono ben accetti tra la gente che li mette al mondo."
L'apprendista sorrise amaramente, "la maledizione del diverso."
Loki annuì, "sì, proprio così. Odino mi ha trovato che ero ancora un bambino. Ero tanto piccolo che, pur avendo la mia età, lui è riuscito a sollevarmi tra le braccia e portarmi al suo accampamento," gli occhi scuri si voltarono verso il fuoco, senza realmente vederlo, "ero poco più di una bestia, all'epoca. A stento riuscivo a comunicare... Non avevo neanche un nome."
"È stato Odino a chimarti Loki?"
"No, è un nome che mi sono scelto per me," rispose Loki incontrando quei grandi occhi nocciola, "è stata la prima volta che mi sono sentito libero di scegliere qualcosa."
"Non mi hai ancora detto per quale ragione senti il bisogno di chiedermi scusa."
Loki si morse il labbro inferiore, "Nàl è venuto da te perchè io ho... Sospettavo che potessi essere un pericolo."
Svadilfari abbassò lo sguardo, "lo avevo intuito."
"Ti chiedo di perdonarmi," disse Loki con sincerità, "è che hai capito che ero uno Jotun e ho imparato che solo gli Jotun riescono a riconoscersi ad un primo sguardo fuori dal loro ambiente e... Non riesco a fidarmi di quelli come me."
"Eppure, il compagno del principe..."
"Non è sempre stato così," spiegò Loki, "ci siamo odiati, prima d'imparare a darci fiducia. Temo di aver fatto lo stesso con te: ti ho accusato di qualcosa che non mi avevi dato motivo di sospettare. La stessa cosa è stata fatta a me dal momento in cui ho messo piede in questo regno e non lo sopporto... Non l'ho mai sopportato. Ti chiedo scusa perchè ti ho puntato il dito contro basandomi su un pregiudizio."
Svadilfari lo fissò per un lungo minuto di silenzio, poi annuì e si alzò in piedi, "non hai motivo di preoccuparti."
Loki si alzò in piedi a sua volta, "te ne vai?"
Il giovane apprendista lo fissò confuso, "c'è altro che posso fare per te?"
Lo Jotun si guardò intorno con imbarazzo, "è molto freddo questa notte."
L'altro non disse nulla.
"Le scuderie devono essere gelide."
"Sono abituato a ben peggio, Loki."
"Permettimi di ospitarti ancora un poco. Potremmo sedere davanti al fuoco e..."
"Non ho bisogno della tua pietà," si affrettò a dire Svadilfari con tono glaciale.
Loki trattenne il fiato e abbassò lo sguardo, "non era mia intenzione offenderti."
L'apprendista non disse altro, si limitò a voltarsi ed scire dalla camera.

"Che cos'hai?" Domandò Nàl, uscendo dall'acqua del laghetto e distendendosi sul mantello verde accanto a lui.
"Nulla..." Mentì Loki con un braccio appoggiato sopra gli occhi.
"Non è vero."
"Laufey..." Loki si girò su un fianco dandogli le spalle, "ho solo dormito poco, tutto qui."
Il principe di Jotunheim lo lasciò stare e prese a raccogliere i propri vestiti da terra, "dovremmo tornare," disse infilandosi i pantaloni, "il sole è alto, sarà quasi ora di pranzo."
Loki annuì imitandolo, "hai bisogno di me, questo pomeriggio?"
Nàl lo guardò, "se hai bisognondi riposare, mi chiuderò in biblioteca fino al tramonto, non devi preoccuparti."
Loki annuì. Non gli disse nulla nè di Svadilfari, nè di quello che era successo. Si sentiva troppo stupido per voler condividere quella cosa con qualcuno. In ogni caso, non era importante: non c'era ragione per cui lui e l'apprendista dovesse incontrarsi ancora, figurarsi parlare. 
Il Costruttore avrebbe fatto il suo lavoro e, nel giro di pochi mesi, quella parentesi sarebbe stata dimenticata sia da lui che da Svadilfari e, col trascorrere delle stagioni, avrebbero finito col dimenticare i reciproci nomi e quel che li aveva spinti a presentarsi.
Una sagoma scura uscì dagli alberi.
Loki la intravide con la coda dell'occhio e sobbalzò.
"Cosa c'è?" Domandò Nàl mettendosi subito sulla difensiva.
Entrambi tacquero, quando videro lo splendido animale uscire alla luce del sole e avvicinarsi alla riva del laghetto. Lo stallone, di questo si trattava, puntò su di loro i grandi occhi scuri, come per chiedere il permesso, poi chinò la testa e prese ad abbeverarsi. 
Loki si guardò intorno, "pensavo che non si cacciasse in questo lato della foresta."
"Sì," confermò Nàl fissando l'animale incantato. Il manto era color mogano, la criniera corvina. Doveva essere selvaggio, nemmeno le scuderie reali potevano vantare animali così belli cresciuti in cattività.
"Non credo appartenga a qualcuno."
"Eppure, non sembra disturbato dalla nostra presenza," notò Loki avvicinandosi di un paio di metri.
"Credevo non ti piacessero troppo i cavalli."
"È così..."
Ma quello stallone era troppo bello per non essere ammirato: così elegante, eppure completamente privo di qualsiasi segno che potesse provare il passaggio della mano dell'uomo su di lui. Loki aveva l'impressione che l'idea stessa di libertà avesse preso forma in quella meravigliosa creatura.
Il cavallo alzò la testa e lo guardò e, ingenuamente, Loki gli sorrise, come se fosse dotato della sensibilità giusta per capire il significato di quel suo gesto.
Il rumore di zoccoli in lontananza fece drizzare le orecchie dell'animale che si guardò intorno allarmato, prima di girare su se stesso e sparire tra gli alberi della foresta, silenzioso come un sogno scivolato via alle prime luci dell'alba.
"Arriva qualcuno."
La mano di Nàl sulla sua spalla, riportò Loki alla realtà, mentre uno stallone nero dall'aria familiare si avvicinava a loro lentamente. 
"Speravo di trovarvi qui," disse Odino sorridendo dall'alto del suo destriero, " dove sono i vostri cavalli?"
Nàl alzò gli occhi al cielo, "la fortuna ha voluto che avessimo entrambi delle gambe funzionanti."
Il principe dorato smontò dal cavallo e ne legò le cinghie al tronco di un albero, "ve ne stavate andando?"
"Cominciamo ad avere fame," rispose Nàl. Loki continuava a fissare assorto il pumto in cui lo stallone color mogano era sparito.
"Che gli prende?" Domandò Odino reclinando la testa da un lato.
"Un cavallo è spuntato dal nulla per fermarsi a bere," raccontò il principe di Jotunheim, "un animale superbo, a dire il vero."
"Degno di un re?" Domandò Odino interessato, "se vi ha colpito fino a questo pumto, potrei..."
"Lascialo stare," lo interruppe Loki di colpo.
Odino lo guardò confuso, "ho detto qualcosa che ti ha turbato, fratello?"
"Il fatto che tu sia il principe ereditario, non ti consente di legare ad una corda ogni vita di questo regno," lo rimproverò lo Jotun con un astio del tutto immotivato. Nàl lo fissò sorpreso ma fu Odino ad indagare, "volevo solo farvi un dono..."
"Nessuno te lo ha chiesto!" Sbottò lo Jotun con rabbia, "è una cosa bella e lo è proprio perchè non appartiene a nessuno. Perchè vuoi rovinarla?"
"Io non voglio fare proprio niente!" Odino alzò le mani in segno di resa.
Fu allora che il giovane Jotun sbattè le palpebre e sembrò tornare in sè, "i-io..." Abbassò lo sguardo, "mi dispiace, Odino... Non so cosa..."
Per tutta risposta il principe dorato lo prese per le spalle e ne studiò il volto con attenzione, "stai bene?" Domandò preoccupato.
Loki avrebbe solo voluto mettersi a piangere.
"È solo molto stanco," intervenne Nàl forzando un sorriso, "lo riporto a palzzo, gli faccio mangiare qualcosa e lo metto dritto a letto... Tu torna pure ad inseguire cinghiali e stai attento che Frigga e Freya non ti confondano con uno di loro."
Odino fece una smorfia, "divertente, Nàl, molto divertente..."

"Vuoi raccontarmi che cosa è successo?" Il principe di Jotunheim lo domandò solo dopo avergli messo una tazza fumante di tisana tra le mani ed averlo fatto sedere con la schiena appoggiata ad i cuscini del letto.
"Penso di aver commesso un errore," ammise Loki fissando il liquido scuro.
"Di che genere?"
"Volevo essere gentile con una persona a cui avevo fatto un torto," cercò di essere il più vago possibile, "questa, prima ha frainteso le mie intenzioni, poi, dopo aver compreso, è rimasta offesa dal mio comportamento."
Nàl lo fissò, "da quando tu parli con le persone al punto da offenderle?"
Loki arrossì e prese un sorso di tisana, "volevo scusarmi con l'apprendista del Costruttore," spiegò, "gli ho puntato il dito contro ancor prima di conoscere il suo nome e tutto basandomi su idee sbagliate e preconcetti."
"Eri preoccupato, non c'è nulla di sbagliato in questo."
"Dorme nelle scuderie, sai? Volevo solo essere ospitale e lasciare che si scaldasse un poco davanti al fuoco, prima di andarsene."
"Hai invitato Svadilfari nella tua stanza?"
Loki si morse il labbro inferiore, "volevo chiedere scusa."
"Potevi scendere stamani nelle scuderie e farlo," gli fece notare Nàl.
"Volevo palrargli," ammise il giovane Jotun, "so cosa si prova a non sentirsi a casa in nessun luogo e ad essere malvisti per il semplice fatto di essere vivi, volevo solo... Volevo essere gentile con lui, tutto qui."
Nàl annuì ed accennò un sorriso, "forse, nemmeno sa che cosa sia la gentilezza."
Loki inarcò un sopracciglio, "che cosa vuoi dire?"
"Ricordi com'ero anni fa, no? Quella che Odino chiamava passione, per me era una prova di forza. Il rispetto, la gentilezza... Nessuno mi aveva insegnato che cosa fossero. La sola lezione che avevo imparato da mio padre era che dovevo essere abbastanza forte da proteggere me stesso ed il mio popolo, una volta che sarei divenuto re, perchè ero solo in un modo molto più profondo della'assenza di compagnia e tale sarei rimasto con, o senza Fàrbauti. Sii temuto e avrai il potere, sii amato ed ogni giorno potresti rischiare di venir tradito."
Loki sentì una profonda tristezza comprimergli il petto a quelle parole ma rimase ad ascoltare, rfilettendo con cura su ciò che Nàl voleva fargli capire. 
"Bastava che Odino aprisse bocca perchè tutto quello in cui avevo sempre creduto venisse negato," continuò il principe di Jotunheim, "reagire con violenza era la sola cosa che potessi fare per non cadere a pezzi. Accettare che tutto ciò che mi avevano insegnato era sbagliato e ricominciare da capo, era una cosa troppo dolorosa e difficile perchè io la prendessi in considerazione."
Loki si asciugò velocemente una lacrima sfuggita al suo controllo, "come può qualcuno non aver mai conosciuto la gentilezza?"
Nàl si oscurò un poco, "tu l'avresti conosciuta, se Odino non ti avesse portato via da Jotuneim, quel giorno?" Domandò un po' duramente, "inoltre, quanta gentilezza ci si può aspettare da un uomo che si fa chiamare padrone dal suo apprendista?"
 
[Asgard, oggi.]


Tutto era perfettamente in ordine, come ce lo si poteva aspettare da Loki.
Non doveva aver portato nulla con sè.
Quel che aveva fatto parte della sua vecchia vita su Asgard era stato abbandonato, esattamente come lui.
Un fragore di risa attirò l'attenzione di Thor verso il balcone: i festeggiamenti dovevano essersi spostati nei giardini interni.
Sperò che non durassero a lungo: tutta quella felicità non faceva altro che nutrire il dolore che non sapeva per quanto tempo sarebbe riuscito ancora a celare. Suo padre aveva creduto alla sua verità senza battere ciglio, sua madre non smetteva di fissarlo con sospetto misto a preoccupazione, ogni qual volta che i loro sguardi s'incrociavano.
Che cosa le aveva detto, Loki? La verità? Quale delle tante?
Le aveva raccontato che erano divenuti amanti durante una notte di pioggia?
Le aveva detto che Thor lo aveva pregato di scoparlo come una puttana vogliosa?
Le aveva confessato di come aveva dato tutto per poter stringere in pugno il cuore di suo figlio, per poi stritolarlo tra le dita indossando quel ghigno di pura soddisfazione?
Suo padre gli aveva detto che Loki gli aveva fatto il lavaggio del cervello con una neonata fantoccio che l'aveva reso demente per giorni, sua madre si ostinava a difendere quel traditore che non smetteva di considerare un figlio, nonostante tutto. Nonostante quello che aveva fatto a Thor.
C'erano alcune carte sulla scrivania.
Thor percorse con l'indice la linea di una lettera scritta con eccessiva eleganza. C'era Loki nel modo in cui erano scritte quelle parole, c'era Loki in ogni angolo di quelle quattro mura.
Aprì l'armadio e trovò Loki in tutte le sfumature di verde esistenti, quelle racchiuse nei suoi occhi.
Lo trovò nel nero assoluto delle sue giacche che non era intenso nemmeno la metà di quello dei suoi capelli.
Afferrò una tunica, una delle più semplici e se la portò al viso.
Thor aveva sentito quell'odore addosso ogni mattina per più di un anno. L'aveva sentito sulla sua pelle, sulle lenzuola del suo letto, l'aveva avvertito nell'aria della sua casa... La casa in cui non avrebbe più messo piede, perchè parlava di Loki e di loro. Di tutto quello che era stato ma che, in realtà, non era mai esistito.
Con quella tunica verde ancora stretta al petto, Thor si coricò nel letto in cui Loki aveva dormito per la maggior parte della sua vita. Il letto in cui aveva nascosto i suoi sogni proibiti e in cui aveva consumato una passione peccaminosa con timide carezze segrete.
Se solo Thor fosse stato accanto a lui, quelle notti.
Se fossero state sue le mani ad accarezzarlo.
Se fossero stati veri i baci di quei sogni adolescenziali.
Se... Se...'Se...
Loki lo aveva amato nell'ombra e Thor ce lo aveva spinto tanto dentro che quell'amore era divenuto odio.
Poi, in quell'oscurità era entrato lui stesso per amarlo come non avrebbe dovuto ed ora era lì, solo.
Solo, come lo era stato Loki il giorno della verità.
Solo, come quando lo aveva avuto a meno di un metro di distanza da lui e non era riuscito a salvarlo dell'abisso.
Solo, con i pezzi di un cuore che non sapeva come riattaccare.
Thor affondò il viso nel cuscino che era appartenuto a Loki e, cullato dal suo fantasma, sprofondò in un sonno pieno di incubi.

"Thor..."
La voce di suo padre era fredda, incolore.
"Thor."
Era svgelio da ore ma gli ci volle un po' per tirarsi a sedere ed incontrare lo sguardo di quell'unico occhio glaciale.
"Io e tua madre ti stavamo cercando."
Il principe si voltò in direzione della balconata: il sole era alto, il tempo gli era sfuggito di mano.
"Chiedi scusa a mia madre per non essermi presentato a colazione, come le avevo promesso."
"I tuoi amici ti aspettavano per allenarsi," gli ricordò Odino.
"Avevo detto loro che non sapevo se sarei andato," si giustificò.
"Era un tuo dovere andare."
Thor lo guardò con astio, "ho finito il mio addestramento da anni, padre."
"Questa non è una buona ragione per oziare," replicò il re con pazienza, "che ti è successo? Ieri sera eri talmente confuso da non ricordare quale fosse la tua camera?"
"Ho infranto la legge, per caso?"
"No..." 
"Allora perchè vieni a farmi la predica?" Domandò il principe scocciato, "è il letto di mio fratello, non di un bordello."
Odino strinse le labbra, poi afferrò la coperta gettandola sul pavimento.
Thor si raggomitolò contro la tastiera del letto in un movimemto automatico ma non fu sufficiente a nascondere la tunica verde che gli era scivolata in grembo. Odino lo fissò come se lo avesse sorpreso a coccolare una testa mozzata.
"Che stavi facendo?"
"Nulla che andasse contro le regole."
"Che stavi facendo, Thor?"
"Piangevo mio fratello," rise istericamente, "nulla di diverso dal ritornello degli ultimi anni."
Odino chiuse l'unico occhio e sospirò profondamente, "che cosa deve arrivare a farti Loki, perchè tu possa capire?"
"Non preoccupatevi, padre, ho capito perfettamente," lo rassciurò Thor alzandosi dal letto, "torno in camera mia, vorrei che diceste ai miei amici che voglio restare da solo."
Se ne andò con la tunica di Loki stretta contro il petto.

Il servo di Sleipnir impiegò tre giorni ad informare Odino della scomparsa del suo signore.
Questo gli costò una serie di frustate e una notte da passare nelle prigioni.
"Pensavo fosse uscito, mio signore," singhiozzò il servitore alzando il viso da terra, "gli piace cavalcare nella foresta. Per giorni interi, alle volte."
"Non si è mai allontanato, senza prima informarmi," sibilò il re, "non ti ha insospettito che non ti abbia lasciato alcun messaggio da recapitarmi?"
Il servitore chinò il viso e scoppiò a piangere.
"Che ne dobbiamo fare di lui, maestà?" Chiese una guardia.
Odino sospirò, "lasciate che passi una notte in cella, poi riportatelo negli alloggi dei servitori... Troveranno qualcosa da fargli fare."
I singhiozzi disperati del povero servo lo accompagnarono, fino a che non risalì in superficie.

"Cosa pensi che gli sia successo?" Chiese Frigga preoccupata sedendosi sul bordo della fontana accanto al marito.
"Non lo so," Odino scosse la testa continuando a fissare il vuoto, "ho domandato a Heimdall... Non ha saputo cosa dirmi."
La regina sospirò con aria grave, "per quanto ancora dovremmo subire le conseguenze dei nostri errori?"
"Di che cosa stai parlando?"
"Loki, Thor... Ora, Sleipnir."
"Thor sta benissimo," obbiettò il sovrano con sicurezza, "diamogli qualche giorno ancora e dimemticherà questa storia, come tutte le altre."
"Quali altre?" Domandò Frigga freddamente, "pensi davvero che arriverà il giorno in cui dimenticherà l'ultimo sguardo di suo fratello, mentre si lascia cadere nel vuoto? Pensi che scorderà il modo in cui Loki gridava, mentre gli cucivi la bocca?"
Il sovrano si alzò in piedi di colpo, "ho fatto solo quel che era necessario."
"Certo!" Esclamò Frigga con sarcasmo, "continuiamo a ripeterci quanto grandi siamo stati come genitori nel sacrificare il bene dei nostri figli per uno superiore e fingiamo che il fazzoletto sporco di sangue che ci ha mostrato Thor non sia mai esistito."
"Ti proibisco di parlarne!" Le ordinò Odino puntandole un dito contro, "mi sono premurato di farlo sparire, mentre Thor delirava per la febbre e non c'è ragione per cui lui ne debba venire a conoscenza."
Frigga sgranò gli occhi, "pensi ancora che Thor sia stato sotto il comtrollo di Loki per tutto l'ultimo anno?"
"È l'unica cosa che abbia senso!"
"È l'unica cosa che sei disposto ad accettare!" Lo corresse la moglie, "ti sei fermato un minuto a riflettere sulla possibilità che sia successo quello che tanto temi?"
"Fai silenzio..."
"Hai idea di come potrebbe stare Thor in questo momento, mentre noi fingiamo di credere che è solo questione di tempo, prima che ritorni in sè?"
"Loki Laufeyson non ha toccato mio figlio," sibilò il sovrano di Asgard, "Thor non si è lasciato sedurre da un principe di Jotunheim dedito alla manipolazione e nulla... Nulla, Frigga, mi convincerà a cambiare idea in proposito."

Thor rimase chiuso nella sua stanza per dieci giorni interi, senza che la corte avesse notizie dello stato in cui versava il suo principe dorato.
Persino Frigga aveva smesso di comparire in pubblico: Odino era più che sufficiente per mandare avanti quella messa in scena.
Suo figlio non le parlava più e la regina, a stento, riusciva a porre un freno alla sua disperazione.
"Tesoro..."
Thor era seduto a terra con la schiena appoggiata ad una delle alte colonne che delimitavano la balconata.
"Tesoro, non devi nasconderti con me."
Aveva perso il conto delle volte che lo aveva ripetuto.
"Qualunque cosa sia successa tra te e tuo fratello, non sarà mai abbastanza grave da indurmi a smettere di amarti."
Thor continuò a fissare il cielo reso rossastro dal tramonto, "lo hanno trovato?"
"Thor..."
"Voglio sapere se hanno una pista, qualcosa..."
Frigga chiuse gli occhi e scosse la testa, "no, tesoro."
Thor annuì, "vorrei rimanere da solo."
"Amore mio, non puoi continuare a..."
"Madre, ti prego..."
Solo, completamente solo.
Nemmeno la donna che lo amava piu di ogni altra cosa al mondo poteva fare nulla per cambiare la sua situazione.
Thor fu abbastanza forte da reggere ancora un giorno.
Poi, quel che era rimasto di lui si spezzò sotto il peso di un dolore troppo pesante per un'anima ferita.
Aveva rifiutato la cena ancora una volta ed aveva preso a vagare per la sua camera, come un animale agonizzante in una gabbia.
Voleva piangere fino a cavarsi gli occhi, voleva strapparsi la pelle di dosso e voleva dare fuoco a quei capelli dorati che Loki aveva detto di amare così tanto. No, non era vero, Loki non gli aveva mai detto nulla di simile.
Si era limitato a passarci le dita ogni qual volta gli capitasse l'occasione. Vi aveva affondato il naso molte volte, mentre credeva che Thor dormisse e ne aveva respirato il profumo posando dei baci leggeri sulla sua nuca. Loki era innamorato dei suoi capelli.
Nella menzogna, quella poteva essere una semplice verità a cui credere.
Thor la odiò.
Si fermò davanti all'ernorme specchio dalla cornice dorata ed odiò quello che vide.
Rovistò con furia nei cassetti ma la sua ricerca fu breve.
Impugnò quelle forbici come se fossero il pugnale con cui avrebbe ucciso quell'oscurità che, minuto dopo minuto, gli rendeva impossibile respirare. Osservò il suo riflesso ancora una volta, poi prese una ciocca bionda tra le mani e tagliò... Tagliò... Tagliò e continuò a tagliare.
Ogni filo dorato che cadeva a terra era una carezza di Loki, un suo bacio, una parola sussurrata in una notte d'amore.
Nemmeno si rese conto di essere scoppiato a piangere ancora una volta, perchè era un debole, Thor e la debolezza era un crimine che un futuro re non poteva permettersi. Andava tagliata via, come i capelli che Loki amava tanto, come il ricordo della notte in cui gli aveva permesso di violarlo, in cui aveva condannato se stesso.
E si odiava, sentiva disgusto per se stesso, per aver permesso ad un uomo di usarlo come la sua puttana ed essere stato tanto stupido da illudersi che fosse qualcosa di speciale. Nella foga, la lama delle forbici gli ferì una guancia.
Con un gemito, le lasciò cadere a terra.
Non era certo che fosse stato un incidente.
Si guardò allo specchiò: i capelli corti in disordine, il viso ridotto ad una maschera sfregiata.
Alzò la mano destra e Mjöllnir rispose al suo richiamo senza indugio.
Un fulmine squarciò il cielo.
I frammenti dello specchio si mischierano, sul pavimento, ai capelli dorati.
 
[Vananheim, oggi.]


Sigyn non amava i pettegolezzi.
Era troppo riservata e bene educata per lasciarsi contaggiare dallo sciocco starnazzare di oche travestite da nobil donne.
Spesso, era stata rimproverata per questo suo comportamento introspettivo.
Sua madre, in particolare, temeva che la sua bambina, così bella ma innamorata dell'ombra, non sarebbe mai riuscita ad attirare l'attenzione di un uomo degno di tale nome. Non veniva da una famiglia potente, Sygin.
Non poteva dire di essere cresciuta in povertà, ma c'era un motivo per cui le altre dame di corte la fissavano dall'alto al basso interrogandosi in silenzio sul motivo che avesse spinto la regina Freya ad accoglierla nella cerchia delle sue ancelle.
"La tua gentilezza e la tua umiltà sono superbe," l'aveva lodata, un giorno, la sua sovrana, "mi hanno anche detto che sei un'allieva particolarmente dotata."
"Faccio solo il mio meglio, mia regina."
"Sei così discreta e silenziosa, mia cara."
"Non vedo motivo per cui debba parlare, quando non ho una buona ragione per farlo."
Freya le aveva sorriso amorevolmente, "una lezione che molte persone tendono a dimenticare."
"Mi avete fatto chiamare per una ragione, mia regina?"
"Sì, piccola Sigyn," le aveva preso il viso tra le mani, "abbiamo un ospite molto speciale di cui vorrei ti occupassi tu."

Sigyn non aveva capito, da principio.
I visitatori importanti solevano essere scortati dalle più alte dame della nobiltà, educate ad intrattenere uomini facoltosi fin dalla tenera età.
Lei non aveva mai ricevuto un'educazione simile.
Tutto ciò di cui disponeva erano buone maniere ed una rara prontezza d'intelletto. E nessun uomo che avesse avuto la sfortuna di conoscere era mai stato particolarmente interessato a donne capaci di pensare. Si era detta che domare una puledra selvaggia era molto più difficile che ricevere in consegna una cresciuta in cattività.
A Sigyn non importava di essere come tutti volevano che fosse.
Non era un ribelle, in reltà ma non si sarebbe mai calata nel ruolo di bambola per far piacere all'ego di nessun uomo.
Per questo, non capì il motivo per cui le venne affidato quel compito.
La regina le aveva chiesto discrezione e quella, certamente, era una virtù che poteva vantare più di molte altre giovani della corte ma non era sufficiente per giustificare l'assegnazione di un compito simile.
La prima volta che lo vide, lo trovò in piedi accanto alla poltrona della sua sovrana.
Non sapeva chi fosse, non lo aveva mai visto.
"Lady Sigyn si prenderà cura di voi," aveva detto Freya alzandosi in piedi ed appoggiando una mano sulla spalla del giovane.
Sigyn era stata talmente colpita dall'aspetto di quel personaggio da non notare il secondo ragazzo nell'angolo opposto della camera.
"Non devi temere, tesoro, è un mio vecchio amico."
Lui l'aveva guardata senza una reale espressione. Sigyn si era chiesta se la stesse veramente vedendo.
Poi, aveva voltato lo sguardo verso il compagno di viaggio e lo aveva esortato a seguirlo con un gesto del capo, "andiamo, Sleipnir."
Sigyn non l'avrebbe mai dimenticato.
La prima volta che lo udì parlare, un brivido le attraversò la schiena e non seppe spiegarsi il perchè.

"Come si comporta il nostro ospite?" Le domandò Freya due settimane più tardi, dopo essersi assicurata che nessuno le sentisse.
"Non parla molto," rispose la giovane, "è Sleipnir a domandarmi le cose. Non so dire quali di queste richieste siano sue."
"Che cosa domanda?" Chiese la regina curiosa.
"Libri..." Anche Sigyn ne era rimasta sorpresa, in pricipio. "Per lo più, libri."
"Esce mai dalla sua stanza?"
"Non che io sappia."
"Ti è mai capitato di entrare nella sua?" 
Per qualche strana ragione, Sigyn si sentì avvampare di fronte a quell'interrogativo e prese, di nuovo, a curare i fiori della balconata privata della sovrana con imbarazzo.
Freya rise, "non ti sto rimproverando, mia cara."
"Alle volte, mi è capitato," rispose allora lei mordendosi il labbro inferiore, "non mi ha mai degnato di uno sguardo. Si è sempre comportato come se io non esistessi."
"È tipico di lui," commentò Freya con un sorriso nostalgico, "non ha mai avuto un bel carattere, nemmeno da ragazzino."
"Lo conoscete da molto tempo, mia signora?"
"È stato mio allievo," rispose la regina con sguardo perso, "in un'epoca che sembra tanto lontana d'assomigliare ad un sogno."
Sigyn lasciò perdere i fiori e, con eleganza, si sedette sul pavimento proprio accanto alla poltrona della sua sovrana, "sembrate affezionata a lui."
Lei le sorrise tristemente, "mio malgrado, lo sono. Ai miei occhi, è sempre stato più di quanto ci fosse di simile alla perfezione... Purtroppo, non è nato in un mondo capace di apprezzarlo."
Sigyn abbassò lo sguardo fissando l'orlo dorato della veste della sua padrone, "non mi avete ancora detto il suo nome."
Freya la guardò e le posò una mano tra i capelli biondi, "non t'innamorare di lui, bambina."
Lei arrossì e sorrise, "come posso innamorarmi di un fantasma dal manto di corvo che nemmeno mi vede?"
"Non è un fantasma, tesoro," replicò Freya, "è Caos..."




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Capitolo 23
*** Cancellato ***


XXII
 
Cancellato 
 
[Vananheim, oggi.]



"Per quanto tempo hai intenzione di rimanere in questo mondo?" Domandò Sleipnir
"Per tutto il tempo necessario," fu la risposta lapidaria del suo compagno di viaggio.
"Non per essere insistente, amico mio ma..."
"Non sono tuo amico," Loki non si era degnato di alzare gli occhi dal suo libro nemmeno un istante, "non è sicuro viaggiare, ora. Ci staranno cercando ovunque."
"Con tutto il rispetto, Loki, non credo che smetteranno a breve..."
"Allora resteremo qui ancora per molto tempo," il giovane Jotun voltò pagina e, in quella frazione di secondo, alzò gli occhi per mettere tacitamente in guardia il suo compagno di fuga dal toccare ancora l'argomento.
Sleipnir sospirò, "mi avevi promesso la libertà."
"Nessuno ti obbliga a rimanere in questa stanza."
"Confesso di aver paura di lasciarti da solo."
Loki si decise a porre un freno alla sua lettura: richiuse il libro sulle sue gambe e fissò il mutaforma in attesa di una spiegazione. 
"Se vogliamo viaggiare insieme, dovremmo cominciare a parlare sul serio, io e te," propose Sleipnir amichevolmente.
"Tu sai più cose di me di quante non ne sappia io," gli fece notare Loki, "e tutto quello che avevo bisogno di sapere su di te era scritto nelle memorie del tuo re."
"Non è più il mio re."
Il principe sorrise soddisfatto, "facciamo progressi."
"Devo..." Sleipnir abbassò lo sguardo, "o dovrei cominciare a guardarmi allo specchio e a darmi dell'ingrato."
Loki sbuffò e si alzò in piedi, "non devi nulla ad Odino."
"Entrambi gli dobbiamo qualcosa e lo sai."
"Cosa?" Domandò Loki con un sorriso sarcastico. "Dovrei essergli grato per aver montato il suo nemico giurato in una notte d'inverno? Dovrei essergli grato per avermi permesso di avere una vita da miserabile le cui fondamenta erano menzogne?"
"Non venire a dire a me cosa vuol dire avere una vita da miserabile."
"Allora non venirmi a dire che devo qualcosa all'uomo che mi ha messo in questo mondo e, per tutta la vita, mia ha fatto scontare questo suo peccato."
Qualcuno bussò alla porta e Sleipnir diede il permesso di entrare con tono automatico.
A fatica, la giovane donna dai capelli biondi che Freya aveva messo al loro servizio fece capolino nella stanza con un pesante vassoio in mano. Il mutaforma le si avvicinò velocemente, "lascia che ti aiuti, Sygin."
La ragazza sorrise cortesemente, "ce la faccio, mio signore."
"Insisto..."
Lei gli permise di prenderle il vassoio di mano e Sleipnir lo appoggiò sul lungo tavolo al centro della stanza: un sala comune che lui e Loki dividevano e da cui potevano accedere alle rispettive camere.
"La cena, miei signori," disse Sygin ma i suoi occhi erano puntati solo su Loki.
"Grazie..." Sleipnir lanciò un'occhiata al suo compagno silenzioso, "da parte di entrambi."
Loki fissava la giovane senza una reale espressione, lei non gli toglieva gli occhi di dosso, come se dovesse dirle qualcosa.
"Un messaggio da parte della regina, mio signore," si decise a dire, infine.
Il principe le concesse tutta la sua attenzione, "che cosa vuole la tua regina da me?"
"Vorrebbe che domani sera cenaste con lei entrambi, nelle sue stanze."
Loki sorrise sarcastico, "la regina ha ancora un marito vivo, capace di farle compagnia!"
Sleipnir gli lanciò un'occhiata storta a quella battuta di cattivo gusto.
Sygin sgranò gli occhi chiari, poi assotigliò le labbra, "è doveroso, da parte mia, insistere per una risposta, mio signore."
"Informa la regina che se ci tiene a cenare con noi, può scendere personalmente nelle nostre stanze domani a quest'ora."
"Loki!" Esclamò Sleipnir con un'espressione di rimprovero.
Il giovane gli sorrise divertito.
Sygin non si mosse.
"Hai bisogno d'altro?" Indagò Loki."
"No, mio signore," Sygin fece un breve inchino e prese la via della porta.

"Loki..." Mormorò sedendosi accanto alla sua signora.
Freya sorrise, "hai svelato il mistero del suo nome, dunque."
"Si prende gioco di voi, mia regina," l'avvisò Sygin con particolare premura.
La sovrana rise fissando il fuoco acceso nel camino, "da ragazzino era come te, sai? Timido ma per nulla indifeso."
"Non è un lusso che una fanciulla può permettersi," disse Sygin fissando l'orlo della sua veste.
"Mi trovi d'accordo, mia cara," Freya si sporse nella sua direzione, "che messaggio sarcastico devi riferirmi?"
La giovane arrossì appena, "Loki dice che se tenete a cenare con loro dovrete presentarvi nelle loro stanze."
Freya fece una smorfia, "mi aspettavo di peggio."
"Vi ha mancato di rispetto!" Sottolineò Sygin, sorpresa dalla tranquillità con cui la regina accettava le sue parole.
"Se dovessi condannare Loki per una frase simile, avrei dovuto far arrestare i miei figli tempo fa," la sovrana di Vananheim sorrise quasi con fare nostalgico, "il nostro ospite non usa il suo sarcasmo a caso. Imparerai che le sue parole ed il tono in cui le pronuncia sono parte di una talento che nemmeno io sono mai stata in grado di comprendere."
"Che cosa intendete dire, mia regina?" 
"Oh, mia cara, tu l'hai avvertito nel momento stesso in cui lui ha aperto bocca... L'ho visto nei tuoi occhi."
Sygin strinse la stoffa della gonna con forza e si morse il labbro inferiore, "temo di non sapere che cosa..."
"Avanti, tesoro, non hai ragione di nasconderti!" Freya allungò una mano e le prese il mento tra le dita costringendola ad alzare lo sguardo, "non sei una creatura sciocca e comune... Era più che logico che non sarebbero stati quegli uomini sciocchi e comuni ad attirare la tua attenzione!"
"Se credete che Loki abbai attirato la mia attenzione..."
"Loki potrebbe attirare l'attenzione di chiunque, mia cara," la interruppe Freya, "ho sempre pensato che il modo in cui parlava potesse far cadere le donne ai suoi piedi," i suoi occhi si persero in qualcosa di misterioso e lontano che Sygin non poteva indovinare.
"Vi siete sbagliata?" Domandò.
"No," Freya scosse la testa sospirando tristemente, "non troverai un uomo in tutti i Nove Regni che sia capace di fare quello che lui può solo parlando. Semplicemente, era qualcun altro che Loki voleva ai suoi piedi ma le sue parole non sono state sufficienti."
"Per quale ragione?"
"Perchè il suo talento avesse potuto funzionare, la persona che desiderava avrebbe dovuto ascoltarlo."
 
[Asgard, oggi.]


Aveva sentito parlare di quel luogo nei volgari discorsi di taverna.
”Cerchi un lavoro, ragazzino?"
Ma nessuno che conosceva aveva mai ammesso di averci messo piede: sarebbe stata una vergogna troppo grande.
"Ti ho chiesto se cerchi un lavoro."
Scosse la testa.
Il giovane uomo sgranò gli occhi, "sei un cliente?"
Arrossì, si morse il labbro inferiore e abbassò lo sguardo: non era un comportamento tipico di lui ma, dopotutto, quello non era nemmeno il suo ambiente. Si sentiva come un bambino smarrito, come un intruso gettato sotto gli occhi di tutti... Eppure, nessuno lo conosceva. Le sfumature dorate di Asgard erano troppo distanti. 
Probabilmente, gli uomini ubriachi intorno a lui nemmeno conoscevano il suo nome... 
"Come ti chiami?" Il giovane uomo sulla porta non poteva avere molti più anni di lui ma non rispose. Non era certo nemmeno di conoscere il motivo per cui si era spinto in un luogo squallido come quello. 
"Non temere," il giovane sorrise ma non sembrava stesse cercando di sedurlo. 
Era solo gentile.
"Se sei un nobile, nessuno conosce il tuo viso qui," lo rassicurò, "e se qualcuno lo conosce, è strisciato fino a questo buco per nascondere vergogne peggiori delle tue. Quello che decidi di fare in questo posto, non arriverà mai alle porte dorate della città."
Qualcuno alle sue spalle venne gettato a terra. Non si voltò a vedere cosa stava succedendo: i versi animaleschi, seguiti dalle risate fragorose di altri uomini erano più che sufficienti alla sua immaginazione.
Il giovane si allontanò dall'architrave della porta per venirgli vicino, "vuoi dirmi il tuo nome?"
Lo guardò: aveva i capelli neri.
"Donar..." Rispose col tono più naturale che riuscì a simulare.
"Donar," il giovane annuì, "non entrare dentro, vieni con me."
"Perchè?"
"Non sei la persona adatta per un luogo così."
"Non mi conosci," protestò offeso.
"È vero," ammise l'altro voltandosi, "ma ho visto molti uomini qui... Tutti erano uguali ma nessuno era come te. Quel che succede all'interno della porta che hai davanti è per quel genere di uomini, non per te."
Si morse il labbro inferiore, "potrei essere peggiore di tutti loro..." Mormorò.
L'altro lo guardò e sorrise, "ti chiederei di seguirmi comunque. Gli uomini intorno a te sono tutti ubriachi e violenti... Tu, perlomeno, sei sobrio. È un buon inizio."
Donar non replicò.
Si aggiustò il cappuccio sopra la testa e si affiancò allo sconosciuto, "non ho molto denaro con me."
Non aveva pensato ad una direzione, quando se ne era andato.
Semplicemente, era fuggito, senza volatrsi.
Quel che aveva portato con sè lo aveva afferrato per istinto e basta.
Il giovane dai capelli scuri rise, "non preoccuparti per quello, ne parleremo."
"Non voglio guai."
"Da me avrai solo piacere."
Donar abbassò lo sguardo a terra, "dove mi porti?"
"La mia stanza e sull'altro lato, possiamo accedere da una scala esterna, senza che ci veda nessuno."
Camminava come se si stesse avvicinando al patibolo.
"Quanti anni hai?" Domandò il giovane.
"Non ha importanza."
"Ne ha per me."
"Non sono un ragazzino, non mi stai costringendo e non stai andando contro la legge... Che altro ti serve sapere?" Chiese irritato.
"Oh, amico, qui la legge non esiste... Non ha importanza che a deciderla sia stato il re di Asgard o di qualche altro mondo. I vizi non temono alcun tribunale, vanno soddisfati e basta."
Avrebbe voluto dire che aveva torto, Donar.
Avrebbe voluto dire che solo il più corrotto degli uomini avrebbe fatto dei vizi la sua natura, poi pensò a se stesso, a quello che era e a quello che lo aveva spinto fino a lì... Fino al lato buio del regno dorato.
"Come ti chiami?"
Il giovane uomo gli sorrise amichevolmente, "Lodur."


Il sogno non era mai uguale ma era sempre lo stesso.
Odino fissava il proprio riflesso sulla superficie ghiacciata della parete alla sua destra: l'occhio bendato era l'unico dettaglio che potesse aiutarlo a riconoscere se stesso nel viso di quel giovane uomo. Quante ere erano passate dall'ultima volta che, prima di essere re, era riuscito ad essere qualcos'altro?
"Mi hai chiamato?"
Non aveva bisogno di voltarsi per capire a chi apparteneva quella voce.
"Loki se ne è andato," disse con voce atona.
Laufey era alle sue spalle. Poteva sentire quegli occhi verdi trafiggergli la schiena, "spiegati..."
Odino fissò i fiori neri ai suoi piedi, "ci ha fatto del male ancora una volta ed è scappato."
"E con questo?" Chiese il sovrano di Jotunheim con indifferenza.
"Sa tutto..." Confessò il re di Asgard in un sussurro.
Laufey non rispose, gli arrivò davanti e lo fissò con quell'espressione che tante volte aveva visto sul viso del figlio che aveva perduto: gli stava dando una possibilità per ritrattare, prima che la sua rabbia facesse da padrone.
"Hai capito bene, Laufey."
"Che cosa sa esattamente?" Sibilò il sovrano di Jotunheim.
"Ha letto le mie memorie," spiegò Odino.
"Quel diario s'interrompe al giorno del massacro di Asgard."
"E pensi che non abbia intuito il resto?"
Laufey assotigliò le labbra e si guardò intorno, "perchè continui a portarmi in questo posto?"
"Non cambiare discorso, ora..."
"Perchè continui a sognare di noi in questo posto?!" Tuonò Laufey con rabbia, "lo detesto, detesto i ricordi che vi sono legati almeno quanto detesto te."
"Eppure, i tuoi occhi hanno brillato, quando ti ho messo Loki tra le braccia."
Laufey fece una smorfia e si voltò, "continui a parlare di un bambino morto, re di Asgard."
"Per quanto continuersi a fingere?"
"Tu hai finto per tutta la sua vita."
"Entrambi lo abbiamo fatto, entrambi abbiamo pagato..." Odino si cacciò una mano in tasca, "io sto ancora pagando."
Laufey si voltò appena in tempo per vedere il fazzoletto sporco di sangue che stringeva tra le dita, prima che lo nascondesse di nuovo tra le pieghe del suo mantello.
"Che cosa significa?" Chiese allarmato.
"Che tuo figlio ha accettato quella parte di sè che tanto odiava," rispose Odino con sarcasmo.
"Non è mio figlio."
"Anche da questo dovremmo smettere di fuggire," propose Odino con tono grave, "quando ha appreso la verità, Loki ha fatto il possibile per cancellarla... Per provare che era quella la vera bugia. Ora, penso che si sia stufato d'ignorarla, penso che voglia la versione integrale di una storia che io non ho mai avuto il coraggio di raccontargli."
"Mi crede morto," gli ricordò Laufey, "non verrà da me."
Odino lo fissò, "se lo facesse, confido che tu me lo dica."
"Non devi pretendere nulla da me, re dorato."
"Non lo ucciderai, siamo entrambi consapevoli che non ne sei capace."
"Sfidami!" Esclamò lo Jotun, "pensi che stessi esitando, quella notte? Lo volevo morto, era l'unico modo..."
"Per cosa? Per punirmi?"
"Per espiare..." Concluse Laufey lapidario.
"È stata una parentesi di follia, Laufey, lo sappiamo entrambi..."
"No," il sovrano di Jotunheim scosse la testa, "se avessi guidato un massacro contro Asgard, se lo avessi fatto dopo averti strappato al tuo popolo con la scusa di un figlio... Avresti fatto lo stesso..."
"Io non ti ho..."
"Non ha importanza cosa hai fatto tu!" La rabbia fece luccicare gli occhi di Laufey, "so quello che ho fatto io, so per cosa l'ho fatto e non sarei riuscito a vivere, senza punirmi per i miei errori."
"Amarmi?" Domandò Odino indignato, "amare tuo figlio? Questi sarebbero i peccati che volevi espiare con un infanticidio?"
"Se volessi distruggere te stesso, da quale parte di te partiresti, Odino?"
Il sovrano di Asgard non rispose.
"Da quella che fa più male, da quella che annulerebbe il dolore di qualsiasi altra ferita riusciresti ad infliggerti, prima del trapasso."
"Loki è vivo..."
Laufey annuì, "per questo, tutte le altre ferite continuano a fare male," sospirò profondamente, "chi è?"
"Chi?"
"Il propritario di quel fazzoletto," chiarì lo Jotun, "glielo ha dato per un motivo... Glielo ha dato perchè ne conosceva il significato."
Odino non rispose immeditamente: confidarlo a lui, al suo nemico storico, lo avrebbe costretto a guardare in faccia la realtà ed accettarla. In fondo, però, quello era solo un sogno... Forse, poteva permettersi il lusso di smettere di fingere davanti a chi conosceva la parte peggiore di lui. Forse, chi gli era stato complice nel peggiore dei suoi crimini, poteva ancora esserlo.
Nulla avrebbe cambiato la reltà delle cose, una volta che avrebbe aperto gli occhi.
Ad Asgard Thor stava bene, Loki era in fuga ma tutto era sotto controllo.
In quel mondo che non era nè reale nè pura illusione, poteva anche permettere alla verità di schiacciarlo per un poco, così che non fosse costretto ancora a combatterla.
"È Thor..." Con quelle due parole ammise più cose di quelle che voleva.
Laufey non cambiò espressione, non disse una parola.
Scoppiò a ridere, invece.
Una risata orribile, come quella che aveva riecheggiato tra le mura del tempio di Utgard molti secoli prima.
"Allora è proprio destino, mio re," disse con sarcasmo, "un principe maledetto per un principe dorato."
"Ho ragione di credere che Thor non sapesse quello che stava facendo."
"Oh, certo..." Laufey annuì, "dici di smettere di fingere. Io, almeno, lo faccio con un solo figlio su tre... Ti sconsiglierei di farlo con due su due."


Lodur chiuse la porta e Donar quasi sobbalzò.
"Togliti il mantello," gli disse.
Non lo fece.
"Rilassati," Lodur si portò davanti al piccolo camino per rianimare il fuoco, "possiamo parlare, prima. L'obbiettivo è la compagnia, il sesso ne è solo una parte."
"Non mi piace parlare."
Donar aveva parlato troppo per tutta la vita e non era sua intenzione continuare.
"Come vuoi," gli concesse il giovane dai capelli scuri, "ma permettimi, almeno, di vedere chiaramente il tuo viso."
L'altro esitò ancora un poco, poi, sentendosi incredibilmente ridicolo, abbassò il cappuccio scuro con un gesto secco ma stando ben attento a non incontrare gli occhi dell'altro.
Lodur si concesse un istante per rimanere senza parole, "in che mondo siamo se un ragazzino come te deve pagare per un po' di calore umano?"
"Non sono un ragazzino..."
"Perdonami, ma sbarbato, con quegli occhioni blu e quei fili d'oro, non hai proprio l'aria dell'uomo navigato."
"Ho avuto la mia dose di esperienze," Donar strinse i pugni.
"Non ne dubito," Lodur annuì, "qualche donna devi averla avuta o, con la mercanzia di cui disponi, avresti insospettito chiunque."
"Ne ho avute molte!"
"Bravo!" Rispose Lodur con sarcasmo, "ma qui non troverai nessuna gattina pronta a soddisfare le tue voglie... Quelle esperienze non ti servono."
Era vero.
Altrimenti, non si sarebbe sentito così nervoso, come se non avesse mai condiviso il letto con un amante occasionale.
Mai con un uomo.
Già, era questo il suo problema... Mai con un uomo.
Tranne uno...Ma quello era stato tutto, meno che occasionale.
Allontanò quel pensiero scuotendo la testa, poi si sfilò il mantello dalle spalle lasciandolo cadere sul pavimento.
"Sei alto," commentò Lodur avvicinandosi, "sei alto e molto bello... È la mia notte fortunata."
A dispetto di quello che aveva appena detto, non dissero altro, mentre i vestiti di entrambi finivano sul pavimento.
Lodur fu il primo a raggiungere il letto, "vieni qui."
Donar ubbidì e si stese accanto a lui, in attesa.
L'altro rise, "non sei un tipo che prende l'iniziativa?"
Donar era stato maestro di quell'arte, in altri contesti. Eppure, su quel letto non era sicuro nemmeno di ricordare le basi.
Lodur sbuffò ma gli sorrise paziente alzandosi sui gomiti, "che cosa ti piace fare?"
Era una domanda un po' vaga.
"Vuoi guardarmi in faccia?" Propose, "vuoi che ti dia la schiena o stia sopra?"
"Voglio essere preso..." Mormorò Donar senza pensarci.
Di amanti ne aveva avute tante e sapeva di aver compiuto egregiamente il suo dovere con tutte loro. 
Poi, c'era stato lui ed era stato come fare l'amore per la prima volta... Ma c'era qualcosa che aveva condiviso solo ed unicamente con lui, qualcosa che lo aveva fatto suo più di qualsiasi altra cosa al mondo.
Qualcosa che doveva cancellare e non aveva importanza se avesse dovuto usare il corpo di un altro, di uno sconosciuto, per riuscirci. 
Lodur era rimasto a fissarlo con gli occhi sgranati.
"Non dici sul serio."
"Invece, sì."
Il giovane dai capelli scuri si umettò le labbra, poi scosse la testa e rise.
"Che cosa c'è?" Domandò Donar irritato.
"Dimmi solo che non sono il primo uomo con cui condividi un letto."
"Non lo sei."
Lodur fissò il suo cliente a lungo, poi si spostò sopra di lui.
Lo mangiò con gli occhi e rise per il nervosismo, "è una notte molto più che fortunata."
Donar non replicò.
"Sei bellissimo," si chinò per dargli un bacio ma l'altro voltò il viso, "qualcosa non va?"
Donar ingoiò a vuoto, poi lo guardò dirtto negli occhi, "non baciarmi," ordinò, "fa con me quello che faresti con un amante che hai potuto sceglierti ma non mi baciare."
Gli occhi di Lodur sembrarono tingersi di una tristezza completamente fuori luogo, "come desideri, mio principe."
Donar sgranò gli occhi a quella parola ma non ebbe il tempo di obbiettare in alcun modo che le dita dell'altro erano scese a violarlo come aveva permesso di fare solo ad uno. Ebbe paura, quando realizzò che era arrivato al punto di non ritorno, quando comprese che stava, infine, dissacrando qualcosa che, pur nel peccato, era la cosa più giusta del mondo.
Forse, avrebbe dovuto dire che aveva avuto solo un uomo in tutta la sua vita.
Forse, avrebbe anche dovuto confessare che quel solo ed unico non era stato proprio un amante passeggero.
Forse, non aveva realizzato che fare sesso con un uomo e fare l'amore con lui erano due cose completamente diverse. 
Donar non era abituato a quelle carezze voraci, violente, animalesche.
Non era abituato ad essere spinto sul materasso come se avesse avuto una buona ragione per scappare da un momento all'altro. Non era abituato a sentire tra le lenzuola di un letto la stessa aria che respirava nell'arena.
Non era abituato a quel tipo di scontro.
Per lui, non era mai stata una prova di forza.
Lodur s'infilò tra le sue gambe con urgenza e Donar dovette mordersi l'interno guancia per non gemere di dolore a quello che seguì: non aveva mai fatto così male, eppure ricordava notti in cui la dolcezza era stata accantonata per fare spazio al più puro desiderio.
Desiderio.
Già...
Quando il fastidio sparì, non sentì più nulla. Fissò il soffitto per tutto il tempo, mentre Lodur ansimava contro il suo orecchio, le mani strette sulle sue coscie, come se da questo potesse dipendere la sua stessa vita. Si mosse contro di lui con più violenza facendogli sbattere la testa contro la tastiera del letto ma Donar non protestò, era troppo occupato a ricacciare in gola il conato di vomito che si arrampicò lungo il suo esofago, quando Lodur si bloccò ed il calore lo riempì.
Gli crollò addosso, il suo respiro gli ustionava la pelle del collo.
"Scusami..."
Donar non replicò, forse, nemmeno lo udì.
"Non hai idea di quanto tempo è passato dall'ultima volta che ho... Devo ringraziarti," Lodur si alzò sui gomiti e il suo sguardo si riempì di delusione nel notare che l'amante non era stato affatto soddisfatto da quell'amplesso.
Donar girò il viso da un lato per non guardarlo.
"Perdonami..." Mormorò Lodur, "sono stato troppo impulsivo, avrei dovuto avere più cura di te..."
Donar scosse la testa, "non importa..." Fece per alzarsi ma Lodur lo invitò a rimanere steso.
"Aspetta, mi voglio prendere cura anche di te."
"Non è necessario..."
"Non è per il lavoro," puntualizzò il giovane dai capelli scuri, "è questione di virilità... Mi sentirei umiliato, se non riuscissi a dare piacere all'unico ragazzo che lo ha dato a me."
Donar non riscì a parlare che lo vide chinarsi tra le sue gambe. Si tirò indietro, "no... No..."
"Shhh..." Lodur gli baciò l'interno coscia, "avrei dovuto farlo prima per metterti a tuo agio, ti chiedo scusa."
Donar avrebbe potuto spintonarlo via, si sarebbe potuto alzare e sarebbe potuto uscire da quella stanza, senza temere che qualcuno riuscisse a trattenerlo ma... Sentì il calore di quelle labbra sulla pelle sensibile, sentì la lingua umida ed esperta accarezzarlo. Abbassò lo sguardo e passò una mano tra quei capelli corvini.
Lodur lo guardò e sorrise ma non era più il suo viso quello che vedeva.
Donar rilassò la nuca contro i cuscini e lasciò andare un sospiro di piacere, poi chiuse gli occhi e lasciò che le illusioni facessero il resto.
"Lo..."
 
[Asgard, secoli fa.]


"Ehi..."
Loki soleva essere un ragazzo razionale, riflessivo, poco incline alle assurdità di qualsiasi natura.
"Ehi, non aver paura."
Se fosse stato diverso, forse a quest'ora sarebbe stato tre metri sotto terra, un cadavere senza testa condannato per aver osato sedurre il principe a cui era legato da un rituale di sangue. 
"Devo portarti via di qui o mio fratello ti troverà..."
Non era mai stato impulsivo, Loki e questo lo aveva salvato molte volte, anche se aveva gioito con un sorriso amaro nel vedere che l'uomo che amava fuggiva inevitabilmente dalla sua portata per gettarsi tra le braccia di un altro Jotun. Aveva pregato Laufey di farlo, anni addietro, quando il desiderio era divenuto troppo forte da poterlo reprimere.
Non si era buttato.
Non aveva confessato nulla ad Odino.
Quel che era per loro lo avevano consumato da bambini recitando la formula di un antico rito, il resto era una storia che apparteneva solo a Loki.
"Lo so che sei qui."
Loki era un ragazzo razionale, certo... Eppure, quel cavallo gli aveva fatto perdere il controllo come era accaduto anni addietro, quando aveva rischiato di rivelare a Odino il suo segreto. Non sapeva spiegarselo, una ragione non l'aveva neanche cercata... Si era limitato a tornare nella foresta nella speranza di vedere di nuovo quella splendida creatura, prima che qualche mal intenzionato decidesse di domarla, di rovinarla.
Una freccia colpì il tronco dell'albero alla sua destra e Loki sobbalzò.
"Guarda... Guarda..." Il principe Vili mosse il cavallo nella sua direzione, seguito dal principe Vè.
"Il fratello di nostro fratello che, però, non è nostro fratello!" Esclamò quest'ultimo ridendo del suo stesso stupido giro di parole. 
Loki assotigliò le labbra omaggiando i due nobili con un inchino veloce, "altezze..."
"Com'è ben educato il cagnolino di nostro fratello!" Vè scese da cavallo con un movimento veloce e Loki si ritrasse di un paio di passi.
"La foresta è pericolosa nella stagione di caccia, Loki," lo informò Vili.
"Grazie dell'avvertimento," rispose lo Jotun, "ma so cavarmela da solo."
"Arrogante..." Vè alzò lo sguardo verso il fratello, "eppure, è migliorato molto in questi anni, vero, Vili?"
"Lascialo in pace," era un ammonimento debole quello del secondo principe di Asgard e Vè non gli diede peso.
"Ti sei mai chiesto come deve essere fare l'amore con uno di questi cosi, fratello?" Domandò, come se Loki fosse un oggetto su cui esprimere opinioni liberamente.
"Della cerchia di nostro fratello ho sempre preferito Lady Frigga," rispose Vili.
"Quella è mia, fratello!" Ribattè Vè facendogli l'occhiolino.
Loki non vedeva l'ora di poterlo raccontare a Frigga solo per darle una buona ragione di tirare loro qualche tiro mancino dei suoi: educato, raffinato e letale. In questo, in un certo senso, lei e Laufey si assomigliavano molto.
"Dicci, piccolo Loki, è vero quello che si dice in giro?" Vè passò lo sguardo su tutta la sua figura, "che voi Jotun siete piuttosto ingombrati in mezzo alle gambe?"
"Vè...."
"E stai zitto che sei curioso anche tu!" 
Loki arrossì ma tentò di rimanere impassibile, "dovrei lasciarvi alla vostra caccia, miei signori... Perdonate la distrazione..." Fece per andarsene ma Vè lo afferrò per un braccio, "non ho sentito la tua risposta."
"Mi spiace, mio principe ma non intendo assecodarvi mentre vi prendete gioco di me," replicò lo Jotun con calma glaciale.
Vè divenne rosso in viso.
Non era bello, nessuno dei due lo era.
Entrambi avevano ereditato i lineamenti duri e austeri di Borr... Non vi era nulla di Bestla in loro, nè del sangue di Jotunheim.
"Vorrà dire che mi risponderò da solo."
Loki, da principio, non comprese, poi il principe lo spinse contro il tronco dell'albero precedentemente colpito dalla freccia e sgranò gli occhi per il terrore, "no! No!"
Tentò di dimenarsi ma l'altro era il doppio di lui ed era stato allenato per il combattimento corpo a corpo tutta la vita.
"Vè!" Esclamò Vili.
"Voglio solo vedere, non lo sto mica violentando!"
"Odino non si curerà di certi dettagli, quando lo verrà a sapere!"
"Chi dice che lo verrà..."
"Lasciatemi!" Loki alzò un ginocchio riuscendo a colpire il suo aggressore in un punto che avrebbe messo al tappeto qualsiasi uomo. Prese a correre ma non arrivò lontano.
"Piccolo Jotun bastardo!" Esclamò Vè afferrandolo e facendolo cadere a terra, "t'insegno io a ribellarti ad un ordine del tuo principe!"
"Vè, smettila!" Vili doveva essere sceso da cavallo perchè lo sentì da più vicino ma a nulla valsero le sue parole.
Il pugno del terzo principe di Asgard si abbattè sul suo viso con una forza che tale che, per un momento, rischiò di perdere i sensi. Il nitrito di un cavallo fu ciò che lo costrinse ad aggrapparsi con tutte le sue forze alla realtà.
"Attento Vè!" Urlò Vili, mentre il fratello prendeva a sbraitare frasi che Loki non comprese.
Approfittò della confusione per tirarsi in piedi e fu allora che lo vide, lo stesso stallone che lo aveva incontrato appena il giorno prima. Sollevava le zampe anteriori pericolosamente, minacciando i due principi che si ritrovarono costretti a tornare ai loro destrieri.
Loki prese a correre quanto più velocemente poteva e, dopo alcuni secondi, il cavallo lo superò.
Fu questione di un istante.
Qualcosa vibrò vicino all'orecchio sinistro di Loki, poi colpì quel meraviglioso animale, bloccando la sua corsa.
Si voltò: Vè gli rivolse un sorriso soddisfatto, l'arco ancora stretto nel pugno, mentre Vili lo spingeva con forza per convincerlo a rimontare in sella.
"No..." Gli occhi gli si riempirono di lacrime.
Davanti a lui, il cavallo continuava a camminare tra gli alberi.
Gli andò dietro ed una morsa gli strinse il petto nel rendersi conto che l'animale rallentava minuto, dopo minuto.
Loki cominciò a piangere in silenzio, fino a che non vide comparire tra gli alberi il piccolo lago che lui, Odino e gli altri conoscevano molto bene. Quella non era zona di caccia, sarebbero stati al sicuro.
Vide il cavallo entrare a fatica nell'acqua ma lui rimase immobile dietro una fila di alberi, poi si passò le mani sulle guance per asciugarsi le lacrime.
A quello che accadde dopo nulla avrebbe potuto prepararlo.
Alzò gli occhi appena in tempo per scorgere una luce dorata e, d'improvviso, quel meraviglioso cavallo che era corso in suo soccorso non c'era più. Loki rimase a bocca aperta nel ricoscere il ragazzo dai capelli color mogano al centro del piccolo lago. La linea dell'acqua ondeggiava in modo particolarmente sensale su suoi fianchi: non indossava alcun vestito, ovviamente.
L'espressione era contrita, dolorante.
Fu allora che Loki si ricordò della freccia e la trovò conficcata nella spalla destra: una linea di sangue attraversava il petto scolpito del ragazzo sporcando l'acqua cristallina. 
"Aspetta..." Lo Jotun fece per avvicinarsi, ma l'altro afferrò l'estremità della freccia esposta all'aria e, con un movimento violento, la estasse di proprio pugno liberando un urlo di dolore che atterrì il giovane dai capelli corvini.
Il petto nudo si alzava e abbassava velocemente e, per un attimo, Loki temette che fosse sul pumto di svenire a causa del dolore, così si liberò velocemente degli stivali, del mantello e degli indumenti per andargli incontro.
"Ehi..." Loki gli afferrò la spalla sana, "stai bene? Vuoi stenderti? Vuoi che...?"
Si fermò, quando gli occhi nocciola del giovane incontrarono i suoi.
Lo conosceva.
"Svadilfari..." Mormorò esterrefatto.
L'altro non disse nulla ma i suoi occhi erano stanchi ed il viso sudato stava perdendo velocemente colore.
Loki agì d'istinto, senza chiedere il permesso: appoggiò il palmo contro la ferita sanguinante si concentrò. L'aveva fatto centinaia di volte con Laufey e Frigga, mentre Freya li istruiva pazientemente. L'aveva ripetuto un paio di volte su Odino, quando Il principe di Jotunheim era stufo di vederlo tornare nelle loro stanza sporco di polvere e pieno di lividi e tagli, regali dell'arena.
Era bravo, gli avevano detto.
Per sua fortuna, doveva essere vero, perchè Svadilfari sospirò e, quando allontanò la mano da lui, la ferita era sparita.
Loki accennò un sorriso soddisfatto, mentre l'altro si fissava la spalla sbalordito.
"Come ci sei riuscito?" Domandò.
"Studio l'arte della guarigione ormai da tempo, da quando Vananheim è divenuto territorio di Asgard," poi l'adrenalina scemò, quel che era accaduto gli tornò tutto alla mente, "tu, invece, come hai fatto?"
Svadilfari non rispose subito, poi scrollò le spalle, "sono nato così..."
"Così come? Come cavallo?"
"Con la capacità di divertarlo."
Loki sgranò gli occhi, "sei un mutaforma?"
"Una specie... Non posso assumere altri aspetti, oltre a quelli che hai visto," Svadilfari passò lo sguardo su tutto il suo corpo. Loki non comprese, poi si ricordò di essere completamente nudo a sua volta.
Si voltò, le guance rosse.
Svadilfari sorrise, "anche se non mi guardi negli occhi, non sei invisibile."
Loki si strinse le braccia intorno al corpo, come se questo potesse servire a qualcosa, "ti volteresti, per favore?"
"Che motivo hai di vergognarti?"
"Non mi piace essere visto così, va bene?"
"Deve essere davvero dura per i tuoi amanti, allora."
Loki non rispose.
Il sorriso svanì dal viso di Svadilfari, mentre il barlume della comprensione si accendeva nella sua testa. "Oh..." 
Lo Jotun prese un respiro profondo, poi rilassò le braccia lungo i fianchi e guardò l'altro con nuova determinazione, "cosa c'è? Sei sorpreso?"
"Un poco..."
"Cosa credevi? Il fatto che io sia uno Jotun fuori dal mio mondo ma con un tenore di vita alto premette per forza che io conceda a qualcuno dei favori sessuali?"
"Nelle altre corti, generalmente, è così," spiegò Svadilfari, "non solo per gli Jotun, per chiunque sia diverso e rischi umiliazioni peggiori di quella di prostituirsi per garantirsi un posto in alta società."
"Pensavo che sapessi che sono legato al principe da un rituale..."
"Tutti lo sanno."
"E cos'altro sanno tutti?" Domandò curioso.
Svadilfari esitò, "in pochi vedono di buon occhio che il principe di Asgard, futuro re, si circondi di creature dell'Eterno Inverno, sia pure solo per piacere."
"Mio fratello non mi ha mai toccato, sarebbe un crimine, dopo il patto di sangue che abbiamo stipulato."
"Alle lingue velenose non servono fatti concreti," gli ricordò il mutaforma con un sorriso amaro, "il pettegolezzo più diffuso è che il principe dorato abbia il suo piccolo harem di Jotun, che il tuo Nàl è solo quello più talentuoso a letto, per questo si è guadagnato una posizione così in alto e per così tanto tempo."
Loki sgranò gli occhi scaldalizzato, "Nàl cammina al fianco di mio fratello perchè lo ama e da lui è amato."
Svadilfari abbassò lo sguardo, "l'amore e gli Jotun sono due cose che non possono essere collegate, credono."
L'espressione del giovane Jotun s'indurì notevolmente, "e tu, Svadilfari?" Domandò, "tu che cosa credi?"
Il mutaforma si chinò al punto che i loro nasi quasi si toccarono, "penso che vorrei provare il contrario, piccolo Jotun."
 
[Asgard,oggi.]



"Che cosa sei?"
Donar non capì.
"Che cosa fai per vivere?" Specificò Lodur alzandosi su di un gomito per poter giocare con i corti capelli biondi di quell'amante mai sperato.
"Sono un soldato..." Mormorò Donar.
"Lo sospettavo... Con questo corpo perfetto e quel dardo infuocato che hai tra le gambe," Lodur gli baciò una spalla, "sembra impossibile che tu mi abbia chiesto di prenderti."
"Perchè dici questo?" 
"Gli uomini che si spingono fino a qui o sono degli animali o sono ragazzini che non l'hanno mai affondato da nessuna parte ma l'hanno ricevuto in modi umilianti."
Donar rabbrividì, "non è il mio caso."
"L'ho notato," Lodur sorrise, "mi spiace di non aver dato il meglio di me, ma a stento ricordavo come funzionasse... Per te, invece, non ero il primo, vero?"
"No..."
"Perchè non sei con lui, questa notte?"
Donar continuò a fissare il muro, "non mi vuole più..." Non voleva esortare la pietà di nessuno ma quella era l'unica verità che conosceva. Lodur non parlò per un po', poi si mosse nervosamente alle sue spalle, "chi è il folle che rinuncerebbe ad amare una meraviglia come te?"
"Evidentemente, non valgo così tanto..."
"Oh, no..." Lodur prese a baciargli il collo sensualmente, "se fossi mio, morirei prima di lasciarti andare."
Donar si tirò a sedere, "non ho abbastanza denaro..."
"Lascia perdere il denaro. Resta qui," propose Lodur, "permettimi di averti nel mio letto ancora un poco... Non voglio essere pagato per questo."
Lo fece scivolare sul materasso, sotto di sè.
Donar lo lasciò fare: aveva ormai imboccato la strada dell'umiliazione e tornare indietro non avrebbe cancellato nulla. Lodur fu gentile con lui, la seconda volta e lui accetto qualsiasi carezza come se la desiderasse davvero: aveva bisogno di quel calore. aveva bisogno di sentire che il suo corpo era vivo anche se la sua anima non ne voleva proprio sapere.
Qualunque vincolo sacro lo avesse legato al suo amore, veniva cancellato dai movimenti del bacino di Lodur tra le sue gambe. Non era più suo in nessun modo possibile, nè come uomo, nè come amante, nè come fratello...
Allora perchè continuava a fare così male?
 
[Asgard, secoli fa.]


"Sei distratto..."
Loki impiegò una manciata di secondi, prima di comprendere che suo fratello gli aveva rivolto la parola.
"Eh?"
"Sei distratto!" Esclamò Odino sospettoso. Nàl aveva evitato di proposito i festeggiamenti per la fine della caccia e il principe dorato era pronto ad attaccarsi a qualsiasi cosa per dar sfogo al suo nervosismo.
"Sono stanco," replicò Loki, poi si guardò intorno per trovare qualcosa su cui sviare il discorso, "dove sono i due principi?"
Odino bofonchiò qualcosa.
"Fratello?"
"Hanno detto che ti hanno salvato dalla furia di un cavallo selvatico," Odino prese un sorso d'idromele e sbattè il calice sul tavolo con nervosismo, "mi credono un idiota, gli stolti!"
Loki abbassò lo sguardo arrossendo vistosamente, "non avresti dovuto... Non per me."
"Oh!" Odino fece un gesto annoiato con la mano, "tu non avresti dovuto rimanere in silenzio! Se qualcuno ti manca di rispetto, tu me lo dici ed io gliela faccio pagare."
"E che cosa ne penserà la gente?"
"Che marciscano! Nessuno tocca mio fratello..."
"Posso difendermi da solo, sai?" Gli fece notare Loki scontroso e Odino lo guardò sbalordito, "non ho bisogno che tu mi protegga, ho smesso di essere un povero bambino indifeso!"
Si alzò dalla tavolata con un movimemto indignato. Il principe dorato era talmente a corto di parole che non riuscì a fermarlo in alcun modo. Tuttavia, a Loki bastò voltarsi per trovare una buona ragione per restare.
"Vostra altezza!" Il Costruttore si precipitò da Odino lasciando indietro il proprio apprendista, "è un piacere incontrarvi di nuovo!"
Svadilfari rimase in silenzio fissando il giovane Jotun dritto negli occhi, mentre il suo padrone si sedeva accanto all'erede al trono senza attendere un invito esplicito. Non che Loki avesse il tempo di sentirsi offeso per essere stato privato del suo posto, "c-ciao..." Balbettò timidamente.
"Ciao..." Rispose Svadilfari accennando un sorriso.
"Come va la spalla?"
"Come nuova, grazie a te."
Gli occhi scuri di Loki brillavano più delle fiaccole appese alle alte colonne dorate. Erano tornati a palazzo insieme ma nemmeno una parola era stata pronunciata durante l'intero tragitto e nemmeno nel momento della separazione. Il giovane Jotun non aveva avuto il coraggio di fermarlo, di chiedergli più di sè, del suo potere... Aveva avuto troppa paura d'intuire che non si sarebbero rivisti mai più, se non in occasioni formali.
"Te ne stavi andando?" Domandò Svadilfari.
"Si..." Loki scosse la testa, "no... Insomma, non mi piacciono molto queste feste."
L'altro rise, "mi trovi d'accordo."
Odino, dal canto suo, non la smetteva di sporgere la testa oltre la spalla del Costruttore nel tentativo di capire che cosa stesse accadendo tra suo fratello e quell'apprendista... Se solo quell'uomo avesse smesso di dire sciocchezze ed occupare il suo campo visivo con continui movimenti del capo!
"Hai visitato i giardini reali?" Domandò Loki.
"Non ne ho ancora avuto l'occasione."
Non c'era bisogno di fare ad alta voce quell'invito: il desiderio di fuga era talmente forte che bastò un cenno d'assenso dell'appredista per infondere a Loki la sicurezza necessaria per prendergli la mano.
"Seguimi..."
Si allontanarono senza che nessuno se ne accorgesse, con l'eccezione del principe dorato. Odino tentò di alzarsi ma il Costruttore lo afferrò per un polso e lo rimise al suo posto con totale nonchalance. Se non fosse stato che suo padre continuava a lanciargli occhiate, il giovane Aesir avrebbe replicato a quel gesto non troppo cortesemente e sarebbe corso dietro al fratello.
Peccato che Loki sparì dal suo campo visivo troppo presto perchè potesse prendere seriamente in considerazione l'idea.


"Grazie per non aver detto nulla," disse Svadilfari improvvisamente.
"Come lo sai?" Loki gli rivolse un sorriso birichino.
"Se avessi confidato il mio segreto a qualcuno, sarebbero scesi nelle scuderie a cercarmi, prima della festa."
Il giovane Jotun scosse la testa, "il tuo segreto è al sicuro con me."
"Ne ero certo," rispose Svadilfari, "e te ne sono grato."
L'aria di fine autunno era fredda, dopo il calar del sole ma Loki non si sarebbe accorto nemmeno del peggiore dei temporali in quel momento, "sei bellissimo..." Commentò di colpo.
Svadilfari lo guardò.
"Voglio dire," le guance pallide si colorarono immeditamente, "il tuo secondo aspetto... Sono rimasto incantato la prima volta che ti ho visto."
"Sì, lo dicono in molti," replicò Svadilfari con una nota di delusione.
"Ti sei mostrato ad altri?" Era il turno di Loki di essere deluso: aveva pensato di essere il primo, che fosse qualcosa di speciale da condividere. Svadilfari scrollò le spalle, "il mio padrone, naturalmente," rispose, "no, nessun altro... Ma ho sentito i commenti della gente che mi fissava in quella forma."
"Oh..." Loki annui tornando a sorridere, "uno dei tuoi genitori era un mutaforma?"
L'apprendista fissò l'erba ai loro piedi, "come ho detto all'altro piccolo Jotun, non ho reali ricordi della mia infanzia."
"Mi dispiace."
"Ho imparato a farne a meno."
Loki si sedette sul bordo di una fontana ed invitò l'altro a fare lo stesso, "posso chiederti una cosa?"
"Non ti ho seguito per rimanere in silenzio."
"Hai detto... Hai detto che vorresti provare che può esistere l'amore anche per gli Jotun o, comunque, per noi diversi."
Svadilfari annuì.
"Perchè?" Domandò Loki.
"Ti sembra un sentimento troppo alto per un umile apprendista?"
Lo Jotun scosse la testa, "non mi permetterei mai!" Esclamò, "penso, semplicemente, che sia qualcosa di molto dolce... Tutto qui."
Svadilfari gli passò il dorso della mano su di una guancia e Loki si ritrovò a trattenere il fiato per l'emozione: un tempo, anche Odino lo accarezzava così, poi, improvvisamente, aveva smesso di toccarlo. C'era qualcun altro a cui si dedicavano le sue mani, adesso.
"Sei mai stato baciato?" Domandò il mutaforma.
"No," rispose senza vergogna.
Svadilfari sgranò gli occhi.
"Nessuno qui mi bacerebbe per il semplice gusto di farlo," spiegò Loki, "mi bacerebbero come si bacia una puttana, probabilmente... Nessuno mi vede in modo diverso da una fantasia proibita."
"Il tuo principe sì."
"Il mio principe è innamorato del suo comoagno, te l'ho detto," replicò, "ama anche me, ma come si ama un fratello... Nulla di più."
"Lo dici come se ti dispiacesse."
Loki sorrise tristemente, poi fissò la superficie dell'acqua mossa dai continui fiotti della fontana, "un tempo, ho creduto di amarlo... Amarlo sul serio..."
Svadilfari s'irrigidì, "ti ha rifiutato?" Gli dava fastidio affrontare quell'argomento, si capiva.
Tuttavia, Loki era troppo distrattao per darci peso, "no, non gliel'ho mai detto. Solo Nàl lo sa... Una volta, prima che s'innamorassero, l'ho pregato di assecodare i desideri di mio fratello."
"Per quale ragione?"
"Odino aveva già avuto altre amanti ma Nàl era il primo che... Era come me e, esattamente come me, Odino non lo guardava come guardava tutti gli altri. Speravo che, se Nàl fosse riuscito a farmi capire che non era mio e non lo sarebbe mai stato, mi sarebbe passata."
"Ed è accaduto?"
Loki tornò a guardarlo negli occhi, "sì..." Disse con sicurezza, "con gli anni, ho imparato a vedere in Nàl e Odino qualcosa di giusto. Oggi, desidero vederli seduti sullo stesso trono almeno quanto lo vuole mio fratello."
"E che cosa ne sarà di te, dopo che questo accadrà?"
Loki sentì qualcosa fargli male all'altezza del petto e rise nervosamente per cercare di far passare il dolore, "spero che benediranno tutti noi con la nascita di un nuovo erede. Voglio vederlo il figlio di Nàl e di mio fratello! Sono certo che sarà bellissimo..."
Svadilfari abbassò lo sguardo torcendosi le mani con nervosismo, "e se avessi un figlio tuo?"
Loki s'irrigidì, sgranò gli occhi e, per un istante, non seppe cosa dire.
"Non ho mai visto un figlio nel mio futuro," ammise, "non mi sono mai visto accanto a nessuno."
Il mutaforma gli aggiustò una ciocca di capelli corvini dietro l'orecchio, poi lasciò la mano lì, sulla sua guancia, "anche io ho paura di farlo."
"Non è paura la mia."
"Invece, sì," insistette Svadilfari con gentilezza, "guardare la vita degli altri, gioire delle loro vittorie, piangere per le loro sconfitte... È tutto molto più semplice di mettere in gioco il proprio cuore."
Loki gli appoggiò una mano contro il petto stringendo appena la stoffa della tunica. Avrebbe voluto tirarlo a sè, avrebbe voluto stringerlo vicino al cuore per sempre ma non aveva mai provato un desiderio simile per qualcuno che non fosse suo fratello e non sapeva cosa fare. Si sentiva ridicolo, inadeguato, eppure non c'era alcuna derisione negli occhi nocciola di Svadilfari.
Solo tanta dolcezza e comprensione.
Dopo, fu impossibile dire chi due due avesse cominciato perchè il desiderio era talmente vivo in entrambi che, probabilmente, non avevano fatto altro che venirsi incontro, come due perfette metà.
Ma che importanza poteva avere? Le labbra di Svadilfari contro le sue erano quanto di più bello avesse mai provato, il resto del mondo poteva anche smettere di esistere.
"Loki!"
Il giovane Jotun sobbalzò.
"Loki!" Ruggì Odino da qualche parte nel buio dei giardini.
A Svadilfari venne da ridere, "non sembra molto felice..."
"Devo andare."
"Aspetta..."
Loki si sentì tirare in piedi, poi si ritrovò con la schiena contro il tronco di un albero e le labbra di Svadilfari di nuovo sulle sue. Sorrise in quel bacio e circondò il collo dell'apprendista con le proprie braccia per tenerlo più vicino.
Non avrebbe voluto lasciarlo andare mai.
"Loki!" 
Peccato che Odino fosse di tutt'altro avviso.
"Verrai da me, domani notte?" Domandò Svadilfari contro la sua bocca.
Loki rise, "io non credo di reistere fino a domani notte."
Era troppo bello poter, finalmente, provare l'amore sulla propria pelle dopo esserselo solo immaginato per tutta la vita.
"Al laghetto, nella foresta, quando il sole è più alto..."
"Sì," Loki annuì, "sì!"
Svadilfari lo baciò un'ultima volta, poi, dopo un ultimo sorriso complice, lo lasciò andare.
 
[Aasgard, oggi.]


Aveva i suoi capelli biondi, eppure una volta lo aveva sognato con quelli corvini di suo fratello.
Aveva i suoi occhi azzurri, quelli li aveva sempre avuti.
Era talmente piccolo che avrebbe potuto sorreggerlo tra le mani e gli sarebbe anche avanzato spazio.
"Non è affatto piccolo come neonato," aveva commentato sua madre.
Da principio, lui aveva avuto paura di toccarlo, proprio come era accaduto con Thrud.
Poi, Loki gli era venuto vicino con quel fagottino di pelliccia e glielo aveva messo accanto, sul letto. La testolina ancora umida e la pelle ancora ricoperta di sangue ed altri liquidi corporei.
"Gli faremo il bagno quando sarete pronti entrambi," gli aveva detto baciandogli la fronte.
Non aveva compreso, poi Magni aveva aperto gli occhi e, come era stato per Thrud, aveva creduto che sarebbe morto, se avessero allontnato il suo bambino dalla sua vista un minuto di troppo.
Ben conscio di questo, Loki aveva aspettato che si addormentasse per fare ciò che andava fatto.
Poi, al suo risveglio, non aveva esitato a restituirgli suo figlio placando il suo cuore galoppante ancor prima che quella breve distanza dalla sua creatura inducesse in lui una crisi di panico.
"Thrud?" Continuava a chiedere.
"È con nostra madre," rispondeva Loki pazientemente.
"Non voglio che lo lasci da solo per me."
"È solo nella stanza accanto, Thor."
Il principe dorato sospirò profondamente, poi abbassò gli occhi sul neonato addormentato tra le sue braccia, "cresceranno insieme," disse con un sorriso, "come me e te, nessuno dei due ricorderà un mondo in cui l'altro non è esistito."
Loki accarezzò la testolina del loro bambino, "speriamo che abbiano il buon senso di lasciare tuo padre spirare in pace, prima di fare la nostra fine, almeno."
Era una battuta di pessimo gusto ma Thor rise lo stesso.


Si svegliarono di colpo, come la porta della stanza si spalancò ed andò a sbattere contro il muro.
"Chi osa!" Sibilò Lodur alzandosi dal letto.
Il vecchio guercio lo guardò con sufficienza, poi lanciò un'occhiata a Donar ancora intontito dal sonno.
"Chi sei?" Urlò Lodur, "come ti permetti di entrare...?"
Il vecchio guercio nemmeno lo udì, arrivò ai piedi del letto e tirò la coperta.
Donar si destò di colpo stringendosela al petto.
I suoi occhi azzurri incontrarono l'unico del vecchio che aveva interrotto il loro sonno e mai come in quel momento desiderò la morte. "Alzati..." Ordinò l'uomo con voce tremante di rabbia, "rivestiti!"
Uscì dalla stanza tanto velocemente come vi era entrato.
"Chi è questo pazzo?" Domandò Lodur, mentre Donar scivolava fuori dal letto e recuperava i propri vestiti, "te ne vai?"
Il biondo lo guardò, poi abbassò lo sguardo, "non posso più restare..."
Lodur annuì: per un breve, fatale secondo si era quasi dimenticato che quel bellissimo giovane dagli occhi di cielo altri non era che un cliente qualunque. No, qualunque no... Gli ci sarebbero volute molte notti, prima di riuscire ad allontanarlo completamente dalla sua mente. Recuperò da terra il mantello rosso finito in un angolo e lo porse al legittimo proprietario.
"Non ti ho chiesto nulla ma penso di aver intuito il tuo dolore."
Donar non disse nulla, lo guardò e basta.
"Non so chi ti abbia spezzato il cuore... So che pensavi di trovare la pace tra le braccia di un altro e mi spiace di non essere stato all'altezza di un simile compito," era il turno di Lodur di essere imbarazzato, "sappi solo che o ti stai distruggendo per un perfetto idiota o lui non sta soffrendo meno di te."
Donar si morse il labbro inferiore e strinse i pugni, "come puoi dire una cosa del genere?"
"Hai detto di aver avuto molte amanti ma non credo che tu abbia mai provato un simile dolore, prima del tuo lui... Per convincerti a concedergli il tuo cuore, doveva essere molto speciale o molto bravo a mentire."
Donar si tirò il cappuccio sopra la testa, "entrambe le cose."
Come mise piede fuori dalla camera di quel bordello, tornò ad essere Thor.


Odino si era vestito degli abiti più umili che suo figlio gli avesse mai visto indossare.
Non disse nulla, mentre conduceva Thor dai cavalli che gli avrebbero riportati alla città dorata: stava appena sorgendo il sole ed il viaggio era lungo, sebbene il principe dorato non se ne fosse reso conto nella foga della sua disperata fuga.
Lodur aveva intuito perfettamente: non era stato in grado di lenire quel dolore.
Era stato gentile con lui ma, mentre cavalcava alle spalle di suo padre in completo silenzio, Thor si sentì come se fosse stato lui quello che si era venduto per pochi spiccioli. Loki era divenuto da solo ed unico ad uno tra i tanti che avrebbe potuto avere e questo non lo faceva sentire libero affatto!
Odino fermò il proprio destriero nei pressi di un lago, "lasciamo riposare i cavalli," disse.
Era una scusa, Thor lo sapeva bene.
Suo padre restò a guardarlo in silenzio, mentre si avvicinava alla riva e si sedeva sull'erba fissando lo specchio dell'acqua senza realmente vederlo. Gli concesse pochi minuti, forse per dargli la possibilità di ritrattare, di trovare una scusa degna di tale nome.
Ma Thor non era Loki, il suo cuore era troppo provato dal peso di quelle bugie che, se ne rendeva conto, il suo comportamento non poteva reggere. Odino si mosse lentamente, in silenzio.
Gli arrivò alle spalle e non ebbe bisogno di porre alcuna domanda.
"Era bello fare l'amore con Loki," confessò Thor con voce incolore, "era bello ancor prima che si fidasse di me abbastanza da concedermi di amarlo solo come si può amare uno Jotun. Mi piaceva essere dominato da lui... Non era motivo di umiliazione, nè una questione di forza... Mi concedevo a lui e basta, perchè era meraviglioso sentirsi conquistati in un modo così intimo da qualcuno che avevo inseguito, fino a non avere più fiato per respirare. Era bello fare l'amore con Loki perchè era lì, era mio, mentre lui mi faceva suo... E non avevamo bisogno di farci del male per continuare ad esserlo."
Odino non parlava, eppure Thor sentiva la lama invisibile di quell'unico occhio tra le scapole, pronta ad affondare, a consumare la sua condanna a morte. 
"Alla fine, hai ottenuto ciò che volevi: vedo il mostro dentro mio fratello e lo odio... Lo odio al punto che vorrei distruggerlo ma è giusto che tu sappia che questa rabbia cieca è il cadavere in decomposizione di un amore che, almeno per me, è stato reale, intenso, totale... Bellissimo..."
Una lacrima galeotta sfuggì al suo controllo e se ne liberò con un gesto rabbioso della mano.
"Fai di me ciò che vuoi," concluse, "imprigionami, esiliami... Condannami a morte, se lo ritiene necessario. Non sento più nulla, padre, per quel che mi riguarda, sono già morto."
E Odino come avrebbe dovuto rispondere ad una simile confessione?
Aveva sempre avuto un giudizio pronto per chiunque fosse giunto in catene al suo cospetto.
Ma Thor... Thor era un'altra cosa.
Allungò la mano quel tanto che bastava per sfiorargli la nuca.
Thor alzò lo sguardo su di lui: era confuso da quel gesto.
Solo allora, Odino si rese conto di quanto era giovane. Quanto era stato giovane a sua volta, quando aveva combattuto una guerra che lo aveva consegnato alla storia dei grandi re. Oh, se solo tutti avessero conosciuto la vera storia della vittoria di Asgard su Jotunheim...
Se solo tutti avessero saputo che il re glorioso che cantavano nelle loro canzoni non era stato altro che un marito, un amante, un padre in lotta contro quell'umanità che lo allontanava giorno, dopo giorno dall'essere degno del trono su cui sedeva. Ci aveva pensato Laufey a spezzare quel che c'era rimasto in lui della pura natura di uomo, con i suoi sentimenti, i suoi conflitti, le sue follie.
Dopo Jotunheim, dopo quella notte al palazzo di ghiaccio di Utgard, Odino era stato solo un re e null'altro.
Eppure, quando ancora gli chiedevano di narrare loro gli epici eventi di quella guerra insensata e disastrosa, di tutti le battaglie, i duelli e gli assedi, la mente di Odino correva automaticamente a due soli eventi: la nascita di Thor e quella di Loki.
In quel momento, mentre suo figlio, sebbene uomo, lo guardava come un ragazzino smarrito dal profondo dolore che si può generare da un cuore spezzato, Odino non riuscì ad essere un re. Forse per codardia, perchè se avesse deciso di punire Thor per aver amato suo fratello, lui avrebbe dovuto punire se stesso per averlo messo al mondo.
Forse, semplicemente, ricordò che era stato suo dovere garantire ad Asgard degli eredi forti, degni del più potente dei regni.
Ma Thor non era stato un dovere.
Thor era stato il desiderio più grande e più temuto tramutato in sangue e carne.
Sangue del suo sangue. Carne della sua carne.
Aveva temuto di fargli male, quando Eir glielo aveva messo tra le braccia con poca grazia e lo aveva spinto via, mentre Frigga lottava tra la vita e la morte per avergli concesso un dono che non aveva mai osato chiedere a nessuno, dopo Laufey. Non poteva più prendere Thor tra le braccia e sperare che questo bastasse a far sparire il dolore.
Quell'impotenza, realizzò, era la sua più grande sconfitta.
Recuperò un fazzoletto dalla tasca della tunica, "questo appartiene a te."
C'era il giuramento di Loki su quel pezzo di stoffa, un giuramento di cui Thor non conosceva il significato e, mentre suo figlio prendeva tra le mani quell'oggetto e lo fissava sull'orlo del pianto, Odino concluse che non aveva alcun senso rivelarglielo ora.
"Ti ho già fatto questa domanda," disse con tono grave, "in questo momento di verità te la pongo di nuovo: ti ha mai fatto del male?"
Forse, in fin dei conti, quella era l'unica cosa che non sarebbe mai riuscito a perdonare.
"No..." Mormorò Thor accarezzando la stoffa bianca macchiata di scarlatto.
"Torniamo a casa," disse il vecchio re con espressione stanca, "torniamo a casa, asciuga le lacrime di tua madre, poi sarai libero di fare qualunque cosa credi possa renderti felice."
Lo disse solo per un ragione: perchè suo figlio fosse felice, Loki sarebbe dovuto diventare della stessa sostanza di un brutto incubo fuggito via.
Thor era stato perduto ma, ora, era salvo.
Questo gli dava abbastanza forza per poter continuare a vivere reggendo il peso di quelle colpe a cui non avrebbe mai dato un nome. 



***
Varie ed eventuali note:
Ho un annuncio da fare, gente!
Dal prossimo capitolo gli aggiornamenti diveranno ufficialmente settimanali (al massimo, ad intervalli di dieci giorni), così che io possa abbattere in definitiva il mio ritmo sconclusionato per portarvi alla parte finale di questa storia.
Dunque, avverto subito che Thor non tornerà nel prossimo aggiornamento e non lo rivedremo per un po'... Crudele autrice, molto crudele. Dalla prossima volta ci dedicheremo alle grandi (dis) avventure del nostro caro Loki in fuga (da Asgard? Dal suo sentimento per Thor? Dalla nonna matta con la fanciulla cadaverica? Ancora non è chiaro...).
Ringrazio ancora una volta i recensori e tutti i lettori che ancora passano di qui, nonostante tutto!
Alla prossima!




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Capitolo 24
*** Confessione ***


XXIII

Confessione


[Vananheim, oggi.]


Dormiva su di un fianco, accanto a lui.
I capelli dorati sparsi sul cuscino, le labbra rosse appena dischiuse, una mano appoggiata sulla cruva del ventre appena rigonfio. Non era la sua forma quella, era solo un'illusione... Un gioco per ingannare i loro nemici,eppure era bellissima.
E lo sarebbe stata anche la creatura che sarebbe nata in pochi mesi, ne era certo.
In fondo al letto, l'occupante della culla si svegliò e lei aprì immeditamente gli occhi.
"Si è svegliata..."
Le accarezzò i capelli, "non è una tua preoccupazione, riposa."
"È mia figlia."
"È nostra figlia."
Lei si lasciò convincere dalla dolcezza di quella replica e lui scivolò in fondo al letto, poi sollevò tra e braccia il primo frutto del loro amore, l'opera d'arte di cui era orgoglioso di definirsi l'autore. 
Lei si alzò a sedere e prese la bambina tra le braccia baciandone la testolina convina, "la mia principessa..." Mormorò con voce innamorata.
"Pensi che ne avremo un'altra?"
"Come se io potessi saperlo, Loki."
"Sei tu a tenerlo dentro," la mano di lui si posò sulla pancia di lei, "io sapevo che Thrud sarebbe stata una bambina."
"Ma nei miei sogni non lo era... Nei miei sogni era come te."
"Sono felice che non lo sia," disse lui con tono grave, "spero non lo sarà nemmeno il prossimo."
"Loki..."
"Non sarebbe una cosa buona."
"Potrebbe scegliere chi amare, senza negare al regno un erede al trono. Non sarebbe costretto a scegliere tra dovere e cuore. La trovi una cosa negativa?"
"Se s'innamorerà della persona sbagliata, dovrà scegliere comunque."
Loki prese tra le braccia la sua bambina e si perse negli occhi verdi che aveva ereditato da lui: non era felice che gli assomigliasse ma sapeva che avrebbe tirato il collo a chiunque avesse osato mancarle di rispetto facendola sentire diversa, sbagliata. Sua figlia non avrebbe subito il suo stesso dolore.
"Sei perfetta così come sei."
Sarebbe stata la prima verità che le avrebbe insegnato.
"Proprio come te, mio principe."
Loki s'irrigidì: la voce della fanciulla alle sue spalle era cambiata.
"Un mostro perfetto."
Si voltò: i morbidi capelli biondi erano stati sostituiti da lunghe ciocche nere, il viso dolce da uno magro e spigoloso. Il suo sorriso innamorato, era divenuto un ghigno.
"Se avremo un'altra bambina..." Sibilò, "anche a lei darai il mio nome, come quella che hai ucciso?"



Loki si svegliò sudato, col respiro corto e gli occhi sgranati.
Si guardò intorno e ricordò immeditamente dove era e per quale motivo si trovava lì.
Thor.
Era scappato da lui, era scappato da Asgard.
Thor era a casa.
Thor stava bene e nessuno lo avrebbe toccato. Non era una sua responsabilità. Non era un suo problema.
Era stato solo un incubo... Un incubo...
Mentre se lo ripeteva, come se da questo dipendesse la sua stessa vita, si chiese se mai avrebbe potuto svegliarsi da quello in cui viveva.


"Vi trovate bene?" Domandò Freya afferrando il suo calice.
Loki rimase in silenzio fissando il proprio piatto senza toccare cibo.
"Il vostro regno è meraviglioso, mia regina," rispose Sleipnir educatamente, quando realizzò che il compagno di viaggio non avrebbe aperto bocca.
"Spero che la mia Sygin faccia un buon lavoro."
"È una fanciulla deliziosa."
Entrambi guardavano Loki ma il principe perduto di Asgard sembrava troppo perso nel suo mondo per concedere loro anche solo un briciolo della sua attenzione. Sleipnir gli lanciò una gomitata da sotto il tavolo.
Gli occhi verdi lo fissarono indignati.
"La regina è scesa nelle nostre stanza come avevi desiderato, il minimo che puoi fare è guardarla negli occhi."
Loki fece una smorfia, "non si scadalizzerà per così poco."
"Eppure, il tu amico ha ragione," replicò Freya dal lato opposto della tavola imbandita, "hai voluto vedermi qui, piuttosto che nei miei appartamenti privati. Deve esserci un motivo."
"Le camere delle regina sono sempre affollate da giovani pettegole dagli occhi curiosi," lo sguardo di Loki cadde sulla esile figura di Sygin, mentre si avvicinava per riempire il calice della sua signora. Lei se ne accorse ma decise d'ignorarlo.
"La mia Sygin, qui, ti trova d'accordo," disse Freya sorridendo alla sua dama di compagnia e indicandole una sedia accanto alla sua, "accomodati, tesoro."
"Vi ringrazio, mio signora," rispose la giovane col viso basso. Gli occhi del loro ospite le erano ancora incollati addosso e avrebbe fatto di tutto per non incontrarli.
"È una delle poche giovani della sua generazione ad avere la stoffa di una signora," Freya le prese tra le dita una lunga ciocca di capelli biondi. Sygin sentì uno scomodo calore salirle alle guance ma non disse nulla, nemmeno quando sentì il giovane uomo ridacchiare.
"Non ne dubito," commentò con sarcasmo.
"Vi ho forse mancato di rispetto, mio signore?"
Loki non si aspettava una replica a tono. Freya lo dedusse dalla manciata di secondi che passarono dalle parole di Sygin alla risposta di lui.
"Non abbiamo avuto occasione d'interagire al punto perchè tu potessi farlo," disse.
Solo allora, la fanciulla alzò gli occhi chiari per guardare in faccia quello strano ospite dai comportamenti, a suo giudizio, troppo arroganti. 
"Temo di no, mio signore."
"Lo dite come se non vedeste l'ora di arrecarmi dispiacere."
"Dato che mi giudicate negativamente senza conoscermi, non farei altro che assecondare i vostri pensieri. Non è quello che piace agli uomini, credere di avere sempre ragione?"
Freya sorrise soddisfatta.
Sleipnir fissò il giovane al suo fianco aspettando che facesse la sua prossima mossa ma Loki non fece nulla: non 
aveva tempo di offendersi per l'arroganza di una dama con la lingua lunga.
Guardò Freya, "dille di andarsene."
La regina sospirò, poi guardò la giovane come ad invitarla ad avere pazienza.
Sygin annuì e si alzò da tavola senza dire una parola.
"Allora," Freya rilassò la schiena contro l'alta sedia di legno decorato, "penso che sia arrivato il fatidico momento in cui sua altezza ci concede l'onore di parlare."
L'espressione di Loki s'indurì notevolmente. Si alzò in piedi e Sleipnir fece un respiro profondo per invitare se stesso a rimanere calmo, nel qual caso il suo compagno di viaggio non ci fosse riuscito.
"Odino ti sta cercando," lo informò la regina di Vananheim con tono casuale.
Lui la guardò divertito, "oh, sei complice di un criminale, ora?"
"Non mi risulta che tu ti sia macchiato di colpe peggiori dei tuoi predecessori."
"Di quali predecessori parliamo, Freya?" Domandò lui sarcastico, "quelli di Asgard, o quelli di Jotunheim?"
Lei annuì con espressione grave, "ho avuto modo di conoscere la storia di quel che è successo di recente."
"Non conosci la mia versione."
"Posso immaginarla," replicò lei, "ma non dovevi ucciderlo."
Loki si fermò di colpo sbattendo entrambe le mani sul tavolo, "il mio unico errore, quel giorno, è stato fermarlo prima che potesse trapassare il petto di Odino!"
Sleipnir fece per dire qualcosa ma un'occhiata raggelante del principe su sufficiente a farlo tacere.
"E tu sapevi tutto, Freya..."
La regina sorrise tristemente e, per un momento, gli ricordò sua madre, "che cosa avrei potuto dirti, Loki? Eri un bambino, quando ti hanno messo nelle mie mani e lo eri ancora, quando ti ho riconsegnato a Frigga dicendole che non avevo più nulla da insegnarti."
"No," Loki scosse la testa, "non parlo del segreto della mia vera natura... Parlo dei peccati del re dorato, parlo di quello che lui stesso non ha avuto il coraggio di confessarmi."
Freya non comprese.
Sleipnir abbassò lo sguardo, consapevole che non sarebbe potuto intervinire in alcun modo a quel punto.
"Uno di loro è stato il tuo servo..."
La regina trattenne il fiato per un istante, poi sospirò, "era un amico," lo corresse, "ho perso molto, quamdo me lo hanno portato via."
"Tu c'eri..." Loki guardò oltre le grandi finestre come se potesse vedere le scene di quel passato ormai perduto, "eri una ragazzina, ma c'eri quando Odino ha amato quello che sarebbe divenuto il suo nemico leggendario ed hanno concepito un figlio."
Freya sgranò gli occhi, "Loki..."
"Doveva chiamarsi Thor quel bambino, non è così?" 
"Loki," la regina si alzò in piedi, "che cosa sai di preciso? Chi te lo ha detto? Come... ?"
"L'ho scoperto attraverso le parole scritte da mio padre," sibilò il principe, "il padre che ha preferito dirmi che non ero suo, piuttosto che prendersi le sue responsabilità e dirmi tutta la verità."
Freya si premette una mano contro la bocca, poi guardò il principe dritto negli occhi, "non sono nessuno per darti quella verità."
"Invece lo farai!" 
"Loki, nessuno conosce quella storia!" Replicò Freya fermamente, "posso raccontarti del giorno in cui Ymir ha attaccato Asgard, ha assasinato Borr, ha strappato Laufey ad Odino ed ad ha ucciso quel bambino che, sì, avrebbe dovuto chiamarsi Thor..." Ricordare le faceva male, Loki poteva vederlo nei suoi occhi lucidi ma non la fermò, "tutti abbiamo perso qualcosa, quella maledetta notte. Io ho perso chi mi ha cresciuto. Odino ha perso un fratello, un compagno, un figlio e la sua umanità... Laufey... Laufey ha..."
Si lasciò ricadere sulla sedia lasciandosi andare ai singhiozzi. 
Loki sentì gli occhi accusatori di Sleipnir su di sè ma lo ignorò deliberatamente.
"Asgard era un inferno," continuò a raccontare Freya, "un vero inferno... Quando ho rivisto Laufey, del giovane Jotun che conoscevo non era rimasto niente."
Il viso di Loki non aveva espressione, "era voluto?"
"Cosa?"
"Il bambino," chiarì Loki, "quello che Odino e Laufey hanno perso quella notte."
Freya si morse il labbro inferiore ed annuì, "l'avevano cercato per molto tempo."
Il principe fece una smorfia ed annuì, "comprendo..."
"Loki..."
Lui la guardò.
"Mentirei, se ti dicessi che hanno cercato anche te."
Loki non voleva sapere quella parte di storia, non gli interessava. Voleva solo i fatti, non i dettagli sentimentali.
"Mentirei, se ti dicessi che furono felici di sapere che stavi per venire al mondo."
Si morse il labbro inferiore ed attese che quello spreco di parole avesse fine.
"Non so cosa sia accaduto in quei nove mesi, Loki. Non so cosa sia accaduto la notte in cui Jotunheim è stata piegata ma... Ti ho visto che eri appena nato. Ti ho visto mentre Laufey ti stringeva al petto per nutrirti e ti metteva tra le braccia di Odino per farti addormentare. Ti hanno hanno dato alla luce insieme! È da questo che dovresti partire per scoprire la tua verità."
Loki non rispose, non la guardò neppure.
Si ritirò nella sua stanza e non uscì fino al giorno seguente.


[Asgard, secoli fa.]



L'acqua non era poi così fredda, nonostante la stagione calda fosse finita da un po'.
Svadilfari era talmente bello da imbarazzarlo.
Loki non poteva fare a meno di fissarlo facendosi timidamente da parte ogni volta che l'altro tentava di stringerlo a sè. 
"Non mi permetti nemmeno di baciarti?" Era dolce il sorriso di Svadilfari mentre si sporgeva per sfiorargli le labbra, "siamo completamente nudi e un metro di distanza continua a separarci... Qualcosa non porta..."
Loki sorrise facendo vagare lo sguardo ovunque per non dover guardare il mutaforma in faccia, "non ho mai sperimentato questo livello d'intimità con nessuno."
Svadilfari non sembrò sorpreso.
"Non ricordo l'ultima volta che ho fatto il bagno con qualcun altro, se escludiamo Nàl ma ho il compito di prendermi cura di lui, quando mio fratello non c'è."
"Mi sento incredibilmente onorato," mormorò Svadilfari con sguardo quasi languido, "posso dire di essere il primo a toccarti così, allora?" Domandò passando un braccio intorno alla vita del giovane Jotun.
Loki s'irrigidì ma non fece nulla per ostacolarlo, mentre lo trascinava verso di sè e lo baciava con trasporto.
Gli appoggiò entrambe le mani contro il petto scolpito ma non per respingerlo, solo per assaggiare la consistenza della sua pelle e dei muscoli perfettamente delineati. Avrebbe potuto indossare un'armatura e sarebbe potuto passare per un giovane guerriero di Asgard senza problemi.
La sola idea di avere un simile esempio di virilità a sua disposizione fece contrarre piacevolmente lo stomaco di Loki, che si ritrovò a stringere le gambe per combattere una reazione che non aveva mai sperimentato con qualcosa di diverso da una sua personale fantasia. Fu allora che la mano di Svadilfari afferrò la sua gamba destra e lo invitò ad avvolgerla intorno ai suoi fianchi costringendo le loro intimità l'una contro l'altra.
Lo Jotun strinse gli occhi, aggrappandosi a quelle spalle forti mentre un suono a lui estraneo usciva dalle sue labbra. 
Il vecchio se stesso sarebbe scappato. Avrebbe spinto via quel meraviglioso giovane e sarebbe scoppiato a piangere per la vergogna. Ma non era più il ragazzo di pochi giorni prima.
Si poteva cambiare in così poco tempo?
Non lo sapeva. Non sapeva se fosse sano o se fosse completamente impazzito a causa di quell'improvviso calore dopo una vita di fredda solitudine. Di una cosa era certo, non sarebbe bastata la vergogna a spingerlo a lasciarlo andare.
"Baciami..." Mormorò Svadilfari contro le sue labbra. La sua voce era più profonda: era eccitato quanto lui e sentirlo... 
Ogni pensiero coerente sparì non appena le loro labbra s'incontrarono. Loki sentì quella mano grande, abituata a compiere lavori di forza, avvolgerlo in una morsa di piacere puro. Improvvisamente, tutto il suo essere non era fatto d'altro che carne e sangue e l'unica cosa che voleva era che il suo cuore battesse più forte, fino a scoppiare.
Non durò a lungo come aveva sperato.
L'acqua si tinse del loro piacere, mentre Svadilfari gli lasciava andare la gamba e lo stringeva contro il suo petto con entrambe le braccia. Loki non riusciva a parlare. L'unica cosa che era in grado di fare era starsene lì, con la fronte premuta contro la sua spalla, gli occhi chiusi, il repiro corto e l'incapacità di accettare che tutto quello fosse vero.
Svadilfari gli baciò la spalla, "stai bene?"
Loki sorrise, "è questo il piacere, dunque?"
"Non hai mai...?"
Lo Jotun prese la mano che l'aveva accarezzato e ne baciò il palmo, "da soli si creano meravigliosi illussioni," disse, "ma, alla fine, fa sempre più freddo che all'inizio."
"Hai freddo ora."
"No..." Loki appoggiò la guancia contro il petto del mutaforma, "è così assurdo che nasca una passione simile in così poco tempo?" Non era una materia di cui poteva dirsi esperto, quella. La sola passione che aveva mai provato era stata per il bambino dagli occhi color cielo che gli aveva regalato una vita degna di tale nome ma l'aveva coltivata in silenzio e con estrema ingenuità, chiudendo gli occhi e lasciando che le sue stesse mani facessero il resto. Ora, c'era un mondo del tutto nuovo da esplorare per lui.
Era il mondo segreto degli amanti.
"Serve poco alla passione per sbocciare," Svadilfari gli prese il viso tra le mani invitandolo a guardarlo negli occhi, "l'amore è un'altra cosa."
Gli occhi di Loki erano lucidi di pianto, "sarei un folle, se ti dicessi che ti amo?"
"Ti chiederei perchè, piccolo Jotun."
"Proprio per questo," sorrise, "perchè sono un piccolo Jotun e, quando mi guardi, mi sento come un principe... Non hai bisogno di parlare, mi basta guardarti negli occhi e..."
Svadilfari lo baciò dolcemente.
"Questa è solo una parte del piacere, piccolo mio," mormorò il mutaforma, "c'è molto... Molto più di questo."
Loki lo guardò come non aveva mia guardato nessun altro.
Quell'espressione non gli apparteneva, come il tono di voce con cui parlò.
"Me lo insegneresti?"
Il fratellino del re era divenuto un adulto.


Odino si era addormentato con la testa appoggiata sulle sue gambe.
Nàl non riusciva a rilassarsi e passava distrattamente una mano tra quei capelli biondi guardando il cielo trapunto di stelle oltre le alte colonne. Non aveva scoperto molto di più sul Costruttore in quei giorni, sebbene Borr continuasse a fargli pressioni per ottenere la sua fiducia.
Dove volesse arrivare gli era ancora poco chiaro.
Aveva condiviso con lui tutte le informazioni riguardanti quello strano personaggio, vero, tuttavia, non era affatto normale che mettesse al corrente lui di ogni cosa lasciando all'oscuro suo figlio. Il fascino e la seduzione non erano armi di cui Odino disponeva, certo, eppure c'era qualcosa nell'insistenza del re che non riusciva a comprendere.
E questo lo disturbava.
Qualcuno bussò alla porta e Odino mugognò qualcosa nel sonno trasferendosi sul cuscino.
Nàl si alzò ed andò ad aprire.
Il viso di Frigga era solo parzialmente illuminato dalla tenue luce del corridoio ma non era difficile vedere la preoccupazione che contraeva i suoi lineamenti. 
"Frigga..."
"Dorme?" Domandò tesa.
"Che cosa succede?" Inistette lui uscendo dalla camera e richiudendosi la porta alle spalle.
"Si tratta di Loki," disse lei con tono grave.
Il principe di Jotunheim non ebbe bisognondi sentirsi dire altro.


Loki era seduto sul suo letto dando le spalle alla porta della camera.
Nàl vide che Skaði era inginocchiato davanti a lui e gli rivolgeva un sorriso dolce e comprensivo, sebbene non riuscisse ad udire le parole che gli stava rivolgendo. 
"Loki," chiamò avvicinandosi. Frigga dietro di lui.
L'amico si voltò di trequarti per individuarlo nella penombra della camera.
Non appena incontrò i suoi occhi arrossì di colpo ed abbassò lo sguardo.
Skaði si alzò in piedi posandogli una veloce carezza tra i capelli, poi si avvicinò al suo principe, "vuole parlare solo con te, è molto imbarazzato."
Questo Nàl poteva vederlo benissimo da solo, era il motivo di tanta vergogna che non riusciva ad intuire.
"Vi lasciamo soli," disse Frigga alle sue spalle stringendogli appena una spalla, "ci vediamo domani. È meglio così."
Skaði fece un leggero inchino seguendo la fanciulla fuori dalla stanza.
Nàl non riusciva davvero a comprendere.
"Loki?"
Vide l'altro Jotun artigliarsi la tunica con entrambe le mani fissando qualcosa verso il basso.
"Loki, parlami, che cosa è successo?"
La risposta la trovò da solo, non appena arrivò di fronte all'amico e notò le goccioline di sangue sull'urlo della sua tunica. In un primo momento, non comprese il motivo di tanto trambusto: avevano superato la pubertà da diverse stagioni, cosa c'era di così assurdo se...
"Oh..." Fu questo tutto quello che riuscì a dire, mentre sentiva il sangue defluire dal volto e il reale significato di quelle macchioline scarlatte diveniva improvvisamente chiaro.
Non chiese nulla, il principe di Jotunheim. Non disse una parola.
Lo invitò a seguirlo in bagno e lo fece accomodare sul bordo della grande vasca.
Scrutò il volto dell'amico per qualche secondo, poi si alzò e prese tra le mani il telo più piccolo che trovò.
Glielo porse e Loki lo prese.
"Bagnalo e premilo tra le gambe," gli disse.
Loki si sedette in modo da immergere le gambe nell'acqua calda fino ai polpacci, poi fece quanto gli era stato detto.
Un sospiro gli sfuggì dalle labbra.
Nàl si sedette accanto a lui ma nemmeno allora parlò.
Loki sorrise quasi istericamente, "è strano," mormorò, "sono felice ma mi viene da piangere."
"È il caos emozionale, nulla di grave," rispose l'altro Jotun studiando la sua espressione a tratti sorpresa, a tratti smarrita. 
Loki si morse il labbro inferiore, "non sembri sorpreso."
"Non sai quanto lo sono."
"Allora perchè non mi chiedi nulla?"
"Perchè non so che cosa dire," ammise Nàl.
Una strana soddisfazione illuminò gli occhi scuri di Loki, "ti ho lasciato senza parole, dunque?" Scostò il panno umido da sè e fissò il liquido rosso e quello biancastro mescolarsi sulla stoffa umida. Quella era la prova che lui e Svadilfari si erano amati, che non era stato tutto solo un bellissimo sogno.
Dopo la passione, si era addormentato tra le sue braccia e, quando aveva aperto gli occhi, lo aveva trovato lì, accanto a lui ansioso di amarlo ancora, ancora, ancora. Lo aveva preso fino a che aveva smesso di fare male e non era rimasto altro che il piacere.
Loki si sentì avvampare ed incrociò le gambe per evitare che il ricordo di quell'esperienza, ancora vivo sulla sua pelle, potesse prenderlo di sorpresa davanti al principe di Jotunheim.
"L'hai voluto?" Domandò.
"Con tutto me stesso," fu la risposta di Loki, gli occhi fissi sulla superficie dell'acqua che riempiva la vasca.
"È stato gentile?"
Nàl non aveva mai visto il fratello di Odino sorridere così.
"È stato dolcissimo," rispose, "ha messo il mio piacere prima del suo. Mi ha amato... Non so in che altro modo dirlo, sul serio! Mi ha amato."
Un sospiro.
"Ed io ho amato lui."
Nàl prese un respiro profondo, "non vuoi dirmi il suo nome?"
Loki s'irrigidì e strinse le labbra.
Il principe di Jotunheim annuì e posò gli occhi sul telo macchiato della sua verginità perduta, "è un dono," disse con rispetto, "chiunque egli sia deve sentirsi onorato. Hai intenzione di conservarlo?"
"Dovrei?"
Nàl scrollò le spalle, "io ho fatto qualcosa di simile."
"Che vuoi dire?"
"Ho regalato ad Odino un fazzoletto con sopra la prova che era stato il primo ad amarmi," raccontò, "è una cosa stupida: non è stato il mio primo amante, dopotutto."
"Ma è il primo con cui hai fatto l'amore," puntualizzò Loki, poi ripiegò il telo con cura e lo strinse contro il petto, "io l'ho scelto e lui ha scelto me."
Nàl accennò un sorriso, "non dirò nulla a tuo fratello."
"Ti ringrazio."


[Vananheim, oggi.]


Le lenzuola era zuppe di sangue.
"Sta bene?"
Il viso di lei era pallido, madido di sudore. I capelli biondi appiccicati sulla fronte.
"Che cos'è?" Domandò ancora, "sta bene?"
Lui continuava a stringerle la mano incapace di dire o fare alcun che.
Il sangue continuava a scorrere.
Alzò gli occhi e cercò quelli di sua madre. 
Frigga piangeva. Tra le braccia stringeva un fagottino troppo silenzioso, troppo sporco di sangue.
"Sta benissimo," la peggiore bugia della sua vita, "è un maschio sano e forte."
Il sorriso che lei gli rivolse fu bellissimo, sebbene il suo viso continuasse a perdere colore.
"Un maschio..." Disse flebilmente.
"È bellissimo," insistette lui simulando un sorriso orgoglioso, "assomiglia a te."
Lei chiuse gli occhi e rise e pianse insieme, "Magni..."
"Sì, Magni."
"Gli insegnerai la magia, quando crescerà?" Chiese lei cercando di nascondere la disperazione. Non aveva più bisogno di farlo col dolore, non lo sentiva più e, presto, avrebbe smesso di sentire anche la vita.
"Se lo vorrà."
"Certo che lo vorrà!" 
Lui avrebbe solo voluto mettersi a piangere ma non poteva, non nei suoi ultimi momenti.
"Sarai un ottimo maestro, lo so," commentò.
Sentiva che sarebbe impazzito, non appena quegli occhi azzurri si sarebbe chiusi.
"Proprio come lo sei come padre."
"Ti prego, aspetta..."
"Mi fido di te, Loki," non glielo aveva mai detto prima, "lascio tutto nelle tue mani... Mi fido di te..."
La sua ultima espressione fu un sorriso
.


"Loki!" 
Qualcuno chiamava il suo nome.
"Loki!"
Qualcun altro stava urlando.
Lui stava urlando.
Gli occhi verdi si spalancarono ed il suo corpo si bloccò di colpo, come congelato. Sleipnir era sopra di lui e gli stringeva le spalle. "Stai bene?" Domandò in pena.
Non rispose, era troppo occupato a cercare di respirare.
"Loki?" Il mutaforma cercò di toccargli il viso, lui lo scansò con violenza ritirandosi contro mla tastiera del letto.
"Calmo!" Esclamò Sleipnir scivolando in fondo al materasso, "Loki, stai calmo!"
"Che cosa ci fai nelle mie stanze?" Sibilò lui.
"Urlavi!" Si giustificò l'altro, "credevo che fosse entrato qualcuno, invece era un incubo... Sembravi aver bisogno di aiuto."
"Non ho bisogno di nessuno!" Ringhiò Loki in risposta, "e adesso vattene!"
Appoggiò la tempia contro la tastiera del letgo, aspettando che l'altro ubbidisse al suo ordine ma Sleipnir non si mosse.
"Sei ancora qui?"
"Vuoi parlarne?" Chiese gentilmente lui.
"Non c'è nulla di cui parlare!"
"Continuavi a chiamare il nome di Thor."
Loki trattenne il respiro, poi si voltò verso il suo compagno di fuga.
"È la verità!" Esclamò Sleipnir, "era lui che sognavi, non è vero?"
"No..."
Non era una bugia. Nel suo sogno vi era una fanciulla.
Con gli stessi splendidi occhi color cielo che aveva trovato su un solo viso in tutta la sua vita, vero, ma nulla di quel delirio riguardava Thor. Nulla.
Thor era ad Asgard con la sua vita da principe dorato.
Con le sue sfide da vincere. Le sue donne da montare. La sua gloria da ottenere.
Thor viveva ancora alla luce del sole e respirava l'aria di un'estate dorata che nulla aveva a che fare con la vita che aspettava lui. Thor era passato e, come tale, era alle sue spalle, ben nascosto dalla sua vista.
Se solo avesse avuto un ougnale abbastanza affilato con cui strapparsi il cuore e gettare alle sue spalle anche quello.
Sleipnir fece per alzarsi ma un pensiero improvviso lo trattenne e lo costrinse a guardare il principe oscuro del regno doratyo negli occhi, "Freya non ha mentito."
Loki si passò una mano tra i capelli: erano di nuovo lunghi. Thor non aveva voluto che li tagliasse più, dopo che avevano lasciato la Norvegia. Forse, avrebbe dovuto rimediare anche a quello.
"C'ero anche io, quando sei nato, sai?"
Ancora sciocchi romanticismi.
"Odino e Laufey ti hanno veramente messo al mondo insieme."
"Gran bella novità, Sleipnir!" Rispose sarcastico, "per un concepimento servono ancora due individui, lo sai?"
"Non mi riferivo a quello. Parlavo del modo in cui ti hanno amato in quei nove mesi, dell'adorazione con cui ti hanno stretto tra le braccia durante i tuoi primi istanti di vita."
"Eri con loro durante quei nove mesi?"
"Sì."
Loki lo fissò: non si aspettava una risposta simile.
"Non me lo hai mai detto."
Sleipnir scrollò le spalle, "non lo hai mai chiesto. In ogni caso, la penso come la regina: non è una storia che devo raccontarti io."
"Allora la lista dei testimoni si è esaurita."
"Loki..."
"Chi ti ha parlato di Svadilfari?" Domandò con voce incolore, "chi ti ha parlato del genitore che non hai mai conosciuto? Tuo padre? Lo Jotun da cui ho ereditato il nome?"
Sleipnir trattenne il fiato, poi prese un respiro profomdo, "no..." Ammise.
"Perchè?"
"Perchè gli faceva male ricordare."
Loki annuì con una smorfia, "sì, fa male ricordare di aver amato," commentò, "pensi che gli facesse male guardarti?"
"Non lo so."
"C'erano giorni in cui Odino non riusciva a guardarmi negli occhi," raccontò il principe alzandosi lentamente in piedi e portandosi davanti allo specchio, "quando ho scoperto la verità, mi sono guardato allo specchio e ho cercato di vedere quel che vedeva lui. Non l'ho sopportato."
"Se pensi che non riuscisse a guardarti perchè in te vedeva uno Jotun, ti sbagli di grosso."
"Oh, lo so," Loki gli rvolse uno di quei falsi sorrisi che tanto lo inquietavano, "non vedeva lo Jotun in me. Forse, alle volte, riusciva anche a dimenticare che lo fossi."
Una smorfia.
"Ma non poteva dimenticare di chi erano questi occhi verdi... No, non poteva..." Gli venne da ridere, "Laufey voleva uccidermi, invece sono stato la sua silenziosa maledizione per Odino per tutta la mia vita. Il re di Asgard non avrebbe mai pagato per i suoi crimini, non avrebbe mai rimediato ai suoi errori ma, fin tanto che i suoi occhi si sarebbero posati sul mio viso, non gli avrebbe mai dimenticati."


L'indomani, quando Sygin bussò alla loro porta, fu lui ad aprirle.
La cosa la fece irrigidire per un istante: non lo faceva mai, era sempre stato Sleipnir quello pronto a rivolgerle la parola. Suo malgrado, arrossì ma lui non disse nulla, si fece da parte e la lasciò entrare.
"Hai un messaggio da parte della regina?" Domandò senza guardarla, mentre tornava accanto al camino acceso.
Lei annuì, "mi ha detto che è in pena per la vostra conversazione dell'altra sera."
Loki la fissò, "ti ha parlato di quello che ci siamo detti?"
Sygin avrebbe voluto dirgli di non essere sciocco ma si sforzò di mantenere un tono rispettoso, "non è mia abitudine indagare le ragioni dietro ad un ordine della mia signora."
Lui sorrise, "questo significa due cose," commentò, "o che hai particolarmente rispetto per la persona della tua signora ed è una grande fortuna. Oppure, non sei abituata ad avere un pensiero critico, come la maggior parte delle giovani del tuo rango, dopotutto."
"Se volete che vi mostri il mio spirito critico, mio signore, non avete che da chiedere," rispose lei con una nota di arroganza che fece piegare all'insù gli angoli della bocca del principe.
"Non provi molta simpatia per me, vero?"
Sygin scrollò le spalle, "non è necessario per svolgere il mio lavoro."
"Ottima replica ma vorrei una risposta sincera, ora."
"No," ammise, infine, "non provo una grande simpatia per voi."
Loki ne sembrò divertito, "ora capisco perchè Freya ti ha affidato questo compito: non sei la tipicia fanciulla che perde tempo a cercare di conquistarsi l'attenzione di un giovane signore venuto da lontano."
"Non perdo tempo con gli uomini, mio signore."
Lui fu interessato da quella risposta. Si sedette sulla poltrona accanto al fuoco ed incrociò le gambe, "l'unica dama che ho conosciuto che mi ha dichiarato di non avere alcun interesse per gli uomini si è poi rivelata una povera disperata che non riusciva ad ottenere quello che voleva."
Pensò a Sif.
Pensò a quanto aveva voluto essere diversa da tutte le altre perchè Thor guardasse lei e solo lei.
Ci era riuscita. Probabilmente, era l'unica giovane donna di Asgard per cui suo fratello provava un affatto sincero ed un rispetto profondo ma lei aveva sempre desiderato un'altra cosa.
L'amore era un'altra cosa.
Anche Sygin era diversa, poteva dirlo con certezza, anche se le volte che si erano parlati poteva contarle sulla punta delle dita di una sola mano. Quello che lo incuriosiva era il motivo che la spingeva a comportarsi in quel modo.
Non stava cercando di attirare l'attenzione di nessuno.
Probabilmente, non aveva preteso nemmeno che Freya l'accogliesse sotto la sua ala protettrice.
Eppure, vedeva nei suoi occhi la disperata lotta di qualcuno che non vuole essere come tutti gli altri.
La capiva ma non intuiva le sue ragioni.
"Ho riferito il mio messaggio," disse lei, dopo un intero minuto di silenzio, "posso fare qualcosa per voi?"
"Mi annoio..."
"Volete che vi porti un libro, mio signore?"
Lui le sorrise sarcastico, "sei una dama, non sei capace d'intrattenere un uomo?"
Se si fosse trattata dell'ennesima ochetta da corte, non ci sarebbe stato alcun divertimento.
Ma l'orgoglio di quella giovane era tanto intatto che era impossibile resistere alla tentatzione di spezzarlo.
Lo stuzzicava l'idea di riuscire ad umiliare qualcuno che non fosse l'ennesimo sempliciotto di Asgard. Sarebbe stata un'ottima distrazione per mettere a tacere, almeno un poco, quel cuore furioso che galoppava nel suo petto e, pur sanguinando, si ostinava ancora a battere.
Aveva bisogno di sentirsi potente, Loki, anche nel modo più viscido ed insulso che conosceva.
Aveva bisogno di convincersi che quella fuga era stata per la libertà e non per la paura di perdere qualcosa che, in ogni caso, non era mai stata sua. 
Aveva bisogno di credere che era l'unico re di se stesso e che non era stato costretto ad amputare la parte migliore di sè a causa di qualcun altro. Di un padre bugiardo e codardo, di un'antica regina di cui non sapeva prevedere le mosse, di una creatura dall'odore di morte che non poteva combattere.
Sygin, però, ignorava tutto il caos che si portava dentro e, probabilmente, se ne fosse stata a conoscenza lo avrebbe deliberatamente calpestato. Non rispose alla sua provocazione.
Non gli diede nulla di quello che aveva bisogno di avere.
Se ne andò con lo sguardo alto, come se fosse un volgarissimo uomo di taverna dalla lingua troppo lunga, senza alcun potere, se non quello di creare magnifiche illusioni solo per se stesso.


Freya sorrise al giovane di fronte a lei, "non mi aspettavo una tua visita."
Sleipnir abbassò lo sguardo, "pensavo che fosse doveroso scusarsi per il comportamento di Loki dell'altra sera."
"Non sei responsabile per le sue azioni."
"Lo so ma qualcuno deve pur scusarsi e lui temo non lo farà."
Freya gli rivolse un sorriso materno, "non temere, non sono in collera con lui... Era un adolescente quando me lo hanno messo tra le mani chiedendomi di tirare fuori qualcosa di buono e non ha mai avutoun carattere facile. Ora, semplicemente, non ha più paura di dimostrarlo."
Sleipnir annuì, "vorrei solo che sapeste che... Non so cosa vi abbiano raccontato di quel che è accaduto a Loki negli ultimi anni ma posso rassicurarvi che non ha nessuna mira particolare nei confronti vostri o del vostro regno."
L'espressione della regina s'indurì appena, "se non ne fossi stata certa, lo avrei denunciato ad Odino il giorno stesso del vostro arrivo."
Sleipnir arrossì, "perdonatemi, mia signora, sono stato uno stolto a non pensarci."
Freya sospirò, "non crucciarti, vedo che la tua preoccupazione per la sua incolumità è sincera."
Il giovane mutaforma scrollò le spalle, "ho vissuto parte di quel che ha vissuto lui, alcune nostre ferite sono identiche. Solo, credo, che alcune delle sue siano più profonde delle mie."
"Ti riferisci ad Odino?" Domandò la regina invitandolo a sedersi di fronte a lei con un cenno della mano.
Sleipnir si accomodò, "mio zio non era tenuto a proteggermi," disse con un filo di vergogna, non per le azioni del re di Asgard ma per essere scappato via senza nemmeno una parola di gratitudine, "questo io non posso dimenticarlo."
"Pensi che Loki abbia dimenticato tutte le ragioni per cui dovrebbe amare suo padre?"
"No, mia regina. Penso che Odino sia stato molto più bravo a farsi odiare come padre che farsi amare, tutto qui. Forse non sarebbe cambiato nulla, non posso dirlo ma, spesso, anche oggi, trovo conforto nel sapere che sono nato da un atto d'amore... Anche se la mia vita non è addolcita da particolari affetti o arrichita da grandi gesta gloriose."
Freya sorrise, "tutti parlano del cavallo di Odino come il migliore di tutti i cavalli."
"Ma io sono molto più di quello," Sleipnir sorrise tristemente, "mi spiace solo che, aggrappandosi all'idea di fare il mio bene, mio zio non mi abbia permesso di sbocciare come uomo."
La regina lo guardò intenerita, "mi ricordi tuo padre, lo sai? Loki... Il primo Loki, il piccolo Jotun che Odino salvò sotto le mura di Utgard da fine certa."
Sleipnir arrossì ed accennò un sorriso, "ricordo mio padre come un ragazzo gracile, delicato quasi come una fanciulla... Mi hanno sempre che, oltre al suo talento, ho ereditato la forte struttura fisica di Svadilfari."
"Devo dar ragione a chiunque te lo abbia detto," Freya annuì, "ricordo poco del tuo secondo genitore ma aveva la prestanza fisica sufficiente a non sfigurare di fronte ad Odino... Nessuno di noi si stupiva che Loki avesse completamente perso la testa per lui."
"Lo zio non la pensava in questo modo..."
Freya sbuffò, "Odino è vissuto per anni nell'illusione che tuo padre, quello di Loki e la madre di Thor potessero essere suoi senza particolari controindicazioni... Temo che, succevvisamente, abbia fatto lo stesso sbaglio con i propri figli... Non ha saputo accettare che quei bambini fossero divenuti uomini capaci di contraddirlo e, in estremo, anche di ribellarsi alla sua volontà."
Sleipnir fissò il pavimento per alcuni istanti, "lo sta cercando anche qui, vero?"
Freya sospirò fissando il fuoco scoppiettante nel camino, "ti confesserò che non vedevo così tanti soldati Aesir nella mia terra dal tempo della guerra contro Jotunheim."
Il mutaforma s'irrigidì, "siamo in pericolo?"
La regina scosse la testa, "No. Odino è furbo ma è pur sempre un uomo. Le sue risorse sono finite, quelle di una donna non si possono elencare."
Sleipnir sorrise, "ora comprendo perchè il vostro popolo vi ama e gli altri sovrani vi rispettano. Persino Loki si fida di voi."
"No, Loki non si fida di nessuno."
"Mi piace credere che non sia così."
"Sei coraggioso a volerti conquistare la sua fiducia ma, credimi, potrà confessarti il peggiore dei suoi peccati ma non ti aprirà mai il suo cuore. Penso che, tra le poche persone che gli sono state vicine, solo Frigga sia riuscita a sfiorarlo."
Sleipnir si morse il labbro inferiore, "non avete fatto domande sul motivo della fuga di Loki."
"Ha scontato la sua pena, secondo la legge dei Nove..."
"Per quello che ha fatto su Midgard e Jotunheim, sì."
Freya lo fissò sospettosa, "sai qualcosa di cui io sono all'oscuro?"
Il mutaforma prese un respiro profondo e la guardò dritto negli occhi, "Loki dice che questa è una fuga per la libertà, per la verità. Eppure, è ancora incatenato ad Asgard e rifiuta ogni forma di verità."
La regina sembrò pensarci ma non aggiunse altro, era curiosa di sapere dove quel discorso sarebbe andato a parare.
"Mio zio potrebbe venire qui di persona... Siete vecchi amici, conoscete i suoi segreti e potrebbe rivelarvene ancora uno."
"Riguarda quella parte di storia con Laufey che nessuno di noi conosce?"
"No, riguarda Thor..."


[Asgard, secoli fa.]


In seguito, si amarono per molte notti.
Lo facevano tra le lenzuola del letto di Loki incuranti degli occhi curiosi che avrebbero potuto vedere Svadilfari lasciare le scuderie per recarsi nelle stanze del fratello Jotun del principe. In principio, Loki aveva temuto che Odino sapesse, ora non gliene importava più.
Amava Svadilfari.
Era il compagno che si era scelto per sè, come il principe dorato aveva scelto l'erede al trono dell'Eterno Inverno.
Non aveva bisogno di nascondersi, non voleva... Perchè, se lo avesse fatto, avrebbe significato che provava vergogna per quello splendido uomo che lo prendeva ogni notte con passione e devozione. Invece, a stento si tratteneva dal voler gridare a tutti i regni il caos che infuriava nel suo petto facendolo sentire vivo come non mai.
Tutti dovevano vederlo.
Tutti doveva sapere.
Quella splendida creatura era sua, l'aveva conquistata e se la sarebbe tenuta stretta a costo della sua stessa vita.
Tuttavia, nessuno aveva occhi per il piccolo cagnolino Jotun senza valore del principe e nessuno s'interessava a quali fossero le reali attività che svolgeva nel suo letto. Le dicerie erano molto più interessanti della semplice verità, così nessuno si disturbò ad indagare sul perchè Loki, il trovatello di Utgard, avesse preso a sorridere di più, a non seguire più Odino come un'ombra e a restare ore intere chiuso tra le quattro mura della sua camera da letto.
L'erotismo era qualcosa che Loki non aveva mai toccato con mano.
Ora, gli sembrava un potere senza lati oscuri che aveva sempre stetto in pugno.
Se aveva visto se stesso come un amante impacciato e riluttante,negli anni della sua solitudine, ora non lo ricordava più. Non c'era bisogno di aggrapparsi ad uno scomodo pudore senza fondamenta: l'unica cosa che chiedeva a Svadilfari era d'insegnargli a provare piacere ed il mutaforma era un ottimo maestro in materia.
Comprendeva, infine, tutto ciò che Laufey, anche col stretto legame che si era andato a creare tra loro, non poteva confidargli di Odino. Non gli aveva mai nascosto che la loro attività da amanti fosse sublime ma non gli aveva concesso nessuno dettaglio che potesse stuzzicare la sua fantasia.
All'inizio, aveva pensato che fosse per rispetto nei suoi confronti o per la sua ben nota natura introversa.
Ora, Loki comprendeva che sarebbe stato impossibile descrivere a parole cosa rendeva un amplesso perfetto.
Perchè, se avesse dovuto farlo, si sarebbe messo a delirare del modo delizioso in cui Svadilfari entrava in lui con dolcezza, per poi possederlo con passione impetuosa. Avrebbe dovuto parlare del modo perfetto in cui le loro dita si trovavano e s'intrecciavano. Avrebbe dovuto trovare una defizione per la sua espressione quando lo sentiva raggiungere il piacere dentro di lui.
Non era possibile fare nulla di tutto questo.
Gli sarebbe servito un linguaggio che nessun altro, a parte loro due, sarebbe stato in grado di comprendere.
Il bisogno d'amore e la fame di sesso, perchè di questo si trattava, coincidevano perfettamente in entrambi e questo permetteva loro di amarsi come mai avevano amato prima e come mai sarebbero riusciti ad amare poi.
Loki chiuse gli occhi beandosi del calore del corpo dell'amante premuto contro il suo.
Se si fosse allontanato troppo, sarebbe impazzito, ne era certo.
"Ancora..."
Era la terza volta che lo ripeteva.
Svadilfari rise contro la sua spalla, "devo cominciare a dubitare delle mie capacità di saziarti?" Domandò sollevandosi sui gomiti.
Loki piegò le gambe in modo che la pelle morbida delle sue cosce accarezzasse i fianchi di lui, "sei un illuso, se speri di potermi saziare," replicò con una malizia di cui, pochi giorni prima, non si sarebbe mai creduto capace.
"Posso rilassarmi dunque. Non devo più temere che questo tuo desiderio sia un fuoco che si consuma in fretta, come molte passioni."
Loki si rilassò contro i cuscini: la voglia di fare l'amore ancora una volta sfumò sotto il peso di quel dubbio insensato. "Ti amo," dichiarò, "non può passarmi, non passerà mai."
Svadilfari gli sorrise, "è la prima volta che assaggi la passione sulle tue labbra, come puoi saperla distinguere dal vero amore?"
"Tu mi ami?
Nemmeno parlare in modo così diretto era mai stato da lui, prima di allora.
"Con tutto me stesso," confessò Svadilfari senza esitazioni.
"Come fai a sapere che è vero amore?" Loki gli riconsegnò il dubbio. "Sono un giovane senza esperienze precedenti a te, ti ho dato la possibilità di giocare con me, come nessun amante consapevole del fatto suo avrebbe mai fatto. Come faccio ad essere certo che anche il tuo è vero amore e non una passione folgorante per una creatura vergine e maledetta?"
Svadilfari sorrise e lo baciò, "se per maledetta intendi che mi hai stregato l'anima..."
"Non voglio stregarti," Loki gli prese il viso tra le mani, "voglio farti mio, voglio conquistarti."
"Queste lenzuola umide del nostro amore non sono, forse, il campo di battaglia su cui hai trionfato, mio principe?"
"Non sono un principe."
"Possiedi la mia anima, non trovo un altro nome con cui chiamarti."
"Chiamami amore," mormorò Loki contro la sua bocca, "se mi ami, chiamami amore."
E Svadilfari lo fece.
E continuo a farlo fino a che i loro corpi non riuscirono più a reggere la passione e caddero addormentati l'uno tra le braccia dell'altro.


[Vananheim, oggi.]


Loki si era assopito contro i cuscini del suo letto, un libro aperto in grembo, quando Freya irruppe nella stanza sbattendo la porta.
"Mia regina, vi prego."
Udì la voce di Sleipnir per prima cosa. Solo dopo, vide l'espressione esterrefatta di lei, mentre lo fissava dall'alto al basso.
Il principe non comprese. Guardò il suo compagno di viaggio ma il giovane mutaforma stava evitando il suo sguardo di proposito.
"Che cosa hai fatto?" Mormorò Freya come se non avesse abbastanza fiato per parlare, eppure il suo petto si alzava ed abbassava regolarmente.
"Non credo di comprendere," rispose lui con tono incolore.
"Sei venuto da me chiedendo riparo," disse lei con voce tremante, "sei venuto da me con una verità terribile ad opprimere il tuo cuore ed una incerta volontà nel voler dissipare le ombre gettate sulla tua nascita per sempre."
"È così..."
La regina si avvicinò e gli tirò uno schiaffo.
Sleipnir trasalì.
"Odino non ti cerca per un suo capriccio," sibilò, "manipolazione della mente, stupro..."
Loki sgranò gli occhi e fissò il mutaforma rimasto sulla porta, "che cosa le hai raccontato?"
Sleipnir scosse la testa.
Il principe si alzò in piedi con fare minaccioso, "che cosa le hai raccontato, bastardo?!"
"La verità!" Rispose Freya.
"Allora non dovete averlo ascoltato attentamente, mia regina, perchè nessuna delle accuse per cui mi puntate il dito contro è opera mia!" Esclamò Loki con rabbia, "che cosa vi ha detto questo sempliciotto di un mutaforma? Eh?!" Guardò Sleipnir, "le hai raccontato la mia confessione o ti sei limitato a ripetere la versione che preferisce il tuo adorato re?!"
"Io non ho mai parlato di stupro,"si giustificò Sleipnir con voce flebile, "le ho parlato di Thor... Di te... Del fatto che sarebbe dovuto venire con noi ma, quando sei venuto a prendermi, non era con te."
"Perchè l'incantesimo di manipolazione di cui era prigioniero era svanito, non è così?" Ipotizzò Freya con disgusto.
Loki la fissò, poi scoppiò a ridere... Una risata crudele ed isterica.
"E questa, dunque? È questa l'immagine che le persone che mi hanno visto crescere hanno di me?"
La regina non sembrò impietosirsi affatto, "che cosa hai fatto, Loki?"
"Ho compromesso il principe dorato di Asgard!" Confessò urlando, "ho macchiato mio fratello. L'ho rovinato. Non ha importanza con quanta forza Odino proverà a lucidare l'immagine del suo erede, Thor non risplenderà mai più come prima."
Freya sgranò gli occhi ancor di più, se possibile, "è la verità?" Non voleva crederci. 
Il viso di Loki si contorse e quel che ne venne fuori fu l'espressione disperata che aveva visto tante volte durante gli anni della sua acolescenza, quando era stato suo allievo. D'un tratto, il principe oscuro cresciuto all'ombra del trono dorato, non fu altro che un bambino ferito.
"No," scosse la testa e cominciò a piangere, "la verità è che ho fatto l'amore con Thor... Ho fatto l'amore con lui sia come Aesir che come Jotun. Ci ho fatto l'amore con nessun altro desiderio che non fosse sentirlo mio... Renderlo mio ma non in un'illusione, non con la forza di fredde catene ma per sua concessione!"
Tiro su col naso.
"Ho commesso un crimine d'incesto," confessò senza vergogna, "un incesto che Thor crede solo apparente perchè, a differenza mia, non sa che siamo stati concepiti dallo stesso seme. Nel profondo, temo che ciò che l'abbia definitivamente spinto ad abbandonarsi tra le mia braccia fosse proprio la consapevolezza che, in fin dei conti, non ci scorreva nelle vene lo stesso sangue."
C'era più forza negli occhi lucidi di Loki in quel momento, di quanta ce ne fosse nelle iridi gelide del ragazzino che Freya aveva conosciuto.
"Ho fatto di Thor il mio amante, il mio compagno... Ho fatto di Thor tutto quello che una persona può essere per un'altra, nel bene o nel male. Sì, sono colpevole, ma non del legame che ha preso vita tra di noi... Sono colpevole del cuore rotto che ora batte nel suo petto. Non cerco assoluzione. Ti basti sapere che è un prezzo che abbiamo pagato entrambi ma era necessario perchè Thor fosse libero dall'incantesimo che imprigionava la sua mente e da tante altre cose... Compreso me."
Freya si premette una mano contro la bocca.
"Questa è la mia confessione, mia regina. Quando mi denuncerete ad Odino, vi chiedo solo di condividerla con lui... Dalla mia bocca non avrebbe alcun valore."
Loki guardò Sleipnir ma non c'era più rabbia nei suoi occhi.
"Gli hai detto la verità per paura che Odino le raccontasse la sua versione e decidesse che era una buona ragione per tradirci."
Il mutaforma annuì.
Il principe sorrise, "comico, no? Le hai raccontato la storia di due fratelli divenuti amanti e lei, come il nostro re, ne ha sentita una su di un mostro ed un pricipe buono e valoroso corrotto dalla sua oscurità."
Freya singhiozzò consapevole di non poter porre rimedio a quell'errore.
"È buffo, no?" Il viso di Loki era di un dolcezza orribile, come quella di un condannato a morte che accetta la sua fine serenamente, "un grande re distrugge un popolo e diviene un eroe. Un principe disprezzato compie lo stesso gesto e diviene un criminale. Quello stesso principe, forse, si è innamorato della sola persona che non avrebbe mai potuto avere e, nel momento in cui questa gli concede il suo cuore e lo rende vivo, umano... Ecco, è allora che gli occhi di tutti lo vedono come un mostro."
Un fulmine squarciò il cielo e Loki si voltò verso le alte finestre della stanza appena in tempo per vedere le prime gocce di pioggia solcarne il vetro.
"È una condanna senza appello," mormorò distrattamente, "ma non temete, mia regina, ben presto quel principe diverrà il mostro che tutti voi fremete per conoscere. Poichè non pssiede più nulla che lo renda umano."


[Asgard, secoli fa.]


Odino se ne accorse, sarebbe stato impossibile non notarlo.
Eppure, non una parola uscì dalle sue labbra.
Il principe dorato non avrebbe saputo cosa dire.
Passò i giorni in silenzio ad osservare un cambiamento che la sua mente non aveva mai considerato possibile. Cominciò a voltarsi e a non trovare Loki alle sue spalle. Prese a cercare il suo viso tra i membri della corte senza trovarlo. Non aveva mai avuto bisogno di farlo prima.
Loki non era mai stato troppo lontano da non poter essere toccato con una mano.
Ora, capitava che si coricasse pensando che, quel giorno, non aveva visto suo fratello neanche una volta. 
Qualcosa era cambiato.
Qualcosa stava ancora cambiando.
Laufey aveva le risposte che lui desiderava ma che non aveva il coraggio di conoscere, ne era certo. Era impossibile che non avesse notato quello che stava accadendo intorno a loro, eppure non mostrava nemmeno la metà della curiosità che aveva lui. Persino Frigga doveva vantare delle informazioni a riguardo.
Lo vedeva. Lo capiva.
Eppure, Odino non si azzardava a chiedere, a parlare.
Restava in disparte, all'ombra di una luce nuova, appena nata.
La luce riflessa negli occhi scuri di Loki, così intensa da farli sembrare due stelle.
Non ceracava più il suo sorriso, il suo fratellino.
Non correva più da lui per qualche semplice rassicurazione.
Non sedeva più sotto la sua ala protettrice perchè, per un motivo che non riusciva a comprendere, Loki non aveva più bisogno di essere protetto, come non aveva più bisogno di lui.
Alla fine di una stagione calda senza eventi particolari, mentre la natura di Asgard moriva sotto il freddo mantello di un inverno imminente, qualcosa di nuovo sbocciava all'interno del palazzo dorato. Lo faceva con discrezione, quasi timidamente ma, dal modo in cui Loki aveva imparato a sorridere, sapeva che, alla fine, ne sarebbe uscito un fiore meraviglioso.
Peccato che quel fiore non sarebbe stato mai più suo.







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Capitolo 25
*** Debole ***


XXIV
Debole

[Asgard, secoli fa.]


Era una mattina diversa da tutte le altre.
Era la prima mattina veramente fredda da quando l'autunno era sfumato lentamente in inverno.
Loki fissava il proprio riflesso nello specchio senza riconoscersi. 
Non se l'era sentita di scendere nella sala grande per la colazione ed aveva domandato ad un servitore di portargliela in camera. Sapeva come sarebbe finita. Era l'ottava mattina che accadeva, eppure ogni volta s'illudeva che fosse passato. 
Ancora una volta, aveva divorato la colazione, combattendo una stanchezza che non aveva mai provato, solo perchè il cibo si arrampicasse su per l'esofago una decina di minuti più tardi. A quel punto, gli era impossibile uscire dal bagno per una buona mezz'ora e, alla fine, l'odore di vomito era tanto forte da scivolargli sotto la pelle e sentiva il bisogno di farsi un lungo bagno caldo.
Ora, dopo più di una settimana, fissava la sua immagine alla ricerca delle risposte alle domande che non aveva mai voluto porsi prima. Loki piangeva, tremando appena ma non per il freddo.
I capelli neri erano ancora umidi, le goccioline gli scorrevano lungo il corpo.
Non lo riconosceva. Era diverso.
Fu l'istinto, la paura, l'emozione... Con la punta delle dita si sfiorò l'addome.
"Loki."
Sobbalzò: suo fratello era sulla porta.
Agguantò un asciugamano e se lo strinse al petto: Odino lo aveva visto nudo molte volte ma non era più la stessa cosa, ora che quella pelle non era più solo sua. 
"Mi hai preso di sorpresa, fratello."
L'aveva colto nel momento della sua vita in cui, più di ogni altro, aveva compreso cosa fosse la paura.
"Ti vergogni di me?" Domandò il principe con tono freddo.
"Mi hai preso dinsorpresa, te l'ho detto."
Perchè lo trattava così? Perchè non vedeva il terrore nei suoi occhi? Perchè non lo riempiva di domande stupide e lo rassicurava del fatto che sarebbe andato tutto bene, ancor prima di conoscere il problema?
"Sono giorni che non ti fai vedere."
"Non sono stato molto bene."
Odino strinse le labbra offeso, "avresti potuto farmi chiamare... Laufey, se non me."
"Non volevo disturbare."
Non aveva potuto rischiare che qualcuno di loro capisse quello che gli stava succedendo.
Ingoiò a vuoto e trattenne il respiro. Niente! Non gli stava succedendo niente!
"Molto bene," Odino si voltò.
Loki avrebbe voluto solo fermarlo e buttarsi tra le sue braccia, convincersi del fatto che suo fratello c'era e ci sarebbe sempre stato.
Rimase immobile, aspettando che la porta della sua camera si chiudesse.


[Vananheim, oggi.]


Pioveva.
Aveva piovuto per giorni.
Loki aveva mantenuto la calma per cinque notti ma, ora, Sleipnir vedeva una crepa aprirsi lentamente nel muro di silenzio dietro cui si era chiuso dalla notte della sua confessione a Freya. 
La regina non li aveva denunciati, ovviamente ma nemmeno si era più recata nelle loro stanze.
Nel suo piccolo, si era sempre creduta una delle poche persone ad essere riuscita a capire una parte di quel mistero vivente che era Loki. Anche lui doveva vederla sotto una luce diverse rispetto alle masse, altrimenti non si sarebbe mai presentato al suo cospetto con la fama che si era costruito. 
Eppure, alla fine, le era bastato un racconto vago su Loki e su un anno di latitanza insieme al principe Thor per spingerla a fare le conclusioni sbagliate. Era la vergogna a tenerla lontano dal suo ospite.
Loki non faceva commenti a riguado e Sleipnir si guardava bene dall'affrontare l'argomento.
Ma quelle giornate di tuoni e fulmini avevano smosso qualcosa di diverso nel principe di Asgard.
Qualcosa a cui il mutaforma non sapeva dare un nome ma restava comunque all'erta, aspettando il momento in cui sarebbe venuto alla luce con tutta la sua forza distruttiva.
Loki si alzò dalla poltrona di colpo e si chiuse in camera.
Sleipnir sapeva che non ne sarebbe uscito presto.


Nella notte, continuò a piovere.
Loki se ne stava disteso sul suo letto.
Gli occhi verdi fissi sul soffitto, una mano abbandonata accanto al viso col palmo rivolto verso l'alto, l'altra serrata sopra l'addome. Un altro tuono.
Loki inspirò velocemente, come colto da un'emozione improvvisa.
Lampo. Tuono.
Chiuse gli occhi e dischiuse le labbra. Un gemito soffice strisciò fuori dalla sua gola.
Se ne vergognò. Si stese su di un fianco e strinse la federa del cuscino.
La tempesta non gli diede tregua neanche allora: le luci improvvise continuavano ad illuminare la sua camera, seguite dai boati. Loki si premette entrambe le mani contro le orecchie, avrebbe voluto strapparsele via.
"Basta..." Mormorò, "basta..."
La pioggia continuò a cadere senza pietà, i fulmini a squarciare il cielo ed i tuoni a gridare.
Gli occhi di Loki erano umidi, quando quella mano scivolò timida tra le sue gambe.
Avrebbe voluto graffiarsi, farsi male.
Non ci riuscì.
Non si curò della sua virilità, era di un altro tipo di piacere che aveva bisogno.
Era eccitato, eccitatissimo e, con il rombo di ogni tuono, poteva quasi illudersi che la mano che lo toccava non fosse la sua. Chiuse gli occhi ed affondò il viso nel cuscino, si sollevò appena sulle ginocchia man mano che le carezze divenivano più intense. Una luce più intensa delle altre, i vetri tremarono.
Loki spalancò la bocca contro la federa del cuscino soffocando un piacere che nessuno avrebbe dovuto sentire, perchè nessuno avrebbe saputo comprendere.
Si stese sulla schiena. Il respiro accellerato, il cuore impazzito.
Si sentiva umido tra le cosce ma era un bagnato freddo, solitario, vuoto. Non aveva mai realizzato quanto fosse stato rischioso lasciare che Thor raggiungesse il piacere dentro di lui. Se gli era stato relativamente semplice accettare che poteva essere amato come uno Jotun, non gli era venuto altrettanto naturale considerare le possibili conseguenze di un atto sessuale di quel tipo. Loki non aveva mai pensato al suo corpo in quel modo, non conosceva nemmeno la tecnica giusta per salvaguardarsi da possibili incidenti di quel genere. Quando Thor glielo aveva chiesto, aveva detto no.
La verità era che, per un anno, aveva lasciato che decidesse il destino. 
Mentre fissava il soffitto, si toccò la pancia.
Per la prima volta, si chiese che cosa avrebbe fatto se il destino avesse deciso diversamente.
Strinse le labbra, poi chiuse gli occhi. Era una domanda inutile anche da porre a se stesso: il destino aveva già deciso.
Sprofondò in un sonno pieno di incubi.


La culla era vuota.
Lui non la sopportava, l'unica cosa che gli impedisse di dargli fuoco era la possibilità di preoccupare lei e lei non aveva bisogno di ulteriori pensieri.
"Loki?" Le sue braccia erano più piccole, ora ma riuscivano comunque a farlo sentire al sicuro, quando lo circondavano, "fa che i fabbri ne facciano un'altra, te ne prego."
Quella culla era appartenuta a lui: era tradizione che la bambina che portava in grembo la ereditasse. Quella bimba non era mai vissuta. La sua principessa era nata morta e, mentre i curatori avevano fatto l'impossibile per salvargli la vita, lui aveva desiderato solo di poter chiudere gli occhi per sempre.
Quando si era risvegliato, il re aveva già dato ordine di cremare la sua creatura.
Non l'aveva neanche vista. Non l'aveva toccata.
Non glielo avrebbe mai perdonato.
"Mi spiace," aveva deto Eir, "non potrai più dare alla luce dei bambini."
Era stata la sconfitta peggiore della sua vita.
"Loki..."
Lui si voltò, diede le spalle a quella culla maledetta e guardò negli occhi la sua unica ragione di vita, "ho ucciso nostra figlia," le posò una mano sul grembo ancora piatto, "non permetterò che accada anche a lui."
"Tu non hai ucciso nessuno!" Esclamò lei. Era colpa sua, se doveva sopportare quelle sembianze, se doveva portare in grembo un erede che avrebbe dovuto dare alla luce lui. Il suo potere aveva ucciso la loro bambina.
"Thor..."
"Shhh," posò la sua mano su quella che ancora la toccava, "tu hai creato questo! Lo hai messo dentro di me e mi hai dato un corpo che mi permettesse di farlo crescere. Sei un padre, Loki, non un assassino."
Pianse tra le sue braccia, senza vergogna
.


Si svegliò di colpo e dovette guardarsi attorno a lungo per identificare la camera attorno a lui.
Un altro di quei sogni assurdi.
Di nuovo quella fanciulla. Thor?
Scosse la testa. "Thor è ad Asgard," mormorò Loki alzandosi dal letto, "Thor è dove deve essere... Ed io sono troppo lontano per lui."
Prima o poi se ne sarebbe convinto, ne era certo.
"Thor è perduto per me."
Notò una tenue luce filtrare da sotto la porta. Era ancora notte fonda e la cosa lo insospettì.
Nella sala comune, vide la donna seduta davanti al caminetto accesso. Indossava un'elegantissima veste da notte ma aveva gli occhi stanchi di chi non dorme sonni tranquilli. 
Loki fece una smorfia, "cosa penserà tuo marito, se ti scopre nelle stanze di due giovani ospiti nel cuore della notte?"
"Mi ama," mormorò Freya, "ed io amo lui. La fiducia che abbiamo l'uno per l'altro ci permette di fare cose anche sospette."
"Fiducia..." Mormorò il principe, "la prima volta che Thor si è concesso a me, gli ho chiesto se si fidava... Mi ha risposto che mi amava. Che idiota! Avrei potuto fargli talmente tanto male da farmi odiare ma lui, pur non fidandosi, mi ha permesso di essere il suo primo uomo."
Freya non cambiò espressione di fronte a quella confidenza: era nata da un incesto violento, conoscendo suo padre, e ingiustamente aveva accusato Loki di aver fatto lo stesso con il principe dorato di Asgard.
"Tu lo ami, vero?" Domandò, "ho visto la disperazione nei tuoi occhi, quella notte. Hai detto di averci fatto l'amore, di averlo reso il tuo compagno. Molte persone usano parole a casaccio, Loki ma non tu."
"Ho già confessato tutto quello che avevo da confessare," tagliò corto lui.
"Pensavo lo odiassi," ammise la regina, "pensavo che, negli anni, l'invidia nei suoi confronti fosse marcita trasformandosi in altro."
"È stato così."
"Eppure, ci hai fatto l'amore con il fratello che dici di odiare."
Loki fissò le braci ardere per qualche istante, "non sono riuscito a distruggere la luce che aveva messo così in ombra la mia intera esistenza. Non ho cancellato il principe che non potevo essere e che mi metteva continuamente in difetto. L'ho fatto mio ed ho capito che era immensamente più... piacevole, appagante... Totalizzante... Sensato..." Gli venne da ridere, "guardando alla storia, due fratelli che si fanno una guerra è una sfortunata ricorrenza ma che divengano amanti... No, quella è un'assoluta tragedia."
"Devi avergli spezzato il cuore."
"Dovevo..."
"Perchè?" Domandò la regina, "che cosa ti ha minacciato tanto dall'indurti a rinunciare a qualcosa di così grande? Non può essere solo Odino. A causa sua, ti sei dato alla fuga, lo capisco questo ma perchè non portare Thor con te, se lasciarlo non ha fatto altro che spezzare quel cuore già distrutto che hai e provocarti incubi?"
Loki la fissò con gli occhi sgranati.
"Non è colpa mia," si affrettò a dire Freya, "i tuoi poteri sono i più forti in questo regno, seguiti dai miei. La tua psiche li sprigiona, quando nel sonno provi un moto di terrore o dolore ed interferisce col mio."
"Sono solo incubi," tagliò corto il principe, "non ricordo quando è stata l'ultima volta che ho dormito senza averne. Non sono più un problema per me."
Freya lo ignorò, "è la prima volta che sogni un mondo dove tu e Thor avete dei figli?"
"Thor non è nei miei sogni."
"Loki..."
"Non c'è!"
"Non come il resto del mondo lo conosce," Freya sorrise, "è così che lo vedi, nelle tue fantasie?"
"Non è una fantasia," replicò Loki distrattamente, "è la prima volta che sogno una donna in vita mia."
"I sogni dicono sempre qualcosa di noi," la regina si alzò in piedi incrociando le braccia sotto il seno, "se è ricorrente, deve pur avere un significato."
Loki non voleva interrogarsi su cose del genere: aveva imparato a non porsi domande su faccende ben più grandi di lui perchè, prima o poi, sarebbe finito col bloccarsi di fronte ad un quesito al quale non poteva dare alcuna risposta. Una vera scocciatura. Una tortura.
"È solo un sogno."
Freya aveva preso a vagare per la stanza con lo sguardo basso, "vedi spesso i figli tuoi e di Thor nei tuoi sogni?"
A risponderle fu la porta della camera che si chiudeva.


[Asgard, secoli fa.]


Loki scese nelle scuderie quanto più velocemente i tremori e la nausea gli permisero.
Un paio di volte, dovette bloccarsi in un angolo del cortile per vomitare quel poco ch era rimasto nel suo stomaco.
"Svadilfari," chiamò entrando nelle scuderie reali, si premette una manica contro il naso per combattere il forte odore di fieno e sterco. Ogni suo senso sembrava lavorare al doppio delle sue capacità e questo lo faceva impazzire.
"Svadilfari?" 
Girò l'angolo appena in tempo per scorgere l'immagine di una schiena muscolosa attraversata da un'infinità di linee rosso acceso. Qualunque cosa sentisse prima, dalla nausea, ai continui crampi al basso ventre, sparì nel giro di una manciata di secondi di fronte a quello spettacolo. Svadilfari si aggiustò la tunica evitando di proposito lo sguardo del giovane Jotun.
"Che cosa ti è successo?" Domandò Loki, mentre un nodo cominciava a stringergli doloramente la gola.
"Nulla," l'appredista del costruttore abbozzò un sorriso, poi appoggiò entrambe le mani sui fianchi del giovane amante, "che cos'hai?" Domandò accarezzandogli una guancia.
Loki fece un passo indietro, "che cos'hò io?" Stava uno schifo e, in fondo al cuore, un presentimento su quel che stava accadendo al suo corpo lo terrorizzava al punto da fargli male ma vedere quel corpo... Il corpo che aveva amato per così tante notti, massacrato, sfregiato... Qualunque motivo lo avesse spinto fino a quel posto, era passato in secondo luogo.
"Che cosa ti ha fatto?" Domandò con le lacrime agli occhi.
Svadilfari scosse la testa prendegli il viso tra le mani, "non hai una bella cera, piccolo."
"Ti ha frustato, Svadilfari!" Gemette Loki, scoppiando a piangere. Non aveva più il controllo delle sue emozioni. Ingoiò aria come un naufrago, poi appoggiò una mano al muro e si piegò in due buttando fuori più di quanto il suo stomaco avesse mai ingerito. Sentì le mani di Svadilfari tra i capelli, "devo trovare un curatore per te."
Loki scosse la testa: non riusciva a parlare a causa dei violenti sforzi di stomaco.
"Qualcuno dei tuoi amici, almeno."
"Odino..." Borbottò Loki mettendosi dritto, "devo trovare Odino. Devo dirgli quel che ti ha fatto il Costruttore."
"No!" Svadilfari gli circondò la vita con un braccio. Loki non sapeva se fosse possibile o se la testa stesse cominciando a fargli qualche scherzo ma era certo di sentire l'odore del sangue sulla sua pelle. Strinse le labbra per combattere un altro attacco di vomito.
"Mi gira la testa."
Svadilfari lo strinse contro di sè.
"Perchè non mi hai detto che ti faceva del male?"
"Shhh..."
"Mio fratello è un buon principe. Un uomo giusto, lui potrebbe..."
"Non posso mettere in pericolo te o i tuoi cari."
Loki sorrise stancamente, "non guardare me. Io sono debole ma mio fratello, Nàl, loro sono..."
"Non sei debole, tesoro mio," Svadilfari gli baciò la fronte.
"Mi puoi portare fuori di qui?" Lo pregò Loki, "l'odore è troppo forte."
Fatti pochi passi, il mutaforma decise di sollevarlo tra le braccia per evitare che entrambi cadessero sul pavimento lercio, "ti porto in camera tua!" Decise.
Loki era troppo debole per ribellarsi, si strinse di più contro quel petto così forte da dargli l'impressione di poter sopportare tutto. Da una frusta, alla sua paura.


Quando riprese conoscenza, Loki ebbe come l'impressione che il suo corpo fosse avvolto dalle fiamme e la sua testa chiuse in una morsa. Gemette e volle solo poter sprofondare di nuovo in un sonno senza sogni.
"Vuoi un po' d'acqua?" Era la voce di Nàl.
Non ebbe la forza di chiedere che cosa ci faceva il compagno di suo fratello in camera sua. Non ebbe voglia di pensare che, se era lì, al suo capezzale, probabilmente era stato informato da qualcuno. Qualcuno... Svadilfari...
Si girò sulla pancia ed affondò il viso contro il cuscino.
"Dammi una buona ragione per cui non dovrei chiamare Eir seduta stante."
Non era più suo complice, ora. Era un principe per nulla intenzionato ad essere contraddetto.
"No," mormorò, aprendo appena gli occhi. La luce lo accecava.
"Loki," le mani fredde di Nàl contro le sue guance furono come una benedizione, "tu non stai bene, lo capisci?"
Il giovane Jotun afferrò i polsi del principe cercando di mettere a fuoco il suo viso, "devi trovare mio fratello, devi andare con lui al muro, devi..."
Nàl si morse il labbro inferiore, "lui ha detto che me lo avresti chiesto. Mi ha detto di non assecondarti."
Loki cominciò a piangere, "lui... Lui ha bisogno di aiuto."
"Va bene. Ti ascolterò, lo giuro," promise il principe stringendogli le mani, "ma ora devi permettermi di avere cura di te."
Loki scosse di nuovo la testa e tentò di alzarsi, "tu non capisci. Succede qualcosa al cantiere. Qualcosa di terribile!"
Nàl gli passò una mano tra i capelli, "Odino controlla il cantiere ogni giorno per conto del re, Loki."
"Svadilfari..." Chiuse gli occhi per combattere un giramento di testa, "è stato frustato durante il lavoro. Il Costruttore... Lui... Lo tortura, io..."
Nàl inarcò un sopracciglio, "non c'è nessuno con lui," disse.
Loki non comprese.
"Al cantiere vi è solo il costruttore. Questi erano i patti con Borr: lui solo, nessun altro."
"Gli fa del male," continuò l'altro Jotun impeterrito, "gli fa del male, Laufey... È il mio compagno, il mio amore, ti prego..."
La testa gli girava troppo. Non riusciva più a parlare, non riusciva più a tenere gli occhi aperti.
Doveva essere cambiato qualcosa, perchè di colpo la voce di Nàl suonò acuta e spaventata.
Non ebbe il tempo di chiedergli cosa.


[Vananheim, oggi.]


La fanciulla era giovane, troppo per essere una mamma.
Eppure, stringeva quel fagottino a sè come se fosse la sua ragione di vita.
Una bambina, gli era parso di udire dai continui urletti eccitate delle ochette che si erano radunate sotto il suo balcone. Loki le osservava di nascosto, da dietro una colonna ricoperta di rose selvatiche. 
La piccola si stringeva contro il seno della madre per rifugiarsi da tutte quelle mani estranee e curiose.
Fece una smorfia: Frigga non lo avrebbe mai permesso o, forse, sarebbero state le persone intorno a lei le prime a non permettersi di toccare, con così tanta libertà poi, i figli di una regina.
Nell'anno passato a New York, lui e Thor avevano parlato molto. Forse, avevano seriamente imparato a parlare per la prima volta da quando la giovinezza li aveva divisi, spingendoli su strade diverse. La sua, al buio e solitaria; quella di suo fratello, al sole e circondata da una folla festante.
Era stato in uno di quei dialoghi così fuori dalla norma per loro che Thor gli aveva raccontato il primo ricordo che aveva di lui. Ricordava il freddo e la neve e ricordava che la mamma era a letto. Gli avevano spiegato che era debole perchè aveva appena fatto nascere il suo fratellino.
Era stato Odino a dirglielo, aveva dovuto prenderlo in braccio per condurlo fino al letto, perchè Thor, in cuor suo, aveva avuto paura. Loki l'aveva trovato divertente ma non lo aveva detto.
Thor aveva raccontato di quanto era piccola la cosina con gli occhi chiusi e tanti capelli neri. Aveva ricordato come la mamma gliela avesse lasciata toccare.
"Il suo nome è Loki," aveva detto Frigga, "è tuo."
Era un ricordo sfocato, reso vivido solo dai racconti che gli erano stati ripetuti negli anni. Eppure, c'era un dettaglio tra le parole di Thor che Loki non ricordava aver mai udito nelle versioni di sua madre. Gli aveva detto con assoluta certezza che Frigga non aveva avuto problemi a far avvicinare Thor a quel bambino così piccolo e fragile ma si era ritratta, quando Odino si era avvicinato invitando la moglie a passargli il piccolo principe appena venuto al mondo.
"Sembrava una donna gelosa," erano state le parole di Thor.
Doveva essere così un po' per tutte le madri: amare le loro creature al punto da non riuscire a condividerle nemmeno con i padri legittimi. 
Loki continuò a guardare, mentre la bambina sotto i suoi occhi scoppiava a paingere e la madre troppo giovane, che si ritrovava, tornava all'ordine e distoglieva la sua attenzione da quelle amiche troppo rumorose per circondare una creatura da poco venuta al mondo. 
Fu un momento, uno solo. Vide Thor. 
Lo vide con l'aspetto di sempre ma con la stessa dolcezza che aveva trovato solo nella fanciulla dei suoi sogni. La dolcezza di un giovane genitore con il suo bambino. La dolcezza che Loki gli aveva negato. Lo vide stringere tra le braccia una creaturina dai capelli neri che doveva essere così simile a quella che sua madre gli aveva mostrato in una notte d'inverno.
Loki vide Thor stringere con amore il loro bambino. Quel bambino che aveva ucciso ancor prima che venisse al mondo.
"Mio signore?"
Si riscosse e, quando tornò a guardare, tutte le giovani fanciulle erano di nuovo al loro posto, mentre la giovane mamma s'impegnava a cullare disperatmente la sua bambina.
Si voltò: Sigyn era sulla soglia del balcone e lo vissava inespressiva.
"Ti manda Freya?" Domandò atono.
"Sì, mio signore."
"Che cosa vuole?"
"Parlare, come sempre."
Loki rise, "la tua signora è più cocciuta di quel che ricordavo."
"Non mi avete lasciato spiegare," Sigyn fece un paio di passi in avanti, "la mia regina vuole che parliate con me. Non è necessario che io le riferisca le nostre conversazioni ma è dell'avviso che la mia compagnia possa esservi di aiuto."
Loki era talmente divertito da essere senza parole.
"Con tutto il rispetto per la tua regina, ma se avessi voluto una puttana d'alto borgo me ne sarei già rimediata una."
Non vide i suoi occhi chiari accendersi di rabbia.
Non la vide avvicinarsi.
Sentì solo la sua piccola mano che si abbatteva sulla sua guancia con quanta forza aveva.
Non gli fece male, non come lei avrebbe voluto ma Loki sgranò gli occhi e guardò Sigyn come se gli avesse appena commesso un affronto imperdonabile. Chi era quella donna per colpirlo? Chi era anche solo per toccarlo senza permesso?
Sigyn dovette accorgersi presto del suo errore, perchè la fermezza che l'aveva spinta a compiere quel gesto svanì in un battito di ciglia. Loki afferrò il polso della mano ancora sospesa a mezz'aria e lo torse fino a che non la sentì lamentarsi e non la vide stringere gli occhi per il dolore.
"Ti credi una donna forte perchè capace di difendere la sua dignità in modo così banale?" Le sibilò contro, "ti credi superiore perchè non nascondi agli uomini il tuo disprezzo e rispondi alle volgarità a testa alta? Lascia che ti dica una cosa, piccola creatura senza valore, non è allontanandoti da ciò che temi e per cui provi disgusto che diverrai forte!"
La lasciò andare e Sigyn si ritrasse stringendosi il polso leso contro il petto. Piangeva.
"Ed ora vattene!" Loki tornò a guardare il giardino al di sotto del balcone.
"Siete pazzo..." Mormorò Sygin singhiozzando. L'aveva spaventata, certo ma non abbastanza da metterla a tacere. 
Forse non era ancora in grado di ergersi sopra le altre donne ma, di certo, a differenza loro, sapeva rendersi interessante ancora un poco.
"Domanda alla tua signora," la invitò Loki, "ti dirà che lo sono sempre stato."
Sigyn fece per andarsene ma qualcosa la bloccò sulla soglia della porta finestra, "lasciate che vi dica qualcosa io," mormorò, "attaccare un nemico sconosciuto così direttamente è da folli, potrebbe apparirvi debole ma, un giorno, potreste trovare quello che, contro ogni aspettativa, è capace di tenervi testa. "
Loki si voltò a guardarla ma se n'era già andata.


[Asgard, secoli fa.]


Venne riportato alla realtà da qualcosa che scivolò di forza lungo il suo esofago.
Tossì e sentì le mani fredde di Nàl tra i suoi capelli, "va tutto bene, Loki. Va tutto bene."
Nàl non lo aveva mai rassicurato.
Non era un tipo rassicurante, il principe dell'Eterno Inverno. Era più probabile che sputasse sangue per risolvere una situazione problematica, piuttosto che promettere che lo avrebbe fatto. Quando Loki lo udì pronunciare quelle parole, comprese che la situazione gli era completamente sfuggita di mano.
"La pozione dovrebbe abbassare la febbre," sentì dire Eir, accanto a lui, da qualche parte, "se non migliorerà, mi affiderò alla vostra conoscenza, principessa."
"Temo che un mio consiglio potrà esservi di poco aiuto, senza che..." Prima che Freya potesse completare la frase, Loki aprì gli occhi incontrando gli sguardi preoccupati di Frigga e Nàl.
"Si è svegliato!" Esclamò lei prendendogli la mano, "come ti senti, tesoro?"
Eir era in piedi accanto al letto, Freya in fondo.
Non era possibile che la principessa di Vananheim e la principale curatrice del palazzo si fossero scomodate senza... Solo allora lo vide. Era in piedi, nell'angolo della stanza il più lontano possibile da lui. I suoi occhi erano ghiaccio puro e nulla avevano più della dolcezza che vi aveva sempre trovato, anche nei momenti più disperati.
Odino era chiuso dietro un silenzioso muro di collera e Loki avrebbe solo voluto buttarsi ai suoi piedi e chiedere perdono per qualsiasi cosa avesse fatto. 
"Loki?" Nàl gli sfiorò una guancia con il dorso della mano, "come ti senti?"
Il giovane Jotun lo guardò senza dire una parola: la confusione nei suoi occhi parlava da sola.
Nàl guardò Frigga e lei annuì, alzandosi dal bordo del letto. Eir e Freya capirono che era meglio ritirarsi, per il momento. Il principe avrebbe potuto chiamarle in qualsiasi momento, in caso di bisogno.
Odino fu l'unico a non muoversi, a non dire nulla.
Frigga guardò Nàl ma lui si limitò ad annuire con un sospiro: il principe dorato non li avrebbe mai lasciati da soli, era inutile provare ad insistere. 
Una volta rimasti solo loro tre, il principe di Jotunheim si sedette al posto lasciato libero da Frigga e prese la mano dell'altro Jotun tra le sue. "Che cos'ho?" Chiese Loki con un filo di voce. Non c'era più modo di sfuggire alla risposta, comunque. Restò a guardare mentre Nàl provava a simulare un sorriso ma, pur nella sua natura di attore consumato, il principe dell'Eterno Inverno si era sempre astenuto dal costruire inutili illusioni.
In questo caso, la verità era crudele e come tale andava affrontata.
"Ho bisogno di sapere se... Avevi dei sospetti, se..."
"L'unico segreto che ti ho mai tenuto, ha smesso di essere tale questa mattina."
Nàl annuì, poi si voltò verso Odino: non cercava approvazione, non ne aveva bisogno, lo stava avvisando in silenzio. Avrebbe detto quello che c'era da dire ed il principe Aesir non si sarebbe dovuto permettere d'intromettersi in alcun modo che potesse peggiorare la situazione.
"Parla, Laufey, ti prego."
Nàl lo guardò, poi si fece più vicino, "aspetti un bambino, Loki."
Fu allora che smise di respirare.
Aveva mentito. Un sospetto lo aveva avuto.
Era cominciato a scivolare nella sua mente senza che lui se ne accorgesse, fino a quella mattina, quando si era toccato la pancia in un gesto che non avrebbe mai saputo spiegare. "Un bambino?" Era così assurdo, eppure così semplice.
Era la normale conseguenza dell'aver fatto ininterrottamente l'amore per settimane, eppure nè Loki nè Svadilfari l'avevano mai presa in considerazione.
E allora? Al destino non era importato. Non aveva bisogno di abbassarsi a chiedere il permesso per lanciare i suoi dadi. Semplicemente, era successo, senza che nessuno lo aspettasse, senza che nessuno se ne rendesse conto.
Ingoiò aria, Loki ma l'unica cosa che voleva era poter morire seduta stante.
Nàl non disse nulla.
Gli appoggiò solo una mano sulla guancia mentre si metteva a piangere.
"Posso farlo chiamare," propose, "basta che tu me lo dica. Ce ne andremo e lo farò venire da te."
"Noi non ci muoviamo da qui!" Sbottò Odino di colpo, "se devi far chiamare il bastardo che è causa di tutto questo, allora fallo ma che venga ad affrontare le sue responsabilità davanti a me!"
Nàl guardò il compagno in cagnesco, "comincia con l'abbassare il tono di voce, tuo fratello è già abbastanza terrorizzato senza una delle tue scenate."
"Ah!" Odino sorrise sarcastico, "è terrorizzato? Non mi sembrava così spaventato tutte queste settimane, mentre giocava a fare la cortigiana di corte alle nostre spalle."
Loki sgranò gli occhi. Gli parve di udire il rumore del suo cuore che cadeva in mille pezzi.
Nàl si alzò di colpo dal suo posto e colpì Odino in pieno viso senza pensarci due volte.
"Laufey!" Esclamò Loki cercando si tirarsi a sedere.
"Adesso, faremo finta che tu abbia parlato senza pensare," sibilò il principe di Jotunheim, "e, dopo essercene pienamente convinti, tu andrai vicino a tuo fratello, lo abbraccerai, lo lascerai piangere e ti comporterai esattamente come l'appoggio indiscusso di cui ora ha bisogno più che mai."
"Laufey..." 
Il viso di Odino non aveva espressione.
"Non so più chi sia mio fratello."
"Perchè?" Chiese con sarcasmo il principe Jotun, "perchè, come è giusto che sia, ha incontrato qualcuno da amare oltre a te?"
Odino non rispose.
"Non ti ho mai mancato di rispetto, fratello!" Singhiozzò Loki.
"Allora perchè non mi hai detto nulla?" Tuonò l'erede al trono di Asgard.
Nàl lo spintonò all'indietro, "guardati..." Sibilò, "guardati e risponditi da solo, Odino."
"Chi è?" Domandò il principe dorato guardando il fratello.
Loki prese un respiro profondo, poi allungò una mano nella sua direzione, "avvicinati, fratello, ti supplico..."
"Vai da lui," incalzò Nàl, come se fosse un ordine.
"Voglio sapere il suo nome!"
"Odino, ti prego..." Loki tremava da capo a piedi a causa dei singhiozzi, "non fare così, fratello... Ho paura! Ho tanta paura, ti prego..."
Il ghiaccio si sciolse di colpo negli occhi del principe Aesir. Nàl non sorrise fino a che non lo vide superarlo.
Quando si voltò, Loki era raggomitolato contro il petto di suo fratello, mentre Odino gli accarezzava i capelli, "andrà tutto bene," mormorava, "andrà tutto bene, te lo prometto."
Per Loki e per il bambino senza ombra di dubbio.
Nàl pensò a Svadilfari e fece una smorfia tra il divertito ed il rassegnato: per lui non poteva garantire.


[Vananheim, oggi.]


"Ma quanto ci tieni a farti buttare fuori a calci dall'unico rifugio sicuro di cui disponiamo?!" Sleipnir era furibondo.
Loki, ovviamente, non lo ascoltava.
"Che cosa ti avrà mai fatto di male quella povera ragazza?"
Il principe lo ignorò.
"Freya sarà furiosa e ne avrà tutte le ragioni."
Loki inarcò un sopracciglio, "hai messo incinta qualche sua dama di compagnia?"
Sleipnir sgranò gli occhi ed arrossì di colpo.
"No?" Il più giovane scrollò le spalle, "allora non vedo perchè dovresti preoccuparti. Freya, al massimo, sbatterà fuori me e tu potrai continuare, indisturbato, a deflorare tutte le vergini del palazzo. Cos'è quella faccia? Pensi che non mi sia accorto che non dormi nel tuo letto da giorni?"
Sleipnir aprì bocca ma non riuscì a parlare: era oltraggiato.
"Mi stai spiando..."
Loki scoppiò a ridere, "non essere ridicolo: sono annoiato, certo ma non fino a questo punto!" Si alzò dalla poltrona per versarsi del vino in uno dei calici rimasti sul tavolo dall'ora di pranzo, "non puoi essere un ex segreto scomodo del regno dorato e, di colpo, divenire improvvisamente allegro e voglioso di compagnie estranee, senza che questo desti qualche sospetto."
"Ma se non ci parliamo neanche!"
"Sleipnir, ci sono passato prima di te," Loki sospirò frustato bevendo un sorso di quel liquido rosso che, per lui, sembrava non avere sapore, "una creatura castrata intimamente che scopre, di colpo, cosa vuol dire raggiungere il piacere dei sensi... Toglimi una curiosità, ti sei limitato a fare l'uomo o hai soddisfatto le fantasie erotiche di qualche giovane molto vivace?"
Il mutaforma fece per replicare con sdegno, quando la porta della sala si aprì.
Gli occhi di Sigyn incontrarono subito quelli di Sleipnir ed abbassò lo sguardo costernata, "perdonatemi, mio signore, non credevo che foste qui, altrimenti avrei bussato."
Lui scosse la testa con un sorriso, poi si avvicinò afferrandole gentilmente le mani, "non c'è nulla da perdonare, mia cara."
Loki si lasciò andare ad una risata beffarda, "se fossi stato solo non ci sarebbe stato nulla da perdonare, di certo, dato che ha deciso di non portarmi alcun rispetto."
Gli occhi di Sigyn erano veleno puro, quando lo guardarono, "so che la cosa è reciproca, quindi non mi cruccio per questo."
Loki fece una smorfia, poi gettò il calice a terra con forza facendolo finire in mille pezzi. Si accorse un momento troppo tardi di quel che aveva fatto. Lei non poteva di certo sapere il significato di quel gesto: poteva essere solo una volgarità da nobile come tante. Sleipnir, invece, sgranò gli occhi e lo fissò.
Loki, da parte sua, evitò il suo sguardo, "pulisci, serva."
Si ritirò in camera e si precipitò sulla balconata, come se tra quelle mura mancasse l'aria. Si appoggiò ad una delle colonne ricoperte di fiori e chiuse gli occhi. "È perduto," si disse, "perduto, perduto... Perduto!"
"Chi?"
Spalancò le palpebre: Freya era davanti a lui. Non si spaventò: doveva aver usato un incantesimo, non sarebbe stata la prima volta. 
"Voglio restare da solo!" Ringhiò.
"Nessun uomo con l'anima infestata da spettri immortali può essere solo."
"Piantala con queste storielle macabre dalla morale profonda!" Urlò, "non sono più un bambino e, se non lo avessi notato, nella vita mi sono servite a ben poco."
Lei gli rivolse un sorriso quasi materno, "i miei figli sono poco più grandi di te. Il maggiore ha la sfortuna di ricordare una guerra che lo ha sottratto dalle braccia di suo padre per anni."
"Non è il solo principe di quella generazione ad aver mosso i primi passi senza un padre," le ricordò Loki.
"Ricordo che, a quel tempo, Hnoss aveva preso a comportarsi come mai prima," le venne da ridere, "cercava d'imitare suo padre, un uomo adulto, un re, un comdottiero. Era il suo modo per mitigare un'assenza che lo faceva soffrire."
"È stato un abbaglio," si affrettò a dire Loki.
"All'apice della tua rivoluzione contro Agsrad?" Freya scosse la testa, "non ci credi neanche tu, Loki. È scritto nei tuoi sogni, nei desideri che vorresti soffocare ma che finiscono per soffocare te. Mi hai confessato un crimine peggiore del genocidio di una razza odiata e l'asservimento di un'altra ben più inutile, quando mi hai detto quello che hai fatto a Thor. Quello che non capisco è che motivo ha mentire adesso, ancora."
Loki scosse la testa, "la mia confessione parlava al passato, mia regina. Ho fatto l'amore con mio fratello, l'ho reso il mio compagno... È finita, è una storia sepolta ed è sotto terra che deve rimanere."
La regina incrociò le braccia sotto al seno, "i sentimenti non sono come la magia, Loki. La magia è infima ma ha delle regole precise, basta rispettarle. I sentimenti no... Li si apprende ma non tra le pagine di un libro, vivendo! E ti mettono alla prova molto prima di spiegarti la lezione. Pensi che perchè siano tuoi tu possa controllarli? Li hai segregati per tutta la vita ed ora che hai cominciato ad urlarli al mondo non ti fermerai, non puoi!"
Loki sorrise. Un sorriso beffardo.
"Thor è rovinato. L'ho rovinato io," si morse il labbro inferiore, "Thor è perdudo. L'ho perduto io. Anche se ci fosse una remota possibilità che io abbia fatto entrambe le cose con amore, che cosa cambierebbe per noi, alla fine? Io sono ancora qui, nell'ombra. Lui è sotto la luce di un sole che non vedrò mai più."
La superò senza rispetto.
"Eppure," replicò Freya, prima che se ne andasse, "tutti i riflettori dei Nove Regni ora sono puntati su di te, mentre, nel petto di Thor, è germogliata un'oscurità che il tempo da solo non potrà estirpare. Una parte dell'uno è ancora attaccata all'altro e viceversa."
Loki non rispose, strinse i pugni e s'illuse che quelle parole non avessero alcun senso per lui.
"L'hai detto tu... Non importa con quanta forza Odino cercherà di togliere lo sporco, Thor non tornerà più a splendere come prima. Mi chiedo solo se valga lo stesso per quell'amore che lui ti ha dato e che ti ha fatto sentire vivo. Quanto dovrai mutilarti, prima che tu possa tornare ad essere un cadavere incapace di sanguinare?"
Una porta che sbatteva le annunciò che era rimasta sola.
"Sempre ammesso che tu lo sia mai stato."


Nella sala comune, Loki vide che Sleipnir se n'era andato e Sigyn si era accomodata sulla poltrona di fronte al caminetto acceso.
"Non è saggio infastidirmi ora, donna!" Esclamò avvicinandosi al tavolo per prendere dell'altro vino. Aveva bisogno di stordirsi un po', in qualche modo. Sigyn lo osservò in silenzio.
"Se hai qualcosa da dire, passa a dirmela più tardi!"
"Sleipnir mi ha chiesto di rimanere fino al suo ritorno," spiegò la fanciulla, "è andato a parlare con la regina e non vuole che tu commetta qualche stupidaggine."
Loki rise versando un poco di vino sul pavimento, "come se tu avessi il potere di fermarmi," bevve un sorso, "la tua regina è già venuta a parlare con me, quell'idiota sta solo sprecando il suo tempo."
Lei inarcò un sopracciglio, "quando?"
"Un istante fa, nella mia camera... Non disturbarti, se ne sarà già andata come è venuta."
Sigyn fissò la porta chiusa della stanza adiacente, "perchè tiene così a voi?"
"Non posso rispondere io a questa domanda."
"La regina è una donna intelligente e gentile, io non capisco come..." Lo sguardo dinquegli occhi verdi la zittì.
"Probabilmente, per lo stesso motivo per cui ha preso te sotto la sua ala," disse Loki appoggiado il calice sul tavolo in disordine, "sei una piccola eccezione in mezzo ad una folla di banale ordinarietà. Non t'interessano gli uomini. Sei molto riservata e credi che il rispetto venga prima di qualsiasi cosa e vada sia protetto che rispettato con ogni mezzo."
Sigyn si sorprese della precisione di quell'analisi.
"Anche tu sei un'eccezione? È per questo che la regina tiene a te?"
"Non un'eccezione," Loki sorrise tristemente, "qualcosa di ben più prezioso e pericoloso: un errore."
Sigyn non seppe che valore dare a quella confessione. Avrebbe voluto chiedere oltre, indagare cosa si nascondesse dietro quel giovane uomo dagli atteggiamenti insopportabili e dalle sfumature ambigue... Ammaliatrici, avrebbe osato dire. Lei avrebbe potuto avere tutti gli uomini della corte ma non era interessata.
Era certa che, se solo avesse voluto, Loki avrebbe potuto far cadere tutte le donne del regno ai suoi piedi. Costruendo per loro magnifiche illusioni, certo ma tanto bastava per soddisfare la sua fame di maschio, no? No, perchè Loki, come lei, semplicemente non era interessato.
"Come sta il tuo polso?" Chiese di colpo di lui.
"Bene," rispose lei con tono automatico.
"Mi hai dato un ottimo consiglio quel giorno," aggiunse lui con un mezzo sorriso, "il nemico all'apparenza più debole, spesso, si dimostra il più letale."
"Qualocosa mi dice che lo sei stato per qualcuno."
Sigyn non sapeva perchè fosse così curiosa. Avrebbe dovuto detestare quell'individuo al punto da implorare Freya di liberarla dal suo compito, eppure non ci aveva ancora pensato. Non era un'antipatia. Era qualcosa di ben diverso, qualcosa che aveva fatto scattare lei stessa, quando aveva reaggito alla sua reazione violenta: una sfida.
Una sfida contro l'ignoto e quell'ignoto si chiamava Loki.
Era folle, era stupido ma, in quella vita che procedeva per inerzia, quel dolore al polso l'aveva scossa in un modo che sapeva essere sbagliato. Alla fine, qualcuno aveva attirato la sua attenzione ed in un modo che non avrebbe mai potuto prevedere.
"Sì," ammise Loki e si sorprese per la sua sincerità, "sì, sono stato un falso debole letale ma son caduto nella mia stessa trappola, alla fine."
Sigyn si sporse in avanti, "e chi era questo nemico, all'apparenza debole, che ti ha sconfitto?"
Loki non la guardò nel rispondere: quegli occhi verdi erano persi in luoghi e tempi che non le appartenevano.
"L'amore," confessò, "sì, l'amore."


"Chi è lei?"
Sigyn si decise a chiederlo solo una settimana più tardi e Freya, da principio, non capì.
"Loki," disse la fanciulla, "ha detto di essere stato sconfitto dall'amore. Deduco che sia stato ferito da una donna."
La regina sgranò gli occhi e, per un istante, la fanciulla trattenne il fiato pensando di aver commesso un grave errore. 
"Loki ti ha detto una cosa del genere?"
"Si, mia signora," rispose timorosa.
"Oh..." Freya tornò a guardare fuori dalla grande finestra, come se stesse riflettendo tra sè e sè. Sigyn decise che aveva osato troppo e non aggiunse altro. 
"È una principessa," disse la regina dopo un po', "l'adorata principessa di un regno troppo dorato per un fiore nero come lui."
Sigyn s'irrigidì: chi era Loki, in realtà, per aver potuto amare una principessa?
Non lo domandò.
"Ti stai chiedendo se è bella?"
Annuì. Non aveva voce per parlare.
"Quando nacque," la regina si sedette sul pavimento, davanti a lei, "girava voce che fosse la bambina più bella mai nata nei Nove Regni e, quando sbocciò, non esistevano occhi che non si voltassero a guardarla, mentre passava. Ha i capelli color dell'oro e due occhi che sembrano due frammenti di cielo. Non ha un bel carattere," le venne da ridere, "ma è dovuta crescere di colpo e, nel giro di pochissimo tempo, si è trasformata in una donna forte ma ferita. È quel genere di persona che, quando ama, lo fa per tutta la vita. Che è testarda al punto da credere che valga la pena lottare anche per ciò che è perduto. È stupido, assurdo e, per me, completamente incomprensibile ma, devo ammetterlo, penso sia l'unica persona... No, penso sia la persona... Quella per Loki."


[Midgard, oggi.]


Tony Stark incrociò le braccia contro il petto ed annuì con convinzione, "è sospetto!" Dichiarò.
Steve alzò gli occhi al cielo, per nulla intenzionato ad allontanare lo sguardo dal televisore per porre attenzione ai deliri del grand'uomo dalla mente geniale. 
"Steve, è sospetto!"
"Stark, finiscila!"
"Ma finiscila tu d'ignorarmi!" Ribattè il padrone di casa piazzandosi davanti alla televisione, "potremmo essere ad un passo dall'apocalisse e tu te ne stai comodamente seduto sul mio divano, nella mia torre, davanti al mio maxi schermo!"
Steve inarcò un sopracciglio, "senti qualcuno minacciare il tuo diritto di proprietà?"
"Suvvia, parliamone!" 
"Ma non c'è nulla da dire!"
"No! Hai ragione! Un principe mitologico ci è piombato davanti alla porta e, con sorriso amichevole, ci ha chiesto ospitalità offrendoci in cambio tutti i servigi che i suoi possenti braccioni possono offrire ed io non dovrei sospettare di nulla!" Tony si lasciò cadere sul divano prendendosi la testa tra le mani, "c'è qualcosa di grosso dietro, me lo sento."
Steve scrollò le spalle, "ha semplicemente detto che vuole rendersi utile qui."
"Già!" Esclamò l'altro, "qui! A sentir lui, ci sono almeno altri otto non so cosa sotto la sua protezione ma lui vuole venire a prestare servizio di volontariato qui, dove, se escludiamo invasioni aliene e divinità norrene deliranti, non succede nulla che due poveri esseri umani potenziati, tipo me e te, non possano fare!"
"Se ci dividiamo il lavoro per tre, che male c'è?"
Tony sbuffò, "potresti vedere il lato negativo della cosa?"
"Che Pepper comincerà a fare confronti di prestanza fisica?"
"I lati negativi seri, Rogers! Hai visto che capelli poi? Si sarà tagliato venti centimetri di roba... Sembra quasi una persona normale, ora!"
Steve prese un respiro profondo, "ed io continuo a non capire cosa c'è di male."
"Ragiona, Cap, che cosa vuol dire quando una donna si taglia i capelli?"
"Stiamo realmente paragonando la sua psicologia a quella di una donna?"
"Che cosa paragonate?"
Entrambi sobbalzarono: Thor era comparso all'ingresso della stanza con addosso un'orribile maglietta dalla fantasia patriottica ed un paio di pantaloni sformati un po' corti sulle caviglie. 
"Perchè ti ho permesso di vestirlo?" Domandò Tony dolorante.
"Volevi che provasse ad entrare nei tuoi di vestiti?" Ribattè l'altro.
Thor si avvicinò con quel perenne sorriso gentile stampato in faccia. Era quasi inquietante, se paragonato alla furia bellicosa che era atterrata sul loro pianeta appena un paio d'anni prima. "Posso chiedervi un favore?" Domandò con un'educazione che poco aveva a che fare con l'immagine che gli altri due avevano di lui.
"Prego," rispose Steve. Tony era troppo occupato a scrutarlo in silenzio e a cercare cose che occhi comuni non potevano vedere.
"Avreste... Non lo so, un qualcosa con cui potrei radermi?"
"La strage dei capelli non è stata sufficiente?" Si lasciò scappare Tony e Steve gli lanciò subito una gomitata, poi si alzò in piedi, "vieni con me, Thor."
Quando tornò indietro, pochi minuti dopo, Tony gli lanciò un'occhiata inquisitoria. "Repentino camnio di look. Uhm... È sospetto!"
"Smettila!"




[Asgard, oggi.]


"Mi dispiace, mia cara, pensavo lo sapessi."
La regina era stata sincera nella sua costernazione.
"Thor se ne è andato. È tornato su Midgard."
Sif, da principio, aveva sperato di aver capito male.
"Tornerà per il tramonto?" Aveva domandato, ingenua.
Frigga le aveva sorriso tristemente, "mi spiace, bambina, Thor ha bisogno di restare da solo per un po'."
Ciò che più l'aveva ferita non era il fatto che fosse partito di nuovo, così presto ma che non glielo avesse detto. Thor era già sparito da due giorni e di sè non aveva fatto sapere nulla. In realtà, l'ultima volta che aveva visto Thor nemmeno se la ricordava con certezza. Doveva essere  stato durante un banchetto o qualcosa di simile.
Non avevano parlato molto.
Thor non aveva parlato con nessuno.
Poi era sparito. Se ne restava chiuso nelle sue stanze, dicevano ma nessuno riusciva a fornirle notizie certe. Qualsiasi cosa stesse accadendo negli appartamenti privati del principe di Asgard, il re e la regina furono attenti a tenerlo segreto. L'unica cosa di cui Sif era certa era ciò che accadeva sotto gli occhi di tutti.
Il viso di Thor era spento, la sua vitalità quasi scomparsa. Frigga nemmeno faceva finta di sorridere, quando qualcuno le rivolgeva la parola ed Odino sembrava più vecchio di quanto non fosse mai stato.
Una strana oscurità era calata sulla casa reale e nessuno poteva fare nulla in proposito, perchè il principe ed i due sovrani erano i primi a fingere che qudl qualcosa non esistesse. La partenza di Thor era stata solo una conferma di quanto grave fosse la situazione.
Pensò che fosse tornato dalla mortale.
Pensò che, qualunque ferita lo affliggesse, aveva scelto lei per farsele medicare.
E Sif era troppo adulta per fingere di non sapere qual'era il metodo migliore per consolare gli uomini. Alle volte, quando il suo orgoglio vacillava e la rabbia prendeva il sopravvento, credeva di vederli. Due corpi che si univano con passione. Lui, possente e bellissimo. Lei, schiava di un piacere che la faceva gemere come una puttana.
Era stata una fanciulla di corte, Sif, un tempo. Prima delle armature, prima dell'ambizione, prima del disgusto per quel che tutti pretendevano che fosse.
E, mentre Thor le diveniva amico, tutte le giovani intorno a lei cominciarono a mormorare di notti di fuoco che la umiliavano indirettamente. Che disgrazia era essere così vicino al principe ma non essere nulla ai suoi occhi.
No, non era vero, qualcosa era. La sua migliore amica, la sua fidata compagna d'armi, la sola donna che fosse realmente riuscita ad attirare la sua attenzione e guardagnarsi il suo indiscusso rispetto.
Era tanto. Poteva sembrare tutto. Non era mai abbastanza.
Si allenava tutto il giorno, Sif.
Lo faceva per non pensare. Lo faceva per sfogare una rabbia senza fine sui poveri giovani che non volevano altro che migliorare le proprie capacità combattive. Mangiarono tutti la polvere, uno dopo l'altro.
Nessuno era degno.
Nessuno valeva un decimo del suo valore.
Nessuno era altrettanto bello.
Thor era un'evento unico e non ne avrebbe ritrovata una fedele riproduzione, nemmeno se avesse combattuto contro tutti i soldati dei Nove Regni.
Alla fine, perse.
Dopo giorni di duelli continui.
Dopo interminabili ore di frustrazione perenne, Sif si era ritrovata ad assaggiare il terreno dell'arena e la sorpresa e l'umiliazione erano stati tali che, per un istante, dimenticò Thor ed il dolore che il suo nome gli provocava.
Alzò gli occhi: il suo rivale sorrideva ma non c'era nulla di meschino sul suo viso. L'aiutò ad alzarsi e si complimentò con lei dicendole che sarebbe stato onorato di darle la rivincita.
Sif lo fissò: capelli biondi, occhi azzurri.
Non era lui. Nessuno sarebbe mai stato lui.
Gli rivolse un sorriso di cui non si credeva capace: c'era un solo modo per consolare un uomo e lei aveva smesso di essere una donna da molto tempo.


[Jotunheim, oggi.]


Da principio, il re credette di essere diventato pazzo.
Non era possibile quello che vedeva con i suoi stessi occhi.
Non era possibile che lei fosse lì, che l'avesse trovato in quella terra infernale e fosse entrata completamente indisturbata.
"Hai perso il tuo tocco, mio re," commentò la regina, senza malignità. "Un tempo, non mi avresti permesso di varcare le porte del tuo palazzo di ghiaccio."
Il sovrano sorrise amaramente, "non possiedo più un palazzo, mia signora."
"Eppure cammini ancora a testa alta, senza vergogna," Freya sorrise avvolgendosi meglio nella lunga pelliccia marrone, "la storia dei regni ci ha messi su due fronti opposti ma ti ho sempre stimato, Laufey."
"La tua stima non ti salverà la vita, se decido di ucciderti."
"Non lo farai."
"Potrei sempre tenerti come ostaggio."
"In cambio di cosa?" Lei sorrise con naturalezza, "non otterrai l'appoggio di nessun regno così. Al contrario, forse qualcuno potrebbe decidere di allearsi con i tuoi nemici e toglierti ogni possibilità di sedere sul trono di ghiaccio ancora una volta."
Laufey serrò la mascella.
Freya reclinò la testa da un lato: non erano due sovrani, ora, solo due ragazzini cresciuti all'interno della stessa storia. "Non rischieresti mai la tua gente con una mossa così stupida, sei troppo sveglio. Molto più dell'uomo che siede sul trono dorato, comunque."
"Sono morto, per quel regno."
"Anche per il mio!" Esclamò la donna, "ma non lo sei per lui e, come vedi, non lo sei per me."
Laufey le rivolse un mezzo sorriso, "come hai fatto a capirlo?"
"Odino come l'ha capito?"
"Non l'ha fatto," rispose il re facendosi più vicino, "ho infestato i suoi sogni, fino a che non ha compreso la loro natura."
"Ti è sempre piaciuto giocare col mondo onirico."
"Lo facevamo spesso... Tu, Frigga, Loki ed io. Era solo un gioco, allora. Ora, è tutt'altra cosa."
Freya sorrise tristemente, "non ti saresti mai affidato a Loki," disse, "sapevi esattamente cosa sarebbe accaduto, una volta rimasto isolato ad Asgard."
Laufey la fissò con aria glaciale.
"E sai perchè lo sapevi? Perchè pensate allo stesso modo tu e lui. Non è una cosa che si possa imparare, è nel suo sangue... Loki non l'ha pensato questo. Quel piano sarebbe funzionato con chiunque altro ma non con te."
Il re di Jotunheim incrociò le braccia contro il petto.
"Sono sovrano in rovina, Freya," disse con assoluta sincerità, "devo vincere una guerra, ne va del futuro dei miei figli. Oppure, devo pensare ad un modo che permetta ai traditori di far quel che desiderano con me senza coinvolgere loro. Non ti chiedo aiuto. Non lo voglio e tu non sei qui per concedermelo."
Una pausa.
"Ma devo chiederti di dirmi il motivo della tua visita, senza indugiare oltre."
Freya rilassò le spalle, "ti sbagli, mio re," disse con un ghigno, "in realtà sono qui per concederti quel qualcosa che ti manca per ottenere la vittora."
Laufey inarcò un sopracciglio, "non potresti concedere nulla a me, senza che i Nove Regni ti accusino di tradimento e complotto con un nemico sconfitto."
Freya scosse la testa, "non posso essere accusata di nulla, se mi limito a restituirti qualcosa che ti appartiene già per diritto di sangue."
Laufey rise, "a meno che tu non abbia lo Scrigno dell'Antico Inverno, non c'è arma che possa essere messa nelle mie mani, senza che questo venga visto come un crimine."
"Non un'arma," Gli occhi di Freya si accesero, "un figlio."


***
Varie ed eventuali note:
Penso che vi debba una spiegazione.
Non voglio annoiarvi con i miei drammi personali ma ho passato l'ultimo mese all'estero, dopo essere stata derubata del mio tablet con dentro tutti i capitoli già scritti fino ad ora. La seconda stesura è stata drammatica!
Da oggi m'impegno a recuperare tornano alla tabella di aggiornamento ogni 7-10 giorni.
Ringrazio tutti voi meravigliosi recensori per i bellissimi commenti e per l'eterna pazienza, anche quando mi ritrovo (tipo ora) ad aggiornare in fretta e furia senza avere modo di rispondere a tutti come meritate.
A presto, per davvero!



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