A letter.

di DawnRose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sai, scriverti una lettera... ***
Capitolo 2: *** Ma dov'è, ma dov'è? Quello scritto dov'è? Ma dov'è, ma dov'è? Consegnatelo a me! ***
Capitolo 3: *** A ogni nodo il suo pettine ***
Capitolo 4: *** Due uomini in viaggio (per non parlar del drago!) ***
Capitolo 5: *** Remembrance ***
Capitolo 6: *** Fate il vostro Gioco ***
Capitolo 7: *** Le Mille Bolle Blu ***
Capitolo 8: *** Incontri e Scontri ***
Capitolo 9: *** Tha m'Intinn Raoir ***



Capitolo 1
*** Sai, scriverti una lettera... ***


A LETTER.


PROLOGO: SAI, SCRIVERTI UNA LETTERA…

Murtagh si chinò sullo scrittoio. Accanto a lui la pila di documenti pareva innalzarsi invece di calare. Carte, rapporti sulle attività militari dell’impero, informazioni sui Varden… tutte cose che lo annoiavano a morte. Tuttavia Galbatorix gli aveva assegnato quel compito, che tanto aveva sapore di punizione, e lui era costretto a eseguirlo, fino al termine. Il suo giuramento gli impediva di alzarsi dalla sedia.
Eppure era contento di ciò che aveva fatto. Aveva seguito, per la prima volta dopo tanti mesi, la sua volontà.
Aveva sempre desiderato avere un fratello, un amico fedele (o almeno così sperava) che potesse condividere con lui il pesante fardello di avere per padre un Rinnegato. Eragon era comparso all’improvviso, quando meno se lo aspettava: lo aveva amato come un fratello e quando Galbatorix lo aveva reso consapevole del legame di sangue tra loro era rimasto sorpreso, ma felice.
Tuttavia, proprio quando aveva avuto l’opportunità, l’occasione di poterlo nuovamente avere vicino, lo aveva lasciato andare…
“Maledetta coscienza” pensò ed era in quei momenti che l’azione del pensare, spesso così sottovalutata in funzione dell’agire, per lui significava tutto.
Nella sua prigionia, infatti, dove l’agire era in funzione di Galbatorix, in cui le sue mani si muovevano per ordine del re, dove lui controllava persino i battiti del suo cuore, il pensare era diventato la sua ancora, la sua salvezza.
E Eragon, che era amico e fratello, nemico e rivale, aveva assunto per lui un nuovo significato. Quel nome, che amava e odiava al tempo stesso, significava solamente una cosa: libertà.
Adorava il suono di quella parola, tanto più lontana, quanto ardentemente desiderata. Capì in quel momento perché non aveva catturato il fratello:  speranza di libertà.
Speranza che un giorno lui potesse infrangere il suo giuramento.
Speranza. In fondo non costava niente…
Eppure sapeva che sarebbe stato schiavo di Galbatorix per l’eternità e che presto Eragon l’avrebbe raggiunto. Sarebbe stato proprio lui a condurlo a Urû’baen. Porca miseria!
Miseria come la sua spada. Guardò Zar’Roc: la spada di suo padre, la spada di suo fratello, la sua spada… Immaginò l’ultima via d’uscita: trafiggersi con la sua lama.
“Non ci provare neanche”
“Toh, guarda chi è arrivato!”
Castigo si era introdotto nella sua mente, e quel giorno era incredibilmente gioioso.
“Qual è la causa di questa felicità?”
“Sono libero. Per tutto il pomeriggio!!  Shruikan è impegnato quindi niente lezione. Sono libero. Liberoooooooooooo!”
Murtagh rise. Parlare con castigo era come parlare con un bimbo. In effetti, nonostante il corpo possente il suo drago era solo un cucciolo e come tale si comportava.
“Mi spiace deluderti ma non siamo liberi. Non in quel senso, almeno.”
“Ma se tu non provi neanche a liberarti! A liberarci!!”
“Ci provo. Eccome se ci provo! E’ Galbatorix colui che abbiamo davanti, non un comune mago. Ogni passo falso potrebbe costarci la vita!”
“Come sei serio…”
“Come sei irresponsabile. Mi chiedo come fai a sopportare tutto questo? Mi sento in gabbia, mi manca l’aria… continuando di questo passo impazzirò e non mi basterà pensare per non perdere la mia salute mentale”
“Io ho trovato il metodo per non diventare folle?”
“Veramente?”
“Si! Mi concentro su un’immagine. Per voi corrisponderebbe a scrivere una lettera.”
“Sul serio? E a chi pensi?”
“Penso…”
“Me lo vuoi dire? Sono o non sono il tuo Cavaliere?”
“Penso… a Saphira!”
“Cosa?”
“Beh sì, penso alle sue squame, al suo muso, ai suoi occhi color zaffiro”
“E quindi?”
“Ehm… penso alla possibilità di rivederla. In fondo è l’unica femmina della mia specie quindi… un giorno… chissà… io e lei…”
“Hai una cotta?”
“Cos’è una cotta?”
“Quando ti innamori di qualcuno, quanto senti le farfalle nello stomaco, quando ce l’hai davanti e le parole giuste si fermano sempre in gola… quanto tieni così tanto a una persona da volerla rivedere, difendere, quando…”
“Come sei informato!”
“Non sono cose che ti riguardano”
“Come? Sono o non sono il tuo drago?”
“Castigo, taci”
“C’entra per caso Lady Nasuada?”
“Castigo…”
“E’ lei! Sei in guai grossi… se Galbatorix sapesse che tu e il capo di Varden…”
“Zitto”
“Vuoi un consiglio da drago? E’ a lei che devi scrivere quella lettera”
“Ma sei pazzo: se ci scoprissero? E lei poi, cosa direbbe?”
“Mica gliela devi consegnare! E’ così, per sfogarti, per non ‘perdere la salute mentale’!”
“Ah, dovrei? E, per caso, sai anche come dovrei iniziarla?”
“Cara Nasuada…”
“Ti pare?”
“Murtagh: impugna la penna come Zar’Roc e scrivi!”
“Ca-ra Na-sua-da. Soddisfatto?”
Sentì Castigo sbuffare, poi questo gli trasmise delle immagini: un campo di fiori, il cielo azzurro, le pianure ardenti.
“Con tutti i viaggi mentali che ti sei fatto su di lei sono le uniche cose che riesci a scrivere? Cara  Nasuada. Serve a te, non a me e nemmeno a Galbatorix. Nessuno lo verrà a sapere. Nessuno.”
“’’Cara Nasuada, il nostro ultimo incontro è avvenuto in circostanze sfavorevoli, eppure, sarà la tua presenza, sono riuscito a trovare qualcosa di bello anche nella puzza di zolfo e negli eserciti che combattevano…’ Come ti sembra?”
“Ehm… diversamente romantico”
“In che senso?”
“In una lettera d’amore non si parla di ‘puzza di zolfo’”
“Certo, ma io sono io e gliela scrivo come mi pare”
“Va bene, tanto non la riceverà mai”
“Appunto”
Continuò e notò con piacere che il pennino scorreva sempre con più naturalezza sulla pergamena, lasciando dietro di sé rune eleganti scritte in bella calligrafia.
“Forse ti chiederai se ti penso ancora. Si, ripenso a te, al nostro incontro, a quello che ci siamo detti. Ripenso al tuo sguardo e ricordo che, in quel momento, non avrei voluto lasciare la cella, lasciare te, non l’avrei fatto, mai. Forse sarebbe stato meglio così, ma il fato ha deciso e ha scelto per noi un destino di inimicizia. Ora vivo nella speranza di libertà e nel timore che Galbatorix, quello…”
“Che succede?”
“Il giuramento mi impedisce di offendere Galbatorix”
“Cosa volevi scrivere?”
“…”
“Beh… trova un sinonimo!”
 Murtagh sorrise. “Un sinonimo?”
 “Un sinonimo… sì, come…  Testardente”
Il Cavaliere si mise a ridere.
“Reucciocattivuccio” continuò Castigo “Sfracellasogni, Schiacciapace, Spremibugni, Pernacchio”
“Che invettiva! Mi piacciono tutti ma credo opterò per Pernacchio. Quando parla tende a sputare e a inondare di bava i suoi servitori… Se non fosse per il giuramento glielo farei presente!”
“Ma anche no”
“Allora dov’ero rimasto… ah già: ‘Galbatorix, quel Pernacchio- la parola venne scritta senza alcun problema- “mi ordini di ucciderti. Preferirei trafiggermi con la mia spada piuttosto che seguire i suoi comandi. Vorrei giurare fedeltà a te, la donna…”
“Perché ti sei bloccato?”
“Perché mi sono reso conto della verità delle parole che sto scrivendo. E’ Nasuada la ‘donna che amo”
“Vedi che serve scrivere una lettera!”
“Castigo, a cuccia”
“Non sono un cagnolino… e continua! E’ bello vederti sorridere. Da quando siamo tornati dalle Pianure Ardenti eri sempre così giù!”
“Va bene… allora ‘la donna che amo… come vorrei, solo per una volta, far scivolare le mie dita tra i tuoi capelli, come vorrei…”
“Stai diventando troppo melenso!”
“Me lo hai detto tu: romanticismo! E comunque, dato che non la leggerà mai, posso scrivere ciò che mi pare!”
Pose il pennino sulla pergamena e ricominciò a scrivere.
“Come vorrei entrare nel tuo giardino…”
“Giardino?”
“Si tratta di una metafora! Significa entrare nelle sue grazie, starle vicino… e poi Nasuada è bella come un fiore, anzi credo proprio che la parola ‘beltà’ sia stata creata apposta per lei...”
“Che dolce! Chi sei tu? Che ne hai fatto del mio Murtagh?””
“Perché tu a cosa paragoni Saphira quando pensi a lei?”
Murtagh percepì imbarazzo nella mente del drago, che, con un filo di voce, sussurrò:
“A una fiammata sul mare aperto”
“Che bella immagine. Fuoco e blu. Per essere un drago hai una certa vena poetica, lo sai? Ho incontrato ricchi e nobili meno raffinati e dolci di te”
“E’ un complimento?”
“Certamente: i tuoi pensieri sono assai nobili”
Castigo si sentì lusingato e rispose:
“Anche tu sei un uomo d’onore. E’ per questo che ti ho scelto”
“Non mi sento un uomo d’onore dopo tutto quello che ho fatto. Eragon e Nasuada mi considerano un criminale.”
“A torto. Sei un prigioniero, Murtagh. E le tue azioni non sono dettate dalla tua volontà. Sei uno schiavo, siamo due schiavi, privilegiati certo, ma schiavi. Siamo due animali in una gabbia dorata, e due marionette nei confronti di quell’oscuro burattinaio, Re Galbatorix. Loro capiranno, impareranno a capirci, ci vorrà del tempo, ma sono sicuro che lo faranno.”
Adorava quando parlava da adulto. Era saggio e sapeva sempre come consolarlo.
“Se non ci fossi stato tu, Castigo, sarei impazzito da tempo”
“Lo stesso vale per me. Dobbiamo sostenerci a vicenda, altrimenti…”
“…Galbatorix distruggerà il nostro essere”
“Esatto! Ma ora ti stai di nuovo rattristando… finisci quella lettera! Si vede che ti piace scriverle!”
“A dir la verità mi piace tutto ciò che riguarda la sua persona!”
“Non si era visto…”
“Fai il sarcastico”
“Sdrammatizzo la situazione”
“Cosa stavo scrivendo? Ah sì, parlavo del giardino. Come possiamo concludere questa lettera?”
“Dille che la ami”
“L’ho già fatto”
“Dille che per te non sarà mai una nemica”
“Già scritto”
“Ribadisci il concetto!”
“Quindi: ‘Non considerarmi malvagio, non ora. Mi spezzeresti il cuore. Augurandomi di rivederti presto in circostanzi migliori spero con tutto me stesso di riuscire a rompere il giuramento. Lo faccio per te, amore mio. La mia vita mi è cara, ma la tua mi sta più a cuore. Murtagh”
“Ho le lacrime agli occhi!”
“Fa ridere?”
“No, è bella”
“Grazie”
“Cosa è bella?”
Quella voce. Profonda, suadente, malvagia.
Si trattava di Re Galbatorix.
Castigo si zittì e li lasciò parlare da soli.
“Niente” rispose il Cavaliere agitato “un documento interessante, tutto qui.”
“Cosa vi è scritto?” Galbatorix era in vena di fare domande.
“Che i Varden hanno guadagnato moltissimo oro negli ultimi mesi in maniera del tutto inspiegabile”
“Mmmm… manderò qualcuno della Mano Nera a indagare… se riescono a riprendersi dal punto di vista economico potrebbero essere una spina nel fianco”
“Perché non lo sono già?”
Il re rimase in silenzio poi ordinò:
“Raggiungimi nella sala del trono. Dobbiamo parlare”
Il ragazzo guardò la lettera appena terminata.
“Aspetta un attimo. Arriverò”
“Vieni qui”
“Ma…”
“Subito.”
Murtagh finalmente si alzò dalla sedia, lasciando dietro di sé una lettera sullo scrittoio.
In bella calligrafia recava il nome del destinatario:
‘Al capo dei Varden’.


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Capitolo 2
*** Ma dov'è, ma dov'è? Quello scritto dov'è? Ma dov'è, ma dov'è? Consegnatelo a me! ***


CAPITOLO UNO: MA DOV’E’ MA DOV’E’? QUELLO SCRITTO DOV’E’? MA DOV’E’ MA DOV’E’? CONSEGNATELO A ME!


Il giovane Nick, spia dei Varden, cugino molto alla lontana di lady Nasuada, stava lucidando con poco entusiasmo e ancor meno passione, i corridoi della reggia di Galbatorix, tendendo, con  nonchalance, l’orecchio a ciascuna delle conversazioni di nobili e servi, cercando di individuare qualche informazione che potesse essere utile ai ribelli.
Nick, giovane, aitante e volenteroso, era ben voluto nel castello di Urû’baen ed era noto tra gli schiavi per conoscere ogni pettegolezzo che circolasse tra le buie stanze della reggia.

Ovviamente nessuno immaginava che lui potesse essere una spia dei Varden. In effetti nessuno pensava che quei ribelli avessero trovato il modo di infiltrarsi nella tana del nemico.
Ma Nick, sfruttando la misteriosa tecnica delle personalità multiple (o almeno così amava definirla) era riuscito a fregare il re in persona. Non male per un ragazzo di appena vent’anni.
Intrufolandosi nel covo del re era riuscito a trovare numerosi documenti che attestavano le capacità economiche e militari dell’esercito, nonché rapporti sui Varden e i loro piani redatti dalle spie imperiali, così li aveva rubati (senza sentirsi minimamente in colpa) e li aveva consegnati ad altri alleati che provvedevano a farli ricevere a Nasuada in persona.
Da alcuni mesi conduceva questa vita e ancora non era stato scoperto.
La buona sorte era dalla sua parte.

Il colloquio con Galbatorix era stato noioso. Il re lo aveva rimproverato per l’ennesima volta, ricordandogli che < Eragon ci serve, bla, bla, bla… Saphira ricostruirà la razza dei draghi.. si si sono importanti e tu, idiota (questo lo sottolineava sempre) non dovevi lasciarli andare… come hai potuto, sei in punizione eccetera… >
Parole al vento. Parole già sentite. Parole che non cambiavano quello che provava dentro.
< Ah sì e poi dovremo sbarazzarci del capo dei Varden! >
“Cosaaaa??” Questo gli importava. Molto.
< Certo. Ti interessa forse qualcosa? Lei è un ostacolo. Gli ostacoli devono essere rimossi .>
< Non sarebbe più utile da viva? >
Galbatorix assunse un espressione pensierosa.
< Dici sul serio? Cosa te lo fa pensare? >
“E’ fantastica! Bellissima! Intelligente! Ed è un capo migliore di te!”
< E’ una donna che dimostra notevoli capacità di comando, per non parlare di come è riuscita a trasformare i Varden da un gruppo indisciplinato di ribelli a un esercito organizzato capace di sconfiggere i tuoi militari. O forse te lo sei dimenticato? >
Il re lo guardò storto e, per un momento, parve avere intenzione di rimproverarlo. Poi si calmò e sussurrò:
< Tu, Eragon e Nasuada… un trio perfetto… Credo che tu abbia avuto una buona idea! Con loro due a comando del mio esercitò sarò invincibile. Come se non lo fossi già, ovviamente… >
< Quindi non devo ucciderla? >
“Fa che dica di no, fa che dica di lasciarla in vita…”
< No, Murtagh il Regicida. L’assassinio di Rotghar ti fa onore, anche se, ti ricordo, non dovevi provarci senza il mio consenso. Un re basta, per ora… >

Nick si intrufolò nella camera del Cavaliere rosso, o ragazzo-dagli-occhi-tristi come lo chiamava suo padre. In realtà il giovane non lo considerava poi tanto triste, visto che quelle poche volte che lo aveva incontrato o era ubriaco, o aveva un’espressione sbruffona stampata in viso, ma suo padre, che era stato cameriere di Morzan per molti e molti anni, lo ricordava spesso così.
“Povero ragazzo” sussurrava spesso sconsolato e Nick ogni volta gli chiedeva il perché.
“Lo saresti anche tu se avessi avuto come padre un mostro. E la Signora… ah se lei fosse ancora viva…”
La Signora, così lui aveva soprannominato la moglie di Morzan, era una donna giusta e gentile, in particolare verso la servitù. A suo padre brillavano gli occhi ogni volta che parlava di lei.
“E’ morta troppo presto. Se fosse vissuta giusto un po’ più a lungo, allora Murtagh sarebbe diventato un uomo migliore. Povero ragazzo-dagli-occhi-tristi”
Sebbene Nick non lo considerasse un ragazzo-poi-così-tanto-triste, notava che, al contrario di molti giovani nobili che tormentavano i servi dalla mattina alla sera, lui li lasciava in pace. Anzi, a dirla tutta, non li degnava della minima attenzione.
Si faceva sempre i fatti suoi, ed era per questo che a Nick piaceva.

“Cosa hai fatto?”
“Le ho detto di tenerla in vita?”
“Lo sai: lei preferirebbe la morte a tutto questo”
“Non sopporterei di vederla a morire. Imparerà a conoscermi, impareremo ad amarci!”
“Ne se sicuro?”
“Si accorgerà che non sono malvagio, le dirò che non sono Galbatorix e che il nome di mio padre non significa nulla. Se si fida di Eragon si fiderà anche di me!”
“Come farai a convincerla?”
“Ancora non lo so”
 “Potresti farle leggere la lettera e giurale che ogni parola che le hai scritto è verità!”
 “La lettera… hai ragione! Grazie Castigo!”
“Ehm… di niente?”

Nick si guardò intorno. La camera di Murtagh era arredata in maniera essenziale: lo colpirono un letto a baldacchino, un mucchio di abiti scuri ben lavati e una sella di dimensioni spropositate che immaginò fosse destinata al suo drago.
Su una parete campeggiava il ritratto di una donna bellissima dagli occhi grigi e immaginò che quella dovesse essere la Signora tanto adorata da suo padre.
Sullo scrittoio di Murtagh trovò una pila di documenti segretissimi che pareva invitarlo ad allungare la mano. Fece scorrere qualche carta:
“Rapporto sulle attività dei Varden- Dras Leona”
“Resoconto dei commerci – Teirm”
“Testimonianze su Eragon”
“Testimonianze su Roran”
La giovane spia decise di arraffarne quanti più poteva. Nasuada sarebbe stata fiera di lui! Ne era certo. Stava quasi per andarsene quando notò la lettera appoggiata sullo scrittoio.
‘Al capo dei Varden’ vi era scritto.
Nick si incuriosì. Cosa ci faceva quella lettera lì? L’avevano rubata? Probabile.
Al capo dei Varden… una lettera per Nasuada in persona. Questo significava solo una cosa: piani importanti. Cose che non si dovevano sapere.
“Mi dispiace, caro Galbatorix” notò che la lettera era ancora chiusa “Ma non scoprirai mai i piani segreti dei Varden!”
La prese, ma non la lesse in quanto credeva che fosse destinata solo e solamente a Nasuada. Non voleva intromettersi in cose più grandi di lui. Rischiava la vita ogni giorno, e questo bastava.
Prima di andarsene ringraziò mentalmente Murtagh.
“Grazie mille ragazzo-dagli-occhi-tristi-ma-non-troppo, sappi che lasciando in bella vista la lettera hai compiuto una buona azione. Forse c’è un po’ della Signora anche in te!”
Rapido com’era entrato, uscì dalla stanza.

Murtagh rientrò nella sua stanza, ancora preoccupato per il colloquio con Galbatorix.
“Almeno sei sicuro che Nasuada sopravvivrà”
“Bisogna pensare positivo, no?”
“Sei tu quello che si deprime sempre”
“Ah, credi di essere spiritoso Castigo?”
“Certamente più di te!”
Il giovane avanzò verso lo scrittoio, con l’intenzione di far sparire la lettera fino a quando la sua legittima destinataria non sarebbe giunta da lui. La pila di documenti sembrava essersi abbassata, per fortuna.
A un certo punto, cercano la lettera, strillò:
“Nooooooooooo!!”
“Che è successo?” chiese Castigo
“Una cosa terribile!”
“Sul serio?” il drago aggiunse poi, in tono sarcastico “E poi dici che non ti deprimi…”
“Zitto te! La lettera è sparita!”
“Come sparita?”
“Non c’è più! Era qui, l’avevo appoggiata qui!”
“Sei sicuro? Guarda bene…”
“Ho già controllato… Ma dov’è? Ma dov’è?”
“Quello scritto dov’è? Ma dov’è ma dov’è consegnatelo a me!” canticchiò il drago rosso.
“Castigo, non è il momento. Se Galbatorix ci scoprisse…”
“Non credo che si offenderà per il “Pernacchio”. Reputo ’Reucciocattivuccio’ un insulto peggiore!”
“Non mi preoccuperei per il Pernacchio. Penso sia più grave la parte in cui ho scritto ‘la donna che amo ’. Sai non credo che sarà contento di sapere che il mio cuore arde per il nemico”
“In effetti non andrei certo a dire a Shruikan che Saphira è una bellissima dragonessa!”
“Ma tu puoi farlo! Non è che tu abbia molta scelta, lei è l’unica dragonessa rimasta! Io invece avrei centinaia di donne che sarebbero disposte a stare con me, ma l’unica che voglio è, purtroppo, l’unica che non posso avere…”
 “Dai… non essere triste! Se i Varden vincono…”
“Mi uccideranno”
“Beh… non la penserei così. Comunque hai ragione: quella lettera deve essere trovata! Come facciamo?”
“Posso provare a… non ho la minima idea. E ora?”
“Prova a  interrogare la servitù. Magari qualcuno ha visto chi si è introdotto nella tua stanza!”
“Ma come fai? Hai sempre delle idee così brillanti!”
“Eh eh, io sono un drago. E poi funzionerà di certo: nessuno può rifiutarsi di rispondere a te, Murtagh!”
“Soprattutto perché tu sei in grado di convincere chiunque!”
“Modestamente…”

Nick stava terminando di lucidare il pavimento, in attesa di potersi dileguare con la lettera.
“La notte mi sarà amica” pensò.
Con il buio delle tenebre si sarebbe allontanato da Urû’baen e si recato presso alcuni suoi amici che avrebbero provveduto a consegnare la lettera. Solo allora l’avrebbe fatta franca.
In quel preciso momento, Murtagh, il cavaliere-rosso-occhi-tristi si avvicinò a lui.
 “No… non dirmelo… mi ha scoperto! E ora, come faccio?”
< Salve…e… Signore! >
< Salve. Come ti chiami? >
“Ricordati, la tecnica delle personalità multiple funziona sempre!”
< Jonas Signore! >
< Non chiamarmi Signore! >
< Si Signore >
< Lasciamo perdere… Jonas hai notato qualcuno fuori dalla mia camera? >
< Quale camera, Signore? >
< Quella laggiù! >
< Ah… Signore. Non mi pare… >
“Ma che sto dicendo? Così se vedono qualcuno scopriranno che si tratta di me!”
< Sicuro? >
< No Signore. Ora ricordo bene: un uomo prima e una donna poi, ma i loro volti non li ho presenti. Sa, Signore, ho lucidato il pavimento tutto il tempo! Brilla che è una meraviglia, Signore! >
< Mi sei stato davvero d’aiuto, Jonas. Questa è per te > Murtagh gli porse una moneta d’oro.
< Grazie grazie Signore! >
< Ora torna alle tue faccende >
< Si Signore >
Il ragazzo si allontanò e Nick tirò un sospiro di sollievo.
“Ce l’ho fatta… per stavolta!”

“Niente di fatto”
Murtagh era triste.
“Non ti ha detto che un uomo e una donna sono entrati?”
“Galbatorix ha migliaia di schiavi. Sarà difficile trovarli”
“Cosa ne pensi di quello là? Per me, ci nasconde qualcosa…”
“Quel Jonas? E’ un ragazzo dalla mente semplice, anche troppo, e non potrebbe mai tramare qualcosa contro di noi!”
“Se lo dici tu…”
Murtagh si sporse chiedendosi cose sarebbe successo se la notizia si fosse diffusa.
Una parte di lui voleva che ciò accadesse, voleva che tutti sapessero che l’amore era più forte di un giuramento.
Voleva che si sapesse che amava Lady Nasuada e che né Varden né Impero avrebbero potuto fermarlo.



Angolo autrice: immagino non abbiate mai visto un capitolo con un titolo così assurdo, vero? Il curioso Nick combina già dei pasticci... e murtagh si lancia in alquanto improbabili prove-di-corteggiamento... Ne vedremo delle belle!
Al prossimo capitolo...

Dawn


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Capitolo 3
*** A ogni nodo il suo pettine ***


CAPITOLO DUE: A OGNI NODO IL SUO PETTINE

Nick si catapultò in fretta e furia fuori dal palazzo proprio mentre il sole, tinto di cremisi, abbracciava per l’ultima volta la città in attesa che il buio delle tenebre inghiottisse i raggi luminosi.
Aveva timore di trascorrere la nottata in città: con i seguaci di Galbatorix in giro, la lettera valeva come biglietto di sola andata verso il cappio, e lui di osservare la città dall’alto appeso per il collo, proprio non ne aveva voglia.
Le guardie sembravano aspettarlo ai cancelli, con picche affilatissime in mano, pronto a colpirlo qualora i suoi documenti riservati avessero deciso di fare capolino dalla giacca.
Fortunatamente quei bestioni non parvero prestargli molta attenzione, anzi lo squadravano dall’alto al basso, commentando a bassa voce il suo aspetto da straccione.
“Aspettate soltanto che consegni quella lettera a Lady Nasuada e poi vediamo chi riderà!”
Ma non si lamentò: al contrario si allontanò in silenzio, mentre le due guardie continuavano con i loro risolini infantili a deriderlo e insultarlo.
Era fuori da Urû’baen. Fuori dalla tana del nemico.

“Niente. Nessuno sa o ha visto niente”
“Beh.. almeno Galbatorix non ne è a conoscenza”
“Si. Ma se la trovano? Chiunque la venda ricaverà molte monete d’oro!”
“Fammi pensare”
“Non abbiamo tempo di pensare. Dobbiamo agire!”
“Cosa vorresti fare? Dobbiamo prima elaborare un piano!”
“Mah… secondo me… e se divinassimo la lettera?”
“Alla fine hai avuto un’idea buona anche tu… “
“Cosa vorresti dire?”
Castigo rise e il legame fra loro si fece sempre più vago fino a che Murtagh non avvertì un silenzio totale.
“E così ti rifiuti di rispondermi…”

Nick scappava. Correva più veloce che poteva per lasciarsi alle spalle la nera città di Galbatorix e per liberarsi di quel pesante fardello destinato a Lady Nasuada.
Quella lettera pareva rallentarlo sempre più e la giovane spia era sempre più preoccupata. Ogni persona che incontrava sembrava essere a conoscenza del suo segreto, ogni soldato pareva essere stato inviato a catturarlo.
Sentiva il respiro mancargli, e le gambe ormai si rifiutavano di avanti. Imperterrito il ragazzo continuava la sua fuga, in fondo la sua destinazione non era lontana.
“Tol’Doron, un miglio”
Così indicava un cartello di legno mezzo marcio, a cui si era appoggiato per riprendere fiato.
“Bene… sono quasi arrivato. Che siano loro a decidere cosa ne sarà della lettera. Io non voglio averne più nulla a che fare! Porta solo guai!”

Murtagh si appoggiò al grande specchio della suo camera e osservò attentamente il suo riflesso.
Un volto serio, bello pensò. Il volto di un cavaliere, il viso di un assassino. Questo era, e molto più. La sua faccia, che amava e odiava, raccontava tutto di sé.
Si concentrò: non doveva pensare a lui, ma al suo compito. Doveva ritrovare la lettera prima che qualcuno la leggesse e annunciasse al mondo intero il soggetto del suo amore.
< Draumr Kopa! > esclamò.
La superficie dello specchio si tinse di nero, poi in mezzo all’oscurità più assoluta, incominciò a intravedere qualcosa. La lettera.
Qualcuno l’aveva rubata… e il ladro era Jonas. Come aveva fatto a mentirgli?
“Te l’avevo detto che nascondeva qualcosa… ma tu non stai mai ad ascoltarmi…”
“Prima di entrare nella mente di qualcuno si bussa!”
“Sei ancora arrabbiato per la discussione di prima?”
“Chi sei? Non ti sento?”
“Uffa! Toc toc?”
“Così va meglio! Ho scoperto che Jonas ha rubato la lettera… ma come ha fatto a nasconderla?”
“Non lo so… forse non è il servo straccione che sembra”
“Vuoi dire che?”
“Una spia dei Varden”
“Castigo, secondo me è meglio aspettare il suo ritorno… dall’immagine non riesco a capire dove sia diretto. Allora, gli faremo dire dove ha consegnato la lettera. Con le buone…”
“O con le cattive!”
“Pagherà per aver fregato me, un Cavaliere dei Draghi!”

La locanda si trovava vicino alla piazza principale di Tol’Doron. Era un edificio di legno molto  vecchio che contrastava con le case circostanti, in mattone. All’ingresso una targa di ottone recava inciso:
“Locanda del Drago”
Nick si avvicinò al portone di legno, si guardò intorno, e battè sullo stipite.
“Toc”
Nessuna risposta.
“Toc”
Silenzio.
“Toc”
La porta si aprì.
< Nick! > urlò una ragazza, che, prima ancora che entrasse nella locanda, gli aveva già buttato le braccia al collo.
< Seselya, quale onore! >
La giovane sorrise e lo accompagnò all’interno del locale.
< Cosa ci porti? >
< Non mi crederai mai! Ma prima… >
Nick chiuse il portone e poi, a voce molto bassa, le sussurrò:
< Nessuno deve sentirci… è una cosa di vitale importanza! Dov’è tuo padre? >
< Lo chiamo subito >
Seselya salì rapidamente le scale, e subito scese insieme al padre e alla sorella.
Nick li  aveva sempre trovati una famiglia molto particolare: il padre, Evan, proprietario della locanda, era un uomo calmo e riflessivo. Non sapeva attribuirgli un’età precisa: il suo volto era levigato come quello delle figlie ma i capelli rilucevano argentati, come stelle nella notte.
La figlia minore, Marya, era una ragazza fin troppo chiusa e riservata. Un orso in un corpo di donna, dai soffici boccoli color carbone e dai saggi occhi verdi, dello stesso colore di quelli del padre. Non l’aveva mai vista sorridere e il broncio era l’unica espressione dipinta sul suo volto da bambolina di porcellana. Perennemente preoccupata, questa era Marya, in attesa che la sfortuna si accanisse su di lei e sulla sua famiglia. Una ragazza a dir poco particolare, ma dall’intelligenza eccezionale e dallo spirito poetico. Quanto avrebbe voluto conoscerla meglio!
Seselya, la sorella maggiore, non assomigliava a nessuno dei suoi parenti. Un giunco, alta, slanciata, dai capelli rossicci e dagli occhi nocciola, furbi come quelli di una volpe. Abbracciava tutti ed era sempre occupata a chiacchierare, ma in fondo in fondo, sapeva che tutta quella socialità era un mezzo per difendere la sua occupazione.
Difatti tutta la famiglia era composta da Varden, che si occupavano dei contatti tra l’impero e il Surda e ospitavano confratelli in difficoltà. Erano affidabili e incredibilmente astuti e Nick era certo che loro erano le persone giuste per gestire “l’affare della lettera”.

Murtagh pensò a Nasuada. Accadeva sempre più spesso negli ultimi tempi. Con la lettera in giro per Alagaësia poi, non faceva altro che pensare alla sua reazione. L’avrebbe strappata? O avrebbe versato almeno una lacrima pensando al loro destino? No, lei non era una donna che piangeva facilmente.
Eppure…

“Non dovresti stare qui”
“Credimi, è uno dei pochi posti in cui mi sento al sicuro”
“Ma i crimini di tuo padre non sono i tuoi. Non dovresti pagare per quello che lui ha fatto. Non sono le tue colpe”
“Sto benissimo. E’ inutile che tu ti preoccupi per me”
“Ma devi uscire da questo buco! Sei a Trondheim, la capitale dei nani,  una delle città più belle di Alagaësia. Se vuoi ti accompagno a fare un giro per la città!”
“Non voglio”
“Non fare l’antipatico. Non oseranno parlarti dietro se io ti accompagno!”
“Certo parleranno dietro di te! Cosa ci fa la figlia di Ahjiad insieme al figlio di Morzan in giro per il Farthen Dûr? “ detto questo si coprì il volto con un cuscino.
“Alzati, su!” aveva detto afferrando il cuscino e battendolo delicatamente sul capo.
“Cosa fai?” esclamò, agguantando un altro cuscino e rispondendo al colpo.
“Se è la battaglia che vuoi allora…”
Cominciarono a prendersi a cuscinate, come due bambini, e allora non furono più ‘la figlia di Ahjiad” e “il figlio di Morzan”, furono solamente Nasuada e Murtagh.
I ricordi cominciarono a farsi sempre più confusi. Rammentò un turbinio di piume e il bianco del suo sorriso, il suono cristallino delle loro risate e il saluto che lei gli face prima di andarsene.
“Arrivederci, Murtagh Morzansson”
Lo aveva detto come se Morzan non fosse stato altri che una persona normale, nessuno lo aveva mai chiamato così. Si concentrò sulla sua chioma scura ondeggiante, mentre lei si allontanava sempre più.
Allora si sentì veramente un prigioniero.


“Cosa diresti ora di me, Nasuada? Ora sono un assassino… e sto pagando per le mie colpe!”
Castigo lo raggiunse ma non fece commenti: sentì solo il suo respiro profondo.
Murtagh  mandò un bacio verso l’infinito.
< Ti mando un bacio con il vento… e so che tu lo sentirai! >
Castigo iniziò a piagnucolare.
“Sei così dolce! Mi stai facendo venire il voltastomaco!”
“Perché? Voi come le corteggiate le dragonesse?”
“Dai ricordi degli Eldunarì vedo morsi, combattimenti aerei e…”
“Non posso mica mordere Nasuada!”
“Sarebbe divertente vedervi così… lei poi è una donna così decisa, o almeno tu la vedi in questo modo!”
“E’ anche il Capo dei Varden… mica posso andare da lei , dirle ‘Nasuada sei bellissima’ e poi morderla!”
“Rifiuti sempre i miei consigli… sta a vedere che alla fine dovrai farle comunque un corteggiamento dragonesco!”
“Non le farei mai del male”
“Non sei tu il problema. E’ Galbatorix e sai che lui non avrebbe alcuno scrupolo…”
Murtagh si sedette.
“Perché il destino ce l’ha con noi, Castigo?”
“Perché siamo troppo belli!”
“Va là”
Il Cavaliere volse lo sguardo all’orizzonte, in attesa del ritorno di Jonas.

Nick se ne era andato. Aveva detto che doveva tornare subito ad Urû’baen prima che a corte si notasse la sua assenza.
< Lui se ne va e cosa fa? Ci lascia l’inghippo? > Marya sbatté la lettera sul tavolo.
< E’ un problema dei Varden. Di tutti i Varden! >
< Tu la fai facile Seselya! Rischiamo la vita tutti i giorni… >
< Appunto! Un rischio in più uno in meno… che differenza fa? >
< Se i soldati ci portano da Galbatorix sarai tu la prima a giurare! >
< Perché ti preoccupi Marya? La probabilità che ci becchino è piuttosto bassa… >
< Non essere così ottimista! >
< Tu piuttosto! Col tuo pessimismo mi fai venire la nausea! >
< Non sono pessimista. Sono pre-vi-den-te! >
< Ah sì…  se tutti fossero come te Galbatorix avrebbe vinto ancor prima di iniziare la guerra >
< Calma ragazze! >
< Sul serio? Se tutti non prestassero attenzione come te… il mondo sarebbe un disastro! >
< Almeno sarebbe un mondo di persone felici! Se penso a un mondo di musoni come te… >
< Basta! >
Evan richiamò l’attenzione delle due.
< Se vi mettete a urlare come aquile non risolviamo nulla! Dovremo partire al più presto per le pianure Ardenti, liberarci della lettera, e tornare qui! Vi sembra così difficile? >
< Hai ragione > ammise Marya, passando la mano tra i suoi boccoli neri.
< Allora pace fatta? > disse Seselya.
< Pace > la voce di Marya non era convinta.

All’alba Nick era giunto alle porte di Ilirea.
“Meno male… mi sono liberato di quella lettera!”
Riuscì ad entrare senza problemi nella città e si diresse verso i cancelli della reggia, dove trovò un uomo incappucciato ad attenderlo.
< Salve Jonas >
“Murtagh… oddio, mi ha scoperto. Che faccio? Che faccio!”
< Buongiorno Signore. >
< Io so tutto. Dobbiamo parlare. >
“Questa proprio non ci voleva!”

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Capitolo 4
*** Due uomini in viaggio (per non parlar del drago!) ***


CAPITOLO 3: DUE UOMINI IN VIAGGIO (PER NON PARLAR DEL DRAGO!)
 
< Sei ancora arrabbiato, vero? >

< Non mi rivolgi la parola da quando siamo partiti… se questo non è ‘essere arrabbiati’! >
< Va bene, lo ammetto: sono arrabbiato con te! >
< Non avevamo fatto la pace?>
< Si, però dopo quello che è successo… >
< Ancora con quella storia? >
< Quella storia! Al posto di pensare alla ricostruzione di Carvahall tu… tu… pensi ai salutini da elfo! E’ una cosa inammissibile >
< Guarda che è più importante ottenere l’appoggio degli elfi! E la regina Islanzadi, beh, lei tiene molto ai convenevoli… come tutto il leggiadro popolo del resto! >
Eragon accennò un sorriso, ma il cugino si voltò dall’altra parte.
< Se non l’hai ancora capito, a me della regina Islanzozza non frega un accidente!>
< Si chiama Islanzadi! Stai offendendo una delle personalità politiche più importanti di Alagaësia! >
< Personalità politiche più importanti di Alagaësia? Chi sei tu? Che ne hanno fatto di mio cugino? >
< Mi sono solamente… acculturato. >
Roran si inquietò.
< E’ grave? >
“Più di quanto tu creda” si intromise Saphira.
“Ma… Saphira!”
< La tua dragonessa ha ragione, sai. >
< Siete tutti contro di me? >
“Beh… potevi almeno passare per un saluto… credo che Roran abbia ragione!”
“Saphira! Cosa dici?”
“Roran… non ti arrabbiare. L’unico motivo per cui non è venuto al raduno dei tuoi concittadini ha i capelli neri, gli occhi verdi e le orecchie a punta!”
< Vuoi dire Arya? >
“Sa-phi-ra”
“Ok… pensavo che dovessimo avvisare anche tuo cugino”
Eragon sospirò.
 
< Allora partirai per l’Helgrind? >
Aveva avuto paura che lei non gli rivolgesse più la parola. Non era così, nonostante l’elfa non stesse sorridendo.
< Si >
< E’ un gesto alquanto pericoloso e avventato ma… è al tempo stesso… ammirevole> Gli angoli della sua bocca si erano leggermente sollevati.
< Lo credi sul serio? >
< Noi elfi riflettiamo molto prima di agire, ma difendere il proprio amore, e nel tuo caso l’amore non tuo ma di un tuo caro, è un atto di grande affetto >
< Ne sei sicura? >
< Certo >
< Arya, io… >
< Non dire nulla. Non peggioriamo la situazione. Mi dispiacerebbe perdere la nostra amicizia per un equivoco >
“E’ così che lo definisci, vero? E’ questo che è per te? Un equivoco. Un semplice, distratto equivoco. Io ti voglio bene Arya. Ti voglio molto bene. Credo di amarti, ma non ne sono sicuro… in fondo per te cosa sono? Solo un bambino…”
< Ho imparato il saluto elfico alla perfezione > aveva cambiato discorso. Non voleva rovinare il rapporto che aveva con lei, non adesso che aveva bisogno del suo sostegno.
< Fammelo sentire >
< Atra esterní ono thelduin, Arya Dröttningu >
<  Mon'rar lífa unin hjarta onr > rispose lei
< Un du evarínya ono varda >
< Eragon! >
Roran era arrivato correndo.
< State parlando della ricostruzione di Carvahall vero? Avresti potuto farlo con noi tuoi compaesani però! > detto questo lanciò un’occhiata tagliente a Arya.
< Ma di che cosa parli? >
< Guarda che ti ho sentito… stavi parlando di ‘Atri esterni con le tende’ e di ‘Una o due verande per i Varden’! >
< Roran… veramente io… >
Una risata cristallina ruppe il silenzio imbarazzato.
< Era il tipico saluto elfico. ‘Atra esterní ono thelduin’ non ‘un atrio esterno con le tende’! >
< Sul serio? Quindi… >
Si rivolse verso di Eragon, arrabbiato nero.
< Tu. Cosa hai fatto? Hai disertato l’incontro tra i tuoi concittadini, quelli con cui sei cresciuto, quelli che ti hanno amato, quelli che ti hanno aiutato dopo la morte di tuo zio (e non azzardarti più a chiamarlo padre!) per cosa? Per parlare di ciao, arrivederci e buongiorno con questa… cosa. >
Per tutta risposta, con un movimento fulmineo, Arya gli prese il polso e glielo portò dietro alla schiena.
< Ahi! Volevo dire… questa elfa! >
< Rimedierò più tardi alla distruzione di Carvahall… per adesso questo è più importante! >
< Più importante di noi? Chiacchierare con la cos… volevo dire l’elfa. >
< Arya è la figlia di Islanzadi. >
< Chi è Islanzanda? >
< Islanzadi! La regina degli elfi… Capisci perché è più importante per le sorti di Alagaesia che io sappia rispettarla e riesca a ottenere la sua fiducia! Capisci! Per Carvahall ci sarà tempo poi, anche dopo la morte di Galbatorix… >
Roran borbottò qualcosa che assomigliava a un “ma come? poi si inginocchiò a terra e urlò:
< Katrinaaaaaa!!! >
< Tranquillo: adesso partiamo per l’Helgrind e andiamo a salvarla. >
< Solo noi due vero? Senza… la cosa. >
< Noi e Saphira. Arya non verrà > a bassa voce aggiunse
L’elfa commentò:
< Guarda che ti ho sentito. Comunque è meglio così> fulminò Roran con lo sguardo
Detto questo se ne andò.
 
Questo era successo il giorno prima della partenza e da allora i due cugini continuavano  a punzecchiarsi.
Eragon rimproverava a Roran di non capire le esigenze del suo nuovo ruolo e di pensare solamente alla sua terra e alla sua Katrina, Roran, d’altro canto, accusava Eragon di trascurare i suoi cari e di rivolgere le sue energie verso compiti che giudicava inutili.
Saphira non faceva altro che peggiorare la situazione, parteggiando ora per l’uno, ora per l’altro.
“Perché non mi appoggi?” aveva chiesto Eragon esasperato a Saphira.
“Perché, piccolo mio, non sempre hai ragione. E’ una situazione che tu e Roran dovete gestire e risolvere da soli”
“Perché da solo?”
“E’ o non è tuo cugino?”
“Sì, è solo che…”
“Immaginavi il vostro incontro diverso. Credevi che lui ti avrebbe abbracciato, baciato e poi avreste ricordato insieme, seduti di fronte a un fuoco, i bei tempi passati…”
“Hai ragione!”
“Invece no. Roran è un uomo distrutto. Devi assecondarlo: probabilmente sarà di umore nero fino a quando non stringerà di nuovo Katrina fra le sue braccia. Devi essere paziente!”
“Come faccio? Abbiamo pochissimo tempo! E se Galbatorix ci scopre…”
“Devi essere paziente, non esagitato, impaurito, ansioso…”
“E’ facile parlare per te. Sei un drago.”
“Ti sei mai messo nei miei panni? Non ho né cugini, né amanti. Sono sola.”
“Beh, non completamente…”
“Glaedr mi ha rifiutato e i miei unici pretendenti sono un uovo e un burattino. Non è che abbia molta scelta!”
“Ti stai dimenticando di Shruikan…”
“Certo… mancava il disagiato mentale!”
“Ma se liberassimo Murtagh e Castigo, forse…”
“Se continuiamo così non libereremo nessuno! Dobbiamo metterci in marcia!”
Eragon non rispose ma percepì uno strano guizzo nella mente della dragonessa.
 
Il viaggio proseguì senza intoppi fino a che i due cugini non si imbatterono in un gruppetto formato da tre soldati imperiali che stava pattugliando quell’area quasi deserta alla ricerca di criminali, banditi, o, ancora meglio, Varden, draghi, Cavalieri e loro parenti.
< Adesso cosa facciamo? >
< Lascia fare a me… >
Eragon lanciò un incantesimo che permise a lui e Roran di diventare invisibili e di poter scampare ai soldati imperiali.
< Ma siamo… >
Il Cavaliere tappò la bocca al cugino.
< Guarda che continuano a sentirci. > sussurrò < E fai attenzione! Noi siamo invisibili, ma le nostre impronte no! Se ci scoprissero addio missione di salvataggio! >
< Ok, capo > rispose lui con un filo di voce < Starò attento… non vorrei mai fallire. Katrina amore mio! Arriva Roranuccio a salvarti!! >
“Ci risiamo!” borbottò Saphira “Ma perché capitano tutte quando non sono con te!”
“Senti!”  la voce di Eragon si fece tutt’un tratto più grave “Io me la sono sempre cavata… no? In fondo sono ancora vivo!”
La dragonessa cominciò a ridere smodatamente.
“Che c’è ancora?”
“Piccolo mio, io rido per le cavolate che dici! Chi ti ha salvato la prima volta dai Ra’Zac? E la seconda? Per non parlare del Farthen Dûr!”
“Beh… ce l’avrei fatta anche da solo!”
“Ho i miei dubbi… Comunque non so se essere più preoccupata dei soldati imperiali o di tuo cugino aspettami-Katrina-che-Fortemartello-salverà-il-mondo!”
“Io non mi preoccuperei dei soldati” e li indicò, mentre uno con fare pensante osservava le impronte lasciate dai loro piedi.
< Angus… qua delle impronte compaiono dal nulla! > gli disse.
Quell’altro gli diede un colpo in testa.
< Ma… io le vedo! >
< Cosa ti sei bevuto stamattina, Fergus? >
< Sei spiritoso come lo sterco di Galbatorix… >
“Che offesone! Che dici: possiamo rivolgerlo al tiranno?”
“Saphira, sai che non sarebbe proprio una cattiva idea!”
< Mi dispiace contraddirti, Angus, ma Fergus ha ragione. Sembra impossibile ma qua, proprio dietro al cespuglio, stanno comparendo delle impronte. >
< Saranno impronte lasciate da viaggiatori… siete proprio paranoici! >
< Ma di qua non è passato nessuno… >
< Zitto Gus! >
“Capperina!” Qua rischiamo di essere scoperti!” Eragon, cercando di essere cauto e di scampare a quella pericolosa situazione il prima possibile, pestò per sbaglio il piede a Roran, che non condivideva i suoi riflessi elfici donategli dai draghi.
< Ahi! > l’urlo di Roran fu più simile a quello di un animale che a quello di un uomo.
< Angus… l’aria ha gridato! >
< Ma Fergus, smettila di immaginare cose dove non ci sono! Sarà il verso di una bestia, niente di più >
< Io sono sicuro. E se si trattasse di un mago? O ancora peggio: di Eragon, il Cavaliere dei Draghi? >
< Si, certo… e io sono il figlio segreto di Morzan! >
< Sul serio? >
< Ma sei scemo! Ti sembra verosimile che Eragon, l’Ammazzaspettri, il ricercato numero uno di Alagaësia, passeggi indisturbato per l’Impero senza guerrieri, né il suo Drago con il rischio di essere scoperto e portato al cospetto del nostro Signore? >
< Hai ragione, anche se… >
< Ma secondo te? Cosa avrebbe da fare nei territori imperiali tutto solo? Non dobbiamo preoccuparci: lui è alle pianure Ardenti con l’esercito dei Varden. Non certo qui, di fronte a noi, tre semplici soldati dell’esercito. Sarebbe un idiota se si allontanasse da solo… >
“Tu credi? Lo sai che con una sola parola potrei ucciderti…”
“Non arrabbiarti, piccolo mio, e sparite di lì prima che Roran si faccia scoprire”
“Ma, mi ha chiamato idiota!”
“Tu non devi reagire alle offese! Se perdi la calma per una semplice stupidaggine detta da un soldato qualunque cosa farai quando ti troverai di fronte a Galbatorix? Lo insulterai? No, piccolo mio, devi imparare a mantenere il sangue freddo”
“Parla una creatura nelle cui vene scorre fuoco”
“E nel cui cervello scorrono sapienza e conoscenza!”
“Sempre modesta.”
“E sincera!”
< Eragon… cosa dobbiamo fare? >
< Spariamo di qua! Lasciamoli alle loro discussioni… >
< Già… e speriamo di non imbatterci più in nessuno fino a Dras Leona! >
< Sarà veramente complicato! La prossima volta però, dobbiamo comportarci meglio >
I due si dileguarono mentre i tre soldati cominciarono a discutere sempre più animatamente, passando poi alle mani.
 
< Eragon…sono stanco! >
< Su Roran che manca poco! >
< Ma io non sono un mezzelfo come te! >
< Tu sei Roran Fortemartello, l’eroe di Carvahall, ce la farai sicuramente! E poi, mancano solo… 50 miglia! >
< Cosa? >
Roran si sporse verso il cartello in legno, che, senza alcuna pietà, annunciava:
“Dras Leona – 50 miglia”
“Tol’Doron – 1 miglio”
< Eragon non credi che sarebbe meglio riposare per la notte? Fermarci a Tol’Doron e ripartire la mattina? >
< E se ci scoprissero? >
< Faremo come con i soldati imperiali >
Eragon ridacchiò poi lo esortò:
< Su! > disse e proseguì per Dras Leona.
Roran invece voltò per Tol’Doron.
“Ma cosa fai?” chiese una voce nella sua testa.
“Saphira?”
“Chi altri! Eragon se ne sta andando…”
“Aspetta e vedrai”
Il cugino cominciò a contare.
“Uno”
Silenzio.
“Due”
Rumore di passi.
“Tre”
< Roran fermati! Va bene… sosteremo a Tol’Doron. Ma solo per una notte, intesi? >
Il giovane sorrise, ma Saphira non riusciva a trattenere le risate.
 

 
Mi sento... terribile! Scusatemi se sono decenni che non posto, ma la scuola e la voglia di cambiare tutte le lineette dei dialoghi hanno fatto il resto... Ma non vi preoccupate: la fic è completa, presto posterò il resto! :) (e vi prego, ricordatemi di postare che io me lo scordo e fatevi sen-ti-re!) Le vostre recensioni sono impostanti!
Dawn

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Capitolo 5
*** Remembrance ***


CAPITOLO QUATTRO: REMEMBRANCE

 
< Cosa sai? > Nick cercò di non perdere la calma. La sua vita era in pericolo.
< Tutto. Che ti sei introdotto nella mia camera e hai rubato la lettera destinata al capo dei Varden >
< Dimmi cosa ho sbagliato >
< Hai giocato con avversari più potenti di te. >
< E ora, cosa dovrei fare? Restituirtela? Per cosa, poi? Affinché tu la renda a Galbatorix. Io non tradirò la mia famiglia, mai! >
< Allora… >
< Ammazzami su! >
Murtagh gli sorrise.
Le sue barriere mentali crollarono come un castello di cristallo.
 
Murtagh si introdusse nella mente di Jonas. Incredibilmente la trovò difesa da forti barriere.
“E così sai difenderti…”
Riuscì, non senza qualche difficoltà, ad abbatterle e allora si trovò di fronte alla marea di ricordi del ragazzo.
“Nick, è così che ti chiami in realtà”
Vide i suoi genitori, e riconobbe uno dei camerieri di Morzan. Incontrò anche se stesso bambino e sorrise di fronte a quel ricordo.
“Così ci siamo già conosciuti…”
Si buttò ancora più a fondo alla ricerca di qualche informazione importante. La trovò.
 
La madre di Nick era avvolta in un vestito improponibile color amaranto e reggeva per mano suo figlio, all’epoca un bambino di quattro o cinque anni. Si trovavano in un luogo caldo e polveroso- il Surda, forse?- e stavano aspettando qualcuno.
“Alana?”
La donna si voltò.
“Ajhiad-no? Sei tu! Che bella sorpresa!”  i due si baciarono affettuosamente sulle guance.
“Cosa ci fai qui?”
“Lo sai benissimo. E’ lo stesso motivo per cui anche tu sei qui.” rispose la donna enigmatamente.
L’uomo non parve far caso alla sua affermazione, anzi, guardando il bambino che la donna portava con sé, domandò:
“E questo giovanotto chi è?”
“E’ mio figlio, Nick.” Il bimbo, alla vista dell’uomo, si ritrasse dietro la madre.
“Suvvia Nick, eppure lo conosci. Lui è Ahjiad, il marito di Nadara, mia cugina. Ti ricordi di lei?”
Il bimbo fece di no con la testa.
“Perdonalo. Era molto piccolo quando lei… ci ha lasciati.” Di fronte al volto triste di Ahjiad Alana cambiò discorso e, indicando una bambina seria che osservava in disparte la scena, chiese con un sorriso:
“E lei? Chi è?”
Non ci fu bisogno di aspettare le presentazioni. I suoi occhi, le sue labbra, il suo viso. Era lei.
Guardò il suo volto infantile, l’espressione seria così adulta per la sua età, le guance paffute. Era bellissima anche allora.
“Lei? Lei è la mia piccola principessa. Vieni a salutare, Nasuada!”

 
< Tol’Doron. Un piccolo insignificante villaggio sperduto nel cuore dell’impero. Il luogo ideale in cui nascondersi e cercare un posto in cui riposarsi! > Roran si sgranchì, espirando profondamente.

< Eragon: ti sei ingoiato un libro? >
< Mi stai prendendo in giro? >
< No, sono serissimo. Comunque, durante le tue giornate a base di cultura hai per caso consultato anche una guida di questo paese? Sai prima troviamo una locanda e prima ci riposiamo, prima ci riposiamo e prima partiamo, prima partiamo e prima andiamo a salvare Katrina! >
“E prima salviamo Katrina prima torniamo dai Varden e prima torniamo dai Varden prima troviamo un modo di distruggere Galbatorix!”
< Voi due mi fate venire il mal di testa! Ciò nonostante sono d’accordo con voi: mettiamoci alla ricerca di questa locanda! >
< Bene! Sono molto stanco e domani mattina vorrei ripartire il prima possibile! >
 
Nick gemette di dolore ma Murtagh lo ignorò.
La sua missione era troppo importante.
Trovò molte altre informazioni interessanti nel suo viaggio all’interno della mente del giovane: per esempio, scoprì che era riuscito a introdursi a corte prendendo l’identità di Jonas, un servente morto alcuni mesi prima e a immedesimarsi tanto in lui che nessuno poteva avere dei dubbi sulla natura dell’inganno.
“Non sei male, Nick cugino di Nasuada”
Galbatorix non lo aveva mai controllato direttamente- questa era stata la sua fortuna- ma non aveva mai rifiutato nessun incarico, né creato un’occasione per sospettare della sua vera occupazione. Era stato accorto, e anche intelligente.
“Il sangue non mente mai.”
Scavando a fondo si era reso conto di capire il ragazzo, e un nome era comparso nella sua mente. Doveva ammettere che, in questo, Galbatorix era il migliore dei maestri.
Nick, che era legato alla sua famiglia. Nick, che avrebbe dato la sua vita per i Varden. Nick, il ragazzo che sapeva troppo. Nick, il ragazzo che correva nel vento. Nick, il ragazzo dagli occhi di volpe.
Questo era lui, e molto altro.
Furono quelle parole a fermarsi nella sua strozza per poi proseguirgli su per la gola. Aprì la bocca e il nome uscì come musica nella notte.
Nick si voltò.
 
< Da quanto tempo è che stiamo girando in tondo? >
< Ma dai Roran… sono solo due ore! >
< Solo? Solo?? E’ dall’alba che siamo in viaggio, le gambe non mi reggono più! >
< Smettila di lamentarti>
< Se non troviamo quella locanda, io… >  
< Sei tu quello che è voluto venire a Tol’Doron >
Roran sbuffò e osservò la piazza principale dei paese. Era un piccolo ovale che si affacciava su edifici di mattoni risalenti a prima dell’ascesa di Galbatorix. Tuttavia nessuno di questi pareva ospitare una locanda.
< Diamine! > esclamò, ma Eragon non parve ascoltarlo.
< Eragon? Cosa hai visto? >
< Roran… ho visto un edificio in stile elfico. Incredibile! Galbatorix aveva ordinato di distruggerli tutti!>
< Non vedo cosa ci sia di speciale… >
Ma il cugino era già sparito, diretto verso l’edificio misterioso.
 
< Trovato nulla di interessante? >
Nick cercava di mantenere la faccia tosta, ma in realtà era spaventato a morte.
< Secondo te? >
< Ora che sai il mio vero nome sono una pedina nelle tue mani… >

< Perché? Non ti converrebbe… >
< Perché la lettera riguarda me. Soltanto me. >
< Lo sai che io non l’ho letta, vero? >
< Certo, però so anche dove l’hai consegnata. Tol’Doron, vero?
Lo disse. Il suo vero nome. Allora Nick non poté far altro che dire < Sì >
< Allora puoi andare >
< Cosa? >
< Puoi tornare a palazzo. Riprendere la tua vita di servo. Certo, non credo che potrai collaborare ancora con i Varden… però, se io lo volessi… >
< Non vuoi uccidermi? Ne sei sicuro? >
Murtagh rise e Nick ebbe veramente paura di lui.
< Imparerai che appartenere a un’altra persona è peggio della morte. Nella morte sei libero da ogni vincolo, ma questa, questa è la peggior forma di prigionia. >
< Perché lo hai fatto? >
< Perché non posso ucciderti… >
< Ma… come? >
Lui se ne andò, stringendosi nel mantello scuro e sparendo nelle tenebre, ma il giovane riuscì a sussurrargli:
< In ogni caso, grazie. >
 
Murtagh si sedette. Nick, quel giovane, quale fortuna aveva avuto. Lui, invece… Avrebbe voluto dimenticare, ma non poteva, non riusciva. Le piaghe erano ancora aperte e le sue lacrime bruciavano come sale. Non voleva piangere, non l’aveva mai fatto…
Eppure ricordarsi era l’unico modo per non annegare nell’abisso della malvagità di Galbatorix e i ricordi erano la sua ancora…
Si abbandonò a loro e chiuse gli occhi.
 
Ahjiad cavalcava su uno stallone nero come la sua pelle, lui lo seguiva a ruota su Tornac, il cavallo grigio che aveva il nome di quello che considerava il suo padre adottivo. I Gemelli chiudevano il piccolo corteo, circondato da uomini e nani pronti ad acclamarli per il successo della spedizione.
Non avevano nome i Gemelli, non avevano famiglia. Erano due metà della stessa persona, condividevano gli stessi atteggiamenti, modi di fare… Gli sembrava di vedere doppio certe volte e doveva dire che quei due stregoni gli facevano venire la nausea. Gli ricordavano i maghi al servizio di Galbatorix, così eleganti, precisi, artificiosi nel loro modo di svolgere il mestiere.  
Ricordava tutto come fosse gli ieri. Quel manipolo di Urgali, spuntato da chissà dove, Ahjiad che ordinava di attaccarli, il gruppetto di uomini e nani a terra in una pozza di sangue, l’amara scoperta che non erano difesi dai Gemelli. Il capo dei Varden aveva ancora quell’espressione stupita sul volto quando, sbalzato a terra dal cavallo, cominciò a combattere come una furia. Ne abbatté cinque di quei mostri prima di essere colpito.
Murtagh aveva cercato di raggiungerlo, di salvarlo, addirittura.
Ogni tentativo fu vano.
< Letta > aveva urlato uno dei due maghi.
Rimase bloccato… “Traditori! Lasciatemi andare…”
< Allora? >
< Non se la caverà… ormai è fatta! Lui invece dobbiamo riportarlo a Urû’baen. Galbatorix lo vuole vivo. >
“Lasciatemi andare… non ho neanche salutato Eragon. Gli devo dire che… mi dispiace. Per avere ucciso quel mercante, per tutte le volte che gli ho provocato dolore. Glielo devo dire. In tutta la mia vita ho avuto diversi amici, ma lui… lui è il mio migliore amico. Questo lo deve sapere…”
< Ganga > si sentì trascinato verso uno dei tunnel del Farthen Dûr. Cercò in ogni modo di dimenarsi.
“Lasciatemi andare… non le ho neanche detto addio. Devo parlare anche con lei, le devo dire che la amo. Lo deve sapere prima che Galbatorix faccia di me il suo mortale nemico. Devo prenderla tra le mie braccia e baciarla finché ho fiato in questo corpo, poi…”
< Che resistenza fastidiosa… >
< Già… come faremo ad affrontare il viaggio se cerca sempre di scappare… >
< Slytha! >
Sentì gli occhi chiudersi sempre più.
“Non posso addormentarmi… Devo scappare!”
Ajhiad continuava a guardarlo.
< Ti prometto, non le farò mai del male > sussurrò, una promessa che sapeva già infranta ancor prima di pronunciarla.
Lui gli sorrise, poi tutto si fece buio.

 
L’edificio era di legno, una vera eccezione rispetto alle case circostanti.
< Adesso sei contento? L’hai visto? >
< Ti rendi conto? Quanti anni deve avere questo edificio? Chi mai l’avrà costruito… >
< Sicuramente il costruttore sarà morto… >
< Chissà… magari è un elfo e ora si trova ad Ellesméra >
< Non lo so… > Roran guardò verso il portone e notò una targhetta d’ottone.
< Cosa c’è scritto? > chiese.
Eragon con un balzo felino si avvicinò, poi con un sorriso radioso annunciò:
< ”Locanda del drago…” alla fine l’abbiamo trovata! >
 
Da quanto tempo era che dormiva? Non lo sapeva…  la sua gola bruciava, lo stomaco era vuoto. Probabilmente lo avevano nutrito solo passandogli dell’energia. O forse non gli avevano semplicemente dato da mangiare.
 Provò ad alzarsi in piedi ma le gambe non gli reggevano.
“Su, dobbiamo andarcene da qui”
< Huildr >
Ancora loro. Il suo corpo si fermò.
< Dove vai? >
< Si è svegliato finalmente… >
< Che dici? E se… >
< Sarebbe un’ottima idea. >
< In fondo, Galbatorix ha detto che lo vuole vivo >
< Ma non ha specificato in quale stato. >
I due gemelli si rivolsero verso di lui.
< Jierda theirra kalfis! >
Sentì le gambe cedergli di colpo. E un dolore, un dolore immenso, gli offuscò i sensi, gli pulsò nel corpo. Bruciava.
Allora urlò.
< Sssh > gli fece uno dei gemelli.
< Pensavo avessi più resistenza, forse mi sbagliavo… >
< Questo è solo l’inizio, Murtagh Morzansson >
< Ci divertiremo molto insieme >
Li maledisse, li maledisse con tutto se stesso. Avrebbe voluto che loro crepassero sotto i suoi occhi, che soffrissero come e più di lui. Voleva che tutto il dolore da loro provocato si riversasse sui loro corpi e su quello di Galbatorix.
< Larve! Infami! Traditori! Voi, voi… > non riusciva più a parlare.
< Dimmi Morzansson> chiese uno di loro < Da quando sei diventato un amichetto dei Varden? >
< Fratello mio, non dei Varden > lo guardò intensamente.< Amico sì, del Cavaliere e della giovane Nasuada! Non gliene frega nulla dei Varden >
< Dalla piccola principessa senza regno? >
“Non osate offenderla! Non provateci nemmeno! Lei un regno ce l’ha… E’ la principessa del mio cuore!”
< Guarda come si dimena! Galbatorix ne sarebbe sorpreso… >
< Non come la splendida notizia che dobbiamo comunicargli… >
I due sorrisero.
< Cosa? Cosa avete scoperto? > aveva un disperato bisogno di sapere.
I due tacquero.
< Galbatorix deve essere il primo a saperlo… >
< Lo scoprirai a tempo debito… >

 
“Toc”
< Non apre nessuno >
Eragon bussò un’altra volta.
“Toc”
< Forse non c’è nessuno? > ipotizzò Roran.
< Mi sembra strano… >
“Toc”
La porta si aprì.
< Buongiorno > disse una ragazza dall’aria seria, che teneva in mano un fascio di lavanda. Eragon rimase a bocca aperta. La giovane per quanto fosse umana, gli ricordava molto Arya. Aveva boccoli scuri che le ricadevano sulla schiena e profondi occhi verdi. Profumava di pini silvestri e il suo odore gli ricordava quello dell’oceano.
Era bellissima.
< Cercate una stanza? > chiese. La sua voce era insolitamente profonda.
< Si, certo >
< Allora seguitemi > dispose la lavanda in un vaso e poi li condusse al piano di sopra, attraverso una scala di legno che a Eragon ricordava quelle di Ellesméra.
< Come vi chiamate? > chiese poi la giovane.
< Io sono Gordon > inventò Roran, < e lui è mio fratello. >
< Io sono Era… Era… >
< Eraldo! Si, si chiama proprio Eraldo! > azzardò un sorriso imbarazzato. < E tu invece? >
< Io sono Marya >
 
I territori imperiali differivano molto dal deserto di Hadarac. L’area era più umida e il suolo ricoperto da soffice erba verde. Murtagh era convinto che non sarebbe più riuscito a sopportare le torture inflittagli dai gemelli. Tutti i giorni sperimentavano sul suo corpo ogni sorta di incantesimo, e lo curavano solo quando arrivano al limite estremo.
Temeva di impazzire. O forse pazzo lo era già.
Si guardò intorno: le verdi pianure, i villaggi isolati, le praterie: era tornato a casa.
Individuò una pozzanghera e, all’improvviso, si sentì morire di sete. I Gemelli non lo avevano mia nutrito durante il viaggio, gli passavano solamente l’energia necessaria per non morire.
Aveva resistito alla fame, ma la gola gli bruciava come se un incendio la ustionasse dall’interno: davanti a lui la pozza d’acqua continuava a invitarlo.
Strisciò a terra, come un animale e si portò verso la pozzanghera. Cominciò ad assaporare l’acqua, a berne lunghi sorsi. Non gli importava nulla di sembrare un animale, né che l’acqua fosse più simile al fango.
Bevve per placare il fuoco che sentiva dentro.
Ad un certo punto, un piede gli spinse completamente il volto dentro alla pozza.
< Dove sono finiti i tuoi alti natali, Morzansson >
< Il figlio del braccio destro di Galbatorix costretto a bere come un animale >
< Il re non ne sarebbe contento >
< Dovremo ristabilirti! Sarebbe un’offesa nei suoi confronti se entrassi a Urû’baen conciato in questo modo… >
< E ti presentassi così al suo cospetto >
“E’ tutta colpa vostra! Assassini, traditori… Non ve la farò passare. Pagherete per avermi umiliato in questo modo!”
< Ti metterai al suo servizio, com’è giusto che sia! >
< Sarà una situazione interessante… >
I due si guardarono e si misero a ridere.
“Me lo volete dire?”
Sospirò e cercò di isolarsi dal mondo mentre i Gemelli riprendevano le loro torture.
< Thrysta > esclamarono e sentì ogni suo muscolo, ogni sua arteria comprimersi sempre più.
Urlò, ma questa volta non si trattenne.
Gridò il suo nome.

 
Roran si lasciò andare sul letto.
< E’ molto morbido > disse e chiuse subito gli occhi. Eragon invece rimase incollato alla parete.
< Cosa stai facendo? > domandò < Vieni a dormire… domani ci dobbiamo alzare presto… voglio arrivare a Dras Leona in giornata! >
< Zitto!> esclamò Eragon.
< Cosa stai facendo? >
< Sto ascoltando… >
“Quindi quando partiamo?” chiese una voce femminile.
“Appena gli ospiti se ne saranno andati” rispose Marya.
“Ragazze, non è un problema così grave…” disse un uomo.
“Secondo me, dovremmo liberarci di quella lettera il prima possibile.”
“Non devi farla così grave, Marya”
“Certo… se poi ci scoprissero con in casa una lettera destinata al Capo dei Varden dici te che hanno sbagliato a consegnarcela!”
“Come la fai difficile… sei proprio paranoica!”
“Ragazze, non litigate.. vedrai che risolveremo la faccenda!” concluse l’uomo.
< Roran!> Eragon cominciò a scuoterlo.
< Cosa c’è? >
< Hanno una lettera dei Varden >
< Che stai a dire? > il cugino sbadigliò.
< Hanno una lettera destinata a Nasuada che devono consegnare a qualcuno? >
< A chi? >
< Non lo so.. e se fosse Galbatorix? Ci hai pensato… >
< Katrina > borbottò Roran, che poi fece segno di no con la testa.
< Adesso cosa facciamo? > Eragon prese a camminare per la stanza.
< Partiamo per l’Helgrind? > suggerì il cugino.
< No… > il ragazzo continuò a muoversi, finché non si bloccò di colpo ed esclamò.
< Ci sono? >
< Che vuoi dire? >
< Dobbiamo rubare la lettera! >
< Cioè… tu… vuoi… >
< Rubarla prima che la consegnino a Galbatorix! >



The Author's Corner: ebbene sì: sono fan di Murty e Nasu (se non l'aveste ancora capito) Da qui inizia viaggio nelle torture di Murtagh che gli hanno inflitto i Gemelli (mi sono divertita a caratterizzarli... anche se in realtà li odio nel profondo -_- ) invece Eragon e Roran.... LOL
Al prossimo capitolo.... (che spero di ricordarmi di postare :P )

DawnRose

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Capitolo 6
*** Fate il vostro Gioco ***


CAPITOLO CINQUE: FATE IL VOSTRO GIOCO!
 
< Cosa vuoi fare? >
< Rubarla! Fregarla! >
< Ma noi… >
< Fidati: è per una giusta causa! >
< Ma… >
“Non ti preoccupare!” si intromise Saphira con tono scherzoso “Eragon ha una certa esperienza in queste cose…”
< Sul serio? > esclamò Roran guardando Eragon in modo divertito.
< Saphira… >
“Ha rubato delle pelli da Gedric e della carne da Sloan prima di partire da Carvahall…”
< Non è rubare! E’ prendere in prestito a tempo indeterminato! Glieli pagherò, prima o poi…  >
“Come no…”
< Lo sapete. Io sono un Cavaliere e mantengo sempre le promesse! >
< Ne sei sicuro? E in questo caso? Non possiamo mica dirgli: “Possiamo prendere in prestito una preziosissima lettera destinata al Capo dei Varden?" Sapete: è a tempo indeterminato!” >
< Ma Roran, si tratta di un furto a fin di bene! >
 
Urû’baen era una città oscura. Le strade del centro erano strette e si trovavano all’ombra dell’enorme costone sul quale era edificato il palazzo del re. Murtagh era nato e cresciuto lì, ma dalla fuga l’aveva sempre odiata.
Era il rifugio di Galbatorix l’origine dei suoi mali. Non avrebbe mai più voluto metterci piede, non dopo aver conosciuto lei, perché ormai aveva capito che la sua vera casa era dove lei si trovava.
Ma i Gemelli questo non potevano capirlo e ancor meno Galbatorix.
Loro non avevano mai amato una donna come Nasuada.
Loro lo avevano torturato, spezzato, ferito ma non erano riusciti a distruggere l’amore che provava per lei.
Questo era il loro più grande fallimento.
 
< Allora, come procediamo? >
< Semplice: tu li distrai, io agisco! >
< Io non voglio fare il palo! >
< Che c’entra. La questione è seria: e se in quella lettera fossero custodite informazioni segretissime? Piani di vitale importanza? Dobbiamo immediatamente riferirli a Nasuada. E’ una questione delicata e solo un Cavaliere può agire! >
< Ne sei sicuro? >
< Ascoltami Roran. Fin qui ho sempre scherzato perché ero estasiato dalla gioia di averti rivisto, ma da qui la questione si fa seria. Lady Nasuada ha dichiarato in caso di morte di volermi come erede, e ha affermato di aver riposto tutta la sua fiducia in me. E’ così che la ripago? Se c’è anche una minima informazione importante in quella cavolo di lettera, questa deve giungere assolutamente a lei. Non potrei mai accettare che la nostra missione fallisse per colpa di quello scritto. Dobbiamo recuperarlo, e siccome la missione riguarda maggiormente me, sarò io che rischierò >
Roran rimase senza parole.
< Quello che hai detto… è ammirevole! >

I due scesero le scale sorprendendo Marya e le altre due persone, una giovane dai capelli rossi e un uomo dalla chioma argentea, a discutere animatamente.
< Su > sussurrò a Roran.
< Scusate > disse lui, imbarazzato < La mia camera ha un problema! >
< Cosa è successo? > chiese l’uomo.
< Dovete venirlo a vedere tutti! >
< E’ grave? > chiese la giovane dai capelli rossicci.
< Ripeto: dovete vederlo di persona! >
< Mi stai preoccupando, ragazzo mio. La mia locanda è sempre stata considerata una delle migliori della città > aggiunse l’uomo.
< Forse perché l’unica > commentò Marya.
Lui la fulminò con lo sguardo, poi rivolgendosi a Roran chiese:
< Ce lo fai vedere! E’ una cosa risolvibile? Spero non ti abbia rovinato il soggiorno a Tol’Doron >
< Vi conduco alla camera! >
Roran si incamminò per le scale, seguito a ruota dai tre, mentre Eragon, con fare lesto e prudente, cercava disperatamente la lettera.
Apriva ogni cassetto di tutti i mobili che trovava, sfruttando i riflessi elfici conseguiti in seguito all’Agaetì Blodhren, cercando di fare meno rumore possibile.
Non dovevano scoprirlo.
 
Era seduto sul suo trono. Il re, un uomo non come gli altri. Quarant’anni dimostrava, e nessun segno di influenza elfica deturpava il suo corpo. Era umano, totalmente umano.
Non un filo bianco rovinava la sua lucente chioma nero corvino, non una ruga danneggiava il volto, dai lineamenti marcati e volitivi.
Era vestito completamente di nero ad eccezione del mantello, una cascata di stoffa argentata ricoperta da diamanti grandi e allungati… Murtagh lo osservò, poi se ne rese conto.
Non era stoffa e non erano diamanti.
Il mantello era di pelle di drago.
< E così giungesti a me, Murtagh figlio di Morzan >
I suoi occhi. Erano scuri come quelli di lei, ma così diversi…
In quelli di Nasuada lui leggeva il suo amore, la grande voglia di vivere, la forza di volontà… In quelli di Galbatorix… quegli occhi erano un abisso oscuro e solo rabbia e follia lampeggiavano attraverso le sue iridi.
< Non… mi metterò al tuo servizio >
< Non mi saluti? Neanche la buona educazione… Tu affermi che non ti metterai al mio servizio. Che decisione prematura. Non hai ragionato sui vantaggi e i privilegi che essere al mio servizio comporta? Pensaci Murtagh. Non farti influenzare su quello che i Varden dicono di me, non sono altro che un branco di cani rognosi, ma pensa a ciò che tu sai di me. Perché noi due ci conosciamo, vero? Imparerai col tempo che le voci e le dicerie ci dipingono in modo diverso da come siamo. Ti sembro forse un folle? >
< Si >
I Gemelli stavano per lanciargli un altro incantesimo –sicuramente il loro modo di torturarlo per l’ingiuria lanciata contro Galbatorix- quando il re li bloccò.
< Ammiro le persone che non hanno paura di esprimere le proprie opinioni, anche se, a dir la verità, odio coloro che si ribellano… una contraddizione, no? Eppure il mondo è contradditorio, la vita è contradditoria… > si fermò e volse gli occhi al cielo, il suo volto assunse un’espressione concentrata < Ti voglio fare un regalo >

< Qualcosa di speciale. Qualcosa di raro. Non un comune regalo. Solo se te lo meriti, ovviamente… >
Lo stava prendendo in giro. La situazione aveva qualcosa di assurdo. Era lì, dopo aver subito ogni sorta di torture, al cospetto di Galbatorix e lui voleva offrirgli un regalo?
“E’ proprio folle” pensò poi chiese < E di cosa si tratta? >
Lui sorrise.
< Ti piacerebbe diventare un Cavaliere Murtagh? >
La domanda lo sorprese.
< Seguimi…e vedrai >
Per un attimo stette immobile a ragionare, poi eseguì il suo ordine, andando incontro al proprio destino.
 
La trovò. Adagiata sul fondo di un cassetto, legata da un nastro di stoffa rossa. Era lei, la lettera.
Ammirò la pergamena pregiata, la scritta “Al capo dei Varden” in bella calligrafia, e si chiese da dove venisse. Sicuramente l’aveva scritta un informatore molto abbiente. Probabilmente veniva da una grande città, Dras Leona o Gil’Ead, oppure… “E se provenisse da Urû’baen?” si domandò “Chissà quali piani misteriosi contiene”.
Allora Eragon seppe di aver fatto la cosa giusta. Prese la lettera e la nascose nei pantaloni.
< Cosa stai facendo? > chiese una voce femminile.
 
Lo condusse in una sala sorvegliata a vista da un manipolo di soldati. Non vi erano finestre, e la stanza era avvolta nell’oscurità, rischiarata soltanto da alcune candele.
L’aria stantia era profumata da alcune incensiere che davano un profumo esotico e mistico all’ambiente.
Si sentì in trappole e si pentì di avere seguito il sovrano, in cui mantello brillava nel buio.
Galbatorix, seguito dai gemelli, si approcciò a una lastra sulla quale erano posati due scrigni. Ne prese uno e lo aprì davanti ai suoi occhi.
Adagiato tra piccoli cuscini di seta cremisi vi era un uovo di drago.
Pareva un enorme rubino, di un rosso pieno e lucente, liscio al tatto e freddo.
< Appoggia le mani > lo istruì Galbatorix.
Lo fece. Decise di seguire le istruzioni che lui gli dava.
Non successe nulla, e stava quasi per rimproverarsi mentalmente, perché così facendo si era consegnato al re, quando questi lo bloccò.
< Fermati, gli piaci >
< Cosa? > “Come è possibile?” si domandò.
Rimasero fermi ad osservare l’uovo, e nessuno, nemmeno i Gemelli, osava rompere quel silenzio denso di aspettative che si era creato.
Si dimenticò di essere a Urû’baen, si dimenticò di Galbatorix, dei Gemelli, delle torture subite. Contava solo l’uovo, e il piccolo drago al suo interno.
Il re era impegnato ad ascoltare i pensieri del cucciolo e a lui non rimaneva altro che aspettare…
E aspettare…
Un rumore improvviso lo scosse. Un lieve “crac” e una scheggia si staccò dall’uovo, facendo comparire una testolina color vinaccia, ricoperta da una viscida membrana.
Altri piccoli “crac” e l’uovo si ruppe completamente, lasciando uscire la creaturina rossa, che, per prima cosa, lo fissò dritto negli occhi.
< Avanti… toccalo > disse Galbatorix.
Il piccolo si voltò e guardò anche il re. Quasi sembrò che pensasse “E questo qui? Che vuole da me?”
Murtagh sorrise. E’ la stessa domanda che, certe volte, si faceva anche lui.
< Lo vuoi toccare… > lo esortò il re, e la sua voce aveva una sfumatura di ossessiva follia.
Murtagh allungò la mano, poi la ritrasse.
“Non posso condannare questo cucciolo a servire Galbatorix…”
Il drago lo fissò con lo sguardo più dolce che qualcuno gli avesse mai rivolto.
“Perché ti sei schiuso per me? Perché ti sei condannato da solo?"
Lui continuò a guardarlo intensamente.
“Non posso farlo. Lo sai… saremo entrambi condannati!”
Il drago stette immobile e spiegò le ali, dello stesso colore cremisi di Zar’Roc, la spada di suo padre.
< Ti vuoi muovere! > Galbatorix gli afferrò il braccio e lo spinse verso il cucciolo. La sua mano lo sfiorò.
Murtagh gridò.
Comprese Eragon in quel momento, perché non era dolore ciò che lo aveva sconvolto, era esaltazione. Era come se un frammento di sé, il migliore credeva, si fosse ampliato fino a comprendere una parte della coscienza del drago. Erano legati e solo la morte avrebbe potuto separarli.
< Adesso mi giurerai fedeltà? > chiese Galbatorix, con lo stesso tono che usano i bambini quando affermano che “tu fai un favore a me e io lo faccio a te!”
< Non lo farò mai >
< Jierda! > esclamarono i Gemelli e sentì le sue ossa spezzarsi.
< Non lo farò… mai finché il mio cuore batterà in petto! >
< Te lo strapperemo dal petto! > disse uno dei due maghi.
< Huildr > disse l’altro, e il suo corpo si fermò, prima di contorcersi tra atroci dolori.
Il cucciolo lo fissava con un enorme dispiacere.
< Tranquillo > gli sussurrò, mentre l’enorme sofferenza gli stava portando via le forze.
Avrebbe resistito. Per Eragon, il suo migliore amico. Per Nasuada, la donna che amava. E per… ancora non aveva nome, ma era il suo drago, il suo cucciolo e non avrebbe mai permesso che lui vivesse da schiavo.
< Non funziona… > Galbatorix si avvicinò a lui, il mantello volteggiava lucente come non mai.
< E’ quello lo spirito adatto Cavaliere. Sacrificarsi per ciò che si ama, proteggere il proprio drago. Tu non vuoi vederlo soffrire, giusto? > gli accarezzò il viso < Vero che non vuoi… >
Odiava il suo fare mellifluo e sapeva che ciò non prometteva niente di buono.
< Thyrsta! > Murtagh si aspettò di sentire il suo corpo comprimersi, ma il dolore che provò non derivava da questo. Sentì un mugolio di dolore. Il suo drago. Il suo cucciolo ancora senza nome.
“Come ha potuto… Io non lo lascerò soffrire…”
“No”
La voce del suo cucciolo che lo implorava di non consegnarsi a Galbatorix.
“Piccolo, tu stai soffrendo…”
“No”
< Siete ostinati… Diventerete più forti dei Rinnegati, più forti di qualsiasi Cavaliere mai esistito. Sarete secondi solo a me. Ma per fare questo, mi dispiace, ma devo continuare. Vindr >
Una folata di vento schiaffeggiò il drago, che resistette con tutto se stesso, emettendo solamente qualche verso di dolore.
Ma Murtagh non poteva vederlo sopraffatto dal dolore. Non voleva.
< Basta! > urlò < Mi arrendo! Mi metto al tuo servizio! >
Galbatorix sorrise. < sapevo che, prima o poi, lo avresti detto >
Il suo drago lo fissò. “Non avresti dovuto farlo” sembrava dire.
“Non potevo sopportare di vederti così.”
Il cucciolo voltò il muso dall’altra parte.
E a un certo punto, la sua mente, che aveva con così tanta determinazione difeso, si piegò di fronte alla malvagità del tiranno.
 
< Cosa stai facendo? > Marya era furibonda.
< Io… non volevo…  >
< La lettera! > esclamò lei.
< Volevate consegnarla a Galbatorix, vero? >
< No, non ci abbiamo mai pensato  >
< Mi stai mentendo? >
< Che significa? >
< Non maltrattare mia sorella o uccido tuo fratello! > l’altra ragazza li raggiunse trascinando con sé Roran, minacciato da un pugnale.
Il Cavaliere scoccò un’occhiata scocciata al cugino, che gesticolava in maniera scomposta come per dire “Te la sei cercata!”.
< E adesso? >
< Lasci stare mia sorella! >
< Voi mi lasciate la lettera! >
< No> ribatté lei . < E’ una cosa importantissima! >
< Certo, ma lo è anche per noi! >
< Noi chi? Ma chi siete? >
< Noi siamo… >
< Che succede? > l’uomo dalla chioma argentea arrivò di corsa, con il fiatone.
< Ci hanno attaccato! > disse la ragazza dai capelli rossi.
< Non è vero > ribatté Roran.
< Ma… >
< LETTA! > l’urlo dell’uomo zittì i quattro ragazzi, che, bloccati dall’uso della magia, non poterono altro che guardarsi negli occhi, in cagnesco.
< Cosa succede? > ringhiò lui.
“Sa usare la magia… allora, forse mi conviene rischiare.”
< Chi sono questi? Marya, Seselya degnatevi di rispondere! >
Eragon attirò l’attenzione su se stesso.
< Eka aì fricai un Shur'thugal >
L’uomo sciolse l’incantesimo e il Cavaliere poté mostrare loro il Gedwëy Ignasia, che splendeva argenteo sul palmo della sua mano.
I tre lo fissarono a bocca aperta.
Seselya commentò: < Dirlo prima no? >
 
Il cucciolo si aggomitolò accanto a lui. Pareva un gattino quando lo faceva.
Murtagh lo accarezzò e quando gli occhi rossi del drago lo trafissero, non poté altro che confessare:
< Non ce la facevo più a vederti torturato a causa mia >
Adesso non aveva più amici, né libertà, ma aveva lui e sapeva che non sarebbe mai stato solo.
< Cerchiamoti un nome, su… >
Lui cominciò a saltellargli intorno, cercando di spalancare le ali per volare, ma cadendo rovinosamente a terra come un cucciolo. Faceva così ogni volta..
“Murtagh” La sua voce pareva decisa.
Il giovane rise di gusto “Quello è il mio nome!”
“Nasuada”
“Ma dove l’avrai mai imparato questo nome… Lei… lei è mia amata! E poi è un nome da donna… non puoi usarlo!”
Il cucciolo emise un verso che assomigliava a una piccola risata.
“Eragon”
“Quello è il nome del mio migliore… nemico. Del nostro nemico”
Murtagh avrebbe dovuto iniziarlo a considerare un nemico; dato che ora lui apparteneva a Galbatorix non c’era più spazio per la loro amicizia.
I pensieri del drago si fecero sempre più curiosi.
< Il nome, il tuo nome… cosa possiamo fare! >
Il cucciolo rimase in silenzio, mentre un’idea gli balenava in mente.
< Castigo! Ti chiamerai Castigo, perché le tue fiamme saranno la giusta punizione per chi proverà a separarci o a farci del male! >
“Ca-sti-go” sillabò lui.
< Ti piace? >

“Sì”

Scusate il ritardo... La storia l'ho ormai terminata, devo solo postare i captoli. Strigliatemi pure se ritardo ancora così tanti mesi. Un bacio...
Dawn

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Capitolo 7
*** Le Mille Bolle Blu ***


 

 
CAPITOLO SETTE: LE MILLE BOLLE BLU 
 
La scena aveva dell’assurdo. Tutte le volte era assurda, per non dir ridicola. Non ci si sarebbe mai abituato e sperava che presto Galbatorix perdesse quell’abitudine detestabile. 
Ma lui diceva che era proprio lì che amava discutere dei problemi più gravi e su questo non poteva discutere, anche se, in cuor suo, sapeva che riceverlo in quella sala era solo una maniera per umiliarlo. 
La vasca occupava quasi tutta l’intera stanza. Essa era simile a una conca naturale scavata nella roccia e Murtagh sapeva che era frutto della grande magia, per non parlare della creatività, di Galbatorix. L’aria era satura del vapore ardente, che al tocco lasciava minuscole goccioline d’acqua. 
Il re amava immergersi nell’acqua bollente, per rigenerare il suo corpo ed elaborare nuovi piani che gli permettessero di estirpare, una volta per tutte, l’odiosa resistenza dei Varden. 
Lo faceva anche per giocare, un passatempo tanto infantile quanto crudele al tempo stesso, perché evocava ricordi della Caduta dei Cavalieri, e Murtagh non voleva pensare al mostro che era immerso dall’altra parte della vasca in un mare di schiuma. 
Galbatorix, che invece non pareva far caso al disagio del suo allievo, toccò con il dito una bolla bianca che volteggiava attorno a lui e la fece scoppiare. 
La lista dei nomi partiva sempre da lui. 
<  Lo uccisi > la storia era sempre la stessa < per ultimo, sulla torre di Edoc'sil. Egli aveva tentato fino alla fine di difendere il suo Cavaliere, ma invano. Ricordo ancora il sangue che usciva a fiotti dalla ferita mortale che IO- sottolineava sempre quella parola- gli ho inflitto. Insozzava le sue squame bianche, da sempre cantate dai poeti per la loro purezza e il loro splendore. Era stato uno dei combattimenti aerei più spettacolari che ricordi, Shruikan contro Umaroth, il nero contro il bianco, il nuovo che avanza e sconfigge il vecchio. Una vittoria che ricordo sempre con grande piacere, quella che mi ha aperto la strada alla creazione di un nuovo mondo! > Sospirò < Un vero peccato che il suo Eldunarì sia andato perduto nella battaglia di Dorù Areaba, dopotutto era un drago tra i più saggi e potenti! > 
Altre bolle colorate cominciarono a volteggiare attorno a lui, ne sfiorò una dorata, che sospinse verso Murtagh. < Glaedr > sussurrò. 
< Chi era? > 
< Era uno dei draghi degli anziani. E’ stato compagno del maestro di tuo padre. Morzan mi aveva implorato di lasciare che fosse lui a occuparsi di Glaedr e del suo Cavaliere, ma io preferii affidare l’incarico a Kialandi e Formora, due elfi che avevano deciso di seguire la via per il Nuovo Mondo e di unirsi ai Rinnegati. Volevo testare la loro fedeltà, e notai con grande piacere che elaborarono un attacco perfetto per sbarazzarsi di quello che fu il loro maestro. Tuttavia egli, forse il più saggio tra gli anziani, riuscì a sopravvivere ma i due gli inflissero ferite così gravi che è improbabile che siano sopravvissuti a lungo! > 
“Improbabile non significa impossibile” pensò Murtagh mentre faceva scoppiare la bolla color dell’oro. 
Galbatorix sorrise e il giovane capì che aveva intuito i suoi pensieri: < Recisero di netto la zampa del drago e gli inflissero numerose ferite. Per quanto riguarda il suo Cavaliere… gli impedirono di usare la magia, o questo almeno mi raccontarono. > 
Di fronte all’espressione vagamente sconvolta di Murtagh il re concluse < Chi oserebbe mai mentirmi? > 
Prese altre bolle, accarezzandole e poi facendole scoppiare. Haina, Belgabad, Miriel, ogni bolla era un drago, e ogni drago nascondeva una storia che si concludeva sempre con lo stesso tragico finale. 
Ad un certo punto il re, prendendo in mano una bolla blu zaffiro, si fece serio: 
< Ho scoperto che una lettera destinata al Capo dei Varden è scomparsa da palazzo… Come è potuta accadere una cosa simile? > 
“Mi ha scoperto… però non ha detto esplicitamente ‘ una lettera scritta da te ’. Forse ignora il fatto che abbia scritto io quella lettera. Che fare?” Murtagh decise di assecondare il re. 
< Come lo hai scoperto… > 
< La servitù parla: è evidente. E così ho anche scoperto che tu eri a conoscenza di quella lettera. Perché non me l’hai riferito? > La sua voce pareva tranquilla. 
<  Ecco… io… > 
< Perché non me l’hai riferito > ora era veramente più arrabbiato. 
< I Varden > continuò < sono in mezzo a noi e cercheranno con ogni loro mezzo di ostacolarci! Se tu ti fai fregare una lettera di vitale importanza da sotto il naso non ci sbarazzeremo mai di loro! Te ne rendi conto! Adesso non solo dovremo spendere energie e uomini per recuperarla, ma corriamo il rischio che riescano ad ottenere informazioni importanti sulle nostre attività. > 
< Me ne occuperò io > 
< No, hai già sbagliato troppe volte. Prima lasciandoti sfuggire tuo fratello, poi questa storia della lettera… Sei stato ribelle in passato e non voglio avere altre complicazioni. Per questo tu resterai qui, ad allenarti a combattere contro Eragon e Saphira, per portarmeli qui! > prese la bolla blu e la fece scoppiare con rabbia 
 
<  Ma… > 
< Quali ma e ma! > la sua voce pareva un ringhio < Sei stato un vero incapace Murtagh! Sei un Cavaliere, sei il figlio del grande Morzan, il mio più fedele e capace servitore e credo che anche il più comune mago della Mano Nera sarebbe stato in grado di portare a termine i compiti che ti ho affidato! Ora sparisci! > 
Murtagh si alzò e se ne andò avvolgendosi in un telo, ma prima che il suo corpo bagnato potesse asciugarsi Galbatorix urlò: 
< Kvekvya! > 
Sentì il suo corpo bruciare, i sensi mancargli, la testa esplodergli. Non poteva essere andato così oltre: sentì le forze venirgli meno e si chiese se il re non avesse esagerato questa volta. In un certo senso sarebbe stato ben felice di accasciarsi ai suoi piedi e di dimostrare che, nella sua rabbia, egli non era affatto perfetto. 
< Sappi che non ho voluto ucciderti… ma avrei potuto farlo! > commentò Galbatorix. 
 
Irwin si presentò in anticipo nella Sala del trono del re. Quando questi lo aveva convocato di persona il giovane si era sentito finalmente importante. Era al servizio della Mano Nera da meno di due anni e ammirava il sovrano con tutto se stesso. Lo considerava un riformatore, un idolo, pendeva dalle sue labbra ed era della convinzione che i Varden non fossero altro che un branco di rozzi idioti che non sapevano che la vera giustizia risiedeva negli ordini di Galbatorix. 
Ma nessuno al mondo è perfetto, se non il grande sovrano, e lui era ben contento di volgere le sue arti magiche al suo servizio. Lui, ne era certo, avrebbe reso il mondo un posto migliore. 
< Irwin > lo aveva chiamato! Adorava il modo con cui pronunciava il suo nome: le vocali aperte, le consonanti rese dolcemente, la voce calda e suadente. 
< Mio signore > si prostrò ai suoi piedi in maniera adorante. 
< Alzati! > 
Irwin si alzò e guardò il re dritto negli occhi. Occhi neri, abissi oscuri, pozzi senza fine… Annegarcisi dentro, solo per un istante, era per lui un piacere inestimabile. 
< Irwin… mio adorato, giovane Irwin, sai perché ti ho fatto chiamare? > 
Il ragazzo accennò un no con la testa. 
< Perché mio caro ti devo affidare un compito segretissimo, di vitale importanza, che tu accetterai vero? > la sua voce era così maledettamente convincente che nessuno sarebbe stato capace di dirgli di no. Irwin accettò subito. 
< Siediti qui, accanto a me > Il mago si accomodò ai piedi del trono, mentre Galbatorix, con un sorriso sardonico stampato sulle labbra, iniziò a spiegare: 
< Qualcuno si è introdotto a corte e mi ha rubato una lettera di vitale importanza destinata, guarda un po’, al capo dei Varden in persona! Ora io sono impossibilitato a recuperarla di persona, lo sai devo pensare solo al meglio per il paese, e vorrei che tu ti occupassi di riportarmela a corte! > 
< Io? Dice sul serio? > era sconvolto. Il re si fidava così tanto di lui? 
< Si… sei giovane, sei promettente e rivolgi in me stesso tutta la tua fiducia verso il futuro. Sarei uno sciocco se non ti dessi la possibilità di trasformare la tua sconfinata devozione in qualcosa di più importante, qualcosa che possa non solo essere utile a me stesso, ma ad Alagaësia intera. Questa inutile guerra ci sta distruggendo, Irwin. I Varden non riescono a capire che il mondo vecchio ormai è polvere, ed è sorta una nuova era, l’era degli umani. Nani, Urgali ed Elfi, per non parlare di tutte le razze sconosciute presenti oltre i confini di questo nostro impero, si prostreranno ai nostri piedi, onorandoci come la razza che ha sconfitto la sua natura debole e viziosa per raggiungere la perfezione. Io sono l’immagine di questo prodigioso cambiamento e proprio non riesco a capire perché aspirino a tornare ai tempi in cui gli esseri dalle orecchie-a-punta ci comandavano a bacchetta! > 
< Ma i Varden non sono umani? > chiese Irwin, confuso. 
< Infatti… l’essere umano è una creatura per sua natura imperfetta eppure non riesco a capire come loro vadano contro la loro stessa razza. E’ controproducente: fratelli contro fratelli, umani contro umani, carne e sangue. Dimmi Irwin quale prezzo siamo disposti a pagare per rendere il mondo un posto migliore? La mia corona gronda sangue umano, ed è da un secolo che continua ad essere lorda delle mie colpe. > 
< Mio sovrano, Alagaësia è un luogo migliore da quando lei è al governo! > 
< Sono i sorrisi dei giovani come te che mi convincono di aver intrapreso la giusta strada. > 
Il mago rimase in silenzio e Galbatorix continuò: 
< Devi recarti a Tol’Doron, villaggio situato nella piana a cinquanta miglia dal Lago di Leona. E’ stata portata là… devi riportarmela, integra o distrutta! > 
< Mio Signore ogni suo ordine per me non è un obbligo ma un privilegio > 
< Mi piace sentirti dire così… e ora parti! Completa la tua missione e portami quella pergamena affinché io, Galbatorix, possa decidere il suo destino! > 
Irwin si alzò, fece un inchino talmente profondo che si sbilanciò proprio di fronte al re, e con sommo imbarazzo lasciò la Sala del Trono. 
 
Murtagh era appostato su un balcone del palazzo. L’aria fresca della sera gli scompigliava i capelli e stranamente si sentiva di buon umore. Guardò di sotto: Irwin, uno dei maghi della Mano Nera, stava lasciando in fretta e furia la città per recuperare la lettera. La SUA lettera. 
Frasi confuse gli balzarono in mente: “Galbatorix, quel pernacchio…”, “Non avrei mai voluto farlo, un giuramento imposto non è più forte dell’amore che provo per te…” “Te lo avrei voluto dire dal primo istante in cui ti ho vista…” “Io ti amo”. 
Se Galbatorix l’avesse letta non sarebbe vissuto abbastanza da vedere l’alba sorgere. 
“Castigo ti va di affrontare un viaggetto?” 
“Lo sai: sono sempre pronto. Dove andiamo di bello? Lo sai che le pianure ardenti erano proprio belle… Fumose e infuocate: il luogo perfetto per un drago!” 
“Allora troverai il prossimo posto un po’ noiosetto…” 
“Dove si va?” 
“Tol’Doron!” 
“Dove? Non ho capito…” 
“Un villaggio insignificante… dove pare sia finita la nostra lettera!” 
“Quindi ce l’andiamo a riprendere!” 
“Esatto!” 
“E poi la consegniamo a Nasuada!” 
“Esat… beh adesso non corriamo troppo!” 
“Ma io lo so che tu la vuoi dare a lei, vero?” 
“Smettila Castigo!” 
“Io dico solo quello che tu pensi! Ti ricordi: sei il mio Cavaliere!” 
“Uffa! Non ti sopporto quando fai così!” 
“Gne gne gne… guardati Murtagh: sei uno schiavo, triste e infelice e le uniche occasioni che ti potrebbero dare anche un briciolo di felicità le rifiuti senza neanche pensarci su un attimo.” 
“Cosa vuoi dire?” 
“Che tutto ha una soluzione e che tu, questa soluzione, non solo non la vedi, ma ti rifiuti persino di cercarla!!” 
Murtagh sospirò. 
“Allora si parte?” 
“Allora si parte!” 
 
Galbatorix si sollevò dal trono con grazia. Il mantello, in questo caso ricavato dalle ali di un drago dorato, svolazzò alle sue spalle. I rubini della sua corona luccicavano di riflessi cremisi. 
Si appoggiò alla finestra guardando l’orizzonte. 
Un drago rosso si librò nel cielo e sparì tra le nuvole nere. 
Il re sorrise. 
“La resa dei conti è vicina” 
 

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Capitolo 8
*** Incontri e Scontri ***


CAPITOLO OTTO: INCONTRI E SCONTRI 

-Atra Esterni Ono Teldhuin, Saphira Bjartskular-
“Eh basta con sti “Atri esterni con le tende”! Ma che razza di saluto è?” pensò Roran. 
La dragonessa rispose divertita “Che le stelle possano proteggervi!” 
I tre continuavano a fissarla, i loro sguardi erano carichi di aspettative e di speranza. 
-Se queste zanne- sussurrò Marya indicando le fauci di Saphira -sono affilate quanto sembrano, ficcale nel capo di Galbatorix da parte mia!-
“Sarà per me grande piacere farlo, giovane Marya” 
-Eragon… sarai un grande Cavaliere. Ci libererai da quella nera piaga di Galbatorix. Lo farai, vero?- chiese Evan supplicante. 
-Lo farò. Non l’ho giurato solo a voi, ma ad ogni essere vivente di Alagaësia, sia esso uomo, elfo, nano o Urgali. L’oscurità sarà sconfitta e non ci sarà più tiranno a dominare questo paese.-
-E’ ammirevole: quello che dici riflette una grande maturità- commentò Seselya. 
Eragon arrossì, mentre Roran borbottò: -Ma certo… adesso sta qui a ricevere complimenti… mentre la mia Katrina soffre rinchiusa in buco nero in compagnia di quei vermi infami di Ra’zac! Fortuna che dovevamo salvarla il prima possibile, eh?-
-La salveremo Roran.- Eragon gli mise dolcemente la mano sulla spalla -Te l’ho promesso. Io mantengo sempre le promesse, soprattutto quelle fatte a mio cugino!- 
Lui gli rivolse un’occhiata scettica, ma non controbatté. 
“Avresti dovuto pensarci te a Katrina, e difenderla finché ne avevi la possibilità” lo gelò Saphira “Questo viaggio lo abbiamo fatto per te, altrimenti Eragon avrebbe avuto molte altre cose da sbrigare, sinceramente più importanti della tua ragazza.” 
Roran ammutolì. 
-Voglio bene a Katrina. E voglio bene a te. Non sopporterei che Galbatorix la usasse come esca nei tuoi e nei confronti. Sappi che cederei. So che dobbiamo salvarla, e sto pensando ogni giorno al modo in cui irrompere nella nera montagna. Poi ci vendicheremo. Della morte di nostro padre, di Brom, del rapimento di Katrina e di tutte le sofferenze che hanno causato. I Ra’zac si estingueranno… per mano nostra! Pensaci, Roran, pensaci!-
-Allora perché non partiamo subito?- 
Fu Marya a intromettersi. -Perché dobbiamo ancora risolvere la questione della lettera!- 
-E perché non vi conviene mettervi in viaggio a quest’ora- continuò Seselya. 
-Le mie figlie hanno ragione- la voce di Evan era tranquilla e saggia e aveva il potere di tranquillizzare Roran. -Aspettate fino all’alba di domani. Arriverete a Dras Leona in giornata.- 
-Grazie Evan- balbettò il cugino. 
“Siete stati gentili con il mio Cavaliere… e con suo cugino” disse Saphira. 
“E’ il minimo” rispose Evan con voce galante. 
Eragon rise. 

Murtagh e Castigo stavano sorvolando i cieli blu di Alagaësia. L'unico pensiero del giovane era di recuperare quella lettera prima che Galbatorix se ne impadronisse e l'unico pensiero del drago era di fare felice il suo Cavaliere. 
Tuttavia Castigo si stava annoiando a morte: Murtagh era infatti di poche parole e il viaggio si stava rivelando triste e silenzioso. 
Allora, per passarsi il tempo e per tirare su il morale al suo adorato Cavaliere il drago trovò un passatempo. 
"Giochiamo agli indovinelli?" gli chiese. 
"A cosa?" 
"Indovinelli! Non dirmi che non ci hai mai giocato?" 
"Si però..." 
"Questo viaggio si sta rivelando un vero mortorio! Ti prego Murtagh, non sopporto di vederti così triste. Non devi pensare sempre al peggio. Ricordati: quella lettera non è ancora nelle mani nel re. Finché girerà per l'impero ci sarà sempre la possibilità di recuperarla. E poi non deve finire per forza nelle grinfie di Galbatorix... Sai potrebbe essere ricevuta anche da Nasuada in persona!" 
"È una possibilità anche peggiore!" 
Il drago rosso fece una piccola evoluzione aerea, sbalzando leggermente il suo Cavaliere dalla sella. 
"Che stai facendo? Hai rischiato di uccidermi!" 
"Esagerato... Davvero preferisci che la legga Galbatorix al posto di Nasuada? Lui dirà: -il mio fedele servitore in realtà è un traditore. Per giunta un traditore innamorato! Che delusione! Dovrò proprio punirlo…- Lei invece penserà: -Che dolce! Mi ha scritto una lettera d'amore sfidando il re e il suo giuramento.- C'è una grande differenza!" 
Murtagh, imbarazzato, gli chiese: 
"Ma non stavamo parlando di indovinelli?" 
Il drago rise: 
"Eviti sempre questo spinoso argomento. Come mai?" 
“Ehm..” il ragazzo si schiarì la voce ed intonò: 

Membrana di pelle 
Ne sentirà delle belle, 
Degli abitanti del deserto 
Io sono lo strumento 
Il suono è duro 
La risposta è... 



"Il tamburo!" 
"Bravo!" 
"Era scontato... Ma noi non stavamo parlando d'altro?" 
"Di indovinelli Castigo... Parlavamo di quesiti, indovinelli, giochi..." 
"E di lettere. Di lettere d'amore!" 
Murtagh cercò di cambiare argomento, prima che il suo viso si tingesse dello stesso colore delle squame di Castigo per l’imbarazzo. 
"Sai, conosco un altro indovinello un po' più complicato!" 
Il drago emise uno sbuffo divertito. 

Piccola, grande, di ogni dimensione 
Di mura è circondata con precisione 
Edifici, piazze, strade e locali 
Sento tra loro brindare i boccali 
Preparata ad accogliere ogni passante che verrà 
Tutta mia è la… 


Il drago rispose, quasi scocciato per la semplicità del quesito. 
“Città!” 
“Sei veramente bravo, Castigo!” 
"Ma è troppo semplice! Al contrario di una certa questione di cui ti ostini a non volerne parlare..." 
"Non devo per forza parlarne ogni giorno della mia vita!" 
"Si tratta di una questione importante! Se siamo in viaggio è solo colpa della lettera. Anzi colpa tua che l'hai scritta!" 
"No! È colpa tua che mi hai ispirato e mi hai costretto a scriverla!" 
"Costretto! Che parolone... Comunque è sempre colpa tua, perché potevi anche scegliere di non darmi ascolto!" 
Murtagh scosse il capo. "É impossibile reggere un confronto con te!" 
Castigo ridacchiò. 
"Allora il prossimo indovinello..." 
"Se non ti dispiace, il prossimo lo risolvi te!" 
"Che cosa?" 
"Non sono solo capace di risolverli, ma anche di crearli. E poi i tuoi sono troppo facili e, come si può dire... Banali!" 
"Sentiamo allora il difficilissimo e originalissimo indovinello del drago Castigo!" 
"Lo troverai molto divertente!" 

Pelle d'ebano, occhi carbone 
Nobile il sangue del suo blasone 
Come guerriero è il capo dei ribelli, 
Come principessa è la più bella tra i belli 
Le sbavi dietro ovunque lei vada 
Si tratta proprio di Lady... 


"Castigo!" 
Il drago improvvisamente eseguì un'altra manovra aerea, sbalzando dalla sella il suo Cavaliere, che, con il cuore in gola, imprecò. 
"Mi dispiace riposta errata! “Lady Castigo”… Ma come ti viene in mente? Io? Una Lady? " Il drago quasi soffocò per le risate. 
"Dovrei chiederlo io a te!” rispose Murtagh alterato “Ma che razza di indovinelli ti vengono in mente?" 
"Dimmela!" esigette il drago. 
"Cosa?" 
"La risposta! Ovvio..." 
"Perché mai dovrei dartela?" 
"Non sarò contento finché non me la darai!" 
Lui ci pensò su, poi, esasperato, urlò: 
"Nasuada! La risposta è Lady Nasuada!" 
"Bravo! Visto che non era difficile..." 

-Torniamo alla locanda- 
I cinque procedettero, mentre Saphira li avvisò che avrebbe passato la notte a cacciare. 
“Mi raccomando… se vedi un soldato imperiale ingurgitalo!” scherzò Seselya. Gli altri la guardarono storto ma Saphira, ridendo, commentò: 
“Certo che lo farò… Le armature sono gustose e danno quel tocco in più che non guasta!” 
“Saphira…” 
“Io non sono vegetariana come te. Le formiche sono le formiche, i soldati sono soldati e i draghi sono draghi. Devo forse ignorare la catena alimentare?” 
Eragon tacque. Non aveva voglia di discutere, non in quel momento. 
Forse aveva ragione Roran, forse sarebbero dovuti partire subito… Non voleva ammetterlo, ma in quella locanda aveva trovato, dopo tanto tempo, un briciolo di quella calda atmosfera chiamata “casa”. 
“Siamo arrivati!” esclamò Evan. 
“Eragon aprì la porta!” lo invitarono le ragazze. 
Il Cavaliere si guardò intorno. Non avvertiva nessuna minaccia. Ma allora… perché chiedergli questo. 
“Perché?” domandò. 
“Fallo e basta” disse Marya. 
Il giovane aprì la porta e… 
SORPRESA!! 
“Eraldo questa è una festicciola per te” esclamò Marya, cambiando apposta il nome del ragazzo. 
“Gli invitati sono tutti Varden, ma la prudenza non è mai troppa! State in guardia… e divertitevi ragazzi!” Evan sparì dileguandosi su per le scale. 

Le ali nere di Shruikan avvolgevano l'intera sala come una cortina di fumo. Oscure, sottili, gettavano la loro ombra sull'intera stanza. Galbatorix era seduto sul suo trono, al centro del nero bozzolo. 
Le candele gettavano inquietanti riflessi rossi sul suo volto, sul quale era stampata un’espressione truce. 
"Sono scappati!" 
La voce profonda del drago rifletteva inquietudine e preoccupazione 
"No, Shruikan. Li ho lasciati scappare... “ Il re era tranquillo. 
“È diverso." 
"Perché lo hai fatto?" la voce mentale rimbombava tra le forti muraglie della sua mente. 
"Perché bisogna guardare il fatto da un'angolazione diversa... Murtagh è veramente agitato a causa di quella lettera: probabilmente ci ha mentito, conosce il suo contenuto e vuole recuperarla ad ogni costo. Povero illuso: non si è reso conto che io lo tengo sotto controllo e non c’è nulla che può nascondermi!” Sorrise 
“Per Irwin questa missione è il mezzo attraverso il quale ottenere i miei favore, per attirare la mia attenzione su di lui. Anche qui sono stato previdente e ho scelto il mago adeguato, perché non si farà nessuno scrupolo a seguire i miei ordini. " 
Stavolta rise. 
"Entrambi sono determinati a recuperare quella lettera e il fallimento sarebbe per loro inaccettabile. Per questo ho lasciato andare Murtagh: se fosse per malagrazia successo qualcosa ad Irwin, avrebbe pensato lui a trovare quel maledetto scritto. E la missione avrà così un solo vincitore..." 
Accarezzò il collo del drago nero. 
"Me" 


Hola zii! Posto dopo mille anni, mi spiace molto, ma me ne scordo sempre. (ehehe la maturità e i test universitari  si fanno sentire)
Alla prossima,

Dawn

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Capitolo 9
*** Tha m'Intinn Raoir ***


CAPITOLO NOVE: THA M’INTINN RAOIR 

Una festa a sorpresa! 
Eragon era rimasto a bocca aperta... Avevano pensato a lui! Erano stati così gentili… 
Una festa… e lui era il festeggiato! 
Rivolse uno sguardo adorante a Marya, che gli sorrise. 
-Non te l'aspettavi, vero?-
"Come avrei potuto... Io sono in missione, non avrei tempo per le feste a sorpresa... Anche se... Forse io... È da quando sono partito da Ellesméra che non ho più partecipato a una festa... A dir il vero, non è che sia stato dell'umore adatto, specialmente dopo quello che è successo nelle Pianure Ardenti. E una festa a sorpresa... Non ne vedo da quando sono partito da Carvahall! Katrina può aspettare... Lo ha fatto fino ad ora!" 
I suoi pensieri confusi si tradussero in un breve ma entusiasta –No-
-Allora andiamo!- la ragazza lo prese sotto braccio e lo condusse verso il centro della grande sala nella quale era stata allestita la festa. 
Un nutrito gruppo di Varden gli venne incontro. Entrambi reggevano al gioco creato da Evan nel caso qualche sostenitore di Galbatorix si fosse imbucato alla festa. 
-È un onore conoscervi, Eraldo- gli disse una donna, ma nel suo sguardo si leggeva tutta la sua eccitazione, perché il ragazzo con cui aveva parlato non era un "Eraldo" qualsiasi, ma Eragon l'Ammazzaspettri in persona. 
-Il piacere è tutto mio- rispose molto imbarazzato. 
Eragon non era capace di affrontare una folla di sostenitori in vena di adorazione. Non ci riusciva... Il suo viso si tingeva di rosso e cominciava a balbettare risposte senza senso. 
Se solo Galbatorix lo avesse saputo... 
Era il suo peggior punto debole, ne era a conoscenza, ma ancora non aveva trovato la maniera adeguata di risolvere la faccenda. 
Decise di riderci su: era capace di affrontare soldati, maghi e draghi, ma tenere testa ad una folla di adoratori che avrebbero dato qualsiasi cosa per scambiare anche solo una parola con lui... Era troppo anche per il Cavaliere! 
-Che la festa cominci!- esclamò Seselya, reggendo uno strumento musicale che il Cavaliere non aveva mai visto in vita sua, almeno non tra gli esseri umani. 
Aveva una forma particolare, arcuata, ed era costruito interamente in legno. Nell'altra mano la giovane teneva un archetto. 
Assomigliava in maniera impressionante a quegli strumenti elfici che aveva sentito suonare all'Agaeti Blodhren. Che lui ricordasse, il loro suono allegro e vivace faceva venir voglia di mettersi a ballare. 
Seselya si mise in un angolo della sala. Poggiò l'archetto sulle corde dello strumento e... 
La nota emessa richiamò l'attenzione di tutti, che si voltarono vero la ragazza. Allora lei fece un segno a Marya, che cominciò a intonare una canzone... 

Tha M'Intinn Raoir, a nochd' sa raior 
Is fad na h'oidhche bho'-raior 
Tha m'intinn raior, a nochd' sa raoir 
Aig ceann tigh Choinnich Dhomhaill 


Era impressionante sentirla cantare. La sua voce era melodiosa, cristallina… Era così limpida da poter essere paragonata a quella degli elfi, non c’era dubbio. Non era gracchiante come quella della maggior parte degli umani, no di certo… 

Ged a sheol mi fada bhuaip 
Air long nan crannaibh caola 
Tha mo chridhe'n Grabhair 
Aig Anna Choinnich Dhomhaill 


La canzone era cantata in uno strano linguaggio, non quello degli umani, musicale e cristallino… Una lingua che lui sentiva di conoscere… Non era possibile… era proprio l’Antica Lingua! Come faceva Marya a conoscerla? E a saperla così bene! Le parole scorrevano veloci l’una sull’altra, come un fiume in piena di suoni e musica, e il senso della canzone si perdeva nell’adorata dolcezza della melodia… 
Eragon si fermò, ormai non si muoveva… Era perso in quel turbine, e ogni nota, ogni parola era miele per le sue orecchie… 

Sioban na mara 
Tha dol seachad air gach taobh dhiom 
Iomhaigh mo leannain ann 
Anna Choinnich Dhomhaill 


La ragazza ripeté il ritornello un’altra volta, poi tacque. Seselya prese fiato, poi posò di nuovo l’archetto sullo strumento… 
Una musica travolgente invase la sala in tutti i suoi colori, in tutta la sua dinamica. Eragon, che prima era assorto nelle parole della canzone, sentì l’incontrollabile impulso di mettersi a ballare… Non gliene importava del fatto che non avesse la minima idea di come muoversi né che fosse consapevole del fatto che la sua grazia era pari a quella di un drago ubriaco, doveva mettersi a ballare. 
Prese Marya sotto braccio e la trascinò in mezzo alla sala. 
… 
Il violino cambiò il tema principale. Marya si dileguò come un’ombra, ma Eragon non riusciva a fermarsi. Non voleva fermarsi. Vide Roran che si dava alla pazza gioia circondato da un folto gruppo di ragazzi e, soprattutto, ragazze. In mezzo alla musica gli chiese -E Katrina?-
Lui ridacchiò… la sua risposta si perse tra le note… 
-Katrina chi?-
… 
Eragon continuava a volteggiare. Da solo, in coppia, in gruppo… non riusciva a smettere di ballare. Ad un certo punto gli si approcciò un ragazzo sorridente dai capelli ricci e dagli occhi marroni, che gli strinse la mano con forza, deciso a non mollargliela più. 
-Io sono Herik!- gli disse. 
-E io sono Eraldo- rispose il Cavaliere. 
-Certo Eragon, e io sono Herik! Piacere!- 
… 
Il violino cambiò ancora la melodia principale, e il Cavaliere si ritrovò di nuovo coinvolto in un ballo sfrenato... 
Il ragazzo continuava a tenergli la mano. Il suo -Sono Herik...-, ripetuto mille e più volte con l'eccitazione di un bambino, si confuse con la melodia, in turbinio di note e parole... 
… 
Ballò per tutta la notte, finché, sfiancato e stanco, non sentì la fatica premergli sulle gambe e la milza provocargli dolore ad ogni passo. 
Si ritirò in camera sua, mentre Roran era intento a sgolarsi due boccali di birra. 

Murtagh prese il boccale di birra e ne ingurgitò il contenuto. 
Faceva schifo. 
Era arrivato in quella città con l’intenzione di ritrovare in fretta la lettera e di andarsene il prima possibile. Ma la notte, e la fame, lo avevano sorpreso all’improvviso ed era stato costretto ad entrare nell’unica locanda del villaggio, un antico edificio completamente in legno. Si era guardato intorno e si era seduto al bancone senza proferir parola. Intanto nella sala accanto era in atto una festa. Una canzone risuonava nell’aria. 
Si rese conto di conoscerla… 
Era una ballata elfica… ne era sicuro. “Tha M’Intinn Raoir”, quello era il titolo. Si chiese, allora, come era possibile che in quel villaggio sperduto la conoscessero? Forse era famosa anche lì: lui l’aveva sentita per la prima volta alla corte di Galbatorix. I giullari la cantavano nella lingua degli umani, ma il re la conosceva nel suo splendore originale e qualche volta, la intonava pure. 
Affermava spesso che gli ricordava i tempi della Caduta dei Cavalieri… quando gli elfi li intonavano per le loro compagne. 
Una storia d’amore, un marinaio e la sua donna, divisi dal mare… 
Si mise a canticchiarla, ma le parole ormai, mutavano da sole e non fu più la storia di due amanti qualsiasi, ma la storia di Murtagh, Cavaliere dei Draghi e del suo amore contrastato per Lady Nasuada figli di Ahjiad. 

La mia mente stanotte e la notte scorsa 
E tutte le notti prima… 
La mia mente stanotte e la notte scorsa 
È in una cella del Farthen Dûr 


Le parole cambiavano, e la musica non fu più una ballata struggente scritta da un elfo orecchie-a-punta per la sua amata tanti anni prima… 
Divenne qualcosa di intimo, personale. Qualcosa di speciale. 
Dedicato a lei, dedicato solo a lei. 

Anche se navigai lontano da lei 
sulle ali di un drago color rubino 
Il mio cuore è a Feinster 
con Lady Nasuada 


La musica è fatta così… ti conquista e ti fa suo, mentre lei, piano piano, entra nel tuo cuore. 

Il vento al mio passaggio 
Soffia ad ogni lato 
Ha l’immagine del mio tesoro… 
Lady Nasuada figlia di Ajhiad. 


Chiese un altro boccale di birra, sperando che nessuno lo avesse sentito cantare. 
Sfortunatamente non era stato così: il proprietario del locale, un uomo dalla lunga chioma candida e dagli occhi verdi, doveva avere ascoltato tutta la sua personale “versione” della canzone. 
-Non te l’hanno mai detto che hai una splendida voce?- 
-Beh, io, veramente…-
Imbarazzato, si alzò in fretta e furia. 
Gli lasciò due monete d’oro sul bancone e se ne andò. Passando per la sala dove si stava svolgendo la festa, notò un ebete che, non seguendo per nulla il ritmo della musica, si agitava quasi avesse le convulsioni da un lato all’altro della stanza. 
Rise. 
Non sapeva perché, ma quel ragazzo gli ricordava proprio suo fratello Eragon. 

Irwin entrò nella locanda. Galbatorix gli aveva confidato che la lettera doveva trovarsi proprio lì. 
“Come fa a saperlo, mio signore?” gli aveva chiesto. 
“Io so tutto mio caro Irwin” gli aveva risposto il re “Nulla mi è nascosto, nulla si può opporre a me e nulla resiste alla mia forza.” 
Il giovane mago guardò la targa appesa alla porta del locale. 
“Locanda del Drago” 
Aprì la porta, e la musica lo investì in tutta la sua potenza. Stavano festeggiando… 
“Ancora meglio” pensò e, con molta prudenza, si intrufolò all’interno della locanda. “Vi renderò felice, maestà” disse tra sé e sé “Troverò quella lettera e ve la porterò. Solo la morte mi potrà impedire di portare a termine i vostri comandi!” 

Nota1: la canzone esiste veramente. Si intitola come il capitolo, ovvero Tha m'Intinn Raoir ed è del gruppo folk irlandese Cherish the Ladies. La parte di Murtagh corrisponde a una traduzione "modificata" della canzone. Considerate questa nota come un disclaimer.
Nota2: L'Herik che appare è il personaggio di un'altra mia storia (qui non pubblicata) grande ammiratore di Eragon. Era un suo cameo, e ho preferito non tagliare questa parte.
Alla prossima,

Dawn

 

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