Primrose Everdeen

Sento le gambe molli, il sudore sul viso e gli occhi con ancora il riflesso della paura. Sono immobilizzata, un piede ingessato e una fitta dolorosa al collo. Cerco di mettermi seduta ma i conati di vomito me lo impediscono. Giro la testa per cercare di capire meglio cosa potrei farci qui e prendo spavento quando vedo un bambino su un letto di fianco al mio.
«Chi sei?» chiedo con voce tremante. Ha i capelli castani scuro sporchi di fuliggine, abbastanza corti, e gli occhi grigi come quelli di mia sorella. Mia sorella.
Dov'è mia sorella?
«Mi chiamo Bill, Bill Cresta» risponde lui sorridendo un po'.
«Cresta...» dico sottovoce. Quel nome l'ho già sentito nel Distretto 13. Ma certo, Annie Cresta, la fidanzata di Finnick Odair!
«Sei un parente di Annie Cresta? Io comunque sono Primrose, ma chiamami Prim» dico spontaneamente.
Lui si rattrista.
«Esattamente, Prim. Sono suo cugino. È imprigionata anche lei qui a Capitol City!» bisbiglia.
«Anche lei imprigionata? Aspetta un momento… ma noi non siamo imprigionati, vero?»
«Beh, sì» risponde Bill, scrollando leggermente le spalle. «Almeno credo»
Si alza e si mette davanti al mio letto, stringendo i pugni nelle tasche dei corti pantaloncini.
«Mio padre lavora qui, anche se io sono del Distretto 4. In ogni caso, ho sentito che qui, oltre a mia cugina, sono imprigionati un certo Peeta Mellark e una… Johanna Mason»
«Peeta Mellark?» faccio un balzo così veloce dal letto al pavimento che credo di essermi ancora rotta di più il piede. Comincio a lamentarmi e il bambino – ragazzino, non so quanti anni possa avere – mi fa sedere nuovamente sul letto.
«Stai qui, vado a vedere io in giro» dice tenendomi ferma.
«No, voglio venire pure io, Bill! Non puoi fare tutto da solo» mi dimeno faticosamente.
«Senti ragazzina, mi vuoi dire quanti anni hai?» chiede brusco.
Mi fermo, ipnotizzata dal suo sguardo di ghiaccio. Cala il silenzio in questa stanza, dove ci siamo solo noi due. Strano che non ci siano dei dottori.
«Ne ho quattordici!»
«Quattordici… io ne ho quindici. In più tu hai il piede rotto per cui non vai da nessuna parte»
«Non decidi tu» strano ma vero, ho la voce ferma.
«Sono più grande di te perciò tocca a me decidere. Tu stai qua, faccio presto e poi torno» esce dalla stanza prima che io riesca a dire “battibaleno”.
«Ma aspetta! Voglio sapere come ho fatto ad arrivare qui! La bomba non mi è esplosa nella mano?» urlo. Ma Bill non si gira, continua a correre per i corridoi cercando qualche indizio, perché siamo qui. Però lui non sa che io sono qui senza sapere come ho fatto ad arrivarci. E poi voglio Katniss e mia madre. Così non funziona. Provo ad alzarmi e camminare zoppicando verso la finestra in fondo alla stanza. Non mi sono ancora accorta quanto sia spaziosa e strana. Le pareti sono tinte tutte di bianco e non passa anima viva dai corridoi. Bill dice che siamo in un ospedale, ma non mi fido più di tanto. Eppure quel ragazzino mi sta simpatico. In teoria mi sta aiutando.
Arrivo alla grande finestra e guardo giù, attaccandomi alla maniglia per stare in equilibro. Mi tappo subito la bocca per non urlare.
Questo “ospedale” si trova esattamente nella strada dove hanno rinchiuso tutti i bambini. La maggior parte sono morti, quelli vivi piangono oppure gridano il nome dei loro genitori. La guerra però continua e cerco di individuare mia sorella o qualcuno del suo seguito.
Appena scorgo Finnick e Gale che corrono in una direzione specifica li seguo con lo sguardo per vedere dove vanno. Li vedo raggiungere Katniss.
Katniss.
Mia sorella Katniss.
«Katniss!» grido a squarciagola. Ma lei non mi sente, io sono troppo in alto. Sto andando nel panico più totale. Chiudo gli occhi e impreco sottovoce. Mi sento spaesata, ho bisogno di mia sorella ora più che mai.
«Prim!» spero con tutto il cuore che sia lei, invece è una voce dietro di me. Apro gli occhi e mi giro, con la testa che mi fa male. Ho fatto molta strada dal letto alla finestra.
«Che diavolo ci fai lì? Che ti ho detto prima?» è Bill. Sbuffo e con il suo aiuto torno sul letto.
«Sì, ma stammi a sentire. Si può uscire di qui, ci sono pochissimi infermieri che però non sono di Capitol City, ma di altri Distretti come mio padre. Ho incontrato un vecchio che può aiutarci ad andare via» spiega.
«Non mi sono chiare delle cose. Come ho fatto ad arrivare fin qui? Chi mi ha portato?»
«Allora… beh, c’ero anche io là, sotto i paracaduti, ma sapevo che erano falsi perché ne ho sentito parlare all’ospedale. Ormai vivo lì e aiuto mio padre durante questa guerra. Allora io ti ho preso e ti ho portato qui. Dormi solo da poco tempo e mi sono detto che quando ti fossi svegliata ti avrei spiegato tutto»
«Grazie, Bill» mi sento in debito nei suoi confronti. «Ma come faccio col piede?»
«Aspettiamo che guarisca. Non ci vorrà molto, in passato mi è venuta anche a me quel tipo di ferita»
«Non possiamo aspettare, devo aiutare mia sorella»
«Tua sorella? E chi è?» chiede lui confuso.
«Katniss Everdeen»