Fallen Angels

di Edelvais
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** One - Struck to the earth like lightning ***
Capitolo 2: *** Two - Fireborn ***
Capitolo 3: *** Three - Nobody's hero ***
Capitolo 4: *** Four - War is coming ***



Capitolo 1
*** One - Struck to the earth like lightning ***



FALLEN ANGELS

We are the in between,
cast down as sons of war,
Struck to the earth like lightning


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C'è chi dice siano gli emissari della mano punitrice di Dio; chi invece ritiene siano delle creature aliene, approdate sulla Terra con l'unico scopo di distruggere, uccidere.
Qui alla Sede Centrale, li chiamiamo Angeli Caduti.

 

CAPITOLO UNO
 
 
 La Sede centrale è liberamente definibile un labirinto sottoterra. Si snoda in corridoi, scale, stanze illuminate dai neon che lampeggiano sui soffitti. Una vera e propria città sotterranea. Mentre mi muovo meccanicamente verso il centro pulsante della struttura, passo una mano sopra le pieghe della maglietta nera. Il nero è il colore dei Ranger.

 A sedici anni, chi è così fortunato da abitare nella Sede Centrale, comincia a lavorare per il bene della comunità di sopravvissuti. A seconda delle proprie abilità, ciascuno sceglie come dare il proprio contributo; la maggior parte degli abitanti di questa piccola città sottoterra, comunque, si occupa principalmente di rifornirla di beni primari.

 A questo concorrono anche gli scienziati, ideando nuove tecniche e attrezzature; nell'Aera Limite, la zona più estrema della Sede Centrale, i topi di laboratorio hanno riprodotto numerose distese verdi che loro chiamano "orti artificiali", dove gli agricoltori piantano regolarmente dei semi e raccolgono ciò che cresce da essi. Oltre a questo, hanno provveduto a quasi tutto ciò che costituisce l'intera struttura: acqua, elettricità, vestiario, armi, sistemi di sicurezza... Tutto.

 Ma non sono gli scienziati a sporcarsi veramente le mani. La Città Nascosta vive e continua a farlo grazie alla protezione dei Ranger. Ed è proprio ciò di cui mi occuperò da oggi fino al resto dei miei giorni, a quanto pare.
Non ho idea di come si curi un "orto", né possiedo un gran cervello. Ma sembra sia nata per tenere una pistola in mano.

«Clover, ti stavamo aspettando» esordisce Alan Reed, Comandante dei Ranger.
Alle sue spalle, sento subito la frecciatina di Scott. «Stavo cominciando a pensare che ti fossi tirata indietro».
Senza replicare entro nell'Auditorium e mi siedo accanto a lui. È alto quanto me, ma è il doppio più muscoloso. Si è sempre divertito a stuzzicarmi, ma ora che stiamo per partire per la nostra prima missione da reclute, un'euforia contagiosa ha preso le redini del suo corpo. Reed comincia a camminare davanti a noi, soffermandosi con i suoi occhi di ghiaccio su ognuno di noi. Che la lezione di storia cominci, penso.

«Nel 2070, circa trent'anni fa, qualche giorno dopo che la pioggia di meteoriti si abbatté sulla terra, degli esseri dalla forma apparentemente umana e dai poteri sovrannaturali cominciarono a radere al suolo ogni città, uccidendo e torturando ogni essere umano. Alieni, esseri demoniaci inviati dalla mano punitrice di Dio... Nessuno realmente sa come e da cosa sono nati. Noi li chiamiamo Angeli Caduti. Ma di angelico non possiedono proprio nulla. La loro pelle è bianca e dura come il marmo e i vostri proiettili non basteranno a fermarli; alcuni di loro sono dotati di poteri di controllo psichico, altri sono in grado di scatenare terremoti e tornadi. Vivono in clan non molto numerosi e il loro scopo, a quanto pare, è distruggere e uccidere. Il vostro, invece, è scortare una decina di superstiti che si trasferirà qui. Abbiamo intercettato le frequenze della radio che hanno con loro e siamo riusciti a comunicare; si trovano nella cripta della vecchia Cattedrale di Oxcross, a qualche isolato da qui. La mappa con le coordinate è stata integrata al vostro orologio. In ogni caso, sarete sempre in comunicazione con noi attraverso questi auricolari» Reed indica una scatola di vetro abbandonata sul ripiano alla sua sinistra.
«Tutto ciò che dovete fare è scortare quelle persone qui. Il radar non indica la presenza di Caduti, quindi dovreste essere al sicuro. Ma non siate imprudenti! Voglio quelle persone vive e vegete».

 Terminato il monologo, Alan Reed ci fa cenno di seguirlo nella Sala di Controllo. Fuori dall'Auditorium, imbocchiamo un grande corridoio alla cui estremità vi sono due rampe di scale che portano alla stanza più prossima al sopramondo.
La Sala di Controllo è il cuore dell'intera struttura. I migliori scienziati vi lavorano assiduamente, destreggiandosi fra la miriade di strani macchinari addossati alle pareti. Al centro, una fila di sei tubi trasparenti capienti abbastanza per una persona ciascuno, rappresentano l'unica via per salire in superficie. Soltanto i ranger sono autorizzati a usarli, unicamente per le missioni. Sedici anni fa, il mio corpicino da infante passò in uno di quei tubi, ma per scendere e fuggire dalle fiamme che infuriavano nel sopramondo. E ora eccomi qui, pronta a ritornare in quella terra aspra e sconosciuta dopo tanto tempo.

 Reed si ferma presso un tavolo imbandito con armi di vario genere. «Ognuno di voi scelga con cura l'arma da fuoco compatibile alle proprie abilità».
Tutte e cinque le altre matricole si avventano voracemente sul tavolo per accaparrarsi l'arma più promettente. Io mi limito a prendere lo stesso modello di pistola che ho sempre usato nelle esercitazioni. Sento lo sguardo affilato di Reed posato su di me.

 È un uomo giovane, sui trent'anni, ma nella comunità dei ranger è considerato uno dei più anziani. Non è esattamente il tipo di uomo "bello", ma il suo aspetto traspare sicurezza, determinazione.
«Quest'anno avete imparato a combattere, a usare le armi... Ma tutto questo diventerà inutile se nel momento in cui vi trovate in pericolo vi lascerete prendere da panico. Tuttavia, anche l'istinto gioca la sua parte, perciò sangue freddo, ma non troppo: anche la morte è fredda e sottile è la linea che la separa dalla vita fuori di qui».

 Allaccio la fondina della pistola alla cintura e allaccio il fodero del pugnale nello stivale. Sento il cuoio premere contro il mio stinco e rabbrividisco al pensiero di ciò che potrei incontrare là fuori. Rose, una scienziata sulla cinquantina, ci posiziona gli auricolari all'orecchio e ci mostra come attivarli.

«Buona fortuna, rondinella» mi sussurra, ammiccando. Le sorrido. Rose è sempre stata come una madre per me. Ma nello stesso momento il mio sguardo intercetta Scott, che inarca un sopracciglio, divertito.
Prima che possa chiedermi cosa diavolo stesse pensando, davanti a me compare Reed, che appunta sulla mia giacca una spilla con il simbolo della Sede Centrale: una fenice che risorge dalle sue ceneri.

 Poi ci ordina di entrare negli ascensori di vetro, ripetendoci un'ultima volta di stare sempre nascosti. Non appena entro, il varco d'ingresso si richiude con uno scatto e una sensazione di soffocamento mi pervade. Mi guardo attorno, leggermente scossa, e noto che anche gli altri non gradiscono particolarmente l'ambiente ristretto. Dopo una manciata di secondi, la pedana sotto i miei piedi comincia a salire e sotto di me, Reed e gli scienziati, chiusi nei loro camici bianchi, si allontanano sempre di più, sempre di più...

 Chiudo gli occhi. Quando li riapro, stento a credere a cosa vedo dietro il vetro.
È risaputo che la Sede Centrale un tempo fosse la base segreta dell'esercito americano e che fosse costruita proprio sotto una grande e importante struttura militare. Ma ora di quell'edificio rimangono solamente alcune mura e stralci di soffitto.

Ciò che mi sorprende di più, è ciò che si trova al di fuori di questo.

 Gli stessi edifici ritratti nei vecchi quadri appesi alle pareti dei corridoi, si stagliano davanti a me distrutti, annientati dalla furia degli Angeli Caduti. Tutt'attorno a noi regna la desolazione; il silenzio è tutto ciò che riempie il vuoto circostante. Alberi caduti e macerie sono disseminati ovunque, come le verdure che crescono negli orti artificiali della Città Nascosta.
Le tracce di un incendio non più recente di due anni si palesano con veemenza in quello che doveva essere un parco giochi.

«Me lo aspettavo... diverso» esordisce Matt, passandosi nervosamente una mano fra i capelli bruni.
Alla mia destra, Katia inspira a pieni polmoni. «Almeno l'aria è pulita».
Il mio sguardo cade automaticamente su Scott; qualche secondo prima gli avrei rifilato una bella frecciatina velenosa riguardo l'espressione inquieta che ha incollata sul viso. Ora, invece, credo che chiunque non si senta così nel Sopramondo sia un vero idiota.

 Alzo il capo e scruto sopra di me.
Il Sole appare ai miei occhi come una pietra luminosa incastonata nell'azzurro del cielo.
Nonostante tutte le informazioni che gli scienziati ci avevano fornito su tutto ciò che avremmo trovato quassù, nessuno di noi sembra non essere colpito nel profondo da quella che un tempo sarebbe stata la nostra casa. Io non so quale emozione assecondare.

 Timore, curiosità, orrore, euforia... poi mi viene in mente che, dopo questa prima missione di prova, dovremo salire lungo quei tubi almeno due volte a settimana, alternando i turni con i ranger veterani, e affrontare il mondo aperto così spesso che non ci sarà spazio per sentimenti come la paura. Quindi decido di ripiegare gli sfarfallii che imperversano nel petto e nello stomaco verso la parte di me che scalpita dalla voglia di conoscere, esplorare.
Estraggo la pistola dalla fondina e stringo l'impugnatura con entrambe le mani, portandola davanti a me.

«Dietro di me» ordino, perentoria.
Nessuno sporge obiezioni tranne Scott che, prevedibilmente, mi affianca brontolando.
Durante le simulazioni sono sempre risultata come la più svelta e abile nel prendere decisioni e le altre reclute hanno imparato a seguire le mie indicazioni. A differenza loro, non ho mai avuto una famiglia con cui trascorrere le giornate, e fin da piccola osservavo dai monitor della Sala Centrale i movimenti, le strategie e i combattimenti dei ranger più esperti. Scott è alla mia pari, e credo mi detesti per questo.

«Chi ti ha dato il comando, donnola?» bercia, pungente.
Odio quel nomignolo, e lui lo sa bene. È stata la prima parola con la quale mi ha definita, nove anni prima, quando eravamo solo bambini. Era per via della mia costituzione sottile e dei miei capelli castani, sempre tenuti corti.
Mentre scavalchiamo le macerie dell'edificio che sovrasta la Città Nascosta, non distolgo mai lo sguardo da ciò che vedo davanti a me, limitandomi a ignorare Scott.

 Ma lui non desiste. «Sono io il più esperto, qui» continua.
Nonostante stia impiegando tutta la mia buona volontà per non assestargli il calcio della pistola sulla mascella, la sua sola presenza mi irrita a tal punto da non riuscire più a trattenere il mio istinto.

«Vedi di chiudere la bocca» esplodo. «Se non vuoi diventare il più esperto a pulire latrine».
Alle mie spalle sento Matt e Lysa ridacchiare e, a quel punto, non avverto più alcun suono emergere dalla bocca di Scott, se non qualche grugnito contrariato. Alan Reed ci sta osservando e nessuno di noi vuole dare una brutta impressione delle proprie abilità.

 A seconda di come ci comporteremo nel Sopramondo, il comandante deciderà chi arruolare nei ranger e chi scartare. Spero proprio che Scott sia uno di questi ultimi; non so quanto riuscirei a sopportarlo durante le missioni.
In più, il silenzio è molto importante per non essere intercettati dall'udito ipersensibile dei Caduti; per fortuna, Mister Idiota-in-canottiera ha almeno il buon senso di tacere.
E sì, questo era il nomignolo che si è guadagnato da quando ha deciso di indossare solo canottiere.

 Ci spostiamo lenti e cauti sotto le ombre vacillanti che gli edifici crollati disegnano sull'asfalto delle strade. Attorno a me, ogni cosa sembra invocare aiuto.
Ogni tanto controlliamo la mappa dal Chronos, l'orologio in dotazione ai ranger.
Dopo una mezz'ora buona ci ritroviamo davanti quello che doveva essere il luogo di preghiera dei nostri antenati: la Cattedrale di Saint Vincent.

 Corrisponde esattamente alla descrizione del comandante. Vecchia, usurata dal tempo e in seguito distrutta dalla tempesta degli Angeli Caduti. Nonostante ciò, comunica ancora l'armonia che doveva comunicare un tempo. Il tetto è crollato in buona parte insieme al campanile, ma ciò che è rimasto all'interno ha salvaguardato la sua bellezza.
Senza perdere altro tempo, ci inoltriamo fra le macerie e ci fermiamo al centro della Cattedrale. Le panche di legno sono state scagliate contro le pareti e ora giacciono per terra spezzate, bruciate dalla furia da cui ci stiamo nascondendo.
All'improvviso sento l'auricolare pizzicare e subito dopo la voce leggermente distorta di Alan Reed.

«Ben fatto» si congratula, atono. «Ora arriva la parte più difficile; l'entrata principale per accedere alla cripta è resa inaccessibile dalle macerie, quindi dovrete calarvi da una fenditura sulla vostra destra. È stretta ma dovreste riuscire a passarci tutti. In ogni caso, almeno due di voi devono aspettare fuori per aiutare gli altri a risalire. Buona fortuna».
Reed chiude la comunicazione.
«È qui!» esclama Lysa, a pochi passi da una crepa nel pavimento.
Una volta osservata per bene la sua grandezza, stabiliamo che Matt e Scott resteranno in superficie poiché troppo grossi e muscolosi per riuscire a passare.
La stazza esile di noi ragazze, invece, ci permette di calarci nella cripta.  Appoggio le mani sul marmo del pavimento e mi lascio cadere nel buio sotto di me. Per attutire la caduta, quando i miei stivali toccano la dura pietra della cripta rotolo su un fianco.
Atterraggio perfetto.
Dopo pochi secondi arrivano anche Lysa, Katia e infine Cat.

 Non facciamo nemmeno in tempo a guardarci attorno che un suono di passi strascicati richiama la nostra attenzione. Impugno la pistola a due mani e assottiglio gli occhi, sperando che le mie pupille si adattino presto al buio.
A un certo punto la luce di una torcia fende l'oscurità della cripta, illuminando il viso di un uomo sui quaranta, il viso scavato dalla fatica e dalla malnutrizione.
«Siete... siete i sopravvissuti?» domanda Katia, avvicinandosi di più.
L'uomo annuisce e si getta ai suoi piedi, scoppiando in lacrime. Lei s'inginocchia accanto a lui e lo abbraccia, in un moto di compassione. Credo che per Katia sia un duro colpo.
Lei e suo padre arrivarono alla Sede Centrale molti anni fa, nelle stesse condizioni.
Alle loro spalle, una decina di sopravvissuti si avvicina a noi. Una donna regge un neonato in braccio e tiene per mano un bambino di non più di quattro anni.
«Siete al sicuro» li rassicura Lysa, mostrando loro la spilla della Città Nascosta. «Vi porteremo alla Sede Centrale. Lì nessuno vi farà del male».

 Mi sento del tutto inutile. Mentre le altre sfoderano tutta la loro umanità, abbracciando e confortando i sopravvissuti, io non faccio che stringere convulsamente la pistola  e guardarmi attorno.
Mi hanno sempre rinfacciato la mia freddezza, ma non avrei mai pensato di poter essere indifferente anche a questo.
Forse è per questo che sono la recluta più promettente. Aver perso la famiglia senza aver nemmeno avuto il tempo di conoscerla, ha temprato la mia anima con l'acciaio.
Scuoto la testa e faccio cenno a Cat di portarli alla crepa.

 «Matt, Scott! State pronti» avverto, mentre faccio salire il bambino sulle mie spalle.
Un secondo dopo ecco spuntare le mani dei due dalla fenditura. Afferrano il bambino per le braccia e lo issano in superficie. Ripetiamo la stessa operazione finché non siamo tutti usciti dalla cripta umida e buia.
Alla luce del sole, i sopravvissuti appaiono ancora più malridotti. I loro vestiti non sono altro che stracci che emanano un odore acre e sgradevole; i loro volti sono segnati dagli stenti.
Reed ci ha detto che provengono da una città non molto lontana da qui, ma dalle loro condizioni non riesco nemmeno a immaginare cosa possano aver affrontato.
«Vi siete imbattuti in... loro?» domanda Katia, quasi leggendomi nella mente.
L'uomo che pochi minuti prima è crollato a terra annuisce, e il suo corpo magro è scosso da un tremito.
«Hanno raso al suolo la nostra città» racconta, la voce traballante. «Hanno preso mia moglie e mia figlia».
«Ci siamo nascosti in una cantina per una settimana» prosegue la madre del neonato. «Poi voi avete intercettato la nostra radio e ci siamo incamminati verso la Città Nascosta».
Per la seconda volta, la voce di Reed comincia a gracchiare all'orecchio.
«Basta chiacchiere» ordina, perentorio. «Tornate subito qui e finite il lavoro».
Ma prima che potesse aggiungere qualcos'altro, il grido di una bambina giunge tagliente al mio udito. Subito i miei occhi si posano su di lei e vedo che sta indicando qualcosa alle mie spalle.

 Mi volto istantaneamente e, all'entrata della cattedrale, una figura alta, sottile e pallida si staglia contro la luce abbacinante del sole.
Il mio cuore perde un battito e nella mia mente scatta subito un allarme: è un Angelo.
Subito la mia mano cerca la pistola, ma Scott è più veloce. Lo tempesta con una serie di spari e lo costringe al muro. Katia rimane a difendere i sopravvissuti mentre noi ci avviciniamo.
«Scappate! Lo trattengo io!»
Scott sta per scaricare un altro colpo quando l'Angelo Caduto sussulta e con una mano va a stringere la spalla, ferita da una pallottola. La sua mano si tinge di un rosso scuro... Rosso sangue.

Un momento. Gli Angeli Caduti non perdono sangue.

«FERMO!» grido, bloccando Scott prima che pianti un'altra pallottola al falso Caduto.
Lui cerca di divincolarsi, spingendomi via. «Cosa stai facendo?! Scappate, idioti!»
«Idiota lo sei tu! Guardalo, Scott, sanguina!» ribatto, furiosa.
La sua espressione assume una nota di confusione, seguita da una muta reazione di sorpresa.
«Oh mio Dio» sussurra, atterrito. «È umano».
L'essere solleva lo sguardo su di noi. È giovane, e somiglia a tanti ragazzi della mia età, ma le sue iridi tradiscono l'apparenza: azzurre, talmente chiare da sembrare quasi bianche. In più, i capelli corvini e la carnagione pallidissima, indurrebbero chiunque a scambiarlo per un Angelo Caduto.
Che sia umano, non ne sono molto convinta. Ma non può nemmeno essere un Caduto.
«Dobbiamo portarlo alla Sede» dico.
Matt interviene subito. «E se ci stesse ingannando? Se fosse davvero sua intenzione essere portato alla Città Nascosta? Distruggerebbe ogni cosa!»
Ha ragione. Potrebbe essere uno di loro e il suo aspetto confermerebbe questa ipotesi.
Ma non possiamo nemmeno liberarlo. Gli scienziati potrebbero studiarlo e creare armi in grado di abbattere per sempre gli Angeli Caduti.
Potrebbe essere un ibrido... O un Angelo "difettoso"...
«Lo vedremo» replico, prima di colpire il ragazzo-angelo alla tempia con il calcio della pistola. Come speravo, lui cade a terra, svenuto.

 
 
 
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EDELVAIS' WALL


Buongiorno/sera/notte a tutti! Inizio subito col dire che sono euforica; è la prima long originale che pubblico, e non so davvero come comportarmi. Sono soddisfatta del progetto a cui ho dato vita e al contempo abbastanza spaventata dalla mole di "lavoro" che si prospetta per i prossimi giorni. 
L'ispirazione per questa storia è giunta a me tramite una canzone bellerrima: Fallen Angels dei Black Veil Brides, che potete trovare qui. Madama Ispirazione si è finalmente degnata di ricevermi :')
Anyway, spero che il primo capitolo vi sia piaciuto e spero che continuerete a seguirmi! Tempo permettendo, dovrei riuscire ad aggiornare la storia ogni settimana. Partendo domani per Londra, però, non so se riuscirò ad essere puntuale con la pubblicazione del secondo capitolo (cominciamo bene ehmehm).
Sperando di non aver dimenticato nulla, vi lascio i link di dove potete trovarmi all'infuori di Efp, per qualsiasi cosa.

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Capitolo 2
*** Two - Fireborn ***



FALLEN ANGELS

We are the in between,
cast down as sons of war,
Struck to the earth like lightning


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C'è chi dice siano gli emissari della mano punitrice di Dio; chi invece ritiene siano delle creature aliene, approdate sulla Terra con l'unico scopo di distruggere, uccidere.
Qui alla Sede Centrale, li chiamiamo Angeli Caduti.

 

CAPITOLO DUE

 
 
Il ritorno alla Città Nascosta è ancora più lento e faticoso del previsto. Matt e Scott stanno trasportando il ragazzo-angelo, reggendolo uno per le gambe e l'altro per le braccia, e ogni tanto mi tempestano di occhiatacce ostili. Mentre guido la processione di reclute e superstiti, quasi sento aprirsi nella schiena quattro fori, provocati dai loro sguardi astiosi.

 L'auricolare continua a sputare la voce di Reed, che ogni due passi ci intima di appiattirci ai resti degli edifici e di rimanere nascosti, invisibili agli occhi degli Angeli.

«Se quel ragazzo è un Caduto, sicuramente il suo clan è nei dintorni» ripete per la millesima volta.
Katia protesta, tenendo per mano la bambina che pochi minuti fa ha rischiato di far crollare i resti della Cattedrale con il suo grido. «Avevi detto che i radar non segnalavano la loro presenza».
«No, infatti, ma visto che non si sono attivati nonostante questo ragazzo-angelo fosse già in città, dubito che siano così efficienti» borbotta Reed, imprecando contro le attrezzature supertecnologiche e la loro fragilità.
«Potrebbe non essere un Caduto» ribatto, lanciando un'occhiata alle mie spalle. Il mio sguardo scivola sul viso pallido del ragazzo-angelo, incorniciato dai suoi selvaggi capelli corvini. Ha un'espressione rilassata, serena; credo che nessuno, guardandolo ora, potrebbe associarlo con la specie che ha quasi distrutto il genere umano. La benda di fortuna che Katia e Lysa gli hanno applicato alla spalla per bloccare l'afflusso di sangue è ormai intrisa della sua linfa vitale. No, non può essere un Caduto.

 Quando finalmente giungiamo alla base militare, cominciamo a spedire nella Città Nascosta i superstiti attraverso i tubi trasparenti; infine scendiamo anche noi reclute e il ragazzo-angelo, ancora stordito.

 È strano tornare sottoterra dopo aver assaporato l'aria libera del Sopramondo. Da una parte, quando torno a camminare nella Sala di Controllo, circondata da visi amici, mi sento sollevata. Ma dall'altra sento di aver lasciato un pezzo di me lassù, e di doverci tornare al più presto per continuare a vedere, esplorare.
Un'equipe di scienziati stende il ragazzo-angelo su un tavolo di vetro al centro della Sala e avvicinano dei macchinari, cominciando poi a esaminare il corpo privo di coscienza.

 Nel frattempo, altri abitanti della Città Nascosta si occupano dei loro nuovi concittadini, guidandoli alle camerate appena costruite nell'Ala Ovest. Avrebbero dato loro vestiti puliti e una nuova vita. Una vita vicina ma al contempo lontana dagli Angeli Caduti.
Alan Reed si avvicina a noi reclute, squadrandoci come suo solito per una manciata di secondi. Abbiamo portato alla Sede Centrale la dozzina di superstiti, svolgendo come meglio abbiamo potuto la missione da novizi ranger. Abbiamo fatto tutto ciò che il comandante ha richiesto. Anzi, addirittura di più.

 Guardo un ultima volta il ragazzo-angelo mentre viene medicato e ripulito dal sangue incrostatosi sui suoi vestiti e sulla sua pelle di alabastro, che pare ancora più bianca e marmorea sotto la forte luce dei neon.
Tuttavia, non sono sicura che Alan Reed e gli altri ranger veterani, i giudici delle nostre azioni in superficie, gradiscano l'ospite inatteso.
Di sicuro gli scienziati sì. Ma i ranger? Avrebbero anche loro risparmiato il ragazzo? Come giudicheranno la mia iniziativa di portarlo qui?
Uno strano prurito m'infesta i palmi delle mani, e sento il sudore accumulato nel Sopramondo congelarsi sulla mia pelle. No, devo mantenere la calma.

«La prova è conclusa» esordisce Alan Reed, impassibile. Nessuna emozione filtra attraverso il suo viso squadrato. «I ranger veterani guarderanno la vostra missione questa sera stessa, e i risultati saranno resi noti domani pomeriggio dopo gli allenamenti mattutini».
Detto questo, si congeda da noi con un impercettibile cenno del capo, raggiungendo la grande porta della Sala di Controllo in poche, grandi falcate.
Ci lascia così, nel mezzo dell'immensa stanza, nel mezzo delle nostre angosce.

 Matt sospira rumorosamente. «Non arriverò vivo a domani».
Sorrido. «Non è andata poi così male. Non dovremmo essere così preoccupati».
Questo è ciò che scivola dalle mie labbra. Ma quello che penso realmente mi stringe lo stomaco in una morsa di ferro.
«Certo, se non si conta quello» ribatte Eveline, indicando il ragazzo-angelo circondato da frenetiche figure in camice bianco. Cerca di mantenere un tono neutro, ma dai suoi occhi capisco che mi ritiene colpevole di un possibile fallimento.

 Non rispondo, limitandomi ad assentire dentro di me. Eve ha ragione. È lui la chiave del mio reclutamento. Se i ranger considereranno la mia idea folle e pericolosa, potrò dire addio al mio futuro da protettrice della Città Nascosta.
Alan Reed non mi ha impedito di portare il prigioniero alla Sede Centrale, ma solo perché persino al comandante dei ranger è vietato dare ordini o suggerimenti durante la prova di reclutamento.

 "Tutto dipende da voi" ha detto, la vigilia della missione. "Io vi seguirò dai monitor, ma non potrò né appoggiarvi, né ostacolarvi. Dovete dare prova delle vostre uniche forze."
Ed è ciò che ho cercato di fare. Almeno, se andrà male, saprò di aver fatto la cosa che ritenevo giusta.

 Scott mi lancia uno sguardo carico di disapprovazione. Ovviamente.
Prima di andarsene mi si avvicina, senza distogliere per un momento i suoi occhi scuri dai miei. «Se dovessimo fallire la prova, giuro che rovinerò ogni tuo singolo giorno della tua stupida vita, donnola».
E se ne va, seguito da Eveline e Katia. Matt e Lysa restano con me, come mi aspettavo.

 Sono sempre stati dalla mia parte, gli unici amici sinceri che ho nella Città Nascosta.
E gliene sono grata.
«Mi odiano» mormoro, con amarezza.
«Beh, Scott lo fa da quando ti ha conosciuta» ride Lysa, mentre lasciamo anche noi la Sala di Controllo. «Non credo che Katia e Eve ce l'abbiano davvero con te».
Matt annuisce, passandomi un braccio attorno alle spalle. «E poi, chi se ne frega? Io avrei fatto la stessa cosa».

 Entriamo nell'ascensore che conduce al piano dei ranger, il più alto e prossimo alla Sala di Controllo. Gli altri, invece, si addentrano sempre di più in profondità.
«Hai fatto bene a salvare quel ragazzo, Clover» cerca di risollevarmi Lysa. «Se i giudici non saranno d'accordo... Beh, allora non sarà poi così un dispiacere rinunciare ai ranger».

 Lysa sta facendo del suo meglio per confortarmi, ma le sue parole non hanno molto effetto su di me. Inoltre, per lei è facile dirlo: insieme a Katia, appartiene a un ramo minore di ranger, gli Infermieri, i quali hanno il compito di intervenire tempestivamente in caso di gravi ferite. Se falliremo, lei potrà unirsi ai Medici come apprendista. Ma io cosa farò?

 Qualche secondo dopo le porte dell'ascensore di vetro si aprono, lasciandoci davanti al corridoio dove risiedono le stanze delle reclute.
La mia è la prima porta sulla sinistra, così saluto Lysa e Matt, ringraziandoli.
Rimango sulla soglia ad osservarli mentre lui le scompiglia i lunghi capelli biondi per poi passarle un braccio attorno alla vita. Un mezzo sorriso si apre nelle mie labbra, poi appoggio la mano nello scanner sul muro e infine entro nella mia stanza.

 Dopo una mezza giornata di fatiche, trovo un letto dalle lenzuola pulite e un bagno caldo ad accogliermi. Per questo sono grata ai domestici che, quando un team di ranger parte per una missione, hanno il compito di rendere il loro ritorno il più rilassante e confortevole possibile. I domestici sono per la maggior parte gli ultimi arrivati alla Sede Centrale; coloro che, non possedendo alcuna attitudine in particolare, si dedicano alla pulizia delle varie stanze. Persino alcune reclute che, a loro tempo, fallirono la prova, dovettero unirsi a loro.
 
Dopo essermi tolta i vestiti, mi immergo nella vasca del piccolo bagno e chiudo gli occhi.
Tutto ciò che mi ha dato tormento fino a pochi minuti fa, scivola via dal mio corpo come la polvere e il sudore che mi sono portata dietro dal Sopramondo.
Mi lascio avvolgere dal tepore dell'acqua calda che lambisce la mia pelle, e per un attimo mi sembra di ritornare alla mia infanzia, immergendomi nei ricordi sfocati della mia mente.
 
 Rose che mi insegnava le varie funzioni dei marchingegni della Sala di Controllo, sperando di fare di me una scienziata brillante come lei; la prima volta che impugnai una vera pistola quando, un anno prima, scelsi di diventare una ranger, affrontando dodici mesi di preparazione e duri addestramenti; quando ho salvato il ragazzo-angelo dai proiettili di Scott...
Rimango nella vasca per un tempo indeterminato, sguazzando nei miei pensieri divaganti.
Poi, quando mi accorgo che sulle mie falangi si stanno formando delle piccole e fastidiose grinze, esco dal bagno, stringendomi nell'asciugamano.
Una volta pulita e asciutta, indosso la maglietta lunga che uso come pigiama e mi stendo sul letto, gli occhi puntati al soffitto, sentendo le palpebre diventare sempre più pesanti.

L'ultima cosa che vedo prima di cadere nel baratro dei sogni, sono due iridi di ghiaccio che mi scrutano, indagatrici.

 
***

 
Uno strano pizzicore alle caviglie mi costringe ad aprire gli occhi. Il Sole, il grande cerchio giallo e rifulgente incastonato nel mantello cobalto del cielo, mi ferisce la vista.
Mi tiro a sedere e, con stupore, mi accorgo di trovarmi in un campo di papaveri. I fiori rossi, che i Medici utilizzano per alcuni rimedi anestetici naturali, allungano i loro steli verso la volta celeste. Cerco di alzarmi, per capire dove sono e come ci sono finita, ma un dolore atroce e improvviso mi paralizza gli arti inferiori.
Quando i miei occhi catturano la causa, subito l'aria accumulata nei polmoni fuoriesce dalla mia bocca sotto forma di un grido di acuto terrore.
Scorpioni.
Alan Reed ci ha parlato di questi esseri durante il nostro addestramento. Avremmo potuto trovarli fra le macerie, nelle crepe dei mattoni... Ci ha mostrato persino delle immagini che li ritraevano, con il loro pungiglione arcuato sopra il corpo.
Ma quelli non erano nemmeno lontanamente grossi e orribili come le creature che infestano le mie gambe. Cerco di spazzarli via con le mani, ma loro continuano a pungere, zampettando fino ai miei fianchi ed arrampicandosi sul busto.
Non riesco a muovermi, non riesco a gridare.
Nessun suono riesce a emergere dalle mie labbra, nessun muscolo riesce a reagire.
Sento le lacrime ruscellare sulle mie guance.
Aiutatemi! Qualcuno mi aiuti!
Sono di nuovo stesa in mezzo al campo di papaveri. Paralizzata, inerme.
Gli scorpioni si moltiplicano, si contendono i lembi di pelle ancora liberi da punture.
Si arrampicano poi sul mio viso, senza che io possa fare nulla. Uno di essi penetra nelle mie labbra socchiuse e al contempo un altro raggiunge la mia fronte.
Sono spacciata.
Presto soffocherò, in caso non muoia prima per il veleno accumulato.
Ma nel momento in cui lo scorpione cala il suo pungiglione al centro della mia fronte, sento qualcosa infrangersi dentro di me. E realizzo di essere libera.
 
 
***
 
 
Il proiettile si abbatte contro la sagoma scura a venti metri da me, conficcandosi in essa più o meno all'altezza del cuore.
La sagoma si sposta improvvisamente a destra, ma riesco comunque a centrare l'obiettivo: l'ipotetica fronte dell'ipotetico avversario.
Alcune ciocche di capelli castani sfuggono alla presa dell'elastico e ricadono ribelli sulla mia fronte. Ripensando al sogno di questa notte, rabbrividisco. Le mie dita cercano subito la fronte, tastandone il centro. È solo un sogno, un incubo... Ma il punto colpito dall'ultimo scorpione mi pulsa terribilmente.

 Ancora non ho visto Matt e gli altri. Il mio programma di addestramento di oggi prevede esercizi diversi dai loro.
Mentre mi sposto nella sala di combattimento corpo a corpo, adiacente a quella di tiro al bersaglio, vedo una ragazza alta e snella sfuggire agli attacchi di Alan Reed.
Il comandante sta cercando di colpirla, ma lei è troppo veloce. Gli gira attorno in una danza fluida, precisa. I suoi capelli rossi e ricci si muovono al suo stesso ritmo.

 La riconosco subito. Electra Williams, ventisei anni, ranger veterano.
E ragazza del comandante Alan Reed.
Electra passa al contrattacco, scattando in avanti sul tappetino e allungando un pugno contro il viso di lui. Ma Reed scarta subito a sinistra, afferra il polso di Electra e la attira a sé in un abbraccio.
La sala di combattimento libero è molto grande e piena di ranger. Giovani e veterani.
Appena Electra mi vede, si stacca subito da Alan e mi corre incontro, sorridente.

«Clover!» esulta, abbracciandomi. «Indovina: sono uno dei giudici della tua missione».
Una millesima parte del macigno che mi opprime il petto si dissolve appena il mio cervello recepisce le sue parole. Electra non voterà a mio sfavore. Ne sono certa.

 Lei è stata la mia maestra d'armi quando, un anno fa, cominciarono i miei addestramenti di preparazione. Credo sia la persona più calma e svampita di tutta la Città Nascosta.
Per l'ennesima volta, mi chiedo come possa stare con un individuo come Alan Reed.
Nonostante siano così diversi, incongruenti, la loro relazione dura da anni.

«Mi fa piacere saperlo» le rispondo, sforzandomi di sorridere.
Lei mi scruta con i suoi occhi chiari, ridenti. «Avanti, dimmi tutto. Conosco quello sguardo».
Lo sapevo.
«Ho il terrore di aver commesso un errore» confesso, mordicchiandomi l'unghia dell'indice.
Lei ride. «Tutti commettiamo errori, Clover».
«Ma questo potrebbe costarmi il mio futuro da ranger, lo sai».
«So a cosa ti riferisci e credimi, se hai agito come ritenevi giusto, andrà tutto bene».
Prima che possa ribattere, un suono breve e gracchiante fuoriesce dalle casse appese al soffitto.
È l'ora. Fra poco conoscerò il mio destino.
Electra mi stringe una spalla.
«Coraggio» dice.
Coraggio.
 
***
 
 
Alan Reed.
Electra Williams.
Rebekah Tomphson.
Jim Cameron.
George Houston.
Benedict "Ben" Buxton.
 
Sei giudici. Dodici paia di occhi che scavano su ognuno di noi.
Noi reclute siamo in piedi davanti a loro, e alle nostre spalle il resto della comunità di ranger fa da spettatore al nostro successo, o al nostro fallimento.
L'aria nell' Auditorium è calda e soffocante; sento le mani sudare.

«Clover Fireborn, Scott Bolton, Katia Smith, Matt Evans, Eveline Rosenberg, Lysa Penninghtone» esordisce Reed, chiamandoci uno per uno. Quando sento il mio nome accompagnato dall'appellativo "Fireborn", Nata dalle Fiamme, un mezzo sorriso compare magicamente sulle mie labbra. I ranger che mi trovarono in superficie, dopo l'attacco degli Angeli che uccise la mia famiglia, mi raccolsero dalle macerie di una casa, in mezzo alle fiamme. Da quel momento, hanno cominciato a chiamarmi così, non conoscendo il mio vero cognome. Il mio nome, invece, è noto solo grazie alla copertina di lana nella quale ero avvolta: in un lembo vi era ricamato in verde "Clover".

«Abbiamo esaminato a lungo le vostre azioni in superficie» continua. «E abbiamo tratto le nostre conclusioni».

 Ben Buxton prende la parola. «La scelta di risparmiare e portare nella Sede Centrale un probabile Angelo Caduto, o un loro possibile alleato, è parsa a noi una scelta azzardata».
Sento il mio cuore ribaltarsi nel petto.
Segue una breve pausa. Il preludio della tempesta.

«Tuttavia, il ragazzo-angelo non sembra particolarmente pericoloso e, inoltre, gli scienziati hanno avuto modo di esaminarlo e di fornirci preziose informazioni sulla specie da cui ci stiamo nascondendo. Informazioni che potrebbero aiutarci a distruggerla per sempre. Quindi, a favore di ciò, abbiamo deciso di promuovervi a Ranger».
Uno scroscio di applausi rempie il vuoto dell'Auditorium, abbattendosi su di noi come una piacevole pioggia fresca.

Promossi.
Promossi a Ranger.

Non posso crederci. Forse ho solo sentito male, oppure me lo sono immaginato... Ma quando sento Matt e Lysa abbracciarmi, entusiasti, capisco che è tutto reale.
Al diavolo Scott e le sue minacce. Al diavolo tutto.

Sono un ranger.


____________________________________________________________________________________________________________

 
EDELVAIS' WALL

Eccomi con il secondo capitolo! Essendo tornata domenica sera da Londra e avendo avuto una marea di studio in questa settimana, sono riuscita a pubblicarlo soltanto ora. Che ve ne pare? Spero stia continuando ad incuriosirvi ^^
Intanto approfitto per dirvi che presto comincerò a scrivere di questa long sul mio blog personale TheBlueBox, il cui link è qui sotto. Comincerò con una breve panoramica della trama, ambientazione e personaggi in generale, per poi continuare ad aggiornare la rubrica dedicata a questa storia sempre più dettagliatamente. 
Vi ringrazio quindi per l'attenzione e per le graditissime recensioni :)
As always, vi lascio i link dove potete trovarmi fuori da Efp.


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Capitolo 3
*** Three - Nobody's hero ***



FALLEN ANGELS

We are the in between,
cast down as sons of war,
Struck to the earth like lightning


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C'è chi dice siano gli emissari della mano punitrice di Dio; chi invece ritiene siano delle creature aliene, approdate sulla Terra con l'unico scopo di distruggere, uccidere.
Qui alla Sede Centrale, li chiamiamo Angeli Caduti.

 
 
CAPITOLO TRE
 
 
La cerimonia è breve ma intensa. Electra e gli altri giudici, eccetto il comandante, che rimane nel piano rialzato alle loro spalle, si fermano davanti a ciascuno di noi.
Dopo aver appuntato la toppa dei Ranger sulla manica della nostra uniforme, ci consegnano una pistola, che da questo momento potremo avere con noi in qualsiasi occasione e non solo durante gli allenamenti.
Una volta che anche gli altri ranger della Sede Centrale, non meno di una trentina di persone, ci hanno dato il benvenuto nella comunità, ognuno rioccupa il proprio posto nell'Auditorium e Alan Reed prende di nuovo la parola.

«Complimenti a tutti, e benvenuti ufficialmente fra i ranger » dice. «Spero vi siate riposati abbastanza dopo la prova di ieri, perché ho intenzione di iniziarvi subito al lavoro che svolgiamo noi difensori della Città Nascosta».

Mi raddrizzo sulla sedia. Un'altra missione? Cerco di rimanere composta, ma il sorrisetto euforico che compare sulle mie labbra mi tradisce.
Dopo essere stata all'aria aperta, seppur circondata da desolazione, tutto ciò che vedo qui dentro mi sembra monotono e noioso. Ho bisogno di tornare in superficie, assaporare di nuovo quegli attimi di apparente libertà. Voglio vedere di nuovo, conoscere.

«Il ragazzo-angelo che avete portato qui è stato medicato e gli studi su di lui saranno svolti dagli scienziati a intervalli di un giorno, per evitare di danneggiarlo gravemente».
Danneggiarlo. Parla di lui come se fosse un oggetto, una semplice cavia da laboratorio.
Accantono questo pensiero e torno ad ascoltarlo, interdetta, cercando di capire dove stia andando a parare.
«Ciò che chiedo ora a voi ranger novizi, è di fare la guardia alla sua cella, collocata nello stesso piano della Sala di Controllo e all'estremità dell'Ala Nord. Gli scienziati assicurano che il ragazzo è debole e quindi non dovrebbe costituire un pericolo per voi. In caso contrario, sarete ben armati e autorizzati a far fuoco. A differenza degli Angeli Caduti, questo esemplare può essere ucciso con armi da fuoco. Siete disposti a farlo?»

Un ordine celato dietro una domanda. Non possiamo rifiutarci. Un ranger non rifiuta mai i suoi compiti.
Ma quando realizzo che il nostro dovere da qui fino a tempo indeterminato sarà quello di fare da guardia a un prigioniero, tutta l'euforia che infestava il mio corpo qualche secondo fa è svanita, scomparsa.

Chissà quando tornerò a vedere la luce del Sole.
 
 
***
 
Il primo turno di guardia è di Scott, il giorno dopo la cerimonia di reclutamento.
Il secondo è il mio.
Mentre pranzo con gli altri ranger alla mensa comune del nostro piano, il Chronos allacciato al mio polso comincia a lampeggiare con veemenza.

«È già ora di andare?» domanda Katia, di fianco a me. Lei e Eve, da quando i ranger hanno valutato positivamente la nostra prova, si sono scusate con me almeno un centinaio di volte per aver dubitato della mia decisione.
Ripongo il muffin che stavo per addentare e, sbuffando, mi alzo.
«Purtroppo sì» rispondo. «Odio l'idea di dover fare da cane da guardia».
Eve annuisce, scrollando i suoi lunghi capelli corvini. «È ingiusto. Ci promuovono a ranger e ci segregano a controllare un prigioniero».
Lysa non è dello stesso avviso. «Non è poi così male. Almeno non dobbiamo salire in superficie».
Matt ridacchia, mentre lancia addosso a Lysa un'oliva. «Sei proprio una temeraria, Lysa».
«Ehi!» esclama lei, allungandosi sul tavolo per dare una sberla sul capo di Matt.
«Ma è proprio questo il punto!» replica Eve, gesticolando nervosamente. «Il nostro compito è pattugliare il Sopramondo e proteggere la Città Nascosta da ciò che abita in superficie».
«Se proprio ci tiene, che sia Alan Reed a controllare il prigioniero» dico, insofferente. Questa storia di fare la guardia mi ha già irritato dal principio.

Continuerei a inveire se soltanto, disgraziatamente, il comandante non fosse a qualche passo da noi, ma comunque abbastanza vicino da sentire ciò che diciamo.
E me ne accorgo ora, quando è troppo tardi. Ovvio.
Anche Eve se n'è accorta, dopo aver seguito il mio sguardo.
Si avvicina. Mi mordo la lingua.

«Clover» esordisce, freddo e distaccato come sempre. «Qualche problema?»
Tengo gli occhi fissi sui suoi. Mai abbassare lo sguardo. Ora che sono una ranger, devo assumermi le mie responsabilità con dignità.
«No» replico. La mia voce è stranamente ferma, pungente.
«Bene, allora non sarà un problema nemmeno fare i doppi turni di guardia. A cominciare da ora».
Me lo sono meritato.
Penso, mentre lo guardo allontanarsi.
«Stronzo» sibila Eve, assottigliando lo sguardo.
Scuoto la testa. I capelli legati nella pratica coda di cavallo mi solleticano il collo.
«No, ha ragione. È colpa mia» dico. «Beh, che i doppi turni comincino! A dopo, ragazzi».
 
 
***
 
La prima cosa che vedo quando arrivo nella cella di isolamento vicino alla Sala di Controllo, è Scott. Schiena dritta, espressione tesa e sguardo quasi disgustato dalla mia presenza. Si direbbe che non abbia gradito essere stato promosso in parte anche grazie a me.
L'occhiata di ribrezzo è comunque ricambiata non appena i nostri occhi si intercettano. «Prenditela pure comoda» bercia subito, sciogliendo la posa fredda e statica.
Decido di ignorarlo. Tuttavia, il mio sguardo non si stacca da lui; lo stomaco mi si contorce al solo pensiero di dover stare a così stretto contatto con il ragazzo-angelo, e cerco di non guardare alle spalle di Scott. Questo corridoio è buio e gelido; la corrente salta spesso e non c'è anima viva. Proprio la cella di isolamento dovevano usare?

«Com'è?» domando, indicando con un cenno del mento un punto dietro di lui.
Scott scrolla le spalle. «Debole» risponde. «Sta dormendo. O almeno questo è ciò che vuol far credere».
Lancia un'altra occhiata alla cella buia e poi si dilegua, lasciandomi sola con il ragazzo-angelo.
«Fantastico» mormoro, appoggiando la schiena contro il muro.

Rigiro fra le mani la pistola, accarezzandone la superficie metallica. Impugnarla mi fa sentire forte, al sicuro. Ma ora, ho paura persino di guardare oltre le sbarre della cella.

Sono un'idiota.

È debole, non può farmi nulla. Altrimenti Alan Reed non avrebbe lasciato a noi reclute un compito tanto grave.

Eppure, le immagini della morte dei miei genitori, in quella fatidica sera che ho rubato di nascosto alcuni anni fa dagli archivi della Sala di Controllo, mi tornano in mente. Prepotenti, aggressivi, infestano la testa.
Grazie alle microspie appostate nelle macerie fuori dalla Sede Centrale, sono riuscita a conoscere i volti dei miei genitori, ma anche a rivederne la morte.
Si erano nascosti, ma non era bastato. Gli Angeli li trovarono comunque.
Riuscirono però a nascondere me, dietro un ammasso di macerie, mentre il resto si stava corrodendo in mezzo alle fiamme.
Respiro a pieni polmoni. Persino l'aria, qui, sembra più pesante.

«Finalmente se n'è andato! Credevo di dovermi sorbire la sua muta compagnia per molto».
Cosa diamine... ? Non può essere stato lui a parlare, non può...
Mi volto di scatto verso la cella, la luce traballante nel corridoio si trascina verso la cella e illumina per metà una figura alta e sottile, appoggiata alle sbarre con la schiena.
Noto subito la fasciatura alla spalla e alla fronte, nei due punti colpiti prima dalla pallottola di Scott e dopo dal calcio della mia pistola.
Indossa soltanto dei pantaloni neri e degli stivali del medesimo colore; vestiti presi in prestito dai ranger.
Il suo busto è libero da qualsiasi tipo di tessuto, pallido e cosparso di cicatrici e bende.
Ha un fisico alto, asciutto.
Il viso è rivolto verso di me. I suoi occhi chiarissimi perforano la penombra della cella, raggiungendomi.

Debole. Tante grazie, Scott.

«T-tu dovresti dormire» sbrodolo la prima cosa che mi viene in mente.
Lui ride sommessamente. La sua mano cerca subito la spalla destra, e un gemito fugge dalle sue labbra.
«Non ho avuto di meglio da fare che dormire, ultimamente» dice. Le sue labbra sono secche e cosparse di piccoli tagli.
La sua voce è stranamente calda, in forte contrasto con l'aura fredda che emana.
Lentamente, cammina verso di me, i movimenti impacciati dalle numerose ferite costellano il suo torso nudo, e si appoggia con i gomiti alle sbarre frapposte tra di noi.
Le sue pallide mani ciondolano placide oltre le spranghe di ferro.
Mi irrigidisco, e stringo istintivamente la pistola.

È identico a loro.

«È con quella che mi hai quasi spaccato la testa?» domanda. Il suo indice è sospeso mezz'aria a indicare l'arma fra le mie mani.
«Che importa? La tua testa è tutta intera, come puoi sentire» replico, distogliendo lo sguardo dal suo.
Non mi sono mai sentita così a disagio. Nemmeno in presenza di Scott»
Lo sento sbuffare. «Io sento solo un gran male, alla testa».
«Significa che ce l'hai ancora attaccata al collo».
Mi allontano, senza però dargli le spalle.
Lo sento ridacchiare. «Mi piaci. Qual è il tuo nome?»
«Perché diamine dovrei dirti il mio nome? Mi hanno ordinato di farti la guardia, non di intrattenerti» rispondo. Non vedo l'ora che il mio turno finisca e mi sento male se penso che è appena cominciato.
«Ma non te l'hanno nemmeno vietato, giusto?»
Alzo gli occhi su di lui. Un sorriso sghembo si apre sulle sue labbra.
«D'accordo, ragazza sconosciuta, quando vorrai dirmi il tuo nome... mi troverai qui».
Si ritrae nel buio della sua cella, e lo guardo mentre si stende sulla brandina addossata al muro.
Dopodiché, torna il silenzio.
Le mie dita cominciano a tamburellare frenetiche sullo quadrante del Chronos.
Il ragazzo-angelo comincia a fischiettare una melodia sconosciuta.
«Smettila» sbotto dopo alcuni secondi. «Mi irriti».
Una risata divertita sostituisce il fischiettio. «Voi umani siete una noia».

Voi umani?

«Cosa intendi per voi?» domando, sospettosa. «Non lo sei anche tu?»
«Dipende».
«Dipende?»
Lui non risponde.
Probabilmente è proprio ciò che vuole: tenermi sulle spine per continuare la conversazione. Un po' lo capisco, se fossi costretta a starmene chiusa in una cella a tempo indeterminato, impazzirei. Odio non avere nulla da fare.
«Cosa sei?»
«Dipende» insiste.
A causa del buio non riesco a scorgere la sua espressione, ma sono quasi sicura che se la stia spassando alla grande. Ma la pazienza non è esattamente il mio forte, e io non mi sto affatto divertendo.
«Dipende da cosa, esattamente?»
«Da chi, vorrai dire» risponde lui. «Dipende dall'osservatore».
«Dall'osservatore?»
Il ragazzo-angelo sbuffa, spazientito. «Qui vi insegnano a ripetere tutto ciò che viene detto? Non mi sorprenderei; sembrate tutti un branco di pecore con un cervello comune. Ma prima o poi il lupo vi stanerà, e allora capirete di esservi intrappolati da soli».
Questa volta è dalle mie labbra che sfocia la risata di scherno.
«Il nostro sistema permette la sopravvivenza a centinaia di persone» dico, avvicinandomi alle sbarre in un impeto di spavalderia. «E poi, mi pare che sia tu quello dentro la cella».
Con uno scatto improvviso, il prigioniero si alza da giaciglio ed è a un soffio da me, dietro le sbarre.
«Davvero?» sussurra, il suo viso a un palmo dal mio.
Nella scura penombra, i suoi occhi sono ancora più cupi, inquietanti.
Gli stessi occhi che ho visto ieri notte, prima di cadere nell'incubo degli scorpioni.
Sento il cuore aumentare di colpo i battiti e una fitta alla fronte mi coglie impreparata.
«Sicura di stare bene, ragazza sconosciuta?» chiede, una punta di divertimento è palpabile dal tono della sua voce.
Mi porto una mano alla tempia, massaggiandola lievemente.
«Sto bene» rispondo distrattamente.
«Sogni cattivi tormentano il tuo dolce sonno, ragazza sconosciuta?»
Alzo gli occhi su di lui. Come fa a saperlo?
«No».
Le sue iridi mi scrutano, inquisitorie.
«Mi stai mentendo».
Non rispondo.
«Ne riparleremo» conclude lui, tornando a stendersi sulla brandina.
Di nuovo silenzio.
Il dolore alla fronte è passato, ma nella testa molte domande continuano a martellare, bramose di risposte. Il ragazzo-angelo è più umano di quanto possa apparire, ma al contempo, non lo è.
Ma non può essere nemmeno un Angelo Caduto. Se lo fosse, non sanguinerebbe e, soprattutto, avrebbe già fatto saltare in aria l'intera Città Nascosta.
Che sia un emissario? Un complice con il compito di scovare la Sede Centrale e riferire le coordinate ai suoi superiori? Non credo. Gli Angeli Caduti eliminano tutto ciò che è diverso da loro.

E allora cosa sei?

«Non mi hai risposto» dico ad un tratto.
«Nemmeno tu, ragazza sconosciuta».
Lo ignoro. «Dimmi cosa sei, e io risponderò sinceramente a ciò che mi chiederai».
Sento il lieve scricchiolio della brandina. «Tutto ciò che ti chiederò?»
Annuisco, decisa. «Tutto».
Mi avvicino di nuovo alle sbarre. Lui è seduto sul suo giaciglio, la schiena appoggiata al muro e le braccia conserte. I suoi occhi sono chiusi.
«Ciò che sono dipende da chi mi osserva, ragazza sconosciuta» si concede una ridicola pausa teatrale. «Per un Angelo, io sono un mortale essere umano, privo di poteri soprannaturali. Per un uomo, invece, ho le sembianze di un Angelo. Ma io non sono né l'uno né l'altro; sono solo una creatura che, sospesa fra il bene e il male, l'uomo e il sovrumano, tende verso se stesso».
Aggrotto le sopracciglia, confusa. Enigmatico, arrogante e presuntuoso, ecco cosa sei.
«Non capisco».
«Credi di rappresentare il bene, ragazza sconosciuta?» domanda, alzandosi dal letto e avvicinandosi il più possibile a me. La vicinanza fa accelerare il mio battito cardiaco. Non ho paura di te, cerco di convincermi. Ma c'è qualcosa di ambiguo in lui, qualcosa di freddo e sinistro che mi fa venire la pelle d'oca.
«Noi difendiamo la nostra gente dagli invasori» ribatto, alzando lievemente il mento in segno di sfida. «Se non rappresentiamo noi il bene, da chi dovrebbe essere rappresentato? Dagli Angeli? Gli sterminatori della razza umana?»
Il mio tono sarcastico non pare nemmeno raggiungerlo. «Ma chi decide ciò che è bene e ciò che è male? Se le persone uccise dagli Angeli avessero trovato la pace dopo la morte, allora i suoi difensori diventerebbero gli emissari del male, perché determinati a trattenerli qui. Per cui, non è più coerente tendere verso la propria persona, l'unica certezza?» sorride, notando la mia espressione tentennante. «Cosa sai del mondo, ragazza sconosciuta?»
«Niente» sussurro. Improvvisamente, davanti al suo fisico tempestato di cicatrici e ai suoi occhi pieni di chissà quali ricordi, mi sento una bambina. Un cucciolo non ancora iniziato al vero mondo esterno.
«E delle persone?»
Lo guardo dritto negli occhi, una strana determinazione lampeggia dalle mie iridi scure.
«Non vogliono morire».
Segue un attimo di silenzio.
«Ora tocca a te» esordisce lui.
«Clover» replico dopo qualche secondo. «Mi chiamo Clover».


________________________________________________________________________________________________________

Buongiorno/sera/notte a tutti! Dunque, per prima cosa mi scuso per il ritardo vergognoso con cui oso aggiornare, ma in questi giorni non ho avuto modo di accedere al computer per postare il capitolo, che tra l'altro era già pronto e in attesa di essere pubblicato (stupido computer, al prossimo svarione ti defenestro). Eeee niente, spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che riceva più visite di quello precedente; non preoccupatevi se ancora le acque vi sembrano piatte, presto arriverà un po' d'azione ^^
Bene, come al solito ringrazio chiunque sia arrivato fin qui e, soprattutto, anche chi recensisce! E voi, lettori silenziosi, cosa aspettate a farmi sapere cosa pensate di questa storia? Ho bisogno anche di voi c:
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Alla prossima settimana con il quarto capitolo! :)


 

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Capitolo 4
*** Four - War is coming ***


 
 
FALLEN ANGELS

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C'è chi dice siano gli emissari della mano punitrice di Dio; chi invece ritiene siano delle creature aliene, approdate sulla Terra con l'unico scopo di distruggere, uccidere.
Qui alla Sede Centrale, li chiamiamo Angeli Caduti.


CAPITOLO QUATTRO

 
 
L'acqua fresca che mi bagna il viso fa scivolare via le ultime tracce di sonno che intaccano il mio risveglio. Quando mi alzo, i miei occhi incontrano quelli del mio riflesso. Scuri, anonimi, coperti da qualche ciuffo castano.
Sulle mie labbra vedo comparire una smorfia.
Rondinella.
Una rondine ancora troppo giovane e inesperta per lasciare il nido e volare via. Il ragazzo-angelo ha ragione: non so nulla del mondo. Ciò che esiste in superficie è la mia più grande paura e il mio più grande interesse.
Scuoto distrattamente la testa e, dopo essermi preparata, esco dalla mia camera.
«'Giorno» mugugna qualcuno alla mia sinistra.
Matt mi sorride, reprimendo uno sbadiglio.
«Dormito bene?» chiedo. Lui mi affianca e ci incamminiamo verso la stanza di lotta libera.
«Non proprio» risponde. «Ho sognato di essere mangiato vivo dai corvi, appeso a un palo come un dannato spaventapasseri». Scuote le spalle, come per scrollare via quel ricordo.
Di colpo mi ritorna in mente l'incubo degli scorpioni. Rabbrividisco.
«Allora, ehm... Come va con Lysa?» sbrodolo la prima cosa che mi viene in mente.
Non sono un'impicciona, ma Matt e Lysa sono i miei migliori amici, ed è da anni che scommetto su di loro come coppia.
Matt si scompiglia i capelli bruni con una punta di imbarazzo, assumendo un'aria ancora più trasandata del solito. Le occhiaie che cerchiano i suoi occhi castani non lo aiutano di certo.
Si schiarisce la voce. «Ehm, noi... Stiamo insieme».
Lo sapevo!
Sorrido, compiaciuta. Ora devo proprio sembrare una maniaca psicotica.
Sto per dirgli quanto sia contenta per loro quando avverto la voce di Alan Reed dietro l'angolo.  Subito dopo un'altra voce si mescola alla sua, come se i due si stessero urlando addosso sottovoce.
Scambio una rapida occhiata con Matt: stanno venendo verso di noi.
Senza esitare oltre ci intrufoliamo nella stanza d'addestramento e socchiudiamo la porta, appiattendoci contro di essa. Per fortuna è ancora presto e siamo i primi arrivati. Se qualche ranger sapesse che stiamo origliando il nostro comandante, potremmo dire addio alla nostra reputazione.
Affilo l'udito e mi concentro su di loro.
«Non possiamo ucciderlo, potrebbe esserci utile!» il tono del comandante è alterato dal disappunto.
«Le regole le conosci, Alan, dobbiamo eliminare tutto ciò che potrebbe rappresentare un pericolo» risponde qualcuno. Una voce femminile, aspra. «Come avremmo dovuto fare con quel ragazzino undici anni fa; abbiamo deciso di risparmiarlo, ma non è andata come speravamo e alla fine si è rivelato essere il mostro che è».
«Era solo un bambino, Roxanne!»
Roxanne Reynold, la dirigente della comunità degli scienziati e membro dell'Alto Consiglio insieme ad Alan Reed, portavoce dei ranger. L'ho vista solamente ad una sua conferenza tenuta nell'Auditorium, un paio di anni fa. Per il resto, la Reynold è nota per starsene chiusa nel suo ufficio trecentosessantacinque giorni l'anno, e nessuno a parte i membri del Consiglio può dire di averla incontrata con frequenza.
Guardo Matt: anche lui sembra averla riconosciuta.
«Era un mostro, ed è fuggito grazie alle nostre stupide esitazioni da sentimentali» sta dicendo.
«Il ragazzo non ci sfuggirà, te lo prometto. Non è un Angelo Caduto e non ha motivo di unirsi a loro. Sa benissimo quanto noi che sarebbe morto ancora prima di accorgersene. Se lo lasciassimo in vita potrebbe dirci qualcosa su di loro».
«Lo stiamo già interrogando e non sembra essere molto propenso a chiacchierare con noi».
«Lascia che si alleni con noi ranger» se non conoscessi Reed penserei che stia supplicando in ginocchio. «Il clan di Angeli dell'Est si sta avvicinando, lo sai, e presto scoppierà una guerra. Quel ragazzo potrebbe aiutarci, non ha altra scelta. Nemmeno noi l'abbiamo».
Segue una manciata di secondi di silenzio.
«D'accordo» acconsente la Reynold. «Ma se qualcosa dovesse andare storto, non dovrai esitare ad abbatterlo, mi sono spiegata?»
«Puoi contare su di me. Su tutti noi».
«Lo spero proprio».
Quando sento i loro passi allontanarsi, distendo i muscoli e sospiro di sollievo.
Non sono riuscita ad afferrare tutto quello che si sono detti, ma una cosa l'ho capita: la vita del ragazzo-angelo ora è nelle mani di Alan Reed e della nostra comunità.
«Di quale bambino stavano parlando?» la domanda di Matt mi coglie impreparata.
«Non lo so» mormoro. Alzo gli occhi su di lui. «Ma conosco chi potrebbe saperlo».
 
 
***

 
«COSA?»
Lo strillo di Lysa mi distrae, e Matt ne approfitta per farmi perdere l'equilibrio e buttarmi a terra. Quando alzo gli occhi, lui torreggia su di me, i pugni puntellati sui fianchi e un sorrisetto compiaciuto sulle labbra.
Appoggio la testa sul materassino, sbuffando. «Lysa, potresti evitare di urlare?»
Lei alza gli occhi al cielo, facendo scrollare i lunghi capelli biondi raccolti in una treccia. Guardandola, non penserei mai che un individuo così esile e grazioso possa impugnare una pistola o mantenere il sangue freddo davanti a ferite gravi e grondanti morte.
Ogni giorno lei e Katia, al posto di fare la guardia al ragazzo-angelo, assistono i Medici durante gli interventi. Una volta, alla mensa, Lysa mi ha raccontato di come ha amputato la gamba destra a Billie Low insieme a una squadra esperta di Infermieri ranger; quella volta ho rischiato di vomitarle nel piatto.
Mi chiedo come facciano. Solo il pensiero del sangue mi dà il voltastomaco. In troppe occasioni ho gustato il sapore metallico del sangue che si insinua nel palato, l'odore pungente che scivola nelle narici... E in troppe occasioni ho ceduto a questa debolezza.
«Stai scherzando, Clover?» riprende Lysa, abbassando la voce. «Ti ha parlato?»
Annuisco, afferrando la mano che Matt mi tende e alzandomi.
«Ha cominciato a parlarmi subito dopo che Scott se n'è andato».
Il mio sguardo vola alla parte opposta della sala di lotta libera, posandosi su Scott. Sta combattendo con un ragazzo qualche anno più grande di noi e la sua espressione è crucciata dalla concentrazione. Ma non dimenticherò mai il pallore del suo viso e il sudore che gli imperlava la fronte mentre finiva il suo turno di guardia al ragazzo-angelo.
E questo mi è sembrato subito strano, addirittura sbagliato.
Scott non ha mai avuto paura di nulla, l'unica emozione che lo coinvolge a tal punto da fargli perdere quella sua maschera di superiorità è l'euforia; l'eccitazione prima della nostra prima missione, per esempio.
Ma non ricordo di averlo mai visto così spaventato.
Lysa si avvicina, mangiucchiandosi le unghie dalla curiosità. «Ti ha minacciato? Ha cercato di attaccarti?»
«No» rispondo. «Mi ha fatto solo alcune domande, tutto qui. Poi ha dormito per il resto del mio turno».
«Ti ha chiesto di uscire?» ridacchia Eve alle mie spalle.
È appena tornata dal suo turno di guardia.
Subito una domanda sfreccia nella mia mente. «Ti ha detto qualcosa?»
Eve scuote la testa, arrampicandosi agilmente sulla pila di materassini addossati alla parete e sedendosi in cima con aria annoiata. Le sue gambe penzolano placidamente avanti e indietro, la pelle scura libera dalla divisa dei ranger, sostituita da un paio di pantaloncini corti da allenamento.
«Ha biascicato qualcosa nel sonno, ma è stato immobile nel suo letto per tutto il tempo» risponde, racogliendo i capelli lunghi in una coda di cavallo. «Sono state le due ore più noiose e inutili della mia vita».
Grazie al mio geniale commento di ieri a mensa, i miei turni durano il doppio di quelli delle altre reclute. Tuttavia, le quattro ore che ieri ho trascorso con il ragazzo-angelo non sono state affatto noiose e inutili; piuttosto, i suoi stupidi enigmi continuano a rimbalzarmi in testa.
«Anche il mio turno ha fatto schifo» interviene Matt.«Ho passato la serata a fissare il soffitto».
«Spero che gli scienziati si sbrighino a trarre tutte le loro stupide conclusioni su quel ragazzo» dice Eve. «Mia madre lavora al progetto, ma non vuole dirmi niente»
Un pericolo per la comunità, ecco cos'hanno concluso su di lui. Se Alan Reed non avesse convinto la Reynold a quest'ora l'oggetto della nostra conversazione sarebbe stato un pericolo morto. Per un momento sono tentata di confessare loro del patto fra il comandante dei ranger e la dirigente degli scienziati e del bambino condannato a morte undici anni fa... ma fermo subito questo impulso. Siamo circondati da ranger veterani, non sarebbe certo opportuno che sappiano che ho origliato spudoratamente i nostri superiori.
Io e Matt abbiamo deciso di non dire niente a nessuno finché non avremo chiarito tutti i dubbi sorti dopo l'episodio di questa mattina.
«Allora Clover, di cosa avete parlato tu e l'Angelo?» riprende Lysa, tornando al discorso precedente.
Alzo gli occhi al cielo, sbuffando. Se Alan Reed mi vedesse con le mani in mano mi costringerebbe a fare la guardia al ragazzo-angelo per il resto della mia vita. Ma a quanto pare sono l'unica con un'idea chiara sul senso del dovere, e sono in minoranza.
Appoggio l'asciugamano sulla spalla e mi preparo alla scarica di domande. «È stato piuttosto ambiguo. Gli ho chiesto che razza di creatura è e, da quello che ho capito, non è né un Angelo, né un essere umano».
Eveline aggrotta le sopracciglia e raddrizza la schiena.
Lysa e Matt si scambiano un'occhiata interrogativa.
«Ma da che parte sta?» mi chiede Eve.
Scuoto la testa. «Non lo so».
Poi mi ricordo le sue parole: "Sono solo una creatura che, sospesa fra il bene e il male, l'uomo e il sovrumano, tende verso se stesso."
Non lo capisco. Non ho capito quasi nulla di ciò che mi ha detto.
«Beh, scoprilo» dice Eve. «A quanto pare sei l'unica con cui il ragazzo-angelo parli».
Prima che possa replicare, il Chronos allacciato al mio polso comincia a trillare.
Chiamata in corso: Sala di Controllo.
Rispondo alla chiamata premendo un tasto sullo schermo.
«Clover Fireborn, secondo piano. Chi parla?»
Sento su di me gli sguardi delle altre reclute.
«Rose» replica la scienziata. «Tu e Matt dovevate parlarmi?»
 
***
 
Non appena si aprono le porte dell'ascensore sul primo piano, troviamo Rose Grey in piedi davanti all'ingresso della Sala di Controllo. Ha un'aria preoccupata.
«Salve, ragazzi» esordisce, avvicinandosi. «È tutto a posto?»
«Sì, noi... volevamo chiederti una cosa» rispondo. Decido di andare subito al dunque. «Sai qualcosa riguardo un bambino condannato a morte, scappato da qui undici anni fa?»
Rose impallidisce e socchiude la bocca, senza emettere alcun suono. I suoi grandi occhi grigi ci fissano, costernati.
«E voi come diavolo sapete...» domanda; la sua voce è poco più che un flebile sussurro. Si interrompe un momento, il suo sguardo perso nel vuoto. Posso sentire il rumore dei suoi pensieri, una catena razionale che fra pochi secondi la porterà ad una decisione. «Seguitemi».
Sorrido. Rose è dalla nostra parte.
 

 
***

 
L'archivio Città Nascosta è situato nel primo piano, poco distante dalla Sala di Controllo. È una stanza ampia il doppio della mia camera, con una miriade di sportelli in alluminio incassati nel muro. Sopra ogni sportello, una scritta in rosso indica l'anno di nascita o di arrivo alla Sede Centrale delle persone i cui dati sono contenuti al suo interno.
Rose procede spedita verso quello che riporta l'anno 2089, afferra la maniglia argentea e la ruota in senso antiorario, tirando poi verso di lei. Dietro lo sportello vi è un monitor, su cui lampeggia furiosamente una lista di nomi.
Il dito della scienziata si ferma sulla lettera "J", poi preme su un nome e si volta verso di noi.
«Jensen Hudson» esordisce, facendoci vedere la sua scheda personale sul monitor. «A dieci anni è arrivato alla Città Nascosta, ferito gravemente e scampato ad un attacco di Angeli. È stato con noi poco meno di un anno, sotto la protezione dello scienziato Richard Mayer, morto in circostanze misteriose quello stesso anno. Poco tempo dopo ha cominciato a manifestare strani comportamenti; diventò violento, aggressivo, e poco a poco il colore dei suoi capelli si scurì, la sua carnagione esibì un pallore fuori dal normale, e i suoi occhi... i suoi occhi erano già azzurri, sapete, ma... cambiarono, come tutto il resto. Due scaglie di ghiaccio».
Mentre Rose parla, nei suoi occhi compare inspiegabilmente un luccichio.
«Rose, stai bene?» chiedo, prudente. Fino a poco tempo fa sono stata la sua protetta, ma non ricordo di averla mai vista piangere.
Sospirò, girandosi verso il monitor. «Sì, rondinella, non preoccuparti per me».
Un secondo dopo fece comparire sullo schermo due fotografie di due bambini,così diversi fra loro da sembrare paradossalmente identici.
«Ecco Jensen qualche giorno dopo l'arrivo nella Sede Centrale» disse la scienziata indicando il soggetto a sinistra, un bambino dai capelli scuri e spettinati e dagli occhi chiari, ridenti. «E questo è Jensen pochi giorni prima la sua fuga».
Deglutisco, mentre i miei occhi si posano sulla fotografia più recente.
Matt reprime un'esclamazione di stupore, portandosi una mano alla bocca.
«Non è possibile» sussurra lui. «Come diavolo è successo?»
Rose scuote la testa, amareggiata. «Pensiamo che si fosse trasformato in uno di loro, in qualche modo... » sta per dire qualcos'altro ma poi si ferma, come se avesse cambiato idea.
«E poi, cos'è successo?» domando.
«Richard Mayer è morto esattamente una settimana dopo la trasformazione di Jensen, nella stessa cabina dove si trovava anche il ragazzino. Lo abbiamo trovato in piedi vicino al corpo inerme di Richard, intento a fissare il suo cadavere come in trance. Lo abbiamo interrogato a lungo, ma non ha mai aperto bocca. Alla fine, è stato giudicato colpevole a causa dei suoi precedenti di violenza e condannato a morte, ma è scappato la notte prima del processo...»
Scappare dalla Città Nascosta? Impossibile. Le uniche via di entrata e uscita sono i tubi nella Sala di Controllo, ma soltanto pochissimi scienziati hanno la chiave per azionarli.
E Rose è una di loro.
«E come avrebbe fatto?» chiede Matt, perplesso quanto me.
«Jensen dimostrò subito un'attitudine incredibile per la tecnologia. Lo presi a lavorare con me, qualche volta, per insegnargli qualcosa per il futuro... » Rose si passa una mano fra i capelli, palesemente nervosa. «Forse riuscì a rubare la chiave, oppure qualcuno lo aiutò a fuggire... Non lo so, ragazzi, mi dispiace».
Sussulto quando, improvvisamente, il Chronos comincia a trillare, ricordandoci che è ora di proseguire con la prossima tappa della sessione di addestramento. Matt controlla il proprio orario, ma io non ne ho bisogno.
So benissimo dove e come trascorrerò le mie prossime quattro ore.
 

 
***


Quando torniamo all'ascensore, Rose mi afferra con delicatezza un polso, fermandomi.
«Aspetta» dice. «Devo parlarti».
Annuisco e saluto Matt, che nel frattempo torna al secondo piano per l'addestramento.
Mi volto verso la scienziata che, fino a poco tempo fa, si è presa cura di me come una vera madre. Ha un'aria stanca, spossata. «Rose, va tutto bene?»
Tiene lo sguardo fisso per terra. «No, rondinella» confessa.
Appoggio una mano sulla sua spalla. «Che cosa c'è?»
Rose solleva gli occhi, li tiene puntati su di me. «Sta per cominciare una guerra, Clover».


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Here I am! Ecco qui il quarto capitolo, con un ritardo imperdonabile massì che mi perdonate, vero? Vero?!
Ammetto di aver avuto un tentennamento per quanto concerne la trama. Ho voluto modificare alcune cose, deviando leggermente il percorso della storia. Per questo ho dovuto riscrivere interamente il quarto capitolo. Ma sono contenta così; per una volta credo di aver compiuto la scelta giusta.
Anyway,spero che il capitolo vi sia piaicuto, fatemi sapere cosa ne pensate! Questa richiesta è rivolta anche a voi, lettori silenziosi ^^ So che ci siete, fatevi sentire :)
In conclusione, grazie a tutti per aver letto/recensito. Al prossimo capitolo! 
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