The White Panther - Un solo vincitore

di Marra Superwholocked
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Valle di Freya ***
Capitolo 2: *** Divinità o demone? ***
Capitolo 3: *** Il compleanno di mamma ***
Capitolo 4: *** Scambio ***
Capitolo 5: *** Per una rosa ***
Capitolo 6: *** La Retcon ***
Capitolo 7: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** La Valle di Freya ***


La Valle di Freya

 


Come tutti sanno, esistono vari tipi di viaggio: c'è chi viaggia per lavoro, per diffondere la parola di Dio, per problemi di famiglia o anche solo per divertimento. Il viaggio in sé ci dà la possibilità di accrescere il contenuto del nostro bagaglio culturale e questo non fa altro che aumentare continuamente la voglia di sapere. In sostanza, quello che voglio dire è che la conoscenza porta ad altra conoscenza e non ci si può fermare, perché fermarsi significa ammettere di sapere tutto: non vi sembra impossibile?
Ma, nonostante possa sembrare così, non è tutto rose e fiori: l'arte del viaggiare porta a delle conseguenze. Talune sono belle, altre nemmeno lontanamente. Per le prime, possiamo dire che, se si arriva alla meta prestabilita, il cuore e la mente del viaggiatore si sentiranno appagati; inoltre, c'è la possibilità di incontrare persone straordinarie pronte ad accogliere a braccia aperte chiunque sia alla ricerca di un pasto caldo e di un letto morbido. Al contrario, invece, ciò che intristiscono l'animo del viaggiatore e che, di conseguenza, ne diminuisce la sete di conoscenza sono molte e diverse per ciascuno di noi. Si può incappare in incidenti causati dalla disinformazione. C'è anche la disuguaglianza tra aspettative e realtà, che non fa altro che farci pensare “Non ci torno più, qui!”. E, ancora, può succedere di smarrire un documento o un altro oggetto o, addirittura, una persona. Ma non vi è solo la perdita di qualcosa o di qualcun altro: c'è anche – e questa è la più importante – la perdita di se stessi e, avere dinnanzi agli occhi la scena di Valery che si contorceva senza che lui o Jack sapessero cosa fare, poneva il Dottore al centro di questa teoria.


Panico. Dal greco panikos, relativo al dio Pan. Esso è conseguenza – o sinonimo, non saprei dire – di un terrore improvviso e annulla la ragione. Fin qui, ci siamo. È anche una forma estremamente esagerata di paura o timore che spinge a compiere gesti irrazionali, senza senso.. Ma forse l'ho già detto... Quindi, in sostanza, ora sarei pericoloso... E come potrei non esserlo? Valery è in preda ad una crisi epilettica e io non so cosa fare!
Aveva appena assistito ad una specie di miracolo e, finché Valery non era caduta a terra, continuò a ripetersi che tutto ciò era solo un sogno e che di lì a poco si sarebbe risvegliato tra le braccia della bella River Song, forse su un prato della valle di Freya, abbracciati sotto un albero in fiore. Probabilmente, si sarebbero ritrovati circondati da candide fanciulle dai sorrisi sinceri e con i capelli morbidi e profumati di lillà. La valle di Freya – dal nome di una potente strega del XVI secolo – era meglio conosciuta come luogo di meditazione e di istruzione per le giovani apprendiste; il Dottore aveva sempre un permesso speciale per potersi riposare, facendosi coccolare dal dolce venticello che soffiava dal Monte Swan, nome datogli per la sua forma.
Ma non era un sogno, purtroppo. Era un incubo talmente spaventoso che era reale.
Il Dottore cercava di pensare, ma tutti i suoi ragionamenti sembravano smaterializzarsi subito dopo essere stati concepiti. Quegli istanti di puro terrore, però, furono ricompensati con la calma che la stessa Valery riuscì a ristabilire. Più o meno. Né Jack né il Dottore capirono immediatamente quanto stesse accadendo, ma mentre il primo si occupava di qualcosa di concreto tenendola ben salda al suolo, il secondo si tormentava le mani sudaticce, terrorizzato dai suoi pensieri.
Cos'era successo, l'ultima volta? Lui era fuggito insieme agli altri, per vendetta. Se n'era andato. O così credeva, a quanto pare. Quello di cui era sicuro era che lo aveva salvato, in qualche modo: come sempre, aveva pensato prima di tutto ai suoi interessi. Ma perché era tornato? E soprattutto: come? Come, dato che non c'era modo di scappare?
La testa del Dottore stava per esplodere, ragionava troppo velocemente e le sue teorie non si reggevano in piedi. Poi i suoi occhi caddero su Valery, ancora a terra, tremante. D'un tratto, le mani di lei afferrarono Jack per il colletto della sua camicia color notte e gli sussurrò qualcosa all'orecchio. Lo guardò negli occhi e gli lesse in volto un'espressione di scuse e, con un gesto scattante, Jack staccò le sue mani dai polsi di Valery, le intrecciò alte sopra la sua stessa testa e le fece cadere velocemente sul petto di lei, all'altezza dei cuori. Subito dopo, la ragazza emise un rantolo di dolore seguito dall'inarcamento innaturale della schiena: un immateriale serpentone dorato fuoriuscì dalla sua bocca e si dileguò strisciando fluidamente nell'aria tra i corridoi del Tardis del Dottore, il quale era ormai sicuro che quella non fosse stata una semplice crisi epilettica.
« Val... » Jack non riuscì a proseguire subito. Tirò su con il naso e si asciugò le lacrime col dorso della mano. « Eri.. Eri davvero posseduta? »
Poi fu la volta della pantera albina: « Ha bussato. Verrà a prendersi la sua rivincita, Dottore, e userà me » disse con voce rauca. « Devi uccidermi. »

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Capitolo 2
*** Divinità o demone? ***


Divinità o demone?

 


Quelle due parole – “Devi uccidermi” - gli rimbombarono in testa per degli interminabili secondi. Il Dottore sapeva che Valery non era umana, il suo odore gli era familiare e adesso capiva perché, ma ora più che mai sperava di sbagliare. « Sei per caso impazzita?! »
« Dottore, credimi: è l'unica speranza che abbiamo. »
I loro occhi tremarono nel buio fissandosi l'un l'altra. Attimi di silenzio che alle orecchie di Jack parvero assurdi. « Val, rispondi alla mia domanda. Eri davvero posseduta? » chiese confuso.
« Sì, Jack, lo ero. Ma non del tutto: ho mantenuto un certo controllo e tu sei riuscito a mandarlo via. »
« Ma chi? Chi è tornato? » Jack non capiva più nulla. Sapeva solo che Valery, la sua Valery – l'”ibrida” - era stata coraggiosa come sempre.
« Io non so molto sul suo conto. Anzi, a dire il vero non so nulla. »
« Da quanto tempo va avanti questa storia? » le chiese il Dottore con la voce che tremava più di una fogliolina secca pronta ad abbandonare il suo ramo.
« Avevo appena terminato di montare la consolle, quando ho avvertito qualcosa.. Mi sentivo osservata, ecco. Dopo circa tre anni di silenzio, ho fatto un sogno e lui era lì.. Mi sorrideva. E ogni volta che mi trovavo in difficoltà lui si faceva sentire o vedere e mi aiutava sempre nella mia missione. Come potevo prevedere tutto questo? Avevo solo ottantasette anni! » Valery abbassò lo sguardo, negando la presenza di Jack nella stanza: aveva in mente un piano.
« Che buffo, per un attimo ho creduto di aver sentito che hai più di ottantasette anni. Oh, sì, comincio proprio ad invecchiare. » Sorrise divertito e si strofinò le orecchie per stapparle.
« No, Dottore. Hai capito benissimo. Le apparizioni di quest'uomo durano da più di sessant'anni. Adesso ne ho centocinquantadue. »
Il sorriso di lui si spense immediatamente e si sentì totalmente perso. « Io.. Io credevo che.. Non.. Chi sei?! Non sei umana, questo è ovvio, ma.. » Le si avvicinò e le girò intorno per studiarla bene. La annusò, le tastò la schiena, le pose una mano sulla fronte. Come ultimo gesto disperato e apparentemente senza senso, tirò fuori dalla tasca interna della sua giacca un bicchiere di vetro: ne appoggiò il bordo sulla fronte di Valery e mise il suo orecchio sul fondo gelato di esso; si mise ad ascoltare. « È impossibile! » sbottò lui prima di allontanarsi quasi disgustato dalla ragazza. « Tu non sei reale! Io sono l'ultimo.. Non esisti, così come il tuo.. Tardis, o qualunque cosa esso sia, e lui. Lui non è tornato. No! »
« Dottore, calmati, ti prego. Io sono reale quanto lo sei tu e il mio Tardis ne è la prova! Sono cresciuta consapevole del fatto che la mia vita sarebbe stata assai diversa da quella dei miei amici e della mia famiglia. Tralasciando i particolari, io sono come te. » Gli toccò il petto e lo sentì caldo e pulsante sotto il suo palmo. « Ti ho cercato dappertutto e per così tanto tempo, Dottore. Ora sei pronto, lo sento. I tuoi occhi hanno quella luce che solo un uomo saggio può mai avere. Resisterai, ne sono sicura, e mi crederai. »
« Perché mi cercavi? »
« Tu hai bisogno di sapere, me ne rendo conto. Ma devi avere pazienza. Guardami, guarda il mio Tardis. » Gli prese il mento tra le dita che si bagnarono delle lacrime di lui che lo avevano appena vinto. « Guardami » gli ripeté. « Cosa vedi nei miei occhi? »
Jack assistette al tutto da lontano. Attendeva quel momento fin da quando Valery gli aveva raccontato tutto dopo essersi ubriacata alla sua festa di compleanno. Centoventidue anni ed era la prima volta che beveva. Gli disse tutto – da sua madre a come quest'ultima aveva conosciuto il Dottore, dal matrimonio dei suoi genitori al suo primo viaggio – ma fu molto astuta nel non pronunciare il suo cognome. In famiglia, lo sapevano solo tre persone: lei, sua madre e suo padre. Per comodità, si faceva chiamare Valery McDonald, cognome molto facile da ricordare e talmente semplice che tutti ci cascavano.
« Non vedo niente, mi dispiace » fu la risposta del Dottore dopo che ebbe esaminato a lungo gli occhi di Valery.
« Questo perché sei tu a non volerlo » disse lei allontanandolo con una leggera spinta.
« E, sentiamo, cosa dovrei vedere? » Il suo sguardo sapeva di sfida con quelle braccia venose incrociate sul petto.
« Il tuo volto, idiota! »
Jack se la rideva sotto i baffi, ma all'improvviso rabbrividì. Qualcosa lo aveva sfiorato o stava sognando? « Dottore? Valery? »
I due – il Dottore, prima, dovette incassare il duro colpo – si voltarono verso l'immortale, il quale si sentiva come accarezzato da un fantasma. « Cos'è? » chiese mettendo una mano sulla cintura, pronto ad afferrare la sua pistola.
« Non ti muovere! » urlarono all'unisono il Dottore e Valery.
A quell'alzata di voce, ciò che strisciava sulle spalle di Jack reagì schizzando in alto e una lunga ed accecante striscia dorata vorticò fin giù sul pavimento di vetro. Valery fece qualche passo all'indietro, spaventata, e incontrò le mani del Dottore che, senza voltarsi, la prese per la vita e la spostò dietro di sé per proteggerla. Ma quel fascio di luce, troppo potente per chiunque, prese forma e Valery riconobbe subito l'uomo che la angosciava da più di mezzo secolo. Chiunque fosse stato inconsapevole della sua identità, lo avrebbe descritto come un dio sceso in terra.
Invece, lui era più simile ad un demone e il Dottore lo sapeva benissimo. « Ciao, Maestro » lo salutò digrignando i denti.

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Capitolo 3
*** Il compleanno di mamma ***


Il compleanno di mamma

 


«Dottore.» Il tono della sua voce apparve estranea alle orecchie di Valery, come se quella che aveva di fronte fosse stata una persona decisamente diversa dall'uomo biondo dai buoni consigli e, mai come in quel giorno, si sentì così vuota da qualsiasi cosa la potesse sollevare: amore, gioia, fede e speranza cessarono di esistere in lei. Sentì anche non esistevano vie d'uscita, a meno che il Dottore...
Non c'erano dubbi: l'uomo che il Dottore chiamava “Maestro” l'aveva bellamente ingannata e lei si era fatta mettere i piedi in testa. Ma perché non mi sono fatta gli affaracci miei quando ho sentito papà parlare nel sono?! A quest'ora, potrei essere con i miei genitori a guardare un buffo programma televisivo. Poi, ripensandoci su, Valery si rese conto della sciocchezza appena desiderata: aveva centocinquantadue anni. I suoi genitori erano già morti da troppo tempo... Una lacrima la minacciò di scendere dai suoi occhi colmi di sensi di colpa senza fondamenta, perché nessuno poteva sapere delle conseguenze scaturite da una relazione tra un'umana ed un individuo unico come suo padre.
E ora eccola là, la viaggiatrice nel tempo da una sola faccia, dietro le mani tremanti del suo eroe così diverso e allo stesso momento così simile al padre che tanto le mancava. Valery soffriva molto quando, per caso, si imbatteva in quel volto, il volto di suo padre. Scacciò via dalla mente quei pensieri e si concentrò sul presente: fece molta attenzione a non posare lo sguardo su Jack e prese coraggio. «Tu sei nella mia mente, chiunque tu sia» lo provocò uscendo allo scoperto.
«Valery, che fai?» Il comandante del Tardis era terrorizzato.
«Dottore, tranquillo.» Si girò verso di lui con un sorriso calmo e quasi ipnotizzante. «È solo un mio pensiero e posso farci quello che voglio.» Gli fece l'occhiolino e la sua bocca mimò in silenzio una parola. O meglio, un nome: “Jack”.
Il Dottore capì immediatamente cosa aveva intenzione di fare la ragazza, tanto che oscurò dalla sua mente l'amico. Chiudi la porta, getta la chiave. Mi piace quest'idea. Poi Valery, che nel frattempo si era nuovamente girata verso il Maestro, sfiorò con la mano la cintura marrone dei suoi pantaloni e con quella sua risata da uomo arrugginito sembrava voler imitare un pistolero di un vecchio film western. Ok. Ritrova la chiave, mettila in tasca. Peccato. «Valery...» disse tendendole la mano. Voleva attirarla a sé, dirle che avrebbe mandato via per sempre quell'incubo, che non ci sarebbe stata nessuna morte... Ma non fece nemmeno in tempo a guardarla negli occhi un'ultima volta, poiché la ragazza non riuscì quasi a reagire per la forte velocità con cui quell'entità di luce dorata le si scaraventò e le entrò in corpo.
Valery volò all'indietro a tre metri di distanza cadendo poi di schiena ai piedi al Dottore. Le palpebre erano abbassate, la bocca semiaperta e la la testa scattava da un lato all'altro come per negare quella terribile realtà. Ad un tratto spalancò gli occhi e le sue iridi color miele fissarono quelle luminose del Dottore, in piedi al suo fianco.
«Valery?» la chiamò il Gallifreyano.
«Che giorno è oggi?» chiese la diretta interessata.
Jack fece qualche passo avanti e rispose alla domanda, ma le orecchie del Dottore non captarono alcun suono: infatti, guardò lo schermo della consolle e si schiarì la voce. «Ventisette aprile.»
«Oh, ecco perché è così triste.»
«Chi?»
«Valery, ovviamente.»
Il Dottore rimase spiazzato. Era convinto che quella ragazza fosse forte, invece non era affatto così. Aveva appena scoperto che nell'intero Universo vi era una sola persona come lui: non solo era della sua stessa specie – forse.. – ma era anche buona. E ora l'avrebbe persa: divorata dalla coscienza del Maestro, lontana anni luce dalla sua prigione corporea... «Che ne hai fatto di lei?» gli urlò in faccia. «DIMMELO!»
Lei – lui – si alzò in piedi e sorrise maligno. «Dottore. Che piacere vederti. Sei cambiato! Ora, però, calmati: lei è al sicuro qui dentro » e, pronunciando queste parole, si picchiettò la tempia con un dito.
«Che cosa vuoi da me?» chiese rosso in volto. Sentiva il farfallino opprimergli la gola, faticava a mantenere il controllo: la vena sul suo morbido collo pulsava come non mai.
«Non è ovvio?» Vedendo che il Dottore non cambiava minimamente espressione, riprese a parlare. «Vedi, io più di chiunque altri voglio la tua morte. Ma tu sai esattamente dove mi trovo in questo momento, non è vero? In questo stato posso sì agire di persona, ma ho bisogno di un corpo...»
«E così intendi servirti di Valery. Ma perché lei? Potresti prendere me e andartene in giro ovunque tu voglia! Lasciala stare!»
«Di nuovo, Dottore, ti presenti come un emerito idiota. Prima non capisci chi Valery sia in realtà, poi non afferri le mie parole. Voglio vederti morire per mano mia. Be', più o meno, dato che sono nel corpo di qualcun altro.» Il Maestro, ormai, possedeva appieno la mente di Valery: aveva accesso ad ogni suo ricordo e, da buon Signore del Tempo, poteva maneggiarli come più gli piaceva. Ma anche la misteriosa Valery *cognome ignoto* aveva i suoi trucchetti e li aveva imparati alla corte di Versailles, niente meno che da Madame de Pompadour: “Una porta, una volta aperta, può essere superata in ambe le direzioni.”

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Capitolo 4
*** Scambio ***


Scambio

 


Valery sbatté le palpebre velocemente e le sue pupille si adattarono al buio solo dopo svariati minuti. In un contesto normale avrebbe pensato che quella sensazione fosse piacevole, ma cadere nel vuoto infinito mentre il nemico per eccellenza del Dottore gli faceva chissà cosa non la tranquillizzava affatto. La sua “arma segreta” doveva tenerla ben nascosta e, dato che la sua stessa coscienza era stata imprigionata da quella del Maestro, era molto importante che lui non ne venisse a conoscenza.
Come ho potuto essere così stupida?, pensò Valery maledicendosi tra le lacrime. Ma quell'emozione era solo un'illusione.
Non aveva la più pallida idea di ciò che stava succedendo all'esterno e non aveva il benché minimo senso del tempo: il Maestro avrebbe potuto vincere senza che lei se ne rendesse conto ed era la cosa che più di tutte la terrorizzava. Stava quasi per abbandonarsi alla caduta senza fine quando si ricordò che quella era la sua mente: così come poteva essere rinchiusa in una gabbia dal suo aguzzino, poteva ribellarsi ad esso e riprendere – anche se in parte – il controllo di sé. Così, l'illusione del nero infinito si tramutò in pareti ben definite che, dal colore della notte profonda, passarono prima al color della grafite, poi ad un bianco sporco ed, infine, si stabilizzarono sul bianco più puro che una mente possa creare.
I suoi piedi toccarono delicatamente il suolo e sul suo viso apparve un sorriso compiaciuto. Programmare non era mai stato il suo cavallo di battaglia, ma lì per lì si sentì forte come un leone e, perciò, capace di tutto. Era come se una potente scarica elettrica attraversasse il suo corpo chiamandola.
«Valery!»
Si girò. Tutto bianco. Provò la stessa sensazione di un carcerato in una cella di isolamento, con le braccia intrappolate in una morsa invisibile. Di colpo, si sentì mancare e guardandosi le braccia le vide sulla via della scomparsa. Attorno a lei, le pareti si ampliarono e le perdette di vista mentre avvertì sul petto uno strano peso. È questa la morte?, fu l'unica cosa che pensò. Poi, però, si rese conto che davanti ai suoi occhi si stava materializzando un volto, quello di un ragazzino di otto anni forse.
«Valery!» la chiamò il Dottore nel tentativo di riportarla indietro. Ecco di chi erano quelle forti braccia sulle sue. Poi la situazione tra i due gallifreyani si capovolse.
La voce si fece più flebile, quasi impercettibile, mentre il volto che aveva davanti si materializzò assieme al resto del corpo. Appariva così realistico e angelico che le sembrò di poterlo toccare. Come una parte a sé stante, la sua mano si allungò quel tanto che bastava per accarezzare la guancia paffuta del bambino che la guardava senza espressione. Non appena la sfiorò, nella sua mente passarono come treni ad alta velocità le immagini della vita del bimbo: gli occhi spalancati ed impauriti di fronte al vortice del tempo, i tamburi, l'esilio su una spiaggia terrestre, il professor Yana, la rigenerazione nel Tardis ed infine i suoi occhi.. Gli occhi di un assassino senza scrupoli.. Occhi diabolici iniettati di sangue che ridevano consapevoli della loro stessa follia.
Guardò in faccia quel bambino e capì subito chi fosse. «Povero piccolo» sussurrò passandogli attraverso e riducendolo in una nube immateriale e indistinta.
Ripreso il controllo di sé, Valery tornò a vedere le pareti e ci camminò proprio nel mezzo. Alla sua destra, come alla sua sinistra, apparivano al suo passaggio sempre due nuove porte. Non aveva idea di quel che vi fosse all'interno, si affidava semplicemente al suo istinto da Signora del Tempo.
Senza rendersene conto, le sue gambe si fermarono davanti ad una porta anonima quanto le altre, ma solo all'apparenza. La sua mano volò repentina sulla fredda maniglia e capì che era la porta giusta per portare avanti il suo piano. Mentre i cardini scricchiolavano, Valery tenne gli occhi chiusi, aspettandosi altre pareti immacolate e accecanti. Tuttavia, ciò che vi trovò dentro la sconvolse non poco.
I suoi occhi non vedevano altro che un colore: pareti nere, pavimento nero, soffitto nero. Tutto brillava ed era perfettamente pulito, in maniera quasi maniacale. Solo la luce, proveniente da nessun punto all'interno della stanza, era diversa – ma comunque tetra – e le permise di far caso ad un uomo rannicchiato su se stesso, con le ginocchia che sorreggevano il mento ed il resto del volto di un Maestro dagli zigomi scavati e dagli occhi persi nel vuoto.
I piani di Valery crollarono come un castello di carte, ma li ricostruì velocemente adattandoli alla nuova situazione. Le dispiaceva distruggere l'unica briciola di bontà del Maestro, ma se voleva evitare il peggio doveva farlo. E subito.
Si incamminò attraverso la stanza con quegli occhi tristi puntati addosso che acconsentirono subito quand'egli intuì le sue intenzioni. «Farà male?» le chiese.
«Solo all'inizio, poi ti sentirai libero.»
«Allora, ti prego, fai in fretta.» Staccò lo sguardo dal volto di Valery e si mise a fissare la parete che gli stava di fronte. Lei lo seguì e vide una specie di enorme schermo nero che proiettò le immagini di ciò che accadeva al di fuori di quella realtà: il Dottore ed il Maestro, sì, parlavano, ma uno sopra l'altro; il biondino sovrastava il Custode dell'Universo e le sue mani premevano sulla gola di quest'ultimo.
«Devi sbrigarti» disse il senno del Maestro.
Lei gli si avvicinò di più per poi inginocchiarsi di fronte a lui. «Allora chiudi gli occhi.»
Felice, obbedì alla sua salvatrice.


Il Dottore approfittò di quell'istante di debolezza del Maestro per spingere il corpo di Valery lontano da sé. Non era sicuro che, colpendolo, la ragazza non sentisse dolore, ragion per cui si difese ben poco.
Il corpo cadde quasi a peso morto qualche metro più in là ed aveva in volto un'espressione confusa e colma di panico per l'arrivo di qualcuno che credeva di aver sistemato per sempre.
«Dottore!» si sentì chiamare il gallifreyano. La voce era sempre quella di Valery, ma non riuscì a capire se fosse quella vera oppure se si trattasse dell'ennesimo giochetto del Maestro per distrarlo e colpirlo un'ultima volta, quella definitiva.
«Dottore, sono io! Sono Valery!»
«Come faccio ad esserne sicuro?!»
Aveva ragione. Aprì, dunque, il suo borsello di pelle e ci affondò la mano: dalla fretta, non scelse con cura gli oggetti e il Dottore la guardò stupefatto mentre lei estraeva uno dopo l'altro oggetti di qualsiasi genere come mestoli, sveglie e provette come quella usata a Lione. Poi le sue mani trovarono ciò che stava cercando: la sua .357 Magnum.

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Capitolo 5
*** Per una rosa ***


Per una rosa

 


Il Dottore guardò con occhi increduli la pistola che Valery gli aveva appena lanciato implorandolo di credergli.
«Sono io, Dottore, sono io! Veramente io! Se fossi il Maestro, ti darei un'arma?» urlò disperata Valery.
«Ma io...» balbettò lui con le mani che volevano rifiutare l'oggetto che sostenevano come se fosse stata una pietra bollente.
«Avanti, Dottore! Spara, non resisterò a lungo! Ti prego, fallo per me.» Valery era in piedi davanti ad un Dottore spaventato e che non sapeva cosa diamine fare. La sua indecisione e paura erano quasi tangibili e Idris, la sua Sexy, la percepiva forte e chiara: solo Valery riuscì a sentirla piangere, lamentarsi e continuare a ripetere che doveva premere quel dannato grilletto. «Fidati, ma se non vuoi farlo per me, allora fallo per una rosa» disse sorridendo.
Dov'era Jack quando ce n'era bisogno? Giusto, pensò, l'ho oscurato. Quel potere quasi non sapeva di averlo, ma era riuscito in qualche modo a fare ciò che voleva: nascondere Jack semplicemente non pensandoci. E ora non riusciva a tornare indietro. Era così felice che quella strana ragazza fosse riuscita ad elidere la sorveglianza nonostante l'avesse fatto solo per una pistola. «...fallo per una rosa» gli aveva detto. Ma cosa intendeva?
Purtroppo per lui, non ebbe nemmeno il tempo di formulare qualche ipotesi che Valery mutò espressione, divenendo così simile a quella del Maestro che non poteva avere dubbi su quanto appena successo.
«...fallo per una rosa.» La frase gli rimbombava in testa e pretendeva un'analisi, una codificazione.
«Oh, Dottore... Non hai ancora capito chi sia Valery, vero?» Il Maestro era tornato al comando e se la rideva come una iena. «Non mentire, te lo leggo negli occhi così come ha fatto lei. Ha voluto aiutarti, darti un indizio, e tu non riesci a notare l'evidenza. È così facile che ti sfugge. L'hai delusa.» Disse tutto camminando lentamente verso il suo secolare avversario. «Sei alla fine della tua inutile vita, Dottore. L'universo ha subito le tue azioni per troppo tempo: non pensi sia l'ora di fare un atto di altruismo? In fondo, tutti quelli che incontri o muoiono o dimenticano o vogliono tornare sui loro passi. Non credi ci sia un motivo a tutto questo? Un pensiero comune a tutti loro?» Il volto di Valery prese a sorridere, usato come una marionetta da uno sfruttatore senza scrupoli. «Sei pericoloso» disse poi in un ghigno.
Il Dottore ascoltava come rapito le parole del Maestro, a poca distanza da lui, e teneva puntata su quest'ultimo la semiautomatica di Valery. Tremava da testa a piedi. Odiava come sempre le armi e gli mancava la determinazione che aveva l'ultima volta, sebbene le perse poco dopo per mancare di proposito il suo obiettivo.
«Suvvia, Dottore, lo so che la pensi come me, quindi evita i ripensamenti. Aiuta l'universo un'ultima volta. FALLO PER UNA ROSA!» Il Maestro usò un tono di voce ben più alto del normale nel pronunciare l'ultima frase ed il Dottore intuì che fosse stata Valery a fare ciò, senza insospettire il suo carceriere, poiché egli sembrò sereno quando Valery gli lasciò nuovamente il controllo. «Allora? Qual'è la tua scelta?» riprese lui con un sorriso che mostrava un'espressione maligna non appartenente a Valery.
Scegliere, ancora questa terribile azione. Si può scegliere tra due dipinti quello che ci emoziona maggiormente, tra due canzoni quella da mettere ad una festa, tra due pasticcini quello che appaga di più il nostro palato; ma non si può scegliere tra la Vita e la Morte. Si fosse trattato di un robot, l'avrebbe semplicemente spento traendone forse vantaggio studiandolo; tuttavia, si parlava di due persone in carne ed ossa, lontane tra loro anni luce, perfino il Tempo li distanziava.
«Dammi una buona ragione perché io non debba fermarti» disse il Dottore con la voce ferma quanto lui.
«Una buona ragione.. Dunque, vediamo.» Cominciò a riflettere buttando uno sguardo in alto. «Innanzi tutto, quella pistola non si addice alla tua persona: tu odi le armi, specialmente quelle da fuoco. Punto due: non sparando, ti verrà voglia di fermarmi con la forza e con quel tuo corpicino esile ti spezzerei come un grissino in pochi istanti. Punto tre: tu non vuoi un'altra vita sulla coscienza, dico bene?»
Schiacciato come una formica. La tensione si fece strada nel suo sistema nervoso un'altra volta.
«Spara. Fermami, se vuoi salvare coloro che ami. Ma...» Il Maestro guardò incuriosito il suo interlocutore e cominciò a parlare come comandato da una forza maggiore, una forza che aveva centocinquantadue anni e che si chiamava Valery. «Fallo... Per una... Rosa... Fallo per... Per una... Rosa...»
Al Dottore non sfuggì affatto l'espressione di enorme sforzò sul volto di Valery e lo associò al grande potere della ragazza.
«Dottore! Liberalo! Liberalo dall'oblio!» urlò Valery, poi tornò ad essere la prigioniera di turno, ma per niente indifesa, mentre il Maestro rimase sconvolto e immobile come una statua.
Nella mente del Dottore si fece strada un lungo ragionamento che si ramificava sempre di più per poi riunire tutte le ipotesi verso un'unica conclusione: Valery era davvero come lui. Ma perché aveva tirato in ballo un fiore? Una rosa? A quale pro? Poi la sua mente da super cervellone riuscì a trovare una risposta ai suoi mille interrogativi. Se esistesse una macchina che possa mostrare su un grande schermo i pensieri dell'uomo, su questo schermo apparirebbe il volto di una donna, la donna che lui stesso amò fin da subito. Le aveva causato così tanti problemi, fino all'ultimo istante, finché non fu costretto ad allontanarsi da lei. Due universi li separarono mentre un sole, seppur per pochi istanti, li riunì. Il fiore più bello della Terra, da proteggere sotto una campana di vetro, da annaffiare ogni qualvolta lei lo richiedesse. La madre di Valery.
Spinto dall'amore per quella donna, abbassò la pistola e ripensò a quel farabutto di Jack: piombato all'improvviso nella sua vita, sottratto alla Morte e ora pronto a tutto pur di salvare la sua Val.
Il Maestro vide con la coda dell'occhio una figura alla sua sinistra con un lungo cappotto gettato ai suoi piedi e la cinta piena di armi d'ogni genere. Ad un cenno del Dottore, Jack alzò la pistola che impugnava da chissà quanto tempo e, con una lacrima che scendeva fino alla sua bocca, pregò che Valery avesse ragione; una pallottola partì dall'arma e come una scheggia si conficcò nel petto della ragazza, facendola cadere al suolo. In fin di vita.

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Capitolo 6
*** La Retcon ***


La Retcon

 

 


Volto; maglietta; petto. Sì, il buco c'era. La pallottola era entrata. Petto; sangue; occhi. Jack continuava a far viaggiare le sue mani dal volto al petto della sua Val, stesa a terra con gli occhi serrati e il sangue che le usciva a fiotti dal buco provocato dalla pallottola.
«Valery! Valery!» urlò Jack scrollandola per le spalle. Il Dottore si era nel frattempo avvicinato ai due e insieme a Jack tentò in tutti i modi di svegliarla.
Adesso Idris era più serena; triste sì, ma molto più calma, perché conosceva bene le intenzioni della ragazza e poté finalmente rilassarsi. Quanto al suo “proprietario”, il Dottore continuava ad armeggiare col suo cacciavite sonico attorno al volto di Valery. Si era affezionato a quella ragazza. Lo aveva affascinato fin da subito, fin dal primo giorno che mise piede sulla Terra. Lei era lì, dietro l'angolo della strada, che lo fissava come se lo conoscesse da anni. Si sbagliava, ma lo capì solo quando la rivide dopo più di novecento anni di fugaci apparizioni. Valery aveva preso la strada più breve, aveva avuto la possibilità di vedere tutta la sua linea temporale in meno di un secolo e mezzo. Solo adesso concepiva appieno il motivo del viaggio senza meta della ragazza, solo nel momento in cui le sfiorò la guancia.
«Mamma, mi racconti ancora la storia del Dottore?»
«Tesoro, è tardi. Devi dormire.» La madre si piegò sulla figlia di sette anni per darle il bacio della buonanotte e sistemarle la coperta poiché fuori faceva molto più freddo del normale.
«Ma domani non ho scuola!» l'aveva supplicata la bambina.
«E va bene.» Sua madre aveva acconsentito non solo per fare un favore alla sua Valery, ma anche perché le faceva comunque un grande piacere ricordare.
Un salto nella mente di Valery portò il Dottore a vedere l'ultimo giorno in cui la ragazza vide i suoi genitori e in cui la stessa si sacrificò richiudendo per sempre il tessuto temporale che separava i due universi. Erano molto anziani e lei era appena uscita dal suo Tardis, allevato con così tanto amore, dopo che ebbe fatto un giro di prova nel passato. La mano della ragazza si avvicinò alla guancia del padre e ne toccò la basetta lunga e pungente, poi la fece scivolare dietro al collo e lo abbracciò più forte che mai. «Vai, bambina mia, trova il Dottore» le aveva detto. La madre, invece, aveva i capelli morbidi e lisci tenuti insieme in uno stretto chignon. Avevano perso la loro lucentezza, ma il volto era ancora fresco e sorridente come quando, a soli diciannove anni, conobbe il Dottore.
Quest'ultimo, come un fantasma invisibile nella mente di Valery, la riconobbe e sentì il bisogno di staccarsi dal flusso di ricordi della ragazza; lo rincuorava saperla felice, ma gli faceva male vederla con un uomo che non era lui. La prima volta che la baciò, lei non la ricordava nemmeno; la seconda, non era veramente lei; la terza, non era lui l'uomo che la strinse forte e la baciò appassionatamente su una spiaggia norvegese.
«Oh, quanta sofferenza, mio caro Dottore.» Valery aveva riaperto gli occhi e aveva ripreso a respirare. Andava contro le leggi naturali? No, affatto: le rispettava tutte e il Dottore sapeva il perché. Ma a parlare non era la ragazza, bensì il Maestro che, prossimo alla morte e consapevole di quel che era avvenuto, si piegò al suo destino. Non volle dire altro, solo confermare i pensieri del Dottore, e la sua ultima parola fu «Uccidimi», rivolto a Valery.
Come alimentato da una luce interna, il corpo della ragazza prese a brillare. Il Dottore le guardò le mani ed esse risplendevano di una leggera luce propria, un bagliore che lui aveva visto tante volte, troppe. Descritta da un lato quasi infantile, Valery era paragonabile ad un'enorme lucciola che stava cambiando lo stato di salute del suo corpo. Dalle maniche della sua maglietta e dal collo di essa cominciò a farsi più forte e determinata la luce color oro che precedeva l'ultima fase del rinnovamento delle cellule, della rigenerazione. Valery avvertì un leggero formicolio alla nuca mentre il Maestro ritornava a essere solo una presenza innocua nella sua testa e subito dopo il Dottore capì che era il momento e si allontanò. La luce dorata avvolse la ragazza che si sentì bruciare fino all'osso, ma era una sensazione di piacere. Chiuse gli occhi e si sforzò di gettare via tutto ciò che non serviva nel suo corpo e riuscì ad espellere immediatamente la pallottola mentre il suo petto ricostruiva le cellule danneggiate. Ma vi era ancora un corpo estraneo dentro di lei: l'anima, la coscienza del Maestro le aveva chiesto di ucciderlo. Valery, dunque, poteva fare una sola cosa.
La rigenerazione prese piede e partirono tre raggi di luce abbagliante che, per la loro potenza, bruciarono letteralmente ogni residuo di vecchio ed estraneo che aveva in sé per dare vita ad una “nuova” Valery, la quale ansimò stremata e soddisfatta al termine del cambiamento perlopiù invisibile.
Il Dottore esplose in lacrime di gioia; sollevò la ragazza dal pavimento del Tardis e l'abbracciò. Era tutto finito. Il Maestro non c'era più, il Dottore era salvo, Valery era riuscita nella sua missione e il tutto per merito di Jack: per una volta, era lui l'eroe della situazione.
Valery e il Dottore erano ancora stretti l'una all'altro in un impeto d'entusiasmo che, presto, si sarebbe tramutato in qualcosa che avrebbe cancellato ogni momento insieme.
«Dottore, non riesco a respirare» disse Valery col collo bagnato delle lacrime del Dottore.
«Non sono solo! Non sono più solo!» continuava a ripetere quest'ultimo tra i singhiozzi.
Jack li guardava dall'alto; sapeva che Valery non lo avrebbe deluso, che non lo avrebbe lasciato solo.
La ragazza non aveva cambiato nessun parametro del suo aspetto né del suo carattere grazie al suo DNA: venti per cento Umano, ottanta per cento Signora del Tempo. In realtà, i suoi genitori avevano tutti i requisiti per essere considerati dei veri umani. Be', tutto tranne la grande intelligenza di suo padre, nato dalla mano mozzata del Dottore stesso e dal contatto con un'umana, Donna Noble.
Il pensiero che ora attanagliava la mente del Dottore era che egli avrebbe voluto viaggiare con Valery per il resto della sua vita, con una persona che finalmente capisse appieno i suoi gesti e quanto lui diceva, ma il suo progetto non aveva futuro: come lui, la ragazza aveva terminato tutte le sue rigenerazioni, usate per scoprire quale fosse il momento migliore per rivelarsi a lui, e lo aveva sempre aiutato, seppur indirettamente, rimanendo ogni volta dietro le quinte. Quanto sarebbe durata, dunque? Quattro, cinquecento anni? Forse anche di più, ma se fosse successo qualcosa di grave? Non poteva lasciarla sola, lui sapeva come ci si sentiva, ma sapeva anche che nelle vene le scorreva il sangue di una guerriera: Rose. Chi l'avrebbe mai fermata?
Ragionò su tutto questo in pochissimi istanti e fu subito preso dal panico. Non voleva dirle addio, né ora né mai. Cominciò a sudare freddo, a tremare. Sbarrò gli occhi e fissò Valery la quale si aspettava una reazione simile, ma sperò di aver percepito male.
Mentre Val cercava di sentire il polso del Dottore, quest'ultimo cominciò a dare i primi segni di pazzia. Fu allora che la ragazza decise di agire.
«Val, non credi che...»
«Sì, Jack. Purtroppo, sì.» Il suo tono di voce era più freddo del ghiaccio e più tagliente di una lama appena affilata.
Il suo immortale amico si allontanò di qualche passo e recuperò il suo cappotto. Mentre frugava in esso tra le innumerevoli tasche alla ricerca della scatoletta, Valery tentava di tener fermo il Dottore. «Trovata!» urlò Jack. «Val, ne sei sicura?»
«Guardalo, Jack! Mamma sapeva che non era una buona idea... Non lo è mai stata!»
A Jack gli si strinse il cuore nel vederla così, ma il Dottore stava soffrendo e non lo stava affatto nascondendo. «Assicurati delle ore, altrimenti Dio solo sa cosa quest'uomo potrebbe arrivare a fare per recuper-»
«Sono passate ventitré ore e cinquanta minuti da quando l'ho visto correre in quella strada» lo interruppe lei. «Se ci va bene, riusciremo a fargli credere di aver seminato quei soldatini di legno senza averli affrontati, ma dagli quella maledetta pillola! Ora!» Sembrava inferocita, fuori di sé, tanto che a Jack vennero i brividi.
Parlava della sua invenzione.
Avevano pianificato tutto, dall'inizio alla fine, nei minimi dettagli: se ci fossero state delle complicazioni nella fase finale, la soluzione era una sola e non si poteva tornare indietro. La Retcon, una pillola che cancella dalla memoria le ultime ventiquattr'ore del soggetto che l'assume. «Vai a prendere un bicchiere, svelto! Mancano solo otto minuti, Jack!» gli urlò lei tenendo saldo il Dottore in un abbraccio che lui non voleva finisse.
L'immortale vide davanti a sé il corridoio che portava alle mille stanze del Tardis, tra cui la cucina: era l'unico che Idris decise di illuminare per aiutarlo. Corse diretto al suo obiettivo e lasciò Valery e il Dottore da soli.
«Dottore, stai tranquillo, andrà tutto bene.»
«Valery, ho sentito quello che avete detto e non sono uno stolto.» Sembrava aver riacquisito la ragione.
«Lo so, lo so. Ma quella pillola, credimi, è essenziale.»
«Lo credo anch'io. La Retcon è l'arma più potente che Jack abbia mai usato. Io mi fido di te e penso che in questo momento non ci sia cosa migliore che dimenticare.»
Dopo pochi istanti, Jack tornò quasi correndo con un bicchier d'acqua in mano, tutto traballante. Prese dalla tasca dei pantaloni la scatoletta e l'aprì: al suo interno era conservata una sola pillola. La raccolse tra pollice e indice e la porse al Dottore insieme al bicchiere.
«Alla salute!» brindò il Gallifreyano.
Un ultimo sguardo, un sorso, poi più nulla.

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Capitolo 7
*** Epilogo ***


Epilogo

 


Il corpo del carcerato giaceva inerte al suolo, senza dare segni di vita. La guardia aveva già avvertito il suo superiore ed aveva ricevuto l'ordine di rimanere lì a sorvegliarlo, nel caso si risvegliasse. Pochi istanti prima lo aveva visto sorridere aggrappato alle sbarre della sua cella, poi qualcosa di dorato gli era uscito dalla bocca e lui era piombato a terra senza più muoversi.
La guardia avrebbe voluto trovarsi in tutt'altro luogo, ma centinaia di anni prima aveva scelto di servire il suo popolo. La cerimonia somigliava ad un matrimonio, per certi versi. Ma ora non aveva molta importanza: forse il carcerato aveva trovato un modo per evadere.
Roovy si toccò la fronte; l'elmetto gli impediva di arrivare fino all'attaccatura dei capelli, ma poté comunque sentire il sudore che la ricopriva. Perché avevano affidato proprio a lui quel compito così importante? Perché non ad uno più vecchio?
Ripensò alla moglie, ai figli. Tio, il più grande, stava per compiere otto anni: stava, dunque, per affrontare anch'egli ciò che tutta la loro specie affrontava da millenni a quell'età. Una lacrima gli scese per l'emozione fino al collo, fino alla tunica rosso sangue resa ancor più scura per il buio delle carceri.
Guardò ancora il corpo del carcerato e infilò la lancia tra le sbarre per smuoverlo. Niente. «Per tutti i cieli di Rexitrov» esclamò Roovy nel constatare che la pelle del carcerato era più pallida del solito.
«Ehi!» La voce improvvisa fece trasalire la guardia. «Lexus mi ha detto di venire a farti compagnia perché hai le allucinaz-» Lorne stava ancora scendendo gli ultimi gradini che lo avrebbero condotto proprio davanti alla cella che il suo collega doveva sorvegliare, quando vide il corpo di quel farabutto – ed è ancora un aggettivo quasi carino, se messo a confronto con quanto aveva fatto quell'uomo – riverso a terra, apparentemente senza vita. «Roovy! Allora non scherzavi quando hai suggerito di dare l'allarme!» esclamò rimanendo ad una distanza di sicurezza.
Roovy era più giovane di lui di quasi cinquecento anni e per questo non poteva arruolarsi nell'esercito come aveva fatto Lorne, ma si vedeva costretto a fare da babysitter in quella bettola umida e maleodorante che tanto odiava e che, però, gli permetteva di sostenere la sua famiglia. Ma mai e poi mai si sarebbe aspettato una situazione del genere, mai avrebbe pensato che un giorno lo avrebbero chiamato per sorvegliare il più temuto fra i loro nemici.
«Io.. Io non.. Non so cosa sia successo, credimi.» Roovy tremava da testa a piedi, sebbene cercasse di mantenere i nervi saldi. «Lexus la prende troppo alla leggera, a volte.»
«Santo Glaxus di Latì, è morto?» A Lorne cominciarono a sciogliersi i muscoli che, pian piano, lo portarono vicino alla cella. «Roovy, apri. Voglio dare un'occhiata da vicino» gli ordinò sicuro di sé.
«Sei forse impazzito?! E se fosse un altro dei suoi trucchi? Lo sai, vero, qual è la pena per chi libera un carcerato del suo livello?»
«Roo, sono un tuo superiore. Ora apri questa cella o ti rispedisco da dove sei venuto.»
Non ne posso più di essere considerato un incapace solo perché sono il più giovane tra loro!, pensò Roovy prendendo le chiavi appese alla cintura che portava in vita. Ne infilò una nella serratura e si accorse che dal nervoso l'aveva sbagliata. Si sentì addosso lo sguardo fulminante di Lorne e cercò di recuperare un po' di calma. Poi le sue dita sfiorarono qualcosa di freddo e appuntito: la chiave a forma di “M” dedicata al prigioniero che la stessa rischiava di liberare.
Clack, clack, clack, clack. Lui voleva che le mandate fossero quattro.
La porta della cella cigolò facendo rabbrividire i due lì presenti.
«Roo, se mi dovesse succedere qualcosa... Sappi che ti ho sempre amato.»
«E smettila di scherzare, pezzo di idiota!» gli rispose Roovy colpendolo con una manata in pieno petto.
Lorne soffocò una risata e, inginocchiatosi vicino al carcerato, sistemò la punta della sua lancia sul suo collo marmoreo. Lo punzecchiò più volte, ma senza risultati. Lo girò allora a pancia in su e con un gesto brusco gli sollevò una palpebra mobile. Quelli, erano gli occhi di un morto. «Questa volta, il Maestro è stato definitivamente sconfitto» dichiarò Lorne diretto a Roovy.
Il mistero riguardante la morte del Maestro venne per sempre custodito da Jack e Valery.
Fino ad ora.

 

NOTA DELL'AUTRICE
Finalmente siamo arrivati alla fine di quest'avventura che dura fin da novembre! Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno avuto fiducia in me e in queste storie. Da “Diario di un Dottore” fino alla trilogia di “The White Panther” ci sono stati molti cambiamenti nella mia visione generale della storia e non posso far altro che gioire nel vedere un mio lavoro portato a termine! Ci sono voluti tanti neuroni prima di arrivare ad una conclusione degna di questo nome e le persone che mi hanno accompagnato fin qui sono state molto comprensive e pazienti.. Prima di tutto, devo ringraziare la mia migliore amica, qui su EFP è CassandraBlackZone, che mi ha parlato di questo meraviglioso sito ed è da agosto che non la smetto di scrivere. Grazie di cuore per tutto quello che hai fatto e che fai tutt'ora per me! Chi sarei, senza di te?
Ma un enorme ringraziamento va anche alle mie professoresse che, chi più chi meno, mi hanno incoraggiata nel proseguire e mi hanno dato la forza di farmi valere per quella che sono. Vi sarò sempre riconoscente!
Un ringraziamento speciale va anche a tutti coloro che mi hanno seguito e che seguiranno le mie storie future, ovviamente, perché senza le “visualizzazioni” e le recensioni forse ora non sarei qui a scrivere la nota all'epilogo più importante scritto finora.

Un grazie di cuore a tutti voi, Tilena.

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