Skies on fire.

di BeWeird_El
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** One Chapter - Primo giorno. ***
Capitolo 2: *** Chapter two - La mensa. ***
Capitolo 3: *** Chapter three - Hai da accendere? ***
Capitolo 4: *** Chapter Four - Segreti malati ***
Capitolo 5: *** Chapter five - Excuse me, can I have that book? ***
Capitolo 6: *** Chapter six - L'odore di pesca e tabacco. ***
Capitolo 7: *** Chapter Seven - Un bacio a tradimento ***
Capitolo 8: *** Chapter eight - Speciale ***
Capitolo 9: *** chapter nine - non te ne andare ***
Capitolo 10: *** Chapter ten - I ricordi rimarranno tali? ***
Capitolo 11: *** Chapter eleven - cos'è cambiato? ***
Capitolo 12: *** Chapter twelve - amici ***
Capitolo 13: *** Chapter thirteen - il bacio rivelatore. ***
Capitolo 14: *** Chapter fourteen ***
Capitolo 15: *** chapter fifteen. ***
Capitolo 16: *** chapter sixteen - funerali. ***
Capitolo 17: *** Il diario nelle mani di Niall. ***
Capitolo 18: *** Il diario nelle mani di Zayn. ***
Capitolo 19: *** Sotto a chi tocca. ***



Capitolo 1
*** One Chapter - Primo giorno. ***


One Chapter - Primo giorno.

Nuova casa, nuova vita.
Julien è sempre stata una ragazza molto sicura di sé, ma quella nuova situazione la spaventava e come.
Si ritrovava all'entrata di quella che sarebbe stata la sua nuova scuola, per molto tempo a quella parta. Ma ancora non se ne capacitava del tutto.
Il giardino scolastico era totalmente privo di anima viva, ciò le fece intuire che era in ritardo. Come sempre, tra l'altro.
Raccolse tutto il coraggio che possedeva, e con un ultimo sospiro, si fece avanti percorrendo il breve tratto che la separava dall'edificio.
Non sapeva dove realmente dovesse dirigersi, nonostante avesse già tutto l'occorrente che le serviva; dato che il padre si era preoccupato di farle ricevere il materiale scolastico che le sarebbe servito durante il periodo di studi.
Estrasse un foglietto stropicciato dalla tasca dei suoi jeans aderenti, aprendolo davanti a sé. Lesse con attenzione il suo orario scolastico, rendendosi conto che avrebbe dovuto affrontare ben due ore di matematica.
Di male in peggio.
Sbuffò rimettendo al suo posto il foglietto, percorrendo con poco interesse il corridoio alla ricerca della sua nuova classe: 5H.
Trovarla non fu difficile, dato che era una delle poche che le si parò davanti. La porta chiusa le fece intuire che fosse molto più in ritardo di quanto pensasse e con un gesto veloce, dopo aver sospirato pesantemente, bussò sul materiale d'alluminio.
Un fioco 'Avanti!' le diede il permesso di spalancare la porta, per poi ritrovarsi dinnanzi a decine -Se non di più- di visi che la scrutavano tra il curioso e l'annoiato.
"Lei è?" La voce risultò irritata e stizzita, quasi infastidita dalla sua presenza.
Julien voltò il suo sguardo verso la figura di colui che sarebbe stato il suo nuovo professore: Stempiato, bassino, grassoccio e con profonde occhiaie.
Il ritratto della malasanità.
"Julien Dixon." Biascicò lei, irritata dai continui sguardi che riceveva da parte degli alunni alle sue spalle.
"Oh, bene! Il suo primo giorno ed è anche in ritardo, le sembra il modo di iniziare questo suo nuovo anno scolastico?" La riprese malamente il professore, riservandole un occhiataccia infastidita.
"No. Ma ora sono qui, se non le dispiace vorrei sedermi al mio posto." Rispose scontrosa Julien, cercando di mantenere un tono piuttosto calmo e pacato.
"Ma tu guarda, un altra alunna maleducata dovevamo ricevere! si sieda." Sbraitò l'uomo, lasciando colorare il suo viso di un rosso porpora accentuato, segno che stava perdendo la pazienza.
Julien ignorò la prima parete della frase, occupando con nonchalance uno dei pochi posti liberi infondo all'aula.
Al suo fianco vi era seduto un ragazzo biondino, sicuramente tinto vista la ricrescita accentuata, con due occhi azzurro mare e un sorriso smagliante. Le guance rossastre e l'aria innocente.
Davvero bello.
Si voltò nella sua direzione, lasciando che il suo sorriso si allargasse ancor di più, arrivando fino ai suoi grandi occhi che si socchiusero leggermente.
"Ciao, io sono Niall Horan." Si presentò sussurrando e porgendole la mano, cercando di non farsi scoprire dal professore che aveva ripreso la sua noiosa spiegazione.
"Piacere." Strinse la sua mano lei, sorridendogli.
"Tu, invece, sei Julien?" Chiese lui felice, facendo scorgere nella sua voce un accento diverso.
Non è affatto inglese.
"Esatto! Ma chiamami Juls, se ti va." Sussurrò lei, quando il professore le riservò un occhiata furente sorprendendola a chiacchierare apertamente.
Niall le sorrise, volgendo il suo sguardo sulla lavagna, fingendo un espressione interessata e pensierosa. Lasciando credere al professore che fosse più che interessato a quell'equazione, scritta con un gessetto ormai consumato su quella vecchia e arrugginita lavagna.
"Allora, benvenuta Juls." Esclamò Niall sorridente, continuando a tenere lo sguardo fisso sul professore davanti a loro.
Julien sorrise sollevata, era fatta.
Benvenuta, Julien Eff Dixon.
 
 
Caro Diario,
Sono stanca di chiamarti così, credo che ti troverò un nome. Lo prometto.
La vita va, come sempre, né bene né male. Va e basta.
Sai, mi sono trasferita in un paesino dell'Inghilterra, perché papà ha trovato lavoro qui. No che la cosa mi attrae molto, ma ormai è fatta. Non cambierà mai idea e litigare ogni giorno non mi sembra la cosa migliore da fare.
Secondo lui, mi troverò meglio, ma già mi manca la mia cricca di amici. Come farò senza di loro? Lo skate? La box? Le nostre serate? Loro erano la mia vera famiglia, ed ora sono lontani kilometri da qui.
Ho perso parte della mia famiglia originaria, ora ho perso anche loro.
Bella vita, vero? Una meraviglia.
Per lo meno, qui nessuno mi chiamerà 'ragazza da parete' o 'ragazza ombra' o qualsiasi altro stupidissimo soprannome che mi era stato affibbiato nella mia vecchia città.
Wow, sono riuscita a trovare una cosa positiva in questo trasferimento: crearmi una nuova vita, una nuova identità. Una nuova me.
In ogni caso, prima ho chiamato Will, dice che nonostante sia passato poco tempo manco già a tutti loro, molto.
avrei voluto dirgli che mancano anche a me, ma l'orgoglio è troppo.
No, bugia, ero sicura che se avessi aperto bocca, sarei scoppiata a piangere. Credo che l'abbia capito anche lui, ecco perché siamo stati entrambi in silenzio.
Ora vado. Ho bisogno di fumare, per cui ti lascio.
Alla prossima.
-La ragazza dell'ultimo banco.

 
 
I'm here!!!
zalve, zalvino.
SONO TORNATA!!!
* Balla una strana danza hawaiana.*
Siete contente? Certo, che no.
Lo so, direte: 'Ecco è tornata la scassa palle!' ma pazienza. OuO
Ho comprato un nuovo computer e per questo ho deciso di iniziare nuovamente a pubblicare storie qui, spero di non darvi troppo fastidio...
Allora cosa ne pensate? Può andare? Ve gusta? O la devo eliminare?
Forse vi chiederete da dove esce sta merda di storia? o forse no? Vabbè, ve lo dico lo stesso... Non lo so.
Stamani mi sono svegliata e *POOF!!!* è uscita questa cacchetta d'idea.
(Il fatto è strano, vista la stitichezza... AHAHAHAHHA cazzo mi rido? boh.)
Bitch please, I'm a genius. *sciocca le dita e ruota il collo, come una diva*
Si, sono rimasta la solita cogliona!! OuO
Sono in fissa con sta faccina ---> OuO
L'ho appena scoperta da Twittah ed è asxaimxwnhqo.
Beh, mi dileguo se no sto spazio diventa più lungo del capitolo!!
Ciao bellzze!! * Agita la manina prima di scappare in groppa a un unicorno con un tatuaggio sexy sulla chiappa. OuO*
Vi amo.
-I am a little nerd_ok.
 
Twitter: @LittleNerd_ Yeah.

 

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Capitolo 2
*** Chapter two - La mensa. ***


Chapter two - La mensa.
 
Cattura il suo riflesso poi getta lo specchio a terra.
La sua immagine è distorta mentre urla: «Ne vale più la pensa?» No.

Quella mattina fu molto più drastico svegliarsi e andare a scuola, dato che Julien non aveva chiuso occhio tutta la notte; passandola seduta distrattamente sul davanzale della sua finestra, a bearsi di quel cielo stellato che faceva da sfondo alla vecchia cittadina di Doncaster.
Ma, purtroppo la sveglia le ricordò che avrebbe dovuto preparasi, per non arrivare nuovamente in ritardo alle lezioni che si sarebbero tenute quella mattina.
Non ebbe molta scelta nel suo armadio, per il semplice fatto che avrebbe ancora dovuto svuotare le sue valige nel quale vi era contenuto il suo intero guardaroba. Per cui si accontentò di una semplice tuta grigia dal cavallo basso e una canotta bianca, coperta dal suo giacchetto di pelle.
Andò alla ricerca disperata delle sue Vans nere, ritrovandole solo dopo una manciata di minuti sotto al suo letto. Le indossò saltellando per l'intera stanza, solo per il semplice fatto di essere troppo pigra per piegarsi e infilarle come una persona nomale farebbe.
Soddisfatta del suo outfit decente, si posizionò davanti al grande specchio del suo bagno personale. Scrutando con attenzione la sua immagine riflessa.
Non si era mai giudicata una brutta ragazza, anzi il suo corpo le piaceva così com'era ed erano poche le cose che avrebbe voluto cambiare di sé.
Possedeva due grandi occhi da cerbiatta tra il verde e il caramello, un piccolo naso a patata e delle sottili labbra rosee. I capelli castani le ricadevano mossi fin sotto il seno, così li afferrò in gran fretta, chiudendoli in una crocchia disordinata con l'elastico che portava al polso.
Il suo fisico non era male. Era magra, e aveva buone forme.
Solo che era piuttosto bassa, tanto da acquisire un aspetto piuttosto infantile ad occhi estrani.
Ma era bella, maledettamente bella.
"Julien! Farai tardi, se non ti sbrighi." Le urla del padre la scossero dai suoi pensieri, e con un occhiata furtiva osservò l'orologio appeso al muro che segnava le 08:00am.
Sarebbe arrivata nuovamente in ritardo, ne era certa.
Con uno scatto veloce afferrò lo zaino e qualche quaderno a caso, correndo velocemente giù per le scale della sua abitazione.
Infilò con prepotenza i fogli che stringeva fra le sue mani nello zaino, per poi spalancare la porta della cucina, afferrare un muffin al cioccolato e correre verso l'entrata.
Una volta fuori, quasi non cadde inciampando nello zerbino malmesso. E con la coda dell'occhio notò il padre sghignazzare di nascosto, sull'uscio della porta.
"Ti ho visto!" L'ammonì lei con un leggero sorriso sul viso, non sapendo resistere davanti alla felicità mattutina del padre.
Egli alzò le mani in sego di resa, sporgendosi in avanti per stamparle un bacio sulla fronte e augurale una buona giornata. Rincasando subito dopo.
 
 
Julien arrivò a scuola in notevole ritardo, ansimando per la corsa appena fatta da casa sua fino a quel maledetto istituto.
E tralasciando il fatto che una macchina l'aveva quasi investita, quando era passata alla velocità della luce in mezzo alla strada senza un minimo di preavviso, era andato tutto bene. Si, certo, come no.
Varcò l'entrata dell'enorme struttura, dirigendosi velocemente a passi pesanti verso l'aula di letteratura. Materia che avrebbe tenuto durante la seconda ora, che sarebbe iniziata a breve.
In effetti, dopo neanche qualche secondo, la campanella che segnava l'inizio dell'ora successiva suonò e dopo aver aspettato che il corridoio si riempisse di studenti; Julien si fece avanti entrando nell'aula e tra i primi studenti, occupò uno dei tanti posti dell'ultima fila.
Ne scelse uno ben in ombra, con la vista sul giardinetto della scuola che si intravedeva dalla finestra in vetro al suo fianco.
Aprì lo zaino e frugandoci trovò il suo libro di letteratura e un vecchio quaderno dalla copertina rovinata. Per sua fortuna aveva almeno avuto la decenza di prendere una matita per scrivere, nella fretta di quella mattina, e una volta che l'ebbe trovata non perse tempo a scarabocchiare una delle tante pagine bianche del quaderno.  
Amava il disegno, come amava tante altre cose.
Diciamo che nella sua definizione di hobby, rientravano molteplici attività.
Tra uno scarabocchio e l'altro, il professore fece il suo ingresso nell'aula, placando le urla e il chiacchiericcio del resto degli studenti.
Poggiò la sua ventiquattrore sulla cattedra e dopo un veloce saluto, prese a far l'appello.
"Julien Dixon? Chi è?" Chiese curiosamente l'uomo, che avrebbe potuto avere su per giù una quarantina d'anni. Aveva i capelli brizzolati di un nero corvino e due iridi di un castano scuro, quasi mogano.
Julien alzò la mano senza fiatare o staccare gli occhi dal banco davanti a lei, per poi abbassarla semplicemente dopo aver avvertito diversi mormorii sul suo conto.
E la cosa finì lì.
Niente presentazione. Niente domande. Niente curiosità. Niente richieste o interventi durante l'intera lezione.
Zero, niente di niente.
Ma Julien non si stupì di questo, sicuramente era stato avvertito sulla sua non eccezionale condotta nella sua vecchia scuola o, semplicemente non aveva riservato alcun interesse in lui e nel resto dell'intero corpo studentesco.
 
 
Il tempo le parve volare, ma solo quando si rese conto che avrebbe dovuto fare corsi pomeridiani, l'idea di un pomeriggio tutto per sé le precipito come una castello di sabbia.
Sbuffando posò i suoi libri poco elegantemente nel suo armadietto, sbattendolo violentemente subito dopo mentre si dirigeva verso la mensa.
Non che sapesse dove fosse, ma le bastò osservare la mischia di studenti muoversi in una sola direzione e l'odore di fritto arrivare fino ai corridoi e pizzicarle le narici.
Una volta dentro la sala dove una mischia incredibile di studenti erano riuniti a consumare il proprio pranzo in compagnia, il suo viso assunse un espressione alquanto scocciata e schifata.
Avrebbe dovuto mangiare sola e per di più un qualche poltiglia che la signora grassoccia della mensa si era occupata di cucinare.
Un totale schifo.
Tuttavia senza troppe pretese si mise in fila, aspettando che un polpettone che le sapeva di animale morto le venisse posato rudemente sul piatto; da un braccio che ormai seguiva meccanicamente quel gesto da una vita.
Le labbra le si storsero inorridite da quel miscuglio di odori e pietanze orribili, mentre il piccolo naso le si arricciò infastidito dal tutto.
"Cos'è principessa non le va bene?" Chiese beffata la donna con una cuffietta retinata in testa e una verruca orripilante sul labbro superiore.
Julien non parlò, si limitò a osservarla con disprezzo, prima che il ragazzo nella fila dietro di lei la spingesse avanti.
Idiota.
Si guardò velocemente introno, notando solo tavoli divisi in base agli sport praticati o ai club di appartenenza. Tutti ridevano e scherzavano tra loro, e nessuno sembrò minimamente interessato al tono di voce usato o a chi era in piedi in attesa che si liberasse qualche posto per consumare il proprio pasto.
Uno sbuffo le sfuggì dalle labbra e intenzionata a buttare quella poltiglia che giaceva sul suo vassoio e a darsela a gambe, si incamminò tra quei tavoli in cerca di un cestino della spazzatura.
Schivare persone o oggetti volanti non le era mai stato tanto difficile, dato che a ogni passo che faceva si ritrovava qualcosa volarle sotto il naso o qualche persona venirle incontro da evitare.
Ma successe tutto in una frazione di secondo: Una gamba con tanto di tacco dodici le finì tra i piedi, facendola precipitare rovinosamente a terra, stesa su quel putrido pavimento sporco.
La mensa si azzittì, nessuno fiatava troppo impegnato a gustarsi quella scena esilarante: La novellina sbattuta a terra dal capo cheerleader.
Un classico.

Julien non aveva mai avuto molto pazienza e quel gesto insieme alle risa degli studenti, scatenarono in sé un senso di nervosismo e violenza.
In una frazione di secondi si tirò in piedi, voltandosi con sguardo infuriato verso la ragazza dai capelli biondi che ridacchiava apertamente con il suo gruppo d'amici.
"L'avete vista? Che vi avevo detto? E' sono una povera sfigata." Squittì lei con voce acuta, ricevendo consenso da chiunque le stava di fianco.
Reagire o Ignorare?
Ma lei era stanca, aveva ignorato per molto tempo ed era ora di reagire e ribellarsi.
Con un paio di falcate le fu abbastanza vicina da inchiodarla al tavolo su cui era seduta, impugnando rudemente la sua divisa da ragazza pon-pon.
Improvvisamente la mensa si zittì nuovamente, trattenendo il respiro per quell'improvvisa reazione.
"Stammi bene a sentire stupida ragazzina, stai attenta a quello che fai, perché potrei perdere la pazienza sul serio." Parlò a denti stretti la castana, per poi lasciare con un forte strattone la presa e allontanarsi a grandi passi da quel tavolo.
Con un gesto veloce si calò il cappuccio della giacca sul viso, frugò nelle sue tasche in cerca delle sue Marlboro rosse e ne prese una fra le sue sottili labbra.
Si diede uno sguardo intorno, sorprendendo l'intero corpo studentesco osservarla basito e con un ghigno sul viso accese la sua sigaretta e abbandonò l'istituto.
Bentornata, ragazza ombra.
 
 
Caro Diario,
Come avrai notato non sono stata in grado di mantenere la mia promessa, e non ho ancora trovato un nome adatto a te... Ma giuro, ci ho pensato.
Cosa potrei raccontarti?
Non posso semplicemente dirti che la vita va', per cui mi sono ripromessa di raccontarti qualche semplice dettaglio delle mie giornate.
Oggi ho reagito a una provocazione nella mensa della scuola e credo che ora quello stupido nomignolo tornerà, ed io sarò solo di nuovo 'la ragazza ombra.'. Ma sta volta se lo sono cercati, non lascerò che mi trattino come un vecchio zerbino. Sono umana anch'io.
Ammetto che avrei voluto darle una buona lezione, ma l'ho trovato esagerato in quel momento; e poi sicuramente se l'avessi fatto sarei finita davvero nei guai, sta volta.
Devo cercare una palestra, ho bisogno di sfogare le mie pene nella boxe... Magri poi riuscirò a non scoppiare come se fossi una bomba con i minuti contati o, almeno, riuscirei a non farmi prendere da questi attacchi improvvisi.
Sai, anche oggi ho chiamato i ragazzi, ma ho parlato solo con Al e non ho avuto il coraggio di raccontargli dell'accaduto; ho preferito ascoltare lo schema di gioco che avrebbero dovuto usare nella partita di questa sera.
Non gli ho detto che mi manca, credo che lascerò passare un po' di tempo prima di confessarglielo. Potrà sembrare stupido, ma credo che solo quando mi troverò in difficoltà lo ammetterò.
In ogni caso, non ti ho mai raccontato di quel biondino di nome Niall che si è presentato durante la lezione di matematica... Ma non credo che ce ne sia bisogno dato che a quanto pare quel 'Benvenuto' che mi ha detto era solo di circostanza.
Durante l'avvenimento della mensa, l'ho visto ridere insieme ai suoi amici e ho capito quanto stronzo in realtà fosse. Ma non gliene faccio una colpa, ci sono abituata ormai.
Vorrei tanto tornare a Parigi, diario... Mi manca.
Ti saluto, a papà non piace aspettare per la cena. A presto.
-La  ragazza dell'ultimo banco.
 

 
I'm here!!!
Salve bellezze. *Muove la manina, asciugandosi una lacrima*
Sono triste, tra 122 persone che hanno letto la storia nessuno l'ha recensita e solo una ragazza l'ha messa tra le preferite.
Credo che faccia così schifo che la gente arrivi a metà per poi chiuderla indignati.
Davvero, vorrei sapere la vostra opinione. Conta molto, soprattutto in questo periodo in cui torno a scrivere solo dopo molto tempo.
Ce, sul serio, tipo che prima eravate un sacco a mettere tra le preferite/ seguite/ ricordate o a recensire e ora? Zero.
Su, fatemi contenta... *Faccia da cucciola* ... Potete dirmi anche che vi fa pena, con giuste motivazione ovviamente; perché se fa schifo c'è un motivo.
Alloora, torno allegra eh!!
Vi amo tanto, siete molto importanti per me.
Scusate eventuali errori di battitura o distrazione.
Ci vediamo alla prossima, ciao popolo di procioni!! *Manda bacini e agita una mano come se fosse una regina*
-I am a little nerd_ok
 
Twitter: @NerverLetMeGo_ok  (si, ho cambiato @nick... OuO)

 

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Capitolo 3
*** Chapter three - Hai da accendere? ***


Chapter three - Hai da accendere?
 
IPERMNESIA (dal gr. ¿p¿¿ "oltre" e µ¿¿s¿¿ "memoria"). -
Significa l'abnorme aumento della facoltà di ritenzione della memoria

Ever since I could remember, (Fin da quando riesco a ricordare)
Everything inside of me, (Tutto dentro di me)
Just wanted to fit in (Voleva solo adattarsi)
I was never one for pretenders, (Non sono mai stato il tipo da fingere)
Everything I tried to be, (Qualsiasi cosa abbia provato ad essere)
Just wouldn’t settle in (Semplicemente non si inseriva fra gli altri.)


Non ha mai pensato di essere una ragazza normale, ha troppe stranezze in sé per definirsi tale. Ma non vuole arrendersi, lotta contro se stessa e il mostro che si porta dentro.
Non può controllarlo, ma deve almeno cercare di farlo.
 
 
Julien siede comodamente sulle gradinate degli spalti, che danno sul vecchio campo di football della scuola.
Non le importa se le lezioni sono iniziate o meno, certamente la sua presenza non farebbe la differenza.
Le piace quel posto, è tranquillo e non c'è anima viva.
Forse è troppo arrugginito e pericolante per il resto degli studenti, ma non le importa a lei piace così com'è.
Le trasmette un non so ché di speciale, le ricorda Parigi e i luoghi abbandonati che riusciva a far suoi con il resto della sua vecchia cricca.
Quasi le sembra di sentire lo scrosciare delle ruote degli skate, sull'asfalto. Percepisce, come suoni che si perdono nell'aria, la voce dei suoi vecchi amici.
Crede di impazzire, ma non è colpa sua... Il mostro che è in lei, la divora, prevale su di lei, la incita a ricordare cose che neanche lei vorrebbe.
 
"Smettetela di fare i bambini!" Li riprese Elisabeth, cercando di nascondere un piccolo sorriso ai suoi amici.
I tre ragazzi davanti a lei fanno cessare le urla e smettono di spintonarsi come dei bambini a cui è stato rubato il proprio giocattolo; mentre qualche metro più in la, Julien ride apertamente davanti a quella scena esilarante.
"Ma non è giusto, noi volevamo andare nella vecchia casa abbandonata." Piagnucolò Will, ricevendo una sberla sul capo dalla biondina che lo guarda truce.
Elisabeth era terrorizzata da quella vecchia e sinistra casa, che si trova nelle vie periferiche della città, isolata da tutto e da tutti.
Ricorda che quando tornava a casa, da piccola, passando di lì, le capitava spesso di sentirsi osservata e spiata.
La cosa non le era mai andata a genio, per questo per un periodo chiese a Julien di accompagnarla, giorno dopo giorno, fino a casa.
"Non è giusto!" Si lamentò Al, seguito da Lucas e il resto della crew.
Julien non parlò, cosa strana visto che il più delle volte era sempre sulle spalle di qualcuno a parlare come una radio con le pile cariche.
Will la osservò per molto tempo, credendo che di li a poco potesse avere una delle sue crisi, ma non volle mettere in allerta nessuno e tanto meno far preoccupare i suoi amici. Così le si avvicinò, mettendosi al suo fianco, dandogli una leggera spinta con la spalla.
"Eh?" Chiese lei, riprendendosi dai suoi pensieri e prestando finalmente attenzione ai suoi migliori amici che battibeccano sulla questione ancora in risolta.
"Tutto bene?" Le domandò il biondo, sorridendole in modo incoraggiante.
"Sisi, pensavo." Divagò lei, per poi sentirsi chiamata in causa  da Elisabeth che la mette in obbligo di decidere per tutti se andare o meno nella vecchia casetta abbandonata.
La bionda sperò che dalle labbra della ragazza escisse un sonoro "No!", convinta che sapendo le sue incertezze e i suoi timori avrebbe mandato tutto all'aria per proteggerla. Ma non è così.
"Allora, cosa aspettiamo? La casa ci aspetta." Esclamò Julien, facendo sollevare un urlò da parte dell'intero gruppo d'amici, contenti della sua scelta.
Persino Melanie e Sue festeggiano, saltellarono sul posto tenendosi per mano, come due bambine piccole.
"Cosa? Non ho neanche il coraggio d'entrarci, anche se lo volessi." Urlò esasperata Elisabeth, agitando le mani in aria come una forsennata.
"E' per questo che abbiamo queste!!" Sorrise come uno che la sa lunga Lucas, alludendo alle bottiglie di vodka poste nella busta che si erano portati dietro.
E tutti risero, fiondandosi su quella vecchia busta strappata, pronti a mandar giù tutto quell'alcool.

 
If I told you what I was, (Se ti dicessi cosa sono,)
Would you turn your back on me? (Mi volteresti le spalle?)
Even if I seem dangerous, (Anche se sembro pericoloso,)
Would you be scared? (Ti spaventeresti?)
I get the feeling just because, (Ho questa sensazione solo perché,)
Everything I touch isn’t dark enough (Qualsiasi cosa tocchi non è scura abbastanza)
If this problem lies in me (Se questo problema è dentro me.)


"Hai da accendere?" Una voce profonda la risveglia dai suoi ricordi e, solo allora si rende conto di non essere più sola e che qualcuno ha occupato un posto affianco a lei, invadendo la sua tranquillità.
"Mh?" Chiede confusa, non avendo capito la domanda precedente.
Non ha intenzione di voltarsi e guardarlo negli occhi, per questo si limita a lanciargli un occhiata di traverso da dietro i suoi grandi occhiali neri.
Vede un ciuffo corvino e una pelle leggermente più scura del solito, ma non vuole soffermarsi sui particolari. Sarebbero solo altri ricordi da reprimere e ne soffrirebbe ancora.
"Ti ho chiesto se hai da accendere." Ribadisce nuovamente il ragazzo, osservando confuso la sigaretta consumata di lei, ancora stretta fra le sue affusolate dita.
Julien getta il mozzicone per terra, estraendo successivamente un accendino blu scuro dalla sua felpa grigia, porgendoglielo.
Non proferisce parola, non che sia una chiacchierona in questo periodo, ma il suo silenzio sembra incuriosire il ragazzo.
Così dopo averle restituito l'accendino e averla ringraziata, si sofferma sulla sua figura.
Non è molto alta o slanciata, al contrario è bassina e alquanto goffa direbbe. Ma non gli dispiace, sembra una di quelle ragazze troppo concentrate nei loro pensieri per interagire con il mondo esterno.
Ma Zayn non sa che sta lottando contro se stessa, per non far riemergere quella parte di sé che lei in primis odia.
Così tenta la sorte, e prende parola.
"Quindi tu sei la nuova arrivata?" Chiede mordicchiandosi il labbro, per poi sorridere leggermente.
"Così pare." Accenna lei un sorriso, sollevando per qualche secondo un angolo della sua bocca. E Zayn non sa se lo ha solo immaginato quel sorriso o l'ha visto davvero.
"Comunque io sono Zayn Malik." Si presenta lui, portando la sigaretta alle labbra per aspirare gli aromi che vi erano all'interno.
La castana rigirò più volte il piccolo accendino tra le mani, prima di alzare lo sguardo e voltarsi nella direzione del ragazzo.
"Julien Dixon." Sospira lei insicura, portando successivamente l'accendino nella tasca della sua felpa.
"Non sembri una di molte parole." Nota lui, arricciando leggermente il naso dopo aver aspirato nuovamente dalla sigaretta.
"Non lo sono, e basta." Ammise sulle difensive lei, assumendo un aria contrariata.
Zayn ridacchia, alzando le mani in segno di resa "Okay, cattiva ragazza... Dai, vieni, ti presento i miei amici!! Sono strani ma ti piaceranno."
Julien rise dopo molto tempo, non resistendo alla buffa espressione che aveva assunto e Zayn sente il cuore scaldarsi all'udire di quel suono soave. L'ha rotta. Ha rotto una delle sue tante barriere in poche parole.
"Ti ho fatta ridere, un punto per me!" Esclama lui, prendendola per mano e lasciando che lo seguisse.
Le loro mani sono strette e Julien non può che non fissarle per un istante, sono unite come se si conoscessero da molto più tempo di quanto sembra e questo la fa sentire bene... La fa sentir felice.
 
I’m only a man with a chamber who’s got me, (Sono solo un uomo con una stanza ch emi tiene in pugno,)
I’m taking a stand to escape what’s inside me. (Mi sto imponendo di scappare da ciò che c'è dentro di me)
A monster, a monster, (Un mostro, un mostro.)
I’m turning to a monster, (Mi sto trasformando in un mostro.)
A monster, a monster, (Un mostro, un mostro)
And it keeps getting stronger. (E continua a diventare più forte.)
                                                     ...


To be continued...

personaggi:

 

Zayn, Liam, Niall, Louis e Harry (One Direction)



Al (Cameron Dallas)



Lucas (Nash Grier)



Elisabeth (Cara Delavigne)



Will (Jamie Campbell Bower)




I'm here!!!
SALVE PROCIONI... OuO
Un nuovo capitolo de merda, tanto ho capito che sta storia è destinata a far schifo... Ma cacatemela, please. *faccetta dolce*
Allora come vi sembra? Abbiamo un approccio tra Zayn e Juls, si sa qualcosa sul suo passato e si scopre qualcosa su una malattia.
Che ve ne pare? Lasciate una recensione, ci tengo molto.
In ogni caso se ve lo state chiedendo o meno, la canzone del capitolo è 'Monsters - Imagine Dragons.' mi piace molto, ve la consiglio.
I personaggi ve gustano?
Se non l'avete notato non so che scrivere in questo minuscolo spazietto. Quindi, cantiamo?
Dicono che l'amore non ha età volo verso la libertà, vivo la mia storia come Peter Paaaan
Senti una canzone e chiudi gli occhi, poi ti accorgi sogni ad occhi aperti, l'isola che non c'è vive dentro te.
Si, sono in fissa con i Dear Jack amatemi ugualmente.
«No, non ti ama nessuno.»
Sta zitto, Flaffy
«Ma è vero!»
ZITTO.
okay sto impazzendo, scusate eventuali errori o la scarsa lunghezza ma vado di corsa e non ho otuto fare di meglio o ricontrollare attentamente.
Un bacio bellissime, alla prossima. xx
*Agita la manina come una ritardata*
Fai ciao Flaffy.

«Ciao ciao...»

 

-I am a little nerd_ok
 

Twitter: NeverLetMeGo_ok

 
 
 

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Capitolo 4
*** Chapter Four - Segreti malati ***


Chapter Three - Segreti malati.
 
Il perdono è di chi non ha peccato.
 

Nonostante la resistenza che fece Julien nei confronti del moro, quest'ultimo riuscì a trasportarla per l'intero giardino scolastico alla ricerca dei suoi amici. 
Le aveva saldamente afferrato il polso, facendo di tanto in tanto qualche commento sarcastico sulla sua andatura piuttosto lenta. Perché Julien era una ragazza molto sportiva, ma alquanto pigra e lenta nelle situazioni giornaliere; motivo, per cui si ritrovava a trotterellare come una bambina, dietro le lunghe falcate di Zayn.
"Dixon, mia nonna è molto più veloce di te." La schernì lui, nascondendo un sorriso davanti alla sua espressione accigliata.
"Spiritoso! Allora la prossima volta porta lei dai tuoi amici." Rispose a tono la castana, con il respiro affannato date le piccole corsette che era costretta a fare per stare dietro al ragazzo.
"Oh, li conosce già." Disse il moro, trattenendo a stento una risata insieme a Julien, che dovette voltare il volto da tutt'altra parte per non concedergli tale soddisfazione di essere stato capace di farla ridere per l'ennesima volta.
"Ti ho vista!" La riprese Zayn, sorridendo in modo furbo, ma pur sempre divertito.
E Juls non poté che ammettere a se stessa, che dopo tutto, quel ragazzo non era niente male.
 
 
Harry sbuffò, tirando su per l'ennesima volta il suo berretto blu notte, lanciando un occhiata poco carina al suo migliore amico che continuava a tirarglielo via.
Il riccio adorava Louis, forse più del dovuto, ma in situazioni come quella, giungeva ad odiarlo con tutto se stesso per quel comportamento infantile e dispettoso fuori luogo.
Così, quando per l'ennesima volta il liscio provò a tirargli via il capello di lana dell'amico, ricevette un doloroso pugno sulla spalla destra.
"Smettila, Boo." Lo richiamò irritato Harry, fallendo miseramente nel sembrare irritato davanti a quegli occhioni azzurri, che parevano sempre così innocenti.
"Basta voi due, sembrate due bambini che litigano per l'ultimo lecca-lecca." Li riprese Liam, che si passò esasperato una mano tra i capelli castani.
I due interpellati si scambiarono un occhiata divertita, davanti a l'ennesimo richiamo del ragazzo dalla voglia color cioccolato sul collo.
"Certo, papà." Esclamarono in coro, ricevendo un occhiata furente da Liam e suscitando una sonora risata da Niall che armeggiava col suo smartphone nuovo di zecca.
"Non chiamatemi 'papà', rendetevi utili piuttosto, sapete dirmi dov'è Zayn?" Rispose alla provocazione, mimando due virgolette inesistenti a nominare quello stupito nomignolo che gli era stato affibbiato.   
"Lo chiamo." Si intromise il biondo, pronto a comporre il numero dell'amico sullo schermo del suo telefono.
"Non serve!" Disse divertito Harry, indicando con un cenno di capo il moro camminare nella loro direzione molto velocemente.
Quasi non si accorsero della figura mingherlina che gli stava alle spalle, cercando di mantenere con fatica il passo del ragazzo davanti a lei.
Non fecero in tempo a capire chi fosse, perché i due gli furono immediatamente davanti.
"Ciao, ragazzi!" Esclamo Zayn, sorridendo spensierato davanti ai suoi amici che ricambiarono calorosamente il saluto.
"Non ci presenti la tua amichetta?" Chiese palesemente divertito il riccio, alludendo alla castana voltata di spalle che armeggiava con qualcosa.
"Oh, lei è Julien, la ragazza nuova." Ammise il ragazzo, richiamando l'attenzione di lei che si voltò finalmente verso i presenti.
Louis la squadrò da capo a piedi, ricordando il modo in cui aveva reagito alla provocazione di Ketrin il giorno prima in sala mensa.
Non era come l'aveva immaginata, forse era molto meglio.
Il viso ovale, circondato da una cascata di capelli castani fermati in una crocchia disordinata che lasciava alcuni ciuffi ricaderle sul viso. Gli occhi erano grandi, vispi e verdognoli, le labbra rosse e sottili, il naso piccolo e leggermente all'insù.
Indossava un paio di pantaloncini di jeans, che quasi scomparivano sotto la grande felpa grigia maschile; ai piedi calzava delle semplici e vecchi Vans nere e sul viso portava un paio di occhiali abbastanza grandi.
Tra le dita stringeva una sigaretta appena accesa, che di tanto in tanto portava alle labbra per aspirare.
Non era niente male.
"Ciao Juls!" Esclamo sorridente Niall, precipitandosi ad abbracciarla come se si conoscessero da anni.
Julien rimase qualche secondo interdetta da quel gesto, prima di ricambiare esitante la stretta.
"Ciao Niall." Biascicò contro il tessuto della maglia di lui, prima di sciogliere il loro 'caloroso' abbraccio.
"Vi conoscete?" Chiese curioso il moro, alludendo al comportamento precipitoso del biondo; ma non appena vide la castana annuire leggermente, le sorrise incoraggiante.
Ella lasciò cadere lo sguardo sul resto dei presenti, nonché i tre ragazzi che ancora non si erano presentati e che la squadravano da capo a piedi. Cosa che la irritava, e non poco.
"Io sono Liam Payne, piacere." Si presentò il ragazzo dagli occhi color cioccolato fuso, porgendole la mano che lei ricambiò.
Julien esaminò con curiosità i grandi occhi di lui, decidendo che da quel momento sarebbero stati i suoi preferiti.
Le ricordavano appunto il cioccolato, e lei ne andava pazza.  

"Io mi chiamo Harry Styles, dolcezza!" Esclamò con voce maledettamente provocante e roca, il ragazzo dalla chioma riccia, baciandole in modo teatrale la mano.
"Oh, mio dio! Tu sei Harry Styles? Intendi proprio quel Styles?" Squittì con voce petulante e da bambina viziata la castana, agitando in modo fin troppo eccessivo le mani davanti al suo viso.
Louis inarcò un sopracciglio, pensando che era solo una delle solite ragazzine facili da portar a letto. Una palla al piede, in pratica.
"Ti hanno parlato di me?" Chiese fiero di sé il riccio, mordendosi in modo provocante il labbro inferiore.
"No." Ammise schietta, diventando improvvisamente seria e indifferente aspirando nuovamente dalla sua sigaretta rollata alla perfezione.
I presenti non riuscirono a trattenere una sonora risata, davanti all'espressione confusa e irritata di Harry, che sbuffò stizzito.
"Divertente." Borbottò, osservandosi intorno come se cercasse qualcosa o qualcuno.
"E non sai quanto." Ghignò divertita lei, pestando il mozzicone di sigaretta sotto la suola della sua scarpa.
 "E' stato un piacere conoscervi, ma ora devo andare." Continuò poi, spingendo indietro la montatura dei suoi occhiali che le era scivolata lungo il naso.
I presenti la salutarono con un sonoro "Ciao." di gruppo, osservandola allontanarsi subito dopo aver concesso loro un cenno di mano.
Louis osservò a lungo quella figura mingherlina camminare spedita, rendendosi conto che il suo giudizio su di lei era errato.
Era forte, e maledettamente misteriosa.
Le piaceva.

 
 
La mensa era colma di studenti, e come sempre Julien si sentì sola anche in un fiume di studenti che le passavano di fianco non accorgendosi della sua presenza.
Era seduta sola in un tavolo appartato della sala, stringendo tra le mani uno dei suoi libri preferiti dell'intera saga scritta J.K.Rowling, con una mela rossa davanti a lei.
Immersa tra le righe di quel buon libro e le coinvolgenti avventure dei tre maghi, nonché protagonisti della storia, vene distratta lievemente nell'osservare l'unico alimento posto dinnanzi a sé.
Ricordava di aver letto da qualche parte che la mela rossa era il frutto del peccato,  della tentazione, le sembrava quasi ridicola come cosa, ma pensandoci il tutto risultava più che vero.
La prese fra le mani, ne avvertì l'odore persuadente, osservò con cura il suo colore così passionale e infine la morse.
E lei divenne peccatrice.
 
Ketrin era seduta vicino a Louis, mentre tentava di catturare la sua attenzione sussurrandogli all'orecchio cose non molto caste, come sua abitudine tra l'altro.
Louis, proprio come Zayn, era rimasto letteralmente incantato osservando Julien seduta lì da sola mentre leggeva quel dannato libro, sprofondando poi nei proprio pensieri.
"La smettete di fissarla? Siete inquietanti." Li riprese Niall, mandando giù l'ennesimo boccone di pasta asciutta raccattata dal bancone della mensa.
"Io non sto fissando nessuno, stavo solo pensando." Si difese il castano, giocherellando con il suo purè di patate, ignorando ancora una volta Ketrin e le sue provocazioni.
"E' solo una povera sfigata, anzi gli farò vedere io chi comanda." Ammise irritata la ragazza, tirandosi in piedi pronta a difendere il suo territorio.
"Avanti Ketrin, lasciala stare." Cercò di fargli cambiare idea Liam, temendo il peggio se vi sarebbe stata una nuova discussione fra le due.
Immaginare chi ne sarebbe uscita viva, era una vera impresa.
Tuttavia la bionda ignorò i tentativi dell'intero tavolo che cercava di richiamarla, dirigendosi a passo spedito verso il suo obbiettivo.
Avrebbe distrutto quella novellina, nessuno poteva trattarla in quel modo nel suo territorio e tanto meno metterla in ridicolo.
Ma lei, non sapeva contro chi stava andando a combattere; e si sa che in una guerra, c'è sempre qualcuno che ne esce ferito, o che non ne esce proprio.
Con brutalità sbatté i palmi delle mani sul liscio materiale del tavolo, richiamando l'attenzione dell'intera mensa che divenne un sussurro generale. Con estrema cautela, Julien alzò gli occhi dal suo libro, posandoli in quelli azzurro mare della ragazza.
Nessuna delle due parlò per un lasso di tempo che sembrò un eternità, e alla castana venne una mezza idea di tornare a leggere il suo adorato libro, cosa che però non le fu concessa.
"Stammi a sentire novellina, in questo posto comando io e che ti piaccia o no devi portare rispetto. Qui la gente sa a cosa va in contro quando decide di far di testa sua, ma tu sei nuova." Iniziò il suo lungo monologo Ketrin, e all'altra  venne voglia di alzarsi e andar via per sfuggire a quel supplizio.
"Io so tutto di tutti, e non ti conviene metterti contro di me. Una sola parola e riuscirò a toglierti qualunque cosa tu abbia o desideri avere, ti renderò la vita impossibile." Terminò brevemente la bionda, sotto gli occhi dei presenti leggermente intimoriti.
Ma Julien si alzò dalla sedia con un indifferenza snervante, afferrò il suo amato libero e decisa ad andar via, cercò di oltrepassare la figura di lei.
"Mi hai sentito, sfigata?" Chiese in modo irritante e duro, facendo si che la castana si fermasse colpita delle sue parole e dal suo tono sprezzante.
"Sai, per me l'unica sfigata senza una vita tutta sua, sei tu. Perseguiti la gente, credendoti superiore e furba, ma in realtà sei solo una figlia di papà che cerca un briciolo d'attenzione dagli altri." Ghignò maligna Juls, sorprendendo i presenti e ancor di più Ket.
E con queste sue ultime parole, si allontanò dalla mensa sotto vociferi e qualche esclamazione di tipo "Ha ragione." o "Finalmente qualcuno che ha fegato.".
Ma lì, l'unico problema erano i segreti malati e strani di Julien.
 
 
Caro Diario,
ti confesso che ho smesso di cercarti un nome, perché pensandoci trovo davvero buffo affibbiare il nome di una persona a qualche oggetto inanimato . Non ha molto senso come cosa, ma è l'unica spiegazione che so dare quando mi impongo che darti un nome non è una cosa normale o almeno giusta.
Avevo promesso di raccontarti parte della mia vita, e so per certo che il mio comportamento misterioso e chiuso non mi porterà da nessuna parte. Continuo ad avere flash del passato e la cosa mi irrita parecchio, soprattutto se protagonista di quest'ultimi è la mamma.
Non voglio ricordarla, non se lo merita.
Oggi ho conosciuto cinque ragazzi: Liam, Zayn, Harry e Niall.
Lo so, ne ho citati solo quattro, ma l'altro non mi ha detto il suo nome; non ricordo neanche il suo aspetto, ma so per certo che il suo sguardo mi ha fatto sentire maledettamente nuda.
Ricordi quella ragazza della mensa? E' tornata alla carica, ha detto che scoprirà i miei segreti più oscuri; ma non sa che io sono l'oscurità.
Vorrei poterti dire che ho sentito qualcuno dei miei vecchi amici, ma non è vero. Ho atteso invano che il telefono squillasse, ma non è mai successo.
Sono stanca, probabilmente andrò a guardare le stelle sul balcone.
Alla prossima.
-La ragazza dell'ultima fila.
 

 Personaggi:

Julien Eff Dixon




I'M HERE!!!
Scusate la lunga assenza, ma scrivere è diventato difficile quando sei a corto di idee.
Più che altro o impiegato il mio tempo a pensare a cosa potessi scrivere, senza scrivere realmente e la cosa mi ha portato via molto del mio tempo.
Magari non sarò impegnata come nel periodo scolastico, ma l'arrivo del concerto, la fissa di finire l'intera serie di Pretty Little Liars, i mondiali e il mare, mi portano via parte del tempo.
Sto cercando di scrivere e pubblicare i capitoli di tutte le mie storie entro la partenza del 5 Luglio, ma se impiego un intera giornata per scriverne uno solo, non so se ci riuscirò.
Passando ad altro, ho cambiato il volto della protagonista, mi sono accorta che Lucy Hele non va affatto bene per la parte di bad girl e quindi ho eliminato la sua foto dall'altro capitolo e ho messo il nuovo volto. Vi piace?
Il capitolo è il meglio che ho saputo fare, spero vi piaccia realmente e mi scuso per eventuali errori.
Lasciate una recensione, mi fa piacere sapere cosa ne pensate e diventa molto importante per me sapere che frutto del mio 'lavoro' piaccia a qualcuno.
Che dire? Nient'altro vero? Credo di si.
Beh, per ogni cosa contattatemi su Twitter o qui, sono sempre disponibile per tutti.
Ciao, belle donzelle.
-I am a little nerd_ok.
Twitter: @_TheEasyWay

 

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Capitolo 5
*** Chapter five - Excuse me, can I have that book? ***


Chapter five - Excuse me, can I have that book?
 
 
Ricordo [ri-còr-do] s.m.
1. Oggetto conservato o da conservare per mantenere o dimostrare la memoria di una persona, di un avvenimento, di un luogo.
2. Segno rimasto come conseguenza di un evento, di solito negativo.


L'aria invernale iniziava a farsi sentire, ma Julien non si curava affatto del vento violento che le graffiava il viso, rendendolo più arrossato del dovuto. Se ne stava seduta spensieratamente su una panchina presente nel parco, osservandosi con occhi curiosi attorno. Di tanto in tanto, portava le mani all'altezza della bocca alitandoci sopra in una ricerca disperata di calore, che tuttavia le sembrava inutile e solo una perdita di tempo, dato che alla prima folata di vento si ritrovava a rabbrividire.
Uno strano cigolio attirò la sua attenzione e voltando lo sguardo si rese conto che il forte vento riusciva persino a far oscillare avanti e indietro le vecchie altalene, fissate poco più in la prive di stabilità.
Strinse con insistenza il tessuto del suo giaccone in dei pugni ferrei, udendo gli schiamazzi di bambini farsi spazio in modo prepotente nella sua testa.
Eppur in quel palco c'era solo lei e qualche signore che cercava riparo da quel freddo pungente, in qualche bar o locale presente lì nelle vicinanza. Il che era strano, ma non per lei; nella sua mente c'era un tale caos, che nessuno sarebbe riuscito a rimettere in ordine.
 
Una bambina con un enorme sorrisone allungò il collo per vedere se qualcuno dei suoi amici fosse riuscito a scovare il posto in ci si era accuratamente nascosta. All'inizio non le era sembrata una buona idea usare un albero come nascondiglio, ma ora si elogiava mentalmente per essere riuscita a rimanere l'ultima bambina da trovare.
"Eff dove sei?" Cantilenò con voce stridula il suo miglior amico Will, facendole scappare un risolino divertito che non sfuggì alle orecchie ben tese dei suoi amichetti.
Julien si tappò con violenza la bocca, portandosi con poca grazia una mano su di essa, tanto da procurarsi un bruciore accentuato su gran parte del viso.
"Avete sentito?" Trillò entusiasta Al, saltellando in modo esagerato al fianco dei suoi amici che lo osservavano in modo divertito. Tuttavia, i presenti cercarono di concentrarsi sul suono appena udito per trovarne la provenienza; ma niente, Juls sembrava essersi nascosta troppo bene per tutti loro.
"Eccola!!" Urlò con voce acuta Elisabeth, correndo velocemente verso l'albero da cui aveva notato spuntare uno dei due ciuffetti castani della sua amichetta. Non si curò di vedere se gli altri l'avessero seguita, e non appena si trovò davanti la piccola Juls le si  gettò letteralmente addosso ridendo il modo sguaiato, seguita a ruota dalla bambina sotto di lei.
Il resto dei tre amichetti le raggiunsero in fretta, sorridendo quando notarono le due bambine strette una all'altra che ridevano come se non vi fosse un domani.
 
"Ma come fai?" Gli chiese sussurrandole all'orecchio Lucas, una volta che ricomponendosi si erano seduti in cerchio a commentare una puntata del loro cartone animato preferito.
"Non lo so." Bisbigliò lei in risposta, mostrandogli un sorrisone con tanto di capelli scompigliati e codini fuori posto.
"Sei molto brava a nasconderti, vorrei riuscirci anch'io." Le confessò il bambino, sentendosi di poter mostrare la sua ammirazione nel 'talento' che la piccola dagli occhioni verdi possedeva.
E Juls rimase lì, con lo sguardo perso nel vuoto e il petto all'infuori in una posizione fiera di sé e del suo potenziale.
Era brava a nascondersi, ma non sapeva che quell'abilità nel passare inosservata agli occhi degli altri, sarebbe durata per anni.
 

Abbassò lo sguardo sulle sue Converse bianche completamente rovinate e decisamente troppo vecchie per essere ancora calzate ai piedi, ma non le dispiacevano, anzi ne era quasi affezionata. Scorse la scritta 'Will e Eff' sulla gomma laterale e le venne da sorridere, quando ricordò di aver scritto altrettanto sulla gomma delle Converse nere del suo caro amico.
Entrambi avevano quella strana fissa per i ricordi.
Dovevano segnare, marchiare, immortalare, scrivere, dipingere, imbrattare in segno del ricordo. Come se avessero il timore che qualcosa avrebbe potuto strappare i loro ricordi o potessero essere accantonati in un angolo sperduto della loro mente, prima di dimenticarne la completa esistenza.
E a loro piaceva essere vivi. Loro bruciavano di vitalità.
Non potevano prendersi anche solo il lusso di pensare di poter dimenticare, eppure Julien l'aveva fatto talmente tante volte, da sentirsi quasi colpevole. Da sentirsi sporca, come se dimenticare fosse il peccato più grande che qualcuno potesse mai compiere.
 
 
Louis camminava pensieroso per le strade di Doncaster, cercando di ricordare  tutti gli impegni che si era appuntato mentalmente e che sua madre si era presa la briga di ripetergli prima che mettesse piede fuori casa.
Si strinse nel suo giaccone nero corvino, cercando di ripararsi da quel freddo pungente che non faceva altro che farlo rabbrividire. Aveva le mani ben affondate nelle tasche in cerca di calore, e il viso nascosto nel collo alto del cappotto che indossava.
Eppur continuava a sentire freddo in ogni parte del corpo, non facendo altro che far aumentare la sua voglia di fare retromarcia e rincasare senza aver fatto nulla di quanto si era predisposto.
Le strade erano completamente vuote, come se la gente avesse paura di abbandonare le loro calde abitazioni per poter anche solo far due passi in quelle gelide e fredde vie.
Eppur quando decise di aumentare la velocità dei suoi passi, una figura femminile attirò la sua attenzione. Era seduta su una delle panchine del parco, non curante del freddo che la circondava; e non ci volle molto che Louis mise a fuoco quei grandi occhiali neri e una cascata di capelli castani fin troppo famigliare.
La ragazza nuova, Julien.
Se ne stava lì immobile con lo sguardo perso nel vuoto, non accorgendosi minimamente della presenza del castano che la osserva indisturbato qualche metro più in la.
Lou era consapevole di quanto quella ragazza fosse strana e misteriosa allo stesso tempo, aumentando l'interesse di lui nei suoi confronti in una maniera impressionante. Ma più la guardava e più aveva la certezza di come quella ragazza in realtà nascondesse la sua tristezza dietro quella maschera di pura strafottenza che si era predisposta.
Aveva una strana voglia di andarle incontro e stringerla a sé, cercando di rimettere insieme i cocci della sua anima distrutta. E si diede mentalmente dello stupido per quei pensieri idioti, quando lo sguardo vuoto di lei catturò quello curioso e confuso di lui.
Lo guardo con quegli occhioni colmi di inquietudine e mistero, colmi di una vita rotta e gettata al vento; poi si alzò sfregando le mani tra loro e andò via da lì.
Louis fissò ancora per qualche istante la panchina dove poco prima sedeva la ragazza, scuotendo in modo nervoso il capo, deciso ad andar via da quel posto.
Si voltò velocemente, per poi guardare l'insegna che illuminò i suoi occhi azzurro color del cielo: La libreria.
 
 
Se c'era una cosa che Louis amava più della musica e il calcio, era la lettura. Adorava starsene intere giornate al caldo e con un buon libro tra le mani, magari appena acquistato nell'accogliente libreria della vecchia signora Miller.
E così, con un caffè con tanto di doppia schiuma che aveva preso al distributore automatico del negozio, si insidiò fra i vari scaffali di libri, sperando vivamente di riuscir a trovare qualcosa che riuscisse ad attirare la sua piena attenzione.
Ormai come meccanicamente faceva da più di un'ora, prendeva i libri, ne leggeva la trama e infine con una smorfia infastidita lo rimetteva apposto, per poi ingurgitare l'ennesimo sorso del suo terzo caffè.
Vagò annoiato con lo sguardo da una copertina all'altra, convinto di star solo perdendo tempo, finché con uno strano scintillio i suoi occhi saettarono velocemente su un libro: Cercando Alaska, di John Green.
Un libro perfetto, almeno per lui.
Questione di secondi e i suoi piedi si mossero velocemente verso lo scaffale che conteneva il suo prossimo acquisto, ma quando tese il braccio per afferrarlo, le sue dita calde vennero a contatto con una piccola mano fredda che tentava di fare la sua stessa identica cosa. Con una smorfia irritata si voltò verso colei che tentava di sottrargli l'unico oggetto cartaceo degno della sua attenzione, rimanendo più che sorpreso di incontrare ancora una volta in quella giornata lo stesso identico volto.
Mi stai per caso seguendo, Julien?
Nessuno dei due ritrasse la propria mano,  tenendole ancora entrambe fisse sulla copertina di quel libro, lasciando che si sfiorassero tra di loro confrontando la temperatura corporea fin troppo diversa.
Louis si concentrò su quelle iridi verdi che lo fissavano a loro volta, per nulla a soggezione. Eppur il castano non poté far altro che notare quanto quei semplici occhi potessero apparir così divini da quella distanza ravvicinata; erano di un verde scuro, privo di vita e colmo di tristezza.
"Emh, io avrei intenzione di comprare questo libro." Ammise improvvisamente il liscio con arroganza, lasciando comparire sul viso della giovane un espressione indecifrabile.
Rimase lì a fissarlo per qualche altro secondo, come se stesse decidendo sul da farsi e fosse persino in conflitto con se stessa, ma improvvisamente scostò la sua mano, lasciandola cadere lungo i fianchi.
"Okay." Sussurrò lentamente.
Non aveva intenzione di iniziare alcun battibecco, voleva solo trovare un buon libro che le avrebbe tenuto compagnia quando come tutte le notti si sarebbe svegliata in preda a un incubo e non sarebbe più riuscita ad addormentarsi.
Tomlinson mordicchiò leggermente l'interno guancia, prima di sospirare e passarsi imbarazzato una mano fra la folta chioma castana perennemente arruffata.
"No, devo essere sembrato un fottuto stronzo. Scusami." Farfugliò stuzzicando il suo labbro inferiore fra i denti perfettamente bianchi, sorprendendosi di se stesso per essere stato in grado di far spuntare un tenero sorriso alla castana.
"In effetti.." Disse in modo vago, lasciando la frase in sospeso con un bizzarro sorriso che le illuminava il piccolo volto.
"Ehi, questa è la parte dove tu dici che non devo preoccuparmi e io, da bravo gentiluomo, ti lascio prendere il libro al posto mio." Ribatté divertito Louis, beandosi del suono soave della piccola risata che Julien aveva emesso.
"Se vuoi possiamo rifare la scena, e concluderla come vuoi tu." Scherzò lei, portandosi un ciuffo di capelli dietro l'orecchio.
"No, va bene così. Tieni." Le porse gentilmente il libro, preoccupandosi di sfiorare nuovamente anche solo per un secondo le morbide e fredde mani di lei.
Juls schiuse le labbra sorpresa, afferrando il libro e portandolo al petto come per alzare una barriera fra lei e il ragazzo dalla chioma castana disordinata.
"Umh, posso sapere il tuo nome?" Chiese imbarazzata lei, divorando in modo nervoso il suo interno guancia.
Lou sorrise teneramente, annuendo leggermente col capo senza mai distogliere lo sguardo dai tratti infantili del viso della giovane.
"Louis Tomlinson." Rispose, sfoderando uno dei suoi sorrisi più belli.
 
 
Caro Diario,
probabilmente avrei dovuto finir di leggere parte del mio nuovo libro, prima di iniziare a scriverti... Ma prima lo faccio, e prima mi tolgo il pensiero.
Credo che inizierò a inventare qualche storia molto più eclatante della mia vita, giusto per scriverti qualcosa di diverso da tutta questa monotona e frustrante merda, non trovi?
Odio tutto quanto. Odio il fatto che non possa più aver controllo della mia vecchia vita, perché, beh, è vecchia.
Papà crede che possa trovarmi molto meglio e come dice lui, 'Dai tempo al tempo, principessa.' e poi ti rifila la solita accarezzata sulla testa, come se fossi un cagnolino da compagnia.
Bella cosa..
A volte vorrei afferrarlo per le spalle e urlargli contro quanto la mia vita faccia schifo, quanto in realtà io non abbia amici e non mi sia integrata in questa sperduta cittadina d'Inghilterra. Ma non lo faccio, l'ho già ferito abbastanza quando ha dovuto rinunciare alla mamma per me.
Dio, vorrei mettere fine a questa sceneggiata; ma la vita è più bella quando fingi che tutto vada bene. Si, certo, come no.
Ora vado, se continuo a scrivere quanto tutto questo faccia schifo mi ritroverò con una voglia suicida incontenibile.
Spero che un libro riesca a distrarmi dai miei pensieri, notte.
-La ragazza dell'ultimo banco.

 


Tra gli scaffali di una vecchia libreria, troppo vintage per questa generzaione dove il vecchio va gettato e non aggiustato; tra il profumo di libri nuovi appena stampati e il solo suono soave di pagine che si sfogliavano con delicaezza, due ragazzi totalmente impacciati e bruciati dal tradimento, incontravano quel che temevano di più: Il dolce gusto del vero amore.

I'M HERE!!!
Salve donzelle..
Probabilmente vi starete chiedendo che fine io abbia fatto in questo periodo di assenza, ma che dire, non ho scusanti.
E' stato piuttosto tutto un casino, impegni, mare, un po' di vita sociale, Twitter, nuove storie e stronzate varie. Ho acquistato 'Colpa delle stelle' e mi sono sentita in dovere di leggerne buona parte, perché John Green si merita tutta la mia attenzione per i suoi scritti. E Dio, se quell'uomo non è un genio, mi colpisca un fulmine.
Parlando d'altro, avete prenotato il biglietto per il film del 11 e 12 Ottobre? Io appena adesso, o almeno lo ha fatto la mia amica anche per me.
Sono troppo emozionata, anche se io sono stata presente il 6 Luglio, ma cazzo non vedo l'ora.
Ma il capitolo, può andare? Giuro che la mia mente e un foglio bianco completamente scarabocchiato, ho mille idee ma zero contenuto complessivo. Ovvero zero idee fattibili.
Per cui mi scuso se risulta breve o privo di senso, o con errori, ma ho fatto del mio meglio.
Cosa ne pensate? Fatemelo sapere, perché davvero non so come stia andando la storia nel complesso. Vi adoro e giuro che non faccio altro che sorridere quando leggo le vostre recensioni.
Buona serata, o meglio buonanotte, bellezze.
Au revoir!!
-I am a little nerd_ok.
Twitter: @_TheEasyWay.

 
 
 
 

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Capitolo 6
*** Chapter six - L'odore di pesca e tabacco. ***


Chapter six - L'odore di pesca e tabacco.
 
 
«Fossi riuscito a dirti ti amo oggi me ne fotterei della pioggia che smette e non smette,
facesse cosa cavolo vuole la pioggia,
fossi riuscito a dirti ti amo io ora non sarei quì a pensare di dimenticarti senza cancellarti.
Sei incancellabile tu.
Sei come quelle macchie di inchiostro sul tascino della camicia, 
solo che sulla camicia ci puoi mettere una giacca, un maglioncino,
ma su di te cosa posso mettere?»

-Charles Bukowski.

 
 
E come ogni volta, la piccola Julien si ritrovò accucciata su se stessa, con la testa nascosta tra le ginocchia e il viso solcato da lacrime calde appena colate dai suoi grandi occhioni verdi. Il respiro le si era smorzato per i troppi singhiozzi, il nasino era arrossato per il continuo sfregarci su e i ciuffetti,  che era suo solito portare ai capelli, erano totalmente fuori posto e disordinati.
La porta cigolò richiamando la sua attenzione, facendola irrigidire sul posto e tendere le orecchie in attesa di anche solo un rumore compromettente. Fortunatamente le urla al piano di sotto erano terminate, ma ora dei cocci di vetro e ceramica giacevano sul pavimento del salotto.
Una mano esitante le andò ad accarezzare i capelli con una dolcezza infinita, ma non appena la piccola avvertì un primo contatto fisico il suo corpo venne scosso da un sussulto generale e due occhioni arrossati sbucarono da dietro le sue ginocchia rannicchiate al petto.
"Non aver paura, bambina mia." Sussurrò dolcemente l'uomo, sforzandosi di far tendere le sue labbra in un sorriso rassicurante, fallendo miseramente. Osservò basito la piccola bambina fiondarsi in modo impaurito e terrorizzato fra le sue grandi braccia, cercando di smorzare i singhiozzi contro il tessuto della sua camicia blu notte sgualcita.
Egli si sentiva così maledettamente in colpa per tutto quel trambusto che da un bel po' a quella parte stava prendendo vita in quella casa; ma anche se non poteva sembrare, stava dando tutto se stesso per riuscire a regalare un infanzia decente alla sua bambina. Ma ogni volta che incontrava quegli occhioni così simili ai suoi colmi di lacrime si diceva che non stava facendo abbastanza, commiserandosi mentre si dava del codardo, passando notti intere a piangere accanto al corpo dormiente della piccola.
Un codardo, ecco come si definiva Trevor Dixon.
La delicatezza di quel momento si ruppe quando entrambi udirono il rumore sordo di tacchi sul parquet del corridoio, mentre una figura magra e slanciata passava indifferente davanti alla porta spalancata della stanza dove i due erano rifugiati.
"Ma-mamma?" La voce della piccola, leggermente roca per il pianto, fece fermare di colpo il rumore di quei passi, mentre il viso di una donna dai tratti spigolosi fece capolino sullo stipite della porta. Rimase lì impalata a fissar quella bambina, definendola nient'altro che il frutto di un amore passato. Lo sbaglio di due individui legati solo dalla convinzione che il loro fosse amore, senza accertarsene davvero.
"Dove stai andando?" Chiese ancora, cercando di mascherare un singhiozzo che le era sfuggito dal controllo, studiando attentamente il viso di quella che doveva essere sua madre.
"Via." Sputò freddamente la donna, fissando i due impassibile definendoli quasi ridicoli abbracciati uno all'altro, teatrali ecco. Il respiro di Julien le si spezzo immediatamente, mentre i suoi occhi si spalancarono colmi del terrore di quella dura e cruda verità.
La donna rimase qualche minuto ferma davanti a loro, prima di riscuotersi dai suoi pensieri e tornare sui suoi stessi passi, concludendo il tutto con un colpo di porta talmente forte che fece sobbalzare la piccolina stretta tra le braccia del padre, che urlava e si dimenava cercando di ribellarsi da tutto quello che stava accadendo.
Ma ormai era finita, della sua famiglia erano rimasti stupidi pezzi da rimetter assieme, ma per quanto desiderasse farlo era fin troppo piccola e innocente per prendere in mano la situazione.
"Mamma!" Urlò disperata, cercando di correre verso il piano  inferiore, ma con scarso risultato visto che il padre riuscì ad afferrarla in tempo e stringerla a sé fra le sue stesse lacrime.
E' finita, Julien.

 
 
Era seduta nel bel mezzo del letto, con le lenzuola attorcigliate intorno agli arti inferiori, la fronte grondante di sudore, gli occhi colmi di terrore e le labbra schiuse ansimanti, mentre un grido disperato veniva soffocato sul fondo della sua gola.
L'aveva fatto di nuovo, l'aveva sognato ed era riuscita a gettarla nuovamente nel vuoto più totale.
Scalciò in modo nervoso le lenzuola dal suo corpo accaldato, sentendo di star andando a fuoco e con una strana necessità di aria fresca, spalancò la finestra che dava sul balcone. Afferrò velocemente il pacco di sigarette posto sul comodino, approfittandone per gettare uno sguardo alla sveglia che segnava le 03:45am.
Fantastico.
Ora di certo avrebbe passato il resto della nottata sveglia a consumare una sigaretta dietro l'altra, fino a puzzare in modo asfissiante di tabacco. Uscì sul balcone, prendendo posto a gambe incrociate sulla poltroncina e scaraventando brutalmente il pacchetto di sigarette e l'accendino sul piccolo tavolino davanti a lei. Impugnò tra le labbra uno di quegli involucri di tabacco, imprecando a denti stretti quando l'accendino non scattò ai primi tentavi per il forte venticello di quella nottata.
E quando riuscì finalmente a inalare a pieni polmoni quegli aromi che tanto bramava, riuscì a scorgere una piccola percentuale di sollievo pervaderla lentamente.
 
Attraversò a grandi falcate il corridoio della scuola gremito di studenti in attesa del suono della campanella, accompagnata da sussurri sfuggiti da bocche indiscrete e occhi che non l'abbandonavano in ogni sua mossa.
Solitamente li avrebbe ignorati palesemente, ma quella mattina era iniziata fin troppo male e ogni cosa sembrava andar storta; a partir dal suo caffè bollente che le aveva ustionato la lingua, al padre che non seppe per quale motivo aveva iniziato a farle decine di raccomandazioni sul tornare in orario a casa, che la fecero irritare e non poco.
Ed ora si sentiva tesa come una corda di violino, pronta a saltare per ogni cosa insulsa e a prendersela con mezzo mondo.
Cercò con lo sguardo il numero del suo armadietto e quando lo trovò si affrettò a spalancarlo con estrema forza che fece oscillare leggermente l'anta. Ancor prima che potesse dar un'occhiata all'orario o che potesse trovare il modo di rinchiudersi in quel buco d'armadietto che si ritrovava, nella speranza che una voragine la inghiottisse da un momento all'altro catapultandola in un mondo parallelo, avvertì il suo telefono vibrare insistente nella tasca dei suoi skinny jeans.
Lo afferrò velocemente, sentendo le sue gambe farsi improvvisamente molli e le labbra tremare così tanto, che dovette mordersi il labbro inferiore per farle star ferme.
Sta calma Julien, non ora. Niente crisi, ti prego.
 
Da: Will.
Testo: «Non ho intenzione di sopportarlo, non posso.
Ricordi da piccoli quando uno dei due cadeva, l'altro lo consolava dicendo che col tempo quella ferita sarebbe diventata cicatrice e noi in futuro avremo potuto riderci su? Beh... Mia piccola Eff, non so come tu abbia fatto ma hai lasciato una cicatrice indelebile nel mio cuore e non so se potrei perdonartelo, o se in futuro sarò capace di riderci su.
Mi manchi, piccola mia.»
 

La vista le diventò sempre più sfocata, fino a finir per riuscir a vedere solo una macchia colorata totalmente impossibile da decifrare. Dovette far appello a tutta se stessa per non scoppiare e lasciarsi cadere per terra, con il viso colmo di lacrime e il corpo scosso da singhiozzi; pronta a dar spettacolo a quella massa di studenti che continuavano a starsene per i corridoi della scuola.
Con un gesto improvviso, lanciò brutalmente il telefono nel fondo del suo armadietto, sperando che la sua mente riuscisse a cancellare ogni traccia che le ricordasse anche solo una parola che era scritta nel testo di quel dannato messaggio.
"Ehi, anche se sei arrabbiata non credo che il tuo telefono debba subire così tante violenze." La voce divertita del moro arrivò alle sue orecchie, facendola irrigidire di colpo, come se avesse di nuovo immerso la lingua nel caffè bollente di quella mattina.
Non ora. Non ora.
"Non è giornata, Zayn." Sussurrò quasi con tono disperato, voltandosi nella sua direzione scorgendo la sua figura affiancata da quella sorridente e spensierata del suo amico, non ché il tipetto con cui aveva avuto una specie di discussione in libreria: Louis.
Zayn era sul punto di replicare sarcasticamente, ma quando vide il modo in cui il suo labbro inferiore  tremava anche sotto tortura dai suoi stessi denti che cercavano di tenerlo fermo, schiuse la bocca sorpreso quasi quanto Louis al suo fianco.
"Juls, stai bene?" Chiese il moro preoccupato, quando la vide frugare disperatamente nell'armadietto con mani tremanti e uno strano pallore in viso. Fece per avvicinarsi, ma non appena cercò di posare una mano sulla sua spalla, quella arretrò come scottata da quel tocco, indietreggiando a piccoli passi.
"Ho detto che non è giornata, Malik." Marcò con tono freddo il suo cognome, tanto da farlo rabbrividire stupito; perché nonostante i suoi modi di  fare distaccati, lui era l'unico ad essere riuscito ad avvicinarsi a lei senza essere respinto riuscendo a strapparle persino un sorriso.
Ma ancor prima che potesse replicare o rendersene conto, quella era già sparita dietro l'angolo e Louis sconsolato cercò di rassicurarlo con una pacca dietro la spalla.
"Andiamo, amico.." Sospirò pesantemente Lou, spingendo in modo gentile il moro verso l'aula di chimica avanzata.
 
 
Julie camminava lentamente sotto la pioggia violenta che si imbatteva sulla piccola cittadina d'Inghilterra, stringendosi morbosamente nella sua felpa blu notte totalmente fradicia. Di tanto in tanto, portava le mani all'altezza del viso solo per poter vedere le varie pieghe che i polpastrelli delle dita avevano preso; imprecando quando senza che potesse rendersene conto, finiva con i piedi in una pozzanghera ben profonda.
Nonostante fosse bagnata dalla punta dei capelli castani agli alluci delle dita dei piedi, quella situazione la rilassava; era come se le gocce d'acqua piovana che scivolavano lungo il suo corpo, potessero portar con loro parte dei suoi problemi. Il ché la rendeva molto più tranquilla.
Imboccò il vialetto di casa, osservando scettica l'orologio che portava costantemente al polso, rendendosi conto che era in un ritardo incredibile.
L'idea di rimaner sotto quella tempesta così violenta divenne improvvisamente allettante, quando immaginò le urla del padre rimproverarla per non avergli dato ascolto, come sempre.
Riluttante infilò le chiavi nella serratura, aprendo e chiudendo subito dopo il portone di casa alle sue spalle, sospirando profondamene quando il calore dell'abitazione l'avvolse dolcemente, cullandola come se fosse una bambina.
Sentì l'odore di pollo arrosto invaderle le narici e con un enorme sorrisone, si diresse verso la cucina pronta a scongiurare il padre di cedergli la parte della coscia, molto più saporita per il suo fine palato abituato a pizze surgelate e cibo d'asporto.
"A cosa devo il tuo buonissimo pollo?" Trillò entusiasta, per poi sgranare gli occhi sorpresa davanti ai visi di perfetti sconosciuti seduti comodamente intorno al tavolo della cucina.
Cos'era quell'intrusione in casa sua, da parte di estranei?
"Santo cielo, Julien! Sei completamente fradicia." Esclamò il padre andandole in contro premuroso, prima che il sorriso della figlia si sciogliesse fino a diventare una smorfia di disapprovazione.
"Se non te ne fossi accorto, fuori c'è il diluvio universale." Biascicò stizzita la castana, portando in rassegna i vari volti presenti nella sua cucina fino a scontrarsi con due profonde pozze azzurre.
Non ancora, ti prego.
Tornò a guardare suo padre che blaterava qualcosa su un possibile raffreddore, per poi annunciale che gli ospiti erano dei suoi cari e vecchi amici, con cui aveva avuto l'onore di rincontrarsi qualche giorno prima per poi proporgli questo invito a pranzo.
"Scusate le pessime condizioni, piacere sono Julien." Si affrettò a dire la castana, sotto gli sguardi curiosi e amorevoli della felice famigliola seduta attorno al tavolo, che si affrettò a sorriderle dolcemente.
Se c'era una cosa su cui suo padre non transigeva era l'educazione e Juls era sempre stata in grado di apparir cortese ogni qual volta le si presenta l'occasione, comportamento di cui Trevor andava maledettamente fiero.
Perché nonostante tutte le difficoltà e i vari problemi, Trevor amava sua figlia in una maniera sconsiderata. Non gli importavano le volte in cui doveva accorrere a scuola per qualche bravata, le volte in cui era uscita di casa senza permesso o senza avvisare, tanto meno quando spariva per ore e giorni senza informare nessuno. Lui l'amava, come ogni padre ama la propria figlia.
"Oh, non preoccuparti cara! Va a cambiarti, o prenderai un malanno." Le disse premurosa la donna, sorridendole dolcemente. E Julien non poté far a meno di notare quanto assomigliasse a Louis, o quanto nonostante l'età fosse una donna davvero bella: I capelli castani che le incorniciavano il viso magro, gli occhi profondi e le leggere rughe d'espressione in diversi punti del viso.
La castana non rispose, semplicemente si congedò con un sorriso gentile e si affrettò a salire velocemente le scale, cercando di non inciampare per via delle suole bagnate che rendevano il tutto più complicato e scivoloso.
Si chiuse la porta della stanza alle spalle e sospirò stremata, lasciandosi andare sulla superficie liscia del muro alle sue spalle, fino a trovarsi rannicchiata sul pavimento con mille pensieri che le offuscavano la mente.
Perché era tutto così difficile?
 
L'odore di tabacco era risultato un tranquillante abbastanza efficace per la giovane, motivo per cui ogni qual volta si sentisse oppressa, finiva per rintanarsi in luoghi isolati a consumare interi pacchetti di sigarette. Per sua fortuna, il padre si era arreso all'idea di avere una figlia fumatrice cronica, smettendo persino di ripeterle quanto era alta la percentuale che si stesse uccidendo lentamente. Eppur Julien non mollava, era certa che prima o poi sarebbero morti tutti, lei cercava solo di velocizzare il tutto.
Veloce e indolore.
Riparata dalla tettoia in legno d'acero, sedeva comodamente su una poltroncina nel giardino di casa, osservando con fin troppa attenzione le gocce di pioggia cadere ritmicamente al suolo. Con gesti meccanici aspirava dalla sigaretta, per poi scacciare i vari aromi in nuvolette di fumo che si disperdevano nell'aria con molta velocità.
"Ciao, ti chiami Julien vero?" Una voce fine le arrivò alle orecchie e voltando il capo poté notare le due bambine, figlie degli amici di suo padre, fissarla curiosamente e con dei sorrisetti ambigui.
Voltò nuovamente il capo dall'altra parte per scacciare il fumo che aveva intrappolato nella bocca, per poi riportare l'attenzione sulle sue bambine, a cui fece cenno di sedersi sul divanetto al suo fianco.
"Si, e voi come vi chiamate?" Chiese dolcemente Juls, sorridendo davanti ai loro visetti dolci e felici. Adorava i bambini, forse perché lei non aveva avuto un infanzia felice e le piaceva cercare conforto negli occhi pieni di gioia e speranza dei più piccoli.
E non appena avvertì le loro sottili voci presentarsi e iniziarle a fare una moltitudine di domande, non poté far altro che ridacchiare divertita e cercare di stare a loro passo, rispondendo nel modo più gentile che conoscesse.
 
 
Louis se ne stava fermo appoggiato ad un pilastro, osservando la scena in silenzio e leggermente divertito da come quelle due pesti delle sorelle erano riuscite a far ridere più e più volte la ragazza castana.
Sembrava una cosa impossibile visto il modo scontroso con cui quella mattina si aggirava nella scuola, ma erano bastati due sorrisetti furbi e due paia di occhioni azzurri a far cedere la sua corazza d'acciaio.
Tuttavia si riscosse dai suoi pensieri quando si sentì tirato in causa da una delle due sorelline, -per di più gemelle quasi irriconoscibili fra di loro.- ritrovandosi tre sguardi puntati esclusivamente su di lui.
"Juls, conosci Lou?" Chiese Phoebe innocentemente, mentre la castana schiuse le labbra sorpresa, voltandosi verso di lui con i suoi soliti occhioni curiosi. Louis sentì la bocca diventargli secca, forse perché con un solo sguardo era riuscito a far crollare ogni sua certezza e renderlo così vulnerabile, ipnotizzato da quel verde bosco fitto così lucente.
Julien schiuse le labbra cacciando una nube di fumo e con gli occhi fissi in quelli di lui, si affrettò ad annuire con un movimento impercettibile del capo; lasciando nascere un piccolo sorrisetto sul viso del ragazzo.
E a differenza di ciò che chiunque avrebbe immaginato, non scostò lo sguardo dalla figura di lui, prendendo invece a scrutarlo con un leggero velo d'interesse dipinto negli occhi. Aveva i capelli scompigliati e arruffati, un leggero accenno di barba che delineava i tratti adulti ma pur sempre dolci, le labbra sottili e rosee aperte in un sorriso incerto.
Era bellissimo.
"Phoebe, Daisy! Entrate si gela." Le riprese la madre dall'interno della casa, mantenendo un tono che non ammetteva repliche, facendo sbuffare le due bambine che con qualche lamento rientrarono al caldo nell'abitazione.
Lou si morse il labbro inferiore, scrutando il cielo grigio che ricopriva la cittadina e chiedendosi come il solo rumore della pioggia riuscisse a calmarlo e distoglierlo da ogni pensiero. Senza troppe esitazioni si lasciò cadere nel posto affianco alla ragazza, che sussultò presa alla sprovvista, guardandolo curiosamente mentre si affrettava a spegnere il mozzicone della sigaretta nel posacenere.
"Fumi spesso?" Chiese cercando di intrattenere una conversazione Louis, continuando a tenere lo sguardo fermo davanti a lui con chissà quali pensieri che gli passavano per la mente.
"Diciamo di si." Farfugliò Juls, prendendo a giocherellare con un lembo del maglio di lana beige che indossava, forse fin troppo grande per il suo minuto corpicino ma una vera benedizione in giornate come quella.
Tomlinson si voltò verso di lei, sorprendendosi da tanta sincerità convinto che avrebbe udito una delle solite frasi che anche il suo migliore amico era solito dirgli, giurando di smettere ogni volta.
"Fa male." Rispose allora lui, osservandola voltarsi con un sorriso amaro nella sua direzione, prima che venisse distratto dalla loro stretta vicinanza che portava i loro respiri ad unirsi in una cosa sola.
"Sai Louis, prima o poi giungerà il nostro momento e credimi se ti dico che il primo ad abbracciare la morte tra noi due, sarò io." Ammise Julien, sorridendo con un misto di dolcezza e tenerezza a Louis quando lo vide schiudere le labbra sorpreso da quelle parole.
Lentamente la castana avvicinò il suo viso a quello di lui, osservandolo ispirare vergognosamente a pieni polmoni il suo odore che era un misto di tabacco e pesca, mentre un brivido gli percorse la schiena quando avvertì le labbra morbide e fredde di lei poggiarsi sulla sua guancia.
Rimase fermo con gli occhi chiusi cercando di immortalare quel momento così importante nella sua mente, senza rendersi conto che al suo fianco non c'era più nessuno.
 

Caro Diario,
Sono sicura che se potessi ti chiederesti il perché ti stia scrivendo solo alle 02:45am, quando l'indomani c'è scuola e io dovrei essere già a letto da un po'; ma il fatto è che non riesco a chiudere occhio, anche se metto tutta me stessa, non riesco ad addormentarmi.
Mi sento divorare da una strana ansia.
Oggi il telefono è suonato per ben tre volte di fila, era lui.
Non ho risposto.
Credo pensi che io l'abbia dimenticato, o che non voglia parlare con lui per qualche strano motivo; ma ho paura. Non voglio sembrare una cattiva persona, non con lui, ma le mani mi tremano così tanto che ho paura di afferrare persino quel dannato telefono.
Vorrei che mi odiasse. Vorrei che tutti loro mi odiassero.
Magari sarà più facile dimenticarli? Ma a chi vogliamo darla a bere? Non posso dimenticarli, non voglio.
Forse devo smetterla di comportarmi come se nulla fosse e affrontare la realtà... Mi mancano, ho bisogno di loro. Te lo prometto, se mai richiameranno ed io riuscirò a rispondergli, glielo dirò. Lo giuro.
 
Sai quel ragazzo di cui ti ho parlato? Il tipo che mi fa sentire nuda con un solo sguardo? Beh, mi ha riguardata negli occhi e per un attimo avrei voluto afferrare tutto e scappare via.
Mi rende così debole, non lo sopporto.
Eppur l'ho baciato, probabilmente è stato un errore di una stupida incoerente, ma non ho potuto fare altrimenti; è così invitante.
Ricordo che la nonna mi diceva spesso che quando il diavolo ti accarezza, vuole l'anima. Mi sono detta che non aveva tutti i torti; l'ho baciato e per un attimo ho desiderato la sua anima così candida e spensierata, libera da ogni demone.
Ho bisogno di scappare e vivere, ne sento l'urgenza.
A presto, spero tu riesca a nascondere i miei demoni così tanto affamati.
-La ragazza dell'ultimo banco.
 

 "I love when it rains." 
Fissa immobile le gocce di acqua piovana fare a gara a chi si infrange per prima sul bordo della finestra.
Desidera di essere una di quelle piccole gocce, così uniforme, così uguale alle altre senza aver paura di essere sbagliata.
Desidera far a gara per scomparire come se nulla fosse, lei di sicuro vincerebbe. 


I'M HERE!!!
Salve bellezze!
Eccomi qui con un altro capitolo, probabilmente sono di nuovo in ritardo e mi sento così in colpa che vorrei sotterrarmi. Avevo parte del capitolo già pronto da un po', ma non ho avuto il tempo di continuarlo e finirlo per pubblicarlo, almeno fino a ora.
Così oggi ho afferrato il computer e mi sono messa a scrivere, ricordando le parole di una ragazza che recensisce sempre le mie storie -e a cui devo molto, ti ringrazio.- che mi disse che le farebbe piacere se aggiornassi molto più spesso; così l'ho reso molto più lungo e ho aggiunto questo particolare del bacio.
Che ve ne pare?
Mi fareste un grande piacere se lasciaste una recensione, almeno per dirmi se la storia è ok. Mi fareste davvero felice, perché nonostante come scrittrice io scriva per me, scrivo anche per voi... Quindi sapere cosa ne pensate sarebbe fantastico.
Cos'altro aggiungere? Niente credo, oltre a scusarmi per eventuali errori di battitura.
Spero stiate passando una buona estate, vi adoro.
Baci e abbracci.
-I am a little nerd_ok.
Twitter: @_TheEasyWay. (Contattatemi per qualunque cosa.) 

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Capitolo 7
*** Chapter Seven - Un bacio a tradimento ***


Chapter Seven - Un bacio a tradimento.
"Ama l'imperfetto tuo prossimo, con l'imperfetto tuo cuore."

L’odore di chiuso le faceva pizzicare il naso, aveva la fronte grondante di sudore e gli occhi socchiusi per la polvere che si alzava ad ogni suo movimento. Quel posto faceva davvero ribrezzo, era vecchio e trasandato, ma per lei era uno di quei luoghi sacri, che non avrebbe cambiato per nulla al mondo.
Un pantaloncino da basket a fasciarle le gambe magre e una maglietta maschile annodata sotto il seno, le permettevano movimenti più fluidi e controllati. I piedi scattavano in piccoli saltelli, prima avanti e poi indietro. Le labbra bagnate e schiuse da cui fuoriusciva un respiro affannato e ormai fin troppo stanco.
Eppur lei si sentiva in ottima forma, si sentiva leggera dentro.
Assestava con una precisione incredibile pugni al grosso sacco di boxe davanti a lei, beandosi del tintinnio che la catena di metallo procurava ogni qual volta oscillasse. Aveva passato fin troppo tempo in astinenza dalla boxe, ed ora che aveva trovato il posto giusto –nonostante cadesse a pezzi, la fortuna voleva che non le fosse costato un occhio della testa. – le sembrava di aver riportato la pace in lei.
Julien aveva sempre avuto questa necessità di accumulare tutto e infine sfogarsi in questo modo, ed adesso avvertiva la necessità di liberarsi di tutto quello che aveva passato in queste due lunghe settimane.
Era rimasta sola, completamente sola. Sempre se si vuole escludere suo padre e i suoi inutili tentativi di iniziare un discorso con sua figlia, che non giungesse a un litigio. Zayn, come il resto dei ragazzi, non le parlava dalla sfuriata avutasi nel corridoio e visto il suo orgoglio, lei non faceva nulla per aggiustare le cose. I suoi vecchi amici, sembravano aver rotto i contatti con lei; niente chiamate, niente messaggi, niente lettere e niente video chat.
E per finire il tutto, suo padre quella mattina l’aveva messa al corrente sul fatto che Tomlinson avrebbe sostato in casa loro per qualche giorno, per motivi a lei ignoti.
La ciliegina sulla torta, direi.
La suoneria del telefono la distrasse dai suoi pensieri, facendo arrestare i suoi continui colpi, mentre prese a frugare velocemente nella borsa solo dopo aver strappato via i guantoni che indossava.
Risucchiò un respiro non appena i suoi occhi finirono sulla scritta a caratteri cubitali presente sullo schermo, sentendosi la gola diventare secca nel giro di pochi secondi. Aveva una voglia malsana di riattaccare la telefonata, ma aggrappandosi alla parte più lucida di lei, decise di rispondere con non poca esitazione.
“Pronto?” Gracchiò con la sua roca voce, quasi strozzata per il nervosismo, osservandosi intorno in cerca di qualcosa che avrebbe attirato la sua attenzione e l’avrebbe distolta almeno un po’ dall’ansia.
“Eff, sei tu?” Non appena avvertì quel tono di voce così tormentato e famigliare, sentì il mondo caderle addosso, sopprimendola con tutto il suo peso.
“S-si.” Sussurrò con un filo di voce, pestando fra loro le sue converse rovinate.
Il silenziò che seguì le fece pensare al peggio, attese ansiosamente una risposta, mentre solo un respiro pesante si avvertiva dall’altro capo del telefono. Lo stomaco le si era chiuso in una morsa nervosa e solo il pensiero di dover ingurgitare qualcosa più tardi, le fece salire una nausea improvvisa.
“Perché, Julien? Sono giorni che ti chiamo, tuo padre dice che non sei mai a casa e io non so più che fare. Ho pensato al peggio, l’idea di prendere uno stupido aereo e venire lì mi avrà sfiorato la mente un centinaio di volte. Non puoi decidere di andar via e non farti sentire, con la speranza che ci dimenticheremo di te.” Quasi urlò Will, facendole chiudere violentemente le palpebre tra loro, cercando di evitare che le lacrime scivolassero liberamente sulle sue guance.
“Mi dispiace..” Farfugliò quella, mordendosi l’interno guancia fino a sentire il sapore ferro del sangue in bocca.
“Davvero Eff, ti dispiace?” Chiese lui con un filo di voce, facendo risuonare un singhiozzo violento nell’aria, che le fece raggelare il sangue nelle vene.
Il suo Will, piangeva. Piangeva per colpa sua, perché lei rovinava sempre ogni cosa.
E ancor prima che se ne accorgesse, delle lacrime le rigarono le guance arrossate, facendola singhiozzare in modo vergognoso e quasi infantile.
“Va tutto così male, Will. Vorrei mandare tutto al diavolo e lasciarmi andare nella maniera più brusca, vorrei avere il coraggio di rispondere ai messaggi o farmi viva, ma non c’è l’ho. Vorrei fare tante cose, ma non ho la forza neanche di cadere.” Biascicò lentamente, con il sapore salato delle lacrime impregnate fra le sue carnose labbra.
“Vorrei essere lì anche solo per stringerti a me, piccolina mia.” Ammise lui fra i singhiozzi, tirando su con il naso e attendendo una risposta.
“Lo vorrei anch’io.” Gli confessò in un sussurro, chiudendo gli occhi cercando di immaginare le grandi braccia di Will cullarla lentamente e le sue labbra fini stamparle dei baci fra i capelli.
“Devo andare, ora. Mi manchi tanto, piccola Eff.” Disse il biondo, mordicchiandosi il labbro inferiore per far cessare le lacrime.
“Manchi anche a me, ciao.” Lo salutò con un filo di voce, attaccando subito dopo la chiamata per permettere ai singhiozzi di venir fuori liberamente.
Si accucciò su se stessa, nascondendo il viso fra le ginocchia, ignorando la polvere insidiarsi un po’ ovunque e lasciandosi scoppiare in un pianto disperato.
Mi sono rotta e tu non sei qui per aggiustarmi.
 
 
La mensa come sempre era il luogo più affollato della scuola e Zayn era stanco di starsene in piedi a cercare con lo sguardo un posto da occupare per lui e i suoi amici, che lo avrebbero raggiunto nel giro di qualche minuto. Gli occhi saettavano un po’ ovunque, finché non si fermarono sulla figura di una ragazza sola ad un tavolo, china su un blocco da disegno e senza alcun cibo da consumare.
Si morse nervosamente il labbro inferiore, decidendo sul da farsi e mettendo da parte l’orgoglio, si diresse nella sua direzione, occupando poi il posto affianco al suo. Non appena la giovane avvertì uno spostamento, alzò gli occhi dal disegno incompleto su cui stava lavorando, per portarli in quelli color caramello del ragazzo al suo fianco.
“Posso sedermi, o non è giornata oggi?” Chiese con tono arrogante lui, facendo riferimento alle parole che lei aveva usato qualche settimana prima nel corridoio dell’istituto.
Improvvisamente le sue iridi assunsero una nota triste e dispiaciuta, tanto da farlo sentire quasi in colpa per ciò che aveva detto, ma non appena avvertì delle piccole braccia cercare di stringersi intorno a lui, non poté far a meno di ricambiare e stringerla possessivamente a sé.
“Scusami, Zay.” Biascicò contro il tessuto della maglietta del moro, avvertendo la stretta intorno al suo corpo aumentare fino a farle quasi male.
Ma non si sarebbe mai lamentata, gli abbracci che finivano per procurarti del male, erano i migliori e lei non li avrebbe cambiati per nulla al mondo.
“Scusa tu.” Sussurrò il ragazzo in risposta, lasciandole un bacio sulla guancia quando sciolsero la presa l’uno sull’altro.
Non fecero in tempo a iniziare un discorso, che le sedie ancora libere intorno al tavolo, furono occupate dal resto della compagnia di lui.
“Buongiorno, bella gente.” Trillò entusiasta Harry, stampando un bacio sulla guancia della castana, che rimase leggermente interdetta a quel contatto.
“Ciao, ragazzi!” Esclamarono in coro Liam e Niall, mentre quest’ultimo cercava di ingurgitare in fretta una manciata di patatine che aveva portato alla bocca poco prima.
L’ultimo posto affianco a lei, fu occupato da Louis, che tuttavia non fiatò e si limitò a un cenno di capo, tenendo per tutta la durata del pranzo lo sguardo puntato sulla castana.
“Posso vedere cosa disegni?” Chiese ad un certo punto il biondo, attirando l’attenzione anche degli altri ragazzi che discutevano animatamente di una partita di calcio.
Julien alzò lo sguardo dal foglio su cui disegnava, indecisa sul da farsi. Non era sicura di voler concedere loro di osservare i suoi lavori, tanto meno se questi riguardavano qualcosa di tanto importante come la sua vecchia vita a Parigi.
Ma, seppur riluttante, annuì allungando il foglio verso il biondo e lasciando che gli altri si accalcassero sul poveretto, per riuscir a scorgere ciò che era stata in grado di fare con una semplice matita spuntata.
Il disegno raffigurava un ragazzo in piedi, il viso rivolto verso il basso coperto dal cappuccio di una felpa e un deforme buco all’altezza del petto, da cui si vedeva lo sfondo del foglio bianco. Ai piedi giaceva il corpo di una ragazza in ginocchio, il viso coperto anche questo dal cappuccio di una felpa e tra le mani un cuore sanguinante.
Il disegno era fatto di svariate sfumature e raccontava uno dei suoi più grandi segreti, ma una scritta riuscì a catturare l’attenzione di tutti.
«Ho preso il tuo cuore, ma non sono sicura di volertelo restituire, Will.»

Si pizzicò nervosamente le mani fra loro, attendendo un giudizio da parte dei ragazzi, sperando vivamente che non fossero insulti o quant’altro.
“E’ bellissimo, Juls.” Sussurrò Zayn, con gli occhi ancora fissi sul disegno, mentre gli altri annuirono stupiti in risposta.
E sul suo viso si aprì un bellissimo sorriso, forse non era così male stare lì se fosse stata con le persone giuste.
Niente odio, niente giudizi e niente compassione.
Nessuno la conosceva, avrebbe potuto riscrivere la sua vita. Sì, avrebbe potuto.
 

 
 
Se mai qualcuno le avesse detto, qualche giorno prima, che si sarebbe ritrovata i ragazzi comodamente seduti nel suo salotto, Julien sarebbe scoppiata a ridergli in faccia; eppur, era così.
Durante il pranzo, avevano invitato la castana a unirsi a loro in un pomeriggio dedicato a dei film e del buon cibo spazzatura, a cui lei stessa non seppe dire di no. Così poi era sorto il problema per il luogo in cui avrebbero potuto sostare e visto che ormai Tomlinson avrebbe vissuto per un po’ di tempo a casa sua, propose proprio il suo salotto per quella giornata da passare tutti assieme.
Al momento erano rimasti tutti stupiti, ma poi avevano accettato con entusiasmo e si erano ritrovati nel salotto di casa Dixon a chiacchierare animatamente sulla scelta del film da vedere.
“No, Niall ridammi il pacchetto di caramelle!” Urlò Harry, cercando di riappropriarsi dei suoi deliziosi orsetti gommosi, i suoi preferiti.
La porta di casa si aprì catturando l’attenzione dei presenti, che ridevano animatamente per i litigi infantili tra il riccio e il ragazzo biondo tinto, facendo spuntare la figura del proprietario dell’abitazione.
“Sono a cas-” La voce di Trevor Dixon s’interruppe, non appena notò la presenza di diversi adolescenti nel salotto di casa e con un’espressione sorpresa, continuò “Oh, non sapevo avessimo ospiti.”
Louis balzò in piedi, andando subito a salutare l’uomo che l’avrebbe ospitato in casa sua, presentando subito dopo i suoi amici che lo salutarono abbastanza educatamente.
“Hai già portato ciò che ti serve, Louis?” Chiese Trevor, dopo le presentazioni, ricevendo in risposta un cenno di capo da parte del ragazzo.
“Bene, vi lascio in pace… Se avete bisogno sono al piano di sopra.” Lì avvertì l’uomo, prima di congedarsi e sparire lungo le scale presenti nell’abitazione.
E ripresero a chiacchierare e stuzzicare tra i vari dolciumi che si erano portati dietro, cercando di conoscersi meglio e stringere un legame molto vicino all’amicizia.
“Dov’è tua madre, Juls?” Chiese ingenuamente Niall, osservandosi intorno e notando solo foto che raffiguravano padre e figlia, o solamente quest’ultima.
Il corpo della giovane si irrigidì visibilmente, le sue mani iniziarono a tramare in una maniera esagerata e diversi ricordi riaffiorarono nella sua mente.
Respira, Julien. Puoi farcela.
“Allora questo film?” Trillò la castana, con finto entusiasmo e un sorriso tirato, fingendo di non aver sentito la domanda e rubando dalle mani di Liam la custodia del film.
“Oh, sì… Fallo partire.” Concordò Zayn, notando il repentino cambio d’umore della ragazza.
E tutti ignorarono la faccenda, o almeno cercarono di farlo, mettendosi comodi e attendendo l’inizio del film.
Magari anche l’inizio di una nuova amicizia.
 
 
 
Il corridoio completamente sommerso dal buio, rendeva a Louis la ricerca della camera, che avrebbe condiviso con Julien, ancora più ardua di quanto già non lo fosse.
Sbuffò più volte, quando inciampò sui suoi stessi piedi e imprecò mentalmente contro la castana, che cocciuta com’era si era rifiutata di scendere a cenare con loro, rimanendosene rintanata nella sua stanza.
Non appena notò la porta che tanto cercava, vi si catapultò davanti, arrancando sulla superficie liscia di legno, alla ricerca della maniglia che non tardò a trovare. L’aprì lentamente, sorridendo quando guardandosi intorno scovò una vera e propria tana che ogni adolescente sognerebbe: Pile di libri sparse ovunque, CD e album ordinati sugli scaffali, penne, matite e pennarelli sparsi persino sul parquet, c’erano disegni ovunque e la maggior parte erano appesi al muro tra decine e decine di foto personali e non.  Delle lucine stile natalizie, pendevano su un intera parete, illuminando di poco la stanza e permettendogli una visuale su dove stesse mettendo i piedi.
E poi la vide, stesa sul letto che sarebbe dovuto essere destinato a lui, rannicchiata in una coperta che le arrivava fin sotto al naso e con decine di tazze di tè consumate, sul comodino.
Si spogliò velocemente, cercando di fare il meno rumore possibile, per poi infilarsi tra quelle lenzuola che sapevano di pesca e tabacco. Quelle lenzuola che sapevano di lei, da cui ispirò a pieni polmoni godendosene il profumo particolare.
Si posizionò su un fianco, sorridendo quando si accorse dell’espressione imbronciata che la ragazza aveva assunto e dei leggeri sbuffi che le scostavano qualche ciocca che le era caduta sul viso.
Era così innocente e tenera.
“Buonanotte, Julien.” Sussurrò, coprendosi accuratamente fino a lasciarsi beare del calore della stoffa, addormentandosi come un bambino che veniva cullato dalla propria madre.
Notte a te, Lou.
Un sospirò pesante fuoriuscì dalle labbra schiuse della castana, mentre si rigirò e cercò di riprendere il sonno.
 
 
 
Gli occhi di Louis si spalancarono velocemente, mentre i suoi polmoni arrancavano alla ricerca d’ossigeno con cui nutrirsi. La fronte sudaticcia aveva fatto attaccare qualche ciocca sulla fronte e le coperte sembravano essere diventate un groviglio di catene.
Lo sguardo scattò sulla figura accucciata sul davanzale della finestra, che lo osservava attentamente, come a volergli leggere l’anima.
“H-ho fatto un incubo.” Disse ancora scosso dall’accaduto, passandosi una mano tra i capelli arruffati.
Quella restò in silenzio e alzandosi dalla sua posizione, si diresse verso il comodino, dove versò una tazza fumante di tè – che probabilmente aveva preparato da poco. – e gliela porse con un sorriso incoraggiante dipinto in volto.
Lou l’afferrò ringraziandola con lo sguardo, mentre la vide andare a sedersi nuovamente dove l’aveva trovata. Il liscio mandò giù il liquido caldo, infischiandosene se si fosse ustionato la lingua, andando a sedersi anche lui sul davanzale, davanti a lei.
Entrambi avevano le gambe incrociate, mentre lasciavano che i loro sguardi si fondessero sotto il chiarore della luna piena, ricambiandosi carezze immaginarie a vicenda.
Con un passo azzardato, il ragazzo si fece avanti, lasciando avvicinare i loro visi con una lentezza stremante e angosciosa. Era come se entrambi avessero paura delle conseguenze, come se avessero paura che l’altro non approvasse o non ricambiasse.
Ma al diavolo le false convinzioni, le loro labbra si incontrarono, si cercarono e si trovarono a vicenda. Un bacio dolce e lento, prima che le loro fronti si scontrassero e si sorridessero intimiditi.
Un altro bacio e Louis l’attirò a sé, lasciandola cadere impacciata sul suo petto, mentre le mani iniziarono a vagare sotto la sua larga maglia; e quelle di lei, andarono a scompigliare ancor di più i suoi capelli, modellandoli e tirandoli leggermente a suo piacere.
I loro baci sembrarono cambiare ritmo, diventarono più veloci, più passionali, più violenti, pieni di bisogno l’un l’altro d’amore. Si cercavano, si trovavano, si respingevano e poi tornavano alla carica.
Erano insaziabili e incontentabili, volevano sentire il gusto dell’altro farsi proprio e tastare la morbidezza delle labbra altrui, volevano spogliarsi da ogni incertezza e lasciarsi andare.
Volevano essere loro stessi, e ci erano riusciti.
 
 
Caro Diario,
Credo di non essere mai stata così tanto azzardata nella mia vita, o tanto meno così strafottente delle mie regole morali.
Nella mia mente c’è un uragano di emozioni, sono troppo per me.
Non so per quanto riuscirò a sopportarle.
Dio, Dio, Dio.
Per una che non crede in un qualcuno là su, l’avrò nominato a sufficienza, almeno credo.
Ma tu, o nessun altro, può capire.
L’ho lasciato abbattere le mie barriere e per quanto può sembrare egoistico da parte mia, sta volta voglio rialzarle, più solide, più alte, con me e lui dentro.
Sembro una dodicenne in preda alla sua prima cotta, è così stomachevole… Che poi, a me non piace.
Non credo in queste stronzate, l’amore è un illusione umana e io non mi lascio manipolare dall’immaginazione.
Io sono reale.
Devi capirmi, non posso portarlo nella merda con me, anche se il mio egoismo mi spinge a farlo e usarlo come salvagente per non annegare in questo mare di delusione. Ma non posso.
Lui è troppo pulito, è troppo innocente, è troppo puro.
Ed io sono troppo sporca di delusione, io sono troppo colpevole, io ho troppi demoni per lui.
Magari se saprà la verità su di me, andrà via e sarà la cosa migliore che avrà mai fatto. Non posso deluderlo, ma lui può deludere me… Ormai ci sono abituata, non lo noterò neanche.
Questa permanenza in Inghilterra sta risultando curiosa, o almeno le persone che ho conosciuto. I ragazzi sono così gentili e dolci, che mi sento quasi in colpa a regalargli la mia presenza fra loro.
Ma ho bisogno di qualcuno, ho giuro che darò di matto.
Mi mancano troppo i miei amici, oggi ho sentito Will; è stato un colpo al cuore.
Vorrei tanto averlo qui con me, ma è una cosa piuttosto impossibile, per cui sto zitta e fingo che mi vada bene.
E’ meglio che vada, Louis potrebbe svegliarsi e vederti.
Alla prossima.
-La ragazza dell’ultimo banco.

 
 
                                                                                           

Charles Bukowski la rappresentava, lei dipendeva dalle sue parole.
Per lei erano poesia pura.
Verità e vita.



 
I’M HERE!!!
Salve bellezze, sì, sono ancora viva.
Ma sta volta per scusarmi del ritardo, ho postato una OS malinconica, anche se non è il massimo.
Come ho già detto, nello spazio autrice della OS, la scuola è iniziata – e già non ne posso più. – ma non è il motivo per cui non ho aggiornato.
Bene, il motivo? Ho portato il computer ad aggiustare per vari problemi e non vi dico il colpo al cuore quando me lo hanno tolto.
Ma ahimè, non ho potuto fare nulla in contrario.
Passiamo alla storia, mi scuso per eventuali errori, perché ho una versione di latino da fare e non posso dilungarmi troppo, la rileggerò questa sera e la correggerò là dove è necessario.
COSA NE PENSATE?
Non so quale schifo possa essere uscito, ma ho cercato di fare del mio meglio.
Ora devo proprio scappare, ringrazio chi ha recensito e chi segue la storia.
Vi amo.
Alla prossima. Xx
-I am a little nerd_ok.
Twitter: @_TheEasyWay.

 

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Capitolo 8
*** Chapter eight - Speciale ***


Chapter eight - "Speciale".
"Non muori, ma il dolore lo senti."
Louis si guardava intorno stancamente, quella mattina il suo risveglio era stato leggermente diverso da ciò che si sarebbe aspettato. Aveva sorriso ancor prima di aprire gli occhi e quando lo aveva fatto, la sua espressione era diventata d’un tratto delusa e triste, notando l’altra parte del letto vuota e sfatta.
Si era sentito inutile, come un oggetto usato e poi gettato, ma c’era d’aspettarselo; eppur lui aveva creduto che qualcosa sarebbe potuto cambiare.
Che illuso.

Gli occhi continuavano a perlustrare il giardino scolastico, in cerca dei suoi amici con cui avrebbe potuto scambiar due semplici parole, il minimo per lasciar che la sua testa si svagasse dal turbine di pensieri che l’assillava. Avvistò in lontananza la chioma riccia del suo migliore amico, iniziando poi a camminare guidato dalla sonora risata dell’irlandese.
E alla fine li vide tutti insieme, i ragazzi e Julien, che ridevano e scherzavano animatamente, incuranti che lui non ci fosse. In effetti nessuno lo aveva cercato da quando aveva messo piede nella scuola e solo ora che se ne era accorto, gli sembrò che la sua presenza fosse come un fottuto optional di cui poter fare a meno.
Silenziosamente si sedette sull’erba, al fianco di Liam, che voltandosi gli regalò uno dei suoi tanti dolci sorrisi, tutto denti.
“Boo!” Squittì Harry, gettandosi letteralmente addosso al liscio, che venne coperto interamente dalla figura dell’amico. I presenti risero divertiti, cosa che fece sorridere leggermente il castano, la cui mente si avvertì alleggerirsi.
“Amico.” Lo salutarono all’unisono Zayn e Niall, trucidandosi con lo sguardo per aver parlato in contemporanea, iniziando a bisticciare come due bambini, su chi l’avesse detto per primo.
“Ma io sono irlandese, quindi ho ragione.” Se ne uscì il biondo tinto, con un’espressione fiduciosa e fin troppo modesta, atteggiandosi come solo una diva di Hollywood potesse fare.
“Niall non puoi uscirtene ogni volta con il fatto che sei irlandese.” Lo rimproverò Liam, sempre a favore del moro, che sorrise vittorioso e sghignazzò sotto i baffi.
Julien rise a quella scena, come non aveva mai fatto da quando aveva messo piede nel territorio inglese, beandosi finalmente del piacere che una genuina risata potesse darle.
Sentiva come se il suo cuore venisse sollevato dal macero di moltissime delusioni, che col tempo si erano accumulate nel suo petto, sopprimendola. Era come se quella risata l’avesse risollevata dai suoi mille problemi, riportandola a quando ancora non le era difficile sorridere con tanta facilità.
E la cosa le piacque, anche molto.
Era una bella sensazione, strana ma bella, sì.

Louis voltò il capo nella sua direzione, quasi estasiato dal modo in cui i raggi del sole, le incorniciavano perfettamente il corpo magro. Il tatuaggio che era disegnato sulla sua mano, risaltava molto di più, quando con la sua innocente goffaggine, cercò di sopprimere la sua armoniosa risata.
Non aveva mai visto niente di così bello, era come se tutto ora girasse intorno a lei e prendesse vita guidato dalla sua roca voce.
La osservò voltarsi verso di lui, mentre timidamente arrossiva sotto il suo sguardo insistente, scostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, sorridendogli nel modo più bello in cui potesse farlo.
“Allora, Juls?” Chiese entusiasta Zayn, attirando l’attenzione della ragazza, che distolse il suo sguardo dalle iridi cerule di Lou per iniziare una discussione col moro in questione.
Ma lui rimase a fissarla quasi incantato, osservando con occhi vogliosi i denti bianchi di lei, pizzicare e stuzzicare il suo labbro inferiore. Non si curò di seguire il discorso, tanto meno di notare il modo in cui Harry lo prendeva in giro sotto voce.
“La consumi se continui a guardarla.” Lo stuzzicò il riccio, ricevendo come risposta un pugno sulla spalla e un occhiataccia, che lo fecero mugolare in disapprovazione. “Mi hai fatto male, idiota.” Brontolò come un bambino, sentendo il castano ridere sonoramente per la sua espressione imbronciata.
E continuò a ridere con il suo migliore amico, ignorando le occhiate stralunate degli altri studenti, troppo impegnato ad avere solo e soltanto i suoi occhi puntati sulla figura di Julien. La osservò ridere, sorridere, arricciare il naso e mordersi la lingua imprecando per il dolore, rendendosi conto di quanto fosse perfettamente imperfetta nel suo essere se stessa.
 
 
 
Louis gemette esausto, ancora una volta un incubo si era insidiato nei suoi sogni, stravolgendolo e terrorizzandolo a tal punto che credette che tutto ciò che aveva vissuto, fosse così meschinamente reale.
Teneva una mano premuta sul petto, cercando di regolarizzare i battiti accelerati e il respiro affannato, scacciando via le lacrime che gli velavano gli occhi.
Riusciva a sentire la gola bruciare, per aver dovuto trattenere l’urlo che aveva respinto indietro, per timore di svegliare qualcuno.
Il letto cigolò quando qualcuno si sedette davanti a lui, prendendo ad accarezzargli il viso con la stessa dolcezza che userebbe una madre, sussurrandogli che andava tutto bene. E lui non poté far a meno di crederci, abbandonandosi sul suo petto per inalare quel dolce profumo che aveva la sua pelle, usandolo come effetto calmante su di sé.
“Vieni, un tè ti farà bene.” Sospirò Julien, porgendogli una mano per incitarlo a seguirla al piano di sotto, dove avrebbe preparato due deliziose tazze di tè. Esitante accettò, seguendola lentamente e con lo sguardo perso che vagava ovunque e da nessuna parte.
Si soffermò a fissare la parete del muro ornata da diversi acchiappa sogni, ironizzando mentalmente su quanto fosse strano che quei piccoli oggettini, invece di scacciare gli incubi, facessero tutt’altro.
Ma la vita è tutta un sogno, chiudi gli occhi ed è finita.
 
 
Julien continuava a fissare attentamente il ragazzo immobile al suo fianco, seduti entrambi sul soffice divano in pelle e con le tazze di tè ormai finite tra le mani. Lou non staccava gli occhi dal fondo del bicchiere, dove giacevano solo i rimasugli della bevanda, come a voler cercar un qualcosa oltre lo spessore di ceramica.
Con un sospiro pesante, gli sfilò la tazza per poggiarla sul tavolino in legno, prendendogli il viso tra le mani per voltarlo verso di sé. Si sorprese di notare il modo in cui le labbra gli tremassero, ma si fece forza e cercò di consolarlo.
“E’ ok, Lou.” Sussurrò, lasciando che il suo respiro soffiasse sul viso di lui, beandolo dell’odore che il tè le aveva lasciato in bocca. “Non so cosa hai sognato, ma ora è tutto finito.” Continuò, osservandolo chiudere gli occhi e ispirare profondamente prima di annuire poco convinto.
Con i pollici disegnò dei cerchi immaginari sulle sue guance, regalandogli un sorriso d’incoraggiamento e intrecciando i loro sguardi come se fossero un'unica cosa.
E Louis non resistette per molto, si avvicinò a tal punto da lasciarle un piccolo e casto bacio sulle sottili labbra, apparendo più che altro una semplice carezza. Ma entrambi vollero di più, si osservarono e infine presero a baciarsi con prepotenza e passione, stringendosi l’uno contro l’altro per sentirsi più vicini.
La spinse gentilmente, facendole poggiare la schiena contro il divano, andandole poi a sollevare i lembi della maglia fin sotto il seno, scoprendo il ventre piatto. Sorrise sulle sue labbra, continuandola a baciare, mentre di sottecchi osservava il tatuaggio che aveva raffigurato ai fianchi: Due rose.
Semplici rose rosse, per nulla volgari o pacchiane, anzi quasi fini a tal punto da renderla ancor più femminile e sensuale.
E un po’ gli piacque pensare che lei era come una rosa, in un campo di spine. Si, era proprio così.
Julien sorrise sentendo le dita pizzicargli i fianchi, mentre lei gli sfilava la maglietta senza un minimo di esitazione, prendendo ad accarezzargli il petto scolpito e ricoperto di tatuaggi.
E un po’ erano simili, si facevano rappresentare sotto forma di macchie d’inchiostro sul proprio corpo, non potendo esprimere il loro essere liberamente.
Ma finì lì, un ultimo bacio e sia accoccolarono, lei seduta a cavalcioni sulle sue gambe e lui che la stringeva possessivamente contro di sé. Si impresero il profumo dell’altro sul proprio corpo, volendosi sentire più vicini, più loro.
Lou chinò di poco il capo, osservandola disegnare figure immaginarie sul suo petto nudo, accucciata nel medesimo punto. Si disse che era davvero bella, con il suo pigiama enorme e con le occhiaie della stanchezza delineate sotto gli occhi; ma pur sempre bella. 
“Vorrei tanto che tutto questo diventasse molto di più.” Sussurrò tristemente Louis, sentendola irrigidirsi palesemente, non smettendo tuttavia di muovere lentamente le dita sul suo corpo.
“Sarebbe tutto più difficile.” Ammise lei, faticando per non permettere alla sua voce di vacillare mostrandola più debole di quanto non lo fosse già. Passarono diversi minuti, dove nessuno osò fiatare, continuando a stringersi tra di loro il più possibile, cercando di non rompere quella splendida situazione che era andata a crearsi.
“Ma tu sei speciale, meriti di più.” Disse con tono talmente basso, che si stupì nel vedere la ragazza rizzarsi e voltarsi immediatamente per guardarlo, con occhi scintillanti.
“P-puoi ripetere?” Biascicò impacciata, aggrappandosi con tutte le forze alle sue spalle, cercando di non crollare proprio sotto i suoi occhi.
“Julien, tu sei speciale.” Sussurrò dolcemente Louis, accarezzandole con delicatezza il viso, guardandola chiudere gli occhi tremante.
Speciale.
Speciale.
Speciale.
Speciale.

Nessuno le aveva detto mai niente di simile, ma lui sì.
E si chiese cosa vedesse di tanto speciale in lei, ma non osò chiedere, troppo spaventata dalla risposta. Si sentì amata, si sentì speciale… Era una sensazione che mai aveva provato.
“Si, speciale.” Disse ancora, non ricevendo alcuna risposta da parte della ragazza, ancora immobile e con gli occhi chiusi davanti a lui.
Ma quella fu la goccia che fece traboccare il vaso, nel giro di pochi secondi le labbra di Julien cercarono disperatamente quelle di lui, avvertendo in seguito la sua lingua accarezzarsi con la propria.
Quel contatto piacque a entrambi, in particolare il modo in cui le loro labbra sembrarono combaciare ed essere state create unicamente per lo scopo di unirsi fra loro.
Si allontanarono lentamente, non interrompendo neanche per un secondo il legame tra i loro sguardi, diventato talmente passionale che parvero baciarsi ancora, ma sta volta con gli occhi.
“Mi prometti che non finirà qui?” Chiese speranzoso il castano, accarezzandole accuratamente una guancia.
“Te lo prometto, Lou.” Sussurrò, chiudendo gli occhi.
 

Caro Diario,
Sono fottuta.
-La ragazza dell’ultimo banco.




-Prometti?
-Prometto.
-Non abbandonarmi…
-…Mai.

 
 

 

 
I’M HERE!!!
Che merdata è mai questa? Non lo so, fa schifo e non mi piace affatto, ma non aggiorno da un po’ e mi sentivo in dovere di pubblicare, anche se continuo a pentirmene.  
Non ho molto tempo, quindi mi scuso per eventuali errori, qual ora ci fossero.
La scuola mi sta distruggendo, interrogazioni continue e neanche un minuto per riprendere fiato. Non so per quanto resisterò senza dare di matto, ma per ora è meglio che ritorni con la testa sui libri.
PARLANDO DEL CAPITOLO…
Possiamo vedere che Lou e Juls si sono riavvicinati e anche tanto, che scoccherà qualcosa tra i due? Non posso aggiungere altro, ma sono in dovere di informarvi che la storia terminerà a breve.
Non sarà una fanfiction molto lunga, infatti ho calcolato una decina di capitoli e dovrebbe trovare una fine… Spero di star facendo la scelta giusta.
In ogni caso, vi prego *si mette anche in ginocchio* di lasciarmi una misera recensione.
Per ogni domanda o qualsiasi altra cosa, mi trovate su Twitter.
Non mordo, quindi fatevi avanti.
Baci, vi adoro.
-I am a little nerd_ok.
Twitter: @_fakebadgirl.

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Capitolo 9
*** chapter nine - non te ne andare ***


Chapter nine – Non te ne andare.

 
"L'amore è come il vento, non si vede, ma si percepisce."
-I passi dell'amore.

 

La casa giaceva nel silenzio più assoluto, non sembra che vi fosse nessuno all’interno, ma per quanto sembrava non udirsi nemmeno un respiro, in un angolo del salone c’era una Julien di all’incirca quindici anni.
Era rannicchiata sul pavimento, lo sguardo perso nel vuoto e il respiro che le moriva secondo dopo secondo, quasi a volersi spegnere definitivamente. Aveva un enorme graffio sullo zigomo sinistro, il labbro inferiore rotto e le nocche delle mani ricoperte di sangue seccato.
Giaceva lì immobile da quasi un’ora, totalmente estranea al mondo, continuando a far vagare nella sua mente centinaia di immagini che riguardavano esclusivamente il suo passato. E a ogni nuovo ricordo il respiro aumentava, divenendo sempre più affannato e instabile, quasi come se ci fossero della mani a soffocarla.
Un grido squarciò la quiete della casa, riecheggiando per ogni angolo e espandendosi in ogni stanza come un fievole eco. Quasi a volersi riprendere dallo shock in cui era decisamente crollata e si era lasciata risucchiare, prese ad osservarsi spaventata intorno, finché la porta di casa non si avvertì schioccare e aprirsi.
La figura sorridente del padre spuntò dallo stipite della porta, prima che con il solito sguardo amorevole scrutasse la zona circostante e facesse cadere lo sguardo sul corpo della figlia rannicchiata a terra.
“Julien!” Sussurrò spaventato, lasciando mutare il suo sorriso in una linea uniforme dritta e quasi critica, avvicinandosi per essergli difronte. Notò il viso graffiato e il sangue incrostato un po’ ovunque, chiedendosi cosa potesse essere successo.
Eppur non fiatò, non finì per farle domande indiscrete, o urlare contro cosa diamine avesse combinato quella volta; perché certamente non era la prima volta.
No, semplicemente la osservò attentamente prima di stringerla contro il suo petto, infischiandosene se potesse macchiargli la camicia bianca del lavoro. La strinse così tanto da fargli mancare il respiro, ma facendogli capire quanto bene le volesse, cercando di infondergli quella forza che mancava ad entrambi ma che avrebbe fatto di tutto per trovare.
Tentò di farle capire quanto bene le volesse, e che quel bene avrebbe riempito anche la mancanza di quella donna, che purtroppo doveva chiamare madre.
“Perché, piccola mia?” Chiese dolcemente quello, cullandola come fosse una bambina alle prime armi, ancora bisognosa di tutto l’affetto che le era stato sottratto.
“Non lo so.” Biascicò spaventata la castana, seppellendo il viso nel petto dell’uomo, che sospirò pesantemente.
E lei lo sapeva, lei sapeva tutto.
Conosceva il perché le sue mani fossero distrutte e imbrattate di sangue o perché indosso avesse segni violenti incisi sulla pelle, ma semplicemente non le andava di far aggravare il peso sulle spalle del padre, aggiungendo l’ennesima rissa in cui era capitata.
E cosa avrebbe detto? Che era andata di matto quando avevano nominato sua madre, paragonandola a lei, paragonandola a una puttana?
Ricordava ancora quanto era stato piacevole svuotare la rabbia su quei ragazzini, fino ad avvertire le nocche bruciare per l’impatto continuo.
Si era sentita libera, potente.
Immune al giudizio degl’altri, eppur ora i rimorsi la soffocavano.
Sono effetti collaterali del sentirsi bene?

 
 
 
L’attenzione dell’intera classe era rivolta a lei, che incurante se ne stava immobile, con lo sguardo perso nel vuoto e la mente da tutt’altra parte.
“Dixon, ci vuole degnare della sua parola?” Urlò infuriata la professoressa di francese avanzato, facendola sobbalzare sul posto e riscuoterla dai suoi pensieri.
“Mh, mi scusi?” Domandò stancamente, strofinandosi confusa un occhio con il pugno chiuso, come fanno i bambini. 
“Per questa volta passa, ma se la ritrovo un'altra volta distratta la mando dal preside, sono stata chiara?” Dichiarò con voce infuriata, apparendo irritante e petulante con quel suo finto accento francese insopportabile.
Come se non fosse a conoscenza di quanto quelle lezioni fossero inutili per lei, essendo nata e vissuta nel territorio francese fino a qualche mese fa.
Mugolò qualcosa d’incomprensibile persino per lei, tornando a far finta di prendere appunti, scarabocchiando sul foglio davanti a lei le parole di uno stupido motivetto che le era rimasto impresso nella mente.

When the curtain’s call (Quando il calo del sipario)
 Is the last of all (E’ l’ultima cosa)
 When the lights fade out (Quando la luce si spegne)
 All the sinners crawl (Tutti i peccatori strisciano)

 
So they dug your grave (E così scavano la tua fossa)
 And the masquerade (E la tua finzione)
Will come calling out (Arriva chiamandoti)
 At the mess you made (Per il casino che hai fatto)

 
Scrisse velocemente le parole di quella canzone, mordendosi poi le labbra rendendosi conto di quanto la rispecchiassero, facendola sentire quasi un bicchiere di vetro, da cui puoi guardarne il contenuto.
Il moro seduto al suo fianco, diede uno sguardo al foglio che la ragazza stringeva fra le mani, leggendo attentamente le parole e chiedendosi cosa ci vedesse di così importante la ragazza, per fissarlo da così tanto tempo.
“Tutto bene, Juls?” Chiese quello, osservando l’amica impallidire in volto e scuotere più volte il capo, accartocciando prepotentemente il foglio.
“Signorina Dixon, vedo che da abbastanza importanza agli appunti!” Tuonò la professoressa Griffin, incrociando le braccia al petto, fissandola con stizza e superiorità.
Julien si sentì oppressa da tutti quegli sguardi puntati su di sé, la fecero sentire nuda e vulnerabile, come se tutti i presenti fossero in grado di vedere le cicatrici del suo passato e deriderla per questo.
Fece strisciare la sedia su cui era seduta, alzandosi in piedi e arrancando a grandi falcate verso la porta, da cui uscì velocemente e senza degnarsi delle urla di rimprovero della professoressa che le intimava di tornar indietro.  
Camminò dapprima sempre più veloce, prima di ritrovarsi a correre nel corridoio e infine per l’intero giardino scolastico, alla ricerca di un posto tranquillo in cui calmarsi.
Non voleva avere un attacco di panico a scuola, ma era tutto così imprevedibile e incontrollabile, che si ritrovò sulla scalinata d’emergenza, ben nascosta, con l’ansia che la divorava.
Le mani le tremavano così tanto che nonostante cercasse di respirare normalmente, riusciva solo a peggiorare la situazione, annaspando ancor di più per cercare ossigeno, come se i suoi polmoni fossero oppressi da un peso troppo grande da sopportare.
Avvertiva un dolore al petto insopportabile, tant’è che poggiò le mani su di esso, cercando di far calmare i battiti del suo cuore accelerati.
“Porca miseria, Julien.” Si precipitò Lou davanti a lei, annaspando per la corsa fatta per starle dietro, cercando di capire cosa stesse succedendo per essere almeno minimamente d’aiuto.
E poi come un flash ricordò di sua sorella Daisy, soffriva di attacchi di panico e tentò di far riaffiorare l’immagine di sua madre che tentava di calmare la piccolina con semplici metodi.
C’è la posso fare, si.
“Okay, guardami negli occhi Julien.” Disse preoccupato, cercando di creare un contatto visivo che la ragazza continuava a negargli, chinando il capo verso il basso.
Eppur come se dovesse rispettare un ordine, alzò il viso e incastrò il suo sguardo in quello di Lou, che per un attimo fu preso alla sprovvista da quelle iridi colme di ansia e paura.
Verde nell’azzurro.
Azzurro nel verde.
Due colori così simili, ma così diversi.
Entrambi avevano sfumature dell’altro, senza però appartenerci completamente. E piaceva ad entrambi quel gioco di colori, che rendeva tutto più sereno.

“Ora cerca di calmarti, ispira e espira. Lentamente.” Le disse dolcemente, guidandola poi in ogni mossa che facesse, assicurandosi di non aggravare la situazione.
“Brava, così.” Continuò osservandola calmarsi sempre più, finché non si tranquillizzò completamente e mettesse fine a quella crisi spaventosa.
Julien si lasciò andare contro il petto di lui, regolando ancora il suo respiro, stringendo in un pugno ferreo un lembo della sua maglia, pregando che tutto quel caos finisse da un momento all’altro.
“Scusami.” Sussurrò con le guance rosse e accaldate per lo sforzo, nascondendosi nell’incavo del suo collo, beandosi delle carezze che il castano le faceva.
“Non scusarti, anche mia sorella soffre spesso di queste crisi e so quanto possono essere terribili in alcuni casi.” Biascicò leggermente impacciato, portandosela dolcemente sulle sue gambe per coccolarla ancora e ancora.
Era spaventato e preoccupato che potesse fare qualcosa di sbagliato, vedendola scappare nuovamente via dalle sue braccia, come se si sentisse a disagio con lui.
Perché loro erano due amanti della notte.
Loro facevano l’amore con lo sguardo, al buio, per paura di vedere in faccia la realtà e comprendere il loro errore.
Loro si amavano e si prendevano cura dell’altro di notte, perché era l’unico momento in cui entrambi si sentivano deboli e vulnerabili, bisognosi d’attenzioni.
Loro si facevano promesse al buio, per paura che la luce mostrasse le loro menzogne.
Loro il giorno si ferivano a vicenda e la notte finivano per leccarsi le ferite, come pessimi animali.
Loro erano tutto e niente.

Restarono in silenzio per molto, incuranti dei loro telefoni che vibravano ininterrottamente o del suono della campanella che segnava l’inizio delle lezioni, sommersi dai loro pensieri.
E se ne fecero di domande, dalle più insensate alle più complicate, si chiesero dove sarebbero andati a finire e se prima o poi si sarebbero stancati l’uno dell’altro.
Julien pensò più volte a loro due, ma l’unica parola che ne usciva fuori era ‘sbagliato’ e non poteva far altro che andar a braccetto con le teorie della sua mente. Lou al contrario pensò molto, pensò a loro, a lui e a lei; si chiedeva se un giorno avrebbe scoperto i segreti che la ragazza si trascinava sulle spalle e magari avrebbe potuto alleggerirle il carico. Perché i dolori son meglio in due, che in uno.
“Julien?” Sussurrò Louis, quasi spaventato di poter rovinare il momento che si era andato a creare o di disturbare la sua quiete.
Quella alzò il viso dal suo petto, osservandolo attentamente come a volerlo incoraggiare a continuare, giocherellando nervosamente con la collanina che il ragazzo portava al collo, solleticandolo leggermente con i polpastrelli delle dita.
“Da quanto soffri di questi attacchi?” Chiese cercando di non sembrare troppo indiscreto, sperando che la ragazza non si allontanasse per chiudersi nuovamente nella sua corazza d’acciaio.
“Da un po’.” Biascicò sospirando, cercando di non incontrare gli occhi indagatori del giovane, curiosi di saperne molto di più.
Il castano restò in silenzio, non aveva alcun senso la sua risposta, lui voleva sapere, lui voleva farne parte.
“Lo sai che ti puoi fidare di me.” Sussurrò afferrandole il viso fra le mani, portandolo fronte contro fronte, lasciando unire i loro respiri e incatenando i loro sguardi.
E Julien si sentì mancare, fidarsi? Come poteva chiederglielo?
Lei si era fidata di così tante persone e si era fatta male così tante volte che ormai ne aveva perso il conto, aveva perso il conto persino delle ammaccature del suo cuore, sperando che un giorno queste si potessero risanare.
Eppur lei si fidava di nuovo, si fidava di Louis, ma aveva paura di parlare, perché lei con le parole non era mai stata abbastanza brava e finiva con il mandar via le persone.
Era stanca di vedere le persone rubarle parte dell’anima e far a gara a chi l’abbandonasse per prima, non riusciva nemmeno a pensare che un giorno Lou l’avrebbe potuta abbandonare a quello schifo che era la sua vita, lasciandola annegare e spezzarsi ancora una volta.
“Non te ne andare, Lou.” Implorò con le lacrime agli occhi, aggrappandosi alla maglia del ragazzo, che basito da quelle parole rimase a guardarla supplicarlo con gli occhi.
Le accarezzò lentamente il viso, spingendo nuovamente la fronte con la sua, facendo sfiorare le loro labbra e toccare i loro nasi.
“Non me ne vado, non ti lascio, piccola. Ssh, non ti lascio.” Sussurrò dolcemente, stringendola a sé e baciandole dolcemente le labbra.
No, non ti lascio.
 


Caro Diario,
Scusami se non ti scrivo da un po’, ma per un momento ero troppo impegnata a ignorare il passato e aggrapparmi al presente, sperando in un futuro migliore.
Non pensavo papà avesse ragione, ma purtroppo devo ricredermi, i ragazzi sono così dolci e premurosi con me e io mi sento in colpa, perché beh… sono io e non sarò mai abbastanza per loro.
Zayn è davvero un gran disegnatore, mi ha portato in alcuni posti dove i muri erano imbrattati di molti dei suoi graffiti, mi ha persino pregato di aiutarlo a farne uno. E’ venuto benissimo, ci sono i nostri nomi messi insieme, da oggi siamo gli ‘Zalien’, persino a scuola qualcuno ci chiama così.
Lo giuro è tutta colpa sua… Okay, c’è anche il mio zampino, ma è stata un idea sua.
Abbiamo fatto un enorme graffito sull’asfalto su cui giocano a basket, è quasi venuto un colpo al preside quando ci ha visti lì con le bombolette e un secondo quando ha letto la scritta ‘suck school –Zalien’.
Mi viene ancora da ridere, abbiamo dovuto pulire per una settimana i sudici piatti della mensa.
 Con Liam tutto diverso, siamo stati insieme in palestra, mi ha mostrato come si allena con la boxe e poi mi sono fatta avanti io. E’ rimasto basito per le mie tecniche, ma sicuramente è possibile che io faccia boxe da molto di più di lui.
Ma mi piace la sua compagnia, è tranquillo e sa come prendere le persone. Non si impiccia mai troppo ed è sempre pronto ad aiutarti.
 Harry e Niall sono due idioti, mi hanno chiesto lezioni di francese, ma siamo finiti a ingozzarci di cibo-spazzatura e birra davanti alla playstation.
A mia discolpa, giuro che è stata colpa loro e io beh, non potevo rifiutare una partita a FIFA.
 E poi c’è Lou, in questo momento dorme nel mio letto, non ha fatto incubi nell’ultimo periodo, ma mi obbliga a dormir con lui e confesso che non mi dispiace troppo.
Sembra un angelo. Le ciglia che gli accarezzano il viso, le labbra sottili e rosse ciliegia e l’espressione rilassata.
Me la vorrei tanto prendere con te lassù, perché gli stai facendo questo? Perché continui a offrirgli la mia compagnia? Perché non lo allontani da me?
Non voglio che i miei demoni lo risucchino con me nel buio, ma sono diventata troppo egoista per negarmi il piacere della sua presenza.
Ho paura, io sono il male e non posso tenerlo con me.
Zayn dice che Lou sembra essersi preso una bella sbandata per me, ma io ho negato tutto, gli ho detto che siamo buoni amici, eppur so di aver mentito.
Non voglio che si innamori di me, ho così paura che possa succedere, non potrei sopportarlo.
Gli voglio troppo bene per fargli del male.
In più gli attacchi di panico sono aumentati, papà vuole perfino riprendere la cura abbandonata tempo fa, ma io non ho intenzione di riprendere quelle disgustose pillole.
Mi distruggono e a me non sta bene.
Meglio che vada, Louis inizia a lamentarsi nel sonno.
Alla prossima.
-La ragazza dell’ultimo banco.
PS: Fa qualcosa per Louis, ti prego.


 

 

 
I’M HERE!!!
Salve procioni!
Come va? A me bene.
La scuola, come procede? Io mi alterno dal ‘puoi fare meglio’ al ‘fai schifo’.
Di male in peggio, come si usa dire no?
Ho fatto un tema d’italiano, riguardava l’amicizia, ci credete che ho fatto tabula rasa? Spero sia almeno una sufficienza, non sopporterei un cinque o un quattro… Per non dire di peggio.
Vabbè, cosa ne pensate del capitolo?
E’ stato un parto.
HAHAHAHAH vi prendo in giro, è una schifezza totale, l’ho scritta in tre ore circa e mi vorrei sotterrare.
Non mi dilungo neanche troppo, vi chiedo di lasciarmi una misera recensione, ve ne prego.
RECENSITE, PLEASE.
Ho bisogno di un giudizio e tu *indica te che stai leggendo*, si tu, lo so che stai leggendo, lasciami un misero parere… Te ne sarò infinitamente grata.
Perdonate gli errori, ma l’unica cosa che mi tiene sveglia è una tazza di caffè, ripasserò per controllare e aggiustarli.
ORA HO TRE DOMANDE:

1) Stai votando per gli EMA? Se non lo stai facendo, ti ordino di farlo o ti divoro i biscotti che hai a casa.
2) Hai sentito Ready to Run? L’adoro, prevedo un album ancor più perfetto e un El felice che balla la conga.
3) Hai sentito della livestream? Se non ne hai sentito parlare, te lo dico io, domani i ragazzi ritornano davanti a una webcam a parlarci. Piango oceani, mi erano mancati così tanto i miei amori.
4) No, bugia, non c’è un punto quattro.
 
Ora scappo, oggi ho visto per la prima volta ‘i passi dell’amore’ film bellissimo, ve lo consiglio.
Baci pipol.
Sono un fake, rido.
El. x
-I am a little nerd_ok

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Capitolo 10
*** Chapter ten - I ricordi rimarranno tali? ***


Chapter ten – I ricordi rimarranno tali?
 
"MI strappavi dall'anima i miei sorrisi migliori."
 
Mi sono sempre chiesta com’è possibile che i cambiamenti spaventino così tanto la gente, quando sono la parte più importante di questa monotona vita. Si cambia per diventare qualcuno migliore, per nascondersi, per farsi una nuova vita, si cambia persino per vivere una volta per tutte.
Eppur la gente muore dalla paura davanti al cambiamento, teme come se stesse per essere trafitta da un pugnale affilato, probabilmente perché sono troppo abituati a ciò che li circonda e troppo spaventati che questo possa cambiare.
Erano passati diversi giorni, esattamente trentuno, un mese intero.
Ci sarebbero state così tante cose da raccontare, che mi sembra ironico ignorarle, ma è la scelta migliore sicuramente.
Louis Tomlinson alloggiava ancora in casa Dixon, nonostante i suoi genitori fossero tornati già da un po’ dall’impegno famigliare a cui avevano partecipato. Tuttavia al ritorno avevano trovato una rottura di un tubo dell’acqua nella camera del maggiore dei figli, rendendo impossibile l’accesso alla stanza, ma senza aver il tempo di ripararlo erano ripartiti per un impegno lavorativo nella caotica Londra, portando con loro solo le due gemelline. Trevor Dixon era sempre stato un uomo umile e di buon cuore, così aveva proposto alla famiglia di prolungare la permanenza del ragazzo in casa sua, ricevendo in compenso un infinita gratitudine dai coniugi Tomlinson. 
E Julien non aveva potuto far altro che stringere il suo rapporto d’amicizia con la comitiva di lui, consolidandolo a tal punto da farli diventare inseparabili e intoccabili.
Sono o non sono questi i piaceri della vita?
Quei ragazzi erano arrivati nella sua vita come la pioggia in una giornata estiva, inaspettata e poco voluta, ma da subito amata.
 
 
Il sole splendeva in cielo, senza però riscaldare i cittadini del posto, che cercavano disperatamente riparo nei loro caldi cappotti, che si ostinavano a indossar ogni mattina.
I sei amici avevano trovato rifugio nel parco, imbattendosi nella rampa da skate, che come ogni volta era priva di vita e pronta per essere utilizzata. Tutti avevano lasciato cadere lo sguardo tra le mani della ragazza, sorridendo gloriosi quando notarono lo skateboard personalizzato a mano, implorandole quasi di mostrargli alcune semplici mosse.
E per quanto Juls amasse la sua tavola, si sentiva oppressa, erano mesi che non si esercitava e non credeva di poter far altro oltre che a sfrecciare tranquillamente per le stradine della città. Ma cocciuti com’erano, si ritrovarono seduti a parlare in cima a una di queste piste, sperando che la ragazza trovasse il coraggio e si lasciasse andare.
E’ questo il bello degli amici, pretendono un sorriso vero e sanno anche come fartelo spuntare.
“Dai, solo una volta.” Implorò Niall, congiungendo le mani e guardandola con uno sguardo che avrebbe fatto tenerezza a chiunque.
I presenti si voltarono verso di lei speranzosi, ma l’incertezza ardeva nei suoi occhi, come la voglia di scivolare liberatamene sul cemento sotto di lei. Louis era convinto che l’avrebbe fatta star bene, che l’avrebbe fatta sentire viva, lo credeva davvero.
Era a conoscenza di molti avvenimenti successi in Francia, dato che la notte era loro solito chiacchierare l’uno stretti a l’altro, confidandosi le cose più profonde e quelle più insensate. Ma il luccichio dei suoi occhi mai, e dico mai, l’avrebbe dimenticato.
“Non mi alleno da un po’, non sono sicura di farcela.” Ribadì lei, stringendosi nel maglioncino beige che indossava, riparandosi da una folata di vento improvvisa.
Osservò gli sguardi incoraggianti dei presenti, soffermandosi maggiormente su quello del castano, che con un enorme sorriso le indicò la pista con un cenno di capo.
Lui sapeva.
Sospirando si alzò senza dir parola, posizionò il suo skate e dopo aver pensato abbastanza sui pro e i contro, si lasciò andare. Chiuse gli occhi e si fece guidare dal momento, il vento freddo che le graffiava il viso e la sensazione di libertà che le scorreva velocemente nelle vene.
Sii te stessa.
Un ampio sorriso si aprì sul suo viso, facendole aumentare la velocità con cui si diede la spinta per eseguire una volteggio in aria, seguito da un secondo, un terzo e ormai era incontrollabile.
Era la sua vita, una tavola, una bomboletta e luoghi sperduti dal mondo, era così che viveva e che avrebbe voluto vivere.
Lei e le sue passioni, un'unica cosa.
L’adrenalina del momento la spingevano a far sempre di più, volteggiare in aria senza mai staccar la tavola dai piedi, scrosciare sul cemento sempre più veloce.
Questa sì che è vita.
Lentamente diminuì le velocità, fino a fermarsi e riprendere coscienza di sé, vide i ragazzi giù dalla pista che la osservavano divertiti e sorpresi; così corse e li raggiunse, venendo accolta da un boato di risate e una moltitudine di complimenti.
Delle braccia famigliari le strinsero il bacino, facendole scontrare la schiena con il proprio petto, mentre un respiro caldo si abbatteva sul suo collo, facendola rabbrividire.
“Sei stata bravissima, piccola.” Le sussurrò Lou all’orecchio, cercando di non farsi vedere dagli altri che avevano preso a chiacchierare spensierati.
La strinse maggiormente, come se avesse paura che da un momento all’altro scappasse dalle sua braccia, stampandole poi un umido bacio sulla guancia destra, che la fece sorridere ampiamente. Zayn lanciò uno sguardo ai due, sorridendo intenerito, chiedendosi per quale motivo continuassero a nascondersi, a fingere di essere due semplici amici e a evitarsi per poi cercarsi.
“Mi insegnerai un giorno?” Chiese felice l’irlandese, sperando in una risposta affermativa, in quanto aveva sempre sognato di imparare a far skate senza mai provarci veramente.
“Certo, puffo.” Rise Julien, scompigliandogli affettuosamente i capelli, mentre il biondo le sorrideva dolcemente baciandole una guancia arrossata dal vento.
Lou in risposta la tirò nuovamente a sé, fra le sua braccia, guardando truce Niall e facendo ridere i presenti per la sua gelosia evidente, mentre il ragazzo dalla chioma riccia prese a punzecchiarlo divertito, canticchiando qualche stupida canzoncina ridicola.
“Smettila, idiota.” Sbuffò irritato il castano, schiaffeggiando leggermente le mani di Harry che continuavano a infastidirlo, senza mai lasciare la ragazza stretta fra le sue braccia.
Avrebbero continuato ore a litigare come due bambini alle prese con il giocattolo più bello, ma il loro battibecco finì con l’udirsi di un potente battito di mani, proveniente dalle loro spalle. L’intera comitiva si voltò confusa, notando la presenza di un ragazzo abbastanza alto e con il viso chinato verso il basso e nascosto dalla visiera dei un cappello rosso fuoco.
“Davvero brava con lo skate, sempre le stesse vecchie abitudini?” Ridacchiò divertito lo strano ragazzo, continuando a nascondere il suo viso con quell’odioso cappello e apparendo a tutti così fottutamente invadente.
Ma Julien si irrigidì sul posto, quella voce, quel suo tono strafottente, l’avrebbe riconosciuto ovunque, ma era comunque impossibile che lui fosse lì davanti a lei.
Will?” Lo richiamò con voce bassa, ma abbastanza udibile per far sì che il ragazzo con un gran sorriso togliesse il cappello e rendesse visibile il suo volto.
Davanti a loro un ragazzo con un viso magro, contornato da una folta chioma di capelli biondi, quasi da sembrare tinti. Aveva due occhi a mandorla azzurro mare e le labbra grandi e sottili, schiuse in un delizioso sorriso.
I presenti alternarono lo sguardo confuso dal ragazzo misterioso alla loro amica, chiedendosi cosa diavolo stesse succedendo e perché sul viso della giovane era impressa un’espressione nostalgica e amara.
Julien senti una fitta dolorosa al petto, mentre i suoi occhi iniziarono a pizzicare al punto da riempirsi di lacrime che sorsero copiose sul suo viso. Chiuse rudemente gli occhi, chiedendosi se stesse solo sognando o se stesse immaginando tutta quella situazione, che la stava distruggendo internamente.
“Non mi saluti, piccola Eff?” Chiese dolcemente Will, osservandola con il viso piegato da un lato e un sorriso speranzoso dipinto in viso, cercando di capire se fosse stata una buona idea presentarsi senza un minimo di preavviso.
La ragazza tremò a quel soprannome, iniziando ad agitarsi sotto la stretta di Lou che la teneva a sé, graffiandogli nervosamente le mani affinché la lasciasse andare. Louis indietreggiò goffamente, osservandosi le mani leggermente arrossate, affondandole deluso nelle tasche del suo skinny jeans, cercando di nasconderle.
Julien avanzò velocemente verso il biondo, gettandogli le braccia al collo e stringendolo così tanto da sentirsi mancare. Singhiozzò come una bambina, nascondendo il viso nel petto del giovane, che con le lacrime agli occhi l’accolse tra le sue braccia, ispirando il suo profumo di pesca che gli era tanto mancato.
Dopo minuti interminabili l’allontanò leggermente da sé, prendendole il viso tra le mani, impedendo che sviasse il suo sguardo e sorridendole dolcemente.
“Mi sei mancata così tanto.” Sussurrò paino, stampandole un piccolo pacio sulla fronte, prima di sorriderle ancora e fargli cenno con il capo di guardare alla sua sinistra.
Quella aggrottò la fronte confusa, voltandosi leggermente fino a incontrare con lo sguardo un gruppetto di tre ragazzi che la osservava da lontano, sventolando goffamente le mani impacciati.
Una risata le nacque dal cuore, quando i tre le si gettarono completamente addosso, stringendola tra di loro, fino a farle mancare l’aria, ma facendola sentire amata e voluta.
“Che ci fate qui?” Chiese confusa, quando si staccarono da quell’abbraccio soffocante, prendendo ad asciugarsi le guance ancora bagnate e umide.
“Ma ciao anche a te, si stiamo bene e mi sei mancata anche tu.” Brontolò alzando gli occhi al cielo, una ragazza biondina e peperina, molto più alta di lei e con le sopracciglia abbastanza folte, ma che le donavano un aria divina.
“Elisabeth!” La rimproverò Al, spingendola leggermente, mentre quella rispondeva al rimprovero con un potente pugno sul braccio, che lo fece gemere dolorante.
“Ma sei impazzita?” Urlò il castano, massaggiandosi leggermente il braccio, tirandole in modo infantile una ciocca dei suoi capelli biondi e facendole la linguaccia.
“Smettetela.” Urlò Lucas, mettendosi in mezzo ai due, per farli smettere di litigare, sotto gli sguardi divertiti di tutti i presenti.
“E’ colpa sua!” Urlarono all’unisono, puntandosi un dito contro, riprendendo a bisticciare e Juls rise come non mai, costatando che non erano cambiati di una sola virgola.
Al e Elisabeth erano sempre pronti a litigare per le cose più stupide, comportandosi come due bambini capricciosi, ma i più uniti quando si trattava di confortare l’altro per qualunque cosa. Lucas era rimasto lo stesso, sempre pronto a mettere fine ai loro litigi e a far rimanere il gruppo unito e pacifico. E Will, lui era unico.
“Ragazzi basta!” Urlò la castana, zittendoli e facendoli voltare verso di sé confusi per il tono arrabbiato che aveva utilizzato e “Mi siete mancati, idioti.” Rise divertita, sentendo i quattro imprecarle contro e stringerla nuovamente in un caloroso abbraccio.
Si guardarono negli occhi, come a voler imprimere il ricordo dei loro visi, come a voler memorizzare quel momento di ricongiunzione, come a volersi ricordare che per qualunque cosa, anche a chilometri di distanza, ci sarebbero stati l’uno per gli altri.
E poi qualcosa balzò in mente a Julien, che con uno scatto improvviso si voltò alle sue spalle, incontrando i visi di quei cinque ragazzi che nella sua permanenza in Inghilterra l’avevano fatta star bene.
L’avevano accolta con amore, l’avevano abbracciata nei momenti più brutti e senza fare domande, l’avevano lasciata integrare fra di loro senza pressioni, l’avevano fatta sentire a casa.
Sorrise dolcemente davanti ai loro sguardi incerti, facendogli segno di avvicinarsi e lentamente lo fecero, fino a trovarsi gli uni davanti agli altri. L’imbarazzo era molto, ma certamente cosa aspettarsi da quattro ragazzi francesi che parlavano in modo impacciato l’inglese e un gruppo di ragazzi originari dell’Inghilterra?
“Emh, ragazzi loro sono i miei amici della Francia.” Disse gentilmente Juls, lasciandoli presentare con calma e notando il modo in cui non sembravano troppo intimiditi tra di loro, prendendo subito una certa confidenza.
In effetti presero tutti a parlare tra di loro, quando si spostarono per sedersi su un prato, iniziando a farsi domande a vicenda, parlando della loro vita e di cosa piaceva fare a ognuno di loro.
Ma poi si accorse di Louis, se ne stava in silenzio a osservarsi intorno senza mai intervenire, sembrava pensieroso, quasi triste, come se ci fosse qualcosa a disturbarlo.
“Lou?” Sussurrò la castana, per non interrompere gli altri, ma attirando comunque l’attenzione di Zayn che li osservò curioso, accorgendosi del modo in cui seppur seduti vicini non interagivano in alcun modo.
“Cosa?” Chiese sospirando quello, strappando qualche filo d’erba dal terreno e giocandoci annoiato, evitando in modo palese il suo sguardo.
“Qualcosa non va?” Domandò preoccupata la ragazza, prendendogli il viso con una mano, facendolo voltare verso di sé e rimanendo quasi sbigottita dai suoi occhi fin troppo scuri e tristi.
“Nulla, ora scusate ragazzi non mi sento molto bene, alla prossima.” Farfugliò alzandosi da terra, con un sorriso tirato stampato in viso e prendendo a camminare in modo veloce lontano da loro, incurante dei richiami da parte del riccio.
“Scusate, spero ci sarà un’altra volta per continuare a parlare.” Disse velocemente Harry, salutando i presenti con qualche pacca sulle spalle e con un bacio sulla guancia per Julien, per poi correre frettolosamente dietro al castano ormai lontano. Tutti rimasero in silenzio ad osservarli, mentre bisticciarono un po’, prima che scomparissero dal loro campo visivo.
“Spero non ci siano problemi per la nostra presenza.” Sussurrò Al, grattandosi la nuca imbarazzato, osservando i suoi amici negli occhi e notando che erano perfettamente d’accordo con lui.
“No, non vi preoccupate.” Intervenne Liam, cercando di riprendere il discorso che si era interrotto e fingendo che tutto andasse bene, ma la tensione divenne palpabile anche a metri di distanza.
Zayn sospirando abbracciò Julien, baciandole una tempia, tenendola stretta fra le sue braccia, nonostante sentisse lo sguardo di Will bruciargli sulla pelle. Come se fosse infastidito da quel contatto, ma al moro non importava, aveva conosciuto la castana in questi mesi e avevano stretto un legame forte, un legame importante quasi fraterno.
“Tranquilla, si risolverà tutto.” Biascicò contro il suo orecchio, accarezzandole il capo, prima di prendere a parlare tranquillamente con Niall e Lucas su qualche inutile argomento riguardante il calcio.
Eff sospirò, non troppo convinta della situazione, ma stampandosi un sorriso sul viso e iniziando a discutere con i sui amici, sperando che tutto sarebbe andato bene.
Passato o presente?
 
 
 
La stanza era sommersa dal buio, poiché era notte fonda e essendo rincasata solo in quel momento, non aveva avuto il tempo di aprire le imposte e lasciar passare i raggi lunari dalla finestre.
Aveva passato una serata con i suoi vecchi amici e Liam, Zayn e Niall, i quali accettarono gentilmente la proposta di unirsi a loro in quella sera, che si era prolungata fino a tardi.
Eppur erano stati bene insieme, avevano riso e scherzato, parlato e discusso su ciò che li accomunava e sarebbe stato tutto fantastico se Julien non avesse passato la serata con il pensiero fisso su Louis e Harry che si allontanavano velocemente da loro.
Si era chiesta più volte cos’avesse sbagliato, eppur la risposta non gli era mai arrivata, nonostante avesse riflettuto su tutto ciò che era successo. Era finita con il sentirsi in colpa, perché nonostante il suo caratteraccio, non poteva non ammettere che quei due erano parte importante della sua vita, seppur ci fossero entrati da poco.
Sospirando cercò di farsi strada nella stanza, raggiungendo il letto e privandosi del suoi vestiti, fino a rimanere in intimo e con una maglia abbastanza lunga da coprirle parte delle gambe. Guardò tristemente il letto su cui era sdraiato Louis, che addormentato le dava le spalle, non concedendogli nemmeno di guardare il suo viso.
Si avvicinò lentamente, facendo vacillare il materasso sotto il suo peso e scuotendolo leggermente, finché quello non aprì gli occhi irritato e non si girasse verso di lei assonnato.
“Cosa c’è, Julien?” Chiese esausto, puntando i gomiti sul materasso per farsi leva sugli avambracci, mettendosi in modo da poterla guardare negli occhi.
“Potrei farti la stessa domanda.” Disse lei, facendolo sbuffare spazientito mentre incrociava le gambe e si tirava in piedi, seduto in posizione eretta sul morbido materasso.
“Sei tu che mi hai svegliato, Julien.” Le fece notare, osservandola freddamente negli occhi, che nonostante il buio riuscì a scorgere dalla lambada accesa sul comodino, che procurava un filo di luce abbastanza fioca.
“Te ne sei andato senza nessuna spiegazione e mi tratti così, sei tu che hai qualcosa che non va.” Sbottò lei irritata, aggrottando le sopracciglia e arricciando goffamente il naso.
Louis la osservò sospirando, non riusciva neanche ad essere troppo arrabbiato con lei, era troppo tenera e dolce per trattarla male, ma era comunque deluso e non c’era alcuna soluzione per fargli cambiare idea.
“Va a dormire, Julien.” Disse, pronto a rigirarsi e riprendere il sonno interrotto qualche minuto prima, se non fosse per le mani fredde di lei che gli afferrarono velocemente il viso.
Portò la fronte contro la sua, facendolo sussultare per quella vicinanza improvvisa, mentre gli impediva di ritrarsi e ignorarla nuovamente.
“Non ho sonno, Louis.” Chiarì lei.
“Sono stanco.” Le rispose, facendola gemere frustrata.
“Smettila, Louis! Dimmi qual è il problema e smettila di ignorarmi.” Quasi urlò, ma dovette contenersi perché suo padre dormiva beatamente due stanze lontano dalla loro e se li avrebbe sentiti urlare, sarebbe accorso velocemente.
E Louis non resistette, spinse le sue labbra su quelle della ragazza, baciandola bruscamente, sentendola gemere per quel contatto rude, senza però allontanarlo da lei. Fece pressione su di lei, affinché si sdraiasse sul letto e lui potesse esserle sopra, accarezzandole il viso e stringendola contro di sé.
Il baciò divenne più dolce, più passionevole e la violenza iniziale andò perdendosi nel bisogno di sentirsi vicini e volersi a vicenda, come se fossero due cose sole unite per rappresentare un singolo.
Si allontanò leggermente, rimanendo ugualmente abbastanza vicino al suo viso da sentire i loro nasi sfiorarsi, prendendo a guardarla attentamente negli occhi, accesi da una scintilla che li rendeva ancor più belli.
“Il problema è che sei mia, solo mia.” Sussurrò Lou.
 
 



 
I’M HERE!!!
Salve, bella gente…
Eccomi qui con un nuovo capitolo, che spero vi piaccia, nonostante io non sia stata molto insicura sul pubblicarlo o meno, ma lascio a voi i commenti.
A dirla tutta a me neanche piace molto, anzi fa schifo ma per questioni di tempo l'ho dovuto pubblicare.
Mi scuso per eventuali errori, che correggerò non appena avrò tempo, perché vado davvero di corsa, ho un intero programma di economia da studiare e tre capitoli di diritto da ripetere… Ottima mossa ridursi all’ultimo giorno, vero?
Vi prego di lasciare qualche parere, perché è davvero importante e inizio davvero a dubitare su ciò che scrivo, dato che sembra non importi a molti.
Solito angolo dove vi propongo qualcosa?
Bene, vi consiglio di leggere: Ma le stelle quante sono, di Giulia Cercasi. Non ve ne pentirete, la storia è a due facce, ovvero c’è sia il punto di vista di Alice e quello di Carlo. Una storia d’amore stupenda.
Ora scappo, ve se ama.
Baci. x
-I am a little nerd_ok.
Twitter: https://twitter.com/ (Contattatemi per qualcunque cosa)

 

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Capitolo 11
*** Chapter eleven - cos'è cambiato? ***


Chapter eleven – cos'è cambaito?
 
E insegnerò al mio cuora ad amare solo chi si può.
 
Vi siete mai chiesti cos’è davvero la felicità?
Julien è fermamente convinta che la felicità non sia dipesa dalla persona stessa, bensì da chi ci sta intorno o da cosa ci accade nel corso della giornata. Per essere felici basta poco, o almeno così lei crede.
Quante volte vi siete ritrovati a sorridere davanti a un caffè più gustoso degli altri giorni? O magari perché avete trovato qualche dollaro sul marciapiede? O perché qualcuno vi ha fatto un complimento inaspettato? O per un bacio o un abbraccio rubato?
Julien ormai lo ha imparato, non serve gran ché per far spuntare un sorriso a una persona, perché molto spesso sono le cose più semplici e inaspettate che ci spingono a spiegare le labbra in dolci sorrisi.
La gente sorride per star bene, ma è il singolo sorriso a farci sentire così o le azioni che lo precedono?
 
 
 
“Credete che qualcosa sia cambiato?” Una domanda e calò un improvviso silenzio scomodo, facendo sentire i presenti maledettamente a soggezione e Lucas si sentì quasi in colpa per averla posta.
Ma non se ne pentì.
Lui voleva sapere.
Gli aveva guardati tutti negli occhi e aveva letto in ognuno di loro che qualcosa si era rotto, qualcosa stava andando in pezzi e lui per primo preferiva riparare anziché aspettare che tutto si distruggesse e rimanessero sommersi dalle macerie.
E allora si guardarono tutti, cinque sguardi che vagavano come anime in pena da una parte all’altra, con la speranza che qualcuno trovasse le parole giuste da dire, con la speranza che qualcuno smentisse tutto e gli facesse capire che nulla era cambiato, che erano gli stessi. Ma niente, preferirono affogare nel loro silenzio angoscioso e nelle loro iridi colme di disperazione.
“Forse.” Interruppe i loro pensieri Julien, sorprendendo i presenti e lasciandosi sfuggire un pesante sospiro, come se le fosse costato una vera e propria fatica parlare.
Si sentiva in colpa come non mai, lei era la crepa nella loro amicizia, era stata quella che fatte le valige se ne era andata, fregandosene delle promesse fatte e lasciando un vuoto incolmabile dietro di lei.
Will non fiatò, strisciò piano sul cemento su cui era seduto, avvicinandosi all’amica e mettendole un braccio sulle spalle, stringendosela piano a sé. Si lanciarono uno sguardo di sottecchi e si sorrisero amaramente, entrambi consapevoli della verità, ma condividendo la stessa paura di pronunciarla ad alta voce.
“Non voglio.” Sbottò Elisabeth colma di rabbia, arricciando le labbra e facendosi paonazza in volto, come una bambina alle prese con un broncio. “Guardateci, chi siamo diventati? Stiamo andando in pezzi e nessuno fa niente per rimettere insieme i cocci.” Continuò esasperata, portandosi agitata una mano fra i capelli.
“Cosa vuoi fare, Elisabeth? Tra non molto partiremo e chissà tra quanto ci rivedremo tutti insieme, non possiamo farci niente.” Alzò la voce Al, irritato dalle parole della bionda e sorprendendo i presenti, poiché anche se abituati ai loro litigi, mai gli avevano visti con così tanto nervosismo in corpo.
“Tu non ci vuoi neanche provare, a te non importa nulla.” Urlò a quel punto, incurante che fossero in un luogo pubblico come il parco della cittadina, puntandogli un dito contro il petto con violenza.
“Perché sono fottutamente stanco, Elisabeth! Tu non sai quant’è difficile per me vederti piangere tra le mie braccia e dover essere forte per entrambi, perché nonostante manchi a me, non posso permettermi di piangere. Sono stanco di vedere le vostre facce e il vostro silenzio appena chiudiamo la telefonata, o dare di matto quando qualcuno nomina il suo nome. Vorrei averla odiata anch’io come tutti gli altri, così almeno adesso mi sentirei sollevato e non avrei tutto questo dolore da sopportare” Sbraitò infuriato, senza nemmeno pensare alle parole dette, finché non vide i presenti boccheggiare e gli occhi di Julien incupirsi fino a diventare di un verde bosco, selvaggio.
Un respiro affannato.
Silenzio.
Silenzio.
Silenzio.
Un cuore che si sgretola.
“Sì. E’ cambiato qualcosa.”
Sussurrò Juls, andando via.
 
 
Quindici chiamate perse, trentanove messaggi non letti.
Tutti che la cercavano, nessuno che la trovava.
Julien era andata via e nessuno l’aveva fermata.
Era rientrata in casa e nessuno se ne era accorto.

Chi era lei?
A qualcuno importava di lei?

 
 
Due ore e mezza, nessuno l’aveva ancora trovata.
Seduta sul tetto di casa fissava il cielo, osservando il tramonto e sopportando il vento pungente invernale, così fastidioso per lei che indossava un semplice maglione e uno skinny jeans sottilissimo.
Intrufolò le mani nelle tasche in cerca delle sigarette, ma al loro posto ci trovò il telefono che vibrava senza sosta, diede una leggera scorsa ai messaggi, prima che uno in particolare catturasse la sua attenzione. Louis.
Era uno dei primi che aveva ricevuto.
“Ti ho vista rientrare. Posso salire, porto del tè e le coperte?” Lesse sotto voce, venendo distratta da un improvviso scricchiolio alle sue spalle, che la fece voltare fino a scontrandosi con un paio di iridi azzurro cielo che la osservavano curiosamente.
Si avvicinò lentamente, poggiando a terra un piccolo vassoio con due tazze di tè fumante al limone e una coperta, con cui coprì entrambi una volta che si fu seduto silenziosamente al suo fianco. La osservò di sottecchi, notando l’espressione cupa e stanca, come se non avesse dormito per giorni e si chiese cosa potesse essere successo, visto che quando era uscita di casa sprizzava energia e felicità da tutti i pori.
“I tuoi amici sono venuti a casa, chiedevano di te.” Gli disse piano, osservando ogni minimo gesto o espressione, ma quella rimase immobile a fissar il tramonto, senza neanche un cenno di cedimento.
“Okay.” Biascicò indifferente, lasciando scivolare il capo sulla spalla del castano, che le circondò a sua volta un fianco, stringendola ancor di più a sé.
“Al piangeva.” Continuò lui.
“Capita.” Rispose, afferrando una delle due tazze e ingoiando il liquido bollente che scorse velocemente lungo la sua gola, beandola di quella sensazione paradisiaca.
Louis le sfilò dalle mani l’oggetto, portandolo alle labbra e sorseggiandolo piano, prima di restituirglielo sotto il suo sguardo di disapprovazione, che lo fece ghignare divertito.
“C’è una tazza anche per te.” Gli fece notare, indicandola con un cenno di capo, facendolo ridacchiare divertito da quella reazione esagerata per qualche sorso di tè.
“Ah, sì?” Domandò con quel suo finto stupore dipinto in volto, che le fece arricciare le labbra e farle mordere nervosamente il labbro inferiore, già pieno di piccoli taglietti procurati dai suoi stessi denti.
“Sì, Louis.” Disse imbronciata, sfidandolo con lo sguardo e dimenticandosi per un attimo la ragione del perché si trovasse su un tetto nel bel mezzo dell’inverno, con gli arti quasi del tutto congelati.
Perché quello era l’effetto di Louis, ti faceva dimenticare le cattive situazioni e ti faceva spuntare un sorriso anche quando tutto sembrava andar storto.
“Ma non credi sia più divertente così?” Chiese lui, riprendendo la bevanda e tracannandola velocemente, fino a poggiare la tazza vuota al loro fianco, facendo spalancare la bocca della ragazza.
“Sei morto, Tomlinson.” Urlò Julien, facendo sbiancare il ragazzo che si tirò in piedi e prese a correre velocemente con l’intento di rifugiarsi in casa, ma quella più astuta gli fu addosso e inaspettatamente caddero entrambi, l’uno sopra l’altro.
Entrambi risero come non mai, tenendosi il ventre con le mani per il dolore acuto, mentre cercavano di calmarsi con scarsi risultati, visto che più si guardavano e più le risa aumentavano.
“Vi state divertendo senza di noi?” La voce di Niall li fece sussultare, così si voltarono entrambi verso la scalinata da cui spuntarono le figure di tutti i ragazzi, con enormi sorrisi stampati in viso.
“Cosa ci fate qui?” Chiese confuso Louis, con ancora la castana a cavalcioni su di lui, stupendosi quando i suoi amici scossero enormi pacchi di caramelle e mostrarono dei cuscini, sicuramente per star più comodi.
“Suo padre ha detto che dovevate essere qui sopra, così ci ha dato il permesso di salire, disturbiamo?” Chiese titubante Liam, mostrando un’espressione preoccupata e molto simile a quella che fa un bambino quando combina una marachella.
Julien rise ancora, scuotendo il capo e alzandosi dal castano, a cui porse una mano per aiutarlo, ma che tolse non appena quello fece per afferrarla, facendolo cadere nuovamente a terra. I presenti ridacchiarono, cercando di non darlo a vedere viste le occhiatacce di Louis, che si alzò con uno scatto veloce e si mise in spalla la ragazza come se fosse un leggero sacco di patate.
“Tomlinson mettimi giù!” Strillò quella, facendo ridere del tutto i ragazzi, contagiati un po’ tutti da Niall che non si seppe contenere per molto. “Zaaayn, aiuto.” Si rivolse allora all’amico, che afferrò un cuscino e si precipitò sul ragazzo, iniziandolo a picchiare giocosamente con quest’ultimo.
“Lotta di cuscini!” Trillò entusiasta Harry, unendosi a quel caos di piume e risate, seguito dal resto dei ragazzi, finché tutti e sei non si ritrovarono a giocare spensieratamente e fin troppo divertiti.
E allora Julien lo capì, non puoi aggiustare una pagina strappata, ma puoi prendere un altro foglio e ricominciare a scrivere.
Trevor Dixon sorrise bonario, poggiato allo stipite della porta, mentre osservava con occhi colmi d’emozione sua figlia e quei ragazzi divertirsi, sentendo il cuore scoppiargli di gioia all’udire la risata roca e genuina della sua bambina.
Magari tutto sarebbe cambiato e avrebbero vissuto la vita che sognavano da sempre, chissà.
 
 
Caro diario,
Non ti scrivo da giorni ormai e devo dire che me ne pento, mi sono successe così tante cose che non ho idea da dove iniziare, ma forse è meglio che mi lasci guidare dalla mente e che scriva solo le cose più importanti e significative.
Ho incontrato i ragazzi, sì, proprio loro.
Più li guardavo e più mi sembrava impossibile che fossero davanti a me, avevano preso un aereo e affrontato un viaggio per me, senza esitazioni… E poi, tutto si è rotto.
E’ colpa mia, diario?
Ho sbagliato qualcosa?
Sono così pessima?
Hanno evitato di dirmi quanto abbiamo sofferto, finché Al non è esploso, ha urlato quanto sia stanco e persino che avrebbe preferito non essere mio amico.
E allora l’ho capito, sono io che porto guai, dolore e sofferenza. Mi sono resa conto che è colpa mia, ogni singola cosa che succede è colpa mia, tutti gli errori sono per colpa mia.  
Non ho idea di cosa fare, credimi.
Vorrei che questo non fosse mai successo, avrei preferito che mi avessero dimenticato, perché ora sento il peso di ogni mai azione cadermi addosso.
Lo giuro, sono così importanti per me… Non mi importa della distanza, non mi importa di quanto faccia male, non voglio abbandonarli. Loro ci sono sempre stati, loro mi hanno dato la forza e mi hanno donato felicità.
Sono la mia famiglia, non voglio perderli.
-Scusami se ti sto bagnando con le mie sudice lacrime, non volevo, vedi? Sono un danno. Sbaglio tutto-.
Ed io cosa ho fatto per loro? Nulla.
Sono egoista, non è così?
Ti prego dimmelo. Ho bisogno di sapere quanto io faccia schifo.
Provo pena per me stessa, capisci quanto faccia schifo questa situazione? Io sono così, entro nella vita delle persone e semino dolore ovunque, poca gioia e troppo dolore.
La mamma ci ha abbandonati, è colpa mia.
I miei vecchi amici mi hanno distrutto, è colpa mia.
La gente del posto mi guardava male, è colpa mia.
Mio padre soffre, è colpa mia.
Sto perdendo la mia famiglia di amici, è colpa mia.
Quanto tempo ci metterò a far soffrire Lou e i ragazzi? Quanto?
Stanno facendo così tanto per me e io li farò soffrire, me lo sento, rovinerò tutto, perché è l’unica cosa che so fare.
Forse aveva ragione la gente, sarei dovuta rimanere sola, almeno nessun avrebbe sofferto.
Avrei dovuto costruirmi dei muri intorno a me e non permettere a nessuno di entrarci, perché quando li rompi, sei fottuto. Hai fatto l’errore più grande della tua vita. Sei diventato importante per me, ma ti farò soffrire comunque.
Non ti faccio ribrezzo, diario?
Mi odio. Mi odio. Mi odio.
E’ meglio che io vada, almeno non ti annoierò con tutta questa merda.
Alla prossima, spero.
-La ragazza dell’ultimo banco.
 

Due tazze di tè, sono la soluzione di molti problemi. 

 

I’M HERE!!!
Okay, è piccolissimo.
No, non mi hanno uccisa o rapita, sono viva.
Capitemi è la vigilia e non posso passare molto tempo a computer, così ho deciso di fare questo mini capitolo di passaggio, un po’ come regalo di Natale e un po’ perché era da molto che non aggiornavo.
Spero vi piaccia, perché nella fretta del momento non ho neanche ricontrollato, ho una piccola peste che mi ronza intorno e mi è davvero difficile scrivere qualcosa di decente.
MI SCUSO, DAVVERO.
Chiedo scusa nel caso ci fossero errori, che aggiusterò non appena avrò un po’ di tempo.
Nello scorso capitolo mancava la pagina di diario, devo ammetterlo, mi sono completamente dimenticata di scriverla, per questo qui è molto più lunga. Mi viene da ridere, sono pessima…
HAHAHAHAHAH
Domani è natale, sono troppo felice.
Voglio sapere cosa avete ricevuto, mi faccio i fatti vostri, sono curiosa.
Ma vabbè, me lo fate voi un regalo?
MI LASCIATE UNA MISERA RECENSIONE?
Passando ad altro: Oggi è il compleanno del nostro piccolo uomo, Lou. Dio, stento a crederci, ha già 23 anni.
Avete letto l’hashtag, #23ReasonWhyWeLoveLouis?
Beh, e se vi chiedessi qual è la motivazione più grande per ci amate Louis? La mia assolutamente la sua voce, così particolare e fine, che ogni volta che l’ascolto mi vengono i brividi. Riesce a farmi star bene con la sua voce.

Ora devo proprio scappare, alla prossima.
Baci.
-I am a little nerd_ok
Twitter: https://twitter.com/?lang=it


 

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Capitolo 12
*** Chapter twelve - amici ***


Chapter Twelve - "Amici" 
"Gli abbracci valgono più di mille parole."
 
Hai mai pensato a quante cose si odiano nella vita?
Solitamente non prestiamo molta attenzione alle parole che diciamo, ma il più delle volte un “ti odio” ha lasciato le nostre labbra, senza che noi volessimo davvero.
E per cosa poi? Potresti averlo detto per qualcosa d’importante o qualcosa di insignificante, ma molto spesso finiamo per dimenticarcene il motivo e mi chiedo se anche l’odio si dimentica con la stessa felicità.
Julien per prima odia tantissime cose, ma quella che più di tutte non sopporta sono i ricordi. Quelli la devastano, l’ammattiscono. Si insidiano nella sua mente e ci fanno le radici, non può dimenticarli in alcun modo, sono impossibili da rimuovere. E poi succede che spuntano fuori così, senza preavviso e le mostrano cose che non vorrebbe ricordare, che cancellerebbe volentieri, che la spingono a rivivere quei momenti orribili.
E le manca il respiro, si ripiega su se stessa e si chiude nella sua corazza, scoppia in pianti isterici finché non le manca l’aria e capisce di star toccando il fondo, ma quello che non sa è che lei ci è caduta in quel fondo e continua a sprofondarci dentro.
Lei ha un mostro dentro, le risucchia l’energia vitale e l’abbatte portando alla luce cattivi ricordi, come a volerle far continuamente presente quanto la sua vita faccia schifo. Quanto tutto ciò che lei tocca marcisce.
 
 
“Mi riconosci, Eff?” Domandò implorante, con gli occhi speranzosi di chi si aggrappa all’ultimo barlume di speranza che scorge, probabilmente anche l’unico.
Lo guardò, perdendosi più del dovuto in quelle iridi che l’avevano sempre rassicurata, osservando quelle mani che l’avevano sempre toccata e abbracciata, studiando il contorno di quelle labbra che da sempre l’avevano baciata.
Si costrinse a tacere, anche se avrebbe sicuramente voluto urlargli contro che lo riconosceva e che gli era mancato, ma la paura di poter annegare nei suoi ricordi era sempre viva e presente. Così annuì piano, con lo sguardo puntato sulle vecchie scarpe e la bocca pastosa per le sue stesse parole, che non avevano intenzione di uscire, che si arpionavano a ogni centimetro di carne e rimanevano lì ferme, immobili.
“Devi guardarmi e parlare, Eff.” La rimproverò, non era affatto convinto di un misero cenno di capo, lui voleva saperlo, voleva sentirlo con le sue stesse orecchie, guardandola dritta negli occhi cercando di capire se mentisse o meno.
“Abbracciami.” Sussurrò con un filo di voce.
E nonostante fosse restio nel lasciarsi andare in una situazione simile, non resistette, le circondò il minuto corpo con le muscolose braccia, facendola scontrare contro il suo petto. Un piccolo singhiozzò lo tradì, uscendo dalle sue labbra e facendo sussultare dispiaciuta la ragazza, che con mani tremanti gli accarezzò il viso dai tratti ben marcati. Non voleva apparir debole, ma non riuscì a nascondere le lacrime che rigarono il suo viso, bagnando i polpastrelli delle sue affusolate dita.
“Ho bisogno di te, ma tu dove sei?” Chiese disperato, con la voce che tremava a ogni parola, con lo stesso impatto che solo una pugnalata potrebbe avere nel petto della castana.
“Sono qui, te lo giuro.” Ammise quasi sull’orlo di un pianto disperato, avvicinando i loro visi tanto da far scontrare le loro fronti.
“E allora abbracciami, stringimi, ti prego.” Sussurrò tra le lacrime, sentendo il corpo della ragazza avvicinarsi al suo il più possibile, cercando disperatamente di stringerlo con le sue piccole e magre braccia, lasciando che le lacrime scendessero libere sulle sue gote arrossate.
Lo abbracciò per tutte le volte in cui non avevano potuto, in cui erano troppo orgogliosi per farlo, in cui c’erano chilometri di distanza a dividerli o anche solo pochi metri. Si abbracciarono per il tempo passato insieme e per quello perduto, lo fecero con forza, senza lamentarsi del dolore, ma stringendosi ancor di più.
“Ti riconosco, Will.” Farfugliò con il respiro smorzato, sentendo gli occhi bruciarle per le troppe lacrime e le fitte al petto aumentare sempre più. “Ti riconosco.” Ripeté piano, aggrappandosi distrutta al tessuto della sua maglia, tentando in tutti i modi di rimaner in piedi, nonostante le poche forze.
Lo giurò a se stessa, mai avrebbe dubitato di Will e mai si sarebbe presa il lusso di non riconoscerlo più.
Lui era il suo tutto.
Dimenticarlo significherebbe distruggersi, perché lei non può perdere uno dei pochi pilastri che ancora la tengono in piedi.
 

 
 
Julien teneva il viso immerso nei vari cd impilati sulla mensola, spulciandoci dentro alla ricerca di qualcosa che avrebbe potuto ascoltare in quell’attesa estenuante. Era in quella casa da circa un’ora e ancora non aveva potuto parlare direttamente con Zayn, senza che una porta in legno li dividesse.
Aveva ricevuto una sua chiamata in cui disperatamente chiedeva il suo aiuto, così si era catapultata lì senza troppi complimenti e con pazienza aveva atteso che il suo amico uscisse da quel dannato bagno.
“Andiamo quanto ti ci vuole, Zayn?” Sbuffò esasperata, ormai stanca di frugare tra la roba del suo amico, senza che quello potesse sgridarla per aver ficcanasato un po’ ovunque.
“Cinque minuti.” Gridò dall’altro lato della porta il moro, imprecando subito dopo contro la piastra bollente con cui si era ustionato la punta dell’orecchio.
“L’hai detto anche venti minuti fa.” L’ammonì quella, sedendosi a gambe incrociate sul materasso, afferrando un cuscino e immergendoci il viso dentro, soffocando un grido frustrato.
Non sapeva il motivo del perché la stesse costringendo ad aspettare che si finisse di preparare per una qualche uscita, di cui lei non sapeva l’esistenza, ma che a quanto pare doveva essere molto importante o almeno così credeva.
“Zayn, dai.” Cantilenò annoiata, ma appena terminò la frase, la porta del bagno si spalancò facendo gioire interiormente la ragazza, che si raddrizzò sul letto.
Fece scorrere velocemente lo sguardo sul corpo dell’amico, guardandolo sbigottita per il suo abbigliamento non esattamente casual. Un jeans nero gli fasciava le gambe magre, indossava una camicia abbottonata fino al colletto con tanto di cravatta nera e calzava dei stivaletti in camoscio beige.
“Come sto?” Chiese impaziente quello, mordendosi imbarazzato il labbro inferiore per aver fatto una domanda così stupida e estremamente simile a quella di una ragazzina alle prese con la sua prima uscita.
“Dove devi andare, Zay?” Domandò lei, corrugando la fronte e mettendosi in piedi davanti al moro, che la guardava con occhi imploranti.
“Un appuntamento con una ragazza.” Sussurrò impacciato, sentendo le guance arrossire per la consapevolezza di sembrare un tale idiota, tanto preoccupato per un’uscita.
Un sospiro uscì dalle labbra schiuse di Julien, mentre si avvicinava al ragazzo, slacciandogli con cura la cravatta, cercando di non sgualcirla troppo.
“Sembro un cretino?” Domandò con un’espressione triste e preoccupata stampata in viso, facendo sorridere dolcemente la castana.
“Non sei un cretino, Zayn.” Gli disse con tono materno, accarezzandogli una guancia, sbottonandogli i primi tre bottoni e sistemandogli per bene il colletto della camicia, assicurandosi anche di tirarla fuori dai jeans e aggiustarla lungo i fianchi.
Gli passò il giacchetto in pelle, incitandolo con lo sguardo a indossarlo e una volta che lo fece, si avvicinò al suo viso per stampargli un piccolo bacio sulla guancia.
“Zayn non devi cambiare per nessuno, sei un ragazzo magnifico e non hai bisogno di sembrare qualcun altro per piacere. Sii te stesso.” Gli suggerì con il cuore in mano, facendo spuntare un bellissimo sorriso sul volto del moro che si lancio di getto per abbracciarla.
“Sei stupenda, Juls. Ti voglio bene, grazie per esserci.” Sussurrò contro il suo orecchio, facendole mancare il respiro per un attimo, stringendola a sè ancor di più.
“Ti voglio bene anch’io, Zay.” Pronunciò quelle parole con gli occhi lucidi, perché nessuno l’aveva mai ringraziata per la sua presenza e sentirselo dire l’aveva lasciata stupita, le aveva formato una voragine nel bel mezzo del petto.
Grazie a te.
 
 
“HARRY, NO NO.” Urlò Julien tra le risa, correndo velocemente per tutto il soggiorno di casa Styles, cercando di sfuggire dalle grinfie del riccio che si ostinava a volerla spruzzarla con quella maledetta panna spray, raccattata dal fondo del suo frigorifero.
“Non mi scappi! Niall, acchiappala.” Gridò di rimando, sbracciandosi per attirare l’attenzione del biondo concentrato sulla figura di Emma Watson in tv.
Sentendosi tirato in ballo si voltò a malavoglia, accorgendosi solo ora del caos che c’era introno a lui e del baccano che quei due stavano procurando. Rise allegramente, incitando anche Liam a partecipare a quella bizzarra situazione, costringendolo ad aiutarlo ad acciuffare la castana che saltava da una parte all’altra, cercando di evitarli.
“Payne, non anche tu.” Si lamentò imbronciata e con il fiatone, saltando in piedi sul divano, alla ricerca di una porta da cui scappare o rifugiarsi.
“Prendetela.” Urlò il riccio, che tentava di far tornare il suo respiro regolare, ammettendo a se stesso che stare dietro a quell’uragano di ragazza era davvero stancante.
I due fecero un passo in direzione di Julien, facendola saltare sul posto e costringendola a fare un passo azzardato che la fece ritrovare sdraiata di pancia in giù sul pavimento. I ragazzi sgranarono gli occhi per quella caduta, avvicinandosi preoccupati e chinandosi alla sua altezza.
“Oh mio Dio, ti sei fatta male?” Domandò allarmato Liam, cercando d’incrociare il suo sguardo per capire se qualcosa non andasse, ma sembrò inutile.
“Io no, ma Harry si.” Disse seria.
“Non è vero, non mi so-” Non riuscì a concludere la frase che si ritrovò il viso cosparso di panna, mentre Julien se la rideva a crepapelle, portando alla bocca il cappuccio della bomboletta e leccando via i residui rimasti.
“Fregato.” Urlò, tra le risate dei presenti e osservando fiera lo sguardo spaesato e scioccato del riccio, che con gli occhi ridotti a due fessure osservava i suoi amici deriderlo apertamente.
Mise su un adorabile broncio, ma l’unica cosa che riuscì a guadagnare fu una leccata sulla guancia da parte di Niall, troppo goloso per resistere a quello spreco di cibo.
“Che schifo!” Esclamò Styles, spingendo via il biondo e rivolgendo un occhiataccia a Julien che se la rideva ancora, stesa sul pavimento e con le lacrime che minacciavano di uscire dagli occhi.
“Ehi.” Si lamento l’irlandese, affiancando Liam che gli diede una pacca sulla spalla in segno di conforto, mentre cercava di non ridere per ciò che era appena successo.
“Questa me la paghi, Dixon.” Sussurrò imbronciato il riccio, legando le braccia al petto e guardando male i presenti che si scambiarono un occhiata tra di loro, prima di gettarsi a capo fitto sul ragazzo, cercando di stringerlo in un goffo e affettuoso abbraccio di gruppo.
“Non fare così, Harriet.” Lo prese in giro Liam, mentre erano ancora stretti in quello strano abbraccio, ricevendo uno scappellotto sul capo dal ragazzo in questione, udendo in sottofondo la risata di Niall e Julien unirsi in un unico suono melodioso.
E se gli amici non sono la cosa migliore su questo mondo, giuro che allora non ho idea di cosa lo sia davvero, perché tutto ciò di cui ho bisogno per vivere sono loro, che mi sono sempre vicini e che mi danno mille motivi per sentirmi felice e amata.
 

 
 
Lo stereo sul mobile della sua camera produceva da quasi una buona mezz’ora la stessa canzone, che Julien si ostinava ad ascoltare a ripetizione, cercando di capire il motivo per cui quelle parole le procurassero una strana fitta all’altezza del petto.
Così se ne stava lì dentro da un po’, lasciandosi beare dal suono melodioso della voce di Ed Sheeran, uno dei suoi pochi cantanti preferiti, colui che sembrava essere un poeta.
 
We're not, no we're not friends, nor have we ever been (Noi non siamo, no noi non siamo amici, non lo siamo mai stati)
We just try to keep those secrets in our lives (Abbiamo solo tentato di tenere questi segreti nelle nostre vite)
And if they find out, will it all go wrong? (E se lo scoprissero, andrebbe tutto storto?)
I never know, no one wants it to (Non lo saprò mai, nessuno lo scoprirà)
 
So I could take the back road (Quindi potrei prendere la strada secondaria)
But your eyes'll lead me straight back home (Ma i tuoi occhi mi ricondurrebbero diritto a casa)
And if you know me like I know you (E se mi conoscessi come io conosco te)
You should love me, you should know (Dovresti amarmi e dovresti sapere)
 
 
La porta si aprì lentamente, m0strando la figura di Louis fermo sullo stipite della porta che la osservava con attenzione, mordendosi piano il labbro inferiore. E le risposte le arrivarono finalmente, facendola boccheggiare senza una vera ragione. Aveva appena trovato il motivo per il quale tenesse così tanto a quella canzone, ritrovandosi la verità spiattellata in faccia, Louis era la soluzione.
“Cosa fai?” Chiese lui, avvicinandosi al letto su cui era stesa, sorridendole gentilmente e accomodandosi al suo fianco, lasciando volutamente che le loro ginocchia si sfiorassero.
“Umh, niente.” Rispose, giocherellando con l’orlo del suo maglione e guardandolo dritto negli occhi, come se riuscisse a leggergli l’anima, scavando nel fondo di quelle bellissime iridi azzurre.
Louis sentì il petto scoppiargli per via dei battiti esageratamente accelerati, si chiese come potesse apparir così bella anche in una situazione così semplice come quella. Lì stesa su quel letto, con i capelli cosparsi sul materasso e con il viso rilassato, le labbra schiuse e arrossate, gli occhi così profondi e tormentati da qualcosa. Indosso aveva uno dei suoi maglioni, che sicuramente aveva raccattato dalle sedia su cui la sera prima l’aveva poggiato quando si era spogliato e Louis giurò che vederla con i suoi stessi vestiti, fosse qualcosa di spettacolare.
Si chinò lentamente su di lei, quasi preoccupato che potesse spaventarsi per un suo gesto affrettato, sorreggendosi con un avambraccio e accarezzandole con cura una gote arrossata.
“Sei così bella, Julien.” Sussurrò ipnotizzato, sentendo il respiro farsi più pesante, mentre le distanza tra di loro diminuivano fino a far scontrare i loro nasi.
“Non nella maniera in cui vorresti.” Farfugliò con un filo di voce, allungando una mano che portò dietro la nuca del ragazzo, immergendola nei suoi morbidi capelli castani.
“Non sai cosa voglio.” Ribatté sotto voce, chiudendo gli occhi e strofinando i loro nasi, lasciando sfiorare leggermente anche le loro labbra.
“Tu non vuoi me.” Disse.
“E’ qui che ti sbagli.” Sorrise fievolmente, baciandola piano, accarezzandole allo stesso tempo una guancia, sorprendendola e facendole schiudere le labbra per poter lasciar spazio alle loro lingue.
Le morse il labbro inferiore dolcemente, facendola sorridere in quel continuo sfregamento di labbra, sentendola giocherellare con le piccole ciocche di capelli alla base del suo collo.
 
So I could take the back road (Quindi potrei prendere la strada secondaria)
But your eyes'll lead me straight back home (Ma i tuoi occhi mi ricondurrebbero diritto a casa)
And if you know me like I know you (E se mi conoscessi come io conosco te)
You should love me, you should know (Dovresti amarmi e dovresti sapere)
 
Friends just sleep in another bed (Che gli amici dormono semplicemente in un altro letto)
And friends don't treat me like you do (E gli amici non mi trattano come mi tratti tu)
Well I know that there's a limit to everything (Bene so che c’è un limite a tutto)
But my friends won't love me like you (Ma i miei amici non mi amerebbero come fai tu)
No, my friends won't love me like you (No, i miei amici non mi amerebbero come fai tu)
 
We're not friends, we could be anything (Noi non siamo amici, ma potremmo essere qualsiasi cosa)
If we tried to keep those secrets safe (Se provassimo a tenere questi segreti al sicuro)
No one will find out if it all went wrong (Nessuno scoprirà se è andato tutto storto)
They'll never know what we've been through (Loro non sapranno cosa abbiamo passato)
 
La radio in sottofondo cantava sempre la stessa melodia, come a voler rendere ancor più speciale quel momento, che sembrava unirli in qualcosa di speciale, qualcosa solo per loro.
“Ti va di fare un bagno?” Domandò d’improvviso Louis, sorridendole dolcemente e baciandole la punta del naso, che a quel gesto si arricciò.
“Insieme?” Chiese a sua volta, osservandolo annuire e allora sorrise e si triò in piedi, dirigendosi a passi lenti verso la porta del bagno e scomparendoci all’interno.
Il castano corrugò la fronte, osservando imbambolato la porta da cui era scomparsa e da cui si udiva il lontano scrosciare dell’acqua, unito all’aprirsi e chiudersi delle ante dei mobili.
“Allora non vieni?” Spuntò dallo stipite della porta lei, con i capelli raccolti in una crocchia disordinata e le maniche del maglione alzate fino ai gomiti, mentre gli mostrava un grazioso sorriso.
Si alzò velocemente dal letto, raggiungendola e chiudendo la porta alle sue spalle, osservando la vasca traboccante di schiuma e il buon profumo che quella emanava. Levò la maglietta che indossava, osservando anche la ragazza davanti a lui privarsi dei suoi indumenti, fino a rimanere in intimo proprio come lui.
Julien non esitò un secondo, si slacciò con una calma estenuante il reggiseno, lasciandolo cadere ai suoi piedi, per poi sfilare gli slip color carne e immergersi nell’acqua calda.
“Hai deciso di rimanere lì?” Chiese divertita, osservando Louis fermo che ancora la osservava incantato e con gli occhi liquidi, accesi da un luccichio che li faceva risplendere più del solito.
Sorrise scuotendo il capo, abbassandosi i boxer e facendoli scivolare via dai piedi, raggiungendo la vasca e immergendosi alle spalle della ragazza, circondandole il corpo con le sue braccia e attirando più vicino a sé, fino a far scontrare il petto con la sua schiena.
 
So I could take the back road (Quindi potrei prendere la strada secondaria)
But your eyes'll lead me straight back home (Ma i tuoi occhi mi ricondurrebbero diritto a casa)
And if you know me like I know you (E se mi conoscessi come io conosco te)
You should love me, you should know (Dovresti amarmi e dovresti sapere)
 
Friends just sleep in another bed (Che gli amici dormono semplicemente in un altro letto)
And friends don't treat me like you do (E gli amici non mi trattano come mi tratti tu)
Well I know that there's a limit to everything (Bene so che c’è un limite a tutto)
But my friends won't love me like you (Ma i miei amici non mi amerebbero come fai tu)
No, my friends won't love me like you (No i miei amici non mi amerebbero come fai tu)
 
But then again, if we're not friends (Ma poi ancora, se non siamo amici)
Someone else might love you too (Qualcun altro potrebbe amarti)
And then again, if we're not friends (Ma poi ancora, se non siam amici)
There'd be nothing I could do, and that's why (Non ci sarebbe niente che possa fare)
 
Friends should sleep in other beds (Che gli amici dovrebbero dormire in altri letti)
And friends should kiss me like you do (E gli amici dovrebbero baciarmi come fai tu)
And I know that there's a limit to everything (E so che c’è un limite a tutto)
But my friends won't love me like you (Ma i miei amici non mi amerebbero come fai tu)
No, my friends won't love me like you (No i miei amici non mi amerebbero come fai tu)
 
Ancora si udiva fievolmente la stessa canzone, mentre i due si beavano della presenza l’uno dell’altra, accarezzandosi e stringendosi tra loro.
Louis insaponò le sue mani, facendole scorrere lungo le braccia della ragazza, scendendo verso i suoi seni che racchiuse tra le grandi mani, per poi salire sulle sue spalle e sul collo scoperto.
Si toccavano senza un minimo accenno di malizia, inconsapevoli di ciò che si stava scatenando nei loro cuori, ma beandosi della tranquillità del momento.
Le labbra del castano corsero sul suo collo, baciandolo lentamente, sussurrando a intervalli parole dolci all’orecchio della ragazza, che troppo presa dalla situazione intrecciava la sua mano con quella di lui, facendole combaciare perfettamente.
“Voglio che tu sia mia.” Sussurrò Louis, mordendole dolcemente il collo e facendola accoccolare al suo petto, che quella accarezzò con estrema cura.
“A patto che tu sia mio.” Chiarì Julien, disegnando il contorno della scritta tatuata sul petto del giovane, facendolo sorridere addolcito per l’espressione concertata che aveva stampato in volto.
“Lo sono sempre stato.” Biasciò sotto voce, facendola voltare sorpresa e lasciando intrecciare i loro sguardi, prima che si baciassero lentamente.
E in quella vasca, dove si abbracciavano ignari dei loro sentimenti, le loro anime stavano facendo l’amore nella maniera più significativa possibile.

Oh, my friends will never love me like you. (Oh, i miei amici non mi ameranno mai come fai tu)
 

 

Caro Diario,
Non so esattamente cosa raccontarti, in questi giorni sono accadute molte cose, ma sinceramente non ho il coraggio di imprimerle tutte su dei fogli ingialliti.
Mi sento strana, come se finalmente io abbia trovato il mio posto, ma questo mi sembra fin troppo diverso da ciò che mi aspettavo e non sono sicura di volerlo accettare.
Ho parlato con i ragazzi, intendo i miei ragazzi, quelli con cui avevo un conto in sospeso e credo di aver riparato, ma che continuo a riportar alla luce. Siamo stati ore seduti al parco, dove tutto si era spezzato, cercando di ricostruire i pezzi e di rimettere insieme il nostro rapporto.
Ci abbiamo provato e forse ci siamo riusciti, anche se qualche frammento non siamo riusciti a ricongiungerlo nel posto esatto, ma siamo insieme, è questo quello che conta. Gli ho guardati e ho notato in loro una scintilla diversa, ma mi sono bastati i loro occhi sinceri per cadere nella trappola. Ci siamo abbracciati, dopo tanto tempo sono riuscita a ritrovare la piacevole sensazione di star tra le braccia dei miei amici, quelli che mi hanno sostenuta sempre.
Non potrò mai ringraziarli abbastanza, vorrei avere il coraggio di spendere due parole per loro, ma non da dietro un diario.
Vorrei poter dire a Elisabeth che è stata la mia guida ed io la sua ancora, ma non quel tipo di ancora che ti salva, ma quella che ti getta sul fondo con lei e che ti ci fa rimanere. Probabilmente è l’unica ragazza che mi ha sempre capito, quella che mi ha appoggiato nelle scelte più importanti e con cui ho condiviso le stronzate più grandi. Vorrei scusarmi per averla buttata nella merda con me, quando lei per prima meritava molto di meglio, lo vedevo dai suoi occhi che le sarebbe piaciuto essere una ragazza spensierata e con una vita normale, la osservavo guardare le altre con malinconia e poi sorridere in modo sforzato. Non me lo perdonerò mai.
 
Lucas e Al sono abbastanza diversi tra di loro, ma così simili quasi da far paura. E’ strano detto così, ma per capirlo dovresti passare una vita a loro fianco, stando attenti a ogni minima cosa. Sono probabilmente gli unici ragazzi che non mi hanno guardata con occhi diversi dopo l’accaduto, sono gli unici che mi hanno tenuta stretta a loro e protetta come una sorella minore. Devo tutto a loro. Devo molto ad Al per aver avuto pazienza con me e devo molto a Lucas per essere stato al mio fianco ad ogni mio crollo. Mi dispiace aver rovinato tutto, probabilmente ha ragione Al, avrei preferito anch’io non nascere, magari tutti loro avrebbero avuto una vita migliore.
 
E per Will non ci sono parole, mi dispiace che abbia passato la sua vita con me, l’ho distrutto più di tutti e continuerò a farlo, ma lui è masochista e preferirà continuare ad affiancarmi finché questo non finirà.
 
Scusatemi, ragazzi.
Poi ci sono loro, quei ragazzi che non potrò mai ringraziare abbastanza.
Liam, Harry e Niall che mi fanno sorridere, che sono l’esatta reincarnazione della felicità, sono le persone più belle e speciali che io abbia mai potuto incontrare.
C’è anche Zayn, probabilmente l’unica persona che mi abbia ringraziato della mia presenza, l’unica che mi abbia capito e a cui non sono servite troppo parole per entrarmi dentro.
Delle persone magnifiche.
Forse è ora che vada, se perdo troppo tempo arriverò in ritardo a scuola e dato che Louis non c’è devo andare a piedi.
Alla prossima.
-
La ragazza dell’ultimo banco. 






 


HI!
Allora gente, come state?
Probabilmente sarà passato un infinità di tempo dalla ultima volta in cui ho aggiornato e mi scuso tantissimo, ho avuto molto da fare e non ho mai trovato il tempo per scrivere.
Spero che la storia vi stia piacendo, perché non ho idea di come stia procedendo secondo voi… Me la lasciate una piccola recensione?
Okay, volevo informarvi che ho creato un account ask solo per voi, nel senso che potrete farmi delle domande riguardo le mie storie, o semplicemente domande personali o scambi d’idea. Ovviamente non ci metto la faccia, tanto meno il nome, per cui continuerò a rimanere solo El. Mi farebbe piacere se ci faceste un salto, sarò disponibile a rispondervi.
Ora devo proprio scappare, spero di essermi fatta perdonare scrivendo un capitolo più lungo del solito. Mi scuso per eventuali errori, che aggiusterò appena posso.
Baci, bellezze.
Ve se ama.
_littlebadgirl
Twitter: https://twitter.com/_fakebadgirl
Ask: http://ask.fm/fakebadgirl105

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Capitolo 13
*** Chapter thirteen - il bacio rivelatore. ***


Chapter Thirteen - Il bacio rivelatore.

Hai mai pensato a come il tempo passa velocemente e noi finiamo per non accorgercene neanche? E’ come se fossimo chiusi in una bolla di sapone, guardiamo il mondo girare e andare avanti, mentre noi rimaniamo lì immobili e incapaci di far qualcosa, finché la bolla non scoppia e ci ritroviamo per terra con le ginocchia sbucciate e le lacrime agli occhi.
Capita di non accorgersi di come i giorni passano, perché siamo sempre noi racchiusi nella nostra maledetta routine, non accorgendoci che lo scenario intorno a noi muta e con esso tutti gli altri.
Bene, era passati due mesi, tempo in cui era accaduto molto e niente allo stesso tempo, come se sì il tempo fosse cambiato, loro erano cresciuti, ma rimasti sempre lì, sempre gli stessi. 



Lo sguardo rivolto verso l’orizzonte, così lontano e all’apparenza così vicino, toccabile con un solo dito e impossibile da raggiungere, un illusione.
Il sole illuminava i loro volti facendoli sospirare sollevati, le mani erano intorpidite per via della sabbia fredda in cui erano distrattamente immerse, mentre ci giocherellavano leggermente con la punta delle dita. I capelli erano costantemente scossi e pettinati dal gelido vento invernale, che sembrava far a pugni con i caldi e rassicuranti raggi del sole.
Se ne stavano lì in silenzio da non so quanto, immersi nei più confusi e indecifrabili pensieri, cercando qualcosa con cui iniziare un discorso e che non avrebbe distrutto la quiete e la calma che li avvolgeva.
“E’ così bello qui.” Si lasciò sfuggire in un sussurro Juls, impaurita di poter rovinare quel momento perfetto, continuando ad ascoltare il gracchiare dei gabbiani in lontananza.
Le onde del mare che si muovevano in modo sincronizzato, parevano cavalli imbizzarriti, prendevano la rincorsa per andare incontro alla morte, la riva, posto in cui si sarebbero infrante.
“Lo credo anch’io, mio padre mi ci portava sempre quando ero piccolo.” Disse Liam, un sorriso nostalgico a stirargli le labbra, lo sguardo perso in un ricordo lontano e il naso arricciato per l’odore della salsedine.
 
 
I piccoli piedi si muovevano velocemente sulla sabbia, affondando passo dopo passo, facendo affaticar il bambino che nonostante tutto non smise di correre neanche per un secondo. Alle sue spalle vi era un uomo abbastanza paffuto e robusto, dal viso tondo e allegro, che cercava in tutti i modi di star al passo del piccoletto, per non perderlo di vista in quel via vai di gente.
Liam Payne era un bambino allegro e dall’aria spensierata, non aveva molti amici e per questo amava passare del tempo con suo padre, quasi sempre impegnato a lavorare per portar del cibo sulla loro tavola. Così era loro solito trascorrere una giornata insieme, si estraniavano dalla loro quotidianità e andavano alla ricerca dei posti più bizzarri in cui poter scherzare e giocare, magari facendo dimenticare al più piccolo di casa i vari problemi sulla sua salute non proprio eccellente.
“Campione, rallenta, il tuo vecchio non è così in forma.” Ridacchiò con il respiro pesante Geoff, sospirando sollevato quando vide il piccolo sedersi comodamente sulla sabbia rovente, facendogli segno di accomodarsi al suo fianco.
L’uomo annuì vigorosamente, prendendo posto accanto al bambino, scompigliandogli la zazzera di capelli castani e stampando un piccolo bacio sulla sua cute accaldata, ricevendo in risposta un sorriso raggiante.
“Papà, possiamo scavare una buca?” Chiese Liam speranzoso, guardando con i suoi grandi occhi castani il padre che gli sorrise in risposta, strizzandogli un occhiolino divertito.
“Chi inizia prima riceve doppia razione di panna sul gelato!” Esclamò felice l’uomo, tardando di proposito a immergere le sue grandi mani nella sabbia, per dar tempo al bambino di farlo prima.
Precipitosamente Liam si chinò in avanti, iniziando a smuove la sabbia e a cacciarla via, ridendo divertito quando il padre prese a fargli il solletico “Birbante, hai vinto.” Scherzava, sentendo le urla e le risa del piccole che scalciava e si dimenava dalla sua presa.
E lì tra tutta quella gente che gli camminava di fianco, tra il resto dei bambini che giocavano spensierati, Liam e Geoff passavano una delle loro giornate migliori, solo loro e due con enormi sorrisi stampati sui paffuti visi.

 
 
Il sole ormai tramontava in lontananza, specchiandosi sulle acque del mare che sembravano colorate di uno strato rosato e arancione, uno spettacolo meraviglioso per i loro occhi. Sembrava un incontro di colori quasi pasticciato, l’azzurro dell’acqua con quel rossastro del sole, come sulla tavolozza di un pittore in cui i colori si mischiano e si impasticciano.  
Harry si scrutò attentamente intorno, quel posto aveva risvegliato in lui moltissime emozioni, ricordava i tempi trascorsi su quella spiaggia come se fosse successo qualche giorno prima, non contando che in realtà fossero passati anni e anni.
Il suo sguardo smeraldo venne catturato da uno scoglio in lontananza, tremendamente famigliare e che gli fece nascere un sorriso sincero contornato da tanto di fossette.
Entusiasta voltò il capo verso Louis, ma quello era già lì che lo guardava sorridente, indicandogli con un cenno di capo l’enorme masso e il riccio si ritrovò ad annuire felice, tornando a fissare quel punto ben preciso.
 
 
“Boo, guarda lì!” Esclamò il piccolo bambino dalla chioma riccia ribelle, con alcuni ciuffi che a ogni sua mossa continuavano a cadergli davanti agli occhi e che lui si ostinava a spostare via con le manine sporche di sabbia.
Il bambino di due anni più grande alzò lo sguardo dal delizioso castello che i due avevano costruito, aiutati dagli utili consigli di Johanna, puntandolo negli smeraldi dell’altro.
“Cosa?” Chiede confuso, aggrottando le sopracciglia e grattandosi distrattamente il capo, riempiendo i suoi capelli castani con un taglio a scodella di sabbia bagnata.
“Louis, sta attento a non mettere le mani negli occhi.” Lo riprese dolcemente la donna, comodamente seduta sulla sabbia e presa dalle righe di un dolce romanzo rosa strappa lacrime, continuando tuttavia a lanciare furtive occhiate ai due bambini per tenerli d’occhio.
Lou annuì, tornando a guardare quell’ammasso di ricci che si agitava malamente, indicando in lontananza l’enorme scoglio e iniziando a farfugliare qualche supplica per chiedergli il consenso di andar lì. Il castano si tirò in piedi, afferrando per mano il più piccolo, ricordando le parole di Anne che gli chiedevano dolcemente di tenere d’occhio quello scricciolo di bambino, spolverando distrattamente i suoi bermuda azzurri.
Presero a correre sulla riva, schizzandosi a ogni passo e mettendo in atto una stupida gara su chi arrivasse per primo, cosa inutile visto che erano legati insieme dalle loro piccole manine intrecciate. Raggiunsero a grandi falcate la loro meta, cercando un modo per salirci sopra senza chiedere aiuto alla donna poco distante, così agilmente Lou afferrò la sporgenza della roccia, facendo pressione sulle braccia e riuscendo a salire in superfice e sedersi sopra.
Harry osservò attentamente i gesti del più grande, cercando di imitarli senza però riuscirci, cadendo rovinosamente di sedere a terra, facendo ridere sguaiatamente il castano.
“Boo, smettila.” Si imbronciò quello, incrociando le braccia al petto e rimanendo seduto per terra, con il didietro dolorante e l’orgoglio che gli impediva di chiedere aiuto all’amico.
“Dai vieni qui, occhi verdi.” Lo richiamò il più grande, sporgendosi e allungando un braccio verso di lui, attendendo che quello l’afferrasse per farlo salire fin dove era seduto lui.
“Non voglio più salire.” Sbuffò arrabbiato, voltando il viso offeso da tutt’altra parte, sentendo l’altro ridere ancora di lui e scuotere divertito il capo.
Louis aspettò qualche minuto sperando che cambiasse idea, ma questo non successe e si ritrovò a cercare un’idea che l’avrebbe spinto ad accettare il suo aiuto e “Ahia, Harry! Mi sono fatto male.” Finse di piagnucolare dolorante, facendo scattare il più piccolo verso di lui.
“Cos’hai, Boo?” Chiese allarmato quello, sporgendosi in punta di piedi e afferrando, senza pensarci troppo, il braccio dell’amico che riuscì a tirarlo su con il minimo sforzo. Il riccio gli fu addosso, tastando velocemente le sue braccia magre, il suo viso e in fine le sue corte gambe, aggrottando le sopracciglia quando non notò nessun taglio, livido, graffio o arrossamento.
Alzò confuso il viso verso l’amico che lo guardavano con occhi innocenti, trattenendosi dal ridergli in faccia e “Hai mentito.” Gli puntò un dito contro quello, arricciando malamente le labbra.
“Ma sei salito anche tu.” Disse Lou, facendo notare al picco che effettivamente senza che se ne accorgesse aveva accettato il suo aiuto e si era ritrovato proprio dove desiderava essere.
“Imbroglione.” Sputò divertito, scuotendo l’enorme chioma riccia.
“Hai ragione, occhi verdi.” Rise l’altro, seguito dal bambino che lo spinse giocosamente.
 

 
Il cielo ormai stellato era una visone quasi paradisiaca, erano avvolti dal buio più totale e non se ne curavano troppo come invece avrebbero dovuto fare, infreddoliti e senza sapere come sarebbero potuti tornare indietro. Eppur erano tranquilli, beati da quel cielo illuminato da tanti piccoli punti splendenti, ritrovandosi in compagni delle uniche persone che avrebbero voluto al proprio fianco.
“Siamo stati qui per ore.” Sorrise Niall, rendendosi conto che persi nei propri pensieri si erano dimenticati dov’erano e del perché fossero lì, i presenti annuirono lasciando increspare le loro labbra in dolci sorrisi rassicuranti.
“Il tempo sembra essere volato.” Fece notare Zayn, stropicciandosi gli occhi assonnato, stringendosi nella grande felpa grigia che indossava, in cerca di calore.
“Concordo, è stato…” Si interruppe Louis, mordendosi le labbra in cerca di un aggettivo adatto a descrivere quel momento, voltandosi verso i suoi amici in cerca di un appoggio da parte loro.
“Speciale?” Ipotizzò Julien, girando il viso verso il castano che fece lo stesso sorridendo apertamente, allungando una mano per accarezzarle una gote fredda, facendola mugolare a quel contatto confortante.
Incatenò i loro sguardi e lentamente si avvicinarono l’uno all’altra, dimenticandosi della presenza degli altri, ora ammutoliti e intenti ad osservar con occhi sorpresi e bocca socchiusa la scena. Louis lasciò sfiorare le loro labbra, prima di catturarle dolcemente fra le sue, baciandole con estrema delicatezza e passione messi assieme.
Sentì la ragazza irrigidirsi visibilmente, rimanendo immobile e incapace di muovere un singolo muscolo, così le accarezzò il fianco con la mano nascosta sotto il suo maglione e con l’altra disegno cerchi invisibili sul suo collo coperto dai lunghi capelli. Julien si rilassò sotto quel tocco, lasciandosi andare a quel piccolo bacio in cui le loro lingue si incontrarono e parvero fare l’amore tra di loro.
“E’ stato speciale.” Ripeté lui, a bacio concluso, sorridendole dolcemente e continuando a fissare quelle iridi verde bosco che l’avevano tanto stregato, leggendoci dentro quasi la paura di quel momento all’apparenza rivelatorio.
“Oh, wow.” Sussurrò Liam, attirando l’attenzione di tutti su di sé, che con sorrisi divertiti guardarono la sua espressione fin troppo sorpresa e sconvolta.
“Ci siamo persi qualcosa?” Chiese ridacchiando Harry, pizzicando con un dito il fianco del castano che a quel tocco si voltò verso di lui e gli schiaffeggiò malamente la mano, facendolo borbottare per il dolore.
“Sta zitto, idiota.” Borbottò, attirando Julien a sé, circondandole il corpo con le braccia e lasciando che quella si fece piccola tra di esse, ringraziandolo mentalmente per riscaldarla da quel freddo insopportabile.
E mentre quelli presero a bisticciare tra di loro come bambini, immischiando in quel litigio Liam e Niall, i due migliori amici si schioccarono un occhiata significativa. Zayn sorrise leggermente, nascondendo tra i denti la lingua, facendo sciogliere il cuore di Juls che ricambiò energicamente il gesto.
 
 
“Sbaglio?”
“No, se segui il cuore.”
“Dici?”
“Dico.”

 
 

Caro Diario,
Non ti scrivo da esattamente due lunghi mesi, un po’ perché in questo periodo sono stata parecchio indaffarata e un po’ perché sono diventata dannatamente pigra.
Vorrei raccontarti del tempo trascorso, ma sono così stanca che non credo di averne la forza, ieri siamo tornati alle cinque di mattina e contando il continuo russare di Niall e Harry non sono riuscita a chiudere occhio. E sì, sono rimasti ancora una volta a dormire nel mio salotto, accampandosi come vecchi barboni.
Lo giuro, i piedi di Niall sono una tortura, il loro odore è così disgustoso che quando Zayn se li è ritrovati davanti al viso alle sei di questa mattina, si è svegliato e ha iniziato a sbraitare come un pazzo da manicomio. Fortuna che mio padre era uscito solo qualche minuto prima per andare a lavoro.
Credevo che il più normale fosse Liam, ma quando ha iniziato a blaterare nel sonno il nome di quella che i ragazzi hanno identificato come sua nonna, mi sono dovuta ricredere. E dire che si è alzato e mi ha abbracciato e chiamato Rose, sua nonna, chiedendomi di preparargli i biscotti, a detta degli altri e cinque pare che soffra di sonnambulismo ma io dico che era sveglio e cosciente visto che mi ha praticamente barricato in cucina minacciandomi di non lasciarmi uscire finché non avrei preparato dei biscotti per tutti.
Cose da pazzi! Ho dovuto cucinare quattro infornate di dolci alle sei e mezza del mattino, senza l’aiuto di nessuno, nonostante Louis non facesse altro che andare avanti e indietro dalla cucina e il salotto, ma ben presto scoprii che stava solo rubando manciate di biscotti appena sfornati e che portava a quei traditori degli altri.
Almeno si è fatto perdonare nel pomeriggio, quando rimasti soli non ha fatto altro che canticchiare dolci canzoni al mio orecchio, tenendomi stretta a lui e piena di attenzioni, finché non sono crollata sfinita. Devo dire cha amo la sua voce, è fine e delicata.

Mi sembra di aver ritrovato quella sensazione di felicità che avevo perso da tempo, non posso far altro che ringraziarli per esserci e non importa se Louis si rifiuta di sentire i miei grazie, definendoli ingiustificati, loro sono alcuni dei pochi che se li meritano davvero.

Oh, dimenticavo che anche gli altri ragazzi sono partiti, non posso fargliene una colpa visto che avevano una vita da riprendere in mano a Parigi, ma non sono riuscita a non singhiozzare disperatamente tra le braccia di Will. Mi mancano così tanto.
 
Credo di dover andare, sento Liam e Niall bisticciare da qui su, meglio che vada prima che mi distruggano il salotto.
A presto, credo.
-Julien Eff Dixon.
 
 
HI!
Perdonate il mio ritardo, non ho scusanti e mi dispiace tantissimo, ma vi giuro che ho tentato di buttare giù qualche bozza, solo che non i veniva niente di sensato da scrivere.
Senza idee, senza voglia e senza tempo, non potevo far nulla.
Scusatemi.
Spero che questo capitolo vi piaccia, nonostante non sia dei migliori, è stato un vero parto.
VI CHIEDO DI FARMI SAPERE COSA NE PENSATE, PER PIACERE.
Mi scuso per eventuali errori, li aggiusterò nel tempo.
Ve se ama.
Baci.
-El

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Capitolo 14
*** Chapter fourteen ***


Chapter  fourteen.
 
Il suo respiro caldo le solleticava il collo, le grandi mani erano intrecciate intorno ai suoi fianchi e poggiate sul suo ventre, mentre delineavano cerchi invisibili sul tessuto della vecchia e stropicciata maglia che indossava. Di tanto in tanto, riusciva a sentire le sue labbra stamparle leggeri baci sulla cute, alternandoli al suo continuo canticchiare le canzoni che la radio, posta nello scaffale, passava a basso volume.
Julien, appoggiata con la schiena al suo petto, si deliziava di tutte quelle piccole attenzioni che il ragazzo le stava concedendo, facendosi piccola tra le sue braccia e sperando che quel momento non finisse mai.
“C’è una cosa che non ti ho mai chiesto da quando sei qui.” Iniziò il discorso Louis, facendo salire una mano sulla guancia di lei, che si era appena voltata con il viso nella sua direzione, riuscendo a scorgerlo con la coda dell’occhio, vista la scomoda posizione.
“Cosa?” Domandò curiosa, sorridendo divertita quando le dita di lui si chiusero intorno alla sua guancia, tirando lievemente il lembo di pelle, mentre con l’altra mano gli solleticava la pancia.
Schiaffeggiò via entrambe le mani, voltandosi con tutto il corpo verso di lui, sedendosi a cavalcioni sulle sue gambe, in modo tale che fossero faccia a faccia.
Si sporse in avanti, ponendo entrambe le mani sul viso del giovane, pigiando con una leggera pressione, in modo che il suo volto prendesse la strana forma vagamente somigliante a quella di un pesce rosso. Ridacchiò divertita come una bambina, facendo sorridere di riflesso il ragazzo, che lentamente le afferrò le mani fra le sue e le scostò gentilmente dal suo viso.
E la vide finalmente, quella dolcezza e innocenza che nascondeva dagli occhi di tutti, quasi come se avesse paura che qualcuno potesse ridurla in pezzi servendosi delle sue debolezze, delle sue paure. Servendosi di lei stessa.
Ne lasciò andare una, che con gentilezza si posò sul suo petto scolpito, tenendo ben stretta l’altra mano e avvicinandola lentamente alle sue labbra; sorrise nel vedere i suoi grandi occhioni verde bosco fissarlo attentamente, cercando di seguire ogni sua mossa e decifrare le sue intenzioni. Con dolcezza le baciò il palmo della mano, per poi spostarla sulla sua guancia e stupendosi di sentirla ancor poggiata lì, quando spostò le sue grandi mani sui suoi stretti fianchi.
 “Come ti trovi qui?” Riprese il discorso di prima, facendo rinvenire la ragazza dai suoi pensieri, mentre aggrottava le sopracciglia in un cipiglio quasi buffo.
“Bene.” Rispose confusa Julien, muovendo leggermente i polpastrelli delle dita che vennero pizzicati dal leggero strato di barba che ricopriva il volto del giovane. “Pungi.” Storse il naso lei, facendolo ridacchiare divertito per quell’espressione infastidita dal leggero prurito che si era formato sulle sue mani.
“Ah sì?” Domandò con tono di sfida, osservando la giovane annuire vigorosamente e decidendo allora di infastidirla ancor di più, avvicinò il suo viso nell’incavo del collo di lei e iniziò a sfregarlo contro la sua pelle, facendola sussultare e lanciare un gridolino per la sorpresa.
“Louis!” Sbuffò divertita, cercando di spingerlo via, ma quello prese a morderle dolcemente il collo e ella non poté trattenere un gemito di piacere, sentendolo succhiare accuratamente un lembo di pelle nell’incavatura del suo collo.
Passò entrambe le sue piccole mani dalle spalle di Lou ai suoi capelli, affondandole tra i ciuffi ribelli e disordinati, accarezzando la sua cute con estrema cura. Un verso d’apprezzamento sfuggì dalle labbra del ragazzo, che si accucciò ancor di più sul petto di lei, cingendole la vita con entrambe le braccia e portando il viso poco più su del suo seno.
“Julien?” La richiamò lui dopo minuti apparsi interminabili, alzando il viso dal suo petto e attirando la sua attenzione, sporgendosi in avanti e stampandole un piccolo bacio sulle carnose labbra.
Eff si ritrovò per un attimo stordita da quel gesto, ma ricambiò con la stessa passione e decisione del castano davanti a lei, stringendosi ancor di più verso di lui e sentendo le sue mani accarezzarle il corpo bramoso.
Le labbra che si muovevano agilmente le une sulle altre, sembravano conoscersi alla perfezione, incastrandosi e mordendosi a vicenda, prima con dolcezza e poi con rudezza, mischiando rabbia e passione con gentilezza e paura. Sentimenti così contrastanti ma adatti alla situazione.
“Fai l’amore con me Julien Eff Dixon.” Implorò con il respiro pesante Louis, pronunciando per la prima volta il suo nome per intero, lasciando di stucco la ragazza per quella richiesta improvvisa.
Rimase per qualche secondo gelata sul posto, continuandolo a fissarlo con le labbra schiuse e il cuore che aveva smesso di battere per qualche secondo, facendo sentire il ragazzo un tale idiota, che prese quasi in considerazione l’idea di alzarsi e andar via.
I suoi occhi azzurro cielo si scurirono improvvisamente, attraversati da un lampo di delusione che non passò inosservato alla giovane, che si affrettò a riprendere in mano la situazione, quando quello cercò di scostarla gentilmente da lui.
“No no, Louis.” Gli afferrò saldamente il viso tra le mani, mentre lui sviò il suo sguardo, puntandolo ovunque purché non fosso la sua piccola figura.
“Lasciami stare, Julien.” Sbuffò lui, togliendole le mani dal suoi viso, ma quella le riposizionò esattamente dov’erano prima, osservandolo con occhi disperati mentre quello cercava di alzarsi per andar via.
“Non andare anche tu via.” Lo supplicò lei con la voce spezzata, scuotendo leggermente il suo viso per far sì che i suoi occhi si posassero su di lei. “Ti prego.” Sussurrò piano, attirando l’attenzione del castano che all’udir quelle parole sussultò preso alla sprovvista.
La guardò attentamente e si accorse del dolore che trapelava dalle sue iridi, sentendosi una totale nullità, le stava facendo del male senza che se ne accorgesse.
Annuì piano, facendo scontrare le loro fronti tra loro, spingendo le sue labbra contro quelle di lei, facendole sfiorare rudemente tra loro. “Sono qui, non vado da nessuna parte.” Le disse in un sussurrò, cercando di farle capire che quella era la verità, che non sarebbe andato da nessuna parte senza di lei.
La vide sorridere piano, muovendo in affermazione il capo, chiudendo gli occhi e riaprendoli velocemente, lasciando che da essi trapelasse il bisogno che aveva di sentire il ragazzo parte di sé.
“Voglio fare l’amore con te, Louis Tomlinson.” Biascicò sinceramente e non servirono altre parole, si erano già detti abbastanza e le loro labbra erano troppo impegnate tra loro per lasciare spazio a qualcosa di così insignificante come le parole.
Perché entrambi lo sapevano, esse erano inutili, non servivano a niente, le parole erano come il vento, c’erano ma correvano ovunque, non rimanevano, scappavano via e con esse tutte le promesse fatte.
Si strinsero l’uno all’altra, completandosi a vicenda, avvertendo e compensando il bisogno che uno avvertiva per l’altro, parlando con gli occhi e amandosi con i gesti.
In quella sera ormai lontana, entrambi si concedettero all’altro, diventando complici, sporcandosi di un amore doloroso, condividendo un sentimento che prima o poi avrebbe ucciso uno di loro.
E tra quelle lenzuola aggrovigliate, giacevano due corpi innamorati e infedeli, nascosti dal calore di un enorme bugia che sarebbe crollata con la stessa velocità di un onda che si scaglia sulla spiaggia.
Tra quelle lenzuola, nacque un amore profondo e lacerante, morirono le divergenze e aumentarono le paure, si insidiarono nei loro cuori e nelle loro menti, distruggendoli lentamene.
Abbiamo iniziato a vivere entrambi, ma qualcosa si è rotto. 
 
 
 
All’interno di quella vecchia palestra, le cui mura cadevano a pezzi, si udivano solo i loro respiri pesanti e affannosi, uniti ai continui colpi sordi assestati al sacco da boxe, che appeso al soffitto oscillava pericolosamente. Insieme si stavano allenando da ben un’ora, alternandosi regolarmente dal tenere fermo il sacco all’altro a scagliarsi con tanta rabbia repressa contro di questo.
La porta cigolò quando i quattro ragazzi la spinsero con forza per entrare all’interno della vecchia e malandata struttura, decisi ad assistere per la prima volta agli allenamenti che i due tenevano tre volte a settimana, nascosti dagli occhi di tutti. Il discorso che stavano portando avanti per tutto il tragitto per arrivare alla –se vogliamo chiamarla così- palestra, cadde e i quattro amici si ritrovarono a corto di parole, sorpresi dalla scena che gli si presentava davanti.
I due ragazzi erano così concentrati nei loro esercizi che non si accorsero neanche della loro presenza e questi ne approfittarono, sedendosi lungo il vecchio muro da cui lo stucco pareva cadere a pezzi, ammirandoli come si fa con il proprio cartone animato preferito.
“Ancora venti, Juls.” Disse Liam, stringendo i denti e mantenendo fermo il sacco, in modo che la ragazza riuscisse a fare la sua ultima serie di pugni senza interruzione, se non per prendere la mira e concedersi qualche secondo per concentrarsi sui colpi da sfoderare.
Il corpo imperlato dal sudore di lei era racchiuso in un top che le arrivava fin sotto il seno, mentre le gambe erano fasciate in un largo pantaloncino da basket, generosamente offerto dall’armadio di Will qualche tempo prima. I muscoli si contraevano a ogni suo movimento, mentre la fronte rimaneva aggrottata in un cipiglio concentrato, quasi adorabile al sol sguardo.
“Cinque.” L’avvisò ancora, iniziando a contare ad alta voce i colpi che la ragazza dava al sacco, stoppandola una volta che ebbe finito, allontanandola gentilmente tenendola per una spalla.
Si guardarono per un secondo e sorrisero fieri del loro lavoro, mentre Julien saltellava ancora sul posto per tenere il corpo in movimento, sentendo i lunghi capelli, legati in una coda alta, sbatterle contro il collo umidiccio.
Liam camminò fin davanti a lei, facendole segno di seguire i suoi movimenti, in modo tale che facessero stretching e poi avrebbero potuto concedersi una doccia calda rilassante.
Iniziarono una serie di esercizi che entrambi trovavano maledettamente noiosi, parlottando tra di loro, ignorando i quattro fermi sulla porta che farfugliavano qualcosa sul loro conto, facendo finta di tirar pugni a vuoto come se fossero su un ring pronti a combattere contro qualcuno.
“E abbiamo finito.” Annunciò Liam, circondandole il collo con un asciugamano acciuffato chissà dove, avvicinandosi a lei e stampandole un affettuoso bacio sulla fronte, ricambiato da un gioioso sorriso.
“Attento a quello che fai, Payne.” Urlò Harry dalla porta, indicando con un’espressione fintamente terrorizzata il castano al suo fianco, che fissava i due con attenzione, come a voler marchiare il territorio con un solo sguardo.
Liam rise alzando le mani in segno di resa, facendo un occhiolino complice alla ragazza che rise sonoramente, afferrando una bottiglietta d’acqua e raggiungendo velocemente gli altri.
“E la ragazza pugile si avvicina con fare sexy allo sfigato di turno, che sbava come se non avesse mai visto un essere del sesso opposto, qualcuno porti un secchio al ragazzo o finiremo per allagarici!” Gridarono come se fosse dei telecronisti il riccio e l’irlandese, ridendo e schiacciandosi il cinque a vicenda, guadagnandosi uno sguardo omicida da Tomlinson.
“Ora vi faccio fuori.” Partì Louis, iniziando a correre in direzione dei due che lanciarono urletti poco virili, scappando nella direzione opposta, facendo ridere i presenti.
“Zayn!” Esclamò Julien in segno di saluto, quando lui le baciò la guancia e le arruffò i capelli, mentre guardavano divertiti i tre correre da una parte all’altra, lanciandosi insulti e battutine irritanti e infantili.
“Dieci sterline che Harry viene picchiato da Louis.” Rise Liam e Zayn subito gli strinse la mano in segno d’accordo, iniziando a fare il tifo per il riccio che urlava tregua contro il suo migliore amico.
Tanto presi quei due dal rincorrersi, si erano dimenticati del biondo, che sfinito si gettò sul pavimento al fianco degli altri, ancora presi dallo scontro che sarebbe nato fra i due.
E prima che se ne accorsero, Harry era inciampato sui suoi stessi piedi cadendo a terra, facendo si che il castano gli fosse addosso e iniziasse a tempestarlo di pugni giocosi in ogni parte dell’addome, mentre quello urlava pieta e cercava aiuto dagli altri.
“Sgancia i soldi, Malik.” E quello sbuffando tirò fuori le dieci sterline, mettendole malamente sulla mano tesa dell’amico, che ghignava entusiasta sotto lo sguardo divertito di Julien.
“Siete dei bambini!” Esclamò la castana, in direzione dei due che ancora stesi per terra si stuzzicavano a vicenda, ma che all’udire quelle parole alzarono il viso verso di lei e si sorrisero complici.
“Hai sentito, Lou? Ci ha detto che siamo dei bambini.” Sogghignò Harry, sotto lo sguardo attento di lei, che si accorse di come quelli si guardarono complici prima di scattare in piedi e correrle contro.
“Ti facciamo vedere noi chi sono i bambini.” Urlò Louis divertito, vedendo la ragazza scappare via con un’espressione spaventata dipinta in viso, che fece ridere tutti gli altri.
“Altra scommessa, Malik?” Iniziò di nuovo Liam.
“Ci sto, mi offri una pizza se vince Julien.” Rispose fiducioso il moro, ridendo e avvertendo già il sapore di un delizioso trancio di pizza in bocca, continuando a fissare i tre saettare da un lato all’altro, cercando chi di afferrare e chi di scappare.
“Sarà una lunga giornata.” Sentenziò Niall con il suo forte accento irlandese, bevendo un sorso d’acqua dalla bottiglietta che stringeva fra le mani, accennando un sorriso in direzione dei suoi amici.
 
 
Caro Diario,
Il tempo passa e non ho mai abbastanza tempo per scriverti, ma cerco di farlo il più spesso possibile, non posso tenermi tutto dentro, altrimenti scoppierei da un momento all’altro.
Voglio scriverti dei ragazzi, magari penserai che lo faccio spesso, ma questa volta voglio parlartene davvero, voglio farti capire realmente quanto bene hanno portato nella mia vita.
Sai, l’altro giorno camminavo nei corridoi della scuola, due ragazze mi hanno guardata e una ha detto all’altra “Non so cos’abbia, ma deve essere speciale. Non hanno mai permesso a nessuno di rompere il loro gruppo da cinque, ma lei c’è riuscita. Persino Rosie ha provato tantissime volte a far parte della loro cerchia, ma l’hanno sempre liquidata gentilmente.” E l’ho vista indicare una ragazza in lontananza.
Era bellissima, avresti dovuto vederla.
I capelli neri, gli occhi color cioccolato e il sorriso contagioso.
E sai per la prima volta me lo sono chiesta anch’io, perché avevano scelto me? Perché si erano avvicinato e fatto resistenza per abbattere le mie barriere? Perché non hanno mollato? O meglio, perché ci hanno provato?
Ho guardato i miei vestiti ed erano il doppio di me, ho visto il mio sorriso riflesso allo specchio –attaccato all’anta dell’armadietto- e sembrava più una smorfia mal riuscita.
Perché io?
Il carattere scontroso, gli occhi freddi e la gentilezza sotto i piedi.
Mi trattano come se ci conoscessimo da una vita, si preoccupano e cercano di fami sorridere, vogliono scavarmi dentro e portar via il doloro e la tristezza, ma probabilmente non sanno che quella non se ne andrà via facilmente, è arpionata così a fondo che non riusciresti a strapparla via neanche con tutta la forza di questo mondo.
Vorrei che capissero che magari stanno solo sprecando del tempo, che devono lascarmi andare e godersi la loro vita, che probabilmente succeda quel che succeda lascerei solo in ognuno di loro un indelebile cicatrice, nient’altro.
Niente felicità, niente amore, niente amicizia, niente lezioni di vita o che so’ io.
Lascerei solo dei dannati ricordi e ti assicuro, che sono probabilmente la cosa più detestabile e odiosa che io possa donargli; è come se impacchettassi il mio dolore e lo piazzerei nelle loro menti, come un fottuto regalo di natale, con il semplice particolare che magari riceverne uno ti farebbe piacere ma il mio avresti solo voglia di gettarlo il più lontano possibile da te.
 
L’altro giorno eravamo al bar, eravamo tutti lì a scherzare, ma è come se ognuno di noi non fosse realmente lì, è come se nonostante le nostre risate risuonavano fragorose nel locale, i nostri pianti disperati urlavano dentro di noi.
Li avevo guardati tutti negli occhi e avevo capito che nessuno di loro aveva mai fatto ciò che realmente voleva, che nessuno si era ribellato alla monotonia e aveva deciso di gettar all’aria i pareri della gente e far ciò che realmente avrebbero voluto.
Guardai Zayn e mi sentii così male, era lì che spiava di sottecchi la cameriera del bar, la famosa ragazza con cui era uscito, ma con cui non aveva mai avuto il coraggio di farsi avanti una seconda volta e chiederle di uscir nuovamente.
Vedevo nelle sue iridi il bisogno malsano dell’amore, lo leggevo nel modo in cui non appena ella si avvicinava, i suoi gesti diventavano pacati e leggeri, mi accorgevo di come il suo sguardo si rattristiva e la voce gli si spegneva. 
E forse per quello mi obbligai ad allontanarmi dal gruppo e piazzarmi davanti al bancone, cercando di interagire con quella ragazza all’apparenza dolce e timida –sembrava così adatta al mio amico, che non seppi resistere-, mi presentai e lei lo fece a sua volta, si chiamava Violet.
Sembrava quasi un fiore, aveva la stessa eleganze e femminilità di questo, si muoveva con una delicatezza estenuante nei movimenti, che finivano quasi per incantarti. Aveva un viso dai tratti infantili e indossava un grazioso vestito viola –e pensai che forse doveva essere uno strano scherzo del destino- a fasciarle il corpo gracile.
Le parlai a lungo, tanto che mi parve di aver perso la concezione del tempo, le dissi un sacco di cose su Zayn, rimanendo sul vago –mi sarebbe piaciuto che fosse stata lei a volerne sapere di più e a scavare in lui direttamente- e sembrò così presa e entusiasta che mi sentii soddisfatta.
E magari un giorno il mio amico avrebbe trovato l’amore che tanto cercava, lo sperai, sperai in parte che fosse lei.
 
Mi capitò di osservare Niall, quell’irlandese dall’accento buffo e il viso arrossato di natura, una persona così estroversa quanto insicura di se stessa.
Lui era così, rideva per nascondere le sue paure, il suo sentirsi inferiore e la voglia di voler emergere, smettendo di rimanere un ombra alle spalle dei suoi amici.
Lo vedevo nei suoi movimenti studiati, nei suoi sorrisi tutto labbra e niente denti, nelle sue risate esagerate e nel voler imitare in parte i suoi amici, sopprimendo la sua personalità, come se volesse che questa diventasse uniforme a quella degli altri.
Mi accorsi di come tra di noi, alle volte, si stringeva nelle spalle e incurvava la schiena, come a voler scomparire, facendosi piccolo su se stesso e fissando un punto in lontananza, perso tra chissà quali pensieri.
E sai, avrei voluto dirglielo, mi sarebbe piaciuto parlarci a quattrocchi e rivelargli quanto in realtà fosse sorprendentemente fantastico, confidargli che di lui fin da subito mi avevano colpito i suoi enormi occhi espressivi e il suo dolce sorriso.
Gli avrei spiegato che ognuno è perfetto a modo suo, che non serve nascondersi nella gente, non serve scavare nelle personalità degli altri in cerca della propria, ma vivere per come si è, affiancati dalle persone a noi care.
Perché, caro diario, lui non ha ancora capito che i suoi amici hanno desiderato sempre il vero Niall Horan al loro fianco e non un ragazzo che cerca di sopprimerlo.

 
Ho ancora qualcosa da scriverti, mancano all’appello tre altre persone importanti e –
 
 
 
 
 La pagina del diario rimase incompleta…
 
 
HI!
Salve gente…
SONO VIVA.
E’ già, mi dispiace moltissimo essermi assentata per così tanto tempo, ma ho avuto davvero molto da fare.
La scuola non mi dà tregua, il secondo bimestre si sta concludendo e ho solo pochi giorni per fare ben cinque interrogazioni a cui bisognano aggiungerci i vari compiti in classe.
Un caos.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, un po’ vago, ma sembrava adatto per dar vita al prossimo, che prometto scriverò il prima possibile.
Mi scuso per eventuali errori, ma la stanchezza mi sta uccidendo e mi rende quasi impossibile riuscir a tenere gli occhi aperti, ma vi assicuro che li aggiusterò al più prsto.
Fatemi sapere cosa ne pensate, ci tengo molto.
Ve se ama.
Baci.
-El.

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Capitolo 15
*** chapter fifteen. ***


15.

Quando il dolore ti raggiunge, non puoi scappare.
 
Il diario di Julien non era mai stato toccato da nessun altro all’infuori di lei, in molti l’avevano notato tra le mani della ragazza, erano stati tentati di aprirlo e leggerlo, ma nessuno lo aveva mai fatto davvero. Il motivo non mi è chiaro, probabilmente da bravi amici e da bravo padre, avevano deciso con un accordo tacito che nessuno l’avrebbe toccato, per darle il giusto spazio privato che le serviva. 
Eppur a distanza di otto anni, l’agenda in pelle nera e leggermente consumata sugli angoli esterni, era finita nelle mani di moltissime persone, era stata macchiata dalle lacrime di tanti, spettatrice di urla e singhiozzi strazianti, divulgatrice di ricordi e segreti rimasti per anni incantati tra le pagine ingiallite. 
 
 

Il chiacchiericcio infernale presente nella mensa scolastica, non faceva altro che aumentare l’emicrania di Julien, che se ne stava seduta ad un tavolo con i suoi amici e qualche altro studente della scuola, che per via del poco spazio e dell’affollamento che c’era si era dovuto accomodare al loro fianco.
“Allora è deciso, oggi da te?” Domandò Niall, portandosi alla bocca un enorme forchettata di purè di patate, una squisitezza per il suo palato, quasi quanto risultava riluttante per molti altri.
Gli altri studenti presenti al tavolo alzarono il capo curiosi, rivolgendo la loro piena attenzione al gruppo di amici, che come ogni volta battibeccavano sul deciderei cosa avrebbero fatto quel pomeriggio.
 “Per la centesima volta, sì Niall.” Borbottò il riccio, rivolgendo un occhiataccia a quei ragazzini impiccioni che stavano ascoltando senza scrupoli i loro discorsi, facendoli rinvenire e chinare i capi sopra ai loro piatti.
Spensierati continuarono a discutere del più e del meno, ridacchiando e portando con riluttanza forchettate di cibo -raccattato dal bancone della mensa, il cui solo odore ti faceva rivoltare lo stomaco.- alla bocca.
 “Andiamo Julien, solo per oggi!” Chiese implorante Zayn, facendo roteare verso l’alto gli occhi della ragazza, che all’ennesima supplica non riuscì a trattenere un sbuffo rumoroso per la sua insistenza.
“Non è proprio giornata, Malik, non intendo far altro che andare a casa e dormire.” Sbuffò lei, poggiando distrattamente il capo sulla spalla di Louis, che si affrettò a cingerle la vita per stringerla a sé e stamparle un bacio sulla tempia destra.
“Smettetela, siete troppo smielati.” Piagnucolò l’irlandese, beccandosi uno scappellotto in testa da Payne, che lo rimproverò per il suo continuo lamentarsi, facendolo zittire e mettere su un adorabile broncio.
Quella scena catturò l’attenzione di Ketrin, che storse il naso e arricciò le labbra contrariata, non potendo resistere nel maledire mentalmente quella stupida ragazzina che le aveva portato via il suo Louis; il ragazzo di cui era pazzamente innamorata da ben un anno, con il quale però era solo riuscita ad avere una relazione basata sul sesso e nient’altro. Ma a lei andava bene comunque, era così dannatamente innamorata che avrebbe fatto di tutto per star al suo fianco, anche solo donandogli tutto l’amore possibile attraverso quello che il ragazzo aveva sempre creduto fosse solo del sesso.
Perché lei in fondo non era così cattiva come appariva, seppur il suo comportamento -il volersi mostare superiore agli altri, il suo intimidire tutti e andarsene con altri ragazzi- non lo mostrava. Eppur Ketrin era solo una ragazza innamorata, che soffocava il suo amore non corrisposto contro gli altri, rendendoli tristi e infelici, facendosi amare e desiderare da altri ragazzi, solo per riempire la mancanza dell’unica persona che lei amava davvero: Louis Tomlinson.
“E così la piccola Julien si è fatta degli amici, mh?” Ghignò malignamente, facendo voltare i presenti verso di lei, che la guardarono confusi per quella sua interruzione fuori luogo.
La castana cercò di ignorarla, continuando a fissare il suo pranzo ancora intatto, che poco prima aveva schiacciato e ridotto in poltiglia con una forchetta, facendolo apparir ancora più disgustoso di quanto non lo fosse già.
“Sai mi chiedo come tuo padre, uomo così gentile che ho avuto il piacere di conoscere di persona, abbia potuto mettere alla luce una ragazza come te… Così dannatamente te.” Continuò la bionda con tono disgustato, catturando finalmente l’attenzione di Julien, il cui viso scattò velocemente verso di lei e la cercò di intimidirla con un occhiata folgorante.
“E tua madre dov’è, Julien? Mi dispiace per quella donna, sai dopo nove mesi di gravidanza, ritrovarsi con una figlia del genere.” Disse ancora, facendo sussultare i cinque che subito si voltarono verso la loro amica, visibilmente irrigidita e con gli occhi che ardevano di rabbia.
Non ne sapevano il motivo e non osavano neanche chiedere, ma avevano capito che l’argomento non doveva essere toccato in alcun modo, vista la reazione che la ragazza aveva ogni volta. Ma erano maledettamente curiosi, si chiedevano il perché quella desse di matto ogni volta o evitava il discorso, come se anche solo nominarla la innervosisse una maniera esagerata. 
Eppur Julien si sentì morire dentro, cercò in tutti i modo di calmarsi, ma sembrava terribilmente difficile farlo. Il respiro le divenne irregolare, le mani si chiusero in due pugni ferrei e i nervi del suo corpo si tesero come le corde di un violino.
Chiuse per un secondo gli occhi, avvertendo la rabbia divampare secondo dopo secondo, alimentata dai ricordi che si facevano spazio nella sua mente, infastidendola ancor di più.
 
 
“Dixon, ho visto tua madre ieri sera, era così fottutamente eccitante nel suo vestitino in pizzo.” Rise il solito idiota, spintonandola da dietro, facendo in modo che le cadessero i libri dalle mani e una volta a terra, tutti i suoi amici iniziassero a calpestarli e calciarli ovunque.
“Tappati quella bocca, Young!” Tuonò Julien, chinandosi per riappropriarsi dei suoi libri, stringendoseli poi gelosamente al petto, come se li stesse usando da scudo per andare avanti.
“Cosa hai detto, Dixon?” Urlò con tono minaccioso quello, avvicinandosi a lei con i pugni stretti e un sorriso malizioso sul suo viso. Le afferrò il mento con forza, alzandolo verso di lui e ghignando soddisfatto nel vedere la smorfia di dolore che le si dipinse sul volto. “Almeno mia madre non è una lurida puttana e non mi ha abbandonata come se fossi un cane.” Soffiò sprezzante sul suo viso, accarezzandole divertito la guancia, vedendola dimenarsi sotto al suo tocco.
Lo schiocco di uno schiaffo risuonò per l’intero corridoio e i presenti si voltarono ammutoliti per osservare la scena davanti a loro, in tempo per vedere il viso di Young arrossato e la mano Julien ancora ferma a mezz’aria.
“Ti sei scavata la fossa da sola, Dixon.” Ridacchiò malignamente.

 
 
 
Il respiro di Julien era diventato così pesante, che Louis ebbe paura che gli stesse venendo l’ennesimo attacco di panico, fece per muovere una mano, ma quella scattò come una molla e fu subito sulla bionda che ridacchiava divertita.
Il sorriso di quella si spense in un secondo, avvertendo la schiena venir a contatto rudemente con il tavolo sotto di lei, con così tanta violenza da farle mancare il respiro e strizzare gli occhi infastidita.
“Sei impazzita?” Urlò quella spaventata, cercando di allontanare le mani della ragazza che la tenevano ferma per la divisa da cheerleader nuova di zecca.
“Non nominare mia madre, stronza.” Sibilò Julien a un palmo dal suo viso, facendola rabbrividire per il tono glaciale che utilizzò, ma senza perdersi d’animo graffiò rudemente le mani della castana, che per il dolore improvviso si strattonarono violentemente dalla divisa.
“Non toccarmi, puttana.” Gridò Ketrin, tentando di alzarsi dal tavolo su cui era stata sbattuta malamente, ma la mano di Juls fu più veloce e le colpì la guancia con così tanta forza, da farla ricadere devastata sulla superfice liscia con un urlo strozzato.
“Julien!” Urlò Liam, precipitandosi sulla bionda per vedere che cosa le avesse fatto, mentre gli studenti presenti nella mensa borbottavano in silenzio, osservando la scena davanti a loro.
Zayn l’abbracciò da dietro, sussurrandole parole di conforto all’orecchio, cullandola lentamente e cercando di calmarla, allontanandola a piccoli passi dal tavolo su cui diversi studenti soccorrevano la cheerleader dolorante.
Eff ispirò bruscamente, riprendendo coscienza dei suoi movimenti e con un gesto brusco si liberò della stretta in cui era chiusa, guardandosi intorno spaventata, come se non si fosse resa conto di ciò che aveva fatto fino a quel momento. Con occhi sgranati indietreggiò, affrettandosi a voltarsi e a correre via, sotto gli sguardi perplessi dei presenti.
 
 


La schiena è poggiata malamente al muro in mattoni dietro di lei, le graffia leggermente la pelle lasciata scoperta dalla t-shirt corta, procurandole un bruciore snervante incredibile. Il respiro è calmo, anche se di tanto in tanto un singhiozzo silenzioso le sfugge dalle labbra schiuse, torturate dai denti fino ad arrivare al sangue dal sapore disgustoso per lei.
Ripensa a quello che è successo e si passa le mani tra i capelli, tirando disperatamente le ciocche incastrate tra le dita, grugnendo brutalmente e strizzando gli occhi infastidita.
Vorrebbe solo cancellare quello che è avvenuto, vorrebbe per una volta vivere la sua vita tranquillamente, senza che il passato gli si arpioni addosso e la riporti in basso, per gettarla nel fosso di dolore da cui aveva trovato la forza di uscirne. Ma ogni volta è sempre più difficile e non sa se questa volta riuscirà a portarsi nuovamente in salvo, sente di non aver più la forza di alzarsi e combattere, riesce ad avvertire il suo corpo sgretolarsi e sta volta le sue braccia non riescono a rimetterla in sesto, non da sole.
Sa di aver esagerato, ma non può lasciare che la sua tortura ricominci anche qui, non vuole che la gente continui a paragonarla a quella donna che lei prima non considera sua madre; almeno non dopo che quella l’ha abbandonata come se fosse la persona più inutile e insignificante su questo mondo.
Ricorda la sua espressione seria e disgustata mentre guarda la sua bambina in lacrime, sente ancora quelle parole di disprezzo che le perforano il petto, stringendo il suo cuore in una morsa dolorosa.
Non può sopportarlo, non ancora.
“Julien?” La voce spezzata di Louis è come un fulmine a ciel sereno, spalanca gli occhi spaventata e si ritira ancor di più contro il muro di cemento dietro di lei, incurante della sua schiena graffiata e sanguinante.
Le si avvicina e lei vorrebbe solo alzarsi e correre via, perché il suo sguardo attento è qualcosa che non riesce a sopportare, la sta studiando per capire che cosa intende fare e sa che non può resistere a lungo sotto quelle iridi cerule.
O scappa o crolla, lo sa bene.
“Puoi dirmi che cos’è successo lì dentro?” Chiede spezzando il silenzio che si era creato, cercando di risultare il più dolce possibile, si china alla sua altezza e le scosta gentilmente una ciocca dal viso, sotto il suo sguardo spaventato.
Vorrebbe prenderla tra le braccia e coccolarla fino a farla addormentare, l’unico momento in cui appare più tranquilla, senza che dai suoi occhi emerga la paura di quel qualcosa di cui nessune ne è a conoscenza. Vorrebbe stringerla a sé e farci l’amore ancora e ancora, sentendo la pelle di lei bruciare sotto il suo tocco delicato, baciandole ogni centimetro del corpo e modellandolo sotto le sue mani ruvide. Vorrebbe baciarla e abbracciarla.
Ma rimane immobile, in attesa di una risposta, con il respiro che sembra rallentare secondo dopo secondo e la voglia di scuoterla per le spalle per farla risvegliare dai suoi pensieri così confusi e offuscati.
“Non lo so.” Sussurra impaurita.
Ha lo sguardo puntato su di Louis, ma è come se guardasse il vuoto, non riesce a scorgere la sua figura, vede il nulla davanti a sé e persino le sue parole e il suo tocco delicato arrivano così ovattati, da sembrarle un immaginazione della sua mente malata.
“Julien.” La richiama, stringendole il viso tra le mani poste a coppa sulle sue guance, catturando almeno un briciolo della sua attenzione. “Io ti amo.” Ammette per la prima volta, ingoiando il groppo alla gola con il quale si è quasi strozzato per pronunciare quelle poche parole che tanto si sentiva di dire. E per la prima volta lo sguardo di Eff si illumina, sembra prender vita e il verde bosco si schiarisce così tanto da poter quasi brillare di luce propria. Lo fissa e finalmente lo vede, riesce a scorgere quell’unica persona che il suo cuore sente di amare; lo guarda come se fosse l’unica ancora di salvezza su cui aggrapparsi e forse lo è anche, ma lei si sente troppo stanca per fare anche solo la minima mossa e allora resta ferma, lascia che il peso del passato l’anneghi e la faccia sprofondare.
“Non puoi amarmi.” E sta volta la sua voce non è un sussurro, sembra quasi volersi imporre e Louis ne rimane confuso, perché quel suo obbligo è qualcosa che non può fare.
“Ho detto che ti amo, Julien.” Ripete con tono serio, premendo i suoi polpastrelli sulle sue guance incavate e pallide.
“Non puoi amarmi.” Farfuglia come se fosse caduta in uno stato di trance, schiaffeggiando via le mani del ragazzo e spingendolo per le spalle, allontanandolo da sé. “Perché ti sei innamorato di me? Io non posso amarti. Ti farò male, devi andare via… Tu no-non puoi amarmi.” Dice più a sé stessa che a lui, prendendosi la testa fra le mani e chiudendo con forza gli occhi, prima di calmarsi e fissarlo con uno sguardo così freddo e spento da farlo rabbrividire.
“Cosa c’è di sbagliato nell’amarti?” Domanda innocentemente e quasi lei vorrebbe ridergli in faccia, ma rimane solo ferma a guardarlo.
“Tutto, è complicato.” Ribatte, mentre Louis si alza ridendo istericamente e allontanandosi scuotendo il capo ripetutamente, con un sorriso amaro stampato sul viso.
“Segreti, Julien, non fai altro che costruirti dei muri intorno a te per tenere al sicuro i tuoi fottuti segreti.” Urla irritato, calciando con rabbia una lattina ammaccata, abbandonata sul marciapiede, cercando di non dare di matto lì con probabili passanti che potrebbero accorgersi di loro.
“Tu non sai niente di me.” Grida sulla difensiva, stringendosi le ginocchia contro il petto, come a voler stabilire un punto di divisione tra di loro.
"Ci sei arrivata finalmente, io voglio far parte della tua vita.” Risponde stremato, ma con tono pur sempre alto, fermando per un attimo la sua camminata sfrenata per poterla guardare negli occhi.
“Io non posso.” Sussurra piano, sul punto di poter scoppiare a piangere, torturandosi il labbro inferiore e piegando il capo verso il basso, provando vergogna di se stessa.
Sbircia con la coda dell’occhio per vederlo lì immobile che la fissa con la bocca socchiusa, sembra che dentro di lui tutto si sia rotto e sta volta non è più lei quella da salvare. La sta fissando in attesa che si rimangi le parole dette, lo sa questo, ma non si muove e Louis capisce che è finita, china il capo e va via con un sorriso amaro in viso e l’aria distrutta.
Una lacrima bagna i visi di entrambi.
Sono lontani, distrutti e dannati; lottano contro di loro e per loro, ma non sempre si può vincere.
Mi dispiace, amore mio.
 
 

Le sembrava che tutto vorticasse intorno a lei, voleva che per un attimo il suolo si fermasse e le lasciasse riprendere l’equilibrio che da un bel po’ a quella parte aveva perduto. Avvertiva il corpo accaldarsi sempre di più e disperatamente allargava il collo della sua maglietta, per far sì che l’aria pungente riuscisse a donargli almeno una leggera dose di sollievo.
Barcollante camminava per le strade della cittadina, appena uscita da una sciatta discoteca di periferia in cui aveva bevuto decine di bicchieri d’alcol e da cui aveva raccattato la bottiglia di rum che ora stringeva fra le mani.
La portò poco aggraziatamente alla bocca, bevendone un sorso abbondante, per poi grugnire infastidita accorgendosi di averla finita prima del previsto, maledicendosi per non avere i soldi necessari per comprarne una nel supermarket lì vicino.
Sbuffò annoiata, portandosi una mano sul ponte del naso, stringendolo e arricciando malamente le labbra per il dolore eccessivo alla testa. Era come se tutti i rumori intorno a lei arrivassero ovattati alle sue orecchie, stordendola più di quanto non lo fosse già. Avvertiva voci che erano presenti solo nella sua testa e questa cosa la faceva solo infuriare, non riuscendo a capire da dove provenissero.

 “Grazie per esserci, Juls, non saprei come fare senza di te.” Il suo viso saettò da un lato all’altro, cercando di capire dove fosse il moro, proprietario della voce che aveva appena sentito, eppur intorno a lei non riconosceva nemmeno un viso che le fosse famigliare.

“Non voglio andare nella casa abbandonata, vaffanculo.” La risata spontanea di Elisabeth si sovrappose alla voce calda e rassicurante di Zayn, facendola sussultare spaventata.

“Io ti amo.” Louis.

Il respiro le divenne irregolare, mentre traballante si voltava intontita, sentendosi quasi sul punto di poter scoppiare a piangere come una bambina.

“Eff, piccola, mi manchi.” Will.

E pianse silenziosamente, mentre chiudeva gli occhi e ondeggiava stordita, cercando di reggersi in piedi, cosa alquanto difficile visto tutto l’alcol presente nel suo corpo.

“Dixon, la panna no! Julien, se ti prendo!” Harry.

“Ancora una serie, puoi farcela, sei forte.” Liam.

“Pensate che qualcosa sia cambiato?” Lucas.

“Abbraccia, zio Niall, piccola francesina...” Niall.

“Al diavolo, vorrei non averti mai conosciuto.” Al.

Il respiro le divenne irregolare, mentre si abbracciò da sola e si strinse nelle spalle, singhiozzando come non mai.

“Sei una puttana come tua madre, Dixon.” Young.

“Patetica.”
 

Julien cadde sulle ginocchia, atterrando sul terriccio umido, iniziando a vomitare con così tanta foga, che si ritrovò a tossire disperatamente in cerca d'aria. Chiuse le mani in due pugni, incurante della terra che le sporcava, alzandosi lentamente e ripulendosi malamente il viso con il braccio, mettendo a tacere una volta per tutte le voci nella sua testa.
Si riprese e leggermente più lucida si decise a camminare per raggiungere casa, posto in cui suo padre avrebbe sicuramente dato di matto per questa sua ennesima bravata. Avanzò per attraversa la strada, ma d’improvviso un giramento di capo fece arrestare ogni suo movimento e all'udir il suono rude del clacson di un auto, quella si voltò velocemente e vide due fari accecanti avanzare nella sua direzione, eppur non si mosse di un centimetro, chiuse gli occhi e si isolò da tutto il resto.
Un sorriso sbilenco nacque sul suo volto, i rumori intorno a lei sparirono, motivo per cui non avvertì il clacson insistente e il tonfo decisivo che venne accompagnato dallo stridio delle ruote sull’asfalto. C’era solo lei e nient’altro.
Non sentì nulla.
Non c’era dolore dentro di lei, o paura, c’era consapevolezza; il suo corpo fu sbattuto al suolo come una stupida marionetta, ma i suoi occhi non si aprirono, rimasero chiusi. Le labbra erano tese in un sorriso triste, i lineamenti erano rilassati e la mente finalmente libera da qualunque pensiero.
Lei era libera.
Il sangue scorreva lungo il suo corpo, le circondava i tratti del viso ormai pallido, sfiorandole le labbra violacee e accarezzandole i lineamenti sinuosi del corpo.
Era immobile.
Una ragazza corse fuori dalla vettura, accasciandosi spaventata sul corpo sanguinante della giovane e lasciando che il suo urlo disperato squarciasse il cielo stellato di quella tranquilla nottata. Chiese aiuto supplicando alcuni passanti, rimasti immobili davanti alla scena, probabilmente rimasti segnati da ciò che era appena accaduto, qualcuno meno brillo compose il numero della polizia, altri rimasero fermi, c’era persino chi piangeva.
Il caos regnava intorno a lei, ma in tutto quel rumore le sue orecchie non avvertivano nient’altro che il nulla. Lei era diventata un’altra anima distrutta, che aveva perso il controllo della vita, finendo nel buio più totale.

Non so dirvi con certezza quanto tempo ci volle per far sì che il suo cuore cessasse di battere del tutto, ma ricordo ancora il rumore sordo del suo ultimo battito, che ancora rimbomba come un fievole eco per quella via.
E lo giuro, in quella tranquilla nottata ho visto il cielo andare in fiamme, sembrava ardere nello splendore delle stelle luminose che mi parvero richiamare a loro l’anima dannata di una ragazza tormentata.
Non c’era spettacolo più triste di quello, ve lo posso assicurare.
 

 
 
Ventiquattro ore prima...
 
Caro diario,
Ho commesso l’errore più grande che potessi mai fare, mi sono innamorata di Louis Tomlinson.
Non volevo che accadesse, non sono in grado di amare una persona, la ferirei e la manderei solo via; ed io sono egoista, non voglio che Louis mi abbandoni, ma non posso ferirlo.
E’ così bello, dorme come un bambino.
I capelli scompigliati, la bocca schiusa e della saliva che gli cola di traverso, le guance arrossate e il naso arricciato.
Non ho mai visto spettacolo più meraviglioso di questo, è come una benedizione per i miei occhi.
E’ un angelo, mi ha salvato.
Non potrò mai ringraziarlo abbastanza.
E’ riuscito a trovare in me qualcosa da amare, quando sarei solo una di quelle persone da isolare, da allontanare e disprezzare.
Non lo merito, io sono sbagliata per lui.
Mi dispiace così tanto, Lou, ti amo.
-Julien.
 
 
Hi!
Non temete non è l’ultimo capitolo.
Spero che vi piaccia, fatemi sapere che ne pensate.
Ve se ama.
Baci.
-El

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Capitolo 16
*** chapter sixteen - funerali. ***


19.

[Nota autrice: La storia sarà scritta in parte dal punto di vista del narratore. Buona lettura. x]

 

Ognuno di noi nella vita si pone migliaia di quesiti, la maggior parte risolvibili e l’altra parte no, per cui tendiamo a ignorarli e dimenticarcene con il tempo, accantonandoli in una parte della nostra mente, una parte difficile da raggiungere.
Perché a volte, mentire fa meno male della verità.
Io il mio grande quesito senza risposta l’ho trovato, non intendo dire come può essere nata in me questa domanda, perché è abbastanza facile capirne il motivo, tanto quanto diventa difficile per me parlarne… Quindi vengo al dunque.
Mi sono sempre chiesta se faccia più male vedere qualcuno andar via o assistere alla distruzione interiore di chi resta, perché giacere nelle macerie di ricordi passati e più difficile di quanto si pensa. Bisogna essere forti per trovare il coraggio di andare avanti o di cambiare pagina, ma non tutti lo sono.
Ho sempre visto gente ancorarsi al passato, ai tempi in cui le persone care erano ancora al loro fianco, ma non credo sia la soluzione adatta. E’ come se si costringessero a vivere e sperare per qualcosa che non c’è più, che non tornerà e che anche se volessero non possono riportare al loro fianco.
Mi sembra così devastante vedere la gente in lacrime, in preda a grida disperate, mentre muoiono interiormente, con la stessa velocità e facilità in cui si può morire fisicamente.
E’ così devastante guardarli, mentre le loro ferite faticano a divenire cicatrici, in memoria delle vecchie e dolorose esperienze, ma questa è la realtà che ci piaccia o no.
 
 
 
La sensazione che il cielo Londinese, di quella fredda giornata, li stesse prendendo in giro aveva sfiorato un po’ le menti di tutti, che angosciati dalla situazione non avevano potuto non notare i grandi nuvoloni grigi e minacciosi che incombevano sulle loro teste.
Il freddo pungente si insidiava nei loro cappotti rigorosamente neri, riuscendo a penetrarli nelle ossa, facendoli rabbrividire in balia alla strana e speranzosa sensazione che lei fosse lì con loro.
La sensazione che Julien Eff Dixon fosse ancora viva.
Ognuno di loro fissava sconcertato e addolorato la bara davanti ai loro occhi, che lentamente veniva adagiato su quel letto di terreno che avevano scavato appositamente per lei, per il suo gracile e pallido corpo senza vita.
Il silenzio era compromesso dai singhiozzi brutali dei presenti, dai continui tiri di naso e dalle parole biascicate con le labbra impastata della lacrime, parole simili a suppliche e domande bisognose di spiegazioni che non avrebbero mai ricevuto.
“Con il tempo andrà meglio.” Aveva sussurrato il prete durante la messa, eppure loro non ne erano tanto sicuri, perché il tempo non ricuce sempre le ferite, a volte le lacera completamente.
Così ognuno di loro aveva scelto di affrontare la situazione come meglio credeva, chi chiudendosi in sé stesso e chi dimostrando il proprio doloro con urla disperate e scene raccapriccianti che non sto qui a dirvi.
Il mio sguardo era caduto inspiegabilmente su Trevor Dixon, un uomo audace quanto forte, eppure in quel momento avreste dovuto vederlo per credermi. Grandi lacrimoni scorrevano lungo le sue guance, fino a bagnargli le labbra schiuse da cui uscivano grida terrificanti e singhiozzi strazianti. Era inginocchiato sul terreno umido della pioggia, a stringere tra le mani uno straccetto all’apparenza azzurro che apparteneva a sua figlia, mentre il corpo tremante faticava a reggersi dritto.
Trevor aveva perso l’unica cosa per cui lottava, l’unica famiglia che gli era rimasta, l’unica figlia che aveva e che avrebbe mai avuto. Perché è inutile prenderci in giro, il dolore può affievolirsi nel tempo, ma la perdita di un figlio è qualcosa che ti rimane per sempre, che ti si cuce addosso e che ti toglie il respiro, la voglia di vivere.
C’erano volti di gente che quasi mi stupii di vedere lì, ragazzi della scuola e non, ma tra tutti riconobbi Zayn Malik e fu come un colpo al cuore vederlo in quelle condizioni.
Stretto tra le braccia di Liam, mentre faticava a tenersi in piedi, troppo debole anche solo per provarci, con il viso rigato dalle lacrime e pallido come non mai, probabilmente la maggior parte dei presenti aveva la sensazione che di lì a poco sarebbe svenuto. Stremato si aggrappava alla maglietta dell’amico, tirandola così tanto che temetti si strappasse, mentre il suo respiro di tanto in tanto rallentava fin troppo che Liam era costretto a lasciargli quale schiaffetto sulle guance per farlo rinvenire.
Farfugliava a labbra strette il nome della migliore amica, ricominciando a piangere senza tregua, chiedendosi mentalmente il perché l’avesse fatto, il perché non si era scostata quando aveva visto l’auto andarle contro; ma le sue erano domande senza risposta.
Liam Payne, invece, stringeva nervosamente i denti per non permettere alle lacrime di venir giù ancora, deciso a non lasciarsi prendere troppo dal dolore, per poter controllare il resto dei suoi amici totalmente a pezzi e incapaci di reagire. Così fiducioso delle sue forze ingoiava il groppo che aveva in gola, mentre fissava malinconico la bara in legno ormai coperta in gran parte dalla terra, sentendo il cuore sprofondargli nel petto.
A pochi passi di distanza, inspiegabilmente immobile e congelato sul posto, vi era Harry Styles. Il respiro irregolare, gli occhi sgranati e vuoti, da cui nessuna lacrima era fuori uscita e la mente annebbiata davanti a quella tragica situazione. Era come se fosse caduto in una specie di trance e non percepisse niente intorno attorno a sé.
Era rimasto segnato dall’accaduto, probabilmente traumatizzato dalla morte precoce della sua amica, quella ragazza misteriosa che era entrata nelle loro vite così in fretta tanto quanto ne era venuta fuori; ma Harry lo sapeva, il suo ricordo non gli avrebbe mai abbandonati e ancora non aveva capito se questo fosse un bene o un male. 
Niall Horan osservava la scena da lontano, tentato dall’alzarsi da quella vecchia panchina su cui si era rifugiato per raggiungere l’amico dalla chioma riccia e scuoterlo violentemente per farlo rinvenire dal suo stato di shock; ma era come se i suoi muscoli non rispondessero e il suo corpo fosse diventato fin troppo pesante per muoversi. Così distrutto poggiò la testa sulle ginocchia portate al petto e nervosamente scoppiava a piangere, tirandosi alcune ciocche di capelli incastrate nelle dita della mani, soffocando le urla contro il tessuto dei suoi jeans, dondolandosi come una bambino appena sveglio da un incubo, che aspetta che la madre che lo venga a calmare.
Ma quello non era un incubo e nessuno sarebbe andato da lui per tranquillizzarlo, perché quella era la realtà e la gente era troppo concentrata a occuparsi del proprio dolore per poter scacciare anche il suo.
Poi mi accorsi che a volto l’amore, anche quello fraterno, in queste situazioni, finisce per logorarti l’anima, per far morire una parte di te stesso che se ne va con lei, perché nient’altro può fare.
E mi sentii male a guardare quei quattro ragazzi francesi, seduti sul terreno a gambe incrociate, gli uni stretti agli altri, sussurrandosi parole d’incoraggiamento. Vedevo le occhiaie violacee sotto i loro occhi, segno che non dormivano da giorni, mentre le lacrime scorrevano veloci sulle loro goti e i loro singhiozzi venivano strozzati a mezz’aria da urla sorde, ma pur sempre così rumorose.
Quella grida ti entravano dentro, ti segnavano, lasciavano che qualcosa dentro te cambiasse, perché solo udendone il suono così atroce e sofferente ti accorgevi di ciò che provavano.
Perché quei ragazzini erano così simili tra loro, ognuno con i propri segreti nascosti nel fondo dei loro armadi, ognuno con famiglie che andavano in pezzi o e che faticavano a tenersi in piedi. Così si erano fatti coraggio, si erano aiutati a vicenda, si erano sostenuti e insieme avevano costruito la loro famiglia, la più solida e bellissima famiglia che avessero mai avuto. La stessa che stava andando in pezzi.
A volte, non hai nemmeno le capacità di descrivere i sentimenti che una persona prova, è così che mi sento a dovervi raccontare di cosa Louis Tomlinson provava a guardare quell’angosciante scena.
I suoi sentimenti erano così in contrasto tra loro che quasi mi sembra stupido provare a elencarli, vi era rabbia, tristezza, odio e amore. Perché nonostante l’accaduto, lui la amava e probabilmente avrebbe continuato a farlo per il resto dei suoi giorni, magari anche quando si sarebbe costruito una famiglia tutta sua, avrebbe pensato a lei e ai suoi grandi occhioni verde bosco e una lacrima si sarebbe trascinata stanca sul suo viso.
Louis non aveva le forze per fare niente, il suo cuore sembrava essere sprofondato nel baratro più totale quando venne a conoscenza della not0izia straziante e ancora non aveva trovato una via di uscita per venirne fuori.
Lui credeva di star per impazzire, la ragione era dovuta al fatto che quasi era scoppiato a ridere istericamente nel scorgere le frasi incise sulla lapide in pietra della giovane ragazza. La chiamavano lottatrice, perché non si era mai arresa, così almeno vi era scritto e lui non seppe se farsi perdere da una crisi isterica o se scoppiare in un pianto disperato.
Perché non era affatto vero e la cosa lo mandava totalmente fuori di testa, odiava il fatto che mentissero così spudoratamente su di lei, solo per renderla migliore di com’era agli occhi della gente.
Lui lo sapeva, Julien non era una che amava lottare, più che altro preferiva scappare a gambe levate davanti alle difficoltà e quella volta non era stata da meno, aveva preferito scappare e prendere la via più facile, quella senza ritorno ma che dietro avrebbe lasciato una strage di feriti. Ma a lei non importava, non di certo, era così egoista che anche quella volta aveva preferito al sua felicità e libertà a quella degli altri.
Perché è inutile mentire, chi muore ti rimane sempre dentro.
E Louis non sapeva se l’avrebbe mai perdonata.
Però quel giorno mi venne spontaneo chiedermi se è possibile amare una persona dopo averla abbandonata, distrutta, disprezzata? Perché tra quelle persone scorsi la più improbabile, tant’è che mi sembrò il minimo accertarmi se fosse realmente lei o se mi stessi sbagliano.
Ma i miei occhi non mi avevano mentito, quella era realmente Chantal Jefferson, la madre di Julien.
Quel giorno non compresi cosa volesse significare la sua presenza lì, ma giuro di aver visto una lacrima scivolare lentamente sulla sua guancia, prima che venisse spazzata via dalla sua accurata e affusolata mano.
 
 
 
 
“Scusate per avervi fatto perdere del tempo venendo qui, ma volevo mostrarvi questo.” Sussurro pacatamente Trevor, sedendosi distrattamente sulla poltrona in pelle nera, davanti a quei nove ragazzini dall’animo distrutto.
Lo guardavano stanchi e con gli occhi contornati da occhiaie, perché nonostante fosse passato un mese dall’accaduto, nessuno di loro era riuscito a fare sogni tranquilli che non includessero la presenza di Julien che pareva volerli torturare.
“Ma, ecco, sono stato nella stanza di Jul-ien e ho trovato questo, lo teneva sempre con sé e mi piacerebbe concederlo a voi, magari avete il coraggio di aprirlo.” Biascicò lentamente, rigirandosi il diario appartenuto alla figlia tra le mani, per poi lasciarlo sul tavolino in cristallo lì davanti, solo dopo avergli concesso un ennesima carezza.
“Sei sicuro, Trevor?” Chiese Al preoccupato, ormai in totale confidenza con uno degli uomini che l’aveva visto crescere, grattandosi pensieroso l’accenno di barbetta sugli zigomi.
“Si, probabilmente non avrei la forza di leggerlo, ma voi sì e sarebbe bello visto che lo teneva sempre con sé da beh, voi sapete.” Tentennò quello, cercando di non far riaffiorare le lacrime di dolore per il ricordo ancora vivo di sua figlia.
“Noi no, però.” Parlò velocemente Zayn, pentendosene subito dopo e accennando velocemente un sorriso di scuse nei confronti dell’uomo, chinando il capo verso il basso in imbarazzo.
“Non preoccuparti, a quanto pare non ha avuto il coraggio di dirvelo o il te-tempo.” Si bloccò per una manciata di secondi, ingoiando il groppo che gli era salito fino in gola. “Quando sua madre decise di andarsene, lasciando me e abbandonando lei.” Continuò, sorridendo fievolmente per non far trasparire il dolore da quella parole.
E finalmente molti pezzi del puzzle si ricomposero, capirono il perché di quella strana fobia che la castana aveva nel sentir pronunciare il nome della madre, il suo dare di matto ogni volta.
Ma c’erano molti altri buchi, molte incognite e se quella storia si sarebbe completata con la lettura di quel diario, ognuno di loro l’avrebbe preso con sé, consumando pagina dopo pagina con la propria curiosità. Ognuno di loro avrebbe vissuto la sua vita, avrebbe svelato i suoi segreti e in fine, l’avrebbe terminata.
Perché la sua storia era finita.
Trevor li lasciò soli a decidere, mentre stanco si diresse verso le scale per tornare nella sua camera da letto, sicuramente dove avrebbe riversato altre lacrime, dove si sarebbe chiesto se fosse stato un buon padre e incolpandosi sulla sua convinzione di non esserlo stato, ma non prima di aver ricordato ai ragazzi che avrebbero potuto prendere ciò che volevano in ricordo di Julien.
Così i nove discussero razionalmente su chi avrebbe tenuto per primo quel diario colmo di pagine scritte, di fogli, foto, disegni e pagine di libri strappati. In seguito si guardarono negli occhi e non vedevano più le rivalità, le differenze, l’essere estranei, ma si guardavano come dei ragazzi distrutti dalla stessa arma.
Si strinsero in un abbraccio silenzioso, soffocando i singhiozzi silenziosi e le amare lacrime, colmando a vicenda il vuoto che quell’unica persona aveva portato dentro tutti loro.
“Per Julien.” Sussurrò Liam, allontanandosi dall’abbraccio e guardando negli occhi tutti i presenti, non convinto che l’avessero sentito.
“Per Julien.” Parlarono in coro gli altri.
E in qualche modo Julien era come viva in quella casa, riuscivano a percepirne il suo delizioso profumo, pesca e tabacco, la sua sonora risata scivolava come echi sulle pareti e il suo tocco leggero importunare leggermente i loro corpi.
Sta volta ti sentiamo, ma è troppo tardi per aggiustare le cose.
 
 
HI!
Come state?
Spero che il capitolo vi piaccia.
Vi state chiedendo se sia l’ultimo? Beh, non lo è.
Ci saranno altri capitoli, con pagine di diario, pensieri e quant’altro.
Continuate a seguire la storia, non ve ne pentirete.
Ve se ama.
Baci.
-El

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Capitolo 17
*** Il diario nelle mani di Niall. ***


22.
 

Le mani tremolanti sfiorarono esitanti la copertina rigida di quel diario, mentre lentamente vi aprivano la prima pagina, accarezzandolo e trattandolo nel migliore dei modi, come se avessero paura di poterlo rovinare e spezzare quella strana magia che l’avvolgeva.
Niall aveva quasi paura nel tenerlo così stretto a sé, quasi spaventato delle cose che avrebbe potuto leggere, dei segreti che l’avrebbero sconvolto e delle verità che gli sarebbero state spiattellate in faccia. Quel diario conteneva la vita di Julien e lui non era sicuro di essere abbastanza forte per reggerla, per non rimare ferito da quel dolore, per riuscire a leggerla senza crollare.
Ma ormai era giunto il momento e non poteva tirarsi indietro, non adesso.
Sorrise leggermente, osservando le prime pagine scritte con una grafia poco ordinata, tipiche dei bambini che usano fare le lettere di grandezze e caratteri diversi; e si sentì male nel dover entrare nei pensieri di una bambina di appena otto anni, ma era suo dove farlo, almeno per scoprire chi era in realtà Julien Eff Dixon.
Si mise comodamente seduto sul suo letto, con le spalle ben poggiate alla spalliera e le gambe tirate al petto, usandole per reggere il diario davanti a sé.
 
 
Caro diario,
Oggi è successa una cosa strana.
Ho portato alla mamma il disegno che avevo fatto a casa di Will, ma lo ha strappato, dicendo che se avrei continuato a fare queste cose non sarei mai cresciuta.
Dice che lo ha fatto per me, ma ho pianto tanto e quando è arrivato papà si sono messi a litigare per colpa mia.
La mamma ha detto tante cose brutte e ha rotto un piatto, ma papà mi ha portata via, non volevo che succedesse, mi stento tanto in colpa.
Ho comunque preso il disegno da terra, Will aveva detto che era uno dei più belli, così l’ho aggiustato con il nastro adesivo, è venuto un po’ male, ma non fa niente.
Ora vado, non voglio che la mamma mi trovi sveglia.
Ciao, la tua Julien.
 

 
Lentamente estrasse un piccolo foglio ripiegato, che era stato infilato accuratamente fra le due pagine, aprendolo davanti a sé, facendo attenzione a non rovinarlo. Era il disegno che lei citava nel testo, non poteva esserne sicuro, ma gli errori nel colorare e la presenza di nastro adesivo, sembravano abbastanza per confermare la sua teoria.
Si immaginò una piccola Julien di soli otto anni, con le guance ancora bagnate e arrossate per il pianto, mentre attentamente ricongiungeva i pezzi del suo capolavoro, sentendosi nonostante tutto fiera di sé. E sì, ce la vedeva lì tutta concentrata, doveva essere andata proprio così.
Percorse accuratamente i segni degli strappi con un dito, sorridendo fievolmente e imponendosi di rimettere il disegno dov’era e di proseguire la sua lettura.
 
 
Caro diario,
Non è cambiato molto dall’ultima volta che ti ho scritto, quasi mi sembra stupido essere di nuovo qui a farlo, ma nonostante la monotonia mi trovo costretta a farlo, altrimenti potrei esplodere se continuo a tenermi tutto dentro.
Lo sai, il liceo per me è un inferno.
Le persone non sono come immaginavo e si comportano molto peggio di come pensavo, allora è vero quando dicono che gli adolescenti sono stupidi e senza un briciolo di cuore.
Li odio così tanto, non fanno altro che avercela con me, il motivo ormai è anche inutile provarlo a spiegare, perché loro che ne sanno? Niente, se ne fregano di ciò che puoi provare, prendono la tua vita e l’accartocciano come se fosse un inutile foglio di carta, iniziando a giocarci finché non lo riducono in un macero di scartoffie irriconoscibile.
Più di tutti non sopporto Young, è così pieno di sé che solo a sentirlo parlare mi viene da vomitare. Dovresti vedere come si atteggia, ma è facile per lui che ha dei genitori che esaudiscono ogni suo desiderio con uno schiocco di dita. Qualcuno dovrebbe spiegargli che la vita vera non è così, che prima che se ne accorga si ritroverà in mezzo a questo schifo di vita che tutti noi conduciamo.
Avresti dovuto vederlo oggi, il suo sguardo infuocato dopo che la mia mano aveva lasciato una scia rossa sulla sua guancia paffuta, le sue minacce sussurrate tra i denti mentre si affrettava ad andar via.
Ha giurato di farmela pagare, non che io abbia paura, ormai non può andare peggio… Le minacce, il vederli prendersi continuamente gioco di me, le violenze.
Il corso di boxe va molto meglio di quanto pensavo e forse dovrei ringraziare Al per questa splendida idea, almeno posso sfogare la mia rabbia senza far del male a nessuno, senza finire nei guai e ancor meglio posso difendermi meglio di come già faccio.
Ora vado, è davvero tardi e se papà mi troverà ancora qui, credo che darà di matto.
A presto, Julien.

 
 
Scorse velocemente le pagine davanti a lui, ormai così preso da quel diario da aver quasi paura che qualcuno glielo togliesse prima che avrebbe potuto finire di leggerlo. Aveva capito molte cose, altre sarebbero rimasti misteri sepolti assieme al suo fragile corpo e altre ancora le avrebbe scoperte in seguito; ma in una cosa c’era arrivato, la vita di Julien non era mai stata troppo clemente con lei, allora aveva capito il perché dei suoi comportamenti restii, il suo fidarsi poco e il suo chiudersi in se stessa.
Eppure il suo voler allontanare tutti da sé, l’aveva portata ai confini della pazzia, spingendola a compiere quel gesto tanto azzardato che era riuscito a strapparla via da tutti loro.
E quella volta se lo chiese davvero, quanto dolore aveva sentito prima che il suo cuore avesse cessato di battere? Non sapeva se avrebbe voluto sapere la verità davvero, ma per adesso gli bastava pensarci un po’, immaginandola chiuder gli occhi e addormentarsi piano piano, senza però risvegliarsi mai.
Aveva deciso che no, la sua amica non aveva sofferto, perché pensarla in questo modo faceva meno male di una possibile verità.
 
 
Caro Diario,
Come avrai notato non sono stata in grado di mantenere la mia promessa, e non ho ancora trovato un nome adatto a te... Ma giuro, ci ho pensato.
Cosa potrei raccontarti?
Non posso semplicemente dirti che la vita va', per cui mi sono ripromessa di raccontarti qualche semplice dettaglio delle mie giornate.
Oggi ho reagito a una provocazione nella mensa della scuola e credo che ora quello stupido nomignolo tornerà, ed io sarò solo di nuovo 'la ragazza ombra.'. Ma sta volta se lo sono cercati, non lascerò che mi trattino come un vecchio zerbino. Sono umana anch'io.
Ammetto che avrei voluto darle una buona lezione, ma l'ho trovato esagerato in quel momento; e poi sicuramente se l'avessi fatto sarei finita davvero nei guai, sta volta.
Devo cercare una palestra, ho bisogno di sfogare le mie pene nella boxe... Magri poi riuscirò a non scoppiare come se fossi una bomba con i minuti contati o, almeno, riuscirei a non farmi prendere da questi attacchi improvvisi.
Sai, anche oggi ho chiamato i ragazzi, ma ho parlato solo con Al e non ho avuto il coraggio di raccontargli dell'accaduto; ho preferito ascoltare lo schema di gioco che avrebbero dovuto usare nella partita di questa sera.
Non gli ho detto che mi manca, credo che lascerò passare un po' di tempo prima di confessarglielo. Potrà sembrare stupido, ma credo che solo quando mi troverò in difficoltà lo ammetterò.
In ogni caso, non ti ho mai raccontato di quel biondino di nome Niall che si è presentato durante la lezione di matematica... Ma non credo che ce ne sia bisogno dato che a quanto pare quel 'Benvenuto' che mi ha detto era solo di circostanza.
Durante l'avvenimento della mensa, l'ho visto ridere insieme ai suoi amici e ho capito quanto stronzo in realtà fosse. Ma non gliene faccio una colpa, ci sono abituata ormai.
Vorrei tanto tornare a Parigi, diario... Mi manca.
Ti saluto, a papà non piace aspettare per la cena. A presto.
Julien.

 
 
 
E Niall non poté non sorridere dopo tutto, aveva parlato di lui ed era risultata una cosa davvero molto strana, soprattutto perché lei lo aveva chiamato apertamente “stronzo”, non che si fosse offeso, anzi era scoppiato in una risata allegra e sonora ricordando il loro primo incontro.
 
 
"Ciao, io sono Niall Horan." Si presentò sussurrando e porgendole la mano, cercando di non farsi scoprire dal professore che aveva ripreso la sua noiosa spiegazione.
"Piacere." Strinse la sua mano lei, sorridendogli.
"Tu, invece, sei Julien?" Chiese lui felice con il suo accento irlandese.
"Esatto! Ma chiamami Juls, se ti va." Sussurrò lei, quando il professore le riservò un occhiata furente sorprendendola a chiacchierare apertamente.
Niall le sorrise, volgendo il suo sguardo sulla lavagna, fingendo un’espressione interessata e pensierosa. Lasciando credere al professore che fosse più che interessato a quell'equazione, scritta con un gessetto ormai consumato su quella vecchia e arrugginita lavagna.
"Allora, benvenuta Juls." Esclamò Niall sorridente, continuando a tenere lo sguardo fisso sul professore davanti a loro.

 
 
Eh sì, Julien è sempre stata un mistero, ma lui lo ricordava ancora quel grande sorriso che si era impadronito sul suo volto quando le aveva dato il benvenuto. Non l’avrebbe mai dimenticato, per nulla al mondo.
 
 
 
(…)
Mi capitò di osservare Niall, quell’irlandese dall’accento buffo e il viso arrossato di natura, una persona così estroversa quanto insicura di se stessa.
Lui era così, rideva per nascondere le sue paure, il suo sentirsi inferiore e la voglia di voler emergere, smettendo di rimanere un ombra alle spalle dei suoi amici.
Lo vedevo nei suoi movimenti studiati, nei suoi sorrisi tutto labbra e niente denti, nelle sue risate esagerate e nel voler imitare in parte i suoi amici, sopprimendo la sua personalità, come se volesse che questa diventasse uniforme a quella degli altri.
Mi accorsi di come tra di noi, alle volte, si stringeva nelle spalle e incurvava la schiena, come a voler scomparire, facendosi piccolo su se stesso e fissando un punto in lontananza, perso tra chissà quali pensieri.
E sai, avrei voluto dirglielo, mi sarebbe piaciuto parlarci a quattrocchi e rivelargli quanto in realtà fosse sorprendentemente fantastico, confidargli che di lui fin da subito mi avevano colpito i suoi enormi occhi espressivi e il suo dolce sorriso.
Gli avrei spiegato che ognuno è perfetto a modo suo, che non serve nascondersi nella gente, non serve scavare nelle personalità degli altri in cerca della propria, ma vivere per come si è, affiancati dalle persone a noi care.
Perché, caro diario, lui non ha ancora capito che i suoi amici hanno desiderato sempre il vero Niall Horan al loro fianco e non un ragazzo che cerca di sopprimerlo.

...
 

Il suo respiro divenne irregolare, le guance paffute e rossastre vennero inondate dalle lacrime che scorrevano a fiumi sul suo tondo viso. Le mani tremanti accarezzavano le scritte presenti sulla carta, mentre una lacrima si depositava tristemente al loro fianco.
Si sentì male, quella ragazza era riuscita ad entrargli dentro, a insidiarsi nei suoi più grandi e oscuri segreti, si era fatta spazio nelle sue insicurezze e si era divertita a scovarle una a una. Era così strano, Julien appariva ai loro occhi come una ragazza a cui non importava di niente e di nessuno, eppur lei vedeva tutto e taceva, voleva aggiustare ciò che in loro si era rotto, ma non ne aveva avuto tempo.
Era come se avesse calcolato tutto, aveva parlato di ognuno di loro, ringraziandoli, scrivendo dei loro segreti e cosa lei pensava, di come secondo lei avrebbero dovuto affrontare la vita di petto perché erano dei ragazzi fantastici… E aveva deciso di andarsene, senza rimpianti, senza preoccupazioni. Quello che avrebbe voluto dire e scritto lì, tra quelle pagine, non aveva niente che la tenesse ancora ancorata in quella vita che lei per prima odiava.
Julien aveva calcolato tutto, ma loro erano stati troppo stupidi per accorgersene.
Ma Niall tra quelle lacrime sorrise, lei lo aveva capito e l’aveva apprezzato in tutti i suoi difetti e le sue incertezze, aveva detto cose di lui che nessuno era stato capace di dire.
E iniziò ad apprezzarsi lui per primo, così chiuse gli occhi e “Io sono così, la gente deve apprezzarsi per come sono.” Sussurrò sorridendo leggermente.
 
 
Personalmente credetti che in quel momento Julien era lì con lui, ma non me ne importò più di tanto, ero molto più concentrata a guardare gli occhi di Niall brillare di una nuova luce, perché qualcosa in lui era cambiato e non potei far a meno di esserne contenta.
Grazie, piccola Julien.
 
 
HI!
Si, sono viva.
Il capitolo precedente è stato molto triste, non che questo sia la felicità, ma è qualcosa di meno deprimente.
Spero vi piaccia e mi scuso per il ritardo, ma come sapete siamo agli ultimi giorni di scuola e i professori sembrano assatanati.
Mi capite, no?
Beh, ora scappo.
Ve se ama, baci.
-El

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Capitolo 18
*** Il diario nelle mani di Zayn. ***


Il diario nelle mani di Zayn.
 
La mattinata si presenta piovosa e fredda, quasi perfetta per quello che sta per accadere da un momento all’altro, ma nessuno ci fa troppo caso, neanche il diretto interessato, che passivamente osserva il cielo dalla finestra della cucina, seduto comodamente al tavolo mentre consuma la sua colazione.
Il moro beve a piccoli sorsi la bevanda calda che stringe tra le mani, tanto caffè e poco latte, come piace a lui. Di tanto in tanto morde il cornetto al cioccolato, ormai tiepido, mentre lancia qualche occhiata stanca fuori dalla finestra, sperando che il tempo si migliori con il trascorrere della giornata.
Quella notte non è riuscito a dormire, ancora una volta l’ha sognata e Zayn non ne può più, si sente distrutto, il suo corpo non regge la mancanza di sogno e il caffè sembra non far più effetto su di lui. I suoi sogni sono maledetti e non sa se darsi la colpa di quello, perché in parte sa’ di essere fin troppo attaccato al passato per riuscire a dimenticare, e la sua mente si prende gioco di lui, punendolo.
Si guarda intorno, finché il suo sguardo non cade sull’unico oggetto che ha evitato per settimane; il diario di Julien è lì a pochi centimetri da lui, non sa resistere, così alla fine cede e lo prende in mano, sospirando pesantemente.
Zayn è consapevole che quel diario finirà per sconvolgerlo, se lo sente un po’ a pelle, ma a confermarglielo è stato lo sguardo dell’irlandese mentre si accingeva a consegnargli l’oggetto. L’aveva letto in quelle iridi marine che qualcosa in lui era cambiato, ma Niall sorrideva come non aveva mai fatto, sorrideva di pancia e di cuore, sorrideva con gli occhi.
Così si fa forza, slaccia il cinturino che chiude il diario e si accinge a sfogliare velocemente le pagine, stando attento a non far cadere i vari fogli che sono incastrati tra le varie pagine. Li accarezza quei fogli, piano e con grazia, lo fa con la punta delle dita per paura che si sciupino, ma quelle sono già mal ripiegate e strappate, scarabocchiate e accartocciate.
Rispecchiano un po’ Julien e il moro non può far a meno di sorridere, quando ci pensa e si accorge di quella verità, poi però il suo sorriso muta, diventa triste e i suoi occhi si fanno disperati, un leggero odore di tabacco arriva fin sotto alle sue narici, che brutalmente ispirano a gran polmoni; lo riconosce quel profumo, quell’aroma che tanto ha respirato in quei tempi, è l’odore di Julien.
Ma ignora i brutti presentimenti che si fanno spazio in lui e inizia a leggere, sembra che nulla possa fermarlo, i suoi occhi scorrono riga per riga, si commuove e a volte ridacchia anche.
Sorride e poi piange, singhiozza e urla, sorride e si dispera.
Zayn crede di impazzire, avrà letto una cinquantina di pagine, ma la sua è una fame insaziabile e continua, nonostante il suo cuore sprofonda pagina dopo pagina, il cervello gli impone di continuare e così fa. Continua a leggere e ignora la bevanda ormai fredda, il suo telefono che vibra sul cuscino del divano e persino il vociare della tv accesa nel salotto.
Ha bisogno di sapere, è un suo diritto, tutto lo devasta ma lui non demorde, non può chiudere, sa’ che poi non avrà la forza di continuare, sa’ che il suo buon senso riuscirà ad avere la meglio e a far sì che si sbarazzi di quel diario. Ma lui non vuole.
 
                                        
Caro diario,
La professoressa di italiano oggi ci ha parlato dell’amore, lo ha chiamato l’argomento “di massima importanza”, uno dei tanti che deve essere trattato con cura e massima serietà.
Ci ha parlato in generale di come il termine “amare” viene inteso nella società, ci ha detto di come questo sembra essere mutato negli anni, che abbia preso varie forme e veri significati.
E’ stato bello, non che mi sia interessata particolarmente, non credo più a nulla del genere, lo sai come la penso su questi argomenti tabù per me.
Ho pensato alla mamma e a papà quando la professoressa ha parlato di “amore vero”, quello che una coppia decide di sigillare con una promessa –finché morte non ci separi- e di come i due partner decidono di unirsi e dare vita al frutto del loro amore, i figli.
Qualcuno dal fondo della classe ha ironizzato su di me, sulla mia famiglia, ha fatto una battutina sarcastica sul fatto che quella donna ormai sembra aver fatto suo il concetto “famiglia allargata” –o almeno così lui ha detto, non credo ne sappia il vero significato-, di come si conceda ad altri uomini, nonostante abbai coronato il suo amore con il matrimonio e abbia messo alla luca il suo frutto.
Qualcuno ha riso, altri mi hanno guardato come fossi un cane a cui manca una delle quattro zampe, odio i loro sguardi pieni di pena nei miei confronti. Potrei sputarci sopra.
La professoressa l’ha segnato sul registro, una nota disciplinare, non che sia servita a qualcosa, le sue parole crudeli sono corse anche nel corridoio, mentre la sua boccaccia urlava cattiverie sulla mia famiglia, incoraggiata dalle risa.
Non sono riuscita a resistere, è stato più forte di me.
Mi sono avvicinata con l’intenzione di dirgli di smettere, ma le sue parole acide e il suo tono da sbruffone mi hanno fatto perdere la pazienza, così gli ho tirato un pungo. Era troppo facile finirla lì, con me come vincitrice, ha ricambiato il gesto, ma non mi sono persa d’animo, abbiamo iniziato a picchiarci come fossimo animali.
C’era sangue ovunque, sui nostri vestiti, sul pavimento e sui nostri corpi, sangue di entrambi mischiato nei peggiori dei modi; ci saremo potuti uccidere a vicenda e nessuno avrebbe reagito, troppo codardi e divertiti dallo spettacolo.
Il tifo per lui, ovviamente.
Ci siamo picchiati urlandoci addosso, ringhiando e sputando più sangue che saliva, finché non è intervenuto Will e uno dei suoi stupidi amichetti. Ci hanno separati, giusto in tempo per vedere la preside accorrere sui suoi tacchi da dieci, con una gonna che le impediva ogni movimento.
Una sospensione di tre giorni, nota disciplinare e un richiamo a casa.
Papà ha dato di matto, avresti dovuto vederlo, urlava mentre mi fasciava le ferite, sarei stata chiusa in casa per un mese –parole sue, che non avrei rispettato per nulla al mondo, la mia finestra tentatrice torna sempre alla carica, spalancandosi per darmi il via libera-, eppure le sue parole non erano tanto minacciose con quei baci continui lasciati sulla mia fronte.
E alla fine ho capito che il vero amore, può essere anche quello di un padre nei confronti di un figlio.
Oh, quasi dimenticavo la parte intrigante!
Lui non è un tipo che si scoraggia, non ha retto le dicerie nella scuola –Young si fa picchiare dalla sfigata- e la vendetta è arrivata, giusto per risollevare il suo egocentrismo.
Tre contro una, dietro al cortile scolastico, ho ancora i lividi ovunque e il labbro spaccato. Cazzo se fa male!
 
Arriva papà, devo far finta di dormire per svignarmela.
A presto, Julien.
 

 
Il moro scosse il capo con un sorrisetto divertito, voltando pagina, consapevole di quanto la sua amica poteva essere testarda e fiero perché non si lasciava mai perder d’animo, anche se poi alla fine è crollata. E Zayn lo capì, il modo di Julien di tenersi tutto dentro, di fare la sbruffona e di isolarsi dal mondo, era la causa della sua autodistruzione. La causa della sua morte.
 
 
Caro Diario,
Scusami se non ti scrivo da un po’, ma per un momento ero troppo impegnata a ignorare il passato e aggrapparmi al presente, sperando in un futuro migliore.
Non pensavo papà avesse ragione, ma purtroppo devo ricredermi, i ragazzi sono così dolci e premurosi con me e io mi sento in colpa, perché beh… sono io e non sarò mai abbastanza per loro.
Zayn è davvero un gran disegnatore, mi ha portato in alcuni posti dove i muri erano imbrattati di molti dei suoi graffiti, mi ha persino pregato di aiutarlo a farne uno. E’ venuto benissimo, ci sono i nostri nomi messi insieme, da oggi siamo gli ‘Zalien’, persino a scuola qualcuno ci chiama così.
Lo giuro è tutta colpa sua… Okay, c’è anche il mio zampino, ma è stata un idea sua.
Abbiamo fatto un enorme graffito sull’asfalto su cui giocano a basket, è quasi venuto un colpo al preside quando ci ha visti lì con le bombolette e un secondo quando ha letto la scritta ‘suck school –Zalien’.
Mi viene ancora da ridere, abbiamo dovuto pulire per una settimana i sudici piatti della mensa.
(…)
Zayn dice che Lou sembra essersi preso una bella sbandata per me, ma io ho negato tutto, gli ho detto che siamo buoni amici, eppur so di aver mentito.
Non voglio che si innamori di me, ho così paura che possa succedere, non potrei sopportarlo.
Gli voglio troppo bene per fargli del male.
In più gli attacchi di panico sono aumentati, papà vuole perfino riprendere la cura abbandonata tempo fa, ma io non ho intenzione di riprendere quelle disgustose pillole.
Mi distruggono e a me non sta bene.
Meglio che vada, Louis inizia a lamentarsi nel sonno.
Alla prossima, Julien.
PS: Fa qualcosa per Louis, ti prego.
 

 
Il moro sorride leggermente, mentre i ricordi riaffiorano nella sua mente, reali e vivi. E’ felice di leggere il suo nome su quel diario, ce ne sono pochi e il suo è impresso su varie pagine, con la sua calligrafia accurata e il suo odioso vizio di calcare sui fogli con la penna.
I ricordi lo assalgono e per un momento si dimentica di quelle pagine, di quel diario, del dolore, per un attimo ci sono solo lui e Julien, il dolore è scomparso così come è apparso: Velocemente.
 
 
“Ci scopriranno, Zayn!” Ulula divertita Julien, aggiustandosi il cappuccio della felpa sul capo, mentre con l’altra mano continua a imbrattare il terreno sotto i suoi piedi.
“E anche se succedesse? Il massimo è una punizione.” Ride il moro, spingendola giocosamente con un colpo di fianchi, sistemandosi il suo berretto di lana color notte.
“Giusto. Certo però che frase più poetica non potevi trovarla.” Lo beffeggia lei, chiudendo la bomboletta di vernice nera con l’apposito tappo, osservando fiera la scritta davanti a loro.
E’ uscito un bel lavoro, devono ammetterlo entrambi e in parte lo fanno, silenziosamente, stringendosi in un mezzo abbraccio e continuando a fissare il graffito con i petti gonfi di soddisfazione.
“E’ poetica.” Chiarisce Zayn, facendo ridere sguaiatamente la ragazza, che in quel mezzo abbraccio lo spinge divertita, accoccolandosi a lui ancora una volta.
“Suck school. –Zalien, Un frase così significativa.” Lo prende ancora in giro, gesticolando in modo esagerato con le mani, prima che il moro l’acchiappi dai fianchi e inizi a farle il solletico, chiarendo che quella è la punizione per aver sputato in modo così evidente sulle sue idee.
E ridono entrambi di cuore, continuando anche quando il preside paonazzo in volto urla contro di loro, spedendoli nel suo ufficio con la promessa di una punizione adatta a quel vandalismo.
Ma a loro non importa, gli studenti accorrono, leggono e si complimentano, ora sono gli “Zalien” per tutti e a nessuno di spiace troppo; nemmeno a Louis che sembra essere tutt’altro che geloso.
 

 
Gli occhi sono diventati lucidi, ma non vuole piangere, per una volta ha deciso di essere forte, di non sottomettersi ai ricordi e di affrontarli di petto. Afferra il diario e continua a leggere, con un sorriso amareggiato stampato sul viso e con la sensazione che finirà per distruggersi.
 
 
(…)
L’altro giorno eravamo al bar, eravamo tutti lì a scherzare, ma è come se ognuno di noi non fosse realmente lì, è come se nonostante le nostre risate risuonavano fragorose nel locale, i nostri pianti disperati urlavano dentro di noi.
Li avevo guardati tutti negli occhi e avevo capito che nessuno di loro aveva mai fatto ciò che realmente voleva, che nessuno si era ribellato alla monotonia e aveva deciso di gettar all’aria i pareri della gente e far ciò che realmente avrebbero voluto.
Guardai Zayn e mi sentii così male, era lì che spiava di sottecchi la cameriera del bar, la famosa ragazza con cui era uscito, ma con cui non aveva mai avuto il coraggio di farsi avanti una seconda volta e chiederle di uscir nuovamente.
Vedevo nelle sue iridi il bisogno malsano dell’amore, lo leggevo nel modo in cui non appena ella si avvicinava, i suoi gesti diventavano pacati e leggeri, mi accorgevo di come il suo sguardo si rattristiva e la voce gli si spegneva.
E forse per quello mi obbligai ad allontanarmi dal gruppo e piazzarmi davanti al bancone, cercando di interagire con quella ragazza all’apparenza dolce e timida –sembrava così adatta al mio amico, che non seppi resistere-, mi presentai e lei lo fece a sua volta, si chiamava Violet.
Sembrava quasi un fiore, aveva la stessa eleganze e femminilità di questo, si muoveva con una delicatezza estenuante nei movimenti, che finivano quasi per incantarti. Aveva un viso dai tratti infantili e indossava un grazioso vestito viola –e pensai che forse doveva essere uno strano scherzo del destino- a fasciarle il corpo gracile.
Le parlai a lungo, tanto che mi parve di aver perso la concezione del tempo, le dissi un sacco di cose su Zayn, rimanendo sul vago –mi sarebbe piaciuto che fosse stata lei a volerne sapere di più e a scavare in lui direttamente- e sembrò così presa e entusiasta che mi sentii soddisfatta.
E magari un giorno il mio amico avrebbe trovato l’amore che tanto cercava, lo sperai, sperai in parte che fosse lei.
 

 
 
Julien si era accorta di tutto, aveva scavato nelle loro vite e aveva messo a posto i pezzi, era riuscita a far sì che ognuno di loro sconfiggesse le proprie paure, che affrontasse la proprie insicurezze, che si godessero la vita e che iniziassero a viverla davvero, senza privarsi di nulla.
Julien era entrata tra di loro come un leggero venticello e ne era uscita come un uragano, aveva seminato amore, amicizia, ed era scappata, spaventata.
Julien era stata come un angelo custode, arrivato improvvisamente, ma mettendo in ordine quell’amicizia che andava a rotoli per i troppi pensieri, per le troppe paure.
Julien era stata una benedizione divenuta maledizione.
 
 
Il moro sorride dolcemente e la ringrazia di cuore, mentalmente, con lo sguardo rivolto verso l’alto e il petto pieno di gioia, perché quella ragazza è stata il motivo principale per cui Violet sembri si sia avvicinata a lui, profondamente colpita.
Se ne era domandato il motivo, quando –dopo essersi rifugiato in quel bar- la ragazza era andata da lui, servendolo e poi iniziando una chiacchiera, chiarendo con i suoi dolci giri di parole che avrebbe apprezzato un secondo appuntamento e Zayn aveva colto l’occasione.
“E’ per svagarsi.” Si era detto, eppure in cuor suo sapeva la verità, stava temporeggiando per non ammettere a se stesso che era in cerca dell’amore, di qualcuno che si prendesse cura di lui, che risanasse le ferite incurabili.
Zayn cercava l’amore come i suoi polmoni cercavano aria, e capisce di dover dare una chance a quella ragazza, perché se lo merita lui per primo dopo tanta sofferenza.
Ma poi preso dal momento, fa l’errore più grande di tutti, sfoglia ancora tra quelle pagine felice, ma quello che gli si presenta davanti cancella il suo sorriso. Lo devasta.
Aveva aperto molti disegni, fogli e foto, ma una era riuscita a catturare la sua attenzione, era nascosta tra le ultime pagine, al sicuro, ma non dagli occhi curiosi e indagatori di Zayn.
La apre e il cuore sprofonda nel suo petto, mentre sente un vuoto risucchiarlo verso il basso, lasciandolo sprofondare negli abissi più scuri di quella verità.

Una foto con una didascalia.
Una foto di lui e Julien e una didascalia scritta da lei.
Una foto di loro due abbracciati che sorridono all’obbiettivo, scattata al mare, una sua didascalia scritta con dolore e amore.
 
“A te che hai sempre creduto in me,
a te che mi hai spinto a essere qualcosa di più,
a te che mi hai preso con te,
a te che mi hai fatto capire il valore di un’amicizia,
a te che mi hai ringraziato per la mia presenza.
A te Zayn Malik, perché meriti l’amore da questa vita di merda.
A te che meriti di essere salvato.
 
Sarà difficile comprendere i miei gesti, ma ti ho sempre voluto bene, perdonami, non potevo fare altrimenti.
Tua, Julien.”

 
Le mani incominciarono a tremargli, la vista si offusca per un attimo e il respiro gli diventa affannoso. Zayn si alza frastornato, ma al primo passo cade in ginocchio violentemente, con le lacrime che corrono veloci sul suo viso e che cadono sul pavimento, sul suo collo e sulla sua maglia.
La testa gira e lui vorrebbe solo un minuto di pace e tranquillità, ma tutte quelle emozioni lo colpiscono in modo brutale, lo devastano e lo lasciano senza forze.
Zayn rimane sul pavimento, si rannicchia in posizione fetale e attende che qualcuno lo venga a salvare; aspetta che Julien entri da quella porta e che gli accarezzi il capo, sussurrandogli che lei è ancora lì, ma non succede.
La porta si apre e sbuca un Liam sorridente, a cui però cadono le buste della spesa a quella visione, corre velocemente contro il moro e lo soccorre, lo scuote e lo richiama dolcemente, preoccupato per lui.
Vede la foto –non la didascalia- e il diario, così capisce. Afferra l’oggetto e lo scaraventa contro il muro, prepotente, non vuole che l’amico si distrugga, non ancora, il dolore della perdita è stato sufficiente.
E Liam fa l’unica cosa che è capace di fare: Lo stringe tra le sue braccia e cerca di farlo calmare, perché è stanco di vedere il suo amico in quelle condizioni.
Ma Liam non lo sa.
Liam è allo scuro di tutto.
Liam si è rifiutato di leggere quel diario
Liam non saprà la verità.
E non le capisce le parole di Zayn, che ripete in fievoli sussurri la stessa frase, singhiozzando e piangendo fra le sue braccia, disperandosi.
“La odio, lei lo sapeva.”


Julien ha programmato la sua morte, non è stato un incidente, lei sapeva.
Zayn l’ha capito e non può perdonarla.

 
 

 
Hi there!
Come state?
Spero che il capitolo vi piaccia.
L'ho scritto di getto -motivo per cui può sembrare schifoso-, ma devo confessare che solo a metà mi sono accorta del protagonista del capitolo e nella mia mente era tutto "oh, davvero l'ho fatto?" ed è stato strano, molto strano. Ma alla fine quello che non si supera, si dimentica, quindi ecco qui. 
Spero non vi infastidisca che abbia usato Zayn, nonostante non ci sia più nella band. 

Love for all.
-El

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Capitolo 19
*** Sotto a chi tocca. ***


Sotto a chi tocca.
 
Sapete ho sempre pensato a tutta questa faccenda come un terribile gioco raccapricciante: Il diario è il centro di tutto, gira e passa da amico in amico, a ogni turno viene fuori una verità, chi è forte regge e chi non lo è cede.
Ecco la realtà.
 
 
Aveva il viso chinato verso il basso, mentre dal cielo Inglese scendevano prepotentemente gocce d’acqua piovana, che si scagliavano quasi in modo innaturale sul suo corpo, sul suolo e su qualsiasi altra cosa vi fosse. Il ragazzo tuttavia rimaneva immune a tutto ciò che intorno a lui stava accadendo, ormai perso nei più tortuosi pensieri che gli erano balzati in mente con così tanta violenza da stravolgerlo.
Alcune ciocche di capelli gli erano finte sul suo viso, limitandogli la vista più di quanto non lo stessero già facendo le lacrime, che lentamente scendevano lungo le sue morbide guance, mischiandosi delicatamente con le gocce d’acqua piovana che gli finivano addosso. Il suo corpo, coperto unicamente da una sottile maglietta e un pantaloncino di tuta, era scosso regolarmente da alcuni singhiozzi, misti ai continui sussulti per le folate di vento che si scontravano con la sua pelle nuda e pallida.
Era seduto su una vecchia altalena cigolante e arrugginita, che era situata nel retro del giardino di casa sua, dondolando come in trance sotto quella pioggia violenta che lo stava bagnando da capo a piedi. Eppure a Harry non importava più di nulla, la sua mente aveva un chiodo fisso da quando dalle sue mani era scivolato un piccolo diario rivestito di pelle, che era caduto rovinosamente sotto ai suoi piedi, sul terriccio umido che lo sporcava.
Si era preso la briga di leggerlo con fin troppo entusiasmo, che man mano con lo scorrere delle pagine era sfociato in un mare di malinconia e delusione. Un colpo per il suo essere così sensibile.
Harry aveva permesso che le parole di quei racconti, che narravano quasi interamente la vita di quella che una volta era la sua migliore amica, gli entrassero dentro, sconvolgendolo più del dovuto.
Ma c’era qualcosa che aveva permesso al ragazzo di cadere in quello stato così pietoso, ed ora quell’oggetto giaceva nel fondo della tasca dei suoi pantaloncini, bruciando quasi di amarezza a contatto così ravvicinato con la sua pelle.
Era un disegno, meglio dire un ritratto, che raffigurava un giovane ragazzo dai capelli ribelli, profonde fossette incavate nelle guance e un sorriso a illuminare il suo volto. Il ragazzo in questione sorrideva come non aveva mai fatto, fissando impietoso davanti a sé, seduto su quello che al primo sguardo era sembrato un prato di erba e che poi la sua mente aveva riportato al lago nel parco lì vicino.
Quel ragazzo era lui, rappresentato in una delle solite giornate che i due amici –Julien e Harry- passavano insieme al lago, parlando del più e del meno, tirando sassolini contro quello specchio d’acqua lì presente, divertendosi a vedere il loro riflesso ondeggiare
violentemente.

Se mai un giorno smettessi di combattere, tu guarda il cielo e lì troverai la forza per non farti abbattere.
Al mio piccolo Harry, il ragazzo con il sorriso più sincero e puro del mondo.


Quella era la frase impressa con una scrittura pulita e fine sul fondo della foglio, la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, l’unica cosa che aveva permesso al giovane di iniziare a piangere come un bambino, singhiozzando e tirando su con il naso.
 
Una donna di una bellezza affascinante, uscì sul retro del giardino, preoccupata alla vista del figlio seduto immobile sotto la pioggia, che sembrava ignorare tutto ciò che lo circondasse.
“Harry, vieni via di lì! Ti prenderai un malanno.” Urlò la donna, legandosi meglio la vestaglia alla vita, per paura che si aprisse, scostandosi poi una ciocca castana finita sulla sua fronte.
“Harry, mi hai sentito?” Domandò indispettita, non ricevendo comunque nessuna risposta dal giovane, che continuava a guardare i suoi piedi nudi a contatto con la terra bagnata.
La donna infuriata si allontanò dalla tettoia che la teneva al riparo dalla pioggia e corse furiosamente contro il ragazzo, afferrandolo per un braccio e strattonandolo con forza.
“Harry, santo cielo!” Gridò, mentre i capelli bagnati le cadevano malamente lungo il viso magro, inzuppandole ancor di più la vestaglia sulle parte superiore delle spalle.
“Al diavolo.” Sbraitò allora lei, entrando velocemente in casa, ignorando le impronte di fango che le sue pantofole rosa confetto lasciavano sul pavimento, correndo al telefono e componendo velocemente uno dei tanti numeri che aveva imparato nel corso del tempo.
“Louis? Puoi venire subito a casa nostra? Harry ha deciso di non entrare, se ne sta fuori- Oddio! Non so che fare. Gli verrà qualcosa, santo cielo! Tu sei l’unico a cui dà ascolto.” Implorò disperata la donna, riattaccando la chiamata quando il ragazzo le rispose che sarebbe stato lì il prima possibile e con il cuore più leggero tornò a guardare il figlio, seduto ancora ricurvo su quella dannata altalena e con un’espressione affranta sul viso.
 
E in quel momento decisi di ironizzare, immaginandomi Julien godersi la scena, deliziata nel guardare i protagonisti di un suo nuovo disegno. Un disegno triste e che esprimeva malinconia ad ogni tratto di matita. Il disegno della sofferenza.
Oh, sì! Le sarebbe piaciuto.
 
 

Liam varcò stancamente la porta della sua nuova stanza, abbandonando proprio lì vicino le sue scarpe da ginnastica zuppe d’acqua, dato che durante la strada di ritorno dalla casa dei suoi genitori era finito in una pozzanghera ben profonda.
Stremato si abbandonò sulla superfice morbida del letto, sospirando profondamente, punzecchiandosi con le dita il ponte del naso, facendo mente locale per ricordare se il suo coinquilino lo avesse avvisato su una sua possibile assenza quella sera.
E sì, era proprio così. Zayn era ad un appuntamento.
Con un sorriso vittorioso, ormai convinto del fatto che potesse dormire senza che nessuno lo disturbasse continuamente e per ogni piccola e insignificante cosa, si stiracchiò per bene, allungando le mani sotto al cuscino, rimanendo tuttavia stupito quando le sue dita vennero a contatto con qualcosa di cartaceo.
Corrugò la fronte tirando via da lì sotto quello che gli parve essere un foglietto ripiegato più volte su se stesso, mordicchiandosi il labbro inferiore nel cercare di ricordare se fosse stato lui a infilarcelo, ma dopo numerosi dubbi si disse che no, non era stato lui.
Confuso lo aprì, scoprendo che in realtà quell’insignificante pezzo di carta non era altro che una lettera, così preso da un moto di curiosità –abbandonando la parte razionale di lui che lo spingeva a domandare al suo amico se lo avesse messo lui lì sotto per sbaglio-  iniziò a leggerla.
 
 
 Caro Diario,
Non ti scrivo da esattamente due lunghi mesi, un po’ perché in questo periodo sono stata parecchio indaffarata e un po’ perché sono diventata dannatamente pigra.
Vorrei raccontarti del tempo trascorso, ma sono così stanca che non credo di averne la forza, ieri siamo tornati alle cinque di mattina e contando il continuo russare di Niall e Harry non sono riuscita a chiudere occhio. E sì, sono rimasti ancora una volta a dormire nel mio salotto, accampandosi come vecchi barboni.
Lo giuro, i piedi di Niall sono una tortura, il loro odore è così disgustoso che quando Zayn se li è ritrovati davanti al viso alle sei di questa mattina, si è svegliato e ha iniziato a sbraitare come un pazzo da manicomio. Fortuna che mio padre era uscito solo qualche minuto prima per andare a lavoro.
Credevo che il più normale fosse Liam, ma quando ha iniziato a blaterare nel sonno il nome di quella che i ragazzi hanno identificato come sua nonna, mi sono dovuta ricredere. E dire che si è alzato e mi ha abbracciato e chiamato Rose, sua nonna, chiedendomi di preparargli i biscotti, a detta degli altri e cinque pare che soffra di sonnambulismo ma io dico che era sveglio e cosciente visto che mi ha praticamente barricato in cucina minacciandomi di non lasciarmi uscire finché non avrei preparato dei biscotti per tutti.
Cose da pazzi! Ho dovuto cucinare quattro infornate di dolci alle sei e mezza del mattino, senza l’aiuto di nessuno, nonostante Louis non facesse altro che andare avanti e indietro dalla cucina e il salotto, ma ben presto scoprii che stava solo rubando manciate di biscotti appena sfornati e che portava a quei traditori degli altri.
Almeno si è fatto perdonare nel pomeriggio, quando rimasti soli non ha fatto altro che canticchiare dolci canzoni al mio orecchio, tenendomi stretta a lui e piena di attenzioni, finché non sono crollata sfinita. Devo dire cha amo la sua voce, è fine e delicata.
 
Mi sembra di aver ritrovato quella sensazione di felicità che avevo perso da tempo, non posso far altro che ringraziarli per esserci e non importa se Louis si rifiuta di sentire i miei grazie, definendoli ingiustificati, loro sono alcuni dei pochi che se li meritano davvero.
 
Oh, dimenticavo che anche gli altri ragazzi sono partiti, non posso fargliene una colpa visto che avevano una vita da riprendere in mano a Parigi, ma non sono riuscita a non singhiozzare disperatamente tra le braccia di Will. Mi mancano così tanto.
 
Credo di dover andare, sento Liam e Niall bisticciare da qui su, meglio che vada prima che mi distruggano il salotto.
A presto, credo.
Julien.

 
Una leggera risata fioccò via dalle sue labbra carnose, che erano stese in un malinconico sorriso, addobbato da due lente lacrime che scendevano lungo le sue paffute guance.
Si era ripromesso più volte di scacciare dalla sua vita il ricordo di Julien, l’aveva fatto con così tanta fermezza da credere di poterci riuscire veramente e ora era lì, con quella dannata lettera tra le mani a riportare a galla numerosi episodi, che lo fecero ridere e singhiozzare allo stesso tempo.
Julien per lui era stata una cara amica, una persona così importante a cui aveva raccontato le sue sofferenze e i suoi passati problemi, eppure non voleva tenere con sé neanche un misero ricordo che la tenesse ancora in vita.
Il motivo? Semplice, Liam era stanco di soffrire.
Quando la notizia della sua morte era giunta a tutti loro nel bel mezzo della notte, Liam era scoppiato in un pianto disperato, che tuttavia era cessato con forza quando si era ritrovato davanti a lui i suoi migliori amici a pezzi, completamente distrutti.
Era stato costretto a farsi forza, a rimanere in piedi senza crollare, a mostrarsi impassibile a non concedersi neppure un’altra sola lacrima. Aveva offerto ai suoi amici una spalla su cui piangere, un sostegno a cui appigliarsi, senza badare a se stesso, al suo dolore.  
E Liam, a volte, ripensava a tutto e lo trovava così ingiusto; anche lui aveva perso un’amica importante, anche lui aveva il diritto di piangerla, ma quel diritto gli era stato privato. Non che qualcuno glielo avesse proibito, ma lui in cuor suo aveva capito che restare forte e non concedere al dolore di sopraffarlo, sarebbe stato un gesto magnanimo nei confronti dei suoi amici.
Tuttavia in quel momento si pentiva delle sue azioni, come mai aveva fatto nella sua vita, ed era sul punto di scoppiare a piangere se solo i suoi occhi non avessero scorto un’altra lettera sull’altra facciata del foglio.
 
Caro Liam,
E’ buffo doverti scrivere una lettera, soprattutto se sono passati all’incirca solo cinque minuti da quando ti ho salutato sotto il porticato di casa. Come al solito sei stato irremovibile e dopo i nostri soliti allenamenti, mi hai accompagnato fin sotto caso, munendoti della solita scusa –non si sa mai e poi, non ho nulla da fare! Che saranno mai due passi? -, così da bravo amico mi hai fatto compagnia fin qui.
Devo segnarmela, questa è un’altra delle cose per cui ti devo ringraziare.
Non sono sicura che capirai, o probabilmente se ci riuscirai, non sono sicura del fatto che tu riusciresti mai a perdonarmi, sono un completo fallimento e ti darei tutte le ragioni se anche dopo aver letto continuerai a odiarmi, o magari inizierai a farlo.
Mi dispiace, lo giuro.
 
Sai quando ho pensato a tutto questo, quando mi sono trovata a dover lasciarvi tutte queste cose un po’ vaghe, mi sono resa conto dell’incredibile stronzata che stessi organizzando.
E’ una cosa da pazzi, ma vivendo questa vita non mi sorprendo se non lo sia diventata anche io.
Non so precisamente quando questa idea mi è saltata in mente, o del perché stessi pensando alla morte come qualcosa di appagante, qualcosa di così gioioso per la mia mente malata; ma sono consapevole del fatto che le prime persone a cui ho pensato siete stati voi, amici miei, voi che in poco tempo avete stravolto la mia vita e l’avete resa migliore.
Harry con il suo sorriso e la paura della solitudine.
Zayn con la sua amicizia e la paura di amare.
Niall con la sua bontà e la paura di essere inferiore.
Louis, beh… Lui è il suo amore e la paura del mondo intero.
 
Poi ci sei tu, Liam.
Liam Payne une benedizione in questo mondo di merda, lui con la sua forza e determinazione, con la sua paura di non riuscir mai a vivere abbastanza.
Ragazzi, voi siete stati la gioia più grande nella mia vita; mi avete accolta tra di voi, come si fa con i cuccioli di cane feriti che si incontrano nel bel mezzo della strada, avete curato le mie ferite e vi siete presi cura di me a vostro modo.
Non ve ne sarò mai abbastanza riconoscente.
Ma io ho fatto quello che ho fatto per una ragione, non sto qui a dirvela, o meglio a elencarvele tutte. Solo volevo dirvi che mi scuso per essermi intromessa nelle vostre vite, per poi scappare via e lasciarvi alle prese con il dolore.
Mi scuso davvero, ma le mie ferite erano troppo profonde per poter essere guarite così facilmente.
Mi auguro che ognuno di voi trovi la sua vita, trovi una persona d’amare e che l’ami –anche il mio Louis- e che vi dimentichiate di me.
Sono solo uno di quei scarabocchi a metà del foglio, quello che ti rovinano l’ordine delle tue parole… Io sono un piccolo errore nelle vostre vite, un errore che deve essere coperto, spero lo facciate.
 
Liam Payne, ti ho scritto questa lettera per ringraziarti di ogni singola cosa che hai fatto per me e per i ragazzi.
Ti ringrazio per ogni cosa e so per certo che quando io ormai non ci sarò più, ti prenderai cura dei ragazzi, come hai sempre fatto, mettendo da parte i tuoi bisogni.
Ma non devi farlo, Liam, prenditi del tempo, sfogati e assicurati di star bene, non puoi permetterti troppo dolore, non tu che dalla vita ormai meriteresti solo rose.
 
Mi dispiace, Lì.
Magari in una vita futura, un giorno ci incontreremo e magari avrai perdonato i miei errori da stupida adolescente spaventata.
Magari Liam Payne, in una vita assai lontana.
Ti auguro il meglio, anzi vi.
Con tutto l’affetto possibile, la vostra Julien.

 
 
I singhiozzi strazianti di Liam risuonavano come urla brutali all’interno della casa, rimbalzando da una parete all’altra, prima di disperdersi come fievoli echi. Le lacrime rigavano incessanti il suo viso, mentre il suo cuore batteva così forte da fargli male e il respiro gli si bloccò a mezz’aria, tant’è che dovette prendersi qualche minuto per riacquistare un ritmo normale.
“Non sono forte, ti sbagli! Io non ce la faccio.” Urlò al nulla, arrabbiato e distrutto, tirandosi disperatamente qualche ciocca di capelli, continuando a singhiozzare.
“Non ce la faccio, Julien! – Gridò ancora, con la voce rauca e tremolante – Ti sbagli, io non posso.” Si abbandonò stancamente sul letto, accucciandosi in posizione fatale, singhiozzando e urlando per far placare almeno in parte il suo dolore.
 
Seduto fuori dalla porta, sul freddo pavimento, vi era Zayn. Aveva le orecchie tese e gli occhi chiusi, mentre sentiva il ragazzo urlare e piangere disperatamente; eppure non si mosse di un millimetro, in cuor suo il moro sapeva che quella era la scelta giusta, lasciarlo sfogare come meglio voleva.
Liam era distrutto, amareggiato, triste, ma era compito di Zayn fargli ricevere quella lettera. Liam doveva capire.
 
Mi dispiace, Lee.
 
 
HI THERE!
Ecco a voi un altro capitolo, spero vi piaccia.
Scusate il ritardo e possibili errori, sono di corsa e in questi giorni non ho mai abbastanza tempo… Fortuna che sono in vacanza, ew.
Fatemi sapere cosa ne pensate, in ogni caso vi avviso che il prossimo sarà il capitolo finale.
Love for all. x
-El 

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