Brompton Cocktail

di Jales
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


BROMPTON COCKTAIL
{Capitolo I}

Ero sdraiata sul letto, occhi chiusi e una mano aperta sullo stomaco a cercare di fermare quell’odioso senso di vomito causato dal continuo ondeggiare di quella dannata nave.
Il fastidioso rumore del mare mi stava facendo impazzire e le stupide voci sommate al rumore dei passi dei marinai al di sopra della mia testa non mi aiutavano a calmare i miei nervi.
Aprii gli occhi e mi tirai su di scatto, decisione che rimpiansi quasi subito dato che fui costretta ad appoggiarmi ad una parete della mia cabina per evitare di crollare al suolo a causa di un giramento di testa causato dal mio stupido scatto.
Sbuffai e mi avvicinai all’oblò, affacciandomi.
Mare, mare e ancora mare.
Non c’era altro se non quella stupida ed infinita distesa d’acqua che si estendeva per miglia e miglia in ogni direzione.
Sbuffai ancora e camminai fino alla sedia di fronte alla scrivania dove mi lasciai cadere a peso morto, lasciando andare indietro la testa e chiudendo gli occhi.
Dopo qualche minuto passato così, iniziai a sentire un leggero fastidio alla testa così mi tirai su, mi alzai in piedi e camminai fino all’enorme specchio, piazzandomici davanti.
Fissavo, disgustata, l’immagine che vedevo riflessa.
Una ragazza di soli 16 anni, per niente alta, lunghi capelli rossi che le arrivavano  fino a metà schiena, occhi color cioccolato, incastrata in un enorme vestito verde smeraldo pieno di pizzo e schifezzuole varie.
Quanto odiavo essere costretta a vestire in quello stupido modo, perché non potevo portare dei comodi pantaloni come gli uomini ?
Che avevo io in meno rispetto a loro per essere costretta in abiti così scomodi, fastidiosi e per giunta ridicoli ?
Imprecai, sottovoce perché, sì, a noi donne non era permesso nemmeno quello.
Niente parolacce, niente bestemmie, non era femminile, cortese o adatto ad una principessa.
Ma fanculo.
Non avevo chiesto di nascere donna e tantomeno principessa.
Calciai la sedia e mi affacciai di nuovo all’oblò, ispirando un po’ d’aria fresca.
Mi sarebbe piaciuto, davvero tanto, scappare da quel mondo stupido in cui ero segregata, invece no.
Ero su quella nave diretta verso il peggiore dei miei incubi.
Un uomo burbero, stolto e per giunta orribile mi attendeva.
Dove? Non ne avevo idea.
Sapevo solo che, da qualche parte oltre il mare, quest’uomo chiamato Jeremiah... Jeremiah qualcosa, mi attendeva per prendere la mia mano.
Non lo conoscevo se non di vista ed ora? Ora ero costretta a legarmi a lui per il resto della mia insulsa vita e per qual motivo? “Sei una principessa e come tale, devi avere il coraggio e l’intelletto necessari a capire quando è necessario donare la tua vita al tuo regno.” aveva detto mio padre.
Mio padre, lo stesso uomo che non era neanche venuto con me, su quella nave stupida e puzzolente, in questo viaggio noioso e senza senso che mi portava verso la fine della mia vita.
Il coraggio?
L’intelletto?
Il mio regno?
Stronzate.
Io ero solo una pedina, una stupida ragazza costretta a buttare tutta la sua vita per qualcosa di stupido ed insensato.
Sbuffai ancora, tornando a sedere sullo scomodo giaciglio di paglia camuffato da una coperta che usavo come letto da circa 15 notti.
Qualcuno bussò alla porta.
Provai ad ignorare, ma bussarono ancora.
“Azriel? So che sei sveglia, ti ho sentita camminare. Apri la porta, sono io, Alice.”
Sospirai e mi alzai, raggiunsi la porta, girai l’enorme chiave due volte e lasciai entrare la mia unica amica.
Chiusi la porta appena Alice fu entrata e mi voltai a guardarla mentre si sedeva.
I suoi lunghissimi capelli neri lasciati sciolti che raggiungevano quasi il sedere, delle sottili labbra rosa e i suoi enormi occhi neri, anche lei costretta in un enorme e scomodo vestito blu, pieno anch’esso di merletti.
Presi posto sul letto, dritta davanti a lei e la guardai mentre chiudeva gli occhi e lasciava andare all’indietro la testa, stessi movimenti che pochi minuti prima avevo fatto anche io.
Anche Alice era una principessa ed anche lei si trovava su quella nave perché era promessa sposa ad un uomo che non conosceva, tutto per il suo regno.
Io e Alice ci eravamo conosciute esattamente 16 giorni prima, quando lei stessa era giunta al mio castello per imbarcarsi insieme a me.
Gli uomini che avremmo dovuto sposare erano fratelli e si dividevano il potere di un solo regno, questo significava che io e Alice avremmo passato il resto delle nostre vite insieme.
Ciò non mi dispiaceva affatto perché in quei sedici estenuanti giorni avevo avuto il piacere di scoprire che io e lei eravamo terribilmente simili.
Anche lei odiava i vestiti ingombranti, anche lei era scurrile come me e sognava continuamente di poter scappare da tutta quella stupida vita.
Solo che, rispetto a me, Alice era molto più silenziosa.
“Quanto manca?” domandai, improvvisamente.
“Il capitano ha detto circa sette giorni.” Disse Alice, spegnendo di colpo il sorriso che aveva tenuto in volto fino a quel momento ed iniziando a fissare un punto indefinito del pavimento di legno della cabina.
“Gli ultimi sette giorni di libertà..” sussurrai, sconfortata.
Alice sbuffò.
La vidi alzarsi e piazzarsi davanti all’oblò, dandomi le spalle.
Sbuffò di nuovo.
Qualcuno bussò alla porta.
“Chi è?” gridai.
“Principessa Azriel, sono il capitano, volevo semplicemente domandare se la principessa Alice fosse con lei.”
“Sì, è con me.” Guardai Alice, confusa.
Il capitano non si muoveva quasi mai dalla sua postazione e ancora più raramente veniva a cercarci di persona.
“Volevo pregare vostre altezze di non muovervi dalla vostra cabina per nessun motivo al mondo, siamo in zona di pirati e non vorremmo che qualche burbero potesse avvistare vossignorie sul ponte della nave e tentare un abbordaggio per farvi del male.”
Alzai gli occhi al cielo.
“Grazie dell’informazione, non ci muoveremo di qui.” Annunciò Alice.
Sentimmo i passi del capitano allontanarsi e quando fummo sicure che fosse tornato sul ponte, sbuffammo sonoramente entrambe poi Alice tornò a guardare fuori dall’oblò ed io mi sdraiai nel letto, chiudendo gli occhi.
“Non sarebbe fantastico?” disse, improvvisamente gioiosa, Alice.
“Cosa?” domandai, voltandomi di scatto.
“Immagina, Azriel, chiudi gli occhi e immagina.” Disse, avvicinandosi al mio letto, inginocchiandosi e prendendo la mia mano.
“Cosa devo immaginare?” chiesi, confusa.
“Chiudi gli occhi e ascolta ciò che ti racconto.” Disse lei ed io obbedii, chiudendo gli occhi e rimanendo in ascolto.
“Immagina, un uomo coraggioso, bello e muscoloso che arriva, abbordando la nave e sfondando la porta di quetsa cella al grido di ‘SONO QUI PER SALVARE LA PRINCIPESSA’ e ti porta via, via da quei marinai tutti impettiti, via da quello stolto capitano barbuto, via da questa vita non nostra e ci porta via per essere finalmente felici, amate e magari anche rispettate!” C’era speranza, vitalità e gioia, nella voce della mia amica.
E mi lasciai trasportare da tale gioia.
Immaginai delle calde braccia che mi tenevano stretta, una soave voce che mi sussurrava parole dolci all’orecchio, una casa piccola ma accogliente in cui vivere per il resto della mia vita, finalmente felice.
Tra un’immagine e l’altra, una leggera lacrima scivolò, selvaggia, giù da un mio occhio.
“Azriel?” domandò Alice.
Aprii gli occhi e mi misi a sedere, senza lasciare la mano della mia amica che se ne stava in ginocchio sul pavimento.
“No.” Sussurrai.
Mi guardò, interrogativa.
“No, niente salvataggi in extremis, niente porte sfondate, niente grida e nessuna principessa salvata, mia cara e dolce Alice. Purtroppo non accadrà e riempirci la testa di sogni che saranno frantumati al suolo, non ha senso.” Le carezzai una guancia e la vidi chiudere gli occhi. “Apparteniamo ad un modo che non ci rispetta e che mai lo farà. E’ il destino che è stato scritto per noi e non possiamo cambiarlo. Dobbiamo solo essere forti.” Sussurrai, sentendo un terribile peso al centro del petto.
Alice non pianse, non disse nulla.
Annuì, fredda come il ghiaccio, carezzò una mia guancia poi si sdraiò sul letto, voltandosi di lato e dandomi le spalle.
Lentamente vidi il suo respiro diventare sempre più regolare e la vidi sprofondare in un sonno che, sperai, l’avrebbe tenuta lontana almeno per un po’ da quell’oscura realtà in cui eravamo costrette.
Mi alzai lentamente dal letto e raggiunsi di nuovo lo stupido oblò e ricominciai a fissare l’infinita distesa di mare.
Improvvisamente mi ritrovai a riflettere sulle parole di Alice, sorridendo.
Quanto sarebbe stato bello essere salvate.
Mi voltai a guardare Alice che dormiva tranquilla, sospirai e tornai a guardare il mare.
Non credevo in nessun tipo di dio, nessuna divinità sovraumana quindi non potevo pregare nessuno.
Temevo solo la meschinità dell’uomo.
Decisi che avrei fatto una passeggiata sul ponte.
Mi incamminai verso la porta e feci girare una volta la chiave, quando stavo per dare la seconda mandata Alice mi chiamò.
Mi voltai a la trovai, con gli occhi sgranati, seduta al centro del letto.
“Dove vai?” mi domandò.
“A passeggiare sul ponte.” Risposi, calma.
“Ma il capitano ha detto...” Si fermò.
“Non mi importa di cosa ha detto quello stupido dannato capitano, Al, figurati se qualcuno abborda questa nave orribile e malandata. E se anche dovesse accadere beh... morire per mano di un pirata sarebbe sicuramente meglio del futuro che mi attende, incatenata per il resto della mia vita ad uno stolto che se ne frega di me e mi vuole solo per il nome che sono costretta a portare.”
Rimasi a fissare Alice che, sconvolta, mi fissava in silenzio.
“Ti prego di non odiarmi per la cattiveria e la rabbia nelle mie parole.. sono semplicemente rassegnata.” Sussurrai, incamminandomi verso il letto e sedendomi sul bordo.
Alice poggiò la sua mano su una mia spalla.
La guardai e, dolcemente, mi sorrise.
Era il suo modo silenzioso di dire ‘non fa nulla’.
Sorrisi debolmente anch’io.
Stavo per parlare quando un botto sordo dal piano superiore mi fece zittire.
Rimasi in ascolto col cuore che si fermò, per un’istante, a causa del rumore improvviso.
Improvvisamente dal piano di sopra si sentì qualcosa che mi fece pensare all’inferno.
Passi svelti, gente che correva, grida da ogni dove, alcune disperate, altre furiose.
Mi voltai verso Alice, spaventata.
Stava accadendo davvero? No, no. Assolutamente.
Forse avevamo urtato uno scoglio.
Forse stavo immaginando tutto.
“La porta.” Sussurrò, fredda, la mia amica.
Mi alzai e corsi verso la porta, girando la chiave quattro volte poi tornai da Alice e la guardai, rimanendo in ascolto.
“AI PIANI INFERIORI!” gridò qualcuno che stava scendendo la scala.
Passi svelti si dirigevano verso il nostro piano.
“APRI LE PORTE, PRENDIAMO I TESORI E DIAMOCELA A GAMBE!” gridò qualcuno.
“Qui.” Gridò Alice, prendendomi per un polso e trascinandomi sotto il letto.
La guardai e lei mi fece cenno di rimanere in silenzio ed io annuii.
Qualcuno arrivò davanti alla porta e la mosse, provando ad aprirla.
“E’ CHIUSA A CHIAVE!” gridò qualcuno con un possente vocione da fuori la porta.
“CHIUSA A CHIAVE? PERCHE’ MAI DOVREBBE ESSERE CHIUSA A CHIAVE LA PORTA DI UN PESCHERECCIO? SFONDALA, DI SICURO CI SONO RICCHEZZE A NON FINIRE LI DENTRO!” gridò un altro.
Una possente botta e la porta vibrò, così come me e la mia amica, strette sotto il letto.
Un’altra botta ed Alice strinse la presa della mia mano.
Ancora una botta e la porta cedette, sfondandosi in mille pezzi.
Quattro piedi varcarono la porta, quindi due persone, che cominciarono a vagare per la stanza.
“Allora ?” domandò uno dei due.
“Nulla. Una sedia, una scrivania, uno specchio ed un letto.” Disse quello col vocione.
“Un letto? Da quando i pescatori hanno tutto questo lusso ? E che se ne fanno di uno specchio?” domandò l’altro.
Trattenni il fiato.
“Ci sono delle donne a bordo.” Annunciò l’uomo col vocione.
“REV!” gridò l’altro, dopo vari secondi di silenzio “CI SONO DONNE TRA L’EQUIPAGGIO?”
Silenzio.
“Non sono tra i marinai di sopra e le stanze le abbiamo controllate tutte, dove possono essere?” domandò ancora.
Strinsi la mano di Alice.
Sentii qualcuno fare  “Shh” e poi vidi due piedi voltati verso il letto.
Che ci avessero viste ? Impossibile.
Cominciai a guardarmi intorno, nervosa.
Quando notai un piccolo dettaglio, era troppo tardi.
I due piedi che avevo avvistato voltati verso di noi, camminavano lentamente verso il letto.
Avevo notato un lembo del mio stupido ed ingombrante vestito sbucare fuori dal letto.
Cosa dovevo fare?
Guardai Alice che ancora non aveva realizzato.
Trattenni il fiato ed attesi che l’uomo fosse abbastanza vicino e quando si piegò chiusi gli occhi e tirai un possente pugno davanti a me.
L’uomo cadde all’indietro, imprecando e portandosi le mani sul naso.
Senza riflettere afferrai il polso di Alice e mi trascinai, con lei, fuori dal letto.
Tenendo stretta la mano della mia amica cominciai a correre per il lungo corridoio del piano inferiore, cercando un nascondiglio.
Sentivo i passi dei due uomini dietro di me e l’enorme vestito mi impediva di correre a dovere.
Girai un angolo e spinsi Alice in una stanza sussurrandole un frettoloso “nasconditi, ti prego” e chiudendo la porta senza neanche guardarla  poi mi assicurai che i due mi notassero e continuai a correre, raggiungendo infine la camera del capitano.
Spalancai la porta, entrai, mi richiusi la porta alle spalle e mi infilai nell’enorme armadio di legno che conteneva tutte le carte per la navigazione, assicurandomi che nessun lembo del mio vestito fosse visibile.
Mi rannicchiai, portandomi le ginocchia al petto e cercando di trattenere il respiro.
Sentii la porta aprirsi e nello stesso istante, in lontananza, Alice gridò “LASCIAMI MALEDETTO, METTIMI GIU’”.
Stavo per uscire ma dei passi all’interno della stanza mi fecero fermare.
Correre fuori non sarebbe servito a nulla, quel tipo mi avrebbe presa e non sarei comunque riuscita a salvare Alice.
Trattenni il respiro, imprecando mentalmente.
“Dai bambina, vieni fuori. So che sei qui e prima o poi ti troverò.” Disse l’uomo dal vocione possente.
Trattenni un conato di vomito e mi strinsi ancora di più le gambe al petto.
Lo sentivo muoversi per la stanza e buttare all’aria qualsiasi cosa.
Improvvisamente si fermò.
Era davanti l’armadio?
Sgranai gli occhi e rimasi in attesa.
La porta dell’armadio si spalancò e mi ritrovai davanti un enorme uomo, ricoperto di tatuaggi e mostruosamente muscoloso, alto quasi quanto l’armadio con due enormi occhioni verdi che sorrideva, mettendo in mostra delle fossette che stonavano terribilmente con il suo essere.. pirata.
“FINALMENTE! CIAO. Il mio amico ti deve un naso sanguinante.” Mi disse, poi allungò le mani verso di me.
Dimenarmi e gridare si dimostrò inutile, l’omone mi afferrò per la vita e mi portò su una spalla, come pesassi meno di zero e si incamminò.
Raggiunto il ponte fui gettata a terra come un sacco di patate ed imprecai al tocco col legno.
“Che modi, non sono da signora!” mi disse qualcuno.
“FANCULO!” gridai, alzandomi in piedi.
“AZRIEL!” gridò Alice e mi voltai a guardarla, trovandola che veniva tenuta ferma da un uomo piuttosto grassottello, pieno di tatuaggi anche lui.
“LASCIALA MALEDETTO!” provai a fare un passo avanti ma un altro uomo fu davanti a me.
Alzai lo sguardo e mi trovai davanti un altro uomo muscoloso, dei lunghi capelli neri e degli occhi castani.
Il naso sanguinante.
“Ti devo un naso sanguinante.” Mi disse, minaccioso.
Feci un passo indietro.
“DAI GATES, FALLE VEDERE COME SI COMPORTA UN VERO UOMO!” gridò qualcuno, mi voltai e trovai di nuovo il ragazzo dagli occhi verdi sorridere.
“Non fare il coglione, Syn.” Disse qualcuno.
Era un altro tipo, degli strani capelli dritti, come la cresta di un gallo, anche lui tatuato ma molto più basso rispetto gli altri.
“Sta zitto tu.” Ringhiò il tipo dagli occhi castani.
“Torniamo a noi...” continuò, minaccioso, sempre sorridendo.
“Fanculo.” Dissi, di nuovo.
Il tipo dagli occhi castani mi prese il viso con una mano, stringendo e smettendo di sorridere.
“INSOLENTE RAGAZZINA!” gridò.
“GATES!” sentii gridare.
Appena udita quella possente voce, la mano del mio aggressore lasciò il mio viso e lui, così come tutti gli altri tipi, si voltarono in direzione di tale voce.
Così feci anche io.
Un uomo terribilmente alto, anche più del tipo dagli occhi verdi, con dei corti capelli neri come la pece camminava verso di noi.
Il mio aggressore indietreggiò di qualche passo mentre io rimasi immobile, quasi paralizzata, mentre il gigante camminava verso di me.
Si piegò, per raggiungere la mia altezza e mi fissò negli occhi ed io mi persi nei suoi, dell’azzurro più puro immaginabile, anche più belli di qualsiasi cielo o qualsiasi mare.
“Perdonerete la scortesia dei miei uomini, non sono affatto abituati a trattare con una donzella.” Mi disse e fui rapita anche dalla sua soave voce, come se gli occhi e il corpo slanciato, muscoloso e ricoperto di tatuaggi non fossero abbastanza.
Continuavo a fissare quegli occhi così terribilmente perfetti, trattenendo il fiato.
“Purtroppo, come sapete, siamo pirati e  non possiamo lasciare in vita nessuno a bordo delle navi che abbordiamo, altrimenti perderemmo il rispetto che abbiamo faticato per guadagnare.. non posso però macchiarmi del crimine di uccidere due belle e giovani donne come voi. Quindi, mi limiterò a portarvi via e prendere il tempo necessario per decidere cosa fare con voi.” Il gigante sorrise, sorprendentemente dolce e si tirò su, voltandosi verso i suoi uomini che ormai erano tutti intorno alla mia amica.
“Gates, Shadows, Christ, prendete tutte le ricchezze che riuscite a racimolare e tornate sulla nave. Vengeance, tu aiutami ad accompagnare le signorine sulla nostra nave.” Il tipo grassottello annuì e prese, con forza, un braccio di Alice che urlò “FA PIANO!” e quello la strattonò.
“Sii più gentile con le nostre ospiti.” Disse, serio, il gigante che, al mio fianco, mi spingeva delicatamente verso l’asta di legno che stava in bilico e andava dal bordo della piccola nave su cui ci trovavamo a quello dell’enorme vascello di fronte.
Stavo per salire sulla lastra di legno quando sentii il tipo dagli occhi azzurri dire “No, assolutamente”, stavo per voltarmi ma qualcuno mi tirò su.
Mi ritrovai tra le braccia del gigante che camminava sulla lastra di legno.
“Non vorrei lasciarvi cadere in mare.” Rimasi stupita da tanta cortesia.
Mi voltai un secondo e notai che Alice era nella mia stessa condizione ma tra le braccia del tipo grassottello.
Poi mi voltai di nuovo a scrutare il volto sereno e rilassato dell’uomo che mi teneva tra le sue braccia, muscolose e tatuate.
Cosa diavolo stava accadendo?
Perché quel tipo mi dava tanta sicurezza?
E poi, a dire la verità, mi importava davvero ciò che stava accadendo?
Qualsiasi cosa sarebbe successa, sarebbe stata meglio del futuro che mi aspettava nel castello di quel Jeremiah, ne ero certa.
Ne ero certa?

Note: storia scritta a quattro mani con Madness in me. Questo capitolo è dunque frutto della deliziosa testolina della piccola Sah, indi gioitene e complimentatevi con lei <3
Ci alterneremo, un capitolo a testa. Unitevi alla ciurma, abbiamo spade di legno e cappellini di carta (e rum, perchè il rum non può mancare su una nave che si rispetti)!
Il mio capitano e io ci auguriamo che questo esperimento piaccia a voi quanto a noi immaginarlo e scriverlo.
Somuchlove,

Capitano Sah (e marinaia Al).

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


BROMPTON COCKTAIL
{Capitolo II}

Quando presi la mano di Azriel fra le mie, chiedendole di seguirmi nella fantasiosa storia che si era andata rapidamente formando nella mia testa, non stavo dicendo sul serio. O almeno non avrei mai creduto che avremmo osservato quella che era la nostra nave affondare, catturata e divorata dalle onde del mare.
Azriel si era accoccolata già da un pezzo sul grezzo giaciglio che nulla aveva da invidiare, in quanto a scomodità, a quello assegnatole sul peschereccio. Potevo vedere che scemata l'iniziale agitazione per quel brusco cambio di programma la nausea si era fatta risentire, nonostante lei cercasse di nasconderlo.
Lasciai con lo sguardo gli ultimi resti dello scafo ormai distrutto e spostai l'attenzione sulla stanza: non ci era permesso gironzolare per la nave, e comiciai a credere che forse eravamo finite dalla padella nella brace. Da una prigione ad un'altra insomma, con sbarre non meno crudeli.
"Il capitano ha ordinato di portarvi questo." Un piatto venne gettato con malagrazia sul pavimento, mentre il ragazzo dai capelli scuri e dagli ostili occhi castani sembrava trattenersi dal fare una smorfia. Non sarebbe mai venuto, lì dentro, se non costretto.
Pensai distrattamente che Azriel aveva fatto decisamente bene a spaccargli il naso, ma decisi di tacere.
"Ma vaffanculo."
Avevamo indubbiamente molte cose in comune, io e Azriel, compresi spesse volte i pensieri. Lanciai un'occhiata rapida prima alla mia amica e poi al pirata il quale si stava evidentemente interrogando sul da farsi. Probabilmente si stava chiedendo quanto sarebbero state dure le conseguenze in caso-
"Non dissubbidirei al tuo capitano, fossi in te." Commentai, tranquilla. "Non so come funzioni con i pirati, ma sulla terraferma l'insubordinazione è punita con una bella gita sotto la ghigliottina."
Non che ne fossi esattamente certa, non mi era mai stato permesso di occuparmi o di assistere a certe cose. Ma sapevo, con buona probabilità, che non mi sbagliavo.
Con un'imprecazione che avrebbe fatto svenire gran parte delle dame di corte e arrossire la rimanente, il ragazzo sparì chiudendosi la porta alle spalle. Mi avvicinai ad Azriel, inginocchiandomi accanto a lei e allungando una mano a sfiorarle la testa. Lasciai scorrere le dita sui capelli rosso fuoco, osservandone alcuni rimanermi impigliati fra le dita e sciogliendoli delicatamente.
"Immagino non ti vada di mangiare..." Le sussurrai, guardandola chiudere gli occhi.
“Scusa, no.”
“Non devi scusarti, non fa niente. Ma non vorrei che tu stessi peggio, per questo.” Le sistemai il vestito con gesti meccanici, abituali, nonostante sapessi benissimo che né a me né a lei importava assolutamente nulla dei nostri tanto belli quanto odiati vestiti.
Quello che ci aveva legate non era stato certo il fatto che avremmo dovuto rassegnarci a passare la vita insieme, perchè avevamo capito entrambe che se non ci fossimo andate a genio nessuna delle due avrebbe mosso un muscolo per far credere il contrario. Magari saremmo riuscite a convivere, rifugiandoci lei dietro una garbata apparenza e io dietro il mio silenzio, ma di sicuro non saremmo mai diventate amiche né, tantomeno, avremmo legato come avevamo invece fatto in quelle settimane.
No, eravamo legate semplicemente perchè avevamo scoperto di condividere una vita che sembrava creata a specchio, dalla sua alla mia e viceversa, e di reagire nella stessa direzione. Ognuna con il suo modo, con la sua maniera, ma la strada che facevamo era la stessa ed entrambe volevamo cambiarle il percorso. Un desiderio apparentemente impossibile, in realtà, che forse non faceva altro che indurci a sognare per poi affondare ancora un po' di più in quelle sabbie mobili. Ma era l'unica cosa a cui potevamo aggrapparci e io, ingenuamente, a volte riuscivo a immaginare che ce l'avremmo fatta.
“A che pensi, Al?”
Spostai lo sguardo su Azriel, abbassando appena la testa.
“A niente, in realtà.”
La vidi abbozzare un sorriso.
“Persa nel Paese delle Meraviglie, Alice?”
Sorrisi appena anch'io.
“Può darsi.”
Rimanemmo in silenzio per qualche attimo, poi fui di nuovo io a rompere la quiete.
“Sai, pensavo che almeno ci avrebbero fatto togliere questi orribili tendoni. Dovrebbero sembrare preziosi almeno la metà di quanto in realtà siano, e mi chiedo perchè non ce li abbiano ancora chiesti.”
La vidi ridacchiare.
“Probabilmente perchè anche il più inuto di loro è il doppio di noi?”
Picchiettai il dito sulla guancia, pensierosa.
“Non ci ero arrivata, uhm.”
“Maestro Ludwig sarebbe raccapricciato dalla tua mancanza di logica, Al.”
“Sarebbe sconvolto dal solo pensiero che ci possano far uscire da questi abiti enormi, Az... Te lo immagini quel vecchio prete a sentire questi discorsi? Gli arrossirebbe persino la tonaca per l'imbarazzo e lo sdegno!”
Immaginandosi la scena la vidi ridere, e immediatamente mi sentii sollevata: Azriel rideva poco, e quella era la prima volta che glielo vedevo fare dall'inizio del viaggio. Mi rilassai appena, lasciando che la tensione scivolasse via e ammorbidisse la rigida linea delle spalle.
“Parlare di tutto questo sembra così assurdo...” Disse lei, lo sguardo puntato sulle mani. “Solo un giorno fa era tutto il nostro mondo. Ci credi, Alice, era il nostro mondo e ce lo siamo lasciate indietro!”
Annuii, cauta. Ad essere sincera cominciavo ad essere molto meno ottimista di quando avevo parlato per la prima volta, ma eravamo insieme e questo era già qualcosa. Quella era la vita, la vita vera, e non sapevo da dove Azriel traesse tutta quella sicurezza; speravo solo me ne prestasse un po'.
“Non ci cercheranno almeno per altri sette giorni, ma poi rivolteranno la terra e il mare per trovarci.” Risposi, introcciando le dita in grembo. “Spero solo che questa sia una nave fantasma, o saremo nei guai.”
“Si sono dimostrati capaci, credo che anche se non sia un veliero fantasma se la caveranno.”
“Ti rendi conto che stiamo augurandoci di rimanere su una nave pirata, praticamente sequestrate?” Dissi, sorridendo.
“Piuttosto che i fratelli Jeremiah e Claus, di cui mi rifiuto di ricordarmi i titoli, accetterei tutto, dico davvero!”
“Non hai tutti i torti... Sicuramente saranno brutti e viscidi. Sai, con tutti quei salamelecchi a me sembra sempre di trattare con uno di quei lumaconi enormi e bavosi che i giardinieri combattono con tanta ostinazione.”
Azriel fece una smorfia.
“Non aiuti la mia nausea, in questa maniera.”
Mi portai le mani alla bocca.
“Oddio, scusami!”
“Non preoccuparti. Anche se devo ammettere che l'immagine era abbastanza realistica.”
Sbuffò, girandosi su un fianco e chiudendo gli occhi.
Sopra di noi si sentivano i passi dell'equipaggio ma non erano tanto quelli il problema...
"Christ, sali su quel fottuto albero e guarda se c'è una cazzo di nave!"
"Vaffanculo Syn!"
...quanto le voci, degli uomini.
Sospirai, lasciando Azriel ai suoi tentativi di riposare: da quando eravamo salite su quella nave il capitano non si era fatto più vedere, ma non era difficile capire chi ci fosse dietro le più o meno regolari incursioni della ciurma.
Fu un colpo e un'ennesima imprecazione a farmi concentrare di nuovo sulla porta: questa volta, con mia sorpresa, erano in due.
"Il capitano dice che potete uscire, ora. Non ci sono navi in vista nè tantomeno della terra, per cui non mettetevi strane idee in testa... Finireste solo in pasto ai pesci." Il gigante sorrise, mettendo in mostra le fossette sule guance. Accanto a lui c'era il ragazzo dai capelli a cresta, che sembrava sospeso a metà fra l'imbarazzo e l'orgoglio nel mantenere la sua maschera di terribile pirata. Inutile dire che, mentre l'altro era decisamente supportato dall'altezza e dalla stazza fisica, lui fosse da questo punto di vista estremamente svantaggiato.
Nonostante rimanesse più alto di me.
Quando se ne andarono rimasi in piedi, indecisa. Non che mi allettasse l'idea di lasciare Azriel da sola, dopotutto erano sempre pirati e nonostante non ci avessero fatto del male non avrei messo la mano sul fuoco riguardo al futuro, ma... Scrollai le spalle e decisi di salire sul ponte, ripromettendomi di tenere d'occhio l'equipaggio per tornare indietro se ce ne fosse stato il bisogno.
Il lavoro era frenetico, e mi trovai ben presto in mezzo alle urla: mi passavano intorno degnandomi non più di un'occhiata e per un momento mi sembrò di essere un fantasma. Non che mi dispiacesse, per una volta, non essere al centro dell'attenzione.
"Ti conviene spostarti, o ti farai male."
"Lasciala dov'è, Shads, che si prenda quello che si merita."
Inarcai un sopracciglio, scoccando un'occhiataccia al ragazzo dagli occhi scuri, ma non risposi e decisi di seguire il consiglio spostandomi: meglio aver ascoltato inutilmente che pentirsi di non averlo fatto. Nemmeno il tempo di poter aprire di nuovo la bocca, quasi, e un secchio cadde di schianto esattamente dove ero poco prima.
"Scusate!" Rise quello che mi aveva portato sulla nave, grattandosi la testa e scompigliandosi i capelli scuri. "Giuro che non volevo."
"Hai una pessima mira, Vengeance!" Sghignazzarono gli altri.
Mi allontanai e rimasi a girovagare sul ponte, ignorando la ciurma che continuava il proprio lavoro come se io non ci fossi, fino a che decisi di tornare a controllare come stesse Azriel. Scesi di nuovo in coperta percorrendo il breve corridoio per arrivare alla porta di quella che era la nostra stanza ma, una volta entrata, mi bloccai: Azriel non c'era e non poteva essere sul ponte, da dove ero appena arrivata. Non era entrato nessuno, per cui-
Realizzai il mio errore con quello che mi sembrò uno schiaffo in pieno volto. Era vero, avevo avuto l'equipaggio sotto agli occhi per tutto il tempo... Tutti gli uomini, tranne uno. Probabilmente l'unico che avrei dovuto veramente tenere d'occhio, ragionando con il senno di poi.
Tornai sui miei passi stringendo i denti e dandomi della completa idiota: cominciai a muovermi a casaccio, nella vana speranza di riuscire a trovare quel dannato buco in cui il capitano doveva essersi rifugiato. Non che la nave fosse enorme, certo, ma io non ero certo provvista di pazienza e quel poco che ne avevo lo persi in fretta.
"FANCULO!" Ringhiai ad un tratto, infastidita, sentendo poi una risata provenire dalle mie spalle.
"Certo che voi due avete tutto tranne che il temperamento, delle belle donzelle nobili di cui si canta nelle ballate."
Scossi appena la testa, passando oltre al ragazzo e imboccando l'ultimo piccolo corridoio lì intorno che non avevo già percorso. Lo sentii seguirmi e, quando misi la mano sulla maniglia dell'ultima porta, mi afferrò il polso per sciogliermi la presa.
"Mi dispiace, qui non ti è permesso entrare senza invito. Non costringermi ad essere scortese." Sorrise, mettendo in mostra di nuovo le fossette sulle guance e costringendomi a distogliere la mano dalla porta. Cominciavo a odiarlo, con quel suo dannato sorriso e tutta quella gentilezza.
"Azriel colpisce meglio di me, ma io sono più scorretta." Risposi seccata, liberandomi dalla presa. Speravo che una vaga minaccia potesse servire, ma almeno era una minaccia che non avrei esitato a mettere in pratica se ne avessi avuto bisogno.
Lui rimase a guardarmi per qualche attimo prima di scrollare le spalle e chinarsi per caricarmi sulla spalla come se nulla fosse: tentato tutto il possibile per costringerlo a mettermi giù fui costretta a rassegnarmi e, portata sul ponte, ad essere lasciata seduta su una cassa di legno con l'ordine di non muovermi.
Perfettamente visibile alla ciurma, perfettamente e facilmente controllabile. Il che era un po' il riassunto della mia vita e di quella di Azriel, con tanto di fili attaccati alle braccia e burattinai che si alternavano a prendere il comando del teatro in cui eravamo semplice spettacolo.
Sospirai, augurandomi che il sogno raccontato ad Azriel non cominciasse ad assumere i connotati di un incubo.
“Preoccupata della vostra sorte, signorina?”
Alzai gli occhi al cielo, guardando in alto nella speranza che ignorandolo sarebbe andato via.
“Il capitano finora è stato accogliente, nei vostri confronti.” Continuò imperterrito il ragazzo con la cresta, prendendo posto a quella che riteneva una distanza di sicurezza da me sulla cassa. Non seppi capire se fosse un segno di rispetto, di schifo o di che altro: magari ai suoi occhi ero un lumacone gigante e infiocchettato, direttamente da uno di quei palazzi che sognava di saccheggiare. Rabbrividii al pensiero di un enorme salsicciotto bavoso infilato in un vestito blu, cominciando a pensare che dovessi finirla di pensare a quegli esseri oppure avrei presto avuto la nausea come Azriel.
“Il capitano si è portato la mia amica nella sua cabina, più accogliente di così...” Ribattei, sarcastica.
“Lui cosa? Uh-uh...” Rise, lanciandomi uno sguardo divertito. “Se fosse chiunque altro non mi tratterrei dal fare pronostici spinti, ma Rev non è tipo da fare certe cose. Puoi stare tranquilla.”
Tranquilla un cazzo, pensai. Scelsi di nuovo di tacere.
“Se vuoi posso andare in avanscoperta, ma io onestamente eviterei di beccarmi una ramanzina dal capi-”
“Christ, si può sapere che diavolo stai facendo? Dovresti essere ad aiutare Vee con l'inventario del bottino!” Dopo quel gentilissimo richiamo all'ordine lo vidi lanciare un paio di insulti al compagno per poi saltare giù e sparire probabilmente in direzione del proprio compito.
Sembravano avere tutti da fare, in quella nave, e mi chiesi distratta se fosse sempre così o se anche loro, ogni tanto, avessero il loro tempo per riposare.
“Hai l'invito per varcare la porta misteriosa, ora. Il capitano vuole che raggiungi lui e la tua amica.” Il tizio con le dannate fossette torreggiava davanti a me, coprendomi con la sua ombra. Abbassai la testa e mi spinsi sulle braccia quel poco per sporgermi oltre il bordo e scendere dalla cassa: lui fece un gesto e il compagno dagli occhi castani lanciò un'imprecazione, mollando la cima che teneva stretta fra le mani non prima di averla legata con un nodo stretto al suo posto. Questi borbottò qualcosa ma ricevette un secco no in risposta e, evidentemente controvoglia, mi fece cenno di avviarmi; rimase dietro di me, ringhiandomi seccato ogni tanto le indicazioni, per poi quasi spingermi contro la porta.
“Sbrigati, ragazzina. Al capitano non piace aspettare.” Commentò prima di tornare indietro mollandomi lì come una perfetta idiota.
“Pirati.” Ringhiai come se fosse un insulto, spingendo la maniglia ed entrando. Mi zittii immediatamente quando lo sguardo limpido del capitano si spostò per una frazione di secondo dalla figura familiare di Azriel alla mia, facendomi cenno di entrare e di chiudermi tutto alle spalle. Obbedii, silenziosa, andandomi immediatamente a mettermi dietro alla sedia su cui era seduta Azriel e sfiorandole una spalla.
“Confido che la nostra chiacchierata sia stata piacevole, Azriel, e che possiate rassicurare la vostra amica sulla vostra salute, assolutamente intatta.” Sorrise appena il capitano, come divertito. “Così i miei uomini saranno al sicuro da colpi bassi.”
Nascosi l'imbarazzo crescente dietro una parvenza di impassibilità, ma non ero sicurissima che il risultato fosse buono come speravo. Di solito la cosa mi veniva meglio.
“Certamente, capitano.”
Aggrottai la fronte, avvertendo una nota insolita nella voce di Azriel. Era più rigida e quello era normale, decisa perchè doveva esserlo, e poi...
“Sarete libere di girare per la nave, eccezion fatta per la parte inferiore della stiva. Vi chiedo solo di non intralciare i miei uomini, potrebbero non essere tanto gentili quanto me.”
“Non lo faremo.” Tagliò corto Azriel, distogliendo lo sguardo, per la prima volta, da quello del capitano. Cominciavo a credere che ci fosse qualcosa che non sapessi, ma non sapevo decisamente cosa; forse in quella situazione mi sarebbe davvero servita un po' della logica di maestro Ludwig.
Ci accompagnò fino al ponte, dove smise di occuparsi di noi per adempiere ai propri doveri: rimanemmo ad osservarlo parlare con i suoi uomini per qualche istante, e poi mi decisi ad arrischiare a chiedere qualcosa.
“Az, cosa-”
“Niente, Al, tutto a posto.”
Tacqui nonostante la risposta mi avesse praticamente confermato il contrario, non avevo nessun diritto di estorcergli nulla. Se fosse stato qualcosa di importante me l'avrebbe detto, mi dissi seguendola verso prua: la vidi appoggiarsi al parpetto, lo sguardo puntato sulla parte anteriore della nave.
“Alice, guarda.”
Mi sporsi un poco, accanto a lei, per vedere meglio, e capii immediatamente quello che voleva farmi vedere: sulla parte anteriore della nave c'era una grossa statua raffigurante un teschio con gli occhi neri come la pece e ai lati del cranio partivano due ali, anch'esse nere, che abbracciavano i fianchi dell'imbarcazione. Doveva essere una visione spaventosa, un miraggio terribile che appariva sul mare per poi sparire lasciando dietro di sé solo relitti.
“Oh mio-”
“Direi che dopo questo possiamo confermare che questa è una nave pirata, tu che dici?” La sentii dire, per poi staccarsi dal parapetto e allontanarsi. Lanciai un'ultima occhiata alla polena e poi mi affrettai a seguirla.
 “Az, mi vuoi dire che diamine-” Fui costretta ad arrestarmi per evitare uno dei ragazzi, ma la ripresi in fretta e le posai una mano sulla spalla per farla voltare verso di me. “Azriel!”
Si scrollò di dosso la presa, fissando ostinatamente altrove.
“Vado a riposare, scusami.”
Rimasi immobile a guardarla scendere e sparire dalla mia vista, con la spiacevole sensazione che qualsiasi cosa fosse successo non l'avrei saputo facilmente; mi rassegnai a dirigermi verso poppa, dove mi inginocchiai e rimasi a guardare il mare dietro di noi.
“Ancora preoccupata, signorina?”
Non distolsi lo sguardo, limitandomi ad inclinare appena la testa mentre il ragazzo dalla cresta e il gigante dagli occhi verdi mi si affiancavano.
“Non è facile stare su una nave pirata, dovresti averlo capito.”
Abbassai lo sguardo sulle mie mani, rimanendo in silenzio, e per un attimo nessuno dei due parlò.
“Sai,” Riprese poi il ragazzo dagli occhi verdi. “La cosa bella di noi pirati è che con noi non ci sono schemi da seguire. Noi stessi siamo fuori e contro gli schemi, la nostra intera vita è improntata su questo.”
Lo guardai, non capendo dove volesse andare a parare, e lui sorrise.
“Rev è uno dei capitani migliori che si possa desiderare, ma anche lui può cambiare idea. Se dovesse prendere una decisione che non vi va a genio, tenetelo a mente... Con un po' d'impegno, persino voi due potreste riuscire a cambiare le cose.”
“Non che sia facile, certo.” Aggiunse il più piccolo. “Ma nulla è semplice, no? Si tratta di mettersi in testa di non lasciarsi trascinare dagli eventi sperando che le cose vadano per il meglio, ma dandogli la giusta spinta per far cambiare loro rotta.”
Le urla dei compagni dei due ci raggiungevano ancora, ma sembravano più scherzose.
“Ci conviene sbrigarci, Shads, o quegli stronzi si finiscono il rhum.”
“Andiamo, andiamo...”
I due si diressero verso la fonte delle voci, dietro le mie spalle: sospirai e intrecciai di nuovo le dita, stringendo le labbra.
“Ah, signorina...” Mi sentii richiamare, costringendomi a voltarmi appena per guardare i due.
Il gigante sorrise.
“Benvenute sulla Sevenfold.”

Note: storia scritta a quattro mani con Madness in me.  Questo è mio, di capitolo, e credo che -purtroppo, sigh- si veda.
Siamo contente che l'idea sia piaciuta, la cosa ci sta prendendo davvero un sacco e speriamo di riuscire a continuare in questo modo.
L'offerta del rum per i nuovi arruolati è sempre valida, mentre per il resto dell'equipaggiamento ci stiamo lavorando (soprattutto sui cappellini). Ma è tutto work in progress, parola di pir- marinaia, marinaia.
See ya,

Marinaia Al (e capitano Sah).

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


BROMPTON COCKTAIL
{Capitolo III}

Mi sentii leggermente in colpa nell’abbandonare in quel modo Al sul ponte ma i pensieri che affollavano la mia mente erano troppi e avevo terribilmente bisogno di un istante di solitudine per riordinarli.
Tornai alla mia cabina e mi misi seduta sul bordo del, chiamiamolo così, letto.
Il problema principale che affollava la mia piccola mente malandata era uno solo ed aveva occhi di ghiaccio.
Il capitano, Rev.
Ero in dormiveglia quando era venuto a chiamarmi ed io ero rimasta di schiena quando avevo sentito i suoi passi varcare la soglia della cabina.
Era rimasto al centro della stanza, in silenzio, per vari minuti poi aveva parlato, quasi sotto voce.
“Siete sveglia?” aveva domandato e nel riconoscere la sua voce mi ero sentita stranamente sicura a tal punto da voltarmi.
Come era successo ore prima, ero rimasta persa ed incantata a fissare i suoi occhi cristallini, perdendo completamente la capacità di ragionare o reagire.
Mi aveva chiesto di seguirlo nella sua cabina e, ovviamente, l’avevo fatto.
Senza pensare.
Cosa non da me, io ero quella che prima di fare un passo ragionava per ore, riflettendo sulle mille sfaccettature che ogni cosa poteva avere, su ogni conseguenza di tutte le mie più piccole azioni.
Eppure ero partita, passo svelto e testa bassa, camminavo seguendo Rev fino a raggiungere la cabina dove il capitano, con la sua classica gentilezza innata, mi aveva invitata a sedere su l’unica vera sedia presente in quella stanza.
Ed avevamo parlato per un tempo che mi parve eterno.
Lo avevo pregato di non darmi del “voi” e tantomeno del “lei”.
“Siete un pirata, dopotutto, comportatevi da pirata.” Gli avevo detto, sorridendo.
Lui aveva riso, con una risata magica e travolgente quasi quanto i suoi occhi di ghiaccio, poi, improvvisamente, era diventato serio.
“Perché due giovani e belle donzelle come voi erano a bordo di un disgustoso peschereccio, segregate in una cabina, se possibile, ancora più rozza del resto della nave?” mi aveva domandato.
Senza riflettere, mi ero gettata, sincera.
Avevo raccontato al capitano tutta la nostra storia, tutto ciò che ci aspettava, al di la del mare.
Avevo ceduto ed avevo rivelato quel nostro mal di vivere causato da quella vita non nostra che ci era stata scritta o meglio incisa sull’anima.
E, per mia enorme sorpresa, per tutto il corso del racconto, Rev era rimasto in silenzio, animatamente interessato dalla mia storia.
Cosa che non capitava mai.
Nessuno mi dava attenzioni in quel senso.
O meglio, ero piena di attenzioni perché chiunque si voltava a fissarmi, correva ad inginocchiarsi ed elogiarmi quando mi vedevano arrivare ma mai nessuno, al di fuori di Alice, si era mai fermato ad ascoltarmi veramente mentre io parlavo.
Nessuno, neppure mio padre.
Rev mi aveva ascoltata per un’infinità di tempo poi però mi aveva stupita, se possibile, ancor di più.
“La vostra vita non vi piace, giusto?” mi aveva domandato.
“Vi ho detto di non darmi del voi.” Avevo scherzato io.
“E allora non farlo neanche tu, sono solo un pirata” mi aveva risposto, sorridendo.
Avevo sorriso e avrei giurato di essere arrossita, cosa che non mi capitava da un’infinità di tempo.
Poi il capitano riprese a parlare “La tua vita non ti piace e non piace neanche alla tua amica, giusto ?” ed io avevo annuito, senza comprendere dove volesse arrivare a parare.
“Non ti piace essere costretta in abiti scomodi, in formalità inutili ed essere obbligata a seguire regole di ogni tipo, dico bene?” ancora una volta, non mi rimaneva che annuire.
“E allora.. rimanete qui.” E mi aveva spiazzata.
Confusa, avevo chiesto spiegazioni e Rev aveva fatto un passo verso di me, per poi piegarsi di fronte a me e fissarmi dritta negli occhi.
Quei suoi occhi del colore del ghiaccio, ora, brillavano come di luce propria, accesi da qualcosa che mi parve speranza.
Mi ero riscoperta di nuovo a trattenere, pietosamente, il fiato.
“Rimanete qui, sulla mia nave, con il mio equipaggio. Qui non ci sono regole. Qui potrete essere ciò che vorrete, tu potrai essere tutto ciò che desidererai.” Aveva detto, quasi sussurrando.
Avevo deglutito, rumorosamente.
“Perché?” avevo poi domandato, veramente confusa.
Perché un pirata doveva essere così bello e per giunta gentile?
Perché un pirata doveva essere arrivato in soccorso della stupida principessa?
Perché la principessa non riusciva a dire nulla a quel bel pirata dagli occhi di ghiaccio?
Tutte domande che mi ero tenuta nella gola, limitandomi ad un semplice ‘perché’ tremolante.
Rev aveva fatto un passo indietro e poi, senza guardarmi, aveva detto “Non c’è un perché. Sono un pirata, vivo alla giornata ed oggi ho deciso di proporti di rimanere qui, con la tua amica ed entrare a far parte della mia ciurma.” Poi si era voltato di nuovo, stavolta più serio di prima “Accetti la mia proposta?” mi aveva chiesto.
Che avevo da perdere? Mi ero chiesta e non avevo trovato risposta perché, effettivamente, da perdere non avevo più nulla se non la vita, quella vita che non valeva nulla per nessuno, soprattutto per me.
Così, sorridendo timidamente, avevo annuito e poi sussurrato “Va bene. Accetto, molto volentieri ma.. non so quanto piratesca potrò essere.”
Rev si era illuminato di nuovo e si era voltato completamente verso di me.
“Imparerai.” Mi disse “E la tua amica, cosa ne pensa ?” mi domandò.
Ed improvvisamente la paura mi divorò.
Se non fosse stato ciò che anche Alice avrebbe voluto?
Se mi avesse odiata per quella decisione?
Guardai Rev, preoccupata e lui colse quella preoccupazione perché corrugò la fronte e domandò “Cosa?”
“Capitano, se la mia amica non accetterà la mia proposta e deciderà di non voler entrare a far parte della tua ciurma, devi promettermi che la lascerete andare.” Dissi, improvvisamente autoritaria.
Il capitano sollevò le sopracciglia, sorpreso.
Poi, lentamente, si rilassò.
“Hai la mia parola, Azriel, che se la tua amica non sarà d’accordo, sarò io stesso a riaccompagnarla alla terra ferma ma devo avere qualcosa in cambio.” Disse, prendendo un barile, trascinandolo di fronte a me e sedendoci su.
“Se anche lei tornerà a casa, tu rimarrai qui.” Mi fissava, speranzoso.
Ed accettai.
Perché non avevo nulla da perdere, perché non valevo niente per nessuno al di fuori di Alice e in ogni caso quel che contava era che lei stesse bene e forse anche perché quegli occhi di cristallo mi incantavano fino a farmi perdere completamente la ragione.
Dopo vari minuti passati a guardarci senza spiccicare parola, Rev si era alzato, aveva spalancato la porta ed aveva chiamato il tipo dalle fossette, Shadows, ordinandogli di andare a prendere, con gentilezza, la mia amica e condurla da noi.
Alice si era accorta che qualcosa non andava ma non poteva certo immaginare cosa fosse.
Mi alzai dal mio letto e mi misi in piedi al centro della stanza, fissando il mio enorme ed ingombrante vestito, girando lentamente su me stessa.
Alice non poteva immaginare che io avevo praticamente barattato la mia vita con il capitano di una ciurma di pirati.
Ridacchiai e, ai miei occhi, sembrai pazza.
Una ragazzina che gira su se stessa, ridendo e guardandosi i piedi.
Improvvisamente però mi accorsi di una cosa, io i miei piedi, sotto quell’enorme cumulo di stoffa, non li vedevo affatto e la cosa non mi piaceva.
Ero stanca di quello stupido abito.
Rimasi a lungo a fissarlo poi mi chiesi “Un pirata vestirebbe mai così?” e la risposta era chiara, un sonoro “NO”.
Come potevo risolvere quel problema?
Un’illuminazione.
Ricordai di aver visto uno scaffale pieno di libri nella cabina del capitano e mi chiesi se non ci fosse stato qualche ritratto di qualche piratessa, su uno di quei libri.
Senza ulteriori indugi mi incamminai a passo spedito verso la cabina del capitano e quando vi fui davanti mi bloccai, fissando l’enorme porta di legno, senza fiato.
E se avessi disturbato?
No, cosa mi ero messa in testa?
Chi mi dava tutta quella confidenza?
Era pur sempre il capitano di una ciurma di pirati.
Sbuffai e mi voltai, tornando, sconsolata, sui miei passi.
Fissavo il pavimento malandato sotto di me senza guardare avanti e proprio per quel motivo mi scontrai contro qualcuno, cadendo a terra.
“CAZZO!” gridò la persona contro cui mi schiantai e mi tirai su di scatto, temendo la reazione del pirata.
Di fronte a me, il ragazzo dagli occhi cerulei, quello che aveva portato in braccio Alice durante l’abbordaggio, si alzò di scatto, scusandosi più volte.
“Non ti ho proprio vista!” mi disse, sempre più dispiaciuto.
Non ricordavo di aver mai letto di pirati tanto gentili nei libri che ero costretta a leggere con maestro Ludwig.
Sorrisi anche perché non si fece problemi a darmi del tu e la cosa mi rese felice.
Ero una come tante, per lui.
Stavo per superarlo e continuare sulla mia strada quando mi chiamò.
“Azriel, giusto?” domandò ed io annuii “Dove vai?”
“Torno in cabina...” sussurrai, sconfortata.
“Ma venivi dalla cabina del capitano ?” mi domandò.
“Ehm... più o meno.” Dissi poi sbuffai “Lascia stare” sorrisi e mi allontanai.
Sentii il pirata bussare sulla porta e la voce del capitano gridare un “AVANTI”, poi la porta aprirsi e chiudersi.
Stavo per raggiungere la mia cabina quando mi sentii chiamare da una voce fin troppo familiare.
Mi voltai e Rev mi correva incontro.
Lo guardai, confusa.
“Vee mi ha detto che eri davanti la porta della mia cabina, ti serviva qualcosa?”
Arrossii.
Che figura da idiota avevo fatto.
“In realtà... volevo chiederti se potevo dare un’occhiata ai tuoi libri, quelli che hai in cabina ma.. avevo paura di disturbare.” Dissi, giocherellando nervosamente con una ciocca di capelli.
“Certo, ma quale disturbo, vieni pure.” Mi disse Rev ed io lo seguii fino alla sua cabina dove trovai Vee seduto sul barile.
Rev prese posto sulla sedia e mi disse “Non badare a noi mentre gestiamo i nostri affari pirateschi.” E mi fece l’occhiolino.
Arrossii violentemente e mi voltai di scatto verso lo scaffale con i libri ed iniziai a sfogliarne parecchi.
Ero così presa dalla lettura che non badai al tempo che passava e non mi accorsi neanche di Vee che uscì, silenzioso, dalla cabina.
Non badai a Rev che rimase a fissarmi tutto il tempo, poi improvvisamente trovai ciò che stavo cercando, “FINALMENTE!” gridai, balzando in piedi.
Il capitano mi fissava, curioso.
Poggiai il libro aperto sul tavolo davanti al quale era seduto il capitano e gli mostrai la figura della piratessa che vi era ritratta.
“Voglio riuscire a trasformare così il mio abito, sono sempre stata un’ottima sarta, non dovrebbe essere difficile.” Dissi, sovrappensiero.
“Fantastico.” Annunciò Rev “Dimmi ciò di cui hai bisogno e farò in modo di procurartelo.
“Avete aghi, fili e forbici?” domandai.
“Aghi e fili sì, magari non i fili pregiati che sei abituata a toccare, ma sì, purtroppo però non posso procurarti forbici di alcun tipo ma se vuoi posso insegnarti ad usare un coltello.” Mi disse.
Mi voltai di scatto, gioiosa.
“Mi insegneresti ad usare un coltello anche se... sono una donna?” domandai, fuori di me dalla gioia.
“Certo che te lo insegno, a bordo di una nave pirata, saper usare un coltello può diventare vitale.” Mi disse, sorridendo.
Così afferrai il libro e mi diressi in cabina, attendendo l’arrivo di Rev che mi raggiunse poco dopo.
Presi quella che doveva essere la coperta del mio letto, spinsi a forza il capitano fuori dalla cabina e mi spogliai dai miei indumenti, legandomi in vita l’enorme coperta poi lo feci rientrare.
Ci ritrovammo seduti per terra, vicini, circondati da pezzi di stoffa sparsi ovunque, aghi e fili.
Ogni volta che dovevo tagliare qualcosa, Rev portava la sua enorme mano sulla mia e guidava il coltello che tenevo stretto e, ad ogni movimento, il mio cuore si fermava e smettevo di respirare, pregando poi subito dopo che lui non si accorgesse di nulla.
Quando fui pronta il capitano uscì dalla stanza ed io indossai il mio nuovo abito.
Con alcune parti del mio abito, le più scure, ero riuscita a ricreare delle specie di pantaloni che mi arrivavano fino alle ginocchia, fasciandomi tutte le forme e una maglietta piuttosto femminile, ma che mi permetteva, finalmente, di muovermi.
Con la stoffa che era avanzata mi ero fatta una specie di bandana che Rev mi aveva aiutata a legarmi sulla testa, in modo che l’infinità di capelli rossi non mi finissero, fastidiosamente, davanti la faccia.
“Come sto?” domandai, girando un po’ su me stessa mentre Rev mi osservava, sorridendo.
“Piratesca.” Mi disse.
“Era un complimento?” domandai, confusa.
“Molto di più” disse lui e scoppiammo entrambi a ridere.
Stava calando il buio e, di comune accordo con Rev, avevo deciso che saremmo saliti sul ponte per comunicare sia ad Alice che all’equipaggio, la decisione che quella mattina avevo preso con il capitano.
Ovvero che io, in un caso o nell’altro, sarei entrata a far parte della ciurma e avrei poi chiesto ad Alice se voleva essere riportata alla terra ferma o rimanere anche lei con i pirati.
Camminavo al fianco di Rev, trattenendo il fiato e giocando nervosamente con una ciocca di capelli.
Cosa avrebbe risposto Alice?
Non mi avrebbe abbandonata, ma avrebbe preferito davvero vivere con dei pirati alla nobiltà?
Ci speravo, tremendamente.
Quando arrivammo sul ponte notai Alice seduta sul bordo della nave di fianco a quello che riconobbi essere Shadows mentre Gates, Christ e Vee se ne stavano dietro il timone della nave e cantavano.
Sorrisi tra me e me.
Poi arrivò il momento della verità, Rev chiamò tutti a raccolta.
Gates, Christ e Vee scesero e ci raggiunsero di corsa mentre Shadows ci mise un po’ di più perché aiutò Alice a scendere dal bordo alto della nave.
Quando tutti ci furono davanti, mi sentii quasi mancare.
Alice mi guardava, confusa e preoccupata, stupita anche dal mio nuovo abbigliamento.
Presi a guardarmi i piedi, scalzi e liberi da quelle fastidiose scarpe che ero stata costretta a portare per tanti anni e sorrisi leggermente.
“Ho bisogno di parlare con l’intera ciurma ed anche con la signorina Alice ed esigo che tutti mi ascoltiate.” Annunciò Rev, ora più autoritario che mai ed il mio cuore si fermò di nuovo.
Come sarebbe andata?
Non lo sapevo e avevo tremendamente paura.

Note: capitolo di Madness in me. Ammiratelo insieme a me <3
Aggiornamento anticipato/di corsissima per colpa mia, purtroppo da domani non so se e quando avrò il Wi-fi -ma tranquilli, al limite mi arrabatterò con il telefono la prossima settimana :D Chiedo perdono anche per non aver risposto alle recensioni, appena avrò un momento in cui poterci mettere la testa risponderò a tutte le personcine meravigliose che hanno commentato questa piccola avventura.
Spero davvero che continuerete a seguirci.
See ya,

Marinaia Al (e capitano Sah).

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


BROMPTON COCKTAIL
{Capitolo IV}

All'inizio pensai di non aver capito bene. Fissavo Azriel più o meno certa di aver frainteso tutto, ma i suoi occhi mi dicevano il contrario. Avevo ascoltato tutta la storia nel più completo silenzio, le mani intrecciate dietro la schiena, mentre mi dicevo che effettivamente qualcosa di importante era e che mi stava venendo detto. Nulla che non fosse nel programma, certo, ma...
“Allora, Alice?”
Senza pensarci, aprii la bocca e decisi di dire la prima cosa che mi passava per la testa.
“Al, Alice?”
Ovvero niente.
Mi sentii terribilmente stupida a non dire nulla ma dopo qualche attimo di attesa ancora non mi veniva niente che potesse avere un senso logico, e scelsi la strada più semplice: voltare le spalle a tutti quanti, senza aggiungere altro, e sparire in coperta. Possibilmente dove non mi avrebbero trovato tanto in fretta.
“Ehi... ehi!”
Mi infilai a quella che per come ero vestita equivaleva alla velocità della luce nella prima porta a caso che mi trovai davanti, richiudendomela alle spalle e trattenendo il respiro per ascoltare chiunque mi stesse seguendo passare oltre: prima di guardarmi intorno cercai di ricordare in che parte della nave mi trovassi, casomai fossi finita dritta dritta nella cabina del capitano o quella assegnata a me e Azriel. Una volta abbastanza sicura di non essere in nessuna delle due aprii un occhio, ma la situazione non cambiava un granchè.
Oh, cazzo.
Dire che non avrei visto un elefante a un palmo dal mio naso non era un eufemismo, e la cassa che urtai muovendo solo qualche passo in avanti era più che reale. Quando qualche spigolo dopo riuscii a rannicchiarmi in quello che credevo fosse l'angolo della stanza in una posizione più o meno comoda, o a qualcosa che ci assomigliasse anche solo vagamente, tutto ciò che avrebbe dovuto venirmi in mentre prima sembrò decidere ad un tratto di uscire dall'oblio per cominciare a rimbalzare qua e là nella testa.
Guardando quel caos l'unica cosa veramente sensata che riuscivo a capire era che avevo paura: una fottuta e terribilmente pungente paura, quanta non ne avevo mai avuta nella mia vita. Finchè si era trattato di sognare ero stata brava, molto brava, ma non ero per niente certa che lo sarei stata altrettanto nei fatti... Era lampante che Azriel fosse nata per vestire quei panni, quelli del pirata, e ci avrei potuto scommettere parecchio che tutto l'equipaggio avesse fatto lo stesso identico pensiero. Lei era quella che quando diceva le cose le faceva, che aveva il coraggio di prendere la strada che sceglieva, e io non volevo essere da meno ma non era affatto facile.
Non lo era per niente, a dire il vero.
Appoggiai la fronte alle ginocchia, circondandole con le braccia e chiudendo gli occhi: nemmeno mi accorsi della porta che si apriva e della lama di luce che tagliava la stanza finchè la mia attenzione non fu richiamata dal rumore di passi di chi stava entrando. Strizzando gli occhi per l'improvvisa luce riuscii a distinguere vagamente una figura contro la porta, ma non diedi tanto peso a chi fosse.
“Se entri, almeno chiudi la porta.” La frase mi uscì leggermente più velenosa di quanto volessi, così mi sbrigai ad aggiungere un “Grazie.” Con quella che sembrava un'agilità straordinaria ma che poi capii essere solo abitudine sentii qualcuno avvicinarmisi.
“Signorina Alice?”
“No, il fantasma della nave.” Risposi, ironica, alzando gli occhi al cielo.
“Non sapevo avessimo fantasmi sulla nave.”
“Mai dire mai.”
Sentii una breve risata e il rumore di qualcuno che si sedeva sul pavimento.
“Rev me l'avrebbe detto. O almeno, l'avrebbe detto a me e Gates... Mentre su Christ e Vee avrei qualche dubbio.”
Mio malgrado, mi trovai a rispondere.
“Perchè non avrebbe dovuto farlo, con loro?”
Un'atra risata, più soffocata.
“Mai sentito parlare di fifa blu, signorina? Ne sono un esempio perfetto, quando si tratta di cose del genere.”
Aggrottai la fronte.
“Non l'avrei mai detto, pirati che hanno paura dei fantasmi.”
“Siamo umani anche noi, dopotutto.”
Calò il silenzio, ma non sembrava che il mio interlocutore fosse incline a lasciarlo in sospeso molto a lungo.
Tossicchiò appena prima di chiedere, con quello che potevo immaginare essere un po' di imbarazzo, “Posso?”
Voltai la testa verso la fonte della voce, interrogativa.
“Cosa?”
“Sedermi lì vicino.”
Inclinai appena la testa e raccolsi il più possibile il vestito, annuendo in automatico per poi ricordarmi che non poteva vedermi.
“Sì, certo.” Borbottai, sentendolo muoversi per qualche istante.
“Eh...”
“Che c'è, ora?”
“Non riesco a capire dove se- siete. Dove siete.”
Abbozzai un sorriso, divertita dal suo imbarazzo.
“Ti fai problemi a farmi del tu? Non mi era parso che avessi difficoltà...”
“Io- Certo che no! Voglio dire, sì ma-”
Trattenni una risata.
“Fallo e basta, o mi sentirò ancora in una dei saloni di casa. E ti assicuro che mi piacerebbe meno di quanto pensi.”
Riuscii a capire che era sorpreso.
“Oh, d'accordo.” Sembrò pensare brevemente sul da farsi. “Puoi parlare ancora un po'?”
Sbuffai appena.
“Che diamine dovrei dire, ancora?”
“Oh, ecco. Credo di aver capito. Puoi allungare una mano?”
Eseguii, perplessa sulla reale utilità di quel gesto, ma quasi subito sentii le mie dita venire toccate da qualcos'altro. Qualcosa di caldo e ruvido, come le mani di chi ha passato la vita fra le cime di una nave.
“Perfetto.” Dopo qualche sencondo sentii la presa allontanarsi e, con uno scatto, mi allungai per afferrare quelle dita a mia volta. Calò il silenzio, e io trattenni un'imprecazione alla mia stupidaggine.
“Altrimenti... Ci avresti messo ore a trovarmi.” Ribattei, quasi a giustificazione di quello che avevo fatto. Potei quasi giurare di averlo sentito ridere.
“Ridi di me, pirata?”
“No no, non mi permetterei mai...” Lo sentii rispondere, in una evidente presa in giro.
Protetta dal buio mi permisi di sorridere, sentendo le guance scaldarsi per l'imbarazzo: lo guidai a sedersi accanto a me, così vicino che potevo sentirne il respiro.
Di nuovo, il silenzio non durò a lungo.
“Hai deciso cosa vuoi fare?”
La parte dei giochi era finita, a quanto pareva.
“Vuoi la verità o la risposta che preferirei dare?”
“Non me ne faccio niente del resto. Verità.”
“No.”
Sembrò sospirare.
“Qual'è il problema?”
Il problema? Era ottimista, se pensava che ce ne fosse uno solo.
“Mi chiedo se io sia veramente disposta a buttarmi da una torre senza sapere che cosa ci sia sotto. E se ne abbia il fegato, se poi sarei adatta a quello che viene dopo-”
“Ehi, ehi, frena. Credo tu ti ponga un po' troppi problemi tutti insieme.”
“Vuoi veramente dire che dovrei fare il contrario?”
“Mh, non penso. Io non avevo molto da chiedermi, quando partii per la prima volta su questa nave, quindi non posso capire del tutto quello che tu e la tua amica dovete affrontare ma... Sono abbastanza sicuro che come lei ne è venuta a capo, saltando qualche passaggio, possa farlo anche tu.”
“Siamo due persone diverse.”
“Con gli stessi obiettivi e lo stesso punto di partenza. Se mi permetti di parlare onestamente-” Aspettò per un momento un'eventuale diniego, che però non arrivò. “Credo tu debba mettere sulla bilancia cosa perdi e cosa ottieni. Certo che se tu dovessi scoprire che rimanere qui vale più che tornare indietro e scegliessi comunque di tornare saresti un'idiota.”
Gli scoccai un'occhiataccia nel buio.
“Vaffanculo.”
“Grazie” Rise lui. “Ma in ogni caso era solo un'ipotesi.”
Rimasi in silenzio, rimuginando, fino a che lui non parve decidere che proprio in silenzio non mi voleva lasciar stare.
“Parla con me. Tira fuori quello che hai nella testa e vediamo se mettendo tutto sul banco riesci a venirci a capo.”
Pensai distrattamente che per essere una nave pirata c'era decisamente un equipaggio bizzarro, e che non avrei avuto nessuna ragione per seguire il consiglio.
“Ho paura.”
In teoria.
“Di cosa?”
“Azriel è nata per stare su una nave, l'hai vista, è come una tessera di un mosaico che entra perfetta al suo posto.”
“E tu?”
“Io? Io non lo so. Non lo so davvero. Sono quel tipo di persona che se le metti in mano un'ago si buca le dita sette volte prima di riuscire a infilare la punta, come diamine potrei anche solo sperare di cavarmela? Ho sempre voluto uscire dalla mia vita, è vero, ma non credo di averne le capacità. E, di riflesso, non essendo esattamente un'aspirante suicida non so se voglio buttarmi nelle fauci della tigre... O dello squalo. Insomma, il concetto è quello.”
Lui si spostò appena, mettendosi più comodo.
“E Azriel?”
Ecco la nota dolente di tutto il mio ragionamento. Abbassai la testa, torturandomi le dita.
“È l'unica cosa di cui mi importa davvero. Senza di lei sarei persa più di quanto già non sia-”
“Il che è tutto dire.” Lo sentii commentare. “Scusa. Continua.”
Mi morsi la guancia e obbedii, riprendendo il filo.
“Azriel è la cosa più simile ad una sorella che abbia mai avuto, ed è anche un modello per me. Perfino nel ruolo che più odia è più brava di me, ma io vorrei anche solo avere un centesimo della forza che ha lei. Forse con quella riuscirei a combinare qualcosa.”
Tacqui, e lui rimase in attesa come se si aspettasse altro.
“Tutto qui?” Chiese poi.
Feci una smorfia.
“Se ti pare poco...”
“Oh, no, il cielo me ne scampi. Ma credo di poterti essere d'aiuto, in qualcosa.”
“Davvero?”
“Ascolta. Non ti dirò che devi rimanere, questo no, ma gran parte dei tuoi dubbi si può risolvere solo con il tempo. La chiave è avere pazienza, e lasciare che le cose vadano al loro posto.”
“Parli di pazienza con la persona sbagliata.”
Sbuffò, impaziente, ma mantenne il tono gentile.
“Non fraintendere cosa sto dicendo. Puoi imparare a stare su una nave, a fare tutto ciò che facciamo esattamente come lo facciamo noi: io personalmente non sono un grande insegnante, ma ho pazienza. Syn a sua volta è un bravo insegnante ma credo che tu e lui minaccereste di lanciarvi l'un l'altro in mare un minuto sì e l'altro pure quindi non credo sia una buona idea almeno per ora... Ma nulla ti vieta di tentare. Magari ti diverti anche. Quanto a Christ e Vee... Sono dei bravi ragazzi, intelligenti e capaci. A modo loro. Cioè, insomma, hai capito no. E poi ci sarà sempre Azriel, non dimenticarlo. Afferrato il discorso?”
Sorrisi appena.
“Sì, credo.”
“Benissimo. E...?”
“Eh.” Sospirai. “Dico che posso provarci.”
“Fantastico!” Sentii un rumore secco e un'imprecazione, e capii che doveva essersi alzato di colpo. Soffocai una risata.
“Tutto bene?” Chiesi, sentendolo dare dei colpi a ciò che doveva aver urtato.
“Fanc- Oh sì, certo certo. Ora che abbiamo sciolto i tuoi rompicapi strizzacervelli io però proporrei di uscire di qui prima che io faccia inavvertitamente a botte con qualcos'altro.”
Questa volta risi apertamente.
“Andiamo, andiamo... Se il capitano mi mette alla forca, dopotutto, avrete un vero fantasma su questa nave.”
Lasciai che raggiungesse la porta e la aprisse, permettendomi di raggiungerla senza provocarmi altri lividi, poi mi fece segno di seguirlo e io lo feci, di nuovo silenziosa. Riconobbi la strada della stanza mia e di Azriel solo quando fummo quasi arrivati e lui, giunti davanti alla porta, si fece da parte per lasciarmi entrare.
Per un momento desiderai che entrasse con me, ma immaginai che avrei dovuto parlare da sola con Azriel e magari spiegarle un po' come stavano le cose e il perchè del mio gesto.
Sospirai, aprii la porta ed entrai: come avevo previsto, Az era seduta sul suo giaciglio e guardava il pavimento davanti a sé.
“Az...”
“Sei venuta a dire che te ne vai?”
Mi ritrassi, quasi mi avesse colpita fisicamente, ma poi deglutii e mi andai a inginocchiare davanti a lei. Rimasi in silenzio per un po' cercando di trovare le parole giuste, ma il problema era che non ne avevo. Come pareva accadesse sempre quando invece avrei avuto bisogno della parlantina di Azriel o di qualcosa di simile.
Verità.
“Non nego che ci avevo pensato, ma...” Le alzai il mento per costringerla a guardarmi, e le sorrisi inclinando appena la testa. “Dove potrei mai andare senza di te?”
Non avevo spiegato un bel niente di quello che mi ero proposta, però alla fine contava il messaggio. E quello almeno era corretto.
La vidi spalancare gli occhi, in un misto di emozioni che nemmeno sapevo distinguere  figuriamoci nominare, per poi sentire quello che già mi aspettavo di prendermi appena varcata la soglia.
“VAFFANCULO STRONZA, MI HAI FATTO PRENDERE UN INFARTO!”
Beh, me lo ero meritato, dopotutto. Risi, vedendola ben presto lasciare la sua indignazione per rilassarsi e trovare persino lo spazio per sorridere.
“Ti voglio bene anche io, sì.” La rimbeccai con una smorfia per prenderla in giro.
Azriel mi fece il verso, alzandosi e prendendomi per mano per poi trascinarmi fuori.
“Ehi ehi, piano-” La avvisai, intuendo che doveva essersi dimenticata che io non avevo tanta libertà di movimento quanto lei; nonostante il rischio di cadere inciampando, evitato un bel po' di volte per pura fortuna, riuscì a portarmi integra fin sul ponte. Non appena salimmo e l'equipaggio vide l'espressione di Azriel ci fu una risata di Christ e la mano di Vee che si tendeva verso Gates.
“Sganciare prego, Gates!” Sogghignò il primo, ridendo.
Trovai il tempo di intercettare un'occhiataccia di Gates e di ricambiare con un'espressione di scherno prima che Az mi riportasse sotto per guidarmi con il suo entusiasmo fino alla cabina del capitano.
“Rimane, rimane, RIMANE!” Esclamò entrando senza preavviso nella stanza, per poi bloccarsi non appena resasi conto del suo gesto. Con mia sorpresa, Rev si limitò ad alzare lo sguardo dal suo lavoro e a sorriderle.
Sembrava contento che lei fosse felice.
“Bene.” Rispose, alzandosi e appoggiandosi con le braccia alla scrivania. “Dovremo trovarle qualcosa da fare.”
“Sono disposta a imparare qualsiasi cosa.” Mi intromisi, rapida. “Anche se dovrete convivere con la mia imbranataggine. Almeno all'inizio. Oh, e una cosa...”
Lo vidi alzare un sopracciglio, e decisi subito di moderare i toni.
“Ecco, vorrei, se possibile... Sì, uhm, che ad aiutarmi agli inizi fosse Gates.”
Oh, se mi divertirò.
Azriel mi guardò stranita, e la sua espressione era lo specchio di quella del capitano.
“Vedremo il da farsi.” Lo vidi borbottare, tentando di capire le mie intenzioni.
Qual'era la cosa bella? Che non avevo nessun secondo fine.
...O almeno era talmente stupido e infantile che maestro Ludwig si sarebbe vergognato di me. E per una volta ne ero contenta.
Congedata dal capitano filai senza pensarci due volte in corridoio, chiudendomi la porta alle spalle e lasciandomi le voci di Azriel e di Rev dietro. Incrociai il gigante dagli occhi verdi all'imboccatura delle scale per salire sul ponte.
“Allora, signorina, dobbiamo far rotta per il porto più vicino?” Mi chiese, sorridendo.
Sapeva già la risposta.
“Solo se è un porto di pirati.” Risposi, sorridendo appena.
Salimmo a raggiungere gli altri, raggiunti ben presto dall'ennesima occhiataccia di Gates.
“Allora non ci liberiamo nemmeno di te, eh?” Mi sentii apostrofare. “Mi sei costata dieci monete e una bottiglia di rum.”
“Voglio la mia quota, a chi devo chiedere?” Replicai candidamente, guardandomi in giro e vedendo Johnny ridere tanto da rischiare di cadere dal barile su cui era seduto. Perfino Matt, accanto a me, fece una gran fatica per non scoppiare a ridere in faccia al compagno.
Con mia sorpresa, anche questi sogghignò. Ma prima che avesse anche solo il tempo di rispondere da dietro le mie spalle sentii arrivare la ormai conosciuta voce del capitano: quando mi voltai vidi che accanto a lui c'era Azriel.
“Si cambia rotta, gente.” Disse il capitano, mentre Azriel gli gettava un'occhiata entusiasta. “Si fa vela verso casa.”
“I pirati hanno una casa?” Sussurrai, facendo sorridere Shadows.
“Non per come la intendi tu, bimba.” Rise Gates. “Sarò curioso di vedervici avere a che fare.”
“Devo preoccuparmi?”
“Oh, sì.”
Matt sorrise, e io lo guardai.
“Solo un po'.” Rispose, tentando di rimanere serio.
Alzai gli occhi al cielo e guardai Azriel.
“Hai idea del pasticcio in cui ci siamo messe?” Le sillabai, vedendola aggrottare la fronte. Quando indicai Gates e Shadows, con un'espressione che le scatenò un'accesso di risa, andai ad affiancarmi a lei.
“Mi hanno detto che corri il rischio di fare a gara a chi viene buttato in mare prima con Gates, Al.”
“Oh, sì.”
“Sai di avere poche possibilità di vittoria, vero?” Mi prese in giro, bonaria.
Le lanciai un'occhiata.
“Vogliamo scommettere, come prima azione da equipaggio di una nave pirata?”
Lei sorrise beffarda.
“Il vestito non ti aiuta.”
“Parto svantaggiata, lo ammetto... Ma non ho intenzione di rivelare la mia strategia prima del tempo.”
Azriel sembrò incuriosirsi.
“Allora, scommessa sia. Ma se perdi dovrai pagare.”
“Andata.”
Vidi il capitano ridere mentre gli altri osservavano divertiti la scena. Quando questi però decise di salire al timone ognuno riprese il proprio posto, mentre io e Azriel rimanemmo sul ponte.


“Oh, Az?”
“Mh?”
“Ti sta un incanto quel vestito.”
“Grazie.”
“E penso che qualcun altro ne sia convinto tanto quanto me. Forse di più.”
“Che... Che vuoi dire?”
“Ah, io? Nah, niente.”
“Al... ALICE!”

Note: capitolo puntuale stavolta, ho riavuto il Wi-fi prima di quanto pensassi ed è cosa assai buona :°
Le avvertenze per gli eventuali effetti collaterali della lettura sono sempre gli stessi *sventola pacco di fogli* ma spero di non uccidere nessuno anche questa volta. Insomma, confido nella resistenza della nostra ciurma.
Grazie ancora a tutti coloro che continueranno il viaggio con noi!
See ya,

Marinaia Al (e capitano Sah).

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


BROMPTON COCKTAIL
{Capitolo V}

Bussarono nuovamente alla porta.
“Az... sicura di stare bene?” domandò, da fuori, Alice.
“Ti ho detto di sì, davvero, tranquilla. Tra poco sono di nuovo da voi.” Risposi, impegnata a continuare il mio lavoro.
Da quando eravamo ripartiti, avevo fatto due cose.
Ero rimasta seduta venti minuti su un barile a fissare il capitano, da perfetta idiota, finché Gates non era venuto a prendersi gioco di me poi ero passata a fissare Alice che girava curiosa per il ponte, serena.
Era stato proprio fissando la mia amica che mi era venuta in mente un’idea geniale.
Ero impegnatissima e concentratissima.
I passi svelti e le voci dei ragazzi sopra la mia testa non mi distraevano affatto.
Lavorai, senza sosta, per quelle che credevo essere ore, ma non avrei potuto dirlo con certezza.
Poggiai il mio lavoro finito sul letto, riordinai la mia cabina poi uscii, risistemandomi in testa bandana e, velocemente, tornai sul ponte alla ricerca della mia amica.
I ragazzi mi sfilavano davanti continuando i loro lavori ma sul ponte, di Al non c’era traccia.
Sbuffai.
Adocchiai Rev ancora in piedi dietro il timone e lo vidi voltato verso di me, sembrava sorridere ma da quella distanza non ne sarei stata poi così sicura.
Mi incamminai, a passo svelto, verso di lui.
Stavo salendo la piccola scala, diretta verso il capitano quando sentii qualcuno gridare “ATTENTA!”, alzai la testa dai gradini e vidi rotolare verso di me un enorme barile.
D’istinto mi buttai di lato, urtando il bordo della nave, perdendo l’equilibrio e cadendo.
Riuscii, per un soffio, ad aggrapparmi proprio al bordo che mi aveva sbilanciata e mi ritrovai a penzoloni, con solo l’enorme distesa d’acqua sotto i miei piedi.
Mi tenevo con una sola mano e non sapevo come ci riuscivo, dato che mi ero sempre reputata una dalla scarsa forza fisica.
Sentii Alice gridare “OH MIO DIO, AZRIEL! AZRIEL!” e tanti passi che correvano verso di me.
“TIENITI, AZRIEL!” mi gridò Matt, che era stato il primo a raggiungermi ed era intento a tendermi una mano ma nel momento stesso in cui tentai di afferrare la sua mano enorme, la mano con cui tenevo saldo il bordo della nave scivolò e in una frazione di secondi mi ritrovai in acqua, calando a picco come un sasso.
Tu non sai nuotare, stolta.
La mia mente aveva ragione.
Sarei andata a picco esattamente come uno stupido sasso.
Guardai il fondo ed il panico mi assalì.
Buio.
Quella era l’unica parola adatta a descrivere quel che i miei occhi vedevano, il buio più totale.
Gli occhi bruciavano a causa del sale, mi voltai verso la superficie fissando la luce del sole calante che illuminava la superficie del mare, sempre più lontana.
Improvvisamente qualcosa smosse l’acqua sopra di me.
Riconobbi Rev che nuotava perfettamente come un pesce.
Mi raggiunse in una frazione di secondi e quando la sua mano strinse il mio polso, chiusi gli occhi che bruciavano tremendamente.
Lo sentii stringermi e ricominciare a muoversi.
Dopo pochi secondi eravamo fuori dall’acqua.
Provai ad aprire gli occhi ma non ci riuscii.
“AFFERRA LA CORDA, AZ!” mi gridò quella che riconobbi come Alice.
Tesi le mani in avanti e sentii una corda ma non riuscii a stringerla tra le mani, dato che la paura mi aveva scossa fino a farmi tremare.
Sentii di nuovo le braccia del capitano stringere la mia vita e poi lo sentii gridare “TIRATE” e in poco tempo mi sentii sollevare.
Ero stretta contro il petto del capitano e, lentamente, aprii gli occhi.
Lo trovai che con una mano teneva la corda che ci stava tirando su e mi guardava, preoccupato.
“Stai bene?” quasi sussurrò, con il fiatone.
Annuii, stordita ancora dall’accaduto.
Dopo poco eravamo sul ponte, ero seduta con la schiena poggiata ad una cassa e tutti mi stavano intorno, esclusi Alice e Rev che erano accucciati di fronte a me.
“Cos’ho combinato?” domandai, sentendo le guance scaldarsi.
“OH NO NO NO! VOI NULLA, E’ STATA COLPA MIA!” gridò, disperato, Christ, facendo un passo avanti.
“Oh, Christ, non preo-“ fui interrotta da Rev che si alzò di scatto, voltandosi verso Christ che indietreggiò di un passo, imitato da gli altri tre.
Osservai la scena, in silenzio, imitata da Alice.
“Meriteresti di essere buttato in mare.” Disse Rev, furioso.
“Chiedo perdono, capitano.” Disse Christ, abbassando, colpevole, la testa.
“Non me ne faccio nulla del tuo dispiacere, Christ, AZRIEL POTEVA MORIRE.” Gridò, sempre più furioso.
Poi fece un passo verso Christ.
D’istinto, mi alzai di scatto e toccai una spalla del capitano che si voltò, di scatto.
Lo guardai negli occhi, quegli occhi che di solito mi incutevano sicurezza, ora mi spaventavano.
Era fuori di sé.
Ritirai la mia mano, spaventata da quello sguardo.
Accortosi di quel gesto, Rev rilassò il suo viso e si voltò completamente verso di me.
Fece per dire qualcosa ma rimase in silenzio, mi osservò per qualche altro istante poi, imprecando sonoramente, si diresse verso il piano inferiore.
Calò un silenzio terribile e nessuno si mosse, neppure quando Rev sparì al di sotto della scala.
Mi voltai verso Christ e feci un passo verso di lui, vedendolo alzare lentamente la testa.
“Io.. davvero.. chiedo perdono.” Disse, sempre più dispiaciuto.
“Ehi, non è accaduto nulla, ok? E’ stata colpa mia. Dovevo stare più attenta. Scusami tu se ti ho creato problemi.” Dissi, sorridendo.
Christ mi guardò e parve sorpreso.
“Davvero non siete furiosa con me?” domandò.
“Davvero, non hai assolutamente nulla di cui preoccuparti. E non darmi del voi, ti prego. Non sono nessuno rispetto a te.” Risposi.
Christ sorrise, finalmente.
Mi voltai e trovai tutti gli altri ad osservarmi, sorridenti e sorpresi allo stesso tempo.
Tutti tranne uno, Gates.
Gates aveva le braccia incrociate al petto e mi guardava in cagnesco.
Poi fece un passo verso di me, avvicinò il suo viso al mio e mi disse “Tu, sgualdrina, ci porterai solo guai.” E si allontanò, diretto verso il timone.
“GATES, MA CHE CAZZO DICI?” urlò Vee.
“E’ LA VERITA’, VEDRAI TU STESSO.” Gridò Gates da dietro il timone.
Affiancai Vee e gli sussurrai “Tranquillo, lascia stare ti prego...” e gli sorrisi.
Vee sbuffò poi si rilassò.
“Dove andavi con tanta fretta, Az?” domandò improvvisamente Al.
Mi ricordai del perché ero corsa lì in quel modo.
“OH GIUSTO, c’è una cosa per te, in cabina, Al.” Dissi, sorridendo “Va a vederla e fammi sapere che pensi, io... ho da fare.” Dissi, allontanandomi sovrappensiero.
Raggiunsi in fretta la cabina del capitano, mi fermai davanti alla porta.
Ero veramente sicura di volerci entrare?
No.
Sospirai, poggiando lievemente la testa sul legno.
Quegli occhi mi avevano spaventata e da quando ero stata “rapita” non mi era mai, mai successo di provare paura alla vista del capitano Rev, anzi, mi aveva sempre dato stranamente sicurezza.
E se quello fosse stavo il vero Rev?
Dopotutto era il capitano di una ciurma di pirati..
Sbuffai e mi voltai, incamminandomi verso non sapevo bene dove.
Trovai una stanza aperta e vi entrai, incuriosita da un oblò decisamente più grande rispetto a quelli che avevo visto fino a quel momento.
Attraversai la lunga stanza e raggiunsi l’oblò, spostando la lastra di legno che lo teneva chiuso e arrampicandomici.
Mi accorsi di poterci passare così mi ci infilai per metà, curiosa.
Guardai in basso e notai una piccola piattaforma di legno che sembrava saldamente fissa alla nave e decisi di provare a salirci.
Passai lentamente all’interno dell’oblò e mi calai sulla piattaforma, mettendomi seduta per evitare di perdere l’equilibrio.
La vista che si prospettava ai miei occhi era.. indescrivibile.
L’enorme distesa di mare era ora quasi rosea, illuminata lievemente dal sole che sembrava sparire all’interno proprio di quell’infinita distesa di mare.
Dondolavo i piedi nel vuoto e mi piaceva, quella sensazione di vuoto.
Respirai a fondo e mi sentii, per la prima volta a distanza di una vita, viva.
Sorrisi di quei miei pensieri.
L’aria del mare mi faceva male, mi rendeva filosofica.
Non sapevo cosa pensare, riguardo all’atteggiamento del capitano che, poco prima, mi aveva tanto sorpresa.
I ragazzi erano terrorizzati, Christ quasi tremava.
E i suoi occhi.. quei suoi meravigliosi occhi mi avevano trafitta.
L’idea di vederlo nuovamente così mi terrorizzava.
Improvvisamente, dal piano superiore, sentii Vee gridare “QUALCUNO HA VISTO AZRIEL? IL CAPITANO LA CERCA!”
“SPERO SIA CADUTA IN MARE” sentii rispondere da quello che capii subito essere Gates.
Sbuffai.
Perché quell’uomo mi odiava così?
Improvvisamente ripensai alle parole di Vee “Il capitano la cerca” e il mio cuore si fermò di colpo.
Mi arrampicai in fretta e furia sull’oblò rientrando nella stanza, riportai la lastra di legno di fronte a quest’ultimo e poi presi a correre verso la porta, mentre stavo uscendo mi schiantai contro qualcuno, cadendo a terra.
Alzai la testa e davanti ai miei occhi trovai Shadows.
“Mi dispiace” mi disse, grattandosi la testa e porgendomi poi la mano che afferrai.
Mi aiutò a tirarmi su e gli sorrisi “Tranquillo.”
“Stavo andando in cabina a cercare Alice ma ho sentito Vee che diceva che il capitano ti sta cercando e beh.. dato che era nervoso.. forse è meglio se non lo fai aspettare.” Mi disse, senza smettere di sorridere.
Annuii “Hai ragione, corro da lui.” E detto ciò superai Shadows e corsi verso la porta della cabina del capitano.
Feci un profondo respiro poi bussai.
“Avanti.” Disse la voce ormai familiare di Rev.
Aprii, lentamente, la porta ed osservai Rev che, dandomi la schiena, stava in piedi e fissava fuori dall’oblò.
Chiusi la porta e feci un passo avanti “Capitano?” domandai.
Il capitano si girò di scatto sentendo la mia voce e mi guardò, preoccupato.
I suoi occhi non erano più quelli che poco prima mi avevano terrorizzata, erano tornati i tranquilli specchi puri di sempre.
Il capitano superò in fretta il tavolo e fu davanti a me in un secondo.
“Chiedo perdono se vi ho spaventata, poco prima...” mi disse, fissandomi, sinceramente dispiaciuto.
“Perché mi dai del voi?” domandai, confusa.
“Perché sono solo un pirata...” sussurrò.
“Da ora, anche io.” Dissi.
Lo vidi rilassarsi e fare un mezzo sorriso che quasi mi tolse il fiato.
Arrossii ed abbassai lo sguardo.
Solo in quel momento mi accorsi che la cabina era completamente sottosopra, fogli a terra, un barile rotto e la sedia ribaltata.
Riportai il mio sguardo su Rev che aveva seguito i movimenti dei miei occhi e ora mi guardava, di nuovo preoccupato.
“Perché hai reagito in quel modo a Christ?” domandai, senza pensare troppo.
“Non lo so.. e la cosa mi sconvolge perché credo di aver reagito così solo per... paura.” Disse, riportando i suoi occhi limpidi su di me.
“Paura?” chiesi, confusa e sorpresa.
“Strano vero? Il temibile capitano di una ciurma di pirati che ha paura.” Disse, ridendo ironicamente.
“Ma no, assolutamente, sei umano, come lo sono io e la paura è un sentimento normalissimo. Mi chiedevo... paura di cosa?”
Il capitano sospirò poi, per mia sorpresa, mi prese una mano e, senza staccarmi gli occhi di dosso, mi disse “Paura che potesse succederti qualcosa, paura di non raggiungerti in tempo, paura di non riportarti in superficie abbastanza in fretta.” Rispose e di nuovo la preoccupazione si dipinse sul suo volto.
Rimasi per qualche istante a boccheggiare, senza sapere cosa dire, sconvolta e confusa dalle parole appena uscite dalla sua bocca.
“Tu.. avevi paura per me?” fu tutto ciò che riuscii a dire e vidi il capitano annuire.
“Io... io... tu...” non sapevo cosa dire e sentivo le mie guance andare praticamente a fuoco “Perché?” domandai poi, confusa e spiazzata.
“Oh, Azriel, se sapessi dare una risposta a questa tua domanda, le cose sarebbero più semplici.” Mi disse lui, stringendo di poco la presa sulla mia mano.
Lo guardai, ancora confusa.
“Tremi.” Disse, improvvisamente.
“No” risposi, di getto.
“Invece sì, stai tremando.” Continuò lui e mi accorsi che sì, effettivamente tremavo.
Mi accorsi poi di avere ancora tutti gli abiti bagnati.
“Merda...” sussurrai, portandomi poi subito una mano davanti la bocca.
Rev rise, di gusto.
“Se mi lasci i tuoi abiti provvederò io stesso ad asciugarli.” Mi disse.
“E come?” chiesi, curiosa.
“Accenderò un fuoco, ti insegnerò a fare anche quello, ma prima cambiati e riposati. Da quando siete arrivate, né tu né Alice avete dormito neppure due minuti.” Continuò ed io annuii.
Feci per uscire dalla stanza ma Rev mi richiamò e mi voltai.
“Spero di non averti infastidita con le mie parole...” disse, abbassando lo sguardo.
Tornai indietro e mi riavvicinai, pericolosamente a lui e quando alzò lo sguardo sentii di nuovo il cuore fermarsi ma mi feci coraggio.
“Nessuno mi aveva mai parlato o guardata nel modo in cui lo fai tu, come potrebbero darmi fastidio le tue parole?” domandai, con la voce tremante.
“Ma Az, io sono...” si bloccò.
“Solo un pirata?” domandai.
Rev annuì.
“Devi ricordarti che ora lo sono anche io, la principessa è morta a bordo del peschereccio.” Sorrisi e mi voltai, uscendo in fretta dalla stanza.
Appena chiusi la porta cominciai a correre e mi infilai frettolosamente nella mia cabina, trovandoci, per mia sorpresa, Alice e Shadows.
Stavo per parlare ma Alice mi saltò addosso praticamente subito.
Indossava finalmente l’abito che le avevo fatto.
Perché sì, era per quello che avevo lavorato per ore ed era anche per quello che ero finita in acqua scatenando tutto quel casino; il nuovo abito di Alice.
Con tutta la stoffa che era avanza dal mio abito –ed era veramente tanta- avevo fatto dei pantaloni ad Alice che le arrivavano fino alle caviglie e una maglietta, in più avevo ritagliato e cucito per bene un pezzo di stoffa che ora Alice portava tra i capelli, come fiocco, tenendoli legati in una coda alta.
Ricordavo che mi aveva parlato di quanto le piacessero i fiocchi tra i capelli e i capelli legati, ricordavo che mi aveva detto “da bambina andavo matta per i capelli legati con i nastri, li portavo sempre legati.. prima di essere costretta a tenerli sciolti perché ‘più femminili
Al mi stringeva a sé, senza smettere di saltellare, finalmente scalza, anche lei.
“GRAZIE, IO DAVVERO... NON LO SO, AZ, GRAZIE!” gridò.
La strinsi anch’io.
“Sono felice che ti piacciano.” Le sussurrai, sorridendo.
“PIACERMI? CAZZO, MI FANNO IMPAZZIRE, ORA POSSO ANDARE AD INFASTIDIRE PER BENE GATES E VEE PUO’ INSEGNARMI COME CI SI ARRAMPICA!” detto ciò, sciolse l’abbraccio e corse fuori dalla cabina, su di giri.
Rimasi a fissare la porta, sbuffando.
Avrei voluto parlarle di quel che era accaduto col capitano.
Ma forse era meglio così.
Finalmente la vedevo veramente felice e la cosa non poteva che riempirmi il cuore di gioia.
Imprecai, sottovoce.
“Tutto bene?” domandò Shadows, del quale mi ero completamente dimenticata, facendomi sobbalzare e girare di scatto.
“Vi ho- Ti ho spaventata?” domandò, sorridendo.
“Scusa, ero sovrappensiero ed ho dimenticato che eri qui.” Dissi, sorridendo.
“No scusa tu se sono invadente e non me ne sono andato subito.” Continuò lui, rimanendo a fissarmi.
“Cosa facevi qui da solo con Alice?” domandai improvvisamente, vedendo arrossire l’enorme pirata che mi fece una tenerezza infinita.
“Oh, niente che possa portarti a pensare male di me! Ero venuto a cercarla perché poco prima che succedesse il disastro mi aveva chiesto di insegnarle come fare un nodo saldo con una corda ed ero venuto a chiederle se avesse ancora voglia di imparare, ma quando sono arrivato era qui su di giri che saltellava sul posto e mi ha trattenuto tutto il tempo per chiedermi di girarle intorno e descriverle tutti i dettagli dell’abito nuovo” sorrise ancora.
Lo imitai, scuotendo la testa.
“L’abito è veramente bellissimo, complimenti” mi disse, poi sia avviò verso la porta “Vado a riprendere Alice, prima che si fa buttare giù dalla nave da Gates” mi disse, uscendo dalla stanza e chiudendo la porta.
Sospirai.
Poi un brivido di freddo mi ricordò che avevo ancora addosso gli abiti bagnati così iniziai a sfilarmeli, l’ultima cosa che tolsi fu la bandana, lasciando sciolti i capelli.
Per la prima volta, mi resi conto di quando fossero realmente lunghi, sentendoli arrivare fino ai reni.
Sorrisi.
Amavo i miei capelli.
Presi l’enorme coperta dal letto e me la legai intorno al corpo, poggiando i vestiti su un barile poi iniziai a guardarmi intorno.
Fissai la porta e pensai fosse vuota, ci voleva un tocco personale, visto che io e Alice avremmo dovuto passare lì molto tempo.
Avvicinai un barile alla porta e ci salii sopra, cominciando a prendere le misure della porta poi scesi dal barile e mi diressi verso il letto cercando un po’ della corda che avevo tenuto da parte tra quella che il capitano mi aveva dato quella mattina, insieme ai vari aghi e fili.
Stavo tornando verso il barile quando la porta si spalancò, provai a dire “attenzione” ma il capitano, che stava entrando sparato, non mi ascoltò ed inciampò sul barile cadendo a peso morto su di me, che mi trovavo poco distante dalla porta.
In poco tempo mi ritrovai con la schiena schiacciata al pavimento e Rev sdraiato su di me.
Quest’ultimo poggiò le mani a terra e si tirò su quel tanto che bastava per guardarmi in faccia dicendo “OH MIO DIO, TI HO FATTO MALE? IO NON... volevo” quell’ultima parola la sussurrò e rimase a fissarmi.
Giurai a me stessa di non aver mai visto nessuno più bello di lui.
Il mio cuore sembrava voler esplodere da un momento all’altro e quello del capitano, da quanto potevo sentire, non sembrava da meno.
Improvvisamente qualcuno si affacciò alla porta gridando “CAPITANO IO- OH CAZZO!”.
Rev si alzò di scatto voltandosi ed io mi tirai su, con le guance in fiamme, poggiando i gomiti a terra.
Alice e Vee stavano sulla porta, entrambi con la stessa espressione sconvolta.
“Io... Noi eravamo venuti a chiedere.. OH MERDA NIENTE LASCIAMO STARE!” Alice chiuse la porta e poi sentimmo i due correre via.
Mi alzai di scatto e guardai Rev.
“HANNO PENSATO MALE!” gridai, sempre più nervosa.
Che figuraccia.
Improvvisamente fui distratta dalla sonora risata del capitano che irruppe nella stanza.
Mi voltai a guardarlo, confusa.
“SCUSA MA SEI BELLISSIMA, SEI COMPLETAMENTE ROSSA ED HAI UN’ESPRESSIONE MERAVIGLIOSAMENTE SCONVOLTA!” gridò, tra le risate.
Gli diedi un leggero pugno su una spalla e lui smise di ridere “Eeeehi.” Disse, sorridendo.
“Questo era piratesco ?” domandai.
“Molto.” Disse lui, senza smettere di sorridere.
“Bene, ora andiamo prima che tutta la ciurma pensi che il capitano stava facendo atti osceni con la nuova arrivata sul pavimento della sua cabina!” dissi, nervosa.
Rev sorrise, si avvicinò al barile con i miei vestiti  disse “Sì, ma prima mettiamo ad asciugare questi, o vuoi rimanere vestita solo di una coperta per il resto della nottata? Gira gente pericolosa, su questa nave e magari qualcuno potrebbe decidere di sfilarla, quella coperta.” Detto ciò ammiccò, lasciandomi stupita e facendomi arrossire di nuovo, per poi sparire fuori dalla cabina.
Quell’uomo continuava a stupirmi.
E a rubarmi il cuore, ogni istante di più.
Che pensieri sciocchi.
Scossi la testa e seguii Rev fuori dalla cabina.

Note: sarò breve perchè sono ancora mezza distrutta dal concerto dei Linkin Park di ieri sera, quindi capitemi pls çç
Capitolo sempre del mio capitano, che se non si ficca nella testolina che è bravissima verrà gentilmente (?) picchiata con i cappellini di carta.
Grazie a tutti coloro che continuano a seguirci <3
See ya,

Marinaia Al (e capitano Sah).

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


BROMPTON COCKTAIL
{Capitolo VI}
“Tu sei pazzo.”
Abbracciata all'albero della nave, la guancia premuta contro il legno e le gambe raccolte al petto, guardavo corrucciata Vee che, accovacciato accanto a me, tratteneva a stento le risate.
“Giuro che non andiamo tanto in alto.”
“Tu sei pazzo lo stesso.” Ripetei, piccata, stringendo appena la presa.
Ebbene sì, tentare di imparare come ci si arrampicava non era stata una delle mie idee più geniali. Matt, appena dietro Vee, si limitava a sghignazzare.
“Eddai, solo qualche metro-”
“QUALCHE METRO?”
Vee si voltò per lanciare un'occhiataccia all'amico da sopra la spalla e questi, recepito il messaggio, si avvicinò a me: prima che potessi anche solo pensare di muovermi mi trovai sollevata di peso dal gigante che, senza tante cerimonie, mi mise in spalla a Vee.
“Facciamo acclimatamento, nana.” Rise questi, alzandosi lentamente in piedi.
“Voi sie- SIETE DUE DEFICIENTI!” Strepitai, mentre Matt mi prendeva le mani per aiutarmi a stare in equilibrio.
“Visto? Non è poi così male.” Esclamò Vee, sorridente, iniziando tranquillamente a muoversi come se non avesse me sulle spalle. Imprecato tutto quello che mi veniva in mente e costretto Matt a tenermi almeno per un braccio mi ritrovai a fare un giro panoramico per la nave con una visione delle cose notevolmente più alta del normale. Johnny, seduto su una cassa, mangiava una mela ruotando di tanto in tanto su se stesso per seguirci mentre ci spostavamo.
“Allora, come si sta nel mondo degli alti?” Mi chiese poi, ridendo.
“Vertigini.” Riuscii a rispondere, tanto convincente da far pensare a Matt che forse era il caso che tornassi giù.
Quando mi lasciò a terra rimasi seduta per qualche momento a fissare un punto indefinito del ponte, finchè Vee non mi sventolò una mano davanti al naso.
“Non l'avremo mica traumatizzata...” Lo sentii borbottare, leggermente preoccupato.
Gli puntai gli occhi addosso, scoccandogli un'occhiataccia.
“Vaffanculo!” Ringhiai, riuscendo solo a farli ridere.
Proprio in quel momento decise di fare la sua comparsa l'ultimo membro dell'equipaggio, con la sua consueta espressione di mezzo disgusto dipinta in faccia: se per un momento avevo pensato che stesse provando a superare gli evidenti problemi che aveva con me e con Azriel, dopo l'incidente non avevo alcun dubbio che se aveva provato di sicuro aveva cambiato idea.
“Metà dei compiti su questa nave si fanno a un'altezza di almeno un metro. Di questo passo potrà fare soltanto zavorra, come la sua amica.” Sentii Gates dire, dal timone.
Senza pensarci due volte scattai in piedi ignorando il mal di testa per il movimento brusco e prima che chiunque potesse allungare un braccio per fermarmi salii i gradini a due a due per raggiungerlo.
“Ma si può sapere che cazzo di problema hai? Se lo hai, un problema, che non sia che sei un emerito stronzo di natura!” Lo spinsi con tutte le mie forze, furiosa, riuscendo a smuoverlo solo perchè colto di sorpresa. Sentii Matt urlare qualcosa di incoerente e un rumore di passi venire verso di noi. “Scendi da quel tuo dannato piedistallo, Gates, prima che Azriel ti ci butti giù. Potresti farti più male di quanto pensi, e cominciare a dover spiacevolmnete ridimensionare il tuo narcisismo.” Ringhiai, tentando ancora una volta di spingerlo.
Azriel e il capitano scelsero esattamente quel momento per salire dalla coperta, trovandosi davanti i ragazzi che salivano le scale per calmare la cosa e io in piedi davanti a Gates, livida, alta un bel pezzo meno di lui e grossa meno della metà.
“Che diamine succede qui?” Sentii tuonare Rev, mentre Azriel chiamava spaventata il mio nome.
Non lo degnai di uno sguardo, tenendo fissi gli occhi in quelli di Gates: sapevo bene che voltare la testa avrebbe significato rendere più che vano tutto quello che avevo appena detto. Il che sarebbe stato spiacevole.
Nonostante le spiegazioni balbettate da Johnny Rev ci raggiunse e se possibile mi sembrò più autoritario di quanto già non fosse normalmente.
“Ho chiesto che succede qui, e pretendo una spiegazione ORA.”
“Niente.” Sibilammo io e Gates praticamente nello stesso momento, quasi avessimo deciso isnieme che quella cosa non dovesse riguardare né l'equipaggio né tantomeno il capitano. Il che era probabilmente l'unica cosa su cui io e lui ci saremmo mai trovati d'accordo.
Per un attimo sembrò che Rev volesse intervenire ma, prima che potesse farlo, udimmo un colpo sordo e la nave si inclinò abbastanza da far perdere l'equilibrio alla maggior parte di noi: e mentre Rev afferrò prontamente Azriel per un braccio per evitare che cadesse a terra, io e Johnny ci finimmo senza tanti complimenti.
“Che diamine succede?” Ringhiò Gates, mentre il capitano correva al parapetto e guardava di sotto. Un'imprecazione che fece impallidire Azriel e si voltò di nuovo verso di noi.
“Controllate la nave a tribordo, sia prua che poppa. Svelti!”
Azriel e io osservammo i ragazzi muoversi più velocemente di quanto li avessimo mai visti fare e, dopo un attimo di esitazione, io seguii Matt e Johnny a prua mentre lei andava con Rev, Gates e Vee dalla parte opposta. Scendemmo in una parte della nave in cui non ero mai stata, dagli ambienti decisamente più angusti tanto da costringere Matt a procedere lievemente di lato.
Arrivati a quella che era l'ultima apertura sulla destra entrammo in un piccolo ambiente con pezzi di corda sul pavimento e una cassa appoggiata alla parete. Guardai Johnny rimuovere un pannello dalla parete e infilare la testa nel passaggio.
“Danni?” Chiese Matt, accucciandosi di fianco a lui.
“Non... Non vedo niente, da qui, ma c'è dell'acqua più giù. Chiama il capitano, dobbiamo trovare una soluzione e anche in fretta.”
“Non puoi scendere?”
Johnny inclinò appena il capo. “Va bene che sono piccolo, ma non ci passo lì dentro.”
Matt mormorò un'imprecazione e io mi appiattii per lasciarlo uscire, prima di avvicinarmi a Johnny per curiosare.
“È grave?”
Lo vidi sbuffare.
“Possiamo ovviare alla cosa chiudendo e sigillando questo pannello fino al nostro arrivo a casa, ma onestamente non mi rende molto tranquillo questa soluzione. Non senza sapere almeno che succede lì dentro.”
Lo guardai.
“È questo il problema?”
“Se ti sembra poco-”
“Spostati.” Lo spinsi gentilmente da parte, rannicchiandomi vicino all'apertura e lasciando che le gambe pendessero verso il basso.
“Che cazzo fai?” Mi sentii chiedere da Johnny, spaventato, mentre mi giravo sulla pancia e mi spingevo lentamente indietro.
“Vado a vedere che cosa succede lì sotto. Ricordatevi solo di tirarmi fuori...” Gli dissi, guardando in basso e decidendo che potevo anche arrischiarmi a lasciare andare la presa.
“Alice!” Caduta in malo modo nell'acqua, mi rimisi in piedi e guardai in alto vedendolo guardarmi con gli occhi sgranati.
Intanto, da dietro di lui, arrivò forte e chiara la voce di Azriel.
“Posso entrare io, di sicuro-”
“Non se ne parla, e la questione è chiusa.” Rev sembrava perentorio, il che mi faceva pensare di essermi andata a ficcare in un grosso guaio. Ma d'altronde se lo avessi aspettato non me lo avrebbe lasciato fare, dunque...
Sentii il capitano chiedere qualcosa a Johnny, il quale prima di rispondere mi lanciò un'occhiata preoccupata. Decisi di ignorare cosa accadeva di sopra e iniziai ad incamminarmi lungo lo stretto passaggio in direzione di prua, sottraendomi alla loro vista.
“Alice?” Sentii la voce di Rev rimbombare fino a me, e balbettai una risposta a mezza voce. “Alice, rispondi!”
“S-sono quasi arrivata in fondo.” L'acqua ondeggiava a ritmo delle onde, salendo e scendendo ipnotica.
“Vedi qualcosa?”
Quando finalmente vidi la curva che segnava la fine della nave mi pietrificai: il legno era stato scheggiato, pesantemente danneggiato, e l'azione delle onde l'avrebbe fatto cedere fra non molto. Erano visibili le prime falle, dalle quali entrava l'acqua al rollare leggero della nave.
“C'è... una falla. Cederà presto.” Riuscii a ribattere alzando la voce, lo sguardo fisso sullo scafo.
Dei rumori confusi, e dei distinti schricchiolii che mi fecero perdere quel poco di calma che avevo: stava cedendo, e lo stava facendo in quel momento.
“Rev-”
Nemmeno il tempo di dirlo e la parete cedette di schianto alla pressione dell'acqua strappandomi un grido di sorpresa, mentre venivo scaraventata contro la nave. Il mare stava entrando nello scafo ad una velocità impressionante e con terrore mi accorsi che non sarei riuscita a tornare indietro: mi aggrappai al legno, il livello dell'acqua ormai alla vita, tentando di farmi sentire da sopra qutto quel caos.
“Chiudete... Chiudete il pannello!” Gridai con tutta la voce che avevo; sentivo Azriel chiamarmi, terrorizzata, e mi imposi di concentrarmi su quello che stavo dicendo.
“Chiudete subito quel cazzo di pannello-” Tossii, tentando di prendere aria e lasciandomi trasportare indietro dalla corrente quel tanto che bastava per vedere appena l'apertura dalla quale ero entrata: il capitano teneva Azriel stretta a sé, con forza, presumibilmente per impedirle di catapultarsi nella fossa insieme a me.
“Chiudi!” Urlai, fissandolo dritto in faccia con tutta la convinzione che avevo. “Uscirò da sotto-”
Dovetti convincerlo, perchè in breve si allontanò trascinando con sé Az e l'ultima cosa che vidi prima che chiudesse fu lo sguardo incredulo di Matt.
Sistemato quel problema potevo finalmente concentrarmi sull'altro grosso inconveniente che mi preoccupava: riuscire ad uscire da quella che era appena diventata la mia possibile tomba. L'acqua stava raggiungendo livelli decisamente allarmanti e persi completamente la calma.
Finirò annegata in questo buco, mi ripetevo mentre venivo schiacciata contro la nave e annaspavo in cerca di aria, se non esco subito.
Tornata con fatica alla falla mi accorsi che era stata completamente sommersa e che l'unica soluzione era quella di immergersi più o meno alla cieca e trovare a tentoni il varco per spingersi fuori.
No, no no...
Mi assalì il panico e il respiro si fece troppo frettoloso.
Disperata mi gettai sull'uscita, sfruttando il momento per prendere l'iniziativa che altrimenti non avrei mai avuto il coraggio di scegliere: mi aggrappai ai bordi sentendo le schegge infilarsi nella pelle e, ignorandole, feci leva prima con le braccia e poi con le gambe per spingermi abbastanza lontano. Poi, abbandonandomi completamente, lasciai che la risalita venisse da sé.
Emergendo tossii con tanta forza da farmi dolere il petto, e la prima cosa che sentii furono le grida che venivano dal ponte: in breve venne gettata una corda che riuscii ad afferrare solo dopo qualche tentativo ma, stremata, capii che non sarei riuscita a tenermici a lungo.
“Non tirarla su, Vee, non tirarla su!” Sentii urlare Rev, mentre Azriel si sporgeva dal parapetto così tanto da farmi temere che potesse cadere in mare. Vidi Matt scavalcare il bordo della nave e scendere lungo una delle reti attaccate al fianco della nave fino ad arrivare in basso, quasi al mio livello ma leggermente più indietro.
Mi tese una mano.
“Lascia andare la cima e quando mi passi di fianco ti prendo io, coraggio!”
Non che avessi molta scelta, se non l'avessi mollata di proposito mi sarebbe sfuggita ben presto dalle mani, ma...
“ALICE, LASCIA LA CORDA!” Una breve occhiata ad Azriel che adesso aveva una mano del capitano posata sulla spalla, e sciolsi la presa. Tentai di allungare il braccio verso Matt e per un attimo mi sembrò di essere in ritardo ma, inaspettatamente, riuscì ad afferrarmi per il polso e a tirarmi fuori dall'acqua.
“Un ultimo sforzo... Ce la fai vero?”
Si fece scivolare un braccio sulla spalla permettendosi di agganciarmi al suo collo e prese a salire il più velocemente possibile con me attaccata alla schiena. Una volta al sicuro sul ponte fui tentata di lasciare andare la presa e scivolare fino a terra, ma Matt fu più svelto e mi lasciò delicatamente giù.
“Alice!” Azriel mi corse accanto, seguita da vicino dal capitano.
“Se l'avessi... lasciata entrare lì dentro” Ansimai, rivolta a Rev. “Ti avrei fatto a pezzi con le mie stesse mani.”
Lo vidi sorridere, e Azriel arrossì appena.
“Non l'avrei mai fatto.”
“E meno male.” Borbottai, facendo ridere Johnny e Vee.
“Stai bene, vero?” Mi domandò Azriel, sfiorandomi una spalla.
“Oh, sì... Però credo di non aver mai bevuto così tanta acqua di mare. La mia testa sembrerà un acquar- Oh!” Mi trovai Azriel con le braccia gettate al mio collo, gli occhi chiusi.
“Sei una grandissima idiota.” Mi disse, ricevendo un mugolio di consenso da Johnny.
Sorrisi appena, dispiaciuta, sfiorandole i capelli. “Scusami, Az. Non volevo farti preoccupare.”
“Fanculo.” La sentii dire, nettamente sollevata.
“Grazie, i tuoi complimenti mi fanno sempre piacere...” Lanciai uno sguardo a Matt, riconoscente. “Grazie, Shadows.”
Lui si limitò a sorridermi, ancora preoccupato, ma non disse nulla.
“Solo guai, ecco cosa hanno portato.”
La mia irritazione stava salendo alle stelle, ma prima che potessi aprire bocca Azriel mi precedette e si voltò verso di lui..
“Se non fosse stato per lei avresti una falla nella nave, Gates, che nemmeno sapresti esistere. Ringrazia che non sia annegata per farti un favore, perchè altrimenti avrei fatto molto di più che starmene seduta qui a risponderti cortesemente.”
Calò un attimo il silenzio.
“Beh, te l'avevo detto di scendere dal piedistallo io.” Borbottai, alzando appena le spalle.
“Dovrai accettare la loro presenza sulla nave, Syn, che ti piaccia o no. Sta a te decidere se vuoi farti venire il sangue amaro oppure tentare di cooperare... Ma ti auguro vivamente di scegliere la seconda.” Rispose pacato Rev. “E ora torniamo al lavoro, tra poche ore dovremmo arrivare a casa.”
Lo vidi allontanarsi e, mentre Azriel mi gettava un'occhiata titubante, le feci segno di andare pure; la guardai sparire con il capitano in coperta, mentre Gates e Johnny andavano verso il timone e Vee prendeva ad arrampicarsi sull'albero della nave per dare un'occhiata intorno.
“Andiamo, ti porto dentro.” Matt mi prese in braccio senza preavviso, dandomi l'impressione di cadere a terra: mi attaccai istintivamente a lui serrando gli occhi, e lo sentii ridere. Avvampai. “Giuro che non ti lascio cadere.”
Ad un tratto mi sembrò di sentire ancora il rumore crescente dell'acqua e il mare che si chiudeva su di me, facendomi annegare: mi misi a sedere si scatto, guardandomi intorno ansimante, e realizzai che mi trovavo nella stanza che condividevo con Azriel. Strinsi la coperta fra le dita e con l'altra mano mi strofinai gli occhi, scivolando via dal giaciglio e starnutendo sonoramente.
Oh, fantastico. Un bel raffreddore.
Gli abiti erano ora solo umidi ma faceva decisamente troppo freddo per me per azzardarmi a salire a quella maniera, così mi avvolsi la coperta attorno e uscii in corridoio per raggiungere gli altri fuori.
Trovai Azriel e il capitano seduti su una lunga cassa di legno, uno di fronte all'altro, un grande foglio di carta che ogni momento doveva rispiegare a causa del vento. Intuii che le stava insegnando ad usare le carte nautiche e decisi di lasciarli in pace: sembravano divertirsi, e Azriel aveva un rossore sulle guance che quando si incantava a fissare il capitano diventava improvvisamente più intenso. Era strano, vederlo su di lei, ma avevo letto così tante volte di quell'imbarazzo, nei miei libri, che non potevo non intuirne l'origine.
Pensai distrattamente che non l'avevo mai vista così felice, e che in fondo avrei sopportato tutto quanto altre cento volte per vederla sorridere a quella maniera. Si meritava di poter finalmente essere felice.
“Non ho mai visto Rev così sereno, sai?”
Sorrisi.
“Potrei dire lo stesso di Azriel.”
Johnny mi si affiancò, facendomi cenno di andarci a sedere sui gradini che portavano al timone.
“Il problema con Gates è che non si adatta facilmente ai cambiamenti, ma vedrete che si abituera. Quando qualcuno entra a far parte della sua famiglia ci rimane per sempre e diventa addirittura protettivo.”
Alzai un sopracciglio.
“Dici sul serio?”
Lui rise del mio stupore. “Sì, sul serio.”
Rimasi per un attimo in silenzio, tirando su con il naso e stringendomi nella coperta prima di voltarmi per cercarlo con lo sguardo e trovarlo come di consueto dietro al timone.
“Ehi, Gates.” Lo chiamai, guadagnandomi un'occhiata perplessa da Johnny. “Ti vogliamo bene lo stesso!”
Mi girai senza nemmeno aspettarmi la risposta, incrociando l'espressione divertita di Vee e Matt che erano abbastanza vicini da sentirmi.
“Bene, ora mi sento meno in colpa.” Commentai, trattenendo uno starnuto.
“Siamo in vista dell'isola, capitano!” Ci informò Vee, mentre Johnny si alzava facendomi segno di seguirlo. Mi portò fino a prua, indicandomi la striscia di terra che loro chiamavano casa.
“Lì potremo riparare la nave e lasciare il nostro bottino. Vedrete, in fondo vi piacerà.”
Le poche ore successive si fanno se possibile più frenetiche del solito e, mentre a me e ad Azriel viene imposto di rimanere a guardare, gli uomini si preparano ad attraccare.
“Come pensi che sia, dentro?” Chiesi ad Azriel, seduta accanto a me.
“Non saprei. Se dovessi seguire l'immaginazione, traboccante di tesori...”
“Magari hai ragione.”
“Magari no. Dopotutto ho una fantasia piuttosto fervida.”
Le sorrisi.
“Staremo a vedere.”
Attraccare fu più difficile di quanto pensassi: la nave invece che fermarsi semplicemente imboccò una grotta nascosta in un'insenatura nella quale la roccia cadeva a picco sul mare, mentre la vegetazione si fermava sul bordo dell'abisso. Io e Azriel capimmo che era un'isola deserta, un nascondiglio perfetto e assai fortuito.
Rimanemmo ad osservare  incantate la roccia modellata delle pareti della grotta, mentre Rev gridava gli ultimi accorgimenti agli uomini.
“Siamo a casa, gente!” Sentimmo urlare gioioso Johnny, in piedi sul parapetto attaccato ad una delle reti. Perfino sul volto di Gates mi parve di scorgere quello che sembrava un sorriso sincero.
“Nessun posto è come casa, vero? Intendo una casa vera.” Commentò Az, seguendo il mio sguardo.
“Già...” Replicai, assente, mentre lei inclinava la testa.
“So cosa ti stai chiedendo.” Disse all'improvviso, facendomi sobbalzare dalla sorpresa.
La guardai interogativa, sistemandomi la coperta.
“Ti stai chiedendo se questa potrebbe essere casa nostra.”
Scossi appena la testa.
“Mi spiace, Az, ti sbagli. Io l'unica cosa che so è che questa non è casa tua.” La vidi guardarmi, pietrificata, e le sorrisi. Liberai una mano e le indicai qualcosa dietro alle sue spalle. “Quella è casa tua.”
Quando si voltò Azriel incrociò lo sguardo del capitano, voltandosi immediatamente verso di me con le guance rosse. Sorrisi di nuovo, d'istinto.
“Che... Che cosa dici mai.” Borbottò, facendomi ridere. Poi si fece seria. “E la tua, di casa?”
Scrollai le spalle, noncurante.
“Non lo so, magari non esiste.” Sussurrai, abbassando lo sguardo. “Ma non importa.”
Prima che lei potesse replicare Rev ci chiamò all'ordine, facendoci segno di raggiungerlo e di scendere con gli altri sul grezzo molo di legno a cui eravamo giunti.
“Oh.” Sentii mormorare Azriel, in piedi accanto a Rev. Quella che loro chiamavano casa pareva essere un complesso sistema di grotte scavate nella nuda roccia che sembrava estendersi per diversi metri in tutte le direzioni. Li seguimmo, affascinate, e mentre mi guardavo intorno uno strano bagliore colse la mia attenzione.
Mi bloccai e chiamai Azriel.
“Che c'è, Al?” Chiese, ferma a qualche metro da me.
“Vieni un po' qui...” Balbettai, immobile con gli occhi sgranati.
“Cosa?” Mi chiese, scrutandomi curiosa.
Allungai un braccio verso l'oggetto del mio interesse.
“Dicevi, riguardo alla tua fervida fantasia...?”
Non appena vide quello che le stavo indicando spalancò gli occhi.,
“Oh, CAZZO.”
Vee rise, e Rev si chinò sorridente a sussurrare all'orecchio di Azriel.
“Benvenuta a casa, nelle tana dei pirati.”

Note: aggiornamento di settimana scorsa saltato semplicemente perché ero troppo presa dai preparativi (e dall´ansia).
Comunque posso dire che finalmente ho visto il mio capitano dal vivo e niente, é tanto bella :33
Le risposte alle recensioni arriveranno quanto prima, as usual, quindi non disperate!
Grazie, ancora, a chiunque continui a seguirci :D
See ya,

Marinaia Al (e capitano Sah).

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


BROMPTON COCKTAIL
{Capitolo VII}
Alla fine dell’infinito corridoio nella roccia c’era una specie di grotta enorme, all’interno della quale c’era quella che, a prima vista, poteva sembrare una casa di quelle delle favole, tutta in legno.
Si trovava su una piattaforma di pieta al centro di una specie di piccolissimo laghetto e si raggiungeva passando sopra il laghetto grazie ad un piccolo ponticello.
Eravamo andati diretti verso la casa dato che il capitano aveva detto “Ci meritiamo un po’ di riposo, domani raccoglieremo tutti i bottini e ripareremo la nave, per ora si mangia e si riposa.” Scatenando la gioia dei ragazzi e, in parte, anche quella mia e di Alice.
Entrando nella casa ero rimasta ancora più stupita.
Non era affatto ciò a cui ero abituata, l’enorme castello a più piano, e la cosa poteva solo rendermi ancor più felice.
Era spaziosa, su un lato c’erano esattamente cinque porte e il resto dell’enorme spazio era occupato da un enorme tavolo con cinque sedie attorno e alcuni mobili, in un altro c’erano tanti barili e una grande libreria, con, a terra, al centro tra i barili messi a cerchio, un enorme tappeto rosso scuro.
Io e Alice avevamo osservato, stupite, la casa per un bel po’.
Era veramente bella ed accogliente.
Poi infine Vee e Gates erano andati, su consiglio di Matt, a costruire altre due sedie per noi mentre Alice, Rev, Johnny e Matt preparavano la cena.
Io invece avevo osservato per un po’ i vari libri nella libreria poi ero passata a fissare gli altri cucinare, dato che io non ero capace.
Avevo passato un bel po’ così poi infine, sbuffando, ero uscita dalla casa.
Avevo attraversato il ponticello senza attirare l’attenzione di Gates e Vee che, chiacchierando, se ne stavano sul retro della casa a costruire le sedie.
Avevo camminato a lungo, imprecando per il dolore che la pietra tagliente causava ai miei piedi scalzi.
Passeggiando nell’infinito corridoio di pietra però, improvvisamente, avevo notato un cunicolo più piccolo, sulla destra e, curiosa come mio solito, mi ci ero infilata.
Avevo camminato parecchio fino a ritrovarmi improvvisamente all’aperto, sulla spiaggia che avevamo visto ore prima dalla nave.
Camminai, stupita, sulla sabbia gelata e quando alzi lo sguardo fui ancora più stupida.
Il cielo, completamente cosparsi di stelle, sembrava finto.
Inoltre la luna era enorme, quella notte e il suo riflesso sul mare calmo era magico.
Sembrava quasi che la luna, nel mare, ballasse a ritmo di qualche magica melodia che alle mie orecchie sfuggiva.
Raggiunsi il centro della spiaggia poi mi buttai a terra, rotolai per qualche minuto ridendo di gusto.
Più passavano i giorni, più apparivo completamente folle, ai miei occhi.
Dopo qualche minuto passato a rotolare nella sabbia guardai il mare e mi ricordai di quella cosa che avevo letto in un libro rubato a maestro Ludwig, “si dice che il mare trattenga il calore del sole, si dice che ne prenda molto durante il giorno per poi rilasciarlo durante la notte per non far sentire freddo a tutte le creature che ci vivono, di notte”.
Sciolsi i miei capelli, mi tolsi di dosso gli abiti e camminai verso il mare.
Ero curiosa.
Mi aspettai il freddo più totale ma mi stupii nel sentire che l’acqua era davvero calda.
Camminai ancora un po’ finché l’acqua non mi arrivò fino alla vita, poi mi misi seduta.
Sarei andata più avanti se solo avessi saputo nuotare.
Lasciai andare di poco indietro la testa, quel tanto che bastava per bagnarmi i capelli e rimasi così, fissando la luna che mi illuminava.
“AZRIEL!” sentii gridare e mi voltai di scatto, senza riflette, mi alzai.
Rev, a pochi passi da me, rimase a fissarmi per qualche istante, gli occhi e la bocca sgranati.
Riflettei sul fatto di essere nuda e mi ributtai in acqua, sentendo le guance ribollire.
Rev si passò una mano in faccia, nervoso.
“Perdonami! Pensavo chissà cosa.. che ti fosse successo qualcosa io... non potevo immaginare...” si stava impicciando.
Ridacchiai.
“Ridi di me?” domandò.
“Probabile!” dissi, senza smettere di ridere “E’ che sei buffo, capitano, quando ti impicci.”
“Ah sìh?” disse lui.
Poi fece qualcosa di inaspettato,  si sfilò in fretta la maglietta, lasciando scoperto il suo corpo dannatamente muscoloso e completamente ricoperto di tatuaggi, poi si sfilò tutti gli altri vestiti ed io mi portai, in fretta, una mano sugli occhi.
Lo sentii tuffarsi in acqua e spostai la mano, guardandomi intorno ma non vedendolo.
Sentii l’acqua muoversi al mio fianco ma ancora non lo vedevo.
“Buh.” Sussurrò, alle mie spalle, facendomi prendere un colpo.
Mi voltai di scatto schizzandogli addosso un po’ d’acqua e urlando “MA SEI MATTO?” per poi vederlo ridere.
Risi a mia volta.
Mi nuotava intorno, come uno squalo intorno alla sua preda e mi stupii nel pensare di trovarlo molto sexy.
“Che facevi tutta sola, al buio, in acqua?” mi domandò poi senza smettere di girarmi intorno.
“Se smetti di fare lo squalo affamato e torni a comportarti da capitano, te lo dico” dissi, sorridendo.
Rev si fermò e rimase a guardarmi.
“Una volta lessi in un libro che l’acqua del mare, di notte, si scalda, così ho deciso di provare.”
“Il mare di notte è meraviglioso, passo spesso le mie nottate da solo su questa spiaggia” ammise, sovrappensiero, guardando il cielo.
Presi a guardare il cielo anche io.
“Questo posto è davvero magnifico..” sussurrai.
“Niente a confronto con te.” Disse, di getto, Rev.
Mi voltai di scatto e lo trovai intento a fissarmi.
Sentii le guance arrossire e lo vidi sorridere, senza staccarmi gli occhi di dosso.
Ci fissammo per quel che parve un’eternità finché qualcuno non gridò “REV? AZRIEL? SIETE QUI?” mi voltai, imitata dal capitano, in direzione della voce e vidi Christ che camminava verso di noi.
Si fermò a pochi passi dai vestiti, li fissò poi guardò noi e scoppiò a ridere.
“Cosa c’è da ridere?” domandò, serio, Rev.
“ASSOLUTAMENTE NULLA.” Gridò Christ, smettendo di ridere “Ero venuto a chiamarvi per avvertirvi che la cena è pronta.” E rimase a guardarci.
“Arriviamo” disse Rev, alzandosi e incamminandosi.
Vedere il suo fisico scolpito completamente bagnato mi fece sciogliere il cervello.
Le dame di corte sarebbero svenute alla vista dei pensieri tutt’altro che casti che la mia mente stava sviluppando.
Rev raggiunse la spiaggia e, sempre di spalle, cominciò a rivestirsi.
Christ continuava a fissarmi.
“Tu non vieni?” domandò.
“Ehm...” dissi.
Rev poggiò una mano sulla spalla di Christ e lo fece voltare fino a darmi le spalle.
“Grazie.” Dissi, sorridendo, ad alta voce e mi alzai raggiungendo in fretta la spiaggia.
Mi rivestii di corsa poi i due si voltarono.
“Non ci avevo pensato, scusa” disse, ridendo, Christ.
Sorrisi.
Tirai su i miei capelli e li legai, con la bandana, in una coda alta poi ci incamminammo.
Mentre camminavamo, silenziosi, all’interno della galleria di pietra, illuminata per tutta la lunghezza da lampade ad olio appese qua e la, Christ tossicchiò attirando la nostra attenzione.
“Volevo... scusarmi per l’inconveniente di oggi, Rev.” Disse.
Guardai il capitano che mi lanciò un’occhiata veloce poi diede una pacca amichevole sulla spalla di Christ e disse “Va tutto bene, scusa tu per la mia reazione eccessiva.”, sorrisi imitata da Christ.
Raggiungemmo gli altri che erano già a tavola e presi posto tra Rev e Alice che, seduta di fianco a Shadows era intenta a ridere di Vee che mangiava come un porco.
Finita la cena io e Alice raccogliemmo le varie scodelle e uscimmo di casa, sedendoci sulla pietra, ed iniziammo a lavarle nell’acqua del piccolo laghetto.
“Dove sei andata, prima ?” mi domandò, curiosa, Alice.
“A fare una passeggiata sulla spiaggia.” Risposi, sorridendo.
“Il capitano appena ti ha vista uscire ti ha seguita, sembra  proprio che non riesca a stare lontano da te.” Mi disse ed io le diedi una leggera gomitata, ridendo.
“Come ti trovi?” domandai, improvvisamente.
“Stranamente, bene. Ho paura di non essere all’altezza... ma sto bene.” Rispose, senza riflettere, Al.
“All’altezza di cosa?” domandai ancora.
“Alla loro altezza. Voglio dire, sono goffa ed ho paura di troppe cose...” lasciò la frase a metà, poggiò l’ultima scodella a terra e rimase a guardarmi.
Finii di lavare le ultime scodelle poi mi voltai verso di lei.
“Ce la faremo. Era destino, Al. Sono arrivati e ci hanno salvati, proprio come in tutti i sogni che facevamo sempre. Ricordi? Le notti intere passate a guardare il mare e chiederci come sarebbe stato scappare da tutto quello schifo che ci circondava e poi? Poi sono arrivati loro e ci hanno salvate. Era destino e al destino non si sfugge.” Dissi, stringendo una mano di Al.
La vidi sorridere e poi annuire.
“Anche se non sono come te, ce la farò.” Disse, pensierosa.
“Che intend?” chiesi.
“Cosa .?” fece lei.
“Che intendi con ‘anche se non sono come te’ “ continuai.
“Tu.. sei portata per essere un pirata, si vede. Da come ti muovi, da come parli, dai tuoi occhi.” Lasciò morire la frase, guardandosi i piedi.
La chiamai ed attesi che si girasse poi, sorridendo, le dissi “Oggi ci hai praticamente salvato il culo rischiando la tua vita e sei stata tremendamente coraggiosa. Quante altre donne l’avrebbero fatto? Nessuna se non una piratessa, non cred? Con la pazienza, il coraggio e l’aiuto dei ragazzi, diventeremo grandi pirati. Sta tutto nel crederci.” Dissi, convinta delle mie parole.
La vidi rimanere confusa per qualche istante poi sorrise ed annuì, stavolta più convinta.
“Hai ragione.” Poi mi abbracciò, ricambiai l’abbraccio.
Ci stringemmo per un po’ poi raccogliemmo tutte le scodelle e rientrammo in casa dove trovammo i ragazzi intenti a bere e ridere.
Ci unimmo a loro e per la prima volta io e Alice potemmo finalmente assaggiare un po’ di rhum.
Il rhum era vietato, alle donne, nel nostro regno.
Ma ora non c’era più nulla che potesse impedirci di vivere.
Dopo aver bevuto fin troppo e aver riso per fin troppo tempo, decidemmo che era ora di dormire.
“La camera di Shadows ha due letti, se per Alice non è un problema, può dormire lì.” Mi suggerì Rev mentre i ragazzi entravano nelle loro stanze e Alice rimaneva seduta al tavolo, guardandosi intorno.
Mi avvicinai alla mia amica e le comunicai del secondo letto in camera di Shadows.
Annuì, titubante poi si alzò e sparì in camera con il gigante.
Improvvisamente mi ritrovai da sola con Rev.
Lo guardai, dubbiosa.
“Puoi dormire nella mia camera” mi disse.
“E... tu ?” domandai.
“Dormirò qui, mi sistemerò a terra con una coperta.” Concluse, alzando le spalle.
“Oh no, assolutamente! Dormi pure in camera tua, io mi arrangerò.” Dissi.
“Non se ne parla! Non ti farò dormire sul pavimento.” Mi rispose.
“Non puoi obbligarmi!” dissi, incrociando le braccia al petto.
“Ah no?” fece lui, sorridendo.
Poi, improvvisamente, mi caricò su una spalla e ridendo si incamminò verso la sua stanza.
“METTIMI GIU’, REV, TI ORDINO DI METTERMI GIÚ!” gridai.
“NON PUOI DARMI ORDINI, BELLA DONZELLA, SONO IO IL CAPITANO QUI!” gridò lui, ridendo.
Passammo davanti la camera di Shadows e vidi lui e Alice affacciati che ridevano, sorrisi anche io.
Una volta in camera Rev mi lasciò sul letto e mi guardò, sorridendo.
“Ho vinto” disse.
Sbuffai.
Quando stava per allontanarsi però sentii un’orribile sensazione, come un vuoto.
Istintivamente mi alzai, gli corsi in contro e legai le mie braccia dietro la sua schiena, schiacciando il mio viso contro il suo petto.
Rev rimase immobile, per qualche istante poi mi strinse a sé, senza dire una parola.
“Io... scusa...” sussurrai, pentendomi di quel gesto.
“Nessun problema” disse lui e giurai di aver sentito la sua voce tremare per qualche istante.
Ma poi mi convinsi che era tutta mia immaginazione.
Mi staccai da lui quel tanto che bastava per guardarlo in faccia.
“Se ti chiedo di dormire con me, penserai male di me?” domandai, con una voce che perfino alle mie orecchie apparve quella di una bambina spaventata.
Lo vidi sorpreso da quella mia richiesta.
“A patto che tu non penserai male di me se ti stringerò tutta la notte.” Mi disse.
Le mie guance ormai minacciavano di sciogliersi.
Sorrisi e mi lasciai stringere ancora un po’ poi andammo a metterci a letto.
Il letto del capitano, che evidentemente era fatto su misura per lui, era terribilmente enorme per me.
Mi rannicchiai sotto la coperta e lasciai che Rev mi stringesse a sé e mi addormentai lasciandomi cullare dal respiro regolare di Rev e dal suo cuore che batteva come impazzito, esattamente come il mio.
Il pirata aveva rubato il cuore della fragile donzella o forse la donzella aveva riacceso il cuore spento del freddo pirata?” sussurrò improvvisamente Rev.
Quella frase la conoscevo.
Era la frase finale di un libro che avevo letto da bambina.
Parlava di un pirata, freddo e malvagio che si innamorava di una ragazza.
Sorrisi.
“Quel libro è magnifico.” Dissi, sbadigliando.
“Lo penso anche io.” Sussurrò Rev.
Poi mi addormentai.
Mi svegliai nel pieno della notte, come al solito, a causa di un incubo.
Avevo bisogno d’aria.
Sgusciai via dalle braccia di Rev,  a malincuore ed uscii, silenziosamente, dalla stanza.
Aprii la porta principale ed uscii dalla casa, quando stavo per superare il ponticello però, qualcuno mi afferrò per un polso, stringendo.
Mi volti di scatto e trovai Gates, a petto nudo, che mi guardava male.
Provai a liberare il mio polso, senza successo.
“Dove pensi di andare?” mi domandò.
“Sto andando a prendere una boccata d’aria...” dissi, confusa.
“Certo, come no. Io lo so che stai organizzando qualcosa. Non mi fido di te, sgualdrina.” Mi disse, furioso.
Con uno strattone, liberai il mio polso dalla sua presa ferrea poi feci un passo avanti e mi piazzai davanti a lui, fissandolo negli occhi.
“Qual è il tuo problema con me, Gates? Il fatto che una donna sia entrata nella tua ciurma di urta? Beh in ogni caso non è un mio problema. Impara a convivere con me o ti farò patire le pene dell’inferno, donna o non.” Dissi, fuori di me.
Gates si infuriava di più ad ogni parola.
“Tu devi ringraziare solo di essere sotto la protezione del capitano altrimenti io...” disse.
“Altrimenti cosa? Eh? ALTRIMENTI COSA, GATES?” gridai, spintonandolo, senza ovviamente smuoverlo di un millimetro.
“Non tentarmi, ragazzina.” Quasi ringhiò.
“CREDI DI FARMI PAUR? TI SBAGLI!” gridai.
In quel momento la porta di casa si spalancò e Shadows, Alice e Vee si affacciarono.
“Che diavolo succede ?” domandò Vee.
“Rientra in casa.” Mi disse Gates.
“No.” Risposi, fredda.
“Non era una domanda, la mia, ragazzina.”
“Non mi interessa, io non sto ai tuoi ordini.” Continuai, senza riflettere.
Feci appena in tempo a realizzare che Gates era più fuori di sé di quanto lo fossi e improvvisamente una sua mano finì contro la mia faccia.
Sentii Shadows urlare “GATES, SEI IMPAZZITO?” e i tre correre verso di noi.
Mi aggrappai al polso di Gates e cercai di liberarmi, senza successo.
Mi sentii spingere di lato finché la mia schiena non toccò il bordo del ponto poi fui sbilanciata.
Tentavo di tenere i piedi a terra ma la forza che mi spingeva era troppa.
Quando stavo per cadere giù, però, riuscii ad aggrapparmi saldamente al polso di Gates che venne giù con me.
Magra consolazione.
Ero l’unica, tra i due, a non saper nuotare.
Appena caddi in acqua provai ad aggrapparmi alla caviglia di Gates che mi spintonò via.
Con tutta la forza che mi rimaneva, però, riuscii a procurargli un enorme graffio che andava dal ginocchio alla caviglia.
Gates mi afferrò per un polso e mi trascinò, per mia enorme sorpresa, fin fuori dall’acqua e mi lasciò sulla roccia, dirigendosi poi verso casa.
Raccolsi un sasso e glielo tirai, prendendolo in pieno dietro la schiena e facendolo bloccare, ignorando Shadows, Alice e Vee che, preoccupati, urlavano.
Gates si voltò, ancora più furioso di prima.
Con due passi mi raggiunse di nuovo.
“Quale cazzo è il tuo problema?” mi domandò, ad un palmo dal naso.
“ORA BASTA, GATES!” gridò Vee, provando ad intervenire ma fu spintonato via, brutalmente.
“Io non ne ho di problemi, sei tu ad averne. Cos’è che ti da fastidio, eh? Il fatto che io sia una donna? Il fatto che sia entrata nella tua ciurm? La mia vicinanza al tuo capitano ? EH? QUAL’E’ IL TUO FOTTUTO PROBLEMA, GATES?” gridai, sull’orlo di una crisi di nervi.
“Az... ti prego... basta, sveglierete Rev, così!” mi disse, preoccupata, Alice, poggiandomi una mano su una spalla.
Mano che mi scrollai di dosso, senza smettere di fissare Gates.
“Il mio problema sei tu. Sì, tu più di quell’altra. Tu porti sventure, porti solo una marea di guai. Ne sono certo.” Disse.
“E ALLORA CHE CAZZO VUOI?” gridai.
“VOGLIO CHE TU VADA VIA DALLA MIA FOTTUTA NAVE E DALLA MIA FOTTUTA FAMIGLIA!” mi gridò lui.
Stavo per rispondere, ma una foce fin troppo familiare, dalla porta, mi precedette “DA QUANDO QUESTA E’ LA TUA NAVE, GATES?” gridò Rev.
Gates si paralizzò e si voltò.
Rev era fermo sulla porta e fissava, furioso, Gates.
Poi si avvicinò, lentamente.
D’istinto, mi misi tra i due.
“Az... cosa...?” domandò Rev.
“Ti prego, per favore... Si tratta di me.” Sussurrai, preoccupata, poggiando una mano sul petto di Rev che, dopo qualche istante, fece un passo indietro.
Ora anche Christ era affacciato alla porta, Alice stava in piedi tra Shadows e Vee e quest’ulitmo le teneva una mano su una spalla.
Sospirai e mi voltai di nuovo verso Gates.
“Io non lo so perché mi odi tanto, Gates, davvero non lo so... Ma se mi lasci provare, posso dimostrarti che non sarà così impossibile convivere con me e Alice. Ti prego... devi capirmi, almeno provarci. Ho vissuto per tutta la vita tra gente che mi odiava, costretta a mantenere ritmi assurdi, seguire regole sciocche, comandata a bacchetta come fossi il giocattolino di chissà chi. Non ti chiedo di volermi bene o chissà cosa, ti chiedo solo di provare ad accettarmi. Io da te non voglio niente, voglio solo riuscire a vivere la mia vita, come tutte le persone fanno.” Dissi, sincera.
Gates rimase con la bocca socchiusa e gli occhi sgranati dalla sorpresa.
Approfittai della sua sorpresa per parlare ancora “E la stessa cosa vale per Alice, lei che è così sicura e si crede debole, e non sa di essere stata il mio appiglio sicuro per tanto. Vogliamo solo avere quella libertà che è dovuta a qualsiasi essere umano. Non ti chiedo di capire, ti chiedo solo di accettarlo.” Conclusi.
Gates si voltò verso Alice e la fissò per qualche istante, poi si voltò di nuovo da me.
“Azriel io...” provò a dire Gates ma si fermò.
Sorrisi “Rifletti, ne riparleremo domani.” Dissi.
Lui annuì poi mi superò, si fermò a fissare il capitano per qualche minuto poi rientrò, seguito subito da Christ e Vee.
Alice e Shadows mi raggiunsero e si fermarono davanti a me.
“Wow...” sussurrò Shadows.
“Az, tutto bene ?” mi domandò Alice.
Annuii.
“Riuscirò a farlo smettere di odiarci ?” domandai, sconfortata.
“L’hai appena fatto.” Disse, serio, Rev, alle mie spalle.
Mi voltai a guardarlo, confusa.
“Credimi, ci sei appena riuscita.” E detto ciò si avvicinò e mi abbracciò, stringendomi fortissimo.
Mi stupii di quel gesto, fatto con tranquillità, di fronte a Shadows e Alice.
Chissà come erano le loro facce in quel momento, sorrisi e ricambiai l’abbraccio del capitano.
“Ora torniamo a dormire” disse, una volta sciolto l’abbraccio.
Ci incamminammo ed io incrociai lo sguardo di Alice che, sorridendo, mi sussurrò un “accidenti, che stretta”, sorrisi e la mandai a quel paese poi tornai in camera col capitano che si mise a letto.
“Ho di nuovo gli abiti fradici” borbottai.
“Nessun problema, domani li asciughiamo, ora riposa.” Mi disse, così mi infilai sotto le coperte e mi lasciai stringere di nuovo da Rev, per poi addormentarmi, ancora una volta, cullata dal suo respiro.

Note: stavolta sono puntuale, finalmente :3 Quindi ecco qui il capitolo di Sah.
As usual, le risposte alle recensioni arriveranno presto e un enorme grazie a chi ancora ci segue  in questo viaggio.
See ya,

Marinaia Al (e capitano Sah).

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


BROMPTON COCKTAIL
{Capitolo VIII}
Rientrata in stanza con Matt mi raggomitolai nella coperta, rimanendo ad ascoltare il suo respiro farsi più profondo e regolare: intuendo dopo poco che però non avrei chiuso occhio, decisi di scivolare fuori e trovare qualcosa da fare in attesa che fosse mattina.
Mi incamminai fuori dalla casa lungo il corridoio di roccia proponendomi di spingermi un po' più in fondo per vedere cosa c'era e, strette le braccia intorno al corpo, proseguii voltandomi ogni tanto per assicurarmi di essere capace di tornare indietro. Riuscii ad arrivare ad una grotta per gran parte sommersa, dal soffitto della quale pendevano grosse e numerose stalattiti; iniziai ad aggirare l'acqua procedendo sulla sottile striscia di roccia percorribile a ridosso delle pareti e, dopo quella che mi parve un'eternità, arrivai a intravederne la fine. Andai a sistemarmi su una piccola sporgenza che mi permetteva di appoggiare la schiena alla roccia e di abbracciare con lo sguardo l'acqua perfettamente calma che, come uno specchio perfetto, rifletteva il soffitto dando l'impressione che tutto fosse perfettamente simmetrico. Rimasi a lungo seduta lì, le braccia a circondare le ginocchia raccolte al petto. Ogni tanto gettavo un sassolino nel lago, osservando le increspature concentriche che ogni pietra provocava.
Quando iniziai a sentire le gambe e le braccia indolenzirsi nonostante i frequenti assestamenti mi alzai e decisi, stiracchiandomi appena, che era ora di tornare indietro: percorsi la strada a ritroso senza grossi problemi, e varcata la porta trovai Gates seduto al tavolo, solo.
Non mi degnò più di un'occhiata, riprendendo ad armeggiare distrattamente con il corto pezzo di corda che aveva tra le mani, ma quando iniziai a muovermi verso la stanza di Matt mi sentii chiamare.
“Vieni qui, ragazzina.”
Per un attimo pensai di aver sentito male, ma sporsi comunque la testa oltre l'angolo per gettargli uno sguardo. Con mia sorpresa, senza distrarsi dal suo lavoro, mi fece cenno con la mano di avvicinarmi: eseguii perplessa senza dire una sola parola, prendendo posto sulla sedia di fronte a lui.
Dopo i primi secondi in cui l'impressione di aver sentito e capito male si rafforzarono tanto da indurmi quasi ad alzarmi e andarmene Gates mi lanciò con un gesto repentino un altro pezzo di corda, che io presi appena in tempo. Poi allungò verso di me il proprio, adesso intrecciato in un semplice nodo.
“Sai riprodurlo?”
Rimasi ad osservare in silenzio per qualche attimo, seguendo con gli occhi la corda, e con qualche mossa un po' incerta feci quella che secondo me era una replica abbastanza dignitosa del suo nodo. Dopo aver intravisto un sogghigno sul suo volto mi preparai a ricevere una delle solite battute pungenti ma, ancora una volta, mi sbagliavo.
“Parti dal centro, non dal lato. Così.”
Sciolse e rifece il nodo alla sua corda per poi invitarmi con un cenno ad imitare i suoi passaggi e, con una visione abbastanza oggettiva, dovetti ammettere a me stessa che il secondo tentativo era decisamente meglio riuscito del primo.
“Bene. Ora prova questo.”
Si ripeterono le medesime azioni: lui faceva, io osservavo tentando di replicare e infine lui correggeva i miei errori. Mentre mi insegnava snocciolò i nomi di ognuno dei nodi, aggiungendo di tanto in tanto qualche informazione prettamente pratica da utilizzare una volta sulla nave.
Mi stupii di quanto risultasse paziente, sebbene rimanesse poco loquace -il che era un più o meno chiaro segno che ancora non gli andavo giù del tutto, ma era già un inizio e io non avrei mai voluto rendere vani i suoi sforzi o, tantomeno, quelli di Azriel per convincerlo a provarci.
Fu di nuovo lui ad interrompere il silenzio, dopo un po', alzandosi e allontanandosi dal tavolo: rimasi ad osservarlo, immobile, chiedendomi se avessi sbagliato qualcosa.
Lo vidi voltarsi solo sulla soglia della casa, afferrata quella che sembrava una rozza ascia, un'espressione accigliata dipinta in volto.
“Allora, vieni o no?”
Sobbalzai e, soffocata l'idea che volesse portarmi altrove per farmi a pezzi e poi gettarmi in mare, mi affrettai a seguirlo lungo uno stretto corridoio di roccia fino alla spiaggia e poi su per un ripido sentiero che risaliva la scogliera fino al bosco. Ci inoltrammo nella vegetazione per qualche minuto, fino a che lui si fermò talmente di colpo che rischiai di finirgli addosso.
“Questo va bene.” Lo sentii dire, per poi avvicinarsi ad un albero alto e sottile e iniziare a colpire la base con colpi lenti e regolari; in quella che mi sembrò una decina di minuti l'alberello fu abbattuto e Gates si dedicò ad un tronco vicino, decisamente più robusto.
Prima di proseguire, però, si tolse di tasca un coltello e me ne porse il manico.
“Inizia a togliere i rami.”
Forse avrei dovuto dirgli che dare in mano a me qualsiasi cosa che tagliasse o pungesse era un rischio, ma decisi di tenere la bocca chiusa e di provare a rendermi utile tenendo gli occhi aperti. E, in effetti, per i primi tempi non ci furono grossi problemi, ma inevitabilmente arrivò l'ennesima prova della mia inettitudine ai lavori manuali: nonostante l'avessi soffocata l'imprecazione raggiunse le orecchie del ragazzo e, voltatosi, Gates trovò me seduta a cavalcioni sul tronco che agitavo dolorante la mano. Trattenendo quello che sicuramente era uno sbuffo si avvicinò a me e, esaminato il taglio sul lato della mano sotto il mio sguardo indagatore, vi legò intorno un quadrato di stoffa a mò di rozza fasciatura.
Rimasi per qualche attimo a fissare la stoffa bianca macchiarsi di sangue.
“Chiedi a Matt di darci un'occhiata, quando torniamo.” Lo sentii borbottare mentre si voltava di spalle e tornava alla sua occupazione. “Con tutti i tagli che ha medicato o ricucito a Johnny e Vee dovrebbe avere la qualifica di chirurgo.”
Sorrisi, nonostante l'idea di un'ago nella pelle non mi facesse poi fare i salti di gioia, e ricominciammo a lavorare in silenzio; una volta finito rimasi ad aspettare che anche lui terminasse, e poi ci incamminammo sulla via del ritorno. Fu costretto a fermarsi molte volte per aiutarmi a superare alcuni ostacoli o semplicemente a impormi di fermarmi perchè, nonostante mi fossi prefissata di non emettere un solo lamento, doveva potermi leggere in faccia che non ero affatto abituata a sforzi simili e che la cosa avrebbe potuto farmi collassare da un momento all'altro. Trascinammo il legno fino alla nave, dove io lo mollai con malagrazia il mio misero carico accanto al suo, constatando con una punta di invidia che lui sembrava fresco come una rosa mentre a me pareva di aver tirato giù dalla scogliera un elefante intero.
I compiti che mi diede poi furono semplici, che lasciavano di fatto praticamente tutto il lavoro a lui ma che in una qualche maniera glielo rendevano più comodo e veloce da fare.
Non riparò la falla nella nave, per la quale avrebbe sicuramente avuto bisogno dell'aiuto di Rev e degli altri, ma sistemammo una serie di piccole cose sulla nave, sostituendo qualcosa quando era necessario. Mi fece anche rifare delle legature rimanendo sempre come attento supervisore e fui fiera del fatto che, mentre alcune dovetti rifarle più volte, altre superarono il suo esame al primo colpo.
Quando sentii la voce di Johnny chiamare a gran voce me e Gates mi sporsi dal parapetto, vedendo il resto della nostra ciurma avvicinarsi curioso. Mi appoggiai esausta, consapevole che il peggio era passato, e vidi Rev ridere.
“L'hai messa al lavoro, Gates?”
“Ci puoi contare.” Sentii rispondere l'interpellato ridendo, all'improvviso accanto a me. “Tutti quei lavoretti che rimandavo da mesi sono fatti, e riparata la falla la nave non sarà mai stata in forma così smagliante in vita sua.”
Gli lanciai un'occhiataccia, pienamente consapevole del mio sfruttamento, ma il sorriso che ricevetti da Gates fu il primo sincero che gli avessi visto dirigere a me o ad Azriel.
“Da quanto lavorate?” Chiese Matt, salendo dietro ad Azriel e Rev sulla nave.
“Un'eternità.” Borbottai meno sottovoce di quanto pensassi, suscitando le risate dei ragazzi.
“Tre ore, più o meno. Non molto.” Rispose invece Gates, guadagnandosi una mia occhiata scandalizzata.
“Non molto?” Balbettai, indignata.
Il capitano rise di nuovo, e decise di esaminare il nostro lavoro: mentre io aspettavo, dondolando distratta le gambe seduta su un barile, un rapido giro intorno sembrò convincerlo che eravamo stati sufficientemente produttivi.
“Sembra che avrai un'assistente nelle riparazioni.” Lo sentii dire all'amico, mentre io cominciai a sperare di aver sentito male. Ma l'occhiata orgogliosa di azriel mi confermò che avevo sentito benissimo e sperai di non dover rimpiangere quelle “sole” tre ore di lavoro tanto presto.
Dopo essere stati spediti a mangiare io e Gates tornammo indietro e, mentre lui si unì alla squadra che si occupava della falla, io raggiunsi Johnny e Azriel che erano invece intenti a svuotare la stiva. Nonostante un acrobatico e del tutto accidentale tuffo in acqua di Johnny che scatenò le nostre risate fino quasi a farci lacrimare, non ci furono intoppi e ben presto finimmo di sistemare il carico.
Nella breve pausa in cui aspettammo che i ragazzi terminassero ebbi il tempo di insegnare qualcosa di quello che avevo imparato quella mattina ad Azriel, tentando il più possibile di imitare i gesti di Gates. Non seppi dire quanto il mio insegnamento fosse stato efficace, ma ebbi la certezza che almeno il nodo semplice con cui Azriel si divertì a legarmi i capelli lei lo avesse imparato.
Una volta tornati in casa, esausta, decisi che la cosa più intelligente da fare era stendermi senza tanti complimenti sul tappeto rosso davanti alla libreria. Fui gentilmente esentata dal preparare il pranzo e, mentre io riposavo a pancia in giù chiudendo gli occhi, Azriel si stese con me appoggiando la testa sulla mia schiena e si mise a leggere uno dei tanti libri del capitano.
Fu Matt a risvegliarmi dal mio torpore.
“Alice?”
Aprii un occhio spostando la mia attenzione su di lui, accucciatomi davanti al naso.
“Gates mi ha detto che ti sei tagliata, se vuoi posso darci un'occhiata...”
Senza rispondere estrassi una mano da sotto l'altro braccio, che al momento costituivano il mio  cuscino, e riappoggiai il mento come prima allungando il palmo fasciato verso di lui; alla fine, nonostante i miei timori, non fu costretto a ricucirmi come una bambola di pezza: si limitò a pulire e disinfettare il taglio, fasciandolo con della stoffa pulita. Mi infilai il pezzo macchiato di sangue in tasca ripromettendomi di lavarlo e restituirlo appena possibile, poi fummo richiamati all'ordine dal capitano che ci invitava a raggiungere la tavola.
Seguii di buon grado Azriel a sciacquare le scodelle e, mentre la ascoltavo raccontare entusiasta di quello che aveva imparato lei dal capitano, non mi riusciva proprio di trattenere il sorriso.
“Al... Alice, mi stai ascoltando?” La sentii rimbeccarmi ad un tratto, evidentemente convinta che il fatto che sorridessi fosse risultato di uno scarso o nullo interesse verso i segreti delle carte nautiche e dei calcoli di rotta.
“Sì, sì, sto ascoltando!” Risposi ridendo, ottenendo solo una schizzata di acqua in pieno viso.
Quando tentai di guardare Azriel in quella che voleva essere un'espressione offesa a morte la vidi sogghignare, e non potei trattenere a lungo quell'aria sostenuta che volevo dare a vedere.
“Allora...” Azzardai, cercando di assumere l'aria più innocente possibile. “Come va con il capitano?”
Quando dopo qualche attimo di completo silenzio alzai lo sguardo sulla mia amica la vidi fissarmi con gli occhi sgranati e la mano che ancora teneva in mano l'ultima ciotola ferma a mezz'aria, il viso in fiamme. Intuii che se non mi fossi sbrigata la scodella sarebbe sicuramente finita sulla mia testa, così mi allungai svelta a sottrarla dalla sua presa.
“Cosa... Alice!”
Ridacchiai, sciacquando il fazzoletto da restituire a Gates e strizzandolo con forza.
“Devo provare a fare io il riassunto della situazione? Okay. Dunque, io direi che sia tu che lui siete cot-”
“Silenzio!” Esclamò lei, tappandomi la bocca proprio mentre arrivavano Johnny e Vee a darci una mano a riportare tutto dentro. Alzai gli occhi al cielo: come se loro non vedessero esattamente tutto quello che vedevo io.
Quando rientrammo io e Azriel riprendemmo le nostre postazioni precedenti al pranzo, mentre il capitano si sistemava nell'angolo con un altro volume e i rimanenti quattro uomini giocavano ad uno strano gioco che coinvolgeva dei bicchieri e numerosi dadi.
“Az,” Chiesi ad un tratto, incuriosita dal gran vociare. “Che ne dici se andiamo a vedere che gioco è?”
La vidi lanciarmi uno sguardo perplesso, e capii che era meglio lasciar stare: la lasciai alzarsi e, mentre io mi avvicinavo al tavolo, la vidi sedersi accanto a Rev.
“Posso sapere a cosa state giocando?” Chiesi, lasciandomi cadere sulla sedia accanto a Vee.
“A spennarmi!” Borbottò Johnny, mettendo un broncio che non si poteva esattamente definire minaccioso e che fece ridere i compagni.
“Vuoi imparare?” Mi chiese Matt, gentile.
Annuii e subito arrivò, provvidenziale, l'intervento di Rev.
“Tentare di scaricare i vostri turni sulla povera Alice sfruttando il fatto che non sa giocare vi faranno guadagnare il doppio delle ore che riuscirete a rifilarle.”
Dopo un attimo di silenzio, fu Vee a rispondere.
“...Ma figurati, Rev. Chi ci aveva pensato!”
Risi mentre Rev passava un braccio attorno alle spalle di Azriel e mi strizzava l'occhio, complice.
Ci misi un po' a capire le regole ma dopo una partita di prova mi fu chiaro che il bluff, alla base di quello che veniva chiamato il “gioco dei dadi bugiardi”, non era esattamente il mio forte; per cui quando Azriel, vedendomi in difficoltà, mi propose di andare insieme a fare un giro sull'isola, non me lo feci ripetere due volte e la seguii fuori.
Seguimmo lo stesso percorso che feci con Gates quella mattina, salendo fino in cima alla scogliera e addentrandoci nel bosco.
“Rev mi ha detto che quest'isola non è molto grande, e che in passato era stata colonizzata da un piccolo gruppo di inglesi che aveva posto qui la propria casa.”
“Non voglio sapere che fine hanno fatto, quegli inglesi, se ne parli al passato.”
Azriel rise. “Non farla così tragica, Al, gli ultimi se ne sono andati di loro sponte decenni fa.”
Alzai un sopracciglio.
“Pensavo fossero morti divorati da una qualche bestia gigante.”
“Mai dire mai... Guardati le spalle!”
Rabbrividii dandole una leggera spinta e tentando di ignorare elegantemente la sua risata, notando solo allora che aveva un libro sottobraccio.
“E quello?”
Lei me lo mostrò, aprendolo su una pagina a caso: c'era una meravigliosa illustrazione di una pianta dai piccoli fiori bianchi e gialli che, da quel poco che riuscii a leggere delle note prima che lei voltasse il volume verso di sé, aveva proprietà lenitive contro il dolore.
“Parla di piante medicinali e velenose di questa zona. Rev lo ha trovato per caso e ha deciso che averlo sarebbe stato utile, e in effetti è molto interessante.”
“Guarda che se vuoi avvelenare Gates qualche modo lo conosco anche io, non c'è bisogno di andare così sul complicato...” La presi in giro, guadagnandomi un leggero colpo sul capo.
“Beh, almeno la copertina è abbastanza rigida da poter uccidere una persona, se la colpisci abbastanza forte.” Commentai, ridendo, mentre Azriel scuoteva divertita la testa e riprendeva ad inoltrarsi nella boscaglia.
Ci fermammo dopo un bel po' di cammino, quando lei scorse una delle piante descritte nel libro e vi si accovacciò accanto per osservarla meglio: io ne approfittai per guardarmi in giro e spiare giù per il pendio che iniziava alla nostra destra, fino ad una spiaggia. Qualcosa ttirò subito la mia attenzione, e non appena capii cos'era tentai di attirare l'attenzione della mia amica.
“Az...” Sussurrai, incalzante, tentando di farla voltare verso di me. “Az!”
“Cosa diamine- Oh, cazzo!” Le fiamme avvolgevano gli alberi a ridosso della spiaggia, annerendo i tronchi e dando vita alla colonna di fumo che si svolgeva in alte volute verso il cielo. “Vado a chiamare Rev e gli altri. Tu rimani qui e non muoverti, controlla la situazione.”
La sentii correre indietro e rimasi accucciata dietro l'albro caduto come dietro alla mia ultima difesa.
Qualcosa non mi tornava e più mi ci arrovellavo più mi convincevo che c'era qualcosa, laggiù, che avrei dovuto vedere prima che venisse ridotta in cenere e che mi avrebbe finalmente tolto quella strana sensazione dal petto.
Iniziai a scendere, cauta, fermandomi ogni tanto in ascolti di eventuali pericoli; quando arrivai abbastanza vicina al cerchio esterno dell'incendio notai qualcosa di troppo lungo e regolare per essere un comune ramo: mi azzardai a scavalcare in un punto dove le fiamme erano alte solo qualche pollice e mi avvicinai.
Era una torcia.
Alzai lo sguardo e trovai quasi immediatamente quello che cercavo: sulla sabbia della spiaggia c'erano ancora le tracce di una piccola barca trascinata prima in secca e poi spinta di nuovo in mare. Le raggiunsi, guardandomi intorno alla ricerca della nave dalla quale si doveva essere staccata e alla quale poi doveva essere tornata. L'isola era troppo distante da qualsiasi altro pezzo di terra perchè fosse possibile anche solo pensare che qualcuno fosse arrivato lì con quella che sembrava una semplice barca  remi, ed era assai più plausibile che quella fosse una scialuppa di una nave ben più grande, magari all'ancora in una delle baie dell'isola, non notata da nessuno grazie al fatto che né il capitano né l'equipaggio si spingevano tanto lontano dalla loro base. Mi resi conto che se io e Azriel non avessimo deciso di gironzolare così in lungo e in largo il fuoco avrebbe divorato l'intera isola, e che anche considerato questo colpo di fortuna avremmo solo potuto tentare di limitare i danni.
Tolsi la sabbia dalle dita e mi affrettai a spegnere la torcia, decisa a portarla con me. Quello con cui non avevo fatto i conti, però, era il vento; impallidii quando, voltandomi per tornare indietro, vidi che il mio passaggio stava rapidamente svanendo divorato dal fuoco. Mi gettai senza pensare in quella direzione correndo come non avevo mai fatto, ma arrivai tardi e mi resi conto solo allora che avevo appena commesso la mossa più sbagliata che potessi pensare. Il vento mi aveva spinto le fiamme a chiudermi non solo il passaggio verso Azriel e gli altri, ma anche quello del rifugio che avrei potuto trovare sulla spiaggia o in mare.
“Fanculo!” Ringhiai, indietreggiando appena.
Un sonoro schiocco alle mie spalle mi fece immobilizzare, ammonendomi che se pensavo che non potesse andare peggio di così mi sbagliavo, e anche di grosso. Feci appena in tempo a lanciare uno sguardo dietro di me per vedere la base di una palma soccombere alle fiamme, completamente annerita e distrutta, e la cima inclinarsi mentre il tronco inisiava a cadere verso terra.
E io ero esattamente in mezzo alla traiettoria, intrappolata dalla mia avventatezza.
Sbiancai e strinsi la presa sulla torcia, voltandomi.
Se volevo uccidermi ho fatto davvero un ottimo lavoro.

Note: ecco qui il mio capitolo.
Grazie a tutti coloro che ci seguono, le risposte alle recensioni arriveranno presto :D
See ya,

Marinaia Al (e capitano Sah).

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


BROMPTON COCKTAIL
{Capitolo IX}
Tornando indietro avevo incrociato Vee che era venuto a cercarci, l’avevo avvisato frettolosamente dell’accaduto e l’avevo visto correre via ad avvisare gli altri così ero tornata verso dove avevo lasciato Alice.
Raggiunto il punto in cui avevo lasciato la mia amica non la trovai e capii subito che qualcosa non andava, guardai in direzione dell’incendio e la vidi, tra le fiamme.
Lasciai cadere a terra il libro che avevo tenuto stretto al petto fino a quel momento e rimasi a fissare la mia amica che, tra le fiamme, cercava una via d’uscita.
Non riflettei molto.
Anzi, non riflettei affatto.
Cominciai a correre e, in movimento, mi sfilai la maglietta e la bandana, rimanendo con addosso solo una fascia a coprirmi il petto.
Mi coprii la bocca e il naso con la bandana, strappai la maglietta e mi lanciai, gridando, tra le fiamme.
Sentii uno strano rumore ma non ci badai.
Il fuoco mi stava ustionando la pelle e il fumo mi stava facendo lacrimare.
Tesi in avanti una mano, afferrai Alice, le portai la maglietta strappata sul volto e, stringendola a me, corsi di nuovo verso le fiamme, sentendo poi il sonoro botto di un’enorme palma che era caduta proprio dove, qualche istante prima, c’era Alice.
Superammo l’enorme muro di fuoco e, giunte al di là, Alice cadde a terra, sconvolta.
“Az- AZRIEL!” gridò poi ma ero troppo presa dal dolore lacerante che sentivo, per poterle rispondere.
Mi accasciai a terra, chiusi gli occhi e presi ad urlare, con più voce di quanto avrei mai immaginato di poter avere.
Bruciavo, dovetti controllare più volte che le mie braccia non avessero preso fuoco perché facevano davvero troppo, troppo male.
E, nonostante fossi stupita di avere solo le braccia ustionate e non l’intero corpo come temevo, il dolore era lancinante.
“AZRIEL!” continuava a gridare Alice.
Continuavo a gridare, piangendo.
Dei passi.
Una bestemmia.
Una voce fin troppo familiare.
“CHE CAZZO E’ SUCCESSO?” gridò la voce di Rev, sempre più vicino, disperato.
“E’ VENUTA A SALVARMI, IO- CAZZO FA QUALCOSA, TI PREGO REV, FA QUALCOSA!” gridò, piangendo, Alice.
“METTI QUESTA ADDOSSO, VOI SPEGNETE L’INCENDIO!” gridò ancora Rev, lo vidi dare qualcosa di simile ad una coperta ad Alice, poi mi tirò su.
Piangevo e gridavo.
Il tocco caldo e sempre tanto piacevole di Rev, ora era un continuo dolore.
Come se delle lame mi trafiggessero ripetutamente la carne.
Rev correva e l’aria gelida mi si schiantava addosso e sulle mie braccia aveva lo stesso effetto di degli schiaffi.
Capii che eravamo giunti a casa quando fui poggiata su un letto.
Non riuscivo a smettere di urlare.
Rev uscì dalla stanza e poco dopo tornò, con una bacinella e uno straccio che cominciò a passarmi sulle braccia.
Gridavo sempre di più ad ogni tocco.
“Ti prego resisti.” Sussurrava lui, disperato, dopo ogni mio urlo.
Non era acqua, quella che stava versando sulle mie braccia, dall’odore capii che era rhum.
Per mia enorme sorpresa, dopo vari minuti, il dolore iniziava a scemare in ogni parte in cui il capitano aveva versato il rhum.
Quando le braccia smisero di pulsare e bruciare ed io riuscii a smettere di urlare, Rev prese a fasciarle tutte, con pazienza.
Quando ebbe finito mi guardò, preoccupato, con gli occhi lucidi.
Feci un profondo respiro poi gli dissi “Va ad aiutare gli altri, ti prego.” Lui mi guardò, dubbioso, poi sospirò e si alzò.
“Tornerò in fretta.” Disse e poi corse fuori dalla stanza.
Rimasi nel letto, le braccia e le mani completamente fasciate, lasciate lungo i fianchi.
Mi guardai intorno.
Al buio, sdraiata e immobile nel letto, iniziai a pensare a ciò che era accaduto.
Mi ero letteralmente lanciata tra le fiamme per salvare Alice.
Io, la piccola e fragile principessa Azriel avevo appena rischiato di morire bruciata viva.
Risi.
La principessa non esisteva più da tempo, ammesso e non concesso che fosse mai esistita, poi chiusi gli occhi.
Probabilmente mi ero addormentata perché quando aprii gli occhi trovai Alice che, addormentata anche lei, mi teneva una mano sulla pancia e stava con la faccia schiacciata sul letto, seduta a terra.
“CHE CAZZO VUOL DIRE?” gridò quello che riconobbi come Gates poi varie voci.
I ragazzi stavano... litigando ?
Mi alzai, senza svegliare Alice e socchiusi la porta quel tanto che bastava per riuscire a cogliere tutte le parole.
“Brian, calmati.” Disse quello che riconobbi essere Rev.
Brian? Chi era ora Brian?
“NO, NON MI CALMO, JIM!” gridò quello che riconobbi essere Gates.
Quindi Brian era il vero nome di Gates?
Sicuramente.
Avevo letto nei libri del capitano che i pirati avevano sempre dei soprannomi ed effettivamente quelli che loro ci spacciavano per nomi, erano un po’ troppo strani per esserlo veramente.
Quindi il nome di Rev era Jim?
Mi girava già la testa ma rimasi in ascolto lo stesso.
“Sì ma Jim ha ragione, dalla descrizione di Alice, qualcuno deve aver dato fuoco alla spiaggia nella speranza di far prendere fuoco a tutta l’isola, mollando poi il tutto e scappando a bordo di qualche scialuppa di salvataggio.” Disse Shadows.
“Sì, ma chi?” domandò Vee.
“Che domanda del cazzo, Vee, se solo lo sapessimo pensi staremmo ancora qui a chiacchierare?” disse, fuori di sé, Christ.
“Oh, JC, stai calmo.” Rispose Vee.
“Comunque, tornando seri. Cos’era che hai trovato su quella specie di torcia che ti ha dato Alice, Matt?” domandò il capitano.
A rispondere fu Shadows, così dedussi che il suo nome era Matt, e disse “Era una specie di stemma, un uccello inciso con al centro di esso due iniziali, K.P.”
Il mio cuore si fermò, improvvisamente.
Noncurante di avere addosso solo i pantaloni e una fascia di stoffa a coprirmi il seno, spalancai la porta e mi catapultai in cucina dove i ragazzi stavano tutti seduti attorno al tavolo.
“Azriel.” Disse Rev, preoccupato, alzandosi in piedi “Tutto bene?”
Lo ignorai e mi avvicinai al tavolo.
“Dov’è la torcia?” domandai.
“Come?” fece Shadows.
“Fatemi vedere la dannata torcia.” Dissi, fin troppo seria.
Matt si spostò di lato facendomi vedere che la torcia era sul tavolo.
Mi avvicinai, sperando di aver completamente frainteso tutto.
Quando però afferrai la torcia ed osservai il simbolo inciso su di essa, non ebbi più dubbi.
Una grande fenice con, sul centro, incise le iniziali K.P.
Lasciai cadere la torcia ed indietreggiai, terrorizzata.
“Az... Che ti prende ?” domandò Shadows.
Rev, in un istante, mi fu vicino.
“King. Phoenix.” Dissi.
I ragazzi mi guardarono, sempre più confusi.
“King cosa?” domandò Vee.
“K. P. sta per King Phoenix.” Sussurrai, inespressiva.
“Cosa ne sai?” mi domandò Christ.
“Sono le iniziali di suo padre.” Disse Alice, appena uscita dalla stanza alle mie spalle.
I ragazzi, in silenzio, tornarono a fissarmi, sconvolti.
Non riuscivo a staccare gli occhi da quella dannata torcia.
“No, no. Potrebbe essere solo una coincidenza, dai.” Disse Gates.
“Lo stemma della nostra famiglia è una fenice, da ciò deriva il nostro cognome. Quello è lo stemma della nostra famiglia e no, Gates, non mi confonderei mai su una cosa simile.” Dissi, senza guardarlo.
Al si avvicinò, silenziosa e prese ad osservare la torcia.
“Ero così spaventata da non aver fatto caso allo stemma...” sussurrò.
“Quindi cosa significa tutto questo? Perché sarebbe venuto a dare fuoco all’isola? Come fa a sapere che siamo qui?” cominciò a domandare Shadows, preoccupato.
La mia mente era nel pallone.
“Az? Azriel?” continuava a chiamarmi Rev.
Improvvisamente diedi un pugno sul tavolo, imprecando a gran voce e corsi fuori casa, senza voltarmi.
Continuai a correre fino a ritrovarmi in non sapevo che parte della caverna, mi misi seduta a terra in un angolino e cominciai a piangere, imprecando.
La mano con cui avevo dato un pugno ora pulsava e, dal rosso acceso che aveva preso la fasciatura, dedussi che vi stava anche uscendo del sangue.
Mio padre era arrivato fin lì?
Sapeva che ero con i ragazzi?
Perché aveva mandato qualcuno a dare fuoco a quell’isola?
Mille domande senza risposta mi giravano nella testa, senza risposta.
“AZRIEL? AZRIEL DOVE SEI?” sentii gridare e riconobbi la voce di Matt, ma non parlai.
“CI SONO DELLA MACCHIOLINE DI SANGUE QUI PER TERRA, CAPITANO!” gridò Vee.
Sentii dei passi veloci venire nella mia direzione e mi raggomitolai ancora di più su me stessa poi improvvisamente si fermarono.
“Vado io.” Disse Al.
In pochi secondi, la mia amica era accucciata davanti a me.
“Az?” domandò.
Alzai la testa dalle mie ginocchia e la osservai, come persa.
Alice mi poggiò una mano su una guancia, dolcemente.
“Al io... io...” provai, ma nessuna frase sensata riusciva ad uscire dalla mia bocca.
Alice mi guardava, preoccupata, in silenzio.
“Mi dispiace...” sussurrai.
“Ma di cosa?” domandò.
“Hai rischiato la vita. TUTTI hanno rischiato la vita... per colpa di mio padre.” Fu tutto ciò che riuscii a dire.
“Stiamo bene, tutti. E io sono salva, grazie solo ed esclusivamente a te che ti sei lanciata tra le fiamme, senza riflettere, rischiando la vita, per me. Quindi di cosa devi dispiacerti, Az? Non è colpa tua, va tutto bene.” Mi disse lei.
La guardai, ancora preoccupata.
Avevo così tante domande eppure non riuscivo a farne nemmeno una.
Io, quella che tra le due parlava sempre e forse anche troppo, ora mi ritrovavo a fissare Al in silenzio, spaventata, triste, confusa e dolorante.
“Va tutto bene, Az. Torniamo dai ragazzi che sono tutti in pensiero e, insieme a loro, troveremo tutte le risposte alle domande che ti stai facendo.”
La guardai ancora un po’.
Aveva capito, come al solito.
Come sempre, aveva capito tutto ciò che avevo, solo guardandomi.
Annuii.
Si alzò e mi tese una mano, le porsi la mia ma appena la strinse sobbalzai, trattenendo un urlo.
Al mi guardò poi passò lo sguardo alla mano e sussurro “Oh...”
Poggiai la mano sinistra a terra e feci leva per alzarmi.
Seguii Al per qualche metro poi trovai i ragazzi in piedi, preoccupati, che ci fissavano.
Rev fece un passo avanti e rimase a guardarmi.
Lo raggiunsi e mi fermai davanti a lui, senza però riuscire a guardarlo negli occhi.
Mi sentivo in colpa.
“Noi... ehm... vi aspettiamo in casa.” Disse Shadows, poi lui, i ragazzi e Al sparirono.
Dopo qualche secondo, Rev mi chiamò, attirando la mia attenzione.
Alzai lo sguardo e puntai i miei occhi nei suoi.
Era preoccupato, aveva in faccia la stessa espressione del giorno in cui ero caduta in mare.
La stessa preoccupazione e lo stesso spavento che aveva quando mi stava parlando nella cabina, scusandosi per il suo scatto d’ira.
“Mi... mi dispiace...” sussurrai.
“Ma di cosa?” fece lui, preoccupato.
“Io.... mi sento colpevole e.. se sei arrabbiato con me, lo capisco.” Dissi.
“Colpevole? Azriel ma che dici? Colpevole di cosa? Non sei stata tu ad appiccare l’incendio e chiunque sia stato, scopriremo perché l’ha fatto. In quanto al fatto d’essere arrabbiato beh... sì, lo sono.”
Lo guardai, spaventata.
“Sono arrabbiato perché sei stata stupida, potevi morire!” mi disse, poggiandomi una mano sulla guancia “Ed io non avrei potuto fare nulla per impedirlo.” Sussurrò poi.
Ero incredula.
Improvvisamente, senza una vera motivazione, Rev mi prese in braccio e, senza dire una parola, cominciò a camminare.
Rimasi in silenzio e così anche lui.
Raggiungemmo la spiaggia in cui eravamo stati la sera prima e poi mi poggiò a terra, sedendosi di fianco a me.
Anche quella sera il cielo era limpido, pieno di stelle e la luna, questa volta più piccola, ballava riflessa nell’acqua calma del mare scuro.
Dovevo parlare.
Il silenzio non faceva per me e quel silenzio mi stava uccidendo.
“Vi ho sentiti parlare... prima.” Sussurrai.
Rev si voltò appena, curioso.
“Ho sentito che vi chiamavate per nome.” Dissi, giocherellando con un dito nella sabbia.
Lo sentii ridacchiare.
“Ti chiami Jim ?” chiesi.
“James, il mio vero nome è James ma preferisco essere chiamato Jimmy e i ragazzi lo abbreviano con Jim.” Disse, voltandosi completamente ad osservarmi.
Lo guardai, sorridendo.
“James è un nome bellissimo ma anche Jimmy mi piace” sorrisi ancora “Ma ti chiamerò Rev, davanti agli altri.”
“Perché?” chiese.
“Perché per il momento preferisco così.” Tornai a guardare il mare.
“Non sono più arrabbiato, comunque.” Mi disse.
Mi voltai di scatto “Davvero?” chiesi.
Annuì.
“Non lo sono più da quando ti ho portata a casa per curarti le braccia, da quando la preoccupazione e la disperazione di vederti così dolorante mi hanno fottuto il cervello in un istante.” Disse poi.
Ero di nuovo stupita.
Di nuovo senza nulla da dire.
“Non chiedermi il perché, Azriel. Anche se so che vuoi farlo, ti prego non chiederlo, perché non saprei rispondere ed odio non avere risposte alle domande che mi vengono fatte.” Aggiunse poi ed annuii.
Mi lasciai abbracciare, abbraccio che non potei ricambiare a causa del dolore alle braccia.
Dopo qualche minuto tornammo a casa dove gli altri ci aspettavano, seduti intorno all’enorme tavolo.
Presi posto e Rev si mise seduto vicino a me, cominciando a cambiarmi le fasciature.
“Non mi sento sicuro a ripartire domani, potremmo tornare e trovare la casa distrutta.” Disse Gates, dopo qualche minuto di silenzio.
Rev annuì “Sono d’accordo, dovremmo prima capire chi è stato ad appiccare l’incendio e perché, poi potremo ripartire.”
“Invece no.” Disse Christ e tutti ci voltammo a guardarlo, confusi.
“Non avrebbe senso. Qualcuno ha cercato di bruciarci vivi e pensate siano rimasti nei paraggi? Io non credo, saranno scappati, convinti di aver finito il lavoro. Dovremmo andare a cercarli.” Concluse.
“Sono d’accordo.” Aggiunsi, attirando l’attenzione di tutti su di me “Inoltre mio padre non verrebbe mai personalmente in un posto simile, mio padre non va mai personalmente da nessuna parte. Avrà mandato qualcuno e ora questo qualcuno starà facendo rotta verso il castello di mio padre per comunicargli che il lavoro è stato portato a termine.” Conclusi, fissandomi le mani fasciate, per non incrociare lo sguardo di nessuno.
“Se dalle dimensioni delle scie sulla sabbia ho visto bene, l’imbarcazione con cui hanno raggiunto la spiaggia era veramente piccola, ciò significa che sono lenti. Magari era uno di quei piccolissimi pescherecci, se partiamo ora, dovremmo riuscire a raggiungerli in due giorni.” Disse Alice.
Calò un pesantissimo silenzio.
Alzai lo sguardo e tutti fissavano Rev che, sovrappensiero, fissava il tavolo.
“Prendete le vostre cose, partiamo immediatamente.” Disse poi, alzandosi e dirigendosi verso la sua camera.
Tutti si alzarono, pronti per la nuova partenza.
Stavo per raggiungere la camera di Rev quando mi sentii chiamare.
Mi voltai e trovai Gates, a pochi metri da me.
“Sì?” dissi.
“Volevo... complimentarmi.” Mi disse.
“Per cosa?” chiesi, confusa.
“Per il salvataggio di Alice. Non so quanti ci sarebbero riusciti. Sei stata... stupida. Stupida ma coraggiosa. E... niente, tutto qui.”
Sorrisi.
Ma non dissi niente.
Sapevo che non sarebbe servito.
Gates mi fece un mezzo sorriso poi si infilò in camera.
Entrai nella camera del capitano sorridendo.
Mi sentivo sollevata, le cose con Gates andavano meglio.
“Tu non puoi certo ripartire così.” Mi disse Rev.
“Così come?” feci io, colta alla sprovvista.
“Sei praticamente nuda.” Fece lui, ridendo.
Di getto, mi coprii il senso con un braccio, arrossendo.
“Tieni” mi disse e mi lanciò qualcosa, poi mi superò uscendo dalla stanza.
Spiegai quella che sembrava essere una maglietta e me la infilai, sentendo l’odore di Rev entrarmi nel naso e mandarmi in palla il cervello.
La maglietta mi arrivava fino alle ginocchia e quelle che dovevano essere maniche corte, mi arrivavano fin sotto la spalla.
Le arrotolai per bene poi uscii dalla stanza anche io, trovandovi solo Christ davanti la porta principale.
“Gli altri si sono incamminati, manchiamo solo io e te.” Mi disse.
Lo raggiunsi in fretta ma quando stavo per uscire dalla porta mi chiamò.
Mi voltai e lo vidi tendermi un libro, libro che riconobbi subito, era il libro sulle piante che il capitano mi aveva dato.
“Era sulla spiaggia e mentre tornavamo indietro l’ho raccolto” mi disse.
Presi il libro sorridendo e me lo strinsi al petto “Grazie mille” sussurrai, davvero felice.
Lo vidi sorridere poi ci incamminammo verso la nave.
Salimmo a bordo e mentre tutti i ragazzi erano impegnati a far ripartire la nave, io e Alice sistemavamo in dispensa il cibo e le varie casse che i ragazzi avevano portato a bordo.
Era faticoso spostare qualsiasi cosa con il bruciore che sentivo ad ogni tocco, ma stringevo i denti e trattenevo le lacrime, sperando che Al non si accorgesse di nulla.
Finimmo esattamente quando tutti i ragazzi smisero di correre avanti e indietro e quando la nave fu ripartita.
Salii sul ponte, salii ancora le scalette e raggiunsi la prua, sedendomi su una cassa e fissando il mare.
Alice era sul ponte impegnata a fare non sapevo cosa con Gates mentre Shadows era di vedetta e Vee e Christ erano a riposare e il capitano era al timone.
Fissavo il mare e la piccola isola che si allontanava.
Già mi mancava, quella piccola isola che ormai era diventata anche la mia casa.
Guardai le fasciature sulle mie mani ed imprecai, rendendomi conto che avrei dovuto cambiarle di nuovo dato che gli sforzi avevano fatto sanguinare le ferite, macchiando tutta la stoffa.
Sbuffai.
Sentii Al ridere così, curiosa, discesi di poco le scalette e presi ad osservarla mentre era impegnata ad intrecciare delle conchiglie con dei fili.
O meglio, Gates le muoveva le mani e lei si lasciava trasportare.
Guardai il viso di Al e mi sentii veramente felice nel vederla così sinceramente gioiosa poi spostai il mio sguardo sul volto di Gates e fui ancora più felice nel vederlo sorridere come un ebete.
Ridacchiai sottovoce.
“Gates, vieni a darmi il cambio? Muoio di sonno!” gridò Shadows.
Per un istante, odiai il gigante con le fossette per aver spezzato quell’aria così magica che si era creata tra i due ma poi lo perdonai quando lo vidi trascinare i piedi verso il piano inferiore, con due occhiaie completamente viola al di sotto degli occhi.
Non appena Gates fu in cima alla sua postazione, raggiunsi Al, prendendo posto di fianco a lei sulla cassa.
“Guarda” mi disse, con gli occhi che le brillavano dalla gioia e mostrandomi un piccolo bracciale di conchiglie legato intorno al polso sinistro.
“E’ bellissimo” dissi, sorridendo.
Al annuì.
“E quindi... qualcuno qui ha sciolto il cuore del duro Gates” sussurrai.
Al smise di guardare il bracciale e mi guardò.
Rimase in silenzio per qualche secondo poi mi diede un leggero schiaffo su una spalla.
“NO, MA COSA DICI!” gridò “HAI CAPITO MALISSIMO!”
Scoppiai a ridere.
“Dovresti vedere come ti guarda.” Sussurrai poi, sorridendo.
“Come... Come mi guarda ?” sussurrò lei, ora curiosa.
“Senza smettere di sorridere, con gli occhi che luccicano... un po’ come tu guardi lui!” risi ancora dell’espressione sconvolta della mia amica.
“Io... tu... CAMBIAMO ARGOMENTO!” mi gridò, arrossendo.
“Az? Puoi venire qui?” mi voltai a vidi Rev che mi fissava, sorridendo.
Guardai Al.
“Vai, vai, io tra poco vado a riposare.” Mi disse.
Sorrisi e mi alzai, raggiungendo di corsa il capitano.
“Volevo mostrarti una cosa.” Mi sussurrò “Mettiti qui” e mi mise davanti a lui.
Da dietro di me, prese le mie mani e le portò sul timone, tenendo le sue leggermente poggiate sulle mie.
“Se guardi dritto davanti a te, puoi vedere tutto. Questo è il posto della nave da cui si vede meglio, subito dopo la vedetta. E quando starai meglio, ti porterò anche lì.” Mi sussurrò in un orecchio.
Avrei voluto dare retta alle sue parole, ma la sua voce e il suo corpo così vicini a me mi mandavano in brodo di giuggiole il cervello così mi limitai ad annuire.
Cercando di calmarmi smisi di fissare le enormi mani del capitano sulle mie e guardai altrove, puntando per caso i miei occhi su Gates.
Lo trovai intento a fissare Al.
Seguii il suo sguardo e trovai Al che fissava me e Rev, presa, sorridente, curiosa e fantasticante.
Mi sarebbe tanto piaciuto sapere come apparivamo ai suoi occhi, sapere cosa pensava ma, probabilmente, non me lo avrebbe mai detto.
Sorrisi e ripresi a perdermi nella voce del capitano che, alle mie spalle, canticchiava.


Note: sono una brava ragazza e posto la mattina, oggi <3
Le risposte arriveranno oggi pomeriggio quando torno dal lavoro, spero, ma in ogni caso dovrebbero al massimo arrivare domani.
I prossimi capitoli, soprattutto i miei -quelli di Alice, potrebbero essere un po' pesanti. Ma servivano alla trama, so pls don't kill me.
Devo anche avvisare che la marinaia sbarca in vacanza -piú o meno, insomma, ci sarebbe da discutere sul termine- e per tre settimane probabilmente non ci saranno aggiornamenti, perché non credo di riuscire ad avere una connessione stabile. Mi dispiace tantissimo, cercheró di riuscire in una qualche maniera a postare lo stesso cc
See ya,

Marinaia Al (e capitano Sah).

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


BROMPTON COCKTAIL
{Capitolo X}
Un rumore di passi, voci concitate, grida: sembrava che sulla nave stesse succedendo il finimondo ma, non appena scattai a sedere, il silenzio mi avvolse quasi assordante. Rimasi in ascolto, trattenendo il respiro, ma l'unico suono che ora sentivo era il battito del mio cuore nelle orecchie. Scivolai in corridoio, silenziosa, e infilai le scale per il ponte; dato uno sguardo furtivo potei alzarmi, uscendo all'aria aperta, solo per constatare che non c'era nessuno.
La luce della luna illuminava appena la nave, riempiendola di ombre lunghe e scure, ma non poteva certo riempirla di uomini che non c'erano.
Non trattenni una smorfia, sciogliendo la tensione dalle spalle e rilassandole di colpo.
Cominciamo a vedere problemi anche dove non ce ne sono, Alice, come se già non ce ne fossero abbastanza.
Azzardai qualche passo sul ponte, quando una voce mi fece sobbalzare.
“Pensavo che Rev avesse messo solo me di guardia, stanotte.”
Alzai gli occhi al cielo, voltandomi e portandomi una mano al petto.
“Grazie per l'infarto, Shadows.”
Lo vidi sorridere, divertito, per poi inclinare appena il capo.
“Che ci fai sveglia, Alice?”
Alzai le spalle, guardandolo dritto negli occhi per un istante, poi abbozzai un sorriso.
“Pensavo avresti voluto compagnia.” Lui rise e mi sentii in colpa per avergli mentito, soprattutto perchè non lo aveva nemmeno sfiorato il dubbio che io avessi potuto farlo. “Ma se avessi saputo di rischiare la vita non sarei venuta...”
Matt si passò una mano fra i capelli, arricciando il naso.
“Scusa, non volevo spaventarti. Dico davvero.”
Sorrisi, sedendomi sulla cassa accanto a me.
“Ammetto candidamente che sarei morta sotto la tua lama, Shadows. Non sapevo fossi così silenzioso.”
Lui mi strizzò l'occhio.
“Dovresti vedere quanto lo è Johnny: nonostante sia un casinista, come d'altronde tutti su questa nave-” Si interruppe, inarcando un sopracciglio e alzando il mento. “Donzelle comprese, naturalmente... Beh, insomma, è un fantasma. È piccolo e leggero, perciò più veloce di noi, ed è letale se decide di non farsi sentire-”
Ci fu qualcosa, in quella frase, che mi fece scattare. Aggrottai la fronte, mentre Matt si interrompeva per guardarmi perplesso, mentre io sentivo rieccheggiare le sue parole nella mia testa.
Piccolo e leggero. Piccola e leggera...
“Hai un pezzo di carboncino e qualcosa su cui scrivere?”
Dopo qualche minuto ero seduta sul ponte, Matt accucciato davanti a me che seguiva i miei movimenti con quello che sembrava essere un certo timore. Iniziai a tracciare le linee, correggendole di tanto in tanto quando la memoria mi faceva ricordare i dettagli, mentre un rozzo abbozzo andava formandosi sotto il carboncino.
“Ricordi cosa dissi, riguardo all'imbarcazione approdata sulla vostra isola?” Chiesi, mordendomi il labbro mentre cercavo di essere il più precisa possibile.
Matt rispose, esitante, senza riuscire a capire dove volessi andare a parare. “Che era di piccole dimensioni, forse di supporto ad una nave più grande... Ma non abbiamo trovato nessuna traccia della presenza di una nave maggiore, così abbiamo concluso che fosse qualcosa di simile ad un peschereccio-”
“Ma non riuscimmo a rintracciarlo, nemmeno esplorando l'orizzonte, come se si fosse volatilizzato. E questo era impossibile per un peschereccio comune, troppo pesante per essere tanto veloce.” Lo interruppi io, sbrigativa.
Era confuso, lo sentivo dalla sua voce.
“Dove vuoi arrivare?” Disse, piegando la testa per osservare quello che stavo scrivendo dietro al disegno. Mi muovevo rapida, mettendo ogni parola esattamente al suo posto, come le tessere di un mosaico.
“Non era un peschereccio.” Sussurrai, iniziando a incolonnare alcuni numeri.
“Al, cosa-”
Gli feci cenno di tacere, picchiettandomi con un dito sulla fronte; decisi di lasciare perdere, lasciando lo spazio bianco, e misi su carta ogni cosa che ricordavo.
Quando finii, voltai il foglio per mostrarglielo: su una facciata capeggiava ora la bozza di una nave, lunga e sottile, dalla coperta bassa e allungata. Indicai la figura slanciata con il carboncino.
“Questa è la Grace, una delle navi della flotta di Phoenix. Ed è la nave che è approdata sulla vostra isola.”
Matt alzò gli occhi, sgranandoli.
“Come...?”
Non trattenni un moto di impazienza con la mano, e proseguii.
“Unica nel suo genere, si tratta di un prototipo messo a punto tre mesi fa dagli ingegneri del padre di Azriel: è leggera, compatta, e tanto veloce da poter quasi pensare che voli sopra l'acqua invece di navigarci.” Voltai il foglio, mostrandogli le scritte. “La buona notizia è che non permette a più di sette uomini di starci sopra, e uno di questi deve per forza essere uno dei progettisti o comunque qualcuno che conosca la nave meglio del palmo della sua mano: è diversa da qualsiasi altro tipo di imbarcazione della marina, differente da ogni nave che tu possa avere mai visto. È un esperimento... Un esperimento rischioso, ma in fondo non ti sorprenderesti di quanto il padre di Azriel sia disposto a rischiare per ottenere il controllo del mare. E questa ne è la prova.”
Matt scorreva le fitte righe che avevo scritto, saltando le parole quando gli riusciva impossibile l'interpretazione della mia grafia.
“Non dispone di grandi armamenti, non è adatta ad uno scontro diretto e ha bisogno di almeno una nave d'ordinanza come appoggio per il sostentamento, ma è completamente autonoma da essa seppur per brevi periodi. Data la sua rapidità può allontanarsi per grandi distanze, se non minacciata militarmente, e credimi che il re ha suscitato tanta paura attorno a questa nave che nessuno che abbia sentito almeno una storia che gira su di lei si azzarderebbe ad avvicinarsi. L'unica pecca di questa nave sono le armi, ma quelli che sanno della sua esistenza ne hanno tanta paura che non gli salterebbe nemmeno per l'anticamera del cervello di andarci vicino.” Lo guardai. “L'unica arma di quella nave è la paura, e nessuno che sappia che è più inoffensiva di un granchio è mai uscito dal laboratorio dove l'hanno costruita.”
Lo vidi scrutarmi, improvvisamente in allerta.
“E tu come fai a saperlo? Perchè Azriel non lo sa, perchè non ce l'ha detto lei?”
Sorrisi brevemente.
“Az non sa niente di tutto questo, non è mai stato in programma che lei sapesse e tantomeno dovevo saperlo io. Al mio arrivo da Azriel fui lasciata nello studio del suo precettore per qualche minuto di troppo, e sono una persona terribilmente curiosa... Nonchè estremamente portata a vedere o sentire quello che non devo, e a memorizzarlo come null'altro. Sono state le tue parole a farmi scattare il ricordo. Maestro Ludwig stava lavorando ad alcuni calcoli, in riferimento ad un progetto parallelo alla Grace, e questa è la copia del foglio di quel fascicolo.”
Picchiettai sullo spazio bianco, innervosita.
“Se solo riuscissi a ricordare...”
Matt, rimasto qualche istante ad osservare in silenzio il mio lavoro, sembrava assorto.
“Se questa è la nave che stiamo cercando...”
“Non è questa che stiamo cercando. La Grace è avanti a noi ed è più veloce, ma una volta raggiunta la nave di appoggio deve adattarsi alla sua velocità e credimi, è nettamente inferiore alla nostra.”
“Stiamo quindi cercando una nave della marina del padre di Azriel?”
Annuii.
“Esattamente. Ma...”
Alzò gli occhi su di me, attento, in attesa che proseguissi.
“Ma?”
Chiusi gli occhi per un momento.
“Il progetto collegato a questo era di una nave che tentava di unire i vantaggi della Grace a quelli di una nave comune. Maestro Ludwig era impegnato in operazioni di ricontrollo degli ultimi apporti di materiale, pesi e misure che andavano calcolati con precisione millimetrica, ma la costruzione di quella che non dubito diventerà l'ammiraglia di Phoenix era già cominciata.”
“Stai dicendo che...”
“Sì, Matt. Sto dicendo che potremmo trovarci davanti King Phoenix in persona, direttamente dal suo palazzo, pienamente al sicuro sulla sua nave ammiraglia e con il coltello dalla parte del manico.”
Si passò una mano sul volto.
“Non può essere invincibile.”
“Non lo è, ma semplicemente noi non conosciamo il suo punto debole. L'unica nostra possibilità, se davvero dovremo affrontarla, è di essere noi a stabilire il terreno di scontro e di avere abbastanza tempo per rendercelo favorevole.”
“Avremmo comunque un certo margine di anticipo. Non può apparire dal nulla.”
“Se siamo in mare aperto, sì. Ma se la Grace ci attirasse sottocosta non sarebbe così scontata la visibilità, e rischieremmo addirittura di rimanere intrappolati.”
Lo vidi fare una smorfia.
“Non la stai mettendo giù bene, Alice...”
Abbassai lo sguardo sull'abbozzo della Grace.
“Lo so.”
Calò il silenzio e io sembrai esaurire qualsiasi cosa mi avesse spinto a parlare quasi ininterrottamente fino ad allora. Mi sentii prosciugata, come se avessi compiuto uno sforzo immane.
“Vado... a svegliare il capitano. È l'alba, ormai, e vorrà essere messo al corrente della cosa il prima possibile.”
Per un attimo mi sembrò di sentire quasi una nota di allerta nella voce di Matt, che si allontanò scoccandomi un'occhiata. Come se avesse timore di me o, ancora peggio, non avesse creduto ad una sola parola di quello che avevo detto.
Scarabocchiai in fretta qualche cifra a riempire lo spazio vuoto segnandole con un vago punto di domanda, a ricordo che erano incerte. Sentivo che avrei dovuto ricordare altro, che avevo letto altro, ma era come tentare di vedere attraverso una finestra chiusa: imprecai stringendo il carboncino fino a spezzarlo fra le dita e lo mollai sul ponte.
In verità mollai tutto lì, assicurandomi solo che il foglio fosse fermato dal volare via, e sparii in coperta. Sentii le voci di Rev e di Matt avvicinarsi, accompagnati da quella che doveva essere Azriel, e senza pensare mi infilai nella prima porta a caso che trovai trattenendo il respiro.
“Non può essere, Matt.” Sentii ringhiare Azriel, arrabbiata. “Non puoi nemmeno averlo pensato.”
“Sa tantissime cose, talmente specifiche che alcune nemmeno io sono stato in grado di interpretarle. Troppe e troppo precise, per una che dice di aver avuto solo qualche minuto per guardare un plico di fogli evidentemente segreto che guarda caso si trovava nei suoi paraggi mentre era sola... E rimane ancora da spiegare come diamine ci abbiano trovato. Nessuno era mai arrivato alla nostra isola.” Sentii dire Matt, e fu come se un coltello mi venisse infilato nel petto. “Non puoi escludere almeno il sospetto.”
“Matt, cazzo, è Alice!” Sentii Az urlare, fuori di sé.
Una breve pausa, in cui intuii che Rev l'aveva presa per calmarla, e udii la voce bassa e controllata del capitano.
“Limitiamoci a tenerla d'occhio, per ora-” Si interruppe, dicendo qualcosa che non afferrai, e poi riprese. “Non abbiamo nemmeno la certezza che quello che dice è vero.”
“È ALICE!” Scivolai lungo la parete, senza alcun rumore, fino a sedermi a terra, mentre sentivo Azriel gridare. “Come potete anche solo pensare una cosa del genere su di lei? Come se non la conosceste abbastanza da dire che prima di aiutare mio padre preferirebbe tagliarsi la gola di propria mano!”
Non ascoltai altro: mi coprii le orecchie con le mani, chiudendo gli occhi e rifiutandomi di sentire un'altra parola.
Non mi credono.
La cosa peggiore è che anche io avrei dubitato di me, se fossi stata al loro posto. Ma da parte mia sapevo di non aver mentito... Come anche di non avere nessun mezzo per convincerli di quello che dicevo.
Bloccai la porta con un barile, stando attenta a non fare rumore, e mi risedetti a terra appoggiando la testa contro il muro, gli occhi chiusi. Sentii le voci di Gates e Johnny, di nuovo Matt insieme a Vee, ma quelle di Az e Rev non passarono più.
Il dolore al petto sembrava non volersene più andare, avviluppato al mio torace cone una fascia di ferro che andava via via stringendosi, e la stanchezza data dalla notte praticamente insonne non contribuiva a farmi sentire meglio.
Devo trovare una soluzione.
Azriel stava sicuramente male, io lo sapevo, ma non potevo tornare da lei. Non potevo, non allora, neppure sapendo che sia le accuse verso di me che la seppur abbastanza incerta possibilità di ritrovarsi il padre davanti la stessero mettendo a dura prova. Non mi rimaneva che sperare che Rev avesse imparato abbastanza da riuscire dove io stavo fallendo rimanendo chiusa lì dentro.
Ripercorsi ogni lettera, ogni tratto di quel maledetto foglio e degli altri che avevo letto, tentando di ricordare ogni cosa. Doveva esserci, da qualche parte, qualcosa che ci avrebbe aiutato...
A strapparmi bruscamente dai miei pensieri furono le grida che sentii arrivare da sopra di me. Sentii le voci concitate dei ragazzi correre sopra, da uno all'altro, e capii che questa volta non era la mia immaginazione: spinsi il barile via, catapultandomi nel corridoio e rischiando di inciampare mentre salivo di corsa i gradini per uscire sul ponte.
Impallidii quando riconobbi la nave che si stava avvicinando velocemente alla nostra ma non feci in tempo ad aprire bocca che mi sentii sbattere contro l'albero maestro, un braccio premuto sulla gola e il viso di Rev a pochi centimetri dal mio.
Capii che mi avrebbe ucciso, se avesse deciso che era la cosa giusta.
“Da che parte stai?” Lo sentii ringhiare, a bassa voce, tutta la calma di cui aveva fatto sfoggia prima completamente andata in fumo. Sentii Az chiamare il mio nome, ma quando voltai la testa riuscii solo a vedere Gates che mi guardava con un'espressione che non gli avrei mai voluto vedere sul volto. Ignorai il primo richiamo di Rev e la spinta che diede contro il mio collo, rimanendo inchiodata agli occhi di Gates: realizzai che non mi credeva, che pensava fossi qualcuno che aveva mentito per tutto il tempo. Anche lui.
Rev stava perdendo anche l'ultimo briciolo di pazienza, e quando premette tanto forte da bloccarmi il respiro fui costretta a guardarlo.
“Non vi avrei descritto... la Grace, se non stessi con voi.” Rantolai, buttando fuori tutta la voce che avevo. “Girati e guardala tu stesso.”
Rev rimase qualche attimo impassibile, gli occhi azzurri fissi nei miei, poi lasciò che mi accasciassi a terra. Non mi degnò di un altro sguardo, inziando a impartire ordini che i ragazzi schizzarono prontamente ad eseguire; vidi Azriel tentare di avvicinarsi, ma Rev la prese per un braccio e le sussurrò qualcosa all'orecchio.
Non fece un altro passo verso di me e, dopo un momento di incertezza, la vidi dirigersi altrove.
Anche se avessi tentato di aiutarli nessuno mi avrebbe lasciato fare alcunchè e anzi, mi stupivo di non essere ancora legata da qualche parte. Evidentemente non mi ritenevano la maggior minaccia, al momento.
Non ebbi il tempo di fare nulla che la Grace e il suo equipaggio ci furono addosso.
E se era vero che la nave non era armata, i suoi occupanti compensavano abbondantemente.
Afferrai un arpione sciogliendolo dalla rete, rischiando di sbilanciarmi a causa del peso eccessivo. Non ero decisamente abituata a maneggiare nulla del genere, ma era il momento di non andare troppo per il sottile: ostacolai il cammino dell'uomo che stava correndo verso Azriel lanciandogli l'arpione fra le gambe e la vidi lanciarmi un'occhiata, ma non avevo tempo di fermarmi. Mentre lei si difendeva, alternando la fuga all'uso di un coltello che doveva averle dato Rev, mi sporsi dal parapetto della nave per guardare la Grace sotto di me.
“Alice!” Vidi una palla di cannone rotolare verso di me e, istintivamente, la spinsi fuoribordo: il tonfo del suo atterraggio sul legno mi confermò che avevo centrato lo scafo e, gettando un'occhiata, vidi che iniziava a imbarcare acqua ad una velocità consistente.
Rev aveva gettato giù dalla nave il suo aggressore e ora stava correndo in aiuto di Azriel, e mi sentii sollevata di saperla in buone mani. Mi concentrai sul più vicino a me e saltai sulle spalle dell'uomo che stava puntando la lama contro il collo di Johnny, spingendolo via dal ragazzo e allontanando il coltello.
Avevo fatto male i conti, però, e quando mi tirai di nuovo in piedi fui troppo lenta: finii scaraventata con forza contro l'albero della nave, urtandolo violentemente, e l'impatto mi fece crollare a terra dal dolore come un sacco vuoto. Aprivo e chiudevo gli occhi, non vedendo altro che macchie colorate, mentre i suoni si facevano sempre più ovattati.
Arrivai a non sentire più niente e a non distinguere null'altro che il buio, consapevole solo degli spasmi che correvano lungo la spinta dorsale e si irradiavano su tutta la schiena.
Quando ripresi coscienza di quello che mi succedeva intorno sentii la voce di Azriel chiamarmi, lontana, ma non vidi null'altro che la cassa che mi aveva protetto dal caos dello scontro; provai a muovermi, ma fui costretta a rinunciarci in breve.
“Alice!” Distinsi confusamente Gates che si inginocchiava accanto a me, mentre Az ringhiava qualcosa da dietro di lui.
“Le credi, adesso?” La sentii dire a qualcuno, mentre stringevo i denti per non gridare quando Gates mi prese fra le braccia per portarmi poco più in là; sentii chiara, però la risata che si alzò sopra il rumore delle onde.
Uno dei tre superstiti, legato agli altri due e immobilizzato, mi fissava sogghignando. Non lo riconobbi, non sapevo chi era, ma evidentemente lui sapeva benissimo chi invece ero io.
Sentii il tocco leggero di Azriel sul braccio, ma l'unica cosa che sentivo era quella voce bassa e raschiante. La udii come attaccata al mio orecchio sentendola scivolare giù ruvida come sabbia lungo la schiena, unendosi alle fitte che mi avvolgevano il torace.
“L'aveva detto, che avrebbe ceduto. Non sei fatta per stare su una nave, ragazzina, nonostante tu sia figlia di un uomo che il mare ce l'ha nel sangue.”
Sentii la presa di Azriel stringersi alla menzione di mio padre, l'uomo venuto dal mare che aveva costruito il suo impero partendo da una nave sola. Il Re Capitano, lo chiamavano... E l'ironia della sorte mi aveva proprio voluta là, su una nave.
Mi voltai di scatto su un fianco, colta da un accesso di tosse che mi tolse il respiro. Quando guardai la mia mano, togliendola dalla bocca, vidi che era macchiata di sangue.
Sentii l'uomo ridere, Az gridare il mio nome. Chiusi la mano, pensando distrattamente che Azriel aveva paura del sangue e che non doveva vedere, chiusi gli occhi e rimasi immobile.
Il mio sangue.


Note: aggiornamento in ritardissimo, purtroppo avevo la connessione ma non avevo considerato che il mio telefono a fare certe cose non ce la fa -o non vuole farcela cc Da ora in poi gli aggiornamenti dovrebbero tornare regolari.
Le risposte alle recensioni arriveranno presto, as usual, e grazie a chi continua a segurci.
See ya,

Marinaia Al (e capitano Sah).

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


BROMPTON COCKTAIL
{Capitolo XI}
Mentre Gates si allontanava con Al priva di sensi tra le braccia e Vee rimaneva in piedi davanti all’ultimo superstite che rideva, non riuscivo a dimenticare l’espressione di Al.
Si era sentita tradita.
Ed aveva rischiato la vita, nonostante tutto, per salvare Johnny.
L’uomo rideva, legato stretto all’albero maestro mentre Rev, invano, gli faceva domande su domande e quello, per tutta risposta, gli rideva in faccia.
Matt sparì sotto coperta per andare ad aiutare Alice, seguito da Johnny.
Vee e Rev rimanevano in piedi davanti all’uomo che non smetteva di ridere.
Quella schifosa risata mi stava facendo accapponare la pelle.
Ciò che feci mi lasciò stupita ma non ci badai perché ero troppo presa dalla rabbia.
Scattai verso i tre, sfilai il coltello e mi inginocchiai davanti l’uomo puntandoglielo alla gola, ignorando Rev che mi richiamava, preoccupato.
L’uomo, ridendo, disse “Principessa, cosa vuoi fare? Sistemarmi la barba?”
“Ti taglierò la gola e farò il bagno nel tuo sangue, se non risponderai appropriatamente a tutte le domande che ti farò d’ora in poi.” Ringhiai.
L’uomo mi guardò, incerto poi scoppiò di nuovo a ridere.
Alzai il coltello e glielo conficcai in una gamba con tutta la forza che avevo.
Quello smise di ridere e gridò, disperato.
“AZRIEL!” gridò Vee, ma lo ignorai.
“Sei qui per conto di mio padre?” domandai.
In tutta risposta l’uomo sputò a terra così girai di scatto il coltello nella sua gamba.
“TI HO FATTO UNA DOMANDA!” gridai.
“Sì, Sì, SONO QUI PER CONTO DI RE PHOENIX E RE ALLEN.” Gridò lui, soffrendo.
“Miglioriamo, vedo.” Sfilai il coltello dalla sua gamba, aspettando che smettesse di urlare.
“Come avete trovato l’isola?” domandai, seria.
Sentivo lo sguardo di Vee e Rev pungermi la schiena, quasi trafiggendomi ma la rabbia mi impediva di pensarci.
“Tuo padre seguiva questi pirati da un sacco di tempo ed un superstite del peschereccio su cui viaggiavate tu e la figlia di re Allen ci ha detto che eravate state rapite da loro, sapevamo già dove si trovava la loro isola ma non eravamo mai venuti a cercarvi, ti prego non uccidermi.” Supplicò.
“Sta zitto, parla solo per rispondere alle mie domande. Perché, se i nostri padri ci stanno cercando, avete solo dato fuoco all’isola, sapendo che eravamo li anche noi?” mi facevo quasi paura.
L’uomo esplose in un’agghiacciante risata che cessò all’istante quando gli puntai di nuovo il coltello contro e si affrettò a rispondere, gelido “Loro non vi cercano, vi vogliono morte.”
Rimasi a fissarlo, senza far trapelare una minima emozione dal mio viso.
Mi voltai verso Rev, vedendolo inespressivo intendo a fissarmi, sconvolto.
“Devi fargli qualche domanda?” gli chiesi e fu come se si fosse svegliato solo allora.
Scosse la testa poi guardò l’uomo “I due re sono sulla nave principale?” domandò.
“Sì ma ora vi prego, lasciatemi libero.” Disse, disperato.
“Ho finito.” Mi disse Rev.
Mi voltai verso l’uomo e, con un colpo secco, gli tagliai la gola, gettando a terra il coltello e superando poi Rev e Vee che mi guardavano, terrorizzati e confusi.
“AZRIEL!” mi gridò Rev.
Mi voltai e lo guardai dritto negli occhi.
“Non voglio vedere nessuno.” Detto ciò sparii in coperta ed entrai in una cabina vuota in cui nessuno stava mai.
Mi misi a terra, faticando a respirare a causa dei conati di vomito che il sangue mi stava provocando.
Mi sfilai le fasciature e le gettai lontano da me dato che erano tutte completamente impregnate di sangue, sangue non mio.
Imprecai, dando un possente calcio ad una cassa davanti a me.
Mi sarei dovuta sentire uno schifo dato che avevo appena ucciso, brutalmente, un uomo ma lo schifo che quel tipo mi faceva mi impedica di sentirmi in colpa.
Dopotutto, era a servizio di mio padre e questo lo rendeva una persona non degna di vivere, ai miei occhi.
Le braccia, ancora ustionate, a contatto con l’aria gelida pizzicavano.
Mi portai le ginocchia al petto.
Non mi veniva da piangere ma i tremori non accennavano a fermarsi.
Su quella nave mi attendeva l’unico uomo che veramente mi spaventava, mio padre.
Era sempre stato lui quello che mi riempiva di botte dicendomi che non ero degna, che era vergognoso il fatto che un grande re come lui avesse una simile schifezza per figlia, non in grado di ricoprire il ruolo di principessa, quello che mi diceva sempre “Se un giorno non dovessi più servirmi, o facessi qualcosa di sbagliato, ti ucciderò con le mie mani.” E ora ne aveva l’opportunità.
Non gli servivo perché di sicuro l’accorto con i due fratelli era saltato e, inoltre, l’avevo tradito fuggendo con i pirati che infestavano le acque che lui credeva gli spettassero di diritto.
Mi avrebbe uccisa.
E avrebbe ucciso Alice.
E anche Rev e i ragazzi.
“PORCA PUTTANA!” gridai, fuori di me, prendendomi la testa tra le mani.
In cosa mi ero andata a ficcare?
Avevo trascinato a fondo le vite di altre persone solo per il mio stupido bisogno di sfuggire a quel che era la mia merda personale.
Ero una persona orribile.
Una possente botta su un muro e un “VAFFANCULO” urlato a pieni polmoni da una voce che conoscevo bene.
Ripensai alla strada che avevo fatto per raggiungere quella cabina e realizzai.
Mi trovavo nella stanza attaccata alla cabina del capitano.
Lo sentivo ribaltare i mobili e gridare, in preda alla rabbia.
Una lacrima scivolo, svelta, da un mio occhio ma la asciugai in fretta.
Cosa potevo fare?
Non potevo permettergli di morire per colpa mia.
Ero un peso.
Stavano rischiando la loro vita a causa mia.
Mio padre mi voleva morta?
Forse, se fossi morta avrebbe lasciato in pace Alice e i ragazzi.
Mi alzai in piedi e corsi sul ponte, silenziosa, mi affacciai e quando fui sicura che non ci fosse nessuno raggiunsi la prua della nave e salii in piedi sul parapetto.
Guardai giù, respirando a fondo.
Ero decisa.
Se fossi morta tutto si sarebbe risolto.
Tutti sarebbero sopravvissuti.
Tutti sarebbero stati meglio.
Chiusi gli occhi.
Quando stavo per lasciarmi andare però mi sentii tirare indietro.
Vee mi teneva le braccia intorno alla vita e con le mani mi fermava le braccia.
Gridai per il dolore che provocava alle mie ferite ma lui, sdraiato con la schiena a terra e me su di lui, non accennava a mollare la presa.
“VEE, LE BRACCIA, CAZZO, LE BRACCIA!” gridai.
“NO, NON PUOI FARLO AZRIEL, NON TI LASCIO BUTTARE” gridava lui, disperato.
“VEE NON MI BUTTO, MA LASCIA LE BRACCIA, MI FANNO MALE!” urlai, disperata.
Vee mollò la presa ed io mi misi seduta, con le braccia che bruciavano.
Alzai lo sguardo con l’idea di maledirlo ma la scena che mi trovai davanti mi impedì di farlo.
Vee, inginocchiato davanti a me, mi fissava con le lacrime che gli rigavano il volto.
“V-Vee..” sussurrai, dimenticandomi del dolore alle braccia.
“CHE VOLEVI FARE, EH?” mi gridò contro, disperato.
“Io volevo..” non sapevo che dire.
“PERCHE’ VOLEVI BUTTARTI, EH? CHE STAVI PENSANDO? SEI FORSE IMPAZZITA?” era davvero disperato e non mi spiegavo perché.
“Se io muoio, non vi daranno la caccia, non voglio che qualcun altro si faccia male o peggio ci lasci le penne a causa mia.” Dissi, guardando a terra.
“STRONZATE!” gridò lui, battendo un pugno a terra ed io, di scatto, alzai lo sguardo concentrandomi in quegli occhi cerulei, ora tutti rossi e lucidi.
“Stronzate..” sussurrò, asciugandosi gli occhi con una mano “Se tu o Alice lasciate questa nave, se lasciate noi.... tutto farà schifo, peggio della morte.” Disse, senza staccarmi gli occhi di dosso.
“Vee, che stai dicendo?” domandai, sconvolta.
“Sto dicendo la verità, Azriel” si avvicinò a mi prese una mano “Sembra assurdo anche a me che sto per dirlo ma, cazzo, tu e Alice ora siete come sorelle per me e sono certo che per gli altri è lo stesso, per non parlare di Rev che ti ha resa il centro del suo fottuto mondo e tu pensi che morendo le cose miglioreranno? Come puoi dire una cosa simile?”
Lo fissai, cercando una piccola ombra di bugia ma non ne trovai.
Era sincero, terribilmente sincero.
Improvvisamente capii.
Eravamo una famiglia, Rev lo ripeteva sempre e per mia enorme fortuna, ora, in quella famiglia rientravamo anche io e Alice.
Guardai, improvvisamente spaventata, Vee.
“Cosa devo fare?” domandai, con la voce tremante.
Vee si asciugò definitivamente gli occhi.
“Combattere.” Mi disse.
“Io? Combattere? Ma Vee-“ lui mi interruppe.
“Non voglio sentire scuse. Vuoi fuggire da quel mostro? Da quella vita non tua? Allora combatti.” Si alzò e mi tese la mano “Ti insegnerò tutto ciò che so, di difenderò con le unghie e con i denti, idem con Alice, ma alzati e dimostrami che è ciò che vuoi davvero. Non puoi permettergli di distruggerti di nuovo, non puoi lasciare che ti butti giù proprio ora che ti sei rialzata.”
Nei suoi occhi vidi una luce che non gli avevo mai visto.
Era rabbia mista a bisogno di giustizia.
Guardai la sua mano poi la mia.
Ero pronta a combattere?
Avevo altre alternative?
Afferrai la sua mano e lasciai che mi tirasse su.
Ricambiai anche il suo abbraccio.
“Da dove cominciamo?” domandai.
“Niente sciocchezze, si parte con ciò che serve, devi saperti difendere.” Detto ciò estrasse un coltello dal fodero che aveva legato in vita e me lo puntò contro.
Lo guardai, spaventata.
“Vee, che intenzioni hai?” domandai, indietreggiando.
“Difenditi o muori, pirata.” Mi disse.
Lo guardai e vidi un mezzo sorriso sbucare sul suo volto, afferrai al volto il coltello che mi passò e sorrisi anche io.
Passammo a “combattere” parecchie ore, ore in cui Vee mi insegno ad affondare, schifare e difendermi in vari modi.
Avevo vari tagli sparsi qua e la ma non ci badavo.
Ignoravo anche quel po’ di sangue che vi usciva.
Anche Vee aveva qualche taglio che io stessa gli avevo provocato, segno che stavo andando bene.
“Sei fottutamente brava, hai degli ottimi riflessi, i miei complimenti!” disse Vee, dopo che schivai il suo ennesimo affondo.
Eravamo intenti a ridacchiare e continuare ad attaccarci e difenderci quando una possente voce raggiunse le nostre orecchie.
“CHE CAZZO SUCCEDE?” gridò Rev, correndo verso di noi.
Tentai di spiegare ma Rev afferrò Vee per la gola e alzandolo di pochissimo da terra.
“CHE CAZZO STAI FACENDO, VENGEANCE?” gridava e Vee non riusciva a parlare.
Mi aggrappai a un braccio di Rev, tirandolo.
“MI STAVA AIUTANDO AD IMPARARE A COMBATTERE!” gridai.
Rev si bloccò, lasciando cadere a terra Vee e voltandosi verso di me.
“Tu... cosa ?” mi chiese, con gli occhi sgranati.
“HO IMPARATO A COMBATTERE!” gridai.
Nel frattempo, attirati dalle urla, Matt e Johnny ci avevano raggiunti e si erano accucciati vicino a Vee.
“Tu? Combattere?” disse, scettico, Rev.
Il suo scetticismo mi colpì dritto in faccia come un pugno.
Quel che accadde dopo, accadde così in fretta che quasi non me ne accorsi.
Ripresi da terra il coltello e lo puntai verso il capitano, che mi guardava stupito.
“Difenditi o muori, capitano.” Dissi, sorridendo.
“Azriel, piantala.” Mi disse lui, secco.
Mi lanciai verso di lui che si trovò costretto ad estrarre il coltello per difendersi dal mio.
“AZRIEL!” gridò Shads.
“Sta buono e guarda.” Sussurrò, a fatica, Vee, trattenendolo.
I tre rimasero a guardare e Rev mi fissò, sorridendo.
Iniziammo a combattere e riuscii a schivare tutti i colpi del capitano ricordandomi minuziosamente tutti gli insegnamenti che Vee mi aveva dato ore prima.
Improvvisamente però il capitano fece un passo che non mi sarei aspettata e mi graffiò una guancia.
Il sorriso che aveva si spense e lasciò cadere di scatto il coltello, fiondandosi verso di me, preoccupato.
Ne approfittai per intrecciare una mia gamba alla sua, farlo cadere di schiena e sedermi su di lui.
“Non devi mai, mai, mai abbassare la guardia, pirata.” Sussurrai, vicina alle sue labbra.
Rev mi guardò, stupito, per qualche istante poi sorrise ed io arrossii violentemente, riflettendo su quel che avevo appena fatto.
Quando mi alzai, seguita da lui, Shadows e Christ mi guardavano scioccati.
Vee si alzò da terra, toccandosi la gola e disse “Te l’avevo detto che eri portata.” Sorridendo.
Lo abbracciai.
Sciolto l’abbraccio, curate le ferite e augurato buonanotte a tutti rimasi sul ponte con il capitano.
Era seduto su una cassa vicino al timone e puliva il suo coltello.
Lo raggiunsi e rimasi di fianco a lui.
“Le spiace, messere,  se siedo al suo fianco?” domandai, sorridendo.
Rev alzò lo sguardo dalla lama del suo coltello e mi sorrise, dicendo “Prego, signorina, si accomodi pure.”
Senza smettere di sorridere presi posto sulla cassa, incrociando le gambe.
Matt mi aveva fasciato di nuovo le braccia e ripulito tutte le ferite che mi ero provocata nella lotta con Vee e in quella con Rev.
“Quindi, sei decisa a combattere?” mi domandò il capitano, riprendendo a pulire il suo coltello.
“Sì. Vee mi ha fatta ragionare e... non posso lasciare che mio padre distrugga anche la vita che sto provando a ricostruirmi. L’ha già fatto una volta.” Abbassai lo sguardo, fissandomi le braccia completamente fasciate.
Rev sospirò poi, con uno scatto, conficco il coltello nella cassa lasciandolo dritto e si voltò a guardarmi.
“Non lascerò che nessuno ti sfiori.” Mi sussurrò, avvicinando il suo viso al mio.
Il suo respiro che si infrangeva sulla mia pelle mi stava facendo girare la testa ma tentai comunque di mantenere un minimo contegno.
“Mi dispiace per... come mi sono comportato con Alice.” Disse poi.
Lo guardai per qualche istante poi sorrisi, poggiandogli una mano su una guancia.
“Saprà perdonarti.” Gli dissi.
Improvvisamente, Rev mi strinse a sé ed io non mi mossi.
Poggiai la testa sul suo petto e chiusi gli occhi.
Passammo così quella che a me parve un’eternità poi fummo chiamati da Shadows e sciogliemmo l’abbraccio.
“Alice è sveglia e ti cerca, Az.” Mi disse.
Guardai il capitano che mi sussurrò di andare da lei così mi alzai di scatto dalla cassa e corsi in coperta, fiondandomi nella cabina dove trovai Gates seduto vicino al letto su cui Al era distesa.
Gates mi guardò poi guardò Al ed infine uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Mi avvicinai al letto e mi distesi di fianco alla mia amica, carezzandole una guancia.
“Come stai?” le domandai, sottovoce.
“Ora meglio... i ragazzi si sono presi cura di me e- AZ, COSA SONO TUTTI QUEI TAGLI SUL COLLO E SULLA FACCIA?” mi disse, sgranando gli occhi.
Sorrisi.
Le raccontai tutto quel che era accaduto.
Le raccontai del mio pensare di essere un problema, del mio voler morire, del tentativo fallito e dell’arrivo eroico di Vee e anche dei suoi insegnamenti, le parlai della piccola lotta con Rev e degli sguardi stupiti di Christ e Shadows.
“Quindi... sei decisa?” chiese dopo poco.
Annuii.
“Non avranno pietà, lo sai?” domandò ancora.
Le presi una mano e me la portai all’altezza del cuore, guardandola negli occhi.
“Alice, se vogliamo scappare per sempre non otterremo mai la libertà che i nostri cuori meritano. Combattere è l’unica vera speranza.” Dissi, seria.
La vidi scrutare il mio viso poi annuì, convinta.
“Appena mi sarò ripresa, chiederò a Gates di insegnarmi a combattere e difendermi. Non ti lascio sola, Az, sarò al tuo fianco ora e sempre.” Mi disse.
Sorrisi, carezzandole una guancia.
Dopo una breve chiacchierata, lasciai la cabina, tranquillizzata dalla presenza di Gates al fianco di Al, che continuava a sorridere ogni volta che incrociava i suoi occhi.
Tornai sul ponte dove trovai Shads al timone e Christ in vedetta.
Raggiunsi Shadows, affiancandolo.
“Signorina” disse lui, fingendo un inchino, mettendo in mostra le fossette.
“Ehi” dissi io, sorridendo in risposta “Rev?” domandai poi.
“E’ andato a parlare con Vee, credo a scusarsi.” Mi disse.
Annuii poi presi posto sulla casa dove poco prima ero seduta con Rev e cominciai a fissare il mare.
“Non vi lasciamo sole.” Disse improvvisamente Shads, attirando la mia attenzione.
Continuava a guardare fisso davanti a sé, ora serio.
“Siete di famiglia. Siete come sorelle. E in questa famiglia, nessuno lascia solo nessuno. Combatteremo con le unghie e con i denti perché meritate di essere libere.” Concluse.
Mi alzai e gli carezzai una spalla, sussurrando “Grazie”
Lui si voltò a guardarmi e, sorridendo, mi disse “No, grazie a voi due.”
Lo guardai, stupita, inarcando un sopracciglio “E per cosa?” domandai poi.
“Avete riportato vita nei cuori di cinque pirati che pensavano di non poterne provare più, gioia in giornate tristi e luce in una vita che era destinata a continuare nel più assoluto buio.” Sorrise ancora.
Lo abbracciai e lui, attento a non farmi male, ricambiò l’abbraccio.
Poi mi allontanai, diretta al lato opposto della nave.
Raggiunto un punto abbastanza isolato presi posto su una cassa e cominciai a pulire la lama del coltello che Rev mi aveva affidato quella mattina stessa, pregandomi di tenerlo.
Mi specchiai nel riflesso della lama e sorrisi.
I capelli legati e il viso pieno di graffi.
Al diavolo la femminilità e la pelle perfetta.
Al diavolo i vestiti ingombranti e la camminata aggraziata.
Al diavolo tutto.
Quella nave era il mio posto, in mezzo al mare con i ragazzi e Alice, la mia unica e vera famiglia.
E avrei combattuto, con le unghie e con i denti, per tenermi ciò che mi era stato donato.
“Az, potresti aiutarmi?” gridò Shads.
Mi voltai e lo vidi, in piedi al centro del ponte, con in mano un’enorme cassa.
Lo raggiunsi in fretta e lo vidi poggiare a terra la cassa.
Quando la aprì rimasi sconvolta.
Al suo interno era pieno di lame di ogni dimensione, spade, coltelli e quant’altro.
Lo guardai, confusa.
“Vanno pulite ed affilate, potrebbero sempre servirci.” Mi disse, estraendo un coltello “Mi aiuteresti? Ti mostro come fare.” Disse.
Annuii, afferrando un coltello simile a quello che aveva lui, poggiando il mio a terra di fianco a dove ero seduta.
Io e Matt passammo quelle che parvero ore ad affilare e ripulire lame, finita l’ultima afferrai il mio coltello e mi alzai.
Matt era intento a riportare al suo posto la cassa con le armi poi si fermò un istante, guardandomi “Hai bisogno di una custodia, non puoi portare in giro il coltello a mano così.” Poi sorride e sparì sotto coperta.
Guardai il coltello.
Effettivamente aveva ragione.
Mi incamminai verso la mia cabina e aprii, lentamente, la porta, sorridendo nel trovare Al addormentata che stringeva la mano a Gates, anch’esso addormentato, con la testa sul bordo del letto, seduto su una cassa.
Silenziosamente afferrai fili, aghi e un po’ di cuoio che Rev mi aveva procurato nel tempo passato sull’isola, trovato in casa e poi tornai sul ponte, trovando Rev al timone e Vee in vedetta.
Raggiunsi il capitano che mi guardava, sorridendo e mi misi seduta su una cassa di fianco a lui.
“Che fai?” mi domandò, curioso.
“Faccio una fodera al mio coltello.” Dissi, iniziando a prendere le misure.
“Oh, ottima idea, ti spiace se ti osservo?” chiese.
“Prego.” Sorrisi e gli feci posto sulla cassa, posto che Rev occupò in fretta.
Ero intenta a cucire mentre Rev non mi staccava gli occhi di dosso un attimo.
Più che interessato alla mia creazione, era interessato a me ma la cosa non mi dispiaceva affatto.
Adoravo le attenzioni che mi dava, anche se proprio non mi spiegavo cosa avevo fatto per meritare le attenzioni e, forse, l’amore di un uomo simile.
“FINITO!” gridai, balzando in piedi.
“Ora la prova decisiva.” Mi disse Rev, porgendomi il coltello.
Legai in vita il fodero, constatando che lo avevo creato della misura adatta perché rimanesse fermo ma non stringesse troppo intorno alla mia vita e vi infilai il coltello, che ci stava dentro perfetto.
Sorrisi, imitata dal capitano.
Quest’ultimo poi torno al timone ed io ripresi posto sulla cassa, sdraiandomi a pancia in su, solo dopo essere tornata in cabina ed aver preso il libro sulle piante che Rev mi aveva regalato.
Stavo leggendo quando una pagina attirò la mia attenzione.
C’era un meraviglioso fiore, completamente blu, con i petali a forma di cuore.
“Ehi, Rev, guarda” dissi, voltando il libro verso il capitano.
“Accidenti, che bello!” disse lui, sorridendo.
“Già, chissà se sull’isola c’è...” dissi, pensierosa.
“Quando torneremo, andremo a cercarlo insieme, ti va ?” mi domandò.
Lo guardai, sorridendo come una bambina ed annuii poi tornai a leggere il mio libro.
L’idea di tornare sull’isola mi faceva sorridere come una matta.
Era casa mia, ormai.
Mi accorsi di essermi addormentata quando sentii Rev spostare il libro dalla mia faccia.
Aprii gli occhi e lo trovai intento a tirarmi su.
“Ehi...” sussurrò “Ti porto in cabina.”
“E tu ?” domandai, con la voce impastata dal sonno.
“Devo rimanere io al comando stanotte, i ragazzi sono tutti sfiniti.” Mi disse.
“Allora lasciami dormire qui, voglio stare vicina a te.” Sussurrai, supplichevole.
“Ma Az...” provò ad obbiettare.
“Ti prego” sussurrai ancora.
Rev annuì, poggiandomi di nuovo sulla cassa e portando il libro sotto la mia testa, poi si allontanò un istante e tornò con una coperta che mi poggiò addosso, stando attento a coprirmi per bene.
“Grazie” sussurrai, sorridendo.
Rev mi guardò per un istante poi si piegò e mi baciò la fronte, tornando infine al timone.
La figura possente ed alta del capitano mi ispirava sicurezza.
Sentivo gli occhi pesanti ma non volevo chiuderli.
Quel viso, illuminato dai dolci raggi della luna, era ancora più perfetto di sempre.
Lo sentii cantare e, lentamente, mi lasciai cullare dalla sua voce fino ad addormentarmi.


Note: aggiornamento di corsa cc
Grazie a chiunque ci segue <3
See ya,

Marinaia Al (e capitano Sah).

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


BROMPTON COCKTAIL
{Capitolo XII}
Mi guardavo le mani, la testa appena inclinata in avanti, vagamente consapevole delle parole di Azriel che seduta sul pavimento della stanza gesticolava presa dal proprio discorso.
“Alice.”
Mi accorsi solo allora che Az aveva smesso di parlare e mi guardava, con una nota di tristezza, mentre Gates mi aveva poggiato la propria mano sulle mie per richiamarmi alla realtà. Lanciai uno sguardo a lui per poi concentrarmi sulla mia amica.
“Scusami, Az.” Sussurrai, sentendomi in colpa.
“Non fa niente. Se vuoi torno... Torno dopo.” La vidi guardare brevemente Gates, come in cerca di una conferma ma non ricevette null'altro che un'occhiata neutra, così si rivolse di nuovo a me. Il suo sguardo non faceva altro che acuire il mio senso di colpa che in realtà non si circoscriveva a quel singolo episodio ma si allargava a quelli che ormai erano diventati giorni interi.
“Az-”
“Az, Gates, dobbiamo andare dal capitano.” Matt era fermo sulla porta, e i due si affrettarono ad alzarsi per seguirlo: in breve rimasi sola in cabina, la schiena appoggiata alla parete e la coperta in cui ero aggrovigliata arrotolata in vita.
Non avevo chiesto di andare con loro, nonostante lo desiderassi, perchè sapevo già benissimo quella che sarebbe stata la risposta.
Mi spiace, Al, solo noi.
Avevo insistito per i primi tre giorni, in quella che speravo poter indicare come la mia unica via d uscita da quella cabina che ad ogni respiro sembrava volersi chiudere addosso a me per schiacciarmi. Per suggerimento di Matt e di conseguenza preciso ordine del capitano ero costretta a letto senza possibilità di uscita, visto che la prima volta che avevo provato ad alzarmi ero finita a tossire di nuovo sangue accartocciata sul pavimento della nave spaventando a morte Azriel.
Sospirai e mi allungai ad afferrare la pila di fogli posata sulla cassa accano al letto, scorrendo lentamente le infinite righe di calcoli: ci avevo impiegato notti intere a incolonnare tanti numeri, costretta spesso a rifare tutto da capo per un qualche errore che mi era sfuggito fra le cifre, e ancora non ero riuscita ad arrivare ad una conclusione soddisfacente. Avevo discusso perfino con Gates e Azriel a causa di quei fogli, facendoli urlare tanto da richiamare l'attenzione di Matt e Johnny, limitandomi a rispondere pacata e facendo terminare la discussione con la porta che sbatteva dietro di loro e io che rimanevo di nuovo sola.
Tentare di capire la struttura della Grace era l'unica cosa che ancora potessi fare, relegata in cabina ed esclusa 'per il mio bene' da ogni tipo di piano che andava organizzandosi sotto la guida di Rev, e non avevo permesso a nessuno di togliermi anche questo. Li avevo costretti ad accettarlo, seppur percepissi che la cosa veniva mal sopportata, proprio coem io avevo dovuto avere a che fare con la mia prigionia impotente. Nonostante la mia determinazione non ero riuscita a trarre conclusioni accettabili sull'ammiraglia, come se mi mancasse un pezzo per poter finalmente comprendere il disegno: arrivavo vicina alla soluzione, ma ogni volta c'era qualcosa che non tornava. Se non una, un'altra.
Ripresi tra le mani il carboncino, ricominciando per quella che mi sembrava la millesima volta, e mi accorsi appena di Gates che, ore dopo, rientrava per sedersi accanto a me. Mi distrassi solo per cambiare mano, passando il carbone nella sinistra, lasciando che come di consueto lui intrecciasse la sua mano alla mia sospirando. Continuai a scrivere, sfiorando automaticamente con le dita quelle di Gates fino a che lo sentii regolarizzare il respiro.
Interruppi il mio lavoro per accarezzargli i capelli ribelli, la sua testa appoggiata accanto a me sul giaciglio, passandoci le dita. Non avevamo parlato di quello che era successo, anche se in realtà non ne avevo chiaramente parlato con nessuno: tenevo per me quella ferita che bruciava come non mai data dalla loro mancanza di fiducia in me, soffocandola il più possibile e celandola come meglio potevo. Avevo visto il dispiacere negli occhi di Johnny e Vee, e riuscivo a scorgerlo in quelli di Matt ogni qualvolta veniva a controllare come stavo. Potevo anche intuire che nella sua ostinata ricerca di cosa non andasse in me c'era la speranza di poter almeno in parte riparare al suo errore, come se facendomi stare meglio lui potesse placare quel senso di colpa che sembrava graffiarlo ogni volta che mi posava il suo sguardo addosso.
Quello che non gli avevo detto, però, era che io sapevo benissimo quello che non andava. E sapevo che non poteva farci niente.
L'aveva detto, che avrebbe ceduto.
Mio padre riusciva ad avere ragione anche da miglia di distanza, e potevo quasi sentire il suo sguardo sprezzante posarsi su di me. Era quella la sua arma, il gelido disprezzo che riversava su chiunque con un solo colpo di iridi azzurro ghiaccio: era temuto non perchè incline alla violenza, come lo era il padre di Azriel, ma perchè con una sola austera occhiata sapeva farti rimpiangere di essere nato. Era leale con tutti, fedele al fiero rigore morale che si addice ad un capitano della marina perfino con i nemici, e io stessa avrei potuto definirlo un uomo di puro ferro -indistruttibile, inflessibile, tagliente. Aveva trovato il suo posto nel mondo facendosi strada con le sue sole forze e la sua sola fedele nave, diventando testa autoritaria di un'impero che estendeva i tentacoli dall'entroterra fino a parecchie miglia sul mare.
La sua arma erano il rispetto e la paura che incuteva, ed io stessa ne ero rimasta preda fin da bambina. Non avevo subito quello che aveva dovuto sopportare Azriel, nemmeno lontanamente, trattata con ogni riguardo e letteralmente ignorata da quello che doveva essere mio padre.
Non sei fatta per stare su una nave, ragazzina, nonostante tu sia figlia di un uomo che il mare ce l'ha nel sangue.
Mollai i fogli sulla cassa, appoggiando la testa contro il legno e portando una mano al petto.
Potevo vederlo abbozzare un sorriso, mentre si voltava per camminare via lungo uno dei tanti corridoi del suo palazzo lasciandomi indietro.
Feci scivolare le gambe fuori dalla coperta attenta a non urtare Gates, poggiandole a terra, e mi appoggiai alla parete per alzarmi in piedi; tentavo di tenere il respiro regolare, nonostante sentissi il battito aumentare in immediata risposta ai movimenti. Uscii in corridoio, assicurandomi che nessuno fosse nei paraggi, e premetti il pezzo di stoffa sulla bocca per coprire il rumore dei colpi di tosse ignorando il dolore al petto.
Salita sul ponte riuscii ad arrivare fino al parapetto e, aggrappandomi ad una rete, mi sedetti lasciando pendere le gambe nel vuoto e concentrandomi sul soffocare la tosse. Piano piano mi acquietai, il sapore metallico del sangue ancora sulla lingua, e rimasi a guardare lo scuro specchio del mare illuminato dalla luna.
Ricordai una sera, quando Gates mi aveva sorpresa sul ponte in una circostanza simile, e mi si era affiancato chiedendomi se il mare mi facesse paura; avevo appreso che lui ne era attratto, affascinato, ma allo stesso tempo ne era profondamente spaventato. Ne ricordavo il sorriso imbarazzato, quasi timido nell'esporsi così tanto, che tanto mi sembrava inadatto ad un uomo dal carattere forte come era il suo. Era stata forse la prima volta che ne avevo visto il lato più umano, più simile a quello che ero io del pirata senza paura e senza mezze misure che solitamente mostrava di essere. Per quanto assurdo potesse essere, avevo sempre pensato a lui come qualcuno che non poteva provare paura... E avevo scoperto che non era così.
Abbassai lo sguardo sull'acqua sotto di me, le dita intrecciate alla rete, per poi scrutare il fianco della nave.
Fu guardando il legno della Sevenfold che capii che non sarei mai riuscita a capire la struttura dell'ammiraglia, nonostante i miei sforzi. Ero brava nella teoria e me l'ero sempre cavata evitando il più possibile gli aspetti pratici, al contrario di Azriel che pensava quanto me e agiva molto di più, e solo ultimamente mi ero dovuta scontrare con la necessità di acquistare dimestichezza con le mie mani. Su una nave pirata c'era ben poco tempo di pensare e molto da fare, e avevo dovuto sbatterci la testa... Era quell'esperienza che doveva venirmi in soccorso, ora. Avevo gli strumenti teorici per capire cosa succedesse in quello scafo, ma mi mancava qualcosa che potevo acquisire solo salendo di persona su quella dannata nave, la scintilla che mi avrebbe permesso di appiccare il fuoco.
Spostai le gambe per riportarle sul ponte: dovevo parlare con il capitano, e subito.
“Cosa ci fai qui?”
Alzai gli occhi e trovai la figura di Matt, probabilmente appena sceso dalla vedetta, ferma davanti a me; teneva le braccia lungo i fianchi, lo sguardo leggermente contrariato.
“Devo parlare con il capitano.” Risposi, ignorando la domanda. “Il prima possibile.”
Qualcosa in me dovette convincerlo a ricacciarsi in gola le domande, limitandosi ad un cenno.
“Aspetta qui. Non. Muoverti.”
Lo guardai sparire sottocoperta, mentre un vago senso di nervosismo mi si aggrappava al petto: il capitano era l'unica persona che non era mai entrata in cabina, che non avevo ancora visto dall'assalto dei marinai della Grace. L'ultima cosa che ricordavo di lui era la presa sul collo che si stringeva e l'albero maestro che mi premeva sulla schiena.
Respira.
“Alice...”
Aprii gli occhi che nemmeno mi ero accorta di aver chiuso quando sentii la voce di Matt chiamarmi incerta. Di fianco a lui pochi passi più indietro c'era la familiare figura imponente del capitano che, dopo un breve cenno, congedò Matt guardandolo sparire in coperta: non seppi dire se aveva intuito che era una cosa di cui volevo parlare solo con lui o semplicemente era lui a dovermi dire qualcosa. La seconda possibilità mi spaventava, a dirla tutta, ma decisi di accartocciarla e buttarla in un angolo della mente.
Rimanemmo a guardarci in silenzio per quella che mi sembrò un'eternità, ognuno in attesa che l'altro parlasse, finchè non accantonai i pensieri quel tanto che bastava per avere il coraggio di spezzare il silenzio.
“Devo salire su quella nave.”
Lo vidi aggrottare la fronte.
“Cosa?”
“Devo salire su quella nave.”
“E far prendere un infarto ad Azriel e a tutti quanti, rischiando la vita per niente? No.”
Strinsi i denti, mantenedo la voce ferma.
“Se mi dessi il tempo di spiegare i miie motivi, Rev, forse la situazione ti sembrerebbe diversa.”
Lo vidi incrociare le braccia, in ascolto.
“Non possiamo combattere contro qualcosa che non conosciamo.”
“Sappiamo abbastanza.”
“Non dell'ammiraglia.” Inspirai a fondo. “E io non posso lavorare solo sull'impianto teorico. Ho quello che mi serve, ma non ho abbastanza... Devo vederla, e capire come funziona per trovarne il punto debole.”
“Non se ne parla.”
“Vuoi che Azriel muoia?”
La mia domanda lo fece rabbuiare.
“Certo che no.”
“E allora devi fidarti di me, e ascoltarmi. Non puoi preparare un piano alla cieca.”
Un attimo di silenzio.
“Tuo padre ti vuole morta.”
“Lo so.”
“E come diamine pensi di salire?”
Abbozzai un sorriso.
“Se mi consegnerò, spergiurando un mio ammutinamento, non mi ucciderà. È troppo corretto per farlo.”
“Non ti crederà mai.”
“Credo di conoscerlo meglio di te... E se non proviamo non lo sapremo.”
“E se ti sbagliassi?”
Ingoiai la paura.
“Avrò tentato.”
Non sembrò convinto, e capii che quella era la mia ultima possibilità. Se non l'avessi convinto lì, su quel ponte, non ce l'avrei mai fatta... Ma d'altro canto se avessi convinto lui avrei avuto il coltello dalla parte del manico.
Per un breve momento mi balzarono chiari, in mente, i visi degli altri membri dell'equipaggio. Li respinsi.
“Dovete fidarvi di me, questa volta.” Calcai appena le ultime due parole. “Vi ho consegnato la Grace, ma se non posso darvi una mano a resistere stando su questa nave... devi lasciarmi andare.”
Non rispose, ma si limitò a voltarmi le spalle e a ripercorrere i propri passi. Chinai il capo, senza rialzarlo nemmeno quando sentii i passi di qualcuno avvicinarsi; era Matt, che mi si sedette accanto. Sentivo che era curioso ma non chiese nulla e gliene ne fui grata, non avrei sopportato di discutere anche con lui.
“Stai bene?”
Annuii appena, ma lui non mancò di notare la stoffa che avevo accanto. Sospirò stancamente.
“Dovresti smetterla di mentire.”
“Se dico la verità non vengo creduta, Shadows.”
Sapevo che era un colpo basso, e mi sentii vagamente in colpa quando lo vidi sobbalzare accusando la botta.
“Scusa.” Mi affrettai a borbottare, gettandogli un'occhiata.
Lui alzò le spalle.
“Non hai tutti i torti.” Fece una pausa, e capii che la curiosità stava avendo la meglio su di lui. Mi sistemai appena sul parapetto, a disagio, prefigurando quello che sarebbe venuto.
“Di cosa hai parlato con Rev?”
“Gli ho chiesto un permesso.”
“Te lo ha dato?”
“No. Ma non ha nemmeno negato.”
Una breve pausa prima della sua risposta.
“Starà valutando.”
“Lo spero.”
“Posso... Sapere cosa gli hai chiesto?”
Per un attimo valutai l'idea di mentirgli, ma non ne avrei ricevuto nessun vantaggio.
Abbassai lo sguardo sulle dita, che stavano torturando il bordo della maglia.
“Gli ho chiesto di lasciarmi salire sull'ammiraglia di Phoenix.”
Non realizzò subito, ma quando lo fece reagì esattamente come avevo immaginato.
“Cosa... Cosa stai dicendo?”
La voce andava pericolosamente alzandosi di volume.
“Abbassa la voce, Matt, ti prego.”
“Non la abbasso non la voce, se tu non mi dici che cazzo ti passa per quella testa!”
Mi ritrassi impercettibilmente.
“Matt...”
“NO, VAFFANCULO!”
Inspirai a fondo, tentando di mantenere il controllo.
E pensare che è solo il primo.
Respinsi il pensiero di come sarebbe stato con Azriel, e rimasi a subire immobile le urla che Matt, fuori di sé, mi riversava addosso. Non mi sorprese che dopo poco Johnny e Vee salissero sul ponte, allarmati.
“Che diamine succede qui?” Chiese il primo, confuso, mentre Vee si avvicinava a Matt per calmarlo senza però ottenere grossi risultati. Io rimasi in silenzio, immobile.
Salì anche Gates, seguito dagli ultimi due membri della ciurma: Azriel precedeva di poco Rev, che mi lanciò un'occhiata fredda.
Forse avevo sbagliato a dirlo, come mi suggerì il suo sguardo, ma intuii anche che l'avevo convinto della mia strada. Mi sentii quasi sollevata e raddrizzai appena le spalle, riportando l'attenzione su Matt che ora aveva una mano di Azriel appoggiata sul braccio: non sentii le sue parole, ma vidi l'espressione di lei mutare all'improvviso per poi voltarsi verso di me in cerca di una smentita.
Rimasi, di nuovo, in silenzio.
“No, no, NO!” Si voltò verso Rev, che in quel momento sembrava la mia immagine riflessa: immobile, in silenzio, si limitava ad osservare la scena. Sapevo che lui correva un rischio molto maggiore del mio, era il responsabile, e decidendo di lasciarmi andare si sarebbe forse preso più astio di me: l'idea era mia, era vero, ma senza il suo permesso non avrei potuto muovere un dito.
Non seguii la discussione che ne seguì, sentendo solo Rev che rispondeva pacato alle accuse dei compagni. Si mise perfino davanti a me, come difesa.
“Ora basta. La decisione è mia, e di nessun altro.”
Azriel lo fissava, incredula, fra le lacrime.
“Non puoi lasciarla fare!” Ringhiò Johnny, mentre Gates veniva trattenuto da Vee.
“STRONZA EGOISTA!”
Accusai le parole di Gates, ma non risposi. Mi morsi il labbro e tacqui.
“Non ci andrai, Azriel, verresti uccisa. Nessuno su questa nave permetterà che tu lo faccia, e non credere di riuscire a sfuggirci.” Sentii Rev rispondere, tagliente, mentre Johnny prendeva Azriel fra le braccia.
“PERCHÈ LEI SÌ?”
Avrei voluto rispondere.
Perchè io sono io. Non è vero, Rev?
SI voltò verso di me dopo che gli altri si furono allontanati, e solo allora uscii dal mio isolamento per tornare alla realtà. Mi guardava, lo sguardo adombrato da un misto di tristezza e rimprovero.
“Fa' che non abbia preso tutti questi insulti per niente, Allen, o ti verrò a cercare all'inferno.”
Sorrisi amara.
“Farò del mio meglio.”
Fece per allontanarsi e andare al timone, ma il mio richiamo lo fece fermare.
“Rev.” Dissi, la voce bassa. “Dovrai ferirmi, lo sai vero?”
“Perchè lo chiedi a me?”
“Credi che qualcun altro qui sopra potrebbe farlo?”
Lo vidi chiudere gli occhi.
“No... No.”
Inclinai appena la testa.
“Mi dispiace.”
“Torna indietro, e rimedierai.”
“Sai che non dipende da me.”
“Dipende solo da te.” Puntò gli occhi nei miei, e per un attimo mi sembrò di riconoscere un'ombra familiare nelle iridi azzurre. Raggelai, e mi scese addosso una pressante sensazione di inquietudine.
Forse mi ero andata a cacciare in qualcosa di più grande di me, era vero, ma per quel che poteva valere ero sicura di quel che stavo facendo. Quando avevo detto che non c'era altra via ne ero consapevole, che era la verità, e che l'unica che poteva salire su quella nave ero io. Nessuno degli altri sarebbe sopravvissuto altrimenti, nemmeno appellandosi al rigore morale di mio padre, e quanto ad Azriel... Nemmeno il Re Capitano avrebbe mai potuto imporsi su Phoenix riguardo a sua figlia, ma ad essere sinceri nemmeno avrebbe tentato di farlo.
Sospirai.
È l'unica via.
“Tornerò. Datemi una settimana, e tornerò.”
Lo vidi annuire.
“Proteggi Az. Non permetterle di seguirmi.” Sussurrai, abbassando la testa. “Non farle correre rischi inutili.”
Lui alzò il mento.
“Nessuno su questa nave la perderà d'occhio... Soprattutto dopo che te ne sarei andata. Tenteremo di farle capire che le servi qui, e che deve aiutarti a tornare indietro da questa nave.”
Chiusi gli occhi.
“Le sarà impossibile fuggire da qui, Alice.”
“Ho promesso a me stessa, per lei, che tra una settimana sarò di ritorno. Ho bisogno che lei vi aiuti sulla Sevenfold, perchè una volta tornata non avremo molto tempo e... come mi capisce lei non mi capisce nessuno. Intuirà quello che voglio fare, mi conosce, e vi sarà fondamentale.” Lo guardai un ultima volta negli occhi. “Lei sa che mantengo le promesse ad ogni costo.”
Lo vidi sorridere.
“Allora buona fortuna, marinaio Allen.”
Mi posai una mano sul petto, sentendo il battito irregolare del cuore sotto le dita, e risposi al sorriso.
Non cederà, non cederemo.


Note: altro aggiornamento di corsa, scusate.
Grazie ancora a chi ci segue!
See ya,

Marinaia Al (e capitano Sah).

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


BROMPTON COCKTAIL
{Capitolo XIII}
Ero chiusa in cabina.
Quella cabina che avevo condiviso con Al.
Quella cabina che ora avrei condiviso da sola.
Per quanto ? Non lo sapevo, non volevo saperlo.
Tra una settimana sarò di ritorno, te lo prometto.” Mi avevo detto Al, lo sguardo freddo e la voce ferma mentre io, tremante e in lacrime, la pregavo di ripensarci.
Poi mi aveva voltato le spalle e si era allontanata.
E da quel momento mi ero chiusa in cabina.
Avevamo avvistato l’ammiraglia e il piano era il seguente: Rev avrebbe ferito Al, Al avrebbe remato fino all’ammiraglia, si sarebbe fatta issare a bordo e si sarebbe appellata alla pietà del padre, inventandosi dio solo sapeva quale fottutissima idiozia.
Avrebbe fatto le ricerche che le servivano poi, dopo una settimana esatta, appena fosse calato il buio, io ed i ragazzi saremmo dovuti andare a riprenderla a bordo della classica scialuppa.
Un piano stupido, inutile, che serviva solo a mettere a rischio la vita di Al.
Ero chiusa in camera quando vidi la scialuppa, con a bordo Al, sanguinante da un braccio, allontanarsi in direzione di dove, poche ore prima, si trovava l’ammiraglia.
La vidi allontanarsi e sparire verso l’orizzonte e fu li che mi lasciai andare.
Mi accucciai a terra, le ginocchia al petto e la fronte su di esse e piangevo, disperata, con i singhiozzi che mi toglievano il respiro.
Qualcuno bussò alla porta ma lo ignorai.
Bussarono ancora.
“Az...? Sono Rev... posso entrare?”
La sua voce fece infrangere qualcosa dentro di me, qualcosa scattò.
Mi alzai in piedi e spalancai la porta.
Non badai al resto dei ragazzi in piedi in fondo al corridoio e mi piazzai vicinissima al capitano, guardandolo negli occhi, senza cedere un istante.
E sputai tutto il male che stavo tenendo dentro.
“Non voglio vederti, non voglio sentirti parlare, non voglio niente, NIENTE da te. Se le torceranno un solo capello, se tornerà con anche solo una virgola fuori posto, Rev, il tuo accordo potrai ficcartelo bellamente dove preferisci perché io lascerò questa fottutissima nave.” Gridavo così tanto da farmi bruciare la gola e Rev era diventato come di pietra, inespressivo e mi fissava, in silenzio.
“Az... ascoltami...” provò a dire.
“NON HO NIENTE DA ASCOLTARE DA TE!” gridai, dandogli un pugno sul petto che non lo mosse di un millimetro.
Rev mi guardava, ora spaventato, quasi terrorizzato.
Le lacrime sembravano minacciare di non fermarsi mai più.
“Ti odio così tanto. Hai mandato a morire l’unica amica che io abbia mai avuto, HAI MANDATO MIA SORELLA A MORIRE! IO TI ODIO!” gridai, senza riflettere, senza sapere se quelle parole le pensavo davvero.
Rientrai in camera sbattendo la porta e riprendendo posto nel mio angolino.
Sentii Rev gridare, lo sentii tirare un pugno alla parete e poi allontanarsi.
Altri passi dietro di lui, poi il silenzio.
La porta si aprì, lentamente, ma non alzai la testa, continuando a piangere.
Fui costretta ad alzarla solo nel momento in cui due braccia si avvolsero intorno a me.
Ciò che si presentò ai miei occhi mi arrivò dritto al petto come una pugnalata.
Gates, con le lacrime che sgorgavano libere dai suoi occhi, mi fissava, abbracciandomi.
“La riporteremo indietro, Az.” Mi sussurrò, la voce spezzata dal pianto.
Non sapevo che dire.
Probabilmente Gates era l’unico che riusciva a cogliere a pieno quel senso di vuoto e terrore che stava attanagliando le mie fragili membra.
Mi lasciai andare al pianto più disperato che io avessi mai fatto, aggrappandomi al suo collo e schiacciando il viso su una sua spalla.
Rimanemmo così, in ginocchio, abbracciati e in lacrime per un’infinità di tempo.
“Si può...?” domandò quello che riconobbi essere Vee.
“Sì...” sussurrai, senza forze.
Dietro Vee entrarono anche Christ e Matt che chiusero la porta e presero posto a terra, vicino me e Gates.
Matt allargò le braccia e fu istintivo per me gettarmici in mezzo.
Mi misi seduta sulle sue gambe incrociate poggiando la testa sul suo petto.
Mi aspettavo una ramanzina, un qualcosa sul fatto che ero stata troppo dura con Rev ma, per mia enorme sorpresa, non accadde.
Dopo parecchio tempo in silenzio, fu Vee a rompere il ghiaccio.
“Non lasciarci, Az.” Mi sussurrò.
Lo guardai, confusa e notai che tutti i loro occhi erano puntati su di me.
“Qualsiasi cosa accada... ti prego, non andare via.” Fu Christ a parlare stavolta, prendendomi una mano.
“La riporteremo qui, lo giuro sulla mia vita, Azriel ma tu non andare via.” Gates mi stupì più degli altri.
“Nessuno lascia nessuno, promesso.” Sussurrò Matt, baciandomi la testa.
Tutte le lacrime che pensavo fossero finite ricominciarono ad uscire e, debolmente, annuii per poi sussurrare “Non andrò via... ma riportiamola indietro sana e salva, vi supplico”
I ragazzi si strinsero intorno a me e l’ultima cosa che ricordai fu la voce di Matt, quasi un sussurro, che cantava qualcosa di veramente dolce.
Quando mi svegliai, per mia sorpresa, ero ancora tra le braccia di Matt che stava poggiato con la schiena al letto e tutti i ragazzi dormivano sdraiati sul pavimento.
Mi alzai, lentamente.
Gli occhi bruciavano per la notte passata in lacrime.
Guardai fuori dall’oblò nella direzione in cui, quella notte, Alice era sparita.
Sospirai.
E’ solo il primo giorno senza lei e già minaccio di impazzire.
Scossi la testa a quei pensieri e poi uscii dalla cabina, dirigendomi sul ponte.
Mi aspettavo di trovare Rev al timone ma non c’era così presi posto su una cassa e cominciai a fissare il timone.
Il mio cuore era diviso a metà.
Una metà aveva terribilmente, schifosamente bisogno di trovarsi tra le braccia calde e possenti di Rev; l’altra invece provava rabbia e forse anche odio nei suoi confronti.
Quel mio essere divisa a metà mi stava facendo impazzire.
Ma era stato lui, dopotutto, a dare il permesso ad Alice.
Era stato lui a permetterle di andare a buttarsi tra le fauci del leone affamato e io non gli avrei mai perdonato nulla, se fosse accaduto qualcosa ad Al.
Eppure qualcosa avrei dovuto fare.
Non potevo passare l’intera settimana a piangermi addosso.
Non era da me.
Mi alzai dalla cassa, sfilai il coltello dal fodero che portavo sempre in vita e cominciai a ripetere i movimenti che Vee mi aveva insegnato, senza sosta.
Cercavo di immaginare i nemici di fronte a me.
Più di una volta, perfino nella mia immaginazione, mi era stata tagliata la gola.
Ma non era una buona scusa per demordere.
Furono dei passi a distrarmi da ciò che stavo facendo.
Riportai il coltello nel fodero e mi voltai.
Rev aveva appena salito le scale, forse diretto al timone ed ora era fermo a qualche passo davanti a me.
Mi guardava, spaesato, dispiaciuto, terrorizzato ed ero sicura avesse pianto, i suoi occhi gonfi e rossi non mentivano.
Stavo per lasciarmi andare quando il pensiero di Al da sola in quella nave piena di leoni pronti a divorarla tornò alla mia testa, facendomi quasi vedere rosso dalla rabbia.
Rev fece un passo avanti e stava per parlare ma io alzai un mano in segno di silenzio.
“Io non ho niente da dirti. Lasciami stare.” Fu tutto ciò che riuscii a dire e, abbassando la testa, gli passai di fianco.
Stavo per superarlo ma una sua mano si fermò su un mio braccio, tenendomi stretta, possessivamente, fin quasi a farmi male.
Mi voltai di scatto e lo trovai girato verso di me ad un palmo dal mio naso.
Quel suo sguardo così furioso non prometteva nulla di buono.
“Tu non puoi andare via da qui.” Quasi ringhiò.
“Se lei non tornerà sana e salva, lo farò eccome.” Risposi, ferma, senza riconoscermi.
“Io non te lo permetterò.” Era sempre più furioso e stringeva la presa sul mio braccio.
“Non puoi impedirmelo.” Dissi, e la mia voce iniziava già a vacillare.
“Posso e lo farò. Hai stretto un accordo con la persona sbagliata, bambina. Non andrai via da qui per nessun motivo.” Il suo tono gelido mi congelò il cuore in una frazione di secondi e la facciata di sicurezza che avevo tenuto fino a qualche istante prima si sgretolò, pietosamente, lasciandomi in lacrime.
“LASCIAMI!” gridai, dimenandomi.
Dopo qualche istante passato a fissarmi Rev lasciò la presa, voltandomi le spalle ed io corsi via.
Ero diretta in cabina quando in corridoio mi schiantai contro Matt che, vedendomi in lacrime, mi raccolse da terra, tenendomi in braccio.
“Cos’è successo ?” mi domandò, preoccupato.
“LO ODIO! LO ODIO! LO ODIO!” gridai, battendo debolmente i pugni sul petto di Matt che accusava in silenzio.
“Ora calmati, nana. Che ti ha fatto ?” Shadows camminava verso la cabina, mentre parlava.
“Lui non lo sa, non lo capisce, la uccideranno e sarà solo colpa sua!” gridavo e non ragionavo, sputavo parole senza rifletterci su.
“Noi la salveremo, Azriel, fosse l’ultima cosa che questa fottuta ciurma di pirati farà nella sua esistenza!” fu Christ a parlare.
Alzai il mio viso dal petto di Matt e trovai i tre rimanenti membri della ciurma in piedi sulla porta della cabina, come pronti per qualcosa.
Matt mi mise giù.
“Ero venuto a cercarti perché abbiamo una proposta da farti.” Disse Shads.
Lo guardai, confusa.
“Ti alleneremo personalmente, ti insegneremo ogni minima cosa che sappiamo, tutto ciò che potrà tornarti utile da ora in poi così quando arriverà il momento di salvare Alice, anche tu sarai pronta e scattante come lo saremo tutti noi.” Disse, serio, Gates.
Li guardai, uno ad uno poi, ricacciando dentro le lacrime, annuii.
“Sono pronta.” Dissi, decisa.
E da lì iniziò il mio allenamento estenuante.
Shads mi costringeva a camminare in bilico su qualsiasi cosa, per insegnarmi a mantenere l’equilibrio; Gates mi obbligava a portare a mano pesi enormi, per allenare braccia e gambe, Christ mi stava insegnando ogni minimo trucco da poter fare con qualsiasi tipo di lama e Vee mi aiutava ad imparare a combattere e difendermi.
Ogni giorno che passava, sembrava passare una settimana.
Ero sempre più distrutta ma decisa a non mollare.
Passavo le mie notti a dormire in cabina da sola, finché le mie grida disperate nel sonno non richiamavano i ragazzi che correvano in camera a svegliarmi, finendo poi per addormentarsi sul pavimento della cabina, tutti tranne Rev.
Rev era gelido ma non solo con me, con tutti.
Con la differenza che con me evitava anche di incrociare lo sguardo.
Era capitato, in quei quattro giorni, che incrociassi il suo sguardo per una sola volta e mi aveva mandata in frantumi.
I suoi occhi erano spenti, sempre circondati dall’alone rosso del pianto e gonfi.
Mi mancava vederlo sorridere, mi mancava sentire le sue braccia strette intorno al mi corpo, mi mancava ogni fottuta cosa di lui ma non riuscivo a perdonarlo per aver mandato Alice su quella dannata nave.
La settimana volò in fretta e, senza che me ne accorgessi, era la mattina prima del salvataggio.
Quella notte, al calar del sole, saremmo andati da Alice.
Era viva?
Era ferita?
Era pronta a tornare?
L’avevano forse scoperta?
Non avevo una risposta a nessuna delle schifosissime domande che mi stavo ponendo e il cuore non mi dava tregua.
Doveva essere viva.
Doveva.
Mi aveva promesso sarebbe tornata e Alice manteneva sempre le promesse.
Il sole sorgeva in quel momento.
Rimasi a fissarlo sbucare da dietro la linea dell’orizzonte finché una mano non si poggiò su una mia spalla.
Mi voltai di scatto e trovai Gates, le occhiaie violacee fin quasi alle guance, fisso verso l’orizzonte.
“Sei pronta?” mi domandò.
“No, ma dovrò esserlo.” Sussurrai.
La sua mano dalla mia spalla passò alla mia testa, scompigliandomi leggermente i capelli.
“Ce la faremo.” Disse ancora.
“Dobbiamo.” Risposi.
Matt, Christ e Vee ci raggiunsero, prendendo posto di fianco a noi, seduti in bilico sul parapetto.
“Az, hai dormito ?” mi domandò Vee, preoccupato.
Feci cenno di no con la testa e lui sbuffò.
“Avresti dovuto farlo, devi essere riposata...” sussurrò Christ.
“Neanche Gates ha dormito.” Dissi io.
“Spiona” fece lui, facendomi una linguaccia.
“Siete come cane e gatto.” Disse Matt, mentre io e Gates eravamo impegnati a farci le smorfie e tutti sorridemmo.
Fu l’unico sorriso apparso sui nostri volti durante quella lunga ed estenuante settimana.
Su consiglio di Christ, ci raggruppammo sul ponte per mangiare un po’ di frutta, tanto per avere un po’ di forze in più.
Stavamo mangiando, tutti pensierosi, quando Rev salì sul ponte.
Rimase in piedi davanti a noi e tutti si voltarono a guardarlo, tutti tranne me che ero impegnata a fissarmi i piedi ma sentivo, pungente, il suo sguardo su di me.
“Siete tutti pronti?” domandò.
“Sì.” Rispose Matt.
“Il piano è questo: Noi andremo fino all’ammiraglia che è a circa un’ora da dove siamo noi in questo momento, Azriel attenderai qui.”
Ci fu un istante di silenzio.
Pensai di non aver capito bene.
Alzai la testa e guardai i ragazzi, sconvolti e confusi poi Rev che, fermo e impassibile, con le braccia incrociate al petto, mi fissava.
“Domande?” chiese.
“DOMANDE?” ripetei, gridando ed alzandomi in piedi “RIMANERE QUI? NON SE NE PARLA!”
“E’ un ordine.” Disse lui.
“ME NE FOTTO DEI TUOI ORDINI, REV! VERRO’ CON VOI CHE TI PIACCIA O NO!” ero fuori di me.
Non poteva averlo detto davvero.
“Mi saresti d’impiccio.” Disse, gelido.
Rimasi impietrita a fissarlo.
Cercando qualcosa nei suoi occhi, una spiegazione razionale a quel suo imporsi così.
“D’impiccio? Ma se si è allenata estenuantemente per una settimana? E’ più agile, più resistente e sa difendersi ed attaccare a dovere, perc-“ provò a finire Vee ma fu interrotto da Rev.
“Perché sono il capitano ed ho deciso così.” Rev si voltò e si incamminò verso il corridoio.
Guardai i ragazzi che si lanciavano occhiate confuse poi feci due passi avanti.
“REV!” gridai.
Lo vidi fermarsi ma non si voltò.
“Non mi obbligherai a rimanere qui.” Dissi, fredda.
“Az... ti prego...” provò Christ, ma non ci badai.
Rev si voltò appena, poi sbuffò e fece per riprendere la sua strada.
“Se sarò costretta ad ucciderti per poter aver la libertà di andare da Alice, lo farò.” Dissi, nascondendo ogni tipo di tremore.
A quel punto Rev si voltò e in una frazione di secondi fu davanti a me, il suo viso ad un millimetro dal mio.
“Ti ho detto che rimarrai qui e così accadrà, non azzardarti mai più a minacciarti, Azriel, o giuro che scoprirai in pochissimo tempo perché sono temuto in tutto il mondo.” Ringhiò, furioso.
I ragazzi stavano per intervenire ma non lo fecero perché il palmo della mia mano spalancata si schiantò con forza sulla guancia di Rev, facendogli girare di poco la testa.
Rev rimase a bocca aperta a fissarmi.
“Non permetterti di trattarmi così. Non dopo tutto ciò che hai fatto. Non dopo tutto il male che mi hai portato. Se non mi vuoi con te, dovrai uccidermi.” Dissi, trattenendo a stento le lacrime.
Rev si portò due dita sulla guancia che avevo colpito poi fece un passo indietro.
“Non correrò in tuo soccorso.” Disse.
Annuii.
“Non sarò al tuo fianco.” Continuò.
Annuii di nuovo.
“Salirò su quella nave solo per salvare Alice perché le ho dato la mia parola che l’avrei fatto, ma qualsiasi cosa accada a te sull’ammiraglia, non saranno affari miei.” Concluse.
Accusai il duro colpo, annuii mandando giù il groppo che mi si era formato in gola e poi lo vidi allontanarsi.
Mi voltai, trattenendo le lacrime, verso i ragazzi.
“Non una parola, vi prego. Non dite nulla.” Dissi, la voce spezzata dal fiato che mancava.
Vee si avvicinò a mi strinse a sé.
“Si sistemerà tutto.” Mi sussurrò.
“L’ho perso e non posso farci niente. Va bene così. Abbiamo altro a cui pensare ora. Ho bisogno di allenarmi ed assicurarmi che ricordo ogni minimo dettaglio.” Sussurrai, tremante.
“Ma Az...” provò a dire Matt.
“No, vi prego, non trattatemi come fossi una stupida bambina debole. Posso farcela, davvero. Vi prego, almeno voi, fidatevi di me.”
I ragazzi annuirono e riprendemmo ad allenarci.
Era sera, ormai, il mare era rosa a causa del sole che cominciava a scendere e il mio cuore minacciava di esplodermi in petto.
Eravamo sulla scialuppa, tutti stretti, io ero al centro, seduta e continuavo a carezzare il manico del mio coltello senza alzare lo sguardo dalla mia mano.
Ero pronta.
Avrei salvato Alice.
Quello era il mio unico pensiero.
Quando avvistammo l’ammiraglia capii che ormai indietro non potevo tornarci.
Sto arrivando, Al, ti prego, mantieni la tua promessa.


Note: il pc non è ancora sano, quindi sono costretta ad aggiornare di fretta ancora una volta.
Grazie ancora a chi ci segue <3
See ya,

Marinaia Al (e capitano Sah).

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


BROMPTON COCKTAIL
{Capitolo XIII}
“Respira.”
Non che potessi fare altrimenti, in realtà, in fondo non è che avessi poi così tanta ansia di morire. Anche se vista la situazione in cui mi ero andata a cacciare la cosa sarebbe sicuramente stata oggetto di una discussione abbastanza animata.
Eseguii, propendendo per il silenzio, e inspirai: sentivo la fasciatura stringere il braccio e, nel mio zelo, mi procurai di nuovo un attacco di tosse. Il medico mi lanciò un'occhiataccia che io feci finta di non vedere poi, senza rivolgermi la parola, mi fece cenno di rivestirmi e sparì fuori dalla stanza.
Non ero esattamente sicura di come mio padre avrebbe preso il mio ritorno, a dirla tutta. Certo, ero qualcosa di simile al figliol prodigo che finalmente torna a casa con quella che sembrava un'illuminazione divina in piena regola che aveva mostrato tutti i lati positivi del Capitano inducendomi ad una sorta di redenzione, ma... Ero pur sempre un'ammutinata, e lui non vedeva di buon occhio queste cose. Non era escluso che decidesse di tagliarmi la gola e gettarmi in mare nonostante fossi sua figlia -anzi, probabilmente questo gli punzecchiava la tanto elogiata imparzialità. A quanto avevo sentito non è che gli dispiacesse poi così tanto l'idea di staccarmi la testa dal collo anche se io non avevo intenzione di separarmene, o almeno non così presto.
Devo sbrigarmi.
Una settimana non era molto tempo: forse avrei dovuto chiedere più pazienza, ma sapevo bene che i rischi erano già abbastanza e che Rev non avrebbe acconsentito a farmi rimanere oltre. Non perchè tenesse a me in una qualche particolare maniera, a onor del vero, ma più che altro per Azriel. Per lui non ero membro dell'equipaggio, a conti fatti, più di quanto non lo fosse un qualsiasi secchio della Sevenfold. Non che la cosa mi irritasse così tanto, avevamo comunque instaurato una convivenza pacifica, ma non potevo dire di essere all'altezza dei ragazzi o, nemmeno a dirlo, di Azriel.
Se fosse stato qualsiasi altro a proporglielo nove su dieci non avrebbe mai accettato, ma io ero io e se quello aveva contribuito a farmi salire su quella dannata nave allora beh... Almeno si era rivelato utile.
Mi infilai la ruvida camicia maschile che mi avevano provvisoriamente offerto, arrotolandone le maniche fino al gomito e lasciandola cadere sui pantaloni che mi aveva fatto Azriel. Raccolti i capelli in uno spiccio chignon per non averli d'impiccio mi affacciai alla porta per scrutare il corridoio: gettate un paio d'occhiate uscii dalla stanza, cercando di assumere l'aria più tranquilla e placida che potessi arrivare ad assumere.
Mentre passavo incurante delle occhiate che mi lanciavano i marinai ringraziai di non aver portato alcuna arma con me; oltre a costituire un poteziale pericolo per me stessa avrei potuto vagare meno liberamente per l'imbarcazione. Intuivo che nonostante gli abiti non destavo tanta preoccupazione in nessuno, sia considerato il mio stato di salute sia perchè ero semplicemente io.
Bastava guardarmi per un momento per accorgersi che in me non c'era nulla di pericoloso. Più o meno.
Destra...? Destra.
Per prima cosa dovevo costringere mio padre a ricevermi. Essendo subito stata affidata al medico di bordo non avevo avuto modo di vederlo, non ancora, e sapevo che per guadagnare punti dovevo affrontarlo il prima possibile. Mostrargli che aveva motivo di non uccidermi, insomma.
Questa cosa mi sa tanto di partita a dadi con il Destino.
Scambiai un paio di parole con le guardie che trovai a quella che ero abbastanza sicura di poter definire la cabina del Re Capitano, calcando volutamente sull'appellativo di Principessa. Se dovevo tenermi quel nome cucito addosso, che almeno servisse a fare un po' di scena... e a forzare le cose quel tanto che mi avrebbe permesso di aprire uno spiraglio.
Quando entrai notai immediatamente l'ordine perfetto della stanza, così tipico di mio padre, e non mi sorpresi di trovarlo seduto al tavolo con le mani intrecciate davanti alle labbra. I gomiti poggiavano su carte ingiallite e consunte, disegnate di suo stesso pugno molti anni prima, e i suoi occhi azzurri mi trafiggevano senza alcuna pietà.
Per un attimo mi pietrificai, come se all'improvviso fossi tornata bambina, ma mi costrinsi subito a muovere i passi che mi separavano dalla scrivania. Rimasi in piedi, in attesa.
Parlò più lentamente del solito, come se stesse soppesando le parole.
“Il tuo cuore.”
“Il mare lo sta mettendo alla prova.”
Beh, era vero. Lo era anche che stava bellamente cedendo, come ogni cosa malfunzionante, ma lo tenni per me. Anche se probabilmente lui ne era al corrente meglio di quanto lo fossi io stessa.
“Ti sei ammutinata.”
“Per tornare qui.”
Vero anche questo. Per poi farlo un'altra volta, ma questo ero abbastanza sicura che non lo sapesse -o meglio, lo speravo con tutta me stessa. Altimenti avrei fatto meglio ad andare a familiarizzare con i pesci.
Lo vidi inclinare la testa, e sostenni il suo sguardo.
“Sei cambiata.”
Non risposi.
“Sono deluso da te.”
Quando mai non lo era stato?
Alzai il mento, e mi azzardai a rispondere come mai avevo fatto nella vita.
“Dopotutto il tuo sangue scorre nelle mie vene, padre. Non potevo sottrarmi alla mia stessa natura.”
Le opzioni erano due: o mi stavo puntando il coltello alla gola invitandolo ad affondare, oppure-
“Stai insinuando che sono un traditore?”
Continuai a rispondere sull'onda di quella vaga incoscienza che mi dava la consapevolezza che molto probabilmente sarei morta: le scarse possibilità che lo portassi ad una posizione neutrale nei miei confronti erano tali che mi spingevano a parlare senza pensare troppo alle conseguenze. Un po' come ogni tanto faceva Azriel, però non sapevo dire se era peggio o meglio.
“Sto insinuando che ho un'indole difficile da governare.”
Questo era spudoratamente falso. Ero la persona più semplice da sottomettere al mondo, e lui aveva ben sfruttato la situazione in passato, potevo solo sperare che scambiasse la mia mezza disperazione per sfacciataggine. O coraggio.
Lo osservai alzare il viso e appoggiare il mento alle dita. Sembrava non aver scelto nessuna delle due, ma non ero mai stata capace di leggerlo bene come sapevo fare con altri.
“Perchè non dovrei ucciderti, Alice?”
Mi appoggiai allo schienale della sedia, sforzandomi di ignorare il mio nome. L'avevo sentito chiamarmi così pochissime volte, e mai in circostanze positive.
“Non hai nessun motivo per non farlo.” Ammisi, candidamente, sentendo il cuore battere furioso. Mi sforzai di mantenere la voce ferma. “E molti invece per farmi tagliare la testa. Tuttavia...”
Sentivo il suo sguardo rimanere su di me, e intrecciai le mani dietro la schiena per nasconderne il tremito incontrollato. Mossi qualche passo nella stanza, con un'aria sfacciatamente noncurante.
Chiunque dicesse che la paura faceva miracoli aveva la mia piena approvazione.
“...perchè non assecondare la tua curiosità, vedere fin dove posso spingermi? Perchè è questo che ti frena la mano, padre, la brama di vedere fin dove il tuo stesso sangue può spingermi lontano.” Alzai lo sguardo e lo puntai nel suo. “Fino a dove si trovano i limiti. I miei limiti, o i tuoi.”
Sapevo di aver toccato la leva giusta. Avevo instillato abbastanza dubbi su come avrei potuto essere, scansandomi sufficientemente dalla Alice del suo castello -brillante, sì, acuta, anche... ma sempre inopportuna e tremenamente priva di quei nervi che lui invece aveva d'acciaio. Così debole, perfino nel fisico.
“Sei congedata.”
Gli voltai le spalle uscendo con passo deciso e chiudendomi la porta alle spalle; solo allora mi concessi di repirare, ingoiando il sangue che sentivo sulla lingua e portandomi una mano alla tempia.
Devo muovermi.
Ebbi pochissimo riposo, nei giorni seguenti, e incominciai a temere di non avere abbastanza tempo materiale. Avevo acquistato una certa libertà di movimento, sulla nave, e le boccette di liquido ambrato che ingollavo ogni mattina dal medico sembravano tenere a bada il mio cuore tanto da farmi quasi dimenticare che fosse un problema.
L'occasione che aspettavo giunse alla mattina del quinto giorno: avevo individuato da un pezzo la cabina dove lavoravano i progettisti, e mi tenevo sempre abbastanza vicina da poterla tenere d'occhio, per quanto mi fosse possibile senza destare sospetti.
Osservai l'uomo basso dagli occhiali tondi, che avevo individuato come il capo, uscire con due giovani allampanati e svelta lanciai la corda che avevo in mano. La osservai scivolare oltre la soglia e lasciai che chiudessero la porta; una volta abbastanza sicura di essere sola tirai pregando che funzionasse e sospirai sollevata nel vedere il nodo sciogliersi con un movimento fluido sbloccando la porta.
Mi infilai dentro sapendo di avere non più di pochi minuti, iniziando immediatamente a scorrere i documenti lasciati sul tavolo.
Dannazione al disordine dei fottuti progettisti!
Per mia fortuna stavano lavorando sulle ultime modifiche alla struttura dell'ammiraglia: scorsi i loro fogli, sussurrando fra me e me, aggrottando la fronte.
Ma questi...
Ero partita dal presupposto che l'ammiraglia non avesse nessun punto debole, e non mi ero soffermata a pensare che l'integrazione fra la Grace e le nuove modifiche poteva aver portato a difficoltà difficilmente risolvibili nel poco tempo che loro avevano avuto a disposizione per costruirla.
Non avevo sbagliato, e la conclusione era sempre la più ovvia.
L'ammiraglia era ancora imperfetta.
Scorrendo le righe riuscii a capire che era una difficoltà creata dal rapporto fra peso e potenza, soprattutto in relazione ai tre cannoni centrali delle due fiancate. Il contraccolpo dei tre di tribordo non era bilanciato correttamente a causa della asimmetria nella parte bassa della nave e, se almeno due di essi avessero sparato, lo scafo avrebbe rischiato seriamente di capovolgersi per il troppo peso a babordo.
Quegli armamenti erano inutilizzabili.
Avevo ancora due giorni e mezzo. In teoria avrei dovuto limitarmi a scoprire quello che potevo e rimanere viva, ma... Avrei potuto dare una mano al destino.
Ho due giorni e mezzo per preparare questa nave ad affondare.
Solo due di dei cannoni andavano collegati, ma servivano esperienze che io non avevo se non per letto su quello o quel libro. Impiegai quasi tutto il mio tempo a progettare il sistema di collegamento, basato su un sistema complesso di nodi che Gates e Azriel sarebbero stati fieri di vedermi realizzare. Persino Matt, JC e Vee lo sarebbero stati.
Per un attimo i pensieri che avevo così faticosamente arginato in un angolo, garantendomi la lucidità necessaria per muovermi abbastanza efficacemente su quella dannata trappola mortale, minacciarono di travolgermi. Sentii la paura strisciare su per la gola, avviluppandosi attorno al collo e al petto, rischiando di bloccarmi il respiro.
Sentivo il battere irregolare del cuore, così curiosamente simile al passo di uno zoppo, premere sulla cassa toracica.
Inspirai ed espirai, imponendomi di calmarmi. Venni chiamata ben presto a svolgere le mie mansioni e, adocchiato per l'ultima volta il mio schizzo su carta, lo strappai in pezzi più piccoli possibili per renderlo indistinguibile e lo gettai in mare.
Solo io ne sarei stata a conoscenza.
Riuscii a sistemare tutto il necessario solo l'ultima mattina, rischiando pi volte di essere sorpresa e scoperta. Arrivai a ringraziare qualsiasi divinità mi stesse proteggendo quando, la sera, sgattaiolai fuori a controllare il mio lavoro per l'ultima volta e ad assicurarmi che fosse tutto ben nascosto. I progettisti non lavoravano a quella parte della nave, cercavano di risolvere il problema alla radice sistemando la parte inferiore della nave, e l'equipaggio non prestava mai tanta attenzione quanto mio padre avrebbe voluto. Se solo su quella nave ci fosse stato un equipaggio da lui addestrato non avrei avuto la minima possibilità, ma fortunatamente la nave era di Phoenix e la gestione era in mano a lui.
Sospirai, scorrendo le dita finoa  controllare l'ultimo nodo.
Non era ancora pronta per affondare. Avrei potuto far scattare i cannoni, in quel preciso istante, ma... Non era quello il momento, dovevo avere pazienza.
Scivolai lungo il ponte evitando le ronde delle sentinelle notturne, i cui percorsi erano abitudinari e ormai conoscevo a menadito. Il nervosismo mi fece commettere qualche errore, facendomi passare rischi che avevo pensato di poter evitare facilmente, ma riuscii a portarmi fino a poppa dove, il pomeriggio, avevo fissato male una delle corde di una scialuppa. Mi sporsi appena dal parapetto e la vidi sospesa a pochi centimetri dall'acqua, abbassatasi a causa del lento scioglimento del nodo, e la feci scivolare in acqua senza il minimo rumore.
Il piano era che avrei dovuto aspettarli, ma... era più facile allontanarsi per me dall'ammiraglia che per loro avvicinarsi.
Mi aggrappai ad un'altra fune con la mano, mentre ringraziando di essere ambidestra con la sinistra finivo di sistemare le ultime cime. Atterrai sul legno della scialuppa con un piccolo tonfo, sbrigandomi a spingermi con un remo e a iniziare ad allontanarsi silenziosamente dalla nave.
La spalla mi doleva e sentivo che gli effetti del rimedio del medico stava iniziando a svanire: strinsi i denti combattendo contro le fitte che andavano irradiandosi pungenti dalla spalla e più soffuse dal petto.
Quando li vidi, una macchia scura in lontananza, mi sembrò di tornare a respirare. Feci appena in tempo a farmi notare che, come se all'improvviso fosse scaduto il mio tempo, il mio fisico mi presentò il conto.
Crollai sul fondo della scialuppa udendo solo confuse le grida dei ragazzi e di Azriel, e mi sembrò di essere tornata al giorno dell'assalto della Grace.
Non sono mai stata una d'azione. Quella parte si addice di più ad Azriel, e il motivo c'è: sono debole, fottutamente debole, e non potrò mai fare niente in merito.
Rimasi vagamente cosciente, questa volta. Mi imposi di mantenermi fuori dalla zona d'ombra almeno per fargli sapere che in fondo non stavo poi così male e che avevo svolto il mio compito.
Strinsi automaticamente le dita che trovai fra le mie.
“Al, Al!”
Mi sentii mancare nel sentire la voce di Azriel, rotta dal pianto, e capii che stringevo la sua mano. Rafforzai la presa.
“Azriel...”
“Ti hanno ferita? Alice, ti hanno ferita?”
Matt era impaziente più del solito. Per un attimo mi balenarono davanti agli occhi i primi giorni sulla Sevenfold e come lui, Vee e Johnny mi avevano aiutato. Se Azriel era mia sorella, pensai, loro erano i miei fratelli.
“Alice, dannazione, rispondi!”
Poi eccolo, lui. Gates. Con lui era un'altra storia, tutta un'altra storia. Alla fine non eravamo arrivati a minacciare di buttarci in mare a vicenda, come avrei scommesso i primi giorni, ma ero riuscita a guadagnarmi il suo rispetto. In uno strano e complesso modo che non avevo ancora ben capito, a dirla tutta, ma... Andava bene così, andava benissimo così.
“Alice!”
Oh, quante storie...
Serrai gli occhi, avvertendo il dolore farsi insopportabile, e mi lasciai sfuggire un mezzo grido di dolore, inarcando la schiena. Il braccio, ora, era quasi niente rispetto al petto.
Mi si presentavano due strade, le uniche che avrei mai potuto scegliere: lasciarmi scivolare nel buio, protetta dal dolore ma impotente, oppure combattere per rimanere cosciente.
Feci la mia scelta.
“Ho... mantenuto la promessa.” Riuscii a dire, ansante, rivolta a nessuno in particolare se non ad Azriel che era accanto a me.
Li sentivo parlare concitati.
“Non l'hanno ferita. C'è solo quella che le ha inferto Rev, e nient'altro...”
“Matt, cazzo, fai qualcosa!” Sentii urlare Gates, da poco sopra la mia testa.
Se solo avessi avuto le energie per qualsiasi cosa non fosse controllare il dolore, avrei alzato gli occhi al cielo.
“Malformazione... cardiaca.” Soffiai, mentre sentivo Az irrigidirsi. Le avevo detto che ero stata tenuta come sotto una campana di vetro a causa di problemi di salute, da piccola, ma non le avevo riferito il motivo. Mi sentii in colpa. “Attacchi sporadici.”
Non ne soffrivo da anni, e mi chiesi se quello non fosse un segno che qualcuno non mi volesse su quella nave, con quelli che erano diventati i miei fratelli e con mia sorella e il capitano. Con Gates.
Al diavolo.
Da bambina avevo il terrore di quei momenti. Era come giocare veramente ai dadi con il destino: non sapevo se mi sarei svegliata oppure no, e vivevo con questa consapevolezza che mi pendeva sul collo come una spada di Damocle.
Al mio risveglio trovavo sempre mio padre sulla porta, le braccia incrociate, e con l'andare delle volte mi sembrava di intravedere sul suo viso una qualche espressione di delusione. Non abbastanza da dire che avrebbe voluto che morissi, ma nemmeno così poca da poter affermare che voleva mi salvassi.
Non permetterò che mi portino via.
Aprii gli occhi, vedendo come prima cosa i volti sfocati ma familiari della mia famiglia: Gates che mi teneva la testa in grembo, Azriel accucciata di fianco a me con Rev che la stringeva forte, Johnny in piedi appena dietro Matt e infine Vee, che mi guardava a metà fra lo speranzoso e lo spaventato.
Rallentai il respiro, facendoli scattare dallo spavento, ma riuscii a bloccarli posando leggera una mano sul petto di Matt che già si stava tendendo verso di me.
Respira.
Avevo già scelto la mia strada, avevo scelto di rimanere perchè non sarei morta lì.
Non lo avrei fatto, non lo avrei permesso. Non mi sarei lasciata piegare.
Lo aveva detto, che avrebbe ceduto.
Mi sentii improvvisamente più padrona della situazione: non abbandonandomi completamente all'incoscienza potevo riuscire a tirare avanti abbastanza a lungo da arrivare alla Sevenfold.
Dopo di che mi sarei affidata a Matt e Az, mettendomi nelle loro mani.
“Se vi muoveste... mi fareste un piacere.” Mormorai, stringendo la mano di Azriel e lanciandole un'occhiata per vederla sorridere.
“Magari anche in fretta-”
Uno spasmo involontario dovette convincerli e sentii Johnny, il capitano e Vee muoversi.
Cedere?
Pensai ai nodi che, nascosti, attendevano sull'ammiraglia.
Non saremo noi, a cedere.


Note: aggiornamento puntuale :3
Grazie a chi ci legge ancora.
See ya,

Marinaia Al (e capitano Sah).

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Capitolo 15
*** Capitolo XV ***


BROMPTON COCKTAIL
{Capitolo XV}
Eravamo tornati sulla Sevenfold in pochissimo tempo.
Gates e Matt continuavano a tenere sveglia Alice e, una volta sulla nave, erano spariti nella cabina per curarle la ferita al braccio e provare a farla stare meglio.
Le avevo parlato e mi aveva detto che il medico di bordo, sull’ammiraglia, le aveva dato qualcosa che riusciva a tenerle a bada il cuore.
Dovevo scoprire cosa fosse.
Mi ero fatta descrivere il sapore, l’odore e il colore ed ero riuscita a risalire a due dei componenti che quel medico utilizzava per fare quella diavoleria, me ne mancava solo uno.
Trovando anche quello, sarei stata in grado di riprodurre quel dannato liquido ed avrei potuto aiutare Alice.
Ero seduta su una cassa al centro del ponte mentre JC, Rev e Vee parlavano di qualcosa.
Rev era al timone e non degnava nessuno di uno sguardo.
Avevo sentito le sue mani, ferme e sicure, sulle mie spalle mentre portavamo indietro Alice, poi di nuovo più nulla.
Non più uno sguardo, non più una parola.
Sospirai e tornai a sfogliare il mio libro.
“Azriel, vieni qui, per favore.” Mi chiamó JC.
Chiusi il libro e mi alzai, raggiungendo i tre.
“Dobbiamo decidere come muoverci. Appena sarà giorno e re Allen si accorgerà che Alice non c’è, verrà a cercarla.” Disse Vee.
Annuii, fermamente.
“Il nostro consiglio era quello di attaccare ora, con il favore del buio e del loro non aspettarsi nulla.” Continuò JC.
Lo guardai, incerta “Ma...?” sapevo che c’era un ‘ma’, si sentiva dal tono di voce che JC aveva usato.
“Ma il capitano non è d’accordo.” Mi voltai a guardarlo, confusa, abbassando subito lo sguardo.
Non riuscivo più a guardarlo negli occhi.
Bella merda.
“Non ha senso andare lì, ora, con Alice ferita. L’abbiamo ripresa, andiamo via. Saranno loro a venirci a cercare.” Disse, freddo, Rev.
“Ma che diavolo di ragionamento è?” domandai, confusa, senza ricevere risposta.
Feci un profondo respiro.
“Rev, ragioni così solo perché a bordo ci siamo noi, ma se non fosse così, se vi avessero sfidato, aspetteresti che venissero a cercarti o attaccheresti nel momento opportuno, quando non si aspettano un tuo attacco?” domandai, facendomi coraggio.
Alzai lo sguardo e mi soffermai sulle sue labbra, lo vidi socchiuderle ma non disse niente poi annuì.
“Appena Alice si sarà ripresa un po’, attaccheremo.” Disse. “Avvertite gli altri.” E Vee e JC corsero via.
Stavo per allontanarmi ma una mano di Rev mi afferrò, per l’ennesima volta, il braccio e mi obbligò a voltarmi, stavolta con meno forza della volta precedente.
Sostenere il suo sguardo era impossibile, mi terrorizzava l’idea di vedere i suoi occhi ancora spenti, come era già successo, così mi limitai a fissargli le labbra.
“Quel che ti ho detto... che se ti succede qualcosa io non correrò in tuo soccorso...”
“Va bene, lo capisco, Rev. Non preoccuparti. Saprò cavarmela.”
Sfilai il mio braccio dalla sua presa e mi allontanai.
“Azriel.” Mi chiamò quando stavo per entrare in corridoio.
Rimasi ferma, senza girarmi, in ascolto.
“Non lasciare che ti facciano del male.” Mi disse infine.
Annuii.
Poi sparii velocemente in coperta.
Raggiunsi la cabina in cui si trovava Alice e vi trovai al suo interno tutti i ragazzi.
Mi accucciai vicino al letto prendendole una mano.
“Come stai?” domandai.
“Bene, ora. Ho sentito il piano. Verrò con voi.” Aggiunse.
I ragazzi stavano per intervenire ma li fermai con un cenno della mano.
“Facciamo un accordo. Se riesco a trovare la medicina per il tuo cuore, la stessa che il medico dell’ammiraglia di stava dando, prima del sorgere del sole, verrai con noi. Altrimenti rimarrai qui. Va bene?” domandai.
Al mi guardava, incerta.
“Nel frattempo, ti allenerai con i ragazzi, ovviamente nei limiti del possibile.” Aggiunsi.
Al mi guardò per un po’ poi annuì.
La aiutai a tirarsi su, la strinsi a me per un po’ poi la lasciai tra le mani dei ragazzi e tutti insieme uscirono dalla cabina.
Presi a sfogliare di nuovo il libro, ricordando ogni minimo dettagli di ciò che Al mi aveva raccontato di quella medicina eppure non riuscivo a ragionare sul terzo elemento.
Le prime due parti le avevo.
La foglia e la radice erano li, già tagliate e pronte per essere mischiate e schiacciate.
Mi mancava il dannato terzo elemento, quello che dava il colore opaco alla medicina.
Mi bloccai su una pagina del libro.
L’avevo trovato.
Una fottutissima bacca blu, come ho fatto a non pensarci?
Uscii dalla cabina e mi fiondai nella stiva, spalancai tutte le casse con il cibo e, dopo quella che parve un’ora di ricerche, le trovai.
Ne presi il più possibile e mi incamminai verso la cabina.
Ricordavo di averle viste a bordo perché le avevo raccolte con Vee una mattina sull’isola.
Eravamo in giro in cerca di legna ed io le avevo riconosciute, sapevo di tutti gli effetti curativi e così ne avevamo fatto scorta.
Presi una grande pietra che avevo in camera e cominciai a schiacciare nella ciotola le varie parti che avevo preso, la foglia, la radice e infine la bacca.
Dovevo farle diventare liquidi e per farlo mi schiacciai più volte le dita, facendole sanguinare.
Finito il lavoro versai il tutto in una boccettina di vetro, strappai la mai bandana in vari pezzi e mi fasciai le dita, dopodiché uscii e mi diressi sul ponte.
Alice se la stava cavando bene.
Saltellava a destra e sinistra mantenendo un perfetto equilibrio e riusciva a schivare e difendersi da tutti i colpi dei ragazzi.
Ma non attaccava.
Perché non attaccava?
Lo sapevo bene.
Alice non attaccava per paura di ferire i ragazzi ma ero certa che, come aveva dimostrato in precedenza, non si sarebbe fatta problemi ad attaccare qualcun altro che metteva a rischio la sua vita.
Quando i ragazzi si fermarono la raggiunsi e le porsi la boccetta.
Bevve tutto d’uno sorso ed io rimasi a fissarla, speranzosa.
“E’ identica, Az!” mi disse, stupita.
Sorrisi e la abbracciai.
“GRANDIOSO!” gridò Vee.
Eravamo tutti impegnati a sorriderci quando Rev tossì, attirando l’attenzione su di sé.
Tutti si voltarono ed io fissai il pavimento.
Alice si accorse del mio strano comportamento ma non disse niente.
“Siamo pronti?” domandò Rev.
Tutti annuimmo.
“Qual è il piano?” domandò Alice.
“Abbordare la nave e non lasciare nessun superstite.” Annunciò, freddo, Rev.
“Dovete metterci in guardia su qualcosa?” domandò Matt.
“Le guardie di mio padre sono quelle che avete visto, pericolose in gruppo, ma non sono così ottimi a combattere. Mio padre invece è più pericoloso. Sa combattere a mani nude ed è molto più piazzato di Matt, sa combattere con ogni tipo di lama, sa difendersi, è agile e non ha pietà.” Dissi, deglutendo silenziosamente.
Il solo pensiero di mio padre mi faceva perdere un po’ di tutta la sicurezza che avevo avuto fino a quel momento.
Alice descrisse suo padre che era, probabilmente, molto più pericoloso del mio.
Un uomo ben piazzato, un pirata re, agile, scattante, sveglio, pericoloso.
Quando fummo pronti, partimmo.
Quando avvistammo l’ammiraglia, tutto accadde troppo in fretta.
Gates aveva affiancato Al e le teneva la mano, Matt lanciò un’occhiata a JC dall’altra parte della nave e in quell’occhiata vidi tutta la paura che l’uno aveva di perdere l’altro e viceversa, Vee si rigirava un coltello tra le mani, lo sguardo fisso sull’ammiraglia.
Mi voltai a cercare l’unica persona che non avevo ancora guardato.
Rev era in piedi, fermo e sicuro e mi fissava.
Per la prima volta in tutti quei giorni, nei suoi occhi vidi di nuovo vita.
Vidi la paura ma non seppi dire se aveva paura per me o per altro.
Avrei voluto dirgli qualcosa, avrei voluto dirgli che tutto quel che gli avevo detto non lo pensavo, che non avrei mai potuto odiarlo ma il tempo scarseggiava.
Poi avvenne.
Abbordammo l’ammiraglia e si scatenò l’inferno.
Al aveva l’ordine di recuperare tutte le carte che si trovavano nel laboratorio, io invece avrei dovuto recuperare le carte di mio padre, i suoi stupidi piani mentre Vee si dirigeva nella cabina del padre di Al e doveva fare lo stesso che dovevo fare io.
Dovevamo sapere a cos’altro andavamo incontro.
Quando mettemmo piede sulla nave cominciai a sentire grida arrivare da ogni parte della nave.
Ma fu quando vidi Gates e Al sparire in un corridoio che capii di dovermi muovere.
Sfrecciavo tra i marinai ad una velocità che non avrei mai pensato di poter avere.
Schivavo colpi, spingevo gente giù dal parapetto e continuavo a correre.
Alice mi aveva descritto alla perfezione l’ammiraglia quindi sapevo bene dove avrei trovato la cabina di mio padre.
Ero certa che mio padre si trovasse sul ponte.
Sicuramente, al primo grido che aveva potuto udire, si era lanciato nella battaglia.
La cabina di tuo padre è in fondo a quel corridoio, una grande porta in mogano, la riconosci, c’è incisa su la fenice” le parole di Alice mi rimbombarono nella testa non appena fui davanti quella porta.
Spalancai la porta senza pensare, conoscevo mio padre e avrei sicuramente saputo dove cercare.
Entrai e chiusi la porta, sperando che la cabina chiusa non avrebbe attirato attenzione ma fu, come mio solito, un errore.
Non appena mi voltai capii di aver sbagliato tutto.
Non avevo calcolato un bel niente, non sapevo nulla, ero solo una stupida ragazzina che correva nella speranza di sopravvivere.
Mio padre, i capelli e la barba entrambi rossi, gli occhi neri come la pece, se ne stava in piedi dietro la sua scrivania, un ghigno malvagio stampato in faccia.
“Azriel, bentornata.” Mi disse, sempre sorridendo.
Ero paralizzata, come una perfetta idiota, la schiena attaccata alla porta e gli occhi sgranati.
“Non ti aspettavi di trovarmi qui ?” domandò.
Non potevo lasciarlo fare, non di nuovo.
Non potevo permettergli di terrorizzarmi tanto.
Io non ero più una bambina.
Feci un passo avanti.
“Cosa vuoi fare, bimba mia? Attaccare tuo padre?” disse ancora, sempre senza smettere di ridere.
Ciò che accadde poi non era nei piani perché, in realtà, io di piani non ne avevo.
Avevo ordini da rispettare, ovvero raccogliere tutte le carte di mio padre e tornare dai ragazzi, uccidendo chiunque mi si sarebbe parato davanti.
Estrassi il coltello e deglutii, riuscendo a mantenermi il più calma possibile.
“Hai tradito tuo padre, hai tradito il tuo regno, sei salita a bordo di una nave pirata entrando a far parte della sua ciurma e ora ti permetti di venire qui a sfidarmi?” smise di sorridere e capii che non sarebbe finita bene.
“MORIRAI PIETOSAMENTE, COSì COME TUTTA QUELLA CIURMA DI DANNATI PIRATI CHE TI SEI PORTATA DIETRO!” gridò e, ribaltando la scrivania, mi fu davanti, il coltello tra le mani.
Schivai il primo colpo e passai al di la della scrivania.
Mio padre urlava insulti, furioso e affondava senza pietà.
Schivavo i colpi, mi difendevo e nel frattempo raccoglievo tutti i fogli che sembravano potermi interessare.
Quando fui sicura di aver raccolto tutto ciò che poteva interessarci e aver infilato il tutto nella sacca che avevo legata in vita sgusciai verso la porta, spalancandola e raggiungendo il corridoio.
Dal ponte sentivo gridare.
Le voci dei soldati erano poche, mentre riconobbi distintamente Alice, Vee e Gates che, dal corridoio di fianco, correvano e si dirigevano verso il ponte.
Mio padre mi fu vicino in un istante, afferrandomi per la maglietta e gettandomi a terra.
Caddi di schiena ma in un istante fui in piedi, mio padre al centro del corridoio mi bloccava la strada, puntandomi il coltello contro, gli occhi iniettati di sangue.
“DOV’E’ AZRIEL?” gridò Rev dal ponte.
“DOVEVA GIA’ ESSERE DI RITORNO!” gridò quello che riconobbi essere Matt.
“IL PADRE DI AZRIEL NON SI E’ FATTO VEDERE SUL PONTE!” gridò JC.
Mio padre affondò di nuovo e stavolta, distratta dalle voci dei ragazzi, non fui abbastanza veloce.
Il coltello di mio padre finì nella mia gamba, procurandomi un enorme squarcio.
Gridai a pieni polmoni per il dolore che quell’attacco mi causò.
Ma ero decisa a non morire lí.
Ero decisa a non morire per mano sua.
“AZRIEL!” era Rev a gridare, lo sentivo correre verso di noi.
Non doveva raggiungerci, avrebbe trovato mio padre a bloccargli la strada ed io non potevo permettere che quel mostro facesse del male a Rev.
Mio padre si volto in direzione della voce di Rev e a quel punto mi alzai, mi gettai verso di lui, gridando e mi aggrappai alla sua enorme schiena.
Mio padre si dimenava, cercando di tirarmi giù e di accoltellarmi ma io fui più svelta.
Il mio obbiettivo era la gola ma riuscii appena a passare il coltello dalla spalla sinistra, tutto il petto e la spalla destra.
Mio padre cadde in ginocchio, gridando ed io lo superai, diretta verso Rev che sentivo sempre più vicino.
Quando stavo per superare mio padre, però, quest’ultimo mi afferrò per la caviglia e caddi a terra, battendo la faccia e facendo scivolare il coltello a parecchi metri da me.
Mio padre mi tirava verso di se con una mano mentre con l’altra brandiva il coltello ed io, con tutte le mie forze, cercavo di alzarmi e liberarmi.
Riuscii a staccare mio padre da me prendendolo a calci in faccia, raccolsi il coltello e cominciai a correre finché non mi schiantai in pieno contro qualcuno.
Alzai gli occhi terrorizzata ma davanti a me trovai Rev.
Sporco di sangue, non seppi dire se suo o di altri, che mi prese per le spalle e mi fissò, gli occhi sgranati.
“Stai bene?” domandò.
“Sì non importa, muoviamoci, dobbiamo andare via da qui!” gridai e Rev annuì, prendendomi per mano.
Ricominciammo a correre.
Trattenevo le grida che il taglio sulla gamba mi scatenava.
Stavamo per raggiungere il ponte quando la nave si inclinò di lato e Rev si tenne appena in piedi mentre io mi schiantai contro il muro del corridoio.
Rev mi rialzò notando solo allora la mia gamba e, senza dire nulla, mi prese in braccio.
“METTIMI GIU’, REV, TI SONO D’IMPICCIO COSì” gridai.
“STAI ZITTA!” la sua risposta, urlata in quel modo, mi distrusse e mi terrorizzò.
C’erano rabbia e terrore nella sua voce.
Raggiungemmo il ponte dove non c’era più quasi nessuno.
I ragazzi erano tutti presenti, tranne Alice e Gates che ci raggiunsero dopo tre secondi.
“COS’E’ STATO?” gridò Rev.
“SONO STATA IO, ANDIAMO VIA DA QUESTA NAVE IMMEDIATAMENTE!” gridò Al.
Nessuno fece domande e, in fretta, tornammo sulla Sevenfold, allontanandoci in fretta mentre l’ammiraglia di si piegava da un lato, andando a fondo lentamente.
Rev mi aveva lasciata poggiata a terra ed era corso al timone.
Al si avvicinò a me.
“AZRIEL MA TU SANGUINI!” gridò, preoccupata.
Le feci cenno di lasciar stare e le diedi la sacca con dentro tutti i fogli di mio padre.
“Mio padre era ancora vivo..” sussurrai, cominciando a sentirmi stanca.
“Anche il mio. Ma dubito che rimarranno ad affondare con la nave, c’è una terza nave, quella di supporto alla Grace, da qualche parte e di certo si salveranno e verranno a cercarci. Dobbiamo solo capire i loro piani e- AZRIEL, AZRIEL APRI GLI OCCHI!” le mani di Al si poggiarono sulla mia faccia.
Cercavo di parlare ma non riuscivo.
“HAI UNA FERITA ANCHE SULLA SCHIENA!” gridò ancora Al, ed io la sentivo sempre più lontana.
Quindi mio padre era riuscito a colpirmi dietro la schiena mentre lo tenevo fermo.
Beh, l’adrenalina aveva giocato il suo ruolo nel non farmi sentire eccessivamente il dolore.
Ma probabilmente avevo perso troppo sangue, per quello mi sentivo così debole.
Sentii Rev gridare qualcosa, anche Matt gridò poi non sentii più nulla.



Note: leggermente in ritardo, ma con l'inizio delle lezioni é il caos. Scusate cc
Grazie a chi ci legge :3
See ya,

Marinaia Al (e capitano Sah).

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Capitolo 16
*** Capitolo XVI ***


BROMPTON COCKTAIL
{Capitolo XV}
Sentii Gates sobbalzare e trattenni a stento un'imprecazione: allontanai le mani tremanti dalla benda, sospirando e passandomi un braccio sulla fronte.
“Scusa.” Mormorai, sciacquandomi le dita dal sangue nel secchio che avevo di fianco. La delicatezza, purtroppo per lui, non era in quel momento mia dote e si era trovato a dover trattenere qualche gemito di dolore di troppo per i miei gusti.
“Non fa niente.” Lo sentii dire, mentre si sistemava le medicazioni attento a non farsi male.
Non lo guardai in faccia, non ci riuscivo senza sentirmi in colpa. Per la verità mi sentivo schiacciare ad ogni taglio che vedevo rigare la pelle di lui o degli altri, senza contare le ferite di Azriel.
E io non ho nemmeno un graffio.
Mi avevano protetta fin troppo bene, per i miei gusti, e avrei desiderato che nell'altra stanza a sanguinare a morte ci fossi io piuttosto che Azriel.
Mi passai le mani sugli occhi, tentando di scacciare quella sensazione di sordo dolore che finite le lacrime mi si era appiccicato addosso, e mi allungai per prendere l'ampolla di vetro e buttare giù in un sorso solo il suo contenuto. Chiusi gli occhi mentre lo sentii scendere per la gola, leggermente viscoso, e quando li riaprii vidi che Gates mi stava guardando con un'espressione che non sapevo decifrare.
“Per quanto dovrai prenderla?”
Scrollai le spalle, laconica.
“Se sarà necessario, per tutta la vita.”
Mi alzai da terra, afferrando il manico del secchio e avviandomi su per le scale del ponte: gettai l'acqua in mare, gli occhi che per un breve momento si puntarono sui pochi relitti che rimanevano dell'ammiraglia, e voltandomi vidi che Gates mi aveva seguito.
“Va' a vedere, ti prego.” Sussurrai, abbassando lo sguardo. “Se io non posso, fallo tu per me.”
Sembrò voler dire qualcosa, ma si trattenne e fece come gli avevo chiesto. Non vedevo i suoi movimenti ma potevo seguirlo giù, lungo il corridoio, fino alla porta della cabina in cui si era chiuso l'intero equipaggio per salvare quella che io consideravo mia sorella.
Visto che la mia presenza sembrava incutere una certa agitazione ad Azriel e non solo, mi era stato gentilmente chiesto di allontanarmi. Avevo eseguito, docilmente, senza protestare.
Mi andai a sedere accanto al mucchio di carte che i ragazzi avevano mollato dove capitava una volta tornati alla Sevenfold, iniziando a spiegarle e a darci un'occhiata. Le divisi per attinenza e per probabile luogo di provenienza, e dopo qualche decina di minuti avevo un quadro generale di come stavano le cose.
Fu l'ultima di tutte quante, curiosamente, la più importante per me: era un quadrato largo poco più di una spanna, un formato alquanto curioso per un documento. E, quando lo voltai, trattenni il respiro.
In alto erano vergate una serie di lettere in apparente ordine casuale, e sotto c'era un veloce schizzo di una scacchiera; riconoscevo il tratto, la grafia, potevo vedere la mano che aveva mosso il carboncino a disegnare quelle figure. Notai che un pezzo della schiera bianca era spostato dalla sua originaria posizione: un pedone bianco, uno dei due centrali, era avanzato di una posizione.
Intuii immediatamente chi fossero i bianchi e chi i neri.
La prossima mossa spetta a me.
Raggelai nel riconoscere i semplice codice che avevo inventato da bambina, credendo stupidamente che in quella casa si potessero tenere dei segreti. Strinsi la carta fra le dita, sentendola accartocciarsi leggermente.
Sapevo benissimo cosa significava. Ora era diventata una cosa personale, che esulava dal suo semplice ruolo di Re. Si trattava, forse per la prima volta nella mia vita, di me.
Ero uscita dalla schiera e l'avevo sfidato.
E lui aveva accettato.
“Alice?”
Scattai nel sentire la voce di Johnny che saliva dalla coperta e ripiegai il foglio sistemandolo nella manica. Non era quello il momento di allarmare qualcuno per una cosa tanto futile e prevedibile.
“Alice, vieni.”
Alzai lo sguardo, ingoiando il nodo alla gola.
Vidi Johnny sorridermi, raggiante.
“Si è svegliata, e chiede di te.”
Mi alzai, assicurandomi che le carte non volassero via, e lo seguii silenziosa fino in cabina. Trovai Rev che teneva la mano di Azriel fra le sue e gli occhi fissi su di lei, incurante di chiunque altro, e per un momento mi sentii di troppo. Fui tentata di voltarmi e tornare indietro, ma lo sguardo di Azriel mi inchiodò esattamente dov'ero.
“Alice!”
Abbozzai un sorriso, inclinando appena la testa e mi inginocchiai accanto a lei. Le sfiorai la testa in una carezza.
“Allora, hai finito di farci spaventare a morte?” La presi in giro bonaria, senza nascondere il mio sollievo di vederla salva. Lei sbuffò.
“Parla lei.”
Mi sentii arrossire, e accennai una risata.
“Beh, me la sono meritata...” Tornai seria, inarcando un sopracciglio. “Stai bene, vero?”
Fu Matt a rispondermi, giunto dal corridoio.
“Starà bene, diciamo che sta meglio. Senza le sue conoscenze rimane solo il povero Shadows come medico di bordo, armato di ago e filo.” Mi strizzò l'occhio, sorridendo, e sentii Az borbottare.
Quando mi voltai la colsi nel bel mezzo di un'occhiata a Rev e, tiratami in piedi con l'aiuto di Matt, mi voltai senza dire una parola e sgattaiolai in corridoio. Sentii le proteste di Azriel ma, sentendole spegnersi dopo poco, capii che avrebbe avuto altro a cui pensare per un po'.
Non mi avevano detto cos'era successo sulla nave durante la mia assenza, ma avevo potuto avvertire la tensione sulla mia stessa pelle.
“Hai da fare, Al?” Mi chiese Shadows, strappandomi dai miei pensieri. Lo guardai, aggrottando leggermente la fronte,e  scossi la testa.
Sorrise.
“Vieni con me.”
Mi condusse sul ponte, dove Gates attendeva con una lunga lama in pugno. Dalla posizione rilassata capii che aspettava qualcuno e, lanciata un'occhiata a Vee e Johnny seduti su una cassa lì vicino, capii chi.
“Fatti avanti, Allen.”
Alzai il mento, mentre Matt abbandonava il mio fianco per raggiungere i due compagni seduti.
“Spero tu non faccia sul serio, Gates. Sei ferito-”
“Stai accampando scuse?” Sentii commentare Vee, quasi in tono di sfida.
Gli gettai un'occhiata vagamente interessata.
“Non riuscirete a costringermi ad assecondarvi con questi trucchetti.”
Non amavo combattere, a dire il vero. Non faceva esattamente per me e avevo mal imparato quel poco che i ragazzi erano riusciti a farmi entrare in testa prima dell'assalto.
“Allora muori.”
Gates si lanciò all'improvviso su di me, e fui costretta a spostarmi di lato facendo perno su una gamba per schivare il suo attacco frontale. Sentii la sua spalla passare a pochi centimetri dal mio petto.
“Non farei movimenti così ridotti, se fossi in te. Hai rischiato parecchio.” Sentii dire Johnny, mentre io non toglievo gli occhi dalla figura di Gates.
Vidi con la coda dell'occhio Matt dissentire.
“L'ha fatto apposta.”
Un nuovo attacco e fui costretta ad abbassarmi per poi scivolare rapida alle sue spalle.
Gates sogghignò.
“Non eri stata così rapida, prima dell'assalto.”
Scrollai le spalle, nemmeno durante l'assalto lo ero stata. Forse era quella parvenza giocosa del combattimento con Gates che mi portava ad essere così rilassata.
“Ti si riapriranno le ferite, ed è una completa perdita di tempo. Posa quella lama, Gates.”
“Azriel non si sarebbe tirata indietro!” Sentii Vee dire, forse nell'ennesimo tentativo di smuovermi.
“Oh, lo so benissimo Vengeance.”
In seguito non ebbi modo di rispondere ancora: Gates iniziò a muoversi più veloce, costringendomi ad accelerare per muovermi più in fretta di lui per schivare e la sua serie di colpi fu interrotta solo dopo qualche minuto dalla voce di Vee.
“Si vede che non parti per colpire, Syn. Lascia fare a me.”
Osservai Gates passare la spada a Vee con uno sguardo preoccupato, tentando di rallentare il respiro, e capii dagli occhi di questi che se prima potevo pensare di giocare adesso avrei fatto sul serio.
“Dalle un coltello, Vee...” Azzardò Johnny.
“No, si è rifiutata di armarsi e ora ne pagherà le conseguenze.”
Se prima mi era sembrato difficoltoso tenere testa a Gates con Vee fu ancora più complesso: dovetti dar fondo a tutte le mie energie e ragionare estremamente in fretta per escogitare modi sempre nuovi per evitare di rimanere ferita.
Eravamo ancora impegnati a muoverci per la nave sotto lo sguardo vigile degli altri tre quando Rev salì dalla coperta con Az in braccio avvolta in una coperta.
“Che sta succedendo qui?” Lo udii vagamente chiedere, distraendomi quel minimo che mi fece correre un grosso rischio. Ringhiando riportai l'attenzione sullo scontro impegnandomi a schivare e sfuggire alle trappole in cui Vee credeva di chiudermi e dalle quali riuscivo in una qualche maniera ad uscire sempre.
A nessuno sfuggì che io mi muovevo solo per difendere me stessa e mai per ferire il mio avversario: l'unica volta che avevo avuto a che fare con una cosa simile era stato durante l'assalto della Grace, ma non si poteva definire esattamente combattere quello che avevo fatto. Più che altro mi ero impegnata a impicciare gli assalitori con vari metodi, ma non avevo mai ferito di mia espressa mano nessuno.
Sgusciai di nuovo dall'angolo in cui Vee mi aveva imbottigliatascivolando sul ponte e tirandomi in piedi subito addosso.
“ATTACCA, ALLEN!” Lo sentii gridare mentre mi appendevo ad una delle cime per spostarmi sul parapetto, dove rimasi attentamente in equilibrio evitando accuratamente di guardare giù. Le vertigini mi cinsero la testa ugualmente, ma le vinsi riuscendo a muovermi lungo la stretta fascia di legno per poi balzare giù evitando l'ennesimo affondo di Vee che mi aveva raggiunto.
Rotolai a terra lanciando una cima fra le sue gambe e tirando per farlo cadere, facendo leva istintivamente con una mano sulla cassa accanto a me per girarmi sulla pancia. Ero quasi riuscita a rialzarmi quando mi sentii prendere per il mento e tirare indietro la testa di scatto, la lama puntata alla gola.
Vee, ansante, aveva il viso sopra il mio.
“Morta.” Sussurrò, lasciandomi andare e allontanandosi quel poco da permettermi di girarmi di schiena. Il mio petto si alzava e abbassava più rapidamente del suo.
“Siete diverse.” Lo vidi dire, l'impugnatura della lama stretta fra le dita. “Lei è meglio se segue l'istinto mentre combatte, tu... Tu è meglio che rimani lucida. Sei troppo calcolatrice per cavartela senza la testa.”
Nessuno si espresse, a quanto pare era lui l'esperto. Oppure tutti avevano intuito la stessa cosa.
“E non attacchi mai. A prescindere dal fatto che non avessi un'arma, avresti potuto usare qualsiasi cosa trovata sul ponte per ostacolarmi ma non l'hai fatto: durante l'assalto che abbiamo subito ti ho vista avere a che fare con l'arpione e la palla di cannone, se non erro.” Inclinò la testa, stringendo appena gli occhi. “Perchè non adesso?”
Riprendevo fiato in silenzio, sentendo lo sguardo di Gates su di me. Era esattamente lo stesso problema che lo aveva costretto a prendersi alcune ferite al posto mio.
Non avevo bisogno di sentirmi dire che avevano ragione. Lo sapevo già.
“Non sono il braccio.”
Sentii Azriel lanciare un'imprecazione, indignata, ignorando Rev che le diceva di rimanere calma. “Non avresti esitato un momento ieri, se qualcuno avesse minacciato la tua vita. Non inventare stronzate, Al.”
Due respiri.
“Hai troppa fiducia in me, Az. Siamo diverse.”
“Ciò non implica che tu sia inferiore.” Replicò Matt, pacato. “Significa solo che hai un modo alternativo di affrontare le cose. Sfruttalo, non solo per la difesa ma anche per l'offensiva.”
Mi voltai su un fianco, sollevando il busto facendo leva su un braccio.
“Qual è il problema?” Sentii Johnny chiedere, improvvisamente accucciato accanto a me.
Il problema, il problema. Qui sono tutti troppo ottimisti nel cercarne sempre e solo uno.
Non rispodi e scossi la testa.
“Az ha paura del sangue, eppure-”
“Lasciami stare, Christ.” Fui più secca di quanto avrei voluto, ma non mi corressi e invece mi alzai per raggiungere le scale e sparire in coperta.
Scappare era sempre la mia soluzione.
Brava, Alice. Quando una volta davanti a tuo padre avrai tutte le porte chiuse sarai la prima a morire.
La prima cosa che feci fu nascondere il foglio nella sacca che conteneva i miei pochi averi, nascondendolo accuratamente, e mi stesi raggomitolandomi sotto la coperta. Fu mandata ancora una volta Azriel in avanscoperta, e indovinai che era riuscita faticosamente a vincere le proteste di Rev.
“Ehi.”
Non risposi, rimanendo a fissare un punto indefinito del muro sopra il suo giaciglio e sentendolasedersi accanto a me.
“Sei stata brava, oggi.”
“Non abbastanza.”
“Chi lo dic-”
“Non quanto te.”
La sentii sospirare.
“Forse dovresti smetterla di paragonarti a me. Ho tanti difetti, tu ne hai altri... Io ho qualità e tu ne hai altre. Usiamo strade diverse, tutto qui.”
Sbuffai.
“Trovi tante strade diverse per piantare un fottuto coltello nel petto di qualcuno?”
Lei si fece seria.
“Al, hai fatto affondare quella nave uccidendo la maggior parte delle persone a bordo. Hai fatto fuori più persone tu che tutti noi messi assieme, se proprio vuoi metterla su questo piano.”
Le lanciai uno sguardo.
“IO non ho ucciso nessuno. Il mare ha fatto il resto.”
La vidi alzare gli occhi al cielo.
“Dio, la tua testardaggine è pari solo a quella di quel testone di Gates. Credi che il mare se li sarebbe ingoiati così a caso se tu non avessi fatto saltare i cannoni?”
Mi morsi il labbro. Probabilmente no.
“Lascia che ti insegnino. Posso aiutarti anche io, Gates ne sarà felice, e così Matt e Johnny e Vee.” Sembrò capire cosa mi passava per la testa appena finí la frase. “Oh, no. No, no, e poi no.”
Mi alzai.
“Hai detto tu che devo imparare.”
Mi seguì per il corridoio lanciando per metà preghiere e per metà insulti, ma la ignorai e salii le scale per cercare con lo sguardo una figura in particolare.
“Capitano!” Gridai, vedendolo spostare lo sguardo su di me dal timone. “Posso chiederti un favore?”
Ero quasi sicura che Az si sbracciasse da dietro di me, ma gli feci cenno di scendere e lui lo fece. Dallo sguardo intuii che era sospettoso, ma quella che vidi sul suo volto era pura sorpresa quando gli lanciai la lama che aveva impugnato Vee poco prima.
“Az, levati. Avanti, capitano, feriscimi.”
Stavo giocando con il fuoco, e lo sapevo benissimo; inspirai a fondo, sentendo Johnny e Matt discutere brevemente con Az e poi convincerla a portarsi su un lato del ponte.
“Non prendi nessuna arma?” Mi chiese Rev, neutro.
Scossi la testa, senza staccare gli occhi da lui, e fu con il suo scatto in avanti che iniziammo. Usai tutti i trucchi che riuscii ad escogitare per sfuggire a Rev ed ero consapevole che non c'era nessun vincolo che gli impedisse di infilzarmi veramente. O quasi nessuno.
Mi ero sempre imposta di dover imparare come facevano gli altri, ma forse Az aveva ragione. Dovevo smettere di imitarli e trovare la mia strada.
“Attenta Al!” Sentii Gates gridare senza pensarci, rimproverato poi da Vee.
Mi ero già accorta del fendente in arrivo da sinistra, e aspettai l'ultimo secondo per scivolare sotto il braccio e lasciare che la spada si conficcasse con tutta la sua potenza nel legno. Approfittai dei momenti in cui Rev tentò di liberarla per saltare sulla cassa vicina ed afferrare una corda che buttai attorno alla vita del capitano: mi sentii afferrare il polso ma fui abbastanza svelta da sgattaiolargli intorno torcendogli il braccio e costringendolo a lasciare la presa. Il nodo non riuscì del tutto, complici le mie mani tremanti, e quando spinsi il pesante barile a rotolare sul ponte come contrappeso per sollevare Rev lui cadde sul ponte dopo poco.
Non si fece nulla di preoccupante, ma la botta alla schiena gli tolse il respiro e lo fece mugugnare di dolore.
“Oddio, scusa!” Dissi, precipitandomi al suo fianco. “Non era quell al'intenz-”
Mi trovai a terra, la lama puntata alla gola e Rev con un mezzo sorriso che mi teneva giù.
“Mai abbassare la guardia, ragazzina. Ma a parte questo...” Si alzò per tendermi una mano. “Potrebbe quasi andare.”
Detto da lui, a me per di più, era sicuramente un complimento.
Az mi saltò al collo, urlando qualcosa di sconnesso che non capii esattamente, mentre Vee rideva.
“Troppo gentile per metterti al tappeto, Rev... Spero tu non faccia così anche con i nemici o siamo messi male.” Rise Johnny, strappandomi un sorriso.
Quando Azriel si staccò da me per andare a rifugiarsi fra le braccia di Rev sentii qualcuno posarmi una mano sulla testa: era Matt, con uno sguardo che poteva quasi essere di orgoglio, e lo abbracciai di slancio. Mi sollevò da terra, stringendomi forte, e sentii la sua risata vibrarmi nel petto.
“Grazie.” Gli sussurrai all'orecchio.
Per avermi aiutata a decidere di rimanere.
Lui rise, e mi lasciò andare facendomi l'occhiolino.
“Sei finalmente libera o devo aspettare ancora?” Mi voltai verso Gates che mi guardava con un sopracciglio inarcato, evidentemente divertito.
Arrossii e aprii la bocca per rispondere, ma finii per fare la solita scena muta e abbassare imbarazzata lo sguardo a terra.
Ormai ero quasi abituata ad essere messa in imbarazzo da lui, a dire il vero, ma ero fiera di poter dire che a volte mandavo a segno anche io i miei colpi. In qualche sporadica occasione.
Intrecciai la mano alla sua, ma lui sciolse la presa per circondarmi i fianchi e io avvampai di nuovo.
“Allora devo cominciare ad aver paura di te. Se poi ti allena Rev...”
Borbottai una risposta, mentre rifugiavo il viso contro la sua spalla come una bambina.
Le risate di Az e Vee mi fecero voglia di sprofondare e, mentre gli altri si univano a loro, mi trovai a sorridere contro Gates.
Fu Rev a rompere quel momento.
“Forza, abbiamo da fare... Gates al timone, Vee e Johnny dovete sistemare il ponte, Matt finisci di medicare Az.” Alzai la testa e lo guardai, non mancando di notare che non aveva nominato né me né lui.
Quando lo vidi, fui quasi certa di sbiancare.
“Sei nei guai, bimba...” Sentii Gates sussurrare sorridendo al mio orecchio.
Rev sogghignò, la spada già in mano.
“Io e Al abbiamo da fare.”.



Note: questa volta sono puntuale aw
Grazie a chi ci legge!
See ya,

Marinaia Al (e capitano Sah).

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