Upside down.

di horan_smiles
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo.

I rami secchi degli alberi nudi gli graffiavano la pelle giovane mentre s'inoltrava nel bosco. Faceva freddo, faceva molto freddo, e l'unica cosa che Harry aveva per coprirsi era una vecchia felpa martoriata che il nonno William gli aveva prestato. Era davvero calda e comoda, gli arrivava quasi alle ginocchia, ma, quasi come un dispetto, il tempo era sempre più freddo di quanto potesse riscaldare quello straccio. Era quasi sera, il cielo s'imbruniva e Harry teneva con una mano una lanterna per illuminarsi la strada e con l'altra reggeva un sacchetto di plastica contenente una bella manciata di frutti di bosco. Suo padre James quel giorno era costretto a letto ammalato mentre sua moglie Julia gli stava accanto, bagnandogli la fronte con un fazzoletto di stoffa fradicio. Visto che era infermo, Harry dovette uscire da solo quella sera a raccogliere i frutti di bosco che poi sarebbero stati la loro cena. Di solito si nutrivano di carne di coniglio, zuppa di carote e bevevano il vino, ma James Styles non era in grado di reggersi in piedi, ed era lui l'unico nella famiglia capace di cacciare. Harry si era offerto di farlo al posto suo ma non sapeva neanche tenere in mano un arco e Julia aveva giudicato l'impresa troppo rischiosa per un bimbo di undici anni, così il giovane dovette rinunciare. 
Aveva quasi finito il suo lavoro, arrivò fino al limitare del bosco, raccolse alcune fragole da dei cespugli ai suoi piedi e si sedette su un masso per riposare, proprio sulla punta di quella montagna. I piedi, intrappolati in quelle che dovevano essere scarpe, gli duolevano molto, così decise di trattenersi ancora per qualche minuto, non c'era nessuna fretta e il sentiero del ritorno era in discesa e quindi più veloce da percorrere. Per ammazzare il tempo contò i frutti di bosco nel sacchetto, ne aveva raccolti cinquantasette, si era impegnato tanto. 
Papà ne sarà fiero, pensò contento. Harry ancora non aveva capito di che cosa si trattasse la malattia che costringeva suo padre a stare a letto da quasi una settimana. Ogni volta che provava a chiederlo a Julia, lei diventata nervosa e cambiava argomento e se lui insisteva, lei cominciava ad urlare, poi si calmava, lo raggiungeva in camera e mentre gli accarezzava i capelli ricci in disordine gli spiegava brevemente che era troppo piccolo per capire quelle cose e subito dopo gli offriva una tazza di tè. 
Quando finalmente si decise ad alzarsi e rincasare, Harry udì un rumore e poi un gemito. Alzò lo sguardo: proveniva dal mondo di sopra, quello che copriva per metà il cielo di Londra, quello che rinfacciava ogni giorno quanto lassù si stesse bene e quanto laggiù, sulla vecchia Terra, si vivesse male. Era così da quando quel pianeta ignoto era entrato, tutto d'un tratto, nel sistema solare e si era avvicinato pericolosamente alla Terra e aveva cominciato a compiere lo stesso moto della Luna, solo che mostrava sempre la stessa faccia e sempre allo stesso luogo della Terra, nelle zone dell'Europa. Il continente fu colonnizzato dagli umani nel 2501, due anni dopo che il pianeta sconosciuto si era avvicinato alla Terra. Quell'unico continente venne chiamato New Land, quindi terra nuova. La città, il nucleo di quell'organismo di palazzi, grattacieli e piattaforme era Great Core, ossia il grande nucleo. Solo un palazzo, enorme, di duecento piani, collegava i due pianeti, questo palazzo si chiamava Legatos nel quale uomini lavoravano su esperimenti, invenzioni a contatto con gli abitanti dell'altro mondo.
Harry si mise in punta di piedi, vagò con lo sguardo e scorse una bambina dai capelli rossi stesa sulla neve della punta di quell'altra montagna, quella che si avvicinava di più al mondo di sotto.
«Ehi, tutto bene? Ti sei fatta male?» gridò Harry provocando l'eco. Lei si rialzò impacciata, si scrollò la neve dal vestitino rosso e alzò lo sguardo. Aveva gli occhi di un azzurro che il ragazzino non aveva mai visto e risaltavano su quella pelle pallida e addolcita dalle guance rosse. Era vestita bene, due ciuffi erano stati intrecciati e poi uniti dietro il capo da una molletta nera, indossava un vestitino bordeaux e dei collant bianchi. Si guardarono per qualche secondo, poi la ragazzina raccolse il cerchietto bianco che le era caduto e camminò via. 
«Aspetta! Dove vai?» urlò ancora Harry. Lei si girò, la sua espressione era imperscrutabile, forse era impaurita, forse era perplessa, forse confusa per aver battuto la testa per terra.
«Io non posso parlare con te.» esordì guardandosi intorno per accertarsi che nessuno la stesse ascoltando.
«Perché?» chiese Harry, anche se conosceva già la risposta.
«Perché tu sei del mondo di sotto.» rispose lei.
«Come ti chiami?» 
«Sophie.» rispose sospirando.
«Io mi chiamo Harry, piacere.» sorrise smagliante mostrando qualche buco tra i denti a causa del cambio dei denti da latte. 
«Devo andare.» disse frettolosa, inforcando il cerchietto.
«Domani tornerai?» chiese il riccio.
«Non posso.» 
Sophie stava per correre via ma esitò un attimo, sentendosi osservata da quegli occhi smeraldo e che, per qualche ragione, non riusciva a smettere di guardare. Lui sorrise ancora e lei scappò via.
Harry sapeva che il giorno dopo lei sarebbe tornata.

E così cominciò la storia di questi due ragazzini, appartenenti a mondi diversi, che ogni sera s'incontravano sulle punte delle montagne dei rispettivi pianeti. Tra di loro c'erano circa cinque metri di distanza, perciò a volte era difficile parlarsi a bassa voce, in modo da non farsi sentire da nessuno. Harry, dopo aver raccolto i frutti di bosco, si sedeva sempre sullo stesso masso e la aspettava, a volte anche per più di un'ora. Sophie doveva aspettare invece il momento in cui i suoi genitori le dessero la buonanotte e andassero in camera da letto, così lei poteva uscire dalla finestra, scendendo dai rami dell'edera che era cresciuta sul muro della casa. Poi correva e raggiungeva la punta della montagna dove due occhi smeraldo la aspettavano levati verso l'alto. Le sorrideva e le chiedeva com'era andata la sua giornata. Parlavano di tutto e di più, ridevano, scherzavano. Quello era l'unico momento del giorno in cui riuscivano ad essere felici entrambi. Harry frequentava la scuola dell'obbligo, dalle ore nove alle ore quattordici. Amava studiare, amava sapere, ma non riusciva a farsi piacere le giornate scolastiche a causa degli altri. Gli altri non facevano altro che prenderlo in giro perché la sua famiglia era povera. Nei corridoi lo spintonavano, a volte lo chiudevano in bagno, gli rubavano la cartelletta e gli rovesciavano tutti i libri per terra pestandoli con le scarpe. Lo prendevano in giro perché non poteva partecipare alle gite didattiche, i suoi non potevano permetterselo, lo prendevano in giro perché indossava abiti usati. Lui aveva imparato a non reagire: chiudeva la tavoletta del gabinetto e ci si sedeva sopra aspettando che una bidella o una professoressa venisse ad aprirgli, raccoglieva i libri e i quaderni e senza dire una parola li risistemava nella cartelletta. Sophie era l'unica persona che gli rivolgesse la parola. Per lei la situazione familiare era esattamente l'opposto. I Garison erano una delle famiglie più ricche della provincia di Great Core. Vivevano in una casa abnorme con tutti le comodità possibili: riscaldamento, piscina, idromassaggio, terrazza, palestra personale, domestici al loro servizio... tutte cose che la famiglia Styles poteva solo sognare. Sophie non parlava mai a Harry della sua casa, temeva di metterlo a disagio, temeva che sembrasse che si stesse vantando, che gli stesse rinfacciando la sua superiorità. Piuttosto gli raccontava delle sue giornate a scuola, di come avesse tutto il tempo persone false attorno, cui l'unico obbiettivo era entrare in casa sua e servirsi di tutto ciò che poteva offrire. Altri invece la prendevano in giro per i suoi capelli rossi. La caratteristica del mondo di sopra era quella dei capelli biondi e gli occhi chiari, a causa della poca presenza di sole, perciò la maggiorparte della popolazione aveva i capelli biondi e gli occhi azzurri. C'era una specie di razzismo e pregiudizi contro chi aveva i capelli rossi, il più comune era quello che sosteneva che chi avesse i capelli rossi puzzasse. Alcuni neanche osavano avvicinarsi a lei a causa di questo detto. Ma a lei non importava, non desiderava avere accanto gente superficiale. Per questa serie di motivi, Sophie non aveva amici. Harry era l'unico che se ne fregava di tutto.
«Noi non potremmo parlare, lo sai?» ogni tanto gli chiedeva lei.
«E chi lo ha deciso?» rispondeva lui meccanicamente.
«Gli altri.» 
«Gli altri...» echeggiava con una smorfia. 
Nessuno dei due aveva raccontato alla propria famiglia dell'altro. Nessuno sapeva di loro due. Continuarono ad incontrarsi per qualche mese alla Montagna, come la chiamava Harry, o ai Monti Albi, come lo correggeva Sophie, fino a quando non gli venne voglia di raggiungerla. Ne parlarono per qualche giorno, Harry voleva toccare le sue mani, guardare i suoi occhi da vicino, sentire il suo respiro. Lei era meno sicura, aveva paura che questo potesse avere delle conseguenze, che qualcuno li potesse scoprire. Harry un giorno le chiese di aspettarlo per qualche minuto e si mise a vagare per il bosco fino a quando trovò quello che cercava. Un ramo di un pino, caduto al suolo, lungo circa tre metri. Era felice, ma tre metri non bastavano. Trovò un altro ramo lungo poco più di un metro. Pensò a come potesse unirli e alla fine strappò un pezzo della sua felpa e completò il lavoro. Corse fino alla cima della montagna e mostrò i due rami uniti alla ragazza.
«Che cos'è? Cos'hai fatto alla tua felpa?» chiese confusa alzandosi in piedi. Harry alzò il lungo ramo e si mise in punta di piedi.
«Afferralo.» ordinò frettoloso ed emozionato allo stesso tempo. Lei capì un secondo dopo. Voleva che si aggrappasse al ramo in modo da tirarla fino a lui. Era un'idea fantastica, ma aveva una perplessità.
«Ma Harry, abbiamo due gravità diverse, non riuscirò mai a mettere i piedi sul tuo pianeta, ricadrei sul mio!» riferì preoccupata.
«Afferralo e basta.» l'avrebbe solo tirata su, guardata da vicino e poi riportata giù. A lui bastava questo, Sophie non riusciva a capirlo. Tremava e guardava Harry agitata.
«Fidati di me, Sophie.» si guardò attorno e finalmente si aggrappò al ramo. Harry cominciò a portarlo giù, piano piano, lei aveva le vertigini e quando entrò nell'atmosfera dell'altro pianeta, la testa le cominciò a girare, non era abituata a quell'aria, quella sul suo pianeta era artificiale, l'avevano installata gli scienziati per favorire la vita. Mentre Harry l'avvicinava, non smetteva di guardarla negli occhi e fremeva dalla felicità. Arrivarono a un metro di distanza, le loro mani si toccarono e a entrambi mancò il fiato per un secondo. Harry notò che delle piccole lentiggini le punteggiavano le guance rosse, da lontano non le aveva notate.
«Hai le lentiggini.» affermò sorridendo.
«Sì, le odio.» rispose lei distogliendo lo sguardo e sentendosi imbarazzata. Anche le lentiggini erano una di quelle tante cose per cui i suoi compagni la prendevano in giro.
«Io le adoro invece.» stettero a guardarsi per quasi un minuto, senza trovare niente da dirsi fino a quando non sentirono una voce. Sophie la riconobbe, era la voce di suo padre che la chiamava, probabilmente si era accorto che non era nella sua stanza a dormire. Il panico cominciò a crescere nei loro occhi, Harry per lo spavento lasciò andare il ramo e riuscì a prenderlo due secondi dopo.
Ma era troppo tardi. 
Sophie cadde nel vuoto urlando il nome del ragazzo e si schiantò contro il suolo roccioso della montagna del mondo di sopra. 
«Sophie!» gridò Harry mentre il cuore cominciava a scalpitargli. Doveva scappare via, lo sapeva, o lo avrebbero scoperto, ma indugiò per un attimo, guardandola lì, sdraiata sulla neve. Una striscia di sangue scorreva dalla sua testa sopra il bianco della neve. Harry spalancò gli occhi e cominciò a piangere. 
«Sophie... scusami....» sussurrò tra le lacrime prima di correre via.


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Ciao a tutti! Questa è la mia fan fiction: Upside down. 
Come avrete potuto notare, è ispirata al film uscito qualche anno fa al cinema, Upside down. La storia mi aveva colpita molto e di notte, mentre ci ripensavo, mi venne in mente di sostituire i personaggi con i miei idoli, gli One Direction. Ho cambiato -e cambierò- alcune scene, alcuni momenti... insomma, non sarà una fotocopia del copione del film anche perché ho in mente molte cose che potrei aggiungere o togliere.
Ho iniziato a scriverla un po' di tempo fa, avevo intenzione di pubblicarla sulla mia pagina Facebook ma ha fallito, ormai i fan non sono più attivi e quindi ho dovuto rinunciare all'idea. Così ho pensato che avrei potuto provare qui, su efp, anche se sinceramente ho un po' di paura, perché qui siete la maggiorparte lettori esperti... però ho davvero bisogno di un'opinione, anche negativa, però ne ho bisogno. Quindi vi pregherei di lasciarmi una recensione e dirmi che cosa ne pensate della mia storia e dei miei personaggi.
Ciao a tutti! :)

horan_smiles

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

Harry si sedette esausto sullo sgabello girevole davanti al bancone, lo girò e appoggiò i gomiti sul legno appena lucidato. Finalmente avevano chiuso. Quella settimana era stata dura, il bar era stracolmo di clienti; tutta colpa di Valentine e delle sue brillanti idee. Be', in effetti era stata una brillante idea, quella di rivoluzionare il locale. Aveva assunto delle ragazze disposte a servire i clienti in pantaloncini -così corti che sembravano inesistenti- e camice attillate che non facevano altro che risaltare le loro forme. In quel momento si trovavano sedute sui divanetti che Valentine, il capo, aveva posizionato in un angolo. Sosteneva che dessero aria più familiare al posto e le persone si sentissero più a loro agio con attorno oggetti quotidiani. Le ragazze erano tre, una era di colore, nera di capelli, magra e slanciata, se ne stava sdraiata sul divanetto rosso, l'altra più scura di capelli e leggermente più robusta era impegnata a lavarsi via il trucco davanti a uno specchio sporco appeso al muro e l'ultima, bionda e particolarmente bassa se ne stava appoggiata allo schienale del divano, pensierosa. Erano tutte e tre delle bellissime ragazze, e purtroppo sprecavano la loro bellezza utilizzandola per gli altri. Ma avevano bisogno di soldi, tutte e tre. Come d'altronde tutti quanti. Perciò avevano letto il cartello sulla vetrata del bar che Valentine stesso aveva scritto ed erano entrate a far domanda. Aveva scelto l'uniforme e l'aveva fornita loro. Harry si sentiva un po' imbarazzato quando una di loro gli passava di fianco, erano così scoperte e provocanti. All'inizio gli davano quasi fastidio, poi piano piano ci fece l'abitudine e fece amicizia con una di loro, Lauren, quella più robusta delle altre. Sì, aveva qualche chiletto in più, ma due occhioni verdi e delle labbra carnose provocanti. Harry la trovava davvero carina, dopo il turno al bar l'accompagnava sempre a casa, adorava la sua compagnia. Con le altre due invece non legò molto; Caroline, quella bionda, era troppo scontrosa e menefreghista, non si poteva sostenere una conversazione con lei senza ricevere insulti. Era fin troppo sicura di sé, adorava quando i clienti le facevano complimenti, anche pervertiti. Sorrideva sornione e continuava a camminare. La terza, quella di colore, si chiamava Heidi e non parlava con nessuno se non con Eveline e Caroline. Perciò Harry non aveva mai avuto l'occasione di comunicare con lei e non si era creato nessun rapporto. Si salutavano il mattino e la sera quando si chiudeva, nient'altro.
Al bar gli impiegati erano sei: Valentine Host, il capo, un trentenne single e avido, ma con delle bellissime idee. Lui aveva fondato il locale, che infatti portava il suo nome. Aveva i capelli neri, li portava rasati, era sempre vestito casual, ad ogni occasione. Sarebbe stato capace di andare con jeans e maglietta anche al suo matrionio. E poi era bravissimo a dare consigli, Harry, quando stava male, passava ore e ore a sfogarsi e Valentine lo ascoltava paziente, sorseggiando una birra.
Poi c'era Liam Payne, il migliore amico di Harry. Si conobbero gli ultimi anni di scuola, Liam era l'unico che parlava a Harry, fregandosene dei pregiudizi della gente che lo accusavano di essere un barbone, solo perché indossava abiti usati. Liam era alto, leggermente gobbo, atletico, portava, come tutti, i capelli rasati e a volte si lasciava la barba incolta. Si preferiva rasarsi per evitare di beccarsi i pidocchi, negli ultimi anni c'era stato l'allarme, si diffondevano ad una velocità incredibile. Solo Harry li teneva più lunghi, lasciava i riccioli circondargli il volto ovale e magrolino, non aveva abbastanza soldi per pagarsi il parrucchiere, così ci andava una volta ogni tre mesi. Liam era fidanzato con una strega, come la definiva il riccio. Non smetteva di controllarlo, era estremamente gelosa, e aveva una  voce così acuta che per ascoltarla si dovevano stringere gli occhi dal fastidio.
Poi c'erano le tre ragazze: Lauren, Caroline e Heidi, di cui abbiamo già narrato.
  In quel momento Liam stava finendo di pulire i vetri, Harry era appisolato sul bancone, le tre ragazze si rilassavano sui divani e Valentine era ai servizi. Un secondo dopo fece ritorno e mentre scuoteva le mani per asciugarsele guardava i suoi impiegati sorridendo fiero di sé.
«Sono o non sono un genio?» chiese retorico appoggiandosi con un gomito al bancone.
«Ma smettila.» ridacchiò Liam voltandosi a guardare il capo. Valentine si diresse verso le ragazze distese sui divani e le guardò continuando a sorridere.
«Siete state magnifiche.» si complimentò con loro. Poi prese la giacca dall'appendino e se la infilò. «Domani alle sei e mezza qui puntuali.» ammiccò guardandoli uno a uno dirigendosi verso la porta d'ingresso. «Liam, chiudi tu quando hai finito con quei vetri. A domani!»
«A domani.» risposero all'unisono, ed uscì dal bar. Harry sospirò esausto e si alzò di mala voglia dallo sgabello. Si tolse il grembiule, lo piegò e lo sistemò nel cassetto dietro al bancone, vicino a quello di Valentine.
«Lauren, andiamo a casa?» chiese sbadigliando.
«M-mh...» mugulò. Harry arrivò davanti a lei, distesa, che si rigirava strofinandosi gli occhi. Sorrise tra sé e sé.
«Dai, muoviti.» esordì divertito. La aiutò ad alzarsi, salutarono gli altri tre ed uscirono dal locale. Faceva freddo, era imminente un temporale. S'incamminarono per la via centrale, seguendo il marciapiede. Lauren gli camminava di fianco sonnolenta e Harry sorrideva sotto i baffi.
«Sei stata bravissia oggi.» commentò Harry.
«Odio questo lavoro.» scosse la testa.
«Lo so.» cominciò a cadere qualche goccia. «Comincia a piovere.» annunciò inutilmente levando il viso al cielo. Aprì la cerniera della felpa e accolse Lauren sotto il suo braccio, in modo da coprirla. Lei si aggrappò al suo busto ringraziandolo, lo faceva sempre. Harry guardava distratto le sue scarpe fino a quando qualcosa sul marciapiede non attirò la sua attenzione. Era un giornale stropicciato, abandonato sulla strada. Il vento lo faceva svolazzare, e quando finalmente si fermò Harry rimase pietrificato; sulla prima pagina, due occhi azzurri, grandi, su un viso rotondo punteggiato da lentiggini e circondato da lunghi e folti capelli rossi.
«Tutto okay?» chiese Lauren sotto la sua felpa, guardandolo stranita. Harry per un momento fu incapace di parlare, osservava quella figura che cominciava a bagnarsi per la pioggia. Era lei, non c'erano dubbi.
«Harry?» lo richiamò ancora Lauren. Lui scosse il capo riprendendosi.
«Ehm... sì, tutto okay.» rispose poco convinto. La accompagnò fino a casa sua con la mente altrove, la salutò e, appena lei chiuse la porta di casa, Harry cominciò a correre verso la direzione opposta. Tornò al punto di prima, raccolse il giornale fradicio e lo nascose sotto la felpa. Lo avrebbe osservato meglio a casa. Così ricominciò a correre per non bagnarsi ulteriormente e raggiunse la sua abitazione, tra le montagne. Appoggiò il giornale e la felpa sul calorifero, si spogliò e andò in doccia. È lei, si ripeteva, è per forza lei. I suoi occhi erano unici, Harry lo aveva sempre pensato, come le sue lentiggini e i suoi capelli rossi. Ma che ci faceva sulla prima pagina di un giornale? Non era possibile, sicuramente ci aveva visto male, lei era morta, era morta proprio davanti ai suoi occhi. Si lavò con l'acqua fredda, in quel periodo quella calda non era disponibile. Quando uscì, tremante, si coprì con un asciugamano e si lanciò sul divano. I denti gli battevano per il freddo. Lanciò un occhiata al giornale che aveva abbandonato sul calorifero e subito dopo distolse lo sguardo perché non poteva reggere il suo. Cercò di calmarsi, si asciugò, si vestì e tornò in salone. Era arrivato il momento, doveva affrontare quella figura. Si avvicinò al calorifero e rabbrividì per il piacere del calore sulle sue mani congelate. Raccolse quell'ammasso di carte e si sedette sul divano, appoggiandole sulle sue coscie. Abbassò lo sguardo e poi lo rialzò di nuovo. Non ci riusciva, il cuore gli scalpitava nel petto, le mani gli tremavano. Finalmente si costrinse a guardare quell'oceano nei suoi occhi e ad un tratto una miriade di ricordi gli invasero la mente. I frutti di bosco, la malattia di suo padre che aveva portato alla sua morte e al suicidio di sua madre, i pianti durante la notte, la sua voce che tanto lo confortava, la sua timidezza, la sua insicurezza, la sua intelligenza e poi rivide la sua caduta, l'ultima volta in cui l'aveva vista. Era cambiata, la pubertà l'aveva resa più attraente, eppure Harry, nei suoi occhi, rivedeva quella bambina che era stata l'unica sua ragione di vita in quel periodo orribile per la sua famiglia. Lesse tutto l'articolo, era recente, della settimana prima, parlava di un qualche esperimento nel campo della scienza e appena incontrò il suo nome, Sophie Gordon, gli mancò un battito.
«Sophie... allora non sei morta...» sussurrò per poi scoppiare a piangere di gioia. Si strinse il pezzo di carta al petto mentre fiumi di lacrime rigavano il suo viso d'angelo. Doveva ritrovarla. Doveva assolutamente ritrovarla.

«Insomma, tu sei proprio sicuro che sia lei?» chiese stranito Liam.
«È lei, Liam, c'è anche scritto il suo nome» rispose Harry indicando il punto dove veniva citato il nome di Sophie Gordon. «e l'articolo è stato pubblicato una settimana fa, lo sai che qui arrivano sempre in ritardo.»
Liam e Harry erano seduti ad un tavolo in un ristorante insieme ad amici e il riccio non faceva altro che parlare di quel pezzo di carta che testimoniava che Sophie Gordon era ancora in vita. Era da tre giorni che rileggeva l'articolo per convincersi di non star sognando, non poteva crederci, ormai se n'era fatto una ragione, non ci pensava più e all'improvviso trovava quel giornale in mezzo alla strada che gli stravolgeva per l'ennesima volta tutti i piani. Sophie Gordon aveva fatto un'importante scoperta: aveva quasi trovato il modo di fluttuare nell'aria senza sostegni. Pensava che se si mescolavano due elementi, uno proveniente dal mondo di sopra e uno dal mondo di sotto, le due gravità si unissero fino ad annullarsi. Harry l'aveva quasi imparato a memoria.
«Ma perché t'importa tanto?» sbottò Christina, la fidanzata di Liam. Lui le diede una leggera gomitata, Harry la fulminò con lo sguardo.
«Non potresti capire, neanche se te lo spiegassi.» rispose convinto. Ancora non riusciva ad afferrare per quale assurdo motivo Liam stesse ancora con lei, insomma, a Harry già il secondo giorno sarebbero venuti istinti omicidi.
«Dovrei solo trovare il modo per contattarla.» mormorò infilandosi le mani tra i ricci, lo faceva sempre quando rifletteva.
«Be', l'unico modo per raggiungere il mondo di sopra è attraversare i duecento piano del Legatos.» sghignazzò Niall Horan, seduto accando a Harry, mentre s'ingozzava. Il riccio s'illuminò. Ma certo, bastava cercare una maniera per entrare di nascosto nel Legatos ed il gioco era fatto.
«Sei un genio.» constatò Harry guardandolo.
«Ma... io non dicevo sul serio.» contestò Niall confuso. «Harry, l'accesso è consentito solo ai membri del palazzo, quelli che lavorano lì.»
«Dovrei cercare di farmi assumere lì dentro... ma come?»
«Basta che tu abbia buone idee.» rispose Liam alzando le spalle. «Ed esperienza.»
«Ma l'unico lavoro che abbia mai fatto è stato da Valentine's...» si grattò la nuca. «Non ne ho proprio, di esperienza.»
«Provaci lo stesso, mal che vada troverai un altro modo.» Harry annuì d'accordo. Abbassò lo sguardo verso la pagina di giornale e fissò quei meravigliosi occhi.
Ce la farò, pensava, ti troverò, Sophie.

Dopo cena uscirono e si sdraiarono sull'erba fresca a guardare la meraviglia delle stelle ad oriente. Ma Harry non guardava ad oriente, Harry guardava ad occidente, Harry guardava il mondo di sopra e sognava di incontrare Sophie. Osservava le luci dei grattacieli e si chiedeva se poteva essere dentro ad una di quelle stanze guardando il cielo. Magari i loro sguardi si trovavano sulla stesa linea e incosciamente si stavano fissando.
«Sei proprio innamorato.» commentò Liam rotolando verso Harry; si era preso una pausa dai baci di Christina.
«Cosa te lo fa pensare?» chiese lui senza distogliere lo sguardo dall'altro mondo.
«Tutto quello che fai.» rispose sorridendo. Una mano scheletrica apparve e si aggrappò al maglioncino di Liam, Christina era impaziente. «La incontrerai, Harry.» disse prima di seguire la fidanzata. Forse era vero, forse Harry era davvero innamorato di qualcuno che non vedeva da quasi dieci anni. Poteva essere possibile?
A quanto pare sì.

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Ciaaao!
Questo è il primo e vero capitolo di Upside Down. L'ho postato anche se il primo non ha avuto molto successo, ma una recensione mi basta. :)
Allora, succedono molte cose in questo capitolo, la storia ha davvero inizio.
Be', fatemi sapere che ne pensate del personaggio di Harry, Liam e in fine della notizia scioccante. Sophie non è morta, a quanto pare.
Buona giornata a tutti!

horan_smiles

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