Drizzle and Hurricane.

di Alaska__
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** OO ~ « Ciao, Quattro » ***
Capitolo 2: *** O1 ~ « Fai lo sbruffone. Dovrebbe riuscirti bene » ***



Capitolo 1
*** OO ~ « Ciao, Quattro » ***


Premessa: questa long è una what if? della mia storia Hurricane of fire. Il protagonista - Dave - è il migliore amico di Serena, tributo femmina del Distretto 4 durante gli "originali" settantatreesimi Hunger Games, narrati in HOF. Nella fanfiction originale, lui veniva estratto per partecipare ai Giochi insieme a Serena, ma viene sostituito da un volontario. 
Molti dei fatti presenti in questa storia rimandano ad Hurricane of fire, ma può tranquillamente essere letta senza conoscere la prima.
Buona lettura. ~

 



 

PROLOGO
 

 « Ciao, Quattro »

 

Si fece strada tra gli alberi e gli arbusti, spostando qualcuno di questi ultimi con il suo tridente. Camminava guardingo, con la sua arma stretta in una mano e la rete da pesca nell'altra. Il tridente – per quanto avesse tentato di pulirlo – era ancora sporco di sangue, l'ennesimo che era stato versato a causa sua.
“Non sono un assassino”, si ripeté ancora. Era il pensiero che più gli tornava alla mente, in quei giorni. In lui combattevano due forze contrastanti, una benigna e una maligna. Quella benigna gli suggeriva che non era colpa sua – in fondo, aveva ucciso solo per legittima difesa. Quella maligna, nera e infida parte che si annidava nel suo animo, però, lo accusava, non gli dava pace giorno e notte, mentre i volti dei tributi caduti lo cercavano nel sonno, tra un incubo e l'altro.
Ventidue tributi erano già morti. Altri due stavano combattendo per sopravvivere. Lui stava combattendo per sopravvivere.
Dave Likin non era un assassino, ma avrebbe ucciso ancora per vincere e per tornare a casa. Aveva tante ragioni per farlo: dimostrare a tutti che Capitol City non poteva ingannarlo, la sua famiglia, il Distretto 4 e il suo mare, Serena. Glielo aveva promesso. Le aveva giurato, prima di partire, che avrebbe vinto per lei. Così come lo aveva detto ad Anya prima che morisse tra le sue braccia.
Il pensiero della ragazza del Distretto 7 lo costrinse a chiudere gli occhi e a prendere un bel respiro. L'immagine di lei a terra, con la testa immersa in una pozza di sangue, era ancora vivida nella sua mente.
Ricordava bene come i suoi capelli bianchi erano diventati rossi – rossi come i suoi. Avevano qualcosa in comune, finalmente. Lui e Anya erano agli antipodi, l'una bianca, l'altro rosso; lei tormentata da una triste storia alle spalle, lui con un'infanzia relativamente serena. Fino ai suoi undici anni, almeno.
“Ma in fondo”, pensò, ricominciando a camminare, “tutti noi tributi abbiamo qualcosa in comune: siamo stati trattati come delle marionette, guidati da fili invisibili e da mani malvagie, che ci hanno impedito di vivere liberamente la nostra adolescenza. Ci hanno tolto l'infanzia, la felicità. Ci hanno tolto tutto. Ma prima o poi ce lo riprenderemo”.
Giunse in una radura. Ormai era l'unico posto asciutto, lì. Era tutto sommerso dalle acque. L'ultimo atto di furbizia degli Strateghi, per far sì che i due ultimi rimasti si incontrassero per combattere.
Dal folto degli alberi emerse una figura. Capelli biondi, molto alto, ghigno sadico in volto: il ragazzo del Distretto 1.
«Ciao, Quattro», lo salutò sprezzante, prima di attaccarlo. 

 



"Tell me, would you kill to save your life?
Tell me, would you kill to prove you're right?
Crash crash... burn, let it all burn,
this hurricane is chasing us all underground".

-Thirty seconds to Mars, "Hurricane"


 


Paola's corner

Lo so che pubblico e scrivo troppo.
Lo so.
Però questa idea mi frullava nella mente già da un bel po' e ci tenevo a scriverla. Se puoi sognarlo, puoi farlo. [ -cit ]
Quindi io ho deciso di mettermi al computer e scrivere, scrivere di Dave nell'Arena.
Perdonate il mio sadismo. 
Non so quanto sarà lunga, come sempre parto con un'idea e scrivo di getto. Era nata come una one-shot ed è diventata una long o mini-long. 
Perdonate le note stringate, ma devo fuggire!
Hope you like it!
Paola. 

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Capitolo 2
*** O1 ~ « Fai lo sbruffone. Dovrebbe riuscirti bene » ***






CAPITOLO I

« Fai lo sbruffone. Dovrebbe riuscirti bene »


Si sforzò di apparire rilassato e noncurante, stampandosi un finto sorriso in volto, ma tutti i suoi tentativi furono vani e Dave si ritrovò ad avere il broncio di pochi minuti prima. Non che gli altri tributi avessero un’espressione migliore: la maggior parte sembrava sentire il bisogno di scappare via da lì. I maschi dei primi due Distretti parlottavano tra di loro, affiancati dai loro mentori. Svars, il tributo del Distretto 1, ridacchiava, indicando, di tanto in tanto, i suoi avversari. L’aria di scherno espressa dalle sue azioni si poteva notare anche a chilometri di distanza. Girandosi, lo vide. Fece cenno a Dave di raggiungerlo, ma il ragazzo rifiutò gentilmente con un cenno della mano. Avrebbe già dovuto sopportarlo abbastanza nell’Arena, vista la loro alleanza. Cercò una scusa per non andare là con lui e con Edgar, il ragazzo del Distretto 2, il quale non faceva altro che trapassare con lo sguardo Dave e suo fratello Connor, da quando si erano incontrati per la prima volta. 
Il tributo del Distretto 4 si affiancò al fratello maggiore, vincitore dei sessantottesimi Hunger Games, che stava chiacchierando con Keith, mentore del Distretto 7 e vincitore della sessantanovesima edizione. 
«Eccolo qui» lo presentò Connor – o Conn, come preferiva farsi chiamare. «Il mio fratellino di cui ti ho tanto parlato» aggiunse, abbassando il tono di voce e guardando intensamente Dave negli occhi. Erano uguali ai suoi, uno strano misto tra verde e azzurro. Erano giorni che lo guardava in quel modo. Dave sapeva del disagio di suo fratello, conosceva alla perfezione ogni suo sentimento, senza bisogno che lui gliene parlasse.
«Ciao» lo salutò il mentore del Distretto 7, tendendogli la mano. «Io sono Keith» si presentò, con un sorriso in volto. Dave strinse la sua mano, ricambiando il sorriso – nonostante il suo paresse decisamente falso, confrontato con quello del Vincitore. 
«Dave» disse semplicemente, prima di ficcarsi le mani nelle tasche dei suoi stretti jeans neri. Suo fratello e Keith ripresero a parlare, così come il tributo riprese ad osservare i suoi avversari. Al gruppetto formato dai due maschi dei primi due Distretti si erano unite le tre donne dell’alleanza: Diamond – da tutti chiamata Diam – la bellissima ragazza bionda del Distretto 1 dagli occhi di ghiaccio; Lauren, il tributo del Distretto 2, una ragazza scaltra e ambiziosa, ma anche molto silenziosa, in confronto ai suoi alleati; infine c’era Adva, la compagna di squadra di Dave, una giovane sprezzante, che per giorni non aveva fatto altro che osservarlo come fosse stato uno scarafaggio. 
Il rosso distolse lo sguardo dai suoi alleati, sentendosi molto a disagio in mezzo a tutti gli altri tributi. Poco distante da lui c’era Beth, la sua stilista. La sua lunga chioma viola permetteva di riconoscerla a chilometri di distanza – un po’ come con tutti gli abitanti di Capitol City. La ragazza guardava verso di lui e Dave fece per salutarla, ma guardando meglio si accorse che i suoi occhi azzurri erano rivolti verso qualcun altro. Questi era suo fratello, che continuava a parlare con Keith, incurante degli sguardi che la stilista gli lanciava. 
Dave sbuffò, passandosi una mano tra i capelli. Avrebbe voluto lanciare anche lui quegli sguardi a qualche ragazza, ma la sua amica del cuore era rimasta a casa, al Distretto 4, mentre lui era a Capitol City. 
Serena non era la sua ragazza. Erano amici – molto amici – ma non di più, anche se Dave si era reso conto dell’aumentare del suo sentimento, in quei pochi giorni passati nella Capitale. Le mancava, ogni ora del giorno e della notte. La rivedeva nelle pareti blu del suo appartamento al quarto piano, negli occhi verdi Finnick e nei tridenti di cui i tributi potevano usufruire al Centro di Addestramento. 
Scosse la testa. Era meglio non pensare a Serena, in quel momento. Doveva concentrarsi sull’imminente intervista e trovare un modo per farsi piacere al pubblico di Capitol City. Quel pomeriggio aveva provato a rispondere a centinaia di domande – aiutato da suo fratello e da Finnick – ma si era rivelato un insuccesso. Ogni volta che rispondeva, saltava fuori sempre qualcosa che non andava e Dave appariva talora troppo sarcastico, talora troppo musone. Tuttavia, un talento ce l’aveva: dire bugie. Aveva mentito per anni, indossando una maschera per non rivelare a tutti i suoi veri sentimenti. Poteva considerarsi un esperto, in quel campo.
In realtà, Dave si comportava così perché voleva sbattere la verità in faccia a tutti. Voleva raccontare il perché lui era approdato nella capitale. Voleva chiedere spiegazioni a Snow sul perché avesse truccato la Mietitura del Distretto 4. 
«I tributi sul palco tra cinque minuti!» annunciò un uomo completamente vestito di nero. La mano del tributo del quarto Distretto corse istintivamente verso il suo collo, per sistemarsi la camicia a motivi marini che ricordavano le onde e il loro infrangersi sugli scogli. Era allacciata sino all’ultimo bottone, ed ebbe l’impressione che lo stesse strozzando. La slacciò un poco, controllando che Beth e il suo staff di preparatori non lo stessero guardando.
Poco più avanti di lui, il biondo mentore del Distretto 9 stava parlando con il suo tributo – una ragazzina di appena dodici anni. Aveva i capelli dello stesso colore del grano e un viso che pareva fatto di porcellana. Una bambina graziosa, senza dubbio. Dave si chiese come una tale bellezza potesse essere mandata in un posto brutto come l’Arena degli Hunger Games. Come si poteva sacrificare una ragazzina dal volto tanto dolce e innocente? 
Distolse lo sguardo, vedendo che i penetranti occhi azzurri del mentore si erano posati su di lui. Sapeva che quel ragazzo era un conoscente di suo fratello, ma gli metteva soggezione, in un qualche strano modo che nemmeno lui riusciva a spiegarsi. Forse perché i suoi occhi erano di un azzurro tanto intenso e contenevano tanta tristezza; forse perché aveva visto, durante i suoi Hunger Games, che razza di caratteraccio avesse.
Sentì qualcuno mettergli una mano sulla spalla e voltò il capo ad osservare di chi si trattava. I suoi occhi incontrarono subito quelli verdemare di Finnick – il suo secondo mentore, come lo definiva spesso. 
«Meglio se ti metti in fila» consigliò con un sorriso, facendo sistemare Dave dietro Adva. La ragazza gli rivolse un’occhiataccia, non appena lo vide. 
«Carino, Likin» fu il suo scarno commento, accompagnato da un’alzata di sopracciglio. 
«Carina, Mathiason» ribatté Dave, con la stessa nota di sarcasmo nella voce. Non gli piaceva Adva, ma in fondo doveva ammettere che le era debitore. Grazie a lei, Serena non era andata agli Hunger Games. Se solo non si fosse offerta volontaria, lui sarebbe lì assieme a lei e uno di loro sarebbe morto di certo.
«Mi raccomando, Dave. Vedi di non fare commenti troppo acidi o sarcastici» si raccomandò Finnick, dandogli uno scappellotto. Il rosso portò una mano all’altezza della nuca, massaggiandosi delicatamente laddove il suo mentore lo aveva colpito. Finnick aveva mani grandi e callose, che facevano male. Erano mani con cui aveva anche ucciso e  Dave sapeva – senza ombra di dubbio – che anche le sue mani sarebbero divenute così, a partire dal giorno dopo. 
Un brivido lo scosse da capo a piedi, ma si sforzò di restare impassibile. 
Suo fratello si avvicinò a lui, con un’espressione indecifrabile in volto. Gli mise una mano sulla spalla, con fare protettivo.
«Agitato?»
«Tu cosa ne pensi?» Le labbra di Conn si stirarono in un sorriso e la presa sulla spalla del fratellino si fece più salda.
«Ce la farai» ribatté semplicemente, mentre un uomo – lo stesso di prima – si faceva largo per annunciare l’imminente inizio del programma. Richiamati da questa potente voce, i tributi iniziarono a dirigersi verso lo studio, uno dietro l’altro. Dave lanciò un ultimo, disperato sguardo a suo fratello e a Finnick, prima di essere accecato da un turbinio di luci e colori. Socchiuse gli occhi, cercando di vedere dove metteva i piedi.
«I tributi della settantatreesima edizione degli Hunger Games!» esultò Caesar Flickerman, indicandoli con un plateale gesto della mano. Il pubblico proruppe in un boato maestoso, che avrebbe potuto far cadere il tetto dello studio, se quello non fosse stato costruito con materiali resistenti. 
Dave sedette sull’elegante sedia destinatagli, stampandosi un sorriso in volto. Le sue mani stavano sudando come non mai, ma si trattenne dall’asciugarle sui pantaloni nuovi di zecca – Beth si era impegnata per crearli e lui non voleva rovinare il bel lavoro della sua adorabile stilista. 
Si appoggiò contro lo schienale della sedia, cercando di mostrarsi a proprio agio. Sembravano messi molto meglio gli altri del gruppo dei Favoriti, che lanciavano baci e saluti al pubblico con aria adulante. 
«E ora, dal Distretto 1, la magnifica Diamond Pevensie!» annunciò Flickerman. Diam si alzò dalla sedia, con il vestito che brillava sotto le potenti luci dello studio. Il tributo del Distretto 4 si sforzò di ascoltare l’intervista della sua alleata, ma continuava a distrarsi. Diam sembrava perfettamente a proprio agio, nel rispondere alle domande del presentatore. Sexy, enigmatica, ma decisa: il pubblico amava le ragazze così – a testimonianza di questo c’era l’enorme applauso che il pubblico riservò alla ragazza.
Anche Dave dovette ammettere che Diam – con quel vestitino piuttosto succinto e l’aria spigliata – era decisamente sensuale. Ma la perfetta immagine che era il corpo della ragazza fu sostituita da quello di Serena, con i suoi capelli sempre spettinati, il sorriso furbetto e le lentiggini che le ricoprivano il naso. Serena che cambiava umore ogni due ore, ma che sapeva farlo star bene. Serena che non era una bellezza convenzionale, ma che a lui piaceva da morire. 
L’intervista di Diam si concluse con un enorme applauso e un baciamano riservatole da Caesar Flickerman – il quale non indugiò ulteriormente per annunciare Svars Martin, tributo del Distretto 1. 
A questo punto, la mente di Dave vagava già per altri lidi. Le interviste dei tributi dei primi Distretti furono pressoché uguali. I quattro non fecero altro, se non adulare i capitolini e renderli edotti di quanto si fossero allenati in passato. Ci fu solamente un attimo di commozione, quando Edgar ricordò il fratello, deceduto durante i sessantottesimi Hunger Games. Anche se impercettibilmente, i suoi occhi scuri dardeggiarono in direzione di Conn, seduto in prima fila, accanto a Finnick e Beth. Dave – per quanto odiasse certi comportamenti – non poteva fare a meno di provare compassione. Provò a mettersi nei panni di Edgar e immaginare se fosse stato suo fratello a morire, quell’anno. Di sicuro, anche lui avrebbe voluto vendetta. Si appuntò mentalmente che avrebbe dovuto tenerlo d’occhio. 
La situazione diventò davvero troppo commovente quando furono annunciati Meraud e Eitan – i tributi del Distretto 3, fidanzati ormai da tempo immemore. I due si presentarono dinnanzi a Caesar Flickerman mano nella mano.
«Dev’esserci un errore» mormorò il presentatore, lanciando degli sguardi oltre le quinte, per richiamare l’attenzione degli assistenti di regia. «Mi pare di aver chiamato solo te, Meraud» aggiunse, osservando la ragazzina con un sorriso dolce. La bionda quindicenne si affrettò a scuotere la testa, stringendo ancora più vigorosamente la mano del suo ragazzo.
«No. Vogliamo condurre insieme quest’intervista. Wiress e Beetee sono d’accordo con noi». Accennò con il capo ai suoi mentori – i quali erano seduti non molto distanti da quelli del Distretto 4. 
Flickerman appariva rassegnato, mentre si sedeva sulla poltrona. Eitan lo imitò, prendendo la sua ragazza sulle gambe. Meraud gli gettò le braccia al collo, appoggiandosi al suo petto. 
«Dunque», Caesar si schiarì la voce, osservando attentamente i due fidanzatini, «da quanto siete fidanzati?»
«Tantissimo tempo» rispose Eitan, con una risata. «Eravamo appena bambini, siamo cresciuti vicini e con la nostra età è cresciuto anche il nostro amore». Rivolse uno sguardo carico di dolcezza alla sua ragazza, che non esitò a posare dolcemente le labbra sulle sue. Il pubblico esplose in un sospiro e il presentatore si asciugò le lacrime. Dave, dal canto suo, rimase impassibile. L’unica cosa che poteva fare era immaginare lui e Serena che si baciavano – cosa che non erano riusciti a fare, prima che venissero estratti.
«È commovente, vedere due giovani come voi che si amano in questo modo» commentò Flickerman, con la voce rotta dal pianto. «È per questo, quindi, che ti sei offerto volontario, Eitan? Per starle accanto?»
«Esatto. Non posso permettere che lei muoia. Deve tornare a casa», fece una pausa, solo per sorridere a Meraud. «E ho tutta l’intenzione di lottare con le unghie e con i denti per far sì che ciò accada» aggiunse, e questa volta c’era una nota di freddezza nella sua voce. Il pubblico esplose in un applauso che per poco impedì di far sentire il segnale acustico che segnava la fine dell’intervista. 
I due fidanzati si congedarono da Flickerman piuttosto in fretta, stringendogli la mano. Tornarono al posto, stretti l’una all’altro, mentre veniva annunciata Adva Mathiason, dal Distretto 4.
Anche questa volta, Dave non stette concentrato ad ascoltare l’intervista. Era troppo preso dal pensiero che dopo sarebbe stato il suo turno. 
Temeva di risultare troppo sarcastico. L’unica cosa che poteva fare era dire una bugia dietro l’altra. A detta di Beth, poi, lui era un bel ragazzo, quindi non avrebbe avuto problemi a conquistare i capitolini. 
L’intervista di Adva proseguì tranquillamente. Non disse nulla di che, ma riuscì comunque a conquistare il pubblico con un paio di battute ben piazzate e un po’ del suo fascino – anche se a Dave costava ammetterlo, la sua compagna di Distretto aveva un che di misterioso che la rendeva molto affascinante. 
Dopo tre minuti esatti, il segnale acustico risuonò in tutto lo studio e Caesar – preso com’era a chiacchierare con la giovane del Quattro – quasi non se ne accorse. 
«Il tuo tempo è scaduto, Adva Mathiason» annunciò. «È stato un piacere, chiacchierare con te». Si abbassò fino a posare le sue labbra sulla mano abbronzata della ragazza – la quale, dopo un rapido sorriso di falsa piacevolezza, salutò il pubblico e si incamminò verso la sua sedia. 
Dave chiuse gli occhi un istante. Le mani gli sudavano in maniera quasi inverosimile – provò l’impulso di scappare in bagno per andare a lavarsele, ma la tonante voce di Flickerman gli impedì di fare il minimo movimento.
«E ora, sempre dal Distretto 4, Dave Likin!» 
I capitolini applaudirono, cercando – in maniera vana – di incoraggiarlo. Dave sorrise sarcastico: non lo voleva il loro incoraggiamento. Gli bastava vedere suo fratello, Finnick e Beth lì, in prima fila. 
«Benvenuto, Dave» lo accolse Caesar con il suo consueto sorriso. Il tributo si sforzò di apparire contento, pur di non ammettere quanto fosse spaventoso l’aspetto del presentatore quell’anno. Flickerman aveva optato per un trucco cremisi e pareva che sanguinasse. Gli venne in mente una scena vista qualche anno prima agli Hunger Games, nella quale ad un tributo erano stati cavati gli occhi. 
«Grazie, Caesar» rispose, stringendo la mano che l’uomo gli aveva teso. Si sedette sulla poltrona – non prima di lanciare uno sguardo a suo fratello. I loro occhi – identici in tutto e per tutto, anche in quella piccola sfumatura azzurra intorno alla pupilla – si incontrarono e parvero scontrarsi gli uni con gli altri. Erano agitati, entrambi.
Dave affondò le unghie nella pelle che rivestiva la morbida poltroncina, cercando, invano, di apparire più sicuro di sé. «Fai lo sbruffone. Quello ti dovrebbe riuscire molto bene» gli aveva consigliato Connor, il giorno prima, scompigliandogli i capelli – un gesto anche fin troppo familiare ai due; un gesto che rimandava alle loro giornate passate a casa. 
Sentiva i capelli appiccicaticci e sapeva che non era solo per tutto il gel con il quale i suoi preparatori glieli avevano acconciati. Un rivoletto di sudore scese lungo il suo collo, infilandosi, gelido, nella camicia e scendendo lungo la schiena. 
«Allora, Dave», Caesar accavallò le gambe, poggiando il mento su una mano e osservando intensamente il tributo, «è sempre bello e al contempo doloroso, vedere un tributo parente di un Vincitore, specialmente se non è un volontario». 
A Dave vennero in mente un centinaio di insulti, ma si trattenne, stampandosi un largo sorriso in volto. 
«Non me l’aspettavo» ammise. Bugia: se lo aspettava eccome. Da anni viveva con il terrore di essere estratto, dopo la vittoria di Conn. In qualche modo, i parenti dei Vincitori venivano sempre scelti come tributi – e Dave aveva avuto la prova che la sua Mietitura fosse stata manovrata.
«Immagino il colpo. Ma noi siamo felici di avere qui una persona come te, non è vero?» Caesar si voltò verso il pubblico, il quale rispose con un’enorme ovazione. Dave lasciò che i capitolini smettessero di urlare e applaudire, prima di tornare a parlare con Flickerman.
«Sono contento di essere così amato» commentò. Poi, indossò la solita maschera, quella del Dave Likin conosciuto da tutti – tranne da Serena. «Suppongo che dovrò fare una gara con mio fratello per vedere chi sarà più amato». Si voltò verso Conn e gli fece l’occhiolino. Il maggiore dei fratelli Likin rise e portò una mano dinnanzi al volto, in un gesto sconsolato. Finnick, nel frattempo, aveva preso ad indicare il suo amico con aria scherzosa.
Caesar esplose in una tonante risata. «Ti vedo deciso, Dave!» La sua mano si allungò e diede una poderosa pacca sulla spalla del giovane. 
«Ehi, guarda che tutti dicono che sono io il più carino tra i due!» 
Questo fu il massimo per Caesar, che portò le mani allo stomaco e si piegò in due, quasi Dave avesse detto qualcosa di particolarmente arguto.
«È insolente, il tuo fratellino» esclamò, rivolto a Conn. «Ma Dave», si voltò verso il sedicenne, «torniamo a te». 
Il giovane si sistemò sulla poltroncina, appoggiandosi al bracciolo. 
«Il tempo, purtroppo, è poco, ma noi vogliamo sapere qualcosa in più su di te. Per esempio, quel braccialetto», Caesar indicò il semplice spago con attaccate delle conchiglie che Dave portava sempre al polso, «te l’ha regalato la tua fidanzata?»
Il ragazzo ridacchiò, passandosi una mano tra i capelli. «Se l’avessi, potrebbe avermelo regalato, Caesar».
«Oh, sono sicuro che molte delle ragazze qui presenti vogliano essere tue fidanzate!» lo interruppe il presentatore, voltandosi in direzione dei capitolini. 
«È un regalo di mia nonna, questo» si affrettò a spiegare il giovane, carezzando il braccialetto. «Aveva un significato particolare, per lei. Prima lo diede a Conn e lui lo ha regalato a me prima degli Hunger Games, cinque anni fa. E, per quanto io abbia voluto bene a mia nonna, era un po’ anziana per essere la mia fidanzata».
Caesar rise per l’ennesima volta, appoggiandosi allo schienale della poltrona. «Non c’è neanche una ragazza che ti piace? Nemmeno una mezza fidanzata?»
Dave sentì il sangue gelarsi nelle vene. Serena. Non poteva parlare di lei, non a loro. Ma forse – si disse – poteva accennare a lei senza per forza nominarla. Lei avrebbe capito. Lei era l’unica che lo capisse veramente.
«Beh, ci sarebbe una persona» azzardò, abbassando la voce. «Ma non le ho mai detto nulla perché mi sono reso conto solo ora di quanto le voglia bene. E… me ne dispiaccio». Negli occhi di Caesar si poteva leggere tutta la sua compassione. Dave, invece, sentiva la nostalgia prendere possesso di ogni singola cellula del suo corpo. 
«Vorresti, magari, lasciarle un messaggio, qui in diretta?» propose Flickerman. 
«Sì. Ti voglio bene e farò tutto per tornare da te, Pirata». L’aveva chiamata con il suo soprannome, con il modo in cui solo lui la chiamava. Avrebbe capito. E lui sarebbe tornato da lei – non gli importava quanti avversari dovesse sconfiggere.
Il segnale acustico suonò e Caesar – con enorme sollievo del ragazzo – lo congedò. Il giovane tornò alla sua poltroncina ancora frastornato e non ascoltò nemmeno mezza parola di quelle dette dai tributi del Distretto 6. Dopo di loro, si era abbastanza ripreso da assistere a quella della giovane del Sette – una ragazza che, sin dai primi giorni, lo aveva colpito per i suoi capelli bianchi come la neve. Ricordava che si chiamasse Anya. L’aveva aiutata con un nodo complicato durante l’addestramento e avevano avuto occasione di chiacchierare per qualche minuto. 
Questa volta, Dave si sforzò di ascoltare. Anya era forse una delle poche a stargli veramente simpatica tra le ragazze presenti e pregò di non doverla uccidere, nell’Arena. 
«Quindi, Anya, com’è il Distretto 7, rispetto a Capitol City?» la interpellò Caesar. La ragazza scostò uno dei ciuffi sfuggiteli dalla lunga treccia. 
«Molto diverso. Più… tranquillo» rispose, indugiando sulle ultime parole. Dave stirò le labbra in un mezzo sorriso. Forse, l’aggettivo più adatto era orribile. C’era di tutto, nella capitale, ma non era paragonabile al Distretto 4 con il suo mare, il sole, la spiaggia e il caldo. 
«È un posto che mi ha sempre affascinato. Tu come ci vivi? Insomma, cosa fai? Mi sembri molto delicata per saper maneggiare un’ascia» commentò il presentatore. Anya sorrise, ma i suoi occhi dardeggiarono in direzione di Johanna Mason – la sua mentore, seduta accanto a Finnick – e quest’ultima fece spallucce, stringendo le labbra con aria preoccupata. 
«Vado a scuola. Di tanto in tanto, faccio dei lavoretti nei boschi, ma molto raramente. Io… avrei un altro lavoro». C’era insicurezza, nella voce della ragazza. Dave, quasi impercettibilmente, portò il busto in avanti, incuriosito da tanto mistero.
«Vuoi parlarcene?» La voce di Caesar era gentile, ma Anya sembrava spaventata.
«Mi prostituivo» rispose in un soffio. Un sospiro si levò dai capitolini. Dave tornò ad appoggiarsi allo schienale, stordito da questa confessione. Non avrebbe mai pensato che Anya – con i suoi modi di fare che gli erano parsi tanto innocenti – potesse fare una  cosa del genere. Era per questo, forse, che aveva notato così tanta tristezza nei suoi grandi occhi azzurri, quando avevano parlato? Il tributo del Quattro era sicuro che non stesse mentendo. Lo si avvertiva nella sua voce.
«La situazione a casa mia è difficile» si affrettò ad aggiungere Anya, torturando la parte finale della sua treccia. «I miei genitori morirono quando io avevo appena sette anni e mia nonna prese in custodia me e mio fratello. Purtroppo, è malata. Ha qualcosa alle ossa che le impedisce di muoversi e io devo lavorare per racimolare dei soldi».
La bocca di Caesar si era aperta a formare una grande O, che si trasformò ben presto in un sorriso. «Hai un fratello? Più o grande o più piccolo?» si informò, tralasciando completamente la parte della prostituzione – con ogni probabilità per agevolare l’intervista di Anya. Dave dovette ammettere che Caesar era bravo, in quel senso.
«Più piccolo» rispose Anya, e questa volta appariva meno triste. «Si chiama Yakov, ma tutti lo chiamano Yasha. Lui non sopporta molto il suo vero nome». Al tributo del Quattro venne istintivo pensare a suo fratello e a quanto detestasse il nome Connor. I suoi occhi verdi corsero a cercare il vincitore dei sessantottesimi Hunger Games e notò che le sue labbra erano incurvate in su. 
«Yasha. È un nome particolare, come il tuo» commentò Flickerman. 
«È russo. La mia famiglia proviene da un posto chiamato Russia. A casa, parliamo la lingua di quel luogo, a volte».
Caesar lanciò uno sguardo al suo orologio da polso, prima di rivolgere la sua attenzione alla ragazza. «Vorresti dirci qualcosa in questa lingua? Magari, rivolta al tuo fratellino?»
La giovane annuì, prima di schiarirsi la voce. «Ja tebja ljublju» pronunciò. 
«Cosa vuol dire?»
«Significa ti voglio bene».
Il segnale acustico risuonò proprio in quel momento e Anya si affrettò a tornare al posto. Dave rimase a osservarla, incantato dalla sua grazia, mentre Caesar annunciava il ragazzo del Sette. Gli sarebbe piaciuto avere un’alleata come Anya – era mille volte meglio di Adva, Lauren o Diam – ma ormai la frittata era fatta e lui era costretto a stare con gli altri Favoriti. 
Le altre interviste scorsero via in un tempo che parve infinito. I tributi dei Distretti bassi – giudicò Dave – erano molto più interessanti di quelli Favoriti, ma lui badò poco alle loro interviste. Sentiva la stanchezza che gli si riversava addosso – mista all’agitazione, poi, non gli faceva certo un bell’effetto. 
Riuscì a captare solo qualche stralcio delle altre interviste. Il ragazzo dell’Otto rivelò di avere dei problemi in famiglia e di non aver mai conosciuto i suoi genitori. Ciò non fece che alimentare le emozioni dei capitolini, i quali amavano le storie tragiche. La piccolina del Distretto 9 era adorabile, con il suo vestitino giallo e gli occhioni azzurri. Tutto in lei emanava dolcezza e tranquilla, così che anche Dave ne fu colpito. Non ce l’avrebbe mai fatta nell’Arena, però. I dodicenni non vincevano mai – tanto meno quelli così piccoli come lei, che addirittura, di anni ne dimostrava dieci. La tredicenne del Distretto 10, invece, appariva molto più determinata, ma altrettanto dolce. Quelli del Dodici stavano per andare in crisi e dissero poco o niente. 
Lo show si concluse in fretta, con scrosci di applausi. Dave si affrettò a raggiungere suo fratello, Finnick e Beth – i quali si complimentarono per la buona riuscita della sua intervista. Conn gli diede un pugno scherzoso sul braccio.
«Cos’è questa storia che io sono più carino di te?» Lo afferrò per il collo con un braccio, facendo finta di strozzarlo. Dave rise, liberandosi della presa del maggiore. 
«È la verità» disse, facendogli la linguaccia. Era uno degli ultimi momenti di gioco che aveva con suo fratello: tanto valeva goderselo. 


 


 


Non riusciva a dormire. 
Tutta la stanchezza che lo aveva piegato durante l’intervista sembrava svanita e Dave si ritrovava con gli occhi sbarrati, sdraiato sul suo comodo letto. Ma anche la comodità di quest’ultimo pareva l’ennesima beffa di Capitol City. Lo avevano coccolato un’intera settimana per mandarlo al macello, per costringerlo ad un’altra settimana – forse anche di più – di privazioni.
Sbuffando, calciò via il lenzuolo e si alzò. Afferrò una maglietta – gettata a terra poco prima, quando si era spogliato prima di andare a letto – e aprì la porta della sua stanza. L’appartamento era quasi del tutto buio, rischiarato solo dalle luci provenienti dalla città. Nell’uscire, Dave intercettò lo sguardo del signor Lysoon, che stava sistemando le ultime cose. Il padre di Serena gli sorrise, senza dire niente – non avrebbe mai potuto, considerato che gli avevano asportato la lingua. 
Quando aveva scoperto la misera sorte riservata a Marcel, Dave si era sentito tanto pieno di rabbia che suo fratello aveva dovuto trascinarlo nella sua stanza e istruirlo sul comportamento che avrebbe dovuto tenere. Era arrabbiato quanto lui, ma ne andava della vita di Marcel – e forse anche di Serena – se non si fossero comportati in modo adeguato. 

Singhiozzava, Serena, e si era praticamente artigliata alla sua maglietta. Aveva il volto rigato dalle lacrime, che non accennavano a voler smettere di scendere.
Dave la strinse forte, carezzandole la schiena. Non l’aveva mai vista così – lei, del resto, odiava piangere in pubblico. 
«L’hanno arrestato, Dave!» strillò, con il volto premuto contro il petto del ragazzo. «È tutta colpa dello zio, papà non ha fatto niente».
Il ragazzo avrebbe avuto un miliardo di parole da dirle per calmarla, ma nulla avrebbe fatto svanire l’ira della giovane. A volte, nemmeno tutte le parole del mondo bastano per far star bene una persona. 


La prima cosa che avevano fatto, comunque, era stata chiamare al Distretto 4 e avvertire i loro genitori di ciò che era accaduto al padre di Serena, in modo che potessero avvertire lei e i suoi famigliari. Dave avrebbe voluto parlarle, ma ai tributi era proibito usare il telefono. Era una prerogativa delle capitoline, gli stilisti e i mentori. Così, aveva fatto affidamento su suo fratello. 
Il giovane si avvicinò piano alla porta della stanza di suo fratello e bussò con delicatezza. Sapeva come reagiva ogni volta che lo si svegliava – oppure, quando lo si disturbava mentre era in compagnia di una ragazza. Tuttavia, l’unica lì presente era Beth, e a Dave non erano sfuggite le occhiate che si lanciavano i due, ogni tanto. Era lo stesso modo in cui lui guardava Serena. 
«Avanti» giunse da dentro la voce di suo fratello. «Finnick, ti ho detto che non devi rompermi le palle, non beccherai mai me e Beth mentre facciamo ses-».
Conn si voltò e si zittì, non appena vide suo fratello. Quando Dave era entrato, il maggiore dei fratelli Likin era girato di spalle, intento a mettersi una maglietta.
«Oh, sei tu» disse, sistemandosi. 
Un sorriso furbetto fece capolino sul volto di Dave, mentre chiudeva la porta. «Cosa dovete fare, te e Beth?»
Conn arrossì, diventando dello stesso colore dei suoi capelli. «Finnick è convinto che io sia innamorato di lei e che lei sia innamorata di me» spiegò, incrociando le braccia al petto. «Il che non è assolutamente vero» aggiunse, parlando tanto velocemente che balbettò appena.
Dave ridacchiò, dandogli una spintarella all’altezza della spalla. Conn ricambiò, prima di allargare le braccia e stringerlo a sé. Il più piccolo si appoggiò al fratello con disperazione, sentendo che avrebbe potuto piangere da un momento all’altro. Inspirò l’odore emanato dalla maglietta di suo fratello. Sembrava impossibile, ma Dave poté sentire il profumo di casa, del mare, l’odore di salsedine che impregnava ogni cosa, al Distretto 4. La nostalgia del suo luogo natale lo attanagliò come una morsa d’acciaio, facendolo sentire ancora più perso di quanto già non fosse. L’unica cosa che lo teneva ancorato al terreno erano le braccia di suo fratello che lo stringevano forte – come mai avevano fatto in vita sua. 
«Vuoi stare qui?» propose il maggiore. Il tributo annuì, sciogliendo l’abbraccio. 
I due fratelli si sedettero sul davanzale della finestra, che era abbastanza largo da ospitare due persone alte più della media come loro. Conn si passò le mani tra i capelli, appoggiando poi la nuca contro il muro e guardando la città che si stendeva sotto la torre.
«Anche tu ti sentivi così?» chiese Dave, portando le ginocchia al petto.
«Se la risposta è “agitato” o “terrorizzato”, allora sì». Gli occhi verdi di Conn si posarono sul fratellino. Sembrava sempre scrutare le persone con quello sguardo, che ogni tanto si perdeva nel vuoto per rincorrere pensieri che nessuno, al di fuori di lui, poteva comprendere.
«Ho paura» ammise il più piccolo. «Mi sento male, come quando devi vomitare, ma non riesci a sboccare nemmeno se ti tirassero un pugno nello stomaco».
Conn ridacchiò. «Bel paragone». 
Dave sbuffò, tirandogli un calcio. «Non ridere, dai». 
«È normale, Dave. Non posso nemmeno darti dei consigli utili, in questo momento, perché nulla riuscirebbe a calmarti». Il sorriso era svanito dalle labbra del Vincitore. 
«Voglio tornare a casa». Il tributo sentì le lacrime formarsi velocemente nei suoi occhi e abbassò lo sguardo, sbattendo più volte le palpebre. 
«Anche io. Vorrei che tutto ciò non fosse mai successo».
Rimasero in silenzio per un bel po’, presi a guardare fuori dalla finestra. A Dave bastava. Lui e suo fratello erano fatti così: non parlavano tanto, in certi casi, lasciavano solo che tutto ciò che di negativo c’era fluisse via. Bastava loro la vicinanza dell’altro per stare meglio. Era una connessione che avevano sin da piccoli, quando uno di loro era arrabbiato, spaventato o triste e si sedevano sugli scogli, uno accanto all’altro, ad osservare le onde.
«È ora di andare a nanna, Dede» annunciò il maggiore, alzandosi e dando una pacca sulla gamba di Dave. Il tributo si alzò, sistemandosi la maglietta.
«Ci vediamo domani mattina». 
Il più piccolo fece per dirigersi verso la porta, ma fu bloccato dalla voce del fratello. 
«Dave… non morire, intesi?» 
Il tributo annuì, sorridendo. «In caso, devi promettermi alcune cose». 
Conn incrociò le braccia al petto, facendo finta di essere stufo. Dave rise, prima di continuare a parlare: «primo, devi smettere di fumare sigarette, canne o qualsiasi cosa che abbia a che fare con il fumo». Il Vincitore lo fulminò con lo sguardo, ma il ragazzo continuò a parlare. «Secondo, devi promettermi che proteggerai sempre mamma, papà e Serena. Terzo, devi metterti con Beth, altrimenti dirò a Finnick di chiudervi in una stanza senza vestiti».
Il più grande sorrise, inarcando un sopracciglio. «Te lo prometto, ma tu promettimi che non morirai».
Dave fece spallucce. Non poteva prometterglielo. Non lo aveva fatto neanche con Serena. Erano cose più grandi di lui e lui non era nessuno per controllare il destino. 
«Ehi» ribatté poi. «Io sono Dave Likin, il ragazzo più bello del Distretto 4, e nulla mi fa paura» concluse, prima di uscire dalla stanza. 
Invece, di paura ne aveva, e anche tanta. Solo che lui non lo avrebbe mai ammesso. 

 


 

 

« Addio, ragazzo. Ti voglio bene, ragazzo. Abbi cura di te »
-Dal film Armageddon: giudizio finale


 


 

Alaska's corner

Rieccomi, dopo mesi (?). Sono in ritardo perché ho dato maggior importanza ad altre storie, nel frattempo, visto che questa non era seguita. Tuttavia, non l'ho abbandonata: non mi piace lasciare le storie a metà.
Comunque, sono partita dalle interviste perché mi piace particolarmente scriverle. E sì, i tributi sono gli stessi di HoF, anche se ci saranno dei cambiamenti a livello di trama, eccetera. Questa storia non durerà moltissimo - andrò avanti per pochi capitoli - anche perché è solo un esperimento. 
Comunque, sì, Dave ha un fratello che ha vinto gli Hunger Games e quindi ha sempre vissuto con il terrore di essere estratto. E la sua Mietitura, come ho accennato, è stata manovrata, ma verrà spiegato tutto a tempo debito.
Lascio i volti dei personaggi apparsi in questo capitolo:

Dave Likin - D4
Connor Likin - D4
Keith Wood - D7
Beth Frye - Capitol City
Svars Martin - D1
Diamond Pevensie - D1
Edgar King - D2
Lauren Colfer - D2
Eitan Reinders - D3
Meraud Jonasson - D3
Adva Mathiason - D4
Anya Nikolaevna Ivanova - D7
Serena Lysoon - D4      

Scappo!
Al prossimo capitolo - spero presto perché ultimamente scrivo molti spin-off. 
Un bacio,
Alaska. ~

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