wreckless

di sarahrose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** sunday morning ***
Capitolo 2: *** I'm a hard case that's tough to beat ***
Capitolo 3: *** sympathy for the Devil ***
Capitolo 4: *** 'cause I got something I've been building up inside ***
Capitolo 5: *** I'd better keep my mouth shut ***
Capitolo 6: *** I've made up my mind ***
Capitolo 7: *** 10 drops of Valium ***
Capitolo 8: *** daddy's goodnight kiss ***
Capitolo 9: *** never mind the bollocks ***
Capitolo 10: *** the Hell broke loose ***
Capitolo 11: *** he can suck ***
Capitolo 12: *** kick my ass, Lafayette! ***
Capitolo 13: *** Tomato, basil and mozzarella ***
Capitolo 14: *** Nellie la Gigolette ***
Capitolo 15: *** I give up ***
Capitolo 16: *** Pizza Connection ***
Capitolo 17: *** your ballroom days are over ***
Capitolo 18: *** I was made for loving u, baby ***
Capitolo 19: *** motherfucker ***
Capitolo 20: *** milk, whisky and TV ***
Capitolo 21: *** night call ***
Capitolo 22: *** I was made for fucking you ***
Capitolo 23: *** The Twilight Zone ***
Capitolo 24: *** Bottoms up! ***
Capitolo 25: *** I wish u were here ***
Capitolo 26: *** they put my ass in jail ***
Capitolo 27: *** u're in the jungle, baby! ***
Capitolo 28: *** Mister X ***
Capitolo 29: *** in the Name of the Father ***
Capitolo 30: *** The Warriors ***
Capitolo 31: *** Brown Sugar ***
Capitolo 32: *** A killer blast ***
Capitolo 33: *** Dancing with Mr. Brownstone ***
Capitolo 34: *** sex bomb ***
Capitolo 35: *** cold Turkey ***
Capitolo 36: *** Steven's List ***
Capitolo 37: *** Houses of the Holy ***
Capitolo 38: *** Little Big Horn ***
Capitolo 39: *** slow motion ***
Capitolo 40: *** Lucy in the Sky with Diamonds ***
Capitolo 41: *** Room 217 ***
Capitolo 42: *** Shit Happens ***
Capitolo 43: *** the Man who fell on Earth ***
Capitolo 44: *** LAS VEGAS. Fear & loathing ***
Capitolo 45: *** Buried alive in shame ***
Capitolo 46: *** He really DID it! ***
Capitolo 47: *** we got the NUMBER ***
Capitolo 48: *** AAA staff required ***
Capitolo 49: *** take my breath away ***
Capitolo 50: *** white wedding ***
Capitolo 51: *** Mama Kin ***
Capitolo 52: *** suck on GUNS N' fucking ROSES! ***



Capitolo 1
*** sunday morning ***


Capitolo 1
 
 
 
REVERENDO STEPHEN L. BAILEY
Sunday morning
Basta. Io ci rinuncio. Getto la spugna.
Onestamente, è troppo anche per me!
Che schifo di mestiere, fare il padre. E meno male che sono un educatore. Un religioso. Un uomo di Dio. Se fossi stato uno qualunque di questi maledetti miscredenti, qui, me la sarei fatta sotto, con licenza parlando. Dico io! Di questo passo, dove caspita andremo a finire?
Sono Stephen Louis Bailey.
Pastore della Chiesa Pentecostale Country Holy Roller di Lafayette, Indiana. Per me fare il padre è un fardello, credetemi. Un compito ingrato. Come ti muovi sbagli e se non lo fai… guai!
Ti gettano subito la croce addosso.
Con Bill, il mio primogenito, siamo alla canna del gas.
William Bruce Bailey. Mio figlio. Il mio orgoglio.
No, dico. Lo guardo e… francamente, da un po’ di tempo a questa parte, pur con tutta la buona volontà del mondo, non posso fare a meno di mangiarmi le mani.
Cosa diventerà tra qualche anno se va avanti su questa strada? Ditemelo voi.
Mi caccerà da casa mia o Dio solo sa cos’altro.
Ingrato!
Empio!
Senza vergogna ne’ timor d’Iddio!
Io non lo so. Proprio non lo capisco.
Quella teppa dai capelli rossi mi farà morire di crepacuore.
Riesce sempre a farmi uscire dai gangheri, quel bastardo!
Come faccia non ne ho idea. E’un mistero. Fatto sta che ci riesce sempre. Punto e basta. Tutti i santi giorni.
Sentite questa. E forse capirete cosa intendo.
Ieri mattina- passatemi l’espressione volgare- l’ha proprio fatta fuori dal vaso. 
Era domenica.
Eravamo tutti riuniti attorno al sacro desco familiare a consumare il primo pasto del giorno del Signore da buoni Cristiani. Io. Mia moglie. E i miei tre figli. William, Amanda e Stuart. Io li guardavo mangiare con il petto gonfio d’orgoglio e loro mi ricambiavano spazzolando via avidamente il frutto del sudore della mia fronte. C’era una bella atmosfera.
Credo nell’ordine e nella disciplina e devo ammettere che ieri mattina tutto filava liscio come l’olio ed io, come capo famiglia, ne ero oltremodo soddisfatto.
Nessuno fiatava.
Gli unici rumori erano quelli delle posate sui piatti e del latte versato.
Tutti mangiavano in santa pace. Tutti tranne uno.
Quel delinquente di William. Il mio primogenito malriuscito.
Quello mi sta dando del filo da torcere. Sissignori!
A volte ripenso con nostalgia a quando era solo un moccioso.
Maledetto Pel di Carota! Tu e tua madre! Razza di vipere!
Mi costa ammetterlo, ma devo. In chiesa, il marmocchio mi faceva comodo. Non era mica brutto, sapete? E non era neanche stupido. Tutt’altro! Ma soprattutto, gente, lasciatemelo dire: non esagero. Cantava come un angelo. Avete presente? Una voce flautata. Versatile. Potente. Limpida come il rintocco di una campana di cristallo. Un vero e proprio dono di Nostro Signore che lui sta gettando alle ortiche. Ma lasciamo perdere, va’, che è meglio.
Ordine. Disciplina. Pugno di ferro.
Questo gli ci vuole, a quel disgraziato. Credete a me. Non sono mica scemo. Ne ho raddrizzati di peggiori di lui, di lavativi. E vi dico una cosa: se non si converte e si rimette sulla retta via, quello prima o poi finirà dritto in galera. Fidatevi. Ve lo dico io.
Lui non mangiava. Scriveva sul suo quaderno nero, con la testa rovesciata sul foglio e la faccia coperta dai capelli.
“Metti via!” Gli ho detto, indicando il quaderno. “Muoviti. Fai colazione. Tra mezz’ora c’è la messa! E poi guardati! Non ti sei neanche lavato la faccia!”
Lui non alza neanche la testa.
“Non mi va.”
Esasperato dall’indifferenza con cui tratta tutti quanti noi, ancora una volta, perdo i lumi della ragione.
“Porta rispetto a tuo padre!”
“Mangia, ho detto! Ubbidisci!”
E lui?
Niente.
Mi ha guardato un momento con una faccia da ebete totale, senza far motto. Poi si è rimesso a fare spudoratamente i suoi porci comodi. Fregandosene altamente di tutto e di tutti come se niente fosse.
Io, però, non sono mica nato ieri.
Io, modestia a parte, ho l’occhio lungo. E ho subito notato che il ragazzo era stranamente pallido. Voglio dire, molto più del solito. Il che è tutto dire, visto che la sua pelle, anche normalmente, è bianca e traslucida come il latte andato a male. Ieri, però, faceva davvero paura. La sua faccia era un libro aperto. Sembrava uno spettro. Aveva le occhiaie. I capelli scompigliati. Gli occhi chiarissimi che affogavano in due pozzi neri come il peccato mortale.
Aveva un’aria malata. E poi- lasciatemelo dire- era totalmente rincoglionito. Sembrava ubriaco o drogato o Dio solo sa cos’altro.
Intanto, gli altri hanno non hanno neppure smesso di masticare. Anzi. Si ingozzano per pulire i piatti e le scodelle in tempo per la funzione, col piccolo Stuart che per poco non si strozza con un boccone di pancake.
Uno dei soliti capricci di William. Lui e le sue scenate isteriche!
Niente di nuovo sotto il sole.
E quando io, per invitarlo a darsi una mossa, gli ho posato una mano paterna sulla spalla, lui ha trasalito. Nel tipico atteggiamento di chi ha la coscienza sporca.
“Ehi, giovanotto!”
I suoi occhi, in fuga dai miei, si sono rifugiati sulla tovaglia di pizzo sporca lercia.
Mi ha fatto girare le scatole, lo ammetto. Ma non sono un pezzo di pietra. L’ho visto subito che non stava bene e questo, come padre, mi dispiaceva. Che lui ci creda o no.
“ Tutto ok?”
Non l’avessi mai detto!
Mio figlio, accantonato il suo quaderno nero, si è messo pacificamente a leggere un testo.
“Ehi, tu. Dico a te. Guardami quando ti parlo, Cristo!”
Lui ha alzato pigramente la testa dal libro.
E io mi sono sentito male per lui.
Quel libro in casa mia era un abominio. Una profanazione.
Era un volume di Thomas De Quincey.
Le Confessioni di un Oppiomane.
Un titolo che, come vedete, si commentava da solo.
No, dico. Qual onta peggiore!
Io sono un Pastore. Un Servo dell’Altissimo.
La guida spirituale e la figura più in vista della città. E mio figlio? Il mio maledettissimo bastardo di figlio primogenito, che cos’è che è? Un drogato. Un tossico.
Un volgarissimo tossico da strada.
“Lasciatemi in pace!” Ha detto levando su di noi due occhiacci spiritati.
“Mi sento di schifo. Ho la nausea. Davvero. Ve lo chiedo per piacere. Mangiate voi. Io non ci riesco. Non posso. Mi viene da vomitare. Ve l’ho detto. Ignoratemi. Vi chiedo solo questo.”
Gli ho chiesto se ha preso qualcosa e lui ha scrollato la chioma incolta e mi ha trafitto con un’occhiata storta.
L’importante è negare. Negare sempre.
Inutile. Io non mi ci faccio prendere per i fondelli da un lattante. Chiaro? Deve ancora nascere quello che mi fa fesso!
Quegli occhi cerchiati la dicono lunga. E tanto per restare in tema, mi ricorda ancora una volta il fatto che io non sono solo un Ministro del Culto. Sono anche un Esorcista.
Li scaccio con il Crocifisso, io, i demoni della sua risma. Altro che balle!
“Stai attento, ragazzino. Passi lunghi e ben distesi. Ci siamo capiti ? O devo farti il disegno?”
“Pà, ti prego…”
“Zitto e mangia!”
“Ma…”
“Niente ma! Ubbidisci! Feccia!”
Ma roba da matti! Chi si crede di essere, quella testa bacata?
Se crede di farla franca, ha sbagliato buco. Adesso glielo faccio vedere io chi comanda qui! E già che ci siamo, una bella ripassata farà bene anche a sua madre, che se ne sta lì come una pera cotta, rannicchiata accanto al frutto marcio dei suoi lombi.
No, dico. Guardatela. E’ patetica. Grembiule coi girasoli e le trine. Ciabatte pelose a forma di oca. Bigodini. E quei luridi capelli rosso fiamma uguali sputati a quelli di suo figlio. Espressione imbelle da vittima del sistema. Ok, recepito, Sharon. Lasciamo perdere, eh?
Che razza di sostegno potrei mai aspettarmi da una simbega come quella? Ha trentadue anni e ne dimostra sessanta. Anche se ragiona come una bambina di nove.
Alla fine, tirando le somme, mi rendo conto che sua madre non è certo meglio di lui.
Come può sperare di raddrizzarlo con quella faccia?
E va bene. Pazienza. Mandiamo giù anche questa.
Non c’è limite al cattivo gusto, in questa maledetta casa!
Ma torniamo ai fatti.
Uno sguardo all’orologio. Ok. Panico.
“Tra meno di mezz’ora dobbiamo essere in chiesa per la funzione” ho annunciato alla tavolata, gettando via il mio tovagliolo.
Niente.
Nessuno mi c… ehm. Mi ha degnato di una risposta.
Allora ho perso le staffe.
Avrei voluto vedere voi al mio posto!
Cos’avreste fatto?
“Non hai rispetto per la tua famiglia. Ti presenti a tavola spettinato e sporco. Cosa diavolo credi di dimostrare?”
Poi l’occhio mi cade sui suoi vestiti.
Inutile dirlo: indecenti.
Neanche buoni per un senzatetto.
Del resto, buon sangue non mente. Giusto?
Ma lasciamo perdere, va’! Meglio che me ne stia zitto.
Basta guardare sua madre.
 
Maledetto bastardo!
A volte vorrei proprio che non fosse mai nato.
L’altro giorno l’ho beccato su in soffitta con una rivista pornografica… non so se mi spiego. Per non parlare delle pile di fumetti splatter imboscati ad arte sotto il letto a castello. E le lattine di birra vuote che, quando esce con quell’altro stinco di santo del figlio degli Isbell, semina per tutto il maledetto giardino?
Canaglia.
Ed eccolo lì, con una faccia da schiaffi senza pari. Sembrava uno zombie. Avete presente? Lazzaro prima della resurrezione.
Non so se mi spiego.
Quanto al libro, è andato al rogo.
Così la pianta di leggere scempiaggini fino a cavarsi gli occhi, quel piccolo farabutto! Lui e i suoi capelli assurdi… ma dico io, si è guardato allo specchio di recente? Lunghi fino alle reni.
 Io non ho parole. Se davvero Nostro Signore, nella sua infinita misericordia, ha dato a ciascuno di noi in dono un talento speciale, quale sarebbe quello del mio primogenito?
Il canto, direte voi.
E va bene. Lo ammetto.
Però è un po’ pochino, non vi sembra?
Almeno per il figlio di un Pastore.
Non ha ancora diciassette anni ed è già stato arrestato tre volte per ubriachezza, rissa e linguaggio osceno. E’alcolizzato marcio. Fuma erba. Prende schifezze. Praticamente vomita tutte le sere. Poi è un porco. Un senza Dio. Un necrofilo. Una lurida checca. Almeno a giudicare dall’acconciatura.
Belli, quei capelli. Più che un ragazzo, sembra una puttana.
Ma dove crede di essere, in una casa di tolleranza?
Niente male per uno che a otto anni- dico otto- insegnava catechismo alla Scuola Domenicale!
Da bambino era un fottutissimo genio- per usare il suo stesso linguaggio. Poi s’è guastato crescendo.
E sua madre zitta. Non gli dice mai una parola. Scommetto quello che volete che se lei lo implorasse di farlo, lui li taglierebbe. Ma lei se ne frega. Anzi, se ne fotte.
Sono fatti della stessa pasta, quei due.
E, credetemi. E’ imbarazzante.
Ah, ma cambierà. A tirarla troppo, la corda, si spezza, dice il proverbio. E quando s’è spezzata non la rimette più insieme nessuno. Neanche Gesù Cristo in persona. Mi sono spiegato?
Ma fino ad allora… ti prego, Signore. Ti supplico: tienimi ferme le mani!
Di fronte ai miei parrocchiani, io non so più che razza di scusa tirar fuori.
 
Le dieci e cinque.
E lui era ancora lì a leggere scemenze pulendosi di tanto in tanto il naso nella manica della felpa di quei pazzi metallari dal nome impronunciabile che, prima o poi, gli apriranno le porte della dannazione eterna. Non aveva toccato cibo. Neanche un goccio di succo d’arancia. Niente di niente. La scodella di zuppa di fiocchi d’avena, ormai fredda ghiacciata, era intatta.
E io non ci ho visto più.
“Si può sapere cos’hai stamattina? Ehi, tu! Dico a te! Delinquente! Teppa! Datti una mossa! Siamo stufi di aspettare i tuoi porci comodi! Lo capisci o no? Sono le dieci e cinque e tu non hai ancora mangiato!”
E lui cosa fa?
Secondo voi?
Niente. Non si degna nemmeno di rispondere a suo padre. Anzi. Mi guarda male e va avanti imperterrito a fare i cavolacci suoi.
“Eh, no, bello mio! Adesso stai esagerando!”
Qui ci vuole una bella tirata di orecchie. Anche se ammetto che, per come si stanno mettendo le cose, credo che la medicina più adatta per il suo malessere sia la cinghia dei miei calzoni.
“No, dico… ma sei sordo?”
Silenzio perfetto.
Gli altri intanto si sono strigliati, vestiti e pettinati. Insomma, sono pronti a compiere il loro dovere da buoni Cristiani. Lui, invece, ha dormito mezzo vestito, coi jeans stracciati e la felpa sporca, e sembra appena uscito dal letto.
Ok, canaglia.
L’hai voluto tu.
“Sta scritto: non tentare il Signore Dio tuo.”
Lui mi fissa a lungo in silenzio con quella faccia da schiaffi e mi fa:
“Non ti stai allargando un po’ troppo, papà?”
Basta.
La misura è colma.
Nel mio cuore infranto di padre si fa strada una certezza: il detto secondo cui il più buono dei rossi ha gettato suo padre nel pozzo non è una leggenda metropolitana. E’ oro colato.
Da uno come lui mi aspetto questo e altro.
Questo qui è peggio di Esaù.
Avete presente? Quello che ha venduto a suo fratello Giacobbe la primogenitura per uno squallido piatto di lenticchie. E, a proposito. Indovinate di che colore aveva i capelli, il nostro caro fratello Esaù?
Maledetto bastardo!
Non mi somiglia neanche nelle scarpe.
Guardate me. Forte. Robusto. Virile. E adesso lui. Fragile. Esile. Effeminato. Tanto che sembra fatto di vetro. A guardarlo due volte, va in pezzi.
Siamo il giorno e la notte, io e lui. E non solo perché lui è fulvo e pallido quanto io sono bruno e sanguigno. Ma perché siamo opposti dentro. Nel cuore e nell’anima. Io ho la luce della vera Fede. Lui arranca nelle tenebre della perdizione senza fine. Punto e basta. Queste non sono chiacchiere. Sono dati di fatto.
Un tempo avevo sperato, educandolo ai valori Cristiani, di farne un vero uomo… povero, povero me! E lui cos’è che ha fatto per ripagarmi dei miei sacrifici?
Ha messo su un complesso di rock ‘n roll.
Avete capito di cosa sto parlando?
Parlo del Male con la Emme maiuscola. Di Musica del Diavolo.
Lui e il suo degno compare, quell’Isbell. Se gli metto le mani addosso, giuro che lo spello vivo.
Eppure lo sapeva che io non volevo! Però l’ha fatto lo stesso. Anzi. L’ha fatto apposta per farmi dispetto!
Ah, ma stavolta non attacca! Stavolta non gliela do vinta!
E’ questo che penso fissando la sua scodella ancora piena.
Nossignore!
Stavolta l’avrò vinta io, non lui! E se non si piega, benissimo. Dio Onnipotente mi è testimone. Lo spezzo in due come un ramo secco.
 
“William Bruce Bailey!”
E’ scattato fiaccamente sull’attenti a beneficio di suo fratello Stu, il quale ha solo otto anni e lo idolatra come un dio. E il piccolino è scoppiato a ridere come un deficiente.
“Presente!”
Ha osato perfino farmi il saluto nazista.
E chi sono, io, lo zimbello dei miei figli?
O la loro guida spirituale?
 
Bravo, William. Di bene in meglio.
“Ridi pure, ma ricordati, delinquente che non sei altro: ride bene chi ride ultimo!”
Quanto ai suoi fratelli, che hanno preso la palla al balzo per divertirsi alle mie spalle, due bei manrovesci li hanno subito rimessi subito in riga. Mia moglie invece è un caso senza speranza. Tale quale al suo cocco malcagato. Scusate il termine volgare.
A quel punto ne avevo le tasche piene di tutti. L’unica cosa da fare era affrontare William a muso duro.
“Mangiaaaaaaa! Vuota quella cazzo di ciotola o ti giuro che, com’è vero Iddio, ti do una sberla che t’impasto contro il muro!”
Lui ha tirato su col naso.
“No.”
E’ partito un manrovescio che l’ha girato sottosopra.
William si è tirato su e si è accostato tremante alla ciotola. Ha immerso il cucchiaio frignando come una  femminuccia. Poi si è fermato di botto. Mi ha squadrato con odio e, vinto e debellato, lo ha portato alle labbra. Infine ha inghiottito con enfasi.
Un attore. Una star. Un divo del cinema muto.
 Una. Due. Tre cucchiaiate. Poi è crollato sul tavolo a singhiozzare come un poppante. Una scena da premio Oscar, giuro.
Altro che Robert De Niro!
L’anno prossimo dovrebbero darlo a lui!
L’ho beccato a tentare di scappare di sopra e non gli ho detto una parola.
Ho lasciato parlare la cinghia.
Quel mammalucco buono a nulla si è accasciato a terra come un lombrico  in preda a conati di vomito.  
Uno spettacolo pietoso. Rivoltante.
“Finisci la colazione o giuro che ti faccio pentire di essere nato!”
Lui ha inghiottito lottando per tenere giù quel poco di rispetto per se stesso che ancora gli restava.
“Te l’ho detto, non ci riesco. Credimi. Sto male. Mi viene da vomitare.”
Altro manrovescio come Dio comanda.
Bene. Anzi. Benissimo.
“William Bruce Bailey. Canaglia da riformatorio. Onta e disonore della tua famiglia. Ti comunico ufficialmente che la pacchia è finita. Ficcatelo in quella zucca marcia! Da domani la musica cambia!”
Lui ha vomitato e sputacchiato senza vergogna per tutta la tavola.
Bella educazione!
“Visto?” Mi fa, acido. “Te l’avevo detto!”
E va bene. Uno a zero per te, William.
La cucina è un porcile. Una stalla. Un macello.
 Lui si è pulito la bocca sul rovescio di quello schifo di felpa.
Ha ingoiato tutte le sue lacrime con rabbia e disperazione.
E, con un ghigno infame, ha afferrato la ciotola.
Senza togliermi quei suoi occhiacci da gatto randagio di dosso, si è ricomposto alla bell’e meglio e, con mia enorme sorpresa, si è rimesso a mangiare.
Male non gli ho fatto sicuro, credetemi. Parlo delle botte.
La violenza è l’ultima spiaggia.
L’unica arma che mi è rimasta per ficcare in quella testa bacata un po’ di rispetto.
Eppure si vedeva che stava covando qualcosa.
Non ero tranquillo.
Non lo sono mai, quando c’è lui di mezzo.
“Una cazzata. Una sola. E giuro su Dio che ti schiaccio come lo scarafaggio che sei!”
Quel bastardo mi ha riso in faccia.
“Questa me la paghi.”
Poi, tutta d’un fiato, da bravo bambino, ha vuotato quella dannata scodella.

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Capitolo 2
*** I'm a hard case that's tough to beat ***


Capitolo 2
 
 
 
WILLIAM BRUCE BAILEY (BILL)
A hard case that is tough to beat
Non dategli retta a quel vecchio trombone.
Spara un sacco di cazzate.
Io non sono un mostro.
Non sono un serial killer.
Non sono un tossico alcolizzato.
Sono suo figlio, che gli piaccia o no.
Anche se lui continua a chiamarmi bastardo.
Niente male per un Servo di Dio…
O no? Eh? Che ve ne pare?
Già, perché il mio paparino, sfiga delle sfighe, di mestiere fa il Pastore Pentecostale. E’ il ministro del culto della Country Holy Roller Church di Lafayette, Città dei Morti in Piedi e dei Rott in Culo, Indiana, USA. Una città provinciale di merda con la puzza sotto al naso dove non succede mai un cazzo e tutti si fanno i cazzi di tutti. Io la odio a morte e giuro che, appena ci riesco, tra me e questa cazzo di città di Quaccheri Stronzi ci metto di mezzo l’Oceano.
La mia famiglia, tolti i miei fratelli Amy e Stuart, di tredici e otto anni, fa abbastanza cagare- con licenza parlando. Mio padre in testa. Il quale è un fottutissimo anacronismo vivente. Cioè. E’ di vedute, diciamo, un tantino ristrette. Per non dire che è un cazzo di integralista religioso. E che, francamente, la buona vecchia Santa Inquisizione, credete a me, gli fa una pippa.
Altro che Servo di Dio!
Dio- ammesso e non concesso che esista davvero e ci veda- non lo caga di striscio.
Non gli servono i figli di buona donna come lui.
Se mai, uno così può fare gola alla Concorrenza. Al Lato Oscuro della Forza. Chiamatelo come cazzo volete.
Ci siamo capiti, no?
E come Nostro Signore, cosa volete che vi dica? Anch’io ne farei volentieri a meno, di quel pezzo di quella roba là che puzza. Di più. Di più. Di più. Giuro sul suo Dio che venderei l’anima al Diavolo per togliermelo dalle palle una volta per tutte. Ma mi sa tanto che non lo voglia neanche quello col forcone. E, del resto, in qualità di figlio di questa specie di negromante truffaldino, non so dargli torto.
Ma purtroppo- lo sapete anche voi- i genitori non si scelgono.
Io mio padre lo odio.
Tanto per cominciare, mi prende sempre per il culo perché ho i capelli rossi. Mi chiama fuckin’ ginger- rosso del cazzo. Simpatico, no? Squisito, direi, da parte di un padre.
Poi rompe il cazzo perché li ho lunghi. Dice che sembro una puttana.
Bello. Cosa devo dire? Si vede che in materia se ne intende.
Il che, per un Pastore, è un valido spunto per un dibattito nonché per tutta una serie di profonde riflessioni.
E la Musica del Diavolo- come la definisce lui? Dove la lasciamo?
Il Rock. Quello grezzo, sporco e cattivo dei Motorheads. Il punk dei Sex Pistols, cazzo. La pantomima dei Queen.  Tutto il trucco.
La musica è la mia vita.
Da bambino andavo pazzo per la E.L.O.
Avete presente?
La Electric Light Orchestra.
Adesso ascolto per lo più metal, ma non è cambiato niente. Generi diversi. Gusti differenti. La musica è cambiata ma, per me è sempre la stessa: nel senso che è vietata. Proibita. Off-limits.
Ve l’ho già detto. Mio padre è un oscurantista. Un nazista. Una testa di cazzo. E io faccio una vita di merda e soffro come un cane.
Ma che vada a farsi fottere!
Insinua che io bevo e mi faccio in vena, ma le sue sono tutte illazioni. E, a questo punto, giuro che la curiosità me l’ha fatta venire proprio lui con le sue menate assurde: no, dico. Visto che mi si accusa di essere un tossico, se davvero mi facessi in vena, lui nemmeno se ne accorgerebbe, cazzo!
Così, almeno, capirei davvero cosa mi sto perdendo a fare il bravo tra virgolette.
Vengo in chiesa otto cazzo di giorni su sette per questo e per quello. Canto nel suo maledettissimo coro Gospel come voce solista assieme ai miei fratelli. Il Trio Bailey. Così ci chiamano. Insegno catechismo alla fottutissima Scuola Domenicale da quando avevo otto anni, cazzo. Otto. Scusate se è poco. Servo e riverisco il suo signor culo- come lo chiama lui- come uno schiavo negro. E quello com’è che mi ricompensa? Chiamandomi bastardo. Con la bi maiuscola.
Come ieri mattina, a tavola. A colazione.
Quanto a mio padre, ha detto la sua.
La sua campana la conoscete.
Che ne dite? Vi va’ di sentire la mia?
No, dico. Mi ha trattato di merda. E poi, tra parentesi, il Bastardo sarei io!
Ad ogni modo, stare a tavola quando c’è lui è una specie di terrificante incubo ad occhi aperti.
L’ultima cosa che mi viene di fare, in sua presenza, è proprio mangiare. Credetemi. Se ne sta lì come un avvoltoio in agguato in attesa di una qualsiasi cazzata per lanciarsi a capofitto in uno dei suoi pallosissimi sermoni fatti in serie. Non capisce un cazzo. E non si accorge, tronfio com’è, che ormai non lo caga più neanche il cane.
Occhi di brace, usi a sondare i recessi dei gironi infernali, m’inchiodano alla sedia. E’ domenica mattina. Manca mezz’ora alla funzione e io- guai al cielo e alla terra!- non ho ancora fatto colazione.
La sua voce è un rombo di tuono.
“Mangia!”
Credo se la faccia salire apposta direttamente dagli Inferi.
(Mamma mia che paura!
Mi sto cagando sotto.)
Lo penso ma tengo il becco chiuso, prima che Corvo Nero  mi cambi i connotati.
Io mi rifiuto.
Non tocco cibo. Mi chiudo a riccio nella mia corazza e faccio finta di niente sperando in un miracolo. Ho passato una notte di merda e sono messo troppo male per digerire le sue solite stronzate.
Spero che si renda conto che oggi non attacca, ma, sapete com’è, conoscendolo come lo conosco, non ci credo nemmeno io.
Al mio rifiuto, lui dà fuori da matto.
Rai fulminei che in chiesa, dal suo pulpito, sputano fuoco e fiamme, mi trapassano le carni e mi cucinano all’istante come se, invece di un predicatore, quel pezzo di merda fosse un cazzo di forno a microonde.
Il vecchio corvaccio spennacchiato mi scruta in silenzio.
Dipinta sulla faccia, la solita feroce espressione del mamba nero in assetto di attacco.
Non sto scherzano. Giuro.
Quegli occhi a fessura non promettono proprio niente di buono.
Fidatevi.
Sono cazzi da cagare.
Io gioco in attacco. E lo guardo bel dritto negli occhi.
Davanti a me, la solita sbobba. Zuppa di latte coi fiocchi d’avena. Io la detesto. Anche normalmente mi fa schifo solo a guardarla. Sembra vomito, cazzo. Ma del resto, di quello che piace a me, qua dentro non frega un cazzo a nessuno.
“Non la posso mangiare” gli spiego “mi sentirei male.”
“Non stai bene?” ribatte la Santa Inquisizione, incenerendomi con una lunga, sarcastica occhiata allusiva. “Come mai? Cosa ti senti?”
“Mi fa male la pancia” dico io. “Ho la nausea. Ho fatto tutta notte a…”
L’ala della Morte Nera mi ricopre.
Io mi strizzo le palle allarmato.
La sua voce è un basso sepolcrale. Gelida. Come la mano di una morta.
“Tira fuori la lingua! Fa’ vedere…”
Mi caccia in gola gli artigli zozzi rigati di nero.
E anche se non ho mangiato niente, io lotto con tutto me stesso per non vomitargli l’anima addosso. Anche se- detto tra noi- non nego che gli starebbe bene.
Mi traccia in fronte un segno di croce gettandomi addosso l’acqua benedetta di un’ampollina che tiene sempre in tasca pronta all’uso.
Io provo imbarazzo e vergogna per lui.
Quello è d rinchiudere a doppia mandata e buttar via la chiave.
Solo che lui è un adulto e io un ragazzo.
E in questa cazzo di casa vige la legge del più forte.
“Mostrati, Satana! Esci allo scoperto! Libera della tua infausta presenza questo Servo del Signore!”
(Ma vai a cagare! Tu e Satana! Mi avete rotto il cazzo tutti e due!)
Io non ne posso davvero più.
Non sto bene. Ve l’ho già detto. Non sto per niente bene.
Mi si chiudono gli occhi. Gelo. Mi fa male dappertutto come se avessi tutte le ossa rotte. Con loro che si abbuffano di grassi e fritti a gogò mi sale una nausea da far vomitare Sartre. Ho crampi ovunque. Insomma, mi sento uno schifo.
E, Grande Capo permettendo, me ne tornerei a letto e ci starei un mese intero.
No, dico. Siate sinceri. Secondo voi chiedo troppo?
“Lo vedo che sei pallido” s’intromette la Chioccia, che a tempo perso sarebbe mia madre, prima che io riesca a dire Amen.
“Tesoro mio” mi fa, tutta mielosa, accarezzandomi la guancia “cos’hai? Cosa ti senti?”
Come se la mia faccia cadaverica e i calamari che mi sono spuntati sotto gli occhi non parlassero da soli, io spiego a beneficio della tavolata che ho dormito male. Per usare un eufemismo. In realtà non ho chiuso occhio, cazzo. Mi gira la testa e, onestamente, sto facendo di tutto per non sboccare nel piatto.
“Non mi sento molto bene” aggiungo, alzandomi da tavola e piantandoli tutti lì come degli allocchi a fissarmi scandalizzati con gli occhi fuori dalla testa. “Se volete scusarmi, vado a stendermi un po’.”
Poi, al solito, opportuno come le diarrea, salta su mio fratello Stu. Otto anni e due denti davanti strappati nel sonno da una cazzo di fatina dispettosa.
Lo adoro, quel marmocchio.
Giuro.
Mi fa morire.
Mi ricorda com’ero io alla sua età. Solo che lui, sinceramente, è più sfrontato. Più temerario di quanto io non sia mai stato. Dico sul serio. Anche adesso che ho sedici anni- quasi diciassette- mio fratello mi batte.
Spara cazzate a nastro e ride da solo.
Un genio, in questo senso.
Peccato che non tutti sappiano apprezzare la sua schietta semplicità. Anzi.
“Sai una cosa, papà?”
Annuncia, masticando a bocca aperta un pezzo di pancake ai mirtilli con la bocca tutta sporca di zucchero a velo.
“Cosa”
Fa Corvo Nero, interessatissimo, dandogli un buffetto sulla guancia che sa di falso lontano un miglio.
“Bill stanotte ha vomitato dappertutto.”
Io, sentendomi chiamato in causa, mi dimeno sulla sedia a disagio.
Ecco, bravo.
Dieci e lode, cazzo.
Salta subito su mia madre.
“Davvero?”
Mi lancia un’occhiata delusa. Infastidita. Mi guarda come se, invece di suo figlio, io fossi un cazzo di pancake bruciacchiato.
“Billy! Santa Madonna! Mettiti una mano sul cuore!  Avevo appena dato la cera!”
Io non raccolgo che è meglio.
Certo che il suo affetto mi commuove.
Voi che ne dite?
E’ imbarazzante, cazzo!
E tutti quanti lì come deficienti con le forchette a mezz’asta a fissarmi a bocca spalancata come se avessi fatto chissà che cosa.
Ma roba da matti!
Ma dove siamo?
Non l’ho mica crocifisso io, Gesù Cristo!
E che cazzo!
Sono stato male.
Punto e basta. Capita. Non l’ho mica fatto apposta.
Mi viene fin da ridere. Da prenderli per il culo.
Mi butto in ginocchio sul tappeto.
“Padre perdonami perché ho peccato!”
Quei due vecchi sono senza speranza. Giuro.
E poi sarei io, quello venuto male!
“Per penitenza dirai tre Ave Marie”
sentenzia Ponzio Pilato, lavandosene le mani di me e del mio senso dell’umorismo.
“E chiedi scusa a tua madre.”
No, dico. Ma cos’è, uno scherzo?
Smile, you are on Candid Camera?
No, perché se no’ chiamo la neuro. Il 911. Il Padre Nostro e buonanotte al secchio.
Questi due qui sono da internare. Altro che balle.
All’improvviso, nell’indifferenza generale, ricevo un piccolo, immenso gesto d’affetto che mi arriva dritto al cuore.
Sotto il drappeggio sfilacciato della tovaglia scozzese, mia sorella Amy, al riparo da occhi indiscreti, mi prende la mano.
“Adesso come ti senti?”
Io mi sciolgo all’istante. Anzi. Di più. Mi liquefaccio.
“Hai una faccia…”
Io le sorrido in silenzio inghiottendo una lacrima.
Per via di quel porco groppo in gola, non riesco a parlare.
Dolce Amy dai bei boccoli rossi. Bambolina. Piccola stella che ti preoccupi per me. La vuoi sapere una cosa, sorellina? Sei l’unico essere umano decente nel raggio di un paio di miglia. Giuro. L’unico, cazzo.
Fanculo anche Stu, che oggi mi ha proprio fatto girare le palle.
“Insomma” rispondo, non troppo convinto. Tanto si vede benissimo che sto di merda. Sempre che dietro agli occhi di chi guarda sia rimasta un po’ di materia grigia. Il che, come hanno finora ampiamente dimostrato, non è il caso dei miei fottutissimi sapiens.
“Visto, figliolo?”
sentenzia Nosferatu il Vampiro a bruciapelo, spalancandomi in faccia le mascelle ossute piene di denti marca Sears&Roebuck.
“Chi pecca d’ingordigia e gozzo, Iddio lo punisce.”
 
Io mi ritraggo disgustato, giusto in tempo per non sboccargli addosso.
Madonna mia, che alito!
E, una volta di più, mi convinco che dopotutto mio padre ha ragione.
Il Diavolo esiste davvero. Ne sono più che certo.
E vive in questa cazzo di casa.
 
“Povera me!”
Replica la mamma, calandosi nel ruolo della massaia Senza Macchia e Senza Sbavatura.
Proprio lei che, invece di fare i mestieri, se ne sta chiusa in sala con un cicchetto a fumare a nastro una Marlboro dietro l’altra. Fatta persa di psicofarmaci e pure sbronza da fare schifo. A rincoglionirsi davanti a La Schiava Isaura. Dallas.  Andrea Celeste e cagate varie tutto il santo giorno.
Bell’esempio che dà, ai suoi figli!
“Scommetto che la camera dei ragazzi è un puttanaio!”
Si lagna, torcendosi le dita dal nervoso.
“E, tanto per cambiare, a chi è che tocca ripulire tutto?”
Si batte il petto.
Poveraccia. E’ patetica.
Non dico altro.
“Sempre alla sottoscritta!”
Quindi prende la scala e sparisce di sopra per una stima approssimativa dei danni.
“Grazie, eh?”
Bisbiglio nell’orecchio a Stu, scompigliandogli i capelli.
“Giuda Iscariota! Mi hai venduto per trenta denari!”
“Ma io volevo solo…”
Mia sorella coglie la palla al balzo e si rivolge al piccolino.
“A proposito”
Stu posa il bicchiere vuoto con i resti  di quell’orrido intruglio chimico che nostra madre ci spaccia spudoratamente per succo d’arancia e che al Seven Eleven, qua dietro l’angolo, costa solo un lurido quarto di dollaro.
“Mi dici cos’avevi stanotte da strillare? Per colpa tua non ho chiuso occhio! Mi sento uno straccio!”
E mio fratello, poverino, non ci arriva.
Nossignore, cazzo.
Dopotutto ha solo otto anni. Fa quello che può. E spesso e volentieri, se non ha scelta, dice anche la verità. Cosa che in casa nostra, purtroppo, dove si predica bene e razzola male, non è troppo ben vista.
“Io non c’entro! E’ stato Bill!”
Io lo fisso mortificato.
Non mi resta che incassare il colpo on classe.
“Lui…”
Stu esita. Mi lancia una timida occhiata.
“Lui mi è caduto addosso. Ma non l’ha fatto apposta. Vero Bill?”
“Vero” dico io.  Anzi, verissimo.
Stanotte, in preda alla nausea, sono caduto dal letto a castello. E ho preso in pieno mio fratello, che ha la sfiga di dormire sotto di me. Punto e basta.
Inutile dire che nostro padre ci s’è buttato a pesce come un ghiottone su una leccornia.
Fingendo di non cagarmi di striscio, si è rivolto a mio fratello.
“Dimmi la verità, Stuart”
Ha detto calmo, sondando il terreno con quel suo modo di fare inquisitorio che mi fa sempre venire le formiche rosse nel culo, anche quando sono innocente.
“Com’era tuo fratello, stanotte? Era ubriaco? Ti è sembrato sotto l’effetto di qualcosa?”
Mio padre m’incenerisce con un’occhiata e si lancia sulla sua preda. La sua ombra l’inghiotte in un sol boccone.
“Dimmi la verità o ti giuro che le prendi!”
Lo dice con quella voce untuosa da prete falso che fa sempre quando ha intenzione di ficcartelo in quel posto.
“Aveva bevuto sì o no? Rispondimi, Stuart!”
Gli dà una scrollata.
“ E guardami in faccia quando ti parlo!”
Mio fratello, poveraccio anche lui, tra l’incudine e il martello, s’è messo a piagnucolare.
“E che ne so io! Uffa!”
S’è messo a frignare fregandosi gli occhi con le mani sporche di marmellata di mirtilli lordandosi tutta la faccia.
“Domandaglielo a lui, scusa! E’ lì vicino a te! Perché lo vieni a chiedere a me? Che cosa c’entro io?”
L’esecrabile vecchio non se l’è fatto ripetere due volte.
Avete presente il Terzo Grado?
Ecco.
Paragonato a quello che ho subito io, è una cagata pazzesca.
“William Bruce Bailey. Si può sapere, se non è chiedere troppo, perché diamine sei cascato giù dal letto in piena notte?”
Io inghiotto a vuoto un fiotto amaro di saliva bollente.
“Avevo la nausea. Mi girava la testa. Ho fatto per scendere di corsa e ho messo un piede in fallo. Il resto lo sai. Punto e basta.”
“Ah, sì? E come mai, se m’è concesso domandartelo? Da un po’di tempo a questa parte vieni sempre a casa sbronzo marcio. William Bruce Bailey. Sto parlando con te, stronzetto. Guardami quando ti parlo, coglione! Fai schifo. Bevi. Ti fai. Dormi tutto il giorno. Vomiti dappertutto. E che cazzo! Io e tua madre non siamo mica nati ieri…”
Si volta in cerca della sua approvazione, ma mia madre è altrove. Persa nel suo mondo tossico.
“Come non detto, Sharon.”
Punta l’indice accusatore verso di me.
“ Tu credi che io non ti senta, ma sento. Eccome, se sento! Chiaro? A me non mi ci prendi per il culo, ragazzino! Non ti vergogni? Hai ancora la bocca sporca di latte! ”
Oh, Signore Onnipotente e Misericordioso!
Che due palle!
Io non ne posso più.
Sto da schifo. Voglio soltanto stendermi un po’. Recuperare le forze.
Santa di quella Madonna!
L’ho detto e lo ripeto, cazzo.
Vi sembra chiedere troppo?
E quando, per la ventesima volta, mi chiede se ero ubriaco, invece di dare ascolto alla vocina della mia coscienza- che mi consiglia di strangolarlo e gettarlo nel pozzo come ha fatto il più giusto… no, il più buono dei rossi- mi appello al diritto di stare in silenzio.
Al Quinto cazzo di Emendamento.
E lui decide di sotterrare momentaneamente l’ascia di guerra e di provare a cambiare tattica.
Mi scanso appena in tempo per schivare una pacca sulla spalla.
“Il  Diavolo deve pur uscire da qualche parte.”
 
Madonna mia. Giuro che lo ammazzerei. Lo farei secco con le mie mani a sangue freddo, cazzo!
Che vita di merda.
Oggi come ieri come domani.
Basta, ho deciso.
Quando compio diciotto anni me la batto alla stragrande e non mi vedono più neanche in cartolina.
E mio padre, poi, non è neanche furbo.
Invece di godersi la vittoria, come al solito, lui vuole strafare.
Ed ecco il Reverendo Beetle. Cosiddetto perché sembra uno scarafaggio uscito da una squallida metamorfosi kafkiana. Non perché ascolta i Beatles.
Eccolo lo levare le grinfie al cielo col piglio di un grande attore melodrammatico.
(Ehi. Mi sentite? Qui mi sa che marca maluccio.)
“Signore Iddio, perdonalo! Abbi pietà di questo tuo figlio sciagurato! Ha preso parte a orge e banchetti pagani! Tracannato il sacrilego Vino degli Empi!”
A quel punto, incapace di resistere oltre, eccitato dalla terribile eloquenza di nostro padre, mio fratello è piombato a capofitto nella discussione.
“Papà”
Ha cantilenato petulante il bambino, facendo pat-pat sulla possente spalla paterna per attirare l’attenzione di colui che, in quel momento, aveva ben altro per la testa e non lo cagava di striscio.
“Papà-papà-papà-papà…”
Il Reverendo l’ha stecchito con un’occhiata al vetriolo.
“Cosa vuoi? Non lo vedi che sto parlando con tuo fratello? Come osi interrompermi, piccola serpe!”
Stuart, però è uno giusto.
Ve l’ho detto.
Quel moccioso farà strada, cazzo.
E nonostante il fuoco e fiamme di nostro padre, lui non si è scomposto e, tantomeno, si è lasciato impressionare.
Bella Stu. Sei un mito.
Uno a zero per te, fratellino.
Si è incollato a Corvo Nero come una cozza.
“Papà, che cos’è il Vino degli Empi?”
Occhi che mandano lampi, fulmini e saette.
“Domandalo a tuo fratello.”
La piccola peste non se lo fa certo ripetere due volte. Si viene a sedere sulle mie ginocchia e ha persino la faccia tosta di tirarmi per la manica della felpa dei Motorheads.
“Bill, che cos’è? Me lo dici?”
Io mi limito a fargli l’occhiolino.
“Dopo ne parliamo.”
E lui?
Inutile dire che non l’ha presa troppo bene.
Come al solito.
Quello che vuole, vuole, cazzo.
Tutto nostro padre.
E’ più cocciuto di un mulo.
“Nooooo! Uuuuffaaaaa! Adeeeeessoooooo!”
Si è buttato per terra e si èmesso a singhiozzare forte pestando i piedi.
“Anch’io voglio bere il Vino degli Empi!!!”
 
 
 

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Capitolo 3
*** sympathy for the Devil ***


Capitolo 3
 
 
 
REVERENDO STEPHEN L. BAILEY
Simpathy for the Devil
Ma bene! Anzi. Benissimo!
No, dico. Non bastava William. Adesso ci si mette anche suo fratello Stuart!
Misericordia divina, meno male che ha solo otto anni!
Ad ogni modo,naturalmente è tutta colpa di Wiliiam. Come dicono la Scritture, che non fallano,
una sola mela marcia guasta tutto il cesto.
Infatti.
Altro che amore! Amore, amore, amore! Amore e tolleranza. Sì. Due volte. In tivù non si parla d’altro. Bella roba!
Disciplina, ci vuole! Disciplina! E regole ferree, capito?
Il pugno di ferro ci vuole, coi figli! Altro che la televisione! E’ lei che li guasta, i ragazzi!
Sta scritto: se il tuo occhio ti dà scandalo, cavalo.
Così ho fatto.
D’ora in poi con quella trappola di Satana ho chiuso. Giuro che la faccio volare dalla finestra.
Pensate un po’ voi.
L’altro giorno William stava facendo vedere a Stuart uno spot pubblicitario a luci rosse. Avete capito cos’ho detto? Una pubblicità porno. Ad un bambino di otto anni! Ma dico io, dove crede di essere quella teppa da riformatorio, in una casa di tolleranza?
Ah, ma se crede di farmela… deve ancora nascere quello che mi fotte, ve lo dico io! Basta. Meglio che taccia, perché giuro che non so quel che potrebbe scapparmi fuori di bocca!
Quel ragazzo riesce sempre a mandarmi fuori dei gangheri. Come faccia non lo so, ma so una cosa: ci riesce sempre. Tutte le sante volte. Tutti i maledettissimi giorni che Nostro Signore ha fatto!
Insomma, io non ci ho visto più. E confesso che l’ho picchiato. S quella sua brutta cloaca di bocca, che lui stava usando per corrompere un innocente.
Stava peccando contro il Padre Celeste. Invece di lodare il Signore perché ha tutte le fortune del mondo, visto che Dio l’ha fatto intelligente come pochi, bello, sano e chi più ne ha più ne metta!
A cominciare dal fatto che, in Chiesa, quando canta, fa commuovere anche le panche.
Chi diamine lo direbbe mai che invece, in privato, è una canaglia ed un delinquente, che passa le notti fuori casa con quell’altro buono a niente bighellone perdigiorno di Jeffrey Isbell!
A proposito, Padre, scusa se mi permetto… bel colpo, quello di metterli in classe assieme!
Insomma, invece di tenere in esercizio la voce cantando gl’Inni Sacri, quello cos’è che fa?
Grida a squarciagola canzonacce oscene, per lo più scritte di suo pugno e delle quali, il deficiente, si vanta pure.
Roba da far accapponare la pelle.  Ha un frasario da far impallidire Lucifero in persona. Maledetto lui e quel cazzo di rock ‘n roll e lo stronzo che l’ha inventato! Tutta opera di Satana!
E quella testa di cazzo, intelligente com’è, non ci arriva. Nossignore.
Si fa prendere per il naso da sogni di gloria che non stanno né in cielo né in terra. Diventare una rock star.
Ma per piacere!
Cosa c’ho scritto, qui, in fronte, SALI E TABACCHI?
E’ il diavolo che gliele mette in testa, dico io, ai giovani, certe stronzate. Sempre e solo lui. Il suo obiettivo è insinuarsi nelle loro teste adolescenti e confuse come un tarlo per poterli corrompere dall’interno. E’ così che fa, Lucifero, sapete, a rimpolpare l’Esercito delle Tenebre.
E non ridete, per piacere!
Non ridete. Disgraziati che non siete altro!
Anche voi, come mio figlio.
Non lo capite che siete solo delle pedine in mano a forze oscure?
Ma tanto io parlo a vanvera!
E lui, tutto questo, lo sa benissimo! Gliel’ho ripetuto fino alla nausea, e quello cos’è che fa appena io volto le spalle?
Ne approfitta per traviare un innocente.
Anzi. Due. Visto che c’era anche sua sorella Amanda.
No, dico. Non ho parole.
Ridete. Ridete pure.
Razza di vipere!
Tanto prima o poi le pagherete tutte!
Ad ogni modo. Erano tutti e tre lì spaparanzati sul divano in oca davanti alla tele a rimirare le… sì, insomma… quelle cose lì, ecco… di una meretrice. La quale si mostrava seminuda, con uno di quei vergognosissimi stracci che adesso hanno la faccia di tosta di chiamare costumi da bagno.
Inutile dire che mio figlio William era in fissa sulle sue… sulle rotondità della sgualdrina di turno.
Fisso, vi dico.
Avete presente?
Ipnotizzato.
Come un cane da caccia su una dannatissima pernice.
No, dico. E io?
In qualità di educatore, di Ministro del Culto, nonché di genitore, mi dite voi cos’altro avrei potuto fare?
Non ho avuto altra scelta.
Non vi pare?
Se non quella di zittire quella bocca sacrilega per il bene di quelle povere orecchie innocenti?
Con tutta la fatica che si fa, al giorno d’oggi, per tirarli su in modo decente, questi figli, un balordo che non è altro, in un attimo solo, riesce a mandarti in fumo- per non dire di peggio- anni e anni di lavoro e di sacrifici.
Vi sembra giusto?
A me no. E in casa mia non lo permetto.
No, no e poi ancora no. Punto e basta. Non glielo lascio rovinare, a quel mentecatto, mio figlio Stuart! Quanto a William, io me ne lavo le mani. Ci sbatta il grugno da solo, quel figlio di buona donna. Faccia pure quel cavolo che gli pare. Pianga. Gridi. Si ravveda. Vada a farsi friggere. Cavoli suoi. Non mi interessa. Ormai, se volete saperlo, ho perso le speranze di riuscire a raddrizzarlo, quel teppista. Ma Stuart e Amanda, invece, no. Loro sono ancora in tempo.
(Forse)
E allora salviamo il salvabile. E William vada pure a quel paese, che in fondo è quello il suo posto.
 E’ da lì che viene.
(Boccaccia mia statti zitta)
L’ho detto e lo ripeto.
Vada pure alla malora.
Ma stia lontano dai miei figli!
Ingrato.
Se solo sapesse, dico io.
Se solo sapesse quello che ho fatto per lui! Se solo se lo immaginasse, quel poco di buono senza cuore e senza spina dorsale che non è altro!
Quanti sacrifici mi è costato tirarlo grande!
Io non lo so. Quand’era piccolo era un figlio modello. Mi ubbidiva in tutto e per tutto. Giuro. Era così incredibilmente brillante e intelligente… non sto scherzando.
Vinceva sempre tutto lui. Tutto.
Con lui non c’era gara!
Allora le organizzavamo spesso, tra i bambini del catechismo, i giochi a premi basati sulla recita dei Salmi e delle Sacre Scritture a memoria, e lui… ragazzi! Lui era il mio caspita di asso pigliatutto.
Per non parlare di quello che ha in gola.
Un altro dono di Nostro Signore che lui, mio figlio, sta buttando alle ortiche.
La sua voce.
Potente. Cristallina. Versatile.
Così gli ho preso il maestro di canto e l’ho mandato a imparare a suonare il pianoforte. Poi ho fatto misurare la sua estensione vocale. Sei ottave, gente. Sei incredibili caspita di ottave e addirittura otto semitoni. Cioè, in pratica, la sua voce copre quasi l’intera tastiera del pianoforte. Dal baritono al mezzosoprano passando per tutte le sfumature intermedie senza perdere una sola diamine di nota.
Ma, dico. Avete presente di cosa sto parlando o parlo arabo?
Un portento. Un prodigio.
Appunto.
E lui cos’è che fa?
Mette su un gruppo di dementi col suo degno compare.
Sì, avete capito benissimo.
Sempre lui. Quel cazzone di Isbell.
Chi altri?
 E giuro che se lo ribecco a ronzare attorno a casa nostra lo sbatto fuori a calci nel didetro!
Dicevo, i due stronzetti mettono su una cialtronata di gruppo rock che non vale il vomito di un cocker tubercolotico e si mettono in testa di andare a Los Angeles appena maggiorenni per di sfondare come rock star.
No, dico.
Ma si può essere più deficienti di così?
Ma roba da matti!
E’ il diavolo che agisce in lui, che prova piacere a traviare un innocente, proprio come lui ha cercato di fare con i suoi fratelli più piccoli. E, del resto, si sa. Ognuno tira l’acqua al suo mulino.
Per Amy e Stuart sono intervenuto io.
Ma per William, a quanto pare, non ne vale la pena. Io l’ho detto e lo ripeto: io me ne lavo le mani.
Purtroppo però, William non è la mia unica spina nel fianco.
Ultimamente, come se non avessi già abbastanza da fare tra la chiesa, il coro, la parrocchia, le opere di beneficienza e tutto il resto, ci si è messa anche sua sorella, a darmi del filo da torcere.
Amanda, dico.
Ha compiuto tredici anni e… sì, insomma. Ci siamo capiti.
Sta prendendo… chiamiamole… proporzioni da donna.
E, tra parentesi, che donna!
E anche quella, che cos’è che fa?
Tutto il santo giorno blindata in bagno a rimirarsi e a truccarsi la faccia come una volgarissima Jezabele dipinta.
Una sgualdrina. Una volgarissima sgualdrina.
E per cosa, poi?
Ditemelo voi.
Esatto!
Per quel mentecatto di Isbell!
(Maledetto lui e chi l’ha scagazzato!)
Poveri noi. Mi dite dove andremo a finire, di questo passo?
Qui ci vuole disciplina, come dicevo prima.
E se sua madre non vale una cicca, giuro che ci penso io. E’ compito mio, dopotutto. Sono l’unico che ha ancora la testa sulle spalle, in questa gabbia di matti!
 
“Amy!” le dico, cercando di fare appello a quel briciolo di buonsenso che magari, per sbaglio, può aver preso da me “lavati via immediatamente quello schifo dalla faccia! No, dico. Ma dove siamo arrivati? Ma ti sei vista? Amanda Louise Bailey! Ti ha dato di volta il cervello?”
Niente. Lei non mi fila di striscio.
“Rispondimi, quando ti parlo, signorina! Hai capito? Io ti ho dato la luce, io te la spengo! Chiaro?”
Lei manda giù amaro e annuisce con già le lacrime in tasca.
“Ti ricordo che, dopotutto, hai solo tredici anni!”
“Ma io…” replica lei, sentendosi in colpa, senza prendersi il disturbo di chiedermi scusa.
“Zitta, sgualdrina da due soldi! Stai bene attenta a quello che fai, ragazzina! Questa, fino a prova contraria, è ancora una casa onorata, non un bordello!”
Parole che non avrei mai creduto di dover rivolgere, un giorno, alla mia stessa figlia. Frutto dei miei lombi. Sangue del mio sangue. Mai e poi mai!
Inutile dire che a questo punto, a salvare la donzelletta, è intervenuto il Cavaliere Senza Macchia e Senza Paura. Suo fratello William. Il quale, per come la vedo io, dovrebbe vergognarsi anche solo a respirare.
Basta.
Vi risparmio la sceneggiata.
Sappiate solo che, per un padre, questa è una sconfitta.
E se non ci arrivate adesso, lo capirete quando avrete dei figli.
Chiusa parentesi.
Ci soffro come un cane bastonato a fare il duro coi miei figli, cosa credete?
Ce l’ho anch’io, un cuore, dopotutto!
Non sono mica fatto di ferro!
Però so una cosa: il medico pietoso fa il malato gangrenoso.
Un domani, quei poveri di spirito mi ringrazieranno.
Amanda e Stuart, intendo.
Su William, la mano sul fuoco, non ce la metterei.
Pensiamo a come si è presentato a tavola ieri mattina.
Un insulto per me, sua madre e i suoi fratellini.
Aveva una faccia… sembrava Socrate dopo aver bevuto la cicuta.
“Tira fuori la lingua!” gli ho detto, preoccupato solo e unicamente della sua salute.
E quando, dopo le solite sceneggiate isteriche e i soliti capricci, si è finalmente deciso a ubbidire… beh, gente. La sua lingua si commentava da sola. Era un libro aperto. Appiccicosa e biancastra. Il che significa fegato in baracca. Stomaco in disordine. E se due più due fa quattro- e non cinque o sei, come vorrebbero darmi a bere in questa casa degenerata- avevo ragione io.
Uguale bagordi e gozzoviglie.
Che tradotto in lingua corrente sta per alcol e droga.
Lo sa anche un deficiente.
“Tu bevi di nascosto!”
“Non è vero!”
“Guarda che brutta linguaccia impastata… se continui così, a vent’anni ti verrà la cirrosi!”
“Io non ho bevuto!”
Che faccia tosta! Giuro. Dà  dei punti anche a San Tommaso, quello che non ci crede se non ci mette il naso.
Si arrampica sugli specchi per negare l’evidenza.
“Ho la febbre. Sto male. Mi sa che mi sono beccato qualcosa a scuola, dal mio compagno di banco. Jeff. E’ due giorni che è a casa. Ha l’influenza. L’alcol non c’entra, pa’. Sei fuori strada.”
Falso come Giuda.
Ruffiano.
Poi ha messo il broncio e si è piegato in due. A lamentarsi per il mal di stomaco e la nausea e a piagnucolare come una femminuccia.
Insomma, uno strazio.
Povero William.
Mi fa pena.
Mamma mia, com’è caduto in basso!
Che vergogna! Il peggio è stato vederlo gettarsi tra le braccia della Chioccia, con lei che se l’è stretto al seno come un lattante.
Ho provato ribrezzo per lui. Non dico altro. L’avrei strozzato con le mie mani. Altro che massaggiargli il pancino!
“Mammina, ti prego… diglielo tu!”
Ma Sharon non ha aperto bocca. Neanche per il suo protetto. Nossignore.
Al solito. Fatta e strafatta come una biscia.
Tanto per cambiare, le cadeva la testa nel piatto.
Brutta deficiente rincoglionita. Tale madre, tale figlio.
Questa non è più una casa normale. E’ un ospizio. Un sanatorio. Un ospedale psichiatrico.
Basta. Io non ci ho visto più. E sono scoppiato.
“Finiscila, una buona volta! Buono a nulla! Smidollato che non sei altro! E mettiti composto, a tavola! Porta rispetto a tuo padre, coglione!”
Lui si è limitato a incenerirmi sul posto con quei suoi occhiacci acquosi e vacui.
“Così conciato, col cavolo, che ci riesci, a cantare le Lodi!”
Ho osservato. E, badate: non era un rimprovero. Era una semplice constatazione.
“Infatti”
ha candidamente ammesso quella faccia di culo.
 “Oggi non canto. Mi brucia la gola.”
Io mi sono riservato qualsiasi ulteriore commento.
Altrimenti, giuro sull’abito talare che porto con onore e con decoro da vent’anni, che prima l’avrei massacrato di botte e poi l’avrei appeso al ciliegio di mio padre- pace all’anima sua- come spaventapasseri.
“Non posso, pa’. Senti che voce!”
E aveva ragione: più che parlare, gracchiava come una cornacchia.
“Hai preso il raffreddore?”
Lui guarda per terra e si appoggia allo schienale della sedia.
“No” mi fa, massaggiandosi ostentatamente lo stomaco. “Te l’ho già detto. Sto di m…”
“Bada a come parli! Screanzato!”
“Scusa. Volevo dire di schifo.  Ho fatto tutta notte a vomitare. Ho la gola in fiamme. Sono a pezzi.”
E’ qui che ti volevo.
Tana!
Sei in trappola, bambino…
“Ma tu guarda, eh? Sentiamo un po’. Secondo te, cos’è stato?”
Lui non fa una piega e mi pianta in faccia i suoi occhiacci verdi da ramarro.
“E che ne so? Non sono mica un dottore, io! Un colpo di freddo. Un virus. Boh. Forse qualcosa che ho mangiato.”
(Sì, come no! Inventatene un’altra. Chi caspita vuoi prendere per il culo? Coglione! Non sono mica nato ieri!)
“O qualcosa che hai bevuto?”
Lui mi ha letteralmente trafitto da parte a parte con un’occhiata.
Poi si è alzato in piedi e ha fatto un passo avanti.
Un passo barcollante. Da ubriaco.
“Fammi sentire il fiato!”
Caspita, gente.
Come mi alita in faccia, io so di aver vinto.
Odore acido. Pungente. Dolciastro. Di vino. Di birra. Di whisky.
E di vomito.
La sua condizione è evidente.
Sta da schifo e se lo merita.
Questi sono i mali che Nostro Signore manda alla gente dissoluta come lui che la notte, invece di dormire, beve e gozzoviglia.
E io non ho più dubbi.
“Sei ubriaco marcio, Cristo!”
sentenzio, esaminandogli a fondo le palle degli occhi lacrimosi e arrossati.
“William Bruce Bailey, fai schifo. Vergognati!”
“Non è vero!” Ribatte lui, senza pudore. “Ho l’influenza!”
Ah, pure.
No, dico io. Però è tosto, il moccioso! Nega l’evidenza fino all’ultimo. Devo ammettere che ha un bel coraggio!
Voi che ne dite?
Sì, come no. L’Influenza.
E mia nonna è una carriola. Solo perché ha le ruote, cazzo.
“Ma vai all’inferno, Servo del Demonio! Feccia!”
E voialtri non ridete, disgraziati!
Non ridete!
Mammalucchi che non siete altro, anche voi!
Tutti uguali, i giovani d’oggi.
Meglio che vi guardiate le spalle e stiate in campana.
Satana è bugiardo. Mente per confondervi.
E vuole sangue giovane.
Capita l’antifona?
Quel teppistello da due soldi crede di farmi scemo, ma si sbaglia di grosso.
Io non ci casco. Nossignore!
Io li scaccio, i Demoni.
Li esorcizzo.
E William, a quanto pare, non fa eccezione.
Il bastardo ha osato persino sfidarmi. No, dico. Sfidare me. Suo padre! Non ho parole.
“Toccami la fronte, pa’, se non ci credi!” mi ha detto fissandomi a muso duro e venendo avanti con un ghigno da mentecatto.
 
Io l’ho respinto. Col Crocifisso.
 
“Vade retro, Satana!”
 
Lui è schizzato via come una furia.
Bingo.
Visto che avevo ragione io?
Quel ragazzo non è stressato, come sostengono i suoi insegnanti.
E’ posseduto.
Punto e basta.
Con buona pace di sua madre e dei suoi fratelli che non capiscono un tubo.
Chiaro?
 
Voi che ne dite?
Ho esagerato?
Non penso proprio.
Quanto ci vuole, ci vuole.
Cristo!
 
 

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Capitolo 4
*** 'cause I got something I've been building up inside ***


Capitolo 4
 
 
WILLIAM BRUCE BAILEY (BILL)
Cause I got something I’ve been building up inside
Per la cronaca, mio padre, poi, alla fine, domenica mattina, c’è riuscito a cacciarmi in gola la colazione. Anzi. Sono stato io ad auto-infliggermela, col solo intento di togliermi dai coglioni quell’avvoltoio una volta per tutte.
Questa si chiama persuasione occulta.
Lavaggio del cervello.
Chiamatela come volete, la sostanza non cambia.
Mio padre è un despota. Un prevaricatore. Un dittatore.
Quello che ci vorrebbe qui è un colpo di stato. Il guaio è che, da solo, è un trip assurdo. Così, conscio di rischiare una resa incondizionata, ho obbedito con la morte nel cuore.
Già.
(Per non parlare dello stomaco, cazzo!)
Volete sapere com’è andata?
Eccovi serviti.
Gustatevela tutta. Ne vale la pena. Giuro. Soddisfatti o rimborsati.
 
“Non me ne frega un accidente!”
mi ha risposto dopo che, per l’ennesima volta, mi ero rifiutato di imporre al mio corpo quella brodaglia gelata da sbratto a fontana.
“A te la scelta, ragazzo: o per bocca, o…”
La sua faccia si è storta in un ghigno davvero non male per un Reverendo, mentre col dito medio faceva un gesto eloquente… di cui, anche nelle più infauste previsioni su di lui, non lo avrei mai ritenuto capace.
“O?”
“Su per il culo!”
Ha esclamato mio padre.
Standing ovation.
Poveri noi, ho pensato. Che caduta di stile! Un crollo senza precedenti. Se solo i suoi fedeli sapessero chi è veramente il Reverendo Stephen L. Bailey!
Io, come chiunque sano di mente può benissimo immaginare, sono rimasto basito. Lo ammetto. Scioccato è la parola giusta.
Non lo credevo capace di arrivare a tanto, santa di quella Madonna! Nemmeno nei suoi giorni peggiori! Quando- per citare le Scritture, senza le quali non va neanche al cesso- si dà ai banchetti, alle gozzoviglie, al Vino degli Empi (ci si possa strozzare, Dio-Cristo!) e, udite udite, anche al suo sport preferito: la fornicazione. Cioè, parlando come mangio, mio padre, il Reverendo Stephen L. Bailey, guida spirituale della Comunità Pentecostale di Lafayette, Indiana, gran rompipalle e fanatico integralista… va a PUTTANE.
Ebbene sì.
Ma non per quello che pensate voi, che siete sempre maliziosi e maligni. Lui lo fa solo per REDIMERLE!
Quelle povere pecorelle smarrite che camminano in una valle oscura… meno male che c’è lui a rischiararle, a portar loro la LUCE!
Lui le riporta sulla retta via!
Capito che razza di eroe del cazzo è mio padre?
E io che pensavo male di lui…
Scherzi a parte, tornando alla faccenda ridicola della colazione di domenica mattina… beh, non riesco quasi a capacitarmi di quanto il vecchio mentecatto sia sceso in basso. Cioè. Che è uno stronzo, più o meno, l’ho sempre saputo. Anche quando avrei dato un occhio per renderlo orgoglioso di me. Però, sinceramente, che arrivasse fino a questo punto… beh, gente, questo non lo credevo proprio, cazzo.
No davvero.
Eppure… a quanto pare, non c’è mai limite al peggio. Sotto quell’abito talare c’è il più gran farabutto che conosco da qui all’eternità. E il fatto che sia mio padre, purtroppo, non cambia un bel Cristo di niente. Fa male ammetterlo. Brucia come un marchio a fuoco, ma è così. Quell’uomo ha meno senso morale di un ruffiano. Che poi, alla fine della fiera, è giusto quello che è.
E se due e due fa quattro, raga, se io sono la sua cazzo di pecorella smarrita, lui è il capro. E come tale, prego Dio Onnipotente- sempre che veda davvero e provveda- di ricordarsene nel Giorno del Giudizio Universale. Perché se le Scritture dicono il vero, l’Altissimo tornerà in gloria a separare le pecore dai capri. E per quelli come lui, con licenza parlando, saranno cazzi da cagare.
“Su per il culo!”
Ha esclamato Monsignor Della Casa, Apostolo del Galateo e della Buona Educazione a Tavola.
Inutile dire che la mala semenza, nella terra vergine e grassa del suo podere, ha subito messo radici.
“Su per il culo!”
Ha ripetuto Stu, scimmiottando il vocione di basso profondo del Corvaccio Cafone.
Povero cucciolo! Ha così poche gioie dalla vita! Però, conoscendolo come lo conosco io, che sono il suo fratello maggiore, il suo mito e il suo diario segreto paghi uno prendi tre, vi garantisco che il linguaggio scurrile del Vecchio l’ha fatto felice.
Mio fratello è un cabarettista nato, e adora la gente sboccata.
Quando a qualcuno scappa una parolaccia, gli brillano gli occhi.
Scala reale servita.
Avete presente?
E mio padre, col suo parlar forbito, gli ha servito la gag su un piatto d’argento.
“Su per il culo-su per il culo- su per il culo- su per il culo- su per il culo-su per il…”
Cantilenava tutto giulivo il Piccolo Temerario, al settimo cielo.
E giuro che sarebbe andato avanti all’infinito se un sonoro ceffone giunto dall’Alto non l’avesse praticamente incollato al muro.
Ma dico io. Si può sapere che cazzo ci guadagnava quel tritura palle di fanatico religioso del cazzo se io mangiavo quella merda o ci cagavo sopra?
Roba da matti. Quello è fulminato, non illuminato!
Io non le bevo le sue stronzate. Non le ho mai bevute. Neanche quando ero un lattante.
Giuro su Dio o Zio o quel cazzo che volete voi che non ho mai creduto ad una sola porca parola delle scemenze che insegnavo a quei poveri sfigati della Scuola Domenicale. Nossignore. Le accettavo, ma finiva lì. Credeteci o meno. Mio padre è un insulto vivente alla mia intelligenza. Punto e basta. E, se volete saperlo, sono molto fiero di non somigliargli affatto, ne’ caratterialmente e tanto meno fisicamente.
Ad ogni modo, l’esecrabile Vecchio non molla.
Mi intima per la millesima volta di mangiare.
Dice che è un cazzo di ordine. E che se mi rifiuto, povero me. Cazzi da cagare.
Basta.
Io sono allo stremo delle forze.
Se il buongiorno si vede dal mattino… cazzo, raga!
Mi sa che fino a sera non ci arrivo.
A questo punto la domanda nasce spontanea. Quanta merda può mandar giù un essere umano prima di dar fuori da matto?
Non c’è una cazzo di istituzione, in questa cloaca massima di città, per la tutela dei fottutissimi Diritti Umani?
“Non puoi cantare come si deve a stomaco vuoto!”
Mi fa la Santa Inquisizione riproponendomi la ciotola del cane.
“Ma…”
“Zitto!”
“Io…”
“Taci, ho detto! E vedi di spicciarti! I fedeli aspettano la Santa Messa! Chiaro? Non i tuoi porci comodi!”
“Ma papà…”
“Niente ma. Mangia e taci o…”
Si torce rabbiosamente le dita e fa scrocchiare tutte le giunture.
(Che stronzo! Lo fa apposta! Lo sa che non lo sopporto)
“O povero te!”
Bene. Anzi. Male.
Capita l’antifona, non mi restava che fare quel che, dopotutto, avevo sempre fatto. Buon viso a cattivo gioco.
Guardando nella mia ciotola della colazione, ho avuto modo di rimpiangere seriamente quella del cane.
Cazzo, Seth. Ti invidio a morte.
Dammi il cinque, fratello. Tu sì che hai le palle, bello! Mangi molto ma molto meglio di me. Giuro. Non sto scherzando. Qua la zampa. Non c’è paragone, cazzo. Fanculo, amico. Onore al merito!
Bocconcini e crocchette di primissima scelta. Sfizietti da gourmet cinque stelle. Averceli, cazzo!
Lo so perché, della sua alimentazione, ci occupavamo noi ragazzi. Soprattutto il sottoscritto. E in questo merdoso momento di umiliazione, il mio pensiero corre a Seth, appunto. Il mezzo sangue trovatello raccolto come un funghetto in un giorno di pioggia da mia sorella Amy quand’era solo un cuccioletto spaurito.
Un buon cagnone. Io lo adoro. A cominciare da quel suo aspetto trasandato e sporco ma, credetemi, fichissimo.
Tra parentesi, che cane!
Merita davvero due parole.
Ha un pelo allucinante. Pazzesco. Tutto boccoli infeltriti lunghi fino a terra.
Avete presente Bob Marley?
Ecco. Appunto.
Seth è un cazzo di superfichissimo Rasta.
E se riuscite a trovarli, sotto tutta quella lana, ci sono due occhietti straccia cuore da ruffiano di prima.
Sembra un cazzo di barbone cazzuto, il mio Seth. Un vagabondo coi contro coglioni. Un hippy scappato di casa.
Inutile dire che io e lui siamo spiriti affini. E che questo suo look diciamo bizzarro per gli standard canini di Lafayette Buco del Culo City, ha fatto scattare in noi una cazzo di affinità elettiva.
Io e Seth siamo compagni d’armi.
Mio padre, a sua volta, ci considera separati alla nascita.
Odia quel cane. Non lo può soffrire. Se lo tollera in giro per casa è solo per  pura e semplice Carità Cristiana.
Lo chiama sempre e solo come spesso e volentieri chiama me. Col suo cazzo di vezzeggiativo preferito. BASTARDO.
Chiusa parentesi e torniamo a ieri mattina.
Vi va’?
Anche se, detto tra noi, preferirei morire.
“William Bruce Bailey, vergognati! Così manchi di rispetto a tua madre, che sgobba tutto il giorno come una negra! Tanti poveri bambini, in Africa, non so cosa darebbero per un briciolo di quel ben di Dio che tu tanto disprezzi!”
Inutile. Tutto inutile.
Se la butta sul patetico facendo leva sui miei sensi di colpa, la partita è chiusa. Butto dentro. Così la finiamo una volta per tutte.
Mi sento beffato. Sconfitto. Derubato. Esattamente come con la figata stellare di rock band che io e Iz, cioè il mio amico Jeff, avevamo appena fondato. E che nome, ragazzi! Quanto mi piaceva, il nome del gruppo! Me lo sarei tatuato in fronte anche domani.
AXL
Così ci chiamavamo.
L’ispirazione ce l’aveva data un logo impresso sulle ruote di poliuretano espanso dello skateboard di Jeff.
AXL
Mi piaceva, cazzo. Aveva un suono da sballo. E anche noi, se volete saperlo, suonavamo da Dio con la di maiuscola.
Come sala prove, avevamo la cantina.
A volte la nostra, a volte quella di Iz.
Per un paio di mesi, tutto liscio come l’olio.
Poi, un giorno, mio padre ci ha tanati in pieno con le mani nella marmellata.
E… puff! Fine. Ha rotto l’incantesimo.
Il bassista si è cagato sotto. Tanto che non mi parla più. Per non parlare del batterista. Come mi vede, cambia strada. E tutto questo per colpa sua. Di quel Bastardo. Se solo sapesse quanto lo odio. Tanto che sto pensando di far su i miei quattro stracci in croce e andare a stare da mia nonna Kate. La mamma di mia mamma. Almeno finché non sarò maggiorenne. Dopodiché
Baciami il culo, Lafayette!
Io me ne vado in California, cazzo!!!
Ma, fino a quel momento, che cazzo devo fare con quel pazzo furioso di mio padre, che Ronnie James Dio lo stramaledica e lo strafotta?
Cazzo faccio?
Ditemi voi.
Getto la spugna?
Ho capito.
Non biasimatemi per essermi arreso. Io non mi sono venduto, cazzo.
Ho solo cercato di sopravvivere.
Ci è voluta tutta la mia forza e tutto il mio cazzo di autocontrollo per non tirar su anche il tacchino del Ringraziamento dell’anno scorso mentre quella sbobba da galera che mia madre ha la faccia tosta di definire porridge mi scendeva giù per la gola come bava di lumaca.
Mi genufletto, ma non lasciatevi ingannare. La mia rassegnazione è solo superficiale.
Vi garantisco una cosa, raga.
Quel porco vuole la mia anima, ma se la può scordare, cazzo.
Non l’avrà mai.
Chiaro?
Cause I got something I’ve been building up inside
I’m already gone
 
(Perché io mi sono costruito un universo nel cranio per rivaleggiare col sole. E più quel fottuto tenta di prendermi, più gli scappo via come sabbia tra le dita)
Però, prima di bere la cicuta, ho fatto un ultimo, disperato tentativo.
Si sa mai che, magari, il nostro buon vecchio Ronnie James anche detto Dio decidesse di sintonizzarsi su Radio WBB
(William Bruce Bailey)
“Papà, ti prego. Ti supplico. Ascoltami, una buona volta!”
A mani giunte. Praticamente lo sto implorando. Mi sto coprendo di ridicolo davanti a mia madre- buona anche lei- e ai miei fratelli per niente, però voglio tentare. Perché ogni lasciata è persa e, dopotutto, cazzo, se permettete, sono un essere umano anch’io.
Mi sento come Gesù nell’Orto dei Getsémani.
Sudo sangue.
Assurdo.
Il Reverendo Beetle si volta di scatto.
Il suo faccione triviale è paonazzo e congestionato.
Mamma mia! Sembra che l’abbia appena punto una vespa
(no, impossibile. Non sarebbe sopravvissuta. La vespa, dico!)
“Cosa vuoi? Verme!”
“Niente”
Ho replicato, cremato vivo dai suoi occhi a microonde.
“E’ proprio questo il punto! Io non voglio un bel Cristo di niente. Capito? Niente. Nisba. Nicht. Nada de nada. Claro?”
Dunque. In quel momento di incredibile luce, ho avuoto una visione. O, come dice Corvo Nero, sono stato edotto. Lui non è mio padre. E’ Rasputin, cazzo. Rasputin.
Avete presente?
Cagato e sputato.
Questo pezzo di merda è una canaglia da capestro.
(E poi sarei io, il bastardo!)
Un punto per te, stronzo.
“E allora taci! Insolente!”
Inattesa e feroce come l’agguato di un puma, cala a Mano della Gloria. Come dire che, porca di quella schifa malcagata, mi becco un altro destro da paura.
“Quella tua brutta linguaccia, un giorno o l’altro, ti piscerà addosso dei guai!”
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** I'd better keep my mouth shut ***


WARNING: PURTROPPO I PRIMI SETTE CAPITOLI SONO ANDATI PERSI. WRECKLESS E' SBARCATO IN AMERICA IN LINGUA INGLESE E QUESTO, ALLA SOTTOSCRITTA, PASTICCIONA COM'E', HA CREATO NON POCHI CASINI. PER QUESTO, CHI HA GIA' LETTO LA STORIA, SI ACCORGERA' CHE QUESTO EPISODIO E' STATO RISCRITTO DI PESO. SORRY!!! TUTTA COLPA DEL PC!!! (E, GIA' CHE CI SIETE, SCUSATE EVENTUALI DISASTRI DI COPIA/INCOLLA) STATE TRANQUILLE: IL PROBLEMA RIGUARDA SOLO I PRIMI CAPITOLI. DALL'8 IN POI C'E' TUTTO! (E SARA' POSTATO TALE E QUALE!) WRECKLESS KISSES VI ADORO TUTTE (SOPRATTUTTO ANGIE MARS! E LAILA!) SARAH ROSSA MALPELA ROSE
Capitolo 5
 
 
 
GRANNY KATE
I’d better keep my mouth shut
Io non lo so. Non ho parole. E del resto, ditemi voi. Che cosa dovrei fare?
Scusate lo sfogo. E già che ci siete, perdonate la mia maleducazione. Non mi sono nemmeno presentata!
Sono la nonna di Billy.
Sharon, sua madre, è mia figlia.
Sono fuori di me dalla rabbia e non posso fare altro che mangiarmi il fegato mentre quel figlio di buona donna riesce sempre a farla franca. 
Signore, ti prego! Se ci sei, vedi di tenermi la bocca sigillata. E già che ci sei, se non ti rode, scaglia un fulmine fatto bene su chi dico io! (Se no’ giuro che faccio uno sproposito!)
Quel farabutto ne ha fatta un’altra delle sue. E con chi è che se l’è presa, tanto per cambiare? Col ragazzo. Billy.
Stamattina, verso mezzogiorno, si è presentato da me con una sacca sulla spalla.
No, dico. Quando l’ho visto, ho preso paura.
Era bianco come un lenzuolo candeggiato con Ace.
Il visino aggraziato, quasi da femmina, costellato di lividi e graffi. Il naso che sanguinava. Le labbra ridotte a una fessura.
Benedetto ragazzo! Mi ha lasciato la scia sulla porta come Pollicino!
Quel pezzo di roba che puzza di suo padre l’ha picchiato di nuovo. E stavolta mi sa che ci ha dato giù di brutto. L’ho capito appena l’ho visto. Non c’era neanche bisogno che aprisse bocca. Tanto, io sapevo già tutto.
Niente di nuovo sotto il sole.
Quel figlio di un cane predica miele-razzola merda ha la mano pesante. Infatti, guarda caso, mia figlia porta sempre gli occhiali da sole anche di giorno. In casa o fuori, non fa differenza. Praticamente ci va anche a letto. Non se li toglie mai.
E i lividi sugli zigomi?
Ha sempre la scusa pronta. E’ inciampata. Ha sbattuto contro un mobile. E’ scivolata. E’ caduta per le scale. E che più ne ha più ne metta.
Seeee, come no! Non sono mica nata ieri, io! Non ho mica cinquantatrè anni per niente!
O no? Voi cosa dite?
Uomini! Tutti farabutti. Uno peggio dell’altro. E quello lì, se volete saperlo, è il peggiore  di tutti.
Povero Billy. Che sfiga!
Ha tutta la mia solidarietà.
Ad ogni modo, quando ho aperto la porta e mi son vista davanti il ragazzo in quello stato, m’è preso un coccolone.
Lui se ne stava lì immobile, e si vedeva bene che era in imbarazzo. Muto come un pesce, gli occhi fissi sullo zerbino con su scritto
WELCOME
 a mangiucchiarsi le unghie.
Non appena m’è tornata la favella, per toglierlo dall’imbarazzo, ho notato le occhiaie. Nere. Profonde.
“Tesoro!” Gli ho detto, cadendo dal pero. “Niente scuola? Come mai? Cos’è successo?”
Lui ha sollevato lo sguardo e io, che sono sua nonna e lo conosco da quand’è nato- per non dire che, praticamente, l’ho tirato su io- ho sentito puzza di guai.
I suoi occhi verde acqua avevano uno scintillio febbrile. Erano liquidi. Enormi. Come quelli di un cerbiatto spaventato.
La pelle era livida. Quasi traslucida. Avrei giurato che, oltre alle botte, c’era di più.
“Forza!” gli ho detto, scompigliandogli affettuosamente i lunghi capelli. “Vieni dentro.”
Lui ha sbattuto per terra lo zaino e si è buttato sul divano a singhiozzare disperatamente come un bambino piccolo.
Con la scusa di andare a prendere la cassetta del pronto soccorso, l’ho lasciato sfogare un po’ da solo. Non appena s’è un po’ calmato, sono scivolata sul divano accanto a lui e me lo sono preso in grembo come quand’era piccino.
“Cosa c’è, Carotina!”
Lui mi ha guardato tirando su col naso, ancora scosso dai singhiozzi.
“Cosa succede? Dillo alla tua nonna!”
Ragazzi!
Fermare l’emorragia non è stato facile. Giuro. E’ stata una bella gatta da pelare! Ad ogni modo, l’ho sistemato sul divano con una montagna di cuscini dietro la testa e l’ho coperto con una coperta fatta all’uncinetto. Lui mi ha ringraziato con gli occhi pieni di gratitudine.
Mentre lo medicavo nell’anima e nel corpo, avevo un groppo in gola.
Povero micetto che paga le colpe dei grandi!
(Ti capisco, bambino. Credimi. Tu non sai quanto.)
 “Nonnina!” mi ha sussurrato, lavato e pulito “sei sicura che non ti disturbo?”
“Ma tesoro mio! Ma no, che non mi disturbi! Cosa ti viene in mente? Lo sai che qui da me sei sempre il benvenuto!”
“Oh, nonnina…!”
Inutile dire che mi è saltato al collo. Io me lo sono strapazzato un po’, poi gli ho rimboccato la coperta e gli ho dato in mano il telecomando della TV.
“Adesso rilassati un po’, ok? Mettiti lì tranquillo e guardati quello che vuoi. Tra mezz’oretta si mangia. Va bene?”
“No!”
Scrollando i capelli con rabbia.
Mi sono inginocchiata sul tappeto persiano di fronte a lui, gli ho preso il musetto tra le mani e l’ho guardato negli occhi.
 “Non hai fame?”
“Per niente.”
“Tesoro, ma cos’hai? Non stai bene?”
Il ragazzo si è passato le mani tra i capelli, a disagio, torturando una lunga ciocca rosso carota.
“Sto di schifo, nonna.”
Esaminandolo meglio, ho notato che- lividi a parte- aveva una brutta cera. Poi mi è scappato l’occhio sulla felpa. La sua preferita. Quella con su quel brutto ceffo coi capelli lunghi e i baffi a galleria che mi guarda storto e mi fa il dito medio. Carino.
Come se il soggetto non bastasse, la felpa era tutta sporca e sdrucita. Per non parlare dell’odore. Puzzava. Sapeva di sudore. Di sonno. E di vomito.
“Billy!” gli ho chiesto, posandogli una mano sulla fronte sudaticcia “che cos’hai? Vuoi che chiami il dottore?”
“Non serve”
“Come, non serve?”
“Ho l’influenza” ha risposto il ragazzo, rosicchiandosi le unghie. “Metà classe è sotto le pezze. Ma te lo immagini? Che sfiga, nonna! Proprio di domenica! Praticamente ho fatto tutta notte a vomitare.”
Carotina… mi spiace!”
“Sapessi a me! Inutile dire che stamattina ero uno straccio da lavare in terra e… onestamente, nonna, non me la sentivo proprio di cantare in chiesa!”
“Lo credo bene! E lui?”
“Lui… lui niente. Lo sai anche tu com’è fatto quando si fissa. Ci ho provato a spiegarglielo. Gli ho detto che stavo male e pensavo di avere l’influenza, ma quel pezzente che non è altro mi ha riso in faccia! Mi ha cacciato in gola la colazione con l’imbuto- per non dire con la cinghia. Cioè. Mi ha messo davanti ad una scelta obbligata. L’ha fatto apposta per umiliarmi davanti a tutti. E io…”
“Tu?”
“Indovina. Tu mi conosci, nonna. Lui mi aveva ferito nell’orgoglio e io… ho dovuto farlo. Voglio dire. Per mangiare ho mangiato. Però… te l’ho detto, stavo di merda. Ops! scusa. Non ce l’ho proprio fatta a trattenermi e… insomma. Io non volevo, giuro! Mi sarei scavato la fossa da solo, ma non ho potuto farci niente. No, dico. Immaginati la scena. Non ridere. Eravamo a tavola e io… merda. Ho vomitato davanti a tutti. E ho fatto la figura del coglione.”
“Ma tesoro! Ma fregatene. Non te la prendere. Non è successo niente.”
Billy si è agitato.
“Sì, invece. Ho perso la faccia. Davanti a Amy e a Stu. Che figura di merda, nonna! Mio padre è una bestia. E’ malato. Giuro. Io non lo so. Non ci capisco dentro niente. So solo che non gliene frega un cazzo di suo figlio, a quello stronzo! L’unica cosa che gli frega di me è la mia voce. Punto e basta. Per il resto potrei anche crepare. Lo vuoi sapere cosa m’ha risposto quando gli ho detto che non mi sentivo bene? Ha detto che…”
Il ragazzo ha un accesso di tosse.
Gli porto un bicchiere d’acqua e lui lo inghiotte tutto d’un fiato.
“Che?”
“Indovina. Sbizzarrisciti pure.  Che sono un tossico. Un alcolizzato. Un senza Dio. Quel vecchio scemo dice che io non ho l’influenza. Nossignore. Ho i postumi di una sbronza!”
Mi scappa una parolaccia.
“Holy Shit!”
Esclamo, mentre il ragazzo scoppia in una risatina liberatoria che gl’illumina per un attimo il visetto sofferente.
“Ma quello lì è andato completamente!”
Billy sorride mentre a me, sinceramente, viene da piangere.
Non devo cedere, penso, inghiottendo le lacrime. Non devo dargliela vinta, a quel figlio di buona donna!
So per esperienza che il ragazzo, quando sta male, ha più bisogno di aceto che di miele. Se non faccio così, rischio che rimanga un bambino per sempre. Proprio perché è sensibile ed emotivo. Deve farsi la scorza. La corazza.
E’ caduto? Benissimo. Capita a tutti, prima o poi, di cadere.
Lui però deve imparare a farlo in piedi. O, alle brutte, a rialzarsi.
La vita è una puttana. Non bisogna farsi fregare.
Lo dico soprattutto per voi, che siete giovani.
Io sono vecchia. E credetemi quando vi dico che l’ho dovuto imparare sulla mia pelle come si fa a stare al mondo!
Poverino, deve stare davvero malissimo. Glielo leggo in faccia.
“Vuoi che ti faccia un po’ di brodino? Ti farebbe bene.”
Lui s’illumina tutto.
“Sì, grazie!”
E mentre rovistavo nella credenza alla ricerca di un pentolino adatto allo scopo e di un coperchio delle dimensioni giuste, dal soggiorno mi è giunto un grido eccitato.
“Che culo, nonna! Che culo! Non ci posso credere: AMITYVILLE HORROR! Che figata!!!”
Ha alzato il volume della TV. Voci concitate. Musica ossessiva. Urla. Grida. Colpi.
“Gustatelo tutto!”
Gli ho gridato di rimando, cercando di coprire il sonoro incalzante del film.
“Nessuno te lo porta via!”
Cinque minuti dopo, eccomi di ritorno con una bella scodella fumante.
“Ecco, Carotina. Mangia quel che ti senti. Capito? Non sei obbligato a finirlo tutto. Ma, mi raccomando! Attento, eh? Che scotta.”
“Grazie.”
Lui si è tirato su a sedere a gambe incrociate, ha preso il cucchiaio e si è messo a mangiucchiare, ma, dalle smorfie eloquenti che faceva, si vedeva che lo faceva per me, che proprio non gli andava giù.
Era tutto sudato. Tremava.
Ad un certo punto ha deposto il cucchiaio.
“Mi spiace, nonnina. Non ce la faccio più. Mi viene da vomitare.”
“Non importa, tesoro”
Gli ho sfiorato la fronte con le mani.
“Ma tu scotti! Hai la febbre!”
“Lo so. Ma vaglielo a dire, a quello là!”
Pensavo a tutto questo preparandogli il letto nella cameretta che, un tempo, era stata di sua madre. Fissando quelle pareti rosa antico tappezzate di poster ormai sbiaditi in cerca di risposte che, sapevo bene, non avrebbero mai potuto darmi.
Rivedevo lui piccino. Scappato di casa coi suoi giornaletti e con il cane. Con la pancia vuota e il culo pieno di cinghiate. Gli occhi gonfi di pianto.
Bussava alla mia porta in cerca di un posto dove stare 
pregando che il tuono e la pioggia non gli facessero del male.
 Parole sue. Ci ha scritto su persino una canzone, SWEET CHILD O’MINE, credo si chiami.
Ve l’ho detto che quel ragazzo farà strada!
Mi sono affacciata in soggiorno. Il film era finito. Scorrevano i titoli di coda.
“Il tuo letto è pront- OMMIODDIO!”
Il ragazzo stava piangendo. La testa tra le braccia. I capelli sfatti sciolti sulle spalle.
“Tesoro! Va tutto bene?”
Lui ha scrollato la testa.
“No che non va bene! Non c’è niente che va bene! Lui… lui… è pazzo! vuoi sapere cos’ha detto? Che sono…”
Accidenti.
Pallido lo era già, il mio Billy, ma tutt’ad un tratto è diventato proprio verde.
“…posseduto”
Ha inghiottito a vuoto, cercando di trattenere l’impossibile.
“Dal Diav-v-
Si è coperto la bocca con le dita crivellate di anelli coi teschi e le croci.
Ommadonna santissima!
(Il mio tappeto Persiano! Pietà! L’ho appena fatto lavare! L’hanno riportato ieri dalla tintoria.)
Sono schizzata in cucina a prendere il bidone della spazzatura e dei fazzoletti di carta.
Appena in tempo.
E siccome non ho avuto il tempo di trovargli un elastico, io purtroppo non ho potuto far altro che tenergli indietro i capelli mentre vomitava.
Povera la mia Carotina.
Ha tirato su anche l’anima.
(Inutile dire che stavolta la mia pozione magica ha proprio fatto fiasco.)
Doposbronza un cazzo!
(Scusate il termine volgare.)
Il ragazzo sta male davvero. Ha l’influenza. Un virus. Insomma! Guardatelo! Lo capirebbe uno scemo! Anche se, in fondo, quello messo peggio è suo padre.
Voi cosa dite?
(Pezzo di cretino!)
Basta. Meglio che sto zitta, se no’ non ho idea di quel che potrebbe uscirmi di bocca.
Alla fine, lui si è ripulito alla bell’e meglio.
(E indovinate dove?)
Nella manica disastrata della felpa.
“Bello questo tappeto! Per poco non te lo ridipingevo- ”
Abbassando gli occhi, purtroppo, ho visto la verità. Un paio di schizzi vagabondi avevano, per  così dire, bypassato il bidone.
Inutile dire che il povero ragazzo era mortificato.
“La prossima volta, se riesci, vedi di prendere meglio la mira!”
Ho detto io, per sdrammatizzare, fiondandomi con discrezione alla ricerca di secchio e straccio per i pavimenti.
Billy era distrutto. Ansimava. Parlava a ritmo frenetico. Tossiva. Ogni tanto rituffava la testa nel bidone della spazzatura e ne emergeva come in un incubo, in preda ad una violenta tempesta emotiva.
“Io non sono come dice lui, nonna! E’ pazzo. Mi odia. Quell’uomo mi fa paura. Giuro. E’ uno psicopatico del cazzo! Non è vero che sono posseduto dal Diavolo!”
Ed è scoppiato in lacrime.
Io l’ho lasciato sfogare per bene lasciandogli un po’ di tranquillità per dargli modo di riprendersi da solo.
“Piangi pure, bambino”
Gli ho sussurrato lisciandogli i capelli e legandoli con un pezzo di spago da cucina in una lenta coda di cavallo della serie PREVENIRE E’ MEGLIO CHE CURARE per far fronte ad ogni evenienza.
“Butta fuori tutto, che dopo ti senti meglio! E ricordati che la tua vecchia nonna sta sempre dalla tua parte!”
“Di-dice che so… sono Lucifero in perso… in persona!”
Ha aggiunto asciugandosi il viso con la solita manica, che ormai, per dirla tutta, era messa persino peggio persino di lui.
Povero piccolo.
Per quanto lottasse, non riusciva a smettere di piangere.
“Ma non è vero, nonna! Credimi, ti prego! Ti scongiuro! Non sono io il diavolo-”
Suda. Singhiozza. Tossisce. Vomita.
(Caspita, gente! Detto tra noi, non ho mai visto niente di simile. Non ho parole. Sembra una scena de L’ESORCISTA!)
“E’ LUI!”
“Ma… stellina!”
Mi è salito in gola un groppo grosso come una casa.
“Vieni qui…”
Commossa e piena di rabbia me lo sono strizzato al seno. E il tempo è schizzato indietro di dieci anni. E mentre lui mi allagava il davanti della camicetta, io lo cullavo sussurrandogli la Cantilena Magica, quella che, quand’era solo un lattante, riusciva a calmare i suoi strilli e a farlo finalmente addormentare.
“Sssshhhhh!”
Canticchiavo, lisciando gli splendidi capelli ramati che farebbero invidia a un casino di ragazze.
 “Respira, Billy. Respira. Va-tutto-bene- piccolino-mio! Tutto- bene-non-aver-paura-ci-sono- qua- io-nessuno-ti-far-mai-più-del- male, Billy-te- lo- giuro-nessuno…”
Come per magia, lui ha smesso di piangere e si è acciambellato tra le mie braccia, il corpo che ancora tremava e sussultava. A farsi asciugare gli occhietti col fazzoletto e a prendere le coccole con le testa abbandonata sul mio petto come faceva da bambino. Allora come adesso, quando quel porco di mio genero aveva passato il segno e lui ne aveva prese troppe, veniva da me a farsi consolare.
SUO PADRE… sì, insomma. Più o meno.
Quel fanatico integralista da due soldi che quell’altra demente di mia figlia ha sposato- Dio solo sa perché- ama alzare il gomito. Sissignori! E lo fa spesso e volentieri. Il guaio è che il coglione, qui, non lo regge. E si sfoga sulla moglie e sui bambini.
Avete capito che uomo?
Il Reverendo è manesco. Collerico. Iracondo. E sapete cosa vi dico? E’ pure PUTTANIERE.
E questi sono solo i PREGI, credetemi.
Perché se invece vogliamo concentrarci sui difetti, allora poveri noi! (Ho paura che non mi basti la vita che mi resta!)
Sono sua suocera, maledetta me. E purtroppo lo conosco meglio di quanto non vorrei. Quello è più marcio di un dente cariato. Anche se devo ammettere che il suo mestiere lo sa fare e come!
Visto che non sono una beghina, le volte che sono andata a sentirlo si contano sulle dita di una mano, però l’ho trovato incisivo. Magnetico. Carismatico. E questo sui bambini fa colpo. Soprattutto su Billy, che è di gran lunga il più sensibile e- lasciatemelo dire- il più intelligente dei tre.
Il Reverendo è un trascinatore di folle. Un leader. Uno che, nel bene e nel male, scatena l’emulazione. E lui è su questo che gioca. Non gliene frega un beato accidente di niente di rovinare i bambini. Lui va dritto allo scopo. Il fine giustifica i mezzi e via dicendo, se capite cosa intendo.
(Ma credo proprio di sì)
Quanto a mia figlia, idem con patate. Caliamo un velo pietoso, va’, che è meglio. Vi spiace?
(Eh, Sharon! Se tu mi avessi dato retta, invece di comprometterti così giovane! Che bisogno c’era? Me lo spieghi? C’ero già passata io. L’avevo testata sulla mia pelle, la ricetta. E credimi, bambina. E’ veleno puro. Mandavo giù col whisky il gusto amaro del fallimento. Il senso di morte. La stretta alla gola. Però io ce l’ho fatta, alla fine. Ho spezzato le mie catene. Ci ho cagato sopra, con licenza parlando. Non c’era proprio bisogno che ci sbattessi il naso anche tu, ma tu eri cieca. Eri sorda. Eri scema. E adesso te la ciucci. Come volevasi dimostrare. L’esperienza è un bene di lusso che nessuno vuole comprare, diceva sempre mia nonna. E così, la storia si è ripetuta. Solo che io sono stata un po’ più furba della mia bambina. Io, la catena che avevo al collo, l’ho spezzata a morsi. Anche se, nel farlo, mi sono rotta i denti. Lei, invece, ne ha fatto una bandiera. Un compromesso per il quieto vivere.)
Una vita buttata alle ortiche. E non perché fosse stupida. Tutt’altro. Forse proprio perché non lo era per niente. E questo, per gli uomini come il suo- che poi altro non era che la fotocopia a colori di quell’altro stinco di santo di suo padre-Dio l’abbia in gloria, povero coglione- è una macchia. Un difetto. Una tara.
E Sharon, poveraccia, come del resto la sottoscritta- visto e considerato che il sangue, dopotutto, non è acqua- in fatto di uomini, non ha mai capito un tubo.
Così ha preso una- anzi, DUE- cantonate paurose.
Ma lasciamo perdere, va’, che ho già detto MOLTO più di quel che volevo dire, maledetta la mia boccaccia!
E voi cosa ridete?
Tanto poi sono io che ci finisco, nei guai.
Mica voi!
Ad ogni modo, William mi preoccupa.
Il mio Billy, che ho tirato grande a gelati al seltz e fumetti dell’Uomo Ragno. Il mio ometto dai capelli rossi! Che a cinque- sei anni vinceva tutte quelle medaglie recitando i Salmi a memoria e sapeva leggere e scrivere come un adulto. Poi mi ricordo che aveva il pallino delle mani magiche. E, credetemi! Lo erano davvero, parola mia. Quasi quanto la sua voce. Suonava il piano. Era un mostro di bravura. E non lo dico perché sono sua nonna. Era davvero qualche cosa.  Quando veniva a trovarmi, aggiustava tutte le piccole cose che trovava rotte o fuori posto. A modo suo, naturalmente. Della serie quello che conta è il pensiero. Cambiava la pila alla sveglia. La smontava tutta e poi non era più capace di metterla insieme. Come tuttofare… beh, ragazzi. Cosa devo dire? Era negato. Un disastro. Una piaga. Però ci metteva il cuore. Lui voleva aiutarmi in tutti i modi possibili. Fare l’omino di casa. E tuttavia aveva il suo bel caratterino. Era una testa rossa. Una piccola peste bubbonica, quando ci si metteva. Capriccioso. Testardo come un mulo. Però era un genio. Disponibile e generoso. E non m’importava un fico secco se non era premiato dai risultati. Lui invece ci soffriva. Era terribilmente emotivo. Impressionabile. Tanto era dotato dal punto di vista intellettivo, quanto era immaturo da quello emotivo.
Credetemi.
Bisognava sempre prenderlo con le pinze. Contare le parole. E, il più delle volte, le sue reazioni erano spropositate. Eccessive.
Stava male FISICAMENTE per un nonnulla.
 Una volta ha pianto fino a vomitare per essersi versato addosso un po’ di succo d’arancia. Un’altra si è fatto venire una crisi d’ansia spaventosa per un dentino da latte che ballava. Sua madre ha dovuto sedarlo.
E’un ragazzino socievole solo in apparenza. In realtà è chiuso e introverso. So che di recente ha legato parecchio col figlio degli Isbell, e sinceramente, a dispetto delle solite stronzate del Reverendo, non può che farmi piacere.
Un vero amico è una benedizione del Signore.
Un padre sbagliato, una spina nel sedere- per non dire di peggio.
Meno male che non ho il porto d’armi. Se no giuro che sarei capacissima di farlo secco con una pallottola in mezzo agli occhi, quel gran figlio di buona donna troglodita! Ci ha rovinati tutti. Anche se, per fortuna, Amy e Stu sono ancora troppo acerbi, diciamo così, per capire fino in fondo che razza di pezzo di roba è il loro paparino.
Lui però non li tratta come tratta William. Nossignori!
Due pesi, due misure.
Billy è diventato il suo capro espiatorio buono per tutte le occasioni.
I due piccoli, invece, sono ROBA SUA. E non aggiungo altro.
Il ragazzo, ovviamente non lo sa. E visto che le bugie hanno le gambe corte, come diceva sempre mia madre, prima o poi la verità salterà fuori. E io, per allora, se non vi spiace, gradirei trovarmi dall’altra parte del mondo. Anzi. Meglio. Del sistema solare. Perché quando il castello di panzane che gli hanno costruito intorno salterà in aria, sarà peggio di Hiroshima e Nagasaki.
Avete presente?
(Sarà visibile fin dalla caspita di Luna!)
E con questo, ancora una volta, l’ho sparata grossa.
(anche se, dopotutto, ho detto solo la pura e sacrosanta verità)
William è malvisto da quando… niente. E’malvisto punto e basta. Meglio non dire altro. E accettare quello che, purtroppo, non si può cambiare. Non al momento, almeno. Perché spero molto in Billy, sapete. E prego Dio che, non appena sarà abbastanza grande da reggersi sulle sue gambe, se ne scappi in capo al mondo.
Avete presente LO ZOO DI VETRO di Tennessee Williams?
(Tra parentesi, io una volta recitavo. Lo sapevate? Non ve l’avevo detto, eh? In teatro. Ed ero pure brava. Almeno finché non ho avuto Sharon. Suo padre ha messo la parola fine. Sipario. Ed eccomi qui.)
Il protagonista, Tom Wingfield. Un poeta. Un sognatore. Un puro. Costretto a fare il commesso per sbarcare il lunario. La vita fa schifo e lui non la regge. E alla fine scappa via per dare corpo ai suoi sogni. 
Ecco. Io lo vedo così, Billy, tra un paio d’anni. Fuggirà. Andrà lontano. Ne sono più che certa. Ci vedo mezza America, tra lui e questa città di Morti In Piedi.
La mia carriera di attrice è finita prima ancora di cominciare, ma Billy… lui è diverso.
Lui ha davvero talento.
E spero che un giorno trovi la forza di voltare pagina e lasciarsi tutto alle spalle come Tom Wingfield. Glielo auguro con tutto il cuore. Si sentirà molto meglio quando si sarà scrollato di dosso per sempre suo padre e la sua congrega di invertiti. E se proprio deve tornare, che lo faccia in gloria.
Voglio rubare a Dio il suo potere
Ha scritto una volta, sul suo diario di scuola.
Salire in alto, più in alto di Lui.
Voglio pisciare sul mondo!
Il che, dico, crea un’immagine.
Questa è l’ottica giusta! E’ così che voglio vederlo, non a strisciare ai piedi di quel verme di suo padre- insomma, di QUELL’ESSERE IMMONDO.
(Forza, ragazzino! Stringi i denti e farai il botto- come dici sempre tu!)
 I numeri per sfondare ce li ha tutti. E come, se ce li ha!
Ve lo dico io, che sono la sua nonna.
(Sono vecchia, ma non sono mica cieca!)
 
Tornando a Billy, ho fatto bene a legargli i capelli. Molto bene.
(Finora è l’unica cosa che ha funzionato!)
Povero pulcino.
(Alla faccia del Maalox!)
Gliene ho dati tre. Uno in fila all’altro.
Risultato?
Sempre a capofitto nel bidone della spazzatura.
Come se bastasse vomitare per tirare su tutto il marciume che gli hanno ficcato dentro.
Mai visto niente di simile. Un disastro. Bere un sorso d’acqua era un’impresa impossibile.  Non riusciva a tenere giù niente.  Neanche la sua stessa saliva.
(Doposbronza! Sì. Come no. Mia nonna!)
Io mi torturavo il cervello. Darci troppo peso mi pareva sbagliato. E allo stesso tempo, non volevo prendere la cosa sottogamba.
Però ero sicura che l’influenza c’entrava solo in parte col suo malessere. Lui tendeva a somatizzare il dolore. Si autopuniva, diciamo. E- mal di stomaco a parte- questo non aiutava.
Lui, poverino, cercava di distrarsi guardando la TV e leggendo. L’ultima volta che sono andata di là a domandare se aveva bisogno qualcosa, aveva in mano una specie di fumetto dell’orrore. Quella  roba splatter, come la chiamano. Che, francamente, mi fa accapponare la pelle. FANGORIA, si chiama, il giornaletto. (Scommetto che lo conoscete.)
 “Toglitela, che la sbatto in lavatrice”.
La felpa, dico, alludendo con garbo al polsino intriso di vomito.
Lui ha obbedito in silenzio, a capo chino. I lunghi capelli spioventi, scappati alla coda ormai sfatta, gli mangiavano il faccino.
E io, per la prima volta da molti mesi, l’ho visto a torso nudo.
OMMADONNA SANTISSIMA!
Graffi. Lividi viola. Bruciature di sigarette. Scarabocchi.
Costole sporgenti da affamato.
Lo stomaco infossato crivellato di scritte assurde.  
Citazioni bibliche alternate a graffiti osceni.
Ho visto i  TAGLI.
Netti. Profondi.
I tanti tentativi andati a vuoto.
(Non è stato un pennarello! Nossignore! )
L’ombelico era un pozzo senza fondo di dolore incrostato di sangue rappreso.
(Merda. Confesso che, quando l’ho visto, stavo per sentirmi male.)
Il ragazzo si ferisce. Si taglia.
(Una lametta. Bontà divina! Una schifa di lametta da barba.)
OMMIODDIO.
Roba da prendere il tetano.
Il suo petto era una via crucis. La sua pancia uno scempio.
No, dico. Voi al mio posto cos’avreste fatto?
(Un bel Cristo di niente. Esattamente quel che ho fatto io)
Facendo finta di niente, per non turbarlo, gli ho tolto di mano la felpa.
“Grazie, nonnina! Mi dispiace, non volevo. E’ stato un incidente! Non l’ho fatto apposta, giuro!”
Nonostante il calorifero acceso, gli battevano i denti.
Rabbrividendo, ha incrociando le braccia sul petto in un gesto estremo di autocensura.
“Però è successo. E LUI… LUI…”
“Lui?”
“Mi ha picchiato.”
(Figlio di buona donna!)
Gli ho messo bruscamente la felpa sotto il naso per costringerlo a rispondere.
“Ti ha picchiato… per QUESTO?”
Lui ha annuito senza parlare.
Poi, ancora una volta, è scoppiato in un pianto dirotto e si è sentito male. Lo rivedo piegato in due, ansimante, in preda a conati di vomito.
“Brutto pezzo di m-Madonna! Tienimi ferme le mani o giuro che prima o poi, io, quel porco, l’ammazzo!”
“Io non ci torno più in quella gabbia di matti!”
Singhiozzava, soffiandosi il naso.
“Mai più! Mai più! Mai più, cazzo. Giuro. Dovessi morire-”
“Basta piangere, su! Forza! Calmati, adesso. Dài. Respira. Coraggio, su! Se hai voglia di sfogarti un po’, a questo servono le nonne. Io sono qui. Non farti problemi. Sono adulta e vaccinata.”
Lui annuisce vigorosamente.
“Nonnina” mi chiede asciugandosi gli occhi e cercando di darsi un contegno da duro che non inganna nessuno “sei sicura che mi vuoi davvero? Cioè. Posso stare qui da te fino al diploma?”
“Ma tesoro mio!” gli rispondo commossa, affogando in quegli occhi chiari e limpidi come acqua di sorgente “certo che ti voglio qui con me! E ti dirò di più. Puoi stare da me finché non sentirai che, per te,  è giunto il momento di lasciare il nido per spiccare il volo. Ma fino a quel giorno…”
Il viso tirato e sofferente del ragazzo si schiude in un sorriso che va da un orecchio all’altro.
Gli splendidi occhioni da gatto si dilatano per la gioia.
“Staremo bene insieme, io e te!”
Credete a me, che in queste cose ci vedo lontano. Un giorno questo ragazzo diventerà un sex-symbol come Paul Newman. E sono certa che, bello com’è, farà strage di cuori.
(E qualcuno che conosco io si roderà il fegato! Vedrete un po’ se mi sbaglio! Ve lo dico io, che sono vecchia e ci so stare, al mondo!)
Intanto, però, il tempo passava e il ragazzo non stava meglio. Per niente, per usare un eufemismo.
Se almeno avesse potuto dormire un po’! Invece nisba.
Ogni volta che ci provava o gli scappava la pipì o gli veniva da star male. E quindi, tutto quel che poteva fare era rassegnarsi e studiare il modo di passarsela, per così dire, meno peggio possibile.
Rovistando nella cassetta del pronto soccorso ho pescato il termometro e gliel’ho cacciato sotto l’ascella.
Come sospettavo. 104°F. 38°C.
Tachipirina. Tetraciclina. Acqua.
 Sì, certo. E’una parola.
Tutto quello che volete, ma non per bocca.
E l’alternativa, giuro che mi piace ancora meno.
Escluso.
(Una supposta? Scordatevela. Io lo conosco, il mio Billy. E poi, lasciatemelo dire! C’è un limite a tutto! Si sarebbe consegnato VIVO al Reverendo per un ESORCISMO LAMPO prima di infilarsi qualcosa su per il… sì, insomma. Ci siamo capiti.)
Con discrezione, per non allarmarlo inutilmente, ho sentito la guardia medica.
(“Lo tenga al caldo” mi ha consigliato l’operatore. E soprattutto, non insista a farlo bere. Peggiorerebbe la situazione. Gli dia un po’ di tè a cucchiaini, poco per volta. E non si preoccupi” ha aggiunto, in tono rassicurante. “E’ un virus che c’è in giro. Deve solo fare il suo corso. Stia serena. Di solito non è letale. Ad ogni modo, se non passa in 24 ore, siamo qui.”)
Verso l’ora di cena, per fortuna, si è aperto un piccolo spiraglio.
La tachipirina, alla fine, ha fatto effetto. Il Maalox, invece, un po’ meno. Ad ogni modo, sapete come ho fatto?
Colpo di genio. Sotto la lingua. Tritata col pesta carne.
Scesa la febbre, l’ho spedito di sopra a darsi una bella strigliata, certa che la doccia calda, unita ai farmaci, avrebbe restituito al mio Billy un aspetto dignitoso.
Inutile dire che, al suo ritorno, era un altro.
“Billy! Tesoro mio! Ma sei uno schianto!”
E’ sceso in pigiama, scalzo. Sorridente. Riprendendo il suo posto sul divano, accanto a me, mi ha gettato la testa in grembo.
“Senti, nonna. Tocca i miei capelli! Sono da urlo!”
(I suoi capelli! La sua ossessione. Benone. Buon segno. Voleva dire che stava un po’ meglio.)
Aveva ragione. Erano splendidi. Folti. Leggeri. Fluenti. E, soprattutto, profumati. Le mie dita scorrevano tra soffici fili di seta pura.
Lo shampoo all’albicocca aveva fatto il suo. L’odore pungente dell’influenza non c’era più. E l’acqua calda aveva finalmente reso alle sue guance un po’ di colore. Insomma, il peggio sembrava finalmente passato.
“Come va la tua pancia? Hai ancora la nausea?”
“Un po’” ammette con un sorrisetto, massaggiandosi lo stomaco. “Ma sto bene.”
“E allora cosa aspetti? Raccontami la scena della colazione, che ci facciamo due risate alla faccia del Reverendo! Avanti! Spara!”
Al di là della curiosità e dei pettegolezzi, quel che m’interessa è fare chiarezza.
La mia parte razionale, per quanto elastica, rifiuta fermamente di credere che quel mentecatto possa avere picchiato il ragazzo soltanto perché è stato male e ha sporcato dappertutto. Anzi. Diciamo che non voglio crederci. Ok? Quindi. Vediamo se riesco a farmelo dire. Per come la vedo io non esiste un motivo valido per menar le mani. Nossignore! E meno che mai per prendere qualcuno a cinghiate. Soprattutto se quel qualcuno è tuo figlio e la sua unica colpa è quella di essersi sentito male nel giorno sbagliato. E di non poter cantare alla tua caspita di funzione.
No, dico. Non ho parole.
(Maledetto! Prima o poi le paghi tutte, credi a me!)
Suo figlio.
Ve l’ho detto. E’una storia lunga.
Quando ha capito che poteva fargli comodo, il Porco  se l’è tirato su come se lo fosse.
(Acqua in bocca, chiaro? Se vi scappa una parola col ragazzo, giuro che ve ne faccio pentire!)
Se non mi tappo ‘sta ciabatta di bocca qui va a finire che salta fuori tutto l’inghippo! Dio ce ne scampi e liberi!
Mah. Speriamo bene. Io devo tacere. Sono sua nonna, non sua madre. Io al bambino gli avrei spiattellato tutto ventimila volte, lo sapete anche voi. Però so anche stare al mio posto e so che non devo interferire con la sua educazione (per quanto discutibile sia.)
(Basta che non succedano disastri.)
“Che ne dici, tesoro? Ti va’ una bella tazza di tè?”
“Perché no?” Mi fa, spegnendo la TV. “E magari anche due biscotti.”
Non c’è dubbio, ho pensato, sollevata. Sta decisamente meglio.
Niente ospedale per Billy!
 (Confesso che ero così felice che mi sarei messa a ballare!)
Sparisco ai fornelli e torno poco dopo con una tazza fumante.
E già che ci sono, gli butto sulle spalle un vecchio golfone di lana di suo zio Ritchie- il mio primo figlio. Attualmente in India per ESPANDERE I SUOI ORIZZONTI SPIRITUALI. Parole sue. Sì. Come no!
(Altro buono anche lui!)
Gli tendo un’altra compressa di Tachipirina. Il ragazzo l’inghiotte col tè e si stringe addosso il maglione nero fatto a mano. Le grosse trecce ornamentali, lavorate ai ferri da mia madre- Dio la santifichi in eterno- lo fanno sembrare una bambolina di porcellana.
Povero ragazzo.
Così agghindato- pigiama e maglione di lana sformato- sembra ancora soltanto un bambino.
Che pena mi fa!
Giuro. Mi si spezza il cuore.
Lui finisce il tè, si sistema la coperta addosso e mi si sdraia con la testa in grembo.
“Sono belli i miei capelli, vero, nonna?”

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Capitolo 6
*** I've made up my mind ***


Capitolo 6
 
 
WILLIAM BRUCE BAILEY (BILL)
I’ve made up my mind
“Tutto è cominciato ieri mattina a colazione” annuncio, godendomi un lungo sorso dell’inimitabile tè inglese della nonna.
Caldo. Caldissimo. Anzi.  Bollente. Con un cucchiaio di miele di eucalipto che, guarda caso, fa bene alle mie povere corde vocali. L’influenza le ha messe a dura prova e, se davvero voglio diventare una cazzo di rockstar e spaccare il mondo, devo trattarle come si deve.
“Nonnina, ti adoro!” mi lascio scappare, posando la tazza. “Non so cosa farei senza di te.”
Lei mi respinge rudemente  con un gesto che non inganna nessuno. Siamo della stessa pasta, io e lei. Sotto la scorza legnosa, c’è un cuore di panna.
“Io non capisco!” Sbotta, sbattendo la tazza sul piattino orlato d’oro zecchino. “O davvero quell’uomo si è bevuto il poco cervello che aveva o… non lo so, io.  No, dico. Sei stato male. Punto e basta. Non l’hai mica fatto apposta! Che colpa ne hai?”
La nonna mi fa la TAC con un’occhiata.
“O c’è qualcos’altro che devo sapere?”
“Più o meno”
Pausa ad effetto. Occhi nei suoi.
“Insomma. Nonna, se l’è cercata. Credimi. Hai visto tu stessa coi tuoi occhi come sto. L’hai visto anche tu che non sono un caccia palle. Ma stanotte è stata un’altra cosa. Ho davvero visto l’Inferno. Mai provato niente di simile in vita mia. Ho vomitato dappertutto. Non riuscivo nemmeno ad arrivare al bagno. Giuro. Ho praticamente passato la notte seduto sul letto con un secchio tra le gambe, per essere schietto. Con sommo divertimento di mio fratello Stu. Che, tra parentesi, oltretutto mi prendeva per il culo.  E che adesso è sulla lista degli aggravati. Sembravo Linda Blair quando sbocca verde fluorescente sui paramenti sacri dell’ESORCISTA. E non- come dice LUI per qualcosa che ho bevuto o che mi sono SPARATO IN VENA- parole sue- ma per qualcosa che ho MANGIATO. Ok? Giuro su Dio, cazzo. Oooooops! Scusa. Così si è lanciato a capofitto nelle sue solite stronzate. Poi, sogghignando come un pazzo, quell’… quell’ESSERE IMMONDO ha versato nella mia già repellente zuppa di latte e fiocchi d’avena DUE cazzo di cucchiai di olio di fegato di merluzzo. Questo non te l’avevo detto, vero, nonna?”
“Holy Shit!” Fa lei, storcendo il naso in una smorfia comicissima e rabbrividendo. “Bambino mio! Vomito solo a pensarci.”
Butto giù un lungo, fantastico sorso di tè e, osservandola, non riesco a trattenere una risatina.
“Figurati io!”
Ragazzi!
Fatemi continuare, va’, prima che perda il filo.
(Buoni questi biscotti!)
“E poi?”
“Lo sai.” Ho risposto, con la bocca piena.  Mi ha fatto il lavaggio del cervello. Alla sua solita maniera. Cioè con la DOLCEZZA.”
“Oh! Immagino.”
“ A cinghiate nei denti. Ho dovuto ingollare quella merda. E pure in fretta. Per la sua cazzo di funzione. Il tutto mentre il mio stomaco si contorceva disperatamente. Gridandomi in faccia che lo faceva PER IL MIO BENE. Per PURGARMI DAI MIEI PECCATI. Parole sue.”
“E tu?”
“Secondo te?”
“Lo immagino” risponde ridendo la nonna, che è sempre dalla mia parte, rovesciando sul piattino un altro po’ di biscotti.
“E poi?”
Io  inghiotto rumorosamente, a disagio.
“Nonna, giuro!” Mano sul cuore. “Non l’ho fatto apposta! Non volevo. Io-“
“Ti credo, Carotina! Certo che ti credo. Va’ avanti. Cos’è successo?”
Vuoto d’un fiato la mia tazzina e accetto di buon grado la sigaretta che la nonna, facendomi l’occhiolino, mi offre solo per far dispetto a mio padre.
(Quando ci vuole ci vuole, cazzo!)
“Niente” rispondo. Mi puntello contro il muro in bilico sulle gambe posteriori della sedia e tiro una bella boccata.  
(Oh. Merda.)
Cioè. Il sofisticato tè inglese della nonna che ho appena  finito di bere mi torna su a razzo. Inutile dire che inghiotto il tutto e schiaccio la paglia nel posacenere.
Come non detto.
Fumare mi fa sboccare, quindi se due più due fa quattro, mi sa che non sono ancora guarito del tutto.
(DOPOSBRONZA un cazzo!)
“Io…. mpf!”
Non riesco a finire la frase. Niente da fare. Mi scappa da ridere. Ragazzi!
Certe scene sono impagabili. Giuro.
(Avreste dovuto vedere la sua faccia!)
“Sì. Insomma” butto fuori, letteralmente piegato in due dalle risate. “Praticamente… ehm… gli ho… vomitato… sulle sue cazzo di scarpe di vernice… appena… mpf!”
Altro scroscio di risate spacca mandibola.
“…appena lucidate…”
La nonna lancia un gridolino deliziato.
“… per la funzione.”
“Mpf!”
La nonna tossisce. Il fumo la strozza. Poi scoppia in una risata malefica da film dell’orrore che riecheggia per tutta la casa.
Eccola lì. Mia nonna Kate.
Cinquantatrè anni suonati e tre nipoti tra cui il sottoscritto.
Con la testa tra le braccia a sghignazzare senza ritegno come una liceale sbronza marcia al ballo di fine anno.
Se la vedesse suo genero, le praticherebbe uno dei suoi pallosissimi ESORCISMI seduta stante.
“Giura!”
“Giuro.”
“Non è possibi-“
E giù. Un altro scroscio d’incontenibile allegria che finisce per contagiare anche me.
Alla faccia di tutti i miei sforzi per restare serio e mantenere un’aria distaccata per non perderci la faccia.
E mentre lei è lì che si sganascia tenendosi la panza, col gomito urta accidentalmente la mia cazzo di tazzina di tè ormai vuota e tutta impiastricciata di zucchero.
(Merda)
L’ultima sopravvissuta.
La reliquia del servizio buono della bisnonna.
Quella che, negli anni, è diventata un mito.
Io non faccio in tempo a intervenire.
La porcellana bianca e blu col filino d’oro zecchino che era la luce dei suoi occhi va a sfracellarsi in mille pezzi fra i miei piedi.
Inutile dire che sono costernato.
Ok che non è colpa mia, però ci resto di cacca lo stesso.
In momenti come questo non so mai cosa dire.
Mi sudano le mani e, chissà perché, la prima cosa che mi viene in mente è LUI.
Il Reverendo.
Al suo posto, tanto per cambiare, mi riempirebbe il culo di botte. E poi, al solito, a letto senza cena.
E lei?
La nonna non fa una piega.
Con la faccia del Buddha e la calma serafica della Sfinge, raduna i cocci con la scopa e li raccatta con la paletta. Poi, senza battere ciglio, butta tutto in pattumiera.
“Tutto passa e se ne va’, bambino mio!”
Mi dice, posandomi una mano complice sulla spalla.
“Anche l’ultima tazzina.”
“Ma…”
Vedo che guarda un punto imprecisato oltre i miei occhi. E vedo dissolversi, sul suo viso, lo spessore dei sogni.
 “Non ti crucciare, Billy. Tu non hai colpa”
Mi fa, accarezzandomi a lungo i capelli.
“Era la sua ora. Punto e basta. A pensarci bene-” 
Torna a sedersi accanto a me e si accende una paglia.
 “E’ durata anche troppo-”
 
Cara nonna. Dico io.
(Ma dove le fanno quelle come lei?)
Esistono soltanto nei film per bambini.
Avete presente Mary Poppins?
Ecco.
Da bambino credevo che quella vera fosse LEI.
No, dico. Non so se rendo l’idea.
 
Un altro accesso di risate l’assale a tradimento  e la scuote dalla testa ai piedi.
“No. Giura!”
Ripete asciugandosi gli occhi nel grembiule tra una parola e l’altra.
“Non ci credo-”
“Giuro”
Replico io, solenne.
Uso un tono di voce che non ammette repliche. Tutto impostato. E, ancora una volta, rivedo in azione il Vecchio Trombone.
A sparare puttanate dal suo pulpito di plastica.
“Mano sul cuore. Se vuoi lo giuro anche sulla testa di Amy e Stu. O sulla TUA, se preferisci, nonna-”
Mi interrompe con un gesto brusco e cava dal grembiule un fazzolettino di bucato per soffiarsi il naso.
“Non c’è bisogno. Ti credo. Va’ avanti, ti prego! Prima che ci resti secca!”
“Insomma. Gliel’ho detto non una, ma diecimila volte che stavo così di merda che, alla fine, non mi azzardavo neanche più a mandare giù la mia stessa saliva, cazzo. Hai presente?”
La nonna sgrana gli occhi in un’espressione attonita e mi dà un buffetto equo e solidale sulla guancia.
“Ma lui non mi ha cagato di striscio. Anzi. Peggio. Se vuoi saperlo, quell’Essere Immondo mi ha preso per il culo. E mi ha riso in faccia.”
“Assurdo!”
Commenta la nonna, scoppiando, suo malgrado, in un’altra risatina.
“Quell’uomo è da compatire. E’ malato. Altrimenti non si spiega-”
“Nella testa!”
Dico io, battendomi la tempia bruciante.
“Oh. Povera me! Un’altra risata e ci resto. Giuro su Dio.”
Per l’ennesima volta tenta invano di ricomporsi.
“Bel colpo, ragazzo! Dammi IL SEI!”
“Il CINQUE, nonna!”
Rettifico, lasciandomi sfuggire un sorrisetto.
“IL SEI mi sembra un filino esagerato-”
(Che giusta che è, la nonna! Cazzo se è sveglia, per la sua età!)
“E poi… aspetta. Non dirmelo. Fammi indovinare. Quel pezzo di- sì, insomma. Ci siamo capiti. Ti ha preso a cinghiate.”
“Risposta esatta!”
Dico io. E sollevo il maglione per mostrarle la pancia disastrata.
 
Tagli. Botte. Bruciature di sigaretta. Scudisciate.
La carne viva scoppiata e gonfiata alta tre dita.
E il Vangelo che si è fatto Carne. La MIA carne.
 
“Ma il bello deve ancora venire, nonna”
“Cioè?”
“Te l’ho detto. Io non ce la faccio più.”
Alzo gli occhi e li pianto bei dritti nei suoi.
Non sono più un ragazzino. Sono cresciuto tutto in un giorno. Come la fava magica di Topolino nell’episodio dell’Arpa d’Oro.
E mentre prendo atto di questo mio cambiamento e lo registro, il cuore mi erutta come lava incandescente dalle orecchie.
Scatto in piedi e corro al lavello.
Un bicchiere d’acqua. Penso. Un cazzo di bicchiere-
Lo riempio fino all’orlo e lo vuoto tutto d’un fiato.
Poi ne bevo un altro.
Non appena riesco a respirare di nuovo, scosto le tendine di cinz e guardo fuori dalla finestra.
Vedo Jack. Il garzone della pasticceria.
Eccolo lì, povero cristo. Al freddo e al gelo. A scaricare il furgone tutto da solo. Mi pare di sentirlo. Ha la mia età, più o meno, ma bestemmia come un turco. Quasi peggio del Reverendo. Suo padre è disoccupato. L’hanno licenziato mesi fa e lui si è messo a bere. Sua madre ha il cancro.
Povero Jack.
Che vita patetica.
(Peggio della mia)
Lavora come un negro.  
E per cosa, poi? Per due cazzo di dollari l’ora.
Che schifo. Che mondo di merda-
Chiamo la nonna alla finestra.
“Lo vedi?”
Le dico, indicando il garzone.
Il povero ragazzo scivola avanti e indietro sul cemento semi-ghiacciato del cortile della pasticceria col suo pesante fardello sul groppone.
Tutt’ad un tratto, un collo di cartone si apre alla base e il contenuto, una torta nuziale a sei o sette piani, si spiaccica al suolo.
Io e la nonna ci guardiamo in faccia costernati.
Povero Jack.
“Che sfiga!”
Dico io, schiaffeggiandomi una coscia.
La nonna annuisce dispiaciuta.
“Poveraccio. Non se la meritava proprio!”
“Nonna”
“Che c’è?”
Inghiotto a vuoto.
La mia decisione è presa.
Non ci torno sui miei passi. Mai e poi mai. A qualsiasi costo.
“Io così non ci voglio finire. Giuro. Preferisco morire-”
“Non ci finirai. Non col tuo talento. Ascoltami, Billy. Qui sei sprecato. Dài ascolto ai tuoi sogni. Fregatene di tutto il resto. Me inclusa. Vattene via. Lascia che i morti seppelliscano i morti. Fatti strada. Combatti. E ricordati sempre una cosa”
Mi afferra le spalle. Le sue unghie laccate di rosso mi marchiano a fuoco le scapole.
“Chi rinuncia ai propri sogni-”
Dice la nonna, asciugandosi furtivamente una lacrima prima che rotoli sulla guancia
“-non solo muore. Ma muore MALE.”
Ho capito. Ci sono.
La febbre.
Invece di farmi delirare, mi ha reso lucido.
Sto sperimentando uno di quei rarissimi, vividi attimi di illuminazione capaci di cambiare per sempre il corso di una vita.
Mi trovo ad un crocevia.
La nebbia si dissolve.
E io, all’improvviso, vedo tutto.
Il rombo della folla. Le luci del palco. Whisky. Sangue. Sudore.
Ma soprattutto sento LEI.
La MUSICA.
Quella che resuscita i morti.
Rock duro. Cattivo. Possente.
La mia voce. Grezza come la carta vetrata.
Strizzo gli occhi.
Tutto scorre via assieme all’acqua del rubinetto.
Riecco la nonna. Me ne offre un picchiere.
Uno sguardo allucinato m’inchioda al muro.
E’ il mio.
Riflesso nelle lenti bifocali della nonna.
 
Le devo una spiegazione.
 
Mi schiarisco la voce e sputo nel lavello un groppo amaro che si porta dietro tutte le incertezze e la paura.
“Ho deciso”
Annuncio, incollandole gli occhi alle lenti.
“Lascio la scuola.”

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Capitolo 7
*** 10 drops of Valium ***


ATTENZIONE: OGGI HO POSTATO DUE CAPITOLI. QUESTO E' IL SECONDO. SE E' IL PRIMO CHE LEGGETE, STATE BARANDO!!! (CAPITO? GUARDATE CHE VI TENGO D'OCCHIO!!!)
Capitolo 7
 
 
SHARON S. BAILEY
10 drops of Valium
 
Mio Dio, aiutami tu!
Io… io giuro che, a questo punto, non so davvero più che cosa fare…
Ci ho provato. Ci ho provato in tutti i santi modi. Te lo giuro. Ci ho provato a far funzionare le cose tra il mio Billy e Stephen, ma adesso… non lo so. Da un po’ di tempo sta andando tutto a rotoli.
Il ragazzo si è messo a frequentare brutte compagnie. O almeno, stando a quel che sostiene suo… sì, insomma. Steph.
 E lui che cosa fa?
Lo prende di punta.
E, se possibile, peggiora la situazione.
Quanto a me, indovinate.
Come al solito, sto tra la padella e la brace.
Sono, per così dire, il maledetto cuscinetto puntaspilli. Nient’altro che questo. Come moglie non esisto. Come madre, ancora meno.
No, dico. Ditemi voi. Che cosa devo fare?
Io non so più che pesci pigliare. Cosa dovrei fare, ribellarmi?
Dar fuori da matta anch’io come il ragazzo e mandare tutto- come dice lui- a puttane?
(Che, dopotutto, a quanto pare, è la specialità di mio marito.)
Ma lasciamo perdere, và, che è meglio.
Ad ogni modo, fate bello, voialtri, a giudicare!
Visto dal di fuori è tutto facile. Tutto liscio come l’olio.
Io, però, in quella roba là che puzza ci sono dentro fino al collo. E il bello è che purtroppo non so neanche nuotare!
Questa è la mia schifosissima vita! Non una di quelle sciape telenovelas brasiliane che mi auto infliggo dalla mattina alla sera solo per rincoglionirmi!
Qui stiamo parlando di me. Di Billy. Di noi.
Lo so che devo combattere! Dirne quattro a quel pallone gonfiato di mio marito. Quel porco. Che, se non lo sapete, gente, ve lo dico io, mena pure.
Lo so che a volte esagera.
(Volete che non lo sappia?)
 Soprattutto con Billy. Con la sua ossessione della disciplina. Ma so anche un’altra cosa: lui fa tutto questo SOLO e UNICAMENTE a FIN DI BENE.
Per educare i suoi ragazzi come ritiene giusto, per poter lasciare loro, un giorno spero lontano, in eredità, tutto quello per cui, in questa difficile vita, ha combattuto.
Come padre, sinceramente, non è perfetto, però non me la sento di giudicarlo troppo male. Fa tutto quello che fa col cuore e con l’anima. E se esagera… beh, ecco. Francamente, è solo per eccesso di zelo.
Come marito… niente. Ammetto che a volte lo strozzerei con le mie mani. Soprattutto quando si concede quelle che lui stesso definisce… ehm… LICENZE. Sì, insomma. Come una licenza di caccia o di pesca.
(Avete presente?)
Ma lui non va mica a pescare, sapete? E tantomeno a esercitarsi con la doppietta a spese di qualche povero animale innocente.
Nossignore.
Lui va… in Missione Speciale.
A salvare dalle fiamme dell’Inferno delle povere PECORELLE SMARRITE. Le quali, ma tu guarda caso, sono tutte DONNE. E tutte, STRANAMENTE, giovani e carine!
Che uomo, eh?
Santo subito.
Quindi, tirando le somme, come marito fa PIETA’, ma non ha importanza: io me lo sono scelto, io me lo cucco. E poi, in fondo, a voler ben guardare, non è che io, quando l’ho sposato… voglio dire, capitemi. Nelle mie condizioni non è che ci fosse la fila, fuori dalla mia porta. Insomma, come ve lo devo dire? Non avevo scelta. E non è una scusa. E’ un dato di fatto. E poi ero giovane e stupida. Pero' in fondo avevo i miei motivi.
Quali? Se non vi spiace, vorrei tenermeli per me. Sapete com’è… una parola tira l’altra. E basta una chiacchiera per rovinare una persona e via dicendo.
Yaaaaawnnnn!
Che sonno!
(E poi, se lo viene a sapere il ragazzo succede un macello. Un’Apocalisse. Avete presente il Giudizio Universale? Ecco. Sinceramente, mi fa meno paura.)
Quindi, vi prego.
Non puntate il dito.
Mio marito va compatito, più che biasimato. E’ una vittima della sua stessa insana ossessione per il peccato e per tutto ciò che, secondo le Scritture, è PURO o IMPURO.
(Anche se devo ammettere che è molto più incline a vedere la pagliuzza nell’occhio di Billy che non la trave nel suo.)
E ricordatevi che, alla fine, il cane che abbaia non morde mai. O almeno, insomma, non sempre.
Ad ogni modo, tutto sommato, per i due piccoli è un buon padre.
Quanto a Billy… sta crescendo. E’ un ragazzo molto sensibile, che ha sofferto molto da bambino per cose che, come ho già accennato, non me la sento di dare in pasto alla gente. Ad ogni modo, accontentatevi di sapere che, quello che oggi è un adolescente ribelle, da bambino ha subito traumi di portata devastante.
La vita non è stata mai facile per lui, quindi, a maggior ragione, ha bisogno di una mano ferma. Di una figura paterna valida di riferimento che non vacilli e gli mostri senza tentennamenti la retta via.
Ordine e disciplina?
Forse.
Pugno di ferro?
Sicuramente.
Perché con quel ragazzo, se vacilli è finita.
E se gli dai un dito, ti prende anche il braccio e ti trascina a fondo con lui.
Io credo in Stephen come padre. L’ho detto e lo ripeto.
E Billy… ebbene, diciamocelo una volta per tutte chiaro e tondo. Lui l’ha proprio deluso. E anche tanto, a dirla tutta.
No, dico. Guardiamola per un attimo dal punto di vista di mio marito.
Il ragazzo da piccolo era un genio. Un bambino prodigio. Sapeva tutta la messa a memoria e cantava come un cherubino.
A scuola, i suoi insegnanti, mi dicevano che era un asso pigliatutto.
Poi, puff! Tutto è cambiato. E’ successo verso i quattordici, quindici anni. Prima la tempesta ormonale della pubertà. E va bene. Poi il figlio degli Isbell, Jeffrey, che lui chiama Izzy. E poi il nulla. Il tracollo. I vestiti da straccione. Le parolacce. Addirittura le bestemmie. I capelli lunghi. Le borchie. Gli anelli con i teschi e tutto il suo look da tossico. E, tra parentesi, suo pa- sì, insomma. Quello che è. Mio marito. Chiamiamolo così. Ha ragione quando dice che si ubriaca. L’ho sentito anch’io, tornare tardi e incespicare ovunque in corridoio per non accendere la luce. La scala di legno non e' a dir poco sua alleata. Anzi. Lo tradisce tutte le sante volte. Ed eccolo. Mi sembra di vederlo. Trascinarsi di sopra come uno zombie sfatto e sconvolto. Buttarsi a letto vestito con magari, perché no, ancora le scarpe ai piedi. E poi, immancabilmente, lo scalpiccio furioso  verso il bagno. E lo sciacquone. Tirato cinque, dieci. Venti volte.
Sempre così. Tutte le sere che esce con quel poco di buono, poi passa la notte con la testa nel water a vomitare l’anima.
Una volta l’ho beccato in pieno.
E devo ammettere che anche i capelli, legati con un elastico di Amy perché non si sporcassero, hanno fatto la loro parte. Insomma, francamente, conciato in quel modo, Bill non faceva una bella impressione.
“Tesoro, ma cos’hai?”
“Niente, ma’” ha borbottato, sempre a capofitto nella tazza. “Va’ a letto.”
“Ma cos’è stato?”
“Boh. E che ne so. Forse una coca ghiacciata. L’ho bevuta troppo in fretta.”
Certo. Come no.
(E gli asini volano.)
 “vuoi che ti faccia una camomilla?”
Lui ha scosso la testa.
“Ma’, va’ a letto” ha ripetuto, spazientito. “O sveglierai pa’.”
E giuro che ha passato il resto della notte in bagno, tanto che Amy, una mattina, quando si è alzata per fare pipì, ha trovato suo fratello riverso a terra in una pozza di vomito. Lo ha creduto morto e si è messa a strillare, svegliando tutta la famiglia. Incluso mio marito, che ha dovuto raccoglierlo, ripulirlo e portarlo a letto.
E non è la prima volta che succede.
(Quando ci arriva, in bagno.)
E, credetemi, va ancora di lusso. Perché a volte, invece, la mattina, scendendo dabbasso per colazione, abbiamo trovato la scalinata con la moquette… ehm. Ridipinta di fresco.
Poi marina la scuola. E non ogni tanto, come tutti.
Lui lo fa sistematicamente.
Però posso capirlo. Mio figlio, dico.
Non lo approvo, certo. Ma lo capisco.
La sua è la rabbia cristallina dell’adolescenza. La ribellione alle rigide imposizioni convenzionali fatte di ordini e di disciplina.
E’ il dissenso dell’artista- perché è questo quello che è, in fondo, il mio Bill. Un artista. Un cantante nato. E anche un poeta, se volete saperlo.
Dicevo, il suo è il giusto, sacrosanto dissenso dell’artista  alle convenzioni stereotipate. Ai codici di comportamento mummificati, come diceva un eminente filosofo in TV.
Ma qui a Lafayette, artisti e poeti non sono troppo ben visti.
Quelli coi soldi, i sognatori, gli intellettuali, qui non ci stanno.
Hanno ville eleganti. Piscine. Auto di lusso. E abitano sull’altra sponda del fiume Wabash.  
Ma noi, sfortunatamente, non siamo così ricchi.
Di qua dal fiume, le cose sono differenti.
Qui la gente lavora sodo. In fabbrica. Dalla mattina alla sera a spaccarsi la schiena.
Non ha tempo di sognare ad occhi aperti.
Bill, invece… lui è diverso.
Lui non appartiene a questa sponda del fiume. E forse, pensandoci bene, neppure all’altra.
Io lo vedo bene in California.
Non so perché. So solo che avverto in lui un profumo di classe alta che non ha niente a che fare col denaro.
Mio figlio è speciale.
Per questo non voglio che si rovini la vita.
Non voglio più vederlo stare male per qualcosa che noi non gli sappiamo dare.
Sono sua madre. Lo conosco bene.
So cosa gli passa per la testa. Cosa credete?
Sarò anche rincoglionita per via dei medicinali che prendo, ma dopotutto, sono e resto pur sempre sua madre. O no?
E quanto agli psicofarmaci che prendo… beh. Sono ansiolitici.
Soffro di attacchi di panico.
Crisi di ansia.
Agorafobia.
Chiamateli come diavolo volete. La sostanza non cambia.
La mia è una malattia seria. Invalidante.
Non posso mettere il naso fuori di casa che mi gira la testa. Il cuore mi va via come un treno e non riesco più a respirare.
Non giudicatemi male. Non voglio piangermi addosso, ma tutto questo, lo sapete quand’è cominciato?
Più o meno da quando ho avuto Bill.
Anzi. Senza più o meno.
Da allora, per vivere una vita decente- si fa per dire- sono costretta a imbottirmi di Valium e Prozac.
Quindi, come vedete, non lo faccio per sport. Per sballarmi. O- passatemi l’espressione- cagate varie.
(Quando ci vuole, ci vuole.)
Io lo faccio per SOPRAVVIVERE. Punto e basta. Anche se poi mi addormento sul piatto e ciondolo per casa tutto il santo giorno come una non-morta e scoppio a piangere come una deficiente davanti ad Andrea Celeste.
Lo so cosa pensate di me. Non sono mica scema.
Che sono una pappamolla. Una zombie. Praticamente un ELETTRODOMESTICO. Senza cervello e, soprattutto, senz’anima. Una vigliacca. Che dovrebbe prendere le parti di suo figlio e che, invece, si rifiuta per paura trincerandosi dietro un muro chimico di silenzio.
Credetemi se vi dico che non è così.
 
Avevo anch’io dei sogni, sapete?
(E che sogni!)
Da bambina volevo fare la ballerina. Pensate. Ho studiato danza classica dai tre ai diciassette anni. E… sì, insomma. Modestamente parlando, ero piuttosto portata. Tanto che, a diciassette anni, ho vinto una borsa di studio per il Metropolitan di New York.
Ma ci pensate?
Da Lafayette, Indiana, al Metropolitan di New York.
Avete presente quel bel film con Jack Lemmon di qualche anno fa?
Un provinciale a New York.
Ecco. E’ così che mi sentivo.
L’unica cosa che mi rodeva era che, per più di un anno, non avrei potuto rivedere il mio ragazzo.
Lo amavo molto, sapete?
Certo. Ci saremmo scritti. Ma a diciassette anni… voglio dire. Pieni di ormoni e innamorati com’eravamo. Anzi. Come io credevo che fossimo… insomma. Era chiaro come il sole che scriverci non sarebbe bastato.
Ad ogni modo, io mi torturavo.
Da un lato non stavo più nella pelle dalla smania di partire. Dall’altro, la paura di perdere il mio fidanzato mi stringeva in una morsa fino a togliermi il respiro.
Così, ho lasciato che accadesse ciò che doveva accadere.
Cioè. Diciamo che, se quello era il mio destino, non ho fatto nulla per evitarlo.
Insomma. E’ successo.
Punto e basta.
E poi?
Poi niente.
Era l’anno del diploma. E dopo il ballo di fine anno è successo il patatrac.
Io mi sentivo strana.
E, capitemi. Non mi sono meravigliata più di tanto quando, a luglio, ho saltato.
Il ciclo, dico.
Pochi giorni prima di partire per New York, di nascosto da mia madre, ho fatto un test di gravidanza.
Si trattava di fare pipì su una pipetta e di aspettare qualche minuto per il risultato.
Basta.
Inutile che vi dica come mi sentivo mentre attendevo il responso.
So che, alla fine, tirando lo sciacquone, ho gettato via tutti i miei sogni e le mie speranze.  
Addio balletto.
Addio New York.
Le scarpette di raso rosa con le punte di gesso le ho bruciate assieme agli ultimi scampoli di magia dell’infanzia.
Il tutù l’ho fatto a pezzi lacerandolo coi denti.
Le donne incinte non ballano.
(Anche se sono ancora solo ragazzine)
Dopo circa sette mesi, a febbraio, nacque Billy.
E la mia vita cambiò per sempre.
Capito?
Non pensate male.
Io amo mio figlio.
Non dovrei dirlo, ma è il primo nel mio cuore.
Insomma. Amo tutti i miei figli.
Però Billy è Billy.
Punto e basta.
Eppure, una parte di me non si è mai rassegnata. Voglio dire. Non posso fare a meno di pensarci. Di chiedermi come sarebbe stata la mia vita se-
(-SE.)
E adesso scusatemi.
Devo proprio andare.
Sono fuori tempo massimo.
Tra poco i ragazzi torneranno da scuola- povera me!
(E io non ho ancora messo su da mangiare!)
Forza, SHERRY.
Mettiti dietro.
Fa’ presto, che tra un po’ sono qua tutti e quattro!
No, dico. Meno male che poi, pomeriggio, ho un po’ di tempo per me.
Mentre i ragazzi sono occupati coi compiti, io mi rilasso davanti alla tele.
Dopotutto non chiedo mica la Luna!
Io mi limito a ritagliarmi un sogno fatto su misura. Lo imbastisco e lo ricucio a seconda dell’umore e del momento. Poi lo straccio e lo cestino. Padrona- se non del mio- almeno dell’altrui destino.
Io sono come una spugna. Come la carta da cucina. Quella della pubblicità.  Assorbo gli amori. Gli intrighi. Le passioni.
Li bevo. Li faccio miei.
Intanto passa un giorno. E poi un altro. E un altro ancora.
E io tiro avanti e sto zitta.
E non penso più a niente.
Ma lasciamo perdere, va’, che è meglio.
Piuttosto. Vediamo un po’ cos’è rimasto in frigo.
(Madonna Santissima!)
Due cipolle e un limone.
Tutto il resto finito. Latte. Uova. Burro. Manca tutto.
Niente.
Volo fuori in extremis così come sono, senza neanche il consenso dello specchio del bagno.
Non ho tempo. Devo correre.
E’ solo entrando a perdifiato al Seven Eleven, dopo aver travolto come un tornado ogni cosa sul mio cammino, che scopro l’incredibile, imbarazzante verità.
La leggo negli sguardi pietosi degli altri.
Sono uscita coi bigodini.
E non è tutto.
Ho ancora il grembiule coi girasoli.
E… Oh, no!
(Che figura di cacca!)
Le ciabatte di pelo che mi ha regalato Amy per la festa della mamma.
Quelle a forma di OCA.

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Capitolo 8
*** daddy's goodnight kiss ***


WARNING: INCEST
Capitolo 8
 
 
AMANDA L. BAILEY (AMY)
Daddy’s goodnight kiss


Sono qui in camera mia. Nel mio letto. Al buio pesto. Sotto il piumone di Biancaneve.
La Strega mi tiene in pugno.
Tanto lo so che, alla fine, vince sempre lei.
Soprattutto quando sono sconvolta.
Quando –
LUI.
Ancora LUI.
(Maledetto bastardo! Tu non lo sai. No. Non ce l’hai una vaga idea, di quanto ti ODIO!)
 
Mi brucia da morire.
(Fra le cosce)
Sento quello schifo caldo e appiccicaticcio colare lento sul lenzuolo. E ogni goccia, giuro. Mi manca il respiro.
Mi manca il respiro.
So che dovrei andare in bagno e ficcarmi sotto una doccia così bollente da scorticarmi viva.
Cavarmi fuori tutta la porcheria che quel pervertito mi ha pompato dentro.
E’ solo che… io…
Non lo so. Non ho il coraggio.
Ho paura di svegliare qualcuno.
Del giudizio dello specchio.
Di trovarci i miei occhi e annegarci soffrendo come un cane.
Io… mi sento sporca. Lurida. Lebbrosa. APPESTATA. Come quella famigerata casa del Levitico.
(maledetto LUI e le Scritture! Se le ficchi dove dico io, una buona volta! E lasci in pace gli altri!)
Lui e le sue fantasie MALATE.
Travisa tutto quel che legge.  Prende la Bibbia. La gira e la rigira a suo piacimento.
Il Vangelo. Lo mastica e ce lo sputa in faccia senza problemi.
L’Apocalisse di San Giovanni. Se la riscrive da capo a piedi.
No. E’inutile.
Io non ce la faccio.
Non posso proprio andare in bagno, adesso. Non in questo momento.
Sarebbe come ammettere… e io non lo voglio fare.
Se adesso mi guardassi allo specchio, non è Amy che vedrei.
Nossignore.
Io… vedrei LUI.
Il suo sudiciume.
E non credo che potrei sopportarlo senza vomitare da qui all’eternità.
STAVOLTA mi ha fatto male.
Molto. Molto male.
Più dell’ultima volta.
Chissà. Forse allora era troppo ubriaco. Sa Dio.
(Merda)
Ecco. Lo sapevo. Ci avrei giurato.
Mi scappa la pipì.
No. No e poi no.
Piuttosto mi piscio sotto. Non me ne frega una mazza. Però adesso io in bagno non ci vado.
Ok?
LUI…
L’ho sentito da come saliva le scale. Era sbronzo.
(Tanto per cambiare)
E’ venuto nella mia stanza e-
-ha chiuso la porta a chiave.
Poi… si è seduto sul mio letto. E si è chinato su di me.
Io avevo il cuore che mi scoppiava. Pensavo di star per avere un infarto. Perché sapevo bene quello che voleva.
Inutile dire che fingevo di dormire, sperando che la mitragliatrice che avevo in mezzo alla cassa toracica non mi tradisse.
“Ciao, PATATINA!”
Mi ha alitato in faccia.
Puzzava di vino.
Mi faceva schifo. E mi facevo schifo anch’io, purtroppo. Altroché. Perché non avevo il coraggio di agire. Di fargli ingoiare quelli che lui,altezzosamente, chiama i COSIDDETTI.  Fargli del male. Orbitarlo per sempre al di fuori del mio microcosmo privato- e magari- già che c’ero- in un altro merdoso sistema solare.
Invece non ho fatto niente.
Mi sono irrigidita fino allo spasimo, come se avessi preso il tetano come Phyllis Stone. La mia vecchia compagna di banco. Morta per uno stupido graffio fatto con una limetta per unghie arrugginita. Pace all’anima sua. Almeno lei non ha più di questi problemi. Cioè. Voglio dire. Adesso che è sottoterra, non la tocca più nessuno.
Mi sono messa a pensare che non stava succedendo veramente. Che era solo un brutto sogno. Che stavo solo guardando un film.
“Anche le scene peggiori” mi dice sempre mio fratello Bill “sono solo finzioni. Trucchi. Effetti speciali. Insomma, illusioni. E le illusioni non possono farti del male.”
Sarà.
(Ne sei proprio sicuro? Voglio dire. Qui non siamo al cinema. Siamo in camera mia. E io non sto dormendo. Anzi. Sono anche troppo sveglia!)
Allora ho stretto i denti e l’ho lasciato fare.
LUI e la sua solita tattica. Trita e ritrita.
 
“Dormi?”
Io non l’ho cagato.
Sperando, com’è ovvio, che se ne andasse e mi lasciasse in pace una volta per tutte.
“Sono venuto a darti il BACIO della buonanotte.”
Viscido come un rettile.
Mi sale su per la gola.
Sì. Certo.
Non ho mica più due anni!
Davanti agli altri mi tratta come una lattante.
Nel segreto della mia stanza, invece, sono LA SUA DONNA.
Che bugiardo.
Non era il bacio della buonanotte che voleva.
Lui voleva strapparmi un altro lembo di anima. Lasciarmi lì nuda come un verme a piangere e a vomitare e a farmi schifo da sola fino alle prime stronze luci dell’alba.
Speravo che girasse sui tacchi e se ne andasse.
Lo speravo davvero. Con tutta me stessa.
Ma non è successo.
Anzi.
LUI-
-si è infilato sotto le coperte.
Scarpe e tutto.
E ha cominciato a toccacciarmi ovunque.
Con rabbia. Con fame. Con ODIO.
Mi leccava.
Mi mangiava.
Mi sputava.
Sbavandomi addosso. Blaterando cazzate. Che era una cosa SACRA. NATURALE. Un DONO di NOSTRO SIGNORE.
L’aspetto più AUTENTICO e PROFONDO- parole SUE- dell’AMORE FILIALE COSì COME DIO L’AVEVA INTESO. NELLA SUA FORMA Più SUBLIME E TOTALIZZANTE e un sacco di altre baggianate del genere.
Scommetto che, sotto sotto, se davvero gli è rimasto un briciolo sano di cervello, non ci crede neanche LUI. Perché diversamente è malato. Anzi. Di più. Da rinchiudere e sbatter via la chiave.
E così, alla fine, l’ha fatto di nuovo.
Bastardo.
Porco schifoso.
Depravato che non è altro!
Se ne approfitta perché sono piccola.
E pensare che una volta lo amavo. Era il mio eroe. Il mio Don Chisciotte della Mancia.
Avete presente?
Il libro l’avrò letto almeno cento volte. E ciononostante, continuo a rileggerlo.
Ne ho bisogno.
Un po’ perché mi piacciono le atmosfere cavalleresche. Gl’incantatori. I talismani. La magia.
Un po’ perché mi ricorda LUI com’era PRIMA.
Don Chisciotte si è creato un mondo su misura.
Parla di cose che vede solo lui. Travisa la realtà. La trasforma. La modella a suo piacimento contro tutto e tutti.
Vive di sogni e muore di realtà.
Come LUI.
Don Chisciotte è mio padre.
No. Anzi. E’ il contrario.
E’ mio padre che è Don Chisciotte.
Ah. Ecco. Così ha senso. Il favoloso Hidalgo della Mancha è mio padre. Che si ostina a negare la realtà e vede diavoli, incantamenti e sortilegi ovunque. Per non parlare delle maledizioni.
Come ho potuto non arrivarci prima?
Per questo, qualche volta, non lo nego, mi fa PENA.
E anche la mamma, che lo deve sopportare. Però, con tutta la buona volontà, non ci credo che non sa niente di quello che LUI ci fa, a me e Bill.
(Non che ne abbiamo mai parlato, non oseremmo! Però posso immaginare. Non credo di avere l’esclusiva. Ecco tutto. Figurarsi. Quel porco è insaziabile. Non gli basta mai!)
Ma sono convinta che anche mio fratello ha la sua bella gatta da pelare, con nostro padre. Io però non parlo. Bocca cucita. Perché sono convinta che, se solo Bill lo immaginasse, quello che va in onda qui, certe notti in cui QUELLO ttorna a casa col PRURITO dove dico io, lo strozzerebbe con le sue mani.
Oppure- che ne so. Si metterebbe nei guai per davvero. In pericolo. E via dicendo.
QUELL’ESSERE è capace di tutto. Credete a me, che ne sono la prova vivente.
Quanto a Stu, lui si salva. Per ora. E’ uva troppo acerba. E all’Uomo Nero non piacerebbe.  
Beato lui!
Quanto al CANE, invece, PER ADESSO lo lascerei fuori.
Se lo conosco bene, Seth non è il suo tipo.
E poi, non lo so, non credo che avrebbe il coraggio di provarci con lui. Non è mica ancora così disperato!
Senza contare che, secondo me, Seth sarebbe capacissimo di strappargli via i GIOIELLI di FAMIGLIA con un morso.
Tra parentesi, sente molto la mancanza di Bill, sapete?
E adesso che lui si è trasferito dalla nonna, a dargli da mangiare siamo quasi sempre io e Stu.
Papà e mamma non lo cagano di striscio.
Anche lì, bello l’esempio che ci danno!
Quei due sono da neuro. Da ricovero coatto prima di subito.
Cioè. Io non ci capisco un acca. Giuro.
Se papà è un libro aperto- di un genere che, francamente, n leggerei mai- la mamma è un’eroina uscita da una delle sue soap opera  argentine o brasiliane- o quello che sono.
LA DONNA DEL MISTERO.
E’ esattamente così che la vedo.
Piatta. Bidimensionale come una figura della geometria euclidea.
Come una caspita di proiezione ortogonale.
La mamma è come uno di quei fondali di cartone degli spaghetti western di Sergio Leone. Quelli con Giuliano Gemma che mi piacevano tanto da bambina.
Avete presente?
ANCHE GLI ANGELI MANGIANO FAGIOLI.
Ecco.
La mamma è di cartone.
Come quelle bamboline da staccare che trovi nei giornaletti coi vestitini di carta da ritagliare.
Cioè. Vista da davanti sembra vera. Come la volti, ti accorgi che è di CARTA.
Quanto a quello che succede in casa, credo che in realtà non le sfugga niente. Lei tace e si trascina ostentando indifferenza, ma io SO che lei SA.
Per forza.
Non può essere altrimenti.
Mi ha sentito. Mi ha visto piangere. Non sarà un’aquila, ma non può mica neanche essere così scema!
(E difatti non lo è, poveraccia anche lei, solo che- come dicevo prima- si caga sotto dalla strizza.)
La odio per questo suo non intervenire e lavarsene le mani, ma d’altronde, in fondo, cos’altro potrebbe fare? Andare alla polizia? Sì. Come no. Si fa presto a parlare! E se poi la situazione si aggravasse? Voglio dire. Magari gli sbirri peggiorerebbero solo le cose. Chissà.
Voglio dire.
La mamma non mi piace.
So che dovrei vergognarmi a scrivere queste cose su di lei, caro Diario dei miei Segreti più Sconvolgenti, ma è la pura verità.
La mamma è un’ameba.
Con noi e con papà.
Io non ci voglio diventare così come lei. Mai e poi mai.
Sono certa che, al suo posto, difenderei mia figlia con le unghie e con i denti. A costo della mia stessa vita.
Lei invece niente.
Ha paura.
Si caga sotto dalla strizza.
Per questo ci dà giù con quella merda di ansiolitico.
No, dico.
Ma che bella famiglia!
Siamo messi bene, eh?
Benvenuti in VIA DEI MATTI NUMERO ZERO!
L’atmosfera in casa è così densa e intossicante che ti intacca il cervello. Dopo un po’, dai fuori di testa. E’ matematico.
(LSD nelle tubature? Sa Dio.)
Ad ogni modo, quando saranno vecchi mi vendicherò. Li lascerò crepare da soli. Giuro. Tutti e due. Tanto si meritano l’un l’altro.
Ma adesso è ancora presto. In fondo ho solo tredici anni! Non ho ancora avuto nemmeno le mie cose! E questo è un bene, per il PORCO. Perché immagino lo sappia anche lui- se non si è scopato il cervello- che DOPO la musica cambierà di brutto.
E come, se cambierà!
DOPO dovrà starci attento!
Andarci con i guanti di velluto, come si dice, se non vuole buttare in piedi uno scandalo di proporzioni BIBLICHE- tanto per restare in tema!
Ma per adesso, ancora niente.
E lui ci va giù piatto.
 
Ad ogni modo, adesso che Billy sta dalla nonna, mi rendo conto quanto io e lui fossimo legati.
Mi manchi tanto, Billy.
(Mi mancano i nostri giochi. I pomeriggi OZIOSI imboscati su in soffitta a strafogarci di Fonzies, rotelle di liquerizia e di quelle stupidissime caramelle gommose a forma di fragola che mi piacevano tanto. Ti ricordi? Tu me le compravi sempre, dopo una lite. Un cartoccio in segno di pace. Sì. Come no! Prima le compravi. Poi te le facevi fuori TUTTE! Una dopo l’altra. E mi lasciavi lì come una scema a bocca asciutta. DELINQUENTE!)
Te ne approfittavi. Tanto sapevi che ti perdonavo sempre.
Morirei senza di te, Billy. E tu lo sai.
Non dimenticarti di me. Non farlo. Sei la mia unica speranza. L’unica salvezza. Perché quando leverai le tende e scapperai nella Città Degli Angeli, dovrai portarti appresso una valigia con ME dentro.
Se no’ finisce che io qui ci faccio i vermi.
E non nel corpo. Nel cervello
(come in quel film splatter che ci siamo sparati insieme di nascosto. Te lo ricordi, Billy? Avevi puntato la sveglia. FANCULO LA SCUOLA, avevi detto. Ci siamo alzati in piena notte e l’abbiamo guardato. E’ stato bello. Molto bello. La prima volta che ho fatto qualcosa di proibito alla faccia SUA. E che mi sono sentita GRANDE.)
Qui l’Assurdo è perfettamente normale.
Tanto che a volte mi chiedo: e se tutto questo, poi, alla fine dei conti, fosse NORMALE?
E se davvero il Vecchio Trombone avesse ragione?
Cioè. Lo so che non è così. Che non può essere. Che LUI è malato e tutto il resto. E’ solo che… insomma. Sono confusa, ecco. Voglio dire. Che ne so. Magari sono io che lo istigo. Che lo PROVOCO- come dice lui
(riuscendo sempre a farmi sentire in colpa)
Questo sì che è GIRARE LA FRITTATA!
LUI dice che io vedo tutto nero e mi faccio dei film tragici per niente. Può essere. E, in fondo, è un mio diritto.
La mamma invece fa la gnorri. Per carità. Magari ha ragione lei. Magari è tutto più facile se fai la finta tonta. Se non dai nell’occhio. Voglio dire. E’ questo quello che fa lei. Si limita a tenere un basso profilo e lascia che quello che deve accadere, semplicemente, accada.
Lei ha smesso di opporre resistenza.
Di lottare.
E forse, visto che è grande, sa davvero quello che fa.
Che poi, pensandoci bene, in fondo, è quello che ho fatto anch’io stasera. L’ho lasciato sfogare. Fare i suoi porci comodi su di me. Usare il mio corpo in boccio come se lui fosse un pittore ed io la sua tela. Mi ha firmata a fuoco. E quello che ha dipinto sulla mia pelle, se posso osare un’opinione, è molto peggio del RITRATTO DI DORIAN GRAY.
Uffa, che palle!
Ci mancava anche la pipì!
Non ne posso proprio più. E- volente o dolente- mi sa che a questo punto devo farla.
Getto via il piumone di Biancaneve e i Sette Nani e mi catapulto verso il bagno senza accendere la luce.
Non guardo. Non vedo. Non sento.
Non tiro neanche lo sciacquone.
E poi mi fiondo a capofitto nell’oscurità e trovo riparo al caldo sotto gli occhi compiaciuti della Strega, che mi fissa tendendo verso di me la scura granfia rattrappita. La sua risata mi trapana il cranio mentre mi offre una che stilla letale veleno.
Anche papà mi ha offerto una mela.
L’ho morsa e sono caduta.
L’ho morsa.
(Non dovevo! Pagherò con la vita!)
Ho camminato IN UNA VALLE OSCURA.
(E mi sono PERDUTA.)
 

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Capitolo 9
*** never mind the bollocks ***


Capitolo 9
 
 
WILLIAM BRUCE BAILEY (BILL)
Never mind the Bollocks
 
Oggi, 6 febbraio 1979.
Finalmente!
Compio diciassette anni.
Ho capito che non sono diciotto. Nessuno è perfetto. Ma almeno è già qualcosa.
O no?
 Dunque.
Cosa posso dire?
Il giorno del mio compleanno, di solito, fin dal mattino, è sempre stato speciale.
Tutti gli anni sento quella sferzata di energia che torna per dirmi che sono un po' più grande e un po' più forte e, forse, anche un po’ più furbo. Per non dire un po’ più FIGATO.
(Che non guasterebbe proprio per niente)
E quando, tra un anno fatto di trecentosessantacinque cazzo di giorni, sarò adulto e MAGGIORENNE, potrò mollare gli ormeggi e salpare a vele spiegate verso la mitica Città degli Angeli.
Ad ogni modo, se volete saperlo, oggi ho fatto il primo passo.
HO LASCIATO LA SCUOLA.
Per non tornarci mai più
(Nemmeno in cartolina)
 
Sapete una cosa?
E’ stato più facile di quel che credevo.
Sono andato dal Preside e punto. Basta.
Tutto si è svolto in una frazione di secondo.
Dopotutto, vista la piega che avevo preso ultimamente, ammetto che  il  mio ritiro non è stato una sorpresa per nessuno.
Era un bel po' che facevo sega regolarmente e andavo a scuola quando cazzo mi pareva, senza orari e senza cartella.
(E scommetto che mia madre, la Rana dalla Bocca Larga, vi ha già insufflati per benino. O sbaglio?)
Tanto, a quel punto, se non me la battevo, avrei perso l'anno.
(Oltre che la faccia)
Quindi, tanto valeva chiudere in bellezza.
O no?
Voi che ne dite?
Ho fatto bene o... non lo so... è una cazzata?
Ad ogni modo, quando il Preside mi ha consegnato il modulo da riempire e far firmare a mio padre... l'ho firmato io.
Tanto, ormai, con tutte le note che avevo preso, la sua firma la sapevo fare davvero a occhi chiusi... e molto, molto meglio di lui! Il quale... detto per inciso, non lo sa ancora. O almeno lo spero. No, non lo sa. Ne sono più che certo. Non lo sa, credete a me... se no' mi sa che, conoscendolo, non sarei qui a raccontarvela. Su questo non ci piove.
Così, ho lasciato quella scuola di merda. E questo è il regalo che mi sono fatto per i miei diciassette anni.
D'ora in poi studierò da solo in biblioteca e mi farò una cultura mirata. Personalizzata. Cucendomi addosso le nozioni che mi servono come un vestito di sartoria.
Basta stronzate. Il momento dei giochi è finito. Kaputt. Adesso sono cresciuto, non sono più un lattante e devo cominciare a pensare di porre in essere una volta per tutte il mio sogno di sempre: diventare una rock star e metterla, con licenza parlando, nel culo a tutti. Mio padre per primo.
 
In casa mia nessuno si è ricordato del mio compleanno, a parte la nonna, che mi ha tirato le orecchie e mi ha dato un bacio sulla fronte con lo schiocco. Ma, a parte lei, nient'altro.
 
Da casa Bailey, che ormai ho lasciato da una settimana, nessuna nuova.
Silenzio stampa.
E mi fa strano, conoscendo il Vecchio Corvaccio Nero.
Non vorrei stare sottovalutando la cosa.
Perché, vedete.
Ho come un brutto presentimento.
Quel che io chiamo le formiche rosse nel culo.
 
Non vorrei che fosse solo la quiete prima della tempesta... perché, lo ripeto... il fatto che lui non abbia tentato di riprendermi mi fa strano. Che la scuola non l'abbia chiamato per confermare il mio ritiro ancora di più... e di conseguenza, il fatto che lui non mi abbia ancora lapidato come la Maddalena o crocifisso come Gesù Cristo, mi fa soltanto temere terribili ritorsioni ed eventi funesti per il mio prossimo futuro... ma comunque, amen. Staremo a vedere.
 
 Oggi è il mio fottutissimo compleanno e non voglio farmi il sangue cattivo e mandare a puttane la giornata. Anche se devo dire che, il fatto che neppure mia madre che mi ha partorito, cazzo, si sia ricordata del giorno della mia maledettissima nascita, mi dà davvero da pensare.
 
 E i miei fratelli? Neanche loro, a ben guardare, sono senza colpe. Però io li perdono. Conoscendo quel tiranno, lo immagino capace di tutto. E come minimo, ai bambini, sapendo del mio compleanno, gli avrà precluso il telefono vietando loro di farmi anche solo gli auguri via cavo.
 
  Minacciandoli solo e unicamente per il bene delle loro anime immortali che, qualsiasi trasgressione, avrebbe comportato, quale pena, il taglio della lingua.
 
 O magari, che so io... trattandosi del mio compleanno – che io, tra parentesi, ho segnato sul calendario in cucina accanto al frigo, così chi viene in casa si ricorda di farmi il regalo, chiusa parentesi – ha superato se stesso una volta per tutte.
 Sfruttando addirittura il mio compleanno per istituire, a beneficio dei gonzi della sua parrocchia, una giornata di Lutto Cittadino.
 Mi pare fin di sentirlo, il vecchio trombone. Eccolo là, su quel cazzo di pulpito, tutto tirato a lucido e addobbato come una puttana. Mi sembra di vederlo che fa lo smargiasso e si frega le mani.
Che compleanno di merda... non fosse per Jeff... lui sì che mi capisce e mi conosce veramente. Lui! Solo e unicamente lui! E' grazie a lui se, tra la famiglia e la sfiga assurda che mi ritrovo, non ho ancora dato fuori da matto...
Stavolta neanche la mamma, che di solito, la mattina, mi faceva gli auguri portandomi la colazione a letto facendomi sentire, per un giorno, una cazzo di star di Hollywood. Il Reverendo meno che mai, ma di lui, ormai, visto come mi tratta sempre, non me ne può fregar di meno.
Quando sarà vecchio e solo e invocherà il mio aiuto, si beccherà un bel vaffa e morirà solo come un cane. O almeno lo spero, se c'è un po' di giustizia in questo schifo di mondo bacato!
Comunque, vaffanculo tutto.
Io ho Jeff e tutti gli altri, tranne la nonna e i miei fratelli, vadano pure a farsi fottere.
E se questo compleanno, nonostante l'inizio in sordina, ha virato di centottanta gradi da schifoso a memorabile, lo devo solo e unicamente a lui. Al mio migliore amico. Che, come me, non vede l'ora di lasciare questo puzzolente buco di culo per L.A. e una volta lì, darsi da fare per diventare finalmente una rock star.
 
Tanto per cominciare, ci siamo concessi una bella sbronza come Dio comanda.
No, perché... visto che io, ormai, in casa mia, ho la fama di alcolizzato senza aver mai assaggiato un goccio d'alcol a parte il fottutissimo liquore dei marshmallows, ero curioso di sapere una volta per tutte che cazzo mi perdevo.
E vi assicuro che bere e ubriacarsi ha il suo perché... merda. L'avessi saputo prima...
Ci siamo dati appunto al bar più malfamato di Lafayette nel primo pomeriggio, così da non destare sospetti a casa.
Il locale si chiama Stabilizer.
Un nome un programma.
Una bettola da paura.
Un vero covo di mignotte e di ruffiani, spacciatori e barboni se ne è mai esistito uno.
Insomma... il fiore all'occhiello della nostra ridente Lafayette.
Si trova in fondo a destra dopo il ponte, dall'altra parte del fiume Wabash. Fiume che, tra parentesi, ultimamente si è ridotto uno schifo, inquinato e usato come discarica a cielo aperto.
E, detto tra noi, mi auguro con tutto me stesso che un giorno non troppo lontano, dopo che me la sarò svignata da questo letamaio, l’ira d’Iddio lo faccia esondare dagli argini cancellando per sempre la Città dei Morti Viventi dalla topografia del mondo conosciuto.
Ed eccoci dunque, con l'adrenalina a paletta e il testosterone a duemila, allo Stabilizer.
 
Tanto per cominciare, devo dire che la pessima fama di cui gode è più che giustificata.
No, dico. Vedete voi.
Nonostante fosse pomeriggio, infatti, la sua fauna protetta notturna era rappresentata al gran completo. E tutta esposta in vetrina. Alla luce del sole. Come le paste con la forfora
(Quelle della pasticceria dietro casa della nonna, per intenderci. E giuro che non è un modo di dire)
Per fortuna, però, i gestori- marito e moglie, due teppe da paura- erano, diciamo, di larghe vedute.
Nel senso che, se chiedevi un superalcolico, te lo davano. Punto e basta. Senza farsi troppe fisime. E, soprattutto, senza esigere un cazzo di documento d' identità
(che, del resto, noi non avevamo.)
Bella lì.
Viva lo Stabilizer!
(Segna un punto a tuo favore.)
Ordinare una birra al bancone è stato un gioco da ragazzi nonostante io e Jeff fossimo chiaramente minorenni.
A quelli non gliene frega un cazzo se hai ventun anni, diciotto oppure cinque. Basta che cacci la grana, poi va tutto bene.
Potresti essere anche un lattante, che per loro va bene lo stesso.
E devo dire che la birra mi piace un casino e, soprattutto, mi piace essere sbronzo. Ma tanto tanto tanto! Ci si diverte una cifra, giuro...
Con un paio di birre ciascuno, ci siamo trasferiti al Columbian Park. Che a quell'ora era pieno di mamme coi bambini. Ma non aveva importanza. Noi li abbiamo bypassati alla grande e siamo finiti a bivaccare sulla montagnola da cui si domina l'intera area del parco e dove c'è il busto di Sir Walter Scott.
Tra parentesi, altro buono anche lui...
 
La nostra solita panchina tutta bella grafitata ci aspettava.
 
Il nostro salice preferito. Con la corteccia a pezzi. Zeppo di cuori trafitti lasciati dagli innamorati. Così ci sentivamo. Isolati, cazzo. Tagliati fuori dal mondo.
E poi, sbronzo com'ero, mi sembrava di stare da qualche altra parte, non a Lafayette.
In una cazzo di capanna di frasche in culo ai lupi.
Ecco, a cosa serve veramente l'alcol.
A chiudere fuori il mondo.
L’alcol ti salva. Ti redime. Ti purifica
(da tutte le rotture di coglioni)
E adesso che lo so... uomo avvisato... MEZZO ALCOLIZZATO!
Ad ogni modo, tra le fronde di quel salice martoriato, col culo dolorosamente in bilico sullo schienale della panchina, Jeff mi ha dato il primo e unico cazzo di regalo che ho ricevuto oggi.
NEVER MIND THE BOLLOCKS
(dei Sex Pistols.)
Il disco più irriverente e strafottuto della Terra.
La mia BIBBIA.
Il mio cazzo di SANTO GRAAL.
 
Sulle prime ci sono rimasto di sasso- per non dire di cacca.
Poi, più che la sorpresa, ha potuto la gioia.
No, dico. Beccatevi la scena.
Ero esaltato. Bevuto. Fuori di me per la commozione.
Ho preso il controllo e mi sono gettato al collo di Jeff rischiando di spezzargli la carotide e, già che c’ero, anche qualche vertebra.
Il più proibito dei vinili proibiti.
Il più tosto dei dischi tosti.
Il più da sballo degli LP da sballo.
Nientepopodimeno che... i Sex Pistols!!!
Il gruppo che amate odiare, come dicono le fanzine e gli addetti ai lavori del settore.
 Insomma... roba forte.
Che spacca.
 
Se solo lo sapesse il Reverendo!
Per lui esiste solo il gospel, cazzo!
E un po' di Elvis quando gli gira bene.
Tutto il resto è merda.
Musica del Diavolo.
 
“Baciami il culo, vecchio bastardo!” Ho gridato, sbaciucchiando il vinile e stringendomelo al cuore. “Te lo do' io, il diavolo!”
E bravo il mio Isbell.
Dio, quanto gli voglio bene, a quel ragazzo!
Se non fosse che è un maschio ed io non sono frocio... quasi quasi... me lo scoperei!
E con questa... il nostro Jeff ha vinto ai punti la mia vita. Da oggi gli appartiene di diritto, cazzo.
Ma nel pacchetto non c'erano solo i Pistols. C'era anche un altro piccolissimo involtino.
Un coltello.
 
Un coltellino di quelli con la lama a scatto, che si estrae dal manico premendo un pulsante.
 L'impugnatura era favolosa: madreperla dai riflessi cangianti.
 
Io lo sapevo bene a cosa serviva quel coltellino.
 
Aveva un compito molto importante e solenne.
Un compito fondamentale.
Era lo strumento. Il tramite. Il mezzo.
Della nostra NUOVA ED ETERNA ALLEANZA.
Quel coltello ci ha uniti NEL SANGUE.
ADESSO E PER SEMPRE.
Te lo giuro, Iz. Cazzo.
Mio unico amico e fratello.
Non me ne fotte un cazzo se, finito l'anno scolastico, tu andrai a L.A. prima di me. In fondo, se io non sono ancora riuscito a far su la grana, è solo colpa mia.
Sappi però che ti seguirò a ruota.
Sarò la tua ombra.
Ovunque e comunque.
Nessuno potrà più dividerci.
Mai più. Mai più. Mai più.
Ne' mio padre né i tuoi.
(Niente potrà spezzare il nostro cerchio.)
 
 

 

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Capitolo 10
*** the Hell broke loose ***


ATTENZIONE: DA QUESTO PUNTO HO LA STORIA ORIGINALE AL COMPLETO. (VE LA POSTO TUTTA E BUONANOTTE AL SECCHIO) VI ADORO. SIETE IL SALE DELLA VITA (SOPRATTUTTO LA MITICA ZIA ANGIE MARS, LAISA E NICKY) GRAZIE DI CUORE DI TUTTO. SARAH ROSSA MALPELA ROSE
Capitolo 10
 
 
 
GRANNY KATE
The Hell broke loose
 
Che Dio mi aiuti! E' successo il finimondo.
 
Lo sa! Lo sa! Lo sa!
Che io sia dannata, Billy adesso lo sa. Ha scoperto tutto. E nel peggiore dei modi.
Siamo rovinati... rovinati... rovinati...
io me lo sentivo che succedeva... era nell'aria. E adesso tutto è perduto...
E io mi sento così in colpa... non so darmi pace.
Il ragazzo stava da me, ultimamente.
Ieri mattina, di buon' ora, era uscito per approfittare del fatto che sapeva che suo padre... cioè, che quel pazzo furioso in abito talare era in chiesa. E poi... poi...
Gesù, ti prego aiutami, se ci sei...
“Nonna” mi ha detto, appena finito di fare colazione “se per te va bene, vado a casa a prendere un po' di cose. E poi, se tutto fila liscio, pomeriggio, insieme a Jeff, porto anche il pianoforte, che è mio e lo voglio qui!”.
 
Così mi ha detto.
E io: “va bene. Vai pure. Ti aspetto per pranzo.”
“Contaci!” mi ha detto facendo il segno della pace con due dita.
E se n'è andato.
 
E poi... poi...
L'ora di pranzo è passata da un pezzo.
Anzi... a guardar bene, è quasi ora di cena...
 
Povera me!
Ma cosa sarà successo?
 
“ Contaci” mi ha detto.
E io...
 
Che Dio mi strafulmini secca...
 
io... io non l'ho più visto.

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Capitolo 11
*** he can suck ***


Capitolo 11
 
 
 
REVERENDO STEPHEN L. BAILEY
He can suck
 
Visto? Siete contente adesso? Siete soddisfatte? Madre e figlia... una peggio dell'altra! E poi si stupiscono se in questa casa succedono dei disastri! Buone a nulla! Deficienti! Ecco a cos'ha portato la loro linea della tolleranza e dell'amore!
Io l'ho sempre detto e ripetuto che quel delinquente prima o poi andava a finir male! E adesso è successo!
No, dico... ha diciassette anni. Non ancora diciotto. E da ieri s'è pure dato alla macchia! E questo dopo aver coperto d'insulti me e sua madre!
Era venuto qui a prendere i suoi stracci e, già che c'era, s'è messo a rovistare tra i cassetti di sua madre come se fosse stato il padrone del mondo. Approfittandosene del fatto che io, naturalmente, ero in chiesa alle prove del coro parrocchiale, a compiere il mio sacrosanto dovere di cristiano.
Arrivo in casa dopo una giornata estenuante e, invece di essere accolto come si conviene ad un capofamiglia onesto e retto che ha portato a casa il pane per quelle mezze calzette dei suoi familiari, cos'è che trovo?
Una valle di lacrime.
Mia moglie piena di sonniferi che piagnucola sulla spalla della madre – altra buona anche lei! - e, sul tavolo, in mezzo al casino di piatti sporchi ancora della colazione, una maledettissima carta. Una vecchia assicurazione. Sulla vita del marmocchio che Nostro Signore, con licenza parlando, non avrebbe mai dovuto far nascere.
 
Il documento, datato 1964, era intestato a
WILLIAM BRUCE ROSE.
 
Oh, Signore!!!
 
ROSE.
Non Bailey.
ROSE.
 
Quel barbone pidocchioso d'un avanzo di galera che non è altro... e scommetto che ha pure i capelli rossi come lui!
Delinquente malcagato! Tutto suo padre!
Quello vero, naturalmente... io non c'entro.
Sarebbe stato meglio per tutti che fosse nato un rospo...
altro che voce solista nel mio coro Gospel!
Una pedata nel culo e... fuori dalle palle, bimbo! E se non vuoi studiare... impiccati. Ruba. Ammazza. Stupra. Tanto, se Dio vuole, non è più affar mio.
Io mi sono liberato di una di quelle zecche...
Com'è andata?
E come volete che sia andata?
Con quelle due oche lì a frignare e a menarsela...
Il piccolo bastardo ha trovato l'assicurazione sulla vita che sua madre e sua nonna gli avevano fatto quando è nato. Bella roba...
Ma, ad ogni modo, l'ha trovata.
Ha affrontato sua madre e l'ha costretta a raccontargli la penosa storia della sua miserevole vita, e poi è andato a dirne quattro anche a quell'altra povera scema rincoglionita di sua nonna, che sapeva e, a suo dire, l'ha preso per il culo. Parole sue.
Ha fatto il diavolo a quattro con una bella sceneggiata isterica in grande stile come fa sempre lui, e da allora... puff! Sparito nel nulla.
 
Ma guarda un po' tu, dopo tutti questi anni...
 
A dire la verità, sia io che quella scema imbesuita di mia moglie - che adesso piange e si dispera come un'eroina da telenovela da quattro soldi di quelle che guarda lei invece di fare i mestieri di casa - non sapevamo neanche più di averla, quella dannatissima carta...
 
No, dico io... mia moglie perde tutto... non mette mai in ordine niente... quando cerchi una cosa non la trovi neanche se muori, e questa cosa qui, che andava bruciata appena stipulata, o comunque tenuta almeno sotto chiave... salta fuori adesso e gira il mondo sottosopra!
 
Così, finalmente, quel bastardo sa tutto.
Adesso lo sa perché l'ho sempre chiamato bastardo. Perché lo è. Punto e basta.
Solo e unicamente per questo.
E se non vuole tornare a casa, e vuole lasciare la scuola e diventare un ragazzo di strada più di quanto non lo sia già, faccia pure. Io me ne lavo le mani.
E, che Dio mi perdoni... se non capisce che tutto quello che abbiamo fatto – incluso tenere il segreto sulle sue esecrabili origini – l'abbiamo fatto sempre e solo per il suo bene... allora amen.
Chiuso. Finito.
E – con licenza parlando - che si vada a strafottere, cazzo!

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Capitolo 12
*** kick my ass, Lafayette! ***


Capitolo 12
 
 
 
WILLIAM BRUCE BAILEY (BILL)
Kiss my ass, Lafayette!
 
I'm an Antichrist/I'm an anarcheist/don't know what I want/but I know how to get it
 
I did it. I went away.
Left that crappy Bailey's house to find Rose's way. Cause now I know that they all have lied about my birth for the last seventeen years. But now I know. Nothing will ever be the same. I was born William Bruce Rose Jr, not Bailey. So I have neither a present nor a past, but I still have a future. I don't give a shit how hard it's gonna be. I got to leave all that madness right row. Got to. My only goal is stayin' alive. I've been so lonely- I could die. Oh, Jeff- I wish you were here, but you aren't, and I can't share with you this day of weeping. The traffic lights stab my eyes full of tears cause I just can't stop crying. I'm so sick of this fuckin' Town of the Living Dead that there's one only thing that I know for sure in this moment: I want to  get out of here right now.  Dunque... mi sembra strano. Controlliamo un po', va', che è meglio... caccio fuori dallo zaino la mia cartina tutta spiegazzata e mi accendo una Luckie. Ebbene sì, cazzo! Mi sono messo a fumare. E allora? Qualcosa in contrario?
La volto e rivolto. Apro e richiudo. Niente.
Lafayette, sei proprio una merda... e non sono mica io che lo dico, cazzo! E' la cartina: solo per trovarla, sotto forma di puntino minuscolo, mi parte un quarto d'ora.
Però sono fierissimo della mia mappa stradale.
“Bel colpo, Bill!” Esclamo, ripiegandola con cura e riponendola nello zaino.
Prima di tagliare la corda, infatti, avevo avuto uno dei miei lampi di genio. Ho preso le chiavi della Camaro di mio... sì, cioè... del Bastardo con la B maiuscola, ho guardato nel cruscotto e gli ho ciullato l'atlante stradale. Tanto, per quel che se ne faceva...
L' Interstatale 25 per Garfield, che rappresenta la prima tappa del mio viaggio in direzione della Città degli Angeli, è una trappola mortale.
Inutile dire che io, col mio zaino e i miei pensieri tristi, sono l'unico pedone. Solo il traffico congestionato del dopolavoro che sfrecciano ansiose Solo come un verme
Di tante macchine che passano, nessuna che si fermi, cazzo... e oltretutto, per completare il quadro, viene giù che Dio la manda. Mi sto inzuppando come un pulcino. Le mie All Star sono così fradicie che se le strizzo ci riempio una cazzo di boccia di Jack Daniels. E, come se non bastasse, per colmo di sfiga, ogni macchina che passa, mi lava.
Cazzo... sembra che ho fatto la doccia vestito.
Per non parlare dei capelli... che mi gocciolano nel collo. Il cappuccio della felpa dei Motorheads è zuppo da paura.
Bastardo. Bastardo. Bastardo. Bastardo.
Non posso fare a meno di ripetermelo in continuazione. Come una cazzo di eco inestinguibile che mi rimbalza nel cervello.
Mi scoppia la testa... che ne so, magari ho la febbre. O la polmonite. Ma anche se non ce l'ho ancora, se nessuno mi carica, cazzo... finisce che me la becco di sicuro. Garantito. Per la gioia di chi mi vuol male.
Ecco perché mi chiamava sempre così, quel pezzo di merda. Perché è quello che sono. Io sono un bastardo.
Cioè, non sono suo figlio.
E dovrei piangere e disperarmi per questo?
Sono un bastardo.
Mi ha sempre odiato e maltrattato e picchiato a sangue fin da quando sono nato. E io che mi spaccavo il culo per farlo contento!!! E' lui il fottuto bastardo, non io!
E lo odio con tutte le mie forze per quello che mi ha fatto, quel brutto figlio di puttana d'un predicatore delle cause perse!
Mi hanno detto che è morto. Il mio vero padre, dico. Si chiamava Rose. William Bruce Rose. Come me. Ed era un poco di buono, da quanto dicono quegli stinchi di santo. Tutti e tre. Mamma, nonna e... quello.
Non voglio neanche nominarlo.
Vomito solo a pensarci, cazzo.
Comunque, mia madre e questo Rose avevano una tresca al liceo. E' lì che si sono conosciuti. E al ballo di fine d'anno, galeotto fu il vinello... che William Rose se la trombò. Lei, come una scema... subito incinta. Lui allora l'ha sposata, ma poi è kaputt in un incidente stradale. Poi sono arrivato io. E il resto lo sapete.
No, dico... che storia loffia, ragazzi!
Peggio delle telenovelas che guarda mia madre... ma chi si credeva di essere, dico io?
La Schiava Isaura, cazzo?
 
Lo giuro. Giuro su Dio. Sempre che esista davvero e che gliene freghi qualcosa di me. Non appena avrò diciotto anni, cioè tra trecentosessantaquattro merdosissimi giorni, cambierò legalmente il mio nome. Da Bailey – che si strafotta, quel superlecca, una volta per tutte – in Rose.
 
William Bruce Rose.
Rose.
Mi piace. Suona bene.
Ha qualcosa di lussuriosamente rock.
Molto meglio di quel cazzo di Bailey, comunque.
Neanche buono per una schifosissima crema al Whisky!
Ho fatto su baracca e burattini e... bye bye baby...
mi sono eclissato alla grande e per sempre da quel manicomio dai casa. Mi dispiace per la nonna, ma... mi farò sentire per telefono.
Io, in quella cazzo di casa, non ci torno più.
E i miei fratelli... che a questo punto, a rigor di legge, diventano i miei fratellastri... fanculo. Che brutta parola. Fratellastri. No, non esiste. Amy e Stu sono stati, sono e saranno sempre i miei fratelli. Non me ne frega un cazzo se non abbiamo lo stesso sangue al cento per cento. E giuro che, in un modo o nell'altro, un giorno li verrò a prendere e li porterò via.
Un giorno.
Quando avrò fatto fortuna e sfondato – perché, ne sono sicuro... il mio treno è laggiù, da qualche parte, nella Città degli Angeli. Devo solo afferrare al volo il mio biglietto per il Paradiso e saltarci su.
Los Angeles.
La Città del Paradiso.
 
Paradise City.
 
Si, mi piace. E sto pensando di scriverci su una canzone. E' da stamattina che ho la scimmia di questo riff. Dovrei parlarne con Jeff, ma lui è stato più furbo di me. Se n'è andato.
 
E' partito una settimana fa per Los Angeles con un autobus Greyhound.
 
“Vado, faccio fortuna e ti chiamo!” mi ha detto, piangendo. “Appena avrò un cazzo di lavoro e un posto dove stare, giuro che ti chiamo.”
“Mi fionderò lì alla velocità della luce!” ho risposto, strizzandolo fin quasi a soffocarci entrambi.
 
Per me, invece, i tempi non erano ancora maturi.
Non me la sentivo ancora di lasciare Amy e Stu da soli nelle grinfie di quel porco bastardo, visto l'atteggiamento da zerbino della mamma...
 
Non potevo permettermi il biglietto, ma sarei morto piuttosto che ammetterlo con lui.
 
Non la volevo la sua carità, cazzo! Sarebbe stata la fine della nostra amicizia e, senza di lui, senza il suo... il nostro sogno da sognare, mi sarei sparato in bocca...
 
Pensando a Jeff, sono convinto che, in questo momento, tutto s'immagini tranne che il fatto che io, il suo migliore amico, sono qui a farmi una sega sulla cazzo di Interstatale, cercando di fare l'autostop come Sal Paradiso in Sulla Strada  solo per raggiungerlo.
 
Scommetto che se mi vedesse gli prenderebbe un colpo... caro Jeff! Sei tutto quello che mi è rimasto...
E lui non sa ancora niente di me e di cosa ho scoperto...
ci rimarrà di merda quando gli avrò raccontato tutto per filo e per segno. Di merda. Però il mio riff gli piacerà. Lo so. Lo sento. Lo farà impazzire. Ci lavoreremo insieme. Come quando suonavamo negli AXL.
Ci tireremo fuori qualcosa di grande. Che spacca.
Un lampo di genio mi ottunde il cervello e mi proietta su un palco, sotto le luci di un nightclub.
Nell'aria c'è elettricità statica. Sesso e sudore.
Fans urlanti e assoli di chitarra crudeli come iene.
Io sono AXL.
Axl Rose.
D'ora in poi è così che mi chiameranno tutti.
E dietro di me, suona la mia band.
Una band fottutamente figa. Coi controcoglioni, cazzo!
Una band di morti di fame che cambierà il mondo.
Axl.
Axl Rose.
Appena avrò diciotto anni, mi cambierò il nome.
E gli AXL vivranno per sempre nella mia luce, cazzo.
 
Intanto mi canticchio il mio riff per non perderlo. Lo limo e cesello. Lo disfo e ricompongo. Cambio tono di voce. Lo sussurro. Lo grido.
 
Mi mangio le vocali ad una ad una assaporandole con gusto. E godo alla carezza dolce delle consonanti contro il palato.
 
Take me down
to the Paradise City
 
(Portatemi laggiù/nella Città del Paradiso)
 
Seeee, cazzoooooo!!!
 
Ehi, che sventola...
no, dicco... una tipa che passava sotto la pioggia. In minigonna e tacchi a spillo. Abbracciata ad un cazzone.
Where the grass is green
Seeee!!! L'erba verde!
Giusto!
Che figata, ragazzi...
 
Tanta buona erba verde da strafumarmi fino a fottermi del tutto il cervello, cazzo!
 
... and the girls are pretty
 
Da urlo, gente!!! Questo riff mi piace un casino! Se lo conosco bene, Jeff se ne innamorerà...
e scriveremo una canzone che venderà migliaia di dischi e ci frutterà fama, successo e ricchezza alla faccia di quel bastardo rotto in culo del Prete.
 
Quello che mi fa stare peggio, però, è il tradimento della nonna.
No, dico... ma avete presente?
Da lei non me lo sarei mai aspettato, cazzo.
Eppure...
Lei sapeva.
Sapeva e ha taciuto.
Tutti questi anni.
Ha taciuto e mi ha preso per il culo.
E io che credevo che mi amasse davvero...
Chissà, forse un giorno troverò la forza ed il coraggio di perdonarla... di perdonare tutti loro... ma per adesso...
Ho comprato una bomboletta spray. Inchiostro rosso. Sembra sangue. E ho stretto un patto per la vita e la morte.
 
Baciami il culo
LAFAYETTE!!!
 
Finalmente
SONO FUORI DI QUA!!!
 
 
L'ho scritto sul busto di quell'altro cazzone di Sir Walter Scott al Columbus Park.
Che la campana della libertà suoni, cazzo!
 
Poi, finalmente... la vedo.
Merda, ragazzi... non credo ai miei occhi.
Sono letteralmente fuori di me dalla gioia.
Come disse il nonno indiano di Piccolo Grande Uomo, il mio cuore vola alto come un falco.
 
Mi sbraccio schizzando acqua ai quattro venti e mi metto a gridare con tutte le sette ottave che un Dio benigno e rockettaro mi ha ficcato in gola.
 
E' una Dodge. Una vasca da bagno con le ruote di Dodge. Però, me lo sento: è il mio treno.
Quello che, con un po' di fortuna, mi porterà via da qui.
“Ehi!” Strillo. “Amico...”
Lui si ferma.
Abbassa il finestrino e... cazzo, no!
Questa non ci voleva!!!
Ma che sfiga!!!
Il cuore mi rotola sul selciato lucido di pioggia.
Istintivamente, schizzo indietro.
La prima cosa che vedo è una croce.
Cazzo... e adesso?
Poi, un colletto da prete.
Merda.
Scoppio in singhiozzi.
“Non è giusto, cazzo!” Grido, buttando per aria lo zaino e prendendolo a calci.
“Non è giusto... non è giusto... non è giusto...”
 
Non esiste!
 
No, dico... non sono ancora partito... e sono già nella merda fino al collo.
 
Stramaledendo il giorno infausto in cui sono venuto in questo mondo di merda, mi strappo dal collo il crocifisso d'argento  donatomi dal mio papi per il mio fottutissimo battesimo e lo lancio in mezzo alla carreggiata.
Fanculo tutto.
I miei sogni. Los Angeles.
(Persino Jeff)
La pioggia lava via le lacrime. Come in quella bella frase di Jim Morrison. Ma io adesso non ho tempo per Jim Morrison.
Non ho tempo per le frasi ad effetto.
Io sono perduto. Finito. Fottuto.  
Io... voglio soltanto sparire.
E, a questo punto... alla luce di quel che ho scoperto... non so nemmeno io se voglio vivere o morire.

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Capitolo 13
*** Tomato, basil and mozzarella ***


Capitolo 13
 
 
 
JEFFREY DEAN ISBELL (JEFF)
Tomato, basil and  mozzarella
 
 Fanculo anche il lavoro, cazzo!
Che vita patetika...
No, cazzo... io il mio ingresso a L.A. Me l'ero figurato un po' diversamente. Cioè, ragazzi... parliamoci chiaro.
Che non sarebbe stata proprio una passeggiata me lo immaginavo, soprattutto per i primi tempi. Sapete com'è... ci vogliono le conoscenze. Un po' di figa al momento giusto... insomma, per partire col piede giusto, ci vuole una spintarella. Se no' è un casino...
Con gli agganci giusti... allora è tutto più facile... mica come me, qui, con quel taccagno di uno scozzese di merda... Dio, quanto lo odio, quella specie di negriero!
Lo inculerei a sangue.
Il mio datore di lavoro, se non si è capito.
Mr Salvatore Maruto. Oriundo napoletano. Anzi, emigrante. Ma sapete come lo chiamano i suoi dipendenti? Scarface. Perché ricorda Al Pacino versione brutta, pelosa e nana.
Un losco figuro come se ne vedono solo nei film italiani, cazzo. Un affiliato. Cioè, parlando come mangi, un camorrista.
E bravo Jeff!!!
Ma bene! Complimentoni!!!
Tu se non ti ficchi nei guai non stai bene, cazzo!
Un barile più largo che lungo sempre in gessato paraculato da una rete di uomini d'onore, come li chiamano loro, che è meglio perderli che trovarli.
E giuro sulle mie palle che appena mi trovo un lavoro degno di questo nome gliela faccio saltare in aria, la sua cazzo di premiata pizzeria napoletana a marchio D.O.C.
O' Vesuvio. Così si chiama.
Che nome patetiko!
Ma che fantasia, dico io...
E, per tener fede al suo nome, che fa il nostro boss tutto mozzarella e pomodoro?
Quando c'è, e non è in giro coi suoi scagnozzi a... ehm... regolare i suoi... sì, insomma... quelli che lui chiama i suoi conti in sospeso... quando si presenta in pizzeria... beh, c'è da rigare dritto. Da filare.
Un-due-tre... marsch! Che più che in una pizzeria, sembra di stare ad Auschwitz, cazzo!
Quello è un esaltato. Sbraita. Gesticola. Spacca le cose. E ciononostante... il locale ha la sua clientela di habitué. Dio solo sa come, ma è così.
Quel lumacone superlecca ci sa fare, coi salamelecchi, cazzo! Lasciate fare a lui! Insomma, O' Vesuvio fa fuoco e fiamme. Anche se meriterebbe di finire... in cenere.
Almeno per la spocchia del gestore. E se non ci pensa il vulcano quello vero, visto che sta in Italia e fin qui non ci arriva... appena trovo un lavoro degno di questo nome, giuro che ci penso io, a ridurla in cenere, questa cazzo di pizzeria!
Vedrete un po' se non lo faccio! Giuro! Voglio vederla decollare in verticale come un fottutissimo caccia, dritta su su su fin su quella merda di sulla Luna del cazzo! Con lui dentro, s'intende.
E... bye bye, Mr Maruto l'Affiliato...
Non credo che piangerà nessuno. La crew del locale no di certo, perlomeno. E tanto meno io, che sono l'ultimo arrivato. Il novellino del cazzo. Bersaglio di tutti gli scherzi pesanti e i tiri mancini degli altri.
Mi tocca fa sputare tutti i giorni due pinte di sangue e mi paga una merda. Due dollari l'ora. Insomma, uno schifo. E per cosa? Per pulire i cessi e lavare i piatti. E... notate gente, notate: rigorosamente in quest'ordine! Cessi e piatti.
Bell'accoppiata, no?
La catena alimentare al completo.
Basta.
Non ho parole.
Quindi... inutile commentare oltre.
Ma sia ben chiara una cosa, cazzo. A scanso di equivoci. Io in questo buco puzzolente buono solo per i bacherozzi, come li chiama il Gran Capo, sono solo di passaggio. Chiaro? Voglio solo far su la grana per affittarmi un buchino dove stare. Per me e per Bill. Che, onestamente, dopo che ha lasciato la scuola, non naviga in acque tranquille, poveraccio.
A me va di merda, ma lui sta peggio.
Sono fuori in cortile a fumare, in pausa.
Sul retro del ristorante.
Davanti alle cucine.
Appoggiato ad un bidone della spazzatura che rigurgita di sacchi e di sacchetti. Davanti ai miei piedi, altri rifiuti. Ce n'è per tutti i gusti, cazzo. Le borse squarciate emanano un lezzo pestilenziale di putridume che satura l'aria nel raggio di tre o quattrocento metri. Roba da far vomitare una capra, cazzo! Per non parlare dei ratti. Che poi, alla fine, sono anche ben visti, dato che, alla fine della fiera, sono loro i più assidui frequentatori della Premiata Pizzeria Napoletana di Mister Maruto l'Affiliato!
E sono anche gli unici che, a quanto pare – tolte le solite facce patibolari della sua cerchia di leccaculo – apprezzano le sue specialità.
Io qui odio tutti tranne lei. Si chiama Gina. Una brava ragazza. Simpatica. E anche lei disperata. Gina fa la cameriera per pagarsi gli studi di medicina.
Viene da una di quelle famiglie di Mormoni strapiene di figli... pensate: ha addirittura dodici fratelli. Tutti più piccoli. E così... deve cavarsela da sola.
Tutti gli altri mi prendono per il culo perché sanno che suono. Uno mi ha visto su un marciapiede, la prima sera che stavo qui a L.A.
Facevo la questua. Cioè... sì, insomma... avete capito.
Chiedevo la carità.
E da quel momento in poi... mi sfotte in continuazione.
Se mi girano le palle... e sono quasi a livello, giuro che gli butto tutti i denti in gola.
Ma lasciamo perdere, va', che è meglio.
Questo cazzo di lavoro di merda, al momento mi serve. Ma porca di quella puttana!
E mentre, da una finestra della cucina, volano bestemmie e parole grosse, sia in inglese che – deduco dal tono minatorio – in vernacolo partenopeo, mi fumo una Lucky e il mio pensiero corre al mio migliore amico. Bill Bailey. E al giorno di cinque anni fa in cui l'ho conosciuto.
No. No e ancora no!
Cazzo, ragazzi? Ma cos' andate a pensare?
Tanto per farvelo sapere, belli... io non piango mai.
Non sono il tipo.
Io suono la chitarra. Sono un duro. E i duri non piangono, cazzo!
Non sono mica lacrime, queste qui! Macché... è solo che mi è andato il fumo negli occhi...
non sono mica un fighetto, io... se no' come potrei suonare il rock n' roll?
Lo dice anche la canzone, cazzo...
Nice boys don't play rock n' roll
 
Comunque, parlavamo di Bill. E di come le nostre fottute strade si sono incrociate.
Benissimo.
Era il primo giorno di scuola. Fairfox High School. 1975. Ottava classe. Tredici anni. Eravamo tutti in classe in attesa dell'insegnante per cominciare la lezione e ad un tratto...
 
SBAM!
Una specie di stella cometa fiammeggiante vola per il corridoio come un razzo.
Sulla sua scia, la vecchia Miss Parton. Di Chimica. Con le sue gambe rinsecchite da gallina che sbatacchiano sotto la gonna scozzese.
Poi la cometa entra nella mia classe e... vedo che, dopotutto è un ragazzo. Che poi, alla fine, conosco di vista. Cioè... come tutti. E chi, a Lafayette, Città dei Quaccheri Rincoglioniti e delle Mantidi Religiose, non conosce il figlio del Pastore Pentecostale?
 
William Bailey.
Capelli rossi lisci e lunghi.
Mingherlino.
Occhi verdi e penetranti.
Sguardo perso nel vuoto.
 
Onestamente, osservandolo bene da vicino, è un gran bel ragazzo. Ma la sua dote di spicco è la voce. L'ho sentito cantare più volte, la domenica, in chiesa. Falsetti acrobatici. Note di solito precluse alle corde vocali maschili, per lui non hanno mistero. Anzi, sono il pane quotidiano.
Signore e Signori – dice sempre suo padre, il Reverendo Bailey, prima di ogni Lode. Ascoltate questo figlio di Dio e la sua voce da sette ottave!!!
Sarebbe un vocalist coi fiocchi per una rock band tipo Nazareth o Aerosmith, mi ricordo che ho pensato stupefatto mentre l'insegnante di lettere gli indicava il posto vuoto a sedere accanto al mio.
Mi ricordo come se fosse adesso il ghigno che aveva stampato sulla faccia quel temerario.
Non prometteva niente di buono e, di sicuro, da quel giorno in poi, gli è valso tutto il mio rispetto.
E' così che è andata.
Tutto merito del dizionario d'Inglese... e di un buon lancio andato a segno che però, per nostra fortuna, non fu sufficiente a farlo espellere da scuola.
 
“Ehi, Jimi Hendrix!”
Oh, merda.
Ma che due coglioni...
“Ma dove cazzo s'è cacciato, quel sacco di merda?”
Un raglio d'asino mi riscuote e mi riporta alla mia triste realtà. Il ghigno sardonico del mio migliore amico sfuma nei robusti incisivi ricurvi di un ratto impudente e spavaldo grosso come un castoro che sembra uscito da un racconto di Stephen King.
All'improvviso, un urlo.
E il ratto scappa via terrorizzato.
Una zucca pelata grondante sudore su un faccia di merda come non ho mai visto l'uguale si sporge dalla finestra della cucina.
“Tempo scaduto, gioia!”
 
Rassegnato, schiaccio la Lucky sul culo di un grosso bidone di latta tutto arrugginito adibito a posacenere.
Se solo Bill mi vedesse in questo momento!
Al solo pensiero, scuoto la testa orripilato.
Per carità!
Ci resterebbe di merda.
Lui non lo deve sapere.
(Ne' adesso ne' mai.)

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Capitolo 14
*** Nellie la Gigolette ***


Capitolo 14
 
 
 
WILLIAM BRUCE BAILEY (BILL)
NeLLie La GiGoLeTTe
 
Non credo ai miei fottutissimi occhi.
Eppure eccolo lì. In persona. Con quella faccia da schiaffi di merda. Cioè... a dire la verità non gliela riesco a vedere, la faccia. I fari...
I fanali dell'auto mi accecano.
Ma non ho bisogno di vedergli la faccia, per capire che sono nella cacca fino agli occhi. Mi basta il colletto.
Il tipico colletto da prete.
 
Mi si piegano le gambe.
In gola mi sale un sapore amaro.
Non è possibile...
Non ci credo...
Come diavolo ha fatto a trovarmi?
Mi cedono le gambe.
Sembrano fatte di gelatina.
E tutt' a un tratto mi sento di schifo.
Barcollo. Mi gira tutto. Sprofondo.
Puntini colorati e scintille m'invadono il campo visivo, ma non sono giochi di luci da discoteca. Non sono i riflettori sfavillanti di un palcoscenico. Sono io che sto per svenire, cazzo...
Sono io... che sto per cadere a terra...
...in mezzo alla strada.
 
Tutto quello che ricordo, è che stavo pensando che mi avevano beccato. E tutt' a un tratto mi sono sentito come... come se dentro di me ci fosse stato qualcun altro. Come... come faccio a spiegarvi qualcosa che non so spiegare neanche a me stesso? Come se qualcuno stesse indossando la mia pelle come un abito. Cosa che – credetemi sulla parola... non è una bella sensazione da provare.
Specialmente se, come me, sei scappato di casa. E la cosa più nutriente che sei riuscito a mandar giù, da ormai quasi ventiquattro ore, è la tua stessa saliva del cazzo.
 
Quando la vista mi è tornata a fuoco, ero legato.
“Ma che cazzo...”
Ad un sedile.
Di una macchina, cazzo.
“Oh!” Ha esclamato il mio carceriere. E allora l'ho visto bene in faccia, finalmente, cazzo!
E mi sono reso conto che...
lui non era Lui.
Cioè, insomma...
che avevo preso un granchio, ecco.
Un grosso, grossissimo cazzo di granchio.
E che ero svenuto in mezzo alla strada per niente!
“Come ti senti, figliolo?”
Io ho inghiottito a vuoto.
Incapace di rispondere.
Poi mi sono voltato a guardarlo e mi sono tirato su nel sedile cercando di darmi un contegno.
Dietro la spessa montatura di corno, i suoi occhietti scurissimi da ratto, sorridevano.
Con la centralina che ronzava come un cazzo di alveare e una gran voglia di lasciarmi andare e di svenire di nuovo e rifugiarmi nell'incoscienza e nel buio ancora per un po' per non rivaleggiare con una realtà che mi faceva cagare addosso dalla strizza.
Io... semplicemente... mi sentivo peggio di prima.
Totalmente basito.
Più le scariche di adrenalina che avevo in circolo che mi stavano facendo praticamente venire un infarto.
Per un po' ho proprio temuto che sarei morto.
Che non ci avrei tirato fuori le gambe.
Giuro che in quel momento non ci stavo capendo più un cazzo. E mentre lui mi guardava in attesa di una mia reazione, io ho realizzato. Fulmineamente.
 
L'auto su cui mi trovavo viaggiava a ritroso seguendo le indicazioni per tornare verso il centro abitato di Lafayette. Maledetta lei.
La prospettiva di riabbracciare i miei cari in una manciata di minuti mi ha messo le formiche rosse su per il culo.
La mia circolazione sanguigna si è riattivata all'istante e, non appena sono riuscito a collegare la centralina e inquadrare grossomodo la situazione, ho cominciato a smanettare come un forsennato con la sicura per aprire la portiera.
Però mi sono subito reso conto che era tutto inutile.
Era bloccata.
“Merda” ho pensato. “Chiusura centralizzata. Impossibile aprire...”
Poi ho capito che qualcosa non quadrava.
Che quell'ometto pelle e ossa dalla pelata lucida come una palla da biliardo, nascosto dalle spesse lenti bifocali, non era chi credevo che fosse.
Cazzo, se non lo era!
Non lo era per niente.
Anzi... per dirla tutta, non gli somigliava manco per il colletto... cioè: quest'uomo era un Prete. E va bene.
Ma non era quel prete che temevo io.
Capito l'antifona, ragazzi?
L'uomo che mi aveva certamente raccolto dalla strada e che adesso mi stava trasportando tutto apprensivo, con buona probabilità al... Pronto Soccorso?
Oh, merda!!!
Uguale capolinea. Fine corsa.
Allora mi sono dato una bella scrollata e mi sono tirato su a sedere bello dritto come un palo sul sedile di finta pelle.
“Ehi, figliolo” mi ha detto l'uomo che era alla guida.
“Ti senti meglio?”
Allora io l'ho studiato a lungo, sapete?
Ma quegli occhi tiroidei... e la pelata lucida, con un audace riporto acrobatico attorcigliato a nido di rondine e incollato al cranio con una tonnellata di Pattex, l'attaccatutto che non molla... beh, ragazzi... dire che non mi sembrava il Diavolo era un eufemismo. Sembrava, piuttosto, un poveraccio brutto come il culo e buono come il pane. Un Signor Nessuno come tanti che dalla vita non aveva avuto che una scelta obbligata: la fuga dietro un abito talare.
Però, detto questo, voglio anche precisare che io non sono mica cretino, sapete? Non mi bevo tutto d'un fiato quello che la gente mi racconta senza metterci del mio, quindi... ho deciso che la cosa più saggia da fare, davanti ad un estraneo, era andarci con i piedi di piombo. In fondo, io non lo conoscevo.
E se poi era una spia dei Russi?
Un marziano.
Uno sbirro travestito.
Un lurido scagnozzo al soldo del Reverendo Bailey - altrimenti detto Beverendo.
Un mercenario di quel pazzo furioso che mi aveva tirato grande a furia di schiaffi e di cinghiate.
Basta.
Chiunque fosse ero deciso a scoprirlo. E per farlo, dovevo giocare in attacco. E non in difesa.
Fargli abbassare la guardia con l'astuzia. E qui ci vuole soprattutto... calma. Sangue freddo e occhi di ghiaccio. Dritti nei suoi. E una buona dose di faccia di culo – che, come ben sapete... non mi difetta – il tutto condito con tutto il self-control di cui dispongo.
 
“Do-dove siamo?” ho domandato io, coi capelli dritti in testa che a momenti, lunghi come sono, gli sforacchiavano il tetto del macinino. Ma già lo sapevo. Il centro abitato della Città dei Morti viventi si avvicinava pericolosamente...
“Ti sto portando al Pronto Soccorso, figliolo” mi ha risposto una voce sorprendentemente bassa e virile per la corporatura del suo proprietario.
Io sclero di brutto. “Eh? D-d-dov'è che mi sta portando?”
“Al Pronto Soccorso. Stai male. Sei svenuto in mezzo alla strada... mi hai fatto prendere un colpo, ragazzino! In sessantacinque anni di vita, mai visto niente del genere. Mai. Roba da farsi spiaccicare dal primo che passava! Potevi morire! Capisci? Morire! Era solo questione di tempo!”
NO!” ho gridato. Spaventando l'uomo, che non era certo un pilota di formula 1, mancando per un pelo la collisione contro un autotreno col logo dei surgelati Mc Cain lo stava superando. “All'ospedale NO!
“Ma ragiona, figliolo!” Ha replicato lui, continuando a guidare serafico dopo averci quasi fatto ammazzare entrambi sul raccordo anulare della tangenziale in direzione Lafayette Centro. “Tu stai male! Hai la febbre! Hai bisogno di un medico!”
Io mi sono tastato la fronte per controllare, scostando le due bande di capelli fradici e... beh, ragazzi... mi sa che il nostro Niki Lauda, qui... in fondo non aveva mica tutti i torti. Raffreddato lo ero. Zuppo pure. E poi il trauma, gente. Lo choc letale che avevo subito.
Insomma, per usare un eufemismo, ero messo piuttosto maluccio. Parlando come mangio, invece... ero da raccogliere col cucchiaino. Da sbatter via. Una merda totale. Se poi consideriamo che non avevo mangiato niente da ieri mattina...
Basta.
Mi sentivo di schifo.
Punto e basta.
Però, andare al Pronto Soccorso, per uno come me, nelle mie condizioni, minorenne e scappato di casa, era uguale a scavarsi la fossa. E io a casa non ci volevo tornare. Anche perché, vedete... mettiamola così. Ho appena compiuto diciassette anni... e non ho voglia di morire minorenne, cazzo!
E casa uguale botte più cinghiate.
“Niente ospedale!” Ho esclamato, risoluto. “Sto bene, adesso, Padre...”
“Merril”
 
No, dico... questo è troppo!
Ma dove sono finito? Su Candid Camera o a Fantasilandia?
 
“Padre... Merril? Sul serio? Come l'Esorcista?”
Lui ha annuito in silenzio.
“Ma, figliolo...”
“Ho detto di no. No. No e no!”
“Buono, figliolo, dài... avanti... ti prego, su... collabora!”
“No!”
“Tutte a me, Signore...” ha alzato lo sguardo al cielo come un martire. “Ma insomma... io non lo so... illuminami Tu... cos'ho fatto di male?”
“La prego, Padre... non mi porti all'ospedale... la prego-laprego-laprego-laprego...”
“Mi stai mettendo in croce...”
Seee, buonanotte!
“Tu non capisci, figliolo... io... lo faccio solo per il tuo bene...”
Ecco, appunto.
Vedi di darmi retta allora, Corvo Nero.
No, dico...ma che sfiga... mi mancava solo il Buon Samaritano! E quando quelli come lui si mettono in testa che ti stanno aiutando, si bello e fottuto. E non c'è proprio un bel Cristo di niente da fare, tanto per restare in tema religioso.
 “Per piacere, Padre...”
Niente da fare.
“Insomma... ragiona... al mio posto, tu cosa faresti?”
Cosa farei io al suo posto?
No, dico... ma per chi mi ha preso?
Io potrei anche offendermi, davanti a certi paragoni...
sarò anche un neosenzatetto, ma ho pur sempre un certo stile ed una certa classe, caro il mio Buon Samaritano!!!
Ho preso a palla al balzo. Subito e senza farmelo ripetere. Anche perché... non potevo fallire.
Dovevo convincere questa testa di rapa farcita a Bibbia e Gospel a portarmi più lontano possibile da casa... e non a farmi perdere terreno, cazzo!
“Io” ho detto, mettendomi la mano sul cuore per impressionarlo “mi fermerei.”
“Mah, non so... io voglio solo fare ciò che è giusto...”
“E allora si fermi, cazzo!” Ho sbottato. “Cioè... sì, insomma... mi scusi...”
Niente.
Come parlare al muro.
Anzi, peggio.
E va bene... l'hai voluto tu, scemo.
 
Con la dolcezza si ottiene tutto...
o no?
 
“Fermi 'sta cazzo di macchina!”
 Gli ho urlato nelle orecchie fino a fargli schizzare il cervello. Con tutto il fiato avevo in gola. E tutta la potenza della mia ugola d'amianto.
Risultato: si è cagato sotto.
Ragazzi!!! Avreste dovuto vederlo...
Finalmente, comunque, ne ha fatta una giusta. Ha accostato e si è fermato sulla corsia d'emergenza.
E poi?
Oddio... mi vergogno un po', ma... cazzo, mi sono messo a piangere come un fottutissimo lattante. Cazzo... e così ho vuotato il sacco con la testa sulla sua spalla come un marmocchio, inondandogli la manica di lacrime... basta.
Che figura di merda...
E lui?
Lui si è aperto come un libro ai miei piedi.
E senza una parola, ha girato la macchina.
Dieci manovre per un'inversione, ma fa niente.
Quello che conta è il pensiero, no?
E così abbiamo proseguito in silenzio per un bel pezzo sulla cazzo di Interstatale 25.
Lui era diretto in un paesino appena dopo Garfield e mi avrebbe lasciato lì.
Garfield.
Non male, in fondo.
Voglio dire. Meglio che niente.
Era ad anni luce dalla California, ma... alla fine della fiera era sempre meglio del pronto soccorso di Lafayette con tutti gli annessi e connessi.
Dal finestrino gocciolante sfilavano via fabbriche e campi coltivati.
Poi, all'improvviso, ha perso il controllo dell'auto e abbiamo cominciato a sbandare.
“Mi sa che abbiamo bucato” è stato il laconico commento di quel bravo servo di Dio – sempre ammesso che Dio esista davvero.
“Merda” ho detto io. “Oooops...”
Ma cazzo... ma si poteva, dico io, essere più rincoglioniti di così?
Ma me li becco tutti io...
“Mi scusi”
ho aggiunto, non appena recuperato un minimo del mio residuo self-control. Ma si vedeva che non ce n'era più. Stavo raschiando il fondo del barile. Ero agli sgoccioli.
Insomma... indovinate un po' dov'era andato a bucare, questo coglione?
No, dico... dove?
Con tutti i posti del mondo?
Dove poteva andare a bucare un prete casinaro e sfigato che guida come un lombrico e ha il quoziente intellettivo di una scolopendra?
Sarà meglio che ve lo dica io, tanto non ci arriverete mai. Impossibile.
 
NeLLie La GiGoLeTTe
Nightclub
 
dicevano le lettere al neon di un'insegna a forma di bacio.
Due labbra scarlatte, scintillanti e golose come un lecca-lecca. Voluttuose e lascive come il peccato mortale. Due labbra fottutamente da stupro. E sulla vetrina, con le avvolgibili abbassate da cui filtrava un chiarore scarlatto, un avviso ai clienti
 
ADULTS ONLY
 
No, dico. Io non ho aperto bocca.
Anche perché... non avevo parole.

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Capitolo 15
*** I give up ***


Capitolo 15
 
 
 
SHARON S. BAILEY
I give up
 
Io non ce la faccio più. Giuro. Se vado avanti così divento scema del tutto. E mio marito, mi dispiace ammetterlo, ma... non contribuisce certo a stemperare l'atmosfera tetra e pesante come un macigno che si respira in questa casa disgraziata da quando... sì, insomma... da quando Bill ha fatto su baracca e burattini e ha preso la saggia decisione di andarsene per la sua strada a inseguire i suoi sogni.
Io non lo so... non ci capisco davvero più niente. E va bene – direte voi – sarò anche rincoglionita dagli ansiolitici, ma... lasciate che vi dica una cosa: non è tutta colpa del Mandrax o del Ritalin se la mia vita mi sta scappando di mano. Io... insomma, prima era facile. Molto. Anzi... diciamo... troppo facile dare la colpa sempre ad una persona sola. Fare di lui un capro espiatorio sempre e comunque per tutto quello che, bene o male, in casa andava storto. Ma adesso... adesso che lui se n'è andato, io credevo... sì, insomma... non capite male, vi prego... e soprattutto, non pensate che sono una madre snaturata e inasprita dalla vita che non ama il suo bambino e si rifà su di lui per tutto quello di cui, secondo lei, la sua nascita inattesa l'avrebbe privata... non è questo il punto. E anche se qualche volta mi sorprendo a riflettere su come sarebbe potuta essere la mia vita se lui non fosse mai nato... non è per egoismo e nemmeno per cattiveria. E' solo... che ogni tanto, come tutti, anch'io ho bisogno di frenare un po'. Di staccare la spina. E di ripercorrere con la mente i miei tempi migliori, quando ancora mi piacevo guardandomi allo specchio, e provavo quella cosa inebriante che si chiama voglia di vivere. Capite bene... non dico questo per stare qui a compiangermi. A leccarmi le ferite. E' solo che... ci penso, ecco. Se, dopo quel ballo di fine anno, il suo padre biologico, William Maledetto il Giorno che ti ho Conosciuto Rose, avesse usato uno di quei cosi... beh, ma... non l'ha fatto, mi ripeto. Per cui fine della storia. Chiuso. Amen. Diamoci un taglio e... vediamo di vivere nel presente.
Insomma, ho avuto modo di riflettere a lungo da quando il ragazzo se n'è andato. Anche perché Stephen, mio marito... lui non mi aiuta per niente, dicevo.
Tutto quello che fa è ostentare indifferenza. Tratta freddamente me e i ragazzi e... va ripetendo che, prima o poi, i nodi verranno al pettine. Poi si contraddice. A volte anche nella stessa frase. Ammette che in chiesa, la sua mancanza si fa sentire. “Una voce come quella non la trovi per strada” dice, sconsolato “ma vuoi sapere una cosa?”
E allora io dico “Che cosa?”
“Non mi manca per niente!”
Povero Stephen... la fuga di Bill l'ha segnato più di quello che lui stesso sarà mai disposto ad ammettere... neanche sotto tortura. Sta andando totalmente fuori di cervello. Prima dice che, essendo minorenne, Bill non farà tanta strada. Che ha già denunciato la sua scomparsa alla polizia e quindi... riaverlo tra i piedi è solo questione di tempo. Semplicemente, prima o poi, sarà acciuffato, schiaffato al fresco per vagabondaggio... e che purtroppo gli toccherà pure andarselo a riprendere. Con tutti i casini che ha combinato! E qui, puntualmente, si mette a sciorinare tutti i precedenti del ragazzo come un Rosario, punteggiandoli di bestemmie a e rinfacciandomi tutte le volte che, negli ultimi due anni, il mio figlio maggiore è stato arrestato per atti vandalici, risse, furtarelli e chi più ne ha più ne metta.
Concludendo il sermone col fatto che quel Bastardo è il degno frutto dei miei lombi peccaminosi.
Poveraccio...
E io? Io mi limito a lasciarlo sbollire e a tapparmi le orecchie. So stare al mio posto, io!
Mica come mia mamma, che ha rovinato una famiglia con le sue idee progressiste da femminista! Si fa presto a parlare e a giudicare, ma io ho altri due figli ancora piccoli! I quali, da quando Bill è via di casa, sono diventati petulanti, oltre che cupi e tristi. Stu, che dormiva nel letto a castello sotto di lui, adesso ha gl' incubi. Ha persino ripreso a bagnare il letto. Cosa che non faceva da anni.
Ed Amy... io non lo so. Ha cominciato a truccarsi e a fare la civetta. Sta sempre lì a pavoneggiarsi davanti allo specchio... e Stephen, che prima l'avrebbe rimessa in riga all'istante... non lo so, è sempre fuori. Non ci sta mai, a casa con noi! E poi dice che sono io che non sono una buona moglie e non mi so tenere un uomo! Va ripetendo sempre la stessa solfa trita e ritrita come un disco rotto... io non ne posso proprio più... tutti i santi giorni le stesse cose... poi gira la frittata come vuole lui. Insomma, qui le dice e qui le nega. Abbaia tutto il giorno peggio di Janis il quale, praticamente, poveretto, tanto per cambiare, è rimasto sul groppone a me. Ma menomale... alla fine della fiera, lui è quello più sensato di tutti, mi sa, in questa casa sfortunata...
Io e Stephen ormai praticamente c'incrociamo solo a tavola. Dove, tra l'altro, lo servo come un principe indiano. E lui tace e mastica amaro, e poi... salta su a dire che se Bill si aspetta che lui gli paghi la cauzione, in galera ci può anche crepare. Per poi ammettere, un secondo dopo, che invece i poliziotti non gli faranno niente. Al massimo una ramanzina... per poi rispedirlo dritto al mittente. E quando i ragazzi piagnucolano e vanno da lui a dire che hanno nostalgia del fratello, butta lì un laconico “Tornerà.”
“Tu dici, papà?” Replicano i ragazzi.
“Dico. E tornerà con la coda tra le gambe. Vedrete un po' se non ho ragione! E allora sì, che mi sentirà, quel delinquente matricolato!”
La nostra famiglia ormai esiste solo sulle carte. Cioè... mangiamo assieme. Punto. Basta. E poi, via! Ognuno per la sua strada. I ragazzi in camera loro, io davanti alla tv o da mia madre. E Stephen tutti i giorni in chiesa e tutte le sere... Dio sa dove.
 
Io non glielo chiedo più, perché tanto non farebbe che mentirmi. Però torna a casa ubriaco. E questo mi preoccupa non poco.
 
Sta peggiorando, sapete?
Sì, mi sa di avervelo già detto.
Ormai non si preoccupa neanche più di mentirmi o di trovare una scusa plausibile. Ed io ho smesso di chiedere.
Insomma... passa praticamente passa tutte le sante sere fuori fino a tarda notte.
Lo sento rientrare verso le due, le tre del mattino... e quando arriva, incespica dappertutto e urta contro le cose. E capisco che ci ha dato giù con la bottiglia.
Ditemi voi... che cosa devo fare?
Quando rientra, io di casini non ne voglio, così... faccio finta di niente. Cioè... fingo di dormire.
Lui crede che io non senta... ma io sono sveglia... e sento.
E, credetemi... sono disperata.
Io... non so più che cosa fare...

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Capitolo 16
*** Pizza Connection ***


Capitolo 16
 
 
 
JEFFREY DEAN ISBELL
Pizza Connection
 
Stasera ne è successa una bella!
Cazzo, ragazzi... io non lo so, ma... capitano tutte a me!
Erano quasi le undici e la Premiata Pizzeria O' Vibrione, come la chiama Gina, era tutta in fermento. Dopo una serata più morta che viva, con le sedie già rovesciate a gambe per aria sui tavoli, stavamo cominciando a pulire e rassettare alla bell' e meglio. Il Gran Capo, scuro in faccia come un becchino, se ne stava tutto curvo su un tavolo ancora sporco facendosi spazio coi gomiti fra i pezzi di pizza avanzati. Vista dalla mia prospettiva, la montatura degli occhiali da presbite sembrava nutrirsi della carta di cui era fatto il registro, quello che il Boss chiamava, appunto, la sua... Magna Charta. Magna nel senso che se la magnava letteralmente. Punto e basta. Anche perché... non credo proprio che, come istruzione, quell'uomo sia andato oltre la scuola materna. E la cosa peggiore è che trovava la battuta spassosissima. A me, invece... poveraccio! mi faceva cagare. E lui se ne stava lì a fare i conti a mezza voce coe uno scolaretto di terza elementare, contando sulle dita e aiutandosi con una cazzo di calcolatrice di quelle che si trovano nelle merendine. Ovviamente col sigaro in bocca. Smadonnando in un a lingua precolombiana nota a lui solo. Ed eccolo lì, a tentare di far quadrare ciò che non quadra, facendo e rifacendo i conti per vedere l'incasso della serata.
Intanto, il sottoscritto più il resto dello staff - tutti rigorosamente napoletani di origine controllata – gli giriamo alla larga il più possibile, facendo la spola tra la sala da pranzo e il cortile con pile di piatti sporchi zeppi di croste e avanzi di pizza da archiviare nei cassonetti per la gioia di pochi ratti di bocca buona. E sotto gli avanzi - sempre molto abbondanti per delle pizze così misere come quelle che, modestamente, sforna il nostro forno a legna – l'immancabile marchio di fabbrica della Pizzeria: un lago.
Anzi, un fiume in piena di olio extravergine d'oliva tinto di arancione dall'onnipresente pummarola.
Dovrebbero scriverlo sul menù:
 
PIZZA AL SALTO
 
(nel senso che è così unta che, come fai per prenderla in mano, schizza via come un proiettile.)
 
specialità della casa
 
E mentre rovescio i piatti nel lavandino penso tristemente alla mia povera chitarra che non suono da tre interminabili giorni. Un lasso di tempo enorme, per uno come me che vive tra accordi di otto tempi e chiavi di barré. Mai successo in vita mia. Ad ogni modo, ho l'ordine tassativo di conservare l'olio avanzato come se fosse una reliquia del cazzo. Ordine che, ovviamente, viene dall'alto. (Anche se, a occhio e croce, anche a voler essere ottimisti... direi che non supera il metro e sessanta). E quindi, aiutandomi con un imbuto, con l'olio avanzato trovato nei piatti sporchi riempio per tre quarti una tanica da cinque, dico cinque litri di benzina. Il tutto stramaledendo in cuor mio il giorno in cui sono nato e, soprattutto, quello di merda in cui sono finito a vomitare l'anima in questo cesso puzzolente. Mi viene su anche il tacchino del Ringraziamento dell'anno scorso solo a pensarci, ma ragazzi, purtroppo io non posso farci proprio niente. E' questa l'incredibile verità:
l'olio che circola è sempre lo stesso.
Non cambia mai.
Mi viene in mente il prof di tecnica alla Lexington High, quando ci ha spiegato un'importante peculiarità dell'Energia:
 
NON SI CREA
NE' SI DISTRUGGE
MA... SI TRASFORMA
 
Una frase ad effetto il cui significato vero, però, mi era sempre sfuggito... fino ad ora.
Perché ora io so.
Solo adesso afferro fino in fondo.
Bella prof! Dammi il cinque...
Ne deduco che l'energia e l'olio extravergine sono immortali.
A parte gli scherzi, ragazzi... è da vomito. Giuro!
'Sto cazzo di olio viene... ehm... diciamo... riciclato dagli avanzi tutte le sante sere che Dio ha fatto. Mi fa schifo ammetterlo, ma... l'ho visto con questi occhi. Quel vecchio spilorcio mi legge dentro come un libro aperto e quindi non si fida. E durante le operazioni di travasamento mi tiene d'occhio. Se sgarro... quello non è mica tanto biondo, sapete? Capacissimo di farmi sciogliere nell'acido dai suoi scagnozzi. E se ne spreco una goccia... guai! Sono cazzi da cagare.
E lui me la detrae dalla paga.
Non ci credete?
Voci incontrollate farebbero risalire questo cazzo di olio addirittura ai tempi del Proibizionismo... ed esattamente al 1921, anno in cui ha aperto i battenti questa merda di pizzeria.
Vomito solo a pensarci...
Ad ogni modo, cazzi suoi. Ma non stupitevi se un bel giorno ci scapperà il morto. Salmonella. Colera. Vibrione. Fate voi. Ce n'è per tutti i gusti.
Dopodiché, presumibilmente, i NAS faranno saltare la baracca. No, dico io... se non fosse paraculato dalla Camorra, il nostro Boss, qui... avrebbe già tirato dentro l'insegna da un pezzo. E ve lo dico io che ci lavoro, cazzo, e che so tutti i retroscena...
 
“Serata di mmmmerda!” Brontola il Capo, sputando l'estremità dell'avana taroccato che ha sempre incollato di sbieco a quella sua gettoniera di bocca. “Centocinquantacinque pidocchiosissimi dollari...” E...
 
Scraaaach-tciù!
 
Scracchia per terra senza problemi.
Ma sì, tanto... c'è chi pulisce!
(Maledetto te e il tuo culo!)
“...e quindici cent!” conclude, contando sulle dita luride che poi si caccia prontamente nel naso a sondare l'indicibile. “E io pago!”
Basta.
Io, Gina, Toni e l'altro, di cui non mi viene mai il nome... aspetta... Calogero! Giusto. Calogero. Che razza di nome... ma quanto li deve odiare, i suoi genitori? No, perché... a giudicare dalla biffa che ha, questo qui genitori li ha fatti a pezzi e li ha messi sulla sua Quattro Stagioni! Sì, perché, vedete, ragazzi... questo figuro, che si fa chiamare Jerry, è nientepopodimeno che il nostro artista. Il Mastro Pizzaiolo. Un funambolo capace di far volteggiare la pasta con più passaggi di Pelé senza farla finire spiaccicata sul soffitto. E, visto che c'è, per una volta, il nostro Jerry il Funambolo della Pummarola, si degna di dare una mano a me, Gina e Toni a sbaraccare.
Sono le dieci e tre quarti e i giochi, ormai, per oggi, sono fatti, penso, quando, all'improvviso...
“Giiiiiiinaaaaaaaaaa!”
Un infarto a testa.
Specie per Toni, che non è più tanto giovane, sapete... e le sue coronarie non sono più quelle di una volta...
“Dove sei?”
 
Un gruppo di ragazzi dall'aria animalesca sciama nella sala da pranzo ormai deserta alla ricerca di un posto al sole. E giuro che nessuno di loro è fatto per passare inosservato ne', tanto meno, per rassicurare.
Look stradaiolo tipo Hells Angels. Pelle nera, lurex e borchie killer a metà strada fra thrash e glam rock. Hanoi Rocks e Lemmy dei Motorheads. Sid Vicious e David Lee Roth.
Io me li guardo compiaciuto e un tantino intimorito.
Chi sono?
Che cosa vogliono?
Bella domanda... Nella testa mi si affollano un milione di risposte, tra cui le più gettonate sono:
Uno. Addetti al... recupero crediti venuti a spezzarci i pollici a tutti come a Paul Newman in Lo Spaccone..
Due. Emissari di pizzerie rivali mandati ad estorcerci il brevetto della Pizza al Salto.
Tre. Sicari al soldo di cosche rivali causa insolvenza.
 
4) Gang di strada affamata e bellicosa...
 
Insomma... giratela come volete, vedo solo rogne e cazzi da cagare.
 
Ginaaaaaa!!!”
Ha abbaiato un biondino peloso coi capelli che sparavano in tutte le direzioni, prendendola in braccio come una sposa. Lei si è dimenata ridendo sguaiatamente, mostrandomi un lato di lei e della sua intimità che non conoscevo e di cui, francamente, avrei fatto volentieri a meno. Per non dire che, invece, avrei voluto essere al posto di quel biondo. Che, in quel momento, stava saggiando la consistenza del ben tornito lato B di Gina.
“Mettimi giù, buzzurro che non sei altro!”
E non appena tornata coi piedi sul Pianeta Terra, la cricca l'ha subito inghiottita.
“Razza di trogloditi!” ha gridato il biondo coi capelli alla Rod Steward “giù le mani! E che cazzo... così me la rompete!!!”
E Gina?
Mi ha guardato e mi ha sorriso.
Poi mi ha fatto segno di avvicinarmi.
 
“Io?” ho detto, avanzando. Ero imbarazzatissimo.
Lei mi ha ignorato, limitandosi a parlottare nell'orecchio al biondo, che ha annuito scuotendo la criniera con un ghigno babbeo.
Non avevo voglia di conoscere il suo ragazzo, e anzi... a dirla tutta, ero geloso. Gina mi piaceva. Avevo intenzione di chiederle di uscire sabato sera e provarci, cazzo! Da quando sono qui a L.A. Ho fatto voto di castità... merda, ragazzi! Se la racconto a Bill - con tutto il bene che mi vuole - come minimo mi ride in faccia... e mi chiede se ho battuto la testa, mi hanno bruciato il cervello... o sono diventato frocio. Quindi, sapere che Gina, in realtà, era la cazzo di donna di un altro... beh, se permettete, vi confesso che mi aveva guastato i piani per la serata.
“Jeff”
Ha annunciato lei, imperterrita e solenne, facendomi segno di avvicinarmi al branco. Io avrei voluto essere dappertutto tranne che dov'ero, e il mio pensiero andava alla mia chitarra tutta sola soletta nella mia topaia di monolocale in affitto.
“Lui è Steve.”
 
 
 

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Capitolo 17
*** your ballroom days are over ***


Capitolo 17
 
 
 
WILLIAM BRUCE BAILEY (BILL)
Your ballroom days r over
 
Tempo di merda.
No, dico... piove da due giorni, le strade sono tutte allagate e io sono zuppo fino al midollo... e mi sento tutto arrugginito come un ferro vecchio, cazzo! Pensa te... a diciassette anni! sembrano fiumi in piena cazzo è, il Diluvio Universale?
E menomale che questa vecchia caffettiera qui doveva essere il mio treno per Paradise City, cazzo! Alla faccia! Complimenti, Bill... come sensitivo hai un futuro (per non dire che fai davvero cagare... )
“E adesso?” dico io, scrutando gli occhi del prete-ratto dietro le lenti bifocali tutte unte.
Lui mi gurda senza aprir bocca, allarga le braccia e alza gli occhi al cielo.
“Che facciamo, padre?”
E lui? Giuro, non ci crederete. Ma dove li fanno quelli come lui, dico io... dove?
“Preghiamo” mi risponde, rovistando febbrilmente nel cruscotto pieno zeppo di santini traforati friggibuco e di ceri da messa. Un casino...
“Cercava questa, padre?” dico io, trionfante, mettendogli in mano una piccola torcia con la pila, manco a dirlo, mezza scarica.
E quello giù a lodare Dio e Kiry eleison e Christi eleison e via! A ruota libera. Salmi e giaculatorie. Giaculatorie e Salmi. E che cazzo!
Basta.
Io me la batto, pensavo. Interdetto e basito. Basito e interdetto.
No, dico... ma dove sono capitato? Ai Confini della Realtà?
Non ne potevo proprio più. Tra lui e mio pa.... merda.
Però anche questo qui, che tira fuori il messale invece di rimboccarsi le sue fottutissime maniche... no, giuro. Non ci credo... ma quanto sono sfigato?
“Tu sta' lì buono e non muoverti, ragazzo.” Mi ha detto dopo un secolo di preci riponendo finalmente nel cruscotto le sue dannate giaculatorie. Istintivamente mi sono toccato la pancia. Maledetto porco... la fibbia della cinta è diventata un tatuaggio a perpetua memoria. Per non parlare della schiena... è lì che l'innominato si è espresso al meglio, sapete? Ma lasciamo stare, va', che è meglio.
“E, mi raccomando” ha aggiunto “non spegnere il riscaldamento, capito? Che sei zuppo come un pulcino e, per quel che ne so io, magari hai anche la febbre. Io vado a vedere cosa si può fare”
Io ne ho subito approfittato per starmene un po' solo a fare chiarezza sulla mia situazione.
“ Qui ci vuole una paglia, cazzo... “ mi sono detto, rovistandomi in tasca alla ricerca del mio pacchetto spiegazzato di Luckies. E stavo per accendermela, pregustando il gusto maschio del primo, inimitabile tiro, quando... padre Micadonolepalle, preso da uno scrupolo, si è voltato... beccandomi con le mani nella marmellata.
“E non fumare, ho detto!”
Ecco, appunto.
Ma vaffanculo, cazzo!
“Ti fa male! Alla tua età, per i tuoi polmoni, è veleno puro!”
Seeee, come no.
“Amen” rispondo io, sbattendomene le palle.
(Mi fa peggio la tua Bibbia, amico...)
Questo, avrei voluto dirgli. (Altro che il fumo...)
Lui si limita a farsi un rapido segno di croce come se io fossi Belzebù in persona. Poi esce sbattendo la portiera.
Fanculo, cazzo!
Quanto a me, ragazzi... sapevo che se volevo veramente dare un senso alla mia fuga... beh, allora...l'unica cosa da fare era tagliare la corda. E subito. Anzi... prima di subito!
E mollarlo lì nella sua merda, cazzo!
Prima Legge della Giungla. Crudele ma necessaria alla sopravvivenza. Tagliare l'anello debole della catena.
Se no qui finisce che va tutto a puttane.
Le rotelline del mio cervello lavoravano febbrilmente. La paglia, intanto, più che aiutarmi a riflettere, mi calmava i nervi scossi.
Adesso devo trovare il modo di trarmi d'impaccio, mi ripetevo osservandolo dal finestrino appannato dal mio respiro e rigato di pioggia mentre, mani sui fianchi, si grattava la testa calva davanti al cofano aperto.
Questo povero prete sfigato qui è una piattola che mi devo scollare di dosso... cazzo me ne faccio di uno così? E poi... per quanto mi faccia pena, io... cazzo ci faccio? Che ne so, io, di auto e motori? Ho diciassette anni, è vero, ma... quel bastardo non mi ha fatto ancora prendere la patente... io di come si cambia una gomma non ne ho la più pallida idea. Per non dire che non ci capisco un cazzo. E ho paura che, da come sta lì a tentennare invece di agire, questo impiastro di servo del bene ne sappia anche meno di me... cosa che, se è vera... beh, ragazzi... sono nella merda. E, tanto per cambiare... ci sono dentro fino al collo.
No, dico... analizziamo con calma la situazione, cazzo... eccoci qui in culo ai lupi, sul raccordo anulare dell'Intestatale 25 mentre viene che Dio la manda con una gomma da cambiare. Non c'è che dire... la fortuna sarà anche cieca come dicono, ma... per quanto mi riguarda, mi sa che la sfiga... ci vede benissimo! Altro che palle! Dieci fottutissimi decimi, cazzo! Una situazione assurda.
Ma come cazzo faccio a telare senza essere visto?
Lo guardo armeggiare sotto il diluvio e la furia degli elementi e darsi grandi manate sulle cosce.
Come immaginavo.
Totalmente inetto.
Andiamo bene...
No, dico... mia sorella Amy, tredici anni, lo batte. Per non parlare di Stu... quello vicino a lui è un meccanico fatto e finito.
Però, povero Cristo... mi fa quasi tenerezza.
Guardatelo... lì a grondare acqua imperterrito senza una cazzo di possibilità su un milione di venirne a capo perché lui e i motori sono due cazzo di pianeti diversi... però non molla. E' un duro. A modo suo, ovvio. Ma mi piace. Sì, insomma... quello che vedo non è tutto da buttare. C'è del buono in lui.
Con uno così... lo so che è uno sfigato e che è imbranato come una foca, ma... mi piace la sua tenacia, cazzo. Insomma, meglio allearmici che combatterlo.
E poi... che razza di figura di merda ci faccio?
No, dico... perché io sarò tutto quel che volete, ma un vigliacco questo no, non lo sono. Io non sono come quel gran figlio di buonadonna sifilitica di Bailey, cazzo!
Io non ce lo lascio, questo povero stronzo rincoglionito qui, nella merda da solo! Lui alla fine dei conti mi ha raccolto dalla strada, cazzo... mi ha aiutato. O meglio... sì, insomma... diciamo che ci ha provato. Anche se i risultati sono discutibili...
Ma... ssssstt!  Silenzio. Eccolo che arriva.
Spengo la cicca e la butto fuori dal finestrino rabbrividendo. Forse ha ragione, dopotutto. Ho la febbre. Mi sento uno schifo... mi fanno male tutte le ossa che ho e anche quelle non sapevo nemmeno di avere. E poi ho un'arsura, cazzo...
 
“Niente da fare!” mi fa, scuotendo il capo disperato e facendomi la doccia.
Merda.
“Non ci resta che chiedere aiuto” dice.
“E a chi?”
“Nostro Signore...”
Stavolta gli occhi al cielo li alzo io.
L'insegna
 
Nellie La GiGoLette
 
luccica nella pioggia come le nappine sui capezzoli di una pin-up suggerendo ai miei ormoni in subbuglio quella che il Bastardo chiamava la lussuria dei lombi.
Ipnotizzato dal testosterone, mi fiondo fuori dalla macchina.
Sento il prete sfigato che mi chiama:
“Fermati, ragazzo! Dove vai?”
Ma io non lo ascolto più.
Poi... oh, merda, ragazzi.
La vedo.
Così, all'improvviso.
Il lunotto posteriore brilla chiarissimo sotto i lampioni della tangenziale.
Col cuore in tumulto, riconosco la decalcomania
 
HOLY ROLLER PENTECOSTAL CHURCH
Lafayette, Indiana
 
Uno schiaffo in faccia.
Un calcio nello stomaco.
No, cazzo... non è possibile...
Mi manca il fiato.
Barcollo all'indietro.
 
Non-svenire-non svenire-non-svenire-non svenire!!!
 
Grida una vocina sempre più flebile dentro di me.
La strada... la pioggia...
 
HHHH OOOO LLLL YYYY...
 
Oh, cazzo...
non mi sento niente bene...
 
ci vedo quadruplo...
inghiotto a vuoto e, come in un cazzo di flashback da acido, vedo le lettere gotiche mutarsi... cambiare...
poi una risata malefica mi cresce dentro come un cazzo di tzunami.
 
E' finita la pacchia, bastardo...
finita! Finita! Finita!
Hai finito di fare il furbo, cazzo...
giuro che ti faccio cagare i sorci verdi...

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Capitolo 18
*** I was made for loving u, baby ***


Capitolo 18
 
 
 
JEFFREY DEAN ISBELL
I was made for loving u, baby
 
Ragazzi... non ci crederete. E' successo un casino mostruoso...
E' su tutti i giornali, cazzo. Io giuro che non ho parole.
 
L.A. TIMES
Boss della camorra superlatitante dal 1971 muore intossicato da una pizza ai frutti di mare in una pizzeria downtown già nota alle forze dell'ordine. Si temono pesanti ritorsioni.
 
L.A., 9 Febbraio 1979
Gennarino Sottocorno, boss superlatitante della cosca dei Sorrentini, si sente male e muore dopo una serata in pizzeria con gli amici. Dalle prime analisi è emerso che i frutti di mare trovati sugli avanzi di pizza della vittima, per lo più mitili, fossero avariati.
La pizzeria, di cui al momento, non sono state rese note le generalità, è stata chiusa a scopo cautelativo dai Nas.
Nel 1976, lo stesso locale era stato teatro di un regolamento di conti tra cosche rivali, ed è pertanto già noto alle forze dell'ordine.
ll proprietario, S.M.,oriundo napoletano,pregiudicato e sospettato di associazione a delinquere di stampo camorrista, è attualmente in stato di fermo con l'accusa di omicidio colposo di secondo grado. La magistratura sta indagando. I testimoni oculari sono attualmente sotto la protezione delle Forze dell'Ordine. Si temono pesanti ritorsioni.
 
E bravo il nostro Vibrione.
Finalmente ce l'ha fatta. Adesso è lui che monopolizza la stampa, cazzo! E' lui il caso del giorno!
No, dico... complimenti, man!
Con tutto quello che succede ogni giorno, qui a Los Angeles, la prima pagina se l'è beccata lui.
Bingo.
Davvero, amico.
Bel colpo, cazzo!
E con questa, con la pummarola hai chiuso.
Visto?
L'avevo detto io, che finiva in merda... puoi fare il furbo finchè vuoi, cazzo, ma alla fine la paghi sempre. Sempre. Tanto che quasi quasi oggi ci credo anch'io che esiste un Dio che ci guarda dall'alto... se non fosse che, dopo che ho conosciuto il padre di Bill, che è un montato di pastore pentecostale, ho scelto... il lato oscuro della Forza. Com'è successo? E come volete che sia successo? Era nell'aria, cazzo!
No, dico... a me piace la pizza con le olive. Vi chiederete cazzo c'entra, ma è un esempio del cazzo, così, tanto per farvi capire più o meno gli standard igienici del nostro Mister Salvatore Maruto aka Salva O' Vibrione. perché l'unica volta che ho avuto il fegato – anzi, lo stomaco – di ordinare una pizza con le olive, ragazzi... le olive se la sono data a gambe mentre tagliavo la pizza, cazzo! Giuro. Avete mai visto delle olive con le zampe? Io sì. E vomito solo a pensarci, ma... le ho viste con questi occhi, cazzo.
E poi stupiamoci se ci scappa il morto e i Nas chiudono baracca e burattini e arrestano il gestore. Il quale, quando il casino è scoppiato e sono venuti a prenderlo con la camicia di forza e le manette, era raffreddato e stava starnutendo e tossendo come una locomotiva a vapore, spargendo bacilli letali sulla mozzarella a cubetti ormai verdastra che stazionava sul fondo di una vaschetta da giorni, mesi o ere geologiche. Il moccio era, per così dire... il suo... ingrediente segreto. Il suo tocco di classe. La ciliegina sulla torta. Chiamatela un po' come cazzo vi pare. Poi tossiva e si soffiava il naso a meno di cinque centimetri dalle palle di pasta surgelata lasciate fuori dal freezer a sghiacciarsi, pronte per la serata. Palle che – secondo Toni, decano dello staff della Premiata – Dio sa da chi e per che cosa – Pizzeria Vesuvio, con il pallino dell'archeologia – risalivano più o meno al Carbonifero Inferiore o al Precambriano. Insomma, la tragedia è andata in scena sabato sera. Mentre io ero fuori a bere con Steve Coletti, il fratello biondo ossigenato e rockettaro di Gina. Ve la ricordate a mia amica Gina, vero? Steve è un giusto. E uscendo insieme alla sua band di pazzi scatenati me la sono spassata una cifra, cazzo! Per la prima volta in due settimane, cioè da quando sono qui, mi sono sentito davvero un figliol Prodigo della Città degli Angeli. Aspettate che arrivi Bill... questi tipi qui rozzi e grezzi come la carta vetrata gli piaceranno da morire, me lo sento! Vieni presto, Bill, amico mio... quanto mi manchi... non vedo l'ora! Anche se... oh, merda... adesso che ci penso... cazzo mi rimane da offrirgli, al mio migliore amico?
Un monolocale di venti metri quadri dove non c'è spazio neanche per pisciare? Avercelo ancora, quando arriverai, Bill! perché adesso che ho perso il lavoro e sono di nuovo a spasso col culo per terra... bye bye monolocale!
Cazzo cazzo cazzo cazzooooooooo!!!
Ma si può, dico io... si può essere più sfigati di così?
No, dico... e tutto perché il casino è successo nella mia serata libera. Se no' glielo dicevo, io, al Boss Sottocorno di non prenderla, la cazzo di pizza Vesuvio, Specialità della Casa, quella coi frutti di mare! Si sapeva che chi la mangiava non lo raccontava! O' Vibrione non era uno scherzo! Era un nickname guadagnato sul campo come una medaglia al valore... Toni e Jerry dicevano che era dovuto al fatto che Mr Maruto, i mitili, li raccoglieva nell'unica fetta di spiaggia libera con divieto di balneazione downtown perché erano più grossi e succosi e, soprattutto, perché le cozze e le vongole non c'era bisogno di cuocerle per farle aprire le valve: le trovavi già belle e stecchite così, con le valve al cielo a implorare pietà. E sapete dov'era, sempre secondo Toni, questa spiaggia segreta e pescosa? Indovinate. Anzi, lasciate perdere. Tanto lo so che non ci riuscite. E allora, se lo volete sapere, ve lo dico io: se il vecchio Tonino, qui, non ha l' Alzheimer in fase terminale, i frutti di mare destinati alla Premiata Pizzeria del Vibrione d'Oro venivano dalla pozza di mare più inquinato di tutta la baia di L.A. Dove si trovava lo sbocco di uno degli ospedali più sinistri del mondo, noto per esperimenti ai limiti della legalità su cui preferisco non dilungarmi. Cioè, in parole povere, le vongole e le cozze delle nostre Pizze della Casa, sopraffina specialità pluridecorata dai buongustai della Città degli Angeli con la Gastroenterite e il Colera, cazzo... provenivano direttamente dal collettore fognario del Jefferson Memorial Hospital.
Punto e basta.
Ma un bel gioco, dico io, dura poco.
Anzi... non so come hanno fatto a tenere aperto fino adesso! La camorra, chiaro. E chi altri?
Magari non è stato un incidente.
Forse... forse Sottocorno è stato ucciso a sangue freddo. Avvelenato coi frutti di mare.
Ad ogni modo, il risultato non cambia.
Io, Gina, Toni, Jerry e i due camerieri... siamo tutti a spasso. Soprattutto io, che qui a L.A. Non conosco nessuno. Però una cosa è certa: non tutto il male viene per nuocere. Ho finito di riciclare 'sta merda di olio esausto e di raccoglierlo come se fosse una cazzo di reliquia per sbatterlo su tutte le cazzo di pizze da qui all'eternità! Finito! Già, ma... in fondo non me la sento di rallegrarmene troppo, sapete, amici? Anche perché adesso, con l'affitto da pagare e il viziaccio maledetto di mangiare (quasi) tutti i giorni, la vedo dura. E rieccomi qui condannato a fare la questua, cazzo, sul marciapiede con la mia cazzo di chitarra, a strimpellare per due quarti di dollaro al giorno. Peggio di un cazzo di immigrato o di profugo morto di fame e col culo per terra.
A piedi e senza lavoro.
L'unica cosa che funziona, a quanto pare, è la band che abbiamo messo su con Steven, il fratello di Gina. Come vi ho già accennato, è davvero uno giusto.... se riesce a decidere che strumento suonare! Ha cominciato come chitarrista, ma poi ha capito che ce ne sono troppi e troppo bravi – incluso il sottoscritto! - e quindi c'è troppa concorrenza. Allora si è messo a suonare la tastiera, ma non era aria. Ultimamente ha scoperto la batteria. Ed è uno che picchia giù duro, cazzo. Uno che sotto sotto mi piace parecchio, anche se è un po' stronzo ed ha la cognizione di un orango del Borneo... e, almeno a giudicare dal petto sempre sovraesposto, altrettanto villoso.
Ad ogni modo, al momento siamo qui, sulla Mulholland Drive, col culo sul cazzo di marciapiede davanti alla West Union Bank a strimpellare, sperando che passi Gene Simmons dei Kiss e ci riempia le tasche di grana. Cioè... io strimpello. Steve canta.
Canta bene, direte voi? Cioè... dignitosamente?
Lasciamo perdere, va', che è meglio.
Ma almeno è simpatico e chissà, magari... impietosisce la gente. Ha una faccia, vedeste... e a giudicare dai nichelini che piovono nella mia coppola – dono d'addio del mio amico Tonino detto Toni Capuozzo - devo ammettere che, alla fine, non è proprio niente male.
Però il mio migliore amico, Bill, è un'altra cosa!
Soprattutto come cantante.
Perché Steve è monocorde. Cioè, sa fare una nota sola. Sempre la stessa. Anzi, a dirla tutta... non sa fare neanche quella, cazzo!
E visto che ci siamo, amici, permettetemi di rivolgere al mio amico Bill - che invece canta in chiesa da solista e ha dieci fottutissime ottave in quella gola d'amianto - un appello... abbastanza disperato.
 
Vieni, Bill! Vieni!!!
Vieni subito, ti prego!!!
Fotti 'sti cazzo di soldi a tuo padre e scappa!!!
Ti voglio bene, Bill... mi manchi.
 
Poveri noi... Steven, qui, sta profanando un mostro sacro.
 
I WAS MADE FOR LOVIN' YOU
 
appunto. Dei suoi idoli, i Kiss.
Roba che se davvero passa Gene Simmons, lo appende al muro della banca per le palle, cazzo! Altro che farci la carità...
Giuro, Bill. Giuro.
Non ce la faccio più senza di te...
Ti voglio bene, cazzo, Bill...
Strano, perché vedi... di solito sei tu che ti appoggi a me. Sei tu quello in pericolo da salvare. Ma stavolta... mi sa che invece sono io... sì, proprio io... Jeff. Sono io che ho tanto bisogno di te.
Ma, aspetta! Cazzo... ci siamo! S'è fermato un passante.


Steve sta ululando l'acuto da bestia... la sua voce mi sorprende ogni volta che la sento... ha un che di... animalesco. Ferino, direi.
Sì, ecco... ferino è la parola giusta. Parlando come mangio, sembra un lupo mannaro con una cazzo di unghia incarnita.
Però, alla fine... tutti i gusti sono gusti, no? E magari è la volta buona e, a Ronnie James Dio piacendo, ci scappa pure un dollaro...

L'uomo, un signore distinto sulla cinquantina, rende il cappellino dei Red Sox di Steve pieno di inutili nichelini e... ma che fa?


Nooooooo! Non ci credo... non ci posso credere...


Gliel'ha... oh, madonna!
Povero Steve!
 
No, dico... il Buon Samaritano, qui... ha preso il cappellino e... brutto cattivo! Gliel'ha letteralmente rovesciato sulla capoccia.


E Steve? Poverino! Lui... è come rubare in chiesa, sapete?
 
Lui ci resta troppo male... ma... insomma, cos'è che stavo dicendo?
Ah, già. Stavo parlando da solo, ma quello che, più di ogni altra cosa al mondo avrei desiderato, in quel momento, era dividere le mie emozioni con il mio migliore amico, Bill.
Quanto mi manchi., stronzo! Ti voglio bene, cazzo...
Guardo quel pagliaccio di Steve che singhiozza senza pudore come un lattante e scuoto la testa rassegnato.
 
 No, non è cattivo, Steve, poveraccio... anzi... tutt'altro, amico. Solo che lui... non è te.
 
 Lo ammetto, Bill, mi mancano persino le tue scenate di gelosia e i tuoi capricci da primadonna. Tu non sai quanto...

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Capitolo 19
*** motherfucker ***


Capitolo 19
 
 
 
WILLIAM BRUCE BAILEY  (BILL)
motherfucker
 
“Dì le tue cazzo di preghiere, prete!!!”
Solo nel parcheggio di quel cazzo di squallido bordello, grido nella pioggia che mi lava l'anima tutta la mia rabbia e la mia frustrazione. Grido e piango . Piango e grido. E vomito il mio odio contro il buio.
Alzo lo sguardo sui lampioni ciechi del parcheggio e sorrido alle tenebre indulgenti e alla pioggia che si beve le mie lacrime.
Sono solo, finalmente.
Padre Micadonolepalle è andato in cerca d'aiuto.
E questo mi permette di sfogarmi un po' senza che quell'altro Buon Samaritano lì mi chiami un'ambulanza e mi faccia portar via in una cazzo di camicia di forza.
Io, a questo punto, me la rido da solo assaporando il gusto agrodolce della vendetta.
Deciso, come ho già detto, a fargli cagare i sorci verdi, mi metto a pensare febbrilmente. Devo assolutamente escogitare qualcosa che lo faccia pentire di essere nato.
Ma cosa?
Poi, ad un tratto...
“Ci sono!” esplodo, al settimo cielo – per restare in tema.
Il buio. I lampioni accecati che danno sul parcheggio lasciandone in ombra metà. Penso al disco dei Pink Floyd. The Dark side of the Moon, e... eureka!!! come disse quello là.
Il lato oscuro della Luna. Quello in ombra... quello che sembra cancellato, sparito. Come se non fosse mai esistito.
E guarda caso... la macchina di quel porco di un pastore è proprio laggiù in fondo... imboscata nel buio galeotto che protegge i peccatori, come lo chiama sempre lui stesso nei suoi cazzo di inutili e ridicoli sermoni... e non è certo un caso. Pensava di nascondersi, il dritto! Credeva di sfuggirmi! E di sfuggire all'ira del suo Dio... stolto!!! Non si scappa all'ira sacrosanta del Signore! E tu dovresti saperlo meglio di tutti gli altri, prete! Oppure vale solo per gli altri e non per te? Ah, ma non temere: lo sperimenterai sulla tua cazzo di pelle! Vedrai un po'... intanto, il fatto che abbia parcheggiato al buio può essere un punto da sfruttare a mio favore per fare giustizia... ma sì! Come no... il buio, in fondo, è mio alleato. Lo dice lui stesso, il vecchio satiro porcone che pensavo fosse mio padre. Io vivo di notte con le anime perse. Giusto?
Benissimo, allora! Il buio sarà il mio mantello mentre si compirà la mia tremenda vendetta.
 
Il Giorno del Giudizio è vicino. E' tutta la vita che me lo ripete, quella faccia da culo. E se non ci pensa Dio a separare le cazzo di pecorelle dai capri... beh, amen. Vorrà dire che, per stavolta... ci penso io.
“Stephen Lawrence Bailey!”
Tuono, con un basso sepolcrale da paura.
“La tua ora è suonata!”
Il mio sangue romba come la testata di un cazzo di reattore nucleare.
“Sei un peccatore!” Riprendo fiato un attimo. “E meriti di bruciare all'Inferno fino alla fine dei tempi!!!”
 
Cazzo che flash.
Giuro.
Sono letteralmente fuori di me.
Ho la merda al cervello.
Non capisco più un cazzo.
 
Dopo lo choc, la rabbia. La rabbia cieca. E la nausea. Il cuore mi batte così forte che ho la vista offuscata. In bocca, ho il gusto ferrigno del sangue.
“Avanti... bastardo... vedi un po' se viene Gesù a salvarti il culo anche stavolta, cazzo!”
Quelle stronze di lettere su quel fottutissimo adesivo, cazzo...
 
HHHH OOOO LLLL YYYY RR OO LLL...
 
le vedo chiaramente doppie. Per non dire quadruple, cazzo. Sarei capace di farlo secco con le mie mani, quel verme schifoso!
No, dico... e poi sarei io, la mela marcia, cazzo...
ma senti da che pulpito!
Ah, ma stavolta non la passa mica liscia, cazzo. No, caro il mio Beverendo Bailey... che cazzo di nome! Mi viene in mente il whisky di quella marca del cazzo... manco buono per i barboni! Eccola lì, la Giuda Spirituale della Chiesa Pentecostale di Lafayette! Bella merda! No, dico... sono paralizzato dallo choc. E francamente, in questo momento, non so se ho più voglia di vomitare o di spaccare tutto col favore delle tenebre. Di accopparlo come un cane o di bucargli tutte e quattro le gomme più quella di scorta. Di rompergli le ossa ad una ad una o di limitarmi a rigargli tutta la cazzo di fiancata col mio coltellino a serramanico. Ma una cosa la so per certo, cazzo: quel gran figlio di cagna malcagato e rottinculo del cazzo me l'avrebbe pagata cara. Anzi... carissima.
“ E' finita la pacchia, Padre!”
Mi ripeto, piantando con tutta la forza che ho la lama del mio pugnale nelle sue cazzo di gomme di merda.
“Beccati questa!”
E giù, un bello squarcio.
“E questa!”
Un altro.
“E questa!”
Osservando in estasi mistica i pneumatici aperti in due che si ammosciavano sui cerchioni fino a terra.
E, non contento, me la sono presa con i due cazzo di specchietti laterali. E confesso che, mentre li scardinavo a calci, godevo come una cazzo di troia in calore. Dopodiché, ragazzi... ho tirato un po' il fiato.
E mi sono spaccato la testa a pensare e a riflettere sui rapporti di causa ed effetto e su quante probabilità avevo di farla franca e schiaffarglielo in culo, a quel porco bastardo. I vestiti bagnati ce li ho tutti appiccicati addosso. E non so più se sono più bagnato o più sudato, cazzo. Ma la sapete una cosa? Non me ne frega un cazzo. Anzi... comincio a divertirmi! E poi... no, dico io... la vendetta è il mio mestiere, no? Non sono sempre stato etichettato come un vandalo da strada? E dunque...
“Eccoti servito, figlio di una vacca!”
Scoppio a ridere. Ridere da morire. Cazzo, assurdo... non riesco più a fermarmi... e rido fino a rotolarmi per terra, cazzo. Poi faccio scattare la lama del mio pugnale, graditissimo dono del mio migliore amico Jeff.
La fiancata del suo cazzo di carro ringrazia, cazzo. Aveva giusto bisogno di essere un pochino... diciamo... personalizzata. Ma, niente paura, dico io: ancora un attimo e siamo a cavallo!
 
kiss my ass
(Baciami il culo)
 
sulla destra
e
motherfucker
(Figlio di puttana)
 
sulla sinistra, dalla sua parte.
 
Due piccoli capolavori che non passeranno certo inosservati. Soprattutto in quel buco di culo di Lafayette, cazzo...
due opere di street art che quel figlio di una cagna sifilitica non merita per niente, incise a fior di lama con tutta la mia arte. Ma sapete com'è... la vita è ingiusta, cazzo. La vita è una puttana. E io sono qui a sprecare il mio talento con 'sto stronzo di un caprone, cazzo!
 
Bene. E dopo l'arte... dovevo fare la mia parte. Cioè... io non so cos' avreste fatto voi, cazzo, ma so cos'ho fatto io: sono passato al piano B.
E ho ricominciato a ridere... ridere... ridere da morire che a momenti va a finire che mi ci strozzo, cazzo.
Il tutto mentre padre Micadonolepalle, zuppo fino alle coronarie del cazzo, si faceva il segno della croce per poi piegarsi a raccogliere l'unica fonte di aiuto a portata di mano: non c'erano santi, cazzo. Finalmente l'aveva capito anche lui. Ne' santi ne' Cristi. Doveva entrare in quel cazzo di bordello. E amen. Punto e basta. Poveraccio... bisognava proprio vedere la sua faccia, cazzo... aveva un'espressione da agnellino che va al macello, cazzo. Sul tipo Padre, allontana da me questo calice e sguanate simili, però alla fine ci è andato, cazzo. Con le pive nel sacco, ma ci è andato, cazzo. E io l'ho guardato varcare quella cazzo di porta degli inferi col colletto da prete e la croce imboscati dietro la mia cazzo di sciarpa, ridendomela a crepapelle. E, grazie alla ritrovata intesa, stringendo con quel Dio benevolo che, nonostante tutto, sembrava dalla mia parte, una nuova ed eterna Alleanza.
 
E mentre il povero prete spariva alla mia vista, io gli facevo bye bye con la manina, immaginandomi un cartello appeso sulla porta.
 
PER ME SI VA
NE LA PERDUTA GENTE
 
ammoniva la Direzione del locale.
Siete stati avvisati.
 
LASCIATE OGNI SPERANZA
VOI CH'ENTRATE
 
E adesso che mi ero sfogato... beh, ecco... dovevo trovare il modo di entrare anch'io a verificare di persona. Volevo vederlo coi miei occhi e coglierlo con le mani nel sacco, quel gran figlio di sua madre. Entrare, sì... è una parola, cazzo.
In più, io sono minorenne.
Basta. Vi risparmio i tentativi andati a vuoto, amici. Ma alla fine, con un po' di figa, ce l'ho fatta. Ho trovato una cazzo di porta antincendio incustodita sul retro e... via! Più veloce della luce! Sono sgattaiolato dentro. Punto e basta. Ho in mente il mio piano e nessuno, cazzo... nemmeno la morte potrà impedirmi di metterlo in atto, cazzo. Sì, perché... a furia di essere sempre trattato come un criminale da quel bastardo del mio patrigno e dagli sbirri di merda della Città dei Morti In Piedi, alla fine ci sono diventato davvero, cazzo. E la prima pagnotta che la mia neonata mente criminale ha sfornato è stato, ovviamente... il delitto perfetto.
E' con questi incoraggianti pensieri che, godendo come un pazzo nel pregustarmi ciò che sarà, m'intrufolo in un cazzo di corridoio semibuio che conduce a tutta una serie di porticine con su scritto

 

DRESSING  ROOM

 
E io, che sarò anche giovane ma non sono mica tanto biondo, capisco che sono gli spogliatoi delle mignotte che adesso stanno con la sorca di fuori sul palco.
Che faccio? Passo oltre. E proseguo lungo quel buco di culo nero come l'animaccia dannata di chi so io. All'improvviso, un tendone mi si para davanti. E io... che figata, ragazzi! Mi trovo nel backstage. Da dove... cazzo, ragazzi! Che sventola!
Io me la mangio tutta in un sol boccone, cazzo...
Mi do' un pizzicotto su una guancia.
(Piantala, Bill, cazzo... )
mi ripeto, cercando di calmare i miei bollenti spiriti. (Non è il momento, cazzo... )
ma i cattivi pensieri mi assalgono... non è colpa mia, cazzo... è solo che ho diciassette fottutissimi anni e sono una cazzo di bomba di testosterone...
(...ricordati che sei qui per un motivo, cazzo...)
altro pizzicottone da paura.
 
Tento di concentrarmi su qualcos'altro per spostare la mia libido, ma mi rendo conto che è tutto inutile. Sto sbavando come un setter e... merda. Ci mancava anche l'alzabandiera, cazzo! E questo non mi facilita certo le cose.
Basta.
Mi perdo a osservare i giochi di luce ammiccanti nei toni del fucsia e del rosso rubino.
Luci bugiarde. Triviali. Volgari.
Poi di nuovo il suo corpo.
Vestito soltanto di luce.
Con un paio di guanti rosa mal di pancia lunghi fino al gomito e i trampoli. La parrucca biondo platino e le labbra enormi, grandi come salsicce, colore del sangue rappreso. La guardo sculettare e mi va la merda al cervello. Ma io non ho tempo per queste cose. Io sono in missione. Devo ficcarmelo bene in testa, cazzo. Però non sono mica di ferro... alla fine sono un uomo anch'io. E quella bagascia non mi aiuta certo a concentrarmi sulla mia mission impossible, con quel cazzo di filo interdentale luccicante tra le chiappe!
 
Cerco il mio bersaglio tra le facce arrapate che sporgono dai tavolini. Lo cerco e non lo trovo...
Poi lo vedo, cazzo.
Bingo.
All'improvviso.
E nonostante mi fossi preparato all'impatto, è dura, cazzo. Un cazzotto nello stomaco.
Il cuore tira come una locomotiva, e io vorrei urlare.
Gridargli in faccia tutto lo schifo che provo. Tutta la mia rabbia. Tutto il mio odio che mi scorre nelle vene come un fiume nero di liquami fino a togliermi la vista... ma non posso. Rovinerei tutto, cazzo.
Vorrei spaccargli quel grugno schifoso da porco a mazzate mentre sbava su di lei come un cane in calore. Ma devo resistere. Ne va della riuscita del mio piano, cazzo! E poi, si sa: la vendetta è un piatto che si serve freddo. Anche se, per quel che mi riguarda... io lo preferisco... tiepido.
E poi...
“Ehi, tu!” grida un vocione da orco.
Il cuore mi esplode.
Salta un battito.
(E' la fine!)
 
Alzo gli occhi su di lui, che mi spia dall'altra parte del cazzo di tendone.
Merda, gente.
Fa paura. Sembra un cazzo di mastino.
Con gli occhi sbarrati dal terrore, lo vedo lanciarsi come un missile nella mia direzione.
 
(Merda merda)
“Ti ho visto, sai!”
(Merda al cubo.)
 
“Come cazzo sei entrato?”
 
(Cazzo cazzo cazzo cazzoooooooooooo!!!)
 
Io mi vaporizzo all'istante.
Dietro di me, passi pesanti e rabbiosi m'inseguono.
Il buio m'inghiotte.
Sto morendo di paura, cazzo.
Giuro.
Mi sto letteralmente cagando sotto.
Ommadonna... eccolo che arriva...
 
E adesso? Cazzo faccio?
Devo trovare un telefono, cazzo!
E subito!
Un fottutissimo telefono del cazzo...
e lo devo trovare adesso.
Adesso o mai più.
Se no' è stato tutto inutile.
E qua mi sa che va tutto a puttane...

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Capitolo 20
*** milk, whisky and TV ***


Capitolo 20
 
 
 
SHARON S. BAILEY
Milk, whisky and TV
 
Basta. Io non ne posso più. Sono stufa. Stufa. Stufa. Stufa marcia di questa vita... ma cos'ho fatto di male per meritarmi questo, eh, Signore? Me lo dici? Cosa? Io non lo so... quello stronzo è uscito anche stasera.
 
Sissignore! E io, a trentatré anni, ancora giovane come l'acqua, tappata in casa coi marmocchi! A marcire!
No, dico... mai una volta che mi porti fuori a cena o, che so io... anche solo al cinema. Da quando ci sono i ragazzi, nisba! Fine. Kaputt. Vita sociale archiviata per sempre.
Che barba-che noia-che stress!!!
Per me, adesso come adesso, il massimo della vita è quando danno due episodi di Dallas invece di uno!
Sì, perché Dallas mi piace di più della Schiava Isaura. E' più avvincente. Aperta parentesi, quel J.R. non è proprio niente male... chiusa parentesi.
Insomma, per farvela breve, gente... ultimamente vivo di latte e cognac e tv.
Per non parlare del Valium e del Prozac.
(Senza i quali sono morta.)
Che vita piatta... che piatta vita, come diceva non mi ricordo più chi, che però ha tutta la mia simpatia.
Io non ce la faccio più, giuro.
Un giorno di questi, io non lo so... o scappo via, o giuro che... la faccio finita, ecco.
Sissignore!
Finita. Punto e basta.
E buonanotte al secchio e chi s'è visto s'è visto.
Povera me... qua ci vuole il Ritalin.
Solo poche gocce... per schiarirmi la mente, ecco.
Se no', finisce che do' fuori da matta.
E' questo che volete, tutti quanti?
No, perché, allora ditelo!
 
Sto sclerando, come direbbe Billy se fosse qui. Ma lui non c'è, e... non lo so, io... non fraintendete, ma io credevo che, senza di lui, le cose in casa sarebbero state più semplici per tutti. Che in assenza della pecora nera di casa, che mio marito non ha mai saputo prendere per il suo verso, bastasse da sola a garantire l'ordine e la disciplina. E invece... ancora una volta, avevo torto. Tanto per cambiare. Anzi! Adesso che Billy ha spiccato il volo, come dico io, o si è dato alla macchia, come preferisce suo pa... il suo patrigno, la situazione è, se possibile, peggiorata. Qui va tutto a rotoli. Spinto dalla necessità di reperire una nuova voce solista per il suo maledettissimo coro - cioè un sostituto di Billy in quello che prima era il Trio Bailey, Orgoglio della Holy Roller Church della nostra città – mio marito ha preso la casa per un albergo. Viene, mangia, beve – e tanto! Anzi... troppo – e se ne va. Dove, io di preciso non lo so. Lui continua a dire che va in chiesa a fare le audizioni per il coro, ma io non c' ho mica scritto sulla fronte Sali e Tabacchi! No, dico... torna a notte fonda e, quando viene a letto, russa come una motosega e ha un alito che non vi dico... per non dire che tanfa di vino lontano un miglio.
Vino Santo? Direte voi. Certo!
perché... avete dei dubbi?
Ma quando mai!!!
Santo d'un cielo! Un uomo in casa ci vuole, e quello che fa? Se ne sbatte. Perché è così che è, alla fine. E senza una guida, in casa regna l'anarchia più totale. Tanto per cominciare, i bambini non mi rispettano e mi trattano di schifo, come fossi una serva. Qualsiasi cosa io dica, semplicemente... mi ridono in faccia e vanno avanti a fare quel cavolo che vogliono loro. Poi non hanno più orari. S'ingozzano di merendine invece di mangiare a tavola e passano troppo tempo davanti alla tv. E la mattina faccio fatica ad alzarli per mandarli a scuola. No, dico... tutto ciò è mostruoso.
Almeno Billy... lui... li faceva rigare quando ci voleva! A lui gli davano retta, ecco!
Dio, quanto mi manchi, bambino mio... chissà dove sei, adesso... cosa stai facendo... non posso fare a meno di pensare a lui. E, dopotutto... vorrei vedere voi al mio posto... sono o non sono sua madre?
Billy... quanto vorrei che fosse qui... era una peste bubbonica, ok, ma al momento giusto sapeva essere dolce e tenero come nessun altro, se vedeva che avevi bisogno di lui... e adesso che non è qui con me, mi pento di tutte le volte che , in qualche modo, involontariamente, l'ho deluso e – inutile negarlo – per tutte le volte che, su di lui, ho avuto cattivi pensieri. Perché non nego che alla fine, ho finito per dare la colpa a lui di tutti i miei problemi. Della mia infelicità. Del mio esaurimento nervoso. Degli attacchi di panico. Ma non è sua, la colpa. E' mia. Solo e unicamente mia.
Chissà se ha mangiato, se ha trovato un posto per ripararsi da questa pioggia che, a questo punto, ha proprio rotto le scatole... insomma, sono preoccupata, va bene?
Stanotte ho fatto un brutto sogno e...
Oddio, no... ho la tachicardia.
Aiuto!
Non respiro!
Soffoco!
Mi sta... mi sta venendo un infart...
 
Basta, Sharon. Calmati. Respira.
Conta fino a tre.
(Adesso mi prendo una boccetta intera di Quaalude e la faccio finita una volta per tutte, ecco!)
Uuunoooo...
Ommadonna! Senti che casino!
I bambini. Sono di sopra in camera di Amy a saltare sui letti. Senti che botti... sembrano cannonate...
Duuuueeeee...
ma come diavolo faccio a calmarmi con tutto 'sto casino?
Me lo dite?
Trrrr....
DRRIIIIIIIIIINNNN!!!
 
Eh?
 
DRIIIIIN!!! DRIIIN!!! DRIIIN!!!
 
Ommadonna!!!
Il telefono!
No, dico io... sono le undici passate!
E chi diavolo è, a quest'ora?!
Dio, se davvero ci sei, fa che non sia per Billy... ti prego... fa che non gli sia successo niente di male... io... io... non me lo perdonerei mai!
 
DRIIINNN!!!
 
Sì, ho capito! Un attimo!
Che vita scomoda...
 
DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN!!!
 
E va' all'inferno!!!
Arriiiivooo!
(Il tempo materiale di buttar giù un paio di Quaalude se no' mi schizza fuori il cuore dalle orecchie e arrivo!)
Non ti danno mai il tempo di fare niente...
Col cuore a mille a dispetto del Quaalude e le dita tutte tremanti, alzo la maledettissima cornetta.
 
“Pronto?”
(Ma... Sharon! Povera me, che accidenti di voce mi è venuta? No, dico... belo come una pecora...)
All'altro capo del filo un silenzio opprimente.
Mi sa che il Ritalin e il Quaalude stanno facendo effetto, perché... ecco, mi sta venendo un sonno...
Prooooonto? YAAAAAWNNNN!!!!
 
(Povera me... non riesco a tenere gli occhi aperti...)
 
“C-chi... YAAAWN!  Chi parla?”

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Capitolo 21
*** night call ***


Capitolo 21
 
 
 
WILLIAM BRUCE (BILL) BAILEY
Night call
 
Mia madre. Bingo.
Cazzo... e adesso cosa le dico?
“C-ciao, ma'” balbetto in modalità lattante che si sta cagando sotto.  “Sono io...”
 
La linea è disturbata. La tele, probabilmente. Scommetto che la mamma stava guardando Dallas. Cazzo, mi dispiace di averla interrotta nel suo idillio con J.R., ma ormai il dado è tratto e io non posso – e soprattutto non voglio – più tirarmi indietro.
 
“B-Biiiiiilly!!!” esala la voce di mamma all'altro capo del filo.
 
“YAAAWWN!”
 
E' assonnata, assente. Continua a sbadigliare, cazzo! Scommetto che ci ha dato sotto col Quaalude. E già che c'era, da come ha strascicato quel Biiiiiiilly, deduco che poi ha corretto la rotta col Ritalin. Ormai ho l'occhio clinico. Anzi, l'orecchio, in questo caso. La capisco meglio io del suo strizza, cazzo. Ha fatto bene a dargli il due di picche. Per quel che le serviva - a parte prosciugare il portafoglio del Bastardo.
 
“Billy...” ripete, cominciando a piagnucolare.
(Oh, merda... adesso apre il rubinetto e io, cazzo, me la ciuccio tutta...)
 
“Ma... sei proprio tu?”
“No, mamma” mi viene da dire “sono un altro” ma sto giudiziosamente zitto. Quando la mamma inizia a frignare, l'ultima cosa che devo fare è proprio una battuta di spirito, se no' va avanti fino alla fine dei tempi! Se poi ci ha dato giù con la bottiglia... beh, allora sono cazzi da cagare. Se è in vena, ti ricapitola tutta la sua vita da qui all'eternità. Giuro, ragazzi. Non te la cavi più. Quindi, conoscendola, meglio andarci coi piedi di piombo... non credete anche voi?
“Sì, mamma” rispondo diligentemente “sono io. Bill. In persona. Senti, ma'... io... ”
“Billy!” Singhiozza la Schiava Isaura Sue Elleno Dio sa chi altro la infestava e possedeva “bambino mio...”
“Ma', ti prego... te lo chiedo in ginocchio, cazzo...”
“ Ma tesoro! Dove sei... da dove chiami? Eh? Sono stata tanto in pena... Sai, Billy? Da quando te ne sei andato, io... io non dormo più! I tuoi fratelli non fanno che parlare di te... sapessi... e tuo p...”
A questo punto mi va la merda al cervello. “Non è mio padre, cazzo! Hai capito? Non lo è, cazzo! E' finita la cuccagna, diglielo pure: si cerchi qualcun altro per le sue pagliacciate!”
Lei ricomincia a pivare. No, dico... io sto qui a gelarmi le ossa in una cazzo di cabina telefonica di merda in mezzo al nulla e lei cos'è che fa? Frigna. Piva. Piagnucola. Sono io quello che dovrebbe piangere! Mica lei! Io! Che sono qui in questo squallido parcheggio flagellato dalla furia degli elementi e dall'ira di Dio... ragazzi, che schifo! Un puttanaio in piena regola. E la cabina da cui telefono non è certo messa meglio. Non vi dico l'odore che c'è qua dentro... e poi... cazzo, che vomito!
Fazzolettini e preservativi a gogo. Giuro, non ho parole.
Li trovi persino appesi al soffitto e incastrati nella forcella che tiene su la cornetta, cazzo. E mentre ascolto mia madre frignare e lamentarsi, con la voce allentata dai farmaci, spazio con lo sguardo dai vetri grondanti della cabina al parco macchine, catalogabile come drive-in per tutti i bravi padri di famiglia del mid-west bigotti benpensanti e mal-razzolanti.
Una distrazione per bravi e onesti lavoratori timorati di Dio che il sabato sera fornicano a tutto spiano e la domenica mattina cantano gl'Inni.
Un innocente diversivo dalla famigliola e dalle sue responsabilità. Il tutto, ovviamente, vietatissimo ai minori.
“Ascoltami, Billy!” miagola mia madre, ormai sull'orlo del collasso nervoso. “Dimmi dove sei... dimmelo, che ti faccio venire a prendere...”
Insomma, niente da fare.
Cazzo, quando ci si mette, mia madre è anche più cocciuta di... di... sì, insomma, avete capito chi intendo.
Ma, dico io... sono stato io a telefonarle, cazzo... vorrà dire che ero io che dovevo parlarle, no? Io! Ma perché cazzo non mi ascolta, invece di fare l'isterica? perché non si chiede che cazzo l'ho chiamata a fare, invece di parlare a vanvera? volevo “Mamma, sto bene, cazzo!” Ci hai dato dentro col Nembutal, il Quaalude, il Valium
“Mamma, ti prego...” la imploro io, sull'orlo di una cazzo di crisi di nervi a mia volta “lasciami parlare! Io... senti, ma'... è meglio che ti siedi. Dammi retta. Io... devo dirti una cosa, mamma...”
“Cosa, Billy? Cosa? Parla! Così mi fai ... YAAAAWWN! preoccupare... non tenermi sulle spine, bimbo mio... dimmi tutto...”
E come cazzo faccio, dico io, tra me e me, cercando di riguadagnare uno straccio di self-control, se lei continua a blaterare puttanate?
Niente.
Non ci arriva, cazzo.
Non tace neanche se l'ammazzi. Anzi! Sembra un cazzo di disco rotto. Io non lo so... fammi parlare, cazzo, invece che continui a mitragliarmi di cazzate.
E menomale che il sottoscritto, già praticamente al verde, ha optato per la chiamata a carico del destinatario, se no' non ci tiravo fuori le gambe!
 
Esci da quel corpo!!!
 
Grida una voce dentro di me, facendomi constatare ancora una volta quanto, nella mia mente ancora infantile, la mala semenza della Holy Roller abbia posto radici.
 
Il potere di Cristo ti espelle!!!
 
Rivedo le pagliacciate per i gonzi che chiamavano Esorcismi. Un povero circo, buono per i gonzi e le beghine della Città dei Morti In Piedi. Col senno di poi, alla luce di quel che ho scoperto, mi vergogno come un ladro di avervi preso parte, cazzo. Contribuendo ad ingannare tanti poveracci non troppo setacciati di testa. Ebbene, mi chiedo, caro il mio Don Scarafaggio – o Reverendo Beetle che dir si voglia - non è peccato anche quello? Circuire i poveri di spirito con due formulette a effetto... non è forse peccare contro Dio?
 
“Andrà tutto... YAAAAWWNNN... bene, Billy...” biascica. La sua voce è irriconoscibile, cazzo. Ma, dico io – quanto cazzo s'è fatta? Quella roba è dinamite, altro che palle!
Oh, merda.
La tele.
Mi arriva la sigla finale di Dallas e so che tutto è perduto. Finita la sua soap preferita, ho a disposizione pochissimi minuti. Poi lei s'abbiocca e va giù con la testa sul bracciolo della poltrona. Devo tentare in extremis. Giocarmi il tutto per tutto. E mentre la sento cedere al sonno di piombo dei medicinali, mi sento come Enola Gay in volo su Hiroshima e Nagasaki.
“...Vedrai...” ripete, fiacca come una candela che si va spegnendo.  “Andrà tutto... tutto... beneeee...”
 
Basta.
Io ho deciso.
O adesso o mai più.
Rompo gli indugi e sgancio la bomba H.
 
Basta.
Quando ci vuole ci vuole...
 
Un bel respiro. E...
MAMMAAAAAAAA!!!”
 
Mi esce un acuto da paura. 120 decibel o giù di lì. Tipo il decollo di un cazzo di caccia bombardiere.
All'altro capo del filo, finalmente, cala un silenzio tombale.
“Ascoltami, cazzo!” dico io “è importante, davvero! Molto, molto importante!”
“T-ti ascolto” risponde un lamento indistinto dietro cui, voglio sperare, si nasconda un pezzettino, un residuo di mia madre. “Tuo p... cioè, Lui non c'è. E' uscito anche stasera, sai? Ma non fa niente, io... oh! Scusa, Billy... parla tu, dimmi...”
“Io...”
Merda. E' più difficile di quel che credevo. Poveraccia, dopotutto mi fa pena... anche se sono convinto che , come dice la nonna, alla fine, una mela non sposa una pera, cazzo. Faccio una piccola pausa cercando le parole per dirgliela con tatto, questa triste, disgustosa verità, ma non le trovo. Non c'è tempo. Sento che mi sta lasciando, che Morfeo la sta chiamando.
“Se t'interessa” le spiego, cercando di dominare lo sfarfallamento accecante del mio povero piccolo cuore che sta facendo di tutto per uscirmi fuori da tutti gli orifizi possibili e immaginabili “so dov'è tuo marito”.
 
Quindici minuti di un silenzio fitto e greve come una pietra tombale.
Il dialogo che ha fatto seguito allo choc è stato così fottutamente idiota e surreale che, per me, merita la gloria. Per questo voglio rifilarvelo, amici. Parola per parola. Poi giudicherete voi. Ok?
 
La reazione di Sharon, cioè mia madre, non si è fatta attendere.
 
Coooosaaaaa?” ha strillato, fottendomi un timpano.
(Ecco da chi le ho prese, le mie cazzo di sette ottave, cazzo!)
“Hai capito bene” rispondo, cercando di controllare il tremito che mi devasta la voce.
“Do-dov'è? Dove siete?”
“Mamma...”
“Billy, per l' amordiddio! Dimmi dove diavolo siete!!!”
“Sull'Intestatale 25 in direzione del confine di stato con Illinois” replico io, carico come un treno merci e strafatto di adrenalina.
“Billy, ma cos'hai? Ti sento strano...”
Senti chi parla, sto per dire io. Poi, saggiamente, scelgo di tacere.
Chiudo gli occhi.
Il cuore mi scoppia. Giuro.
Stavolta ci resto bel secco, cazzo!
 
Tre... due... uno...
 
“Dove, Billy... dimmelo, voglio saperlo. Ne ho tutti i diritti, cazzo!”
“ In una... sì, insomma... una ...” io deglutisco a vuoto. (Fuoco!)
“...una Casa di Tolleranza!”
 
Altri quindici minuti di silenzio da paura.
 
“Billy!!! YAAAWWN! Sono stanca marcia. Ho sgobbato tutto il giorno come una negra, in più tuo fratello ha l'influenza e...”
“Salutameli, ma'” dico io, sul punto di mettermi a piangere “i bambini e anche la nonna, ok? Dì loro che mi mancano... che mi mancano tanto...”
Io apro la bocca per rispondere, ma non ci riesco. Ho un porco nodo in gola che mi strozza, cazzo.
“E allora perché non torni?”
“Non posso, ma'... non posso. Non dopo quello che ho scoperto. Sarebbe una menzogna... una cazzo di scelta di comodo... no, non posso. E tu lo sai.”
Altro buco nero di silenzio.
 
“Se questo è uno dei tuoi soliti scherzi, ti giuro che...”
Seeeeee, come no!
“Magari!” le grido di rimando. “Mi piacerebbe! Vorrei tanto che lo fosse, ma non lo è!”
 
La sua mancanza di fiducia in me non è niente di nuovo sotto il sole, anzi... è la solita minestra riscaldata troppe volte.
 
“L'ho visto con questi occhi, cazzo!” grido, esasperato. “E, se permetti, in questo cazzo di momento, avrei voglia di tutto tranne che di scherzare, cazzo! Non mangio da due giorni e sono zuppo fino alle fottutissime coronarie, cazzo! E tu cosa fai, invece di ringraziarmi? Fai la vittima e mi accusi di essere un bugiardo! Pensi che io ti prenda per il culo? Benissimo. Liberissima, cazzo. Solo, poi non venire a piangere da me. Io ti ho avvisata, cazzo. Ti ho messo in guardia quando potevo invece fottermene alla grande, visto come mi hai sempre difeso tu, quando quel puttaniere di tuo marito mi menava!”
“Billy!”
“ E' quello che è. perché, tu come la chiameresti questa sua... ehm... diciamo... attività extra lavorativa? Operazione Sottoveste? Non lo so, io... io sono esterrefatto quanto te, cazzo! Lo capisci o no? Solo che io l'ho visto. L'ho visto con questi occhi, cazzo, infilare una mazzetta di verdoni nel perizoma di una zoccola con due tette da qua a Los Angeles, cazzo... ecco che fine fanno, poi, i soldi delle offerte!!!”
Prendo un bel respiro.
Ce l'ho fatta, cazzo. L'ho detto.
La voce di mia madre sfuma via in una specie di bla-bla-bla indistinto come una specie di rumore di sottofondo.
E all'improvviso la vista mi si sdoppia.
(Oh, merda...)
 
ho un specie di flashback da acido. Candele accese. Miracolati e malati che sfilano in una tetra processione lungo la navata alla conquista dell'altare. Il Pastore che sembra un demone, col viso segato in due dal fatuo chiarore dei ceri votivi. Le sue braccia alzate al cielo. Fa impressione, cazzo. Ha del carisma, devo ammetterlo. E' l'unica cosa che, in fondo, mi è sempre piaciuta di lui! Rivedo tutta la mia vita religiosa. La Chiesa di Lafayette e i fedeli. Il Trio canoro dei fratelli Bailey, cioè Amy, Stu e io che ricamo sulle loro voci note precluse persino ai Cherubini – se non lo sapete, però, il mio vero talento è la modestia, non la voce.
 
Giusto, ragazzi?
 
Rivedo Amy nel suo vestitino buono a quadretti con i calzettoni bianchi e le trecce sciamare tra i banchi col cestino delle offerte.
 
Avete presente quelle specie di sacchetti damascati saldati ad un lungo bastone?
 
Ecco... vi lascio immaginare cosa combinava, con quel cazzo di bastone... la commozione cerebrale era inclusa nel prezzo d'ingresso per assistere ai nostri canti Gospel, cazzo! Come le bacchettate sulle dita e le cinghiate del Beverendo. Mi ricordo che ascoltavo sempre attentamente i suoi sermoni... ero un campione, a recitare i salmi e le preghiere, sapete?
Però, in confidenza... vi dico una cosa.
 
Non ho mai creduto ad una sola porca parola. E quello che ho visto stasera, basta e avanza per darmi ragione. Giusto?
Io non so chi sia o chi non sia Dio, ma sapete una cosa? Non lo temo. Non più, cazzo.
 
 Le candele si spengono. La navata svanisce in una lacrima di pioggia.
Sono di nuovo qui a gelare in questa cazzo di cabina telefonica, intrappolato in incubo via cavo con la genitrice. Non so, cazzo... sembra che giochiamo sempre a non capirci, noi due...
 
“Adesso lo sai” concludo, tagliando corto per evitare, dall'altra parte, un profluvio di recriminazioni assurde. “Boh. Vedi tu. Io dovevo dirtelo e te l'ho detto. Punto e ba...”
Click!
 
 “Ma'?”
Niente.
“Mammaaaa!!!”
Merda.
Ha riagganciato!
Non ci credo... cioè, io rischio il culo per avvertirla che quel pezzo di merda di vacca la fa coruta, e lei cosa fa, invece di ringraziarmi e prendere provvedimenti?
Mi sbatte il fottutissimo telefono in faccia, cazzo!
 
Benissimo, allora.
Io l'ho avvisata.
Non vuole credermi?
Cazzi suoi.
 
Sbatto giù il ricevitore con tutta la forza e la rabbia che ho e lo guardo penzolare inerte da filo di plastica grigio fumo.
 
Scuoti la polvere dai sandali dicono le Scritture a lei e a quel bel tomo che ha sposato tanto care. Ed è quello che voglio fare io.
Stavolta il Vangelo lo prendo alla lettera, cazzo!
Non vuole il mio aiuto?
Benissimo!
Ci sbatta il naso da sola.
E già che c'è... vada a farsi fottere, cazzo!!!
 
 

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Capitolo 22
*** I was made for fucking you ***


Capitolo 22
 
 
 
JEFFREY DEAN ISBELL
I was made for fucking you
 
Cazzo, ragazzi! Steve è uno scherzo della natura. Un fenomeno da baraccone. Un mostro. Giuro.
No, dico... tutti io, me li becco, i matti!!!
Prima il mio amico Bill, adesso questo qui. Steven. Andiamo bene...
L'autocommiserazione a questo punto è d'obbligo. Povero Izzy, la tua è una missione... e stavolta io e Steve, qui, l'abbiamo fatta grossa per davvero, cazzo...
 
Dunque... come sapete, io e Steve abbiamo passato il pomeriggio sul marciapiede della cazzo di West Union Bank a cercare di alzare moneta. Io strimpellavo la mia imitazione di Gibson Les Paul da 50 dollari scarabocchiata, scritta e rattoppata col nastro adesivo mentre l'ugola sacrilega di Steve dissacrava i grandi classici del Rock facendoli a pezzi.
Ogni tanto, una ragliata ferina faceva da contrappunto e da condimento di un piatto che, ahimè, avremmo fatto meglio a non servire. Per lo più, devo ammettere che i passanti ci schifavano, ma una cosa almeno è certa: nessuno, di quelli che ci guardavano o sentivano suonare, rimaneva indifferente! E questo mi piaceva un sacco, era come... sì, insomma, parlatene male ma parlatene, un po' la filosofia dei Pistols. Non sapevamo suonare bene? Meglio! Eravamo unici, originali al 100%...
La ricetta? Prendete un goccio del Punk dei Ramones. Aggiungete una bella schitarrata alla Joe Perry degli Aerosmith e shakerate con uno schizzo del blues caustico di Janis Joplin... cosa otterrete? Benzina, ragazzi. Un cocktail esplosivo ad alto numero di ottani che spacca e vi cola le budella.
Questa, più o meno, era l'idea. Insomma, ragazzi... lo capite? Stufi dei piagnistei di Bon Jovi, Dire Straits e della discomusic innocua dei Bee-Gees da Febbre del Sabato Sera, io e questo pazzo scatenato di Steve stavamo dando vita ad un genere!
 
“Continua, Jeff!” mi ripete Steve ad ogni giro di chitarra toppato “non ti fermare! Stiamo scrivendo una pagina di storia, cazzo!”
 
I passanti, invece - l'ho già detto - ci schifano. Alle brutte, ci prendono per il culo e ci gridano di andare a cagare. Se invece marca bene, ci gettano nel cappellino da baseball di Steve un paio di nichelini marci, sentendosi in diritto, con questo obolo da pidocchi schifosi, di fare battute cretine lesive della nostra dignità di future rock stars. Insomma, tutti più o meno sgradevoli salvo rarissime eccezioni – perlopiù appartenenti all'altra metà del cielo, quella con le tette. A pisciare fuori dal vaso, però, ha pensato un marmocchio impertinente.
Uno stronzo di spocchioso undicenne con l'apparecchio. Un cazzo di Nerd regolare che si avvicina, mi guarda, sputa in terra e fa: “Sapete una cosa?”
E Steve, accarezzandogli la testa unta “Cosa?”
“Fate cagare il cazzo!”
Steve, abituato a simili apprezzamenti, non batte ciglio, ma io... decido lì su due piedi che forse, per quel giorno, ne ho avuto abbastanza. Così, incurante del fatto che Madre Natura c'è già andata parecchio pesante, con questa specie di Brutto Anatroccolo che non diventerà mai un Cigno, faccio l'atto di avventarmi su di lui. A fermarmi, più che uno scrupolo di coscienza, è il braccio di Steve.
“Fottitene!” mi sussurra il mio amico, elargendo al ragazzo un sorriso smagliante “lo vedi 'sto stronzetto?”
 
Io annuisco.
 
“Bene” prosegue Steve direttamente nel mio orecchio, senza smettere un solo istante di sorridere. “Questo piccolo pezzo di merda qui tra un anno darà via il culo di quella zoccola rognosa di sua madre per far su i soldi per comprarsi il nostro disco, cazzo! Capito, Jeff?”
Inutile dire che il mio pensiero corre a Lafayette e a Bill. I miei occhi si velano di lacrime.
“E tu non hai ancora sentito cantare il mio amico Bill!” Gli dico, rinforzando il suo ottimismo per il futuro. “E' un portento, cazzo! Uno sballo...” e non la finisco più di lodarlo.
 
La verità è che mi manca, cazzo. Mi manca. Più di quello che avrei mai creduto.
 
“Lo so, cazzone” replica Steve in risposta alle mie iperboli sul rosso “me l'hai già detto almeno un milione di volte...”
Nonostante tecnicamente siamo nella merda, io e Steve guardiamo al futuro con cauto ottimismo. Siamo giovani e vuoti ma non siamo mica scemi... il mondo un giorno sarà nostro! Certo, adesso siamo qui su questo cazzo di marciapiede a chiedere la carità, ma è un dettaglio. Una tessera del puzzle da collocare in un quadro più ampio. Il fine giustifica i mezzi, cazzo. Da qualche parte, ad aspettarci, c'è la fama e il successo. O, comunque, la possibilità di vivere decorosamente della nostra meravigliosa ossessione: il Rock, cazzo. Il fottutissimo Rock. Io e Steve ci mettiamo la mano sul fuoco, cazzo. Poi passa un bel paio di gambe sormontato da un culo ancora migliore e... il nostro futuro va tutto a puttane!
 
La gente va e viene senza sosta.
Gente bella, brutta, giovane, vecchia, povera e ricca.
Dalla nostra postazione, col culo ormai pietrificato dal la dura superficie del marciapiede, la vita, per come la vediamo in quei giorni randagi, la gente è fatta di gambe, di piedi e di scarpe. Ogni scarpa una camminata. Ogni camminata una filosofia, diceva un tale, una volta.
 
(Mmmmm... niente male quest'erba, Steve! Ne voglio ancora... dove l'hai presa? )
 
A un certo punto, nel cappellino di Steve è scivolato un deca.
Io e lui abbiamo smesso all'istante di cantare e di suonare e ci siamo fissati a lungo increduli. Poi ci siamo profusi in salamelecchi assurdi. Causale della cospicua donazione: lezioni di chitarra per me. Quanto alla voce di Steve... mi appello al Quinto Emendamento. A parte gli scherzi, preferisco non dirlo. E' un bambino piccolo... petulante e permaloso come una scimmia. Mette il muso per niente ed è cocciuto come un mulo, cazzo! Si fissa su cosa assurde che non stanno ne' in cielo ne' in terra, ma è un buon diavolo. Un vero amico. Mi fa schiattare dalle risate, cazzo. Solo che è un po' tocco... bisogna blandirlo con delle promesse assurde... che, ovviamente, devi mantenere, se no' lui va in crisi e sono cazzi da cagare... insomma, meglio lasciar predere, credete a me che ci ho a che fare tutti i giorni!
Al tramonto, quando il sole stilla il suo liquore bollente - come scriveva Jim Morrison - oltre la linea delle Hollywood Hills, noi abbiamo fatto bingo. Nel senso che il cappello di Steve, una volta tanto, trabocca di grana e le Colline di Hollywood di cui sopra, dove si baratta il Sogno Americano con la propria anima, gettano lunghe ombre cariche di promesse su di noi. E a proposito di vendere l'anima, io e Steve, per dirla tutta, in questo momento, saremmo pronti a dar via anche qualcos'altro per suonare al Whiskey a Go Go o in qualsiasi cazzo di locale del Sunset Strip!
Pertanto, giulivi e sorridenti, ci concediamo un trip da dividere da buoni amici che compriamo da un tizio che gironzola qua intorno e ci mettiamo in orbita. Poi ci fiondiamo nel primo fottutissimo drugstore a fare incetta di quel cazzo di vinaccio velenoso che la gente di strada che ruota attorno alle celebrities, qui chiama il vino dei barboni: si chiama Nightrain Express ed è una forza della natura. Una mazzata. Un dollaro e sei sbronzo. Cinque e sei morto. 24 fottutissimi gradi che ti lessano le cellule grigie a bagnomaria spedendoti nell'iperspazio cosmico che noi due, già in trip... non avevamo davvero bisogno!
Così abbiamo cominciato a... ehm... diciamo... stravolgere  un po' il testo originale delle canzoni...
 
I was made for LOVING you
 
per esempio... è diventata
 
I was made for FUCKIN' you, ba-by
 
Il che, dico io... è molto più fottutamente rock dell'originale dei Kiss...
Giusto?
You was made for FUCKIN' me...
 
 Un anatema, cazzo.
Una bomba H.
Vuotata la bottiglia, io e Steve galleggiamo a mezzaria sul marciapiede in uno stato pietoso. Fluttuiamo e ciondoliamo come serpenti lunghi sette miglia e ci sentiamo come capitoni fradici. La testa di Steve crolla sul marciapiede ogni cinque minuti. Ogni tanto, qualche passante c'inciampa e finisce col culo per terra.
 
Poi, lo show di Steve.
Un numero senza precedenti.
Al grido:
“Perfidi incantamenti! Io vi punisco!”
il mio amico schizzato imbraccia la mia povera chitarra sconquassata e infierisce calando fendenti a destra e a manca sui lampioni, accecandone un paio e inclinandone un terzo. E mentre Don Chisciotte, qui, se la fa coi mulini a vento attirando sempre più curiosi da ogni parte, io mi godo il mio quarto d'ora di notorietà mettendomi a camminare a testa in giù sulle mani finché la sinistra, maledetta lei, mi tradisce e.... cazzo, ragazzi... ci pianto una capocciata da paura e vedo tutto nero.
 
Basta.
 
Non appena, a fatica, riguadagno una specie di tremolante stazione eretta, una granfia di un quintale grossa come un guantone da baseball mi cala sulla spalla come una scure facendomi voltare.
 
Una placca metallica a me purtroppo ben nota, trafitta dai raggi del sole morente, mi abbaglia spedendomi fitte assassine in mezzo alla fronte.
 
Sono fottuto.
Steve è una statua di sale.
Giuro. Neanche il tempo di dire amen.
Io e Steve siamo così sbronzi che non capiamo un cazzo di niente.
Due panzer delle SS ci prendono i polsi e ce li torcono dietro la schiena facendoci urlare dal dolore.
La gente ci guarda impietrita.
C'è chi bestemmia, chi ride e persino chi applaude.
Tutti dicono la loro, ma a noi non è permesso.
Punto e basta.
(E poi siamo troppo fottutamente fatti, cazzo...)
 
Io penso ai campi di concentramento e alle camere a gas e la strada, nella mia immaginazione fecondata dal l'acido lisergico, sfuma in una fossa comune.
 
Steve piange e grida.
 
“Voglio la mamma!!! Voglio la mamma!!! Voglio la mammaaaaaa!!!”
 
Alla fine ci tirano su e ci caricano in macchina coi lampeggianti blu accesi, cazzo.
Avete il diritto di restare in silenzio” spiega una voce senza volto con una strascicata della Georgia che si mangia tutte le finali delle parole. Ogni cosa che direte potrà essere usata contro di voi...”

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Capitolo 23
*** The Twilight Zone ***


Capitolo 23
 
 
 
WILLIAM BRUCE BAILEY (BILL)
The Twilight Zone
 
Dunque, ragazzi... analizziamo la situazione.
Primo.
Mia madre non mi caga di striscio. Zero. Preferisce credere a quel porco schifoso di suo marito. E va bene. Cioè, no... va male. Anzi, malissimo.
E ti fa pensare, cazzo!!! No, dico... tu sei qui che rischi di farti sgamare mentre spii la vita segreta di quello che dovrebbe essere tuo padre e invece, grazie a Dio, non lo è, lo becchi con le mani nella marmellata, e cosa fai? Quello che farebbe qualsiasi essere umano decente al tuo posto: mettere al corrente tua madre, cioè, in questo caso, la vittima. Quella che si sta beccando le corna. E io, che mi reputo un ragazzo tutto d'un pezzo – a dispetto dell'opinione che quel porco di un Pastore ha di me – non appena ho le prove del suo bieco tradimento, non penso al mio culo! Nossignori!!! Io penso a mia madre e al fatto che ha il diritto sacrosanto di sapere! Così rischio l'osso del collo per trovare un cazzo di telefono, la chiamo e vuoto il sacco. E lei che fa? No, dico... stavolta mi ha spiazzato sul serio. Ci sono rimasto di merda. Invece di ringraziarmi, mia madre mi ha sbattuto il telefono in faccia e mi ha mandato a cagare. Che, tradotto, significa che ha fatto la sua scelta: crede al porco e non a me, che sono suo figlio, cazzo! Sangue del suo porco sangue... e sto rischiando la mia cazzo di vita di merda per lei!
E' inaudito, cazzo! Inaudito! Giuro. Sono senza parole.
L'unico commento a caldo che mi viene di fare è che la vecchia ha giusto quel che si merita. Chi si somiglia si piglia, ripete sempre nonna Kate, e mi sa che ha ragione lei, cazzo! E allora, se non vuole il mio aiuto, dico io, ci sbatta il naso da sola. E amen. Ma ricordati una cosa, mammina cara: se pensi di venire a bussare alla mia porta quando sarò famoso, scordatelo. Chiaro?
Io con te ho chiuso.
E quanto ai miei fratellastri Amy e Stu – che sono a saranno sempre i miei fratelli, sangue o non sangue – giuro su Dio che appena ho due soldi da parte me li vengo a prendere e né te né tanto meno quel figlio di buona donna impestata di tuo marito, cazzo, li vedrete mai più. E con questo, con voi due, ho chiuso per sempre. Non voglio più vedere le vostre facce di merda. Sappiate solo che, tra tutti e due, come genitori, non valete le piattole di un cocker tubercolotico. E come educatori... beh, lasciamo stare. Sarebbe come sparare sulla Croce Rossa, cazzo... insomma, per tagliar corto, non siete neanche degni di uno sputo in faccia, cazzo. Sappiate solo che per un figlio, dire queste cose... non è ne' facile ne' bello.
Per il resto, voi non volete me e io non voglio voi.
E quindi, ancora una volta... andate a farvi fottere.
Secondo.
Padre Micadonolepalleperterra, qui, mi sa che l'ha fatta grossa. E' venuto a dirmelo con una faccia... no, dico... sembra un cazzo di spazzacamino. Tutto sporco d'olio e con quel riporto bagnato incollato alla capoccia... sembra uscito da una funny Joke, di quelle penose che non fanno ridere nessuno. Io mi sento come il protagonista di un episodio di The Twilight Zone (Ai Confini della Realtà).
E' solo un sogno, Billy, ripete una voce soave dentro di me. Solo un brutto sogno... quando ti sveglierai, starai bene...
ma io non sto bene. Non sto bene per niente. Per non dire che, coi vestiti incollati addosso, un freddo boia e una fame che crepo, sto proprio di merda. E, come se non bastasse, il colpo di grazia me lo da' quest'altro servo di Dio da barzelletta qui. Inutile dire che, quando lo vedo caracollare a testa bassa verso di me con le pive nel sacco, capisco che, per usare un eufemismo, il poveraccio non mi porta buone nuove.
 
“Dio ci aiuti, figliolo!” annuncia, levando gli occhi alla volta nera e indifferente... anzi, oserei dire dispettosa, visto che, nonostante la situazione di merda in cui ci troviamo, continua a rovesciare acqua a catinelle sulle nostre teste. Ci rifugiamo a parlare sotto la tettoia con l'insegna al neon del Nelly's. Io non posso fare a meno di scattare mentalmente una foto alla scena. No, dico... un prete davanti alla vetrina di locale a luci rosse non si vede proprio tutti i giorni... e lui, con l'abito talare e il crocifisso di ordinanza, in un posto come questo, per giunta in culo ai lupi, è davvero da vedere.
“Che succede, padre?” domando io, incrociando tutte le dita che ho a disposizione. “Trovato il guasto?”
“Sì, purtroppo” ammette lui, grattandosi gli ultimi capelli impomatati e zuppi che ha in testa. “Il fatto è che non ho bucato. Niente affatto, ragazzo mio. Le gomme sono tutte a posto.”
“E allora?” sbotto io con impazienza, visto che non ho nessuna voglia di giocare agli indovinelli e tanto meno al cavadenti. “Che succede, padre? Parli! Non mi tenga sulle spine...”
Lo squinternato sacerdote allarga le braccia in un gesto d'impotenza, borbotta qualcosa e si fa un rapido segno di croce. “La macchina è andata, figliolo” mi spiega con voce atona. “Abbiamo grippato. I pistoni si sono fusi coi cilindri. Siamo al capolinea, ragazzo. Fine della corsa.”
“Ma... “ replico io, attonito. No, dico... anche un profano come me, in fatto di motori, sa cosa vuol dire grippare. Vuol dire che hai viaggiato senza olio. E che la macchina te la sei fottuta punto e basta e adesso hai il tuo signor culo per terra.
“Non ce l'ha messo l'olio, padre?” Domando, cercando di non far trapelare il disprezzo che provo di fronte a un simile spreco. “Non lo sapeva che ogni tanto bisogna controllare la spia dell'olio? Se no' fonde il motore, padre!”
“E' rotta” fa lui, voltandomi le spalle. “Non funzionava. La macchina ha i suoi annetti, perdeva olio e la spia non me l'ha segnalato... l'avevo rabboccato l'altro ieri!!! Santo questo e Santo quello... che ne so io che la spia decide di piantarmi in asso proprio adesso?! Per questo non mi sono accorto di niente...”
(Seee, come no...)
Io non commento.
“E adesso?” mi limito a chiedere.
“Aspettiamo il carro attrezzi” risponde lui, allargando le braccia in quel gesto che, francamente, comincia proprio un po' a darmi sui nervi. “Cioè, io lo aspetto. Tu, ragazzo mio...” aggiunge, scompigliandomi i capelli grondanti “ovviamente, sei libero...”
Già, penso io. Libero di prendermela in quel posto, cazzo. E' notte, diluvia, non ho il becco di un centesimo e sono gelato dalla testa ai piedi. Poi: sto morendo di fame, mi scappa una pisciata da paura e sono pure un minorenne in un puttanaio.
No, dico... vogliamo metterci dell'altro?
 Basta. Quell'uomo porta sfiga, cazzo.
Definitivo.
E' dura, ma se voglio combinare qualcosa devo fare il cuore duro e disfarmi di lui. Tassativo. Se no' finisce che non mi schiodo più di qui, cazzo!
 
Rieccomi quindi a bordo strada col pollice spianato.
Il punto è che... non passa un cane, cazzo! A quest'ora, da queste parti di bifolchi e rozzi vari, tutti i bravi padri di famiglia sono a nanna con le mogli... cioè... tutti tranne uno. Il mio. Che, per grazia di Dio, come ripeto da due giorni, non è sangue del mio sangue.
Basta. Rinuncio.
 
Solo come un quadrifoglio in un campo di grano, mi aggiro in questo cazzo di parco di mignotte che funge da parcheggio del locale di cui sopra. Inutile dire che sono nella merda. Tanto, lo so benissimo: è così e basta. Se solo ci fosse qualcosina da mettere sotto i denti, cazzo... con la fame che ho mangerei anche una merda... beh, insomma... si fa per dire, ecco!
Che brutta che è, la solitudine... però la cattiva compagnia è anche peggio, quindi non mi lamento. Era tutto calcolato. Tutto tranne trovarmi spiaggiato in questo schifo di osto dove, come ho già detto e ridetto, sono solo come un cane sciolto. Per non parlare delle mie budella, che sono messe anche peggio di me. Ho una fame tale che nelle mie cazzo di frattaglie c'è l'eco peggio che in chiesa! Ad ogni modo, intato che ci sono, in questo cazzo di parcheggio pieno di fazzolettini e di preservativi, ne approfitto per perlustrare questi cestini per la spazzatura che traboccano... magari, se metto da arte per una sera il mio carattere schizzinoso, trovo qualcosa di vagamente commestibile... aspettate... aspettate un attimo... e quella che roba è?
Che culo!!!
Un barattolo!!!
Incurante della mondezza che m'insozza la pelle, tuff le braccia fino al gomito nel cassonetto e, con un'abile virata finale, raccatto l'oggetto scintillante dei miei desideri. Lo soppeso tra le mani soddisfatto. E' pesante e, con mio sommo gaudio, praticamente intonsa, per non dire sigillata.
“Bel colpo, Grande Capo!!!”
Grido alla luna che non c'è.
“A buon rendere, cazzo!” Esclamo, tendendo il mio trofeo al cielo lontano. “Un punto per te!!!”
 
Come un cane pavloviano, alla vista del cibo, perdo la bava. Una frenesia totale, cieca, s' impadronisce di me. Il momento è solenne. Imperdibile.
 
Consapevole di essere ad un crocevia della mia vita, e di starne vivendo un attimo fatale, con scatto felino e agile mossa, cavo di tasca il mitico coltellino di Jeff come se fosse Excalibur e... ooops!
Preso da uno scrupolo improvviso... mi fermo di botto.
C'è qualcosa che non quadra, cazzo.
 
Soltanto alla luce del lampione, col cuore che fa le capriole di gioia, leggo l'etichetta e... orrore!!!
Scopro la terrificante verità.

FRiSKiES

 
Lancio al cielo un'occhiata assassina.
Grande Capo... questa me la paghi...
 
Bocconcini sceltissimi
di fegato di vitello
 
 
Il barattolo mi rotola per terra mentre faccio del mio meglio per non finirci anch'io.
Non ho parole.
 
Il meglio per il tuo
cane
 
 

 

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Capitolo 24
*** Bottoms up! ***


Capitolo 24
 
 
 
JEFFREY DEAN ISBELL (JEFF)
Bottoms up!
 
Giunti al posto di polizia, a sirene spiegate come in Miami Vice, cazzo, io e Steve discutemmo civilmente da buoni amici di eventuali debiti e crediti riguardo al nostro arresto. Io e Steve ci capiamo al volo, cazzo. Non ci credete? Fate male, amici miei. Filiamo che è una meraviglia! Andiamo proprio d'amore e d'accordo.
 
“Cazzo, Jeff!” sbraita Steve, prendendomi per gli stracci “è tutta colpa tua!”
Io lo sollevo per il ciuffo assurdo alla Rod Steward che si ritrova in testa.
“Col cazzo, bello! Tu sogni! Se siamo finiti nella merda fino al collo, gioia, la colpa è solo e unicamente tua!”
“Non è vero, sei uno stronzo!”
“No, bello mio! Qui l'unico stronzo sei tu!”
E via di questo passo. Insomma, ne abbiamo discusso. O, come va di moda dire oggi, abbiamo aperto un dialogo.
La sala d'attesa era un vaccaio assurdo. Si vede che gli sbirri qui a L.A., vanno avanti a punti, o... che ne so, io... magari stanotte gli è girato a tutti il boccino e gli è venuto il ticchio di ripulire la Città degli Angeli da tutta la feccia. In ogni modo, in tutta West Hollywood, da Santa Monica Blvd alla Broadway, cazzo, c'è stato il finimondo, l'Armageddon. Per non parlare dello Strip. Grida, clacson, traffico in tilt e sbirri che sciamavano dappertutto come le cazzo di api assassine di Swarm. Insomma, io e Steve, dopotutto, al momento della cattura, eravamo in buona compagnia: insieme a noi, sono arrivati belli freschi dalla Strada dei Sogni un paio di pusher. Oh, gente, intendiamoci... pesci piccoli. Ragazzini, cazzo. Ma lo sapete anche voi come funziona, no? Li fanno cagare sotto così poi quelli, poveracci, fanno i nomi giusti e merdate varie, perché in fondo, lo sapete anche voi, amici: gli sbirri sono dei cagasotto.
Questo perché, come diceva il buon vecchio Re Lucertola Jim Morrison, (vorrebbero fare quel che facciamo noi) se gli venisse duro senza una pistola, cazzo!
Tutta invidia, la loro!
E solo perché noi sappiamo amare la vita e spassarcela alla grande e loro no!
Ad ogni modo, dopo i pusher, un magnaccia messicano.
Una faccia da paura, cazzo! Giuro! Sembrava il Padrino versione zombie!
E con lui sono arrivate pure le sue squinzie, tutte con le zinne di fuori e un filo interdentale in mezzo al culo.
Non vi dico il casino, i fischi e le grida eccitate degli altri fermati in attesa di essere interrogati quando se le sono viste davanti conciate a quel modo, tutte discinte e odorose di sesso a buon mercato... confesso che il richiamo della foresta l'ho sentito anch'io. Per non parlare di Steve, che ha il testosterone nel cervello, cazzo, e s'è andato a prendere una cotta assurda per rossa tutta boccoli vestita da cheerleader che spaccia PCP
(anche detta Polvere degli Angeli
 sullo Strip il sabato sera.
E che io e Steve ci eravamo sparati a turno, una notte, sbronzi marci e fatti di acido, nel parcheggio del Whiskey a Go Go.
Alla fine, io e Steve siamo stati portati in una stanza, interrogati, presi per il culo e trattati di schifo, etichettati come capelloni di merda drogati e ubriachi beccati a darsi all'accattonaggio.
 
 Ma, dico io... accattonaggio... così l'hanno chiamato, quello che facevamo io e Steve.
 
 E che cazzo! Ma noi stavamo solo suonando su un cazzo di marciapiede, cazzo! Cos'è, proibito, in questo Stato di nazisti di merda? Non ho capito... suonavamo e basta, cazzo! E chi voleva, faceva un'offerta, certo... ma noi non obbligavamo mica nessuno, cazzo! Ci mancherebbe pure... noi suonavamo per mangiare, per qualche cazzo di nichelino pidocchioso di merda, tutto qui... che cazzo di reato è?
  Uno non può neanche tentare di... insomma... sopravvivere, cioè... alzare moneta per mangiare onestamente, vendendo ai passanti la propria arte, cazzo? Io non lo so... ma gli altri come fanno? Non è mica colpa mia se io ho perso il lavoro perché Mr. Vibrione, là, ha fatto schiattare secco un boss di una cosca rivale come uno scarafaggio, cazzo, e i NAS gli hanno chiuso baracca e burattini! Anche Steve, poveraccio... che lavoro di merda! No, dico... prima di conoscere me, pettinava, truccava, vestiva e lustrava i... cari estinti per un'agenzia di pompe funebri del cugino di Mr. Vibrione, comprovando la teoria che, se il mondo è piccolo, la Città degli Angeli è un buco di culo. No, dico... ma ci pensate? Estetista per defunti! Ma roba da matti... solo Steve, cazzo, poteva trovare un lavoro così merdoso... e per quanto? Tre dollari l'ora. Prendere o lasciare. Allora stavo meglio io alla pizzeria, cazzo!
 Io non lo so... cazzo devi fare per sopravvivere in questa cazzo di giungla d'asfalto? Una rapina alla West Union Bank? Scippare la pensione a una vecchietta? Dare via il culo e buonanotte?
 
Io non so voi, ma preferisco l'antica arte dell'elemosina.
Che ne dite... sbaglio?
E' dignitosa e terribilmente etica, visto che mette a posto la coscienza alla gente... sì, perché dopo che hanno elargito, si sentono tutti più buoni, oltre che più leggeri... e coi tempi che corrono, dico io, in questo mondo di merda vi sembra un crimine? No, dico... fate un po' voi... e per questo, penso proprio che ci meritiamo una medaglia, io e Steve, altro che le manette, cazzo!
Ma gli sbirri dovevano pensarla diversamente, perché non c'è stato verso di farli ragionare. Nossignore, cazzo! Anzi, mi sa che, esponendo le nostre teorie, siamo finiti dalla padella nella brace...
Sempre in quella fottutissima caserma, finito l'interrogatorio, ci hanno chiusi in una stanzetta con degli appendiabiti che, già a prima vista... beh, ci ha detto negativo. Per non dire che io e Steve stringevamo il culo e ci toccavamo le palle.
 
Poi ha avuto luogo un dialogo che nessun ragazzo sano di mente, mai e poi mai nella sua cazzo di vita, dovrebbe sentire. Specialmente se riferito a... se stesso.
 
“Ehi, Jo!” ha ragliato una testaccia quadra d'Irlandese di merda dal collo taurino e i capelli a spazzola, afferrando rudemente le chiome cotonate di Steve. “Guarda che bella figa!”
“Ma che schifo, Al!” ha risposto l'altra faccia di merda, sputandogli in faccia “ tanfa peggio di una distilleria!”
La faccia di Steve in quel momento la ricorderò finché campo. La sua bocca era storta in una smorfia grottesca. Una repulsione più forte persino del dolore.
Poi, arriva il mio turno.
“E tu, bel moretto?” cantilena quel Jo così schizzinoso con Steve, giocherellando con la cintura dei miei jeans “mi fai vedere il tuo bel culetto?”
Che tipo, ragazzi! Faccione rubizzo come un'anguria e una rete di capillari rotti da alcolizzato cronico sul naso che pareva una cazzo di carta geografica.
Basta.
Censura, cazzo.
Vi basti sapere che io e Steve abbiamo subito l'onta della perquisizione corporale ad opera di due froci schifosi grossi come due elefanti, con delle dita come cazzo di salsicce di merda che ti frugavano dappertutto buttandoti le reni in gola, cazzo... brutti ceffi davvero.
Altro che i galeotti! Quelli sono peggio, ve lo dico io! E il mio amico Steve, qui, può testimoniare: quelli sono bestie nel vero senso della parola, cazzo.
Pederasti maniaci e anche un po' pedofili, visto che noi due siamo minorenni, cazzo! Gente che i diritti umani non sa neanche dove stanno di casa, cazzo! E che, ragazzi... parlando come mangio, purtroppo per noi e per i nostri culetti profanati... non avevano mai sentito parlare di quella pietosa e civile invenzione passata alla storia col nome di vaselina.
 
Dopo quella tortura, senza tante cerimonie, io e Steve veniamo fatti rivestire e sbattuti in cella. E che cella, cazzo!
 
Lurida, piena di graffiti e ragnatele e col pavimento coperto di sputi e di scarafaggi grossi come prugne Sunsweet per stitici, cazzo.
 
Sul tavolaccio, che pende del muro fradicio di muffa attaccato ad una catena rossa di ruggine, una matassa di capelli bruni si volta verso di noi.
 
Il tipo sembra un duro, cazzo. Ha un look da paura. Borchie e pelle nera. Sembra uno di quei motociclisti scalmanati e rockettari tipo Hell's Angeles con cui l'unica possibilità di salvare la ghirba, se lo incontri, è di fartelo amico con salamelecchi di merda.
Se lo incontri, cazzo rivelandoci una biffa molto tosta con un ghigno tutto sghembo da iena ridens. Una paglia di sbieco tra le labbra alla James Dean completa un quadro di tutto rispetto.
 
Poi, dopo un lungo, lunghissimo istante morto, il tizio scatta in piedi come una molla. Io e Steve ci stiamo già cagando sotto quando i suoi rai fulminei color della pece ci scannerizzano in 3D in una frazione di secondo. Noi, violati nel corpo e nell'anima – ma soprattutto proprio laddove non batte il sole, cazzo - guardiamo per terra a disagio.
Il ragazzo, che poi non sembra molto più maturo di noi, incrocia le braccia crivellate di teschi, spade e scritte gotiche sulla maglietta strappata di Alice Cooper.
“Accomodatevi, prego” esordisce, facendo gli onori di casa.
 
Indica altri due tavolacci perfino peggiori del suo. “Io sono Tracii” annuncia, allungandoci la mano da stringere, dopo che io e Steve ci siamo presentati. Strizziamo a turno la sua mano con cautela.
 
“Benvenuti, amici” replica Tracii, che tutto sommato, alla fine, non sembra un cattivo diavolo.
“Io sono Tracii Guns..

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Capitolo 25
*** I wish u were here ***


Capitolo 25
 
 
 
WILLIAM BRUCE BAILEY (BILL)
I wish you were here
 
S. Louis, Illinois.
Dio ti benedica, amico! A buon rendere!
Ce l'ho fatta, cazzo! Ce l'ho fatta!
Volete sapere com’è andata?
E' stato un gioco da ragazzi. Cioè... una sacrosanta botta di culo e... sì, soprattutto, lui: l'uomo giusto al momento giusto. Un tipo di colore, cazzo, grande e grosso come un armadio che sembrava Mohammed Alì cagato e sputato, è stato la mia salvezza. Tutto merito suo se, dopo l'affare dei bocconcini per cani, ancora una volta, ho siglato, col Grande Capo nei Cieli, l'ennesimo armistizio. Ma, direte voi, amici miei, dove l'ho conosciuto, 'sto supereroe?
Nel parcheggio del night, ovviamente! Anzi, alla stazione degli autobus. Avevo scoperto che davanti al parcheggio, c'era una fermata dei bus Greyhound, un posticino relativamente asciutto, insomma, e me ne stavo lì, seduto sulla panchina, sotto la pensilina in plexiglas tutta rattoppata, a contemplare la pioggia e a meditare sui torti subiti. Ce l'avevo a morte col mondo. Odiavo quel bastardo che per fortuna non era mio padre. E quanto a mia madre, che invece lo era a tutti gli effetti, purtroppo, mi aveva proprio fatto girare le palle. Insomma... riassumendo la mia situazione, era proprio una merda, cazzo. Avevo fame. Sete. Freddo. C'era buio. Il vento. La pioggia. Mi ero perso. E poi? Ah, sì: mi gocciolava il naso, cazzo. E non avendo un fazzoletto a portata di mano, me lo pulivo sul rovescio della manica del giubbotto jeans. Insomma, l'ho detto e lo ripeto: ero nella merda al cubo. Ci mancava solo la bufera, cazzo! Una roba da paura, giuro... a un certo punto pioveva praticamente orizzontale. Cazzo, che sfiga, ragazzi! Da non crederci, giuro... però, credeteci o meno, era così. Faceva un freddo assurdo. Micidiale. Io mi ero appena scollato di dosso quella piattola di padre Micadonolepalleperterra e me ne stavo lì tutto solo soletto a pensare ai cazzi miei con una fame che, per ogni cazzo di lampione del parcheggio, ne vedevo tre. Di autobus, manco a dirlo, neanche l'ombra. L'ultimo era passato da mezz'ora buona e per il prossimo bisognava aspettare l'indomani mattina. Insomma, ancora una volta, mi diceva proprio male. E io ero lì solo come un cane rognoso, con la malinconia e la fame come uniche compagne, per non parlare dei primi, inequivocabili sintomi del raffreddore. Mi facevano male le ossa e la pancia. Mi sentivo come se di anni, invece di diciassette, ne avessi appena compiuti ottantasette.
Il mio pensiero correva a Jeff. Il mio amico Jeff.
Un riff stupendo dei Pink Floyd mi trapanava le meningi a duemila cazzo di watt.
 
I wish you were here
 
cantavo piangendo, gli occhi fissi sull'asfalto scintillante di pioggia.
Solo allora il mio migliore amico mi tornò davvero in mente.
 
Jeff... oh, Jeff... quanto mi manchi...
(vorrei che tu fossi qui)
 
mi ripetevo, mentre le lacrime rotolavano dalle mie guance nel barattolo di carne per cani straziato dal mitico pugnale che aveva sancito il mio patto di sangue con Jeff. Mi sentivo fisicamente male. Ero in crisi di astinenza, cazzo... astinenza da Jeff. Da quei suoi occhi neri come pozzi senza fondo. Da quei suoi zigomi affilati come questa amata lama, sì... così taglienti eppure, in qualche strano modo, così fraterni e dolci quando stavo di merda come adesso e avevo bisogno di una parola gentile...
 
Solo adesso realizzavo che, negli ultimi due anni, Jeff era diventato il filtro tra me e il mondo... e che senza di lui, non ce l'avrei mai fatta.
 
Ad ogni modo, pensare a Jeff fu un'iniezione di forza, coraggio e determinazione direttamente in vena. Lui era la mia droga e il mio cazzo di Supradyn.
 
Dovevo stringere i denti e andare avanti. Gli stenti fortificano e temprano il carattere. Quel che non ti ammazza t'ingrassa, era il motto, la panacea di nonna Kate. E io volevo arrivare da Jeff non più come il piccolo Billy piagnone e cocco di mamma (anzi, no: cocco di Jeff) ma come Bill, anzi no... non Bill... AXL, in omaggio al nostro vecchio e abortito progetto per spaccare il mondo. Volevo arrivare da lui a L.A. Come un uomo che si era fatto da solo. Che aveva lottato per sopravvivere sulla strada e ne aveva assimilato le regole e i codici.
Scusami, Jeff, se sono partito senza aspettare la tua telefonata - quella in cui, come d'accordo, mi avresti annunciato che ti eri sistemato e c'era trippa per tutti e due - ma quando ho scoperto che quel pezzo di sterco di vacca non era il mio vero padre, io... vivere lì, per me, non era più possibile né pensabile. Soprattutto adesso, che so chi è davvero mia madre, cazzo. Quei due stronzi rottinculo sono degni uno dell'altro. Mi è venuto il vomito, amico, cazzo. Avresti dovuto esserci... dovevo andarmene, Jeff. Non avevo alternative. Schiodare o crepare.
Così ho chiuso per sempre con quella vita di merda. E, credimi, amico... sto arrivando... vengo... vengo da te!!! E' solo che, sai... al momento... mi trovo un attimino nella cacca... ma passerà, vedrai... o almeno, ti prego, Grande Capo, che sei il motore immobile di tutto questo schifo... ti prego-ti prego – ti prego... lasciamelo credere!!!
 
Spunto di riflessione della serata:
un cartellone pubblicitario di una linea di gadgets e t-shirts davvero fighissime.
 
SHIT HAPPENS
 
mi piace, cazzo! Questo sì che è uno slogan! Mi piace, ha i controcoglioni! Mi piace! Mi piace! Mi piace!!!
 
(La merda capita)
 
appunto... la voglio quella maglietta, cazzo!
La voglio – la voglio – la voglio – la voglio!!!
Capito?
La voglio, cazzo!!!
 
Riassume in due parole la storia della mia fottutissima vita. E giuro che appena metto il culo nella Città degli Angeli, cazzo, me ne faccio una!
 
Maglietta o no, ero lì impelagato nelle mie malinconie, cercando di convincere il mio braccio a portare alla bocca un assaggio dei bocconcini scelti di fegato di vitello della Friskies per i quali Janis, il mio cane, abituato alle sottomarche del Seven Eleven, avrebbe dato via il culo. Disgraziatamente, però, io non ero Janis, e... cazzo, ragazzi... vorrei vedervi voi, al mio posto!
 
Cazzo ridete?
Non c'è niente da ridere, ok?
 
Ero troppo incazzato, giuro!
No ragionavo più.
Sapete com'è quando vi parte l'embolo e vi va la merda al cervello, no? Ecco, io è così che mi sentivo.
Punto e basta.
 
In preda alla furia cieca, ho massacrato di fendenti la lattina fino a cancellare quella cazzo di marca del cazzo dalla mia vista nell'oscura speranza che, lontano dagli occhi, volesse dire lontano dal cuore... e dallo stomaco.
 
Inutile, perché non appena lo stramaledetto coperchio ha ceduto, una zaffata sulfurea venuta su dal buco del culo dell'Inferno mi ha fatto rinculare indietro di un paio di chilometri.
 
Un odore indicibile. Mefitico. Osceno. Indicibile. E chi più ne ha più ne metta, cazzo. Per non parlare del sapore. No, dico... avete presente un mucchio di merda tutta marcia e putrefatta? Ebbene, giuro... quest'era peggio... secondo me erano lì da un secolo, cazzo... la data di scadenza era illeggibile... cancellata dalla pioggia. No, dico... questi cazzo di bocconcini saranno anche il meglio per il tuo cane, quando non sono scaduti da trent'anni come questi, ma per un essere umano, cazzo...
Beh, in ogni modo, fare gli schizzinosi non solo era inutile, ma anche controproducente. Perlomeno nella mia cazzo di situazione.
Dovevo ficcarmelo in testa, non c'erano santi.
Quella era la minestra.
Volente o dolente.
Suonava come una condanna a morte, ma non avevo scelta. Se volevo recuperare un minimo di forze per continuare il mio viaggio alla ricerca di Jeff e dei miei sogni, cazzo... la mia unica fonte di calorie, al momento, erano quei cazzo di bocconcini di merda, nel senso più schifosamente letterale del termine.
perché, sentiamo un po'... voialtri, al posto mio, cazzo avreste fatto?
 
Non mi resta che assaggiare.
Sì, come no... è una parola...
 
Scoraggiato dall'aroma non certo da gourmet, tento con la persuasione occulta.
 
LO FACCIO PER JEFF-SOLO PER JEFF-LO FACCIO PER JEFF-SOLO PER JEFF-LO FACCIO PER JEFF-SOLO PER JEFF-LO FACCIO PER JEFF-SOLO PER JEFF-LO FACCIO PER...
 
tre, due, uno... via!!!
 
Mi tappo il naso col pollice e l'indice della sinistra e tuffo la lama del mio coltellino in quella massa che, povero me, sembra proprio diarrea.
 
Dopo un lungo, lunghissimo istante di crisi mistica tipo
 
Padre, ti prego!
Allontana da me questo calice...
 
in cui sudo sangue come Gesù nell'orto del Getsemani, nonché un sommario quanto inutile esame visivo, apro la bocca per accogliere il cibo che Cristo, nella sua immensa bontà, ha voluto donarmi.
 
No, dico... non ho parole.
Anzi, volendo le avrei, cazzo! Altroché se le avrei!
E che cazzo!!!
Ma... sapete com'è... non volendo aggravare oltre la mia posizione non già facilissima, io... al momento... ritengo più saggio tenerle per me.
 
Risultati del test di valutazione visiva:
Consistenza: viscida e gelatinosa
Aspetto: diarrea emorragica da Ebola
Sapore: perfettamente in linea con l'aspetto
Colore: in linea con gli altri parametri
Giudizio critico: merda al cubo
 
Insomma, sono lì che lotto per non vomitare l'anima in quel cazzo di barattolo mentre sto cercando di mangiare il primo pasto da due giorni a questa parte, quando un'ombra nera grande come il fottutissimo Grand Canyon m'inghiotte tutto intero e buonanotte al secchio.
  Inutile dire che io, sul momento, colto alla sprovvista, mi cago addosso dalla strizza e mi rovescio sui pantaloni quel che resta del manicaretto che sto degustando. Tiro un rosario di madonne da far schiattare d'invidia Ozzy Osbourne il Sanguinario, alzo gli occhi all'incommensurabile e mi becco questo energumeno di colore che è il sosia spiccicato del Campione dei Pesi Massimi. La mascella mi penzola inerte. Un bocconcino mi va di traverso spedendomi quasi al Creatore, e quello che fa? Si avvicina e mi fa la cazzo di tac in 3D.
“Ehi, ragazzo” mi fa, con basso da paura che vorrebbe essere dolce “tutto bene?”
 
Io, mezzo strozzato, faccio segno di sì con la testa, sperando che quel cazzo di toro mastodontico se ne vada a pascolare altrove.
 
“Che ci fai qui da solo? Serve aiuto?”
Mi guarda e, intuendo il mio imbarazzo, schiude due labbra che, alla luce bugiarda dei lampioni - per restare in tema - sembrano fette di fegato, in un aperto sorriso.
“Non aver paura, ragazzo” aggiunge “non mordo”.
Io gli rispondo a monosillabi e, cautamente, lo invito a sedersi sulla panchina accanto a me.
“Vuoi favorire?” domando, educato, porgendogli il barattolo con la mia... ehm, discutibile.
Lui scuote la testa scoppiando a ridermi in faccia. E io? Contagiato dalla sua risata, mi unisco a lui e, insieme, ci sbellichiamo e ci scompisciamo come matti sbronzi persi indicandoci a vicenda. Un modo come un altro di rompere il ghiaccio, no? E devo ammettere che ne avevo proprio bisogno, cazzo. Erano secoli che non mi facevo una sacrosanta ghignata... poi, da cosa nasce cosa e io e il Campione, qui, ci mettiamo a parlare.
Io gli racconto la mia triste, patetica storia e lui annuisce e stringe i pugni con rabbia. Mi confessa che la sua ragazza l'ha lasciato e che era venuto qui a godersi lo strip-tease con un suo amico, ma poi hanno litigato.
“E adesso?” Chiedo, speranzoso. “Cosa pensi di fare?”
“Torno a casa” replica il colosso nero, di rimando “a S. Louis, Illinois.”
Io m'illumino d'immenso.
No, dico...
S. Louis, Illinois.
Un attimo che guardo...
 
Controllo sulla mia mappa stradale tutta stropicciata e umida di pioggia. Perfetto. S. Louis si trova sulla strada per L.A. Così mi faccio coraggio, cazzo. Lancio via nel parcheggio il barattolo semivuoto – non fate commenti, per piacere, amici miei... non chiedetemi come ho fatto a mangiarne così tanta, di quella merda, perché... Jeff o non Jeff, cazzo... non lo so nemmeno io – e gli chiedo un passaggio.
 
Detto fatto.
S. Louis, Illinois.
Grazie, S. Louis.
Ma soprattutto grazie a te, Grande Campione.
Giuro. Campassi cent'anni, non ti dimenticherò.
 
Attorno a noi c'è la fredda luce ametista dell'alba.
 
Quando, a un incrocio in pieno centro, prendo commiato battendo il cinque al mio eroe, l'alba spalancava all'orizzonte il suo sguardo di ametista.
 
Come si chiamava, il mio salvatore?
Voi ci credete agli Angeli Custodi?
 
Non lo so come si chiamava.
Me l'ha detto, ma io... l'ho già dimenticato.
So solo che lui è il Campione.
Non quello vero, chiaro. Ma il mio.
Il mio personalissimo Campione.
Un fottutissimo supereroe.
Meglio del vero Mohammed Alì.
 
Lo guardo allontanarsi salutandolo con la mano.
Ed eccomi di nuovo in strada, cazzo.
Di nuovo solo e senza un posto dove stare.
Un benzinaio sulla sinistra, una scuola elementare con un grande cortile sulla destra.
 
Sacco in spalla, e via. Attraverso la strada e perlustro il cortile della scuola, intitolata a Florence Nightingale e alle Suffragette.
 
Mi si chiudono gli occhi dal sonno e spero tanto di trovare un posticino per dormire, che so io, magari uno di quei capanni di legno per i giochi dei bambini.
Ad ogni modo, ho fatto il primo passo verso il mio amico Jeff e il nostro sogno di gloria.
Comincio quasi a crederci, cazzo, che diventerò una rock star. I vestiti giusti ce li ho già: stivali col tacco, jeans stracciati, maglie di lurex scintillanti con dei colli enormi, leggings... insomma, roba da glamsters. Roba da David Bowie. T-Rex. Freddy Mercury dei Queen e tutte le mie star e i miei eroi passando per la E.L.O. che poi sarebbe la Electric Lights Orchestra che mi faceva sballare, da bambino.
Mah, dico tra me e me sbadigliando fino a farmi uscire il teschio nudo dalla bocca come se la mia faccia fosse un cazzo di cappuccio, speriamo bene...
 
Baciami il culo
Lafayette!!!
 
 
 So che non sarà facile e non voglio farmi illusioni.
 La mia strada verso la fama e il successo è tutta in salita.
 
 Lo so, non sono mica così scemo, cazzo! Ma per lo meno adesso, finalmente, tra me e la Città dei Morti Viventi, c'è un fottutissimo confine di Stato!!!

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Capitolo 26
*** they put my ass in jail ***


Capitolo 26
 
 
 
JEFFREY DEAN ISBELL (JEFF)
They put my ass in jail
 
Che palle, ragazzi... questa notte di merda non vuole mai finire... ed io non trovo un cazzo di sogno che mi aiuti a dormire. Anzi! A furia di rivoltarmi sul tavolaccio duro come il ferro mentre Steve e Tracii ronfano come due motoseghe sincronizzate, mi gira la testa come una cazzo di trottola. Per il resto, devo ammettere che, a dispetto della brutta nomea del carcere, questo braccio di spacciatori e tossici è abbastanza tranquillo. Il pollaio - come lo chiama questo tipo qui nuovo, questo Tracii che, in fondo, mi piace un sacco perché è un giusto – alla fine della fiera è un posto tranquil. Voglio dire... niente di strano.
 
 Io, come una cazzo di spugna, assorbo tutto.
 
 Colpi di tosse. Scaracchi. Risatine più o meno soffocate. Qualche fattone che piange e si dispera e vomita l'anima perché sta a rota bestiale.
 
 Lo scopino arabo del secondo turno di notte, rachitico e tappo, con una camminata da topo frettoloso e un orrido pizzetto caprino sale e pepe tutto infeltrito e così unto da far vomitare una cazzo di capra. Io non gli ho mai guardato in bocca, per carità! Ci mancherebbe altro! Ma chi, suo malgrado, ha avuto occasione di farlo... ebbene, non se l'è più dimenticato, cazzo! Su quella ciabatta di bocca circolano un sacco di dicerie e leggende metropolitane, la più accreditata delle quali vuole che lui, l'arabo in questione, ami fare colazione con un ratto vivo e scalciante che raccoglie ogni mattina fresco di giornata, nei cessi della casa circondariale.
 
  Si vocifera anche che il soggetto in questione sia dotato di denti lunghi e affilati come la fame del Biafra, neri come quelli di chi mastica liquirizia tutto il santo giorno, e rivolti all'indietro come quelli dei cammelli. Ebbene, ragazzi... dovete sapere che questo bell'articolo qui è sempre, ma dico sempre, sempre arrapato, giorno e notte. Non conosce requie. Infatti, eccolo che arriva. Lo sento, cazzo! Secondo me, questo spende un patrimonio, in scarpe! Ne consumerà un paio all'ora, se continua a fare su e giù in questo modo!
 
 In preda alla lussuria più becera e sfrenata, col favore delle tenebre, un ghigno raccapricciante stampato sulla lunga biffa caprina, lo scopino vaga per i corridoi in cerca di carne giovane e fresca per saziare la sua fame. E com'è che fa, a procurarsi il cibo, quella cazzo di iena ridens? Si aggrappa alle sbarre della tua cella come una scimmietta petulante, caccia dentro la testa, e ti fa la radiografia con quei cazzo di occhietti da pantegana. Poi si passa sulle labbra a gettoniera la linguaccia lussuriosa. Da un lato della bocca, un lungo filo di bava scende fino a terra come se, invece di una checca di scopino arabo, fosse un fottutissimo bulldog. Poi ti fa segno di avvicinarti, di solito adescandoti con una bella stecca di Marlboro che tiene imboscato sotto i vestiti pronto all'uso. Tu abbocchi e ti avvicini, cercando magari di ghermire la stecca. E quello che fa? Ti alita in faccia:
“Tu chiavare? Chiavare!”
E mentre tu ti ritrai disgustato, cercando di non sboccargli addosso la sbobba schifosa del gabbio, quello ti lancia un'occhiata lasciva, sbatte le ciglia che sembrano peli del culo e ti fa, sventolandoti in faccia le maledettissime Marlboro:
 
“Io paga bene!”
 
Ci ha provato anche con me e Steve, ma gli ha detto male. Tracii, poi, prima l'ha illuso, poi, quando l'ha avuto a tiro, gli ha ciullato la stecca di paglie e gli ha mollato un cartone da paura – almeno così la racconta lui, cazzo - che gli ha rincagnato la faccia come una zampogna. Risultato: adesso, lo scopino non lo caga.
“E ti credo!” va ripetendo Tracii, facendo sganasciare me e Steve, “gli ho cambiato i connotati, cazzo! Adesso la bocca gli sbuca direttamente in mezzo agli occhi, cazzo! Sembra una cazzo di stella marina!”
Poi ci sono i soliti cafoni. Quelli che non si lavano. E i trogloditi. Li riconosci dal loro impegno costante: gare, contests e tornei a squadre di tutti i tipi, immaginabili e no. Giochi a premi dove se vinci ti scopi il vinto e se perdi ci lasci la ghirba o ti fanno il culo gli altri, a scelta. Gare di rutti e di peti valevoli per il titolo nazionale e chi più ne ha più ne metta. E, detto tra noi... visto il contesto, lascio carta bianca alla vostra cazzo di immaginazione.
Quanto al comfort e alla privacy... beh, ecco... non che io e Steve ci aspettassimo granché, in fondo. Voglio dire... si sa come sono, 'ste topaie di celle... e, dopotutto, ragazzi... mi pare logico... non siamo mica all' Hilton, cazzo!
 
Ad un tratto, mentre sto quasi prendendo sonno, il fottutissimo interfono, uno per ogni cella - schiaffato a far la vedetta su noialtri poveri cristi direttamente sopra le nostre teste di cazzo - si mette a gracchiare.
“Steven Coletti e Jeffrey Dean Isbell!” Raglia un Servo della Legge e dell'Ordine Costituito del Cazzo di pessimo umore. “Ripeto: Ste-ven Co-let-ti e Jef-frey Dean Is-bell”sillaba doviziosamente un bastardo di secondino “rispondete! E' un ordine!”
Io, in dormiveglia, schizzo in aria come un cazzo di tappo di spumante e, visto e considerato che in gattabuia lo spazio vitale è quello che è, cioè zero sotto zero, cazzo, mi faccio malissimo.
Ancora mezzo rincoglionito dal sonno, pianto una craniata mostruosa contro il tavolaccio di Steve, sospeso a sole due cazzo di spanne dal mio. Il quale, poveraccio anche lui, vola per aria sfidando la gravità con un arco impossibile rischiando uno scontro frontale con il soffitto del cazzo, tutto umidiccio e chiazzato di muffa nerastra.
 
“Aiutoooo!!!” piagnucola Steve, lanciando in mezzo alla stanza la copertaccia militare irta di nodi, bitorzoli e buchi di sigaretta. “Mi arrendo! Mi arrendo!!! Vi pregoooooo...” frigna, la voce rotta dai singhiozzi “sono figlio unico di madre vedova... vi prego, siate buoni... non sparateeeee...”
 
“Chiudi il becco, cazzo!” esclama Tracii, voltando il culo dall'altra parte non prima di aver sganciato, nell'aria già greve, un peto da Guinness dei primati. “E' ancora notte... Voglio dormire, e non ci riesco se fai tutto quel casino!”
Alla terza chiamata in appello, io e Steve decidiamo di rispondere con un corale
 
“PRESENTE!”
da caserma alla Sturmtruppen.
 
“ Fate con comodo!” gracchia l'interfono. La Voce Invisibile sale di tono ed esplode in un grido che non ha nulla di umano
 
“No, dico... già che ci siete... gradite un tè con i pasticciniiii?”
 
Io e Steve ci guardiamo in silenzio, gli occhi di entrambi colmi di dubbi, supposizioni e domande inespresse.
“ Alzatevi e vestitevi!” prosegue la Voce. “Svelti!”S'impenna. Si sfalda. Si rompe del tutto. Un altro paio di scariche e tonfi. La ricezione, già pessima, peggiora. Tutto quello che ci arriva, a me e Steve e- suo malgrado – anche a Tracii - è una specie di
 
PRRRTTT-CRRRTT-TRRRTT
 
un indistinto scalpiccio di sottofondo, simile a un rumore di masticazione prodotto da qualche centinaio di migliaio di bocche.
 
Morale della favola, non si capisce più un cazzo.
 
Dopo un po' di questa solfa, un altro paio di scariche spaccatimpani e... puff!!! Magia... riecco la Voce Invisibile
 
“ Siete stati fortunati” spiega. Poi cala di tono.
 
RRRTTT-CRRRTT....TRRRTT
 
Adesso sembra lontana. Ovattata. Come se provenisse dalle viscere della Terra.
 
“Un benefattore...”
 
CCRRT... PRRRT...
 “...o...e rima...e...e ano...i...o...”
 
segue una serie ravvicinata di scariche e disturbi che, manco a dirlo, copre quasi completamente le parole. Quello che sopravvive, è uno scampolo di lettere inutilizzabile... con ottimismo parlando, buono appena per un lattante che ancora non ha passato la prima fase orale...
 
“... ato...”
 
è tutto ciò che riesco a salvare dalla cacofonia di merda che minaccia seriamente di lacerarmi i timpani.
 
Al povero Steve scappa uno sternuto.
 
“...a...au...io...e...”
 
Seee, buonanotte, cazzo!
 
“Zitto, coglione!” gli intimo, piazzandogli l'indice sotto il naso e tappandogli la bocca. “Non mi fai sentire un cazzo...”
 
“Giusto!” Approva Tracii, aprendo un'altra volta quel maledetto boccaporto e saturando istantaneamente la cella di gas nervino “Fai meno casino, Popcorn! Svegli tutti, cazzo!”
“ P- popcorn?” fa Steve, offeso, mettendo il broncio “ho capito bene? Hai detto popcorn?”
 
RRRTTT...
 
La situazione è assurda. Surreale, Grottesca. Da Twilight Zone... sì, giusto... sembra proprio di stare dentro un episodio de Ai Confini della Realtà, cazzo...
 
“Popcorn, sì... ho detto popcorn... “ risponde Tracii, ridendo. Salta giù dal letto e, prima che io riesca a dire Amen, fionda sul letto di Steve usando la mia pancia come gradino, cazzo, e afferra il mio amico esterrefatto, tutto scompigliato dal sonno, per il ciuffo ossigenato che gli copre la fronte. “perché” domanda, strizzandomi l'occhiolino “hai qualcosa in contrario?”
Detto ciò, si accuccia sulla faccia di uno Steve che strilla e scalcia come Linda Blair ne L'Esorcista, cazzo e... niente, è un attimo.
Perdonami, Steve.
Non ho potuto farci niente, cazzo, e tu lo sai.
L'incredibile... l'indicibile... purtroppo, accade.
Davvero, Steve. Perdonami...
Senza rancore, eh?
Tracii si accuccia sulla faccia del povero Steve – che d'ora in poi, volente o dolente, sarà per sempre Popcorn - proprio mentre tutti i suoi orifizi sono spalancati dall'orrore.
 
Io mi rotolo sul pavimento lurido e pieno di scarafaggi a ridere come se fossi in acido, cazzo. Non riesco neanche a respirare, giuro... ma se sopravvivo... cazzo, amico... io... giuro che ti vendicherò, Popcorn!!!”
 
CRRRTTT-TRRR-PRRRRT...
 
L'ennesima salva di scariche copre le urla del mio amico e accompagna la terrificante zaffata silenziosa che quel buzzurro di Tracii lascia andare sulla faccia traumatizzata di Steve.
 
Poi, le parole si fanno via via sempre più chiare e comprensibili. O meglio... diciamo che afferro al volo il finale di una frase e rimetto le sillabe al loro posto come si fa in una cazzo di partita a Scarabeo. E quando, finalmente, questa sottospecie di interfono del Carbonifero Inferiore si rimette a fare ciò per cui è stato progettato, recandoci il messaggio della Direzione, cazzo, io non mi stupisco più di tanto. Quanto a Steve, poveraccio... beh, lasciamo stare. Da quando Tracii l'ha mollato lì dopo aver stracciato e fatto in mille pezzi la sua dignità, il suo ego smisurato e il suo amor proprio, fissa catatonico avanti a se' con la mascella penzoloni. Un caso pietoso, dico io. Meglio lasciarlo bollire nel suo brodo. Forse, così, un giorno, supererà lo choc e tornerà quello di prima. Ma fino ad allora...
 
Instancabile, l'interfono ricomincia daccapo:
“ Oggi è il vostro giorno fortunato!” gracida la Voce del Silenzio, palesemente indispettita.
 
Eeeeeeh?
Cosa?
 
Io rizzo le orecchie come un cazzo di segugio, cercando di coinvolgere Steve, che però non reagisce. Encefalogramma piatto.
 
“Una persona che preferisce rimanere anonima ha pagato la vostra cauzione.”
 
D'impulso, abbraccio Steve e mi spiaccico contro la sua faccia attonita e violata.
“ Siete liberi, teppe! Avete un quarto d'ora per raccogliere le vostre cose e sparire. Chiaro?” seguita la voce, mentre io mi fiondo a vestirmi e cerco di aiutare un non-collaborante Steve.
“ ... E vedete di rigare dritto! Chiaro? E adesso, già che ci siete, permettetemi di dirvi una cosa che viene dal cuore...” a questo punto, la Voce ha un calo. Poi s'interrompe. Sembra una pausa calcolata, ad effetto, come quelle di Jim Morrison durante i concerti, per testare la folla.
 
Un ringhio a centoventi cazzo di decibel scuote le fondamenta del carcere. L'interfono lo amplifica fino a produrre una serie di nuove crepe nel muro che già era messo male di suo.
 
“Andate a fare in culo, cazzo!!!”
 
“Beh” fa Tracii, dal suo angolo oscuro, puntellandosi su un gomito per sollevarsi dal piano del tavolaccio “ci si vede, raga...” stringe la mano a me e ad un non ancora del tutto presente e assai riluttante Steve, che dimostra di saper perdonare, ma anche di non aver dimenticato l'onta subita.
 
Traci scarabocchia qualcosa all'interno di una cazzo di scatola semivuota di fiammiferi semivuota e me la schiaffa nella tasca posteriore dei Levi's. Conoscevo quel posto. Era il nome di una cazzo di topaia dove suonavano heavy metal e hard rock nei pressi dello Strip.
“Mi ci trovate tutti i sabati sera” aggiunse Tracii, dando il cinque sia a me che a Steve “cioè... quando non sono al fresco... quel posto è la mia seconda casa, cazzo... beh, ragazzi... che devo dire? Chi non muore si rivede... spassatevela anche per me, cazzo! Tanto tra un paio di giorni esco anch'io...”
Ma io, sapendo perché era dentro – no, dico... furto d'auto... avete presente, amici? Come Dean Moriarty in Sulla Strada, cazzo... capito? Io non lo so, non me ne intendo... so solo che, al posto suo... io non ci avrei scommesso.
Un benefattore che aveva preferito restare anonimo aveva pagato la cauzione per me e Steve. Ma chi? Nessuno dei miei sapeva dov'ero, e Steve giurava altrettanto per i suoi. E i soldi? Seicento verdoni... no, cazzo. Per mia mamma, strafatta di bombe farmaceutiche al cloralio e Nembutal, non valevo neanche la metà della metà. E quanto a mio padre... lasciamo stare, che è meglio.
Quanto a Steve, era certo che i suoi avrebbero pagato anche venti volte quella taglia... pur di cavarselo dai coglioni. E mai, anzi! meno che mai, avrebbero sganciato un centesimo per vederselo rispedire indietro dopo mesi di pace sudata.
Insomma, era un giallo in piena regola.
E anche adesso che eravamo di nuovo a piede libero, io e Steve ci arrovellavamo il gulliver con la solita, ormai martellante domanda:
Chi cazzo l'ha pagata, quella cauzione?
Domanda che poi lasciò il posto ad un'altra non meno importante.
Perché?
 
Entrambe destinate a rimanere, almeno per il momento, senza risposta.

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Capitolo 27
*** u're in the jungle, baby! ***


Capitolo 27
 
 
 
WILLIAM BRUCE BAILEY (BILL)
You’re in the jungle, baby!
 
7-Eleven.
Oh, thank Heaven!
 
No, dico... quello stupido spot la sa, cazzo!
Attraverso la strada ed eccola lì, la mia salvezza, sotto forma di superstore. E subito ripenso a casa, alla Città dei Morti In Piedi e al supermarket di fiducia della mamma. Per non parlare di tutte le prelibatezze proibite piene di coloranti, conservanti e via dicendo che mio padre chiamava invariabilmente, secondo come gli girava, porcherie o cibo del Diavolo e che, naturalmente, per noi ragazzi venuti su come funghi velenosi sotto la sua ombra, era l'anatema. Per i trasgressori colti in flagrante, la pena era la solita. E cioè ... indovinate un po'?
Risposta esatta, amici! Il culo pieno di cinghiate da non potermici sedere per un mese, cazzo! Col cuore in gola per l'eccitazione e un lungo filo di bava manco fossi Janis, il mio cane, mi frugo in tasca alla ricerca di un po' di grana che mi spalanchi le porte automatiche di quel cazzo di paradiso pagano. Ragazzi... dopo il pasto in scatola marca Friskies, io non so voi, ma io... giuro che darei via il culo per una 7Up!
Morale a paletta e zaino a tracolla, riesumo il mio lasciapassare per la fama e il successo che, ormai ne sono certo, prima o poi verranno a bussare alla mia porta
 
Ve lo ricordate, amici, il mio riff nato sulla Interstatale 25 mentre, per la prima volta i vita mia, mi offrivo al caso, alla strada e alle sue mille possibilità?
Com'è che faceva?
No, cazzo... aspettate...
 
Take me down
to the Paradise City
 
già, la Città del Paradiso...
ebbene, amici... se esiste davvero, io la troverò, cazzo!!! E se qualcuno di voi, per caso, conoscesse la strada... beh, ragazzi... cazzo aspettate?
Portatemici subito e, già che ci siete, lasciatemi lì.
A tutto il resto, giuro, penserò io.
E' una promessa che vi faccio, capito?
Io non sono un cacciapalle. Giuro. Sono uno che sa quello che dice e che ha stoffa da vendere.
Quel farabutto di un predicatore da due soldi che non oso nemmeno nominare per non tirarmi addosso la sua sfiga e il suo fottutissimo karma negativo, me lo diceva sempre che avevo del talento, come cantante.
E come gli faceva comodo, all'energumeno in questione, manesco e piedesco con me e con i miei fratelli, la farfalla che, a parer suo, avevo in gola!!!
La stoffa c'è, mi ripeteva, ma è grezza. Va lavorata.
 
Quindi, secondo lui, quello che fa al caso mio è un cazzo di sarto di grido che ci cavi fuori qualcosa, da tutta 'sta stoffa. Perché io sono uno che non molla, cazzo. Un duro. Uno che, bene o male, farà strada. E non solo come barbone. Capito, ragazzi?
Ficcatevelo bene in testa, cazzo!!!
 
La vita di strada è dura, penso, altroché se lo è, cazzo! Mi ripeto mentre rivolto freneticamente tasche e taschini, è tentacolare... mangia o ti mangiano gli altri, cazzo... si tratta solo di stringere i denti e sopravvivere.
Ad ogni modo, dalle tasche dei jeans saltano fuori dodici bigliettoni in spiccioli. Abbastanza per essere ammesso al banchetto.
 
Dio benedica il 7-Eleven, cazzo!
 
Bene. Anzi, benissimo. Bando alle ciance, mi infilo nel megastore, che, vista l'ora, ha appena aperto. I magazzinieri che corrono avanti e indietro coi muletti sul pavimento bagnato, stanno ancora sistemando le merci quando io, come il Figliol Prodigo, mi fiondo dentro a velocità supersonica e, scavalcato il reparto orto frutta che non m'interessa, veleggio verso il reparto degli snack e delle bibite gassate. Insomma, tutta roba sana che fa tanto bene, ma a me non me ne frega un cazzo del colesterolo: ho diciassette anni e tutta la vita davanti per curarmi il fegato dai danni degli additivi.
 
Oggi, per una volta in questa cazzo di vita di merda, me la voglio godere senza pensare al domani.
 
Lo scaffale straripa letteralmente di ghiotte e perniciose tentazioni. Io me le mangio tutte cogli occhi fino a che non mi gira la testa e non so più dove guardare.
Chicken Chipotle Mini Tacos
4 packs Box for $1
 no, giuro... non ci credo...
guardo la confezione. Triangolini di mais aromatizzati al pollo arrosto... da svenire, cazzo!!!
No, dico... io non li ho mai assaggiati, ma immagino che, se devo andare all'Inferno per qualcosa, questo sia un valido motivo... e allora avanti tutta!!! Voglio lastricare di Mini Tacos la Strada dell'Eccesso e arrivare, a cavallo di una lattina 7Up alta come me, al Palazzo della Virtù di William Blake e Jim Morrison, cazzo...
Inutile dire che ne prendo 4.
Devono essere da urlo... e oltretutto, sono pure in offerta! E così fanno meno quattro sporchi bigliettoni nel mio schifosissimo budget da barbone. Me ne restano otto. Arraffo dallo scaffale e schiaffo nel carrello nell'ordine:
 
1 Cappuccino istantaneo Smuffy da $ 0.50
1 hamburger preconfezionato El Paso da $ 2.50
 
e poi cubetti di prosciutto in scatola, un tubetto di Pringles, una panna montata a spruzzo, 6 lattine di 7Up e... un pacchetto di Dots.
Mi restano due dollari... ma decido di risparmiare e metterli saggiamente da parte per i momenti peggiori e gli imprevisti della mia nuova vita di strada... non si può mai sapere che carta ti capita in mano, giusto?
 
Pago alla cassa, ricaccio tutto nel mio zaino e mi fiondo fuori alla ricerca del posto giusto per dare inizio ai festeggiamenti.
 
Alla fine ho trovato un posto stupendo: vi ricordate la scuola elementare Florence Nightingale, dove il Campione mi ha scaricato? Dio lo benedica, quell'uomo, cazzo! Ebbene, la scuola ha un cortile da urlo, con una specie di poggiolo sporgente sul retro che, a circa due metri da terra, funge egregiamente da tettoia. In più, omaggio della ditta, ad una prima perlustrazione, scopro un vecchio sacco a pelo militare di piumino con qualche strappo qua e là, ma, alla fine, neanche da buttare.
 
“Bello da Dio!!!” esclamo, lasciando scivolare a terra lo zaino pieno di ogni ben di Dio che mi stava letteralmente spaccando le reni. “Cazzo che botta di culo!!!”
 
Purtroppo, però, non faccio a tempo a finire la frase che, dall'oscurità del mio rifugio di fortuna, emergono due biglie allucinanti.
 
“You know where you are?”
 
domanda una voce catarrosa da enfisema all'ultimo stadio.
 
Io salto per aria come una cazzo di bottiglia Molotov.
 
“C-c-cazzo...”
 
“You're in the jungle, baby!”
 
ruggisce la Voce Senza Faccia, fottendomi i timpani per sempre.
 
“You're gonna diiiieeeeee!!!”
 
No, dico... rassicurante, cazzo!
Cos'è, il comitato di accoglienza?
E che cazzo...
Mi piace l'ospitalità dell'Illinois!
Grazie, S. Louis!!!
Quando sarò ricco e famoso, giuro che ricambierò, cazzo...
Capito, ragazzi?
E ti pareva che me ne andasse bene una?
 
(Lo sai dove sei?/Sei nella giungla, baby!/Tu morirai...)
 
 

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Capitolo 28
*** Mister X ***


Capitolo 28
 
 
 
JEFFREY DEAN ISBELL (JEFF)
Mister X
 
Dopo il sole a strisce, io e Steve siamo di nuovo in pista. Ed eccoci qui, seduti sul marciapiede davanti al penitenziario come due balene spiaggiate, le mani in tasca e le teste che marciano a folle, a rigirarci tra le mani un cartoncino che, al momento, di risposte da darci, ne ha ben poche. Anzi... a dire il vero, per come la vedo io, non fa che infittire il mistero... e più me lo rigiro tra le mani, e meno ci capisco.
 
Quanto a Popcorn, qui... mi sa che ci capisce ancora meno di me.
 
E, d'altronde... tra parentesi - da uno come lui, cazzo pretendiamo?
 
“E adesso?” mi domanda, tutto eccitato e nervoso, petulante come una scimmietta da venditore di almanacchi, e il bello è che il poveraccio è talmente scollegato e fuori di testa che non si accorge nemmeno che si sta accendendo una Marlboro al contrario...
no, dico io... ma ce ne vuole...
dove li fanno quelli come lui? Dove?
Io non dico niente e mi godo il suo teatrino mentre quello sbuffa e tossisce fin quasi a sputarsi i polmoni.
 
C-c-c-c cough cough cough coughhhhh...”
 
Mordendomi le guance per non ridere, gli batto sulla schiena una raffica di colpi mortali per salvargli la pellaccia.
 
“C-c-cazzo facciamo?” esala, dopo un quarto d'ora di codice rosso in cui ho seriamente temuto per la sua fottutissima, inutile vita. “Ci andiamo?”
“Boh” rispondo io, cogitabondo. “Non ho ancora deciso... magari è una trappola, cazzo ne so...”
 
Dovete sapere, amici, che il nostro enigmatico Benefattore Anonimo che ci ha pagato la schifosissima cauzione, non solo ci ha reso la libertà, ma ci ha pure lasciato il biglietto da visita di un negozio di dischi: Tower Records, sulla Lexington Ave. Un colosso nel settore. E chi non la conosce, cazzo, quella catena, presente in tutto il globo terracqueo come il pane? Basta accendere la radio. Una stazione a caso tra le più cazzute. C'è uno spot di Tower Records almeno ogni dieci di minuti. Sponsorizzano emittenti radiofoniche, happenings, concerti e mega party per le rock star. Insomma, per due poveri guitti col cervello farcito di riff omicidi ad alto numero di ottani come me e il povero, disgraziato Popcorn, qui, Tower Record è Il Negozio. Anzi, Il Mito. La Leggenda. Ho passato metà della mia permanenza qui a L.A. Col naso spiaccicato alla vetrina a far la corte ad una Les Paul bianca come le ali di un angelo custode, cazzo... che altro devo dire... sarò pure anche un principiante e un emerito coglione, ma resto pur sempre un chitarrista, cazzo... volete che non conosca Tower Record?
 
E quando volto il biglietto da visita, c'è una scritta a biro in stampatello, tracciata a pennarello rosso in un mezzo corsivo elegante e preciso come un cazzo di libro stampato:
 
 
RECUPERO CREDITI
chiedere del Direttore
Lunedì mattina ore 9.00
 
A seguire, un monogramma.
 
W.C.
 
 
No, dico... ma cazzo è, uno scherzo?
“Steve!”
“Fa' vedere!” Mi strappa di mano il biglietto da visita e si scompiscia dal ridere.
Non ci credo... il mio cuore sanguina per il nostro Ignoto Salvatore dalle patrie galere... poveraccio, che iniziali, cazzo!!! No, dico... ma anche i suoi genitori, cazzo... un po' di buonsenso!!!
Un minimo di acume tattico!!!
 
Se il vostro merdosissimo cognome comincia per C, come cazzo vi viene in mente, santa di quella madosca, di chiamare il vostro pargolo, cioè il sangue del vostro sangue, cazzo, con uno schifosissimo nome che inizia per W?
Quanto a lui, a questo incosciente Mister X... beh, francamente, amici, io, al posto suo, avrei evitato... insomma, con tutto il rispetto, eh, ma... anche l'occhio vuole la sua parte, cazzo! Ad ogni modo, per me, pur pescando a casaccio nei recessi della memoria a breve e a medio raggio, queste due lettere accostate non significano altro che, nell'immaginario e nel quotidiano, rappresentano per milioni di miei simili: una toilette. O cesso, che dir si voglia. A voi la scelta.
Insomma, inutile dire che brancoliamo nel buio.
Poi, come se già non ci fosse abbastanza carne al fuoco, c'è la faccenda del RECUPERO CREDITI.
 
Io, per dirvela tutta, amici... sarò fatto male, sarò un menagramo, tutto quello che volete, però... non ci vedo proprio niente di buono. Anzi... per me c'è sotto qualcosa di molto, molto sinistro...
 
Complice la fame e l'insonnia, ad un certo punto, il mio cervello ha deragliato completamente fino a rasentare quasi – e lo ripeto, quasi – il livello di Steve.
 
Insomma, ragazzi... in frangenti come questi, in cui sono richiesti sangue freddo e coordinazione mentale, puntualmente io mi dimostro il peggior nemico di me stesso. Come? Facendomi prendere dall'ansia e dalla mia immaginazione sfrenata. E se aggiungete al cocktail i miei attacchi di panico – ebbene sì, ragazzi... non ridete, vi prego... mi uccidereste! - e le cagate che escono a frotte dalla bocca di Steve, capite anche voi che siamo nei guai.
E mentre, per l'appunto, il nostro Steve se ne sta lì a rimuginare scemenze di proporzioni bibliche, la mia mente malata e facilmente suggestionabile da cinefilo horror partorisce uno scary movie a episodi manco fossi Rob Zombie, cazzo... roba che a confronto, Non aprite quella Porta, è una cagata pazzesca.
 
Primo episodio
titolo: KILLERS
trama: qualcuno ci aveva comprati come schiavi per fare di noi dei serial killers. La vittima designata era il Sales Director di Tower Records.
 
No, dico... ma ce lo vedete Popcorn, cazzo, con un M16 in mano, a puntare da una cazzo di finestra al ventesimo piano di un cazzo di grattacielo, su un cazzo di bersaglio mobile?
Ok, ragazzi. Come sempre avete ragione.
Questa la cestiniamo.
 
Secondo episodio
titolo: AMERICAN GIGOLO'
trama: qualcuno ci aveva comprati come schiavi sessuali per avviarci alla prostituzione e fare di noi dei gigolò. Il negozio era una copertura per un racket internazionale.
 
Ce lo vedete Steve in minigonna, reggicalze e tacchi a spillo? Con tutti quei cazzo di peli che si ritrova... lo sapete che, a suo dire, se non si rasa, gli spuntano anche sulla lingua e sulle palle degli occhi?
Ecco, appunto... quindi, l'immagine di cui sopra, se permettete, si commenta da sola...
 
Gli altri episodi, ragazzi... ve li risparmio volentieri.
Poi c'era quella cazzo di dicitura ermetica, sibillina, che poteva significare allo stesso tempo tutto e niente.
 
RECUPERO  CREDITI
Cioè... ma come, recupero crediti?  In che senso?
Incapace di districarmi da sto cazzo di ginepraio, mi rivolgo al mio amico Steve. Sì, perché, sapete com'è... a volte... una mente semplice, dai processi elementari come la sua – che, nella piramide evolutiva, si colloca a metà fra il Paramecio e l'Ameba - può vedere cose che noi umani normodotati non riusciamo a intuire. Un po' come il topino nel labirinto, che trova sempre l'uscita giusta... quella con la pappa. Capito cosa intendo?
 
“Steve, ma tu hai capito...”
 
Mi rendo conto che, riferita a lui, capito è una parola grossa... ma ormai l'ho detta...
 
“Certo!” salta su Popcorn, mettendo su un'aria professorale che, sulla sua faccia, più che ridicola, è patetica. “Ma come, Jeff... così mi deludi, amico!” puntualizza, dandomi una pacca micidiale sulla Io, pietosamente, abbozzo e non raccolgo.
“ Non hai capito? Cazzo hai in quella zucca!?”
Anche stavolta lo ignoro. Inutile dire che lui non molla.
“Ehi?” mi sfotte, facendomi toc-toc sulle tempie. “Ehi, di casaaaaaa! C'è nessuno?”
“Taglia corto” dico io, un po' offeso “e dì la tua. E' il tuo momento di gloria, amico... fossi in te, non ci sputerei sopra...”
“E' elementare, Watson!” sbraita Steve schioccando le dita. “Possibile che tu, così intelligente e istruito, cazzo, non ci sei arrivato?” Mi fissa con un'espressione soave di acuto compatimento stampata in faccia e poi mi soffia dritto negli occhi una boccata di fumo. “Quelli ci vogliono, amico! Capisci?”
 
Io lo guardo interdetto senza capire. Anzi... adesso, grazie a lui, ne so anche meno di prima...
“Ci stanno offrendo un lavoro, cazzo!” Ulula Popcorn starnazzando, col ciuffone glutinoso che s'impenna come una moto da cross. “Non capisci? Ehi, dico...” mi fa, passandomi una mano davanti agli occhi per stripparmi. “Ma ci sei o ci fai?”
Io lo guardo con le biglie sbarrate perché, cazzo, tutto ad un tratto ci sono arrivato. Ho capito. O, almeno, è quello che credo... ma decido, a scanso di equivoci, di sondare comunque il terreno...
 
“A fare cosa?”
“ Vogliono due contabili!”
 
No, cazzo. Ritiro tutto quello che ho detto. Non avevo capito... ma questo scimmione si è frullato il cervello e se l'è bevuto come un milkshake, cazzo!!!
 
“Coooosaaaaaaa?” Strillo a mezzo millimetro scarso dalla sua chioma ipertricotica. E lui, innocente come un orsacchiotto di peluche – e, a giudicare dalla matassa villosa che gli esonda dalla camicia sbottonata, almeno altrettanto irsuto - sbatte le palpebre e mi fissa con un ghigno beffardo che apre uno squarcio in quella sua cazzo di faccia da schiaffi.
Io ancora non mi capacito.
“ Cazzo dici? Due contabili? Come, due contabili?”
“Devo farti il disegno?”
Io mollo gli ormeggi e gli scoppio a ridere in faccia senza ritegno.
“Cazzo dici, Steve?”
Lui scuote la testa, mi batte qualche colpetto sulla spalla per blandirmi come si fa coi mentecatti e spara:
“Ci stanno offrendo un impiego, Jeff!” mi spiega, gesticolando animatamente in un modo che tradisce, per la prima volta da quando lo conosco, le sue lontane origini italiane. “Quelli vogliono noi!”
“E per fare che?”
Lui mi sorride con la soavità di un cherubino.
Quando fa così, vuol dire che:
 
a) gli girano le palle
b) ti sta prendendo per il culo.
 
“Ma... i ragionieri, no? Che altro?”
 
Io mi riservo qualsiasi commento. Sono senza parole. Quanto a Steve... per piacere, amici... ve lo chiedo col cuore in mano: ignoratelo.
Vi prego, fatelo per me.
Fate conto che non abbia aperto bocca...
Voialtri, invece... dite pure la vostra.
Vi ascolto.
Dopo le cazzate di Steve, sono pronto a tutto.
Avanti, sparate...
 
 

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Capitolo 29
*** in the Name of the Father ***


Capitolo 29
 
 
 
WILLIAM BRUCE BAILEY (BILL)
In the name of the Father
 
No!!!”
Vorrei gridare, ma non ho più voce.
Ti prego... ti supplico... ”
 
La mia gola secca emette un tenue pigolio da infante.
L'Uomo Nero non sente o, comunque, fa finta. Le mie suppliche silenti lo attraversano come se fosse un fantasma, ma Lui non è un fantasma. Anzi! I suoi pugni sono anche troppo concreti e reali. Ma lo sa, Lui, che male mi fa, ogni volta che mi tocca?
Lui lo sa... voglio dire... ha una cazzo di idea di quanto lo amavo?
Avrei dato la vita per lui...
La mia stupida vita, cazzo!
Per quello che vale...
 
Sotto una pioggia di colpi, crollo sul letto di mia sorella Amy e mi accartoccio per pararmi la faccia, ma come al solito, è tutto inutile. Io sono un bambino. Lui, un uomo adulto grande e grosso con due bicipiti come quelli di Braccio di Ferro. Insomma, non c'è guerra.
 
Mi tappo le orecchie.
Non voglio sentire, non voglio... magari, chissà... sentirò meno dolore... senza quel... quel cazzo di rumore...
 
“Sei un figlio del Demonio, e come tale vai trattato!”
 
Col cuore che mi scoppia, vedo le sue mani grosse e nodose come due cazzo di sequoie armeggiare con la cinta... e la lingua di cuoio nero che scivola a terra. Il clang assordante della fibbia mi squarcia i timpani. Il cuore mi martella fino a darmi la nausea...
Colpita dalla luce, la fibbia cromata mi abbaglia e mi acceca.
Mi scappa la pipì per il terrore, ma so che mi devo trattenere, cazzo. Devo stringere le cosce o sono cazzi da cagare.
Terrorizzato, cerco scampo contro il muro dipinto di rosa antico della cameretta di mia sorella.
Provo a farlo ragionare.
Per quel che serve...
 
“Cos'ho fatto di male, stavolta? Me lo dici?”
 
SLACK!!!
 
 Un oceano di dolore mi travolge. Come chi affoga, io mi sento il corpo di piombo. Ed ecco che m'inabisso. Fluttuo. Vorrei tanto gridare, ma non posso...
“Pietà, ti prego... pietà...”
SLACK!!!
 
La vescica mi scoppia.
Ad ogni frustata, rischio di perdere il controllo e di farmela sotto, con conseguenze letali.
 
“Basta! Ti prego! Bastaaaaaa!”
 
Grido e piango. Mi divincolo e tremo. Il battito del mio cuore mi strazia le orecchie.
 
Mi sta venendo un infarto, penso. Ma purtroppo so che non è così. Almeno, se ci restassi secco, penso ingoiando lacrime che bruciano come le fiamme dell'Inferno, mi lascerebbe stare...
Tento la carta della confessione.
(Ma che cos'è che ho fatto, poi? Si può sapere?)
“Perdonami, ti prego... io... ho sbagliato...”
 
Lo ammetto, ho sbagliato. E' tutta sempre e solo colpa mia. E di cosa? Boh?! E chi lo sa? Non riesco a pensare. Fluttuo senza peso in un limbo purpureo di dolore da quando quella cinghia di merda è scivolata fuori dai passanti dei suoi pantaloni.
Poi ho come un flash.
Siamo in chiesa. Nel chiarore soffuso dei ceri votivi, intravedo la navata ornata di gigli bianchi. Le candele. I canti gospel. I cori dei fedeli. L'Uomo Nero sul pulpito e, da ultima, aperta sul leggio di legno di quercia, la sua Bibbia.
Le Scritture.
I Salmi.
 Assurdo...
Tutto è così fottutamente assurdo...
 
Nella speranza che non mi ammazzi di botte, mi gioco il mio cazzo di asso nella manica.
 
“ Il Signore è il mio Pastore...” sussurro, la voce rotta dal dolore lacerante della mia carne viva esposta. La pelle si tende e si lacera. Il mio sangue gocciola sul copriletto. “Non manco di nulla...”
 
Mi affido ai Profeti e alle Scritture battendomi il petto, nella speranza di ridurre la mia pena. Inutile dire che non ci ho capito un cazzo. Le sue sono tutte scuse per picchiarmi. Quello ci gode, cazzo, a pisciarmi addosso come un maschio alfa per lasciarmi il suo marchio... il suo schifosissimo odore, cazzo! Perché lo sa che io non ho paura di Lui e del suo Dio. E sa anche che, un giorno, diventerò grande e sarò molto ma molto più forte e potente di Lui...
 
Sul momento, però, se non voglio che mi ammazzi di botte, devo genuflettermi alla sua autorità.
 
“ Per mia colpa... mia colpa... mia grandissima colpa”
 
Cosa possa aver scatenato le sue ire, questa volta, per me resta un mistero della Fede. Vale a dire un cazzo di dogma. E io, che insegno catechismo alla scuola domenicale, canto e suono il piano durante la funzione e faccio tutto, ma dico tutto quello che lui mi comanda, sono il suo cazzo di capro espiatorio. Il suo punirne uno per educarne cento. Sono io quell'uno sfigato e malcagato da reprimere a suon di botte. E va bene, come vuoi, confesso... confesso tutto quel cazzo che vuoi, bastardo, con la bocca piena di sangue e gli occhi pieni di lacrime... tutto, pur di arrestare l'incalzare sordo di quei colpi, la furia cieca di quella rabbia che mi strazia le carni. E pensare che io ti ho amato, papà... io... tu... non sai quanto... quanto un tempo ho ammirato il tuo carisma e la tua schiettezza... io... non c'è niente che non avrei fatto... per...
 
SSSSSSLAAAACKKK!!!
 
Io grido, urlo e singhiozzo in silenzio. Senza far motto. E' il mio cuore che piange, non le mie labbra.
Io... ho paura...
 
Sì, lo so. Intendiamoci... non è la prima volta che mi picchia, e non sarà nemmeno l'ultima, purtroppo. E' la sua pedagogia del cazzo. Tanto che, fino all'anno scorso, nemmeno la portavo, la cintura. Mi sentivo male solo al vederne una. Giuro, cazzo. Morivo, piuttosto che metterne una. Così, a volte mi cascavano i calzoni e tutti a scuola mi prendevano per il culo e ci piantavo delle cazzo di figure di merda da seppellirmi sotto terra. Ero diventato lo zimbello della scuola, cazzo. Ci ho fatto il callo, io, ai lividi e alle botte. Denti scheggiati, costole rotte. Culo inservibile. Sempre la solita storia. Tutti i santi fottutissimi giorni di questa mia schifosissima vita di merda. Eppure... non lo so, forse... stavolta io... io non ce la faccio più, capito? Qualcuno mi aiuti... se non me ne vado subito da qui... sento che muoio.
“Papà, ti prego, ascoltami...”
“Vade retro...”
 
SOCK!!!
“...Satana!”
 
Un rivolo di sangue mi schizza dalla bocca e finisce sul copriletto di Biancaneve di Amy. Chi ha avuto la peggio è la Strega. Ben gli sta, a quella troia... la sua tunica nera è uguale sputata a quella di Lui...
 
Ma... cazzo ho? Sto impazzendo? Io... non lo so, non lo so cosa mi sta succedendo... non riesco più a staccare gli occhi dal mio sangue...
 
“ Chiedi perdono al Signore Dio tuo! Bastardo!”
 
SLACK!
 
“Basta! Basta! Pietà! Io... non lo faccio più, giuro...”
“ Non giurare! Non giurare, bastardo!...”
SLACK!
 
“Poiché non sei neppure capace di far diventare nero uno solo dei tuoi schifosissimi capelli carota!”
 
“Padre, pietà...”
 
SLACK!
 
Cristo, pietà...”
 
SLACK!
 
“ Signore... pietà...
SLACK!
 
“Nessuna pietà!”
SLACK!
 
“Peccatore...”
 
(non devo piangere-non devo piangere-non devo piangere-non devo piangere-non devo piangere-non devo piangere-non devo piangere-non devo piangere...)
 
Poi, l'indicibile, accade.
 
Una vasta chiazza di urina m'inonda il pigiama e si allarga sul povero copriletto di Biancaneve.
Sotto di me, la Strega ghignante sul picco, tra fulmini e saette, con la mela avvelenata tra le grinfie, sembra un inno al trionfo del Male.
Inutile dire che, nella mia vergogna, lo vedo come un presagio. Attorno al cappuccio nero e appuntito, adesso, per causa mia e della mia povera prostata ancora in boccio, ha un'aureola giallognola da santa.
Lui... Lei...
basta, io... non ci capisco più niente, cazzo...
 
“Brutto porco schifoso che non sei altro!” sbraita la Strega di Biancaneve, inferocita, mangiandomi la faccia. “Guarda cos'hai fatto! Bastardo!”
 SLACK!
SLACK!
SLACK!
 
La Vecchia si china su di me e mi costringe a dare un morso alla mela avvelenata e la stanza si mette a girare all'impazzata. Poi tutto diventa buio.
 
Dio... se solo sapesse... ma Lui non lo sa e non lo saprà mai.
Io, però, lo so e ci sto male. Male da morire.
Papà... perché non lo capisci?
Io...
 
SLACK!
 
... volevo soltanto...
 
SLACK!
 
... il bacio della buonanotte...
 
 
All'improvviso, un getto caldo su una coscia mi strappa alle tenebre disperdendo gli ultimi filacci evanescenti del mio incubo.
“Ma vaffanculo...”
Un randagio dall'aspetto alquanto vissuto e sinistro deve avermi preso per il suo cazzo di pisciatoio.
Ma dico io, e che cazzo...
 
“Ma... quanto ho dormito?”
Il mio cervello ancora annebbiato dal sonno fa un rapido riassunto delle puntate precedenti.
Rivedo il Campione. Il suo sorriso aperto e sincero. Il mio arrivo a St. Louis, stremato, alle prime luci dell'alba. La scuola intitolata a Florence Nightingale e alle sue cazzo di Suffragette. Il Rifugio Segreto sotto il terrazzo. Il sacco a pelo del tossico. Il suo cazzo di plaid lacero e devastato. Il mio zaino pieno di viveri.
 
Cazzo, mi ricordo che ho pensato, esaminando quella coperta, se il sonno tarda a venire, posso sempre contare tutti i fili dell'ordito al posto delle pecore.
Poi vedo noi due – io e il tossico - che contrattiamo. Lui vuole un sacchetto di patatine, io il suo cazzo di plaid. Così, a dispetto del suo discutibile benvenuto, patteggiamo a reciproco vantaggio.
 
You Know where you are?
You're in the jungle, baby...
you're gonna dieeee
 
Bella lì, amico! Quella frase è una bomba, cazzo.
Ci viene fuori un riff coi controcazzi, bello! Solo per questo, meriti il mio rispetto. Lo sai? Io, un giorno o l'altro ci tiro fuori una canzone che spaccherà il mondo!
 
Ad ogni modo, anche lui, qui, il tossico, in fin dei conti, è un cagnone che abbaia ma non morde e, nonostante i modi discutibili, mi ha lasciato dormire sul cartone che fa da tappeto sotto al suo sacco a pelo. E durante il sonno, riecco quell'incubo, cazzo... Meglio non pensarci, cazzo, se no' finisce che sto male. Comunque mi sono agitato... l'ho sicuramente disturbato, e chissà, forse questo tizio marcio qui, invece di riempirmi di botte come avrebbero fatto altri, mi ha persino coperto. Ho ancora il plaid sulle spalle... me l'ha venduto in cambio di un sacchetto di nachos aromatizzate in salsa ranchera.
Poveraccio anche lui... chissà da quanto non mette qualcosa di decente sotto i denti... e mentre io me ne sto lì come un idiota, gli occhi ancora incrostati di sonno e la bocca impastata, quello che fa?
“Io...” mi dice, legandosi il braccio con una bandana bisunta, “spero che tu sia uno fico...”
Io, spiazzato, deglutisco rumorosamente.
Faccio due conti. Sono nel suo covo. Indosso la sua coperta. Lui è un balordo scafato e io soltanto un pivello. E infine, lui è molto più adulto e più grosso di me. Quindi, non c'è guerra. Mi tocca. E, da bravo, annuisco con la testa e gli confermo che sono fico e che so il fatto mio. Poi gli lancio un'occhiata da faina che dice
 
I might be a little young
but honey I ain't naive
 
(Sarò anche troppo giovane/ma non sono un pivello)
 
Il tizio schizza in aria un getto di veleno colore del tè con un ghigno sdentato e si ficca l'ago in vena senza tante cerimonie e chi s'è visto s'è visto.
Io lo fisso con gli occhi fuori della testa.
E' il primo tossico che vedo farsi, dopotutto!
E poi l'ho pagato caro, io, il diritto di guardare!
Due dollari! Due fottutissimi cazzo di dollari!!!
E quello si fa in vena tutto beato davanti a un moccioso come me. Ma roba da matti, cazzo! E dopo, quando la droga gli è entrata in circolo, estrae la siringa e... ommadonnaaaaa!!!
E adesso... che cazzo fa?
No, giuro... non ci credo...
Preme lo stantuffo, mi schiaccia l'occhio sano – ho dimenticato di dire che è guercio, cazzo – e... schizza il sangue rimasto nella siringa dappertutto.
E mentre, seduto sul cartone, sorseggio il mio Cappuccino Istantaneo Smuffy, uno schizzo vagabondo finisce sul mio plaid che io, adesso... sinceramente, cazzo, ragazzi...non sono più tanto sicuro di volere.
Dopo la parentesi del tossico, comincio a sentirmi male. Le mie ferite si riaprono e si mettono a sanguinare.
“Era solo un sogno” mi ripeto, scostandomi dalla fronte sudata una lunga ciocca appiccicosa color carota. “Un incubo. Un dannatissimo cazzo di incubo”.
 
Ma so che ormai è troppo tardi. Il sogno, anzi, l'incubo, ha spalancato una porta che doveva rimanere chiusa. Avete presente lo Stanzino Segreto di Barbablu? Ecco... ci siamo capiti.
 
Sto male. Malissimo. Male da impazzire, cazzo. E so che il mio male, come quello di questo tizio sfasciato, qui, che adesso plana tutto beato nel suo personalissimo Paradiso Oppiaceo, ha un'unica cura:
il sangue.
Come in quel verso di Jim Morrison.
 
Blood on the rise
it's following me
 
(Sangue che sale/che mi segue)
 
so che non c'è altro modo per stare bene di nuovo.
E non fate quelle facce scandalizzate, amici... prendete il fattone, qui. A ognuno la sua medicina. Giusto? A lui L'eroina. A me... le Scritture.
Sì, sì... avete capito.
E non sfottete, cazzo, se no' vi spacco i denti davanti, chiaro?
 
Cioè... non vorrei, ma devo. Non ho scelta, cazzo.
Devo farlo. Volente o dolente.
I demoni che l'incubo ha risvegliato hanno sete di sangue. Del mio sangue.
 
Con le dita che mi tremano, stacco la lametta da barba che porto appesa all'orecchio sinistro a mo' di pendente in omaggio a Johnny Rotten dei Sex Pistols.
 
Sollevo la felpa dei Motorheads e metto a nudo la mia pelle raggrinzita dal freddo. Il vento pungente della sera mi sferza il petto nudo.
 
La lametta evoca dai remoti recessi di un passato che ritorna lettere incerte. Lettere aguzze che grondano sangue. Lettere come pistole. Parole cruente che colpiscono e condannano, estratte dal guscio vuoto della mia cazzo di carne a brandelli.
Brucia come il fuoco, la lama del perdono, ma scongiura la cancrena dei ricordi. Il supplizio della carne, sana le piaghe dell'anima.
Sono io la Bibbia Vivente. Io. Il Verbo fatto carne.
 
ONORA IL PADRE
 
cita la mia pancia, tra i solchi delle costole e i piccoli tagli superficiali lasciati dai tentativi andati a vuoto.
 
NON AVRAI ALTRO DIO
ALL'INFUORI DI ME

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Capitolo 30
*** The Warriors ***


Capitolo 30
 
 
 
STEVEN COLETTI (POPCORN)
The Warriors
 
“Allora, signor...ehm, Co-co-coooooletti, giusto?”
 
Giusto, frocio, mi viene voglia di rispondergli, e togliti quell'aria schifata dalla boccuccia, razza di pallone gonfiato, o ti sgonfio io... ti puzza la salute?
E tutto il resto.
 
Gli snocciolerei volentieri su quella faccia da checca isterica tutto quel che penso di lui, magari aiutandomi con le battute dei mitici Warriors, cazzo, I Guerrieri della Notte, il mio film ultramega preferito, cazzo, ma la prudenza – che di solito non è il mio forte – mi consiglia di tacere.
Dopotutto, io, nella mia vita, di colloqui di lavoro ne ho fatti una cifra e, cazzo... lo saprò come devo comportarmi, no?
Voi che ne dite, amici? Vi fidate del buon vecchio impareggiabile Steve? Io sono un mago a intortare la gente facendo il finto tonto, sapete? Mi riesce così bene... ho un talento naturale.
Seeeeee, come no... sfottete... sfottete pure... tanto ride bene chi ride ultimo...
 
Dicevo, io sono un mago coi colloqui di lavoro. Oddio... beh, forse, la parola mago è un filino esagerata, occhei, ma... sì, insomma... cos'è che stavo dicendo? Merda... mi sono incartato, cazzo.
E va bene, lo ammetto. E' vero che, causa la sfiga – che non è vero che è cieca! Quella ci vede benissimo, cazzo! E quando sceglie, è per sempre! - i miei colloqui di lavoro... sono andati quasi tutti a puttane. E' vero. Cazzo ci devo fare? In passato è andata com'è andata, ma sono sicuro com'è vero che di vero nome faccio Coletti, cazzo, che oggi, 17 febbraio 1979, grazie a questo generoso – e credo anche danaroso – Mr W.C. (Ma chi è, cazzo? Il comico? W.C. Fields?) la mia vita subirà una drastica svolta.
 
Stavolta non sono solo. Ho un asso nella manica, cazzo. E il mio asso si chiama appunto W.C. E non è una toilette ma un ricco magnate. O almeno lo penso io. E' così che lo vedo: uno spietato avvoltoio della finanza che si è fatto da solo e si è comprato mezzo mondo, ha novantasette anni e non ha eredi. E quindi ha messo gli occhi, Dio sa come, su di me e Jeff. Tower Records è solo il trampolino, cazzo. La rampa di lancio. Saliremo fino ai vertici della catena elementare... oooops, merda. Si dice alimentare. Diventeremo anche noi squali della finanza... miliardari senza scrupoli sciupamodelle di professione...
 
Maracaibo...
splendida regina...
rum e cocaina...
 
cazzo, ragazzi... mi pare già di vederci, me e Jeff, in giacca e cravatta. Anzi, no... meglio un bel chiodo tutto di pelle umana con le borchie d'oro e tanta bella polverina bianca scacciapensieri per il morale...
 No, dico... ci pensate? Io e Jeff...
Una coppia d' Assi, cazzo!
 
Così, in attesa che si compia il mio straordinario destino, cerco di uscire tutto intero da questo cazzo di colloquio. Tanto per cominciare, mi limito a sfoderare il mio irresistibile sorriso Durban's che, con le pollastre, è la mia arma letale.
 
No, dico... non so se mi spiego. Le stende tutte peggio di una M16. Chissà, magari funziona anche con le checche. Perché questo lo è, garantito. Cento per cento, cazzo. Lo vedo da come tiene in mano quella sua cazzo di sigaretta col bocchino lungo due metri come quello di Rita Hayworth in Gilda, cazzo. E da come sbatte quelle cazzo di ciglia finte che si ritrova, 'sto chiodo secco curvo e gobbo che sembra un cazzo di fungo velenoso...
 
Il mio sorriso, dicevo. Funzionerà? E che ne so, io! Vale la pena provare, no? Ma non capite male, amici: lo faccio solo per questioni professionali. Visto che, per restare in tema – darei via il culo per lavorare qui, anche come pulisci-cessi, cazzo...
 
“Giusto” rispondo, a denti stretti.
L'altro dimena il culo ossuto sulla poltrona di pelle nera modello De Luxe e schiaccia il mozzicone della sua cazzo di sigaretta al mentolo – che tra un po' soffoco, cazzo... io lo odio, il mentolo! E' roba da froci, il cazzo di mentolo, cazzo! E infatti... - nel posacenere di Murano a forma di chitarra elettrica. Un bell'oggettino, giuro. Se lo vede Jeff va giù di testa... ci scommetto il culo che glielo fotte, cazzo...
 
“Signor Coletti” esclama la checca, sprofondando nella sua poltrona imbottita - mentre io mi sfondo il deretano su 'sto cazzo di sgabello di plexiglas trasparente che sarà anche di design, ma è uno strumento di tortura triturapalle che mi sta facendo venire le emorroidi, cazzo! - “Com'è venuto a conoscenza del nostro annuncio?”
Altro sorrisone a trentadue denti, anche se mi sa che io ne ho almeno trentaquattro.
(Che domanda del cazzo, amico...)
 
“Ecco, guardi” aggiungo, cavandomi di tasca il famigerato cartoncino di Tower Records con su le (imbarazzanti) (assurde) (ridicolissime) iniziali del nostro famigerato Salvatore Senza Nome. “Mi manda questo signore.”
La checca si sporge attraverso il tavolo dal piano di cristallo fumè e, con mani fresche fresche di manicure afferra il cartoncino del mistero. Ha le unghie smaltate di nero, da dandy del Rock. Da fashion-victim. Non mi sorprende, anzi. Lo trovo giusto. In fondo, dico io, questo è un negozio di dischi, cazzo, e l'occhio vuole la sua parte. Quindi, questa gliela abbuono. Quello che, invece, non passa, è la sua faccia mielestrazio da culorotto.
 
“Benissimo, Signor Coletti” trilla questa sottospecie di groupie differenziata alzandosi in piedi e porgendomi la granfia inanellata “la prego di scusarmi e di aspettarmi un momento di là. Devo fare una telefonata e devo sentire anche un'altra persona. Le chiedo cortesemente una mezzora. La richiamerò io, ok?”
“Ma...” ribatto io. Poi mi mordo la lingua. Non mi ha neanche chiesto se ho esperienza nel settore... cosa so fare... quanti anni ho, insomma... non mi ha chiesto un cazzo!!!
“Non si preoccupi, signor Coletti” cinguetta 'sta bagascia invertita “ci vorrà solo un momento... le faremo sapere!”
E mentre mi avvio in sala di attesa, a raggiungere Jeff, sento che tocca a lui.
“Jeffrey Dean Isbell!” annuncia la checca, rubandosi il mio amico. Si chiudono di là e io tendo l'orecchio.
In culo alla balena, amico!
Vorrei potergli dare un po' della mia classe, al buon vecchio Jeff, ma purtroppo non posso. E lui ha tanta classe come Bon Scott degli AC/DC. Lo stesso, cazzo. Però gli voglio bene, a Jeff.
Tendo l'orecchio. Origliare è un'arte, ragazzi! E io, modestamente, sono un artista... anche perché, cazzo, c'è in gioco il mio futuro.
 La mia vita da miliardario. La mia carriera. Insomma... tutto.
 
Cazzo si dicono?
Ti prego, amico... ti prego-ti prego-ti prego-ti prego... non mandare tutto in vacca...
 
Merda, non sento un cazzo.
Cioè... sento le voci, ma non distinguo le parole.
Forza, Jeff!!!
Fagli vedere chi sei, a quella specie di Johnny Thunders finocchio con le unghie smaltate!!!
Io ho lasciato il segno, cazzo!
Gli ho spaccato il culo, a quel frocio, col mio sorriso da marpione strappamutande!
 
Avanti, Isbell! Metticela tutta, cazzo!!! La mia vita è nelle tue mani, fratello! Capito? Devi spaccare...
 
In fondo, è un gioco da ragazzi... io ti ho già spianato la strada, amico. Tu devi soltanto crederci, amico... e non sparare cazzate. Tutto qui. Non è chiedere troppo, no? Soprattutto per un cervellino fino istruito come te...
 
Quello... anzi, quella... è pazza di me... giuro!
 
Credimi, Isbell! Venderebbe sua madre, se glielo chiedessi... Non ci credi? Domandaglielo!
 Diglielo, cazzo!
Diglielo un po', che sei mio amico...
 
 

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Capitolo 31
*** Brown Sugar ***


Capitolo 31
 
 
 
WILLIAM BRUCE BAILEY (BILL)
Brown Sugar
St. Louis, Missouri.
Perché mi fai questo, St. Louis?
 
Questo posto mi deprime senza un perché. So solo che, per quel niente che ho visto di questa città, mi sta sul cazzo. Così, a pelle.
E' come una specie di sesto senso, capite? Con quel Bastardo che non oso nominare, parlare di queste cose era proibito. Tabù. Ma io lo so che esistono, i presagi. E credo che il mio incubo, questo tuffo nel passato che ho fatto stanotte, voglia dirmi qualcosa... qualcosa che ha a che fare con Lafayette. La mia infanzia. Non lo so... però lo sento fortissimo. Strano, vero? E forse è per questo che odio questa città che nemmeno conosco. E' ingiusto, ma non so cosa cazzo farci. Mi vengono i brividi se penso a stanotte, ma è successo. I tagli. Il sangue. La Bibbia Vivente... grazie, St. Louis, cazzo.
Grazie, eh?
Ti odierò a morte finché avrò vita. Giuro. E forse, un giorno... se potrò, io... in qualche modo – non so ancora come né quando, ma mi vendicherò.
Ho fatto una cazzata, amici.
No... non è come credete voi. Dimenticateli, i versetti della Bibbia incisi sulla mia pelle con la mia stessa linfa vitale. Quella è un'altra cosa, non c'entra niente con quanto sto per confessarvi. Io... semplicemente... lo faccio ogni tanto. Ho bisogno di tagliarmi, e di specchiarmi nel profondo rosso del mio stesso sangue, per tornare pulito. Tutto qui. Lo so che a dirlo sembra strano, ma è così. Lui... qualche volta ritorna. Come in quel libro di Stephen King che mi ha costretto a bruciare nel camino, cazzo.
 
A VOLTE RITORNANO
 
(Purtroppo!)
Ecco, per me è lo stesso.
 
Lavami Signore da ogni mia colpa
purificami da ogni mio peccato
 
Ma non è di questo che voglio discutere con voi, amici. Questi, dopotutto, senza offesa, sono cazzi miei. Il guaio è che, stavolta... io... credo di aver esagerato. Cioè... avete presente quando vi accorgete di trovarvi ad un crocevia della vostra vita? Ecco. Io mi sono trovato ad un bivio. La retta via era tagliata.
 
Da una parte c'era la mia vita di prima.
William Bruce Bailey detto Bill. Sensibile, fragile marmocchio di campagna un po' ribelle tirato su a Vangelo, torta di mele della nonna e cinghiate nel culo. Un piccolo Figliol Prodigo che sognava ad occhi aperti una vita spericolata come Steve McQueen.
Dall'altra, il mio futuro.
Un futuro nebuloso a tinte forti in cui non c'era più posto per il tenero virgulto di Lafayette che rispondeva al nome di William Bruce Bailey. Sulle sue ceneri, come una fenice, spuntava l'astro nascente di Axl Rose. Una rock star. Un duro, cazzo. Un rullo compressore. Uno che schiacciava tutto e tutti rimuovendo a pugni e calci tutti gli ostacoli sulla lunga strada della celebrità. W. Axl Rose, per l'esattezza. Non ho voglia di buttar via quella W, anche perché, alla fine della fiera, le mie iniziali riflettono quello che mi frulla in testa e che ho nell'animo:
 
W.A.R.
 
(Guerra)
 
E io sono un fottutissimo guerriero, cazzo. Un Warrior. Ho dichiarato guerra al Falso Profeta, che predicava miele e razzolava nella merda. Alla Città dei Morti in Piedi. Alla sua cazzo di dottrina fatta ad personam che lui si divertiva a distorcere come secondo il suo personalissimo tornaconto. Alla legge. All'ordine costituito. E persino a me stesso e alle cazzate che mi hanno ficcato a botte nella testa. A quello che ero e che – salvo scivoloni come quello di stanotte, peraltro già archiviato - non voglio mai più essere. Prendere questo mondo di merda fatto di bagasce, di papponi e di ruffiani e scuoterlo dalle fondamenta. Provocare uno tsunami, un'onda d'urto di proporzioni bibliche - tanto per restare in tema. Roba che, a paragone, il Big One è una cagata pazzesca.
 
Voglio fottere il mondo, ciucciarlo e sputarlo come hanno fatto i Sex Pistols, cazzo!
 
I Pistols miei e di Jeff. Ce l'ho ancora qui con me, al sicuro in una tasca interna dello zaino, la cassetta che quel matto mi ha regalato per il mio compleanno. Anarchy in the U.K. è diventata il mio Vangelo. Il mio portafortuna.
 
Oh, Jeff... quanto mi manchi, cazzone... se solo tu fossi qui... darei via il culo per averti, giuro!
E guarda che non sto scherzando...
 
Comunque, resta il fatto che stavolta l'ho davvero fatta grossa. Cioè... non sto cercando scuse né dicendo che rimpiango di aver fatto quello che ho fatto. Tutt'altro.
Vedi, Jeff...
non dico che se tu fossi stato con me non l'avrei fatta, 'sta cazzata. Tutt'altro, fratello! Noi... tutt'al più, l'avremmo fatta insieme. Ci saremmo fatti forza a vicenda. Ne avevamo parlato a lungo, ricordi?
Dicono che si soffre e si gode in solitudine, ma non è vero.
Dovevo aspettare te, Jeff. Farlo insieme a te. Sarebbe stato stupendo, lo so. Ma purtroppo, le cose sono andate diversamente. Io... che cazzo, amico... semplicemente, non ho resistito. Tu sei laggiù a folleggiare nella Città degli Angeli Perduti ed io... io sono qui. Impantanato in questo buco di culo puzzolente a pensare a te e alla tua nuova vita in California, e a tirarmi il mazzo per raggiungerti prima dell'età pensionabile.
Amici, stanotte io e quel tossico da strada, in verità... in verità, vi dico, abbiamo condiviso molto di più di un cartone e di uno squallido sacco a pelo. Sissignore, cazzo!!!
Non solo abbiamo fatto ciò che avremmo dovuto fare io e Jeff. Noi... siamo andati oltre.
Un po' troppo oltre.
Merda.
Io... sono così confuso... lo so, ho sbagliato.
Ho tradito il mio migliore amico e il patto di sangue che avevamo fatto... e, nel fare ciò, ho coinvolto un elemento estraneo. Che però, alla fine della fiera, è parte integrante di noi e del nostro passato...
Basta. Giuro. Non ci sto capendo più un cazzo.
Mi scoppia la testa...
 
Mi viene in mente Jack Lemmon in Prigioniero della Seconda Strada,  cazzo. Quando dice a sua moglie io sto sparendo, Edna.
Anch'io sto sparendo, sapete?
Io non esisto, cazzo.
Il mio corpo inutile è imprigionato nella roccia calcarea come i profili dei Presidenti a Mount Rushmore.
La mia mente volatile è fatta della stessa sostanza dell'etere e io, in questo momento, dalla mia postazione sdraiata sotto quel cazzo di plaid puzzolente, la immagino come un gabbiano in volo, alto sul mare.
No, aspettate...
Io... io...
No, cazzo...
No... non posso dirlo.
Non è sano dire certe cose... figuriamoci provarle.
 
IO...
MI STO SCIOGLIENDO NELL'ETERE...
 
IO...
SONO VAPORE ACQUEO...
 Come cantava Jim Morrison
 
Tutto è in frantumi
e danza
Povero me... che botta, cazzo!
E' spaventoso, ma è bellissimo... fino ad oggi, anzi... a stanotte, io... non lo sapevo che la bellezza può essere terribile...
E sì che ero stato avvertito, cazzo! il mio amico, qui, me l'aveva detto che picchiava duro, questa merda!
 
Vediamo se riesco a fare un po' di chiarezza in quello che resta della mia navicella Apollo 11, cazzo, in orbita attorno alla Terra in una missione di prova. A distanza di ore dal decollo, ragazzi... la mia centralina sta ancora salendo in verticale. E se vi state chiedendo cosa mi è successo... beh, non posso darvi torto, cazzo!
Alzheimer giovanile galoppante?
Trip dell'orrore sniffando i miei calzini bagnati?
Ritentate. Sarete più fortunati! Ma prima che vi facciate strane idee, sarà meglio che vi racconti tutto dal principio. Riordinare un po' le idee mi farà bene. Vediamo un po'... il guaio è che non so da dove cominciare... quindi, facciamo una cosa. OK?
Che ne dite? Sarà banale, ma... forse, data la situazione, mi conviene cominciare dal principio.
 
In principio era il caos. Cioè, St. Louis.
La Scuola Elementare Florence Nightingale. Dio l'abbia in gloria, cazzo! Lei e le sue suffragette. Chiusa parentesi. Teatro del mio incontro col Primo Vero Tossicodipendente da Eroina in Carne ed Ossa – ma soprattutto ossa – della mia fottutissima vita.
Cazzo, ragazzi... lui... era giovane. Molto giovane. Forse addirittura minorenne, come me, ma l'infanzia che ancora languiva nei suoi tratti guardinghi e tirati gli si era come... prosciugata di dosso prime che le sue ossa di uomo si plasmassero. Sì, insomma... roba del genere e sguanate varie, come direbbe l' Alex De Large di Arancia Meccanica, che è uno dei miei idoli. Che, tradotto, significa che sembrava un cazzo di zombie.
Quindi, ricapitolando: da un lato c'è lui col suo dolore e la sua dipendenza. Dall'altro io, coi miei incubi, il sangue e i tagli.
Quello che finora vi ho taciuto, ragazzi, è che io, questo tipo qua fatto, l'avevo già visto e rivisto un sacco di volte.
E dove - direte voi? Nell'unica città in cui, per i primi, merdosissimi diciassette anni della mia lurida vita, ero stato incubato (leggete INCULATO):
Lafayette, Indiana.
Buco del culo del Globo Terracqueo a.k.a. Città dei Morti in Piedi e delle Facce di Merda.
 
Avete capito, adesso, ragazzi?
Ecco che si spiegava il mio presagio...
Eccolo qui, cazzo, il mio ritorno al passato... rifugiandomi sotto quel balcone, avevo timbrato un biglietto di sola andata per la Città d'Inferno... Ok?
 
Il mondo è piccolo, cazzo. Fottutamente piccolo. E nello stesso istante in cui io e questa specie di Angelo Caduto, qui, ci siamo messi a contrattare per il suo plaid in cambio delle chips in salsa ranchera, ci siamo riconosciuti.
Cioè... ad essere sincero, è stato lui che ha riconosciuto me. Perché io, che non lo vedevo da più di un anno, quando aveva lasciato la scuola ed era scappato di casa, così ridotto, sfasciato e coi capelli lunghi fino a metà schiena, sporchi lerci e appiccicati sulla faccia costellata di croste e di brufoli, non lo avrei mai e poi mai riconosciuto. E, soprattutto, non mi sarebbe mai passato per la testa di fare quello che, invece, poi ho effettivamente fatto.
La mia ragione, in quel momento, era tagliata fuori. Dicono che sia proprio così che Lei... che quella roba ti frega, cazzo. Io non capivo più un cazzo di niente. Tutto quello che sapevo, era che ero arrivato ad un punto di svolta. La vita mi chiedeva un grande cambiamento. Ero pronto per affrontarlo?
 
Non lo so, ragazzi. Non lo so nemmeno adesso che ho saltato il fosso, per così dire. E, se volete che ve la dica tutta, siete liberi di pensarla come volete, ma la verità è una sola: mi andava di farlo e l'ho fatto.
Punto e basta, cazzo.
Non è così complicato.
E poi... io so controllarmi molto bene.
Non ci diventerò mai, come lui.
Io un progetto. Una cazzo di mission impossible da compiere. Ed è questo che fa la differenza tra me e lui, cazzo. Lui non ce l'ha, uno scopo che lo tiene in vita. Io sì. I suoi sogni, quelli che ancora gli restano, sono idrosolubili. Un laccio. Una boccetta di acido ascorbico. Un cazzo di limone bianco e verde di muffa. Un cucchiaio annerito. E poi Lei.
Come in quel cazzo di riff dannato degli Stones.
 
(Brown Sugar)
why you are so good
 
Questa è la differenza tra me e questo sfortunato pellegrino sulla strada della Perdizione, cazzo.
Io ho un sogno.
Lui non più.
Ecco perché, ragazzi... state tranquilli, davvero. Giuro.
Ho soltanto voluto provare una volta... tutto qui.
E ho lasciato che, una volta soltanto, i sogni di quest'anima persa si fondessero coi miei. Forse, chissà. Speravo di potergli infondere, per osmosi, la mia grande passione per il Rock e la mia atroce, graffiante, cruenta voglia di vivere appieno ogni attimo della vita.
Di questa vita. Quella che mi sono scelto. Non quella che ho lasciato. E che – ne sono certo – mi porterà lontano.
 
Ho solo voluto dar retta a Jim Morrison:
 
Volevo solo vedere i confini della Realtà.
Tutto qui: solo curiosità
 
Potete credermi, amici.
Vi do la mia parola d'onore.
Mano sul cuore, cazzo.
Io non lo diventerò mai, uno zombie.
Giuro.
Non mi credete?
Peggio per voi.
Io dico sempre la verità. Ricordate? E' il mio motto, cazzo. Sempre. Anche quando mento.
 
“Cazzo!” mi fa il mio primo Tossico con la T maiuscola, deglutendo rumorosamente “ma tu sei...” e poi sento che sputa fuori quel nome. Il mio nome. “William Bailey, cazzo... il figlio del prete!”
No, dico... vi lascio immaginare come mi sono sentito quando quello che, fino a quel momento, per me, era un perfetto estraneo – almeno così credevo – non solo ha fatto il mio nome, ma l'ha pure tirato in ballo l'Innominabile.
 
Come dire, io quella feccia non me la scrollo più di dosso da qui all'eternità, cazzo!
 
Stordito e col cuore a paletta, gli ho stretto la mano. La sua bocca si è aperta in un sorriso mentre scrollava via dalla faccia emaciata le lunghe ciocche di capelli castano chiaro.
“Non mi riconosci?”
 
Nella sua voce arrochita dal fumo e dai postumi di una bronchite rimediata vivendo per strada e dormendo dove capita, ho colto una punta di autocommiserazione.
“Conciato come sono, non ti do torto...”
Le sue unghie sono tutte incrostate di sporco. E tutto ad un tratto, ho avuto come un flash, cazzo. Sempre per restare in tema, cazzo!
Il suo viso chiazzato di adesso sfuma in quello pulito di allora. Il suo nome è la conferma decisiva che ho visto giusto. E questo mi dà una fortissima sensazione fisica, cazzo. Come una botta di droga pesante direttamente in vena. Un po' come se una parte del mio corpo l'avesse già scovato ancora prima della mia mente, quel cazzo di nome, nell'archivio top-secret con l'etichetta
 
LAFAYETTE
(kiss my ass)
 
Fuori, intanto, la notte svanisce nell'alito fresco dell'alba. Dietro la linea dell'orizzonte, laggiù oltre la città e le colline, un sole enorme, gonfio e sanguinante, si mangia la luna e le ultime stelle. Ad un tratto, un raggio rosso magenta s'infiltra come un ladro nel nostro covo.
 
Credete ai presagi?
“Io sono Shannon.”
La sua mano umidiccia che scotta di febbre.
“Lo so, amico”
 
L'emozione mi tronca la voce.
 
Lui è rimasto a fissarmi per un lungo, penosissimo istante. Poi è scoppiato in lacrime.
 
Inutile dire che qui, una scena terribilmente mielestrazio, non ce la leva nessuno.
 
Fuori i fazzoletti, belli!!!
L'alba ci ha visti l'uno nelle braccia dell'altro, cazzo. Tutti e due a frignare come dei mocciosi.
Solo allora ho avuto la forza e il coraggio di ripetere il suo nome. Un nome dolce... proprio come il miele.
 
“Shannon Hoon.”

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Capitolo 32
*** A killer blast ***


Capitolo 32
 
 
 
JEFFREY DEAN ISBELL (JEFF)
A killer blast
 
Che pacchia, amici!!! Ieri ho imparato una cosa: che la vita può anche essere un letto di rose, cazzo. E magari, se ti dice bene, senza spine che ti bucano il culo!
 
Dunque, ragazzi... che macello abbiamo fatto, io e Steve!!!
Coi colloqui, dico... avreste dovuto esserci, cazzo!!! Non per tirarmela, ma io e Popcorn siamo dei giusti! E sono certo come la morte che Tower Records – che d'ora in poi, per comodità, chiamerò semplicemente TR - nei suoi quasi vent'anni di storia, non abbia mai visto niente del genere. Mai e poi mai, cazzo!!!
 
Scusate, ma... sono successe talmente tante cose in un giorno che, invece di ventiquattr'ore da sto cazzo di colloquio, mi sembra già trascorsa una settimana intera... no, giuro! Non mi raccapezzo più... e più ci rifletto su e più il mistero di quest'improvvisa botta di culo si infittisce... no, dico... perché io?
Guardo Popcorn, che si sta trapanando il naso senza pudore per poi pulirsi le dita sui miei fottutissimi jeans...
 
“Ehi, Steve! Cazzooooo!!!”
La domanda mi sorge spontanea.
Alzo gli occhi soffitto.
O lo ammazzo... o me lo tengo così com'è.
 
Perché LUI?
 
Chiusa parentesi. E' che adesso la storia si fa interessante, amici miei! Potete dirlo forte, cazzo!!! Interessante è dir poco! Sarebbe come dire che Diana Ross ha due belle gambe... da questo punto in poi, la nostra storia, mia e di questo pazzo sbiellato che risponde (quando ne ha voglia) al nome fittizio di Popcorn, diventa una faccenda fottutamente ROCK, per citare il buon vecchio Popcorn, qui. Il quale - tanto per dirne una - dopo aver raso al suolo le unghie delle mani fino alla seconda falange, si sta annoiando a morte e rotea lo sguardo a destra e a manca in cerca di una preda. Per non parlare della cacca di cane che quel coglione ha pestato sul marciapiede proprio davanti all'ingresso del megastore! No, dico... non aiuta per niente. Anzi! Tra quella e il Funghetto Magico Deofresh alla Magnolia, la sala d'attesa è una camera a gas. A questo punto, gente... lasciatemelo dire, cazzo... per come la vedo io, mancano solo i nazisti e chi s'è visto s'è visto!
 
Quindi - col vostro permesso - caliamo un velo pietoso su Steve... ok? E veniamo a noi. Vi prego, non cagatelo... fatelo per me! Siate gentili, non lo guardate... non dategli spago, o... credetemi, è peggio per voi!!!
E va bene...
(come non detto...)
 
Ad ogni modo, terminate le interviste – che bella parola, cazzo... interviste... no, dico... uno come me, nella mia posizione, di una parola così si potrebbe anche innamorare... – ci lasciano appesi a un filo a stagionare per un po' in sala d'attesa come i salami che siamo. Io e la bertuccia, qui, che adesso si sta spidocchiando...
“Basta!”
Gli fermo quella cazzo di mano che sta seminando forfora ai quattro venti. Niente. Mi guarda stupito. Ridacchia e continua. Ok, ragazzi. Ho capito... scusate un attimo... quando ci vuole ci vuole, cazzo!!!
Faccio le veci di sua nonna – che lui peraltro adora – e gli mollo uno scappellotto tra capo e collo.
 
“E piantala, Steve! E che cazzo! Un po' di rispetto!!! Buzzurro-cafone e troglodita che non sei altro!!!”
 
E lui? Lui, niente. Nisba. In tutta la sua flemma, si limita ad usare le armi che ha. Cioè, mi trapassa con quegli occhioni cerulei da cucciolo-senza famiglia-in-cerca-di-affetto che, alla fine, mi fregano sempre.
 
Ad ogni modo, l'ho offeso abbastanza da tenerlo fermo in stand-by per un buon quarto d'ora.
 
Dunque... dopo diecimila anni di spasmodica attesa, io e questo mentecatto, qui (in realtà, ha i suoi pregi, anche se li nasconde bene... ma mi raccomando: non diteglielo, che l'ho scoperto, se no' sono rovinato...) veniamo introdotti in pompa magna nell'ufficio del Mega Direttore Galattico.
 
Il nostro destino ci attende in un superattico dove mi sa che l'unica cosa che manca, a occhio e croce, è una cazzo di jacuzzi. No, dico... non so se mi spiego.
Io e Steve sostiamo davanti alla scrivania del Grande Capo come due poveri cristi appena defunti davanti al tribunale di San Pietro. In piedi, sull'attenti, rigidi come se avessimo un manico di scopa su per il culo, ci guardiamo attorno a bocca spalancata.
 
Dunque, ragazzi... quelli di voi che credono che poltrone in pelle umana e piante di ficus simbolo del potere siano leggende metropolitane, cazzo... non sono mai stati nell'ufficio del Grande Capo. Che tipo, gente!!! Se ve lo dico non ci credete... avete presente Toro Seduto? Ecco! Ficcatelo nella macchina del tempo di Ritorno al Futuro et... voilà!!! Il Mega Direttore è servito. Niente male, eh? No, dico... sembra un mezzosangue Sioux o qualcosa del genere. Ma lasciate che ve lo descriva, cazzo... dunque, vediamo. Pelle ambrata. Zigomi alti e marcati. Naso aquilino. Occhi incassati in orbite buie – che, secondo Popcorn, non promettono niente di buono. Codino nero. Orecchino con una piuma rossa come pendente. Texani di pitone con speroni troppo ridicoli. favoriti e baffo a galleria alla Lemmy dei Motorheads. Purtroppo però non si chiama Lemmy Kilmister. Il suo nome, quello vero, è inciso su una targhetta di plastica nera sul bavero della sua giacca di renna frangiata rubata a Walker Texas Ranger.
 
DANIEL J. “RED CROW” LIVINGSTON
Tower Records Executive Manager
 
Red Crow, cioè Corvo Rosso.
No, dico... non ho parole, cazzo.
Ma cos'è, uno scherzo?
Io e Steve ci scrutiamo in silenzio per un istante lungo un giorno e, saggiamente, decidiamo di tacere.
Dietro la testa dell'Indiano, massiccia come quella di un bufalo, le pareti dell'ufficio sono letteralmente tappezzate di posters di miti e leggende di oggi, ieri e domani. Poi, come se non bastasse, ci sono dischi d'oro, argento e platino dovunque. Impressionante. Giuro. E mentre si riaccendono i miei sogni di gloria, cerco d'immaginarmi lo stipendio da paura che porta a casa questo tizio qui mezzo Sioux, mezzo Cheyenne o Ronnie James Dio sa cosa, alla fine del mese, cazzo.
 
Dunque, esauriti i convenevoli, il nostro Toro Seduto, qui, ci indica con un cenno della grossa testa quadrata due terrificanti poltrone-sacco di vernice nera lucida, di quelle che, quando ti siedi, ci sprofondi dentro fino al collo e non ti tira più fuori neanche Gesù, cazzo...
Basta.
Inutile dire che, nel sedersi, quel salame da cotta di Steve, finisce per terra lungo e disteso a leccare il pavimento tirato a cera.
Non ho parole.
Caliamo un velo, va', che è meglio.
Vi supplico...abbiate pietà!
 
Lo sguardo glaciale di Toro Seduto ci inchioda al suolo con disprezzo.
 
Alla fine, esaurito l'imbarazzante Teatrino dell'Assurdo di Steve, l'erculeo Pellerossa si sporge attraverso la scrivania con un gelido sorriso di circostanza che raggelerebbe anche la Valle della Morte il Quattro Luglio, cazzo.
 
Tanto che Steve, povera bestia – non appena riguadagnata la stazione eretta – mi bolla col gomito.
 
Poco educatamente, si fionda sul mio orecchio e mi fa: “non fare cazzate, Jeffrey, e l'abbiamo in pugno!”
 
E al Grande Toro Seduto, sillabando il nome scritto sull'etichetta come un alunno di prima elementare, cos'è che gli va a dire, dopo mezz'ora di cazzate a nastro, quel macaco del mio socio?
Indovinate un po'...
 
“Co-r-vo Ros-so...” pausa ad effetto. Come quelle dei Doors. “Non avrai il mio scalpo.”
 

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Capitolo 33
*** Dancing with Mr. Brownstone ***


Capitolo 33
 
 
 
SHANNON HOON (SHAME)
Dancing with Mr. Brownstone
 
Questo tipo qui è un fenomeno, cazzo.
 
Il figlio del prete... giuro. Non lo credevo così tosto, davvero, mi ha stupito. E' uno con le palle, un ragazzo a posto. Uno che sa ancora sognare ad occhi aperti anche quando la vita ti tira addosso badilate di sterco e scollarsi di dosso tutto il letame con una risata, cazzo! Lo ammiro. Ha del fegato. E io, nelle mie condizioni, di uno così, ne ho bisogno come di questa merda annacquata che mi sparo nelle vene per pura e semplice sopravvivenza urbana.
 
Non ci credete?
 
Provateci voi a farvi sei, dico sei bei mesi filati di vita stradaiola allo sbaraglio senza sapere dove sbattere la testa, a scervellarvi per trovare il modo di evitare di finire in pasto al prossimo per la dura legge delle giungla! Vedrete che musica!
La strada sarà anche vita, cazzo, ma io a momenti ci lascio la ghirba. L'ho pagata cara, la libertà! Ve lo dico io... si impara a vivere non dico come animali, cazzo, ma peggio delle bestie! Soldi uguale potere. Niente soldi uguale fame, sete e inculate a nastro. Va a finire che, per necessità, ci sono diventato pure io una bestia, capace di vendere sua madre o sua sorella per uno schifosissimo quartino di ero sporca come le mie cazzo di mutande!!!
Ma lui... lui ha cambiato tutto.
 
Voglio dire... quello che abbiamo condiviso ci ha legati per sempre. Lo so io e lo sa anche lui. Abbiamo trascorso la notte svegli a parlare, dopo. Di me. Di come mi sono fatto incastrare nel racket dei Paradisi Artificiali e di come, alla fine, sono finito qui in questo cazzo di cortile a vomitare l'anima e a fottermi i neuroni come Sid e Nancy al Chelsea Hotel. Del mio viaggio della speranza finito in questo posto in culo ai lupi, a farmela con gente della peggior specie che la speranza non sa neanche dove sta di casa. Di come, ad un certo punto, ho capito che, semplicemente, non avevo le palle per andare avanti e, tanto meno, per tornare indietro. Così, quella che, semplicemente, doveva essere solo una tappa del mio viaggio, è diventata il capolinea.
 
“Shane” mi ha domandato a un tratto, quando ormai, tra noi, s'era creato un buon feeling genuino che non aveva niente a che vedere con lo sballo. “Com' è che sei finito in questo stronzo di posto?”
Domanda da un milione di dollari.
Cazzo potevo rispondergli? Ditemi voi...
“Come ci sono finito?”
Io, sinceramente, ci ho pensato su un bel po' in silenzio, ma non mi è venuto niente che potesse anche solo lontanamente somigliare ad una cazzo di risposta sensata. Così ho buttato lì l'unico straccio di verità che ancora mi restava.
“Ci credi se ti dico che non lo so nemmeno io?”
 
L'unica cosa che sapevo fin troppo bene, con una chiarezza allucinante, è che avevo bisogno di farmi.
 
Mi tremavano le mani e cominciavo a sudare freddo e a vedere doppio, quando lui mi ha offerto una lattina di Dr Pepper.
Cazzo... ci credete se vi dico che mi ha commosso? Era da quando ero alto così, cazzo, che non bevevo quell'intruglio per bambini... così ho accostato le labbra speranzoso alla lattina.
Lui... era me com'ero prima.
Prima di perdere l'innocenza.
Prima che la strada mi sporcasse l'anima.
 
Ragazzi... non esagero, giuro... è stato come tornare in braccio a mia madre, cazzo... e gli occhi mi si sono riempiti di lacrime... a momenti ci piantavo una figura di merda da paura...
 
Ve l'immaginate? Un tossico da strada. Un fattone scafato e coriaceo che frigna come una donnetta davanti ad una cazzo di Dr Pepper pure sgasata?
 
Così, per darmi un contegno, ho cavato fuori dal chiodo le paglie e i miei arnesi da eroinomane, tanto per mettere i puntini sulle i, cazzo, preparandomi a mettermi in orbita.
 
Alla vista dei miei ciaffi da bucomane, il mio vecchio e al tempo stesso nuovo amico ha trasalito come se l'avessi schiaffeggiato e, in preda al timor panico, ha fatto un balzo indietro.
 
“Ehi” ho mugugnato, un po' offeso ”tranquil, amico non ti mordo mica...”
Lui non ha aperto bocca. Niente. Neanche una porca parola.
“Ehi, bello... dì qualcosa...”
 
Niente.
Sembrava perso in una dimensione separata.
Sguardo fisso. Aria assente. Irrigidito nella sua posizione a gambe incrociate su quel fottutissimo cartone tutto bagnato...
E' questo che fa la gente come me a quelli come lui. Li traumatizziamo. Vedere noi che ci facciamo è un faccia a faccia con la morte.
 
“Stai bene?”
 
Il suo viso da elfo era per metà in ombra.
Avete presente
 
The Dark side of the moon
 
vero fratelli?
Ecco. Forse allora potrete capire come mi sentivo. Lacerato tra la fregola di farmi e la vergogna di mostrare le mie catene a quello che, per me, in quel momento, era un intruso nei miei vizi segreti. Ad ogni modo, si è ripreso abbastanza presto dal suo stato catatonico, al punto che ha insistito per guardare mentre affondavo l'ago e mi inabissavo nel nulla e nel mai.
Soltanto dopo abbiamo cominciato a parlare.
Di me. Di Lui. Di noi. Dei miei sogni finiti in vacca da qualche parte, sulla lunga strada della libertà e dei suoi progetti per un futuro migliore tutto da scrivere.
 
Alla fine, oltre ovviamente alla passione per il rock - dal punk inglese al metal più grezzo – passando per Sex Pistols, Ramones, Nazareth, Queen, Ac/Dc, Alice Cooper, Doors e via dicendo – abbiamo scoperto di avere una meta comune: la Città degli Angeli. E mi ha riacceso in fondo al cuore un piccolo barlume di speranza, cazzo!
 
Ditemi voi... chi se lo sarebbe aspettato che la salvezza sarebbe venuta dal passato dopo mesi e mesi di coma vegetativo? Chi? Io no di certo... stamattina, quando è sbucato fuori dal nulla coi suoi capelli rossi, il cappellino da baseball di traverso e lo zaino in spalla, stavo fin pensando di spararmi il buco dell'addio e mandare tutto a puttane... ed ecco che... puff! Entra in scena questo ragazzino qui, uscito da un film in bianco e nero, e... non lo so... come ve lo devo dire?
Dentro di me, qualcosa che si era... inceppato... ha ripreso a funzionare. Qualcosa che credevo morto, è tornato a vivere, cazzo... e all'improvviso avevo una maledetta, fottutissima schifa di ragione per guardare in faccia un'altra fottutissima alba...
 
Questo ragazzo venuto dall'inferno di Lafayette sognando la Città delle Luci mi ha regalato un sogno da sognare... anzi, no... forse è più corretto dire che al momento, vista la situazione, me ne ha semplicemente prestato uno dei suoi.
“Ok, amico... ci sto, cazzo!!!”
“Qua la zampa, bello!!!”
E poi lui mi chiede di provare.
Ho capito cosa vuole fare. Un feedback. Ci scambiamo sogni, speranze e aspirazioni insieme a questa merda che mi sta ammazzando.
Sta facendo la più grande cazzata della sua vita a spararsela in vena, ma forse è l'unico modo.
E dopo che siamo diventati davvero fratelli, gridiamo insieme a squarciagola
 
LOS ANGELEEEEES!!! ASPETTACI, CAZZOOO!!! ARRIVIAMOOOOOOOOOOOO!!!”
 
Ci voglio provare, cazzo! Cos'ho da perdere? Dovessi schiattare per la strada, la mia morte darà un senso alla mia fottutissima vita. Altrimenti... sarà stato tutto inutile.
 
Non so come farò a procurarmi la mia linfa vitale e soprattutto se ci riuscirò, ma per un sogno sono disposto a rischiare. A parte gli scherzi... quella di stasera era l'ultima... merda.
Se lo sapevo prima, col cazzo che glielo davo, lo schizzetto, a Bailey!!! Lui non lo sa, ma forse il suo arrivo mi ha davvero salvato la vita.
Se continuo così... io...
...sento che muoio.
 
 
 
 

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Capitolo 34
*** sex bomb ***


Capitolo 34
 
 
 
JEFFREY DEAN ISBELL (BILL)
Sex bomb
 
Dio esiste!!!
 
No, dico... io e quel pazzo demente di Steve, qui, ne abbiamo le prove!
Non ci credete, amici?
Dio esiste e ci A-M-A!!! Lo giuro su Ronnie James, cazzo! Aprite bene le orecchie, belli, perché adesso sgancio la bomba H, cazzo: io e Popcorn, qui, siamo stati toccati dalla Grazia di Dio. E per Dio, intendo il nostro cazzutissimo virtuoso Ronnie James.
Ma che dico... toccati?
Di più... di più... di più!!!
Noi siamo stati... miracolati!!!
 
Se avete un attimo, vi spiego com'è andata. Dunque... tanto per cominciare, incredibile ma vero: ci hanno assunti.
No, dico... ma ci pensate, ragazzi?
Quella faccia di culo di Popcorn, qui, asserisce che il merito è tutto suo. Cento per cento, dice. Quello è senza pudore, credete a me. Si vanta di aver rotto il ghiaccio con Mr Red Crow Livingston, il Grande Capo – che per noi resta Corvo Rosso- e di aver fatto breccia nel suo cuore di Sioux conquistandolo con il suo... con il suo acume tattico. No, dico... ma ci pensate, gente?
Fate uno sforzo, vi prego... lo so che vi chiedo l'impossibile, ma... se riuscite ad accostare la biffa mielestrazio di Popcorn – e il suo cervellino bacato da scolopendra oligofrenica a queste due paroline accoppiate così a sproposito... ebbene, amici... allora i casi sono due: o siete dei mostri, oppure... lasciatevelo dire... siete molto peggio di lui.
 
Acume tattico... no, ma ci pensate?
Quello è un caso patologico, cazzo! Io ci rinuncio. Se Ste è tatticamente acuto, io sono Pippi Calzelunghe. O il Tenente Colombo, a scelta. Per me, quel ragazzo è incurabile. E cosa si fa con gli incurabili? Si sopporta e si spera in un miracolo. Quanto a me, la mente di Steve mi appare come un insondabile abisso di demenza. E il fatto che ci sia qualcuno che ne apprezza frizzi e lazzi... mi lascia profondamente turbato.
 
Vedete, ragazzi... avete presente la battutaccia penosa con cui Steve ha posto fine al colloquio col Gran Capo? La citazione assurda su Corvo Rosso... ecco, bene. Fossi stato in lui – cioè nel nostro superiore, figlio del Popolo degli Uomini – di fronte ad una cagata del genere, sarei saltato dritto in piedi e, con scatto felino e abile mossa, brandendo arco e frecce, avrei mirato in mezzo agli occhi del temerario e scoccato un dardo al curaro senza far motto. Io. E quello, invece, cos'è che fa?
Batte sulla spalla di quell'altro povero coglione, qui., e si mette a ragliare come un somaro. No, dico... avete presente? Dio li fa e poi li accoppia, cazzo... io osservo la scena scandalizzato.
Bella roba, i Sioux del giorno d'oggi!!!
Non ci sono più gli Indiani di una volta, cazzo!!!
E mentre mi crolla un mito assoluto della fanciullezza, e quella sottospecie di Pellerossa schioda il copricapo di piume di Toro Seduto per ornarne la permanente assurda di Steve, io inghiotto a vuoto e mi limito a interrogarmi in silenzio.
 
Sarà il fascino della demenza? O quella sua faccia da schiaffi impenitente? Il sorriso da Tenera Canaglia rubato a un cazzo di telefilm degli anni Trenta , o un'inspiegabile... imperscrutabile... ineguagliabile BOTTA DI CULO?
 
No, dico. Acume tattico.
(Ma... avete presente?)
Se Popcorn è tatticamente acuto, io sono come minimo Albert Einstein o Napoleone Bonaparte, cazzo. E scusate la modestia, ma me le tira proprio fuori, quel mentecatto! Il quale, a quanto pare, è in buona compagnia... perché, se è vero che simile chiama simile... mi sa che il Gran Capo, qui, quanto a cellule grigie, è messo maluccio anche lui... quindi, ancora una volta, mi rivolgo a voi, amici e confidenti metallari, per una causa persa in partenza: quantificare la scemenza di Popcorn. Chi ci riesce... vince quella stramaledetta Les Paul acustica bianca fiammante che il mio collega del reparto Chitarre, qui, ha appena esposto in vetrina - e per la quale sento che potrei vendere mia madre, mio padre e mia nonna. Paghi due, prendi tre.
 
Ad ogni modo, sia come sia, eccoci qui, io e Steve, con la nostra brava e fottutissima spilletta di TR a forma di chitarra orgogliosamente appuntata sulla E del logo Tower Records, a dispensare sorrisi da smascellarsi alla cazzo di fauna protetta che pascola nel raggio di azione del megastore. Vale a dire, ragazzini squattrinati della serie guardare-e-non -toccare. Musicisti coi controcoglioni. Rock star prossime venture. Sicofanti. Casinari. Tossici. Per non parlare delle fighe, gente. Groupies da stupro. Troiette. Mignotte. Di tutto di più. Accessibili e cabrio. Insomma, cazzo... la corte dei miracoli dello sballo ai nostri piedi, amici miei... il che – se permettete – per due come noi non è poco. Sempre meglio della cazzo di Pizzeria del Vibrione, no? Voi che ne dite, amici? Vi tira?
No, dico... che figata!!!
Io e Steve, qui - entrambi senza speranza in fatto di donne degne di questo nome, cazzo – siamo stati catapultati in un cazzo di sogno ad occhi aperti. Avete presente? Più o meno è come se avessimo trovato la lampada di Aladino... non so se mi spiego. TR qui nella Città degli Angeli è il centro del sistema solare. Il nocciolo della questione. Insomma... è dove tutto succede. Chiaro? E io e questo sbiellato cotonato, qui, siamo al centro del centro. Nel cuore del cuore. Insomma... fate un po' voi... non so se mi spiego.
 
Oddio... sinceramente, per me, il massimo dei massimi sarebbe stato essere assegnato al reparto Strumenti Musicali. Beato fra le Chitarre... ma ve l'immaginate, cazzo? Io ci vivo e ci muoio per la mia chitarra, cazzo... è la mia bambina, chiaro? Mia madre, mia moglie, la mia migliore amica e la mia cazzo di amante... però capisco che, nella vita, non si può avere tutto subito, così ho dovuto accontentarmi. E, come si dice... chi s'accontenta gode. Nel senso più letterale del termine, amici.
Già, perché... indovinate un po' a che reparto ci hanno assegnati, summo cum gaudio di quell'erotomane pazzo scatenato di Popcorn detto Steve? Non ci arrivate, eh? Troppo difficile, vero?
Allora ve lo dico io:
TATTARADAAAAAAAAAAAAAAAA!!!
 Squillino le trombe.
Rullino i tamburi...
  al Videodrome!!!
 
Cioè il videostore di TR.
Un buco di culo grande come un fazzoletto riservato alla vendita e al noleggio di videocassette VHS.
E... - direte giustamente voi – che tipo di videocassette?
INDOVINATE UN PO'...
 
No, dico... al primo giro didattico del reparto, Steve ha strabuzzato gli occhi e cominciato a schiumare dalla bocca. Quindi, al grido di guerra di:
 
“LIBIDINEEEEEEEEEEEEEEEEEE!!!”
 si è avventato su di una VHS particolarmente sconcia del genere ANIMAL.
Poi è stato colto da delirio e convulsioni.
Hanno dovuto sedarlo, cazzo!!!
Ok, il Videodrome non sarà esattamente il mio Reparto Chitarre, ma lasciatemelo dire: il povero vecchio Steve, stavolta, ha ragione: io e lui come gestori di un video noleggio a luci rosse... è una figata pazzesca!!! Una botta di culo da star male, cazzo!
“Se sono morto, non svegliatemi!”
continua a ripetere assurdamente Steve.
“Se sto dormendo... ammazzatemi!”
puntualizzo io.
“Così non mi sveglierò mai più.”
 
E' chiaro il concetto?
 
Inutile dire che il mio socio, qui, abbiamo ritrovato la Fede in Dio (anche detto Ronnie James).
 Purtroppo, però... ho una brutta notizia per voi: il nostro povero Popcorn non ha retto all'emozione.
Da ieri versa in condizioni pietose.
Avete mai visto un orango del Borneo in calore?
Ecco... Steve è messo più o meno così.
Soffre tanto, sapete? Povera bestia... non lo riconoscerebbe nemmeno sua madre, se lo vedesse in questo stato... perché, vedete... se prima era messo maluccio di suo, adesso è ridotto ai minimi termini.
 
Parliamoci chiaro.
Lo Steve del Videodrome è una specie di Morto Vivente del Sesso.
Un onnivoro zombie decerebrato sovraccarico di testosterone.
Un malato terminale che necessita di cure palliative.
 
I sintomi sono allarmanti:
 
-esoftalmo ultimo stadio
(bulbi oculari iniettati di sangue proiettati completamente fuori delle orbite)
 
-lingua a penzoloni a livello dei genitali.
-locomozione sulla propria bava
(anche detta Sindrome della Limaccia - o lumaca senza guscio)
 
-encefalogramma NULLO.
-stato catatonico fino al COMA LIBIDICO.
 
Cosa volete che vi dica, ragazzi?
 
Viste le condizioni del paziente, al momento, i medici, si riservano la prognosi.
 
 

 

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Capitolo 35
*** cold Turkey ***


Capitolo 35
 
 
 
WILLIAM BRUCE BAILEY (BILL)
Cold Turkey
 
Milwaukee sfila via come in sogno dal finestrino sfumando in una squallida periferia.
 
La superstrada, sotto di noi e davanti a noi, è un tappeto volante da mangiare come un cazzo di sandwich al burro di arachidi.
 
Merda, ragazzi! Questa canna di maria è uno sballo da paura!!!
 Ed io mi mangio la strada e lascio che tutto accada così come deve accadere. Col culo in caldo, la strada diventa tua amica. E mentre vi parlo, due ruote motrici coi controcoglioni mi portano dritto in bocca al mio sogno.
 
Io me la godo tutta. Nei minimi dettagli. Guardo tutto.
Le casette borghesi coi giardini ben curati, le auto parcheggiate davanti ai supermercati, le pompe di benzina, i campi coltivati dove ancora non è nato niente e poi più in là le ciminiere delle industrie che sfamano le nubi temporalesche con i loro fumi tossici. Il tutto mentre anch'io e Shannon, qui – ribattezzato Shame perché, sotto la ruvida scorza del fattone, è un timidone da paura – ci bombiamo a palla pure noi di fumi tossici e scivoliamo in una spessa coltre di sogni...
Che figata spaziale, ragazzi!!!
No, dico... se lo racconto in giro, quel che ci è successo, non ci crede nessuno...
So solo che mi sembra di essere De Quincey in uno dei Paradisi Artificiali di Memorie di un Oppiomane.
 
Avanziamo come in sogno nella lattea coltre dell'alba. Milwaukee. La città di Happy Days, cazzo.
 
Avete presente?
 
Giorni Felici. Ricky lo sfigato e Fonzie il super fico. Fonzie è stato il mio primo fottutissimo idolo, cazzo!!! Lui è rock 'n roll e sesso a nastro, cazzo!!! L'idolo del mio migliore amico Jeff, pazzo per le Harley e i giubbotti di pelle nera. Però devo dire che poi, crescendo, ho preferito Howard. Il padre di Ricky. Franco, dolce e protettivo. Sincero e cucciolone. Mi piaceva immaginarmi un padre di quel tipo, e me ne sono costruito uno a sua immagine e somiglianza. Vale a dire, l'esatto opposto di quello strrrrr... - cazzo, ragazzi! Ne caccerei un sacco! - del mio padre putativo Predica Miele e Razzola nella Merda.
 
Fanculo, cazzo. Quel che conta è che io e Shame abbiamo schiodato da quella specie di hotel terminal dei Senza Speranze e siamo di nuovo in strada.
Allora, volete sapere com'è andata?
Semplicissimo: una botta di culo stratosferica.
perché, non ce la meritiamo?
Io e Shame, qui – il mio amico Shannon, il quale, poveraccio, sta parecchio maluccio – siamo spiaggiati come due cazzo di capodogli col mal di mare al vecchio distributore Shell, seduti con le palle ciondoloni accanto alle pompe di benzina, quando ecco che... puff! Dal nulla cosmico di St. Louis spuntano fuori queste due specie di cyberfighe, qui, tutte abbigliate all'ultima moda tossica, che, a me e Shame, solo a lumarle, cazzo, schizzano fuori i bulbi oculari dalle orbite.
Le passere in questione vengono a noi sulla scia di una specie di Rocky Picture Show mobile ricavata da uno di quei minivan della Volkswagen di quelli di moda tra i Figli dei Fiori qualche anno fa. Avete presente? Di solito erano arancioni, mentre questo qui è stato tutto dipinto di nero e di viola addobbo funebre e quindi, per come la vedo io, di hippy non ha proprio un bel Cristo di niente. Anzi... è una specie di incubo su ruote. Cazzo, mi piace. Lo adoro. Mi fa impazzire. Ne voglio uno così, cazzo.
Lo voglio-lo voglio-lo voglio-lo voglio!
E' così che voglio girare il mondo e andare incontro alla vita, cazzo! Un minivan come questo, tutto addobbato con vedove nere di peluche, ragnatele pensili e un sacco di orpelli sadomaso di tutti i tipi e per tutti i gusti... no, dico... lasciatemelo dire, cazzo: che pacchia, amici!!!
Esiste nente di più strafottutissimamente ROCK di questo dannato furgone?
 
Dunque, dicevo.
Io e Shame, dopo parecchi tentativi infruttuosi fatti col pollice alzato di schiodare dalla miseria di St. Louis andati a puttane, siamo arenati con la schiena contro la pompa del carburante Diesel del distributore davanti alla Florence Nightingale School a piangere sul latte versato mentre ecco che, proveniente dall'oltretomba, la Rocky Horror Mobile si avvicina.
Lascio Shame a lamentarsi e a contorcersi come un'anguilla sul marciapiede e scatto in piedi davanti a lui, col chiaro intento di celare le pietose condizioni del mio socio alla vista degli occupanti del minivan che – io non lo so ancora – ma, come vi ho già anticipato, sono due strafighe da paura. Poi, in un magico istante che ricorderò finché avrò vita, la portiera del posto di guida si apre e scende questa specie di fata del male o di diavolessa da sballo che sembra la fotocopia sputata di Nancy Spungen, cazzo – per chi non lo sapesse, la bella di Sid Vicious.
Io cerco di nascondere Shame che, a rota come un tacchino, sta vomitando l'anima sulla pozza nera della sua stessa ombra. Per fortuna, la ragazza non si guarda troppo in giro e quanto a Shame – la cui lunghissima chioma ciondolante bacia l'asfalto e lambisce pericolosamente la pozza di vomito -  noto con sollievo che non lo caga di striscio.
Cazzo, Shame! Che schifo fai!
Meglio così. Almeno abbiamo una speranza. Se mi chiede di lui, che cos'ha e roba del genere, dirò semplicemente che sta covando una brutta influenza. Tutto qui. Figuratevi, amici!
Questo qui sta a rota bestiale, cazzo. Sulla scimmia. Sul tacchino. Sul gancio. Come cazzo volete voi. La sostanza è sempre quella: Shame è in crisi d'astinenza da eroina e, poveraccio, non solo adesso sta da cani, ma tra un po' starà anche peggio, quindi... se voglio lasciare questo buco di culo di città sul pulmino esagerato di queste due fighe, devo giocare d'astuzia. Dopotutto io gli ho fatto una promessa, a Shame, e ho intenzione di mantenerla, cazzo. Lo so che non sarà facile. Non c'è mai stato niente di facile, nella mia vita, ed io sono uno che ama le sfide. E poi... io, Shame non lo mollo. Non adesso che sta male e ha bisogno del mio aiuto, cazzo. Io gli ho dato un sogno da sognare. Dipende da me, adesso. Se lo mollo lo uccido.
 
Shannon Hoon, 15 anni. Nato a Lafayette Buco del Culo city, Indiana.
 
No, dico... sarà anche un tossico di strada, non dico di no, ma è una fetta del mio passato remoto. Tossico o non tossico, non me ne frega un cazzo. Non voglio che lui muoia... punto e basta.
 
Ragion per cui, valuto rapidamente la situazione ed elaboro al lampo i dati in mio possesso. La banca dati del mio cervello lavora febbrilmente.
Chiamo a raccolta tutto il mio coraggio – o la mia faccia di culo, secondo i punti di vista – mi avvicino alla tipa e le chiedo un passaggio per il Paradiso, anzi no... per l'inferno, vista l'atmosfera che aleggia sul suo mezzo di locomozione.
Inutile dire che lei mi squadra da capo a piedi.
“Dove andate, bambini?” cinguetta la sua voce flautata.
Merda, dico io. Ha visto Shame.
Però... magari non gliene frega un cazzo.
E, vista la canna che le pende indifferente di sbieco tra le labbra lucide come specchi del colore del sangue rappreso, grossa come una fottutissima carota, non mi sembra una che si formalizza troppo con le cazzo di apparenze.
Lancio un'occhiata a Shame, che si è un po' ricomposto e se ne sta lì ciondolante ad aspettare, seduto sul suo marciapiede, abbracciandosi le caviglie e celando il viso emaciato tra le ginocchia e gli faccio il pollice alzato.
 
La tipa punk scende, caccia un paio di banconote spiegazzate provenienti dall'incavo color latte tra le sue bocce da urlo e, non appena - dopo un paio di madonne – la pompa entra in funzione, bagna la gola al vecchio macinino.
 
“Andiamo a Los Angeles, bambola” rispondo, mentre uno stoico Shame, malfermo sulle gambe ma risoluto, mi raggiunge abbracciandosi le spalle. Trema e suda. Suda e trema. Cazzo, speriamo bene, dico tra me e me cacciandomi in bocca una Luckie di traverso alla James Dean. Non l'avessi mai fatto... cazzo, ragazzi!!! Accendo la miccia col mio vecchio zippo e per poco non finiamo tutti quanti – io, Shame, Nancy e la sua stronza di socia (nel senso buono del termine) che sembra Elvira la Vampira – scaraventati sulla luna del cazzo.
 
“No, dico” mi fa “ma sei scemo?”
 
Però si vede che si è divertita, che la tragedia sfiorata l'ha eccitata di brutto. E del resto, dico io, da come si veste e dal mezzo su cui va in giro, non ho il minimo dubbio che il pericolo sia il suo mestiere. Dietro le ciglia finte lunghe come la fame, le sue biglie nere come la pece bistrate a morte come quelle di Cleopatra mandano lampi di gioia.
 
“Ma guarda che combinazione!”
Risponde garrula, salendo al posto di guida e girando la chiave nel quadro. Si sporge dal finestrino e mi tende una mano coperta di pelle nera. Indossa quei guanti senza dita pieni di borchie che portano i punk.
 “Io sono Savannah. Anche noi stiamo andando a Los Angeles!” Squittisce. La sua voce è sfatta dall'erba e Dio solo sa da cos'altro. So solo che ho tutta l'intenzione di scoprirlo, cazzo! Come in un sogno, ci fa segno di salire. Inutile dire che io e Shame non ci facciamo pregare.
L'anima mia magnifica il Signore, mi ripeto, mentre in una scena al rallentatore, io e Shame saliamo a bordo del minivan.
 
La tipa mi passa la canna.
 
“Andiamo a Los Angeles” biascica, gasata a palla. “Vero, Adrianna?”
 
 

 

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Capitolo 36
*** Steven's List ***








ATTENZIONE
IL PRESENTE CAPITOLO PUO' ESSERE LETALE
NUOCE GRAVEMENTE ALLA SALUTE




Capitolo 36
 
 
 
JEFFREY DEAN ISBELL (JEFF)
Steven’s list
 
Accidenti a Steve... quello lì se non mi mette nei guai non sta bene, cazzo!!! No, dico... quello una ne pensa e cento ne fa... volete sapere l'ultima, amici? Tenetevi forte... stavolta quel pazzo scatenato ha davvero superato se stesso...
Tanto per cominciare, l'idea iniziale è stata, manco a dirlo, la sua.
Premetto che il Grande Capo Toro Seduto era in ferie e, di conseguenza, la possibilità di essere sorpresi a cazzeggiare con i videotape a luci rosse invece di compilare l'inventario del reparto, era un'eventualità assai remota. Inoltre, nella sua complessità divisa in generi, sottogeneri e anni di produzione, Video Record era per noi una specie di isola del tesoro tutta da esplorare. Una terra vergine che io – ma soprattutto il buon Popcorn, erotomane da neuro di quelli per i quali tutto fa brodo e basta che respirino – intendevamo conquistare piantandovi la nostra bandiera.
Quindi, ricapitolando: via il gatto, i topi ballano. E io e Steve, qui, assieme ad un manipolo di colleghi compiacenti del vicino padiglione Tower Classic abbiamo dato la stura ai nostri più biechi istinti e alle nostre più recondite e inconfessabili pulsioni.
“Ehi, man” mi ha detto a bruciapelo il mio compare frugandosi in tasca “ho qui un bel centone di bella maria che mi va a puttane... che ne dici se ce lo spariamo...”
“Come no” approvo io, dandogli il cinque. A volte il socio, qui, ha delle idee mica male, sapete? Inutile dire che lui si mette subito in grande, perché è fatto così: se gli dai un'unghia, si prende il braccio e buonanotte.
Per un po', Steve ha rollato dei joint grossi come cotechini in rimuginando in perfetto silenzio, intervallato ogni tanto da una grassa ragliata ferina. Poi è tornato all'attacco.
“Già che ci siamo.”
Ha esclamato, dando fuoco ai cannoni e sbuffando fuori un pennacchio di fumo biancastro.
 “E visto che tutto questo ben di Dio qui è troppo, per noi due soli, che ne dici di offrire un giro anche ai nostri vicini?”
“Perché no?!”
Ho risposto, dopo aver TROPPO brevemente riflettuto sulla questione, col cervello totalmente ottenebrato dall'erba.
“Se stiamo attenti a non fare cazzate, io non ci vedo niente di male-
 
Ragazzi!!!
Povero me.
Le ultime parole famose.
No, dico. Avete presente?
 
Io non ci vedo niente di male
 
Questa frase la voglio incisa sulla mia lapide come epitaffio.
 Perché ho paura che, quando tornerà Corvo Rosso e scoprirà il misfatto mio e di Steve, come minimo ci farà lo scalpo e ci appenderà a qualche cazzo di cactus a culo in su.
 
Niente di male
 
Sì. Come no.
 
Con uno come Steve il male c’è sempre. Comunque. Ovunque.
 
 Lui è il male.
 
(Soprattutto quando è convinto di star facendo del bene. Provateci voi, se ci riuscite! Voi che parlate tanto! A far cambiare idea a uno che si è messo in testa che vi sta aiutando e lo fa per il vostro bene!
Provateci e capirete di cosa sto parlando.)
 
“Lo faccio per il tuo bene!
Ha aggiunto senza pudore quel delinquente matricolato, facendomi gli occhi dolci da cucciolo bistrattato che, ormai lo sapete bene anche voi, sono la sua specialità scientifica. E io, come una mosca al miele, ho abboccato. Insomma, tra tutti e due, siamo patetici. Così, dopo la pausa pranzo – immolata alla causa del rifornimento di sigarette e alcolici, il nostro festino, pian piano, ha preso vita. Inoltre, a quanto pare, nel megastore le voci corrono in fretta e, quando si tratta di sballarsi e di godersela, viaggiano veramente alla velocità della luce.
 
Quanto ai nostri vicini di TC, lavoratori modello, efficienti ed esemplari, non si può certo dire si siano fatti pregare.
Anzi. Semmai, il difficile è stato, alla fine della fiera, metterli alla porta e sbarazzarci di loro. Altro che balle, cazzo!!!
 
Dovete sapere che Tower Classic è il cuore pulsante del megastore. Tutte le vecchie glorie che hanno fatto la storia della musica si trovano in questa specie di caveau dei cosiddetti  OLDIES BUT GOODIES, cioè VECCHI MA BUONI.
GLI EVERGREEN, I SEMPREVERDI, sono, per così dire, la crème della crème.
I miti e le leggende del Rock n'Roll e del Blues.
Da Chuck Berry a Elvis the Pelvis.
Da Leadbelly a Bessie Smith.
No, dico. Tanto per intenderci.
 
Inutile dire che solo i migliori, quelli più preparati e competenti in fatto di musica, ma anche di strategie commerciali, finiscono dietro il bancone di Tower Classic.
Insomma, che dire? E' un punto di arrivo. E visto che ci lavorano i più scafati e che CR si trova next door rispetto al nostro mitico VR, no dico... voi che cosa avreste fatto al nostro posto? Non li avreste invitati?
Appunto.
(Che casino, gente!)
Se ve lo racconto non ci credete... io però ve lo racconto lo stesso, poi vedete voi. Almeno vi fate un paio di risate alla nostra salute. Ok?
 
Dunque, ragazzi.
Nella pausa pranzo io, Steve e un paio di tipi tosti di CR ci siamo fiondati al supermercato e siamo tornati a tana con una bella cassetta di birre ciascuno, più due bottiglie di buon vecchio zio Jack del Tennessee come bonus.
Intanto, Steve e un altro manipolo di temerari, si occupavano di selezionare le proiezioni. Ovviamente, tutti film impegnati di complesse tematiche sociali e pellicole dall'indiscusso valore pedagogico e intellettuale. Non ci credete?
Ecco la Lista di Steve.
Più controversa della Lista di Schindler.
Più sofferta della Scelta di Sophie:
 
Primo classificato:
DOUBLE PENETRATION
(con ALEXXXIA DEEPTHROAT)
Un titolo che, per quel che mi riguarda, non ha bisogno di presentazioni.
(Giusto?)
 
Secondo:
LICK MY ASS, BABY
(starring JESSICA RABBIT)
 
grande star del cinema rated XXX caratterizzata da quel che si definisce un culo parlante.
 
Un nome un programma, cazzo.
 
Terzo:
DEEPSUCKERS
(con ORANGE CUNT)
 
Anche detta LA ROSSA DI FUOCO.
 
(S)vestita da crocerossina sexy, intenta a succhiare un lecca- lecca che vi lascio tranquillamente immaginare.
Un vero cult movie. Praticamente IMPERDIBILE.
 
 
Ultimo, ma non ultimo:
 
LESBIANS DO IT BETTER
(protagonista PEGGY HOTPUSSY)
Micetta birbante da infarto del miocardio.
Pellicola proibita. Orgoglio delle femministe del Texas.
Girata nel 1974 in una comune hippy per sole donne.
 
(Capolavoro a cui fu assegnato l'ingrato compito di chiudere la rassegna.)
 
Inutile dire che il dibattito post- proiezioni si è avvalso di una partecipazione intelligente, equilibrata e vibrante. Spunti di genio virtuosismi intellettuali da veri intenditori non sono certo mancati.
Per quel che mi riguarda, adoro ascoltare gli addetti ai lavori parlare forbito con la terminologia tecnica giusta del settore!
E devo ammettere che, da questo punto di vista, io e il mio amico, qui, siamo delle matricole con ancora tutto da imparare...
A parte gli scherzi, la cosa ci è scappata di mano più o meno nel momento in cui quel mentecatto del mio socio buono a nulla col cervello in salamoia nel testosterone, ha aperto e offerto la prima bottiglia di birra e io – accidenti a me, cazzo – ho messo su la prima cazzo di VHS della lista. Poi, spegnere le luci e tirar giù gli oscuranti per garantire l'intimità – diciamo così – necessaria ad una proficua fruizione dei nastri, è stato il vero detonatore della festa. Da quel momento... bando ai convenevoli e alle timidezze, VR e CR si sono fusi in una cosa sola, accomunati dal solido background della lussuria. Il Jack e la Bud hanno contribuito a vivacizzare ulteriormente una scena che... - ragazzi!!! - credete a me... di tutto aveva bisogno, fuorché di essere... ehm... vivacizzata!!!
In breve tempo, amici miei, il pavimento era coperto di bava e di... lasciamo perdere, va', che è meglio.
A orgia finita, rimasti soli, io e Steve abbiamo potuto contemplare per la prima volta le rovine. Sembrava passato un tornado, cazzo. Un F5. Di quelli che radono al suolo una città in un nanosecondo.
Quanto a me e Steve, in un solo giorno, abbiamo battuto due primati:
primo: siamo diventati famosi in tutto TR e popolari da qui alla luna. Adesso tutti fanno a gara per servirci e riverirci in attesa del prossimo happening.
Secondo:
La Palma d'Oro per il danno più pesante - e oneroso – mai registrato da TR, nella sua lunga storia, non ce la leva nessuno.
 
Sapete cos'è successo?
Ancora una volta, ragazzi... lo so che mi ripeto e rompo il cazzo perché sono monotono, ma sono costretto a dire che non mi crederete... anche perché, se volete che ve lo dica, questa volta mi sa che è davvero troppo anche per me...
Io dico solo una cosa:
prima o poi, lo faccio secco con le mie mani!!! Giuro!!!
A chi mi riferisco?
Indovinate un po'...
 
Quell'idiota patentato di Popcorn, prima di iniziare la rassegna delle sue adorate VHS, cos'è che ha fatto? Ha dimenticato di togliere la linguetta di protezione delle cassette, quella che serve per proteggere il nastro da un'accidentale cancellazione e via dicendo.
 
Basta.
Io non ce la faccio più...
Se poi ci mettete che ai dipendenti è fatto
 
DIVIETO ASSOLUTO
di visionare le cassette
A SCOPI VOLUTTUARI  
 
(lo spiega nero su bianco il REGOLAMENTO consegnato a ciascun dipendente all'atto dell'assunzione)
 
capirete che siamo nella cacca fino ai denti.
 
Voglio dire.
Non che non ce lo meritiamo, ma...
secondo voi, cosa farà Corvo Rosso quando saprà che quattro dei suoi più gettonati capolavori a luci rosse sono stati completamente cancellati?
 

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Capitolo 37
*** Houses of the Holy ***


Capitolo 37
 
 
 
WILLIAM BRUCE BAILEY (BILL)
Houses of the Holy
 
Guardando indietro, ho scoperto che su una cosa il Falso Profeta aveva assolutamente ragione.
Il Paradiso esiste davvero.
(Eccome, se esiste.)
Devo dargliene atto, cazzo!
Lo so perché in questo momento, mentre quel briciolo di razionalità e pragmatismo che avevo si dissolve nella nebbia tossica del Rocky Horror Picture Show mobile, io ne faccio definitivamente e totalmente parte.
 
No, amici, non piangete.
 
Voglio dire. Non preoccupatevi per me più di quanto non lo sia già quello che, un tempo, era stato il mio cervello. Io sto bene, anzi! Mai stato meglio... e chi di voi si è mai concesso ai piaceri netti e schietti della buona vecchia filigrana di Tijuana, sa cosa intendo... vale a dire che non sono pazzo, almeno non del tutto... solo un pochettino strafumato.
 
Non chiedetemi da quant'è che siamo in viaggio, perché non ne ho la più pallida idea. Il tempo è relativo e io, mentre i sogni deflagrano nella realtà irreale di questo viaggio allucinante al centro del delirio, ne sono al tempo stesso attore e demiurgo. Che ne dite, amici, tra parentesi... niente male questa robina qua, vero? Scommetto che un tirino lo fareste volentieri... e vi prometto che, se esco sano e salvo da questa fantastica avventura, ve ne lascio almeno un deca.
 
Data astrale venti zero due punto sette nove.
 
 Il nostro viaggio ai confini del mondo e dello spazio
 
per arrivare laddove nessun uomo è mai giunto prima
 
 sembra non finire mai.
 Il Capitano Kirk di Star Trek, confronto a queste due bagasce stellari qui, è solo un povero sfigato.
 
Frattanto, le due fighe in questione
(scusate la metonimia, ragazze, ma quando ci vuole ci vuole, cazzo )
che rispondono ai nomi di Savannah e Adrianna, si fanno di speed come cavalli pazzi per resistere alla fatica e al sonno
 
(e macinare più chilometri possibili.)
 
Le osservo ingoiare piccole pillole bianche come se fossero noccioline, ma non sono arachidi, cazzo.
Nossignori.
Mi dicono che si tratta di benzedrina. Anfetamina.
 Roba forte che ti fa scheggiare come un caccia bombardiere, cazzo. E così, strafatte e perfettamente felici, con la radio a palla che grida Houses of the Holy degli Zeppelin fino a farci schizzare il cervello dalle orecchie, si alternano alla guida attraverso Stati e città che scivolano via dal finestrino appannato del minivan come sabbia tra le dita senza lasciare traccia.
 
Io me ne sto disteso accanto a Shame a nutrirmi di quel riff magico e al tempo stesso così macabro e nocivo che sembra rimuovere ogni residua particella del mio essere.
 
(Quanto a Shame, state tranquilli. Sta molto meglio. Ha avuto la sua dose e la sua nave veleggia nel mare torbido dell'incoscienza.)
 
Sulla parete del furgone in faccia a me c'è la rotta dipinta sul muro:
 
Milwaukee – Los Angeles.
 
Le tappe fondamentali. Le stesse che, mentre vi parlo, amici vicini e lontani, fuggono via senza quasi che ce ne accorgiamo.
Des Moines, Hiowa. Lincoln, Nebraska. E poi ecco la mitica vecchia Denver, Colorado. Meta dei sogni e delle pazzie alcoliche di Sal Paradiso e Dean Moriarty, gli eroi senza tempo di Sulla Strada.
(La Bibbia deviante di Kerouac. Quella che ha fatto di me quello che sono.)
 
Quel libro mi ha cambiato la vita per sempre.
Da quando, a undici anni, ho avuto l'occasione di fregarlo su una cazzo di bancarella di libri usati.
(Perché Sulla Strada non si compra: si ruba. Capito?)
 
Ma questo devo avervelo già detto tanto tempo fa, quando la mia fuga alla ricerca di me stesso era appena cominciata.
Giusto?
Mamma mia... mi sembra passato un secolo da allora... ripensandoci... cazzo, quanto sono cambiato e cresciuto dallo sfigato che ero... mi vergogno solo a pensarci, cazzo. Ma lasciamo perdere, va', che è meglio.
 
“Ehi, voi due, lì dietro!”
Trilla Adrianna.
E devo dire che, dopo un' eternità di asfalto e canne a rotazione, la sua voce è la tromba del Giudizio Universale.
 “Alzate le chiappe, cazzo! Venite un po' a vedere dove siamo!”
 
No, dico.
Strepitoso, gente.
Tra parentesi, il mio amico Jeff avrebbe dato via il culo e anche sua madre, per un posto come questo.
 
Dopo Denver, lo Utah è una specie di sacrosanto walhalla psichedelico da dar fuori di testa
 
(se mai ne abbiamo bisogno)
 
Lo sanno tutti.
 
Utah uguale Bryce Canyon National Park.
 
Un posto da film western girato da un regista tossicomane dedito all' LSD, al PCP, alla mescalina sotto forma di cristalli ad ago solfato e Dio sa cos'altro.
 
Un panorama lunare mozzafiato.
Direttamente proporzionale ad un'esperienza lisergica.
Infatti, tutto quello che riesco a dire, per via di quel porco nodo che mi serra la gola, appartiene all' incomunicabile.
 
Noi non ci facciamo certo pregare.
 
L'immenso vallone che si estende a perdita d'occhio ci chiama con la sua tossica combinazione di fascino e magia da perderci l'anima.
 
Carpe...
Carpe diem
 
sussurrano torri e contrafforti sferzati dal vento, incendiati dagli ultimi raggi obliqui di un sole purpureo che somiglia a un tuorlo d'uovo.
 
(Cogliete l'attimo)
 
Cantano le concrezioni di roccia giunte fino a noi dal Pleistocene o da zio solo sa quando nella preistoria.
 
E mentre un reticolato di ombre cremisi simili a spettri ci rivela l'indole materna e protettiva del Bryce Canyon, le sue guglie lentamente si animano.
 
Io chiudo gli occhi sopraffatto dalla bellezza di un Creato che riconosco opera di un Dio benevolo con una vena artistica da paura, nonché un' insana passione per gli stupefacenti.
 
E quando li riapro, tutto intorno a me scorre e muta continuamente, tratteggiato da giochi complessi di luci e di ombre, come una specie di fonte incantata.
 
Tutti eccitati come matti felici, scendiamo dalla nave dei folli per goderci la nostra fetta di Giardino dell'Eden, ammirando torri, guglie, pinnacoli e contrafforti forgiati dalla mano di un folle in forme pazzesche da dar giù di testa.
 
Ce n'è per tutti e per tutti i gusti.
Animali, reali e mitologici.
Forme architettoniche.
Opere di fantasia che non hanno alcun corrispondente nel mondo reale.
 
Da perderci la testa, cazzo. Giuro.
Ognuno di noi ci vede qualcosa di diverso a seconda del proprio background mentale e della droga che ha preso.
 
Per me, per esempio, che ho fumato come un turco e mi sono pure fatto uno schizzetto di ero, sono barbe di cera colate da gigantesche candele ultraterrene.
 
Shame, invece, che è strafatto di ero, ci vede un bel mazzo di siringhe cariche di dolce oblio tutto per lui.
Naturalmente GRATIS.
 
Savannah.
Carica di acido fino ai denti e fatta di speedball
(che sarebbe una mistura di coca ed ero)
giura che sono cazzi in tiro che aspettano soltanto lei.
 
Infine, Adrianna.
Sbronza marcia e in pieno trip da mescalina, afferma di avere svelato l'arcano.
Secondo la sua interpretazione, tutti quei cunei affusolati di arenaria rosso fuoco a perdita d'occhio sarebbero, in realtà, gli incauti viandanti sotto mentite spoglie. Poveri cristi che, nei secoli e nei millenni, si sono fatti irretire dal fascino maledetto del Canyon.
Colta dal panico, con un filo di voce, ci spiega che siamo tutti in pericolo. Questo perché, in epoche antiche, i temerari che hanno osato attraversare il sacro suolo di quello che, oggi, è un Parco Nazionale, hanno pagato con la vita.
E sono stati tramutati in pietra.
A sentire queste parole, io m'illumino d'immenso.
Voglio dire.
Se Adri non si è bevuta il cervello, magari, chissà.
Mi piace pensare che questo posto stesse aspettando solo noi e la nostra folle carovana.
Mi esalta.
Mi fa sentire parte di un disegno superiore.
(Chiamatelo Dio o Zio o anche solo, in confidenza, Ronnie James)
 
“Ragazzi!”
Sbraito, facendo trasalire tutti e costringendoli a voltarsi, bianchi come spettri, verso di me.
“Ho trovato, cazzo!”
 
Trafitto da un' acuta consapevolezza che oserei chiamare lampo di genio, sparo la mia Grande Verità.
 
“Dobbiamo spezzare il sortilegio e liberare questo posto incantato!”
 
Spiego, tutto gioioso come un perfetto imbecille invasato dallo spirito di Dioniso.
 
“Giusto.”
Approvano tutti gli altri, in coro, come i bambini delle elementari.
Maestro, illuminaci. Cosa dobbiamo fare?”
Domanda Savannah, ansiosa.
“Dobbiamo festeggiare”
rispondo io facendo spallucce.
“Ci vorrebbero delle divine dorate copulazioni come nell'Antico Testamento. Orge, feste e festini. Per gli déi. Per ingraziarci la loro benevolenza...”
ALABARDA SPAZIALE!
DOPPIO MAGLIO PERFORANTE!
MIWA!
(LANCIAMI I COMPONENTI!)
 
Basta.
Nel giro di un secondo, decollo in verticale.
Blatero a raffica.
Sparo cazzate a nastro
(come una cazzo di mitragliatrice caricata con le anfetamine)
Non so se rendo l’idea.
Inutile dire che la terapia sesso, droga e Rock 'n Roll viene approvata all'unanimità senza alcun bisogno di votazioni. E mentre trasciniamo fuori i sacchi a pelo sistemandoli attorno a un cerchio di pietre annerite che, non appena scesa la sera, diventerà un falò, mi assale la consapevolezza improvvisa di essere il ragazzo più fortunato della Terra.
 
La droga mi ha spalancato la mente, cazzo.
 
Ancora una volta, devo dare ragione a Jim Morrison e al profeta dello sballo.
 
Aldous Huxley
 
(Il quale, col saggio Le Porte della Percezione, ha davvero cambiato la geografia mentale del mondo)
 
E se nella mia vita precedente volevo sempre essere qualcun altro, adesso non cambierei quello che sono in questo preciso momento per nulla al mondo. Sto fottutamente volando, cazzo.
E se questo è un sogno, per favore... non svegliatemi.
La parola a Re Lucertola
 
 
Nel perimetro
non si sono stelle.
 
Noi siamo strafatti.
Immacolati!
 

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Capitolo 38
*** Little Big Horn ***


Capitolo 38
 
 
 
JEFFREY DEAN ISBELL (JEFF)
Little Big Horn
 
Mi sa che qui marca male, gente.
Male al quadrato
(per non dire AL CUBO)
 
No, dico... noi saremo anche imballati come due foche, non lo nego, ma... cazzo, ragazzi! Che sfiga lurida!!!
 
Inutile dire che io e Steve, dopo la bravata del festino a luci rosse siamo sulla bocca di tutti. Per non parlare dei gioielli della videoteca xxx che quel tuonato del mio socio, qui, ha cancellato per sbaglio.
 
Certo, il danno c'è ed è grosso, anzi, enorme.
 
Quelle VHS erano il fiore all'occhiello di Tower Video, i classici dei classici di genere, vecchi di anni ma sempre in pole position nella libido collettiva della Città degli Angeli, e noi... in un attimo, li abbiamo buttati da culo. Fatto grave. Anzi, gravissimo. Sto con voi. Specialmente se pensate che la causa di tutto 'sto sfracello, sono due poveri coglioni come noi che, dopotutto, cazzo, sono ancora solo in prova.
 
Quanto a Corvo Rosso, è sul piede di guerra e mi sa tanto che il calumet della pace l'ha buttato giù per il cesso e ha tirato lo sciacquone. Almeno per quel che riguarda noi due.
 
Maledetto Steve, quant'è cretino!
Non finirò mai di dirlo!!!
 
Alla prossima che mi fa, giuro che lo faccio secco con le mie mani, cazzo... il guaio, con lui, è che non lo fa mai apposta: lui fa sempre dannatamente sul serio! Il poveraccio, non è colpa sua... non vede a un palmo dal naso e non riesce mai a prevedere le logiche conseguenze delle proprie azioni. Ragion per cui va curato a vista e seguito come un cazzo di lattante. Non sono mai stato uno che spara giudizi, ma Steve te li tira proprio fuori... non so mai se ha più bisogno di un vero amico, di una balia asciutta o di una cazzo di camicia di forza.
No, dico... io gli voglio bene, ma questo non lo autorizza a fare a pezzi la mia vita, cazzo.
Vorrei vedere voi, al mio posto!
Non è mica facile stare vicino a uno come Steve senza strangolarlo almeno un paio di volte al giorno, sapete?
Poveri noi... e adesso cosa facciamo?
Mentre sono qui a parlare con voi, la scure del destino ha reciso le nostre teste ipertricotiche da rockettari e io e il mio degno compare l'abbiamo presa dritta nel fondoschiena – per non dire nel culo.
 
Stamattina, purtroppo, il Grande Capo è tornato dalle ferie.
No, dico... ma non poteva starsene fuori dai coglioni ancora un po'? E invece no, eccolo qui fresco come una rosellina di maggio a scartavetrarci le palle di prima mattina.
 
Inutile dire che il nostro supervisore di reparto, un avanzo di galera alcolizzato e tossico che non è certo meglio di noi, ma che crede già di sentire odore di pensione, ha fatto la sua parte, cioè la spia. Bello, no?
 
E dire che, al nostro party, era quello messo peggio... è persino collassato addosso a Steve, cazzo... ad ogni modo, tutti i dipendenti di TR, da Tower Classic a Tower Books, lo evitano come la peste.
Pensate un po', amici: lo chiamano Jo il Guercio perché ha una biglia di vetro tutta scheggiata al posto dell'occhio destro, perso – si vocifera - in una rissa in galera per la qualità del rancio. Da notare che il vecchiaccio in questione – che, a occhio e croce, ha un'ottantina di anni per gamba - è anche noto ai colleghi come Gola Profonda, perché ha fama di essere una spia. Ma noi due, naturalmente, nuovi di pacca e scemi come la cacca, non lo sapevamo e l'abbiamo imparato sulla nostra cazzo di pelle.
Oltretutto, poi, questo tizio qui ha un curriculum criminale di tutto rispetto: maniaco sessuale, strozzino e pure allibratore, insomma... chi più ne ha più ne metta. Questo pezzo di merda venderebbe in blocco la Madonna, San Giuseppe e pure Gesù Bambino per un quarto di dollaro. Giuro! Non ci credete?
Tutte le volte che entra qualche cliente che lo ispira, il vecchio bastardo lo convince a scommettere cinquanta bigliettoni che lui riesce a mordersi l'occhio destro. Detto fatto, non appena vede il denaro, si cava la biglia di vetro dall'orbita, se la ficca in bocca e, mostrando la dentiera da cavallo che porta, intasca giulivo i cinquanta verdoni.
 
Capito che dritto, ragazzi?
Con uno così, c'è da stare in campana, cazzo... e invece noi cos'è che abbiamo fatto? Non solo lo abbiamo invitato gratuitamente al nostro party che doveva essere privatissimo, ma lo abbiamo pure rifornito di Jack a macca!!! Quel farabutto si è sbronzato fino a collassare con i nostri soldi!!!
Ma roba da matti!!!
E dopo che Gola Profonda ha fatto il suo bravo rapporto, Corvo Rosso ci ha mandati a chiamare. E... la volete sapere una cosa, ragazzi? Il lungo corridoio che corre tra i vari reparti di Tower Records e il suo ufficio, mi ha fatto venire in mente un libro di Stephen King che mi aveva regalato Bill a Lafayette per il mio sedicesimo compleanno: il Miglio Verde. L'avete mai letto? E' l'odissea di un condannato a morte innocente e la sua lunga strada verso la verità.
 
Oh, Bill... quanto vorrei che tu fossi qui...
come in quello splendido riff dei Pink Floyd
 
I wish you were here...
 
Così, ispirato dal più grande scribacchino d'America, ragazzi, ho ribattezzato quel cazzo di corridoio tirato a cera da rompersi l'osso del collo Il Miglio Verde. Perfettamente consapevole che, da qualche parte, alla fine di quel fottutissimo tunnel dell'orrore, ci attendeva una condanna senza appello.
 
Man mano che ci avvicinavamo alla fine, dire che tenevamo un basso profilo è dire poco. La verità è che io e Steve ci sentivamo come due cavie da laboratorio. Anzi... come due topolini bianchi sotto l'effetto di una qualche nuova droga di sintesi in fase sperimentale, sperduti in un labirinto al di fuori dello spazio e del tempo.
 
Inutile dire che il nostro Cuor di Leone Popcorn, poi, come al solito buono soltanto a combinare guai per poi frignare non appena ci sbatteva il muso, non aiutava per niente.
Il poveretto procedeva singhiozzando come una specie di grottesco Cicciobello rimasto senza ciuccio. Anzi... più che camminare, scivolava sulle sue stesse lacrime come un'anguilla sul proprio muco.
Io non avevo parole.
Dopo la Sindrome della Limaccia, il Morbo del Capitone Fradicio.
 
Rancore e responsabilità individuale a parte, continuando ad avanzare verso l'ineluttabile, io e il mio socio rincoglionito ci lanciavamo occhiate silenziose ed eloquenti che valevano più di qualsiasi parola. Davanti a noi, sfilavano incubi e presagi funesti di tutti i tipi mentre le nostre più ataviche fobie prendevano vita. La domanda che nessuno dei due osava porsi era una sola:
 
Di che morte moriremo?
 
Sedia elettrica?
No, troppo banale.
Per noi non vale.
 
Ghigliottina?
Naaah! Troppo old-fashioned.
Ho letto su Cosmopolitan che è decisamente out.
 
Impiccagione?
Macché. Roba da film western.
John Wayne si rivolterebbe nella tomba.
 
E allora? Cosa ci restava?
Ommadonna, no!
 
Ronnie James Dio, ti prego...
Se ci sei...
ti prego-ti prego-ti prego-ti prego...
non ci mollare proprio adesso, cazzo...
 
La nostra sorte ci attendeva alla fine del Miglio Verde.
Entrando nel Braccio della Morte, che poi è l'ufficio del nostro Boia anche detto Grande Capo, la prima cosa che io e Steve abbiamo notato è stato l'arco appeso al muro, completo di faretra e frecce al curaro.
Ok, ho capito.
Una fine da guerrieri.
Un'esecuzione.
Tosta, rapida e indolore.
O, almeno, queste sono le bugie che in quel terribile momento ci raccontavamo a vicenda per stare un po' meglio. Non so come la mia mano destra abbia scovato l'ardire di bussare a quell'uscio, visto che le mie dita erano liquefatte come la cacca di un bebè. So soltanto che oltre quella soglia c'erano cazzi amari da cagare.
 
Non aprite quella porta
 
diceva un cartello che voleva essere spiritoso ma che, date le circostanze, per me e Steve, suonava come un Requiem Aeternam.
 
E quando la porta tra i due mondi si è spalancata, la voce del Boia ha mandato in frantumi quel briciolo di coraggio che ancora mi restava.
“Avanti” ha gorgogliato un essere che non aveva più niente di umano. Sapete a chi somigliava il Grande Capo in quell'istante fatale? A Linda Blair ne L'esorcista, più o meno verso il finale del film. Un demone assiro assetato di sangue. Del nostro sangue.
Il che, credo, rende l'idea...
 
“Chiudete la porta e sedetevi” ha esclamato un basso sepolcrale. “Vi devo parlare”.
 
Nel silenzio di piombo seguito a quell'ordine, una scarica di tuoni improvvisi ha squarciato l'aria odorosa di Funghetto Magico Deofresh alla Lavanda e Zenzero. Una zaffata sulfurea ha impregnato la stanza di un odore mefitico e potenzialmente letale.
La mia mente sconvolta fa una capriola.
 
Camera a gas?
E che cazzo... sono tornati i nazisti?
Povero me!!! Non lo sapevo!!!
 
Io chiudo gli occhi... non voglio vedere...
 
Quando li riapro, quello che prima era l'ufficio del direttore, è diventato il set di un horror di Rob Zombie.
Primo piano: i rai fulminei di Corvo Rosso inchiodano Steve al suolo.
 
“P-p-p-pietà!” piagnucola il mio povero amico, che all'improvviso, ha le guance verdastre. “Io... io non volevo... è solo che...”
“Che?” incalza Corvo Rosso, turandosi il naso. “Parla e poi vattene fuori dai piedi, cagasotto!”
“Io...” fa Steve, tirando su col naso e pulendosi il moccio nella mia cazzo di manica. “Ecco, io...”
“Ehi!” grido io, strappando il polso dal suo naso “vaffanculo, amico...”
 
“Avanti, poche storie!” tuona Corvo Rosso, deciso a tagliar corto il più possibile per non lasciarci la ghirba in quella cazzo di camera a gas. “Riguardo al danno enorme che avete causato a questo esercizio - e che, lasciatemelo dire, ragazzi, non ha precedenti nei vent'anni e passa di storia di Tower Records - cos' avete da dire in vostra discolpa?”
Un pugno di cemento armato cala sul piano di cristallo della scrivania come un bradi-sisma che fa tremare vetri, soprammobili e persino i pavimenti.
“Parlate adesso o... “ pausa ad effetto.
I suoi occhi ci scannerizzano da capo a piedi e ci fanno la tac in tre D.
“O taccia per sempre!!!”
 
Io scelgo di tacere.
Mi è rimasto ancora sufficiente buonsenso da evitare, quantomeno, un linciaggio in diretta davanti alle telecamere a circuito chiuso del megastore. Steve, invece, come al solito, non sa cogliere al volo l'occasione.
 
“Sono cresciuto male” singhiozza quel mammalucco, “uffa! Non è colpa mia, lo so... ma è questo il mio problema...”
 
Oh, Madonna!!! Ci mancava anche questa...
Ecco, bravo... mettiti a piangere... vedrai che risolvi tutto...
 
No, dico... che cosa devo fare con Steve?
Io non lo so, gente. Proprio non ci arrivo. Ok? So solo che vorrei morire.
Vorrei tanto sprofondare ma non posso.
Per quanto io preghi – non più Ronnie James, che non mi serve e non mi aiuta, bensì la concorrenza – il cazzo di pavimento di marmo non ne vuole proprio sapere di aprirsi...
 
“Io... voglio il mio papàààààààà!!!”
 
No, vabbè... questo è troppo anche per me.
Giuro. Voglio farla finita qui, in diretta tv, e vaffanculo tutto.
 
“E dove diavolo è tuo padre, ragazzo?” lo incalza quell'altro, buono anche lui. “Chiamalo un po', che gliene dico quattro!”
Steve ormai piange senza ritegno sulla spalla del Nemico. Uno spettacolo pietoso che, in tutta la mia vita, non mi sarei mai augurato di vedere.
 
“E chi l'ha mai visto?!” raglia il mio socio, sbavando e facendo il mento quadro. “Se n'è andato di casa che avevo due anni... cattivoooo... cattivoooo.... e io cazzo ne so?”
 
Quanto a me, quel pover'uomo, lo capivo.
E non parlo di Corvo Rosso, ma del padre di Popcorn. Aveva tutta la mia simpatia...
 
L'altro ha sgranato gli occhi incredulo. Per un po' ha studiato Steve in silenzio cogitabondo, col mento in pugno, senza nemmeno cagarmi di striscio. Poi, tra i due, è venuto fuori un dialogo assurdo.
 
Corvo Rosso: “Coletti, cazzo fai? Mi prendi per il culo?”
Steve: “Non mi permetterei mai e poi mai, signore...”
Altra mezz'ora di silenzio sconsolato.
 
“Steve, parliamoci chiaro: vuoi darmi a bere che tu non sai nemmeno chi è tuo padre?”
“Sissignore, signore!”
“Per tutte le vittime di Little Big Horn, questo è tutto scemo!”
Poi, improvviso, un urlo selvaggio.
“Coletti! Come si chiama tuo padre? Rispondi! E' un ordine!”
“Che domande... si chiama Coletti! Perché, come si dovrebbe chiamare?”
 
Altra sventagliata di mitra.
Cazzo, ragazzi...
è finita... qua dentro si muore...
Ma... da dove viene 'sto odore? Io non capisco... si è aperto un varco dell'Inferno oppure... cazzo ne so... ci siamo già?
 
L'altro alza gli occhi al cielo e se li copre con una granfia inanellata tozza e squadrata fresca di manicure. Poi si tappa il naso.
 
“ IL NOME!!! CAZZO, IL NOME!!! DIMMI QUEL CAZZO DI NOME, STEVE O GIURO CHE TI FACCIO LO SCALPO QUI E ADESSO!!! CHIAROOOOO?”
Boh! Così, su due piedi, io... proprio non me lo ricordo...”
“Steven! Per la Madonna dei Lakota-Sioux, cazzo! Non farmi bestemmiare, cazzo! Ma non lo sai, benedetto ragazzo, che se voi due coglioni siete qui è solo perché tu che sei il figlio di...”
Altra puzzolente scarica di tuoni.
L'aria irrespirabile è un cazzotto nello stomaco e Corvo Rosso non solo non riesce a finire la frase, ma crolla a capofitto sulla sua bella scrivania di cristallo molato. Svenuto.
 
“Di?” Domanda Steve, lanciandosi sulla scrivania e atterrando in braccio al Capo. Ma quello, ormai, non risponde più.
 
Ed io, come in un incubo assurdo, scopro la terrificante verità.
 
Il mio povero amico Steve ha due non trascurabili... per non dire grossissimi difetti riassumibili in uno solo: è incontinente. Sia dal punto di vista verbale, che da quello...
 
no, ragazzi, vi prego... non ridete...
se no va a finire che stiamo qui fino a domani...
 
Fanculo.
No, davvero... non riesco nemmeno a dirlo... vi prego, aiutatemi voi...
 
Il povero Popcorn non ha retto all'emozione.
E si è cagato sotto.

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Capitolo 39
*** slow motion ***


Capitolo 39
 
 
 
DANIEL J.LIVINGSTON
(RED CROW)
Slow motion
 
Scusate l'intrusione, ma a questo punto, devo proprio dire la mia.
Dunque. Stamattina si presenta in ufficio il Padrone in persona, vale a dire il proprietario nonché Amministratore Unico di tutta la baracca: Mr Winston C., che io credevo beatamente spaparanzato sul suo catamarano alle Hawaii a ingozzarsi di aragosta e champagne. E, onestamente, vedendolo, non ha certamente l'aspetto di un reduce da una vacanza, tutt'altro! E' magro e tirato, quasi non lo riconosco. Ha una brutta cera. Sembra appena uscito dall'ospedale, e difatti mi dice che non sta bene, e che sta facendo un ciclo di cure. Quali, a guardarlo, lo si capisce benissimo e, per tutelare la sua privacy, non starò certo a dirlo a voi. In ogni modo, come si dice, visto che non ha tempo da perdere, prende subito il toro per le corna.
“Ho saputo del festino” mi dice, sedendosi nella poltrona di pelle davanti alla mia scrivania. Pover'uomo... è pallido da far paura. Osservo il suo completo di sartoria di grido e non mi piace per niente come pantaloni e giacca di vigogna gli stanno accartocciati addosso. Mi fa una pena infinita, soprattutto in questo momento in cui, invece di preoccuparsi della gestione del megastore, dovrebbe pensare alla sua salute.
“Sono costernato” rispondo, cospargendomi il capo di cenere, prima che lui abbia il tempo di aggiungere altro. “Io mi trovavo in ferie e... basta, non cercherò delle scuse che non merito. Non so com'è potuto accadere, ma naturalmente sono pronto ad assumermene la totale responsabilità. Non so dirle quanto mi dispiace e...”
E lui reagisce in un modo che, devo dire, mi spiazza.
Scoppia a ridere. A ridere come un matto, di gusto, e sghignazza e tossisce come un mantice, tanto che a un certo punto temo per la sua salute già precaria. Furtivamente, cava di tasca un inalatore per l'asma e pian piano, dopo una serie di lunghi respiri, interrotti da qualche sporadico colpo di tosse, si ricompone ed arriva persino a scusarsi.
“Suvvia, Livingston” mi dice infine, asciugandosi gli occhi con un fazzoletto di seta inamidato “non è successo niente. E' una ragazzata...”
“Ma... quei videotape...”
Lui fa un gesto di diniego con la mano ossuta.
“Li ricompreremo. Non è questo il problema, non crede?”
Io non credo alle mie orecchie. Va bene. Ama suo figlio. Vuole aiutarlo e si sente in colpa per non essere stato presente nella sua vita che quel mammalucco è tutto quel che gli rimane, ma fargliela passare liscia non mi sembra giusto e glielo dico. Ok, posso capirlo. Come no... sono padre anch'io, dopotutto... anche se – detto tra noi, ragazzi – mi vanto di essere un genitore migliore di lui. E va bene. Li ho sospesi tutti e due. Non li ho mica licenziati... volevo solo dare loro la lezione che meritavano senza coinvolgere il Padrone, visto che credevo fosse via a godersi la vita. E invece... scopro che è molto malato. Certo, capisco tutto. E, se posso dirlo, mi dispiace immensamente, ma io cosa ci posso fare? Voi cosa dite? Ho fatto bene a sospendere quei due marpioni? E che cavolo! C'è un limite a tutto! O no?
 
Le sue guance incartapecorite si stirano in un risolino amaro di compatimento.
“Suvvia... mi dia ascolto... gli dia una second... aaaargh!
 
Una smorfia di sofferenza gli attraversa il volto scarno. Le sue mani scheletriche corrono al petto. La sua bocca, spalancata alla famelica ricerca d'aria, è sconcertante.
 
“Mr. Winston!” grido, correndo a sorreggerlo. Ma è tutto inutile.
E mentre si abbatte sulla mia scrivania, artigliandosi il cuore, si aggrappa alla mia cravatta texana rischiando di strangolarmi e, respirando affannosamente, col petto che si scuote tutto spaventosamente, con un filo di voce mi dice:
“Chia...mi...”
 
In preda al panico, mi tuffo sul telefono e compongo il 911.
 
“Un'ambulanza, subito. 1317 Lexington Ave. Sospetto attacco cardiaco.”
 
Quel che sta accadendo non mi sembra per niente reale.
 
E' solo un sogno, mi ripeto, ben sapendo che non è così. Mi sembra di stare in un film. Una scena al rallentatore. Mentre lui... lui rischia di morire prima di...
 
No, non posso nemmeno pensarci. Non posso permettere che accada. Non posso...
 
E non posso neppure incolparmi di quel che è acceduto, visto che stavamo dibattendo la questione in modo civile e con toni pacati.
 
“E va bene, signor Winston. Stia tranquillo, farò come vuole lei. Dopotutto è lei che comanda, qui... ma adesso stia calmo, la prego... non faccia sforzi inutili. Andrà tutto bene...”
 
Getto via il ricevitore e m'inginocchio su di lui, che è scivolato a terra.
Gli sostengo la testa.
(Sembra fatta di pietra per quanto è pesante!)
 
“Non cerchi di parlare, stia tranquillo... adesso arriva un'ambulanza...”
“N-n-n-no... non la vo...glio... non voglio... nes...su...na... caz...zo di ambu...lan..za... capito?”
 
M’incenerisce con un’occhiata.
 
“Chia... chia-mi...”
 
Un urlo disperato. Inumano.
 
 “Ste...ven...”
 
 

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Capitolo 40
*** Lucy in the Sky with Diamonds ***


Capitolo 40
 
 
 
WILLIAM BRUCE BAILEY (BILL)
Lucy in the Sky with Diamonds
 
L'anima mia magnifica il Signore
 
mentre, strafatto di peyote peggio di uno sciamano Sioux tossicodipendente, me ne sto nudo a cavalcioni sulla pancia di Adrianna ad affondare la mia spada nella roccia leccando via i sogni dai suoi occhi troppo truccati.
 
Cazzo, ragazzi.
(Che botta!)
 
Lasciatemelo dire.
Di tutti i sette peccati capitali, la lussuria è quello che più mi rappresenta e per cui vale davvero la pena di sfidare le fiamme eterne.
(Sempre che esistano)
 
 Il mio pennone veleggia sul brigantino Adrianna verso oceani di libidine roventi e sconosciuti.
 E mentre il mio seme esplode dentro di lei come un fottutissimo fuoco d'artificio formando sulla sua pelle una specie di aura argentata, anch'io
 vado in pezzi e mi sciolgo nell'etere.
 
William Bruce Bailey
(non esiste più)
 
William Bruce Bailey
(è vapore acqueo)
 
 
Shame è una cazzo di isola nella corrente.
E Savannah, a cavalcioni su di lui coi lunghi capelli che coprono i visi di entrambi, è il suo centro di gravità permanente.
(Quello che gli permette di galleggiare nel mare burrascoso della perdizione)
 
L'intera scena di noi quattro a copulare come ricci nel deserto strafatti e felici ha qualcosa di sacrilego e di sacro insieme.
Di ancestrale.
Primordiale.
 
Mi fa venire in mente un libro di Carlos Castaneda – quello della trilogia sul peyote, avete presente?
 
L'Isola del Tonal.
 
Ecco.
 
 Shame è Tonal
(Esperienza Sensibile)
 
Io invece sono Nagual
(Metafisica)
 
 E' così che mi sento e che percepisco il mio compagno di viaggio sotto l'effetto di questa nuova e potente droga psicotropa in questo favoloso vallone desertico da Mille e Uno Sballo.
 
 Siamo diversi, eppure siamo uno.
 Io e Adrianna e Shame e Savannah.
  E quest'uno riempie il deserto e ci moltiplica proiettandoci all'infinito nell'iperspazio a perdita d'occhio come in quella splendida scena di quel film che avevo visto da Jeff, Zabriskie Point.. Un film di un regista italiano coi controcoglioni che, se non sbaglio, si chiamava qualcosa come Antonini o Antonioni. Il deserto, a causa delle allucinazioni dei protagonisti - che hanno fumato marijuana prima di mettersi a scopare - si popola di orge silenziose. La colonna sonora è da sballo: Pink Floyd e Grateful Dead in sottofondo. Inutile dire che questo è uno dei miei film preferiti in assoluto.
 
Poi, all'improvviso, il mio trip erotico, diventa molto dolce e infine, sento le energie della droga risucchiare disperatamente il mondo esterno per sopravvivere e rivaleggiare con la luna incandescente bassa come un disco volante su di noi e livida di rancore. E io penso alla morte. Al deserto, che è il luogo stesso della morte per antonomasia, intesa come mancanza di vita. E mentre il fuoco del falò si consuma insieme ai nostri amplessi della serie scopiamo via la morte, allo scenario stratosferico del Parco Nazionale del Bryce Canyon nuova linfa vitale.
“Sono vivo!!!” Ha gridato Shame, infierendo sulle carni straziate di Savannah alla luce sanguigna del falò. “Vivo, cazzo!!! Vivo!!!”
 
E' così che ci sentiamo, tutti quanti, mentre la notte consuma le sue candele e la luna invidiosa ci tiene incatenati al suolo attraverso un fitto reticolato fatto di ombre. Guardo la distesa dei pinnacoli argentati che ci circondano a trecentosessanta gradi e mi sento perfettamente integrato in questo miracolo architettonico, parte del progetto di un Dio psiconauta che, per una volta, ha voluto indulgere con gli stupefacenti e giocare con la distorsione percettiva del reale.
 
Domani, mi sa tanto che la nostra sgangherata carovana, anche detta Nave dei Folli, à levare le tende e proseguire il viaggio. Ma stanotte... il Paradiso Adesso è tutto solo per noi. E poi, come si dice...
 
Aspettate un attimo... Adrianna si sta facendo fuori una canna grossa come un imbuto, cazzo, e tutta da sola. E questo non va bene... giusto, ragazzi?
Dopotutto è una signorina... no, dico... ok, lo so che si fa di ben altro e che, con la droga, mi da venti a zero, però... insomma... ci ha bevuto sopra un'intera bottiglia di Jack... non vorrei che mischiare le facesse male...
 
“Ehi, gioia! Ripassa quella siga, cazzo! Dà qua, bionda!” biascico spavaldo, afferrando il mega joint. Ci metto sopra tutte le dita possibili, lo tengo da esperto ostentando orgoglioso il fatto che, in fatto di canne, io non sono certo un profano. Me la tiro un casino e mi gaso a palla, quindi faccio una cazzata pazzesca: un tirone da paura che mi riempie fino ai denti e mi fa decollare in verticale come un fottutissimo jumbo jet del cazzo.
E... oooops!
 
Cazzo, per un pelo...
 
Non ho parole... e tu, Shame, coglione devastato che non sei altro! Cazzo ridi?
 
Per poco non sboccavo sulle tette nude della mia bella.
(Non so come ho fatto a correggere il tiro)
 
E lei? Nada de nada. Niente. Nicht.
Cotta com'è, non si è neanche mossa.
 
Però, cazzo... lasciatemelo dire: che figura di merda...
 
E va bene, ok. Ho accusato il colpo. Forse è stata la vodka alla pesca, cazzo. Per non parlare del vino... quello da due dollari che bevono i barboni, che fa diciotto gradi e se fai il furbo ti manda in coma... o magari la birra... ma chi cazzo me l'ha fatto fare?
E poi, sicuramente, il Jack Daniels non mi ha fatto bene...
Basta. Ho paura che, per me, tutto questo sia un filino troppo...
E tuttavia, barcollo ma non mollo.
Stoicamente, riprendo in mano la mia piccola nave spaziale:
“Voglio orbitarmi al di là dei confini dell'universo...”
Ma cos'è che stavo dicendo? Ah, sì... parlavo di domani.
Ma domani non è adesso.
Domani.
(E’un altro giorno)

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Capitolo 41
*** Room 217 ***


Capitolo 41
 
 
 
STEVEN COLETTI (POPCORN)
Room 217
 
Cosa volete che vi dica, fratelli?
Io non ci capisco più un cazzo di niente.
Capitano tutte a me.
Prima o poi bisogna che prenda carta e penna e mi metta a scrivere il romanzo della mia vita.
Cento per cento che sarà un best-seller.
 
 Cazzo ridete voialtri?
(L'invidia è una brutta bestia!)
 
Dopo l'incidente dei videotape cancellati, io e Jeff siamo stati sospesi per una settimana e confinati nel porcile di monolocale che condividiamo con una simpatica colonia di blatte germaniche molto territoriali e affettuose. Tanto che, ogni volta che rincasiamo con la pappa, non mancano mai di darci il bentornato. In teoria, una settimana. Che io e Jeff avevamo già pianificato di passare a far casino e a sbronzarci per dimenticare e, perché no, per ammazzare il tempo durante questi cazzo di -oserei dire assolutamente ingiusti - arresti domiciliari.
 
Invece ieri... tattaradàààààà...
 
Rullino tutti i cazzo di rullanti di tutte le strafottutissime batterie a doppia cassa da qui all'eternità, cazzo.
 
COLPO DI SCENA!
 
Udite udite, gente.
PENA SOSPESA.
 
Io e Jeff siamo diffidati dal fare cazzate, ma comunque riassunti. Ok? E questo dopo neanche un giorno di sospensione. Evvaiiiiii!!!
La verità è che siamo trooooppo in gamba!
Quelli si cagano sotto senza di noi, altro che palle!
E siccome io e Jeff non abbiamo il telefono, la cosa più allucinante e divertente è che Corvo Rosso è dovuto venire di persona a casa nostra a darci la bella notizia.
 Anche se devo dire che, alla fine della fiera, una settimana di bagordi chiusi in casa per non scialare, non era poi 'sta punizione.
Il frigo trabocca di vino, birra e Jack Daniels, quindi... non lo so, vedete un po' voi... io e Jeff non ci saremmo rotti le palle comunque!
Inoltre, sotto di noi, abitano due studentesse... due pollastrelle mica male quando non fanno le preziose, e così, magari noi potevamo spassarcela un po'... mi ero già fatto il mio film – per restare in tema coi cazzo di porno tape andati da culo – quando viene questo tuonato qui di un pellerossa da circo Barnum a dire a me e a Jeff che la nostra sospensione era... sospesa.
 La casa era un casino, ma chi se ne fotte.
Non c'abbiamo mica la colf, io e il mio socio!
Tra parentesi, è lui che fa cagare, come massaia!
Mica io!
Lascia roba in giro dappertutto.
Ad ogni modo, Corvo Rosso poi mi ha detto una cosa strana che non ho proprio capito: il Padrone di tutto TR in persona vorrebbe parlare con me da solo. Senza Jeff. E la cosa più allucinante è che si dice in giro che il poveraccio abbia un piede nella fossa, e che, quando ha saputo del nostro... ehm... incidente, pare che... sì, insomma... gli è preso un coccolone e Corvo Rosso ha dovuto chiamare il 911 e si è cagato sotto.
Non so in che ordine, ma credo che il concetto, alla fine, sia chiaro lo stesso. O no?
Così ho preso il mio chiodo e io e Corvo Rosso, con lui che guidava come in un videogame da bar lisciando tutti i cazzo di semafori rossi sulla nostra strada, ci siamo fiondati all'ospedale.
 
Il reparto di Terapia Intensiva si trova al sesto piano blocco Z, cioè praticamente in cima al cazzo di K2 e Corvo Rosso, manco a dirlo, soffre di claustrofobia , cioè uguale no ascensore.
 
 E che cazzo! Fanculo lui e le sue fobie!
 
Quando, alla fine, con un palmo di lingua a penzoloni, sono arrivato al Blocco Z, ormai ero da rianimazione cardiologica anch'io. Pronto e impacchettato per Terapia Intensiva, cazzo!
Poi vedo Lei: la rossa.
 
 Un'allieva infermiera con due tette così e le Torri Gemelle al posto delle gambe. No, dico... a momenti me lo prendevo io, un coccolone da paura, e lei doveva mettermi un cazzo di pacemaker. E invece niente. Manco m'ha cagato.
 
 Tutta colpa di Corvo Rosso, il quale, di fronte al mio fascino, è un pugno in un occhio. Senza di lui, la bella crocerossina sarebbe letteralmente caduta ai miei piedi. Invece nisba. Solita sfiga.
 
Stanza 217
L'uomo attaccato a tutta una ragnatela di cavi, tubi e nastro adesivo, al nostro ingresso – mio e di Corvo Rosso – sembra già bello e stecchito. Voglio dire... se non fosse per i ghirigori verdi e gialli sul monitor che sorveglia il suo battito cardiaco, non credo proprio che avrei nessunissimo dubbio al riguardo. Almeno fino a quando sbatte le palpebre rivelando un occhio di un azzurro scialbo tutto iniettato di sangue. Immediatamente, con un debole cenno del capo, congeda il Pellerossa, il quale, in silenzio, si genuflette come se fosse in chiesa ed esce dalla stanza lasciandoci soli. Inutile dire che io sono un pochino nervoso, cazzo, e che comincio pure a farmela sotto di brutto.
 
No, dico... e adesso? Cazzo mi succederà?
 
Va bene che è solo un povero vecchietto decrepito con un piede nella fossa, anzi...: se l'apparenza non inganna, direi proprio tutti e due i piedi e, già che ci siamo, aggiungerei anche le mani – però... cosa vi devo dire? Mi fa paura lo stesso...
Ma uffa! Ma che sfiga lurida! Mi ripeto, pestando i piedi incazzato nero. Poi, titubante e pronto a schizzare via alla velocità del suono, mi avvicino titubante al catafalco.
 
Il morituro, povero cristo, sa già d'incenso, preci e crisantemi. In quanto a solerzia, devo ammettere che qui al L.A. General Hospital non scherzano, cazzo! Tutt'altro! E siccome qui più che altrove il tempo è denaro, si attengono al motto chi prevede provvede. Ecco perché il nostro uomo, che, a dir poco, non ha certo una bella cera, è già stato lavato, bardato e incensato per varcare i Cancelli di Perla. La posizione nel letto, è quella, inequivocabile, della salma: mani giunte sul petto e mascella sostenuta da un rotolo di garza imboscato nel colletto del pigiama. A completare il quadro, mancano solo i quattro ceri votivi, il rosario tra le dita e la corona di fiori con su scritto
 
IN LOVING MEMORY
 
Io sono un ragazzo sensibile, sapete... e i funerali mi fanno sempre piangere... così, mio malgrado, davanti a questo estraneo che sembra sul punto di lasciare questa cazzo di valle di lacrime, io non riesco a trattenere le mie emozioni e comincio a piagnucolare.
 
“Mi predoni, signore, la prego... mi perdoni...” singhiozzo come un lattante un po' psycho sull'orlo di una crisi di nervi. “Io... non volevo... glielo giuro... mi deve credere... non volevo... non è colpa mia... è stato solo un incidente... perché io sono sfigato... tanto, tanto, tanto sfigato, ecco... deve credermi, lo giuro... deve credermi... è solo che... non so perché... capitano tutte a me...”
 
E visto che non ho a portata di mano un fazzoletto, sono costretto ad asciugarmi gli occhi nel suo lenzuolo e, già che ci sono, mi tocca soffiarmici pure il naso.
 
Sono nato disgraziato e, purtroppo, nella foga, urto il trespolo della sua flebo, ce la boccetta di glucosio crolla a terra in mille pezzi schizzandoci entrambi da capo a piedi.
Basta.
Si può essere più sfigati di così?
Sto per chiamare in mio aiuto la crocerossina procace dai capelli ramati quando il morituro fa qualcosa che... che cazzo, amici!
Avrei voluto vedervi voi al mio posto!!!
 
No, dico... quel patetico mucchio d'ossa, in quel letto di morte, è riuscito a spiazzarmi completamente. Io, Steven Coletti, sono rimasto di sasso, per non dire di peggio.
Dopo il disastro, aspettando l'intervento di Anna dai Capelli Rossi, ho cercato di asciugare il malcapitato alla meglio, raccattando i cocci di vetro della boccetta.
E mentre educatamente, chiedendo scusa e permesso, gli estraevo una grossa scheggia da un orecchio, eccomi faccia a faccia con l'Ignoto e con il Fato... come in un episodio di Ai Confini della Realtà.
 
Dopo un momento di imbarazzato da ambo le parti, ecco che l'incredibile... l'impossibile... l'inverosimile accade.
 
Il povero vecchio decrepito slancia verso di me due braccia scheletrite come rami secchi e, nel farlo, si strappa via un paio di cavi . Il monitor fibrilla e si spegne, e a me mi viene in mente il mio film comico preferito, L'ospedale più pazzo del mondo, quando, durante un intervento chirurgico, al posto dei tracciati dell'elettrocardiogramma, sul monitor compare la scritta
 
GAME OVER
 
Il vecchio si sporge verso di me. La maschera che gli serve per respirare vola per aria. Affanna. Prende fiato. S'impenna sul letto e si mette a gridare.
Fi.glio... fi.glio mio!”
 
Il peso delle sue parole mi schiaccia come un macigno ed io, impotente, crollo in ginocchio con un doppio avvitamento carpiato fottendomi entrambe le rotule.
 
“Piccolo... piccolo mio... per.do.na tuo pa.dre... io... non vo.le.vo... non vo.le.vo la.scia.rti... è solo che... io... è una vi.ta che ti cer.co... vie.ni qui... fatti ab.brac.cia.re... fi.nal.men.te ti ho tro.va.to...”
 
Parla ansimando, una sillaba alla volta, come se ognuna di esse fosse una cazzo di montagna da scalare.
Io non posso parlare. L'emozione mi serra la gola. Tutto ciò che posso fare, è lanciarmi a capofitto su di lui con un grido liberatorio che mi straccia il cuore.
 
“PAPA'!!!”
 
Lui mi accoglie e mi conforta. Poi mi stacca da se' e mi scruta attentamente.
 
PI.NOC.CHIO!!!”
 

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Capitolo 42
*** Shit Happens ***


Capitolo 42
 
 
 
WILLIAM BRUCE BAILEY (BILL)
Shit Happens
 
No, dico io.
Ma che sfiga!
Ma non ce ne va bene una manco morti, cazzo!
 
(Adesso sì che siamo fottuti per davvero!)
 
Io non ho parole.
So solo che mi sto surgelando come un cazzo di pinguino disadattato, e sono certo come la morte che, prima di domani, mi verrà una cazzo di broncopolmonite doppia e chi s'è visto s'è visto.
 
Dov'è che si doveva rompere, secondo voi, miei unici amici e fratelli, il riscaldamento della Rocky Horror Mobile?
Cinquanta dollari al primo che indovina... tanto lo so che è troppo anche per voi... non ci arriverete mai, cazzo, e allora ve lo dico io: nel fottutissimo Deserto Mojave.
 
Dove, nonostante si tratti appunto di un deserto, e d'estate ci arrostisci come un tacchino del Ringraziamento, cazzo, in primavera e in inverno va in modalità Tundra Siberiana.
 
 Questo - purtroppo per noi e la nostra sfigatissima Carovana dei Folli – significa che la temperatura media, in febbraio-marzo, se vi va bene, si aggira tra i 15 e i 20° Fahrenheit
 
(cioè dai -9.44 ai -6.66° centigradi)
 
Insomma, più che un minivan, questo è un maxi frigo, e a meno che non intervenga qualche Santo dall'Alto a pararci il culo, siamo nella cacca fino al collo - tanto per cambiare.
Vorrei vedere voi, al nostro posto... e noi, vestiti solo con chiodo, maglietta e jeans stracciati che espongono la carne viva, non siamo equipaggiati per l'Antartide come Amundsen e il colonnello Nobile. Quindi, per scaldarci e non schiattare assiderati, facciamo quel poco che possiamo: vale a dire, scopiamo, beviamo e ci sballiamo.
 
Fuori dai finestrini, sfilano splendide concrezioni di borato e gesso che tutto ad un tratto, cedono il passo a cespugli irti e stepposi resi opachi dalla patina di sabbia color ocra che riveste ogni cosa e che le ruote del nostro mitico congelatore ambulante, qui, contribuiscono a spargere ai quattro venti fra cielo e terra.
 
La lapide di Zabriskie Point, dedicata ad un incauto cercatore d'oro che, circa cent'anni or sono, ci ha lasciato la ghirba, ormai è un puntino lontano nello specchietto retrovisore, non più reale, per me che sono strafatto come una biscia d'acqua inquinata, dei frammenti di un sogno già sognato.
 
Shame se ne sta riverso nella sua cuccetta con Savannah a fumare... no, ragazzi... non ci crederete: un cazzo di vero e autentico calumet della pace 100% Sioux pieno di oppio dell'Iran. No, dico... ma ve l'immaginate? Un ragazzino americano capellone, con gli occhi azzurri e la maglietta dei Led Zeppelin, cazzo, che fuma oppio come un vecchio mandarino saggio da barzelletta razzista sui cinesi... ma roba da matti! Questo qui è fulminato per davvero, altro che balle!!! E, a quanto vedo, la sua zoccola non è da meno...
Basta.
Inutile dire che l'odore pungente di quella robaccia ti picchia in gola peggio del buon vecchio zio Jack (Daniel’s) e che ha letteralmente impestato l'intero abitacolo in un nanosecondo non appena il mio socio ha dato fuoco ai cannoni.
E la povera Savannah, qui.
Che in questo momento, poveraccia, sta cercando di guidare dritto senza andare a sbattere contro qualche cazzo di guglia, torrione o canyon.
No, dico.
Non potendo vedere la strada, se la deve immaginare.
Isolarla.
Sintetizzarla
(dalla sua cazzo di nube tossica)
 
Devo dire che non la invidio per niente.
Nossignore.
 Povera crista.
Per quel che può servire, ha tutta la mia simpatia.
 
Quanto a Shame... non ho parole.
Mi fa venire un nervoso... non crederà mica di farsi fuori tutto quel ben di Dio da solo?
 
“Ehi, amico!”
Gli grido, strappandogli di mano rudemente la lunga pipa indiana intagliata.
“Molla l'osso! Ma dico, io... che egoista che sei!!!”
Gli strizzo l'occhio e, per fare il figo con le due passerotte, faccio un tirone da disgraziato.
 
“Brrrrrrrruuuuuutto caaaaaat-tiiii-vooooo!” lo rimprovero, non appena riesco a mettere insieme una frase decente. “Bell'amico che sei, Shame, cazzo! Non me lo facevi neanche assaggiare?”
Subito dopo esplodo. Deflagro. Vado in mille pezzi.
Inutile che mi chiediate com'è stato, amici, perché non mi ricordo un cazzo. So solo che è una figata stellare. Punto e basta.
Tutto il resto, purtroppo... non ve lo so spiegare. E forse è giusto così. Il trip con l'op è qualcosa di assolutamente unico. E come tale, appartiene all'indicibile.
  Ad un certo punto, quando riesco di nuovo a connettere, vedo il mio corpo alla deriva come un iceberg in un mare di stronzate. La forza di gravità, così come la conosciamo, non esiste più. E quando il vino, il Night Train Express, fa un giro di pista, amici miei... per me è davvero la fine. Dodici gradi, dico 12 fottutissimi gradi. Mezza bottiglia e vado al tappeto. Giuro. Provare per credere. Quel cazzo di intruglio letale non perdona nessuno.
 
L'ultima cosa che ho visto è stato il Coniglio Bianco di Alice nel Paese delle Meraviglie Stupefacenti, che mi faceva segno di seguirlo in un pozzo senza fondo. Tutto il resto è buio.
 
Dopo lo splendore coinvolgente dei pinnacoli ambrati di Zion e la pace irreale del Lake Powell, in cui ci laviamo tutti la faccia per tornare ad uno stato di coscienza appena decente, con il manto indaco e violetto della sera che cala su di noi come un sipario, proseguiamo il viaggio e, finalmente, oltrepassiamo il confine di Stato.
 
WELCOME  TO
NEVADA
 
recita un cartello che raffigura un cowboy.
Dietro di lui, un fondale arancione. Un cielo al tramonto solcato dal profilo nero dei monti.
Ed ecco che, finalmente, il deserto ci dona il suo fiore.
 Lei.
 
Sin City
(la Città del Peccato)
 
Il roboante Regno della perdizione.
 
If you go the money, Honey
We got your disease
 
Se hai soldi, tutto si vende e tutto si compra.
Tutto è lecito e possibile.
 
Ed eccoci qui.
Chiamatela come volete
(tanto non cambia una virgola)
 
 Las Vegas è sempre Las Vegas.
O no?

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Capitolo 43
*** the Man who fell on Earth ***


Capitolo 43
 
 
 
JEFFREY DEAN ISBELL
(JEFF)
The Man who fell on Earth
 
Che Steve sia un tipo molto ma molto particolare, nel bene e nel male, credo che a questo punto sia chiaro a tutti.
 
Mi spiego.
 
Io, per esempio, non ho mai avuto il minimo dubbio sul fatto che lui sia un extraterrestre.
 
  Un Marziano, un Grigio o un fottutissimo Rettiliano in incognito caduto sulla Terra da qualche remota Luna di Giove. Come David Bowie in quel film allucinante di qualche anno fa, avete presente? L'UOMO CHE CADDE SULLA TERRA.
 
Ecco.
Per me quel film è la biografia non autorizzata di Popcorn.
(Dovrebbe fargli causa)
 
 Non ci credete?
 
  Passate una giornata, dico una sola con lui e poi ne riparliamo... comunque, quanto a sfiga, il ragazzo mi dà dieci a zero. Infatti, poveraccio, ancora una volta ha stabilito un triste primato.
 
Nel giro di sole 24 ore ha ritrovato e – ahimé – ri-perso il suo padre biologico.
Cazzo, che storia!
Sembra uscita da un cartone animato giapponese sponsorizzato dalla ditta che fabbrica i Kleenex...
No, dico.
Confesso che non ho parole.
Sentite che roba, poi giudicate voi.
 
  Tanto per cominciare, premetto che, da un colloquio con i medici, Steve è venuto a conoscenza del fatto che il povero Winston Steven Coletti senior, oltre allo scompenso cardiaco dovuto alla chemio che gli ha causato l'infarto, da tempo era minato nell'intelletto dal Morbo di Alzheimer. Anche detto Demenza Senile.
 
  Un male che ti ruba il tesoro più prezioso che hai accumulato durante tutta la tua fottutissima vita.
E quando il morituro aveva chiamato suo figlio Pinocchio lasciandolo lì di stucco – per non dire di merda – al ragazzo era venuto un piccolissimo sospetto che forse, in fin dei conti, suo padre, tanto giusto di testa, non lo era più.
 
Se poi ci sommi la chemio e l'infarto, capisci che forse Dio – ammesso e non concesso che esista davvero – prendendoselo ha agito nel suo interesse e in quello di Steve.
 
La situazione è precipitata quando, finalmente, il nostro ESEQUIANDO ha potuto stringere tra le braccia il degno frutto dei suoi lombi.
 
Il suo cuore malato non ha retto all'emozione.
E il povero Steve si è ritrovato orfano di botto
(dopo esserlo praticamente sempre stato)
 
Il funerale è fissato per domattina alle 10.00 in forma strettamente privata, secondo la volontà del caro estinto.
Ovviamente, però, visto che questi era il proprietario della catena dei Tower Records di tutto il cazzo di globo terracqueo, ci sarà almeno lo staff al completo della sede di L.A.
(nonché, a quanto si vocifera, una delegazione di rappresentanti delle altre filiali più importanti e remunerative)
 
Inutile dire che, a parte il dispiacere di Steve, io e il mio socio siamo anche eccitati... passatemi l'espressione... a morte.
Non possiamo fare a meno di chiederci che ne sarà della catena di esercizi ora che il proprietario non c'è più, ma non sappiamo praticamente nulla al riguardo, e questo aggiunge alla cosa la giusta dose di suspense.
Non credete anche voi?
 
In fondo, per noi, il passato del nostro un tempo Ignoto e ora Ben Noto Benefattore estinto è un buco nero.
 
Tutto quel che sappiamo di lui è che ha sempre cordialmente detestato la stampa e i mass-media, e soprattutto, sempre aborrito l'idea di farsi fotografare.
 
 Pare che fosse pieno di fobie e di complessi. Così si vocifera.
In più, se al cocktail aggiungete che non rilasciava mai interviste, capirete che quel tipo era davvero una miscela esplosiva.
 
Per Steve e per me, la sua vita è un romanzo decadente.
Un poema di Rimbaud.
Una leggenda metropolitana.
 
Da quando abbiamo saputo di lui, non riusciamo praticamente più a parlare d'altro, e va a finire che, immancabilmente, ci perdiamo in inutili congetture.
Per esempio... che ne sappiamo noi, del suo passato?
Che so io.
L’unico punto fermo è che il defunto era un tipo strambo. Un eccentrico. Un misantropo. Tutto quello che volete.
 
Però, da quel poco che ho capito, era anche uno tosto, che sapeva godersi la vita. A questo punto, inevitabilmente, la domanda da un milione di dollari sorge spontanea: se davvero era un viveur... un playboy e cazzate varie... aveva altri figli in giro per il mondo?
 
Oppure Steve è l'unico distillato delle sue sacre gonadi?
 
E Gina?
Ve la ricordate Gina Coletti, vero?
 
La ragazza che lavorava con me dal Boss mafioso.
Don Caputo
 
(baciamo le mani)
 
detto O' Vibrione.
Proprietario della famigerata Pizzeria Vesuvio.
 
Non potete averla dimenticata!
(Gina, dico, non la pizzeria - che, grazie a Dio, ormai è storia)
Bene.
E Gina cos'è veramente per Steve?
E' davvero sua sorella, oppure è una sorellastra?
Cioè.
I due fratelli hanno lo stesso padre oppure no?
 
Perché il povero Popcorn, qui, tanto per cambiare, non ne sa nulla, perciò adesso, con tutti questi dubbi per la testa, il mio compare non solo ha perduto totalmente il sonno e rompe le palle 24 ore su 24, ma pure quel briciolo di senno che gli era rimasto.
No, dico.
Ma ve l'immaginate cos'è diventata la mia vita?
 
Steve è deragliato del tutto e il sottoscritto non se la passa niente bene...
Nel mio cervello obnubilato dall'insonnia, sfilano slogan impossibili.
 
Popcorn ereditiere.
Popcorn milionario.
Popcorn Amministratore Unico di T.R.
 
No, questo non è possibile.
E' minorenne, cazzo.
E i minorenni non possono amministrare un bel niente in questo Paese.
Non senza il consenso dei genitori o di un tutore legale.
(E la madre di Steve, da quel che lui stesso mi ha raccontato, è una tossica farcita di antidepressivi)
E la nonna, con cui viveva fino a pochissimo tempo fa?
Mah! E' un rebus.
 
Però, se davvero Steven fosse l'unico erede... cazzo, ragazzi... mi si piegano le gambe solo a pensarci... giuro.
 
Non oso neanche immaginarlo.
E poi, conoscendo un po' la vita, mi aspetto che ci sia una contropartita, cioè un cazzo di rovescio della medaglia. Bah. Non lo so, è presto per fare supposizioni, riuscirei solo a sparare cazzate. Basta saper aspettare. Nient'altro. Tutto qui.
 
Già, cazzo... come se fosse facile... cioè... la mia vita e quella del mio socio, qui, sta per subire una rivoluzione di 360 gradi e voi mi dite aspetta e vedrai? E chi ci riesce?
 
Pensate che ho persino cominciato a mangiarmi le unghie... e sono già arrivato alla seconda falange... se vado avanti così, tra un po' la chitarra la suono con le ossa nude, cazzo! Posso tranquillamente buttare il plettro giù per il cesso!
 
No, dài... ve l'ho detto che sto peggiorando... A parte gli scherzi, aspettare è l'unica cosa che possiamo fare.
 
Due giorni, gente. Due fottutissimi giorni e, finalmente, sarà giovedì. E fino ad allora, io e Steve possiamo fare tutti i cazzo di castelli in aria che vogliamo e sognare ad occhi aperti.
Quanto alla verità, la scopriremo solo giovedì pomeriggio, a funerali avvenuti, quando Steve dovrà presenziare davanti al notaio Vattelapesca alla lettura del Testamento del Vecchio.
 
Un'ecatombe per TR.
Una figata stellare per noi.
 
Non posso fare a meno di pensarci...
 
E che cazzo! Tenere i piedi per terra, nella nostra situazione, non è facile per niente. Vorrei vedere voi, al mio posto!
Purtroppo, però, in tutta la nostra baldanza, c'è come una nota stonata. E' la mia vocina. Il mio sesto senso.
 
Chiamatelo come cazzo vi pare e piace.
 
Qualsiasi cosa sia, è in allarme rosso.
Che, tradotto, significa che mi sto cagando sotto dalla strizza.
E se davvero non mi fottuto il cervello stando con Steve, sento puzza di guai.
 
 

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Capitolo 44
*** LAS VEGAS. Fear & loathing ***


Capitolo 44
 
 
 
WILLIAM BRUCE BAILEY (BILL)
LAS VEGAS. Fear and loathing
 
Finalmente ho trovato la mia vera vocazione.
 il Peccato.
Quello  con la P maiuscola.
 
E, ripensandoci col senno di poi, mi sa tanto che quel vecchio trombone stonato del Predica Bene e Razzola Male della Città dei Morti in Piedi, non aveva tutti i torti. Perché io finalmente ho capito la mia vera natura.
 
Il sottoscritto è una Mela Marcia.
Una Pecora Nera.
Un'Anima Persa.
 
Peccare mi piace. Di più, di più, di più: mi esalta, cazzo.
 
E mentre il minivan della Famiglia Addams si districa più o meno agevolmente nel traffico, io e Shame ci facciamo il trip della libertà totale tra le luci bugiarde delle insegne al neon di tutta una serie infinita di attrazioni che però, al momento del nostro arrivo, a metà pomeriggio, sono ancora spente.
 
Già, amici miei.
Non ve l'ho detto, ma c'è un dettaglio che cambia tutto.
Siamo arrivati troppo presto.
 
Questo posto è magico, cazzo. Magico. E' vero, lo ammetto. Lo dicono tutti. Però, in pieno giorno, la macchina dei soldi è spenta. Le insegne luminose IDEM. E della città-baraccone resta solo la facciata. L'impalcatura, per così dire. Come succede per gli scenari di certi film western girati a costo zero.
 
Fuori dai finestrini luridi e impolverati del nostro cocchio fatato sfilano case da gioco, night, topless bar e hotel a cinque stelle con tutti i comfort possibili e immaginabili messi lì apposta per spennare vivi i polli di turno.
C'è tutto, certo. Non manca niente.
Però è squallido vedere Las Vegas e i suoi trucchi di giorno.
 
Un po' come vedere vostra nonna senza dentiera.
Non trovate anche voi?
 
Al volante, Adrianna e Savannah, tanto per cambiare, sono cariche come treni merci.
 
Nel nostro piccolo mondo, il morale è alle stelle. E' solo che... non lo so, io non riesco a sentirmene parte. Voglio dire... la luce diurna, questo posto, non lo aiuta. Non nascondo che, al momento, sono deluso.
Sin City me l'ero aspettata frizzante, vivace e peccaminosa. Invece, adesso che ci siamo è una pizza. Un mortorio. Una palla totale.
 
La prima tappa è tutta per fare rifornimento. Benzina. Ma non per il minivan. Per noi. Poi facciamo un giro di ricognizione.
 
Dunque. Diciamo che va un po' meglio. Almeno, adesso che l'ho intravisto, il vero volto di questa città, credo che stanotte, quando tutte le sue luci tentatrici saranno accese, per me sarà più facile dare un giudizio oggettivo e calarmi nel quadro. Ad ogni modo, questa bagascia urbana ha due facce opposte e complementari. Sorta tra la Valle della Morte e il Deserto Mojave come un enorme Fiore del Male, di giorno è un mortorio e di notte un vespaio. Alla luce impietosa del sole allo zenith, però, la magia si dissolve e ogni fascino è vinto: Las Vegas è un clown col trucco che cola.
Di notte, invece, il make up scintillante rinnova l'incantesimo che attrae avventurieri, giocatori, ruffiani, bookmakers legati al sottobosco clandestino delle scommesse e gente di malaffare. E noi, inutile dirlo, siamo tra questi.
No, dico... ma ci pensate, cazzo?
Bill e Shame. Sedici anni. Farciti di ormoni e con due fighe spaziali al seguito, nel Paese dei Balocchi... uno ci può anche restare secco, dico io. Voi che ne dite, fratelli... si può morire di gioia e di eccitazione? perché se si può, visto il mio cuore che tira come un cazzo di treno merci, io ci lascio la ghirba di sicuro. Ve l'immaginate la lapide?
 
WILLIAM BRUCE BAILEY
di anni 17
(BILL)
 
E accanto alla mia foto segnaletica, voglio quest'epitaffio:
 
se n'è andato
mentre veniva.
 
Anzi, facciamo una cosa: già che ci siamo, seppelliamolo davvero una volta per tutte, questo BILL. Voi che ne dite? Ci state? No, perché... non so a voi, ma a me 'sto provincialotto cominciava a starmi stretto...
 
Bye bye, Bill. E voi, quaccheri ignoranti di Lafayette, Indiana: andate tutti a farvi fottere. Io da oggi, se non vi spiace, sono semplicemente
AXL ROSE
Cioè.
AXL
Come la mia vecchia band della high school che paparino Stephen, tanto per cambiare, mi ha mandato in vacca.
E ROSE
come il padre biologico che non ho mai conosciuto, anche se, a quel che si vociferava in giro dalle mie parti, pare non fosse uno stinco di santo neanche lui.
E appena avrò diciotto anni, cambierò il mio nome anche legalmente.
(Così è deciso, l'udienza è tolta)
 
Dicevo, eccoci qua.
 
Axl Rose.
Diciassette anni.
 
Shannon Hoon detto Shame. Quindici.
 
Adri e Savannah.
 
Età dichiarata: diciannove, se non sbaglio.
 
Età anagrafica... truccate, dai quindici ai venti o ventuno.
Struccate, dodici e mezzo.
 
Tutti e quattro rabbiosi, randagi e strafatti con a disposizione quel tanto che basta di alcol, sesso, droga e svanziche da sputtanare in divertimenti per poterci definire a cuor leggero liberi e felici.
 
Cioè... io e Shame, a dire il vero, siamo poveri in canna. Voi lo sapete. Il nostro bancomat sono le pollastre. Loro, quand'è ora di alzare moneta, non stanno mica certo lì a menarsela. In fondo, lo ammettono tranquillamente che girano col materasso legato sulla schiena. Cazzi loro. Che male c'è? Lo farei anch'io, se fossi una donna, cazzo! E poi, io e Shame non siamo mica gelosi. Anzi!!! Ce la godiamo a palla. Ben vengano i polli da spennare! Tanta manna!!!
A parte gli scherzi, potremmo mettere su un'impresa a conduzione familiare, con la giusta mentalità imprenditoriale: loro a battere i marciapiedi e noi a battere cassa.
 
Dunque. Eccoci qui.
A prima vista, Sin City nonché Fiore del Deserto, ha un unico neo: il clima. Il che, purtroppo, è un imprevisto non da poco.
Il sole è una una roba assurda. Sembra di stare in una cazzo di fornace. Inutile dire che io, Shame e le signore, vestiti di pelle nera e jeans a pelle, ci stiamo letteralmente liquefacendo.
E meno male che siamo in febbraio, cazzo!
No, dico... arrivare di giorno non è stata, a dir poco, una genialata, e adesso ne paghiamo lo scotto. Quindi, sudati marci e puzzolenti da fare schifo, facciamo un piano d'attacco ragionato contro 'sta cazzo di palla di fuoco che, fino quasi alle sette di sera, non vuole saperne di tramontare.
 
Prima tappa: Hotel Bellagio. Categoria Extra lusso. Famoso per le fontane dagli altissimi giochi d'acqua, nelle quali stasera, cazzo, col favore delle tenebre, contiamo di darci una bella rinfrescata.
 
Il guaio è che purtroppo, però, di giorno, le fontane sono spente, ragion per cui ci tocca aspettare e sperare. Ma stanotte, col favore delle tenebre, temperatura permettendo, giuro che colpiremo. Intanto, raggomitolata nel grembo torrido e greve del deserto, la Città dei Peccatori sonnecchia come un lattante in vista della Notte prossima ventura. E tuttavia, mi eccita sapere che conosco il suo segreto. Perché adesso la Città della Perdizione mi fa un po' meno soggezione.
 
Lo squallore mi attira. Le pagliacciate le adoro. Cos'altro dire? E' una truffa? In fondo anche il punk lo è. Lo dicono i Sex Pistols, cazzo.
 
The Grat Rock N' Roll Swindle
(la Grande Truffa del Rock 'N Roll)
 
Dopo un salutare giretto a piedi sotto il solleone, coi capelli appiccicati alla faccia e la lingua felpata a mo' di red carpet, decidiamo di sospendere le perlustrazioni fino a nuovo ordine. In attesa che questo cazzo di Gran Sole di Hiroshima s'impicchi ad un cactus o ci faccia secchi tutti quanti - a scelta, cazzo - parcheggiamo davanti alle Porte del Paradiso, all'ombra – si fa per dire – della più grande insegna al neon del mondo.
 
LAS VEGAS
WELCOME TO NEVADA
suggerisce la celeberrima silhouette nera del vaccaro al crepuscolo. Lettere cubitali, bianche come la neve su uno sfondo infuocato. E, infine, l'ombra nera, evocativa, del cowboy. Quello che si dice un messaggio efficace. Potere della Pubblicità. L'abbiamo studiato anche a scuola. A proposito, lo sapete che si dice che, date le sue dimensioni, questa cazzo di insegna sia visibile persino dallo spazio? Non ci credete? Io non lo so, visto che nello spazio non ci sono ancora stato - se escludiamo un paio di trip col peyote fatti col cuore. Se venite a Las Vegas di notte, la vedrete già parecchi chilometri prima di mettere piede in città. Magari, come dicono, avrete addirittura l'impressione di non arrivare mai. Che ne so.
 
So solo che Las Vegas è questa.
Gioco. Truffa. Illusione. Baraccone.
Dalle illusioni ottiche alle truffe, qui il passo è breve.
Ve lo dico io!
Quindi, biglie aperte e... all'occorrenza, gambe in spalla.
 
Com'era prevedibile, mentre il sole ci cucina a fuoco lento sull'asfalto rovente della carreggiata che si snoda nel deserto come il serpente lungo sette miglia di Jim Morrison, il cervello ci va a puttane del tutto.
 
Dov'è la novità, direte voi. E avete ragione da vendere, cazzo.
Si sa, il caldo fa brutti scherzi e noi, qui, ispirati dal suddetto cartellone pubblicitario – al momento in modalità risparmio energetico - ci tappiamo nel minivan a boccheggiare in mutande stravaccati sulle cuccette sfatte, incollati alla nostra scorta di birra ghiacciata. Fuori ci saranno 451 gradi gradi Fahrenheit se non di più, come in quel vecchio film di fantascienza. Che poi sarebbe più o meno la temperatura di fusione della carta. Non so se mi spiego...
E che cazzo... l'altra notte ci siamo congelati, e adesso friggiamo.
Che sfiga! Ma, dico io... ma si può?
Quindi, capiteci... in condizioni così estreme, per dei cervelli compromessi come i nostri, persino pensare è uno sforzo insostenibile. Quindi, pietà. Siate umani!
 
In breve, per difenderci dai bollori del Mojave, mitigati dalle braci della Valle della Morte, spariamo cazzate a nastro.
Mi chiamo Mork” canticchia uno Shame disossato e ormai semiliquido come un omogeneizzato andato a male, citando la sigla di una serie tv che persino mio fratello Stu, che ha otto anni, trova penosa.
No, dico? Ma ce l'avete presente? Aperta parentesi, caro piccolo Stu... faccia da delinquente... chissà cosa sta facendo in questo momento... spero solo che stia un po' meglio di me, che sto arrostendomi vivo in un cazzo di tegame a quattro ruote motrici.
 
E la dolce Amy? Quanto mi mancano, quelle due pesti bubboniche... per non parlare di Jeff, che presto, a Ronnie James Dio piacendo, io vedrò. Chiusa parentesi.
 
Sapete cosa sta facendo quel pazzo da rinchiudere di Shame? Sta tentando di aprirsi una Corona gelata coi denti.
 
“ Mi chiamo Mork” ripete, sbavando sul collo della bottiglia in un sinistro scricchiolio di molari crivellati di otturazioni. “Su un uovo, vengo da Ork...”
 
Crack!!!
 
“Oh, cazzo...” esclama dopo quasi un minuto di silenzioso raccoglimento, bianco in faccia come un morto. Poi, la lingua – che batte dove il denteduole – si avventura sui denti davanti in una cauta esplorazione, alla vana ricerca della corona di un incisivo frontale che, purtroppo, manca vistosamente all'appello. Poi rotea gli occhi e stramazza a capofitto sul pavimento cosparso di mozziconi. “Non mi sento niente bene...”
La nostra piccola combriccola è raggelata. E' evidente che il nostro fratellino tuonato, qui, ha bisogno urgente di un dentista.
Cazzo, ragazzi... che guaio! I dentisti costano un occhio! Sono sanguisughe! E noi, coi soldi che abbiamo, dobbiamo arrivarci a Los Angeles e magari, visto che ci siamo, passare una bella serata qui a Las Vegas.
Merda, dico io.
Questa non ci voleva proprio...
 
Quanto a Shame... beh, sinceramente, ragazzi... così è inguardabile.
Il dente si è spezzato in modo irregolare a ridosso della radice e, a guardarlo, quando parla o, peggio, il disgraziato ride, sembra una pietra tombale terremotata infilata di sbieco nella gengiva. Povero Shame... cioè... povero scemo!
Quando parla, fischia.
Le esse gli vengono fuori come ultrasuoni che ti fottono i timpani, cazzo. Se poi ci aggiungete che a quindici anni sembra già bello e impacchettato per l'ospizio, lo capite anche voi che si tratta di un caso pietoso. Dobbiamo fare qualcosa. Già, ma cosa?
Al momento abbiamo due opzioni:
 
a) fottercene di Shame e delle sua finestra nuova di zecca sul mondo così, la prossima volta che decide di fare il cavatappi umano, ci pensa due volte.
 
b) rimediare la grana. E dove? Elementare, Watson: in un Casinò o in una cazzo di Sala da Gioco, Bisca o quel cazzo che volete voi dove si fa sul serio.
 
E qui le cose si fanno interessanti... perché, si sa: i Casino' con l'accento sulla O e le Case da Gioco sono assolutamente vietati ai minori. Per entrare, ci vogliono 21 anni... ma forse, pensandoci bene, le pollastre ce la fanno. Dicono che hanno un piano. Giurano che funziona. Che dobbiamo fidarci di loro e via dicendo. Ok, dico io. Fate pure. E noi? Cosa dobbiamo fare? Il mio sesto senso, vocina o quel diavolo che volete voi comincia già a farsela sotto. Con queste due pazze furiose, io non mi sento per niente tranquillo, però... mi sa tanto che non abbiamo scelta.
Dobbiamo farlo per Shame.
Lui, dopotutto, è uno di noi, cazzo.
Si vota per alzata di mano. Inutile dire che è un plebiscito.
Basta.
La notte si avvicina... quatti quatti, strisciamo fuori dal nostro covo come ragni da sotto un cazzo di comodino.
Poveri noi... speriamo bene...
E quanto a voi... mi raccomando, eh? Restate sintonizzati!
Ho paura che ne vedrete delle belle!!!

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Capitolo 45
*** Buried alive in shame ***


Capitolo 45
 
 
 
STEVEN COLETTI (POPCORN)
buried alive in shame
 
Buhuhuhuhu!!! Povero me!!!
Non è giusto...
Nessuno... nessuno al mondo è più sfigato di me!!!
Io non so più né cosa dire né cosa fare: tanto, tutto quello che faccio, puntualmente, finisce in merda.
 
 Non ci credete?
 
Stamattina c'è stato il funerale di mio padre.
Un padre che non ho mai avuto e che si va vivo all'improvviso per poi farsi morto e lasciarti nella cacca fino al collo. A piangere una persona che, fino a prova contraria, per te non è mai stata nient'altro che un nome sulle carte.
Un nome che, del resto, fino a pochi giorni fa, non avevo mai sentito.
Eppure un padre è sempre un padre, gusto?
E io, il mio, appena l'ho trovato l'ho perduto.
No, dico. Non vi basta?
L'ho sempre detto, io, che son nato disgraziato!!!
Tanto per cominciare, il funerale è stato un circo equestre, altro che intimo e dimesso!
E qui, amici miei, la prima sorpresa: papà era Ebreo.
 
La sinagoga era gremita di gente e di fiori. Io e Jeff ci siamo pure dovuti infilare in testa la Chippia o come diavolo si chiama.
Quella specie di papalina di carta da fissare alla criniera con due mollette
(avete presente?)
 
E giuro che non è stato affatto divertente.
Quelle cazzo di forcine ti trapanano il cranio, cazzo!
E poi per toglierle c'è voluto un rosario di bestemmie ebraiche che, io e Jeff, con le chiome cotonatissime che ci ritroviamo, abbiamo discretamente snocciolato a parte.
 
Ad ogni modo, il rito è stato palloso oltre ogni dire, visto che io e Jeffy l'ebraico non lo mastichiamo e, alla fine della fiera, per dirla pane al pane – azzimo - e vino al vino, non ci abbiamo capito praticamente un cazzo.
 
 Per come la vedo io, già evitare di fare figure di merda a nastro davanti a mezza America, da parte nostra, è stato un contributo sufficiente alla riuscita della cerimonia. Quello che ci ha colpiti è stata la gente.
 
  C'erano rappresentanti di TR venuti un po' da tutto il mondo a rendere omaggio al Boss Estinto, e soprattutto c'era tutto, ma dico tutto lo staff al completo della sede di L.A. Corone di fiori ceri votivi, salmi e preghiere.
Basta.
Quando la bara è stata calata nella fossa, il rabbino, un vecchietto tutto torto e sghembo con i boccoli bianchi e la barbetta caprina, è venuto da me a stringermi la mano brandendo una cazzo di vanga. E quando ho capito cosa si aspettava da me, mi sono messo a piangere come un poppante.
E devo dire che mia sorella Gina, poveraccia, armata di kleenex fino ai denti, mi ha davvero salvato il fondo schiena.
Senza di lei, se non affogavo nelle mie stesse lacrime, sarei certamente morto di vergogna.
“Coraggio, figliolo” mi ha sussurrato, facendomi pat-pat sulla spalla. “Calmati, adesso! Il tuo papà ti guarda da lassù-”
Ha aggiunto, facendomi ululare come un lupo mannaro americano a Londra e peggiorando notevolmente la situazione.
“Avanti! Sii uomo! Digli addio come si deve. Mi raccomando, non farlo sfigurare-”
E, così dicendo, mi ha sfiorato l'orecchio con la barba che sembrava carta vetrata.
 
Ragazzi, che roba! Non l'avesse mai fatto.
Vi ho mai detto che soffro il solletico?
Ebbene, se non ve l'ho mai detto ve lo dico adesso: io lo soffro da morire, cazzo. Da bambino, una volta, giocavo con Gina sul divano a fare la lotta e lei, per piegare la mia resistenza, ha usato quella che per me è sempre stata un'Arma Letale: il solletico. No, dico... mi sono venute le convulsioni. Ci credete? Cazzo, ragazzi... non respiravo più!
Stamattina, alla tumulazione di mio padre, stessa storia.
E che cazzo... è più forte di me. Non è mica colpa mia!
Getto un paio di palate di terra e il mio sistema nervoso va in tilt.
Nel giro di una frazione di secondo, i miei singhiozzi sono diventati risate irrefrenabili. Crudeli. Strappabudella.
Risate oscene. Oltraggiose. A crepapelle.
Inutile dire che un mormorio di disapprovazione ha serpeggiato per tutto il cimitero e io, in una frazione di secondo, dal caso pietoso, sono diventato l'Anatema.
No, dico... deficiente di un rabbino, tagliati quella cazzo di barba!!! E lui, per tutta risposta, che fa? Mi guarda brutto, si china su di me e mi alita nell'orecchio
“Contegno, ragazzo. Contegno!”
Basta. Io non ci ho più visto.
Mi è mancato il fiato, ho visto tutto nero e...
E il resto, come si dice, è storia.
 
Prima il funerale, poi la lettura del testamento. E se il primo è stato un disastro, la seconda è stata la morte civile.
 
 Ci siamo trovati tutti dal notaio.
Io, mia sorella Gina, la nonna e mia madre, che non vedevo da mesi e che, per prima cosa, mi ha dato un bello sganascione perché non le ho più telefonato.
 
Ma come faccio io a chiamarla, se ogni volta mi copre d'insulti e se la prende sempre con me per il fallimento della sua cazzo di vita?
 
Insomma, l'ho detto e lo ripeto: sfigato sono nato e sfigato morirò. Punto e basta, cazzo!
 
Che il vecchio fosse eccentrico, l'avevo capito. Che non avesse tutte le rotelle, a questo punto, era ovvio.
Quando, all'ospedale, mi aveva chiamato Pinocchio, mi era venuto un leggero sospetto che forse, il mio caro papino, non aveva tutti i venerdì.
(Ma mai e poi mai avrei immaginato quel che la sua mente... non proprio sanissima aveva in serbo per me!)
 
Ma andiamo con ordine, che prima tocca alla nonna, alla mamma e a mia sorella Gina.
Siete curiosi, eh?
Allora, bando alle ciance e veniamo al dunque.
 
Dal notaio, la prima cosa che facciamo, noi eredi, è squadrarci a vicenda in cagnesco, pronti a dare il via alle ostilità.
 
C'è un'atmosfera da derby, tipo stadio a porte chiuse. L'aria viziata della stanza si taglia col coltello e l'attesa è colma di elettricità statica.
 
Nonna Assunta, detta Sissi, sarebbe capace di folgorare mamma con un'occhiata se, proprio nel mezzo, non ci fosse il sottoscritto a fare da parafulmini.
 
E mia sorella Gina, di solito così sobria nei modi e contegnosa, nonostante ostenti la faccia di bronzo di un incallito giocatore di poker, sembra sull'orlo di una crisi di nervi.
 
Insomma, cominciamo bene... la ciliegina sulla torta è il notaio.
No, dico... mi pare un beccamorto.
 
Immaginatevi un coso lungo e secco come il grissino del tonno Rio Mare in completo gessato.
Cubano pendente che spande una puzza infernale per tutto l'ufficio e sternuti a nastro dovuti, secondo me, ad una cazzo di allergia.
(A cosa?)
Al terrificante esemplare di volpino femmina a pelo lungo, pettinato e infiocchettato come una baldracca da casino, che pisola impudente sotto la sua scrivania.
 
Rotto il sigillo di ceralacca della busta, noi allunghiamo il collo e ci protrudiamo sulle poltrone di pelle come avvoltoi famelici
 
Io, WINSTON CHARLES COLETTI,”
 
recita la voce nasale del notaio che, sinceramente, secondo me, senza le adenoidi starebbe molto meglio
 
... nato a Tucson, Arizona, il 2 novembre 1919, nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, dispongo quanto segue per le mie sostanze terrene:
A mia madre, MARIA ASSUNTA SARTURANO vedova COLETTI,
lascio la casa che occupa tuttora in usufrutto in Lexington Ave, 1713 nonché un vitalizio per il suo sostentamento pari a duemilacinquecento dollari di rendita mensile, più la tutela legale di LANCILLOTTO, il mio gatto NUDO di DICIANNOVE ANNI con un occhio solo. (Il quale detesta i topi IN CARNE E OSSA) e si nutre ESCLUSIVAMENTE di scatolette gusto RISO E  RATTO marca PETREET...”
 
Crash!
 
Un tonfo sordo fa rintronare l'ufficio come una bomba a mano: la nonna è a terra esanime
(E tutti si guardano bene dal soccorrerla!)
Ma che bella famiglia che ho!
Ma che bravi!
 
Se non ci pensavo io, adesso starebbe ancora là con la veste alzata e le vene varicose in bella mostra.
 
Ma lasciamo perdere, va', che è meglio.
 
Alla mia ex moglie, LISA JANE COLETTI, lascio la tutela legale dei miei figli LEGITTIMI
LUIGINA detta GINA e STEVEN detto STEVE
 perché vegli su di loro e faccia in modo che non manchi loro nulla adoperandosi perché i miei due pargoli, crescendo, non diventino come lei.
Le lascio inoltre...”
 
Eeeeetciù!
 
“Salute!” dico io, porgendogli un kleenex.
 
...i miei debiti da saldare contratti, per la maggior parte, in una casa di gioco clandestina a New Orleans.”
 
Altro tonfo. Altra botta. Altro erede contento e felice che pregherà per l'anima del caro estinto e che, c'è da scommetterci, riempirà a proprie spese la tomba di fiori.
 
A mia figlia maggiore LUIGINA, detta GINA, lascio...”
 
Eeeeeeetciù!!!
 
“Salute!”
 
... la mia Cadillac Sedan De Ville del 1967 con la JACUZZI incorporata e il mio SUPERATTICO a Bel Air.”
 
Precisazione che, comprensibilmente, scatena il composto dolore di Gina la quale, con un urlo disumano, lancia la borsettina bon-ton in faccia a sua madre e si avvinghia al collo da gallina del notaio in una danza di giubilo senza un filo di classe.
 
E io? Col batterista dei Def Leppard che mi martella in petto, attendo la mia sorte rassegnato.
 
A mio figlio STEVEN detto STEVE...”
 
Io non sto più nella pelle, cazzo. Muoio.
 
“Sììììì?”
 
Eeeeeeetciù!!!
 
Un possente sternuto mi spiaccica contro il muro.
 
... mio unico erede di sesso maschile... lascio in eredità la cosa più preziosa che mi è rimasta, e precisamente...”
 
“Tower Record!”
Esclamo, scattando in piedi come una molla.
 
Con mio sommo disappunto, il notaio scuote la testa.
 
...LORETO, il mio parrocchetto Australiano parlante. La chiave d'accesso al mio vero lascito ultraterreno. Un esecutore testamentario di mia fiducia controllerà settimanalmente che il mio uccello sia tenuto come si conviene, diversamente ho dato disposizioni per cui mio figlio STEVEN sarà estromesso dall'eredità...”
 
Stavolta, a svenire, tocca al sottoscritto.
E quando, grazie ai sali che mia sorella mi strofina sotto il naso mi riprendo, apprendo pietrificato l'incredibile verità:
 
-Infine, a detto LORETO, affido l'AMMINISTRAZIONE UNICA della MIA catena di negozi TOWER RECORDS e la PASSWORD per accedere al mio CONTO SEGRETO presso una Banca Svizzera.
 
E va bene, ho capito: devo prendermi cura di un dannatissimo pennuto.
 
No, dico.
Ma scherziamo?
 
Quello mi fa fuori un patrimonio in semi di girasole, e poi io ai girasoli sono pure allergico, cazzo!
 
Io quel pennuto me lo faccio arrosto, altro che palle.
E, già che ci sono, mi mangio pure l'esecutore testamentario di sua fiducia.
 
Ma roba da matti.
(E quello sarebbe mio padre?)
Se penso che ho persino pianto per lui...
Ad ogni modo, adesso, mi credete?
Allora venite qui a piangere con me prima che vada a buttarmi nel cesso e tiri lo sciacquone, vi prego...
Che giornata di merda... ho seppellito mio padre e mi sono coperto di vergogna e di ridicolo.
No, dico... anche mettendocela tutta, si può essere più sfigati di così?
 

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Capitolo 46
*** He really DID it! ***


Capitolo 46
 
 
 
JEFFREY DEAN ISBELL (JEFF)
He really DID it!
 
“Pronto!”
 
Niente.
Nient'altro che scariche e fruscii.
 
“Pronto, pronto!”
 
Dall'altra parte suona libero, ma ancora niente.
Nessuno risponde.
 
Maledizione, che sfiga, cazzo!
Ma si può? Ditemi voi.
 
  Incazzato nero, riappendo il ricevitore, viscido come una cazzo di supposta king size, alla cazzo di forcella e mi accendo una siga.
 
 Per il nervoso, do' un calcione alla parete della cabina e, incidentalmente, mi fotto un alluce mentre una cascata di monetine si rovescia sul pavimento di ferro con lo stesso rumore di un treno merci che ti passa sul cuscino mentre dormi.
 
 Tiro sottovoce due madonne e, stoicamente, faccio finta di niente. E mentre io, giulivo e dolente, mi chino sul pavimento lurido di piscio e Ronnie James Dio sa cos'altro a raccattare il malloppo, Popcorn, cosa fa? Approfitta dell'ambiente a tenuta stagna della cabina per farne una delle sue dopodiché, mentre una botta di gas propano satura la poca aria a disposizione, orgoglioso come un neo papà, si lascia andare ad una ragliata ferina.
 
 No, dico... “Steve, cazzo!” Impreco, tappandomi il naso con le mani lorde di piscio altrui. “Porta quelle Armi Letali di chiappe fuori da qui! Devo fare una telefonata...”
 
 Dieci tentativi e passa andati a vuoto dopo, con Steve che si gingilla a bussare come un disgraziato e a fare boccacce contro il vetro lurido della cabina, vado in crisi mistica.
 
 Sul vetro lurido della cabina telefonica, in una nuvola residua di gas di natura organica che preferisco non specificare, mi appare la Beata Vergine nell'atto di mimare una telefonata.
 
 Io strabuzzo gli occhi. E che cazzo, dico.
 
 Ne ho fumata una sola, un robino da niente... e mentre, dentro di me, si fa strada ogni sorta di ipotesi infausta, dalla paranoia al tumore al cervello, incredibile ma vero, riesco miracolosamente a prendere la linea.
 
“Pronto” dice una voce assonnata all'altro capo del filo. “Chi parla?”
“Signora Bailey!” Esclamo, col cuore che mi frulla nel cervello. “C'è Bill? Me lo passa?”
Silenzio.
Non risponde.
 
 E' fatta come una biscia come al solito, constato con rabbia pensando a quanto, in realtà, la madre del mio migliore amico abbia in comune con la mia. Allora insisto. Ripeto la domanda cercando di dominare il disgusto che provo per lei, ma faccio un altro buco nell'acqua. Ad ogni modo, io mi ostino a pensare che il solo fatto che lei resti all'apparecchio invece di buttarmi il telefono in faccia, voglia già dire qualcosa. E quando, ormai sconfitto, sto per gettare la spugna,  il secondo miracolo accade.
 
“Chi sei?” Chiede la voce, che muore in uno sbadiglio. “Ti conosco?”
 
Il mio cuore vola alto come un falco e, in uno stupendo istante spiego le ali della mia fantasia là dove nessun uomo è mai giunto prima.
 E mentre io pregusto l'incontro con Bill, la sua assunzione da TR e un futuro da mille e una notte, la coda dell'occhio mi cade su Steve.
 
“Sono Jeff, signora Bailey. L'amico di Bill. Io e suo figlio siamo nella stessa classe” spiego, cercando di ignorare la faccia da schiaffi di Popcorn spiaccicata contro il vetro a fare pernacchie. “Senta, devo parlare con Bill. E' importante. La prego, sia gentile” insisto, accendendomi una siga, con le mani che mi sudano per l'emozione e i crampi allo stomaco. “Mi faccia parlare con lui...”
 
 Tra parentesi, adesso lo capisco meglio, il padre di Steve. E mentre Popcorn mi aspetta fuori sul marciapiede, io penso che il vecchio sbiellato ha fatto benissimo a lasciare tutto il malloppo al parrocchetto. Soprattutto quando, con l'orrore e col vomito, mi accorgo del passatempo che ha escogitato: grattare via con le unghie dal vetro della cabina tutti i chewingum più vecchi che trova... per poi cacciarseli in bocca.
 
 E mentre io rifletto sui gusti di Steve, la mamma del mio amico di sempre sgancia la bomba H.
 
“Non c'è.” Dice dopo un altro snervante silenzio.
Il cuore mi salta un battito.
 
“Come sarebbe a dire che non c'è” ripeto, come un allocco. “E' uscito con qualcuno?”
“No” risponde Mrs Bailey. “William se n'è andato di casa, Jeff. Mi dispiace. Lui... non abita più qui. E adesso scusami, ma se torna mio marito dalle prove di canto e mi becca a parlare con te...”.
 
 Mi viene da piangere. Un nodo mi serra la gola.
 
 Tutto quel che mi esce di bocca è “Quando?”
“Il giorno del suo compleanno” spiega la voce all'altro capo del filo, sempre più carica d'impazienza e sempre più ansiosa di porre fine a quella conversazione. “Cioè...”
 
“Il sei febbraio” dico io, interrompendola. “Cioè quindici giorni fa.”
 
Allora mi faccio coraggio e mi gioco il tutto per tutto.
“Sa dirmi per caso dov'è andato? E' importante, perché forse, anzi... senza forse, ho trovato lavoro per me e per lui. Ha capito? Per me e per lui.”
 
“Non ne ho idea”
Mi risponde, uccidendo sul nascere le mie speranze.
“In cerca di fortuna. E, per quel che mi riguarda”
ha aggiunto, commossa, con la voce che le si spezzava
“spero tanto che la trovi...”
 
In preda a mille emozioni contrastanti, lancio per aria la cornetta e mi fiondo fuori dalla cabina.
 
Ho l'affanno.
Giuro.
Non ci credete?
 
Ho il cervello in pappa.
Avete presente?
 
Se anche mi passasse davanti una pornostar con le gambe aperte e una cazzo di chitarra Gibson Les Paul acustica infilata su per la bernarda, io-
 
(Giuro che me ne starei lì in catalessi totale con le mani in mano e la mascella penzoloni)
 
Mi sono spiegato?
 
Non è possibile! Non ci credo!!!
L'ha fatto! L'ha fatto davvero!!!
 
All'improvviso, scoppia un temporale.
 
Prendo Steve a braccetto e schizzo via.
 
Poi ci mettiamo a correre come pazzi furiosi sotto la pioggia battente.
 
 

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Capitolo 47
*** we got the NUMBER ***


Capitolo 47
 
 
 
ADRIANNA SMITH
We got the Number!
 
No, dico.
E chi se l'immaginava che un dente scheggiato sarebbe stata la nostra rovina?
 
Cioè... scusate lo sfogo.
 
Io non ce l'ho con Scemo, che, nonostante sia la causa del proprio male, è quello che ci ha rimesso più di tutti, poveraccio... io ce l'ho con la sfiga lurida che ci perseguita da quando... sì, insomma... più o meno da quando io e Savannah l'abbiamo preso a bordo. Lui e il suo amico Bill che adesso si fa chiamare AXL.
 
  Non che prima fossimo figatissime, eh, però, insomma... si tirava a campare. Però devo ammettere che adesso, con questi due matti da legare a bordo, la vita è diventata molto più divertente. Adesso, la priorità numero uno era risolvere... o almeno mettere una pezza provvisoria al problema di Scemo.
 
Ogni porca parola era un fischio.
Ogni respiro un tremendo ululato.
Ogni sorriso, un pozzo senza fondo.
 
Così, dopo vari tentativi infruttuosi di ignorare e di mimetizzare la cosa, trovare una cazzo di pseudo capsula- o, quantomeno, alle brutte, una toppa che chiudesse una volta per tutte quel maledetto buco- è diventato, per tutti noi, una specie di imperativo per la sopravvivenza.
 
 Insomma, eravamo in un bel guaio.
 
Avete presente un cane che si morde la coda?
Ecco.
Shame detto Scemo.
Un mito inarrivabile.
Per poter essere presentabile e avere una cazzo di chance di essere ammesso al Casino, aveva bisogno di un dentista come della roba che si faceva.
Anzi... forse persino di più.
Ma, in fin dei conti, un vero dentista era troppo per le nostre finanze, così l'unica soluzione per alzare moneta restava il Casino e noi poveri cristi eravamo punto e daccapo.
 
E allora? Cazzo potevamo fare?
Qui, prima di tutto, bisognava togliere la coda di bocca al cane.
E come?
Voi che avreste fatto?
 
Si dice che la fame aguzza l'ingegno, così, uno alla volta – paziente incluso – ognuno di noi, a modo suo, ha dato il proprio contributo alla sciarada.
Anche se, onestamente, devo riconoscere che l'idea più folle e brillante insieme è venuta a Bill
(Che adesso si fa chiamare AXL)
 
Fatto perso di LSD, ad un tratto, ha preso la testa di Shame tra le mani e, con due biglie come due palle da golf, ha cavato di tasca un vasetto di stucco da muri a presa rapida che si era procurato Dio sa come.
E, alla luce della lampada da campeggio del minivan, ha edificato a quel che una volta era un incisivo un mausoleo perfetto.
 
  Purtroppo, però, il nostro Axl, reso audace dal trip, non era un dentista e tanto meno un odontotecnico. Per cui, la capsula artigianale ha avuto vita breve.
 
La prima sigaretta... se l'è portata via.
 
A questo punto, il rosso, testardo, ha optato per una soluzione più drastica: una bella cazzuolata e chi s'è visto s'è visto, operazione che, se da un lato ha chiuso la falla, dall'altro ha murato il sorriso di Scemo + Scemo a prova di bomba.
 
Basta.
 
Quando s'è accorta di essersi praticamente giocato la bocca, la vittima delle  follie di Axl si è messa a starnazzare per il minivan come una gallina senza testa.
 
“  AXL!!!” Gridava, nel vano tentativo di aprire la morsa letale dello stucco “BA..A..RDO!!! FE  TI  BECCO T'IN...U...O!!!” E mi vergogno di dire che, nonostante la tensione e il pathos fossero alle stelle, io e Savannah ci rotolavamo sul pavimento dal ridere.
 
 Ad ogni modo, il dado era tratto: e poi, visto dalla giusta distanza, devo dire che quel sorriso sfolgorante non era proprio niente male... così, placate le ire di Shame con un'endovena, ci siamo tirati a lustro tutti quanti alla bell' e meglio e abbiamo bussato, come canta il buon vecchio Bob Dylan, alle Porte del Paradiso.
 
  Qui il testimone è passato a noi ragazze. Essere ammessi o meno a godere della luce delle fiches e dei cazzo di tavoli da gioco, dipendeva unicamente da me e Savannah, o almeno, così credevamo.
 
 Pieni di speranze e di interessanti prospettive per il futuro, i due ragazzi si sono fatti da parte e ci hanno lasciate lavorare.
 
Scusate, amici miei. Datemi un attimo per ripigliarmi... Savannah  si è trincerata dietro un secco no comment, quindi mi sa tanto che, per stavolta, dovrete accontentarvi della mia versione.
 
  Ma chi cazzo se lo immaginava che un vecchietto lustro e  distinto come il direttore del Royal Casino fosse uno di quelli?
 Altro che trattative riservate sul retro, cazzo!
 
  Quello lì non ci cagava proprio di striscio me e la mia amica... non eravamo pane per i suoi denti, per tornare al nocciolo centrale della questione... e visto che noi due ragazze non eravamo... diciamo all'altezza dei gusti raffinati del caro signor direttore, sono dovuti venirci a dare man forte i nostri maschietti! Poverini!
 
  Il mio cuore sanguina per loro... soprattutto per Scemo che, con la bocca sigillata dallo stucco, povero cristo, ha dovuto diciamo... adattarsi senza fare troppo lo schizzinoso e, soprattutto, senza farsi troppe seghe mentali.
 
  Inutile dire che, per compiacere il direttore – che a occhio e croce doveva avere più o meno l'età della mummia di Tutankamon - il nostro eroe è stato costretto a farsi una dose di speedball supplementare che per poco non l'ha mandato al creatore mentre quell'altro abusava di lui.
 
 E Axl, che la bocca sigillata dallo stucco – purtroppo – non ce l'aveva... ha dovuto immolarla sull'altare della causa.
 
 Ok, ragazzi. Chiudiamola qui, vi prego... vi supplico...
Caliamo un velo pietoso, va bene?
Tutto quello che posso dire, è che la cosa ci aveva lasciato l'amaro in bocca.
 
 A quel punto, però, il casino era finalmente nostro.
 
Col cuore in gola e un gatto morto in bocca, ci siamo incollati alla roulette puntando per tutta la sera, un unico numero a caso
 

69

 
suggerito dalle... EHM
Chiamiamole circostanze.
 
 E, alla fine della fiera, devo dire che... dopo una disfatta iniziale che ci ha quasi mandati tutti a gambe all'aria, le nostre fatiche sono state premiate. Adesso, una volta grattato via lo stucco, si trattava solo di trovare un dentista.
 
 Un gioco da ragazzi, no?
 
 

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Capitolo 48
*** AAA staff required ***


Capitolo 48
 
 
 
JEFFREY DEAN ISBELL
(JEFF)
AAA staff required
 
Con Gina saldamente insediata al timone, TR sta subendo una metamorfosi radicale.
Foglio di via obbligatorio a tutti i bighelloni e i perdigiorno
 
(tranne, ovviamente, me e quel marpione di suo fratello Popcorn)
 
e maggiori responsabilità per tutti.
 
NOI INCLUSI.
 
E' con la bava alla bocca che Steve riceve l'investitura di Responsabile del Reparto Video, cosa che, da parte di Gina, che d'ora in poi chiameremo Gran Capo, è un'imprudenza per non dire un'azione da... passatemi il gioco di parole, irresponsabile
 
Cioè... voi che ne dite, amici? Trattandosi di me e Steve... con tutti i pornazzi che ci sono qui, non è un po' come mandare due frati in un convento di suore? Così, naturalmente, per la cerimonia di insediamento di Steve ci scappa un'altra mezza orgia di benvenuto, stavolta col beneplacito di Gina.
 
La volpona, dopo averci fatto firmare un nulla osta che la autorizza ad ESPROPRIARCI DI OGNI NOSTRA SOSTANZA TERRENA in caso vada erroneamente cancellata anche una sola cassetta VHS, ci ha sigillati nel nostro bunker privato con due sua amiche compiacenti e bonazze trincerandosi dietro un secco NO COMMENT.
 
Oh, Bill... se solo tu fossi già qui...
 
naturalmente ho già parlato di lui con Gina e con Steve, raccontando loro per filo e per segno la sua triste storia fatta di abusi e di botte, e loro sono ansiosi quanto me di conoscerlo per assumerlo con me e Steve nel Reparto Video in qualità di sorvegliante – credo – della nostra moralità. Seee, Bill! Perfetto!!! Gina ha proprio beccato quello giusto... quando lo saprà Bill gli prenderà un colpo dalla gioia, giuro... ma come cazzo faccio a dirglielo, se non ho neanche la più pallida idea di dove sia in questo momento?
 
Cercate di capirmi... sapere che il mio migliore amico è in viaggio per L.A. Mi riempie di sensazioni contrastanti... è ovvio che sono strafelice di riabbracciarlo, però ho anche paura... non so cosa gli è successo, se sta bene, se si è messo nei guai... Los Angeles è enorme, cazzo... è tentacolare... come cazzo facciamo a incontrarci, se quel matto da legare è scappato di casa prima che io potessi chiamarlo per dargli almeno il mio indirizzo e dirgli che qui lo aspetta un lavoro sicuro? Me lo dite?
 
La nuova line-up di Gina ha previsto in negozio, nel nostro reparto video, una new entry da brivido che ha messo tutti di cattivissimo umore: un agghiacciante trespolo nichelato di due metri per due su cui troneggia il signore e Padrone assoluto di tutto Tower Record L.A.: Loreto. Il quale, appena ha visto il segno del comando, si è fatto subito amare alla follia da tutti i suoi nuovi dipendenti starnazzando fino a farci scoppiare le orecchie e bestemmiando come un turco a tutto spiano tutte le volte che entrava qualcuno, mettendo in fuga tutti i potenziali clienti. Poi, non pago, ha rovesciato la ciotola del cibo spargendo semi a destra e a manca innescando nei candidati intenti alla visita di rito al nostro reparto, una sequela impressionante di cadute rovinose che ne ha mandati all'ospedale la metà. Infine, dulcis in fundo, il malefico pennuto ha cagato in testa al povero Popcorn venuto per stringere con l'erede numero uno delle fortune di suo padre un patto di non aggressione reciproca.
 
Basta.
 
Se la bestiaccia non si decide a collaborare, Steve e il sottoscritto dovranno prendere seri provvedimenti.
 
Lo svecchiamento del negozio attuato con impressionante solerzia da Gina prevedeva inoltre varie assunzioni in reparti strategici, uno dei quali, il più ambito – era quello delle Chitarre. E fin qui tutto ok, ma... io non lo so... un po' di acume tattico, cazzo!
 
Dovevate vederli, i candidati! Il novanta per cento erano sfigatelli figli di papà dal look fighetto e costoso, mentre il restante era composto per lo più di emuli di band epiche come Kiss, David Lee Roth, Ozzy, Alice Cooper e via dicendo... presentatisi al colloquio in abiti e trucco di scena. No, dico... da paura!!! Ok che è un negozio fichissimo e tutto il resto, mi va bene anche che qui tira l'aria giusta e le vibrazioni del Metallo Pesante si tagliano con l'accetta, ma cazzo... un po' di stile!
 
Salviamo almeno le apparenze... o no? Voi cosa dite?
 
Però c'è una cosa che non vi ho ancora detto: nel mare di pesci lessi serviti come piatto del giorno tra i papabili, uno emergeva per stile, immagine giusta e simpatia. Un tipo assurdo, ma che mi ha subito conquistato perché, al di là del bizzarro aspetto fisico, di cui vi dirò più avanti, sembrava l'unico in tutta quella manica di stronzetti che non sembrava tirarsela un cazzo. Il tipo, per niente nerd e tanto meno fighetto, è un compagno di scuola di Popcorn oltre che, a suo dire, il suo miglior amico. Stando a Steve, vive nella Valley con la nonna e suona la chitarra elettrica come un semidio. 
 
 L'unico problema è che, giuro... non ci crederete, ma sono cazzi vostri, in tutto il tempo in cui abbiamo chiacchierato cercando di rompere il ghiaccio e socializzare in attesa del suo colloquio pro-forma, non sono mai riuscito a vedergli la faccia. Così ho concluso che i casi sono due: o è sepolta nel pauroso, impressionante cespo di boccoli neri a cascata che gli scende sulle spalle facendo di lui una specie di Mocio Vileda umano, o ne è totalmente privo. Di faccia, dico.
 
 Ad ogni modo, è fortissimo.
 
  Quando è entrato, Steve gli è volato al collo e non lo mollava più, gli è rimasto appiccicato come una gomma masticata fino al momento del colloquio, operato dal nostro buon vecchio inossidabile Corvo Rosso che, ormai, tutti hanno cominciato a chiamare Non Avrai il Mio Scalpo.
 
Il nuovo acquisto è un assatanato del Metallo come me e Steve e, visto che mi ha detto di ascoltare di preferenza Aerosmith, Rolling Stones, Stoogies, Led Zeppelin e Alice Cooper, devo dire che la sa. Ad ogni modo, dalle sue braccia, ho notato un dettaglio che, nel Metal, che è essenzialmente un movimento di bianchi, è una rarità che fa di lui praticamente una mosca bianca: ha la pelle mulatta.
 
 Se ho capito bene, inoltre, è pure inglese. E quando gli ho chiesto candidamente se prendeva il tè tutti i giorni alle cinque in punto, lo sapete cosa mi ha risposto?
 
“ Certo” mi ha detto con un ghigno storto. “Come no? Lo mangio tutti i giorni...”
 
  Dio li fa poi li accoppia, ho pensato roteando gli occhi incredulo. Dopotutto è amico di Steve, no? E allora... simile chiama simile e sguanate varie. Non nego che mi è corso un brivido lungo la schiena. No, dico... non ne bastava uno solo di Popcorn?
 
Comunque, è uno giusto.
Volete sapere come si chiama?
Ha un nome fichissimo. Giuro.
Cioè.
Lui si chiamerebbe Saul, ma nessuno, dice lui, l'ha mai più chiamato così da secoli. Nemmeno sua madre e sua nonna, cazzo.
 
(A proposito... ne volete sapere una tosta? Sua madre, che è un tipa tostissima originaria del Senegal, è la costumista di David Bowie!)
 
Giuro.
Me l'ha detto Steve.
 
Quando finalmente Bill sarà qui, si sentirà come in famiglia, a TR! Speriamo accada presto.
Ad ogni modo, se telefona a casa, sua sorella gli dirà di presentarsi subito qui.
L'ho chiamata ieri sera e le ho dato il mio indirizzo e la dritta del lavoro pronto e bell'impacchettato per lui.
 
Più di questo, al momento, non posso fare.
 L'unica, a questo punto, è aspettare.
Aspettare e vedere.
 
Quanto al tipo nuovo, qui, sembra già una rock star.
Ha un look strepitoso. E poi è veramente uno che la sa.
 
Tanto che tutti lo chiamano semplicemente col suo soprannome.
 
SLASH
 
 
 
 

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Capitolo 49
*** take my breath away ***


Capitolo 49
 
 
 
LUIGINA COLETTI (GINA)
Take my breath away
 
Ragazziiiiiiiiiiiiiiiiiii!
 
Ce l'ho! Ce l'ho! Ce l'ho!
 
Che cosa, direte voi.
Aspettate che ve lo dica...
 
Cammino a due metri e mezzo da terra per non dire tre metri sopra il cielo che è banale.
E lo volete sapere perché?
Tutta colpa di TRACII.
Il mio volubile, irascibile ragazzo che si ficca sempre nei guai e che forse, finalmente, si è deciso a mettere la testa a posto.
 
Dunque... una settimana fa, grazie a Dio, finalmente è uscito dal carcere, pronto – nelle mie più rosee aspettative – a tornarci al massimo nel giro di una settimana.
E invece... una volta tanto, mi sbagliavo.
Stavolta mi ha detto di aver imparato la lezione, che è cambiato.
Mi ha raccontato di averci incontrato mio fratello Steve e il suo amico Jeff. Schiaffati dentro per ubriachezza molesta e vagabondaggio un po’ di tempo fa.
 
(A quanto pare, dopo essere stati pizzicati in flagrante a fare la questua cantando e suonando sbronzi marci sul marciapiede davanti ad una banca)
 
Questa mi mancava.
Ma con Steve e Jeff, per una volta, farò finta di niente e terrò la bocca chiusa.
Del resto, il mio Tracii non intendeva certo fare la spia... lui, semmai, voleva solo dire che, ormai, dato che aveva conosciuto mio fratello e “quel suo strambo amico di Lafayette, Indiana”, come lo chiamava lui, era diventato automaticamente uno di famiglia.
 
Questa, infatti, è stata la premessa, l'antipasto, per così dire, del suo discorso.
 
(Al termine del quale, amici miei, si è inginocchiato ai miei piedi)
 
Ma... ci arriveremo tra un po'.
 
 Un discorso durante al quale il mio duro dal cuore tenero non ha mai smesso, neppure per un solo istante, di rosicchiarsi le unghie e balbettare.
 
No, dico.
In questo stato non l'avevo mai visto.
Giuro.
Deve amarmi davvero tanto se gli faccio quest'effetto...
 
Insomma, voglio dire... da uno come Tracii, io...
una cosa del genere non me la sarei mai aspettata.
Nemmeno tra cent'anni!
 
E invece... mamma mia!
 
Faccio ancora scintille solo a pensarci... giuro... mi sudano le mani e mi tremano le gambe... ma a volte, caspita, ragazzi... è così bello sbagliare...
 
Io ho ascoltato quel profluvio di parole ipnotizzata... trascinata via come un legnetto dalla corrente impetuosa dei suoi ricordi.
 
E' stato come assistere all'eruzione di un vulcano, col magma ribollente che, dopo anni di oblio e di inattività solo apparente, erutta all'improvviso e ti spazza via lasciandoti pietrificata. Esatto, proprio pietrificata.
 
 Non potevo trovare una parola migliore per esprimervi come mi sono sentita in quei momenti. So solo che tutto è cominciato con la sua storia. Quella vera, senza censure, che io non conoscevo e che, forse, fino a quel momento, non conosceva neppure lui.
 
  Mi ha parlato di un fiorellino sbocciato per sbaglio dall'idillio pace-e-fiori di due ragazzini hippy strafatti di LSD e di musica psichedelica.
 
Che non lo cagavano di striscio e lo palleggiavano a destra e a manca a gente ancora più scoppiata di loro.
 
Mi ha raccontato di Tracy, del piccolo Tracy – divenuto Tracii Dio solo sa perché.
 
Di Summertime
(cantata dalla Joplin)
come ninna nanna.
 
Di una Comune
(di Figli dei Fiori)
per famiglia.
 
Dell' infanzia difficile, dell'emarginazione e della dislessia.
 
Di mami e papi che prima aderivano alla religione WICCA, legata al paganesimo e alla stregoneria. Poi al Buddismo. All'Induismo.  A tutti gli ISMI da qui all’eternità.
 
Delle SETTANTASETTE reincarnazioni di Sakuntala
( Dio solo sa chi è)
fino al NIRVANA.
 
 Dell'inizio degli anni Settanta e della fine degli ideali e dei credo religiosi.
 
Di come i suoi, dopo il sogno tossico del Flower Power, non hanno retto al risveglio.
 
Dell’impatto DEVASTANTE con la REALTA’.
 
Ragazzi... credetemi, non sto esagerando... giuro.
 
  Sono rimasta basita e ho pianto quando, tra le lacrime, Tracii mi ha raccontato del lento suicidio di massa della comune, ormai schiava dell' alcolismo e dell'eroina.
Della fine di tutte le illusioni e di tutte le religioni.
 
Una vita da romanzo.
 
Poi, dopo l'amaro, è arrivato il DOLCE.
 Tracii me l'ha servito IN GINOCCHIO.
 
E volete sapere come?
 
Nel suo tipico modo di fare le cose.
DA STAR.
DA ROCK STAR.
 
Non ci credete?
L'ha messo in una pinta di BUD.
 
Ma roba da matti...
(roba che, se mi andava giù, ero a posto!)
 
Ricapitolando.
Un invito a cena per due.
 
Scusa ufficiale: festeggiare il suo rilascio a LUME DI CANDELA.
 
Location: il RAINBOW BAR & GRILL
 
(216 di Indian Canyon, Palm Springs)
 
Il nostro locale ultra preferito.
 
“Devo parlarti, Gina” mi dice, lo sguardo che sfoca dalle mie tette verso orizzonti lontani e perduti.
 
  Arriva una cameriera guercia, con la benda nera su un occhio e il ciuffone viola da punkettona sull'altro in anfibi e calze a rete tutte stracciate con le giarrettiere.
 
Eppure IL MIO Tracii non la caga di striscio
(se non come veicolo per le nostre ordinazioni.)
 
 Non c'è che dire, penso stranita.
 
Normalmente avrebbe fatto il coglione o che so... anche solo un'occhiata assassina ci sarebbe scappata, dopotutto è un uomo anche lui... e che uomo!!! Ma stavolta no. Non scherzava quando diceva che era cambiato...
 
Lui mi parla, come vi ho spiegato, di se' e del suo passato, a tratti ridendo, a tratti trattenendo a stento le lacrime e, infine, cedendo ad un pianto dirotto con la faccia schiacciata tra le mie bocce che, nostro malgrado, fa voltare tutti.
A me però non me ne frega niente. Giuro. Mi imbarazza solo un poco... ma va bene così. Lui è più importante di quello che pensa la gente, per me. Più importante della mia reputazione e della mia immagine. Più importante di tutto e basta.
Arrivano le ordinazioni.
Mangiamo due Hamburger Sonora ai tripli jalapenos y salsa ranchera, vado in bagno a lavarmi le mani e... assetati, ci tuffiamo sulle birre. E qui, accade.
 
 Mentre vuoto la mia mezza pinta, qualcosa di duro mi s'incastra tra i denti e per poco  non mi va giù rischiando di strozzarmi.
 
 Dopo essermi tossita fuori un polmone, Tracii che mi salvava la vita con la manovra di Heimlisch e il corpo estraneo finisce nell'occhio buono della cameriera punk che, purtroppo per lei, aveva scelto proprio quel momento per sparecchiare. Inutile dire che abbiamo catalizzato l'attenzione di tutti i clienti del Rainbow che ci hanno, per così dire, accerchiati.
 
Sedato il caos, Tracii recupera l'oggetto misterioso.
Stavolta tocca a me scoppiare in lacrime.
 
“Oh, Tracii...”
 
Tra le sue dita dalle unghie smaltate di nero, le luci basse del Rainbow aureolano uno splendido serpente d'oro bianco. Il rettile scintillante mi fissa col suo occhio di ametista.
 
“Io...”
 
Basta.
Ero emotivamente stracciata. Commossa. E poi... ero appena scampata alla morte. O no?
 
Non sapevo cosa dire e cosa fare. Tutto quello che sapevo era che stava per venirmi un infarto e che sarei certamente crollata a capofitto sul nostro tavolino con la faccia in mezzo ai resti della nostra ciotolina extra di jalapenos.
 
 Lui mi ha messo un dito sulla bocca e si è inginocchiato. Poi, in un istante lungo un giorno, mi ha infilato il serpentello all'anulare della mano sinistra.
 
“Che ne dici di Las Vegas?” mi ha domandato, ammiccante come un demonio tentatore nei suoi pantaloni di pelle alla Jim Morrison. “Ti va bene sabato sera?”
 
“Come posso dirti di no” gli rispondo, saltandogli al collo e inondandolo di lacrime, accerchiati da camerieri e avventori che applaudono e fischiano a più non posso.  “Io ti amo, e poi... insomma... mi hai appena salvato la vita!!!”
 
 Due grosse lacrime, dalle sue guance, sono esplose in mille diamanti sulla testa del mio cobra d'oro.
 
 Poi, la domanda da un milione di dollari.
 
“ Gina Coletti...”
pausa ad effetto.
 
“Vuoi SPOSARE Tracii Guns?”
 
 

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Capitolo 50
*** white wedding ***


Capitolo 50
 
 
 
WILLIAM BRUCE BAILEY (BILL)
white wedding
 
Tutto è compiuto.
 
Finalmente il mio peregrinare nelle terre del latte e del miele è giunto a compimento. La Terra Promessa adesso è una certezza.
 
Non ci credete?
Fate male, amici miei. Molto, molto male.
Io non mento mai. Tranne che quando dico la verità.
 
No, ragazzi. Siete fuori strada. Non sono in acido. Non mi sono sparato una pera nella giugulare. Non sono strafatto né sbronzo, se volete saperlo. Quindi, se anche solo per un attimo avete pensato che sono completamente andato, una volta tanto, miei cari, lasciatevelo dire: avete toppato.
 
 Dio esiste, amici miei.
 
 E stanotte, a Las Vegas, ha steso su di me la mano della Gloria facendomi sapere che, finalmente, il mio lungo cammino di esule – per quanto spassoso e godoso – era giunto alla fine.
E basta dire che sto male e che sto delirando, cazzo! Sto benissimo. Mai stato meglio. Chiaro?
 
 Come ho trovato la luce alla fine del tunnel
(della droga, del sesso, dell'alcol e del divertimento)
Fate voi?
 
All you need is just a little patience
 
 che tradotto in parla come mangi vuol dire che ci arriveremo tra un po'. Ok?
 
  Bello, però, quel riff.
 
 Just a little patience
 
Dirò a Jeff di lavorarci su. Ci vuole un giro portante di chitarra che spacchi il mondo e poi lo rimetta insieme. Ma così, con discrezione. Ma adesso torniamo a noi. Non divaghiamo, ok? Che di carne al fuoco per voi ne ho davvero parecchia, cazzo!
 
Dunque, Dio esiste. Quel cazzone del Reverendo Beetle dopotutto, una giusta l'aveva beccata.
L'ho incontrato ieri sera. Dio. Non il Reverendo Beetle.
Siete curiosi, eh? E allora adesso vi spiego... fatemi accendere una paglia e giuro che vuoto il sacco...
 
Per la nostra ultima sera a Sin City anche detta Las Vegas, le ragazze avevano deciso di andare a vedere quella che, per tutte le coppiette di innamorati del globo terracqueo nelle cui vene scorre il sacro fuoco del Rock con la erre maiuscola, è una leggenda: la famosissima Graceland Wedding Chapel. Quella con Elvis Presley per celebrante. Avete presente? Ad ogni modo, nel caso che qualcuno di voi piccioncini sia interessato, eccovi l'indirizzo completo.
 
Graceland Wedding Chapel
619 Las Vegas blvd,
South Las Vegas,
NV 89101
 
Che spettacolo, ragazzi!
No, dico.
Per noialtri rockettari ribelli senza causa figli di Elvis The Pelvis e del Rock n' Roll, quella piccola cappella bianca è leggenda.
E’ un mito, cazzo.
Un'istituzione.
 
Ditemi voi.
Come si fa a resistere ad una cappella in stile coloniale dove a sposarti è  Elvis the King redivivo?
Chi di voi, dovendo stringere il cappio, non vorrebbe farlo pronunciando i voti coi versi delle canzoni di Elvis?
 
Ma il vero spettacolo era il colpo di scena che il destino, o Dio, o il Fato – chiamatelo come cazzo vi pare – aveva in serbo per me.
Voi, come vi ho detto, chiamatelo pure come vi pare.
 Io lo chiamo un fottuto miracolo.
Sì, miracolo.
E' l'unica parola che mi viene per descrivere la congiunzione astrale
(anche detta botta di culo pazzesca)
 che mi è capitata.
 La più grossa della mia vita.
 
Siete curiosi, eh?
Ma andiamo con ordine... è troppo grossa, potreste restarci secchi, credete a me!
(E spero tanto che nessuno di voi sia cardiopatico o troppo emotivo, perché se no'...)
 
Giuro, ragazzi... mi batte ancora il cuore a mille... non ci avrei mai creduto, nemmeno tra mille anni... eppure a volte... è così fottutamente bello sbagliare, cazzo...
 
Giunti al cospetto della location per matrimoni più gettonata di Las Vegas, ci siamo imbattuti in una limo stracarica di rose avorio parcheggiata davanti alla cappella e ad una piccola folla di gente giusta, giovane e informale, che entrava al seguito di due giovani sposi.
La coppietta era indubbiamente fichissima e vale la pena che ve la descriva. Lei era una bella ragazza, capelli raccolti e trucco fatale, in abito in tulle rosso scarlatto molto sexy con scollo a cuore, lunghissimi guanti neri e micro velo anch'esso nero calato davanti al viso che le dava un look da rock star e donna del mistero tutto insieme. Lui era una specie di Hell's Angel tirato a lucido, il chiodo aperto a mostrare il petto tatuato. Stivali texani di pitone fuori dai pantaloni di pelle nera alla Jim Morrison e i lunghi capelli neri, a metà schiena, scalati e cotonati da una permanente fatta ad arte a celargli il viso. Insomma, erano due star. O almeno, cazzo, lo sembravano. Due del jet-set del rock.
Io me li mangiavo tutti con gli occhi. Cristo, giuro che avrei dato via il culo per conoscere gente come quella... quei due rappresentavano le mie star, cazzo. I miei miti. I miei eroi. Era quella la vita che volevo per me... e quanto ad Adrianna, le leggevo in faccia la stessa smania di conquistare il mondo e mangiarmi finalmente la mia cazzo di fetta di torta che avevo io...
 
Ovunque vagasse il mio sguardo, spuntava fuori una leggenda. Capelloni tatuati. Pollastrelle vestite... anzi, ha più senso dire svestite come groupies, con le tette esposte e la passera al vento... e poi, da ultimi, sull'altare, di fianco ai loro protetti, c'erano i testimoni degli sposi.
Cazzo, ragazzi... che due tipi...
Imperdibili. Giuro.
Uno era biondo stoppa e cotonatissimo, la giacca di pelle d'ordinanza aperta su un petto villoso da orso che, a dispetto dei capelli ossigenati alla Rod Steward da cadillac rosa, erano neri come l'inferno. L'altro era... cioè, ragazzi... aveva... aveva come un'aria familiare. Strano ma vero. Giuro. Era alto, magro e bruno. Sembrava a disagio, lì con le spalle curve e le mani in tasca a fissarsi le punte degli stivali Frye. Si dondolava mollemente avanti e indietro come una canna al vento scuotendo nervosamente i lunghi capelli corvini, e quel suo atteggiamento timido e ritroso mi ricordava...
 
“Che figata!” ha detto Savannah, dando di gomito a Scemo. “Adoro quell'abito da sposa! E' una bomba!!!”
“Anch'io voglio sposarmi qui!” ha subito risposto l'interessato sfoderando un sorriso Durban's che più bianco non si può appena risistemato sottobanco da un odontotecnico clandestino che lavorava nello scantinato del suo pub. Il tutto grazie ai duemilacinquecento verdoni vinti al casino puntando su quel fatidico 69 suggerito dalle... circostanze. Vi ricordate? Quanto a me, spero di dimenticarmelo...
“E tu, Savannah la puttannah...” ha proseguito uno Shannon sbronzo marcio dal fiato letale “vuoi sposare il qui presente Scemo Hoon?”
 
“Sìììììììììììììììììììììììì!!!”
 
A quel punto, sull'altare, qualcuno s'è incazzato. E quel qualcuno, disgraziatamente, era Elvis. Il quale, deposto il microfono, ha sospeso lo scambio dei voti nuziali per venire a testa bassa verso di noi a dircene quattro.
 
La scena si è gelata in un istante. Nel pollaio della Graceland Wedding Chapel, per un attimo lungo una vita, è calato un silenzio di tomba.
 
Io mi vergognavo come un ladro per Scemo e Scema ed ero deciso a far tacere quei due dementi a costo di strozzarli con le mie mani. Quanto ai due casinari, hanno subito messo il broncio e si sono genuflessi cospargendosi il capo di cenere... poi si sono messi a battibeccare.
 
“Colpa tua!”
“No, tua!”
“Non è vero... sei stato tu a cominciare!”
E via di questo passo.
Insomma... due casi disperati.
 
Allora mi sono girate le palle di brutto e ho dato di matto.
No, dico... voi lo sapete. Posso sopportare tutto. Tutto. Tranne la maleducazione gratuita.
Che ci volete fare... retaggio di Lafayette.
 
Rapido come il fulmine, ho afferrato Scemo per un orecchio e gli ho tappato la bocca.
“Sentitemi bene, tu e la tua squinzia, qui...”
La quale è intervenuta subito. “Ma...”
 
“ Silenzio!”
 
Seconda ammonizione.
Uno dei due testimoni si è voltato a guardarci in cagnesco. Il  bruno tenebroso dalle spalle curve.  Era un ragazzo alto, magro. Ossuto ma prestante.
E quelle spalle... quei capelli...
 
Non ne ero certo, ovviamente, ma...
non lo so, ecco... mi dicevano... mi dicevano qualcosa.
 
Intanto Scemo e Savannah erano ormai totalmente fuori controllo. Litigavano e s’insultavano senza pudore e, spesso e volentieri, arrivavano persino a coprire le voci dei celebranti.
Con buona pace dei voti nuziali.
 
Incredibile ma vero, sono riusciti DA SOLI a mandare a puttane tutta l'atmosfera sognante del rito.
 
Tanto che, con mio sommo orrore, Elvis ha fermato ancora una volta, con un pugno alzato in stile Black Panther, la cerimonia.
 
“Silenzio, per piacere!” Ha esclamato, la voce melodiosa amplificata dal microfono stile anni Cinquanta. “Un po' di rispetto, ragazzi, vi prego... altrimenti mi vedo costretto a chiedervi gentilmente di uscire.”
Gli sposi, più divertiti che scocciati, non si sono scomposti più di tanto. Lui ha ridacchiato imbarazzato. Lei si è limitata ad un'occhiata al vetriolo.
“Cazzo, Shame!” Gli ho detto, scandalizzato. “Che figura di merda!”
Lui mi ha guardato senza capire.
“Perché? Cos'ho fatto?”
 
Basta.
Io non ci ho visto più.
“Piantatela voi due, ok? Nel caso non ve ne siate accorti, avete rotto il cazzo!”
“Ma io...”
“Taci!”
Gli ho fatto un pizzicottone su una guancia tanto forte che a momenti me ne restava in mano un pezzo. “Taci, ho detto. Tu e la tua stronza.”
Poi l'ho lasciato andare e i due piccioncini, manco a dirlo, si sono attratti di nuovo come due cazzo di calamite.
 
“Allora” dico io. “Cazzo avete deciso? Volete restare e vedere il resto della cerimonia o farvi sbattere fuori? No, dico... vedete un po' voi, ma sappiate che, se Elvis the Pelvis, qui, non l'ha ancora fatto, è solo perché gli facciamo schifo...”
 
I due colpevoli, almeno, hanno avuto il buon senso di tacere. Chissà, penso io, sollevato. Forse l'hanno capita...
 
“Anche tu, Savannah. Ok? Fai tacere questo cazzone e mostrate un po' di educazione e di rispetto per gli sposi o vi rompo il culo. Chiaro? Non voglio sentire una mosca volare!”
 
E quando, finalmente, la cerimonia ha potuto proseguire, io ho fatto un passo avanti e mi sono messo con Adrianna accanto ai due litiganti intenti a squadrarsi in cagnesco per controllarli meglio.
 
E' stato allora che è accaduto. In quel preciso, fatidico istante che ricorderò per tutti i giorni a venire della mia cazzo di vita.
 
 La vista della navata piena di fiori mi ha provocato un flashback pazzesco.
 
Mi rivedo a Lafayette. Sull'altare. Il celebrante di fianco a me. Gli sposi commossi e maldestri che si scambiano le fedi...
Poi io comincio a cantare... e poi... poi inquadro un pannello sul muro. Una targa dorata con scritte a svolazzi.
 
Esprimi un desiderio.
Vedrai che si avvererà
 
Quanti ne avevo visti, di matrimoni, a Lafayette, celebrati da quel... quello stronzo. Quanti... e quante volte – praticamente sempre – avevo cantato per gli sposi... sull'altare...
Adesso, però, tutto questo è passato. Finito. Sepolto per sempre.
Non sono più a Lafayette.
Sono a Las Vegas.
 
E mentre rievocavo queste cose, dentro di me qualcosa ha ceduto e io ho detto sì, va bene, ci sto. E ho espresso un desiderio. Il primo e l'unico che mi è venuto in mente.
Ditelo coi Pink Floyd, amava ripetere sempre Jeff.
E io l'ho fatto.
 
I wish you were here...
 
(Quanto vorrei che tu fossi qui...)
 
Ho chiuso gli occhi e ho stretto le palpebre con tutta la forza che avevo.
Quando li ho riaperti, il destino mi ha trafitto il cuore con un dardo di fuoco.
 
No, dico... giuro, mi è venuto un infarto.
 
Il testimone. Quello bruno. Spalle curve. Aria assente. Lui ha scrollato i lunghi capelli corvini e...
 
Ommioddio, no!
Non ci credo!
Non è...
Non è possibile!!!
 
Lui si è voltato.
Io l'ho guardato.
Lui mi ha guardato.
E il mondo... la Terra... ha smesso di girare.
 
“Bill!”
 
ha gridato una voce direttamente dentro la mia anima. Una voce del mio passato. Una voce che era parte di me e che adesso, da questo momento in poi, sarebbe rimasta per sempre con me.
 
Inutile dire che quel matrimonio era destinato male... Elvis ha dovuto stoppare ancora.
A quel punto, invece di odiarci e sbatterci fuori a calci in culo, gli sposi si sono incuriositi e sono venuti a vedere cosa succedeva. In breve, erano tutti per noi.
 
Io, in quel momento, avrei voluto urlare.
Inalberare con una canzone l'aquilone della mia gioia ardente.
Gridare al mondo il nome di colui che, dopo tanta strada, avevo finalmente ritrovato.
 
Far sapere al destino benigno che, finalmente, ero giunto alla meta.
 
Gridare in faccia a Dio e al Diavolo che io e il mio migliore amico di sempre ci eravamo ritrovati e che niente al mondo, nemmeno la morte, ci avrebbe mai più separati. Invece, purtroppo, l'emozione gioca brutti scherzi – se non ti uccide, cosa che io, in quel momento, temevo con tutto me stesso. La mia voce da sette ottave era sparita. Risucchiata nel rombo frenetico del mio sangue. Così la mia ugola d'oro, per una volta, ha fatto cilecca mollandomi col culo per terra.
 
Tutto quello che ho potuto fare, con il suo nome, è stato bisbigliarlo mentre lo stringevo fino ad assorbirlo dentro di me, fino a che i nostri due cuori non hanno cessato di martellare all'unisono per diventare uno solo. Allora, bevendo le sue lacrime, celato tra i suoi capelli color della tenebra, l'ho assaporato tutto, quel nome adorato.
 
Jeff...
 
Dio ti benedica, amico...
 
Siamo crollati a terra a singhiozzare ancora stretti l'uno all'altro.
 
“Adesso”
 
Ho sussurrato infine, perdendomi nel buio dei suoi occhi pieni di pianto
 
“POSSO ANCHE MORIRE”

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Capitolo 51
*** Mama Kin ***


Epilogo
 
WILLIAM BRUCE BAILEY (BILL)
Mama Kin
 
Dunque... abbiate pietà... lasciatemi riprendere un attimo... io... non lo so, ditemi voi: da dove devo cominciare?
Non so neanche più da che parte sono girato... e gli altri, credetemi sulla parola... non sono messi meglio di me.
 
Ragazzi che notte... non ci capisco più un cazzo, giuro.
 
No, dico... sul nostro minivan l'atmosfera è da urlo, da svolta epocale... si beve, si fuma, si canta, si balla, si tromba e ci si fa da star male senza pensare al domani mentre la nostra macabra e scalcinata carovana rock fa rotta a vele spiegate verso la Città degli Angeli Perduti. Quella che noi, a bordo della Carovana dei Folli, chiamiamo Paradise City. Where the grass is green/and the girls are pretty.  E mentre vi parlo, amici, lanciato a tutta birra sulla da quando il mio ritrovato Jeff e Scemo Più Scemo sono entrati nel quadro... ha cominciato a tremare anche la cornice. Avete presente? Dopo la cerimonia nuziale, gli sposi, Tracii Guns e Gina Coletti – sorella del nuovo amico mezzo scemo di Jeff – se la sono data a gambe sulla limo bianca e Jeff e questo sbiellato che fa pappa e ciccia con Scemo che tutti chiamano Popcorn, sono rimasti a piedi.
 
Inutile dire che io e le ragazze non vedevamo l'ora di arruolarli sul nostro ormai leggendario minivan per una notte sfrenata di sesso, droghe, alcol e rock n' roll. Il tutto, naturalmente, con le nostre due pornostar in erba che, strafatte e giulive, si alternavano, come al solito, alla guida incuranti degli stati di alterazione percettiva dovuti all'ebbrezza e al sacrosanto rito dello sballo.
 
  Jeff e Popcorn, naturalmente, per la fauna protetta mutante della Carovana dei Tossici, hanno rappresentato la classica ciliegina sulla torta e devo dire che, pur non essendo mai stati – almeno fino a ieri notte – eroinomani, si sono, diciamo... applicati con impegno per riguadagnare, in una sola notte, il tempo perduto. Quanto a Popcorn, devo dire che mi fa impressione. Dire che è il gemello siamese di Scemo è dire poco. I due sono una cosa sola.
 
Inutile dire che si sono subito trovati e che il nostro Scemo non ha perso tempo per introdurre Popcorn ai misteri dell'Ero e, a quanto pare, vista la costanza con cui si è applicato, pare che l'allievo abbia già quasi bagnato il naso al maestro. E del resto si sa... quando c'è la stoffa, cazzo... idem con patate per Jeff, che si è subito autoproclamato Gran Cerimoniere della Banda del Buco.
 
Quanto al futuro, Jeff mi ha parlato di Tower Records, di Steve, della sua eredità e dei guai che condividono nel loro appartamento, una sorta di loft ricavato da un vecchio magazzino merci lasciato mezzo andare a puttane che – mi ha gentilmente offerto – se vogliamo, d'ora in poi, diventerà il nostro appartamento. Di tutti noi. Ragazze incluse.
Sia io che Scemo e le due pulzelle, abbiamo accettato colmi di riconoscenza.
Siamo al settimo cielo.
 
Insomma, l'idea è quella di impiantare una spece di comune. Avete presente? Come quelle degli hippies aka Figli dei Fiori.
No, dico, ragazzi... che ne dite? Vi prende?
A me una cifra, giuro. Non vedo l'ora, davvero.
 
Che botta di culo, Jeff! Lavoro assicurato vita natural durante. Per non parlare di Popcorn che, senza saperlo, era il figlio del padrone del vapore... che storia, cazzo!
 
L'unico neo, a quel che ho capito, è il parrocchetto demente di Steve, che si chiama Loreto. Jeff mi ha detto che è un grandissimo rompipalle. E poi c'è quel cazzo di gatto pelato, sì, insomma... di gatto nudo massacracosiddetti che vive di scatolette Petreet e scagazza ovunque, con una spiccata preferenza per letti e armadi. E che cazzo... chi s'accontenta gode, no?
 
Non si può mica avere tutto, nella vita...
Tanto per cominciare, adesso ho un cazzo di lavoro fisso.
 
Jeff, ti adoro.
Sei un asso.
Giuro.
Un mito.
 
Se non fosse che non sono culo, cazzo... giuro che ti sposerei...
Versandosi una boccia da mezzo gallone di Vecchio Zio Jack del Tennessee in gola e rischiando di morire strozzato, mi ha spiegato che io sono stato assegnato a Tower Video assieme a lui, Scemo e Popcorn, ma la cosa più allucinante è il motivo alla base della scelta: il mio compito ufficioso – aggiunge con un ghigno sardonico Steve facendomi pat-pat-pat sulla spalla – è tenere d'occhio lui e Jeff, controllare che non facciano cazzate. Andiamo bene... prevedo casini a nastro. No, dico, ma... cazzo ha quella ragazza nella testa? Gina, dico... segatura? Ma mi ha visto?
 
La pennellata finale del quadro è Scemo. Le sue mansioni vanno dal facchinaggio al... collaudo video. No, dico... ma vi rendete conto?
Collaudo video...  e devo dire che non faccio alcuna fatica a immaginarmelo a visionare un pornazzo a fini solo ed esclusivamente professionali! No, dico... sogno o son desto? Mi domando dandomi dei pizzicottoni sulle guance. Voi che cosa ne dite, amici? Non è questo il cazzo di lavoro più bello del mondo? Mistero della fede.
 
Così ha deciso Gina, che è quella che comanda. Punto e basta. Ma ci pensate? Sesso, alcol, video porno... ditemi un po' voi: non cominciate a odiarmi a morte?
L'invidia è una brutta bestia, vero?
 
Quanto alle ragazze, a quanto pare, fungeranno da Butta Dentro. Sì, insomma... da ragazze immagine del locale. No, dico... che pacchia, amici!!!
 
E mentre percorriamo la superstrada a velocità folle, cantando, ballando e bevendo come fanno nei film sulla Beat Generation, anche detta Gioventù Bruciata, sentendoci come i  fratelli gotici di quegli allegri cazzoni Sessantottini dei Merry Pranksters, mi vengono le lacrime agli occhi.
 
La Città degli Angeli Perduti, anche detta Paradise City è laggiù da qualche parte, lungo la Strada. E, mentre Jeff prende appunti mentali per lavorare a quello che, ne sono più che certo, un giorno non lontano diventerà il giro di chitarra portante, il riff assassino di Paradise City, una rock ballad che spaccherà il globo terracqueo, io ripercorro con la memoria le tappe salienti di questo mio viaggio da Lafayette a Los Angeles per diventare ciò che sono ora: W.Axl Rose.
 
Rivedo non me, ma un altro.
 
Quel povero coglione ingenuo di Bill Bailey, campagnolo, figlio illegittimo di Lafayette, Indiana, fermo sulla' Interstatale, gli occhi pieni di pioggia e di lacrime. Eccolo lì, il pirlotto. E' lì che sporge il pollice. Vuole fare l'autostop come Jim Morrison, ma è goffo. Negato. E, tanto per cambiare, gli va tutto storto. Poi, dopo anni luce, ormai inzuppato come un pulcino fradicio, ecco il primo esilarante, tragico passaggio.
 
Protagonista, manco a dirlo, un prete. Ve li ricordate, cari amici e compagni di mille avventure che mi avete seguito fino a qui tra sfighe e peripezie assurde - e che non vorrei mai lasciare anche se purtroppo devo - Padre Micadonolepalle e la sua vecchia caffettiera? E Nelly La Gigolette? E che mi dite di quel porco d'un puttaniere che, fino a pochi giorni prima, era stato mio padre senza esserlo?
 
Ho mangiato cibo per cani. Dormito sotto i ponti - reali e immaginari. Bivaccato con un tossico da strada sotto un balcone, nel cortile di una cazzo di scuola a St. Louis. Viaggiato con Mohammed Alì. Raccattato questo Scemo di guerra qui in tempo di pace. E infine sono saltato a bordo di questa Carovana di Pazzi Felici. Ho conosciuto il Gran Canyon. Il peyote. Il sesso. L'alcol. La Droga. Lo sballo. Il gioco. Las Vegas.
 
All'alba, dice Savannah, saremo a Los Angeles.
 
Perfetto.
Paradise City, aspettaci!!!
Arriviamoooooo!!!
 
 
WELCOME     TO
CALIFORNIA
HAVE GOOD TIME
 
 
Ed eccoci qui, miei cari amici e fratelli che mi avete seguito dalle Alpi alle Piramidi e dal Manzanarre al Reno, compagni di mille avventure. Eccoci finalmente a casa, cazzo. A Paradise City. Nella Terra Promessa del latte e del miele. E anche su questo, devo dare un altro punto al buon vecchio bastardo di Lafayette noto come Reverendo Beetle visto che, a quanto pare, il paradiso terrestre è un dato di fatto.
 
Il punto, però, è che... sì, insomma... sarò anche un sentimentale mielestrazio e tutto quello che volete voi, ma... io non voglio lasciarvi. Punto e basta, cazzo. Non voglio, non voglio, non voglio... separarci è un tale strazio...
solo a pensarci mi sento male.
 
No, giuro. Non ce la faccio...
io... non posso vivere senza di voi...
Basta. Devo essere forte. Coraggioso.
Ormai sono un uomo. Devo ingoiare le lacrime. Sappiate solo che... vi ho voluto bene. Molto, molto bene. Troppo. Adesso, però, devo andare.
 
Allora, che ne dite.
 
Siete pronti per il gran finale?

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Capitolo 52
*** suck on GUNS N' fucking ROSES! ***


Un mese dopo
 
MICHAEL Mc KAGAN (DUFF)
Suck on GUNS N’ fucking ROSES!
 
Ehilà, gente. Piacere di conoscervi.
Io sono Duff, l'ultimo arrivato. Ho risposto ad un annuncio sul Recycler
 
 
Cercasi
BASSISTA
coi controcoglioni
per rock band emergente di L.A.
 
principali influenze:
Aerosmith, Alice Cooper,
Motorheads, Sex Pistols
 
NO BARBA E BAFFI
NO RIPORTI E TOUPET
NO BASETTONI
 
tel.213- 556-778-113 24h su 24 SLASH
 
 
ed eccomi qui, insieme a questi cinque pazzi da legare col cervello in salamoia alcolica e una passione insana per le droghe pesanti. E fin qui tutto ok, visto che anch'io non è che sia proprio uno stinco di santo, sapete?
 
Tra parentesi, visto che ancora non mi conoscete, vi dirò una cosa in un orecchio: io e questi fulminati qui abbiamo un'intesa da paura quando suoniamo, cazzo. Siamo coesi come un unico essere, e questo proprio grazie ai nostri... ehm... diciamo... interessi comuni. E poi dicono che la droga fa male e l'alcol ti spappola il fegato! Cazzate!
 
Noi ci faremo i soldi, grazie al fatto che non abbiamo paura di usare qualche... ehm... spintarella chimica per aprire le nostre porte della percezione e sviluppare il nostro cazzo di pensiero comune!
 
Io sono un punk.
Suono il basso perché lo suonava il mio idolo, Sid Vicious dei buoni vecchi mitici Pistols e poi perché i chitarristi se la tirano troppo e l'offerta, al momento, mi sa che supera la domanda. Non ce ne sono molti di buoni bassisti in giro, cazzo, così ho la strada spianata. Giusto?
 
E poi i virtuosi del quattro corde acchiappano le fighe, mentre ai chitarristi, di solito, toccano le cozze. Vedi alla voce Jeff, qui – che adesso si fa chiamare Izzy – e Slash.
 
Quanto al nostro cantante, Bill Bailey, che ha cambiato all'anagrafe il suo nome in Axl Rose, invece... quello è pericoloso, cazzo. Una specie di asso pigliatutto... io vengo da Seattle, cazzo, dove non succede una mazza di niente. Per questo ho tagliato la corda e ho scelto la Città degli Angeli. perché è qui che c'è la musica, cazzo!
Con i Guns abbiamo scritto un paio di canzoni epocali. Abbiamo improvvisato, sapete come succede e... puff!  
Ragazzi, che figata, lasciatemelo dire, cazzo! Adrenalina pura... avete presente come ci si sente quando si prende coscienza di stare attraversando un momento cruciale della propria vita? Ecco. Noi è così che ci sentiamo, quando siamo insieme, cazzo. Ci sentiamo vivi. Capite cosa voglio dire, vero? E allora, come diceva il buon vecchio Re Lucertola... alzate le mani se mi capite!!!
 
L'alcol e le droghe sono il nostro background, il nostro terreno comune. E poi dicono che fanno male!!!
 
Per noi, droghe e alcol sono... la luce in fondo al tunnel della sobrietà.
 
Non giudicateci troppo male, ragazzi – tanto lo so che non siete degli stinchi di santo neanche voi, cazzo!- ma, a dirvela tutta, è proprio quando siamo sballati che ci escono questi fottutissimi capolavori, modestia a parte! E così, finalmente, con i nostri riff assassini che spaccano il culo belli e impacchettati assieme alla nostra cazzo di strumentazione e ai nostri amplificatori Marshall,  dopo due cazzutissime settimane di prove nel garage di Steve e due serate friggibuco al top in due buchi di culo puzzolenti, ci siamo fatti, per così dire, le ossa e siamo pronti per la nostra prima tournee: cinque date di club a Seattle.
 
Che ne dite, ragazzi?
Ci venite a vederci riscrivere la storia del rock, vero?
 
Pensate che abbiamo addirittura inventato un genere: lo sleazy metal. Che vuol dire non solo metallo pesante, ma anche brutto, sporco e cattivo: sonorità grezze, stage attitude ancora più brutale, testi brillantissimi e crudi, fraseggio tenebroso da film espressionista e falsetti acrobatici spaccacristallo, il tutto rigorosamente made in Axl Rose – che è un dio, cazzo, come paroliere! Ha un fottutissimo dono, quel rosso, amici, ve lo dico io... - I Guns N' Roses sono nuovi. Brutali in un'epoca pop dove il massimo della rabbia giovane è il soft metal di Bon Jovi, Europe e compagnia bella, dove l'unica luce in fondo al tunnel sono i soliti Aerosmith e i Motley Crue. In un mondo edulcorato alla saccarina del pop lavacranio di Madonna e Michael Jackson, dico io, ci voleva un ritorno alle radici selvagge del rock, cazzo! Ed eccovi, dunque serviti i Guns N' Roses su un piatto d'argento. Li volevate? No? Peggio per voi.
 
E adesso ciucciatevi i Guns Fottutissimi Roses, cazzo!
 
Noi siamo l'alfa e l'omega. Una pozione tossica e letale di punk, metal e blues dove io sono il vecchio Punk inglese di Sid Vicious e Johnny Rotten col mio muro chimico di basso, possente come un rombo di tuono.
 
Slash è il blues– e che blues, cazzo!- credete a me! Questo ragazzo qui, con un cespo di boccoli neri al posto della faccia – che io chiamo Eyes Without a Face come la ballata di Billy Idol – farà strada, credete a me, che di musica ne so qualcosa! La sua Gibson Les Paul fa sognare. Slash ha uno stile unico, che fonde virtuosismo tecnico e gusto sopraffino per la melodia con un raffinatissimo genio compositivo. Insomma, lasciatemelo dire, gente: è un mostro della sei corde come non ne ho mai incontrati in vita mia. Se verrete a sentirci suonare, capirete cosa intendo.
 
Jeff Isbell aka Izzy Stradlin, chitarrista ritmico, è il rock classico da Harley Davidson formato Rolling Stones.
 
Popcorn detto Steven, il batterista, picchia giù duro come uno schiacciasassi e ti dà la botta finale di metallo pesante.
Quanto ad Axl... lui è isteria, istrionismo, sciamanesimo e follia pura. Un cocktail letale di sensualità arcana, profeta del Vecchio Testamento agitafolle e sciupafemmine da paura.
Insomma, modestia a parte, gente, siamo fottutamente grandi. Infatti andiamo in tour.
 
Partiamo domattina con la mia vecchia Toyota Celica e... che Ronnie James Dio ce la mandi buona!!!
 
 
 
Oooops, ragazzi... mi sa che il buon vecchio Ronnie i Guns N' Roses non se li fila manco per un cazzo... per non dire che, modestamente parlando, ho paura che, sotto sotto, sia geloso di noi... ci è capitata bella, cazzo... potete scommetterci... ma ci arriveremo tra un po'.
Se ve la racconto, giuro che non ci credete... eppure è la merdosa, fottutissima verità... ma voi, vi prego, amici miei... siate clementi... abbiate pietà... vi prego, vi scongiuro, non ridete...
 
Dunque. Siete scaramantici? Credete ai presagi?
Io fino a ieri non lo ero, ma adesso... giuro che non lo so più.
Ma andiamo con ordine.
 
Ieri sera c'è stata una festa a casa di Izzy, in quella specie di comune dove vivono anche Axl, Shannon e Steve più le due future pornostar Adrianna e Savannah e io e Slash, che dividiamo un monolocale, ci siamo andati insieme. E fin qui tutto ok.
 
Abbiamo suonato, bevuto e ci siamo strafatti, il tutto rimirandoci in una bella specchiera antica che troneggiava in salone a tutta parete, dono della madre di Steve assieme a quel cazzo di gatto sbiotto e psicopatico che ci ha distrutto la carriera sul nascere e, forse, rovinato la vita per sempre.
Tutta colpa di quell'orrido felino radioattivo, dicevo.
Noi non stavamo facendo niente, anzi! Stavamo improvvisando un giro di chitarra assassino dedicato al nostro vino da barboni preferito, il Nightrain Express, che fa diciotto gradi e ti spedisce dritto sulla luna del cazzo per due fottutissimi dollari. Eravamo in un momento magico, cazzo. Una sintonia da brivido.
 
Slash lavorava al giro portante, io lo sostenevo col basso, Izzy ci ricamava su, Steve scandiva il ritmo e Axl ci cantava sopra le sue liriche Bukowskiane da poeta metropolitano quando... patatrac!!!
 
E' successo un casino... è stata questione di un secondo, dico uno solo. Ma è bastato...
 
Loreto, quel cazzo di uccello coglione. E' Tutta sua la colpa, giuro. Io prima o poi quel pennuto lo faccio arrosto... come cazzo fanno a sopportarlo, Izzy, Steve e gli altri?
 
Ad ogni modo, la bestiaccia se ne stava arroccata sul suo cazzo di trespolo in salotto, cioè in quella che era diventata la nostra cazzo di sala prove, vicini permettendo e, chissà Dio perché, ha dato una beccata alle chiappe biotte del gattaccio, che si chiama  Kojac perché è pelato come lo sbirro televisivo e almeno altrettanto odioso.
 
Il felino è volato in aria come una bomba acca avventandosi sul trespolo e rovesciandolo. E dove è andato a sbattere, direte voi, cadendo, il cazzo di trespolo?
 
Elementare, Watson: contro la specchiera di Mrs Coletti, la quale – la specchiera, non Mrs Coletti – è andata in mille pezzi.
Credeteci o no, sono sette anni di sfiga. E io adesso ci credo, visto che per noi, i sette anni sono cominciati oggi.
Vi ricordate il nostro tour a Seattle, vero?
Ebbene, è andato tutto a puttane.
 
Dunque, da Los Angeles, per Seattle, ci sono tre cazzo di Stati da attraversare: California, Oregon e Stato di Washington, per un totale di 1135 miglia e diciotto ore buone di viaggio se non di più.
 
Bazzecole, direte voi.
Bazzecole un cazzo, dico io.
 
No, dico... ok, la mia Toyota Celica non sarà stata proprio nuova di pacca, ma da qui a mollarci, come ha fatto, col culo per terra proprio nel bel mezzo della Valle della Morte, cazzo...
 
E voi dite che non è sfiga?
Se becco quel pennuto e quel gattaccio, giuro che me li mangio crudi e pure vivi, già che ci sono...
No, dico... beccatevi la scena:
 
Death Valley, California.
Cuore del cazzo di Deserto Mojave del cazzo.
Ore 14.00
temperatura: letale.
Macchina in panne.
 
DIAGNOSI: Rottura della scatola del cambio, ha detto Popcorn, che da bocia ha fatto il meccanico.
 
PROGNOSI: infausta. Uguale bye-bye, Celica di Duff. E soprattutto, bye-bye primo cazzo di tour abortito sul nascere dei Guns fottutissimi Roses. E poi mi dite che non è sfiga, questa, cazzo?
 
Ed eccoci qui, a bordo strada, sulla cazzo di Interstatale del cazzo, seduti sulle valigie che contengono la nostra strumentazione a grondare sudore e a squagliarci a vista d'occhio come gelati fuori dal frigo.
 
Una sete ladra ci divora le gole riarse e ci dà alla testa fottendoci il poco cervello rimastoci mentre, sotto il sole allo zenit che sembra una palla di fuoco moltiplicata per sette – anni di sfiga, appunto - da un Dio crudele e vendicativo, smadonniamo in tutte le lingue e gli slang di domine iddio. E finite le madonne conosciute, ne inventiamo di nuove.
 
Siamo qui da ore. Senz'acqua da bere. Senza macchina. Senza un cazzo.
Inoltre siamo sbronzi marci e la testa ci martella in dieci ottavi, il che, se permettete, è la ciliegina sulla torta. E questa cazzo di palla di fuoco non aiuta per niente.
 
Unico conforto:  una cazzo di bottiglia di Jack.
Che, se possibile, ci disidrata fino al midollo spinale, facendoci sentire ancora peggio.
 
Basta.
A meno di un miracolo... non dico che bucheremo tutte le date del tour da qui a Seattle, perché quello ormai è ovvio, cazzo... e a questo punto, chissenefrega... ma se non passa qualcuno più che alla svelta, qui mi sa che Loreto del cazzo, giuro che se ti becco ti ammazzo...
 
A proposito di pennuti... qui va a finire che ci lasciamo le penne...
 I nostri nervi cedono...
sprofondiamo... in un inferno senza fondo...
Siamo fottuti, cazzo... fottuti...
tutta colpa di un gatto a culo nudo e di un uccello demente...
che sfiga, ragazzi... lasciatemelo dire... che sfiga, cazzo!
Che sfiga...
 
Axl delira e si rotola in terra. E sudato com'è, si riempie di questa merda di sabbia rovente rosso sangue del deserto e diventa una specie di cotoletta umana.
 
Izzy si spoglia nudo e si rosola al sole letale del Mojave facendosi una pera nel collo perché, dice lui, tanto ormai è la fine.
 
Popcorn si succhia il dito e piange che vuole la mamma perché ha perso il ciuccio.
 
Slash cerca di pisciarsi in mano per poi bersela, ma fa cilecca e opta per la boccia ancora mezza piena di Jack Daniels.
 
Io invece non faccio un cazzo per non sprecare preziosi fluidi vitali che, se non fossimo così sfigati, potrebbero fare la differenza. Posso solo cantare sottovoce. This is the End... beautiful friend.
Basta.
Mi sono rotto il cazzo.
 
Qui non passa nessuno.
 
Siamo fottuti.
Punto e basta.
Fottuti. Fottuti. Fottuti.
 
Dietro di noi, coi culi in bilico sul ramo di un'agave, una coppia di avvoltoi ci tiene d'occhio cominciando, per la verità, a mostrare i primi segni di impazienza...
Sulle nostre teste cotte a puntino e crepate dal sole desertico, aleggia, incoraggiante, l'ombra oscura della Valle della Morte. Cioè, ombra... si fa per dire, cazzo. Qui nel Mojave, ombra è una parola grossa... sto cazzo di deserto dei miei coglioni fritti in pastella non sa neanche dove sta di casa, l'ombra, cazzo...
 
Speriamo che passi qualcuno... no, dico... non vorrei caricare la dose di sfiga che abbiamo già addosso, ma... sento qualcosa... 
 
“Ssst!!!” fa Axl, sorgendo dal nulla come uno spettro senza pace. “Ascoltate!”
“Io non sento un cazzo” risponde Slash, lanciando al rosso un'occhiata di compatimento. “Sei alla frutta, Rose! Ti sei fottuto il cervello!”
“Eccoli... li sentite? Si stanno avvicinando... vengono a prenderci...” seguita la nostra cotoletta vivente, imperterrita. “Non li sentite anche voi?”
 
Axl è fuori.
E' andato.
 
Poveraccio.
Ci scruta da sotto l'impanatura con gli occhi dilatati del pazzo.
“Gli zoccoli del cavallo di San Bartolomeo...”
 
Addio, amici vecchi e nuovi. Addio.
La fine si avvicina, cazzo
 
(E gli avvoltoi anche)
 
Addio. E' stato bello.
 
Soprattutto per voi
 
direbbe Axl se fosse ancora in sé.
Ma, come potete vedere, purtroppo non lo è più.
Statemi bene.
Non piangete.
 
non piangete per noi.
 
Spaccheremo il mondo, ve lo giuro...
ce la faremo a uscire vivi da questo inferno...
quanto alla sanità mentale... beh, non vi prometto niente. Per i miracoli, ci stiamo attrezzando.
 
So solo che sopravviveremo, in un modo o nell'altro.
Non ci credete?
Aspettate e vedrete, cazzo...
 
Restate con noi, vi prego.
Non ci lasciate...
 
Torneremo. Giuro che torneremo.
Spaccheremo il mondo.
Riscriveremo la storia del rock.
Faremo tutto questo e molto, molto altro ancora.
Ve lo prometto.
 
Ma adesso si è fatto tardi.
(Il mondo lo spacchiamo un’altra volta)
 
RESTATE SINTONIZZATI.
 
(Fanculo il cavallo di SAN BARTOLOMEO!)
 
 
FINE

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