Ascoltando la foresta di zenzero (/viewuser.php?uid=61068)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La prima ricognizione ***
Capitolo 2: *** Viaggio in solitaria ***
Capitolo 3: *** La Belva ***
Capitolo 4: *** Viaggiando insieme ***
Capitolo 5: *** Confronti finali ***
Capitolo 6: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** La prima ricognizione ***
Questa storia ha partecipato al contest "La Caduta dell'Inverno Boreale e altre storie - Viaggio nel Fantasy medievale" indetto da Deidaradanna93 http://freeforumzone.leonardo.it/d/10987225/La-Caduta-dell-Inverno-Boreale-ed-altre-storie-Viaggio-nel-Fantasy-medievale/discussione.aspx
Il sole si stava ritirando all’orizzonte. Tingeva campi e
colline di un rosso malinconico.
Da
due giorni un gruppo di elfi cavalcava sul dorso dei loro daini senza
quasi mai fare soste. Dopotutto, era ciò a cui i Ricognitori
erano stati addestrati.
Il
caposquadra in testa al gruppo fece miracolosamente segno di
rallentare, e si voltò verso di loro.
«E’ questa, la nostra meta» disse,
puntando il dito all’orizzonte. «Il villaggio di
Dofus».
I
giovani elfi si sporsero per vederlo bene. A parecchie miglia di
distanza, adagiato su un colle, distinguevano un piccolo villaggio,
dietro al quale s’intravedeva la macchia scura di
un’enorme foresta.
«Ci
fermeremo in una locanda, facendoci dare qualche informazione dagli
abitanti. Infine, stanotte, ci riuniremo in consiglio per decidere il
da farsi» decretò l’elfo, riprendendo a
cavalcare.
Il
caposquadra, Yaku, era un elfo della ragguardevole altezza di un metro
e venti circa, ma non aveva bisogno della mole per farsi ascoltare.
Bastava il tono di voce, assolutamente calmo, ma in qualche modo
terrorizzante, unito a uno sguardo che, anche senza scomodare la magia,
riusciva a immobilizzare chi osava fissarlo.
Gli
apprendisti avrebbero però voluto avere ulteriori
informazioni sulla loro missione. Dopotutto, gli era solo stato detto
che gli abitanti del villaggio erano terrorizzati da una creatura
indefinita che infestava la foresta.
Gli
elfi aggiunsero la locanda e lasciarono allo stalliere le loro
cavalcature. La popolazione fatata del villaggio era per lo
più mista, composta da fate, gnomi e qualche folletto.
Sia
le reclute, che i tre apprendisti erano interessati a scoprire di
più sulla cosiddetta creatura, così chiesero
informazioni agli abitanti, ma non ne ricavarono molto. Ognuno dava
loro un parere diverso. C’era chi diceva si trattasse di una
grossa belva, chi giurava fosse invece una creatura piccola e molto
veloce, chi diceva di aver visto invece una creatura fatata, ma tutti
loro concordarono nel dire che chi s’inoltrava nel bosco non
faceva più ritorno vivo. Avevano trovato dei resti, fatati e
animali, in condizioni orribili, con ferite molto profonde.
Il
gruppo di elfi tornò scosso alla locanda. Per lo meno il
gestore li aveva sistemati nelle stanze migliori. Dopotutto, i
Ricognitori ristabilivano l’ordine nel regno ed erano famosi
e apprezzati dal popolo, nonché sotto le direttive del Re, e
meritavano il meglio.
Fecero
un rapporto confuso a Yaku, non sapendo bene come definire le loro
scoperte. Lui prese parola solo alla fine dei loro discorsi. Secondo
lui, si trattava di una sola creatura, in grado di cambiare forma,
forse. «Ma date le opinioni contrastanti potrebbe trattarsi
di qualsiasi cosa, anche di un essere umano, dato che hanno riferito di
aver visto una figura dalle forme antropomorfe».
Un
umano? I giovani elfi si scambiarono occhiate eccitate, la faccenda
diveniva molto interessante. Nessuno di loro ne aveva visto uno, dato
che, dopo la Guerra delle venti stagioni, avvenuta circa tre
secoli prima, i pochi rimasti erano stati confinati nelle
riserve, da cui non uscivano mai. Quel poco che sapevano, ricavato
dalle descrizioni degli Anziani, era che il loro aspetto somigliava a
quello degli elfi, ma erano giganteschi, e poco o nulla capaci nelle
arti magiche.
In
molti erano in disaccordo con le speculazioni del caposquadra, ma
costui sedò ogni contestazione con una semplice occhiata.
«Le mie, sono solo supposizioni, potrei anche sbagliarmi. In
ogni caso, domani prepareremo le armi, ed durante quella notte
effettueremo una ricognizione, senza inoltrarci troppo».
Gli
elfi non erano soddisfatti.
«Come,
non ci addentriamo?» disse Sion, uno degli apprendisti,
agitando contrariato i folti capelli rossi. «Siamo in tanti,
potremo affrontare i pericoli senza problemi»
affermò.
Yaku
si limitò a fissarlo, dritto negli occhi. Le sue pupille
parvero ingrandirsi. Sion s’irrigidì completamente
per diversi secondi, rimanendo in una posizione innaturale.
Dopo
qualche istante, il caposquadra smise di guardarlo. Il giovane elfo
respirò affannosamente, e abbassò le orecchie,
imbarazzato. «Mi perdoni...» mormorò
guardando il terreno.
Yaku
sembrava essersi dimenticato di lui. «Tutti voi, andate a
riposarvi, ora. Domattina prepareremo il necessario per la
ricognizione. E’ tutto» mormorò, facendo
congedare i giovani elfi.
I
tre apprendisti erano stati collocati nella stessa stanza. Nei letti si
erano sistemati Sion, il contestatore; Koi, silenzioso ma che tutti
notavano perché era completamente calvo, e un giovane elfo
proveniente, a differenza degli altri, da un regno di confine; il suo
nome era Yuhr.
Quest’ultimo,
nonostante la stanchezza, non riusciva a dormire. La missione del
giorno seguente sarebbe stata decisiva nel valutare se fossero idonei o
no nell’unirsi nella Legione dei Ricognitori, e lui temeva di
fallire. Dal respiro nervoso dei compagni capiva che anche loro
provavano lo stesso timore.
«Io,
vorrei andare a vedere» protestò improvvisamente
Sion, giocherellando impaziente col suo arco.
«Non
importa cosa dica il Maestro. Non credo che una ricognizione
così superficiale possa farci scoprire di che mostro si
tratti».
Koi
si limitò ad annuire.
Yuhr
non seppe se dire la sua o meno. Aveva l’impressione di non
essere ben accetto tra gli apprendisti, e soprattutto da Sion. Non
faceva altro che dargli del rammollito, senza alcun motivo apparente.
«Allora,
cosa ne pensi, Yuretto?» chiese quest’ultimo,
voltandosi appena a guardarlo.
Yuhr
decise di dire la verità. «Penso che dovremmo
seguire le decisioni del caposquadra. Dopotutto, non sappiamo bene cosa
ci aspetti, nella foresta».
L’elfo
sospirò, giocando con una ciocca di capelli rossi.
«Oh, sei un allievo modello, tu. Sempre a seguire il
caposquadra come un cagnolino. Farai strada sicuramente».
Koi
ridacchiò, divertito, ma Yuhr decise di non dare loro corda,
e voltò il fianco.
«Cos’è,
non dici nulla?» proseguì il rosso, indispettito.
«Ti ho fatto un complimento, sai, mammoletta!».
«Come
vuoi. Ma sono comunque del parere che è meglio lasciare le
decisioni a chi ha maggiore esperienza. In questo modo, non potremo
fallire».
«Oh,
questo è certo…» affermò
l’elfo calvo, ghignando.
«Già,
mica siamo tutti come te, in certe cose non falliamo...»
sussurrò Sion.
Yuhr
non li vide parlare, ma avvertì un tono compiaciuto che non
gradì.
Il
giovane elfo si sollevò dal letto e guardò il
rosso dritto negli occhi. Volle sapere subito a cosa si stessero
riferendo, e perché continuavano a dargli del vigliacco.
Per
nulla intimorito Sion gli sorrise. «Sai, non ci aspettiamo
molto vigore da uno che non è in grado di dominare nemmeno
le femmine».
Koi
rise. Il colorito di Yuhr si accese, e abbassò
istintivamente le orecchie per l’imbarazzo. Loro sapevano.
Sapevano la sua storia. E dire che aveva percorso centinaia di miglia
per allontanarsi dal suo villaggio e unirsi ai Ricognitori, credendo
che le voci non fossero corse tanto lontane, e invece…
«C-cosa
vorreste insinuare? » biascicò il giovane,
sconvolto.
«La
tua è una storia piuttosto nota, non te la
prendere» mormorò Koi grattandosi il cranio
pelato. «Dopotutto, quando lasci insoddisfatte gran
parte delle elfe del tuo stesso villaggio, i pettegolezzi sanno correre
veloci».
Umiliato,
Yuhr abbassò la testa. «Le mie... questioni
personali non hanno nulla a che fare con la missione, adesso».
«Io
credo invece che un tipo come te, non abbia abbastanza spina dorsale da
entrare in quel ‘luogo maledetto’ ».
affermò Sion, indicando la finestra. Da lì si
poteva scorgere in lontananza la foresta.
«Riuscirei
ad inoltrarmi lì dentro anche da solo, invece!»
esclamò l’elfo, indignato.
«Secondo
me, non ci rimarresti che per pochi minuti, e poi torneresti
piagnucolando qui!»
Yuhr
dette un pugno al materasso. «Mi mettete alla prova? E va
bene, partirò adesso! M’inoltrerò nel
bosco, e rimarrò fino all’alba!»
esclamò fuori di sé.
Il
rosso lo guardò, divertito. La questione si faceva
interessante. «D’accordo, hai dato la tua parola,
allora... Guarda che da qui, ti vedremo benissimo. Se cercherai di
sgarrare in qualche modo, riferiremo al comandante della tua uscita, va
bene?»
L’elfo
annuì, deciso. Non parlò mentre raccolse il
mantello e le sue cose. Imboccò la porta con passo veloce.
«Ah,
erano davvero voci che correvano, ma non pensavo me le avrebbe
confermate lui stesso!» rise Sion soddisfatto.
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Capitolo 2 *** Viaggio in solitaria ***
Il
daino di Yuhr, non abituato a muoversi senza il branco, avanzava
lentamente. Anche perché, era completamente buio, e la
vegetazione fitta del bosco copriva gran parte delle stelle.
L’elfo era spaventato dalla situazione, ma evitava di
pensarci. Dopotutto, era ancora fuori di sé per
l’umiliazione subita. Non riusciva a capacitarsi del fatto
che il suo passato fosse stato reso noto. Anche se, non tutte le
informazioni erano esatte. La sua forza virile, era attiva, e anche
piuttosto possente, ma funzionava in maniera particolare, a dir poco
imbarazzante.
Era cominciato tutto anni prima, durante la stagione calda. Yuhr aveva
da poco compiuto il suo primo secolo, per cui poteva ora unirsi alla
cerimonia degli accoppiamenti. Si svolgeva in una apposita stanza
comunitaria, preparata per questo tipo di eventi. Gli Anziani, come da tradizione, avevano
scelto per lui sette fanciulle elfiche del suo stesso livello sociale
con cui unirsi, tra le quali avrebbe dovuto indicare la più
adatta al matrimonio. Tutte loro erano graziose, e ansiose di
accoppiarsi con lui, ma lui aveva rovinato tutto. Non gli era mai
capitato di unirsi alle femmine, ma vedendole prive degli abiti,
stranamente non provò nessuna passione in particolare. E,
cosa ancora più orribile, i suoi arti inferiori non
risposero per niente, a nessuna delle sollecitazioni delle fanciulle.
Yuhr provò a rinvigorirsi pensando a qualcosa di eccitante,
e inspiegabilmente, gli venne in mente una sola immagine. Lui che
l’estate scorsa osservava alcuni elfi adulti che nuotavano in
un lago. I fisici di molti di loro erano incredibilmente attraenti.
Grazie a questi pensieri riuscì a smuovere i suoi lombi, ma
solo per poco tempo. In pratica non compì alcun
accoppiamento.
E ovviamente il suo fallimento fu noto a tutti gli abitanti del suo
piccolo villaggio contadino. Non poteva quasi uscire da casa per la
vergogna. Per lo meno, tutti credevano che il suo membro si limitasse a
non funzionare, e non che agisse con lo stimolo sbagliato. Se lo avessero scoperto, avrebbero anche potuto appenderlo per i testicoli ad un albero, come spesso venivano puniti i sodomiti nella sua comunità. In ogni caso,
era divenuto lo zimbello del villaggio. Così fece fagotto e
si diresse nella lontana capitale, col forte desiderio di arruolarsi
nella Legione dei Ricognitori, il corpo armato più valoroso
del regno, in modo da dimostrare a tutti loro e a sé stesso
di non essere un completo incapace.
Yuhr si scrollò di dosso il peso di quei ricordi ridicoli e
tornò a concentrarsi sulla sua missione. Notò che
il suo daino aveva rallentato di molto il passo, come se fosse
spaventato.
«Che ti prende? Muoviti!»
esclamò l’elfo, spronandolo ad andare
più veloce, ma l’animale sembrava sempre
più esitante. Yuhr sospirò. «Di che
cosa hai paura, stupido? Non c’è nulla di cui
preoccuparsi». Detto questo, il giovane smontò
dall’animale, e camminò tranquillamente sul
tappeto di foglie morte. «Lo vedi che è tutto a
posto?» cercò di tranquillizzarlo, ma al passo
successivo sentì improvvisamente il terreno cedergli da
sotto i piedi. Sprofondò, e nel cadere cozzò la
testa contro una roccia, perdendo i sensi.
Era ormai l’alba, quando gli ospiti della locanda furono
svegliati improvvisamente da un forte tonfo, proveniente
dall’ultimo piano.
Nell’ampia sala del caposquadra Yaku, Sion si
massaggiò la testa tumefatta. Il caposquadra lo aveva spinto
a terra con una foga davvero terribile!
«Come sarebbe a dire, che non lo trovate
più? » sibilò l’elfo con un
tono che fece rabbrividire apprendisti e novizi insieme.
«Siamo... desolati, capitano…»
mormorò Koi, le cui orecchie erano calate in maniera
impressionante. «Al nostro risveglio, non era nella stanza.
Il letto era in ordine, e freddo da ore. »
«Sembrava molto spaventato per la missione, prima
che ci addormentassimo» continuò Sion,
socchiudendo gli occhi per il dolore, mentendo nel miglior modo che riusciva a offrire. «Ma non pensavamo fosse
in grado di un’azione simile! »
Il capitano rimase in silenzio con una smorfia di fastidio sul volto,
ma dal cipiglio sembrava davvero arrabbiato e seccato.
Dopo molti secondi guardò indifferente i suoi uomini.
«Non lo cercheremo, ha disobbedito ai miei ordini e
si è messo nei guai da solo. Se si trovasse nella foresta,
lo scopriremo tra breve. Nel caso dovessimo ritrovarlo vivo, si
pentirà di non essere stato vittima della furia del mostro.
E ora, voialtri, preparatevi a partire! »
Si levò da tutti gli elfi un grido d’assenso.
L’abitante della foresta guardò sconsolato un nodo
scorsoio vuoto. Era l’alba e cominciava a perdere le speranze
di trovare qualcosa da mangiare, quel giorno. Certo, almeno quel bosco
offriva una buona varietà di funghi, e anche degli alberi da
frutto, ma lui sentiva il forte bisogno di assaporare della carne.
Tuttavia, come cacciatore non era molto abile. Rimise a posto la corda e si
diresse verso l’ultima trappola che aveva piazzato, un
trabocchetto ben nascosto dalle foglie e profondo più di un
metro. Gioì nello scoprire che la trappola era scattata. Ma
guardando nel trabocchetto provò solo una forte delusione.
Nella buca c’era un elfo, privo di sensi. Ne aveva visti solo
qualcuno nei villaggi, ma mai da troppo vicino. Era piccolo come un
bambino. Aveva dei lunghi capelli sottili, di un biondo spento e dalle
sfumature di verde. I lineamenti erano delicati e la testa grande in
proporzione al corpo, ma la creatura capì che si trattava di
un giovane adulto. Indossava una tunica color erba e un mantello
grigio. Le buffe e lunghe orecchie appuntite si muovevano
impercettibilmente. Che si trattasse di un abitante del villaggio
vicino? In ogni caso, il poveretto sembrava essersi ferito nella
caduta. Decise di aiutarlo, dopotutto si era fatto male per colpa sua.
Lo sollevò per le ascelle senza alcuno sforzo, posandolo
gentilmente tra le foglie.
Yuhr si sentì afferrare scomodamente e si
svegliò, ancora stordito. Cercò di concentrarsi,
ricapitolando gli ultimi avvenimenti accadutigli. Era finito in una
sorta di grossa buca, doveva averci passato la notte, poiché
ormai era mattina. Il suo daino non sembrava nei paraggi. La testa gli
girava e gli doleva molto il braccio, doveva essersi ferito durante la
caduta. E qualcosa lo aveva sollevato e posato a terra.
L’elfo aprì lentamente gli occhi.
Una strana creatura lo stava fissando. La forma del suo corpo era
davvero simile a quella di un elfo, ma era il doppio più
alto e molto più massiccio. Notò che le sue
orecchie erano ridicolmente piccole e rotonde. Portava i capelli corti,
di un castano rossiccio, tagliati rozzamente, i tratti del volto erano duri e sulle guance e
sul mento aveva una barba incolta. Lo sconosciuto si abbassò
per vederlo meglio, esitando un pochino.
«Tranquillo, non voglio farti del male,
elfo...» mormorò con una voce assai bassa.
«Non ne ho alcuna intenzione».
Il tono sembrava sincero, e gli elfi avevano la capacità
innata di comprendere tutte le lingue, ma Yuhr retrocedette di un paio
di passi, senza smettere di fissare i movimenti di quel colosso.
«Non sforzarti di fingerti innocuo, umano» disse
nella sua lingua così che potesse capirlo.
«Dopotutto, questa trappola l’hai costruita
tu!»
«Sì, per catturare gli animali,
ma…»
«Ciò evidenzia ancora di più
la tua pericolosità!» esclamò Yuhr,
disgustato. Nessun elfo, nemmeno minacciato mortalmente dalla fame si
sarebbe mai cibato di un animale. Costruire un marchingegno per
catturare con l’inganno costituiva quindi per lui un atto
assolutamente ignobile.
«I miei compagni ti troveranno presto, e la
pagherai cara per tutti i tuoi atti scellerati!»
continuò l’elfo.
«Di quali atti parli?» chiese
l’umano, confuso. Fece per avanzare di un passo ma Yuhr
individuata una via di fuga tra le felci scattò via
improvvisamente e sparì nella boscaglia.
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Capitolo 3 *** La Belva ***
Yuhr
corse per minuti interi, finché non si rese conto con
sollievo che nessuno lo stava seguendo.
Provò quindi ad uscire dalla foresta, e imboccò
diversi sentieri, ma finiva per inoltrarsi e perdersi sempre di
più. Dopo ore di tentativi capì che
c’era qualcosa di strano.
Imboccando un percorso tra tanti, una volta attraversato del tutto si
ritrovava al punto di partenza. Yuhr chiese da cosa potesse derivare.
Forse, si trattava di un maleficio, opera di un mago. Tra coloro che
iniziavano a studiare le arti magiche quelli che preferivano la magia
oscura alle arti benefiche erano sempre più rari, ma
potenti, e destavano timore. C’erano molti elfi pericolosi,
ma anche alcuni umani erano in grado di adoperare tali arti.
Anche se l’uomo di quella mattina non sembrava proprio uno
stregone. Dopotutto, aveva usato una trappola per catturarlo, e non era
riuscito a raggiungerlo quando era scappato. Pensieroso, Yuhr
trasalì quando vide il luccichio di un paio
d’occhi, in attesa, nella boscaglia. La creatura intenta a
fissarlo avanzò tra le piante, e l’elfo lo vide da
vicino. Era una qualche sorta di felino. Grosso e tozzo, dal folto
pelame scuro e lurido, due occhi rossicci che continuavano a fissarlo e
le zanne gialle in bella mostra. Nonostante la bruttezza, non sembrava
pericoloso. Yuhr gli si avvicinò lentamente. Si
chinò e sporse un braccio, per accarezzarlo. La creatura
rimase immobile, seguendo i suoi spostamenti. Quando le dita
dell’elfo stavano per sfiorarlo, l’animale
voltò la testa di scatto e gli addentò con forza
il polso. Yuhr arretrò, urlando di sorpresa e dolore. Il
morso gli aveva aperto due solchi sanguinanti sul polso.
La creatura si leccò le labbra, soddisfatta, e poi emise un
rumoroso gorgoglio. L’elfo vide con orrore che
quell’essere stava letteralmente crescendo,
aumentò di mole fino a superarlo d’altezza. Ora aveva la stazza di una tigre, e sembrava anche più pericoloso. I suoi
impressionanti occhi rossi si puntarono sull'elfo, ora in modo minaccioso.
Il giovane urlò, terrorizzato. Schivò un colpo di
zampa del grosso felino e prese a correre, continuando a urlare. La
creatura era, però molto agile e veloce, e
atterrò di fronte a lui con un balzo. Yuhr estrasse uno
spadino, che utilizzava praticamente solo per motivi di emergenza. Non
avrebbe mai voluto estrarla per combattere un animale, ma dopotutto non
aveva altra scelta. Si avventò contro la bestia, ferendola a
un fianco, ma questa si voltò e lo bloccò con
entrambe le zampe. Yuhr si svicolò dalla fiera, e nel farlo
ruzzolò a terra perdendo la sua arma. La creatura
coprì la spada con una zampa. Yuhr arretrò. Anche
disarmato, aveva ancora un modo per difendersi. Conosceva una
particolare abilità magica, che utilizzava raramente,
perché gli faceva sprecare molta energia, ma almeno era
sicuro di riuscire a fermare quella terribile creatura.
L’elfo scattò su un albero, e iniziò a
cantare. Era una canzone allegra, che aveva composto personalmente.
Yuhr lo aveva scoperto da piccolo: quando cantava, mutava
l’umore di chi lo ascoltava. Doveva unicamente concentrarsi,
e così facendo riusciva ad avvertire le emozioni
circostanti, e emetteva toni in grado di contrastarle. Non era un gran potere, ma se usato bene poteva risultare utile; del resto non amava affatto combattere.
Sondò l’essere e vi trovò fame e
bramosia; pensò, dunque, che una canzone allegra avrebbe
potuto placarlo. Le orecchie della creatura fremettero mentre ascoltava
l’elfo, ma a parte questo la canzone non sembrò
subire alcun effetto. Anzi, con maggiore foga, la belva
balzò sull’albero. Yuhr si buttò dal
ramo, evitando per un soffio di essere colpito dal mostro.
Cominciò a correre ma gli tremavano le gambe. Aveva usato
troppo potere. Non osò girarsi, sicuro che la fiera gli
sarebbe piombata addosso da un momento all’altro. Invece la
sentì urlare rabbiosa, e incuriosito si voltò.
Stupito, vide che l’essere umano era apparso improvvisamente
e combatteva contro la belva. Imbracciava un’arma molto
strana, una sorta di bastone che aveva alla sommità una
parte metallica, sembrava saperla usare con abilità. Yuhr
provò a correre per scappare, incapace di credere a tale
fortuna, ma le forze lo abbandonarono di colpo e si limitò a
crollare svenuto a terra.
L’elfo si svegliò quando ormai era notte
inoltrata. Era sdraiato a terra, e avvolto da quel che sembrava una
grossa coperta di lana. Si tirò lentamente a sedere, le
ferite al petto gli fecero male. Si ritrovò fasciato, e con
lo spadino accanto.
Ricordò più o meno cosa fosse accaduto. A pochi
passi da lui trovò l’umano girato di spalle,
intento ad alimentare un piccolo fuocherello. Stava borbottando
qualcosa a proposito del freddo. C’era l’odore di
qualcosa che veniva arrostito. L’elfo si mise in piedi
lentamente, preparandosi a fuggire, ma inaspettatamente
l’uomo si voltò. Reggeva un involto pieno di
castagne arrostite.
«Ben svegliato» mormorò con
quella sua voce profonda. «Perdona la qualità
delle fasciature, ma non sono bravo a farle. Immagino tu abbia
fame… e poiché a voi elfi non piace la
carne…» gli porse l’involto ma Yuhr
retrocedette, schivo.
«Che è successo alla belva?»
si limitò a chiedere, freddamente.
«Sono riuscito a ferirla, ma è scappata
subito e non l’ho più vista. Mi ha lasciato un
ricordo dell’incontro...» rispose
l’umano, mostrando un braccio pieno di profondi graffi.
Yuhr continuò a fissarlo, diffidente.
«Perché mi hai aiutato contro la belva, e mi hai
curato?».
«Dobbiamo agire assieme per sopravvivere» si
limitò a dire il giovane. «Da settimane provo a
uscire da questa foresta, ma finisco solo per perdermi. Temo ci sia una
qualche stregoneria sotto, e credo che tu, come elfo, possa capirci
più di me».
L’elfo in questione non disse nulla a riguardo del fatto che
non ne sapeva molto di più.
L’umano gli porse le dita in segno di pace.
«Allora? Vuoi unirti a me?» chiese, speranzoso ma
Yuhr lo scacciò infastidito e continuò a
retrocedere. «Perché dovrei fidarmi di te, umano?
E’ sospetto trovarti da solo, fuori dalla tua
riserva».
Il giovane sospirò. «Certo, hai ragione... Ma
vedi... non potevo più vivere in un posto del
genere...»
«Per quale motivo?»
«E’ una... questione
personale...» rispose l’uomo, arrossendo
violentemente.
«Come pensi di ottenere la mia fiducia se nemmeno
riesci a spiegarmi cosa ti ha portato qui?» sbuffò
Yuhr, visibilmente irritato.
L’umano parve infastidito. «Ho i miei motivi per
non parlarne. Ma credo che qualsiasi cosa io dica, per te non sarei intendibile, dato che sono un umano, non è così?».
«Già, è per
questo!» esclamò Yuhr, ma a dire il vero non lo
pensava. «Il nostro incontro finisce qui». Detto
questo raccolse le sue cose e prese a camminare. Aguzzò
l’udito, per capire se l’uomo lo stesse seguendo,
ma sentì solo il suo respiro, insolitamente affrettato,
divenire una serie di singhiozzi. Infine si tramutò in un
pianto sommesso. Non era quel genere di pianti che si potevano
simulare, ma qualcosa di triste e spontaneo. Si avvicinò al
giovane e lo vide chino su se stesso, e tremante. Cercava di trattenere
le lacrime ma essere continuavano a rigargli le guance.
«Sono di nuovo da solo... non ne uscirò più... Non... doveva succedere… non a
me…» mormorò tra i singhiozzi.
«Io... non volevo esserlo. Tutto... ma non un
invertito…»
Yuhr trasalì, ascoltando tale confessione inaspettata.
Quell’umano... era attratto dai maschi, come lui?
«Non è colpa mia...»
continuò il giovane uomo, stringendo forte il braccio ferito
dalla belva. «Non ho mai fatto male a nessuno... Allora... Perché mi hanno esiliato?
Perché?».
Continuava a chiederserlo, stringendo sempre più forte.
Tanto da riaprirsi le ferite, ma parve non accorgersene.
L’elfo non aveva mai smesso di guardarlo. Prima provava
timore nei suoi confronti, e diffidenza, ma vedendolo così
afflitto sentì solo un senso di pena. Inoltre aveva paura
che i singhiozzi richiamassero la belva. Così socchiuse gli
occhi, e iniziò a cantare. Stavolta, era una vecchia
ninnananna elfica dalla melodia dolce. Yuhr si lasciò
trasportare dai suoni ed entrò in contatto con
l’animo dell’umano. Avvertì la sua
angoscia, il terrore, e un enorme senso di solitudine, e
mitigò tali sentimenti addolcendo ancora di più
il tono. L’umano fermò il pianto, alquanto
stupito. Poi, semplicemente chiuse gli occhi, ancora bagnati di lacrime
e scivolò nel sonno.
Yuhr lo osservò da vicino, incuriosito di quella strana
creatura. Effettivamente non aveva un aspetto malvagio, almeno non nel
sonno. Non era neanche brutto, come pensava fossero gli esseri umani, anzi aveva un volto piacevole da guardare. Trafugò indisturbato l’involto lasciato
cadere dal giovane uomo e mangiò affamato le castagne, che
dopotutto gli erano state offerte. Si disse che, in fin dei conti,
sarebbe stato un bene viaggiare insieme a quel grosso umano. La belva
sembrava non riuscire a metterlo in difficoltà e aveva dato
prova di non avere brutte intenzioni. In ogni caso, non aveva scelta.
Sollevò la grossa coperta di lana, ridusse il fuoco e si
appoggiò alle radici di una grossa quercia, passando
lì la notte.
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Capitolo 4 *** Viaggiando insieme ***
La mattina
seguente fu grande lo stupore dell’umano quando Yuhr gli
spiegò che si era convinto a viaggiare con lui.
L’uomo conosceva ormai la foresta a memoria. Condusse Yuhr
all’ingresso di uno dei sentieri che non conducevano da
nessuna parte.
«Allora, elfo, riesci a capirci
qualcosa?».
Yuhr scosse la testa. «No. Purtroppo, temo che la mia
conoscenza in campo magico non possa essere d’aiuto in questo
caso. Non riesco proprio a capire con quale anatema sia stato creato
tutto questo».
«Beh, almeno ci abbiamo provato»
mormorò l’umano, cercando di essere positivo.
«A questo punto, la cosa migliore da fare
è cercare i miei compagni. Dovrebbero essere già
entrati nella foresta»
L’uomo sospirò. «Spero che non mi
facciano prigioniero all’istante»
«Ehi, basterà spiegare loro che sei del
tutto inoffensivo».
«Inoffensivo? Ma davvero?»
ripeté l’umano, estraendo la scure.
«…Tranne quando usi quel brutto affare.
Brr, non voglio nemmeno ripensare all’utilizzo di cui mi hai
parlato…»
L’umano rinfoderò l’oggetto. Yuhr si
rese conto che in effetti, l’uomo gli aveva spiegato molte
cose su di lui. Da quando lui si era inaspettatamente proposto di
accompagnarlo, poiché non parlava con nessuno da settimane,
l’umano aveva iniziato a confidarsi con lui. Diceva di
chiamarsi Nill, di avere ventiquattro anni e di aver tranquillamente
vissuto, fino a pochi mesi prima nella riserva umana, come falegname.
Creava oggetti con il legname, che tagliava personalmente, ma non
sembrava rendersi conto di quanto fosse un atto disdicevole.
Parlò anche del fatto di essere stato esiliato dalla riserva
umana, ma, senza rivelare il vero motivo, disse solamente che si era
innamorato della persona sbagliata, e che i suoi connazionali si erano
molto adirati. Aveva preso con sé tutto quel che possedeva e
quindi deciso di raggiungere un’altra riserva, a centinaia di
leghe dalla sua. Aveva compiuto un viaggio lungo e faticoso, ed era
ancora a metà strada. In quella regione poi elfi e gnomi
erano particolarmente violenti, restii a dare un lavoro o convivere pacificamente con un umano, e così preferiva spostarsi di
notte in zone poco battute. La foresta gli era sembrato un luogo
perfetto per passare la notte, ma si era ricreduto quando non era
riuscito più a uscirne. Il tempo lì dentro scorreva in modo strano, e
da settimane lui non faceva altro che vagare tra gli alberi,
combattendo la bestia e soffrendo la fame, ritrovandosi anche a parlare da solo e avere allucinazioni.
Anche Yuhr, sentendosi più a suo agio, gli aveva parlato
della sua vita, anche se aveva tralasciato la storia delle fanciulle,
dicendo solo di desiderare fortemente di poter dimostrare a tutti il
suo valore.
«Tanto vale cercare un altro passaggio da
esaminare, anche se non sono più molto ottimista a riguardo.
In ogni caso, spero che almeno i tuoi compagni potranno aiutarci a
risolvere quest’orribile situazione» disse Nill,
mentre si mettevano a camminare.
«Lo spero anch’io»
concordò l’elfo.
Ormai il sole aveva quasi raggiunto lo zenit. Yaku fece segno di
smontare dai daini, per riposarsi. Neanche lui ce la faceva
più. Dall’alba in cui erano partiti, non erano
riusciti ancora a trovare un’uscita da quella foresta. I
percorsi che imboccavano li riconducevano sempre al punto di
partenza. Doveva esserci sotto qualcosa di molto pericoloso.
E dire che la missione si era profilata tanto facile! Come tutte le missioni in cui guidava le nuove reclute. Ma avevano
trovato di tutto, in quella foresta. Non sapevano più cosa
pensare. C’erano delle trappole, che sembravano di fattura
umana, ma anche i resti di un daino, il daino appartenuto a Yuhr. Yaku
sospirò. Ora aveva un cadetto disperso, quasi sicuramente
morto e forse anche altri avrebbero potuto non farcela. Non
mangiò nulla, mentre fissava il bosco, pensieroso. Stava per
ordinare di ripartire quando udì l’urlo di terrore
di uno dei cadetti seduto a diversi metri da lui, Tyle, e ne vide altri
correre via disperati. Alle loro spalle c’era un essere
enorme, che pareva una sorta di strano felino. La belva
superò gli elfi con un balzo, portandosi a un paio di metri
dal caposquadra. Lo fissò, con uno sguardo rabbioso.
«Elfi» disse, in lingua umana leccandosi
le labbra sporche di sangue. «Ora siete nel mio territorio». Si
voltò e fuggì via.
Yaku si asciugò la fronte sudata e si avvicinò a
Tyle. La spalla era solcata da due grossi morsi, perdeva molto sangue.
«E’ arrivato all’improvviso,
signore!» esclamò Koi, che era con lui.
«E’ balzato su Tyle e gli ha succhiato il sangue.
Lo abbiamo colpito e quel mostro si è staccato e ha iniziato
a correre, e poi…»
Yaku non volle perdere tempo ad ascoltarlo. Ordinò a una
delle reclute dalle abilità curative di occuparsi del
ferito.
Montò sul daino, e gli altri seguirono il suo esempio.
«Seguiamolo» ordinò teso.
«Parlava. In lingua umana, per giunta»
mormorò Sion, ancora scosso.
«Di che ti stupisci? Anche qualche umano è in
grado di adoperare la magia. E non sono pochi coloro che imbracciano le
arti oscure e acquisiscono abilità demoniache»
fece Yaku. «Ma ciò non significa che non possiamo
metterlo in difficoltà».
Detto questo speronò la sua cavalcatura e partì
al galoppo, in testa al gruppo.
Yuhr per una volta riuscì a rasserenarsi. Dopo
un’intera giornata passata a vagare nella foresta, avevano
raggiunto uno spiazzo privo di alberi. Era una zona piena di fitta
vegetazione incolta. Una gran quantità di soffioni formava
un enorme tappeto bianco e soffice.
«Questo sembra un posto tranquillo. Forse possiamo
riposarci per qualche minuto. Che ne dici, Nill?»
L’umano assunse un’espressione che somigliava molto
al sollievo.
«Sì, se insisti, va
bene…» acconsentì, facendo
giacere il suo grande corpo nell’erba. «Ho bisogno
di bere, effettivamente...» sussurrò, portandosi
alla bocca una gavetta.
Yuhr lo osservò affascinato mentre beveva.
In effetti, era da un po’ che gli piaceva guardarlo. Aveva un
aspetto diverso da quello degli elfi, eppure lo trovava incredibilmente
interessante. Chissà, forse era perché era da due
giorni che non facevano che viaggiare ed erano l’unica
compagnia l’uno dell’altro. Ma Yuhr sospettava che
ci fosse di mezzo anche la sua innaturale attrazione per gli esseri del
suo stesso sesso.
Eppure non gli era mai capitato di sentirsi in un modo simile nei
confronti di qualcuno. Provava sentimenti contrastanti nei confronti di
Nill. Non si scandalizzava più per il fatto che si nutrisse di carne e abbattesse gli
alberi, sentiva solo un forte desiderio di stargli vicino e di
proteggerlo, a qualsiasi costo.
«C’è forse qualcosa che non
va, Yuhr?» chiese l’umano, vedendolo rimanere
immobile.
L’elfo trasalì, riprendendosi. «No,
nulla».
«Forse hai sete…» disse
l’umano, e si chinò, offrendogli la gavetta.
Ora Nill aveva il volto incredibilmente vicino al suo. Yuhr si
sentì battere forte il cuore. Non poté far altro
che guardare quelle labbra inumidite, ed erano così
invitanti…
In quel momento, sentirono entrambi degli scalpitii, dovuti a
qualcosa che si stava avvicinando velocemente a loro. Yuhr riconobbe il
rumore, erano i daini della sua squadra. Nill parve agitato.
«Tranquillo, sono i miei compagni.
Basterà spiegare la situazione e andrà tutto
bene» disse l’elfo.
Agitò un braccio per salutarli, ma loro non rallentarono e
non diedero cenno di averlo visto.
«Eccolo!» urlò Sion, estraendo
l’arco e puntandolo contro Nill. Anche gli altri elfi
estrassero le loro armi.
Prima che Yuhr potesse rendersene conto, l’umano ancora
seduto fu colpito da frecce e lame. Gli elfi si accanirono soprattutto
sulle sue gambe. Nill recuperò la scure, preparandosi a
combatterli.
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Capitolo 5 *** Confronti finali ***
Yuhr
s’interpose tra i contendenti e allargò le
braccia. «BASTA, ADESSO! Tutti quanti voi,
smettetela!» urlò.
Gli elfi lo fissarono, stupiti di vederlo vivo. Fu Yaku il primo a
parlare. «Apprendista Yuhr, allontanati da
quell’umano» ordinò ferreo.
Lui scosse la testa. «No. Non è lui la creatura
cui diamo la caccia. Ho viaggiato con lui fino ad adesso e posso
assicurarvi che è innocente».
Il caposquadra si accarezzò il mento, pensoso. «Se
è rimasto con te nelle ultime ore effettivamente non
può essere la stessa creatura. Ma allora, di chi si
tratta?» chiese Yaku.
«Parlate forse di me?»
sghignazzò alle loro spalle una voce sgradevole e ben nota.
Gli elfi trasalirono trovandosi di fronte la belva.
Sion e uno dei cadetti furono i primi a lanciarsi
all’attacco, e sempre i primi a essere colpiti dalle sue
zampate. Finirono gementi a terra, facendo volare decine di soffioni.
«Cosa sei esattamente, creatura immonda?»
esclamò Yaku, disgustato. L’essere gli rivolse un
ghigno divertito.
«Oh, tu devi essere il gran capo di tutta questa
combriccola» sibilò.
Il caposquadra non rispose, limitandosi a fissarlo direttamente negli
occhi.
La belva rimase immobile per qualche secondo. Ma poi, scosse la testa.
«Sono spiacente. Purtroppo la tua debole magia di paralisi
non ha alcun effetto su di me».
L’elfo trasalì, stupito e spaventato. La belva
fletté le ginocchia, preparandosi a balzargli addosso, ma
non ci riuscì. Nill, messosi in piedi
imbracciò la scure e gli mozzò di netto la coda.
Il sangue schizzò ovunque tingendo l’erba e i
fiori, mentre l’essere, gemendo dal dolore,
sgusciò via da loro. I presenti notarono che il mostro stava
cambiando forma. Prese a rimpicciolirsi, e ad avere sembianze
antropomorfe. I peli scomparvero quasi completamente e tutti loro si
trovarono di fronte quel che sembrava un elfo. Era alto, sottile e
dalla pelle diafana. I lunghissimi capelli neri gli coprivano una parte
del volto, senza oscurare però i suoi enormi occhi, dalla
sclera nera e l’iride vermiglio. La bocca era irta di denti
taglienti come rasoi. Il moncherino della corda che spuntava da sopra
le natiche continuava a sanguinare. Le lunghe orecchie appuntite si
sollevarono per la rabbia. «Come hai osato, tagliarla,
bestione ottuso? Ora, non potrò più
trasformarmi!»
«Trasformarti?» ripeté Yaku,
confuso. «Dunque sei in realtà soltanto un
elfo?»
«Miserabile idiota, non sono più
‘solo un elfo’. Non più, da moltissimo
tempo. Vedete...» disse, rimettendosi in piedi. «Un
tempo mi chiamavo Xavin, ero giovane e sempre affamato di
sapere. Scoprii la magia oscura e mi resi conto che con essa avrei
potuto conoscere molte più cose rispetto a quel che le
normali arti magiche avrebbero potuto insegnarmi. Così,
abbandonai il mio villaggio natale e mi unii a una setta che venerava i
demoni. Imparai l’oscura arte e acquisii molto potere... ma
io volevo divenire parte delle tenebre, e abbandonare queste deboli
spoglie elfiche. Così sacrificai ai demoni un gatto nero, e
ne mangiai il cuore, e da quel momento riuscii ad assumerne le
sembianze».
Parlava con una calma innaturale, e muovendosi lentamente. Nill si
chiese per quale motivo non cercava di difendersi, o di attaccarli, come se sapesse che non ce ne fosse bisogno.
«Smettila!» gemette Sion, sollevando
l’arco. Ma non sembrava intenzionato a scoccare una freccia.
«Ma tale forma richiedeva un notevole sforzo, che
dovevo ripristinare con il sangue» continuò
l’elfo. «E il sangue elfico era il più
adatto, poiché contiene potere magico. Iniziai anche ad
amare il sapore della carne delle mie vittime, la trovai
squisita».
Yaku estrasse un corto pugnale e si lanciò contro
l’elfo, che però lo bloccò per un
braccio e gli torse il polso. Poi lo prese a calci nello stomaco fino a
farlo cadere a terra.
«Cercai un luogo dove appigionarmi, dopo tanto
vagare, e quel villaggio di zotici bifolchi mi parve adatto,
così lontano dalle grandi città. Stabilii la mia
tana in questa foresta e lanciai un incantesimo per il quale chi
s’inoltrava superato un certo punto non potesse
più uscirne. Adottai dei comportamenti umani, come la
costruzione di trappole, per far cadere la colpa sul vero umano. Ma
commisi anche un grosso errore, l’incantesimo era troppo
potente e non riuscii a scioglierlo. Il che è un grosso
peccato».
Guardò il caposquadra che tentava di rialzarsi e gli diede
un altro calcio sulla pancia, ridendo. «Voi e il vostro
stupido codice morale… ‘Non si uccide un altro
elfo’, già. E pensare che un tempo
anch’io lo rispettavo, lo consideravo sacro... Ma come
pensate di venirne fuori senza infrangere le regole?»
«Io non sono un elfo» disse Nill.
«Lo so, bestione» mormorò lo
stregone, fermandosi a guardarlo. Sembrava insolitamente tranquillo. Ma
Yuhr concentrò i suoi sensi su di lui, avvertì la sua ansia, il respiro veloce,
e notò degli impercettibili movimenti degli artigli e delle
gambe.
«…Per questo, sarà
più divertente ucciderti!» esclamò
Xavin. Un istante dopo, il terribile elfo scattò velocissimo
contro Nill, gli artigli estratti pronti a colpire. Yuhr estrasse la
spada e si gettò tra i due. Nill non vide bene cosa stesse
accadendo, ma sentì il rumore delle lame e vide schizzare
molto sangue tra i due corpi.
Pochi secondi dopo, i due contendenti caddero a terra coperti di
sangue. Non si muovevano. Lo stregone aveva il collo squarciato e gli
artigli insanguinati ma Nill gli diede appena un’occhiata.
Scrollò Yuhr sdraiato accanto con forza. Perdeva molto
sangue dal petto e non si muoveva.
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Capitolo 6 *** Epilogo ***
«Apri
gli occhi! Dimmi qualcosa!!» urlò
l’umano sconvolto.
«...Tu
non sei più un elfo, sei solo un mostro...»
mormorò Yuhr dopo molti secondi. Tossì forte.
Nill lo abbracciò stretto, piangendo. «La ferita
è profonda! Maledizione!!»
«Calmati,
umano» sussurrò Yaku, avvicinandosi a loro.
«Anch’io ho buone doti guaritrici, e per fortuna
non mi ha rotto il polso giusto, così posso esercitarle.
Posalo a terra».
L’umano
obbedì, sollevato, mentre il caposquadra utilizzava la magia
sulle ferite dell’elfo.
Yuhr
riprese conoscenza solo la mattina successiva. Era nella stanza che
aveva occupato per poche ore nella locanda del villaggio vicino. Si
sentiva stanco e un po’ dolorante. Nella stanza erano presenti tutti
quelli della squadra, assai malconci, e pure Nill, preoccupato.
«Che
caldo terribile» mormorò, facendo accorrere tutti
i presenti.
«Eccolo,
come sempre è l’ultimo a svegliarsi»
scherzò Yaku stranamente allegro. Poi tornò
impassibile come sempre. «I tuoi compagni mi hanno
rivelato del loro piccolo scherzo» disse, fulminando Koi e
Sion con lo sguardo. «E del modo in cui hai perso la calma. E
malgrado ciò, vi siete dimostrati dei combattenti assai
valorosi, tutti voi» disse, guardandoli. «Siete
promossi. Apprendisti, ora siete in tutto e per tutto membri della
nostra Legione».
I
giovani elfi esultarono di gioia, abbracciandosi.
Nill
non aveva capito una parola ma intuì quel che fosse
successo. Si accostò al letto di Yuhr.
«Cos’è che ha detto? Ne sembrano tutti
felici» chiese.
«Sono
uno dei loro, appartengo ai Ricognitori, adesso»
dichiarò l’elfo, sorridendo. L’umano
restituì il sorriso e gli posò la grossa mano su
una spalla.
«Sono
fiero di te. Hai ottenuto ciò che desideravi tanto»
«Già…»
mormorò l’elfo, ma si rese conto che non si sentiva realmente soddisfatto.
Quella
sera tutto il villaggio fece festa, per commemorare i caduti, e gioire della liberazione della foresta e
l’uccisione del mostro. Fu acceso un falò enorme
nella piccola piazza e tutti iniziarono a ballare e cantare. Il vino
scorse a fiumi. Yuhr partecipò, pur dovendo rimanere seduto,
con Nill silenziosamente accanto. Quando ormai, nel pieno della notte, la festa si avviava alla
conclusione, l’elfo si accorse che Nill non era
più al suo fianco e un senso di gelo gli
attanagliò il cuore. Si alzò e iniziò
a camminare faticosamente, cercandolo in ogni strada. Era come se fosse sparito nel nulla, nessuno degli abitanti
sembrava averlo visto. Lo chiamò a gran voce, continuamente,
ma sembrava tutto inutile.
Stava
per tornare in piazza e chiedere aiuto quando sentì il suono
dei suoi passi, e il rumore del suo respiro.
Si
voltò e lo vide. In piedi e vestito per il viaggio, con
un’espressione rassegnata.
«Non
è il mio posto questo» disse «Del resto, ormai non esiste un luogo in cui possa stare». Il tono era tranquillo, quasi rassegnato.
«Rimani
almeno fino a domani, ti prego» lo implorò
l’elfo.
«Così
facendo, sarebbe tutto ancora più doloroso. No, preferisco
una separazione veloce».
Yuhr
non riuscì a dire nulla, solo i suoi occhi gli comunicarono
tutta la sua disperazione.
«Addio…»
Nill si allontanò di qualche passo, ma poi, di scatto, si
voltò. Avanzò verso di Yuhr, si chinò
e lo abbracciò forte, fino a quasi mozzarli il fiato.
L’elfo
lo sentì tremare, e avvertì il ritmo forsennato
di quel grosso cuore scontrarsi con il suo. Non seppe dire per quanto
tempo rimasero in quella posizione.
Quando
si staccarono Nill lo guardò, con calma e fierezza nello
sguardo.
«Io me la caverò. Andrà tutto bene»
Yuhr annuì.
Lentamente,
l’umano prese i suoi pochi bagagli, si alzò, e si
mise a camminare. Yuhr lo seguì con lo sguardo mentre la sua
massiccia figura diveniva sempre più piccola
all’orizzonte, per poi scomparire del tutto.
L’elfo
rimase qualche secondo immobile, a fissare la direzione in cui Nill si
era allontanato. Poi si voltò e si diresse alla festa, con
un tenue sorriso sul volto.
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