Ascoltando la foresta

di zenzero
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La prima ricognizione ***
Capitolo 2: *** Viaggio in solitaria ***
Capitolo 3: *** La Belva ***
Capitolo 4: *** Viaggiando insieme ***
Capitolo 5: *** Confronti finali ***
Capitolo 6: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** La prima ricognizione ***


Questa storia ha partecipato al contest "La Caduta dell'Inverno Boreale e altre storie - Viaggio nel Fantasy medievale" indetto da Deidaradanna93  http://freeforumzone.leonardo.it/d/10987225/La-Caduta-dell-Inverno-Boreale-ed-altre-storie-Viaggio-nel-Fantasy-medievale/discussione.aspx




Il sole si stava ritirando all’orizzonte. Tingeva campi e colline di un rosso malinconico.

Da due giorni un gruppo di elfi cavalcava sul dorso dei loro daini senza quasi mai fare soste. Dopotutto, era ciò a cui i Ricognitori erano stati addestrati.
Il caposquadra in testa al gruppo fece miracolosamente segno di rallentare, e si voltò verso di loro. «E’ questa, la nostra meta» disse, puntando il dito all’orizzonte. «Il villaggio di Dofus».
I giovani elfi si sporsero per vederlo bene. A parecchie miglia di distanza, adagiato su un colle, distinguevano un piccolo villaggio, dietro al quale s’intravedeva la macchia scura di un’enorme foresta.
 «Ci fermeremo in una locanda, facendoci dare qualche informazione dagli abitanti. Infine, stanotte, ci riuniremo in consiglio per decidere il da farsi» decretò l’elfo, riprendendo a cavalcare.
Il caposquadra, Yaku, era un elfo della ragguardevole altezza di un metro e venti circa, ma non aveva bisogno della mole per farsi ascoltare. Bastava il tono di voce, assolutamente calmo, ma in qualche modo terrorizzante, unito a uno sguardo che, anche senza scomodare la magia, riusciva a immobilizzare chi osava fissarlo.
Gli apprendisti avrebbero però voluto avere ulteriori informazioni sulla loro missione. Dopotutto, gli era solo stato detto che gli abitanti del villaggio erano terrorizzati da una creatura indefinita che infestava la foresta.
Gli elfi aggiunsero la locanda e lasciarono allo stalliere le loro cavalcature. La popolazione fatata del villaggio era per lo più mista, composta da fate, gnomi e qualche folletto.
Sia le reclute, che i tre apprendisti erano interessati a scoprire di più sulla cosiddetta creatura, così chiesero informazioni agli abitanti, ma non ne ricavarono molto. Ognuno dava loro un parere diverso. C’era chi diceva si trattasse di una grossa belva, chi giurava fosse invece una creatura piccola e molto veloce, chi diceva di aver visto invece una creatura fatata, ma tutti loro concordarono nel dire che chi s’inoltrava nel bosco non faceva più ritorno vivo. Avevano trovato dei resti, fatati e animali, in condizioni orribili, con ferite molto profonde.
Il gruppo di elfi tornò scosso alla locanda. Per lo meno il gestore li aveva sistemati nelle stanze migliori. Dopotutto, i Ricognitori ristabilivano l’ordine nel regno ed erano famosi e apprezzati dal popolo, nonché sotto le direttive del Re, e meritavano il meglio.
Fecero un rapporto confuso a Yaku, non sapendo bene come definire le loro scoperte. Lui prese parola solo alla fine dei loro discorsi. Secondo lui, si trattava di una sola creatura, in grado di cambiare forma, forse. «Ma date le opinioni contrastanti potrebbe trattarsi di qualsiasi cosa, anche di un essere umano, dato che hanno riferito di aver visto una figura dalle forme antropomorfe».
Un umano? I giovani elfi si scambiarono occhiate eccitate, la faccenda diveniva molto interessante. Nessuno di loro ne aveva visto uno, dato che, dopo la Guerra delle venti stagioni, avvenuta circa tre secoli  prima, i pochi rimasti erano stati confinati nelle riserve, da cui non uscivano mai. Quel poco che sapevano, ricavato dalle descrizioni degli Anziani, era che il loro aspetto somigliava a quello degli elfi, ma erano giganteschi, e poco o nulla capaci nelle arti magiche.
In molti erano in disaccordo con le speculazioni del caposquadra, ma costui sedò ogni contestazione con una semplice occhiata. «Le mie, sono solo supposizioni, potrei anche sbagliarmi. In ogni caso, domani prepareremo le armi, ed durante quella notte effettueremo una ricognizione, senza inoltrarci troppo».
Gli elfi non erano soddisfatti.
 «Come, non ci addentriamo?» disse Sion, uno degli apprendisti, agitando contrariato i folti capelli rossi. «Siamo in tanti, potremo affrontare i pericoli senza problemi»  affermò.
Yaku si limitò a fissarlo, dritto negli occhi. Le sue pupille parvero ingrandirsi. Sion s’irrigidì completamente per diversi secondi, rimanendo in una posizione innaturale.
Dopo qualche istante, il caposquadra smise di guardarlo. Il giovane elfo respirò affannosamente, e abbassò le orecchie, imbarazzato. «Mi perdoni...» mormorò guardando il terreno.
Yaku sembrava essersi dimenticato di lui. «Tutti voi, andate a riposarvi, ora. Domattina prepareremo il necessario per la ricognizione. E’ tutto» mormorò, facendo congedare i giovani elfi.

I tre apprendisti erano stati collocati nella stessa stanza. Nei letti si erano sistemati Sion, il contestatore; Koi, silenzioso ma che tutti notavano perché era completamente calvo, e un giovane elfo proveniente, a differenza degli altri, da un regno di confine; il suo nome era Yuhr.
Quest’ultimo, nonostante la stanchezza, non riusciva a dormire. La missione del giorno seguente sarebbe stata decisiva nel valutare se fossero idonei o no nell’unirsi nella Legione dei Ricognitori, e lui temeva di fallire. Dal respiro nervoso dei compagni capiva che anche loro provavano lo stesso timore.
 «Io, vorrei andare a vedere» protestò improvvisamente Sion, giocherellando impaziente col suo arco.   
 «Non importa cosa dica il Maestro. Non credo che una ricognizione così superficiale possa farci scoprire di che mostro si tratti».
Koi si limitò ad annuire.
Yuhr non seppe se dire la sua o meno. Aveva l’impressione di non essere ben accetto tra gli apprendisti, e soprattutto da Sion. Non faceva altro che dargli del rammollito, senza alcun motivo apparente.
 «Allora, cosa ne pensi, Yuretto?» chiese quest’ultimo, voltandosi appena a guardarlo.
Yuhr decise di dire la verità. «Penso che dovremmo seguire le decisioni del caposquadra. Dopotutto, non sappiamo bene cosa ci aspetti, nella foresta».
L’elfo sospirò, giocando con una ciocca di capelli rossi. «Oh, sei un allievo modello, tu. Sempre a seguire il caposquadra come un cagnolino. Farai strada sicuramente».
Koi ridacchiò, divertito, ma Yuhr decise di non dare loro corda, e voltò il fianco.
 «Cos’è, non dici nulla?» proseguì il rosso, indispettito. «Ti ho fatto un complimento, sai, mammoletta!».
 «Come vuoi. Ma sono comunque del parere che è meglio lasciare le decisioni a chi ha maggiore esperienza. In questo modo, non potremo fallire».
 «Oh, questo è certo…» affermò l’elfo calvo, ghignando.
 «Già, mica siamo tutti come te, in certe cose non falliamo...» sussurrò Sion.
Yuhr non li vide parlare, ma avvertì un tono compiaciuto che non gradì.
Il giovane elfo si sollevò dal letto e guardò il rosso dritto negli occhi. Volle sapere subito a cosa si stessero riferendo, e perché continuavano a dargli del vigliacco.
Per nulla intimorito Sion gli sorrise. «Sai, non ci aspettiamo molto vigore da uno che non è in grado di dominare nemmeno le femmine».
Koi rise. Il colorito di Yuhr si accese, e abbassò istintivamente le orecchie per l’imbarazzo. Loro sapevano. Sapevano la sua storia. E dire che aveva percorso centinaia di miglia per allontanarsi dal suo villaggio e unirsi ai Ricognitori, credendo che le voci non fossero corse tanto lontane, e invece…
 «C-cosa vorreste insinuare? » biascicò il giovane, sconvolto.
 «La tua è una storia piuttosto nota, non te la prendere» mormorò Koi grattandosi il cranio pelato.  «Dopotutto, quando lasci insoddisfatte gran parte delle elfe del tuo stesso villaggio, i pettegolezzi sanno correre veloci».
Umiliato, Yuhr abbassò la testa. «Le mie... questioni personali non hanno nulla a che fare con la missione, adesso».
 «Io credo invece che un tipo come te, non abbia abbastanza spina dorsale da entrare in quel ‘luogo maledetto’ ». affermò Sion, indicando la finestra. Da lì si poteva scorgere in lontananza la foresta.
 «Riuscirei ad inoltrarmi lì dentro anche da solo, invece!» esclamò l’elfo, indignato.
 «Secondo me, non ci rimarresti che per pochi minuti, e poi torneresti piagnucolando qui!»
Yuhr dette un pugno al materasso. «Mi mettete alla prova? E va bene, partirò adesso! M’inoltrerò nel bosco, e rimarrò fino all’alba!» esclamò fuori di sé.
Il rosso lo guardò, divertito. La questione si faceva interessante. «D’accordo, hai dato la tua parola, allora... Guarda che da qui, ti vedremo benissimo. Se cercherai di sgarrare in qualche modo, riferiremo al comandante della tua uscita, va bene?»
L’elfo annuì, deciso. Non parlò mentre raccolse il mantello e le sue cose. Imboccò la porta con passo veloce.
 «Ah, erano davvero voci che correvano, ma non pensavo me le avrebbe confermate lui stesso!» rise Sion soddisfatto.

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Capitolo 2
*** Viaggio in solitaria ***


Il daino di Yuhr, non abituato a muoversi senza il branco, avanzava lentamente. Anche perché, era completamente buio, e la vegetazione fitta del bosco copriva gran parte delle stelle. L’elfo era spaventato dalla situazione, ma evitava di pensarci. Dopotutto, era ancora fuori di sé per l’umiliazione subita. Non riusciva a capacitarsi del fatto che il suo passato fosse stato reso noto. Anche se, non tutte le informazioni erano esatte. La sua forza virile, era attiva, e anche piuttosto possente, ma funzionava in maniera particolare, a dir poco imbarazzante.
Era cominciato tutto anni prima, durante la stagione calda. Yuhr aveva da poco compiuto il suo primo secolo, per cui poteva ora unirsi alla cerimonia degli accoppiamenti. Si svolgeva in una apposita stanza comunitaria, preparata per questo tipo di eventi. Gli Anziani, come da tradizione, avevano scelto per lui sette fanciulle elfiche del suo stesso livello sociale con cui unirsi, tra le quali avrebbe dovuto indicare la più adatta al matrimonio. Tutte loro erano graziose, e ansiose di accoppiarsi con lui, ma lui aveva rovinato tutto. Non gli era mai capitato di unirsi alle femmine, ma vedendole prive degli abiti, stranamente non provò nessuna passione in particolare. E, cosa ancora più orribile, i suoi arti inferiori non risposero per niente, a nessuna delle sollecitazioni delle fanciulle. Yuhr provò a rinvigorirsi pensando a qualcosa di eccitante, e inspiegabilmente, gli venne in mente una sola immagine. Lui che l’estate scorsa osservava alcuni elfi adulti che nuotavano in un lago. I fisici di molti di loro erano incredibilmente attraenti. Grazie a questi pensieri riuscì a smuovere i suoi lombi, ma solo per poco tempo. In pratica non compì alcun accoppiamento.
E ovviamente il suo fallimento fu noto a tutti gli abitanti del suo piccolo villaggio contadino. Non poteva quasi uscire da casa per la vergogna. Per lo meno, tutti credevano che il suo membro si limitasse a non funzionare, e non che agisse con lo stimolo sbagliato. Se lo avessero scoperto, avrebbero anche potuto appenderlo per i testicoli ad un albero, come spesso venivano puniti i sodomiti nella sua comunità. In ogni caso, era divenuto lo zimbello del villaggio. Così fece fagotto e si diresse nella lontana capitale, col forte desiderio di arruolarsi nella Legione dei Ricognitori, il corpo armato più valoroso del regno, in modo da dimostrare a tutti loro e a sé stesso di non essere un completo incapace.

Yuhr si scrollò di dosso il peso di quei ricordi ridicoli e tornò a concentrarsi sulla sua missione. Notò che il suo daino aveva rallentato di molto il passo, come se fosse spaventato.
 «Che ti prende? Muoviti!» esclamò l’elfo, spronandolo ad andare più veloce, ma l’animale sembrava sempre più esitante. Yuhr sospirò. «Di che cosa hai paura, stupido? Non c’è nulla di cui preoccuparsi». Detto questo, il giovane smontò dall’animale, e camminò tranquillamente sul tappeto di foglie morte. «Lo vedi che è tutto a posto?» cercò di tranquillizzarlo, ma al passo successivo sentì improvvisamente il terreno cedergli da sotto i piedi. Sprofondò, e nel cadere cozzò la testa contro una roccia, perdendo i sensi.

Era ormai l’alba, quando gli ospiti della locanda furono svegliati improvvisamente da un forte tonfo, proveniente dall’ultimo piano.
Nell’ampia sala del caposquadra Yaku, Sion si massaggiò la testa tumefatta. Il caposquadra lo aveva spinto a terra con una foga davvero terribile!
 «Come sarebbe a dire, che non lo trovate più? » sibilò l’elfo con un tono che fece rabbrividire apprendisti e novizi insieme.
 «Siamo... desolati, capitano…» mormorò Koi, le cui orecchie erano calate in maniera impressionante. «Al nostro risveglio, non era nella stanza. Il letto era in ordine, e freddo da ore. »
 «Sembrava molto spaventato per la missione, prima che ci addormentassimo» continuò Sion, socchiudendo gli occhi per il dolore, mentendo nel miglior modo che riusciva a offrire. «Ma non pensavamo fosse in grado di un’azione simile! »
Il capitano rimase in silenzio con una smorfia di fastidio sul volto, ma dal cipiglio sembrava davvero arrabbiato e seccato.
Dopo molti secondi guardò indifferente i suoi uomini.
 «Non lo cercheremo, ha disobbedito ai miei ordini e si è messo nei guai da solo. Se si trovasse nella foresta, lo scopriremo tra breve. Nel caso dovessimo ritrovarlo vivo, si pentirà di non essere stato vittima della furia del mostro. E ora, voialtri, preparatevi a partire! »
Si levò da tutti gli elfi un grido d’assenso.

L’abitante della foresta guardò sconsolato un nodo scorsoio vuoto. Era l’alba e cominciava a perdere le speranze di trovare qualcosa da mangiare, quel giorno. Certo, almeno quel bosco offriva una buona varietà di funghi, e anche degli alberi da frutto, ma lui sentiva il forte bisogno di assaporare della carne.
Tuttavia, come cacciatore non era molto abile. Rimise a posto la corda e si diresse verso l’ultima trappola che aveva piazzato, un trabocchetto ben nascosto dalle foglie e profondo più di un metro. Gioì nello scoprire che la trappola era scattata. Ma guardando nel trabocchetto provò solo una forte delusione.
Nella buca c’era un elfo, privo di sensi. Ne aveva visti solo qualcuno nei villaggi, ma mai da troppo vicino. Era piccolo come un bambino. Aveva dei lunghi capelli sottili, di un biondo spento e dalle sfumature di verde. I lineamenti erano delicati e la testa grande in proporzione al corpo, ma la creatura capì che si trattava di un giovane adulto. Indossava una tunica color erba e un mantello grigio. Le buffe e lunghe orecchie appuntite si muovevano impercettibilmente. Che si trattasse di un abitante del villaggio vicino? In ogni caso, il poveretto sembrava essersi ferito nella caduta. Decise di aiutarlo, dopotutto si era fatto male per colpa sua. Lo sollevò per le ascelle senza alcuno sforzo, posandolo gentilmente tra le foglie.

Yuhr si sentì afferrare scomodamente e si svegliò, ancora stordito. Cercò di concentrarsi, ricapitolando gli ultimi avvenimenti accadutigli. Era finito in una sorta di grossa buca, doveva averci passato la notte, poiché ormai era mattina. Il suo daino non sembrava nei paraggi. La testa gli girava e gli doleva molto il braccio, doveva essersi ferito durante la caduta. E qualcosa lo aveva sollevato e posato a terra. L’elfo aprì lentamente gli occhi.
Una strana creatura lo stava fissando. La forma del suo corpo era davvero simile a quella di un elfo, ma era il doppio più alto e molto più massiccio. Notò che le sue orecchie erano ridicolmente piccole e rotonde. Portava i capelli corti, di un castano rossiccio, tagliati rozzamente, i tratti del volto erano duri e sulle guance e sul mento aveva una barba incolta. Lo sconosciuto si abbassò per vederlo meglio, esitando un pochino.   
 «Tranquillo, non voglio farti del male, elfo...» mormorò con una voce assai bassa. «Non ne ho alcuna intenzione».
Il tono sembrava sincero, e gli elfi avevano la capacità innata di comprendere tutte le lingue, ma Yuhr retrocedette di un paio di passi, senza smettere di fissare i movimenti di quel colosso. «Non sforzarti di fingerti innocuo, umano» disse nella sua lingua così che potesse capirlo. «Dopotutto, questa trappola l’hai costruita tu!»
 «Sì, per catturare gli animali, ma…»
 «Ciò evidenzia ancora di più la tua pericolosità!» esclamò Yuhr, disgustato. Nessun elfo, nemmeno minacciato mortalmente dalla fame si sarebbe mai cibato di un animale. Costruire un marchingegno per catturare con l’inganno costituiva quindi per lui un atto assolutamente ignobile.
 «I miei compagni ti troveranno presto, e la pagherai cara per tutti i tuoi atti scellerati!» continuò l’elfo.
 «Di quali atti parli?» chiese l’umano, confuso. Fece per avanzare di un passo ma Yuhr individuata una via di fuga tra le felci scattò via improvvisamente e sparì nella boscaglia.

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Capitolo 3
*** La Belva ***


Yuhr corse per minuti interi, finché non si rese conto con sollievo che nessuno lo stava seguendo.
Provò quindi ad uscire dalla foresta, e imboccò diversi sentieri, ma finiva per inoltrarsi e perdersi sempre di più. Dopo ore di tentativi capì che c’era qualcosa di strano.
Imboccando un percorso tra tanti, una volta attraversato del tutto si ritrovava al punto di partenza. Yuhr chiese da cosa potesse derivare. Forse, si trattava di un maleficio, opera di un mago. Tra coloro che iniziavano a studiare le arti magiche quelli che preferivano la magia oscura alle arti benefiche erano sempre più rari, ma potenti, e destavano timore. C’erano molti elfi pericolosi, ma anche alcuni umani erano in grado di adoperare tali arti.
Anche se l’uomo di quella mattina non sembrava proprio uno stregone. Dopotutto, aveva usato una trappola per catturarlo, e non era riuscito a raggiungerlo quando era scappato. Pensieroso, Yuhr trasalì quando vide il luccichio di un paio d’occhi, in attesa, nella boscaglia. La creatura intenta a fissarlo avanzò tra le piante, e l’elfo lo vide da vicino. Era una qualche sorta di felino. Grosso e tozzo, dal folto pelame scuro e lurido, due occhi rossicci che continuavano a fissarlo e le zanne gialle in bella mostra. Nonostante la bruttezza, non sembrava pericoloso. Yuhr gli si avvicinò lentamente. Si chinò e sporse un braccio, per accarezzarlo. La creatura rimase immobile, seguendo i suoi spostamenti. Quando le dita dell’elfo stavano per sfiorarlo, l’animale voltò la testa di scatto e gli addentò con forza il polso. Yuhr arretrò, urlando di sorpresa e dolore. Il morso gli aveva aperto due solchi sanguinanti sul polso.
La creatura si leccò le labbra, soddisfatta, e poi emise un rumoroso gorgoglio. L’elfo vide con orrore che quell’essere stava letteralmente crescendo, aumentò di mole fino a superarlo d’altezza. Ora aveva la stazza di una tigre, e sembrava anche più pericoloso. I suoi impressionanti occhi rossi si puntarono sull'elfo, ora in modo minaccioso.
Il giovane urlò, terrorizzato. Schivò un colpo di zampa del grosso felino e prese a correre, continuando a urlare. La creatura era, però molto agile e veloce, e atterrò di fronte a lui con un balzo. Yuhr estrasse uno spadino, che utilizzava praticamente solo per motivi di emergenza. Non avrebbe mai voluto estrarla per combattere un animale, ma dopotutto non aveva altra scelta. Si avventò contro la bestia, ferendola a un fianco, ma questa si voltò e lo bloccò con entrambe le zampe. Yuhr si svicolò dalla fiera, e nel farlo ruzzolò a terra perdendo la sua arma. La creatura coprì la spada con una zampa. Yuhr arretrò. Anche disarmato, aveva ancora un modo per difendersi. Conosceva una particolare abilità magica, che utilizzava raramente, perché gli faceva sprecare molta energia, ma almeno era sicuro di riuscire a fermare quella terribile creatura. L’elfo scattò su un albero, e iniziò a cantare. Era una canzone allegra, che aveva composto personalmente. Yuhr lo aveva scoperto da piccolo: quando cantava, mutava l’umore di chi lo ascoltava. Doveva unicamente concentrarsi, e così facendo riusciva ad avvertire le emozioni circostanti, e  emetteva toni in grado di contrastarle. Non era un gran potere, ma se usato bene poteva risultare utile; del resto non amava affatto combattere. Sondò l’essere e vi trovò fame e bramosia; pensò, dunque, che una canzone allegra avrebbe potuto placarlo. Le orecchie della creatura fremettero mentre ascoltava l’elfo, ma a parte questo la canzone non sembrò subire alcun effetto. Anzi, con maggiore foga, la belva balzò sull’albero. Yuhr si buttò dal ramo, evitando per un soffio di essere colpito dal mostro. Cominciò a correre ma gli tremavano le gambe. Aveva usato troppo potere. Non osò girarsi, sicuro che la fiera gli sarebbe piombata addosso da un momento all’altro. Invece la sentì urlare rabbiosa, e incuriosito si voltò. Stupito, vide che l’essere umano era apparso improvvisamente e combatteva contro la belva. Imbracciava un’arma molto strana, una sorta di bastone che aveva alla sommità una parte metallica, sembrava saperla usare con abilità. Yuhr provò a correre per scappare, incapace di credere a tale fortuna, ma le forze lo abbandonarono di colpo e si limitò a crollare svenuto a terra.

L’elfo si svegliò quando ormai era notte inoltrata. Era sdraiato a terra, e avvolto da quel che sembrava una grossa coperta di lana. Si tirò lentamente a sedere, le ferite al petto gli fecero male. Si ritrovò fasciato, e con lo spadino accanto.
Ricordò più o meno cosa fosse accaduto. A pochi passi da lui trovò l’umano girato di spalle, intento ad alimentare un piccolo fuocherello. Stava borbottando qualcosa a proposito del freddo. C’era l’odore di qualcosa che veniva arrostito. L’elfo si mise in piedi lentamente, preparandosi a fuggire, ma inaspettatamente l’uomo si voltò. Reggeva un involto pieno di castagne arrostite.
 «Ben svegliato» mormorò con quella sua voce profonda. «Perdona la qualità delle fasciature, ma non sono bravo a farle. Immagino tu abbia fame… e poiché a voi elfi non piace la carne…» gli porse l’involto ma Yuhr retrocedette, schivo.
 «Che è successo alla belva?» si limitò a chiedere, freddamente.
 «Sono riuscito a ferirla, ma è scappata subito e non l’ho più vista. Mi ha lasciato un ricordo dell’incontro...» rispose l’umano, mostrando un braccio pieno di profondi graffi.
Yuhr continuò a fissarlo, diffidente. «Perché mi hai aiutato contro la belva, e mi hai curato?».
«Dobbiamo agire assieme per sopravvivere» si limitò a dire il giovane. «Da settimane provo a uscire da questa foresta, ma finisco solo per perdermi. Temo ci sia una qualche stregoneria sotto, e credo che tu, come elfo, possa capirci più di me».
L’elfo in questione non disse nulla a riguardo del fatto che non ne sapeva molto di più.
L’umano gli porse le dita in segno di pace. «Allora? Vuoi unirti a me?» chiese, speranzoso ma Yuhr lo scacciò infastidito e continuò a retrocedere. «Perché dovrei fidarmi di te, umano? E’ sospetto trovarti da solo, fuori dalla tua riserva».
Il giovane sospirò. «Certo, hai ragione... Ma vedi... non potevo più vivere in un posto del genere...»
 «Per quale motivo?»
 «E’ una... questione personale...» rispose l’uomo, arrossendo violentemente.
 «Come pensi di ottenere la mia fiducia se nemmeno riesci a spiegarmi cosa ti ha portato qui?» sbuffò Yuhr, visibilmente irritato.
L’umano parve infastidito. «Ho i miei motivi per non parlarne. Ma credo che qualsiasi cosa io dica, per te non sarei intendibile, dato che sono un umano, non è così?».
 «Già, è per questo!» esclamò Yuhr, ma a dire il vero non lo pensava. «Il nostro incontro finisce qui». Detto questo raccolse le sue cose e prese a camminare. Aguzzò l’udito, per capire se l’uomo lo stesse seguendo, ma sentì solo il suo respiro, insolitamente affrettato, divenire una serie di singhiozzi. Infine si tramutò in un pianto sommesso. Non era quel genere di pianti che si potevano simulare, ma qualcosa di triste e spontaneo. Si avvicinò al giovane e lo vide chino su se stesso, e tremante. Cercava di trattenere le lacrime ma essere continuavano a rigargli le guance. «Sono di nuovo da solo... non ne uscirò più... Non... doveva succedere… non a me…» mormorò tra i singhiozzi. «Io... non volevo esserlo. Tutto... ma non un invertito…»
Yuhr trasalì, ascoltando tale confessione inaspettata. Quell’umano... era attratto dai maschi, come lui?
 «Non è colpa mia...» continuò il giovane uomo, stringendo forte il braccio ferito dalla belva. «Non ho mai fatto male a nessuno... Allora... Perché mi hanno esiliato? Perché?».
Continuava a chiederserlo, stringendo sempre più forte. Tanto da riaprirsi le ferite, ma parve non accorgersene.
L’elfo non aveva mai smesso di guardarlo. Prima provava timore nei suoi confronti, e diffidenza, ma vedendolo così afflitto sentì solo un senso di pena. Inoltre aveva paura che i singhiozzi richiamassero la belva. Così socchiuse gli occhi, e iniziò a cantare. Stavolta, era una vecchia ninnananna elfica dalla melodia dolce. Yuhr si lasciò trasportare dai suoni ed entrò in contatto con l’animo dell’umano. Avvertì la sua angoscia, il terrore, e un enorme senso di solitudine, e mitigò tali sentimenti addolcendo ancora di più il tono. L’umano fermò il pianto, alquanto stupito. Poi, semplicemente chiuse gli occhi, ancora bagnati di lacrime e scivolò nel sonno.
Yuhr lo osservò da vicino, incuriosito di quella strana creatura. Effettivamente non aveva un aspetto malvagio, almeno non nel sonno. Non era neanche brutto, come pensava fossero gli esseri umani, anzi aveva un volto piacevole da guardare. Trafugò indisturbato l’involto lasciato cadere dal giovane uomo e mangiò affamato le castagne, che dopotutto gli erano state offerte. Si disse che, in fin dei conti, sarebbe stato un bene viaggiare insieme a quel grosso umano. La belva sembrava non riuscire a metterlo in difficoltà e aveva dato prova di non avere brutte intenzioni. In ogni caso, non aveva scelta. Sollevò la grossa coperta di lana, ridusse il fuoco e si appoggiò alle radici di una grossa quercia, passando lì la notte.

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Capitolo 4
*** Viaggiando insieme ***


La mattina seguente fu grande lo stupore dell’umano quando Yuhr gli spiegò che si era convinto a viaggiare con lui.
L’uomo conosceva ormai la foresta a memoria. Condusse Yuhr all’ingresso di uno dei sentieri che non conducevano da nessuna parte.
 «Allora, elfo, riesci a capirci qualcosa?».
Yuhr scosse la testa. «No. Purtroppo, temo che la mia conoscenza in campo magico non possa essere d’aiuto in questo caso. Non riesco proprio a capire con quale anatema sia stato creato tutto questo».
 «Beh, almeno ci abbiamo provato» mormorò l’umano, cercando di essere positivo.
 «A questo punto, la cosa migliore da fare è cercare i miei compagni. Dovrebbero essere già entrati nella foresta»
L’uomo sospirò. «Spero che non mi facciano prigioniero all’istante»
 «Ehi, basterà spiegare loro che sei del tutto inoffensivo».
 «Inoffensivo? Ma davvero?» ripeté l’umano, estraendo la scure.
 «…Tranne quando usi quel brutto affare. Brr, non voglio nemmeno ripensare all’utilizzo di cui mi hai parlato…»
L’umano rinfoderò l’oggetto. Yuhr si rese conto che in effetti, l’uomo gli aveva spiegato molte cose su di lui. Da quando lui si era inaspettatamente proposto di accompagnarlo, poiché non parlava con nessuno da settimane, l’umano aveva iniziato a confidarsi con lui. Diceva di chiamarsi Nill, di avere ventiquattro anni e di aver tranquillamente vissuto, fino a pochi mesi prima nella riserva umana, come falegname. Creava oggetti con il legname, che tagliava personalmente, ma non sembrava rendersi conto di quanto fosse un atto disdicevole. Parlò anche del fatto di essere stato esiliato dalla riserva umana, ma, senza rivelare il vero motivo, disse solamente che si era innamorato della persona sbagliata, e che i suoi connazionali si erano molto adirati. Aveva preso con sé tutto quel che possedeva e quindi deciso di raggiungere un’altra riserva, a centinaia di leghe dalla sua. Aveva compiuto un viaggio lungo e faticoso, ed era ancora a metà strada. In quella regione poi elfi e gnomi erano particolarmente violenti, restii a dare un lavoro o convivere pacificamente con un umano, e così preferiva spostarsi di notte in zone poco battute. La foresta gli era sembrato un luogo perfetto per passare la notte, ma si era ricreduto quando non era riuscito più a uscirne. Il tempo lì dentro scorreva in modo strano, e da settimane lui non faceva altro che vagare tra gli alberi, combattendo la bestia e soffrendo la fame, ritrovandosi anche a parlare da solo e avere allucinazioni.
Anche Yuhr, sentendosi più a suo agio, gli aveva parlato della sua vita, anche se aveva tralasciato la storia delle fanciulle, dicendo solo di desiderare fortemente di poter dimostrare a tutti il suo valore.
 «Tanto vale cercare un altro passaggio da esaminare, anche se non sono più molto ottimista a riguardo. In ogni caso, spero che almeno i tuoi compagni potranno aiutarci a risolvere quest’orribile situazione» disse Nill, mentre si mettevano a camminare.
 «Lo spero anch’io» concordò l’elfo.

Ormai il sole aveva quasi raggiunto lo zenit. Yaku fece segno di smontare dai daini, per riposarsi. Neanche lui ce la faceva più. Dall’alba in cui erano partiti, non erano riusciti ancora a trovare un’uscita da quella foresta. I percorsi che imboccavano li riconducevano sempre al punto di partenza.  Doveva esserci sotto qualcosa di molto pericoloso. E dire che la missione si era profilata tanto facile! Come tutte le missioni in cui guidava le nuove reclute. Ma avevano trovato di tutto, in quella foresta. Non sapevano più cosa pensare. C’erano delle trappole, che sembravano di fattura umana, ma anche i resti di un daino, il daino appartenuto a Yuhr. Yaku sospirò. Ora aveva un cadetto disperso, quasi sicuramente morto e forse anche altri avrebbero potuto non farcela. Non mangiò nulla, mentre fissava il bosco, pensieroso. Stava per ordinare di ripartire quando udì l’urlo di terrore di uno dei cadetti seduto a diversi metri da lui, Tyle, e ne vide altri correre via disperati. Alle loro spalle c’era un essere enorme, che pareva una sorta di strano felino. La belva superò gli elfi con un balzo, portandosi a un paio di metri dal caposquadra. Lo fissò, con uno sguardo rabbioso.
 «Elfi» disse, in lingua umana leccandosi le labbra sporche di sangue. «Ora siete nel mio territorio». Si voltò e fuggì via.
Yaku si asciugò la fronte sudata e si avvicinò a Tyle. La spalla era solcata da due grossi morsi, perdeva molto sangue.
 «E’ arrivato all’improvviso, signore!» esclamò Koi, che era con lui. «E’ balzato su Tyle e gli ha succhiato il sangue. Lo abbiamo colpito e quel mostro si è staccato e ha iniziato a correre, e poi…»
Yaku non volle perdere tempo ad ascoltarlo. Ordinò a una delle reclute dalle abilità curative di occuparsi del ferito.
Montò sul daino, e gli altri seguirono il suo esempio. «Seguiamolo» ordinò teso.
«Parlava. In lingua umana, per giunta» mormorò Sion, ancora scosso.
«Di che ti stupisci? Anche qualche umano è in grado di adoperare la magia. E non sono pochi coloro che imbracciano le arti oscure e acquisiscono abilità demoniache» fece Yaku. «Ma ciò non significa che non possiamo metterlo in difficoltà».
Detto questo speronò la sua cavalcatura e partì al galoppo, in testa al gruppo.

Yuhr per una volta riuscì a rasserenarsi. Dopo un’intera giornata passata a vagare nella foresta, avevano raggiunto uno spiazzo privo di alberi. Era una zona piena di fitta vegetazione incolta. Una gran quantità di soffioni formava un enorme tappeto bianco e soffice.
 «Questo sembra un posto tranquillo. Forse possiamo riposarci per qualche minuto. Che ne dici, Nill?»
L’umano assunse un’espressione che somigliava molto al sollievo.
 «Sì, se insisti, va bene…» acconsentì,  facendo giacere il suo grande corpo nell’erba. «Ho bisogno di bere, effettivamente...» sussurrò, portandosi alla bocca una gavetta.
Yuhr lo osservò affascinato mentre beveva.
In effetti, era da un po’ che gli piaceva guardarlo. Aveva un aspetto diverso da quello degli elfi, eppure lo trovava incredibilmente interessante. Chissà, forse era perché era da due giorni che non facevano che viaggiare ed erano l’unica compagnia l’uno dell’altro. Ma Yuhr sospettava che ci fosse di mezzo anche la sua innaturale attrazione per gli esseri del suo stesso sesso.
Eppure non gli era mai capitato di sentirsi in un modo simile nei confronti di qualcuno. Provava sentimenti contrastanti nei confronti di Nill. Non si scandalizzava più per il fatto che si nutrisse di carne e abbattesse gli alberi, sentiva solo un forte desiderio di stargli vicino e di proteggerlo, a qualsiasi costo.
 «C’è forse qualcosa che non va, Yuhr?» chiese l’umano, vedendolo rimanere immobile.
L’elfo trasalì, riprendendosi. «No, nulla».
 «Forse hai sete…» disse l’umano, e si chinò, offrendogli la gavetta.
Ora Nill aveva il volto incredibilmente vicino al suo. Yuhr si sentì battere forte il cuore. Non poté far altro che guardare quelle labbra inumidite, ed erano così invitanti…

In quel momento, sentirono entrambi degli scalpitii, dovuti a  qualcosa che si stava avvicinando velocemente a loro. Yuhr riconobbe il rumore, erano i daini della sua squadra. Nill parve agitato.
 «Tranquillo, sono i miei compagni. Basterà spiegare la situazione e andrà tutto bene» disse l’elfo.
Agitò un braccio per salutarli, ma loro non rallentarono e non diedero cenno di averlo visto.
«Eccolo!» urlò Sion, estraendo l’arco e puntandolo contro Nill. Anche gli altri elfi estrassero le loro armi.
Prima che Yuhr potesse rendersene conto, l’umano ancora seduto fu colpito da frecce e lame. Gli elfi si accanirono soprattutto sulle sue gambe. Nill recuperò la scure, preparandosi a combatterli.

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Capitolo 5
*** Confronti finali ***


Yuhr s’interpose tra i contendenti e allargò le braccia. «BASTA, ADESSO! Tutti quanti voi, smettetela!» urlò.
Gli elfi lo fissarono, stupiti di vederlo vivo. Fu Yaku il primo a parlare. «Apprendista Yuhr, allontanati da quell’umano» ordinò ferreo.
Lui scosse la testa. «No. Non è lui la creatura cui diamo la caccia. Ho viaggiato con lui fino ad adesso e posso assicurarvi che è innocente».
Il caposquadra si accarezzò il mento, pensoso. «Se è rimasto con te nelle ultime ore effettivamente non può essere la stessa creatura. Ma allora, di chi si tratta?» chiese Yaku.
 «Parlate forse di me?» sghignazzò alle loro spalle una voce sgradevole e ben nota. Gli elfi trasalirono trovandosi di fronte la belva.
Sion e uno dei cadetti furono i primi a lanciarsi all’attacco, e sempre i primi a essere colpiti dalle sue zampate. Finirono gementi a terra, facendo volare decine di soffioni.
 «Cosa sei esattamente, creatura immonda?» esclamò Yaku, disgustato. L’essere gli rivolse un ghigno divertito.
 «Oh, tu devi essere il gran capo di tutta questa combriccola» sibilò.
Il caposquadra non rispose, limitandosi a fissarlo direttamente negli occhi.
La belva rimase immobile per qualche secondo. Ma poi, scosse la testa. «Sono spiacente. Purtroppo la tua debole magia di paralisi non ha alcun effetto su di me».
L’elfo trasalì, stupito e spaventato. La belva fletté le ginocchia, preparandosi a balzargli addosso, ma non ci riuscì. Nill, messosi in piedi  imbracciò la scure e gli mozzò di netto la coda. Il sangue schizzò ovunque tingendo l’erba e i fiori, mentre l’essere, gemendo dal dolore, sgusciò via da loro. I presenti notarono che il mostro stava cambiando forma. Prese a rimpicciolirsi, e ad avere sembianze antropomorfe. I peli scomparvero quasi completamente e tutti loro si trovarono di fronte quel che sembrava un elfo. Era alto, sottile e dalla pelle diafana. I lunghissimi capelli neri gli coprivano una parte del volto, senza oscurare però i suoi enormi occhi, dalla sclera nera e l’iride vermiglio. La bocca era irta di denti taglienti come rasoi. Il moncherino della corda che spuntava da sopra le natiche continuava a sanguinare. Le lunghe orecchie appuntite si sollevarono per la rabbia. «Come hai osato, tagliarla, bestione ottuso? Ora, non potrò più trasformarmi!»
 «Trasformarti?» ripeté Yaku, confuso. «Dunque sei in realtà soltanto un elfo?»
 «Miserabile idiota, non sono più ‘solo un elfo’. Non più, da moltissimo tempo. Vedete...» disse, rimettendosi in piedi. «Un tempo mi chiamavo Xavin,  ero giovane e sempre affamato di sapere. Scoprii la magia oscura e mi resi conto che con essa avrei potuto conoscere molte più cose rispetto a quel che le normali arti magiche avrebbero potuto insegnarmi. Così, abbandonai il mio villaggio natale e mi unii a una setta che venerava i demoni. Imparai l’oscura arte e acquisii molto potere... ma io volevo divenire parte delle tenebre, e abbandonare queste deboli spoglie elfiche. Così sacrificai ai demoni un gatto nero, e ne mangiai il cuore, e da quel momento riuscii ad assumerne le sembianze».
Parlava con una calma innaturale, e muovendosi lentamente. Nill si chiese per quale motivo non cercava di difendersi, o di attaccarli, come se sapesse che non ce ne fosse bisogno.
 «Smettila!» gemette Sion, sollevando l’arco. Ma non sembrava intenzionato a scoccare una freccia.
 «Ma tale forma richiedeva un notevole sforzo, che dovevo ripristinare con il sangue» continuò l’elfo. «E il sangue elfico era il più adatto, poiché contiene potere magico. Iniziai anche ad amare il sapore della carne delle mie vittime, la trovai squisita».
Yaku estrasse un corto pugnale e si lanciò contro l’elfo, che però lo bloccò per un braccio e gli torse il polso. Poi lo prese a calci nello stomaco fino a farlo cadere a terra.
 «Cercai un luogo dove appigionarmi, dopo tanto vagare, e quel villaggio di zotici bifolchi mi parve adatto, così lontano dalle grandi città. Stabilii la mia tana in questa foresta e lanciai un incantesimo per il quale chi s’inoltrava superato un certo punto non potesse più uscirne. Adottai dei comportamenti umani, come la costruzione di trappole, per far cadere la colpa sul vero umano. Ma commisi anche un grosso errore, l’incantesimo era troppo potente e non riuscii a scioglierlo. Il che è un grosso peccato».
Guardò il caposquadra che tentava di rialzarsi e gli diede un altro calcio sulla pancia, ridendo. «Voi e il vostro stupido codice morale… ‘Non si uccide un altro elfo’, già. E pensare che un tempo anch’io lo rispettavo, lo consideravo sacro... Ma come pensate di venirne fuori senza infrangere le regole?»
 «Io non sono un elfo» disse Nill.
 «Lo so, bestione» mormorò lo stregone, fermandosi a guardarlo. Sembrava insolitamente tranquillo. Ma Yuhr concentrò i suoi sensi su di lui, avvertì la sua ansia, il respiro veloce, e notò degli impercettibili movimenti degli artigli e delle gambe.
 «…Per questo, sarà più divertente ucciderti!» esclamò Xavin. Un istante dopo, il terribile elfo scattò velocissimo contro Nill, gli artigli estratti pronti a colpire. Yuhr estrasse la spada e si gettò tra i due. Nill non vide bene cosa stesse accadendo, ma sentì il rumore delle lame e vide schizzare molto sangue tra i due corpi.
Pochi secondi dopo, i due contendenti caddero a terra coperti di sangue. Non si muovevano. Lo stregone aveva il collo squarciato e gli artigli insanguinati ma Nill gli diede appena un’occhiata. Scrollò Yuhr sdraiato accanto con forza. Perdeva molto sangue dal petto e non si muoveva. 

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Capitolo 6
*** Epilogo ***


«Apri gli occhi! Dimmi qualcosa!!» urlò l’umano sconvolto.
 «...Tu non sei più un elfo, sei solo un mostro...» mormorò Yuhr dopo molti secondi. Tossì forte. Nill lo abbracciò stretto, piangendo. «La ferita è profonda! Maledizione!!»
 «Calmati, umano» sussurrò Yaku, avvicinandosi a loro. «Anch’io ho buone doti guaritrici, e per fortuna non mi ha rotto il polso giusto, così posso esercitarle. Posalo a terra».
L’umano obbedì, sollevato, mentre il caposquadra utilizzava la magia sulle ferite dell’elfo.

Yuhr riprese conoscenza solo la mattina successiva. Era nella stanza che aveva occupato per poche ore nella locanda del villaggio vicino. Si sentiva stanco e un po’ dolorante. Nella stanza erano presenti tutti quelli della squadra, assai malconci, e pure Nill, preoccupato.
 «Che caldo terribile» mormorò, facendo accorrere tutti i presenti.
 «Eccolo, come sempre è l’ultimo a svegliarsi» scherzò Yaku stranamente allegro. Poi tornò impassibile  come sempre. «I tuoi compagni mi hanno rivelato del loro piccolo scherzo» disse, fulminando Koi e Sion con lo sguardo. «E del modo in cui hai perso la calma. E malgrado ciò, vi siete dimostrati dei combattenti assai valorosi, tutti voi» disse, guardandoli. «Siete promossi. Apprendisti, ora siete in tutto e per tutto membri della nostra Legione».
I giovani elfi esultarono di gioia, abbracciandosi.
Nill non aveva capito una parola ma intuì quel che fosse successo. Si accostò al letto di Yuhr. «Cos’è che ha detto? Ne sembrano tutti felici» chiese.
 «Sono uno dei loro, appartengo ai Ricognitori, adesso» dichiarò l’elfo, sorridendo. L’umano restituì il sorriso e gli posò la grossa mano su una spalla.
 «Sono fiero di te. Hai ottenuto ciò che desideravi tanto»
 «Già…» mormorò l’elfo, ma si rese conto che non si sentiva realmente soddisfatto.

Quella sera tutto il villaggio fece festa, per commemorare i caduti, e gioire della liberazione della foresta e l’uccisione del mostro. Fu acceso un falò enorme nella piccola piazza e tutti iniziarono a ballare e cantare. Il vino scorse a fiumi. Yuhr partecipò, pur dovendo rimanere seduto, con Nill silenziosamente accanto. Quando ormai, nel pieno della notte, la festa si avviava alla conclusione, l’elfo si accorse che Nill non era più al suo fianco e un senso di gelo gli attanagliò il cuore. Si alzò e iniziò a camminare faticosamente, cercandolo in ogni strada. Era come se fosse sparito nel nulla, nessuno degli abitanti sembrava averlo visto. Lo chiamò a gran voce, continuamente, ma sembrava tutto inutile.
Stava per tornare in piazza e chiedere aiuto quando sentì il suono dei suoi passi, e il rumore del suo respiro.  
Si voltò e lo vide. In piedi e vestito per il viaggio, con un’espressione rassegnata.
 «Non è il mio posto questo» disse «Del resto, ormai non esiste un luogo in cui possa stare». Il tono era tranquillo, quasi rassegnato.
 «Rimani almeno fino a domani, ti prego» lo implorò l’elfo.
 «Così facendo, sarebbe tutto ancora più doloroso. No, preferisco una separazione veloce».
Yuhr non riuscì a dire nulla, solo i suoi occhi gli comunicarono tutta la sua disperazione.
 «Addio…» Nill si allontanò di qualche passo, ma poi, di scatto, si voltò. Avanzò verso di Yuhr, si chinò e lo abbracciò forte, fino a quasi mozzarli il fiato.
L’elfo lo sentì tremare, e avvertì il ritmo forsennato di quel grosso cuore scontrarsi con il suo. Non seppe dire per quanto tempo rimasero in quella posizione.
Quando si staccarono Nill lo guardò, con calma e fierezza nello sguardo.
 «Io me la caverò. Andrà tutto bene»
Yuhr annuì.
Lentamente, l’umano prese i suoi pochi bagagli, si alzò, e si mise a camminare. Yuhr lo seguì con lo sguardo mentre la sua massiccia figura diveniva sempre più piccola all’orizzonte, per poi scomparire del tutto.
L’elfo rimase qualche secondo immobile, a fissare la direzione in cui Nill si era allontanato. Poi si voltò e si diresse alla festa, con un tenue sorriso sul volto.

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