Cosa resta di noi?

di se solose
(/viewuser.php?uid=616773)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo Settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo Ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo Nono ***
Capitolo 10: *** Capitolo Decimo ***
Capitolo 11: *** Capitolo Undicesimo ***
Capitolo 12: *** Capitolo Dodicesimo ***
Capitolo 13: *** Capitolo Tredicesimo ***
Capitolo 14: *** Capitolo Quattordicesimo ***
Capitolo 15: *** Capitolo Quindicesimo ***
Capitolo 16: *** Capitolo Sedicesimo ***
Capitolo 17: *** Capitolo Diciassettesimo ***
Capitolo 18: *** Capitolo Diciottesimo ***
Capitolo 19: *** Capitolo Diciannovesimo ***
Capitolo 20: *** Capitolo Ventesimo ***
Capitolo 21: *** Capitolo Ventunesimo ***
Capitolo 22: *** Capitolo Ventiduesimo ***
Capitolo 23: *** Capitolo Ventitreesimo ***
Capitolo 24: *** Capitolo Ventiquattresimo ***
Capitolo 25: *** Capitolo Venticinquesimo ***
Capitolo 26: *** Capitolo Ventiseiesimo ***
Capitolo 27: *** Capitolo Ventisettesimo ***
Capitolo 28: *** Capitolo Ventottesimo ***
Capitolo 29: *** Capitolo Ventinovesimo ***
Capitolo 30: *** Capitolo Trentesimo ***
Capitolo 31: *** Capitolo Trentunesimo ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo ***


Un boato. Tutto diventa nero.

Mi tiro su dal letto di scatto, il respiro affannato, ancora indecisa sul dove sono.
Ma dove posso essere? Nella mia stanza, diventata ormai il mio rifugio e il mio tugurio al tempo stesso.
Ancora un incubo. L'ennesimo sull'esplosione. Sulla bomba. Su Prim.
Scendo dal letto, guardo fuori dalla finestra e riesco a vedere le rose, quelle piantate da Peeta per Prim. Sono sicura che la loro posizione sia stata scelta con cura, in modo da darmi conforto nelle notti come questa; e lo fanno. Mi danno conforto. Mi fanno venire in mente solo tanti bei ricordi della mia paperella, e allora mi sento più serena, meno inquieta.
-Grazie Peeta-
La mattina seguente, come sempre, quando scendo trovo Sae la Zozza armeggiare tra i fornelli. Si occupa sempre di me per prima e poi passa a sbrigare le sue faccende. Quando mi avvicino al tavolo Sae mi rivolge un sorriso ma non dice nulla, sa bene che la mattina preferisco starmene in silenzio per un po', forse un po' più del resto della giornata. Mi porge una ciotola stracolma di latte bianco e una foccaccina alla cannella. Peeta non è passato questa mattina, me ne accorgo perché la focaccina non è calda e fumante, probabilmente è di ieri, e non sento in giro quell'odore dolce di pane.
 "Peeta non è ancora passato?" Chiedo mettendo in bocca un pezzo strappato con le mani. Mi sembra che si irrigidisca un poco, ma faccio finta di non notarlo. "Oh tesoro no, non credo che oggi passerà" dice sistemando in una ciotola quello che sarà il mio pranzo. "Ah, capisco" faccio spallucce, non voglio chiederle cosa stia succedendo, anche perché credo di saperlo. Il ritorno al 12 non è stato difficile solo per me, ma anche per lui. Ritornare nel posto in cui una volta c'era la sua casa e trovarla cenere, ceneri alle quali si mischiavano, probabilmente, le ossa dei suoi cari non deve essere stato facile da mandar giù. Sempre che si possa mandar giù un boccone tanto amaro. Non ha potuto dire loro addio, non ha potuto parlare con loro dopo l'arena. Almeno io sono stata fortunata. Ho avuto Prim al mio fianco fino all'ultimo. "Allora io sto andando via, ti ho gia preparato il pranzo, devi solo riscaldarlo. Ho pulito questo piano, ma ti prego sistemati da sola la tua stanza! Non oso immaginare cosa ci sia!" Mi accarezza una guancia, con fare quasi materno, e il suo tono è un misto tra rimprovero e rassegnazione. Poi va via. Una volta sola tornano a farmi compagnia i pensieri. Se Peeta non è passato è probabile che durante la notte abbia avuto uno dei suoi episodi. Ultimamente capita sempre meno spesso, ma capita, e quando tornano a fargli visita lo fanno sempre in modo prepotente. -Maledetti!- penso. Hanno portato via al ragazzo del pane l'unica cosa a cui teneva, forse quasi quanto me, se stesso. A volte penso che Snow sia riuscito nel suo intento. Sono spezzata. Mi hanno portato via tutto, anche il Mio ragazzo del pane. Decido cosi di passare da lui, ma prima faccio una sosta a casa di Haymitch, voglio sapere a che genere di situazione sto andando incontro. Busso ma non ricevo risposta, non che me ne aspettassi una. Entro e con mia grande sorpresa non mi ritrovo davanti la solita scena ma trovo Haymitch seduto sul divano, a contemplare in vuoto, con la sua fidata amica, la fiaschetta. "Ho bussato, non mi hai sentito?" Dico. "Si, ho sentito - dice senza voltarsi-ma tanto saresti entrata comunque, dolcezza, perché alzarmi". Lo vedo strano e la cosa mi allarma non poco. "Cos'è successo? Stamattina già sei sveglio!" Mi pianto davanti a lui per guardarlo in faccia, e quello che vedo mi stupisce nuovamente. "Per essere sveglio avrei prima dovuto dormire, dolcezza! Il tuo ragazzo non è facile da calmare, sai!" Si alza e va verso il tavolo.
-Peeta non è il mio ragazzo!-
Ma adesso questa mi sembra una sciocchezza da lasciar scorrere al confronto di ciò di cui stiamo parlando. "È stato lui a lasciarti quel livido?" Chiedo, un po' rassegnata sulla risposta, e difatti lui annuisce. "Brutta nottata! Non lo vedevo così da parecchio!". Di solito Haymitch è quello più ottimista, paradossalmente, dice che Peeta può tornare, che lui è forte e non si lascerà sopraffare soprattutto perché non riesce a starmi lontano, ma oggi, mi sembra sconvolto. "Quanto è brutta la situazione adesso?" "Mi ha praticamente cacciato dicendo che stava bene e voleva stare da solo, poi si è chiuso in quella stanza". La stanza. Quella dove Peeta dipinge. Sono sempre stata curiosa, vorrei sapere cosa mette su tela. Quanto dolore. "Capito. Io vado da lui adesso". "Sei sicura, Katniss?" Dice guardandomi dritto negli occhi. "Non posso lasciarlo solo a fare chissà cosa, lo devo aiutare. Devo stargli accanto, lo sai!"la mia voce sembra quella di una disperata, come se aiutando lui aiutassi anche me stessa. "Solo...stai attenda d'accordo?" "È Peeta, non mi farà del male!" Dico prima di uscire e chiudermi la porta alle spalle.
A grandi falcate arrivo davanti casa sua, sono un po' nervosa al pensiero di quello che potrei trovare, della situazione e soprattutto ho paura che lui possa reagire male vedendomi e so bene che questo gli provocherebbe solo altro dispiacere. Non busso e decido di entrare direttamente.
La casa è silenziosa. Mi guardo in torno e vedo qualcosa fuori posto. -Deve esserci stato abbastanza movimento, stanotte- ma cerco di non curarmene, rimetteró in ordine io dopo, adesso devo andare da lui. So già dove trovarlo, per cui mi dirigo dritta su per le scale nella stanza della pittura cercando di essere il più silenziosa possibile perché non voglio spaventarlo e causargli un altro dei suoi scatti. Quando arrivo in cima alle scale la porta è per metà aperta e senza farmi vedere mi affaccio al suo interno. La stanza è piena di tele, la maggior parte sono rivolte contro il muro, probabilmente sono dei dipinti che non gli piace vedere. Poi mi soffermo su di lui. È al centro della sala, davanti al cavalletto e traccia qualcosa su una tela. La sua mano, il suo braccio, trema. La sua testa, mentre traccia linee e chiazze di colore, sembra essere attraversata da piccoli tremiti, quasi impercettibili. Lo vedo poggiare tavolozza e pennello per fare avanti e dietro davanti quel disegno. Non l'ho mai visto cosi inquieto. Di solito vederlo dipingere, disegnare mi infonde un senso di pace, ma adesso non saprei neanche definire le sensazioni che mi attraversano tutto il corpo, fino ad arrivare alla testa. Decido di bussare. E poggio delicatamente le nocche sulla porta. Neanche si gira per guardare ma lo sento parlare. "Haymitch ti ho detto che volevo rimanere da solo". Faccio un passo avanti, e sono nella stanza.
"Sono io" dico con un filo di voce. Lo vedo girarsi e sgranare gli occhi.
"Katniss".

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo Secondo ***


~~Mi guarda quasi avesse paura di me, ma non mi lascio abbattere da questa strana sensazione che provo guardandolo.
 "Volevo controllare come stessi". Mi rendo conto che in realtà non so cosa dirgli, l'unica cosa che vorrei fare è abbracciarlo e piangere e sentire la sua stretta, ma così facendo toccherebbe ancora una volta a lui prendersi cura di me. "Ho avuto momenti migliori" dice rompendo il centro della tela in malo modo. Sussulto. "Perché la stai distruggendo?" Chiedo in preda al panico. -starà ricominciando ad essere violento?-  "Non era un granché, meglio eliminare tutto!". Lascia cadere i pezzi a terra poi si dirige verso la porta e io lo seguo. "Non voglio che vedi le cose in quella stanza" continua, poi, scendendo le scale, senza neanche voltarsi verso di me.
 Lo odio quando, dopo uno dei suoi momenti di crisi, si allontana da me, quando ha paura di farmi del male, quando nonostante tutto continua a volermi proteggere a discapito di se stesso. "Hai paura che non potrei sopportarlo eh?" Cerco di essere ironica, ma non sono certa del risultato perché in risposta non arriva niente, neanche un segno. Ci dirigiamo in cucina.
 Mi guardo intorno e vedo dei vetri sul pavimento. -Devono essere passati di qui ieri sera- penso e mi si stringe lo stomaco. Peeta doveva essere davvero fuori di sé per mettere scompiglio anche in questo luogo sacro. La cucina per lui è tutto, soprattutto da quando siamo tornati al 12. Lo vedo un po' in imbarazzo mentre prende, da dentro uno sgabuzzino, la scopa e inizia a spazzare via il vetro. "Scusa la confusione, ci metto un attimo! Perché intanto non metti su l'acqua, faccio una delle mie tisane". Annuisco. Continuo ad osservarlo ma i suoi occhi, la sua testa continuano ad essere percorsi da spasmi quasi impercettibili.  -Sono preoccupata, ho paura che possa farsi male, che possa fare qualcosa di stupido.- penso mentre armeggio ciotole e acqua, ma  vengo interrotta da un tonfo e dal rumore di vetri che si spargono. Mi volto rapida e vedo che Peeta aveva lasciato cadere la paletta piena di vetri e si osserva la mano tremante. È in difficoltà e lo stomaco mi si strizza. Vado verso di lui.
 "Vai a preparare la tisana-dico toccandogli la mano che continua a tremare- qua ci penso io". Sento che al mio tocco i suoi muscoli si contraggono e nei suoi occhi vedo terrore, ma non mi importa, deve capire che io non ho paura di lui. Alla fine, dopo qualche esitazione annuisce e va verso i fornelli.
 Rimaniamo in silenzio. Il suo imbarazzo misto a qualcosa di ancora indecifrabile sembra avergli, stranamente tolto la parola, e io, si sa, non sono così brava con le parole e cosi mi accontento di sorseggiare il liquido dalla mia tazza osservandolo.
 "Kat?" "Mmm" mugugno mentre cerco di mandare giù gli ultimi sorsi. "Scusa se stamattina non ti ho portato la colazione", abbassa lo sguardo e abbozza un sorriso. -Cerca di avvicinarsi. Cerca una scusa qualsiasi per avvicinarsi.-
Sorrido e poggio la mia mano sulla sua. "Puoi sempre farmi mangiare qualcosa di buono ora, no?". "Ho una torta ancora intera, l'avevo preparata ieri, se ne vuoi un pezzo posso.." ma annuisco vigorosamente prima che finisca la frase. Lo vedo alzarsi di scatto e dirigersi verso il frigorifero per tornare poco dopo con due piatti. "Ecco a lei!" Dice scherzosamente lasciandomi il piatto davanti. Inizio a mangiare, più sollevata dal fatto che Peeta si stia sciogliendo un poco, questo perché la nottata appena trascorsa inizia a farsi più distante nella sua mente. "Mpuona!" Dico prima ancora di mandar giù il boccone. Peeta ride.
 Peeta ride. Sta ridendo.
 Si avvicina e con il pollice mi toglie un po' di cioccolata rimasta al lato della mia bocca. "Hai un po' di...aspetta, l'ho tolta".
 Quel tocco è cosi leggero, così dolce che non risco a trattenermi, scatto in piedi e mi butto su di lui , che per poco non cadeva dallo sgabello, e lo abbraccio. Forte. Affondo la faccia nell'incavo del suo collo e resto ferma a respirare il suo profumo. L'ho preso così alla sprovvista che inizialmente non ricambia ma poi sento la sua stretta e capisco che mi sta abbracciando anche lui. Lo sento passarmi una mano sui capelli e dirmi "Va tutto bene Kat, sono qui". "Non farmi preoccupare più come stamattina!" Lo supplico e lui continua ad accarezzarmi dolcemente.  "Se solo riuscissi a controllare quello che mi succede!" Sembra che stia parlando più con se stesso che con me, cosi decido di sciogliere l'abbraccio e prendergli il viso tra le mani, poggiando la mia fronte alla sua. "Tu puoi farlo, lo sai! E io ti aiuterò, sempre" sorride, mi prende una mano e vi posa lievemente le labbra prima di alzarsi e allontanarmi da lui lasciandomi interdetta.
 "Il problema è questo. L'aiuto che vuoi darmi tu comporta la tua vicinanza e io non -si interrompe per poi proseguire- e io non posso permettermi di abbassare la guarda quando sei con me". Faccio un passo avanti ma vedo lui farne uno indietro. "Peeta è quello che abbiamo sempre fatto, cosa è cambiato? La nostra promessa non vale più niente?". Sento che gli occhi mi pungono, ma se piango adesso lui mi vedrà debole, e si convincerà ancora di più di dovermi stare lontano. "No, Kat sai che non è questo.  Se dipendesse da me io non..." lo interrompo "Dipende da te! Dipende dalla tua forza di volontà!  Dipende da te!" Credo di non essere stata molto brava nel trattenere le lacrime perché sento scendere giù due file calde. "Kat non far sembrare la cosa come se io non volessi liberarmi da tutto questo abbastanza! Tu non sai cosa ho passato, non puoi riuscire neanche ad immaginare cosa succede nella mia mente!" Adesso anche lui sta alzando la voce, e vedo i suoi occhi diventare lucidi, ma non riesco a stare zitta. "Allora spiegamelo! Aiutami a capire perché così io vedo solo che ti stai arrendendo! Dov'è finito Peeta Mellark?" Sputo le ultime parole con una rabbia che non sapevo neanche di avere in corpo. Lo vedo che resta li, fermo, colpito, tradito e poi colpito ancora. Solo guardando nei suoi occhi, cosi trasparenti riesco a vedere quanto le mie parole lo abbiano ferito e tento di ritrattare. Tiro su col naso e provo a riprendere parola, in modo più calmo.
 "Peeta io..." ma le parole muoiono in bocca quando lo vedo scuotere la testa e girarsi ad appoggiare le mani sul tavolo. "Lascia stare" dice aggrappandosi al bordo legnoso. Non so cosa dire così resto ferma li a tirare su col naso e a lasciare che altre lacrime vadano a morire sulla mia maglietta. "Secondo te non mi faccio la stessa identica domanda ogni mattina e ogni sera? Secondo te non mi do del codardo ogni volta che le cose che vedo nella mia mente hanno la meglio su di me?" Mi avvicino a lui e gli poggio una mano sulla spalla, ma lui si fa rigido, sento i muscoli contrarsi e diventare di ferro, lo vedo aggrapparsi al tavolo. "Vattene!" Mi urla dandomi una leggera spinta con la spalla. Sta succedendo.  Ancora. "Peeta cerca di calmarti! Io sono qui e niente di quello che vedi è reale!" E mi avvinghio a lui ancora di più.  "Non voglio farti del male" la sua voce è rabbiosa e disperata.  "Non lo farai. Io ho fiducia in te e non lo farai!" . Poggia le mano sui miei polsi. Fa male. "Peeta torna da me!" gli sussurro mentre lui continua a stringere la sua presa.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo Terzo ***


~~Sembrano passate ore infinite, invece si tratta solo di pochi secondi prima che la presa si allenti ed istintivamente butto l'occhio sui segni rossi che mi sono rimasti. Riesce a divincolarsi e va ad appoggiarsi al muro, lo vedo, lo sento respirare affannosamente.  Cosa devo fare? Avvicinarmi? Sono certa che è già pronto a respingermi. Resto ferma. Aspetto.
 Lo vedo scivolare giù fino a rannicchiarsi sul pavimento e solo allora mi precipito accanto a lui.
 "Ti avevo detto di andare via" Mi dice prima ancora che lo tocchi.  "Lo so, ma non me ne andrò mai, perciò abituati!". Lo tocco e lo sento bollente. Chissà quanto sforzo gli sono costati questi pochi minuti.
 "Sei cocciuta! Troppo!" E si volta a guardarmi, duro, per quel poco che ci riesce prima di tirarsi su con fatica.
 "Lascia che ti aiuti" ma lui scrolla la testa, allora lo lascio fare. "Mi fai sembrare un bambino quando fai così,  sono io che dovrei proteggere te e non viceversa". Allora è questo? Non so cosa dire e come al solito resto in silenzio.
 "Forse è meglio se mi metto a cucinare qualcosa, altrimenti tu e Haymitch morite di fame oggi". Cambia discorso e io lo assecondo. "Veramente a me ci pensa Sae!" Sorrido mettendomi di nuovo sulla sedia. "Ah quindi stai dicendo che ciò che ti cucina lei è meglio del mio cibo?" Finge di offendersi e abbozza un sorriso mentre io, senza un reale motivo, rido di gusto. "Vuoi che ti aiuti? " chiedo. Forse una domanda un po' inaspettata tamto che Peeta mi guarda, interdetto, alzando un sopracciglio.  "Vorresti metterti ai fornelli?" "Ehm si, perché è tanto strano?" "Perché sei una frana! Tu e la cucina siete due mondi diversi!" Mi sento un po' offesa da tali dichiarazioni nonostante siano la verità. "Bhe visto che sono cosi incapace tu, che sei il grande cuoco, potresti insegnarmi, sai così non morirei di fame!" Dico con una punta di acidità che Peeta deve aver percepito perché scoppia a ridere. "Ok, ok ragazza di fuoco! Placa i bollenti spiriti. Iniziamo con cose semplici, va bene?" Sono ancora offesa ma soddisfatta per questa piccola vittoria, così gli sorrido. "Inizia a pelare queste? -dice mettendo delle patate sul piano di lavoro- sai pelare le patate vero?" Mi prende in giro ma sono contenta, vuol dire che sta meglio. In risposta gli mando una delle mie solite smorfie che lui dice di trovare divertenti e adorabili allo stesso tempo e comincio.
 Qualcuno bussa alla porta e vedo Peeta asciugarsi dall'acqua le mani su uno strofinaccio e buttarlo sul tavolo prima di andare ad aprire.
 Sento un vociferare, anche una piccola risata, sembra quasi una voce femminile, e smetto, per un momento, di pelare le patate per tendere l'orecchio buono e cercare di capire qualche parola ma sento solo la porta chiudersi e il pesante passo di Peeta che torna in cucina.
 Mi rimetto all'opera e lui posa una lettera sul tavolo prima di tornare accanto a me.
 "Chi era? Haymitch?" Fingo di non aver sentito nulla. " No, era Delly" "Delly?" "Ehm si, ogni tanto passa a controllare se tutto va bene, si offre di aiutarmi per qualsiasi cosa, sai" dice distrattamente mentre mette la pentola sul fuoco.
 Delly viene a trovare Peeta? Perché io non ne sapevo niente? Non me me aveva mai parlato prima. "E quella lettera?" Chiedo senza fermarmi nel mio lavoro, tenendo lo sguardo basso. "Niente le è stata recapitata per sbaglio, e me l'ha portata". "Bhe ne ha fatta di strada sbagliata il postino!" Cerco di ironizzare mentre affondo pesantemente il coltello in una patata. Sento Peeta ridere e mi volto a guardarlo. "Stai praticamente uccidendo questa patata! Cosa ti ha fatto poveretta?" Non so perché ma sono nervosa; le mani mi tremano e sento il sangue ribollirmi dentro per questa affermazione! "Ok senti, se non ti sta bene come faccio le cose te le lascio fare da solo!" Poso il coltello sul tavolo e mi dirigo a passo svelto verso la porta. Peeta non dice nulla, non si muove, ma forse è meglio così.  Mi sbatto la porta alle spalle e mi dirigo verso la casa del nostro ex mentore. Come al solito trovo la porta socchiusa, così decido di entrare senza bussare. La storia è sempre la stessa, lo trovo appollaiato sul divano con la bottiglia in mano; gli dò una spinta nascondendomi dietro lo schienale e lui si sveglia urlante. "Katniss mi hai fatto prendere un colpo!" E io sbuffo "c'è un giorno in cui non capita?". La domanda era retorica e di fatti non recepisco nessuna risposta ma lo vedo sistemarsi i capelli un po' unti e rimettersi seduto sul divano sorseggiando ancora quel liquido bianco.
 "Già ti sei arresa con la tua dolce metà?" Mi dice e a quelle parole sussulto.
 "Non aveva più bisogno del mio aiuto" dico cercando di mantenere una voce calma e pacata ma senza ottenere il successo sperato, così mi tuffo anch'io sul divano. "Dubito. Successo qualcosa, dolcezza?". Mi prendo del tempo per pensare e poi faccio no con la testa. Restiamo in silenzio per un po'.
 "Tu sapevi che Delly andava a fare compagnia a Peeta di tanto in tanto? " le parole mi escono fuori da sole, prima che possa rendermi conto di cosa sto dicendo. Vedo Haymitch bloccarsi davanti l'orlo della bottiglia e guardarmi. Cerco di mantenere un certo contegno.
 "Ehm, sì . Perché? ". Infatti, perché?  Perché mi interessa così tanto chi fa compagnia a Peeta? Scrollo le spalle "Così.  È passata prima"
 Lo vedo sorridere e posare la bottiglia sul tavolo. "Allora è per questo che sei venuta dal caro, vecchio ubriacone?" La sua risata adesso si fa più rumorosa. "Sono venuta qui perché Peeta stava meglio" "ragazza mia, ti sei davvero ingelosita?" "Questo è troppo! Non sono gelosa di nessuno!   Peeta può fare quello che vuole con chi vuole!" Afferro, presa dall'impeto del momento, la bottiglia sul tavolino e ne bevo un sorso. "Ragazza mia quel tipo non vedrebbe un'altra ragazza neanche se se la ritrovasse nel letto!". -La sua risata mi irrita. Non sono gelosa di nessuno, peeta è adulto e può fare come vuole! Eppure perché questa cosa mi ha sconvolto tanto?-
"non ho voglia di farmi prendere in giro per qualcosa di inesistente, perciò me ne torno a casa!" Poso, pesantemente, la bottiglia sul tavolo e mi chiudo la porta alle spalle continuando a sentire il suono della risata di Haymitch.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo Quarto ***


~~Vado dritta su per le scale e mi lascio cadere senza forze sul letto.
- Perché insisto ad andare da Haymitch visto che ogni volta esco da casa sua di un umore peggiore di quello concui sono entrata?-
Rimango a fissare il soffitto, a rigirarmi di fianco ma senza prendere sonno, senza riuscire ad impedire alla mia mente di vagare. Non è Delly a darmi fastidio, è amica di Peeta da una vita, ma è il fatto che qualcun'altro oltre me o Haymitch o qualsiasi altra persona che non ha condiviso con  noi quello stesso destino possa aiutarlo con i suoi problemi. Questo rende il nostro legame non molto diverso da quello che si potrebbe avere con chiunque.
-Il nostro legame. Che legame abbiamo? Peeta è tuo amico, lo sai bene Kat! -
Eppure continuo a sentire lo stomaco ribollire.
 Decido che rimanere così, buttata sul letto, è troppo massacrante così decido di andare a fare una camminata tra i boschi. Prendo l'arco e la faretra e i incammino verso il luogo dove prima passava la recinsione elettrica. Adesso l'ingresso ai boschi è facilitato e soprattutto non è proibito. Non devo più nascondermi per andare a cacciare, anche se adesso tutti sanno dove trovarmi quando invece ho bisogno di pensare. Ma infondo non si può avere tutto, questo l'ho imparato. Così ho deciso di rintanarmi in un posto specifico, dove nessuno sa che vado perché non l'ho mai fatto vedere a nessuno, a nessuno tranne che a Peeta.
 Cammino a passo svelto senza curarmi di far rumore, la voglia di cacciare mi è passata non appena ho messo piede nell'erba fitta, adesso l'unica cosa che voglio e buttarmi su quella immensa distesa e contemplare l'acqua del lago mentre cerco di mandare via i nuovi demoni che si sono impossessati della mia mente.
 Quando arrivo faccio per fare un sospiro di sollievo ma questo muore lungo il tragitto.
 Peeta!
 Avanzo senza parlare e tentando di essere delicata, per non farmi sentire. Ma forse devo aver perso il senno perché il mio apparire all'improvviso al suo fianco potrebbe far scattare qualche falso pensiero nella sua mente. Così aumento la pesantezza dei passi. Gli scarponi strisciano tra foglie e rami, ma lui non si muove. Solo quando mi avvicino noto che ha posato su un ginocchio un blocco da disegno.
- è venuto a disegnare -
Mi siedo ad suo fianco senza dire nulla e lui continua a non muoversi. Forse non mi ha sentito, ma credo fosse impossibile ignorare il fracasso voluto di pochi secondi fa.
 "Spero non ti dia fastidio se sono venuto qui" dice continuando a guardare il lago e poi riportandone i riflessi sul foglio.
 "Figurati!" Rispondo tenendo lo sguardo basso e giocando con l'erba tra le gambe.
 "Sei venuto a pensare anche tu?" Chiedo interrompendo quel pesante silenzio tra noi.
- Forse è ancora un po' arrabbiato con me per la sparata di prima-
 "Anche. Volevo mettere su carta la tranquillità di questo posto, magari guardarlo quando sono a casa può darmi la stessa calma e....aiutarmi un po' ".
 Sarà stata un'idea di Delly!?
 - Kat ma che diavolo dici? Stai perdendo il senno!-
 Inspiro e espiro cercando di far tornare il mio battito regolare e fermare così i nervi e ci riesco, se non fosse che Peeta mi sta fissando, con il sopraciglio un po' inarcato. "Tu sei venuta qui per un motivo particolare?" Chiede.
 Non so cosa rispondere così evito e scrollo le spalle. "Kat, che è successo oggi? Eri tranquilla e un momento dopo sei scoppiata. Se è per colpa mia io non vol..." ma lo interrompo. "Non è colpa tua. Sono io che,  sai ho un po' di cose per la testa" cerco di tagliare corto nella speranza che colga la mia voglia infinita di cambiare discorso, ma lo vedo poggiare sull'erba il blocco dei disegni e prendermi una mano. Quel tocco così leggero e delicato, così premuroso, mi fa sussultare.
 "Vuoi condividere qualcosa con me? Sai portare i pesi in due aiuta" dice fissando quegli occhi color mare nei miei e io non posso far altro che perdermici inesorabilmente dentro.
 "Niente che valga la pena condividere, credimi. È una sciocchezza". Lo sento trascinarsi più vicino a me e mibprende il viso tra le mani.
-se continua a guardarmi così in profondità capirà che gli sto mentendo-
Mi carezza la guancia con il dorso della mano e poi mi fissa un bacio sulle labbra.
 Non è rude, ma delicato, dolce, impercettibile quanto il soffio del vento che sento smuvermi fili di capelli. Un bacio così teneroche non chiede altro, che non ne chiede un secondo, che non chiede di essere ricambiato; eppure io non riesco a resistere e rispondo, in modo impetuoso alla sua dolcezza indescrivibile. Peeta dischiude le sue labbra dopo un secondo di stupore e ricambia in modo tanto dolce quanto passionale. Ci baciamo così per un po', senza prendere fiato e perdendo completamente la conizione del tempo, senza sapere più dove ci troviamo. Mi spinge dolcemente verso l'erba e con l'aiuto della sua mano mi adagia delicatamente sul verde prato. Continua a baciarmi sicuro e incerto su cosa sia meglio fare, allo stesso tempo, fin quando non si blocca bruscamente, allontanandosi da me un po' affannato. Mi tiro su leggermente e lo guardo senza capire cosa possa essere successo.
 "Scusa io -senza finire la frase si mette in piedi a fatica - forse è meglio se andiamo, tra poco inizierà a fare buio".
 Mi tende la mano per aiutarmi nella risalita ma la scosto con un gesto deciso e faccio da me. Torniamo verso le nostre case senza spiccicare parole, a malapena ci salutiamo con un cenno ed io mi fiondo in casa. Una volta chiusa la porta mi lascio scivolare sul pavimento.
 Sulle labbra ancora il suo sapore e nelle narici ancora il suo odore misto a quello della verde erba umida.
 Mi passo istintivamente le dita sulle labbra tracciandone i contorni.
 - avevo cosi fame di lui, cosi tanta come sulla spiaggia dell'arena-

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo Quinto ***


~~Il calore dell'acqua mi da un po' di conforto, aiuta a calmarmi, ma la mia mente non riesce a dimenticare quel bacio così velocemente. Il solo pensiero mi fa tremare, mi fa sentire bene e confusa al contempo. Continuo a sentire le labbra morbide di Peeta, le sue mani, il suo sapore. Mi immergo completamente nella vasca, chiudendo gli occhi, fino a lasciare che l'acqua mi copra completamente il viso ma l'unica cosa che ottengo è il ricordo ancora vivo nella mia mente dell'orologio che comincia a girare vorticosamente e io che finisco in acqua senza riuscire a tornare a galla. Quella sensazione di soffocamento attecchisce nelle mie viscere e scatto seduta in un battito di ciglia. Respiro velocemente. Respiro. Respiro. Respiro regolare.
 - Kat sei nel tuo bagno, non in mezzo al finto mare dell'arena!-
Se Peeta fosse stato qui sono sicura che mi avrebbe accolto tra le sue braccia e cullata fino a quando la paura non fosse scomparsa.
 Esco senza neanche essermi risciacquata.
 In camera da letto trovo Ranucolo accovacciato sul davanzale.
 Solo dalla morte di Prim sono riuscita ad apprezzare questo strano gatto, in fondo è di compagnia e ora come ora averlo vicino mi fa sentire un po' meno la mancanza della mia dolce sorellina.
 Anche lui guarda verso le rose.
 "Manca anche a te, vero?" Gli dico accarezzandogli quel pelo non troppo morbido.
 La mattina seguente scendo al piano di sotto e come sempre Sae è già li.
 "Tesoro, ma ieri non hai toccato cibo?" Mi chiede senza aspettarsi una risposta che la contraddica, in realtà.
 Mi passa la ciotola del latte e basta.
 Peeta non è passato neanche questa mattina, ma stavolta taccio. Non voglio chiedere a nessun'altro che non sia lui.
 Butto giù quel latte con una tale velocità che sento Sae borbottare qualcosa come "non hai toccato cibo ieri, certo che adesso mandi giù quel latte in un secondo" e le lascio credere che il motivo sia quello. Esco immediatamente senza dare spiegazioni e mi dirigo verso quella casa che conosco come fosse la mia.
 Busso ma non sento passi; nessuno che venga ad aprire. Provo a girare il pomello e la porta scatta aprendosi lievemente. Entro.
 Sento un vociferare ma senza appizzare l'orecchio buono non riesco a distinguere le parole. Proseguo. Seguo la direzione del suono ed entro in cucina.
 Il mio cuore perde un battito, o due.
 "Kat, come sei entrata? " mi chiede Peeta sorpreso e sembra anche quasi essere leggermente imbarazzato. Resto in silenzio per qualche secondo, le guance rosse. "Scusa, ehm la porta era aperta".
 Delly guarda da me a Peeta e uccide quel silenzio prendendo parola. "Ops, forse entrando l'ho lasciata aperta io" "scusate, davvero non volevo interrompere la -mi fermo, ma cerco di continuare così posso scappare via- vostra colazione" volto i tacchi e a passo svelto cerco di raggiungere la porta ma qualcuno mi afferra la spalla e mi chiede di aspettare. Cerco di mantenere la calma, ma non sono pronta a voltarmi perché forse vedrebbe i miei occhi lucidi.
 Mi spinge delicatamente fuori la porta di casa e poi la socchiude dietro le sue spalle. "Kat, è venuta a portarmi delle cose che si era offerta di lavarmi,sarebbe stato scortese lasciarla andare così" mi dice giustificandosi.
 "Peeta non devi giustificarti, dico davvero -adesso che ho ripreso fiato posso voltarmi ma non a guardarlo negli occhi- ho solo pensato che potessi stare di nuovo male" mi ficco le mani nelle tasche dei pantaloni e continuo a guardare il cemento a terra. "Ah, ehm no, sto bene. Grazie per l'interessamento, comunque" "meglio se torni dalla tua ospite, sarebbe scortese lasciarla dentro da sola, no?" Non aspetto che risponda, che si muova e vado verso casa di Haymitch.
 - Grazie per l'interessamento- quella frase così fredda e formale mi risuona martellante nelle orecchie.
 Arrivo davanti casa del mio ex mentore ubriacone ma ci ripenso, torno a prendere arco e frecce e vado verso i boschi.
-Oggi sarà una lunga, lunghissima giornata di caccia-
Non condividere questo luogo con Peeta mi fa tornare la nostalgia dei giorni passati qui con Gale. Per un attimo mi chiedo come se la stia passando lui, con la sua nuova vita, lontano da tutti, e insieme all'odio mi pervade anche un senso di gelosia. Sarebbe stato bello ricominciare in un posto dove il dolore era solo dentro di me e non anche nei visi familiari delle persone e nelle cose. Ma io sono la Ghiandaia Imitatrice, in nessun posto sarei stata davvero in pace e libera da tutto.
 Scocco la freccia. La vedo andare dritta e sicura verso lo scoiattolo. Preso. Morto. Quando lo vedo cadere a terra stecchito non posso impedire alla mia mente di rimandarmi l'immagine di Rue che mi guarda implorante prima di cadere a terra colpita da una lancia. Una lacrima scende involontariamente. Cosi lascio lo scoiattolo a terra e proseguo.
 Non so quanto tempo sia stata nel verde ma quando inizio a sentire la leggera pioggerellina scendere mi incammino di nuovo verso casa. Al mio arrivo,trovo Peeta seduto sulle scale. Cerco di restare indifferente e senza dirgli nulla apro la porta ed aspetto che mi segua dentro.
 "Sei tutta bagnata! Togliti subito quei vestiti prima di beccarti qualche malanno!" Mi dice avvolgendomi in una mantella che si trovava buttata sul tavolino all'ingresso.
 "Anche tu sei un po' bagnato" rispondo.
- chissà quanto tempo è stato seduto sul portico ad aspettarmi-
Sorride. "Vai forza! Intanto io accendo il fuoco, ok?". Lo guardo dirigersi verso il soggiorno ma, quando il freddo si impossessa di me arrivando a toccare le ossa,mi costringo ad andare al piano di sopra per cambiarmi velocemente.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo Sesto ***


~~Mi catapulto giù per le scale scendendo i gradini a due a due, ma Peeta non è più in soggiorno.
-Sarà già andato via?-
Quando sento dei rumori provenire dalla cucina mi rincuoro,entro e lo vedo  trafficare con le pentole.
 "Ho pensato che da sola non avresti mai mangiato, cosi stasera ti faccio compagnia!" Mi dice allargando le sue labbra in un sorriso e io non posso fare a meno di ricambiare.
 È incredibile quanto mi conosca nonostante tutto; nonostante quelle torture infinite e Dio solo sa quanto supplichevoli di morte gli siano state inflitte da quelli di Capitol City, da quei maledetti aghi inseguitori che mi hanno portato via l'unico brandello di felicità che mi era rimasto, lui è qui  a preoccuparsi per me, che io mangi.
 Mi siedo e lo guardo.
 I muscoli, ben definiti, si vedono attraverso la maglietta e i lineamenti del viso sono tirati in un'espressione dura e cosi sicura di sé, sembra essere quasi perfetto, quasi  perchè rovinati da qualche cicatrice sulla tempia, sulla guancia, sul collo ma ormai ho perso il conto. Siamo pieni di quei segni che ci distinguono dagli altri, pieni di striature, di rattoppi, di ustioni, di pelle morta sparsa qua e là, prima a causa degli Hunger Games poi per le battaglie della rivolta. Siamo l'emblema perfetto di tutto ciò che è successo a Panem, nel corpo, nella mente, nell'anima. Ma vederle su Peeta non mi da fastidio all'occhio, anzi mi fa ricordare chi è, cos'ha fatto per me, il suo coraggio, il suo amore, mi fa ricordare quella persona che non so più se esiste, ma che non smetterò mai di cercare.
 "Ecco qua! Brodo caldo per la signorina che se ne va in giro nei boschi con la pioggia" e mi pianta davanti quel piatto fumante dall'aspetto invitante. Mi accorgo di avere fame solo quando comincio a mandare giù le prime cucchiaiate. Peeta mi guarda e ride. Non ho bisogno di chiedergli il perché, già lo so.
 Mangiamo in silenzio e lo aiuto a metter via tutto nel lavabo. "Non preoccuparti domani ci pensa Sae, altrimenti si lamenta che qua non ha nulla da fare" gli faccio l'occhiolino e capisce subito che voglio essere stretta dalle sue braccia perché acconsente a lasciare tutto così e ad andare verso il divano a guardare un po' di televisione. Peeta si siede e io accanto a lui, con la testa poggiata sulla sua spalla e le gambe rannicchiate sotto la coperta che mi ha appena steso addosso. Mi circonda le spalle con un braccio e con il pollice inizia a massaggiare lievemente il punto. Tremo, sussulto non so cosa mi si rigiri nello stomaco. Il suo profumo è forte e buono e dolce che mi fa girare la testa. Mi avvicino ancora di più e infilo la punta del mio naso nell'incavo del suo collo. Il mio respiro irregolare si posa sulla sua pelle così bianca. "Kat" mi dice interrompendo il fluire delle mie sensazioni. "Per stamattina -comincia e io mi irrigidisco- veramente non volevo sembrare scortese quando sei entrata e poi...quando sei andata via eri tutta strana" mi dice perdendo quella sicurezza che ostenta sempre. Mi allontano un po' per guardarlo bene. "No, sono io. Ehm non si entra a casa delle persone senza essere invitati, giusto?" Cerco di mantenere la voce calma anche se vorrei urlargli contro qualcosa, ma non so neanche cosa di preciso.
 "No, lo sai tu puoi venire da me quando vuoi" si gratta il sopraciglio abbassando lo sguardo. Conosco quel gesto imbarazzato. Mi faccio coraggio e mi avvicino alle sue labbra. Le bacio delicatamente,  cercando di imitare i suoi baci e lui ne resta sorpreso. Mi stacco. Non voglio forzarlo a fare niente che non voglia dopo quello che è successo al lago ma lui mi blocca tirandomi di nuovo nella direzione delle sue labbra. Le nostre lingue si rincorrono per prendersi e rincorrersi ancora fino a staccarsi completamente.
 Ho il fiatone. Ho la testa che mi gira. Ho lo stomaco sottosopra. Lo guardo ed è rosso in viso.
 "Kat io..." e si alza di scatto lasciandomi avvolta in una sensazione di gelo.
 "Che sta succedendo?" Lo guardo senza capire. "Non sei più costretta a fingere per nessuno lo sai, non ho bisogno che tu mi dia questi baci che - si volta a guardare verso il camino riscaldato, ormai, da piccole fiammelle- sanno di pietà".
 Spalanco gli occhi incredula.
 - Pensa davvero che io lo faccia per pietà? -
"Peeta io non provo alcuna pietà!" Gli urlo alzandomi a mia volta e lasciando cadere sul pavimento la calda coperta.
 "Allora perché lo stai facendo? Mi stai incasinando la testa così!" Lo vedo fremere e darsi dei colpetti sulla nuca, solo in quel momento realizzo che cosa sta succedendo.
 "Tu mi incasini la testa e io non voglio, non posso" accentua le ultime parole riempendole di rabbia, ma non verso di me quanto verso se stesso.
 "Peeta" riesco a dire solo questo perché le parole mi muoiono in bocca. I suoi occhi si stanno dilatando e li vedo cambiare colore, vedo andare via quel mare di sicurezza e tranquillità.
 "Stammi lontano!" Urla continuando ad infliggersi dolore. Lo vedo avvolgersi con le braccia e conficcarsi le unghie nella carne fino a quando un rivolo di sangue non esce da uno dei profondi  segni.
 Resto pietrificata. Vorrei aiutarlo ma non so come. Il fiato si è fermato. Riesco a dire "io non voglio incasinarti la testa, io ci tengo a te!" in mezzo alle lacrime. Vederlo in questo stato mi fa sempre male. In qualche modo riesce a smettere di farsi del male con quelle mani forti e riesco a vedere i suoi occhi tornare a brillare del suo solito azzurro, forse più spento adesso.
Mi sembra che ogni volta che ha i suoi scatti muoia una parte di lui, in lui.
 Mi fiondo ad abbracciarlo ma lui mi tiene a distanza.
 "Non posso" dice mettendosi le mani sulla faccia.
 "Non posso continuare a starti vicino in questo stato!" "Si che puoi perché stai imparando a controllarti". Mi sento smarrita. Mi sento abbandonata nel sentire le sue parole.
-Se mi abbandona anche lui non riuscirò mai a sopravvivere, di questo sono certa.-
"È pericoloso per te starmi vicino. Non vedi che sono un mostro? E l'ultima cosa che voglio è farti male o peggio" i suoi occhi sono pieni di lacrime e la sua voce sembra disperata.
 Lo guardo supplicante.
 "Non guardarmi così,  è la verità.  Solo che tu vuoi fare la crocerossina a discapito della tua vita e questo non posso fartelo fare!".
 Quella che sento ribollirmi dentro adesso è la rabbia non più quel senso di vuoto e di desolazione.
 "Certo, vai dalla tua cara vecchia amica Delly, dato che con lei non hai problemi di omicidio!".
 Quelle parole mi escono da sole, senza avere il tempo di fermarle, insieme alla rabbia infinita che provo per la sua resa.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo Settimo ***


~~Ci guardiamo per pochi istanti. Vedo nei suoi occhi dei grandi punti interrogativi e non so come farli andare via.
 Non posso dirgli le cose che penso, le sensazioni che provo.
 Adesso è lui a fare dei passi verso di me e ho quasi paura che mi tocchi dopo la mia ultima frase.
 "Tu pensi che io e Delly...cioè.." non sa come finire la frase, ma non mi interessa neanche sentirla, devo cavarmi fuori da questa situazione subito, prima che sia costretta a vuotare il sacco.
Scuoto, vigorosamente, il capo.
 "No, non lo penso....solo che con qualcuno che non sia io tu sei - faccio un respiro cercando le parole giuste- te stesso".
 Dirlo lo rende così vero, così reale.
Il problema di Peeta è con me, lui vede me come una minaccia, non Haymitch, non Effie, non qualunque altra persona che possa incontrare qua in giro per il dodici. Loro hanno fatto tutto questo solo per dividerci, solo per portare via da me quel ragazzo cosi dolce che mi metteva prima della sua stessa vita. Sento gli occhi pungere ma non impedisco alle lacrime di scendere, sono spezzata e non posso più nasconderlo, non a Peeta. Mi lascio circondare dalle sua braccia,mi lascio proteggere da lui ancora una volta. Erano giorni che volevo farlo, che volevo piangere contro il suo petto e sentire quella sensazione di benessere che solo lui riesce a darmi. Ricambio l'abbraccio e mi lascio andare ad un pianto rumoroso. Lo sento stringermi, stringermi forte, eppure questa volta non passa, la paura non va via,non lo sento pronunciare quelle solite parole di conforto che in realtà hanno sempre fatto ben poco. Cosa vuol dire? Mi sta davvero allontanando da lui? Mi sta davvero spingendo via per sempre?
 "Sei una stupida" sento dirgli, forse un po' troppo vicino al mio orecchio sano tanto che mi rimbombano nel cervello.
 "Lo so" rispondo mandando giù quelle lacrime salaticce. "Non sei l'unica a soffrire, lo sai?" Faccio no con la testa. Non riesco a parlare, ho la bocca impastata. "Secondo te toccarti e non poterlo fare fino in fondo non mi uccide?" Fa una pausa nella quale mi libera dalla sua stretta per potermi guardare in viso. "Baciarti e non poter essere me stesso fino in fondo è peggio che ricevere delle coltellate! Vederti così bella e non potermi perdere in te, io lo odio. Odio non poter mai perdere il controllo di me. Una delle cose che più adoravo dello starti vicino era perdere la cognizione del tempo, dello spazio, di me stesso e me lo hanno portato via. Giorno dopo giorno ho visto, coscientemente, ogni ricordo di te che mi veniva portato via!" La sua voce è rotta da lacrime che ricaccia indietro.  Sentirle mi fa capire lentamente quello che si porta dentro, la croce che deve portarsi dietro ogni mattina quando apre gli occhi e chi lo sa se non anche nei suoi sogni. Non ho mai pensato che lui potesse vedere quei ricordi scivolargli via dalla mente senza poterli salvare; ho sempre pensato che una mattina, all'improvviso, si fosse svegliato cambiato, non ho mai voluto vedere la sua pena, ripetuta ogni giorno e lui me la sta sbattendo in faccia per farmi capire quanto stia male,mentre io faccio la sciocca, faccio l'offesa, faccio quella messa da parte. La promessa era di aiutarci a vicenda,  ma come sempre è lui che aiuta me.
 La vedo, quella lacrima solitaria scendergli giù sul viso per essere risucchiata dal collo della felpa. Non riesco a dire niente. L'unico pensiero è quello di stringerlo forte e fargli capire quanto tenga a lui, e lo faccio, istintivamente. Lo stringo e lo bacio.
 Lui resiste,  si tira indietro, ma io insisto e finalmente cede. Un bacio salato. Le nostre lacrime si mischiano alle nostre lingue ma nessuno dei due si ferma, continuiamo cosi senza prendere fiato. Sento le sue mani forti e sicure stringermi i fianchi, presa dalla foga e sotto il suo tocco mi sento bollire, fremere. Ecco che torna la fame e Peeta mi solleva prendendomi in braccio per poi lasciarmi sedere sul grande tavolo della stanza. Faccio cadere una sedia ma non ce ne curiamo. Peeta mi accarezza e io inizio a portare giu la zip della sua felpa quando sento la sua mano sulla mia. Si ferma e si allontana da me. "Non hai sentito cosa ho detto?  Non posso lasciarmi andare con te!" Ma io non lo ascolto e continuo a tirare giù la lampo ottenendo solo l'effetto opposto da quello desiderato. Lui si stacca completamente da me lasciandomi sola, seduta su quel tavolo che inizio già a sentire freddo. Scendo,vado dritta verso di lui e gli prendo il viso tra le mani.  " Io non ho paura.Ho fiducia in te e so che puoi tornare. Sei più forte di loro" gli sussurro prima di tornare a posare, tremante, le mie labbra sulle sue con la l'agghiacciante consapevolezza che potrebbe non ricambiare, ma lo fa.
 E una lacrima scende.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo Ottavo ***


~~Non ho chiuso occhio stanotte ma non per via degli incubi, no. Guardo Peeta dormire al mio fianco e mi sembra di essere tornata indientro nel tempo, a quelle notti passate sul treno, durante il tour della vittoria, quando mi stringeva forte e faceva scivolare via i miei incubi.
 Mi allontano un po' dal suo petto per guardarlo in viso; ha un'aria così beata, che il pensiero che anche lui stanotte non abbia avuto immagini contorte a fargli compagnia mi fa sentire più leggera.
 Lo sento fremere e poi aprire lentamente quegli occhi color cielo. Gli sorrido e lui mi sorride di rimando. Si strofina gli occhi, ancora assonnati, con le dita e mi sussurra un "buongiorno" nell'orecchio.
 "Niente incubi?" Chiedo curiosa.
 "No, tu?" 
 "Neanche uno!"  E inarca le labbra a formare una qualche smorfia soddisfatta per poi attirarmi ancora più vicino a se, ma io mi rigiro sul fianco dandogli le spalle per farmi abbracciare più forte.
 Mi posa il mento sulla spalla.
 "Kat, mi dispiace per questa notte" dice d'un fiato; scuoto il capo e inizio a giocherellare con le sue dita. "No, hai fatto bene. Se non ti senti sicuro per me va bene, davvero". Sono stupita da me stessa per il modo in cui riesco a parlare con lui, quasi apertamente, di tutto, anche di questo, un taboo per noi, per me soprattutto. "Ma non è perché non voglia, davvero!" Si giustifica. Al solo pensiero di noi andare oltre mi sento avvampare le guance, ma infondo sono contenta che nonostante tutto, nonostante la mia pressante insistenza lui non abbia ceduto e si sia fermato, perché non credo di essere pronta, non so neanche cosa provo, cosa è per me tutto questo, questa novità che si sta insinuando dolce e bella tra di noi, ma non voglio avere fretta di scoprirla. Voglio godermi ogni secondo con il ragazzo del pane!
 "Insomma, tu pensavi che tra me e Delly ci fosse del tenero?" Lo sento dire mentre si mette supino con una mano dietro la nuca. Lo guardo letteralmente sconvolta e lo vedo ridere.
 - Mi sta prendendo in giro!-
 Mi nascondo un po' sotto il lenzuolo e dico un  " uhm no" totalmente imbarazzata. Lo sento ridere di gusto.
 Nel sentirla mi rendo conto di quanto fino ad ora lui non abbia mai riso davvero. È così calda e rumorosa e contaggiosa che inizio a ridere anche io, così,  senza un vero motivo, solo perché lo sta facendo lui perchè sono felice quando lo vedo tornare, quando non lo vedo tormentato.
- Questo è Peeta Mellark-
"Ammettilo, sei gelosa -dice togliendomi il lenzuolo da davanti il viso- di me!"
-Mai. Non ammetteró mai e poi mai questa cosa, vera o falsa che sia. -
"Ma proprio no! Tu puoi fare come vuoi!" Dico in modo poco convinto.
 "Ammettilo!" Continua a dire con un ghigno divertito sul viso mentre inizia a farmi un po' di solletico.
 Rido. Rido davvero. Serena.
 "No! Mai!" Si arrende e si ferma, un po' bruscamente forse, ma non gli dò peso.
 "Te la lascio passare solo perché devo andare" dice trascinandosi la gamba fuori dal letto. Mi metto a sedere anche io.
 "Dove devi andare?" "Haymitch mi aspetta, andiamo a vedere le condizioni della vecchia panetteria" "ah si? Come mai?" Chiedo leggermente sorpresa dalla novità. "Diciamo che qualcuno mi ha aiutato a ragionare su cosa fare del mio dono di famiglia" dice muovendo le mani come se stesse impastando qualcosa per farmi capire e solo così realizzo che ha in mente di rimettere in piedi la vecchia attività di famiglia.
 "Ah!" Non mi esce altro. Non perché mi dispiaccia, ma solo perché non ho mai pensato prima di suggerirglielo, lo avrebbe sicuramente impegnato molto tempo prima. I pensieri vengono interrotti dal lieve bacio che mi posa sul naso. "Ci vediamo più tardi!".
 Lo vedo uscire, leggermente più zoppicante del solito, dalla stanza e resto ancora una volta sola con i miei pensieri. Mi stendo di nuovo sul letto e cerco di respirare un po' del suo profumo rimasto attaccato al lenzuolo quando  mi torna alla mente il suo progetto. Mi rendo conto che io non ho più niente, tutti hanno trovato la loro strada, mia madre come guaritrice, Gale lotta per mantenere salva la libertà in cui tanto ha creduto, Peeta vuole riprendere l'attività di famiglia e persino Haymitch cerca di mantenersi più sobrio nella speranza di tenerci in vita in questo modo, ma a me cosa resta? Niente.
 Questa consapevolezza mi gela le ossa facendo andare via tutto il calore lasciatomi addosso dal ragazzo del pane.
 Il mio unico scopo non può essere aiutare Peeta nella sua guarigione, io ero quella che da sola manteneva sua madre e sua sorella,e adesso?
 La mente bianca. Niente. Ma per ora va bene cosi. Voglio crogiolarmi ancora un po' nel mio dolore, nel mio lutto, nel mio abbandono.
 Mi metto nuovamente a sedere e la vedo, anzi ne sento la pesantezza, sento il peso di quella porta oltre la quale c'era la stanza di Prim. Non entro là dentro da quando ho rimesso piede a casa, e mi chiedo se mai riuscirò ad entrarci. Vado a sciacquare il viso nella speranza di rimandare indietro l'immagine del bombardamento che si è appena riaffacciata nella mia mente. Posso sentire chiare le urla. Scendo.
 Sae sta entrando dalla porta principale e la saluto freddamente.
 "Oh bambina sei già sveglia! - poi posa qualcosa sul tavolo- questa è per te, l'ho trovata nella buca delle lettere".
 Mi avvicino e noto che è una lettere. Una busta bianca, la rigiro tra le mani e la riconosco. La scrittura è così familiare che sento l'aria mancare. Vedo tutto nero per un secondo o più. 
-Perché  Gale mi scrive una lettera?-

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo Nono ***


-Perché Gale mi scrive una lettera?-
Le mani tremano e gli occhi pungono sembrano essersi riempiti di spilli.
Dopo quella famosa domanda "la bomba era quella che hai costruito tu?" Non ho più avuto contatti con lui. I sentimenti sono stati contrastanti fino a poco tempo fa, l'ho odiato così tanto che il solo sentire il suo nome mi faceva rialzare le rosse vene del collo, tanto che il suo nome, in mia presenza almeno, non è stato più pronunciato. Evito di andare oltre la porta di casa mia nella paura di incontrare Hazelle, non saprei cosa dirle, e non potrei mai chiederle di lui. 
"è una cosa importante?" Mi chiede Sae costringendomi a staccare gli occhi da quella busta bianca. "Ehm no, può aspettare" le dico frettolosamente tossicchiando per nascondere l'emozione nella mia voce e la ripongo nel cassetto del mobile che si trova nel corridoio d'ingresso.
"Ho visto Peeta andare via mentre arrivavo, sai", mi riporta alla realtà ancora una volta. "Ah si, ha in mente di sistemare la sua vecchia panetteria" e mentre parlo mi accorgo di non dare alle parole la giusta importanza. E mi sento un po' in colpa. "Mi sembra una gran bella idea! Quel ragazzo ha bisogno di concentrarsi su qualcosa di costruttivo per guarire, non sono un dottore, ma sicuramente so che lo aiuterebbe" continua mentre lava i piatti che avevamo lasciato sporchi la sera prima.
"Già". Non riesco proprio a concentrarmi sulla conversazione, Gale è riuscito a scombinarmi senza neanche essere presente.
"Perché non fai un salto in centro? Sai si stanno facendo grandi progressi con la ricostruzione!" Dice ancora entusiasta Sae. Non capisco perché abbia tutta questa voglia di parlare con me, sa bene che non sono in vena di chiacchiere, sempre. "Ah si?" Ma rispondo per non sembrare troppo scortese. Mi ero dimenticata di tutto questo. Mi ero rinchiusa nella mia casa, nel piccolo villaggio dei vincitori, che porta ancora la sua insegna all'ingresso della strada, mi ero rinchiusa nel mio mondo fatto di tre case, tre persone, tanti incubi e tanto, immenso dolore ma soprattutto di fantasmi che avevo dimenticato che le persone tornate al 12 si stavano occupando di ricostruirlo. Le persone si stanno impegnando per creare un distretto migliore, un posto migliore in cui vivere, in cui crescere e in cui si può essere davvero felici. Dopo la rivolta Panem è cambiata. Ogni distretto continua nella sua attività principale ma il ricavato viene distribuito equamente per tutti fino ad arrivare a Capitol City, i collegamenti sono migliorati e ci si può spostare senza infrangere nessuna stupida legge. Ospedali e nuove tecnologie stanno arrivando anche qua, la corrente è tornata in modo permanente anche nel penultimo, dovrei dire ormai, distretto che per così tanto era stato dimenticato persino da Dio. 
"Si! Ieri per esempio è stato terminato il nuovo ospedale! Non è bellissimo?"
Sorrido per il suo entusiasmo, ma non posso non pensare che se Prim fosse sopravvissuta a quella maledetta rivolta avrebbe potuto lavorarci un giorno. 
-Sarebbe stata un medico eccezionale-
Cerco di nascondere il velo di tristezza che si è posato suoi miei occhi.
"Vuoi che ti prepari qualcosa?" Mi chiede Sae in tono materno. "No, grazie. Farò da me" le rispondo. Dopo di che si congeda e io resto sola. Sento il sibilio della lettere provenire dal cassetto, sento la sua forza magnetica che mi costringe a riprenderla in mano.
Mi siedo sul divano. Faccio un respiro profondo. La apro. Inizio a leggere.

Ciao Katniss,
Sono mesi che penso e ripenso continuamente a te, a come stai, a cosa fai, all'ultima volta che ci siamo visti. Avrei voluto telefonare, ma ho pensato che non sarebbe stato opportuno,così ho deciso di scriverti una lettera. Non so neanche se la leggerai, ma mi è sembrato opportuno provare perché voglio chiederti scusa. Voglio dirti ancora una volta quanto mi dispiaccia. Se solo avessi saputo lo scopo per il quale sarebbe servita quella maledettissima bomba ti posso giurare su tutto ciò che ho di più caro che non l'avrei mai costruita. Prim era un po' anche una mia sorellina, l'ho vista crescere, e ogni giorno ne sento la mancanza, ogni notte quella giornata mi tormenta. Non dico che tu debba perdonarmi, che tu debba smettere di odiarmi, ma ti chiedo solo di darmi la possibilità di parlarti. Tra circa un mese sarò spedito al dodici, spero di poter avere la possibilità di incontrarti almeno una volta.
Gale.

Vedo delle grandi gocce cadere sulla carta e rovinare l'inchiostro. Un turbinio di emozioni si impossessa di me, del mio cervello. Odio, mancanza, affetto, sollievo si fanno strada dentro di me, ma non riesco a capire quale sia quella giusta da provare in questo caso. 
La ripiego velocemente.
- Non sono pronta per vedere Gale. Non so come potrei reagire vedendolo-
Mi affaccio alla finestra, voglio guardare le rose nel giardino. 
-Prim. Mi manchi così tanto che a volte mi sembra di essere rinchiusa in un limbo-
Vedo entrare nella lunga strada del villaggio delle persone, subito il mio pensiero va a Peeta e ad Haymitch, ma mi rendo conto che non sono soli. Guardando meglio vedo che a chiacchierare al loro seguito si trova Delly. Li osservo muoversi. Haymitch e la ragazza sembrano parlare in modo animato, mentre Peeta resta lievemente più indietro, un po' scuro in volto. 
Li sento salutare il nostro ex mentore che, una volta girati i tacchi, tira fuori la fiaschetta avvicinandosi alla porta della sua casa, mentre Delly resta sul portico a parlare ancora un po' con il ragazzo del pane fino a che non entrano entrambi.
Ho bisogno di sedermi. Pensavo di essermi liberata di tutto questo ieri sera e invece mi sbagliavo. 
Torno a posare gli occhi sulla lettera e stringendola tra le mani mi abbandono ancora una volta alle lacrime.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo Decimo ***


Non so per quanto tempo sono rimasta stesa sul divano, mi sento le gambe intorpidite e gli occhi ormai sono così secchi che sbattere le palpebre fa male. Mi alzo e metto via quella lettera. Non voglio che nessuno la veda fino a che non so cosa fare. Ho bisogno di tempo per pensare.
Mi dirigo ai fornelli ma qualcuno bussa prima che possa iniziare a capire cosa preparare. Apro la porta e davanti mi ritrovo Haymitch.  Mi sorride e fa un piccolo occhiolino prima di alzare la fiascetta a mo di brindisi e dire "Sera, dolcezza!" "Ciao Haymitch". Lo lascio entrare e mi sporgo un po' per vedere se dietro di lui c'è qualcuno, ma la strada è deserta.

"Il dottor Aurelius dice che non ha ricuvuto una tua telefonata in tutto questo tempo. E' preoccupato" mi dice mentre prende posto al tavolo. Capisco che non sarò sola a cena questa sera. "Sono stata occupata" rispondo secca mentre mi appresto a preparare qualcosa che sia commestibile. Di solito le cene in comune le prepara sempre Peeta.
"A fare cosa, bambolina? A rigirarti nel letto con o senza il ragazzo della porta affianco?" Un ghigno divertito gli appare in volto. Peeta deve avergli raccontato della scorsa notte e io divento rossa, un fuoco di vergogna ma continuo a muovermi con disinvoltura per non farglielo notare. "Come mai sei qui?" Chiedo. "Compagnia. Poi volevo controllare personalmente la situazione, qua" "Oh bhe grazie per la premura!-dico ironica- come è andata oggi alla panetteria?" "Non te lo ha già detto il tuo innamorato?". Non sopporto quando insiste sulle cose. "Non l'ho proprio visto oggi". Cerco di darmi un tono naturale. "Ah no? Deve avere ancora quella ragazza tra i piedi, allora. Un po' insistente la tipa, sai?" Evito di fare domande e aspetto che lui, passati i vari commenti, risponda alla mia. "Comunque è andata. È stato difficile per lui ritornare da quelle parti, sai. Vi siete chiusi qua dentro da quando siamo tornati dal 13 e non aveva fatto i conti ancora con certe cose" e prende un lungo sorso dalla sua amica.
È vero. Ci siamo chiusi tra queste case, un po' al sicuro da tutto quello che ci poteva attaccare la mente la fuori che Peeta non era mai tornato sul luogo dove prima c'era la sua casa, la panetteria. Pensavo che mettendo delle bare, prive di corpi, nel cimitero fosse stato il suo modo per elaborare il lutto, ma mi sbagliavo. Il lutto non lo ha mai affrontato veramente. "Ha avuto episodi?" Chiedo preoccupata, dato che più di una volta, in quei momenti sono stata accusata di essere quella che li ha uccisi tutti. "Si, ma è riuscito a controllarlo". Metto in tavola quel poco di zuppa che sono riuscita a fare e iniziamo a mangiare. "Allora è stato meglio che non sia venuta" dico sorridendo, ma è un sorriso amaro. "Già, dolcezza!" E di sicuro Haymitch non è il tipo che attutisce il colpo.
"Tua madre ti ha telefonato?" Mi chiede ancora. E resto con il cucchiaio sospeso a mezz'aria. Perché mia madre dovrebbe chiamare? Dopo la morte di Prim penso si sia completamente dimenticata di avere ancora una figlia viva. "No. Perché avrebbe dovuto". La mia non è una domanda e lui lo capisce. "Ah sai che Effie mi ha telefonato l'altro giorno? Si sta riprendendo anche lei, sai come può essere drammatica a volte. Mi ha detto che passerà a trovarci appena trova un po' di tempo" cambia discorso, apprezzo il tentativo ma la mia memte vaga ancora su mia madre. 
"Haymitch devo dirti una cosa, ma devi promettermi che non lo dirai a nessuno!" Gli intimo. "Intendi che non devo dirlo a Peeta?" Annuisco poi mi precipito al cassetto e gli pianto davanti la lettera. Lo vedo leggere e poi guardarmi. Preoccupazione. Ecco cosa leggo nei suoi occhi ubriachi.
"Hai intenzione di incontrarlo?" Mi chiede e io torno a sedermi. Sento le gambe molli.
"Non lo so. Sarei così una brutta persona se non lo facessi?" Chiedo in cerca di un 'no'.
"Dipende per cosa intendi debbano fare le persone cattive per essere cattive. Nel mio mondo fanno di peggio che evitare qualcuno, dolcezza". Mi rincuora la sua risposta, ma non abbastanza da alleviare il peso della mia decisione. Sono combattuta. Ancora.
"Non dirlo a Peeta, voglio farlo io, quando sarò pronta  e quando lo vedrò stare un po' meglio".
"Capisco. Ma fallo presto. Più tempo gli mentirai più sappiamo come potrebbe reagire." Annuisco tristemente. "Dolcezza è  ora che vada. Grazie per la cena!" Dice mentre lo accompagno verso l'uscita. Ripongo la lettera nel cassetto e torno a guardare verso la casa difronte. Le luci sono spente. Non è in casa. Continuo ad osservarla fino a che non mi viene in mente il luogo dove il ragazzo del pane potrebbe trovarsi, così prendo la giacca e mi precipito fuori.
Lo vedo. Seduto per terra a fissare quelle croci fatte di legno. 
"Immaginavo di trovarti qui". Si gira a guardarmi nella fioca luce dei lampioni e mi fa un po' di posto sull'umido terreno.
"Haymitch mi ha detto che è stata dura oggi", gli dico poggiando la mia testa sulla sua spalla. "Già.  Pensavo sarebbe stato più semplice sai. Cioè i miei genitori non erano così amorevoli con me, soprattutto mia madre, ma - si blocca a riprendere fiato - sarebbe stato più facile se fossi morto nell'arena a suo tempo, Kat". Sentire quelle parole mi fa fermare il cuore. So bene quanto sia difficile avere dei genitori che non si curano di te, che non ti danno molto credito, ma lui non si rende conto di quanto sia importante per altre persone. Per me, per Haymitch, per Effie e potrei allungare la lista.
"Peeta. No. Non devi pensare questo. Ti prego" "Ci saremmo evitati così tanto. La seconda arena, la rivoluzione e tanta gente sarebbe ancora viva. Sarebbe stato più facile piangerne uno che migliaia!". Non so cosa dire così lo abbraccio. Lo stringo forte nella speranza di trasmettergli i miei pensieri, il mio bisogno di lui. 
"Andiamo a casa. Hai bisogno di riposare un poco". Gli dico e lui annuisce. Mi tiro su e lo aiuto a mettersi in piedi, la sua gamba è rigida. Troppo. Lo prendo per mano e ci dirigiamo verso l'uscita di quel cimitero occasionale, creato per le vittime dei bombardamenti. "Dormi con me stanotte?" Mi chiede. "Si. Sempre".

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo Undicesimo ***


Peeta mi conduce al piano di sopra della sua casa, passando davanti quella stanza che è tanto una calamita per me, piena di dipinti del suo subconscio. Ci mettiamo nel letto e subito sento il profumo delle sue lenzuola, un misto di cannella e agrumi,  e mi stringo ancora di più al suo petto mentre lui mi abbraccia delicatamente dopo aver nascosto per bene alla vista il suo moncherino. 
"Ti senti un po' meglio?" Chiedo stupidamente.  Come ci si può sentire meglio quando si perde qualcuno? Quando si perde la propria famiglia? Quando si perdono quelle persone, che nonostante tutto, si amano in modo incondizionato? Perché è di questo che si tratta, Peeta le amava, anzi le ama comunque incondizionatamente. Senza dire ne 'si' ne 'no' mi strinse solo un po' di più.  "Forse dormirci su aiuterà un po'." Gli dico. "Forse" mi risponde calmo.
A volte questo suo lato mi spaventa. Riesce a mantenere un controllo incredibile sulle sue emozioni che mi fa paura, dovrebbe lasciarle andare per sentirsi più libero,  invece quando è il vero sé stesso, quello che negli occhi non ha i neri segni del depistaggio non si lascia mai sfuggire una singola emozione che non mi riguardi. "Una volta una persona mi disse: ne vuoi parlare? Sai i pesi si portano meglio in due" dico, ripetendo le parole dette da lui al lago e lo sento accennare un sorriso.
"Impari in fretta! - poi lo sento prendere un grande respiro - Che vuoi che ti dica, più ci penso e più mi sento in colpa per non averli potuti aiutare, magari sarebbero ancora vivi" "Come avresti potuto farlo? Eravamo nell'arena, ricordi? E poi sei stato preso da Capitol City, non avresti potuto neanche volendo" lo rimbecco, cercando di alleviare quel peso dal petto. "Avrei potuto parlare loro prima della mietitura, avrei potuto architettare un piano di riserva nel caso qualcosa fosse andato storto, qualsiasi cosa che li avrebbe salvati" non alza la voce, ne si muove, resta solo fermo a fare congetture di qualsiasi tipo tornando indietro nel tempo. "Peeta, lo sai che non avresti potuto fare nulla, nessuno di noi. Ma almeno sei tornato a casa, da ben due arene e da una guerra, hai dimostrato a tua madre che si sbagliava su di te e sono sicura, che anche se non te l'ha mai detto è stata felice nel vederti tornare vivo." Gli dico posando un leggero bacio sul suo naso,in un gesto così tenero e spontaneo che stento anche a riconoscermi. 
Sbuffa. "Ne dubito, sai" "Io no". Lo sento cambiare posizione e lo seguo, adesso siamo viso a viso, girati sul fianco. Lo vedo guardarmi dritto negli occhi, ma non è uno sguardo indagatore, è tenero e dolce e premuroso e quasi sereno. "Grazie" mi dice in fine, posandomi un piccolo e rumoroso bacio sulla fronte. 
Rimaniamo a guardarci così per tanto tempo, senza parlare, senza toccarci, sentendo quella voglia incontrollata di andare verso l'altro ma senza cedere, soffrendo per la vicina lontananza dei nostri corpi, fino a che Morfeo non viene a trovarci. O almeno a prendermi per prima.

La notte non passa poi così tranquilla, i miei incubi tornano a farmi visita, e mi sveglio più di una volta trovando sempre le forti braccia di Peeta a darmi conforto, a stringermi e a farmi capire che non è reale. Ma anche lui non ha passato una notte buona. Lo sento gemere e muoversi a scatti  vicino il mio corpo e mi volto anche io a fare quello che fa lui, o almeno ci provo. Lo abbraccio, gli accarezzo la fronte e gli sussurro dolcemente "sssh, va tutto bene, è solo un sogno" e sembra calmarlo.
Credo di non averlo mai visto cosi visibilmente tormentato nel sonno, e mi chiedo cosa stia sognando, cosa stia rivivendo di così terribile; mi viene alla mente quello che mi ha detto riguardo alle torture impartitegli nella capitale.
Quando le luci del mattino filtrano attraverso le tende io sono già sveglia. Faccio per scendere dal letto ma qualcosa mi blocca.
"Dove vuoi scappare?" Chiede con un mezzo sorriso e un occhio ancora chiuso. È buffo e gli sorrido. 
"A casa" rispondo facendogli l'occhiolino.
Rimane in silenzio ad accarezzarmi i capelli. "Scusa se non ti ho fatto dormire stanotte, devo essere stato un po' fastidioso" "Figurati.  Per tutte le notti che non ho fatto chiudere un occhio a te" "Sai, penso di aver preso una decisione" lo guardo interrogativa perché non riesco a capire al volo di quale decisione parli. "Per la panetteria, intendo" "ah...ah si? E, quindi?" "Ho deciso che voglio risistemarla e riaprirla" dice e lo vedo più tranquillo, più sicuro rispetto alla sera precedente.  "Sei sicuro?" "Si, è una cosa in cui sono bravo, e sono sicura che loro avrebbero voluto rivederla in piedi". Sono contenta che abbia deciso di affrontare i suoi demoni interiori. Sono contenta che abbia deciso di prendere la strada più difficile per provare a guarire da questo dolore invincibile. Lo abbraccio. "Sono contenta della tua decisione!". Si stacca e si volta  a prendere la protesi appoggiata alla parete "attenta a non guardare, sto per fare una cosa schifosa" mi avverte mentre se la infila e io lo guardo con la coda dell'occhio fino a che non si tira su.
"Scendo a preparare qualcosa per la colazione, tu fai pure come fossi a casa tua". Dice prima di scendere e solo in quel momento realizzo che era la prima volta che dormivo a casa sua, che mi fermavo per più di una visita. Mi guardo intorno lentamente e vedo tutto sistemato perfettamente,  anche nel bagno, dove entro per darmi una pulita veloce, tutto è al proprio posto, gli asciugamani profumati, tutto immacolato. Esco lentamente e sento quella porta chiamarmi. Mi volto a guardarla e la vedo così sobria e invitante. Metto le mani sul pomello dorato.
- Che stai facendo? È roba privata, se te l'avesse voluta mostrare lo avrebbe già fatto-
Ma lascio scattare la maniglia e la porta si apre un po' nella mia direzione. Entro e le vedo, vedo le pareti piene di dipinti.
Alcuni davvero bellissimi, cosi rassicuranti, paesaggi, tramonti, ci sono tanti tramknti in tutte le tonalità dell'arancione. Qualcuno raffigura Haymitch alla bottiglia, qualcuno rappresenta se stesso. Come si vedesse all'interno dell'arena penso, come un bambino spaventato in alcuni e in altri così sicuro, così convinto sulla spiaggia degli Hunger Games della memoria.
Alcuni rappresentano anche me. Mi avvicino un po' per guardarli meglio.
In uno sono pronta a scoccare la freccia, sembro così sicura, così capace, cosi affascinante. 
- è così che mi vede lui?-
Un secondo dipinto rappresenta i nostri secondi giochi, quando il suo cuore si era fermato,  lo abbraccio in lacrime e nei suoi occhi c'è terrore. 
Mi assalgono i brividi al solo ricordo di quel momento. Quei dieci secondi cosi lunghi, quei dieci secondi nella consapevolezza che fosse morto. Terribili.
Ha dipinto anche Finnick, sembra un dio del mare con il suo tridente.
Mi vengono in mente cosi tanti ricordi di lui fino ad arrivare al modo orribile in cui è morto. Penso ad Annie e al piccolo Finn. E scende una lacrima. Poi una seconda. Ma le asciugo con il palmo della mano. 
Decido di andare dritta verso uno dei dipinti rigirati. Afferro la tela tremante e la volto verso di me.
Fermo il respiro.
Un indefinito animale con degli occhi umani. Li riconosco. Sono i miei.
Sono feroci. Cattivi. Soddisfatti. 
"Kat la colaz...." sento parlare Peeta alle mie spalle.  Entra nella stanza e lascio cadere la tela. Sbatto gli occhi e i residui delle lacrime scendono giù.
"Che ci fai qui?" Chiede. Ho paura di averlo fatto arrabbiare, arrabbiare davvero questa volta.
"Io...scusami, mi dispiace non sarei dovuta entrare!"
Continua a guardarmi con quell'espressione indecifrabile.
"Credo sia meglio scendere al piano di sotto". Si limita a dire con mia sorpresa, anche se contrae la mascella. Lo seguo e ci mettiamo a tavola. Ma lui non parla, e questo mi manda fuori di testa.
"Ti prego di qualcosa! Arrabbiati, urlami contro, ma non stare zitto. Mi fai sentire ancora più in colpa" sbotto alla fine. 
"Non dico niente perché non ho nulla da dire, Katniss. Al posto di entrare di nascosto avresti potuto chiedermelo! Ti avrei preparata a cosa potevi trovare".
Ha ragione, avrei potuto chiedere, ma ho dato per scontato che avrebbe detto di no.
"Scusa. Hai ragione, ma.... volevo cercare di capire cosa hai in testa quando...quando..." ma non mi escono le parole.
"Non è che non te lo voglia spiegare, ma è difficile. E mi vergogno a volte, di quello che vedo. Katniss è complicato".
Posa nel piatto il biscotto, per metà mangiato e mi prende per mano; lo seguo in silenzio.
Lo vedo dirigersi sicuro verso alcuni dipinti che volta nella mia direzione. Sono tutti occhi, animali, tutti uguali. Tutti dall'espressione cattiva, contorta, soddisfatta, maligna.
"Così ti vedo. Così è l'immagine di te che mi hanno messo in testa!".

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo Dodicesimo ***


Avrei dovuto chiedere. Sarei dovuta essere preparata. Non riesco più a vedere lucidamente; forse adesso lui mi vede esattamente con uno di quegli sguardi piantati su quei dipinti.
"Basta!  Non voglio più vederli" scoppio alla fine. Si prende un momento e poi abbassa la tela che aveva in mano. Lo vedo contrarsi e afferrare con forza i bordi del quadro. Tutto questo deve averlo stordito. Resto ferma e aspetto nella speranza che passi. E passa. È riuscito a controllarlo.
"Usciamo di qua, per favore". Non è una domanda, non è una richiesta. Usciamo e torniamo nella sua camera, mentre lui fa a rinfrescarsi il viso io mi affaccio alla finestra. Ha piovuto stanotte. Le strade sono tutte fradice. La pioggia mi mette tristezza, ed io inizio ad essere stanca di averla come amica. "Con questo tempo non credo di poter iniziare la ristrutturazione" dice una volta tornato nella stanza, ancora con lo sguardo sconvolto. "Ehm credo di no. Da quando sei esperto di costruzioni?" Chiedo. "Non lo sono, ma l'edificio è uno di quei pochi rimasti in piedi, perciò si tratta di ripulire, pitturare e Haymitch ha detto che possiamo farlo da noi" "ma ce lo vedi tu Haymitch, mezzo ubriaco, in cima ad una scala?" Sorridiamo al pensiero. "Sarà meglio per lui! Dai però le sue oche sono ancora vive, magari c'è speranza". È vero. Da quando Haymitch ha deciso di allevare quelle quattro oche mantiene il livello dell'alcol nel suo corpo più basso, per i suoi standard ovviamente. "Sai, ogni tanto mi metto alla finestra a guardarlo mentre gli dice di tutto, è davvero divertente" dice ancora e il ricordo del nostro amico comune che urla dietro a quelle povere bestioline ogni malignità possibile perché non vogliono bere del buon liquore, mi riaffiora simpaticamente alla mente. "Tu quando hai intenzione di iniziare a scrivere quel famoso libro per il quale ti sei anche fatta inviare il materiale?". Ah già!  Il libro. Avevo quasi messo da parte questa follia.
"Un giorno. Ancora non mi sento pronta a rivivere tutto" dico con un filo di voce, ma lui afferra. "Lo capisco ma ti farebbe bene. Buttare via  tutta la rabbia, la tristezza, il rancore" sorrido "A furia di parlare così spesso con il dottor Aurelius mi stai iniziando a fare lo psicologo?" "Dici? Magari se non funziona come fornaio potrei iniziare a pensare di intraprendere questa carriera" dice attirandomi a sé.  I nostri occhi si cercano e si trovano. Si guardano per lunghi attimi fino a che le nostre bocche non iniziano a desiderarsi. Sempre di più. Sempre di più. Andiamo verso il letto e ci lasciamo cadere tra le lenzuola, traboccanti di passione.

Sono poggiata al suo petto, e a coprire i nostri corpi nudi abbiamo solo il bianco lenzuolo. Peeta sta giocherellando con la mia schiena, fa piccoli disegni con le dita in modo così delicato da far venire i brividi lungo tutta la spina. 
-Credo di aver appena fatto l'amore con Peeta Mellark- 
Non so definire come mi sento in questo momento. Sono confusa, piena di emozioni, non so neanche se ero davvero pronta, solo che lo volevo così tanto. Sono ancora spezzata, ma sembra che qualcuno si stia sforzando di raccogliere i pezzi e incollarli insieme. Non so cosa dire. Ma sono felice. Non so neanche se si dice qualcosa dopo. Ma sono contenta. Non so come ci si comporta, dopo. Non sono abituata. Ma neanche lui parla. 
Sono nervosa. 
- E se sta pensando che abbiamo commesso un errore? Se pensa di aver sbagliato?-
Decido di fare il primo passo e mi avvicino al suo mento e lo bacio delicatamente. Lo vedo come tornare alla realtà e mi guarda, teneramente.
"Tutto bene?" Mi chiede. Annuisco. "Tu? Niente scatti di ira, visto?" "Per fortuna direi! Sono stato incosciente".
Faccio finta di non sentirlo, non ho voglia di ricominciare a parlare di tormenti e cose simili in questo momento. 
"Kat?" "Mm" "Ci si può innamorare di qualcuno che già si ama, ancora di più? " mi chiede. Sta parlando di me.
Non so davvero cosa dire. Ma annuisco. Non  voglio rovinare questo momento per nulla al mondo.
Tra le sue braccia non mi sento indifesa, non mi sento vulnerabile, mi sento forte e protetta. 
-Sarà questo l'amore? Sarà che avevano tutti ragione? Io sono innamorata del ragazzo del pane?-
È una domanda a cui non voglio trovare una risposta adesso. Mi stringo a lui ancora di più.  "Non voglio andare via" dico mugugnando. "Perché, avevi in mente di farlo?" Mi chiede. "Tra un po' arriva Sae a casa, non voglio che inizi a farmi mille domande" mi posa un bacio sulla fronte e allenta il suo abbraccio. "Vai!".
Scendo dal letto, nuda, alla ricerca dei miei vestiti buttati sul pavimento e Peeta mi osserva. 
Mi sento leggermente in imbarazzo, ma la cosa non mi infastidisce.
Passo dal suo lato per raccogliere la maglietta, mi vesto e filo via veloce.
Quando entro in casa Sae è gia lì,  intenta a spolverare. "Eccola che torna! Dov'eri?" Mi chiede mentre mi sfilo la giacca. "A fare una passeggiata" "con questo tempo?- mi si avvicina e mi tocca la fronte- tesoro sei tutta rossa e bollente, non è che hai preso un po' di febbre?" Mi dice e istintivamente porto la mano sul viso. Vado a fuoco. Fingo stupore e stanchezza e vado a chiudermi nel bagno, sotto la doccia. L'acqua che mi scivola sul corpo mi ricorda gli attimi appena trascorsi con Peeta. Le sue mani che accarezzano il mio corpo delicate e sicure, i suoi baci infuocati. Per una volta l'acqua mi porta bei pensieri invece che macabri ricordi sull'arena. Sarà questo l'effetto che Peeta ha su di me? Permettermi di essere serena mandando sempre più in profondità quei ricordi oscuri e fastidiosi? 
Adesso mi sento tremendamente in colpa per non aver condiviso con lui la lettera che Gale mi ha mandato. Devo prendere una decisione, alla svelta. Ma non è facile.. Gale è Gale. 
La sera a casa ho ospiti, Peeta ed Haymitch. Mangiamo tranquillamente e il tempo sembra scorrere sereno.
"Ragazzo, il bianco è il colore per le panetterie, non puoi mica sbizzarrirti su quelle pareti" dice sorseggiando il suo bicchiere di vodka. "Si ma renderla, un pochino più originale. Bianco e basta è triste". Mi alzo per sparecchiare, Peeta vorrebbe aiutarmi ma gli faccio capire che non c'è bisogno e torna alla sua discussione. Lo sento dire "fammi prendere foglio e matita e ti mostro la mia idea". Lo vedo eccitato all'idea di tuffarsi in questa nuovo avventura tanto famigliare per lui, e sono contenta. Questo lo terrà occupato per un po', e potrebbe tornargli utile con gli episodi di depistaggio. 
"Non sono riuscito a trovarli, facciamo che domani vengo da te e ne discutiamo con progetti in mano. Vorrei sbrigarmi ad iniziare questa cosa" "D'accordo! Allora io me la do! Le oche hanno bisogno di me. Notte ragazzi ed evitate di giocare troppo tra le lenzuola!" Ci urla mentre si dirige verso casa sua.
Una volta finito di sistemare vedo che Peeta è ancora seduto al tavolo, un po' scuro in volto. Mi avvicino ma è lui a parlare per primo.
"Kat, tu non mi nasconderesti mai niente, vero o falso?".
Quel gioco. Era da molto che non lo usava. Il mio primo pensiero è che stia per avere uno dei suoi momenti.
"Vero" mi affretto a dire con una punta di preoccupazione nella mia voce. Lo vedo alzarsi e posare qualcosa sul tavolo.
La riconosco subito. La lettera di Gale. Deve aver cercato qualcosa su cui scrivere nel mobile e l'ha trovata. Non dice niente. Mi guarda solo. Deluso.
E io mi gelo.
Non avevo mai visto quegli occhi cosi belli diventare due pozzi di ghiaccio.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo Tredicesimo ***


~~"Kat, tu non mi nasconderesti mai niente, vero o falso?".
 Quel gioco. Era da molto che non lo usava. Il mio primo pensiero è che stia per avere uno dei suoi momenti.
 "Vero" mi affretto a dire con una punta di preoccupazione nella mia voce. Lo vedo alzarsi e posare qualcosa sul tavolo.
 La riconosco subito. La lettera di Gale. Deve aver cercato qualcosa su cui scrivere nel mobile e l'ha trovata. Non dice niente. Mi guarda solo. Deluso.
 E io mi gelo.
 Non avevo mai visto quegli occhi cosi belli diventare due pozzi di ghiaccio.

È fermo li in silenzio che mi fissa senza muovere un muscolo. Ho paura. Ho paura di quella calma infinita dei suoi gesti che dietro nascondono una rabbia indicibile, inimmaginabile.
 "Peeta.." deglutisco.
 " Ho provato a giustificarti, nella mia testa, sai? Mi sono detto che non l'avevi letta, ma si vede che lo hai fatto" dice prendendo tra le mani lo schienale della sedia. "Volevo parlartene, ma non sapevo ancora se fosse il caso. Avevo bisogno di un po' di tempo, ma tu l'hai trovata prima" "Di tempo per cosa?" Chiede. Credo si sia calmato perché lo vedo aggrapparsi sempre meno al freddo legno.  "Per decidere,  per digerire anche solo quelle parole, ok?". Non riesco a mantenere la calma. Non gli ho raccontato della lettere ma lui non fa parte di questo lato della mia vita.
- Allora perché mi sento così tremendamente in colpa? Perché sento di averlo tradito, in qualche modo assurdo, nascondendoglielo?-
"Decidere se vederlo? Se ascoltarlo? O capire cosa provi? Il confine è sottile!".
 Colpita. E affondata.
 Ha centrato il punto così in pieno che lo sento girare e rigirare il coltello nella piaga.
 "Io...non sono affari che ti riguardano!" Dico sconcertata. Gli rispondo sempre così quando so che ha ragione, quando capisce,anche prima di me, cosa mi frulla in testa.
 Lo osservo. Arriccia il naso e sulla sua faccia si forma un'espressione costernata.
 "Non son...non sono affari miei?".
 Sta di nuovo stringendo lo schienale legnoso.
 "Forse avresti dovuto farti venire il dubbio prima di venire a letto con me!".
 Uno schiaffo,in pieno viso. Un pugno nello stomaco.
 Le sue parole, il modo stesso in cui le ha pronunciate mi fanno male come niente è riuscito a fare in questi mesi. Mi sembra di rivivere il passato. Mi sembra di avere davanti quel Peeta così freddo, così razionale. Quello che vedevo tutte le notti durante quella maledetta rivolta, quello che aveva smesso di vedermi meravigliosa. Quello che non mi amava più.
Sono stata una stronza egoista. Ho pensato solo a quanto lo desiderassi io, senza pensare quanto e cosa avrebbe significato per lui.
 Mi sento orribile. Sono orribile.
 Haymitch ha sempre avuto ragione.
 -non lo meriterei neanche se vivessi cento vite!-
 Come ho potuto lontanamente immaginare di poter contaminare con il mio grigiore il giallo splendente del dente di leone?
 Mi muovo istintivamente verso di lui ma fa cenno di restare ferma.
 "Non ha significato niente, vero?" Mi chiede.
 Altro colpo basso.
 "Io...certo che ha significato!"
 Sorride amaramente nel sentire le mie parole.
 "Ha significato come i baci nell'arena" dice.
 Forse si, forse no. Non ci ho ancora neanche pensato.
 "No!" Eppure sento questa risposta uscirmi contro ogni logica e ogni volontà. "Peeta io volevo, lo desideravo davvero, è la verità, non metterla in dubbio"
 "Non lo faccio. Metto in dubbio i motivi per cui lo hai fatto. Gale aveva ragione, tu scegli la persona che ti aiuta a sopravvivere".
 Li sento, uno dietro l'altro i colpi che danno al condannato.
 "Credo sia meglio per me andare a casa".
 Cosa? No! Non voglio che vada via, non così.
- Katniss Everdeen apri quella cavolo di bocca e digli di restare. Digli  che provi qualcosa per lui. Dillo adesso!-
Resto ferma,in silenzio. Lo guardo andare via senza muovere un dito, con le lacrime che si fanno, prepotentemente, spazio per uscire. Prendo la lettera la osservo, me la rigiro tra le mani, e con un gesto, che sembra quasi da pazza, inizio a strapparla in mille piccoli brandelli. Sempre meno di quelli in cui sento di essere io, adesso.
 Mai come adesso sento il bisogno di parlare, di parlare con qualcuno, di sfogarmi, di sentirmi dire che le cose si sistemeranno. Prendo il telefono e compongo quel numero un po' annebbiato alla vista.
 "Mamma...." dico in un sussurro.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo Quattordicesimo ***


~~Parlare con mia madre, stranamente mi ha fatto stare meglio. Un po' di rabbia e delusione sembra essersi alleggerita.
 Ma da quel giorno non l'ho più sentita tanto spesso. Sarebbe stato strano aspettarsi il contrario. Eppure ho cercato lei quando ne avevo bisogno.
 Forse sono ancora una ragazzina che cerca l'attenzione della madre, almeno una volta. Almeno una volta vorrei essere io ad appoggiarmi a lei, e non viceversa.
 È passata una settimana da quel litigio con Peeta, non parliamo da allora e la cosa mi spaventa. Ogni mattina è la stessa storia, mi alzo trascinandomi a destra e a manca per la casa senza nulla da fare, senza voglia di fare nulla. Mi affaccio costantemente alla finestra, ormai in modo meccanico, e guardo verso la sua casa. Lo vedo quando torna dai lavori alla panetteria, lo vedo alzarsi la notte, vedo le luci accendersi e spegnersi. Potrei sembrare una stalker in realtà, ma la verità è che lo faccio perché mi manca.
Ma sono cosi cocciuta da non volermi presentare alla sua porta e dirgli "scusa".
 Haymitch è preoccupato per me e tutte le sere viene a cena a casa; ogni sera mi sporgo sempre dalla porta per vedere se dietro di lui c'è qualcuno. Per sette volte la stessa frase "Dolcezza, lui non verrà". Haymitch non mi giudica, sono sicura che avrebbe piacere di dirmi la sua se una di queste sere glielo chiedessi, ma non lo faccio, mi limito solo a prendere informazioni sul mio vecchio compagno di giochi. Mi dice che i lavori vanno bene, che Peeta ha un sacco di idee, ma la frase che segue è spesso "ma non sta bene, non lo dice, ma lo vedo. Credo che sia anche un po' peggiorato" e fa segno verso la testa, come se stesse parlando di un matto.
 "E tu come stai? Vedo che te la cavi piuttosto male" bofonchia dalla bottiglia. "Sto bene.  Davvero." "Sai che l'amichetta di Peeta frequenta spesso casa Mellark?" Mi dice e io lo guardo fissa, quasi infuriata. Poi scoppia a ridere. "Calma, ragazzina! Se ti da così fastidio perché non te lo vai a prendere?".
 -Ottimo! Ci mancava solo l'ubriaco cupido!-
"Perché non devo prendermi nessuno. Sei un fissato!" "Guarda che non c'è niente di male a condividere i proprio dolori con qualcuno" dice guardando il vuoto,  come se stesse parlando anche a se stesso. E ha ragione. Non c'è nulla di male.
 "Perché lui non è più lo stesso,  non riavrò mai quel ragazzo che mi crede perfetta" sbotto, inaspettatamente.
 "E con questo? Nonostante sia diverso ti ama, cosa cambia? Ti vede per quella che sei e ti ama in ogni caso, io direi che è addirittura meglio!" Sorseggia ancora un po' di rum e la svampa si dispiega per la cucina.
 "E non dirmi che non lo ami anche tu perché arrivati ad oggi, tutta Panem sa che menti!" Continua sarcastico. 
 "Ma...la questione di Gale, è qualcosa che rimarrà sempre insospesa tra noi!" Dico esasperata, cercando l'ennesima scusa.
 "Allora devi scegliere, cara, ma devi farlo una volta per tutte" poi lo vedo alzarsi e andare verso la porta.
 -Devo davvero scegliere?-
 Haymitch ha sollevato così tanti dubbi che mi ritrovo a prendere sonno mentre la mente vola lontana.

Corro, corro velocemente.  Ansimo. Non ce la faccio più,  ma devo fare uno sforzo. Ho la medicina con me, è l'unica speranza che abbiamo per far guarire la sua gamba. Devo arrivare alla svelta. Mi butto all'interno della grotta catapulndomi al suo fianco. Lo chiamo ma non risponde. Inizio a spalmargli nervosamente la crema nel punto dello squarcio. È schifoso. Ma devo farlo perché così sono certa che guarirà. Lo guardo.  Non un gesto. Lo scuoto. Non si muove. "Peeta svegliati" inizio a dire in modo nervoso. "Svegliati!" Gli dò un forte strattone ma non mi muove. Il calore si sente venire dagli occhi, dalla testa, dalle orecchie. "No, no, no. Peeta!". Tremante di avvicino al suo petto. Ho paura. Poso il mio orecchio. Niente. Il cuore non batte.

Mi sveglio urlante. Ci metto qualche secondo per mettere a fuoco di essere nella mia stanza,  tra le lenzuola, ma la sensazione di paura, di terrore non accena a sparire. Mi alzo rapidamente e mi piazzo davanti la finestra, quella che da sul giardino; dò uno sguardo veloce alle rose e poi guardo verso la finestra in alto della casa di fronte.  La luce è accesa. mi sento sollevata. È ancora sveglio. È ancora vivo. Quel sogno mi era sembrato cosi vero; posso sentire ancora l'odore del sangue e del pus venirmi al naso. Posso sentire il viscidume della crema sotto i miei polpastrelli. Sento ancora il silenzio di tomba nel mio orecchio.
 Mi avvicino al comodino e prendo dal piccolo portagioie la perla nera e liscia  che Peeta mi ha regalato nei giochi della memoria. La stringo in mano e torno a dormire, nella speranza che mi aiuti a dormire meglio, questa notte.

-Non parliamo da così tanto che ormai ho perso il conto-
Un paio di volte ci siamo incrociati per strada, o sui rispettivi portici. Lunghe occhiate, né una parola, né un saluto.
 Quella mattina il campanello aveva suonato solo mezza volta; sono corsa giù per le scale con una tale speranza che, una volta aperto, sono rimasta imbambolata senza spiccicare un suono.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo Quindicesimo ***


~~"Katniss" fa cenno con le dita a mo di saluto ma io non rispondo. Lo guardo.
 Sembra diverso, anche se è passato meno di un anno, la trasformazione sembra incredibile.
 Sta dritto sulla schiena, spalle larghe, sembra essere più robusto, più tonico e asciutto.
 "Sei arrivato prima" dico provando a far uscire un tono distaccato.
 "Si lo so, perdonami". Restiamo in silenzio.  Lo abbiamo sempre fatto ma adesso è a dir poco imbarazzante. Non so neanche se parlare e cosa dire; non so niente.
 "Mi fai entrare o vuoi chiudermi la porta in faccia?" Continua aprendo le labbra in un sorriso di circostanza e io mi sposto un po' per farlo passare; proprio mentre sto chiudendo la porta intravedo, dall'altro lato della strada, Peeta che ci osserva dalla finestra.
 Credo se ne sia accorto perché lascia ricadere la tenda che torna a coprire il vetro. Sospiro.  Poi mi faccio coraggio ed entro in casa.
 Gli faccio cenno di accomodarsi.
 "Insomma, il 12 sta rinvigorendo!" Esclama e io annuisco. "Mia madre mi aveva accennato qualcosa ma, devo dirlo, è tutta un'altra cosa adesso, no?" "Già" rispondo un po' nostalgica e un po' come una persona che non sa argomentare granché,  le volte che sono uscita fuori da questi vialetti per andare verso il fulcro del distretto si contano sulle dita di una sola mano.
 "Il 2 com'è?" Chiedo per evitare che arrivino domande su di me.
 "Bhe si vive bene, anche se c'è ancora una piccola minoranza di seguaci della vecchia guardia. Diciamo che ho poco tempo per godermi le novità, siamo a lavoro in continuazione". "Capisco". Tra noi cala il silenzio, ancora. Sento l'aria affilata come una lama, sono certa che se mi muovessi di scatto mi taglierei. Non riesco a non pensare che tutto questo è sbagliato; è sbagliato trovarmi a casa con lui, qua dove Prim viveva una volta, è sbagliato per lei, è sbagliato per Peeta, è sbagliato per me, e allora perché in parte mi sento sollevata? Pensavo che solo vedendolo mi sarebbe venuta voglia di sbattergli la porta in faccia e invece no.
 "Katniss, tu come te la passi?".
 Ecco una delle domande che avrei voluto evitare.
-Male! Mia sorella è morta e non riesco ad andare avanti, la gente mi tratta come avessi 5 anni e mi fanno da balia tutto il giorno, tutti vanno avanti con le loro vite e io resto inchiodata su questa sedia. In testa ho solo un ammasso di fili aggrovigliato!-
 "Abbastanza bene. Sai non riesco ad abituarmi a tutte queste novità nel distretto" mi costringo a piantarmi in faccia un sorriso.
 "Ho visto la vecchia panetteria di Peeta in ristrutturazione prima, la sta riaprendo?".
 Li sento tutti i rumori degli affilati strumenti di tortura. È una tortura psicologica questa conversazione.  Si insinua in me, nei miei pensieri con queste domande fin troppo banali.
 "Si, poco tempo fa ha preso questa decisione. Lo aiuta a tenersi occupato e a mandare via qualche fantasma, forse" resto sul vago.
 "Bene mi fa piacere, vuol dire che sta meglio? Cioè intendo la sua situazione mentale e tutto il resto."
-Situazione mentale? Peeta non è pazzo o mentalmente instabile!-
"Gale cosa cerchi di dire? Peeta non è uno squilibrato!" Sbotto. Nessuno, tranne me ed Haymitch riesce a capire quanto sia difficile per lui.
 "Non volevo dire questo lo sai! Intendo con il depistaggio" "so cosa volevi dire. Parli di tutti noi in questo modo?" Chiedo acida, ma la risposta la conosco. Per i piani alti noi poveri sopravvissuti agli hunger games e a questa maledetta rivolta siamo dei pazzi pericolosi con istinti omicidi.
 "Katniss non volevo dire questo, lo sai"
 "Gale ho davvero voglia di restare sola, potresti andare per favore?"chiedo con una cortesia animalesca. E lo fa. Non so se ci rivedremo, ma adesso non riesco neanche più a pensare a questa ipotesi.
-Voglio andare a fare una lunga, lunghissima passeggiata nei boschi, forse aiuterà a smaltire la rabbia-
Esco e sul vialetto incontro Peeta.
 "Ciao!" Dico senza pensarci troppo. Mi esce un po' stridulo, più del dovuto, e mi incammino a passo svelto verso di lui, così non potrà defilarsi in fretta.
 "Ciao" e a quel saluto così distinto penso di aver fatto una mossa azzardata.
 "Dove stavi andando?" "Alla panetteria.-fa un secondo o più di silenzio-  tu?" "Boschi".
 Non pensavo che un clima simile, così gelido, potesse mai crearsi tra di noi. Vorrei supplicarlo di non comportarsi così,  vorrei dirgli quanto mi manca.
 "Ho visto Gale prima. È già arrivato, allora" non è una domanda, una semplice affermazione detta con voce flebile.
 "Già" "le cose tra voi, insomma le avete sistemate?" Cosa intende? Forse parla della nostra amicizia.
 "La conversazione più stupida del mondo è finita male. Dubito possiamo tornare come prima" "Perché?" Lo chiede come se fosse davvero interessato a questo rapporto. "Non ci capiamo più.  Non riesce a mettersi nei miei, nei nostri, panni. Mi sento giudicata" "Te l'ha detto lui o lo deduci tu?" "Bhe, non è che certe cose si dicono" abbozza un lieve sorriso. "Bhe, ti ha dato dello squilibrato prima" gli dico dal momento che lo vedo divertito. "Non ha tutti i torti. Come definiresti qualcuno che litiga con se stesso e va in giro urlando di voler uccidere qualcuno?" Sta ancora sorridendo. La tensione si è un po' sciolta ma l'argomento non mi piace.  Perché da ragione a Gale? Lui dovrebbe essere contento di non averlo tra i piedi.
 "Peeta lo sai che se fosse per te non lo faresti" "si ma la realtà è questa. Inutile nasconderla. Adesso sono uno svitato, come Haymitch era l'ubriacone per tutti questi anni. Non mi vergogno ad ammetterlo e non dovresti neanche tu".
 Non è un rimprovero. È una frase semplice e forte. È la verità.
 Siamo svitati!
 "scusa ma devo proprio andare" dice riportandomi alla realtà,  la realtà quella in cui non ci parliamo, quella in cui Peeta mi sta lontano.
 La delusione mi si legge in viso, credo, perché lui assume quell'espressione di qualcuno che vorrebbe dire qualcosa, ma non lo fa.
 "Non mi parlerai di nuovo?" Chiedo tremante, ricacciando indietro la voglia di accarezzargli il viso.
 "Katniss" si limita a dire scrollando la testa. È la prima volta che lo vedo senza parole. Lo lascio allontanare senza aggiungere altro.
 Corro verso i boschi, la vista annebbiata. Appena entro nel verde mi lascio cadere a terra senza fiato, liberando le lacrime che stavo tenendo in gabbia.
 Una mano mi sfiora la spalla. Alzo il viso e lo vedo. L'ultima persona al mondo che vorrei mi vedesse così è davanti a me.
 Ci guardiamo per qualche istante poi lo abbraccio.
 "Catnip". Esclama sorpreso dal mio gesto.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo Sedicesimo ***


~~Restiamo abbracciati per un poco. Lui non chiede nulla, io non parlo, mi lascio semplicemente accarezzare la testa, un po'come si fa con i cani, ma mi sento al sicuro.
 Forse tutto questo è un brutto sogno, deve esserlo.
 "Che succede, Kat?" mi chiede.
 "Non ho voglia di parlarne" rispondo secca, ma Gale non è il tipo che lascia stare facilmente.
 "È per quello che ho detto prima?" Chiede con cautela. "Non proprio"  "È per Peeta,vero?".
-Perché sono cosi prevedibile?-
Annuisco piano rimanendo incollata alla sua camicia, e lo sento stringermi di più.
 "Perché ti fai questo?" Lo sento dire ma non capisco a cosa si riferisce. Mi scosto per guardarlo in faccia, vorrei decifrare la sua espressione ma non ho molto successo. "Perché vuoi tirare fuori da lui una persona che non c'è più? Ti fai solo del male". Sono così stordita da quelle parole che mi ci vuole un po' per elaborarle per bene. "Lui c'è!" "Sei tu che vuoi disperatamente vederlo! Perché non riesci a capire quanto sia sbagliato per te?".
 Non riesco davvero a capire dove voglia andare a parare. Questa conversazione ha preso una brutta piega, ma come al solito sono io ad averlo incoraggiato.
 "Non credo tu sia nella posizione di poter giudicare! Non mi sembra che di dolore tu me ne abbia causato poco, anzi!" Esplodo, riferendomi a mia sorella, ovviamente.  La sua espressione però si fa più dura, tanto che stento a riconoscere quel ragazzo che veniva a caccia con me.
 "Questa è un'altra storia! E non so quanto altro dovrò scusarmi, colpevolizzarmi e mettermi in croce per avere davvero il tuo perdono".
 Non si può avere perdono per una cosa del genere, non si può perdonare a cuor leggero chi, forse, ha ucciso tua sorella, ma non ho il tempo di replicare perché sento qualcosa di umido farsi strada tra le mie labbra.
 -Gale mi sta baciando!-
 Un bacio veloce e quasi neanche ricambiato.
 "Katniss, io sono tornato per te" mi dice prima di andare via.
 Il ritorno verso casa è vuoto di immagini, di saluti, di persone, l'unica cosa che mi fa compagnia è il pesiero di Gale che mi bacia. Le sue labbra erano ruvide e fredde, molto diverse da quelle che ricordavo; un bacio prepotente e veloce, completamente diverso da quelli soffici e delicati di Peeta.
 Mi tocco le labbra e non sono certa di cosa stia provando, un tremore, ma non distinguo se è passione o ribrezzo.
 Arrivo davanti la porta di casa mia, incerta su cosa fare, se entrare o rimanere la fuori a riflettere ancora, a capire, o magari andare da Haymitch, potrebbe meravigliarmi con qualche consiglio dettato dalla saggezza che gli esce fuori grazie alla bottiglia.
 Opto per quest'ultima soluzione e mi incammino verso casa sua, ma non è alla sua porta che mi ritrovo a bussare.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo Diciassettesimo ***


~~Poggio, violentemente, più volte le nocche sulla grande porta di casa di Peeta.
-Forse è meglio andare via, non è stata una grande idea-  mi ripeto in quei pochi istanti di silenzio che ci sono prima che venga ad aprire la porta.
 "Hey" mi dice rimanendo sulla soglia.
 "Ehm ciao!".
 -Sono pietosa! Parla, accidenti!-
 "Tutto bene?" Mi chiede, dal momento che resto in silenzio.
 "No, tutto bene. Tu?" "Eh, non mi lamento". La sua espressione è strana, di quelle che gli compaiono in viso quando è divertito e sorpreso al contempo.
 "Bene" dico.
 -Katniss Everdeen sei un idiota!-
 "Vuoi entrare?" Mi chiede all'improvviso, interrompendo il flusso di maleparole che mi sto dicendo nella mente. Annuisco e lo seguo.
Entrare in casa sua adesso mi sembra strano, mi sento un po' come se lo facessi per la prima volta. Non so bene in quale stanza andare, dove mettere i piedi. Mi fa cenno di accomodarmi in soggiorno e lo faccio.
Non avevo mai fatto caso a quanto la sua casa fosse spoglia, priva di tutti quei gingilli che di solito usano le madri per renderla accogliente; niente foto, neanche ora per onorare la sua famiglia. Il fuoco è acceso, anche se a breve arriverà la primavera, la sera è ancora piuttosto freddo; specialmente in una casa grande, come questa, dove vive una sola persona . Il mio girovagare con gli occhi, e con la mente, viene interrotto dal ritorno di Peeta. Poggia sul tavolino un vassoio con delle tazze e qualche biscotto, da lui decorato ovviamente e un  paio di foccaccine alla cannella. Abbozzo un sorriso prima di metterne in bocca una.
"Ah scusa, certe abitudini sono dure a morire" "Non voglio che muoiano" dico dopo aver ingoiato velocemente.
 Adesso è lui a sorridere, ma qualcosa non mi piace, sembra essere malinconico.
 "A cosa devo l'onore di questa visita?" Chiede. "Ecco io...mi manchi" riesco a dire a bassa voce, come se ci fosse qualcosa di cui vergognarmi. Sento il suo sguardo, lo sento pesare così tanto sulla testa che non voglio alzare il viso per vedere la sua reazione, per vedere la sua espressione. Striscia sul tessuto del divano per venire più vicino a me. Mi tira su il mento con due dita, e adesso i miei occhi stanno annegando in quell'oceano celeste. "Mi manchi anche tu" lo sento dire e trattengo il fiato per un momento. "Ma sai come la penso. Non voglio forzarti a stare con me, dunque mi accontento di quello che puoi darmi, qualsiasi cosa sia".
I nostri occhi sono ancora incollati e sento le sue parole arrivare un po' in ritardo alle mie orecchie. È l'ultima persona al mondo che mi abbia mai forzato a fare qualcosa, tranne vivere e di questo gliene sono immensamente grata.
Appoggio le mie labbra sulle sue e le ritiro via velocemente. Continua a guardarmi incuriosito.
 Nonostante sia stato così fugace, sento l'incontrollabile desiderio di toccarle ancora, di baciarle ancora, di volerle ovunque sul mio corpo, e realizzo; che poco fa con Gale non è stata la stessa cosa. Torno a posare la mia bocca sulla sua ma questa volta incontro la sua volontà di fare altrettanto. Un bacio lungo, un bacio atteso, un bacio tanto desiderato, questo. Da entrambi.  Posso sentirlo. Peeta si stacca e io boccheggio un po' alla ricerca della mia droga preferita.
"Katniss, che stai facendo? Giochi sporco lo sai?" Dice divertito ma, allo stesso tempo, alla ricerca di una vera risposta.
- Adesso o mai più!  Sii sincera una volta- mi dico.
 Prendo la sua mano vicino la mia coscia e la stringo forte tra le mie.
 "Ricordi cosa ti dissi sulla spiaggia?" "A cosa ti riferisci? Abbiamo detto e fatto tante cose su quella spiaggia!" Dice maliziosamente, ricordando. "Che tu dovevi vivere, per la tua famiglia" prosegue. "E poi?" "Mi hai chiesto perché io non volevo vivere e ho detto perché nessuno aveva bisogno di me" "Esatto. Sai non avrei mai immaginato che saremmo usciti di nuovo da li tutti e due, non era questo il mio piano, io sarei dovuta morire salvando te." "Entrambi avevamo aspettative diverse." "Ma quando ti ho detto che per me eri necessario, che io avevo bisogno di te, dicevo la verità." Lo dico con una dolcezza che non sapevo neanche di avere e Peeta mi stringe la mano. "Adesso siamo vivi tutti e due e io ho ancora bisogno di te. Ho bisogno di te, e forse Gale aveva ragione a dire che avrei scelto quello che è indispensabile per la mia sopravvivenza, perché, per me, tu sei indispensabile Peeta!"quasi urlo quelle ultime, poche ma così significative parole e mi tuffo tra le sue braccia. Lo sento stringermi, baciarmi la testa tra i capelli, ma voglio finire tutto quello che ho da dire, adesso.
 "Sei indispensabile non per la mia sopravvivenza ma lo sei per vivere! Quando sono con te - dico tra i singhiozzi - mi sembra di avere una speranza, di meritare anche noi qualcosa di meglio, dopo tutto questo" "Shhhh". Lo sento prendermi il viso tra le mani.
 "Katniss Everdeen,  lo sai che ti amo?" Chiede, quasi come se ce ne fosse bisogno, ma annuisco uguale.
In quel momento sparisce tutto, sparisce qualsiasi cosa che non sia noi due, sparisce persino il senso di colpa per quel bacio con Gale di poco prima.
 Peeta mi tira a sé e torna a baciarmi, dolce come sempre.
 Ho una fame indescrivibile di lui, ho una voglia di matta di sentirmi completa. Ogni suo tocco sul mio corpo brucia, ogni suo bacio mi fa tremare e da dentro sento salire un calore che si diffonde. Lo voglio, lo voglio così tanto che non riesco ad aspettare ancora.
 La notte la passiamo così,  amandoci una o più volte perdendo la consapevolezza di cosa ci sia fuori dalla nostra porta.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo Diciottesimo ***


~~La mattina, quando la stanza viene inondata dai deboli raggi del sole, io sono appoggiata al petto, così solido, di Peeta. Mi giro per guardarlo dormire ma lui è già sveglio. "Buongiorno" mi sussurra. Vorrebbe muoversi ma il peso del mio corpo sul suo impedisce qualsiasi movimento dolce. "Buongiorno" rispondo. Entrambi sorridiamo. Le mie guance sono un po' accaldate, ma credo che questo non cambierà mai.
 "È un po' scomodo questo divano, lo sai?" Mi ritrovo a dire mentre cerco una posizione, più o meno, comoda ad entrambi.  "Ah si?" Dice poco prima di iniziare a farmi il solletico; muovendoci e ridendo cadiamo entrambi a terra.
 Mi guarda, mi accarezza una guancia.
"Non sai quanto ho sognato questo momento, Kat" mi dice alla fine.
 "Non sai quanto voglio che durino, questi momenti" mi ritrovo a dire, stupendomi di me stessa. Non so come faccia, ma Peeta Mellark fa uscire la parte migliore di me, quella che neanche sapevo di avere, una parte di me sepolta che credevo morta per sempre. Mi tira più vicino a sé e mi studia; passa delicatamente i polpastrelli sui lineamenti del mio viso, è come se fosse incantato. Mi ritrovo a guardarlo meglio, così vicini ma senza incollarci in un bacio, il suo viso ha un'espressione dolce, ma la mascella resta tirata, tesa; un sopracciglio ha una lunga cicatrice, come la guancia sinistra, dove passano piccole linee biancastre. I segni di chi eravamo, di chi siamo adesso e di cosa resta di noi. Peeta è l'emblema perfetto di ciò che era solita fare Capitol City a chi sopravviveva, a chi disobbediva ai tempi di Snow. Ti toglieva tutto, la speranza, la vita, la famiglia, la tua città e infine te stesso.  Sono grata che lui, invece, sia riuscito a non lasciarsi trasportare dove volevano loro, sono contenta che lui continui a lottare ogni giorno per far tornare se stesso. È così forte, così buono che per me è lui il nostro eroe,  non io, la ragazzina arrabbiata, ma lui.
 "Katniss" vengo distratta dai miei pensieri adulanti, mugugnando di risposta.
 "Tu mi ami, vero o falso?" Mi chiede.  Mi ci vogliono un paio di secondi per capire ma poi, passando una mano tra i suoi capelli biondi,  rispondo "Vero".
 Adesso i nostri occhi che si studiavano a vicenda,  passano a studiare le nostre bocche, che si vogliono, che si rincorrono e acchiappano con naturalezza.
 - E' vero, io amo Peeta Mellark!-
 "Sapevo che prima o poi ti saresti innamorata di me!" Dice ironico. Mi sporgo un po' di più verso di lui, fingendo un'espressione indignata. "Ah si? E cosa te lo faceva pensare?". Lo sento ridere.
 La sua risata, così bella e musicale, così contaggiosa. "Perché eravamo destinati, semplice!", lo dice come se fosse la cosa più ovvia del mondo, e nonostante non sia una che crede in queste cose, un piccolo dubbio che possa essere vero, si insinua in me.
 "Non devi andare via, vero?" Gli chiedo quando lo vedo poggiarsi sui gomiti.
 "Purtroppo si. Dobbiamo terminare alcune cose con Haymitch alla panetteria. Ah dimenticavo, è quasi finita, la prossima settimana pensavamo di inaugurare" dice radioso. "Davvero? Ma siete stati velocissimi!" "Diciamo che ultimamente non avevo molto altro da fare e mi ci sono dedicato, completamente". So bene che si riferisce al fatto che non ci parlavamo e all'arrivo di Gale.
 Gale. Ecco che torna il senso di colpa; le labbra scottano a quel pensiero e sento l'irrefrenabile desiderio di andare a sciacquarle per togliere via ogni residuo di lui su di loro. Devo dirlo a Peeta, ma come? Come posso dirgli,  proprio ora, che ieri ho baciato il suo più antico rivale, di nuovo? Ma se non glielo dico sarà peggio,  lo conosco, lui è per la sincerità, qualunque sia la verità. Ma non posso farlo adesso, non voglio rovinare questo bellissimo momento.
 Ci alziamo e mentre Peeta è di sopra a fare una doccia, io mi cimento ai fornelli in una colazione non troppo letale; è stato contento del mio gesto che voleva essere semplicemente tenero. Mangiamo e anche se con grande dispiacere lo saluto, guardandolo andare via insieme al nostro, non più troppo ubriacone, amico Haymitch.
 Incamminandomi verso casa trovo della posta nella buca delle lettere. Prendo il contenuto e leggendo il mio nome a caratteri cubitali su una lettera bianco latte, sorrido.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo Diciannovesimo ***


~~La giornata è trascorsa in modo tranquillo; nei boschi nessun tributo morto è tornato a farmi visita sotto spoglie animali. Ho cacciato, ho portato della carne fresca a Sae la Zozza che si era preoccupata, non trovandomi a casa, questa mattina. Avevo voglia di passare in panetteria, vedere come stava venendo;cuoriosa di vedere Haymitch al lavoro piuttosto che attaccato alle  bottiglie di liquore, ma forse non era il caso,  voglio che sia Peeta a dirmi che se la sente di vedermi la dove c'era la sua famiglia, prepararlo ad un eventuale nuovo episodio piuttosto che piombare lì all'improvviso.
Ho cercato di evitare accuratamente casa di Hazelle e tutti i posti dove sarei potuta imbattermi in Gale; se dovessi vederlo ora non so come potrei reagire e non voglio tornare nello sconforto proprio adesso che inizio a vedere una piccola luce alla fine di questo tunnel orrendo che dura da anni. Sono certa che tornerei a tormentarmi per quel bacio maledetto e finirei per raccontare tutto a Peeta.
 -Ora non mi va-
 È giusto assaporare, anche per me, un po' di felicità.
 Quando sento bussare alla mia porta è più o meno l'ora di cena.
 Sulla soglia mi ritrovo i miei due unici complici in questo spoglio villaggio, dove nessun'altro, oltre noi, ha il coraggio di metter radici.
 "Siamo venuti a scroccare la cena, dolcezza!" Dice Haymitch alzando la bottiglia nella mia direzione.
 "Ma ti prego lascia cucinare il ragazzo! Non mi ha ucciso l'alcol fino ad ora ma tu potresti andarci vicino". Bofonchia andandosi a sedere in cucina. Io e Peeta restiamo sulla porta, imbarazzati. Non so come si faccia, non so come funzioni una coppia; bisogna salutarsi con un ciao, con un gesto, non ne ho idea.
 Ma mentre pensavo a quale mossa era meglio fare lui si sporge verso di me, poggiandomi un leggerissimo bacio sulle labbra, lasciandomi imbambolata.
 "Come è andata la giornata?" Chiede mentre si toglie il giaccone per appenderlo. "Bene. Ho cacciato un po'"
 "Uh, carne fresca per stasera, allora" "Non ne ho riportata molta a casa, la maggior parte l'ho data a Sae la Zozza". Faccio una piccola smorfia. "Tranquilla, con qualcosa in dispensa mi arrangeró, non morirete di fame!" Dice con tono allegro mentre a passo svelto e sicuro si dirige verso la cucina.
 Lo osservo mentre si districa tra le pentole e parla con Haymitch. Mi sembra di vivere uno di quei tanti sogni che facevo quando ero bambina, quelli tutti pieni di amore e gioia; che era tutto ciò che desideravo, un tempo.
 "Io stavo pensando che potremmo inaugurare nel fine settimana, e iniziare con l'attività il lunedi" dice Peeta, rivolto più al suo amico che a me, portando i nostri piatti a tavola. "Mancano ancora due giorni a sabato e non è rimasto granché da fare. Si dai, possiamo farcela" gli risponde mettendo in bocca una quantità sproporzionata di carne. 
È bello assistere a delle conversazioni che con trattino di come trovare un rifugio, fare trappole, uccidere delle persone, o più recentemente di farmaci e terapie consigliate. Sorrido e inizio a mangiare anche io.
 "Insomma, tra voi due che sta succedendo?" Dice Haymitch passando,ripetutamente, con la forchetta dall'uno all'altra.  "Cosa intendi?" Chiede Peeta, lievemente in imbarazzo.  "Ho passato le ultime settimane a dividermi tra il ragazzo ferito qua-indicando Peeta- e la ragazza scema -indicando me- da quest'altro lato" "Hey!" Lo rimbecco,  ovviamente offesa per le parole appena usate.
 "Dolcezza, come chiameresti qualcuno che sta qui, a chiedermi tutti i giorni come sta il tipo dall'altro lato della strada, solo perché ha troppa paura di andare a chiederlo di persona?". Vedo Peeta ridere e gli dò una gomitata.
 "Tu dovresti difendermi" gli dico a bassa voce, ma non così tanto dato che Haymitch mi sente e si pianta sul viso quell' espressione divertita che mi da sui nervi. "Scusa, è che ha ragione!" Scoppia nuovamente a ridere, guardandomi. "Questa te la farò pagare!" Rispondo, sciogliendomi un po'. Abbassare la difesa non mi è facile, non sono abituata a questo clima giococso attorno ad un tavolo. Le uniche battute che ci siamo mai scambiati erano sempre dovute a questioni di vita o di morte, per via degli Hunger Games.
 "Attento ragazzo!",questa volta rido anch' io assieme a loro.
 "Haymitch smettila, potrei inforchettarti!" "No, dico davvero. Adesso state insieme o cose simili?" Questa volta è serio, vuole davvero sapere come vanno le cose tra noi. Cala il silenzio. Peeta mi guarda, come se non volesse dire niente senza avere prima il mio permesso.
 -Sono paonazza, sono certa!-
 Deglutisco.  "Pare che stiamo insieme, no?" Riesco a dire, chiedendo un piccolo aiuto a Peeta.
 Haymitch batte il pugno sul tavolo urlando un "Lo sapevo!", tutto su di giri.
 A quanto pare tutti sapevano che sarebbe finita cosi, tranne me.
 "Ah comunque, stavo per dimenticarmi di dirvi che oggi è arrivata una lettera di Effie". Cerco di cambiare discorso; l'attenzione su di me è stata fin troppa in questi pochi minuti.
 "Ah si? Eh cosa vuole? - tira un sorso - mandarci nuove parrucche?" Chiede Haymitch. Ridiamo.
Povera Effie,tra loro c'è sempre stato questa specie di odio- amore, ma credo che, dopo tutti questi anni, abbiano imparato a volersi bene reciprocamente; anche perché volere bene ad Haymitch non è cosa facile!
 "No! Ha detto che viene a trovarci questo fine settimana" "Bene! Anche in tempo per l'inaugurazione" sento il nostro ex mentore fare il verso a Peeta, a volte il suo entusiasmo per le piccole cose lo stranisce, è fatto così.
 Una volta salutato l'allevatore di oche, Peeta rimane per aiutarmi a sistemare.  Restiamo in silenzio, non uno di quelli imbarazzanti e sconvenienti, fino a quando non lo sento cingermi la vita.
 "Ho una voglia matta di rimanere con te, stanotte" mi soffia queste parole sulla pelle delicata del collo, e un brivido si impossessa di me. "Resta" rispondo appoggiandomi sulla sua spalla. Ho una voglia incontenibile di toccarlo, di sentire la sua pelle vicino la mia, di sentire il suo odore, così buono, così inebriante.
 Mi schiocca un bacio sulla tempia. "Non posso, devo andare". Protesto, ma non più di tanto. So che se gli fosse stato possibile sarebbe rimasto, più che volentieri. Lo accompagno alla porta e lo saluto con un lungo bacio, mettendoci tutto il tempo che serve per assaporarlo. "Buonanotte" mi dice prima di staccarsi definitivamente. Lo guardo dirigersi verso casa ed entrarvici.
 Fuori fa fresco e rabbrividisco al passaggio di una folata di vento. Mi guardo intorno e noto un'ombra poco prima l'ingresso del villaggio; con il buio non riesco a capire chi sia, non ne distinguo bene i contorni da così lontano, ma resta immobile. Mi si accappona leggermente la pelle e rientro in casa, senza sapere se quell'ombra sia ancora lì fuori o se sia tornata da dove era venuta.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo Ventesimo ***


~~Quando i raggi del sole entrano nella mia stanza per darmi il buongiorno, io sono già sveglia.
 La notte non è passata tranquilla come speravo. Oltre agli incubi è tornato, in modo piuttosto  insistente, il ricordo del bacio di Gale.
Tenere questo discorso in sospeso non mi fa stare tranquilla, temo che Peeta possa scoprirlo prima ancora che abbia modo di parlargliene. Ma il  problema è che ho paura.
La paura è l’unico motivo per cui mi tengo la lingua annodata;  mi sto rendendo conto che, quando si ama qualcuno, si ha sempre qualcosa da perdere.
- E, io ho paura di perdere Peeta, una volta raccontato tutto. -
È un pensiero costante.
- Ma che dici, Katniss! Peeta ti perdonerebbe. Lui capirebbe! -
E se invece non capisse? Se non capisse...
Non riesco ad indugiare oltre con questi pensieri; decido di alzarmi e buttarmi sotto la doccia per lavarli via. Sentire l’acqua scivolare sulla mia pelle mi fa immaginare che, per almeno quindici minuti, posso essere diversa.
Al suono del campanello mi catapulto di sotto per  aprire, nella speranza che sia proprio il mio ragazzo del pane. Solo il suo sorriso può tranquillizzarmi, in questo momento.
E con immensa gioia realizzo che è proprio lui, sul portico. Mi guarda.
"Ehm, apri la porta sempre così?" Mi dice arricciando un po' il naso, ma io non capisco di cosa stia parlando fino a che, abbassando lo sguardo,  noto di essere in accappatoio.
- Non mi sono mai vergognata tanto, in vita mia -
Arrossisco, inevitabilmente.
"Oh che vergogna! Vado a mettere qualcosa addosso, tu entra!"  gli urlo dalla tromba delle scale.
Quando scendo lo vedo lì,  appoggiato al tavolo, un po' pensieroso, un po' annoiato, ma nel vedermi si apre in un sorriso radioso, uno di quelli che mi scioglie, quasi fossi un gelato sotto il sole.
"Meglio così, no?" Gli dico. "Mah, a me andava bene anche prima". Il suo tono è malizioso, ma non si avvicina a me, non mi bacia, come invece speravo.
"Colazione?" Mi dice mostrando i piatti pieni di leccornie che non avevo notato, dietro di lui.  Annuisco. Non so se è lui ad essere diverso o sono io.  O magari sono solo le sensazioni lasciatemi dai miei pensieri.
"Allora, posso aiutarti in qualcosa?" Dico infilandomi in bocca un biscotto ricoperto di zucchero a velo. "In panetteria, intendi?", annuisco continuando a masticare. Lo vedo sgranare un po' gli occhi per tornare ad aggrottare la fronte; già  intuisco quale sarà la sua risposta.
"Non serve, davvero. Abbiamo tutto sotto controllo." Mi fa un sorriso, ma è tirato.
"Non vuoi che venga lì, vero?" Chiedo senza fare troppi giri di parole. Posa il biscotto che aveva in mano sul bordo del piatto e si prepara ad un lungo discorso, posso sentirlo già nell'aria.
"Kat, io vorrei farti entrare in panetteria, credimi, ma.." lo interrompo usando un tono piuttosto apatico "...ma non sai cosa potrebbe succedere".  Monta su quell'espressione così innocente, quella di quando non si vorrebbe ferire nessuno, ma lo si fa.
"Katniss, voglio essere prima sicuro che stare vicini non comporti nessun rischio." È per questo che stanotte sei andato via?" "Stiamo davvero discutendo sul fatto che non voglio ucciderti?" Dice scioccato, sorpreso, preoccupato, allarmato e quant'altro.  Il suo viso è una fotografia, momentanea, di mille emozioni.
"Si, perché pensavo non ci fosse motivo di tornare sull'argomento.  Che fosse un problema risolto!".
A fine frase butto il biscotto nel piatto con un gesto deciso, e torno a piantare i miei occhi, duri, nei suoi. Questa volta senza perdermici, senza indugiare su di loro.
"O mio Dio! Katniss, sei seria?" "Credevo avessi capito che non credo tu possa farmi un bel niente!". Sono esasperata.
"Ma non sei tu a dover avere paura, basto io per entrambi, credimi!" "Sai che ti dico? Dillo tu ad Effie che non ci vedremo all'inaugurazione sabato" gli dico prima di alzarmi e filare verso la mia stanza senza dargli modo di replicare.
Solo quando sento la porta di ingresso chiudersi,  decido di tornare al piano di sotto.
Prima di andarsene, Peeta ha sistemato la cucina;  ha messo via i piatti inutilizzati e riempito una ciotola con i biscotti che aveva portato. Ci affondo la mano e ne prendo uno. Lo osservo. È perfettamente compatto, l'odore che emana istiga a portarlo alla bocca, esito un po', ma poi cedo.  Lo mastico con una brutalità tale da farmi immaginare di avere tra le mani il ragazzo innamorato.
Non riesco a capire perché non mi debba mai dare ascolto, perché debba fare di testa sua anche se gli dico che non ho nessuna paura.
 Perché deve costringermi a non sopportarlo?
- Forse hai un po' esagerato, Katniss -
No! Non ho esagerato per niente! Non può decidere anche per me!
Non sono una bambina, sono in grado di pensare e decidere da sola, e io ho deciso di fregarmene dei suoi istinti omicidi.
- Basta! –
Prendo la giacca di mio padre, ed esco di casa.
Ho bisogno di rilassarmi.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo Ventunesimo ***


~~Tornata a casa la prima cosa che faccio è mettermi a mollo. Non è stata una bellissima giornata, nemmeno nei boschi. Sono rimasta sdraiata a riflettere per ore, dopo aver mancato ogni tentativo di racimolare un po' di carne fresca per la cena.
A volte perdo il controllo quando si parla del problema di Peeta. Mi fa rabbia il fatto che lui pensi di essere più debole di tutto ciò che gli accade, ma non è così; sta imparando a controllarsi molto bene, è solo che la paura è più forte. Lo capisco. Anche per me è la stessa cosa.
- Se solo Peeta riuscisse a vedere in se stesso, quella forza che vedo io in lui!–
Provando a mettere da parte questi pensieri, mi lascio avvolgere dalla schiuma nella vasca.

Mi guardo intorno. Non riesco a capire dove mi trovo. Sono circondata dall’acqua.
“Katniss” sento il mio nome, ma non vedo nessun’altro, oltre me.
“Katniss” sembra un richiamo disperato.
L’agitazione mi si contorce nello stomaco. Riconosco la voce. Inizio a correre.
Ogni strada non porta da nessun’altra parte tranne che all’acqua.
Giro. Giro su me stessa più e più volte. Non ci sono alberi, almeno non più.
Lo vedo in lontananza. Un corpo che fuoriesce dal mare. Inizio a correre.
Mi inzuppo. Faccio fatica a mantenere un passo svelto, ma proseguo.
Mi tuffo nell’acqua, a due passi dal corpo. 
Lo afferro. Lo giro.

Mi sveglio di scatto, urlante.
Respiro. Respiro sempre più in modo affannato.
E’ solo un maledetto incubo ma io non riesco mai a distinguerli dalla realtà.
Il corpo di Finnick, viola tra le mie mani, sembrava così vero, sembrava avere un peso. Sembrava reale.
Ma non lo era.
Mi risciacquo velocemente e vado nella mia stanza.
Sognare Finnick ha fatto tornare a galla mille ricordi; soprattutto mi ha fatto tornare in mente il modo orribile in cui è morto.
Prendo il telefono che ho sul comodino, indecisa se premere i numeri o meno. 
- Non posso chiamare Annie. –
Per fortuna vengo ridestata dai miei pensieri dal suono del campanello.
Apro la porta  lentamente, un po’ timorosa a dirla tutta.
“Ciao”. Non dice altro, resta fermo ad aspettare che risponda. Ma io non dico niente.
“Mi fai entrare?”. Gli faccio spazio e lo lascio passare.
Il mio battito è irregolare.
“Peeta-  dico senza lasciargli  il tempo di  poter replicare - scusa per questa mattina” mi esce  tutto d’un fiato, prima ancora che si giri a guardarmi.
Esita un po’ ma poi si volta nella mia direzione.
“So che ho esagerato. Capisco le tue paure, ma..” si avvicina a me per  prendere la mia mano che, delicatamente, si porta alla bocca. La bacia.
“Scusami tu, ho alzato la voce e non avrei dovuto. Solo che quando si tratta di te, divento così protettivo”.
“Me ne sono resa conto, molto tempo fa!” gli dico accarezzando quei riccioli biondi che sporgono da sopra un orecchio.
Mi poggia un tenero bacio sulla fronte prima di sussurrarmi qualcosa.
“Vorrei che venissi con me, adesso”  “Dove?” chiedo in modo talmente ingenuo da sembrare una bambina.
Scuote la testa e, prendendo la mia mano, mi fa strada fuori casa.
Camminiamo per un po’, attraversiamo il villaggio fino ad uscire fuori dai nostri vialetti. Mi guardo intorno. L’illuminazione notturna  è davvero migliorata da quando siamo tornati, girare per le strade del 12 di notte non è più un fare clandestino, è concesso, e molti bar restano aperti fino a tardi per consentire alle persone di incontrarsi fuori casa dopo l’orario di cena. Inizia a piacermi questa nuova facciata del 12, anche se è molto diverso da quello che consideravo casa, ma infondo quello che desideravo era qualcosa di simile; poter vivere in modo dignitoso anche qui, nell’ultimo distretto di Panem; avere una vita che non fosse l’estremo opposto di  quella dei cittadini di Capitol. Attraversiamo interamente quello che una volta era il giacimento e ci ritroviamo nella piazza centrale. È stata costruita una grossa fontana là dove prima si ergeva la forca dei condannati a morte dai vecchi pacificatori. Attraversiamo anche quella, da un capo all’altro, fino ad arrivare davanti ad un edificio color legno.
Sento il respiro venir meno.
“Katniss – dice mentre aumenta la stretta sulla mia mano – ti prego, se e quando ti dirò di andare via, devi farlo” la sua voce è supplichevole. Annuisco. “Lo giuri?” chiede ancora non troppo sicuro della mia risposta. “Te lo prometto”.
Mi fa strada al suo interno. È buio e, tranne il gradino d’ingresso, non riesco a vedere molto fino a quando Peeta non accende le luci. La mia vista ne risente un po’, già si era abituata al buio pesto; ma quando inizio a distinguere le cose con chiarezza, resto estasiata.
Peeta non ha dipinto le pareti con un semplice e banale colore, ma ha fatto dei veri e propri disegni.
“Peeta, è bellissimo qui dentro!” Sono entusiasta. Mi avvicino a lui, contenta. Lo guardo; è teso, riesco a leggerglielo nei muscoli, nella postura, negli occhi che però sono ancora pieni di quel blu marino che tanto amo.
“Sono fiera di te e del tuo lavoro” gli dico, poggiandogli una mano sul petto marmoreo. Lo sento poggiare la sua mano sulla mia mentre cerca di mandarmi, in risposta, un sorriso.
“Sono certa che, se tuo padre e tua madre fossero qui, sarebbero orgogliosi di te come lo sono io” rincaro la dose  per fargli capire quanto sia grande ed importante il lavoro che ha fatto fino  a quel momento.
Ma è quando lo vedo togliersi dalla labbra quel sorriso tirato di poco fa che mi rendo conto di aver messo in ballo le persone sbagliate, nel luogo sbagliato.
“Peeta, scusa, mi dispiace. Stai bene?” Chiedo preoccupata. Lo sento aggrapparsi alla mia mano. La sta stringendo forte, molto forte. Ma il dolore fisico è niente rispetto a quello che provo nel vedere i suoi occhi azzurri trasformarsi in due pozzi vuoti.
“Peeta, quello che vedi non è reale!”

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo Ventiduesimo ***


~~Lo vedo combattere i suoi demoni interiori. Si sforza per non muovere  un muscolo. Ho paura, ho una maledettissima paura, ma non per me, per lui.
 "Peeta ragiona, per favore! Distingui i luccichii nei tuoi ricordi!" Cerco di mantenere una voce calma, il momento è delicato e non devo dargli modo di prendersela con me. Sento la presa sulla mia mano venir meno. Lo guardo.
 -sta tornando?-
 Ma gli occhi sono ancora color carbone. Sta stringendo i pugni.
 "Katniss,  vai via da qui!" Dice sgranando gli occhi. La sua espressione mi spaventa, sembra davvero quella di un pazzo, per quanto odi questa parola, devo ammetterlo. Scuoto la testa. "Non posso lasciarti da solo!" Si forza ancora per riprendere parola. "Avevi promesso!" È arrabbiato.  Arrabbiato con me che non vado via, arrabbiato con me perché sono l'ibrido che gli ha ucciso i genitori, arrabbiato con se stesso perché non riesce a fermarsi.
 Resto ferma qualche secondo. Gli ho promesso che mi sarei messa al sicuro, ma come potrei mai lasciarlo qua, da solo, a fare chissà cosa?
 "Maledetta! Sei uno schifossissimo ibrido! Sei un'assassina!" Prima che possa muovermi si avventa su di me e, in men che non si dica, mi ritrovo con le spalle al muro. Il suo braccio che preme sulla mia gola. "Come ci si sente a non avere scampo?" Mi chiede. "Peeta" la pressione sulla mia gola aumenta leggermente. "Proprio come hai fatto con i miei genitori, eh? Li hai guardati in faccia mentre morivano?" Scuoto, per quanto possibile, la testa in un 'no' "n..non li ho uccisi io" questa frase mi costa tutta l'aria nei polmoni. "Bugiarda!" Affonda il gomito ancora di più. Non ho più fiato, non ho più forze. Le orecchie mi fischiano e l'unica cosa che vedo davanti a me sono quegli occhi neri che stanno tornando al loro colore originario. Celeste.
- E' tornato! Ci è riuscito!-
È l'ultimo pensiero che riesco a formulare, poi il fischio nelle orecchie aumenta e la palpebra scende, lasciando il posto  solo ad un buco nero.

Ho la testa pesante. Le tempie mi scoppiano.
 - Sono morta? -
 No, non sono morta. Il buio  lascia spazio a delle sagome indefinite. Il fischio nelle orecchie è sparito per lasciare il posto ad uno strano vociferare.
 Apro più volte gli occhi ma, la luce, è sempre una fitta dolorosa.
 "Credo si stia svegliando" sento dire, ma non riesco a capire chi parla.
 Non riesco a capire dove sono. Sono stesa su qualcosa di morbido, non può certamente essere il pavimento della panetteria. È un letto. Apro ancora una volta gli occhi e  la luce non mi sembra più così potente. Sono a casa, nella mia camera. Mi sento confusa. Ho la testa che mi scoppia, ma provo a sollevarmi lentamente. "Uo uo, piano ragazzina!" Haymitch viene in mio soccorso; mi aiuta a mettermi seduta. "Come ti senti?" Mi chiede. Mi sento ancora incapace di formulare qualsiasi pensiero, qualsiasi frase articolata. "Bene, credo" rispondo. Nella mia mente riaffiora il ricordo della sera appena trascorsa. Era poco prima dell'ora di cena quando Peeta mi ha portato al forno, poi è esploso. Non ricordo altro. "Cos' è succeso, Haymitch?  Dov'è Peeta?" Chiedo muovendomi, in avanti,  verso di lui. "Cosa cavolo ci facevate al forno, voi due da soli? - sbotta, alzandosi in piedi - sono anni che cerco di tenervi in vita, ma sembra che andare incontro alla morte vi piaccia!" "No, Haymitch è colpa mia. Lui stava bene, poi ho parlato dei suoi genitori e... e dov'è lui, adesso?" "Hai parlato di loro, nella panetteria, con lui in quelle condizioni? Santa pace, Katniss, ma cosa diavolo hai in testa?" "Lo so, lo so! Come sta?" "Come sta? Dovresti saperlo! Se ti rivolgerà ancora la parola sarai fortunata" "Ma stava tornando, l'ho visto. I suoi occhi erano tornati, era lui!" Mi agito senza sapere cosa fare, voglio solo che Haymitch capisca che Peeta non è un mostro. "Vallo a spiegare al tuo amico Gale, è lui che è intervenuto" "Gale? Che cavolo c'entra Gale?" "Non lo so, non so neanche che cosa ci faceva alla panetteria ma è entrato e vi ha visti. Ha dovuto mettere Peeta k.o. e chiamarmi!". Gale? Tutte queste informazioni entrano nel mio cervello in modo doloroso, come spinte dentro da un martello. Ogni dettaglio fa male. "E adesso dov'è?" "E' appena sceso di sotto" "Haymitch,  voglio parlare con Peeta" lo supplico. "Dolcezza, posso provare a dirgliero ma non credo che accetterà" "Insisti!" "Tra qualche ora arriva anche Effie, cerca di farti trovare fuori da questo letto" annuisco. Con tutto quello che era successo avevo dimenticato completamente l'arrivo di Effie. Prima che sparisca oltre la porta, dò ad Haymitch un'ultima occhiata d'intesa, poi scendo dal letto.
 Le tempie mi pulsano ancora, ma non ho tempo per pensare a me stessa. Scendo e in fondo alle scale trovo lui, il mio migliore amico, se così si può ancora chiamare, che si fionda verso di me per aiutarmi. "Faccio da me!" Stento a riconoscermi. "Come ti senti?" "Benissimo, ma non grazie a te!." So bene che Gale ha fatto ciò che riteneva giusto, lui non sapeva che Peeta stava tornando in sé, eppure sono cosi arrabbiata con lui. "Ah si? Katniss ti ho salvato!" Dice esasperato. "Mi hai salvato da chi?" "Da me".
 La riconoscerei in mezzo ad una piazza gremita di gente quella voce. Lascio andare i pugni appena stretti e mi volto nella sua direzione.
 Una notte può cambiare le persone?
 Ha due solchi neri sotto gli occhi ed è cupo, il suo viso non è il solito, non è radioso e fiero. Non vedo quel porto di tranquillità che di solito scorgo nei suoi occhi marini. Lo guardo per qualche istante, solo dopo aver distolto gli occhi dal suo viso noto che ha una mano e un polso fasciati. "Cosa hai fatto?" Mi avvicino istintivamente a quella vista ma lo vedo ritrarsi, andando a sbattere contro Haymitch, in piedi  dietro di lui.
 "Non è niente" "Sei stato tu?" Chiedo rivolgendomi a Gale. "Katniss,  lui ha fatto solo ciò che andava fatto, è chiaro!" "Si, ma tu stavi tornando, lo so, l'ho visto" 
Peeta resta in silenzio, mentre Haymitch fa segno a Gale di uscire dalla stanza per lasciarci parlare da soli.
"Non dovremmo stare nella stessa stanza da soli." Dice guardandosi intorno. "Lo sai che non saresti mai andato oltre", la frase non esce proprio come speravo, ma lui si avvicina a me e mi posa una mano sulla guancia, quasi mi stesse facendo una carezza, impercettibile, ma mi basta il suo tocco per sentirmi meglio, per sentirmi meno agitata. Mi guarda, colpevole, con quegli occhi cerchiati. Muove i polpastrelli sfiorando la mia pelle fino ad arrivare al collo. Per un momento ho paura che stia per strangolarmi, ma i suoi occhi hanno ancora il loro colore naturale. "Guarda cosa ti ho fatto" sussurra, come se stesse parlando a se stesso. "Di cosa parli?" chiedo dal momento che non capisco di cosa stia parlando. Mi porta davanti il grande specchio, quello che si trova esattamente dietro il tavolo. Un lungo segno violaceo mi attraversa la gola, quasi da parte a parte. Vi poggio le dita. Non avevo neanche avuto il tempo di guardarmi; il mio aspetto, nonostante gli evidenti segni dell'aggressione, non è migliore del suo. "Non dirmi che sei ancora convinta di voler passare i tuoi giorni con una persona capace di farti questo" il suo tono è triste e arrabbiato e apatico allo stesso tempo. Continua a tenere le dita sul mio collo, osservandomi dallo specchio. "Era qualcosa che dovevi affrontare, andrà meglio adesso." Alle mie parole ritira la mano, contraendo il viso in una smorfia che non riesco a decifrare.
"Effie starà per arrivare, vai a cambiarti." Annuisco anche se avrei voluto continuare a parlargli, a convincerlo; avrei voluto toccarlo, abbracciarlo e rassicurarlo.
"Ah, metti qualcosa che ti possa coprire il collo, se puoi" mi dice cupo, guardando per terra prima di dileguarsi nell'altra stanza, senza lasciarmi altra scelta che quella di salire al piano di sopra.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo Ventitreesimo ***


~~Sento una voce che mi chiama e in modo insistente mi chiede di scendere. La riconosco, la stavo aspettando, tutti la stavamo aspettando;  mi guardo un'ultima volta allo specchio, controllo che il foulard sia messo al posto giusto e scendo. Lei è infondo alle scale che chiacchiera con gli altri.
"Effie" dico tanto per  far notare la mia presenza.  "Oh tesoro!" Mi stringe a sé e non posso fare altro che ricambiare. Dopo tutto quello che Capitol le ha fatto passare, per  passare ad essere la prigioniera silenziosa dei ribelli, è anche fin troppo strano vederla allegra come sempre.
 Perché lei sembra quella di sempre? Perché solo noi siamo stati cambiati cosi profondamente?  Non posso non chiedermelo guardando Effie agghindata di tutto punto, con i suoi vestiti eccentrici e stravaganti, con le sue parrucche colorate. Non sembra essere qualcuno i cui tormenti le fanno visita la notte, non sembra una di noi.
"Katniss,  come stai? Mi sei mancata tantissimo! Mi siete mancati tutti!" Dice rivolgendosi anche agli altri, Gale escluso.
Cerco di evitare accuratamente la sua domanda e lo sguardo di Peeta. "Insomma ragazzi, immaginavo di trovarvi tutti contenti, tutti allegri, invece vedo solo musi lunghi" la sua voce fa trapelare una certa delusione e il senso di colpa mi invade lo stomaco, infondo lei non c'entra con i nostri problemi, avremmo dovuto accoglierla con più calore. "Hai ragione, Effie, scusaci. Al momento ho la testa concentrata sulla panetteria. Sai intorno alle 19 abbiamo organizzato una piccola festicciola di inaugurazione e sono un po' indaffarato".
 La sua voce è completamente cambiata, sembra quella di sempre; nessuna rabbia, nessuna tristezza, nessun turbamento evidente. "Ah giusto,  Haym mi aveva accennato qualcosa, in realtà". Tutti ci voltiamo verso di lei, interrogativi e divertiti. Haym?!
"Cosa volete? Abbiamo parlato al telefono un paio di volte" ci dice Haymitch sulla difensiva. "Va bene, Haym!" Mi ritrovo a dire, ridacchiando. Finalmente, per una volta, sono io a prenderlo in giro. Dopo la rivolta il mio rapporto con lui è cambiato, a modo nostro si è fatto più profondo, assomiglia quasi ad una vera amicizia.
"Scusate, forse è meglio che vada, devo preparare ancora molte cose" Peeta bacia Effie su una guancia e si incammina verso la porta. Congedo velocemente gli altri e lo raggiungo prima che prenda il vialetto d'uscita. Lo chiamo più volte prima di ricevere un paio di parole, poco convinte, che mi fanno capire che mi sta ascoltando. Non si volta neanche, così mi pianto davanti a lui;  voglio costringerlo a guardarmi, non voglio che mi eviti.
"Mi stavo chiedendo se, secondo te, è il caso che ci sia questa stasera".  Anche se la mia non era una vera e propria domanda, mi tormento le dita aspettando una  risposta, avendo la consapevolezza che, se e quando arriverà,  non sarà mai quella che vorrei sentire.
Lo sento toccare l'estremità blu del foulard che porto al collo, lo osservo mentre lo guarda. I suoi gesti parlano da soli, so bene che sta pensando alle tracce che questa notte ha lasciato sul mio corpo, sul mio collo,  ma...
"Ti vorrei li, nel bene o nel male, credimi ma, dopo ieri" cerca di addolcire questo boccone tanto amaro da mandare giù, accarezzandomi il viso. "Preferirei saperti a casa piuttosto che vicino a me".
Lo stomaco va sottosopra e un conato di vomito mi arriva fino alla gola. Cerco di soffocarlo. Credere di sapere e sapere a tutti gli effetti non è la stessa cosa. Sta rinunciando. A me, a noi, a se stesso. Mi sento così male a questo pensiero che non riesco neanche a parlare. Resto ferma mentre mi posa un distante bacio sulla fronte per tornare a camminare verso la sua nascente attività. Dopo minuti che sembrano ore torno all'interno della mia abitazione dove gli altri chiacchierano allegri.
 Mi unisco a loro, in silenzio, quasi come se non  volessi che si accorgano della mia presenza. Ma lo fanno. E torno  stamparmi quel sorriso di circostanza, mentre dentro di me ancora una parte della mia anima si è lacerata.
 
Salve a tutti! Non ho mai scritto infondo ai capitoli ma, lo sto facendo ora, perchè voglio scusarmi con voi lettori dell'improvviso rallentamento nella storia ma sono piena di cose da fare ultimamente e purtroppo cerco di fare del mio meglio.
Spero che questo nuovo capitolo vi piaccia! :))

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Capitolo Ventiquattresimo ***


~~"Ho sistemato la tua stanza perciò, fai come se stessi a casa tua" le dico con un sorriso di circostanza mentre mi siedo sul letto, o quel che ne resta, dato che è cosparso di vestiti. "Effie, devo dire che viaggi leggera per un weekend" ridacchio sotto i baffi alla sua occhiata torva. "Cara, noi donne non dobbiamo mai viaggiare senza essere pronte a qualsiasi situazione possibile" mi dice mostrandomi, di sfuggita, un paio di stivali da lavoro. "Io viaggio leggera!" Le dico senza distrarla dalla sua accurata analisi sul vestiario. "Tu hai molto da imparare, Katniss!". Continuo a fissarla fino a quando non pesca, finalmente,  un vestito dalla marmaglia. "E tu? Mica verrai conciata cosi!", mi guarda inorridita ma non riesco a rimanere neanche stupita. Scuoto la testa. "No, io non verrò." Per poco non lascia cadere a terra il prescelto nel mettersi una mano davanti la bocca, scioccata.
 "Tesoro, è successo qualcosa? Avete litigato? Avevo notato un'aria pesante stamattina, ma voi siete Katniss e Peeta! Cosa mai può essere successo?" Continuo a sentirla tirare fuori mille domande, sempre uguali fino a che non viene a sedersi vicino a me, andando a sgualcire uno dei suoi abiti. "Avanti, racconta!" Resta lì, in attesa e io non so cosa dire, non so come spiegarle che la sera prima, Peeta, stava quasi per mandarmi all'altro mondo. Faccio l'unica cosa che mi riesce meglio, restare in silenzio. "No, non dirmi che...." non riesce neanche a cinguettare la fine della frase che torna  a mettersi una mano alla bocca. Mi aspettavo qualche parola buttata a caso, una di quelle di circostanza dove mi si dice che non era in sé,  che se ne renderà conto, invece mi abbraccia, muta e silenziosa.
 "Quando tornerai stasera,  mi racconterai tutto, nei minimi dettagli,  va bene?". La mia voce esce triste.

Sono andati via tutti un paio d'ore fa, e l'unico mio pensiero è sperare che tutto fili liscio; ma lo farà di certo perché io sono qui, ed  essendo  l'unico problema tutto andrà alla perfezione!
 Mi tocco il foulard e tirandolo da un lembo faccio si che il nodo si scolga, lasciando cadere quel pezzo di stoffa colorato sulle mie gambe. Passo le mani la dove dovrebbero esserci i lividi; è caldo. In questo momento la risata di Snow mi risuona in testa come le filastrocche che da bambini si ripetono tutto il giorno. La posso sentire nelle mie orecchie, la sua soddisfazione; nonostante non ci sia più è ancora lui a vincere, è lui che  continua a muovere i fili delle nostre vite, mie e di Peeta, e di tutti gli altri sopravvissuti.
 Qualche colpo di nocche alla porta di casa mi porta lontano dai miei pensieri. Svogliatamente mi trascino ad aprire; è Gale. Entra senza neanche essere invitato e si accomoda alla sedia come fosse di casa, ormai. "Non mi offri nulla?" Si sta prendendo gioco di me e in qualche modo lo sento, il mio vecchio amico che fa capolino nel modo di fare di questo giovane sconosciuto che ho davanti. "Ho solo del succo, se lo vuoi" "mmm...passo!". Il silenzio ci fa da compagno per un po', finché Gale non decide di prendere di nuovo parola. "Insomma, alla fine sei rimasta a casa" è semplicemente una costatazione, una di quelle stupide frasi quando si vuole iniziare a parlare e non si sa come farlo;  e abbocco. "Già!  Pensavo saresti andato anche tu" butto anche io una frase di circostanza per continuare perché, in questo momento, non ho voglia di stare sola. "Io? E perché sarei dovuto andare proprio ora che potevo stare solo con te". Sorride. Lo ha detto come se fosse stata la soluzione più logica, ma non lo era, non per me almeno. "Gale, pensavo avessimo chiarito questo punto". Sono nervosa. Mi alzo e inizio a camminare per la stanza.  "Io non ho chiarito nulla".
 Acqua. Ghiacciata. Addosso.
 Si alza anche lui.  "Katniss,  tu pensi che io non sia la persona giusta per te ma, guardati", mi prende per mano e pianta le nostre figure magre e stanche davanti lo specchio. Mi passa delicatamente un dito sul collo, esattamente nel punto proibito.  Un brivido cammina lungo la schiena tanto da farmi rizzare i peli. "Guardati adesso, e dimmi chi non è la persona giusta per te".
 Il suo modo di parlare non è burbero o prepotente,  come lo ricordavo in quell'ultimo nostro incontro nei boschi,  ma e calmo, constatatorio, proprio di colui che sa che la ragione sta dalla sua.
 Inorridisco nel vedere la mia immagine. Stanca, affaticata e soprattutto tormentata. A questa poco amabile immagine si aggiungono quei lividi mostruosi, che corrono la linea orizzontale del collo, ricordo di una serata che sarebbe meglio poter dimenticare. Come si fa ad amare una persona ridotta così? Come si può desiderare una persona, in questo stato?
 "Gale" cerco di dire ma il fiato mi muore in gola. "Io non ti farei mai una cosa del genere, lo sai". Le sue parole si insinuano nel mio orecchio, come un soffio di vento. Girano vorticosamente nella mia testa, insinuando il dubbio dentro di me.
 Posso sopportare tutto questo? Sono forte abbastanza? Potrò trovare sempre il buono in Peeta, anche quando i suoi occhi non sono più celesti e limpidi?
 Sento le labbra di Gale posarsi sulla mia guancia e poi sulla mia bocca, non trovano ostacoli anzi, le mie labbra sono già dischiuse e pronte ad accogliere la sua lingua ma... non sono le labbra di Peeta. Non sono i baci di Peeta.
 Mi allontano di scatto, facendo un balzo indietro. "Non posso, mi dispiace" sibilo sperando che mi abbia sentita. "Non è cambiato niente, vero? Neanche dopo ieri sera", scuoto la testa.
 "Preferisci stare con uno che ha cercato di ucciderti? Katniss il tuo masochismo non ha limite!" "Non è masochismo, Gale. Si chiama amore e...fiducia!". Gale non mi capisce, non siamo più in sintonia, da parecchio tempo.
 "È un amore malato, allora!". Gesticola e si agita ma non riesco a capirne il motivo, perché lui non riesce a vedere quello che vedo io, o Haymitch o Effie? Perché? 
 Un rumore ovattato distoglie la mia attenzione da Gale, facendo segno di seguirmi mi muovo verso il corridoio, vuoto. La cucina, vuota ad eccetto di una busta e un piatto posati sul tavolo. Tremante mi avvicino. Sono dolci e pasticcini e varie leccornie e stuzzichini che so con certezza provenire dalla panetteria.
 Peeta è stato qui.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Capitolo Venticinquesimo ***


~~Dopo essere riuscita a mandare via Gale, che non voleva lasciarmi sola fino al ritorno di Effie, mi sono seduta in cucina, ad aspettare.
 Mi chiedo se Peeta abbia sentito qualcosa, e se si, cosa? Avrà visto me e Gale baciarci?
 Il solo pensiero mi fa star male.
 Sono un disastro,  rovino sempre quello che tocco, chi mi sta vicino viene danneggiato,  sempre; Peeta ne è l'esempio vivente.
 Lo hanno depistato a causa mia, ha perso tutto e tutti a causa mia. L'unica cosa che potevo fare per ripagarlo era amarlo e sono riuscita a rovinare anche questo.
 Il rumore della serratura si fa strada nel silenzio della casa con un  vociferare, sempre più vicino, fino a che le figure di Effie e Haymitch si palesano sulla soglia della stanza.
 "Dolcezza,  che ti sei persa! Certa roba, ottima!" Sbiascica l'ex mentore che deve essere ubriaco fradicio.
 Effie gli da un colpetto al braccio, a mo di rimprovero.  "Scusalo, non ha un briciolo di tatto". Sorrido, tristemente. "Signore, vi lascio ciarlare, mi ritiro con la mia amica vodka", mostra la fischetta e ci da le spalle, barcollando verso casa. Sedendosi, Effie scorge i dolcetti nel piatto.  "È passato alla fine!" Dice tutta allegra. "Sai mi aveva chiesto le chiavi di casa per portarti qualcosa da mangiare. Dovevi vederlo, è stato triste tutto il tempo! Vi siete incrociati quando è venuto?" Sussurro una risposta negativa, e lei continua il suo monologo. "Ecco perché quando è tornato era tutto scuro in viso! Che peccato Kat! Aveva scelto con cura tutto quello che ti piace di più." Sobbalzo.
 - Sono un'ingrata! -
"Effie...- per un istante le parole mi muoiono in bocca- ho paura che Peeta non voglia più..." non riesco a finire la frase perché vengo soffocata dall'ammasso di stoffa del vestito della donna che si era precipitata ad abbracciarmi. "Non dirlo, tesoro! Gli serve solo un po' di tempo, lo sai!"
 Restiamo così per un po', immagino che sia mia madre ad abbracciarmi e mi calmo, lasciandomi cullare dalla mia immaginazione. Mi stacco asciugandomi le lacrime con il palmo della mano. "Effie, scusa ma stiamo parlando sempre di me, raccontami qualcosa di te! Come va li a Capitol?" "Oh, bhe, in realtà al momento non ho un lavoro fisso, sai..." ci fu una lunga pausa. Non avevo mai pensato agli Hunger Games come portatori di lavoro per molta gente. "Ora girovago un po', godendo dei miei soldi, ma stavo pensando...oh Katniss sono cosi eccitata all'idea che devo dirtela, assolutamente". Scandisce quell'ultima parola lettera per lettera, e per un momento penso di essere ancora sul treno, quello che ci avrebbe  portato all'arena. "Stavo pensando che, visto che voi, tu, Peeta e quell'ubriacone, siete una specie di famiglia per me, magari potrei comprare una delle case vuote qui, che ne dici?" Chiede euforica, lasciandomi completamente spiazzata.
 Siete una specie di famiglia, sono le parole più profonde che sia riuscita a sentir dire ad Effie; mi rendo conto che è vero, nel male che quei giochi rappresentavano hanno fatto si che noi quattro diventassino uniti, diventassimo una famiglia, che fosse a causa di una morte imminente o per il desiderio di sopravvivenza ; un legame del genere non si può cancellare.  Mi apro in un grande sorriso e le prendo le mani. "Dico che ne sarei felicissima!". La sento emettere gridolini di gioia, mi unisco a lei, lasciandomi alle spalle per un momento i problemi, lasciandomi trascinare da quella contentezza che mi si stava spargendo in corpo.
 Dopo tanto parlare di visitare case, di scegliere quella giusta, di dover prendere contatti con chi di dovere riesco a rintanarmi nella mia stanza.
 Ho ancora il sorriso sulle labbra per la novella quando mi giro a guardare in direzione della casa difronte,  spostando un poco le bianche tende, che ora sono illuminate solo dal debole chiarore lunare. Le luci sono tutte spente, tranne una, quella che so essere la stanza dove dipinge; mi volto a guardare l'ora  dalla sveglia sul comodino, 01: 38. Starà dipingendo? Quali orribili immagini si sono proiettate nella sua mente? Starà dipingendo quello che ha visto oggi? Me e Gale?
 La paura attecchisce nella mia mente e la voglia di spiegare freme nelle mie vene, con una smania tale che vorrei andare a bussare ora a quella porta e parlargli; ma non posso.
 Così resto a guardare la luce che filtra dalla finestra, torturandomi, fino a quando la casa non diventa buia, la finestra della sua camera si apre leggermente; solo allora riesco ad andare a letto anche io.
 La mattina dopo mi sveglio di buon'ora, tanto non sono solita a dormire granché quando sono sola nel letto, provando ad armeggiare tra i fornelli, per far trovare qualcosa di pronto e mangiabile per la colazione. Questa mattina casa Everdeen è piuttosto chiassosa, tra Effie ed Haymitch che si stuzzicano a vicenda.
 "Cara, ti ringrazio tanto per la colazione" mi dice Effie regalandomi un sorriso. "Stai scherzando? Tra poco morirai per avvelenamento da cibo!" "Grazie per la fiducia!" Lo rimbecco. "Preferisco fare colazione solo se a cucinare è Peeta, lo sai dolcezza, non me ne volere" mi strizza l'occhio, ma stamattina non riesco a non  irritarmi per la sua simpatia pungente.
 Qualcuno bussa alla porta di casa ed è Haymitch a far da padrone andando ad aprire.
 "Oh si, ora si ragiona!" Dice tornando con un piatto pieno zeppo di biscotti, a seguirlo, subito dopo, c'è Peeta.
 "Buongiorno a tutti!" Dice con una finta allegria visibile a chilometri di distanza.
 Ci guardiamo, senza dirci niente,  finché non si siede.
 "Ehm grazie per i dolci di ieri" dico tanto per attaccare bottone in qualche modo; voglio vedere in che modo  mi risponderà.
 "Figurati." Fa spallucce.
 Durante il resto della colazione rimango in silenzio; li ascolto parlare della sera precedente,  senza intromettermi, senza chiedere. È Haymitch il primo a dire di dover andare via e invita la nostra ospite ad andare a vedere le sue oche; così noi due ci ritroviamo soli, freddi e silenziosi, seduti al tavolo.
 "Forse è meglio se vado. Ci pensi tu a dare una sistemata?" Mi chiede tirandosi su. Annuisco.
 "Bene. Allora ci vediamo."
 Si volta per andare via e la frenesia della notte precedente ritorna a bussarmi nel sangue.
 "Peeta aspetta, vorrei parlarti un momento".
 Lui resta fermo, continuando a darmi le spalle.

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Capitolo Ventiseiesimo ***


~~"Peeta aspetta, vorrei parlarti un momento".
 Lui resta fermo, continuando a darmi le spalle.

 

So che lui sta aspettando che io parli ma non riesco a farlo, dalla mia bocca escono solo parole morte, parole strozzate.
 "Ti ascolto" mi dice, per incoraggiarmi, credo.
 "Ieri, quando sei venuto a casa, Gale era qui." Un sospiro profondo, il mio. Inizio a sentire il petto pesare di meno; ma come andare avanti?
 "Lo so, ho visto."
 Il suono della mia paura prende il sopravvento nelle mie orecchie, nella mia testa.
 Ha visto, ha visto!
 "Peeta, non è quello che sembrava. Non so cosa hai visto, o sentito ma..." vengo interrotta. Peeta si volta a guardarmi, in uno dei suoi modi, in uno dei suoi sguardi indecifrabili.
 "Katniss, so tutto. Ho visto e ho sentito tutto. Non devi spiegarmi niente." Lo vedo stringere i pugni e gli occhi si fanno rossi. Ricaccia indietro tutto, le lacrime soprattutto.
 "Avresti dovuto scegliere lui, ti avrebbe reso felice."
 Resto a bocca aperta; come può pensare certe cose?
 "Ha ragione quando dice che sono un pazzo, che il nostro rapporto non è sano, Katniss ha ragione su tutto!".
 Mi avvicino per prendergli la mano che vedo tremolante, non oppone resistenza, così la stringo.
 "Peeta sei la persona più forte che conosca,  davvero. Ciò che sei adesso non è colpa tua." "Ma questo non cambia che lo sia! Sono questa specie di macchina fatta per uccidere Katniss Everdeen,  perché non riesci a vedere quanto sia pericoloso tutto questo? Starti vicino può fare del male a te ma ancora di più lo fa a me, perché non riesci a capirlo?".
 Le sue parole mi hanno colpita, mi pungono sulla pelle come tanti aghi inseguitori, con l'unica differenza che questa non è un'allucinazione ma la realtà. Tenta di divincolare la mano ma io la stringo più forte.
 "Non lo pensi davvero,  lo fai solo perché sei sconvolto da quello che è successo! Perché non mi dimostri invece di essere l'unico a potermi stare vicino, nonostante tutto quello che passiamo ogni singolo giorno?" "Perché non posso, questa cosa va oltre la mia volontà!" Mi urla contro, con una tale disperazione che la voglia di stringerlo aumenta in maniera smisurata. Mi porto la sua mano alle labbra.  "No! Ho visto che puoi controllarti...devi solo impegnarti!" "Credi che se non fosse successo ciò che è successo, io non sarei qui in ginocchio a chiederti di sposarmi? Credi che il pensiero di lasciarti a Gale mi avrebbe mai sfiorato?".
 Questo assaggio del mio futuro, del nostro futuro mi crea un nodo alla gola che ho paura di non riuscire a sciogliere così velocemente.
 "Sono spaventato di poter fare del male a te, ad Haymitch, ad Effie, a tutte le persone a cui tengo! Preferisco fare io un solo sacrificio che chiederne a così tante persone". Bacio le sue nocche.
 "Non sarebbe un sacrificio per noi".
 Non è la mia voce che sento arrivare alle orecchie. Mi volto verso la porta e trovo Effie ed Haymitch sulla soglia.
 "No ragazzo, basta con tutte queste stronzate di sacrifici, allontanare e allontanarsi da tutti. Ok Mi prendi a pugni, vorrà dire che te ne darò altrettanti per farti tornare in te se serve, ma sacrificare tutto ciò per cui hai lottato fino ad ora per paura, non posso lasciartelo fare! Cavolo, sono io che vi ho presi spauriti sotto la mia ala, vi ho visto affrontare mostri peggiori di questo."
 Sono sollevata di sentire la spalla di qualcun'altro su cui appoggiarmi, per aiutare Peeta; sapevo di non essere la sola a volerlo aiutare ma mi sentivo l'unica a fare realmente qualcosa.
 "Non siamo così debolucci come pensi, siamo tutti sopravvissuti, perciò se vuoi andartene da tutti noi, fai pure ma non dire che lo fai per noi, di che lo fai per te stesso, chiaro?" Sospira "oh, ora ho bisogno di bere!" E si fionda verso l'armadietto dei vini della mia cucina.
 Guardo Peeta interdetto, rosso in volto, di rabbia,  di vergogna, di contentezza non saprei e non voglio chiederglielo, ma la mia mano non lascia la sua.
 "Perché non chiami il dottor Aurelius? Magari potrebbe aiutarti, potresti andare da lui per un po' se serve". È Effie a parlare mentre si avvicina al suo amico.
 "Ecco, la tizia dai capelli strani ha detto una cosa saggia; chiamalo e senti il suo parere, ma questa storia deve finire".
 Anche se lo dice in modo brusco, Haymitch non ha torto,  Peeta ha bisogno di aiuto perché questa storia deve finire, non potremmo mai vivere tranquillamente così.
 "Come prego? Capelli strani?" Un sorriso ci attraversa il volto malgrado la situazione in cui ci troviamo.
 "Oh, non metterti al centro della discussione ora!" Dice bevendo ancora un sorso e lasciando Effie a parlocchiare, tra sé e sé,  sconcertata.
 "Chiamiamo il dottore?" Chiedo, a voce bassa, così che mi possa sentire solo lui e Peeta annuisce.
 La gioia esplode in me senza trovare un modo per uscire, a parte che per il sorriso.

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Capitolo Ventisettesimo ***


Guardo fuori dalla finestra e dall'altra casa arriva la più totale tranquillità. 
Resto ferma per pochi secondi ad osservarla poi decido di scendere.
Esco in strada e mi dirigo verso il vialetto ormai pieno di fiori. La primavera è arrivata e con lei i denti di leone sono tornati a brillare di un giallo luminoso sotto i caldi raggi del sole. Una palla di fuoco la chiamerei,  quest'anno sta facendo più caldo del solito per essere ancora la fine di aprile.
Mi dirigo verso la casa del mio ex mentore ma vado oltre, ora ce n'è un'altra occupata qui al villaggio; Effie ha scelto di trasferirsi il più velocemente possibile, non voleva lasciarmi sola con l ' ubriacone,  all'incirca ha usato queste parole per giustificare la sua fretta. Sapeva che avrei avuto bisogno di qualcuno a prendersi cura di me, una vera amica al mio fianco perché questo mese lontano da Peeta è stato terribile, ma doveva andare, doveva liberarsi delle sue paure e solo un medico poteva aiutarlo, che per nostra sfortuna si trova nella stessa Capitol City. 
Deve essere stato tremendo tornare là! 
Busso, Effie mi accoglie in casa con quel solito sorriso sempre perfetto e di colori diversi.
"Oh cara! Eccoti finalmente!  Come stai? Ma prego, entra pure!" Dice praticamente tirandomi dentro.
"Sono un po' nervosa" "Immagino! Quel fannullone si è alzato? Altrimenti bisogna andare a chiamarlo, il treno arriverà tra poco più di un'ora". 
"Si, ho chiamato a casa sua per assicurarmi che fosse sveglio. Sicura che sia meglio far andare solo Haym?" "Mah si! Magari anche Peeta è nervoso e Haymitch può tranquillizzarlo un pochino prima di rivederti." "Giusto. Hai ragione".
Peeta torna a casa oggi. Non lo vedo da un mese e non lo sento da poco meno, il dottor Aurelius aveva limitato i suoi contatti con l'esterno, con noi, con me. Dunque non so poi molto di quello che ha fatto, di come sta e la cosa mi rende nervosa. Questo giorno mi rende agitata come una sposa prima di salire sull'altare. Piena di dubbi ma vogliosa e speranzosa. 
Ho voglia di passare giorni interi con lui, sdraiati sul letto a coccolarci, a ridere, a parlare, senza nessuna interferenza.  
Ho voglia di andare avanti e lasciarmi tutto alle spalle e voglio farlo con Peeta. Ne sono certa.
Un suono di campanello mi riporta alla realtà.  È Haymitch. 
"Sono sveglio, purtroppo sono ancora sobrio e pronto a fare da baby sitter per le prossime due ore, poi non reggo più!". So bene che anche a lui è mancato Peeta, il suo amico; con Effie abbiamo cercato di non lasciarlo mai solo ma so bene che non è la stessa cosa. Peeta è un po' una colla per noi tre, il punto di giuntura che ci unisce, senza di lui manca sempre qualcosa, ma questo lo avevamo capito già ai tempi della guerra.
"Due ore, sono un buon inizio! Hai dato da mangiare alle oche? Stanotte non si sono azzittite un momento. Guarda - indicando con l'indice gli occhi- ho delle occhiaie paurose!" "Con tutto quel trucco stento a vederle, piccola! E dubito che le occhiaie siano l'unica cosa paurosa, sai".
"Uno di questi giorni Effie te le uccide, secondo me!" "Peggio per lei!".
Effie ha preparato qualche stuzzichino   per Peeta, ha detto che bisognava dargli un bentornato come si deve e ha cercato di mantenersi ristretta appendendo solo qualche palloncino per la casa.
"Bene. Io mi avvio al treno!". Così facendo si avvicina all'uscita.

Eccolo, ancora il suono del campanello.
Effie bofonchia qualcosa tutta allegra mentre va ad aprire. Io. Io non capisco più niente. Sono entrata in uno stato confusionale,  dove le voci si fanno lontane e il battito del mio cuore rimbomba, amplificato.  Credo che tutti lo possano sentire! 
"Oh bentornato!" Sento dire.
"Grazie Effie".
La sua voce. 
Mi sembra di non sentirla da una vita. Ci sono stati giorni in cui ho avuto paura di dimenticarla.
I passi, le voci si fanno sempre più vicini fino a quando non me lo ritrovo davanti.
Quasi mi salgono le lacrime agli occhi.
Non ho il tempo di pensare, di parlare che il mio corpo si muove da solo.
Lo abbraccio. Forte. 
E lui ricambia, lasciando cadere a terra la borsa che aveva in mano.
"Mi sei mancata anche tu".
Sono le parole che mi sussurra prima che affondi, ancora di più,  il viso nel suo collo.

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Capitolo Ventottesimo ***


Purtroppo mi sono dovuta allontanare da lui troppo in fretta, per lasciare spazio a tutti quando lo avrei voluto solo per me. 
Dopo un'ora o giù di li si è congedato per tornare a casa a sistemare le sue cose e riposare, mi sono offerta di accompagnarlo e non ha opposto alcuna resistenza. 
Entriamo in casa e mi sembra essere passata una vita dall'ultima volta che ci ho messo piede. Poggia la borsa vicino la porta e mi fa strada verso il soggiorno. 
"Ti offrirei qualcosa ma non credo di avere nulla" "Ah no, per quello ci ha pensato Effie, ti ha riempito il frigo a più non posso!". Mi lancia uno sguardo interrogativo prima di fiondarsi in cucina ad aprire il frigo.
"Cavolo! Ma lo sa che vivo da solo?" esclama nel vederlo strabordare di roba. Scoppio a ridere nel vedere la sua faccia allarmata. 
"Secondo me pensa che in questo mese i medici ti abbiano fatto morire di fame". Mi guarda, senza parlare.
"È così? " chiedo sentendomi già contorcere le budella. "No, ti pare! Ero io a non essere sempre dell'umore giusto per mangiare". Ritorna in soggiorno e lo seguo come fossi un animale domestico; le poche parole dette sul suo soggiorno a Capitol mi fanno già capire che non sia stato piacevole e la strana sensazione di voler sapere di più fa capolino.
"Come è stato? Stare a Capitol, intendo".
"Katniss,  vuoi davvero affrontare questo discorso?" più che a me sembra chiederlo a se stesso.
"Solo se hai voglia di parlarne. So mettere a tacere la curiosità, delle volte". Abbozzo un sorriso che non viene ricambiato.
"Non è stato piacevole. Pensavo di aver sepolto certi ricordi eppure...-deglutisce- tutto mi ricordava Snow, i giorni, le ore, i minuti passati nelle loro mani, sotto effetto di quel dannato veleno." Gli prendo una mano, delicatamente,  e lo porto a sedersi con me sul divano, senza dire una parola. 
"Sai, ehm, a volte non capivo se ero ancora sotto tortura". Dire -mi dispiace- non sarebbe sufficiente per mandar via il senso di colpa che provo nei suoi confronti. "Ho dovuto rivivere parecchio per affrontare le mie paure, Kat". Dice in fine, stringendo la mia mano e istintivamente mi slancio verso di lui, posandogli un lieve bacio sulle labbra.
Non voglio immaginarlo di nuovo in una stanza di ospedale sotto cura, non voglio ricordarlo come lo avevo visto in tv o al 13, voglio solamente che possa riuscire ad essere se stesso e spero che quest'ultima tortura sia stata d'aiuto.
Ho bisogno che torni ad essere solo Peeta Mellark.
Appena mi allontano dalle sue labbra sento la sua mano raggiungere la mia testa, spingendola nuovamente in avanti; mi bacia dolcemente prima, poi con sempre più foga.
"Dio, da quanto volevo farlo!" mi dice con il fiato corto. "Non andare più via, capito Mellark?". Annuisce senza staccare la sua fronte dalla mia.

Guardando fuori dalla finestra noto che il sole è tramontato. Siamo stati ore a rigirarci nel letto senza accorgerci  che, fuori da questa stanza, il mondo andava avanti. "Che ore sono?" chiedo. Peeta si affaccia sul comodino, dietro la mia spalla, per guardare l'orologio. "Quasi le nove" " Le nove?! Siamo stati qua dentro tutto questo tempo?" "Incredibile come passa il tempo quando ci si diverte, eh!". Mi lancia una sguardo malizioso e non riesco a far altro che aumentare il mio sorriso.
Finalmente sto riavendo indietro quello che prima non mi era concesso: la vita!
"Forse dovremmo uscire da qui, sai farci vedere in giro, dire -Hey, siamo ancora vivi!-" "Forse". Mi poggia un bacio sul naso prima di alzarsi. 
"Mah, mi lasci così?" dico fingendo indignazione e in risposta ricevo solo una sonora risata.
Una volta rivestita e scesa al piano di sotto trovo Haymitch ed Effie sul divano che chiacchierano con Peeta. 
"Ce l'hai fatta dolcezza! Pensavo che Peeta avesse nascosto il tuo corpo chissà dove" "Non vi ho sentiti arrivare" "Certo, la tua mente sarà occupata da altre cose, al momento". Sento il viso avvampare ed Effie da una gomitata decisa tra le costole del suo vicino.
"Ti vuoi stare zitto una buona volta!".
Scoppiamo tutti a ridere.
Noi quattro, legati da un destino ben peggiore della morte, ci troviamo nella stassa casa, tutti vivi a ridere e scherzare delle nostre vite da nuovi sopravvissuti, ma con l'anima spezzata, tagliuzzata in mille pezzi, perseguitati dai nostri incubi e dai nostri momenti bui, ma pur sempre vivi. Non lo avrei mai detto un anno fa; anche perchè, secondo i miei piani, sarei dovuta morire in quella seconda arena per salvare l'uomo che sta al mio fianco oggi.
Fin troppe cose sono cambiate da allora, tranne una.
Mi siedo accanto al ragazzo del pane e mi accoccolo al suo braccio, quasi fossi un koala, poggiando la testa sulla sua spalla.
"Direi che forse - rivolgendosi ad Haymitch- è il caso che noi andiamo a farci un giro. Anzi, andiamo a comprare un po' di gelato!" "Gelato? Ma non voglio nessun gelato, voglio stare qui a vedere questi due che si sbaciucchiano".
Rido nel vedere Effie in difficoltà.
"Perchè non andiamo tutti insieme a prendere una bella coppa di gelato e a farci una passeggiata? Ho bisogno di respirare un po' d'aria del dodici". Dice infine Peeta, perchè era chiaro che Haymitch si stava divertendo troppo e non si sarebbe mai alzato da quel divano.
Apriamo la porta e, proprio mentre percorriamo il vialetto per uscire dal villaggio, una sagoma scura viene nella nostra direzione.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Capitolo Ventinovesimo ***


~~La sagoma scura si stava avvicinando sempre di più ma solo una volta illuminata dalla fioca luce dei lampioni del viale riconobbi Gale.
 Prendo la mano di Peeta e la stringo forte, non voglio che nessuna emozione prenda il sopravvento su di lui e così mi sembra di poterle tenere a bada, ancorate a terra. "Che fai qui?" le parole mi escono prima ancora che abbia il tempo di pensare; in risposta un sorriso amareggiato. "Vengo in pace Katniss, se è questo che ti preoccupa", mi mordo un labbro. "Volevo assicurarmi che Peeta fosse tornato, sai,ehm, vedere come sta." "Ragazzi noi ci avviamo verso il centro, vi aspettiamo in piazza." Si intromette Effie per cercare di lasciarci spazio; la vediamo spingere Haymitch, che avrebbe voluto curiosare, oltre il cancello del villaggio. "È gentile da parte tua, sto meglio, grazie." Risponde tranquillo e io resto stupita, da entrambi.
 "Gale, grazie per essere passato a controllare, ma ora dovremmo andare" gli dico lavativa, anche se una parte di me gli è grata per aver cercato di mettere da parte il rancore. "Voglio davvero che la nostra amicizia continui Katniss, e per farlo devo accettare quale posto occupa lui- facendo un cenno con la testa in direzione del ragazzo del pane- nella tua vita." Dice, intuendo al volo, il mio tentativo di fuga. Lo vedo tendergli la mano e, un po' titubante, Peeta gliela stringe. Il mio cuore ha rallentato cosi tanto che non lo sento più pulsare nel petto. "Ora dovreste proprio andare, i vostri amici vi staranno aspettando". Peeta annuisce e si avvia verso il cancello, io, invece mi tuffo ad abbracciare quello che una volta era il ragazzo che pensavo di amare. "Grazie Gale!", solo dopo raggiungo Peeta.
 Camminiamo verso i nostri amici e sento una strana sensazione,  una mai provata fino ad ora. Serenità.

Una volta a casa mi rintano tra le braccia di Peeta, sotto il leggero calore delle lenzuola. "Quanto affetto in un giorno solo!" scherza lui posandomi un bacio sul naso. Dopo una breve pausa, che stranamente aveva creato un piacevole silenzio, Peeta mi dice qualcos'altro.
"Pensavo di tornare a lavoro domani". Mi giro per guardarlo in viso. "Ma, così,  subito? Neanche sei tornato che già vuoi buttarti nello stress e nella panetteria?".  Aumento la tonalità della mia voce su qust'ultima parola e sento il mio viso corrugarsi per la preoccupazione.
- È tornato oggi da un mese in terapia e vuole tuffarsi subito nel lavoro.-
 "Perché?  Che differenza fa se torno domani o tra una settimana?" mi guarda anche lui adesso.
 "Perché sei andato via per qualcosa successo la dentro! Se tornano gli episodi?" "Bisognerà scoprirlo, prima o poi, non credi?"
 No, non credo. Perché è così testardo? E se tutto va storto, se gli episodi tornassero? Se si allontanasse di nuovo da me?
 -Ma che cavolo pensi, Katniss! Sempre la solita egoista!-
 "Immagino di si" dico offesa anche se so che lui ha ragione. L'unico motivo per cui non vorrei che tornasse a lavorare domani è che ho paura che se ne vada di nuovo.
 "Allora possiamo trovare un compromesso, ok?" mi tira su il viso e mi costringe a guardarlo. "Posso iniziare facendo solo una mezza giornata, va bene?" "Non credo che Haymitch possa aiutarti ancora molto là dentro" gli faccio notare. "Bhé per domani lo farà,  glielo chiederò, molto gentilmente -abbozza un sorriso contaggioso- e poi potrei chiedere a Delly.  Sapevo che aiutava nella ricostruzione ma che era senza un vero lavoro; magari le posso chiedere se vuole lavorare per me". Lo vedo contento ed eccitato per  la sua idea. Infondo ha solo cercato un compromesso, qualcosa che mi potesse tranquillizzare, e invece sapere che lui ha ancora contatti con Delly e che ne avrà ogni giorno a lavoro mi rende nervosa. E poco affettuosa.
 "Perfetto, no? Adesso però sono proprio stanca. Buonanotte". Gli poggio un bacio veloce sulle labbra per rigirarmi dall'altro lato del letto. Lo sento avvolgermi con le braccia e respirarmi tra i capelli.
-Delly-

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Capitolo Trentesimo ***


Le primissime luci del mattino filtrano dalle tende all'interno della stanza. Tutto mi sembra confuso, sfocato. Mi stiracchio un po' stropicciando gli occhi, quando torno ad aprirli vedo tutto con più chiarezza. Allungo un occhio al comodino e vedo che la sveglia punta alle sei.
-Perché non riesco mai a fare una dormita come si deve?-
Mi giro e realizzo che l'altro lato del letto non è più vuoto; c'è Peeta.
Sorrido. 
Sono contenta di non dover passare più notti insonne, piene di preoccupazione, piene di incubi, perché senza di lui accanto le serate non erano mai tranquille, tutti i fantasmi tornavano a farmi visita, l'ultimo soprattutto,  quello di Prim.
Alzo le coperte delicatamente,  cercando di fare movimenti leggeri per non svegliarlo ma non ottengo il risultato sperato; ma infondo veniamo dagli Hunger Games, non esistono movimenti impercettibili, per noi!
"Buongiorno" mi sussura nell'orecchio mentre mi circonda la vita con un braccio.
"Buongiorno" rispondo posando la mano sulla sua, lasciandomi cadere di nuovo sul cuscino.
"Non volevo svegliarti" "Figurati! Devo anche sbrigarmi in realtà,  altrimenti faccio tardi. Devo riprendere il ritmo!"
Prima che possa replicare sento le sue labbra sulle mie; la sua lingua che si fa strada alla ricerca della mia. Rispondo al suo bacio con avidità, tanto che quando si stacca da me continuo a cercare le sue labbra, come se non potessi farne a meno. 
"Devo andare". Protesto.
Scende dal letto lasciandomi sola, ancora una volta, in quel grande letto così mi avvolgo nelle coperte fino a coprirmi anche la testa. 
Anche se è presto decido di alzarmi; mi infilo nella  vestaglia e vado dritta alla finestra per aprire le tende  guardando fuori. Peeta si sta dirigendo verso il giardino di Haymitch  che, sveglio, sta parlando a quelle oche rumorose; la scena sarebbe divertente se non fossi già di cattivo umore,  anche se non posso avercela con Peeta perché non resta a casa a compiangersi come avrei fatto io. 
Mi butto nella vasca concedendomi un lungo bagno rigeneratore ma nel silenzio della casa mi ritornano in mente gli incubi degli ultimi giorni. Ancora una volta nella mia mente il frastuono dei bombardamenti,  il viso di Prim che sbiadisce nella mia memoria come quello di mia madre. Un senso di abbandono, ecco cosa provo, quello che ho paura di continuare a provare. 
Mi chiedo se riuscirò mai a mandarlo via.
La giornata prosegue lenta, senza uno scopo, nonostante la mia battuta di caccia, che comunque è andata piuttosto bene e dunque ne approfitto per passare a portare un po' di carne fresca a Sae la Zozza che non vedo da qualche tempo. Da quando ho ricominciato ad uscire fuori dal letto la mattina, per l'esattezza.

"Katniss" una voce squillante mi chiama mentre percorro quella manciata di metri fino a casa. È Effie.
"Aspettami" mi dice mentre saltella tra grumi di terreno fresco, erba e fango con quelle scarpe con il tacco alla francese tanto tipiche di lei.
"Oh, certe volte mi chiedo come faccio a vivere in questo posto". Sorrido.
"Me lo chiedo anche io. È così poco...da te!". Mi guarda indignata dalla testa ai piedi per poi sbuffare. "Sei stata a caccia?". La domanda è retorica vista la faretra sulle mie spalle e l'arco nella mano destra. "Si, un po' di allenamento non fa mai male" "Certo, certo".  Entriamo in casa e senza ormai dovermi perdere in troppi perbenismi Effie va a sedersi dritta sul divano, facendomi segno di andare vicino a lei. Poso gli arnesi da caccia e l'accontento. "Katniss devo dirti una cosa". La sua voce si fa seria e inizio a preoccuparmi davvero.  "Cos' è successo?"

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Capitolo Trentunesimo ***


"Katniss devo dirti una cosa". La sua voce si fa seria e inizio a preoccuparmi davvero.  "Cos' è successo?"


"Allora, prima ero a casa di Haymitch,  ah poi ti devo raccontare cosa gli ho combinato quando è uscito, sono certa che andrà su tutte le furie!" "Effie, continua!" le chiedo alzando gli occhi, con una lieve ansia crescente.  "Ah si, giusto.  Ha chiamato Johanna, in pratica ora hanno, lei ed Annie, il lasciapassare per spostarsi nei distretti e vogliono venirvi a trovare al più presto!" La vedo sorridere elettrizzata mentre io mi rendo conto di essere rimasta di sasso; muta ed immobile. "Non sei contenta?" chiede, ritirando un po' del suo sorriso sgargiante.
"Era questo che dovevi dirmi?", sono seria mentre lo dico ed Effie  annuisce.
"Mi hai fatto prendere un colpo, accidenti!  Ma ti pare il modo? Ho pensato subito al peggio!" Lo dico tutto d'un fiato, comunque con una punta di sollievo nella mia voce. 
"Sei sempre così tesa, Katniss. Rilassati un po', ragazza!"
Scoppio a ridere per la frase che ho appena sentito, che deve essere stata rubata dall'arsenale di battute del caro vecchio Haym, soprattutto perché Effie Trinket, maestra suprema di ansia e controllo, viene a rimproverare me; viene a dire a me  che devo rilassarmi.
- Il mondo si è capovolto!-
Ma la cosa che trovo più sconcertante è che ha ragione. Sono troppo tesa; devo  allentare un po' la presa ma è così difficile, per me, ammettere che non c'è nulla di cui preoccuparsi; non dover soffrire la povertà e la fame, non dover stare attenta alle fustigazioni o al coprifuoco, ai pacificatori, agli Hunger Games, di  non dovermi più guardare le spalle da qualche assassinio spietato.
"Si, dovrei! Ma - cambio argomento - cosa hai combinato al povero vicino?" 
La vedo tornare ad un lucente sorriso.
"Ho, accidentalmente, lasciato aperto il recinto di quelle oche maledette! Lo avevo avvertito, adesso se le dovrà rincorrere per tutto il giardino!"
- Vorrei tanto averci pensato io! -

Quando Effie se ne torna a casa è ormai ora di cena, tanto che, per impiegare il tempo, decido di mettermi ad impiastrare i fornelli.
Un bussare alla porta mi distrae dalle pentole, mi asciugo le mani sul pantalone e corro ad aprire. 
"Lo so, ho fatto tardi ma ho un'ottima scusa." Lo lascio farfugliare senza capire neanche una parola per precipitarmi di nuovo in cucina.
"Ma cos' è questo odore?" chiede varcando la soglia della stanza che, a guardarla bene, sembra essere stato un campo di battaglia.
"Ho provato a cucinare una cena decente, ma non sono certa del risultato." Abbozzo una smorfia. Peeta si avvicina e mi attira a sé,  mi scosta la frangia, appiccicata alla fronte, su di un lato e mi guarda dritta negli occhi. 
Un brivido mi arriva fin dentro le ossa, e la voglia di baciarlo, di aggrapparmi a lui con tutta me stessa ritorna a galla;  non mi muovo di un solo millimetro.
"Sarà buonissima." È tutto quello che mi dice prima di allentare la presa sulla mia vita.
Ci mettiamo a tavola e lo ascolto mentre mi racconta la sua giornata, faticosa ma divertente dato che Haymitch faceva una gaffe dietro l'altra. Come aveva già preannunciato in mattinata è passato anche per casa di Delly, la quale, inaspettatamente dico io, ha assolutamente accettato di lavorare con Peeta al forno. 
"Accidenti!  Maledetta, vieni qui!" Una voce che viene dall'esterno ci distrae. Ci guardiamo interrogativi, ma solo quando capisco che è la voce di Haymitch mi ricordo del brutto tiro di Effie.
"Ah, Effie gli ha liberato le oche!" Scoppia a ridere ed entrambi ci precipitiamo fuori dalla porta di casa per gustarci la scena.
"Io la soffoco con una delle sue parrucche, uno di questi giorni!" Inveiva contro l'artefice del misfatto mentre inseguiva le oche, tentando quasi inutilmente di rimetterle nel recinto.
Ridere. Ridere di gusto.  Ridere di cuore. Erano passati secoli dall'ultima volta che lo avevo, che lo avevamo fatto, tutti quanti.
"Invece di ridere, garzone, vienimi a dare una mano!" dice rivolto a Peeta che non riusciva a togliersi quell'espressione divertita dal viso. "Vado ad aiutarlo, credo ce ne vorrà per un po'. Ti raggiungo dopo." Mi dice fiondandosi nel cortile di fronte. Resto a guardarli inseguire quelle povere bestioline per un po' ma poi decido di tornare dentro e dare una sistemata al caos che ho prodotto in cucina.
Sono già nel letto quando Peeta torna a casa. Una volta entrato, tutto subato e sporco di terriccio, si butta sul letto.
"Peeta!" "Si sono impresentabile, ma dammi cinque minuti per riprendermi." Mi metto a sedere, avvicinandomi a lui. "Le avete prese tutte?" "Si, ma se non lo fa lui, la uccido io ad Effie!" "Ma dai, ora non dirmi che non ti sei divertito" "Si, certo, fino a quando non mi è toccato dargli una mano." Sorrido.
Mi chino sul suo viso e gli poso un leggero bacio. "Io mi sono divertita molto a guardarvi!" "Ah si?" Annuisco e in risposta ricevo un bacio sul naso.
"Meglio che mi faccia una doccia!" Si tira su, togliendosi la maglia e buttandola a terra.
Lo fisso. Fisso quelle sue spalle larghe e definite ancora un po' imperlate di sudore, quelle braccia vigorose che vorrei tanto mi stringessero adesso, in questo preciso momento. 

"Gli asciugamani?" chiede, distraendomi dai miei pensieri affamati.
"Ah, ehm, terzo cassetto."  Ne prende uno e si dirige verso il bagno, lasciandomi sola con le mie fantasie, che mai avrei pensato di avere, fino ad un anno fa, su Peeta Mellark.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2407595