Faerie

di londra555
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Note:
Le note prima di iniziare di solito non sono una buona cosa secondo me… e nemmeno questa volta fa eccezione. Dunque prima di tutto son tornata anche se pensavo non sarebbe successo. Ovviamente Brittana e ovviamente AU! La storia doveva essere una shot ma poi mi è scappata di mano ma comunque non avrà più di tre capitoli (o almeno dovrebbe). Il genere è fantasy con un mondo medioevale e un po’ di magia. Spero vi piaccia. Per chi vuole leggerla vorrei dire che il fatto che ci sia tra gli avvisi “angst” non è casuale (gira così in questo periodo).
Grazie in anticipo a chiunque voglia leggere questo primo capitolo. Sapete che se volete lasciarmi due parole vi sarò grata e se non avete voglia vi sarò grata uguale per aver letto!
Un abbraccio e a presto!
  
 
 
Capitolo I
 
La giovane strinse con forza le redini e piantò i talloni nei fianchi della giumenta, che scartò seguendo il sentiero appena accennato tra gli alberi.
-Santana!
La voce di Puck e il rumore del suo grosso cavallo sauro che arrancava lungo il sentiero si facevano sempre più distanti, quasi attutiti dagli alberi e persi tra i mille altri suoni che la circondavano. Santana sogghignò. Non l’avrebbe raggiunta nemmeno questa volta. Ancora si domandava perché suo padre pensasse che Puck fosse adatto al compito di tenerla al sicuro, non era mai riuscito a starle dietro nemmeno quando erano ancora dei mocciosi che passavano i pomeriggi a fare a gara a chi salisse più in alto nei grandi alberi del giardino del castello. Non che Finn fosse uno scudiero migliore, per seminarlo le era bastato, come sempre, spronare il cavallo non appena aveva superato il grande portale in legno del suo castello e voltare a sinistra per buttarsi lungo la collina che scendeva leggermente sino al bosco, evitando così il villaggio e i suoi abitanti. Un paio di contadini piegati sulla terra che iniziava a cambiare decisamente dalle tonalità scure dell’inverno appena concluso a quelle verdi che confermavano l’arrivo ormai imminente della primavera, avevano sollevato lo sguardo ma nulla più. Erano abituati a vedere la figlia del loro sovrano cavalcare inseguita, più o meno da tergo, dai suoi scudieri. Per loro era naturale come vedere il sole che sorgeva ogni mattino.
Santana rallentò appena e con il movimento del corpo fece scartare ancora il suo cavallo per far perdere le sue tracce, Puck avrebbe dovuto faticare anche questa volta se voleva ritrovarla e non tornare al castello da solo e ricevere così l’ennesima lavata di capo dal loro maestro d’armi. Questo pensiero le strappò un sorriso e decise di allontanarsi ancora, spingendosi nel bosco il più possibile. Si chinò per evitare un ramo tendendo le orecchie per assicurarsi che non ci fosse lo scalpiccio degli zoccoli di un secondo cavallo e, mentre gli alberi si aprivano per fare spazio a una verde radura, Santana decise che quello fosse il posto adatto per fermarsi.
Smontò agilmente dal cavallo, con la lana spessa che le fasciava le gambe che le pizzicava la pelle, il farsetto di cuoio che le stringeva troppo appena sotto il collo e la spada corta che pesava, rassicurante, al suo fianco. Si guardò intorno accompagnando il cavallo lungo il ruscello affinché si ristorasse. Immerse lei stessa le mani nell’acqua e bagnò il suo volto e la nuca emettendo un suono misto di sollievo e fastidio per il freddo che le fece accapponare la pelle.
La radura era stranamente silenziosa, quasi come se fosse protetta da una campana di vetro che impedisse ai suoni di raggiungerla. Anche l’acqua del ruscello sembrava scivolare lungo il suo letto come fosse seta. Al centro c’era un enorme sicomoro, forse l’albero più grande che Santana avesse mai visto. Il suo tronco era rugoso e spesso con la corteccia che, in alcuni punti, quasi virava sull’arancione. Si avvicinò e posò una mano sul legno sollevando il viso, protetta dall’ombra delle grandi foglie ovali. Fissò in alto per lunghi istanti con le labbra semi aperte, decisamente era l’albero più grande che avesse mai visto. E, decisamente, era la prima volta che si trovava in quella radura. Una cosa che trovò curiosa, era quasi certa di conoscere quel bosco come il palmo della sua mano. Era quasi certa di aver visto ogni angolo. Per questo era tanto brava a nascondersi da Puck.
Accarezzò quasi dolcemente la corteccia un’ultima volta prima di abbassare il capo e voltarsi per assicurarsi che il suo cavallo non si fosse allontanato. Sospirò ed estrasse la spada dal suo semplice fodero di cuoio. I raggi del sole colpirono la lama creando un gioco di luci che la fece sorridere. Le dita della sua mano sinistra si strinsero con maggior fermezza sull’impugnatura e, improvvisamente, fece volteggiare la spada fendendo l’aria come fosse un nemico invisibile. Provò un paio di affondi e sospirò. Forse non era stata una buona idea seminare Puck e Finn. Forse sarebbe stato meglio averli lì per potersi allenare approfittando di quella radura naturale.
Del resto il suo maestro d’armi lo diceva sempre che era meglio avere un’altra spada e uno scudo con cui provare e riprovare ogni affondo, ogni posizione difensiva. L’aria non era mai un degno avversario.
Specialmente adesso che mancava così poco al momento tanto atteso.
Santana sentì un fremito d’eccitazione al solo pensarci. Era stato un inverno d’attesa e di preparazione. Aveva guardato la neve cadere e poi sciogliersi mentre i fabbri reali lavoravano a pieno regime per fabbricare le armi e i soldati si addestravano coscientemente per quello che sarebbe successo con la primavera e con i passi montagnosi di nuovo percorribili.
Suo padre stesso l’aveva addestrata, insieme ai migliori maestri per prepararla per quel momento, da sempre, da quando era stata in grado di stringere un’elsa tra le sue mani. Prima di saper camminare, o almeno così raccontavano nel castello i servi e i vecchi che l’avevano vista nascere.
E adesso, dopo tanto lavoro e sudore, quella era la primavera che aveva aspettato. Avrebbe cavalcato alla testa del suo esercito e avrebbe portato la guerra che il regno aveva atteso. Una guerra di vendetta che avrebbe lavato l’onta della sconfitta di suo padre e che avrebbe riunito nuovamente il regno.
Santana conosceva bene la storia, era quella che narravano tutte le canzoni, quella che il Maestro della Memoria le aveva fatto conoscere dagli annali, quella che suo padre le raccontava, quasi fosse una favola di fate e cavalieri, ogni notte prima di dormire. Era una storia di rivolta e lutto. La storia di come un semplice lord vassallo aveva tradito suo padre, re di diritto, e aveva diviso il regno.
E toccava a lei riconquistarlo. Questo le era stato insegnato e questo lei avrebbe fatto. In pochi giorni sarebbe partita, con l’esercito gonfio di spade e assetato di gloria. Con Puck al suo fianco e la Sacerdotessa a benedire i suoi passi.
Avrebbe compiuto il suo destino e ciò per cui era nata.
Immaginò di trovarsi in mezzo alla mischia, mosse la spada con precisione e infilzò al collo un soldato avversario, giusto nell’attaccatura delle squame della corazza. Schivò un fendente abbassandosi appena in tempo e colpì il soldato che l’aveva mancata con il suo scudo immaginario, quasi poteva sentirne il peso sul braccio. Si voltò improvvisamente per parare un affondo alle sue spalle…
-Non mi piacciono le spade.
Santana sobbalzò e quasi inciampò sui suoi stessi piedi, spaventata da quella voce che non conosceva. Ritrovò l’equilibrio e, stringendo con forza l’arma con entrambe le mani si voltò verso il luogo da dove proveniva la voce.
Appoggiata al tronco del sicomoro vi era una fanciulla che la guardava con espressione corrucciata. Pelle candida e capelli dorati che qualche raggio di sole, che riusciva ad attraversare il fogliame, faceva brillare quasi fossero circondati da una corona d’oro. Aveva gli occhi socchiusi, come stessero valutando Santana in ogni aspetto, ma sembravano di uno strano azzurro cristallino.
Santana non abbassò la spada, più perché le dava una maggior sicurezza che perché si sentisse in pericolo. Quella fanciulla indossava un abito azzurro che si intonava con i suoi occhi, sembrava di seta preziosa e perfetto. Come se la giovane fosse apparsa lì improvvisamente e non avesse dovuto camminare tra gli alberi.
-Sei una contadina del villaggio?
La domanda di Santana aleggiò nell’aria sembrando insensata alle sue stesse orecchie. Bastava uno sguardo superficiale per accorgersi che non poteva essere una semplice ragazza del villaggio. Ma Santana era certa che non fosse neppure la figlia di qualche nobile vassallo del regno giunto per portare spade per la guerra imminente. Lei conosceva praticamente ogni volto nobile. Era parte dei suoi doveri.
E Santana rispettava sempre i suoi doveri.
La giovane si limitò a sorridere, enigmatica o forse solo divertita dall’assurda domanda. Piegò il capo e aprì leggermente i suoi occhi per puntarli in quelli scuri di Santana.
-Non mi piacciono le spade – ripeté.
Santana soppesò l’arma passandola leggermente da una mano all’altra. Sapeva che era inutile e che non correva nessun pericolo, ma non riusciva a convincersi a rinfoderarla. Sostenne quello sguardo e abbassò leggermente la punta dirigendola al suolo.
-Chi sei?
Questa volta la domanda non sembrò così insensata. Ma sul volto della ragazza continuava a danzare lo stesso sorriso. Distolse lo sguardo e si allontanò leggermente dal tronco del sicomoro prima di sistemare l’abito per sedersi, con una delicata grazia, al suolo. Per un momento Santana pensò che non avrebbe risposto neppure a quella domanda. Ma poi la fanciulla sollevò di nuovo lo sguardo.
-Chi credi che io sia?
Santana aggrottò la fronte, lasciò che la punta della spada toccasse terra e tenne l’elsa solo con la mano destra mentre portava la sinistra dietro la nuca, come se quel gesto l’aiutasse a pensare. Non era abituata a non ricevere risposte. Ma non sapeva se esserne irritata o affascinata.
-So chi non sei – borbottò quasi controvoglia – Non sei una contadina, non sei del villaggio e non sei ospite al castello.
Il sorriso sul volto della fanciulla si allargò appena di più.
-Sai più cose di quante sembra.
Santana era indecisa se prendere quella frase come un’offesa o meno. Una piccola parte di lei si sentiva derisa. Passò la spada da una mano all’altra. Guardò prima la lama e poi di nuovo la giovane davanti a lei alla ricerca di una frase adeguatamente irritata per mettere le cose in chiaro. Nessuna giovane, per quanto sembrasse nobile, poteva permettersi di deriderla.
-E tu chi sei?
Quella domanda la fece vacillare. Santana si accorse che doveva avere un’espressione stupidamente ebete quanto quella del giullare di corte e chiuse le labbra con uno schiocco secco per ritrovare la compostezza. Di nuovo la guardò per assicurarsi che non fosse vittima di uno scherzo, ma la fanciulla sembrava genuinamente curiosa. Santana raddrizzò la schiena, rimise la spada nel fodero e si schiarì la voce per avere un tono solenne.
-Sono Santana, erede legittima di questo regno e tua sovrana.
La fanciulla si lasciò scappare una risata, che suonò fresca e cristallina come le acque di una sorgente, alle orecchie di Santana, ma era pur sempre una risata e non poteva non leggervi scherno.
-Ma questo non è possibile!
La giovane continuava a guardarla con un’espressione così sincera che Santana non seppe a quale istinto dar retta, a quello che le diceva che non poteva tollerare tali insulti o a quello che la spingeva a indagare di più per scoprire chi fosse davvero la persona con cui stava parlando.
-Come non è possibile?
-Io non ho sovrani.
Santana aprì di nuovo la bocca. Stupita, incuriosita e sconcertata allo stesso tempo. Serrò le labbra nuovamente con un gesto secco, doveva ricordarsi di mantenere la compostezza, maledizione.
-Sei in questo regno, quindi ribadisco che stai parlando con la tua sovrana… e dovresti fare attenzione e mostrare rispetto.
La fanciulla non sembrò accorgersi della lieve minaccia con cui Santana aveva voluto concludere la frase. Oppure semplicemente non pensava che lo fosse. Del resto la stessa Santana non era sicura che sarebbe davvero riuscita a fare alcun male alla giovane davanti ai suoi occhi. Per quanto sembrasse deriderla.
-Sono solo di passaggio.
Santana annuì, poco convinta. Una straniera? Avrebbe spiegato molte cose, ma non tutte. Da dove veniva? Come era arrivata lì sola? Dove stava andando?
-Non so il tuo nome.
-Puoi chiamarmi Brittany.
Santana annuì squadrandola curiosa. Fece un passo verso di lei e si fermò, indecisa. Brittany sembrò leggere la sua incertezza.
-Siediti con me.
Santana annuì nuovamente e fece un passo e poi un altro. Più si avvicinava più poteva vedere i dettagli di quella creatura davanti a lei. La pelle era più pallida di quanto pensava fosse possibile e sembrava anche più morbida di qualunque cosa avesse mai visto. I capelli erano biondi e sembravano brillare di una luce propria. I suoi occhi erano azzurri e limpidi come l’acqua della sorgente più profonda. Brittany sembrava quasi avvolta in una luce che irradiava lei stessa.
Santana pensò stupidamente che non poteva essere di questo mondo. Ricordi dei racconti della sua infanzia di un mondo fantastico che si era perso nel buio del passare dei secoli, danzavano leggeri nella sua testa.
-Santana!
La voce che la chiamava era ancora distante, ma perfettamente percepibile e riconoscibile. Santana si voltò alla sua destra ma Puck non era in vista. Ciò non di meno sapeva che era lui che l’aveva chiamata e sapeva che si stava avvicinando.
Guardò rapidamente Brittany e fece una smorfia.
-Devo andare – disse a malincuore.
Brittany annuì, come se lo sapesse perfettamente. Santana si voltò e salì sul cavallo, lo spinse ai margini della radura e si voltò ancora per guardare la giovane ancora tranquillamente seduta al suolo.
-Ci rivedremo? – domandò.
Sperava che la risposta fosse affermativa, perché aveva così tante domande da fare e così tante risposte da ricevere.
-Sì – rispose semplicemente Brittany.
Santana sorrise. Grata di sentirlo da quelle labbra, come se ogni suono pronunciato da loro non potesse essere altro che una verità.
-Santana!
La voce di Puck era sempre più vicina, Santana riuscì anche a sentire come malediva a voce alta evidentemente frustrato dalla lunga ricerca.
Gettò un’ultima occhiata alla ragazza, le fece un gesto con la testa, come un saluto, e si inoltrò nel bosco. Vide Puck tra gli alberi a pochi metri.
-Qui! – gli urlò.
Il ragazzo si voltò di scatto e strinse la mascella quando la vide.
-Alla buonora! – sbottò – Stavo per tornare al castello!
Santana si limitò a un sogghigno. Poi si voltò per gettare un’ultima occhiata alla radura. La visuale non era perfetta a causa della fitta vegetazione, ma riuscì a vedere il tronco del sicomoro, grosso e ruvido e solo.
Non vi era traccia di nessuna fanciulla.  
   
     

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Capitolo II
 
Il castello ribolliva di attività anche dall’esterno. Santana lasciò il cavallo al primo garzone di stalla che incontrò, ignorando gli sguardi infastiditi e accusatori di Puck e si diresse verso le sue stanze. Alcune giovani serve erano già in movimento per prepararla per presentarsi nella sala grande. Le portarono acqua fin troppo calda che arrossò la sua pelle olivastra e la strigliarono per bene. Quando finalmente ebbero finito poté indossare uno dei suoi abiti lunghi per poi lasciare che le acconciassero i capelli.
Alla fine Puck bussò alla porta per informarla che era ora di scendere per la cena. Santana si limitò ad annuire e lo seguì per prendere il suo posto nel tavolo centrale, tra i vassalli più importanti che si erano riuniti prima della partenza.
Una parte di lei sapeva che era inutile ma non poté fare a meno di scrutare ogni volto presente nella sala alla ricerca, quasi disperata della giovane che aveva incontrato nella radura poche ore prima. Una parte di lei sapeva che non sarebbe stata lì, ma non poteva fare a meno di cercarla.
-Che ti prende?
La voce di Puck la riportò alla realtà e le ricordò dove si trovava in quel momento.
-Niente – borbottò in risposta.
-Chi stai cercando?
Santana sollevò un sopracciglio. Possibile che fosse così facile leggere le sue intenzioni?
-Nessuno.
Puck la fissò per un attimo.
-Sei strana. E dovresti smetterla di sparire nei boschi, si suppone che io sia il tuo scudiero e che dovrei proteggerti. Finirà che tuo padre mi farà frustare!
Santana mosse la mano come a voler scacciare un insetto fastidioso.
-Sai benissimo che non corro pericoli.
-Siamo alla vigilia di una guerra. Ci potrebbero essere spie ovunque. Non ti fidare di nessuno, potrebbe esserci un pugnale destinato a te nascosto dove meno te l’aspetti.
Santana roteò gli occhi.
-Non essere infantile. Gli alberi non possono stringere lame, come pensi che possa capitarmi qualcosa nel mezzo di un bosco?
Puck scosse la testa.
-Non sai chi puoi incontrare. Non ti sentire mai sicura – insistette testardamente.
Santana aprì la bocca e la richiuse di scatto. Non doveva fidarsi. Non di sconosciuti. Nemmeno di strane fanciulle, tantomeno se sembravano apparire dal nulla.
Scosse la testa e riprese a guardarsi intorno, come se si aspettasse di ritrovare un paio di occhi cristallini che la fissavano. Lo desiderava ardentemente.
Ma ovviamente non era in quella sala. Da lontano vide solo Quinn, con il suo abito verde scuro da sacerdotessa che la distingueva dal resto dei commensali, che la fissava a sua volta con una coppa di vino tra le mani. Santana le fece un gesto con il capo. Non aveva mai capito la sua scelta di indossare quell’abito e scegliere quella via: sin da giovane si era dimostrata tanto abile con la spada come con i libri, ma Santana non avrebbe mai pensato che la sua amica avrebbe mai scelto la seconda via. Continuava a pensare che sarebbe stata molto più utile in un campo di battaglia che in una biblioteca. Quinn le aveva sempre detto che spesso per vincere una guerra era più utile la mente che il braccio, ma Santana, pur sapendo che c’era un fondo di verità nelle sue parole, si limitava a scuotere la testa.
Quando vide che sembrava volersi avvicinare a lei si alzò per ritirarsi nelle sue stanze, come se avesse qualcosa da nascondere. Quinn era sempre stata fin troppo brava a leggerle dentro e lei non sapeva bene cosa dirle, né perché si sentisse come se avesse un segreto inconfessabile da proteggere. Del resto non era successo niente.
Fu una notte agitata in cui nei suoi sogni si rincorsero radure, sicomori, acqua che scorreva come seta e occhi azzurri. Alla fine si svegliò con la luce dorata del primo sole che illuminava la sua stanza e un nome sulle labbra. Nome che non pronunciò ma che l’accompagnò durante tutta la mattinata di esercizi con la spada. E poi mentre mangiava un boccone davanti alle mappe del regno. E poi ancora mentre sellava lei stessa il suo cavallo nel sole caldo del primo pomeriggio.
-Dove stai andando?
Puck apparve alle sue spalle mentre finiva di stringere la cinghie. Non che non se l’aspettasse. C’erano sempre occhi su di lei. Puck si occupava di controllarla anche quando sembrava non ci fosse. Lei montò con un movimento fluido sul cavallo e sorrise innocentemente.
-Faccio un giro nel perimetro interno del castello.
Puck la squadrò dal basso, un lampo di incertezza nei suoi occhi. Era evidente che non sembrava crederle, ma serrò la mascella. Annuì impercettibilmente e Santana ne approfittò per spronare l’animale e uscire al galoppo verso la collina che portava al bosco. Immaginare la smorfia di disgusto di Puck la fece sogghignare divertita.
Non aveva voglia di avere nessuno tra i piedi. Era stata una lunga giornata e voleva solo staccare un poco. Spronò il cavallo per assicurarsi di mettere abbastanza terra tra sé e un eventuale inseguimento di Puck e raggiunse il bosco infilandosi tra gli alberi. Mantenne una velocità costante abbassandosi per evitare i rami più insidiosi e osservò con attenzione i sentieri per essere sicura di imboccare quelli giusti.
Quando la radura si aprì davanti a sé smontò mentre ancora il cavallo era in movimento e si guardò intorno.
Era deserta. Ma non poteva essere altrimenti. Lo sapeva bene. Ovviamente quella fanciulla non poteva essere ancora lì, certo non poteva aver passato la notte all’addiaccio sotto le foglie del sicomoro.
Santana fece qualche passo sentendo l’erba che cedeva sotto i suoi stivali. Camminò verso il ruscello bagnandosi le mani e il viso e si rialzò. Fece una smorfia mentre fissava l’albero. Sbuffò ancora, incapace di capire perché avesse quella strana stretta di delusione che le serrava lo stomaco.
Si sentì frustrata ed estrasse la spada mulinandola nell’aria con più forza del necessario, perse il controllo e l’equilibrio e riuscì a mantenersi in piedi solo infilzando la lama nella terra. Soppresse un lamento mentre chiudeva gli occhi e digrignava i denti.
-Non mi piacciono le spade.
Santana si immobilizzò aprendo gli occhi lentamente e voltandosi piano verso il sicomoro. Aveva un lieve sorriso dipinto sul volto mentre fissava Brittany che stava tranquillamente appoggiata al tronco dell’albero, quasi fosse sempre stata lì.
-La prossima volta sii puntuale. Così non sarò costretta ad ingannare il tempo così.
-La prossima volta potresti venire senza spada – suggerì Brittany senza scomporsi.
Il sorriso di Santana si ampliò. Ci sarebbe stata una prossima volta? Forse avrebbe potuto davvero rinunciare alla spada, se davvero così fosse stato.
Fece qualche passo verso l’albero mentre Brittany si sedeva con lo stesso grazioso gesto del giorno prima. Santana rifoderò la lama, aprì il cinturone al quale era legato il fodero e lo lasciò cadere al suolo. Poi riprese ad avvicinarsi, studiando la giovane davanti a lei. Aveva la stessa aria perfetta e luminosa che ricordava. La stessa tonalità d’azzurro che aveva sognato. E i suoi capelli sembravano risplendere di luce propria come fossero oro.
-Posso sedermi? – le chiese quando giunse al suo fianco.
Brittany toccò la terra quasi fosse un cuscino e si stesse assicurando che fosse comodo.
-Certo.
Santana lo fece. Sentendosi decisamente meno aggraziata. Fissò per un attimo davanti a sé, improvvisamente indecisa e insicura: cosa avrebbe dovuto dire a questa sconosciuta che sembrava apparire dal nulla?
Un angolo della sua mente, il più pragmatico e razionale, continuava a ripeterle le parole di Puck. Continuava a dirle di stare in guardia. Non fidarsi. Mai. Neppure di una giovane che sembrava tanto perfetta.
Ma Santana non ci mise molto a far tacere quella parte di lei. Le bastò lanciare qualche rapida occhiata furtiva a Brittany che, invece, sembrava non avere nessun problema a guardarla e studiarla direttamente.
Santana si sentì avvampare e decise che doveva dire qualcosa per spezzare quel silenzio che, per lei, stava diventando sempre più incomodo.
-Chi sei? – le domandò a bruciapelo.
Brittany non si scompose. Non cambiò espressione, non parve sorpresa. Ma soprattutto non distolse lo sguardo neppure per un attimo.
-Brittany.
Santana annuì, pur non essendo una risposta sufficiente.
-Da dove vieni?
Brittany aggrottò le sopracciglia. Come se non capisse la domanda. Si strinse nelle spalle.
-Da nessun luogo.
Santana iniziava a trovarsi a corto di domande pur senza aver ottenuto risposte. Aprì la bocca per formularne una nuova ma ci ripensò. Si voltò appena per guardare bene Brittany. Studiarla a sua volta. Questa volta senza sentirsi a disagio e senza vergogna. A Brittany non sembrò dispiacere quell’attenzione.
-Come mai sei qui? – chiese improvvisamente.
-Perché qui devo stare.
La risposta non era davvero sufficiente questa volta. Così Santana non cedette.
-Perché? – insistette.
Brittany si strinse nelle spalle. Come se la risposta fosse ovvia senza bisogno che venissero pronunciate parole. Santana era quasi sul punto di ripetere la domanda perché lei sì che aveva bisogno di sentirle. Ma Brittany l’anticipò.
-Se non fossi qui non ci saremmo mai viste.
Stranamente questo sembrò avere senso alle orecchie di Santana. Come se fosse così naturale che non potesse essere altrimenti. Si ritrovò ad annuire.
-Dovevamo conoscerci.
Non fu una domanda, solo una semplice constatazione. Ma il sorriso di Brittany si allargò, come fosse felice che avesse capito perfettamente quello che le aveva detto.
-Certo – disse.
Fece una pausa prima di continuare.
-Io l’ho visto. Io lo sapevo. Per questo sono qui.
Santana socchiuse gli occhi. Adesso era di nuovo confusa. Quella sensazione di comprensione, sparita come nebbia che si dirada ai primi raggi del sole.
-Lo sapevi? – articolò a fatica – Chi te l’ha detto?
Brittany di nuovo aggrottò la fronte come se non capisse quella domanda. Allora sembrò ignorarla, allungò la mano e la posò sul volto di Santana. Questa si lasciò cullare e chiuse gli occhi. Per lunghi attimi dimenticò dove fosse e chi fosse. Poi Brittany allontanò la mano e Santana riaprì gli occhi. Una nuova domanda la colpì.
-Non potevi saperlo. Ieri mi hai chiesto chi fossi! – non c’era accusa nella sua voce, solo stupore.
Brittany sorrise come si sorriderebbe a un bambino a cui si cerca di spiegare qualcosa di estremamente semplice.
-Non sapevo chi sarebbe apparso. Solo sapevo che dovevo conoscere qualcuno qui. Qualcuno di importante. Adesso lo so.
-Parli di Destino?
Brittany si morse il labbro inferiore e a Santana quasi si fermò il cuore. Si sentì avvampare con forza e distolse lo sguardo.
-E cos’altro sai? – chiese rapidamente più per distrarsi da quella strana sensazione che per ottenere una vera risposta.
Improvvisamente l’aria sembrò farsi più fredda e l’atmosfera più pesante. Sollevò lo sguardo, dimentica dell’imbarazzo che le aveva procurato quell’innocente gesto. Non incontrò gli occhi di Brittany che si erano spostati verso un punto indefinito davanti a loro, ma li vide offuscati e seri. Anche il sorriso era sparito. Quando aprì la bocca per rispondere Santana desiderò non aver mai fatto quella domanda.
Ma era troppo tardi.
-So cosa mi aspetta.
Santana sentì il cuore stretto in una morsa d’acciaio. Desiderò non continuare a chiedere. Ma lo fece.
-Cosa ti aspetta?
Brittany la guardò, gli occhi ancora velati da quella consapevolezza che sembrava accompagnarla.
-Soffrire.
Santana aprì la bocca, incapace di pensare a nient’altro che a cosa avrebbe mai potuto far soffrire una creatura così dolce come quella che aveva di fronte. Lei non l’avrebbe permesso. A qualunque costo.
Era la sovrana, avrebbe fatto staccare la testa dalle spalle a chiunque anche solo ci provasse.
-Non lo permetterò!
La sua esclamazione risoluta sembrò quasi esplodere nella quiete della radura. Le foglie del sicomoro, sembrarono ritrarsi. Ma Brittany sorrise. Un sorriso così triste che congelò l’aria intorno. Come se sapesse cose che Santana non poteva neppure immaginare.
Allungò di nuovo la mano a sfiorarle il viso, accarezzandolo con le dita, questa volta Santana non chiuse gli occhi.
-Devi andare. Si sta facendo buio.
Santana si guardò intorno, le ombre si allungavano e tutto si faceva più scuro. Tutto tranne la fanciulla davanti a sé che sembrava continuare a risplendere.
Così si alzò obbediente.
-Ci rivedremo? – chiese.
-Sì – rispose semplicemente l’altra.
Santana montò a cavallo e si diresse al limitare della radura. Lanciò un ultima occhiata alle sue spalle. Brittany era immobile, quasi abbracciata dal sicomoro, la guardava sorridente ma con ancora quell’ombra che sembrava pesare su di lei.
Santana fece un gesto di saluto. Poi si voltò.
-Sarai tu la causa. Ma non potevo rinunciare a te. Anche se per poco.
Quella frase la fece fermare. Immobile come una statua. Quando trovò la forza per voltarsi di nuovo sotto il sicomoro non c’era più nessuno.
     
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Secondo capitolo. Grazie a tutti coloro che hanno letto e grazie a chi ha recensito! Come ho detto la storia sarà abbastanza breve, credo quattro capitoli (è stata pensata come shot ma poi ovviamente mi è sfuggita di mano!)
A presto!
P.s. scusate se insisto ma non vorrei delusioni in seguito… ricordate che l’avviso “angst” non è lì per caso.
Un abbraccio a tutti

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Capitolo III
 
Santana si guardò intorno con un sospiro rassegnato. La biblioteca principale del castello era sempre stata un mistero per lei. Non che non le piacessero i libri, semplicemente odiava perdersi tra loro. Era sempre stata una persona pragmatica e, quando voleva qualcosa, cercava di ottenerlo senza cincischiare. Per questo odiava perdere tempo dentro quella immensa sala, tra gli enormi scaffali e le scale di legno che sembravano perdersi, alte come gli alberi della foresta.
Sospirò di nuovo, come se potesse servire a qualcosa, prima di rassegnarsi a fare qualche passo sfiorando con le dita il dorso dei volumi che aveva a portata di mano. Erano sempre ruvidi e scuri con lettere dorate che componevano i titoli. Santana sapeva che i più antichi venivano conservati in un’altra sala per proteggerli dal passo del tempo, si chiese se quello che cercava non fosse proprio lì.
Ma nel fondo cosa cercava davvero?
Non era sicura. Ma c’era una leggenda, quasi una favola, niente più che un racconto che la sua balia le raccontava sempre quando, ancora bambina, si rifiutava di chiudere gli occhi e dormire, troppo eccitata dalle lunghe giornate estive. Santana ricordava che parlava di uno strano mondo, vicino eppure lontano, separato da un velo, dove vivevano creature magiche e meravigliose.
Scosse la testa pensando che era troppo grande per queste cose, aveva troppi doveri e troppi impegni. E li stava, in parte, ignorando per inseguire uno stupido racconto per bambini.
Eppure non riusciva a obbligarsi a uscire da lì per raggiungere lo studio dove venivano conservate le mappe del regno. Le sarebbe stato più utile conoscere meglio ogni fiume, ogni collina, ogni albero reale, piuttosto che cercare notizie di un luogo magico immaginario.
-Puck aveva ragione dunque. Santana che non si trova nel cortile per allenarsi con il maestro d’armi o a cavallo per assistere all’addestramento delle truppe, per stare in una biblioteca?
Santana sollevò gli occhi al cielo. Se aveva pensato che le cose non potevano mettersi peggio ecco che, immediatamente, appariva lei. Non aveva neppure bisogno di voltarsi e guardarla per sapere che aveva il suo solito sorriso divertito di quando intravedeva la possibilità di darle una delle sue lezioni.
-Puck non ha mai ragione. Dovresti saperlo.
Quinn la raggiunse fermandosi al suo fianco con lo sguardo fisso sui libri che avevano davanti.
-Cosa cerchi?
-Niente di importante – rispose scuotendo la testa.
Quinn sorrise divertita.
-Sarebbe più facile se me lo dicessi. Sai che potrei aiutarti. Cosa succede Santana? Sei preoccupata per la guerra? Ormai mancano davvero pochi giorni.
Santana sospirò. Avrebbe voluto davvero dirle che era davvero quello a preoccuparla. Avrebbe voluto dirle che cercava solo un libro con la storia del regno, o di tattica militare o qualunque altra cosa simile. Sarebbe stato anche abbastanza facile farlo e, forse, Quinn le avrebbe perfino creduto.
O forse le avrebbe creduto molto di più che se avesse ammesso la verità: la sua ossessione per una giovane che sembrava apparire dal nulla in una radura. E i suoi sospetti che venisse da un mondo che non doveva esistere.
-Ricordi Nym?
La domanda sembrò prendere di sprovvista Quinn che, evidentemente, non aspettava niente di simile.
-La tua balia? Certo, era una donna meravigliosa. Ho pianto quando la febbre l’ha portata via.
-Quando ero una bambina mi raccontava delle storie per farmi addormentare. – Santana si fermò, strinse le labbra come se volesse impedire alle parole di lasciarle – Le sue preferite parlavano di uno strano mondo separato dal nostro, abitato da creature magiche.
Santana si fermò in attesa forse di sentire la risata di Quinn che le diceva che era troppo grande per credere alle favole. Invece questa disse una sola parola.
-Faerie.
Santana non aveva mai sentito quella parola, come se Nym avesse paura a pronunciarla.
-Faerie – assaporò il suono e le sembrò perfetto – Sembra appropriato per un mondo di leggenda.
Quinn si voltò verso di lei e la fissò.
-Le leggende nascondono sempre una verità.
-Tutte?
-Alcune più di altre.
-E questa quanta verità nasconde?
Quinn sembrò soppesare le parole.
-Faerie è una verità nascosta dietro una leggenda.
Santana la guardò, come se si aspettasse di vedere che stava solo scherzando, ma Quinn non le era mai sembrata così seria. E, quando continuò a parlare lo fece con un tono che non ammetteva repliche.
-Faerie è il Reame del Crepuscolo, il Regno delle Fate. Ed è un luogo reale che può essere raggiunto. A volte si aprono delle porte, nessuno sa bene perché, né quando, né come. Ma possono essere attraversate.
Santana deglutì. Brittany sembrava poter essere una creatura magica molto più che una comune ragazza.
-Come fai a saperlo? – chiese comunque, non voleva che Quinn smettesse di parlarne.
-In molti l’hanno visitata. Alcuni tornano. Altri si perdono e non trovano più una via d’uscita – fece una pausa e la guardò – Altri ancora non vogliono più tornare. In ogni caso è un luogo pericoloso.
-Anche i suoi abitanti?
-Solo alcuni. Sono molto più pericolosi coloro che vivono da questa parte. Si dice che alcuni abbiano il dono della preveggenza. Che sappiano in anticipo ciò che succederà.
Santana si leccò le labbra. Brittany sembrava conoscere cose che ancora non erano avvenute. Ma si sbagliava. Perché Santana era certa che mai le avrebbe fatto del male, non avrebbe potuto farla soffrire. Ripensò al calore della sua mano sulla sua pelle.
-Il futuro non si può conoscere.
Quinn si strinse nelle spalle.
-Forse no – concesse, ma nei suoi occhi una luce strana sembrava dire l’opposto.
Santana ne aveva abbastanza. Si voltò senza una parola ed uscì sentendo lo sguardo di Quinn fisso sulla sua schiena.
Cavalcò più in fretta che poté e smontò poco prima di entrare nella radura. Sotto il sicomoro non c’era nessuno. Santana estrasse la spada e abbassò lo sguardo mentre la infilzava giusto sul limitare della radura, dove l’ombra degli alberi era ancora fitta. Quando sollevò gli occhi, Brittany le sorrideva.
Santana si incamminò percorrendo i pochi metri prima di fermarsi a guardarla anche lei con un sorriso dipinto sulle labbra.
-Sapevi che sarei stata qui? – le chiese.
-Certo.
Santana si sedette al suo fianco senza staccarle gli occhi di dosso. Studiando ogni lineamento. Non le stava mentendo. Sapeva davvero che sarebbe arrivata. Si chiese cos’altro sapesse.
Poteva leggere quello che sentiva? Questa strana e incomprensibile voglia di passare il tempo al suo fianco? Questa voglia di perdersi con lei sotto quell’albero e di restare lì sino alla fine dei suoi giorni tra l’erba morbida e l’ombra proiettata da quell’albero?
Santana la guardò ancora per un attimo, si morse il labbro e, prima che la ragione la fermasse, si allungò per prendere il suo viso tra le mani e poterlo avvicinare a sé. Quando la baciò si rese conto immediatamente che non ne era sorpresa, Brittany aspettava le sue labbra come se sapesse bene cosa sarebbe successo. Santana si rilassò tenendola stretta e inseguendo le sue labbra che sembravano fatte apposta per lei.
Quando si staccò rimase alcuni attimi con gli occhi chiusi per assaporare quel momento. Una parte di lei le diceva che non aveva senso, che l’aveva appena conosciuta e non era neppure sicura di chi o cosa fosse. Ma c’era una parte che, prepotentemente, le diceva che era esattamente Brittany che aveva aspettato così a lungo.
Non certo la guerra o la vendetta.
Solo lei, con la sua pelle morbida e l’oro dei suoi capelli e il cielo dei suoi occhi. Sapeva che era destinata a incontrarla.
Brittany appoggiò la testa sulle sue gambe mentre Santana riapriva gli occhi e si rilassava contro il tronco del sicomoro.
Santana lasciò scorrere le dita tra i suoi capelli, disegnò forme con i polpastrelli sulla sua pelle e la guardò, come se non potesse avere occhi che per lei.
-Vieni con me al castello.
Quella richiesta lasciò le sue labbra prima di rendersi conto che era esattamente quello che desiderava. Brittany sorrise, ancora, e Santana seppe che sapeva bene che l’avrebbe chiesto. Ma vi era una lieve ombra di tristezza che finse di non vedere.
-Non posso.
-Certo che puoi, verrai accolta con tutti gli onori e…
Brittany sollevò una mano e la posò sulle sue labbra per fermare le parole. Scosse la testa piano.
-Non posso allontanarmi da qui. La mia casa è Faerie.
Santana lo sapeva. Quando la sua balia le raccontava le leggende di quel mondo le diceva anche che i suoi abitanti non potevano vivere lontani. Nella terra degli uomini mancava la magia, e nessuna creatura magica poteva vivere senza.
-Mi piacerebbe vederla. Faerie.
Brittany non sembrò scomporsi.
-Sai che può essere un luogo pericoloso. Tanti si perdono. Tanti non tornano più indietro.
-Tanti decidono di non tornare.
Brittany sorrise di nuovo, distolse appena lo sguardo, e Santana finse di nuovo di non vedere quella lieve ombra di tristezza che, questa volta, aveva offuscato anche i suoi occhi.
-Ma non tu.
Santana sapeva che aveva ragione. Lei non poteva certo permettersi ora di sparire. Aveva un esercito da guidare, una missione da compiere, una vendetta da gustare e un regno da conquistare. Almeno la parte che era stata sottratta a suo padre. Qualunque sarebbe stato il prezzo.
-No, non ora – fece una pausa – Ma presto.
Brittany allungò la mano per sfiorarle il viso. Sembrava improvvisamente disinteressata a quella possibilità.
-Sai che il tempo non scorre allo stesso modo?
Santana corrugò la fronte, così Brittany continuò.
-Una sola ora a Faerie può essere un anno qui o un mese o solo pochi secondi. O secoli. Non lo puoi mai sapere.
Santana sentì un brivido lungo la schiena. Accarezzò quell’idea, la possibilità di sparire per sempre. Poi vide con la coda dell’occhio la spada, ferma conficcata al suolo a pochi metri. Sentì il suo peso e la forza necessaria per maneggiarla. Assaporò l’idea di conquistare tutto. Di vedere il sole tramontare su una terra tornata unita. Lo doveva fare, era stata allevata per quello. E lo voleva con tutte le sue forze.
Quando abbassò lo sguardo Brittany la stava fissando e, questa volta, Santana non riuscì a fingere che quell’ombra oscura non fosse passata sui suoi occhi.
-Presto. Tornerò presto.
Brittany non rispose, si sollevò appena mentre portava la mano destra dietro la sua nuca e l’attirò a sé per baciarla di nuovo. Santana si lasciò cullare da quelle labbra.
Presto, pensava. Sarebbe tornata presto da lei. Avrebbe fatto il suo dovere e poi sarebbe stata libera di seguire i suoi desideri. Perché sapeva che era nata per amare Brittany.
-Devi andare.
Le parole di Brittany la fecero sobbalzare. Si accorse che le ombre si stavano allungando e che il crepuscolo era imminente. Il tempo sembrava essere fuggito dalle sue dita, come ora facevano i capelli di Brittany mentre si alzava.
L’indomani sarebbe stato il giorno della partenza.
Quello che hai sempre aspettato, pensò Santana ma con poca convinzione. Stranamente quel pensiero non le sembrava più così veritiero.
Brittany la guardava e Santana si sforzò di sorridere.
-Verrò domani prima della partenza.
Brittany annuì, come se lo sapesse. Santana la baciò ancora sulle labbra e poi le posò altri baci sui suoi occhi chiusi.
-Ci rivedremo? – le chiese come sempre.
-Sì. – sussurrò Brittany.         
 
 
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Salve a tutti quelli che sono arrivati sin qui! Scusate il ritardo visto che stavo pubblicando il venerdì!
Una piccola nota. Faerie è un regno delle Fate immaginario, influenzato da “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare, e creato da Neil Gaiman (se non avete letto niente di lui dovreste rimediare e ve lo dico di cuore!) e appare per la prima volta nel fumetto “The Sandman”.
Il prossimo sarà l’ultimo capitolo.
Vorrei ringraziarvi davvero tanto perché sinceramente ci tengo molto a questa storia. Quindi grazie a chiunque stia leggendo e un grazie enorme a chi ha tempo e voglia per lasciarmi una recensione.
Un abbraccio enorme! 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV
 
 
L’aria della notte era fredda e pungente ma a Santana non sembrava importare. Stava in piedi guardando attraverso la finestra aperta, il letto perfettamente ordinato testimone della sua notte insonne.
La più lunga della sua vita.
Non aveva mai fatto caso a quanti suoni e rumori potessero accompagnare lo scorrere delle ore, quando si supponeva che tutto dovesse essere fermo, immobile e silenzioso.
Santana invece aveva la sensazione che persino la luna avesse un proprio suono mentre attraversava la volta stellata, sino a scomparire bassa all’orizzonte mentre la prima luce grigia iniziava a farsi strada lungo le pareti della sua stanza. Strisciando piano, quasi come se facesse fatica a contrastare il buio della notte. Ma segnando l’inizio del nuovo giorno.
Il giorno della partenza.
Santana lo sapeva. L’aveva atteso. E l’aveva sempre immaginato così: una lunga notte insonne a precedere l’alba del suo destino.
Solo che mai aveva immaginato che la sua mente avrebbe avuto come unico pensiero la sola Brittany.
Santana guardò ad est, il sole ancora non appariva ma sapeva che era ormai questione di pochi minuti. E poi sarebbe partita.
Scosse la testa e, prima di sapere cosa stesse per fare spalancò la porta facendo sobbalzare la guardia che stava ferma fuori dall’uscio ma a cui non dedicò più di un’occhiata distratta.
Le stalle erano quasi deserte ancora e il mozzo che la vide e a cui chiese il suo cavallo era ancora troppo assonnato per porgerle domande.
Cavalcò il più rapidamente possibile uscendo da una delle porte laterali, controllata da un paio di soldati troppo giovani per poter anche solo pensare di rifiutarsi di aprirla su suo ordine diretto.
Il bosco era ancora troppo scuro, perché i primi timidi raggi di luce non riuscivano ad attraversare la fitta boscaglia ma il cavallo sembrava sapere perfettamente dove andare.
Era come se una calamita lo chiamasse verso la radura, Santana si limitò a piantargli gentilmente i talloni sui fianchi quando sembrava rallentare appena, ma per il resto non sembrò aver bisogno di nient’altro.
Giunse alla radura quando il sole era ormai sorto abbastanza per poter riflettere i suoi raggi tra i capelli di Brittany che l’aspettava in piedi sotto il sicomoro. Come se sapesse che sarebbe arrivata.
Santana smontò con un unico movimento e percorse i pochi passi che le separavano per prenderla tra le braccia.
La strinse con forza, assicurandosi che fosse vera ed in carne ed ossa, che non fosse solo un miraggio. Aveva bisogno di sapere che esisteva e che il suo cuore non si sbagliasse.
Brittany la lasciò fare, fondendosi tra le sue braccia, emanando un calore che sapeva di casa e desideri non detti. Di distanze e di destini.
Santana chiuse gli occhi sentendo un nodo allo stomaco che era quasi un misto tra l’amore che sentiva per quella creatura e il dovere che l’avrebbe portata via da lì.
-Tu lo sapevi. Tu lo sai – disse.
-Che oggi andrai via? – le chiese dolcemente Brittany allontanandosi ed accarezzando il suo volto, quasi volesse cancellare lacrime che, in realtà, Santana non aveva versato.
-Sì. E che ti avrei amato appena ti avessi visto.
Brittany distolse appena lo sguardo mentre annuiva.
-Sì – confermò – Come io amo te.
Santana sentiva che qualcosa mancava.
-Sapevi che sarei andata via da te. Ma hai voluto conoscermi ugualmente.
-E lo rifarei altre mille volte. Anche se andrai via.
Brittany sembrava così risoluta ma, allo stesso tempo Santana sentiva come se ci fosse qualcosa che le sfuggiva. Qualcosa che era di vitale importanza e che lei non riusciva ad afferrare.
-Ma io tornerò – promise.
Quella era l’unica cosa che aveva chiaro nella sua testa. Sarebbe tornata. A qualunque costo.
Brittany distolse lo sguardo, si morse il labbro inferiore, come se lottasse con se stessa. Alla fine chiuse gli occhi e, quando li riaprì erano fissi in quelli di Santana.
-Non andare. Rimani con me.
Santana spalancò la bocca, stupita. Non poteva averlo detto. Lei sapeva che sarebbe dovuta andar via. Era il suo Destino. Brittany lo sapeva, l’aveva visto e ciò che è scritto non può essere cambiato.
Ma allora perché sentiva quel nodo alla gola che le impediva quasi di respirare? Perché sentiva che avrebbe potuto semplicemente annuire e lasciare che il suo Destino fosse un altro?
In lontananza, trasportato dall’aria del primo mattino sentì il suono dei tamburi di guerra e del loro ritmo fermo e sicuro che richiamava alle armi. Sapeva che il castello a quel punto era sveglio e che molti si domandavano dove fosse finita.
Puck l’avrebbe cercata in ogni luogo. Ma non l’avrebbe mai trovata. Sarebbe bastato annuire.
Ai tamburi si aggiunse lo squillare delle trombe e Santana si riscosse. Passò la mano sul volto di Brittany e baciò le sue labbra.
Brittany mantenne gli occhi chiusi mentre Santana si allontanava piano, montando sul cavallo senza staccarle gli occhi, per studiarla e portarla con sé.
-Ci rivedremo – le disse.
Questa volta non era una domanda, Santana sarebbe tornata, lo sapeva.
Brittany aprì gli occhi e la guardò per l’ultima volta. E poi sorrise, il sorriso più triste che Santana avesse mai visto. Strinse la mascella e dovette combattere contro se stessa per evitare di andare nuovamente a stringerla.
Chiuse gli occhi e spronò il suo animale che si infilò tra gli alberi, lasciando Brittany alle sue spalle e Santana seppe che l’aveva fatta soffrire e che le aveva spezzato il cuore.  
Ma sarebbe tornata.
 
---------
 
-Santana?
La voce di Puck la raggiunse mentre teneva gli occhi chiusi e stava ferma sotto una quercia, una sua mano posata sul tronco.
-Sono qui – rispose.
Il giovane arrivò seguendo la sua voce.
-Diavolo, San. Possibile che ogni volta che ti cerco sei in mezzo a un bosco?
-Cerco un sicomoro. Ma non ne ho mai visti da quando siamo partiti.
Puck la guardò confuso e con un cipiglio che probabilmente nascondeva un po’ di preoccupazione. Da quando la guerra era iniziata cercava di non staccarsi mai da lei. Ma Santana aveva bisogno di silenzio e pace e sembrava non sopportare la presenza di nessuno troppo vicino a lei.
-Non ne troverai. – le disse – Non da queste parti.
-Come lo sai?
Puck la guardò sollevando un sopracciglio.
-Quinn non ti ha insegnato niente? Sono alberi che crescono solo nel continente meridionale, a giorni di navigazione da qui.
Santana fece una smorfia.
-Ne ho visto uno crescere nel bosco intorno al castello.
Puck scosse la testa.
-Impossibile. Sono gli alberi sacri della dea Hathor, sono il simbolo dell’immortalità. Crescono solo a sud, ma se vuoi quando tutto questo sarà finito ci imbarcheremo nella prima nave che incontriamo e faremo rotta verso il sud. Lì troverai ciò che cerchi.
Santana prese un profondo respiro.
-Ho già un sicomoro da cui tornare.
Puck la guardò, sembrava ancora più preoccupato. Raccolse un po’ di fiato.
-Santana, cosa c’è che…?
-Come finirà? – gli domandò a bruciapelo Santana.
Puck aggrottò le sopracciglia. La fissò come se volesse assicurarsi di aver capito bene a cosa si riferisse.
-Domani alle prime luci dell’alba, dopo tutti questi mesi di battaglie e sangue, finalmente affronteremo l’ultima. Gli eserciti sono schierati. Non vi è via di fuga e nessuno si arrenderà.
Santana stette ad ascoltarlo ma senza guardarlo. Puck proseguì.
-Prima che il sole tramonti domani ci sarà un vincitore. E saremo noi. Avrai riconquistato ciò che di diritto ti spettava.
-Perché? – gli domandò.
-Perché è quello che ci si aspetta da te. Perché siamo arrivati fin qui. – Puck prese coraggio – Hai paura di morire, Santana?
-No.
-Di cosa hai paura allora?
Ma Santana serrò le labbra. Ciò di cui aveva davvero paura non lo sapeva neppure lei. Così non rispose. Si limitò a voltarsi indietro per tornare alla sua tenda.
Aspettando l’alba.
 
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Puck aveva ragione.
Santana dovette ammetterlo almeno a se stessa mentre il vento le seccava il sudore sulla pelle.
Respirò ancora con affanno mentre le grida di giubilo intorno a lei si facevano sempre più intense. Ma lei sembrò quasi non sentirle, o non vedere le spade che si alzavano al suo passaggio.
Sentiva solo le braccia pesanti, i capelli appiccicati alla nuca, l’elmo opprimente sugli occhi. Lo afferrò con forza e lo lasciò scivolare al suolo. La luce del sole che tramontava la colpì con forza.
Santana stette ferma solo per un attimo, poi buttò il cinturone con il fodero che proteggeva la spada, si sfilò i guanti di maglia di ferro e iniziò a camminare a passi sempre più rapidi verso l’ovest dove il sole si muoveva basso sull’orizzonte. Prima che potesse capire cosa stesse facendo si mise a correre ignorando il suo nome che veniva richiamato.
Corse più rapidamente che poté, con i polmoni che bruciavano ad ogni boccata d’aria, inseguendo il sole prima che sparisse. Improvvisamente la terra lasciò spazio alla sabbia e le sue gambe sembravano di pietra mentre il mare si avvicinava. Santana rallentò quando sentì l’acqua fredda che le bagnava i piedi e si fermò quando la sentì coprirle le gambe.
Si fermò a guardare un sole rosso come il sangue che trasformava ogni cosa che la circondava. Lo guardò fisso socchiudendo gli occhi e ignorando le lacrime. E, mentre tramontava, le sembrò disperato e triste.
Ma più triste di ogni cosa le sembrò il fatto che non ci fosse più niente da conquistare, era arrivata alla fine e più in là non sarebbe potuta andare. E niente, ora, avrebbe potuto distrarre i suoi pensieri dal tornare da Lei.
-Santana…
La voce di Puck alle sue spalle era solo un sussurro tra una boccata d’aria e l’altra. Santana si voltò e lo guardò.
-Se potessi vedere il futuro e potessi sapere quando e come incontrerai la persona di cui ti innamorerai per sempre, ma sapessi anche che se ne dovrà andare e che non potrete stare insieme. Lo faresti? Andresti ad incontrarla?
Puck si sollevò, prese un’ultima, profonda, boccata d’aria e alla fine scosse la testa.
-No.
-No? – domandò Santana incerta, come se non fosse sicura di aver capito bene.
-Se sapessi che non ci sarebbe futuro non lo farei. Mai.
-Perché?
Puck sospirò e scosse la testa.
-Perché, se non ci fosse scelta, preferirei che non mi conoscesse per non soffrire per avermi perso. Se conoscessi il futuro sarebbe sufficiente il mio di dolore per aver perso qualcuno prima di averlo.
Santana sembrò pensarci, sentiva come se avesse commesso un errore. Puck la guardò prima di proseguire.
-Ci sarebbe solo un motivo per cui la incontrerei.
-Quale?
-Se non fosse scritto. Se ci fosse anche solo una possibilità che scegliesse di rimanere. Anche solo una. Allora, e solo allora, rischierei ogni cosa.
Santana sentì un brivido lungo la spina dorsale mentre, per la prima volta si chiese se davvero non avesse avuto scelta.
Prima ancora di capire cosa stesse facendo, le sue gambe iniziarono a muoversi prima piano e poi sempre più veloci. Sentì la mano di Puck che cercava di chiudersi intorno al suo polso per fermarla, ma riuscì a liberarsi con uno scossone.
E poi furono solo giorni a cavallo. Strade e notti insonni con poche ore di riposo. Il tempo si congelò e la stanchezza sparì. Perché aveva un’unica meta.
Quando giunse al limitare del bosco era ormai allo stremo. Si sentiva febbricitante, sporca e non ricordava l’ultima volta che aveva mangiato un pasto completo. Il cavallo sembrava andare avanti per inerzia ma non oppose resistenza quando lo spronò infilandosi tra gli alberi che così bene conosceva.
L’ombra delle foglie le diede sollievo anche se ogni cosa sembrava una informe massa verde che si muoveva.
Quando raggiunse la radura smontò cadendo al suolo dopo pochi passi. Si sollevò a fatica e barcollò verso il centro dove, ormai quelli che sembravano secoli prima, vi era un sicomoro. Santana riuscì a percorrere gli ultimi metri con un passo instabile e, alla fine, si accasciò al lato di quello che rimaneva del tronco abbattuto del sicomoro.
Santana passò la mano sul legno spaccato, con delicatezza.
-Brittany … - sussurrò.
E poi, in ginocchio al centro della radura, con il torrente alle sue spalle e il sole alto sulla sua testa, Santana iniziò a piangere.        
 
 
Fine
 
 
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Siamo arrivati alla fine.
Grazie davvero a chiunque abbia letto e grazie per la pazienza di aspettare i capitoli.
Un abbraccio.

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