Solo con me

di sweetPotterina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Gioco di ombre ***
Capitolo 2: *** Il suo sogno, il mio incubo ***
Capitolo 3: *** Solitudine ***
Capitolo 4: *** Ipocrisia ***
Capitolo 5: *** Non siamo soli ***
Capitolo 6: *** Piccole battaglie ***
Capitolo 7: *** Il suo sorriso ***
Capitolo 8: *** Solo per me ***
Capitolo 9: *** A Natale puoi ***
Capitolo 10: *** Ivanhoe ***
Capitolo 11: *** Ombre prigioniere ***
Capitolo 12: *** Lillà ***



Capitolo 1
*** Prologo - Gioco di ombre ***


PREMESSA: Questa storia é legata alla long-fic “Solo con te”, in quanto rappresenta il prologo della saga “Ombra costante”.
Essendone, tuttavia, il primo capitolo, la comprensione di questa storia, delle circostanze e dei personaggi, sono possibili anche senza la lettura della storia da cui dipende. Pertanto, buona lettura a tutti!




PROLOGO
GIOCO DI OMBRE


Dove c’è molta luce l’ombra è più nera.
(Johann Wolfgang von Goeth)



Qualcuno si chiede ancora come sia iniziata tra Draco Malfoy e Hermione Granger.
Ma solo loro due sanno che l’inizio lo devono alla fine.
La fine di un’illusione, di una speranza calpestata brutalmente.
Lei aveva smesso di vivere alla luce del sole per un amore non corrisposto.
Lui aveva smesso di vivere alla luce del sole per un amore tradito.
L’orgoglio aveva cercato di aiutarli a sopravvivere, ma il sole, così come il mondo, gli aveva voltato le spalle e aveva smesso di irradiare il suo personale calore.
I raggi si erano trasformati in spire di fuoco capaci di bruciare sulla ferita ancora aperta e sanguinante.
Si erano ritrovati da soli, con forze insufficienti per sopravvivere. Per sopportare.

Erano stati costretta a rifugiarsi nell’oscurità.

Un inferno personale fatto di facce nemiche, di figure ambigue, di sofferenze che non riuscivano a trovare pace o riposo.
Poco contava se qualcuno gli dicesse che non erano da soli, che qualcuno porgesse una mano per tentare di aiutarli.
Loro si sentivano così dentro –due anime solitarie in pena!–, ed era questo l’importante.
Qualcuno poteva chiamarla codardia, ma solo chi aveva vissuto poteva davvero comprendere quei gesti introversi.
Perché loro non scappavano, non si nascondevano.

Loro cercavano semplicemente se stessi.

Perché solo quando si ha piena consapevolezza di sé si può affrontare il mondo e il proprio cuore.
In quel baratro senza fondo hanno quindi tastato ciechi l’oscurità, fino a quando hanno trovato la forza di vedere oltre la patina buia e fredda.
Hanno conosciuto i propri scheletri, le proprie paure, finché questi non sono diventati loro amici.
Hanno affrontato i mostri del passato e li hanno abbattuti.

Insieme.

Perché puoi sentirti solo un giorno, ma non sarà mai così per sempre.
Non è nella natura dell’uomo.
L’anima alla fine si ribella, si accende di disperazione e cerca la sua gemella.
Per questo nel buio sono riusciti a vedersi, nella solitudine ad avvicinarsi, nella ragione a scoprirsi e a conoscersi.
Finché nel cuore sono riusciti ad amarsi.

***

Ottobre 1996.

La stava guardando, mentre i suoi amici scherzavano e ridevano dietro di lui.
Non li ascoltava, ma fingeva di ridere con loro, intanto che nella foresta si sistemano vicini l’uno con l’altro in attesa che la lezione cominciasse.
-Ehi, Mezzosangue.
Hermione gli passò di fronte in quel momento, con la sua amica, e alzò lo sguardo su di lui con diffidenza, quasi distratta.
Ma Draco sapeva di avere tutta la sua attenzione.
-Hai incontrato Weasleyuccio, per caso? Stamattina non l’ho ancora visto.
Lei sorresse il suo sguardo divertito per un lungo istante, lungo abbastanza per leggerle dentro tutta la delusione e la tristezza che avevano provocato le sue parole.
Come previsto, un nodo allo stomaco lo colpì, ma Draco rimase fedele alla sua maschera e continuò a fingere di giocare a quel passatempo che divertiva tanto i suoi compagni di casa.
Era diventato semplice raggirare loro, sempre più difficile ingannare lei.
Lei che adesso stava abbassando il capo per raggiungere i suoi amici e che si ostinava a credere in un qualcosa che non poteva esistere.

La resurrezione.

Eppure entrambi sapevano che era tutta un’illusione, un gioco di ombre.
Era sempre stato così.
Lo sapeva lui e lo sapeva lei.
E questo per il momento bastava.
Perché tutto quello che era interessante accadeva nell’ombra.

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Capitolo 2
*** Il suo sogno, il mio incubo ***


PREMESSA: Questa storia é legata alla long-fic “Solo con te”, in quanto rappresenta il prologo della saga “Ombra costante”.
Essendone, tuttavia, il primo capitolo, la comprensione di questa storia, delle circostanze e dei personaggi, sono possibili anche senza la lettura della storia da cui dipende. Pertanto, buona lettura a tutti!




CAPITOLO I
IL SUO SOGNO, IL MIO INCUBO


Gli incubi peggiori sono quelli che si fanno da svegli.
(Giovanni Soriano)



Settembre 1996.

Si era sbagliata.
Ron aveva appena portato alla vittoria i Grifondoro con le sue abilità di portiere, parando numerosi e difficili lanci.
C’è l’aveva fatta senza nessun aiuto. Senza la Felix Felicis.
Hermione sorrise tra sé, rasserenata. Era orgogliosa di lui, per essere finalmente riuscito a sconfiggere le proprie paure e a realizzare il suo desiderio più grande.
Ricordava ancora quando, alla fine del primo anno, le confessò di sperare ardentemente che ciò che aveva visto nello specchio delle brame si avverasse. Sapeva che non prevedeva il futuro, come lui aveva una volta ingenuamente pensato, eppure probabilmente in quel momento stava davvero vivendo parte del suo sogno.
Lo applaudì assieme ai suoi compagni, finché non vide Lavanda Brown avanzare e gettarsi tra le braccia di Ron. Ancor prima di realizzare quella pericolosa vicinanza, lei lo stava baciando.
Il suo cuore ruggì al centro del petto in segno di disapprovazione, urlando furioso il suo rimprovero prima di spegnersi e prosciugarle la vita.
Il tonfo sordo che il suo cuore emise fu l’ultima cosa che sentì, prima di sprofondare negli abissi più profondi. Alzò una mano al petto, nel vano tentativo di trattenerlo, ma era troppo tardi: lo aveva perso, insieme alla speranza di un loro che non sarebbe più arrivato.
Che stai facendo, Ron?
Non sembrava minimamente disturbato dallo slancio della compagna, ricambiando anzi il suo bacio senza la minima rimostranza. Aveva sentito parlare di un certo interesse di Lavanda per Ron, ma non aveva minimamente pensato che potesse essere ricambiato.
Era finita.
Rimase a fissarli tra la folla, che continuava a urlare e ad applaudire nonostante non riuscisse in realtà a percepire nulla che non fosse un assordante brusio di sottofondo; finché le braccia di Lavanda che stringevano Ron parvero soffocarla, i loro corpi così vicini ferirla, le loro lingue incatenate disgustarla e i loro occhi chiusi, come in preda al più bel sogno, ucciderla.
Qualcosa, senza prima chiedere il permesso, si sporse appannando la sua vista; ma non era il luogo in cui poter sfogare quel lacerante dolore, così diede le spalle a quello che le sembrava più un tradimento e scappò via.
Seduta sugli scalini di una torre, volse lo sguardo oltre la finestra, sul quale svettava la torre di Astronomia, più cupa e triste che mai.
Esattamente come lei.
Aveva sempre pregato per Ron, nella speranza che un giorno riuscisse a superare la sua scarsa autostima, aiutandosi così ad avere più forza e coraggio per poter inseguire i propri desideri.
Ma non avrebbe mai creduto che il suo sogno sarebbe stato il proprio incubo.

***


Nemmeno nella torre più alta del castello, lontano da tutti e da tutto, sembrava trovare un po’ di pace. Eppure lì, con il vento tra i capelli, al di sotto solo degli esseri alati, si sentì per un attimo, uno soltanto, finalmente libero, padrone di se stesso e del mondo.
Aveva sempre amato la sua posizione di rilievo nella società magica, capace di poter usufruire di certi vantaggi che solo a pochi eletti erano permessi. L’esclusività, i privilegi, erano la sola cosa che aveva desiderato fin da bambino, insieme al potere. Un argomento frequente nella sua famiglia, a cui aveva sempre ambito con brama.
Adesso, però, quel desiderio si era trasformato in un’arma a doppio taglio dalla lama mortale.
Come suo padre, con il ritorno di Voldemort, aveva sperato di poter riportare i Malfoy alla posizione che gli spettava dalla nascita, in un mondo che sembrava essere stato invaso da mezzosangue e traditori che avevano causato il disordine e lo sfacelo di quei puri principi che gli erano stati insegnati.
Eppure proprio l’Oscuro Signore, che doveva aiutarli a riacquistare il loro posto nel mondo magico, sembrava averli ingannati, approfittandosi del loro punto debole per usarli e piegarli come marionette.
Nonostante alle volte avesse dubitato di Malfoy Senior, così come delle parole poco chiare del loro Signore, non avrebbe mai creduto che il sogno di suo padre sarebbe divenuto il proprio incubo.
Draco ispirò a fondo l’aria fresca e pungente della notte, si strinse nel proprio mantello e alla fine voltò le spalle alla foresta che cupa si estendeva intorno al castello.
Per un istante soltanto, aveva avuto la sensazione che qualcuno lo stesse osservando.




Ciao a tutti! Questo è il primo, vero, piccolo e insignificante capito di questa storia.
So che non è una grande premessa, soprattutto se a dirlo è l’autrice, ma la verità è che quando ho ideato questa storia la prima cosa che ho pensato è che volevo andarci piano, prendermi il giusto spazio per approfondire il contesto in cui si ambienta, gli stati d’animo e le situazioni dei protagonisti; perché sono queste a dar moto a tutte le vicende che si susseguiranno dal prossimo capitolo in poi.
Perciò spero di non avervi annoiato troppo, anche perché non è solitamente il mio stile questo, chi mi conosce sa che parto in quarta con capitoli un po’ più burrascosi. Mi è costato davvero moltissimo impostare la storia così, ma spero che alla fine ne valga la pena.
Ringrazio chi è arrivato in fondo a questa pagina e che avrà la pazienza e la curiosità di arrivare alla prossima.

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Capitolo 3
*** Solitudine ***


PREMESSA: Questa storia é legata alla long-fic “Solo con te”, in quanto rappresenta il prologo della saga “Ombra costante”.
Essendone, tuttavia, il primo capitolo, la comprensione di questa storia, delle circostanze e dei personaggi, sono possibili anche senza la lettura della storia da cui dipende. Pertanto, buona lettura a tutti!




CAPITOLO II
SOLITUDINE


Per chi è solo, il rumore è già una consolazione.
(Friedrich Nietzsche)



Settembre 1996.

Hermione non era di ronda quella sera, eppure erano ore che vagava per i corridoi bui, fiocamente illuminati dalle torce appese alle freddi pareti del castello.
Non aveva una meta, né uno scopo. Solo l’assurdo bisogno di dimenticare, di cancellare quel dolore insistente e testardo che faticava a lasciarla andare.
Dei passi lontani la riscossero da quel buio torpore, accendendo dei piccoli campanellini di allarme nella sua testa. Gazza e Mrs. Purr si stavano avvicinando.
Affrettò il passo, guardandosi intorno in cerca di una stanza vuota in cui nascondersi. Fu quando si ritrovò davanti la porta del bagno dei prefetti che si rese conto di essere finita al quinto piano.
Pregò di non trovare all’interno nessuna delle coppiette che era solita scoprire nei suoi turni di ronda, quando pronunciò la parola d’ordine ed entrò chiudendosi la porta alle spalle.
Sospirò profondamente, scivolando con la schiena sulla porta, fino a sedersi per terra. Non poteva credere di aver rischiato la sua prima nota disciplinare per… non voleva neanche pensarci.
-Sparisci, Sanguesporco.
Hermione sobbalzò rimettendosi in piedi, allungando il proprio raggio visivo oltre l’ombra scura che la circondava, fino a una finestra le cui tende erano state malamente scostate.
Lui era lì, seduto sul pavimento con le ginocchia al petto e il naso all’insù.
La strega si lisciò la divisa mentre avanzava di un passo, scrutando attentamente le spalle ricurve del ragazzo.
-Che stai facendo?
Stavolta Hermione non sussultò, ma si arrestò.
Sarebbe dovuta andar via –voleva andarsene-, ma Gazza poteva essere ancora in giro e lei non sapeva dove altro nascondersi senza farsi prima scoprire.
Avrebbe dovuto prendere in prestito il mantello dell’invisibilità di Harry, lui avrebbe capito.
Tuttavia, era tardi per tornare indietro ed era troppo presto per ripresentarsi nel suo dormitorio.
-Fuori c’è Gazza e qui è abbastanza grande per entrambi. Ma se non riesci a stare con me nella stessa stanza per più di un minuto puoi sempre andartene.
-Non m’interessa chi c’è fuori. C’ero prima io qui, quindi te lo ripeto Sanguesporco: va via.
Non si era voltato, non l’aveva guardata. Immobile com’era, poteva persino supporre che in quella stanza ci fosse stato qualcun altro a parlare.
E, invece, erano soli.
-Non puoi impedirmi di rimanere, ne ho tutto il diritto. Io sono un prefetto- gli ricordò, avanzando ancora al centro della stanza e decidendo di sedersi in un angolo accanto alla pila di asciugamani.
Se le avesse chiesto di lasciarlo da solo con gentilezza, probabilmente lo avrebbe accontentato, una volta certa che Gazza non fosse stato più nei paraggi. Ma Malfoy non conosceva la buona creanza e lei non aveva nessuna voglia di eseguire i suoi ordini. Chi si credeva di essere?
-Anch’io.
Hermione corrugò la fronte e incrociò le braccia al petto, stizzita. -Lo so.
A quel punto, la strega si era aspettata di vederlo andar via in un cumulo di rabbia o, quanto meno, di vederlo alzarsi per minacciarla a uscire con la forza.
Ma non fece nulla di tutto questo.
Non emise un sospiro, non mosse un muscolo. Ora che ci pensava persino la sua voce le era sembrata svogliata, annoiata.
Quando iniziò a pensare che potesse essere stato pietrificato, lo vide finalmente muoversi.
-Malfoy, che stai facendo?
Il mago si portò una pipa sulle labbra e, con in mano la propria bacchetta, l’accese dando vita a un primo filo di fumo.
Non le rispose subito, inspirando lentamente una nuova boccata di quell’erba antica.
-Il fatto che io abbia deciso di respirare la tua stessa aria, anziché uscire nell’istante in cui hai messo piede in questa stanza, non vuol dire che improvvisamente tu possa permetterti certe confidenze. Rimani sempre una sporca Mezzosangue.
Hermione poteva benissimo immaginare il viso del mago sfigurarsi per una smorfia disgustata ma se ne infischiò, portandosi le mani sui fianchi per redarguirlo.
-Sappi allora che ti farò rapporto.
A quelle parole, Draco, si portò elegantemente le braccia dietro la schiena, poggiando i palmi delle mani sul pavimento marmoreo. Non capì cosa stava per fare, fin quando non lo vide far cadere il capo all’indietro e alzare gli occhi su di lei, mentre i ciuffi biondi cadevano dalla sua fronte scoprendo una pelle bianca che mai era stata baciata dal sole.
Draco la stava finalmente guardando.
Trattenne un sorriso compiaciuto, per essere finalmente riuscita ad attirare la sua attenzione, e ricambiò il suo sguardo con fermezza, finché non notò il sopracciglio destro sollevarsi in una muta domanda.
Arrossì. -Non è permesso fumare all’interno del castello. L’erba pipa è proibita- spiegò frettolosamente, mentre continuava a scrutare gli occhi grigi del ragazzo.
Non sapeva perché, ma li trovava strani.
Fu quando le sue guance smorte si mossero verso l’alto, probabilmente in conseguenza a un ghigno sorto su quelle labbra che non riusciva ancora a distinguere, che capì cosa l’aveva colpita.
I suoi occhi erano privi di alcuna emozione, spenti.
Eppure ricordava vivamente la fiamma d’odio che ogni volta accendeva il suo sguardo quando questo si posava su di lei.
Perché stavolta sembrava essere diverso?
E cosa faceva in quel bagno?
Era sicura di non aver pronunciato quelle domande, eppure doveva aver per forza fatto qualcosa di sbagliato perché improvvisamente i tratti del mago s’indurirono mentre tornava a dargli le spalle.
-Se continuerai a comportarti così, rimarrai un’acida zitella per sempre.
La sua sentenza implacabile la ricosse dal profondo dei suoi pensieri, portandola a darsi mentalmente della stupida per aver solo pensato che Draco Malfoy potesse essere in qualche modo vulnerabile.
La sfrontata insolenza di cui era intrisa quella frase, riuscì a scacciare quel piccolo seme d’inquietudine che lui le aveva buttato addosso con quello strano sguardo. Come si permetteva?
Si portò una mano sul fianco destro, lì dove era nascosta la sua bacchetta, ma le spalle indifferenti del ragazzo nuovamente rivolte a lei la fecero desistere.
Non avrebbe mai attaccato un mago disarmato alle spalle, ma soprattutto non avrebbe sfogato la sua rabbia su di lui, perché sapeva bene che adesso a farle male non era quell’insulto insensibile.
Quel riferimento involontario aveva ripescato delle immagini che per un attimo aveva finito con il dimenticare.
Un pugno allo stomaco per il suo cuore che aveva sempre pianto l’assenza di quella femminilità che sembrava renderla diversa dalle sue compagne.
Rimarrai, aveva detto, e non sarai, una zitella.
Zitella. Quel vezzeggiativo ora le rimbombava nella testa, lasciando l’eco di un significato più grande.
Rimarrai sola per sempre.
Con gli occhi lucidi gli si avvicinò, torreggiando su quelle spalle che sembravano un’antica corazza di pietra invalicabile.
-E se tu continuerai a comportarti così, finirai con il restare solo.
Quell’avvertimento non sembrò toccarlo minimamente, come niente del resto, e per un attimo, di cui presto finì con il pentirsi, lo invidiò.
Dopodiché gli diede le spalle e si diresse verso l’uscita.
Gazza doveva essersene già andato, non aveva più motivo per rimanere lì.
-Mezzosangue?
Hermione si bloccò sulla porta, la maniglia sul pomello già girato.
-La prossima volta, vai a piangere da un’altra parte.

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Capitolo 4
*** Ipocrisia ***


PREMESSA: Questa storia é legata alla long-fic “Solo con te”, in quanto rappresenta il prologo della saga “Ombra costante”.
Essendone, tuttavia, il primo capitolo, la comprensione di questa storia, delle circostanze e dei personaggi, sono possibili anche senza la lettura della storia da cui dipende. Pertanto, buona lettura a tutti!




CAPITOLO III
IPOCRISIA


Se nessuno ti vede mentre lo mangi,
quel dolce non ha calorie.
(Anonimo)



Settembre 1996.

Non gli aveva dato retta. Se n’era infischiata di quella minaccia, lasciandola cadere nel vuoto. Certo, sapeva di potersi rifugiare in una qualsiasi altra stanza, ma rifiutava di dargliela vinta.
Hermione era tornata nel bagno dei prefetti.
Li aveva visti quelli, di nuovo, avvinghiati l’uno sull’altro senza alcun cenno di pudore, senza la minima dignità di fronte la moltitudine di studenti che li circondava e li additava. Erano volgari e, Hermione, provava soltanto ribrezzo per loro.
Si strinse nuovamente le ginocchia al petto e, graffiandosi la pelle con le unghia, mise più forza in quell’abbraccio privo di alcun calore. Faceva quasi pena, ma nascosta nell’ombra scura, se ne infischiava di essere debole.
In quel momento, non era il prefetto Hermione Granger, amica del bambino che è sopravvissuto; non doveva essere forte.
In quel momento, era solo Hermione.
Tirò su con il naso per l’ennesima volta, schiacciata da quel peso che sembrava non riuscire più a reggere. Era dura, persino per lei, fingere durante il giorno che non gliene importasse niente.
-Maledizione, Mezzosangue, adesso smettila. Possibile che una sporca pezzente come te non possa permettersi nemmeno un fazzoletto?
Hermione sentì il cuore salirle in gola alla consapevolezza di essere stata scoperta. Da lui, poi!
Si asciugò in fretta il viso rigato dalle lacrime che aveva fatto scendere copiose senza vergogna e, con la manica del maglioncino sotto il naso, cercò di attutire il rumore quando tirò nuovamente su le narici.
-Che ci fai qui?
Non poteva vederlo nascosta dov’era, dietro i piccoli armadi bianchi, ma sapeva che lui poteva sentirla.
-Mi sembrava di aver chiarito che questo non era affar tuo.
Stava fumando, di nuovo. Adesso che prestava più attenzione, lo poteva chiaramente percepire dai suoi respiri che spezzavano di volta in volta il silenzio che li circondava, dalla sua voce un po’ roca quando le parlava.
Avrebbe dovuto fargli rapporto già la prima volta, ma questo significava dover ammettere che era in giro per i corridoio fuori l’orario consentito.
E lui lo sapeva. Anche se non si considerava così presuntuosa, Hermione era certa che lui lo facesse apposta ad approfittarsene, certo di farla ribollire di rabbia per la sua impotenza.
La strega si portò una ciocca ribelle dietro l’orecchio, alzandosi lentamente e cercando di darsi una parvenza d’ordine, invano.
-Non era questo che intendevo. Perché non te ne sei andato quando ti sei accorto della mia presenza?
Anche se era molto curiosa di conoscere le ragioni che portavano Draco Malfoy a passare le sue serate in un bagno particolarmente riservato, da solo, Hermione lo era ancora di più nel scoprire come mai per la seconda volta in meno di ventiquattro ore lui aveva volontariamente condiviso con lei lo stesso ristretto abitacolo.
Uscì dal cerchio d’ombra, che fino a quel momento l’aveva protetta, e avanzò nella stanza. Lui era di nuovo lì, seduto a terra sotto la finestra.
In mano, un bastoncino di cioccolata.
Sorrise tra sé, fiera della propria astuzia.
Non doveva essersi accorto della trasfigurazione perché lo vide portarsi alle labbra il bastoncino e… morderlo.
Non poteva crederci. Con la mano destra impugnò la propria bacchetta senza però estrarla, sicura che gliel’avrebbe fatta pagare per quello scherzo. Ma anziché reagire, Draco Malfoy, mangiò e assaporò lentamente il dolciume, prima di estrarre dalla sua tasca un sacchetto, trasfigurarlo in una pipa e accenderla.
-Perché avrei dovuto? Non permetto a niente e a nessuno di condizionare le mie scelte- mormorò il mago, inalando della nuova erba pipa, prima che Hermione potesse dire qualcosa.
La strega in realtà aveva ben poco da dire. Lo scherzo che gli aveva giocato le si era ritorto contro, facendola apparire una qualunque bambina dispettosa. Il fatto che, poi, lui avesse giustificato la sua presenza con lo stesso ragionamento che lei aveva adottato la sera precedente, non faceva che peggiorare le cose.
Ovviamente, anche stavolta non si era voltato a guardarla, ma era certa che sapesse che era dietro di lui. Si limitò a fissare la sua schiena, immaginando che espressione potesse avere in quel momento.
Era abituata a vedere il suo viso cambiare in diverse sfumature d’odio, mentre la scherniva, e quel vuoto la metteva a disagio. L’assenza di visibilità rendeva meno efficaci le sue parole, prive di consistenza, e non sapeva quindi come interpretarle.
-Mezzosangue, ancora qui?
Il suo silenzio dovette essere molto eloquente, perché spinse il Serpeverde ad avanzare una spiegazione.
-Il fatto che io sia rimasto non vuol dire che debba farlo anche tu.
Hermione s’infervorò, stringendo i pugni. Era davvero impossibile!
-Sei uno stronzo, Malfoy.
Draco finì di fumare, svuotando la pipa sul pavimento e lasciando che la cenere si spargesse sul marmo bianco. Poi si alzò e, negandole ancora il suo sguardo come ne se fosse indegna, le passò a fianco.
-Forse, ma almeno non sono ipocrita.
Hermione si voltò nello stesso istante in cui lui la sorpassò, prendendolo per un lembo della camicia per trattenerlo.
-Cosa vorresti insinuare?
Il tempo parve fermarsi nei secondi che seguirono.
Hermione stringeva saldamente la presa su di lui, mentre offesa cercava lo sguardo del mago adesso fisso sulla sua mano.
Aveva i muscoli del viso contratti in una smorfia disgustata e questo non fece che aumentare in lei la bile, portandola a stringere per tutta risposta la mano attorno quel pezzo di stoffa.
Lo schiaffò partì così velocemente che se ne accorse solo quando la raggiunse.
Fissò le sue dita rosse, praticamente in fiamme, che Draco aveva fatto violentemente volare via lontano dal proprio abito. Come fosse stata un insetto.
Strinse la propria mano con l’altra, ancora fresca, e alzò lo sguardo furiosa su di lui.
Fu uno sbaglio, perché le fiamme arse nei suoi occhi si scontrarono con una nebbia gelida dal sapore pungente di una bufera.
Malfoy era oltraggiato. -Preferire la mia compagnia anziché quella dei tuoi amici, solo per paura di poter incontrare la donnola con quella puttana insieme, è da codardi. E tu sei una Grifondoro.
Hermione era sconcertata: proprio lui la stava accusando di essere una vigliacca.
Non era forse lui che, per qualche misteriosa ragione, aveva scelto di condividere con lei preziosi minuti del proprio tempo, quando a malapena riusciva a stare nella stessa sua aula durante le lezioni?
Oltretutto lei non aveva certo scelto di stare con lui. Era stata una coincidenza!
Gli occhi, involontariamente, si fecero umidi. -Potrai non crederci, ma le persone hanno dei sentimenti, Malfoy, e non sempre felici. Io non sono come te, non uso le persone come se questi fossero soltanto dei burattini nelle mie mani.
Parve sorpreso di quell’accusa, ma Hermione non ebbe tempo di accertarsene perché subito sul viso del ragazzo si dipinse la solita aria arrogante, che tanto aveva imparato a conoscere e a detestare.
-Quei burattini, almeno, hanno il coraggio di provare ad attirare nuovamente la mia attenzione, una volta sostituiti, anziché rinchiudersi in bui bagni con il loro peggior nemico.
Non riusciva davvero a credere che le stesse rinfacciando con orgoglio un comportamento tanto insensibile.
-Sei disgustoso.
-Bene. Perché la prossima volta che oserai toccarmi ti garantisco che potrai costatare di persona quanto questo sia in realtà un complimento.
Hermione non si lasciò scalfire e ignorò anche stavolta quella velata minaccia, lasciando che si dirigesse con la sua superba eleganza fuori dalla porta.
Lei aveva scelto quella stanza, tra le molte presenti nel castello, per stare un po’ tranquilla pur sapendo di poter trovare lui, era vero. Ma non lo aveva fatto con l’intento di condividere del tempo con Malfoy, semmai con la ragione di dimostrargli che non sarebbe mai sottostata alle sue richieste.
Sorrise tra sé e portò a segno la sua rivincita, prima che le spalle del mago sparissero dalla sua vista.
-Evanesco.




Buona sera gente!
Nuovo capitolo, nuovo incontro, nuovo battibecco. Stavolta un po’ più animato: Draco e Hermione hanno un fuoco che li divora dentro, che non potrà certo estinguersi con altro silenzio.
Spero il capitolo vi sia piaciuto e ringrazio chi, silenzioso o meno, sta intraprendendo questo nuovo piccolo cammino con me.
Un abbraccio.

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Capitolo 5
*** Non siamo soli ***


PREMESSA: Questa storia é legata alla long-fic “Solo con te”, in quanto rappresenta il prologo della saga “Ombra costante”.
Essendone, tuttavia, il primo capitolo, la comprensione di questa storia, delle circostanze e dei personaggi, sono possibili anche senza la lettura della storia da cui dipende. Pertanto, buona lettura a tutti!




CAPITOLO IV
NON SIAMO SOLI


Quest'orrore della solitudine,
questo bisogno di dimenticare il proprio io nella carne esteriore,
l'uomo lo chiama nobilmente bisogno d'amare.
( Charles Baudelaire)



Ottobre 1996.

-Ancora con questa storia?
Hermione sbuffò, rinunciando definitivamente alla lettura del suo libro. Lo chiuse sulle sue gambe e si sistemò meglio sulla poltroncina, trovando una posizione più comoda. C’era qualcosa sotto le sue natiche che le dava fastidio…
-Sì, Hermione, ancora- le rispose il suo amico, continuando a camminare su e giù per la sala comune. Erano dieci minuti buoni che tentava di convincerla circa la sua assurda teoria.
-Trovata!
Una piuma. Aveva sopportato sotto il sedere tutto quel tempo una maledetta piuma!
Harry si fermò, lanciandole un’occhiataccia. –Ma mi stai ascoltando?
Hermione alzò gli occhi al cielo e poggiò la schiena su un morbido cuscino, gettando l’arnese su un tavolino.
-Sì, Harry. Ma lo capisci quanto sia ridicolo ciò che stai dicendo?
Il mago riprese il suo giro, e la sua arringa. -No, non lo è. Pensaci…
-Harry, tu vedi solo ciò che vuoi vedere. Lui non può…
-Ti dico di sì. Ne sono certo. Draco Malfoy è diventato uno di loro. Un Mangiamorte.
Era così sicuro di ciò che andava affermando che per un attimo gli credette sul serio. E un’inspiegabile paura sulla possibile veridicità di quelle parole a quel punto la colpì.
Se la scrollò di dosso in fretta. -Non hai nessuna prova.
L’amico alzò entrambe le braccia verso il soffitto frustrato. -Ma l’hai visto anche tu da Magie Sinister!
La strega gli sorrise in maniera confortante, facendo appena spallucce. -Harry, quello che abbiamo visto non prova nulla.
Odiava vederlo così abbattuto, ma stavolta non poteva proprio sostenere le sue sensazioni a priori. La sua era un’accusa davvero molto, troppo, pesante.
Ed Harry lo sapeva. Sapeva che quello che aveva tra le mani –cioè niente- non era sufficiente per condannare una persona che fino a prova contraria era innocente. Anche se era Malfoy.
Hermione inoltre era certa che in cuor suo, l’amico, sapesse già che le sue non erano altro che supposizioni senza alcun vero fondamento e che probabilmente potevano anche essere state influenzate dai cattivi rapporti che lo legavano al compagno.
Tuttavia, questo non avrebbe fatto smettere ad Harry di sospettare del Serpeverde, ed Hermione non avrebbe smesso di ascoltarlo e consigliarlo.
-Lui sta combinando qualcosa, Herm. Lo sento.
Hermione incrociò lo sguardo determinato dell’amico e gli sorrise ancora una volta, per dirgli silenziosamente che capiva le sue paure e che voleva credergli, solo per non vederlo così combattuto.
Ma quella volta proprio non poteva. No.

La porta si aprì e delle risate risuonarono nella stanza, facendo stridere le orecchie della strega che non ebbe bisogno di attendere oltre per capire di chi fossero. Rivolse ad Harry un occhiata di scuse e si alzò, prendendo le sue cose e superando gli ultimi arrivati con due sole falcate senza degnarli di uno sguardo.
Mentre oltrepassava il quadro della Signora Grassa, le parve di sentire la voce del ragazzo, che l’aveva ferita, dire innocentemente. –Che ho fatto adesso?
Scendendo gli scalini, rise poi di se stessa.
Ronald Weasley, abbracciato alla sua bionda oca, di innocente aveva ben poco in quel momento.

***


Ops!
Aveva dimenticato quanto il bagno dei Prefetti potesse divenire imbarazzante a certe ore della sera. C’era mancato poco così che Ernie Macmillian non si accorgesse di lei mentre si spogliava e raggiungeva una ragazza – nuda! - dai lunghi capelli neri nella piscina.
Aveva appena fatto in tempo a registrare quanto stava avvenendo d’avanti ai suoi occhi che subito si era voltata rossa in viso e si era sbattuta la porta alle spalle. Poco importava se potesse averli spaventati, sarebbe stato peggio se l’avessero vista mentre li coglieva in flagrante.
Si diceva che lui avesse già una mezza storia con Padma…
Corse, senza voltarsi mai, finché non esaurì l’aria nei polmoni e fu costretta a fermarsi per riprendere fiato.
Si chiese se i due ragazzi avessero cambiato idea, spaventati di poter essere stati scoperti, oppure avessero continuato la loro serata. Se erano innamorati o la loro fosse un avventura di una notte.
Si chiese cosa si provava ad avere le mani di un ragazzo sulla propria pelle nuda, come si sarebbe sentita circondata dalle sue braccia, dal calore delle sue labbra.
E in quel momento vide Ron, nella sua testa, che faceva tutte quelle cose dolci, così emozionanti… ad un’altra ragazza. A Lavanda Brown.
Sì tirò indietro i capelli e si tamponò gli occhi umidi, come se potesse spingere indietro le lacrime qualora avessero deciso di scorrere contro il suo volere.
Guardò fuori una vetrata e alzò gli occhi alla luna. Era splendida quella sera.
E sola, esattamente come lei.
Decise di farle compagnia, o meglio, di rubare la sua di compagnia, benché avesse poco senso.
Ma quando arrivò alla torre di astronomia, capì che qualcun altro aveva dovuto avere la sua stessa idea, perché Draco Malfoy era proprio lì, sdraiato sul bordo della balaustra in marmo, con lo sguardo rivolto al triste satellite.
Quando era uscita dalla sua sala comune non aveva tenuto in conto di ritrovarsi di nuovo al bagno dei prefetti, mentre continuava a rimuginare sui suoi pensieri. Aveva lasciato che le sue gambe percorressero la strada che più preferivano, e si disse che fu l’abitudine delle ultime sere alla fine a far scegliere loro proprio quel posto.
Ma non era stata così cieca. Si era resa conto di dove si trovasse proprio quando si ritrovò d’avanti la porta che attendeva la solita parola d’ordine.
A quel punto il suo primo pensiero era che avrebbe rivisto Malfoy. Ne era così certa, che inconsciamente si convinse che era stata proprio quella consapevolezza a condurla lì, anche se non sapeva trovarne la ragione.
Di certo non mancavano altri posti in cui poter leggere.
Eppure, nonostante avesse persino ripensato a come si era concluso il loro ultimo incontro, non gliene era importato, ma anzi, dopo la sua conversazione con Harry ne era stata più che motivata.
Ma ovviamente anche lui doveva aver ricevuto la sua stessa accoglienza, anche se ciò che aveva visto e i pensieri che ne erano conseguiti l’avevano distratta al punto da dimenticarsi di lui.

Tentennò sui suoi stessi piedi e alla fine si disse che anche lei aveva il diritto di godere della compagnia della luna, che non era di Malfoy, e che non avrebbe cambiato i suoi piani solo perché il destino sembrava voler farle condividere anche quel momento proprio con lui.
Determinata si guardò intorno e scelse un angolino al centro, tra il posto in cui si trovava adesso lei e Malfoy. Fece un passo e le sembrò di fare troppo rumore, così si fermò e volse lo sguardo sul mago che sembrava non aver ancora notato la sua presenza. Si issò sulle spalle, stupita dal timore che provava nel palesarsi a lui e con tutta la delicatezza di cui era capace, si diresse al punto che aveva scelto, facendo piano a non fare troppo rumore.
Si sedette per terra e si appoggiò ad una colonna, aprendo il libro sulle sue ginocchia.
Se lui intanto l'avesse sentita, non lo diede a vedere.
Hermione abbassò lo sguardo per riprendere la lettura da dove l’aveva interrotta ormai un’ora prima, ma si rese conto che era troppo buio per non sforzare la vista oltre il necessario.
Pensò di usare la propria bacchetta per farsi un po’ di luce, ma capì che l’interesse sul libro era svanito del tutto da quando era arrivata lì.
Si sforzò però di non volgere il proprio sguardo sul ragazzo, ma di issarlo sulla luna. Era lì per lei, dopotutto, no?
Non passarono che pochi secondi, Hermione guardava senza pudore Draco Malfoy.
La bastarda tentazione aveva vinto.
Complice quell’inaspettato silenzio pacifico che aleggiava tra loro, si concesse di indugiare sul corpo del mago, steso sul marmo lucido.
Quando era più piccolo, quando il seme della discordia non si era ancora impiantato nel suo cuore, lo aveva trovato un bel bambino di undici anni. I capelli biondi come i raggi del sole e gli occhi celesti come il cielo in estate, erano riusciti a farla soprassedere su quel caratterino viziato e capriccioso.
Ma, adesso, di quel ragazzino sembrava essere rimasto solo il nome.
I capelli erano come fili di grano spezzati da un violento uragano, quasi bianchi sotto la pallida luce lunare. La pelle così sottile e fragile che sembrava potersi incrinare ad ogni impercettibile movimento, così come il suo corpo che aveva la sua consistenza di per sé esile.
Un cadavere sarebbe sembrato più vivo.
Eppure era nei suoi occhi che ricordava aveva visto il cambiamento più grande. Quel grigio che sotto la luce poteva un tempo sembrare azzurrino adesso si perdeva in tonalità bigie e oscure come il diavolo che sembrava aver rubato la sua anima.
Non c’era emozione in quegli occhi, né sentimento. Che questo fosse d’amore o d’odio.
Non era bello, Draco Malfoy.

Lo vide sospirare sommessamente, facendola sussultare e voltare in un punto indistinto del cielo, mentre uno strano calore le saliva sulle guance.
Si lasciò distrarre dai puntini bianchi sul manto scuro della notte così distanti e piccoli e si chiese se la luna potesse mai prenderli in considerazione come amici.
Rispetto a lei erano insignificanti, ma era sola. Poteva quello bastare per spingerla a riconsiderarli? Ma che sto dicendo? Quelle sono solo stelle e, quello, un vuoto e arido satellite.
Arricciò il naso convenendo con se stessa che aveva forse persino abusato della compagnia della luna, così distolse lo sguardo anche da essa.
E fu a quel punto che si accorse che era in quel momento ad essere rimasta davvero sola.
Draco Malfoy se n’era andato.


Novembre 1996.

Era accaduto qualcosa quella notte, anche se la strega più intelligente di Hogwarts, a distanza di un mese, faticasse ancora a capire cosa.
Nonostante avesse rivissuto poi ogni attimo nella sua mente per giorni.
Dopo quella sera, i due maghi hanno continuato a incontrarsi al bagno dei prefetti.
Quando era occupato, nella torre di astronomia.
Lui si sedeva sempre al suo solito posto. Lei anche.
Lui fumava l’erba pipa, oppure guardava il cielo. Lei leggeva un libro, oppure guardava lui.
Una volta Hermione era arrivata piangendo e aveva continuato a singhiozzare per un’ora intera, nascosta nel suo cerchio d’ombra.
Lui l’aveva ignorata.
Qualche tempo dopo, lui era entrato sbattendosi la porta alle spalle e più tardi, rimuginando su pensieri che alla strega non era dato conoscere, aveva sbattuto il pugno sul pavimento.
Lei, per ringraziarlo della volta precedente, lo aveva ignorato.
Avevano un muto accordo.
La regola? Non parlarsi.
Lo scopo? Mmm… qualcuno, sapendo, avrebbe detto tenersi compagnia.
Sembrava meno lacerante il dolore quando si era in due.
Hermione alla fine aveva smesso di chiedersi come lui avesse imparato ad accettare la sua presenza.
Iniziò, invece, a chiedersi come mai lei continuasse ad accettare quella di lui.





Buon pomeriggio gente!
Non so se c’è qualcuno che sta veramente seguendo questa storia – che io però adoro, non posso farci niente… sarà perché riesco a immaginarla passo per passo! -, ma se così fosse mi scuso per il ritardo e mi auguro che il capitolo sia piaciuto.
Diciamo che qualcosa sta accadendo tra i due protagonisti, ma c’è talmente tanta nebbia che nessuno riesce a vedere al di là del proprio naso.
Ringrazio voi care anime pie che siete arrivate fin qui.
Alla prossima!

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Capitolo 6
*** Piccole battaglie ***


PREMESSA: Questa storia é legata alla long-fic “Solo con te”, in quanto rappresenta il prologo della saga “Ombra costante”.
Essendone, tuttavia, il primo capitolo, la comprensione di questa storia, delle circostanze e dei personaggi, sono possibili anche senza la lettura della storia da cui dipende. Pertanto, buona lettura a tutti!




CAPITOLO V
PICCOLE BATTAGLIE


In guerra e in amore,
sono le ritirate che scatenano le avanzate.
(Antonio Fogazzaro)



Dicembre 1996.

Era stato un fiasco.
Avrebbe dovuto sapere che quel piano non avrebbe mai funzionato, soprattutto se ripensava da chi aveva avuto l’idea. Draco Malfoy non portava mai niente di buono.
Eppure, con l’avvicinarsi della festa, aveva ripensato molto a una conversazione che aveva avuto tempo addietro con il Serpeverde – “Quei burattini, almeno, hanno il coraggio di provare ad attirare nuovamente la mia attenzione, una volta sostituiti, anziché rinchiudersi in bui bagni con il loro peggior nemico”. - e aveva avuto un’illuminazione.
Attirare l’attenzione di Ron, farlo ingelosire.
E con chi, se non con l’appiccicoso Cormac McLaggen, alla festa del professor Lumacorno?
Era riuscita a vincere la sua timidezza, chiedendogli di farle da accompagnatore. Era stato più facile del previsto e la sua risposta positiva non si era fatta attendere.
Non aveva immaginato, però, che trattenere un corteggiatore indesiderato fosse così faticoso.
Sapeva che, ponendogli quell’invito, lui avrebbe tratto le conclusioni sbagliate, ma in quel momento aveva finto di non pensarci. Era sicura che, una volta spiegato come stavano davvero le cose, Cormac avrebbe capito; peccato che non avesse fatto i conti con la sua insistenza.
Era riuscito sempre a trovare qualsiasi scusa per metterle le mani addosso e avvicinarla più di quanto necessitava una civile conversazione.
Non che lui avesse mostrato un minimo interesse a voler parlare con lei, anzi: tutto ciò che sembrava voler fare era baciarla. Più volte ci aveva provato, cercando di coglierla impreparata, e lo aveva sempre respinto a suon di chiacchiere.
Alla fine, era stata costretta a scappar via.
Adesso capiva quanto era stata stupida a comportarsi così, non era da lei usare strategie del genere per conquistare l’attenzione di un uomo.
Quello poteva andar bene per Lavanda Brown o le ochette che giravano intorno a Malfoy.
Ma non per lei.

Mentre percorreva il lungo corridoio, diretta ai suoi dormitori, delle voci la distrassero dai suoi pensieri. Curiosa, si avvicinò alla fonte di quella che sembrava una discussione piuttosto animata, appiattendosi contro una parete poco distante.
-Non abbiamo ancora finito, Draco.
-Sì, invece. Non abbiamo più nulla da dirci.

Riconobbe i due interlocutori all’istante: Draco Malfoy e il professor Severus Piton.
Li aveva visti di sfuggita entrare alla festa insieme a Gazza, ma troppo preoccupata a svignarsela da Cormac non vi aveva badato più di tanto.
I due però non si erano appena rincontrati, dal passo deciso di Malfoy e da quello più affrettato di Piton, era evidente che il primo stava scappando dall’altro, magari dopo una precedente conversazione.
-Non osare voltarmi le spalle quando ti parlo.
-Ne ho abbastanza di lei, deve lasciarmi in pace: ho già troppe cose a cui pensare.

Hermione inarcò un sopracciglio sorpresa di sentire il ragazzo rispondere a quel modo al suo professore preferito. Era molto strano.
Ad ogni modo qualcosa nella domanda successiva riuscì a colpire l’attenzione del giovane mago, così come la sua.
-Come una giovane Mezzosangue di nostra conoscenza? Per una volta sono d’accordo con te, hai troppe cose a cui pensare per permetterti certe distrazioni.
Il silenzio che calò fu inquietante.
Hermione trattenne il respiro, chiedendosi se non fosse proprio lei adesso il soggetto della loro conversazione. Ma perché? E come diavolo aveva fatto Piton a sapere dei loro incontri?!
Intanto poteva benissimo immaginare lo sguardo superbo e sicuro del professore mentre attendeva una risposta dal suo studente modello.
Una risposta che si ritrovò ad attendere anche lei, con ansia crescente.
-Lei non è una distrazione. Per essere precisi, lei non è assolutamente niente.
Fu come una sentenza implacabile che rimbombò nelle pareti e nelle sue orecchie con violenza.
Non si era aspettata niente di diverso, eppure sentì male lo stesso.
E non perché aveva sputato parola dopo parola con disgusto, ma perché l’aveva definita niente.
Esattamente come niente era per Ron.
-Ultimamente me la sono ritrovata sempre tra i piedi, è vero, ma non è nulla che io non sappia gestire. Non è un problema.
-Staremo a vedere.

Hermione rimase acquattata alla parete fredda che aveva finito per congelarle le spalle scoperte, finché l’ultimo passo di Piton scomparve nel silenzio.

***


Si era fatto beccare. Come un stupido moccioso che ruba delle caramelle.
Gliel’avrebbe fatta pagare a quell’insulso vecchio e alla sua tanto amata gatta.
E gliel’avrebbe fatta pagare anche a lui, al suo caro professore, che aveva osato metterlo in ridicolo di fronte i suoi compagni.
“Sto cercando di aiutarti”, non faceva altro che ripetergli.
Ma per lui erano soltanto delle parole vuote, gettate al vento e prive di alcun valore.
Nessuno poteva aiutarlo, salvarlo: né Piton, né sua madre.
Il compito che gli era stato affidato pendeva su di lui come una spada di Damocle, sempre pronto a ricordargli di non avere scelta, di non avere possibilità.
L’Oscuro Signore aveva scelto lui, e anche se fingeva di portare quell’onere con orgoglio, sapeva benissimo che non c’era niente di onorevole in quello che tutti si aspettavano da lui.
Che non c’era dignità in quello che l’attendeva in caso avesse fallito.
Mentre scendeva a passo spedito nei sotterranei, vide venirgli incontro l’ultima persona che in quel momento avrebbe voluto vedere.
Anche lei doveva essersi accorta della sua presenza, perché adesso camminava a testa alta come una regina.
La regina dei pezzenti, sì, ma pur sempre fiera e determinata come solo lei sapeva essere. Inutili erano stati i suoi tentativi di allontanarla: non erano bastate le minacce né gli insulti.
Caparbia, continuava a incrociare la sua strada e a condividerla, contro ogni sua volontà.
Era una disputa senza fine con lei, fatta di parole mute e gesti significativi, in cui nessuno dei due usciva mai vinto o vincitore. Non per sempre, almeno, perché le situazioni venivano sempre ribaltate proprio quando meno se lo aspettava.
Era una degna avversaria, doveva ammetterlo, con cui però non aveva tempo da perdere.
Ma glielo aveva mai fatto perdere davvero?
In verità, semmai, aveva reso lo scorrere del tempo più sopportabile.
Soprattutto quella sera di ottobre, che sembrava essere ormai lontana.
Incrociò il suo sguardo, dopo aver esaminato minuziosamente il corpo della strega da capo a piedi, portandosi sulle spalle la giacca che il guardiano aveva osato sgualcirgli.
-Vedo che hai recepito il messaggio, quella sera- soffiò al suo orecchio, quando le fu accanto.
Si fermano entrambi, spalla contro spalla, verso direzioni opposte.
-Avrei voluto non farlo.
Hermione non si voltò a guardarlo, non abbassò lo sguardo, continuando a guardare dritto davanti a sé.
Draco, non da meno, fece lo stesso. Poteva, però, già immaginare le guance della strega tingersi di un velo rosato, tradendo così quel candore che niente sembrava poter strapparle via.
Ghignò, trionfo di essere riuscito ancora una volta a dimostrarle quanto lei fosse mediocre nella sua femminilità.
-Non prendertela, era ovvio che il tuo piano non funzionasse: hai molto ancora da imparare.
La salutò così, riprendendo i suoi passi.
-Banale- la sentì richiamarlo, con quell’aria di sufficienza che accompagnava sempre ogni sua brillante argomentazione.
Arrestò di nuovo il passo, accorgendosi di come in realtà lei ancora non l’avesse mai ripreso. Alzò involontariamente un sopracciglio, accorgendosi solo in quel momento di un profumo femminile che investiva le sue narici.
-La scusa. Potevi inventarti qualcosa di meglio che volerti imbucare alla festa.
Rimase immobile, basito.
E non perché sapeva che Hermione stava sorridendo mentre muoveva un passo in avanti, e poi un altro ancora, fino al suo dormitorio. E neanche perché sapeva che, ancora una volta, era stata lei ad aver vinto quella battaglia.
No, rimase sorpreso da quel profumo di lillà che sembrava essersi impregnato nei suoi vestiti, nonostante fra loro ci fosse stato solo un impercettibile contatto tra spalle.
Trattenne il fiato disgustato, ancora pietrificato, mentre una piccola battaglia interiore si agitava nei suoi polmoni, nella sua gola. Alla fine, non poté più resistere e cedette a quella legge della natura che lo spinse a inalare un po’ d’aria e un po’ di quel profumo. Dolce, delicato, buono.
Si risvegliò da quel formicolio quando si rese conto di cosa aveva effettivamente pensato. Su di lei, una Mezzosangue.
Sapeva che, una volta arrivato in camera sua, avrebbe buttato via quei vestiti lasciandosi cullare da un bagno caldo. Ma, intanto, ghignò a quel destino beffardo che sembrava volersi prendere gioco di lui, accendendo la sua cara pipa mentre si lasciava accompagnare dal proprio profumo mischiato a quello di lei.




Ciao a tutti!
Vado un pò di fretta, quindi... solo grazie a chi è arrivato fin qui! Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Buon fine settimana!

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Capitolo 7
*** Il suo sorriso ***


PREMESSA: Questa storia é legata alla long-fic “Solo con te”, in quanto rappresenta il prologo della saga “Ombra costante”.
Essendone, tuttavia, il primo capitolo, la comprensione di questa storia, delle circostanze e dei personaggi, sono possibili anche senza la lettura della storia da cui dipende. Pertanto, buona lettura a tutti!




CAPITOLO VI
IL SUO SORRISO


Era solo un sorriso, niente di più.
Una piccola cosa.
Una fogliolina in un bosco che trema al battito d'ali di un uccello spaventato.
(Il cacciatore di aquiloni)



Dicembre 1996.

Un ricordo felice.
Aveva disperatamente e urgentemente bisogno di un ricordo felice.
Un ricordo lontano dal suo presente che non avesse nulla a che fare con Lord Voldemort e i suoi inetti Mangiamorte.
Ne aveva abbastanza di loro, delle continue pressioni e, per nulla velate, minacce con cui cercavano di esortarlo nella sua missione.
Come se lui non ci pensasse già abbastanza.
Ogni ora, di ogni infinito giorno, i suoi pensieri erano rivolti ai suoi genitori imprigionati nella sua stessa casa e al Signore Oscuro, le cui parole rimbombavano pesantemente nella sua testa in un eco infinito e agghiacciante.
A volte, aveva l’impressione di avere il suo sguardo addosso sulle spalle, capace di penetrare la sua anima e trovare tutte le sue più recondite paure.
Si sentiva braccato dalla sua opprimente e invisibile presenza e completamente perso e solo allo stesso tempo. Era una sensazione che lo terrorizzava tanto da sentire vibrare il proprio corpo sin dentro le ossa.
Un brivido freddo lo attraversò da parte a parte senza che potesse far nulla per evitarlo, ricordandogli ciò di cui aveva bisogno in quel momento per dar pochi attimi di pace ai propri sensi.
Avanzò nella propria stanza disperato, pallido in volto, inginocchiandosi dopo sole due falcate al suo baule, che aprì di scatto con più forza del necessario. Rovistò al suo interno senza curarsi di ciò che scartava e poi gettava malamente alle proprie spalle, con l’unico desiderio di non sprecare più alcun secondo in quel mondo spietato e crudele che gli si era rivoltato contro.
Gli occhi gli si appannarono mentre ancora una volta i suoi pensieri andarono ai suoi genitori. Si chiese come trascorresse le sue giornate Malfoy Senior ora che aveva perso qualunque autorità persino in casa propria e come la padrona del Manor, la sua povera e delicata madre, venisse trattata da quegli esseri immondi che osavano dichiararsi loro pari.
Fece gli occhi grandi, per impedire che la tempesta che sentiva imperversare dentro di lui si riversasse sul suo viso, quando finalmente trovò la scatola di legno massiccio che cercava. Balzò subito in piedi e, reggendolo come se fosse stato un carico prezioso, si diresse al suo piccolo pensatoio, nascosto in un anta segreta del proprio armadio.
Era così impaziente di tuffarsi nel suo beato passato che, una volta aperti i ganci di ferro, non badò alle etichette sulle fiale, pescandone una a caso.
Il filo argenteo ricadde persino troppo lentamente per Draco che, come un folle, fremeva
d’anticipazione.

La prima cosa che percepì, una volta emerso in quell’angolo di apparenza, fu della coinvolgente musica che provava a tenere testa a un numero spropositato di voci concitate ed eccitate che si sovrapponevano l’un l’altro senza dargli la possibilità di distinguerne alcuna parola.
In un primo momento, abituato al silenzio con cui negli ultimi mesi aveva dovuto convivere, mentre cercava di trovare una soluzione al suo problematico piano, fu disturbato da tutto quel rumore, tanto che fu costretto a coprirsi le orecchie con le mani per attutirne il frastuono.
Ma poi gli bastò riconoscere la melodia delle Sorelle Stravagarie per sentirsi subito sollevato.
Aprì gli occhi e la seconda cosa di cui dovette rendersi conto fu una vasta gamma di colori che lo circondava, che quasi lo accecò. Non ricordava ne esistessero così tanti, la sua vita e i suoi sogni erano ormai tutti incentrati su mantelli neri e figure bianche come cadaveri.
Si guardò attorno meravigliato, riconoscendo gli stemmi delle case di Hogwarts alle pareti, gli addobbi festosi ed eccentrici in ogni angolo possibile e immaginabile della grande sala in cui si trovava e, infine, diversi e persino bizzarri abiti, alcuni semplici, altri riccamente elaborati e raffinati.
Si sentiva al centro esatto di un arcobaleno. O, più propriamente, di una festa.
Sì, convenne senza più alcun dubbio, era al Ballo del Ceppo.

Si guardò intorno, come un bambino meravigliato al parco giochi.
Era stato davvero un giorno così vivo? Così spensierato?
Non c’era una sola persona intorno a lui che non sorridesse o che non si stesse divertendo, che fosse un insegnante o un’invisibile tassorosso.
Un suo compagno di casa gli venne incontro, facendogli l’occhiolino. –Ehi, Draco, dovresti dare un’occhiata al buffet. Ci sono bocconcini davvero deliziosi!
Marcus Flitt lo trapassò come fosse stato un fantasma, arrestandosi dopo qualche altro passo dietro di lui. Si voltò e lo seguì fino a che non si ritrovò tra i suoi compagni tutti radunati in cerchio a ridere e scherzare.
Da quanto non passava del tempo con loro tutti insieme? Da quanto tempo non sedeva con loro in sala comune a parlare del più e del meno?
Passò a rassegna i loro volti così allegri, fino a che non si ritrovò faccia a faccia con se stesso.
Si riconobbe a stento.
Eppure di primo acchito non avrebbe saputo dire in cosa fosse effettivamente diverso.
I capelli più corti? O, forse, i vestiti eleganti che risaltavano la sua snella figura anziché farlo sembrare troppo ossuto?
Si passò istintivamente le mani sul viso e sul corpo, tastandosi per trovare il cambiamento più evidente quando questo gli si presentò lampante sul viso.
-Davvero? Ci sono le tortine al cioccolato?- intervenne Goyle, incitato da Tiger al suo fianco.
Non badò alla risata generale che scoppiò per quell’esclamazione ingenua, ma rimase a fissare il sorriso aperto che incurvò le labbra al Draco del suo passato.
Era apparso con così tanta facilità che stentava a credere di essere dentro a un ricordo anziché in un sogno.
Aveva la fronte liscia, le gote appena rosate dal calore della sala e probabilmente da qualche bicchierino corretto e la postura rilassata.
Ma era il suo sguardo a sconcertarlo. Dov’erano le ombre scure sotto agli occhi? E il velo lucido che non riusciva a cacciare quando era solo?
Ma, soprattutto, dov’era finito quel vuoto e quella pesantezza in fondo alle sue pupille che spegneva di ogni luce il suo sguardo?
Si portò i capelli indietro e si tenne strette le tempie, consapevole in quel momento di come fosse cambiato, magari persino invecchiato.
-Oh, sta zitto, Goyle! Come al solito non hai capito un bel niente.
La voce squillante della sua compagna lo distrasse, per nulla stupito di trovarla contrariata. La vide stringersi con più possesso al suo accompagnatore, rivolgendo uno sguardo omicida a Marcus.
Oh, come rimpiangeva quei tempi in cui tenere lontana Pansy era il suo unico problema.
-Flitt, vai da solo a dare un’occhiata al buffet. Il mio Dracuccio non ha bisogno di nessun’altro bocconcino.
Draco vide il compagno alzare le mani in segno di resa e scambiarsi un’occhiata d’intesa con il lui del passato mentre si allontanava.
Sapeva che lo avrebbe raggiunto solo più tardi, quando Pansy si sarebbe allontanata per sistemarsi il trucco insieme a Daphne.
Istintivamente, si ritrovò a piegare gli angoli della bocca all’insù, sentendosi finalmente, per la prima volta dopo tanto tempo, molto meglio.
-Ehi, ragazzi, ma avete visto come si è conciato Weasley?- sbottò a un certo punto Blaise, attirando l’attenzione sull’ingresso.
Si voltò anche lui insieme ai compagni, ritrovandosi a convenire per la seconda volta sull’orrendo abito da sera che indossava la donnola. Ricordava che fosse brutto, ma non così tanto!
Ma la sua ilarità durò poco, perché fu presto sostituita dalla curiosità di scoprire cosa mai avesse lasciato completamente a bocca aperta lo stupido grifondoro.
Si separò dai suoi compagni, ignorando i commenti che ne seguirono, e si avvicinò all’ingresso dove Weasley e un ripulito Potter se ne stavano immobili con lo sguardo fisso verso l’alto. Persino le loro accompagnatrici gemelle erano ammutolite.
Ma che diavolo avevano da fissare? Non ricordava che fosse accaduto qualcosa degno di nota quella sera, a parte l’insolita e bislacca scelta di Khrum sulla propria dama.
Una lampadina a quel pensiero gli si accese nella mente, portandolo a voltarsi verso la scalinata.
Lei!
In cima, sul primo gradino, Hermione Granger tentennava sui suoi stessi piedi, intimidita ed emozionata, sotto lo sguardo ammirato dei suoi compagni.
Mentre scendeva, con un sorriso appena trattenuto sulle labbra, Draco si ritrovò a sua volta incantato mentre faceva inconsciamente qualche passo verso di lei, tagliando apparentemente la strada a un ragazzo alle sue spalle.
Non se ne accorse, perché in quel momento tutta la sua attenzione era per la strega, sul suo viso dolce e sul quel sorriso che sembrava solo per lui, mentre le andava incontro.
Era stata sul serio così… bella, quella sera? E perché non se n’era accorto prima? Perché non se lo ricordava?
La risposta arrivò subito dopo, quando una mano tesa gli trapassò il torace, per prendere quella della ragazza che ormai, se fosse stata reale, in quel momento gli avrebbe sfiorato il naso con il proprio.
Come aveva potuto essere così stupido da non notarla!
Oh, adesso ricordava bene quell’anno.
L’invidia per Harry Potter che era stato scelto per il Torneo Tremaghi, l’arrivo di Victor Khrum nella sua scuola che però non aveva voluto saperne di stringere amicizia con lui.
Adesso era tutto chiaro. Quella sera era stato così furioso e invidioso di vedere la più insulsa e odiosa mezzosangue al fianco del più famoso giocatore di Quidditich che l’aveva completamente ignorata.
Eppure, adesso, il cuore gli batteva così forte che, quando gli passò attraverso dandogli le spalle, si sentì per un momento mancare le forze.
Si voltò per inseguirla, ma lei era già sparita sulla pista da ballo con il suo accompagnatore.
E con lei, quel caldo sorriso.

Riemerse dall’acqua azzurrina trattenendo il fiato, cadendo all’indietro sul pavimento.
Il cuore gli batteva forte ancora.
Rimase qualche minuto disteso sulle mattonelle fredde, riacquistando compostezza e mantenendo saldo il suo legame con la realtà.
Cos’era successo?
Si era ritrovato tra i suoi amici e gli era sembrato di rivivere quella lontana pace e spensieratezza, finché non si era lasciato distrarre dal trio dei miracoli e dall’effimera trasformazione di una mezzosangue.
Granger. Ancora lei.
Il suo sorriso lo aveva riempito di una strampalata sensazione, di uno strano calore umano.
Provò a concentrarsi su quel ricordo ancora vivido, provando a rievocare il viso della strega mentre sembrava guardasse lui, e non il suo amico, con affetto.
Solo sua madre lo aveva mai guardato a quel modo.
Riuscì a far riemergere quell’immagine ma, ormai, quella languida essenza sembrava troppo flebile dentro di lui per poterla godere appieno.
Una finestra si spalancò con forza, spinta da un vento improvviso, portando dentro un mantello gelido che gli rizzò la schiena facendolo sobbalzare per lo spavento.
Quando si rialzò in fretta per richiudere la finestra e scacciare così l’aria ghiacciata che si era insinuata nella stanza, perse persino l’immagine di lei.
Indossò il mantello e raggiunse la sala grande, ormai infreddolito, con l’intento di trovare un po’ di calore nelle fiamme del camino.
Ma pochi minuti dopo la sua mente tornò alla strega e al suo sorriso, mentre si massaggiava le mani ossute.
In quell’istante, capì di voler smettere di aver freddo.
Freddo dentro.
E c’era solo un modo per far sì che ciò avvenisse.
Doveva far sorridere la Granger, per lui.

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Capitolo 8
*** Solo per me ***


PREMESSA: Questa storia é legata alla long-fic “Solo con te”, in quanto rappresenta il prologo della saga “Ombra costante”.
Essendone, tuttavia, il primo capitolo, la comprensione di questa storia, delle circostanze e dei personaggi, sono possibili anche senza la lettura della storia da cui dipende. Pertanto, buona lettura a tutti!




CAPITOLO VII
SOLO PER ME


Una persona fondamentalmente sicura non si angustierà
se dettagli o questioni minori si riveleranno contro le aspettative.
Ma, alla fine, i particolari sono importanti,
il modo giusto e quello sbagliato di agire si trovano nelle piccole cose.
(Yamamoto Tsunetomo)



Dicembre 1996.

Non servì molto a Draco per capire che raggiungere il suo scopo non sarebbe stata un’impresa facile. Non che lui non possedesse abbastanza fascino o charme per strappare un sorriso ad una ragazza, ma Hermione Granger non era certo una qualsiasi.
Senza contare che lo rabbrividiva il pensiero di avvicinarsi a lei per… corteggiarla.
Per Salazar! Non voleva fare nulla del genere.
Ciò che desiderava era soltanto un suo sorriso, un po’ di quel calore che sembrava poter infondere; tuttavia, era pur vero che non poteva chiederglielo e basta. Era sufficiente l’idea per sembrare ridicolo. Ma cosa poteva fare?
Non voleva parlarle o, peggio, darle l’idea che volesse la sua amicizia. Era sempre una mezzosangue, un odiosa mezzosangue, e non gli interessava aver nulla a che fare con lei.
Fosse stato un qualsiasi altro studente della scuola, avrebbe anche potuto limitarsi a prenderle i libri o qualche altra sciocchezza del genere. Aveva visto innumerevoli volte la Granger regalare sorrisi anche al più insignificante degli studenti per un semplice gesto di cortesia.
Ma lui non faceva gesti cortesi, non a lei, e di certo non era nemmeno un semplice e insignificante studente.
Loro si odiavano e, qualsiasi azione positiva nei suoi confronti, avrebbe come minimo destato scandalo.
Ma doveva pur esserci un modo discreto e apparentemente innocente che potesse giustificarlo.
In fondo, si vedevano ormai tutte le sere e, anche se aveva fatto in modo che lei avesse ben chiaro che averla nella stessa stanza fosse il massimo che potesse sopportare, non poteva mandare all’aria tutti i suoi sforzi. Era già tanto quella strana tregua che avevano creato, doveva riconoscerlo.

Erano le sei del mattino e Draco completò l’ennesimo giro intorno alla sua stanza, con le dita tra i capelli, spremendosi le meningi in cerca di una soluzione, uno spiraglio. Doveva pur esserci un modo!
Poi un idea. Magari lei non doveva per forza parlare con lui, forse sarebbe bastato…
Sogghignò, fiero della propria astuzia.
Probabilmente non avrebbe conquistato l’ambito premio, ma avrebbe in un modo o nell’altro abbassato quell’invisibile barriera tra loro, permettendogli di avvicinarsi abbastanza da avere ciò di cui aveva disperatamente bisogno.
Calore umano.

***

Hermione e Ginny avevano sempre poco tempo da passare insieme tra una lezione e l’altra, un impegno e un imprevisto. La Sala Grande era l’appuntamento sicuro, l’occasione sempre pronta per aggiornarsi sulle proprie vite e recuperare i pettegolezzi persi.
Hermione, a colazione, era solita mangiare, leggere il giornale fresco di stampa e, nel contempo, ascoltare tutte le novità amorose della migliore amica; le bastava annuire con lei per non far cadere la conversazione. Tuttavia, Ginny quella mattina non sembrava molto eloquente. Aveva dovuto più volte richiamarla per invitarla a continuare i suoi racconti, non perché fosse sul serio interessata a ciò che Tom le avesse scritto sull’ultima pagina del quaderno di Erbologia, ma perché la metteva a disagio non avere quella cantilena di routine sull’orecchio, sentendosi quasi in dovere di dover dire qualcosa in più di un sempre “Sì”, “Che bello”, “Davvero?”.
Quando accadde per la quinta volta, sbuffò. -Ginny che...
Senza smettere di fissare qualcosa di fronte a loro, l’amica la interruppe. -Perché ti sta fissando?
Hermione non capì, aggrottando la fronte. -Cosa?
-Ti sta fissando- ripeté con decisione la rossa, indurendo la fronte.
Hermione si spazientì. -Ma chi?
-Malfoy.
Hermione sbarrò gli occhi, ritrovandosi a voltarsi istintivamente verso il tavolo nemico e scoprendo con sconcerto che effettivamente lui la stava fissando spudoratamente. Persino in quel momento, che anche lei reggeva il suo sguardo, continuava a guardarla dritto negli occhi.
Si ritrovò ad arrossire, forse per l’imbarazzo che qualcun’altro, oltre Ginny, si stava ritrovando a vedere la scena.
Tornò a inzuppare il suo croissant nel miele. -Starà pensando a tutte le sfaccettature del suo odio per me.
Ginny la scrutò attentamente, poi fece spallucce. -Sarà, ma per me sta combinando uno dei suoi soliti scherzi. Meglio se fai attenzione.
Hermione annuì, fingendo di concentrarsi completamente sulla propria colazione e facendo cadere il discorso.
Ora che però glielo aveva fatto notare, Hermione si sentiva pressare dal suo sguardo, tanto che non riusciva a smettere di sentirsi in imbarazzo, sperando seriamente che nessun altro si accorgesse di quella sfacciata arroganza. Ma che diavolo gli prendeva adesso?
Non aveva detto a nessuno dei suoi amici dei suoi incontri notturni con Malfoy, non gli era sembrato il caso, e poi sarebbe stato difficile spiegare. Come poteva far capire loro che se ne stavano semplicemente seduti negli angoli opposti di una stanza, in completo silenzio? Proprio loro due, poi!
Nessuno ci avrebbe creduto, e non osava immaginare cosa avrebbe potuto inventarsi la più spregevole delle malelingue se fosse venuta a saperlo.
Oh, ma perché Ginny glielo aveva fatto notare!
Sbatte il cucchiaio sul piattino, non potendone più, alzandosi di scatto dalla panca facendo così sobbalzare l’amica.
-Andiamo ad occupare i nostri posti, Ginny.
Sembrò quasi un ordine, che la rossa, del tutto confusa da quel suo improvviso cambiamento, non riuscì a far altro che seguirla confusa.
Percorrendo il corridoio come un perfetto soldato, prima di uscire dalla grande sala, non riuscì a evitare di lanciare un ultimo sguardo interrogativo su Malfoy, per accorgersi che non aveva smesso un attimo di osservarla, quasi fosse un caso da laboratorio da studiare.

La partita di Quidditch la distrasse, nonostante ebbe qualche difficoltà a non seguire con lo sguardo le mosse del cacciatore serpeverde. Si impegnò, invece, a sostenere i suoi compagni, sforzandosi di non sdoppiare qualche parola di incoraggiamento verso il loro portiere e facendo il tifo per il resto della loro squadra, che alla fine vinse la partita.
Andiamo?
Hermione declinò l’invito con una scrollata di spalle. L’amica capì e, con una carezza sui capelli, la salutò raggiungendo gli altri per i festeggiamenti.
Aveva bisogno di un po’ di pace, di schiarire la mente e far spazio a tutti i suoi pensieri.
Hermione non aveva assolutamente voglia di vedere tutti i suoi compagni elogiare Ron per le sue eccellenti parate. Senza contare che, in parte, era pure merito suo se era riuscito a conquistare quel ruolo in squadra.
Prese un libro dal suo zaino e lo aprì sulle ginocchia, lasciando che il vento le scompigliasse i capelli e la distrasse dai suoi problemi.
Aveva appena finito il primo brevissimo paragrafo quando una brezza più forte fece sollevare diverse pagine del libro facendole perdere il segno, nonostante i suoi tentativi di bloccare lo scorrere impazzito delle pagine che avevano preso a sfogliarsi sempre più in fretta.
-Ma che diamine…
Alla fine il fruscio di pagine si arrestò, trovandosi a fissare una pagina bianca in mezzo al libro.
Corrugò la fronte, non sapendo cosa pensare, passando una dito sulla pagina vuota e liscia, finché sotto il polpastrello non vide spuntare delle lettere, una dopo l’altra, finché alla fine non composero una frase.

“Leggi per me. Stasera”.

Hermione spalancò gli occhi sbalordita, ma prima che potesse fare qualsiasi cosa la scritta scomparve e la pagina tornò a riempirsi di parole che parlavano dell’evoluzione della magia nel XV secolo.
Sfogliò le pagine e si guardò intorno, finché con la coda dell’occhio, in alto, non colse un movimento. Alzando gli occhi al cielo, si ritrovò a fissare quegli occhi a cui aveva cercato di sfuggire poche ore prima, fissi su di lei con un velo di emozione che non avrebbe saputo spiegarsi.
Attesa? Speranza? Magari entrambi.
Ma non perse tempo a chiedersi il come e perché di quel gesto, di quello sguardo, di quell’invito.
Addolcì, invece, i lineamenti rimasti corrugati per lo sconcerto e gli rivolse un timido e incerto sorriso.
Dovette bastare al serpeverde perché lo vide tirarsi su il manico della scopa e dargli le spalle, svanendo all’orizzonte.
Ripensò alla sua amica, ripromettendosi di ascoltarla più spesso. Quella mattina stava davvero combinando qualcosa Malfoy, ma non avrebbe mai immaginato che per una volta sarebbe stato qualcosa di buono.

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Capitolo 9
*** A Natale puoi ***


CAPITOLO VIII
A NATALE PUOI


La bestialità della vita mi ha calpestato e schiacciato,
mi ha tagliato le ali in pieno volo e derubato di tutte le gioie cui avevo diritto.
(EM Cioran)



Dicembre 1996.

Aveva preparato le valigie, aveva salutato tutti i suoi amici e professori augurando loro delle buone feste.
Eppure, mentre scendeva le scale con Ginny, sentiva che doveva fare qualcos’altro prima di lasciare il castello, che c’era qualcun altro ancora da salutare.
Lo aveva cercato con lo sguardo tra la folla di studenti, ma non lo aveva trovato, nemmeno tra le divise verde-argento. Così, poco prima di oltrepassare la soglia, si era ritrovata a biascicare delle scuse alla sua amica e correre via nella direzione opposta.
Ed ora eccola lì, dopo aver corso su e giù per il castello, nell’unico posto in cui - avrebbe dovuto saperlo - lo avrebbe trovato.
L’idea che lui si fermasse ad Hogwarts per le vacanze natalizie scemò nello stesso istante in cui lo vide, in fondo all’aula di pozioni, coperto dal suo pesante e lungo mantello, mentre cercava di far entrare alcuni libri in una valigia.
Rimase ferma sulla soglia, improvvisamente senza parole e fiato in gola.
Il mago, intanto, aveva alzato lo sguardo soltanto un istante, prima di riabbassarlo e continuare ciò che stava facendo.
-Ho da fare, Mezzosangue. Sparisci, oggi non ho davvero voglia di perdere del tempo con te.
Hermione deglutì e strinse tra le mani la maniglia della sua borsa, improvvisamente nervosa.
Che diamine le era saltato in testa di andare da lui?
-Sono… sono passata solo per salutarti. Tra poche ore partiamo e…
Lui la interruppe bruscamente. Era evidente che non vedeva l’ora che lei si togliesse dai piedi.
-Bene, ora che lo hai fatto puoi anche toglierti di torno.
Hermione rimase ferma in piedi, apparentemente calma. Se ne accertò con la coda dell’occhio, finché non scorse un tremito attraversare il corpo della ragazza.
Lasciò andare i suoi libri e alzò lo sguardo verso di lei, spazientito. -Ancora qui?
Hermione strinse i denti. -Perché lo fai?
Draco sgranò gli occhi e le chiese ilare –Che cosa, Mezzosangue?
-Questo. Questo allontanarti da tutto e tutti, questo essere sempre indisponente nei confronti degli altri. So che non siamo amici, Malfoy, e che tra noi c’è soltanto un immenso odio- aveva calcato sulla parola finale con sarcasmo, quasi volesse esprimere quanto per lei fosse ridicolo il suo atteggiamento. -Ma sono venuta qui per salutarti, per augurarti Buon Natale, e tu l’unica cosa che sai fare è mandarmi via? Non dico che tu debba esserne felice o grato, per carità!, ma potresti quanto meno fingere un’educazione che evidentemente non ti appartiene.
Aveva parlato a raffica, con quanto fiato in gola, dando voce alla sua rabbia ed esasperazione, gesticolando e scalciando con i piedi quasi fosse una bambina.
Draco, dal canto suo, si era irrigidito tanto da sembrare una statua di sale, prima di sbottare improvvisamente con un celato rimprovero glaciale.
-Preferiresti che io fingessi di gradire i tuoi auguri? I tuoi saluti?
Hermione si ritrovò a corto di parole, non era quello ciò che intendeva dirgli. -Sì… cioè, no. Ma…
Draco la interruppe ancora una volta, alzando una mano per scacciare quelle che secondo lui erano inutili chiacchiere.
-Perché sei davvero qui?
Hermione fece un passo avanti e aggrottando la fronte rispose quel che per lei era l’ovvio. -Te l’ho appena detto, Malfoy. La prossima settimana è Natale e noi…
La fermò prima che lei potesse dire qualcosa sul tempo che avevano passato che non avrebbe gradito.
Draco abbassò il capo e tornò a sbrigare le proprie faccende. -E allora? Tutto qui?
Hermione capì il suo tentativo di sviare il discorso e lo assecondò. Nemmeno lei era ancora pronta per parlare di quanto accaduto tra loro, ammesso che qualcosa fosse davvero accaduto.
Hermione si scrollò le spalle, improvvisamente stanca, e ammorbidì i lineamenti, ricordandosi le parole del suo saggio nonno.
-Beh… a Natale puoi, Malfoy. Puoi davvero.
Draco rimase sbigottito tanto da alzare lo sguardo sulla strega, trovando ad accoglierlo sul viso di lei due occhi dolci e delusi. Non ebbe il tempo di chiederle nessuna spiegazione che la vide richiamare con la propria bacchetta la valigia e dirigersi verso l’uscita dandogli le spalle.
-Ti auguro buone feste, Draco.
La sentì dire prima di scomparire fuori dalla porta.

Hermione affrettò il passo, con l’intento di raggiungere al più presto i suoi amici sul treno.
Voleva dimenticare quanto accaduto con Malfoy, voleva dimenticare di aver provato a essergli amica. Lui non voleva degli amici e soprattutto non aveva bisogno del suo aiuto.
Qualunque cosa lei pensasse di lui doveva togliersela dalla testa.
Doveva togliersi dalla testa lui e qualsiasi cosa l’avesse intenerita nei suoi confronti.
Diede la colpa ai suoi ormoni che forse, dopo quanto accaduto con Ron, dovevano essere impazziti per la mancanza di affetto desiderato.
Trasalì quando qualcuno le afferrò un braccio e l’attimo dopo si ritrovò schiacciata ad un muro.
-Malfoy!- urlò, quando lui si acquattò addosso a lei, bloccandole ogni via di fuga stringendole entrambe le braccia.
-Cosa?
Hermione corrugò la fronte confusa dalla sua espressione dura. Ma la sua espressione di palese sorpresa doveva essere abbastanza chiara perché lo sentì continuare.
-Tu prima hai detto una cosa sul Natale. Ed io voglio sapere a cosa tu esattamente ti riferissi.
Se prima le aveva ringhiato contro, la sua voce rauca adesso sembrava il grido di una bestia sì, ma disperata.
Le aveva semplicemente riferito quando le diceva sempre il suo povero e vecchio nonno, non credeva che lui la stesse davvero ascoltando più ormai.
Ad ogni modo, quando comprese, il volto di Hermione si ammorbidì di comprensione. –A tutto, Malfoy. A Natale puoi anche fare quello che non puoi fare mai. Puoi…
Stava per elencargli tutte le cose che collegate ad un Malfoy sarebbero apparse ridicole, come fare beneficenza ai poveri o sedersi alla tavola di un magonò, ma niente di tutto questo sarebbe stato strano come quello che lui improvvisamente fece.
L’abbracciò.
Draco Malfoy, un purosangue serpeverde abbracciò lei, Hermione Granger, una mezzosangue grifondoro.
Lo comprese effettivamente quando sentì il suo corpo venire avvolto da quello del mago, completamente, e quando si ritrovò la vista oscurata dalla sua spalla che a malapena arrivava alla sua fronte.
Le mancò il fiato, per l’emozione.
Persino la borsa le cadde dalla mano, risuonando in un tondo sordo nel pavimento.
Ma nessuno dei due se ne accorse.
Era come pietrificata.
Eppure non desiderò altro ossigeno quanto avvertì la delicata fragranza di cui sembravano impregnati i vestiti di lui e che investì le sue narici.
Né sentì il bisogno di ripararsi dal freddo, quando il fischio del vento oltrepassò una vetrata, perchè il corpo del ragazzo che la stringeva era caldo, più di quanto avesse mai potuto immaginare.
Rimase letteralmente a bocca aperta e con gli occhi sgranati, mentre il cuore di Draco batteva furiosamente contro il suo, e nascondeva il viso tra i suoi capelli e l’incavo della sua spalla.
Il serpeverde era aggrappato a lei. Sì, perché quello non era un semplice abbraccio e lei in vita sua ne aveva ricevuti tanti. Da i suoi genitori, dai suoi amici, da conoscenti persino.
Sapeva cosa voleva dire un abbraccio impacciato, uno di riconciliazione, uno di affetto, uno di felice ritrovamento.
Fu per questo motivo che diede volontà alle sue braccia rimaste mollemente penzoloni sui fianchi e le alzò per circondare la vita del ragazzo.
Ma il suo movimento lento dovette aver fatto troppo rumore, forse più della borsa scivolata tra le sue dita, in quanto si accorse subito che qualcosa intorno a loro si era rotto. L’incantesimo che li aveva avvolti si era spezzato, così che le sua braccia ricaddero lungo i suoi fianchi l’istante dopo mentre il ragazzo tornava ritto e la guardava con lo stesso sguardo allucinato del suo.
Era evidentemente sconvolto, prima che tramutasse la sua espressione in una maschera di rimprovero –verso chi? se stesso?- e sparisse via.
Non provò neanche a fermarlo, congelata da quella surreale situazione. Prese un profondo respiro portandosi una mano sul cuore che si accorse che batteva forte al centro del petto, come impazzito.
Dopodiché come un automa prese la sua borsetta e si incamminò verso l’uscita.

Non seppe mai dire cosa in quel momento provò esattamente, ma nei giorni successivi si convinse che, quegli istanti che sembrarono non finire mai, in cui lui fu tra le sue braccia, furono indimenticabili.
Nonostante mentre dava le spalle al castello, quella mattina, ripetesse incessantemente a se stessa di dover assolutamente dimenticare Draco Malfoy.

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Capitolo 10
*** Ivanhoe ***


 

CAPITOLO IX
IVANHOE

 

Ma tu chi sei che, avanzando nel buio della notte,
inciampi nei miei più segreti pensieri?
(William Shakespeare)



Dicembre 1996.
Vigilia di Natale.


Mancava poco alla mezzanotte e Draco, diversamente da tutti gli anni precedenti, era nella sua stanza da solo. Leggeva un libro, l’unico che nella fretta era riuscito a prendere mesi fa nella sua libreria, prima che qualche Mangiamorte lo scoprisse fuori dalla sua stanza. Non voleva stare con loro e fingere di rallegrassi per la morte di qualcuno, né voleva essere preso di mira da loro per gli scarsi risultati da lui ottenuti ad Hogwarts.
Lisciò la copertina ruvida e antica, giocherellando con una piaga stropicciata.
Si alzò dal letto e prese il suo mantello, sedendosi poi sul davanzale della finestra per scrutare il cielo. Soltanto con gli occhi rivolti alla sua luna riusciva a trovare un po’ di pace, un luogo sicuro dove rifugiarsi e sentirsi per un attimo libero.
Ripensò all’ultima volta in cui si era sentito libero e sentì un’onda di collera invaderlo.
Come aveva potuto essere così sconsiderato? Se qualcuno lo avesse saputo: la sua famiglia, o peggio, l’Oscuro Signore e i suoi Mangiamorte…
Non volle nemmeno pensare a quello che avrebbe potuto passare per quel folle gesto.
Era stata colpa sua, di quelle parole che l’avevano confuso.
A Natale puoi…
Posso che cosa? Si era chiesto, finché la curiosità di scoprirlo non era stata più forte e l’aveva inseguita.
Ragionando come un illuso bambino, aveva sentito nuova aria espandersi nei suoi polmoni all’occasione di poter finalmente trovare la via di fuga che tanto si era aspettato.
E quando lei le aveva spiegato, quando lei le aveva parlato con la sua espressione disponibile, ogni resistenza, ogni rigidezza lo aveva abbandonato.
A Natale puoi fare anche quello che non puoi fare mai.
Eccola la risposta che cercava, quel permesso che tanto aveva bramato di ricevere.
Poteva fare quello che voleva, poteva essere chi voleva. Poteva essere libero.
E si era sentito libero, tra le sue braccia.
Aveva sentito un grosso peso abbandonarlo improvvisamente e, più l’aveva tenuta stretta, più aveva sentito qualcosa al centro dello stomaco rasserenarlo come a dirgli: sei al sicuro Draco.
E lui al sicuro non si sentiva da tempo, da così tanto tempo che faticava a ricordare quando la sicurezza era alla base di ogni sua azione e parola.
Si era sentito così… non saprebbe spiegarlo. Diverso?
Ad ogni modo talmente svuotato che avrebbe persino pianto, rendendosi ancor più ridicolo, se lei non si sarebbe mossa per ricambiare il suo abbraccio.
Per fortuna se ne era accorto in tempo –Merlino! Sarebbe stato ancora peggio avere le sue sporche mani su di lui- e se n’era andato, sconvolto più da se stesso che dalla situazione imbarazzante che lui stesso aveva creato.
A distanza di giorni continuava a pensare a quel momento folle, a quell’unico gesto che rappresentava quasi un crimine se ripensava a quante regole e ordini aveva infranto.
Forse anche per questo alla fine si ritrovava a sorridere tra sé, al ricordo.
Prima di rabbuiarsi e chiedersi perché lei non lo avesse respinto.
Merlino, stava persino per abbracciarlo. Che era saltato in testa a quella Mezzosangue?
E chissà cosa stava pensando di lui in quel momento.
Improvvisamente l’idea di scriverle un biglietto gli sembrò la cosa più opportuna da fare.

Volevo solo dirti di dimenticare quello che è successo e di non rivelarlo a nessuno .
Troppo cortese.

Ero ubriaco.
Inverosimile.

Non so cosa mi sia preso.
Cos’era, un ragazzino alle prime armi? Ridicolo!

Il disgusto ancora non mi abbandona. È stato un errore. Dimenticalo!
I Malfoy non commettono errori. Ma, se accade, nessuno deve saperlo.

È stata colpa di un incantesimo involontario.
Nemmeno un troll ci crederebbe.

Maledizione!


***


Al suo rientro in camera, dopo una lunga e felice cena di Natale con la sua famiglia, Hermione era ormai lontana con la mente dalla magia, Hogwarts e tutto ciò che rappresentava.
Eppure era un mondo che non poteva tenere a distanza tanto a lungo, non il quel momento.
Non quando c’era qualcuno che esigeva la sua attenzione.
Un ticchettio alla finestra la riportò alla cruda realtà, spingendola a scostare le tende.
Dietro il vetro freddo trovò un grigio gufo tremante, ma elegante nella sua posizione nonostante tutto composta.
Si affrettò a farlo entrare, confusa sul mittente del pacchetto legato alla zampetta rugosa dell’animale.
Sapeva solo di non aver mai visto quel gufo, né di aspettarne qualcuno.
Chiuse distrattamente la finestra una volta fatto accomodare sulle sue dita l’ospite inatteso, poggiandolo poi su un grande tomo aperto sulla scrivania. Lo liberò dal carico e scese subito in cucina, certa che l’esserino potesse essere affamato per il viaggio burrascoso. Faceva terribilmente freddo quella notte.
-Aspettami qui. Torno subito.
Quando risalì in camera sua con dei deliziosi biscotti, però, non c’era più l’elegante gufo ad attenderla e la finestra era spalancata facendo volare in alto le tende. Il rumore di alcune pagine che si sfogliavano, quasi fosse stato un incantesimo e non il vento a spingerle, riportò la sua attenzione sulla scrivania dove ad attenderla c’era il misterioso pacchetto.
Lo aprì curiosa, strappando la carta liscia con impazienza, finché tra le mani non ebbe che un libro. –Impossibile!
Sfiorò la ruvida copertina, accarezzando le incisioni dorate impresse sulla superficie e la rilegatura fragile.
Sorrise sbuffando, non riuscendo a controllare l’emozione, scoprendosi piacevolmente sorpresa e colpita. E confusa.
Non c’era un biglietto ad accompagnare il regalo, ma non ne aveva bisogno per capire di chi fosse.
Quello non era un libro qualunque, ma il libro.

Il marmo lucido era gelido, eppure l’aria circostante era piena di nubi rosa e azzurre profumate, probabilmente per un bagno caldo appena finito di qualche gruppo di studenti.
Aveva la fronte imperlata di sudore e le gambe poggiate a terra tremanti, ma lo squilibrio in cui in quel momento il suo corpo versava era nulla in confronto allo stato oscillante delle sue emozioni. Era eccitata, confusa, inquieta.
Aveva passato tutto il giorno a pensare e ripensare a quale libro avesse potuto leggere per lui, quale sarebbe stato di suo gradimento, quale si aspettava di trovare.
Insomma, non credeva neppure che fosse un’amante della lettura.
Di primo acchito pensò ai generi horror, ma poi si disse che era pregiudizievole e banale. Ma cosa allora?Alla fine aveva rinunciato e si era recata all’appuntamento a mani vuote e un paio di libri ristretti nascosti in una borsetta.
Immersa com’era nelle sue riflessioni non si accorse nemmeno di non essere più sola, fino a che un piccolo libriccino venne gettato ai suoi piedi facendola sussultare.
Alzò lo sguardo, appena in tempo per intravedere le spalle del mago svanire tra le nubi. In silenzio, più confusa di quanto già non fosse, tornò a dare attenzione al libro, prendendolo delicatamente in mano e accarezzandone il titolo inciso sulla copertina.
Ivanhoe.
Non poteva credere ai suoi occhi. Tante fisime su quale potesse essere un genere a lui piacevole, per poi ritrovarsi con uno dei classici della letteratura babbana.
Senza contare che, le rifiniture, lo spessore… che non fosse la copia originale? Non poteva credere ai suoi occhi.
-Ma…
Tentò di chiedere una qualche ragionevole spiegazione, il suo cervello era un’esplosione di quesiti irrisolti. Ma dovette tenere a freno la lingua quando sentì la voce fievole della serpe interromperla.
-Non siamo qui per delle domande, ricordi Granger?
Si morse il labbro e decise che, in fondo, le sue domande potevano anche aspettare.
Aprì il libro e cercò una sistemazione più comoda. Non sapeva per quanto tempo lui avesse intenzione di ascoltarla leggere, ma il tomo che aveva tra le mani non sembrava per nulla una lettura leggera, ne tanto meno breve.
Mentre cercava l’angolazione più favorita, si senti improvvisamente poggiare su un morbido cuscino magicamente apparso.
Sgranò gli occhi, si voltò verso un punto indistinto nel vano tentativo di cercarlo, ma benché l’appannamento iniziale cominciava a dissiparsi, non riusciva ancora a vederlo.
Alla fine sorrise un “Grazie” e, accavallando le gambe, iniziò a leggere.

Draco l’aveva guardata cercarlo di sottecchi, sorridere a certe battute del libro, arrossire sui versi d’amore. L’aveva vista corrucciare la fronte su alcuni citazioni in latino e litigare con qualche parola troppo complicata.
Era rimasto segretamente soddisfatto nel vederla continuare a leggere imperterrita anche quando, il dubbio che lui potesse essersene andato, l’aveva sfiorata. Sorrise sotto il suo caldo mantello quando, ad un suo brusco movimento fatto apposta per rassicurarla, lei aveva sorriso e ripreso con più entusiasmo.
Rimase a osservarla tutta la notte, non le staccò gli occhi di dosso nemmeno per un secondo, fin quando non la vide cedere alla stanchezza e chiudere gli occhi.
Hermione Granger forse non era bella ma, immersa nella lettura, aveva un che d’intrigante.
E i suoi sorrisi, scoprì con dolce rammarico, affascinavano il suo cuore.


Ogni normale coppia prima o poi ha una loro canzone.
Ma loro non erano una coppia.
Loro non potevano neanche definirsi normali.
Per questo loro avevano un libro, il loro libro, a testimoniare il loro qualcosa.
Si tuffò con la schiena sul letto, sprofondando nel piumone e stringendo al petto quel prezioso dono.
Poi lo aprì, leggendo per la seconda volta la prima pagina, e lì, sotto il nome dell’autore del libro, sotto “Ivanhoe”, trovò qualcosa di diverso, di nuovo.
Qualcosa che non pensava avrebbe mai, mai letto prima in nessun libro esistente al mondo.


Auguri a te.

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Capitolo 11
*** Ombre prigioniere ***


 

CAPITOLO X
OMBRE PRIGIONIERE

 

La paura può farti prigioniero.
La speranza può renderti libero.
(Le ali della libertà)



Gennaio 1997
Rientro ad Hogwarts.


Aveva passato tutte le vacanze natalizie a casa con i suoi genitori. Andare alla Tana e stare a stretto contatto con lui sarebbe stato troppo imbarazzante.
Sperava che al suo rientro a Hogwarts qualcosa sarebbe cambiato, qualcuno sarebbe stato diverso.
E, invece, si accorse presto di non essere stata accontentata quando la realtà le si presentò di fronte agli occhi più forte di come l’aveva lasciata.
Con quella voce stridula, Lav Lav stava regalando una collana, a parer suo ridicola, al suo Won Won, prima di saltargli addosso come un koala sotto l’effetto dell’Elisir dell’Euforia.
A Hermione salì la nausea.
-Scusami, devo andare a vomitare- si accomiatò da Harry, che in quel momento gli stava a fianco.
Camminò svelta, celando la corsa che i suoi piedi bramavano di intraprendere per mettere sempre più distanza tra lei e la causa del suo cuore ancora infranto.
Qualcuno le aveva detto che il tempo guarisce tutte le ferite, eppure le sue le sembravano troppo profonde per essere rimarginate.
Trovò l’aula di Trasfigurazione buia e vi s’inoltrò all’interno.
Avanzò tra i banchi, con la vista appannata dalle lacrime e dal buio pesto che vigeva nella stanza. Ma non accese le candele né si fece aiutare dalla sua amata bacchetta con un semplice Lumos.
Il buio andava bene, il buio riusciva a celare tante cose.
Brancolò a tentoni, singhiozzando e sbattendo più volte le ginocchia contro i banchi e le sedie che non riusciva a vedere. Alla fine, stanca, si lasciò cadere su una sedia e poggiò le braccia conserte sul banco e su di esse la massa riccioluta dei suoi capelli.
Perché le faceva ancora male? Perché non smetteva di soffrire?
Pianse e sfogò la rabbia, la delusione, l’amarezza. Finché non rimase il vuoto.
Passarono minuti che le parvero ore, fino a quando sentì un soffio d’aria sfiorarle le braccia, portandola ad alzare di scatto la testa, i ricci bagnati appiccicati sul viso. Non vide nulla, se non uno spiraglio di luce alle sue spalle entrare dalla porta e un’ombra attraversarlo, prima di far ricadere la stanza nuovamente nel buio più totale.
Fu abbastanza per riconoscerlo.
Chissà perché, ogni qual volta si ritrovava a piangere fuori le calde coperte del suo letto, lui era presente, le era vicino.
Non volontariamente, certo, ma per misteriosi casi di coincidenza.
Aveva pensato spesso a lui, in quei giorni lontani da scuola: aveva ripensato ai loro incontri, ai loro battibecchi, a suoi occhi.
Gli stessi occhi che, dopo ore di inutili pianti, gli avevano rimandato la superficie riflettente del bagno di casa sua, quando si era specchiata poco prima di scendere in salotto dai suoi genitori per la cena della vigilia.
Aveva riletto il loro libro nelle notti più fredde, fino ad impararne interi paragrafi a memoria.
Si era svegliata alcune mattine stringendo quel dono sul petto, rivivendo ogni singola volta quel momento in cui invece era stata lei circondata dalle sue braccia.
Faticava ad ammetterlo, ma doveva molto a quel borioso ragazzo: le volte in cui erano insieme, erano anche le uniche volte in cui non pensava a loro.
Durante i loro primi incontri, litigare con lui e trovare dei modi per ripagare le sue parole di scherno, erano stati una distrazione quasi piacevole.
E anche quando successivamente tra loro era sceso il silenzio, come una sorta di rispettabile tregua di cui nessuno conosceva l’inizio e la fine, Hermione aveva lasciato che la sua mente si concentrasse sempre e ancora su di lui: sul suo petto che faceva su e giù a ritmo del suo respiro, sul flettere delle sue dita quando si stringevano in un pugno che riusciva a farle intravedere le nocche, sul rumore della sua lingua quando la scoccava improvvisamente.
Aveva scoperto che, in fondo, non era poi così silenzioso. In quei momenti provava ad immaginare cosa stesse pensando, quale sentimento lo turbava e fantasticava di parlarne con lui, di rimproverarlo su un pensiero poco carino che aveva avuto nei confronti di un'altra persona o di prenderlo in giro su un’espressione che involontariamente gli affiorava in viso alle volte buffa.
La cosa che però le piaceva di più pensare era che lui non la ignorava in quei momenti come poteva sembrare, ma che anche lui accettasse la sua presenza al punto da abbandonare dopo un po’ la rigida postura che nei primi giorni lo aveva caratterizzato e ad abbassare la guardia su di lei facendosi trasportare dai propri pensieri. Perché era ovvio che Malfoy pensava. E molto.
Non la riteneva più una minaccia.
Tuttavia, aveva compreso che quanto accaduto a Natale aveva cambiato ancora una volta le cose tra loro e sperò che lui non facesse un passo indietro, che non la facesse uscire di nuovo dal suo cerchio d’ombra.
Fu piacevolmente sorpresa quando, quindi, capì che forse tutto era rimasto come prima, considerato che anche questa volta non l’aveva mandata via e non l’aveva ripresa. Non le aveva fatto nemmeno notare la sua presenza!
Quella mattina, dopo essere scesa dal treno, aveva a malapena incrociato, non riuscendo a chiedergli il perché di quel gesto, a ringraziarlo.
L’aveva ignorata, quasi non l’avesse nemmeno vista.
E ora scopriva che era stato lì con lei, immobile, al suo posto, celato dall’oscurità, in silenzio, probabilmente ancor prima del suo arrivo. L’aveva ascoltata piangere e, solo quando aveva consumato tutte le sue lacrime, se ne era andato.
Le sarebbe piaciuto pensare che il ragazzo, a modo suo, era voluto rimanere al suo fianco, cullandola con la sua presenza seppur nascosta, finché non fosse stato certo che non avesse più potuto avere bisogno di lui.
Ovviamente questa era un’utopia, una fantasia troppo fiorita persino per una bambina.
Ma, qualunque fosse la ragione, gliene era grata.


*



Qualche pomeriggio dopo…


Stavolta non era lì per caso, lo sapeva.
Ma oggi non era una giornata sì per Draco e, venendo a trovarlo di sua spontanea volontà, aveva voluto sfidare il destino.
Sparisci Mezzosangue, vai via se non vuoi farti male.
Inutili furono le preghiere silenziose di Malfoy, perché la sentì aprire la porta, immaginandosela a sbirciare speranzosa di trovarlo.
Non sarebbe rimasta delusa, ma sperò che un briciolo di amor proprio la spingesse a fare marcia indietro finché era ancora in tempo.
Non fu tanto fortunato.
-Giornataccia?- lo salutò, mentre le piastrelle di marmo sembravano vibrare a ogni suo passo.

Una folata d’aria lo colpì alle spalle e Draco capì che si era appena seduta sul bordo della piscina, a pochi metri da lui.
Come al solito, non si mosse. Rimase in silenzio a fissare il cielo oltre la finestra, quei punti indistinti che schiarivano quel mantello nero come la sua anima.
Intrecciò le dita su un ginocchio, cercando di non farsi vedere dalla strega che sapeva stava osservarlo. La sua presenza lo rendeva nervoso.
Quando c’era lei, l’aria intorno sembrava più densa, quasi soffocante. E lui voleva essere libero.
Non capiva perché la strega si ostinava a imporgli la sua presenza, sapeva di non piacergli così come lei non piaceva a lui.
Troppo intelligente per essere una donna, era troppo innocente per essere un uomo.
Troppo astuta per essere una Grifondoro, era troppo leale per essere una Serpeverde.
Hermione Granger era, semplicemente, troppo.
Per lui era una sorta di rebus, di difficile interpretazione.
Eppure non era riuscito ad allontanarsi da lei, nelle ultime settimane, quando gli era vicino. Come se fosse improvvisamente pietrificato o incollato lì dove si trovava. Perché i suoi pianti, le sue battute assurde, le sue parole di poca importanza, insomma i suoi rumori, erano quanto di più confortevole per lui, come una ninnananna che riesce a scacciare via gli incubi e farti dormire tranquillo, almeno per un po’.
Ecco, la Granger era la sua ninnananna. Con lei, anche se non l’ascoltava mai davvero fino in fondo, riusciva a estraniarsi dal presente, a uscire via dal cerchio dei suoi problemi e stare in pace.
Per questo le permetteva di stargli vicino, per questo quella mattina quando si era intrufolato nell’aula di trasfigurazione per cercare un libro di incantesimi per il suo piano non era scappato e l’aveva ascoltata piangere.
Si era sentito subito meglio: la tristezza della Mezzosangue, la sua sofferenza, il suo dolore, avevano scacciato via il proprio e l’aveva fatto sentire meno solo, meno diverso.
Di primo acchito aveva gioito nel sentirla così sofferente, in fondo, quelli come lei non meritavano la felicità nel suo mondo, ma poi… quando l’aveva sentita delirare frasi sconnesse aveva sentito solo una forte compassione. Sapeva come si ci sentiva e aveva provato un moto di tenerezza per lei, durato solo un istante, perché poi aveva sentito l’esigenza di scappare via, temendo di impazzire per quel pensiero assurdo.
Le sue ricerche per riparare l’armadio svanitore erano a un punto morto. I tentativi che aveva fatto erano tutti falliti miseramente e l’Oscuro Signore sapeva, vedeva i suoi occhi su di lui e il cuore speranzoso e preoccupato di sua madre gravare sulle sue spalle.
Ormai iniziava a pensare che non c’è l’avrebbe fatta e la sua famiglia sarebbe morta, per colpa sua.
No, non poteva arrendersi, ma… non poteva neanche pensare alla Mezzosangue, non con quei termini.
Improvvisamente si sentì stanco, come se un macigno troppo grande gravasse sopra di lui e, dopo troppo tempo a sostenerlo, le sue gambe lo avessero tradito. Non sentiva più la forza neanche di ribattere più alla Granger o di rivoltarle contro tutto il suo odio.
Anche se, ormai, non odiava forse di più qualcun altro?
Sospirò. Ah, impazzirò alla fine come il mio bisnonno!
-Malfoy…
Una voce tenue lo distrasse dai suoi pensieri e Draco inclinò la testa di lato, esprimendo tutta la sua perplessità con un’espressione stizzita.

Ormai Hermione riusciva a comprendere i segnali muti che lui le mandava, forse involontariamente. Sbuffò, ma sorrise lieta di non aver ancora ricevuto nessun invito ad uscire fuori dalla sua vita.
-Sta zitta, Granger. Se proprio non riesci a fare a meno di impormi la tua presenza, taci quanto meno.
-Non dovrei essere io a dirtelo, ma hai proprio bisogno di una bella dormita. Così fiacco, non è ugualmente divertente fingere di aver paura di te.
La strega non sapeva perché lo stava facendo, non aveva senso la sua presenza lì, così come non aveva senso il suo insistere nel conversare con lui.
Lui la odiava e lei odiava lui.
Non aveva dimenticato gli anni di tormento, di insulti, di crudeli scherzi che avevano reso alle volte la sua vita a Hogwarts davvero un inferno.
Lui non meritava la sua clemenza, né il suo perdono. Il mago non gliel’avrebbe mai chiesta e lei non gliel’avrebbe comunque data, non facilmente almeno.
Eppure sentiva il suo animo Grifondoro ruggire di fronte quell’apatia.
Perché Hermione Granger era nobile d’animo. Era una sua caratteristica.
Distese le gambe, incrociandole, e guardò il soffitto pensierosa, incurante della sua rispostaccia.
-Il sole può tramontare e poi risorgere; noi, invece, una volta che il nostro breve giorno si spegne, abbiamo davanti il sonno di una notte senza fine*.
Hermione sgranò gli occhi, prestando attenzione alle parole appena pronunciate dal ragazzo. Aveva parlato al plurale, aveva detto noi.
Le vennero in mente le parole del suo migliore amico di qualche mese prima, Harry: “Malfoy è diventato uno di loro, un Mangiamorte”.
Scosse la testa, scrollandosi di dosso quei pensieri assurdi.
Lui non poteva essere un Mangiamorte: anche se non era la persona migliore del mondo, dubitava seriamente che quel borioso ragazzino potesse rappresentare un serio pericolo per qualcuno.
Lo aveva trovato sempre un tipo tutto fumo e niente arrosto.
Si concesse di indugiare nuovamente sulla figura del mago, sulle sue spalle ricurve e sulle gambe mollemente lasciate cadere sul pavimento.
Non aveva neanche l’aspetto di un Mangiamorte.
Però di una cosa era sempre più sicura: Draco Malfoy era inquieto.
Non dormiva, le profonde occhiaie lo dimostravano, mangiava poco, ai pasti a volte neanche si presentava, e si vedeva troppo poco in giro.
Si guardava sempre intorno come se temesse di essere seguito e spiato, parlava poco persino con i suoi compagni con il quale finiva spesso per litigare e restava solo.
Negli anni precedenti non lo aveva mai visto solo. C’erano sempre stati Tiger e Goyle, la Parkinson…
Tutto era davvero molto strano e la sua curiosità stava raggiungendo picchi elevati.
Infine, c’era anche quella fastidiosa sensazione che lui sapesse sempre quali fossero le sue angosce, perché riusciva sempre a toccare i punti giusti per ferirla: sapeva della sua insofferenza nel vedere Ron e Lavanda insieme.
Mentre lei, non sapeva nulla dei suoi possibili problemi. Se si esclude suo padre, è ovvio.
Il Ministero della Magia ha fatto spesso il suo nome e tiene sempre sotto controllo la sua famiglia. Lo sanno tutti.
-Ho smesso di chiedermi per quale ragione tu voglia impormi la tua presenza. Noia? Curiosità?
Paura? Non mi interessa. Ma tieni a mente questo: noi non potremmo essere mai nulla di diverso da ciò che siamo adesso. Qualunque cosa è stato e sarà.
Draco si sentiva in dovere di precisare alcune cose con lei o, forse, si sentiva di precisarle più a se stesso. Si rendeva conto che le cose con la Mezzosangue stavano proseguendo su strane e sconosciute vie e non poteva permettersi nella sua vita un’altra incognita. Magari questa ambigua situazione con lei poteva anche proseguire, quanto meno fino a che ne aveva voglia, a differenza dell’opinione di Piton, ma una cosa era certa, doveva riuscire tenerla sotto assoluto controllo. Non poteva permettersi altre defiance come quella accaduta a Natale.
Hermione distolse lo sguardo, anche se lui non poteva vederla. Sembrava sempre riuscire a indovinare cosa lei stesse facendo.
-Posso farti una domanda?- si ritrovò a chiedere, sfiorando con le dita la superficie d’acqua nella piscina. I diversi profumi le vennero incontro.
-Puoi. Ma non aspettarti che ti risponda.
-Nel castello ci sono tante vetrate che ti permettono di guardare fuori, ma tu scegli questa che è una delle poche che ti da una visione completa del cielo senza l’intralcio delle Torri. Perché?
Era una domanda stupida, ma l’unica forse che poteva permettersi di porgli per saziare almeno in parte la sua curiosità.
Si voltò nuovamente verso di lui e si stupì nell’accorgersi che si era irrigidito: che cosa aveva detto, in fondo, di male?
Alzò gli occhi alla finestra, scrutando il cielo nero che si estendeva sereno privo di stelle. Non vi era nulla, se non un nido poco nascosto e un uccello che libero svolazzava qua e là, insieme al suo compagno.
Fu allora che capì.
Si alzò, lisciandosi le pieghe della gonna e avviandosi silenziosamente verso l’uscita. Stavolta lo avrebbe accontentato, lo avrebbe lasciato solo.
-Non fuggire in cerca di libertà quando la tua più grande prigione è dentro di te- gli disse, prima di uscire per tornare al suo dormitorio.







*Catullo.

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Capitolo 12
*** Lillà ***


 

CAPITOLO XI
LILLA'

 

Un profumo è un gesto, una sensazione.
Un profumo, è la porta aperta sul meraviglioso.
Una questione di pelle, di contatto, di emozione.
La magia in diretta
(Victor & Rolf)



Febbraio 1997

Harry iniziava sul serio a preoccuparla: quel maledetto libro lo stava ossessionando, non c'era attimo che perdesse per studiarlo in tutte le sue sfaccettature, fino a perderci il sonno.
Come se non bastasse, Silente lo mandava in missioni segrete senza dare poi molte spiegazioni, lasciando porte aperte all'immaginazione. Fin troppe volte lei ed Harry avevano perso la cognizione del tempo mentre, tra un indizio e l'altro, cercavano di comprendere qual'era la magia oscura a cui Voldemort si era affidato per vincere la morte; in nessuno dei suoi libri era riuscita a trovare una benché minima risposta soddisfacente, ovviamente.
Ecco perché adesso correva senza fiato per il castello, in fuga dal Reparto Proibito della Biblioteca per l'ennesima sbirciata, dove Mrs Purr per un pelo l'aveva scovata. Certo, aveva il mantello dell'invisibilità di Harry con se, ma non riusciva proprio a non mettere subito chilometri di distanze tra lei e Gazza, che sarebbe ben presto arrivato in soccorso della sua cara gatta spennacchiata.
Scoppiò a ridere della propria stupida paura e si fermò, ormai senza fiato, buttandosi a terra contro un pilastro gelido.
Stava per togliersi il mantello con l'intento di prendere una profonda boccata d'aria, quando vide una sagoma che ormai aveva imparato a riconoscere in lontananza.
Aveva passi decisi e rapidi, lo sguardo guardingo, mentre con poche falcate passava da una parte all'altra del castello stando ben attento che nessuno lo vedesse o lo seguisse. Che ci faceva in giro a quell'ora Malfoy? Era notte fonda.
Istintivamente si alzò e lo rincorse, sistemandosi meglio sotto il mantello per non inciampare. Non le fu facile stare al suo passo, pur mantenendo una certa distanza, dovette persino correre mentre saliva gli scalini due alla volta. Lo vide fermarsi in più di un'occasione per guardarsi le spalle e, nonostante dapprima pensò che fosse lei a far troppo rumore, capì che era la sua paura a bloccarlo ogni dieci passi per accertarsi di non essere seguito. Dove sta andando?
Più volte con Harry avevano notato le sue molteplici assenze, alle lezioni e in sala grande, ma non aveva mai dato peso a questi comportamenti, perché non aveva mai ritenuto pericoloso Malfoy tanto da preoccuparsi di come passasse le sue giornate. Adesso però, la sua mente pullulava di infinite possibili spiegazioni: un'amante, un altro incontro con Piton, la possibilità che sul serio il suo amico potesse avere ragione su di lui.
Ancor prima di accorgersene, si ritrovò al settimo piano. Immobile. D'avanti a lui il niente.
Se ne stava in silenzio, a guardare un muro immenso, mentre dentro in lei iniziava piano piano a crescere il sospetto che si fosse accorto di lei; peggio, che cercasse la cosa che tutti cercano quando hanno qualcosa da nascondere.
Non dovette aspettare molto per scoprirlo, stava per fare un passo verso di lui, nel vano tentativo di avvicinarsi, quando un rumore accanto a lei la fece sussultare: si stava aprendo.
Malfoy si guardò un'ultima volta intorno ed entrò.

Hermione non riuscì a seguirlo anche dentro, la porta si chiuse proprio a pochi passi da lei. Sbatté i piedi in terra come una bambina per la frustrazione, la curiosità che ormai la stava divorando. Provò in tutti i modi a riaprire la stanza delle necessità, ma non ci fu verso. Non sapeva di cosa Malfoy avesse bisogno.
Sfinita, decise di aspettare che uscisse, ma senza che se ne rendesse conto, passarono ore; stanca di attendere sul pavimento gelido, il sonno prese il sopravvento.

Un rumore sordo la risvegliò e ancor prima di realizzare in che posizione si trovava, si portò la mano alla bocca per nascondere un sussulto.
Draco Malfoy era uscito e se ne stava proprio sopra di lei, a battere pugni contro il pilastro di pietra a cui si era appoggiata, facendole ombra da quelle fioche lanterne che illuminavano l'ambiente. Alzando gli occhi al cielo, stando bene attenta a non muovere un muscolo, si rese conto che a differenza della forza che cercava di mettere in quei colpi, il furetto in realtà non aveva una bella cera, si reggeva a malapena in piedi: i capelli come la sua divisa erano sporchi, aveva della cenere sulla fronte e sulla guancia, gli occhi scavati da profonde occhiaie. Morgana, come imprecava, poi, sembrava avercela con il mondo.
Poi si acquietò e puntò lo sguardo vuoto dritto su di lei, con la testa rivolta verso il basso, tra le sue stesse braccia appoggiate al muro.
Se non sapesse di essere invisibile, Hermione lo avrebbe schiantato per correre via, ma più lo guardava, la guardava, più qualcosa dentro di lei si muoveva, sotto pelle. Aveva gli occhi pieni degli occhi suoi, si rifletteva in lui e, lo strazio che in quel momento leggeva in quelle iridi grigie, la stava riempiendo.
Passarono i secondi come se fossero minuti, senza volerlo davvero sentiva la mano prudere per allungarsi verso il ragazzo, in un gesto istintivo di tenerezza.
Poi una goccia di sangue cadde appena vicino la punta delle scarpe di lui ed Hermione trasalì.
Che cavolo aveva combinato?
Draco parve sentire la reazione della ragazza perché improvvisamente scattò sull'attenti, si ripulì la ferita e, dandosi un'ultima occhiata intorno, si apprestò a sparire via.
La Grifondoro voleva ancora seguirlo, chiedergli migliaia di spiegazioni, ma sapeva che sarebbe stato tutto inutile ed era troppo sconcertata per fare alcunché, così lo lasciò andare.

Era a pezzi. Non era riuscito a chiudere occhio tutta la notte.
Aveva di nuovo fallito miseramente, quel maledetto coso non ne voleva sapere di funzionare a dovere. Un altro maledetto pennuto era sparito.
E presto lo sarebbe stato anche lui, lui e tutta la sua famiglia se non trovava presto una soluzione.
Ma il tempo scorreva e le idee finivano, la stanchezza era tanta che faticava ormai persino a pensare.
Pensare, a cosa poi? Lui voleva soltanto fuggire, prendere sua madre e volare via. Invece, era in gabbia, senza via di fuga, senza speranza.



-Non fuggire in cerca di libertà quando la tua più grande prigione è dentro di te.


Sanguesporco. Lei... cosa poteva saperne lei di cosa stava passando.
Eppure il suo essere presuntuoso proprio non riusciva a regalare perle di saggezza fuori luogo e assolutamente inappropriate. Come quel suo maledetto profumo di lillà, forse delicato ma invadente, esattamente con lei, che persino qualche ora prima, mentre cercava di riprendersi dall'ennesimo fallimento, aveva sentito investirlo come se l'avesse avuta accanto.
Si era trovato a scappare via, da se stesso, perché quello era stato decisamente inappropriato.
Lei che non riusciva proprio a non arrossire, a non nascondere mezzi sinceri sorrisi; lei che cercava di schernirlo ancora, quando ormai era evidente che cercava solo una scusa per stargli vicino. Doveva stare proprio male per quel pezzente evidentemente, ma chissà se ne era cosciente; sicuramente no.
Ad ogni modo, si era abituato ad averla intorno, anche se si rivolgevano appena la parola, almeno quelle due stentate sue frecciatine erano innocue rispetto a quelle dei suoi amici che alternavano sguardi preoccupati, di pietà, a battute provocatorie quando la curiosità proprio non riusciva a frenare le loro lingue. Sapeva che non lo facevano con cattiveria, ma davvero non riusciva a sopportare più niente, da nessuno. Tranne che da lei.
Si scrollò di dosso tutti questi oltraggiosi pensieri, sbattendosi un palmo sulla fronte. Come avrebbe voluto trovare uno spazio in cui rifugiarsi da se stesso, dalla sua vita: ci riuscì, alla fine, sotto un filo di luce nascente in quelle prime luci dell'alba, Draco Malfoy finalmente si addormentò.
La notte ormai era diventata troppo oscura per lasciarsi andare.


*




Narcissa Malfoy non era mai stata una madre affettuosa, non perché non sapesse essere dolce, ma per parte. Suo padre non permetteva che gli venissero fatte troppe smancerie, per paura che potessero segnare il suo carattere, che doveva divenire forte e duro.
Eppure, quando era ancora solo un bambino, sua madre concedeva loro delle segrete eccezioni quando Lucius era via per affari e loro potevano godere della reciproca compagnia lontano da occhi indiscreti. Era in quei momenti che poteva sentire il vero calore di una madre, del suo abbraccio, dei suoi piccoli baci. Il momento che più adorava, però, era quando sua madre cercava di farlo ridere, solleticandolo con i suoi capelli lunghi sciolti o con le dita sottili nelle parti più disparate, senza sosta. Gli diceva sempre che non rideva mai abbastanza, lo prendeva in giro dicendogli che sarebbe divenuto presto un piccolo vecchietto nel corpo di un bambino.
La verità era che Narcissa Malfoy odiava vedere suo figlio così piccolo già così serio o, peggio, triste; il suo cuore ne piangeva ogni volta.
Si concesse un sorriso impercettibile in un angolo delle sue fini labbra, quando sentì il suo ricordo prendere il sopravvento tanto da percepire fili invisibili sfiorarlo sul naso, sulle guance, sulla fronte. Ormai stava per svegliarsi, ma non ne aveva voglia; quel sogno era troppo bello.
Poi qualcosa lo destò, portandolo a storcere il naso: lillà, ancora.
Un'ombra sentì sovrastarlo e in pochi secondi aprì gli occhi, scattando a bloccare la mano sopra di lui.
Sempre lei. - Cosa cazzo stai facendo, Mezzosangue?

Aveva il cuore in gola per lo spavento.
La sera prima aveva fatto tardi, con Harry avevano di nuovo perso le ore fino ad addormentarsi sulle poltrone della sala comune, così quando si era risvegliata di soprassalto, invece di ritirarsi in camera, era uscita dritta verso il settimo piano, nella vana speranza di trovarlo uscire dalla stanza delle necessità. Non era stata così fortunata, ma era sorto il nuovo giorno e ormai non aveva più senso tornare a letto, così si era diretta nel bagno dei prefetti per attendere l'ora più appropriata per rientrare nel dormitorio senza insospettire i suoi compagni, magari con la mezza idea di rilassarsi con un bagno caldo.
E invece aveva trovato lui, disteso su degli asciugamani morbidi, perso tra le braccia di morfeo. Dapprima le era apparso svenuto: era di nuovo tutto sporco, pallido e sanguinante grazie a un taglio sulla fronte, di cui evidentemente non doveva essersi accorto. Era evidente che fosse stato di nuovo lì. A fare cosa, stupido furetto?
Le parole di Harry le erano improvvisamente balzate tutte in mente.



- Lo abbiamo visto da Magie Sinister, con gli altri
- Non hai visto cosa ha fatto ai Tre Manici di Scopa?
- E' un Mangiamorte, Hermione!


Un Mangiamorte.
Un istinto rabbioso si impossessò di lei e con sole poche falcate lo raggiunse, puntandogli addosso la bacchetta, pronta a scoprire la verità una volta per tutte. Ferito.
Mentre la mano le tremava per l'ansia che le stava pian piano salendo alla gola, l'immagine di lui, disteso per terra, immobile e impotente, la fece desistere. La sua immagine urlava ferite: non solo sulla fronte, sulla manica strappata, ma anche sul viso, grazie ai suoi lineamenti un po' invecchiati, stanchi, dal suo respiro irregolare nonostante stesse dormendo profondamente. Rivedeva in lui le espressioni sofferenti di Harry quando gli incubi lo tormentavano, quando Lui lo tormentava. Malfoy era ferito, dentro.
- Epismendo.
Lo ripulì, gli chiuse la ferita sulla fronte e prese dalla sua borsa due boccette che portava sempre con se, lasciandogliele accanto: gli sarebbero servite per riprendersi meglio al suo risveglio. Non poteva approfittare in quello stato di lui, era comunque una Grifondoro.
Ricordò a quanto gli era stata vicina due notti prima, a come i suoi occhi vuoti l'avevano investita tanto da sentire il bisogno di toccarlo. Con un dito non resistette alla voglia di sfiorarlo, lungo il punto in cui aveva trovato la ferita ormai sparita, fino alla guancia, sul mento. Il cuore le rimbombava nelle orecchie, ma la sua pelle liscia invitava carezze proibite. Lo osservò per un lungo minuto, quasi dimenticandosi del motivo che l'aveva avvicinata tanto, finché un'impercettibile movimento del ragazzo che stava sistemandosi meglio, le ricordò che era arrivato il momento di controllare. Adesso il braccio del Serpeverde sembrava urlare contro di lei: doveva vedere.
Fece un lungo respiro profondo e si chinò verso di lui, cercando di allungarsi senza far rumore sul suo braccio disteso contro il muro sul lato opposto.
- Cosa cazzo stai facendo, Mezzosangue?
Le faceva male, il suo polso bruciava sotto la sua morsa stretta, ma aveva perso le parole.
Si era mosso così velocemente che non aveva fatto in tempo a capire cosa era appena successo.
L'aveva beccata.
- Malfoy, lasciami – Riuscì a malapena a dire.

Draco si alzò su un gomito e mentre si avvicinava a lei, cancellò tutte le distanze strattonandola a se. Hermione perse l'equilibrio e gli si ritrovò sopra, il suo respiro che le sfiorava il naso.
- Hai un'ultima possibilità- sospirò piano, controllandosi a forza, assottigliando lo sguardo fisso su di lei. - Cosa stavi facendo, Granger?
Ammorbidì il tono, non perché l'istinto violento che l'aveva colto inizialmente stesse affievolendo, la paura che potesse essere scoperto l'aveva fatto scattare con il cuore che sembrava aver voluto uscire. Ma sapeva di dover misurare le parole con lei, era brava a usare la bacchetta e la lingua quanto lui, a differenza dei suoi patetici amici, e non voleva che quel momento potesse rovinare l'ombra e il silenzio che in quei mesi aveva pian piano costruito attorno a se. Non poteva attirare attenzioni, proprio ora.
Finalmente era riuscito a smuovere qualcosa.
Un uccellino era tornato, morto, ma era tornato indietro.

- Tu, cosa stai facendo, Malfoy?
Lo aveva curato, per Merlino, si era persino preoccupata per lui e adesso osava minacciarla!
Se in un primo momento, colta di sorpresa, era entrata nel panico, il suo orgoglio coraggioso le aveva infiammato le vene e, ricambiando il suo sguardo di sfida, gli aveva sputato sibilando la sua provocazione.
Era stata una stupida, un'ingenua, nel farsi lasciare intimorire dallo stato in cui l'aveva trovato. Lui l'avrebbe fatto?, si chiese. Purtroppo temeva la risposta e la rimandò indietro.
Se voleva lo scontro, glielo avrebbe dato.
Notò come i suoi occhi si fecero grandi, per un'istante soltanto, prima di trovarsi capovolta con le spalle a terra e il ragazzo a cavalcioni sopra di lei. Qualcosa nello stomaco in quel momento si attorcigliò.
- Stai lontano da me, Sanguesporco – ringhiò Malfoy, a denti stretti.
Non potendo muoversi, con entrambe le braccia bloccate lungo le orecchie, Hermione non si fece intimidire. - Cosa nascondi, bastardo? Di cosa hai paura?
Il sangue gli ribolliva nelle vene, voleva ucciderla, poteva farlo ora che l'aveva tra le mani. Lei, con quel suo sguardo fiero e temerario non cedeva, nemmeno di fronte al netto svantaggio. Come i suoi due amici, pensava di essere intoccabile, infallibile, ma presto avrebbero visto quanto si sbagliavano di grosso.
Improvvisamente scoppiò a ridere, chinando indietro la testa e lasciando che i ciuffi gli ricadessero subito dopo sulla fronte. Unì le braccia in un unica stretta e con una mano adesso libera le prese un riccio, attorcigliandolo su un suo dito, fino a a portarglielo sulla fronte e a scendere in una fredda carezza fino al collo.
E' anche colpa tua, sai? Ma sei tu che avrai paura, lurida Mezzosangue.
Hermione era ghiacciata dal suo sguardo, non sapeva cosa pensare. Che stava facendo? Perché la toccava così?
Si ritrovò confusa, con la pelle che bruciava sotto il suo tocco.
Cercava di mantenere l'attenzione sul discorso, sui messaggi contorti che lui le mandava, sulle provocazioni che cercava di lanciargli per sperare in una sua mossa falsa.
Ma quella mano, la stava facendo perdere.

Perché lo stava guardando in quel modo? Che vuol dire quello sguardo, Mezzosangue?
C'era qualcosa di inaspettatamente strano negli occhi della Grifondoro, mentre cercava di non abbassare nemmeno per un secondo lo sguardo. Aveva smesso di divincolarsi e anche se aveva ancora le sopracciglia strette, al posto dell'odio, della rabbia, della frustrazione che fino a quel momento l'aveva inondata, adesso sembrava...
C'era calore. Non come quello di sua madre o di Pansy, era qualcosa di diverso, che non aveva mai visto.
Nello sconcerto di un secondo, Hermione rinvenne in se non appena sentì la presa divenire più leggera e si divincolò spingendolo via. Si rimise in piedi ed estrasse la bacchetta puntandogliela contro, più per un gesto automa di difesa che per seria necessità.
- Non... non farlo mai più.
Aveva la voce che le tremava. Doveva essere un velato avvertimento, ma ne uscì quasi come una supplica.
Draco nel frattempo l'aveva seguita con lo sguardo, guardingo, curioso e confuso. Annuì con gli occhi, senza aggiungere altro. Non poteva prometterle niente, ma in quel momento preferì tagliare corto.
Hermione tentennò qualche istante, poi gli voltò le spalle e con passi veloci andò via.
Il Serpeverde la lasciò andare, standosene ancora per terra, portandosi la mano fra i capelli e rendendosi a quel punto conto di non essere più sporco o graffiato.
Perlustrò la stanza e trovò le boccette che le aveva sicuramente lasciato la Granger. Le prese, le aprì e ne annusò il contenuto: rivitalizzante.
La confusione lo pervase ancora.
Che cazzo era successo?

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