Autumn Song

di CowgirlSara
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - Incidente in un giorno d'autunno ***
Capitolo 2: *** 2 - Una ragazza ***
Capitolo 3: *** 3 - Proposta impulsiva ***
Capitolo 4: *** 4 - Un'ospite (s)gradita ***
Capitolo 5: *** 5 - Incontrarsi, conoscersi ***
Capitolo 6: *** 6 - Non una ragazza da party ***
Capitolo 7: *** 7 - Come una teiera volante ***
Capitolo 8: *** 8 - Rivelazioni, dichiarazioni ***
Capitolo 9: *** 9 - I nodi ***
Capitolo 10: *** 10 - Tutto quello che fa male ***
Capitolo 11: *** 11 - Canzone d'autunno ***
Capitolo 12: *** 12 - Epilogo ***



Capitolo 1
*** 1 - Incidente in un giorno d'autunno ***


Autumn song - 1
Chi l’avrebbe mai detto, ho scritto un’altra ff sui Tokio Hotel ed è la numero 4! Beh, si vede che i nostri ragazzetti m’ispirano proprio! Niente da dire, sono assolutamente perfetti come personaggi da ff e – lo ammetto – stimolano tremendamente la mia fantasia!
Questa storia non so bene, ancora, quanto sarà lunga, anche se ho abbastanza chiaro il contenuto. È che ultimamente scrivo molto piano, quindi non vi assicuro nulla sui tempi di aggiornamento. Non voglio deludere nessuno, meglio mettere le mani avanti.

La fanfiction è scritta con il massimo rispetto per i Tokio Hotel, per gli altri personaggi reali citati, il loro lavoro e la loro vita privata. Quanto scritto è una storia di pura fantasia, i fatti narrati non vogliono dare rappresentazione della realtà. Non ha alcun scopo di lucro.
I Tokio Hotel non mi appartengono (ma guai a chi mi tocca i’ mi’ bambini!), così come gli altri personaggi reali e le canzoni che eventualmente userò.
La canzone che da il titolo alla storia e che è anche citata (tradotta) nell’intro è, per l’appunto, “Autumn Song” dei Manic Street Preachers. No scopo di lucro. Ascoltatela, è stupenda.

Adesso godetevi la lettura e mi raccomando commentate, ci tengo al vostro parere!
Un bacione!
Sara


1. Incidente in un giorno d’autunno

Bill Kaulitz era un ragazzo fortunato. Aveva talento, bellezza, popolarità. Collezionava dischi d’oro, esibizioni davanti a folle oceaniche e l’adorazione di fan in delirio. Ma quel giorno la vita sembrava girare per il verso sbagliato. E ancora non aveva idea di quanto.
Si era dovuto alzare presto, cosa che odiava. Aveva litigato con suo fratello ancora prima del primo caffè. Era talmente nervoso, poi, che si era dovuto rifare il trucco due volte, dato che gli venivano le righe storte. E poi gli giravano perché doveva fare un’intervista alla radio, da solo. Era vero, nelle interviste parlava quasi sempre lui, ma gli dava una certa sicurezza essere circondato dai suoi compagni; così, invece, si sentiva un po’ sperduto. Tom questo non lo capiva, diceva che era da scemi e per quello avevano litigato. In più, cazzo, davanti alla sede della radio c’era già un nutrito gruppo di ragazzine urlanti, le cui acute voci andavano a scontrarsi con il suo mal di testa. E faceva anche brutto tempo: cielo grigio plumbeo e pioggerellina fine e odiosa.
Bill, quando la macchina passò tra le due ali di fan, si calcò meglio il cappellino nero di lana sulla testa e infilò un paio di giganteschi occhialoni di Chanel, sprofondando con uno sbuffo ancora di più nel sedile di pelle. Non aveva proprio voglia di vendersi quel giorno.

L’intervista andò come previsto, alla fine prostituirsi non era poi così difficile: bastava ammiccare un po’, ridere a sproposito, svicolare ad arte le domande inutili sulla vita privata e sproloquiare sul nuovo disco in preparazione. Lezioncina conosciuta a memoria, ormai.
Il mal di testa di Bill, nel frattempo, si era però quadruplicato, nonostante l’aspirina che gli avevano procurato. E cominciava anche a ballargli pericolosamente l’occhio destro.
C’era, ad ogni modo, una cosa che non voleva assolutamente fare, quel giorno: sorridere per forza, essere strattonato e ascoltare urla e pianti delle sue fan.
“Saki.” Chiamò il cantante, mentre scendevano l’ultima rampa di scale; il body guard si voltò. “Non c’è un’altra uscita? Oggi non ho voglia di firmare autografi…”
L’uomo si rivolse ad un impiegato della radio, che li accompagnava, con espressione interrogativa; il ragazzo si girò verso Bill.
“Beh, c’è un’uscita posteriore, ma… la devo avvertire, Herr Kaulitz, c’è un po’ di gente pure lì…” Gli disse titubante.
“Merda!” Imprecò scocciato lui, braccia conserte. “Ma queste maledette stronze non hanno proprio un cazzo da fare?” Commentò poi stizzito. “Va bene, passiamo da dietro, saranno sempre meno che qui…” Fece poi, incitando l’impiegato a fare strada. “Saki avverti Hans.”
L’uscita posteriore della radio dava su un vicoletto dove non poteva passare una macchina e poi su una strada laterale, dove già li aspettava la loro auto. Lì, però, c’era anche un gruppetto di ragazze, circa una dozzina, che appena li videro uscire cominciarono a gridare a squarcia gola.
“Così attireranno le altre…” Commentò Saki. Bill lo guardò allarmato.
“Fammi solo salire in macchina!” Gli ordinò poi; l’uomo annuì, lo prese per le spalle e lo spinse avanti.
Le ragazze gli si fecero incontro appena loro uscirono dal vicolo, ma, grazie all’aiuto di un paio d’impiegati della radio, furono tenute abbastanza lontane da Bill, il quale stava sotto il braccio di Saki, silenzioso e imbronciato. E con gli occhiali ben calcati in faccia.
“Via, via, oggi niente autografi, ragazze!” Gridava nel frattempo l’uomo. “Bill non può fermarsi, niente foto, per favore!”
Lo sportello aperto del grande Suv grigio era la cosa più accogliente che Bill avesse visto quel giorno. Lasciò il fianco di Saki solo per infilarsi dentro quasi a tuffo, mentre la portiera si richiudeva sicura dietro di lui.
“Ma che sistema è?!” Gridò indignata una ragazza. “Noi siamo qui dalle sette di stamattina!”
“Mi dispiace, ragazze, sarà per la prossima volta.” Affermò un tizio della radio, mentre la macchina di Bill partiva.
“Col cazzo.” Fece un’altra ragazza, sussurrando ad un paio di amiche. “Ora prendiamo la macchina e lo seguiamo, svelte!” Le altre due annuirono convinte.

Bill, da quando erano in viaggio, si era notevolmente rilassato. Si era tolto il cappello e gli occhiali e aveva provato a chiamare Tom per fare pace. Sarebbe andato tutto bene, se quel merdaiolo di suo fratello si fosse degnato di rispondere!
Stava provando per la seconda volta, quando, su un incrocio, sentì una macchina dietro di loro strombazzare e poi voci concitate di donna. Si voltò sul sedile per guardare dal lunotto posteriore e vide una Panda verde pisello con dentro tre ragazze che si spenzolavano dai finestrini, pestando sul clacson e sventolando sciarpe dei Tokio Hotel. Il cantante sgranò gli occhi incredulo.
“Ci hanno seguito.” Affermò in quel momento Saki, controllando nello specchio retrovisore.
Bill guardò l’uomo, poi di nuovo fuori. “Ma dico… cazzo! Questa gente è pazza!” Commentò poi. “Seminale, Hans.” Ordinò quindi all’autista.
“Herr Kaulitz c’è traffico.” Replicò l’uomo. “È un casino, se poi arrivano multe…”
“Tranquillo, le pago io.” Lo rassicurò Bill con tono cupo, stava ancora controllando la situazione dal finestrino posteriore. “Ora vai!”
“Bill, io non credo…” Intervenne Saki, dal sedile del passeggero, voltandosi verso il cantante.
“Tu fatti i cazzi tuoi.” Ribatté il ragazzo interrompendolo.
“Io veramente sarei pagato per…” Tentò ancora il body guard.
“Tu sei pagato per fare quello che ti dico io.” L’interruppe ancora Bill, sporgendosi verso i sedili anteriori. “E io voglio che me le togliete dai piedi, capito?”
L’uomo, con espressione piuttosto offesa, si aggiustò gli occhiali sul naso e poi tornò a guardare avanti. Tanto lo sapeva che era inutile discutere con Bill quando faceva l’isterico.  
“Oh, bene!” Commentò soddisfatto il padroncino, incrociando le braccia e accomodandosi sul comodo sedile. “Andiamo, Hans.”
L’autista annuì, quindi ingranò la marcia e bruciò subito un semaforo che aveva tutta l’aria di stare per diventare rosso, con grande compiacimento del cantante.

Le grandi strade del centro non furono molto favorevoli alla fuga, quindi decisero di prendere qualche strada laterale; lo avrebbero fatto dopo la grande rotatoria che avevano davanti ora.
C’era abbastanza traffico ed era appena smesso di piovere. La macchina del cantante dovette soffermarsi per dare la precedenza, ma Bill spronò di nuovo l’autista ad una manovra azzardata. Entrarono nella rotatoria, scatenando i clacson delle altre macchine, poi svoltarono subito a destra.
“Attento! La ragazza!” Gridò Saki in quell’esatto momento.
“Quale ragazza?!” Esclamò Bill da dietro.
“Cazzo!” Sbottò Hans frenando bruscamente; questo non impedì il verificarsi di un botto sordo contro la carrozzeria, mentre Bill ruzzolava sul sedile posteriore. “Dio, l’ho messa sotto!”
“Cristo…” Imprecò piano Saki, scendendo al volo dalla macchina ormai ferma.
“Che è successo?” Domandò il cantante, rimettendosi seduto.
“Abbiamo investito una ragazza…” Rispose Hans preoccupato.
“Che cosa?!” Esclamò Bill, sporgendosi verso di lui.
“Hans, vieni!” Chiamò nel frattempo Saki dall’esterno del veicolo e l’uomo scese a sua volta.
Bill, a quel punto, incuriosito e preoccupato, decise di scendere dalla macchina. Aprì le sicure della parte posteriore dell’auto, indipendenti da quelle anteriori, e aprì lo sportello, scivolando lentamente fuori dell’abitacolo. Fece qualche timido passo verso Saki, che era fermo vicino al faro anteriore destro della macchina, e vide distesa a terra una ragazza dai lunghi capelli chiari.
Era pallida, con gli occhi chiusi e aveva una ferita abbastanza lunga sulla fronte che sanguinava, anche se non copiosamente. Vicino alla ragazza c’era uno zaino, vecchio e consumato.
“Saki…” Mormorò il cantante. L’uomo si girò allarmato, quando riconobbe la sua voce e gli andò subito incontro.
“Torna in macchina, Bill.” Gl’intimò secco.
“Ma… ma… quella ragazza…” Balbettò il ragazzo accigliato e preoccupatissimo, indicando la vittima dell’incidente.
“Va tutto bene, vai in macchina.” Gli disse l’uomo.
“Ma Saki è ferita!” Reagì Bill, continuando ad indicarla. “Avete chiamato l’ambulanza?!”
“Sì, la sta chiamando Hans, tu torna dentro.” Rispose lui, ma vedendo che l’altro non gli obbediva gli andò vicino e lo prese per un braccio, conducendolo allo sportello. “Vai in macchina.” Insisté, portandocelo quasi di peso. “Ho chiamato David, sta arrivando, tu resta qui e chiuditi.” Concluse, praticamente buttandolo sul sedile. Bill annuì ubbidiente, mentre il body guard chiudeva lo sportello.  

Dopo un’attesa che gli sembrò infinita, passata a sobbalzare ad ogni rumore ed a fumarsi il mezzo pacchetto di sigarette che gli era rimasto, Bill vide la portiera aprirsi di nuovo. La faccia tirata di David Jost, manager e produttore dei Tokio Hotel, spuntò nell’abitacolo.
“Cazzo! Ma che ti sei fumato? Tutte le piantagioni di tabacco del Kentuky!?” Furono le prime parole dell’uomo, che si ritrasse per far uscire il fumo che invadeva la macchina.
“Ho finito le sigarette…” Rispose il cantante, portandosi tremante l’ultimo mozzicone ancora acceso alle labbra. “David…” Chiamò poi, afferrando il manager per il collo della giacca. “…dimmi la verità, è morta?”
“No, Bill, non è morta.” Rispose l’uomo. “Ci sono i paramedici con lei adesso, non sembra grave.” Bill, a quelle parole, sospirò sollevato e prese un altro tiro. “Ascoltami adesso.” Continuò David, sollevando il mento del ragazzo. “Tu ora scendi da quest’auto, sali sull’altra e te ne vai a casa con Jürgen.” Bill annuì con aria spaesata. “E, inoltre, tu non eri su questa macchina.”
“Ma, David…” Tentò Bill, cui quel provvedimento sembrava inutile.
“Tu non eri su questa macchina, Bill.” Ripeté David con tono autoritario. Il ragazzo, seppur un po’ titubante, annuì. “Bene, adesso vai.”
Bill scese dall’auto e si avviò verso quella ferma a pochi passi dal suo sportello. Prima di salire lanciò un’occhiata verso il punto dove era la ragazza: la stavano giusto caricando sull’ambulanza.
“David.” Chiamò quindi.
L’uomo, che era davanti a lui e seguiva le operazioni di soccorso, si voltò di scatto, aggrottando la fronte in modo pericoloso.
“Ti ho detto di andare via!” Sbottò, mentre lo raggiungeva; lo prese per le spalle e lo fece salire a forza nell’auto già in moto.
“Mi terrai informato, vero David? Voglio sapere che cos’ha, come sta…” Supplicò Bill, accomodandosi nel sedile posteriore della Mercedes nera.
Il manager annuì, chiudendo lo sportello, ma Bill aprì il finestrino. La sua faccia era pallida e provata e aggrottò anche le sopracciglia, assumendo un’espressione penosa.
“Prometti che mi chiami, David?” Gli chiese con tono melodrammatico. L’uomo sospirò, mani ai fianchi, davanti allo sportello.
“Tranquillo, ti chiamo più tardi, ora chiudi il finestrino.” Rispose poi, spronandolo ad ubbidirgli, ma lui naturalmente non lo fece. “Parti, Jürgen!” Ordinò allora, battendo sul tetto dell’auto.
Il veicolo partì e l’ultima cosa che vide David, fu la faccia di Bill fissare sconvolta l’ambulanza che partiva. Scosse la testa e si preparò a rispondere alla polizia che stava arrivando. Forse era meglio chiamare l’ufficio legale.

Tom quella sera rientrò a casa verso le sette e mezza. I due fratelli avevano da poco acquistato un appartamento in uno dei quartieri più esclusivi di Amburgo. Si trovava in un palazzo abbastanza moderno ed occupava gli ultimi due piani dell’edificio.
Il ragazzo salutò Horst, l’uomo di mezz’età che faceva il turno di pomeriggio in portineria e si diresse all’ascensore.
Lì non c’erano campanelli, il portone si apriva solo dall’interno e se non avevi le chiavi dell’ascensore e della porta ti dovevi far annunciare dal portiere col citofono. Passavano solo gli autorizzati. Era una norma di sicurezza, ci abitava solo gente di un certo livello in quel palazzo.
Tom arrivò in casa poco dopo, ma trovò il salotto curiosamente silenzioso, eppure sapeva di sicuro che Bill era tornato lì. Attraverso l’arco dell’atrio vide che c’era la luce accesa in cucina, così andò lì, ma, anche stavolta, non trovò il fratello.
Nella grande, funzionale ed elegante cucina c’era solo Frau Hildegard, la governante che Bill aveva assunto appena rientrati dal tour europeo. «Ne abbiamo bisogno, Tomi» gli aveva detto Bill e lui, seppur un po’ recalcitrante, aveva accettato. Era suo fratello che sapeva come si doveva gestire la casa, a lui fregava poco e nulla; però non gli dispiaceva che tutto fosse a posto e la cena pronta quando tornava stanco.
Frau Hildegard era un donnone tipicamente germanico: alta, robusta, con un preciso chignon di capelli chiari e gli occhi attenti e azzurri. Insomma, aveva la stazza di un cacciabombardiere e la stessa implacabile efficienza della famigerata Luftwaffe.
A Tom metteva un po’ di soggezione. Senza contare le assurde leggende che aveva sentito su di lei giù in portineria. Se l’ipotesi che una giovanissima Hildegard avesse servito l’ultimo pasto di Hitler nel bunker pareva giustamente un po’ campata in aria, dato che sembrava troppo giovane per averlo fatto, cosa dire della possibilità che avesse partecipato alle Olimpiadi di Helsinki con la squadra di getto del peso della Germania Est? Oppure del fatto che avesse lavorato per un principe ungherese parente del conte Dracula? Chissà…
“Frau Hildegard, ma è ancora qui?” Domandò il ragazzo fermo sulla soglia della cucina.
“Oh, Herr Tom, buonasera!” Lui rispose al saluto con un cenno. “Ha saputo cosa è successo?” Gli chiese poi la donna.
“Sì.” Rispose lui atono.
“Sa, ho visto suo fratello un po’ agitato ed ho pensato di rimanere, se aveva bisogno…” Spiegò la governante.
“Ah, grazie, è stata gentile.” Fece Tom con sincera riconoscenza; se conosceva Bill ce n’era stato davvero bisogno. “Lui dov’è ora?” Domandò quindi.
“Di sopra, in camera sua.” Gli disse la donna.
“Bene, grazie.” Annuì il ragazzo, facendo per uscire, poi però si girò di nuovo verso di lei. “Se ora vuole andare, per me è libera, tanto sono tornato io.”
“Molto bene, Herr Tom.” Affermò Hildegard con tono pratico. “Vi ho lasciato la cena nel forno.”
“Grazie ancora.” Fece lui, prima di uscire dalla cucina e dirigersi alle scale.

L’ampia scala era situata proprio alla destra della porta d’ingresso, nel grande atrio quadrato; portava ad un ballatoio che si affacciava per tre lati sul piano sottostante. Tom salì e si diresse in fondo al lungo corridoio, dove era la camera di suo fratello.
Il ragazzo aprì la porta della stanza di Bill senza bussare e fu investito da una nuvola di puzzolente fumo grigio degna di qualche acciaieria dell’ovest.
“Cazzo!” Imprecò Tom, dirigendosi risoluto alla finestra più vicina, sperando così di far uscire al più presto il fumo e ristabilire un’atmosfera respirabile. “Bill, ma che cazzo fai?!” Esclamò poi.
Tom, dopo aver aperto la finestra, si era girato verso il letto. Lì c’era Bill, seduto a gambe accavallate contro la sponda inferiore ed era conciato da far pietà: capelli sconvolti, cicca tra le dita tremanti, trucco colato, una scatola di cleenex sulle ginocchia e, accanto a lui sul materasso, un grande posacenere nero da cui spuntava un piccolo Everest di mozziconi di sigaretta…
“Billy, si può sapere che ti è preso?” Gli domandò il fratello, con più dolcezza, mentre si sedeva accanto a lui. Bill prese un lungo tiro dalla sigaretta che aveva in mano.
“David non mi ha chiamato…” Mormorò, poi tirò su col naso. “…lo so, non vuole dirmi che è morta, Tom!” Continuò poi piagnucoloso.
“Ma che dici!” Sbottò il fratello. “David ha detto che non ha niente di grave, un piccolo trauma cranico, niente di più…”
“Allora è in coma!” L’interruppe l’altro, voltandosi di scatto e tirando di nuovo su col naso.
“Ma che coma!” Reagì Tom. “Io vorrei sapere chi ti ha messo in testa queste stronzate…”
“È tutta colpa mia, Tomi!” Proclamò il gemello, sventolando il mozzicone. “Ho fatto una cosa terribile!” Aggiunse, partendo poi con un patetico lamento, mentre si piegava sulle proprie ginocchia singhiozzando.
“Vuoi farla finita, eh? Sembri la protagonista di una telenovela brasiliana!” Ruggì l’altro. “Dimmi un po’, ma hai bevuto per caso?”
Bill alzò lentamente il capo e lo guardò come se parlasse aramaico antico. “No… cioè, un bicchiere d’acqua, perché?” Fece poi.
“Boh… sembra che hai una di quelle sbronze piagnucolose…” Rispose vago il fratello.
“Ma tu non ti rendi conto!” Sberciò l’altro con un’insopportabile vocetta acuta. “È successo a causa mia!” Continuò indicandosi. “Sono stato cattivo, un mostro, è la legge del contrappasso! Ahia!” La sigaretta che aveva in mano, nel frattempo, era finita e lui si era scottato un dito.   
“Ma che vuol dire? Che discorso è?” L’interrogò Tom, che proprio non lo seguiva, sia perché parlava a vanvera più del solito, sia perché era tutto un tossire e tirare su col naso.
Bill si alzò cominciando a gironzolare per la stanza, grattandosi con violenza i capelli, come uno di quei ricoverati nei reparti psichiatrici. Tom si passò una mano sul viso, scuotendo la testa sconsolato.
“Non capisci, non puoi capire!” Dichiarava nel frattempo il cantante, continuando a camminare avanti e indietro. “È una vendetta divina!” Ecco, com’è il numero della neuro? Si chiese Tom osservandolo. “Tutto questo è successo perché ho commesso un peccato imperdonabile!” Ora diventa anche mistico… lamentò il chitarrista, roteando gli occhi.
“Bill, ma che avrai combinato mai!” Commentò Tom, finalmente a voce alta; intanto si era acceso una sigaretta. “Non avevi quell’intervista alla radio?”
“Sì!” Rispose subito Bill. “Sono andato lì, ho fatto l’intervista, ho dato il culo agli sponsor, come sempre…” Continuò con voce sempre più isterica. “…solo che poi non avevo voglia di firmare autografi, di sentire le lagne di quelle ragazzine urlanti… e le ho chiamate maledette stronze!” Concluse poi, scoppiando in singhiozzi convulsi.
“E ti hanno sentito?” Domandò sbalordito il fratello, guardandolo ad occhi spalancati.
“Ma no!” Esclamò il cantante, con un gesto stizzito dei pugni. “È successo prima! E poi sono passato davanti a loro, non le ho calcolate e anzi le ho guardate male… e poi è successo l’incidente! Ohhh, oddio… è tutta colpa miaaaa!” Affermò, quindi si gettò sul letto piangendo disperatamente. “Come? Come ho potuto? Le nostre faaaans! Gli dobbiamo tutto, ci sostengono sempre! Sono un mostro! Buahhhhhh!”
Tom sospirò arreso. Gli era presa proprio drammatica, stavolta. Doveva fare qualcosa subito. Primo: era necessario calmare suo fratello; poi avrebbe provato a ragionarci, ora non era proprio cosa.
“La vuoi finire!” Gli berciò contro, come inizio.
Bill alzò il viso dal materasso; aveva gli occhi rossi, resi più patetici dal trucco sbavato, il naso che colava e una smorfia che voleva essere drammatica ma risultava solo buffa.
“Guardati, fai schifo!” Tom sapeva che premere sul lato estetico era sempre un buon espediente con Bill. “Vedi di aggiustarti, io torno subito.” Aggiunse, prima di alzarsi e uscire dalla stanza.

Tom tornò poco dopo con in mano un bicchiere di liquido trasparente. Bill, nel frattempo, si era messo a sedere sul bordo del letto, si era soffiato il naso e pulito un po’ la faccia dal trucco.
“Ecco, bravo.” Fece il chitarrista appena entrato, poi gli porse il bicchiere. “Ora bevi, su.”
Il cantante, con la faccina ubbidiente di un bravo scolaro, prese ciò che gli porgeva il gemello e si scolò tutto in un solo sorso. Quindi cominciò a tossire convulsamente.
“Tom, ma che cazzo era!?” Esclamò mezzo soffocato.
“Vodka.” Rispose tranquillo l’altro, stringendosi nelle spalle.
“Ma sei scemo?! Ho preso dei calmanti!” Replicò Bill spalancando gli occhi.
“Hai preso dei calmanti e stai così?” Ribatté Tom incredulo.
“Eh, sì…” Rispose il cantante. “Ho preso venti gocce.” Continuò indicando una boccetta sul comodino bianco. “Ma poi non mi facevano tanto effetto e così… le ho riprese…”
“Ti sei preso quaranta gocce di calmante?!” L’interrogò allarmato il chitarrista.
“No… a dire il vero… sessanta, perché ho pensato che era meglio raddoppiare la dose…” Spiegò l’altro, gesticolando vago e guardando ovunque fuori che in direzione del fratello.
“Bill, ma dove lo hai lasciato il cervello?” Gli chiese serio il fratello a braccia conserte.
“Tooomiiii, tu non capisci!” Ripeté per l’ennesima volta. E Tom perse definitivamente la pazienza, mollandogli uno schiaffone. Bill dondolò e si portò subito la mano alla guancia colpita, poi guardò il fratello con aria sconvolta.
“Guardami!” Gli ordinò Tom, afferrandogli il mento tra le dita. “Ora mi dici che cazzo devo fare per farti smettere, prima che il mio prossimo istinto sia quello di buttarti dalla finestra!”
“Uhhhh!” Fece Bill, aspirando aria con gli occhi spalancati.
“Billy, ti prego!” L’implorò il gemello arreso.
Il cantante sospirò e chinò gli occhi. “Tom, io devo andare all’ospedale, sapere cosa è successo davvero, altrimenti non ho pace.”
Il chitarrista sbuffò. “Ti devo ricordare che, ufficialmente, tu non eri su quella macchina?”
“Non me ne frega un cazzo!” Sbottò subito l’altro. “È colpa mia e devo fare qualcosa!” Aggiunse accorato.
Tom diede l’impressione di pensarci per qualche secondo, poi tornò a guardare la faccia stravolta del fratello. E, come sempre, si trovò arreso davanti a quegli occhi supplicanti. Ci sarebbe stata una volta nella sua vita in cui sarebbe riuscito a dire di no a Bill? Non ne era convinto.
“Va bene, dai, andiamo.” Affermò poi, scatenando il primo sorriso di Bill da quando era arrivato. “Lavati la faccia, io ti aspetto giù.” Aggiunse, mentre l’altro balzava in piedi.
“Oh, grazie, Tomi!” Esclamò Bill entusiasta, facendo per abbracciarlo.
“Sì, sì, dai!” Replicò lui, scansandolo. “Non perdiamo tempo, non metterti a rifarti il trucco.”
“Tranquillo, cinque minuti e scendo!” Gli assicurò il fratello, correndo in bagno, mentre il chitarrista usciva dalla stanza scuotendo il capo.

Andarono all’ospedale con la macchina di Tom, senza autista e sfuggendo al controllo dei body guard. Bill non si era truccato dopo essersi pulito la faccia dalla devastazione, ma per precauzione aveva indossato un paio di grandi occhiali ambrati.
Non fu facile ottenere informazioni dall’implacabile e gelida infermiera dell’accettazione. Se c’era una cosa che Tom non sopportava erano i tedeschi quando facevano i tedeschi! Bill, nel frattempo, continuava a vaneggiare sulla presunta morte della ragazza, anche quando l’infermiera gli diceva che non c’era stato nessun decesso in un incidente stradale quel giorno. Alla fine Tom perse la pazienza, si sporse sul bancone e riuscì a farsi dire che avevano ricoverato una ragazza con una gamba rotta e una commozione cerebrale; potevano andare a trovarla il giorno dopo in orario di visita. Fu sufficiente per Bill.
L’evidente rilassamento dovuto alle buone notizie, però, decisamente colpì il cantante. O forse si addormentò di botto in macchina, proprio mentre Tom gli stava parlando, perché finalmente le medicine cha aveva preso, accompagnate da mezzo bicchiere di vodka, avevano fatto effetto.
Fortunatamente quando arrivarono in garage c’era Saki ad aspettarli, altrimenti Tom non avrebbe saputo come fare per portare in casa il fratello che non dava segno di volersi svegliare.

Erano quasi le dieci quando il citofono annunciò l’arrivo di Georg e Gustav. Tom aprì e ricevette gli amici sulla porta, con in mano una bottiglietta di birra. L’espressione era stanca e scazzata.
“Venite.” Fece, incitandoli con un gesto a seguirlo in cucina.
“Allora, com’è andata?” Gli domandò Georg mentre percorrevano l’atrio.
“Allucinante.” Rispose Tom dopo aver preso un sorso di birra. “Una vera e propria tragedia greca, mancava solo il coro.” Aggiunse sedendosi al tavolo della cucina. Georg si mise davanti a lui, mentre Gustav restava in piedi.
“L’ha presa così male?” Chiese quest’ultimo, avvicinandosi all’isola dove c’erano i fornelli.
“Lo sai quanto può essere drammatico Bill.” Affermò Tom, addentando una delle polpette che aveva nel piatto. “E poi… pff… era convinto che la ragazza fosse morta, o in coma…” Continuò masticando.
“Ma se David ha detto che aveva solo sbattuto leggermente la testa.” Replicò incredulo Georg.
“Sì, vai a spiegarglielo te a Bill in crisi isterica.” Sbottò Tom, appoggiandosi alla spalliera della sedia e sorseggiando la sua birra.
“Di che sono queste polpette?” Domandò in quel momento Gustav, del tutto a sproposito, osservando il vassoio abbandonato vicino ai fornelli. Tom e Georg lo guardarono.
“Hm, tacchino e verdure, credo… ma sono ottime, le ha fatte Frau Hildegard.” Rispose poi il chitarrista. “Prendine pure.” Aggiunse poi, incitandolo con un gesto, lui non si fece pregare.
“Ora dov’è Bill?” Chiedeva nel frattempo il bassista, aggiustandosi i capelli dietro l’orecchio.
“Sta dormendo.” Dichiarò noncurante Tom, mentre si grattava i dreads per una volta scoperti e annodati sulla testa come tanti serpentelli.
“Ma come?” Fece Georg sporgendosi verso di lui. “Dopo tutta questa storia dorme? Credevo fosse un fiasco di adrenalina, di solito…”
“Eh, lo so.” L’interruppe Tom annuendo. “Ma si è preso sessanta gocce di calmante e mezzo bicchiere di vodka, anche te crolleresti come un sacco di patate…”
“Dai…” Commentò Gustav a bocca piena. “Da bere?” Chiese quindi.
“In frigo.” Gl’indicò Tom. “È crollato in macchina, mentre tornavamo, non ti dico con Saki il casino per portarlo su…” Continuò poi, con aria svagata.
“Gusti, falla finita, hai già cenato.” Proclamò il bassista, prima di tornare a guardare Tom.
“Che ci posso fare, avevo ancora un certo languorino!” Ribatté il batterista, mentre si stappava una bottiglia di birra prelevata dal frigo.
“Sei un pozzo senza fondo, Gu…” Commentò il chitarrista ridacchiando.
“Tom.” Lo chiamò però Georg, attirando la sua attenzione. “Ma sei sicuro che sta dormendo?” Il tono del ragazzo più grande era preoccupato.
“Ma sì…” Sbuffò l’altro, prima di stiracchiarsi le braccia dietro la testa.
“Dico sul serio, hai controllato?” Insisté l’amico accigliato. “Con tutto quello che ha mandato giù non vorrei che…” Il chitarrista spalancò gli occhi, smettendo di dondolare con la sedia.
“Cazzo, Zio, ora mi hai fatto venire l’ansia!” Scattò Tom, mollando il pacchetto di sigarette che aveva appena preso e uscendo veloce dalla cucina. Georg lo seguì.
“Oh… oh, aspettatemi!” Esclamò Gustav, con mezza polpetta ancora in bocca; il batterista afferrò la bottiglia della birra e li seguì verso il piano di sopra.
Un momento dopo erano tutti e tre al capezzale di Bill. E tutti abbastanza preoccupati. Qualunque cosa dicessero i giornali, i tabloid, i pettegolezzi, loro prima di tutto erano amici e si volevano bene.
Bill era come lo aveva lasciato il gemello: immobile tra le coperte, steso sul fianco sinistro, che dava le spalle alla porta e quindi anche a loro tre.
“Io non ho il coraggio di guardare…” Mormorò Tom, che era inspiegabilmente sbiancato.
Georg sbuffò un sorriso. I due gemelli passavano le giornate a becchettarsi, ma alla fine si volevano un bene dell’anima, impossibile per uno dei due pensare ad una vita senza l’altro. Il solo pensiero che Bill potesse stare male aveva bloccato ogni funzione a Tom.
“Gusti, controlla tu, che sei più vicino.” Incitò il bassista.
Gustav, che era di fronte alla sponda inferiore del letto, proprio davanti allo schermo al plasma incassato nel muro, si spostò verso il viso del cantante, fiocamente illuminato dall’elegante lampada di vetro arancione posta sul comodino dall’altro lato del due piazze. Il batterista piegò il capo da una parte e scrutò attentamente la faccia dell’amico, poi si raddrizzò e bevve un sorso di birra.
“Allora, Gustav!” Sbottò Tom spazientito e allarmato.
“Morto non è.” Affermò il ragazzo tranquillo, poi la sua espressione si fece più sbarazzina. “Sta russando…” Georg trattenne una risata.
Tom sospirò sollevato, quindi si assicurò di persona delle condizioni del fratello. I tre ragazzi, poi, tornarono al piano di sotto e si trattennero in salotto per un paio d’ore, finché non si salutarono.

Il chitarrista si arrese verso l’una. Quella sera avrebbe avuto anche un impegno. Sì, un appuntamento con una ragazza. E ci aveva rinunciato per la meravigliosa uscita di suo fratello. Pace, come minimo quella avrebbe aspettato a gloria una sua nuova chiamata.
Spense la tv, chiuse le tende del salotto e si diresse al piano superiore. Andò in camera sua, si spogliò, si lavò i denti e mise il pigiama: una maglietta azzurra e dei pantaloni di cotone a quadri scozzesi sul beige, stranamente della taglia giusta. Il ragazzo quindi si recò in camera del fratello.
Bill dormiva nella stessa identica posizione di quando Tom era salito con gli altri. Il gemello si arrampicò sul letto e controllò che stesse bene. Dormiva beato, russando abbastanza forte.
Tom, allora, si sedette a gambe incrociate, prese il telecomando e accese il plasma a basso volume. La luce azzurrina illuminò la stanza e lui si concentrò sullo schermo.
“Hm, bene…” Fece dopo un po’. “In Afganistan si sparano addosso, tre soldati morti… Bagdad, autobomba, morti quindici bambini… in Francia periferie in fiamme di nuovo e il petrolio supera i novanta euro a barile, previsti aumenti della benzina…” Biascicava seguendo il telegiornale. “Cazzo, il mondo è un paradiso!” Commentò infine, mentre spegneva la tv e si gettava sul materasso.
S’infilò sotto la coperta, voltandosi verso il fratello, poi si alzò su un gomito, per guardargli la faccia. Era coperta dai capelli. Glieli scostò delicatamente e guardò meglio. Il viso di Bill era ancora un po’ arrossato, ma gli occhi erano chiusi senza rigidità e la bocca leggermente aperta. Ronfava in modo un po’ rumoroso e un filo di saliva gli scendeva sul cuscino. Tom sorrise e poi si accomodò meglio al suo posto, coprendosi la spalla con la trapunta.
Trascorse qualche minuto di immobile silenzio, che Tom passò a fissare la schiena sottile del fratello e a chiedersi se i fatti di quella sera erano il risultato di qualcosa di più profondo… a volte aveva un po’ di paura e non sapeva perché. Quando gli succedeva si attaccava a Bill, di solito; lo stesso faceva lui. Perché quando si ha paura in due, a volte questa diventa coraggio.
Il ragazzo stava finendo questo ragionamento, quando il fratello si girò verso di lui. I capelli neri gli ricoprirono il viso e Tom glieli aggiustò di nuovo.
“Tomi… sei tu?” Mormorò allora Bill, senza aprire gli occhi.
“Sì.” Gli rispose dolcemente lui, appoggiandogli una mano sul braccio; il gemello si avvicinò, fino a sfiorargli la fronte con la sua.
“Resti qui?” Chiese Bill, sempre ad occhi chiusi e con voce strascicata.
“Sì.” Disse ancora una volta Tom, prima di avvicinarsi a sua volta e stringersi un po’ a lui.
“Grazie…” Soffiò Bill, accucciandosi contro il fratello. Tom sorrise, gli strofinò il braccio con affetto, poi si accomodò meglio, prima di abbandonarsi al sonno.

CONTINUA

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Capitolo 2
*** 2 - Una ragazza ***


autumn song 2
Secondo capitolo. Sono contenta che il primo vi sia piaciuto così tanto! Un sacco di recensioni, grazie! Ad ogni modo, oggi conoscerete la protagonista femminile della storia, ma per sapere tutto di lei dovrete aspettare…via, un po’ di mistero ci vuole! Spero che l’apprezzerete perché è un personaggio che già amo!

Via lascio alla lettura, note e ringraziamenti alla fine!
Baci
Sara

2. Una ragazza

Due paia di occhi nocciola, praticamente identici, si aprirono quasi contemporaneamente nella luce pallida del mattino autunnale. Spaesamento, confusione, un abbraccio involontariamente troppo stretto e… i gemelli si allontanarono con un grido sordo esploso all’unisono.
Passarono poi qualche minuto distesi ai due lati opposti del letto, riprendendo fiato, entrambi con una mano sul cuore.
“Devo pisciare.” Proclamò infine Tom, con tono solenne, prima di alzarsi e dirigersi in bagno.
Bill rimase a letto, a fissare i rilievi che incorniciavano il soffitto. Non aveva mal di testa, ma si sentiva come se avesse il cranio pieno di aria compressa, ogni movimento gli riusciva faticoso.
“Come ti senti?” Domandò suo fratello dal bagno; la sua voce risultava più profonda del solito, forse perché era ancora assonnato, infatti, poco dopo lo sentì schiarirsela tossendo.
“…i… o… s… sho… behhhh… hhhhene…” Rispose Bill, ma senza l’assistenza delle sue corde vocali, che evidentemente avevano deciso un’improvvisa vacanza, gli uscì solo una specie di rantolo soffocato. “Ahhhhhhh…” Anche il grido di orrore spuntò fuori leggermente rauco, mentre il cantante si portava disperato le mani alla gola.
Tom spuntò dal bagno con un’espressione interrogativa. “Che hai detto?” Domandò.
“Tohhhh… mihhhh…” Squittì implorante Bill, sempre con una mano alla gola e sporgendo l’altra verso il fratello. “La mia vohhh… cehhh…”
Tom corse al suo capezzale, sedendosi sulla sponda del letto. “Stai calmo!” Gl’intimò prendendolo per le spalle, ma Bill continuava ad agitarsi ed a cercare di parlare. “Calmo, cazzo! Ascolta me.” Esclamò allora e lui annuì. “È il minimo che ti poteva succedere, dato che ieri sera ti sei fumato tutta la manifattura tabacchi.” Bill annuì ancora con aria spaurita, poi iniziò a tossire. “Ecco, bravo, tossisci, che ti apre tutto, poi senti che facciamo…”
Tom continuava a parlare con tono tranquillo, mentre schiacciava i capelli di Bill troppo dritti e scostava la coperta per invitarlo ad uscire dal letto. L’altro lo ascoltava, annuendo ogni tanto.
“…adesso te ne vai in bagno, fai tutte le tue cosine, mentre io ti aspetto di sotto. Poi scendi, ti bevi un bel the caldo col miele e quindi fai i tuoi gargarismi, con quella roba che sembra accelerante per barbecue…” Bill fece un’espressione scettica. “Sì, come no, è inutile che fai quella faccia, una volta l’ho usato, sembrava di farsi i gargarismi col cherosene.” Il fratello ridacchiò. “Oh, buon segno!”
“Tomi…” Sussurrò Bill con un filo di voce, una volta in piedi.
“Eh?”
“Sembri papà…”   
“Ma va, va!” Replicò il gemello, dandogli una spinta per mandarlo in bagno. “Ti aspetto giù, metto l’acqua sul fuoco.” Aggiunse poi, quando l’altro fu scomparso oltre la porta.
“Ok…” Biascicò Bill, ma subito seguì una specie di miagolio disperato che bloccò Tom mentre lasciava la camera. Il chitarrista corse subito dal fratello.
“Che c’è?!” Domandò preoccupato, affacciandosi in bagno.
“Che cos’è questo?!” Ribatté Bill, con il sibilo raschiante che era la sua voce, prima di voltarsi verso di lui; era davanti allo specchio e teneva le dita su un lievissimo livido sulla guancia.
Tom fece un sorriso sbieco. “Non ricordi che ti ho colpito?” Fece poi sornione.
“Cazzo, ho capito!” Replicò l’altro sconvolto e sempre con la solita vocina strascicata. “Ma guarda qui! Hai le mani di piombo, porca puttana!” Aggiunse Bill tornando a scrutare la sua pelle violata nell’enorme specchio illuminato. Tom se ne andò ridendo.

La voce di Bill, dopo il trattamento intensivo, si riprese un po’, ma restò fievole per tutto il giorno; a causa di questo, David decise di utilizzarlo molto poco durante la sessione di registrazione. La cosa consentì al cantante di organizzare il suo piano per il pomeriggio.
Quando David li liberò dagli impegni di lavoro, Bill prese con se Saki e lasciò gli altri a domandarsi che cavolo avesse in mente.
“Non voglio saperlo.” Commentò soltanto Tom, ignorando il fratello.
“Tanto poi te lo dice.” Affermò Gustav.
“Scherzi?” Intervenne Georg. “Qui stiamo parlando di Mister Logorrea in persona, domani lo saprà anche il tizio che consegna il latte!”
“Sì.” Sbottò Tom. “Gli rilascerà un’intervista esclusiva!” E giù tutti a ridere.
In realtà non c’era nessun mistero nel comportamento di Bill. Voleva solo andare a trovare la ragazza dell’incidente all’ospedale, ma aveva fatto tutto in silenzio perché non voleva impicci da Jost o critiche da parte di Tom. Accompagnato solo da Saki avrebbe fatto i suoi comodi, lontano da occhi indiscreti.
Il cantante si era preparato accuratamente: perfettamente truccato, vestito di tutto punto e avvolto di un’apparente sicurezza. Aveva anche acquistato un gigantesco cestino di fiori, perché sua madre gli aveva insegnato che non si andava a trovare le persone in ospedale a mani vuote.
Le infermiere del reparto erano decisamente meno inflessibili di quella della sera prima e una in particolar modo, molto giovane e carina, lo riconobbe e gl’indicò la stanza giusta. Anche se poi, per non farle raccontare la cosa in giro, Bill dovette corromperla con un autografo e un bacio…

La porta si aprì piano e la ragazza sollevò lo sguardo dalla rivista che stava leggendo. La prima cosa che vide fu un enorme cesto di fiori bianchi che camminava verso di lei; senza dubbio dietro c’era una persona, ma da quello che riusciva a vedere poteva essere benissimo un canestro di fiori con le gambe.
“Ciao!” Salutò entusiasta una persona, spuntando da dietro gigli e tulipani; quindi posò sbuffando il cesto sul comodino, mentre lei lo fissava perplessa.
La ragazza squadrò diffidente la persona che aveva davanti, che nel frattempo si era raddrizzata. Impossibile dire se fosse maschio o femmina, anche se istintivamente propendeva per il maschio ambiguo. Era piuttosto alto, magro e con un paio di mani curatissime e chilometriche. Unghie smaltate di nero. Indossava un paio di pantaloni scuri infilati in dei griffatissimi stivali da motociclista con le prime fibbie slacciate, una giacca di lana grigia dalla foggia vagamente militare ornata in vita da un cintura alta. Sotto aveva un maglioncino a collo alto e una grossa catena d’argento molto figa, che lei subito gl’invidiò. La parte di viso che spuntava sotto ad un paio di occhiali giganti, anche questi super firmati, era delicatissima: mento sottile, quasi raffinato, un neo impertinente e un paio di labbra da pubblicità.
Poi la ragazza si accorse che anche lui (o lei?) la stava osservando. Abbassò gli occhi imbarazzata, ma il visitatore sorrise cordiale. Eppure, aveva un viso conosciuto…
Bill non se l’era immaginata così; anche se era seduta nel letto sembrava abbastanza alta, ma era magra e pallida, anzi quasi grigiognola, ma c’era da capirla, povera anima, con quello che le era capitato! Aveva i capelli molto lunghi, le arrivavano alla piega dei gomiti ed erano di un biondo cenere piuttosto smorto, pettinati con una semplice quanto infelice riga centrale. Il suo viso era regolare, anche se aveva un lievissima fossetta sul mento e la fronte era coperta per metà da un grosso e antiestetico cerotto. Le labbra sottili. Gli occhi…
La ragazza aveva abbassato di nuovo il viso e non riusciva a vedere bene, quindi si sporse per cercare di guardarle gli occhi. Lei si ritrasse, alzando il capo.
“Scusa, ci conosciamo?” Gli domandò quindi, con freddezza, costringendolo a riprendere una posizione più arretrata.
“Ehm… veramente…” Biascicò lui, facendo un ulteriore passo indietro e guardandosi attorno. “Io… io sarei…” Continuò, prendendo una sedia di metallo e sedendosi a lato del letto. “Io sarei quello… cioè, il mio autista… la macchina che…”
“Aspetta in attimo.” Lo bloccò la ragazza. “Tu sei quello che mi ha investita?!”
“Sì…” Ammise sconsolato lui, scrollando il capo.
“E che cavolo ci fai qui?!” Gli chiese allora la ragazza, che ormai aveva capito di avere davanti un maschio, per quanto efebico, dato il suo prominente pomo d’Adamo.
Bill alzò lo sguardo ancora coperto dagli occhiali. “Beh, ero preoccupato per te, volevo sapere come stavi, ti… ti ho portato i fiori.” E concluse indicando il cesto.
“Ah, grazie!” Sbottò lei, per nulla commossa dalla premura. “E grazie anche di questo…” Indicò il gesso che le ricopriva la gamba destra. “…e di questo!” Indicò il cerotto che aveva sulla fronte. “Era proprio quello che ci voleva nella mia vita, grazie davvero…” Commentò sarcastica infine.
“Scusa…” Mormorò Bill rammaricato e a capo chino.
“E comunque si può sapere chi sei? Hai una faccia familiare…” Riprese lei; la sua voce, nonostante l’evidente riprovazione era dolce, di quel tipo di voci che non stridono mai, anche nella rabbia più nera. “Sei sicuro che non ci conosciamo?”
“Ecco…” Rispose il ragazzo, torcendosi nervosamente le dita. “Io sono sicuro di non conoscere te, ma forse… tu mi hai già visto.” E detto questo si sfilò lentamente gli occhiali, scoprendo un paio di grandi occhi nocciola truccati pesantemente di nero. Inconfondibili.
La sua mente si ricollegò agli innumerevoli poster, alle foto, agli articoli delle riviste, ai programmi televisivi in cui li aveva intravisti. E al nome di quella band che volava leggero dalle trasmissioni musicali fino alle labbra delle sue coetanee…
“Tu… sei il cantante dei Tokio Hotel!” Esclamò incredula la ragazza, spalancando gli occhi.
“Eh, sì.” Annuì lui quasi dispiaciuto.
“Non ci posso credere…” Mormorò lei, guardandosi le mani. “…sono stata messa sotto dal cantante dei Tokio Hotel… non sono nemmeno una vostra fan! Pensare che c’è gente pronta a dare un rene per una cosa così…”
“Eh, già…” Annuì di nuovo il ragazzo.
“Senti un po’.” Fece lei all’improvviso, alzando gli occhi nei suoi. Erano blu, ora Bill li vedeva. Blu genziana. “Che fretta avevi, eh, per far correre così il tuo autista?!” Continuò con tono accusatorio, Bill allargò gli occhi sorpreso. “Avevi un appuntamento con la manicure?” L’interrogò quindi, lui allarmato abbassò gli occhi sulle sue perfette unghie nere. “Ti scappava il parrucchiere? Cosa? Avevi un appuntamento improrogabile con l’estetista o eri in ritardo per qualche party mondano?! Mi potevi ammazzare, cazzo! Te ne rendi conto?!”
“Ma… ma perché mi tratti così?” Balbettò il ragazzo confuso. “Io ero sinceramente preoccupato per te, non hai idea di che ansia mi ha procurato tutto questo…” Continuò accorato, con una mano inanellata appoggiata sul petto.
“Oh, sì, ci scommetto!” Replicò lei con foga crescente. “L’ansia di non coinvolgere il tuo prezioso culo da star in uno scandalo, ecco cos’era! Prova a negare!”
“Sei… sei… Mi stai offendendo!” Esclamò Bill alzandosi dalla sedia. “Io ero venuto con le migliori intenzioni, ma se mi tratti così, allora…”
“Allora che?” Ribatté la ragazza fissandolo furente. “Vattene, per favore.” Lo supplicò poi, abbassando di nuovo gli occhi sulle proprie mani.
“Se è questo che vuoi.” Affermò lui, rivestendosi di altezzosa dignità e dirigendosi veloce verso la porta, ma prima di aprire si girò di nuovo verso di lei. “Sai, non credo che tu capisca il privilegio che ti è capitato, ci sono ragazze che sarebbero pronte a tutto per un solo minuto con me. Io, Bill Kaulitz, vengo a trovarti e tu mi offendi, sei fortunata che non mi hai fatto incazzare sul serio, dovrei riprendermi i fiori!” Aggiunse col tono indignato di una principessa oltraggiata.
“E riprenditeli!” Sbottò lei senza mostrare scalfitture.
“Stronzetta!” Berciò Bill, uscendo e sbattendosi la porta alle spalle, che però non fece il rumore atteso, perché era di quelle apposta a chiusura lenta.
“Checca isterica…” Commentò la ragazza, riprendendo la rivista abbandonata sul materasso.

Il giorno dopo Bill fu molto distratto. Continuava a pensare agli occhi blu della ragazza ferita, così vivi eppure tristi e pieni di rabbia. Più ci pensava, più si convinceva di aver sbagliato. Certo, era stata lei ad iniziare la discussione, a reagire male, ma del resto era sempre lei quella col gesso e quell’orrido cerottone sulla testa… e tutto per colpa sua. Sì, per colpa dell’arroganza di uno stupido cantante. Doveva scusarsi.
“Bi… Bill…” Un voce metallica e rimbombante gli entrò direttamente nel cervello; solo dopo qualche secondo si rese conto di avere in testa le cuffie e che qualcuno gli stava parlando dalla saletta tecnica dello studio. “Eri un attimino fuori tempo…” Continuò la voce, che seppure resa strana dalla statica, era chiaramente quella di Tom.
“Ah, sì?” Rispose lui svagato. “Non me ne ero accorto…”
David, completamente all'oscuro della faccenda ospedale, si girò verso il chitarrista. “Ma dove ha la testa oggi?” Chiese perplesso.
Tom scosse il capo. “Ci penso io.” Affermò poi, cercando di rassicurarlo, ma il manager continuava a fare smorfie poco convinte. Tom riaprì la conversazione con Bill. “Tranquillo, Billy, la rifacciamo, ma cerca di essere leggermente più lento.”
“Ok.” Rispose il gemello dalla sua stanzetta al primo piano dello studio di registrazione. “Senti, Tomi…” Chiamò però, prima di rimettersi a lavorare.
“Cosa c’è?” L’interrogò il fratello un po’ scocciato.
“Dov’è che compri quei cioccolatini al rhum che ti piacciono tanto?” Gli chiese Bill.
“Perché?” Replicò sospettoso il chitarrista. “Tu non mangi cioccolata.” Aggiunse; agli occhi dei tecnici quella conversazione era ancora più surreale, dato che ogni volta, per parlarsi, dovevano spingere alternativamente il bottone accanto al microfono.
“Non è che la cioccolata si deve per forza mangiare!” Ribatté il cantante quasi offeso.
“Sì, beh, ci puoi fare anche dei giochini erotici, ma non mi sembri il tipo…”
“Li devo regalare, idiota!” Sbottò Bill, schiacciando con un po’ troppa forza il pulsante del microfono, cosa che provocò un rumore scricchiolante.
Tom ridacchiò, adorava stuzzicare Bill. “Eheheh, la cioccolateria svizzera di Metzer Strasse.” Gli disse poi, accontentando la sua richiesta.
“Ci voleva tanto?!” Esclamò Bill.
“Gnèno gnano gnao…” Lo scimmiottò Tom facendo smorfie e gesti strani.
“Ti ho sentito!” Protestò l’altro. “Non mi fare il verso, testa di cavolo!”
“Senti Tom.” David intervenne all’improvviso, chiudendo il canale con la stanza di Bill e afferrando Tom per un braccio, di modo da farlo voltare. “A chi li regala i cioccolatini?” Domandò poi serio.
“E che cazzo ne so io!” Rispose il chitarrista con troppa foga, mentre cercava di evitare lo sguardo indagatore del manager.
“Dimmi la verità, va dalla ragazza dell’incidente?” Gli chiese allora con tono insistente, stringendo la presa sul polso sottile di Tom.
“Se anche ci va, è un problema?” Replicò il chitarrista, liberandosi con uno strattone.
“Lo è.” Affermò netto David.
“Andiamo, David, lo conosci Bill, niente gli avrebbe impedito di farlo!” Proclamò il ragazzo, scrollando il capo. “A meno che tu non volessi legarlo in uno stanzino con un ananas in bocca!”
“E sia.” Si arrese David allargando le braccia. “Ma se succede un casino, io non voglio saperne niente!” Aggiunse, prima di alzarsi e lasciare la saletta. Tom sbuffò.

Era difficile stare sempre in quel letto, non poter assumere posizioni diverse, perché la gamba doveva stare sollevata. E poi le prudeva il cerotto. Uffa! Il camice era scomodo e come si muoveva prendeva posizioni strane e imbarazzanti. La ragazza stava giusto sbuffando, grattandosi la fronte con due dita, quando bussarono alla sua porta.
“Avanti…” Invitò lei perplessa, non aspettava certo visite.
L’anta bianca si aprì quasi timidamente e vide una gamba entrare. Ben presto una figura ormai conosciuta fece il suo ingresso. Impossibile scambiarlo per qualcun altro, con quei capelli neri, lisci meshati di platino e gli occhialoni da sole telescopici.
Era Bill Kaulitz. Ma che ci faceva di nuovo lì? Il ragazzo, almeno, aveva avuto la decenza di non presentarsi vestito come il servizio di copertina di Vogue Man come l’altra volta… Indossava dei semplici jeans chiari e un giubbotto di pelle marrone, scarpe da ginnastica.
“Ciao.” Salutò timidamente lui, avvicinandosi con fare incerto.
“Ciao…” Fece lei, quasi preoccupata. “Perché sei tornato qui?” Gli domandò infatti.
Il cantante fece un breve sorriso, accomodandosi sulla solita sedia di metallo, poi si alzò gli occhiali dal viso, mettendoli sulla testa. Era sempre truccato, ma un po’ meno del giorno prima.
“Sono tornato perché ieri… beh, credo che siamo partiti col piede sbagliato, io sono stato sgarbato, ti ho trattata male, ma… hai ragione tu, è colpa mia se sei qui…” Affermò Bill, quasi senza riprendere fiato, poi le porse un’elegante scatola bianca con un fiocco d’oro. “Ti ho portato questi, immagino che il cibo dell’ospedale non sia granché, così ti rifai…”
La ragazza prese la scatola, erano senz’altro cioccolatini. La guardò, sembrava roba fine, artigianale. Saranno costati un sacco… ma per lui non sarà così tanto, pensò poi.
“Ah, grazie…” Mormorò imbarazzata lei, alzando appena gli occhi, per abbassarli subito dopo. “Non era necessario…” Aggiunse, senza guardarlo.
“No, figurati!” La bloccò lui alzando le mani e negando. “Volevo scusarmi con te, mi sembra il minimo portarti dei cioccolatini!” Concluse ridacchiando in modo un po’ nervoso.
“A questo punto…” Riprese lei, guardandolo improvvisamente negli occhi. “…credo che anche io dovrei scusarmi con te.” Soffiò poi, veloce. “Ero arrabbiata per l’incidente e… non ho ragionato, ti ho offeso, ecco…”
“Tranquilla.” Replicò Bill con un dolce sorriso, toccandole l’avambraccio nudo. La sua mano era calda e gentile. “Ricominciamo dall’inizio, ti va? Io sono Bill.” Aggiunse poi, porgendole la mano.
“Annika.” Ribatté lei con un sorriso, stringendogliela.
“Puoi assaggiarli, quelli.” Affermò il ragazzo, indicandole la scatola dei cioccolatini. “Mio fratello dice che i fondenti al rhum sono deliziosi.”
Annika guardò la scatola e poi lui. “Tuo fratello?” Bill annuì. “Quello coi rasta… che suona la chitarra?” Il cantante annuì di nuovo.
“È il solo fratello che io abbia attualmente.” Spiegò poi sorridendo tranquillo.
“Scusa, è che… è un po’ strano averti qui, che parli, parli di tuo fratello…” Precisò la ragazza, mentre apriva la scatola dei cioccolatini. “…come se fosse normale…”
Bill rise deliziato, reclinando un po’ il capo all’indietro e mostrando il suo lungo collo bianco. Aveva una bella risata, solare e delicata, quasi un po’infantile. Capiva come tante ragazzine potessero morirgli dietro, anche se a lei sembrava sempre un po’ troppo effeminato.
“Ti assicuro che, anche se è uno sborone idiota che non pensa prima di parlare, mio fratello è una persona normalissima!” Affermò poi il cantante. “È anche molto dolce, quando vuole.”
Annika non poté fare a meno di sorridere, soprattutto per come Bill aveva pronunciato quella frase.  
“Non intendevo quello.” Soggiunse quindi. “Il fatto è che voi due siete famosi, delle star, e sei qui a parlare con me, una ragazza insignificante, come se fosse la cosa più comune del mondo…”
Lui rise di nuovo. “Ma non vedo nulla di assurdo nel parlare, comunicare, esprimere i propri sentimenti con una persona e, comunque, non credo tu sia così insignificante.” Le disse poi, fermandosi a guardare quei suoi grandi occhioni blu tanto espressivi.
“Grazie…” Soffiò Annika, abbassandoli subito.
Era strana questa ragazza. Un po’ timida, schiva, ma in un certo senso severa, dignitosa. Un soldatino di cristallo, ecco cosa sembrava. Il suo aspetto era nordico, ma quando sorrideva era come se emanasse calore. Eppure i suoi occhi erano profondamente malinconici. Un mistero. E la curiosità di Bill era quasi patologica…
“Ne vuoi uno?” Si sentì chiedere il ragazzo, che sorrise in automatico, come gli avevano insegnato anni di interviste, così si nascondeva la distrazione. Vide che lei gli porgeva i cioccolatini.
“No, grazie. Non mangio cioccolata.” Le rispose con garbo.
“Davvero?! Non ci credo! Tutti amano la cioccolata!” Replicò lei allegra. Riecco il calore che Bill aveva intravisto prima.
“A me non piace particolarmente.” Affermò Bill tranquillo. “Ci sarà qualcosa che non piace anche a te.” Aggiunse, sperando così di cominciare a scoprire qualcosa in più di lei.
Annika abbassò gli occhi, che si fecero seri. “Le persone ipocrite e bugiarde.” Sentenziò poi.
“Ohhh…” Commentò lui, quasi deluso, cosa che fece alzare immediatamente gli occhi alla ragazza. “Allora temo che io non ti piacerò, perché sai, nel mio ambiente, a volte sei costretto ad essere ipocrita e bugiardo, per necessità…” Spiegò quindi, gesticolando e parlando piuttosto veloce, era buffo. “…cioè, non è che puoi dire sempre quello che pensi delle persone e ci sono cose private su cui sei costretto per forza a mentire…”
“Ah, capisco.” Lo interruppe Annika. “Come sul tuo orientamento sessuale…”
Il cantante smise di gesticolare e si raddrizzò contro la spalliera della sedia, fissandola con gli occhi abbastanza spalancati. La ragazza fece altrettanto, perché non capiva quella reazione improvvisa. Ops, forse non gli piace che la gente parli di questo… pensò imbarazzata Annika.
“Io… non sono gay.” Proclamò però Bill, alzando il suo sopracciglio col piercing.
“Oh, sì, certo!” Replicò lei, pensando di aver capito. “Tranquillo, non lo dico a nessuno.” Aggiunse annuendo con aria complice.
“No, non hai capito.” Intervenne serio lui. “Io veramente non sono gay.” Sottolineò quindi.
“Ohhhh, mio – Dio…” Esclamò Annika a quel punto, realizzando e portandosi le mani davanti alla bocca. “Mio Dio, penso di aver appena fatto una figura orrenda… mamma mia, scusa, davvero!” Continuò, mentre arrossiva senza saper dove guardare.
“Non ti preoccupare, non sei certo la prima che lo pensa.” La rassicurò il ragazzo con un sorriso amaro, prima di abbassare gli occhi sulle proprie curate mani.
“Sì, però, non mi sembra che ti faccia piacere.” Ipotizzò Annika, vedendolo rattristato.
Bill rialzò gli occhi, recuperando il suo solito, quasi perenne, sorriso. “Non posso farci nulla, sono io che ho scelto di essere così, molto prima di diventare famoso.” Le spiegò quindi. “E la gente mi ha sempre giudicato, ormai ci ho fatto il callo.” E anche se non era proprio vero, perché ogni volta era come ricevere uno di quei piccoli tagliettini fatti con la carta, dolorosi e fastidiosi, il suo viso non tradì i suoi sentimenti, ormai troppo abituato al controllo.
“Mi dispiace.” Disse soltanto Annika, allungando una mano e posandola sulla sua. Erano lunghe, pallide e sottili, le sue dita, come i rami spogli di una betulla.
Bill alzò gli occhi e incrociò i suoi. Erano sinceri nel pentimento e anche nella solidarietà e lui si ritrovò a stringere la mano di Annika quasi senza volere, facendo un breve sorriso.
“Non fraintendere, Annika, ma…” Affermò poi il ragazzo, rivolgendole uno sguardo dolce. “…tu mi piaci.”
“Oh, beh…” Biasciò lei, colta di sorpresa da quella dichiarazione, poi però alzò gli occhi e sorrise sicura. “Io non ho ancora deciso se tu mi piaci o no!”
“Ah, ok!” Sbottò Bill ridendo. “Tanto ne avremo di tempo per conoscerci, perchè domani torno.” Aggiunse fluido, prima di lasciarle la mano ed alzarsi.
Annika si raddrizzò con espressione stupita. Ma diceva sul serio? Insomma, una star internazionale aveva sicuramente di meglio da fare che passare il tempo con una come lei.
“Non… non è necessario che ti disturbi.” Gli disse infatti. “Non voglio rubarti del tempo…”
“Ma che cosa dici!” Esclamò allegro Bill, con un sorriso enorme e sincero. “Se non mi facesse piacere non verrei! Anzi, sai che ti dico? Domani se c’è il sole ti porto in giardino!”
“Davvero, non devi.” Insisté però lei, severa sia nel tono che nell’espressione.
Bill, fermo a lato del letto, le strinse piano una spalla e la guardò dritto negli occhi. “Forse non devo, ma voglio.” Le disse senza esitazioni. “Ci vediamo domani.” Aggiunse, prima di lasciarla e dirigersi alla porta, da dove la salutò un’ultima volta con la mano.
Annika sospirò, lasciandosi andare contro i cuscini. Certo che era strana questa cosa. Lei, una ragazza che fino a due giorni prima aveva dormito… beh, lasciamo perdere dove, stava diventando amica di un cantante famoso. Stavano diventando amici?! Oddio! Lei non era in grado, non era all’altezza! Insomma, lui era… lui era…
Già, cos’era lui, oltre la facciata della popolarità, il trucco pesante, il sorriso obbligato, se non un ragazzo molto giovane, che forse era dovuto crescere troppo in fretta. Proprio come lei.
Non le piacevano i salti nel buio, gli imprevisti, eppure ne aveva affrontati molti di più di qualsiasi diciassettenne. E allora, anche stavolta, l’unica alternativa era chiudere gli occhi e saltare.

CONTINUA

Ringrazio in particolare quelli che mi hanno messa nei preferiti e color che hanno commentato:
crY: ecco il seguito, contenta?
Whity: essì, sono tornata! Sono felice che apprezzi il mio Tom, adoro caratterizzarlo, quel ragazzo mi da delle soddisfazioni!
Gufo: risparmia le forze per commentare questo capitolo!
Flavia: sento che Bill non ti deluderà!
RubyChubb: ascolta, vai a belare da un’altra parte, io voglio recensioni serie, hai capito! ^__- ti adoro e aspetto tue novità!
Ninnola: è la continuazione è presto arrivata!
maky my 94: la continuo anche se non mi obblighi, adoro questa storia!
Piscula: beh, mi fa piacere che ti abbia divertito il primo capitolo, spero di non smentirmi! Sono anche contenta che tu abbia visualizzato le scene, perchè io quando scrivo sono molto cinematografica nella mia testa!
dark_irina: spero che anche il secondo capitolo riscontri il tuo apprezzamento!
Loryherm: era proprio il mio intento far apparire un Bill inizialmente un po’ antipatico, anche perchè ogni tanto gli gireranno pure a loro, no? Ma non ti preoccupare, amo troppo Bill per non farlo ritornare subito billoso!
Selina89: ed eccomi qui, un altro capitolo caldo caldo.

Grazie ancora a tutti, anche a quelli che hanno solo letto!
Lunga vita e prosperità!


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Capitolo 3
*** 3 - Proposta impulsiva ***


Autumn song - 3
Terzo capitolo. La scrittura procede abbastanza bene (facciamo gli scongiuri!) e quindi vi regalo l’aggiornamento. Voi siate buoni e commentate numerosi!
Buona lettura!
Ringraziamenti alla fine!

Baci
Sara

3. Proposta impulsiva

Bill e Annika, lui seduto su una panchina e lei parcheggiata di lato con la sedia a rotelle, stavano ridendo delle disavventure del cantante in tour: da quando Bill fu quasi trascinato oltre le transenne dalle fans e fu salvato in extremis da Saki, a quando il pullman era ripartito lasciando Gustav nel bagno di un autogrill, fino a quando suo fratello si era svegliato ammanettato alla testiera del letto dopo un incontro galante un po’ focoso…
La ragazza non poteva fare a meno di ridere allegramente: lui era troppo divertente, mentre raccontava con la sua parlantina sciolta, quella zeppola deliziosa ed il suo modo particolarissimo di muovere le mani. E i suoi occhi che brillavano.
“Insomma…” Commentò infine Annika. “…è dura anche la vita delle rock star, a quanto pare.”
“Beh, molti ti potranno sembrare solo aneddoti divertenti, ma ti posso giurare che un tour come il nostro potrebbe stroncare un bue!” Affermò Bill senza perdere l’allegria.
“Ora, però, sarete tipo in vacanza, no? Dopo tutta l’attività di quest’anno…” Ipotizzò la ragazza, osservandolo. Lui sorrise nella luce aranciata di quel pomeriggio autunnale.
“Direi proprio di no.” Rispose poi, scuotendo il capo. “Stiamo registrando il nuovo disco, passiamo anche dodici ore al giorno in studio.” Spiegò. “E poi, sai, siamo tutti e quattro terribilmente pignoli, se un pezzo non è come lo vogliamo, siamo capaci di rifarlo anche quaranta volte, mandando al manicomio tutto lo staff! E io sono il peggiore!” Concluse ridendo e lei si aggregò con piacere; la risata di Bill era coinvolgente.
Quando smisero di ridere, restarono per qualche minuto in silenzio a guardare le foglie gialle cadere lentamente a terra, mentre il cielo si scuriva verso la sera.
“Hai freddo?” Chiese all’improvviso Bill alla ragazza, voltandosi verso di lei.
“No, sto bene.” Rispose Annika, aggiustando un po’ il plaid che aveva sulle gambe e la chiusura della vestaglia fornita dall’ospedale.
“Altrimenti possiamo rientrare.” Le disse il cantante, con tono disponibile.
“Beh, tanto tra un po’ dovremo farlo comunque.” Replicò lei con un sorriso, stringendosi nelle spalle. “Senti, ma…” Aggiunse poi.
Bill, che si era rimesso ad osservare gli alberi come se fossero la cosa più interessante del mondo, si girò con espressione interrogativa.
“Se sei così impegnato, perché vieni da me? Insomma, io non voglio farti perdere tempo…” Mormorò Annika, abbassando gli occhi sulle proprie mani.
Il ragazzo le passò un braccio intorno alle spalle, avvicinandosi a lei. La sua mano era fredda, lo sentiva anche attraverso la stoffa, ma dal suo corpo emanava un leggero e piacevole tepore, accompagnato da un profumo fresco che si mischiava con l’odore di pelle della sua giacca.
“Se ti dicessi che per me non è una perdita di tempo? Che mi fa davvero piacere venire qui, ci crederesti?” Le sussurrò poi con dolcezza, fissandola.
Annika guardò per un lungo momento in quegl’occhi dal colore caldo, erano limpidi e sinceri, non aveva motivo di dubitare delle sue parole, anche se stentava a comprendere le sue motivazioni. Sorrise, ad ogni modo, provocando una reazione uguale da parte di Bill.
“Scusa, è che…” Affermò poi, abbassando di nuovo gli occhi. “…io non voglio esserti d’intralcio in nessun modo…”
“Smettila di preoccuparti adesso!” Esclamò lui sorridendo. “Sorridi e goditi questi momenti, non capita tutti i giorni di avere a propria disposizione una celebrità!” Proclamò quindi alzandosi e assumendo una di quelle pose divistiche che lei gli aveva visto fare su poster e foto patinate.
Annika rise e Bill le fece un inchino cerimonioso che lo fece assomigliare, più che ad un principe delle favole, ad un elfetto dispettoso e saltellante dei boschi.
“Adesso, se permettete, Milady, vi riaccompagnerò all’interno del castello!” Riprese il ragazzo, posizionandosi dietro alla carrozzella.
“Quale onore, Messere!” Scherzò lei ridacchiando, mentre lui la spingeva non senza qualche difficoltà lungo il vialetto di ghiaia.

Tornati nella camera della ragazza, Bill l’aiutò a rimettersi a letto e poi si preparò a salutarla, dato che mancavano solo pochi minuti alla fine dell’orario di visita.
“Bill, posso chiederti un favore?” Chiese però Annika, quasi all’improvviso. Lui si girò con espressione curiosa e disponibile verso la ragazza.
“Dimmi.” L’incitò quindi.
“Beh, ecco…” Per fargli quella richiesta Annika doveva forzare sul suo orgoglio e anche sulla sua natura riservata, ma alla fine, dopo infiniti ragionamenti, si era convinta che non poteva farne a meno. “Non te lo chiederei, ma…”
“Andiamo! Ti ho già detto di non avere questo atteggiamento!” Intervenne lui risentito. “Chiedimi tutto quello che vuoi, devo ripagarti per quello che ti è successo e, sebbene non sia pronto a tuffarmi sotto un autobus, farò quello che posso per te.”
“Grazie…” Balbettò lei, le reazioni del cantante riuscivano sempre ad imbarazzarla. “Beh… avrei delle cose da far lavare, ma l’ospedale non fa servizio di lavanderia per la roba privata, quindi non so come fare, altrimenti…” Soffiò fuori tutto d’un fiato.
Bill sorrise, intenerito dalla sua vergogna, poi le aggiustò un ciuffo di capelli sulla spalla. “Non ti preoccupare.” Le disse con gentilezza. “La mia governante lo farà volentieri.”
“Non vorrei tu pensassi che me ne sto approfittando…” Ipotizzò Annika, osservando le reazioni di lui con la coda dell’occhio.
“Non lo penso, tranquilla.” La rassicurò Bill. “Dove sono le tue cose?” Le chiese poi, guardandosi intorno.
“In uno zaino, nell’armadio.” Gli rispose lei, indicando il mobile grigio in un angolo della stanza.
“Bene.” Fece Bill, prima di girarsi verso la porta. “Saki!” Chiamò e l’uomo, come sempre in attesa fuori dalla stanza, entrò subito. “Saki c’è uno zaino nell’armadio, prendilo, lo portiamo via.” Gli ordinò quindi, lui annuì.
“Tu non fai niente, eh?” Ironizzò Annika, facendolo voltare verso di se.
“Scherzi?” Replicò lui con lo stesso tono. “Io sono la star!” Aggiunse posandosi una mano sul petto. Risero, mentre Saki prelevava lo zaino dall’armadio.
“Grazie.” Fece la ragazza, quando Bill si alzò dalla sedia; lui le rivolse uno sguardo dolce.
“Ma di nulla, figurati.” Rispose poi. “A domani.” E quindi si abbassò su di lei e le diede un brevissimo, caldo, bacio sulla guancia che lasciò Annika leggermente preoccupata.
Bill, come al solito, la salutò un’ultima volta con la mano prima di uscire e lei si toccò la guancia con le dita fredde, domandandosi perché le stesse capitando una cosa del genere. Dio mio, qualcuno avrebbe potuto uccidere per essere al suo posto e lei avrebbe preferito di gran lunga essere da tutt’altra parte…

Quel giorno i ragazzi erano liberi dallo studio di registrazione e quindi avevano deciso di prendersela comoda. Erano, infatti, le undici del mattino quando Bill entrò in cucina, ancora un po’ arruffato e con gli occhi non troppo svegli. Tom, invece, dormiva ancora.
Il ragazzo si versò una bella tazza di latte, che macchiò con il caffè caldo trovato pronto sul mobile della cucina. Non c’era traccia di Frau Hildegard, probabilmente la donna era impegnata a pulire un’altra stanza della casa. Bill, con un piccolo saltello, si sedette sulla penisola della cucina e cominciò a sorseggiare la sua bevanda, spiluccando una fetta di torta che si era tagliato poco prima.
“Oh, buongiorno Herr Bill.” Salutò la governante, entrando energica in cucina.
“Buongiorno Frau Hildegard.” Rispose lui, perdendosi poi in un grande sbadiglio che coprì a malapena con la mano.
Bill, quando ebbe finito di sganasciarsi e stirarsi, si accorse che Hildegard era ancora ferma davanti a lui e lo fissava, come in attesa di qualcosa.
“C’è qualche problema, Frau Hildegard?” Le domandò allora, aggrottando la fronte, mentre stava per sbilanciarsi sul marmo scivoloso del piano dove era seduto.
“No, niente…” Rispose la donna un po’ incerta. “Volevo solo dirle che ho lavato la roba della sua amica, quella che ha portato ieri.” Aggiunse, tenendosi compostamente le mani.
“Di già?!” L’interrogò stupito Bill.
“Beh, sono qui dalle otto e mezza.” Affermò lei con aria pratica, ma continuava a sembrare come impaziente.
“Cosa c’è, Frau Hildegard?” Domandò arreso Bill scrollando le spalle.
“La sua amica ha qualche problema Herr Bill?” Chiese la governante con sguardo corrucciato.
Il ragazzo la fissò con una faccia interrogativa. “No, perché?” Fece poi.
“Ecco, nello zaino c’erano due paia di jeans, qualche maglietta, un paio di golfini di cotone… il giaccone l’ho mandato in lavanderia. Poi c’era della biancheria, ma…” Spiegò la donna con espressione severa. “Venga un attimo con me di là.” Aggiunse seria, dandogli le spalle.
Bill scrollò rassegnato il capo, scivolò giù dal piano della cucina e posò la tazza, seguendo Frau Hildegard nella stanzetta adiacente, che usavano come dispensa e lavanderia.

Tom scese caracollando le scale che era l’una passata. Se l’era proprio goduta quella mattina. Sapendo che erano liberi la sera prima aveva fatto tardi e quindi aveva dormito fin quasi a mezzogiorno; poi si era fatto la doccia, la barba, aveva sistemato i suoi preziosi dreads e si era vestito con calma. Ora era pronto per uscire e andare in centro con Georg, come fissato poco prima per telefono. Se non che alla fine delle scale lo aspettava Bill con un’espressione seria e compunta.
Oddio, e ora che c’è? Pensò Tom, mentre scendeva più lentamente gli ultimi gradini scrutando sospettoso il fratello.
“Che cos’ha il mio piccino?” Gli domandò ironico quando lo raggiunse. Bill fece una breve smorfia.
“Tomi, devo farti vedere una cosa.” Rispose poi, mentre si tormentava nervosamente le mani. “Ho… ho bisogno di un consiglio.” Aggiunse poi, incamminandosi verso la cucina.
“Ok…” Mormorò l’altro, senza nascondere un certo allarme. C’era sempre da preoccuparsi quando Bill faceva il misterioso.
Tom seguì Bill fin nello stanzino adiacente alla cucina. Il chitarrista, forse, ci era entrato una volta da quando vivevano lì. Alla destra della porta scorrevole c’erano due apparecchi: una lavatrice e l’altro… boh, forse un’asciugatrice; le altre pareti erano occupate da scaffali di legno chiaro con sopra generi alimentari non deperibili come pasta, bibite in bottiglia, caffè e, accuratamente separati, materiali vari per le pulizie. Sopra la lavatrice era appoggiata della roba piegata; dal buon profumo si sarebbe detto che era stata lavata da poco, però sembravano indumenti… femminili.
“Che è ‘sta roba?” Domandò Tom indicandola con un cenno del capo, mentre infilava le mani in tasca.
“Sono cose di Annika, mi ha chiesto di fargliele lavare.” Rispose Bill, fermo accanto a lui.
“Annika?” Fece il fratello aggrottando la fronte.
“La ragazza dell’incidente.” Spiegò Bill.
“Ah…” Commentò Tom. “E che cosa volevi da me?” Gli chiese quindi, perché non capiva cosa ci facessero in quello stanzino a guardare magliette lavate.
“Guarda.” Gli suggerì il gemello, indicandogli le cose piegate sul coperchio dell’asciugatrice.
Tom abbassò gli occhi, ma poi ritirò subito la mano che aveva allungato per toccare gli indumenti: sul piano c’era della biancheria intima accuratamente piegata. Il ragazzo non voleva toccarla, gli sembrava quasi di violare l’intimità di qualcuno. Parliamoci chiaro, lui non si era mai fatto problemi a togliere le mutandine ad una ragazza, ma gli faceva specie toccare la biancheria abbandonata. Non gli sembrava giusto, non era compito suo. Poi, però, osservò meglio quelle cose.
“Cavolo…” Commentò il chitarrista, prendendo delicatamente un reggiseno, che gli faceva meno impressione delle mutandine. “Non se l’è passata bene ultimamente, eh?”
“Già.” Fece Bill annuendo.
Il reggiseno era abbastanza vecchio, consumato, con le spalline cadenti e il resto degli indumenti non era messo meglio. A Tom salì il magone. Non era un bello spettacolo.
“Cazzo, nessuna ragazza dovrebbe avere della biancheria intima conciata così…” Affermò infine, riponendo il reggiseno.
“Lo penso anche io.” Confermò il cantante. “Che devo fare, Tomi?” Gli chiese poi, implorandolo con lo sguardo.
“Che devi fare?” Sbottò Tom, dandogli le spalle e tornando in cucina. “Comprarle della biancheria nuova!” Aggiunse retorico, mentre allargava le braccia.
“No, no, io non posso andare a comprare biancheria femminile!” Esclamò Bill seguendolo.
“Perché no?” Ribatté l’altro, fermandosi accanto alla tavola e prendendo un mandarino dal cesto che faceva da centro tavola.
“Andiamo, Tom!” Rispose adirato Bill, allargando le braccia. “Già pensano cose allucinanti su di me, se poi mi metto anche a comprare mutande da donna!”
“Beh? Basta che compri la misura extra large, sennò non sai dove mettere l’elefantino…” Replicò serafico Tom con un sorriso sornione.
“Non sei divertente, Tom.” Commentò il gemello incrociando le braccia.
“Tu con un perizoma rosa piumato, invece sì!” Ridacchiò il chitarrista, mentre sbucciava il mandarino e ne mangiava qualche spicchio.
“Smettila!” Sbottò Bill battendo i piedi. “Devi venire con me!” Aggiunse poi.
“Cosa?!” Esclamò il fratello, spalancando gli occhi e accecandosi mezzo col succo del mandarino. “Non se ne parla!”
“Perché no? Sei tu quello che si vanta di saperne sulla biancheria femminile e poi cos’è? Non avrai paura che qualcuno ci ricami storie twincest?” Lo stuzzicò il gemello.
“Ma fottiti tu e quelle stronze che se lo sono inventato il twincest!” Reagì Tom, mentre buttava le bucce nel cestino. “Non è per quello, insomma…”
“Insomma che?” Provocò ancora Bill.
“Dovresti andarci da solo.” Affermò Tom, scrutando fuori dalla finestra.
“No, no, no! Tomi, ti prego!” Implorò il fratello con tono supplicante.
Tom si girò con espressione torva. “No, ti proibisco di fare la faccina cucciolosa, tanto non ci casco!” Ma Bill aveva già sgranato i suoi occhioni…

Il reparto biancheria di quel grande magazzino di lusso era piuttosto ampio e ben fornito; mutandine e reggiseni di pizzo e seta occhieggiavano dagli scaffali e sui manichini, completi provocanti e sottovesti di tulle invitavano all’acquisto, mentre semplice biancheria riposava nelle eleganti ceste bianche. La scelta era infinita.
Bill si guardava intorno indeciso, mordicchiandosi la cima del pollice; ogni tanto si aggiustava i manici della grande borsa bianca che aveva sulla spalla. Tom, alle sue spalle, si annoiava, osservando i perizomi più arditi e immaginandoli su un corpo vero invece che su un manichino di plastica.
“Posso esservi utile?” Si sentirono domandare.
Tom fu il primo a voltarsi e vide una ragazza bionda dallo sguardo ammiccante. Era decisamente una commessa, vista la gonna blu al ginocchio e la camicetta bianca simile a quella delle altre due. Solo che questa aveva una gonna molto aderente e la sua camicetta era sbottonata ad arte su una scollatura prosperosa e invitante. E aveva anche la classica faccia da tipa disponibile. Il ragazzo le sorrise sornione, ma la voce di Bill ruppe l’incanto.
“No, grazie, stiamo solo dando un’occhiata.” Affermò brusco.
Tom, che continuava un esplicito gioco di sguardi con la ragazza, fece per rispondere, ma fu preceduto proprio da lei.
“Beh, se è così…” Mormorò la ragazza, con finta delusione. “Ad ogni modo, se avete bisogno, io… sono disponibile.” Aggiunse poi, calcando sull’ultima parola senza togliere gli occhi da quelli di Tom. Lui sorrise compiaciuto, mentre lei si allontanava sculettando tra gli scaffali.
“Smettila, Tom.” Proclamò il gemello, che apparentemente non aveva distolto l’attenzione dalla biancheria.
“Di fare che?” Replicò l’altro con aria innocente.
“Di guardare il culo alla commessa!” Sbottò Bill, voltandosi verso il fratello con in mano un reggiseno color pervinca.
“Andiamo!” Fece Tom, scrollando le spalle. “Quella ha scritto in fronte «trombami subito»!”
“Ah! E tu hai tutta l’intenzione di esaudirla, vero?” Ribatté Bill, mentre gli dava le spalle e riprendeva l’esplorazione del reparto.
“E che c’è di male?” Commentò distratto il chitarrista, afferrando qualcosa da uno stand. “Che ne dici di questo?” Chiese poi al gemello.
Bill si girò, lo fissò per qualche secondo con un’impagabile espressione interrogativa, quindi sbuffò.
“Sei un pervertito, Tom.” Sentenziò poi, voltandosi di nuovo.
“E dai!” Esclamò divertito l’altro, sventolando il completo di reggiseno e perizoma in pizzo nero che aveva in mano. “Non dirmi che non ti piace l’idea di una ragazza con addosso solo questo e un collarino borchiato…” Suggerì poi, avvicinandosi lentamente al fratello.
Bill scrutò di sbieco la biancheria tra le mani di Tom. “Ammetto che è… sexy… e l’idea allettante…” Biascicò poi, riluttante.
“Ahhh!” Fece il gemello, dandogli delle allusive gomitate al fianco. “Lo sapevo che sotto tutto quel fondotinta c’era un maschietto! E tiralo fuori ogni tanto!”
“Smettila…” Soffiò Bill vagamente divertito, mentre roteava gli occhi e si allontanava un po’. “Comunque non ho intenzione di comprarle una cosa simile.” Aggiunse quindi risoluto, procedendo tra gli scaffali.
“Fai come ti pare.” Sbottò Tom, rimettendo a posto il completo nero.
“Voglio cose semplici e carine, lei non è tipo da perizomi piumati o guepiére…” Continuò Bill, scrutando gli stand e i manichini.
“Questo?” Lo bloccò il chitarrista, facendolo voltare di nuovo.
Lo sguardo di Bill, stavolta, si fece più interessato e il ragazzo si avvicinò al fratello. Tom era davanti ad un busto che aveva su un completino a quadretti scozzesi sui toni del marrone: erano culotte e reggiseno a balconcino, tutti e due adornati di una piccola gala di pizzo bianco. Molto carino e non troppo appariscente.
“Ah, hai più gusto di quello che pensavo!” Esclamò soddisfatto Bill, aggiustandosi la borsa.
“Scherzi? Questo mi eccita! È da brava bambina cattiva…” Rispose Tom con espressione maliziosa, mentre si stuzzicava il piercing con la lingua.
Bill sospirò, alzando gli occhi al cielo: Tom era proprio incorreggibile! Ma quel completo piaceva molto anche lui!
La questione si risolse con Bill che svaligiò il reparto: acquistò il completo scozzese, poi un altro a fiori scelto da lui e uno a righe color pastello, poi ne prese due neri semplici, sempre con le culotte, e sei (sì, sei) completi in bianco. Non soddisfatto, il cantante comprò anche una camicia da notte in caldo pile fatta come una divisa carceraria a righe bianche e nere.
Bill sospirò soddisfatto, uscendo dal negozio con le sue buste; anche se comprava per altri, lo shopping aveva il potere di esaltarlo. S’infilò i suoi occhialoni d’ordinanza, aggiustò i manici della borsa sulla spalla e si diresse verso il parcheggio. Tom gli si affiancò, sospirando a sua volta con soddisfazione.
“Com’è andata con la commessa?” Domandò il cantante, mentre raggiungevano la macchina sotto lo sguardo onnipresente di Saki.
“Benissimo! Ci vediamo stasera al Paradise!” Rispose allegramente il chitarrista.
“E ti pareva!” Soggiunse Bill salendo in macchina.
“Sento che mi divertirò.” Dichiarava nel frattempo Tom, imitandolo. “Sembra proprio una di quelle tipe che si mettono a dire porcate assurde, mentre ce le hai sopra!”
Bill lo guardò come se fosse un’orrida cacca spiaccicata per terra. “Ma veramente ti piace una cosa simile?” Gli chiese poi perplesso.
“Mi fa morire dal ridere!” Rispose sicuro il fratello.
“Mah, a me lo farebbe afflosciare come un sufflé tolto dal forno troppo presto…” Replicò l’altro, accomodando i pacchetti. “Tu vai a casa?” Gli domandò quindi.
“Sì.” Annuì Tom.
“Allora ti lasciamo lì e proseguiamo per l’ospedale.” Affermò Bill. “Porto queste cose ad Annika!” Aggiunse con aria allegra. Tom lo studiò di soppiatto per qualche secondo, mentre un lampo di apparentemente immotivata preoccupazione gli passava negl’occhi.

Annika era seduta sul suo letto d’ospedale, quasi sommersa da pacchetti e pacchettini, ancora incredula da quella pioggia di biancheria che le era arrivata addosso, mentre Bill saltellava giocondo da una parte all’altra del letto come una specie di fatina delle mutande sotto acidi.
“È tutto bellissimo, ma…” Mormorò la ragazza ad un certo punto, cercando di mettere fine a quel balletto perpetuo che la stava decisamente agitando.
“Che cosa c’è?” Le domandò Bill fermandosi improvvisamente e aggrottando la fronte in un’espressione infantile e interrogativa.
“È che… è davvero troppo… non dovevi…” Rispose lei, abbassando gli occhi nel suo tipico atteggiamento imbarazzato.
“No, dai, non è niente!” Replicò Bill scuotendo la testa con un sorrisone, ma poi smise di colpo e si portò le mani alla bocca, quasi scandalizzato. “Oh! Ma non è che ti sei offesa, per caso? Perché ti ho comprato della biancheria intima? È stato anche abbastanza imbarazzante, ma… se ti sei offesa possiamo riportare tutto indietro, non è un problema!” Affermò quindi, tutto d’un fiato.
“No, no!” Negò Annika con le mani. “Hai comprato troppa roba, non era necessario e io… oh, tu sei così schifosamente gentile e io non so come ringraziarti!” Ammise infine la ragazza scrollando le spalle magre.
“Non farlo allora, non è necessario.” Ribatté deciso lui, ma con un sorriso, mentre si sedeva accanto a lei sul bordo del letto. “Mi basta vederla nei tuoi occhi, la gratitudine.” Aggiunse, facendole sollevare il viso di colpo. Si fissarono per un attimo, poi lui le diede un colpetto sul naso con l’indice. “Adesso però mi dici perché fai quel musetto triste, mi fai preoccupare…” Concluse con una vocina da bambino e una faccina cucciolosa.
“Niente…” Sbuffò lei, scostando di nuovo lo sguardo. “Sto bene…”
“Non mi sembra.” Soggiunse Bill, scrutandola attentamente. “Aaaannikaaa…” La richiamò poi, recuperando la vocetta da cartone animato.
La ragazza sospirò arresa, poi lo guardò. “Domani mi dimettono.” Dichiarò veloce, quindi riabbassò gli occhi e cominciò a tormentarsi le mani. “Il periodo di osservazione per la ferita alla testa è finito, sto bene, ora dovrò solo fare un controllo alla gamba tra quindici giorni…”
Bill l’aveva ascoltata attento, seduto compostamente. Aveva avvertito un vago smarrimento in quelle parole, come se lei temesse il momento dell’uscita dall’ospedale.
“Ascoltami, Annika.”
La ragazza alzò il viso e si girò appena verso di lui. Lo trovò serio come non lo aveva mai visto. La fissava con quei suoi occhi antichi come quelli di un faraone egizio, eppure freschi, come di un bimbo nato ieri. Bellissimo senza fare nulla per esserlo. Il cuore le perse un battito. E ora?
“Non vorrei sembrarti troppo invadente, ma… sai dove andare?” Le chiese un po’ preoccupato. Lei aprì la bocca, ma non fece in tempo a parlare. “Perché, sai, in questi giorni non ho incontrato mai nessuno da te, i tuoi parenti…”
“Non ho più nessuno, io.” Dichiarò secca Annika.
“Oh!” Esclamò Bill stupito e rammaricato. “Tanto più se è così… hai un posto dove andare?” Insisté poi, ripetendo la domanda.
“Io… non ti preoccupare, troverò dove andare…” Rispose impacciata la ragazza.
“No, hai bisogno di aiuto, di qualcuno che si prenda cura di te…” Replicò Bill energico.
“Me la sono sempre cavata.” Lo interruppe Annika.
“Tu vieni a casa mia.” Proclamò però il ragazzo, appena lei ebbe finito la frase. La ragazza alzò il capo e sgranò gli occhi, che quasi le uscirono dalle orbite.
“Eh?! Che cosa?! No, no, no!” Esclamò subito, scuotendo mani e testa. “Non posso assolutamente!”
“Tu non hai voce in capitolo, mia cara, ho già deciso!” Sentenziò Bill alzandosi. “La casa è grande, c’è una bella camera degli ospiti e noi non ci siamo mai, in qualche modo dovrò giustificare tutti i soldi che pago alla mia efficientissima governante!” Continuò poi, mentre s’infilava il giubbotto.
“Bill, no… ti prego…” Supplicò Annika, che se si fosse potuta alzare agevolmente lo avrebbe riportato alla ragione a forza di testate.
“Ti ho detto…” Fece lui voltandosi e puntandole contro il suo lunghissimo indice. “…che non voglio sentire proteste da parte tua! Si fa come dico io e basta!” Annika spalancò la bocca con espressione indignata, quindi la richiuse e incrociò le braccia. “Il problema ora, sarà solo comunicarlo a Tom…” Concluse Bill con un dito sul mento.  

CONTINUA

Ringraziamenti:

RubyChubb: spero che stavolta non mi troverai qualche errore inesistente! (cmq quello l’ho corretto, tanto per la cronaca) Davvero i miei personaggi e le scene sembrano vere? Non sai quanto mi fa piacere che tu lo dica, anche perchè io lo penso sempre delle tue! “La decallificazione da accuse di omosessualità” mi ha fatto schiantare! Leggi, leggi, che aspetto nuovi commenti! Un bacione!
Sarakey: ti voglio bene tesora! Posto solo per te, guarda! No, scherzo, però so che ti fa piacere, così leggi qualcosa e ti distrai, sennò t’intossichi di Tommolo e non ti fa bene! Grazie mia pusher, senza di te sarei una donna perduta!
Shine_angel: grazie per i complimenti e spero ti piaccia anche il seguito.
Whity: puntuale e precisa come al solito! Amo i tuoi commenti! Vedrai come saprà essere Bill da qui alla fine… non anticipo nulla, ma vedrai!
Dark_irina: grazie per il commento, mi fa piacere anche perché mi piace tanto la tua storia e scusami se non l’ho ancora recensita! Sappi che adoro scrivere delle conversazioni dei gemelli, m’ispirano da morire quei due cucciolotti!
Ninnola: grazie per i complimenti anche a te. Sul futuro di Annika e Bill non anticipo nulla, vedrete continuando a seguire la fic!
Dark lady: oh, lo spero che sia al pari di quella! Il mio obiettivo è continuare a migliorare! Spero anche con questo capitolo!

Come sempre grazie anche a quelli che leggono soltanto e anche, in modo particolare e sentito, a quelli che hanno messo la storia nei preferiti!
Alla prossima.
Un bacio
Sara



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Capitolo 4
*** 4 - Un'ospite (s)gradita ***


autumn song - 4
Capitolo quattro. Scusate l’attesa, ma speravo di finire il quinto, prima di postare questo, purtroppo non ci sono riuscita, è ancora in lavorazione. Ma non temete, continuo a lavorare per voi, è solo che è lungo!
Beh, non so se con questo capitolo si entra nel vivo, però qualcosina succede, ma… ne riparliamo in fondo che è meglio!
Vi allego un link alla piantina della casa dei gemelli che ho realizzato, così per orientarvi un po’ meglio nelle mie descrizioni: http://i40.photobucket.com/albums/e215/SaraLab/CasaK-2.jpg?t=1201733781

Ora leggete e commentate numerosi!
Saluti e ringraziamenti alla fine, come sempre!
Baci
Sara


4. Un’ospite (s)gradita

“No, no, no e no!” Gridò per l’ennesima volta Tom, mentre Bill socchiudeva la porta che li separava dal resto dello studio.
“Andiamo, Tom, ragiona!” Replicò quindi il gemello. “Quella ragazza non ha nessuno, è sola al mondo…”
“Smettila subito!” Lo bloccò il chitarrista alzando una mano. “Non mi commuovi con la sua patetica storia d’abbandono!”
“Ah, sì? Pensa a come ti sentiresti tu se non avessi nessuno su cui contare!” Ribatté Bill, incrociando le braccia. “Io potrei morire se non avessi t…”
“No!” Intervenne gelido Tom, puntandogli contro l’indice. “Stavolta non ti approfitterai del bene che ti voglio!” Bill sbuffò. “Mettitelo bene in testa: io NON voglio ESTRANEI a casa MIA!” Scandì poi il gemello.
Bill lo fissò serio, rilasciando le braccia lungo i fianchi. “Lo farò comunque, Tom. Ho già deciso, lo sai. Voglio solo avere la tua approvazione.” Gli disse guardandolo negl’occhi.
“Beh, non ce l’hai.” Rispose secco il fratello, prima di dargli le spalle e aprire la porta. “Rassegnati.” Aggiunse, quindi uscì.
“Tom, aspetta!” Urlò Bill seguendolo di corsa.
Il gemello, che stava già scendendo le scale per tornare al piano inferiore dello studio, alzò il capo per guardare l’altro fermo in cima alla rampa.
“Hai già deciso, no? E allora cosa vuoi ancora?” Sbottò Tom scocciato.
“Niente, solo dirti che vado a prenderla stasera all’ospedale.” Gli rispose Bill con faccia compunta.
“Ci sarà, prima o poi nella nostra fottuta vita, una volta in cui non farai tutto quello che ti pare?” S’informò minaccioso il chitarrista, quindi si voltò e scese le scale che mancavano senza aspettare una risposta.
 
Fu una giornata di tensione allo studio. La benché minima cazzata scatenava furiosi litigi tra Tom e Bill, che si ringhiavano addosso come iene incarognite. Quando, ad una domanda di Georg, risposero in coro, con delle voci degne dell’Anticristo, che litigavano per «i cazzi loro», tutti i presenti compresero che se volevano evitare di finire scuoiati vivi era meglio lasciarli fare.
Il culmine fu raggiunto quando Tom bloccò per la dodicesima volta Bill sulla stessa strofa di una canzone. Un silenzio teso avvolse tutta la saletta delle strumentazioni in attesa della reazione del cantante, che non tardò.
“No, io non la ricanto più!” Sberciò infatti Bill dal suo stanzino.
“La ricanti eccome, finché non ti dico che è perfetta.” Replicò saccente il gemello.
“Scordatelo! Sei un dittatore Tom!” Esclamò adirato l’altro. “Non è colpa mia se la tua musica fa schifo!”
“Fammi il favore!” Sbottò il chitarrista, incrociando le braccia, seduto scompostamente su una poltroncina davanti al pannello della strumentazione. “È il tuo testo che non si capisce… e poi ti mangi le parole e arrivi tardi sulla musica!”
“Sei uno stronzo, Tom!”
“Ma chiudi la bocca e canta meglio!”
“Mi spieghi come faccio a cantare con la bocca chiusa?!”
“Prova a metterti un dito nel culo, vedrai che acuti…”
La porta dello studio si aprì con un soffio, interrompendo la replica di Tom. Tutti si voltarono in quella direzione. David era entrato con le mani sui fianchi ed un’espressione indecifrabile come quella di un doccione gotico, tranne che per gli occhi che mandavano lampi cupi.
“Basta così, per oggi.” Ordinò severo, bloccando le proteste del chitarrista con un solo gesto, mentre tutti gli altri sospiravano di sollievo. “Se tu e tuo fratello volete continuare il vostro amabile scambio di opinioni…” Continuò poi, rivolto a Tom. “…potete farlo a casa vostra. Domattina manderò qualcuno a pulire il sangue.” Aggiunse, quindi gli voltò le spalle e se ne andò. Tom sbuffò e si arrese, mentre lo staff preparava le proprie cose per andarsene a tutta velocità.

Era una sonnolenta sera d’autunno, quando Annika arrivò davanti al palazzo dove viveva Bill. L’impatto fu abbastanza scioccante. Come se non fosse bastato Bill con la sua imbarazzante gentilezza. Le aveva comprato due tute da ginnastica, visto che non poteva indossare i suoi jeans per via del gesso: una di acetato bianca con righe nere e l’altra nera di ciniglia. Lei aveva scelto quest’ultima, non prima di avergli detto, come sempre, che non era necessario, ottenendo come risposta un sorriso inattaccabile.
Il palazzo era piuttosto moderno. Un grande portone a vetri si apriva su quella che sarebbe potuta sembrare la hall di un albergo: due larghi scalini di marmo chiaro e lucido conducevano nell’atrio coperto da un tappeto e poi all’elegante banco di legno dietro cui stava un impettito portiere in livrea. Alla sinistra si aprivano le scale, sempre di marmo, con il corrimano di legno scuro. Sulla destra, invece, c’erano le porte metalliche di un ascensore.
Annika ricordò il triste palazzone grigio delle case popolari, con l’ascensore sempre rotto, in cui aveva vissuto la sua infanzia. Qui si era su un altro pianeta.
Il portiere la registrò nel sistema come ospite dei Kaulitz e le scattò una foto con la webcam che la fece sentire come una criminale recidiva. Bill diede ordine che le preparassero un duplicato di tutte le chiavi, quindi lui, Annika e Saki, che portava la piccola borsa con le cose della ragazza, si diressero all’ascensore, pronti a salire nell’appartamento del cantante.
Bill spiegò ad Annika come funzionava l’ascensore. Si inseriva la chiave apposita nella fessura accanto al piano desiderato (nel loro caso il quinto) e poi si girava, facendo partire l’ascensore. Le disse di ricordarsi di togliere la chiave dal pannello prima di scendere, altrimenti si bloccava tutto.
“A me è capitato un paio di volte.” Le disse il ragazzo.
“Un paio?” Fece Saki scettico. Bill roteò gli occhi.
“Va bene! Cinque o sei!” Sbottò quindi, precedendoli fuori visto che erano arrivati. “Ma tanto c’è il telefono d’emergenza sul pianerottolo!” Aggiunse stringendosi noncurante nelle spalle.
Annika, nel frattempo, con uno sguardo divertito, fece notare a Saki che Bill aveva dimenticato le chiavi nel pannello dell’ascensore. L’uomo sbuffò arreso e staccò il mazzo dalla pulsantiera, mentre da fuori arrivava la voce del cantante: “Ma dove cavolo ho messo le chiavi?!”

I tre, finalmente, varcarono la soglia dell’appartamento. Saki entrò per primo, posando poi la borsa ai piedi delle scale. Bill e Annika lo seguirono.
La prima stanza che la ragazza vide fu un grande ingresso quadrato. Immediatamente alla destra della porta partiva una scala che conduceva al piano superiore, dove degli archi si affacciavano sull’ingresso, mentre sotto, a sinistra della porta, si apriva un arco che occupava quasi tutta la parete. Il salotto si mostrava accogliente oltre l’apertura, ma lo sguardo di Annika vagava senza riuscire a soffermarsi su qualcosa in particolare; almeno finché non intravide un cappellino marrone spuntare dalla spalliera del lungo divano grigio che dava le spalle all’ingresso.
“Saki, vuoi per favore portare la valigia di Annika nella camera degli ospiti?” Ordinò Bill, distogliendola da quel particolare. L’uomo annuì, riprese la borsa e salì al piano superiore.
Annika lo seguì con gli occhi, ammirando le foto incorniciate che seguivano la salita delle scale; quando tornò a guardare davanti a se si accorse che Bill aveva abbassato lo sguardo alla sua sinistra. Sembrava indispettito. Lei lo imitò e scorse, su un divanetto posto contro la parete delle scale, una felpa marrone abbandonata tra i cuscini.
“Vedi questo divano, Annika?” La ragazza annuì. “Bene.” Sorrise lui, poi s’incupì e girò il capo in direzione del salotto. “Questo divano non si usa per gettare le giacche, dato che c’è un comodo e spazioso armadio a muro proprio dietro l’angolo, fatto apposta per riporre questa roba.”
Sembrava che si stesse rivolgendo a qualcuno, ma Annika non vedeva reazioni arrivare dal cappello oltre il bordo del divano, immobile nella stessa posizione di quando erano entrati.
Bill sbuffò arreso, poi acchiappò la felpa e si diresse a passi nervosi dietro l’angolo di un arco che portava in un breve corridoio. La ragazza lo osservava perplessa, con gli occhi spalancati, poi, quasi all’improvviso, sentì una presenza al suo fianco. Voltò il capo e vide Tom Kaulitz con una sigaretta in mano e il capo scoperto, i dreads legati un po’ a caso sulla nuca.
“E dai! Non l’appendere, me la devo rimettere!” Berciò dietro al fratello, che rispuntò dopo qualche secondo con in mano una stampella di metallo.
“Te l’ho ripetuto almeno un milione di volte, Tom: devi mettere le giacche nell’armadio, ma tu non vuoi capire!” Sbottò il gemello, agitando pericolosamente la gruccia.
“È stupido, inutile e poco pratico appenderla nell’armadio, visto che me la devo rimettere!” Replicò l’altro, con le mani sui fianchi, alzando la voce alla fine della frase.
“È una questione di principio!” Esclamò indispettito Bill. Annika non sapeva più dove guardare, da una parte la scena era comica, dall’altra estremamente imbarazzante.
“Bill…” Sibilò Tom, con un sorrisetto pericoloso. “…non farne uno scontro di ideologie, sai che vincerei io, la morte da kamikaze è troppo antiestetica per te…”
Il cantante ringhiò, riducendo gli occhi a due fessure, mentre piegava in due la stampella che aveva in mano, rendendola inservibile. La ragazza cominciava a preoccuparsi, ma la scena fu interrotta da una gentile voce femminile.
“Oh, siete arrivati!” Affermò entusiasta Frau Hildegard, entrando nell’ingresso; poi si rivolse alla ragazza. “Benvenuta Fräulein Annika!”
Lei spalancò gli occhi, sorpresa di sentirsi chiamare così, mentre Bill si liberava della gruccia piegata gettandola velocemente nell’armadio e Tom ridacchiava.
“Annika, ti presento Frau Hildegard, la nostra efficientissima collaboratrice domestica!” Si sbrigò a presentarla Bill, tornando verso di lei.
“Piacere…” Mormorò la ragazza con un cenno del capo. “Ma non è necessario che…”
“È inutile che ci provi.” Si sentì sussurrare all’orecchio da una voce calda, solo dopo si accorse che era Tom. “Sono mesi che tento di non farmi chiamare Herr Tom…” Aggiunse divertito, quindi si scostò da lei, aggiudicandosi un’occhiata malevola del fratello.
“Ho preparato il the.” Annunciò la donna nel frattempo.
“Oh, bene!” Esclamò allegro Bill, fingendo momentaneamente di dimenticare l’affronto del gemello. “Io vengo a prendere il vassoio, tu Annika accomodati sul divano!” Aggiunse poi, indicandole l’altra stanza dove la stava precedendo Tom.

Annika si diresse in salotto aiutandosi con le stampelle, mentre Bill seguiva Frau Hildegard in cucina. La stanza era grande e sobria. L’ampio e largo divano di Alcantara grigio dava le spalle all’entrata, davanti vi era posto un tavolino di cristallo e un impianto home theatre così moderno ed elegante che la ragazza pensava si potessero vedere solo sulle riviste d’arredamento. A lato del divano c’erano due poltrone di pelle nera. Due alte finestre ad arco stavano ai lati del mobile della tv, coperte da eleganti tende scure. Il caminetto spento occupava il centro della parete sulla sinistra, ai suoi lati due bassi mobiletti di legno scuro i cui piani erano ricoperti di fili elettronici, spine e carica batterie; di fronte, sulla parete di destra, campeggiava un sofisticato mobile bar in stile orientale, sopra il quale c’era il telefono. Bei quadri di paesaggi adornavano le pareti.
La ragazza aggirò il divano con un po’ di difficoltà, a causa delle stampelle, sotto lo sguardo indifferente di Tom, che si buttò su una poltrona continuando a fumare.
Annika fece per sedersi ma rimase bloccata a metà. Uno dei grandi cuscini era appoggiato allo schienale con un cappellino messo sopra come se stesse sulla testa di qualcuno. Lei rivolse un’occhiata interrogativa a Tom, il quale si strinse nelle spalle.
“Lo faccio così Bill parla col divano e io posso fare i cazzi miei.” Le spiegò noncurante.
“Ah…” Commentò Annika, mentre finalmente si sedeva.
“Bel cerotto.” Affermò quindi il ragazzo, accennando alla medicazione sulla fronte di lei.
Annika alzò gli occhi alla propria fronte. “Sì, bellissimo…” Fece poi, con tono scettico.
La metteva a disagio essere lì con lui. Annika dedicava la propria attenzione alle mani intrecciate sulle ginocchia, oppure aggiustava le stampelle appoggiate accanto a se. Tom la scrutava attraverso le volute di fumo della sigaretta con quei suoi occhi penetranti, facendola sentire sulla graticola.
“Ascolta.” Le disse infine, spronandola a guardarlo. “Immagino tu sappia che non ero d’accordo a farti venire qui.”
Lei annuì. “Bill mi ha accennato…” Soggiunse diplomatica.
“Bene.” Fece Tom, spegnendo la sigaretta nel posacenere. “Quindi la faccenda è chiara. Non posso buttarti fuori come vorrei, perché altrimenti Bill m’incapretta, quindi per andare d’accordo sarà sufficiente che ci ignoriamo e che tu non t’impicci o ficchi il naso negli affari miei…”   
Il suo discorso fu interrotto da una specie di ringhio sordo. Entrambi alzarono gli occhi e videro Bill sovrastare la poltrona di Tom con uno sguardo minaccioso degno di uno squartatore psicopatico; reggeva il vassoio con le tazze e la teiera. Tom gli rivolse un’occhiata sarcastica.
“Hai mai sentito di qualcuno decapitato con un vassoio d’argento finemente cesellato?” Gli domandò Bill, replicando con un’alzata di sopracciglia.
“No, ma da te mi aspetto di tutto.” Rispose serafico Tom. “Una volta mi hai picchiato con uno spazzolino per il cesso.”
Annika, a quell’affermazione, abbassò gli occhi trattenendo una risata. Bill, nel frattempo, posava il vassoio sul tavolino davanti al divano.
“Quel piccolo e utilissimo aggeggio non aveva mai toccato un cesso.” Spiegò con leggerezza il cantante, mentre si sedeva accanto alla ragazza. “Era ancora incartato nella plastica.” Annika represse un’altra risata, mentre Bill le si rivolgeva con un sorriso cordiale. “Cara, come lo vuoi il the? Con latte o limone?”
“Io voglio il limone.” Intervenne Tom, prima che la ragazza potesse rispondere.
Bill girò verso di lui uno sguardo che avrebbe pietrificato un esercito. “Tu ti servi da solo, quando ho finito.” Gli sibilò furente.
“Uhuhuh!” Reagì divertito il gemello, alzando le mani e spingendosi contro lo schienale della poltrona con una risatina serafica.
“Sei irritante, Tom.” Commentò Bill, mentre serviva il the ad Annika fingendo indifferenza. “Quando fai così avrei voglia di staccarmi in braccio, pur di avere qualcosa con cui picchiarti…”
Annika, che si era trovata catapultata in quell’animosa atmosfera familiare, cercava di reprimere il leggero sorriso che non voleva abbandonare le sue labbra. Certo che Tom era un bel tipo: incassava alla grande e reagiva anche meglio. Aveva capito che la sua diffidenza nei suoi confronti era vera e seria, impossibile fraintendere quello sguardo dell’inizio, però aveva apprezzato la sincerità con cui le aveva parlato. Era stato rude, ma preferiva un po’ di brutalità alla falsa cordialità di certa gente. Come quella di Bill. Insomma, lui era molto gentile, ma era chiaro che si sforzava…
Alzò gli occhi da Tom e incrociò lo sguardo di Bill. Dio, era impressionante quanto si somigliavano a vederli insieme dal vivo! Annika, però colse un lampo preoccupato negli occhi del cantante, quindi gli sorrise rassicurante.
“Ciao, ragazzi.” Salutò una voce alle loro spalle. Tutti e tre si voltarono in quella direzione. Era Saki, che tornato dal piano superiore, si dirigeva alla porta.
“Ma dove eri finito, Saki?” Gli domandò subito Bill.
“Mi ha chiamato David al telefono, c’è da recuperare le altre due bestioline.” Spiegò l’uomo atono. “Incastrati in un centro commerciale.”
Tom rise. “Che teste di cazzo!” Commentò poi.
“Ci vediamo domani, allora.” Affermò Bill, ridacchiando a sua volta.
“Sì, a domani.” Rispose la guardia del corpo, salutando con la mano, mentre usciva dalla porta principale. Bill sorrise ad Annika, più rilassato, mentre Tom si accendeva un’altra sigaretta.

Dopo la leggera e gustosa cena che Frau Hildegard aveva preparato, Bill mostrò ad Annika il resto della casa: l’elegantissima sala da pranzo, che però veniva usata raramente, lo stupendo bagno con doppio lavabo, un trionfo di marmi neri e la vasca idromassaggio, infine il grande terrazzo, cui si accedeva dalle vetrate affacciate sul breve corridoio accanto all’ingresso.
Il ragazzo, quindi, l’accompagnò nella camera degli ospiti. Al secondo piano, la prima porta che s’incontrava era quella della camera di Tom e, in fondo al corridoio, due porte una di fronte all’altra davano accesso alla camera di Bill, sulla destra, e a quella degli ospiti, sulla sinistra.
“Eccoci qua!” Esclamò allegro Bill, aprendole la porta e invitandola a precederlo dentro.
Lui accese la luce e Annika entrò titubante, un po’ per via delle stampelle, un po’ per via del timore, ma quando vide la stanza si bloccò. Era abbastanza grande. Entrando, sulla sinistra, c’era il letto coperto da una trapunta lucida color rosa antico, due comodini ai lati e una bella lampada su uno di questi. Dall’altra parte della stanza, davanti alla finestra ad arco (come tutte quelle della casa) c’era una piccola scrivania con sopra un vaso di fiori bianchi, seguiva un mobiletto più basso ospitava la tv e accanto c’era una poltrona. A terra un parquet chiaro ed un grande tappeto morbido. A lato della porta, a destra, c’era una cassettiera bassa e appeso al muro un grande specchio.
“Non è niente di speciale, ma…” Mormorò Bill vedendo che lei non reagiva.
Annika scosse il capo e lo guardò, poi sorrise. “Stai scherzando? È bellissima!” Fece quindi.
Avrebbe davvero voluto dirgli quanto gli era grata per quello. Una camera grande e funzionale. Coperte e lenzuola pulite. Buon profumo tutto intorno. Dio, era in una casa bellissima, in una camera stupenda ed erano mesi che non stava in un posto che fosse per lo meno sicuro… Era quasi commossa, ma poteva solo sorridere a Bill e sperare che capisse.
“Oh, sono felice che ti piaccia.” Affermò Bill, non sembrava che avesse capito. “Una di quelle porte è il bagno e l’altra l’armadio.” Aggiunse poi, indicandole le due porte sulla parete alla sinistra del letto. Annika le guardò stupita.
“C’è un bagno solo per me?!” Domandò incredula.
“Certo.” Annuì tranquillo lui, come se fosse più che normale. “Ogni camera ha il suo bagno.” Spiegò poi con un sorriso.
“Ohhh…” Commentò soltanto la ragazza.
Bill, quindi le spiegò come si usava l’apparecchio telefonico posto su uno dei comodini, sia per comunicare con l’esterno che con le altre stanze e per usarlo come citofono. Annika lo ascoltò attenta, annuendo ogni tanto. Il ragazzo, infine, la salutò, dicendole che se aveva bisogno di qualcosa lo poteva chiamare quando voleva.
Quando Bill fu uscito dalla stanza, socchiudendo la porta, la ragazza si sdraiò un po’ goffamente sul letto. L’ingessatura era un bell’impedimento.
Annika poi chiuse gli occhi, assaporando quell’odore di pulito e la morbidezza del materasso. Le sembrava un sogno e si domandò quanto brusco sarebbe stato il risveglio. Ma il bello dei sogni è che, almeno per un po’, te li puoi godere. Sospirò soddisfatta.

Bill, uscito dalla camera degli ospiti, si girò verso il fondo del corridoio e vide Tom fermo davanti alla propria porta. Era incredibile come avvertiva la sua presenza, ma era sempre stato così. Si avvicinò al fratello a passi lenti, la zona era in penombra.
I due ragazzi, ormai vicini, si guardarono a lungo negl’occhi. Spesso non avevano bisogno nemmeno di parlarsi per dirsi qualcosa, ma forse quel giorno delle parole bisogno c’era.
“Sei ancora…” Bill esitò cercando il termine adatto. “…arrabbiato con me?” Chiese a Tom.
Il gemello, con espressione irritata, guardò altrove. “Penso di sì, Bill…”
“Non mi piace quando litighiamo.”
“Nemmeno a me.”
“Io vorrei solo che tu provassi a capire, Tomi.” Affermò allora il cantante, cercando lo sguardo del fratello, che però continuava ad evitarlo.
“Ma io, davvero…” Replicò Tom, incontrando finalmente gli occhi di Bill. “…non riesco a capire le tue motivazioni. Mi spieghi perché l’hai portata qui?”
“Tom, io mi sento tremendamente in colpa per quello che le è successo.” Rispose l’altro, parlando a bassa voce, per non farsi sentire da Annika.
“Ho capito.” Ribatté il chitarrista. “Ma non può essere solo per quello…”
“Mi fa pena.” Disse Bill, interrompendolo. Tom lo guardò, aveva gli occhi bassi e l’espressione triste. “Ho pensato come sarebbe stato se una cosa del genere fosse successa a me. Sarei stato sicuro di trovare te e la mamma al mio risveglio in ospedale.” Continuò poi, spiegando. “Non c’era nessuno quando si è svegliata lei, nessuno.” Tom lo guardò negli occhi. “Tu ti senti mai solo, Tom?” Gli chiese Bill, apparentemente a sproposito.
“Sì…” Soffiò il gemello con sincerità.
“Ti basta, però, alzare gli occhi e guardare me per non esserlo più.” Soggiunse il cantante e lesse che era così nello sguardo di Tom. “Noi siamo insieme da… da prima di essere e lo saremo sempre. Mi fa stare male l’idea di qualcuno completamente solo…”
“Smettila di chiacchierare.” Ordinò perentorio Tom. Bill non fece in tempo a reagire che si trovò abbracciato dal fratello, stretto tra le sue braccia. “Può restare, ma non chiedermi di essere cordiale, ti prego…” Sussurrò Tom tra i capelli del fratello.
“Ti voglio bene, Tomi.” Replicò dolcemente Bill al suo orecchio. “Grazie.”

La sveglia suonò, puntuale ed inesorabile, alle otto in punto di quella mattina. Una mano pallida spuntò dalla trapunta nera, creando un certo contrasto, e spense stancamente la suoneria di quell’aggeggio che somigliava ad un’astronave. Bill odiava svegliarsi la mattina in generale, a qualsiasi ora, ma era anche consapevole che non poteva restarsene a letto come avrebbe voluto. Pena: l’ira funesta di David Jost. Sbadigliò scompostamente e si tolse le coperte di dosso, rabbrividendo, quindi si alzò e, ancora con gli occhi semichiusi, si diresse in bagno.
Il ragazzo aveva bisogno di circa una mezz’ora prima di cominciare a carburare, così, quando uscì dalla propria camera, era ancora assonnato e con gli occhi che si rifiutavano di aprirsi definitivamente. Sbadigliò sonoramente, appena messi fuori i piedi dalla soglia, ma quando finì il relativo stiracchiamento e aprì gli occhi, si trovò davanti una ragazza sorridente.
“Ah!” Fece stupito. “Buongiorno…”
“Buongiorno a te.” Rispose dolcemente Annika.
“Cosa ci fai già in piedi?” Le chiese il ragazzo, aggiustandosi distrattamente la maglietta che, nello sbadiglio, gli aveva scoperto la pancia.
“Beh, io non sono una che dorme molto.” Spiegò lei tranquilla.
“Allora piacerai a Gustav, anche lui si sveglia sempre presto!” Ribatté allegro Bill, poi la guardò. “Senti, già che ci siamo, perché non facciamo colazione insieme?” Le propose.
“Volentieri.” Accettò la ragazza annuendo.
Scesero in cucina, accompagnati dall’apprensione di Bill per Annika che scendeva le scale con le stampelle; per fortuna non successe nulla. Una volta arrivati giù il ragazzo le presentò tutto quello che si poteva desiderare per fare colazione: cereali, pane da toast, wurst, prosciutto, formaggio, latte, marmellate di almeno tre tipi.
“Oh, manca il caffè!” Esclamò ad un certo punto Bill, controllando il bricco. “Io non sono molto bravo a prepararlo…”
Annika si avvicinò al mobile della cucina e osservò la macchina per il caffè. Era moderna, ma lei ne aveva viste e usate altre simili.
“Conosco questo tipo di macchinetta.” Affermò infatti la ragazza. “Posso farlo io.” Si offrì.
“Oh, grazie, sei un angelo!” Accettò prontamente lui, battendo le mani.
La ragazza controllò la situazione, accese la macchina, guardò se vedeva il caffè e i filtri. La finestra ovale proprio davanti a lei faceva filtrare la luce fioca del mattino, attraverso una tendina bianca e illuminava il suo viso.
“Bene.” Fece infine con aria pratica, rivolgendosi di nuovo a Bill. “Lo faccio tranquillamente, ma ho bisogno di tutte e due le mani, tu potresti reggermi in piedi, mentre preparo?” Aggiunse posando le stampelle contro il piano della cucina.
Bill la fissò perplesso per un attimo. “Oh, sì… sì, tranquilla!” Annuì poi; lei gli sorrise e si voltò verso il mobile, aspettando che lui facesse il suo dovere.
La ragazza gli dava le spalle. Aveva i capelli sciolti sulla schiena, erano lunghi. Indossava la camicia da notte che le aveva comprato lui. Il sole le baciava tenue il viso, rendendo il suo colorito più vivo. Sorrideva con dolcezza, mentre prendeva il barattolo del caffè.
Lui si avvicinò appena, un po’ titubante, allungando le mani. Le posò delicatamente sulla sua vita e scese fino ai fianchi magri, stringendo un po’. Lei non disse nulla, continuando a fare il suo lavoro.
Erano molto vicini, il petto di Bill quasi contro la schiena di Annika. Lei era calda in modo molto piacevole. I loro capelli si confondevano. Bill respirava sulla tempia della ragazza. Lei continuava a sorridere, preparando il caffè. Le dita di Bill si mossero appena, intuendo le ossa del bacino.
Il cantante si ritrovò a fremere, senza quasi capire perché. Era tanto che non stava così vicino ad una ragazza. Annika aveva un buon profumo. Molto, molto buono. Si muoveva tra le sue braccia, inconsapevole di cosa il suo corpo leggero e fresco provocava in lui.
“Il caffè come lo vuoi? Forte o…” Domandò lei ad un certo punto.
“Eh?” Replicò Bill distratto.
“Il caffè lo vuoi forte…” Ripeté Annika, girandosi per guardarlo. “…o più leggero?”
Gli occhi di Bill si posarono inspiegabilmente sulle labbra della ragazza. Erano sottili e di un bel rosa naturale. Il suo sguardo, poi, seguì la linea del collo, fin quando quella si perse nello scollo casto della camicia da notte. Il respiro del ragazzo si fece un attimino più pesante.
“Bill?” Lo interrogò lei, vedendolo strano.
“Ah, forte!” Esclamò allora lui, con troppa foga. “Molto forte, direi.” Aggiunse alzando le mani dai suoi fianchi. Annika barcollò e lui la riprese al volo.
“Lo sai che sei strano?” Gli domandò la ragazza, quando ebbe riacquistato l’equilibrio.
“Oh, io sono sempre strano!” Rispose lui sorridendo un po’ forzatamente, riposizionando le mani sulla vita della ragazza. Era troppo vicino, troppo.
“Ma c’è qualcosa che non va?” Chiese quindi lei, osservandolo con la fronte aggrottata.
Se c’era qualcosa che non andava? Cavolo, erano mesi che non stava a stretto contatto con una ragazza e Annika era carina. Carina, dolce e profumata. Ma per come si sentiva in quel momento, probabilmente, sarebbe andata bene una donna qualsiasi. Avvertì una sensazione familiare risvegliarsi in un punto ben conosciuto sotto la vita. No, non era proprio il caso!
“No, no, tutto bene!” Esclamò Bill con una voce un po’ troppo alta, cercando di tenerla con le mani, ma di starle ben lontano con il resto del corpo. Doveva trattenersi.
“Mah, sarà…” Commentò scettica Annika, finendo di preparare la macchina.
“È che… è strano questo…” Mormorò Bill, cercando di concentrarsi sui riflessi dorati tra i capelli di lei. “Essere qui così…”
“Lo dici a me…” Fece lei, scuotendo la testa e sorridendo.
“Profumi di ragazza…” Soggiunse Bill, quasi senza volere, socchiudendo gli occhi e inspirando il dolce aroma che arrivava dal suo corpo.
Annika si girò con espressione sorpresa. “Io sono una ragazza.” Affermò con un sorriso.
“Eheheh, eh, già…” Ridacchiò nervoso lui. “Hai… hai finito?” Le chiese poi, indicando la macchina per il caffè. Lei annuì. “Bene… Ti dispiace se ti lascio? Dovrei andare un attimo in bagno…” Aggiunse il ragazzo.
“Tranquillo.” Rispose Annika, facendo per prendere le stampelle. “Vai pu…” Lui la lasciò così bruscamente che dovette attaccarsi al piano di marmo per non cadere. Lo guardò sgusciare via con un’espressione alquanto perplessa.

Bill si precipitò in bagno. Entrò e chiuse la porta a chiave. Si sentiva come quando si nascondeva alla madre per farsi le prime seghe. Percorse pochi passi e si trovò davanti allo specchio.
Il mobile, con il suo piano di marmo nero venato di mille sfumature, occupava tutta la parete a sinistra della porta, così come l’enorme specchio che vi era posizionato sopra. Due lavandini ovali con i rubinetti di ottone dorato completavano l’opera.
Il ragazzo guardò il proprio riflesso nella lucida superficie. Il suo viso era pallido, i suoi occhi segnati da quel che rimaneva sempre del trucco anche dopo la pulizia. Aveva un’espressione colpevole. Si arrabbiò.
“Tu…” Esordì, indicando furente il proprio riflesso. “Tu sei… un uomo di merda!” Si disse con severità. “Sì, fai… fai schifo, ecco!” Continuò senza indulgenza. “È inutile che mi guardi così! Sai perfettamente di fare schifo! E tu…” Abbassò gli occhi verso il cavallo dei pantaloni a righe nere e arancio che indossava. “…tu a cuccia! Sei una parte del mio corpo e se il mio cervello ti dice di stare giù ci devi stare, chiaro!” Ordinò con foga, indicando l’organo ribelle.
Alzò gli occhi di nuovo sulla sua faccia nello specchio. Aveva il respiro affannato e i capelli in delle condizioni pietose. Gli occhi tormentati. Si portò le mani alle tempie mugolando.
“Ha ragione Tom!” Si lamentò poi, sconsolato. “Devo scopare, sennò scoppio!” Ammise riluttante, dando le spalle ai lavandini. “Altrimenti potrei anche fare da solo, tanto per sfogarsi un po’…” Ipotizzò, tormentandosi le mani incerto. “No, non posso assolutamente farlo!” Esclamò poi.
Camminò un po’ in lungo e in largo nella stanza, arricciando il bordo del tappeto, quindi si sedette sconsolato sul water, prendendosi la faccia tra le mani.
“Non posso farlo e basta. Non con lei di là, mi sentirei in colpa per il resto della vita e non potrei più guardarla in faccia…” Affermò sconsolato. “Poverina, non ha fatto nulla per provocarmi, sono io che sono un uomo di merda!” Aggiunse con una smorfia.
Si rilassò contro il muro, con le mani in grembo, cercando di non pensare. Ma poi i bisogni del corpo ebbero il sopravvento sulle imposizioni della mente e Bill si lasciò andare. Si arrese alla propria mano che scivolava lungo il corpo, cercando la strada, mentre reclinava il capo contro la parete. Non pensò a niente in particolare, ma si abbandonò al piacere che si stava procurando. Durò poco e dopo essersi pulito restò per qualche secondo seduto, abbandonato sul gabinetto chiuso, evitando di pensare all’azione appena compiuta.
Il ragazzo, quindi, si alzò e si avvicinò al lavandino. Non guardò lo specchio, in quel momento l’idea di guardarsi in faccia gli dava il voltastomaco. Si sentiva schifosamente colpevole. Aprì l’acqua fredda e si lavò il viso, sperando di cancellare le tracce del suo cedimento.

Bill tornò in cucina a passi lenti. Trovò Annika seduta al tavolo che mangiava pane e marmellata; lei lo guardò e gli sorrise. Lui avrebbe voluto sotterrarsi sotto tre metri di terra.
“Il caffè è pronto.” Gli disse quindi la ragazza, indicando il bricco pieno e fumante. “Ci hai messo tanto.” Aggiunse poi, senza malignità.
Il ragazzo si sentì ancora peggio, ma sorrise nervosamente. “Sì, scusa, sai com’è…” Mormorò, andando verso la penisola dove c’era il caffè.
“Non ti preoccupare.” Affermò Annika tranquilla, mentre lui tornava a sedersi davanti a lei.
La ragazza lo guardò, piegando appena il capo di lato. Lui aveva i capelli un po’ arruffati, il viso pallido e i suoi occhi la evitavano accuratamente. Sembrava imbarazzato, quasi impaurito.
“Sei molto carino senza trucco.” Decretò però la ragazza.
“Oh!” Esclamò stupito lui, incrociando finalmente i suoi occhi. “Grazie…” Fece poi, abbassando di nuovo lo sguardo.
“Buongiorno a tutti.” Biascicò una terza voce, seguita subito dopo da un enorme sbadiglio.
Era Tom che entrava in cucina trascinando i piedi. Il chitarrista sbadigliò di nuovo, dirigendosi al pensile che conteneva le tazze.
“Cazzo! Bill ha fatto il caffè!” Sbottò incredulo quando vide il bricco pieno. “Chiamate la protezione civile, un meteorite enorme starà per schiantarsi su Amburgo!” Aggiunse ironico.
“Eh eh eh...“ Ridacchiò Bill senza allegria. “Il caffè lo ha fatto Annika, comunque.” Spiegò poi.
“Ah! Fine del mondo scongiurata anche per oggi!” Replicò Tom divertito, prima di sedersi accanto al gemello; quindi l’osservò, mentre sorseggiava dalla propria tazza. “Cazzo, che faccia da seghe che hai stamattina…” Gli disse poi. “Te la sei già fatta la prima?”
Non lo avesse mai detto! Maledetta telepatia tra gemelli! E stramaledetta la linguaccia di Tom! Bill schizzò in piedi, con una faccia stizzita, come fosse stato morso da una colonia di tarantole.
“Non ti permetto di parlare in questa maniera davanti ad un’ospite!” Sberciò in faccia al fratello, che lo fissava allibito. “Sei un maleducato e un incivile! Stavolta hai veramente passato il limite!” Aggiunse accigliato, quindi gettò sulla tavola il tovagliolo che aveva in mano, scostò bruscamente la sedia e lasciò la cucina a passi nervosi.
“Secondo te ho esagerato?” Domandò perplesso Tom rivolto ad Annika.
“Un pochino…” Si permise di rispondere la ragazza.
“Mh, fanculo…” Fece lui, stringendosi nelle spalle, prima di addentare una fetta di pane tostato. “Tanto dopo gli faccio due moine e passa tutto…”

Tom era nella piccola cucina dello studio di registrazione. Beveva del the appoggiato contro il pensile; dall’altra parte del tavolo Gustav si stava preparando un panino. Georg, invece, era accanto al chitarrista, con un fianco contro il mobile e lo osservava.
“Si può sapere che cazzo hai da fissarmi così?” Domandò Tom al bassista dopo qualche minuto.
Georg sorrise maliziosamente. “Com’è?” Gli chiese infine.
“Com’è cosa?” Replicò il chitarrista aggrottando la fronte.
“La ragazza.” Rispose Georg, ma Tom continuò a fissarlo con espressione interrogativa.
“Quell’essere di genere femminile che vive a casa vostra.” Specificò Gustav intervenendo nella conversazione, mentre finiva d’imbottire il suo panino.
“Ah…” Fece Tom, poi si rimise a bere, ignorandoli.
“Allora, ci dici com’è?!” Sbottò Georg, dandogli una gomitata sul fianco.
“Mi dite perché v’interessa tanto?” Fece il rasta infastidito, alzando gli occhi sui compagni.
“Perché siamo stanchi di Bill che ogni volta ci dice «è carina, normale»…” Spiegò Gustav, mimando le virgolette con le mani. “Non lo sopporto quando fa il topolino.” Aggiunse con una smorfia.
“Avanti, dicci com’è!” L’incitò Georg.
“Beh…” Esordì Tom, con gesto vago della mano in cui teneva la tazza. “…è schiva, silenziosa, si fa gli affari suoi…” Raccontò quindi.
“Non hai capito cosa vogliamo sapere.” Soggiunse pacato Gustav, addentando il panino.
“Ce la devi descrivere fisicamente.” Rincarò il bassista con un sorrisetto.
Tom sbuffò arreso, mentre posava la tazza sul tavolo. “È più alta di te, Georg.” Affermò poi.
Gustav ridacchiò. “Non ci vuole tanto!” Commentò quindi.
“Stai zitto te, grande puffo!” Reagì il bassista offeso, prima di rivolgersi di nuovo a Tom. “Sii serio, per una volta.” Lo pregò.
“Vabbene, vabbene!” Si arrese il ragazzo, alzando le mani. “È alta più o meno come te, Georg, ha i capelli biondi, lunghi, occhi blu… begl’occhi, però è molto magra e piatta come una tavola da surf…” Descrisse vago. “Insomma niente di speciale.”
“E tu, come ti sei comportato?” Malignò Georg con un’occhiata in tralice.
“Ah, io glielo ho detto chiaro e tondo che in casa non ce la volevo.” Rispose il chitarrista, mentre si accendeva una sigaretta. “Ha incassato bene, devo dire.”
“Certo che tu, Tom, sei diplomatico come un razzo kassam…” Commentò Georg, alzando le sopracciglia.
“Sì, sparato nel cortile di un asilo…” Lo appoggiò Gustav, riempiendosi un bicchiere di coca cola.
“Sentite, io preferisco staccare pezzi di bambino dal muro, che avere un ficcanaso tra i piedi.” Decretò il chitarrista deciso, con una scrollata di spalle.  
“Sei un orso rognoso, Tom.” Dichiarò Gustav, pulendosi la bocca con un tovagliolo di carta.
“Lo dico sempre anche io!” Intervenne Bill, entrando nella cucina in quel momento. “Ho bisogno di un the caldo… e il mio miele italiano dov’è?” Aggiunse, cominciando a cercare quello che voleva.
“Bill, stasera noi veniamo a cena a casa vostra.” Affermò Gustav tranquillo.
“Come?” Fece il cantante, voltandosi verso di lui. “Chi è che viene a cena?” Aggiunse poi perplesso.
“Io e Gustav.” Rispose Georg.
“No, no, non se ne parla proprio!” Esclamò Bill negando con le mani.
“Guarda che Tom ci ha già detto di sì.” Dichiarò Gustav indicando il chitarrista col suo bicchiere.
“E poi non vedo perché rimandare ancora.” Disse il bassista, continuando a sostenere la loro posizione. “Prima o poi vorrai farci conoscere Annika, è da voi da quasi una settimana…”
Bill lo guardò sospettoso, aggrottando le sopracciglia. “Che intenzioni hai Georg?”
“Ma cosa vuoi…” Replicò l’interpellato.
“Vogliamo solo cenare insieme e divertici un po’, di che ti preoccupi?” Intervenne, però Gustav, bloccando la possibile discussione che poteva scoppiare.
“Beh, di niente…” Fece Bill incerto. “Ma li hai invitati tu, Tom?” Domandò poi al gemello.
“Certo, ne dubiti?” Rispose lui stringendosi nelle spalle.
“Sarà…” Mormorò scettico il cantante, incrociando le braccia. “…ma ha tutta l’aria di un complotto contro di me.” Aggiunse serio.
“Sì, come no!” Sbottò Gustav uscendo dalla cucina. “Sei appena entrato nella sede della nuova cellula di Al Queda!” Tom e Georg risero, anche per l’espressione impagabile di Bill. “Ci vediamo stasera alle otto e mezza!” Aggiunse il batterista da fuori.

CONTINUA

Beh, che ne dite? Non ho esagerato con Bill, vero? Tutti i ragazzi le fanno quelle cose, via, ammettiamolo. Lui non è diverso.
Oh, quanto amo caratterizzare Tom! L’avete capito, eh? E non avete ancora visto il meglio!
Dal prossimo chap si entrerà più nel vivo, siate pazienti però!
Per chi volesse fare due chiacchiere con me, il mio indirizzo msn è: CowgirlSara2@msn.com

Ringraziamenti:
_Princess_: che ti devo dire… il tuo commento mi ha fatto tantissimo piacere, anche perché viene da una persona che scrive benissimo e di cui seguo il lavoro. Grazie. Non c’è niente di più piacevole che essere commentati con competenza e apprezzati da qualcuno che si dichiara esigente.
crimy: quello che ha in testa Bill… beh, spero che questo capitolo non ti abbia fatto pensare che lui ha in testa una certa, specifica cosa…
dark_irina: sono contentissima che il capitolo ti abbia fatto ridere, anche perché la scena delle mutande aveva un po’ quell’intento! Io non smetterò mai di dire che adoro scrivere le scene coi gemelli, vedrai, ce ne saranno altre! Spero il capitolo ti abbia incuriosito ancora!
anja: e i difetti di Bill si accumulano mi sa! Eheheh! Sono contenta che tu giudichi la mia storia più completa e realistica, perché ci tengo tanto che sia così. Grazie per i complimenti.
kit2007: grazie! Sei la prima a parlarmi del passato di Annika, che alla fine sarà importantissimo per questa storia e ci tengo molto. E grazie per i complimenti!
loryherm: ti faccio ridere? Bene! Spero di farti anche battere un po’ il cuoricino, specie col seguito di questa storia! E spero anche che i personaggi continuino a sembrarti realistici, con tutto quello che fanno!
RubyChubb: tu sei uno dei miei miti, donna! Non finirò ma di ringraziarti, tu sai perché. Già che son qui ti ringrazio anche per le recensioni (addirittura due!). E’ realistica? Detto da te è un onore, spero che anche questo capitolo ti soddisfi! E, ti prego, continua ad esaudire i miei filmini mentali!
Arumi_chan: grazie per i complimenti! Addirittura fantastica! Mi auguro che il mio Bill ti stia ancora simpatico, dopo quello che ha fatto qui… vabbè, fammi sapere!


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Capitolo 5
*** 5 - Incontrarsi, conoscersi ***


autumn song 5
Ecco a voi il capitolo fiume… ci è voluto un po’ per finirlo, scusatemi l’attesa, spero ne valga la pena. Beh, alcune cose, in effetti, succedono, sta a voi dirmi se sono apprezzate. Mi sa che le prossime righe vi confonderanno un po’ le idee… Vedremo!

Ora vi lascio alla lettura. Inutile dire che aspetto i commenti. Saluti, ringraziamenti ed eventuali note alla fine, come sempre!

Ciaoo!

5. Incontrarsi, conoscersi

Era una serata piovosa, quella prevista per la cena con Georg e Gustav. Bill rientrò a casa sberciando che i suoi capelli erano diventati crespi da morire e doveva porre subito rimedio; quindi sparì velocemente al piano superiore. Tom e Annika rimasero a guardarsi in faccia perplessi.
“Senti…” Esordì infine il ragazzo. “…stasera vengono a cena i ragazzi.” Lei aggrottò la fronte. I ragazzi? “Io vado a fare una doccia, torno subito.” Le disse poi, prima di salire anche lui di sopra.
La ragazza ritornò sul divano e accese la tv, però continuò a domandarsi chi erano i ragazzi che sarebbero venuti a cena. Realizzò, infine, che potevano essere solo gli altri due componenti della band. Bene, così finalmente li avrebbe conosciuti!
Tom tornò giù una mezz’ora dopo. Si era cambiato, ora indossava una larga felpa blu scuro, con sotto una maglietta rosa tenue piena di ghirigori e i suoi soliti jeans larghissimi, ma un paio di verso da quelli che aveva al rientro. Non portava il cappellino e la fascia, così, mentre scendeva le scale, si legò i dreads sulla nuca. Le sorrise, stranamente, e lei lo trovò molto carino.
Il ragazzo quindi si diresse al telefono e ordinò alcune pizze, dopo aver avuto la delicatezza di chiedere come la preferiva lei, dopodiché andò in cucina, lasciandola di nuovo sola.
Il campanello suonò circa un quarto d’ora dopo. Tom corse ad aprire, frenando poi sul lucido parquet scuro con uno stridio di gomma degno di una partita di basket. Annika si voltò per osservare la scena dalla spalliera del divano.
La porta si aprì e qualcuno con una voce profonda salutò Tom. Lei intravide un ragazzo un po’ più basso di lui, con lunghi capelli castani, entrare.
“Hey, ma si viene a cena senza portare niente?!” Fece il chitarrista con i pugni sui fianchi, fingendosi offeso.
“Tranquillo.” Replicò il ragazzo appena entrato. “Il bambino ce l’ha lui!” Aggiunse, indicando qualcuno alle sue spalle.
“Eccolo qua.” Annunciò il secondo ospite, guadagnando l’ingresso. Portava in braccio un barilotto di metallo. “Birra artigianale della miglior qualità.”
“Ah, vi amo!” Esclamò Tom. “Dai qua!” Si offrì poi, prendendo il barilotto dalle mani del compagno.
“Hai ordinato le pizze?” Chiese il primo ospite, quello coi capelli lunghi.
Tom annuì. “Quando arrivano ce le porta su Luddie dalla portineria.” Affermò poi, incamminandosi verso la cucina. “Adesso pensiamo alla penetrazione…” Aggiunse malizioso, facendo un eloquente gesto di bacino contro il barilotto.
Annika, nel frattempo, si era alzata ed aveva aggirato il divano. Il ragazzo dai capelli lunghi se ne accorse e, invece di seguire gli altri due in cucina, si fermò tornando verso di lei.
Non era alto come i gemelli ed il suo fisico era decisamente più robusto. Indossava una giacca di pelle marrone, jeans e una maglietta bianca con delle scritte nere. Le sorrise gentilmente, cosa che fece brillare i suoi begl’occhi verdi. Aveva dei lineamenti particolari, ma era davvero carino.
“Ciao, io sono Georg.” Si presentò porgendole la mano.
“Ciao.” Rispose lei, stringendogliela. “Sono Annika.” E gli sorrise.
Quel sorriso smentì automaticamente tutte le descrizioni sotto tono dei gemelli. Era bella. Alta, non formosa ma femminile. Aveva un visino pulito, innocente e due bellissimi occhioni blu dalle ciglia lunghe. Il sorriso poi era stupendo, delicato e solare. Senza contare che era completamente struccata. Georg si ritrovò molto interessato…
I due ragazzi rimasero a guardarsi per qualche secondo, mentre dalla cucina arrivavano voci concitate. Quando li raggiunse una specie di ululato, chiaramente emesso da Tom, si scambiarono un’occhiata e scoppiarono a ridere.
“Sei consapevole, vero, di essere finita in un manicomio?” Le chiese quindi il bassista.
“Sto cominciando a rendermene conto…” Rispose lei divertita.
“Scusa un attimo, eh.” Fece poi Georg, girandosi verso la cucina. “Gustav, vieni a presentarti!” Gridò poi, per farsi sentire.
Un attimo dopo dall’arco che portava verso il bagno spuntò l’ultimo componente del gruppo. Era un ragazzo bassino, capelli corti biondi e occhi scuri. Portava una maglietta color aviazione ed un paio di occhiali da vista dalla montatura spessa.
“Piacere, Gustav.” Le disse porgendole la mano, che lei strinse.
“Annika.” Si presentò quindi. “Bene, adesso conosco tutti i componenti della band!”   
“Eh, sì!” Ribatté Georg sorridendo. Le piaceva quel sorriso, era gentile e lo faceva somigliare ad un topolino. Annika replicò sorridendo a sua volta.
“Deve essere un bell’impiccio, eh?” Le chiese Gustav indicando il gesso.
“Sì, ci vuole un po’ di pazienza…” Rispose pacata la ragazza.
“E la testa?” Soggiunse Georg con cenno al cerotto sulla fronte di lei.
“Va tutto bene, mi hanno già tolto i punti.” Spiegò Annika tranquilla. “È solo che il livido è ancora un po’ brutto, così…”
“Capisco…” Annuì il bassista.
La voce di Tom si levò in quel momento dalla cucina; chiamava Gustav in aiuto, così il batterista li lasciò per andare in soccorso.
“Beh, che dirti? Benvenuta nel mondo dei Tokio Hotel!” Dichiarò allora Georg, allargando le mani con un sorriso. “Non ti annoierai di sicuro con noi!”
“Oh, lo spero davvero!” Replicò subito lei. “È tanto tempo che non mi diverto senza pensieri!”
“Bene, perché siamo una banda di pazzi!” Sottolineò il ragazzo. “E ancora manca il più folle di tutti…” Annika rise piano.
“Ti riferisci a qualcuno in particolare, Georg?” Intervenne una voce supponente.
I due alzarono gli occhi sulla scala. Bill stava scendendo a passo quasi danzante. Si era cambiato i jeans e messo una felpa nera con cappuccio; i suoi capelli adesso erano perfettamente domati e lisciati sulle spalle. Si era anche rifatto il trucco.
“Di chi se non del nostro amato vocalist…” Rispose sarcastico il bassista, quando l’altro li raggiunse sotto l’arco del salotto. Bill fece un sorrisino acido.
“Georg, perché non vai di là ad aiutare gli altri due?” Gli suggerì poi il cantante, fermandosi accanto ad Annika.
“Perché non ne hanno bisogno?” Replicò retorico l’altro ragazzo, incrociando le braccia. “E poi stavo parlando così bene con Annika.” Aggiunse con un sorriso rivolto a lei, che rispose allo stesso modo.
“È vero.” Confermò quindi lei, annuendo.
“E di che cosa parlavate tanto amabilmente?” S’informò Bill, passando distrattamente un braccio sulle spalle della ragazza. Georg lo guardò un po’ storto.
“Male di te, ovviamente…” Rispose poi, con un sorrisetto maligno.
“No, ma dai!” Intervenne Annika ridendo. “Come si fa a parlare male di lui, è un angelo!”
Bill si girò verso di lei con espressione riconoscente. “Oh, e tu sei un tesoro!” Le disse melenso.
“Si vede proprio che non lo conosci…” Commentò però Georg, cui arrivò immediatamente un’occhiata inceneritrice da parte del cantante.
La conversazione fu interrotta dal suono del campanello. Era Luddie, il portiere di notte che gli portava su le pizze. La cena poteva cominciare davvero.

“Annika, posso sedermi vicino a te?” Domandò dolcemente Georg, una volta che tutti ebbero guadagnato la cucina.
“Ma certo!” Rispose entusiasta la ragazza. “Mi fa molto piacere!”
Il bassista si sedette, appoggiando il braccio sullo schienale di Annika, quindi avvicinò la sedia alla sua. Non si accorse che tutta l’operazione era stata seguita attentamente da un paio di occhi nocciola, il possessore dei quali non si rese conto di essere a sua volta osservato.
I posti furono così distribuiti, attorno al grande tavolo rettangolare: Tom a capo tavola, il suo solito posto, Gustav alla sua sinistra, Annika alla sua destra e Georg accanto a lei. Bill si mise all’altro capo della tavola, quasi un po’ isolato dalla conversazione.
Le pizze erano ottime, la birra anche. Le battute si susseguivano a raffica, come le conseguenti risate e le sigarette che riempivano il posacenere e i bicchieri di carta abbandonati.
Bill continuava ad osservare Georg ed Annika. I due ridevano insieme, molto. Lui la toccava con confidenza, le scostava i capelli dalla spalla, ci posava sopra la mano. Lei sembrava gradire. Si guardavano negl’occhi, Annika apprezzava le sue battute e i complimenti che ogni tanto Georg le faceva, anche non troppo velatamente. Insomma, il bassista ci stava provando alla grande.
Bill, ad un certo punto, finito di mangiare, si alzò da tavola e, senza dire una parola, diede le spalle a tutti e uscì in terrazza.
“Ma che gli succede?” Domandò Georg, interrompendo una risata; era seduto vicinissimo ad Annika.
“Niente, dai.” Rispose Tom, spegnendo l’ennesima sigaretta in un bicchiere vuoto davanti a se.
“Sì, non ti preoccupare, tanto tra due minuti va lui a chiederglielo.” Soggiunse calmo Gustav, indicando il chitarrista.
“Mangiamo un po’ di gelato, va.” Glissò però Tom, alzandosi e andando verso il frigo.
Anche il gelato era buonissimo, ma l’atmosfera si era fatta stranamente nervosa. Annika osservava Tom fumare a scatti e tornare costantemente con gli occhi sulla porta finestra socchiusa che dava sul balcone. Il ragazzo, poi, all’improvviso si alzò, dirigendosi deciso sul terrazzo.
“Vado a chiedergli se vuole il gelato…” Spiegò sbrigativo, prima di sparire nell’oscurità esterna.
“Sì, come no…” Commentò Georg divertito.
“Già!” Rincarò Gustav ridacchiando. “Se resisteva altri trenta secondi era un miracolo!”
Annika li guardò smarrita. “Non capisco…” Fece timidamente.
“Niente.” Le disse rassicurante Georg. “Solo non poteva stare senza andare a chiedergli cosa ha.”
“Robe da gemelli, sai.” Spiegò Gustav con aria saggia, appoggiandosi contro la spalliera.
La ragazza sorrise. “Sono molto uniti, vero? Si nota subito.” Affermò poi.
“Sì.” Annuì il bassista.
“Anche se a volte fanno finta di non esserlo.” Intervenne il batterista.
“Ma non ci riescono tanto bene!” Soffiò Georg prima di mettersi a ridere.
“Eh, no!” Lo appoggiò Gustav, ridendo poi a sua volta.
Annika li guardò e quindi rise con loro, anche se era un po’ preoccupata per quello che potevano dirsi i gemelli, senza capirne davvero il motivo. Guardò fuori dalla finestra, ma vide solo buio. Il cellulare di Georg squillò proprio in quel momento, lui si alzò e rispose in modo molto cordiale, spostandosi poi nel corridoio.

Tom vide subito Bill, appena uscì, anche nel buio del balcone: era seduto su una delle sedie di legno intorno al tavolo, i piedi appoggiati sul piano. Il chitarrista rabbrividì, il venticello che tirava era gelido, così si strinse nelle braccia e lo raggiunse.
“Che stai facendo? Qui si gela…” Domandò al fratello dopo essersi fermato accanto a lui.
“Sto fumando.” Rispose distrattamente Bill, muovendo il mozzicone che aveva tra le dita.
“Allora, chiariamo il concetto.” Riprese Tom, sedendosi accanto all’altro. “Anche dentro stavamo fumando tranquillamente e qui faranno sì e no cinque gradi… quindi, ti ripeto, che cosa stai facendo, Bill?” Gli chiese retorico, sottolineando l’ultima parte della frase.
“Sto fumando, Tom.” Ribadì il gemello.
Tom si avvolse meglio nella felpa e stropicciò il naso con la punta delle dita. “Non prendermi per il culo.” Dichiarò poi duro. “Si vede lontano un miglio che ti girano come pale eoliche in una giornata di vento, che cosa hai?”
“Non ho niente, Tom, niente!” Sbottò Bill girandosi di scatto verso di lui. “Volevo solo fumarmi una sigaretta in santa pace e prendere una boccata d’aria, cazzo! È forse proibito?!”
“Uhhh, sei stizzito!” Reagì divertito il fratello; Bill sbuffò e tornò a guardare l’orizzonte. “Hai qualcosa che ti rode, te… No, aspetta un attimo!” Fece poi Tom, sporgendosi verso di lui. “Ti ho osservato stasera, ti scoccia perché Georg ci sta provando con lei?!”
“Assolutamente no!” Esclamò immediato Bill voltandosi di nuovo nella sua direzione.
“Ahhh, troppa foga nel negare!” Gli fece notare il chitarrista con un sorrisetto serafico, mentre si appoggiava compiaciuto alla spalliera.
“Non è per quello…” Mormorò risentito il cantante, incrociando le braccia e prendendo un tiro nervoso dalla sigaretta.
“Billy, se lei ti piace, lo sai, basta che glielo dici a Georg.” Soggiunse dolcemente Tom, toccandogli un braccio; l’altro abbassò gli occhi sulla sua mano.
“Lei… lei non mi piace…” Affermò poi titubante. “Non in quel modo… credo.” Spiegò quindi, mentre spegneva il mozzicone nel posacenere.
“E allora?” Chiese il fratello, con sincero interesse.
“È che Annika è molto fragile adesso, sta attraversando un momento difficile, io non credo sia il caso che s’imbarchi in una relazione che può farla soffrire…” Spiegò incerto Bill.
“Oh, andiamo!” Fece Tom. “Chi ti da il diritto di deciderlo per lei? Se le piace Georg, sarà libera di decidere cosa fare, o no?” Continuò più serio. “E poi parliamo di Georg, mica di me! Insomma, i suoi sfizi se li è anche tolti, ma sempre con un certo garbo…”
“Sì, lo so.” Sputò Bill annuendo. “Ma non vuol dire che sia pronta a…”
“Che ti sei messo in testa, eh, Bill?” L’interruppe il gemello, costringendolo a guardarlo negl’occhi. “Vuoi fare il Pigmalione? Lei non è una bambola che puoi vestire e pettinare come ti pare, so che è strano detto da me, ma per favore, non fare cazzate.”
Bill evitò il suo sguardo abbassando gli occhi. Sapeva che suo fratello aveva ragione, anche se faceva male sentirselo dire da uno che trattava le ragazze come cerotti, che te li metti quando ne hai bisogno e poi li togli con uno strappo. E poi non capiva perché gli dessero tanto fastidio le attenzioni di Georg per Annika, e quelle di lei per lui.
“Adesso smettila di fare lo stronzo, vieni dentro prima di prenderti qualcosa.” Riprese Tom alzandosi. “Il gelato si sta squagliando.” Aggiunse, prima di tornare verso la finestra.

Bill seguì il fratello dentro casa pochi secondi dopo, proprio mentre Georg rientrava in cucina, tornando a sedersi accanto ad Annika con un sorriso.
“Allora, che si dice?” Domandò Tom al bassista.
“Mi ha chiamato Sandra, dice che lei e le ragazze vanno all’Orange, chiedeva se passiamo anche noi dopo.” Gli rispose Georg, mentre si accendeva una sigaretta.
“Per me va bene.” Annuì il chitarrista, poi la sua espressione si fece più maliziosa e lanciò un’occhiata complice al bassista, che rispose nello stesso modo. “Gustav, vieni anche tu?” Domandò poi, distrattamente, ammiccando a Georg.
“Hm, penso di sì…” Rispose il batterista, senza guardarlo, mentre si dedicava al suo bicchiere.
“Ma guarda un po’…” Commentò Tom gongolando.
“Viene anche Gustav, chissà perché…” Rincarò malizioso Georg.
“Smettetela.” Gl’intimò l’interessato con tono minaccioso.
Annika li osservava senza capire, poi sentì una mano appoggiarsi sulla sua spalla. Alzò gli occhi e trovò quelli di Bill, fermo accanto alla sua sedia. Il ragazzo le sorrise, quindi si rivolse al batterista.
“Non ti piaceva la barista dell’Orange? Quella bassina con le gran tette, come si chiama… Pinky?” Intervenne quindi.
“Silke.” Precisò stizzito Gustav, scatenando le risatine di Tom e Georg.
“Già, Silke.” Annuì Bill. “Un po’ tappetta, ma ammetto che un giro me lo sarei fatto anche io…” Gustav lo guardò con gli occhi di fuori e un’espressione assolutamente stupefatta.
“Andiamo, Bill!” Esclamò Georg ridendo.
“Hai capito il fratellino, sembra scemo…” Soggiunse Tom, con un’occhiata in tralice verso il gemello, che gli rispose con un occhiolino malizioso.
“Siete tre emeriti stronzi diplomati.” Sentenziò il batterista, aggrottando la fronte; gli altri componenti del gruppo risero.
“Annika, vieni anche tu?” Chiese poi Georg alla ragazza.
“Oh, no!” Rispose subito lei. “Non ho niente da mettermi e non posso bere per via delle medicine, ne ballare a causa del gesso, mi dispiace, ma proprio no.”
“Ohhh…” Soffiò deluso lui.
“Non ti preoccupare, Annika.” S’intromise Bill. “Tanto resto a casa anche io.” Tom lo guardò sospettoso.
La ragazza, invece, alzò gli occhi su di lui. “Bill, non devi restare a casa per causa mia.” Gli disse preoccupata. “Io posso benissimo stare da sola.”
“No, non è per quello.” Spiegò Bill dirigendosi verso il lavello. “È solo che stasera non ho voglia, ecco.” Precisò poi, indugiando di spalle.
Annika, che fissava la schiena del cantante cercando di capire cosa non andava in lui quella sera, si sentì chiamare da un tocco leggero sulla spalla. Si voltò sorridendo a Georg.
“Visto che non vieni, c’è una cosa che dobbiamo fare ora.” Le disse il ragazzo; lei fece un’espressione interrogativa. “Vieni, su.” La invitò però lui, senza spiegazioni.
Georg la fece alzare e seguirlo fino alla penisola, mentre Gustav, evidentemente a conoscenza della sua idea, sorrideva compiaciuto. Annika, un po’ perplessa, eseguì gli ordini. Bill, l’attenzione risvegliata dalle parole del bassista, si voltò verso di loro.
“Lascia le stampelle.” Disse Georg ad Annika, una volta raggiunto il piano. “Ci penso io.” Aggiunse rassicurante, mettendole le mani sui fianchi. E Bill sentì qualcosa strizzargli lo stomaco, perché quella situazione l’aveva vissuta anche lui.
La ragazza appoggiò le stampelle ai lati, quindi posò le mani sugli avambracci di Georg. Lui le sorrise, poi l’afferrò più saldamente e la fece salire a sedere sul piano di marmo. Il tutto senza smettere di guardarla negl’occhi. Rimasero un attimo così, a guardarsi, in quella posizione un po’ ambigua, con lui tra le sue gambe. Bill sgranò gli occhi con aria indignata, ma non disse nulla e solo Tom se ne accorse.
“Andiamo, Georg! Non qui davanti a tutti…” Scherzò il chitarrista, anche per vedere la reazione del gemello, il quale lo trapassò con un’occhiata.
“Eh, già! Un po’ di ritegno!” Rincarò Gustav divertito; Bill cominciò a grattarsi nervosamente la nuca.
“Su, ragazzi!” Intervenne imbarazzata Annika, coprendosi il viso arrossato con le mani.
“Tranquilla, fanno così perché non ci sanno fare con le donne.” Le sussurrò Georg con un sorriso allegro, mentre si spostava di lato.
“Che intenzioni hai?” Gli domandò allora la ragazza.
“Voglio solo firmarti il gesso!” Rivelò lui, sollevando delicatamente la gamba ingessata di Annika e appoggiandola alla spalliera di una sedia, usata come sostegno. Lei rise.
“Forte, sì!” Lo appoggiò subito Tom. “Dopo che l’avremo firmata tutti e quattro la potrai vendere su Ebay e farci un sacco di soldi!” Aggiunse entusiasta. “Ti scrivo una dedica porca…”
“Tom!” Lo bloccò subito il fratello.
“Beh, così sborseranno di più per averlo!” Replicò il chitarrista, stringendosi nelle spalle. Bill scosse il capo.
Georg fu, ovviamente, il primo a fare l’autografo. Le scrisse che quello con lei era stato uno dei migliori incontri degli ultimi tempi e poi firmò. Quindi venne Gustav, che le fece auguri di pronta guarigione. Tom scrisse un sacco, in un punto che lei non riusciva a leggere da sola, il tutto con uno dei suoi sorrisini storti e provocanti. Infine venne Bill. Anche lui scrisse una dedica abbastanza lunga e aggiunse anche il logo della band, prima di firmare.
“Spero che ti piaccia.” Le mormorò, mentre gli altri stavano già andando a prepararsi per uscire. Annika gli sorrise e annuì.
Le aveva scritto: «Il nostro incontro è stato un incidente, ma con te ho conosciuto una persona speciale. Spero che questa amicizia duri a lungo. Ti abbraccio. Bill»

La porta si chiuse alle spalle dei tre ragazzi, dopo che ebbero salutato i due rimasti a casa. Georg e Annika si erano lasciati con un bacio a fior di labbra. Niente di speciale, ma pur sempre un bacio.
Bill si appoggiò contro il mobiletto a lato dell’entrata e guardò Annika, ferma davanti a lui. Inutile negare che quel bacio gli aveva dato fastidio, ma era sua ferma intenzione risolvere la questione.
“Che cosa facciamo, io e te, adesso?” Le chiese fissandola negl’occhi.
Ecco, si disse Annika, se lei fosse stata una comune ragazza media, nel pieno della salute e della giovinezza, avrebbe lasciato perdere ogni impedimento mentale e gli sarebbe saltata addosso, gesso o no. Perché lui era lì, bello come un sogno, seduto contro quel mobile, con le gambe allungate e incrociate davanti a se, le braccia ai lati del corpo, i capelli sulle spalle che gli coprivano quasi un lato del viso. Un sorriso dolce e invitante sulle labbra. E le aveva parlato con una voce melodiosa, sensuale e un tono non proprio innocente. Se lo avessero visto le sue fan, non ne sarebbe uscito vivo. Ma Annika non era una ragazza come le altre e quelle parole le avevano messo subito l’ansia.
“A… andiamo a dormire?” Propose quindi, un po’ titubante.
“Oh, no!” Esclamò subito Bill deluso, mettendosi in piedi con un saltello. “È presto, guardiamo un film!” Aggiunse allegramente, col suo tono da bambino.
“Beh, se vuoi…” Annuì lei, prima di chinare il capo e tornare verso il salotto.
“Ma dove vai?” Le domandò il ragazzo. “Andiamo su, ci mettiamo in camera mia…”
Annika si voltò alla velocità maggiore consentita dalle sue condizioni e lo guardò ad occhi spalancati. Bill si rese conto della reazione, del fatto che lei aveva probabilmente frainteso e si affrettò a rimediare.
“Starai più comoda lì, sul letto puoi stendere la gamba.” Spiegò, infatti, avvicinandosi alla ragazza.
“Oh…” Fece lei un po’ perplessa. “In effetti, hai ragione…”
“Certo che ce l’ho!” Replicò lui, passandole una mano sulla schiena. “Fidati, sono un bravo ragazzo…” Aggiunse poi, malizioso, strizzandole l’occhio. Annika rise e lo seguì sulle scale.
Salirono al piano superiore. Bill aiutò la ragazza come faceva quasi sempre, o almeno quando era a casa. Arrivarono davanti alle rispettive camere e lui la fermò trattenendola per un braccio, prima che entrasse nella sua stanza. Annika lo guardò interrogativa.
“Ho avuto un’idea!” Affermò Bill sorridendo da un orecchio all’altro. “Perché non facciamo un pigiama party!”
“Ma Bill…” Tentò di intervenire Annika.
“Dai, dai!” La bloccò però lui, saltellando entusiasta. “Tu lavati i denti e metti il pigiama, le schifezze e il film li porto io, ci vediamo tra qualche minuto da me!”
Annika sorrise dolcemente. “Non ce la faccio proprio a dirti di no.” Ammise infine.
“Grazie.” Soggiunse Bill, anche lui con un sorriso dolce. “Allora, ti aspetto.” Aggiunse, prima di aprire la sua porta.
La ragazza si voltò verso la propria camera, ma non fece un passo che si sentì chiamare di nuovo. Si girò verso il cantante e lo trovò stranamente serio. La faccina allegra di poco prima sfumata in una piega amara delle labbra. Lei aggrottò le sopracciglia.
“Cosa c’è?” Gli chiese piegando appena il capo di lato.
“Ti… Georg, ti piace?” Le domandò titubante, con sguardo vagamente turbato, ma di questo lei non si accorse, sorrise invece.
“Sì, mi piace molto.” Rispose quindi, annuendo. “È carino, simpatico, ha un sorriso gentile, una bella voce rassicurante e degli occhi bellissimi.”
“Ah… capisco…” Mormorò Bill abbassando gli occhi. “A tra poco.” Le disse poi, entrando in camera senza guardarla di nuovo. Lei, però, era perplessa, mentre lo guardava sparire oltre la porta.
Annika fece una smorfia ed entrò in camera sua. Lo aveva visto deluso. Doveva trovare un modo per farsi perdonare.  

Dieci minuti dopo, Annika entrò in camera di Bill, dopo aver leggermente bussato alla porta ed aver ricevuto per risposta un “Entra!” che sembrava venire da lontano.
La ragazza non era mai stata nella camera del cantante, da quando viveva lì. Le mura erano candide, così come il legno del mobilio. Entrando ci si trovava davanti il grande letto con le sponde alte, posizionato tra le due finestre. Era coperto da una trapunta nera, si sarebbe detto di velluto o roba simile; due enormi cuscini zebrati erano appoggiati contro la spalliera e davanti ad essi altri due cuscini, dello stesso materiale e colore della trapunta, ma con una passamaneria argentata. Annika lo trovò principesco, nonostante in mezzo a quei cuscini eleganti ci fosse un vecchio coniglio di pezza azzurro dall’aria vissuta.
Il resto dell’arredamento era composto da una consolle stretta, posta sotto lo schermo al plasma inserito nel muro davanti al letto, da una grandissima scrivania contro la parete di fondo, alla cui sinistra c’era una libreria e da un’enorme poltrona di pelle color antracite, completa di ottomana in tinta. Restava solo la porta del bagno, in fondo sulla destra.
Annika entrò e si guardò intorno. Alla sua sinistra c’era una cassettiera alta, sempre bianca, con sopra un vaso di rose dalle sfumature arancio, chiaramente finte seppur bellissime. A destra, invece, c’era una toilette moderna e funzionale, piena di flaconi, boccette, scatole e barattoli; era in disordine, Bill doveva averla appena usata.
Annika alzò gli occhi e vide, davanti a se, una porta aperta su un guardaroba enorme, ma affollato di vestiti come un mercato orientale lo è di gente. E, in mezzo a quel caos di abbigliamento firmato, c’era Bill a torso nudo. Le dava le spalle e si stava per infilare una maglietta grigia. La sua schiena era magra, bianchissima e piena di nei. La ragazza sorrise.
“Allora, siamo a posto?” Le domandò lui voltandosi. La ragazza fece in tempo a vedere il suo tatuaggio a forma di stella accanto all’ombelico, prima che si coprisse.
“Sì.” Annuì lei. Bill le sorrise. “Senti…” Riprese poi Annika, cercando di rimediare a ciò che era successo prima.
“Ti dispiacerebbe metterti sul lato sinistro del letto?” L’interruppe però lui. “Perché io sono abituato a stare di là e così…”
“No, no, figurati!” Rispose subito lei, dirigendosi dall’altra parte del letto.
Avvicinandosi alla sponda la ragazza ammirò la lampada di vetro arancione, accorgendosi che ce n’era una uguale anche sull’altro lato. Sul comodino, inoltre, c’era un cordless, mentre sull’altro una sveglia molto tecnologica. Sorrise e si sedette sul materasso.
“Che belle queste lampade.” Commentò poi, rivolgendosi al ragazzo. Lui le sorrise.
“Beh, sono di vetro di Murano soffiato.” Spiegò retorico poi.
“Oh…” Esclamò lei spalancando gli occhi divertita. “Senti, Bill, mi leggi cosa ha scritto Tom sul mio gesso?” Gli chiese quindi.
“M’incazzerò di sicuro, se lo leggo!” Sbottò il ragazzo, incrociando le braccia, fermo in piedi davanti al letto con un broncetto infantile.
“Dai, ti prego!” Lo supplicò Annika, sbattendo le ciglia. Non le piaceva fare la civetta, ma…
“Oh, va bene!” Acconsentì infine Bill, arrampicandosi sul letto, fino ad arrivare carponi fino a lei, quindi si lasciò cadere bocconi.
Annika piegò la gamba e tirò il pigiama fino al ginocchio, così che Bill potesse leggere agevolmente. Lei riusciva a vedere solo una parte della scritta. Tom aveva davvero una bella calligrafia, non lo avrebbe mai pensato.
“Allora?” Interrogò quindi la ragazza.
“Ok…” Fece lui riluttante. “Ha scritto: «Vorrei che questo gesso ti arrivasse all’inguine… »…” E già qui i suoi occhi si allargarono in modo pericoloso. “«…il mio posto preferito, ci scriverei vicino vicino…» No, ma dico, è un deficiente!”
“Continua!” Lo spronò Annika, ben sapendo che non era finito.
“E vabbene, se ti vuoi male…” Soggiunse lui, accomodandosi sul proprio gomito. “«Guarisci presto e bene, così ti levi dei piedi. Un bacio con la lingua. Tom.» …no, io domani gli faccio un culo come una rosa! Ma ti rendi conto di…”
Ma Annika rideva deliziata. “Tuo fratello è troppo forte!” Esclamò allegra, stupendolo.
“Ma che cosa ci trovi di tanto divertente?!” Replicò Bill quasi offeso, mettendosi seduto in uno sventolio di capelli.
“È un’adorabile carogna!” Sentenziò la ragazza con una risatina liquida e coinvolgente; il cantante non poté resistere molto, infatti, prima di allungare le labbra in uno dei suoi sorrisi all’ingiù.
“È fortunato che lo amo alla follia, altrimenti non lo salvavi nemmeno tu!” Dichiarò infine. “Vediamo questo film, allora?” Propose poi, alzandosi da letto e aprendo il mobile che conteneva il lettore dvd. Annika annuì.

I due ragazzi si misero a guardare il film. Era carino e divertente. Erano entrambi appoggiati ai grandi cuscini, con le gambe allungante davanti a se, illuminati dai riflessi dello schermo.
Annika, ogni tanto, osservava Bill con la coda dell’occhio. Sembrava un bambino con quel lecca lecca in bocca ed il sorriso allegro, nonostante le dimensioni dei suoi piedi, fasciati da un paio di calzettoni arancio, rivelassero che non aveva esattamente quattro anni.
Il ragazzo, all’improvviso, si alzò dal letto con un balzo e scomparve nel guardaroba. Annika sgranò gli occhi sorpresa, seguendolo con lo sguardo. Bill ritornò quasi subito, aveva in mano una coperta; le sorrise, risalì accanto a lei e coprì entrambi. Lei lo guardò smarrita.
“Non avevi freddo, tu?” Le chiese candidamente.
“Sì…” Annika annuì con timidezza, quindi abbassò subito il capo sulle proprie mani.
Bill, però, si accorse che c’era qualcosa che non andava, la guardò curioso. “Mi sembri imbarazzata, che cosa c’è?” Le domandò con delicatezza e un sorriso gentile.
“Ecco…” Mormorò lei, spostando gli occhi sui quadretti della coperta. “…diciamo che non mi è capitato molto spesso di stare in un letto con un ragazzo, per un qualsiasi motivo…” Confessò infine.
“Ah, capisco…” Commentò Bill, accomodandosi seduto accanto a lei. “Non hai mai avuto un ragazzo?” Le domandò poi, delicatamente.
“Sì, sì, beh…” Rispose sbrigativa Annika. “Però non siamo mai arrivati ad un grado di intimità tale da doverci trovare nello stesso letto…”
“Capisco… ma nemmeno noi siamo in intimità! Nessuna intimità, direi!” Affermò il cantante sorridendo. “E stiamo solo guardando la tv!”
“Certo!” Sorrise lei di rimando. “È imbarazzante lo stesso…”
“Oh, tu non hai idea di come siano le situazioni veramente imbarazzanti!” Esclamò Bill, buttandosi sui cuscini. “Ho visto cose che voi umani…” Annika rise.
Trascorse qualche minuto di silenzio, in cui la ragazza riprese a guardare il film, cercando di non pensare a Bill che si muoveva accanto a lei. Il ragazzo, invece, l’osservava. Il film se l’era completamente dimenticato, adesso era curioso di altre cose.
“Senti, ma…” Esordì infine, vinto dalla propria curiosità; Annika si girò verso di lui. “…tu e quel ragazzo, poi, vi siete lasciati?”
“Sì.” Rispose semplicemente la ragazza.
“Perché?” S’informò lui. “Se posso chiedertelo.” Si sbrigò ad aggiungere.
“Beh…” Fece lei, tornando con lo sguardo basso, come faceva sempre, quando si sentiva in imbarazzo. “La mia vita era troppo complicata, per avere anche una storia d’amore.” Confessò quindi.
Bill si drizzò seduto e la guardò stupito. “Io sono convinto che la vita di qualcuno non può mai essere così complicata da rinunciare all’amore.”
Annika sorrise dolcemente. “Tu sei troppo romantico, Bill.” Affermò quindi.
“Eh, può darsi…” Soggiunse lui, buttandosi su un fianco accanto alla ragazza.
Era più vicino di prima. Sì, decisamente più vicino, visto che Annika avvertiva chiaramente il calore del suo corpo. Le si accese immediatamente la lucetta rossa ed il suo corpo divenne rigido. Bill, a volte, la maggior parte delle volte, sembrava non rendersi conto di quanto fosse conturbante la sua presenza. Non lo faceva apposta, era una cosa naturale insita in lui, chiaramente, però quel suo atteggiamento un po’ infantile e malizioso insieme, provocava reazioni nella gente. In lei.
“Lo hanno detto anche alcune delle mie ragazze. «Tu hai una visione troppo romantica dell’amore, Bill».” Citò il ragazzo, continuando il discorso di prima. “Può darsi che qualche volta io sia stato anche scaricato per questo…” Ipotizzò poi, con aria pensosa e un dito sul mento.
Annika fece una risatina leggera. “Essere romantici non è un motivo per essere mollati, semmai il contrario!” Dichiarò poi. Bill si strinse nelle spalle poco convinto. “Ne hai avute molte, di ragazze, dico.” Gli chiese quindi lei.
“Mah, qualcuna…” Rispose vago il cantante. “Non so se devo contare quelle con cui sono stato seriamente o anche quelle con cui sono andato solo a letto…”
“Lascia perdere, non voglio saperlo più!” Esclamò Annika scuotendo la testa. Lui rise.
“Dai! Non sono poi così tante!” Replicò quindi, dandole una piccola spinta. “Di certo meno di quelle di Tom, ma abbiamo cominciato presto tutti e due…” Aggiunse con un sorriso malandrino.
“Ci credo!” Fece lei. “Con quel sorriso non ti avranno lasciato in pace nemmeno alle elementari!”
Bill abbassò gli occhi e la sua espressione di fece malinconica. “Non ero così popolare a scuola.” Affermò con un filo di voce; lei lo osservò incuriosita, ma presto Bill tornò a sorriderle come prima, cancellando la nube passeggera. “Ti posso chiedere una cosa?” Le disse.
“Certo.” Annuì Annika. “Ormai che siamo qui.”
“Hai sofferto, quando tu e il tuo ragazzo vi siete lasciati?” Domandò allora lui, con delicatezza.
Annika chinò il capo. “Sì, molto.” Ammise, forse per la prima volta. “Ma perché me lo chiedi?”
“Vedi, io, l’anno scorso ho avuto una storia abbastanza importante, ero veramente innamorato e anche lei sembrava coinvolta, ma poi, all’improvviso… mi ha lasciato…” Raccontò con tono mesto. “Sono stato molto, molto male, ho scritto anche una canzone e Tom mi ha detto che è patetica… poi, l’inverno scorso ho anche avuto dei problemi alla schiena ed ho dovuto prendere delle medicine che mi hanno fatto gonfiare la faccia come un pallone.” Si toccò il viso, ora fine e ben disegnato. “Ci sono voluti mesi per tornare normale e non mi ha aiutato a superare l’altra cosa.”
“Mi dispiace davvero tanto, Bill.” Gli disse Annika con partecipazione, toccandogli una mano. Era calda, specie quando le sue dita si strinsero su quelle di lei.
“Non importa, è passato un sacco di tempo.” Ribatté tranquillo lui, con un breve sorriso. “Ho avuto anche un’altra storia, dopo, ma niente d’importante.”
“Te lo ha detto poi, perché è finita?” Chiese la ragazza con circospezione.
“Sì.” Rispose Bill, dopo un’alzata di sopracciglia. “Disse che si sentiva trascurata.” Aggiunse. “Ma io ero nel bel mezzo di un tour europeo, con anche la promozione del disco in Italia, ero talmente preso dal mio lavoro che…”
“Non ha capito niente, quella, te lo dico io.” L’interruppe Annika risoluta; lui la guardò con espressione interrogativa. “Una ragazza che sta con uno come te dovrebbe essere contenta anche solo di fare la Penelope e aspettarti a casa, godendo del tuo ritorno, anche se si ritrova con un po’ di corna.” Sentenziò poi, ferma e tranquilla.
Bill spalancò gli occhi incredulo, prima di scoppiare a ridere. “Tu ti prenderesti le corna?!”
“Ma nemmeno per sogno! Però, se una non lo sa…” Precisò la ragazza con un sorriso furbo.
“Tu mi sorprendi, Annika!” Esclamò Bill, stupito e divertito. “Ma per tua informazione…” Aggiunse, avvicinandosi al suo orecchio con una delle sue espressioni liquide e seducenti. “…non ho mai tradito una ragazza con cui stavo fisso…”
“Bill, posso dirti una cosa?” Si guardavano negl’occhi da molto vicino e lui annuì. “Prima mi hai chiesto se mi piaceva Georg.”
“E tu hai detto di sì.” Soggiunse il ragazzo, spostando lo sguardo, fattosi improvvisamente serio, sulle proprie mani illuminate dal riflesso dello schermo.
“È vero, ma…” Replicò Annika, costringendolo a rialzare il capo. “Mi piaci tanto anche tu.” Confessò poi la ragazza e, stavolta, fu lei ad abbassare gli occhi. Bill sorrise. “Sei bello, simpatico da morire, hai un sorriso meraviglioso, canti come un angelo e hai degli occhi stupendi…”
“Anche se non sono verdi?” Fece lui con aria ingenua.
“Anche se non sono verdi.” Rispose Annika.
“Sai, adoro i complimenti.” Affermò Bill con un sorriso sbieco identico a quelli di Tom.
“Ehhh, chissà perché l’immaginavo…” Ribatté lei. Si guardarono un attimo negli occhi e poi scoppiarono a ridere.
Risero e scherzarono per qualche altro minuto, dimenticandosi completamente del film. Parlarono di se stessi, dei loro sogni, delle speranze, della musica, anche solo di cavolate, finché l’ora tarda e il sonno non li vinsero. Si addormentarono con lo schermo ancora acceso.  

Annika si svegliò all’improvviso; spalancò gli occhi come se avesse sentito un rumore, ma non era veramente sicura di averlo sentito. Lo schermo della tv era ancora acceso, tornato sul menù principale del dvd. Prese il telecomando, abbandonato sulla coperta e lo spense.
La ragazza girò lentamente il capo e guardò Bill. Lui dormiva beato, su un fianco, con le mani vicino al viso, sembrava un bambino. Annika sorrise, quindi decise di tornarsene in camera sua. Prima, però, si chinò verso il ragazzo, gli scostò i capelli dal viso e gli disse:
“Grazie di tutto, Bill, buonanotte.” Quindi gli depositò un bacio leggerissimo sulla guancia; lui si mosse appena, ma non si svegliò.
Annika scese dal letto, prese le sue stampelle e lasciò la camera cercando di fare il minor rumore possibile. La porta, fortunatamente, era solo socchiusa, quindi poté uscire in silenzio.
Arrivata in corridoio, la ragazza si chiuse delicatamente la porta della camera di Bill alle spalle, quindi si mosse per entrare nella sua, ma ci furono altri rumori che la fermarono. Venivano dal fondo del corridoio, anzi, più precisamente dalla stanza di Tom. Forse, quando si era svegliata, aveva veramente sentito qualcosa. Istintivamente aguzzò le orecchie. Un tonfo sordo, poi una specie di gemito soffocato, seguito da parole indecifrabili e sospiri.
Annika non aveva tanta esperienza in faccende sessuali, ma non era una sprovveduta e aveva visto abbastanza della vita da sapere che in quella camera non stavano facendo ginnastica…
Il suo viso avvampò all’istante. L’imbarazzava l’idea che qualcuno potesse decidere di fare sesso senza pensare di poter essere sentito. In verità, non aveva idea di come si decidesse di fare sesso. Non era mai stata tanto attratta fisicamente da un ragazzo da decidere, coscientemente, di fare l’amore. Finora. Ma forse non è che lo si dovesse decidere col cervello, insomma, chissà com’era che succedeva… L’unica volta che ci era andata abbastanza vicino… beh, non voleva ricordarsela.
La ragazza, espressione mesta, aprì la porta ed entrò in camera sua. Era molto meglio andare a dormire e dimenticare ogni cosa. Ogni cosa…

Era una mattina di sole e questo metteva allegria, visto che ormai si era a metà novembre e capitava sempre più di rado l’avere belle giornate.
Annika si era svegliata serena; dopo essersi fatta una doccia e legata i capelli in una treccia, uscì dalla sua stanza intenzionata a scendere per fare colazione. Sapeva che i gemelli erano già usciti, perché Frau Hildegard glielo aveva comunicato prima di uscire per fare la spesa.
La ragazza s’incamminò per il corridoio in direzione delle scale; quando passò davanti alla porta di Tom, stranamente aperta, la bloccò un rumore, qualcosa che cadeva, in lontananza, ma chiaramente all’interno della stanza. Incuriosita si affacciò alla porta. Non avrebbe dovuto esserci nessuno, ma l’imprecazione sommessa che le arrivò, dimostrò che non era così.
Annika si avvicinò lentamente alla porta del bagno, che era aperta. Davanti allo specchio c’era una ragazza, la testa china, i lunghi capelli biondi a coprirle la faccia, le mani sul bordo del lavandino. Singhiozzava. Poi, all’improvviso, prese qualcosa dal piano e lo gettò via con rabbia.
“Stai bene?” Le domandò preoccupata Annika.
La ragazza sobbalzò, quindi si girò di scatto, asciugandosi le lacrime col dorso della mano. Era bella: minuta, formosa, capelli foltissimi biondo scuro con meches, molto scalati. Aveva grandi occhi scuri. Indossava una canottiera con la bandiera inglese e un paio di culotte nere.
“E tu chi cazzo sei?!” Sbottò stizzita. “Cosa vuoi?!”
“Scusa.” Fece subito Annika, aggrottando la fronte. “Ho sentito dei rumori…”
“Levati dalle palle!” Le ordinò la ragazza, indicandole l’uscita.
Annika s’incupì, non vedeva la ragione per cui quella tipa doveva essere così indisponente e maleducata, lei voleva solo aiutarla!
“Vado via subito, ma…” Tentò quindi. “…tu stai bene? Stavi piangendo…”
“Mi è morto il gatto! E comunque non sono cazzi tuoi! Te ne vai o no?!” Replicò l’altra gridando, poi riscoppiò a piangere, voltandosi verso il lavandino. Annika sbuffò arresa, girò i tacchi e se ne andò, lasciandola bollire nel suo brodo.

Era passata una mezz’ora da quando Annika aveva sorpreso quella ragazza nel bagno di Tom; ora stava scegliendo un cd da mettere nel tecnologico stereo, occultato in un mobile dell’ingresso. Si accorse quasi subito di qualcuno che scendeva le scale. Era la ragazza di prima. Si guardarono, mentre arrivava in fondo e si fermava davanti a lei.
La ragazza adesso era vestita, anche se Annika trovava le sue scelte di dubbio gusto. Indossava una felpetta bianca con rifiniture in verde fluo, una minigonna di jeans che definire corta era un eufemismo, calze francesi verdi con spirali bianche e una paio di stivali di pelle lucida bianca con tacchi a spillo. I capelli se li era raccolti sul capo un po’ a caso e teneva un paio di occhiali da sole, con lenti chiare, sopra la fronte.
“Ciao…” Mormorò timidamente la ragazza, salutando Annika con la mano.
“Ciao.” Rispose lei, guardandola con espressione compunta, inutile negare che si sentiva un po’ offesa dal suo comportamento di prima.
“Scusami per poco fa.” Riprese l’altra, arricciandosi una ciocca di capelli tra le dita. “Ero un po’ arrabbiata, Tom non mi ha salutata e…”
“Non preoccuparti.” Replicò Annika, ancora un po’ fredda. “Capita a tutti di essere un po’ nervosi.”
“Sì… però… ti ho trattata male senza motivo.” Fece l’altra, abbassando il capo con aria pentita.
Annika comprese che era sincera e sorrise. “Dai, non fa niente.” Le disse gentile; lei alzò gli occhi e sorrise a sua volta, un po’ sorpresa. “Io sono Annika.”
“Claudia, piacere.” Rispose l’altra, porgendole la mano. Annika la strinse. “Sei la ragazza di Bill?” Chiese quindi alla ragazza con le stampelle.
Annika spalancò gli occhi, quindi negò col capo. “No, ma che dici!” Esclamò poi. “No, non lo sono!” Aggiunse sorridendo preoccupata.
“Ah…” Commentò Claudia. “E allora che ci fai qui?”
“Ecco…” Tentennò Annika. “…mi ospitano finché non tolgo il gesso.” Spiegò quindi.
“Non mi sembra tanto da loro.” Rifletté l’altra, incrociando le braccia. “Com’è che gli è preso questo attacco di filantropia?”
“Penso dipenda dal fatto che Bill mi ha investita con la macchina…” Ipotizzò l’interlocutrice, alzando le sopracciglia.
“Oh, adesso mi torna!” Sbottò a ragazza, aggiustandosi gli occhiali sul capo.
Annika sorrise. Nonostante il primo impatto un po’ negativo, adesso quella ragazza cominciava a piacerle. Aveva un’aria sbarazzina e simpatica.
“Senti, Claudia, ti va di fare colazione con me?” Le propose infatti.
“Dici che posso?” S’informò l’altra ragazza guardandosi intorno circospetta.
“Non vedo perché no, sono da sola, Frau Hildegard è andata a fare la spesa.” Ribatté Annika, stringendosi nelle spalle.
“Frau Hildegard?!”
“Sì, la governante.” Spiegò tranquilla Annika, incamminandosi verso la cucina, seguita dall’ospite.
“Ah…” Commentò Claudia perplessa.
Qualche minuto dopo le due ragazze erano in piedi vicino alla penisola e aspettavano che il caffè fosse pronto. Claudia mangiucchiava un biscotto, mentre Annika metteva delle fette nel tostapane.
“Così, tu sei la ragazza di Tom.” Affermò ad un certo punto la ragazza con le stampelle, sistemando le fette nelle grigliette apposite.
“Eh?!” Replicò Claudia stupita. “Oh, no, non lo sono. Diciamo che la nostra è un’affettuosa conoscenza.” Aggiunse ridendo.
“Ah, capisco…” Fece Annika. “Però hai passato la notte qui, presumo che tu e Tom non abbiate giocato a carte…” Ipotizzò poi, ricordando i rumori uditi la notte prima.
“Nooo.” Rispose subito l’altra. “Abbiamo scopato alla grande, Tom è un dio a letto, però questo non vuol dire che stiamo insieme.” Spiegò tranquilla, mentre Annika spalancava gli occhi. “Tu e Bill scopate?” Gli chiese poi con noncuranza, versandosi un po’ di succo d’arancia.
“Che cosa?!” Reagì incredula Annika, voltandosi verso di lei anche col corpo, quindi ridacchiò istericamente. “Ma assolutamente no!” Negò con violenza.
“Sicura?” Fece Claudia sospettosa, prima di prendere un sorso dal bicchiere.
“Ti garantisco che se facessi qualcosa del genere con lui me ne ricorderei!” Rispose allibita la ragazza più alta, vagamente indignata.
“Oh, te ne ricorderesti di sicuro! Col manico che si ritrova!” Esclamò divertita l’altra, alzando le sopracciglia.
“Claudia!” Sbottò Annika con un sorrisetto scandalizzato. Era imbarazzata da quei discorsi, ma la sfacciataggine di Claudia in fondo la divertiva. Un sospetto, poi, la prese e si fece più seria. “Tu hai… avuto modo di verificare di persona?” Le domandò distrattamente.
“No.” Rispose tranquilla lei, scuotendo i capelli biondi. “Ma conosco bene quello di Tom e loro sono gemelli, sai com’è, sono uguali fisicamente, quindi penso che… capito? E posso dire che Tom ha un elefantino nelle mutande…” Spiegò, concludendo con un sorrisetto ammiccante.
Annika si sentì sollevata dalla notizia che quella ragazza non era stata anche con Bill, anche se non capiva il motivo. Un’ipotesi di gelosia? Chissà. Abbassò gli occhi e si versò un po’ di succo, mentre il tostapane sputava le fette ben cotte.
“Ma che ti sei imbarazzata?” Le chiese Claudia, prendendo una fetta e guardandola da sotto in su.
“Beh, non sono abituata a fare certi discorsi così apertamente…” Rispose titubante Annika.
“Dai! Se parli così sembri una verginel… Annika, ma tu sei vergine?” Fece la ragazza più bassa, spalancando gli occhi alla luce di quella rivelazione.
“Perché? Che c’è di male? Mica è una malattia.” Reagì la ragazza, sentendosi offesa dal tono dell’interlocutrice.
“No, no, per carità!” Replicò Claudia alzando le mani per negare, poi non si trattenne e rise piano, coprendosi la bocca con una mano.
“Che fai? Sfotti?” Sbottò Annika aggrottando la fronte.
“No, scusa! Non è per quello!” Rispose l’altra, smettendo di ridere. “È solo che… beh, questa non è la casa giusta per una vergine!” Spiegò, ancora ridacchiando; Annika la fissò con espressione interrogativa. “Sai quello che si dice di Tom, no? E ti confermo che si da parecchio da fare con le ragazze, ma, allo stesso tempo, non posso proprio dire che Bill sia un santo…”  
“Capisco…” Commentò allora Annika, annuendo. “Ma, tranquilla, non l’ho mai pensato.”
“Meglio così.” Affermò Claudia facendo spallucce. “Com’è che non l’hai mai fatto?” Le chiese poi.
Annika si strinse nelle spalle, mentre spalmava un po’ di marmellata sul suo pane. Non se lo era mai chiesto, non le era mai sembrata una cosa importante. Aveva solo diciassette anni. C’era tempo. Almeno questo era quello che aveva sempre pensato.
“In realtà non lo so.” Confessò infine con sincerità. “Credo di non essere mai stata abbastanza coinvolta con un ragazzo da decidere di farci l’amore.”
“Io la prima volta l’ho fatto a quindici anni e non ero proprio innamorata del mio ragazzo di allora.” Raccontò Claudia, con suo solito tono disincantato. “Però, il mio sogno è sempre stato quello di conoscere Tom e non volevo arrivarci troppo inesperta…”
Annika si girò verso di lei, con gli occhi spalancati dallo stupore. “No…” Mormorò poi. “…io non sarei mai capace di fare una cosa del genere, senza amore, con uno scopo che non sia condividere qualcosa di speciale…”
“Quanto sei romantica, bimba.” Commentò Claudia scotendo il capo. “Vai proprio bene per Bill. Dammi retta, se gli stai abbastanza addosso, vedrai che alla fine una bella ripassata te la da!”
La ragazza con le stampelle avrebbe voluto indignarsi, offendersi, ma il modo di fare rilassato e ironico di Claudia le faceva venire da ridere. E così fece, provocando la stessa reazione nell’altra ragazza. Era tanto che non si trovava così bene con un’amica. Un’amica, sì.
Le due ragazze finirono di mangiare, continuando a chiacchierare. Claudia raccontò di come aveva conosciuto i Tokio Hotel, di come poi li aveva incontrati di persona, della sua amica Sandra, che a quanto pare usciva con Georg. Annika stette, come sempre, più sulle sue. Le riportò i particolari del suo incidente e di quello che era successo con Bill, di come era arrivata lì. Parlarono un po’ di tutto, ridendo per la maggior parte del tempo, e quando, finalmente, riuscirono a salutarsi, si accorsero che era passato mezzogiorno, avevano parlato per quasi tre ore. Promisero di rivedersi il prima possibile.  

Quella sera gli abitanti di casa Kaulitz cenarono insieme. Non succedeva spesso. Molte volte Bill chiamava Annika per dirle che non sarebbero tornati, impegnati in cene o serate, altre i due fratelli mangiavano un boccone al volo e uscivano di nuovo, sempre a causa del lavoro. La maggior parte delle volte tornavano semplicemente tardi e Annika cenava da sola, mentre erano ancora fuori.
Frau Hildegard, però, quel giorno aveva cucinato lo sformato di patate e niente avrebbe potuto tenere Bill lontano da quella teglia; quindi, adesso, erano seduti tutti e tre intorno alla tavola.
“Questo hamburger è strano…” Fece Tom, mentre tocchicchiava con la forchetta il contenuto del suo piatto.
“È di soia.” Gli disse Bill, infilando in bocca una forchettata di sformato.
“Cosa?!” Esclamò Tom, ributtando il pezzo appena preso nel piatto. “Io mi spacco il culo tutto il giorno e tu mi fai anche mangiare gli hamburger di soia?!”
“Ma Tomi, sono proteine vegetali, molto più sane di quelle animali e non ti fanno venire le bolle.” Spiegò l’altro bello tranquillo, continuando poi a mangiare.
“Forse io le voglio, le bolle.” Dichiarò brusco Tom.
“Non dire sciocchezze!” Sbottò divertito Bill, sventolando una mano. “Nessuno le vuole!”
Annika ridacchiò. Quando quei due ci si mettevano erano proprio divertenti. I loro battibecchi potevano raggiungere vette surreali. Nei giorni che aveva vissuto lì, li aveva visti litigare sul serio solo una volta e sperava con tutto il cuore che non succedesse più. I litigi erano sempre brutti, ma in quelli dei gemelli c’era qualcosa di straziante che non le piaceva proprio, era come vedere qualcuno che litiga con se stesso. Per fortuna le loro ire erano veloci come le riappacificazioni.
“Cosa hai fatto oggi, Annika?” Chiese Bill alla ragazza, non appena lo scambio di battute col fratello fu terminato.
“Mah, le solite cose.” Rispose lei. “Ho letto riviste di gossip che parlano di voi, ho guardato istruttivi talk show e mangiucchiato schifezze.”
“Ah, praticamente quello che fa Bill in vacanza…” Commentò distrattamente Tom. “…dopo che ha dormito per le prime trentasei ore…”
“Anche tu dormi un casino in vacanza!” Reagì subito il gemello.
“Ragazzi, su.” Li fermò Annika. “Ah, mi dimenticavo…” Aggiunse poi, cercando gli occhi di Tom, che trovò perplessi. “Ho conosciuto Claudia, stamattina.”
“Claudia?” Fece lui, aggrottando le sopracciglia. “E che ci faceva ancora qui?”
“Beh, questo non lo so.” Rispose la ragazza, sotto lo sguardo incuriosito di Bill. “Però stava piangendo, credo che si sia offesa perché non l’hai salutata.” Aggiunse, continuando a guardare Tom, il quale si era fatto sospettoso.
“Perché avrei dovuto, stava dormendo…” Disse con aria disinteressata.
“Credo che avresti dovuto verificare, prima di andartene come un ladro.” Soggiunse Annika, continuando imperterrita a fissarlo.
“Mi stai forse dicendo cosa devo fare?” Ipotizzò Tom minaccioso, sporgendosi verso di lei; Annika fece per rispondere, ma Bill la bloccò con la mano.
“Non ti sta dicendo niente, Tomi.” Intervenne poi. Il fratello sbuffò e si appoggiò contro la spalliera.
“Ad ogni modo, sono a casa mia e faccio quello che mi pare.” Affermò poi il chitarrista.
“Certo.” Annuì Annika accondiscendente. “Ma questo non dovrebbe includere l’ignorare qualcuno con cui si è passata la notte.” Aggiunse però, severa.
Tom le scoccò un’occhiata che avrebbe segato in quattro una quercia secolare e Bill pensò che ora si sarebbe alzato, l’avrebbe presa di peso e scaraventata giù dal balcone. Si preparò a mettersi in mezzo, anche se questo significava prendersi una saccata di legnate da suo fratello.
“Intendiamoci bene, bella, non ho nessun dovere verso di lei.” Affermò glaciale il chitarrista, fissandola torvo. “È soltanto una groupie e quello che voleva da me lo ha avuto in abbondanza.”
“Soltanto una groupie?” Sottolineò Annika con un’alzata di sopracciglia. “Parli come se essere una groupie non volesse dire essere anche una persona, con dei sentimenti, delle emozioni, una dignità.” Dichiarò quindi, senza cedere davanti allo sguardo feroce di Tom.
Il ragazzo scansò lentamente la sedia dal tavolo e si alzò, senza smettere di guardarla con occhi furenti. Bill si spostò d’istinto, mettendosi più vicino ad Annika, ma la reazione violenta non si verificò. Tom strinse il bordo della tavola fino a farsi sbiancare le nocche.
“Le paternali non mi piacciono dalle persone cui voglio bene, ma da un’estranea proprio non le accetto.” Proclamò quindi il ragazzo. “Se vuoi stare in pace in questa casa, tieni la bocca chiusa, ti conviene.” Sibilò poi, prima di allontanarsi.
“Tom…” Cercò di fermarlo Bill, ma lui era già fuori dalla cucina. Il cantante, allora, guardò la ragazza con espressione seria.
“Non sono pentita di avergli risposto.” Dichiarò risoluta lei.
“Bisogna avere le palle, per mettersi contro Tom su certi argomenti.” Commentò Bill quasi incredulo. “Mi hai stupito.”
“Non mi piace che si calpestino le persone.” Mormorò Annika, abbassando il capo sulle proprie mani. Bill sorrise, si alzò, le diede un buffetto sulla guancia e si allontanò, per mettere il piatto nel lavello.
La ragazza lo seguì con gli occhi, le sembrava un po’ strano, ma non sapeva se si era offeso perché lei aveva discusso con Tom, o perché suo fratello si era comportato in quel modo.
“Tu che ne pensi?” Gli chiese allora, facendosi coraggio; la domanda era abbastanza vaga da includere tutte le possibilità.
Bill fece un lungo sospiro, poi si girò verso di lei, appoggiandosi coi fianchi al mobile della cucina.
“Non amo molto le groupie, non mi piace quello che fanno e il modo in cui lo fanno.” Esordì il ragazzo, ad occhi bassi; fece una pausa e prese un’altro respiro. “Queste ragazze vivono la loro vita in funzione di noi, ci considerano delle specie di divinità scese dall’Olimpo per portare la verità e l’amore e sono pronte a qualsiasi cosa.” Si fermò vicino ai fornelli, prese una sigaretta dal pacchetto abbandonato sul piano e se l’accese; c’era qualcosa di teatrale ed enfatico nei suoi gesti, ma Annika non riusciva a distogliere gli occhi, Bill era sempre magnetico.
“A volte mi chiedo se ci meritiamo tutto questo amore, perché è di amore che si parla. Noi siamo solo dei ragazzi… abbiamo difetti umani, facciamo cose stupide e meschine, come scoparci le ragazze e buttarle fuori dalle camere d’albergo ancora prima di sapere i loro nomi…” Bill parlava lentamente, prendendo lunghe boccate di fumo, guardando oltre lei, nel vuoto. “Ci sono momenti in cui non mi sento affatto speciale…” Ammise infine, chinando il capo.
Annika pensò che il solo fatto di fare quel tipo di riflessioni rendesse Bill più speciale della media, ma non disse nulla a proposito, lui le sembrava troppo turbato per essere contraddetto. Volle ad ogni modo intervenire.
“Hai detto delle belle cose.” Affermò, infatti, la ragazza, guardandolo con intensità.
Lui sorrise lieve, si avvicinò e le carezzò distrattamente i capelli. “Non ti abituare a vedermi così profondo.” Le disse poi, sempre con un sorriso vago. “Domani sarò di nuovo il vecchio frivolo Bill.”
“Io non penso che tu lo sia.” Dichiarò Annika, alzando gli occhi nei suoi.
Il sorriso di Bill si fece più sincero. “Tom esce di nuovo, ma io non ho voglia, sono stanco.” Annunciò poi, cambiando discorso. “Guardiamo un film, io e te?” Le chiese quindi; la ragazza annuì.
Bill, dopo averle stretto dolcemente una spalla, uscì dalla cucina in silenzio. Annika sospirò. Aveva pensato di essere la persona più complicata in quella casa, ma da quella sera doveva ricredersi.

CONTINUA

Disclaimer: il noto sito di vendite on line citato nel capitolo (Ebay) è ovviamente usato senza scopo di lucro.

Ringraziamenti:
RubyChubb: inutile dire che la tua recensione mi ha fatto morire dal ridere. Ora voglio vedere cosa mi dici del tuo Giorgino! Mi fa piacere che apprezzi la caratterizzazione dei personaggi, perché detto da te che sei così brava a fare altrettanto vale di più!
Picchia: tutti i capitoli di fila!? Meno male che non c’era questo lunghissimo! Eheheh! Eh, può darsi che nessuno abbia mai scritto una scena del genere, ma se ti capita di leggere altre mie ff scoprirai che non è la prima volta che io lo faccio (anche se in altri fandom). Grazie per i complimenti, spero di essere stata leggera e naturale anche in questo lungo capitolo! Ah, tranquilla, non farò mai l’architetto, è solo un hobby fare le piantine e l’abbondanza di corridoi è dovuta al programmino che uso, troppo lunga da spiegare… ad ogni modo, don’t worry!
Gufo: vedo che la caratterizzazione dei personaggi ti è piaciuta, bene! Credo che Bill sarà così, un po’ contraddittorio, per tutta la ff. Che ne dici di com’è in questo chap? Tom è Tom, che Dio lo benedica… o lo fulmini! (come dice mia mamma!)
Loryherm: grazie dei complimenti! È la cosa che più mi fa contenta il fatto che i personaggi vengano apprezzati! Quanto ai tuoi dubbi, non ti dico nulla, però come hai letto in questo chap Tom ha i suoi giri, che gli daranno un po’ da fare… Spero che il seguito non ti deluda, sei quella che mi scrive le recensioni più lunghe! Non hai idea di quanto mi faccia piacere sapere che dallo schermo, le mie parole, si tramutino in immagini per chi legge; infatti, quando scrivo, io sono molto “cinematografica” nell’immaginare le scene. Se questo passa, non posso che essere soddisfatta.
Ninnola: ah, non ti aspettavi che andasse a casa loro? Beh, come vedi ci è andata e ci anche piuttosto bene! Eheheh! No, decisamente Bill non è un santo, non lo penso, ne l’ho mai pensato!
Crimy: grazie, grazie, troppo buona. Eccerto che Bill e Tom hanno taaaante cose in comune! Annika è tenera e ingenua, ma sa farsi rispettare, come hai appena letto! Attendo altri commenti!
Kit2007: ehhh, è vero, la cosa di Bill può un po’ lasciare interdetti, ma sono cose naturali alla fine… Adoro descrivere il carattere di Tom, adoro farlo da schiaffi, ma Tom è così, amaro di fuori, ma se scavi un po’ trovi una gran dolcezza, ne sono convinta. Dici che gliela ha fatta pagare Annika? Secondo me sì…
Whity: no, dai, non ti preoccupare! L’importante è che poi ti sei fatta sentire! Impagabile dici? Lo spero! Annika è un personaggio che amo e che mi somiglia più delle media dei miei personaggi originali, spero che la sua storia, alla fine, ti piacerà! Su Tom mi ripeto, ma adoro caratterizzarlo, specie nelle sue contraddizioni.
Princess: è un onore per me essere nei tuoi preferiti! E sono contentissima del tuo apprezzamento, non vedo l’ora di sapere cosa pensi di questo capitolo!
Dark_irina: eheheh! Sembra che tutti abbiano apprezzato i passatempi di Bill! Aspetto il tuo parere anche su questo chap, visto che si comincia ad entrare nel vivo!

Un sentito ringraziamento anche a Pito_chan, che ha scritto delle bellissime recensioni sulle mie ff dei Tokio Hotel e che so segue questa storia. Grazie per essere stata sincera e così buona!

Un bacione enorme a Sarakey, solo per esserci e per essere quello che è: una bella persona. Ti voglio bene, ma passami un po’ del magico potere della tua scritta!

A tutti quelli che leggono soltanto: grazie.

Alla prossima!
Sara

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Capitolo 6
*** 6 - Non una ragazza da party ***


autumn song 6 Prima di tutto, scusatemi per il mostruoso ritardo. Potrei giustificarmi in mille modi, ma non lo farò perché tanto non ci credete, quindi dico solo che sono lenta. Abbiate pazienza.
Poi. Credo che, oltre al raffreddore, alla tosse e al mal di testa, mi sono beccata anche la prolissite, perché pure sto capitolo è lungo. Ehhh, via, c’ho un sacco di cose da dire in sta storia!
Vabbene, ora la finisco e vi lascio leggere!
Note e ringraziamenti alla fine!
Baci
Sara

6. Non una ragazza da party

Annika e Claudia si rividero come promesso. Accadde quasi ogni pomeriggio. I ragazzi in quelle ore erano sempre fuori e quindi la nuova amica si presentava senza farsi troppi problemi.
Passavano il tempo a parlare di ogni cosa. Superata l’iniziale fissa di Claudia per le faccende sessual-sentimentali, avevano scoperto di avere molte cose in comune. Entrambe amavano il cinema e pensavano che Orlando Bloom fosse l’uomo più bello del mondo. Tutte e due adoravano le canzoni emo drammatiche alla “Goodbye my lover” di James Blunt. E tutte e due concordavano che non c’era paragone tra le M&M’s normali e quelle con la nocciolina, le gialle stravincevano su tutta la linea!
Claudia obbligò Annika a sentirsi tutta la discografia dei Tokio Hotel. La ragazza, inizialmente, era un pochino riluttante, ma ben presto scoprì che quella musica le piaceva. Iniziò ad apprezzare le doti dei tre musicisti, che doveva ammettere erano veramente talentuosi; quanto alla voce di Bill, beh, ne rimase totalmente conquistata, accorgendosi di come, col passare del tempo, si fosse fatta più bella, struggente ed emozionante.
L’argomento preferito di Claudia era però uno solo: Tom Kaulitz.
Annika aveva capito fin dall’inizio che l’interesse di Claudia nei confronti del chitarrista era più profondo di quanto la ragazza volesse far credere. Fu chiaro ben presto che, in realtà, ne era follemente innamorata e che il comportamento di Tom nei suoi confronti la facesse soffrire. Annika cercava di darle dei timidi consigli, dal basso della sua posizione di inesperta in storie d’amore e, dopo circa quattro giorni di discussioni, Claudia era giunta da sola alla conclusione che in amore vince chi fugge. Il problema era applicare questa regola.

Venne il giorno del controllo alla gamba, per Annika. La ragazza si fece accompagnare proprio da Claudia. Fu una mattina tranquilla e divertente.
Le due ragazze, ora, erano sulla macchina di Claudia e stavano tornando a casa. I discorsi, come sempre, finirono sui soliti argomenti.
“Ieri sera mi ha chiamato Tom.” Dichiarò Claudia, mentre erano ferme ad un semaforo.
“E?” La spronò Annika, sistemando la cartella con le sue radiografie, che aveva sulle ginocchia.
“Mi ha chiesto se andavo in un locale con loro, io ho detto di no.” Raccontò l’amica, mentre ripartiva col verde.
“Beh, avevi deciso di tenerlo un po’ a distanza…” Gli ricordò l’altra, con un cenno del capo.
“Sì, però…” Riprese Claudia con una smorfia. “…alla fine ci sono andata.”
“Ma come? Claudia…” Replicò subito Annika un po’ delusa.
“Eh, lo so.” Si rammaricò lei, scotendo il capo. “Ma non ce la faccio a dirgli di no, è così dolce!”
“Dolce?” Si permise di obiettare scettica Annika.
“Tu non sai quanto può essere delicato e quasi timido, nell’intimità.” Spiegò tranquilla l’altra.
“Non ho dubbi che possa esserlo.” Ribatté l’amica. “Ma non significa che poi debba trattarti come una scarpa vecchia, o ignorarti, in pubblico.”
“Non lo fa…”
“Me le hai raccontate tu certe scene, Claudia.” Le ricordò Annika.
“Lo so…” Ammise la ragazza sconsolata. “Ma, uffa… è che poi lo guardo negli occhi e non capisco più nulla, basta che mi faccia uno dei suoi sorrisi e mi sciolgo! Non lo so perché!”
“Perché sei innamorata, scema.” Le disse Annika, sbuffando una dolce risata.
“Eh, già!” Esclamò l’altra annuendo, poi rise a sua volta. “E tu che cosa combini con Bill?” Le chiese quindi, dopo qualche secondo.
“Ma niente.” Rispose subito lei.
“La devi smettere di dirmi niente!” Sbottò divertita Claudia.
“Ma che ti devo dire? È così, siamo amici, nulla di più.”
“Sarà, ma non mi convinci mica del tutto.” Obiettò l’altra con un gesto della mano. “Certe volte, quando parli di lui, ti brillano gli occhi.”
Annika sospirò. “Bill è tanto carino e gentile e tenero, ma in questo momento io non posso innamorarmi.” Affermò poi, abbassando gli occhi.
“Perché?” L’interrogò Claudia interessata.
“Semplicemente non posso.” Rispose Annika, prima di voltarsi verso il finestrino e mettere così fine alla conversazione.
Claudia l’osservò per qualche secondo con la coda dell’occhio. Aveva imparato presto che non era lavoro facile cavare qualche informazione ad Annika, era sempre così vaga e schiva. Si era convinta che avesse qualcosa da nascondere ed era curiosa, ma c’erano volte, come questa, in cui il dolore sul suo viso era chiarissimo e, allora, lei non insisteva. E poi erano arrivate nei pressi di casa e doveva trovare un parcheggio. L’argomento, comunque, non finiva lì.

Bill entrò in cucina quasi saltellante, con un pacchetto in mano, ma si bloccò incredulo. Il piccolo stereo appoggiato sul mobile del telefono, vicino alla porta finestra, era acceso e, sedute sulla penisola, c’erano Annika e Claudia che cantavano a squarciagola una canzone a lui sconosciuta…

And do I love you my oh my
Yeh river deep, mountain high
If I lost you would I cry
Oh how I love you baby, baby, baby, baby

Le due ragazze intensificarono la loro performance, quando lo videro entrare, senza trattenere il divertimento. Avevano, anzi, gli occhi lucidi dal ridere.

I love you baby like a flower loves the spring
And I love you baby just like Tina loves to sing
And I love you baby like a school boy loves his pet
And I love you baby, river deep mountain high

“Ma che è sto casino?!” Intervenne la voce di Tom, anche lui entrato in cucina; si guardò intorno un po’ smarrito, mentre finiva la canzone.
Claudia, dopo l’ultima nota, scivolò giù dal piano e corse a spegnere lo stereo. Bill aveva ancora la stessa espressione impagabile di quando era arrivato e Tom aveva aggrottato la fronte.
“Claudia…” Mormorò sorpreso il chitarrista, seguendola con gli occhi, mentre tornava vicino ad Annika. “Tu che ci fai qui?” Le chiese quindi.
“Ciao, Tom.” Lo salutò la ragazza con un gesto sbarazzino della mano.
“Claudia rimane a cena, vi dispiace?” Fece Annika, sempre seduta sulla penisola.
“No…” Rispose Bill, risvegliandosi dalla trance.
“Beh…” Accennò più incerto Tom.
“Grazie!” L’interruppe però Annika, sorridendo allegra.
Bill non aveva bisogno di altro, per accontentarla, ma Tom non era certo soddisfatto, visto che la sua disamina era stata interrotta. E Tom Kaulitz odiava essere interrotto.
“Ad ogni modo, si può sapere perché lei è qui?” Domandò infatti, indicando la ragazza più bassa.
“Mi ha accompagnata alla visita per la gamba.” Spiegò Annika.
“Perché?” Fece lui perplesso.
“Perché siamo amiche.” Rispose proprio Claudia, facendo spallucce, come se fosse ovvio.
“E da quando?” S’informò sospettoso Tom; le due ragazze si scambiarono uno sguardo complice, poi si sorrisero.
“Da un po’!” Risposero poi in coro.
“Bah…” Sbottò scettico Tom, prima di dare le spalle a tutti e mettersi a cercare qualcosa nel frigo.
“Che cos’è quello, Bill?” Chiedeva nel frattempo Claudia, indicando il pacchetto che il cantante aveva ancora in mano.
“Ah!” Fece lui, come se si fosse ricordato in quel momento. “Ho preso una cosa per Annika.” Affermò poi, porgendo il pacco alla ragazza ingessata.
“Bill…” Mormorò lei con vago tono di rimprovero. “Eravamo d’accordo che ti avrei detto se avevo bisogno di qualcosa e non mi pare di averlo fatto.” Gli ricordò poi.
“Sì, ma di questo hai bisogno!” Replicò subito lui, esibendo uno dei suoi sorrisi smaglianti.
La ragazza fece una smorfia scettica e prese il pacchetto; lo posò sul piano accanto a se e ne aprì delicatamente la carta. Quando vide cos’era, alzò gli occhi su Bill con espressione contrita.
“No.” Disse ferma.
“Dai!” Protestò lui continuando a sorridere. “Ne hai bisogno, ti dico!”
“Non mi serve un cellulare, sto sempre in casa e qui ci sono telefoni in ogni stanza!” Ribatté Annika a pugni stretti; Bill assunse un’espressione indignata.
“Oggi sei uscita, sei andata alla visita ed io non ho potuto sapere subito com’è andata perché tu non hai un telefono!” Dichiarò poi, mani sui fianchi. “E se quando faccio pausa in sala registrazione mi viene voglia di mandarti un messaggio? Eh? Come faccio se tu non hai il telefono?”
“Bill, ragiona!” Sbottò Annika. “Le tue sono motivazioni del tutto idiote! Ma la usi per ragionare o solo per trasportare quel cesto di capelli, la bella testolina che ti ritrovi?!”
“Ovviamente per pensare.” Rispose retorico lui, muovendo con ostentazione le sua chioma leonina; Annika roteò gli occhi. “Tu userai questo cellulare, ho già attivato il numero!”
“Ma mi stai ascoltando o no? Ti ho detto che non lo voglio!” Reagì la ragazza spalancando gli occhi.
“Ci ho messo sopra anche la suoneria di Totgeliebt, so che è la tua canzone preferita…” Continuò imperterrito Bill, con espressione serena e imperturbabile.
“Non userò questo telefono.” Affermò Annika incrociando le braccia.
“Certo che lo farai.” Replicò lui.
“No.”
“Sì.”
“Bill, non sfidarmi, ho la testa più dura della tua.” Dichiarò risoluta la ragazza, tenendo ancora le braccia conserte e fissandolo negli occhi.
Lui fece un gesto altezzoso con la testa e poi strinse le mani sui propri fianchi, ricambiando lo sguardo. “Fossi in te non ci giurerei.” Affermò poi.
Tom, nel frattempo, aveva versato due bicchieri di aranciata e si era avvicinato a Claudia, la quale osservava divertita la discussione tra Annika e Bill. Le offrì il bicchiere e lei lo prese con un piccolo sorriso. Gli altri due continuavano a litigare animatamente, in uno sventolio di mani.
“Annika la spunterà, è cazzuta lei.” Proclamò la ragazza, dopo aver ringraziato il chitarrista con un cenno.
“Oh, me ne sono accorto…” Commentò lui con un’alzata di sopracciglia, prima di bere un sorso. Claudia lo guardò di sbieco, incuriosita. “Ho avuto modo di toccare con mano.” Precisò lui, quando si accorse di quell’occhiata.
Claudia represse un sorriso soddisfatto, infilandosi nel bicchiere, mentre lui alzava retorico un sopracciglio. Bill e Annika bisticciavano ancora.
“Ti dispiace se resto a cena?” Domandò quindi Claudia a Tom, girandosi appena verso di lui.
“No.” Negò il chitarrista. “Perché?” S’informò poi.
“Boh, mi sembravi infastidito prima…” Mormorò lei, stringendosi nelle spalle.
“Ma no, ero solo sorpreso.” Spiegò Tom, prima di essere interrotto dalle voci improvvisamente più alte dei due litiganti. “Allora, la facciamo finita? Io ho fame!” Sbottò il ragazzo, che ormai aveva perso la pazienza. Claudia ridacchiò, lui, inaspettatamente, fece lo stesso e le passò un braccio sulle spalle. Lei ebbe un brivido, ma poi si sistemò meglio.
Bill e Annika si guardarono, smettendo all’improvviso di parlarsi addosso. Fu come se, tutto ad un tratto, si fossero accorti di quanto era assurda quella discussione. Si sentirono molto imbarazzati e stupidi, mentre due sorrisini stentati gli apparivano sulle labbra.
“Ci hai messo davvero la suoneria di Totgeliebt?” Domandò timidamente Annika.
“Sì.” Annuì Bill. “Fa anche le foto… e i filmati.” Aggiunse poi, indicandole l’apparecchio, lucido, nero e oro, dell’ultima generazione.
“Ohh…” Fece lei. “Forse non è poi così inutile.” Affermò quindi, sorridendo accondiscendente.
“Vedrai che ti servirà.” Le disse lui convincente.
“Bene, allora…” Mormorò lei.
“Sì, bene…” Confermò lui.
“Oh, perfetto! Pace fatta!” Intervenne Tom, scostando rumorosamente una sedia dal tavolo. “Adesso datevi un bacio e ceniamo!”
I due si scambiarono un lungo sguardo. C’era qualcosa negli occhi di Bill. Annika avvampò. Lui si sporse verso di lei. La ragazza si sbilanciò indietro, puntando le mani per non cadere di schiena sui fornelli. Il cantante aggrottò la fronte perplesso, poi si raddrizzò.
“Che cosa fai?!” Esclamò Annika quasi scandalizzata, mentre si posava una mano sul petto.
“Ti do un bacio.” Rispose Bill, come se fosse ovvio.
“Ma non se ne parla proprio!” Replicò lei indignata, rossa come un pomodoro.
“A Georg lo hai dato, però!” Ribatté lui, incrociando le braccia; era chiaramente infastidito.
“No, fermi!” Li bloccò Tom, prima che Annika potesse controbattere. “Io sto crepando di fame e, ora, voglio mangiare. La discussione è finita!” Ordinò poi ed il suo tono era tale da non ammettere repliche.
Bill e Annika si girarono uno dalla parte opposta dell’altro, poi lei scese dal piano, riprendendo le stampelle appoggiate di lato; entrambi, quindi si sedettero a tavola.   

Cenarono quasi in silenzio, facendo solo qualche commento sulla gustosità dell’arrosto lasciato da Frau Hildegard. Tom e Claudia, ogni tanto, si scambiavano sguardi, mentre Bill e Annika si ignorarono per il resto della cena.
Finito di mangiare si misero a guardare la tv in salotto. Le ragazze si misero sul divano, mentre i ragazzi si accaparrarono le poltrone. Annika e Claudia presero a scherzare sul melodrammatico film in onda, mentre gli altri due si rinchiusero nel mutismo.
Tom lanciava occhiate a Claudia, ancora incredulo che quelle due, che più diverse di così si muore, potessero essere amiche. Bill, invece, scrutava Annika chiedendosi come era possibile che gli preferisse Georg e se era quello il motivo vero per cui lo aveva respinto. Che poi, non voleva mica farle un’analisi dell’esofago con la lingua! Echecazzo!
A mezzanotte passata Tom si alzò per andare in bagno. Passando accanto al divano lanciò uno sguardo a Claudia, che ricambiò titubante. Quando il ragazzo fu sparito, lei guardò preoccupata Annika. Bill si accorse che quelle due si dicevano qualcosa con gli occhi.
“Fai come meglio credi.” Affermò infine Annika.
Claudia sospirò, poi scrollò le spalle. “Vado a casa.” Dichiarò poi, alzandosi dal divano. Bill spalancò gli occhi sorpreso. “Notte, Bill. Ciao amore.” Salutò poi, abbassandosi a baciare la guancia di Annika, quindi si diresse nell’ingresso dove aveva lasciato le sue cose.
Bill, allora, prese un lungo sospiro. Lui e Annika erano rimasti soli, se non lo faceva ora, non lo faceva più. Si alzò dalla poltrona e, sotto lo sguardo leggermente allarmato della ragazza, le sedette vicino. Lei evitò di guardarlo, rivolgendo gli occhi allo schermo.
“Scusa.” Mormorò lui, mentre a sua volta rimirava il risvolto delle tende, il tavolino, il led del televisore, il vuoto, tutto tranne lei.
“Fa niente.” Rispose immediata la ragazza.
Tutto risolto? Quasi.

Tom attraversò l’arco che conduceva in bagno e vide Claudia che indossava la giacca nella penombra dell’ingresso. Era davanti al divano sotto le scale, quello che non doveva essere usato per i giubbotti eppure era sempre coperto di questi capi d’abbigliamento. Le si avvicinò in silenzio, il rumore dei passi nascosto da quello del televisore acceso.
“Vai via?” Le chiese.
La ragazza sussultò e si girò. “Ah, sei tu…” Mormorò poi, abbassando gli occhi.
“Sì.” Un sussurro dolce, lei deglutì. “Te ne vai davvero?” Le chiese quindi.
Claudia annuì. “S… sì, vado a casa…” Balbettò poi. “È tardi…”
“Non è mai abbastanza tardi per noi due.” Le disse Tom, avvicinandosi ulteriormente. “Davvero non vuoi restare?”
“Credo… di no.” Rispose titubante la ragazza. “E poi ci sono Annika e Bill…” Tentò poi.
“Sì, lo so, ma non ci daranno fastidio.” Dichiarò lui, mentre faceva l’ultimo passo verso di lei e le posava le mani sulle braccia. “Devono fare pace…” Aggiunse poi, in un sussurro, avvicinando la bocca al suo orecchio.
Il suo fiato si condensò caldo sul collo di Claudia, facendole partire il solito, ormai conosciutissimo, brivido lungo la schiena. Lei sospirò, reclinando appena il capo. Tom la baciò dietro l’orecchio, in un punto che sapeva essere molto sensibile.
“Fo… forse hanno bisogno di aiuto…” Soffiò coraggiosamente la ragazza, cercando di fermare le mani di Tom che le carezzavano la parte scoperta di pancia, sotto l’orlo del maglioncino.
“Avrebbero bisogno di una bella scopata…” Ribatté il chitarrista, dopo averle morso leggermente il collo e averci poi passato delicatamente la lingua. “…ma non credo ci  arriveranno tanto presto… Allora, rimani?” Lei tremò tra le sue braccia, stringendo le mani sulla sua felpa.
“Perché finisco sempre per dirti di sì?” Si domandò retorica Claudia, però ad alta voce. Lui sorrise contro la sua pelle.
“Mi hai detto di sì?” Replicò quindi, già soddisfatto, portando le mani sulle spalle di lei e togliendole la giacca, che ricadde sul divano.
“Hmm… sì…” Fece Claudia, con voce sottile, prima di passargli le braccia intorno al collo e baciarlo sulle labbra, ancora increspate in un sorriso provocante.

Trascorsero un paio di giorni da quella cena. I rapporti tra Bill e Annika sembravano essere tornati quelli di prima, anche se si tenevano molto a distanza l’uno dall’altra.
Un pomeriggio che il cantante non era impegnato in studio, a causa di una registrazione per le sole basi acustiche, sentì bussare alla porta di camera sua, dove si era rifugiato. Era seduto alla scrivania e non fece in tempo a invitare ad entrare, che Claudia superò la porta trotterellando verso di lui, seguita da una più timida e lenta Annika, sempre assistita dalle stampelle.
“Ciao, ragazze.” Salutò Bill, sorridendogli.
“Bill, devi darci il tuo parere su una cosa!” Affermò Claudia saltellando fino a lui. “Abbiamo bisogno che tu ci veda…”
La ragazza continuava a parlare, esponendo il frivolo dilemma estetico in cui lei e l’amica si dibattevano, mentre quest’ultima si avvicinava al letto. Annika vide subito che la trapunta era ricoperta di fogli; ne prese uno e si accorse che era un disegno, o meglio un figurino. Sì, uno di quei disegni fatti apposta dagli stilisti per rappresentare un abito.
La maggior parte erano modelli maschili, molto particolari e dotati di accessori fuori del comune; lo stile era decisamente “billoso”. Annika sorrise, pensando quel termine. C’erano anche alcuni modelli femminili, anch’essi davvero originali. La ragazza ne rimase affascinata.
“Li hai fatti tu, questi, Bill?” Chiese infine, continuando a scorrere i fogli tra le mani.
Il ragazzo, alzò gli occhi su di lei, lasciando perdere il discorso di Claudia; quando vide cosa Annika aveva per le mani, sorrise con dolcezza.
“Sì.” Ammise. “Fanno molto schifo, eh?” Chiese poi, timoroso.
“No, sono bellissimi.” Rispose lei sorridente.
Bill, allora, dimenticò la conversazione con Claudia e si avvicinò all’altra ragazza. Si fermò accanto a lei e scrutò il disegno che aveva in mano. Era una sua creazione cui era piuttosto affezionato.
“Questo è stupendo, ho sempre sognato un vestito così.” Confessò Annika, osservando i dettagli di quell’abito nero.
“La principessa del rock’n’roll.” Disse Bill, anche lui con gli occhi sul foglio.
“Lo hai chiamato così?” Domandò la ragazza, alzando il capo.
Scoprì in questo modo che il viso del cantante era a pochi centimetri dal suo. I loro occhi s’incontrarono. Quelli di Bill erano caldi, brillanti, timidamente soddisfatti.
“Sì…” Rispose quindi il ragazzo. “Penso che ti starebbe bene.” Aggiunse poi, scostandole i capelli dalla spalla. Continuavano a guardarsi negli occhi.
Annika guardò fuggevolmente il disegno, poi tornò a guardare lui e gli sorrise. “Io non ho così tanto seno.” Affermò poi, divertita.
“Oh, non farci caso!” Replicò subito Bill. “Mi diverto a disegnare le tette…” Precisò con un’occhiata maliziosa delle sue.
“Bill!” Lo rimproverò allegra Claudia, raggiungendoli vicino al letto.
“Che ci posso fare, mi piacciono.” Ammise tranquillo lui, stringendosi nelle spalle; quindi trovò di nuovo gli occhi di Annika e lì si fermò, con un sorriso morbido.
“Hai deciso cosa metterti per il party, Bill?” Gli chiese però Claudia.
“Oh, non ancora!” Si lamentò lui sventolando le mani.
“Andate ad un party?” Intervenne Annika incuriosita; loro la guardarono.
“Eh, purtroppo ci tocca…” Sbuffò Bill. “L’ha organizzato una pierre piuttosto famosa, che ha lavorato anche per noi.” Spiegò quindi.
“Una regina del jet set.” Precisò Claudia annuendo.
Prima che Annika potesse commentare, Bill fece un saltello e batté le mani, girandosi verso di lei.
“Devi venire anche tu!” Esclamò entusiasta.
“Non credo proprio che sia il caso.” Ribatté subito la ragazza. “Non ho niente da mettermi…”
“Smettila con questa scusa!” La zittì subito il cantante.
“Ti presto qualcosa io.” Le disse Claudia, sorridendo disponibile.
“Sì!” Strillò Bill con un altro saltello.
“Ma con questo gesso…” Tentò Annika davanti a quel bombardamento.
“No, no, no, basta!” La bloccò lui. “Tu verrai alla festa con noi!” Aggiunse allegro, con un sorriso che gli andava da una guancia all’altra.
Annika sospirò, scrollando le spalle. Aveva ormai capito che era inutile mettersi contro la volontà di Bill, era più testardo di un mulo. E, in fondo, non le dispiaceva l’idea di andare a quella festa.

Annika si guardò di nuovo allo specchio. Quella non era lei. La maglia aderente nera, maniche lunghe e profondo scollo a V. La gonna di tessuto lucido, sembrava nera, ma quando si muoveva cangiava verso il rosso. Infilare i pantacollant non fu facile, avevano dovuto tagliare l’orlo, ma Claudia aveva detto che così faceva più rock. Il gesso, infine, era stato coperto con uno scaldamuscoli nero ed al piede libero calzava una ballerina di pelle lucida nera.
La ragazza alzò gli occhi, stentava a riconoscere persino la propria faccia. I capelli, magistralmente piastrati, erano tenuti indietro da un semplice cerchietto nero. Intorno al collo due doni di Bill: una catena da bicicletta di lucido acciaio, girata due volte, e un collarino sottile adornato da un piccolo teschietto di strass. I suoi occhi, infine, erano stati truccati sapientemente di nero dalle esperte mani di Bill ed il loro colore azzurro intenso risaltava più di sempre.
Dio, sembro una dark pucciosa… pensò Annika, continuando a guardare quella tipa alla moda che non le somigliava molto.
“Hey, siete pronti?” Domandò la voce di Tom entrando nella camera di Bill.
Sì, erano entrambi nella stanza del cantante, lei nel guardaroba, lui nel bagno. Il chitarrista entrò e si fermò in mezzo alla stanza; Annika lo vedeva bene, dal punto in cui era.
“Io sono pronta, non so Bill.” Disse la ragazza, attirando la sua attenzione.
Tom si girò, la guardò con attenzione, poi sorrise in quel suo modo provocante. “E tu chi sei?” Le chiese poi, ironico, alzando le sopracciglia coperte dalla fascia.
Annika ridacchiò. “Falla finita, mi metti in imbarazzo…” Gli disse poi, sistemandosi sulle stampelle. Tom, però, si avvicinò, continuando a studiarla.
“Sai, se avessi saputo che avevi queste potenzialità, sarei stato più cordiale con te…” Affermò con uno sguardo sornione.
“Per favore…” Esalò scettica Annika con un sorrisetto sarcastico, mentre alzava gli occhi al cielo.
“Sei pronta, Ann… Tom, che ci fai qui?” Bill era uscito dal bagno, perfetto nella mise scelta per l’occasione, ma si era fermato vedendo il fratello davanti alla porta del guardaroba.
Tom si girò e gli sorrise beffardo. “È prontissima.” Gli disse poi, prima d’infilarsi le mani in tasca a dirigersi alla porta. “Georg apprezzerà…” Aggiunse insinuante, uscendo.
Bill lo inseguì con uno sguardo che avrebbe liquefatto un carroarmato, ma Tom non se ne accorse, occupato a gongolare della reazione del gemello.
“Tu hai finito, Bill?” Domandò con innocenza Annika uscendo dal guardaroba.
Bill, che guardava ancora la porta, si voltò all’improvviso. I suoi capelli, sparati in aria, ma morbidi e profumati di shampoo, fluttuarono intorno al suo viso. Le due luccicanti, pesanti, catene d’argento che aveva al collo si mossero e cozzarono tra se. Il suo viso si trasformò, illuminandosi di un sorriso radioso. Era perfetto. E averlo davanti, a breve distanza, così di colpo, poteva fare molto male.
“Oh, sei bellissima.” Le disse con sincerità, dopo averla brevemente osservata.
“E tu sei…” Fece lei, ma si accorse si non avere parole sufficienti per descrivere quello che aveva davanti. “Anche tu.” Mormorò infine.
Bill le sorrise dolcemente, poi l’invitò a precederlo fuori, lei accettò, incamminandosi. Uscirono insieme, chiudendosi la porta alle spalle.

La festa si sarebbe tenuta in una villa poco fuori città. Arrivarono lì su una macchina guidata dall’autista. Un grande cancello, di quel tipo che non si può vedere attraverso, si apriva in un lungo muro intonacato di bianco. Lo attraversarono, dopo essersi annunciati al citofono. Un largo vialetto, lungo cui erano parcheggiate lussuose auto, divideva il prato curato.
La casa era una costruzione ampia e moderna, squadrata, liscia, formata da moduli sfalzati; alcuni faretti di luce lattea illuminavano la facciata. C’erano delle persone che si muovevano davanti all’entrata. Dalle finestre del piano superiore e dalla grande vetrata sulla destra, uscivano lampi di luce violetta e blu. Il vago rimbombo della musica nell’aria.
Entrarono, dopo essere scesi dalla macchina proprio davanti all’entrata. Bill e Tom salutarono cordialmente varie persone, abbracciandole anche; presentarono Annika ad un paio di personaggi che lei trovò, se non altro, bizzarri. I loro nomi, comunque, furono presto dimenticati. Quando la porta si aprì, infatti, tutti furono investiti dal clamore del party.
Le luci, all’interno, erano basse, ad eccezione dei faretti blu e viola che tagliavano la penombra fumosa. I bassi della musica tecno entravano direttamente nel cervello, provocando un fastidioso effetto cassa di risonanza, acutizzato dal chiacchiericcio delle persone che affollavano i corridoi.
Annika si trovò spaesata. Aveva visto cose del genere solo in qualche telefilm e pensava che fossero esagerazioni da sceneggiatura. Ora che aveva davanti la realtà, si sentiva decisamente fuori posto.
“Ciao, Bill!” Strillò una vocetta insopportabile.
Annika si girò e vide una ragazza magrissima, bionda, con addosso un vestito microscopico correre verso di loro sulle punte dei suoi sandali dorati. Bill le sorrise e lei gli saltò con le braccia al collo, baciandolo profondamente sulle labbra. Lui rispose al bacio. Annika spalancò gli occhi.
“Sei la cosa più bella che ho visto da quando sono arrivato.” La distrasse però una voce vicino all’orecchio della ragazza. Lei girò il capo e non poté non sorridere.
“Georg!” Esclamò allegra.
“Ciao, bellissima.” Replicò dolcemente lui, dandole un bacio sulla guancia. “Bevi qualcosa?” Le chiese poi. Annika annuì, sentendosi rassicurata dalla presa sicura delle sue mani sulla vita.
Georg guidò la ragazza nel salone, seguito anche da Gustav, che l’aveva salutata, mentre Bill e Tom erano rimasti invischiati in un capannello di starlette e groupie varie.

Il salone era grande, con un piccolo dislivello di due gradini. Il bar era posto nella parte superiore. La gente affollava lo spazio, alcuni ballavano sguaiatamente al ritmo pesante e assordante della musica. La ragazza si guardò intorno, intuendo quello che succedeva negli angoli più bui, ma senza volerlo realmente sapere. Georg e Gustav la guidarono verso il bar.
“Tartina?” Le domandò un tizio, passandole accanto con un vassoio. Annika guardò perplessa l’uomo, poi il piatto.
“Grazie…” Mormorò poi, facendo per prendere una tartina.
“No.” La bloccò la mano di Georg. “Vai pure.” Aggiunse, con un cenno al presunto cameriere, poi si rivolse ad Annika. “È meglio che prendi roba solo da quelli vestiti da cameriere.” Le disse, indicandole i ragazzi in camicia bianca e farfallino nero, mentre il tizio di prima aveva una sgargiante giacca rossa.
“Sì.” Soggiunse Gustav annuendo. “E bevi solo al bar.” Le intimò poi.
“Perché?” Domandò preoccupata Annika, guardando alternativamente l’uno e l’altro.
“Beh…” Si rassegnò a spiegare Georg. “…una volta, ad una delle prime feste di questo tipo cui sono stato, ho mangiato un paio di quelle tartine e…”
“Ci siamo dovuti mettere in tre, dopo, per non fargli fare un tuffo a volo d’angelo in una piscina vuota.” Concluse Gustav, con un’eloquente alzata delle sopracciglia bionde.
“Erano tartine al Lsd.” Spiegò il bassista ad una frastornata Annika.
“Non ci posso credere…” Esalò lei stupita. “Lo fanno senza dirlo?!”
“Sì.” Annuì Georg.
“Truccano anche i cocktail, per quello bisogna bere al bar.” Affermò Gustav tranquillo, probabilmente abituato a quei fatti, per la ragazza del tutto inspiegabili.
In quel momento alle loro spalle riapparve la chioma svolazzante di Bill. Il cantante arrivò col suo passo dondolante e, sorridendo, posò una mano sulla spalla di Annika.
“Hey, ma dove eri finita?” Le domandò allegro.
“Io? Dove eri finito tu…” Replicò lei, senza poter nascondere una certa acidità.
“Hm…” Fece Bill stringendosi nelle spalle. “…ho salutato qualche vecchia amica.”
“Beh, e qui dentro di vecchie amiche ne hai parecchie…” Intervenne allusivo Georg, incrociando uno sguardo supponente con Bill.
“Questa te la potevi risparmiare, Georg…” Sibilò il cantante offeso.
“Andiamo, Annika.” Riprese però il bassista, ignorando la reazione dell’amico, mentre prendeva la ragazza per la vita e l’accompagnava al bar. “Ti offro uno di quei cosi alla frutta che piacciono tanto a voi ragazze, mentre Bill finisce di salutare…”
Annika, mentre seguiva Georg, non poté fare a meno di guardare Bill. I loro occhi si trovarono. Lui sembrava vagamente offeso e un po’ spento. Non le sorrise, rimase serio e lei fece altrettanto. Non le piaceva come Bill si stava comportando, non le piaceva per niente.

Quella festa era noiosa, con la gente che rideva senza senso, parlava a voce sguaiata per via del rumore o traballava in giro, probabilmente dopo aver ingerito una simpatica tartina tarlata di droga. E poi era frustrante, con quella musica orrenda e altissima e quelle luci altamente rincoglionenti.
Ed era shockante, per quello che Annika era riuscita a vedere nelle ultime due ore: ragazze con abiti che stavano su per puro miracolo che sniffavano tranquillamente coca su un tavolino di cristallo davanti alla tv, due tipe completamente nude a bollire nell’idromassaggio con un uomo grasso e viscido col riporto, una coppia che stava facendo sesso nel sottoscala, nemmeno tanto in ombra. Completavano il tutto donne rifatte in posti cui era quasi impensabile l’intervento del chirurgo, ragazzi mal vestiti dal muscolo unto con gli occhiali da sole e i capelli impomatati come gangster, tizi dall’aria equivoca che offrivano di tutto: dalle pasticche di chissà che, a ragazze per una notte di fuoco, fino a millantate apparizioni televisive. Un vero e proprio delirio.
Annika crollò su un divano libero, dopo essere tornata da una capatina in bagno, dove naturalmente aveva beccato due a scopare nel gabinetto accanto. Seduto lì c’era anche Gustav, che scrutava la vetrata davanti a se come se fosse la cosa più interessante del mondo. Il ragazzo sembrava del tutto tranquillo, col suo bicchiere in mano. La guardò sedersi e le fece un breve sorriso.
“Humpf…” Annika sbuffò pesantemente.
“Bella palla, eh?” Fece lui, con tono comprensivo. La ragazza lo guardò e annuì.
“Ma voi come fate?” Gli chiese poi, mentre lui beveva un sorso del suo cocktail.
Gustav si strinse nelle spalle. “Abbiamo gli anticorpi, ormai, credo.” Affermò quindi, prima di sistemarsi meglio contro la spalliera.
Annika si guardò intorno. Non poteva negare che, per tutto il tempo, aveva continuato ad aguzzare la vista in cerca di Bill; purtroppo, per quanto avesse fatto, non era riuscita a vederlo. Aveva visto Georg, con espressione annoiata, parlare con un gruppetto di persone. Aveva visto Tom ridere e ammiccare, circondato di ragazze dall’aria disponibile. Ma il cantante sembrava scomparso.
“Chissà che fine ha fatto Bill…” Mormorò la ragazza distrattamente, a voce tanto bassa che pensava di non essere udita.
“So che magari ti può sembrare strano, perché visto così non sembra il tipo…” Le rispose però Gustav. “…ma ha i suoi bei giri, credimi.”
“Non sono così ingenua, Gustav.” Replicò lei. “Grazie, comunque.” Si sorrisero.
Georg li raggiunse proprio in quel momento, sedendosi pesantemente accanto a loro; anche lui non si risparmiò uno sbuffo. Non era proprio serata, pensò Annika, reprimendo una risatina.
“Finalmente mi sono liberato di quelle zecche.” Affermò il bassista, passandosi una mano tra i capelli.
“Rompono le scatole?” Gli domandò dolcemente Annika.
“Non hai idea!” Rispose rassegnato lui, ma poi le sorrise. “E tu che mi dici, splendore, tutto bene?” Le chiese poi, facendo per passarle un braccio sulle spalle.
Georg, però, non riuscì a compiere il gesto, ne Annika a dargli una risposta, perché qualcosa, o meglio qualcuno, crollò tra loro.
Era una ragazza dai corti capelli scuri, con un mini abito rosso. Era caduta dal bordo superiore del divano, ritrovandosi con la testa e la schiena appoggiate sul sedile, mentre le gambe erano sulla spalliera. Rideva in modo bizzarro e aveva gli occhi strani.
“Ciao, Titty.” La salutò Georg, che evidentemente la conosceva.
“Oh! Ciao, Georg!” Esclamò lei, quando si rese conto di chi aveva accanto. Annika osservava la scena perplessa. “Come stai?” Domandò quindi la ragazza.
“Io bene. Tu?” Replicò il bassista.
“Eheheh, sono completamente fatta!” Ammise tranquillamente Titty, ridendo. “C’è un sacco di roba buona qui!” Annika ormai la fissava allibita.
“Ma non avevi smesso, Titty?” Le domandò Georg, aggrottando la fronte, mentre Gustav scuoteva il capo.
“Sì, avevo… al passato, ahahah!” Rispose lei ridendo, poi si rifece subito seria e si girò un po’ verso Georg; l’orlo del vestito rosso cadde sulla sua pancia, scoprendo un microscopico tanga color carne. “Sono molto eccitata, Georg.” Affermò calma. “Ho voglia di scopare… andiamo a fare l’amore, Georg?”
Il ragazzo assunse subito un’espressione imbarazzata, alzò gli occhi e incrociò lo sguardo severo e sconvolto di Annika. Si grattò la testa e tossicchiò. Gustav ridacchiava.
“Ehm, Titty, mi spiace, ma…” Balbettò poi. “Non è il caso, io sono in compagnia e tu non stai bene…”
“Sei stronzo, io sto benissimo!” Sbottò la ragazza. “Cattivo!” Piagnucolò, mentre cercava di alzarsi in modo scomposto, vista la sua posizione. “Adesso vado da Bill, lui non mi dice mai di no!”
La ragazza fece una specie di capriola, spingendo il braccio di Georg con le cosce nude e poi quasi ruzzolò dal divano, continuando a ridacchiare; quindi si aggiustò mutandine e vestito, dando le spalle (o meglio il sedere) ad Annika. Lei spalancò gli occhi incredula. Titty, una volta finito, se ne andò barcollando sui tacchi altissimi.
Georg si girò timoroso verso Annika, temeva il giudizio che avrebbe letto nei suoi begl’occhi. La ragazza era senz’altro seria, ma in un certo senso rassegnata, come se per quella sera avesse, ormai, visto tutto. Lui si sistemò i capelli dietro l’orecchio e fece per parlare.
“Lascia stare.” Lo bloccò Annika. “Non c’è niente da spiegare.” Aggiunse abbassando il capo.
Il bassista, però, non si convinse, c’era qualcosa che non andava. Lei, di certo, sembrava rassegnata, ma sicuramente quella festa non le piaceva, quello che aveva visto e sentito non le piaceva. E sembrava anche insoddisfatta e triste.
Il ragazzo, allora, tentò nuovamente di avvicinarsi a lei, per poter parlare, chiarire davvero, ma fu di nuovo interrotto da qualcuno che si affacciò alla spalliera del divano. Impossibile confondere quei capelli, quel profumo, quella foga con qualcun altro: era Bill.
Il cantante ignorò il compagno e si girò verso la ragazza sorridendo. Annika lo fissava con aria sospettosa, ma a Georg non sfuggì l’improvviso animarsi del suo viso, anche se in modo non bello.
“Stasera io e te non riusciamo a passare un po’ di tempo insieme.” Disse dolcemente Bill ad Annika. Lei gli sorrise un po’ forzatamente. “Ti va di uscire un momento? Così parliamo un po’, mentre mi fumo una sigaretta.”
Annika, prima di rispondere, guardò Georg, ma lui evitò di ricambiare, abbassando il capo. La ragazza, così, rialzò gli occhi su Bill e annuì.
“Andiamo.” Mormorò poi e prese le stampelle per alzarsi.
“Ah, Bill.” Fece Georg, piegato in avanti con i gomiti sulle ginocchia; il cantante l’invitò a proseguire. “Ti cercava Titty.” Gli disse quindi il bassista, con tono velatamente provocatorio.
“Oh, c’è anche lei?” Replicò Bill.
“Sì, c’è.” Rispose Georg, alzando appena gli occhi su di lui, ma nascosto dai capelli.
“Strano che tu non l’abbia vista.” Intervenne Gustav. “Con quel vestito è appariscente come una cocorita brasiliana…”
“E fatta come un culo.” Soggiunse Georg.
“Lei è sempre fatta.” Affermò Bill, mentre si girava per seguire Annika che aggirava il divano.
La ragazza si fermò davanti a lui e lo guardò negl’occhi. Sembravano più chiari e freddi, in quella luce sepolcrale. Bill, fissandola, si sentì percorso da un brivido gelido, ma le sorrise.
“È fatta anche quando viene a letto con te?” Gli domandò però Annika.
Bill non avrebbe potuto rimanere più pietrificato nemmeno se gli fosse arrivato addosso un secchio pieno di acqua ghiacciata. La sua era una faccia attonita da campionato del mondo. La ragazza non aggiunse altro, abbassò il capo e lo superò di qualche passo. Lui spostò gli occhi nocciola pesantemente truccati, sugli occupanti del divano, intenzionato a chiedere spiegazioni, ma nessuno dei due gli dedicava attenzione, quindi lasciò perdere e seguì Annika che si stava allontanando.

I due ragazzi si spostarono nella veranda che conduceva al parco retrostante la villa. Quella specie di terrazzo era in parte chiuso da pannelli scorrevoli in vetro satinato, ma aperto sul giardino nel lato opposto. Lì non c’erano le luci psichedeliche dei faretti viola dell’interno e la sola illuminazione proveniva dalle luci del giardino; anche la musica arrivava attutita. Erano circondati solo da una penombra bluastra, fredda e quasi silenziosa. Non c’era nessun altro.
Annika si appoggiò sospirando ad un tavolo di ferro battuto che stava nell’angolo chiuso; il suo respirò si condensò in una nuvoletta bianca.
Bill si fermò a qualche passo, vicino al vetro, che aprì leggermente, per guardare fuori. Il rumore del suo accendino diede quasi fastidio alla ragazza.
“Sai, con Titty… è successo solo una volta…” Si giustificò il ragazzo, prendendo la prima boccata di fumo; Annika fece un sorrisetto retorico che lui non vide. “…ed era lucida, insomma, abbastanza… Non penserai che io mi approfitti delle ragazze drogate?”
“Oddio, spero di no, Bill.” Affermò lei con una levata di sopracciglia; lui si girò verso di lei.
“Non ti piace la festa?” Le domandò allora il cantante.
Annika rialzò gli occhi su di lui e un’altra stilettata di ghiaccio trafisse l’inerme corpo di Bill.
“No.” Rispose secca la ragazza.
“Perché?” Fece lui. E la voce gli uscì inspiegabilmente tremante.
“Mi spieghi che cosa c’è di divertente nel guardare un sacco di persone senza qualità buttare la propria vita nel cesso?” Ribatté lei, sempre più glaciale. “Vedere brutti esseri umani che credono di divertirsi e invece si limitano a sopravvivere in modo squallido?”
“Beh, ma forse è perché non conosci l’ambiente, la gente e non ti sei potuta muovere molto per via della gamba…” Tentò Bill, che non aveva ancora afferrato la gravità della faccenda.
“E muovermi per vedere cosa, Bill?” Reagì, infatti, Annika con aria indignata. “Gente che consuma droga senza ritegno? Quelli che scopano in pubblico? Oppure quelli che si vendono per entrare in un reality? Queste cose le ho viste e sentite, grazie, ora voglio andare via.”
Bill aggrottò la fronte, fissandola. “Mi dispiace se hai avuto un’impressione sbagliata…”
“Un’impressione sbagliata?!” Reagì Annika, alzando la voce. “Questo posto fa schifo, questa gente fa schifo e io voglio andare via!”
Bill spalancò la bocca e si ritrasse. “Cerca di calmarti, non mi sembra il caso…”
“Io sono calmissima, voglio solo andarmene.” Dichiarò subito lei.
“Beh, fatti passare la fretta, perché non credo che ce ne andremo tanto presto.” Replicò Bill vagamente offeso, poi buttò la sigaretta e la spense con un gesto nervoso del piede. “A me piace molto questa festa.”
“Oh, non ne dubitavo!” Sbottò sarcastica Annika. “Tutti i tuoi giri, le tue amichette disponibili…” Lui spalancò gli occhi, fissandola allibito; nonostante tutto, era così bello in quel momento che lei tentennò. Deglutì, prima di continuare. “Io credevo di cominciare a conoscerti, Bill, ma più mi avvicino a te e meno so chi sei.”
“Ma che cosa dici?!” Reagì adirato il cantante. “Io non ti nascondo niente, quello che vedi è quello che sono, non capisco cosa c’entra adesso!”
“C’entra eccome!” Esclamò Annika, muovendosi con difficoltà contro il bordo del tavolo.
“È normale che tu non sappia tutto di me, per conoscere bene una persona ci vogliono anni.” Affermò Bill, incrociando le braccia; ormai era molto nervoso, non sopportava che qualcuno pensasse che non era sincero, che era, in qualche modo, costruito.
“Preferivo, allora, non conoscere nemmeno quel poco, così non m’illudevo che tu fossi… diverso.” Ribatté tristemente Annika, scuotendo il capo delusa.
Bill, stavolta, si arrabbiò sul serio: spalancò gli occhi e strinse i pugni. “Come ti permetti di giudicarmi? Tu non lo sai chi sono io, chi è la gente che frequento, la vita che faccio. Tu non puoi assolutamente permetterti di giudicarmi!”
“Allora non dovevi portarmi in questo posto!” Replicò secca Annika. “Io sono una persona normale, cazzo! Io non sono Paris Hilton, Bill! Non me ne importa un accidente dei vip, del jet set, del lusso, della droga e delle loro vite di merda!”
“È anche la mia vita!” Ringhiò lui, posandosi una lunga ed elegante mano sul petto. “Tu non hai il diritto di parlare in questo modo!”
“Appunto, è la tua vita, sei tu che mi ci hai trascinato dentro, sei tu che mi chiedi perché non mi piace!” Spiegò accorata la ragazza. “Io non ti ho chiesto niente, non ti ho chiesto di portarmi a casa tua, ne a questa festa.” Continuò, con occhi saettanti. “E finché avrò un cervello che funziona, non potrò fare a meno di giudicare ciò che mi circonda, sappilo!”
“Come puoi comportarti in questa maniera?! Se non fosse per me dove saresti a quest’ora?!” Gridò Bill, che aveva ormai completamente perso la pazienza.
“Se questo è il mondo che mi hai dato, Bill, preferivo dormire alla stazione, o sotto un ponte.” Rispose seria e decisa la ragazza.
“Gran bel ringraziamento, non c’è che dire.” Affermò lui risentito. “Mi hai deluso, Annika.”
“Anche tu, Bill.” Fece lei, abbassando il capo. “Voglio andare via…” Mormorò poi, sentendo le lacrime che cominciavano a pungerle gli occhi.
“Non lo farai con me.” Le disse il cantante. “Scusami se per stasera preferisco non passare altro tempo con te.” Aggiunse, prima di avviarsi verso la porta che conduceva nel salone.
“Sei scusato, tanto vale lo stesso per me.” Disse lei, continuando a tenere il capo basso.
“Buonanotte, allora.” Le augurò gelido Bill, attraversando l’ingresso.
“Buonanotte…” Replicò Annika, ma lui non sentì la sua voce tremante, appena prima che le sue spalle si piegassero ulteriormente e lei scoppiasse a piangere.

Georg uscì sulla veranda una ventina di minuti dopo; camminò fino a circa metà dello spazio, poi si fermò ed accese una sigaretta. Un attimo dopo sentì un rumore alla sua sinistra. Si girò di scatto e vide una ragazza vicino ad un tavolo. La riconobbe subito.
“Annika!” Esclamò avvicinandosi immediatamente a lei. Si accorse che lei si stava frettolosamente asciugando le lacrime. “Che ti succede?” Le domandò allora, con dolcezza.
“Niente, sto bene.” Rispose subito la ragazza.
“Non mi sembra, stai piangendo.” Replicò lui, sfiorandole il viso; lei si ritrasse.
“Sto bene, davvero.” Ribadì Annika, alzando gli occhi ancora lucidi. “Voglio solo andare a casa.”
“Sì, tranquilla, ti ci porto io.” Affermò risoluto Georg, accorgendosi che in realtà era molto sconvolta. “Adesso andiamo via.” Aggiunse, cercando di essere rassicurante.
Le passò un braccio sulle spalle, mentre lei si aggiustava sulle stampelle e si rese conto che era molto fredda, del resto era quasi all’aperto e lei non aveva certo su il cappotto.
“Cazzo, Annika sei gelida!” Esclamò il ragazzo. “Andiamo dentro.”
La ragazza si girò verso di lui e mollando una stampella, si aggrappò alla sua maglia e lo guardò con aria supplicante.
“Non voglio andare dentro, voglio andare a casa!” Dichiarò quasi disperata.
“Certo, piccola.” Annuì comprensivo il bassista. “Ma per andare via, bisogna passare da dentro e dire agli altri che lasciamo la festa…”
“Ti prego, non dirlo a Bill…” L’implorò Annika: Georg si fece sospettoso, che c’entrasse il cantante nello stato in cui stava la ragazza? “Ti prego…”
“Sì, non glielo diciamo, anzi, lo evitiamo proprio, eh? Lo diciamo solo a Gustav, o a Tom, chi troviamo prima, ok?” La rassicurò lui, ancora una volta. Annika annuì.
“Ho freddo, Georg.” Affermò poi la ragazza, mentre lui raccoglieva la stampella e gliela porgeva.
“Ti scaldo io.” Le disse lui, avvolgendola tra le sue braccia e massaggiandole delicatamente la schiena. Lei nascose il viso nella sua spalla.

Gustav stava parlando con un gruppetto di persone, le meno frivole della serata, quando Bill gli passò accanto a testa bassa, urtandolo e proseguì in fretta, scostando  bruscamente le persone che si trovava davanti. Lui lo guardò perplesso.
“Scusatemi.” Disse il batterista ai suoi interlocutori, mentre posava il bicchiere su un ripiano e poi seguiva Bill nella sua fuga.
Non gli fu difficile individuare di nuovo la chioma antigravitazionale di quella specie di altissimo lampione, chiamato anche Bill Kaulitz. Lo raggiunse velocemente e lo prese per un braccio, tirandolo in un angolo. Il cantante continuò a fissare il vuoto con gli occhi lucidi.
“Bill, che succede?” Gli domandò duro Gustav; l’altro non rispose, così lo scosse per il braccio che ancora gli teneva. “Bill, cazzo!”
“Va tutto bene, tranquillo.” Gli disse il cantante, continuando a non guardarlo.
“Guardami Bill.” Gl’ordinò allora Gustav; il cantante, allora, abbassò il viso e una lacrima scese lungo la sua guancia, tirandosi dietro un po’ del nero che circondava gli occhi.
“Non c’è un po’ di silenzio in questo posto di merda?!” Gridò allora Bill, sfogando il suo nervosismo e lasciando che altre lacrime seguissero la prima.
“Vieni con me.” L’incitò quindi Gustav, trascinandoselo dietro.
Il batterista gli fece salire le scale fino al primo piano, sempre tenendolo con forza per il braccio. Conoscendo Bill, a quest’ora aveva i lividi, gli venivano anche a tenere su le maniche di una giacca di pelle, ma Gustav non si faceva simili sottigliezze, lui era un tipo pratico.
Aprì una porta, la stanza era buia, quindi accese la luce: era uno studio dall’arredamento modernissimo, con una grande vetrata che dava sul giardino. All’interno non c’era nessuno. Gustav spinse dentro Bill e si richiuse la porta alle spalle.
“Adesso mi dici che cosa ti succede.” Ordinò serio il batterista, incrociando le braccia.
Bill non lo guardava, ma camminava intorno con aria nervosa, tirando su col naso e respirando profondamente; alla fine, si portò le mani sul viso e prese un lungo respiro.
“Ti sei mai sentito una merda, una grossa, orrenda, schifosa merda, solo per essere quello che sei?” Esordì il cantante, mentre si girava verso l’amico.
“Mh, a volte.” Rispose Gustav stringendosi nelle spalle. “Quando m’incazzo molto con i tecnici, senza avere troppa ragione…”
“Ma di solito hai sempre ragione, quando t’incazzi coi tecnici…” Rifletté Bill pensoso.
“Bill, non partire per i paradisi della tua creativa mente… stavamo parlando.” L’interruppe brusco l’altro, riportandolo immediatamente alla realtà.
Bill lo fissò con occhi da cane bastonato. “Gustav… sono una persona orribile?” Gli domandò quindi, con tono supplichevole.
Gustav dovette trattenersi dallo scoppiargli a ridere in faccia, ma Bill sembrava talmente serio, con quell’aria da bambino triste, che non ce la fece proprio ad infierire.
“Bill…” Fece il batterista, avvicinandosi. “…ti ricordi il giorno che ci siamo conosciuti?”
“Certo.” Rispose lui annuendo. “Non potrei mai dimenticarlo, dopo avervi ascoltato suonare mi sono sentito di un chilometro più vicino al mio sogno…”
Gustav sbuffò. Ecco, adesso era partito un altro treno. Con Bill bisognava sempre essere pronti a riportarlo sulla retta via, cioè a tappargli la bocca.
“Io, invece, ti ho odiato.” Dichiarò allora il batterista, bloccando il discorso dell’altro e facendolo voltare verso di se con un’espressione sbalordita.
“Cosa?” Domandò Bill preoccupato.
“Ti ho odiato a morte.” Ribadì Gustav. “Eri un insopportabile ragazzino secco, tutto denti, che non faceva che parlare, parlare, parlare… giuro, ad un certo punto di quella serata, ho desiderato porre fine alla tua esistenza randellandoti col basso di Georg.”
“Ma dici sul serio?” Mormorò l’amico assolutamente incredulo.
“Ti ho odiato per circa un anno.” Gli occhioni nocciola di Bill si fecero lucidi e cominciò a tremargli il labbro inferiore; Gustav comprese che era il caso di andare avanti. “Poi, però, ho cominciato ad apprezzare alcune cose di te.” Gli concesse magnanimo e Bill sorrise speranzoso. “Intendiamoci, la maggior parte del tempo sei una logorroica diva isterica che parla troppo, grida troppo, ottura gli scarichi del bus coi capelli ed ha un discutibile senso dell’umorismo, ma… sai essere una persona piacevole, se si riesce a chiudere un occhio sui tuoi innumerevoli difetti.”
“Ah, grazie…” Soggiunse Bill con aria abbattuta.
“Sì, non sei così male.” Continuò Gustav. “Sei professionale sul lavoro, sorridi sempre e sei dolce, non si può dire che tu sia comprensivo, ma di certo sei presente per gli amici e poi non scordiamoci che ci fai il favore di parlare nelle interviste, cosa, almeno per me, da non sottovalutare.”
“Non mi fai sentire meglio, Gustav…” Mormorò Bill, cui quella lista di difetti non aveva certo migliorato l’umore.
“Io, nonostante tutto, non ho mai pensato che tu fossi una persona orribile.” Lo rassicurò con un sorriso. “Chi ti ha fatto sentire una merda, Bill?” Gli chiese allora il batterista.
“Annika.” Rispose il cantante, mentre osservava una fila di soprammobili di cristallo posti sulla mensola del moderno caminetto.
Gustav alzò le sopracciglia, poi si fece un sorrisetto retorico. “E c’entra forse il fatto che lei ti piace parecchio?” Insinuò quindi.
Bill si girò di scatto, gli occhi spalancati. “Si capisce tanto?!” Domandò preoccupato.
“Noooo.” Negò divertito l’amico.
Bill scrollò il capo. “Abbiamo litigato.” Raccontò quindi. “Non le piace questa festa, la gente che c’è e quello che fanno.”
“Ha ragione.” Affermò Gustav. “Non piacciono nemmeno a me.”
“Capisco…” Riprese sconsolato Bill. “Ma mi sono sentito come se le facessi schifo anche io.” Ammise infine, abbassando gli occhi.
“Per quanto può contare la mia opinione, io non credo che tu le faccia schifo.” Intervenne il batterista. “Solo non ti conosce ancora bene e, forse, ha paura che il vero Bill sia quello che ha visto stasera.” Continuò tranquillo, mentre l’altro lo guardava interessato. “Il Bill di stasera, francamente, schifa un po’ anche me.”
“Lo pensi davvero?” Gli chiese il cantante con atteggiamento umile.
“Sì, lo sai che io non racconto cazzate.” Rispose sincero Gustav. “Non ti sei comportato bene con lei per tutta la sera.” Aggiunse serio.
“Hai ragione.” Ammise Bill a malincuore, chinando di nuovo la testa. “Credo che… sì, credo che dovrei chiederle scusa.”
“Non è mai troppo tardi, Bill.” Gli ricordò l’amico.
“Grazie, Gustav.” Gli disse l’altro.
“E di che?” Fece lui, voltandosi verso la porta e facendo per aprirla.
“Ti posso abbracciare?” La richiesta del cantante, fatta con una vocetta da giardino d’infanzia, lo fece voltare di scatto.
“Ma non se ne parla proprio!” Esclamò risoluto, aprendo la porta e uscendo nel corridoio.
“Dai, solo un pochino!”
“Smettila!”
“Ti prego! Il mio orsacchiotto Gugu!”
“Falla finita con queste cazzate o ti butto sotto alle scale!”

Georg ed Annika arrivarono a casa Kaulitz verso l’una. La ragazza non aveva più parlato, ma era chiaro che fosse arrabbiata e triste. Il bassista la osservava senza avere il coraggio richiederle nulla. Salirono all’appartamento ed entrarono.
“Che cosa vuoi fare ora?” Domandò Georg ad Annika, che era ferma davanti alle scale.
“Voglio andare a dormire.” Rispose lei, ma rimase ferma osservando la scala con la fronte aggrottata. “Non ce la faccio…”
Georg le fu subito accanto. “Non ti preoccupare, ti porto io.”
La ragazza lo guardò rammaricata, ma lui le sorrise, rassicurandola con un cenno, poi le prese delicatamente le stampelle e le poggiò contro la balaustra, mentre lei si reggeva al passamano. Tornò da lei, le passò un braccio intorno alla vita e, quindi, con l’altro le sollevò le gambe; lei gli abbracciò il collo, per sostenersi, ma il ragazzo non ebbe troppe difficoltà a portarla.
Salirono di sopra senza intoppi, raggiungendo in breve la camera di Annika. Lei aprì la porta. Georg la portò dentro e la depositò delicatamente sul letto, quindi s’inginocchiò davanti a lei e le rivolse uno sguardo liquido. Lei tremò.
Georg abbassò, allora, il capo, le sollevò piano la gamba e sfilò la scarpa dal suo piede, quindi risalì con le dita, carezzevole, fino al ginocchio. La pelle di Annika era bianca e liscia, ne poteva avvertire il buon profumo anche se era distante.
Guardò la ragazza. I suoi occhi erano turbati, ma lui ne interpretò male il significato. Continuò la carezza sulla coscia, oltre l’orlo della gonna. Annika non reagiva, mentre lo fissava. Georg si sollevò, avvicinandosi a lei, le scostò i capelli dal viso e poi l’avvicinò a se, prendendola delicatamente per la nuca. Posò le labbra sulle sue, mentre gli occhi di Annika si spalancavano.
Il ragazzo, mentre approfondiva il bacio, la spinse leggermente. Il corpo della ragazza cedette, cadendo leggero sul materasso. Le mani di Georg superarono il bordo della maglietta, mentre il suo corpo aderiva a quello di Annika.
In quel momento, però, la ragazza si divincolò bruscamente, spingendolo via. Lui smise di baciarla e si sollevò sui gomiti, guardandola perplesso. Non si aspettava quello che vide. Il viso di Annika era sconvolto, il capo voltato di lato, gli occhi serrati, la bocca storta in una smorfia.
“Smettila, ti prego.” Sussurrò lei con tono eccessivamente disperato.
“Va tutto bene, Annika.” Le disse Georg, baciandole il collo per rassicurarla. “Non ti faccio niente… mi piaci così tanto…”
“No!” Gridò lei, continuando a spingerlo con forza. “Non toccarmi! Non mi toccare!” Continuò, dandogli uno spintone. Lui si ritrovò seduto per terra.
Annika si rannicchiò sul letto con qualche difficoltà, a causa del gesso, mentre lui, seduto sul tappeto, la fissava incredulo e dispiaciuto. Non riusciva a spiegarsi il comportamento della ragazza. Era chiaramente sconvolta, ma lui non riusciva a capire quale suo gesto potesse averla impaurita così tanto, non gli sembrava di essere stato aggressivo, eppure lo aveva respinto con foga.
“Annika, che succede?” Le chiese, prima di alzarsi.
“Niente, non è colpa tua…” Rispose lei con un filo di voce. “…ti prego, vai, posso anche stare sola.” Aggiunse senza sollevare il viso dal cuscino.
“Non mi va di lasciarti sola…” Replicò preoccupato Georg.
“Va bene, non ti preoccupare.” Affermò Annika, sollevando una mano. “Vai a casa…”
Georg sospirò rassegnato, scuotendo il capo; proprio non riusciva a capire cosa era successo. A quel punto, comunque, non gli restava a che accontentarla. Scrollò il capo e si diresse alla porta. Prima di uscire lanciò un’ultima occhiata alla ragazza. Era immobile sul letto, col viso nascosto tra i due cuscini e lui si sentì molto in colpa. Attraversò la porta e la chiuse alle sue spalle.

Bill si precipitò all’ascensore del garage, spingendo convulsamente il pulsante della chiamata, ma Tom fece in tempo a raggiungerlo, prima che arrivasse il mezzo, dopo aver salutato Saki con un cenno. Il chitarrista scosse il capo.
Il cantante, quando era tornato dal piano di sopra insieme a Gustav, si era messo a cercare Annika, senza trovarla. Una mezz’ora dopo, sconvolto e preoccupato, era tornato dal batterista dicendogli che non la trovava da nessuna parte. Per fortuna, Tom era lì; gli riferì che la ragazza era andata via con Georg un’oretta prima e che lo avevano detto a lui. Bill, da quel momento in avanti, aveva fatto di tutto per andarsene al più presto dalla festa ed era stato accontentato poco dopo.
Durante tutto il tragitto in ascensore, Bill si mordicchiò nervosamente il pollice. Tom represse una risatina, pensando che suo fratello, in quel momento, era simile al bambino che un tempo si succhiava il dito. Subito dopo, però, il gemello maggiore si fece serio: Gustav gli aveva riferito quel che era successo tra Bill ed Annika, quindi era preoccupato.
Il cantante entrò in casa senza aspettare il fratello, ancora impegnato a sfilare le chiavi dalla pulsantiera dell’ascensore. Quando Tom lo raggiunse lo vide salire le scale di corsa, come se stesse rigirando il video di Spring Nicht.
“Bill…” Lo chiamò, cercando di fermarlo, ma l’altro era già all’altezza della porta di camera sua. Tom sbuffò e, mani ai fianchi, si girò verso il salotto.
“Tom…” Sussurrò una figura dall’ombra oltre il divano.
Il chitarrista spalancò gli occhi. “E tu che cazzo ci fai qui?!” Esclamò a bassa voce, dirigendosi a grandi passi verso l’amico che l’aveva chiamato.
“Ho accompagnato Annika…” Esordì Georg.
“Parla piano, cazzo!” L’esortò però Tom, mentre l’altro oltrepassava il divano.
“Dicevo…” Riprese il bassista, abbassando la voce. “…ho accompagnato a casa Annika, poi mi ha detto che potevo andare, ma non me la sentivo di lasciarla sola.”
“Te ne devi andare subito.” Ordinò l’altro. “Prima che disgraziatamente Bill torni di sotto.”
“Senti, io voglio sapere cosa è successo, ho trovato Annika in lacrime…” Insisté serio l’amico, ma Tom lo bloccò prendendolo per le spalle.
“Ascoltami, Georg.” Affermò risoluto. “Se tieni ai Tokio Hotel e mi vuoi un po’ di bene, ti prego, vattene a casa adesso.”
“Ma Tom…” Protestò il bassista.
“Vai a casa, Georg.” Ribadì il chitarrista, spingendolo verso la porta. “Ne parliamo un’altra volta.”
Georg sbuffò infastidito, roteando gli occhi. “Va bene.” Si arrese infine. “Ma non finisce qui… Buonanotte.” Aggiunse, mentre raggiungeva l’uscita.
“Buonanotte.” Gli augurò Tom, sollevato di averlo convinto.
“Tom, dimmi la verità.” Fece, però, Georg, girandosi di nuovo verso l’amico, quando la porta era già aperta. “Le ha messo le mani addosso?”
“Chi? Perché?” Replicò sbalordito l’altro, con una mano sull’anta.
“Bill ad Annika, lei è strana, si comporta in modo incomprensibile…” Cercò di spiegare lui.
Tom aveva un’espressione incredula. “Scusa, in quale universo alternativo dovrebbe essere successo questo?” Domandò ironico.
“Dai, Tom…” Borbottò Georg, con le mani sui fianchi.
“No, basta.” Sentenziò il chitarrista. “Buonanotte, ci vediamo domani.” Aggiunse, spingendolo fuori e chiudendo la porta sulla sua faccia accigliata.

Bill, nel frattempo, si era precipitato alla porta di Annika. E lì si era fermato, senza il coraggio di entrare. Esitò, con una mano sulla maniglia e l’altra posata sul legno della porta; infine aprì con delicatezza, cercando di non fare rumore.
La stanza era semibuia; solo una lampada sul comodino era accesa, ma sul tono di luce più basso. La ragazza era stesa sul letto, di lato, con la coperta fino alle spalle; dormiva placidamente. Lui si avvicinò piano, le guardò il viso, sembrava tranquilla, quindi si girò verso il comodino e prese una boccetta di medicinali. Erano i sonniferi che le erano stati prescritti dal medico in caso ne avesse avuto bisogno. Quella sera, evidentemente, era così.
Bill sospirò e riposò la boccetta, poi tornò a guardare lei. Avrebbe voluto chiederle scusa proprio in quel momento. Svegliarla e supplicarla di perdonarlo. Non aveva, però, il cuore d’interrompere il suo sonno. Sembrava così rilassata e tranquilla, adesso.
Le accarezzò gentilmente la guancia, lei non si mosse. Aggiustò i capelli sulla sua fronte, con delicatezza, poi si abbassò su di lei e le baciò la guancia. Era tutto ciò che poteva fare, per quella notte. Spense la luce ed uscì dalla camera.

Fu Tom, qualche minuto dopo, quando decise di andare a letto, a vedere le stampelle di Annika in fondo alle scale. Le prese, perplesso, e, vinto da un moto di altruismo, le portò in camera della ragazza. Lei dormiva, quindi, gliele lasciò appoggiate al comodino. Poi, con la sigaretta penzoloni tra le labbra, controllò che anche Bill dormisse e se ne andò a letto. Erano quasi le tre.

Annika aprì gli occhi con una certa difficoltà. La sera prima aveva preso un sonnifero ed ora si sentiva molto intontita. La stanza era in penombra, ma dalla luce che filtrava dalle tende si poteva intuire che era giorno fatto. Si girò verso il comodino per guardare l’ora, ma il display della sveglia era coperto da un foglio arancione piegato a metà.
La ragazza si sollevò contro la spalliera e poi prese il biglietto. Lo aprì lentamente, ma già immaginava di chi fosse, nessun altro avrebbe potuto usare una carta del genere. La calligrafia spigolosa con cui erano vergate le poche parole all’interno le diede la conferma.
«Sono stato uno stupido superficiale. Scusami. Bill.» Solo questo c’era scritto, ma fu sufficiente a farle male, perché sapeva di essere stata cattiva anche lei.
Doveva chiedergli scusa. Subito. Era probabile che Bill fosse già uscito di casa, ma si sentiva in dovere almeno di provare. Scostò la coperta frettolosamente e prese le stampelle appoggiate contro il comodino, alzandosi poi dal letto.
Uscì dalla propria stanza e vide la porta della camera di Bill aperta; si affacciò, ma non c’era nessuno, solo il pavimento umido e le finestre aperte. Frau Hildegard doveva aver appena finito di sistemare e pulire. Annika, allora, percorse il corridoio, fino alla stanza di Tom, che era nella stessa situazione dell’altra. Arrivata quasi alle scale, sentì un rumore e guardò giù. La governante stava passando la macchina lucida pavimenti sull’elegante parquet scuro dell’ingresso.
“Frau Hildegard.” Chiamò la ragazza.
La donna alzò gli occhi su di lei e le sorrise. “Oh, buongiorno Fräulein Annika.” La salutò quindi.
“I ragazzi sono già usciti?” Domandò allora l’altra.
“Eh, sì, li ha mancati di poco, saranno andati via un quarto d’ora fa…” Rispose rammaricata la governante. “Ma forse può chiamarli, saranno ancora per strada.”
“Non è necessario, ci parlerò stasera.” Replicò tranquilla Annika. “Grazie comunque, Frau Hildegard.” Aggiunse con un sorriso, prima di tornare verso camera sua.
Arrivata lì si sedette sul letto, sbuffando. La serata precedente era stata una delle più lunghe della sua vita, erano successe davvero tante cose. Troppe. Ed ora si prospettava una lunga giornata d’attesa. Riprese il biglietto di Bill, lo lesse e fece una smorfia. Un chiarimento era assolutamente necessario.

“Hai qualche cosa da dirmi, Bill?” Chiese Georg al compagno, mentre erano impegnati a cambiarsi dopo un servizio fotografico.
Il cantante si girò, sollevando perplesso un sopracciglio. “Non ho niente da dirti, Georg.” Rispose poi, con aria supponente.
“E allora perché, ogni volta che mi guardi, la tua faccia sembra il culo di un gatto?” Replicò il bassista, incrociando le braccia muscolose.
“Non capisco di che cosa stai parlando.” Affermò Bill, girandosi dall’altra parte, mentre si allacciava la cintura.
Tom e Gustav seguivano la scena con espressioni perplesse e incuriosite, ogni tanto si scambiavano occhiate complici, mentre aspettavano gli sviluppi.
Bill, infatti, continuava a vestirsi, ma i suoi gesti erano nervosi; ad un certo punto, dopo essersi infilato una maglietta, si girò verso Georg e mise le mani sui fianchi. L’espressione torva.
“Si può sapere perché ieri sera sei andato via con Annika senza dirmi nulla?” Domandò al bassista.
“Ahhh!” Esclamò soddisfatto Georg. “Finalmente lo hai cagato il rospo!” L’espressione di Bill si accartocciò disgustata. “Se proprio lo vuoi sapere, non te l’ho detto, perché lei mi ha chiesto di non farlo.” Spiegò quindi.
“Te lo ha chiesto lei?” Replicò Bill aggrottando la fronte, cosa che fece diventare la sua faccia infantile e preoccupata.
“Sì.” Annuì impietoso l’altro. “E mi piacerebbe sapere che cosa le hai fatto, perché l’ho trovata in lacrime, dal sola e al freddo.” Aggiunse con tono incazzato.
Bill alzò su di lui uno sguardo tormentato. “Piangeva?” Chiese poi, con gli occhi quasi lucidi.
“Piangeva, certo.” Infierì Georg.
Bill deglutì e abbassò gli occhi, tormentandosi le mani. “Abbiamo… avuto una discussione…” Confessò quindi, rammaricato. “Ma intendo chiederle scusa.”
“Mi sembra il minimo.” Affermò risoluto il bassista.
“Senti, ma si può sapere, alla fine, che te ne frega di quello che facciamo io e Annika?” Gli domandò allora Bill, aggrottando sospettoso la fronte.
“M’interessa perché si da il caso che lei mi piaccia molto.” Rispose Georg per nulla intimorito.
“Ohhh, non si era affatto capito!” Ribatté Bill fintamente stupito. “Le stai continuamente addosso, ti strusci, la tocchi, non le dai respiro, sei una sottospecie di sanguisuga sessuale!”
“Questa me la segno…” Commentò Gustav sottovoce, facendo ridacchiare Tom.
“Se ti da tanto fastidio che ci provi con Annika, perché non le dici che piace anche a te, così può decidere da sola chi preferisce!” Dichiarò Georg e Bill si ritirò in un’espressione colpita. “Ahh, sono andato a segno, non è così?” Aggiunse ironico il bassista.
“Se lei mi piace o no, non sono affari tuoi.” Affermò Bill impermalito, incrociando le braccia. “Ne parlerò con Annika, quando e se, deciderò di farlo.”
“Bene.” Annuì Georg. “Questo, però, non m’impedisce di continuare a provarci.”
“Tu… tu sei… Spero che ti prenda un gran rimbalzo, caro mio!” Sbottò il cantante, sventolando l’indice. E quelle parole ricordarono a Georg che, in effetti, era già stato respinto, ma rimase impassibile nella sua momentanea posizione di vantaggio.
“Vedremo, bimbo bello, vedremo.” Sentenziò quindi, atteggiandosi a superiore.
E Bill, come sempre quando si vedeva sconfitto in una discussione, strinse i denti e i pugni, grugnì, batté i piedi e poi diede le spalle all’interlocutore, uscendo di corsa dallo spogliatoio, dopo aver afferrato da una sedia la sua inseparabile borsa. Georg, fece un mezzo sorrisetto e si diresse nel bagno, dal lato opposto a quello preso dal cantante.
Tom e Gustav, rimasti soli, si guardarono in faccia perplessi. Il chitarrista aveva in mano fascia e cappello, non li aveva messi per seguire la discussione. Il batterista, invece, era già completamente vestito, ma esitava appoggiato ad un mobile, con le braccia conserte.
“È incredibile.” Esordì Gustav. “Ad una ragazza possono piacere due come Bill e Georg?” Si chiese poi quasi incredulo.
“È come dire che a qualcuno piacciono le patatine fritte spalmate di cioccolata.” Concordò Tom, scuotendo il capo. “Sarebbe come se a una piacessimo io e te…”
Gustav si girò verso di lui e Tom fece altrettanto, si scrutarono negl’occhi, poi scoppiarono a ridere e dissero in coro: “Naaahhhh!”   

I ragazzi, quella sera, tornarono a casa verso le nove. C’era penombra, solo una piantana in un angolo del salotto illuminava fiocamente le due stanze. La casa era silenziosa. I gemelli accesero la luce nell’ingresso e poi si diressero entrambi verso l’armadio a muro.
“Ma Tomi…” Fece Bill, rompendo il silenzio che durava dal viaggio in macchina. “…metti la giacca nell’armadio?”
Tom sorrise brevemente. “Ti ho visto un po’ nervoso oggi, quindi ho pensato che è meglio non provocarti.”  Spiegò poi.
“Sei proprio un tesoro…” Soggiunse l’altro, con tono sarcastico.
Tom sbuffò una risata, voltandosi, mentre Bill appendeva la sua giacca. Quando sollevò gli occhi, il chitarrista vide Annika, a quanto pare appena uscita dalla cucina.
“Bill, c’è qualcuno che ti cerca.” Affermò quindi, richiamando il fratello. “Ciao, Annika.” Salutò poi, prima che Bill si girasse.
Il cantante, quando si trovò faccia a faccia con la ragazza, spalancò gli occhi sorpreso, ma poi abbassò il capo imbarazzato.
“Ciao, Tom.” Salutava nel frattempo Annika, mentre sperava che Bill rialzasse la testa.
Il ragazzo lo fece e, con sguardo tormentato, incrociò gli occhi di lei. Annika gli sorrise appena e lui si sentì ancora più in colpa, ma non riuscì più a distogliere i propri occhi dai suoi.
“Bene, io… vado a fare la doccia, ci vediamo dopo…” Dichiarò Tom, quando capì di essere di troppo; lanciò un’ultima occhiata ai due e s’incamminò verso le scale.
“Ciao.” Lo salutò la ragazza.
“Ciao.” Rispose lui titubante, aggiustandosi un ciuffo di capelli dietro l’orecchio.
“Possiamo parlare un momento?” Gli chiese quindi Annika, avvicinandosi di qualche passo.
“Hm, certo.” Annuì Bill, prima di grattarsi la nuca. Era palesemente nervoso.
“Stamattina ho letto il tuo biglietto.” Gli riferì lei con tono tranquillo, ma lui si agitò ancora di più, cominciando a muoversi da un piede all’altro e vagando con lo sguardo.
“Lo hai visto?” Le chiese scioccamente.
Annika sorrise. “Beh, sì, era grande e… arancione.” Rispose quindi.
“Ah, avevo solo quella carta, così…”
“Volevo parlarti subito, ti ho anche inseguito, ma eri già uscito di casa.” Affermò però lei, interrompendolo. Bill la guardò.
“Mi… mi hai inseguito?” Le domandò; la ragazza annuì. “Era così tanta la tua voglia di dirmi che sono un idiota?” Aggiunse lui, con un sorrisino incerto.
“Veramente…” Replicò Annika facendosi seria e abbassando gli occhi. “…volevo scusarmi.”
L’espressione di Bill si fece confusa. “Volevi scusarti? Tu?” Mormorò poi.
“Sì.” Rispose la ragazza, sollevando il viso e guardandolo negli occhi. “Sono stata sgarbata e indisponente, ti ho offeso e non sono stata ad ascoltare le tue spiegazioni…”
“Annika, tu non devi scusarti di niente.” La bloccò lui. “Io ti ho trattata malissimo ieri sera, sono stato orribile e…”
“Mi fai finire, per favore?” Intervenne risoluta la ragazza; Bill la spronò a continuare con un cenno. “Ieri sera, io, ero molto arrabbiata con te, non capivo perché mi avessi portata in quel posto, cosa volessi dimostrarmi e poi… più stavo lì, più avevo paura.” Espose quindi, mentre lui la seguiva attento. “Avevo paura perché ho visto certe cose, lì dentro, ed ho pensato che, comunque, è il vostro mondo e… non sareste né i primi, né gli ultimi a prendere una brutta strada, nel vostro ambiente…”
Bill, che la fissava con un’espressione ora seria, si sentì di dovere d’intervenire. “Annika, ti assicuro che nessuno di noi ha mai pensato di farsi coinvolgere in…”
“Ma Bill, io ci credo a questo!” Ribatté immediata lei. “È solo che potrebbe succedere, non si sa mai, un giorno potreste essere troppo tristi, troppo deboli o troppo soli per dire di no, e allora?” Il cantante la guardava accigliato, con le labbra leggermente socchiuse. “Tu, Tom, Georg e Gustav siete delle persone stupende, io mi sono affezionata a voi.”
“Oh, Annika, ti sei preoccupata per noi…” Mormorò Bill.
“Sì, ormai vi voglio bene e mi fa male pensare che potrebbe succedervi qualcosa.” Lo guardò intensamente negli occhi. “Che possa succedere qualcosa a te.” Aggiunse quindi.
Le ultime due parole, che lei aveva pronunciato guardandolo intensamente negli occhi, colpirono profondamente Bill. Si era preoccupata per lui. Preoccupata veramente, perché la sincerità nei suoi occhi era fin troppo palese. Il cuore del ragazzo si fermò per un secondo, per poi riprendere a battere furiosamente nel suo petto. La guardava, non sapeva cosa dire e non era cosa che gli fosse successa spesso.
“Mi dispiace se ti sei sentito giudicato male, io volevo solo aprirti gli occhi…” Affermò ancora Annika. “Purtroppo l’emozione mi ha fatta spiegare in modo pessimo, scusa.” Aggiunse, abbassando subito gli occhi.
Ora non le restava che aspettare la reazione di Bill, ma non succedeva niente. Quando, però, la ragazza stava per rialzare il capo e vedere se lui c’era ancora, si ritrovò avvolta da due lunghe braccia magre, il respiro di Bill contro il suo collo. L’aveva abbracciata d’impeto.
Annika rimase frastornata per un lungo momento. Era una sensazione stranissima, non gli era mai stata così vicino, col petto contro il suo. Lui la teneva stretta con forza, ma anche con tenerezza. Una sua mano tra i capelli, le punte fredde delle sue dita a sfiorarle la cute. Il suo piacevole calore si confondeva con quello di lei. Il suo corpo era solido, reale. E aveva un profumo buonissimo. Di fumo, di cuoio, di qualcosa d’inspiegabile e dolce. Profumo di Bill. Chiuse gli occhi e si abbandonò.
“Devi perdonarmi anche tu, però.” Sussurrò ad un certo punto Bill nel suo orecchio. “Perché sono stato cattivo con te e ti ho abbandonata su quel terrazzo.”
“Non ho niente da perdonarti, Bill.” Rispose lei, rispondendo per quanto possibile all’abbraccio, senza lasciare le stampelle.
“Allora, grazie.” Fece lui con un breve sorriso, scostandosi per guardarla negl’occhi. “E grazie anche per esserti preoccupata per me, era tanto che nessuno lo faceva davvero, come se fossi una persona e non solo una foto patinata su una rivista.”
“Beh, prego…” Replicò lei imbarazzata, arrossendo. “È un piacere, credimi.”
Bill, a quel punto, le sorrise, si piegò verso di lei e le baciò dolcemente la guancia, quindi si scostò da lei, sempre sorridendo. Annika lo guardò con espressione rilassata.
“Non tenti più di baciarmi come ha fatto Georg?” Gli chiese poi, ironica.
“Solo quando lo vorrai tu.” Le rispose con dolcezza lui. “Cosa c’è in cucina? Muoio di fame!” Aggiunse poi allegro, prendendola per le spalle e guidandola lungo il corridoio.
Annika sorrise e fece forza sulle sue fidate stampelle. Un altro lungo giorno era finito. Nel migliore dei modi.

CONTINUA

Note: la canzone cantata da Annika e Claudia è “River Deep Mountain High” di Tina Turner, assolutamente fantastica con quegli archi, sentitela! E comunque è stata usata senza scopo di lucro.

Ringraziamenti:
picchia – allora, delle piantine ne parliamo una volta in msn, così ti spiego meglio. Poi, grazie per i complimenti, spero tu abbia gradito il Bill di questo capitolo (ehm, o no?), non che si sia smosso molto, però, dai, si sta svegliando. E non uccidere Georg per il suo “intervento”!
RubyChubb – 1. L’US di questo capitolo s’è dato da fare, però i risultati non sono stati gran che, come affronterà Annika da ora in avanti? 2. Bill… torna il Bill a due facce, come si diceva una volta (lo dicevo con te, vero? O era un’altra? Boh), speriamo che non crei troppi casini. Mi hai fatto schiantare con quella cosa del tarantiniano! ^__^ 3. Non so che penserai di Annika adesso, perché la sua bilancia sbilancia continuamente! Io la capisco, poverina, ma come ti ho sempre detto e ripetuto: ci sono cose di lei che voi non sapete. Ma io sì! Ahahah, risata perfida! 4. poco Tom in questo chap, ma lo adoro quando fa il Tom, quindi aspetto il prossimo capitolo per sistemarlo. Ah, l’Azzitafans ringrazia per il premio. 5. in questo chap l’oscar per l’apparizione lo diamo a Titty, dai se lo merita, o almeno alle sue mutande! 6. Stavolta Gugu interviene eccome, quindi dovrai apprezzarlo per forza. 7. Claudia torna, anche se per poco e ovviamente precipita tra le braccia di Tom. Sì, cara, non c’è storia, è presa piena. Ma spero tu l’abbia apprezzata lo stesso. 8. oggi invece che per l’hamburger di soia, mi picchio sa sola per il ritardo e la lunghezza del capitolo, ho già la frusta in mano!
kit2007 – grazie per tutti i complimenti, spero che in questo capitolo siano successe cose sufficenti a stimolare la tua curiosità, perché la storia non è assolutamente finita! Quanto alle coppia, beh, nella mia testa sono già belle che fatte, però mi fa sempre piacere quando qualcuno specula su quello che scrivo e si fa qualche filmino. Si vede che la storia funziona!
 crimy – Bill folletto? Carino! Anche se io forse lo vedo più bellissimo elfo dei boschi stile Tolkien. Spero che tu abbia visto che Annika, nonostante sia certamente ingenua, non è certo una ragazza debole. E hai ragione, Tom bisognerebbe proprio inventarlo se non ci fosse, lo amo. Bhe, per quanto mi riguarda io vedo le groupie un po’ come le presentavano nel film “Almost famous” non so se lo hai mai visto.
Claudy – fa sempre piacere avere una nuova lettrice e spero una nuova amica. Il Bill di questo capitolo spero che non ti abbia delusa, ma non credo. Non potrei mai essere del tutto cattiva con lui. Tom qui si vede poco, ma gli darò spazio più avanti.  E Annika si scopre pezzettino per pezzettino. Spero che l’attesa sia valsa la pena.
Princess – Oh, mia cara! Mi auguro che le azioni del nostro caro Us non ti abbiano turbata troppo, questa volta! Annika, come ho già detto, è un personaggio che si scoprirà lentamente, intanto in questo capitolo, diciamo, si può intuire qualcosa di lei. La tirò abbastanza per le lunghe per te? No, ti prego, riponi la frusta! Spero di continuare ad incuriosirti, almeno quanto fai tu con me!
Ninnola – ehhh, ci sono tante di quelle cose che non potete immaginare di lei. Vedrete, vedrete! Beh, io penso che Tom reagisca così perché è molto geloso della sua vita privata, ma vedrai che sa anche essere dolce! Sono contenta se la storia ti sembra realistica, è uno dei miei obiettivi! Grazie!
Dark lady – grazie, davvero, almeno qualcuno apprezza la mia prolissità!
I’ll jump for you – grazie per i complimenti, spero che continui a seguirmi anche se sono lenta ad aggiornare!
Loryherm – Lory, che ti devo dire? Mi hai detto delle cose così belle, in questa e nelle altre recensioni che hai lasciato alle mie storie (e che ho apprezzato tanto) che non so proprio come risponderti. Replicare punto su punto sarebbe troppo lungo e impegnativo, quindi posso solo ringraziarti e sperare che continuerai a lasciarmi questi bellissimi commenti. Io e te dovremmo proprio fare due chiacchere, mi hanno colpito molto alcune cose che hai detto. Grazie ancora.
Dark_irina – ma grazie, sei troppo carina! Eh, le chiacchere di Bill e Annika continueranno, quindi preparati, perché sti due ne hanno di cose da dirsi. Quanto a Tom, vedrai, ho in mente cose per lui. Intanto, spero che l’attesa sia valsa la pena.
Sunsetdream – scusa per l’attesa e grazie per i complimenti. Non lo faccio apposta ad aggiornare così raramente, sono i miei tempi, mi auguro di non averti angosciato troppo!

E un grazie a Sarakey. Tesora, puoi mettere via gli strumenti di tortura, il capitolo è on line, ma la prossima volta invece di leggere ciofeche, leggi qualcos’altro di mio, anche se non è sui Tokio Hotel, almeno ti fai una cultura! Baciotti schioccanti!

Infine, un bacione per le Moschettiere al grido: tutte per i Tokio Hotel, un Tokio Hotel per tutte!
E mi raccomando, rispettare la rotazione!

Vi saluto, non mi abbandonate prima del prossimo aggiornamento! Danke!
 




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Capitolo 7
*** 7 - Come una teiera volante ***


autumn song 7
Allora, dopo uno dei periodi più intesi degli ultimi mesi, torno ad aggiornare questa storia. Ho scritto più negli ultimi due giorni che in un mese! Vabbè!
Cmq, dopo la cocente delusione del concerto annullato, la preoccupazione per Bill e cazzi vari, torno finalmente a voi. Spero che questo nuovo, logorroico capitolo, vi accontenti, quindi la lascio senza indugio alla lettura. Mi raccomando, fatemi sapere che ne pensate!

Note e ringraziamenti alla fine!

Lunga vita e prosperità! (soprattutto a i’ mi’ bambino! Bill rimettiti presto!)
Baci
Sara

7 – Come una teiera volante

Annika arrivò allo studio di registrazione accompagnata da Saki poco prima delle quattro del pomeriggio. Aveva un appuntamento con Bill per uscire a fare shopping.
Scesa dalla macchina si guardò intorno; si era immaginata uno di quei palazzi modernissimi, tutto vetri e acciaio, invece era un edificio ottocentesco nel centro della città. Si accedeva all’interno tramite un grande portone di legno lucido, poi, salendo alcuni gradini di marmo bianco, si arrivava ad una seconda porta, questa a vetri con intelaiatura in metallo.
Dentro tutto cambiava e l’atmosfera si faceva modernissima, quasi stile astronave. Appena entrati, sulla destra, c’era un elegante bancone che faceva una curva, dietro il quale stava una bella ragazza bionda con un carinissimo twin set azzurro, che riprendeva il colore dei suoi occhi. Saki si avvicinò.
“Anke, dici a David che siamo arrivati?” Le disse e lei annuì, prendendo subito il telefono.
“Potete andare.” Affermò poco dopo l’impiegata, indicandogli una direzione davanti a loro, dopo aver riagganciato la cornetta.
Di fronte ad Annika la stanza si divideva in due: a sinistra continuava in un corridoio buio, mentre sulla destra, dopo uno spazio riempito da una florida palma, c’era una porta grigia, con la parte superiore occupata da un vetro a specchio attraverso cui non si poteva vedere. Si aprì con un rumore metallico, dopo che l’impiegata ebbe premuto un bottone. Saki guidò la ragazza in quella direzione.
Annika si guardava attorno, era curiosa per questa prima volta. In vita sua, mai avrebbe immaginato di finire un giorno nello studio di registrazione di una grande etichetta musicale. Si ritrovò in un corridoio, sempre guidata da Saki. Spiò dentro un paio di porte aperte, passando: in una c’era una ragazza bionda seduta davanti al pc, l’altra era una specie di disordinato salotto. Ad un certo punto svoltarono a destra e si fermarono davanti ad un’altra porta, questa chiusa e con una luce rossa sopra. Saki bussò e poco dopo uscì un uomo.
Era giovane, doveva essere tra i trenta e i quaranta, capelli castani, vestito casual con una maglietta di cotone a maniche lunghe e jeans. Portava un cappellino nero. I suoi lineamenti erano affilati, gli occhi attenti. La squadrò da capo a piedi, poi fece un sorriso strano.
“Annika, questo è David Jost, il manager dei Tokio Hotel.” Lo presentò Saki; la ragazza lo guardò, sorrise per cortesia, perché si sentiva in imbarazzo.
“Piacere.” Mormorò poi, porgendogli la mano; lui gliela strinse brevemente.
“Sei cambiata molto, dall’ultima volta che ci siamo visti.” Le disse poi; Annika aggrottò la fronte con espressione interrogativa. “Ero sull’ambulanza, quando ti hanno portato all’ospedale.” Spiegò allora l’uomo.
Lei lo fissò per un attimo, riflettendo. “Ah, sì, adesso mi ricordo…”
“Vedo che ti sei sistemata bene.” Continuò David, osservandola supponente. “Sei una bambolina… credo che a Bill piaccia molto giocare alle bambole…”
Annika rimase malissimo, nel sentire quelle parole, non capiva l’astio del manager. Poi pensò che forse era solo risentito perché non gradiva il fatto che lei vivesse con Bill e Tom. Ma la sua palese ostilità, qualunque ne fosse il motivo, la metteva a disagio.
La porta alle spalle di Jost, in quel momento, si aprì e ne uscì un giovane dai capelli rossi, che si rivolse subito al manager.
“David, puoi venire? Abbiamo bisogno di te.” Gli disse.
“Sì, arrivo subito.” Gli rispose l’uomo, poi tornò a guardare Annika. “Tu vieni con me, i ragazzi ti vogliono far sentire qualcosa.” Affermò, indicandole la porta con la luce rossa; lei annuì.
“Io vado da Dunja, dobbiamo finire quel lavoro.” Dichiarò Saki, David fece un cenno affermativo e la guardia del corpo si allontanò.
Annika, silenziosa e incerta, seguì Jost nell’altra stanza. Era una camera abbastanza lunga, rettangolare, semibuia. Il ragazzo coi capelli rossi era, adesso, seduto dietro ad un’elaborata consolle di comandi elettronici, insieme ad un altro uomo; davanti a loro una finestra occupava tutta la parete sopra i controlli. Oltre il vetro, i Tokio Hotel. E Annika, finalmente, sorrise.
David, che appena entrato si era messo una cuffia all’orecchio, la tolse e spinse un bottone vicino ad un microfono. I ragazzi avevano appena finito di suonare qualcosa che Annika non aveva sentito.
“Bene.” Disse Jost nel microfono. “È una buona prova, ma ora fatemi «Geh».” Aggiunse serio.
“Ok!” Gli rispose Bill che, seduto su uno sgabello, dava le spalle al vetro.
“Ah, è arrivata Annika.” Gli annunciò quindi David, distrattamente.
Bill si girò subito e sorrise alla ragazza, sventolando allegro la mano. Annika gli rispose con un sorriso dolce, mentre lui le mandava bacini volanti. La ragazza si accorse solo dopo qualche secondo che anche Georg la stava salutando; gli rispose con un cenno gentile.
Gustav, nel frattempo, uscì dalla sala degli strumenti, dove erano rimasti gli altri tre. Il batterista salutò la ragazza con un bacio sulla guancia e poi le spiegò che non era prevista batteria in quell’ultimo pezzo della giornata di prove. A quel punto, il manager le indicò una sedia dove prendere posto e le diede la cuffia.
“Adesso mi senti, Annikina?” Le chiese Bill tutto sorridente. Lei rise piano, a quell’uscita, poi annuì.
“Ma come l’hai chiamata?” Commentava nel frattempo Georg, scuotendo il capo.
“Sei un deficiente, Bill.” Rincarò Tom, mentre finiva di accordare la chitarra acustica.
“Pensate a suonare, voi due.” Replicò il cantante con aria offesa. “Non vi preoccupate, ad Annika piaccio così!” Aggiunse, tornando a guardare lei, che gli sorrise a conferma.
L’esecuzione del pezzo iniziò dopo quel breve battibecco. Le chitarre attaccarono il motivo, trovando subito l’armonia; poco dopo si aggiunse la voce di Bill. La ragazza, che non li aveva mai sentiti suonare dal vivo, era veramente impressionata dalla bravura di tutti, ma non passò molto tempo, prima che si concentrasse totalmente sul cantante. Interpretava il testo con trasporto, rivolto al microfono, concentrato, incatenando il suo sguardo.
Gustav le posò una mano sulla spalla, lei sollevò gli occhi e gli sorrise. Le chiese se le piaceva e lei non poté fare altro che annuire estasiata, tornando subito a guardare i ragazzi oltre il vetro.
La canzone terminò, portandosi dietro la tristezza e l’intensità delle sue parole, mentre Annika fissava ancora Bill. Quel ragazzo era sorprendente: riusciva ad essere così frivolo e spensierato, ma allo stesso tempo, poteva scrivere quei testi così profondi ed interpretarli trasmettendo una marea di emozioni. Aveva due facce e lei non aveva ancora deciso quale le piaceva di più.

Bill, Georg e Tom uscirono dalla sala degli strumenti e il cantante corse subito dalla ragazza, baciandole la guancia, poi cominciarono a parlottare fitto e a ridere. Le lunghe braccia del ragazzo appoggiate sui braccioli della poltroncina su cui sedeva lei, i volti vicini.
Georg li osservò, avvertendo una sottilissima punta di gelosia attraversargli il cuore. A quanto pare avevano fatto pace molto velocemente, dopo la discussione avvenuta alla festa e questo, oltre a sorprendere il bassista, lo infastidiva. Adesso sembravano molto uniti.
“Vado a sistemarmi il trucco e poi andiamo.” Disse Bill alla ragazza. “Sarà un pomeriggio indimenticabile!” Proclamò poi, saltellando via.
Annika ridacchiava ancora, quando, in mezzo al via vai di persone, Georg si sedette sulla poltrona accanto alla sua. Si guardarono e si sorrisero.
“Tu e Bill uscite insieme?” Le chiese il ragazzo, nascondendo poco bene una certa acidità.
“Beh, in realtà dobbiamo solo andare a comprare alcune cose…” Rispose tranquilla lei, senza accorgersi dello strano atteggiamento di Georg.
“Alcune cose?” Soggiunse divertito il bassista. “Quando Bill comincia a comprare non si ferma più, gode più per il passaggio della carta di credito nel pos, che scopando!”
“Georg!” Sbottò Annika, ridendo imbarazzata.
“Scusa per la volgarità, ma è così.” Affermò lui stringendosi nelle spalle, quindi guardò di nuovo la ragazza, facendosi stranamente serio. “Non ci siamo più visti, da quella sera…” Mormorò.
Annika lo fissò nei begl’occhi verdi, poi sorrise benevola. “Stai tranquillo, va tutto bene.” Gli disse poi, stringendogli appena la mano posata sul bracciolo.
“Sì, ma io vorrei…” Tentò Georg.
“Sai che suoni davvero bene?” L’interruppe lei, cambiando discorso. “Sei bravissimo.”
Georg provò nuovamente a parlare, ma fu interrotto dal ritorno di Bill, accompagnato dal gemello. Il cantante si avvicinò alla poltroncina della ragazza e posò una mano sulla spalliera. Georg sbuffò infastidito, possibile che non riuscisse a fare un discorso con lei?
“Allora, andiamo?” Le chiese Bill con un sorriso. Annika annuì e si alzò.
“Prima devo fare una cosa, però.” Annunciò la ragazza, superando il ragazzo dai capelli neri.
Bill e Georg la seguirono con lo sguardo, mentre lei si avvicinava ad un perplesso Tom e si sporgeva per dargli un lungo bacio sulla guancia. Il chitarrista, sorpreso, non poté fare altro che sorridere nel suo classico modo malandrino.
“Tu sei un dio.” Dichiarò Annika, quando si allontanò da lui.
“Grazie, lo so!” Rispose Tom soddisfatto, gongolando.
“Non ti allargare troppo.” Replicò lei, mentre si avvicinava a Bill. “Io intendo con la chitarra.”
“È solo che non hai provato il resto, piccola…” Soggiunse malizioso il ragazzo, muovendo il suo piercing con la lingua. Annika rise, prima di attraversare la porta.
“Si sta facendo tardi.” Intervenne Bill, con un tono palesemente infastidito; stava aspettando appoggiato allo stipite, battendo nervosamente il piede, con la sua borsa sottobraccio. La ragazza lo raggiunse, dopo aver salutato gli altri con la mano, mentre lui sculettava fuori.  

In macchina Bill si sedette vicino al finestrino, mettendosi a guardare fuori. Annika era dall’altro lato del sedile e continuava ad osservarlo con un sorrisetto divertito.
“Perché stai ridacchiando?” Le domandò ad un certo punto il ragazzo, voltando solo il capo verso di lei con un’espressione comicamente indignata.
“Senti, ma…” Fece la ragazza, sempre col sorriso. “…non è che ti sei offeso perché non ho fatto i complimenti anche a te, prima?”
“Uffa, sì…” Soffiò lui, dopo un attimo di riflessivo silenzio.
Annika rise piano. “Sciocco.” Mormorò poi, dolcemente. “Non ho detto niente, perché volevo farlo quando fossimo stati da soli.” Aggiunse poi, facendolo voltare un po’ di più. “Mi sei piaciuto da morire, la tua voce è stupenda e mi fa emozionare tantissimo, tanto che anche adesso mi viene un groppo in gola…”
“Davvero?” L’interrogò Bill, che ormai si era voltato quasi del tutto.
“Sei meraviglioso quando canti.” Affermò con sicurezza la ragazza; lui sorrise felice e si avvicinò un po’ a lei, sul sedile di pelle.
“Posso stringerti solo un pochino?” Le chiese timidamente, facendo per passarle un braccio intorno; Annika sorrise, stringendosi nelle spalle.
“Se vuoi…” Mormorò poi, lasciando che lui l’abbracciasse. E continuarono il viaggio così.

Doveva ammettere che essere amica di un vip aveva i suoi vantaggi. Un’intera lussuosa boutique disposta su due piani tutta per loro, ad esempio. Caffè, bibite di ogni tipo e anche frizzante Chardonnay a disposizione per allietare le compere. Una commessa… anzi, no, una Buy Assistant che li seguiva in esclusiva. E, soprattutto, un illimitato tetto di spesa.
Annika, però, si sentiva un po’ inquietata da questa ultima voce. Spendere i soldi in quel modo disinvolto la metteva a disagio. Sapeva quanto può essere dura la vita, quando uno stipendio te lo guadagni in fabbrica e devi campare una famiglia. Bill, invece, vedeva qualcosa che gli piaceva, la provava, poi tirava fuori la sua luccicante carta platino e pagava senza nemmeno chiedere il prezzo.
E quei jeans firmati e stupendi che aveva ora in mano, proprio per lei, costavano duecentottantacinque euro. Lei non poteva nemmeno provarli per via del gesso! Come fargli capire che erano soldi buttati? A volte parlare con Bill era come ragionare col muro.
“Devi prenderli.” Ripeté per l’ennesima volta il ragazzo.
“Bill, non posso provarli. E se poi non mi vanno bene? Saranno soldi sprecati…” Replicò Annika sconsolata; era la terza volta che glielo ripeteva.
“Primo.” Riprese Bill, quasi ignorando la sua risposta. “Non ti preoccupare per i soldi, non sono un problema. Secondo: sono convinto che la 40 ti va perfetta.”
Lei sbuffò e roteò gli occhi, le battaglie di nervi con Bill erano esasperanti. “Beh, di solito sì, ma…” Mormorò poi, arresa.
“E allora dov’è il problema?!” Esclamò lui allegro.
“Il problema è che costano troppo per non essere sicura che mi vadano bene!” Sbottò Annika spazientita.
“Voltati.” La spiazzò Bill, sempre sorridendo imperturbabile.
“Perché?” Domandò lei sospettosa.
“Te li misuro sul sedere.” Rispose tranquillo il ragazzo.
Annika lo guardò alzando uno scetticissimo sopracciglio, ma lui le sorrise candido, quindi, pur non del tutto convinta, la ragazza si girò. Bill rimase un attimo fermo, con uno sguardo furbo, osservando i pantaloni neri della tuta seguire le linee del sedere piccolo ma ben disegnato di Annika, poi alzò soddisfatto il suo sopracciglio dotato di piercing.
“Puoi piegarti leggermente in avanti?” Le chiese quindi.
“Humpf, ok…” Rispose riluttante lei, eseguendo.
Il cantante stese tra le mani i jeans e li posò delicatamente sul fondoschiena della ragazza, misurando in modo accurato. A suo modesto parere erano perfetti, anzi, non vedeva l’ora di vederglieli addosso, era sicuro che avrebbero fatto un figurone su quel bel corpicino…
“Hai finito di palparmi il culo?” L’interrogò lei con tono leggermente infastidito, interrompendo i suoi pensieri.
Bill si piegò su di lei, tenendola per la vita e facendo aderire il petto alla sua schiena. “È la tua taglia precisa, devi prenderli.” Le soffiò sulla guancia.
Lei girò il capo e lo guardò negli occhi. “Lo sai che sei terribilmente insistente?”
“Sì.” Rispose Bill a due centimetri dalla sua bocca, con un sorriso dolcissimo. Annika replicò allo stesso modo, senza distogliere gli occhi.
“Ehm…” Intervenne la commessa, che era tornata da un’esplorazione ordinata da Bill. “I pantaloni che voleva sono arrivati, Herr Kaulitz.”
I due ragazzi, che si erano raddrizzati e allontanati in tutta fretta, non poterono che ridacchiare imbarazzati, davanti all’espressione perplessa della donna.
“Voglio provarli subito!” Proclamò allora Bill, glissando qualsiasi spiegazione e, del resto, non era tenuto a darne. La commessa gl’indico, allora, le cabine di prova.

Annika era seduta su un elegante e rotondo canapé color crema, che riprendeva il colore della morbida moquette. I camerini di prova erano una vera e propria stanza separata dal resto della boutique; era ampia e rettangolare e su due lati si affacciavano cabine più piccole, chiuse da raffinate porte a soffietto. L’atmosfera era accogliente, con una musica soffusa trasmessa ad un discreto basso volume da altoparlanti invisibili.
La ragazza lanciò un’occhiata alla comm… Buy Assistant che, in piedi accanto al divano, la sovrastava composta nel suo completo nero, asfissiandola garbatamente con il dolcissimo profumo che portava; una vera accettata nella gola.
Lei cercò di pensare ad altro, bevendo un sorso di aranciata dal bicchiere che aveva in mano, mentre Bill non accennava a voler uscire da quel camerino. Si accorse di conoscere la canzone che stava passando in quel momento; era «You don’t fool me» dei Queen. Ne seguì il ritornello con la mente, finché, con un rumore gracchiante, la porta della cabina di prova non si aprì.
Bill rimase appoggiato con la mano, tenendo aperta la porta, poi guardò le due donne e fece una smorfia poco convinta.
“Ditemi la verità.” Esordì quindi. “Mi ingrossano molto il culo?” Domandò, voltandosi e mostrando loro la schiena.
Il cantante indossava un paio di pantaloni neri a vita bassa; non si capiva di che stoffa fossero da dove era Annika, ma somigliavano vagamente a quei tipi da rodeo che si vedevano a volte nei film, soprattutto perché lungo la gamba, sul fianco, erano adornati da grandi borchie argentate. Fasciavano perfettamente le lunghe gambe snelle di Bill, fino a far risaltare in modo molto piacevole il suo fondoschiena.
Annika alzò lo sguardo verso la commessa, la quale le rispose con un’occhiata di tacita intesa, muovendo appena le sopracciglia in segno di approvazione. La ragazza, quindi, rassicurata, ammirò senza fretta il panorama, vendicandosi silenziosamente della scena di prima, quando lui l’aveva toccata con una scusa.
“Secondo me ti stanno benissimo, Bill.” Affermò infine, continuando a scrutare interessata.
“Davvero?” Fece lui ancora insoddisfatto. “E davanti?” Aggiunse poi, mentre tornava a guardare verso il divano, mettendosi in un delle sue classiche pose da divo.
La commessa tossì lievemente, poi abbassò gli occhi e si allontanò garbatamente di qualche passo. Annika si sentì persa, quando lo fece, ma dovette ammettere che la donna aveva ceduto per manifesta debolezza. I pantaloni, davanti, gli stavano perfino meglio che dietro e la visuale era fin troppo sfacciatamente sensuale per non avere dei tentennamenti…
“Io credo che davanti hai davvero un gran bel p…” Troppo tardi Annika si accorse di quello che stava dicendo; si coprì di scatto la bocca con tutte e due le mani, avvampando come una sirena dei pompieri. Le labbra di Bill, invece, si piegarono in un sorriso malizioso e compiaciuto anche troppo simile a quelli di Tom.
Il cantante le si avvicinò lentamente, con quella sua camminata un po’ strana, che non faceva altro che evidenziare quello che i pantaloni già mettevano in risalto. La raggiunse e posò le mani sulla spalliera del divano, a lato delle spalle di lei, quindi le rivolse uno sguardo incandescente e un sorriso divertito. Annika aveva il viso in fiamme e nelle orecchie sentiva come la sirena di un impianto nucleare sull’orlo dell’esplosione.
“Adesso chissà che penserai di me…” Mormorò Annika, sempre coprendosi la bocca con le mani.
Lo sguardo di Bill si fece più dolce. “Sai, ci sono ragazze che passano il loro tempo libero ad osservare le mie parti basse ed a fare commenti non proprio casti, sono un personaggio pubblico, la mia vita è anche questo, non ti preoccupare.” La rassicurò.
“Capisco, ma è imbarazzante essere sorprese a guardare… certe cose.” Ribatté lei con tono colpevole.
“Io invece sono felice che apprezzi.” Fece lui, ritrovando il sorriso malizioso.
“Bill, ti prego!” Sbottò Annika, sollevando gli occhi al cielo con una risatina nervosa.
“Allora, li prendo i pantaloni?” Le chiese quindi, mormorando nel suo orecchio. La ragazza sorrise, abbassando timidamente gli occhi.
“Devi, ti stanno troppo bene.” Gli disse poi a bassa voce. I capelli di Bill le sfiorarono il viso, mentre lui si rimetteva dritto con aria soddisfatta e tornava verso la cabina.
“È la sua ragazza?” Le domandò poco dopo la commessa, di cui si era dimenticata la presenza.
Lei la guardò sorpresa. “No, veramente… no, non lo sono.” Rispose poi.
“Oh, sì, certo.” Annuì la donna, assumendo una posa compunta. “Ad ogni modo, non si preoccupi, abbiamo una clausola per la riservatezza, qui.” Aggiunse poi, ammiccante. Annika sollevò le sopracciglia incredula, mentre abbassava gli occhi con un sorriso divertito.

La ragazza, mentre quella sera stavano tornando a casa, dopo aver comprato un’infinità di roba dalla dubbia utilità, si diceva che era stato davvero un pomeriggio indimenticabile, come aveva detto Bill prima di uscire dalla sala di registrazione. E poco importava se fosse per quello che avevano acquistato o per ciò che era successo.
Adesso erano seduti sul sedile posteriore della macchina, l’atmosfera era calda e confortevole, rassicurante. E il fatto che Bill continuasse a tenerle la mano, anche mentre guardava fuori del finestrino, non le sembrava fantascienza come sarebbe stato solo qualche settimana prima. Sorrise e strinse un po’ di più le eleganti dita di Bill tra le sue, lui rispose allo stesso modo.

Il giorno dopo sarebbe stata una giornata qualunque, se Frau Hildegard, a causa delle faccende, non fosse andata a fare la spesa di pomeriggio, lasciando Annika in casa da sola.
In realtà, questo capitava spesso e lei non era certo il tipo da farsi prendere dallo sconforto per qualche ora solitaria. C’era la musica, la tv, i libri. Ma quel giorno ci fu anche qualcos’altro.
Erano quasi le cinque, quando la ragazza, stanca della televisione, attraversò l’arco del salotto per andare a mettere un po’ di musica. Lo stereo si trovava occultato in un grande mobile, proprio davanti alle scale ed al divano; per raggiungerlo si doveva attraversare l’ingresso.
Faceva questo, aiutata dalle stampelle, quando la porta di casa si aprì. Lei si girò, ma non vide la governante come si era aspettata, bensì un ragazzo alto coi capelli biondi ed un grosso zaino.
“Ah!” Gridò sorpresa.
“Ah!” Replicò lui, altrettanto stupito, ma poi scoppiò a ridere.
“E tu chi cavolo sei?!” Gli domandò allora la ragazza, sospettosa e ancora un po’ impaurita.
“Beh, io sono Andreas.” Rispose lui tranquillo, trascinando dentro il suo bagaglio. “Tu devi essere Annika, piacere!” aggiunse, porgendole la mano.
Lei lo guardò male e non gliela strinse. “Sì…” Mormorò Annika, sempre sulle sue.
“Mi pare di capire che nessuno ti ha detto che arrivavo.” Ipotizzò il ragazzo, mentre si toglieva la giacca e la buttava sul solito divano, insieme allo zaino.
“È così.” Annuì la ragazza.
“Ah, me lo dovevo immaginare! Quelle due teste a pera!” Esclamò lui. “Un attimo che li chiamo.” E prese il telefono dalla tasca dei jeans.
Parlò per qualche secondo con Fabian, l’assistente di Tom, pregandolo di farlo chiamare da uno dei due gemelli, quando fossero andati in pausa, quindi ripose il telefono e sorrise ad Annika.
La ragazza era ancora diffidente, ma lui sembrava a suo agio in casa, come se la conoscesse bene ed aveva un sorriso simpatico.
“Scusa se sono piombato così, ma dovevano avvertirti.” Le disse il ragazzo. “Non ti hanno mai parlato di me?” Chiese poi.
“Ehm, no…” Rispose Annika un po’ titubante.
“Perché loro mi hanno parlato di te.” Replicò lui, mentre si dirigeva in cucina.
“Ah, sì?” Fece la ragazza incuriosita, seguendolo.
“Sì.” Annuì lui. “Ti spiace se mi faccio un panino? Ho una fame…” Aggiunse, mentre già aveva tirato fuori della roba dal frigo.
“No, figurati… tanto sembra che sai dove trovare tutto…” Soggiunse lei, lievemente infastidita.
“Non vuoi sapere cosa mi hanno detto di te?” Le fece il ragazzo, ammiccando, mentre si preparava un panino col wurst sul piano della penisola.
“Sembra che tu muoia dalla voglia di dirmelo.” Ironizzò Annika, prima di sedersi al tavolo.
Andreas ridacchiò. “Non sembri un tipo molto curioso.”
“Se la tua idea di curiosità è Bill, allora sono decisamente sotto la media…” Replicò lei con un’alzata di sopracciglia. Lui la fissò un attimo, poi scoppiò a ridere, trascinando poco dopo anche la ragazza.

La conversazione, dopo aver rotto il ghiaccio con quella risata, proseguì più cordiale, mentre Andreas beveva e mangiava. Annika lo trovava spigliato e pratico. Il suo stile era abbastanza simile a quello di Bill, forse solo un po’ più colorato e le piaceva il modo in cui parlava. Il suo atteggiamento aperto, infine, la convinse a fargli qualche domanda.
“Li conosci da tanto, Bill e Tom?” Chiese la ragazza.
“Beh, più o meno da quando avevamo undici anni, io ero in classe con Bill.” Rispose lui, mentre metteva a posto gli ingredienti usati per il panino. “Ero il suo unico amico, gli altri lo prendevano in giro perché era un po’ strano.”
“Beh, immagino che un tipo come lui possa aver avuto qualche difficoltà…” Commentò Annika, immaginandosi le reazioni di una classe di ottusi ragazzini allo stile fin troppo ambiguo di Bill.
“Eh, sì, era la vittima preferita dei bulli.” Affermò Andreas, sedendosi davanti a lei.
“Non deve essere stato un bel periodo per lui.” Mormorò la ragazza, abbassando gli occhi; così la vita di Bill non era sempre stata rose e fiori.
“Già.” Riprese lui. “Non so più quante botte ci siamo presi io e Tom per difenderlo.” Raccontò con un sorriso dolce. “Per fortuna poi è arrivata la musica, ogni applauso che ha preso lo ha reso più forte, anche se credo che rimarrà sempre una persona con un gran bisogno di certezze…” Rifletté infine, distogliendo lo sguardo da lei.
“Chi non ne ha bisogno.” Soggiunse seria Annika, abbassando gli occhi.
Andreas tornò a guardarla. La vide pensierosa e vagamente malinconica. Lo incuriosiva, quella ragazza e, ora che l’aveva davanti di persona, capiva molti dei discorsi senza senso di Bill. Sorrise, mentre realizzava il vero significato di tante frasi apparentemente buttate a caso dall’amico.
“Dimmi qualcosa di te, Annika.” Fece, costringendola a rialzare il capo di scatto, quasi intimorita. “So come hai conosciuto i due dementi, ma volevo sapere qualche notizia in più.”
“Non è che ci sia molto da dire…” Biascicò lei, guardando altrove.
“Da dove vieni?” Le chiese però lui, interrompendola.
“Ah… ehm… da Bonn…” Balbettò lei titubante.
“Oh, non sono mai stato a Bonn, com’è?” Replicò Andreas, sorseggiando una bibita in lattina.
“Grigia.” Rispose Annika con noncuranza.
“Non è proprio dietro l’angolo, come sei finita ad Amburgo? Ti sei trasferita?” Continuò il ragazzo, sempre più curioso, fissandola.
“Sì… ecco, in un certo senso…” Spiegò, sempre senza guardarlo e grattandosi distrattamente una mano; era chiaramente a disagio, ma Andreas non demorse.
“Ti sei trasferita con la tua famiglia?” Le domandò, fissandola col mento posato sulla mano sollevata. Annika esitò.
“No… no, da sola…” Farfugliò infine.
Andreas aggrottò sospettoso la fronte. “Ma di preciso, quanti anni hai?” Chiese quindi.
“I… io… quasi diciotto, li compio poco prima di Natale…” Rispose la ragazza con voce tormentata.
“Ah… e allora com’è che ti sei trasferita da sola?”
Annika, a quell’ennesima domanda sconveniente, si agitò. Divenne pallida in modo preoccupate, poi fece per alzarsi, prendendo le stampelle, ma una le cadde a terra. Andreas lasciò la sedia per riprendergliela e lei quasi sussultò, vedendolo avvicinarsi.
“Tranquilla, voglio solo aiutarti…” Mormorò rammaricato il ragazzo, accorgendosi del suo atteggiamento.
“Io devo… ho qualcosa da fare di sopra.” Si sbrigò a dire lei, prendendo la stampella e allontanandosi il più velocemente possibile.

Andreas era seduto davanti alla scrivania di Bill e lo guardava preparare il letto; il cantante toglieva i cuscini più grandi e li buttava sulla poltrona.
Era stato deciso, al ritorno dei gemelli, che l’ospite avrebbe dormito con Bill, soprattutto per fargli scontare il mancato avvertimento di Annika. I quattro ragazzi, poi, tra scherzi, battute e risate, avevano cenato. Presto, vista la stanchezza di tutti, era venuta l’ora di dormire.
“Sai, ho parlato un po’ con Annika, prima che arrivaste.” Esordì Andreas, seguendo con lo sguardo Bill che entrava nel guardaroba per cambiarsi.
“Ah, sì?” Replicò l’amico. “E cosa vi siete detti?”
“Beh, niente di che, le ho fatto qualche domanda.” Rispose l’altro, stringendosi nelle spalle. “È stata molto evasiva…”
“Non sarai stato tu, troppo insistente?” Fece Bill tornando in camera con addosso il suo pigiama.
“No, non mi pare.” Affermò Andreas tranquillo, mentre il cantante si sedeva sul letto. “Bill, ma tu, che cosa sai davvero di lei?” Gli chiese quindi, facendosi serio.
“Ecco, so che è una ragazza intelligente, sensibile, forse un pochino ingenua… riservata, ma con un carattere forte e molto simpatica.” Elencò Bill tranquillo, con un dito sul mento, guardando in alto; Andreas scosse la testa.
“Sono tutti bellissimi pregi, ma io intendevo che cosa sai della sua vita.” Soggiunse quindi, fissando l’amico con sguardo arreso, Bill era sempre il solito sognatore. “Se sai da dove viene, come si chiamano i suoi, che scuola frequentava, chi sono i suoi amici, qual è il suo cognome…” Continuò, mentre il cantante lo guardava con espressione interrogativa. “Perché tu sai, vero, come si chiama di cognome?”
Bill fece una faccia colpevole, poi si sottrasse agli occhi dell’amico stendendosi bocconi sul letto. Andreas lo raggiunse, salendo sul materasso; si mise su un fianco, sollevato su un gomito e intercettò di nuovo gli occhi dell’altro, ponendogli silenziosamente la domanda che aveva evitato.
“Sul suo giaccone militare c’è scritto Wögler… Wögler M…” Rispose infine Bill.
“Non significa niente questo.” Gli fece notare l’altro. “Giubbotti del genere li vendono in ogni mercatino della Germania, potrebbe averlo comprato ovunque.”
“Sì, ma lei dice che ci tiene tanto, quindi ho pensato che appartenesse a qualcuno di famiglia, a suo padre che ne so…” Replicò Bill, muovendosi a disagio, quindi prese un cuscino e lo abbracciò.
“Seh, al nonno dello zio di sua cognata!” Sbottò acido Andreas. “Bill, tu non sai assolutamente niente di lei!”
“E allora?!” Reagì il cantante, mettendosi seduto. “Non me ne importa un cazzo! Lei è Annika e io le voglio bene, è l’unica cosa che m’interessa!”
Andreas si mise seduto e fissò sorpreso l’amico. Non si aspettava quella reazione, si accorse di aver probabilmente sottovalutato i sentimenti di Bill.
“Ascolta, Bill…” Gli disse dolcemente. “…io non volevo offenderti, se ti ho detto queste cose è perché ti voglio bene, non voglio che, per essere stato distratto, tu debba rimanere deluso o ferito.” Il cantante lo guardava assorto. “Sono sicuro che Annika è una bravissima ragazza…”
“Certo che lo è!” Intervenne Bill, interrompendolo.
“E, quindi, qualche informazione in più non rovinerà di certo la vostra amicizia.” Soggiunse Andreas con tono accondiscendente.
Il cantante si fece pensieroso e spostò lo sguardo dall’amico alla parete sulla sua destra. Inutile negare che le parole di Andreas lo avevano colpito e gli ingranaggi della sua mente erano già partiti in riflessioni approfondite; insomma, seghe mentali a tutto spiano.
“Ho sonno, adesso.” Dichiarò infine, cercando di esorcizzare i suoi pensieri confusi.
“Bene, allora dormiamo.” Replicò Andreas annuendo. “Sistemati, io vado in bagno.” Aggiunse, alzandosi dal letto e infilando la porta.
Sapeva perfettamente che insistere con quei discorsi non sarebbe servito a nulla, quando Bill si chiudeva c’era solo da farlo incazzare perseverando con quelle riflessioni. Meglio abbandonare la partita, tanto sapeva di aver già innescato un certo meccanismo nella complicata testolina dell’altro ragazzo. Chissà quale sarebbe stata la sua reazione.

Bill si stava lisciando i capelli con la piastra, davanti all’enorme specchio super illuminato del suo bagno, mentre Andreas l’osservava seduto sul bordo della vasca.
Era il giorno successivo alla loro discussione in camera e il cantante gli teneva il muso dall’ora di pranzo. Andreas non sapeva se era per quello che si erano detti la sera prima o per qualcosa che era successo quel giorno, ma propendeva per questa ultima ipotesi.
Avevano pranzato tutti insieme, dato che quel giorno i gemelli erano liberi dalla sala registrazione, e Andreas ne aveva approfittato per invitare anche Annika all’uscita programmata per quella sera. La ragazza era rimasta sorpresa, poi aveva fatto una faccia preoccupata e lanciato uno sguardo incerto verso Bill, anche lui con espressione tesa, infine aveva accettato titubante. L’ospite aveva subito intuito che tra i due doveva essere successo qualcosa, però non ottenne spiegazioni, solo il broncio inspiegabile di Bill.
“Mi vuoi dire perché ce l’hai con me?” Domandò ad un certo punto Andreas, scrutando l’amico con la coda dell’occhio.
L’immagine era piuttosto buffa. Bill, in precario equilibrio su un piede solo, appoggiato al lavandino, con la sigaretta che gli pendeva dalle labbra, si piastrava un ciuffo con espressione concentrata. Fece una smorfia, quando sentì la domanda dell’amico e la cicca gli cadde nel lavandino. Imprecò sommessamente.
“Non ho niente contro di te, Andi.” Rispose poi, recuperando la sigaretta.
“E perché mi tieni il muso? Non ti va che abbia invitato Annika?” Replicò l’amico, poggiando i gomiti sulle ginocchia e continuando a guardare Bill.
“No, figurati, non è per quello…” Mormorò il cantante, mentre posava con un sospiro la piastra e si girava verso Andreas. “C’è solo un piccolo problema…” Continuò reticente. “La prima… e ultima, volta che è uscita con noi, beh, c’è stato una specie di malinteso…”
“Raccontami.” L’incitò Andreas. Bill sospirò, abbassò il capo e poi si sedette accanto a lui.
Il cantante gli raccontò per filo e per segno quello che era successo la sera della festa, delle ragazze che aveva incontrato, del fatto che era stato quasi costretto a starle lontano, occupato a parlare di cose inutili con persone inutili, del litigio, di Georg e Annika, della loro riappacificazione. Tutte cose che non gli aveva mai raccontato per telefono e Andreas era stupito.
“Certo che sei proprio un genio.” Commentò Andreas alla fine della storia; Bill lo guardò interrogativo. “La prima volta che la porti con te, andate ad un party di Herta Krieger, insomma, cazzo, lo sai come sono quelle feste…” Spiegò quindi il ragazzo biondo. “Nevicava?”
“Come in Lapponia, Andi…” Mormorò sconsolato l’altro. “C’era tanta di quella coca che ti sentivi un po’ fatto anche senza sniffare.”
“Cazzo!” Sbottò Andreas scuotendo il capo, mentre lo abbassava tra le ginocchia.
“Un casino.” Confermò Bill. “Adesso ho paura lei pensi che quelle sono le nostre classiche serate…” Aggiunse preoccupato.
“Beh, in questo caso, l’uscita di oggi smentirà questa convinzione!” Esclamò Andreas. “Andiamo solo in un locale a bere, tra noi.”
“Sì, ma…” Tentò Bill.
“Andiamo! Ma stai ancora così?!” Intervenne Tom, fermo sulla porta del bagno; si rivolgeva al fratello. “Finisce che facciamo tardi!”
“E mamma mia!” Sbottò Bill, alzandosi dal bordo della vasca e tornando allo specchio. “Ti brucia il culo stasera!” Aggiunse, prima di riprendere la piastra.
“Non voglio arrivare sempre dopo l’orchestra per colpa tua!” Replicò Tom, tornando indietro. “C’è Claudia che mi aspetta, all’Orange, stasera mi voglio dedicare un po’ a lei.” Aggiunse, la voce attutita dalla distanza.
“Ma si vede ancora con Claudia?” Domandò Andreas a Bill, abbassando il tono.
“Sì.” Annuì il cantante, mentre accendeva una nuova sigaretta.
“Dura da tanto…” Sottolineò l’amico.
“Ehhh, se fosse un altro penserei che è una cosa seria.” Affermò Bill, ricominciando a piastrarsi i capelli nella solita posizione di prima; parlava strano per non farsi cadere il mozzicone. “Ma trattandosi di Tom, può darsi sia solo perché sa fare dei gran pompini…”
“Esatto!” Confermò entusiasta il gemello, ancora in attesa nella camera. “Vedi che hai capito tutto? Ora sbrigati!”
“Sei un animale, Tomi!” Ribatté Bill, mentre continuava con la piastra a lisciare abilmente i suoi lunghi capelli.
“E tu sei un mena cazzi!” Gli disse subito lui, riaffacciandosi al bagno. “Se non la smetti di farti seghe, Georg te la soffia sotto il naso!”
Bill si girò di scatto e gli tirò la scatola dei cleenex, ma Tom la evitò, scostandosi all’ultimo e facendogli poi una pernacchia. Andreas rise.
“Mi siete mancati.” Affermò poi; Bill gli sorrise e poi scoppiarono a ridere entrambi.

Il viaggio in macchina, per Annika, fu piuttosto strano. Bill si comportò come se lei non ci fosse. Certo che quel ragazzo era proprio indecifrabile: a volte sembrava trasparente tanto da vedergli attraverso, altre ermetico e complicato come un rebus. Lei si limitò, quindi, a rispondere alle battute di Andreas e Tom, sorvolando sul comportamento del cantante.
Arrivarono al locale che mancava poco alle undici. Da fuori poteva sembrare un magazzino, o un hangar, se non fosse stato per l’elegante entrata sovrastata da una pensilina e delimitata da verdeggianti fioriere. L’insegna recitava “The Orange Club”. Il loro gruppo si diresse senza incertezze all’entrata vip, evitando la lunga fila.
Annika, appena arrivata dentro, capì subito come mai quel locale si chiamasse così. Le pareti erano scure e tutto l’arredamento, compreso l’ampio bancone del bar, era nelle varie sfumature dell’arancio, salvo alcuni particolari in nero. Il pavimento era a quadri bianchi e neri. Abbondanti tende di tulle, nero e pesca, delimitavano l’entrata dei privé. Era già piuttosto affollato.
Videro quasi subito Georg che gli faceva segno di raggiungerlo, davanti ad una delle aperture, presidiata da un robusto figuro in doppiopetto. Andreas si precipitò a salutare il bassista.
“Ah, siete arrivati!” Proclamò una voce alle loro spalle.
Annika si voltò, così come Bill che era rimasto vicino a lei. Tom, nel frattempo, era sparito chissà dove. Alla sua sinistra era comparso Gustav; indossava giacca scura, camicia bianca e jeans ed era molto carino quella sera. Teneva per mano una ragazza minuta con lunghi capelli castano chiaro, mossi da qualche ciocca di frisé. I suoi grandi occhi chiari sorridevano insieme alle sue labbra; portava un semplice abito nero e una giacca corta bianca.
“Sì, ciao.” Gli rispose distrattamente Bill.
“Annika, ti presento Silke.” Fece Gustav, rivolgendosi alla ragazza. L’altra le porse la mano.
“Piacere.” Mormorò Annika, stringendola.
“Piacere mio.” Rispose cordiale l’altra. “Sai, anni fa mi sono rotta una gamba anche io, cadendo dalla moto col mio ex, a te come è successo?” Le chiese poi.
Annika esitò e fu Gustav a rispondere. “L’ha investita Bill.” Rivelò il batterista.
“Grazie, Gustav, sei veramente un amico…” Commentò acido il cantante, sporgendosi appena verso di lui. Annika e Silke ridacchiarono.
“È stato un incidente.” Precisò poi la ragazza col gesso.
“Beh, puoi ritenerti fortunata!” Esclamò l’altra. “Poteva metterti sotto uno qualunque, invece era Bill Kaulitz ed ora sei qui!”
“Eh, già…” Soffiò Annika, sfiorando con lo sguardo la figura disattenta di Bill.
“È quasi una favola.” La ragazza annuì, a quell’affermazione di Silke.
Peccato che nelle favole i principi non siano così distratti… aggiunse Annika col pensiero.  
“Heylà, Silke!” Esclamò la voce di Tom, comparso improvvisamente dall’oscurità del locale con già la mano sulle spalle della ragazza. Lei lo guardò e gli sorrise.
“Ciao Tom.” Salutò tranquilla, sempre tenendo per mano Gustav.
“Non sei dietro al bar? Serata libera?” Le chiese, con la sua solita espressione malandrina.
“No.” Intervenne subito Gustav, sporgendosi verso il chitarrista. “Serata occupata.” Precisò quindi, con uno sguardo molto eloquente.
Tom alzò le mani ridendo. “Oh, tranquillo! Una te la posso anche lasciare, tanto ho il mio ovile dell’amore che mi aspetta!” Proclamò quindi soddisfatto, facendo ridacchiare un po’ tutti, tranne Bill che chiaramente quella sera aveva le sue paturnie. “Anzi, sapete che vi dico?” Aggiunse Tom, con un sorriso storto. “Vi lascio, adesso devo andare a nutrire le mie pecorelle smarrite! Statemi bene!” Concluse, mentre si allontanava salutandoli con la mano.
“Signore e signori, ecco a voi il messia del cazzo…” Commentò sarcastico Gustav.
“Letteralmente.” Rincarò lugubre Bill, prima di avviarsi al privé.
“Dai, andiamo anche noi.” Propose Silke. “Non possiamo tenere Annika in piedi così tanto!” Gustav annuì e invitò le due ragazze a precederlo.

La serata proseguì nello spazioso privé, dove un enorme divano nero si allungava sulle tre pareti, coperto di raffinati cuscini in tutte le sfumature dell’arancio. Un lungo e strano tavolino di cristallo a forma di foglia faceva bella mostra al centro dello spazio. I ragazzi bevvero, risero, chiacchierando del più e del meno.
Gustav e Silke, dopo circa un’ora, decisero di andare a ballare un po’. Tom non si era fatto più vedere e Bill era silenzioso come se fosse un manichino invece di una persona vera, mentre Andreas, seduto nell’angolo più esterno del divano, parlottava con un paio di ragazze.
Annika, girando lentamente la cannuccia nella sua bibita, spostò lo sguardo su Bill. Lui era seduto con le lunghe gambe accavallate e reggeva elegantemente un bicchiere con le dita. Le mani di Bill erano bellissime, ma Annika non si fermò per molto su quelle raffinate appendici, risalendo con gli occhi fino al viso del ragazzo. Malinconica, un po’ triste, remota e splendida, questa era la descrizione che lei avrebbe usato per la sua espressione, ma una specie di buco le si aprì alla bocca dello stomaco ed abbassò gli occhi sospirando.
Le succedeva spesso, ultimamente, di essere presa da una strana ansia, guardando Bill e l’atteggiamento di lui non aiutava di certo. Il ragazzo, nei suoi confronti, passava da momenti di affettuosa intimità, a palese possessività, all’indifferenza quasi totale. E questo la confondeva, non sapeva come comportarsi e si ritrovava a pensare che era sbagliato quel batticuore per lui, se non sapeva cosa provava veramente Bill. Dio, che casino!
“Hey, tu!” Sussurrò una voce nel suo orecchio. Annika si girò di scatto, trovandosi davanti il viso sorridente di Georg.
“Ciao.” Lo salutò dolcemente. Lui le diede un piccolo bacio sulla guancia.
Ecco qualcuno che non era mai stato incongruente ed enigmatico nel suo atteggiamento verso di lei. Georg non le aveva mai nascosto di essere interessato, l’aveva garbatamente corteggiata fin dalla prima volta ed era sempre stato gentile. Eppure lo aveva respinto in quel modo… Si sentì improvvisamente colpevole e abbassò gli occhi.
“Io e te ci siamo appena salutati stasera.” Affermò il ragazzo, risollevandole il viso con le dita, lei gli sorrise a stento. “Che ne dici di rimediare? Ti va di ballare?” Le propose quindi.
Bill, dopo aver intercettato quelle parole, alzò gli occhi e osservò la coppia, seduta a qualche metro da lui. Il solito fastidioso spillo di gelosia lo colpì al petto; abbassò gli occhi e bevve un sorso, così, tanto per non pensare.
“Ma Georg, ho una gamba ingessata, come faccio?” Replicò Annika nel frattempo.
“Non ti preoccupare, ti sostengo io.” La rassicurò Georg. “Non ti sembra che abbia il fisico necessario per farlo?” Le chiese poi ironico.
Lei osservò non troppo fugacemente i muscoli del bassista ammiccare dalla sua aderente maglietta nera, poi sorrise. “Direi che hai il fisico adatto per molte cose…”
“Bene.” Annuì lui con un sorriso compiaciuto. “Allora andiamo a ballare. Le stampelle lasciale qui, ti aiuto io.” Aggiunse quindi, porgendole la mano.
La ragazza accettò l’aiuto, alzandosi in piedi e seguendolo sulla pista da ballo. Bill li seguì con lo sguardo, poi posò il bicchiere sul tavolo con un gesto un po’ brusco, si alzò e uscì dal privé, intenzionato ad andare a fumarsi una sigaretta. Andreas, che aveva osservato tutta la scena, scosse il capo sconsolato, sbuffando.

In un altro privé, nello stesso momento, un ragazzo si godeva la compagnia di un nutrito gruppo di ragazze; erano tutte piuttosto giovani, formose e, per la maggior parte, con la minigonna. Le ragazze che riuscivano ad avere l’invito per quel privé sapevano molto bene quali erano i gusti delle persone che vi avrebbero incontrato. Solo una delle giovani donne presenti, però, sedeva vicinissima al ragazzo, con una gamba passata sopra al ginocchio di lui.
Claudia giocherellava con un dread di Tom, persa nell’osservazione del suo delicato profilo. Lui sorseggiava una birra, mentre carezzava con la punta delle dita la coscia nuda della ragazza. Quando Tom s’inumidì le labbra, passando la punta della lingua sul piercing, lei sospirò rapita, accomodando poi il capo sulla sua spalla.
Il suo Tom. Sapeva di non avere motivi o diritti per chiamarlo “suo”, ma si sentiva comunque privilegiata. Sì, perché era lei la ragazza che, a fine serata, andava a casa con lui, che passava la notte nel suo letto. E poco importava se nei giorni, nelle settimane a volte, che passavano senza vedersi e sentirsi lui si scopasse l’universo creato, tanto tornava sempre a cercarla. Il suo cuore innamorato le annebbiava il cervello con fumi rosa e nebbie dorate, altrimenti avrebbe capito da molto tempo che quello succedeva solo quando le altre prospettive erano meno allettanti. Ma se Tom non poteva certo dirsi “suo”, la rincuorava il fatto che non era nemmeno di tutte le altre. Erano giovani, ad ogni modo, ce n’era di tempo perché lui aprisse gli occhi e capitolasse al suo fedele e devoto amore. Sì, un giorno sarebbe successo. Se lo ripeteva da due anni, ormai.
“Ciao, Tom!” Salutò in quel momento una voce femminile.
Claudia alzò il capo dalla spalla di Tom e osservò la nuova arrivata. Era una ragazza dai lunghi, liscissimi, capelli biondo platino, con un micro abito bianco ed un’abbronzatura bronzea dall’aria poco naturale. Il trucco eccessivo l’invecchiava un po’ e l’altra si compiacque di essere più carina di lei, aggiustandosi i capelli, con un sorrisino.
“Ciao, Ina.” Rispose Tom, invitandola ad accomodarsi battendo la mano sul divano. Lei sorrise e si sedette.
Claudia sapeva che tra loro c’era già stato qualcosa. Un volta, infatti, era arrivata in un backstage ed aveva trovato Ina nel camerino di Tom; si stava sistemando il trucco e lui aveva un’aria troppo soddisfatta perché non fosse successo nulla.
“È tanto che non ci vediamo.” Continuò la bionda, cominciando a strusciare la spalla contro quella di Tom. Claudia si fece torva. “Ti vedo in forma…” Aggiunse nel frattempo Barbie-abbronzatura-tropicale, osservando compiaciuta l’intero corpo del chitarrista.
“Io sono sempre in forma.” Rispose lui, con un sorriso sbieco, mentre sbirciava senza troppi problemi nella profonda scollatura tra le precarie spalline del vestito di Ina.
“Lo vedo.” Ammiccò lei. “Non mi dai nemmeno un bacio?” Gli chiese poi, guardandolo negli occhi, ma non prima di aver sfidato Claudia con uno sguardo provocante.
“Certo, dolcezza, come no…” Rispose Tom, scostando da se la gamba di Claudia per sporgersi verso l’altra ragazza e baciarla sulle labbra.
Ben presto fu la coscia di Ina ad essere avvinghiata a quella di Tom, mentre i due si scambiavano un sensuale e molto profondo bacio e la mano di lui le artigliava il sedere.
Conoscere Tom da tanto tempo non metteva Claudia al riparo dal dolore che le provocavano scene del genere. Era per sfuggire a questo che, tempo prima, aveva deciso di allontanarsi un po’ da lui. E anche perchè, in amore, si sa, farsi desiderare è una carta vincente. Beh, sempre che dall’altra parte ci sia una corrispondenza, certo…
“Andiamo a ballare, Tom?” Domandò Ina, quando permise alle labbra del ragazzo di staccarsi da quel bocchettone da aspirapolvere che aveva al posto della bocca.
Lui annuì, poi si girò verso Claudia, ricordandosi improvvisamente che esisteva. “Vieni anche tu, piccola?” Le chiese.
La risposta tardò ad arrivare. Claudia si era fatta ancora più cupa, sotto lo sguardo di sfida, supponente e sfrontato, di Ina, la quale era sapientemente abbarbicata al collo di Tom.
“No, non mi va.” Rispose infine Claudia, con tono secco.
L’altra ragazza fece una risatina antipatica, le rivolse un’occhiata vittoriosa, poi si girò verso Tom. “Non le piacciono le cose a tre… eppure sono così eccitanti…”
PUTTANA! Gridò Claudia nella sua testa, desiderando che quella tipa volgare e stronza si prendesse qualche orribile malattia venerea che la rendesse prima storpia e poi pazza, per farla quindi morire tra atroci sofferenze. Il tutto naturalmente, dopo essere stata con Tom, sennò rischiava di beccarsela anche lui. Lui doveva stare sempre bene, quello stronzo, bastardo, scopa zoccole!
“Vado a prendere una boccata d’aria.” Proclamò quindi Claudia, mentre si alzava dal divano.
“Ecco, sì, brava, vai…” L’incitò Ina con tono maligno, senza mollare la presa su Tom.
“Hey!” La richiamò però il chitarrista, prima che gli sparisse dalla visuale. “Ci vediamo dopo, ok?”

Bill, appoggiato alla colonna che delimitava l’entrata del privé, si stava simpaticamente autoflagellando nell’osservazione di Georg ed Annika che ballavano.
Il bassista la teneva per la vita in modo che la ragazza potesse stare agevolmente in piedi, senza pesare sulla propria gamba ingessata e, un paio di volte, l’aveva anche sollevata abbastanza agilmente da terra. E lei aveva riso, aggrappandosi al collo di Georg.
In confronto alla visione di quella scena, perfino l’idea di una martellata sulle parti basse gli sembrava allettante… Sì, bravo, continua a farti del male! L’ammoniva, nel frattempo, una petulante vocetta nella sua testa. Quanto pensi di aspettare ancora? Finché non saranno finiti a letto insieme, direi! Sai che soddisfazione dopo, genio!
Il ragazzo sbuffò pesantemente, sistemandosi meglio contro la spigolosa colonna, prima di vedere Andreas tornare dal bar. Si scambiarono un’occhiata più che eloquente, ma Bill abbassò subito gli occhi, intimorito dall’espressione dell’amico.
“Tieni.” Fece il ragazzo biondo, porgendogli un lungo bicchiere colmo di un liquido bluastro.
“Grazie.” Mormorò Bill, spostando di nuovo gli occhi sulla pista da ballo; Andreas intercettò il suo sguardo, capendo immediatamente quello che succedeva.
“Posso dirti una cosa, in tutta sincerità, Bill?” Gli chiese poi, attirando la sua attenzione; il cantante annuì. “Sei un fesso.”
Lui spalancò la bocca, con aria offesa, poi boccheggiò tipo pesce. “Ma… ma io… Andi…”
“Sei un fesso.” Ribadì l’amico.
“Sì…” Ammise sconsolato Bill, scuotendo il capo. “Ma, scusa, che devo fare? È chiaro che preferisce lui…” Aggiunse, accennando alla coppia in pista.
“Tu non le hai nemmeno chiesto se voleva ballare con te.” Gli fece notare Andreas.
“Sì, ma… oh, andiamo! Io non ce la farei mai a fare quello che fa Georg, non c’è proprio paragone!” Replicò Bill.
“Va bene, ma tu non le hai quasi rivolto la parola in tutta la sera!” Sbottò l’altro.
“Ti ho spiegato che…” Iniziò il cantante, ma poi fece morire la frase in un sospiro. “È che a volte non so come comportarmi con lei, ho… ho paura di sbagliare…”
“Oh, andiamo! Cosa sono tutte queste pare?” Ribatté Andreas serio. “Tu sai perfettamente come essere, quando vuoi far capitolare una ragazza, quindi tira fuori le palle!”
“Lei non è una ragazza che mi voglio solo scopare!” Protestò indignato Bill.  
“Motivo in più per non fare il cretino ancora a lungo!” Lo rimproverò l’amico. “Altrimenti va a finire che…”
“Troppo tardi.” Affermò però Bill, interrompendolo; Andreas lo guardò, aveva gli occhi fissi su un punto alle sue spalle, si girò per seguirne la traiettoria. “Si sono appartati…” Mormorò con tono disperato il cantante, coprendosi il viso con una mano.
L’amico, in effetti, aveva fatto in tempo a scorgere Georg e Annika che lasciavano la pista, per sparire oltre le colonne del corridoio che portava ai bagni.
“Beh, ma non vuol dire nulla.” Tentò Andreas. “Non è che la gente si apparta solo per pomiciare…”
“Già, perché te, in un locale come questo, ti apparti per giocare a scacchi, eh?” Reagì Bill sarcastico. “Fammi il favore, va…” Aggiunse sconsolato, prima di tornare dentro il privé.

Georg e Annika, nel frattempo, si erano fermati nel breve corridoio che portava alla zona delle toilette, dove c’era meno casino e la musica arrivava più attutita.
La ragazza si era appoggiata ad una colonna, riprendendo fiato. Ballare, pur senza fare troppo sforzo, grazie all’aiuto di Georg, era comunque faticoso con quell’ingessatura.
“Sei stanca?” Le domandò il ragazzo, mentre si passava una mano tra i capelli, poi le sorrise.
“Un po’…” Rispose Annika, quindi alzò gli occhi sul bassista. “Però non è per questo che ti ho chiesto di lasciare la pista.” Aggiunse pacata.
“Ah…” Commentò sorpreso Georg.
“Volevo parlare un attimo con te, in pace.” Continuò la ragazza, con un piccolo sorriso. “Per chiarire quella cosa… del bacio…” Aggiunse più titubante.
“È qualche giorno, in effetti, che anche io volevo parlarne.” Replicò tranquillo lui; era felice che fosse stata lei ad introdurre l’argomento.
“Bene.” Annuì lei. “Perché io devo assolutamente scusarmi con te.” Continuò decisa; lui fece per intervenire, ma fu bloccato da un gesto. “Tu sei sempre stato gentile con me, mi hai anche aiutata alla festa e io ti ho respinto in quel modo sgarbato, quindi mi voglio scusare.”
“Non hai niente di cui scusarti, Annika.” Affermò Georg, avvicinandosi di un passo. “Io sono stato troppo insistente, ho frainteso il tuo atteggiamento ed ho avuto troppa fretta.”
“Non è colpa tua, credimi Georg.” Ribatté la ragazza. “Sono io che… ho dei problemi…” Aggiunse, abbassando gli occhi sul proprio piede ingessato.
“Annika…” Mormorò il bassista, prendendole la mano. Lei lo guardò. “…tu mi piaci veramente molto e io vorrei aiutarti, esserti vicino.”
Lei spalancò leggermente i grandi occhi blu, poi assunse un’espressione rammaricata. “Anche tu mi piaci tanto, Georg…” Fece poi, lasciando intuire che la frase non era finita lì.
Lui la fissò per qualche secondo. “Ma non così tanto.” Affermò quindi, ormai consapevole.
Annika sospirò, scrollando le spalle. “Mi dispiace, Georg…” Disse, con sincera tristezza. “Credimi, ti voglio bene e non vorrei perderti come amico, anche se sembra un’affermazione ipocrita, però non posso darti quello che vorresti da me.”
“Capisco, non ti preoccupare.” Dichiarò lui, mentre si rendeva conto di sentirsi più tranquillo di quanto avrebbe creduto. “Me lo aspettavo, in un certo senso.”
“Mi dispiace di averti deluso…” Soffiò la ragazza, con aria colpevole.
“Smettila.” Fece lui, massaggiandole appena una spalla. “Sei una ragazza splendida e avrei voluto che tra noi nascesse qualcosa, ma mi devo arrendere al fatto che l’attrazione non sempre funziona in entrambi i sensi.” Spiegò poi, con un sorriso gentile.
“Oh, Georg…”
“Ti riaccompagno di là?” Le chiese il ragazzo, cambiando discorso.
“Tu sei l’ultimo dei cavalieri e io non ti merito davvero.” Rispose Annika desolata.
“È una magra consolazione.” Replicò Georg, porgendole il braccio che lei prese. “Vorrà dire che aspetterò l’ultima principessa.”
“Non ti arrendere, lei arriverà, prima o poi.” Affermò lei, ritrovando il sorriso.
“Ah, stai tranquilla, la scoverò, là in mezzo, anche se dovessi provare innumerevoli fanciulle…” Proclamò il bassista, ammiccandole ironico, poi le fece l’occhiolino e lei gli sorrise più tranquilla.

Ci vediamo dopo, sì… Dopo cosa? Pensava Claudia, mentre si spenzolava avanti e indietro con le mani sulla balaustra di ferro della scala antincendio.
Tom era andato a ballare con Ina e un altro paio di ragazze. Lei sperava con tutto il cuore che quella stronza di una Barbie non lo convincesse ad andare anche oltre la pista da ballo. Sapeva perfettamente che Tom non disdegnava di lasciarsi andare anche in posti non proprio comodi come i bagni dei locali. Lo aveva fatto anche con lei, almeno un paio di volte.
Ora, però, quello cui pensava di più erano i tanti discorsi fatti con Annika a proposito di Tom. L’amica non le aveva mai apertamente detto “guarda che ti sta prendendo in giro”, ma più di una volta aveva cercato di farle capire che forse lui non era innamorato quanto lei.
Claudia aveva sempre negato quella possibilità, si era rifiutata di pensare che Tom la usasse, che la reputasse solo un passatempo, una tappabuchi quando le serate non promettevano bene. Una da portarsi solo a letto. Una come Ina.
Una musica proveniva da una macchina ferma nel parcheggio del locale e per qualche strano motivo, anche se era lontana, Claudia ne sentiva perfettamente le parole.

You must understand
That the touch of your hand
Makes my pulse react
That it’s only the thrill
Of boy meeting girl
Opposites attract

Lei e Tom non erano esattamente opposti, anzi in molte cose poteva dire che avessero gusti simili, la musica, il cibo, il sesso, ma era decisamente vero che il solo tocco della mano di lui le provocava reazioni incontrollabili.
La ragazza, improvvisamente, si chiese come poteva amarlo così tanto, quando lui non le aveva mai detto una volta che le voleva semplicemente bene. Sì, quando stavano insieme era tenero, anche dolce, attento al suo piacere come al proprio, ma nessuna parola in più che rivelasse un qualche sentimento oltre alla grande attrazione fisica.
E allora, lei, Claudia Hohenbaum, in che cosa aveva creduto in quei due anni? Quale indizio l’aveva fatta illudere, se poi lui si comportava allo stesso modo con tutte le altre? Era proprio così stupida e ingenua da credere che prima o poi lui l’avrebbe amata? A che cosa era servito vivere per due anni in funzione di Tom e poi ritrovarsi ad essere scaricata per la prima zoccola che passa?
Le venne da piangere e si sentì profondamente idiota. Aveva ragione Tina Turner, la cui voce profonda continuava a raggiungerla dalla macchina parcheggiata.

Who needs a heart
When a heart can be broken

La ragazza, mentre era ancora presa dai suoi ragionamenti masochistici, si ritrovò avvolta da due braccia lunghe. Non poteva confondere quel profumo con qualcun altro: era Tom.
“Come mai sei sparita?” Le domandò il ragazzo, sussurrando nel suo orecchio.
“Avevo caldo.” Rispose sbrigativa Claudia; non sapeva perché, ma le attenzioni di Tom, in quel momento, le davano fastidio.
Il chitarrista, inconsapevole di questo, la strinse di più a se e le baciò la nuca, accomodando poi il mento sulla sua spalla.
“Vuoi che andiamo via?” Le chiese quindi, continuando ad abbracciarla. Lei annuì. “Bene, voglio stare un po’ solo con te…” Aggiunse lui, baciandole l’orecchio.
“Te la sei scopata, Tom?” Domandò improvvisa Claudia, senza girare la testa per guardarlo, anzi osservava ancora la famosa macchina parcheggiata.
“Chi? Ina?” Fece Tom, alzando il viso dal suo collo. Lei annuì di nuovo. “Se vuoi dire adesso, rispondo di no.”
“Ti ha fatto un… qualcos’altro?” Insisté Claudia, con tono triste.
Tom rise appena. “Non è successo niente… stasera.” Precisò poi, con un sorriso malizioso. “Andiamo, oggi sono uscito con te…” Aggiunse dolcemente, mentre sfregava il naso contro la sua guancia in modo sensuale, il bacino aderente al sedere della ragazza.
“Voglio andare via.” Dichiarò malinconica Claudia.
“Ok, anche io…” Rincarò Tom, senza accorgersi di avere tra le mani una specie di bambola fredda.
Il chitarrista prese la mano della ragazza e fece per tornare dentro il locale, ma lei lo trattenne, facendolo voltare. Lui la guardò con espressione interrogativa. Lei aveva uno sguardo leggermente smarrito, infantile, con i grandi occhi scuri un po’ spalancati.
“Mi dai un bacio, Tom?” Gli chiese quasi supplicante.
Il ragazzo le rispose con un sorriso dolce, poi si avvicinò, le passò un braccio intorno alla vita e la baciò sulle labbra con tenerezza. Ma Claudia, per la prima volta, non si sentì persa in quel contatto.

What’s love got to do with it
What’s love but a second hand emotion

Annika si fece lasciare da Georg all’entrata del privé, decisa a non disturbarlo oltre. La ragazza proseguì verso l’interno, sorreggendosi malamente alla spalliera del divano. Vide subito Bill.
Era seduto nell’angolo, i gomiti sulle ginocchia, pensieroso. Lei si avvicinò, fermandosi a lato del divano, si reggeva alla spalliera.
“Hey.” La ragazza chiamò il cantante. Lui alzò gli occhi, sorpreso di trovarsela davanti.   
“Annika…” Mormorò confuso.
“Ti vedo in fase molto filosofico esistenziale.” Gli disse lei con un sorriso.
“Hm, boh…” Fece il ragazzo, stringendosi nelle spalle. “Sarà l’alcool.” Affermò, accennando al bicchiere semi vuoto sul tavolo davanti a lui. Annika rise piano.
La ragazza, però, in seguito si fece più seria e cominciò a fissarlo. Bill rimase quasi ipnotizzato da quei penetranti occhi blu, intimorito da quello che lei poteva dirgli. Ma Annika sorrise.
“Perché non mi hai invitato a ballare?” Gli chiese tranquilla.
Bill ebbe un tuffo al cuore, non si era aspettato quella domanda. “Pe… perché? Volevi ballare con me?” Replicò titubante.
“Non avrei dovuto?” Ribatté lei piegando il capo di lato; i suoi lunghi capelli biondi ondeggiarono sul suo braccio.
“Io… non sarei stato in grado di farti ballare come ha fatto Georg…” Ammise Bill sconsolato, abbassando gli occhi.
“Potevamo trovare un altro modo.” Soggiunse Annika, sorprendendolo nuovamente.
“Tu volevi davvero ballare con me…” Mormorò incredulo.
“Sì.” Annuì Annika. “E mi dispiace molto che tu, stasera, abbia dei pensieri che ti distraggono e non te ne sia accorto.”
“È solo che… io pensavo tu preferissi passare il tempo con Georg…” Confessò timidamente Bill.
“Tu pensi troppo.” Affermò ironica la ragazza.
“Hm, sì…” Borbottò lui, poi si guardarono negli occhi per un secondo e scoppiarono a ridere.
Ridacchiavano ancora, quando Annika fece un passo verso di lui, per sedersi sul divano, però si approfittò troppo della sua gamba ingessata e sforzò sul piede malato, barcollando. Bill si sollevò appena dal sedile, per cercare di sostenerla, ma lei era ormai sbilanciata, fu così che caddero entrambi sul divano, abbracciati.
Terminata la rocambolesca caduta, si guardarono divertiti negli occhi. Annika sollevò una mano, scostando una liscia ciocca di capelli dal viso di Bill, lui le sorrise dolcemente.
“Perché pensi sempre che io preferisca qualcun altro?” Gli domandò la ragazza a bassa voce.
“Io… beh…” Esordì lui, ma poi sospirò. “Non lo so.” Lei sorrise con dolcezza.
“Sei uno sciocchino.” Gli disse poi, continuando ad accarezzargli la tempia, con gli occhi nei suoi. “Mi piace molto stare con te.” Affermò quindi.
Bill osservò il viso chiaro della ragazza, percorse con la punta delle dita il disegno del suo sopracciglio, della guancia, delle labbra. Oh, desiderava baciarla… ma qualcosa lo trattenne e si limitò a baciarle la punta del naso. Annika sorrise.
“Allora cercherò di essere meno indeciso, d’ora in poi.” Dichiarò quindi il ragazzo; lei annuì. Bill, a quel punto, l’aiutò a mettersi seduta nel modo migliore, ma Annika lo abbracciò di nuovo e lo stupì per l’ennesima volta, baciandogli la guancia.
Andreas li trovò ancora vicini, che parlavano fitto ridendo dolcemente, quando, una mezz’ora dopo, andò a cercare l’amico per andarsene a casa.

Tom e Claudia entrarono nella stanza del ragazzo e si chiusero la porta alle spalle. Non si stavano baciando, ma si guardavano intensamente negli occhi. Le mani di lei a stringere la maglietta di lui, quelle del chitarrista sui fianchi della ragazza.
La fece camminare all’indietro, finché lei non si ritrovò seduta sul letto, poi si fermò tra le sue cosce aperte, togliendosi le magliette che indossava. Claudia lo guardò armeggiare con la cintura come si segue un eccitante film già visto, ma sempre bello, solo che quella volta lei lo guardava proprio come se fosse un film: con l’asettico distacco con cui si osserva uno schermo.
Non era particolarmente eccitata, nonostante Tom non le avesse tolto le mani di dosso per tutto il viaggio, anzi aveva quasi voglia di piangere. Si sentiva estranea, come se non avesse il corpo caldo del ragazzo a pochi centimetri dal suo.
Lui le tolse il giubbino di jeans, lasciandola solo col toppino rosa pallido che aveva sotto. Dopo essersi tolto i pantaloni, la fece stendere sul materasso e le fu sopra, baciandole il collo, il seno. E lei gli carezzava i capelli scoperti, mentre guardava il soffitto blu, sentendosi sempre più fuori del proprio corpo.
Il top seguì la giacca poco dopo e il seno di Claudia aderì alla pelle calda di Tom, mentre lui cominciava a cercare il bordo delle sue mutandine sotto l’orlo della sua minigonna gialla a balze. A quel punto, però, la ragazza si sentì in dovere di chiedere una cosa.
Si mosse, cercando di spingere Tom per le spalle, così da farlo sollevare un po’ da se. Lui staccò riluttante la bocca dalla sua clavicola, che stava mordicchiando con fervore, per guardarla perplesso negl’occhi.
“Che c’è?” Sbottò un po’ infastidito.
“Tom, ma io ti piaccio?” Domandò Claudia con aria innocente.
“Che domande, piccola!” Rispose lui retorico, cercando di tornare alla sua occupazione primaria, ma lei lo blocco, obbligandolo di nuovo a guardarla. Tom sbuffò.
“Voglio sapere se ti piaccio davvero.” Insisté seria.
“Cazzo, ma ti pare che se non mi piacessi sarei qui con un’erezione coi controfiocchi a cercare di toglierti le mutande?” Replicò quindi Tom irritato. “E ora, dai, vieni qui, che ho un regalino da farti…” Mormorò poi, raddolcendo la voce e tornando a baciarla.
Claudia sospirò, sollevando di nuovo gli occhi, mentre Tom scendeva sul suo corpo percorrendolo con la bocca e la lingua, fino ad arrivare all’inguine, dove le tolse le mutandine. Quello che fece dopo fu troppo eccitante anche per la volontà non proprio collaborativa della ragazza, che reclinò il capo e socchiuse gli occhi, cominciando a gemere piano.

Claudia aprì gli occhi qualche ora più tardi. La camera era in penombra perché dalla finestra alle spalle del letto entrava la timida luce del giorno che nasceva. Lei si girò verso Tom, che dormiva bocconi lì accanto, con una mano sulla sua pancia. La ragazza ammirò la sua bellissima schiena nuda, la linea delle spalle, accarezzò la curva splendida tra le scapole.
Avevano fatto l’amore ed era stato bello come sempre, solo che, a differenza delle altre volte, il piacere era stato molto inferiore, perché lei era distratta. Nemmeno quando Tom era entrato dentro di lei, era riuscita ad abbandonare i suoi dubbi, ormai continui.
Tom si mosse, strinse la presa sulla sua vita, tirandosela più vicino. Le baciò una spalla e si accomodò meglio, con un respiro assonnato.
“Ciao, piccola…” Sussurrò dolcemente; faceva sempre così, prima di ricominciare a provarci.
Quando però non giunse risposta da Claudia, né verbale, né fisica, il ragazzo alzò gli occhi e la guardò. Lei aveva un’espressione indecifrabile e impassibile, come una statua.
“Claudia, che cosa c’è?” Le domandò, leggermente preoccupato.
Lei si girò quasi all’improvviso, fissandolo negl’occhi. Il chitarrista si ritrasse appena. “Tu mi vuoi bene, Tom?” Gli chiese.
Lui tentennò un attimo. “Certo che ti voglio bene, sei la mia piccola…” Rispose poi, con uno dei suoi sorrisi storti e seducenti, cercando di abbracciarla di nuovo.
“Sì, ma io… sono la tua ragazza?” Continuò lei aggrottando la fronte.
Tom distolse lo sguardo, poi sospirò profondamente, mettendosi supino contro i cuscini. Il ragazzo si grattò la testa, riflettendo per qualche secondo, quindi tornò a guardare lei, ormai seduta sul materasso, col lenzuolo davanti al seno.
“Ascolta, Claudia.” Esordì infine. “Non ti ho mai nascosto di essere molto, ma molto, attratto da te, che ti preferisco alle altre groupie che mi girano intorno, perché sei bellina, dolce, arrapante e con te ci sto bene, in tutti i sensi, però…” Continuò serio. “Io, in questo momento, non voglio una storia seria, sono troppo impegnato col lavoro e, onestamente… dovrei rinunciare a troppe cose.”
“Capisco…” Soggiunse Claudia, abbassando gli occhi. Era così dunque, avrebbe dovuto chiederglielo prima.
“Ho sempre pensato che ti andasse bene così.” Affermò il ragazzo, con un’alzata di sopracciglia. “Insomma, ci divertiamo, facciamo tanto bel sesso…”
“Sì, certo.” Confermò lei, ma sembrava soprappensiero. Poi si girò di scatto verso di lui. “Ti dispiace se vado a casa?” Gli chiese.
“No…” Rispose confuso Tom. “No, beh… se vuoi…”
“Grazie.” Fece Claudia, quindi scivolò via dal letto, raccolse la sua roba e si rivesti, sotto lo sguardo perplesso del ragazzo.
Solo quando fu pronta e già davanti alla porta, si voltò di nuovo verso Tom, lanciandogli uno sguardo malinconico e struggente, definitivo, che lui non capì, ma che lo fece comunque sentire inquieto.
“Allora… ci sentiamo…” Le disse titubante, muovendosi a disagio tra le lenzuola.
“Sì…” Mormorò Claudia. “Ciao Tom.” Aggiunse poi, con voce stranamente liquida; lui aggrottò la fronte e la salutò a sua volta, con una strana sensazione.
La porta si chiuse alle spalle della ragazza e il chitarrista rimase solo. Sospirò, rilasciandosi contro i cuscini. Aveva la netta sensazione che fosse successo qualcosa in quei pochi minuti, ma non aveva idea di cosa…
Claudia, nel frattempo, aveva sceso velocemente le scale, afferrato dal divano il suo piumino blu ed era uscita dall’appartamento. Una volta uscita dal palazzo, sul marciapiede, nell’aria fredda e umida di quell’alba d’autunno, si concesse di piangere. Non sapeva perché, ma nonostante il dolore, si sentiva sollevata. E le vennero in mente alcuni versi della canzone sentita la sera prima.

I've been thinking of a new direction
But I have to say
I've been thinking about my own protection
It scares me to feel that way

Sarai sempre nel mio cuore, ma io prendo un’altra strada adesso. Addio Tom.

CONTINUA

Note:
-    Le canzoni citate nel capitolo sono: “Geh” dei Tokio Hotel, “You don’t fool me” dei Queen e “What’s love got to do with it” di Tina Turner. Sono usate senza scopo di lucro.
-    Il titolo del capitolo è tratto anche questo da una canzone: “Flying Teapot” dalla colonna sonora dello splendido anime Cowboy Bebop. No scopo di lucro. Vi domanderete cosa c’entra; bene, il fatto è che in questo capitolo i sentimenti dei vari personaggi sono piuttosto incomprensibili agli stessi protagonisti, come una teiera volante, appunto. Magari non vi ho chiarito le idee, ma dovevo spiegarlo.

Ringraziamenti:
RubyChubb – tu sai che mentre sto scrivendo questa ryspy alla tua reccy io sono ripiegata come un tortellino, quindi perdonami se non sarò troppo esauriente. Le tue classifiche mi fanno schiantare, ti prego continuale. E grazie anche per aver ironicamente analizzato in modo chirurgico i miei personaggi, afferrando molti particolari. Bene bene. Ti dico solo una cosa: TI APPOGGIO! E ci siamo capite ^__-
Claudy – grazie per avermi aggiunta ai preferiti! Poi, spero che immedesimandoti in Claudia tu non sia finita a piangere come lei, ma stai tranquilla che la sua vicenda non è finita. Il triangolo si sta dipanando, altri particolari in seguito. E la ragazza a Gustav gliela ho trovata, contenta?
Picchia – so che le cose si muovo molto lentamente e vorresti un’accelerata; qualcosa è successo, non molto, ma questa, ormai lo avrai capito, è una storia lenta. Almeno qualcuno s’è fatto venire dei dubbi su Annika. E ci sono altri particolari su di lei. Vedremo…
Ruka88 – scusa di nuovo per il ritardo e grazie per i complimenti.
Kit2007 – ma ha capito tutto cara! Alla fine di questo chap dal titolo astruso molte cose, almeno a livello di sentimenti sono più chiare. Gugu è sempre Gugu e lo amiamo, ora ha pure la tipa. Georg ha ricevuto una delusione, ma ci siamo noi a consolarlo. E Tom continua a fare il bastardo, ma almeno Claudia gli occhi li ha aperti. Bill e Annika sono lenti come lumache, ma abbiamo buone speranze… Grazie!
Princess – ah, mia cara Ms! Non lo so, sai, a volte anche io ho la sensazione di non rendere bene Georg, o almeno non bene come fai tu. A me serviva un po’ così, ma spero si sia riscattato qui, anche se devo precisare che lui nel capitolo precedente non si è comportato in quel modo per ignoranza, ma solo perché ha male interpretato i segnali di Annika. A Gugu gli ho trovato pure la ragazzo, quindi lo lasciamo nella sua perfezione, caro ragazzo. Temo che la faccia di Tom sia ancora più a rischio dopo questo capitolo… Altri particolari su Annika e il risveglio di Claudia, spero di averti soddisfatto. Grazie mille per i complimenti!
Loryherm – spero che la mia mail ti sia arrivata… cmq, dici sempre troppe cose per rispondere a tutto! Hai colto molti aspetti dei personaggi cui a volte anche io non faccio caso e mi fa molto piacere, non c’è cosa migliore di innescare riflessioni sui propri personaggi, almeno per me! Quindi continua così, a stimolarmi con le tue recensioni lunghe come i miei capitoli, mi piacciono un sacco, grazie!
Lady Vibeke – oh, compagna di cappa e spada! Grazie del commento seppure veloce e, mi raccomando, rispettare i turni!
Crimy – è sempre bello quando qualcuno decide di scrivere e fai bene a riflettere, ci sono fin troppe ff sbrigative, quindi pensa bene a trama e personaggi e poi allietaci con la tua creazione! Qualcosina di Annika si scopre piano piano, vedrai che il mistero si risolverà. Quanto al bacio… beh, questa è una ff lenta, ci sarà un latro po’ da penare.
Makistellina – grazie per i complimenti, gli argomenti che citi sono tra quelli che ritengo importanti, quindi mi fa piacere se mi dici che li tratto nel modo giusto. Spero di non averti fatto penare troppo col mio ritardo!
Westminister – uh, sempre felice di trovare nuove lettrici! Grazie dei complimenti, continua a seguirmi!
Sunsetdream – beh, immagino che le vicende di questo capitolo chiariscano tante cose e spero che serva un po’ a risollevare l’umore dopo le pessime notizie dei giorni scorsi.
Dark_irina – eh, sono sempre in ritardo! Annika è decisamente una persona complicata, ma come lo siamo tutti in fondo. Ma quante belle riflessioni hai fatto! Eh sì, sì, si scoprono alcune cosine, spero che ti spingano ad interrogarti ancora, perché le tue idee, seppur un po’ sconnesse, colgono dei punti importanti! E come sempre grazie, anche per la pazienza.

Grazie anche a tutti quelli che leggono soltanto.

Un bacione a Sarakey che ha sempre le anticipazioni, ma vuole i capitoli interi! Chicca, ti accontento di rado, mi devi perdonare! E non picchiare Bill, povero cucciolo, è malato. Aspetta che guarisca, poi lo corchi!

Alla prossima, quando sarà… spero presto, non picchiatemi!

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Capitolo 8
*** 8 - Rivelazioni, dichiarazioni ***


AUTUM SONG
Nuovo capitolo! Uh, sono di corsa! Scusate come sempre per il ritardo e, vi prego, lasciatemi un commento, anche piccino!
Enjoy!
Un bacio!
Sara


8 – Rivelazioni, dichiarazioni

Tom attraversò la camera vuota di suo fratello con il solito passo annoiato, trascinandosi dietro i suoi pantaloni oversize. Entrò nel bagno, svoltò a destra e raggiunse il gabinetto, dove, una volta chiuso, si sedette; quindi rivolse uno sguardo distratto alla vasca da bagno, mentre appoggiava i gomiti sulle ginocchia e soffiava una boccata di fumo.
Bill era immerso nell’acqua. Le spalle magre contro il bordo e la testa reclinata su un asciugamano piegato sotto la nuca, gli occhi chiusi. Il resto del corpo era sotto la superficie e ne spuntava solo un ginocchio ossuto. La schiuma si era ormai disciolta, lasciando il posto ad un liquido lattiginoso.
Tom sapeva perfettamente che Bill si era accorto del suo arrivo, pur non essendosi mosso e non avendo detto nulla, così continuò a fumare lentamente, seduto sul wc.
“Dai, non fumare, lo sai che poi mi viene voglia…” Biascicò infine la voce del cantante; l’altro fece un sorrisino storto.
“Da quanto sei lì dentro?” Domandò poi il chitarrista.
“Hm…” Rispose Bill, stringendosi nelle spalle. “…da un po’…”
“Fa vedere la mano.” Gli ordinò distrattamente il gemello.
Il ragazzo, con un indolente gesto da diva decadente, sollevò un braccio gocciolante e lo rivolse a Tom, continuando però a tenere gli occhi chiusi. Il fratello osservò per qualche secondo quella lunga mano pallida e bagnata, poi prese una riflessiva boccata di fumo.
“Sei bollito come un pollo, Bill.” Sentenziò Tom alzandosi e aprendo il gabinetto per buttarci il mozzicone. “Esci da lì o ti cadrà l’uccello.” Aggiunse poi tranquillo.
“Perché, t’importerebbe qualcosa?” Replicò Bill aprendo un occhio e scrutando il gemello.
“A me no, ma forse a qualcun altro in questa casa…” Insinuò Tom, appoggiato allo stipite della porta, aveva un altro dei suoi sorrisetti sardonici.
“Sai perfettamente che non faccio sesso dalla fine del tour…” Mormorò l’altro, sistemandosi contro il bordo della vasca.
“E sarebbe anche l’ora di ricominciare, che dici?” Ribatté Tom allargando le mani. “Andiamo, esci da lì.”
Bill, stavolta, non se lo fece ripetere, sapeva anche da solo che non poteva stare ancora a mollo; posò le mani sul bordo e si spinse, fino al alzarsi in piedi, sgocciolandosi l’acqua di dosso.
“Copriti, cazzo.” Borbottò il fratello, mentre gli lanciava un asciugamano. “Non ho bisogno di vedere tutto il panorama, so perfettamente che sei biondo naturale!”
Bill roteò gli occhi, davanti alla solita uscita stile Tom, quindi si avvolse nell’asciugamano, il fratello, intanto, si dirigeva nell’altra stanza.
Il cantante, indossato il suo morbido accappatoio, raggiunse il gemello in camera. Tom era seduto sul letto e, per fortuna, aveva deciso di non accendersi una nuova sigaretta. Bill si fermò davanti alla scrivania, appoggiando i fianchi al piano.
“Perché stavi nella vasca da un’ora?” Domandò il chitarrista.
“Stavo pensando.” Rispose il fratello.
“E quale tormentoso pensiero t’impegnava tanto da lessarti come un wurst?” Continuò l’altro con espressione indagatrice.
Bill sospirò e si fece serio, abbassando gli occhi. “Quando Andi è stato qui abbiamo parlato e… mi ha fatto venire dei dubbi…” Tom aggrottò la fronte, mentre lo ascoltava.
“Su che cosa?” Gli chiese infatti.
“Su Annika.” Rispose subito Bill.
“Ah… E quindi?”
“Non sapevo cosa fare, poi, l’altra sera ero su internet e… ho digitato il suo presunto nome e cognome su un motore di ricerca.” L’altro era sempre più sospettoso e lo fissava serio. “Sono arrivato su una pagina dove pubblicano le schede di adolescenti scomparsi e…” Bill si girò e prese un foglio dalla scrivania. “…ho trovato questo.” Lo porse al fratello.
Tom prese il foglio e lo lesse, con lo sguardo sempre più allarmato via via che scorreva quello che c’era scritto; alla fine alzò gli occhi sul gemello.
“Merda.” Disse.
“Già.” Confermò Bill.
Tom lesse. “Annika Wögler, scomparsa da Bonn il 24 maggio 2009…” Seguiva la sua descrizione fisica e i dati, ma la foto allegata a quella scheda era indubbiamente della loro Annika. “Merda, Bill…” Commentò il chitarrista alla fine.
“Lo so.” Annuì il fratello.
“È scappata di casa, Billy.” Affermò Tom serissimo, come quasi mai era. Bill sbuffò ed andò a sedersi accanto al fratello. “Dobbiamo dirlo a qualcuno…”
“No!” Esclamò allarmato Bill, voltandosi verso l’altro e afferrandolo per un braccio.
“Ma Bill è una cosa grossa questa, se si venisse a sapere, se la stampa ci mettesse gli occhi sopra, scoppierebbe un casino!” Protestò il fratello.
“Perché le persone scappano di casa, Tom?” Domandò Bill, cogliendo impreparato il fratello.
“Senti Bill…” Tentò il chitarrista, cercando di riportare la discussione nei binari, ma davanti allo sguardo del gemello cedette quasi subito. “Oh, ma insomma… io che ne so del perché! Ce ne sono un milione di motivi!”
“Dinne uno.” Lo spronò il cantante.
“Boh… magari uno sta male in famiglia, sono degli stronzi, o ha dei brutti voti e non vuole farlo sapere, magari ha un ragazzo che non approvano, oppure scappa per venire ad un concerto dei Tokio Hotel!” Elencò Tom arreso, scrollando le spalle.
“Dimmi, ormai la conosciamo un po’ Annika, no?” Fece Bill, Tom annuì. “Ti sembra il tipo che se ne va da casa senza un motivo valido?”
“Ogni motivo è valido per chi lo vive!” Replicò Tom retorico.
Bill si alzò, raggiunse la scrivania, prese una sigaretta e l’accese; dopo un lungo tiro si girò di nuovo verso il fratello, che lo fissava con disapprovazione.
“Non fumare, ti fa male.” Gli disse Tom. Bill spense la cicca con un gesto nervoso.
“Ascoltami, non credi che se fosse scappata per uno dei motivi che hai detto tu, quando è finita in ospedale non avrebbe avvertito i suoi?” Espose Bill, cercando di sostenere la sua teoria. “Se Annika non l’ha fatto deve esserci una ragione grave, qualcosa per cui una persona intelligente e sensibile come lei ha voluto interrompere i rapporti.”
“Sì, vabbene.” Ammise Tom annuendo. “Ma questo che c’entra col dire o meno a qualcuno che sappiamo?” Aggiunse riflessivo.
“Ma non capisci? Se lo diciamo a David o qualcun altro, chiameranno le autorità e lei sarà costretta a tornare a casa. E sono certo che non vuole farlo!” Replicò appassionato il gemello.
“Non è una cosa che possiamo decidere noi, è minorenne, Bill.” Gli fece presente Tom. “Io credo che ne dovremmo parlare almeno con lei…”
“Assolutamente no!” Lo interruppe il fratello, sorprendendolo. “È già scappata una volta, pensi che non lo rifarebbe?”
Tom sbuffò, poi si alzò e guardò negli occhi Bill. “Lo fai solo perché non vuoi che se ne vada, perché la vuoi tenere qui.” Dichiarò sicuro.
Bill abbassò il capo e si strinse nelle braccia. “Forse…” Rispose titubante, quindi rialzò gli occhi in quelli del gemello. “Tanto che differenza fa? Non è certo la prima volta che mi dai dell’egoista.”
“Bill…” Soffiò Tom con tono rammaricato.
“Tomi, non deve saperlo nessuno.” Ribadì il cantante deciso. L’altro sospirò. “E io ti prometto che proverò a parlarne con Annika, ti va bene?” Aggiunse speranzoso.
Tom tentennò indeciso per qualche secondo, guardando in giro. “Io non sono d’accordo.” Sentenziò alla fine, provocando un’espressione delusa nel fratello. “Però non dirò niente.” Si affrettò ad aggiungere subito dopo.
“Grazie, Tomi…” Mormorò Bill più tranquillo. “Ti voglio bene.”
“Sì, ok…” Glissò sbrigativo l’altro, allontanandosi prima che scattasse un inopportuno abbraccio. “Ma sappi che se scoppia il casino ti mollo alla guazza.”
Bill fece un sorrisino retorico. “Tanto so che non lo fai…”
“Fanculo…” Imprecò il gemello, mentre si dirigeva alla porta. “Un giorno ti denuncerò per ripetuti abusi psico-fisici!” Proclamò uscendo, Bill rise dolcemente.   

Tom era seduto su una delle poltrone del suo salotto, chitarra in braccio, sigaretta penzolante tra le labbra, spartiti sparsi sul tavolino davanti a se. Provava alcuni accordi per un nuovo pezzo, avvolto nella luce tiepida che entrava dalle grandi finestre; era un pomeriggio stranamente assolato per essere già novembre, anche se cominciava a fare freddo sul serio.
Quel giorno niente sala prove, erano liberi, per modo di dire. Gustav, da bravo bambino qual era, se n’era andato a trovare i nonni. Georg aveva sua madre ospite, quindi era costretto a comportarsi bene, e poi non la vedeva mai e voleva passare quella giornata libera con lei. Bill, invece, era il più impegnato: lo aspettava la sessione fotografica per l’intervista rilasciata a Vogue Germania e solo la bibbia della moda lo avrebbe potuto far rinunciare alla sua attività preferita nei giorni di pausa, cioè dormire. E Tom era rimasto solo coi suoi accordi, ma non gli dispiaceva. Soltanto che…
Il ragazzo interruppe per un attimo il suo strimpellare, si tolse la sigaretta dalla bocca, soffiò via il fumo e fissò il vuoto con espressione riflessiva; quindi annuì deciso, si alzò, radunò gli spartiti, li arrotolò e li ficcò in una tasca dei suoi enormi jeans, afferrò il posacenere mezzo pieno e la chitarra e si diresse al piano superiore.
Annika, sentendo bussare alla porta, alzò gli occhi sorpresa. Invitò ad entrare e si stupì una volta di più, quando Tom fece il suo ingresso con la chitarra in mano.
“Ciao…” Salutò perplessa.
“Ciao.” Fece lui con cenno del capo. “Ti dispiace se mi metto qui? Non avevo più voglia di stare giù da solo.” Aggiunse, dirigendosi alla poltrona.
“No, fai pure, anzi…” Replicò la ragazza ancora vagamente incredula. “…mi fa piacere…”
“Che cosa stai facendo?” Domandò Tom, mentre si sedeva e imbracciava delicatamente la chitarra.
“Ah, ho chiesto a Frau Hildegard qualche lavoretto da fare.” Rispose lei, sistemando quello che aveva in grembo. “Mi ha dato della biancheria da piegare.”
Il ragazzo, allora, la guardò con più attenzione, focalizzando le sue mani che si muovevano su qualcosa di familiare…
“Stai piegando le mie mutande?” Le chiese aggrottando la fronte.
“Hm, sì…” Annuì incerta Annika, spostando gli occhi dalla biancheria a lui.
“E… è molto che lo fai tu?” Indagò il ragazzo.
“Beh… no…” Ribatté lei sempre più sospettosa.
“Perché mi da un po’ fastidio che tocchino le mie mutande…” Spiegò finalmente Tom, grattandosi imbarazzato la nuca.
“Guarda che lo farebbe comunque Frau Hildegard, non è che finiscono piegate nel cassetto da sole…” Gli fece presente la ragazza.
“Sì, ma… vederlo fare così, da te…” Riprese preoccupato lui. “…mi sento come se qualcuno mi toccasse le parti intime senza autorizzazione…”
“Vabbene, ho capito.” Annuì Annika con un sorrisetto, mentre riprendeva a piegare le mutande incriminate. “Bill non è l’unico nevrotico di questa casa…”
“Ok, fai finta che non ti ho detto nulla!” Esclamò allora Tom, scrollando il capo, poi spostò lo sguardo sul resto del letto, a lato di dove era seduta lei. “A proposito di Bill…” Commentò poi, accorgendosi delle tre pile di biancheria nera piegata. “…quante cazzo di mutande si cambia mio fratello?!”
Annika ridacchiò. “Ho fatto una media di due mutande e mezzo al giorno.” Rispose con tono professionale, piegando l’ennesimo paio di boxer neri.
“Merda…” Bofonchiò il chitarrista. “…nemmeno scopasse ogni notte…” Annika arrossì, ma mentre sorrideva divertita.

Tom, dopo quella piccola divagazione, si mise a suonare, concentrandosi sugli accordi che stava studiando. Annika ben presto si distrasse dal suo lavoro, cominciando a seguire quello del ragazzo. Lui suonava per periodi più o meno lunghi, poi appuntava note sugli spartiti, oppure ricontrollava appunti e quindi si rimetteva a suonare. Aveva, strano a dirsi, un’aria molto professionale.
È incredibile come le persone, facendo qualcosa che amano, riescano a diventare ancora più belle di quanto già non siano. Era questo che succedeva anche a Tom, mentre con gli occhi socchiusi pizzicava sapiente le corde della sua chitarra. Vedendolo così, con la luce esterna che accarezzava i tratti dolci del suo viso concentrato, non era difficile capire come Claudia se ne fosse innamorata.
Ma era la sua abilità con la chitarra a colpire di più Annika e, inevitabilmente, le sorse una domanda.
“Sei davvero bravissimo.” Disse, attirando l’attenzione del ragazzo, che sollevò gli occhi continuando però a suonare qualche nota. “Come ti è nata la passione per la chitarra?” Gli chiese quindi lei, incuriosita.
Tom sorrise, visibilmente intenerito dal ricordo. “Beh, è stata colpa del compagno di nostra madre, anche lui suona e guardandolo mi sono appassionato, così mi ha insegnato.” Raccontò quindi. “E non ci è voluto molto perché l’allievo superasse il maestro…” Aggiunse sornione.
“Il compagno di tua madre?” Mormorò Annika; lui annuì, tornando a reclinare il capo sullo strumento. “Che…che tipo è?”
Quella domanda fece rialzare la testa a Tom, sorpreso che la ragazza avesse tali curiosità. La fissò per qualche secondo, con le sopracciglia aggrottate.
“È a posto.” Rispose poi, stringendosi nelle spalle. “Insomma, è forte, con noi è sempre stato premuroso e… ha rispetto di nostra madre, gli vogliamo bene.”
“Capisco…” Commentò Annika, mentre aggiustava una piega sul copriletto; era infastidita dal fatto che Tom continuasse ad osservarla.
“Hai un patrigno anche tu?” Le chiese infine il ragazzo, seguendo un’intuizione appena avuta.
“Io, ecco… io… vedi…” Balbettò lei incerta. “Mio… mio padre è morto in un incidente stradale quando avevo undici anni, era un caporale dell’esercito.”
“È un modo indiretto per dire sì?” L’interrogò lui ironico.  
“Sì…” Ammise Annika con gli occhi abbassati sulle proprie mani nervose. “Ma non lo vedo più” Aggiunse sbrigativa.
“E tua madre?” Soggiunse Tom, con tono fattosi più premuroso.
“Non vedo più nemmeno lei.” Rispose la ragazza, piegando ancora il capo e spostandolo di lato.
Tom avrebbe voluto insistere, interrogarla e obbligarla a dirgli la verità, anche alla luce di quello che lui e Bill avevano scoperto un paio di giorni prima. Si accorse, però, che suo fratello aveva ragione, c’era sicuramente un motivo grave dietro alla fuga da casa di Annika, era fin troppo chiaro dal suo atteggiamento difensivo. Ma, allo stesso tempo, si rese conto di non aver mai visto quella ragazza così piccola, pallida e fragile come in quel momento e loro non potevano correre il rischio che affrontasse i suoi problemi da sola, di qualunque tipo fossero.
“Io non so che cosa ti è successo, Annika.” Affermò Tom, con un tono stranamente dolce che fece rialzare gli occhi alla ragazza. “Ma sappi che qui sei al sicuro, io e Bill… non permetteremo che ti succeda niente di male, devi saperlo.”
Annika, stupita da quelle parole così inaspettate da parte di Tom, sorrise incerta. “Grazie…” Mormorò con un filo di voce. “Sei gentile.” Aggiunse imbarazzata.
“Figurati.” Glissò lui, con un gesto noncurante, riprendendo la sua solita espressione scazzata.
“Suoneresti ancora qualcosa per me?” Gli chiese allora la ragazza.
“Certo.” Annuì lui. “Ma prima devi dirmi una cosa.” Aggiunse alzandosi dalla poltrona e raggiungendo la ragazza sul letto.
Annika lo osservò perplessa, mentre si sedeva accanto a lei con la schiena contro la spalliera e le gambe allungate sul materasso, la chitarra sempre tra le braccia. Si guardarono, si sorrisero.
“Dimmi…” Esordì il ragazzo. “…che fine ha fatto Claudia?” Annika spalancò la bocca in un’espressione sorpresa e un po’ preoccupata, poi abbassò gli occhi. “Non risponde più ai miei messaggi, alle mie telefonate, non si fa più vedere in giro, è sparita…”
“Tom…” Fece lei, titubante, tornando a guardarlo in viso. “…io non te lo dovrei dire ma… ha cambiato numero di telefono…”
“Ah…” Commentò lui colpito, spostando lo sguardo velocemente.
“Mi ha fatto promettere di non dirti niente.” Mormorò imbarazzata Annika.
“Non ti preoccupare.” Replicò lui con una vena di triste sarcasmo nella voce, mentre aggiustava la chitarra che gli era un po’ scivolata. “Non vuole più vedermi, eh?”
“Mi dispiace, Tom…” Seppe solo dire lei.
“Fa niente, dai.” Ribatté il chitarrista. “In fondo non è mica che stavamo insieme.” Aggiunse stringendosi nelle spalle, mentre tentava di rivestirsi del suo solito cinismo.
“Ti va ancora di suonare?” Gli domandò Annika, scrutando di soppiatto la sua espressione turbata.
“Certo, perché no?” Rispose lui, sistemando le dita sulle corde.
Le sue mani iniziarono a percorrere la tastiera veloci e precise, componendo una melodia e Annika non si stupì che, nonostante il suo atteggiamento navigato, quella musica fosse particolarmente malinconica.

Il giorno dopo i tre occupanti della casa erano a colazione insieme. Tom a capotavola, Bill alla sua destra e Annika alla sua sinistra. Il tavolo invaso di pane tostato, burro, marmellate varie, barattoli di cereali, succhi di frutta e stoviglie varie.
Erano circa dieci minuti che Bill, il mento appoggiato su una mano sollevata, osservava apertamente Annika che, innervosita, si muoveva a scatti ed aveva anche rovesciato il latte fuori della tazza. La ragazza, infine, arresa, posò il cucchiaio e alzò gli occhi in quelli di lui.
“Mi dici, per favore, perché mi stai fissando?” Gli chiese spazientita.
“Annika.” Esordì il ragazzo serio. “Hai mai pensato di fare qualcosa ai tuoi capelli?”
Lei spalancò la bocca sorpresa, poi la richiuse e si toccò un ciuffo che le cadeva sul petto, quindi spostò lo sguardo alternativamente sui due gemelli, che entrambi ora la guardavano.
“Perché? Cosa hanno che non va?” Domandò confusa.
“Ma no, niente, cara!” Esclamò subito Bill.
“Sono smorti.” Affermò però Tom, ghiacciandoli tutti e due; lui li guardò e poi si strinse noncurante nelle spalle.
“Tom!” Sbottò il cantante dandogli un’energica spinta. “Annika non ascoltarlo.” Riprese poi, rivolgendosi alla ragazza. “I tuoi capelli non hanno niente che non va, sono molto belli, così lunghi e senza nemmeno una doppia punta!” Le disse entusiasta. “Solo… magari il colore non è tanto vivo…”
“Un modo educato di dire che sono smorti.” Replicò secca lei; il ragazzo si ritirò in una smorfia contrita. “Onestamente, Bill, a volte preferisco la sincera brutalità di Tom.” Confessò Annika; il chitarrista ridacchiò, l’altro fece un’espressione offesa.
“Scusa, io non volevo metterti a disagio…” Mormorò Bill. “Ma penso davvero che dovresti fare qualcosa.” Aggiunse, cercando di giustificarsi.
“Io non voglio tingerli… o tagliarli troppo…” Dichiarò incerta la ragazza, continuando a toccarsi il ciuffo con la punta delle dita.
“Sono sicuro che il mio parrucchiere troverà la soluzione giusta per te!” Sentenziò Bill allegro, battendo le mani. Sembrava un bambino alle prese con l’idea di un nuovo gioco, tutto gongolante nella sua maglietta arancione con sopra disegnata una mucca bianca e nera.
“Capisco, Bill…” Soggiunse la ragazza. “…ma non vedo perché dovrei…” Tentò perplessa.
“Glielo dici tu?” Intervenne a quel punto Tom, guardando di sbieco il fratello, prima di prendere un sorso di caffè dalla sua tazza blu.
Bill fece un sorriso infinito dei suoi, cui poteva senz’altro essere imputato il recente aumento dello scioglimento dei ghiacci e guardò la ragazza.
“Venerdì c’è la serata dei premi televisivi!” Esclamò, come se questo spiegasse tutto, poi, sorridendo ancora, spronò Tom a continuare.
“Noi riceveremo un premio e faremo un piccolo live di due canzoni.” Spiegò il chitarrista.
“Vorremo che tu fossi presente.” Le disse allora Bill. Annika fece un’espressione sbalordita. “Sarà una cosa ufficiale, tappeto rosso e tutto il resto, quindi…”
“Io non… io non posso fare una cosa simile…” Balbettò la ragazza intimorita.
“Ma certo che puoi!” Scattò Bill tutto contento. “Se ti aggiusti i capelli, certo…” Aggiunse cauto. Lei lo guardò con un sorrisino offeso.
“E poi sono io, quello indelicato…” Commentò distrattamente Tom.
“Ok, Bill, se proprio insisti… una capatina dal parrucchiere la posso anche fare…” Mormorò Annika titubante.
“Oh, che bello!” Esclamò Bill saltando in piedi e aggirando il tavolo; prese la ragazza per le spalle e le diede un bacio sulla guancia. “Domani andremo insieme, chiacchiereremo, ci faremo le mani e berremo champagne!”
Annika scambiò un’occhiata preoccupata con Tom, che ridacchiò, sprofondando nella sedia, poi levò il bicchiere della spremuta verso di lei, a mo’ di brindisi.
“Auguri, tesoro!” Le disse, ridendo soddisfatto, mentre Bill saltellava come un camoscio in calore.

Il salone del parrucchiere di Bill era un luogo spaziale. Due piani, ma il secondo finiva con un balcone di vetro che affacciava su quello sottostante, grandi vetrate, specchi, pavimenti di marmo rosa e un piccolo esercito di lavoranti pronte a realizzare ogni possibile e impossibile acconciatura.
Bill e Annika erano stati accompagnati al secondo piano, quello rigorosamente riservato ai vip, dove il titolare in persona, un ometto di mezz’età secco da far paura e con un’acconciatura aliena dal colore sospetto, aveva esaminato i capelli della ragazza.
Annika, seduta su una comoda poltroncina color cipria, osservava il mondo che si muoveva oltre la balaustra trasparente; sotto, i comuni mortali combattevano con messe in piega e french manicure dal colore normale, mentre lei aspettava paziente il suo turno davanti ad un enorme specchio a tre ante che la rifletteva da tutte le angolazioni.
La ragazza, all’improvviso, si ritrovò circondata da due braccia che cominciarono a cullarla al ritmo della musica che passava in sottofondo. Lei abbassò gli occhi, guardando le mani che la stringevano; pur senza smalto, erano inconfondibili. Sorrise.
I could change my life to better suit your mood… Cause you’re so smooth…” Canticchiò Bill, seguendo la canzone, poi le baciò la guancia. “Tutto bene?” Le chiese quindi, continuando a cullarla.
“Per ora sì.” Rispose Annika, girandosi per guardarlo. Spalancò gli occhi.
Bill fece una faccia buffa, amplificando l’effetto dei suoi capelli divisi in ciuffi sparati in ogni direzione sulla testa e della mantella color pesca che aveva sulle spalle.
“Sembro la strega dell’est, eh?” Le chiese divertito; lei rise piano.
“Saresti bellissimo anche con un turbante fatto di sacchetti per la spazzatura.” Rispose poi Annika.
“Ohhh, e tu sei un tesorino!” Replicò lui strizzandola tra le braccia.
“È il suo turno, signorina.” Annunciò in quel momento una delle parrucchiere. I due ragazzi si sorrisero, poi Annika si alzò e seguì la donna.
La ragazza non capì esattamente cosa fecero ai suoi capelli. Prima si ritrovò la testa ricoperta da tanti quadratini di stagnola azzurra che la facevano somigliare ad un personaggio di Star Trek, poi i capelli furono lavati e leggermente scalati dalle abili forbici del parrucchiere; non poté seguire al meglio le procedure con phon e arricciacapelli perché, nel frattempo, era arrivata l’estetista a farle le mani, occupandola in futili chiacchiere.
“Abbiamo finito.” Dichiarò la ragazza che aveva dato gli ultimi tocchi alla nuova acconciatura di Annika; lei sorrise e la ringraziò.
Bill la raggiunse proprio in quel momento, sorridendo splendente. Il colore dei suoi capelli era più intenso, rinnovato, le meches chiare più platinate che mai ed erano sparati in aria in tante precise punte, ma si muovevano comunque leggeri sulle sue spalle.
L’espressione del ragazzo, però, appena vide Annika divenne meravigliata, ma poi sorrise di nuovo.
“Come sto?” Domandò la ragazza, che ancora non si era vista, dato che dava le spalle allo specchio.
“Guardati.” Fece lui, prendendo la poltroncina per la spalliera e girandola verso lo specchio. “Sembri una principessa delle favole.” Aggiunse Bill, abbassando il capo all’altezza della spalla di lei e guardandola negli occhi attraverso la superficie riflettente.
Annika, completamente incredula, si guardò, poi toccò i propri capelli, aggiustati in morbidi boccoli dorati intorno al viso. Non si era mai vista così bella. Sorrise, quindi si girò verso Bill, arricciando soddisfatta il naso, mentre si stringeva nelle spalle. Lui rispose sorridendo con dolcezza.
“Sei splendida.” Le disse il ragazzo, stringendola per le spalle.
“Grazie…” Mormorò imbarazzata lei, abbassando gli occhi. “Anche tu.”
“Grazie!” Trillò felice Bill. “Adesso ce ne torniamo a casa e, domani sera, verrà Joseph con un paio di ragazze a sistemarci per la serata.”
“Oh, bene.” Commentò Annika.
“Guardaci.” Le sussurrò poi Bill, invitandola ad alzare gli occhi di nuovo sullo specchio, dove si rifletteva la loro immagine sorridente. “Siamo una bella coppia, eh?”
“Sì.” Ammise la ragazza con espressione serena; lui le diede un altro bacio sulla guancia, poi fece girare la poltroncina e le porse le stampelle.

“Mi sono permesso di prenderti questi.” Affermò Bill, dopo aver ricevuto il permesso di entrare nella stanza di Annika.
“Tu ti permetti sempre.” Ironizzò lei con dolcezza. Lui sorrise avvicinandosi e porgendole una busta bianca con un noto logo stampato sopra. “Che cos’è?” Chiese poi la ragazza.
“Guarda.” La spronò lui.
Bill era praticamente già pronto, a parte i capelli e il trucco, per cui aspettava i professionisti. Indossava dei jeans chiari e una maglietta nera con disegni tribali metallici in rosso e viola. Anche Annika era già vestita con abito nero di maglia, maniche ampie e scollo a barca, sui fianchi una cintura di pelle argentata; sotto portava dei pantacollant sempre neri.
La ragazza aprì la busta e scavò nella carta velina che c’era dentro; ne uscì un paio di scaldamuscoli a righe bianche, nere e grigie.
“Oh, che carini! Grazie!” Esclamò contenta Annika, mentre tastava la morbidezza della lana tra le mani.
“Per coprire il gesso e non far infreddolire l’altro piedino!” Spiegò Bill piegando il capo di lato.
“Sei gentile.” Replicò lei.
“Sei pronta?” Le domandò allora il ragazzo.
“Praticamente sì.” Rispose Annika, osservando i propri abiti.
“Bene.” Annuì Bill. “Tra poco arriverà Joseph per sistemarci i capelli e poi partiamo!” Annunciò quindi, prima di sorriderle. “Mi raccomando, mettiti quelli!” Le ricordò poi, indicando gli scaldamuscoli.
“Lo faccio di sicuro, sono troppo simpatici!” Ribatté lei allegra.
“Ah, ho anche questa, stavo per dimenticarmi!” Fece Bill, appena prima di andarsene; si girò verso la ragazza e tirò fuori dalla tasca dei jeans una lunga catena d’argento dalla trama fitta. “È una delle mie, ma ho pensato che ti servisse per ravvivare il tuo vestito.”
“Bill, è bellissima, ma non era necessario…” Commentò Annika scotendo il capo.
“Hey, è solo un prestito, dopo me la restituisci!” Esclamò lui, mani ai fianchi. “È di vero argento, mi è costata un occhio!”
“Grazie…” Mormorò timidamente la ragazza, abbassando gli occhi.
“Non essere sempre così umile, Annika!” Sbottò divertito Bill, rialzandole il mento con le dita e fissandola negli occhi. “Stasera ti voglio vanitosa come l’imperatrice della Cina!”
Annika ridacchiò. “Che scemo sei.” Disse poi.
“E tu sei…” Soggiunse Bill, ma interruppe la frase per fissare lei e il momento che passarono a guardarsi negli occhi divenne molto lungo.
Bill, perso in quegli splendidi occhi blu, si sentì invaso da un’improvvisa smania, forse per un qualcosa rimandato troppe volte. Mise le mani sulle spalle magre di Annika e la vide guardarlo un po’ smarrita, le labbra sottili appena socchiuse. Era stupenda e se non lo faceva era un cretino totale. Doveva baciarla ora. Era il momento più giusto. Si piegò avvicinandosi alla sua bocca…
“Bill!” Sberciò la voce di Tom dal fondo del corridoio. “È arrivato Joseph!”
Il cantante si scostò dalla ragazza, raddrizzandosi, poi levò gli occhi al cielo con espressione drammaticamente esasperata. I suoi occhi sembravano dire “Oh, destino infame e avverso!” e ad Annika venne da ridere, ma si trattenne.
“Oh, Bill, ti ho detto che è…” Intervenne Tom affacciandosi alla stanza.
“Ho capito, cazzo!” Sbottò isterico il fratello, girandosi di scatto.
Tom si ritrasse, spalancando gli occhi. “Merda, ma che hai? Devo chiamare un esorcista? Hai una voce che sembri posseduto!” Commentò poi, prima di ritirarsi prudentemente in corridoio.
Bill tornò a girarsi verso Annika, che ridacchiava coprendosi educatamente la bocca. Lui sbuffò, passandosi una mano sul collo.
“Tranquillo.” Mormorò calma lei. “Vai, adesso, ci vediamo dopo.” Bill chinò il capo sconsolato, prima di lasciare la camera, ma non gli era sfuggito un certo rammarico, nella voce della ragazza.

Il solito Suv grigio, stavolta, fu sostituito da una lucidissima limousine nera dai vetri scuri. Annika la fissò con gli occhi spalancati, prima che Bill, sorridente come sempre, la spingesse garbatamente dentro, dove li aspettavano Georg e Gustav.
I quattro componenti del gruppo erano al loro meglio, ognuno col suo stile, ognuno bello a suo modo: da Gustav tutto vestito di scuro, compresa la tecnica giacca a vento, a Georg in giacca di pelle, fino a Tom in mega felpa bianca. Bill si era messo una giacca di pelle lucida nera, sopra ai vestiti che gli aveva già visto prima.
La ragazza si accorse che avevano raggiunto il luogo dell’evento a causa del vociare proveniente dall’esterno. Seduta tra Bill e Tom, spiò oltre il finestrino, per vedere una discreta folla assiepata davanti al teatro dove si sarebbe tenuto lo spettacolo.
“Annika.” La chiamò Bill, lei si girò. “Quando scenderemo non ti preoccupare di niente, delle foto, delle grida, tu cammina tranquilla, segui Saki o David.” Le disse il cantante con un sorriso rassicurante. “Al resto pensiamo noi.”
“Sì, soprattutto pensiamo alle ragazze!” Intervenne Tom gongolante.
“Le teniamo a bada noi.” Rincarò Georg con uno sguardo furbo. “Non ti tireranno dietro niente.”
“Davvero corro il rischio di essere colpita da qualcosa?” Domandò stupita la ragazza.
“Credimi.” Affermò Gustav con aria saggia. “Possono diventare un’orda di baccanti inferocite.”
“Non ti allarmare, ti proteggiamo noi.” Le mormorò Bill all’orecchio, il suo profumo improvvisamente nel naso; Annika lo guardò e si sorrisero.
“Grazie…” Replicò dolcemente lei.
“Siamo arrivati.” Annunciò in quel momento Saki dall’interfono. Il gruppo si preparò a scendere, cercando di non inciampare nelle stampelle di Annika.
I ragazzi scesero uno per volta dalla limo e subito partirono rumorosi flash e urla entusiaste dal pubblico nella attesa. Georg rimase vicino allo sportello e porse la mano ad Annika, per aiutarla a scendere, mentre Gustav le teneva le stampelle. Lei sorrise ad entrambi con gratitudine, poi spostò lo sguardo per vedere Tom e Bill già intenti ad attirare l’attenzione delle fans. Quando però la ragazza mosse il primo passo sul red carpet, gli scatti dei fotografi s’intensificarono, così come le grida, che diventarono leggermente più ostili…
Annika, ancora prima di poter decifrare quelle urla, anche se una vaga quanto fastidiosa idea se l’era fatta, sentì una grande mano posarsi sulla schiena. Alzò gli occhi e si vide sovrastata dalla figura di Saki, dotato della sua impareggiabile espressione marmorea.
“Tu vieni con me.” Le disse calmo.
Annika guardò prima Georg e poi Gustav, che annuirono. Lei gli sorrise e seguì la guardia del corpo, accompagnata dall’unica frase che riuscì a distinguere nella massa: “E questa troia chi cazzo è?!”; almeno non le avevano tirato uova marce…
La ragazza, mentre proseguiva verso l’entrata, seguita dall’ombra rassicurante di Saki, lanciò un’occhiata a Bill; lo trovò girato verso di lei, che la salutava con un lieve cenno della mano e un sorriso dolce. Le fece segno che si sarebbero visti più tardi. Lei sorrise ed entrò nel teatro.

Annika fu fatta accomodare su una poltroncina che dava sul corridoio centrale, in posizione ottimale sia per facilitarla nei movimenti, che per godersi lo spettacolo. La ragazza, sempre più entusiasta, si guardò intorno, riconoscendo varie celebrità televisive. Le sembrava di essere in un sogno: lei, una ragazza qualsiasi, in mezzo a persone famose, in quella splendida sala, col palco a pochi metri. Sorrise compiaciuta.
La ragazza sentì un paio di mani posarsi sulle sue spalle, così levò gli occhi verso la fila di poltrone dietro la sua. Si trovò davanti il viso sorridente di Bill, che si sporgeva su di lei. Lui e i ragazzi si stavano sistemando in quel momento.
“Va tutto bene?” Le chiese il ragazzo.
“Finora.” Rispose lei annuendo.
“I capelli ti stanno benissimo.” Affermò allora Bill, aggiustandole un boccolo.
“Grazie.” Replicò lei; il cantante le fece l’occhiolino e si sedette.
Tre quarti d’ora dopo fu annunciato il premio ai Tokio Hotel; i ragazzi si abbracciarono e corsero sul palco, come da copione, ritirarono la pacchiana statuetta e poi scomparvero dietro le quinte.
Qualche minuto dopo la strizzatissima conduttrice annunciò l’esibizione della band. Le luci si abbassarono in sala e sul palco. Annika si ritrovò emozionata come se dovesse cantare lei. Chissà come stanno i ragazzi… pensò agitata.
Cascate di scintille bianche precedettero l’entrata in scena dei quattro musicisti. Tom, Georg e Gustav presero posto ai loro strumenti, mentre Bill guadagnava il centro del palco. Il cuore di Annika batteva a mille e cominciò a tenere il ritmo della musica che era appena partita.
Bill si era cambiato, indossava i pantaloni che avevano comprato insieme, una maglia nera con strani disegni lucidi e un giubbino di pelle semplicissimo ma d’effetto.
L’esibizione fu molto diversa da quella acustica cui aveva assistito in studio, dove Bill sussurrava con intensità al microfono. Qui l’intensità era dovuta all’enfasi dei suoi movimenti, al suo saltare e muovere le mani, al suo aggrapparsi al microfono. E il paio di sguardi che intercettò la fecero tremare. Sapeva che Bill poteva essere sensuale, quando voleva, ma non si era mai resa conto di quanto potesse esserlo…

Lo spettacolo stava per terminare, quando Saki la invitò a seguirlo nel backstage, dove i ragazzi l’aspettavano per filarsela dall’ingresso posteriore. La ragazza si complimentò con tutti e poi si ritrovò davanti Bill.
“Allora, come siamo andati?” Le domandò ansioso il cantante.
“Siete stati bravissimi.” Rispose lei con sincerità.
“Non ti sei accorta che ho stonato, all’inizio della seconda canzone?” L’interrogò accigliato Bill.
“No…” Fece Annika sbalordita.
“Non hai stonato, Bill.” Intervenne la voce dura di Tom. “Smettila di ripeterlo!” Lo rimproverò quindi, passandogli accanto e dandogli un colpo di asciugamano sul sedere.
“Ho stonato eccome!” Protestò il gemello, girandosi verso di lui.
“No!” Esclamò spazientito il chitarrista. “In che cazzo di lingua te lo devo dire? No! Dio, che palle…” Aggiunse poi, allontanandosi con gli occhi al cielo.
“Uffa!” Sbottò Bill, incrociando le braccia.
“Andiamo, ragazzi.” Li spronò Saki. “Facciamo tardi al party.”
“C’è un party?” Chiese smarrita Annika, mentre si guardava intorno; trovò il viso rassicurante di Gustav.
“Tranquilla, restiamo poco, è solo per presenza.” Le spiegò il batterista, posandole una mano sulla schiena; lei gli sorrise più tranquilla.
La festa si tenne in un elegantissimo locale all’interno di un grande albergo. La sala era arredata tutta in blu e violetto, l’atmosfera era rilassata e in sottofondo passavano popolari pezzi di musica disco dance anni 70-80. La ragazza si accorse che cominciava ad abituarsi a cose del genere.
Annika si sedette al bancone, mangiò qualche appetitoso stuzzichino e bevve un po’ di ottimo champagne; tutto questo però da sola, perché i ragazzi e David erano ad intrattenere pubbliche relazioni. Particolarmente interessanti quelle di Tom con un’appariscente bionda su un divanetto in penombra dall’altra parte della sala. Lei roteò gli occhi rassegnata.
Circa mezz’ora dopo un tipo alto e carino, dai corti capelli castani, attaccò bottone con lei, che ci scambiò qualche parola. Doveva averlo visto in qualche reality o talk show televisivo, ma non si ricordava dove. La conversazione fu interrotta da Bill, il quale si piazzò in mezzo ai due, facendo chiaramente capire all’altro di sloggiare.
“Ti dava fastidio, vero?” Le domandò retorico il ragazzo.
“Veramente no.” Rispose Annika tranquilla.
“Ah…” Commentò Bill, che era rimasto chiaramente male per quella risposta. “Allora, scusa…” Mormorò pentito, poi però rialzò lo sguardo e sorrise. “Volevo sapere come va la serata.”
Annika, a quella richiesta, non poté che sorridere felice. “È fantastica, Bill! Grazie!” Gli disse, senza nascondere la contentezza.
“Oh, bene!” Replicò allegro lui. “Non sai quanto mi fa piacere…” Aggiunse, guardandola con dolcezza; lei gli prese la mano posata sul bancone del bar.
“Posso farlo, o devo stare attenta ai paparazzi?” Chiese la ragazza, accennando alle loro mani unite.
Bill sollevò le sopracciglia. “Male che vada, domani sarai la mia nuova fiamma!” Affermò quindi, quasi soddisfatto. Scoppiarono a ridere.
“Oh, guarda, c’è il cast di «Tempesta d’amore»!” Dichiarò, poco dopo, Annika sorpresa. Bill guardò nella direzione indicata dalla ragazza.
“Sono proprio loro!” Esclamò eccitato. “Dai, andiamo a conoscerli!” Proclamò subito dopo, alzandosi e porgendo la mano a lei perché facesse lo stesso.
“Bill, no! Io mi vergogno!” Esitò Annika, appesa alla sua mano. “Non avrai davvero il coraggio di…”
“Scherzi?” Ribatté lui senza tentennamenti. “Io ho la faccia come il culo! Andiamo!”
“Bill, io non credo di poter…”
“Smettila! Saranno felici di conoscermi, sono più famoso di loro!” Si vantò il cantante, trascinandola con se verso il centro della sala.
Andò a finire che loro, il resto del gruppo e i più giovani del cast della soap si ritrovarono a ballare vecchie hit degli anni 70, tutti coinvolti dall’entusiasmo del vocalist dei Tokio Hotel. Ma l’unica cosa che avrebbe ricordato per sempre, era la voce di Bill che le canticchiava una canzone, mentre tornavano a casa sulla limousine e lei stava per cedere al sonno…

You are the Dancing Queen, young and sweet, only seventeen
Dancing Queen, feel the beat from the tambourine
You can dance, you can jive, having the time of your life…
 
La notte invernale era illuminata dalle luci della città ed il cielo aveva un colore strano. Faceva freddo, ma Annika non aveva voglia di andare a dormire, anche se era davvero tardi.
La ragazza si sentiva ancora eccitata per la serata appena finita, per quello che aveva visto, sentito e provato. Le luci dello spettacolo e della festa erano ancora nei suoi occhi. Le emozioni per tutte le sorprese e le scoperte ancora nel suo cuore. Sorrideva felice, appoggiata al tavolo di legno sul terrazzo dell’appartamento, spingendo il suo sguardo all’orizzonte.
“Dio, che freddo!” Esclamò la voce di Bill, facendola voltare; lui stava uscendo dalla porta finestra della cucina, ma si strinse nelle braccia prima di raggiungerla.
“Credo che stia per nevicare.” Affermò Annika tranquilla; niente poteva intristirla quella notte.
“Oh…” Commentò Bill, scrutando sospettoso il cielo. “Allora sarà il caso che vieni dentro, ho fatto un po’ di the.” Aggiunse, rivolgendosi di nuovo alla ragazza.
“Grazie, ma… credo di voler stare qui ancora qualche minuto.” Replicò lei, aggiustandosi la sciarpa intorno al collo. “Penso di essere ancora un po’… elettrica.” Spiegò poi.
“Per che cosa?” Le domandò un sorridente Bill, mentre si avvicinava.
“Beh, per tutta la serata!” Rispose Annika allegra. “È stata splendida, mi sono divertita tanto, ho amato ogni cosa.” Continuò entusiasta. “Dai capelli, ai vestiti, all’essere lì, perfino le urla cattive delle vostre fans!” Rideva serena. “E poi sentirvi finalmente cantare dal vivo…” I loro occhi s’incontrarono, sorridenti. “Sei meraviglioso, quando canti, Bill.”
Il ragazzo sorrise con tenerezza. “Grazie, sei troppo carina.” Le disse gentile; poi, però, la vide rabbuiarsi e abbassare gli occhi. “Cosa c’è?”
“Mi dispiace solo che anche questa serata sarà un’altra di quelle cose per cui non potrò mai ripagarti.” Mormorò timidamente la ragazza.
“Annika, non essere sciocca!” Sbottò dolcemente Bill, scostandole una ciocca di capelli dal viso. “Non devi ripagarmi di nulla, quello che ho fatto per te, l’ho fatto volentieri.”
“Sì, ma…” Obiettò lei. “…tu sei stato così gentile, io vorrei davvero trovare un modo per sdebitarmi.” Alzò gli su di lui.
Bill la fissò per un lungo istante, stranamente serio, mentre le aggiustava ancora i capelli. I suoi espressivi occhi nocciola brillavano d’oro, nella luce giallastra della lampada accesa alle loro spalle.
“Forse c’è un modo per appianare questi debiti che dici di avere.” Dichiarò infine il ragazzo, continuando a guardarla negl’occhi.
Annika deglutì, senza saperne veramente il motivo. Lui era davvero vicino. “Sarebbe?” Osò quindi, con un sorrisino nervoso.
“Chiudi gli occhi.” Suggerì Bill con un sorriso vagamente malizioso che la fece rabbrividire.
“Bill, andiamo…” Tentò la ragazza, poco convinta.
“Vuoi farmi felice?” Le chiese retorico il cantante, piegando il capo di lato, le braccia incrociate.
Annika si perse un attimo nei suoi bellissimi occhi truccati di nero, poi rispose. “Certo che lo voglio.” E annuì, prima di chiudere piano gli occhi.
Bill sorrise compiaciuto, accarezzando con lo sguardo il viso chiaro della ragazza, poi si chinò verso di lei e, sempre tenendo le braccia conserte, sfiorò le sue labbra con un lieve bacio. Annika sussultò e fece per aprire gli occhi.
“No, tienili chiusi.” La pregò Bill, sfiorandole le palpebre con la punta delle dita. Lei non ebbe la forza di contraddirlo e cominciò a tremare appena.
Le dita di Bill scivolarono sulla sua pelle fredda, fino alla bocca che percorsero delicatamente, ma furono presto sostituite nuovamente dalle labbra del ragazzo.
Il contatto stavolta non s’interruppe subito. Una mano di Bill la prese dolcemente per la nuca, l’altra si appoggiò sulla vita, stringendola un po’.
La prima cosa che Annika riuscì a pensare fu che le labbra di Bill erano calde, nonostante il freddo, e morbide. Dolcissime… esalò la sua mente, mentre lei lasciava andare le stampelle, che caddero con un tonfo sul pavimento di pietra del terrazzo.
Bill la strinse di più a se, quando sentì la sua bocca socchiudersi alla delicata spinta della propria. Annika avrebbe riso felice, se non fosse stata troppo impegnata ad assaggiare quelle labbra meravigliose che, se ne accorgeva ora, aveva desiderato molte più volte di quelle che credeva. Sollevò le braccia e le avvolse attorno al collo del ragazzo.
E il bacio continuò. Labbra tra labbra, saliva e metallo. L’abbraccio si fece ancora più inteso, niente teneva in piedi Annika se non la stretta di Bill. Il freddo era sparito. E la neve cominciò a cadere intorno a loro in grandi fiocchi bianchi, nel silenzio della notte.

La luce era particolarmente bianca e un pochino fastidiosa, oltrepassava la tenda impertinente, impedendo agli occhi della ragazza di aprirsi nel modo giusto. La sera prima era andata a letto talmente sottosopra che si era dimenticata di chiudere la tenda più pesante.
Annika sbadigliò, stropicciandosi gli occhi, mentre si sollevava un po’ contro la spalliera del letto. La gamba ingessata le prudeva e fece dei piccoli movimenti per cercare di alleviare quel poco sopportabile effetto collaterale dell’ingessatura.
La ragazza sospirò, ravviandosi i capelli. Non sapeva se essere contenta o triste, per quello che era successo la notte precedente. Aveva baciato Bill a lungo, sentito le sue mani sul proprio corpo, respirato il suo respiro. E questo l’aveva resa felice. Era stato il culmine di quella serata da sogno. Quando, però, infreddoliti, stanchi e un po’ imbarazzati, avevano deciso di separarsi, erano iniziati i pensieri masochistici. Sulla motivazione vera del bacio, sulla sincerità del trasporto, sui propri sentimenti e su quelli di lui.
Annika sbuffò, un po’ depressa e quasi esasperata, pronta a coprirsi la testa con le coperte, quando bussarono alla porta.
“Avanti.” Invitò perplessa la ragazza.
La porta si aprì ed entrò Bill. Aveva in mano un grande vassoio di quelli con le zampe, fatti a posta per mangiare a letto; era ricolmo di roba. Lui era ancora in pigiama, con i pantaloni grigi a righe e una maglietta rosa un po’ corta con sopra stampato un panda sorridente.
“Buongiorno!” Salutò allegro, portandole il vassoio. “Ti va la colazione?” Le chiese poi, mentre le depositava l’ingombrante oggetto davanti a lei.
“Ma, Bill… perché?” Domandò sorpresa Annika.
“Beh, ogni mattina devi scendere, fare colazione, poi risalire e tutto con quel gesso.” Rispose lui tranquillo, aggiustando un po’ di cose sul vassoio. “Stamattina ho deciso di risparmiarti la fatica.”
“Oh… grazie…” Mormorò impacciata la ragazza.
“Prego!” Esclamò lui sorridendo splendente.
Annika, allora, osservò le portate disposte sul vassoio: c’erano un bricco di caffè fumante, latte, due tazze, succo d’arancia, un paio di brioches, marmellata e… in un piccolo vaso di vetro, un gambo di sedano. La ragazza spalancò gli occhi e guardò Bill con espressione interrogativa.
“Non avevo nessun fiore.” Affermò lui, stringendosi nelle spalle.
“Sei matto.” Commentò divertita lei.
“Sì!” Fece il ragazzo, sorridendo ancora, poi si allungò oltre il vassoio verso le labbra di Annika, ma lei si ritirò quasi impaurita.
“Sta… stavi per baciarmi?!” Domandò poi, incredula.
Lui aggrottò le sopracciglia, sospettoso. “Sì?” Replicò allarmato.
“Perché?” Fece allora Annika.
Le belle labbra di Bill si aprirono in un’espressione deliziosamente sorpresa che lo faceva somigliare ad una bellissima bambola; in seguito, però, si fece serio.
“Annika, tu ti ricordi che ieri sera ci siamo baciati, vero?” Le chiese con il tono di un professore che interroga un’allieva con seri problemi di memoria.
“Sì.” Rispose la ragazza, arrossendo e abbassando il capo. “È che… insomma, ho pensato che ieri sera era stato solo un modo per ripagarti di quello che ti devo e… beh, non credevo t’interessasse farlo ancora, così…”
Bill scoppiò a ridere, interrompendola. La sua risata cristallina e coinvolgente riempì la camera, mentre lui si riavviava i capelli spettinati.
“Non essere sciocca!” Esclamò infine. “Davvero hai pensato che non volessi più baciarti?” Lei annuì timidamente, evitando di guardarlo. “Annika, io ho desiderato baciarti per un sacco di tempo…”
“Scusa…” Sussurrò la ragazza, sempre più paonazza.
“Tu non vuoi baciarmi ancora?” Le chiese Bill quasi all’improvviso; Annika sollevò gli occhi, incontrando l’espressione infantile del ragazzo, splendida, con quegl’occhi spalancati e quelle labbra socchiuse. Oh, le sue labbra…
“I… io…” Balbettò Annika; poi prese coraggio, sollevò una mano e accarezzò la bocca di Bill con la punta delle dita. “Le tue labbra… sembrano fatte apposta per essere baciate…”
“E allora?” L’interrogò dolcemente lui, sempre con le sue dita sulle labbra.
“Non lo so…” Fece lei, poi sospirò, allontanando la mano dal viso del ragazzo, mentre abbassava il capo. “Ho paura di tut…”
Ma non finì la frase, perché Bill la coinvolse in un umido bacio a fior di labbra, che sorprese Annika, facendole spalancare gli occhi. Il bacio non si approfondì, lui si staccò e, senza guardare lei, prese il vassoio e lo mise sulla scrivania. Lei lo seguiva con una faccia sbalordita e quasi divertita, sembrava una comica. Il ragazzo, quindi, ritornò velocemente sul letto, travolgendo Annika. Si ritrovarono sdraiati tra le lenzuola.
“Oh, Dio, Bill!” Esclamò la ragazza ridendo, quando si ritrovò schiacciata dal suo peso, ma poi si guardarono negli occhi.
Entrambi si fecero seri, accarezzandosi a vicenda il viso più volte, poi Bill, senza dire altro, si abbassò su di lei e la baciò con dolcezza. Annika lo abbracciò, corrispondendo. Stretti l’uno tra le braccia dell’altra, si dimenticarono completamente della colazione. Il caffè si raffreddò.  

CONTINUA

NOTE:
-    Le canzoni citate nel capitolo sono “Smooth” di Carlos Santana e Rob Thomas, “Dancing queen” degli Abba. Nessun scopo di lucro. Ascoltatele!
-    La soap opera “Tempesta d’amore” programmata anche su Rete4, per chi non lo sapesse, è effettivamente una produzione tedesca.
-    Infine, una piccola illustrazione fatta da me di Bill e Annika in arrivo alla serata: BILL e ANNIKA

RINGRAZIAMENTI: (sarò veloce oggi)
Princess – sì, sei tu l’ultima principessa e Georg dovrà capirlo prima o poi! MS power!
RubyChubb – tu appoggiami, che io ci conto, intanto aspetto la classifica! MS power anche a te!
Picchia – spero che Tom non me lo violenterai anche seduto sul letto… Eheheh, ti aspetto!
Ruka88 – spero che quel qualcosina che si è saputo su Annika ti abbia accontentato, ma non è finita qui! Quanto a Claudia, tornerà.
Jolly24 – grazie dei complimenti.
Sarakey – ma carissima, spero che nonostante i tuoi recenti slanci verso Bill, tu possa comunque apprezzare almeno quello della storia. ^__- Ho aggiornato, visto?!
Bluebutterfly – grazie di aver letto e commentato così abilmente, è sempre bello ricevere apprezzamenti da “nuovi” lettori!
Dark_irina – soddisfatta delle scoperte su Annika? E non è tutto, per ora un po’ di spazio al romanticismo.
Frehieit489 – grazie per i complimenti, non finirò mai di ripetere che per me è importantissimo che i miei personaggi siano realistici!
Chemical Lady – eh, no no, non ho smesso di scrivere! Eccoci qua infatti!
Loryherm – adoro le tue recensioni, sono sempre profonde e precise e spero che questo capitolo sia all’altezza. Fammi sapere!
Kit2007 – Soddisfatta degli sviluppi? E Claudia torna solo come argomento di conversazione, ma la sua storia nn è finita. E ora vediamo se ci avevi indovinato su Annika ^__^
 

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Capitolo 9
*** 9 - I nodi ***


autumn song 9
Ecco, finalmente il nuovo capitolo! Come sempre mi scuso per l’attesa, è stato un parto, ne avevo pure perso un pezzo, ma lasciamo perdere… Siamo avanti con la storia, penso che manchino al massimo un paio di capitoli dopo questo, quindi… attenzione!
Questo è il più classico dei capitoli di transizione, anche se qualcosina succede, ma non è così rilevante; ad ogni modo, tenete presenti i fatti di questa parte, perché serviranno in seguito!

Ah, ho fatto una piccola copertina per questa storia, ve la faccio vedere. È un cavolata, ma mi fa piacere il vostro parere: Copertina


Leggete e divertitevi. E poi, mi raccomando, lasciate un commento!
Baci
Sara

9 – I nodi

“Allora, le fans sono disposte sui due lati dell’uscita.” Affermò Saki con la sua voce tranquilla. “Che fate, vi dividete?” Chiese poi ai musicisti.
“Sì, io e Bill andiamo a destra.” Rispose Tom per primo.
“Ok, quindi noi andiamo a sinistra.” Intervenne Gustav. “Poi ci scambiamo.” Tom e Georg annuirono, preparandosi a seguire le guardie del corpo che si stavano già disponendo.
“Andiamo Bill, ci sono le ragazze fuori!” Chiamò il chitarrista, vedendo il fratello rimanere indietro.
“Arrivo!” Esclamò infastidito il cantante. “Devo fare una telefonata!” Proclamò poi, mentre scorreva la rubrica del suo costoso cellulare.
Saki, nel frattempo, spalancò le porte a vetri e le grida arrivarono anche all’interno. Le ragazze chiamavano i nomi dei componenti del gruppo e altre frasi che non potevano essere comprese nella calca. I Tokio Hotel furono fatti uscire, coperti dai loro occhiali da sole e protetti dai gorilla.
Bill, però, lingua tra i denti e sorriso birichino, aspettava che rispondessero alla sua chiamata; finalmente la conversazione fu aperta.
“Pippi!” Esclamò il ragazzo; silenzio perplesso dall’altra parte.
“Pippi?” Osò infine una voce femminile.
“Sì, nome in codice…” Sussurrò Bill con tono cospiratorio. “…sono vicino alle fan…”
“Tu sei di fuori come un terrazzino!” Sbottò divertita Annika, prima di scoppiare a ridere.
“Non ti piaccio anche per questo?” Ipotizzò il cantante, mentre Saki lo spingeva fuori, dove le ragazze piagnucolavano il suo nome.
“Lo sai che ti adoro così come sei.” Rispose la ragazza con dolcezza.
“Ohhh, se non fossi qui che firmo autografi…” Replicò lui gongolante, incastrandosi il telefono tra la spalla e l’orecchio, così da poter soddisfare le fan. “Ascolta, Pippi, lo hai tolto il gesso?” Le chiese poi.
“Sì, sono uscita da pochi minuti.” Raccontò lei.
“Molto bene!” Annuì Bill, come se lei potesse vederlo. “Lo hai tenuto vero?”
“Certo! Ci sono le vostre firme e tutte le cavolate che ci avete scritto sopra, non potevo farlo finire in mezzo a tutti gli altri gessi da buttare!” Spiegò Annika divertita.
“Perfetto!” Affermò Bill. “E dimmi, come ti senti ora?” Le domandò poi, mentre cercava di non farsi cadere il cellulare, dando un bacetto ad una bambina.
“Beh, bene, direi… mi sento la gamba leggerissima ed ha un colore rosa violetto un po’ strano…” Rispose la ragazza. “Però dicono che deve essere così, per via del muscolo atrofizzato… Ah, devo usare una stampella ancora per una settimana almeno e poi fare la riabilitazione.”
“Ma poi guarisci, vero?” Chiese lui con infantile preoccupazione.
“Credo… di essere già guarita… a parte la fisioterapia…” Mormorò lei perplessa.
“Oh, bene!” Rise Bill allegro. “Ci vediamo a casa, ho una sorpresa per te!” Aggiunse misterioso.
“Bill, ti proibisco di comprare qualsiasi co…”
“Ciao, Pippi!” Salutò però il cantante, interrompendo chiamata e recriminazioni.

Annika sospirò, posandosi in grembo il telefono, poi spostò lo sguardo sulla sua accompagnatrice. I capelli più scuri la facevano sembrare più pallida e forse anche più vecchia dei suoi 19 anni. Guidava attenta, con gli occhiali da sole dalla montatura bianca sul naso.
“Ti ha veramente chiamata Pippi?” Domandò la guidatrice, quasi all’improvviso.
“Sì.” Rispose Annika, scuotendo il capo, mentre sorrideva.
“Che deficiente!” Sbottò Claudia divertita.
“È un adorabile deficiente.” Precisò l’altra con sguardo sognante.
“Ah, ma senti!” Intervenne l’amica. “Fino a due settimane fa nemmeno ammettevi che ti piaceva e adesso è adorabile!” Finì la frase imitando il tono di Annika.
Lei rise piano, poi abbassò gli occhi. “Non volevo che mi piacesse.” Ammise infine, poi guardò Claudia. “Ma come si fa a difendersi da Bill?”
“Ehhh, credo sia impossibile.” Commentò l’amica. “Solo io mi potevo innamorare di quell’altro, invece.” Aggiunse, calcando sulle parole usate per descrivere Tom.
“Tu non sei un tipo da Bill.” Affermò tranquilla Annika.
“Già.” Concordò l’altra. “Io sono un tipo da stronzi senza cuore!” Infierì poi.
“Io credo che Tom sia, effettivamente, un po’ stronzo, ma senza cuore… è tutto un altro discorso.” Precisò Annika, con uno sguardo retorico; Claudia sbuffò. “Sai, penso che ci sia rimasto un po’ male…”
“Ben gli sta.” Sentenziò la ragazza alla guida. “Non sarà che una millesima parte di come ci sono rimasta io.” Aggiunse seria.
“Ti capisco, so come mi sarei sentita, però…” Riprese Annika con tono materno, nonostante fosse la più giovane delle due. “…credo che tu ti sia un po’ illusa sul vostro rapporto, magari hai pensato che, col tempo, lui avrebbe ricambiato i tuoi sentimenti.”
“Forse è così.” Ammise Claudia leggermente riluttante. “Avrei dovuto capirlo prima che per Tom ero solo un passatempo…”
“Claudia, so che è difficile per te crederci, ma non penso che le cose stiano proprio in questo modo.” Affermò l’altra ragazza; l’amica, stupita, la guardò aggrottando la fronte.
“Che vuoi dire?” L’interrogò poi, sospettosa.
“Diciamo che ho avuto modo di parlare con Tom…” Rispose lei con delicatezza. “…e, adesso, penso che lui, in qualche modo, a te ci tenga.”
Claudia fece una smorfia scettica, tornando a dedicare attenzione alla strada. “Beh, tutti quelli come lui ci tengono ad avere una pronta ad allargare le gambe, quando lo vogliono loro.” Affermò acida.
“Non ti svalutare così, Claudia.” Mormorò Annika, rammaricata dal tono dell’amica. “Tu non lo hai fatto con chiunque, eri innamorata di lui.” E credo che tu lo sia ancora…
Claudia si fece seria, piombando nel silenzio. Annika avrebbe voluto saperle dire qualcosa per rassicurarla definitivamente, per convincerla che non aveva sbagliato a donare tutta se stessa a Tom, ma sentiva di non essere adeguata al compito, di essere troppo giovane ed inesperta per darle un consiglio risolutivo. L’unica cosa sicura era che voleva bene a Claudia. Era la sua prima vera amica e non avrebbe mai potuto ringraziarla per l’affetto che le aveva subito concesso, senza chiedere nulla in cambio. Un giorno le avrebbe detto quanto importante era stato incontrarla e quanto fondamentale era per lei sapere che Claudia c’era.
“Ci ho provato ad odiarlo.” Dichiarò la ragazza poco dopo, attirando l’attenzione di Annika. “A volte mi sembra anche di riuscirci, poi però… penso a quei sorrisi che a volte fa lui…”
Annika sapeva a cosa si riferiva l’amica. La maggior parte del tempo Tom poteva essere un insopportabile ragazzino presuntuoso e irriverente, ma c’erano dei momenti in cui si trasformava. Bastava che abbassasse gli occhi, facesse un sorriso timido e sincero, un gesto inaspettato e premuroso e intravedevi un’altra persona, una che era impossibile non amare.
“Non credo che sia necessario odiarlo.” Commentò infine, dopo la propria riflessione.
“E che cosa dovrei fare?” Domandò Claudia quasi sconsolata.
“Vivi e lascia che sia il tempo a trovare la cura.” Rispose calma Annika.
“Certo che sei saggia tu.” Replicò ironica l’altra. “E sembri saperne un sacco di certe cose…”
“Credimi, preferirei non saperne.” Mormorò improvvisamente seria, abbassando gli occhi; una mano dell’amica le sfiorò il braccio. Annika alzò gli occhi e trovò quelli scuri e grandi di Claudia.
“Un giorno mi dirai tutto, vero?” Le chiese con dolcezza e vera preoccupazione; lei annuì, sperando che l’amica capisse la sincera volontà di farlo. Claudia sorrise. “Siamo arrivate.” Annunciò quindi.
“Vuoi salire? Ci facciamo un the…” Le propose Annika, dopo aver scrutato il palazzo.
“Non vorrei che…” Mormorò l’altra riluttante.
“Tranquilla, so che tornano tardi oggi.” La rassicurò l’altra.
“Te lo ha rivelato l’agente segreto Pippi?” Chiese Claudia in tono cospiratorio ma ironico. L’amica rispose affermativamente, ridendo.
Annika, mentre saliva in casa accompagnata da Claudia, ripensò al discorso fatto in macchina. Era vero, il tempo poteva curare molte ferite, ma lei sentiva che le sue avevano appena fatto nient’altro che una sottile crosticina, pronta a riaprirsi al minimo tocco; forse, però, adesso aveva trovato la medicina giusta da aggiungere al tempo. La dolcezza di Bill era un balsamo che poteva rendere quella guarigione molto più veloce e benevola.

La porta si aprì col conosciuto rumore metallico e soffuso, poi un mazzo di chiavi s’infranse sul piano del mobile dell’ingresso. Annika si sollevò dalla sua posizione supina sul divano.
“Siamo a casa!” Annunciò nel frattempo la voce allegra di Bill, mentre il suo inconfondibile passo attraversava l’ingresso.
“Ciao!” Salutò la ragazza, sventolando la mano da dietro la spalliera del divano.
Bill la raggiunse con una piccola corsa. Aveva in mano una lunga scatola nera con un fiocco argentato. Si sedette sul bordo del divano, posando il regalo sul tavolino.
“Ciao!” La saluto quindi, con tono entusiasta, mentre Tom si sedeva su una delle poltrone.
Annika sorrise a Bill e lui fece altrettanto, poi il suo sguardo si addolcì, le carezzò la guancia, quindi si piegò su di lei, abbracciandola e le diede un breve bacio.
“Sei freddo e profumi di neve.” Affermò la ragazza, prima di dargli un altro piccolo bacio.
“Perché fuori ce n’è taaaanta!” Replicò lui. E un altro bacetto. “Mi sei mancata, oggi.” Aggiunse poi, strofinando il naso contro la sua guancia.
“Anche tu… Pippi…” Mormorò lei, quindi scoppiò a ridere e Bill si sollevò con un’espressione perplessa.
“Ma era il tuo nome in codice!” Sbottò con un sorriso sorpreso.
“E adesso è anche il tuo, Pippi!” Ribatté divertita Annika, continuando a restare sdraiata sul divano.
“Tu mi stai provocando…” Proclamò Bill, innescando uno dei suoi languidi sguardi assassini, che scatenavano immediate visioni di letti sfatti e calore diffuso sul viso della ragazza.
Annika si coprì il viso con le mani, ma Bill gliele prese subito, tornando a baciarla, accompagnato da schiocchi e mugolii di piacere, mentre lei ridacchiava imbarazzata.
“Dio, non vi sto già sopportando più!” Commentò Tom, con tono disincantato.
Bill si mise di nuovo seduto e guardò il fratello con supponenza. “Cosa hai da dire, cinico bastardo?” Gli chiese.
“Bill…” Lo rimproverò divertita Annika, che non poteva muoversi perché era bloccata dal corpo del cantante.
“Sei forse geloso?” Continuò però lui, sempre rivolto al gemello.
Tom fece uno dei suoi sorrisini storti. “Bello, se fosse piaciuta a me, a quest’ora, non sarebbe sul divano a fare una pomiciatina da scuole medie, credimi.”
“Uhuhuh!” Rise Annika, coprendosi il viso rosso come un pomodoro.
“Non ha capito…” Le fece Bill con un sorriso complice e ammiccante, a voce abbastanza alta da farsi sentire dal fratello.
“Non sono geloso di te.” Affermò sicuro Tom.
“Ah, no?” Replicò il cantante.
“Sei presuntuoso.” Sentenziò il chitarrista, levando gli occhi al cielo, rassegnato.
“Dai, fammi vedere il regalo.” Intervenne la ragazza, richiamando Bill e indicandogli il pacco.
“Ah, sì!” Esclamò lui battendo le mani, mentre si metteva seduto meglio. Lei si rialzò un po’ contro il bracciolo e prese il dono.
Era una lunga scatola rettangolare e, quando Annika ebbe tolto delicatamente il fiocco, ne uscì un bastone da passeggio di legno scuro, con in cima un finale in argento modellato. La ragazza lo scrutò perplessa. Era senz’altro elegante, ma…
“È… è carino…” Commentò incerta. Bill sorrise felice.
“Dico, ma sei fuori di melone?!” Esordì invece Tom, facendoli voltare entrambi verso di lui. “La tua ragazza si toglie il gesso e tu le regali un bastone da vecchietta con una testa d’anatra?!”
“È un cigno, ignorante!” Reagì Bill indignato. “Ed è molto più elegante della stampella!” Si giustificò quindi, rivolgendo uno sguardo supplicante ad Annika. “Vero?”
“Beh… ecco…” Tentò la ragazza un po’ incerta. “È stato un bel pensiero, Bill, grazie.” Rispose poi, scegliendo la via più diplomatica.
“Vedi?” Fece Bill speranzoso, tornando a guardare il fratello, che però non era conosciuto per essere il segretario dell’Onu…
“Fossi in lei lo userei per romperti la testa.” Proclamò infatti Tom.
Bill lo squadrò glaciale. “Perché non sloggi?” Gli consigliò poi, sventolando una mano in un gesto noncurante. “La casa è grande, ci sono tante stanze…”
“Vabbene, vabbene, ho capito, me ne vado!” Borbottò Tom alzandosi. “Fate i bravi!” Aggiunse malizioso, prima di sparire oltre l’arco del salotto.

Annika e Bill, rimasti soli, ripresero a baciarsi ed a farsi piccole coccole guardandosi negli occhi e ridacchiando dolcemente. Il bastone da passeggio già dimenticato.
“Fammi vedere un po’ questa gambetta…” Dichiarò infine Bill, staccandosi da un bacio particolarmente profondo, che lo aveva accaldato non poco.
“Non è molto carina ancora.” Soggiunse lei.
“Lascia giudicare a me.” Proclamò dolcemente il ragazzo.
Le diede un altro piccolo bacio sulle labbra, poi uno sul mento e scese. Depositò un bacio anche nello spazio tra i suoi seni, quindi alzò gli occhi e la guardò; lei si sentì avvampare, sotto quell’occhiata infuocata. Bill, però, scese ulteriormente, baciando ancora il maglione di Annika all’altezza dell’ombelico, la ragazza cercò di trattenersi dal tremare, anche perchè arrivò un altro sguardo liquido capace di far traballare strutture antisismiche. Il ragazzo, ormai, era sulla gamba. Le sollevò piano la tuta, carezzando il suo polpaccio con le mani tiepide e le diede un bacio sul ginocchio.
“Dall’alto della mia esperienza medica…” Esordì il cantante, Annika ridacchiò. “Dubiti di me?” Lei negò velocemente. “Ah, ecco… Dicevo, dall’alto della mia esperienza, posso senz’altro dire che… lei ha una bella gamba, signorina!”
“Oh, la ringrazio dottore!” Scherzò la ragazza, posandosi una mano sul petto. “Ora mi sento molto rassicurata!”
“Via, non insistiamo.” Affermò però lui, rimettendosi seduto nel modo giusto. “O mi verrà voglia di giocarci davvero, al dottore…” Aggiunse malizioso, alzando il suo sopracciglio col piercing.
“Bill, ti prego…” Mormorò Annika, alzando gli occhi al soffitto, imbarazzata.
“Cambiamo argomento, allora.” Suggerì il ragazzo, abbracciandole la vita, così da posare il mento sulla sua pancia. “Cosa hai fatto come prima cosa, dopo aver tolto il gesso?”
Annika sorrise e gli aggiustò i capelli dietro un orecchio. “Ho fatto un lungo, rilassante, magnifico bagno nella vostra vasca idromassaggio in marmo nero.”
“Ah… ma brava!” Commentò divertito Bill.
“Tra l’altro mi hanno detto che mi fa bene, quindi non sarà l’ultimo.” Dichiarò la ragazza soddisfatta.
“Magari possiamo farlo insieme, una volta…” Ipotizzò languidamente il cantante, mentre le carezzava delicatamente il fianco. Annika s’irrigidì e lui se n’accorse.
“Bill, io…” Balbettò impacciata.
Il ragazzo si mise seduto quasi di scatto, rendendosi conto di aver esagerato. Si alzò rigidamente, con un sorriso nervoso e imbarazzato, raccogliendo il bastone e mettendolo nella scatola.
“Scusa, io… io mi sono lasciato un po’ andare, non volevo… stiamo insieme da così poco…” Balbettò ad occhi bassi, senza guardarla. “Scusa…”
Annika, tranquilla, gli prese la mano e lo costrinse a risedersi accanto a lei; nel frattempo si era messa seduta contro la spalliera.
“Sono io che devo scusarmi con te.” Bill la guardò stupito. “So che tu hai delle esigenze e io mi sento molto inadeguata, non so come comportarmi e…”
“Shhh…” Fece Bill, posandole un dito sulle labbra. “Vabbene così, un passo alla volta, Annika, tranquilla.” La rassicurò, lei sorrise incerta.
“Sì, ma io…” Tentò la ragazza, lui la zittì con un breve bacio.
“Non voglio tu pensi che io sia nient’altro un ventenne arrapato che pensa solo ad una cosa… cioè, sono anche quello, ma…” Annika non poté trattenersi dal ridere piano, coprendosi la bocca con la mano. “…ma desidero che tu abbia fiducia in me.” La guardò con dolcezza. “Non voglio che tu abbia paura di me, perché io… ci tengo davvero tanto a te…”
Annika gli sorrise rassicurante, poi gli prese ancora la mano, stringendola tra le sue. “Io non ho paura di te.” Dichiarò poi, serena. “Ma temo che sarai costretto ad avere un po’ di pazienza e… ad insegnarmi un sacco di cose.”
“Oh, io sono un ottimo insegnante di certe materie…” Ribatté allusivo il ragazzo, con un sorrisino provocante.
“Vieni qui…” Mormorò Annika, tirandoselo contro. Le loro labbra s’incontrarono in un caldo e profondo bacio, prima che si ritrovassero di nuovo stesi sui cuscini.
Tom, mentre ripassava dalla stanza, li vide. Sollevò gli occhi al cielo, scuotendo il capo, poi prese un sorso dalla bottiglia d’acqua che aveva in mano e si diresse al piano di sopra.

“Pausa.” Annunciò la voce di David all’interfono ed era la parola che i ragazzi aspettavano da almeno mezz’ora.
Gustav si alzò dalla batteria, stiracchiandosi le spalle. Georg si grattò un orecchio, poi posò il suo basso sul sostegno accanto allo sgabello. Tom sospirò forte, quindi si stropicciò gli occhi.
“Ho fame.” Dichiarò il chitarrista.
“Anche io.” Affermò Georg.
“Io devo pisciare.” Sentenziò Gustav e lasciò la sala per primo.
I due rimasti se ne andarono nella piccola cucina, pronti a prepararsi qualcosa da mettere sotto i denti; poco dopo li raggiunsero il manager e Bill.
“Oh, meno male che hai dato pausa, David!” Esclamò il cantante. “Volevi farmi ammuffire come una mummia, dentro quella stanzetta?” Domandò, mentre si sistemava i capelli. “Adesso chiamo Pippi!” Aggiunse infine, afferrando il cellulare e uscendo di nuovo dalla stanza. Georg, Tom e David si scambiarono occhiate rassegnate.
“Ma si può sapere chi cazzo è questa Pippi?!” Chiese perplesso il manager. Chitarrista e bassista ridacchiarono.
La testa di Bill riapparve sulla soglia. “Tomi, mi prepari un panino?” Richiese, quindi sparì di nuovo, ma tornò quasi subito. “E anche un bicchiere di coca, grazie!” E via nuovamente.
Tom guardò Georg con l’aria rassegnata di uno che ormai si era abituato alla sua condanna a vita; l’altro rise.
“Comincerei a preoccuparmi il giorno in cui ti chiederà di fargli una sega.” Affermò poi.
“Ci deve solo provare…” Replicò Tom, mentre tirava fuori la roba per fare il panino. “…e farò in modo che le voci che lo vogliono femmina, si avverino.”
“Ragazzi, io vado a fare un paio di telefonate.” Annunciò David, prima di uscire. “Voi date anche un’occhiata ai tabloid, se c’è merda avvertitemi.”
“Come sempre, Dave.” Annuì Georg, imitato da Tom che farciva il pane con la delicatezza usata, solitamente, per intonacare i muri.
Il bassista, sorseggiando un succo di frutta, cominciò a sfogliare senza interesse una delle riviste buttate disordinatamente sul tavolo; poco dopo arrivò anche Gustav, che mise una pizzetta surgelata a scaldare nel microonde.
“Toh, hanno paparazzato Annika, l’altra sera ai premi televisivi.” Affermò Georg, soffermandosi su alcune foto pubblicate su un noto tabloid.
Gustav si avvicinò, mentre si versava un bicchiere di aranciata, sbirciando a sua volta. “E come ti sbagli.” Commentò retorico.
“Povera…” Intervenne Tom, prima di addentare il suo panino. “…a quest’ora le ragazze staranno facendo bambole wodoo con le sue fattezze.” Finì la frase masticando rumorosamente.
“Che si dice?” Domandò Bill rientrando in cucina.
“Il tuo panino.” Disse Tom, spingendo verso il fratello un piatto con sopra una forma amorfa che poteva essere definita sandwich.
“Grazie, Tomi!” Fece allegro Bill prendendo il panino, ma la punta si ruppe, ricadendo nel piatto; lui la guardò sorpreso, poi fece una smorfia rammaricata.
“Dicevamo che Annika è stata fotografata, venerdì.” Dichiarò Georg, allungando la rivista al cantante, che ora mangiava di gusto l’orrore preparato dal fratello.
“Oh, guarda come è venuta bene! È proprio carina!” Commentò Bill, sbirciando le pagine. “Io sembro… molto affettuoso qui…” Continuò masticando, mentre guardava un paio di foto di lui che teneva le mani sulle spalle di Annika dalla fila di poltroncine dietro di lei.
“Beh, tu sei sempre piuttosto affettuoso con Annika.” Sottolineò Georg con aria infastidita.
Bill gli fece un sorrisino soddisfatto e saccente. “Adesso non me ne devo più preoccupare, io e lei stiamo insieme.” Affermò poi, gongolando.
“Ah…” Soffiò sorpreso il bassista. “E da quando?”
“Da quella sera, per l’appunto.” Rispose Bill con un sorriso altezzoso.
“Congratulazioni.” Sbottò Georg, amaramente sarcastico.
“Lo so che ti rode.” Riprese il cantante, con il tono accondiscendente di una dama di beneficenza in visita agli orfani. “Mi dispiace, Georg, ma come avevi detto tu, alla fine è lei che ha scelto.”
“Ma tu hai fatto una scuola speciale, o ci sei nato, col dono di rigirare il coltello nella piaga?” Domandò retorico il bassista.
“C’è nato!” Risposero in coro Tom e Gustav, il primo intento a fumare, l’altro a mangiarsi la pizzetta.
Bill si strinse nelle spalle con aria furbetta, poi finì il suo panino, bevve la coca, emise un piccolo sbuffo trattenuto, quindi proclamò di dover andare in bagno e lasciò la stanza. Tom, a quel punto, si alzò di scatto e lo seguì in corridoio.
“Bill.” Chiamò il chitarrista, acchiappando il fratello per un braccio.
“Cosa c’è?” Chiese il cantante voltandosi.
“Quelle fotografie…” Esordì Tom, facendosi serio.
“Eh? Alcune sono carine.” L’interruppe Bill con un sorriso.
“Non dicevo quello.” Riprese il gemello. “È che sono pubblicate a livello nazionale, hai pensato che potrebbe vederle qualcuno collegato… a quella cosa che sappiamo noi?”
“A cosa?!” Esclamò Bill aggrottando la fronte.
“Quella faccenda di Annika…” Precisò Tom a bassa voce, fissando il fratello negli occhi.
“Ah…” Fece l’altro, improvvisamente consapevole. “Non ci avevo pensato…”
“Beh, dovresti.” Affermò il chitarrista. “Una ragazza in macchina con noi, con un’ingessatura… ci speculeranno sopra per settimane.”  
“Ti preoccupi troppo, Tomi.” Replicò Bill stringendosi nelle spalle. “Anche se qualcuno la riconoscesse, mi dici che potrebbe fare? Non è così facile arrivare a noi.”
“Dipende dai mezzi che usi…” Ipotizzò Tom.
“Non essere paranoico!” Sbottò Bill.
“Ti auguro che la mia sia solo paranoia, perché se questa storia viene fuori, sarà un casino enorme.” Sentenziò il fratello, gesticolando.
“Andrà tutto bene, Tomi.” Lo rassicurò l’altro, stringendogli la spalla con una mano.
“Sarà, ma mi sembri un po’ troppo ottimista…” Borbottò Tom, incrociando le braccia. Bill gli sorrise sereno, poi girò i tacchi e si diresse verso il bagno. Il gemello sbuffò preoccupato.

I ragazzi rientrarono a casa a tarda sera. Le strade di Amburgo erano invase di neve e il traffico era, di conseguenza, molto intenso.
Bill e Tom entrarono in cucina con aria stanca. Annika, che non vedendoli arrivare aveva cominciato a preparare la tavola, gli andò incontro sorridente.
“Ciao, Tom.” Salutò la ragazza, lui rispose con un cenno, più interessato alle tartine sul piano della cucina. “Sei stanco, Pippi?” Domandò poi Annika a Bill, prima di abbracciarlo.
“Sì…” Rispose il cantante con tono infantile, dandole un piccolo bacio sulle labbra. “A te come è andata la fisioterapia oggi?” Le chiese quindi, sempre tenendola per la vita.
“Non è andata.” Rispose lei, stringendosi nelle spalle. Bill si scostò.
“Come?!” Esclamò sorpreso il ragazzo.
Annika annuì. “Non ti sei accorto che stamattina c’è stata una tormenta di neve?” Replicò quindi.
“Davvero?” Fece incredulo lui.
“Sì.” Intervenne Tom, mentre masticava una tartina. “Hanno anche chiuso l’aeroporto per qualche ora.” Raccontò poi.
“Lo dico io che mi tengono chiuso in un loculo!” Affermò Bill, mani ai fianchi e occhi spalancati.
“Ad ogni modo…” Riprese la ragazza. “…a causa della tempesta non hanno potuto mandare il taxi e così la seduta è saltata.”
“Oh, ma tu devi fare assolutamente la terapia!” Ribatté lui serio.
“Lo so.” Annuì calma Annika. “Ma come faccio? Qui in casa non ci sono strumenti per la ginnastica e, comunque, gli esercizi li faccio in acqua…”
“Puoi usare la piscina del palazzo.” Suggerì Tom, posando sul tavolo ciò che rimaneva delle tartine. Bill e Annika lo guardarono come se fosse stato verde.
“In questo palazzo c’è una piscina?!” Domandò esterrefatto Bill.
Tom lo guardò scettico. “Cosa pensavi che significasse quel cartello con scritto «Piscina» attaccato al muro opposto al corridoio del garage?” Gli chiese poi, retorico.
“Mah…” Fece Bill allargando le mani. “…poteva significare tante cose…” Tom roteò gli occhi e scosse il capo arreso.
“Un giorno, cadendo dalle nuvole, ti fari male sul serio, piccolo.” Commentò poi il chitarrista, prima di versarsi un bicchiere di birra. Annika ridacchiò. “La piscina, comunque, è bella, venti metri, acqua riscaldata. Io ci sono stato un paio di volte… con Claudia…” Non li guardava, mentre lo diceva, ma poi si girò verso di loro. “…e non per nuotare.” Concluse con uno dei suoi sorrisi maliziosi.
Bill, ignorando le implicazioni del discorso, guardò Annika. Lei si mangiucchiava distrattamente la punta del pollice, cercando di mascherare l’imbarazzo; colse la sua occhiata e alzò il viso per sorridergli nel modo più rilassato che le era possibile. Sapeva cosa gli passava per la testa.
“Preparati.” Esordì il ragazzo, tenendola per le spalle. “Adesso mangiamo qualcosa di leggero, poi, io e te, ce ne andiamo in piscina!” Quindi le diede un veloce bacio sulla fronte e uscì dalla cucina.
Annika alzò gli occhi e incrociò quelli di Tom, dove brillava una luce ironica e complice. Lui si morse appena il piercing, poi sorrise sghembo.
“Attenta…” Mormorò quindi, per poi strizzarle l’occhio, prima di mettersi a sedere. Annika fece una risatina nervosa.

“Pronto?” Rispose la voce annoiata di Claudia.
“Claudia sono Annika, ciao.” Esordì titubante l’altra ragazza. “Sei a cena, ti disturbo?” Chiese poi.
“No, tranquilla, ho appena finito, mi sto preparando per uscire…” Rispose l’amica, con la voce un po’ biascicata, forse stava cercando di truccarsi.
“Claudia…” Riprese allora Annika, con tono leggermente allarmato. “…io e Bill andiamo in piscina…”
“Ah! La piscina del palazzo?” Replicò Claudia, per nulla scossa.
“Sì.”
“Bella… ci sono stata anche io…”
“Sì, lo so!” Sbottò l’altra interrompendola.
“E che cosa ci andate a fare?” Domandò allora Claudia, incuriosita.
“Gli esercizi della fisioterapia che ho saltato stamattina!” Esclamò Annika, che non poteva nascondere la preoccupazione e l’urgenza nella sua voce.
“Ah, temo che gli esercizi che ha in mente Bill, non siano esattamente uguali a quelli che fai in palestra!” Affermò l’amica, che si era fatta ironica e pungente.
“Non scherzare, Claudia, io ho paura!” Intervenne l’altra arrabbiata.
“E di che? Di Bill? Ahahah, non dire cavolate!” Ribatté la ragazza all’altro capo del telefono.
“Tu non capisci, io non…”
“Annika, ascoltami.” La bloccò Claudia, ora seria. “Lui ti piace?” Le chiese.
“Oh, io l’adoro!”
“E gli vuoi bene?”
“Tanto…”
“E allora di cosa hai paura? Rilassati!” La spronò l’amica e le sembrava di vederla fare gesti d’incitamento. “Abbi fiducia in lui e vedrai che andrà tutto bene.” Le consigliò poi.
“Ma se succede qualcosa e io non sono brava, non sono alla sua altezza e…” Tentò quasi disperata.
“Smettila!” Sbottò Claudia. “Nessuno è bravo, le prime volte, Bill lo sa, non è un novellino e poi che vuol dire bravo?!” Continuò con il suo solito tono acceso e vivo. “Quel ragazzo stravede per te, penso che abbia più paura lui, di deluderti, di quanta ne abbia tu!”
“Spero che tu abbia ragione…” Mormorò stanca l’altra.
“Certo che ce l’ho, io ho sempre ragione!” Esclamò Claudia e Annika non poté che scoppiare a ridere per il modo in cui lo aveva detto, accompagnata anche dalle risate dell’amica.
Il ragazzo, nel frattempo, era in camera sua e si stava infilando l’accappatoio, visto che avevano deciso di scendere già in costume. Prima di uscire si fermò vicino al comodino, aprì il cassetto, rifletté per qualche secondo, poi prese qualcosa e se l’infilò in tasca.

Bill stava completando un giro di ricognizione della piscina, apparentemente interessato alla decorazione di mattonelle bianche e nere sul fondo dell’acqua. Annika, invece, era ferma in piedi, le mani che stringevano nervosamente i lembi del suo accappatoio rosa e i talloni che sfioravano una pila di materassini da ginnastica appoggiati vicino al muro.
“Però, bello qui.” Affermò Bill, tornando verso di lei. “Se lo avessi saputo, sarei venuto a farmi un bagno qualche volta.” Aggiunse, fermandosi davanti alla ragazza.
Lei sorrise un po’ imbarazzata. “Già, è… fantastico…”
“Che ne dici? Ci… tuffiamo?” Le chiese allora il cantante, indicando l’acqua con entrambe le mani e la faccia illuminata da uno dei suoi sorrisi birichini.
“Ehm… sì…” Rispose titubante Annika, stringendosi nelle spalle.
La ragazza, quindi, iniziò a slacciare la cintura dell’accappatoio, ma si sentiva molto nervosa. Non era mai stata in costume davanti ad un ragazzo; al mare ci era stata solo un paio di volte, da bambina e non poteva essere la stessa cosa. E poi era agitata anche per il discorso fatto con Claudia al telefono. Alla fine prese un lungo respiro e si tolse l’indumento di spugna, cercando di ignorare il proprio batticuore.
Bill, che nel frattempo, aveva fatto lo stesso, restando col suo costume a bermuda bianco e nero, le lanciò un’occhiata e rimase piacevolmente colpito.
Annika indossava un bikini nero, molto semplice, con culotte e reggiseno a triangolo. La sua pelle bianca risaltava nel contrasto. Era molto magra, ma non scheletrica, anche se le sue forme erano leggermente spigolose e non troppo pronunciate.
Lei posò il proprio accappatoio sui materassini alle sue spalle, poi tornò a guardare il ragazzo con un sorriso timido. Bill era meno ossuto di quello che sembrava da vestito, constatò Annika, prima di fermare lo sguardo sulla stella tatuata sulla sua pancia e arrossire di più.
“Oh, è carino questo.” Disse il cantante, indicando il costume della ragazza.
“Ah, grazie…” Replicò lei, guardando il bikini. “Me lo hai comprato tu.” Aggiunse quindi, tornando a guardare lui.
“Davvero? E quando?” Ribatté stupito Bill.
“Quando mi hai portato tutta quella roba all’ospedale c’era anche questo.” Raccontò Annika. “E anche un altro, a pois…”
“Ho ottimo gusto, non c’è che dire!” Commentò compiaciuto lui, poi le porse la mano. “Andiamo?”
“Sì.” Annuì lei, prendendogliela.
Bill scese in piscina, seguito da Annika. L’acqua era tiepida, piacevole. La ragazza si guardò intorno, muovendo le mani sulla superficie. Si stava bene.
“Dovrei legarmi i capelli.” Affermò Bill all’improvviso, poi prese l’elastico che aveva intorno al polso, pronto ad effettuare l’operazione.
“Lascia.” Intervenne Annika, prendendoglielo dalla mano. “Faccio io.”
La ragazza si mise dietro di lui, con l’elastico in bocca e gli riunì i capelli sulla nuca, poi, cercando di essere il più delicata possibile li legò.
“Ahi!” Esclamò il cantante.
“Oh, scusa…” Mormorò imbarazzata Annika.
“Fa niente, dai.” Fece lui, stringendosi nelle spalle.
“Mi spiace.” Si scusò ancora la ragazza, prima di dargli un bacio sulla schiena. Bill rabbrividì e si voltò appena, per vedere il sorriso timido ma malizioso di Annika. “Allora, facciamo questi esercizi? Che ti fanno fare?” Le chiese lui, sorridendo a sua volta.
“Mah, all’inizio mi fanno camminare per un po’ nell’acqua…” Rispose la ragazza.
“Bene, allora camminiamo.” Proclamò Bill, porgendole il braccio; lei rise piano e lo prese.
Camminarono per un po’, avanti e indietro dove l’acqua era più bassa, tenendosi a braccetto. Bill ogni tanto faceva battute e Annika rideva deliziata. L’atmosfera era piacevole, con la piscina illuminata quasi solo dalle luci subacquee.
La ragazza si sentiva felice come poche volte era stata nella vita, quasi inebriata dalla vicinanza con lui, dal conturbante contatto con la sua pelle nuda. Oddio, erano seminudi! Realizzò di colpo quello stato e si sentì avvampare, anche perché in quell’esatto momento Bill la teneva delicatamente per la vita, sfiorando con le dita il suo fianco.
“Ti dispiace se faccio un paio di bracciate, mi è proprio venuta voglia.” Affermò ad un certo punto il cantante, quindi la guardò negli occhi, prima di lasciarla.
“No, certo… vai pure, io… io mi metto qui…” Balbettò Annika, indicando la scaletta di metallo.
Bill si scostò dalla ragazza, immergendosi nell’acqua e cominciando a nuotare. Arrivò all’altro capo della vasca e si fermò, appoggiandosi al bordo. Guardò Annika, era dove aveva detto, si guardava intorno, sembrava imbarazzata e un po’ confusa. Il ragazzo sospirò. Oh, era così carina! Aveva una voglia tremenda di tornare da lei, abbracciarla, toccarla, mangiarsela tutta un bacio alla volta…
I loro occhi s’incontrarono, irrimediabilmente attratti anche da lontano; lui sorrise e lei fece altrettanto, quindi il cantante decise di tornare dalla ragazza.
Annika vide Bill fermarsi poco lontano da lei, le spalle che affioravano dall’acqua, e rivolgerle uno sguardo caldo e seducente, ma dolcissimo, come solo lui sapeva fare. La ragazza gli sorrise timidamente.
“Cos’altro ti fanno fare alle sedute?” Domandò Bill, mentre muoveva l’acqua intorno a se con le braccia; la pelle ed i capelli bagnati, insieme alle luci della piscina, rendevano il suo pallore affascinante e alieno.
“La terapista mi prende la gamba, mi fa muovere il piede e piegare il ginocchio, a pelo d’acqua.” Spiegò Annika, senza togliere gli occhi dai suoi.
“Posso provare ad aiutarti io?” Chiese supplichevole il ragazzo, con uno sguardo da cucciolo. “Mi dici come fare, ci proviamo…”
“Beh, se vuoi…” Mormorò Annika, lui annuì e si avvicinò ulteriormente.
Bill prese delicatamente il piede che lei gli porgeva, ma sempre senza staccare gli occhi da quelli di lei; mentre lui la teneva per il polpaccio, Annika iniziò a muovere la caviglia in modo circolare, proprio come faceva alle sedute di fisioterapia, aiutata dall’altra mano del cantante.
“Va bene così?” S’informò Bill, mentre accompagnava con delicatezza il movimento del piede.
“Sì… Ahi!” La piccola esclamazione le uscì quasi senza volere, quando lui le fece fare un movimento sbagliato.
“Oddio, scusa!” Esalò subito Bill, con aria rammaricata. “Ti ho fatto male?” Si preoccupò quindi.
“No, tranquillo… appena.” Cercò di rassicurarlo lei.
“Non volevo…” Soffiò affranto il ragazzo, carezzandole il piede. “Il tuo povero piedino… è così carino…” Aggiunse, prima di lanciarle un’altra occhiata e baciare la punta dell’alluce.
Annika inspirò, aprendo la bocca sorpresa, mentre un brivido l’attraversava dalla punta di quel dito fino a farle drizzare i capelli sulla nuca. Si ritrovò a tremare. Bill, intanto, risaliva lungo la sua gamba, baciandole la pelle sempre più reattiva. Il respiro di Annika cominciò a farsi pesante, il cuore le batteva in gola. Come si doveva comportare? Ascoltare i consigli di Claudia e rilassarsi, oppure…? Sapeva solo che si sentiva completamente scombussolata, aveva caldo, un calore che le nasceva da dentro, un bruciore esigente, allo stesso tempo era ricoperta di brividi e tremava…
“Perché tremi?” Le domandò Bill, accorgendosi del suo stato; adesso era davanti a lei, a pochi centimetri dal suo corpo.
“Credo… credo di avere freddo…” Rispose incerta la ragazza.
“Posso scaldarti io?” Soggiunse allora il cantante.
Come no, se mi scaldi un altro po’ qui comincia a bollire l’acqua della piscina… pensò Annika in un momento di lucidità, che durò per l’appunto un momento, visto che Bill annullò la distanza, le prese il viso tra le mani e la baciò profondamente.
La ragazza si perse in quel contatto, dimenticando ogni ragionamento. Passò le braccia sotto le sue e gli avvolse le spalle fredde d’acqua, rispondendo con passione al bacio.

Continuarono a baciarsi con più coinvolgimento di sempre, forse a causa della sensuale carezza dell’acqua, o forse solo del reciproco desiderio.
Bill, quindi, lasciò la bocca di Annika, facendo scivolare le proprie labbra lungo la guancia e la mascella, fino al collo. Lei reclinò il capo, socchiudendo gli occhi, poi spostò un braccio, andando ad infilare le dita tra i capelli bagnati del ragazzo. Lui alzò il viso e la guardò negli occhi. I suoi erano lucidi e vivi come fiamme. Quelli blu della ragazza un po’ confusi, ma pieni d’aspettativa.
“Sai che sei davvero tanto, tanto carina?” Le sussurrò languido, disegnando con la punta delle dita linee invisibili lungo il suo collo bianco, fino al petto, nello spazio tra i due triangoli del costume.
Annika deglutì senza fiato. “E tu… tu sei bellissimo…” Mormorò infine, quasi arresa, sfiorandogli il viso con una carezza tremante.
Bill sorrise con tenerezza e la baciò di nuovo. I loro corpi aderirono e, nella stretta, la ragazza avvertì distintamente l’eccitazione di lui, ma non si ritrasse spaventata come avrebbe pensato, forse perché nessuno la stava costringendo. Desiderava essergli così vicina. Lo avvicinò ancora di più a se, stringendo la propria gamba alla sua. Bill emise un piccolo gemito e affondò ancora di più nella sua bocca. Le mani di entrambi si muovevano impazienti.  
“Usciamo da qui.” Ordinò Bill ad un certo punto, con un tono quasi esasperato. Annika annuì.
Salirono la scaletta di metallo in fretta, rischiando di scivolare. La ragazza non capiva tutto quel correre, sapeva solo che anche lei sentiva un’urgenza. Fuori dall’acqua, continuarono a baciarsi e finirono per crollare sugli accappatoi abbandonati sopra ai materassini.
Le mani di Bill si fecero, allora, più esperte e lui, senza interrompere i baci sulla sua bocca e sul collo, riuscì a slacciare il top del costume, cominciando a carezzarle i piccoli seni. Quando le sue labbra raggiunsero un capezzolo, Annika capì che stavano veramente per fare l’amore…
“Bill… Bill no…” Mormorò senza convinzione.
“Va tutto bene, Annika…” Esalò lui, preso dalla sua pelle, col viso contro il suo collo e tutto il peso su di lei. “Facciamo piano… non voglio farti male…”
Il ragazzo, però, avvertì un cambiamento che non poteva ignorare. Annika si era trasformata in un pezzo di marmo gelido tra le sue braccia. Era rigida e fredda. Si scostò da lei, sollevandosi sulle braccia e la guardò negli occhi, che erano spalancati e fissi. La ragazza non sostenne lo sguardo, socchiuse gli occhi e le scese una lacrima.
“Che… che succede?” Le domandò un po’ spaventato.
“No, niente…” Rispose lei con voce rotta. “Io… io non posso, mi dispiace, non ci riesco… scusami…” Aggiunse quasi disperata, cercando di coprirsi come meglio poteva.
“Va… va bene…” Balbettò Bill confuso, mettendosi seduto. “Tranquilla.”
“Mi dispiace.” Ripeté Annika senza ascoltarlo, mentre, rannicchiata, gli dava le spalle.
“No, no, tranquilla!” Esclamò il ragazzo, prendendo l’accappatoio rosa e posandoglielo sulle spalle.
“Sono cattiva, perdonami…” Continuava però lei.
“Shh, non dire sciocchezze!” La rassicurò Bill, massaggiandole le braccia. “È tutto a posto, ti voglio bene lo stesso, guardami…” La fece voltare piano, le sollevò il viso con le dita e asciugò le due righe di lacrime che le solcavano il viso. “Sei la mia Pippi.” Le disse con un sorriso, cui lei rispose increspando appena le labbra. “Nessuno ci corre dietro.”
“Adesso parli così, ma dopo ti arrabbierai…” Affermò sicura, facendo una smorfia buffa.
“Smettila, vieni qui.” Replicò Bill, stringendola a se piano. “Sono deluso e leggerissimamente frustrato, ma fa niente, davvero… non cambia nulla, dai.” Il tono comico usato da Bill fece spuntare un sorriso tirato e amarognolo sulle labbra di Annika, che tirò su col naso, stringendosi nell’accappatoio. Bill le carezzò i capelli e, quindi, le diede un comprensivo bacio sulla fronte, mentre la cullava dolcemente.

Tom stava sdraiato scomposto sul proprio letto e guardava distrattamente un film alla tv. Gli piaceva il cinema e avrebbe voluto andarci più spesso, ma nelle sue condizioni diventava quasi improponibile, quindi si rassegnava a guardare i film in tv. Ad ogni modo, per quanto grande e tecnologico fosse lo schermo, la magia non era la stessa.
Era in mutande, perché dopo essersi fatto la doccia, non aveva avuto voglia di vestirsi; ora, però, cominciava a fare freddo. Stava per alzarsi e mettersi il pigiama, quando bussarono alla porta.
“Sì?” Fece il ragazzo, sollevando la testa dai cuscini.
La porta si socchiuse e spuntò la testa di Bill. “Posso entrare?” Domandò.
“Da quando chiedi il permesso?” Ribatté il fratello, ributtandosi contro la spalliera.
Bill, allora, entrò, quasi di soppiatto, poi si richiuse silenziosamente la porta alle spalle e fece una corsetta verso il letto, che a Tom parse francamente un po’ troppo effeminata, e ci saltò sopra, facendo sobbalzare il materasso.
“Bene, ora che siamo sopravvissuti al tuo arrivo, vuoi dirmi che diavolo vuoi?” Domandò Tom, girandosi un po’ verso il fratello, che si era appoggiato alla spalliera.
“Non hai freddo?” Gli domandò però Bill. Il gemello sbuffò e roteò gli occhi, prima di alzarsi e andare a mettersi il pigiama.
“Va bene adesso?” Chiese retorico, tornando a sedersi sul letto. Il fratello annuì. “Ora vuoi dirmi cosa c’è?”
Bill sospirò affranto, mentre si accomodava meglio contro i cuscini. “Io e Annika siamo stati in piscina.” Tom annuì. “E io mi ero fatto una mezza idea…”
“Mezza?” Insinuò Tom con un sorrisino malizioso.
“E va bene! Un’idea intera!” Sbottò sconfitto, allargando platealmente le mani. “Ma è solo colpa dei tuoi discorsi… Ad ogni modo, ero anche partito organizzato.” E così dicendo tirò fuori dalla tasca dell’accappatoio, che ancora indossava, un preservativo intatto.
“Deduco che non sia andata come ti aspettavi.” Commentò sarcastico il fratello.
“Eh, no…” Replicò mesto Bill.
“Racconta.” L’incitò Tom.
E il cantante aprì la diga. Gli raccontò tutto, con dovizia di particolari, ma del resto loro due si erano sempre raccontati ogni cosa con sincerità: dalla prima sega alla prima cotta, dal primo bacio alla prima esperienza sessuale. Niente segreti tra i gemelli. Tom ascoltò attento e serio, come richiedeva la circostanza.
“Cazzo, Bill, ma perché cavolo vai ad impelagarti con le vergini?!” Commentò alla fine.
Il fratello gli rivolse uno sguardo indignato, poi assottigliò gli occhi e lo fissò torvo. “Tu che cazzo ne sai che è vergine?” Gli chiese quindi.
“Oh, andiamo!” Esclamò Tom con sicurezza. “Chiamalo intuito… arrossisce a piegare un paio di mutande!” Precisò poi ridacchiando.
“Tu arrossisci se ti guardano in valigia, figuriamoci! E non conosco uno che sia meno vergine di te!” Ribatté saccente Bill.
“Io non arrossisco.” Affermò cupo Tom.
“Oh, certo che lo fai!” Ribadì l’altro con un insopportabile tono pignolo, ma prima che il gemello potesse reagire, riprese a parlare, senza guardarlo. “Non era solo per quello, comunque. Non può essere stata semplice paura della prima volta, Tom. Insomma, quella ti passa se sei coinvolto a sufficienza…”
“A questo proposito, sei sicuro?” Azzardò il chitarrista.
Bill lo guardò male. “Non sono così idiota da non capire se una ragazza vuole fare sesso con me. Dichiarò quindi, fissando impermalito il gemello.
“Scusa!” Disse subito Tom, alzando le mani. “E, allora, cosa pensi che sia successo?”
“Ma non lo so, Tomi.” Soffiò stancamente Bill. “All’improvviso è diventata un pezzo di ghiaccio, era pallida, sudata, con gli occhi dilatati… era terrorizzata, in preda al panico…” Aggiunse, mentre aggrottava preoccupato la fronte.
L’espressione di Tom si fece riflessiva, nel silenzio che era sceso dopo le affermazioni del fratello. Entrambi erano stesi sul letto con le gambe allungate, il televisore acceso ma ignorato.
“Pensi che potrebbe essere legato al motivo per cui è scappata di casa?” Domandò infine il chitarrista, senza voltarsi verso il fratello.
Bill lo acchiappò per un braccio, facendolo girare. “Oddio, Tomi, non ci avevo pensato!” Esclamò il cantante, portandosi le mani alla bocca. “Ma hai ragione, potrebbe essere…”
“Già.” Si limitò a commentare Tom.
“Ohhh, povera la mia piccola Pippi! E io che sono stato così mostruosamente egoista, ho pensato solo a me stesso, invece di chiederle cosa non andava! Non avrei dovuto saltarle addosso, ma parlare con lei!” Proclamò melodrammaticamente Bill a mani giunte.
“Dacci un taglio con la tragedia!” Lo bloccò subito Tom, prima della deriva. “Se avesse voluto parlartene lo avrebbe già fatto, evidentemente non ritiene che sia ancora il momento.”
“E allora, che cosa devo fare, Tomi?” Chiese Bill con un faccino supplichevole da cucciolo smarrito.
Il gemello si strinse nelle spalle. “Niente, aspettare.” Affermò poi. “E ammazzarti dalle seghe, nel frattempo.”
Bill sbuffò, tornando ad appoggiarsi ai cuscini. “Certo che i tuoi consigli, Tomi, sono sempre illuminanti…” Commentò quindi, con aria scettica.
“Sì, lo so, modestamente sono un genio.” Si compiacque l’altro. “Adesso vai a letto, che sennò domani sei un cesso.”
“Grazie, averti accanto è così tanto di conforto!” Dichiarò Bill, con evidente intento canzonatorio, prima di alzarsi e lasciare la stanza del fratello.  

Bill arrivò in cucina dopo un risveglio piuttosto traumatico. Gli eventi della sera precedente non erano stati salutari per il suo sonno. Così, capelli arruffati fino all’impossibile, occhi semichiusi e maglietta stropicciata, si presentò al piano di sotto cercando disperatamente una tazza di caffè.
Un rumore di stoviglie attirò la sua attenzione; si stropicciò gli occhi e vide Annika davanti al lavello. Aveva i capelli legati in una coda bassa e indossava una maglietta rosa, i pantaloni grigi di una tuta e un paio di guanti di gomma rossi.
Il ragazzo si avvicinò in silenzio, deciso a godersi il riflesso chiaro della luce del mattino sul viso assorto di Annika, ma, più o meno a metà strada, gli uscì un grosso sbadiglio.
Lei si girò piano e, quando lo vide ancora intento a celare le otturazioni dietro la grande mano, gli fece un piccolo sorriso.
“Oh, buongiorno.” Lo salutò poi, prima di tornare a dedicarsi ai piatti.
“Buongiorno.” Rispose lui, appoggiandosi di fianco al mobile, poco lontano dalla ragazza.
Bill continuò a fissarla per qualche minuto, mentre vedeva crescere la sua agitazione per quello sguardo su di lei; Annika, infatti, stava pulendo i piatti con gesti sempre più nervosi.
“Annika, lascia stare.” Intervenne improvviso il cantante, allungando una mano per fermare la sua che impugnava la spugna. “C’è la lavastoviglie…”
“Fa niente, sono solo due piatti della colazione.” Replicò calma la ragazza, continuando il suo lavoro. Bill si arrese con un sospiro, tornando ad appoggiarsi al mobile.
“Annika…” La richiamò poco dopo.
“Sì?” Fece lei senza guardarlo, mentre si sfilava i guanti.
Bill le prese una mano e la fece girare verso di se, ma lei continuò a tenere gli occhi bassi, evitando il suo sguardo; allora il ragazzo la tirò piano, cercando di convincerla al alzare il viso e lei, infine, si convinse e lo guardò.
“Ti prego, non dirmi che pensi io sia arrabbiato con te per ieri sera.” Le chiese, aggrottando la fronte preoccupato.
Annika si girò di nuovo verso il lavello. “Lo capirei, se tu lo fossi.” Mormorò poi.
“Ma non lo sono!” Esclamò lui, afferrandola per le spalle e girandola di nuovo verso di se, con una forza che non era facile sospettare in Bill.
La ragazza lo fissò per qualche istante. Il suo viso era pallido, tirato, le labbra socchiuse, gli occhi un po’ tristi. Lei si sentì molto in colpa; con un gesto fluido si sottrasse alla sua presa, dandogli le spalle.
“Bill…” Esordì, con un sospiro. “Tu sei meraviglioso e, credimi, non potrei desiderare un altro ragazzo per fare… questo passo.” Affermò calma. “So che ci sono milioni di ragazzine che desiderano questo da te e mi ritengo infinitamente fortunata che tu mi abbia scelto, ma…” Si girò e alzò gli occhi su di lui, mordendosi appena il labbro inferiore. “Non è colpa tua, non è assolutamente colpa tua, voglio che tu lo sappia, ma ci sono cose di me che… che non posso…” La sua voce si ruppe, gli occhi si fecero lucidi.
Bill si avvicinò e le prese le mani, rivolgendole uno sguardo comprensivo e tenero. La ragazza tirò su col naso, cercando di non mostrare quanto profondo fosse il suo turbamento.
“Annika, ascoltami.” Le disse dolcemente il ragazzo. “So che io non sono esattamente il tipo che ascolta, anzi, di solito sono quello che parla a vanvera e non sente nemmeno quello che gli dicono… però, se tu vuoi parlare, confidarti, io ci sono per te e… giuro che ti ascolterò.” Era partito a raffica, ma l’ultima parte della frase la sussurrò delicatamente.
Annika si aggiustò una ciocca di capelli sfuggita alla coda, poi gli sorrise appena. “Grazie, Bill.” Gli disse poi.
“Beh, io…” Fece lui, un po’ imbarazzato. “…io sono davvero tanto attratto da te, ma ti voglio bene e, prima di tutto, voglio essere tuo amico.” Affermò quindi, riprendendo coraggio.
“Sei così dolce…” Mormorò Annika commossa. “Pensi che possa abbracciarti o dopo ieri sera…”
“Ma cosa dici!” Esclamò lui interrompendola. “Vieni qui.” L’invitò poi, con un cenno e lei gli cinse il torace con le braccia, mentre posava il viso sulla sua spalla.
Qualche secondo dopo, la ragazza alzò il capo e lo guardò negli occhi; trovò un sorriso tenero e due occhi vellutati ad accoglierla.
“Se ti bacio oso troppo?” Gli chiese titubante, ma sorridente. Lui la fissò a lungo, dolcemente.
“Ma se non aspetto altro…” Dichiarò infine.
Annika, allora, gli carezzò la nuca, tirandolo piano verso di se e annullando la distanza tra le loro bocche. Bill dischiuse le labbra sulle sue e la strinse tra le braccia, facendole fare una specie di  casquet molto coreografico. In quel momento entrò Tom.
“Ah, buongiorno…” Salutò ironico, vedendo la scena. “Volete che vi libero il piano della cucina?” Domandò poi, mentre si versava indifferente un bicchiere di succo d’arancia.
Bill e Annika, dopo aver ripreso posizioni umane ed essersi staccati uno dall’altra, lo guardarono un po’ male, ma la ragazza si mise a ridacchiare imbarazzata quasi subito.
“Sei sempre il solito… il solito rompiballe, Tomi!” Commentò quindi Bill, mani ai fianchi. Il gemello rise, sedendosi tranquillo a tavola.
“Lascialo stare, Bill.” Gli disse Annika. “Io vado a vestirmi, voi fate i bravi.” Aggiunse poi, mentre s’incamminava verso la porta, però si fermò vicino a Tom, lui la guardò con la coda dell’occhio. “E tu… mi sa che sei davvero un po’ geloso…” Ipotizzò.
“Di quello sgorbio lì?” Fece il chitarrista, indicando il fratello, che gongolava vicino al lavello. “Tsk…”
“Allora, vuoi un bacetto anche tu.” Soggiunse la ragazza; le labbra di Tom s’incurvarono in un sorrisetto provocante.
“Andiamo, dammelo.” La incitò poi, con un gesto della mano.
“No, Annika, non farlo!” La mise in guardia Bill, allungando un braccio. “Lo conosco quel sorriso, ti giocherà qualche tiro…”
Ma era troppo tardi, perché la ragazza si era già abbassata per baciare la guancia liscia del chitarrista. Tom, però, quando la bocca della ragazza stava per sfiorarlo, si girò repentino e le rubò un bacio a fior di labbra. Lei si risollevò sorpresa e divertita.
“Sei un ladro!” Esclamò ridendo, mentre Bill sbuffava un «lo sapevo». “Adesso hai un debito, caro mio.” Aggiunse lei, puntandogli contro l’indice.
“Hey, baby, sono qui.” Affermò lui allargando le braccia. “Quando vuoi il pagamento…”
“In natura presumo…” Azzardò indispettito Bill, dalla sua posizione in fondo alla cucina.
“Tranquillo, Tom.” Replicò Annika, prima di uscire. “A pagare e a morire siamo sempre in tempo…” Tutto quello che riuscì a sentire ancora, mentre si dirigeva alle scale, fu la squillante e solare risata di Bill.

CONTINUA

L’unica nota che vi faccio stasera, riguarda il titolo del capitolo. Ho scelto questo perché in questa parte si parla dei due nodi principali del racconto. Vediamo un po’ se si capisce così bene quali sono, aspetto il vostro parere.

Ringraziamenti:
sarò veloce stasera, scusatemi, ma non ce la faccio proprio, abbiate pietà… Grazie a quelli che hanno commentato il capitolo precedente. Ruby, Princess e Lady Vibeke, le mie adorate MS, senza di voi le mie giornate sarebbero molto più noiose! Sarakey, la mai tesssora e pusher ufficiale, anche se ultimamente mi spaccia roba un po’ avariata… E poi jolly24, ruka88, kit2007 (che si è goduta qualche anticipazioncina), loryherm (che mi scrive sempre delle recensioni bellissime e apprezzatissime, scusami se non rispondo per le lunghe), picchia (perché ami il mio Tom della ff), Frehieit489, carol22, lilylemon e Westminister. Grazie, vi adoro.

Un grazie particolare a coloro che mi hanno messa nei preferiti.
 
Spero di tornare presto, m’impegnerò per farlo. Abbiate pazienza. Grazie ancora.


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Capitolo 10
*** 10 - Tutto quello che fa male ***


autumn song 10
Il nuovo capitolo, finalmente. Lo so, sono imperdonabile, ma non ce la faccio proprio ad essere più veloce, chiedo perdono. Ci sono alcuni passaggi in questo capitolo che non mi convincono del tutto, che mi sembrano sbrigativi, fatemi sapere il vostro parere sincero, ci tengo.
Ora, salvo imprevisti, questo dovrebbe essere il penultimo capitolo, quindi preparatevi al finale.
Non perdo altro tempo, vi lascio alla lettura, ringraziamenti e saluti alla fine.

Il grazie per la pazienza, invece, ve lo dico ora.

Enjoy!
Sara

10 – Tutto quello che fa male

Era una gelida e limpida mattina di inizio dicembre, quando due uomini dall’aria anonima entrarono nella portineria della sala di registrazione della Universal Music. Uno, di mezz’età, capelli brizzolati, indossava un impermeabile grigio, l’altro, più giovane, una giacca di pelle nera. Si fermarono davanti al banco e Anke gli rivolse subito un sorriso.
“Posso esservi utile?” Domandò la bella segretaria fasciata in un pullover rosa.
“Sì, salve.” Rispose l’uomo più anziano. “Vorremmo vedere Bill e Tom Kaulitz, grazie.”
Lei fece una faccia sorpresa. “Avete un appuntamento?” Chiese infine.
“Questo le va bene?” Intervenne l’altro uomo, mostrandole un inconfondibile tesserino verde.
“Oh…” Esalò Anke, osservandolo per qualche secondo, poi si voltò verso il telefono. “Avverto subito qualcuno.” Affermò con urgenza, mentre prendeva la cornetta.
La ragazza parlò meno di un minuto, poi annunciò ai poliziotti che stavano arrivando; i due annuirono soddisfatti e si misero ad aspettare, camminando avanti e indietro per la reception.
La strana porta accanto alla palma si aprì pochi minuti dopo ed apparve un uomo, giovane, capelli corti e castani, una maglietta grigia e una felpa verde, che si avvicinò ai due.
“Buongiorno.” Salutò il nuovo arrivato, porgendo la mano ai poliziotti, che gliela strinsero. “Sono David Jost, manager e produttore dei Tokio Hotel, voi siete?”
“Ispettore Hausmann.” Si presentò l’uomo più anziano. “Il mio collega Müller.” Aggiunse, presentando anche l’altro.
“Noi, veramente, desideravamo parlare con i signori Kaulitz.” Precisò quest’ultimo.
“I ragazzi sono impegnati in sala di registrazione, non posso interrompere la pista, cercate di capire.” Spiegò Jost. “Se intanto volete anticipare a me di cosa si tratta…”
I poliziotti si scambiarono un’occhiata d’intesa, poi Hausmann rispose. “Non c’è problema, ma sarebbe meglio farlo in privato.”
“Certo.” Annuì David, poi si rivolse alla segretaria. “Anke, potresti portarci del caffè in sala riunioni, per favore?”
“Subito, Herr Jost.” Annuì la ragazza.
“Prego, da questa parte.” Invitò nel frattempo David, indicando il corridoio davanti a loro.
La sala riunioni era una stanza ampia e luminosa, a causa delle lunghe finestre che ne occupavano tutto un lato; al centro era posto un lungo tavolo nero e lucido, contornato da poltroncine grigie. Fotografie incorniciate di vari artisti, poster, dischi d’oro e premi vari adornavano le pareti, un grande mobile sempre nero e lucido occupava quasi interamente la parete opposta alle finestre, sopra erano ben disposti bicchieri di vetro e tazze di porcellana bianca. Un maxi schermo al plasma era incastonato nella parete di fondo e, dal lato opposto, figurava un grande schedario a muro. L’ambiente era elegante e moderno.
“La polizia, finora, non si era mai presentata qui per problemi riguardanti i ragazzi.” Esordì calmo Jost, invitando i due ufficiali a sedersi insieme a lui. “I piccoli problemi che si sono verificati, siamo sempre riusciti a risolverli in breve tempo e senza clamore, quindi capirete la mia preoccupazione riguardo al vostro arrivo.”
“Certamente, Herr Jost.” Affermò l’ispettore annuendo. “Ma sa, abbiamo preferito arrivare subito alla fonte che barcamenarci tra le infinite prese di tempo degli uffici legali…” Il suo collega fece un cenno d’appoggio col capo.
“Capisco…” Mormorò David, facendosi più preoccupato. “E, quindi, posso sapere il motivo che vi ha portato qui?” I due annuirono, poi Müller gli porse un foglio piegato in due, lui lo aprì. Era la foto di una ragazza bionda.
“Lei conosce questa ragazza?” Gli chiese Hausmann.
“Sì.” Fece il manager, continuando a fissare l’immagine leggermente sfocata di quella stampa ingrandita al pc. “È Annika, un’amica dei gemelli…”
“Lei è a conoscenza che si tratta di una minorenne, sottrattasi alla custodia della famiglia più di sei mesi fa?” Gli domandò allora l’ispettore.
“Cosa?!” Esclamò il manager, alzando gli occhi dalla foto. “Non ne avevo idea, a me ha detto di essere maggiorenne.” Aggiunse.
“No.” Precisò Müller. “Non ha ancora compiuto diciotto anni.”
“Vi posso garantire che se avessi anche solo sospettato una cosa simile, sarei stato il primo ad avvertire le autorità.” Affermò compito David, in un’abilissima mossa paraculo. “E sono certo che anche i ragazzi non ne fossero a conoscenza.” Azzardò poi, senza alcuna certezza al riguardo.
“Non abbiamo dubbi, Herr Jost.” Affermò Müller con un velato scetticismo. “Ma questo non toglie che la ragazza ha diciassette anni e la sua famiglia la sta cercando.”
“La zia ha visto alcune sue foto su un rotocalco… scandalistico.” Intervenne Hausmann. “Insieme ai suoi ragazzi.” Sottolineò quindi.
“Comprende quindi che dobbiamo fare le verifiche necessarie.” Precisò il collega. Jost annuì.
“A questo punto, dobbiamo proprio parlare con i ragazzi.” Soggiunse l’ispettore.
“Sì.” Fece David, alzandosi dal tavolo e dirigendosi all’apparecchio telefonico sul mobile nero. “Li chiamo subito.” Digitò un paio di numeri sulla tastiera e attese la risposta. “Benjamin sei tu? Sì, ok… a che punto sono i ragazzi? Bene, appena hanno finito li mandi in pausa e dici a Bill e Tom che li aspetto urgentemente in sala riunioni… no, tranquillo, gli spiego tutto io, tu mandameli, ok? Grazi, Benji.” E riattaccò con espressione seria. “Arrivano subito.” Disse ai poliziotti.

Tom fu preceduto da Bill, all’entrata nella sala riunioni. I gemelli scrutarono sospettosi i due uomini in piedi vicino al tavolo, dove campeggiavano due tazze, vicino alla brocca del caffè.
“Ci cercavi, David?” Domandò Bill, continuando a studiare i due tipi con la coda dell’occhio.
“Sì.” Rispose il manager. “Tom, chiudi la porta per favore.” Aggiunse, rivolgendosi al chitarrista che era rimasto indietro.
Tom chiuse la porta e quindi raggiunse il fratello vicino al tavolo, ma praticamente dal lato opposto ai visitatori, che continuava ad osservare con sospetto.
“Questi signori sono l’ispettore Hausmann e il suo collega Müller, della polizia.” Li presentò infine David, indicando prima l’uno poi l’altro. I ragazzi spalancarono gli occhi sorpresi.
Tom fece un passo avanti. “David, lo sai che quando beviamo ci facciamo sempre portare dagli autisti…” Affermò.
“Non è per quello, Tom.” Lo bloccò il manager.
“Si tratta di una ragazza.” Dichiarò Hausmann, facendoli voltare verso di se, dato che stavano entrambi guardando Jost.
“Se dice che è incinta, il figlio non è mio!” Proclamò subito Tom. “Io metto il guanto anche per andare in bagno, non si sa mai.” Aggiunse sicuro, ma non si era accorto che l’espressione del fratello era cambiata: aveva aperto appena la bocca ed il suo sguardo era preoccupato.
“Se è incinta ce lo dovreste dire voi, in effetti.” Intervenne Müller, con un sorrisino retorico.
“Come?” L’interrogò perplesso Tom.
“Sono qui per Annika…” Esalò Bill alle sue spalle; il gemello si girò verso di lui.
“Come?!” Ripeté stupito.
“Esatto, siamo qui per Annika Wögler, la ragazza comparsa in alcune foto con voi.” Precisò l’ispettore.
“In pose che dimostrano una certa… familiarità.” Aggiunse l’altro poliziotto, con tono vagamente malizioso.
“Hey!” Reagì Tom, ma non poté aggiungere altro.
“Fermi tutti!” Proclamò David, bloccando la sua replica. “Fermi, stop!” Aggiunse allargando le braccia. “Voi due…” Continuò, fissando torvo i gemelli. “…sapevate che è scappata di casa?”
Bill abbassò gli occhi con espressione colpevole. Tom si portò le mani ai fianchi e, dando le spalle al manager ed ai poliziotti, fece qualche passo nervoso.
“Merda.” Biascicò poi. “Merda, merda, merda!” Esclamò poi. “Io lo sapevo!”
“Tomi, per favore…” Mormorò Bill con voce tremolante, ma dovette subito alzare agli occhi, perché David lo scosse per un braccio.
“Da quanto lo sai?” Gli chiese il manager.
“Solo pochi giorni.” Confessò subito il cantante. “L’ho scoperto su internet, la sua scheda è su un sito di adolescenti scomparsi…” Spiegò quindi.
“E lo sai che è minorenne?” Insisté l’uomo, senza lasciargli il polso.
“Certo, ma…” Rispose Bill. “…compie gli anni tra meno di un mese.”
“Non è una giustificazione!” Sbottò Jost in faccia al ragazzo.
“David!” Esclamò sconvolto lui, coprendosi la bocca con le mani. I due poliziotti scossero il capo davanti alle sue unghie smaltate di nero.
“Lo sapevo che questa cosa non ve la dovevo far fare…” Si lamentava nel frattempo il manager, mentre si massaggiava profondamente le tempie. “Lo sapevo, lo sapevo, lo sapevo…”
“Signori, noi veramente…” Tentò Hausmann, ma non poté finire la frase, perché David si mosse all’improvviso e prese per le spalle il chitarrista.
“Dimmi che non te la scopi, Tom.” Gli chiese supplicante il manager.
“Cosa?! Ma che cazzo dici, dovresti chiederlo a lui!” Rispose indicando il gemello.
“Per favore!” Esclamò affranto Bill, passandosi una mano sugli occhi, stranamente non truccati.
“Tom, giurami che non te la scopi.” Continuò imperterrito Jost, senza dare segno di aver ascoltato una parola.
“Io non…” Tentò il chitarrista.
“Adesso basta!” Intervenne però Bill. “Nessuno si scopa Annika, qui!”
“E questo, credimi, è un bel problema per Bill.” Sottolineò a bassa voce Tom, rivolto a David, che però scosse solo la testa e si allontanò da lui.
“Adesso basta, per favore.” Intervenne ancora l’ispettore. “Noi siamo qui per fare il nostro lavoro, le vostre beghe sistematele poi, grazie.”
“Sì, ci scusi.” Affermò David alzando le mani.
“Vorremo sapere come avete conosciuto Annika.” Chiese Müller rivolto ai due musicisti.
“È stato per colpa di un incidente.” Rispose Bill, con espressione seria.
“Un incidente?” Fece Hausmann.
“Sì, l’ha messa sotto con la macchina.” Spiegò Tom.
“Così sembra una brutalità, Tom!” Sbottò il fratello, che poi si rivolse all’ispettore. “In realtà è successo che stavo scappando da alcune fans che inseguivano la mia macchina e…”
“Andiamo!” Intervenne sarcastico Müller, ridacchiando.
“Che c’è di tanto divertente? A noi succede quasi tutti i giorni.” Lo gelò Tom con uno sguardo tagliente. Quello fece una faccia come se non ci credesse nemmeno a vedere. “Cos’è, invidia perché a lei non corre dietro una femmina dal paleolitico?”
“Tom!” Lo bloccò David, con un eloquentissimo sguardo. Il chitarrista sbuffò, incrociò le braccia e guardò da un’altra parte.
“Continui, Herr Kaulitz.” Invitò nel frattempo Hausmann, incitando Bill.
“Beh, ecco… le circostanze erano un po’ particolari, comunque…” Riprese il cantante un po’ incerto. “Fatto sta che ho ordinato al mio autista di non rispettare molto il codice stradale…” L’ispettore lo guardo male. “Ehm… eheheh! Ad ogni modo, mentre uscivamo da una rotatoria, da dietro le macchine parcheggiate è uscita questa ragazza e…”
“Ho capito.” Annuì Hausmann. “È per questo che aveva il gesso, nelle foto?” Bill annuì. “Poi cosa è successo?”
“Io mi sentivo molto in colpa e sono andato a trovarla in ospedale spesso.” Rispose il ragazzo. “Siamo diventati amici e quando l’hanno dimessa mi ha detto che non sapeva dove andare, così l’ho invitata a casa nostra… è grande e noi… non ci siamo mai…”
“Io non sono mai stato d’accordo!” Intervenne a sproposito David. “Ma, del resto, l’ho saputo solo una settimana dopo e non potevo farci niente, sono maggiorenni.”
“Sì, loro lo sono, ma la ragazza con cui dividono il letto no…” Insinuò Müller.
“Oh, aspetti un attimo!” Esclamò Tom, che a quel punto stava davvero per perdere la pazienza. “Cosa sono queste insinuazioni? Le abbiamo detto chiaramente, mi pare, che non viene a letto con nessuno dei due! Non le permetto…” Proseguì puntandogli contro l’indice.
Bill lo fermò prendendolo per la vita. “Tomi, è un poliziotto! Vuoi farti sbattere dentro?!” Gli disse all’orecchio. “Ispettore…” Aggiunse, poi rivolgendosi ad Hausmann, che sembrava più affidabile. “…le posso garantire che non succede nulla di tutto questo, Annika dorme nella camera degli ospiti.” Spiegò.
“Non si preoccupi, avremo modo di verificare, perché vogliamo parlare con la ragazza.” Replicò l’uomo. “Stamattina siamo stati a casa vostra, ma ci hanno detto non c’era nessuno.”
“Il vostro portiere sembra addestrato dalla Gestapo…” Commentò Müller.
“Può darsi, Annika la mattina fa la fisioterapia.” Affermò Bill, ignorando quell’intervento inutile. “E Frau Hildegard sarà stata a fare la spesa.”
“Frau Hildegard?” Chiese perplesso il poliziotto.
“Sì, la nostra governante.” Rispose infastidito Tom, ora a braccia conserte, ma ancora trattenuto dal fratello. “O pensava che gente come noi si pulisse il cesso da sola?”
“Tomi!” Lo rimproverò Bill, aggrappato quasi disperatamente al dietro della sua maglia oversize. “Ispettore, se non è un problema, potreste incontrare Annika oggi pomeriggio.” Disse poi ad Hausmann.
“Certamente.” Rispose l’uomo annuendo.
“Così potrei esserci anche io.” Riprese il cantante. “Se non è un problema per David.” Aggiunse, mentre si girava verso il manager.
“Ah, tranquillo, per oggi avete finito.” Affermò duro Jost.
“Ma David, avremmo dovuto lavorare ancora ad un paio di tracce oggi!” Intervenne stupito Tom. “Dove sono finiti tutti i tuoi discorsi: e il tempo è denaro… e ho il fiato dei produttori sul collo…”
Il manager lo guardò dritto negli occhi, serio. “Voi, per oggi, avete finito.” E questa frase zittì qualsiasi replica.
I due poliziotti, a quel punto, dopo aver preso gli accordi per l’incontro del pomeriggio, salutarono David ed i gemelli e se andarono. Tom, una volta che furono spariti, si lasciò cadere su una delle poltroncine della sala riunioni imprecando.
“Devo chiamare l’ufficio legale.” Dichiarò David. “Voi tornate pure di là e spiegate la faccenda agli altri, se volete.”
“Sì, certo, li prepariamo per quando una simpatica e innocente fuga di notizie informerà la stampa della faccenda…” Commentò tristemente sarcastico Tom.
“Prega che non sia così!” Sbottò il manager, che poi si rivolse a Bill. “Che fai qui impalato?”
“Io vado a casa, David.” Annunciò il cantante. “Devo parlare con Annika.”
“Fai pure, ma ricordati…” Lo minacciò l’uomo, puntandogli contro l’indice. “…qualsiasi dichiarazione tu abbia intenzione di fare alla polizia, io e l’ufficio legale la dobbiamo sapere prima.” Gli ricordò.
“Tranquillo, ho solo bisogno di parlare con lei…” Lo rassicurò un Bill cupo, prima di seguirlo fuori dalla stanza. Tom, rimasto solo, sbuffò pesantemente.

Bill, mentre in macchina tornava verso casa, si chiedeva perché ogni volta che si sentiva felice doveva succedere qualcosa che rovinava tutto. Quando era bambino e pensava che la sua vita fosse perfetta, suo padre se n’era andato di casa. Quando aveva raggiunto il successo internazionale e pensava di essere onnipotente, la malattia gli aveva spiegato che non era così. E ora, che sperava di aver trovato quell’amore cercato per tanto tempo, il misterioso passato di Annika si rivelava molto più ingombrante di quando lui avesse ottimisticamente pensato.
Il ragazzo, adesso, sentiva di dover sapere tutto, la verità che finora Annika gli aveva taciuto. Perché senza quei particolari, il mosaico non sarebbe mai stato completo e lui non avrebbe mai potuto capire fino in fondo quella ragazza che diceva di amare. E lui voleva capirla e aiutarla, se avesse avuto bisogno, con tutto il cuore.
“Vuoi che salga?” Gli domandò Benjamin, che lo aveva accompagnato, quando furono nel garage del palazzo di Bill.
“No, grazie, non ce n’è bisogno.” Rispose il cantante, scotendo il capo.
“È che ti ho visto un po’ turbato…” Fece l’altro, sporgendosi verso di lui.
“Tranquillo, va tutto bene.” Lo rassicurò Bill con un sorriso. “Puoi andare, ci vediamo domani.”
“Ok, come vuoi.” Annuì Benjamin. “A domani.”
Bill scese dalla macchina e s’infilò nell’ascensore, mentre il giovane manager ripartiva. Durante i cinque piani che lo separavano da casa sua, il ragazzo continuò a pensare al modo di affrontare l’argomento con Annika. Si convinse che la cosa migliore da fare era comportarsi come sempre, essere se stesso e confidare nella propria empatia.
Entrò in casa, posò sul mobile dell’ingresso il grosso portachiavi d’argento col teschio, regalo di Natale di Tom, poi attraversò la stanza, gettò la borsa sul divano e si recò in cucina. Il primo colpo d’occhio rivelò la stanza vuota, ma dei rumori fecero voltare il ragazzo, che vide la governante impegnata nella lavanderia.
“Frau Hildegard.” Chiamò piano.
“Oh, Herr Bill!” Rispose la donna, girandosi sorpresa. “È già a casa?” Gli chiese.
“Sì, ho il pomeriggio libero.” Spiegò sbrigativamente. “Annika è tornata dalla fisioterapia?” Le domandò quindi.
“Sì, circa un’ora fa.” Rispose Hildegard, precisa come sempre. “Adesso è in camera sua.” Aggiunse. “Lei resta a pranzo?”
“Penso di sì.” Rispose distrattamente il ragazzo, uscendo dalla cucina. “Ora devo parlare con Annika…” Frau Hildegard lo guardò perplessa andare via.
Il cantante, salendo le scale, si sentiva il cuore in gola. La cosa era probabilmente dovuta al fatto che, bene o male, si era ad una resa dei conti. Doveva parlare ad Annika con tutta la sincerità e la dolcezza possibile, perché non aveva idea di quale avrebbe potuto essere la sua reazione ed aveva un brutto presentimento…
Si fermò davanti alla porta della ragazza, era socchiusa; lui la spinse delicatamente e si trovò davanti Annika di spalle che si stava infilando una maglietta gialla. Osservò la stoffa coprire lentamente la sua schiena bianca e sorrise appena, immaginandone il profumo.
“Hey.” La chiamò quindi, quando lei fu vestita; Annika si girò e, vedendolo, gli sorrise allegra, andandogli poi incontro.
“Ciao!” Lo salutò dolcemente, prima di dargli un piccolo bacio sulle labbra. “Che ci fai qui?”
“Ho il pomeriggio libero.” Rispose Bill, ma a lei non sfuggì il velo malinconico nei suoi occhi.
“Ma non dovevate lavorare tutto il giorno?” Gli chiese quindi, posandogli una mano sulla guancia. “Ti senti bene? Sei pallido…”
“Sì, sto bene.” Affermò lui, prendendole la mano nella sua. La ragazza, però, cominciava a preoccuparsi, scrutando la sua espressione cupa.
“Ma è successo qualcosa? Tom sta bene?” Gli domandò allora; Bill spalancò gli occhi.
“Sì… oddio, sì, per fortuna!” Esclamò il cantante, rianimandosi un pochino. “Ascolta Annika, ti devo parlare un attimo…”
“Bill, mi stai facendo preoccupare…” Affermò la ragazza, mentre lui l’invitava a sedersi sul letto. Lui le sorrise, la prese per le spalle e le diede un bacio sulla guancia.
“Non ti devi preoccupare, però ascoltami.” Le disse quindi, stringendo la sua mano. Annika annuì. “Stamattina, allo studio, è venuta la polizia.”
“La polizia?” Fece lei perplessa, aggrottando le sopracciglia bionde.
“Sì.” Rispose Bill, mentre cercava di radunare le forze per continuare il discorso. Strinse di più la sua mano. “Cercavano te.” Esalò infine.
Il ragazzo vide il viso di lei trasformarsi in un istante. Annika agghiacciò e perse ogni colore, i suoi occhi blu tremarono e divennero lucidi, poi si sottrasse bruscamente alla sua presa e si alzò di scatto. Bill, colto di sorpresa, non riuscì a reagire immediatamente e la vide camminare veloce verso il guardaroba, aprirlo di scatto e cominciare a frugarci dentro nervosamente.
“A… Annika, che cosa stai facendo?!” Le domandò allarmato, prima di raggiungerla.
“Devo… devo andare via…” Balbettò lei, mentre riempiva a caso il suo vecchio zaino. “…prima… prima che mi trovano, devo…”
“Annika!” Gridò Bill, prendendola per le spalle e facendola voltare verso di se.
“Lasciami!” Replicò lei urlando, ma senza guardarlo. “Se mi trovano mi rimanderanno a casa e… e io… io… NON POSSO TORNARCI!!!”  
“Non lo farai… non lo farai!” Ribatté Bill con urgenza e nemmeno lui sapeva se si riferiva all’andarsene da lì o al tornare a casa.
La ragazza, a quel punto, reagì in un modo che lui non si sarebbe mai aspettato: cominciò a colpirlo perché la lasciasse. Bill si difese con le mani sottili da quelle altrettanto fini di Annika, cercando di non farle male, finché lei non lo colpì al viso ed entrambi caddero a sedere sul pavimento, ansimanti. Lei, ormai, piangeva disperatamente.
“Annika…” La chiamò il cantante.
Lei alzò il viso bagnato di lacrime e tornò, finalmente a guardarlo negli occhi. Lui era lì davanti, bellissimo e disperato, con le sopracciglia aggrottate e gli occhi tristi, i capelli un po’ arruffati, la maglietta spiegazzata e Annika capì che gli stava facendo del male.
“Annika, vuoi davvero… davvero…” Bill deglutì, non riusciva a pronunciare quella domanda. “…andare via da me?” Mormorò infine.
La ragazza, già piuttosto affranta, scoppiò in un pianto ancora più violento, portandosi le mani al viso. Lui si sentì improvvisamente molto colpevole ed egoista, si alzò allora sulle ginocchia e gattonò fino a lei, prendendola tra le braccia. Annika si lasciò andare a singhiozzi disperati contro la sua spalla. Bill le accarezzò il capo e le spalle, cercando di confortarla.
“Shhh, basta adesso…” Le sussurrò con dolcezza, poi la scostò appena da se, per guardarla negli occhi. “Io voglio solo aiutarti, fidati di me.” I suoi occhi erano troppo sinceri per non pensare che fosse la verità. “Raccontami tutto, Annika.”

Erano stesi sul letto, adesso, le schiene appena sollevate contro i cuscini. Annika tra le braccia di Bill, guardava il vuoto e, finalmente, parlava.
“Un paio d’anni dopo la morte di mio padre, mia madre ha conosciuto un altro uomo.” Esordì la ragazza, dopo aver preso un lungo respiro. “Lei era ancora giovane ed aveva bisogno di qualcuno, almeno così disse a me…”
“Beh, è normale, anche mia madre quando rimase sola…” Intervenne lui con delicatezza.
“Lo so, lo so, io non gliene faccio una colpa, però…” La sua voce morì in un sussurro.
“Che cosa è successo?” Le chiese preoccupato Bill, incitandola con garbo a parlare, mentre la stringeva di più a se, sperando di trasmetterle il suo calore.
La ragazza sospirò e riprese. “Fin da quando è entrato in casa nostra mi ha guardata in modo strano.” Strinse il pugno sulla felpa di Bill. “Poi sono cominciate le allusioni, le battutine… all’inizio non le capivo, avevo solo tredici anni, fino a quando non sono cominciati ad interessarmi i ragazzi e, allora, ho capito cosa voleva dire…” Il ragazzo aggrottò la fronte e le massaggiò la schiena. “A quel punto cominciai a vestirmi tipo Tom…”
Annika sollevò gli occhi su Bill, con un sorriso triste, lui le rispose allo stesso modo, poi le baciò la fronte, la tempia, lo zigomo, con tenerezza, cercando di rassicurarla. Lei si strinse di più al suo corpo, nascondendo il viso nel suo petto.
“Un paio d’anni dopo cominciarono i contatti casuali, gli sfioramenti a sua detta innocenti, le entrate distratte nel bagno quando c’ero io – non c’è chiave nel bagno a casa mia – le scuse per rimanere solo con me sempre più spesso…” Raccontò con voce rotta.
“E tua madre?” Osò chiedere Bill.
“Beh, lei ha sempre detto che ero troppo altezzosa, come mio padre, che lui è solo un uomo molto affettuoso…” Spiegò la ragazza.
“Non è possibile!” Esclamò incredulo il ragazzo. “Se fosse successo a noi, mia madre gli avrebbe aperto la testa con una sedia!”
Annika ridacchiò mesta. “Non tutte le madri sono uguali, Bill.” Affermò poi, con tono disilluso. “La mia è sempre stata debole, distratta, amante della bottiglia.”
“Tu odi bere…” Commentò stupito lui.
“Infatti, ci deve essere un motivo, non credi?” Replicò amara lei.
“Mi dispiace, Annika.” Mormorò Bill nei suoi capelli, cullandola contro di se. Lei si strinse nelle spalle, fingendo noncuranza, ma erano ferite che facevano ancora molto male.
Bill, in quel momento, si sentì estremamente inadeguato. Sì, faceva del suo meglio per confortarla ed esserle vicino, ma si rendeva conto di non avere la benché minima esperienza di ciò che era successo ad Annika, se non quella datagli dalla sua sensibilità. Erano due ragazzini e lui non era mai stato così dolorosamente consapevole della sua giovane età da tanto tempo. Cominciò a pregare di avere la forza necessaria ad ascoltare la parte peggiore della storia.
“Hai voglia di dirmi il resto?” Le chiese con garbo, piegando il capo verso di lei.
“Voglio dirti tutto.” Dichiarò la ragazza; lui, allora, le massaggiò il braccio, stringendola un po’ di più a se.
“Ti ascolto.” Sussurrò il ragazzo tra i suoi capelli.
“L’inverno scorso…” Annika riprese a parlare dopo un lungo respiro. “…ho conosciuto Klaus, il primo ragazzo che ha dimostrato un interesse per me, nonostante fossi strana e mi vestissi male.” Bill le fece un piccolo sorriso, cui lei rispose allo stesso modo. “Stavo bene con lui, ero innamorata, poi però lui lo ha saputo e allora…” Annika si rannicchiò contro il corpo di Bill. “Quando la cosa è venuta fuori, le allusioni si sono moltiplicate e si sono aggiunte anche domande imbarazzanti su… sulla nostra intimità…”
“Che cosa odiosa…” Commentò Bill serio, lei annuì.
“La pressione a casa era continua.” Riprese poi. “E questo è uno dei motivi per cui… ecco… non riuscivo – non riesco – a sciogliermi in… certe situazioni…” Guardò Bill, sperando che lui capisse di cosa stava parlando.
“Oh, quindi è così…” Mormorò lui rammaricato.
“Mi dispiace…”
“Non dire sciocchezze, non è colpa tua.” Ribatté subito il ragazzo.
“Sì, però allora non ne parlavo con nessuno, nemmeno con Klaus e la situazione anche con lui peggiorava sempre, non capiva perché mi comportassi così… e alla fine mi ha mollata…” Replicò Annika mesta. “Del resto, aveva solo diciotto anni e una vita normale, come poteva capire…”
Bill si sentì preso in causa da quella dichiarazione: anche lui era giovane ed aveva una vita che molte persone avrebbero definito perfetta. Ma c’era una differenza. Lui voleva capire. Non avrebbe abbandonato Annika, le sarebbe stato vicino e non avrebbe permesso che lei scappasse di nuovo perché non c’era nessuno pronto ad aiutarla. Lui ci sarebbe stato.
“Poi cosa è successo?” Le chiese delicatamente; lei, che aveva il viso nascosto nel suo petto, annuì.
“Lui ha ricominciato come al solito e un giorno che mia madre non c’era mi è venuto vicino, come faceva sempre, toccandomi, però…” Annika deglutì, cercando di vincere il nodo che aveva in gola. “…forse a causa del dolore per la rottura con Klaus, della rabbia e della frustrazione che avevo accumulato, quella volta non sono stata zitta, ho reagito.”
“Hai fatto bene.” Le disse Bill.
“Non lo so, veramente…” Ammise sconsolata la ragazza. “Ad ogni modo mi opposi, comincia ad urlare, a dirgli tutto quello che mi ero tenuta dentro e lui, ovviamente, si è arrabbiato, mi colpita…” La sua voce tremò vistosamente. “…poi mi ha preso per i capelli, mi ha trascinata in camera e sbattuta sul letto…” Ecco, il punto cruciale. “…mi ha strappato la maglietta e mi ha toccato… ha messo le mani dappertutto, ha toccato il seno, la pancia e poi… è sceso con le mani…”
Bill inorridì. “Oh, Dio…” Esalò a commento.
“Io tentavo di liberarmi, ma lui è robusto e mi stava addosso…” Annika raccontava quasi con distacco, ma l’orrore della sua storia traspariva comunque dalla sua voce. “…sentivo la sua eccitazione, sapevo quello che stava per succedere, anche se continuavo a lottare, avevo paura e piangevo…”
“Oh, Annika!” Esclamò Bill, ormai con gli occhi lucidi ed un gran magone. La ragazza singhiozzò e si strinse a lui in un abbraccio disperato.
Annika, quindi, si scostò un po’ da lui, tirò su col naso, si asciugò gli occhi con la mano e prese un lungo respiro. Bill, non la lasciò, continuò a carezzarle la schiena.
“Fortunatamente, quando ormai pensavo di non riuscire più a scamparla, hanno suonato alla porta. Non ricordo chi fosse, solo che lui si distrasse e io riuscii a sgusciare via, afferrai, non so come, zaino e felpa e andai via di casa.” La ragazza si era seduta sul materasso incrociando le gambe; Bill la raggiunse, sedendosi dietro di lei e avvolgendola tra le braccia. “Sono tornata solo quando era già notte, ho preso un po’ di roba e sono scappata.”
“Non riesco neanche ad immaginare come puoi esserti sentita.” Bisbigliò Bill con voce stranamente roca, appoggiando il mento sulla sua spalla e dandole un piccolo bacio sullo zigomo.
“Capisci perché non posso assolutamente tornare?” Gli chiese allora lei, girandosi un po’ per guardarlo negli occhi.
“Lo capisco.” Annuì lui. “E quindi devi parlare con qualcuno, raccontare tutto alla polizia, così non ti rimanderanno a casa, quell’ispettore Hausmann mi è sembrato un brava persona…”
“Ma Bill non mi crederanno!” Protestò Annika, voltandosi completamente verso di lui. “Non mi ha creduto mia madre, figurati…”
“Non è necessario che ti credano, è sufficiente che ti diano un po’ di tempo, sai come sono queste cose…” Lei lo ascoltava attenta, con la fronte aggrottata. “…tra meno di un mese compirai diciotto anni e non potranno più importi nulla!”
La ragazza diede l’impressione di rifletterci per qualche secondo, poi lo guardò, incerta e confusa. “Forse hai ragione…” Mormorò infine.
“Dovresti almeno provarci e… Guardami negli occhi, Annika.” Le prese il viso, obbligandola ad incrociare lo sguardo col suo. “Se non dovesse funzionare, ti giuro che sarò io stesso a portarti via, ho tanti soldi, non ti troveranno mai.” Le promise solenne.
“Oh, Bill…” Replicò lei commossa, abbracciandolo.
“Andrà tutto bene.” Le garantì il ragazzo, stringendola con tutta la sua forza, anche se non aveva idea di come tutto sarebbe veramente finito…

Bill e Annika pranzarono insieme e, anche se non mangiarono poi molto, non smisero di tenersi per mano, sotto lo sguardo comprensivo di Frau Hildegard.
La ragazza, dopo pranzo, lo stupì, dicendogli che desiderava chiamare Claudia e farla venire a casa, perché lei doveva essere la prima a sapere la sua storia, oltre lui. Bill accettò senza problemi e meno di un’ora dopo Claudia era lì. Il cantante preferì lasciarle sole a parlare e si mise sul divano a rimuginare.
Era ancora perso dietro ai suoi pensieri confusi e allarmati, quando la porta principale si aprì. Doveva essere Tom che rientrava. Bill si alzò dal divano per andargli incontro; gli dava sempre un certo conforto il sapere che suo fratello gli era vicino. Si diresse alla porta e vide subito che Tom non era solo, c’erano anche Gustav e Georg.
“Hey, ciao.” Lo salutò il gemello vedendolo arrivare.
“Ciao…” Rispose il cantante con un cenno della mano. “Voi cosa fate qui?” Domandò poi agli altri due componenti del gruppo.
“Tom ci ha raccontato tutto.” Rispose Gustav.
“Siamo venuti per sostegno morale.” Rincarò Georg.
“Oh, grazie…” Fece Bill stupito. “Annika apprezzerà.” Aggiunse con un breve sorriso.
“Lei dov’è?” S’informò Tom.
“Sono… sono uscite in terrazza.” Gli disse il fratello, indicando distrattamente il balcone.
“Perché, chi c’è con lei?” Chiese il chitarrista, mentre si toglieva il piumino.
“C’è…” La lunga pausa imbarazzata costrinse Tom a guardare Bill con espressione interrogativa. “C’è Claudia.” Affermò infine il vocalist.
“Ah…” Esalò sorpreso Tom, quindi accennò a guardare verso le finestre, ma in quel momento le ragazze rientrarono.
Si diressero verso di loro, tenendosi per mano. Era chiaro che Annika aveva pianto, ma quando vide i ragazzi i suoi occhi s’illuminarono. Claudia, invece, s’incupì e diventò rigida, quando vide Tom. I loro occhi si sfiorarono per un secondo, poi entrambi preferirono guardare altrove.
“Ciao, Georg.” Salutava nel frattempo Annika, raggiungendo il bassista, che l’abbracciò forte e le diede un bacio sulla guancia.
“Siamo tutti qui per te, principessa, sei contenta?” Le disse poi, lei annuì sorridendo, quindi si girò verso Gustav.
“Hey!” Le fece il batterista, con un sorriso gentile, prima di darle un dolce pizzico sulla guancia.
“Siete adorabili, non me lo merito…” Mormorò la ragazza, ancora tra le braccia rassicuranti di Georg.
“Non dire scemenze, lo sai che ti vogliamo bene.” Replicò infatti il ragazzo, cullandola dolcemente.
“Sai, Bill…” Intervenne Claudia, rivolgendosi al cantante. “…Annika mi ha raccontato tutto e penso che tu abbia ragione, deve dirlo alla polizia.” Lui annuì, mentre gli altri ascoltavano attenti. “Mio padre è un avvocato importante, gli parlerò di questa storia, lui saprà di certo aiutarla.”
“Oh, Claudia, lo faresti davvero?!” Esclamò Bill incredulo, prendendole le mani.
“Per Annika questo e altro.” Confermò la ragazza.
“Non è un tesoro?” Fece Annika, osservando con dolcezza l’amica.
“Certo che lo è!” Strillò Bill, prima di abbracciarla d’impeto. Claudia rise imbarazzata.
Tom approfittò di quel momento, in cui tutti si complimentavano per l’idea di Claudia, per guardare meglio la ragazza. Si era tolta le meches e scurita i capelli, a lui non piaceva particolarmente questa scelta, pensava che togliesse luce al suo viso. Era sempre molto carina, ad ogni modo. Il ragazzo, osservandola, provò una specie di strana, sottile, pungente nostalgia, del tutto inspiegabile. Lei gli era mancata? Non si era nemmeno posto la domanda, nei giorni passati, sostituendo i dubbi con alcune avventure occasionali neanche troppo soddisfacenti. Ma ora, che l’aveva davanti, si rendeva conto di quanto fosse stato stupido a lasciarla andare in quel modo.
Claudia, quando si accorse che lui non la guardava più, girò gli occhi verso Tom. Era sempre il solito Tom: la fascia calata sul viso liscio, gli occhi grandi e vellutati, un po’ malinconici forse, le mani nervose sempre impegnate ad aggiustare qualcosa. Le sembrava di sentire il suo profumo anche da lontano. Era buono il profumo di Tom… No, no, no, doveva sottrarsi a quell’incantesimo! Era finita. Finita! E anche se le faceva male il cuore, non poteva permettersi di tornare indietro.
Le loro riflessioni furono interrotte dall’arrivo dell’ispettore Hausmann e dell’agente Müller. I due poliziotti, dopo i saluti, chiesero di parlare da soli con Annika e la ragazza si fece seguire in sala da pranzo. Gli altri si accomodarono in salotto, ma c’era un discreto nervosismo nell’aria.

Gli agenti di polizia chiesero ad Annika del suo incontro con Bill, ottenendo risposte molto simili a quelle già avute dal ragazzo; quindi le fecero alcune domande sulla sua vita in casa dei gemelli e sulla fuga. Annika non ebbe il coraggio di confessare nuovamente tutti i suoi problemi, sarebbe stata la terza volta quel giorno, ma alla fine della conversazione quasi se ne pentì.
“Ti dobbiamo dire un’ultima cosa.” Affermò infatti l’ispettore. “Tu sei minorenne e quindi il tuo caso è stato trasmesso al tribunale dei minori.”
“Cosa vuol dire questo?” Domandò la ragazza allarmata.
“Che tu, Annika, ora sei sotto la custodia del tribunale.” Le spiegò l’uomo con tono tranquillo. “Un’assistente sociale si occuperà di te e domani sarai trasferita in un centro per minori.”
“Devo andare via da qui?” Chiese lei, gli occhi già spalancati e lucidi.
“Sì.” Le rispose Müller. “Sarai molto più tutelata lì.”
“Tutelata da cosa?” Replicò la ragazza confusa, spostando lo sguardo da uno all’altro.
“Beh, non è ben visto che tu stia in casa da sola con due ragazzi…” Le fece notare Müller.
“Io non capisco…” Mormorò lei.
“Annika…” L’ispettore Hausmann le prese la mano, lei lo guardò. “…io ho una figlia della tua età e mi rendo conto che sia difficile capire certe cose, diciamo, burocratiche. So che vuoi bene ai tuoi amici e loro a te, ma non hanno le caratteristiche per prendersi cura di te nel modo giusto.”
“Lo hanno fatto benissimo, finora.” Ribatté Annika seria.
“Ne sono certo, però il tribunale prende le sue decisioni in base a criteri che non tengono conto dei sentimenti.” Affermò l’uomo.   
“Capisco.” Fece la ragazza, chinando il capo.
“Ci dispiace.” Le disse l’ispettore.
“Lasci stare.” Sbottò Annika, improvvisamente più fredda, ma con gli occhi pieni di lacrime. “Non voglio compassione, farò quello che devo, se non si può fare altrimenti.”
I due uomini si guardarono. Quella ragazzina magra, pallida e all’apparenza fragile, gli stava dimostrando una notevole determinazione, nonostante fosse chiaro che soffriva.
“Noi, adesso, ce ne dobbiamo andare.” Annunciò poi l’ispettore.
“Certo, vi accompagno.” Annuì Annika, alzandosi per guidarli all’uscita.
La ragazza li invitò a precederla fuori e i ragazzi in salotto balzarono in piedi, appena sentirono aprirsi le porte scorrevoli della sala da pranzo. I poliziotti, seguiti da Annika, attraversarono l’arco che conduceva in salotto e trovarono tutti ad aspettarli. Fu Claudia la prima a parlare.
“Allora?” Chiese la ragazza.
Annika abbassò il capo per non farsi vedere sull’orlo delle lacrime, ma Bill, che non aveva tolto un attimo gli occhi da lei dopo che era rientrata in salotto, si accorse subito che qualcosa non andava.
“Annika, che c’è?” Le chiese, dopo aver scansato Müller ed averla presa per le spalle.
La ragazza alzò gli occhi su di lui, due lacrime le scesero lungo le guance. “Io… io devo… il tribunale…” Tentò, ma le parole non le vennero in aiuto.
Bill, impaurito, si girò verso l’ispettore Hausmann, interrogandolo con gli occhi, senza lasciare Annika, che teneva per un braccio con delicatezza.
“Il tribunale dei minori ha affidato Annika ai servizi sociali, domattina verrà una persona per accompagnarla in una casa di accoglienza per adolescenti.” Spiegò il poliziotto.
“Che cosa?!” Esplose Tom, accompagnato dai borbottii indignati di Gustav e Georg.
“No… non… “ Balbettava Bill nel frattempo, spostando lo sguardo dalla ragazza all’ispettore.
“Non possono portarla via di qui!” Sbottò il bassista.
“Già!” Rincarò Bill, ritrovando se stesso. “Annika qui sta bene, noi ci prendiamo cura di lei, è al sicuro!” Gridò, tenendole forte la mano.
“Bill, ti prego…” Lo supplicò la ragazza.
“Non potete portarla via!” Continuò però il ragazzo ignorandola.
“È una decisione del tribunale, noi non possiamo farci nulla.” Affermò Müller.
“Beh, il tribunale dovrà capire che non c’è un posto dove Annika sta meglio di qui!” Intervenne Tom, mentre il fratello annuiva convinto.
“Giusto!” Rincarò Claudia, mettendosi in mezzo. “Mio padre è un avvocato molto importante, vedrete che troverà un modo per toglierla da lì!” Aggiunse puntando l’indice.
“Già, non ce la faremo restare manco morta!” L’appoggiò il chitarrista.
“Questa è casa sua, capito?!” Concluse la ragazza serissima, incrociando le braccia compunta.
“E voi due chi siete, il collegio difensivo?” Sbottò sarcastico Müller.
I due ragazzi, che non si erano accorti dell’arringa di coppia portata avanti, si guardarono sorpresi, poi arrossirono visibilmente e si girarono uno dalla parte opposta all’altra. Tutta la scena strappò ad Annika il primo sorriso stentato da quando erano arrivati i poliziotti.
Guardò Bill che stava ancora fissando l’ispettore, poi gli strinse la mano, attirando la sua attenzione. Lui si voltò con espressione interrogativa.
“Lascia stare, Bill.” Gli disse la ragazza. “Va bene così.”
“Ma Annika!” Protestò il cantante.
“Per favore.” Lo pregò lei, stringendogli forte la mano. Bill fissò per un attimo i suoi occhi sofferenti e capì che insistere non sarebbe servito a nulla; sospirò arreso.
Hausmann e Müller si congedarono da lì a qualche minuto, ricordando ad Annika di preparare le proprie valige ed essere pronta alle dieci del mattino dopo, quando sarebbe arrivata l’assistente sociale. Quando se ne furono andati Tom, per la frustrazione, diede un calcio allo spigolo di un mobile. Claudia, sbuffante come una pentola a pressione, si lasciò cadere sul divano. Bill e Annika rimasero in mezzo all’ingresso, in piedi tenendosi per mano; nessuno dei due sapeva cosa dire.

Georg e Gustav si erano fermati a cena, mentre Claudia aveva preferito tornare a casa, per parlare a suo padre di quel nuovo sviluppo. Inutile dire che, quella sera, il loro non era stato il solito allegro convivio delle altre volte; i ragazzi, quindi, dopo aver salutato doverosamente Annika, che non aveva potuto trattenere le lacrime, erano andati via, lasciandoli ad una triste serata di bagagli.

La porta della camera di Annika era aperta, Bill entrò senza fare rumore. Lei era in piedi davanti al letto, su cui era posata una valigia aperta e quasi piena ed un borsone più piccolo già chiuso; alcuni abiti erano ancora sul materasso, da piegare e mettere via. Le tre paia di scarpe che lui le aveva comprato erano allineate sul tappeto. Poche cose, alla fine. Tutte le sue cose, alla fine. Al ragazzo venne un tremendo magone.
“Hey.” La chiamò dolcemente lui; la ragazza si voltò e gli sorrise.
“Hey.” Rispose apparentemente tranquilla.
“Come va? Hai finito?” Le chiese allora il cantante, accennando alle valige sul letto, mentre si avvicinava.
“Sì, praticamente.” Rispose Annika annuendo. “Ci sono cose che potrò mettere via solo domattina, ma non ho tanta roba…”
“Capisco.” Intervenne sbrigativo Bill, non voleva sentirla parlare della partenza.
Lei gli sorrise comprensiva, poi abbassò gli occhi sui bagagli. “Uff, adesso devo togliere tutto per andare a dormire.” Si lamentò poi.
“Lascia stare.” Affermò Bill, prendendole la mano già posata sul bordo della valigia. “A questo proposito, volevo chiederti se…”
Erano uno davanti all’altro, si guardarono negli occhi. Annika, che aveva intuito cosa stava per chiederle Bill, era abbastanza intimorita e le sue iridi blu scintillavano di ansia, ma anche di aspettativa. Anche gli occhi di Bill erano nervosi e incerti, si muovevano in giro, ma all’improvviso le prese entrambe le mani e la fissò dritta in faccia.
“Vorrei che tu dormissi con me, in camera mia, stanotte.” Le chiese, quasi supplicante. Quasi senza fiato.
“Oh…” Esalò Annika.
“Non… non pensare che abbia idee strane, solo… è l’ultima notte che passi qui e vorrei davvero poterla passare con te.” Riprese Bill, con la solita velocità. “Io desidero solo abbracciarti forte e addormentarmi con te, col tuo profumo nel naso…”
“Bill…” Lo interruppe lei. “…lo desidero tanto anche io.” Gli confessò poi sincera. Lui spalancò gli occhi, piacevolmente stupito.
“Ah, non sai quanto mi fai felice!” Esclamò contento il ragazzo. Lei sorrise timidamente. “Allora, ti aspetto di là?” Aggiunse lui speranzoso.
“Sì.” Annuì la ragazza. “Mi cambio e ti raggiungo.” Dichiarò poi. Bill le sorrise felice, le diede un breve bacio sulle labbra, quindi se ne andò, lanciandole un ultimo sguardo.

Annika si presentò in camera di Bill meno di mezz’ora dopo. Indossava il suo pigiama rosa, con pantaloni e maniche a quadretti. Si sentiva un po’ nervosa, ma ingoiò l’ansia e sorrise, quando Bill si girò verso di lei.
“Eccoti!” Esclamò allegro il ragazzo, quindi si rimise a sistemare alcuni abiti sulla poltrona.
“Ciao.” Lo salutò lei.
La ragazza si mise ad osservarlo. La sua pignoleria nell’appoggiare una maglietta sulla sponda, i gesti precisi, come si accomodava i capelli dietro l’orecchio. Dio, era incredibile come le piacessero anche i suoi difetti! Scese con lo sguardo dai suoi capelli corvini, alla semplice maglietta nera senza scritte che indossava, fino ai pantaloni grigi gessati del pigiama di seta. Poi si accorse di qualcosa di strano…
“Bill…” Chiamò perplessa.
“Sì?!” Fece lui, girandosi sorridente.
“Ti sei dimenticato di mettere le mutande?” Gli chiese aggrottando perplessa la fronte.
“Oh…” Il cantante abbassò gli occhi sui suoi pantaloni, poi si strinse nelle spalle. “Non le metto mai quando vado a dormire, mi danno fastidio.” Aggiunse quindi, riprendendo a fare le sue cose.
“Ah, se è così…” Commentò Annika confusa.
“Oddio!” Esclamò però Bill all’improvviso, voltandosi verso di lei. “La cosa t’imbarazza, vero?” Le chiese allarmato. “Se t’imbarazza le posso mettere, non c’è problema!”
“No, no, no, tranquillo! Se ti danno fastidio…” Replicò lei, che però era inevitabilmente arrossita.
“Non… non pensare che lo abbia fatto con qualche premeditazione, ecco… ti giuro che non ho fatto alcun tipo di programma…”
“Bill, Bill!” Lo bloccò lei prendendogli le mani. “Ci credo, stai tranquillo! Dio, sei più agitato di me!” Aggiunse, divertita dall’impetuosa uscita del ragazzo.
“Sì, perché non devi pensare che voglio approfittarmi di te!” Ribatté lui nervoso.
“Ma non lo penso!” Esclamò Annika, mentre continuava a tenergli le mani. “Calmati adesso, andiamo a dormire, è stata una lunga giornata.” Lui annuì.
La ragazza, detto questo, lo lasciò e si diresse verso il letto, aggirandolo per raggiungere il lato destro. Il cantante andò dall’altra parte.
“Ti lascio il tuo lato preferito.” Affermò Annika, indicando la parte sinistra del letto.
“Oh, grazie!” Rispose Bill contento. “Sei sicura che non hai preferenze?” Le chiese poi con garbo.
“Ma certo.” Annuì la ragazza. “Ho sempre dormito in letti singoli… cioè, finora, per me è del tutto uguale dormire da una parte o dall’altra.” Aggiunse stringendosi nelle spalle.
“Capisco…” Commentò lui, poi abbassò gli occhi. “Sai…” Riprese titubante. “…io, di solito, non dormo con le ragazze.” Annika aggrottò la fronte insospettita, mentre lo ascoltava. “Cioè, ti spiego… anche quando sono in hotel e mi capita – mi capitava – di passare la serata con una ragazza, ecco, preferisco che se ne vada, dopo… perché mi piace dormire da solo…”
“Beh, se è così, allora forse è meglio se torno di là.” Asserì incupita lei, facendo per andarsene.
Bill, allarmatissimo, corse da Annika fermandola. “No, no, no! Non volevo dire questo!”
“E allora perché me lo hai confessato?!” Sbottò la ragazza leggermente offesa.
“Perché… perché volevo che tu capissi la differenza!” Si difese il cantante. “Che, con te, ci voglio stare, che desidero averti vicino, senza per forza che ci sia qualcosa di… fisico…”
Annika lo guardò sospettosa. “Vuoi dire che fai un sacrificio, per me?” L’interrogò quindi.
Lui fece una smorfia corrucciata. “Non è un sacrificio.” Dichiarò deciso, fissandola negli occhi. “Io voglio… te. E avrei dovuto invitarti qui molto tempo fa, adesso ci è rimasta solo questa notte…” Concluse poi, rammaricato.
Ma Annika, a quel punto, aveva compreso quello che lui le aveva espresso in quel modo un po’ goffo, ma tenerissimo, quindi gli sorrise comprensiva, sfiorandogli con delicatezza il viso.
“Ce la faremo bastare.” Asserì poi. “Vieni.” Lo invitò, prendendolo per mano e guidandolo verso il letto.
La ragazza scostò la pesante trapunta nera e le lenzuola di  delicato cotone arancio, quindi, senza parlare, fece stendere Bill e si arrampicò al suo fianco. Gli accarezzò il viso ed i capelli, sorridendo, poi si chinò e lo baciò. Quando lui rispose, Annika seppe di aver fatto la cosa giusta.
Bill e Annika, quella sera, si baciarono a lungo, dolcemente, ma alla fine lo stress della giornata li vinse. Si addormentarono abbracciati, le gambe intrecciate, sotto il piumone.

Verso le quattro del mattino, Bill fu costretto ad alzarsi per andare in bagno; quando ritornò a letto, restò per diversi minuti a guardare Annika dormire, diviso tra una struggente tenerezza e una già cupa malinconia, degne entrambe dei versi di una canzone. Il ragazzo, poi, si distese di nuovo accanto a lei, le carezzò piano la guancia e quindi la tirò accanto a se, sospirando tra i suoi capelli.
Non passò molto tempo, prima che anche la ragazza si svegliasse. Si mosse piano, tra le braccia di Bill, respirando profondamente, prima di aprire piano gli occhi.
“Hey.” Disse dolcemente al cantante.
“Ti ho svegliato io?” S’informò Bill preoccupato, aggiustandole i capelli.
“No…” Rispose lei. “Mi scappa la pipì.” Ammise quindi. Lui ridacchiò con dolcezza.
“Allora vai.” La incitò quindi.
Lei sorrise, gli diede un lieve bacio sul naso, poi sgusciò fuori dalle coperte e si diresse verso il bagno. Bill sospirò, mettendosi supino. Si sentiva oppresso da quello che sarebbe successo la mattina successiva, l’idea che gli avrebbero portato via Annika era quasi insopportabile.
La ragazza tornò saltellando e s’infilò in fretta sotto il piumone e tra le braccia del cantante. Risero piano, mentre lui le strusciava le braccia.
“Fa freddo.” Affermò Annika sorridendo.
“Eh sì.” Annuì Bill, continuando a scaldarla.
“Sai…” Riprese la ragazza, sistemandosi meglio. “…pensavo di alzarmi, finire le valige, fare la doccia, tanto ho paura che non riuscirò più a dormire.”
“Ma Pippi, è prestissimo!” Replicò Bill. “Cosa pensi di fare per le prossime sei ore?”
“Non lo so, ma adesso sono molto nervosa, non riprenderò sonno di certo.” Dichiarò lei.
“Sono nervoso anche io.” Sussurrò il ragazzo, stringendola. “Non mi lasciare…” La supplicò poi, mentre le accarezzava il collo con la punta del naso. “…voglio stare con te fino a quando sarà possibile, vicino… vicino… vicino…”
“Oh, Bill…” Mormorò Annika, prima di assecondare ancora una volta i suoi baci.
Anche Annika desiderava restare con Bill più di ogni altra cosa al mondo, essergli così vicino e se possibile ancora di più. Questo era il motivo per cui, in quel momento, si era lasciata particolarmente andare alle effusioni di Bill. Rispondeva ai baci con passione, lo accarezzava non solo sul viso e sul collo, ma anche sul torace e sulla vita, sotto la maglietta che lui portava. E il cantante faceva altrettanto, con una mano dentro la maglia del suo pigiama rosa a carezzarle la schiena. Le loro gambe cambiavano posizione di continuo, intrecciandosi.
Quando la coscia magra di Bill sfiorò l’inguine di Annika, la ragazza si rese conto che la situazione si stava facendo seria, perché il desiderio che provava era quasi doloroso. Bill, però, all’improvviso, si staccò da lei senza respiro, allontanandosi bruscamente.
“Che… che succede?” Domandò la ragazza; le labbra le facevano un po’ male, per via dell’ardore dei baci ricevuti.
“Perdonami Annika, io non voglio assolutamente creare altre situazioni imbarazzanti per te.” Rispose immediatamente il cantante.
“Non capisco…” Mormorò lei confusa.
Bill prese un lungo respiro. “La… la tua… la tua… passionale disponibilità, in questo momento, mi sta creando un… certo «problema» che forse tu… tu potresti non apprezzare…” Balbettò quindi, con un’espressione sofferente.
“Ma che cosa ti è successo?” L’interrogò Annika, senza capire. “Io non… Oh, ho capito…” Realizzò alla fine, prima di arrossire e abbassare gli occhi.
“Ecco.” Annuì il ragazzo. “Sai, non vorrei che succedesse come in piscina…”
Ma la ragazza non ascoltò il resto della replica, persa dietro ad una rivelazione appena avuta. Era lì, in un letto, con Bill e stavano pomiciando – sì, chiamiamo la cosa col suo nome – e lui era, ovviamente, eccitato. Lei era eccitata, inutile negarlo. Ma la cosa che più la meravigliava era che non aveva paura, non come le altre volte. Si sentiva come se l’avergli confessato i suoi tormenti l’avesse liberata da un peso insopportabile ed ora si sentiva leggera e… pronta. Le tristi immagini della sua drammatica esperienza non si sovrapponevano più a quelle del presente. Erano le mani belle e gentili di Bill a toccarla, non quelle ruvide del suo aggressore. Erano le labbra perfette di Bill a baciarla, non quelle umide e fastidiose di quell’uomo. Era il suo corpo magro ed efebico a scaldarla, non quello massiccio e peloso che la schiacciava prima della violenza. E lei amava Bill con tutto il suo cuore. Sì, lo amava.
“Bill…” Lo chiamò, facendogli interrompere la replica inascoltata che ancora andava avanti.
“Sì?” Fece lui girandosi a guardarla negli occhi.
“E se io, questa volta, non volessi smettere?” Gli disse seria.
La faccia incredula di Bill era la cosa più bella che Annika avesse mai visto. La sua disarmante, innocente seduzione era un dono per cui la ragazza avrebbe ringraziato Dio, o chi per lui, per tutti gli anni a venire. Lui boccheggiò, cercando di dire qualcosa, ma non gli fu permesso.
“Io… io non ho paura, adesso.” Confessò la ragazza, mettendosi seduta e voltata verso Bill. “E non mi vergogno più…”
Annika, detto questo, si tolse con un solo gesto la maglia del pigiama e la leggera canottiera che aveva sotto, rivelando a Bill, seppure nella penombra, la sua pelle candida ed i piccoli seni, turgidi per il freddo e l’emozione.
Bill, completamente colto di sorpresa da ciò che era successo, si alzò a sedere con espressione meravigliata, sconvolto dal dono che gli veniva fatto. Allungò una mano tremante, posandola poi, quasi con religioso rispetto, sul seno di Annika; l’accarezzò piano, mentre continuava a guardarla negli occhi, quindi, con l’altra mano, le scostò i capelli dal petto e le prese il viso.
“Lo vuoi davvero?” Le chiese perplesso, con gli occhi scintillanti di emozione. Era consapevole di ciò che lei gli stava per dare.
“Sì.” Rispose la ragazza senza incertezze.

Bill si tolse la maglia, quindi si mosse sulle ginocchia fino a lei. Cominciarono a toccarsi a vicenda, piano, con la punta delle dita, sfiorandosi con lo sguardo. Brividi sempre più intensi percorrevano entrambi, facendo fremere i loro corpi. Ben presto si stancarono di quel piacevole gioco. Annika passò le braccia intorno al collo di Bill, aderendo a lui; quando il ragazzo sentì i suoi capezzoli contro la pelle, perse il controllo e la rovesciò sul materasso.
Bill scese col viso, baciando devotamente il seno e la pancia di Annika, fino all’ombelico. Lei gli teneva una mano tra i capelli e lo lasciava fare, perché era tutto troppo piacevole. Lui, allora, le fece alzare il bacino e le tolse pantaloni e mutandine; anche lui si tolse quello che ancora indossava.
Si guardarono negli occhi, entrambi li avevano offuscati dal desiderio e pieni di emozione. Erano nudi e avvinghiati, adesso, pelle contro pelle, il respiro affannato. La ragazza, in quella situazione, avvertiva chiaramente quanto fosse pronto lui. Bill accarezzò il viso di Annika e le sorrise con tenerezza, lei fece altrettanto.
“Aspetta solo un attimo…” Le sussurrò quindi, poi le diede un bacio sulla guancia e si spostò verso il comodino, allungando una mano.
Annika sapeva cosa stava facendo. Lo guardò cercare qualcosa in un cassetto, poi trafficare un po’ sotto le coperte e, infine, tornare su di lei, con un bacio passionale, mentre si sistemava tra le sue gambe. Lei lo accolse, anche se le era tornato un brivido della paura provata in passato.
“Fidati di me…” Mormorò però Bill al suo orecchio. “Guardami…” Annika spostò gli occhi nei suoi, subito rassicurata dal loro dorato calore. “Faccio piano… piano…”
La ragazza, nonostante le parole dolci di Bill, però, non poté trattenere un gemito, quando lui entrò. Perché faceva male. Il respiro ed il battito cardiaco le accelerarono, si mosse rigidamente sotto al ragazzo, gemendo ancora, mentre sperava che tutto finisse subito.
“Shh, adesso passa…” Le disse Bill, con tutta la dolcezza possibile, carezzandole il viso. “Tranquilla, non essere rigida… rilassati, muoviti con me…”
La mano tiepida del cantante, scese lungo il fianco della ragazza, delicatamente, spingendola ad assecondare i movimenti del suo bacino. Annika lo fece e le cose sembrarono migliorare. Allora decise di concentrarsi su Bill, sul suo viso, sui suoi occhi che non la lasciavano un istante. Le venne naturale, a quel punto, muoversi insieme a lui e la sensazione di averlo in se divenne un piacere sottile e crescente. Aumentava sempre più e Annika si aggrappò alle spalle esili di Bill, che le baciava il collo, continuando a muoversi su di lei.
Il dolore era passato, ora c’era solo la comunione del loro desiderio, i movimenti sempre più profondi, i loro profumi mischiati, il sudore e il piacere. Era qualcosa di completamente nuovo ed estremamente intenso, che le stava attraversando ogni atomo del corpo e cominciava a capire perché piacesse tanto a tutti. Annika si arrese all’orgasmo pochi istanti dopo, rilasciandosi tra le braccia di Bill, che si mosse più forte in lei ancora qualche secondo, prima di accasciarsi sulla sua spalla con un gemito soddisfatto. Si scostò poco dopo, col respiro sempre pensante.
Annika era rimasta supina, con gli occhi aperti e rivolti al soffitto, la mano di lui sulla pancia. La cercò e la strinse con la sua, prima di sentire qualcosa che la fece preoccupare. Scese dal letto di corsa e, senza dire nulla a Bill e senza preoccuparsi di essere nuda, andò in bagno. Lui la seguì con gli occhi, allarmato.  
La ragazza tornò non molto dopo. S’infilò veloce nel letto, abbracciò Bill e gli baciò tutto il viso. Lui, perplesso, rispose senza troppo coinvolgimento, curioso di cosa poteva essere successo.
“Annika, che… che succede?” Le chiese infatti.
“Niente…” Rispose lei, dandogli un ultimo bacio, poi abbassò gli occhi, come se ripensasse a cosa dire. “Solo…” Riprese quindi. “…solo una piccola perdita, ma tranquillo, è già passata.”
Annika, dopo quella risposta, strinse ancora di più le braccia intorno al collo di Bill, ricominciando a baciargli il viso, guance, occhi, labbra, con un sorriso sereno. Il ragazzo, però, la interruppe, allontanandola un po’ da se.
“Ma stai bene?” Le domandò preoccupato.
“Sì, benissimo.” Rispose allegra lei, mentre continuava a sbaciucchiarlo.
“E allora perché fai così?” Replicò Bill, lasciandosi coinvolgere dalla sua gioia e sorridendo.
“Perché sono felice!” Dichiarò lei ridendo, poi smise e lo guardò negli occhi. “Grazie.” Gli disse dolcemente. Lui spalancò gli occhi stupito.
“E di che cosa?” Le chiese confuso.
“Grazie di tutto, del tuo aiuto, del tuo affetto, di questi momenti meravigliosi.” Affermò calma e sorridente la ragazza.
“Non devi ringraziarmi, Annika.” Ribatté Bill, aggiustandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Sono io che ho ricevuto il regalo più grande, stanotte.” Aggiunse con uno sguardo pieno di tenerezza. La ragazza gli sorrise con calore e riconoscenza, quindi lo abbracciò di nuovo; Bill la strinse dolcemente e, poco dopo, si addormentarono.
 
Bill era davanti alla finestra della cucina, con un bicchiere di succo d’arancia in mano. Guardava fuori, ma non vedeva il panorama. Stava pensando al risveglio suo e di Annika, al suono della sveglia. Si erano guardati, sorrisi, baciati, avevano goduto della propria pelle calda contro quella dell’altro, poi lei aveva fatto per alzarsi e lui l’aveva trattenuta. Avevano riso, poi le aveva detto che avrebbe desiderato restare così per sempre. Lei lo aveva baciato, coccolato per un po’, ma poi era stata irremovibile nel volersi alzare. E Bill era rimasto solo, nudo e sconsolato nel suo letto.
Ora avrebbe dovuto fare colazione, ma aveva un insopportabile groppo che gli chiudeva lo stomaco e un forte magone. Erano le otto e mezza, tra meno di due ore Annika sarebbe andata via. Sentì gli occhi offuscarsi per le lacrime, gli tremò il labbro inferiore.
“Hey…” Una mano seguì quella parola, stringendogli la spalla. Bill si girò e incontrò gli occhi dolci del fratello ed il suo sorriso rassicurante.
“Tomi…” Mormorò Bill con un sorriso stentato.
“Che succede, Cucciolo?” Gli chiese premuroso il gemello, accorgendosi dei suoi occhi lucidi.
“Ma niente…” Rispose mesto il cantante. “È solo una giornata così…” Aggiunse, stringendosi nelle spalle. Tom fece una smorfia, sapeva cosa sarebbe successo di lì a poco.
“Capisco.” Mormorò poi, stringendo di più la presa sulla spalla di lui. “Annika?” Gli chiese quindi.
“È a fare la doccia.” Rispose Bill, prima di svuotare il bicchiere bevuto a metà nel lavandino.
“Avete dormito insieme, stanotte?” Gli domandò allora Tom, mentre si preparava una tazza di cereali.
“Sì.” Annuì l’altro.
Scese il silenzio. Bill rimase vicino alla finestra, davanti al lavello, mentre Tom si era seduto sopra la penisola e mangiava i suoi cereali. Il cantante, ad un certo punto, sospirò e si voltò verso il fratello, appoggiando i fianchi al mobile.
“Tomi.” Chiamò piano.
“Hm?” Fece il gemello a bocca piena, alzando appena il capo.
“Lo abbiamo fatto.” Confessò Bill serio.
Tom deglutì bene quello che aveva in bocca, poi si pulì le labbra col dorso della mano e guardò il fratello aggrottando la fronte.
“Ah…” Esalò poi, sorpreso. “E com’è andata?” Chiese.
Bill abbassò gli occhi. “Beh, per me è stato bello, anzi… bellissimo, lo desideravo tanto! Per lei… non lo so, sembra contenta…” Affermò un po’ incerto, poi alzò il viso e fissò Tom negli occhi. “Sai com’è, è stata la prima volta per Annika e allora…”  
“Certo.” Fece Tom annuendo.
“Ti prego, non dirle che te ne ho parlato, non fare battute…” Lo supplicò quindi il gemello.
“Hey!” Sbottò indignato l’altro. “So essere una persona seria anche io, quando è necessario, tranquillo!”
“Lo so… grazie…” Rispose Bill, ma la sua voce era tremante ed i suoi occhi si rifecero lucidi. “Tra poco più di un’ora se ne andrà, Tom…”
“Dai, non fare così.” Lo pregò il chitarrista, prima di scivolare giù dal piano ed andare ad abbracciare il fratello, che si fece stringere senza opposizione.
“Ma guarda!” Esclamò la voce di Annika, sorpresa e allegra, i due si girarono verso di lei. “Dovevo arrivare alle mie ultime ore in questa casa, per vedere un gesto di affetto tra voi due?”
Tom sbuffò, mentre roteava e alzava gli occhi al soffitto; Bill, invece, sorrise alla ragazza e poi abbassò gli occhi, dando una leggera spinta al fratello. Sembravano entrambi imbarazzati, Annika ridacchiò piano, avvicinandosi alla penisola.
“Bene, io vado a vestirmi.” Annunciò Tom, evitando lo sguardo degli altri due.
Il ragazzo passò accanto ad Annika che, inaspettatamente, gli prese la mano, facendolo voltare verso di se. Lui la guardò con espressione interrogativa.
“Mi dispiace avervi disturbato.” Affermò lei con un sorriso birichino. Tom fece un cenno col capo come a dire «Fa niente». “Mi mancherai, ragazzo timido mascherato da spaccone.”
Lui le fece un sorriso sbieco e seducente. “Mi mancherai anche tu, ragazza impertinente mascherata da timida.” Le disse, poi le diede un buffetto sul naso.
“Ohh, ma sono onorata di aver fatto breccia in quel cuoricino ben nascosto!” Replicò allegra Annika, massaggiandogli la maglietta sul petto.
Tom le si avvicinò, parlandole sotto voce. “Sei fortunata, è successo solo perché ti sei arruffianata lui che conosce la strada…” Mormorò, indicando Bill col pollice, quindi le diede un lieve bacio profumato di latte sulla guancia e si allontanò.
Annika lo seguì con lo sguardo, sorridendo dolcemente, finché non avvertì la presenza di Bill davanti a se. Alzò gli occhi, lui la fissava con tenerezza. Lei gli carezzò il viso, piano, poi si abbracciarono stretti. Mancava, ormai, davvero poco.

Il suono del campanello strappò Tom dai suoi pensieri e da quello che stava facendo. Chiuse la lampo della borsa di Annika, posata ai piedi del divanetto, si alzò e andò ad aprire. Il portiere lo aveva avvertito qualche istante prima che stava per salire l’assistente sociale, quindi si aspettava il campanello, ma aveva comunque preferito non avvertire Bill e Annika per dargli qualche altro minuto. La donna, ad ogni modo, era puntualissima, erano le dieci spaccate.
Il chitarrista aprì e si trovò davanti una ragazza scialba sui trent’anni: tailleur marroncino e anonimo, capelli fermati sulla nuca, occhialetti, borsa di pelle. Non poteva essere altro che un’assistente sociale. Sembrava un po’ spesata.
“Salve.” La salutò il ragazzo.
“Buongiorno, sono Else Ganz, dei servizi sociali.” Si presentò educatamente lei, stringendo la mano che le veniva porta.
“Tom.” Fece lui. “Si accomodi.” Aggiunse, invitandola ad entrare.
La donna attraversò la porta e si guardò intorno. Era piuttosto stupita dell’ambiente dove si era ritrovata, non certo simile alle case popolari che frequentava usualmente. Il parquet lucidissimo, i mobili di pregio, i quadri raffinati e quel ragazzo dall’aria schiva e un po’ infastidita non sembravano proprio adatti al suo solito lavoro… certo, non si poteva mai dire, anche nella case di lusso succedevano cose orrende, ma…
“Le posso offrire qualcosa? Un caffè…” Le chiese Tom, anche se il suo tono non era esattamente accogliente.
“Oh, no, la ringrazio.” Rifiutò subito la Ganz, girandosi verso di lui.
“C’è qualcosa che non va?” Domandò allora il ragazzo, accorgendosi della sua espressione confusa.
“No, ecco…” Rispose la donna. “Questo non è esattamente il posto dove sono abituata ad andare.” Spiegò quindi.
“Capisco… ma non è questa casa il motivo per cui è qui, ma la casa da dove è scappata Annika.” Replicò Tom, incrociando le braccia; lei annuì.
“A proposito, la ragazza dov’è?” Domandò allora l’assistente sociale. “Dovremmo essere al centro prima di mezzogiorno…” Aggiunse per giustificare la fretta della prima frase, davanti allo sguardo tagliente ricevuto dal chitarrista.
“Adesso la chiamo.” Lei lo guardò raggiungere il mobile vicino alla porta e acchiappare quasi con violenza la cornetta del telefono, poi compose il numero. “È arrivata.” Lo sentì dire con tono cupo. “Ok, vi aspettiamo giù.” Tom si rivolse quindi alla donna. “Stanno scendendo.”
“Grazie.” Mormorò la Ganz annuendo.
“Herr Tom, ha offerto qualcosa alla signorina? Un caffè, una spremuta…” S’intromise una discreta voce femminile; voltandosi Else vide una robusta donna bionda di una certa età.
“Sì, Frau Hildegard.” Rispose il ragazzo.
“La ringrazio, ma non voglio niente.” Si sentì in dovere di precisare l’altra donna.
“Bene.” Annuì la governante.
Bill e Annika, nel frattempo, stavano scendendo le scale tenendosi per mano ed il loro arrivo attirò l’attenzione di tutti. I due ragazzi avevano un’espressione depressa ed erano entrambi pallidi.
“Salve.” Salutò il cantante.
“Annika?” Fece l’assistente sociale, rivolta alla ragazza, che annuì. “Piacere di conoscerti.” Si strinsero la mano. “Sei pronta?” Le chiese quindi.
“Sì…” Rispose timidamente lei.
“No!” Intervenne Bill, stringendo di più la mano di Annika, la quale si voltò verso di lui.
“Dai, non fare così, mi fai stare male…” Gli disse la ragazza.
“Non è giusto, non lo possono fare! Tu qui stai bene, lo devono capire!” Esclamò il cantante con gli occhi sgranati e lucidi, una vaga espressione di smarrimento totale.
“Per favore, mi fai piangere…” Lo supplicò Annika.
“Pippi…” Mormorò lui rammaricato; alla ragazza sfuggì un singhiozzo, poi gli avvolse la vita con le braccia, stringendosi a lui e si misero a piangere entrambi, davanti alla donna imbarazzata e ad un Tom molto arrabbiato.
“Visto cosa state facendo?” Chiese retorico il chitarrista all’assistente sociale.
“Io, veramente, faccio solo il mio lavoro, è il tr…” Tentò Else, torcendosi le mani.
“Sì, lo so, è il tribunale che decide.” Concluse per lei Tom, incrociando le braccia con uno sbuffo.
“Basta, adesso, dai.” S’impose Annika qualche secondo dopo, sciogliendosi dal disperato abbraccio di Bill.
La ragazza scese gli ultimi gradini, passò tra Tom e la donna e si diresse verso Frau Hildegard, che aveva seguito la scena da lontano. Anche la governante sembrava commossa.
“Volevo ringraziarla, Frau Hildegard.” Le disse Annika. “Lei è sempre stata così gentile con me, mi ha aiutato tanto quando avevo la gamba ingessata.”
“Oh, bambina, è stato un piacere per me! Sei una personcina adorabile!” Rispose la donna con tenerezza. “Mi mancherai.”
“Anche lei mi mancherà, posso abbracciarla?” Replicò la ragazza.
“Certo, cara!” Dichiarò lei, stringendola subito tra le sue robuste braccia, Annika la corrispose.
Fu, poi, la volta di salutare Tom. Annika si fermò davanti a lui, stringendosi nelle braccia. Si guardarono negli occhi per qualche secondo. Quelli di Tom erano malinconici e profondissimi, unici accessi a quell’anima che teneva sempre ben nascosta. Quelli di lei, immancabilmente lucidi e tristi, ma nonostante questo, accennò un sorriso.
“Cosa posso dirti?” Fece la ragazza.
“Non dire niente.” Rispose lui, prima di abbracciarla con calore. “Ti voglio bene.” Le sussurrò timidamente all’orecchio.
Annika trattenne a malapena il pianto. “Anche io…” Rispose, mentre lo lasciava.
“Ti porto fuori le valige.” Si offrì quindi il ragazzo, evitando così di far vedere a chiunque i suoi occhi lucidi.
“Grazie.” Gli disse riconoscente lei, poi tornò verso Bill, che, in piedi vicino alle scale, stava immobile, con gli occhi rivolti in basso e la bocca piegata in una smorfia sofferente.
Annika gli prese la mano, costringendolo ad alzare lo sguardo su di lei. Gli sorrise, cercando di essere rassicurante, ma lui sembrava preda di un dolore quasi fisico. Era orribile vedere il suo bellissimo viso così disperato.
“Su, Bill, non vado in Patagonia!” Tentò di scherzare la ragazza. “Lo troveremo un modo di vederci…”
“Lo so, ma non è giusto!” Protestò lui.
“È solo per poco tempo…” Insisté Annika, mentre Bill le teneva le mani sul proprio petto.
“Ci deve essere un modo per non farti andare…” Ribatté lui intestardito.
“Lasciami andare, Bill.” Lo pregò allora lei.
“No…”
“Devo.”
“No!”
Fu piuttosto dura strappare la ragazza dalle mani di Bill, ma alla fine Annika, con tutta la dolcezza possibile, lo convinse a lasciarla. Il cantante la seguì fino alla porta e la guardò salire sull’ascensore con l’assistente sociale e le valige. Tutto con gli occhi pieni di lacrime. Annika lo salutò un’ultima volta con la mano, mentre le porte si chiudevano, poi, quando ormai l’ascensore la conduceva inesorabilmente verso il basso, chinò il capo e si mise silenziosamente a piangere.
Bill era rimasto sulla porta, mentre Tom faceva partire l’ascensore. Quando il chitarrista tornò in casa lo trovò con le lacrime che gli scendevano lungo le guance, la fronte aggrottata e due tristissimi occhioni disperati.
“Oh, cazzo…” Mormorò Tom. “Vieni qui.” Gli ordinò, dopo aver chiuso la porta con un calcio. Bill si rifugiò tra le sue braccia, piangendo disperatamente.

Annika, meno di due ore dopo, era seduta sul suo letto nel centro di accoglienza. La camera era piccola, con due letti, un piccolo armadio di legno, una scrivania con due sedie e poco più. Era pulita, per fortuna, anche se le ricordava un po’ troppo la cameretta di casa sua, a Bonn.
Le persone che aveva incontrato quel giorno erano state tutte gentili e anche le ragazze del centro l’avevano accolta tranquillamente, ma il fatto che, sulla parete in fondo alla stanza, ci fosse un enorme poster a grandezza naturale di Bill, non la faceva certo sentire meno sola.
Si alzò, percorse i pochi passi che la separavano dal muro e sfiorò con la punta delle dita il viso di carta del ragazzo che poche ore prima l’aveva resa donna. E sospirò sconsolata.

CONTINUA

Note: il titolo del capitolo si riferisce a molte cose, come spero che abbiate capito; non solo il dolore di Annika per la violenza subita, per la fuga e la delusione, ma anche il dolore fisico della sua prima volta e, infine, la tristezza per la separazione da Bill.

Ringraziamenti:
jolly24: grazie per l’indulgenza, spero tu ne abbia anche stavolta!
carol22: grazie dei complimenti, sono contenta che apprezzi il “mio” Bill, ma spero proprio che lui e Annika non risultino una melensa coppietta…
larota: come vedi, anche se molto piano, avanti vado. Non temere, prima della ormai prossima fine, tutte le situazioni si risolveranno, o quasi…
Sarakey: la mia pusher preferita! Hai visto che alla fine sono riuscita a concludere questo sospirato capitolo? Davvero, non sai quanto mi dispiace non poter essere più veloce! E adesso ho anche sistemato il piccolo Bill, almeno per un po’ se ne starà calmo… hm, ho qualche dubbio però. Tom e Claudia si sono rivisti, ma la loro conclusione l’avranno nel prossimo capitolo. E tranquilla, il tuo Kiro lo lascio stare volentieri! T.v.t.t.b., un bacione grande!
Picchia: non vorrei anticipare nulla, ma… non dirò altro. Cmq sì, la conclusione sta arrivando, anche se, come sempre, non sarà velocissima. Sono davvero contenta che la storia ti piaccia così tanto, specie la caratterizzazione per personaggi, perché ci tengo tanto. E grazie di condividere il mio smisurato amore per Tom.
Princess: ma sai che la tua è stata la recensione numero 100? Oddio, è la mia prima volta, mai raggiunte così tante recensioni! Visto che l’ho fatto sfogare il nostro micetto? Solo che dopo l’ho fatto anche piangere… ma quanto ci piece essere cattive coi nostri amorini? ^__- Tom e Claudia si rivedono e fanno qualche scintilla, ma come ho già detto, il confronto vero ci sarà nel prossimo capitolo.
Ladynotorius: certo che lo so cosa ne pensi, cmq grazie per aver recensito. Comincia a piacerti un po’ Claudia? Hm, sono un po’ scettica… forse ti piace solo per quanto è determina a lasciare libero il tuo Tommino… eheheh! Spero che anche questa parte non ti abbia deluso.
Lilylemon: beh, la tortura di Bill, come vedi, è finita, ma ne comincia un’altra di tutt’altro tipo! Grazie per i complimenti e mi scuso per l’attesa, spero che tu non abbia sofferto troppo!
Kit2007: oh, mia cara! Eh sì, come avevi previsto quelle foto hanno scatenato tutti gli eventi di questo capitolo ed i risultati non sono dei migliori… Sì, il Tom del capitolo 9, oserei dire, che è il migliore di tutta la ff , anche se quello tenero e commosso di questo mi piace altrettanto. Grazie per i complimenti e la pazienza, ci sentiamo presto!
Ruka88: ehhh, mi trovo di nuovo a scusarmi per la lentezza, ma faccio il possibile… Beh, come vedi ancora non siamo proprio all’happy end, anzi. Ci sarà da combattere ancora un po’, ma almeno adesso sappiamo cosa è successo ad Annika. E lei e Bill hanno finalmente “consumato”.
Loryherm: oh, Lory, le tue bellissime recensioni! Mi fanno sempre sentire come se avessi fatto davvero un buon lavoro! E perdonami per il mostruoso ritardo con cui aggiorno. Come sempre colpisci nel segno con le tue analisi e hai anche intuito delle cose che succederanno. Visto che alla fine il sesso c’è stato davvero? ^__- E spero che la scena non risulti patetica… Ad ogni modo, grazie davvero tanto per i complimenti e vedrò d’impegnarmi per scrivere alla svelta il capitolo successivo. Un bacione!
Arina: grazie per tutti i complimenti e per aver apprezzato anche le altre storie, aspetto la tua opinione anche per questi ultimi capitoli!
Whity: no dai, non ti annichilire, basta che sei tornata proprio per il finale! ^__^ Spero che la spiegazione alle sofferenze di annika non risulti troppo banale, di aver fatto al sua reazione troppo esagerata. Beh, mi direte voi. Mi fa davvero tantissimo piacere che apprezzi la caratterizzazione, comincio a pensare di aver fatto un bel lavoro, visto che amate i miei personaggi. Adoro, in special modo, descrivere Bill e Tom e quindi apprezzo che me lo riconosciate. Grazie!
RubyChubb: sei autorizzata a non commentare questo capitolo, perché io mi sono dimenticata di commentare il tuo e quindi poggio e buca fanno pari. Vabbè. Qui di battute per Tom ce ne sono meno, ma del resto il capitolo non era incentrato su di lui ed è decisamente più serio di quello prima. Che altro dire? Ti ringrazio di continuare a seguire i miei deliri e ti prometto che la prossima volta ti faccio una reccy stratosferica! MS power!

Bene, grazie ancora per la pazienza avuta, sperando di non lasciarvi all’asciutto per troppo tempo! Siete adorabili, aspetto i vostri commenti!
Baci
Sara  



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Capitolo 11
*** 11 - Canzone d'autunno ***


autumn song
Ah, e io che speravo di fare prima, stavolta! Invece ci ho messo il solito mese… Voi lettori siete anche troppo buoni a seguirmi ancora. Ad ogni modo, ce l’ho fatta anche stavolta e vi posto il nuovo capitolo. Questo è ufficialmente l’ultimo capitolo, ma non temete, so scrivendo l’epilogo, per cui spero di non farvi aspettare troppo.

Due cose, prima di lasciarvi alla lettura:
1 – qualcuno mi ha chiesto il mio contatto msn e io ve lo ridò volentieri: CowgirlSara2@msn.com
2 – cliccando sul titolo del capitolo (che alla fine è anche quello della storia) troverete un link per vedere il video della canzone che da il titolo alla fanfiction, mi farebbe piacere se l’ascoltaste; anche i versi in coda al testo vengono dalal canzone. È “Autumn Song” dei Manic Street Preachers, usata senza scopo di lucro.

E adesso, buona lettura! Aspetto i vostri commenti!
Baci
Sara


“Salve.” Salutò Claudia fermandosi davanti al banco della reception.
Anke sollevò il capo dallo schermo del pc, lanciò un’occhiata supponente alla ragazza, poi si alzò, avvicinandosi. Squadrò dall’alto in basso Claudia, il suo piumino giallo, la minigonna di jeans, le calze francesi blu elettrico, quasi arricciando il naso disgustata.
“Ciao, come posso esserti utile?” Le chiese poi, con finta cordialità.
“Non so se ti ricordi di me, mi chiamo Claudia, sono già stata qui un paio di volte, con Tom…” Le disse la ragazza.
“Veramente non mi ricordo.” Replicò l’altra diffidente, aggiustando il polsino del suo scollato maglioncino verde menta.
“Beh, questo non è importante…” Soggiunse Claudia, posando le mani sul piano. “L’importante è che tu, adesso, mi chiami Bill, perché devo parlargli urgentemente.”
“Non disturberò Bill solo perché me lo chiedi tu.” Ribatté la segretaria, ostentando un sorrisetto falso e astioso.
“Guarda che lo conosco bene, sono una sua amica.” Dichiarò la ragazza, aggiustandosi nervosa una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Certo.” Annuì Anke, con l’aria di una che non crede assolutamente a quello che le è stato detto. “Se sei sua amica, allora avrai il suo numero, perché non lo hai chiamato direttamente?” Le chiese.
“Il fatto è che ho cambiato la scheda, di recente, quindi non ho più il suo contatto.” Spiegò Claudia, che cominciava a trovare fastidioso l’atteggiamento della receptionist.
“Certo.” Rispose di nuovo Anke, con la stessa espressione di prima.
“Senti, non m’importa un accidente se mi credi o no, io devo parlare con Bill, quindi fai il tuo lavoro e chiama dentro, digli che ho notizie su Annika e vedrai che viene lui.”
“Non insistere, non so chi sei e non chiamerò Bill.” Sostenne ferma la segretaria.
Claudia si ritrovò sulla via di un’incazzatura violenta. Era già stata allo studio di registrazione almeno due o tre volte, ma forse quella Anke era troppo impegnata a fare la civetta con Benjamin per notare la ragazzina sepolta sotto il braccio di Tom. E doveva ammettere che, una di quelle volte, lei e il ragazzo erano passati dalle scale di dietro e andati direttamente nell’appartamento del primo piano, tanto per non fare sesso in macchina.
La ragazza mise le mani sui fianchi e fissò la segretaria con gli occhi assottigliati. “Almeno lo sai chi è Annika?” Le domandò quindi.
“No e non m’interessa.” Rispose secca Anke.
“Ohh, vedrai come t’interesserà quando lo scoprirà Bill!” Sbottò Claudia incrociando le braccia. “E adesso vedi di smetterla di fare la stronza e predi quel cazzo di telefono, sennò vengo di là e chiamo io!” Aggiunse gesticolando con espressione minacciosa.
“Ah, eccome se prendo il telefono!” Proclamò stizzita la segretaria. “Ma per chiamare la sicurezza, carina!” Aggiunse afferrando la cornetta.
“Sì, vai, chiama la sicurezza!” La incitò Claudia con un gesto. “Chiamali, poi vediamo!”
Anke fece la telefonata, poi si voltò verso l’altra ragazza e incrociò le braccia, fissandola con aria di sfida. Claudia fece altrettanto. Pochi istanti dopo la porta dello studio si aprì e ne uscì Saki con un’aria tra l’infastidito e l’annoiato.
“Anke, che cosa c’è?” Domandò l’uomo, fermandosi vicino al banco.
“Questa ragazzina proclama di essere amica di Tom e Bill e pretende che io li disturbi mentre sono in studio.” Spiegò la segretaria, indicando la sua sinistra. L’uomo guardò da quella parte, vide la ragazza col piumino giallo e aggrottò la fronte.
“Ciao, Claudia.” La salutò poi.
“Ciao, Saki.” Rispose lei, prima di lanciare un’occhiata trionfante alla receptionist.
“Hai bisogno di qualcosa?” Domandò però l’uomo alla ragazza.
“Devo parlare con Bill, riguardo Annika.” Affermò Claudia, spostandosi più vicino alla guardia del corpo.
“Beh, allora vieni.” L’invitò lui, facendo per tornare dentro.
“No! Ecco, preferirei non entrare… io e Tom abbiamo rotto e… se puoi riferire a Bill, magari se non può venire mi chiama qui…” Ribatté la ragazza imbarazzata.
“Ok, come vuoi, aspetta pure qui. Vado a dirglielo.” Acconsentì l’uomo annuendo. “Ah, Anke, quando viene questa ragazza, per favore, chiama dentro e avverti.” Aggiunse quindi, rivolgendosi alla segretaria; lei si strinse le mani nervosamente e annuì.
“Certo Saki, non dubiti che lo farò.” Mormorò compunta, mentre Claudia ridacchiava vittoriosa.

Bill raggiunse Claudia poco dopo, mentre lei stava bevendo un caffè davanti al distributore automatico.
“Che cosa è successo?” Le domandò con urgenza il cantante.
“Ho alcune notizie.” Annunciò la ragazza, gettando via il bicchiere vuoto. “Ho parlato a mio padre dei nuovi sviluppi.”
“Bene.” Annuì Bill, quindi la invitò a proseguire con un gesto.
“Beh, lui dice che potrebbe esserci un modo per tirarla fuori dal centro, però la cosa più importante, ora, è che faccia la denuncia, per non essere rimandata a casa.” Spiegò Claudia con enfasi.
“Capisco…” Soggiunse il ragazzo. “Tu pensi che vorrà farla?”
“Deve, Bill.” Rispose seria Claudia. “Io adesso vado a trovarla e cerco di convincerla…”
“Vai a trovarla?!” Esclamò lui incredulo, lei annuì. “Adesso?”
“Sì, vado adesso.” Confermò la ragazza.
“Ma si può andare?” Chiese confuso il cantante.
“Certo Bill, figurati, si possono andare a trovare gli ergastolani! Ci sono degli orari da rispettare, ma si può andare tranquillamente.” Dichiarò Claudia, spiegandosi esaurientemente.
“Vengo con te.” Proclamò Bill.
Lei aggrottò la fronte perplessa. “Sei sicuro che puoi?” Gli chiese.
“Sì, sì, certo, per oggi abbiamo praticamente finito!” Sostenne il cantante. “Vado a cambiarmi e vengo, non è tardi vero?”
“No, no, tranquillo, ti aspetto!” Lo rassicurò Claudia.
“Grazie, sei un tesoro!” Replicò lui, prima di darle un bacio sulla guancia e tornare verso la porta dello studio.
Bill si precipitò nel salottino dove gli altri si stavano rilassando. Georg, Gustav e Tom lo guardarono mentre si legava i capelli e metteva un cappellino, si muoveva con urgenza, senza spiegare agli altri il motivo della sua fretta.
“Non posso mettere la mia giacca, mi riconoscerebbero.” Affermò a voce alta il cantante, gettando sul divano il firmatissimo giubbino di pelle. “Ci vuole qualcos’altro…” Aggiunse, mettendosi a cercare nello stand dove erano appese altre sue giacche.
“Dove devi andare, Bill?” Gli chiese Gustav.
“Ah, sì, scusate!” Esclamò il ragazzo, voltandosi verso gli amici. “Fuori c’è Claudia…” Tom si girò con un po’ troppa velocità verso di lui. “…andiamo a trovare Annika!”
“Ci si può andare?” L’interrogò sorpreso Georg.
“Certo, ci sono degli orari…” Rispose Bill, ancora indaffarato. “Ma devo sbrigarmi, Claudia mi aspetta ed ho bisogno di qualcosa per coprirmi… là è pieno di ragazze, sapete…”
“Tieni.” Fece Tom; il cantante si girò e vide il fratello porgergli la propria felpa, era nera e senza particolari scritte.
“Oh, grazie, Tomi!” Ribatté commosso Bill, prendendola. “Ti voglio bene.”
“Sì, dai…” Borbottò l’altro, con un cenno noncurante del capo. “Adesso vai, che fai tardi.” Bill annuì, mentre s’infilava la grande felpa, prima di dirigersi verso la porta, dove lo aspettava Saki.
“Salutaci Annika!” Gli raccomandò Gustav.
“Non mancherò!” Replicò il cantante uscendo.
Claudia avrebbe voluto prendere la propria auto, ma non si discuteva con Saki, come le fece capire lo stringersi nelle spalle di un sorridente Bill, quindi i due ragazzi furono condotti al grande Suv nero abitualmente usato per gli spostamenti della rockstar.

Bill e Claudia erano sui sedili posteriori, mentre l’autista e Saki occupavano quelli anteriori. Il ragazzo, dopo l’iniziale silenzio, decise di iniziare una conversazione. Non era capace di stare in silenzio, specialmente quando era nervoso, quindi tanto valeva togliersi qualche curiosità.
“Senti, Claudia…” Esordì girandosi verso la ragazza, che subito lo guardò sorridente. “…com’è che non ti si vede più in giro, all’Orange, con le ragazze?”
Lei si fece più seria, abbassando il capo. “Beh, ho meno tempo adesso, mi sono rimessa a studiare.”
“Ah, bene!” Commentò Bill. “E che cosa studi?” Le domandò quindi.
“Ecco… a dire il vero devo finire il liceo…” Confessò la ragazza.
“Non ti sei diplomata?” Le chiese sorpreso il cantante.
“No, l’hanno scorso ho mollato prima degli esami, quindi sto cercando di recuperare per dare la maturità l’estate prossima.” Spiegò Claudia.
“Capisco.” Annuì il ragazzo. “Per quale motivo hai lasciato?” L’interrogò poi, con innocente curiosità, mentre stava girato verso di lei sul sedile di pelle.
“Ho… ho lasciato…” Rispose titubante la ragazza, chiaramente imbarazzata. “…per seguire voi in tour…”
“Ohhh…” Si meravigliò Bill, poi fece una smorfia preoccupata. “I tuoi non l’avranno presa bene.” Affermò quindi.
“Malissimo.” Confermò Claudia. “Mia madre si arrabbiò tantissimo e tutt’ora lo è, mio padre, invece, rimase molto male e i nostri rapporti, prima piuttosto affettuosi, si sono raffreddati.”
“Mi dispiace…” Mormorò rammaricato Bill.
“No, non lo fare, non è colpa tua.” Soggiunse immediata la ragazza, posandogli una mano sul braccio. “Non posso incolpare nemmeno Tom, perché le mie decisioni le ho prese da sola.”
“Adesso come va?” Le domandò con delicatezza il cantante, forse riferendosi proprio alla storia con suo fratello.
“Eh, ti ho detto, mia madre ce l’ha ancora con me, però mi sembra che con mio padre le cose stiano migliorando, questa cosa di Annika mi sta aiutando a recuperare un dialogo con lui, gli parlo di nuovo come prima e ne sono molto contenta.” Rispose lei con un sorriso.
“Mi fa piacere.” Ribatté Bill, sorridendo a sua volta. “Ma non mi riferivo a questo…”
“Parlavi di Tom?” Fece Claudia, lui annuì. “Avevo capito, ma ho fatto finta di nulla.” Ammise poi.
“Beh, allora? È davvero finita?” Accennò il ragazzo.
Claudia chinò il capo. “Sì, perché quello che voglio io, lui non me lo può dare e ad inseguire qualcosa che non si raggiungere si sprecano solo energie, del resto non ci s’innamora a comando.” Dichiarò quindi, sconsolata ma decisa.
Bill, che la osservava con dolcezza, allungò una mano e le carezzò i capelli. “Nemmeno si smette di amare, a comando.” Sentenziò poi, con tono pacato.
“Lo so, ma a volte bisogna provarci.” Replicò lei, facendogli un sorrisino amaro. Bill le passò il braccio intorno alle spalle e la strinse amichevolmente.
“Siamo arrivati.” Annunciò Saki in quel momento. Il cantante sussultò sul posto, sorridendo nervoso, allora toccò a Claudia essere rassicurante.

Annika era nella sala comune della casa di accoglienza. Alcune ragazze stavano chiacchierando sguaiate davanti alla tv, altre giocavano a carte, ma lei non aveva ancora fatto molte conoscenze, del resto era lì da poche ore e non era mai stata un tipo socievole. La ragazza stava sfogliando una rivista di quelle del mucchio sul tavolo. Tanto per cambiare era uno di quei giornaletti da adolescenti, pieni di foto, servizi idioti sulla moda, consigli fantasiosi in campo sessuale. E foto dei Tokio Hotel. Annika sospirò, sfiorando con la punta delle dita il profilo di viso di Bill.
“Wögler.” La chiamò una voce, lei alzò il capo dal giornaletto e vide una delle assistenti sulla porta.
“Sì?” Chiese poi sorpresa.
“Ci sono visite per te.” Le annunciò sbrigativa la donna.
“Visite?” Fece la ragazza sinceramente stupita.
“Sì, sbrigati.” Rispose ancora l’assistente, invitandola a seguirla. Annika ripose la rivista e si alzò, mettendo poi a posto la sedia.
“Sei fortunata.” Le disse una delle ragazze sedute vicino a lei e impegnate nella partita a carte, prima che lei uscisse dalla sala. “Qui non viene tanta gente in visita…”
Annika, ancora piuttosto perplessa, seguì la giovane assistente verso l’atrio dell’istituto. Stavano ancora percorrendo il breve corridoio, quando la ragazza vide una figura familiare, avvolta in un piumino giallo sole.
“Claudia!” Esclamò felice.
L’amica fece un gridolino e un saltello, poi corse verso di lei e l’abbracciò d’impeto, ricambiata con calore dall’altra ragazza.
“Annika!”
“Dio, sei venuta, che bello!” Affermò l’altra ancora stretta tra le braccia dell’amica.
“Certo, potevo abbandonarti?” Replicò Claudia, scostandosi appena per guardarla negli occhi con espressione birichina.
“Grazie…” Mormorò Annika commossa.
“Aspetta a ringraziarmi…” Fece lei, strizzandole l’occhio, l’amica la fissò perplessa. “Prima guarda chi ti ho portato.” Aggiunse Claudia, indicandole un punto alle sue spalle.
Annika alzò gli occhi e vide, in fondo all’atrio, una figura alta, un ragazzo in jeans con un’enorme felpa nera, cappellino calato sugli occhi e grandi occhiali da sole. Inconfondibile ben prima che le sorridesse timidamente. Un sorriso appena accennato, ma lo stesso capace di illuminare lo spazio circostante come una piccola galassia. L’emozione fece mancare un battito alla ragazza e quando sentì gli occhi inumidirsi, aggrottò la fronte e s’incamminò veloce verso di lui.
Bill la guardò arrivare e fermarsi davanti a lui. Alzò una mano e le sfiorò il viso, poi lei sorrise e gli passò le braccia intorno al collo, si abbracciarono con forza. Quando si allontanarono un po’, cominciarono a guardarsi a vicenda, come fosse un secolo che non si vedevano.
“Andiamo, baciatevi, so che volete farlo!” Li incitò Claudia, mentre osservava la scena, intenerita da una parte, quasi un po’ invidiosa dall’altra.
Loro si sorrisero, si accarezzarono reciprocamente il viso e, finalmente, si baciarono con trasporto.
“Hey, ho detto baciatevi, non mangiatevi!” Esclamò Claudia qualche istante dopo, quando gli innamorati non accennavano a voler smettere di scambiarsi tenerezze. Bill e Annika si staccarono ridacchiando.
“Come stai?” Domandò a quel punto il cantante ad Annika.
“Sto bene, tu?” Rispose lei.
“Mi manchi…” Piagnucolò lui.
“Anche tu.”
“Sei sicura che stai bene? Questo posto è squallido…” Fece allora Bill, guardandosi intorno.
“Sì, davvero e non è poi così male, è pulito.” Affermò la ragazza tranquilla, forse perché aveva ancora le mani di lui sui fianchi.
“E il cibo, com’è?” Le chiese quindi.
Annika fece un’alzata di sopracciglia. “Beh, mangiabile…” Rispose poi vaga.
“Dimmelo se fa schifo! Ti mando un catering, il migliore della città, stacco un assegno…” Proclamò il cantante, partendo in quarta.
“Bill, ti prego!” Intervenne lei, bloccandolo. “Non farlo, per favore, va bene così.”
“Oh, come t’invidio, tu riesci sempre ad abituarti a tutto!” Sbuffò Bill, continuando a tenerle le mani. “Ho provato a chiamarti, ma il cellulare è sempre spento.” Le disse poi il ragazzo.
“Non posso usarlo, me lo hanno ritirato, lo riavrò solo quando esco.” Ribatté Annika sconsolata.
“Uffa!” Sbottò deluso Bill. “Ah, ma a proposito della tua uscita da qui, Claudia ha qualcosa da dirti.” Annunciò poi, ritrovando il sorriso, quindi fece avvicinare l’altra ragazza con un gesto del braccio, riunendole accanto a se.
“Dimmi.” L’incitò Annika, l’altra sorrise soddisfatta.
“Allora…” Esordì Claudia. “…ho parlato con mio padre e lui sostiene che tu potresti uscire velocemente da qui, ma solo se una persona adulta e responsabile ti prendesse in affidamento fino ai diciotto anni.” L’espressione di Annika si rattristò, non conosceva nessuno che potesse farlo. “Non fare così!” Le disse subito l’amica. “Io sto facendo una sottilissima opera di persuasione perché quella persona sia proprio lui, mio padre!”
“Oh, Claudia è troppo, davvero, io non te lo posso chiedere…” Mormorò Annika commossa.
“Non lo pensare nemmeno, io ti voglio bene e sarei molto felice se venissi a vivere a casa mia.” Replicò l’altra con un sorriso.
“Ohhh, siete adorabili!” Esclamò Bill, stringendole entrambe a se. Loro risero, abbracciando il ragazzo e tra se.

Trascorsero qualche minuto a parlare del più e del meno, delle ragazze ospiti della struttura, qualcuna con storie da far impallidire quella di Annika, del fatto che pensavano lei facesse la prostituta, per via dei suoi abiti firmati, del poster di Bill appeso nella camera. Bill e Annika si tenevano vicendevolmente per la vita, scambiandosi ogni tanto sguardi pieni di tenerezza. La ragazza, però, ad un certo punto, sembrò ricordarsi qualcosa.
Afferrò la mano di Claudia e si rivolse a Bill. “Ci scusi un attimo? Dobbiamo parlare faccia a faccia, cose da donne…”
“Ma certo, fate pure! Io vi aspetto qui!” Acconsentì tranquillo il ragazzo, mentre loro si spostavano di qualche metro, dietro ad una delle colonne dell’atrio.
“Cosa c’è, Annika?” Domandò subito Claudia incuriosita. “Hai bisogno degli assorbenti?”
“Oh, no, in questo momento no…” Rispose subito lei, ma poi si fece pensierosa. “Però, già che ne hai parlato, se me li comprassi…”
“Non c’è problema, te li faccio avere.” Risolse l’altra sorridendo.
“Ma non ti volevo parlare di questo.” Riprese Annika impaziente.
“Ah, e di cosa allora?” L’interrogò l’amica.
“Beh, ecco…” Annika arrossì un po’ e abbassò gli occhi. “Io e Bill lo abbiamo fatto…” Ammise infine, guardando in giro imbarazzata.
“Oh, mio dio!” Strillò Claudia con un saltello.
“Zitta! Ti sente!” Esclamò subito Annika acchiappandola per le braccia. “Non voglio che sappia che te l’ho detto!”
“Uh, scusa!” Fece Claudia, coprendosi la bocca con un sorrisino impertinente. “Ma dimmi tutto, quando è successo? Com’è stato? E lui?” Cominciò ad interrogarla subito dopo.
Annika si aggiustò i capelli, era diventata molto rossa, guardava in basso, muovendo nervosa le mani. “È… è successo stanotte, anzi, meglio dire stamattina presto…” Raccontò infine.
“Vuoi dire che stanotte avete, per la prima e unica volta, fatto l’amore e poi ti hanno portata qui?!” Le chiese stupita l’amica.
“Sì.” Annuì l’altra.
“Oh, quanto è romantico!” Esclamò Claudia, portandosi le mani al viso. “Molto triste, in effetti… ma pazzescamente romantico!”
“A dire il vero, per me è solo piuttosto triste…” Commentò malinconica Annika.
“Dai, non ci pensare!” La rassicurò subito l’amica. “Dimmi tutto, piuttosto!” La incitò poi, provocando una risatina allegra.
Annika, quindi, sorrise timidamente, cercando le parole, poi sospirò. “All’inizio ho sentito male, molto.” Esordì infine, a bassa voce, sotto lo sguardo attento di Claudia. “Dopo però… lui è stato così gentile, attento a me, che alla fine è stato stupendo, Claudia.”
“Che bello!” Commentò l’amica. “Quindi hai provato… piacere?”
“Oh, sì!” Ammise Annika senza vergogna. “Era tutto così nuovo e spaventoso, prima, ma devo dire che è stata una scoperta molto piacevole…”
“Buon per te.” Fece Claudia. “Io la prima volta non ho provato quasi nulla…”
“Davvero?” Soggiunse Annika, l’altra annuì. “Mi dispiace… Ma perché ti è successo?” Aggiunse poi.
“Beh, diciamo che lui è arrivato mentre io ero ancora per strada…” Spiegò Claudia, stringendosi indifferente nelle spalle. “È durato pochissimo, molto deludente.”
“Almeno non hai provato dolore come me…” Asserì Annika.
“Forse avrei preferito, se poi il finale era come il tuo…” Affermò Claudia, alzando le sopracciglia. “Ma quello era solo un cretino con un mignolo al posto del pisello!”
Annika spalancò gli occhi e la bocca, incredula e divertita. “Tu sei veramente pazza!” Esclamò ridacchiando.
Claudia rise, ma poi il suo sguardo si fece più serio e dolce. “Sai, in realtà non credo di aver mai veramente fatto l’amore, prima di conoscere Tom…” Affermò quindi.
L’amica sorrise dolcemente. “A lui lo hai mai detto, questo?” Le chiese poi.
“No.” Rispose Claudia scuotendo il capo. “Che vuoi, pensavo avrebbe potuto credere che volevo qualcosa di più e spaventarsi.”
“Ma tu volevi qualcosa di più.” Si permise di far presente Annika.
“Sì, ma volevo che succedesse naturalmente, solo che, beh…” Si strinse nelle spalle. “…non è successo.”
“Oh, Claudia…” Mormorò dispiaciuta l’amica.
“Lascia stare.” Ribatté pratica l’altra ragazza.
“Ragazze.” Le interruppe una delle assistenti del centro, facendole voltare verso di se. “Il tempo delle visite si sta esaurendo.”
“Grazie, adesso ci salutiamo.” Le disse Annika, prima di tornare a guardare Claudia, che sorrideva allegramente.
“Più che altro devi salutare quel ragazzo…” Le disse l’amica, indicando Bill col pollice. “È sui carboni ardenti!”
Annika rise insieme a lei. “Vado subito.” Annunciò poi. “Ma prima devo ringraziarti di nuovo per tutto quello che stai facendo.”
“Ma figurati! Non è assolutamente necessario!” Replicò Claudia tranquilla. “Se faccio tutto questo è perché ti voglio bene.” Aggiunse con dolcezza.
“Anche io ti voglio bene.” Affermò Annika abbracciandola.
“Dai, su, mi fai commuovere!” Sbottò Claudia, staccandosi da lei e fingendo di non avere gli occhi lucidi. “Vai a salutare il tuo principe.” Le ordinò quindi.
Annika le sorrise con gratitudine, poi la lasciò e corse tra le braccia di Bill, che l’accolse felice, coinvolgendola in un dolce bacio.

Tom entrò cautamente nella stanza. Era buia, se non per la luce azzurrina dello schermo acceso; Bill, però, non stava guardando la tv. Era steso sul letto, fuori dal piumone, girato su un fianco.  Il gemello lo raggiunse, salì sul letto e gattonò fino a lui.
“Hey, come va?” Gli chiese.
Bill girò appena il capo, lo guardò un attimo e poi si rimise nella stessa posizione di prima. “Ho freddo ai piedi.” Rispose infine.
“Beh, ci credo.” Commentò Tom osservando la figura rannicchiata del fratello. “Magari se ti metti sotto alle coperte...” Gli suggerì poi.
“Non ne ho voglia.” Dichiarò Bill con voce stanca.
“Andiamo!” Sbottò spazientito Tom, acchiappando il bordo della coperta. “Smettila di fare il bambino idiota e ficcati sotto sto cazzo di piumone, prima che mi arrabbi sul serio! Che cazzo facciamo se ti ammali di nuovo, eh?!”
Bill lo guardò imbronciato e cupo, sbuffò scocciato, poi gli strappò di mano il lembo della trapunta e si ficcò dentro il letto con una pantomima assurda, continuando a fissare torvo il fratello. Tom seguì tutta l’operazione di gambe e braccia con un’espressione perplessa, cercando di trattenersi dallo scoppiargli a ridere in faccia.
“Te stai veramente male.” Sentenziò infine, sarcastico.
Ma gli occhi di Bill si fecero tristi e lacrimosi a quelle parole. “Sì, Tomi, sto malissimo!” Dichiarò poi. “Annika mi manca tanto!”
“Dai, su…” Fece Tom, improvvisamente pentito della sua uscita. “Non volevo scherzare su quello…”
“Lo so.” Annuì il fratello, prima di sospirare. “Ah, mi dimenticavo.” Aggiunse poi, voltandosi un po’ verso l’altro. “Annika ti ringrazia per il regalo…” Buttò lì, scrutando con un sorrisino furbo la reazione di Tom.
Lui arrossì appena e chinò gli occhi. “Le è piaciuto?” Chiese poi, fingendo disinteresse.
“Molto.” Rispose Bill annuendo. “Del resto le hai riempito l’mp3 con tutti i nostri pezzi acustici, compresi alcuni di quelli più nuovi…” Tom, intanto, fingeva di guardare il telegiornale. “Perché non me lo hai detto, Tomi?”
“Uff…” Sbuffò infastidito l’interpellato, poi però guardò il gemello.
“Non ti devi vergognare con me.” Affermò Bill tranquillo, sorridendogli con affetto.
“Io non mi vergogno!” Sbottò Tom.
“Smettila di dirlo, lo so che è così, non racconti balle a me, grand’uomo!” Replicò il fratello, dandogli una piccola spinta.
A Tom sfuggì una risatina trattenuta. “Ok… Volevo che si ricordasse sempre di noi, anche lontana, così ieri notte le ho caricato le canzoni sull’i-pod e stamattina glielo ho messo nella borsa, ho pensato che le facesse piacere…”
“Le ha fatto davvero tanto piacere, sei stato adorabile.” Confermò Bill. “E hai stupito molto anche me!” Aggiunse, mentre tentava di pizzicargli un fianco.
“Dai, smettila!” Esclamò Tom, schizzando via dalla sua presa; Bill scoppiò a ridere.
Risero per un po’, facendosi il solletico e alla fine crollarono sul letto. Tom era contento di aver distratto, almeno per un po’, Bill dai suoi tristi pensieri. Ora erano stesi accanto, la mano del cantante che teneva ancora il polso del fratello. L’atmosfera era decisamente più seria.
“Non riesco a pensare a quello che è successo ad Annika, è davvero orribile.” Affermò Tom, dopo qualche minuto di silenzio, Bill annuì.
“Ci pensi se fosse capitata a noi, una cosa simile?” Fece quindi, cercando gli occhi del gemello.
“Mamma lo avrebbe ucciso, uno come quello.” Proclamò il chitarrista. L’altro confermò ancora con un cenno del capo.
“Ho paura che la madre di Annika sia molto diversa dalla nostra.” Soggiunse però Bill. “Ad ogni modo, domattina il padre di Claudia va da lei con l’ispettore Hausmann, perché faccia la denuncia.”
“Molto bene, è un bel passo avanti.” Sostenne Tom.
“Lo so e vorrei essere lì, però domani abbiamo un incontro con quelli della casa discografica…” Soggiunse tristemente Bill.
“La vedrai domani sera.” Lo rassicurò il fratello, ormai conoscevano gli orari di visita.
“Sai, temo che domani sera ci saranno i suoi, arrivano da Bonn…” Raccontò l’altro, guardandolo con espressione preoccupata.
“Allora devi esserci.” Ribatté sicuro Tom.
“Non dubitare.” Rincarò Bill. “Non la lascio certo da sola con quel tizio di nuovo.” Asserì deciso. “Anche se ci sarà l’avvocato, lei ha bisogno di me…”
“Che tipo pensi che sia?” Domandò allora il gemello, guardandolo di sottecchi.
“Un’animale di sicuro!” Esclamò subito Bill. “Uno che fa una cosa del genere ad una ragazza indifesa!”
“Intendevo l’avvocato.” Fece Tom tranquillo.
“Oh… beh, non lo so, però mi sono informato sul suo lavoro, lo studio Hohenbaum, Loeb e Associati è uno dei più prestigiosi di Amburgo.” Rispose l’altro. “Sembra che sia molto rispettato nell’ambiente e che guadagni un sacco…” Mentre terminava la frase, scrutò distrattamente il fratello, aveva intuito che c’era qualcos’altro dietro alle sue curiosità. “Avresti mai detto che Claudia viene da una così buona famiglia?” Insinuò infatti.
“Eh?” Fece Tom, cadendo dalle nuvole. “Credo di sì, ci sono dei momenti in cui viene fuori qualcosa… non ti saprei spiegare…” Aggiunse poi, ricordando la domanda.
“Ho capito.” Annuì Bill.
“Insomma, a volte, quando non fa la tamarra, riesce a parlare molto bene, si sente che ha frequentato buone scuole.” Rincarò il chitarrista.
“Tom.” Lo chiamò però il gemello, l’altro si girò, smettendo di fissare il televisore. “Ci hai più parlato con Claudia?” Gli chiese.
“No.” Negò Tom, scotendo il capo. “Cosa avrei potuto dirle?”
“Avresti potuto chiederle scusa.” Ribatté Bill.
Tom si grattò nervoso la fronte. “Forse avrei dovuto chiederle scusa.” Ammise infine.
“Dimmi che ci proverai.” Lo pregò il fratello.
“Se avrò l’occasione, ci proverò, tranquillo.” Replicò l’altro con espressione pensierosa.
Tom, in cuor suo, sapeva che Claudia non si era meritata il modo in cui lui l’aveva trattata, ma per troppo tempo l’aveva considerata solo una come le altre, una delle tante ragazze pronte a tutto per passare del tempo con lui. Sarebbe stato stupido a non accorgersi che lei provava qualcosa, però aveva preferito non vedere, non sentire, non provare su di se il riflesso di quel sentimento. Il senso di colpa, ora, ce lo aveva lo stesso e, forse, chiederle scusa sembrava la sola cosa giusta da fare.
“Bene, adesso me ne vado a dormire.” Dichiarò Tom alla fine della propria riflessione, facendo per alzarsi dal letto del fratello.
Bill gli afferrò il polso. “Resta qui, Tomi.” Lo supplicò.
“Su! Non sono il tuo orsetto della buona notte!” Protestò il fratello, comunque sorridendo.
“No, sei il mio fratellone…” Ribatté il cantante, sfoderando uno dei suoi sguardi irresistibili. “Dai, resta a farmi compagnia…”
Tom lo fissò per qualche secondo, deprecando la propria incapacità di dirgli no, poi sospirò arreso. “Ok, ma niente abbracci e sbaciucchiamenti, bene?”
“Va bene!” Acconsentì entusiasta Bill con un sorrisone.
Il chitarrista, allora, scostò il piumone s’infilò dentro, assaporando il tepore del letto, poi respirò profondamente, stendendosi supino. Passati neanche trenta secondi, si ritrovò Bill appiccicato, che lo stringeva per la vita e accomodava il capo sulla sua spalla.
“Hey, ma non avevamo detto…” Esordì Tom, iniziando il rimprovero.
“Solo un minutino!” Lo interruppe il gemello. Tom sbuffò sconsolato, poi però alzò la mano e carezzò i capelli di Bill, che un attimo dopo già dormiva.

Il padre di Claudia era un bell’uomo. Alto, non appariscente, capelli castani appena brizzolati sulle tempie, elegante nel suo completo grigio, rallegrato da una cravatta rosa antico. Sorrise ad Annika, dopo che si furono seduti uno davanti all’altra in una saletta dell’istituto.
“Come vi siete conosciute, tu e Claudia?” Le chiese; aveva una bella voce che doveva risultare decisamente autorevole nelle aule del tribunale.
“Beh…” Esordì titubante la ragazza. “…amici comuni, diciamo.”
“Parli di quei quattro capelloni per cui mia figlia ha lasciato la scuola?” Ribatté l’uomo con una certa acidità. Annika sorrise, ripensando alle volte in cui Claudia le aveva parlato delle sue discussioni, soprattutto con la madre, a proposito dei Tokio Hotel, ma anche il padre, pur non urlandole addosso, doveva averla presa proprio male.
“Sì, proprio loro.” Annuì poi.
“Scusa.” Fece l’uomo, alzando le mani. “Non volevo in qualche modo offenderti, ma questa cosa ha creato diversi problemi in famiglia.”
“Non si preoccupi, capisco, ne abbiamo parlato con Claudia.” Replicò tranquilla Annika con un sorriso; lui replicò allo stesso modo, i suoi occhi scuri erano uguali a quelli dell’amica.
“Dimmi, Annika, hai una storia con uno di quei ragazzi?” Le chiese quindi, con delicatezza.
Lei abbassò gli occhi, come faceva sempre quando era in imbarazzo. “Sì, ehm… io sono innamorata di uno di quei ragazzi.” Rispose infine, sincera.
“Spero con tutto il cuore che ti ricambi.” Annika confermò annuendo. “Bene…” L’uomo esitò un secondo, poi guardò la ragazza negli occhi. “So che non dovrei chiedertelo, che dovremmo parlare del tuo problema, ma sono un padre e…”
“Mi chieda pure, se posso le risponderò.” Soggiunse disponibile la ragazza.
“Annika, sinceramente, che tu sappia, anche Claudia ha, o ha avuto, una storia con uno di loro?” Le domandò infine, non senza una certa titubanza.
Oh, di certo la relazione di Claudia con Tom poteva senz’altro essere definita storia. Da romanzo. Annika decise che, con il padre dell’amica, era inutile entrare in particolari che solo le mura della camera da letto avrebbero dovuto sapere e scelse di essere diplomatica.
“Ha frequentato uno dei Tokio Hotel, sì.” Rispose quindi.
“Adesso si sono lasciati?” S’informò Hohenbaum.
“Mh, è complicato… diciamo che non sono mai stati veramente insieme…” Affermò lei, torturandosi le mani.
“Ok, va bene, non voglio sapere più niente!” Esclamò l’uomo alzando le mani. “È difficile, per un padre, accettare che la propria figlia è cresciuta.” Ammise poi, con un sorriso amaro.
“Posso immaginare.” Commentò Annika. “Però vorrei che mio padre ci fosse.” Aggiunse sorridendo con tristezza.
Werner Hohenbaum le risolve uno sguardo comprensivo, molto simile a quelli di sua figlia, poi le prese la mano. La sua era grande, calda e asciutta, rassicurante, come deve essere quella di un padre. Come quella che mancava da troppi anni ad Annika e lei si commosse un pochino. Alzò gli occhi su di lui e gli sorrise riconoscente.
“Ti va di raccontarmi la tua storia, Annika?” Le chiese e lei annuì. “Quando avremo finito, se te la sentirai, chiameremo l’ispettore Hausmann, va bene?”
“Sì, voglio farlo.” Rispose la ragazza, annuendo con insistenza. “Non posso scappare ancora.” Aggiunse decisa, rincuorata dalla stretta gentile dell’avvocato. Lui le sorrise, pronto a raccogliere il triste racconto.   

Quando la ragazza terminò di esporre la situazione, l’avvocato sopirò e si massaggiò pensieroso il mento. Durante il racconto si era segnato i punti salienti su un blocco giallo, su cui ora batteva la penna; infine lasciò l’oggetto e sorrise ad Annika.
“Prima di tutto, voglio che tu sappia che ti sono vicino, umanamente; a nessuno dovrebbe capitare una cosa simile, senza contare che hai l’età di mia figlia e quindi mi sento particolarmente colpito.” Le disse, mentre lei aggiustava un ciuffo di capelli dietro l’orecchio. “La cosa più importante che devi fare ora, Annika, è la denuncia, in questo modo ti proteggerai da quell’uomo e non sarai costretta a tornare a casa.”
“Capisco.” Annuì la ragazza.
“Il tuo patrigno verrà arrestato e, anche se non ti posso garantire che resterà in prigione, almeno sarà lontano da te e da qualsiasi altra ragazza per un po’.” Annika ascoltava attenta. “Devo essere sincero, però.”
“Lo sia, la prego.” Lo incitò lei.
“Non credo che potremo fare molto, probabilmente non riusciremo neanche ad arrivare al processo…” Affermò serio Werner.
“Me ne rendo conto, non ci sono prove in fondo, quello che m’interessa è il tempo, Herr Hohenbaum.” Spiegò Annika. “Tra meno di un mese compirò diciotto anni e, allora, sarò padrona della mia vita, m’interessa solo stargli lontano fino a quel momento.”
Lui la guardò quasi con ammirazione. “Sei una ragazza coraggiosa, Annika.” Le disse quindi.
“Non so se lo sono.” Dichiarò lei abbassando gli occhi. “So soltanto che a volte le cose vanno fatte e basta.” Aggiunse stringendosi nelle spalle.
“Sai…” Fece Werner, scostando la giacca ai lati della sedia e poi tornando a rivolgere l’attenzione alla ragazza. “…quando Claudia mi ha proposto di chiedere il tuo affidamento, ti confesso che ero piuttosto scettico, ma adesso che ti ho conosciuta penso che tu sia una ragazza che merita una possibilità.” Le confessò quindi.
“E… allora?” Chiese confusa Annika.
“E allora credo proprio chiederò che tu mi sia affidata dal tribunale dei minori.” Rispose l’avvocato, sorridendole dolcemente.
“Oh, grazie!” Esclamò la ragazza. “So che sono ripetitiva, ma non potrò mai ringraziarla, né lei né Claudia, state facendo troppo per me!”
“Scherzi? Tu hai fatto tornare in carreggiata mia figlia, sono io che non posso ringraziarti.” Replicò l’uomo, poi posò la mano sulla sua di nuovo. “Che ne dici se ora chiamiamo l’ispettore?”
“Sì, sono pronta.” Annuì lei. Werner le sorrise e si alzò per andare fuori a chiamare il poliziotto.
La ragazza sopirò. Ora non si tornava più indietro. Si disse che lo faceva per se stessa, per la sua esistenza, per il suo amore. La sua vita l’aveva presa in mano tempo fa, adesso era il tempo di far diventare quel passato solo un ricordo.

Claudia parcheggiò la macchina, poi rimase qualche secondo ferma con le mani sul volante. L’ultimo mese era stato veramente intenso. Non pensava che conoscere una persona potesse cambiare tanto la sua vita. Prima pensava che tutto andasse per il meglio, la sua vita si divideva tra locali, feste, viaggi per raggiungere i concerti, pass per i backstage, camere d’albergo.  E Tom. Giorni passati a fare finta di non provare quel vago senso d’insoddisfazione, quel desiderio di essere amata come lei amava. Notti trascorse tra le braccia di Tom, persa nei suoi sospiri, braccata dalle sue mani, divorata dai suoi baci, senza nessun pensiero. E poi. Poi aveva conosciuto Annika che, con la sua determinata dolcezza, la severità, la concretezza e quel suo essere timida ma comunque forte, aveva scardinato metodicamente tutte le sue certezze e adesso Claudia si sentiva una persona nuova. La ragazza non aveva certo risolto tutti i suoi dubbi (perché a quel bellissimo bastardo di Tom ci pensava ancora), ma era certa di essere pronta ad andare avanti.
Prese un lungo respiro, quindi afferrò la borsa e scese dalla macchina. Faceva freddo e nell’aria c’era quel tipico odore di quando sta per mettersi a nevicare. Lei sorrise e s’incamminò verso casa. Claudia si diresse al portone, ma proprio non si sarebbe aspettata di trovarci una particolare persona…

Tom era a pochi passi da lei, appoggiato ad un lampione, vicino alla sua macchina parcheggiata, fumava in silenzio. La ragazza si fermò, spalancò stupita la bocca, poi strinse a se la borsa e camminò velocemente verso le scale di marmo del suo palazzo, cercando d’ignorare il chitarrista.
“Claudia, aspetta!” La chiamò però lui, seguendola.
“Che cosa vuoi?!” Sbottò la ragazza, girandosi di scatto, un tono leggermente frustrato nella voce.
Tom assunse un’espressione turbata e aggrottò la fronte. “Sei di fretta o hai cinque minuti per parlare con me?” S’informò quindi.
“E di che cosa vorresti parlare, scusa?” Replicò lei, quasi intimorita.
“Di… di come ci siamo… lasciati…” Rispose Tom titubante ed era davvero raro vederlo così.
“Ah…” Fece lei stupita. “Va bene…” Acconsentì poi.
“Forse è meglio salire in macchina, qui fa freddo…” Suggerì allora il ragazzo, indicando la sua Cadillac.
“No.” Rispose immediata Claudia. “Preferisco non salire sulla tua auto.” Aggiunse decisa.
“E perché?” L’interrogò lui perplesso.
“Evidentemente non te ne ricordi, però…” Spiegò la ragazza. “…la prima volta lo abbiamo fatto in macchina.”
“Oh, capisco…” Commentò Tom, poi abbassò gli occhi arrossendo. “Ad ogni modo si gela…” Mormorò poi, continuando a fissarsi la punta delle scarpe.
“Dentro… dentro c’è un cortile interno.” Affermò Claudia, indicando il portone. “Penso che lì si stia un po’ meglio.” Tom annuì e la seguì sulle scale.
La ragazza aprì il portone verde. Tom riconobbe il suo portachiavi, era uno dei pochi regali che le aveva fatto: una piccola chitarra d’argento con la cassa di smalto giallo; poche decine di Euro per ricevere in cambio un sorriso felice. Si ricordò anche di essere stato contento di riceverlo, quel sorriso. Sorrise brevemente, tra se.
Seguì Claudia dentro l’androne semibuio e poi oltre una porta a vetri dall’intelaiatura di ferro battuto, fino ad un giardino interno ben tenuto. Anche lì faceva freddo, ma decisamente meno che all’esterno.
“Allora, che cosa eri venuto a dirmi?” Chiese la ragazza, fermandosi davanti a lui e stringendo convulsamente la borsa.
“Io…” Tom era sorprendentemente imbarazzato, lei non ricordava di averlo mai visto così. “Claudia, in realtà, io sono qui per chiederti scusa.” Esalò infine il chitarrista, tutto d’un fiato.
La ragazza, incredula, lasciò la propria borsa, che le scivolò giù dalla spalla, cadendo a terra con un tonfo sordo. Tom l’aveva stupita spesso, ma questa era decisamente la volta più sorprendente. Le stava chiedendo scusa? Tom Kaulitz?! Santo cielo… Il cuore le fece un balzo fino alla gola, cominciando a trapanarle la trachea. Ma perché lui continuava a farle quell’effetto?!
“Vuoi… vuoi chiedermi scusa?” Balbettò infine Claudia smarrita.
“Sì.” Annuì deciso Tom. “Non pensare che non abbia capito di essere stato orribile con te, ti ho trattata malissimo, mi sono approfittato di te, senza volere all’inizio, cioè… è il mio solito modo di fare, ma non mi ero reso conto che ti facevo soffrire, perché… perché tu…” Parlava nervosamente, movendo senza posa le sue lunghe mani eleganti e guardando in giro, pur di non fissare lei; infine, alzò gli occhi sulla ragazza. “Claudia, io davvero non volevo, ma… ho sempre pensato che le ragazze intorno a me volessero solo una certa cosa ed ero ben felice di dargliela, senza impegno…” Si strinse nelle spalle. “…non ho mai pensato che qualcuna potesse… potesse…”
“Non dirlo, ti prego.” Lo bloccò lei alzando una mano. “Sto cercando di superare la cosa…”
“Claudia, sinceramente, con tutto il cuore, mi dispiace.” Affermò rammaricato Tom, allungando una mano per toccarle il braccio, ma lei fece un passo indietro. Il suo viso, contratto in una smorfia dispiaciuta, era bello e stranamente fragile, quasi più maturo e segnato dei suoi vent’anni.
“Non ho dubbi che ti dispiaccia, però…” Mormorò lei, con espressione scettica.
“Sì, lo so.” L’interruppe lui. “Le ferite non guariscono così, solo con delle scuse.” Aggiunse con un sorriso amaro.
“Già.” Confermò Claudia annuendo.
“Io ti capisco se non vuoi perdonarmi.” Le disse quindi, comprensivo e con tono dolce. “Non sono venuto a cercare il perdono o a chiederti di tornare, ma dovevo chiederti scusa.”
Claudia abbassò gli occhi e Tom fece altrettanto. Il ragazzo, a dire il vero, era andato lì senza troppe speranze. Non era così stupido da pensare che lei gli avrebbe concesso il perdono tanto facilmente, ma, allo stesso tempo, non voleva che Claudia semplicemente gli gettasse le braccia al collo e facesse tornare tutto come prima, solo perché lui le aveva fatto gli occhi dolci. No, stavolta non voleva puntare sul fascino che sapeva di esercitare su di lei. Per una volta voleva fare la cosa giusta e basta, anche col rischio che andasse male.
Claudia, nel frattempo, stava riflettendo, mentre osservava la punta delle proprie scarpe. Quello che aveva ottenuto da Tom era al di sopra della sua immaginazione, però… Però lui era sempre Tom e lei aveva sofferto troppo a causa sua per passarci sopra. E sembrava essersene accorto anche lui. Non le restava che parlargli francamente.
“Tom…” Lo chiamò con un filo di voce, lui alzò immediatamente gli occhi. “Io… io accetto le tue scuse e… ti perdono anche…” Tom socchiuse le labbra, sorpreso.
“Claudia…” Tentò il ragazzo, ma lei alzò una mano bloccandolo.
“Non tornerò alla vita di prima.” Affermò decisa.
“Non te l’ho chiesto e nemmeno lo voglio!” Replicò immediato Tom.
“Bene… pe… perché io…” Riprese Claudia balbettante. “…ho ricominciato a studiare, voglio diplomarmi e andare all’università, avere una casa mia e…”
Tom sorrise del suo tono concitato, come se quasi avesse timore che lui le chiedesse qualcosa. Claudia osservò quel sorriso, era sincero come poche volte lo erano quelli di Tom e gli rendeva gli occhi un po’ lucidi. Era semplicemente bellissimo.
“Non preoccuparti, Claudia.” Le disse. “Io desidero soltanto che tu possa vivere la tua vita come più ti piace ed essere felice.” Aggiunse dolcemente.
La ragazza si vergognò della propria uscita e arrossì, stringendosi nelle braccia. “Scusa… non volevo…” Soffiò quindi, prima di mordersi la punta del pollice. “Anche io voglio che tu sia felice.”
Il chitarrista sorrise di nuovo, sereno. “Allora… amici come prima?” Le chiese infine.
Claudia fece una smorfia ironica, roteando gli occhi. “Noi non siamo mai stati amici, Tom.” Affermò quindi. “E adesso che so cosa vuol dire avere un amico davvero, lo posso dire senza problemi.”
“Annika ci ha cambiati un po’ tutti, eh?” Soggiunse il ragazzo.
“Sì, e credo sia una cosa stupenda.” Rispose lei.
“Già.” Annuì Tom. “Così… che altro dire…” Aggiunse incerto, non sapendo come continuare.
“Penso che ci siamo detti tutto.” Ribatté tranquilla Claudia. “Non resta che salutarci.”
“Ci vediamo, Claudia.” Fece allora il ragazzo.
“Sì, a presto.” Salutò lei.
Un imbarazzante saluto con la mano seguì quelle poche parole e rientrarono nell’androne. Claudia si diresse verso le scale, mentre Tom verso l’uscita, ma entrambi sentivano che non poteva finire così. Si fermarono, si voltarono...
“Tom!”
“Claudia!”
Si guardarono e risero piano, poi si riavvicinarono uno all’altra. Ora sorridevano imbarazzati, senza sapere come fare a salutarsi nel modo migliore. Claudia, infine, sollevò una mano e la passò sulla nuca di Tom con una delicata carezza, tirandolo verso di se. Lui si lasciò condurre fino alle sue labbra. Fu un dolce bacio a fior di labbra, che andò avanti per qualche minuto. Quando terminò, si sorrisero e Tom le carezzò i capelli.
“Ciao, piccola.” Le disse il ragazzo, allontanandosi appena.
“Ciao, bellissimo.” Rispose lei, dirigendosi all’indietro verso le scale.
Continuarono a guardarsi finché il portone e la porta dell’ascensore non si chiusero sulle rispettive facce. Qualunque cosa ci fosse stata tra loro era finita. Se fosse cominciato qualcos’altro, sarebbe sicuramente stato del tutto diverso.  

Annika, sdraiata sul proprio letto, leggeva un libro, lo aveva preso dalla biblioteca del centro; non era fornitissima, ma qualche buon titolo lo si poteva trovare. Presa dalla lettura, sussultò quando bussarono alla porta.
“Avanti.” Invitò la ragazza mettendosi seduta.
Martha, una delle assistenti, la più simpatica, fece capolino alla porta con un gran sorriso. “Annika, ti stanno aspettando.” Le annunciò.
La ragazza sbiancò. Che sua madre e quell’uomo fossero già arrivati? Guardò l’orologio, mancava poco alle cinque, l’orario era compatibile con quello ipotetico di arrivo che le aveva comunicato la signorina Ganz. Dio, aveva sperato che sarebbe arrivato prima l’avvocato Hohenbaum! Sembrava invece che avrebbe dovuto affrontare tutto da sola. Sospirò sconsolata, riponendo il libro.
“Vengo subito.” Affermò poi.
“Ok, bella!” Rispose Martha, prima di scomparire nel corridoio.
Annika si alzò, aprì l’anta dell’armadio che nascondeva uno specchio; aggiustò i capelli, il maglioncino rosso e accomodò sui fianchi la cintura mega borchiata regalo di Bill. Non si sentiva pronta, ma nella vita spesso non lo si è, nel bene e nel male. Aprì la porta ed uscì dalla stanza a testa alta.
La ragazza, però, arrivata nel corridoio che conduceva all’atrio, si rese conto che ad aspettarla non c’era chi pensava di trovarci. C’era Bill, invece. Cappellino, occhiali da sole, capelli legati in un codino, felpa bianca sotto alla giacca di pelle nera. Lui la vide, sorrise e la salutò con la mano e lei si sentì improvvisamente sollevata. Ora non era più sola.
Annika corse incontro a Bill, abbracciandolo alla vita; il ragazzo corrispose con tenerezza. Rimasero così per un po’, quindi si baciarono brevemente, guardandosi negli occhi.
“Sei venuto…” Mormorò commossa la ragazza.
“Non ti avrei mai lasciata sola.” Replicò Bill carezzandole i capelli. “E puoi stare tranquilla, mi sono portato Saki, nessuno ti metterà un dito addosso!” Aggiunse pimpante, indicando il body guard, che lei salutò con la mano.
“Sei un adorabile pazzo.” Fece poi Annika, prima di stringersi nuovamente a lui.
“Questo e altro per la mia Pippi!” Dichiarò soddisfatto il cantante, rispondendo all’abbraccio. “Ah, Tomi e i ragazzi ti salutano.” Aggiunse poi.
“Oh, mi mancano tanto! Ringraziali!” Rispose Annika.
“Anche tu manchi a tutti.” Soggiunse Bill, cullandola tra le braccia. “Spero che si sistemi tutto presto…” Piagnucolò quindi.
“Se il padre di Claudia riuscirà ad ottenere il mio affidamento, potrò uscire da qui, è già qualcosa no?” Ribatté la ragazza.
“Sarebbe meraviglioso, Annika!” Proclamò il cantante, prima stamparle un bacio in fronte; lei rise, incrociando le mani sulla sua schiena sottile.

Erano ancora così, abbracciati che ridevano sommessamente, felici anche solo di essere insieme, quando dei rumori dall’entrata attirarono la loro attenzione. Si girarono in quella direzione, continuando a tenersi reciprocamente per la vita.
Una donna era entrata di prepotenza dalla porta a vetri e si era diretta al piccolo banco della segreteria, seguita da un uomo; adesso stava sbraitando con l’addetta. Annika si strinse a Bill, il quale abbassò gli occhi per guardarla in faccia. Sembrava spaventata.
“È mia madre, quella e l’altro… è lui.” Mormorò la ragazza. Bill guardò i due, poi di nuovo lei e la strinse a se, baciandole la fronte. “Speravo arrivasse l’avvocato Hohenbaum prima…” Si lamentò quindi lei, con gli occhi fissi sull’entrata.
“Tranquilla, Annika, ci sono io.” La rassicurò il cantante, lei gli fece un sorrisino tirato.
Continuarono ad osservare la scena al banco della segreteria, finché non videro l’assistente indicare proprio loro. La madre di Annika si girò in quella direzione, li fissò severa un attimo e poi li raggiunse velocemente.
Era una donna alta, bionda, decisamente più formosa di Annika, ma qualcosa nei loro lineamenti faceva inequivocabilmente capire che erano madre e figlia. La sua espressione, però, sembrava decisamente arrabbiata.
“Annika, santo cielo!” Esclamò fermandosi davanti a lei. “Dio mio, pensavamo che fossi morta!” L’uomo che l’accompagnava, nel frattempo, l’aveva seguita.
“No, mamma, sto bene…” Rispose la ragazza titubante, osservando il patrigno con la coda dell’occhio. Anche Bill controllava la situazione, tenendosi ben stretta Annika.
Il suo sguardo incrociò quello del patrigno della ragazza, era ostile. Se anche Bill sovrastava l’uomo di almeno dieci centimetri, l’altro era decisamente più robusto, muscoloso, dall’aria rude, i capelli corti e brizzolati, la pelle scura. Ma il ragazzo non si fece intimorire. Era abituato a fronteggiare orde di folla, figuriamoci se abbassava gli occhi davanti ad un vile molestatore!
“Quando tua zia ci ha detto di averti vista su una rivista in compagnia di… gente famosa, pensavamo che si fosse sbagliata e invece…” Riprese la donna che, durante la frase, spostò gli occhi su Bill. “Questa persona chi è?” Chiese quindi, indicandolo con aria diffidente.
“Lui è Bill.” Lo presentò Annika, stringendogli poi la mano. “Bill, ti presento mia madre Anne.”
“Piacere…” Fece il ragazzo porgendole la mano, ma lei non la strinse, anzi si ritirò un po’.
“È uno di quei rockettari con cui l’ha vista tua sorella.” Intervenne nel frattempo il marito, aprendo bocca per la prima volta. Bill lo fulminò con gli occhi.
“Lui…” Sottolineò però Annika decisa, stringendo con forza la mano di Bill. “…è la persona che mi è stata più vicino, in questo ultimo periodo.”
“Ma si può sapere che cosa hai combinato, in questi mesi?” La interrogò con violenza la madre. “Io è Rudolf ci siamo preoccupati da morire!”
Sì, certo, come no, lui si sarà preoccupato di non avere più a disposizione qualcuno da infastidire… pensò Bill con disgusto.
“Ma non è abbastanza chiaro, Anne?” S’intromise l’uomo, con tono saccente. “Non vedi che si è trovata il ragazzino ricco che l’asseconda?” Insinuò quindi. “Scommetto che a questa mezza checca gliela ha anche data!”
Annika si coprì la bocca, cercando di non mettersi a piangere, ma Bill la sostenne, circondandole di nuovo la vita con il braccio.
“Non le permetto di parlarle così.” Proclamò deciso, fissando Rudolf negli occhi. “Di offenderla e di offendere me.”
“Perché, che mi fai, eh?” Lo provocò l’uomo, con un ghigno antipatico.
Bill si sporse verso di lui. “La ricopro di querele, avvocati e ricorsi, dovrà invecchiare in tribunale.” Replicò quindi, minaccioso. “Lei non ha idea di con chi sta parlando.”
“Ma senti senti…” Ribatté l’altro, incrociando le braccia.
“Deve solo riprovarci…” Sibilò Bill.
“Adesso basta!” Sbottò Anne. “Annika, questa cosa è finita, adesso torni a casa con noi e poi ne parleremo in privato!” Disse poi alla figlia.
“No, mamma!” Esclamò la ragazza, negando col capo. “Io a casa non ci torno!”
“Perché?!” Gridò la madre, facendo sussultare Annika.
“È ovvio!” Fece Rudolf. “Deve restare qui, da brava puttanella qual è, a farsi scopare da questo cantante da strapazzo!” Aggiunse, poi rivolse uno sguardo scettico a Bill, dall’alto in basso. “Sempre che abbia l’attrezzatura necessaria…” Ironizzò quindi.
Bill lo fissava con occhi gelidi. “Avrà notizie dai miei avvocati.” Commentò soltanto, glaciale.
“Annika, adesso guardami.” Pretese la madre, prima di strattonare la figlia per un braccio; lei alzò gli occhi in quelli della donna. “Vuoi spiegarmi per quale motivo sei scappata di casa e proclami di non volerci tornare?” Chiese allora Anne.
Annika la fissò per un lungo istante, poi spostò gli occhi su Rudolf; prima di tornare a guardare la madre, cercò supporto nel viso di Bill, che le sorrise nel modo più rassicurante che gli fosse possibile, date le circostanze.
“Se vuoi sapere il motivo, beh, te lo dico.” Affermò infine, ferma. “Quest’uomo…” Indicò il patrigno. “…ha cercato di stuprarmi.”
Calò un gelido silenzio, sguardi increduli, fintamente sorpresi, spaventati e sollevati, passarono tra le quattro persone.
“Annika, ma ti rendi conto di che cosa stai dicendo?!” Esclamò infine la madre.
“Mi vuoi infangare, troietta bugiarda!” Rincarò Rudolf quasi nello stesso momento.
“Non si permetta!” Reagì Bill, frapponendosi tra lui e Annika. “E lei, signora, come può sopportare che offenda sua figlia in questo modo!”
“Perché ha ragione!” Sbottò Anne. “Annika è un’adolescente problematica e bugiarda, ha sempre raccontato fandonie su Rudolf!” Aggiunse.
La ragazza e il cantante si guardarono; lei aveva gli occhi pieni di lacrime e un’espressione delusa e ferita.
“Sapevo che non mi avrebbe creduto…” Mormorò tristemente; Bill aggrottò rammaricato la fronte strinse Annika per le spalle.
Il ragazzo avrebbe voluto risolvere quella situazione tremenda, portarla via da lì, far sparire quelle due persone in un gesto, farle uscire dalla vita di Annika e renderla finalmente felice. Ma lui non era un mago, era solo il cantante di una band di capelloni…
Bill guardò, allora, la donna negli occhi. Era serio ed il suo sguardo era accusatorio. “Si vergogni, signora Wögler, come può non credere a sua figlia?” Le chiese quindi.
“Prima di tutto, il mio cognome è Buchner.” Precisò lei impettita. “Secondo, mi permetto di dubitare di Annika perché non è la prima volta che dice bugie su mio marito…” Continuò nervosa. “…e terzo, saresti tu a doverti vergognare ad andare in giro conciato così!” Bill spalancò la bocca incredulo, ma non poté replicare, perché intervenne Rudolf.
“È vero!” Esclamò l’uomo. “È proprio un pagliaccio!” Infierì poi.
“Non credo che un molestatore di minorenni, possa permettersi di giudicare me.” Fece Bill, sporgendosi verso l’uomo, mentre sentiva di stare per perdere la pazienza.
“Bill!” Lo supplicò Annika, tenendolo per un braccio.
“Io dico quello che mi pare, non mi faccio zittire da una specie di travestito canterino, solo perché si scopa la mia figliastra psicopatica!” Replicò però l’uomo.
“Smettetela!” Gridò Annika.
“La smetto subito.” Accettò Bill stranamente calmo. “Ma pretendo che voi due ve ne andiate, adesso.” Aggiunse fermo, indicando Anne e Rudolf.
La donna spalancò gli occhi totalmente stupita. “Oh, ce ne andiamo eccome, ma Annika viene con noi!” Annunciò poi, afferrando la ragazza per un braccio.
“No, mamma, lasciami!” Reagì lei, cercando di divincolarsi.
“La lasci!” Intervenne Bill, prendendo il braccio di Anne.
“Non toccare mia moglie!” Sberciò Rudolf, dando una spinta al ragazzo, che barcollò indietro.
“Ora… basta.” S’intromise una voce calma, mentre una figura alta e vestita di nero si metteva davanti al cantante.
“E tu chi diavolo sei?!” Sbottò Rudolf.
“La mia guardia del corpo.” Rispose Bill.
“Se vuole ce n’è anche un’altra fuori in macchina.” Soggiunse Saki, fissando l’uomo negli occhi.   
“Non credo che sarà necessario, signori.” Tutti si girarono verso la voce che aveva parlato e videro arrivare Werner Hohenbaum, accompagnato dall’ispettore Hausmann e dal suo vice.

“Lei chi sarebbe, scusi?” Domandò Anne, dopo che si fu ripresa dalla traumatica interruzione della discussione.
“Sono l’avvocato Werner Hohenbaum ed ho ottenuto dal tribunale la tutela legale della signorina Annika Wögler.” Rispose l’uomo.
“Hai preso un avvocato?!” Esclamò incredula la donna, rivolgendosi alla figlia.
“Sì, mamma.” Annuì Annika.
“Contro la tua famiglia?!” Continuò la madre.
“No, mamma, non è contro nessuno, è solo per proteggere me stessa!” Ribatté la ragazza.
“Proteggerti da che cosa?!” I toni continuavano ad alzarsi, per la preoccupazione di tutti i presenti.
“Dall’uomo che mi ha molestata per anni ed ha cercato di violentarmi!” Replicò Annika con veemenza, indicando Rudolf.
“Tu hai bisogno di farti curare, dai retta a me!” Intervenne l’uomo.
“No, ho soltanto bisogno di starti lontano!” Gridò lei, per niente intimorita, stupendo sia Bill che l’avvocato. “Ho già fatto la denuncia.” Aggiunse ferma.
“Che vuol dire?” Soggiunse la madre.
“Vuol dire che questa discussione è finita.” Affermò Werner, interrompendoli. “Venga, ispettore.” Invitò poi, il poliziotto si avvicinò.
“Il signor Rudolf Buchner?” Domandò al patrigno di Annika.
“Sì, che vuole?” Rispose l’uomo sospettoso.
“Lei è in arresto.” Gli comunicò il funzionario di polizia.
Rudolf protestò, insultò ancora Annika, mentre la moglie sbraitava; alla fine si arrese ed i poliziotti lo portarono via. Anne, allora, si rivolse alla figlia.
“Sappi che non ti permetterò di rovinarci la vita, Annika!” Proclamò con sguardo duro. “Ti pentirai di quello che stai facendo!” La minacciò quindi.
“E alla mia, di vita, non ci pensi, mamma?” Replicò la ragazza, che ormai piangeva.
“Mi sembra che tu ci abbia già pensato abbastanza da sola, no?” Fece la madre con astio. “Hai il tuo fidanzatino famoso e milionario, i vestiti firmati e le guardie del corpo, cosa vuoi di più?!” Infierì rabbiosa.
“Mamma…” Supplicò Annika piangendo.
“Non credo tu abbia più bisogno di me.” Riprese Anne, ignorando le sue lacrime; poi le diede le spalle, ma tornò sui suoi passi per aggiungere. “Ah, per quanto mi riguarda, non voglio avere più nulla a che fare con te!” E detto questo si allontanò veloce, dietro ai poliziotti che avevano portato via Rudolf.
“Annika…” Si preoccupò subito Bill, abbassando la testa per guardarla in faccia. Lei aveva smesso di piangere, ma i suoi occhi erano ancora bagnati.
“Vorrei restare un momento da sola, Bill, se non ti dispiace.” Disse atona la ragazza, mentre fissava il vuoto.
“Come vuoi.” Acconsentì il cantante con tono comprensivo. “Ma, se hai bisogno… io sono qui.” Le ricordò poi.
Annika annuì e si scostò dalla gentile presa di lui sulla sua spalla, respirò profondamente e si diresse verso la porta a vetri che conduceva nel giardino posteriore del centro. Bill la seguì con gli occhi, preoccupato e triste, ma comunque deciso a concederle del tempo solo per se stessa.
 
Annika era nel giardino del centro di accoglienza da un bel pezzo. C’era neve a terra, il vento freddo le sferzava il viso e lei si sentiva colpevole e sollevata allo stesso momento. Colpevole per non aver saputo convincere sua madre a crederle ed averla, di conseguenza, persa forse per sempre. Sollevata perché, in qualunque modo si risolvesse la vicenda giudiziaria di Rudolf Buchner, lei era ormai libera.
Sospirò, stringendosi nell’ampio collo del maglione rosso. La sua vita ricominciava in quella gelida sera d’autunno e, adesso, se la sarebbe dovuta cavare da sola.
“Pippi…” La chiamò una voce incerta e dolce, lei si girò e sorrise a Bill. “Io devo andare via, l’orario delle visite è finito.”
“Oh, scusa! Non ho l’orologio…” Ribatté dispiaciuta lei.
“No, tranquilla!” La rassicurò lui avvicinandosi. “Però ci tenevo a salutarti.”
“Grazie…” Mormorò la ragazza con un sorriso triste.
“Annika, che cosa c’è? Non farmi preoccupare!” Esclamò il cantante, prendendola per le spalle.
“Ma no, niente…” Fece lei, mentre abbassava e spostava gli occhi, poi li rialzò guardandolo. “Non sono pentita di quello che ho fatto, credimi, però… adesso sono veramente sola…”
“Ma che cosa dici?” Reagì sbalordito Bill. “Non sei affatto sola, ci sono io!” Le garantì poi, sorridendo dolcemente. “E poi ci sono Claudia, Tom, Georg e Gustav, noi ti vogliamo bene e ti aiuteremo sempre! Non sei sola, Annika…”
“Sì, ma la mia famiglia…” Commentò mesta la ragazza.
“Siamo noi la tua famiglia, ora.” Soggiunse il cantante interrompendola. “Io non ti lascerò.” Le assicurò quindi.
“Però… se tra noi un giorno dovesse… finire?” Ipotizzò Annika, spaventandolo a morte.
“Se… se tra noi dovesse finire… ecco…” Le rispose con voce tremante. “…lo faremo finire bene e… rimarremo amici per sempre.”
“Ti voglio bene, Bill.” Affermò allora lei, con un sorriso commosso, prima di abbracciarlo.
“Anche io, Pippi.” Sussurrò lui tra i suoi capelli.
Si scambiarono un breve bacio, mentre ricominciava a nevicare. Risero piano, quando i primi fiocchi gli si depositarono sul naso, poi decisero di rientrare. Bill la teneva per le spalle, Annika abbracciava lui alla vita. C’era come una canzone nell’aria, che diceva di schiarirsi le idee ed essere pronti a correre. Una canzone autunnale che annunciava l’inizio di tempi migliori. Perché siamo nati per distruggere, ma anche per creare…

Wear your eyes as dark as night
Paint your face with what you like
Wear your love like it is made of hate
Born to destroy and born to create…

So when you hear this autumn song
Clear your heads and get ready to run
So when you hear this autumn song
Remember the best times are yet to come

CONTINUA… con l’epilogo!


NOTA: mi sento di dover dire due parole sulla madre di Annika. Presumo che per qualcuno di voi non sarà facile capire l’atteggiamento di questa donna, perché è dura per chiunque accettare che una persona scelga il proprio compagno a scapito del proprio figlio. Purtroppo io penso che, invece, esistano molte donne che fanno questo tipo di scelte, che per avere quella che loro credono una sicurezza, non vogliono vedere ciò che succede sotto il loro naso. Forse in futuro Anne si renderà conto del proprio errore e chiederà scusa ad Annika, sempre che allora lei sia disposta a concederle il perdono. Spero che abbiate capito le mie intenzioni.

I ringraziamenti, oggi, a causa delle mie pessime condizioni (ho un mal di pancia allucinante da stamattina, so che voi ragazze potete capirmi…), saranno brevi, ma non meno sentiti. Adoro tutte le bellissime cose che mi scrivete e sono lieta di avervi fatto emozionare anche solo un pochino. Sono fortunata ad avervi tra i miei lettori e vi ringrazio dal profondo, perché questa è la mia prima storia che sfonda la soglia delle 100 recensioni! GRAZIE… a:
Sarakey (la mia pusher!), picchia (che s’è vissuta il concerto come avrei voluto fare io), Princess (ti aspetto per nuove ricerche tommiche ^__-, così non pensiamo ad altro…), Arina (spero questo cap non ti abbia fatto piangere di nuovo), Whity (grazie di apprezzare tanto Annika), kit2007 (sei troppo simpatica e adoro chiacchierare con te), jolly24 (mi sono di nuovo scusata per il ritardo, purtroppo…), carol22 (non sai quanto mi piacerebbe esserci davvero nella ff), RubyChubb (riesci sempre a trovarmi il pelo nell’uovo, grazie ^__-), lebdiesekunde (grazie), elli_kaulitz (spero che questo cap tu non lo abbia letto ascoltando Geh…), loryherm (perché ci sei sempre e scrivi sempre cose bellissime), Ladynotorius (purtroppo sai,temo ce ne siano tante di ragazze come Claudia), Pocia (grazie), Lady Vibeke (oh, mi spiace se non apprezzi fino in fondo Annika…), GaaRa92 (oh, una dei preferiti che commenta! Grazie, torna ancora!).

Un pensiero speciale anche a tutti quelli che mi hanno messa nei preferiti e non hanno commentato e un saluto a quelli che leggono e basta.

A presto con l’epilogo, vi prometto che farò di tutto per fare presto!
Un bacione
Sara

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Capitolo 12
*** 12 - Epilogo ***


autumn song
Eccoci qua! Vi avevo promesso che sarei tornata presto e, per i miei tempi, direi che ci sono riuscita. Questo è il finale di questa storia che mi ha dato tante soddisfazioni, dato che è la mia prima a superare le cento recensioni. Spero che apprezziate anche questo piccolo epilogo melenso. Sì, so che non tutto si risolve, ma datemi un po’ di tempo e vedremo… non prometto nulla, eh! Non mi date il tormento ora!
Vi lascio alla lettura e aspetto con ansia i vostri commenti.
Note e saluti alla fine, come sempre!
Un bacione!
Sara

12 – Epilogo

Bill, con un sospiro soddisfatto, ad occhi chiusi, si strinse di più ad Annika, sistemando il capo sulla sua spalla. Lei cominciò a dargli dei colpetti con l’indice sul naso, costringendolo a fare delle smorfie buffe, finché lui non sbottò.
“Dispettosa, Pippi!” Esclamò scostandosi un po’, ma restando ad occhi chiusi.
Lei ridacchiò. “Hai un naso troppo carino.” Gli disse poi.
“Allora dovresti lasciarlo stare!” Replicò Bill divertito.
“No, è troppo bellino per farlo!” Ribatté birichina Annika, continuando a dargli noia.
“Invidia, eh?” Fece lui malizioso, lei gli diede una spinta e Bill ruzzolò via ridendo. Scoppiò a ridere anche Annika.
Quando smisero si guardarono, ancora con gli occhi allegri, quindi Bill tornò ad abbracciarla e, stavolta, lei lo accolse con tenerezza, carezzandogli il viso e i capelli.
“Sei contenta, Pippi?” Le domandò il cantante, dopo averle dato un bacio sulla tempia.
“Sì.” Rispose la ragazza, stringendosi di più a lui, la pelle nuda che cominciava ad accorgersi del freddo, dopo il calore della passione.
“Sai…” Riprese Bill, mentre giocherellava con un suo boccolo biondo. “…per un po’ ho avuto paura che non saremmo più stati insieme così…”
“Scemo! Non mi ero mica trasferita su un altro pianeta!” Scherzò Annika, ma lui mugolò, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo.
“Ho avuto paura lo stesso…” Piagnucolò poi.
“Oh, povero il mio piccolo!” Ironizzò la ragazza.
“Non prendermi in giro!” Protestò Bill, sollevando il capo con un finto broncetto indignato. “Temevo che non avremmo più fatto l’amore!”
Annika sorrise dolcemente e gli prese il viso tra le mani. “E invece lo abbiamo rifatto, visto?” Gli disse tranquilla. “Ed è stato molto meglio della prima volta…” Aggiunse con un sorrisino furbo.
“Sì?!” Esclamò Bill tirando fuori un sorriso abbagliante e felice.
“Sì.” Confermò Annika, prima di baciarlo.
“Eheheh!” Rise quindi il ragazzo. “Vedrai cosa sto preparando per il tuo compleanno! Ho già pronte un sacco di sorprese!” Proclamò entusiasta.
Annika assunse un’espressione severa. “Bill, ti proibisco di buttare altri soldi per me.” Dichiarò poi.
Lui fece una smorfia indignata, era sicura che se fossero stati in piedi si sarebbe piantato le mani sui fianchi. “Come spendo il mio denaro è soltanto affar mio.” Precisò infine il ragazzo. “Credimi, non andrò certo in bancarotta per aver organizzato una festa!” Aggiunse, improvvisamente spensierato.
“Lo so…” Fece Annika abbassando gli occhi. “Non è per quello…”
“E allora per cosa?” L’interrogò lui.
“È che… che io… non potrò mai ricambiare quello che fai per me…” Confessò infine la ragazza, sempre senza guardarlo. “Io sono povera, non ho soldi, né un lavoro e…”
“Annika.” La chiamò allora Bill, prima di alzarle il mento con le dita; la sua voce suonò stranamente adulta, pur mantenendo quel tono dolcissimo e sensuale che le era tipico. La ragazza lo guardò.
“Annika, ascoltami.” Le disse gentile. “Devi capire che non m’interessano i regali costosi, o le feste e altre stronzate del genere.” Precisò calmo e sorridente. “Ti ho cercato per tanto tempo ed ora che ti ho trovato, l’unica cosa che conta è stare insieme a te, non m’importa di nient’altro.”
“Sappi che sto per mettermi a piangere.” Dichiarò lei.
“Noooo! La mia Pippi non deve piangere piùùù!” Cantilenò Bill, mentre faceva faccine da cartone animato e scuoteva la testa con eccessiva enfasi.
“Sei un buffone!” Rise Annika.
“Ma ti piace questo buffone, però, ci fai le cosacce!” Replicò Bill con un sorrisino furbo.
“Vai, va!” Sbottò divertita la ragazza, spingendolo via; lui, che rideva come un pazzo, rotolò bocconi. “Smettila, culo secco!”
“Culo secco?!” Esclamò sorpreso il ragazzo, guardandola da sopra la proprio spalla.
“Sì.” Annuì Annika, abbassando la voce ad un malizioso sussurro, mentre osservava quella parte del corpo del cantante. “Hai due piccole, sode, attraentissime mele secche…” Lui, nel frattempo, ridacchiava soddisfatto e un po’ eccitato. “Me le mangerei…”
“Che?!” Reagì Bill, ma non fece in tempo a girarsi che lei gli aveva già dato un lieve morso su una natica.
“Oh, ma Pippi, sei tremenda…” Affermò quindi il cantante, voltandosi verso di lei con un’espressione fintamente scandalizzata.
Lei alzò candidamente le sopracciglia. “Sei tu che m’insegni a fare le cosacce…” Mormorò poi, citandolo.
“Ah, sì?” Ribatté Bill, prima di fare un sensuale sorrisetto sbilenco ed alzare provocatorio il sopracciglio destro; lei annuì. “Allora, adesso, per vendetta, dovrò mangiarmi le tue tettine!”
“Ah!” Gridò Annika ridendo, quando il cantante si avventò sul suo seno. “Bill, aspetta…” Lo fermò però, quasi subito.
“Cosa c’è?” Le chiese lui, sollevandosi sui gomiti, le mani di lei sulle braccia.
“Devo essere a casa per le sette.” Rispose la ragazza, invitandolo a dare un’occhiata alla sveglia.
“Tranquilla, facciamo in tempo.” La rassicurò lui, con un sorriso sbieco e seducente. “Vieni qui…”

Annika, dopo la denuncia che aveva portato all’arresto del patrigno, era stata affidata dal tribunale all’avvocato Hohenbaum ed era andata a vivere in casa sua. Per lei era stata predisposta la camera degli ospiti, ma Claudia aveva insistito perché dormisse con lei, quindi ora le ragazze condividevano la stessa stanza.
Rudolf Buchner era stato trattenuto al commissariato e interrogato, ma, alla fine, la polizia era stata costretta a rilasciarlo in attesa degli sviluppi dell’indagine. L’uomo era, allora, ripartito per Bonn con la moglie, senza provare a ricontattare la ragazza.
Annika, adesso, cercava di non pensare a tutta quella vicenda, almeno finché non l’avessero ricontattata per un’eventuale testimonianza; provava a godersi la sua nuova vita, per quanto provvisoria: studiava con Claudia per prendere il diploma, pensava al futuro, si godeva il suo amore e cercava di sorridere il più possibile. Mancavano, ormai, solo pochi giorni al suo diciottesimo compleanno.
“Allora, com’è andata ieri con Bill?” Chiese Claudia all’amica, mentre erano entrambe stese bocconi sul grande letto di quest’ultima, cercando di studiare un capitolo di storia.
“Bene.” Rispose tranquilla Annika. “Siamo stati all’appartamento sopra lo studio…” Aggiunse poi, un tantino più imbarazzata.
“Oh, lo so…” Commentò allusiva l’amica.
L’altra la guardò con aria disincantata. “Dì la verità, è il loro pied-à-terre, vero?” Le domandò poi.
“Beh, diciamo che…” Fece vaga Claudia. “…quando vogliono un po’ d’intimità lì non c’è mai nessuno nel week end…”
“Sapevo che l’aveva fatto apposta…” Commentò Annika scuotendo il capo.
“L’avete fatto?” L’interrogò nel frattempo l’amica.
“Claudia!” Sbottò lei, davanti all’inopportuna domanda.
“Oh, certo che lo avete fatto!” Affermò però l’altra, senza ascoltarla. “Bill ha la faccia da angioletto, ma in realtà è un bel porcellino e… anche tu, mi sa che non sei proprio la santarellina che sembri…”
Annika sorrise maliziosa. “Diciamo che, da quel punto di vista, andiamo molto d’accordo…” Mormorò poi, con aria furba.
Le due ragazze si scambiarono uno sguardo complice, poi si diedero una reciproca spintarella e scoppiarono a ridere.
Stavano ancora ridendo e scherzando sul letto, quando bussarono alla porta; era la cameriera di casa Hohenbaum e portava una grossa scatola infiocchettata.
“C’è un pacco per Fräulein Annika.” Annunciò la donna.
“Grazie!” Trillò Claudia andando a prenderlo. “Mhh, un pacco nero con un sontuoso fiocco arancione…” Rifletté poi, tornando verso il letto. “Chi potrà avertelo mandato?” Si chiese quindi, retorica.
Annika ridacchiò. “C’è un biglietto?” S’informò.
“Sì, ecco!” Rispose Claudia porgendole una busta nera tempestata di luccicanti stelline arancioni. “Solo lui…” Commentò quindi, mentre l’amica lo prendeva.
Dentro c’era un biglietto di cartoncino sempre nero, scritto con una penna color argento dalla calligrafia un po’ nervosa di Bill; diceva: «Questo è il mio primo regalo per il tuo compleanno, indossalo alla festa! E mi raccomando gli accessori!»
“Gli accessori?” Fece Claudia perplessa. “Ma che cos’è?”
Annika, allora, si mise a scartare il pacco con mani febbrili, incitata da Claudia che batteva concitata le mani, tipo scimmietta. Tolti il fiocco e la carta, dalla scatola uscì fuori un abito. Le due ragazze si guardarono stupite: conoscevano quel vestito, erano insieme il giorno in cui avevano visto il disegno che lo rappresentava nella camera di Bill, il figurino tracciato dallo stesso cantante. Annika e Claudia si guardarono di nuovo.
“La Principessa del Rock’n’Roll!!!!” Esclamarono poi, in coro e si abbracciarono felici.

Il grande giorno, infine, arrivò. Il 23 dicembre era una giornata fredda e con il cielo grigio chiaro, forse prima di sera sarebbe nevicato di nuovo.
Claudia e Annika passarono la mattinata in un centro di bellezza, tra maschere, manicure e acconciature. Il pomeriggio passò in chiacchiere, merende e risate, così la sera arrivò presto e fu l’ora di prepararsi. L’appuntamento con Bill era per le nove, quindi le ragazze calcolarono un paio d’ore per essere pronte e puntuali.

Annika indossò l’abito creato per lei da Bill e si meravigliò di quanto le calzasse bene. Le coppe del corpetto, in pizzo nero foderato, evidenziavano il suo piccolo seno, mentre la parte del busto, in velluto cangiante ricamato di raso nero, disegnava e ammorbidiva le sue forme non proprio voluttuose. Lei sorrise, accarezzando la gonna, il cui primo strato riprendeva il pizzo delle coppe e poi veniva seguito da altri due strati in chiffon argento e nero, che la gonfiavano. Le piaceva. Aggiustò la lunga cintura in morbidissima pelle nera, con borchie a stella, forse il pezzo che più le piaceva dell’insieme. Adesso non le restava che indossare il coprispalle, sempre in leggera pelle nera, con il collo ampio e le maniche che sbuffavano leggermente alle spalle.
“Sei stupenda.” Affermò la voce di Claudia, facendo voltare l’altra ragazza che sorrise. “Hai provato le scarpe?” Le chiese quindi.
“Sì.” Annuì Annika. “Non credevo, ma ci sto piuttosto bene.” Aggiunse, alzando e roteando un piede fasciato in un elegante decolté a tacco alto molto fetish, con una grossa fascia borchiata intorno alla caviglia.
“Quanto sono sexy!” Commentò Claudia. “Si può sedurre anche solo con quelle!”
Annika rise timidamente, abbassando gli occhi. “Non devo sedurre nessuno…” Mormorò.
“No? E il tuo principe del rock?” Fece allusiva l’amica, mentre si sedeva sul letto.
“Lui l’ho già sedotto…” Rispose ammiccante, strizzando l’occhio all’altra.
“Ahhh!” Ribatté divertita Claudia, scoppiarono a ridere.
“E tu perché sei ancora in tuta?” Domandò quindi Annika, indicando la tenuta casalinga dell’altra ragazza. Claudia si scrutò per un attimo, poi si strinse nelle spalle.
“Ho deciso che non vengo.” Dichiarò poi.
“Cosa?!” Esclamò la bionda, lasciando la sua posizione davanti allo specchio e raggiungendo Claudia. “Non se ne parla proprio, è la mia festa e tu ci vieni!”
“Ma dai, Annika, non mi pare il caso…” Protestò lei, evitando il suo sguardo.
“È il caso!” Sbottò l’amica. “Andiamo, credevo che tu e Tom aveste chiarito…” Aggiunse poi, aggrottando la fronte.
“Abbiamo chiarito! Però…” Obiettò Claudia poco convinta.
“Niente storie.” S’impose Annika. “È la mia festa e tu sei la mia migliore amica, non esiste che non vieni, ci starei male tutta la sera.”
“Ma Annika…” Provò l’altra.
“Vai subito a vestirti!” Le ordinò però l’amica, interrompendola e indicandole la porta. “Tra meno di un’ora si parte, ti voglio sistemata!” Claudia provò ad intervenire alzando una mano. “Raus!”   
“Sei una dittatrice!” Piagnucolò la ragazza, mentre si dirigeva a capo basso verso l’uscita.
“Sì e ricordati…” Le disse Annika. “…se non sarai bellissima ti picchierò!”
“Nazista!” Strillò Claudia dal corridoio, ma la sua voce era chiaramente ironica, infatti poco dopo risero tutte e due.

Claudia, alla fine, si era preparata relativamente in fretta. Aveva indossato un paio di aderenti jeans scuri e una maglietta dorata allacciata al collo. I capelli legati in una coda di cavallo e la frangetta impertinente sugli occhi truccati d’oro, un leggero lucidalabbra coloro ciliegia, era davvero carina. Annika le sorrise orgogliosa, quando la vide.
Alle nove in punto la domestica annunciò alle ragazze che era arrivato l’autista. Annika e Claudia misero i cappotti e scesero in strada, aspettandosi di trovare Bill ad attenderle, invece sotto al palazzo c’era solo una lunghissima limousine bianca, accompagnata da un impettito autista in completo scuro. Si guardarono, piacevolmente stupite, poi sorrisero e s’infilarono in macchina.
“Anche la limo…” Commentò Annika, quando l’auto fu silenziosamente ripartita. “Cosa altro dovrò aspettarmi da questa serata?” Si chiese poi, quasi intimorita.
“Ma non sei contenta che faccia tutto questo per te?” Le domandò l’amica sorpresa.
“Sì, ma…” Rispose titubante Annika. “…gli imprevisti, le sorprese, mi rendono nervosa e quando m’innervosisco tendo a chiudermi e diventare antipatica, non voglio fare questo stasera, ci tengo troppo…”
“Non essere sciocca!” La rimproverò Claudia, prendendole la mano. “Stasera ci saranno solo sorprese positive per te!”
“Desidero solo che tutto vada per il meglio.” Replicò seria Annika.
“Non ti preoccupare.” La rassicurò l’altra. “Mi sembra che Bill abbia organizzato tutto in modo spettacolare!”
Annika la guardò con un sorriso compiaciuto. “Adoro il fatto che sia così pignolo!”
“Solo tu puoi amare un difetto simile!” Sbottò divertita Claudia.
“Guarda che Tom è perfino più pignolo di Bill…” Le fece notare l’amica.
L’altra ragazza alzò le mani, spalancando poi gli occhi. “Ah, non m’importa! La mia storia con Tom è finita e ti pregherei di non crearmi complicazioni, stasera!”
“Ok.” Acconsentì Annika con una nota scettica nella voce.
Claudia fece uno sbuffo di finto rimprovero, mentre l’altra ridacchiava di sottecchi, finché l’amica non le diede una spintarella col gomito ed entrambe si misero a ridere.

Bill si guardò intorno, piuttosto compiaciuto del fatto che il suo piano stesse funzionando per il meglio. La festa era stata organizzata in un locale che prima era una piscina; in fondo alla grande vasca tappezzata di piastrelle azzurrine, ora vuota, era stato installato il bar e il resto era adibito a pista da ballo, mentre sopra, intorno alla ringhiera in stile vecchia fabbrica inglese, erano disposti i tavoli di ferro battuto. Le luci illuminavano di azzurro e verde tutto l’ambiente. C’era già un sacco di gente, perché lui aveva fatto passare la cosa come una festa promozionale per l’imminente uscita del disco.
Ora mancava solo lei e il ragazzo fremeva nell’attesa. Occhieggiava costantemente la porta, cercando di scorgere i suoi capelli biondi varcare la soglia; aspettava con ansia di vederla con addosso quel vestito.
“Hey, Bill.” Lo chiamarono, obbligandolo a voltarsi. “Ti cerca il deejay…” Gli comunicò Benjamin, il suo giovane manager da cui si era fatto aiutare per l’organizzazione.
“Senti Benji, ti ho chiesto di aiutarmi proprio per togliermi questi problemi, lo sai che non sono bravo a scegliere le musiche…” Replicò annoiato il cantante, con un gesto noncurante, cercando di non perdere comunque di vista la porta.
“Sì, lo so.” Annuì l’altro. “Ma si tratta di quella canzone che hai chiesto e quindi pensavo che volessi occupartene personalmente.” Aggiunse.
“Oh, allora, se è per quello…” Esalò Bill. “Vado subito.” Dichiarò quindi, allontanandosi a malincuore dal suo punto d’osservazione. “Ah, Benji.”
“Sì?”
“Se arriva Annika e non sono in vista, mi fai uno squillo?” Gli chiese, prima di salire alla postazione del deejay.
“Ok, non ti preoccupare!” Gli assicurò il manager, con un cenno del capo; lui, un po’ riluttante, salì le scale.

Annika e Claudia arrivarono alla festa verso le nove e mezza; appena entrate si guardarono intorno un po’ smarrite, non credevano di trovare tanta gente, ma poi Claudia, più esperta di ambienti del genere, spinse l’amica ad addentrarsi nel locale. Entrambe, ad ogni modo, erano incuriosite dall’ambiente. Si presero per mano, incamminandosi.
“Hey, voi due, bellissime!” Le fermò però una voce conosciuta; si voltarono e videro Georg salutarle col braccio alzato, mentre gli andava incontro.
“Ciao, Georg!” Lo salutò Annika, seguita subito dal saluto di Claudia.
Il ragazzo si fermò davanti a loro e indugiò con un’occhiata su Annika: dai suoi grandi occhi blu, abilmente e pesantemente truccati di nero, fino alle sue gambe sottili fasciate nelle velatissime calze nere. Le sorrise, infine, compiaciuto.
“Sei stupenda, fatti vedere.” Le disse poi, porgendole la mano; lei la prese e lui le fece fare una giravolta, per vederla anche dietro. Annika rise allegra.
“Allora?” L’interrogò infine la ragazza.
“Beh, mi sento uno sfigato adesso…” Rispose mesto Georg.
Annika capì subito perché parlava così e si sentì di rassicurarlo. “No che non lo sei!” Esclamò imbronciata. “Il fatto che io ti abbia respinto non vuol dire che tu non sia un ragazzo meraviglioso! E ce ne sono un milione di ragazze meglio di me!”
“Dammi solo un po’ di tempo, piccola.” Le chiese allora il bassista. Annika gli sorrise dolcemente.
“Abbracciami.” Gli ordinò quindi lei, allargando le braccia.
“Non voglio sciuparti.” Replicò lui.
“Non dire cavolate, vieni qua.” Ribatté la ragazza, circondandogli il collo con le braccia. Georg sorrise rassicurato, stringendola a se.
I due ragazzi si erano appena sciolti dall’abbraccio, quando furono raggiunti da Gustav e Silke, che salutarono cordialmente Annika e Claudia, poi il gruppetto si spostò verso il bar, scendendo le scale della vasca. Annika si guardò intorno piacevolmente sorpresa da quell'originale locale.
“Ma voi sapete dove è Bill?” Domandò quindi agli altri; ormai erano alla festa da un po’ e lei moriva dalla voglia di vedere il cantante.
“Io, sono il paggio che ti condurrà da sua altezza.” Le rispose una voce ironica alle sue spalle.
Era Tom, che le sorrise, beffardo e splendido, da sotto la bandana blu che portava quella sera. Le porse la mano e lei la prese, facendosi tirare piano verso di lui, che la salutò con un lievissimo bacio sulle labbra, quindi la osservò compiaciuto.
“Mh, vedo che il mio fratellino ti ha plasmata a sua immagine e somiglianza…” Commentò infine, sarcastico come suo solito.
“Se non mi piacesse, non mi sarei vestita così.” Affermò sicura e divertita Annika.
“Giusto.” Annuì Tom. “Andiamo?” Le chiese poi, lei accettò con un cenno del capo, sempre tenendolo per mano.
Prima di sparire di nuovo tra la folla con la festeggiata, Tom si accorse che c’era anche Claudia. Le sorrise tranquillo, indicandola col gesto della pistola e facendole un ironico occhiolino. La ragazza scosse e abbassò il capo, sorridendo.

Tom accompagnò Annika attraverso i tavoli intorno alla piscina vuota, fino ad una scala di metallo che conduceva al ballatoio dove c’era la postazione del deejay. Fecero appena in tempo a mettere il piede sul primo gradino, che videro Bill scendere affrettato. Il cantante si bloccò, quando li vide.
I suoi occhi scuri, come sempre perfettamente truccati, incrociarono quelli blu della ragazza, che per quella sera erano bistrati allo stesso modo. I loro sguardi restarono incatenati.
Bill era completamente vestito di nero quella sera. Si era messo i pantaloni comprati quella volta con Annika, quelli aderenti con le borchie lungo la gamba, uno dei suoi innumerevoli giubbotti di pelle e una maglietta con un teschio nero lucido in rilievo, che però si notava appena sotto la giacca. I capelli più sparati e neri che mai e, intorno al collo, tre catene una più grossa e lunga dell’altra. Assolutamente stupendo. Semplicemente Bill.
Lo sguardo che si scambiarono durò un lunghissimo, intenso momento, durante il quale Tom pensò bene di lasciarli soli, tornando sui suoi passi.
Bill, alla fine, le sorrise, in quel suo modo dolce, birichino e inimitabile e Annika non poté fare altro che ricambiare con tenerezza; poi lui allargò le braccia e lei salì i pochi gradini che li separavano, abbracciandogli la vita e posando il capo sul suo petto. Il ragazzo la strinse, Annika alzò il viso e, finalmente, si scambiarono un bacio.
Tom, fermo poco più in là, li osservava, sorridendo compiaciuto, sinceramente felice per il fratello.
“Sono una bellissima coppia, vero?” Affermò una voce alla sua sinistra; lui si girò e vide Claudia porgergli un bicchiere di champagne.
Il ragazzo lo prese, poi piegò il capo di lato e invitò silenziosamente Claudia a brindare. Lei lo fece, facendo tintinnare il bicchiere contro quello di Tom, quindi bevvero.
Il chitarrista, mentre la ragazza ancora beveva, la osservò, indugiando sulle pieghe della maglia che andava scoprirle la schiena, o sull’ondeggiare della coda sul collo.
“Stasera stai proprio bene.” Le disse infine, lei lo guardò, sorpresa e divertita.
“Beh, anche tu.” Replicò quindi, lasciandosi andare ad una lunga occhiata al corpo magro ed elegante di Tom impacchettato in una bella magliettona blu con scritte argento e nere.
“L’oro ti dona.” Continuò lui, disegnando con gli occhi la curva del suo seno.
Claudia aggrottò la fronte insospettita. “Questo me lo avevi già detto, tempo fa, ma ormai so che la tua memoria è un groviera in certe cose…” Affermò sarcastica.
“Tanto vale ripetersi, a volte.” Ammiccò Tom, prima di muovere il piercing con la lingua.
La ragazza si fece ancora più sospettosa. “Senti ma… che ci stai provando?” Gli chiese infine.
Tom perse il sorriso malandrino, aprì appena la bocca, stupito, poi arrossì e abbassò il capo, ridacchiando nervoso.
“Scusa…” Mormorò quindi, mentre lei sorrideva furba. “…proprio non ce la faccio a non fare il seduttore…” Si giustificò quindi.
“Tranquillo, ti conosco bene.” Ribatté serena la ragazza. “Andiamo a ballare?” Gli chiese poi, sorprendendolo definitivamente, ma dopo lo stupore iniziale, Tom accettò di buon grado.

La festa continuò, tra risate, musica, balli e qualche drink. Bill e Annika, praticamente, non si scollarono per un attimo. Tom e Claudia si girarono garbatamente intorno, ma in modo tranquillo, senza farsi trascinare dalla loro solita impulsività. Gustav e Silke erano la coppia più adorabile del mondo, simpatici e romantici. E Georg, per dimenticare di essere stato scartato da Annika, passò la serata a crearsi un piccolo harem tutto per se.
Era passata mezzanotte, quando Bill trascinò nuovamente Annika in pista. Lei accettò, nonostante cominciasse a farle un po’ male la gamba, in fondo era poco che le avevano tolto il gesso e portare i tacchi tutta la sera non aiutava.
“Bill, sono un po’ stanca…” Disse al cantante, quando ormai erano allacciati sulla pista da ballo.
“Lo so.” Rispose lui annuendo. “Però volevo dedicarti questa canzone…” Aggiunse con fare misterioso.
“Quale canzone?” L’interrogò perplessa lei, visto che in quel momento passava solo una dolce musichetta strumentale.
“Questa.” Fece Bill, alzando la mano per fare un cenno al deejay. Una musica dolce partì subito.

You want commitment,
Take a look into these eyes
They burn with fire
Until the end of time
And I would do anything
I'd beg, I'd steal, I'd die
To have you in these arms tonight

“Allora, ti piace?” Le domandò il cantante, cullandola tra le braccia.
“Sì.” Rispose Annika sorridendo, mentre la canzone si face più ritmata e coinvolgente. “Questa serata è davvero piena di sorprese…” Aggiunse allegra, mentre lui le faceva fare una giravolta.
“Beh, adesso, ti manca solo di spegnere le candeline.” Le ricordò allora Bill, stringendola in una specie di casché.
“Mi stavo giusto domandando che fine avesse fatto la torta…” Mormorò Annika, mentre si rimettevano dritti. Bill si staccò da lei.
“Andiamo.” Le disse, porgendole la mano.
“Dove?” Replicò perplessa lei, prendendola.
“Via.” Rispose il cantante, allontanandosi dalla pista da ballo con Annika appesa alla mano.
“Via?” Esalò incredula la ragazza. “Ma… e Claudia, i ragazzi…” Balbettò, mentre lo seguiva.
“Tranquilla, anche loro avranno una torta.” Dichiarò misterioso Bill, con aria cospirativa, trasportandola fino al guardaroba, ma Annika si fermò all’improvviso, costringendolo a fare lo stesso.
“Bill, non possiamo andarcene via così.” Affermò decisa e seria. Lui, però, le sorrise con calore.
“Stai tranquilla, Pippi.” Le disse rassicurante. “Ai ragazzi ho già spiegato tutto ed anche a Claudia.”
“Claudia sa tutto?!” Esclamò stupita Annika.
“Sì, le ho spiegato prima, quando sei andata in bagno.” Le spiegò tranquillo. “Non ti preoccupare, a lei ci pensa Tom!” Aggiunse allegro, riprendendo la marcia.
“Spero di no…” Mormorò preoccupata Annika, mentre lo seguiva a prendere la giacca e poi fuori dal locale, dove la limo bianca era in attesa col motore acceso.

I want you like the roses need the rain
Like a poet needs the pain
Like a sinner need to change…

Annika non immaginava certo, dopo quella serata spettacolare, di ritrovarsi a casa di Bill, sola con lui, ma ora la situazione non le dispiaceva. Seduti sopra il grande tavolo lucido, nella penombra intima dell’inviolata sala da pranzo, con in mezzo a loro una semplice torta adornata da diciotto candeline rosa, si guardavano negli occhi sereni e un po’ divertiti.
“Ti piace la torta?” Le chiese Bill; i suoi occhi brillavano d’ambra nella semi oscurità creata dalle luci basse e dorate.
“Sì, è bellissima, grazie.” Rispose Annika, osservando i tre strati ricoperti di glassa rosa e riccioli di panna. “Ma perché hai messo su tutto questo?”
Lui fece un sorriso ruffiano e furbo. “Volevo festeggiare da solo con te.”
“A me non sarebbe dispiaciuto festeggiare anche con gli altri…” Soggiunse la ragazza, piegando il capo di lato.
“Ah, no!” Fece subito Bill, sventolando una mano, poi il suo sguardo s’illanguidì. “Stanotte sei soltanto mia.” Dichiarò quindi, con un’occhiata che avrebbe liquefatto un iceberg.
Annika perse le parole per qualche secondo, stordita dalla luce dorata dei grandi occhi del ragazzo. “Tu sei la persona più dolce, pazza e imprevedibile del mondo, Bill Kaulitz.” Gli disse infine.
Il cantante le sorrise in quel suo modo speciale, poi allungò un braccio oltre la torta e le sfiorò il viso con la punta delle dita; lei fece un sorriso timido, abbassando gli occhi.
“Adesso spegni le candeline, sennò la torta si riempie di cera!” La esortò quindi, recuperando il suo tono infantile.
“Va bene.” Acconsentì Annika e lui batté le mani.
“Esprimi un desiderio!” Trillò poi, obbligandola a riflettere un attimo, prima di prendere fiato.
Annika, dopo qualche secondo, fece un sospiro, guardò un attimo Bill, quindi, con un lungo soffio, spense quasi tutte le candeline; ne rimasero tre che furono spente con un piccolo soffio aggiuntivo. Bill applaudì pimpante, mentre la ragazza rideva sommessamente.
“La mangiamo?” Chiese lei poi.
“Certo!” Annuì entusiasta il ragazzo, prendendo con l’indice un ciuffo di panna e porgendoglielo; Annika lo leccò quasi con divertito timore.
I due ragazzi, a quel punto, si guardarono negli occhi, entrambi rapiti dallo sguardo dell’altro, un’enorme, bellissima emozione che attraversava ogni cellula. L’aria era immobile e impregnata di profumo di torta alle pesche. Bill sorrise, si sporse, appoggiando una mano sul tavolo. Annika ricambiò allo stesso modo, sporgendosi verso di lui.
Le loro labbra s’incontrarono quasi timidamente, sfiorandosi leggere, in un bacio dolce e lento, pieno di tenerezza e passione trattenuta. Quando terminò, rimasero coi volti vicini, occhi negli occhi.
“Ti amo, Annika.” Mormorò serio Bill, gli occhi più espressivi che mai. Lei sorrise felice, con aria furba.
“Il mio desiderio si è appena avverato…” Affermò quindi, prima di baciarlo di nuovo.

FINE


NOTE:
-    La canzone usata nel capitolo, ovviamente senza scopo di lucro, è “In these arms” dei Bon Jovi dall’album “Keep the faith”. Se avete bisogno della traduzione, ditemelo nelle recensioni, ve la metto.

RINGRAZIAMENTI:
Mi dovete perdonare, perché io non so fare lunghi discorsi teatrali e ampollosi per ringraziarvi delle bellissime parole che avete lasciato per questa storia e per me (che certamente non le merito), spero ad ogni modo che capiate quanto ho apprezzato tutto quello che mi avete scritto, ogni parola, ogni commento, ogni suggerimento. Ho scritto molte storie e tante ne ho pubblicate su questo sito, ma questa è stata la prima, come ho già detto, a superare le cento recensioni; per questo posso solo ringraziare voi, che avete assiduamente seguito la fanfiction e commentato con cura e precisione ogni capitolo e mi avete messa nei vostri preferiti, ma anche quei quattro meravigliosi ragazzi che rispondo al nome di Tokio Hotel. Quindi grazie a tutti voi e a Bill la Regina delle Dive, Tom il seduttore timido, Georg l’Uomosesso e Gustav il meraviglioso essere umano. Spero che la sincerità delle mie parole passi attraverso queste poche righe e vi arrivi almeno un po’. E non dubitate, penso che ci risentiremo presto…

Ora perdonatemi, ma devo sprecare alcune parole per delle specifiche persone.

Sarakey: ormai una cara amica, anche se non abbiamo potuto ancora incontrarci di persona, ma spero succederà presto. Perdonami di farti sprecare tempo dei tuoi meravigliosi vent’anni ad ascoltare i miei deliri sulla solitudine e il fato, grazie per la pazienza. Ti voglio bene.

Princess: oh, mia cara compagna di filmini pseudo erotici! (non fraintendete, i protagonisti sono sempre i soliti quattro). Grazie ancora per il suggerimento sulla canzone, anche se poi l’ho cambiata la validità resta. Resti sempre una delle migliori autrici che abbia letto in queste pagine e adoro chiacchierare con te sugli sviluppi e gli intrecci dei nostri protagonisti. E non temere, lo spaccalegna arriverà presto!

Loryherm: la quale mi ha lasciato alcune delle più belle recensioni mai avute per una ff. Non temere, presto ti ripagherò, mi sto mettendo in pari!

kit2007: un’altra cara ragazza che mi sopporta nei momenti depressi. Spero che l’epilogo sia un pagamento sufficiente. Ben tornata dalle vacanze, sempre che non ci risentiamo prima.

Infine, un grazie speciale a due ragazze speciali: RubyChubb e Lady Vibeke, le altre due carissime MS. Tutte per i Tokio Hotel, Tokio Hotel per tutte!

Non mi resta che salutarvi con  un arrivederci a presto e un bacio grandissimo!
Lunga vita e prosperità.
Sara


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