Storie di mare e racconti di bosco di Maiwe (/viewuser.php?uid=226162)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Inchiostro verde ***
Capitolo 2: *** Rosso vermiglio ***
Capitolo 3: *** Piove. Di nuovo. ***
Capitolo 4: *** Un gomitolo di strade ***
Capitolo 5: *** "Ad Ovest!" ***
Capitolo 1 *** Inchiostro verde ***
Pacchetto #2:
– Dove qualcuno compie un errore
(grammaticale o non) e qualcun altro lo corregge.
Prompt:
Inchiostro
Colore: Verde
“Devi mirare più in alto, se vuoi colpire il
bersaglio.”
Thranduil sorregge con una mano il braccio di suo figlio, e solleva
leggermente il piccolo arco che sta impugnando. “Se stai
così
basso, questa freccia la incastrerai nel terreno ai tuoi
piedi.”
Legolas prende nuovamente la mira e scaglia. Si sente
estremamente
soddisfatto: ha quasi colpito il centro del suo bersaglio di legno.
E' entusiasta, Legolas, e con un balzo corre a raccogliere la sua
preziosa freccia. Thranduil lo guarda e sa che dovrà
lasciarlo
andare, un giorno. Dovrà separarsene.
Il padre guarda il figlio corrergli incontro e spera che la
linfa
che scorre dentro di lui, l'inchiostro della sua storia, appena agli
inizi, un giorno cambino il mondo, lo riscrivano con inchiostro
verde, il colore della speranza.
Legolas Verdefoglia, però, adesso ha freddo e vuole
rientrare a
casa. Si lascia avvolgere nel mantello e corre verso il ponte.
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Capitolo 2 *** Rosso vermiglio ***
Pacchetto 1:
- Fratelli non veri fratelli
- Mare
- Vermiglio
________________________________________
“Tutto qui?”
Non riusciva a non essere Nano neanche per un secondo, a
essere
meno Nano.
“Tutto qui, sì. Ti pare poco? Un'immensa
distesa di blu, che si
fonde col cielo... l'infinito.”
“E capirai. E' acqua, mio caro, soltanto acqua.
Solamente voi
Elfi potreste perdere la testa per una cosa così banale e...
e
spaziosa!” Brontolando, Gimli si sedette. Guardarlo stare
seduto
sulla sabbia era un'immagine surreale. Un macigno rosso vermiglio che
borbottava come un pentolone, circondato da aria, vento, nuvole
leggiadre e salsedine che gli increspava la barba.
“E poi, guarda qui! Sabbia ovunque! Nella mia barba
ne ho già
un giacimento! Niente a che vedere con la polvere, la vera
polvere d'oro: ah, quella sì che i Nani sanno apprezzarla.
Polvere
d'oro che ricopre ogni cosa, come pulviscolo dell'aria.”
Mi sedetti accanto a lui, scanzonato. Si stava davvero bene.
“Mi hai fatto fare i veri chilometri, e tutto per...
per questa
cosa!
Per starcene
seduti a guardare il vuoto!”
“Ma non è vuoto, quello che hai davanti
agli occhi, amico mio.
C'è l'orizzonte, le nuvole, il cielo... e, ovviamente, tutta
la
distesa del mare.”
“Se dici un'altra volta 'mare', ti strappo
i capelli.”
“A proposito”, gli dissi, facendo finta di non
averlo sentito, “Che ne hai fatto, poi? Dei capelli della
Dama
Galadriel, intendo.”
“Come avevo promesso, li ho custoditi
cari, è stato un dono prezioso per il mio popolo. E per
me.”
Era avvampato di rossore, come se il colore della sua barba si
fosse esteso anche a tutta la faccia.
“Li ho custoditi gelosamente. Adesso sono
incastonati in un
grande vetro, decorato con un degna cornice, altrettanto grande. Li
ho lavorati entrambi io, vetro e cornice, con le mie mani.”
Se le
guardò, le mani, grosse e tozze. Mani da lavoratore, e da
soldato.
Continuava a fissarle. Passò le dita sui numerosi
calli. Li
sfiorò come se non riuscisse ancora a capacitarsi di aver
davvero
toccato, osare toccare, quella ciocca, i capelli
d'oro della
Dama della Luce.
Gli porsi del Lembas, e alzò lo sguardo.
“Seriamente? Ma le tue scorte non finiscono
mai?”
“Mai, amico mio. Finché ci saranno Elfi,
su questa terra, il
Pan di Via non scarseggerà.”
Sorrisi, in attesa di quel che sarebbe seguito. Fu divertente
osservarlo tentare di rispondere male, con sarcasmo e per istinto, ma
trattenersi subito dopo: si guardò nuovamente le mani e
sbiancò,
per poi diventare, ancora una volta, una burbera pentola di fagioli
color vermiglio.
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Capitolo 3 *** Piove. Di nuovo. ***
Ciao! Qusto nuovo capitolo
(una flash, ancora una volta), come vedrete, è diviso in due
parti: la prima è un ricordo di Thranduil, la seconda
riguarda l'approfondirsi dell'amicizia tra Legolas e Gimli. Ci tenevo a
precisarlo per il semplice fatto che la prima parte si rifà
direttamente al mio canone, che trovate esposto nella mia long "Eryn
Lasgalen - Il Bosco delle Foglie d'Oro". Così, per amore di
contestualizzazione.
Spero davvero vi
piaccia.
Un abbraccio,
Maiwe
Prompt: Giacca
Canzone: You are my life
– Micheal Jackson
Pioveva. Grossi
nuvoloni neri
scaricavano il loro peso su di noi, sulle nostre teste, e rendevano
fangoso e scivoloso il terreno. Eravamo in marcia forzata da giorni,
e ancora non si vedeva la meta, il porto e la nave che ci avrebbero
tratti in salvo.
Mio figlio
dormiva, in braccio a
me, profondamente. Quella marcia lo aveva ormai spossato e stancato.
Svegliandolo, mi
accovacciai a
terra, e lui si rizzò sulle gambe, indolenzite. Mi tolsi la
casacca
e ce lo avvolsi, tra le sue sentite proteste e i "Quando
arriviamo?".
Lo sollevai
nuovamente e lo avvolsi
nel mantello.
"Sta calando la
notte. Torna a
dormire, Ion nìn."
"Piove.
Di
nuovo." Il Nano borbotta, stufo di quella pioggia incessante.
"Non si vede neanche la meta, ancora."
Gimli,
il Nano,
ha freddo. Gimli è stanco per quella corsa infinita e trema
dal freddo.
"Ho
una
mantella che non uso, nella sacca. Puoi prenderla."
Segue
un silenzio
sospeso, prolungato, che culmina nell'espressione irrigidita
del
Nano: si guardano come due che si siano appena offesi
reciprocamente la madre e tutta la progenie.
Ma
Gimli la
accetta, la mantella, e, ignorando volutamente il fatto di
star
indossando un altro indumento elfico, oltre al mantello di Lorien, la
indossa, smettendo di tremare e dedicandosi completamente al
silenzio che nuovamente sta calando nell'aria.
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Capitolo 4 *** Un gomitolo di strade ***
Nome:
Metafora
Prompt:
Un gomitolo di strade.
Citazione:
“Tomas allora non si rendeva conto che le metafore sono una
cosa
pericolosa. Con le metafore non c’è da scherzare.
Da una sola
metafora può nascere l’amore”.
[L’insostenibile leggerezza
dell’essere - Milan Kundera].
Obbligo:
Un personaggio/i personaggi mantiene/mantengono il conto di qualcosa.
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Conta i passi. Conta i passi e si diverte.
“Uno, due, tre...”
Conta i passi e saltella sulle pietre del selciato.
“Guarda, Ada,
ho imparato a volare.”
Si volta, il padre, e lo afferra da sotto le braccia,
avvicinandoselo al petto e sollevandolo in alto.
“Come sarebbe, che hai imparato a volare?”
“Mi hai visto? Ero un'aquila. Una grande aquila coraggiosa e
potente. Volavo
lontano, oltre il confine della foresta.”
“Hai usato una metafora, lo sai?” Lo
guarda severo il
re.
“Cos'è una metafora?”
“Una metafora è qualcosa con
cui non si scherza, sono cose pericolose.”
Il re stringe a sé il figlio e lo porta nuovamente
all'interno
dei grandi cancelli della fortezza di pietra.
“Dalle metafore può nascere
l'amore.”
Legolas non sa cosa sia l'amore, ma non smette di contare.
Arriva a cento. Non sa come proseguire.
“Cosa c'è dopo il cento, Ada?”
Thranduil lo guarda e gli risponde in modo strano.
“Dopo il cento, Ion
nìn, c'è un gomitolo di
strade.”
E i cancelli si chiudono.
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Capitolo 5 *** "Ad Ovest!" ***
Sfidonzola di:
Agne Sherlin
Argomento:
The breacking of the Fellowship
Commento dell'autrice:
il mio povero cuore non regge. Ringrazio Agne e Schnussen per il dolore
inflittomi durante questa prima sessione di Sfidonzole delle
Muse.
Non vedo l'ora arrivi la prossima edizione. Yay.
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Ricordo il silenzio.
Lo ricordo perché non era un silenzio
come qualunque altro. Era silenzio di assenza. Silenzio di vuoto, che
adesso riempiva l'aria.
Avevo sempre amato il mare, era sempre
stato un mio grande desiderio poterlo rivedere.
Un enorme spazio
vuoto che si rincorre instancabilmente. Un infinito.
Odiavo essere
infinito.
Tutto il resto si era concluso, spezzato, restavo solo
io: io e il mare. Due vuoti a perdere.
Ricordavo il silenzio
perché avevo la mente offuscata da ricordi rumorosi: ricordi
rossi
di sangue e neri di tempesta. Ricordi di battaglie.
I fuochi
accesi la sera, la guerra, la speranza, la redenzione, il sudore.
La
musica. Il suono di un sorriso. La polvere.
Restavamo solamente io
e il mare, e quella barchetta, fatta di legno grigio e vele di tela
grezza.
Pronto a salpare, misi un piede sulla passerella di
legno.
Ricordo che il vento cambiò improvvisamente, quando mi
sentii afferrare per un braccio. Ricordo di aver sorriso, quando
riconobbi davanti a me una testa fulva e dei piccoli occhi severi e
commossi.
Senza dire una parola, Gimli si appoggiò a me e
salì
velocemente sulla nave, traballando più dello sciabordare
delle
onde.
Lo seguii.
Il silenzio è una strana malattia: il
silenzio è una contraddizione, perché fa
più rumore di cento
assalti.
Nessuno di noi aprì bocca finché non fummo ormai
lontani dall'ultima riva della Terra di Mezzo.
“Qui, su queste
sponde, si scioglie la nostra Compagnia”,
bofonchiò Gimli.
“Non
necessariamente”, pensai. Ma non dissi niente.
E il vento che si
levava forte spingendoci dolcemente verso largo mi dava ragione.
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