City of Sand Castles

di Patosangel32
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Would you like a cup of tea? ***
Capitolo 2: *** No one else can break my heart like you ***
Capitolo 3: *** Punch me ***
Capitolo 4: *** Satellite ***
Capitolo 5: *** Run away ***
Capitolo 6: *** Where are you, Izzy? ***
Capitolo 7: *** Falling apart ***
Capitolo 8: *** Switches ***
Capitolo 9: *** What a wonderful world! ***
Capitolo 10: *** Timeless ***
Capitolo 11: *** Breath ***
Capitolo 12: *** Angels and Demons ***
Capitolo 13: *** Vide me ***
Capitolo 14: *** Home Sweet Home ***
Capitolo 15: *** Teenagers ***
Capitolo 16: *** Forgiveness ***
Capitolo 17: *** Preparations ***
Capitolo 18: *** Sorry for party rockin' ***
Capitolo 19: *** Disobedience ***
Capitolo 20: *** Changes ***
Capitolo 21: *** Parabatai ***
Capitolo 22: *** Hopeless place ***
Capitolo 23: *** Alone ***
Capitolo 24: *** Dance me to the end of love ***
Capitolo 25: *** Cadentia Sidera ***
Capitolo 26: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo: Would you like a cup of tea? ***


Author's Corner: E' la prima volta che mi cimento in una cosa del genere. Premetto che è una storia molto lunga, figuratevi che ancora non ho deciso come farla finire nella mia mente. Prima di perdere altro tempo, mi auguro solo che vi possa piacere. Potrebbero esserci straordinario (nel senso di extra - ordinari e non di magnifici >.<) cambiamenti, che alcuni potrebbero non apprezzare. Ma così è presocché il modo in cui si sono svolti i fatti nella mia mente molto contorta. Amo Shadowhunters illimitatamente, quindi qualsiasi consiglio è sempre ben accetto. Se fa proprio schifo, potete dirmi di ritirarmi!
Con l'augurio di una buona lettura,
-A. Ah, quasi dimenticavo! Mi raccomando, se vi va fate un salto sulla nuova pagina appena creata Cherik Italia ! Aiutiamola a crescere! Un po’ di Cherik al giorno, toglie il medico di torno.


Prologo

"Would you like a cup of tea?
"

 
E paia, a vederlo e udirlo, tutto pietà, tutto fede,
tutto  integrità, tutto umanità, tutto religione.
E gli uomini, in universali, iudicano più agli occhi che alle mani;
perché tocca a vedere a ognuno, a sentire a pochi.
Ognuno vede quello che tu pari, pochi sentono quello che tu sei.
Niccolò Machiavelli

Sedici anni prima…

 
Ad Alicante era una bella giornata. Jocelyn avrebbe voluto uscire e andare a correre tra le immense distese verdi che disegnavano onde sinuose all’orizzonte. Le sue dita prudevano dalla voglia di dipingere il contrasto dell’azzurro del cielo con la scia di luce che il sole brillante tracciava sulle acque tranquille del lago Lyn. Jocelyn aveva sentito di strane creature che popolavano i fondali di quel lago. Ovviamente lei non ci si era mai avvicinata più di tanto. Lei come ogni Shadowhunter di Idris con un po’ di buon senso. Le acque del lago facevano male agli Shadowhunters come l’acqua santa ai vampiri. E fino a qualche anno prima, Jocelyn non avrebbe mai pensato al suicidio. Ora una gravidanza in corso e la speranza di poter andare via da tutto quel mondo di cui non voleva più fare parte, frenava i suoi istinti immorali.
 In quel momento era seduta, rannicchiata contro la spalliera della poltrona in soggiorno, con gli occhi rivolti alla finestra di fronte. Che orribile barriera alla felicità. Un solo passo e sarebbe stata lontano da tutto e da tutti. Poi una macchia bionda ai suoi piedi attrasse la sua attenzione.
Il suo primo figlio giocava tanto tranquillamente da incuterle terrore, con lo stilo del padre. Ad un anno conosceva la maggior parte delle rune del Libro Grigio. Si chiamava Jonathan e aveva due spaventosi occhi neri. Jocelyn avrebbe giurato che non fosse suo figlio, ma dal momento che era venuto al mondo proprio grazie a lei aveva evitato di esternare i suoi pensieri.
Aveva provato ad essere una madre come si deve, ma quando Jonathan la guardava un brivido le percorreva la schiena. Voleva volergli bene, come una mamma ama un figlio, ma questo non le era mai riuscito perfettamente. Quel bambino aveva qualcosa di strano e, se non fosse stato suo figlio, Jocelyn l’avrebbe tenuto a distanza di sicurezza.
Valentine invece, sembrava avesse imparato ad amarlo. Lo portava sempre con sé da quando aveva cominciato a camminare da solo, non si allontanava un centimetro da lui.
Quasi la sua presenza fosse di fondamentale importanza.
Quasi volesse monitorarlo ogni trenta secondi.
All’inizio Jocelyn aveva trovato la cosa piuttosto tenera, ma quando Valentine era diventato ossessionato da una serie di teorie note solo a lui, la questione aveva iniziato a preoccuparla. Per quanto la vicinanza a Jonathan la rendesse nervosa, non riusciva a sopportare che gli succedesse qualcosa di male per colpa di quel pazzo del padre.
C’è da considerare che una volta, quando Jocelyn non aveva neanche l’età di partecipare alle riunioni del Conclave, era stata addirittura innamorata di lui. Valentine era il più bel ragazzo che frequentasse l’accademia di Shadowhunters di Idris, il più preparato, il più intelligente, il più simpatico. Insomma aveva tutta una serie di qualità in più rispetto al resto dei Nephilim di sua conoscenza e per questo Jocelyn l’aveva sposato. Ora però, non sapeva cosa dovesse fare. Aveva già capito che allontanare Jonathan dal padre sarebbe stato impossibile. La gravidanza che avrebbe dovuto portare a termine entro altri sette mesi, fungeva da collante per il loro rapporto. Ma Jocelyn si chiedeva se questo fosse sbagliato.
Quanto è giusto dare alla luce una creatura innocente solo per non mandare a monte un matrimonio nato sbagliato? Quanto è giusto rimanere affianco ad una persona diversa da quello che credevi in realtà? Forse Lucian aveva ragione. Al pensiero del suo migliore amico le salì il cuore in gola. Luke era così diverso da Valentine. Erano stati due perfetti parabatai prima che Valentine entrasse in un periodo di pre-mestruo perenne, come Jocelyn ironicamente preferiva chiamarlo. Ovviamente Valentine non ne era a conoscenza. L’Angelo solo sapeva come Valentine avrebbe reagito ad un insulto del genere. Forse l’avrebbe legata con una corda di qualche metro alla staccionata della stalla e costretta a pascolare proprio come uno dei cavalli di famiglia.
Si spostò una ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio, sorridendo al bambino ai suoi piedi. Jocelyn notava che dopo tutto le mani del figlio si muovevano proprio come le sue su una tela bianca. Avrebbe voluto che suo figlio avesse i capelli rossi e ricci come tutti i membri della famiglia Fairchild, che fosse un’artista o comunque che sapesse fare qualcosa che non rientrasse nelle nozioni base di cacciatore prodigio ad una anno soltanto. Voleva vederlo ridere, chiedere i nomi di oggetti a lui sconosciuti e storpiarne il nome come fanno di solito i bambini. Invece Jonathan non faceva niente di tutto ciò. Anzi già saltellava come se fosse un atleta da sempre e ti guardava con uno sguardo di superiorità tipico di un adolescente molto sicuro di sé. Lo sguardo di Valentine.
Jocelyn avrebbe volentieri preso un carboncino per disegnare tutta la confusione che aveva in mente sarebbe stato tutto grigio e nero come la Londra di Dickens. Sarebbe stata una nuvola di cenere immobile, senza speranza di scomparire. Ma Valentine non voleva che disegnasse quando aspettavano ospiti.
Proprio in quell’istante il campanello della villetta suonò.
Jocelyn si alzò con agilità, evitando di disturbare il figlioletto ai suoi piedi, più per paura che per altro. Il piccoletto non la degnò di uno sguardo. Così con il solito senso di inadeguatezza, si diresse alla porta dove ovviamente, Valentine l’aveva preceduta.
L’uomo aprì la porta, e nello stesso tempo circondò le spalle di Jocelyn con un braccio. Un tempo aveva sperato che Valentine lo facesse per sempre. In quel momento, se non ci fosse stato Stephen Herondale sulla porta probabilmente se lo sarebbe scrollato di dosso con uno spintone.
-“Mio caro Stephen” disse Valentine stampandosi sulla faccia un sorriso ancora più finto di quello di Jocelyn. Entrambi fingevano per diverse ragioni. Valentine non aveva mai apprezzato davvero Stephen Herondale, o in generale tutti gli Herondale. Li trovava insidiosi, troppo intelligenti, e superbi. Jocelyn invece li trovava attraenti e spiritosi. Ovviamente le piacevano solo perché  a Valentine davano fastidio, solo perché riuscivano a tener testa alle sue discussioni.
Rettifico, Jocelyn adorava chiunque potesse redimere l’ego supremo di Valentine.
-“Ciao Jocelyn” salutò l’uomo. Aveva gli occhi spenti e nessun velo di ironia era palpabile. A Jocelyn si era stretto il cuore. Stephen aveva perso la moglie, Cèline, quasi un anno prima, di parto. Quando era nato il loro Jace, la giovane Cèline non ce l’aveva fatta. Jocelyn si era più volte domandata quale fosse il motivo di tanti imprevisti. Innanzitutto è difficile che gli Shadowhunters muoiano così facilmente, poi di parto nel XX secolo era pressoché assurdo. Stephen continuava a soffrire molto, e Jace rappresentava l’unica cosa di veramente bello che gli rimaneva. Quel bambino aveva due splendidi occhi color oro, inusuali per gli Herondale, e splendidi capelli biondi che il bambino aveva ereditato dalla mamma. Per Jocelyn era la cosa di più vicino ad un angelo che avesse mai visto.
Stephen portava il bambino sulle spalle e la cosa non sembrava dargli fastidio. Sembrava piuttosto che lo avrebbe portato anche in capo al mondo senza lamentarsi mai del peso. Gli occhi ambrati di Jace guizzavano di qua e di là, e quando incontrarono quelli di Jonathan si affilarono come quelli di un gatto. Per il momento non avevano mai dato problemi, ma un giorno, Jocelyn avrebbe giurato, che tutto quel guardarsi di sottecchi avrebbe portato ad un bello scontro.
La donna inorridì un’altra volta.
-“Sono contento che tu sia venuto, Stephen, è importante che i nostri figli imparino a conoscersi. Non si sa mai che un giorno diventino parabatai”
-“Preferire che mio figlio scelga il suo parabatai da solo” ribatté Stephen con voce piuttosto cupa. Valentine lo guardò male. Jocelyn pensava che non si sarebbe mai abituato alle risposte secche del ragazzo dagli occhi azzurri. Stephen non lo faceva di proposito, ma spesso Valentine si irritava al punto di portare la mano vicino uno dei suoi soliti coltelli dentro la giacca nera. Solo Jocelyn poteva intervenire in quel caso, perché in quanto madre dei suoi futuri figli, era l’unica persona che non avrebbe corso pericoli.
-“Jonathan, cosa stai facendo, figliolo?” chiese Valentine sedendosi sui talloni. Il bambino alzò lo sguardo e Jocelyn sentì i capelli della nuca rizzarsi. Più volte si era ordinata di smettere di avere paura di suo figlio.
Ma aveva l’impressione che fosse assolutamente sbagliato.
-“Rune” rispose quello con un’alzata di spalle. Jace lo guardò interessato e poi tornò concentrato su qualcos’altro. Jocelyn avrebbe giurato che appena fosse stato in grado di parlare il necessario, avrebbe avuto una lingua lunga come quella del papà.
-“Anche Jace ne disegna parecchie. Ma non mi sembra di avergliele insegnate. Tu cosa ne pensi, Valentine?” Stephen parlava come se fosse lontano, ma Jocelyn notò che stesse nascondendo rabbia e frustrazione tutte in una volta.
Suo marito si alzò sorridendo. Malefico.  Scrollò i capelli del bambino di fronte a lui e se ne andò in cucina. Prima di scomparire nella stanza adiacente, si fermò.
-“Vuoi una tisana, tesoro?” chiese di spalle. Jocelyn si chiese se fosse il caso di dirgli di no, visto che continuava a bere quelle miscele dalla prima gravidanza. Inutile dire che il sapore ultimamente era migliorato. Sapeva di miele e limone. La prima volta che Jocelyn l’aveva provato, si era ricordata il giorno in cui aveva bevuto dalla coppa mortale. Ma era impossibile bere sangue di angelo. Giusto?
A volte si era soffermata a pensare che fosse una coincidenza strana che anche Cèline bevesse quelle tisane che Valentine le offriva. Cèline però non si era mai lamentata del gusto. Era così dolce, che Jocelyn si era sentita in colpa per giorni dopo la sua scomparsa.
-“Si, tesoro” disse la donna guardando fuori dalla vetrata. Forse un giorno avrebbe smesso di mentire. Un giorno forse, Valentine avrebbe visto ciò che Jocelyn era davvero, e non ciò che pensava che fosse.
 
 
Continua …

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Capitolo 2
*** No one else can break my heart like you ***


Author's Corner:
Sono tornata! Ammetto che questo capitolo è più corto rispetto a quello che mi ero proposta di scrivere. Solo che non riuscivo a farli più lunghi.. Non voglio rendere la storia troppo 'pastosa', cambiare interamente il libro più bello della storia è da stupidi, quindi mi accontento di scrivere piccoli episodi.
Ad ogni modo, il personaggio di Will è puramente inventato. Però non potevo non proporre un William Herondale ** Ha dodici anni, e forse è un po' tardi per ricevere la prima runa, ma è tutto calcolato nel senso che ci saranno dei risvolti (che per il momento sono solo nella mia testa >.<) che mi hanno condotto a questa scelta.
L'ambientazione sulla seconda parte è casuale. Il covo dei Morgernstern,ammetto di aver preso un po' spunto dal Batman di Nolan, sarà molto frequentato durante la storia.
E niente, spero solo di non deludervi. Vi ricordo di passare da questa pagina, se vi va :) Cherik Italia È una ship moooolto interessante !

With Love.
-A
No one else can break my heart like you
I nostri dubbi sono traditori,
e ci fanno perdere il bene che potremmo ottenere
perché abbiamo paura di tentare.
William Shakespeare
 
-“Jace.”
Il ragazzo pensava che se avesse ancora finto di dormire, chiunque lo stesse chiamando se ne sarebbe andato. Ma quando Jace sentì la porta aprirsi per intero, sollevò metà faccia dal cuscino.
Sulla porta, il suo fratellino stringeva tra le mani un pupazzo a forma di drago verde con una coda che strisciava per terra e delle zampe decisamente troppo lunghe, che per pochissimo non era più grande di lui. Jace aprì con fatica gli occhi color ambra.
-“Brutti sogni, Will?” gli chiese scostando un po’ le coperte bianche. L’aria fredda della stanza, lo fece rabbrividire.
-“Posso dormire insieme a te?” chiese il bambino strofinandosi una mano sull’occhio. Jace gli fece spazio ad un lato del letto e poi gli fece cenno con la mano di avvicinarsi.
Will era scalzo con un pigiama decisamente più largo della sua taglia, le maniche erano troppo lunghe e i pantaloni gli finivano sotto i piedi. Jace si chiedeva perché Amatis o suo padre non gli dicessero di indossare vestiti della sua taglia. La risposta era ovvia: perché quel pigiama era appartenuto a Jace anni prima.
-“Anche quell’orribile pupazzo deve dormire sotto le mie lenzuola?” Chiese rimboccando le coperte al suo fratellino. Will non aveva gli occhi color oro e i capelli biondi, ma piuttosto aveva grandi occhi blu, non come gli Herondale che generalmente avevano un colore simile al mare in tempesta, ma blu come un grande lago calmo, senza pericoli, rassicurante. I capelli erano castani come quelli della madre. Inoltre, quella di Will non era un’indole insolente e furiosa, non cercava di essere antipatico per la gente, ma piuttosto cercava di non dare fastidio a nessuno.
 In questo aveva preso molto dai Graymark e poco dagli Herondale.
Will rise consapevole che la domanda del fratello fosse retorica. La sua intelligenza, a Jace piaceva ammettere che fosse tipica degli Herondale, lo rendeva un bambino prodigio. Calmo, ma pur sempre molto intelligente.
-“Allora, Will, cosa succede? Non mi risulta che questa sia la prima notte insonne..” Jace gli accarezzava i capelli e parlava piano, con la paura che se si fosse addormentato la sua voce lo avrebbe disturbato. Will tacque per un qualche minuto. Nella stanza si sentivano solo i loro respiri e la mano di Jace che spazzolava i capelli di Will lentamente.
-“Jace?”
-“Mmh?”
-“Tu hai mai paura?” gli chiese a voce bassissima, quasi stesse parlando al suo pupazzo e non volesse che nessuno lo sentisse.
Come faceva a spiegargli che non aveva paura, ma era terrorizzato che potesse succedere qualcosa alle persone a cui voleva bene? Anche lui aveva avuto paura del buio. E poi c’erano le anatre…
E innamorarsi. Per l’Angelo aveva davvero paura che qualcuna gli spezzasse il cuore? Suo padre aveva voluto bene a Cèline, sua madre, ma d’altra parte se l’avesse amata davvero non si sarebbe risposato con Amatis, giusto? Jace non aveva niente in contrario con il nuovo matrimonio del padre, oramai stavano insieme da quasi tredici anni, e Jace aveva accettato Amatis come membro della famiglia Herondale, anche perché non aveva mai avuto l’opportunità di fare un confronto tra la sua madre biologica e Amatis, che era invece la mamma del suo fratellino.
Amatis e Stephen si amavano e sembravano sostenersi a vicenda, quindi Jace non avrebbe rovinato, da cinico qual era, la forte relazione che c’era tra i due.
-“Tutti abbiamo paura, William.”
-“Io voglio essere come te, Jace. Voglio essere coraggioso come te, e voglio avere tante ragazze come te” Will parlava sottovoce fissando lo sguardo sul soffitto. Anche Jace assunse la stessa posizione passandosi la mano dietro la testa.
-“ Io sono bellissimo e simpatico, ed è anche vero che ho successo con le ragazze, ma tu devi essere uguale a te stesso, Will.”
Will sbadigliò e Jace capì che forse non era giusto tenerlo sveglio, quando ad un certo punto la maniglia della porta della stanza si abbassò lentamente. Jace girò la testa di scatto e anche Will guardò verso la luce che entrava dal corridoio.
-“I miei ragazzi sono ancora svegli” constatò Stephen Herondale sulla soglia della stanza. Indossava ancora la divisa nera da cacciatore nonostante fosse notte fonda. Jace non li aveva sentiti rientrare, segno che la stanchezza di una giornata passata ad allenarsi con il suo parabatai, lo aveva stremato.
-“Ciao papà” dissero in coro. Will frenò l’impulso di saltargli addosso, solamente perché l’uomo in nero si avvicinò sedendosi sul bordo del letto. Passò una mano sui ciuffi ribelli di Will, che gli si arricciavano sulla fronte, e sorrise a Jace, che lo guardò di ricambio.
Sotto la luce della stregaluce, Jace riusciva a distinguere completamente le rune appena fatte del papà. Scorse un’iratze sulla spalla, ma per evitare di spaventare Will, non lo disse ad alta voce. Come se avesse capito i pensieri di Jace, Stephen scosse le spalle.
-“Come mai non sei nella tua stanza, William?” chiese Stephen con la voce arrochita.
Will guardò Jace, e poi abbassò lo sguardo sul suo pupazzo, a Jace sfuggiva sempre il nome. Il ragazzo aveva notato che quando Will non riusciva a dire la verità, fissava il pupazzo. Altro carattere che non era proprio tipico degli Herondale, che generalmente amano dire la verità, per quanto cattiva, direttamente in faccia.
-“Sei preoccupato per la cerimonia delle prime rune?” chiese Jace, poggiando la testa su una mano. Stephen fissava il bambino come se attraverso i suoi occhi azzurri potesse infondergli tutte le risposte del mondo.
Il bambino annuì in modo impercettibile e allora Stephen si tese e lo circondò con entrambe le braccia nerborute, molto simili a quelle di Jace.
-“Sei un cacciatore, Will. Come me, come Jace, come la mamma. Il sangue dell’Angelo scorre nelle tue vene. Non c’è nessun motivo di preoccuparsi” disse Stephen disegnando con la mano dei cerchi sulla schiena del bambino. A Jace vennero in mente le notti che il papà aveva passato al suo fianco leggendo favole che adesso trovava ridicole.
-“A scuola ho sentito dire che i fratelli silenti fanno molta paura” disse con la faccia schiacciata contro la maglietta nera del papà.
-“Ah, questo è vero” disse Jace senza potersi trattenere. Stephen allungò una mano e gli tirò uno scappellotto sulla nuca, facendo ondeggiare le ciocche bionde. Jace rise in silenzio.
Ma era vero. L’ultima volte che era stato vicino ad un fratello silente, si era sentito come svuotato delle sue conoscenze, che non erano minime, e poi si era sentito stordito per qualche minuto. Era stata una brutta sensazione.
-“Prometti che dormirai tranquillamente?” chiese Stephen afferrando il figlio per le spalle. Gli sorrise caldamente e poi lo adagiò sul cuscino, non senza dargli un bacio sulla fronte.
-“Bene, ora a dormire” esclamò Jace, riportandosi le lenzuola candide sotto il mento. Will sorrise e poté immaginare anche Stephen sorridere, chiudendosi la porta dietro le spalle.
Jace sentì il fratellino rannicchiarsi contro di lui.
-“Mr Donut dice buona notte” sussurrò Will prima di addormentarsi.
Jace sorrise e chiuse gli occhi.
 
 
Jonathan era seduto sulla sedia girevole nello studio che suo padre aveva allestito nella spelonca dietro una cascata. Triberg era una cittadina carina con poco più di cinquemila abitanti, lontani abbastanza dal primo istituto di Shadowhunters e non molto vicini ad Idris. Il che rendeva la loro missione molto più semplice di quello che si potrebbe pensare.
L’unica cosa che poteva complicare le cose era il clima rigido, ma di quei tempi Jonathan non si sarebbe lamentato. Se non altro perchè il paesaggio suggestivo della Foresta Nera lo metteva di buon umore. E le cose che lo mettevano di buon umore erano poche, generalmente.
Lo facevano sentire bene la camicia bianca che indossava, con le mani arrotolate fino ai gomiti, e i pantaloni chiari che portava posati sui fianchi. Per non parlare delle bellissime scarpe nere di pelle firmate Diesel. C’era da riconoscere ai mondani un bel gusto nella moda.
Stava leggendo per la milionesima volta King Lear di Shakespeare, libro tra l’altro che lo faceva incazzare. Il protagonista secondo lui, doveva rimanere cattivo. Per lo meno è quello che avrebbe scelto Jonathan, d’altra parte se Cordelia lo aveva appena preso in giro, Jonathan avrebbe ricorso ad altri rimedi. Per esempio le avrebbe trapassato il petto con un chakram. Forse un tagliacarte sarebbe bastato.
Con i piedi posati sulla scrivania, sfogliava con scarso interesse le pagine che sapeva a memoria. Dopotutto la runa mnemosine serviva a qualcosa.
La stregaluce illuminava il linoleum del locale in cui per il momento Jonathan era solo.
Si alzò, aprì il frigobar dall’altra parte della stanza e ne estrasse una Red Bull. Essere in Germania e non bere birra era un paradosso, ma quella bibita mondana lo caricava e poi gli piaceva.
Iniziò a trangugiare senza sosta, fino a quando non gli sembrò di dover prendere aria. Si passò una mano sulle labbra per togliere il succo che gli era rimasto appiccicato e posò la lattina sul tavolo.
Riprese la posizione di prima e riaprì il libro.
Poco tempo più tardi, sentì il rumore metallico di una porta che si apre. Suo padre raggiunse la stanza qualche secondo più tardi. Vestito ancora come un cacciatore, Jonathan si chiedeva se ci fosse un momento nella giornata in cui non indossasse quella patetica tuta nera, Valentine entrò di gran carriera nella stanza.
-“Sei pronto?” chiese con la solita voce altezzosa. Jonathan non alzò neanche lo sguardo dal libro.
Ogni tanto le buone maniere sarebbero state utili.
-“Allora?” chiese Valentine girandosi e fulminandolo con gli occhi di ghiaccio. Jonathan lo guardò inclinando la testa.
-“Per andare dove?”
-“A caccia, stupido idiota”
No, quello non lo faceva stare bene per niente. Davvero suo padre l’aveva chiamato stupido idiota? Questo era grave. Grosso errore.
Afferrò la lattina di Red Bull nelle mani e la strinse fino a ridurla ad una pallina di alluminio. Le mani gli sanguinavano un pochino. Sangue nero.
Sollevò lo sguardo sul padre e con un gesto fulmineo lanciò prima la lattina e poi subito dopo un coltellino, che passò sibilando a lato dell’orecchio sinistro di Valentine e impigliò la lattina alle spalle dell’uomo, sul muro.
Jonathan si alzò, lentamente passò a fianco del padre immobile e poi si fermò alle sue spalle.
-“La prossima volta la mia mira potrebbe essere migliore” affermò.
Uscì dalla stanza sogghignando con la consapevolezza che Valentine non poteva fare a meno di lui.
 
 
Continua…

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Capitolo 3
*** Punch me ***


Author's Corner:
Bene, pubblico questo capitolo in data vicinissima al secondo, perchè non ho idea di quando potrò aggiornarla nuovamente magari domani o fra un mese >.<
Dunque, ho una sola indicazione da dare: non fraintendete i pensieri di Jonathan\Sebastian. Essendo una What if? il mio personaggio si atteggerà di conseguenza. Imparerete che io lo amo più di qualunque altro personaggio della serie, quindi non posso non dedicare a lui una svolta quasi totale, anche se non è questo capitolo quello in cui si nota il cambiamento.
Di altro.. Beh, allora Jonathan Wayland dovrebbe essere morto insieme al padre, ma Valentine non li ha fatti fuori incendiando la loro tenuta, perchè non aveva motivo di assumere un altra identità.
Parere personale: Ci sono troppi Jonathan! ahahahah
With Love .
-A

 

Punch me
At the same time I wanna hug you,
I wanna wrap my hands around your neck.
You’re an asshole, but I love you.
 
“Ti sei comportato bene ieri notte. In battaglia” disse Valentine facendolo sembrare un complimento. E come tale Jonathan avrebbe dovuto almeno rispondere ‘grazie’. E’ così che si fa, giusto?
Ma Valentine, è risaputo, preferisce frasi ad effetto.
-“Solo perché sei tu mio padre” rispose dissimulando.
Quando cresci a pane e frustate, ti rendi conto che o puoi amare e basta o puoi solo odiare. Il caso di Jonathan era di rispettare il padre per evitare ulteriori bastonate, anche se adesso sarebbero state a rischio e pericolo per l’uomo di ghiaccio che aveva di fronte,  e di odiare il resto del mondo.
 A parte una sola persona.
-“Abbiamo bisogno di tua sorella, Jonathan”
Il ragazzo con i capelli di platino alzò lo sguardo verso il padre senza mostrare alcun sentimento.
Si può pensare che avessero in mente bisogni diversi.
 
Da diverso tempo, oramai, Maryse e Robert non dormivano più nello stesso letto. Essendo Robert un gentiluomo, aveva concesso gentilmente, appunto, il letto matrimoniale a sua moglie. I ragazzi non sapevano di questa separazione. Persino Maryse ignorava questa loro presa di posizione. La donna avrebbe giurato di amare Robert Lightwood e che , Per l’Angelo, quell’amore fosse ricambiato.
Quando quella mattina Maryse si alzò, guardò spontaneamente a destra dove secoli prima suo marito le dormiva accanto. Poi quasi recuperando un briciolo di dignità perduta, si alzò a fatica dal letto. Solo in quel momento poteva dimostrarsi fragile. Aveva una famiglia da sostenere e una reputazione da difendere.
Considerava tutto quello un fallimento. Non era mai capitato che Maryse Trueblood in Lightwood non avesse qualcosa sotto controllo. Era di sua competenza fare la spesa, le pulizie, educare i figli, accompagnarli in Accademia e provvedere ai loro bisogni. Non poteva permettere che in casa mancasse niente. E proprio l’unica cosa che non aveva tenuto in conto era stata la sua relazione, il matrimonio nella fattispecie, che andava a rotoli.
Maryse si voltò verso lo specchio e notò con aria quasi compiaciuta la figura slanciata di una donna con capelli scuri e occhi penetranti, che era stata corteggiata da tutti  gli Shadowhuters di Idris allora conosciuti. E lei aveva scelto proprio quello che le aveva fatto battere il cuore, con cui aveva generato tre splendidi figli, ma che preferiva dormire nello studio al piano di sotto piuttosto che al suo fianco.
Non che Maryse fosse una donna romantica, ma anche a lei come a tutte le donne del mondo sarebbe piaciuto ricevere attenzioni da un uomo che la guardasse come se fosse l’unica stella nel cielo.
Ovviamente non era il suo caso.
Si vestì di fretta, e davanti allo specchio del bagno si pizzicò forte le guance per renderle più colorite. Poi si calò nei panni di matrona e aprì la porta tutta impettita senza sperare di incontrare nessuno dei suoi figli. Isabelle dormiva alla meglio nella stanza di fronte alla loro, Max non sarebbe mai uscito di stanza a quell’ora perché, Maryse avrebbe giurato, aveva passato l’intera notte a leggere storie assurde di supereroi e robe simili. L’unico che a quell’ora poteva essere già in giro per casa era Alec, ma con ogni probabilità era proprio l’unico che si sarebbe fatto i fatti suoi.
Scese le scale maledicendosi per aver scelto i tacchi che facevano un fracasso infernale, e arrivata alla fine si sistemò la giacca rendendosi conto che non era proprio tollerabile dover fare colpo sul proprio marito. Insomma, si presume che un uomo sposato sia totalmente concentrato sulla donna che ha sposato.
Ovviamente neanche quello era il suo caso.
Prima di entrare, si spostò i lunghi capelli neri su una spalla e chiuse gli occhi sperando di non dover svegliare Robert. Bussò lentamente e senza attendere risposta si precipitò dentro la stanza.
Una tenue luce soffusa si espandeva da una lampada di stregaluce appesa alle spalle dell’uomo.
Robert alzò gli occhi marroni e li punto dritti in quelli blu della moglie. Aveva l’aria stanca e sembrava più triste del solito.
-“Hai già letto il giornale?” chiese Robert alzandosi gli occhiali sopra la testa  e strofinandosi gli occhi con le dita. Maryse si chiese se avesse passato la notte insonne, o fosse rimasto scomodo tutto quel tempo seduto sulla poltrona marrone dietro la scrivania.
-“Non ancora. Brutte notizie?” chiese senza muoversi.
-“Qualcuno si è divertito a fare strage di Nascosti, Maryse. Se il Conclave non prenderà provvedimenti in breve tempo avremo tutti i clan di Vampiri del mondo che si uniranno a branchi di lupi piuttosto arrabbiati, per non parlare di Fate, Folletti e stregoni contro.”  Robert si alzò ripiegando con cura il giornale. Maryse distinse sotto la luce soffusa le rune un tempo familiari del marito. Robert si passò una mano tra i capelli e Maryse fece un passo avanti, sperando che Robert le dicesse almeno ‘buongiorno’.
-“I ragazzi ne sanno qualcosa?”
-“I ragazzi non c’entrano niente” sibilò Maryse. Poi girò sui tacchi e se ne andò cercando di cacciare indietro le lacrime che le facevano bruciare gli occhi non per la rabbia, ma per la delusione.
 
Più tardi, Clary si trovava all’interno della palestra dell’Accademia disegnando sul suo libro. Aveva da giorni in testa l’immagine di questo ragazzo di spalle che incideva su un blocco, che sembrava essere marmo o un qualcosa del genere, una runa nuova. Era una specie di quadrato dal cui centro partiva una serie di linee sottili e due centrali più grosse che finivano con una spirale ai lati. Era strana perché nel disegnarla sentiva come un brutto presentimento. Si chiedeva cosa sarebbe successo se l’avesse disegnata con lo stilo. Poi la sua attenzione si focalizzò sul ragazzo, che rappresentava il problema più serio. Clary non riusciva a disegnare, per come se l’immaginava, la linea ferrea della mascella, e non riusciva a rendere la morbidezza dello sguardo. Persino i capelli che nella sua testa erano biondi, erano scorretti. Clary voleva rendere il loro movimento, come se il vento li spazzolasse quasi ne potesse sentire il profumo, ma invece era finita a disegnarlo di spalle con due enormi ali bianche che iniziavano al centro della schiena.
-“Cosa stai disegnando? E’ una runa quella? Non l’ho mai vista nel libro Grigio” Clary chiuse di scatto il libro, quando Isabelle che fino a quel momento si era accanita con un tirapugni contro un sacco da punch ball su cui aveva attaccato un foglio con scritto ‘Punch me. Sincerely, your heart’, mentre adesso la guardava da dietro la spalla mentre dava un morso da una succosa mela rossa.
-“Ehm, io… No. Era solo un disegno”
-“Sembrava Jace, quello comunque” disse quella sedendosi sul tavolo davanti a Clary e accavallando le lunghe gambe con enorme disinvoltura.
-“No, non credo fosse proprio lui..” disse Clary arrossendo completamente. Adesso aveva le guance più o meno dello stesso colore dei capelli. Isabelle rise puntandogli un dito contro.
-“E’ tutto tuo, stai tranquilla.”
-“Izzy, Jace non mi piace in quel senso” disse Clary puntando lo sguardo sul suo libro. Con un dito iniziò a seguire i contorni del titolo sentendo il rilievo di ogni lettera al tatto.
-“Jace piace a tutte. A proposito, l’altra sera sono uscita con Jonathan Wayland” disse Isabelle mordendo di nuovo la mela.
-“Il figlio di Michael?”
-“Già, il parabatai di mio padre. Devo dire che non bacia proprio benissimo. Però può migliorare” disse Isabelle sorridendo maliziosa. Clary si sentì immediatamente sollevata dal fatto che la conversazione non vertesse più su di lei.
-“L’hai baciato?” chiese.
-“Chi ha baciato chi?” chiese qualcuno aprendo la porta in modo plateale. Jace, seguito da Alec, era totalmente vestito di nero. Gli enormi stivali con la punta rinforzata facevano un gran baccano nella sala vuota.
-“Io ho baciato il figlio di Michael Wayland” disse Isabelle con la stessa disinvoltura con cui prima aveva accavallato le gambe.
-“Isabelle!” la riprese Alec guardandola torvo. Isabelle rise, mentre Clary si sentiva osservata.
-“Ciao, carotina” la salutò Jace trascinando una sedia al suo fianco. Clary passò in rassegna una serie di frasi con cui rispondere, ma le tornò utile solo una.
-“I miei capelli sono rossi, non arancioni” disse guardandolo male. Jace alzò un sopracciglio, facendo impallidire dall’invidia Clary e poi guardò Isabelle.
-“Ciao Isabelle, sei splendida stamattina”
La ragazza alzò gli occhi al cielo e se ne andò, Clary ci avrebbe giurato, accentuando l’andatura ancheggiata, seguita dal fratello. Insieme presero una serie di spade angeliche e se le infilarono nelle fibbie attaccate ai pantaloni. Alec andò a controllare il banco su cui erano posizionate le frecce e ne afferrò un paio osservandole con zelo.
-“Non mi piace quando le ragazze fanno finta che non sia a loro fianco. Mi fa sentire meno importante” disse Jace girandosi tra le dita l’anello di famiglia con un airone inciso sopra. Clary non poté fare a meno di notare le dita affusolate del ragazzo, e improvvisamente immaginò di vederle scorrere sui tasti bianchi e neri di un pianoforte.
-“Dovresti capire che il mondo non è Herondale-centrico”
Jace rise e Clary quasi perse il respiro. Quel profilo squadrato, i capelli biondi che gli erano scivolati davanti agli occhi, Clary dovette richiamare tutte le forze in suo possesso per impedirsi di scostarglieli dalla fronte, e il sorriso con un dente leggermente spuntato prova che a Jace piacesse combattere, le fecero perdere più di un battito. 
-“Pensavo di essere il sole, fino a qualche secondo fa. L’eliocentrismo è una verità assoluta” disse Jace continuando a sorriderle, Clary si alzò afferrando il giubbotto di pelle nere dalla sedia, Jace la guardò inclinando la testa.
-“Dove vai? Stiamo per iniziare l’allenamento”
Ignorando di avere il viso in fiamme, Clary si passò frenetica una mano per ravvivare i capelli mossi.
-“Se sto vicino a te potrei scottarmi” disse voltandosi per raggiungere la porta di corsa. Avrebbe assistito alla prima lezione che le capitava di strada, magari demonologia, dove avrebbe continuato il disegno interrotto.
Come aveva indovinato Isabelle, il ragazzo nel sua mente aveva assunto i connotati di Jace Herondale.

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Capitolo 4
*** Satellite ***


Author's Corner:
Su questo capitolo non ho niente da aggiungere, se non che è la parte che sognavo di scrivere da quando la storia mi è saltata in mente. Ho avuto problemi all'inizio per come risolverla, ma con una barretta Kinder e la giusta canzone si risolve tutto.
Spero che possa piacervi.
Non dimenticatevi di recensire il capitolo.
With Love
-A.


Satellite

 
Can anybody tell my why I’m lonely like a satellite?

 
Usciti dalla palestra, Alec e Jace salutarono Isabelle che aveva detto di voler tornare a casa prima. Jace l’aveva vista armarsi fino ai denti, in posti in cui lui non avrebbe mai pensato di nascondere delle stelle ninja o coltelli. L’aveva osservata con ammirazione e poi rivolto ad Alec gli aveva chiesto se un giorno avrebbe mai potuto frequentare sua sorella. Benché Alec e Jace condividessero tutto, Alec l’aveva guardato piuttosto male e Jace aveva capitato che era meglio stare alla larga da Isabelle.
Senza dubbio era una bellissima Shadowhunter. Pardon, un’abilissima Shadowhunter.
Alec e Jace avevano intuito di aver bisogno di una doccia, dal momento che quei vestiti di pelle benché comodi non erano molto traspiranti. Purtroppo, i due erano stati fermati dall’Inquisitrice, che sebbene non fosse una gran chiacchierona, adorava interrogare il nipote con molta attenzione.
-“Jace!” lo chiamò. Il ragazzo imprecò sottovoce e fece una sorta di capovolta plateale sui tacchi. Nonostante non potesse vedere Alec in faccia, avrebbe giurato che il ragazzo dagli occhi blu avesse alzato gli occhi al cielo.
-“Alexander, è sempre un piacere incontrarti.” L’Inquisitrice era arrivata con tutta la calma del mondo, e si era rivolta al nipote con il solito sorriso sarcastico. Alec aveva sempre detto a Jace, che sicuramente l’espressione beffarda era stata ereditata dalla nonna. Jace non era del tutto convinto. Innanzitutto perché quell’espressione sul suo viso era sexy, mentre quella della nonna era un po’ Inquietante.
-“Il piacere è mio, Signora Inquisitrice” Alec era diventato improvvisamente rosso. E Jace continuava a domandarsi cosa non imbarazzasse il suo parabatai. Sicuramente il dialogo non era uno dei punti di forza di Alec.
-“A differenza di quello che penso su tutti i Lightwood, per te è diverso. Sai, non credo che esisterebbe miglior parabatai per mio nipote. Non trovi anche tu, Jace?” si vedeva che tutte quelle parole erano solo un gesto di cortesia, Jace avrebbe giurato che una volta che Alec se ne fosse andato, la nonna avrebbe detto qualcosa sugli adolescenti e il loro mancato senso del dovere e della razionalità. Menomale che quello non era il caso di Alec.
-“Sì, Alec è perfetto” un po’ per le parole, un po’ per la presenza dell’Inquisitrice, Alec divenne ancora più rosso di quanto non fosse.
-“Forse è il caso che io tolga il disturbo” balbettò. Dopo aver salutato l’Inquisitrice con ogni forma di cordialità, Alec guardò Jace e poi gli buttò un piccolo pugno sulla spalla, facendolo sorridere.
-“Allora, cosa è successo? E’ strano che mi fermi così per i corridoi dell’Istituto a fine giornata. Non dovresti essere a casa a quest’ora? Pensavo che il lavoro d’ufficio fosse fino alle cinque del pomeriggio..” Jace adorava prendere in giro la nonna, ma in generale tutte le persone che gli davano retta. Così dopo averlo lasciato parlare in una sorta di soliloquio, la donna lo guardò sostenendo lo sguardo nei suoi occhi così familiari.
-“Hai sentito dei nascosti uccisi stanotte? Tu e il tuo gruppo di amici c’entrate qualcosa?” Jace notò la serietà della sua voce e abbandonò l’idea di scherzare.
-“Ieri sera sono rimasto a casa con Will perché papà e Amatis sono usciti. Non penso che Alec e Izzy siano andati a fare fuori qualche nascosto, sebbene l’idea di fare fuori qualche succhiasangue o qualche lupacchiotto non ci dispiaccia affatto”
L’inquisitrice non sembrava del tutto soddisfatta della risposta. Jace poteva scorgere una domanda che però sua nonna non si era ancora azzardata a fare.
-“Neanche Clary” disse rispondendo alla domanda proibita. Imogen odiava Valentine, e di conseguenza anche Clarissa. Ma Jace sapeva che Clary era la persona più sensibile, simpatica, vulnerabile e buona sulla terra. Ed era consapevole di aver completamente fuso il cervello.
-“Perché ne sei così sicuro?” chiese la donna controllando l’orologio da cui non si separava mai.
-“C’è qualcosa di cui non sono sicuro?” chiese il biondo con il solito sorriso.
Anche Imogen sorrise. Anche perché l’unica persona in grado di strapparle un sorriso era proprio Jace.
 
I lunghi capelli neri di Isabelle, continuavano a sbatterle sulla guancia. La ragazza con un moto di nervosismo se li passò su una spalla. Avrebbe potuto fare una treccia, o legarli in una coda, ma raccoglieva i capelli solo in battaglia, così c’erano meno possibilità che qualcuno l’afferrasse da dietro e le strappasse qualche capello facendola arrabbiare ancora di più.
Giocherellando con la collana di rubino che aveva al collo, Isabelle pensava che forse quella strada non sarebbe stata la più breve per andare a casa. Ad ogni modo, tornare indietro era sconsigliato.
Così stringendosi tra le braccia per ripararsi dal freddo, aumentò il passo. Era strano che ad Idris ci fosse tutto quel vento, ma d’altra parte era stato sbagliato uscire con la sola canottiera bianca. Anche quella scelta non era del tutto casuale. Isabelle non era alla ricerca di una relazione seria, a meno che non avesse trovato il principe azzurro.
No, neanche in quel caso.
Aveva indossato un paio di jeans attillati che le mettevano in mostra le belle forme. Gli stivali con in tacchi erano stati una scelta obbligata visto che vigeva la regola del ‘mai più bassi di 10 cm’.
La giacca era rimasta a casa la mattina stessa, perché tanto era lì che stava tornando.
Per strada non c’era quasi più nessuno poiché si stava avvicinando l’ora di cena. Non che generalmente Alicante fosse così frequentata..
In lontananza scorse due persone. Erano vicini abbastanza da farle salire un conato di vomito, ma lontoni il necessario perché le loro sagome non si confondessero.
Per la seconda volta, Isabelle maledisse se stessa per aver preso quella strada. Pensò che forse non era opportuno passare proprio davanti alla coppia, così si defilò verso un lato della strada. Non era curiosa di sapere chi fossero, ma neanche troppo convinta di non volere sapere chi fossero. Il fatto che se ne stessero, lì tutti appartati, fece pensare ad Isabelle che fossero una giovane coppia. Pensò subito alla gioia di andare a riferire lo scoop a Clary, alla quale ovviamente non sarebbe importato. Però era l’unica che sembrava avere tempo per ascoltarla. A parte i suoi fratelli, ma con loro non era amicizia. Era legame di sangue o una roba simile.
Isabelle lasciò che i capelli scuri le andassero di fronte al viso per passare il più inosservato possibile. Guardò di sfuggita la coppia e fu costretta a fermarsi, colta dal panico. Non poteva essere vero. Si portò i capelli lontano dagli occhi e guardò meglio.
Suo padre se la stava spassando con una tipa dai capelli scuri, che era voltata di spalle. Non sapeva se quella sensazione che l’assalì fosse rabbia o delusione. In ogni caso portò le mani davanti la bocca per soffocare un urlo. Per l’Angelo, suo padre non poteva fare una cosa del genere..
Era un uomo sposato con tre figli, una moglie bellissima…
Ironia della sorte, gli occhi del padre incontrarono i suoi e , Isabelle avrebbe potuto giurarlo, vide il sangue defluire dal suo viso, probabilmente raggelato nelle vene.
Colto in flagrante.
In preda ad una furia omicida, Isabelle lasciò schioccare la sua frusta più volte ai suoi piedi.
Allontanatosi  bruscamente dalla donna, che fino a qualche istante prima era stata avvolta dalle braccia di suo padre, le stesse che avevano stretto Isabelle quando era più piccola, ma anche la mattina stessa prima di uscire, l’uomo corse verso la figlia.
-“Non ti avvicinare” gracchiò Isabelle, fulminandolo con lo sguardo.
-“Isabelle, io…”
-“No, non scusarti. Non parlare. Ah, già che ci sei non rivolgermi più la parola, non credo che ne ricaveresti niente di buono” se c’era una cosa che Isabelle sapeva fare con padronanza era nascondere i propri sentimenti. Voleva piangere e correre a casa, voleva rifugiarsi tra le braccia di qualcuno che non fosse suo padre, e sfogare tutta la delusione che sentiva martellare dentro il petto. Isabelle non poté fare a meno di pensare a quanto sua madre avrebbe sofferto alla notizia.
Invece non fece niente di tutto ciò.
Cominciò a correre dalla parte opposta, fino a quando fu troppo lontana per voltarsi indietro.
Aveva i polmoni in fiamme, e non le importava. Avrebbe corso ancora se fosse stato necessario a tenere quell’immagine fuori dalla sua testa. Poi sentì ancora più freddo di quanto non avesse ancora avuto. E una spiacevole sensazione la raggiunse, facendola rabbrividire.
-“Pessima giornate, eh?” disse una voce disgustosamente familiare. Ma il tempo di girarsi che Isabelle era già stesa per terra, priva di sensi.
 
Quando Clary si svegliò, notò che fuori il sole era già calato. Quanto tempo aveva passato dormendo? Possibile che nessuno l’avesse svegliate per controllare che non fosse svenuta lungo il pavimento della sua stanza? Un po’ stordita, con il collo dolorante per la posizione scomoda, si alzò da terra. Fece un paio di esercizi per sbloccare la schiena, che scricchiolò rumorosamente. Sollevò da terra il Codice che le aveva fatto da cuscino e lo buttò sul letto. Improvvisamente affamata, scese al piano di sotto dove trovò tutte le luci spente. Si chiese dove fosse finita sua madre, e dove potesse essere andato Luke.
Si avvicinò al frigorifero per placare il suo stomaco brontolante. Trovò, sul ripiano più alto, una scodella verde con gli avanzi del pranzo. Sua madre non era una grandissima cuoca, ma Luke se la cavava in cucina. Quindi in qualche modo riuscivano a mangiare cibi commestibili. Anche se in quel momento Clary avrebbe mangiato persino pietra lavica.
Si sedette su uno sgabello di fronte il piano in marmo della cucina. Nessuna luce accesa in casa, conferiva alla situazione un aspetto tetro. Clary guardò fuori dalla finestra, dove il cielo iniziava a dipingersi di colori notturni. La poltrona al centro della stanza puntata verso la finestra, le fece ricordare i pomeriggi passati sulle gambe della mamma ad imparare ad impugnare il carboncino, mentre suo fratello era chissà dove con il padre. Clary chiuse subito gli occhi per allontanare le immagini che le erano comparse davanti, ma che rimasero nella sua testa. Masticando lentamente a lungo, decise di deglutire la poltiglia a fatica.
Non averla riscaldata, era stata una pessima idea. Quel pezzo di pollo era freddo e sapeva di plastica, segno che forse non era il pranzo di quel giorno , ma di qualche settimana se non addirittura mese prima. Persa com’era nel rigirare il pezzo di carne, non fece caso al rumore che proveniva dall’esterno.
Qualcosa là fuori, era comparso e scomparso nell’intervallo di tempo necessario a sbattere le palpebre una volta sola. Clary guardò fuori dalla finestra e non notò niente.
Il vento faceva ondeggiare l’erba verde del prato, provocando fruscii che sembravano tutt’altro che rilassanti.
La ragazza si alzò con discrezione, si avvicino alla finestra e guardò fuori. Un’ombra sfuggì dietro l’angolo. Clary prontamente impugnò saldamente la forchetta, che come arma non sembrava delle migliori, ma se usata con violenza sarebbe stata più che sufficiente, e si appiattì contro la parete.
Poi qualcuno bussò alla porta. Clary trattenne il fiato un po’ per la tensione un po’ per la sorpresa. Se fosse stato qualcuno che voleva farle del male, non avrebbe bussato. Portò la mano armata dietro la schiena e fece per accendere la luce.
-“Andiamo, non ho tutta la sera” disse qualcuno visibilmente irritato dietro la porta di legno.
Senza pensarci due volte, Clary corse ad aprire.
Sulla soglia, con una mano a grattarsi il collo, Jace Herondale la fissava sorridendo sornione.
-“Pensavo stessi organizzando uno schiuma-party, ma a quanto pare sei sola.” Disse infilandosi le mani in tasca. Clary notò il muscolo del tricipite contrarsi. La luce arrivava da dietro le spalle del ragazzo e Clary sentì l’impulso di cogliere lo splendore di quel viso d’Angelo con colori ad olio.
-“Posso entrare? Certo che posso” così dicendo sollevò di peso la ragazza ed entrò nella stanza.

 

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Capitolo 5
*** Run away ***


Author's Corner:
Baldi, sono ufficialmente in vacanza dalla scuola quindi, ispirazione permettendo riuscirò ad aggiornare la storia in breve tempo.
Allora devo dirvi delle cosucce: la prima è che il rapporto tra Clary e Jonathan/Sebastian secondo questo punto di vista è davvero davvero diverso. Innanzitutto perchè nella vera storia questo rapporto non esiste. Ammettiamolo Clary non considera Jonathan come suo fratello, e lui figuriamoci! Si fa certi pensieri sulla sorella...
La seconda è che la What if? inizia davvero da questo momento ad essere viva. Non so quanto apprezzerete questi cambiamenti, se sembrano corretti o sono non-necessari, ma è così che s svolgono i fatti nella mia testa!
Have a nice reading e Lasciate una recensione se la storia vi piace, ma anche se non vi piace.
With love.
-A

Run away

To love is to destroy.
To be loved is to be destroyed.
Jace Wayland – City of Bones
 
 
 
 
-“Hai portato qualcosa che gli apparteneva?”
-“Non ho niente di lui. Ma posso staccare un capello, posso darti un campione di saliva o sangue.” Il ragazzo alzò sul naso gli occhiali che portava solo per estetica. E’ che paradossalmente non riusciva a vedersi senza.
-“Non funziona proprio così” La luce illuminò il ragazzo di fronte a lui che assunse un’aria sinistra, ma non faceva paura.
-“Sei  o no il Sommo Stregone di Brooklyn?” Occhi-di-gatto rise liberando nell’aria stupefacenti lucine azzurre.
-“Vampiri! Ragionano solo con la luce della luna” Così dicendo si avvolse in modo plateale nel suo mantello nero, che aveva un’aria piuttosto costosa.
 
Jace aveva fissato Clary fino a quando non era scomparsa dietro la porta. I capelli rossi ondeggiavano sulla sua schiena al ritmo della sua corsa, mentre la ragazza teneva stretto in mano quello che sembrava il Codice. Jace non poteva credere che stesse a studiare su quei libri. Insomma suo padre era Valentine Morgernstern.. Lei doveva essere nata con quelle cose incise a fuoco nel cervello, anche se da quello che si diceva ad Alicante Valentine era scomparso nel nulla la notte di tre anni prima insieme al figlio maggiore. Jace non sapeva come Clary avesse affrontato la notizia. Alec non si azzardava a fare domande,e quando Isabelle ci aveva provato il fratello l’aveva letteralmente fulminata con lo sguardo. L’Angelo solo, sapeva cosa sarebbe successo a Jace (per mano di Alec) se avesse osato informarsi.
Alec era abituato all’irrefrenabile curiosità di Jace, però gli piaceva ricordare al suo parabatai di non fare il rompiscatole. A Jace piaceva non ascoltare.
-“Che cosa le hai detto per farla correre via così?” disse Isabelle guardando prima la porta che sbatteva e poi Jace.
-“Che preferisco le bionde” disse Jace alzandosi di scatto. Alec lo guardò nascondendo un sorrisetto, non aveva mai sopportato molto Clary anche se la rispettava. Jace non gli aveva ancora confidato la particolare simpatia che provava verso la piccola Shadowhunter.
-“Jace..”
-“Sto scherzando.” Disse zittendo la paternale in arrivo da Isabelle. Lei scrollò le spalle un po’ infastidita e andò a prendere il posto di fronte ad un bersaglio, mentre il fratello le dava direttive su come migliorare la tecnica di tiro.
-“Dovresti lasciarla in pace, Jace” disse Alec avvicinandosi a lui in modo che Isabelle non potesse sentirlo. Jace lo guardò negli occhi e notò la sua serietà, non che Alec fosse il più grande racconta storie. Per quello c’era sempre Jace.
-“Alexander…”
-“Magari non pensa di te quello che tu pensi di lei” disse Alec abbassando subito lo sguardo. Jace si chiese come potesse sempre indovinare ciò che pensasse ancora prima di pensarlo. Alec lo leggeva come un libro aperto, e la cosa un po’ lo spaventava. Ma d’altra parte era esattamente ciò che succedeva a lui verso il suo migliore amico.
-“Tu come fai a …” le parole gli morirono in bocca. Alec gli sorrise visibilmente compiaciuto del fatto che lo avesse sorpreso. Jace alzò il solito sopracciglio e incrociò le braccia sul petto. Siccome Alec iniziava a tardare nel rispondere, Jace prese a ticchettare con il piede in modo snervante.
-“Ho visto come la guardi” sussurrò arrossendo di colpo. L’espressione del ragazzo passò dall’imbarazzo, alla rabbia, alla tristezza, alla delusione tutto in una volta. Poi cercando di recuperare un colorito naturale, afferrò la balestra. Jace notò che gli tremavano un po’ le mani e si chiese quale cosa lo turbasse di più se la capacità che aveva Alec di leggergli i sentimenti, o la sua gelosia.
-“Vi muovete voi due o avete intenzione di passare tutta la giornate qui dentro? C’è un po’ di cattivo odore dopo qualche ora. Voi ragazzi dovreste imparare a curare la vostra igiene” disse Isabelle interrompendo il loro sguardo eloquente. Alec serrò la mascella.
Ma nessuno dei due ragazzi disse più nulla.
 
Clary sbatté la porta fermandosi  a riprendere aria. Poi ricominciò a correre come se rimanere in quella stanza fosse sconcertante come per un vampiro stare al sole. Jace che rideva le tornò in mente come se non fosse bastato vederlo qualche istante prima, perché il suo cuore ricominciasse a battere ad un ritmo insostenibile.
Nella furia della corsa, non si accorse di una persona che veniva in senso opposto al suo e così le cadde di sopra.
-“Per l’Angelo! Che cosa è tutta questa fretta?” chiese la donna di fronte a lei. La sua voce le gelò il sangue nelle vene. Da arrossata che era il suo viso perse il colore naturale fino a quando non raggiunse il colore tipico di un corpo morto.
Imogen Herondale la guardava con i suoi occhi grigi e pietrificanti. Clary pensò che fosse assurdo scappare da un Herondale e imbattersi in un’altra, ancora peggiore.
-“Inquisitrice, mi dispiace.. io non..” Clary balbettava incapace di trovare le parole per scusarsi. La donna sembrava una statua di marmo avvolta nella sua tunica grigia con qualche runa ricamata qua e là in nero. I capelli biondi chiarissimi erano tirati all’indietro e conferivano al suo viso un’espressione truce. Questo spiegava le sue sopracciglia che formavano una lunga linea sottile.
-“Signorina Morgernstern” quasi sputò il suo cognome. Clary avrebbe voluto dirle che non piaceva nemmeno a lei, ma non avevano tutta quella confidenza. Così abbassò ancora di più gli occhi verdi fino a guardarsi la punta delle scarpe.
-“Come sta sua madre?” chiese con la solita voce fredda. Clary alzò la testa solo per rendersi conto che lo sguardo cattivo dell’Inquisitrice era diventato ancora più cattivo.
Come una che è stata abbandonata dal marito che non amava, costretta a tenere nascosto il suo migliore amico come il più grande assassino della storia, privata del figlio sbagliato e con una figlia adolescente in piena crisi ormonale.
-“Bene” disse alla fine. Poi si voltò e cercò di andarsene, ma non fu semplice quanto aveva pensato.
-“Clarissa” la chiamò. L’unica persona che usava quel nome per intero era stata la stessa che le aveva insegnato che ‘Amare significa distruggere ed essere amati significa essere distrutti’. Dire che l’ossigeno nei polmoni sembrava cemento, sarebbe stato un eufemismo.
Clary non si voltò, si fermò e basta con la paura che avrebbe rivisto il padre dagli occhi di ghiaccio.
-“Solo… Stia attenta” con quelle parole, Clary la sentì allontanarsi in un fruscio di stoffe.
Non riuscendo a trattenersi, iniziò a correre verso casa. Aveva un sacco di pensieri per la testa. Cercava di non pensare a suo padre, ma quando l’aveva chiamata per nome era come se si fosse oscurato tutto intorno a lei. Si era ricordata di quando per sbaglio, era capitata nella ‘sala giochi’ di Jonathan. Aveva visto il fratello maggiore con le mani piantate sul pavimento in ginocchio sui ceci. Aveva risentito la frusta del padre che tagliava la pelle della schiena del fratello. Non era riuscita a trattenere i singhiozzi e suo padre si era voltato di scatto, facendole correre un brivido per la schiena con un solo sguardo. Le aveva detto “Clarissa, va’ di sopra”. Clary aveva guardato la testa bionda del fratello come per cercare in lui la risposta alla domanda ‘come stai’. In modo impercettibile Jonathan aveva annuito e Clary era corsa in camera sua, sbattendo la porta per chiudere tutti quei ricordi fuori dalla sua vita. Ma non era bastato.
Clary si chiedeva se Jocelyn sapesse dei soprusi di Valentine su Jonathan, se avesse provato ad addolcire i metodi di addestramento di  Valentine, e se a Jonathan stesse bene così. Aveva sempre detto a Clary di voler essere forte anche più del padre, così un giorno avrebbe davvero aiutato a ‘ripulire’ il mondo.
Da quel giorno Clary aveva iniziato a non rivolgere più la parola al padre, a meno che non vi fosse costretta. Da quel giorno Clary aveva iniziato a sperare che Valentine sparisse dalle loro vite, fino a quando un giorno non l’aveva fatto davvero.
Clary si ritrovò a piangere lacrime grandi quanto gocce di pioggia.
Salì correndo le scale del porticato, ignorando la sedia a dondolo che si muoveva anche se nessuno c’era seduto sopra, anche se non ci fosse vento. Si fermò e annullò l’inganno creato dalla sua stessa runa. Luke le sorrise con affetto, ma poi assunse un’aria preoccupata.
-“Cosa succede, bambina?” le chiese avvicinandosi. Clary si guardò intorno per evitare che qualcuno pensasse fosse uscita pazza  tanto da parlare a nessuno.
La runa era una di quelle che non erano presenti nel Libro Grigio. Clary aveva dovuto cercarla, perché da quando Luke era diventato un licantropo tre anni prima, tutto il Conclave era sulle sue tracce. Ovviamente essendo un lupo mannaro, aveva rinunciato ai marchi, ma la runa che Clary aveva creato per lui era innocua sulla sua pelle. Era una specie di runa Mendelin, giusto un po’ più… potente ecco. Non solo funzionava con gli shadowhunters, nel senso che neanche i Nephilim avrebbero potuto vederlo, ma soprattutto se fosse stato necessario, Luke avrebbe persino perso la sua ‘materialità’. Bastava solo che Luke pensasse a qualcosa di non solido e chiunque avrebbe potuto passare attraverso di lui, senza sentire la sua presenza.
Jocelyn era stata preoccupatissima quando aveva sentito che Lucian Graymark aveva tutto il Conclave alle calcagna. Ma sua madre provava per quell’uomo un amore che non aveva mai dimostrato di avere. La cosa più bella è che Luke ricambiava. Per lui, Jocelyn era molto più che una donna capace di generare figli con poteri stra-ordinari. Era cotto di lei da quando avevano quindici anni, Clary lo sapeva.
-“N-niente”
-“Perché piangi, allora?”
-“Luke, possiamo parlarne dopo? Ok?” chiese Clary passandosi una mano sugli occhi. Il colore verde era ancora più lucente.
Luke le diede un bacio sulla fronte e ritornò sulla sedia a leggere un buon libro.
Quando Clary entrò in casa non chiamò la madre né gridò di essere tornata. Come continuava a fare da tutta la mattina corse in camera sua, sbattendo la porta alle sue spalle. Poi si lasciò scivolare fino a terra, si tirò le ginocchia al petto e cominciò a fare dei respiri profondi. La sensazione di quel magone in gola era terribilmente familiare, il bruciore agli occhi e la convinzione di non poter far niente erano spaventosamente noti.
Continuò a contare i suoi respiri, cercando di non sentire il cuore martellare dietro il petto. Poi l’immagine di Jace che la chiamava Carotina, le fece serrare gli occhi. Il suo cuore aveva ripreso a battere velocemente, come se fino a quel momento si fosse riposato, e più carico di prima pulsava sotto il petto della ragazza.
Non tutto l’amore è cattivo, Clary, le ripeteva la madre, quello di tuo padre e di tuo fratello sono cattivi.
Ma Clary sapeva che Jocelyn aveva sofferto per amore, perché suo figlio le faceva paura e perché suo marito era un pazzo. Persino nelle più grandi storie d’amore, i personaggi soffrono. Romeo e Giulietta, Tristano e Isotta non sono forse morti perché erano follemente innamorati?
-“E’ una follia” sussurrò contro i palmi delle sue mani.

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Capitolo 6
*** Where are you, Izzy? ***


Author's Corner:
Sono tornata con un capitolo fresco fresco. Bene, ho detto che avrei aggiornato con frequenza è ho rispettato la parola data.
Forse questo è un capitolo un po' monotono, casa Clary - Alec - Casa di Clary.. ma in qualche modo bisogna scoprire cosa succede ad Izzy no?
Prometto che la prossima volta, mi impegnerò di più ma sono stata distratta dalla lettura di un libro (che tra le altre cose afferma che i Nephilim siano cattivi. Solo per questo avrei dovuto chiuderlo e bruciarlo)
Recensite lettori\lettrici, perchè le vostre recensioni mi fanno sorridere, davvero. Ogni tanto vi ricordo di passare da questa nuova Cherik Italia !

With Love
-A.

Where are you, Izzy?

 
Le sorprese, come le sfortune, raramente vengono da sole
Charles Dickens
 
Jace entrò nel salotto di casa Morgenstern. Era ancora casa Morgenstern, giusto?
In ogni caso l’arredamento era rimasto tale e quale a quando suo padre lo portava a trovare quella strana famiglia. Valentine aveva insistito a lungo affinché Jace scegliesse come parabatai Jonathan – il –biondo –ossigenato –sono –il –più –figo –del –mondo Morgenstern.
Questo. Non. Sarebbe. Mai. Successo.
Per diversi motivi, tra gli altri perché quei due non erano mai andati d’accordo, e Jonathan tutto avrebbe desiderato tranne che avere Jace sempre tra i piedi. In fondo tra i due, non si distingueva chi volesse sempre dire l’ultima parola.
Sicuramente tra i due figli di Valentine, quella con più punti in comun con Jace era Clary. Ma in quell’istante, Jace si scoprì ad apprezzare Alec come suo parabatai come non aveva mai fatto. Era una delle regole sacrosante del legame parabatai, non poter instaurare relazioni amorose, al di fuori di quel legame.
Che l’Angelo non gli volesse male, ma Jace pensava a Clary come qualcosa in più di una semplice amica. Di più che una parabatai.
-“Non puoi presentarti in casa mia così. Mi hai fatto quasi morire per lo spavento” Clary era ferma impalata sulla porta, esitando con la mano sulla maniglia.
-“Sì, lo so. Sono spaventosamente bello” disse Jace tornando a guardarla.
Clary alzò gli occhi al cielo, chiudendo la porta con cautela.
Jace iniziò a domandarsi per quale motivo si fosse spaventata in quel modo, ma non glielo chiese. Qualunque cosa fosse, Jace capì che non era un piacere per Clary parlargliene.
I due si guardarono per qualche istante.
Generalmente, quando Jace si trovava in una stanza solo con una ragazza non rimaneva impalato con le mani affondate nelle tasche nella speranza che una bella battuta gli arrivasse come un flash dentro la testa. Se solo non si sentisse così intimorito dalla presenza di quella ragazza. Era così piccola, così rossa, così indifesa che quasi Jace non le corse incontro per abbracciarla. Per nascondere quel pensiero assurdo si circondò con le sue stesse braccia.
-“Allora..” disse Clary ritornando sui suoi passi. Jace la osservò andare in cucina, afferrare qualcosa e tornare nella stanza.
-“No grazie, sto andando a mangiare a casa. Credo che qualsiasi cosa Amatis abbia preparato, sia più invitante di quello”
-“Non ti ho chiesto se volessi qualcosa” Clary lo guardò con le sopracciglia alzate infilandosi in bocca quella roba che aveva in una scodella di plastica.
Forse Jace doveva solo calmarsi. Sarebbe sembrato meno ridicolo se avesse collegato il cervello alle parole.
-“Hai sentito cosa è successo ieri notte? Dicono che siano stati uccisi, e anche molto brutalmente, dei Nascosti. Non ho capito se fossero licantropi o vampiri o stregoni, ma in ogni caso hanno fatto una brutta fine.” Jace aveva preso posto sulla poltrona consunta di fronte la finestra, trovandola un po’ scomoda. Sembrava che qualcuno ci avesse passato intere giornate seduto sopra, tanto che il cuscino ne aveva preso la forma.
-“Io… Non lo sapevo” disse la voce di Clary alle sue spalle. Jace però non poteva parlare con le senza guardarla negli occhi, quindi pregò che lei si facesse avanti oppure lui avrebbe dovuto alzarsi.
-“Mia nonna mi ha chiesto se ne fossi responsabile. Pensa a quanto mi ritengano crudele” Jace rise, alzandosi e girandosi verso di lei.
-“Stai insinuando qualcosa in particolare?”
-“So che non potresti fare una cosa del genere, Clary” Jace si avvicinò lentamente alla ragazza, che sostenne il suo sguardo. Dietro all’accenno di orgoglio, Jace scorse un lampo di paura.
Il caso volle che mentre lui le afferrava una ciocca di capelli, la porta si aprisse.
 
Magnus andò ad aprire la porta. Qualcuno sembrava avere il dito incollato al campanello. Il fatto che questo qualcuno avesse due canini e una mania verso i videogiochi, lo fece quasi imbestialire. Ma da gran signore qual era, gli rivolse solo un sorriso tirato che somigliava più ad un ghigno.
-“Novità?”
-“Ti ho detto che ti avrei rintracciato io, vampiro. Devi smetterla di disturbarmi nel bel mezzo della notte” Magnus si fece da parte per permettere al ragazzo di entrare. Nonostante non sopportasse l’idea di ospitare un vampiro, Simon era di compagnia gradevole. E poi non gli dava fastidio vederlo girare per casa in mutande, o peggio ancora nudo.
-“Devi scusarmi, amico. Ma è l’unico momento in cui posso uscire di casa. Sai potresti cementare le finestre così non dovrei disturbarti durante la notte”
Simon si tolse il cappotto, rimanendo con indosso una felpa rossa con cappuccio. Magnus preferì non ripetere le parole stampate sopra.
-“Ciò implicherebbe il tuo soggiorno in casa mia, con il rischio che nel bel mezzo di un attacco di fame, dissangueresti il mio gatto.” Fece notare Magnus alzando un dito smaltato.
-“Sono vegetariano…”
Magnus sorrise per l’originalità della risposta. C’era da ammettere che forse se Simon avesse passato qualche notte in casa sua, magari Magnus non sarebbe morto dalla noia.
-“Sei pronto per la notizia?” chiese Magnus passandosi una mano tra i capelli morbidi e colorati. Per un istante il volto di Simon si illuminò.
-“Andiamo in Germania, bello” disse Magnus battendo le mani. Tutte le luci si accesero e poi una forte fragranza di incenso invase le narici di entrambi. Simon arricciò il naso.
-“Ma è in Europa! Non andremo in aereo…”
-“Ma ti pare? Viaggio in prima classe, Sean.”
-“Simon” lo corresse il ragazzo alzandosi gli occhiali sul naso. Magnus si chiese se solo Simon avesse bisogno degli occhiali, o se avesse sentito male riguardo alla super vista dei vampiri.
Lo stregone allontanò la conversazione con un gesto della mano.
-“E poi che problemi hai con gli aerei? A parte l’inconveniente del sole, ovviamente. Ma se ti avvolgiamo in un sacco di piombo potresti evitare ustioni di quarto grado per tutto il corpo.” Poi quasi a ripensarci, aggiunse –“forse qualche bruciatina qua e là. Ma sono sicuro che sopravvivresti” disse con un sorriso. Andò in camera prese una valigia dove con un incantesimo, infilò tutto l’armadio. E quando si dice tutto, si intende l’intero mobile in stile vittoriano.
-“Soffro un po’ di vertigini” si scusò l’altro.
Ma che razza di vampiro è uno vegetariano, che porta gli occhiali e che soffre di vertigini? Si chiese Magnus.
-“E perché mai? Tanto più morto di così non si può”
Inaspettatamente, Simon scoppiò a ridere.  
 
Appena arrivato a casa, Alec si era fiondato sotto la doccia. Dopo essersi lavato i capelli con uno sciampo al sandalo, era uscito dal bagno. In casa sua c’era uno strano silenzio e per qualche ragione, Alec si promise che sarebbe andato a controllare in camera di Izzy se fosse tutto a posto.
Si infilò il solito jeans e la solita camicia a tinta unita e andò ad aprire la porta. Per lo spavento quasi non saltò all’indietro.
-“Max, ma che ti prende?” disse sospirando. Il fratellino entrò in camera tutto di fretta e si tuffò sul letto del fratello, trovandolo insolitamente duro. Ad Alec non era mai dispiaciuto dormirci sopra.
-“Scusa, stavo per bussare quando tu hai aperto la porta” Max era un bambino intelligente, con la tendenza a fare domande impertinenti. In questo somigliava molto ad Izzy, mentre in quanto a timidezza… beh, in quello somigliava indiscutibilmente ad Alec.
-“C’è qualcosa che non va?” chiese Alec socchiudendo la porta. Prima o poi Max se ne sarebbe andato e lui sarebbe uscito a controllare dove diavolo fosse finita Isabelle, anche se sperava di trovarla in camera sua. –“Manca ancora tanto alla cerimonia della prima runa..”
-“Ancora tre anni, o sbaglio?” chiese Alec sorridendogli. Lui ricordava la sua cerimonia della prima runa, qualche giorno prima che Jace gli chiedesse di diventare il suo parabatai.
-“Sì” Alec percepì delle parole inespresse. Guardò il fratello con aria persuasiva invitandolo a continuare.
-“Secondo te, come sarebbe William Herondale come parabatai?” chiese.
Alec sorrise ancora guardando il piccolo Lightwood stiracchiarsi come un gatto.
Come poteva spiegare che avere un Herondale per parabatai significava cacciarsi nei guai costantemente? Come poteva spiegare che per un Herondale, uno in particolare, avrebbe rischiato la vita costantemente?
-“Sarebbe perfetto” sussurrò il fratello maggiore ricordandosi della parola che prima aveva usato Jace. Poi sentendo l’urgenza di uscire dalla stanza, andò a bussare alla porta della sorella. Non ottenendo risposta, aprì la porta. Trovò la stanza chiusa e insolitamente ordinata.
-“Hai visto Isabelle?” chiese rivolto a Max che lo aveva seguito fuori dalla stanza. Max scosse la testa guardandolo un po’ preoccupato.
Era strano che non fosse ancora tornata. Non se ne era forse andata prima dall’Accademia perché aveva esigenza di tornare a casa?
Alec scese di corsa le scale. Si fermò all’ultimo scalino, quando la porta principale si aprì. Ne entrò suo padre con l’aria di uno che non aveva passato una bellissima giornata.
-“Hai visto Isabelle?” chiese Alec, con il cuore che gli accelerava nel petto.
Il padre lo guardò come se fosse trasparente, come se non lo avesse sentito.
-“Papà, hai visto Isabelle?” ripeté all’uomo. Aveva l’aria sconvolta e per una non nota ragione, Alec smise di respirare.
Quando il padre scosse la testa, sospirò lievemente.
Isabelle, dove sei finita? Si chiese uscendo dalla porta principale neanche fosse Jesse Owens.
 
Clary era pietrificata. Non solo perché Jace le aveva appena afferrato una ciocca di capelli, questo di norma sarebbe bastato per farle fermare il cuore, ma anche perché Jocelyn seguita da Luke entrasse e fulminasse il ragazzo con uno sguardo di puro odio.
-“Questa è una situazione imbarazzante” disse Jace allontanandosi di colpo. Si grattò la testa con una mano e poi sorrise senza arrossire.
Jocelyn non guardare Jace, ma Clary con aria interrogativa.
-“Non è come pensi, mamma”
-“Forse è meglio che io levi le tende” disse Jace avvicinandosi alla porta lasciata aperta. Jace si avvicinò pericolosamente a Luke, e Clary per un attimo trattenne il fiato. Se la runa non avesse funzionato, Jace si sarebbe insospettito. E poi avrebbe scoperto che era sbattuto contro qualcosa, e quel qualcosa fosse qualcuno. Sua nonna, dopo tutto, rimaneva l’Inquisitrice.
Il ragazzo comunque non si curò della faccenda, non potendo vedere Luke.
-“Buonanotte signora M..” Clary scosse impercettibilmente la testa, e in quell’attimo Jace incrociò i suoi occhi, per questo riprese –“Buonanotte, Clary” così dicendo si chiuse la porta alle spalle.
-“Come ti salta in mente di far entrare il nipote dell’Inquisitrice in casa nostra?” chiese sprezzante Jocelyn guardando Jace allontanarsi dalla tenuta.
-“Non potevo lasciarlo fuori” Clary guardò Luke in attesa che intervenisse, ma non disse niente.
-“Non mi piace per niente quel ragazzo” disse Jocelyn tornando a guardare Clary. La ragazza sapeva qual era il problema. Lei sapeva che a Jace era stato impartito lo stesso addestramento di Jonathan, e sua mamma aveva paura.
-“Oggettivamente è un bel ragazzo” mormorò Luke. Clary rise sotto i baffi , mentre Jocelyn lo fulminava con lo sguardo.
 
Alec andava a passo svelto verso l'unico posto in cui sua sorella potesse essere. Il fatto che non fosse tornata a casa lo preoccupava, non perché in genere Isabelle fosse affidabile, se è per questo non lo era mai, ma perché sentiva che qualcosa non quadrava.
Il vento gli aveva raffreddato le guance e il naso si era arrossato.
Con sguardo indagatore, Alec controllava in ogni vicolo e strada stretta che gli capitava sul cammino. Avrebbe di gran lunga preferito interrompere sua sorella nel bel mezzo di un caloroso rapporto con un altro Shadowhunter, piuttosto che non sapere dove fosse.
-"Alec?" Lo chiamò qualcuno dietro di lui. Per un nano secondo il cuore del ragazzo smise di battere tra la sorpresa e la vana speranza. Per un nano secondo aveva immaginato che fosse Izzy, ma era solo Jace.
-"Hai visto Isabelle?" Chiese incrociando le dita dietro la schiena. Pregò Raziel perché qualcuno sapesse dove fosse.
-"L'ultima volta che l'ho vista ero insieme a te. Pensavo fosse andata a casa.." Jace assunse un'espressione corrucciata come se stesse cercando una soluzione. Alec poteva vedere gli ingranaggi del cervello del suo parabatai mettersi in moto. Quando Jace si fermava a riflettere i suoi occhi color ambra diventavano giusto un po' piu scuri, e tutto in lui perdeva la solita insolenza.
Era bello, penso Alec.
Poi scosse la testa violentemente come a voler allontanare quegli strani pensieri. Ora trovare Izzy era un'assoluta priorità.
-"Stavo giusto andando da Clary. Penso che sia l'unico posto dove posso trovarla" disse Alec continuando per la sua strada. Sentì lo sguardo di Jace sulla sua schiena, e poi il ragazzo lo raggiunse in un secondo.
-"Sono appena stato da Clary."
Alec lo guardò con furia omicida e poi Jace gli sorrise, facendogli improvvisamente dimenticare la gelosia, o rabbia che fosse.
-"Non abbiamo fatto niente di che. Volevo solo assicurarmi che non avesse a che fare con tutta questa storia dei Nascosti. E a meno che Isabelle non si fosse nascosta sotto il divano, lì non c'era"
Alec voleva nascondere il panico crescente, ma un masso grande quanto la statua dell'Angelo nella sala Riunione del Conclave era caduto sui suoi polmoni.
-"Questa cosa non mi piace, Jace. Non mi piace per niente" disse sbottonandosi la camicia. Dove diavolo era finito tutto l'ossigeno della città?
In lontananza le luci della casa di Clary interrompevano la monotonia della notte. 
Alec cominciò a correre, nel cuore l'ultima speranza di incontrare sua sorella.
Saltò sul porticato, sentendo solo vagamente Jace complimentarsi per l'ottima acrobazia.
Jocelyn aprì la porta visibilmente seccata da tutto quel baccano.
-"Mi dispiace disturbarla a quest'ora, ma ho urgenza di sapere se mia sorella è in casa" disse Alec che a quel punto aveva un ronzio non indifferente nelle orecchie.
-"Chi è, mamma?" Chiese Clary sporgendo da dietro le spalle della Cacciatrice.
Alec guardò Clary e senza che nessuno parlasse ebbe la risposta che cercava.
Ma dove sei finita, Izzy?
 

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Capitolo 7
*** Falling apart ***


   Falling apart
 

Throughout my life
 I’ve always been afraid of losing people I love.
Sometimes I wonder
Is there anyone out there afraid to lose me?
Wiz Khalifa
 
 
 
Tutto intorno era scuro. C’era una puzza di muffa che penetrava nei polmoni,  e rimaneva incollata lì neanche avesse intenzione di albergarvi.
Quando Isabelle aprì gli occhi, l’unica cosa che riuscì a notare fu che la stanza ruotava intorno a lei. E a meno che non si trovasse su quelle giostre mondane, significava che avesse preso una bella botta in testa. Si toccò la nuca con una mano, ma alzarla era stato davvero faticoso.
Da quanto tempo era lì?
Cos’era successo?
Puntò le mani sul pavimento umido, facendo una smorfia nell’accorgersi di quanto fosse sporco, e si sollevò mettendosi seduta. Aveva pensato di alzarsi e guardarsi intorno, ma qualcosa lo impediva. Riaprì gli occhi e notò una catena molto spessa, pesante quanto un macigno, che le ancorava le mani al muro. Ecco spiegata la pesantezza degli arti. Da una grata piccolissima filtrava la luce dall’esterno. La prima cosa che notò sulle sbarre furono delle rune, che brillavano di luce riflessa. Avevano forme strane e qualcosa indicava ad Isabelle che, se le avesse toccate, non sarebbe successo nulla di buono. Magari, quando le forze lo avessero permesso, si sarebbe avvicinata di più.
Ma come era finita lì?
Poi ricordò.
Ricordò suo padre, il senso di vuoto causato da quel tradimento, e la sua corsa. Ricordò qualcuno alle sue spalle e la spiacevole sensazione di sentirsi in trappola, e poi un dolore assordante.
-“Bentornata tra noi, principessa” disse qualcuno davanti a lei. Isabelle avrebbe desiderato aprire gli occhi per guardare il verme che aveva davanti, ma aveva paura di guardarlo in faccia.
Beh, non così tanta da non potergli rispondere.
-“Non mi sento una principessa in questo momento” Isabelle si ricordò di come si era armata prima di uscire. Portò involontariamente la mano sul fianco dove avrebbe dovuto trovare un pugnale, ma come avrebbe dovuto immaginare, non c’era.  Pensò che fosse inutile mostrare tutte le armi nascoste, mentre era in compagnia di quel pervertito. Per il momento si sarebbe accontentata di sapere come uscire senza dover uccidere nessuno.
-“Vorrei dire che mi dispiace vederti così poco armata e stanca, ma non è vero. Sappi che ho dovuto disarmarti, però l’ho fatto con enorme piacere” Isabelle guardò Jonathan disgustata. Non poteva pensare che quell’essere riprovevole le avesse messo le mani addosso, anche solo per un istante.
Un luccichio attrasse la sua attenzione. Sulla sinistra, oltre le sbarre, la sua frusta era appesa ad un chiodo. Così bella e sinuosa e così inutile e lontana.
-“Stammi lontano” Isabelle guardò Jonathan e quelle parole suonarono come una minaccia. Il ragazzo biondo sorrise, e come se gli avesse detto esattamente di farlo, Jonathan si avvicinò. La guardò con i suoi occhi neri. Isabelle pensò che se non fosse così crudele, così dannato, così Jonathan, sarebbe stato un bel ragazzo.
Sicuramente non sarebbe passato inosservato per le strade di Alicante con la tuta da Cacciatore, tutto qui.
Jonathan le afferrò il mento tra due dita e inclinò la testa per osservarla meglio. Isabelle trasalì al contatto con la pelle del ragazzo. Gli occhi di Sebastian le avevano tolto le parole. Due pozze di inchiostro nero e indelebile.
-“Non dirmi mai quello che devo fare, chiaro Principessa?” le chiese liberandola dalla morsa della sua mano.
 Isabelle si ritrovò a pensare che se qualcuno non avesse fatto presto ad accorgersi della sua assenza, sarebbe impazzita.
Jonathan la guardò un’ultima volta, sul punto di dire qualcosa. Ma poi ci ripensò e uscì dalla porta sorridendo maleficamente.
Che cosa hai in mente? Pensò Izzy, ma non glielo chiese. Per come pensava che sarebbero andate le cose, avrebbe passato parecchio tempo chiusa in quella fogna. La ragazza si voltò dall’altra parte, e osservò il Cielo blu notte oltre le sbarre della finestrella. Isabelle pensò a tutti i modi possibili per aprirla e uscire. Pensò a qualsiasi runa che avrebbe annullato le altre, chiedendosi se esistesse una runa per il teletrasporto.
Le sarebbe stato utile un portale, un tunnel o qualsiasi cosa che le desse la speranza di uscire da quella puzza. Ma non aveva lo stilo con sé. Jonathan lo aveva preso, insieme alle spade angeliche e ai pugnali.
Osservò la luna e senza volerlo davvero si addormentò.
 
Quando Clary era uscita di casa con la tuta di pelle e il suo inseparabile stilo, Jocelyn era rimasta a fissare attonita Luke. Voleva sapere tutto di quella storia, ma aveva paura di scoprire la verità. Paura che in tutta quella questione c’entrasse Valentine, o peggio ancora Jonathan.
-“Jo, è un’abile cacciatrice. Non stare in pensiero per lei” mormorava Luke, cercando di nascondere tutta la preoccupazione che lui aveva per Clary.
Come poteva pretendere che lei non fosse minimamente preoccupata per sua figlia quando in giro per chissà dove c’erano suo padre e suo fratello che avevano solo un’unica intenzione e cioè tesserarla per il Club Conquistatori del mondo?
Voleva bene a Luke, ma L’Angelo solo in quel momento sapeva cosa gli avrebbe tirato per farlo tacere. Salì furiosa le scale e andò dritta in camera di Clary. Cosa sperasse di trovare non lo sapeva nemmeno lei. Entrò quasi scardinando la porta. La camera di Clary, come lo era stata quella di Jocelyn un tempo, era piena di disegni a matita, a carboncino, coi pennelli di visi noti e sconosciuti. Non si poteva definire ordinata, ma in mezzo a quella baraonda, gli occhi di Jocelyn si posarono sul libro che era abbandonato sopra il letto.
Era una copia del Codice, che ogni Shadowhunter doveva avere.
La copia di Clary era un’esplosione di colori. Disegni, appunti e scritte dappertutto. Ma cosa fanno gli studenti di oggi durante le ore di lezione? Giocano a trova il Demone? Impicca-Vampiro? Manda al rogo la strega? O cava gli occhi alle fate?
Perplessa si sedette sul letto e prese in mano la copia del Codice. Lo esplorò combattuta tra l’idea di aprirlo e quello di lasciarlo dov’era. Dopotutto era una sorta di diario segreto per sua figlia, era giusto o no aprirlo?
-“Non dovresti farlo, Jo” Luke si era appoggiato allo stipite della porta e la fissava con i suoi occhi blu. Per la seconda volta si ritrovò a cercare un oggetto da lanciargli in testa.  Guardandolo con eloquenza, Jocelyn gli chiese di lasciarla sola.
Aprì una pagina a caso, e si ritrovò a sfogliare tutte le pagine una per una. I disegni di Clary battevano i suoi di parecchio. Erano più veri, più reali, più sentiti. Un po’ come Clary.
Si bloccò su un ritratto incompiuto. Il ragazzo somigliava a Jace Herondale con i capelli che gli sfioravano le orecchie in riccioli ondulati, il profilo squadrato era individuato da una sottile linea chiara, come se Clary fosse insicura nel disegnarlo. Ma la cosa più evidente era una runa che Jocelyn non conosceva. Sapeva che lo era perché riconosceva i tratti marcati tipici del Libro Grigio, ma era quasi del tutto sicura che quella fosse la prima volta in cui la vedeva.
Ad un certo punto il telefono squillò. Luke non poteva rispondere perché avrebbe mandato all’aria la sua copertura. Così , portandosi dietro il Codice, Jocelyn scese i gradini a due a due e rispose al terzo squillo.
-“Riunione dei membri del Conclave, subito.” La voce di Stephen Herondale era stranamente preoccupata. Jocelyn si allarmò.
-“Mia figlia sta bene?” chiese con panico quasi tangibile nella voce.
-“Sì, è qui. Manchi solo tu, Jocelyn. Sono già dentro da un po’.” Poi riattaccò.
Jocelyn alzò lo sguardo e trovò Luke ad osservarla con curiosità.
-“Conosci questa runa?” gli chiese mostrandogli la pagina del libro di Clary. Luke la fissò in profondità con i suoi occhi blu, poi semplicemente scosse la testa.
-“Devo fare in fretta. Il Conclave si è riunito.” Gli diede un bacio sulla guancia, affidandogli il libro. Senza prendersi neanche il giubbotto corse fuori casa.
 
Maryse ascoltava l’Inquisitrice elencare tutte le possibili opzioni. Guerra o non guerra contro i Nascosti, l’unica cosa che riusciva a pensare era sua figlia. Non poteva credere che in quella stanza tutti stessero per iniziare a discutere su strategie d’attacco quando sua figlia era chissà dove e chissà perché.
Alec era molto turbato. Era stato lui a dirle di non vedere Isabelle da quel pomeriggio, e siccome non era ancora tornata non era più possibile pensare che avesse deciso di intrattenersi in altri modi.
Gli amici di Isabelle erano tutti più piccoli di Alec e non avevano ancora l’età per partecipare alle riunioni del Conclave, dunque erano rimasti nell’atrio ad origliare.
Per quanto importante potesse essere, anche Robert sembrava sconvolto. Maryse dubitava che fosse davvero mentalmente presente a quella Riunione. La donna lo fissava, non si sa bene se con disprezzo o desiderio, e per un attimo il marito incrociò il suo sguardo. Poi chinò subito la testa, come se il solo guardarla gli provocasse dolore. Se non altro, la cosa era reciproca.
-“Maryse, da quanto tempo tua figlia non torna a casa?” chiese l’Inquisitrice.
Maryse pensò che la scelta delle parole fosse errata. A sua figlia era stato impedito di tornare a casa. Questo era il problema, e la donna era determinata a risolverlo. Non poteva accettare l’ennesima delusione, l’ennesimo fallimento. Aveva fallito come moglie, ma non avrebbe permesso che accadesse come madre.
-“E’ uscita di casa questa mattina per seguire l’elezioni all’Accademia. Come ogni mattina è stata costretta a correre per inseguire il fratello, che era già uscito di casa. Isabelle è sempre in ritardo. Ma quando Alexander mi ha detto che, prima di fermarsi  insieme a Jace per parlare insieme a lei, Signora Inquisitrice, Isabelle gli aveva detto che sarebbe tornata a casa, mi sono insospettita. Non lo vista tornare per pranzo, e neanche per le cinque. In genere lei è a casa per quell’ora. Poi Alexander è tornato senza di lei quand’era ormai quasi buio… Alicante è questa. I ragazzi l’hanno cercata ovunque in città, e nessuno sembra averla vista.” Era incredibile come Maryse riuscisse a mantenere un tono di voce professionale, quando in realtà dentro stava morendo per la preoccupazione. Come se potesse farla sentire meglio, sia Alec che Robert si avvicinarono, ma solo il figlio la circondò con un braccio.
-“Dobbiamo parlare” le sussurrò l’uomo all’orecchio. Nello stesso istante Jocelyn Fairchild entrò cercando di passare inosservata. Prese posto vicino ad Amatis Graymark, che le sorrise.
-“Non mi sembra il momento” rispose la donna a denti stretti. Il resto dei presenti erano concentrati, come Maryse aveva previsto, a proporre tattiche offensive.
“Maryse, è importante.”  La donna si girò a guardare il marito negli occhi, scorgendo nella voce dell’uomo un’urgenza inaudita. Le pupille dilatate dalla preoccupazione.
-“Scusate” tutti si girarono verso Alec, che diventando improvvisamente rosso, dava come l’impressione di voler uscire dalla stanza.
-“Non credo che c’entrino i Nascosti. Mia sorella è un’abile Cacciatrice. I Nascosti non le fanno paura. E poi è raro trovarne a piede libero ad Alicante” Alec fece un passo avanti poiché tutta la sala era concentrata su di lui.
-“Figliolo, non credo che la tua opinione possa riguardarci direttamente..” Maryse non badò a chiunque avesse parlato, perché era bastato lo sguardo di fuoco di Alec ad azzittirlo.
-“Sto solo dicendo, che prima di dichiarare una guerra ai Nascosti, sarebbe meglio intervenire diversamente. Nessun lupo, vampiro o stregone, potrebbe fare sparire mia sorella così dal nulla. Isabelle ride in faccia al pericolo” gli occhi di Alec brillarono un po’ per l’emozione, un po’ per qualcos’altro. Anche a Maryse salì il cuore in gola.
-“Cosa proponi, mio caro?” chiese l’Inquisitrice.
-“Chiedo il permesso di uscire da Alicante alla ricerca di Isabelle. Solo per qualche giorno. Se entro quattro giorni non troveremo Isabelle, ci leveremo dalla scena e potrete dichiarare tutte le guerre che volete” ciò detto Alec riprese posto affianco alla madre. Maryse gli afferrò la mano e la strinse.
-“Da solo, giovanotto? Mi sembra un po’ eroico da parte tua” la voce di prima parlò, ma Maryse si concentrò sull’Inquisitrice che rifletteva.
-“Se necessario” Alec ripropose lo sguardo di prima, riempiendo d’orgoglio il petto di entrambi i genitori.
-“Maryse, prima che ce ne pentiamo entrambi. Ti prego, è urgente” Robert era dietro di lei, ma sta volta Maryse non si girò a guardarlo.
-“Chiedo scusa” tutti si girarono verso la porta. Sulla soglia Jace, il parabatai di Alec, avanzava con la sua chioma bionda che ondeggiava su e giù anche senza vento.
-“E’ severamente proibito interrompere le Riunioni del Conclave, Jace Herondale” disse l’Inquisitrice. Maryse si accorse di Clary solo più tardi.
-“Sì, ne sono a conoscenza. Però non abbiamo potuto fare a meno di origliare..”
-“Jace!” esclamò il padre.
-“Scusa, papà. Il problema è che c’è bisogno di porte più spesse.. Il suono attraversa le pareti, sapete? Comunque, se Alec parte, partiamo anche noi.” Nella stanza calò il silenzio. Maryse guardò Jocelyn pietrificata, e uno Stephen paonazzo non si sa se per la vergogna o per la rabbia.
Dopo un po’ l’Inquisitrice alzò una mano.
-“Voti a favore?” chiese. Tutti tranne i coniugi Lightwood  e i genitori di Jace e Clary alzarono la mano.
-“Ora possiamo parlare” annunciò Maryse quando l’assemblea venne sciolta.
Il marito l’afferrò per un braccio e la trascinò lontano dalla folla. La guardava preoccupato in un modo che fece drizzare i peli della nuca a Maryse.
-“Robert, parla”
-“Ho visto Isabelle”
Cosa?
-“Come hai detto?” chiese mantenendo un contegno solo perché Hodge Starkweather era appena passato salutandola con un gesto del capo.
-“Prima di tornare a casa, ho visto Isabelle. O meglio lei ha visto me”
Maryse non capiva dove volesse arrivare. Aveva le orecchie ovattate e i pensieri confusi.
-“Robert non ho tempo per i giochetti. Ho una figlia rapita e un figlio che ha intenzione di andarla a cercare. Sono più che preoccupata”
-“Sono anche i miei figli, Maryse”
La donna non rispose. Non c’era motivo di litigare proprio lì in mezzo a tutti.
-“Parli chiaramente sì o no?”
-“Maryse, mi dispiace tanto. Non sai quanto mi dispiace!” Robert la guardava negli occhi. La gola di Maryse divenne secca e la donna iniziò a boccheggiare. Non riuscì più a parlare.
-“Quando Isabelle mi ha visto io ero… c’era Annamarie Highsmith con me. Poi ho cercato di parlarle, ma lei è scappata.”
Il primo pensiero di Maryse fu: Annamarie non ha le doppie punte?  Ha i fianchi più proporzionati? O forse è meno autoritaria?
Poi la realtà le si sgretolò davanti come quando cade uno specchio. Maryse si aggrappò alle sole forze che le erano rimaste per non cadere a terra, nonostante le ginocchia stessero per cedere al proprio peso.
Una cosa era sospettare il tradimento, un’altra era sentirlo dalle labbra di suo marito.
-“E tu non l’hai seguita?” chiese con un filo di voce.
-“Lei mi ha chiesto di starle lontano. Io…”
-“Non dire che ti dispiace!” l’urlò strozzato di Maryse fu interrotto da un mezzo singhiozzo. Robert trattenne il respiro facendo un passo avanti.
Maryse scosse la testa e fece più passi possibili per allontanarsi dal marito.

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Capitolo 8
*** Switches ***


 Author's Corner:
Nell'ultimo capitolo mi sono dimenticata di inserire le note.. Ma non credo che abbiate bisogno dei miei consigli oramai.
Comunque, in questo capitolo e nei prossimi, comunico che la storia di Simon è del tutto diversa dall'originale. Innanzitutto perchè ho odiato come la mamma l'abbia buttato fuori di casa neanche fosse un sacco della spazzatura. Per ulteriori informazioni, leggete i capitoli a venire
With love,
-A.

 

Switches

Quando tutti i giorni diventano uguali è perché
non ci si accorge più delle cose belle che accadono nella vita
 ogni qualvolta il sole attraversa il cielo.
Paulo Coelho
 
 
Jonathan entrò nella cella cercando di fare meno rumore possibile. Nessuno doveva sapere che lì dentro ci fosse Isabelle, neanche suo padre. Per non parlare di quegli idioti dei suoi adepti.
Aveva, infatti, scritto una runa soundless per evitare che la presenza di Isabelle all'interno della cella fosse rilevata. In un certo senso, Isabelle era il suo ostaggio, non quello di Valentine né di nessun altro. Era la chiave per arrivare a Clary prima di suo padre. Valentine aveva in mente strani progetti, ma Jonathan aveva bisogno di sua sorella più di qualsiasi altra cosa. Sentiva di doverla avvertire dei problemi che avrebbe corso imbattendosi in Valentine  e non poteva accettare che suo padre dopo aver fatto del male a lui, facesse anche del male a lei.
Isabelle alzò gli occhi scuri su di lui, ma non era arrabbiata o furiosa, solo annoiata.
Jonathan notò subito la stella Sheriken che aveva in mano e si chiese da dove l'avesse tirata fuori. Pensava di averla disarmata il giorno prima.
-"Dove hai preso quella?" Chiese appoggiandosi al muro di fronte. Alzò un piede poggiandolo al muro e incrociò le braccia sul petto. La maglietta si sollevò un pochino facendo intravedere un lembo di pelle intervallata da cicatrici vecchie e nuove.
-"Questa dici?" Disse mostrandogli il metallo che aveva in mano. Sorrise maliziosa e poi aggiunse: -" Noi donne abbiamo piccoli segreti che voi, per quanto possiate conoscerci, non scoprirete mai" poi tornò a fare finta di limarsi le unghie.
-"Sai, Isabelle Lightwood, a dieci anni ero innamorato di te" disse Jonathan sorridendole. Come al solito la ragazza alzò gli occhi al cielo. E Jonathan si chiese dove diavolo trovasse tutto quel coraggio.
Qual era il modo di farla crollare?
-"Peccato che tuo padre abbia deciso di portarti con sé e sparire nel nulla. Avrei potuto spezzarti il cuore" disse Isabelle con un'alzata di spalle, strappando a Jonathan un mezzo sorriso. Sempre se così lo si potesse chiamare.
-"Ma, Isabelle, io non ho un cuore" disse Jonathan portandosi una mano al centro del petto. La ragazza
"Ti serve qualche cosa?" Chiese Jonathan prima di andarsene.
-"Vorrei sapere un paio di cose" disse Isabelle scuotendo le catene. Jonathan allora tornò indietro e la guardò cercando con cura le parole.
-"Voglio sapere perché sono qui legata come un mulo ad un muro senza cibo né acqua da due giorni" disse Isabelle guardandolo con odio. In quel momento Jonathan la trovò dannatamente sexy.
-"Vedi, io ho bisogno di mia sorella e tu hai bisogno che la tua banda di amici venga a trovarti. Non ti farò del male se ti comporti bene."
-"Cosa posso fare legata come un salame?" Chiese lei ricambiando lo sguardo di Jonathan.
La doveva smettere di guardarlo in quel modo, pensò il ragazzo.
-"Sono solo precauzioni. Come è una precauzione la campana di vetro creata intorno a questa cella, e le rune alle sbarre della finestra." Jonathan infilo le mani in tasca aspettando la risposta di Isabelle, che sembrava meditare sulle sue parole.
-"Nessuno può vedermi, né sentirmi? Mi stai dicendo questo?" Chiese con un filo di voce.
Bang. Stava crollando. Per un millesimo, anzi per molto meno, Jonathan provò tenerezza.
-"Esattamente. Siamo tu ed io. E basta. Non ne sei felice?" Chiese senza muoversi. Notò che Isabelle aveva il respiro accellerato e stringeva le mani a pugno.
-"Come... Come potranno, trovarmi se nessuno puo vedermi?" Chiese. Jonathan rise di nuovo.
-"È questo il bello, Principessa. Che la sfida abbia inizio" si avvicinò alla ragazza che involontariamente si allontanò da lui.
-"Ti ho già detto di stare lontano" disse isabelle a denti stretti. Poi Jonathan senti un forte dolore allo stinco. La cacciatrice gli aveva tirato un calcio con un tacco.
Jonathan diventò rosso per la rabbia, ma cercò di controllarsi.
-"Io ti ho già detto che non voglio seguire gli ordini di nessuno" ci fu uno scambio di sguardi di fuoco. Poi il ragazzo si allontanò.
-" Non sprecare energie invano. Non c'e modo di uscire." Disse aprendo il cancelletto della cella. Isabelle gli lanciò contro la Sheriken di prima, mancando il bersaglio.
-"Hai appena sprecato un'arma potenzialmente buona, Principessa. Potresti non avere più un'occasione del genere" Isabelle lo guardo in cagnesco e il suo sguardo spiegava per bene tutte le parole che non aveva detto.
-"Farò in modo di portarti un pasto al giorno." Disse chiudendosi la porta alle spalle. Sentì solo vagamente Isabelle che gli augurava di passare il resto dei giorni all'inferno.
Non sapeva pero, che era la stessa cosa che si augurava da solo.
 
-“Magnus, spegni la luce!” gracchiò Simon visibilmente irritato. Era sicuro che fosse mattino perché il suo corpo chiedeva a gran voce di dormire.
-“Vuoi dirmi tu come posso spegnere il Sole? I miei poteri arrivano fino ad un certo punto, giovane vampiro”  Simon poté sentire Magnus stiracchiarsi come un felino e poi sorridergli.
La sera prima, lo stregone aveva insistito di fermarsi in una radura nel bel mezzo del niente con lo scopo di montare le tende e passarci la notte, dimenticandosi per una sera quella che era la loro missione, cioè ritrovare il padre di Simon. Il vampiro aveva pensato che fosse necessario camminare, ma Magnus cominciava a lamentarsi delle scarpe nuove sicché Simon non aveva iniziato a domandarsi del perché occhi-di-gatto dovesse indossare un paio di scarpe nuove in mezzo alla Foresta Nera.
Assimilando le parole dello stregone, Simon saltò in aria.
-“Il Sole? IL SOLE? Ti rendi conto che mi stai mandando a morte certe, brutto…” e perdendosi in insulti del genere, Simon iniziava a constatare che il sole non nuoceva alla sua pelle. Nessuna bruciatura, niente cenere intorno. La sua non-temperatura era costante.
-“Tranquillo, Sheldon! La magia, che straordinaria meraviglia! E’ capace di sovvertire l’andamento delle cose naturali..”
Simon non si arrabbiò perché Magnus l’avesse chiamato Sheldon, né gli fece notare che oramai nessuno usasse parole come ‘sovvertire e andamento ‘ nella stessa frase. Si limitò ad osservare il cielo azzurro, come non l’aveva mai visto e nonostante gli occhi gli bruciassero osò guardare il sole.
-“Come .. Come può essere?”
-“Dov’eri tre secondi fa quando te l’ho spiegato?” chiese Magnus con un accenno irritato nella voce. Simon gli sorrise scusandosi e poi posò la testa su una roccia che gli faceva da cuscino.
Nonostante avesse sempre desiderato guardare il sole, la sonnolenza giornaliera non era passata.
-“Grazie” sussurrò verso Magnus appisolandosi.
-“Per cosa?” chiese lo stregone tutto soddisfatto.
-“Per avermi regalato il sole” rispose il vampiro con la voce impastata dal sonno, a metà tra il sogno e la realtà.
-“Non è una romanticheria, sciocco” disse Magnus mentre Simon se lo immaginava scompigliarsi i capelli al soffio del vento.
-“Sai cosa potresti fare adesso? Portarmi una bella bottiglia di sangue..” sussurrò Simon schiudendo giusto una palpebra. Da quello che sapeva, i mondani prendeva il sole sulla spiaggia proprio in quella posizione.
-“Una bottiglia di sangue? Senti faresti meglio ad aspettare il crepuscolo per andare a cacciare della selvaggina” borbottò Magnus alzandosi in piedi. La camicia di seta nera gli scivolò di dosso e senza che Magnus si abbassasse a raccoglierla, tornò su.
-“Non bevo direttamente dagli animali. Sono Vegetariano.” Disse il vampiro.
-“Allora non scherzavi quando parlavi del mio gatto..” notò Magnus sottovoce. Il vampiro sorrise scuotendo la testa.
Era davvero bello il sole. Ti aiutava a sentire l’odore della pelle amplificato. Per esempio riusciva a percepire i raggi infrangersi sulla pelle dello stregone ed emanare un odore forte di bagnoschiuma. La qualità non era delle migliori, ma De Gustibus…
-“Vedrò cosa posso fare” disse Magnus arrendendosi. Simon notò che stringesse tra le mani una tazzina di caffè fumante e a meno che non si sbagliasse, a meno di duecento chilometri non si trovava alcun bar.
Alla fine si abbandonò al sonno, consapevole di avere la cena servita non appena si fosse svegliato.

Clary pensava che la notte appena trascorse fosse stata una notte sprecata. Avevano camminato per ore senza incontrare anima viva o morta che fosse. Alla fine sotto comune accordo, avevano deciso di accamparsi in una grotta, che rappresentava il  meglio che erano riusciti a trovare. Appena Clary si era svegliata, aveva notato una figura in piedi all’ingresso della grotta, le dava le spalla. A fianco un’altra figura tutta in nero era poggiata sulla roccia con una gamba alzata e le braccia sul petto, guardando di fronte a se.
Alec era visibilmente scontroso quella mattina. Clary non poteva non capirlo. Sua sorella non tornava a casa da due giorni e tutti erano preoccupati. Persino Clary aveva paura che le fosse successo qualcosa, nonostante non dubitasse delle ottime qualità della Cacciatrice.
La ragazza non si alzò per avvicinarsi ai due ragazzi. Aveva come l’impressione che quella scene fosse troppo privata, troppo intima per essere condivisa da più persone.
Né Alec né Jace parlavano, ma nell’aria vagavano parole non dette e anche se Clary non poteva capirle avrebbe potuto immaginarle. Jace e Alec erano molto legati, e Clary poteva scommettere che la stesse preoccupazione che provava Alec era riflessa in Jace, anche se il biondo non lo dava a vedere.
Come se avessero sentito il suo sguardo, Alec e Jace si girarono all’unisono. Entrambi le sorrisero, Alec a fatica, ma Clary apprezzò il gesto.
-“Dobbiamo trovarci dei cuscini un po’ più comodi non trovi?” la voce di Jace le giungeva da destra. Nella semioscurità, Clary poté notare il lampo nei suoi occhi.
-“Forse, sarebbe proprio il caso” disse Clary tendendo il collo prima a destra poi a sinistra. Entrambi i Cacciatori si avvicinarono e presero posto vicino a lei.
-“Hai fame?” le chiese Alec aprendo il suo zaino nero e tirando fuori un sacchetto richiuso. Anche Jace ne tirò fuori uno.
-“Jace fa i migliori panini al formaggio della storia” disse Alec slegando il fiocchetto che teneva legati i lembi della stoffa. Jace sorrise con falsa modestia. Solo allora Clary si accorse di essersi appena svegliata e i ue le stavano già offrendo quello che viene comunemente chiamato pranzo.
Il secondo pensiero fu: “Avrò un aspetto orribile” e il terzo:” Clary, mandali via e rimettiti a posto”
La ragazza si schiarì la gola ed entrambi la guardarono. Jace fermandosi con un panino per aria, Alec la guardò con la bocca piena. Alla fine deglutì e Jace prese un morso.
-“Io avrei bisogno..” si grattò la testa con una mano diventando rossa come i suoi capelli. Jace e Alec scattarono in piedi e si voltarono di spalle pronti ad uscire. Clary li guardò con una domanda sulla punta della lingua. Ma alla fine si portò lo zaino in spalla e cercò di cambiarsi facendo il prima possibile.
Solo dopo qualche minuto, urlò ai ragazzi di entrare.
-“Speravo di trovarti senza pantaloni, in realtà” disse sorridendo. Dietro le sue spalle Alec scosse le testa e guardò Clary chiedendole scusa al posto del parabatai. Era chiaro che Alec non nutriva nessun interesse per lei, né tanto meno per le donne in generale.
-“Non vi avrei detto di entrare, non trovi?” rispose Clary nascondendo l’imbarazzo. Jace le lanciò una mela verde, che Clary afferrò al volo.
-“Stiamo per uscire, quanto ti ci vuole?” chiese Alec anticipando Jace con una delle solite batuttine.
-“Sono pronta, possiamo andare” annunciò Clary. Raccolse le sue cose e uscì mordendo la mela.
-“Dove ci dirigiamo?” chiese Clary asciugandosi con un sito il succo della mela che le gocciolava da un labbro.
-“A ovest.” Disse Alec mettendosi al capo del gruppo, anche Jace l’anticipò lasciandole lo spazio che le serviva.
-“Una traccia che siamo riusciti a trovare stamattina conduceva in Germania. La runa che ci ha aiutati ha anche evidenziato il punto preciso, ma abbiamo intenzione di tracciarne un’altra per evitare di sbagliarci.” Disse Jace con il solito tono saccente.
Clary guardava le sue spalle e le sue lunghe gambe segnare tratti invisibile che lei avrebbe seguito ad occhi chiusi. I capelli biondi ondeggiava davanti a lei e ancora una volta Clary si ritrovò a reprimere l’istinto di infilare una mano tra i suoi boccoli dorati. Alec poco più avanti invece, andava sicuro per la sua strada come se sapesse già dove andare. Visto da dietro, dai capelli alle scarpe, era una macchia nera longilinea. Somigliava tantissimo ad Isabelle, se non fosse per i capelli corti.
-“E se fosse stata rapita?” chiese Clary a nessuno in particolare.
-“E’ quello che supponiamo, Clary.”disse Alec voltandosi a guardarla. Gli occhi azzurri del ragazzo le fece intuire di tenere la bocca chiusa se non avesse cose intelligenti da dire.
-“Dobbiamo cercare una casa, una grotta, un castello, ma anche una botola tra i cespugli se ci può essere utile. Ogni dettaglio è importante” sussurrò Jace avvicinandosi quasi volesse proteggerla dalla tempesta che avanzava negli occhi di Alec.
Clary non riusciva ad arrabbiarsi con Alec, ma questo non significava che lui dovesse trattarla così male.
-“Sapete, sono felice di essere qui. Nella Foresta Nera è quasi del tutto impossibile imbattersi nelle papere” disse Jace alzando lo sguardo verso il sole. Clary non riuscì più a distinguere dove finisse il dorato dei suoi occhi e cominciasse quello del sole.
-“Jace…” disse Alec scuotendo la testa. Alzò le mani in segno di resa.
-“Non sto scherzando, Lightwood!”
Alla fine anche Alec scoppiò a ridere.

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Capitolo 9
*** What a wonderful world! ***


Author's Corner: Sono tornata con un nuovo\ vecchio capitolo. Vi annuncio che l'ultima parte di questo capitolo è quella che ha ispirato la storia.. spero che piaccia a voi tanto quanto ha entusiasmato me nell'iniziare a scrivere. E' stato come un flash e non vedevo l'ora di scriverlo, tant'è che ho rinunciato alla palestra per poterlo pubblicare e farlo leggere anche voi.
Che dire? spero non siate deboli di cuore.. Niente spoiler, ma accenni di Malec!!! Per la gioia dei fansssss
Insomma, Enjoy the Reading <3
Ah, lasciate una recensione pleeeease :)
With love,
-A.

What a wonderful world!

 
Il ricordo è un traditore che ferisce alle spalle.
Sören Kierkegaard
 
Alec sembrava di girare in tondo. Tutti quegli alberi erano identici. Stesse foglie, stessi fiori quasi appassiti, una pozzanghera qua e la e ogni tanto qualche scoiattolo. I suoi occhi azzurri scrutavano sentieri immaginari, aprivano nuove vie e possibili stradine che conducevano ovunque fosse Isabelle.
Il vento soffiava da ovest e questo gli garantiva che almeno per il momento stavano proseguendo per la direzione giusta. Ma il vento sarebbe cambiato prima o poi, allora in quel caso avrebbero avuto bisogno di nuovi punti di riferimento. Dietro di lui, Jace e Clary facevano di tutto per non farsi sentire mentre si complimentavano a vicenda per le loro abilità in questo e in quest’altro. Alec faceva di tutto per non starli a sentire. Guardava a destra e scorgeva la tana di una volpe, in cui di tanto in tanto due straordinari occhi verdi lo guardavano truce, girava la testa a sinistra e gli occhi erano rapiti da spettacolari tavolozze del colore del bosco che si fondevano a formare un paesaggio talmente grande da perdersi dentro.
Poco più in là, oltre il rumore delle risatine di Clary e dei commenti di Jace, Alec sentì qualcosa. Subito si arrestò, portando una mano a pugno chiuso in aria per far capire agli altri di tacere. Jace e Clary lo affiancarono, mentre Alec afferrava con eleganza l’arca e sfilava una freccia dalla sacca appesa alle spalle.
-“Raziel” sussurrò Jace per far allungare la sua spada angelica che iniziò a brillare proprio del colore dell’Adamas. Anche Clary afferrò due pugnali e con maestria li fece scivolare in entrambe le mani.
-“Jace, con tutti i nomi che puoi dare alle spade angeliche, perché sceglie quello di un angelo in particolare?” chiese Alec voltando solo la testa per guardare l’espressione perplessa dell’amico.
-“Alec, che problema c’è?” chiese Jace sollevando con insolenza un sopracciglio.
-“Sai che a quell’angelo non fa piacere” mormorò. In lontananza il rumore si era placato, ma questo fece insospettire il ragazzo ancora di più.
-“Non ho mai visto Raziel scendere dal suo appartamento a Tre metri sopra il cielo per venire a bussare alla mia porta” disse Jace accarezzando la lama con un dito.
-“Stai tranquillo che se fosse successo, non saresti qui a raccontarlo” brontolò Clary. E per una volta Alec non poté che essere d’accordo.
-“ Perché non Israfiel, Asmodei, Munkar o che so io.. Raguel?” chiese Alec allentando la presa sull’arco. Anche Clary sembrò sciogliersi un po’, infatti portò uno dei suoi pugnali nella fodera intorno alla coscia.
-“Che differenza fa? Sono tutti Angeli allo stesso modo, Alexander” disse Jace sfidandolo con gli occhi color oro. In quei momenti Alec perdeva letteralmente il filo del discorso. Così si schiarì la gola e tornò a guardare di fronte a sé.
-“Non sono stati loro a versare il loro sangue nella Coppa mortale” disse con un’alzata di spalle. Poi i suoi occhi si fecero sottili e notarono una figura longilinea, alta e vestita con un paio di pantaloni di uno stravagante giallo senape. Camminava lentamente come se non avesse ancora fatto caso a loro.
Jace si fece avanti puntandogli contro la spada e quello sorrise. Alec lo guardò con curiosità. Aveva strani capelli colorati, ma il colore di base doveva essere il nero. Sembravano lisci e setosi, Alec si chiese se usasse anche lui lo shampoo al sandalo. La sua pelle era più scura rispetto a quella di Alec , ma lo trovava a suo modo affascinante con le mani affusolate che gesticolavano come se stesse camuffando qualcosa o qualcuno.
-“Chi sei?” gli chiese Jace con sguardo indagatore. Alec si era fatto la stessa domanda, ma non era riuscito a proferir parola.
Doveva smetterla di essere così timido.
-“Ma come fai a non conoscerlo, Jace? Lui è… Magnus Bane” disse Clary spalancando gli occhi verdi. Alec guardò la ragazza con lo guardo accigliato, mentre Jace era furioso perché Clary gli aveva appena dato dell’ignorante.
-“Ora spiegami come fai a saperlo” disse Jace con voce profondamente risentita. Alec si chiese se avesse intenzione di puntare la spada contro Clary.
-“Ne ho sentito parlare durante una lezione di Demonologia, non saprei come siamo arrivati al discorso.” Disse la ragazza scrollando le spalle.
Intanto l’essere di fronte a loro sogghignava come se la faccenda lo divertisse parecchio.
-“Sentiamo, mi hanno presentato come lo stegono più affascinante degli ultimi diciannove secoli, oppure come il Summus?” chiese facendo scintille. Letteralmente. Si intende che dalle sue dite spuntarono piccoli brillantini azzurri che luccicavano come quegli sugli occhi.
-“Ah, è uno stregone” disse Jace abbassando la spada. Ora guardava Alec con  sguardo interrogativo come se volesse sapere cosa farne. Ovviamente non l’avrebbero ucciso.
-“Sappi che il disgusto è reciproco, Nephilim” disse Magnus guardando Jace con superiorità.
Più lontano, Alec riuscì a scorgere una sagoma sdraiata su una roccia, che prima non era visibile.
-“Sei in dolce compagnia, stregone?” chiese Jace avvicinandosi troppo allo stregone. Alec notò che il papillon rosso annodato perfettamente e la camicia nera infilata nei pantaloni, lo rendessero particolarmente… attraente.
-“Intendi quello laggiù? No, lui è.. diciamo rinchiuso entro un raggio di venti metri. Per lo meno fin quando non cala il sole” disse Magnus osservando le sue dita da lontano.
Aveva lo smalto?
-“E’ un vampiro?” chiese Clary che si era interessata parecchio alla nuova conoscenza. Forse perché non aveva mai avuto l’occasione di parlare con un Nascosto senza doverlo uccidere.
Lo stregone annuì con disinvoltura e poi lanciò un’occhiata ad Alec, che scorse un lampo giallo nei suoi occhi. Per poco non spalancò la bocca per lo stupore.
-“Come è possibile che stia sotto il sole?” chiese sempre Clary.
Magnus la guardò come se avesse appena scoperto l’acqua calda e socchiuse a malapena gli occhi.
-“Sono lo stregone più abile dacché gli uomini possano ricordare, mia giovane Nephilim. Non sono domande pertinenti”
-“Intende dire che sta usando la magia Clary” disse Alec spinto da non si sa quale forza oscura.
Lo stregone lo guardò con compiacimento e gli fece l’occhiolino. Alec avvampò dalla testa ai piedi, pregando l’Angelo che nessuno l’avesse notato.
-“Ora se volete scusarmi” disse quello proseguendo per la sua strada. I tre lo guardarono andare via, molleggiando sulle scarpe scamosciate e nere.
Chiamami. Rimbombò nella testa di Alec. Il ragazzo sgranò gli occhi e si portò le mani in tasca, dove una combinazione di numeri era stata scritta a mano su un foglietto bianco.
Con la stessa grafia, più in basso, c’era la firma Magnus Bane.
 
Isabelle non mangiava da due giorni ed era convinta a fare lo sciopero della fame fino a quando Jonathan non l’avesse lasciata stare. Da un paio di minuti sopra la sua testa, sentita calpestii e rumori di passi. Ogni tanto qualche colpo secco come se qualcuno stesse sbattendo le mani contro qualcosa. Probabilmente sopra di lei la vita continuava normalmente, mentre un pazzo maniaco con tendenza autolesioniste la teneva segregata in una stanza che puzzava di muffa e senza un letto su cui sedersi.
Erano ore che fissava il muro davanti a sé, senza sapere come fare ad uscire. Guardare la sua frusta attorcigliata ad un chiodo, le faceva venire il voltastomaco. Doveva essere costantemente legata al suo polso, utile ad ogni evenienza, invece era lì inerme a contare i secondi uno per uno, prima di impazzire per la noia.
Poco più tardi due persone scesero le scale. Isabelle non si mosse, perché non avrebbe risolto niente, ma dall’angolazione in cui era riusciva a scorgere i capelli biondissimi di Jonathan e quelli del padre di spalle. Izzy non lo ricordava così, ma Valentine era sempre stato un uomo attraente. Ad ogni modo con la maglietta nera appiccicata al corpo, la sua sagoma sembrava ancora più grande di quanto Isabelle non ricordasse.
-“Guardami in faccia quando ti parlo, Jonathan” diceva Valentine con tono minaccioso. La ragazza si chiese perché Jonathan si facesse trattare così dal padre, quando in realtà trattava gi altri come se sentisse superiore al resto del mondo.
Jonathan alzò svogliatamente lo sguardo sul padre, facendo scivolare le mani in tasca.
-“Tu mi nascondi qualcosa” aggiunse il padre puntandogli un dito contro. Jonathan era lì lì per scoppiare a ridere, ma si trattenne.
Ah ah ah ti ha sgamato. Adesso non sono più il tuo trofeo! Pensava Isabelle con un ghigno sulle labbra. Prima o poi sarebbe uscita da quella topaia. Possibilmente viva e in età da marito, ma ce l’avrebbe fatta.
-“Non potrei mai, padre” Isabelle notò l’ironia nell’ultima parola ed era ansiosa di scoprire la reazione di Valentine, che comunque non si scompose.
-“Non mentirmi. Tu mi devi tutto, Jonathan. Ricordalo”
Isabelle scorse la vena del collo di Jonathan tendersi come se stesse per scoppiare.
-“Tu sei più forte di ogni Nephilim sulla terra. Sei più agile. Più astuto. Più spietato” continuava a blaterare Valentine riempiendo d’orgoglio il figlio che adessa aveva un sorriso a tutto denti stampato sul viso.
-“Vuoi sapere il mio segreto?” chiedeva Valentine a nessuno in particolare. Girava a vuoto nella stanza come se potesse riuscire a spiegare i dubbi esistenziali mentre Jonathan era tutto concentrato su di lui.
-“Ho catturato un Angelo una volta, tanto tempo fa. Ithuriel per la precisione” diceva Valentine e con suo grande rammarico, anche Isabelle era coinvolta nel racconto.
-“Avevo grandi progetti per il futuro. Una nuova generazione di Shadowhunters giovani e forti, come non si erano mai visti. Tu sei stato il mio esperimento. E lo è stato anche Jace Herondale” a quelle parole la testa di Jonathan schizzò in alto a guardare il padre con aria omicida.
-“Spiegati meglio” disse con voce gutturale.
-“Anche tua sorella fa parte di questo studio. Per tutti i nove mesi di entrambe le gravidanze di tua madre, e di quella di Céline Herondale, che l’Angelo protegga quella buona donna, ho dato loro delle tisane. Quelle che per loro erano tisane. In realtà nel tuo caso era sangue di demone, Jonathan. Ecco perché tu sei perfetto.” Disse Valentine.
Senza rendersene conto Isabelle aveva portato entrambe le mani sulla bocca per nascondere l’espressione di stupore. Jonathan che era l’unico a sapere che fosse in ascolto la guardò con gli occhi sgranati.
-“Non voglio che tu mi dica grazie, figlio mio. Devi solo continuare a fare ciò che sai fare: uccidere”
Jonathan era diventato ancora più bianco, ogni traccia di sangue nel suo volto era sparita come se avesse deciso a defluire verso il centro del suo corpo.
-“Io..” ma le parole restarono in gola.
-“Per tua sorella e Jace Herondale le cose sono diverse. A loro ho servito sangue di Angelo.. Ecco perché tua sorella è capace di inventare nuove rune e Jace è capace di fare cose straordinarie in battaglia. Jocelyn non l’ha mai saputo, altrimenti non me l’avrebbe mai permesso. Lei sentiva che tu eri diverso, tu sei diverso. Jace e Clarissa sono vulnerabili, i sentimenti li confondono e li animano dal profondo, tu invece sei … integro e invincibile”
Le parole scorrevano addosso a Jonathan. Isabelle non si era accorta di aver trattenuto il respiro tanto a lungo. Jonathan la guardò di nuovo, come se volesse sapere che tutto quello era uno scherzo.
-“Io sono un mostro” sussurrò alla fine. Ma Valentine era già su per le scale a pianificare un altro attacco ai Nascosti.
A quanti morti erano arrivati? Si chiese Isabelle per deviare l’attenzione da tutte quelle rivelazioni.
Quando Jonathan entrò nella cella, il suo sguardo era cambiato.
Gli occhi neri emanavano una sola cosa: odio. Isabelle voleva spiegargli che non aveva sentito niente, che per lei Jonathan era pazzo tanto quanto prima, ma adesso l’idea che lui le stesse così vicino la ripugnava.
Gli Shadowhunters cacciano i demoni. E’ il loro lavoro. E Jonathan era metà Shadowhunter metà mostro. Senza volerlo si alzò in piedi per fronteggiare Jonathan a viso aperto.
Lui la guardò senza fare una piega. Le macchie di inchiostro nero che si espandevano nell’iride ricordavano il vuoto.
-“Vedi, Principessa, ho appena scoperto di essere un mostro. Quindi come si conviene ad un mostro devo fare cose cattive” disse portandosi le mani al primo bottone dei jeans.
-“Non ti basta già tenermi rinchiusa qui dentro senza cibo né acqua?” gli chiese Isabelle camuffando la paura. Si chiese dove fosse suo fratello. Se la stesse cercando. Se qualcuno avesse notato la sua assenza. Si chiese addirittura se suo padre avesse confessato il tradimento a sua madre.
-“Non fa abbastanza mostro capisci? Ci vuole qualcosa di più… nocivo. Voglio che tu non ti dimentichi mai di me. No, non è per una questione di romanticismo. Voglio che tu non riesca a dormire la notte per la paura che io entri nei tuoi sogni e li sconvolga. Voglio essere il tuo incubo peggiore, Principessa.” Disse avanzando fino a sfiorare i capelli di Isabelle con un dito. Si era sbottonato i pantaloni della divisa nera e ora era ad un passo da lei.
Isabelle si avvolse nelle sue stesse braccia, per allontanare Jonathan in ogni modo possibile.
-“Hai detto che non mi avresti fatto del male” disse Isabelle in un mezzo sussurrò. L’idea che Jonathan potesse anche solo sfiorarla la ripugnava, figuriamoci violarla.
-“Non credo di farti male, Principessa.” Disse il ragazzo avvicinandosi di più. Afferrò i polsi di Isabelle e li portò sopra la sua testa, e poi per impedirle di muoversi, le infilò un ginocchio tra le sue gambe. Isabelle oppressa da tutta quella forza, cercò in ogni modo di liberarsi dalla sua morsa di acciaio. I punti in cui la toccava bruciavano come l’inferno.
-“Se fai la brava, andrà tutto bene” sussurrò quello schiacciandosi ulteriormente contro di lei.
-“Quando Clary lo verrà a sapere…” Isabelle sentì Jonathan irrigidirsi tutto e puntare lo sguardo pieno d’odio dentro i suoi occhi.
-“Lei non lo saprà mai” così dicendo strappò a brandelli i  vestiti di Isabelle.
Per l’ennesima volta un uomo la stava tradendo. Per l’ennesima volta Isabelle si ricordò del male che il suo cuore aveva subito. Per l’ennesima volta chiuse gli occhi e pianse lacrime amare.

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Capitolo 10
*** Timeless ***


Author's corner:
Bene, mi sembrava giusto pubblicare questo capitolo, perchè a dire il vero, l'ultimo è finito veramente male. Povera, povera Izzy!!
Ad ogni modo, ho solo poche cose da dire: innanzitutto la prima vera scena romanticata della storia non poteva che essere quella che è (quanta filosofia in una frase >.<) voglio solo aggiungere che non ho tentato di emulare o plagiare la Clare, anche perchè è impossibile raggiungere la sua perfezione, ma chi non ha amato la scena della serra in CoB? Anche Jamie e Lily (gli attori del film) hanno detto che è stata la loro preferita, quiiiindi benchè l'ambientazione e i discorsi siano diversi, ho pensato di riproporre la medianox :)
Sooo, Enjoy the reading
With love,
-A
P.S: Recensite Shadowhunters, recensite



 

Timeless

 
Cur mihi plus aequo flavi placuere capilli?
Perchè mi sono piaciuti più del giusto I capelli biondi?
Ovidio
 
La zona in cui i ragazzi erano capitati era insidiosa. Non c’erano posti che si potevano considerare ‘strategici’ come una collinetta, da cui Alec avrebbe potuto lanciare le sue frecce senza essere disturbato, né luoghi vicini in cui ripiegare in caso di attacco. Il terreno era fangoso e in lontananza di si distinguevano gli ululati dei lupi. Lo scenario non era del tutto tranquillizzante, pensò Clary che da quando l’aveva impugnato non aveva più riposto il suo pugnale. Lo teneva streto come se da un momento all’altro un demone sarebbe uscito ad assalirla.
Anche Jace dal canto suo, sembrava piuttosto preoccupato. Le sue sopracciglia formavano un’unica linea sottile e dorata e lo sguardo era rivolto a nessun punto in particolare. Alec, che era alla guida del trio, camminava con la testa alta ma si poteva notare la sua postura rigida e le spalle in tensione.
Come se qualcuno li avesse chiamati, da ogni lato uscirono quattro demoni.
I ragazzi si voltarono di scatto ognuno impugnando l’arma saldamente.
-“Nephilim” dissero in coro i demoni. Era orribile sentirli parlare, perché di umano non avevano niente. I ragazzi riconobbero subito la razza cui appartenevano.
-“Demoni Devrak” sussurrò Jace, mentre due lame angeliche si allungavano dal suo palmo. Alec e Clary annuirono come se avessero capito lo schema d’azione.
-“Il capo non sarà contento” sibilò uno di loro. Clary saltò all’indietro per evitare che il veleno che era schizzato fuori dalla bocca nera del demone la infettasse.
-“Quale capo?” chiese Jace come se stese chiedendo un’informazione in un bar. Uno stridio metallico che doveva somigliare ad un ghigno uscì dalle fauci dei quattro demoni.
Clary pensò che fossero davvero ripugnanti.
I tre ragazzi si separarono cercando di fare meno rumore possibile, per accerchiare i quattro mostri cechi. Nessuno di loro fiatò fino a quando la spada angelica di Jace non centrò il centro del torace del mostro a sinistra, che dopo un breve luccichio sparì nel posto da cui proveniva.
-“Valentine non sarà contento” sussurrò uno di loro girandosi verso Clary. A quel nome il sangue nelle vene si gelò. Clary rimase impalata per terra come se non sapesse più come fare. Poi una runa le attraversò la mente, il solito quadrato nero con linee ondulate che dipartivano dal centro. Ma prima che potesse afferrare lo stilo, Jace che stava continuando ad urlare di muoversi, la prese per un braccio e le fece fare un salto all’indietro di dieci metri buoni. Atterrando sul sedere, Clary si chiese che diamine avesse combinato. Si fermò a guardare i due parabatai che combattevano in modo complementare. Jace agiva e Alec come un’ombra dietro copriva lo spazio che il biondo gli lasciava. Poi senza dirsi niente, Jace fece leva sulle mani di Alec e spiccò letteralmente il volo. Clary si meravigliò quando non uscirono due ali bianche dalle sue spalle, poiché Jace somigliava davvero ad un angelo.
Poi con crudeltà e precisione infilò l’ultima spada angelica al centro del dorso del mostro che era stato colto di sorpresa.
Dopo aver toccato di nuovo terra, Jace la guardò come per chiederle cosa mai le fosse preso. Ma alla fine fu Alec ad avvicinarsi e aiutarla ad alzarsi per tornare nel loro riparo a tracciare qualche iratze.
 
-“Ci vediamo fra un po’, Magnus” disse Simon voltandogli le spalle. Lo stregone lo guardò con un sopracciglio alzato.
-“Stai andando a cacciare, Sean? Potrei insegnarti a colpire uno scoiattolo se vuoi! Rientrerebbe nello spirito del campeggio, sai..” Simon si grattò la testa per evitare di mandare al diavolo lo stregone.
-“Stare con te è pesante dopo un po’. Senza offesa eh! Ma sentirti parlare tutto il tempo dei tuoi ex-fidanzati non è per niente interessante”
-“Bastava dirlo prima che te li elencassi uno ad uno. Avremmo risparmiato tempo e fiato” brontolò lo stregone accavallando le gambe.
Simon si sollevò il cappuccio della felpa, affondando le mani in tasca.
-“Forse dovremmo parlare, vampiro” disse Magnus alla fine.
-“Può aspettare?” chiese Simon che non aveva più intenzione di rimanere lì un minuto di più.
-“Riguarda tuo padre”
Simon si fermò come per dire allo stregone di continuare.
-“Si sta muovendo verso la Russia. Dici che va a trovare Dracula?” chiese Magnus.
Simon si voltò a guardare occhi-di-gatto, nascondendo le zanne che ogni tanto quando era arrabbiato scendevano giù, come a ricordargli chi era davvero.
-“Dracula sta in Romania, Magnus” disse e poi si camuffò nella notte.
 
Clary era seduta con le gambe rannicchiate contro il petto, fuori dal loro nascondiglio. In realtà non era proprio un nascondiglio, perché ci dormivano e basta, ma Clary lo considerava un rifugio dove sperava che Valentine non arrivasse mai. Durante la battaglia le era tornata in mente la runa che aveva disegnato sul Codice, come se quello fosse il migliore momento per disegnarla, ma Jace l’aveva scaraventata dall’altra parte del campo giusto perché un demone la stava per divorare. Non aveva ancora parlato da sola con Jace dopo quell’accaduto, non sapeva perché nel bel mezzo della battaglia si fosse fermata. Era rimasta completamente paralizzata perché la runa l’aveva sconvolta dall’interno. Che le stava succedendo?
Jace sembrava furioso quando l’aveva afferrata per un braccio e l’aveva letteralmente catapultata a dieci metri di distanza.
Ne era uscita indenne, con qualche graffio in via di guarigione.
In quel momento si trovava lontano dei ragazzi, ancora impegnati a tracciarsi rune a vicenda. Sapeva che le rune fatte dal proprio parabatai sono più forti, e si ritrovò ad essere gelosa di Alec. Perché lui poteva disegnare rune sulla pelle abbronzata di Jace, poteva sentirlo vicino come nessuno avrebbe mai fatto, poteva condividere con lui una parte della sua anima. Jace avrebbe sempre preferito il suo parabatai a chiunque.
-“Vado a fare due passi” disse Alec uscendo e  passandole accanto. Clary alzò lo sguardo, ma il Nephilim era già corso via con le lunghe gambe simili a quelle di Isabelle. La ragazza si chiese come facesse Alec a non voler riposare. Erano tre giorni che non dormiva. Mentre la notte Clary e Jace riposavano un po’ , Alec continuava ad uscire nella speranza che Isabelle saltasse fuori dal nulla.
-“Hai freddo?” chiese Jace sedendosi al suo fianco. La luna gli illuminava il viso e faceva brillare i suoi occhi dorati. Mentre Clary scuoteva la testa, Jace si sfilava la giacca per posarla sulle spalle della ragazza. Clary notò la mascella serrata del ragazzo, come se cercasse di trattenersi nel dire qualcosa.
-“Avanti, dillo!” disse Clary girandosi completamente verso di lui. Jace, invece guardava fisso qualcosa davanti a lui.
-“Dire cosa?”
-“Che sono un’incosciente” disse Clary stringendosi ancora di più le ginocchia al petto. Giocherellava con la punta delle dita con i lacci delle scarpe nere.
-“Tu… mi sono spaventato a morte. Non puoi capire tutte le cose che mi sono passate in quel momento, Clary. E’ stato uno degli attimi peggiori della mia vita. Io non ho paura per me stesso, è quello che faccio. Sono un cacciatore e vivo per combattere i demoni. Alec mi copre le spalle e si assicura che non lasci la pelle ogni santa notte, sul campo di battaglia. Ma quando tu eri lì, io…” Jace si passò una mano tra i capelli. Quando soffiò un alito di vento freddo, un ciuffo gli scivolò sulla fronte.
-“Tu cosa?” gli chiese allungando una mano per spostarglieli. Jace la fissò incredulo per un istante e poi le sorrise.
-“Tua madre mi avrebbe ucciso. Insomma, hai visto il suo sguardo quando abbiamo annunciato che saremmo partiti? Non so tu, ma io ho sentito tutte le parole cattive  che ha pensato e non ha detto. E’ stato… eccitante”
Clary alzò gli occhi al cielo.
-“Stai dicendo che mia madre ti eccita?” chiese sorridendogli di rimando. Jace buttò la testa all’indietro e scoppiò a ridere. La linea del collo formava un arco perfetto e Clary si ritrovò a desiderare baciarlo, morderlo e baciarlo ancora.
-“Vieni ti mostro una cosa” sussurrò al suo orecchio prendendola per mano. La portò a qualche passo dalla grotta e poco dopo la strattonò per farla accovacciare. Le loro ginocchia si sfioravano. Jace allungò un braccio per mostrare un fiore alla base di un albero. Fra le radici che sbucavano dal terreno, Clary notò un mazzo di fiori che si stavano aprendo.
-“Si chiama medianox. Si apre e poi perde i petali nel giro di un minuto. E’ la cosa più romantica che mi sia venuta in mente”
Clary conosceva la pianta, ma ad Alicante non ci aveva mai fatto caso se non altro perché sua madre le impediva di tornare a casa prima di mezzanotte. Ed ora eccola lì, con il ragazzo più bello che avesse mai visto e un fiore sul punto di morire.
-“E’ un po’ triste” disse la ragazza. Jace assunse un’aria ferita, ma Clary sapeva che non lo era davvero.
-“Non pensavo esistesse qualcuno più acido di me, invece devo ricredermi” disse Jace tornando a guardare il fiore. Clary si chiese se non si fosse offeso davvero. Però poi fu coinvolta totalmente dalla pianta che iniziava a perdere tutti i petali. Raggiungevano terra con una delicatezza inconsueta, come se fossero consapevoli del fatto che una volta toccato terra, sarebbero morti per sempre.
Non riusciva a capacitarsi di dover pensare che si vive per morire. Eppure non poteva pensare di amare qualcuno. A meno che quel qualcuno non fosse Jace Herondale.
Quando il fiore ebbe perso tutti i petali, Clary riportò lo sguardo su Jace e per la prima volta notò i suoi occhi guardarla davvero. Era così vicino che Clary distingueva le venature dentro l’iride. Sapeva che Jace avesse degli occhi meravigliosi, ma a quella distanza erano indescrivibili. Jace era indescrivibile.
Come se non avessero più tempo, un secondo dopo, Clary era già distesa per terra, sull’erba bagnata, con Jace sopra di lei. Le sue labbra morbide si schiusero. Il cuore di Clary le salì in gola.
Aveva il battito accelerato o del tutto fermo? Era un sogno o la realtà?
Jace rotolò sull’erba fino a quando non riuscì ad afferrare la nuca di Clary e infilare le mani tra i suoi capelli. Clary circondò il bacino di Jace con le proprie gambe, come se non volesse farlo scappare. Come se non potesse pensare che quel momento finisse. Fece scivolare le mani tra i suoi capelli biondi, che aveva sempre desiderato toccare e si abbandonò alla sensazione di sentirsi leggera come quei petali, ma con la consapevolezza che non si sentiva morire. Si sentiva più viva che mai.
-“Ma cosa diavolo…?” la domanda rimase in sospeso. Jace scattò in piedi, liberandosi facilmente dalla presa di Clary. La ragazza si passò un mano sulle labbra perché non riusciva a crederci.
-“Alec, noi… io…” Jace si avvicinò al parabatai che lo guardava con rabbia.
-“Mia sorella è dispersa chissà dove, abbiamo solo una notte di tempo per trovarla e voi la passate a baciarvi al chiaro di luna? Devo dire che è piuttosto romantico. Magari in un altro momento, in un’altra vita avrei persino potuto accettarlo.” Il cacciatore si voltò per entrare nella grotta con qualche passo , Clary non lo vedeva più. Jace si voltò a guardarla, negli occhi un residuo di desiderio, poi si voltò e corse dietro al suo amico nella speranza di placarlo.
 
Jace non poteva credere a due cose. La prima era che aveva appena baciato Clary, la seconda era che Alec li aveva sorpresi e si era infuriato.
A volte Jace pensava che si comportava come una ragazzina in preda a ‘quel periodo del mese’. Doveva assolutamente chiarire la situazione.
Quando fu dentro la grotta, il suo parabatai camminava avanti e indietro respirando profondamente. Jace non voleva disturbarlo nel momento in cui stava cercando di calmarsi, però sapeva anzi sentiva che Alec avesse bisogno di lui.
-“Potevi rimanere con lei” disse in tono sprezzante. Alec non lo guardava in faccia e la cosa stava per ferire a morte Jace.
-“No.” Disse semplicemente. Alec non si fermò. Sapeva che quando Jace si metteva in testa una cosa, avrebbe fatto di tutto pur di riuscirci.
-“Era il modo meno brutto per dirti che ho bisogno di stare da solo, Jace” disse Alec voltandosi di spalle. Jace notava che respirava come se avesse l’affanno. Non poteva pensare che stesse per piangere.
-“Alec, non c’è persona al mondo che possa capire questo momento meglio di me. Sento cosa provi, Alexander Gideon  Lightwood.” Al nome completo Alec si voltò a guardare l’amico. Non era più arrabbiato, era solo sconfortato e triste. E ancora triste.
-“Non riesco a pensare che non la troveremo, Jace. Ho bisogno di sapere che andrà tutto bene. Ho bisogno che tu me lo dica” Alec guardò Jace negli occhi e come sempre il blu profondo degli occhi di Alec si fuse con l’oro colato negli occhi di Jace.
Il biondo si avvicinò ad un passo dal suo parabatai. Quando erano così vicini, potevano sentire le loro anime prendersi per mano e stringersi forte. Ma ad un certo punto, Jace fece caso alla runa parabatai che aveva sul braccio. La sentiva bruciare. Alec soffriva e non era un dolore comune. Non era fisico, ma puntava dritto al cuore.
Jace si sentì in colpa per il bacio dato a Clary, anche se l’avrebbe rifatto altre cento volte.
Poi circondò il corpo dell’amico con entrambe le braccia. Alec si attaccò a lui, neanche ne ricavasse ossigeno vitale.
-“Andrà tutto bene” sussurrò più volte all’orecchio di Alec scosso dai singhiozzi. Jace non sapeva se facesse più male sentire il suo cuore andare a pezzi o essere partecipe del dolore dell’amico. In quel momento non avrebbe desiderato essere altrove. Per Alec ci sarebbe sempre stato.
 
Izzy fissava il buio oltre la finestra. Aveva smesso di piangere da un paio di minuti e ancora sentiva le guance e gi occhi impastati di lacrime. Avrebbe giurato di non avere più voce tanto aveva urlato, ma nessuno poteva sentirla. Sperava di svegliarsi da quell’incubo prima o poi. Sperava che guardando il Sole avrebbe scoperto di essere nel letto di casa sua avvolta nel suo piumone viola.
Peccato che fuori la Luna regnava da padrona nel cielo, anche se oscurata da piccole nuvole grigie. Ironia della sorte, proprio per chiarire che tutta quella situazione facesse schifo, non c’erano neanche le stelle.
Isabelle si accoccolò tra le sue stesse braccia, percorsa continuamente da brividi di freddo. Aveva indosso gli stessi abiti oramai sgualciti e sporchi di quando tre giorni e mezzo prima, era stata rapita. Si sentiva i capelli appiccicati al collo, benché profumassero del solito odore femminile. L’unica cosa che ancora non l’aveva fatta impazzire del tutto, a parte non vedere Jonathan dal giorni prima, era stata intrecciarsi i capelli e poi scioglierli. E via così per ore intere. Jonathan le aveva tolto le manette di ferro perché aveva notato il sangue intorno ai polsi, ma questo non era servito a calmare Izzy. Era ancora intimorita da tutto ciò che la circondava e l’ambiente intorno oramai puzzava di marcio. Inoltre, pur mentendo davanti a Jonathan, iniziava ad avere fame. Sentiva le labbra secche ed asciutte e lo stomaco brontolava come se stesse per organizzare una rivolta tra gli intestini.
Fuori Isabelle non distingueva bene le figure, un po’ per la stanchezza un po’ per il buio, ma era sicura di aver sentito un fruscio. Qualcuno si avvicinava con calma, come se fuori il tempo non dovesse correre. Si dilatavano i secondi e Isabelle avrebbe voluto urlare per farsi sentire.
Ma non aveva più voce e non sarebbe servito. Sarebbe scoppiata a piangere, ma si era promessa di non farlo mai più.
Socchiuse gli occhi e affinò lo sguardo, sforzandosi di distinguere i dettagli. Un ragazzo con le mani affondate nelle tasche fischiettava un melodia che Isabelle non conosceva. Aveva il cappuccio alzato ma Izzy riuscì a distinguere qualche ricciolo che sfuggiva sulla fronte.
Come se avesse sentito la sua presenza, il ragazzo si avvicinò fino a che Isabelle riuscì a vedere solo le scarpe. La ragazza trattenne il fiato e sgranò gli occhi scuri. Nessuno si era avvicinato così tanto, né mai nessuno era passato da quelle parti.
Poi due occhi carini e svegli spuntarono da un paio di occhiali scuri e squadrati.
Senza parole Isabelle ricambiò lo sguardo.
-“Presumo che tu abbia bisogno d’aiuto” disse. Isabelle lo guardò male, ma a quelle parole, a quella voce il suo cuore fece le capriole.

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Capitolo 11
*** Breath ***


Author's Corner: Fuori continua a piovere, non sapendo come altro spendere il mio tempo ho deciso di aggiornare la storia. Direi che finalmente succede qualcosa di bello. Non credo di dover dire assolutamente nulla, se non che sto finendo di leggere le ultime Cronache di Magnus.. beh lo avreste capito lo stesso.
With love,
-A.


Breath

 
Non devi mai pensare
 a tutta la strada intera capisci?
Devi pensare solo ad un passo.
 Uno, un passo per volta,
un respiro, un colpo di scopa.
Così ti accorgi di aver fatto tutta la strada.
Beppo.
 
 
Simon era allibito. La prima domanda che si fece fu ‘cosa ci faccio qui?’ La seconda fu invece ‘Cosa ci fa lei qui? Chi mai può far del male ad una creatura tanto meravigliosa?’
Il vampiro fece scivolare lo sguardo all’interno della stanza buia, riuscendo a  percepirne gli odori e i rumori. Il più bello in assoluto, quello che avrebbe ascoltato continuamente fu sentire il battito del cuore di lei. Andava così veloce che Simon pensava potesse uscire dal petto della ragazza.
Non gli capitava spesso di frequentare gente con un cuore che batte. Magnus non conta, lui non è una persona, men che meno normale.
Gli occhi notturni del ragazzo passarono ad osservare al dettaglio la ragazza. Scorse i polsi sfregati, i capelli arruffati e sciolti in modo selvaggio sulle spalle, le cicatrici sulla pancia piatta e sulle dita da Cacciatrice, le rune nere un po’ sbiadite e quelle che invece si vedevano come marchi a fuoco. Quando i loro sguardi si incrociarono, Simon deglutì a fatica.
-“Tu … tu puoi vedermi?” chiese lei con voce rauca. Le ciglia impastate e gli occhi lucidi e rossi indicavano che avesse pianto da poco.
-“Certo che ti vedo, non sono mica cieco” Simon le sorrise avvicinandosi di più. Sentì la ragazza trattenere il fiato.
-“Non toccare le sbarre” annunciò in un mezzo sussurro. Simon diede un’occhiata alle sbarre della finestrella di quella che sembrava un cella di clausura, e trattenne un sorriso.
-“Sono impresse delle croci… Ma hanno sbagliato segno. Sono Ebreo” disse Simon incoraggiandola con un occhiata dolce. La ragazza si passò una mano sulla pancia come a coprirsi dal freddo. Simon non poteva sentire gli sbalzi di temperatura, ma avrebbe giurato che in quel periodo in Germania il clima fosse piuttosto rigido.
Sostenendosi con le sole mani, iniziò a tempestare le sbarre di calci in modo da allentare le viti. Dopo lunghi attimi di rumore assordante in cui la ragazza lo guardava come se fosse impazzito, Simon si passò una mano sulla fronte per asciugarsi il sudore che non avrebbe mai trovato. Poi si tolse la felpa rimanendo a petto nudo e la lanciò alla ragazza. Dapprima sembrava provasse solo disgusto nell’indossare la felpa di uno sconosciuto, per di più vampiro, ma poi apprezzò il calore della stoffa.
-“Allora, adesso fai un bel salto ed esci da lì. Su!” Simon si allontanò per consentire alla ragazza di lanciare prima una gamba e poi l’altra fuori dalla finestrella.
Lei non si mosse. Sfilò un mini coltello da un tacco degli stivali e lo puntò contro il vampiro. A quel punto, Simon avrebbe voluto presentarsi in tempi migliori.
-“Ok, calma… Io sono Simon! Non voglio farti del male.. per la verità non so nemmeno perché ti stia aiutando, ma ti prego di fidarti di me.” Simon provò un moto di compassione per la giovane rinchiusa lì per chissà quale ragione con chissà quali trattamenti.
-“Perché lo fai?” chiese lei rabbiosa. Simon pensava che oltre ad essere dannatamente bella, fosse anche dannatamente intelligente. E sola. E triste.
-“Perché non dovrei?”
Un lampo di irritazione attraverso gli occhi scuri di lei, Simon le sorrise di nuovo senza spaventarla mostrando le zanne.
-“Sono una Nephilim” borbottò quella facendo tintinnare il coltello per terra.
-“Sei una ragazza, prima di tutto”
La tipa si voltò a guardarlo veramente male. Poi si alzò con eleganza, la stessa che Simon non aveva mai avuto, e si avvicinò esitante verso lo spiraglio di luce lunare.
-“E se fossi stata un ragazzo sarebbe stato lo stesso?” gli chiese a bassa voce. Al di là della situazione, la sua voce era sensuale come quella di una fata.
-“Senti, fammi godere questo momento da principe azzurro che salva la donzella in pericolo, dopo puoi anche prendermi a calci, visto che penso che muori dalla voglia di farlo” disse il vampiro con la gola asciutta.
-“Non sembri un principe azzurro, Simon” blaterò quella che con un agile salto si librò fuori dalla finestra.
-“Non lo sono neanche un po’” disse Simon sorridendo, e questa volta mostrò le zanne.
-“Sono Isabelle, comunque” gli disse e Simon pensò che non ci sarebbe stato nome più appropriato per tanta eleganza.
-“Cosa ci facevi li dentro?” chiese Simon avvicinandosi alla ragazza. Erano alti uguali e la cosa un po’ lo imbarazzava, ma Isabelle sembrava aver superato questo trauma dell’altezza già da tempo.
-“E’ una storia lunga.”
-“Hai fame?” le chiese come se desiderasse una risposta affermativa. La ragazza lo guardò con gli occhi color cioccolato e annuì titubante.
-“Andiamo da Magnus allora. Sai non vede l’ora di poter re-incontrare dei Nephilm” Simon infilò le mani nelle tasche dei jeans e se li calò ancora di più sui fianchi.
-“Co-cosa hai detto?” chiese Isabelle che si era immobilizzata alle sue spalle.
-“Magnus ha incontrato dei Nephilm ieri mattina.. blaterava qualcosa su uno di loro. Diceva che avesse splendidi occhi azzurri e capelli neri o robe del genere. I dettagli non sono il mio forte, e ..” Simon si fermò perché Izzy lo guardava con gli occhi stralunati.
-“Alec” mormorò. Simon si passò una mano tra i capelli prima di avvicinarsi alla Cacciatrice.
-“Ti porterò a casa, te lo prometto. Ma prima che mi svieni tra le braccia per la fame, forse dovremo sbrigarci” così dicendo chiese il permesso ad Isabelle, poi le passò una mano sotto le ginocchia e dietro la schiena convinto a portarla il più lontano possibile da quel posto.
 
-“Hai novità da tuo figlio, Maryse?” chiese l’Inquisitrice alla donna. Maryse scosse la testa. Da giorni non mangiava e non parlava con nessuno, a parte con suo figlio Max che cercava in ogni modo di farle salire su il morale. La sera per esempio si addormentava leggendo i suoi fumetti, allora Maryse gli rimboccava le coperte sperando che la sua onda di depressione non sconvolgesse i sogni del bambino.
-“Bene. La decisione è presa”
Tutti gli Shadowhunters presenti nella sala si alzarono all’istante e assunsero le classiche posizioni rigide e composte. Maryse si chiese come trovassero tutta la forza di combattere, tutta la grinta di agire. Lei si sentiva solo infinitamente stanca, distrutta e sola. Alle sue spalle sentiva lo sguardo cupo di Robert, ma non voleva essere consolata da lui solo per quel momento. Voleva che suo marito la sostenesse sempre. Voleva che non dovesse sentire la sua mancanza come se le mancasse l’aria nei polmoni. Voleva non dover sentire quella tensione fra di loro come se non si fossero mai appartenuti.
-“Attaccheremo domani all’alba, signori. Riposate e passate il tempo in famiglia. Abbiamo bisogno di scoprire cosa diamine succede fuori delle barriere di Alicante” disse in tono perentorio l’Inquisitrice.
Maryse si voltò a guardare verso Stephen Herondale che la stava già fissando. Entrambi sapevano che l’unico scopo della missione era riuscire a riportare a casa i propri figli sani e salvi.
 
Il cielo plumbeo sopra le teste dei Cacciatori, era chiara espressione dei loro stati d’animo. Tornando alla loro base dietro le cascate della Foresta Nera, Jonathan e Valentine camminavano con passo pesante. Gli stivali di entrambi i Cacciatori risuonavano nel silenzio della notte.
-“Dobbiamo addestrare gli Eidolon a prendere le sembianze dei nostri nemici. Si potrebbe creare una serie di equivoci che potrebbero aiutarci” blaterava Valentine che intanto teneva il conto con le dita di quanti  soldati demoni fossero rimasti. Stranamente negli ultimi due giorni erano stati rimandati alle loro dimensioni almeno la metà delle loro schiere.
-“Questo perché a breve, avremo il Conclave alle calcagna come cani da caccia con le lepri” diceva entrando in grande scena dentro il covo. Valentine non si disarmava mai, Jonathan appena dentro si slaccio la cintura con le armi e la buttò da qualche parte dietro la scrivania. Non sapeva perché girasse ancora intorno a suo padre dopo la confessione del giorno prima, ma ad ogni modo meglio in cattiva compagnia che soli. O forse era il contrario?
Valentine girava e girava all’interno della stanza, facendo innervosire Jonathan. Così il biondo più piccolo decise di scendere nel suo antro con tanto di pessimo umore per andare  a fare visita ad Isabelle. Scese gli scalini saltando gli ultimi due e atterrò con delicatezza sugli scarponi. Svoltato l’angolo restò di sasso.
Isabelle non c’era più. La grata era per terra con un coltello abbandonato sulle pietre.
Realizzando il suo fallimento, Jonathan lanciò un urlo di rabbia.
 
“Ehi vampiro! Bentornato…” Gli occhi gialli di Magnus indugiarono su Isabelle mentre la sua voce si spegneva lentamente. La cacciatrice era ancora confusa. Il suo sguardo vagava sull’accampamento improvvisato di Magnus, che come suo solito, non aveva trascurato i dettagli. Enorme ampolle di vetro fluttuavano sulle loro teste per riflettere piccole lucine bianche, un tendone verde scuro si apriva e lasciava intravedere tutte le cianfrusaglie che lo stregone si era portato dietro, mentre le cose che appartenevano a Simon… beh quelle erano rimaste a New York.
-“A casa” continuò lo stregone. Poi quasi a risvegliarsi da uno strato di trans e batté le mani più volte, al che un lussuoso vassoio di argento brillante comparve (dal nulla) davanti agli occhi dei ragazzi.
-“E’ soltanto tè, cacciatrice. Da ciò che vedo te ne servirà parecchio. Per il momento serviti, provvederò a procurarti qualcosa di più sostanzioso. E, Simon non stare l’impalato!”
Simon si riscosse. Non riusciva ancora a capire per quale ragione Magnus fosse sempre così predisposto verso i Nephilim. Una cosa era certa: dietro c’era una lunga storia.
Isabelle, intanto aveva afferrato la tazzina e si stringeva le braccia intorno. Con qualche trucchetto strano, Magnus era riuscito ad accendere il fuoco nel camino vittoriano, che Simon non aveva mai visto.
Dopo le presentazioni, Simon notò che Magnus stava per lanciarsi in un soliloquio circa la sua lunga esistenza, anche se ad Isabelle sembrava non importare.
-“E’ così strano come voi vampiri veniate sempre da me a chiedere aiuto. C’era una volta questo vampiro di cui preferisco celare il nome, anche se tutti sappiamo di chi parlo” –Simon guardò Izzy che scrollò le spalle come se la cosa non la sfiorasse –“Insomma questo giovane vampiro nel lontano 1959…” e così dicendo passò a raccontare della volta in cui aveva aiutato a fuggire la regina Maria Antonietta, oppure quella volta in cui si era imbattuto in un gruppo di scimmie straordinariamente arrabbiate con lui.
Dal canto suo, Simon non riusciva a distogliere gli occhi dalla ragazza di fronte a lui, che nonostante tutto era rimasta impressionata dalle rocambolesche cronache di Magnus. Ogni tanto sorrideva, senza mai essere davvero felice. Si chiese se Isabelle lo fosse mai stata. Si chiese se lo sarebbe diventata. Poi senza preavviso le parole cessarono, le luci si spensero e Magnus si alzò in piedi.
-“Abbiamo visite, miei giovani amici” sussurrò facendo cambiare posizione all’arredamento per renderlo più accogliente. Le luci cambiarono colore e iniziarono a brillare di più come se si trovassero in una splendida sala da ballo. Simon e Izzy davano le spalle alla porticina improvvisata dallo stregone e quando Magnus quasi saltò dalla sua poltrona per andare ad aprire i due neanche si voltarono. Fino a quando qualcuno non disse in una sola parola, che nascondeva strazio e disperazione.
-“Isabelle” sussurrò. Anche se ancora non poteva vederli, Simon udì un flebile sospiro di sollievo.

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Capitolo 12
*** Angels and Demons ***


Author's Corner: Nuovo capitolo.. spero che non ci siano errori, ma non l'ho proprio riletto!
Mi piace quando i personaggi trovano un posto, che sia tra le braccia di chi amano o anche solo sul divano.. Bene, piccoli accenni di Malec e come poter dimenticare l'indimenticabile "Non mi hai richiamato?" di Alec a Magnus? Beh, la scena è inversa, ma il senso è quello.
Viva la Sizzy <3
E basta, buona lettura :)
Lasciate un piccola, piccolissima recensione.
With love,
-A.
 

Angels and Demons

 
La verità è figlia del tempo
Lord Francis Bacon
 
Alec corse verso la sorella per stritolarla tra le braccia. Aveva bisogno che il tempo si fermasse, perché negli ultimi quattro giorni aveva perso quarant’anni della sua dannatissima vita. Sua sorella indossava una felpa che chiaramente non era sua. I capelli le cadevano spettinati sulle spalle, ma ad Alec non importava. La stringeva come se non ci sarebbe stato un altro momento in seguito. Solo alla fine chiuse lentamente gli occhi e abbassò le sue difese. Isabelle stava apparentemente bene, ed era proprio lì davanti a lui sulle proprie gambe. Si scostò dalla sorella per guardarla nei grandi occhi scuri che si addolcirono all’istante.
-“Ci hai messo troppo tempo, Alec” disse lei sorseggiando dalla tazzina che aveva in mano. Guardò oltre le spalle del fratello e salutò gli altri due cacciatori con un cenno del capo. Clary si avvicinò lentamente ad Isabelle. Alec la vide irrigidirsi come se stesse per incontrare la morte in persona, e poi fece un passo indietro. Jace fu subito al fianco di Clary.
-“Forse è il caso che io e te li lasciamo soli, vampiro” disse Magnus facendo sussultare Alec. Il cacciatore si girò ritrovandosi gli straordinari occhi gialli a due centimetri dai suoi.
-“Non mi hai chiamato” sussurrò all’orecchio del ragazzo, che non riusciva a pensare a nient’altro. Così cercò in fretta una scusa.
-“Se avessi saputo che mia sorella, che per la cronaca sto cercando da quattro interminabili giorni, alloggiasse nel tuo appartamento improvvisato, lo avrei fatto” disse diventando improvvisamente rosso. Non voleva insinuare che Magnus avesse catturato sua sorella, ma a quali altre conclusioni poteva giungere?
-“Ora che l’hai trovata mi devi un favore, Nephilim” Magnus si allontanò per andare a sollevare di peso Simon, il quale non aveva nessuna intenzione di sloggiare da quello che era diventato il suo appartamento improvvisato, appunto.
-“Simon può restare.” Disse Isabelle sedendosi al fianco del vampiro. Alec non riusciva a capire come Izzy fosse diventata amica di un vampiro. Insomma, lei di solito li uccideva. E anche in modo crudele.
Alec diede un’occhiata a Jace, che continuava a fissare Clary. La ragazza sembrava che le avessero rubato la voce, continuava ad aprire e chiudere la bocca come se volesse aggiungere qualcosa, ma senza successo. Jace allora, intrecciò le dita alle sue e per poco la ragazza sembrò riscuotersi. A dirla tutta, Alec invidiava Clary per come Jace la guardava, come se non ci fosse altra stella in cielo, come se tutto quello che il ragazzo avesse intorno non ci fosse davvero, come se solo loro due lievitassero sopra il mondo intero. Gli occhi di Jace erano costantemente attratti da Clary, anche se non fosse stato necessario, Jace la guardava di sfuggita, ma doveva assicurarsi che Clary fosse lì. E mai come in quel momento, Jace aveva gli occhi puntati sui capelli rossi della sua ragazza, le sopracciglia bionde formavano una lunga linea sottile.
-“Isabelle, mamma e papà sono preoccupatissimi. Il Conclave ha intenzione di mandare i migliori cacciatori a cercarti, ma credo che la vera missione sia trovare il killer di tutti quei Nascosti. Per l’Angelo, Isabelle. Ci hai fatti spaventare a morte. Non.. non sapevo cosa fare, dove cercarti. E’ stato straziante; i giorni più lunghi della mia vita.” Disse Alec passandosi una mano tra i capelli neri. Era ancora un po’ nervoso, per l’assurdità della situazione, perché Magnus li aveva parlato in quel modo e lui si era sentito strano. Stranissimo.
Isabelle rise, ma senza allegria. Alec guardò la sorella come se fosse impazzita, ma poi voltò lo sguardo verso il vampiro al suo fianco. Sembrava un tipo in gamba, ma oramai non ci si poteva fidare più di nessuno.
-“Alec, sono stati i giorni più brutti della mia vita. Non mi interessa se il Conclave abbia fretta di trovare chi ha fatto cosa. Non mi interessa se mamma e papà sono preoccupati. Voglio solo tornare a casa per dimenticarmi tutto quello che ho dovuto subire nelle ultime ore. L’Angelo solo sa cosa potrebbe succedere se dovessi incontrare di nuovo quel verme schifoso…” la voce le si spezzò in gola e Isabelle cercò la spalla di Simon per affondare la testa nel suo collo. Sembrava fidarsi ciecamente di quel ragazzo. Ad Alec un po’ diede fastidio, ma non lo fece notare. Intanto Simon, con non poco imbarazzo, circondò Izzy con un braccio, disegnando dei cerchi con la mano sulla sua schiena per tranquillizzarla.
-“Chi è quel verme schifoso?” chiese Magnus da dietro. Tutti si girarono, mentre Simon alzava gli occhi al cielo. Ma non se ne era andato?
-“Sì, lo so. Avevo detto che me ne sarei andato… ma poi avete iniziato a raccontare e non ho resistito”
-“Forse dovresti imparare a farti i fatti tuoi, stregone” disse Jace che adesso aveva un sorriso divertito sulla faccia, non si sapeva bene per quale motivo.
-“Si chiama Magnus, Jace” lo ammonì Alec pentendosene in seguito. Magnus fissò il suo sguardo negli occhi di Alec che subito dopo guardò altrove.
-“Mi ricordi qualcuno” disse Magnus riferendosi a Jace, che alzò gli occhi al cielo preparando una nuova battuta.
-“No, non credo. I miei capelli biondi e gli occhi ambrati sono un’accoppiata unica e perfetta. Mi dispiace, ma credo che non ci sia persona che possa competere con il mio fascino” disse Jace facendo sorridere Magnus, il quale però allontanò quelle parole con un gesto della mano.
-“Ritornando per un attimo seri..”
-“E’ difficile concentrarsi con me intorno, lo so” diceva Jace che oramai era entrato in confidenza con l’ambiente. Non che in genere, ci volesse molto tempo.
Clary intanto gli aveva tirato un calcio per zittirlo. Alec non sapeva cosa Jace trovasse in Clary, ma delle volte rimaneva veramente sorpreso dalla ragazzina.
-“Izzy, vorremmo sapere cosa ti è successo. Perché sei sparita? Chi ti ha rapito? Cosa voleva da te?” Alec aveva una serie infinita di domande che avrebbe voluto fare, ma guardando Isabelle scura in volto come non lo era mai stata si zittì.
Tutti presero posto intorno a lei. Isabelle accavallò le sue lunghe gambe e prese un lungo sospiro.
-“Quel pomeriggio in cui decisi di tornare a casa prima, non ho fatto la solita strada. Non so perché ma mi andava di cambiare così sono passata da un vicoletto. E’ stato l’ultimo dei miei errori. Sapevo che c’era qualcosa che non andava” –come se potesse confermarlo, Isabelle afferrò la sua collana con il rubino e la strinse forte tra le dita –“ ho visto papà..”
-“Hai visto nostro padre?” chiese Alec allarmato.
-“Ah quel traditore non l’ha detto a nessuno?” –Isabelle rise di nuovo amaramente –“Immagino che provi un minimo di vergogna”
-“Alec, non possiamo sapere se l’abbia reso noto. Noi siamo partiti quasi subito, magari l’ha detto in privato a tua madre, per esempio” disse Jace appoggiando una mano sulla spalla del parabatai. Alec annuì più per formalità.
-“Ero così arrabbiata. Se si fosse avvicinato anche solo di un altro passo, io lo avrei colpito e gli avrei fatto male, Alec. Così per evitare di commettere il parricidio, e giuro in quel momento ne avevo le capacità fisiche, mi sono messa a corre dalla parte opposta. Non so dove sono finita ero lontana dal centro, molto lontana da casa.. Ero sola. Poi di come sono finita nel posto in cui sono finita non mi ricordo. So solo che quando mi sono svegliata, ero chiusa in una cella lontano da Idris, disarmata, con un dolore martellante in testa e infreddolita.”
Alec guardò Simon che sembrava non voler sapere proprio tutto. Ma secondo Alec ogni dettaglio sarebbe stato fondamentale.
-“All’inizio pensavo che se fossi rimasta lucida avrei trovato una via di fuga. Ma ero chiusa in una specie di bolla di vetro. Nessuno poteva vedermi o sentirmi.” Isabelle guardò Simon negli occhi, ed Alec si spaventò quasi dell’intimità di quello sguardo. Così senza volerlo incontrò gli occhi di Magnus dall’altra parte del ‘salotto’.
-“Ma poi nonostante mi venisse servito un piatto al giorno, mi sono rifiutata di mangiare. Non volevo niente da quel diavolo. Non ho mai avuto paura di lui. Non si è mai comportato come se volesse farmi male, non aveva intenzione di farmi male. Ma poi… ha scoperto qualcosa ed è cambiato improvvisamente. Lui… “ –Isabelle deglutì a fatica stringendo le mani a pungo fino a farle diventare totalmente bianche –“lui mi ha…” poi non parlò più.
-“Dovevo arrivare prima, Isabelle. Mi dispiace” disse Simon anticipando le parole di Alec che aveva la gola asciutta e gli mancava l’aria. Non poteva essere. Isabelle non avrebbe permesso a nessuno di abusare di lei, ciò significava che chiunque fosse, era più forte di lei.
-“Non so come tu abbia fatto a trovarmi, Simon. Io… grazie di tutto” sussurrò Isabelle in modo che Simon potesse sentirla.
-“Non so come spiegarlo, Izzy. Io ti ho sentita. Qui” disse indicando con l’indice quel posto del petto dove generalmente batte il cuore, ma essendo Simon un vampiro Alec dubitava che sentisse un solo battito da anni.
Se Alec non conoscesse sua sorella, avrebbe giurato che quelle Izzy tratteneva fossero lacrime. Ma in genere Isabelle non piange.
-“E’ tutto molto romantico.. però Isabelle mi preme sapere una cosa. Che cosa ha scoperto per cambiare così velocemente?” chiese Jace che continuava a strofinarsi il mento come se volesse risolvere un dilemma universale.
-“Non voglio essere io a dirvelo, ragazzi. Non so quanto possa farvi piacere” e da come parlava guardando fisso i due ragazzi al suo fianco, Alec capì che il problema fosse serio.
-“Valentine parlava di alcune tisane che aveva dato ai vostri genitori… quelle per la seconda gravidanza di tua madre, Clary, e per tua madre Jace, conteneva sangue di Angelo. Farneticava su alcuni poteri straordinari che aveva dato ai suoi esperimenti li chiamava così. Avete più sangue di Angelo di qualsiasi altro Shadowhunter sulla terra. Ecco perché avete strani poteri.. Mentre quelle per la gravidanza di Jonathan contenevano sangue di demone. Quando lo ha scoperto, si è definito un mostro e ha detto di doversi comportare come tale. Così..” Isabelle non riusciva a concludere la frase, Alec si avvicinò e le strinse la mano sentendo lei che ricambiava la stretta.
Jace che generalmente aveva qualcosa da dire, era rimasto senza parole. Clary che non era riuscita a parlare chiuse gli occhi poggiando la testa sulla spalla di Jace. Alec pensava che fosse svenuta talmente era bianca.
-“Jonathan diceva di voler raggiungere Clary attraverso di me. Anche Valentine è sulle tracce di Clary, ma hanno due scopi diversi. Credo che Jonathan voglia solo avvisarti di scappare, ma non sono più convinta che questa sia davvero la sua volontà. E sì, sono loro che uccidono tutti quei nascosti. Ogni notte uscivano per  andare a caccia e fare strage di nascosti. Sentire i loro discorsi è stato orribile tanto quanto rimanere rinchiusa in quella cella.” Quando Isabelle finì di parlare, tutti rimasero in silenzio per molto tempo.
-“Ho sempre odiato quel Morgenstern, da quando eravamo bambini” brontolò Jace.
-“Jace! E’ pur sempre il fratello di Clary” lo sgridò Alec con sguardo severo.
Clary si alzò, tenendo i pugni chiusi quasi avesse paura si spezzarsi.
-“Voi non sapete niente di Jonathan” disse con voce straziata. Nessuno fiatò quando la ragazza corse lontano seguita da Jace.
 
-“Il Conclave ha deciso di spedirci in missione, Luke.” Diceva Jocelyn passeggiando avanti e indietro per il salotto. Avrebbe scavato una fossa se non si fosse fermata.
-“Verrò con te” disse il licantropo. Jocelyn si fermò per guardarlo.
-“Sei impazzito? Se qualcuno nota la tua presenza, sai cosa succederebbe? Dovresti rinunciare alle rune e ti rinchiuderebbero in una cella buia per l’eternità, nel migliore dei casi. Nel peggiore ti ucciderebbero.” Disse Jocelyn con la voce che le tremava leggermente. Non poteva immaginare la sua vita senza Luke. Era il suo migliore amico, e anche se a volte si ritrovava ad avere paura di ciò che di nuovo provava verso Lucian, ammetteva che c’era qualcosa di più profondo che andava oltre l’amicizia.
-“E’ di Clary che stiamo parlando, Jocelyn. Non posso immaginare che le sia successo qualcosa e io non possa aiutarla. Se mai dovesse succedermi qualcosa, voglio che Clary sappia che le abbia voluto bene fino alla fine” disse Luke come se stesse leggendo il giornale. Ed effettivamente stava leggendo davvero, seduto sul divano con Jocelyn che lo guardava con le mani sui fianchi, con il suo fare iperprotettivo di sempre.
-“Maledetti Herondale!” esclamò Jocelyn che provava un’avversione genetica verso gli Herondale… più in particolare verso Jace. In realtà, da quello che sembrava a Luke, Jocelyn apprezzava Stephen Herondale, ma suo figlio era più antipatico di quanto non volesse apparire.
-“Jace è un ottimo cacciatore. Oserei dire il migliore. Se c’è una persona che si prenderà cura di Clary, quello è lui. Fidati, Jocelyn. Lo ho osservato. Ho visto come guarda Clary e so esattamente cosa significa quello sguardo.” Perché è lo stesso modo in cui io guardo, te. Voleva aggiungere, ma tacque anche perché Jocelyn si era persa nei suoi pensieri.
-“Va bene, ma..” stava obbiettando la donna.
-“Ma niente. So badare a me stesso. Non sono del tutto innocuo, Jocelyn. Grazie al cielo non hai mai dovuto assistere alla mia trasformazione, ma non lo chiamerei proprio cagnolino da compagnia” la interruppe Luke, strappandole un sorriso. Jocelyn si avvicinò e lo abbracciò con delicatezza.
-“Non ti devi preoccupare per me, va bene? Ho già rinunciato alle rune diciassette anni fa, Jo” sussurrò all’orecchio della donna. Dalla crocchia di capelli rossi sulla testa le sfuggì qualche ciocca.
-“Non posso perderti”
Sebbene non fosse un Ti amo, a Luke bastò lo stesso.

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Capitolo 13
*** Vide me ***


Author’s corner:
Due consigli. Innanzitutto parliamo del titolo Vide Me è latino (lingua di Stephen Herondale, che l’Angelo lo benedica <3) e vuol dire Fidati di me.
Seconde indicazioni, nel testo specialmente nella seconda parte sono presenti vere e proprie citazioni di Isabelle dalla saga. Sono in generale le mie preferite, ma non le ho messe in evidenza.
Eeee niente, immagino che perdoniate la mia predilezione alla Sizzy, ma io li amo!
Lasciate una recensione :* Lettori/lettrici passate a trovarmi su questa paginettaCherik Italia ! È una ship bella quanto la Malec...

With Love,
-A.
 
 

Vide me

Un odore dolce, di sangue,
 mortalità e gardenie
Simon Lewis
 
 
 
Clary sentiva la gola serrata, come se le avessero colato cemento armato nei polmoni. Una vocina nel cervello le stava urlando “Jonathan non ha fatto niente. Non è un mostro”. Ma la realtà era un’altra. Lei sapeva inventare rune, l’ultima che continuava a comparirle davanti ogni trenta secondi ne era la prova, e Jace spiccava voli angelici senz’ali. Perché Jonathan doveva essere dannato?
-“Clary!” gridò Jace da dietro. La ragazza non voleva che Jace la vedesse piangere. Voleva stare sola in quel momento per compiangere tutta la sua vita marcia, vittima di un padre squilibrato con enormi disturbi mentali. Non poteva parlare con Jace perché aveva appena dichiarato ad alta voce di odiare suo fratello e perché era l’unica persona che poteva capirla. Jace la leggeva come un libro aperto lasciato alla portata di tutti su una scrivania in un biblioteca. La capiva e bastava solo che la guardasse negli occhi. La spogliava con lo sguardo di tutte le insicurezze, e in quel momento, Clary non aveva bisogno di essere abbracciata. Non aveva bisogno dei baci di Jace, né delle sue parole confortanti. Voleva vederci chiaro da sola, ma quando Jace si avvicinò ad un passo dalle spalle di Clary, la ragazza si passò una mano sotto gli occhi per asciugarsi le lacrime, e si voltò lentamente.
Jace le alzò il mento con un dito e i loro sguardi si incrociarono. Clary adorava gli occhi di Jace, ci vedeva la ricchezza della sua intelligenza, della furbizia e della passione. Nessuno dei due aveva mai provato un sentimento tanto forte per un’altra persona, e Clary non sapeva come poterlo dire a Jace, che la fissava senza sorridere. Era silenzioso nella sua preoccupazione, che riempì il cuore di Clary come se per anni fosse stato totalmente vuoto.
-“Jonathan non è un mostro” sussurrò per convincere se stessa. Jace scosse la testa lentamente senza staccarle lo sguardo dal viso. Passò un pollice sugli zigomi di Clary per assicurarsi che non ci fossero lacrime a bagnarle il viso. Clary affandò tutto il viso nella mano di Jace, che accolse l’invito e alla fine la circondò con tutto il suo corpo. La testa di Clary gli arrivava al petto tanto da poter sentire il battito veloce del suo cuore. Clary strinse il borso della maglietta nera di Jace, e scoppiò a piangere di nuovo. Sapeva che non sarebbe bastato neanche Jace. Era indubbiamente bellissimo aver trovato qualcuno che le stesse vicino, ma non bastava perché nessuno sapeva cosa voleva dire voler bene a suo fratello. Se Jonathan fosse un demone, a Clary non lo aveva mai fatto notare. Si ricordò di quando erano più piccoli e lui le faceva spazio sulla tovaglia a quadretti che stendevano sul prato di fronte casa a fissare le nuvole del cielo di Alicante. Ognuno immaginava e dava alle nuvole le forme che voleva. Si ricordò di quando Jonathan salisse sugli alberi più alti a leggere i suoi libri preferiti. Solo a Clary era permesso salire, perché era l’unica che voleva ascoltarlo. Clary aveva ammirato il cambio di voce del fratello, un tempo voce da bambino, poi divenuto grande. Era graffiata quel tanto che bastava da farlo sembrare grande e impavido. E quando rideva le sorrideva con i suoi denti dritti e bianchi, un sorriso che conservava solo per i momenti tra fratelli. Che altro motivo aveva Jonathan di ridere? Quando suo padre non c’era passava il tempo sui libri di greco e latino, quando c’era ed era di buon umore lo faceva sudare per l’addestramento, e quando invece il suo umore era scuro come gli occhi di Jonathan, suo fratello doveva subire fisicamente tutta la sua ira.
-“No, no, no.”
-“No, cosa?” chiese Clary con la faccia schiacciata contro il petto di Jace. La sua maglietta era macchiata delle sue lacrime, ma continuava a profumare di limone e pulito, odori che Clary associava direttamente a Jace.
-“Non riesco a vederti piangere” sussurrò Jace al suo orecchio. Clary prese un bel respiro, e insieme un’inalazione del suo profumo, si distanziò da Jace.
-“Ha ancora un briciolo di umanità, vero Jace? Lui non è perduto. E’ mio fratello..” disse Clary come se quella motivazione potesse bastare a chiarire tutto. Jace non rispose rimase a fissarla con l’espressione contrita di uno che vuole dire come stanno veramente le cose, ma ha paura di ferirti. Eppure Jace, dice sempre le cose come stanno. Jace non si tiene mai nulla. Isabelle una volta, aveva detto a Clary che se non vuoi sapere la verità non devi chiederla a Jace, perché lui non ha peli sulla lingua. Eppure esitava.
-“Non è colpa sua. E’ colpa di Valentine. Mio fratello… è così per colpa sua.” Clary continuava a ripeterlo come un mantra. La ripeteva così le si sarebbe impressa nel cervello, e se un giorno avesse rivisto Valetine, gliel’avrebbe fatta pagare.
-“Lo so, Clary” disse Jace sottovoce. Poggiò la fronte sulla sua e il suo respiro leggero solleticava le ciglia di Clary. Circondò il collo del ragazzo alzandosi sulle mezze punte, e gli stampò un bacio sulla bocca piccolo e sfuggente come a dirgli Grazie per esserci adesso, Jace.
-“Ci sarò sempre per te, questo sia chiaro.” Le rispose ad alta voce.
 
Simon era rimasto accanto ad Isabelle quando il biondo aveva seguito la sua ragazza lontano dalla stanza. Isabelle si era subito rabbuiata e gli aveva sussurrato all’orecchio di aver bisogno di un po’ di aria fresca. Simon si era offerto di accompagnarla per paura che fosse ancora troppo turbata per rimanere da sola in un posto noto come ‘Foresta Nera’. Qualcuno si è mai chiesto perché si chiama così? Beh, a Simon non serviva sapere la storia, bastava l’aggettivo Nera a farlo preoccupare.
-“Non avrei dovotu dire tutte quelle cose, vero? Non ci ho pensato… Clary era lì e io le ho sputato in faccia la realtà. Sono una persona crudele” blaterava Izzy tutta corrucciata. A Simon piaceva il modo i cui teneva il muso. Le sue morbide labbra rosate si piegava all’ingiù in modo quasi impercettibile. Il ragazzo si ritrovò a sorridere nonostante la gravità della situazione.
-“Perché sorridi?” chiese Isabelle bruscamente. C’erano due lati di Isabelle che Simon aveva capito: uno era quello formato da una crosta esterna che a momenti non avrebbe fatto traspirare neanche l’aria ed era quello che Izzy usava con tutti; l’altro era quello più vulnerabile, la parte di Isabelle più profonda e fragile, la Izzy che piange insomma, che non era visibile a tutti. E se Simon era riuscito a scorgerle entrambe , doveva esserci un motivo no?
-“Tu non sei crudele, Isabelle. Hai solo un modo schietto di dire le cose, ma cosa ci puoi fare tu? Hai dovuto affrontare situazione che nessuno avrebbe voluto neanche solo immaginare per se stesso, non è colpa tua.” Disse Simon stringendosi nelle spalle. A lui piaceva un sacco guardare Isabelle indossare la sua felpa. Non le stava male, forse un po’ abbondante ma siccome Isabelle era dotata di lunghe braccia, le andava anche giusta di manica.
-“Come fai a capirmi così?” chiese lei sussurrando. Forse aveva sperato che Simon non la sentisse, ma il suo udito era molto sviluppato, diciamo.
-“E’ come se ti avessi già conosciuta. Non dirmi dove e neanche quando perché sono quasi sicura che la prima volta in cui ti ho vista è stata oggi.” Simon cercava di tenersi lontano da Isabelle. Il vento continuava a scuotere i capelli di Isabelle e propagava il suo profumo tutto intorno. Senza riuscire a fermarsi, sentì un morso di fame proprio al centro dello stomaco. Ma non poteva essere perché aveva mangiato poche ore prima.
-“Vorrei potermi fidare veramente di te.” Sussurrò Isabelle mestamente. Gli occhi scuri avevano preso il colore della notte intorno, e Simon non riusciva a scorgere niente che non fosse tristezza.
-“Perché non puoi?” chiese Simon lottando contro il dolore lancinante. Quando un vampiro ha fame, ha fame. Non ci si può sbagliare. Ecco spiegati i sensi super sviluppati, in condizioni di sazietà Simon non avrebbe sentito l’odore speziato di Isabelle, ecco spiegati i canini che premevano per uscire.
-“Tutti gli uomini che ho incontrato mi hanno tradito. Mi hanno fatto del male… a parte Alec, ma lui è mio fratello” diceva Isabelle avvicinandosi lentamente. Simon notò con grande interesse, il modo leggero in cui i piedi di Isabelle toccavano il suolo. Sembravano nati per non fare rumore.
-“Quanti sarebbero questi tutti ?” chiese Simon sforzandosi di non sorridere. Gli aveva fatto piacere essere definito ‘uomo’, ma avrebbe risposto che lui era un vampiro. Mostri succhiasangue, allergici alla luce del sole… è chiaro, no?
Isabelle rise questa volta di gusto.
-“No, no, Simon. I ragazzi con cui esco in genere sono innocui. Dicono in giro che io prenda i loro cuori e ci cammini sopra con i tacchi a spillo. Io parlo di uomini, di cui mi sono fidata. Mio padre è in cima alla lista. Ora spiegami tu, come posso fidarmi di te? Come posso sapere che tu non mi ferirai come gli altri? I cuori si spezzano, e pure quando si ricompongono non si torna più gli stessi di prima” disse Isabelle pericolosamente vicina. Simon aveva le idee annebbiate, i pensieri sconnessi, era tutti istinto e niente razionalità. Lottò contro la sua natura, una lotta che aveva già un vincitore, ma strinse forte i denti. Ritirò le zanne e smise di respirare per evitare di sentire ancora l’odore della ragazza.
-“Non so se puoi fidarti di me. Ma io ti ho trovata Isabelle. Non ero certo di cosa stessi cercando, fino a quando non ho incontrato te.” Disse sorprendendosi delle sue stesse parole.
-“Voglio tornare a casa e voglio che tu venga con me”
-“Anche io ho una casa, Isabelle” mormorò Simon prendendo tra le mani una ciocca di capelli neri.
-“Stai già per ferirmi, lo sai?” chiese Isabelle con un sorriso innocente sulle labbra. Non era un gran sorriso, ma Isabelle rimaneva comunque bellissima.
 
Rimasti soli nel ’salotto’ di casa Bane, Magnus occupò posto sul divanetto di fronte al cacciatore. Il ragazzo era ancora scosso per tutte le notizie che avevano dato, e perché no? anche perché era rimasto solo in uno spazio circoscritto da un barriera invisibile con uno stregone. In altri termini, poteva sembrare inquietante come scena.
-“A quanto pare siamo solo noi due, Alexander” nel sentire il suo nome, il giovane alzò gli occhi azzurri così profondi e turbati. Magnus voleva poter fare qualcosa per vedere quello splendido azzurro limpido come il mare. Eppure doveva smetterla di correre in aiuto a persone con gli occhi azzurri. C’era stato Axel che gli aveva chiesto aiuto per salvare Maria Antonietta di Francia, William Herondale e la sua maledizione e prima ancora suo padre Edmund e la sua naturale spontaneità che lo aveva portato a compiere scelte difficili... e poi adesso c’era Alec e una serie di altri nomi che purtroppo non ricordava, perché quando non incontri le persone per lungo tempo finisci per dimenticartene.
Gli occhi di Alexander però avevano qualcosa di familiare. Forse la loro tendenza al colore del cielo quando la Luna usurpa il trono al Sole. Forse la loro spontaneità a essere spettacolari e pungenti. Ora che ci pensava due secoli prima un Lightwood aveva sposato una Herondale, forse proprio la sorella di Will. E se da cosa nasce cosa… Si potevano spiegare anche i capelli marrone e l’infinita dolcezza dei movimenti, caratteristica un po’ comune in tutti i Nephilim.
-“A quanto pare.” Disse Alec, che non era mai stato un grande chiacchierone. Magnus voleva che il Nephilim non si sentisse minacciato dalla sua presenza, anche perché nella sua lunga vita lo stregone aveva giurato di non far male a una mosca benché questa non fosse irrimediabilmente cattiva.
-“Mi spiace per tua sorella. Per quanto possa importare, il tempo aiuta a dimenticare. Persone, cose, momenti si allontanano fino a sbiadire e arriva un giorno in cui non ricordi più” Magnus si alzò perché il divano era diventato troppo scomodo.
-“Grazie” mormorò Alec con un tono piatto che fece accigliare Magnus. Forse era il caso di lasciar stare il Nephilim, eppure qualcosa gli diceva che doveva provarci.
Mai sentito parlare di senso dello stregone? E’ simile al sesto senso femminile, ma molto più acuto e in genere non sbaglia mai. Certo, Magnus non sbagliava mai.
-“Qualcosa non va?” chiese Magnus avvicinandosi pericolosamente al cacciatore. Alec non aveva abbassato lo sguardo neanche di un soffio e questo incoraggiò Magnus nella mossa successiva.
Afferrò un passante dei pantaloni e trascinò Alec a un paio di centimetri dalla sua faccia. Il ragazzo, impaurito da tanta confidenza, lo guardò negli occhi. Magnus sorrideva con gli occhi gialli dilatati nel buio. 
-“Alexander, sei un po’ teso” disse alla fine facendo salire le mani delicatamente per la schiena del ragazzo. Gli occhi azzurri di Alec si abbassarono per un attimo, giusto per vedere quanto spazio lo separasse da Magnus.
Vedendo che Alec era sul punto di scoppiare, Magnus lo attirò a sé con maggiore foga. Ora le New Rock del cacciatore sfioravano la punta dei mocassini turchesi di Magnus.
Magnus faceva scivolare la mano tra le scapole del ragazzo, non potendo non desiderare di toccare la pelle calda di Alec, di poter accarezzare le cicatrici delle sue rune.
Afferrò i polsi del Cacciatore e le portò dietro il suo collo, per far ricambiare l’abbraccio. Magnus poteva sentire il calore che Alec emanava dal suo corpo slanciato e atletico. Si chiese cosa stesse provando in quel momento. Si chiese se fosse la prima volta che Alec manifestava i suoi interessi sessuali oppure se avesse paura di dichiararlo anche solo a se stesso.
-“Sta tranquillo, Nephilim, ti insegno io come si fa”
Magnus prese il volto di Alec tra le mani e posò delicatamente le labbra su quelle di Alec, che dapprima si era irrigidito neanche Magnus avesse fatto la cosa più assurda del mondo, ma poi si sciolse ricambiando il bacio. Magnus si sentiva strano, in secoli di vita non aveva mai provato quella sensazione. Come se non ci fosse niente al di fuori di Alec, al di fuori delle sue mani tra i capelli, al di fuori delle sue labbra. Separandosi dal ragazzo solo per vederlo negli occhi, Magnus poggiò la fronte su quella di Alec che aveva le guance arrossate e le labbra gonfie. Mentre Magnus lo guardava, fece scivolare lo sguardo sulla runa del collo, lungo le braccia nerborute, più giù fin sotto la cintura carica di armi. Lentamente risalì, per godersi tanta giovinezza e tanta mortalità, soffermandosi sulle labbra socchiuse del cacciatore e per la seconda volta si ritrovò a sentirsi strano. Le sue labbra bruciavano dal desiderio, così senza nessun ripensamento, si avvicinò a baciare Alec per puro bisogno.
Strano che per un immortale, sentirsi vivo significasse trovare qualcuno con cui sentirsi bene fosse naturale, no?
 
-“Stiamo perdendo solo tempo, padre. Sappiamo dov’è Clary, perché non vai semplicemente a prenderla?” chiese Jonathan sperando di sbagliarsi. Sperava che Clary non fosse rimasta a casa, perché era proprio lì che suo padre sarebbe ritornato.
-“Perché la questione non è solo trovare tua sorella. Dobbiamo organizzare un esercito per entrare ad Alicante.”
Un’esercito ? Allora, parliamoci chiaro: nessuno sarebbe andato nella tenuta dei Morgenstern con un esercito solo per prendere sua sorella. A Clary nessuno avrebbe torto un fottuto capello.
-“Si, ma sarebbe più semplice…”
-“Finiscila, Jonathan” –lo interruppe Valentine –“Sei con me o contro di me?” gli chiese. Jonathan abbassò la testa bionda e fissò il pavimento cercando di non scatenare l’inferno contando fino a dieci.
-“Ottimo. Allora ascolterai ciò che dico. Ammesso che Clarissa non è ad Alicante, la troveremo e allora avremo gli strumenti mortali in pugno”
Si certo.. poi invitiamo Raziel a cena e ci mettiamo a cantare Carole Natalizie bevendo l’ambrosia degli dei dalla coppa mortale, pensò Jonathan. Senza aggiungere altro uscì dalla porta e giusto per lo sfizio di uccidere, tagliò la gola al mostro di guardia alla sua sinistra. Si allontanò con il bagliore di luce alle sue spalle che indicava che il demone era stato spedito nella sua dimensione.
Meno uno, pensò sorridendo tra sé.

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Capitolo 14
*** Home Sweet Home ***


Author's Corner:
Ed eccomi qui, con un nuovo capitolo! Mi devo ricordare di leggere prima di pubblicare, ma ad ogni modo perdonerete gli Orrori che avrò scritto? Ceeeertamente.
Niente da dire su questo capitolo. Semplice, semplicissimo ahahha corto, ma vi sto risparmiando grandi sorprese per i capitoli a venire.. Cieè spero che siano grandi e che sia sorprese!
Ad ogni modo, lasciate una recensione e buona lettura!!
With love,
-A.

Home Sweet Home

Per uno Shadowhunter Idris,
è sempre casa sua.
Jace Wayland

 
Quando Isabelle rientrò, notò che il resto del gruppo fosse già in casa. Jace stringeva la mano di Clary come se nel dividerli entrambi sarebbero crollati per terra, mentre Alec era pericolosamente vicino a Magnus. Simon si materializzò all’istante dietro le sue spalle e questo in qualche modo le gonfiò il petto di soddisfazione.
-“Torniamo a casa?” chiese a nessuno in particolare. Però vide Clary tirare fuori lo stilo. Chissà quante volte aveva aperto un portale ogni volta che le fosse servito, per esempio per uscire dalla sua camera quando avesse voluto. Isabelle la guardò con una punta di divertimento. E così adesso lei stava con Jace e poteva aprire un portale per piombare nella sua stanza senza che nessuno lo venisse a sapere.
Magari anche Isabelle un giorno si sarebbe servita di quella runa per andare a fare visita al suo non-ragazzo. Per il momento quella runa in particolare era severamente proibita. Non che a loro importasse se una cosa fosse legale o no. Avrebbero trovato il modo di infrangere la legge in qualunque modo, stando a quello che Alec diceva, era proprio ciò che Jace adorava fare. Se una cosa è proibita, si prova una scarica di adrenalina nel farlo che ricaricava i ragazzi ogni volta.
Isabelle si ricordò di quella volta che erano entrati nello studio dell’Inquisitrice, nonna di Jace per la precisione, per rubare dal secondo cassetto, che poi avrebbero scoperto essere chiuso a chiave, delle caramelle alla frutta. Quello era stato il primo dei piccoli crimini che il trio aveva combinato. In seguito avrebbero scoperto che quella chiave apriva un po’ tutti i cassetti e le porte all’interno dell’ufficio e si era aperto un mondo davanti ai loro occhi.
Era la loro Narnia personale.
Chissà come mai un giorno come un altro, l’Inquisitrice decise di cambiare le serrature. Ed ora camminava con un mazzo di almeno venti chiavi che tintinnavano ad ogni passo.
Magnus si  propose di aprire da sé il portale da bravo padrone di casa qual era.
-“Destinazione?” chiese lo stregone con gli occhi brillanti come lucciole.
-“Penso che sia necessario informare il Conclave. Questo era l’ultimo giorno che avevamo a disposizione, se non ci muoviamo a tornare potrebbero indire una spedizione che a confronto una crociata non è niente!” disse Jace quasi soddisfatto del suo paragone. Alec sollevò gli occhi al cielo, nonostante fosse d’accordo.
-“Voi non venite con noi? Dovrebbero conoscere chi ha salvato Isabelle” propose Clary. Guardò di sfuggita Simon e poi fece scivolare lo sguardo verso Isabelle come a conferma della sua opinione, la ragazza sorrise.
-“Gli Shadowhunters non accettano … ecco, non accettano…” Alec non riusciva a trovare le parole, al che la sua pelle si velò di un lieve rossore.
-“Nascosti?” provò Simon.
-“Non accettano Nascosti senza permesso, sì” concluse la frase cercando di recuperare la sua dignità, drizzando leggermente la schiena.
Magnus intanto, sembrava scosso da sottili risate, ma Isabelle non riusciva a vederlo in faccia impegnato com’era ad aprire un portale azzurrognolo.
-“Chi va per primo?” chiese.
-“E’ sicuro? Non ne avevo mai visto uno… Credo di passare per questa volta.” Sussurrò Simon che aveva assunto un colore leggermente verdognolo. Isabelle lo guardò poco convinta, poi avanzò Alec.
Infilò un piede nello specchio azzurro e si rivolse a Magnus.
-“Ci vediamo, Magnus” disse guardandolo negli occhi. Era esattamente questo che Isabelle intendeva per Alchimia.
-“Molto presto” rispose lo stregone muovendo le dita della mano una ad una.
Poi fu la volta di Jace, che fu costretto a lasciare la mano di Clary con suo enorme dispiacere. Le stampò un bacio sulla fronte, mentre Isabelle avrebbe voluto gridare che si sarebbero rivisti pochi secondi più tardi.
Mentre Clary avanzava per seguire Jace oltre il portale, Isabelle la chiamò. La rossa si voltò, esitando.
-“Mi dispiace per prima. Non avrei dovuto… parlare in quel modo.”
-“E’ tutto a posto, Izzy. Davvero.” Disse Clary sorridendole. Isabelle non la vide molto convinta, ma almeno non era arrabbiata. Poi scomparve oltre la soglia azzurra.
-“Sei sicuro di non voler venire?” chiese Isabelle a Simon, che ricambiò il suo sguardò intensamente. Magnus intanto, stava sussurrando parole sconosciute al portale probabilmente con lo scopo di far scomparire tutto una volta che loro avrebbero raggiunto Alicante.
Isabelle prese la mano di Simon, che fu costretta a seguirlo e senza pensarci due volte si tuffò nel portale. Pochi istanti dopo avevano finalmente raggiunto casa.
 
Maryse aveva passato le ultime due ore con il cuore appeso alla speranza di veder comparire i suoi ragazzi davanti la porta dell’Istituto. Aveva aspettanto in piedi, davanti la finestra, incurante del dolore che le scarpe alte le procuravano, guardando oltre il vetro opaco. In lontanaza il vento sferzava gli alberi con eleganza, piegando le foglie che cambiavano colore alla luce della luna.
Quando comparve una macchia azzurra a pochi metri dal portone principale, non volle credere ai suoi occhi. Strizzò le palpebre più volte, convinta di essere oramai impazzita, ma quando suo figlio fu sputato fuori da quell’ovale di vetro, non poté far altro che mettersi a correre. Scese le scale con la solita agilità, saltando gli ultimi tre o quattro gradini. Vestita totalmente di nero, pronta a partire in battaglia come conviene ad una Cacciatrice, sembrava una pantera.
Aprì il portone di legno pesante con una sola mossa convinta e ne uscì traboccante di sollievo. Uno per volta, i ragazzi sbucavano. Alec, Jace e Clary (Si tenevano per mano?) ,  poi Isabelle. La sua bella, bellissima figlia era tornata sana e salva. Non si curò degli ultimi due che sbucarono chiudendosi dietro il portale. Maryse considerò solo in un secondo momento che tutto ciò fosse illagale e che quei ragazzi avrebbero corso guai seri con l’intero collegio.
Maryse esitò per scegliere quale dei due figli abbracciare per prima. Ma entrambi le corsero tra le braccia. Isabelle l’abbracciò per prima, Maryse ricambiò stritolando la figlia tra le braccia. Senza volerlo, le scese una lacrima su una guancia. Alec le circondò entrambe con le sue lunghe braccia e poggiò la fronte sulla testa della mamma. Le strinse forte, le uniche donne della sua vita che avrebbero contato qualcosa per lui, e sospirò quasi sollevato.
-“Alexander, mi devi una spiegazione. Subito” quando Maryse si rivolgeva così a suo figlio, il ragazzo distoglieva subito lo sguardo. Benchè avesse compiuto diciotto anni, rimaneva timido e dolce.
-“Beh, da dove cominciamo? Allora… mamma, lui è Simon, il vampiro che ha trovato Izzy. E lui è Magnus…”
-“Magnus Bane al suo servizio, signora Lightwood. Sa, con due figli del genere, non c’era da dubitare che la madre fosse tanto talentuosa” lo interruppe Magnus.
-“E’ lei cosa sarebbe? Dagli occhi direi uno stregone, mentre quello là..” disse Maryse glissando sulle avances del ragazzo di fronte.
-“Si chiama Simon, mamma!” la riprese Isabelle ancora accoccolata tra le braccia della madre.
-“Sì, sì Simon.” Disse Maryse alzando gli occhi al cielo.
-“Sono un vampiro, signora. E le giuro, anche a nome dello svitato che ha di fronte” –Magnus si girò indignato –“che ce ne andremo presto senza dare alcun fastidio.”
Maryse stava iniziando ad apprezzare quel nascosto, per prima cosa perché aveva riportato sua figlia a casa, e poi perché se ne voleva andare.
-“Forse dovremmo ospitarli per un paio di giorni, mamma. Non sarebbe una brutta idea” disse Isabelle legandosi i capelli in una coda alta.
Maryse si passò una mano sulla faccia combattuta tra la voglia di essere riconoscente verso il vampiro e lo stregone, e la sua indole al respire i nascosti.
-“Dovremmo parlarne con tuo padre prima”
Isabelle la guardò torva. Forse anche lei un giorno avrebbe sopportato il tradimento, magari l’avrebbe pure accettaro.
-“Intanto però, dovremmo spiegare molte cose a mia nonna… che mi sembra abbia il proverbiale diavolo per capello” sussurrò Jace. Tutti si voltarono a guardare l’Inquisitrice scendere le scale palesemente arrabbiata.
 
Jace si preparò a ricevere la strigliata della nonna. Lasciò cadere la mano di Clary, e si mise alla testa del gruppo per chiarire le cose faccia a faccia con l’Inquisitrice.
-“Come diavolo avete osato aprire un portale per Alicante? E, per l’Angelo Jace! Chi sono quei due?”
Jace si passò due dita sotto la radice del naso per non rispondere malamente alla nonna in veste di Inquisitrice. Si voltò verso Magnus, che aveva sgranato gli occhi, sentendosi offeso per la seconda volta nel giro di pochi minuti.
-“Loro sono Magnus Bane, e il vampiro. Hanno trovato Isabelle e ci hanno aiutati a tornare a casa” disse Jace soppesando le parole. Una parola di troppo e la nonna sarebbe esplosa di nuovo come una granata.
-“Ho il piacere di trovarmi di fronte al rinomato Magnus Bane.” Constatò l’Inquisitrice nascondendo l’ammirazione. Jace notò come le rughe intorno agli occhi si fossero tese, come ad indicare che la nonna fosse invecchiata per la preoccupazione negli ultimi quattro giorni.
-“In carne ed ossa” disse Magnus improvvisando un inchino teatrale. Jace sbruffò esasperato e si rivolse alla nonna.
-“Abbiamo delle novità sui nascosti uccisi negli ultimi giorni. Valentine Morgenstern sta cercando qualcosa” –Jace rabbrividì pensando cosa –“forse qualcuno” la voce si fermò in gola. Non avrebbe mai permesso a nessuno di fare del male alla sua Clary. Non avrebbe potuto sopportare la sofferenza sul suo viso, né la pesantezza dei suoi ricordi. Poteva solo immaginare cosa stesse passando Isabelle e non avrebbe desiderato mai che Clary potesse soffrire allo stesso modo.
L’Inquisitrice sostenne lo sguardo del nipote, che dal canto suo si era perso nei suoi pensieri. Si ricordò di quando poco prima Clary l’avesse stretto quasi fosse l’unica sua forza vitale, si era sfogata tra le sue braccia e lui si era sentito inappropriato, impotente. Non riusciva a vederla così combattuta, così oppressa tra il desiderio di rivedere suo fratello e il desiderio che Jonathan non lo fosse davvero, suo fratello.
-“Il problema allora, è più grosso di quanto immaginassi” –sussurrò quasi tra sé Imogen, ma Jace riuscì a sentirla perché era abbastanza vicino alla nonna da essere quasi contagiato dalla sua preoccupazione –“Bentornata, signorina Lightwood. Continuo ad essere sorprendemente compiaciuta da tuo figlio, Maryse. Ottimo lavoro, Alexander. Ti ho già detto che sono davvero contento che tu sia il parabatai di Jace, vero?” chiese Imogen rivolta ad Alec. Jace non la vide sorridere, ma sentì la nonna trattenersi nel farlo.
-“Sissignora, ma non basta mai” disse Alec poggiando le mani sulla schiena di sua madre.
-“Se vuole seguirmi, signor Bane. Ho bisogno di parlare con lei. Maryse, ti affido il vampiro.”decretò Imogen voltandosi di spalle. Jace guardò Isabelle guardare Simon sorridendo. Il ragazzo la affiancò e seguì, abbassando la testa un po’ imbarazzato, la famiglia Lightwood all’interno della sala grande.
-“Ah, Jace. Accompagna Clarissa a casa. Di questi tempi meglio non lasciare andare le giovani fanciulle in giro da sole.”
Jace annuì pensando che avrebbe riportato a casa Clary, anche se la nonna non gliel’avesse detto.
Quando tutti si furono allontanati, Jace riprese la mano di Clary nella sua.
-“Ti va se passiamo da casa mia? Devo salutare mio padre e Will e …” Jace non concluse la frase perché Clary lo interruppe.
-“Mi devi solo accompagnare, Jace Herondale” disse Clary imitando la voce dell’Inquisitrice. Jace rise, ma poi si fermò sorprendendo Clary, le prese il viso tra le mani.
-“E se invece volessi restare da te, stanotte?” chiese poi poggiò delicatamente le labbra sulle sue.

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Capitolo 15
*** Teenagers ***


Author's Corner:
Siccome, ho lasciato l'ultimo capitolo in sospeso, ho pensato di pubblicare subito subito il seguito. Ditemi quello che volete. Che sono una pazza furiosa, ma non me ne importa perchè IO AMO JONATHAN CHRISTOPHER MORGENSTERN.
DEtto questo, e recuperata un po' di dignità, spero che il seguente possa soddisfarvi.
Ora vado a guardare Teen Wolf, pregando che il compito di Latino di domani vada bene. Ma a voi questo non interessa.
Lasciat euna recensione, miei piccoli Shadowhunters <3 Al solito, passate da qui Cherik Italia ❤️
p
With all the love I have,
-A.
 

Teenagers

 
Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.

Odio e amo. Forse chiederai come sia possibile;
non so, ma è proprio così e mi tormento
Catullo - Carme 85
 
 
Giunto di fronte la porta di casa, Jace non aspettò che qualcuno gli venisse ad aprire la porta. Entrò cercando di fare il meno rumore possibile, tenendo Clary per mano. Purtroppo alla ragazza scivolò di mano la porta, che chiudendosi produsse una specie di boato.
Jace si voltò a guardare Clary con uno sguardo tra il torvo e all’arrabbiato, ma Clary era lì a guardarlo con gli occhi verdi da cerbiatto, a sillabare silenziosamente la parola ‘scusa’.
-“Jace?” chiese qualcuno dietro di loro. Il ragazzo si voltò di scatto, notanto sulla soglia il suo fratellino Will accompagnato dall’inseparabile mostriciattolo verde. Il bambino corse ad abbracciarlo e Jace rise.
-“Ehi campione!” lo salutò accarezzandogli la schiena.
-“Pensavo non saresti tornato”
-“E perché non avrei dovuto?” chiese Jace fingendosi dolorosamente colpito da quell’affermazione.
Will rise apprezzando la drammaticità del fratello e poi iniziò a spiegare posando lo sguardo altrove.
-“Papà era preoccupato…” –disse guardando dietro Jace –“E lei chi è?”
Ah, quindi stava fissando Clary, notò Jace con poco piacere.
-“Lei è Clary… beh lei è, insomma..” Jace guardò Clary scuotere la testa in modo impercettibile. Se Will l’avesse saputo, l’avrebbe detto al loro papà e così in pochi minuti lo avrebbe saputo anche la madre di Clary. Ciò significava perdere l’uso delle gambe per un paio di mesi. L’Angelo solo sapeva quanto si sarebbe arrabbiata Jocelyn, se avesse saputo che sua figlia avesse una relazione con Jace.
-“Sono una sua amica. Ci alleniamo insieme ogni tanto” disse Clary sorridendo a Will, poi si voltò verso Jace e gli fece l’occhiolino. Se Jace fosse stato capace di arrossire, sicuramente sarebbe arrossito.
-“Jace?” –chiamò suo padre dall’altra stanza –“Jace, sei tu?” chiese con la voce un po’ isterica. Con ogni probabilità sarebbe uscito entro pochi minuti.
-“Ciao, papà! Sono tornato” disse senza distogliere gli occhi da Clary. Il padre oltrepassò la soglia della cucina e raggiunse i ragazzi in salotto.
-“Oh, Jocelyn. Ho appena trovato tua figlia. Vuoi che te la passi?” chiese il padre al telefono. Clary avanzò prendendo l’apparecchio e si allontanò per parlare in privato con la madre.
Poi Stephen Herondale si avvicinò al figlio e lo abbracciò con violenza. Un abbraccio da uomini duri, pensò Jace. Esattamente quello che gli serviva.
-“La prossima volta che ti viene un’idea brillante quanto questa, fammelo sapere prima” sussurrò suo padre all’orecchio, facendo intuire a Jace che di brillante, quell’idea, non aveva proprio nulla.
-“Non ti fidi di me, papà?” chiese Jace provocandolo. Stephen lo guardò come se volesse linciarlo, ma poi il suo sguardo si addolcì. Continuava a guardare Jace, poi Clary, Jace e poi Clary.
-“E lei cosa ci fa qui?” chiese Stephen a bassa voce. Jace fu lì lì per dire la verità, in fondo era suo padre, avrebbe saputo mantenere un segreto, se glielo avesse chiesto.
-“La nonna mi ha chiesto di accompagnarla a casa, ma ho pensato di passare prima di qua, visto che è di strada” disse Jace stringendosi nelle spalle. Si voltò a guardare Clary, che aveva tutta l’aria di essersi rassegnata alle solite paternali della mamma.
-“Voi due…?” chiese Stephen unendo due dita. Jace scoppiò a ridere. Con tutti i modi di chiedere a suo figlio se avesse trovato la ragazza perfetta, suo padre quale sceglieva? Il più sciocco.
-“Mi fa stare bene” –disse infilandosi le mani in tasca –“E credo che mi fermerò un po’ di più a casa sua. Capisci che intendo?”
Stephen sorrise soddisfatto, poi si incupì d’un tratto.
-“Non fare scemenze, Jace, o te ne pentirai. Conosci Jocelyn e la sua iperprotezione nei riguardi della figlia. Se dovesse capitare qualcosa, io non intervengo.” Disse puntandogli un dito contro e socchiudendo i begli occhi azzurri.
-“Papà, sono un Herondale. Ho la cavalleria nel sangue!”
-“Bravo, il mio ragazzo” –disse dandogli una pacca sulla spalla –“Ora devo andare. L’Inquisitrice, mia madre nella fattispecie e non puoi capire con quale gioia lo sto dicendo, ci ha convocati. Di nuovo. Avrà forse bisogno di un po’ di compagnia?”
Jace rise.
-“Buonanotte Will” –disse chinandosi a baciare il figlio più piccolo sulla fronte –“Buona continuazione, Jace.” Disse sorridente.
Jace esortò suo fratello ad andare di sopra, visto che oramai aveva origliato abbastanza, e poi raggiunse Clary che stava giocherellando con lo stilo.
-“Non ci crederai mai, ma mia  mamma non sarà in casa per gran parte della sera” disse passandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Jace sorrise, malizioso.
-“Oh, era proprio quello che speravo” disse aprendole la porta. Clary rise imbarazzata poi uscì seguita da Jace.
 
-“Non è mai successo prima, Signor Bane.” Disse Imogen Herondale continuando ad avvolgersi in una marea di stoffe.
-“Può chiamarmi Magnus” disse lo stregone, quasi spaventato dall’occhiata torva che la donna gli lanciò fermando il turbinio della veste grigia.
-“E’ difficile per noi cacciatori…”
Riconoscere di aver bisogno di me? Pensò Magnus sogghignando.
-“Non poter risolvere la situazione da noi. Ma dal momento che lei è giunto qui, ha salvato la vita ad una figlia di Raziel, mi sembra giusto renderla partecipe” diceva Imogen con un tono di voce così professionale, che lo stregone si chiese quale sventurato potesse essere suo figlio. Poi pensò alle sue parole e fece due calcoli: innanzitutto non sono io a dovere un favore ai cacciatori, ma voi nephilm dovete un favore a me, pensò.
-“Sono qui apposta per aiutare, Inquisitrice. Ovvio che, se la situazione dovesse degenerare… Lei capisce che mi troverei in una condizione piuttosto spiacevole.”
-“Non mi sta convincendo a fidarmi di lei, Bane.” Fece la voce d’acciaio.
Non ti ho detto io di voler essere necessariamente d’aiuto, ripensò lo stregone. Stava facendo progressi. Negli ultimi secoli aveva imparato a pensare prima di parlare. Ma non era forse quella l’ennesima avventura che avrebbe condotti al fianco di altri cacciatori, che portavano lo stesso nome di alcuni in passato e si comportavano come tali? Oh, quanto aveva invidiato la profondità di quei sentimenti, la vivacità delle loro vite che si affrettano a portare a termine ogni sfizio con la paura di morire, un giorno. Magnus invece, sarebbe potuto rimanere a pensare per altri quattro secoli con la possibilità di annoiarsi a morte si fa per dire.
-“Credo solo che le convenga avermi come alleato.” Disse alzando platealmente le sopracciglia. La donna per la seconda volta lo guardo con astio.
-“D’accordo, stregone. Mi aiuti a potenziare le difese della città e io vedrò di cambiare gestione all’Istituto di New York”
Magnus annuì compiaciuto.
 
Saliti sul porticato della tenuta dei Morgenstern, Clary sentì una mano afferrarle il polso. Si voltò e Jace la imprigionò con il suo corpo contro il muro. Lo guardò senza fiato. Aveva i capelli biondi scuriti dal buio, e gli occhi luminosi come due stelle in cielo. Le sorrideva dolce mentre una mano le cingeva il fianco. Gli piaceva un sacco Jace dal primo momento in cui l’aveva visto. Quand’erano bambini Jace frequentava casa sua con assiduità, ma non le aveva mai dato retta. Non che a Clary fosse permesso di frequentarlo, intendiamoci. Suo padre lo ammirava per le sue capacità atletiche, ma non sopportava il suo atteggiamento schietto e arrogante, talvolta. Sua madre invece, avrebbe odiato ogni ragazzo sulla faccia della terra per il semplice fatto di produrre grandi quantità di testosterone.
Aveva sognato di passare una mano tra i suoi capelli dorati, disegnare la curva del suo sorriso e dare agli occhi la stessa luce di desiderio e passione che avevano in quel momento.
-“Jace” sussurrò Clary avventandosi sulle sue labbra come se non le avesse mai toccate, come se non avesse mai sognato di baciarlo in quel modo, come se da un momento all’altro qualsiasi cosa avrebbe potuto separarli. Clary sentì Jace sorridere contro le sue labbra e cercò invano il modo per aprire la porta di casa senza distanziarsi dalle bocca del ragazzo.
Poi quasi per esigenza entrambi si allontanarono, più per riprendere fiato che per altre necessità, girò la maniglia della porta e trascinò Jace afferrando il colletto della sua maglietta. Senza accendere alcune luci, decise di salire in camera sua e chiudersi la porta alle spalle per evitare che sua madre li trovasse accoccolati sul divano, se avesse deciso di tornare prima.
-“E’ così questa è la tua stanza” blaterò Jace fermandosi sulla porta. Avanzò lentamente e, con passo felpato come un gatto, si avvicinò alla scrivania dove Clary conservava tutti i suoi designi. C’erano i paesaggi, i ritratti, i disegni ispirati alla sua immaginazione. E c’era Jace, che per quanto fosse reale era esattamente l’angelo dei suoi sogni, il principe azzurro dei mondani, il modello perfetto per ogni artista.
Jace allungò la mano e aprì una pagina del Codice di Clary, che lei si ricordava di aver lasciato sul letto giorni prima. Il caso volle che l’occhio cadesse proprio sul disegno incompiuto di Clary. Il ragazzo sollevò la copia del Codice e studiò il ritratto attentamente.
-“Ammetti che l’originale sia molto meglio” disse rivolgendo un sorriso a Clary. La ragazza si andò a sedere sul letto. Guardò Jace e pensò tra sé Molto, molto meglio.
Con un tonfo sordo, Jace richiuse il libro e con un passo fu davanti a lei. La prese per le spalle e la fece sdraiare, delicato e passionale allo stesso modo.
-“Jace, io non …” cercò di dire Clary, ma Jace la fece tacere posandole un indice sulle labbra. La ragazza riprese fiato lentamente.
-“Non voglio andare di fretta, ok? Voglio solo stare con te, e se questo significa dovermene stare buono semplicemente abbracciandoti, va bene” disse con voce roca. Per quanto cercasse di reprimere l’istinto, Clary era attratta da ogni piccola parte Jace, desiderava conoscerlo come mai nessuno avrebbe fatto, ma una vocina nella testa le urlava di fare attenzione. L’amore, l’attrazione, la felicità sono così delicati e fragili, si infiammano e poi diventano cenere. Poi arriva il vento  e li soffia via.
-“Potresti avere di meglio, Jace. Sono solo una ragazzina con problemi familiari che…” ha paura di amare.
-“Voglio te, e questo dovrebbe bastarti” mormorò Jace con voce soave. Riprese a baciarla ma poco dopo Clary si fermò. Di nuovo.
-“Hai aperto tu la finestra prima?” chiese Clary che aveva sentito un brivido di freddo accarezzarle la pelle laddove il corpo di Jace non la copriva.
-“No, sono stato io.” disse ad alta voce qualcun altro nella stanza. Clary rimase paralizzata e sentì il sangue defluire da tutto il corpo. Poi il corpo di Jace fu sollevato dal suo e sbattutto dall’altra parte della stanza. Ma la ragazza non aveva ancora nessuna forza di alzarsi. Era in crisi di panico. Le mancava il respiro, ma non era come quando Jace la baciava. Sentiva un dolore al petto come se le avessero asportato gli organi vitali e lei sarebbe svenuta nel giro di pochi minuti. Alzò la testa e vide qualcuno piegato sopra Jace a prenderlo a pugni.
-“Dimmi che posso difendermi, Clary” gridò Jace più irritato di non poter colpire l’avversario che del fatto di essere steso per terra con qualcuno che gli continuava a tirare pugni in faccia.
-“Finitela, subito.” Sibilò Clary in un rantolo di respiro.
 
Jonathan lasciò il colletto della maglietta di Jace, ancora affannato.
-“Se ti trovo un’altra volta così avvinghiato a mia sorella, io ti uccido” minacciò così Jace. Il ragazzo sorrise poco turbato dalle sue parole.
-“La prossima volta bussa ed entra dalla porta, così magari possiamo evitare” disse Jace massaggiandosi la mandibola. Quanto lo odiava. Jonathan odiava lui, i suoi occhi dorati, la sua esistenza gli procurava fastidio e la sua vicinanza prurito.
-“Prima l’ammirazione di mio padre, ora ti sei preso anche la mia sorellina” disse Jonathan guardandolo fisso negli occhi.
-“Che ti devo dire? Sono più affascinante di te.” Disse Jace, il che fece imbestialire Jonathan che si preparò ad un’altra serie di botte.
-“Jonathan?”
Il ragazzo si fermò con il pugno chiuso a mezz’aria. Iniziò a respirare velocemente come se avesse corso una maratona. Non si era aspettato di trovare sua sorella a casa. Questo aveva complicato ulteriormente i piani. Si voltò lentamente combattuto tra lo voglia di abbracciarla e l’obbligo di recitare la parte del fratello maggiore.
-“Sono passati tre anni dall’ultima volta che ti ho visto… e tu pensi a picchiare lui solo perché ci stavamo baciando?” chiese Clary che cercava, senza riuscirci, di nascondere la rabbia.
Jonathan cercò di controllarsi, abbassò lentamente la mano indeciso se avvicinarsi a lei oppure rimanere dov’era senza riuscire a trovare una risposta.
-“Clary” disse in un mezzo sussurro. Tutto avrebbe pensato, tranne che rimanere lì impalato a non sapere cosa dire, e cosa fare. Jace era come scomparso, nella stanza Jonathan vedeva solo sua sorella.
Si avvicinò alla ragazza sfiorandole la guancia con un dito. Le afferrò una ciocca di capelli morbidi, notando quanto fossero cresciuti negli ultimi tre anni. Erano rossi come il sangue, non come il suo sangue che era nero, ma in generale come il sangue.
La guardò negli occhi vergognandosi dei suoi occhi neri e terrificanti, pieni di odio e rancore verso tutti tranne che per lei.
-“Dimmi che non hai fatto niente ad Isabelle, dimmi che qui” –sfiorò il petto di lui con un dito piccolo e sottile –“c’è ancora qualcosa. Dimmi che Valentine non ti ha portato via tutto, dimmi che non ti ha portato del tutto via da me.” Sussurrò Clary.
Jonathan chiuse gli occhi e strinse la mascella, credendo di dimenticare tutte le cose cattive di cui si era macchiato le mani, tutte le cose di cui non voleva più ricordare, tutte le cose che Clary non avrebbe dovuto sapere.
-“Valentine ti sta cercando. Gli serve una runa per trovare gli strumenti mortali. Vuole… non so bene cosa vuole” –mentì –“ ma gli servi tu per creare questa runa. Se ti trova io non posso proteggerti” con enorme dispiacere di Jonathan, Clary guardò Jace come a rispondere che tanto ci sarebbe stato lui al suo fianco.
Ecco un altro motivo per cui lo avrebbe odiato.
-“Perché ce lo stai dicendo? Tu non fai parte del club ‘Cattivissimi Noi’?” chiese Jace intervenendo da dietro. Jonathan non badò alle sue parole e neppure Clary.
-“Non sa che sono qui, ora. Ma lui verrà a cercarti. Entrerà ad Alicante uno di questi giorni e ti troverà. Ti porterà via con le buone o con le cattive, Clary. Devi nasconderti. Non importa se nella sua stanza” –Jonathan indicò Jace con il pollice della mano –“o se te ne andrai a Città del Messico. Per quanto ne so, più stai lontana meno dovrò preoccuparmi che lui possa trovarti. E’ ossessionato, Clary. E se non troverà ciò che cerca, rivolterà ogni granello di sabbia pur di riuscirci.”
Per la seconda volta, Clary guardò Jace. Era spaventata e furiosa. E irritata e serena nello stesso momento. Che cosa avevano gli Herondale di tanto speciale, diamine?
-“Tutte le tue cose devono sparire. Potrebbe rintracciarti.” Propose Jonathan. Clary si andò ad appoggiare alla scrivania, massaggiandosi le tempie con le dita.
-“Puoi stare da me per un po’, ma dobbiamo avvisare il Conclave, Clary” meditò Jace. Clary invece, stava cercando una soluzione e non diede conto a nessuno dei due.
-“La mamma vorrebbe vederti, Jonathan” sussurrò sollevando gli occhi verdi e resi opachi dalla preoccupazione.
-“Nessuno può sapere che sono stato qui” disse guardando in particolar modo Jace, che annuì di rimando.
-“Raccogli le tue cose, e quelle che hanno più significato. Porta via foto, libri, quadri e disegni, vestiti e qualsiasi cosa possa servirti. Pensa a cosa la mam…, Jocelyn non vorrebbe vedere bruciare e porta via tutto. Al resto ci penso io” così dicendo si incamminò verso la finestra.
Sentì Clary circondarlo con le braccia sottili e resistenti.
-“Mi sei mancato ogni minuto di ogni singolo giorno. Mi manchi anche adesso” mormorò contro la sua schiena. Jonathan si voltò stringendola tra le braccia. Un nodo gli salì in gola ma lo ricacciò giù per parlare.
-“Fai in fretta” disse cercando di sembrare il più asciutto possibile.
-“Ci rivedremo?” chiese Clary, mentre Jonathan apriva la finestra per saltarci fuori. Non rispose, ma sentì vagamente Jace indirizzare a lui un grazie molto sofferto.
Poco tempo dopo, Jonathan guardò l’Herondale e sua sorella correre lontano dalla casa, ognuno con più di una borsa in spalla. Scivolò giù dal tetto con la grazia di un felino e guardò in silenzio la casa per qualche istante. Poi animato da una furia cieca, disegno una runa sul legno e guardò la casa dell’infanzia prendere fuoco a poco a poco.
Se ne andò con le fiamme che divampavano alle sue spalle, pensando che in realtà quel fumo si sarebbe portato via anche brutti ricordi.

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Capitolo 16
*** Forgiveness ***


Author's Corner: Non ho niente da dire, se non che le parti che riguardano Jocelyn sono sempre particolarmente monotone. Questo è uno di quei capitolo che ho odiato scrivere. Spero che almeno a voi, possa piacere
Fatemi vedere che state ancora seguendo.. Lasciate una recensione!
With love,
-A.

Forgiveness

 
Alec si chiuse la porta di casa dietro le spalle. Si accasciò contro di essa cercando di non scivolare verso il pavimento. Avrebbe tanto desiderato infilarsi sotto la doccia, ma non aveva le forza neanche per salire le scale e per dormire. Contro la sua volontà, abbandonò l’arco e le frecce in salotto e si tuffò sul divano. Aveva un pesante mal di testa e casa sua sembrava così insolitamente calma, che la cosa dapprima lo rassicurò, poi lo preoccupò. Ancora una volta, imprecando sotto voce, si sollevò dal cuscino e si diresse verso lo studio del padre. Entrò senza bussare, in fin dei conti rimaneva ancora casa sua.
Trovò il padre impegnato a risolvere qualche strano problema con calcolatrice e  compasso tra le mani, mentre sfogliava energicamente pagine di atlanti e osservava sull’orlo dell’esasperazione una mappa.
-“Papà?” lo chiamò Alec. L’uomo sembrò non sentirlo ed esattamente come una delle ultime volte in cui avevano parlato, Alec lo richiamò.
-“Papà!” disse con il tono più autoritario di cui era capace. Tutti gli strumenti gli caddero di mano e l’uomo sollevò gli occhi marroni guardandolo da dietro le lenti quadrate degli occhiali dorati.
-“Alexander” disse aggirando la scrivania. Lo abbracciò con estremo sollievo, ma le mani di Alec pendevano ancora lungo i fianchi.
-“Tua sorella dov’è? Devo assolutamente scusarmi con lei… devo, devo farlo adesso” disse l’uomo stringendolo tra le braccia. Alec era tentato di allontanarsi, ma gli sembrava terribilmente scortese. Così rimase tra le braccia di suo padre, con una marea di domande per la testa, a fissare la lampada davanti a sé.
-“Cosa stavi facendo?” chiese oltre le spalla del padre. Robert, si divincolò, ma non riuscì a guardarlo negli occhi.
-“Cercavo di rimediare al casino che ho fatto, Alec” disse il papà stringendo le palpebre. Si sforzava di non piangere, perché i Lightwood non piangono mai, neanche dopo tutto quel casino.
-“Da dietro una scrivania? Bel modo di contribuire. Chissà che la prossima volta non sarà più efficace” disse in tono duro, pentendosene un po’.
-“Alec, mi dispiace. L’ho detto a tua madre, e anche ad Isabelle quel giorno, ma … tu mi credi, vero?” chiese l’uomo quasi disperato. Alec voleva che tutte quelle cose non fossero mai successe. Avrebbe chiesto al suo stregone se fosse possibile tornare indietro nel tempo, avrebbe rimesso a posto tutto prima che accadesse.
-“Mi avete insegnato un altro valore di famiglia. I Lightwood ce l’hanno nel sangue l’onore, il rispetto, l’unione tra consanguinei. Ora dimmi, a che cosa devo credere?” Alec si avvicinò alla porta decidendo in quel momento che tutta quella discussione non sarebbe mai dovuta accadere.
Robert lo guardò rassegnato. Esalò un respiro così profondo che Alec pensò avesse trattenuto il fiato per tutto il tempo in cui si era intrattenuto con lui.
-“Che cosa devo fare?” chiese il padre al figlio. Beh, quello era un paradosso. Alec non sapeva come risolvere i problemi sentimentali di una coppia eterosessuale. Che diamine, faceva il cacciatore di demoni non un consulente matrimoniale. E poi si parlava dei suoi genitori.
-“Non lo so” disse scuotendo la testa. Alec lo guardò profondamente e con rammarico e poi si chiuse la porta alle spalle. Adesso aveva bisogno di una doccia, magari avrebbe chiesto a Max di sgombrare la sua stanza perché avrebbero ospitato un vampiro, cosa che si era dimenticato di dire al padre.
Lo vedrà tra un po’, pensò il Cacciatore.
 
Jace era ancora sconvolto non solo perché il fratello di Jonathan, quel pazzo violento, li aveva interrotti nel mezzo di una conversazione alternativa, ma perché lo stesso Jonathan, il pazzo violento, Jace tendeva a sottolinearlo ogni volta, aveva appena detto a Clary di sparire dalla circolazione per sperare che Valentine non la catturasse.
Il piano di fuga di Jace era semplice. Clary avrebbe aperto un portale, desiderato di andare a Roma, a Parigi o alle Hawaii se fosse servito, e lui l’avrebbe seguita. Fine della discussione. Ora andava informato l’intero Conclave, di cui l’amabile Jocelyn e quel tesoro di suo padre facevano parte, e poi sarebbero partiti. Qualcosa gli diceva che sarebbe stato tutto un po’ più complicato di così.
Clary non aveva aperto bocca per l’intero tragitto. Jace poteva vedere i suoi neuroni correre alla ricerca di una soluzione, che per il momento sembrava lontana anni luce. Giunti davanti alla sala riunioni, Jace guardò Clary e lei guardò lui. Poi gli prese la mano, e Jace spinse la porta di legno massiccio.
I presenti si voltarono a guardarlo confusi, e Jace fece un segno di saluto verso tutti. Ecco, quello era esattamente un modo per farsi togliere a calci.
-“Jace! Un’altra volta!!” disse infuriata l’Inquisitrice. Jace lo guardò fingendo dispiacere, poi si schiarì la gola.
-“Questa volta ho le mie buone ragioni” disse. Clary intanto, gli stringeva la mano fortissimo, senza guardarla pensò che fosse diventata totalmente bianca.
-“Lo spero per te. Stephen, dovresti redimere tuo figlio” consigliò la mamma al padre. Stephen guardò Jace di traverso.
-“E’ più difficile di quanto credi” rispose Stephen, suscitando il riso dei presenti. Jocelyn che ancora non aveva notato la figlia, nascosta dietro le spalle di Jace, corse ad abbracciarla.
-“Cosas succede, Clary? Mi sembri sconvolta. E perché tieni per mano quell’Herondale…” Jocelyn guardò ancora una volta Jace con antipatia poi si concentrò su Clary. La rossa non rispose.
-“Abbiamo un grande problema, signori. Veramente grande” disse Jace che aveva la tendenza a rendere tutto molto teatrale. In genere restare al centro dell’attenzione lo rendeva immensamente fiero di sé.
-“Jace, gradirei che tu tagliassi corto” disse qualcuno tra i presenti. Il ragazzo annuì concitato e continuò.
-“Stavo accompagnando Clary a casa, quando sentiamo puzza di bruciato. C’era fumo ovunque, abbiamo cercato di trovare la causa, ma è divampato un fuoco altissimo. Siamo riusciti a prendere solo queste cose, qualche vestito e degli oggetti personali. La casa è andata completamente distrutta” riprese Jace. Clary aveva allentato la presa, ma non aveva mollato la mano di Jace.
-“La nostra casa?” chiese Jocelyn in un mezzo sussurrò. Jace vide Clary annuire in direzione della madre, che assunse un colore tra il bianco e il grigio pre-mortem.
La donna fu subito affiancata da un paio di altri Shadowhunters. Clary guardò Jace e liberò la mano per soccorrere la mano.
-“Che tipo di incendio era Jace?” chiese suo padre. Jace sapeva bene cosa intendesse.
-“Artificiale, al cento per cento.” Rispose.
-“Non avete visto nessuno aggirarsi nei paraggi?” chiese qualcun altro. Al che Jace pensò che fosse proprio il momento di iniziare una descrizione dettagliata. I dettagli sono quasi sempre necessari per rendere la storia credibile.
-“No, però abbiamo trovato una lettera. In realtà ci è comparsa davanti mentre fuggivamo. Qualcuno cerca Clary, ha bisogno di lei per raggiungere qualcosa. Non siamo riusciti a leggere bene cosa, perché la lettera è andata in cenere” rispose scuotendo la testa.
L’Inquisitrice lo guardava e anche suo padre lo guardava, sapendo che Jace stesse mentendo. Forse gli avrebbero raccontato la verità, ma questo compito spettava a Clary che d’altraparte non sembrava avere le forse neanche per respirare.
-“Va bene… Succedono cose strane ultimamente. Ho bisogno di riflettere in privato. La riunione si conclude qui. Jocelyn, troverai qualcuno disposto ad accoglierti? O preferisci ricevere accoglienza presso l’Istituto?” chiese l?inquisitrice prima di andarsene.
-“Resterà da noi fino a quando non si sentirà meglio.” Rispose Stephen al posto suo. Che dire? Jace adorava suo padre, senza dubbio per le decisioni immedite che prendeva.
 
Clary aiutò la mamma a rialzarsi e insieme a Jace la condussero fuori dalla sala. Stephen riuscì a convincerla a pernottare da loro, ma c’era un piccolo problema: Luke. Doveva pur stare da qualche parte, a meno che non decidesse di uscire da Alicante, ma poi non avrebbero avuto la garanzia che potesse ritornare. Clary aveva sentito dire che l’Inquisitrice aveva trovato qualcuno disposto a rinforzare le barriere antidemoni.
-“Dov’è Luke?” chiese Clary alla mamma. Jocelyn la guardò oltrepassandola da parte a parte, senza rispondere. Clary sapeva che la madre avesse capito tutto. Sotto tutto questo c’era Valentine, e la cosa la spaventava a morte.
-“Clary, ti dispiace dormire sul divano?” chiese Stephen Herondale che aveva sempre una parola di conforto per tutti. Era così simile a Jace, che spesso era impossibile sbagliare che fosse suo padre.
-“Oh, no. Non si preoccupi. Io… è già molto se riuscirò a chiudere occhio per qualche ora” disse Clary sfornzandosi di sorridere. Stephen Herondale la guardò poi guardò Jace, alzando impercettibilmente le sopracciglia. Quel gesto le fece avvampare il viso, così abbassò lo sguardo.
-“Stephen, devo dirti una cosa” annunciò fermandosi Jocelyn. Stephen continuava a camminare non curandosi dell’importanza della situazione. Clary guardò la madre preoccupata non capendo quale fosse il suo piano.
-“Ne parleremo intorno ad una tazza di tè caldo, che ne pensi? Sei un po’ debole, Jo.” Disse l’uomo senza voltarsi. Jace affiancò il padre, mentre Clary rimaneva al fianco della madre. Jocelyn non la guardava, ma con il mento alto aveva lo sguardo fisso di fronte a sé.
-“Luke, ci raggiungerà alla magione degli Herondale.” Le disse. Clary inghiottì sonoramente. Questo era un problema grosso.
Quando raggiunsero la casa, il piccolo Will dormiva ancora, mentre Amatis stava versando in alcune tazzine bianche del tè caldo. Rivolse a tutti un piccolo sorriso, soffermandosi sulla porta lasciata appositamente aperta da Jocelyn.
-“Devo dirvi una cosa. Io… spero possiate perdonarmi, ma non potevo fare altrimenti. E’ avvenuto tutto così rapidamente quella sera, che ho pensato solamente con il cuore. Amatis, è passato così tanto tempo che forse non lo riconoscerai. Stephen, io ti prego di non denunciarmi all’Inquisitrice prima che tutto questo sia finito, vorrei…. Vorrei proteggere mia figlia.” Jocelyn fece cenno a Luke di entrare, ma nessuno poteva vederlo. Quando la porta si chiuse da sola, i presenti sussultarono. Poi a poco a poco, la runa dell’intensa invisibilità di Clary iniziò a svanire , mostrando piano piano il corpo di Luke. Era come se venisse sollevato un mantello trasperente.
-“Lucian” sussurrò Amatis versando tutto il tè fuori dalla tazzina. Stephen le prese la teiera dalle mani, ma la donna neanche se ne è accorsa.
-“Beh, che differenza può fare? I Lightwood ospitano un vampiro, noi ospitiamo un licantropo” disse Jace prendendosi uno scappellotto sul cozzetto da parte del padre.
-“E’ ancora tuo fratello, Amatis. Nonostante non abbia più il permesso di incidersi le rune. Nonostante non possa e non voglia più farlo.” Jocelyn disse.
Amatis si avvicinò al fratello sussurrando parole incomprensibili, poi lo abbracciò timidamente.
Erano passati diciassette anni dall’ultima volta che si erano visti. C’erano tante cose da dirsi, e anche Jace e Clary avevano una notizia abbastanza sconvolgente

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Capitolo 17
*** Preparations ***


Author's Corner:
Bene, siccome sono due giorni che sono a casa e non so cos'altro fare, scrivo. Questo capitolo è corto rispetto al solito, ma perchè ho deciso di dedicare tutto il prossimo capitolo tutto l'episodio.
Dunque, non voglio anticipare niente, ma credo che la questione della festa che seguirà... Dovete scusarmi, non ho resistito ad inserirla! ahahah Amo Magnus Bane e le feste assurde che organizza. Capisco anche che non era il momento di inserirla, ma l'ho sognata la notte scorsa e non ho potuto ignorarla. Perciò l'ho scritta e ve la faccio leggere u.u
Con l'augurio di una buona lettura, se vi va lasciate una recensione :D
With love,
-A.

Preparations

 
Non sempre cambiare equivale a migliorare,
 ma per migliorare bisogna cambiare.
Wiston Churchill
 
Clary prese posto al fianco di Jace. Tutti i presenti li guardavano chi con rabbia, chi con curiosità. Lo sguardo peggiore era quello di Jocelyn, che si era legata i capelli in una crocchia sulla testa e adesso la fissava apertamente in attesa di una spiegazione. Clary deglutì a fatica. Non era semplice spiegare a tutti come erano accaduti i fatti, e poi chi mai ci avrebbe creduto? Jonathan era considerato malefico.
-“Ok, Jace, comincia tu!” disse Clary dando una gomitata al braccio del ragazzo. La guardò come se volesse rispondere qualcosa di poco carino, ma poi si schiarì la gola.
-“Abbiamo mentito.” Disse sorridendo. L’idea di fare cose fuori dalle regole lo entusiasmava sempre parecchio.
-“Spudoratamente. In mezzo a tutti, e davanti all’Inquisitrice” aggiunse Clary visibilmente imbarazzata. Arrossì velocemente per la vergogna guardando Jace, che alzava gli occhi al cielo.
-“Stai cercando di farmi sentire in colpa, Clary?” chiese Jace guardandola di sottecchi. La ragazza trattenne un sorriso. Jace aveva il sacrosanto potere di farla sentire bene sempre, anche quando le cose prendevano una piega assurda.
-“Possiamo arrivare al dunque?” chiese Stephen sollevando un dito come se stesse ascoltando una lezione in classe. I ragazzi ritornarono a concentrarsi e Jace riprese a parlare, solo dopo essersi spostato i capelli biondi dalla fronte.
-“Stavo accompagnando Clary a casa.” –sentendo lo sguardo del padre pesare su di sé , aggiunse–“E va bene, non l’ho solo accompagnata. Sono entrato insieme a lei e ci siamo diretti, e quando dico diretti intendo velocemente, in camera sua.”
-“Clary, io ti uccido. Sappilo” disse Jocelyn con sguardo truce. Clary guardò la madre intimorita seriamente dalla cacciatrice, poi distolse velocemente lo sguardo. Incontrò gli occhi di un blu brillante di Luke, e gli stessi di Amatis, che sembravano trattenere un sorriso. E poi c’era Stephen che la guardò facendole l’occhiolino.
Accontentati di un solo Herondale, Clary disse tra sé.
-“Giuro sul mio onore, Jocelyn, che non abbiamo combinato niente. Anche perché ad un certo punto, e direi sul più bello, siamo stati interrotti.” Disse Jace alzandosi in piedi e accompagnando le parole con clamorosi sguardi concitati.
-“Continuo io, Jace.” –sussurrò Clary indicando al ragazzo di riprendere posto sul divano vicino a lei –“ Era Jonathan, mamma.” Disse semplicemente. La donna per la seconda volta in una sera sembrò sul punto di svenire. Luke le fu subito accanto, ma lei lo guardò truce. Clary immaginò un cucciolo di lupo molestato che abbassa le orecchie, ecco era più o meno quella la faccia di Luke in quel momento.
-“Jonathan” disse fermando la voce a metà Jocelyn. Sebbene non lo avesse mai ammesso, anche a lei mancava suo figlio. Le mancava come a Clary mancava suo fratello.
-“Lui ci ha avvertiti. Valentine sta cercando di recuperare gli strumenti mortali. Verrà ad Idris per prendere me. Vuole che io crei una runa per semplificare le sue ricerche, verrà a prendermi dove mi ha lasciata”
Jocelyn si alzò ad abbracciare Clary fortissimo tra le braccia, quasi a cullare la sua bambina.
-“Se penso che sei stata fuori tutto questo tempo… avrebbe potuto prenderti, tesoro” disse Jocelyn rabbrividendo.
Clary guardò Jace, non sapendo cos’altro fare. Jace le prese una mano intrecciando le dita alle sue.
Ne sarebbero usciti insieme.
-“Jonathan ha detto che avrebbe fatto di tutto per trovarmi, e che è l’unico motivo per cui ha mandato in fumo casa nostra è che così non avrebbe potuto rintracciarmi. Mi ha dato il tempo di prendere le cose a cui tenevo di più. Al resto ci avrebbe pensato lui. Ha anche detto che nessuno avrebbe dovuto sapere che fosse passato, ma ho pensato che se da un momento all’altro io e Jace dovessimo sparire, avreste dovuto sapere la verità”
Stephen si alzò in piedi maledicendo il giorno in cui Valentine si era bevuto il cervello. Amatis cercò di calmarlo, mentre Luke si massaggiava le tempie cercando una soluzione. Beato lui se mai ne avesse trovata una.
-“Ho bisogno di sgranchirmi le gambe. Vado dai Lightwood.” Disse Jace stiracchiandosi come un felino. Clary lo guardò un tantino irritata, non sarebbe andato via così. Non in quel momento.
-“Mi sembra un momento inappropriato, signorino” disse Amatis con la solita voce ragionevole che Clary aveva pensato appartenesse solo a Luke.
-“Oh andiamo. E’ impossibile che uscendo di casa, mi ritrovi Valentine davanti. E poi parliamoci chiaro, prima che possa raggiungere Clary deve passare sul mio cadavere, il che è improbabile.” Disse Jace sollevando Clary dal divano, prendendola dal braccio.
-“Non è un bel momento per i Lightwood, Jace” disse Stephen guardando il figlio negli occhi. Clary sentiva correre tra i due un filo incorruttibile di parole non dette.
-“Alec è il mio parabatai, papà. Sono sicuro che un amico in questo momento gli faccia bene. E poi non vedo cosa potremmo risolvere standocene qui con le mani in mano. Se mai dovesse accadere di entrare in battaglia con qualcuno, voglio che Alec sia al mio fianco. E lui lo vorrebbe”
Jace parlava con una calma assoluta, come se quelle verità non fossero semplicemente sconvolgenti.
-“Aveva ragione tua nonna. Avrei dovuto importi dei freni tanto tempo fa. Ora, venisse lei a tenerti legato su una sedia, perché io non ne ho proprio voglia” Stephen alzò le mani in segno di resa. Clary trattenne un sorriso.
-“Guarda come sono venuto su bello e forte” disse Jace buttando una pacca sulla spalla al papà, che sorrise leggermente.
Quando Clary aprì la porta di casa, sua madre prese Jace per un braccio, strattonandolo.
-“Se le succede qualcosa, prega l’Angelo che non accada, ma se dovesse succedere te la vedrai con me” lo minacciò. Jace che adorava le sfide, sorrise mostrando lo sguardo più orgoglioso di cui fosse dotato.
 
I Lightwood stavano cenando silenziosamente. Il capotavola sorseggiava dal bicchiere un goccio di vino, Maryse dall’altra parte del tavolo tagliava la fetta di carne neanche stesse usando una sega elettrica, Isabelle con un gomito appoggiato su tavolo, voltava le spalle al padre rincorrendo i piselli nel piatto con una forchetta d’argento, Alec con la testa china sul tavolo continuava a guardare l’ora sull’orologio a pendolo davanti a lui, mentre Simon, continuando a sentirsi osservato dal piccolo Max, faceva vagare lo sguardo per la stanza, fingendo di non guardare nessuno in particolare. Il fatto che lui non potesse mangiare cibi commestibili, lo imbarazzava, ma mai come essere minacciato dallo sguardo di ferro del signor Lightwood che sembrava avere qualche conto in sospeso con i Nascosti in generale.
-“Bene, la cena è finita. Simon, seguimi” Isabelle si alzò facendo un sacco di baccano con la sedia.
-“Dove stai andando, Isabelle?” le chiese il padre sollevando minaccioso il coltello e indicando Simon. Il ragazzo si accigliò. Bel modo di ringraziare il vampiro che ha salvato tua figlia, pensò.
-“Non è ovvio? Lontano da te” disse Isabelle senza voltarsi uscì dalla stanza lasciando tutti nell’imbarazzo più totale. Alec trattenne il respiro, Simon poté sentire il battito del cuore di Maryse accelerare. Si avvicinò dandole una carezza sul braccio.
-“Cerco di farla ragionare” le disse. Maryse gli toccò la mano per ringraziarlo, poi anche Simon uscì dalla stanza. Trovò la porta aperta e capì che Isabelle fosse uscita sul porticato della casa.
Si avvicinò silenziosamente, e poggiò le mani alla balaustra di legno verniciato dei Lightwood. Isabelle cercava disperatamente di calmarsi.
-“Non riesco a stargli vicino, Simon. Come posso fare? E’ mio padre, per l’Angelo. Io… io dovrei almeno ascoltare cosa ha da dirmi, ma non ce la faccio” disse la ragazza cercando di far star fermi i capelli neri. Simon lasciò che si sfogasse.
-“E’ mio padre. E lui mi ha tradita, ferita… si è dimenticato di me, della mamma, di Max. Alec è sempre disposto a perdonare chiunque, io non sono così.”
Simon si avvicinò, ma non avrebbe mai sperato che Isabelle si poggiasse alla sua spalla per confortarsi. Invece la ragazza lo abbracciò con entrambe le braccia e anche Simon ricambiò, solo che una nuova, potente ondata di odore di sangue gli affondò nelle radici, penetrando nello stomaco violentemente. Si allontanò immediatamente, maledicendosi per tutta la sua natura.
-“Hai fame, non è vero?” le chiese lei improvvisamente calma. La voce ipnotica di Isabelle la rendeva incredibilmente sexy, e per un attimo Simon immaginò di essere un semplice umano caduto nelle brame di quella magnifica creatura.
-“Dovresti solo controllarti, quando sei vicino a lui” –come io cerco di controllarmi quando sono vicino a te, maledizione –“Dagli la possibilità di provare a farsi perdonare. Anche se non lo perdonerai, almeno lui ci avrà provato” disse stringendo di nuovo convulsamente le mani sulla balaustra. Un altro po’ e l’avrebbe spezzata in più parti.
-“Non hai risposto alla mia domanda, Simon”
E non ne ho intenzione, pensò Simon, che in lontananza sentiva delle persone avvicinarsi.
-“Sta arrivando qualcuno” disse ad alta voce.
Poi spuntò la testa bionda di Jace e quella rossa di Clary, che correvano tenendosi per mano verso di loro.
Anche Alec uscì sul porticato  con un messaggio tra le mani.
-“Cos’è?” chiese Isabelle allungando il collo per sbirciare.
-“Non ci crederete mai, ma Magnus ci ha invitati alla festa di compleanno del suo gatto…” Alec li guardò stordito. Isabelle battè le mani divertita.
-“Perché dovrebbe dare una festa per il suo gatto?” chiese Simon, che ancora non si era abituato alle strampalate abitudini dello stregone.
-“Ci sono cose che non si posso spiegare, Magnus è una di queste” disse Alec nascondendo una traccia di orgoglio nella voce.
Intanto Jace e Clary erano arrivati, un po’ affannati, a pochi metri.
-“Andiamo ad una festa, ragazzi. Clary vieni con me, ti presto qualche cosa. Ho bisogno di stare lontana da questa casa ancora per un po’” disse Isabelle, toccando la sua nuova frusta. L’aveva procurata la madre appena si era accorta che Isabelle ne fosse sprovvista.
-“Cosa? No, andiamo non state dicendo sul serio” disse Clary guardando Jace in cerca di aiuto.
-“Ah, la festa è in maschera.” Aggiunse Alec cercando di decifrare la scrittura antica e geroglifica di Magnus.
-“Nel senso che è a tema?” chiese Simon che per quella roba, provava un senso di repulsione.
-“No, scemo. E’ in maschera. Ehi, che ne dici se ci vestiamo da Batman e Robin? Faremo coppia, è deciso” disse Isabelle entusiasta.
-“Ragazzi abbiamo un problema. Valentine sta cercando Clary e io devo fare di tutto per proteggerla, quindi per questa volta passo.” Disse Jace scuotendo la testa nel guardare il broncio di Isabelle.
-“Perché Valentine cerca Clary?” chiese Alec improvvisamente interessato, anche se era visibile la voglia nascosta di incontrare Magnus alla festa.
-“Gli serve una runa per trovare gli strumenti mortali. Non sappiamo cosa ne voglia farci” –disse Jace salendo le scale del porticato –“ Tua madre è in casa? Vado a salutarla” disse Jace entrando in casa.
-“Chi è Valentine?” chiese Simon sentendosi per un attimo fuori luogo.
-“Ti spiego dopo, vampiro. Ora vieni a prendere il tuo vestito e vai a cambiarti” disse Isabelle trascinandosi dietro Clary.
-“Isabelle, dovrei parlare con Jace…” diceva Clary. Isabelle continuò a trascinarla fino alla sua camera, mentre Simon rimase con le mani in tasca a non capire nulla.
-“Beh, vampiro. Mi sembra chiaro che Isabelle non abbia nessuna intenzione di restare a casa” disse Alec ancora intento nel leggere il biglietto. Simon si chiese se lo stesse leggendo o contemplando.
-“Sì, l’avevo notato. Ma non sarebbe necessario risolvere la questione di Valentine…” disse Simon.
-“E’ esattamente quello che penso io. Alec, fai ragionare tua sorella!” –intervenne Jace –“Ma poi questa festa dove si svolge?”
-“Dice che ci verrà a prendere lui fra un po’” disse Alec arrossendo leggermente.
Jace e Simon sospirarono all’unisono.

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Capitolo 18
*** Sorry for party rockin' ***


Author's Corner:
Allooooora! come al solito non l'ho riletta, quindi segnalate gli errori\orrori..
Vi aspettavate la Malec? ebbene, alla prossima ahahahah Spero che la Clace sia romantica ed erotica al punto giusto, ma non volgare. Ho cercato di renderla meglio che potessi, ma come dico sempre queste parti sono insidiose >.< Ad ogni modo, non vi annoio più. Buona lettura. A proposito di coppie Slash, date un'occhiata qui :) Cherik Italia !
With love,
-A


 
Sorry for party rockin’

 
Amami o odiami
e se fa male c’è più gusto.
Luchè
 
 
Clary era stata trascinata da Isabelle in camera sua. La ragazza aveva tirato fuori dall’armadio una montagna di vestiti striminziti e di vari colori. Avevano iniziato a provarseli tutti, alla fine avevano cominciato a ridere senza un motivo. Isabelle non sembrava ridicola con nessuno dei suoi vestiti, la fasciavano con una morbidezza non comune e nota solo alle sue forme slanciate. Invece Clary aveva detto addio a tutti i vestiti che di norma una ragazza alta come Isabelle predilige. Di fatti si ritrovò a scegliere un vestito con la lampo dietro la schiena bianco e nero. Isabelle invece stava seriamente pensando di indossare il vestito di Robin, una tuta verde e grigia così attillato che se avesse indossato i reggiseno, le si sarebbero notate le cuciture. Raccolse i capelli in una coda alta e nera, che lasciava scivolare sulla spalla.
-“Dovresti indossare una maschera” disse avvolgendosi nel mantello giallo.
-“Pensi di far travestire anche il vampiro?” chiese chiese Clary scegliendo tra le proposte la maschera meno appariscente. Era una maschera veneziana molto elegante. Tutta nera con una piuma del medesimo colore di discrete dimensioni. Clary se la calcò sul viso, abituandosi alla plastica dura che le tratteneva le ciglia.
-“Passa un po’ di rossetto sulle labbra, e sarai perfetta” disse Isabelle calando la maschera nera sui suoi occhi scuri. Era impossibile secondo Clary, che fosse tanto attraente. La ragazza si avvicinò e le afferrò il mento con una mano, mentre con l’altra stappava e impugnava il rossetto neanche fosse un pugnale. Con estrema perizia le coloro le labbra di un rosso più acceso dei suoi capelli.
-“Grazie” farfugliò Clary, che decise di riappropriarsi delle proprie armi. Si avvicinò al letto di Isabelle dove le aveva abbandonate e  rimase con quelle in mano.
-“In fondo al comodino credo ci sia una giarrettiera nera con un fiocco laterale, puoi appendercele se vuoi” disse Isabelle lanciandole uno sguardo sopra la mano. Afferrò la sua frusta e se l’attorcigliò intorno al polso. Si armò di ferro contro le fate, oro contro gli stregoni e argento contro i lupi mannari.
Meglio prevenire che curare, pensò Clary.
Si voltò verso il comodino e si chinò a prendere l’oggetto indicato da Isabelle, immaginando la faccia di Jace se mai l’avesse visto. Con una sensualità di cui non pensava di disponere, se la infilò dalla gamba destra facendola salire con delicatezza. Poi alzò leggermente il vestito, agganciò i pugnali di argento con elsa in rame ed elettro, e tirò il vestito già decisamente corto, verso il basso.
-“Tu e  Jace, quindi” disse Isabelle poggiandosi al comodino con lo specchio di fronte. Clary sorrise imbarazzata e si passò una ciocca dietro l’orecchio.
-“Mi piacete, insomma. Non ho mai pensato a Jace in quel senso, ma credo che tu gli piaccia parecchio quindi mi sta bene” disse stringendosi nelle spalle. Gli zigomi alti e la pelle candida erano più netti con la maschera.
-“Il vampiro sembra carino” disse Clary infilando le scarpe che Isabelle le stava prestando. Erano alte e nere scamosciate. Sarebbero state le scarpe dei suoi sogni se solo Clary avesse saputo camminarci.
-“Già”
Isabelle aprì la porto con violenza e si fiondò fuori, come se Clary avesse detto qualcosa di male. La vide scendere le scale come se portasse scarpe senza un tacco di quindici centimetri e poi sparire oltre la soglia. Abbracciava il costume di Batman che il vampiro avrebbe dovuto indossare. Clary prese tutto il tempo che le serviva per camminare avanti e indietro nella stanza, e solo quando fu sicura di non sembrare un orchessa uscì dalla stanza, sperando di passare inosservata.
 
Alec non aveva indossato niente di appariscente. La solita camicia bianca button down e un pantalone nero sarebbero bastati. Era fermo davanti la porta di casa da quasi mezz’ora, aspettando che Magnus si presentasse come aveva detto. Le ragazze erano rinchiuse nella stanza della sorella da quasi un’ora, Jace aveva deciso di raccontare a Max qualche suo aneddeto incredibile, mentre il vampiro lo stava fissando dalla soglia.
-“Che vuoi?” gli chiese co poco garbo. Forse avrebbe dovuto stare più tranquillo, dopo tutto non era mica un vero primo appuntamento.
Il vampiro lo guardò come se dovesse aggiungere qualcos’altro e solo allora una mano dall’interno lo afferrò dal colletto del giubbotto e lo tracinò dietro di sé.
Isabelle.
Alec alzò gli occhi al cielo, chiedendosi cosa trovasse di tanto speciale in una festa tra nascosti.
Ad un certo punto il ragazzo puntò gli occhi azzurri verso la luna, traendo un profondo respiro. Poi sentì qualcosa chiamarlo come un sibilo o un fischio non uscito molto bene.
Il cacciatore si guardò intorno, notanto come un piccolo puntito viola si stesse avvicinando nella notte.
-“Alexander” disse Magnus avvicinandosi.
-“Solo Alec, per favore” disse il ragazzo ricambiando lo sguardo intensamente. Avrebbe voluto salutarlo diversamente, ma se suo padre li avesse visti sarebbero stati guai seri. Così rimase a fissare lo stregone con i lineamenti asiatici e i grandi occhi gialli. Magnus gli fece l’occhiolino poi infilò una mano in tasca. Ne estrasse un cofanetto che sembrava essere vecchio quanto il mondo e una maschera.
-“Questa è per te!” disse allungando il braccio fino a sfiorare la sua mano. Alec si rigenerò dal contatto, poi afferrò la maschera rigirandola tra le mani.
-“E’ …” Alec, a cui non piacevano robe tanto appariscenti non trovò le parole per descriverla. Sinceramente, era difficile aspettarsi una cosa del genere. Era blu come il cielo dopo il tramonto ed estremamente elaborata. Alec pensò che non sarebbe stato giusto indossarla per poi rovinarla.
-“Prego, Alexander”
Magnus non si curò del nome, ma Alec lo guardò di nuovo anche se a dirla tutta il modo in cui pronunciava quella successione di lettere gli piaceva. 
-“Alec!! Credo che…” suo fratello Max uscì correndo dalla porta e per poco non si scontrò con Magnus che con grande agilità lo aveva scansato.
-“Ciao” esclamò Magnus tutto allegro. Alec si chiedeva ogni giorno quale fosse il segreto di Magnus di meravigliarsi di tante cose.
-“…Isabelle sia uscita pazza” continuò Max sbattendo più volte le palpebre per lo stupore.
-“Alec?” chiee il bambino al fratello. Il ragazzo alzò le sopracciglia come se fosse interessato alla domanda.
-“Io sono Magnus” rispose lo stregone porgendogli la mano. Il bambino non si ritrasse ma lo guardò negli occhi.
-“Pensavo che gli stregoni fossero cattivi” disse Max con estrema sincerità. Magnus rise sommessamente poi gli porse il cofanetto di prima.
-“Cos’è?” chiese il bambino afferrandolo. Alec scorse gli occhi del fratello illuminarsi per la gioia.
-“Un acchiappasogni. Non lo aprire se stai facendo dei bei sogni o te li ruba. Serve per scacciare gli incubi” disse lo stregone facendo sfrigolare un’amabile luce blu dalle punte delle dita.
-“Devo mostrarlo a Will! Mamma!!!” urlò rientrando. Alec si portò una mano sugli occhi scuotendo la testa lentamente.
-“E’ simpatico, in fin dei conti” disse Magnus indicando la porta un pollice.
-“Mi scusi, Signr Bane… Grazie!” disse Max riaffacciandosi dalla porta e poi scomparendo di nuovo.
Alec sorrise timidamente cercando in tutti i modi di non dover fare scena muta.
Senza bisogno di chiamarli anche gli altri ragazzi arrivarono e nel vedere Magnus, alcuni si meravigliarono. Simon no.
-“Ciao vampiro. Questo vestito da pipistrello non potrebbe essere più azzeccato” notò Magnus lasciandoseli alle spalle. Tutti lo seguirono fino a quando lo stregone e ni fece riunire e tutti scomparvero nella notte con un semplice schiocco delle dita.
 
Jace si ritrovò davanti un enorme castello gotico. Davanti la porta di guardia, ci stavano quelle che sembravano essere fate. Erano discretamente grandi e con una brutta faccia arrabbiata. Il ragazzo gli sorrise con disinvoltura. In cambio ricevette solo uno sguardo di ferro, sarebbe meglio dire di ghiaccio.
Jace afferrò la mano di Clary e seguì lo stregone farsi strada su per le scale. Una grande sala con altissime porte di legno si aprivano di fronte a loro. Decori di ogni forma e dimensione pendevano da lampadari e soffitti, mentre strani esseri colorati volavano sopra le loro teste diffondendo una pseudo luce strobosferica.
All’interno della sala, nascosti di tutto il mondo si accalcavano a ballare su un brano che fece accapponare la pelle a Jace. Sarebbe stato insostenibile ascoltare per lungo tempo quella musica.
-“Magnus ma conosci tutta questa gente?” chiese Isabelle meravigliata. Lei era una di quelle che ad Idris conosceva chiunque.
-“Lunga vita e simpatia, ti avvicinano a molti” disse lo stregone sorridendo. Jace alzò gli occhi al cielo.
-“Certo è che se sei bello è tutto più facile” suggerì Jace allo stregone che allontanò le sue parole con un gesto rapido della mano. Clary sorrise guardandolo di sfuggita.
-“Ti va di allontanarci per un po’? Potrebbe scoppiare una rissa con un lupo mannaro o un vampiro se ti squadrano ancora” sussurrò all’orecchio della ragazza. Non c’era bisogno di aspettare risposta. Clary lo prese per mano e lo guidò verso la prima porta. Si ritrovarono in un corridoio con circa trenta porte.
-“Quanto è grande questa struttura?” chiese Jace pensando ad alta voce. Clary non lo degnò di una risposta, presa com’era a trovare una stanza libera. La cosa Jace continuava a notare era che ogni volta che aprivano la porta di una stanza, coglievano una coppia o più di una nel tentativo di concludere qualcosa che avevano precedentemente iniziato.
Solo dopo molti tentativi, Clary entrò senza bussare in una stanza buia. Jace tirò fuori la stregaluce e illuminò quello che avevano davanti. Non molto, comunque. Un letto a baldacchino, un piccolo armadio e una finestra con le tende chiuse. Jace si chiuse la porta alle spalle, sperando che la baraonda di quella musica satanica non continuasse nella sua testa. La mano di Clary si divindolò dalla sua e la ragazza si diresse verso la finestra per cercare di far entrare un minimo di luce nella stanza. Aprì la tenda, e uno spicchio di luna si riversò tra di loro.
Jace silenziosamente si avvicinò alla ragazza, che si voltò sorridendo debolmente da sotto la maschera.
-“Sai, non ho avuto il tempo di dirti una cosa” disse Jace portando al minimo la distanza tra di loro. Jace lo guardava con i favolosi occhi verdi resi ancora più brillanti dalla maschera nera.
-“Ti ascolto” disse lei infilando il dito nel passante sei suoi jeans. Jace indossava una piccola maschera che si era abbassato sul collo, senza voglia di tenerlo sopra il naso.
-“Sei bellissima sta sera” sussurrò tracciando il contorno delle labbra di Clary. Aveva messo il rossetto. Jace già si immaginava come sarebbe stato baciarla. La ragazza non rispose nulla, ma abbassò lo sguardo. Jace le alzò il mento con un dito e posò il suo sguardo color oro nel suo.
Si abbasò lentamente a baciarla co estrema cautela. Clary si avvicinò di più posando entrambe le mani sul suo petto. Era più bassa di lui e delle volte era costretta ad alzarsi sulle punte dei piedi. Jace si distaccò da lei a malincuore, ma il pennacchio della maschera gli stava impedendo un vero bacio. Così strappò la maschera dal viso. Clary rise con voce incredibilmente roca. Jace la guardò intensamente.
-“C’è una cosa che non ti ho detto neanche io” disse Clary portandosi i capelli su una spalla. Si voltò mostrandogli una schiena. No, non gli stava mostrando le spalle. Era un chiaro segnale ad abbassare la cerniera del vestito. Jace esitò, cinvinto che forse avrebbero dovuto pensarci di più.
-“Cosa?” chiese con voce gutturale.
-“Voglio andare a letto con te” disse Clary guardandolo da sopra una spalla. Generalmente, non ci avrebbe pensato due volte. Ma con Clary doveva essere tutto diverso.
Si avvicinò abbassando lentamente la cerniera, lasciando uno spacco profondo nel vestito. Scostò una spallina dell’abito e iniziò a punzecchiare di baci il percorso tra la spalla e il collo della ragazza, che intanto gli aveva infilato le mani tra i capelli. Poi si girò continuando a baciarlo però sulle labbra. Le mani iniziarono a scendere cercando i bottoni dei jeans, poi si insinuarono sotto la maglietta e sollevandola in un impeto appassionato. Jace sorrise contro le labbra di Clary. Prima di gettare completamente i vestiti nella stanza, Jace si ricordò di estrarre dalla tasca posteriore le precauzioni.
Prese Clary in braccio e la portò fino al letto incredibilmente alto. Si tenne sospeso sopra di lei, mentre la ragazza gli afferrava il viso tra le mani. Il ragazzo impiegò qualche secondo ad infilarsi il condom, poi guardò Clary per la prima volta seriamente.
-“Sei sicura?” le chiese. Sarebbero cambiate molte cose dopo quel momento. Sarebbero stati indiscutibilmente più legati, avrebbero scoperto affinità di cui non erano a conoscenza, si sarebbero appartenuti indissolubilmente.
-“Fallo.” Ordinò lei guardandolo negli occhi. Jace non aspettò nient’altro, si infilò dentro di lei sperando di non farle male. Benché Clary si lamentò un paio di volte, Jace era deciso a non fermarsi. Guardò la ragazza per la conferma, in risposta Clary lo baciò con forza. Aveva le guance arrossate e gli occhi lucidi. I capelli rossi e sciolti erano sparsi sul materasso con ribellione.
Ad un certo punto, colti entrambi da un implacabile desiderio, entrambi iniziarono a muoversi. Sudati, tra sguardi complici e sorrisi davvero felici, portarono a termine l’orgasmo. Jace si accasciò al suo fianco, sospirando soddisfatto. Clary si accucciò contro il suo petto accarezzando con le dita affusolate l’addome del ragazzo. Jace le scoccò un bacio sulla testa e poi nel silenzio assoluto iniziò ad accarezzarle i capelli. Chissà quanto tempo sarebbe durato quel momento? E quante altre volte sarebbe accaduto?
 
Isabelle continuava a ballare muovendo i lughi capelli come faceva quando schioccava la sua frusta. Tutta sé stessa urlava a gran voce Sono la creatura più bella e perfetta del mondo, Simon lo sapeva. Ma doveva andarci piano. Non ci si butta a capofitto in una relazione con una Nephilim, se sei un vampiro che abita dall’altra parte del mondo. In mezzo alla pista, tutti la guardavano scatenarsi tra elfe e lupi e fate che si strusciavano contro di lei, come se non avessero altra cosa da fare.
Simon dal canto suo, se ne stava appartato in un angolo con la faccia da scemo di un nerd che non sa come comportarsi in una festa con centinaia di persone strane,  a cui era andato come accompagnatore della suddetta ragazza.
-“Cosa ci faccio qui?” chiese a se stesso, tanto nessuno l’avrebbe sentito, figuriamoci risposto.
Simon aveva perso di vista Clary e Jace da un sacco di tempo, non che volesse farsi i fatti suoi, ma gli sarebbe piaciuto sapere dove diavolo fossero finiti tutti quanti. Magnus almeno aveva avuto la decenza di dire ce lui ed Alec sarebbero andati ad appartarsi. Chiamamola decenza, quella…
-“Ehi vampiro!” gridò Isabelle facendogli cenno in mezzo alla folla. Simon gli fece cenno con la mano in segno di saluto, mentre Izzy lo incitava a scendere in pista. Ovviamente non ci sarebbe andato.
Aveva apprezzato il fatto che Isabelle gli avesse fatto indossare il costume di Batman più bello della storia, ma ballare sarebbe stato troppo.
In giro c’erano copie venute male di Elvis Spreasley, personaggi di video giochi, Obama e addirittura One Direction. Senza dubbio, Izzy e Simon sarebbero stati eletti re e reginetta della festa, se solo ci fosse stata una competizione. Isabelle indossava quella tuta come se le fosse appartenuta da sempre, con le lunghe gambe che si muovevano con estrema agilità. Simon invece, aveva il mantello che gli stava troppo lungo, e a fatica aveva infilato la maschera nera. Ora capiva cosa volesse dire provare un senso di soffocamento quando si indossa quella maschera. Poteva dire di comprendere a pieno la crisi di Christian Bale per Batman Begins.
-“Vieni a ballare con me?” chiese Isabelle comparendo davanti ai suoi occhi. Simon scosse la testa con convinzione, peccato che Isabelle non conoscesse un no come rifiuto. Lo afferrò per mano e lo condusse al centro della pista. Si fece largo tra i presenti scatenati e posò le sue mani intorno al collo di Simon. Iniziò a girare lentamente, andando contro al ritmo della musica.
-“Non è un lento, questo” gridò Simon per farsi sentire. Isabelle sorrise stringendosi tra le spalle. Simon fece scivolare le mani sui fianchi di lei con naturalezza.
-“Allora non sai fare solo il palo” disse Isabelle posando la testa sulla sua spalla. Simon rimase un po’ smarrito da quella decisione, ma era fiero del suo controllo. Nonostante il profumo di Izzy, la sua fame non si fece sentire.
-“Voglio fare una cosa” sussurrò Isabelle contro il suo petto.
-“Dipende. Mi piacerà?” chiese Simon.
-“Nessuno si è ancora lamentanto” disse Isabelle alzando leggermente le sopracciglia.
Simon rimase fermo dov’era mentre tutti intorno continuavano a ballare, a girare loro intorno, mentre tutto continuava quel momento si fermava per imprimersi nella loro mente.
Isabelle prese un lungo respiro e iniziò ad avvicinarsi lentamente.
Le loro due bocche si toccarono, provocando in Simon qualcosa di insolito. Era la prima volta che sentiva qualcosa battere al centro del petto, ma era impossibile che fosse il cuore.
Isabelle si ritrasse poco dopo, per guardare la faccia stupita di Simon.
-“Credo che sia la prima volta che Robin e Batman si bacino, no?”

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Capitolo 19
*** Disobedience ***


Author's Corner:
Cari Lettori, mi dispiace aver aggiornato in tempi così lunghi.. ma adesso spero che possiate rimanere soddisfatti dal capitolo. In ogni caso non ho nessun avvertimento, solo che avrò bisogno di un tempo altrettanto lungo per scrivere il prossimo capitolo.
Spero possa piacervi, recensite mi raccomando u.u
With love,
Buon Natale ( nel caso non aggiorni prima delle feste),
-A
.

Disobedience

“Is not this better than
what we dreamed in the forest?”
“I know not.”
Nathaniel Hawthorne – Scarlet Letter
 

Davanti a lui, una fata indossava uno striminzito body nero. Jonathan la osservò muoversi agile come una gatta, e ancheggiare al ritmo di musica che proveniva dall’interno di un palazzo tanto enorme quanto brutto. Era più coperta dai polsini neri di raso con un bottone bianco ai lati, che da quell’involucro di nylon liscio su cui era attaccata dietro a mo’ di cosa una sorta di batuffolo di stoffa. Jonathan le si avvicinò mentre la fata con mani affusolate e sottili afferrava un bicchiere facendolo roteare tra le dita. Jonathan lo guardò quasi estasiato da tanta eleganza, ma la faccenda per cui si era auto invitato a quel rione di disgraziati non era mica cercare di rimorchiare una mezza pixie. Le andò molto vicino e si schiarì la gola prima di cominciare.
-“Carine le orecchie” disse alla fata che si era finta una coniglietta di Playboy, e quasi c’era pure riuscita.
Le strappò dalla testa e con un abile gesto talmente veloce da passare inosservato, le spezzò l’osso del collo. La fata dai boccoli d’oro si afflosciò su di lui, che la afferrò in modo da fingere che fosse ubriaca e la adagiò sulla prima sedia disponibile. Da dietro sentì la risata fragorosa del padre giungere non del tutto ovattata dal rumore all’interno, segno che Valentine lo avesse raggiunto.
Se davvero esiste un Angelo lassù, pregò Jonathan, fa’ che Clary non sia qui dentro.
Si voltò a guardare il padre, che con un cenno del capo gli indicò la direzione. Jonathan infilò le mani in tasca e senza chiedere il permesso a nessuno si precipitò nella sala degli invitati. Con enorme dispiacere degli ospiti, la musica cessò e fu sostituita dal panico totale quando Valentine estrasse una delle sue lance, bisogna dirlo, mortali.
 
Clary e Jace avevano recuperato i vestiti, quando dal piano di sotto erano giunte delle urla inappropriate. E sì, che la festa fosse divertente, ma quegli ululati a squarciagola non si confacevano al clima in cui i ragazzi avevano lasciato la sala. Subito i loro sguardi schizzarono dalla porta alla finestra. Jace non si mosse per un istante che sembrò infinito, quando Clary si portò una mano sul petto. Non sapeva bene cosa sentisse, ma c’era come un moto convulso dietro le costole che la costernava di dolore. Forse era un brutto presentimento, forse semplice paranoia.
-“Jace…” sussurrò la ragazza incapace di respirare. Non era normale la confusione che si sentiva dal piano inferiore. Il ragazzo si avvicinò al finestrone spostando la tenda per guardare oltre il vetro appannato. Fate e vampiri e Nascosti di ogni genere e dimensione si accalcavano verso l’uscita e sugli scalini del palazzo si separavano prendendo direzioni diverse e casuali.
-“Prepara un portale, Clary.” Disse Jace alzandosi la cerniera della giacca. I raggi di luna si riflettevano sui suoi capelli biondi e per un attimo Clary si distrasse da tutta quella confusione. Avrebbe preferito rimanere lì sola con Jace circa per sempre. Ma tutte le cose più belle hanno una fine.
-“Che cosa sta succedendo?” chiese Clary tastandosi per cercare lo stilo. Non trovandolo si guardò intorno. Jace intanto, si armava come se stesse partendo per uno scontro contro una legione di demoni superiori. Clary si chiese dove avesse nascosto tutte quelle armi, poi immaginò che fosse stata troppo distratta da altro per pensarci. Improvvisamente la pelle nuda e sudata di Jace, il suo corpo così vicino, la sua bocca sulla sua e i momenti indelebili che avevano passato poco prima le ritornarono davanti avvolgendola in una nuova ondata di emozioni contrastanti. Le guance si velarono di rosso e la ragazza fu costretta a cambiare direzione con lo sguardo. Jace se ne accorse e si avvicinò.
-“Disegna una runa, apriti un portale e sparisci da qui il prima possibile. Non posso immaginare che sotto ci sia… ma nel caso fosse così, tu non puoi rimanere qua.”
Clary ancora una volta con la gola secca, notò lo stilo incastrato sotto il piede del letto. Si avvicinò a raccoglierlo. Lo rigirò tra le mani, combattuta tra la voglia di seguire Jace e la preoccupazione di deluderlo.
-“E dove vado?” chiese nascondendo il tremore delle mani.
-“Dove vuoi". Hawaii, Hong Kong, Miami Beach, o Alaska se ti va. "Non voglio che tu stia qui, ora.” Jace parlò con voce dura e autoritaria, ma quando sfiorò la guancia di Clary con un dito, tradì tutta la sua determinazione.
-“Ma…”
-“Niente ma". Tu adesso ti allontani il più possibile da qui. Io controllo cosa c’è che non va di sotto e ti raggiungo. Poi torneremo insieme a casa. "Intesi?” disse afferrandole il viso con entrambe le mani. La ragazza annuì preoccupata, Jace si chinò a baciarla lentamente e poi la lasciò incamminandosi verso la porta.
-“Non fare niente di stupido, ragazzina” disse Jace sollevando un solo angolo della bocca. Lì per lì Clary sarebbe scoppiata a ridere, ma quel brutto presentimento le spingeva contro il petto.
-“Non chiamarmi ragazzina” disse solo con voce stizzita.
 
Isabelle si era sciolta dall’abbraccio di Simon  e fece scivolare la sua nuova frusta tra le dita. Si sentiva di nuovo potente e straordinariamente sexy con quel serpente d’argento, che sorrise tra sé al solo pensiero. Guardò Simon ancora visibilmente sconvolto da tutto.
-“Cosa succede?” chiese il vampiro cercando di sovrastare le voci stridule dei presenti che in qualche modo stavano innervosendo anche Isabelle. Non era ancora psicologicamente pronta ad affrontare tutto questo, lei lo sapeva. Aveva bisogno di Alec in quel momento, e di Jace, e anche di Clary, che conoscevano la Izzy di prima. Quasi si sentì mancare, ma non diede a notare, specialmente quando si ritrovò davanti un biondo con gli occhi di pece.
Isabelle sentì la voce di Simon da dietro le spalle, la chiamava, le chiedeva se fosse tutto a posto. E lei avrebbe voluto rispondere che no, niente andava bene, che si sentiva le dita intorpidite e le giunture smontate. Era come uno di quei Lego con cui Max giocava quand’era più piccolo, così teneramente distruttibile.
-“E quindi adesso i Lightwood stanno con i nascosti..” Notò una voce dura come la roccia proprio di fronte a Isabelle. Non era Jonathan, lui era sbiancato appena l’aveva vista. Se fosse stato credibile, Isabelle avrebbe pensato che avesse perso il battito cardiaco.
-“Signor Morgenstern… E’ da un po’ che non la vedevo. Credo sia in splendida forma.” Disse Isabelle mantenendo un tono professionalmente distaccato. Fece schioccare la frusta ai suoi piedi in un gesto involontario, che però non turbò Valentine per nulla.
-“Dov’è mia figlia?” chiese puntando il suo sguardo laser negli occhi scuri della ragazza. Senza pensarci, Isabelle si mise davanti a Simon come a proteggerlo. Valentine rise senza allegria, poi spostò lo sguardò su Simon. Sembrava un leone affamato di fronte ad una gazzella impigliata in una rete. Abbastanza vicino da essere pericolosissimo, ma c’era Isabelle in mezzo a loro. Valentine sapeva che anche solo torcere un capello ad un altro Shadowhunter avrebbe significato l’intero coro degli Angeli amichetti di Raziel contro. E il Signor Morgenstern aveva già tutto il Clave alle calcagna, tanto gli sarebbe bastato.
-“Non mi risulta di conoscerla.” Ammise vagamente Izzy alzando le spalle. Valentine si bloccò con un gesto di stizza. Richiamò Jonathan con un gesto della mano.
-“Vado a controllare al piano di sopra.” Sussurrò Jonathan cominciando a corrore su per le scale. Isabelle non spostò lo sguardo, anzi insinuò a sostenere lo sguardo negli occhi di Valentine.
-“Sa, il Conclave non è molto contento del casino che sta mettendo su. Voglio dire.. non sarebbe stato meglio cercare gli strumenti mortali da membro del Consiglio? Si sarebbero evitati meno guai” disse Isabelle accarezzando la sua frusta. Sentiva ancora Simon paralizzato dietro di lui, non per  paura probabilmente. A Isabelle piaceva pensare che Simon preferisse evitare uno scontro con Valentine proprio perché Isabelle fosse in mezzo.
-“Come sai degli strumenti mortali?”
Bam.
-“Lei ha dei figli davvero disobbedienti, Signor Morgenstern”
Poi lo sguardo di Valentine fu attratta da qualcuno alle sue spalle. Isabelle si voltò e scorse suo fratello in pieno controllo di sé, seguito da un Jace palesemente arrabbiato. I capelli biondi gli ondeggiavano ai lati della fronte, ma non era teso come Isabelle se lo sarebbe aspettato. Niente a confronto di Alec, che era corrucciato tanto che le sue sopracciglia formavano una lunga linea sottile nera che offuscava il colore incredibilmente azzurro dei suoi occhi. Isabelle li aveva sempre invidiati, ed era una delle cose che amava di più in suo fratello. Quegli occhi non sapevano mentire, e parlavano come le labbra di Alec non sapevano fare. Non sfuggiva niente a quegli occhi di cristallo, tanto dolci quando profondi.
-“Bene, bene, bene.” –Mormorò Valentine battendo tra loro le mani –“ Entrata con il botto, non c’è che dire”
Jace serrò la mascella trattenendo una brutta risposta. Da quello che Isabelle sapeva, Jace non lo aveva mai tollerato. Lui, abituato ad una serenità familiare nota solo agli Herondale.
 
Jonathan corse a perdi fiato su per le scale, corse come se il terreno ai suoi piedi stesse per crollare da un momento all’altro. Si pentì di aver proposto al padre quella festa, non ci sarebbero dovuti andare. Clary non avrebbe dovuto essere lì secondo i suoi calcoli. Il piano non era stato forse quello di sparire per un bel po’ di tempo per stare lontano da Valentine? E che diamine, aveva anche concesso a quell’Herondale la possibilità di stare con sua sorella. Gliel’avrebbe pagata. Eppure essere lì in quel momento significava allontanare i sospetti che il padre aveva su di lui, ammesso che li avesse e ammesso che sarebbe bastato quello per allontanarli.
Si scontrò con Nascosti che correvano in direzione contraria alla sua. Non si scusò, non si fermò, a malapena ci fece caso. Ma quanta gente era invitata a quella festa? Un piccola bomba improvvisata e avrebbero fatto fuori la metà dei nascosti di tutto il mondo.
Aprì tutte le porte con un calcio, senza pensare a cosa avrebbe trovato. Le aprì con la speranza di non trovare nessuno. Di non trovare Clary.
Beh, questo almeno era il piano iniziale.
-“Jonathan?” chiese la voce gentile e perplessa di Clary appena più avanti. Il ragazzo si immobilizzò. Quello era un incubo. Un brutto incubo. Lui non era lì. Lei non era lì, adorabile nel vestito bianco e nero e i capelli rossi sciolti sulle spalle.
-“Non dovresti essere qui” rispose duramente. Clary lo guardò accigliandosi. Jonathan serrò i pugni per controllare la sua rabbia. Oh, se solo avesse potuto, avrebbe volentieri tolto all’Herondale quel sorriso irritante dalla faccia.
-“Jace mi ha detto di aprire un portale e correre via, ma…”
-“Ti avrà anche detto niente ma, suppongo”
-“Sì, e ha aggiunto di non fare niente di stupido.” Disse Clary come per difendersi. Jonathan prese un profondo respiro.
-“Avrebbe dovuto accertarsi che te ne fossi andata, prima di scendere a fare l’eroe. Se solo non fosse tanto incapace, lo avrebbe intuito!” esclamò in un breve eccesso di rabbia. Ma la parola rabbia  non sarebbe bastata da sola per spiegare ciò che provava. Era ira, odio, ansia e timore tutto nello stesso momento.
La ragazza si raccolse i capelli tutti su una spalla e poi lentamente si avvicinò al fratello. Jonathan la guardò muoversi senza aggiungere altro, anche se avrebbe voluto urlare che fosse un’incosciente, che avrebbe dovuto pensare ad allontanarsi invece di correre dietro ad un biondino con il visino d’angelo, che tutto ciò era irreale.
-“Vattene, Clary” sussurrò a denti stretti. Era quasi del tutto consapevole di spaventare sua sorella quando usava quel tono con lei, ma se fosse valsa la pena per salvarla, lo avrebbe fatto altre migliaia di volte.
-“No. Lui vuole me e deve finire di creare confusione ovunque vada. Non voglio che nessun altro si faccia male” disse decisa. Gli afferrò la mano e se la portò sopra il cuore. Quand’erano stati bambini, Jonathan le aveva inciso una runa senza senso proprio in quel punto. Entrambi non sapevano quale significato avesse, ammesso che ce l’avesse un significato, ed era stato il loro piccolo segreto. All’epoca Clary non aveva ancora ricevuto il primo marchio, e quel gesto era stato così pericoloso che per i seguenti giorni Jonathan si era sentito in colpa.
-“Sapevo che eri vicino.” Mormorò Clary puntando gli occhi verdi in quelli neri di lui. Di nuovo se ne vergognò e cambiò lo sguardo verso un punto imprecisato alle sue spalle.
Per un istante Jonathan non pensò a niente. Non pensò a quello che Clary aveva detto, che non voleva più che nessuno si facesse male, non pensò al fatto che sua sorella non aveva neanche immaginato quanto dolore avrebbe causato in lui quella stupida decisione. Sua sorella doveva stare lontana da Valentine. Aveva già rovinato la vita ad uno dei suoi figli, l’altra doveva essere normale. Non dannata.
-“Non voglio che Valentine pensi che mi sia consegnata spontaneamente nelle sue mani. Jonathan, guardami.”
Jonathan sollevò lo sguardo con lentezza. Dopo di che, afferrò Clary per le spalle e finse di averla catturata.
-“Jace sarà molto arrabbiato.” Sussurrò la ragazza tra le sue braccia. Jonathan non lo diede a vedere ma nascose un sorriso.
-“Lo sono anche io, credimi, lo sono anche io. E molto.” La spintonò giù per le scale notando che in sala fossero rimasti solo loro.
Che la festa ricominci! che ne dite di ballare sugli stracci del mio orgoglio, ragazzi? Pensò Jonathan imprecando in tutte le lingue di sua conoscenza  e sotto voce.
 
Quando i fratelli Morgenstern sbucarono in cima alle scale, Alec potè sentire Jace al suo fianco irrigidirsi. La runa parabatai prese ad infiammarsi di un caldo impressionante, Alec non aveva mai sentito quel sentimento rispecchiato in Jace: era puro terrore. Si voltò a guardare il migliore amico, che respirava a fatica.
-“Perché non fa mai quello che le dico?” chiese lentamente cercando di calmarsi. Alec non rispose, sapendo che la domanda non fosse rivolta a lui direttamente. Era più una riflessione.
-“E poi che ci fa Jonathan…” non concluse la frase.
-“Clarissa!” esclamò Valentine con un sorriso smagliante. Era più vicino ai suoi piani che mai. Alec trattenne un’imprecazione, ma non riuscì a nascondere il moto di stizza comune a tutti i presenti. Guardò il vampiro più pallido del solito, era l’unico Nascosto rimasto, il che la diceva lunga, guardò Izzy insolitamente rigida al fianco di Simon. E guardò Jace con lo sguardo di oro fisso sulla coppia di fratelli avvinghiati come se Jonathan l’avesse incatenata al suo petto.
Clary cercò di liberarsi dalla morsa con degli strattoni, ma Jonathan era superiore in tutto.
Perché? Sillabò Jace al suo fianco. Clary lo guardò rassegnata.
-“So che ti servo.” Annunciò rivolta al padre. Valentine tese le orecchie alla piccola vocina insicura della figlia. Quell’uomo incuteva un crudo timore in chiunque.
-“Non fare del male a nessuno e io ti darò quello che ti serve.” Continuò la ragazza. Valentine sorrise, ma poco dopo uno strano boato riempì la stanza. Alec afferrò la balestra con una freccia, puntandolo sulle scale dove la sagoma di Magnus svettava tra orli e brillantini.
Che diavolo sta facendo? Pensò il ragazzo. In pochissimo tempo, Valentine stramazzò al suolo come una bambola di pezza.
-“Non starà incosciente a lungo. Muoveti a scomparire da qui, ci penso io al resto” urlò Magnus fissando lo sguardo il quello di Alec.
Jonathan lasciò andare Clary, che corse da Jace saltandogli al collo e sussurrando una serie infinita di mi dispiace strappalacrime. Jonathan afflitto, andò a controllare il battito cardiaco del padre accertandosi che non fosse morto.
-“Devi venire con noi, Jo!” esclamò Clary rivolta al fratello. Il ragazzo scosse la testa violentemente come a dire non se ne parla, ma Jace non lasciò che nessun altro continuasse.
-“Tutti fuori. Ora! Con te, Morgenstern, facciamo i conti dopo. Per il momento vieni con noi, anche perché sembra che tu sia l’unico a poter tenere a bada Clary.” –si voltò a guardare lo stregone sulle scale –“Ehi Magnus, ti dobbiamo l’ennesimo favore.”
-“E’ vero, voi Nephilim avete la straordinaria capacità di rovinare tutte le mie feste.” Disse lo stregone scivolando a pochi metri da Alec, che sentì un branco di lupi affammati nello stomaco. Si chiese dove fossero finite le consuete farfalle.
-“Grazie, davvero. Dimmi come possiamo ricambiare, e…”
-“Stai scendendo a patti con un nascosto?” chiese Jonathan sollevandosi da terra. Clary lo fulminò con lo sguardo, e anche Alec non riuscì a trattenersi. Quello non era un nascosto, quello era Magnus.
-“Ha salvato la vita a tua sorella. Sii riconoscente” lo aggredì Simon improvvisamente rianimato, tutti si voltarono a guardarlo, il ragazzo alzò le spalle e uscì per primo seguito a ruota da tutti gli altri. E mentre Valentine riprendeva conoscenza, i ragazzi scomparivano dietro un portale, Magnus lo richiuse con le parole sussurrate nella mente di Alec Tu sei importante, non permettere a nessuno di farti credere il contrario.

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Capitolo 20
*** Changes ***


Cari lettori, spero non abbiate intenzione di abbandonare la storia. Sappiate che questo capitolo è il più lungo di tutti, ed è stato bellissimo scriverlo. Spero possa piacere anche a voi. Lo so che comincio a stressarvi, ma se potete/ volete passate qui Cherik !

In ogni caso, vi lascio il solito augurio di Buona Lettura,
With Love,
-A.
 

Changes

 
Some  nights I wish that my lips
Could build a castle,
Some nights I wish they’d just fall off.
But I still wake up, I still see your ghost
I’m still not sure what I stand for.

Fun.
 
I ragazzi erano arrivati ad Alicante, e anche questa volta in qualche modo, con qualche aiuto ce l’avevano fatta. Clary aveva un gran mal di testa. Era successo tutto così in fretta. Incontrava Jonathan dopo anni che non lo vedeva, le diceva che doveva nascondersi e nello stesso momento metteva fuoco alla casa in cui era cresciuto, Isabelle aveva voglia di divertirsi e quindi tutti erano stati costretti a seguirla alla festa di Magnus. E poi quei momenti con Jace…
E suo padre che stramazzava al suolo.
-“Herondale, tu non mi sei mai piaciuto. Neanche quando avevi tre anni e potevi definirti ‘carino’.” Diceva il fratello, che aveva l’aria truce, non nel senso che era di cattivo umore, ma nel senso che avrebbe voluto strangolarlo a mani nude. E qualcosa le diceva che Jace non avrebbe opposto resistenza, alla fine colpendo suo fratello non avrebbe guadagnato punti a suo favore.
-“Ti assicuro che la cosa è reciproca. E hai proprio ragione, a tre anni ero carino. Adesso sono bellissimo.” Alzò le spalle con molta sufficienza, Clary e Jonathan alzarono gli occhi nello stesso momento. Ma come dargli torto? Quel sorriso bellissimo un po’ vissuto e consumato dall’ardore delle battaglie, lo sguardo dorato vigile, attento e angelico, i capelli ondulati troppo lunghi per un cacciatore, che gli sfioravano la base del collo e la punta delle orecchie e in cui a Clary piaceva affondare le mani, il fisico statuario ricoperto di cicatrici di rune nere o più sbiadite.. Clary constatò di non avere tante rune quante Jace, né tante cicatrici come Jonathan. I due erano così diversi e così simili, il sole e la luna, il giorne e la notte, il caldo e il freddo. E ppure si ritrovava a voler bene ai due ragazzi in egual misura e in modi diversi.
-“Clary, ci sei?” chiese Jace a due centimetri dal suo viso. Clary sbattè più volte le palpebre rendendosi conto di essere completamente distratta o stanca o sconvolta.
-“Sì, io… ho solo bisogno di digerire tutte le cose che sono successe nell’ultima settimana. Ma passerà, tranquillo.” Disse accarezzandogli una guancia e posando con leggerezza le labbra sulle sue. Sentì Jace irrigidirsi, probabilmente non avrebbe voluto che facessero quelle cose in presenza del fratello, ma Jonathan sembrava ancora più scioccato di Clary e con ogni probabilità dal suo sguardo scrupoloso e attento ad ogni dettaglio quella scena era stata rimossa.
Jonatha aveva le braccia incrociate sul petto e fissava la luna calare per lasciare il posto ad un sole accecante. Clary si separò da Jace e si avvicinò al fratello, che non l’aveva neanche sentita. Oppure aveva fatto finta di niente.
-“Ehi, Jo… tutto bene?” gli chiese posandogli una mano sul braccio. Il fratello era molto più alto di lei, più grande e muscoloso, con una mano avrebbe potuto schiacciarla contro il muro e… ma tanto non l’avrebbe fatto, pensò Clary.
Jonathan non rispose preso com’era a districare i suoi pensieri. Se avesse avuto occhi meno scuri e uno sguardo meno feroce, Clary avrebbe quasi pensato che fosse triste.
-“Dici che sta bene? Papà intendo.” Le chiese con la voce incerta che sicuramente non gli apparteneva. Clary non sapeva come rispondere. Figuriamoci, se a lei potesse importare la salute di suo padre. Se fosse morto, avrebbe fatto i salti di gioia. Ma non poteva dire a Jonathan una cosa del genere, lui voleva bene a suo padre. Beh… quel bene che non si dimostra con i gesti o con le parole, ovviamente. Clary non avrebbe potuto immaginare suo fratello mentre abbracciava il padre o gli diceva chiaramente ‘sei il padre migliore del mondo’, anche perché non lo era quindi sarebbe stato come mentire.
-“Io non lo so, ma non credo che Magnus l’abbia ucciso.”
-“Come fai a fidarti così tanto dei Nasco.. delle persone?” le chiese senza guardarla. Jonathan non riusciva a sostenere il suo sguardo. Clary aveva pensato fosse per timidezza quando erano stati bambini, ma ora non era più dello stesso parere.
-“Magnus ci ha fatti tornare a casa, più di una volta. Non sopporta molto i Nephilim, però ha un grande cuore. Almeno da quello che ho sentito.” Disse Clary poggiando la testa al vetro della finestra. Si voltò a guardare il fratello che aveva la solita espressione impassibile e priva di emozioni.
-“Sai che loro non possono attaccarci. Solo se lo fanno, siamo tenuti ad intervenire. Allora, perché li cacciavate?” chiese quasi in un sussurro. Guardò Jace, che annuì e poi scese al piano di sotto della casa di campagna dei Morgenstern. Valentine era uno che ci teneva alle vie di fuga, se malauguratamente o per un qualsivoglia motivo, vedi tuo figlio arrabbiato a morte per quello che gli hai fatto passare durante l’infanzia, la casa prende fuoco, c’è bisogno di un altro appartamento, di cui ovviamente sua mamma non conosceva l’esistenza.
-“Mi dispiace per quello che sono, Clary. Io non posso essere diverso da questo” –indicò i suoi occhi –“ vorrei solo… non so più neanche quello che voglio. So che a stare qui, sto deludendo mio padre, che tra l’altro è l’unica persona che, al di là di quello che mi ha fatto, mi ha voluto bene. E non importa se a scopi solo suoi, non importa se mi ha rovinato la vita e io sono un mezzo demone, lui è sempre stato con me. O se vogliamo, io sono sempre stato vicino a lui.” Jonathan si mise al suo fianco con le mani in tasca. Clary non sapeva cosa rispondere, non l’aveva mai vista da quel punto di vista. Suo padre era stato cattivo con lei, con la madre, e aveva sempre pensato che lo fosse stato con suo fratello. E allora com’era possibile che lui non gli mancasse di rispetto nemmeno quando lo aveva tradito?
-“Quando tu ancora dovevi nascere” –Jonathan allargò la camicia per sentire meno caldo –“in casa era tutto molto diverso. Papà e Joce… mamma, non dialogavano quasi mai. E se lo facevano era per confondere le persone, per far credere che il loro matrimonio non facesse del tutto schifo. Vedevo, capivo e sentivo quanto tua madre fosse spaventata all’idea che io fossi suo figlio. Era convinta che io fossi sbagliato” –alzò un dito per mettere a tacere la risposta di Clary –“ non me l’ha mai detto, Clary. Ma io lo sentivo. Quando una mamma ha paura di prenderti in braccio, ha paura di chiederti cosa vuoi per merenda, o se piangi non ti chiede cos’hai, e tu sei solo un bambino di un anno e mezzo.. tu sai che c’è qualcosa che non va. E’ brutto dirlo, lo so. Ero un bambino intelligente, sai? Ad un anno conoscevo tutte le rune del libro Grigio… non potevo non accorgermi di una cosa del genere. E poi tua madre si comportava diversamente anche con il tuo ragazzo, sai? Lui non aveva terribili occhi neri e uno sguardo assassino, anzi sembreva un angioletto tutto carino carino. L’ho odiato da quel momento e non ho ancora smesso, in verità.” Disse scoprendo i denti in un mezzo sorriso glaciale. Clary aveva la mente focalizzata su una e una cosa sola. Una runa. La solita che le martellava nel cervello da giorni. Quel quadrato da cui fuori uscivano linee ondulate.
-“Jocelyn sarà stata una madre per te, ma non per me. Invero, mio padre lo è stato per me e non per te.”
-“Lui ti frustava! Io l’ho visto più volte!” Clary si allontanò da lui tappandosi le orecchie. Non poteva starlo ad ascoltare ancora. Valentine gli aveva fatto il lavaggio del cervello, sicuro.
-“Sì, lo faceva. E io lo sentivo.” Iniziò a sfilarsi la giacca con il cappuccio che finì per terra, poi sbottonò gli ultimi bottoni e si girò di spalle, calando la camicia fino sotto le spalle. Cicatrici spesse quanto funi da marinaio gli segnavano la schiena in geometrie raccapriccianti. Clary si portò entrambe le mani sulla bocca, per coprire un urlo. Non le aveva mai viste così da vicino, poiché Jonathan cercava sempre di tenere nascosta la sua parte peggiore in presenza della sorella.
Si avvicinò al fratello, e sfiorò uno di quei segni con il dito delicato. Non potè immaginare il dolore, non potè sentire le lacrime del fratello che scorrevano sul viso, non potè sentire i suoi lamenti.
-“Ignis aurum probat” sussurrò a mezza voce. Clary continuava a scuotere la testa come se non ci volesse credere.
-“Non così. Non così.” Gracchiò trattenendo le lacrime.
-“Pensa che adesso uno schiaffo non lo sento nemmeno. Sono cresciuto così, Clary. Non mi fa più male ora” disse ricoprendo lo scenario sulla schiena. Non allacciò la camicia, né si preoccupò di sollevare la giacca dal pavimento impolverato.
E fu allora che lo vide, lo spazio per quella runa. Sembrava lasciato a posta perché lei la disegnasse.
-“Ti fidi di me?” chiese. Il fratello sollevò lo sguardo scuro come la notte nei suoi occhi, ma non servì rispondere.
 
-“Ehi, bella addormentata! Bentornata nel mondo dei vivi” esclamò Magnus quando Valentine rinvenne. Il Cacciatore digrignò i denti, neanche Magnus dovesse aver paura di un Morgenstern come lui.
-“Bane, giuro sull’Angelo che ti ammazzo.”
-“Sai, che le tue promesse sull’Angelo non valgono niente?” disse lo stregone avvolgendosi nel solito turbinio di stoffe appariscenti.
-“Considerala lo stesso una minaccia, stregone della malora” esclamò Valentine con gli occhi di ghiaccio fissi su di lui.
Magnus allontanò quelle parole con uno sfarfallio delle mani da cui fuoriuscirono luci azzurrine.
-“Fammi trovare pronto, quel giorno quando sarà” disse lo stregone passandosi una mano tra le ciocche colorate. Valentine strinse i pugni facendo sorridere Magnus.
-“Dov’è mio figlio?”
-“Pensavo che ti saresti chiesto dove fosse tua figlia.” Notò Magnus con un certo dispiacere. Aveva rovinato la sua festa per trovarla, e adesso neanche si ricordava cosa fosse andato a fare.
-“Rispondi.” Lo intimò con uno sguardo da far paura.
-“Di preciso non lo so, ma piuttoto lontano direi.” Disse Magnus flettendo le mani per renderle più elastiche. In realtà guardava compiaciuto il suo smalto nero brillante.
Valentine gridò di frustrazione e poi uscì dalla porta d’ingresso.
-“Ma come?” –urlò dietro a lui Magnus, vivamente dispiaciuto –“non provi nemmeno ad uccidermi?”
Sorrise divertito e poi sparì. Cercò in tutti i modi di raggiungere Alicante. Doveva aiutare l’Inquisitrice a risolvere questo problema, o non sarebbe tornato a New York. Anzi non sarebbero andati a New York, il che era fonte di grande dispiacere.
 
Jace rigirava tra le mani la maschera con cui si era presentato alla festa. Semplice e dritta al punto, riassumeva materialmente ciò che era lui.
Lui ti frustava! Io l’ho visto più volte. La sottile voce di Clary giunse dal piano superiore, tagliando in due parti il silenzio che regnava nella stanza. Jace alzò gli occhi di scatto quasi volesse accertarsi che la sua ragazza stesse bene, poi si ricordò che con lei c’era suo fratello, il che non lo tranquillizzò per niente.
Per l’Angelo, ma davvero Valentine frustava suo figlio? Ma com’era possibile fare del male al sangue del tuo sangue? Se lo avesse saputo suo padre Stephen l’avrebbe quanto meno fatto a pezzi. Suo padre ricordava sempre a Jace come fosse felice di avere due figli come lui e Will, che se non fosse per loro la sua vita non avrebbe senso. E Jace ci aveva sempre creduto. Apprezzava suo padre e gli voleva bene, come un figlio vuole bene ad un padre, ma tra loro il legame era anche più stretto. Era stato il suo migliore amico fino a quando non era intervenuto Alec.
Jace era lì a dividersi tra la volontà di lasciare soli i due fratelli Morgenstern e la voglia di stare vicino a Clary, più di quanto il fratello non dovesse. Era strano che fosse geloso di Jonathan, ma lo era eccome.
Salì piano le scale per concedere ai fratelli qualche altro minuto insieme, soffermandosi a osservare i dettagli di quella casa tetra e inospitale. Si chiese perché fossero finiti lì, e di chi fosse quella tenuta, ma alla fine che importava? Sarebbero andati via presto.
Alec e Isabelle se ne erano andati appena raggiunta la tenuta, avevano detto di aver bisogno di dormire per un po’. Isabelle gli era sembrata piuttosto tranquilla, anche se aver rivisto Jonathan non doveva essere stata una gran bella sensazione. Simon , il vampiro, l’aveva seguita a distanza ravvicinata. Jace si chiese come mai Isabelle non lo tenesse lontano visto che lei era una di quelle che aveva bisogno dei suoi spazi. Alec invece, era stato con lui fino al momento in cui Jace non gli aveva quasi ordinato minacciandolo di pestarlo di botte, di tornarsene a casa a farsi otto ore di sonno continuo. Aveva notato quanto il suo parabatai fosse stanco prima per la scomparsa di Isabelle e poi per tutti gli ultimi avvenimenti, ed era meglio averlo al meglio, lui che di norma gli guardava le spalle come nessuno avrebbe mai saputo fare. Non gli aveva ancora detto cosa pensasse riguardo la sua relazione con lo stregone, ma Magnus gli sembrava uno a posto e in più aveva salvato la vita prima ad Isabelle e poi a Clary, il che gli faceva guadagnare qualcosa come mille punti nella classifiche dei ragazzi di Alec, anche se risultava essere uno. No, forse Magnus era il secondo, il primo è ovvio chi sia.
Ti fidi di me? Chiese la voce di Clary dall’altra parte della porta. Jace non sentì risposta.
-“Andiamo, Herondale, so che sei lì dietro.” Tuonò la voce di Jonathan. Jace imprecò tra sé, forse si era distratto e non aveva badato molto al silenzio. Comunque aprì la porta e guardò Clary. Tutto sommato stava bene, a parte l’espressione un po’ sconvolta ma determinata. Poi guardò Jonathan, con la camicia aperta e la giacca per terra. Gli saltò in gola una feroce imprecazione, tuttavia riuscì a trattenerla.
-“Forse è meglio se ti sdrai. Qui sul letto, Jonathan” propose Clary. Jace la guardò come se non stesse capendo nulla.
-“State proponendo una cosa a tre?” chiese lui allargando le labbra in un sorriso marpione. Clary scosse la testa alzando gli occhi al cielo, Jonathan semplicemente lo guardò truce.
-“A cosa credi che serva?” chiese Jonathan lasciandosi cadere sul letto. Clary estrasse il suo stilo e lentamente si avvicinò al fratello.
-“Non lo so. Non l’ho mai provata su nessuno, perché l’uniche volte che mi salta in mente è quando ti vedo. E prima quando hai lasciato il petto scoperto… ho sentito che andava disegnata lì.” Disse sedendosi al suo fianco. Jace li guardava, ma aveva la sensazione di essere di troppo anche se non se ne sarebbe andato.
-“Jace, vieni qui. Ho bisogno del tuo aiuto.” Disse Clary. Jace si precipitò al suo fianco, anche solo per tenerle la mano, ma la ragazza le avrebbe impegnate entrambe per disegnare quella runa.
-“Non so neanche se ti farà male. Non so se è funzionerà. E se ti farà del male? E se non funzionasse? E se fosse troppo forte e ti uccidesse?”
I ragazzi guardarono Clary in piena crisi di panico. Le mani le tremavano e la voce era stridula per il nervosismo. Jace le circondò un fianco con la mano.
-“Anche se non ti ho ri sposto prima, io mi fido di te.” Disse Jonathan. E per un momento, e uno soltanto, breve sia chiaro, Jace ebbe compassione per quel ragazzo. Non era colpa sua se fosse così schivo e cattivo, non aveva mai avuto la possibilità di avere amici, o una famiglia nel senso stretto dell’espressione.
Clary lo guardò negli occhi neri per l’ultima volta, poi il ragazzo li chiuse e si rilassò. Clary iniziò ad incidere una runa che riflesse di luce azzurrina. Incise quello che sembrava un quadrato dal cui centro si diramavano una serie di line curve. La runa non entrò in azione subito, Clary trattenne il fiato perché Jonathan non riapriva gli occhi. Era improbabile che stesse scherzando, poiché il ragazzo non era per nulla dotato di sarcasmo.
-“Jace, cosa ho fatto?” chiese in un mezzo sussurro. Le vene di Jonathan si marcarono, sembravano disegnate a penna sulla pelle tanto erano scure. Il colorito chiaro venne sostituito da un bianco marmoreo. Jonathan sembrava … morto. Jace strinse la mano di Clary che gliel’aveva afferrata neanche fosse l’unica via di salvezza. Ad un certo punto, il corpo che giaceva sul letto fu scosso da convulsioni. Clary saltò in piedi e scoppiò a piangere. Jace si avvicinò al viso di Jonathan per sentire se fosse ancora vivo. Non si sentiva il battito, non si sentiva il respiro. Il corpo sembrava una bambola di pezza scossa da una bambina impaziente, completamente inerme, privo di ossa o nervi.
-“Aiutami a tenerlo fermo, Clary.” Ordinò. La ragazza non lo stava ad ascoltare, guardava il corpo del fratello tremare su quel letto. Lo ripetè a voce più alta. Così uno da un braccio e l’altra dall’altro lato, cercarono di tenere fermo il corpo impazzito di Jonathan. Ad un certo punto, tutto si placò. Nessuno dei due aveva il coraggio di dire niente. Ancora con le mani attaccate alle spalle di Jonathan per tenerlo fermo, si guardarono spaventati. Non era morto, era impossibile.
Poi Jonathan alzò la testa di scattò come se avesse bisogno di ossigeno, come se non avesse respirato per tutto quel tempo. Clary iniziò a singhiozzare più forte, allora Jonathan voltò il viso verso Jace, che lo guardò sgranando gli occhi.
Quello era impossibile.
-“Clary… Clary, guarda i suoi occhi!” mormorò Jace ancora sconvolto. Jonathan voltò lo sguardo ancora stordito verso la sorella, che allargò le labbra in un tenero sorriso.
-“Jonathan, i ..” non riuscì a terminare la frase, perché saltò al collo del fratello e lo abbracciò fortissimo.
-“Cos’hanno i miei occhi, Jace? Rispondimi. Io ci vedo. Cos’hanno i miei occhi?” chiese separandosi dalla sorella.
-“I tuoi occhi sono … verdi.”

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Capitolo 21
*** Parabatai ***


Author's Corner:
Sì, è vero. Vi ho fatto aspettare! Ma ero sul tapis roulant ed è arrivata così velocemente l'idea che sono scesa come un razzo e ho iniziato a scrivere. E boh, è venuto questo capitolo... troppo Angst forse.. troppo strappalacrime per me, infatti non l'ho riletto!
E va bene, unico punto di vista del mio personaggio preferito. Per l'Angelo, se fosse vivo lo sposerei.
Io vi adoro perchè siete qui a leggere, anche a chi non piace la storia. Vi adoro perchè sono felice che siamo già qui e siamo talemente vicini alla fine che forse, e sottolineo forse, cercherò di allungarla un altro po'.
Perdonatemi se ho impiegato troppo tempo.
With love,
-A.

Parabatai

 
E avvenne che l’anima di Jonathan
 era legata all’anima di Davide
E Jonathan lo amava come se stesso…
Giuramento Parabatai
 
 
Aveva visto i suoi occhi verdi, Jonathan, e non si era riconosciuto. Allora è vero che gli occhi sono lo specchio dell’anima, ma continuava a sentirsi sporco, dannato, sbagliato. Non erano più neri i suoi occhi, e lui non era cambiato. Come se fosse possibile, cambiare a seconda del colore degli occhi. Mica era santo come l’Herondale, lui. E non era neanche come sua sorella, quel tigrotto rossiccio che aveva affilato gli artigli tempo prima. E non era neanche caparbio e tenace, ma di profondi sentimenti come un Lightwood.
Era semplicemente Jonathan, con gli occhi verdi o neri.
Burattino nelle mani del padre, disconosciuto dalla madre, disprezzato dall’intera stirpe dei Nephilim
Grazie infinite, Valentine Morgenstern.
Non voleva muoversi, Jonathan, perché avrebbe notato che tutto il resto non era cambiato. Fuori il tempo era rimasto oscurato a metà tra l’azzurro e il blu notte, come se il sole non se ne volesse andare e la luna fosse troppo pigra per sorgere.
L’aveva guardata la luna , Jonathan, tante di quelle volte che distingueva oramai ogni sfumatura, la conosceva bene come le stelle. Lo appassionavano perché erano infinite e lontane, splendide e morte, brillavano della loro non – vita, le stelle. E a lui piaceva sceglierne una e trovarne affinità, perché anche lui in qualche modo era stato privato della sua vita da un essere più alto.
Oh, quegli occhi… troppo belli per appartenergli davvero, troppo chiari per non essere macchiati dei suoi abomini, troppo simili a quelli di Clary per poterli meritare.
-“Jonathan?” chiese Clary da dietro. Gli posò una mano sulla spalla, mano di artista la sua, delicata come se stesse appoggiando un dito sulla tela bianca, come se suo fratello fosse di nuovo tornato bambino. O come se avesse avuto paura della sua reazione.
Non si voltò Jonathan, perché Clary si stava illudendo. La sua runa, che ancora bruciava al centro del petto, non aveva risolto un bel niente. Era ancora cattivo, Jonathan, nel cuore. Non nel sangue.
Quel sangue che gli scorreva più fluido nelle vene, più veloce come se avesse solo voglia di renderlo migliore. Quel sangue che non gli era mai appartenuto, perché era così nuovo da far male, non mentre scorreva, ma solo a ricordargli che lui fosse vivo, malvagio e ancora una volta sporco.
La presa di Clary si strinse attorno al suo braccio, come a volerlo portare con sé, a riportarlo con sé nel suo mondo, il mondo dei piccoli Morgenstern, lui che bambino non era mai stato. Era nato già grande, Jonathan, con la voglia di mangiarselo il mondo, distruggerlo perché aveva già sopportato abbastanza. Certo, Clary non sapeva proprio tutto. Non sapeva che a tre anni per punizione il padre lo faceva dormire su una sedia, così ogni volta che il sonno si avvicinava, lui e i suoi riflessi si risvegliavano. Non sapeva che dormiva con una spada di legno, Jonathan, in attesa che fosse pronto per le armi più pericolose. Non sapeva a quanti giorni di digiuno fosse stato costretto perché ‘un Cacciatore deve saper sconfiggere anche la fame’ diceva suo padre. Non sapeva Clary, che ogni giorno di quella vita grama, Jonathan si impegnava a concentrare l’attenzione del padre su di lui, a soffrire, sudare, a diventare il figlio perfetto, il guerriero perfetto, così almeno sua sorella non sarebbe cresciuta come lui.
-“Forse è meglio che lo lasciamo solo, Clary.. ti aspettiamo giù, Jonathan. Va bene?”
No, non mi lasciate da solo. Non posso stare solo, con questi occhi e questo sangue. No. Voglio venire con voi. Arriva Valentine, se no. E mi trova, e mi fa pentire di essere nato.
E Jonathan, si era già pentito di essere nato. Più volte, anche.
-“Va bene” –aggiunse con voce ferma, come se tra il Jonathan dentro e il Jonathan fuori non ci fosse nessun collegamento. Come se fossero persone separate –“vi raggiungo appena mi rivesto.” Disse senza voltarsi. Sentì lo sguardo di Clary sulla sua schiena, a percorrere ogni cicatrice che non avrebbe mai dovuto vedere, a penetrare la sua pelle e raggiungere il suo cuore, con il suo sguardo di smeraldo. Lei poteva.
Esitò la sua sorellina, in attesa di una risposta sincera. Come se sapesse davvero quali fossero i suoi turbamenti, e anche se non poteva capirli del tutto, cercava di trovare una cura.
Non era ancora pronto a guardarla, perché Clary avrebbe saputo leggere nei suoi nuovi occhi  e avrebbe capito che quella runa al centro del petto sarebbe diventata una cicatrice in più, un marchio come gli altri.
Si abbottonò la camicia e riprese la giacca, non era pronto per niente ma decise di affrontare il mondo anche se fosse stato da solo. Lui contro tutti. Ce l’avrebbe fatta, perché se c’è una cosa che le dure prove ti insegnano è che non esiste niente che può ostacolarti.
Silenzioso come un’ombra li raggiunse i due piccioncini, e quasi non alzò le mani a quel cretino che stava baciando sua sorella come se non ci fosse un domani. Li avrebbe staccati con una sega elettrica se fosse stato necessario, ma poi si ricordò che quella fosse una cosa da Jonathan vecchio, il nuovo li avrebbe lasciati avvinghiati come una cosa sola. Due anime e un solo corpo, quei due. Come se lui non esistesse, beh… non era poi una grande novità. Nonostante il conato di vomito, Jonathan si schiarì rumorosamente la gola, con la paura di disturbarli troppo quei due, persi nel loro mondo lontano, troppo lontano persino per lui.
-“Dovremmo tornare a casa.” Constatò Clary facendo strada. Avrebbero utilizzato il portale con cui erano arrivati, per raggiungere chissà quale destinazione. A conti fatti, a Jonathan non importava per niente. Jace era stranamente silenzioso, come se anche lui fosse consapevole del suo straordinario cambiamento, e ciò lo sbalordiva.
Non sono diverso da prima, pensò Jonathan e quasi sorrise, Continuo ad odiarti, Herondale.
Jonathan prese un bel respiro e passò il portale per secondo, come se Clary avesse paura che potesse scappare, poi la rossa lo seguì piombando su di lui nel salotto di una casa come tante altre. Divano, legno, lampada, legno, porte, divano, umano, scale, luci, umano.
Non pensava di voler parlare, Jonathan ma tutto era rimasto bloccato quando spostò lo sguardo su una persona in particolare che lo guardò e poi fece scivolare lo sguardo alle sue spalle.
Sua madre lo aveva guardato come se si fossero visti qualche ora prima, come se non fossero passati tre anni e un’infinità di secoli da quando lei lo aveva anche solo accarezzato. Si aggrappò a sua figlia, Jocelyn, come se fosse un sollievo rivederla, a proteggerla dall’essere disumano che aveva al suo fianco. Un groviglio di capelli rossi quelle due, e Jonathan si chiese come mai lui avesse dovuto avere i capelli biondo sbiaditi come suo padre, perché non era bastato assomigliargli nel modo straordinario di uccidere, no. Ci erano voluti anche i capelli.
Jonathan non mosse lo sguardo da nessuno, con la straordinaria voglia di strapparsi quegli occhi così vulnerabili come Edipo, e incollarli alla punta delle scarpe così ogni tanto mentre camminava avrebbe potuto sputarci di sopra. Anche sua madre incontrò lo sguardo nuovo del figlio e si bloccò. Non continuò a carezzare i capelli della figlia, non continuò a sussurrarle parole che lui non conosceva, perché nessuno con lui era stato così ansioso di stringerlo tra le braccia e tirare un sospiro di sollievo.
-“Jonathan…?”
Già, non lo aveva riconosciuto la madre, forse per gli occhi verdi forse perché aveva preso qualche centimetro dall’ultima volta che l’aveva visto, forse…
-“Sì, sono io.”
Jocelyn si irrigidì tutta e gli occhi si dilatarono guardando frenetici da una parte all’altra. Cercava Valentine, sua madre.
-“Lui non c’è.” –Disse duro –“Sono felice di verderti anche io.”
Clary lo guardò da sotto la frangetta rossa, quasi a rimproverarlo.
-“Oh, per l’Angelo.” Sussurrò la donna portandosi le mani sulla bocca. Jonathan non sapeva se fosse un segno buono o pessimo. Jocelyn guardò oltre lui, un certo Lucian, che un tempo era stato il parabatai di suo padre, e che doveva essere morto. Valentine sarebbe stato molto, molto dispiaciuto di vederlo ancora vivo e più lupo che mai. Chissà se si faceva la donna del suo ex parabatai, ma d’altra parte poche cose aveva in comune quei due.
Jace aveva preso in braccio un bambino che gli non gli somigliava particolarmente, ma i fratelli si riconoscono sempre. E al loro fianco la sorella di Luke poggiava la testa sulla spalla di Stephen Herondale. Quell’uomo sapeva avere un’espressione davvero arcigna alle volte. Come in quel momento.
Jocelyn si avvicinò lentamente posando una mano sulla sua mandibola squadrata. Lo sfiorò come un sogno, con le dita tremanti e fredde, dita simili a quelle di Clary.
-“I tuoi occhi…”
sì, hanno cambiato colore.
Se Jocelyn avesse mai incontrato Abbadon, la sua più grande paura sarebbero stati quei terribili occhi neri, macchie di infinito e morte ingiustificata.
Non lo abbracciò Jocelyn perché quello era già abbastanza, né Jonathan chiedeva di più.
-“Dovrebbe saperlo il Conclave.” Annunciò Herondale padre.
Già, come se potesse riposare, essere accolto come un ragazzo normale, Jonathan.
Annuì e basta.
Clary lo prese per mano e aspettò che tutti fossero usciti prima di sussurrargli nell’orecchio.
-“Potremmo essere Parabatai, ora.” Disse sorridendo leggermente.
Jonathan per poco non pianse.
-“Ho già 18 anni, Clary.” Rispose intenerito. Oddio, non è che quella runa era ‘Runa Femminuccia’, no?
-“E allora? Te l’avrei chiesto, ma sai… quei tre anni non si dimenticano. E sono passati, volenti o nolenti, così ho colto l’occasione, perché Jo, non esiste nessuno migliore di te, per me lo sai questo, vero? E sai anche che per te mi metterei contro l’intera confraternita dei fratelli Silenti. E sai, che quella runa te la inciderei io stessa, adesso.”
Per l’Angelo, sua sorella. Come avrebbe potuto farle del male suo padre, piccola tigrotta dagli occhi troppo belli per essere veri?
-“Sarebbe più giusto ufficializzare le cose… sai, non sono molto ben visto da queste parti.” Rispose Jonathan accarezzandole la guancia con la mano callosa. Clary sorrise di nuovo.
Ma se sei parabatai vuol dire che condividi tutto? Vuol dire condividere gioie e dolori e passato e presente e futuro? Come? Come avrebbe potuto fare questo a lei, renderla malvagia quanto lui?
-“Parlerò con un fratello Silente e … Mio Dio, Jo! Sono… sono così felice!” esclamò Clary abbracciandolo, la testa schiacciata sul suo petto.
-“La mia sorellina.” Sussurrò posandole un bacio sui capelli. Poi lo prese per una mano e lo trascinò nella sala grande. Aveva la sensazione che le cose si sarebbero messe male.
Fu troppo veloce essere staccato da sua sorella da due Shadowhunters troppo robusti per opporre resistenza, e forse non avrebbe resistito, Jonathan, stanco di fuggire e di combattere. Guardò Clary dimenarsi urlare il suo nome.
-“Jo! Jonathan. NO! Lasciatemi! Lasciatelo. Dove lo portate?!! Jonathan? Jo!”
Urlava la piccolina, urlava senza poter far nulla. Sorrise Jonathan per rassicurarla.
-“Andrà tutto bene, sorellina.” –sussurrò, ma forse Clary non avrebbe sentito –“Parabatai, ricordi? Andrà bene. Ti troverò di nuovo.”
 E non importa se lo stessero arrestando, chi, come dove lo stessero portando.

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Capitolo 22
*** Hopeless place ***


Author's Corner:  Bene, eccomi qui con un nuovo, meno straziante forse, capitolo... E' un periodo un po' strano, spero che i personaggi non ne abbiano risentito. Ah, mi piace inserire riferimenti al film, ad altri capitoli della saga, o anche ad altre trilogie direttamente (sempre di SH, eh), quindi cari lettori, questo capitolo nasce come propulsore di arte allusiva. Non so se si dice propulsore, ma mi piace proprio come parola u.u
Dunque, vi avevo avvertito che fosse un periodo un po' strano, non temete la mia pazzia. Sapete, credo proprio che sia necessario smettere di parlare, vi lascia alla lettura e si, forse amerete la Malec ^^
With love,
-A.
 

Hopeless place

 
 
Paradossalmente
la capacità di stare soli
È la condizione prima
Per la capacità di amare.
Fromm.
 
 
 
Jace si voltò di scatto. Le urla di Clary erano inconfondibili e non si sarebbero estinti con un semplice ‘Cosa ti urli?’. Il ragazzo era già consapevole di cosa stesse succedendo. Stavano portando via Jonathan, quelle due guardie del Conclave. E come avevano anche solo potuto pensare che il figlio di Valentine Morgenstern avesse potuto gironzolare per la Sala Grande come se niente fosse? Come se suo padre non avesse davvero intenzione di dichiarare guerra all’interno Conclave pur di raggiungere il suo obbiettivo di purificare la razza? Chi avrebbe creduto che quel ragazzo dagli occhi di pece, non avesse più l’anima dannata, o che mai l’avesse avuta?
Guardò Clary dimenarsi come se le stessero staccando la pelle viva, come se ad ogni passo che le guardie facevano dalla parte opposta, a lei mancasse un po’ di ossigeno. Cosa poteva fare Jace? Clary non aveva bisogno di un ragazzo, né di un amico, aveva bisogno di suo fratello, quello che aveva appena ritrovato e che adesso si allontanava. Inerme, Jonathan, con la faccia a metà tra la rabbia e l’assoluta tristezza, come se anche lui stesse pensando alle stesse cose di Jace. Era anche lui consapevole di quello strazio, era anche lui partecipe. Jonathan non si ribellò, non gridò il nome di Clary, sottomesso com’era a quello stato di auto-punizione che imputava a se stesso, convinto di essere in qualche modo sbagliato, colpevole.
Jace corse da Clary che si era buttata in ginocchio, in una preghiera muta, verso quegli Angeli che non esistono, o meglio che guardano le loro vite andare in pezzi distrutte da sentimenti troppo grandi per essere repressi e troppo piccoli per essere confessati.
Strinse Clary tra le braccia, senza che lei se ne accorgesse. Era persa in quel limbo di atroci consapevolezze. Era lì, ma sfuggiva tra le dita, come se fosse cenere sottile soffiata via dal vento. Troppo piccola per contenere tutta quella sofferenza.
-“L’avevo appena trovato… e me l’hanno portato via di nuovo.” continuava a sussurrare. Non piangeva Clary, come se espiare il suo dolore attraverso le lacrime l’avrebbe reso troppo evidente, troppo chiaro. Ma Jace sapeva, che avrebbe voluto gridare ancora, gridare il nome del fratello, o addirittura seguirlo.
-“No, no… Clary, andremo a prenderlo, va bene? Promesso.” Sussurrò Jace fra i suoi capelli, mentre la ragazza continuava a sussurrare le stesse parole in una cantilena, come se ripeterle all’infinito le avrebbe annullate, avrebbe reso tutto irrisorio e irreale.
La sollevò per le braccia e cercò di smuoverl per poter raggiungere gli altri e annunciare la notizia, anche se l’Inquisitrice avrebbe dovuto saperlo. Entrò spingendo la porta con forza estrema, non gli importava di fare rumore, non gli importava di disturbare. Voleva vedere Clary come prima, felice nella sua preoccupazione. Felice di avere il fratello accanto, preoccupate che fosse andato via di nuovo.
-“Voglio parlare con l’Inquisitrice!” esclamò a denti stretti alla guardia davanti la porta della sala Grande. Era in corso una riunione, a lui non sarebbe importato comunque. La guardia armata non si mosse, né lo guardò negli occhi. Jace, irascibile di suo, si assicurò che Clary si reggesse sulle proprie gambe e poi tirò un pugno al tipo di fronte, che con un gemito si accasciò al suolo.
Clary neanche lo notò.
Entrò come una furia, fermando per l’ennesima volta una conversazione in corso. Guardò la nonna, imponente nella sua veste grigia e lo sguardo ferreo, preoccupato.
-“Dove stanno portando Jonathan Morgenstern?” chiese celando la sua rabbia. Non serviva voltarsi a guardare Clary per scoprire come steva. Era lì, ma non c’era. Per l’angelo, che brutta sensazione voler poter aiutare qualcuno, tra l’altro la ragazza che pensi di amare, e non sapere cosa fare.
-“Non credo che la cosa ti riguardi, Jonathan Herondale.” Rispose arcigna la nonna. Jace strinse i pugni per impedire di perdere il controllo. Prima di parlare prese un bel respiro, odiava sua nonna in quelle vesti. Non le importava di niente e nessuno, solo della cara legge.
Beh, le leggi sono fatte per essere infrante.
-“Ah no? Strano, pensavo il contrario. Visto che l’abbiamo condotto noi ad Idris. E non mi sembra questo il modo di trattanere un cacciatore che cerca asilo.” Rispose con il solito sopracciglio alzato. I presenti non fiatavano e facevano bene, perché al primo che fosse intervenuto Jace avrebbe spaccato il naso anche se non conosceva personalmente nessuno dei presenti.
-“Ripeto che…”
-“Vorrà dire che lo troveremo da soli.” Jace si voltò a guardare teneramente sorpreso Clary, che aveva il colorito bianco del marmo e gli occhi verdi lucidi e brillanti di rabbia. Era quello che avrebbe detto lui, se Clary non l’avesse anticipato.
-“Non credo che le guardie permetteranno l’accesso.” Rispose in rimando Imogen con la voce glaciale più fredda che mai. Jace a quel punto scoppiò a ridere, amaramente.
-“Neanche la guardia qua fuori ci ha permesso l’accesso. Eppure, come potete vedere, siamo qui.” Annunciò con sarcasmo allargando le braccia. Sapeva che quegli atteggiamenti arroganti irritassero l’Inquisitrice eppure non gli dispiacque affatto. Avrebbe fatto di tutto per recuperare Jonathan, se questo l’avrebbe resa felice.
-“Faccio arrestare anche te.” Lo minacciò sua nonna sollevando un dito pallido, e muovendo dietro di quello un enorme pezzo di stoffa grigio con delicate rune ricamate.
Jace allargò di nuovo le braccia come per dire ‘Coraggio, fallo’.
-“Almeno adesso sappiamo che è nelle prigioni.” Aggiunse alla fine. Si voltò prendendo Clary per la mano, la ragazza aveva smesso di tremare ma era ancora molto fredda come se il sangue avesse smesso di circolare.
La trascinò fuori, accertandosi di chiudere bene la porta, in moda da non sentire gli scongiuri della nonna che sicuramente avrebbe mandato davvero qualche guardia a rinchiuderlo in una delle immense stanze.
-“Andiamo a cercare gli altri, va bene?” –disse a Clary –“Ci aiuteranno a tirarlo fuori di lì.” Non la sentì rispondere, ma sapeva che fosse d’accordo.
 
Alec si era inoltrato nei corridoi bui dell’Istituto cercando di allontanarsi dal brusio di Cacciatori che era stato convocato dopo che Valentine li aveva attaccati alla festa. Nessuno che fosse davvero convinto che Valentine fosse pericoloso, era un cacciatore come altri dicevano, ma non avevano visto il suo sguardo furioso, imperioso, troppo convinto nei suoi mezzi, troppo ambizioso. Parlavano e si salutavano e poi discutevano della stessa cosa, Alec pensò che lo stessero facendo apposta per innervosirlo. Per l’Angelo, tutte quelle parole ed esclamazioni, lo facevano solo sentire peggio. Tutti che nominavano Magnus, lo stregone Bane, Magnus di là, Alla festa di un certo Bane, Magnus di qua.
-“Alexander?”
Magione di Magnus, stanza da letto di Magnus, labbra di Magnus, capelli, pelle, vestiti, profumo di Magnus.
Sentì qualcuno schiarirsi la gola alle sue spalle. Non si voltò, raggelato ma anche improvvisamente in iperventilazione.
-“Magnus?” chiese titubante, e la voce roca non lo aiutò affatto. Si ordinò di non arrossire più.
-“Non indosso niente di eccentrico, Alexander, puoi voltarti a guardarmi.” E quello non era invito, era un ordine. Lentamente il ragazzo si voltò, deglutendo a fatica. Subito il ricordo delle mani di Magnus sul suo corpo, del fuo fiato sul collo e i suoi occhi da gatto, stranamente affascinanti, gli affondò nello stomaco neanche avesse voglia di strapparlo dal corpo.
E in effetti, Magnus non indossava nulla di stravagante, ma quel maglioncino nero a collo alto che copriva i segni sul collo, che lui stesso aveva lasciato, e i pantaloni dello stesso colore che fasciavano quelle gambe così eleganti erano… beh, erano difficili da guardare senza perdere il controllo, senza perdersi completamente.
-“Non sapevo fossi qui.” Annunciò sforzandosi di non sembrare ridicolo.
-“Io e l’Inquisitrice abbiamo stretto un accordo, e io sono costretto ad essere presente.” Rispose Magnus rimanendo a distanza di sicurezza. Chissà perché ma anche lo stregone sembrava a disagio.
-“Che genere di accordo’” chiese non riuscendo a trattenersi. Poi si morse la lingua maledicendo la sua curiosità.
Magnus sorrise, mozzandogli il fiato, e Alec fu sul punto di avvicinarsi pericolosamente. Il sorrio dello stregone si allargò ancora di più quando Alec fu a pochi centimetri dalla sua bocca.
-“Se non fosse stato segreto, l’avresti già saputo, Alexander.” Sussurrò maledettamente troppo vicino. Il suo fiato sapeva di tè al limone e sapeva di Magnus, di dentifricio e sandalo. Alec arrossì doppiamente, per i suoi pensieri e per la risposta di Magnus. Sapeva che avrebbe dovuto farsi gli affaracci suoi.
-“Alec!” esclamò Jace alle sue spalle.
Alec si allontanò bruscamente da Magnus, che comunque non si scompose e non si tolse neanche il suo fascinoso sorriso sulle labbra, dannatamente morbide da quello che si ricordava.
-“Ho bisogno che mi aiuti” –esclamò Jace, che stringeva la mano di Clary –“Oh, ciao, Magnus.” Non troppo entusiasta, Jace. Alec lo guardò. Non avrebbe mai chiesto a Jace il perché, ma sapeva che quella volta di sarebbe pentito.
-“Cosa è successo sta volta?” chiese addolcendo lo sguardo. E con Jace sarebbe stato sempre così. Com’è che si dice? La runa che ripara un cuore spezzato è la più dolorosa? Beh, Jace era il suo parabatai, la sua runa l’avrebbe aiutato in ogni modo.
-“Hanno sbattuto in cella suo fratello.” Disse tetro, indicando Clary con un cenno del capo. Clary stava dietro di lui senza parlare con lo sguardo fisso un po’ su Alec un po’ su niente.
-“E’ quello che si merita” borbottò Alec passandosi una mano sui capelli. Sentì lo sguardo di tutti su di sé, ma quello di Magnus era quello che lo schiacciava di più. Cosa avrebbe voluto che facesse?
-“Alec, andiamo! Sai anche tu che Jonathan non è come Valentine.” Jace si era avvicinato e aveva afferrato un braccio.
-“Ha violentato mia sorella, Jace!” disse tra i denti guardandolo negli occhi. E no, quella volta gli occhi dorati non lo avrebbero convinto. Se non altro perché sarebbero serviti due paia di occhi gialli, ma di un giallo più brillante e meno regale, di un’altra persona.
-“E’ mio fratello, Alec!” urlò Clary quasi piangendo. Oh, quella ragazza quante sofferenze aveva patito.
Alec ancora un volta si limitò a stringere gli occhi combattuto tra l’orgoglio di essere un Lightwood e la bontà d’animo che di Lightwood non aveva proprio niente.
-“Sarebbe meglio dirlo ad Isabelle. Lei… credo che vorrà venire con noi, no?” sussurrò e si sorprese a non pentirsene. Era quella la cosa giusta da fare. Vide Magnus annuire di sfuggita. Jace gli lanciò uno sguardo eloquente molto più di mille parole e poi una pacca sulla spalla. Clary lo abbracciò sussurrando un grazie profondamente sollevato, Alec si ritrovò a stringerla tra le braccia, forse per proteggerla.
Poi insieme si voltarono.
-“Alexander?”
No, non si era dimenticato di lui, ma avrebbe preferito che la cosa tra loro rimanesse segreta per un po’.
-“Vi raggiungo fra un attimo” –disse rivolto ai due amici –“Devi dirmi qualcosa?”
-“No, devo darti qualcosa.” Disse Magnus avvicandosi. Il cuore di Alec prese a battere in modo folle, quando le labbra di Magnus si posarono con la solita delicatezza sulle sue.
Troppo veloce per poter ricambiarlo.
 
Isabelle era uscita di sfuggita quando Alec era passato a chiamarla, lasciando Simon da solo con i suoi genitori. Un solo posto era peggiore di quello, per lui, per un vampiro, il mare al sole di mezzogiorno. Tra i coniugi Lightwood il clima non era dei migliori e Simon avrebbe di gran lunga preferito il sole di California, piuttosto che quel salotto così ospitale eppure così freddo. Simon non aveva il coraggio, oppure non sentiva il bisogno di intervenire. Era in ballo una discussione senza parole, un filo intrecciato di vocaboli non proferiti. Il signor Lightwood stava appogiato alla scrivania con le braccia incrociate sul petto e le gambe incrociate all’altezza delle caviglie. Guardava il pavimento e ogni tanto sollevava gli occhi sulla moglie. Maryse gli voltava le spalle, fiera nei suoi panni di cacciatrice, bella quanto la figlia e anche di più matura e straziata da un amore non ricambiato. O per lo meno finito. Le rughe le circondavano gli occhi stanchi e le labbra si piegavano leggermente verso il basso. Simon la fissava da quando Isabelle aveva lasciato la stanza. La donna non si era voltata.
-“Maryse.” La chiamò il marito. La donna non si mosse, ma Simon la vide irrigidirsi come investita da una raffica di vento polare. Il vampiro si sentì di troppo e in quell’istante avrebbe voluto essere un insignificante topo, piuttosto che assistere a quella scena.
-“Maryse!” disse in tono più concitato, senza irritazione comunque. Il signor  Lightwood non poteva pensare che niente gli fosse dovuto.
-“Non voglio sentirti parlare, Robert. L’hai dimenticato?” rispose la donna la cui voce era più dura di quanto la donna non fosse.
-“Non l’ho dimenticato, ma…”
-“Non ho bisogno delle tue scuse. Non mi servono.” La donna si voltò a guardarlo con sguardo di fuoco. Quella non era una donna tradita, quanto distrutta e ferita nel cuore dove non sarebbe mai più guarita.
-“Maryse, ascoltami. Io…”
-“Robert, finiamola qui. Il nostro matrimonio era sbagliato fin dall’inizio. L’hai detto tu, o quanto meno me lo hai fatto credere, perciò non vedo come tu possa sistemare le cose.”
Simon guardava la scena come se stesse guardando una partita di football, prima uno e poi l’altro, in uno scambio di battute troppo straziante da sopportare. Sarà forse che lui non avesse mai avuto un padre?
-“No, Mare…”
A quel nome, la donna sollevò lo sguardo a metà tra la rabbia e la dolcezza. Se lo avesse ripetuto di nuovo, quel piccolo, insignificante gruppo di lettere, sarebbe saltata al collo del marito come se niente fosse successo.
Iniziò a scuotere la testa e ripetere no, come se tutto ciò non fosse reale. Simon era sul punto di stringerla lui fra le braccia e cercare di calmarla.
-“Se il nostro matrimonio fosse stato giusto, non saremmo qui a guardarci come sconosciuti. Come se non fossimo mai stati vicini davvero. Non ti pare?” chiese Maryse sorridendo amaramente. Quella sembrava più una smorfia, in realtà.
-“No, Mare, io ti ho amata.”
-“E’ questo il problema, Robert. Io ti amo ancora. Ma probabilmente ho ancora in testa l’immagine di te nel passato. Saranno cambiate le cose, sarò cambiata io o tu, o sarà cambiato il mondo.”
Simon non si era accorto che la donna stesse piangendo fino a quando un raggio di luce la fece brillare sulla sua guancia smagrita.
Robert si avvicinò per asciugarle le lacrime con un tocco di dita delicato. La donna non si mosse, ma trattenne il respiro e Simon sentì il suo battito accelerare.
-“Mi sono espresso male, Mare, io ti amo. Avevo bisogno di capirlo e adesso ne sono certo.”
Simon pensò che per quanto quelle parole fossero dolci, erano anche profondamente ipocrite ma non lo disse neanche quando il signor Loghtwood lo guardò con disprezzo, quasi.
-“Bello spettacolo, vampiro?”
Maryse gli tirò uno schiaffetto sul braccio attenta a non aggredirlo davvero. Simon si limitò a sorridere e poi scomparire dietro la porta.
 
Clary correva senza sapere correttamente dove andare. Sentiva i passi degli amici dietro di sé, ma vedeva i nuovi occhi verdi di Jonathan impressi dietro le palpebre come se la stessero chiamando. E lei non aveva nessuna intenzione di ribellarsi, li avrebbe seguiti anche se l’avessero condotta in capo al mondo. Raggiunse la pringione con l’affanno, stanca e disperata, ma non sapeva più cosa fare per tenersi stretta il suo fratellone.
Si voltò a cercare gli altri che la rincorrevano cercando di non perdere tutte le armi e vide dietro di loro una figura nera tutta incappucciata fluttuare verso di loro. Per istinti, un brivido le percorse la schiena. Quando i ragazzi la raggiunsero, anche loro si voltarono e subirono la stessa sensazione.
Un fratello silente con le guanche marchiate, le labbra cucite e gli occhi incavati fluttuava sempre più vicino a loro.
-“Cosa ci fa qui?” chiese Isabelle cercando di mantenere un tono meno isterico. Tutti scrollarono le spalle, a parte Clary che si sentì profondamente irritata da quella interruzione. Doveva trovare suo fratello, per l’Angelo!
-“Clarissa.” Tuonò il fratello Silente nella sua voce. Era così spettrale quella figura, ma la sua voce non era poi così terribile. Si nascondevano tra quelle vocali, suoni armonici di un antico violino, consumato e forse abbandonato da troppo tempo, ma che comunque rimane lì come un amore mai dimenticato, di amici troppo presenti nel cuore e troppo impressi nella mente per poter essere lontani, anche solo nel tempo.
-“Mi manda Magnus Bane. Mi ha detto che forse avrei potuto aiutarvi, ragazzi.”
-“E da quando un fratello silente usa parole come ‘ragazzi’?” chiese Isabelle retorica. Si vedeva che la sua presenza oscura le incutesse timore, ma non poteva fare a meno di affrontarlo.
Clary scorse la figura sorridere, per quanto un fratello potesse farlo.
-“Da quando Fratello Zaccaria è entrato nella confraternita.” Sussurrò poi si fece strada nella notte verso la prigione.
E forse per la prima volta in quella sera, il cuore di Clary riprese a battere per la speranza.

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Capitolo 23
*** Alone ***


Author's Corner: e pubblico questo capitolo in un tempo così breve, perchè ho deciso di farvi contenti. E come promesso, sto cercando di allungare la storia, sperando che non risulti eccessivamente noiosa, ma devono succedere ancora tante cose...
Bene, un nuovo capitolo interamente dedicato a Jonathan, che oramai è il protagonista indiscusso della storia, e dopo lo snippet che ha pubblicato Cassie negli ultimi giorni, non potevo rendere il suo personaggio meno suo e più mio. Non so se mi spiego.
Vi presento il mio Jonathan Morgenstern, spero solo che possa essere simile al vostro.
E dopo uno scambio lunghissimo di aggettivi e pronomi possessivi, Buona Lettura.
With love,
-A.

Alone

Buio d’inferno e di notte privata
D’ogne pianeto, sotto povero cielo,
quant’esser può di nuvol tenebrata
Dante – XVI Purgatorio
 
Jonathan si rigirava tra le mani l’anello della sua casata. Quella M incisa sulla parte superiore ruotava un po’ come i suoi pensieri. Era stato chiuso in cella, probabilmente avrebbero buttato la chiave in un pozzo e da lì non sarebbe più uscito. Jonathan pensava che quella fosse esattamente la fine che si era meritato, per la sua vita insulsa condotta come un figlio del demonio. Il che cascava a pennello.
Intorno l’aria puzzava di muffa e di chiuso, nonostante una piccola finestrella, talmente piccola che non ci sarebbe passata una mano, faceva circolare l’aria stanzia. Improvvisamente, Jonathan ricordò che in quelle esatte condizioni aveva lasciato Isabelle a marcire per cinque lunghi giorni. Strinse gli occhi, ma ciò non bastò a farlo sentire meglio, anzi peggiorò la situazione. Tornarono in mente parole, suoni, rumori e singhiozzi di Isabelle che lo implorava di smetterla, lo implorava di lasciarla stare, di non toccarla, di lasciarla andare a casa. Non lo aveva fatto, Jonathan, perché tra il pensare di essere un mostro ed esserlo veramente c’è una linea sottile, così fragile che nel tempo di un battito si supera. E la convinzione era così forte che tutto il resto era svanito. Era il Bruto shakespeariano nelle mani della sua stessa immaginazione, manipolato dalle sue fantasie, schiavo di tutto ciò che il padre lo aveva fatto diventare.
Era perso nella sua selva, Jonathan, ma non c’era nessuna guida, nessuna voce a portarlo fuori. Perché la sua vita gli aveva insegnato una cosa, ed era l’unica che aveva apprezzato per buona, ovvero che al mondo si è soli. Si nasce soli, si muore soli. Tutto intorno a lui una nube grigia di finte speranze e sogni troppo lontani che lo avevano reso cieco, troppo per guardare il mondo e compiacersene.
In lontananza un rumore lo distolse dai suoi pensieri, ma poi non sentì più niente. Probabilmente le guardie, che non si erano risparmiate un bel discorsetto a suon di pugni, stavano tornando indietro. Forse. Ma chi si presentò di fronte al cancelletto della sua cella, era troppo scuro per essere una guardia, e sinceramente troppo inaspettato per potergli rivolgere davvero una domanda.
-“Sapevo che ti avrei trovato qui.” Jonathan fu percorso da un brivido quando la voce del Fratello Silente tuonò nella sua testa. Era così sconvolgente come si insinuassero nella parte più segreta di te, e la rivoltassero come un calzino. Jonathan non ne aveva mai visto uno così da vicino, o per lo meno non che ricordasse a parte la cerimonia della prima runa. Sapeva ciò che c’era da sapere dalle informazioni che aveva ricavato dalla lettura del Codice.
Jonathan non rispose, sconvolto ancora da quell’intrusione così provata e così rasserenatrice.
-“A cosa pensi, giovane Morgenstern?” chiese ancora. Eppure quella non sembra una domanda da prassi, da copione. Il fratello voleva davvero conoscere la risposta, come se in tutta la sua vita non si fosse preoccupato d’altro che avere cura delle altre persone, tratterle sempre con gentilezza.
Nello stesso istante lo raggiunse la convinzione che lui, tutta quella gentilezza, non se la meritava davvero.
Pensava al tutto e al niente, Jonathan, sorprendendosi a non pensare a niente ma essere preoccupato da molte cose. Pensava che rimanere lì dentro, in quella cella, lo deprimeva, lo isolava e lo rendeva colpevole di peccati che lui non aveva commesso, non liberamente almeno; ma allo stesso tempo non poteva pensare che per un reietto fosse possibile vivere altrove.
Il Fratello Silente calò il cappuccio dalla testa. Sebbene Jonathan non fosse preparato a vedere un viso tanto giovane deturpato dai marchi, non si sorprese. Apprezzava la loro buona volontà. I Fratelli dedicavano la loro vita al silenzio, senza musica, senza parole di troppo. Jonathan non poteva capire come fosse possibile non sentire l’istinto di mettere in musica sensazioni, parole ed emozioni. Si ritrovò a pensare al suo pianoforte, quello che il padre gli aveva imposto di imparare a suonare, e nonostante tutto ci si era sempre rispecchiato. Un susseguirsi di tasti bianchi e neri, come i momenti della sua vita. Forse più neri che bianchi, ma comunque questioni di punti di vista.
-“Esce di mano a lui che vagheggia/prima che sia, a guisa di fanciulla/che piangendo e ridendo pargoleggia,/ l’anima semplicetta che sa nulla,/ salvo che, mossa da un lieto fattore,/volentier torna a ciò che la trastulla.” –Jonathan guardò il fratello, che non scompose e anche se fosse privo di occhi, Jonathan riuscì a percepirlo mirati dritti nei suoi, come due fari, due ormeggi in un mare in tempesta –“Di picciol bene in pria sente sapore;/quivi s’inganna, e dietro ad esso corre,/ se guida o fren non torce suo amore.” Recitò alla fine. Sapeva a memoria alcune terzine della Commedia di Dante, ma questa era quella che si ricordava meglio, perché in qualche modo si sentiva privo di quell’anima plasmata da Dio e destinata al bene, in un modo o nell’altra.
-“Pensavi a questo?” chiese e dietro le sue parole Jonathan sentì un sorriso, come se il fratello volesse ridere. In realtà, era risaputo che i Fratelli non sapessero più ridere, perché i loro sentimenti e le loro sensazioni venivano attutite da tutt’altro come l’amore per la sapienza e robe varie.
-“Non capisce perché?”
-“Immagino che sia un gesto di autocommiserazione.”
E sì, quella era proprio una voce che lo stava provocando. O il fratello Silente era impazzito oppure non aveva la minima idea di chi aveva di fronte. Un’altra ipotesi si ramificò nel suo cervello, che decise di scartare. Mica i fratelli ricordavano sensazioni del passato, o no? E se il fratello avesse sempre avuto a che fare con gente a cui piaceva drammatizzare e diventare da carnefici vittime?
-“Non è autocommiserazione. Io la definisco analisi dell’esistenza.”
-“Hai diciotto anni e non puoi permetterti di analizzare la tua esistenza, perché hai vissuto troppo poco per dire di aver vissuto davvero.”
-“Il problema è il contrario, sa? Io non ho mai vissuto.” Ed era così semplice confessare quelle parole, che per un attimo Jonathan si chiese se fossero vere. E lo erano.
-“Il tuo cuore batte, Jonathan, certo che vivi.” La sua voce era così profonda e nello stesso tempo melodica che Jonathan si chiese, se fosse stato cantante o musicista nella sua vita precedente, e se questo gli mancasse. Se gli mancasse essere chi era, domanda a cui Jonathan non avrebbe mai saputo rispondere.
-“No, io non ho un cuore. E non ho neanche un anima. Credo che Dante si sbagliava a dire che la nostra anima è innocente, che noi siamo nati per fare il bene. Nessuno ha mai incontrato un dio, e nessuno ha mai visto un angelo per poter dire che esistono, e guardando me nessuno può dire che il bene esiste davvero.” Jonathan pensò a Clary e Jace, che in fondo, erano quasi degli angeli e che loro erano riusciti a creare un mondo tutto per loro, e per il loro amore. Un mondo destinato al bene, forse.
-“Sai cosa diceva Dante, poi? Che siamo noi che macchiamo la nostra anima,  facendo le scelte sbagliate, comportandoci in modo inopportuno. Ma, dove collocava Dante i negligenti? Rispondimi, Jonathan.”
Il ragazzo lo guardò chiedendosi se quello fosse un interrogazione oppure un interrogatorio.
-“Nel Purgatorio.”
-“Già, perché anche per loro è possibile un percorso di redensione. Non siamo tutti buoni, o necessariamente cattivi.”
-“Io non so amare.”
-“Non è vero, sai anche tu che non è vero.” Jonathan lo guardò rendendosi conto che tutta quella conversazione non stesse portando da nessuna parte. E’ vero, voleva bene a Clary, ma lei era sua sorella.
-“E non importa che lei sia tua sorella, non c’è differenza nell’amore.”
Ah, già il Fratello legge nella mente.
-“E lei come lo sa?” chiese guardandolo in tralice. Non era in vena di prendere direttive morali, da nessuno. Tantomeno da un fratello silente che sembrava avere la sua stessa età.
-“Io ho amato due persone nello stesso momento e con la stessa intensità.”
-“Non è possibile amare due persone allo stesso modo, figuriamoci nello stesso momento.” Disse Jonathan sprezzante. Lo stava prendendo in giro. Assodato.
-“Oh, Jonathan. Ti sorprenderesti a scoprire quanto è grande e profonda la nostra anima.”
-“Loro lo ricambiavano? Il suo amore intendo.” E perché gli stesse chiedendo tutte quelle cose Jonathan non avrebbe saputo dirlo.
-“Non gliel’ho mai chiesto.” Sussurrò dolcemente nella sua testa. Jonathan preferì non chiedere altro perché nella sua voce, tra quelle parole, si nascondeva una malinconia irreale che Jonathan non avrebbe saputo riconoscere e che se non fosse già abbastanza oscura la sua vita, non avrebbe mai voluto provare.
-“Non sarebbe dovuto venire da solo, qui sotto. Le guardie stanno per tornare.”
Il fratello silente ridacchiò sonoramente nella sua testa, delicato ed elegante come Jonathan aveva imparato che fosse.
-“Oh, ma io non sono solo.”
E poi una testolina china dagli accesi capelli rossi, comparve dal nulla dietro di lui. Jonathan fu sul punto di ritirare tutto ciò che aveva detto, tutto ciò che stava pensando. Cosa ci faceva lì? Oddio, e se le guardie fossero tornate…
I loro occhi si incontrarono, e per un attimo una calma insolita si sparse per tutto il colpo. Jonathan si alzò e si avvicinò alle sbarre lentamente, come se i suoi piedi fossero immersi nel fango e lui facesse fatica ad avvicinarsi. Non era forse paradossale avere poco tempo e desiderare di averne all’infinito?
Jonathan strinse le dita intorno alla sbarre, incurante del calore provocato dalle rune incise sul ferro. Impossibile staccare gli occhi da quelli della sua sorellina.
-“Parabatai, ricordi?”
Jonathan non sorrise, anzi si rivolse al fratello silente che annuì in modo impercettibile, il cuore prese a battergli all’impazzata, forse sarebbe esploso Chissà, può darsi che Jonathan un cuore ce l’avesse davvero.
 

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Capitolo 24
*** Dance me to the end of love ***


Author's Corner : Attenzione!! Sono presenti spoiler per chi non avesse letto ‘Le origini – La principessa’.
Eeeeh già. Vi ricordate fratello Zaccaria? E come potersi dimenticare di lui? Dunque, per questo capitolo unico punto di vista, e indovinate un po’, sarà proprio del fratello silente iosonoilpiùfigodelmondo Zaccaria, questo perché Cassie non dedica a lui il minimo spazio in nessuno dei libri. I’m so sad.
Si avvicina la fine, siete pronti?
Enjoy the readings!
With love,
-A.
 

Dance me to the end of love

 
Dance me to your beauty
with a burning violin
dance me through the panic
’til I’m gathered safely in
lift me like an olive branch
and be my homeward dove
dance me to the end of love
Leonard Cohen
 
Dal suo canto, Fratello Zaccaria pensava che quell’unione fosse la più sbagliata di sempre. Ma chi era lui per dire che Jonathan era stato troppo malvagio per meritarsi l’ingenuità di Clarissa? Nessuno, appunto.
Non voleva neanche scendere lì sotto quando Magnus gli aveva detto di aiutare ‘quel povero figlio di nessuno’, che soffriva come ‘un licantropo in piena tutto  eclissi lunare’. E Fratello Zaccaria che in un’altra vita avrebbe gentilmente declinato l’invito, aveva scavato nei ricordi di Magnus e gli aveva fatto capire che gli doveva un favore. Favore che, con ogni probabilità, Magnus non avrebbe restituito se non altro perché il Fratello Silente doveva essenzialmente a quello stregone dai profondi occhi gialli.
Il Fratello si spostò silenziosamente verso i due fratelli e fece scorrere la mano sulle grate del cancelletto, che si allentarono permettendo a Clary di attraversarle e avvicinarsi a Jonathan. Era strano il ragazzo biondo, così profondamente turbato al pensiero di esserle vicino eppure in un modo così tenero da pensare che fosse solamente preoccupato di poterla contagiare con la sua meschinità.
 Quante cose dovevano scoprire quei ragazzi! Il male non si passa come un raffreddore, ma si radica dentro l’anima, nel profondo, rivoltandola fino a quando non rimane più niente di buono. Tutto marcio, tutto maledetto. Oh, Jonathan che somigliava tanto a William, che in un'altra vita, anni prima, aveva pensato, come lui, di essere sbagliato e in qualche modo colpevole delle sofferenze degli altri. E poi non si era mai convinto del fatto che la sua anima fosse la più pura di sempre, preservata da tutto ciò che di nocivo c’è in terra perché William di cose sbagliate, e anche sconce, ne aveva fatte parecchie ma mai con l’intenzione di nuocere agli altri, più che altro rovinare se stesso. E anche Jonathan era così tremendante melodrammatico, convinto che il male del mondo fosse nato il suo stesso giorno di diciotto anni prima, e allora faceva in modo di essere più cattivo del male in una perversa battaglia di ‘vinca il migliore’.
Attraversando anche lui la cella, Fratello Zaccaria accese una stregaluce per far entrare un po’ di luce nella stanza.
-“Dobbiamo aspettare gli altri o possiamo cominciare?” chiese riscuotendoli. Non sapeva se la sua voce fosse cambiata, lui la sentiva sempre uguale, con il solito accento orientale che non se ne sarebbe mai andato, come le note che gli scorrevano nel sangue come se fossero globuli rossi se non altro perché sarebbe stato come morire. E Fratello Zaccaria aveva visto la morte troppo da vicino, per immaginare di incontrarla di nuovo.
-“Sono i tuoi amici, Clary, forse dovresti decidere tu.” Stava dicendo Jonathan alla sorella. Clary era pensierosa benché sollevata. Avrebbe sicuramente desiderato che Jonathan Herondale fosse con lei, ma d’altraparte quella era una situazione piuttosto intima. E benché fossero passati anni, Fratello Zaccaria sentì la sua runa parabatai risvegliarsi e ricordargli che sì era una situazione intima, ma soprattutto eterna.
-“Arriveranno presto. Si stanno solo assicurando che nessuno torni prima che tutto sia concluso.” Risuonò la sua voce nelle loro teste. Era convinto che prima o poi tutte quelle cuciture sarebbero scomparse e lui sarebbe ritornato a vedere il mondo, sentirne il suono e percepire tutte quelle sensazioni ora obliviate. Si era chiesto più volte se avesse preso la giusta decisione, e si era risposto che arrivati ad un certo punto si deve essere coraggiosi in scelte che sembrano inappropriate. Dopotutto per un artista vivere senza i colori e la musica era inconcepibile, ma almeno non era morto.
Magra consolazione, Jem Carstairs! Pensò tra sé.
Intanto in lontananza passi veloci si facevano sempre più vicini. Fratello Zaccaria poteva distinguerne i pensieri, ma volontariamente decise di lasciarli volare lontano da lui. Quei ragazzi pensavano a così tante cose nello stesso momento, che gli sarebbe scoppiato un gran mal di testa solo a pensarci.
-“Clary!” gridò Jace correndo ad abbracciarla. La ragazza affondò il viso nel suo petto quasi ad assaporarne l’odore. Poi si distanziarono e in quel momento i fratelli Lightwood con l’espressione più tetra del solito fecero il loro ingresso nella stanza che improvvisamente divenne piuttosto piccola.
-“Siamo al gran completo, noto.” Disse il Fratello voltandosi di nuovo verso Jonathan, teso come una corda del suo violino, visibilmente pallido specialmente nell’incontrare l’occhiataccia della giovane Lightwood.
Tutti per un momento restarono in attesa di parole di scusa, che Jonathan non riusciva a trovare, ma neanche Isabelle diede di matto.
-“Bene, cominciamo.” Ed era davvero strano che dovesse essere proprio un Fratello Silente a rompere il silenzio.
I ragazzi si guardarono per un lungo istante poi entrambi estrassero uno stilo e un pugnale. Zaccaria cercò in tutti i modi di non tornare a più di un secolo prima quando anche lui di fronte ad un Consiglio giurò fedeltà assoluta nei confronti del suo migliore amico. Del suo fratello di sangue. Della parte migliore della sua anima. Strinse fortissimo i pugni dentro alle larghe maniche del saio.
-“Alexander, vuoi spiegare ai nostri amici in cosa consiste il legame parabatai?” gli chiese. Alec si riscosse lentamente dal suo stato di trans, in cui ultimamente cadeva spesso, e annuì serio. Non si rivolse a Jonathan, ma guardò per tutto il tempo Jace che d’altro canto ricambiava il suo sguardo quasi anelando agli occhi azzurri dell’amico.
-“Giurerete di rinunciare alla propria vita per l’altro, di andare dove va l’altro nonché di essere sepolti dove verrà sepolto l’altro. Sarete in grado di attingere alla forza del vostro parabatai, dopo che vi inciderete a vicenda i marchi. Avvertirete la forza vitale dell’altro ed è per questo che dovrete stare sempre vicini. Più vi allontanate, più la corda che lega le vostre anime si sfilaccia. Sarete parabati fino alla morte.” E l’ultima sembrava un nuovo giuramento, come se Alec lo avesse ribadito al cospetto di Jace, quasi a ricordarglielo. Jonathan deglutì sonoramente. Isabelle scoccò la lingua visibilmente scocciata, mentre Jace trascinava lontano dai due fratelli Alec. Zaccaria allora, fece avvicinare i due ragazzi al centro disegnando un cerchio intorno a loro, che al suo comando prese fuoco. In un primo momento i ragazzi si spaventarono, poi si rilassarono leggermente. Le fiamme assunsero un colore simile al grigio antracite.
-“Adesso passate il coltello sul pallo delle vostre mani.” Ordinò perentorio il Fratello Silente. I ragazzi, senza alcuna esitazione, stesero le dita e passarono la lama facendo stillare il loro sangue. Quando le gocce raggiunsero il pavimento, le fiamme si sollevarono cambiano di nuovo il colore. Erano più arancioni adesso, come il tramonto. Non emanavano calore, ma energia il che potrebbe sembrare la stessa cosa, ma nessuno si sarebbe mai bruciato con quelle fiamme. Nessuno avrebbe neanche mai osato toccarle, perché sarebbe stato come interrompere ciò che l’Angelo stesse per unire.
-“Porgetevi la mano destre. Il vostro è un patto di sangue. Vi state concedendo anima, corpo, e mente. Siete ancora convinti di voler proseguire?”
Fratello Zaccaria lì guardò stringersi la mano con forza. Poi entrambi sfilarono lo stilo. Annuirono guardandosi negli occhi, mentre tutto taceva. A parte le fiamme che in certi momenti divampavano e poi diminuivano il loro bagliore.
-“Comincia tu, Clarissa.” Disse nella sua mente. Jonathan tese l’interno del suo braccio destro, con la mano che ancora sanguinava e la ragazzina, con i capelli rossi resi più accessi dal colore delle fiamme, iniziò ad incidere la runa parabatai, quella con cui si sarebbero scambiati la loro forza vitale, comprensioni, problemi, e pensieri. Sarebbero stati divisi solo dai loro corpi, ma le anime sarebbero state unite per sempre, anche dopo la morte.
-“Dove andrai tu andrò anche io;
Dove morirai tu, morirò anch’io,
e vi sarò sepolto:
L’Angelo faccia a me questo e
Anche peggio
Se altra cosa che la morte
Mi separerà da te.”
 
Ripeterono a turno il giuramento. E quando anche Jonathan termino il rituale, le fiamme si estinsero. 
Zaccaria li vide sorridere e a loro si aggiunsero anche gli altri ragazzi.
-“Devo dire una cosa.” Sussurrò Jonathan –“Isabelle, devo scusarmi con te anche se non ti è possibile perdonarmi. Io lo capisco. Sono stato un mostro, e lo ero nel vero senso della parola, ma nulla giustifica i miei atti. Quindi… se puoi odia me e non Clary, perché lei non ha colpa.”
La giovane Lightwood lo guardò con occhi ardenti, se avesse potuto probabilmente gli avrebbe infilato un paletto del cuore. Sollevò il mento cercando una risposta.
-“Non sei così importante da meritare il mio rancore, Jonathan.” Disse alla fine. Jonathan sorrise appena e si voltò a guardare l’altro fratello Lightwood.
-“Non sarai importante, ma io ti odio lo stesso. Non ci sperare!” Alec si meritò una gomitata da Jace, che guardava Clary come se avesse solo voglia di portarla via, mentre la ragazzina fissava lo stilo che aveva tra le mani con un velo di imbarazzo sulle guance. Jonathan si avvicinò e le prese il viso tra le mani.
-“Devo parlare con Fratello Zaccaria, un attimo.” Disse in modo che solo Clary potesse sentire, peccato che il Fratello avesse un udito da far invidia ad un gatto.
Clary annuì lentamente e fu bellissimo vedere il modo tranquillo in cui abbassasse le palpebre ricevendo il bacio sulla fronte del fratello, in un gesto semplice e fondamentale. Aspettò che tutti fosero lontani, Jonathan, prima di girarsi e guardarlo.
-“Cosa devi dirmi?” chiese Zaccaria. Jonathan si strinse nelle spalle recuperando lo sguardo beffardo di sempre. In genere, in presenza della sorella, veniva sostituito solo da apprensione e tenerezza.
-“Si è fatto tardi, devo ritornare dai miei confratelli.” Disse sollevando il cappuccio per permettere alle ambre di coprire la sua faccia deturpata dai marchi. Non che lui avesse avuto l’opportunità di guardarsi, ma aveva una vaga idea di come fossero i Fratelli Silenti, solo che non aveva mai capito quanto fosse difficile esserlo. Infilò lentamente la porta e…
-“Grazie” gracchiò il ragazzo alle sue spalle. Zaccaria si fermò e se avesse potuto, avrebbe volentieri sorriso.
-“Per cosa?”
-“Per non avermi permesso di rimanere solo per sempre.”
E quelle parole aveva risvegliato una serie di sensazioni troppo forti da controllare. Lui, che non aveva mai avuto paura della solitudine perché da solo avrebbe potuto comporre, avrebbe potuto sentire meglio la sua musica, la musica del mondo e la musica dell’amore. Jonathan lo ringraziava come se lo avesse salvato.
Se ne andò senza rispondere in un turbinio di stoffe, cercando di non fare rumore.

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Capitolo 25
*** Cadentia Sidera ***


Author's Corner: Non ci credo che siamo arrivati a questo punto. Non riesco a credere neanche di essere riuscita ad aggiornare. Mi dispiace se speravate in una fine migliore, mi dispiace se la storia vi ha deluso, se vi lascerò con l'amaro in bocca o se pensiate che sia necessaria un'altra fine. Vorrei potervi dire che questo è possibile, ma sarebbe una bugia.
Nella parte centrale ho inserito un piccolo aneddoto sulla vita di Simon, mi è stato richiesto e spero di averla accontentata :) Grazie per avermelo fatto notore. Ricordo che c'è un epilogo ancora, e magari tutti avranno il loro lieto fine.
With love,
-A.
 

Cadentia Sidera

 
Spinge egli il ferro nel bel sen di punta
Che vi s’immerge e ‘l sangue avido beve;
e la veste, che d’or vago trapunta
le mammelle stringea tenere e leve,
l’empie d’un caldo fiume.
 
Quando Alec corse fuori per raggiungere la sala dove si era riunito il consiglio del Conclave, un odore di fumo penetrante gli solleticò le narici. Sollevò lo sguardo al di là degli alberi sempreverdi di Alicante, e scorse una strana luce, come di fuoco, che divampava dalla piccola cittadina.
Non è possibile, pensò, arrabbiandosi più di quanto non fosse. Ce l’aveva con Jace e Clary che avevano permesso a Jonathan Morgenstern di diventare uno di loro. Certo, come se fosse possibile.
Ce l’aveva con Isabelle, perché non aveva dimostrato di essere abbastanza infuriata con il maggiore dei Morgenstern. Chissà cosa aveva combinato in lei quel vampiro, dalla faccia da idiota.
E poi ce l’aveva con Magnus. Come diavolo gli era venuto in mente di mandare in loro soccorso il fratello Silente? Non aveva sempre ragione lo stregone, vero? O forse sì?
Comunque, non c’era poi tanto tempo da perdere visto che già avevano speso minuti inutili a consacrare un’unione parabatai piuttosto inconsueta. Alec sentì dietro di lui gli amici che correvano e poi si fermavano paralizzati da quello spettacolo terrificante che stavano mettendo in scena proprio davanti ai loro occhi.
-“Per l’Angelo!” –sbottò Jace –“Come diavolo è possibile? Non sembrava esserci nessun pericolo poca fa!” il biondo non era agitato come suo solito, ma cercava una soluzione. Alec poteva sentire i meccanismi del suo cervello mettersi in funzione dopo giorni di inattività passati a contemplare Clary.
Ad Alec, Clary non piaceva per niente, non perché avesse completamente ammaliato il suo parabatai, ma perché aveva quel guizzo nello sguardo come se fosse sempre pronta a contraddirti. Ed effettivamente, Clary  aveva una particolare tendenza a fare sempre di testa sua, non che questo ad Alec dispiacesse, però se fosse morta per cause innaturali Jace ci avrebbe sofferto parecchio e, considerando gli ultimi periodi della sua vita da Lightwood, sarebbe stato meglio evitare ulteriori guai. Alec ancora non riusciva a credere che suo padre avesse fatto quello che aveva fatto, e che sua madre fosse riuscita a sopportarlo, nonostante tutto. In realtà, Alec non aveva dubbi che fosse una donna straordinariamente forte, ma Alec aveva avuto l’impressione di dover essere sempre presente al suo fianco, come bastone della vecchiaia, per evitare che sua madre inciampasse in ostacoli di vario genere. Certo, questo non implicava il tradimento da parte del padre e tutta la serie di disordini familiari che ne sarebbero seguiti, ma Alec sapeva che in qualche modo ne sarebbero usciti fuori. Prima o poi, senza sapere chi li avrebbe lasciati per sempre.
-“Non hai pensato, Jace, che magari tutta questa cerimonia era solo una scusa per allontanarci dalla città e permettere a Valentine di entrare?”
Alec non aveva pensato a quelle parole, non aveva neanche immaginato di dirle, eppure le aveva sputate fuori con spaventosa calma che si chiese, per un momento, se avesse perso la razionalità. Non si girò a guardare Clary perdere colore in viso, Izzy chiamarlo per nome come a sgridarlo da qualcosa che aveva fatto incosciamente e in cui incosciamente credeva. Sentì solo in lontananza la voce di Jace che lo voltava con forza strattonandolo per un braccio. Lo costrinse a guardarlo negli occhi, senza proferire una parola tanto quello sguardo era loquace.
Era dire mi hai profondamente deluso e ferito, Alexander Gideon Lightwood. Mi hai appena confermato che tra te e quel verme di tuo padre poi non c’è tanta differenza, anche se Alec non considerava un verme suo padre. Solo non avrebbe mai immaginato che nella sua vita si sarebbe mai potuto avere un ricorso storico di una così grande entità. Di una tale delusione che metà basta.
Alec chiuse per un attimo gli occhi azzurri e li riaprì, solo per incontrare quello sguardo colato d’oro che una volta lo aveva osservato con devozione, estrema fiducia e per quello che lui aveva confuso con amore. E forse amore c’era davvero, ma non era quello che Alec intendeva.
Mi dispiace, pensò, non lo penso davvero.
Poi ci fu un gran boato, uno scoppio del cielo. Alec si buttò sulla sorella per impedire che tutto quello che stava piovendo la colpisse. Izzy gli gridò di uscire dai piedi, ma Alec fece finta di non sentire fino a quando tutto quel baccano non finì e intorno a loro ci fu solo un inquietante silenzio.
 
Simon era rinchiuso nel salotto del signor Lightwood, sotto cento chiavi e senza finestre. Pensò che prima o poi l’ossigeno nell’aria sarebbe finito, non che a lui importasse visto che era capace di non morire anche senza ossigeno. Accucciato in un angolo ripensava a tutto ciò che gli era successo negli ultimi periodi. Si chiese come fosse finito in uno sgabuzzino di uno Shadowhunter, a quanto pare fissato conla superiorità dei prescelti Nephilim e come avesse fatto a baciare la figlia di quest’ultimo, uno schianto tra le altre cose, con la particolare capacità di venire meno alle leggi di casa.
Ricordò di come si era precipitato nell’appartamento di Magnus, che non riusciva proprio a fare a meno del lusso, e di come lo avesse supplicato di aiutarlo a trovare suo padre. Non che Simon volesse riconciliarsi col padre, figuriamoci, solo avrebbe voluto conoscere il motivo per cui avesse deciso di abbandonare l’intera famiglia. Voleva chiedergli se gli mancavano i suoi figli, e se per caso avesse nostalgia di casa.
Ovviamente no, stupido, altrimenti sarebbe tornato.
Qualcuno bussò alla porta.
-“E’ chiuso a chiave.” Disse scocciato. Chi poteva essere se non uno dei figli di Robert? Isabelle non entrava in quello studio da quando erano tornati a casa, e se lo avesse fatto, sarebbe entrata senza bussare. Alec … beh si poteva essere Alec, ma con ogn probabilità non era lui considerando che neanche lui avesse tutta questa gran voglia di interloquire con il padre e quindi…
-“Oh, vampiro-Simon, mi dispiace. Secondo te riesco a sfondarla?”
Oh, il giovane, dolcissimo Max Lightwood, amante dei fumetti nonché suo nuovissimo migliore amico.
-“Ehi, piccolo, non conviene che ti faccia male. Io sto bene, comunque.” Scherzò Simon. Gli piaceva parlare con il piccolo Lightwood perché era l’unico che non aveva veri pregiudizi su nessuno, e poi era un gran curiosone che imparava prestissimo e a Simon piaceva raccontargli le storie di Supereroi e il film di Star Trek, che Max non aveva visto perché a quanto pare ad Idris non esistono televisioni.
-“Ti va se parliamo con una porta in mezzo? I miei sono usciti e mi hanno impedito categorimante di seguirli. In realtà, secondo mia madre, io non sarei neanche dovuto uscire dalla mia stanza. Allora io le ho detto E se devo andare in bagno? “ Max e Simon risero insieme.
-“E lei cosa ti ha risposto?” chiese il vampiro.
-“Che se devo andare in bagno, devo aspettare che tornino. E allora le ho detto che se fosse stato urgente, non sarei riuscito a trattenerla e lei mi ha detto che sono impossibile e che la smetterà di farmi leggere i fumetti.”
-“Cooosa?! No, tu devi impedirlo, Max. I fumetti sono importanti… poi inizieremo a guardare i Man-ga giapponesi. A New York è più facile trovarli, ma provvederemo.” Simon si avvicinò alla porta e scivolò fino ad accucciarsi sul pavimento in modo da avere la voce di Max più vicina.
-“Se sei di New York perché sei qui?”
-“Me lo stavo chiedendo anche io.”
Dopo attimi di silenzio, in cui era palese che Ma stesse pensando a come chiedere qualcosa, questi parlò.
-“Simon, mi racconti come sei diventato vampiro?”
-“E’ molto semplice, Max, sono stato morso.”
In realtà, la storia era molto più macabra, ma Simon non avrebbe potuto raccontarla ad un bambino che praticamente era da solo in casa. E se avesse avuto paura?
Ricordò come in un vicolo sperduto di New York, in cui qualche anno prima di era perso mentre cercava suo padre, da poco scappato di casa, un gruppo di vampiri dell’età indecifrabile, lo aveva trascinato in un luogo appartato con la scusa di mostrargli la strada più corta per tornarsene a casa. Simon aveva solo sedici anni, e nessuna esperienza di quel genere. Avrebbe dovuto stare più attento a scuola durante le ore di educazione alla prevenzione stradale, avrebbe voluto in quel momento conoscere almeno qualche mossa di autodifesa per evitare che quattro vampiri si attaccassero alla sua vena, privandolo letteralmente della vita.
-“E’ stato doloroso?”
Sì.
-“Non lo ricordo più, Max. Non parliamo di queste cose, su.”
Poi uno schianto, la casa a fuoco e tutto intorno un fumo troppo denso.
-“Max!” –urlò Simon, che a quel punto aveva già scaraventato la porta dall’altra parte della stanza –“Max!!” lo sentì tossicchiare, ma non riusciva a vederlo bene.
-“Max!! Dove sei? Max, dobbiamo uscire di qui.” Si chinò a strisciare sul pavimento memore del fatto che il fumo sale sul soffitto e quindi conviene sempre buttarsi per terra per evitare che i polmoni si riempissero di fumo. Smise di respirare e cercò tentoni Max, un suo segno di movimento e di vita.
-“Simon?” gracchiò il bambino. Simon si voltò. Aveva gli occhiali spostati sul naso e stringeva ancora il fumetto tra le braccia, come a trovarne conforto.
-“Sei tutto intero, piccolo. Andiamo, prima che qui crolli tutto.”
Si sentì commosso, Simon, nel salvare quel bambino non perché ne avrebbe tratto riconoscimenti, ma perché finalmente c’era qualcosa che avrebbe potuto riempire la sua eternità.
-“Dici che tua mamma acconsentirebbe a lasciarti uscire di casa, in queste condizioni?” chiese il vampiro. Max lo abbracciò teneramente, tossicchiando e ridendo insieme.
 
Clary aveva comiciato a corre veloce. Doveva raggiungere il centro di Alicante. Era una scena orribile vedere tutti quei mostri e demoni che varcavano la soglia della città di vetro senza ostacoli. Come aveva fatto Valentine? Quella era magia oscura. Quale demone aveva evocato? Forse Magnus aveva la risposta, ma era pressocchè inutile domandersi proprio in quel momento. Dovevano tutti imbracciare le armi e correre a sconfiggere quegli esseri dannati, mentre qualcuno cercava di ripristinare le barriere di sicurezza.
Correva a rotta di collo, Clary, anche per scappare dalle parole di Alec. E se fossero state vere? No, non era possibile, lei lo avrebbe capito. Jonathan lo avrebbe fatto capire quanto meno a lei. Non era più cattivo, e forse non lo era mai stato.
Raggiunse la fontana e girò l’angolo trovandosi davanti la fine del mondo. I cacciatori cercavano di respingere l’avanzata nemica, ma era impossibile. Il loro numero era di gran lunga superiore rispetto ai Nephilim e tutto quello che stava succedendo era troppo difficile da concepire. Era come essere colpiti al centro dell’orgoglio con un ordigno esplosivo improvvisato.
Forse Clary avrebbe potuto creare una runa per ridimensionare il buco tra le lastre di Adamas, forse. Ma non aveva tempo. Estrasse le spade angeliche e si buttò nella mischia. Avrebbe desiderato che Jace e Jonathan fossero al suo fianco, ma anche loro probabilmente avevano il loro da farsi. Raggiunse il centro della mischia, Clary, dove si concentravano i migliori Cacciatori che avesse mai visto combattere. Sua madre però non c’era. Per un istante si fermò a pensare dove altro potesse essere se non a combattere, a fare la cosa che le veniva meglio dopo dipingere e si ritrovò a tremare dal terrore: Valentine. E se l’avesse presa?
Riprese a correre scontrandosi contro demoni e cacciatori che non si curavano di lei, concentrati e scioccati allo stesso momento. Corse fino a ritrovarsi dall’altra parte della radure, lontana dal fragore di spade che si incontrano, dalle grida di battaglia. Sentì altr voci provenire dalla radura e per un po’ rallentò l’andatura.
-“Bene, bene, bene” –voce ghiacciante, gelida e penetrante. Il peggiore degli incubi. –“ e così, Lucian Greymark si è nascosto proprio sotto il mio naso.”
Clary sentì Luke ringhiare arrabbiato, a metà tra un uomo e un lupo. Cercò una soluzione rapida, ma non trovò altra soluzione che buttarsi tra Luke e suo padre. Ci pensò un altro po’.
-“Sono sopravvissuto per sconfiggerti di nuovo, miserabile.” Disse Luke. Clary cercò sua madre e la trovò priva di sensi per terra. Avrebbe voluto raggiungerla, ma per farlo, avrebbe dovuto attraversare il luogo in cui Luke sfidava Valentine.
Valentine rise.
Era incredibile l’odio che covavano l’uno per l’altro. Clary si chiese come fosse possibile visto che la loro unione era stata benedetta dall’Angelo.
-“Non sei degno del mio tempo, cane.”
A quel punto Luke gli saltò addosso rotolarono sull’erba in una confusione di calci e pugni. Clary non riusciva a capire chi colpire e come farlo. Erano troppo desiderosi di uccidersi a vicenda, Luke perché Valentine gli aveva strappato dalle braccia la donna che amava e Valentine… beh perché lui odiava tutti. Ad un certo punto, Valentine riuscì a sedersi sopra le gambe di Luke che cercava di dimenarsi, ancora incapace di trasformarsi completamente. Lo mitragliò di pugni sulle costole e in faccia, mentre Luke guaiva e grugniva dal dolore. Clary non riusciva più a sopportarlo. Al che la ragazzina si fiondò contro il padre, lasciandolo basito per un secondo. Si schierò tra l’elsa di argento del pugnale dei Morgenstern e il lupo ferito, che chiedeva a Clary di sparire da lì.
-“Clarissa, spostati. Poi passerò a te, se senti la necessità di batterti con me.”
Clary sputò la bile sulle scarpe del padre, mentre con di sfuggita sua madre si sollevava.
-“Come hai fatto a rompere le barriere della città?”
-“E’ magia nera, figlia mia, cose che voi non potete capire.”
-“Perché ti servi dei nascosti solo per ucciderli? Che senso ha convocarli per radunarli a morte?” Clary non riusciva a capire da dove le derivasse quel coraggio, ma la runa parabatai scottava come un carbone ardente sulla sua pelle. Clary si chiese se fosse normale, se Jonathan stesse soffrendo oppure se fosse troppo vicino. Lo sperò con tutta se stessa.
-“Tu non puoi capire. Nessuno può farlo! Io l’ho fatto per migliorare la razza dei Nephilim. Noi siamo i prescelti dell’Angelo e non possiamo permettere di miscere il nostro sangue con quello dei figli del demonio.”
Clary lo guardò con sfida.
-“Clarissa, io non mi faccio problemi ad uccidere anche te.”
-“Certo, è per il bene superiore. Per il miglioramento della razza dei figli dell’Angelo, giusto?” –disse sprezzante, Clary –“ Sai che ti dico? Che se dovessero esistere altri Nephilim come te, se un giorno tutti fossero come te, io preferisco rinunciare ai marchi. Preferirei che gli Shadowhunters si estinguessero piuttosto che rischiare il tuo piano geniale.”
Passarono minuti, forse ore, prima che Valentine estraesse un’altra spada e ne controllasse la lama affilata sulla sua mano. Clary deglutì, ma si piegò sulle ginocchia pronta a combattere pe se stessa, per Luke, per sua mamma, per tutti i Nephilm del mondo se fosse stato necessario. Tutta quella pagliacciata sarebbe dovuta finire ad esso.
-“Ho inventato una runa” – mentì –“ per chiudere il varco che hai aperto tra le mura della città di vetro.”
Un guizzo di dubbio passò per gli occhi del padre, glaciali come al solito.
-“Tu menti.”
-“Mai stata tanto sincera. Dopotutto, non era per questo che mi cercavi? Avevi paura che io scoprissi il tuo punt debole. Beh, l’ho trovato papà.” Era bellissimo averlo pugno.
-“E’ impossibile.”
-“No, sai… in realtà è piuttosto semplice. Basta chiudere gli occhi, pensare allo scopo e bum arriva la runa.”
Non era proprio così. Non era Clary a cercare le rune, ma loro a cercare lei. Ma questo Valentine non poteva saperlo, perché Clary non glielo aveva mai detto.
-“Sai, devo anche ringraziarti. Sei tu che mi hai permesso di avere questo… dono, no? A Jonathan la maledizione e a me questa specialità.” Clary rise ancora una volta senza allegria.
-“Piantala con queste stupidaggini! L’unico modo per impedire che tutto questo continui è uccidere…”
-“Te. Sì, questo l’avevo capito. Beh, allora che aspettiamo?” Clary si ritrasse giusto il tempo per afferrare la sua spada, ma un secondo più tardi il padre sollevò il suo pugnale e…
Rimase fermo con occhi sgranati in una domanda muta di Perché? Clary guardò l’arma cadere per terra, mentre la madra gridava il suo nome e Luke iniziava a recuperare le forze. Valentine cadde all’indietro scoprendo la figura di suo fratello che si fissava le mani come se non capisse neanche lui cosa fosse successo. Suo padre gli cadde tra le braccia mentre un gorgoglio di sangue iniziava a salirgli su per la gola facendolo tossicchiare di continuo. L’elsa gli aveva perforato la pleura e sarebbe morto nel giro di pochi secondi.
-“Cosa ho fatto?” si chiese Jonathan, che respirava a fatica quasi come il padre. Tutto il mondo era fermo a guardare quella scena. I demoni che punteggiavano il cielo esplosero e divennero cenere che iniziò a cadere come coriandoli tutto intorno. Un odore forte di morte e bruciato. Si chiese come stessero tutti gli altri, se fossero vivi o morti per colpa di suo padre.
Aggirò il corpo del padre e si avvicinò al fratello.
-“Mi avrebbe ucciso.” Sussurrò appena. Jonathan era ancora sconvolto, ma sollevò lo sguardo di smeraldo simile al suo, su di lei. Sembrava un bambino spaventato Jonathan, e se fosse mai stato in grado di piangere, probabilmente lo avrebbe fatto. Invece, i suoi occhi rimasero asciutti.
-“L’ho ucciso.”
Clary annuì debolmente. Jocelyn raggiungeva Luke e lo aiutava a sollevarsi, mantenendo lo sguardo su di loro. La Cacciatrice piangeva chissà poi se di gioia o di disperazione.
-“E’ finita?” chiese Jonathan, forse più a se stesso che alla sorella.
 Confermò Clary abbracciando il suo parabatai e sospirando sul suo collo. Non si sorprese a sentirsi stretta dalle braccia forti del fratello, colpevoli di un giusto parricidio.
-“E’ finita.” Disse Jonathan al suo orecchio.

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Capitolo 26
*** Epilogo ***


Epilogo

 
Qualche mese dopo …

 
Jonathan entrò da Taki’s con le mani in tasca. Non aveva mai vissuto in città prima di allora, e ancora si doveva abituare al frastuono continuo e al caos incessante. D’altra parte, da quello che aveva appresso, New York City era la città che non dorme mai. Un cielo grigio e fastidioso accompagnava il rumore di taxi gialli e americani super stressati dalla mattina al tramonto, quando il sole scompariva dietro i palazzi e nessun colore arancione era visibile tra i grattacieli. Ad Idris invece, il panorama era sempre avvincente ecosì diverso da lì, che per qualche istante, Jonathan aveva pensato che Idris rappresentava la sua vita onirica, quella che aveva vissuto dentro un sogno, e per certi versi dentro a un incubo.
Stava ancora camminando quando un tipo vestito in modo strano aveva riconosciuto le sue rune. Jonathan si era guardato intorno e nessuno sembrava essersi accorto dei due. L’aveva scrutato bene e aveva notato che sotto il New Era si nascondevano due orecchie a punta.
Era facile incontrare nascosti per New York. Se solo Valentine l’avesse saputo, avrebbe evitato di andarli a cercare per tutta l’Europa.
Ma Valentine è morto.
L’hai ucciso tu.
Ed eccolo di nuovo a ricascare in circoli mentali che non lo lasciavano in pace. Non aveva parlato a nessuno del suo senso di colpa, perché probabilmente nessuno avrebbe capito. Tutti lo avrebbero preso per pazzo, solo perché voleva bene, o qualcosa di simile, ad un pazzo, suo padre nella fattispecie.
Clary aveva capito che c’era qualcosa che lo turbava, ma non aveva fatto domande insistenti sapendo che Jonathan non avrebbe mai risposto.
Il campanello avvisò i presenti che qualcuno aveva aperto la porta, ma nessuno se ne curò, perché nella Grande Mele, Jonathan era uno dei tanti. Uno come un altro e nessuno avrebbe potuto guardarlo con occhio accusatore e ricordargli ‘tu hai ucciso tuo padre’, perché nessuno nella New York del 2007 avrebbe mai potuto sapere che al mondo i figli dell’angelo ripristinavano il bene nel mondo, quando demoni e Shadowhunters oscuri lo perturbavano.
E siccome New York è una città che ti entra dentro, ma che ti lascia solo, non avrebbe mai voluto sapere nulla della tua vita. Aveva già i suoi momentacci a cui badare, New York, che con immensa ospitalità ti accoglieva e con altrettanta clemenza ti lasciava andare.
Clary sollevò lo sguardo al suo ingresso e Jonathan alzò una mano in segno di saluto. I capelli ricci della sorella si mossero quando spinse Jace più a sinistra per lasciare a Jonathan lo spazio di sedersi. Non si sarebbe seduto.
Dall’altra parte del tavolo, un Alec annoiato girava e rigirava un cucchiaino nella tazzina di tè davanti a lui. Aveva l’aria di uno che c’è, ma non vorrebbe esserci. Lo shadowhunter, che con la balestra ci sapeva fare parecchio, non lo degnò neanche di uno sguardo. Jonathan non riuscì a capire se non lo avesse notato o avesse fatto volontariamente finta di non vederlo entrare. Portava ancora rancore per ciò che aveva fatto a sua sorella. Anche Jonathan si odiava per questo.
-“Ti fermi a bere qualcosa?” chiese il vampiro. Lo conosceva da poco, ma non lo trovava del tutto spiacevole. Stava con Isabelle da un po’, anche se la loro storia non aveva dei risvolti così interessanti. I due sembravano piacersi, ma nessuno aveva la reale intenzione di farsi avanti e così pensano ogni giorno di vedersi ‘giusto per stare un po’ insieme’, ma non stanno insieme in quel senso, gli aveva detto Clary quando lui non lo aveva chiesto. Clary lo aveva saputo da Isabelle che a sua volta avrebbe voluto chiederlo a Simon, visto che a quella conclusione ci era arrivata da sola.
-“Hai la faccia di uno che mi ha appena visto nudo.” Disse Jace. Jonathan si voltò a guardarlo accigliato. Il suo egocentrismo era talmente grande da spostare l’asse terrestre di almeno un paio di metri.
-“Come scusa?”
-“Sei meravigliato.”
-“Ah, perché quando uno ti vede nudo si meraviglia?” chiese Clary che aveva assunto la stessa espressione di suo fratello. Alec che si era ridestato dai suoi pensieri, fissava Jonathan con un’espressione tra l’arrabbiato e l’indifferente, che messi insieme hanno la capacità di mettere a disagio.
-“Dovresti saperlo, Clary.” Disse Jace ammiccando. Jonathan alzò gli occhi al cielo. Avrebbe pure potuto sbattergli la testa sul tavolo, ma si limitò a scuotere il capo più volte.
Anche Alec grugnì di disapprovazione e si stiracchiò.
-“Bene è arrivato il momento di andare.”
-“Da Magnus?” chiesero in coro gli amici. Jonathan si limitò a trattenere un sorriso. Alec arrossì velocemente e poi si schiarì la gola.
-“E anche se fosse?” chiese stizzito.
-“Avresti potuto chiedergli di venire.” Isabelle srollò le spalle con non curanza. Le sue lunghe gambe fasciate in un paio di jeans neri erano comodamente distese su quelle del povero Simon, che forse di povero non aveva niente, visto che sembrava essere al settimo cielo già solo a guardarla.
-“Non sarebbe venuto in questo posto.” Rispose Alec infilandosi la giacca nera. Dal taschino fuoriuscì il suo stilo. Il ragazzo si premurò di inserirlo nella fodera.
-“Non gliel’hai chiesto. Magari gli sarebbe piaciuto.” Constatò Clary, che ancora guardava suo fratello per accertarsi che stesse bene. Da quando si erano incisi la runa parabatai a vicenda, le sue emozioni si erano amplificate e per quanto odiasse essere così vulnerabile, gli faceva piacere sapere che almeno Clary fosse felice.
-“Magari no.”
Da quello che Clary gli aveva rivelato, e forse erano solo voci di corridoio all’istituto, Magnus aveva aiutato l’Inquisitore a sconfiggere Valentine in battaglia, solo ed esclusivamente perché l’intera famiglia Lightwood fosse trasferita a New York. Robert non aveva seguito la famiglia, perché Isabelle aveva detto di non essere ancora pronta a vederlo in casa. Maryse, nonostante fosse ancora visibilmente attaccata al marito, doveva ancora superare la questione del tradimento, e accettò le condizioni della figlia. Alec forse, era rimasto turbato dal comportamento del padre, perché aveva sempre creduto che i Lightwood tenessero alla famiglia più di ogni altra cosa, ma adesso aveva trovato la valvola di sfogo in Magnus, e per il momento anche loro sembravano passare da una condizione di amore eterno, a una di amore prettamente adolescenziale. D’altra parte checché Alec si ostinasse, rimaneva un diciottenne appena, mentre Magnus contava un centinario d’anni per dita.
-“Sarà per la prossima volta. Salutamelo, e digli che per quanto si ostini a contraddirmi, rimango più affascinante io. Sono un Herondale, dopotutto. Lui mi aveva detto di conoscerne degli altri e perciò dovrebbe capirmi.” Jace portò una mano sul fianco di Clary e l’avvicinò a sé. La ragazza si fece manovrare come un bambola, e poi posò la testa sulla sua spalla.
-“Ma finiscila!” lo ammonì Izzy mentre riportava lo sguardo su Simon.
E così in piedi davanti ai suoi nuovi ‘amici’, non importava se la sua selva di Saron fosse ancora maledetta, e vagasse ancora il fantasma del padre. Non importava più.
C’era sua sorella, la sua parabatai e c’erano i suoi amici, che non aveva mai avuto prima di allora, ma che lo avevano accolto lo stesso, che in qualche modo lo facevano sentire accettato.
Lo avevano accettato con gli occhi verdi e lo avrebbero accettato con gli occhi neri, forse, perché lo avrebbero aiutato a cambiare.
 

E dopo 57.469 parole, la storia è giunta al termine.
Io sono davvero davvero davvero molto debitrice a tutti i lettori che mi hanno seguito, da ottobre fino ad ora, avete avuto una costanza incredibile a continuare a leggere questa storia surreale, è vero, ma che mi ha aiutata ad aspettare CoHF. E adesso che mancano solo pochi giorni alla fine di una saga che mi ha strappato il cuore, decido di porre fine anche alla mia prima FF.
E' passato tanto tempo, e io vi ringrazio tutti per le recensioni e per averla letta semplicemente.
Non so se la storia vi abbia deluso, forse l'epilogo lo farà, ma non ho trovato una fine migliore. Che poi di fine non si può parlare, perchè i personaggi vivono sempre.
With all the love I can feel,
-A. P.S. Vi ricordo anche per l'ultima volta di passare a trovare me e la mia parabatai su questa pagina Cherik . Non c'entra niente con Shadowhunters, ma il fandom é un unico regno, no? Grazie infinite per tutto.

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