Redemption

di Miss Yuri
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** To Die ***
Capitolo 2: *** To Be Born ***
Capitolo 3: *** To Live ***



Capitolo 1
*** To Die ***


Redemption
 

1. To Die 




- Well, this is goodbye. -


 
Non la aveva dimenticata, mai e poi mai lo avrebbe fatto. Lo aveva promesso, glielo aveva promesso, che avrebbe vegliato su di lei, su quella bambina che aveva conosciuto l’orrore della morte, il tradimento di un padre terribilmente pazzo e la desolante mancanza della figura di un genitore in un'età che dovrebbe essere fatta solo di sorrisi e giochi, tutte esperienze terribili, a cui nessun bambino dovrebbe mai andare incontro.
 
Aya… sei ancora quella bambina?
 
I capelli fradici e ormai corti le si erano appiccicati alle guance arrossate. Un vestitino di cotone fasciava il suo corpo minuto, quello di una bellissima adolescente, di un fiore che sta per sbocciare nel pieno della primavera della vita. Le sue guance erano arrossate dal vapore del bagno, la pelle fresca e candida profumava di pulito. Gli occhi azzurri e luminosi somigliavano sicuramente a quelli della sua piccola Aya.
 
Quanto è passato da quando ci siamo visti?
 
La scrutò rapito, celato nell’ombra della camera. Era cambiata tantissimo, eppure era certo fosse lei, poiché nel suo viso riconosceva i tratti dolci e paffuti che possedeva da bambina.
Stava riordinando le sue cose, mettendo i vestiti da lavare in un cesto e piegando sul letto la vestaglia notturna, muoveva le dita sottili con una attenta precisione, accorta a non lasciare nulla fuori posto. Diligente, precisa e allegra. E intanto canticchiava, aveva l’aria di divertirsi molto. Il solo vederla così serena fece placare, in parte, la sensazione di disagio che gli schiacciava il cuore.
Sgusciò fuori, attento a non fare movimenti troppo improvvisi. Non sapeva come avrebbe reagito alla sua vista e non voleva metterle addosso paura, no di certo.
Il suo sguardo cadde immancabilmente su una bambola, poggiata dentro uno dei cassettoni aperti, agghindata con un vestito nero ricamato di bianco. Aveva capelli castani e lunghi, legati con fiocchi e nastri, e gli occhi di un verde triste.
Voltandosi verso Aya, la vide immobile al centro della stanza, con una mano a coprirle la bocca e l’altra a tenersi un lembo del vestito.
« Sei tornato? »
 
Sei davvero tu, Aya?
 
La ragazza si avvicinò lentamente, allungando le mani a toccargli le braccia e le spalle, come per accertarsi che fosse davvero lì, con un corpo vero e tangibile, prestando però attenzione a non risultare invadente e maleducata.
I suoi occhi azzurri si colmarono di gioia. Si mise sulle punte dei piedi scalzi e lo abbracciò affettuosa.
Rimase fermo, gelido e inanimato, insensibile a quel tocco. Come la bambola nel cassetto.
« Sono contenta. » La sentì sussurrare contro il suo petto.
Lui le sollevò il viso, studiandola con attenzione. I suoi lineamenti non erano più quelli di una bambina, bensì più maturi e delineati: erano quelli di un’adolescente che stava diventando adulta. La guardò negli occhi. Il colore, la forma, le ciglia, erano simili a quelli di Aya. Ma no, non erano gli occhi innocenti di Aya. Aya non aveva uno sguardo tanto impuro, non c’era traccia dell’azzurro chiaro e privo di malvagità che tanto lo aveva colpito quella notte di tanti anni fa. Osservare gli occhi di quella ragazza era come contemplare un cielo contaminato da nuvole dense di pioggia.
« Che cos’hai fatto? » Le domandò severo, arricciando il labbro.
Lei lo guardò, sembrava non capire.
« Rispondi. » Le intimò, scuotendola per le spalle.
La ragazza indietreggiò, intimorita, senza replicare.
 
Tu non sei Aya.
 
Come era successo? Come aveva potuto perdere di vista Aya? La sua Aya, dov’era andata a finire?
Si coprì il volto, orribilmente incredulo. Era colpa sua e di nessun altro. Aya non aveva meritato nessuna delle cose tremende che le erano accadute sin da bambina. Eppure, tutto ciò non le era servito da lezione e stava commettendo gli stessi errori del padre.
Doveva rimediare, doveva riportarla indietro. Non poteva lasciarla smarrire in quel modo.
La tirò a sé, stringendola con forza tra le braccia. Inspirò l’odore dolce dei suoi capelli neri, così morbidi e belli sotto il tocco delle sue dita. Sapevano di rose blu.
La mora smise di respirare, confusa forse per il suo repentino cambio di atteggiamento.
Piano, la mano di lui scivolò in basso, fino a posarsi sul petto di lei.
Il respiro della mora accellerò.
« Che cosa stai facendo? »
Senza remore, le sue dita le penetrarono la carne.
La ragazza lanciò un grido di dolore e si dimenò nel suo abbraccio di morte e sangue, interminabili secondi dopo il suo urlo si era ridotto ad un flebile e raccapricciante sibilo.
Quando la mano si chiuse intorno al suo cuore palpitante, strappandoglielo, non sentì più nessun suono provenire dalla bocca di lei.

Mi dispiace, Aya.
 
Una lacrime perlacea sfuggì da sotto le ciglia della ragazza, mescolandosi col sangue sul pavimento.
Le circondò le spalle, sorreggendo il suo corpo, sempre meno caldo e più macchiato di rosso. Non voleva che giacesse abbandonata in quella pozza cremisi, anche se ormai ciò che stava reggendo era solo un guscio vuoto. Ma probabilmente, era già vuoto da tempo.
Il calore di lei ristagnava sulle sue mani che, colpevoli, avevano stroncato la sua vita ancora così giovane.
La prese in braccio e la adagiò delicatamente sul letto. Le coprì il petto con la coperta, come a voler cancellare l’azione orribile che aveva compiuto prima. Le posò un bacio casto sulle labbra, come quello che le aveva dato quella fatidica notte, in cui tutto per entrambi era cambiato.
 
Ricordati di me.
 
Tornerò ancora, ma solo per la Vera Aya.
 





Note
Ed ecco che ritorno nel fandom di Mad Father con un'altra fic.
Ebbene, questo è il finale che avrei desiderato per questo splendido gioco, con questa coppia meravigliosa in primo piano.
La frase all'inizio è tratta ovviamente dal videogioco, solo alcune delle ultime parole che il nostro caro biondino rivolge ad Aya prima di dirle addio.
La bambola nel cassettone è la sfortunata ragazza che si vede alla fine del gioco e che si reca nella clinica di Aya ( ovviamente un po' più rimpicciolita ). Sigh, ovviamente subisce una fine orribile.
Ho preferito dividere in due la fic non per l'eccessiva lunghezza, infatti non è tanto lunga, ma più per esigenze di trama. Tempo qualche giorno e posterò anche l'altro capitolo.
Ringrazio chiunque recensirà questo piccolo What If?.
Baci!

Miss Yuri
 

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Capitolo 2
*** To Be Born ***


2. To Be Born


 
- Goodbye, Aya. -


Il lenzuolo era spiegazzato e presentava un lungo e morbido rigonfio. Da una delle pieghe, si intravedeva una mano ciondolante, piccola e delicata, inerte. Sapeva già cosa ci fosse al di sotto di quel telo usurato, ma non riuscì a frenare l’impulso di allungare la mano e sbirciare.
Scoprì il viso di quella persona che ormai sentiva di conoscere bene, dopo averla guardata un’infinita di volte era persino in grado di farne un ritratto ad occhi chiusi. Era una bambina dai capelli neri, fredda, immobile e apparentemente priva di vita. Le palpebre erano perennemente chiuse sulla pelle candida e le labbra contratte, come se stesse sognando qualcosa di sgradevole. Quella visione ormai non la turbava più così tanto, era strano ed inquietante allo stesso tempo. A farla però rabbrividire era il freddo che c’era in quella cantina, che le pungeva sulla pelle nuda delle braccia.
Abbassò lo sguardo su quello che teneva in mano. Un bisturi, la cui lametta scintillava alla luce dell’unica lanterna. Il metallo le restituì il riflesso del suo viso: una ragazza sui sedici anni dalla chioma corvina e corta, gli occhi di un blu spento e persi.
Guardò di nuovo quel corpicino minuto, così indifeso ed esposto. Di che colore erano gli occhi di quella bimba? Verdi? Marroni? O blu, come i suoi? Non aveva mai avuto la possibilità di scoprirlo.
Strinse il bisturi tra le dita. Forse, avrebbe potuto soddisfare la sua curiosità se si fosse decisa ad usare quell’aggeggio. Ma, era un pensiero così malsano, che subito l’idea di provare a fare una cosa del genere le provocò una fitta allo stomaco.
Voltò le spalle al lettino, senza più girarsi.
Cosa doveva fare?

***

Quel sogno la tormentava ogni notte. Nonostante cercasse di non pensarci, ogni qualvolta si addormentava era sempre lì. A fissare quella bambina così simile a lei, in quella cantina fredda e umida, con in mano quello strumento e con un aspetto che non associava al suo se non per una seppur vaga somiglianza.
Da un mese a quella parte, non era mai cambiato nulla. Quello era un incubo a cui non riusciva a dare un senso.
Si diede una spinta con le gambe esili e l’altalena oscillò in avanti, sempre più in alto. Sentire il vento fra i capelli era sempre una sensazione piacevole e rilassante. Da là sopra, riusciva a vedere il piccolo parchetto nel quale trascorreva la maggior parte delle sue giornate.
Inevitabilmente, concentrò la sua attenzione su una delle panchine del parco. Ad occuparla, era sempre un bambino dai capelli biondi e spettinati. Vicino a lui, non si sedeva mai nessuno. Né un adulto, né un bimbo. Quel ragazzino non sembrava avere amici. A quel punto, lei si sentiva sempre fortunata di avere dei genitori che le volevano bene e tanti compagni di gioco. A pensarci bene, non aveva mai visto nemmeno il padre o la madre di quel biondino accompagnarlo o venirlo a prendere. A prima vista, sembrava stesse aspettando qualcuno. Si chiedeva se quel bambino avrebbe mai trovato la persona che cercava.
Dopo giorni che lo vedeva sempre lì in quella posizione, lei si era assolutamente convinta che stesse aspettando invano. Eppure, non lo aveva mai visto perdersi d’animo, anzi, aveva un accennato e perenne sorriso sulle labbra. Avrebbe potuto fare amicizia con lui, ma ogni volta si ritrovava a pensare che, probabilmente, lo avrebbe solo infastidito.
Ma non voleva rifletterci troppo su. Dopotutto, il giorno dopo avrebbe compiuto dieci anni e voleva tenersi la mente sgombra da qualsiasi pensiero molesto. Sperava che, almeno quella sera, si sarebbe addormentata senza nessun incubo.

***

Si morse il labbro, corrugando la fronte. Ancora lì, ancora indecisa, ancora con quel bisturi in mano.
Si strinse nelle spalle, una goccia di sudore freddo le imperlò la tempia. Quella volta era diverso, il sogno era cambiato. E perché il gelo era molto più aggressivo del solito?
Non era però quello a farla sentire ancora più smarrita, ma molto di più la sensazione disagio che le pesava sul cuore.
Fissò la bambina, profondamente addormentata e inquieta come lei. Strinse il bisturi fino a che le dita non le si indolenzirono. Doveva prendere una decisione e doveva farlo velocemente, sentiva che era necessario farlo.
Poggiò i palmi delle mani sul bordo della barella, ansimando per regolare il respiro. Preoccupazione, ansia, paura.
Guardando il bisturi, si chiese perché non aveva pensato di appoggiarlo sul lettino e di non prenderlo mai più.
Lo strumento le scivolò dalle dita e cadde a terra con un breve tonfo metallico. Non si abbassò a raccoglierlo.
Un lamento la costrinse ad alzare lo sguardo.
La bambina era ora seduta, intenta a strofinarsi gli occhi con fare assonnato. Quando la piccola si voltò a studiarla incerta, lei trattenne il respiro.




Note

Buongiorno a tutti!
Sono di nuovo qui con il secondo capitolo, scusate per l'attesa un po' lunga.
Forse non avrete capito un granché, ma se avete bisogno di chiarimenti, chiedete pure alla sottoscritta.
Mentre il primo era narrato dal punto di vista di Dio, in questo la protagonista è Aya-Chan, anche se sembra più corto dell'altro, in realtà è leggermente più lungo ( ho contato le parole! ). Ho voluto anche adottare uno stile un po' differente che, secondo me, si adattava di più al capitolo. Ma la fanfiction non è ancora conclusa, ce ne sarà un terzo. Sì, lo so, avevo detto due capitoli, ma mi sono resa conto che questo sarebbe stato troppo lungo rispetto al primo. Quindi, ci "vedremo" una terza volta.
Scusate se il nostro biondino ha fatto solo una breve apparizione, ma nel prossimo avrà uno spazio molto più ampio all'interno della storia.
Ringrazio le gentilissime persone che hanno lasciato un commentino o inserito la storia in una delle tre liste. Detto questo, alla prossima!
Baci!

Miss Yuri

 

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Capitolo 3
*** To Live ***


3. To Live


- May you be smiled upon. -

 

Si era persa nello sguardo di quella bambina. Era stato come rinsavire da un sonno durato anni. Come risalire dal fondo di uno specchio d’acqua e poter ammirare la volta del cielo ancora una volta. Quella bimba aveva gli occhi azzurri. Come i suoi, non quelli spenti che aveva visto riflessi sulla lama del bisturi, no, ma quelli che ricordava di avere nel mondo reale.
La bambina inclinò la testa da un lato, allungando le manine verso di lei con quell’espressione ingenua e curiosa.
In un primo momento, si ritrasse quasi spaventata. Vedendola avvicinarsi in quel modo, si sentì male per aver pensato fino a pochi minuti prima di farle del male. Quale persone orribile oserebbe tentare di uccidere una bimba?
« Perché piangi? » Le chiese la piccola, abbassando le braccia.
Si sfiorò la guancia ora umida. Non se n’era nemmeno resa conto.
« Io… Come ti chiami? » Si era sentita in dovere di conoscere almeno il suo nome.
La bambina sorrise.
« Aya Drevis. »
Aveva il suo stesso nome, solo il cognome era differente. Era una coincidenza, pura coincidenza.
« E lei, signorina? »
Le stava per rispondere, ma le parole le si bloccarono in gola, come se qualcosa impedisse loro di venir pronunciate dalle sue labbra. Si tastò il collo, senza dare troppo nell’occhio. Non aveva niente di strano, altrimenti prima non sarebbe riuscita a parlarle.
« Non lo so. » Mentì, ma la piccola non sembrò crederci.
« Tutti hanno un nome. » Replicò certa l’altra Aya, incrociando le braccia.
« Io non ce l’ho. » Rispose lei. Nella sua testa, lo ripeté fino a convincersi che fosse vero.
La bambina ne sembrò delusa.
Lei, per cercare di sviare la conversazione, le si riavvicinò dominando il timore.
« Vieni. Usciamo di qui. » Disse, facendole un sorriso rassicurante. La prese e se la caricò sulle spalle. Era abbastanza leggera, ce l’avrebbe fatta a trasportarla facilmente verso l’esterno.
Si diresse verso la pesante porta in legno, girò la maniglia. Era aperta.
Presa da una ritrovata serenità, si lasciò alle spalle quella buia e umida stanza. Varcando la porta, si era ritrovata nell’atrio enorme e luminoso di una villa. Il pavimento a scacchi era talmente lucido che vi ci si poteva specchiare. Riflessi sulle piastrelle, vide due file di candelabri appesi al soffitto. Un lungo tappeto rosso era srotolato in mezzo alla grande sala, collegando la porta di quella che, supponeva, fosse il salone da pranzo, con il portone d’ingresso. Sulla soglia di quest’ultimo, vide un bambino. Ai suoi occhi risaltarono i biondi capelli lucenti, animati da miriadi di sfumature.
La bimba le scese dalle spalle, correndo felice verso il ragazzino, i suoi piedi producevano un lieve scalpiccio a contatto col pavimento.
Giunse al fianco del biondino e si presero per mano. Ridevano entrambi, le loro risate infantili riempivano l’atrio come il suono di tanti campanelli d’argento.
La bimba si voltò verso di lei, donandole uno dei sorrisi più belli che avesse mai visto.
« Grazie. »
Lei ricambiò il sorriso, contenta di vederli giocare assieme.
Riflesso sulle piastrelle, vide una persona alle sue spalle. Era un ragazzo, con i capelli color dell’oro e gli occhi marroni e luminosi.
Non se ne spaventò, per qualche motivo la sua presenza la rassicurava.
Le braccia di lui la avvolsero, confortanti e salde. Ricordò. Ogni cosa.
Si strusciò contro il petto del biondo, baciandogli a fior di labbra il collo scoperto.
« Bentornata, Aya. » Le sussurrò all’orecchio, posandole un bacio sulla fronte. Sentì un brivido di piacere percorrerle dolcemente la schiena, quella sensazione era come se le appartenesse da parecchio tempo. Pronunciandolo, le aveva restituito il suo nome.
« Grazie per avermi aspettata. » Lo ringraziò lei, passando le mani tra i suoi capelli dorati.
Le loro labbra si incontrarono nello stesso istante. L’ambiente intorno a loro sfumò, fino a divenire sbiadito e confuso, come un ricordo riportato alla luce dopo molto tempo.
« Staremo insieme. Per sempre. »
 
***
 
Il sole filtrava tra le fronde degli alberi, creava chiazze di luce sull’erba del parchetto. Il lieve venticello che spirava si insinuava fra i suoi lunghi capelli neri.
Il ragazzino biondo era sempre lì. Solo e silenzioso, ma quel giorno non sorrideva.
Si chiese se gli era capitato qualcosa di brutto e provò una strana preoccupazione nei suoi confronti.
Si sedette vicino a lui, con le mani in grembo.
Parecchi secondi dopo, si accorse che la stava osservando. Alzando la testa a sua volta, si specchiò nelle iridi marroni del bambino.
« Stai aspettando qualcuno? » Gli chiese, cercando di essere cordiale.
Il biondino scosse la testa. « Non più, credo. »
Lei annuì, sollevata. Gli tese la mano, sorridente.
« Vorresti diventare mio amico? »
Lui annuì , accennando un sorriso.
Le loro mani si incontrarono.
 
***

Nei suoi sogni, vide sempre un bimbo e una bimba giocare assieme nel giardino di una villa e un ragazzo ed una ragazza osservarli allegramente, seduti sull'erba del prato.

 
 
~End~
 
Note 
TA-DA! Finita!
Ammetto di avervi fatto un po' penare per quest'ultimo capitolo, ma non volevo postarlo senza esserne pienamente soddisfatta. 
Spero che vi sia piciuta e che abbiate colto le metafore che ho disseminato lungo la strada. Magari è tutto chiaro solo nella mia testa, non esitate a chiedere, mi raccomando!
Ringrazio tutte le gentilissime persone che hanno lasciato un commeto ai due precedenti capitoli e che hanno inserito la storia in una delle tre liste. Grazie!

Probabilmente, tonerò di nuovo in questo fandom con qualche altra fanfiction, ma per il momento mi congedo. 
Baci e alla prossima!

Miss Yuri



 

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