To Love You
[
You are my
angel
Come from way above
To bring me love
]
“Ma tu chi sei che avanzando nel
buio della notte inciampi nei miei più segreti pensieri?”
Romeo e Giulietta, William
Shakespeare
“I ragazzi che s'amano non ci sono
per nessuno, sono altrove, ben più lontano della notte.”
Jacques Prévert
~
<<
Vedi, Clara? È quello laggiù. Il francese. Il barone francese. Il padre era un
industriale, la madre una baronessa italiana. È da lei che ha ereditato il titolo, anche se
si dice non l’abbia mai conosciuta. Vedi come conversa? È ricco, annoiato
e…>>
Marguerite
continuava a parlare con il suo solito tono frivolo, gallinaceo. A volte Clara
si chiedeva se respirasse o meno: prese un flûte di champagne e si bagnò appena
la lingua. La sala dell’Excelsior romano era satura di profumi, di suoni
cristallini, di umori. Dovunque si voltasse, non vedeva che profonde scollature,
acconciature massicciamente laccate, trucco pesante e squisite sfumature di
ipocrisia.
<<
Clara, mi stai ascoltando? >>
<<
Certo Marguerite, si. >>
<<
Guarda laggiù allora. >>
La sua amica
puntò molto poco discretamente il dito verso uno smoking nero in fondo alla sala. Non
riusciva a vedere molto, del suddetto smoking, ma quello che intravedeva le
bastava.
Era
circondato da almeno quattro donne, tutte splendide, tutte impreziosite dalla
testa ai piedi di gioielli da migliaia di euro. Sinceramente, non aveva voglia
di vedere oltre quella cortina; già solo quella era bastata a farla sentire
profondamente inadeguata nel suo
vestito fin troppo semplice per quell’ambiente. Guardò di sfuggita l’ora,
scrollò il capo.
<<
Marguerite? Io vado. >>
Si meritò –
perché si, lo meritava – uno sguardo
prima stupito, poi rabbioso, infine indifferente:
<<
L’ho fatto per te, Clara. Ti ho trascinato fuori da quella gabbia, dovresti
ringraziarmi. >>
Certo Marguerite, Certo.
Clara si
chinò a baciarle la guancia, prese la borsa e si avviò verso l’uscita,
leggermente traballante sui tacchi bassi. Ah, ovvio, l’uscita. Più facile a dirsi che a
farsi. Soprattutto quando era assolutamente insensato chiedere informazioni ad
un ospite presente in sala: Clara non parlava altra lingua che l’italiano e lì
la lingua più usata era l’inglese o lo spagnolo.
Continuò a
camminare per un corridoio, a scendere piani, poi ancora sale fioche, o troppo
illuminate, e ancora piani e scale e sale. Cominciavano a farle male i piedi, e
doveva ancora uscire. Figurarsi
quando avrebbe dovuto arrivare alla fermata e prendere i due autobus che
l’avrebbero riportata all’appartamento in cui viveva.
Si sedette
su una poltrona, ai margini dell’ennesima sala: solo un attimo e mi riprendo, disse.
Solo un attimo…
Stava
guardando lo smalto perlaceo sulle unghie dei piedi – Marguerite, aveva
insistito così tanto a trascinarla a
quella festa insulsa che non aveva potuto rifiutare. Se l’avesse fatto
probabilmente la sua amica non le avrebbe rivolto la parola per decenni. Ora pagava lo scotto. Piedi doloranti,
umore a terra, fastidiosa sensazione di claustrofobia. Per l’appunto, stava cercando di valutare, piegandosi
e chinandosi sulle proprie gambe, quanto tempo lo smalto avrebbe impiegato ad
andare via da solo, quando vide davanti a sé un paio di scarpe nere, lucide, maschili.
<< Vous sentez-vous bien, Madamoseille?
>>
Per un
attimo Clara pensò con una risata che non avrebbe nemmeno dovuto assaggiare lo
champagne. Lei non reggeva l’alcool: non le piaceva, le faceva venire il mal di
testa. E ora anche le allucinazioni uditive. Le scarpe non parlano, Clara. Le scarpe non…
<< Est-ce qu'elle me comprend,
Madamoseille? >>
No, elle non comprendeva. Si limitò ad
alzare lo sguardo sulla figura che, composta, dritta e aristocratica le stava
davanti. Uno smoking nero. Clara rimase a guardarlo: la sua camicia candida, il
suo papillon scurissimo. Una mano in tasca, l’altra tesa verso di lei.
La prese,
così, spontaneamente. Si alzò, si trovò di fronte a lui.
Fu strano
scoprire che lo smoking nero che le stava davanti aveva anche una testa, dei
capelli mossi e un bel volto con strani occhi blu. Fu strano scoprire che aveva
una bella voce roca, nonostante il francese. Lei amava poco il francese. A dirla
tutta, detestava tutte le lingue all’infuori della sua.
<< No,
non la capisco. – disse, poi, dopo qualche attimo in cui lui la scrutò – parla italiano? >>
<<
Oui, ma certamente. La prego, non restiamo qui. Venga. >>
Prese Clara
a braccetto e la costrinse a seguirlo giù, per le scale: si sentiva
tremendamente goffa al suo fianco, oltre che, ovviamente, terribilmente
inappropriata. Faceva una ben magra figura accanto a quell’uomo. E poi, chi era? Chi poteva essere?
Quanti anni aveva? 25, 26? Sempre e comunque molto più grande di lei. E poi,
dove la stava portando? L’Hotel le apparve ad un tratto come un grande e orrendo
labirinto. Le sembrava di essere in quel film di Kubrick: si aspettava di veder
spuntare donne nude coperte da maschere da dietro le tende.
L’uomo a
volte la guardava, ammiccava, distoglieva lo sguardo, sorrideva. Sempre
accompagnandola dolcemente, ma in maniera risoluta, con il suo incedere – Clara si maledì per quei suoi pensieri
banali, da scribacchina da quattro soldi, che usò quella sera – estremamente
elegante. Appoggiava i piedi lui; non camminava. Ed emanava davvero un buon
profumo: sentì quasi il desiderio di avvicinarsi per sentirlo meglio.
Non si
accorse di essere arrivata nel locale attiguo all’uscita se non quando una
ventata di aria fresca la fece rabbrividire: l’aveva accompagnata ad una grande
portafinestra, credendo che si sentisse poco bene. Clara andò alla ricerca della
propria giacca di filo, forse dimenticata da Marguerite, poi ricordò che lo
smoking nero era ancora lì.
<< Si
sente meglio? >>
<<
Ah…si. Si, grazie. Avevo solo bisogno di trovare l’uscita. >>
<<
Come si chiama? >>
Clara si
morse le labbra, prima di rispondere. Da quanto non parlava ad un uomo? Ad un
ragazzo, a prescindere. Coraggio, pensò. È come con la bicicletta: una volta che
impari non dimentichi.
<<
Clara…mi chiamo Clara. E lei – lei -
? >>
Sorrise di
nuovo: aveva appoggiato la mano al muro, accanto a lei. Era molto, molto
vicino.
<<
François, per servirla, Mlle. >>
<< Fransuà? >> biascicò Clara
balbettando. L’uomo sorrise di nuovo.
<<
Qualcosa del genere.>>
Cominciò a
torturare il braccialetto in filigrana che aveva al polso, sbirciando di quando
in quando l’ora. Sentiva che ad ogni pausa, ad ogni silenzio, il cuore le
batteva furiosamente. A volte si zittiva, altre invece le martellava il petto.
Se non sarebbe morta per un infarto, lo avrebbe fatto per la vergogna: era
sicura che lui avesse sentito quel battere incessante.
<<
Sembri molto giovane, quanti anni hai? Oh, posso darti del tu? >>
Clara non
annuì, ma si bagnò di nuovo le labbra. La gente rideva, nella sala. Vide una
donna dal lungo abito lillà, fissare prima lo smoking nero, e poi lei. Non c’era
nessun sentimento positivo nei suoi occhi.
<<
Venti a giugno. E lei? >>
Rien vous, concluse François. L’essere
rifiutato, quasi lo eccitava.
<<
Troppo vieux per lei, Mlle. Sta
andando via? Ha una macchina? >>
Clara pensò
di mostrargli l’abbonamento annuale ai mezzi pubblici, poi la giudicò una
pessima idea. Taxi? No, meglio evitare una possibile, pessima figura che la
vedeva farfugliare parole senza senso tipo “ho dimenticato il portafoglio a
casa”.
<< No,
contavo di tornare a casa a piedi. >>
La guardò
quasi scandalizzato poi, ancora,
scoppiò in una sonora risata che fece voltare non poche teste femminili.
<< Lei
mi piace. Venga, venga. La voiture,
prie. >> Fece all’uomo alla reception. Un sorriso, un colpo di
telefono e già la si vedeva arrivare lungo la strada.
<<
Forse non dovrei…approfittare della sua gentilezza. >>
<< La
prego…le va di considerarsi mia ospite, questa sera? >>
Gli occhi
grigi la guardarono con una tale intensità che Clara si sentì quasi in colpa a
pensare ciò che pensava.
<<
…no. >>
<<
come prego? >>
Sembrava
divertito, terribilmente divertito.
<< Non
credo sia una buona idea, signor François. Ho lezione domani. >>
<<
Lasci che le offra qualcosa. La riaccompagnerò a casa personalmente. Mi sentirei
più sicuro, sa. Non è mia habitude
lasciar andare da sola una ragazza di venti’anni. Non di notte. Quindi la prego,
Mlle Clara, si lasci convincere dalla ragionevolezza della mia proposta.
>>
Clara guardò
ancora l’orario, poi la notte dietro di la sua schiena, la macchina nera,
cromata, elegante, e ancora lui.
Infine prese
la mano che gli tendeva, per la seconda volta.
Aveva un bel
modo di guidare: fluido, aristocratico, elegante – ancora una volta, si -.
Quasi…affascinante? Certo, la
decappottabile sportiva faceva la sua figura e scivolava leggera e veloce nella
notte romana. Era tutta tirata a lucido: Clara avrebbe potuto specchiarsi, se
solo l’avesse voluto, ma quello che aveva intravisto nello specchietto le era
bastato.
Pallore
cadaverico, occhiaie da troppo studio davvero malcelate dal correttore, e quel
vestito che – le piaceva, davvero, ma la faceva sembrare troppo…semplice.
Inadeguata, ancora una volta, come sempre.
Era troppo
acqua e sapone per quel mondo, no? Marguerite glielo ripeteva sempre.
<< Madamoseilles? Dove posso ardire di
portarla?>>
Sorridevano le labbra, e gli occhi
grigi.
Clara si
scoprì felice, anche solo per quello.
Ardire,
ardire. Ardi, Clara.
<< Dove finisce la notte, signore.
>>
Lo smoking
nero rise di nuovo.
Clara si
risvegliò tra le lenzuola del suo appartamento: nessuna sarebbe stata, molto
probabilmente, più calma di lei. Si rigirò nel cotone bianchissimo, cercando
l’altro cuscino che doveva essere scivolato a terra. Era sola in casa, e andava
tutto bene. Si mise a sedere sul letto, guardando la luce filtrare dai vetri
della finestra. Era tutto in
ordine: i libri, i quaderni, le penne. Tutto in ordine, tranne che le scarpe
buttate ad un angolo della camera e il vestito, che giaceva mal piegato sulla
sedia accanto al letto.
Solo tracce
della serata precedente, che con metodo, Clara avrebbe fatto sparire.
Era stata
felice ieri, ma ora andava tutto bene.