Venti del Nord

di Water_wolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ALEX • Litigo con mio padre ***
Capitolo 2: *** ASTRID • Easy things ended when we're born ***
Capitolo 3: *** ALEX/PERCY • Veniamo salvati dai pirati che non vengono dai Caraibi ***
Capitolo 4: *** ANNABETH • Non tutti i problemi si ripiegano come origami ***
Capitolo 5: *** EINAR/ALEX • Mi interrompono sempre nei momenti meno opportuni ***
Capitolo 6: *** ASTRID • Un voletto verso la morte ***
Capitolo 7: *** ALEX/PERCY • Ci prepariamo a combattere (argh)! ***
Capitolo 8: *** ASTRID • Ermes ci dà tre dritte prima di mandarci a combattere ***
Capitolo 9: *** ALEX • Mi butto nella mischia: sono cavoli amari (a me non piacciono i cavoli) ***
Capitolo 10: *** ASTRID/ANNABETH • It's too cold outside for angels to fly ***
Capitolo 11: *** ALEX/ EINAR / PERCY • Due ragazzi, un non-morto e un ragno ***
Capitolo 12: *** ASTRID • Le famiglie sono un disastro. E le famiglie divine sono un disastro eterno. ***
Capitolo 13: *** PERCY • Ricominciamo a combattere (e questa volta va male) ***
Capitolo 14: *** ASTRID • Veniamo attaccati dalle olive ***
Capitolo 15: *** PERCY/ EINAR • Chirone dà una festa ***
Capitolo 16: *** ANNABETH • Guido un elicottero ***
Capitolo 17: *** PERCY/ EINAR • La moglie di mio padre ***
Capitolo 18: *** ASTRID • Ammazziamo un dragone e ci regalano una video-clip ***
Capitolo 19: *** EINAR • Amichevole conversazione padre-figlio ***
Capitolo 20: *** ANNABETH • Rivalità (im)mortali ***
Capitolo 21: *** PERCY • Di titani incazzati e dèi traditori ***
Capitolo 22: *** ASTRID • Il gioco dei troni ***
Capitolo 23: *** PERCY/ ALEX/ EINAR • Tante coppie alla fine ***



Capitolo 1
*** ALEX • Litigo con mio padre ***


ATTENZIONE: Questa storia è scritta a quattro mani da Water_wolf (autrice pubblicante) e AxXx ( http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=218778 ). Alcuni
concetti principali verranno ripresi. Buona lettura!


Venti del Nord


Litigo con mio padre

•Alex•

La sveglia suonò, riportandomi alla realtà. Che cavolo, il giorno prima avevo dovuto affrontare un gigante a due teste che mi stava attaccando al centro commerciale e, ovviamente, la sveglia, mi doveva strappare dai miei sogni di riposo.
A proposito, vi ricordate di me? Sono Alex Dahl, il figlio di Odino che l’ultima volta si è quasi fatto ammazzare usando il martello di Thor contro un esercito di zombie.
Dopo un po’ di tempo ero tornato a casa da mia madre Dana. Un appartamento ad Oslo con due camere, cucina, e bagno. Nulla di particolare, mia madre riusciva a pagare l’affitto con il suo lavoro da commessa al centro commerciale, ma sapeva di casa, di posto a cui tornare.
«Tesoro, devi alzarti, è mattina» mi scosse lei, con un sorriso.
«Ah… altre cinque ore» sbuffai, tirandomi le coperte fin oltre i capelli.
Era passato solo un mese dalla mia impresa e il solo pensarci mi faceva tornare in mente la fatica. Avrei potuto dormire per tre giorni di fila.
«E va bene… Quindi non vuoi proprio venire a salutare la tua amica Astrid che è venuta a trovarti?»
Parolina magica in arrivo; mi rizzai a sedere e mi vestii in fretta, raccogliendo i primi vestiti che mi capitarono sotto mano: un paio di pantaloni della tuta e una maglietta nera a maniche corte.
La mia stanza era un campo di battaglia, con jeans, calzini e mutande sparsi ovunque. C’erano, persino, i resti di una lancia spezzata in un angolo – sono un semidio, in questa casa ci sto solo tre mesi all’anno, non ho tempo di pulire quando i goblin cercano di uccidermi nel sonno.
Astrid era la mia migliore amica al Campo, era una figlia di Hell, ma questo non le aveva certo impedito di essere una bellissima persona. Era intelligente e astuta, oltre che una grande combattente. Il mese prima aveva compiuto con me una grande impresa e avevamo riportato insieme il martello di Thor al proprietario. Da quel giorno il nostro legame si era fatto molto più solido e bello.
Avevamo passato insieme molte giornate, ignorando il fatto che i nostri genitori si odiavano. Avevo anche una sua foto che tenevo chiusa nella mia borsa a tracollo. Appena mi detti un’aria decente, mi fiondai in cucina, dove Astrid stava già prendendo cucchiaiate di Mußli dalla sua tazza di latte, mentre mia madre le mostrava le foto di quando ero piccolo e addentavo un soldatino di plastica: il mio primo nemico giurato. Dèi immortali, quanto era imbarazzante!
«Comandante!» mi salutò lei divertita, mentre cercava di non ridere. «Come va?»
Arrossii fino alla punta dei capelli, mentre mi sedevo accanto a lei, addentando una merendina.
«Tutto a posto, negli ultimi due giorni ho affrontato un solo gigante e due Ettin*.»
Lei rise, ormai impossibilitata a trattenersi. Era quella la vita di noi semidei: i mostri erano capaci di fiutarti anche se ti mettevi tre chili di balsamo sotto le ascelle e, se lo facevano, allora potevi considerarti già morto. Io, poi, ero un figlio di Odino, quindi il mio potere si faceva sentire da chilometri di distanza.
«Volete qualcos’altro? Ho una focaccia, del pane… nutella?» chiese mia madre, aprendo il frigo.
Era sempre premurosa e, dato che raramente avevamo ospiti, le piaceva mostrare la sua perfetta cura da padrona di casa.
«Io un po’!» intervenne subito Astrid, alzando la mano; c’erano cose a cui non riusciva proprio a resistere.
Mentre la serviva, mia madre mi lanciò un sorriso allusivo, ma non maligno. Sembrava volermi dare la sua approvazione e io sapevo riguardo a cosa. Avevo più volte specificato che Astrid era “solo un’amica”, ma mia mamma aveva un buon intuito e non gli era certo sfuggita la mia foto o il mio improvviso interesse per le video-chat e i cellulari.
«E al Campo? Notizie dalle altre orde?» chiesi, appena finii di mangiare, assicurandomi che la spada fosse ancora in tasca.
Il sorriso di lei morì, tramutandosi in un espressione abbattuta e dispiaciuta.
«Mi dispiace, ma nessuno è molto convinto. Alcuni delle altre orde sembrano interessati, però senza il favore degli Dèi, non riusciamo ad avere il sostegno dei loro capi.»
«Dritt» imprecai, cercando di mantenere le fiamme della rabbia sotto controllo.
Dovete sapere, infatti che gli Dèi Norreni non sono gli unici ad essere vivi. Esistono anche Dèi Greci che, adesso, vivono in America e hanno cambiato il loro modo di essere. Tuttavia, il mese prima, mi ero ritrovato al campo dei loro semidei e un ragazzo di nome Percy, mi aveva dato una mano con la faccenda del martello di Thor. Avevo promesso che, in cambio, l’avrei aiutato nella guerra contro Crono, ma mio padre non voleva immischiarsi. La rivalità tra lui e Zeus era profonda e sospettavo che Odino avrebbe preferito veder crollare l’Olimpo.
«Dannazione, devo ritentare» sospirai, abbattuto.
«Devi, proprio, Alex?» domandò mia madre, in ansia.
Aveva sempre vissuto con la paura di perdermi, ma adesso era diverso: si trattava di una guerra. Lei era terrorizzata all’idea che io non facessi ritorno, ma sapeva anche che non avevo altra scelta. Ero un semidio, i semidei non hanno vita facile. Muoiono presto e quasi sempre combattendo.
«Mamma… Mi dispiace, devo mantenere una promessa. L’hai detto tu che le promesse vanno mantenute. Devo farlo, non mi sentirei in pace con me stesso.»
Dana sospirò. Non mi stupirò mai abbastanza: nonostante tutti i problemi che le avevo procurato, i disastri e le sofferenze, lei mi voleva bene, voleva la mia felicità ed era disposta anche a lasciarmi andare per la mia strada. Non avrei potuto desiderare di meglio, nella mia vita. Mi abbracciò e mi augurò buona fortuna.
Quando varcai la porta per tornare al Campo, con la borsa in spalla, sentii il suo sguardo puntato su di me. Gli occhi minacciavano di lasciar andare le lacrime per i sensi di colpa, ma riuscii a trattenerle. Non volevo farla soffrire, ma questa era la vita dei semidei.
Vesa ci attendeva fuori, sul viale con le macchine che scorrevano e i pedoni che la ignoravano. Mi chiesi cosa vedessero i mortali al posto di un mostro alato grande come una macchina. Un furgone? Un elicottero personale con guardie armate di spade? Non ne avevo idea, ed era meglio non interrogarsi su certe cose.
Salimmo in groppa e lei prese il volo. Astrid aveva ancora qualche problema a controllare le vertigini, dato che solo con Vesa e me era a suo agio. Nei posti chiusi – quali aerei o altro– era ancora molto agitata. Si strinse a me per non cadere e appoggiò la testa alla mia spalla. Era una bellissima sensazione saperla vicina, mi faceva sentire rilassato, lo stomaco mi si chiudeva e ogni mio neurone si concentrava sul suo calore corporeo. Peccato dovessi tenere le briglie della mia viverna. Avrei voluto tanto poterla abbracciare anche io.
Nemmeno pochi minuti da Oslo ed ecco il Campo Mezzosangue, con i cinque forti, i quindici templi e il Grande Forte di comando. Casa nostra, quando dovevamo scappare dai mostri. Un luogo dove ogni semidio norreno poteva allenarsi per essere pronto ad affrontare i pericoli all’esterno. Eravamo i discendenti dei vichinghi, i più valorosi e sanguinari guerrieri della storia. Il mare e la battaglia erano la nostra casa.
«Alex!» mi avvertì Astrid, indicando alla mia destra.
Un rumore mi mise in allarme e, grazie al duro allenamento e ai miei sensi sviluppati, riuscii ad intravedere due viverne che si dirigevano verso di noi a velocità folle. Vesa compì una virata bruschissima, tanto che per poco, non disarcionò anche me, mentre altre due viverne sfrecciavano accanto a noi. Sui loro dorsi vi erano un ragazzo ed una ragazza, entrambi vestiti con le maglie rosso sangue del Campo Nord. Lui era coperto da un armatura leggera, in cuoio e in mano al fianco aveva allacciata la spada.
I capelli biondi, come grano riscaldato al sole, incorniciavano il duro volto non del tutto spigoloso; gli occhi azzurri come il cielo limpido d’estate – Lars, figlio di Eir. La ragazza, invece, la conoscevo bene: era Nora, mia sorella di parte divina. Aveva corti capelli biondi, occhi grigi come i miei, un’aria vispa e sicura. Il corpo snello e slanciato, irrobustito dagli anni di allenamento. Anche lei indossava jeans e la maglietta del Campo, in mano la sua lancia.
«Ehi, fratellone!» mi salutò la bionda, alzando la sua arma. «Ti trovo bene, andiamo a fare le chiappe a strisce a Crono?»
«Certo che sì! La nave è pronta?» chiesi, rispondendo al saluto, scuotendo la mano.
«Ovviamente. Comandante, ci sarebbe anche un problema. Hermdor vuole parlarti» mi informò Lars con il suo solito tono formale.
Era un tipo a posto, piuttosto freddo e distaccato, uno dei miei secondi. Abile con la spada ed un ottimo comandante. Era molto difficile da capire, dato che stava sempre impettito e con lo sguardo freddo come i ghiacciai del nord. Era molto fedele, anche se un po’ noioso, dato che non apprezzava l’umorismo.
«Grandioso» sbuffò Astrid, scuotendo la testa.
Aveva assunto un colorito verde che ricordava la nausea. Probabilmente ancora stordita dalla brusca manovra precedente.
«Andiamo. Io devo fare una cosa, prima» risposi, inclinando la mia cavalcatura, abbassando quota.
Una volta atterrati, condussi Vesa nel box, affiancato dai miei compagni. Astrid si diresse verso il forte dell’Orda del Drago radunare i suoi bagagli.
All’esterno si stavano riunendo una quarantina di ragazzi, ognuno dei quali armato e rifornito per combattere. Le asce, le spade e le lance erano molto utilizzate, ma c’erano anche una decina di archi, quasi tutti figli di Skadi e Loki. La metà di loro aveva anche dei cavalli, ma, essendo una missione con poco, avevamo deciso di non portarli. Le viverne ci avrebbero seguito in volo.
Astrid fu rapida a dirigersi verso i suoi alloggi e la cosa non mi sorprese, dopotutto stavamo per partire. Due ore e poi saremo andati tutti in America a combattere, non in gita. Già, forse voi non lo sapete, ma negli Stati Uniti c’erano un sacco di problemi.
Gli Olimpici erano in difficoltà estrema, stavano combattendo contro il loro antico nemico: Crono, Re dei Titani, deciso a riprendersi il trono che gli spettava. Il mese prima il loro più potente eroe, Percy Jackson, figlio di Poseidone, mi aveva aiutato e io avevo promesso che sarei intervenuto in suo favore. Così la mia orda era sul piede di guerra. Non ero riuscito, però, a convincere né gli dèi, né le altre orde, anche se qualche loro membro si era unito a noi, come Nora.
Io, di mio, avevo altro a cui pensare. Lasciai aperto il box, in modo che le viverne potessero volare al momento della partenza e mi diressi al Forte, scortato da mia sorella. Lungo la strada alcuni semidei mi guardarono male. C’era stata una vera lotta e, ultimamente, l’Orda del Drago era considerata la pecora nera del Campo, dato che ci eravamo messi apertamente contro il volere degli Dèi di rimanere neutrali. Ma a me non importava.
Davanti al cancello, mi attendeva una mia vecchia conoscenza: Einar, figlio di Loki. Aveva preso parte all’impresa precedente sotto mentite spoglie, prendendo il posto di un mio secondo: Sarah, la quale si era dimostrata molto furiosa di questo, minacciando di tagliare i genitali del povero ragazzo.
«Allora, capo, vuoi proprio che ci provi?» chiese, sapendo bene a cosa mi riferivo.
«Ho dato la mia parola. Non ti ucciderò per quello che hai scoperto, se tu me la porterai» ribattei freddamente.
Sapevo che un furto al Castello del Comando poteva riuscire solo ad un figlio di Loki e, per quanto Einar mi facesse saltare i nervi, era l’unico di cui m fidavo.
«D’accordo. Te la porterò alla nave. Anche se temo che sarà l’ultima volta che metteremo piede al Campo.»
Lo ignorai e, mentre lui faceva il giro, io entrai. Hermdor mi aveva convocato, ma il mio compito era anche quello tenere l’attenzione su di me, mentre Einar portava a termine la sua missione. Se ci avessero scoperti non sarebbe stato per niente bello.
La stanza circolare delle assemblee me la ricordavo bene: non era cambiata dall’ultima volta, quando mi dettero l’impresa, solo che, questa volta, era molto più affollata. Oltre ad Hermdor, c’era anche nostro Odino.
«Padre» sussurrammo io e Nora insieme, inchinandoci al suo cospetto.
Era pur sempre il Re degli Dèi, anche se come padre lasciava un po’ desiderare. Lui, per tutta risposta ci guardò dall’alto in basso, con il suo unico occhio buono e si sedette.
«Alex, Nora. Vi ordino di smetterla con il vostro assurdo piano! Gli Olimpici sono finiti, state solo andando in contro alla fine, e con voi quaranta semidei di grande valore» ci intimò, senza nemmeno sprecarsi in un: “Salve, figlioli, come va? Avete passato una buona estate?” o “Avete massacrato qualche gigante?”
Meglio così, però, avevo molta attenzione su di me ed Einar aveva bisogno di tempo.
«Non mi interessa quello che hai da dire, padre. Ho già preso la mia decisione, andremo, con o senza la tua benedizione» protestai, alzandomi.
I miei pugni erano così stretti che le nocche erano sbiancate.
«Tu non lo capisci, vero? Mugin, vieni qui!» sbottò il Re, verso la finestra.
Subito uno dei suoi corvi apparve ed iniziò a gracchiare. Anche se, essendo tutti figli di Odino lo capivamo benissimo.
«Argh! Tifone è vivo, si è risvegliato. Gli Dèi dell’Olimpo sono in difficoltà, riescono solo a rallentarlo!»
«Visto? Il gigante Tifone è la più potente creature della mitologia Greca. Un gigante alto come le mura di Asgard, in grado di comandare i venti e padre dei mostri greci. Non vincerai mai una battaglia senza di noi! Inoltre ho ordinato a Njordr di scuotere i mari per non farvi partire. In più, potrei anche decidere di non accogliere i tuoi compagni nel Valhalla» minacciò Odino, stringendo Gungnir come se volesse spezzarla.
«Già, potresti intervenire, invece ti nascondi dietro le mura di Asgard, costringendoci a rimanere qui! Sembra che tu abbia paura di combattere» commentai allusivo.
Sperai di non essermi spinto troppo oltre: stavo accusando un dio consacrato alla guerra di codardia. E non era bello. La temperatura della stanza si abbassò fin sotto zero, letteralmente. Iniziai ad avere i brividi di freddo e l’aria sembrava essersi caricata pronta ad esplodere.
«Non osare rivolgerti a nostro padre con quel tono» ordinò Hermdor, in un chiaro tentativo di calmare gli animi del Re, che, però, lo redarguì alzando una mano.
Nora mi osservava con uno sguardo colmo di terrore, come se temesse di vedermi trasformato in un mucchio di gelatina. Cosa che, probabilmente, sarebbe accaduta. Odino mi squadrava con il suo unico occhio grigio, acceso come un fulmine in mezzo ad una tempesta. All’esterno sentivo tuonare e le nuvole si agitavano come il suo sguardo. Pregai qualche altra divinità di intervenire in mio favore, ma avrei preferito che non lo facesse quella che apparve.
Loki si palesò con una colonna di luce degna di una palla di vetro di una discoteca. Questa volta indossava abiti molto provocanti: jeans neri attillati e maglietta nera con su scritto AMA LOKI con, accanto, stampate un paio di labbra di donna rosso fuoco che mandavano un bacio.
«Ciao, Odino! Come va?» domandò, con un sorriso così finto da sembrare rifatto.
La sua comparsa così inattesa colse tutti di sorpresa, compreso il Re degli Dèi.
«Loki, cosa vuoi?» chiedemmo tutti sospettosi.
C’era sempre qualcosa sotto quando lui si mostrava. L’avevo imparato a mie spese.
«Oh, stavo pensando che, dato che vostro figlio vuole proprio andare… be’, diciamo che potreste trovare un accordo» cominciò il dio degli inganni, sedendosi accanto al suo signore, sfoggiando un sorriso allusivo.
Subito la stanza sembrò riempirsi di una dolce musica rilassante, con un sottofondo di malinconia e i miei pensieri iniziarono a dirmi di fidarmi di lui. Scossi la testa. Conoscevo gli intrighi della lingua ingannatrice di Loki, non dovevo abbassare la guardia o rilassarmi. Rischiavo di rimanere sotto il suo malefico influsso.
Tuttavia mio padre non era pronto: ancora furibondo per la mia sfuriata, cadde nella trappola.
«Che tipo di accordo?»
«Dato che lui vuole andare e non sembra intenzionato a ragionare, credo che meriti una punizione. Nella tua immensa saggezza, considererai tali parole come un insulto. Un tradimento verso Asgard. La cosa migliore è punirlo, dopotutto i soldati che andranno con lui non sono in loro. La loro lealtà sarà premiata, ma solo a condizione che al loro comandante venga inflitta una punizione…» fece una pausa ad effetto e poi emanò la sua sentenza. «… esiliando la sua anima dal Valhalla.»
Sentii improvvisa la paura farsi strada nelle mie viscere come un serpente carnivoro che mi consumava con il suo veleno. Mi resi conto che stavo tremando. Essere esiliati dal Valhalla era una punizione terribile, che nessuno avrebbe voluto. La dannazione eterna nelle profondità dell’Hellheim, costretti a servire la dea abissale, fino all’ultimo giorno in cui sarei stato costretto a combattere Asgard.
Mio padre, però, sotto l’influsso della sua rabbia verso di me e delle parole melliflue di Loki si lasciò convincere.
«Così sia! Alex Dahl, figlio rinnegato, hai un ultima possibilità di tornare indietro. Se andrai, dannerò la tua anima alle eterne pene dell’Hellheim, mentre i tuoi guerrieri saranno perdonati! Se rimarrai, ti perdonerò» annunciò il Re degli Dèi, alzandosi in piedi, con aria decisa.
Toccava a me prendere la decisione definitiva. Potevo rimanere, mantenere la mia anima intatta e attendere la mia morte sapendo che sarei stato accolto nelle bianche sale. Ma mi resi conto che, se lo avessi fatto, non sarei stato in pace con me stesso.
«Io andrò!» sbottai, cercando di non farmi prendere dal panico.
Odino non sembrò sorpreso. Mi guardò deluso, dopodiché sparì in una colonna di fuoco.
«Che tu sia maledetto, Loki» ringhiò mia sorella, alzandosi per inveire contro il dio degli inganni che, però, per nulla sorpreso, ci fece l’occhiolino per poi sparire.
Hermdor era rimasto in silenzio per tutto il tempo, osservandoci tristemente.
«Hai fatto una grande cazzata, ragazzo» sussurrò, scuotendo la testa.
E aveva ragione, ma non mi sarei arreso. Sarei sopravvissuto e sarei tornato vivo, da quell’impresa.

koala's corner.
*scoppiano fuochi d'artificio*
Ed eccoci di nuovo qui, con il seguito di "Sangue del Nord", il nostro incrocio tra semidei greci e norreni. Per chi fosse nuovo, i concetti generali verranno ripresi alla larga, ma sarebbe meglio se leggeste la storia originaria ^^ Comunque, io sono il koala! Passiamo alla (ri)presentazione degli autori!
Noi siamo Pippo...
e Palla...
due amic-
Stop! Soni bastati i fuochi d'artificio, la sigla da cartone animato non serve.
Ok, io sono AxXx e, come al solito, scriverò qua sotto in rosso e i miei POV sono quelli di Alex e Percy.
Mentre io sono Water_wolf, scriverò in occhi-verde-percy-che-non-c'è-su-efp-ma-uffa e i miei POV sono quelli di Astrid e Annabeth. Dobbiamo davvero ripetere questa solfa?
Sono felicissimo di ricominciare questa bellissima storia! Crediamo sarà migliore della precedente, dato che ci saranno più semidei norreni e fusioni tra i personaggi.
Oh, e per chi se lo stava chiedendo e ve lo stavete chiedendo tutti, ci saranno anche più momenti di coppia *3*
Fateci sapere cosa ne pensate con una recensione, se avete delle supposizioni, noi siamo curiosissimi di conoscerle. Alla prossima!

Soon on Venti del Nord: POV di Astrid, momenti Alrid (*-*) e un mezzo di trasporto un po' originale per NY City.
 

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Capitolo 2
*** ASTRID • Easy things ended when we're born ***


Easy things ended when we’re born

♦Astrid♦
 
Non mi piaceva il fatto che Hermdor volesse parlare ad Alex, affatto. E mi piacque ancora meno, quando Nora, sua sorella, ritornò dal Forte senza di lui. Smisi di fare avanti-indietro, notando che lì dove avevo marciato l’erba si era appiattita fin troppo.
Lars si tirò su, scostandosi dalla faccia i ciuffi biondi che gli erano ricaduti davanti agli occhi. A differenza mia, lui aveva mantenuto un atteggiamento rilassato, quasi indifferente. Ma il figlio di Eir aveva sempre quel comportamento distaccato, come se nulla lo sfiorasse. In certi momenti, desideravo poter fare lo stesso.
Nora ci raggiunse, il passo indeciso e gli occhi grigi in subbuglio, il viso un po’ pallido.
«Cos’è successo?» indagai subito, senza curarmi di nascondere troppo l’ansia.
La figlia di Odino si morse il labbro inferiore. «Loki ha convinto mio padre a vietare il Valhalla a mio fratello, se fosse partito per New York» rivelò in un sol fiato.
Lars corrucciò la fronte, una vena sul suo collo si gonfiò; forse l’espressione più stupita che gli avessi mai visto. Mi si seccò il palato e feci fatica a parlare ancora.
«Alex non può aver accettato questo» protestai.
Nora scosse la testa, affranta. «È un idiota» ribatté, «ma vuole aiutare Percy, a tutti i costi.»
«Molto nobile, eppure così stupido» commentò Lars.
«Adesso dov’è?» domandai, facendo un passo avanti, quasi volessi aggredirla.
Il che non era molto lontano dalle mie fantasie, visto che, se qualcuno mi avesse detto che il ragazzo che mi piaceva era stato estromesso dal Valhalla, non avrei esitato a legarlo al cofano della macchina e percorrere il Paese da nord a sud, pur di fargli sputare che mentiva.
«S-sta facendo una passeggiata nel bosco per schiarirsi le idee» rispose, presa in contropiede. «Non credo che…»
Ma non l’ascoltavo più. Marciai furiosa verso la foresta che circondava il Campo, facendo appassire i denti di leone e altri diversi fiori al mio cammino. Dovevo avere anche un’aria più cupa del solito, perché i semidei che incrociavo si facevano subito da parte, lasciandomi passare. Forse temevano che sarebbero appassiti anche loro.
Già, come se avessi tempo da sprecare con loro, quando dovevo assolutamente far cambiare idea a uno dei peggiori zucconi della storia. Gli aghi di pino crepitavano sotto la suola dei miei scarponi, gli uccelli annidati tra le fronde mi squadravano con i loro occhietti piccoli e neri.
Trovai Alex quasi in cima alla collinetta nei pressi del Forte. Camminava con le mani in tasca, lo sguardo perso a guardare il cielo.
«Tu» lo richiamai con un ringhio.
Si girò di scatto, trattenendo un sobbalzo. «Astr-»
Gli fui addosso, gli mollai uno schiaffo, poi un altro, e avrei continuato, se non mi avesse afferrato il polso e bloccato la mano.
«Ma che ti prende!?» sbraitò.
«Mi prende che sei un cretino!» sbottai.
Mi liberai dalla sua presa, gli puntai l’indice contro il petto, facendo pressione. Avrei tanto, tanto voluto prenderlo a calci fino a sentire così male da obbligarlo a rimanere qui.
«Non puoi farlo.» Suonava come un ordine.
Sapeva a cosa mi riferivo. «Be’, l’ho fatto, e dovresti essermi grata!» scattò.
«Grata per saperti sempre in pericolo? Oh, certamente» replicai. «Sai quanto è facile morire per noi e cosa ti farebbe Hell, visto che hai anche ucciso la sua figlia prediletta. Non pensi a tua madre, al dolore che le darai?» gridai.
Non pensi a me?, aggiunsi nella mia mente. Alex, però, era ancora troppo ingenuo per capire che mi piaceva. Praticamente, tutti al Campo se ne erano accorti tranne lui. Una situazione imbarazzante, che mi faceva pensare: e se lui non fosse interessato a me in quel modo?
Fui interrotta dalla sua secca risposta. «Certo che ci penso, cosa credi, che mi diverta a fare l’eroe!?»
«Ah-ah, per uno che ci pensa, ci stai decisamente prendendo gusto: il prossimo passo del manuale è “morire dolorosamente”!»
«Non è il momento di fare del sarcasmo, Astrid!» sbottò, esasperato.
«Non è il momento di fare una cazzata del genere, Alex!» alzai la voce.
Le nostre grida fecero scappare uno stormo di uccelli da un albero. Voltai la schiena e mi allontanai, sbuffando furiosa, incapace di stare ferma. Sarei stata in grado di comprare cento matite e romperle tutte in meno di due minuti.
«Se potessi, ucciderei Loki con le mie stesse mani, ma quello stronzo è immortale!» scoppiai.
Alex non disse nulla a riguardo dell’insulto, che mi sarebbe costato parecchio, in altri momenti. I miei rapporti con gli dèi facevano davvero schifo.
«Senti, Astrid, non voglio litigare con te, ma…» iniziò, addolcendo il tono, però io lo interruppi.
«Una volta, mio padre disse che tutto ciò che viene prima del “ma” in una scusa, non vale nulla.»
Mi voltai a guardarlo, passandomi nervosamente la mani sui gomiti.
«Cosa vuoi che ti dica, allora?» fece lui. «"Non me ne frega niente di voi, preferisco aiutare i miei amici oltremare, tanto sono così forte e spavaldo che niente mi può uccidere”?»
«Sarebbe l’opzione perfetta per ritrovarti un pugno nello stomaco.»
Alex sbuffò, passandosi una mano tra i ricci scuri. Abbassò lo sguardo sulle sue scarpe, spostò il peso da una gamba all’altra.
«Non posso abbandonarli, ho giurato sull’Isola di Foreseti che sarei tornato ad aiutarli» rivelò, sospirando.
Improvvisamente, mi riuscì difficile respirare. «Tu… cosa?»
«Hai sentito. Ho promesso sull’Isola di Foreseti che sarei tornato indietro a dar loro una mano» ripeté. «Se non rispettassi questo patto, loro potrebbero perdere la guerra e io potrei subire un trattamento peggiore di essere estromesso dal Valhalla. E, comunque, non voglio abbandonarli.»
Aveva un’aria… rassegnata. Come se dovesse scegliere tra incudine e martello.
Imprecai mentalmente, e non potei trattenermi dal borbottare: «Sei un cretino.»
«Grazie. È così rassicurante avere l’affetto e la vicinanza della propria migliore amica.»
Mi scappò una risatina isterica, che gli fece fare una smorfia.
«Mi dispiace, ma se volevi un abbraccio avresti dovuto scegliere qualcun’altra. Io sono una figlia di Hell, essere stronze è di famiglia, ricordi?»
Staccai un pezzo di corteccia da un albero, conficcando le unghie nel legno per tenermi occupata. Avevo abbandonato i miei progetti omicidi, e ora detestavo quel senso di pietà che stava aumentando man mano che pensavo all’orribile situazione in cui si era cacciato il figlio di Odino.
Il filo che collegava tutto, era Loki. Iniziavo a capire perché tante storie finissero con una punizione per quello che aveva fatto, visto che si trattava per la maggior parte dei casi di grandi bastardate a danni di qualcun altro.
Staccai un altro pezzo di corteccia, denudando il pino della sua scorza. Le mani di Alex si posarono sulle mie spalle, e io mi irrigidii. Un calore si diffuse per tutto il mio corpo, mandando in sovraccarico i miei sensi.
No, no, no. Come potevo ragionare, essere arrabbiata con lui, se mi toccava, fondendo il mio cervello? Mi morsi la lingua, grata al dolore che mi schiarì la mente.
«Ehi» mormorò. «Non dire così, posso immaginare che questa scelta ti mandi in bestia.»
«Stai cercando di tirarmi su di morale, figlio di Odino?» chiesi.
«Non… non sono bravo in queste situazioni» ammise, e potei figurarmi la sua faccia diventare rossa.
«Lo vedo» ribattei. «Molto meglio quelle in cui vale la regola “uccidi o vieni ucciso”.»
Sbuffò, allontanando le mani dalle mie spalle. Per una frazione di secondo, pensai di bloccarlo, ma non lo feci.
«Mi dispiace» ammise. «Non riuscirai a farmi cambiare idea.»
Cercai il suo sguardo e gli mostrai un sorriso amaro. «Lo so» replicai. «I miei piani sono altri.»
Inarcò un sopracciglio, confuso. «Quali?» domandò.
«Per iniziare» risposi, «venire con te a New York. Percy ha bisogno di tutti noi. Secondo, impedirti di crepare in ogni modo.»
Impiegò qualche secondo per assimilare le mie parole, poi fece un sorriso che gli faceva brillare gli occhi.
«Astrid…» iniziò, ma io lo fermai, avanzando verso di lui.
«Sai cosa?» dissi. «Non ti libererai facilmente di me, figlio di Odino. Ricordatelo bene.»
Cercò di prendermi la mano, ma io mi imposi di scansarmi, scendendo giù dalla collinetta. Alzai una mano, mostrando tre dita.
«Terzo, abbiamo una persona a cui fare visita. Seguimi.»
Sentii il rumore dei suoi passi subito dietro di me, e non potei impedirmi di sorridere. Ci dirigemmo verso le nostre stanze, seguiti dagli sguardi sbalorditi degli altri semidei; la voce si era sparsa in fretta. Lanciai un’occhiata ad Alex, che cercava di ignorare tutte le attenzioni che gli venivano rivolte. Probabilmente, stava pensando che, dopo quello che gli era accaduto, molti semidei avessero intenzione di ritirarsi dalla nostra personale impresa.
Cercai la camera condivisa Helen, l’unica figlia di Frigg del Campo Nord. Sua madre era la dea muta, moglie di Odino, che aveva parlato unicamente per rivelare una profezia, la stessa che portava tante grane ai figli di Loki. In più casi, i sogni di Helen si erano rivelati premonitori.
Mi chiedevo se ne avesse fatto qualcuno anche su di noi, su ciò che sarebbe accaduto in America. Mi auguravo si trattasse di qualcosa di buono, che riguardava festeggiamenti e risate, invece che morti e sangue. Decisamente una vana speranza.
La trovai poco distante dalla stanza di Alex, che si guardava intorno.
«Helen» la chiamai, facendola voltare.
Era tesa, ma tentò di sorriderci ugualmente. La sua carnagione era ancora più pallida del solito, quasi un foglio di carta trasparente, e gli occhi rossi erano fissi su Alex. Era albina, nota da aggiungere ai motivi per cui molti la evitavano. Si sistemò nervosamente i capelli color platino, lisciandosi la ciocca azzurra.
«Ciao, ti stavo cercando» si rivolse ad Alex. «Ma siete voi ad aver trovato me.»
Il figlio di Odino fece una breve smorfia. «Brutti sogni?» domandò, come se conoscesse già la risposta.
«Purtroppo» sospirò Helen. «Non aiutano, in questa situazione. È vero che sei stato estromesso dal Valhalla?»
«Sì» tagliai corto. «Cos’hai sognato?»
Helen mi rivolse un sorrisetto, a metà tra uno dolce e uno malizioso. Riportò subito la sua attenzione sul figlio di Odino, come se quel gesto bastasse a farmi capire tutto quello che pensava.
«C’era una battaglia» raccontò, «nella città, ma non vedevo, non avvertivo la presenza di umani. Solo semidei. E tu, Alex, combattevi contro qualcuno che emanava potere. Il tuo avversario riuscì a disarmarti, puntò la sua… spada verso la tua faccia… Poi il sogno è diventato sfocato, e non sono riuscita a capire altro.»
Sentii un peso scendermi sulle spalle, l’ennesimo, quel giorno. Non era un bel sogno, per niente. Assomigliava di più a un incubo.
«Hai esitato, prima di dire “spada”. Perché?» domandò Alex, imponendo neutralità alla sua voce.
Helen giocherellò con la sua ciocca colorata. «Non era proprio una spada normale, purtroppo non capivo di cosa si trattava. Mi dispiace.»
«Tranquilla, non preoccuparti.»
Sei tu quello che si deve preoccupare, pensai, ma tenni la bocca chiusa. Voleva ancora lanciarsi in una missione osteggiata dagli dèi e per di più suicida? Sospettavo di sì. Dubitavo avesse un briciolo di spirito di autoconservazione, quando si trattava di aiutare il prossimo. “Molto nobile, eppure così stupido”, aveva commentato Lars, e non potevo che essere d’accordo.
«Be’, grazie per averci raccontato il tuo sogno» tirai le fila, cercando di concludere il discorso.
«È la prima volta che qualcuno mi ringrazia per aver predetto una possibile catastrofe» ribatté Helen, divertita.
Ci oltrepassò, poi si girò e chiese: «Quando si parte?»
«Tra poco» rispose Alex. «Perché?»
«Mi sembra ovvio, vengo anch’io. Ho sempre desiderato visitare gli Stati Uniti.» Sorrise. «Poi, chi non vorrebbe buttarsi in una guerra e rischiare di essere ucciso?»
Si allontanò, lasciandoci di stucco. Cercai lo sguardo di Alex, pronta a un’ultima battaglia per convincerlo a non andare, ma lui troncò ogni mia iniziativa.
«Vado a raccogliere le mie cose, non manca molto alla partenza. Sarebbe meglio se facessi lo stesso.» Aveva un’aria stanca e, in effetti, non potevo dargli torto.
«Come vuoi» dissi, accennando a un saluto con la mano. «Ci vediamo dopo.»
Camminai per i corridoi, entrai nella mia stanza e iniziai a riempire lo zaino di ciò che avevo bisogno. Diversi paia di jeans, pantaloni sportivi, alcune magliette, una felpa e l’occorrente per guarire ferite. Controllai di avere i miei orecchini, in grado di trasformarsi in mezzelune, e il mio inseparabile IPod. Ficcai tutto dentro, provai a sollevarlo, dopodiché mi abbandonai sul letto.
Qualcosa vicino alla mia coscia vibrò. Rizzai la schiena, andando a sbattere con la testa contro il letto di sopra. Mi massaggiai la cute, pensando che era proprio per quel motivo che avevo scelto di dormire sopra, invece che sotto.
Alzai la gamba, trovandoci il telefonino di Irvig, una delle mie compagne di stanza. Non erano molti i semidei a possederne uno, dato che era un segnale molto forte per attrarre i mostri, ma lei ne aveva uno così vecchio e rovinato che dubitavo potesse mandarne uno potente.
Irvig lo metteva a disposizione a chi serviva, a patto che, se l’avesse usato, avrebbe contribuito a pagare per il prossimo inserimento di credito. Prima che venissi riconosciuta, avevo segnato il numero del telefono su un foglietto e l’avevo dato a mio padre, raccomandandogli di usarlo solo in casi estremi, “perché la segreteria di questo campo estivo è già parecchio intasata”.
Una delle molte bugie che gli raccontavo. Lo presi in mano, controllando la casella dei messaggi in arrivo, muovendo le dita su quei tasti minuscoli, che mandavano un vago bagliore verde fosforescente. Riconobbi il numero prima ancora di leggere il testo. Mi morsi l’interno della guancia.
“Per Astrid Jensen. ‘Sta sera devi essere a casa. Dove sei? Papà.”
Chiusi gli occhi, pensando che io non potevo e non volevo essere là questa sera, né quelle successive. Non se ne parlava proprio. Cliccai su “rispondi” e scrissi velocemente: “Non aspettarmi.”
Due parole, nemmeno un saluto. A questo si limitavano le mie conversazioni con mio padre, per un meraviglioso rapporto genitore-figlia.
Cancellai i due messaggi dalla memoria – chi aveva voglia di aiutare nel pagamento? –, mi misi su lo spallaccio dello zaino e uscii. Non fu difficile trovare il punto d’incontro per chi partiva, perché quasi l’intero Campo si era riunito o si stava dirigendo verso la spiaggia anche solo per vedere.
Quando fui in vista del mare, feci un fischio. Un’enorme drakkar, una trireme nordica, gettava la sua imponente ombra sulla spiaggia di ciottoli, mentre una sottospecie di polena aveva la forma stilizzata delle fauci di un drago. Due file di imponenti scudi in acciaio erano posti ai lati della nave, ed era possibile vedere delle rientranze, da dove i remi potevano sbucare al bisogno, o solo per metterli in bella mostra, visto che Skidbladnir aveva sempre i venti a favore. Le vele bianche erano scosse da venti leggeri.
«Sono o non sono incredibilmente magnifico, ahn?»
La voce di Einar mi riscosse dall’ammirazione dell’imbarcazione.
«Ancora mi chiedo come tu sia riuscita a prenderla, la settimana scorsa» esordii, curiosa.
Lui si mise un dito sulle labbra. «Questo è un segreto, dolcezza. Sappi solo che Freyr non la reclamerà.»
«Ci conto» commentai, e lui mi fece l’occhiolino.
Notai che dietro la schiena portava la custodia di una spada, l’elsa che catturava i raggi del sole.
«Cos’è?» domandai; di solito, Einar preferiva tenere la sua arma nella forma di sigaretta elettronica.
«Una cosuccia per il capo» spiegò, evasivo.
Decisi di non indagare oltre. La mia attenzione venne catturata nuovamente dalle imponenti vele, mentre facevo i salti di gioia al pensiero che sarei salita su quella nave. Decisamente meglio che i viaggi aerei.
«Forza, salite!» incitò Danny, un figlio di Njordr, dal ponte di Skidblandir.
Mi misi in coda, aspettando impaziente il mio turno per salire, utilizzando la lunga tavola di legno usata come ponte. Quando misi i piedi sul pontile, dovetti trattenermi dal lanciare un gridolino che voleva riassumere la mia felicità con “sto compiendo una missione suicida, ma lo sto facendo con stile!” Danny mi aiutò a saltare oltre il bordo, poi mi fece segno di sgomberare l’area.
«Benvenuta su Skidbladnir, Astrid.»
Alex mi sorrise, oscurando con la sua figura il sole. Mi misi sull’attenti, facendo il saluto militare.
«Sono ai tuoi ordini, capitano!» scherzai. «Devo far pulire le assi da qualche mozzo, signore?»
«No, riposo, marinaio» replicò lui, indicando con un cenno di camminare verso la cambusa.
Scendemmo sotto coperta, dove l’acqua che lambiva il legno produceva un sottofondo costante. Era incredibile come, nonostante quella fosse una drakkar, il suo interno fosse costituito come quello di una nave moderna.
Mi condusse attraverso un primo corridoio, finché non sbucammo in uno punteggiato di porte. Lasciai lo zaino in una cabina, dove erano sistemate due cuccette. Mi chiesi a chi appartenesse l’altra. L’urlo di Danny si sentì fin sottocoperta, tanto gridava.
«Tutti a bordo! Siamo pronti a salpare! Levate l’ancora!»
Avevo la sensazione che si stesse divertendo un mondo. Alex fece spallucce.
«Non fargli caso, sogna di dire queste frasi da quando era piccolo.»
Risi, mentre chiudevo la porta alle mie spalle e risalivo sul ponte, affiancata dal figlio di Odino. Tutti i semidei che avevano deciso di seguire Alex nella sua missione erano lì, affacciati a guardare a terra e il Campo che stavano per lasciare. Non eravamo poi molti, un po’ più di una quarantina, ma eravamo abbastanza per fare la differenza. Danny, i capelli castano scuro accarezzati dal vento, e sua sorella Petra – i capelli interamente tinti di blu – stavano a prua, gli occhi dello stesso colore dell’oceano.
Il ponte usato per salire era scomparso. Alex si fece strada verso i due figli di Njordr e diede loro l’ordine di far partire la nave. I due gli risposero con un sorriso che voleva dire “non aspettavamo di fare altro”.
Piccole onde si infransero contro lo scafo, diventando sempre più grandi, finché cavalloni non sospinsero Skidbladnir a largo. Come richiamati, i venti iniziarono a soffiare con forza, spingendo l’imbarcazione a una velocità impossibile da sostenere per qualsiasi altra nave moderna. L’aria mi spazzò indietro i capelli, mi sbatté in faccia la salsedine e spruzzi di schiuma, costringendomi a socchiudere gli occhi.
Ruggiti provennero alle nostre spalle, quando le viverne uscirono dai loro box e si lanciarono nel cielo, pronte a seguirci, come frecce infuocate. Einar lanciò un grido di gioia, che fu imitato da tutta la ciurma.
Petra rise di gusto, e un’onda si schiantò sul ponte, inzuppando il figlio di Loki da capo a piedi. Tentai di non scoppiare a ridere, alla vista del ragazzo bagnato fino alle ossa, un pulcino zuppo d’acqua. Rischiai di scivolare sulla pozza, ma le mani di Alex si strinsero attorno ai miei fianchi e mi sorressero.
Non riuscii a interpretare le mie emozioni, perché quella partenza era già di per sé sensazionale.
Il vento gli appiattiva i ricci, e il riverbero dell’acqua dava una sfumatura color muschio ai suoi occhi grigi. Deglutii, sentendomi il palato secco. La velocità si stabilizzò, rendendo possibile camminare senza essere spazzati via o cadere oltre bordo.
«Ci pensate voi, qui?» domandò Alex ai due figli di Njordr.
«Certo!» rispose Danny. «È uno spasso, amico!»
Alex gli batté una pacca sulla spalla, andando a controllare che fosse tutto a posto. Einar si strizzò la maglietta, gettando un’occhiata in cagnesco a Petra. Quando notò che lo fissavo, mi fulminò, poi mi rivolse uno dei suoi soliti sorrisi ambigui.
«Vuoi votarmi come miglior Mister Maglietta Bagnata di quest’anno, dolcezza? Oppure preferisci che versi dell’acqua addosso ad Alex, così puoi sbavare dietro a lui?»
«Va’ all’Hellheim» brontolai, ma ero troppo esaltata per far troppo caso alla provocazione.
Guardai all’orizzonte, pensando a come ci avrebbe accolto la Statua della Libertà e se i greci sarebbero stati sorpresi di vederci. Di una cosa, però, ero certa: se stavamo davvero andando a morire, lo stavamo facendo in gran stile.
 

Il cielo era coperto di soffici nuvole violette, i raggi del sole mandavano bagliori arancioni e rossastri, mentre si facevano sempre più freddi. Il lieve venticello che giungeva dal mare giocava con i miei capelli, mi scompigliava i ciuffi davanti agli occhi. Se mi inumidivo le labbra, potevo sentire il sapore della salsedine sulla pelle. Ogni tanto, spruzzi di schiuma mi finivano sulle mani o sulla maglietta, pizzicando lievemente per il sale.
Ero appoggiata sul bordo di legno della nave a poppa, lo sguardo fisso in direzione del Campo Nord. Quel tramonto me ne ricordava un altro, circa un mese fa, quando le circostanze erano più felici. E non ero sola.
La maggior parte dei semidei si era ritirata sottocoperta, ancora eccitati per stare navigando su Skidbladnir. La mia, di esaltazione, stava scemando pian piano. Non potevo impedirmi di pensare ai pro e ai contro di quell’impresa non approvata, dei rischi che avremmo corso e delle gioie che ne avremmo ricevuto.
Avevamo fatto la scelta giusta, ignorando gli dèi per aiutare i nostri amici? Non lo sapevo. A queste preoccupazioni, si aggiungeva quella per Alex e il sogno di Helen, insieme al sapore agrodolce del messaggio che avevo lasciato a mio padre. Non ero sicura di quello che stavo facendo, ma non mi sarei tirata indietro, anche perché non potevo.
Udii delle risatine dietro di me e, quando qualcuno si affiancò a me per osservare il sole tramontare, lo ignorai, pensando che fosse un ragazzo qualsiasi che cercava di tenersi occupato mentre non vomitava per colpa del mal di mare.
Ticchettai con le dita sul legno, componendo una rozza melodia. Una mano si pose sulla mia, mettendo fine a quel sottofondo. Il cuore perse un battito, quando riconobbi al tatto che si trattava di quella di Alex.
Guarda il tramonto,
mi ordinai. Lui non è qui. Lui non è qui.
«Non lo trovi stupendo?» chiese, il tono leggero di chi vuole fare una chiacchierata su argomenti futili.
«Cosa?» Nascosi a stento una punta d’ansia.
Immaginai sorridesse, mentre spiegava: «Il tramonto. Ovvio, anche Skidbladnir è magnifica, i figli di Vidarr che l’hanno costruita hanno fatto davvero un bel lavoro.»
«Oh, certo» commentai. «Sono entrambi stupendi.»
Soprappensiero, Alex mi disegnò cerchi concentrici sul palmo. Dèi, mi torturava così, senza nemmeno rendersene conto? Dovevo rimanere concentrata sul paesaggio, ignorare gli impulsi che la vicinanza col figlio di Odino mi provocava.
«A cosa stai pensando?» domandò.
«Niente.» Sto pensando a te, razza di idiota.
«Menti sapendo di mentire.»
Knulle*. Sospirai, lanciando una breve occhiata alle nostre mani unite.
«Va bene…» dissi. Dove potevo portare il discorso? «Tu non hai paura? Di quello che stiamo facendo, intendo.»
«Mh.» Alex si perse a riflettere, ruotando lentamente il pollice sulla mia mano. «Credo sarebbe impossibile non averne. Oltre che molto stupido.»
«Però non sembri averne» osservai.
«Si vede che sono un bravo attore» replicò, sorridendo divertito. «Forse, mi sono rassegnato al fatto che le cose facili erano finite quando siamo nati.»
«Questo dovrebbe essere rassicurante?»
«Essere sinceri con se stessi non rassicura spesso, ma schiarisce la mente. È più semplice affrontare la realtà, quando non ti menti.»
«Io lo troverei spiazzante» obiettai. «Ci sono domande a cui non voglio rispondere, perché la risposta potrebbe spaventarmi.»
Alex scrollò il capo. «A me aiuta. Dai, chiedimi qualcosa e io ti dimostrerò che la sincerità funziona.»
Non faceva freddo, ma rabbrividii.
«Ehm…» balbettai. «Meglio il gelato alla fragola o al limone?»
«Non questo tipo di domande, Astrid.»
Il cuore mi batteva nelle orecchie. Non potevo chiedergli ciò che avevo in mente e che mi interessava di più, sarebbe stato come consegnargli la mia anima affinché la riducesse in pezzi. Eppure… Se la sincerità aiutava davvero, perché trattenermi?
«Ti piaccio in-quel-senso?» buttai fuori senza quasi respirare.
Alex si immobilizzò, la sua mano ferma sulla mia, lo sguardo bloccato all’orizzonte.
Rispondi, avanti, incalzai mentalmente. Ma Alex non rispose. Rimase muto, lasciò la questione sospesa. Mi venne quasi da ridere, ma ero troppo delusa per fare alcunché. In quel momento, il suo “mi sono rassegnato al fatto che le cose facili erano finite quando siamo nati” non mi sembrò più vero.

 
*Qui  = cazzo
koala's corner.
Siamo tornati - in fretta e non a mezzanotte, siamo decisamente migliorati! Prima di tutto ringraziamo le dieci persone che hanno recensito lo scorso capitolo, siete fantastici!
Dà una bella carica sapere che la seconda serie è stata accolta così bene :D
Amazing. Quindi, ecco qui il secondo capitolo! Scopriamo che Astrid è cotta a puntino di Alex, uno dei motivi per cui ci saranno molti più momenti di coppia. Il finale *coff* Vi teniamo sospesi, cari shippatori Alrid.
Ma come siamo crudeli :P *risata malvagia*
E il mezzo di trasporto speciale è... la mitica drakkar Skidbladnir! Costruita dai figli di Vidarr - l'Efesto norreno - e uno dei motivi del titolo di questa storia. Se non sapete cos'è una drakkar, ecco qui un'immagine: http://boar.home.pl/aaorlinskicom/wp-content/uploads/2013/04/DSCF1953a.jpg
Da quel poco che si può capire, Astrid non ha un buon rapporto buono con suo padre, a differenza di Alex.
Conosciamo anche altri personaggi, speriamo che riusciate a tenerli a mente tutti!
E che cos'avrà rubato preso in prestito Einar? Ma, soprattutto, vincerà il premio Mister Maglietta Bagnata? Lo scopriremo nel prossimo capitolo!
Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto, che non vi abbia fatto venire il diabete e che continuiate a seguirci in modo così caloroso!

Soon on "Venti del Nord": doppio POV Alex e Percy, scopriamo la cosuccia di Einar e vedrete ben presto come abbia cambiato alcune cosette...

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Capitolo 3
*** ALEX/PERCY • Veniamo salvati dai pirati che non vengono dai Caraibi ***


•Alex•

Sussultai a quella domanda; perché me l’aveva fatta? Cosa dovevo rispondere? Io ci tenevo un sacco a lei. L’avevo difesa dalle ingiurie che le erano state lanciate ed ero disposto a proteggerla da qualsiasi cosa la minacciasse, ma mi piaceva davvero? Volevo davvero lei?
Difficile da dirsi, perché mi piaceva, davvero tanto, ma i miei timori erano quelli di deluderla. Non volevo tradirla o illuderla. Inoltre, c’era la possibilità che mio padre non approvasse e che ci fulminasse tutti e due sul posto – anche se ce l’aveva fin troppo con me, ormai. Dovevo correre il rischio di dirle la verità?
Ok… ora o mai più, figlio di Odino. Stai per andare alla morte. Dille la verità e non pensarci più, pensai, tentando di non arrossire più di quel che ero già.
«Ecco… io…» cercai di trovare parole diverse da un banale “sì”, ma la voce non mi uscì.
«Alex!»
L’urlo di mia sorella Nora mi riportò alla realtà, mi stava chiamando, indicando una mischia tra i figli di Thor e Tyr, entrambi intenzionati ad appropriarsi delle cabine più vicine all’armeria. Deglutii e guardai Astrid, che sembrava in attesa. Eppure capì che non potevo trattenermi.
«Vai, comandante… hanno bisogno del tuo aiuto» sorrise la figlia di Hell, ma era un sorriso dietro cui, mi resi conto, nascondeva delusione.
Il giorno passò tra i preparativi per la battaglia che, sapevamo, avremmo dovuto affrontare al più presto. Alyssa ed Einar stavano cercando di portare all’ordine i loro fratelli, i figli di Loki, di Thor e Tyr avevano trovato l’accordo di mettersi gli una alla destra, gli altri alla sinistra dell’armeria e si erano messi a lucidare le spade e le asce. Qualcuno si allenava.
Danny e Petra, insieme ai loro fratelli, aiutavano i figli di Vidarr a manovrare la Skidbladnir, che era diventata qualcosa che ricordava la fusione era una drakkar antica e una moderna nave da guerra, con comandi computerizzati, sistemi di navigazione e tracciamento rotta moderni, remi meccanici che si muovevano senza bisogno di equipaggio e delle baliste sulla prua a caricamento automatico, pronte a bombardare i nemici in avvicinamento.
I figli di Ullr erano intenti a leggere miti dell’Antica Grecia, alla ricerca di informazioni sui loro possibili avversari futuri. Il mare era stranamente calmo: a quanto pare mio padre aveva ritirato l’ordine di affondarci.
Osservai il fodero in pelle che mi aveva consegnato Einar: era uno dei cimeli di Hermdor, una reliquia potente che lui teneva al sicuro nella Sala dei Trofei. Lui stesso se ne occupava e sospettai che sarebbe andato su tutte le furie, una volta scoperto il furto. Ma ne avevo bisogno: se volevo vivere, quella spada mi era indispensabile.
Ed eccola lì, la più famosa delle spade leggendarie: Excalibur, la spada di Artù, re d’Inghilterra, primo signore di tutte le Orde e figlio di Odino. Non era una spada in Acciaio Asgardiano qualunque. La sua impugnatura fatta di osso di drago, coperto da una patina d’oro, era finemente lavorata, formava un’impugnatura adatta sia per uno scontro con una mano, sia con quello a due.
Una lama di circa novanta centimetri si estendeva in avanti formata in acciaio asgardiano, ma la parte centrale era particolare, come se diventasse di puro argento, incisa di rune antiche, la cui magia era così potente da poter competere con un arma divina.
Ed era stata la rovina di molti eroi. L’orgoglio di possedere un’arma di quella potenza aveva accecato molti, portandoli a compiere imprese che andavano oltre la loro portata, ma io ne avevo bisogno. Solo il suo potere mi avrebbe potuto salvare.
In mano sentivo Excalibur vibrare di energia: l’arma benedetta da mio padre in persona non veniva brandita da più di mille anni e la sua magia si era preservata forte. Le rune sembravano piccoli diamanti brillanti, che emanavano un tenue bagliore e il fodero incantato sembrava adattarsi alla mia schiena, quasi non ce l’avessi nemmeno attaccato.
L’antica lama non solo era la più famosa delle spade magiche, ma anche la più potente: la sua fama era ben meritata dato che era stata creata da Vidarr in persona. Finché la tenevo in mano, i mostri non mi avrebbero mai ferito e qualsiasi potere o magia sovrannaturale, anche se di origine divina, sarebbe stato deviato o assorbito. Un grande vantaggio in battaglia, anche se i miei timori erano altri: i titani erano più che veri mostri, loro avrebbero potuto uccidermi facilmente.
Scacciai il pensiero: sarei tornato vivo. Lo dovevo a mia madre, ai miei amici… ad Astrid. La sera arrivò presto ed io mi ritirai nella mia cabina, insieme ad Einar, mentre Astrid e Nora si ritiravano nella loro.
«Allora, capo, come ti senti?» chiese il figlio di Loki, giocherellando con la sua spada in acciaio Asgardiano.
Sbuffai. Come dovevo sentirmi, secondo lui? Dovette accorgersi della mia espressione, perché sospirò, abbandonando i suoi soliti modi scherzosi ed irritanti. Ecco come lo apprezzavo: sincero. Einar era un figlio di Loki, ma sapeva essere onesto ed era un buon amico.
Mi aveva da subito sostenuto nel mio piano e aveva convinto suoi fratelli ad unirsi alla spedizione. Per quanto possa sembrare impossibile, di lui mi fidavo.
«Ascolta, Al… Non so come ti senti, ma tutti, in questa nave, immaginano cosa stai passando. Se volessi tornare indietro nessuno ti darebbe del codardo» disse, assumendo un aria seria.
«Lo so, ma non è per quello che vado» spiegai, sdraiandomi sul letto, cercando di non pensare a tutte le cose orribili che Hell mi avrebbe potuto fare. L’anno scorso le avevo sparato un fulmine in mezzo agli occhi. Per lei sarebbe stato il massimo della gioia potermi avere tutto per sé e giocare con la mia anima.
«Lo so, credimi… giuri sull’Isola di Foreseti, ci sono cose peggiori dell’Hellheim. Be’, amico, lasciatelo dire, sei sempre stato troppo nobile e troppo ansioso di aiutare il prossimo» sbuffò Einar, buttandosi sul letto con aria annoiata.
«Già» conclusi, cercando di non pensare a quello che mi sarebbe potuto accadere.
 
Passarono due giorni di navigazione. La Skidbladnir era velocissima e poteva percorrere una distanza incredibile come quella dell’Atlantico in poco tempo. Ci rendemmo conto di essere entrati in territorio greco quando Danny e Petra smisero di surfarci intorno, affermando che le onde stavano iniziando a diventare difficili da controllare. Eravamo entrati nel territorio di Poseidone ed era Percy, adesso, in vantaggio.
Era così che funzionava: fuori dalla nostra area, i nostri poteri si indebolivano, come quando Nico era entrato negli Inferi norreni. Lì, non era più riuscito a controllare i morti come aveva sempre fatto. In quel periodo non accadde nulla di eccitante. Io mi limitavo a parlare con Astrid, Einar, Nora o Helen, mentre tutti gli altri continuavano le loro attività – ho perso il conto di quanti palloni di basket i figli di Baldr abbiano buttato, per sbaglio, fuoribordo. Se doveste passare per l’Atlantico e vedeste un pallone da basket, potete restituirlo?
Ogni tanto cercavo di riattaccare il discorso che avevo interrotto con Astrid, ma, ovviamente, ogni volta che ci provavo, il mio cervello esplodeva a causa dell’imbarazzo, quindi iniziavo a parlare di altro, incapace di guardarla negli occhi.
Molti erano eccitati: navigare su una drakkar verso una battaglia faceva venire in mente le gesta dei nostri più coraggiosi antenati del passato, che veleggiavano senza paura contro i nemici. Tanti si davano arie da grandi guerrieri, ma intuii che era solo un modo per esorcizzare la paura. Era pomeriggio del terzo giorno di navigazione quando qualcuno mi richiamò.
«Comandante, qualcosa all’orizzonte!»
L’urlo veniva dalla coffa: Kinnon, un figlio di Heimdallr, dalla vista così acuta da non aver bisogno di cannocchiale, indicò qualcosa all’orizzonte. Una viverna… no! Era un pegaso! Una cavalcatura volante greca.
Stava volando verso nord-ovest e dalla mia distanza non potevo nemmeno vederli, ma di sicuro Kinnon sì. Corsi al castello di poppa, dove i comandi modernizzati della vecchia drakkar emettevano suoni e brillii comprensibili solo a quegli aggiusta-tutto dei figli di Vidarr.
Secondo il sistema di navigazione la nostra amata nave aveva già percorso più di tre quarti del viaggio.
Ancora qualche giorno e saremo arrivati a destinazione. Forse solo un giorno. In quel momento, però, qualcosa mi avvertì del pericolo: stava per succedere qualcosa e quel pegaso non era un buon segno. Pur essendo al di fuori di qualsiasi regola del buon senso, decisi di seguire il mio istinto.
«Seguite quel pegaso! Spingete i motori a tutta forza e date l’allarme! Preparate le armi allo scontro!» ordinai, maledicendo la sfortuna. Eravamo partiti da pochi giorni e già dovevamo affrontare uno scontro?
 
♠Percy♠
Listen to this soundtrack while reading! ---> https://www.youtube.com/watch?v=EFpnW5En33M
 
Dannazione, dannazione e ancora dannazione! Mi chiamo Percy Jackson e sono, probabilmente, il semidio figlio di Poseidone più stupido di tutto il mondo greco. Ormai era la fine, ne ero certo. Crono – o meglio, Crono dentro Luke – mi aveva messo all’angolo e Bekendorf era a terra, tenuto in piedi da due giganti iperborei.
Era ferito e il labbro spaccato colava sangue. Sul suolo c’erano una decina di scatolette di latta. Ethan si stava allontanando spaventato, alla ricerca degli esplosivi, mentre Crono mi mostrava una specie di ciondolo a forma di falce che portava al braccio.
«Non puoi fidarti nemmeno degli amici, ti deludono sempre» mi derise il titano, con un sorriso freddo stampato in faccia.
La ferita alla spalla mi stava sottraendo lucidità, impendendomi di ragionare, ma riuscii comunque a biascicare: «Un dispositivo di comunicazione… Una spia al Campo.»
Beckendorf continuava a guardarmi, cercando di comunicare, sillabando la parola “Vai!” con le labbra. Avrei voluto urlare “No!”. Non l’avrei mai abbandonato. Non sarebbe mai riuscito a salvarsi.
Poi, però, accadde qualcosa che non mi aspettai: l’aria fu attraversata da una strana musica, tanto che pensai di essere impazzito. Era proprio la colonna sonora di “Pirati dei Caraibi”. Tutti, mostri, semidei e Crono si guardarono intorno sorpresi. In effetti, non capii come diavolo potesse esserci una musica del genere, in mezzo al mare.
Poi un ordine risuonò, simile ad un “Silenzio! Avevo detto di sorpresa! SPEGNETE QUELLO STEREO!” Ed era una voce stranamente familiare.
«Andate a controllare!» ordinò subito Crono, improvvisamente nervoso, stava succedendo qualcosa e, forse, per una volta la fortuna girava a nostro favore.
«Non possiamo permet–»
Poi fu il caos. Una gigantesca nave antica, simile ad una trireme, emerse dalla nebbia che avvolgeva la Principessa Andromeda. La forma, però, era più affusolata, fatta per speronare; ai lati c’era una sola fila di remi e degli scudi tondi in acciaio scintillavano nella notte come decine di stelle. Al posto della polena c’era un potente rostro di acciaio e la prua era rialzata, scolpita a creare il volto stilizzato di un drago. Sul ponte c’erano almeno trenta mezzosangue, quasi tutti pallidi e dai capelli biondi, armati di lance, spade ed asce al comando di un ragazzo che conoscevo bene.
«Alex!» urlai, sorridendo nonostante la situazione disperata.
Lui mi vide e i suoi occhi si infiammarono di rabbia. Sapevo che non sopportava vedere i suoi amici in difficoltà, ma io mi sentivo leggero. Non riuscivo a credere che fosse capitato lì proprio in quel momento. Le due navi si scontrarono e tutti noi, compresi me e Beckendorf, cademmo a terra storditi. Mi sentii come se il pavimento sotto di me fosse diventato di gelatina.
«Uccidiamo i mostri! Per Asgard!» esclamò, mulinando una spada che non avevo mai visto.
«PER ASGARD!»
Gridando, una ventina di inarrestabili semidei vichinghi si riversò sul ponte della Principessa Andromeda, mentre i mostri erano ancora a terra. Dracene, giganti e Lestrigoni vennero infilzati prima ancora di poter riprendere l’equilibrio, mentre i guerrieri ancora sulla nave tiravano frecce. Beckendorf strisciò via, avvicinandosi a me.
«Andiamocene…» sussurrò debolmente.
Era gravemente ferito e stanco, ma riuscì, comunque, ad issarsi sui gomiti.
«Fermateli!»
L’urlo di Crono fu fermato da un figlio di Thor che gli tirò una martellata in faccia, mandandolo dall’altra parte della nave. Alex era in armatura e mulinava la sua nuova spada, mandando in polvere ogni mostro che aveva la malsana idea di intralciarlo.
«Andiamo, ragazzi! Non possiamo aspettarvi tutto il giorno!»
Alle mie spalle le onde si alzarono e apparvero un giovane che avevo già intravisto al Campo Nord e una ragazza dai capelli blu elettrico. Le loro onde ci afferrarono, trascinandoci sott’acqua, come se fossero mani. Era strano, per me, non avere il controllo mentre nuotavo. Di solito ero abituato a dominare il mare, mentre in quel caso erano i due ragazzi a farlo, mentre surfavano, impalando i mostri con delle fiocine. Le onde ci catapultarono a bordo della nave norrena, mentre gli altri semidei ritornavano a bordo su ordine del loro comandante.
«Indietro tutta!» ordinò Alex, mettendo mano al timone.
Era un po’ strano vederlo al comando di così tanti ragazzi. Alcuni, molto più robusti di lui, pendevano dalle sue labbra senza fiatare. Inoltre, aveva un atteggiamento più duro, che mi ricordava vagamente il loro istruttore Hermdor. La ragazza dai capelli blu salì a bordo e, inarcando le sopracciglia, come se stesse compiendo un enorme sforzo, controllò le acqua, costringendo la loro nave a staccarsi dalla Principessa Andromeda.
Beckendorf capì che l’occasione era perfetta e premette il pulsante del comando a distanza che aveva al polso. Pochi istanti dopo, la nave di Crono esplose, sotto gli occhi sbalorditi di tutti i compagni di Alex, che ancora osservavano la nave piena di mostri.
L’onda d’urto ci raggiunse poco dopo, ma eravamo già lontani e ci scompigliò solo i capelli. Ero distrutto, ma terribilmente felice.
«Percy, che cavolo! Passa solo un mese, e già rischi la vita?»
Alex si era avvicinato a me, dandomi una pacca sulla spalla e una mano a rialzarmi.
«Sai com’è, di solito io la vita la passo sempre su un una poltrona a dormire» risposi di rimando, cercando di controllare il tremore al braccio ferito.
Cavolo se ero felice di vederlo e non da solo. Sul ponte c’erano una cinquantina di semidei vichinghi, armati e pronti alla battaglia. Alcuni erano riusciti a portare a bordo anche dei trofei, come corna, zoccoli o pezzi di armatura che mostravano felici ai loro compagni, urlando al cielo come degli ossessi, probabilmente un loro rituale di vittoria. Sembravano entusiasti della loro prima vittoria e ansiosi di menare le mani di nuovo.
«C’è tutta la tua orda?» chiesi, osservandoli ammirato. Finalmente rinforzi freschi.
«Sì, più qualcuno delle altre che voleva menare le mani. Stanno correndo un grosso rischio, ma nessuno di noi teme veramente la morte» rispose, con voce decisa.
Eppure lo sentii vacillare, come se stesse volutamente tenendo nascoste delle informazioni.
«E le altre orde? Verranno?»
Sperai ardentemente di sì. Un mese prima ero rimasto al loro Campo per un giorno, prima di tornare in volo al Campo Mezzosangue, e mi era bastato per vedere le Orde in azione in allenamento. Se ci fossero state tutte avremmo potuto prendere Crono a calci.
«Sfortunatamente no» fu la risposta che pose fine alle mie speranze. Anche Alex sembrava dispiaciuto e non potei dargli torto. Aveva promesso che ci avrebbe aiutati, ma si sentiva comunque responsabile per non aver fatto di più. Cercai di essere ottimista per tirarlo su.
«Avanti, possiamo farcela!»
Beckendorf, accanto a me, sorrise incoraggiante e provò ad alzarsi per dire qualcosa, ma le gambe non lo ressero e crollò sul ponte della nave in viaggio.
«Ehi, amico, che succede?»
«N-non… sto molto bene…» ammise il figlio di Efesto con un ansito.
Era ferito gravemente e io me l’ero completamente dimenticato, da quanto ero stupido. Mi voltai e guardai il mio amico del Campo Nord che fece cenno a due suoi compagni.
«Sarah, Lars! Portatelo sottocoperta e medicatelo. Non sta bene» disse con cipiglio autoritario.
Non era proprio un ordine, ma i due ubbidirono. La ragazza la riconobbi – quella che aveva minacciato Einar di castrazione –, immaginai che il ragazzo accanto fosse il fratello di parte divina. Accanto a me c’era ancora la ragazza dai capelli blu tinti. Sembrava molto provata, come se avesse fatto un grande sforzo.
«Ehi, stai male?» chiesi, preoccupato, avvicinandomi a lei.
Solo quando fui a pochi passi mi accorsi che aveva occhi verdi della mia stessa sfumatura.
«Certo… Dammi un attimo, sai, comandare il mare fuori dal territorio di mio padre non è una passeggiata. Comunque, piacere di conoscerti. Io sono Petra, figlia di Njordr» si presentò tra gli ansiti.
Era strano, ma mi ritrovai a cercare somiglianze tra me e lei. Aveva i capelli tinti, ma non le stavano male, e gli occhi, così simili ai miei, mi facevano una strana impressione: riuscivo a figurarmela come una mia sorella al Campo Mezzosangue.
«Piacere. Scusami, ma credo che i nostri genitori non si sopportino. Io sono figlio di Poseidone, il dio dei mari di queste parti» ridacchiai, notando come lei sembrava ansiosa di rimettersi in piedi per non mostrare debolezze.
«Allora, come dobbiamo chiamarci? Quasi parenti? A quel che so mio…»
Ma non completò la frase, perché un corpo fuoriuscì dal mare e suo fratello castano riemerse. Aveva un aria furibonda e battagliera e tutti gli altri si avvicinarono a lui che indicava ciò che aveva pescato.
Seguendo la traiettoria vidi che era una ragazza: aveva lunghi capelli neri, la pelle abbronzata e una ciocca dei capelli neri era tinta di blu. Me la ricordavo con abiti molto più succinti, rispetto a quelli che portava in quel momento. Era la figlia di Ecate che, un mese prima, avevo visto “intrattenere” Loki in sogno.
«È una di quelli che ci minacciano! È ancora viva!»
Alex si accigliò, si avvicinò alla ragazza e disse: «Fatela rinvenire, forse può dirci qualcosa di utile.»
Vidi Einar avvicinarsi alla mezzosangue ed esaminarla per un attimo, dopodiché le fece il massaggio cardiaco e un paio di respirazione bocca a bocca, costringendola ad espellere l’acqua che aveva bevuto.
«Ok, capo, dovrebbe sopravvivere» sentenziò, una volta assicuratosi che respirasse, asciugandosi le labbra.
«Bel colpo, amico, sempre il migliore, eh?»
Notai come tra Alex e il figlio di Loki le cose fossero cambiate. All’inizio della loro prima impresa sembravano non sopportarsi, ma in quel momento erano come veri amici. Ci volle un po’ per vederla riprendersi, ma i nostri compagni ne approfittarono per legarla, allontanando le armi, in modo che non potesse essere un pericolo.
Danny, per sicurezza, usò i suoi poteri per far uscire l’acqua residua dai suoi polmoni. Il liquido fuoriuscì dal naso e dalla bocca socchiusa della ragazza, che rinvenne subito dopo, tossendo.
«Dove sono?» si chiese, confusa, scuotendo la testa.
«Sei su una drakkar vichinga e sei nostra prigioniera» spiegò Alex imperturbabile, seduto davanti a lei.
Il grosso dell’orda si era dispersa, ma al suo fianco erano rimasti Astrid, Einar, l’astuto figlio di Loki, e Petra. La figlia di Ecate si irrigidì.
«Voi… non dovevate esserci! Io… non vi dirò nulla!»
Sembrava più terrorizzata che decisa e mi faceva un po’ pena. Sapeva che Crono non avrebbe mosso un dito per salvarla. Era sola nelle mani di coloro che lei credeva un nemico. Sperai che il mio amico si rivelasse gentile, d’altro canto, lo conoscevo come un ragazzo leale e amichevole, ma contro i nemici era una furia scatenata. Ma quello riguardava i mostri. Sperai si ricordasse che lei era, comunque, un’umana.
«Non ti ho chiesto nulla. Hai qualcosa da dirmi?» domandò, senza perdere la calma.
«No, non ho nulla da dire! Lasciami, ora!» sbottò la prigioniera, dimenandosi inutilmente.
Anche se fosse riuscita a liberarsi, sarebbe stata fermata prima che potesse avvicinarsi al parapetto.
«Non siamo tuoi nemici, vogliamo aiutarti» dissi, cercando di farla sentire a suo agio, ma ebbi in risposta solo uno sguardo fulminante.
«Allora perché mi avete legata? Tu sei un figlio degli dèi maggiori! Al Campo hai una casa tutta per te, mentre io ero stipata con quelli di Ermes. Mia madre è Ecate, dea della magia. È lei che controlla la Foschia, eppure non gli è nemmeno concesso l’onore di parlare al consiglio!»
Di nuovo mi sentii in imbarazzo. Quello che diceva era vero: le divinità minori si erano, quasi tutte, ribellate contro Zeus perché lui non aveva concesso loro un posto d’onore nel consiglio e perché i loro figlio non avevano una casa al Campo. Non potevo negare le loro fin troppo evidenti ragioni.
Eppure Crono era il male, sapevo che lui avrebbe distrutto tutto ciò a cui tenevo e non mi sarei arreso. Questo, però, non giustificava Zeus e gli altri Dèi per il loro comportamento.
«Quindi, lascerai che Crono distrugga tutto il tuo mondo per avere una casa migliore?»
A parlare era stato Alex che scrutava la figlia di Ecate con un odio che non avevo mai visto nei suoi occhi. Il suo corpo sembrava sul punto di prendere fuoco, ed effettivamente vidi del fumo levarsi dalla sua pelle. Anche la ragazza doveva essersi resa conto dell’imminente esplosione, perché tornò a concentrarsi su di lui, ma questa volta, era palesemente nervosa.
«No! Io… non c’entra la mia casa… voglio solo che sia fatta giustizia. Mia madre è importantissima, ma non ha mai avuto nessun onore! I miei fratelli sono considerati dei reietti e non hanno nemmeno la possibilità di essere riconosciuti» balbettò, esasperata.
Questa volta sembrava molto meno decisa a resistere: Alex aveva trovato un punto debole nelle sue difese. Infatti il suo corpo smise di fumare e lui si calmò. Sembrò quasi stanco, ma il suo tono non cambiò molto.
«Gli Dèi non sono mai giusti, e questo lo sai tu, come lo so io. So cosa si prova, credimi. Mio padre, come Zeus, non è uno stinco di santo, ma spesso un vero eroe deve saper chinare la testa davanti a queste ingiustizie. Sei davvero disposta a distruggere tutto, anche le cose migliori, solo perché Crono possa spodestare i tuoi Dèi?»
Per un lungo istante calò il silenzio sul ponte, rotto solo dal rollio della nave e l’impatto dei remi automatici sull’acqua.
Alla fine, la figlia di Ecate abbassò lo sguardo e parlò: «D’accordo, ma cosa mi farete? Chi mi garantisce che non mi farete del male o che non mi ucciderete, quando avrò detto tutto?»
«Non lo faremo mai!» sbottai indignato.
Nessuno di noi avrebbe fatto una cosa simile.
«Forse tu no, Jackson, ma i tuoi amici del Nord non sono altrettanto clementi» protestò, agitandosi leggermente sul posto.
Stavo per ribattere, quando il cervello mi fermò, riportando la mia poca attenzione a quello che ricordavo delle lezioni di storia quando ero ancora quello che si poteva definire uno “studente normale”.
Per cosa erano famosi i vichinghi? Ottimi navigatori, guerrieri senza pari, ma, soprattutto, noti per la loro crudeltà: nella storia si erano distinti per il loro temperamento sanguinario e la distruzione che portavano. Non mi sorpresi a pensare che la paura della semidea era giustificata. Ma Alex non era il tipo da uccidere a sangue freddo una ragazza, anche se nemica.
«So che voi giurate sullo Stige, per creare dei patti infrangibili, quindi giuro sullo Stige e sull’Isola di Foreseti che nessuno di noi, qui, ti farà del male, a meno che non sia tu per prima ad attaccarci» assicurò lui, senza batter ciglio.
Qualche figlio di Thor e Tyr sembrò poco felice di quella decisione, ma nessuno protestò. Di mio, fui felice di constatare che Alex riusciva a controllare la sua sete di sangue.
La figlia di Ecate sembrò rilassarsi un po’ ed inizio a parlare:  «Io so poco dei piani di Crono. So solo che, ultimamente, stava radunando molte truppe lontano dalla Principessa Andromeda. Ho sentito che progetta un attacco contro l’Olimpo e che la nave andava usata come esca, visto che sapeva che volevate distruggerla.»
«Aspetta, allora è vero che c’è una spia! Il nostro attacco non è servito a nulla!» esclamò Beckendorf, tornato sul ponte.
Aveva la gamba fasciata e riusciva a reggersi in piedi solo grazie ad una stampella, ma almeno non era in pericolo.
«Sì, è da diversi mesi che ci passa informazioni, ma non so chi sia. Crono non l’ha mai detto a nessuno» concluse la ragazza in tono neutro.
Non sembrava così dispiaciuta di parlarne, ma temeva sicuramente le rappresaglie del Signore dei Titani. Io e Alex ci guardammo intensamente per un attimo e capii che stavamo pensando la stessa cosa.
«Se c’è una spia, le cose potrebbero mettersi male, anche con l’aiuto del Campo Nord.»
«Grazie comunque» disse, infine, Alex, per poi rivolgersi ad Einar. «Portala di sotto e tienila lontana dagli altri membri dell’orda, sarete tu e Sarah ad occuparvene.»
Nessuno dei due fu molto felice, ma la figlia di Eir non obbiettò e sollevò di peso la prigioniera, che, però, si rivolse a me: «Jackson, tuo padre sta affrontando una guerra difficile, in fondo al mare. Oceano si è schierato con Crono e sta mettendo in grave difficoltà Poseidone. Per questo lui non è potuto intervenire contro di noi.»
Detto questo, fu condotta sottocoperta, lasciandomi con un nodo di preoccupazione che mi serrava la gola. La navigazione procedette bene per un’ora, mentre io, Charles, Astrid, Alex, il ragazzo di nome Lars e i due figli di Njordr parlavamo di quanto avevamo scoperto.
I due figli del mare non sembravano particolarmente preoccupati, anzi, non vedevano l’ora di buttarsi nella mischia, ma io lo ero eccome. Non solo per la spia al Campo, ma anche per la notizia che mio padre fosse in difficoltà.
«Se c’è una spia, allora, stiamo andando nella tana del lupo, soprattutto se c’è mio padre, con Crono» borbottò Einar, accigliato.
Per quanto potesse sembrare il tipico figlio di Loki, pungente e ironico, sapevo che non gli piaceva parlarne.
«Non c’è da preoccuparsi: tutti gli Dèi Asgardiani hanno avuto un divieto esplicito di non mettere piede in territorio americano» gli ricordò Petra, facendo roteare la sua fiocina come se fosse il bastone di una majoret – sperai vivamente che sapesse tenerla in mano, non volevo che mi cavasse un occhio, per sbaglio.
«Sappiamo bene che Loki è un bastardo di prima categoria. Dagli un ordine o un divieto e lui lo infrangerà per il puro gusto di farlo. Sono certo che ce lo ritroveremo tra i piedi» disse il figlio di Odino, pensieroso.
Sapevo che aveva ragione: l’anno scorso l’avevo visto in sogno che trattava l’alleanza con il Signore dei Titani.
«Allora, gli daremo una lezione. Siamo venuti qui per combattere e combatteremo!» sentenziò una ragazza dai corti capelli biondi, che si affiancò a noi sul ponte, per poi rivolgersi a me.
«Tu devi essere Percy Jackson. Io sono Nora e sono la sorella di parte divina del nostro comandante.»
«Piacere» risposi, stringendole la mano, e io sentii la mia scricchiolare sotto la sua forte.
«Allora non abbiamo tempo da perdere. Avanti tutta! Voglio raggiungere il campo entro domani mattina» ordinò Alex, rivolto al resto della ciurma.
I figli di Vidarr si mossero subito per portare a pieno regime i macchinari che muovevano i remi automatici della drakar, ma io avevo altre cose per la mente. Per quanto sapessi che un dio non potesse morire, c’erano cose ben peggiori che potevano capitare: potevano sparire, essere dimenticati, distrutti, fatti a pezzi o esiliati nel Tartaro.
Temevo fosse in pericolo, così decisi di andare al suo palazzo. Andai dove sapevo essere la cabina di Alex e Astrid per raccontare della mia decisione.
«Sei sicuro?» mi chiese infine, la figlia di Hell, preoccupata.
«Non penso di avere altra scelta. Voglio assicurarmi che mio padre stia bene. Anche se è un dio, potrebbe essere comunque, in pericolo» spiegai, cercando di trattenere l’ansia.
«D’accordo, amico mio. Vai pure, credo che arriverai prima. Qui il mare ti è favorevole, ce la farai in tempo» disse il figlio di Odino, sorridendomi, dandomi una pacca sulla spalla.
«Grazie, sono felice di rivedervi. Davvero, mi state aiutando un sacco. Vi devo più di un’impresa.»
Ero davvero grato per la loro amicizia. Grazie a loro, forse, avremmo avuto una possibilità di vittoria. “
«Buona fortuna, Percy. Ci occuperemo noi di riportare il tuo amico al Campo» mi salutò Alex, stringendomi calorosamente la mano.
«Ciao!»
Sorrisi e mi rivolsi a quelli che mi ricordavo aver incontrato al Campo Nord, salutandoli uno ad uno, dopodiché mi issai sul parapetto della nave e saltai in mare, diretto al palazzo di Poseidone.
koala's corner.
Più in ritardo di quello che pensavamo, ma siamo qui!
Sono felicissimo che il capitolo piaccia, anche la scelta di salvare Beckendorf, che fa contenti tutti tranne questa qua.
Embè, che ci volete fare? Per me lui poteva anche morire, come Silena. *ops*
So che l'idea dei Pirati dei Caraibi è fighissima, l'ho creata apposta :P
Io potrei anche dire che mi piace il film, ed è così, ma piace più qualcuno dentro il film...
Avvisiamo già che "una vita per una vita". Vedete voi come volete interpretarla *piano solo*
E come sempre, ringraziamo per il folto seguito e le vostre recensioni, cui risponderemo prestissimo. Alla prossima!

Soon on Venti del Nord: POV Annabeth, i nostri amici si incontrano - con tutte le conseguenze del caso.
 

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Capitolo 4
*** ANNABETH • Non tutti i problemi si ripiegano come origami ***


Non tutti i problemi si ripiegano come origami
 
♣Annabeth♣
 
Silena si torturava le mani accanto a me. Aspettava l’arrivo di Beckendorf, attendeva che il figlio di Efesto ritornasse e smentisse ciò che l’ansia suggeriva maligna. Dalla veranda della Casa Grande, avevamo una buona vista, ma, per quanto lontano potessimo guardare, la paura che ci prendeva lo stomaco era impossibile da eliminare.
Quando una figura si stagliò all’orizzonte, Silena scattò in piedi e si lanciò contro di lei, con il cuore che correva più veloce della gambe. La seguii, cercando di contenermi il più possibile. Silena si bloccò di botto, mentre riconosceva i lineamenti del ragazzo. Il nodo alla pancia si sciolse e un sorriso genuino sbocciò sulle mie labbra, impossibile da contenere.
Percy era tornato. Eppure, avevo imparato che Percy Jackson ritornava sempre, non importava quanto difficile fosse la sua missione.
Mi resi conto in seguito, che era solo. Solo. Lo raggiunsi, guardai oltre le sue spalle, ma di Beckendorf non c’era traccia.
«Percy, perché Charlie non è con te?» domandai, mentre un nuovo timore si faceva strada dentro di me.
Possibile che non potessimo mai avere un attimo di riposo dalle emozioni forti? Prima o poi, mi sarebbe venuto un ictus. Percy si riavviò i ricci neri e mi rivolse un sorriso incoraggiante.
«Sta bene. Arriverà presto insieme ad alcuni amici» rispose, sibillino.
Silena si aggrappò alla mia spalla, cercando stabilità e appoggio. Trattenne un singhiozzo, non avrebbe pianto se non ce ne fosse stato bisogno. Per essere una figlia di Afrodite, era forte e capace.
«Che amici?» chiesi ancora, ormai sollevata.
«Quelli che mi hanno aiutato a far affondare la Principessa Andromeda.»
«Allora ce l’avete fatta!» esultai. Gli mollai un pugno affettuoso contro la spalla. «Da quando tutti questi misteri, Testa d’Alghe?» lo stuzzicai.
«Pensavo ti piacesse risolvere enigmi, Sapientona» replicò, scoccandomi un’occhiata di sfida.
Non potei più aprire bocca, perché una canzone che ben conoscevo sovrastò il tono della mia voce.
Percy sorrise e mormorò tra sé: «Sono proprio fissati coi Pirati dei Caraibi.»
Silena aveva teso l’orecchio ed era letteralmente a bocca aperta. «Ma cosa sta succedendo…?» domandò, sbalordita.
Qualcuno fischiò. Era un ragazzo dai capelli neri arruffati, occhi castano scuro da sembrare neri, sorriso da figlio di Ermes. «Madamoiselle, succede che i fighi son qua, e semineranno la loro bellezza pure là. Rima!»
«E sta’ zitto, Einar!»
Una ragazza dai capelli biondi lo raggiunse a grandi falcate e gli diede uno scappellotto.
«Ahi!» esclamò Einar, massaggiandosi la testa e scoccando alla sua compagna un’occhiata carica di risentimento.
«L-loro… sono al Campo Mezzosangue» balbettai, incredula.
«Non solo quei due» intervenne Percy, incamminandosi verso di loro, dirigendosi verso la costa.
Come un robot privo di propria volontà, lo seguii, ancora incapace di elaborare. Cosa ci faceva Einar – un norreno – qui? Perché? All’improvviso, mi ricordai delle parole di Alex, un mese prima ad Asgard, e i pezzi combaciarono.
Se non erano solo in due, come diceva Percy, allora… allora Alex era riuscito a convincere suo padre a organizzare una spedizione per aiutarci! Rinforzi freschi, che avevano già dato una mano a distruggere la Principesse Andromeda, che ci avrebbero fornito una marcia in più contro Crono. Mi trattenni dal saltare dalla gioia, lanciando un grido all’indiana.
Einar e la bionda si piazzarono davanti a noi, entrambi con un sorrisetto stampato sulle labbra. Riconobbi la ragazza, Sarah, la stessa che aveva minacciato il figlio di Loki non appena era ritornato dall’impresa. Quest’ultimo fece un breve inchino verso Silena, che si ritrasse, interdetta, quando provò a baciarle la mano. Sarah si sforzò di guardare altrove e fischiettò, nascondendo a stento un sorriso per quell’abbordaggio fallito.
«Oh, già, devi essere tu la ragazza di quello là» osservò con una smorfia. «Forza, seguitemi, la nave ci aspetta.»
Silena non fece caso a “quello là” che si riferiva a Beckendorf, troppo su di giri per pensare ad altro che alla sua salvezza.
«Siete venuti via mare, questa volta» esordii, cercando di capire come fossero arrivati questa volta.
«Esatto, abbiamo usato la mitica drakkar Skidbladnir» confermò Sarah, facendoci strada.
«Meglio cambiare, no?» fece Einar.
«Non fa ridere» lo stroncò la bionda.
«A me sì» ribatté l’altro.
«A me farebbe ridere vederti correre nudo per il Campo, se le regole sono queste, potrei pensare di farlo» ribatté la figlia di Eir.
«Sicura che vuoi vedermi nudo? Oppure è solo una scusa per gettare un’occhiata a qualcos’altro?» la provocò Einar.
«Non posso guardare una cosa che non c’è» si fece trovare pronta Sarah, che sospettavo avere la lingua tagliente quanto la sua spada.
Percy non riuscì più a trattenersi, scoppiando a ridere per quello scambio di battute tutto doppi sensi.
Intanto, eravamo arrivati alla spiaggia, dove una gigantesca trireme nordica era attraccata. Semidei scendevano da un’asse riutilizzata come pontile, e molti altri aspettavano il loro turno.
Cercai di contarli, ma era davvero tanti, minimo una quarantina, ognuno di loro disposto a combattere con noi. Era semplicemente fantastico. Con tutte quelle nuove forze, avremmo potuto formare nuove strategie, piani più ampi, magari non limitandoci unicamente a difendere il Campo Mezzosangue. Mi ripromisi di fare i complimenti ad Alex per il regalo che ci aveva fatto.
Uno strillo mi trapanò l’orecchio, quando Silena notò Beckendorf scendere, assistito da un altro ragazzo, e gli corse incontro. Gli gettò le braccia al collo, facendolo crollare nella sabbia, e scoppiò a piangere. Charlie rise, carezzandole i capelli e la schiena. Sorrisi; erano davvero una coppia affiatata.
«Hei, Annabeth. Hvor er du?* Come va?»
Quella voce…
«Astrid» la riconobbi, un po’ stupita un po’ amareggiata.
Nella mia lista di nordici da incontrare, lei non era in cima. Nonostante ciò, ci abbracciamo, segno che nessuna delle due aveva voglia di iniziare a litigare fin dal primo giorno.
Al mio orecchio, sussurrò: «Per favore, istituiamo una tregua.»
«Senza rancore?» proposi, sottovoce.
«Senza rancore» accettò, staccandosi da me.
Mi fece l’occhiolino, poi fece segno ad Alex, più in là, di venire a salutarmi. Il figlio di Odino mi rivolse un sorriso e un cenno del capo, continuando ad aiutare i suoi compagni a lasciare Skidbladnir. Einar emise un’esclamazione.
«Guarda un po’ chi c’è!»
Ci voltammo tutti contemporaneamente, in tempo per vedere il figlio di Loki afferrare Nico per le spalle, scuoterlo e stampargli un bacio sulle labbra. Gli diede un buffetto, concludendo il saluto con un banale “ti trovo bene”. Nico rimase fermo impalato, incapace di muoversi, il sangue defluito dal volto.
Doveva essere appena arrivato al Campo grazie a un viaggio d’ombra, e di sicuro non si aspettava quell’accoglienza più calorosa del necessario. Deglutì un paio di volte, si pulì le labbra e si avvicinò a Percy. I due si scambiarono uno strano sguardo d’intesa, dove colsi un “dobbiamo parlare, dopo”.
Scrutai Nico, cercando di capire i sottointesi, ma lui fuggì dal mio sguardo.
Una ragazza dai capelli mori, con una ciocca azzurra, venne accompagnata da un’altra semidea norrena a scendere. La riconobbi: l’avevo vista al Campo, prima che si unisse a Crono. Erano riusciti a fare prigionieri. La indicai a Percy, che mi spiegò che era una figlia di Ecate e che gli aveva rivelato alcune cose interessanti.
In quanto a cosa, mi disse che era meglio se lo scoprivo dopo, assieme agli altri. Assottigliai lo sguardo; non ero il tipo che aspettava, quando poteva ottenere una risposta più in fretta. Mi piaceva avere tutto sotto controllo.
«Danny, sono scesi tutti?» domandò Alex a un suo compagno, e l’altro gridò la domanda, cui risposero con un assenso.
Mi avvicinai al figlio di Odino e all’enorme drakkar, ammirando quella bizzarra variante di una trireme greca, che, però, aveva il suo fascino. Dopotutto, i vichinghi erano stati i primi a scoprire l’America, viaggiando su imbarcazioni come quelle, anche se non avevano insediato colonie stabili; sarebbe stato stupido non sfruttare quell’occasione per studiarne la forma.
«Non credi sia poco sicuro lasciarla attraccata qui?» domandai, dubbiosa. «È un tantino ingombrante.»
Alex si batté una mano sulla fronte, come se si fosse appena ricordato qualcosa. «Non preoccuparti, Skidbladnir ha qualche effetto speciale molto utile.»
Inarcai un sopracciglio, ma preferii aspettare e vedere con i miei occhi cosa intendeva. Alex appoggiò i palmi aperti sullo scafo, l’acqua che gli lambiva la suola delle scarpe da ginnastica. Si alzò il vento, che mi scompigliò i capelli e alzò la spuma. Le vele della drakkar si ammainarono da sole, mentre l’imbarcazione si ristringeva.
Ma cosa… Si restringeva? Assistetti allo spettacolo di Alex che rimpiccioliva un’enorme nave allibita, osservando ad occhi sgranati la drakkar che ora teneva in mano. La ripiegò come si fa con un fazzoletto, infilandosela poi in tasca, come se fosse normalissimo andarsene in giro con una trireme nordica nei jeans, al posto che un pacchetto di gomme da masticare.
«Come… è-è… wow!» Percy faticava a mettere insieme le parole. Sbatté le palpebre e chiese: «Come hai fatto?»
Einar gli mise una mano sulla spalla. «Sorprendente cosa si può imparare dai corsi di origami, eh?»
Alex gli scoccò un’occhiata ammonitrice, rispondendo più seriamente: «Anche agli Dèi Asgardiani piacciono i comfort.»
Avevo un milione di domande da porgli. Era possibile rimpicciolire anche bagagli personali all’interno? Se si sedeva, poteva accidentalmente spezzare un albero? Quanto pesava? Erano in grado tutti di farlo? Era per caso un piano che potevo studiare per poi provare a metterlo in pratica con altri mezzi di trasporto greci?
Mi morsi la lingua, non era il momento adatto per assillare Alex con tutte le mie curiosità.
«Bene, direi che possiamo andare da Chirone a riferirgli tutto» esordì Percy, con il sorriso di chi sa che ha scelto un regalo meraviglioso.
Ci incamminammo verso la Casa Grande, mentre i semidei norreni parlottavano tra loro, commentando animatamente il luogo in cui si trovavano, parlando in un norvegese stretto di cui non capivo assolutamente nulla ad eccezione di alcune esclamazioni. Sperai che fossero almeno positive.
Prima di raggiungere i vari alloggi, Clarisse marciò furiosa verso di me, lo sguardo di chi moriva dalla voglia di strangolare qualcuno.
«Cosa c’è?» chiesi, leggermente preoccupata.
La figlia di Ares guardò la compagnia che mi portavo dietro, mentre la sua fronte si corrucciava sempre più. «Di immortales» invocò. «Annabeth, dimmi che non è vero. Quelli non possono essere qui, di nuovo.»
«Sono venuti ad aiutare noi» prese subito posizione Percy, incenerendola con lo sguardo. «Abbiamo bisogno di loro per sconfiggere Crono.»
Clarisse rise. «Forse tu ne hai bisogno, Jackson» replicò. «Ma noi figli del dio della guerra ce la cavavamo egregiamente anche da soli.»
«Senti –» iniziò il figlio di Poseidone, ma Alex lo interruppe. «Qualche problema?»
«Ti ricordavo più intelligente. Ovvio che c’è qualche problema.»
«Clarisse» ammonii, ma lei non mi ascoltò nemmeno.
«Punto primo, quei cretini dei figli di Apollo non vogliono ridarci il nostro carro da guerra. Punto secondo, un vagone di biondini norreni è arrivato nel nostro Campo senza invito. Punto terzo, … traditrice!» Indicò la figlia di Ecate, fermatasi poco dietro Alex.
Le marciò contro, sfoderando la lancia con tutta l’intenzione di farla fuori.
«Ehi, ehi, ehi!» la bloccò il figlio di Odino, il più vicino per intervenire. «Non toccarla!»
«È una schifosa traditrice!» protestò Clarisse, per nulla contenta di quell’intromissione.
«Non è un buon motivo per ucciderla, è già nostra prigioniera!» le fece presente Alex.
«Oh, ma fammi il piacere» sbottò la figlia di Ares. Fece roteare la lancia e la calò, puntando a trafiggerlo.
Alex fece un balzo indietro, ritraendosi veloce come un gatto, mentre l’arma di Clarisse diventava di gomma – chiaramente magia. Ancora allibita, non si accorse del pugno che volò nella sua direzione e che la colpì dritta sulla mascella.
«Don’t. Even. Dare**» sillabò Astrid, stagliandosi furente davanti al suo compagno, la mano destra ancora stretta in pugno e uno sguardo che bastava a incutere timore.
Clarisse inalò dalle narici, fece per ribattere, ma io e Percy ci frapponemmo tra le due. «Finitela» ordinò Percy. «Non potete litigare già adesso» aggiunsi io. «E, Clarisse, smettila di seminare zizzania.»
Alex prese per il polso Astrid, costringendola ad abbandonare il piede di guerra. Le sussurrò qualcosa all’orecchio, che suonava come “grazie, ma è meglio se non prendi a pugni chi dobbiamo aiutare”.
La figlia di Hell annuì di malavoglia, liberandosi dalla stretta del moro. C’era una strana intesa tra i due, come se, dal tempo dell’impresa di un mese fa, i due si fossero ritrovati molto più vicini.
«Va’ a chiamare i capogruppo» dissi alla figlia di Ares. «Ci rivediamo tra dieci alla Casa Grande per una riunione.»
«Per favore, cerca di non uccidere nessuno» rincarò Percy.
Clarisse annuì di malavoglia, sbuffò e si allontanò. Mi riportai un ciuffo dietro l’orecchio e sospirai. Quel giorno si prevedeva difficile.
 

«Ragazzi, calma!» sbraitò Chirone, tentando per l’ennesima volta di ristabilire l’ordine.
Per non so quale congiunzione astrale, questa volta lo ascoltammo tutti. Il centauro sospirò, si passò una mano sul viso e riprese con più calma: «Per favore, non parlate insieme, altrimenti non si capisce nulla. Ascoltiamo quello che hanno da dire Alex e i suoi compagni, poi discuteremo della disputa tra le Case di Ares e Apollo.»
Annuimmo all’unisono. Finalmente in un clima più favorevole, il figlio di Odino riuscì a raccontare della loro impresa. Quando mi resi conto che gli Dèi non avevano approvato il viaggio e che, anzi, ne erano palesemente contrariati, ma loro avevano deciso di venire comunque, mi venne un colpo.
Nonostante ci fossimo dimostrati tutt’altro che amichevoli nella maggior parte dei casi, l’ultima volta, loro stavano rischiando così tanto per aiutarci in una guerra che non li riguardava e dove avrebbero potuto perdere la vita. Percy era semplicemente sbalordito.
«Non posso credere che le vostre divinità vi abbiano lasciare andare senza conseguenze» osservai.
«No, infatti» confermò Alex, rabbuiandosi.
Astrid cercò il suo sguardo, come a voler chiedere il permesso per poter rivelare qualcosa di importante, come se volesse alleggerirlo dal peso di introdurre un discorso particolarmente spinoso. Alex scosse la testa e le sorrise debolmente.
«Mio padre Odino, il Re degli Dèi, ha promesso di bandirmi dal Valhalla nel caso fossi partito per New York» esordì. «Ovvero, se fossi un greco, nel caso morissi, andrei dritto nei Campi delle Pene, senza nemmeno poter contemplare gli Elisi.»
«Cosa!?» Percy si alzò in piedi di scatto, bianco in viso e coi pugni stretti. «Non avresti dovuto rischiare così tanto!»
«Non importa dove andrà, basta che muoia, così me lo levo di torno» borbottò Clarisse, beccandosi occhiate di disapprovazione da tutti i capi gruppi.
«È inutile che sprechi fiato cercando di fargli cambiare idea, tanto è una testa di legno» disse Astrid.
«È stupido!» protestò Percy.
«Alcuni lo definirebbero coraggioso» obiettai.
«Smettetela di parlare di me come se non ci fossi» si lamentò Alex, la voce aveva assunto un tono lamentoso che mi strappò un sorriso. Il figlio di Poseidone si risedette, per nulla convinto.
«Hai un piano per essere più sicuro, in guerra?» si informò Chirone, mantenendo un tono da diplomatico.
Lui annuì, mostrando la spada che teneva nel fodero. «Excalibur» spiegò, raccontando la storia dell’arma. Aveva un modo di parlare, di narrare, che catturava completamente la mia attenzione, soddisfacendo la mia vorace curiosità.
«Poi, qualcuno mi ha detto che non mi libererò facilmente di lei, quindi posso contare su una guardia del corpo» concluse, scoccando un’occhiata complice ad Astrid, che arrossì.
Oh, sì, c’era decisamente qualcosa di più di amicizia tra i due. Chirone annuì più volte, dopodiché procedette a spiegare come si sarebbe organizzato il Campo Mezzosangue per accogliere tutti i guerrieri.
Alcuni avrebbero alloggiato nelle Cabine con noi, a seconda della disponibilità dei letti; i restanti, avrebbero montato delle tende ai margini della collina, come i figli di Loki. Quando provarono ad accennare alla Casa di Ares, Clarisse si oppose con tutta se stessa.
Non avrebbe ammesso nessun norreno nella sua Cabina, mai. Provammo a farla ragionare, ma non c’era modo di smuoverla dalla sua posizione.
«Possiamo parlare del carro, ora?» strepitò.
«Veramente, prima dovremmo discutere di ciò che ci ha detto la figlia di Ecate…» la bloccò Beckendorf.
«E sarebbe?» fece la figlia di Ares, scocciata, convinta che sarebbe riuscita a liquidare l’argomento con facilità.
Il figlio di Efesto deglutì. «Ha detto che c’è una spia al Campo, che passa informazioni a Crono da alcuni mesi, ormai. Non ne conosce il nome, però.»
Silena, accanto a lui, divenne una statua di gesso. Clarisse ricadde sul divanetto, persino i figli di Ermes si zittirono. Una spia.
Una spia greca.
Improvvisamente, mi fu più difficile respirare. Guardai Chirone, che mi rispose con uno sguardo che voleva dire “non lo so, Annabeth, ma sono incredibilmente deluso”. Da noi o da se stesso, non lo chiarì. La questione rimase sospesa, senza che nessuno riuscisse a dire alcunché. La soluzione si intese così: quando avremmo avuto dei sospetti concreti sulla possibile spia, avremmo agito tempestivamente, anche se si trattava dei nostri.
Si passò all’argomento che premeva di più a Clarisse: la biga che i figli di Apollo non volevano restituire. Avevano compiuto insieme una missione, comandata dai figli di Ares, ma erano quelli di Apollo ad aver avuto un ruolo decisivo ed aver ottenuto la vittoria. Clarisse sosteneva che il carro spettasse a lei e ai suoi fratelli, Michael Yew l’esatto contrario.
Lui e la ragazza iniziarono a urlarsi contro, rendendo impossibile capire qualcosa di più o provare a calmare i due. Alex si pose dalla parte della figlia di Ares, ma non tutti la pensavano come lui, e ben presto si scatenò il putiferio.
«Adesso basta!» gridò Clarisse, superando il volume della voce di ognuno di noi. «Se la Casa di Ares non riavrà il carro, nessuno dei miei fratelli combatterà! Spero sappiate scegliere con cura cosa vi conviene» minacciò, uscendo come una furia dalla Casa Grande, sbattendo la porta.
L’aria era tesa, le questioni da discutere finite, così Chirone ci lasciò liberi di andare e mettere in pratica il piano stabilito per accogliere in norreni.
 

La sera arrivò in fretta, ma, per fortuna, i semidei del nord erano stati sistemati per tempo. La cena fu allegra, come testimoniavano le fiamme dei fuochi delle offerte, parecchio alte. La maggior parte dei greci era felice di quei rinforzi e di quell’inaspettata solidarietà. Percy masticava una pizza, alterandola con della Coca-Cola.
Osservava i capelli blu di Petra con occhi persi, come se stesse per chiederle da un momento all’altro se poteva mangiarli. Era un maniaco riguardo questo tipo di cose.
Nonostante l’allegria e le risate, non riuscivo a divertirmi completamente. Pensieri come la perdita della Casa di Ares e la spia mi assillavano, occupando la mia mente ogni volta che potevano. Era stressante.
A circa metà serata, mi alzai da tavola e tornai alla Cabina 6. Intravidi, mentre mi allontanavo, Alex avvicinare la sua mano a quella di Astrid; la ragazza, però, si ritrasse di scatto, slittando un po’ più in là.
Scossi la testa, avevo già molto su cui riflettere.
 

L’intera Cabina 6 era immersa nel silenzio, a eccezione del lieve russare di uno dei miei fratelli e dei cigolii che provenivano dal letto sopra il mio, quello che avevo offerto ad Astrid e dove lei si era coricata. Non riuscivo a prendere sonno.
Il pensiero della spia al Campo mi assillava; chi, tra di noi, che era rimasto a combattere contro Crono, gli stava passando informazioni? Era stato costretto o l’aveva fatto volontariamente? E perché? Non ero capace di giudicare i miei amici e compagni senza subito dirmi che era impossibile che si trattasse di loro. Ma non pensavo lo stesso di Luke, prima che tentasse di uccidere Percy?
Sbuffai, rigirandomi nel letto, senza riuscire ad abbandonare le mie considerazioni e addormentarmi. Cercai di focalizzarmi sui respiri dei miei fratelli e sorelle, magari così mi sarei calmata e sarei scivolata nel sonno senza nemmeno accorgermene. Se neanche questo avesse funzionato, mi sarei rassegnata a contare centinaia e centinaia di pecore.
Chiusi gli occhi e tesi l’orecchio. Ora, percepivo perfettamente il fiato di tutti gli addormentati, mentre i cigolii sopra di me erano cessati, sostituiti da un flebile rumore di… pianto sommesso?
Aprii gli occhi, mi sollevai su un gomito e mi accertai di aver udito bene. Feci scivolare le gambe fuori dalle coperte, appoggiando silenziosamente le piante dei piedi sul pavimento. Mi misi sulle punte, scrutando nell’oscurità l’occupatrice del letto superiore.
Dovetti abbassarmi repentinamente, quando un pugno volò nella mia direzione. Ringraziai mentalmente l’iperattività dei semidei che mi aveva salvato dall’avere il naso rotto.
«Annabeth?»
La voce di Astrid era appena udibile, mentre mi chiamava, sporgendosi oltre il bordo.
«Che cavolo!» sibilai, mantenendo il tono il più basso possibile. «Volevo solo assicurarmi che stessi dormendo, mi era sembrato di sentire che stessi piangendo.»
Astrid emise uno strano verso di gola, a metà strada tra un ringhio e un gemito. Scostò le coperte in fretta e si calò giù dal letto a castello, mi mise una mano sulla spalle e passò oltre, biascicando: «Scusa, ho bisogno di una boccata d’aria.»
Corrugai la fronte, confusa. Cercai una felpa – che trovai ripiegata sulla testiera del letto – e seguii la ragazza oltre la porta. Individuai la sua figura che si allontanava verso il laghetto dei naiadi. Rabbrividii per l’aria fresca della sera, così mi infilai la felpa mentre le andavo dietro. La raggiunsi a pochi passi dal lago e la richiamai.
«Torna a dormire, Annabeth. Va tutto bene» mi scacciò, calcando troppo su quel “va tutto bene”.
«Lo dubito fortemente» replicai, affiancandomi a lei. L’acqua era così scura che era impossibile vedere il fondo.
«Forza, sputa il rospo» incalzai.
Si voltò verso di me, i suoi occhi illuminati da un bagliore di rabbia. «Cosa non è chiaro nella frase “torna a dormire, va tutto bene”, Annabeth?» ringhiò.
«Capisco quando le persone mentono» ribattei secca, senza odio, però.
Volevo solo scoprire cosa c’era sotto, non scatenare una lite.
«Già, mi ero dimenticata che le figlie di Atena sono estremamente intelligenti» mi provocò, invano.
«Non sarebbe più facile dirmi perché stavi piangendo e farla finita?» le feci notare.
«Stai scherzando?» Emise una risatina isterica. «Perché dovrei mai dire a te i motivi per cui stavo piangendo? Ammesso che lo stessi facendo, e si dà il caso che non è così.»
«Come no» sbuffai. «Se è successo qualcosa di grave, potrei sempre chiederlo ad Alex, e non credo che sarebbe più facile spiegare a lui quello che è accaduto questa notte.»
Astrid deglutì rumorosamente, lasciandosi cadere per terra. Mi sedetti accanto a lei, sentendo sotto le dita nude l’erba solleticare. Era una bella sensazione, come se mi stessi fondendo con la natura.
«È Alex il problema, non è vero?» intuii.
La figlia di Hell osservava la costellazione della Cacciatrice, ignara che prima fosse stata una ragazza, Zoe Nightshade. Le stelle che la componevano brillavano fulgide, donando un bagliore freddo alla notte.
«No» rispose, abbandonando le difese. «Almeno, non solo lui. In gran parte, il problema sono io. Sono sempre io.»
«È una tua prerogativa essere in qualche modo colpevole? Voglio dire, ti conosco poco, ma quando ci sei di mezzo tu, succede sempre qualcosa di complicato e non si è mai sicuri se darti la colpa o meno.»
«Credimi, me lo domando anch’io» ridacchiò, passandosi nervosamente una mano tra i capelli.
«Allora, questo grande problema? Le figlie di Atena hanno sempre un piano, sono sicura che potrei aiutarti.»
Cos’era quello spirito d’iniziativa da crocerossina? Da quando mi interessavano i casini in cui si era cacciata la ragazza che aveva baciato Percy? Che gli ha salvato la vita, mi corressi subito dopo. E perché non è solo “quella ragazza”.
Astrid sospirò. «Alex mi piace» buttò fuori d’un sol colpo. «Tanto, anche.»
«E…?» la invitai a continuare.
«Non credo valga lo stesso per lui.»
Rivissi quella giornata, ogni situazione in cui avevo visto i due insieme. Mi ricordai del mese prima, quando era palese che Alex non fosse indifferente alla figlia di Hell. Mi venne fuori una risata che non riuscii a trattenere.
«Lo trovi divertente?» chiese, punta intimamente. Mi lanciò uno sguardo di fuoco. «’Fanculo.»
«Ehi!» protestai, ma mi resi conto che ero io quella dalla parte del torto. «Scusa, hai ragione. Solo che lo trovo così… stupido. Si vede lontano un miglio che gli piaci.»
«È quello che pensano tutti» confermò. «Ma, ecco, io gliel’ho chiesto. Non mi ha risposto.»
«Oh» esclamai, colta di sorpresa. «Forse perché non lo sa. I maschi sono lenti a capire certe cose.»
«Non credo» replicò, e dalla sua voce trasparì quanto era affranta.
I sentimenti che mostrava erano la metà di quelli che provava davvero. Si sdraiò sull’erba, fissando le stelle. Feci come lei, sentendo un cuscino morbido sotto i miei capelli e, da quella posizione, le stelle sembravano vorticare sopra di me come in un planetario.
«Non aveva la faccia di chi non lo sapeva» continuò. «Era stupito. Punto. Non aveva mai pensato a me in quel modo, capisci? Perché io sono solo sua amica. La sua schifosissima migliore amica innamorata di lui.»
Non seppi come ribattere. Astrid conosceva meglio di me Alex e, anche se mi sembrava impossibile che lui pensasse a lei come un’amica, non potevo essere davvero certa del loro rapporto. Desiderai avere delle prove per dimostrarle che si sbagliava, per infonderle nuova speranza.
Non ebbi tempo di dire altro, perché lei iniziò a parlare a ruota libera.
«Credo che sia il primo ragazzo da anni per cui mi sono presa una vera cotta. Non era qualcuno che mi aspettavo, qualcuno che volevo entrasse nella mia testa, perché ci ha pensato lui. Io… non piango per i ragazzi. Le femminucce piangono per questo, non le guerriere, non io. Sono sempre riuscita a tenere tutto dentro di me, a rispecchiare la mia idea di forza, a rifiutare l’aiuto di tutti per dimostrare che ero capace di farcela da sola.»
Pensai al Partenone, che era in piedi da anni, eroso dal tempo, certo, ma in piedi, non importava a quanti terremoti o catastrofi avesse assistito. Era così che voleva sentirsi Astrid, capace di resistere, nonostante tutto e tutti. Ma era impossibile – quel tipo di donna esisteva solo nei libri, non erano persone vere.
Perché, per quanto possiamo ostinarci a negarlo, siamo fragili e abbiamo bisogno d’aiuto. Non possiamo reggerci in piedi da soli per sempre, prima o poi arriverà quella sfida a cui non sapremo tenere testa. Quel terremoto che farà crollare la struttura portante dell’edificio.
«Mi sento debole, Annabeth» riprese Astrid. «Sai quanto ho resistito contro le lacrime, per Alex? Due giorni. Quarantott’ore. Nei vostri miti, Atlante regge il peso del mondo da secoli. Io sono una nullità a suo confronto.»
Rise, ma con una sfumatura amara, il più diversa possibile dall’allegria.
«La conosci quella sensazione, Annabeth? Quella che ti prende la notte, quando non riesci ad addormentarti e ciò che devi sopportare ti sembra troppo per le tue spalle? E allora vuoi piangere, ma non ci riesci, perché sei orgogliosa, perché non vuoi ammettere che quel peso ti ha schiacciata e continua a schiacciarti. Desideri gridare, ma la voce non ti esce, perché qualcuno potrebbe sentirti, e tu non vuoi che gli altri si accorgano che hai bisogno d’aiuto. Così, non ti resta che fissare il soffitto nella speranza di trovare la forza di farcela da sola, o almeno di avere quella per continuare a fingere di sorridere, che tutto vada bene, quando in realtà è tutto il contrario. E le lacrime che non hai versato ti si bloccano in gola, ti impediscono di respirare, ti avvelenano da dentro. Preferisci morire così, essere uno spettro, piuttosto che permetterti di essere debole. Di essere come tutti gli altri. Perché da te vuoi di più, vuoi essere di più, ma anche quando Lucifero peccò di superbia cadde dal Paradiso e finì negli Inferi. È lì, lì che ti aspetti di andare.»
Mi si ghiacciò il sangue nelle vene. Quello che aveva detto era vero, faceva parte anche di me. Era quasi un’ironia che dietro tutto questo ci fosse un ragazzo, qualcuno per cui provavi dei sentimenti forti.
Senza quasi accorgermene, le raccontai di Luke. Le dissi che era la mia famiglia, che forse non gli bastavo più, che era disposto a stare dalla parte di Crono, che il titano ormai era dentro di lui, che tutti pensavo che il vero Luke non esistesse più, persino Percy e Talia, ma io no, continuavo a credere che lui fosse vivo.
Ammisi, per la prima volta ad alta voce, che mi ero sentita anch’io così, debole ma orgogliosa, e che la mia paura più grande era che gli altri avessero ragione e che ormai andassi avanti a credere che Luke fosse vivo solo per non sentirmi rinfacciare che avevo sbagliato.
Le rivelai che pensavo di amarlo, ma che non ne ero certa, che ero troppo legata a Percy. E sì, certe notti mi sentivo morire dentro e non avrei mosso un dito per cambiare la situazione.
Astrid sapeva ascoltare, come tutte le persone che avevano bisogno che qualcuno le confortasse. Quando finii, rimanemmo in silenzio per un po’, ad ascoltare i rumori della notte.
«Se Luke è dentro Crono, se è ancora vivo ed è la persona che tu mi hai raccontato, allora devi stare certa che si ribellerà» esordì di punto in bianco.
Sentii un magone all’altezza dello stomaco sciogliersi nel più puro sollievo.
«E se Alex non ti dirà che è innamorato di te, vorrà dire che ha deciso di saltare i preliminari e passare direttamente allo stadio successivo.»
Voltai la testa verso sinistra, incrociando il suo sguardo. Ci sorridemmo e ridacchiammo.
«Sono confusa. Noi due dovremmo odiarci, non essere amiche» osservai.
«Tu definisci questa conversazione da gruppo di sostegno per ragazze con problemi amicizia?» chiese.
«Siamo state davvero così melodrammatiche?» domandai.
«Peggio che in una telenovela spagnola» confermò lei.
«Da quando sei un’esperta di telenovele spagnole, Astrid?» la punzecchiai.
La figlia di Hell rise. «Vedo che stai imparando come rispondere a tono, brava.»
«Ho una buona insegnante.»
Mi tirai su, mi sistemai la felpa e le offrii una mano per alzarsi. Astrid accettò, sciolse le spalle e si riportò indietro dei ciuffi ribelli.
«Credo sia meglio se andiamo a dormire» disse.
«Ah-ah» concordai.
Fianco a fianco, camminammo verso la Casa di Atena, lasciandoci alle spalle il laghetto delle naiadi e molto altro.

*Hei/ Hvor er du? = ciao/ come stai? (traduzione di google italiano-norvegese)
**Don't even dare = non osare nemmeno (inglese, tutta farina del mio sacco)

koala's corner.
Eccoci di nuovo qui con un nuovo capitolo! Ringraziamo tutti per le splendide recensioni che ci lasciate, siamo lenti a recensire e ci dispiace.
I giorni di aggiornamente dovrebbero essere il lunedì e il mercoledì/giovedì, a seconda dei ritardi di Water perché io sono puntuale :P. Speriamo vivamente di riuscire a mantenere questo ritmo :D
Innanzitutto, vorrei spendere due paroline sull'ultima parte di questo capitolo perché, davvero, io non so quando sia nata questa vena melodrammatica. Magari ve le tagliate voi, le vene, per colpa mia^^" Anyway, il personaggio di Astrid viene delineato ancora di più, mostrando il suo dentro e il suo fuori, quello che è e quello che vorebbe essere. E' complicata, certo, perché cerco sempre di dare spessore ai miei pargoli.
Senza contare i tanti filmini mentali che aggiungiamo per i fini della storia e della Alrid.
Già *sorride maligna* Cogliete gli accenni Einar/Nico! Cogliete quelli Einar/Sarah!
No. Non fatelo. Per il vostro bene, no.
*cercano di zittirsi a vicenda*
Ehm, verde scrittrice, hai altro da dire.
Verde occhi di Percy, koala.
*AxXx sbuffa dietro le quinte commentando che tanto quel colore non c'è su EFP*
Giusto, secondo: c'è tanta di quella che potremmo definire Lukabeth. Premetto che non li shippo, per niente. Ma, per essere IC, devo rispettare la Annabeth riordiana. Se lei è ancora indecisa su Luke, non posso farla mortalmente sicura con Percy. Quindi, anche se sì, potrei modificare questo particolare, non descriverò un'Annabeth OOC.
Ultimo, ho la mania delle lingue, scusatemi se avete dovuto scorrere sotto per leggere la traduzione "ufficiale" ^^

E a voi non parla in tedesco ._. L'inglese ancora ancora, ma quella lingua è complicata quanto certi nomi degli dèi norreni. Piccola parentesi sulla mitologia: Skidbladnir si poteva vermante rimpicciolire tanto da entrare in una tasca. Forse i vichinghi facevano origami
Ok, il prossimo capitolo verrà pubblicato lunedì, vi aspettiamo!

Soon on VdN: Per la prima volta, POV Einar e POV Alex, che è un povero sfigato malvoluto da Freyja. Chi ha voglia di rientrare completamente ne "Lo Scontro Finale"?

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Capitolo 5
*** EINAR/ALEX • Mi interrompono sempre nei momenti meno opportuni ***


∫ Einar ∫
 
Ero in un grande edificio di pietra, con alte colonne e due gigantesche figure che sedevano ai piedi di un gigantesco pilastro di nuvole che sembrava sostenere il cielo. Come l’avevano chiamato il quartier generale di Crono? Monte Otri?
Sì, doveva essere quello il posto, perché sembrava davvero una versione lugubre ed oscuro dell’Olimpo e riconoscevo alcune delle incisioni sulle pareti in stile greco. Tutte, però, mostravano scene di morte e rovina per gli Dèi. Zeus si riconosceva dalla Folgore spezzata che teneva in mano, mentre si inchinava al padre; accanto a lui Poseidone, incatenato al fondo del mare.
«Non credo che Percy sarebbe molto felice di questo» commentai, mentre mi guardavo intorno, nella mia forma eterea di quando sognavo.
Davanti alla grande colonna di nuvole, c’erano tre figure massicce ed una un po’ più mingherlina che conoscevo bene: mio padre Loki, Signore delle Illusioni e degli Inganni. Degli altri tre, uno era inginocchiato e si lamentava sotto il peso del cielo che reggeva, mentre le altre due erano in piedi e parlavano con il mio adorato paparino.
«Il peso delle responsabilità, eh» borbottai, ironicamente, osservando la figura in ginocchio, che intuii essere Atlante, mentre mi avvicinavo ai tre in piedi per sentire cosa dicevano.
«Perché dovremmo fidarci di te?» chiedeva uno che indossava una corazza nera, tempestata di puntini argentei e un elmo con le corna d’ariete.
«Già, dopotutto non sei il Signore degli Inganni?» ringhiò l’altro, che aveva le vesti d’oro.
Dovevano essere i titani Crio e Iperione: tipi tosti. Al confronto mio padre era un insetto, ma mai giudicarlo dalle apparenze: lui poteva convincerli a combattersi tra loro con una sola occhiata per poi finire il sopravvissuto alle spalle.
«Perché vi ho dato contingenti per il vostro esercito. Certo… il figlio di Odino è un fastidio secondario, ma non mi direte che avete paura di un ragazzino» ridacchiò il dio, dando una pacca sulla spalla dei due.
«Cosa intendi dire!? Noi siamo Titani! Non temiamo nulla!» ringhiò Crio, stringendo i pugni, ma subito il fratello lo bloccò.
«Sai cos’ha detto Re Crono, lui è intoccabile! Ma chi guiderà i tuoi guerrieri nel caso tu non potessi esserci?» chiese, osservando il dio degli inganni con curiosità.
«Non c’è da preoccuparsi, mia figlia mi ha fornito un gruppo di generali degni di questo nome» assicurò il dio maligno indicando un angolo del palazzo, dove apparirono tre figure incappucciate, una delle quali stranamente familiare.
Preoccupato, mi avvicinai per capire chi fossero, ma il sogno si fece nebbioso e l’ultima cosa che sentii fu la voce di mio padre che, maligna, mi avvertiva.
«Vai, di’ tutto al tuo comandante… e cerca di tenerlo in vita.»
 

Mi svegliai di colpo, sentendo un urlo. Come ci svegliamo noi figli di Loki, probabilmente, non si sveglia nessuno. È strano, ma la mattina è il momento migliore per fare scherzi ed io, modestamente, sono il migliore.
Dato che il Campo Mezzosangue non conosceva la terribile natura di noi figli di Loki – e che avevano tutti un muso così lungo da fare invidia ad un cavallo –, io e i miei fratelli avevamo deciso di buttarci in una sequela di scherzi che coinvolgevano tutte le Case.
Infatti, noi ci svegliamo sempre con le grida delle nostre vittime che ci invadono le orecchie. Quel giorno fu tutto terribilmente soddisfacente: ci eravamo introdotti nella Casa di Qfrodite e avevamo sostituito i deodoranti e i profumi con dell’essenza di troll – puzza garantita al cento per cento –, avevamo appeso dei ragni finti nella Casa di Atena – perdonate la crudeltà –, avevamo reso di gomma gli attrezzi della Casa di Efesto – effetto temporaneo, niente di cui preoccuparsi – , avevamo messo del vischio sulla porta della Casa di Apollo – quello per i figli di Baldr, che sono allergici al vischio e si erano stipati tutti lì –, ricoperto la Casa di Demetra con dei rampicanti, fatto gelare letteralmente l’acqua di Percy e, dato che non avevamo idee su Ermes, avevamo deciso di sbizzarrirci su di loro, con qualsiasi trappola ci venisse in mente.
Per questo, mi svegliai con le urla di una figlia di Afrodite che scappava in lacrime, mentre i suoi fratelli e sorelle uscivano tenendosi i capelli crespi o pulendosi in fretta e furia il trucco dark che noi avevamo messo al posto di quello normale. Poco lontano la Casa di Atena era immersa nel silenzio totale.
«Andiamo a liberarli?» domandò Alyssa, stiracchiandosi nel suo sacco a pelo.
«Naaaah… con loro ci sono i figli di Ullr e Astrid, ci penseranno loro» risposi, noncurante, uscendo dalla tenda insieme ai miei fratelli, godendoci lo spettacolo del panico nel Campo.
Non volevo pensare al sogno, così decisi di accantonarlo temporaneamente, mentre osservavo Percy e Danny che uscivano dalla Capanna di Poseidone con i capelli coperti da una patina di ghiaccio. Solo i figli di Ermes sembravano divertiti. I loro vestiti erano bagnati, sporchi, o alcuni di loro avevano la faccia disegnata, ma i fratelli Stoll e gli altri sembravano divertiti.
«Ehi, Einar! Belli gli scherzi, fighi! Avete pensato voi a tutti?» chiese Travis.
Oppure era Connor? Difficile da dirlo, ma mi divertivo a pensare quanto fosse forte essere fratelli gemelli.
«Certo che sì, sai com’è, siamo figli di Loki, e poi avevate dei musi così lunghi che non vi si poteva guardare. Volevamo dare una scossa al morale, prima della prossima battaglia» risposi, godendomi lo spettacolo di un figlio di Baldr che scappava isterico con il vischio nei capelli.
Dopo qualche minuto, vidi i figli di Atena uscire dalla loro cabina, bianchi in viso. Qualcuno si toccava i capelli o si controllava i vestiti assicurandosi di non avere ragni nascosti da qualche parte. Annabeth marciò verso di me con l’aria di una che ha una gran voglia di tirarmi un pugno – capita spesso.
«SEISTATOTUAFAREQUESTOSCHERZOVERO!?»
Fu la domanda che le uscì fuori istericamente, quasi il suo cervello fosse andato in cortocircuito. Alzai le mani con un sospiro, assumendo un’aria colpevole.
«Sì, tesoro, l’ho fatto io. Lo sai che con quel ragno sulla spalla sei ancora più adorabile?»
Lei lanciò uno strillo ed iniziò a dimenarsi, mentre io me la squagliavo tra le risa dei miei fratelli. Mentre mi allontanavo nella foresta, sentii distintamente la ragazza di Atena urlarmi insulti in greco e minacce fin troppo inglesi. La colazione fu, ovviamente, movimentata. Chirone ci dette un benvenuto formale, ringraziando Alex che sedeva al tavolo dei capigruppo insieme a Nora e Lars.
Lui sembrava imbarazzato e non disse nulla, ma nessuno sembrò farci caso: avevamo problemi più gravi a cui pensare, uno dei quali era convincere quel bue muschiato di Clarisse a tornare in battaglia.
Ma dopotutto, chi me lo faceva fare? Dubitavo di poterla convincere, così, invece di andare verso la Casa di Ares, dopo colazione, decisi di fare una passeggiata nel bosco. Intorno a me le driadi si affacciavano dai loro alberi, guardandomi storto, mentre gruppetti di satiri suonavano i loro flauti.
Non persi molto tempo e raggiunsi la baia, ormai libera dalla Skidbladnir che Alex si era messo in tasca. Era strano trovarsi in un posto che, fino ad un mese prima, non sapevi nemmeno che esistesse ed ogni volta il mio cervello da figlio di Loki mi costringeva a chiedermi cosa ci fosse dietro. Ogni volta mio padre mi metteva in difficoltà, che fosse perché ero suo figlio o perché lui doveva mettere il naso ovunque.
«Allora, dovevate proprio scatenarvi oggi? O solo perché siamo arrivati al campo Mezzosangue?»
Mi voltai ed ecco i due più fighi ragazzi del Campo Nord che mettevano in ombra chiunque non la loro aura di figaggine assurda: Alex e Lars.
«Volevo divertirmi. Sapete com’è, adoro fare scherzi e poi volevamo dare una scossetta al morale del Campo in vista della prossima battaglia» spiegai, noncurante, stringendomi le spalle.
«Certo che potreste andarci un po’ più piano. Annabeth è andata in isteria ed ha pianto sulla spalla di Astrid, cosa che pensavo impossibile» disse il figlio di Odino, sedendosi accanto a me, osservando il mare.
Sembrava malinconico ed osservava la costa, quasi gli mancasse il Campo Nord. O forse era la paura per l’Hellheim.
«Come va?» chiese, dandomi una pacca sulla spalla, mentre Lars si appoggiava ad un albero vicino, osservando il mare, imperturbabile come una statua.
«Nulla… Solo, un sogno che non mi piace» borbottai, lisciandomi i capelli.
Alex sorrise mestamente. «Anche tu, eh? Helen ha predetto la mia morte, forse, tanto vale che mi racconti del tuo.»
«Non ha senso» commentai accigliato. «Loki vuole che tu viva.»
«Impossibile, è stato lui a suggerire a mio padre di buttarmi fuori dal Valhalla. Perché mi vorrebbe vivo?» domandò Alex, anche lui perplesso.
Così gli raccontai il mio sogno con i Titani, Loki e i misteriosi “generali”.
«Questo è molto strano. Troppo. Loki mi ha esiliato dal Valhalla e torna, si è alleato con i Titani, e torna. Ma perché vorrebbe che Alex tornasse sano e salvo da quest’impresa?» chiese Lars, dopo un lungo silenzio riflessivo.
«Non lo so. Secondo voi i nostri Dèi darebbero ascolto a questo sogno?» domandai, conoscendo già la risposta.
«Ne dubito. Loki ha in scacco il consiglio, se sono in lotta tra loro, li terrà gli uni contro gli altri, mentre noi veniamo mandati al massacro. Non daranno mai ascolto ad un suo figlio, poi. Ricordi la profezia di Frigg, vero?» mi ricordò Alex in tono consolatorio.
Almeno ci aveva provato, lui mi credeva, ma Odino non si sarebbe mai fidato di me o dei miei fratelli.
«Già… Maledetta Patatina» borbottai, ironico, mentre gli altri due mi guardavano allibiti.
«La Patatina?» fecero in coro perplessi.
«Sapete, Frigg, Frigga, la Patatina. Capita?»
I due si guardarono per un istante, dopodiché Alex scoppiò a ridere, mentre Lars fece uno strano verso che ricordava uno sbuffo divertito. Dovevo assolutamente far ridere quel figlio di Eir, chissà se soffriva il solletico.
«Non ha senso pensarci ora. Dobbiamo prepararci alla scontro. La figlia di Ecate ha parlato di un raduno di truppe e rischiamo di venire colti di sorpresa» disse alla fine, il figlio di Odino, scuotendo la testa.
«Hai ragione. I miei fratelli sono pronti alla battaglia, e i figli di Tyr e Thor non vedono l’ora di distruggere qualcosa» concordò il figlio di Eir, voltandosi verso il comandante.
«Anche i miei non vedono l’ora di rendersi utili. Senti, Lars, ma sorridere tu? Mai?» chiesi, cercando di non concentrarmi sulle mie preoccupazioni.
Lui, però, mi guardò con l’aria di uno che chiedeva: “Sorridere? Cosa significa questa parola?”Scossi la testa e lasciai correre.
«Allora, capo, che si fa?» chiesi, dando una pacca sulla spalla al mio amico. «Se devi andare all’Hellheim, meglio andarci con stile» aggiunsi, incamminandomi verso l’accampamento dove si erano sistemati i miei fratelli che, a quanto pareva, stavano facendo una gigantesca partita a carte collettiva con i figli di Ermes – avevo la sensazione che sarebbero fioccati fin troppi assi taroccati.
«Vero. Avanti, andiamo. Tenetevi pronti, io devo parlare da una persona» disse, avviandosi verso la foresta sotto lo sguardo confuso mio e di Lars.
«Ehi, amico, vedi di dichiararti alla svelta!» gli urlai, intuendo con chi si sarebbe dovuto incontrare.
Mi sembrò che lui mi avesse lanciato un insulto, ma non ci badai.
 
•Alex•

Sospirai, mentre camminavo lungo un sentiero poco battuto con le ninfe e gli spiriti del bosco greci che mi osservavano da dietro gli alberi. Era strano come quelli europei fossero diversi da questi. Gli elfi erano alti, nobili, slanciati; difendevano e proteggevano la natura proprio come le driadi o i satiri, ma erano altezzosi ed erano al pari, per forza e potere, a divinità minori.
Vivevano in tutta Midgard, ma soprattutto nella città di Asgard, ed erano sempre avvolti da un’aura di luce dorata. I satiri, invece, erano molto più selvaggi e meno superbi o alteri. Mentre camminavo, ecco apparire tra le foglie la persona che cercavo.
Astrid Jensen era seduta su una roccia con lo sguardo perso nei suoi pensieri. Il sole illuminava il suo viso pallido, dandole una strana aura di calma, mentre i riflessi neri dei suoi capelli la rendevano bellissima. Mi avvicinai e mi sedetti accanto a lei, sentendola sussultare, però non si mosse.
«Allora? Come ti senti? Non vi siete uccise, tu ed Annabeth?» chiesi, poggiandole delicatamente una mano sulla spalla.
Ebbi la sensazione che i figli di Afrodite e Freyja ci stessero spiando, ma ormai ero abituato a non avere un minimo di privacy, con Astrid.
«No, al contrario, siamo riuscite a darci una mano a vicenda. Non è così cattiva, è solo molto decisa» rispose, con lo sguardo ancora perso in chissà quali pensieri.
Era così bella che mi era difficile concentrarmi su qualcos’altro, oltre a lei. Volevo rispondere alla sua domanda sulla nave, ma continuavo ad avere pensieri orribili: non volevo deluderla. Se fossi morto e le avessi detto di sì prima? Lei sarebbe stata ancora peggio. E se, invece, non mi fossi rivelato alla sua altezza? Che sarebbe successo? L’avrei fatta soffrire? Scossi la testa.
«Senti, Astrid… dovrei dirti una cosa» esordii, cercando di avere un tono sicuro, che, però, venne meno, quando lei si voltò verso di me con aria preoccupata.
Deglutimmo entrambi.
«Ecco… vorrei parlarti di quella cosa che mi avevi chiesto durante il viaggio» aggiunsi, sentendomi arrossire. Non mi sarei fermato, questa volta.
«Sì?»
Sembrava speranzosa… o forse era solo ansia o preoccupazione?
«Io…»
Ma di nuovo, per l’ennesima volta, ecco l’interruzione: un’ombra enorme emerse dagli alberi. I miei riflessi agirono per me: spinsi a terra Astrid e presi Excalibur, che brillò come argento fuso sotto la chiara luce del sole. Un enorme cane nero si avvicinava a noi, ringhiando.
«Ferma, Signora O’Leary!»
Nico corse verso di noi, tenendo una mano sul fianco dell’enorme segugio, che iniziò a leccargliela, quasi fosse un lecca-lecca.
«Scusa, pensavo fosse un mostro» borbottai, sentendomi arrossire, mentre riponevo la spada.
Non ci potevo credere che mi ero bloccato per l’ennesima interruzione.
«Stiamo interrompendo qualcosa?» chiese Percy, apparendo alle nostre spalle, facendo sobbalzare sia me che Astrid.
Accanto a lui c’era una driade che, alla vista della signora O’Leary svanì in una nuvoletta di fumo verde, simile alla clorofilla.
«No, nulla» rispose, prontamente, Astrid, con la voce stranamente acuta. «Chi era quella lì?»
«Oh, lei è Juniper, la fidanzata di Grover, il mio amico satiro» spiegò il figlio di Poseidone, stringendosi le spalle. «Nico ed io siamo appena tornati da un… sopralluogo. Stiamo cercando un’arma in grado di contrastare Crono.»
Dal tono intuii che c’era molto dietro, così decisi di indagare.
«Sembra molto più di “un’arma”.  Che avete in mente, voi due?»
Percy e Nico si guardarono incerti, come per decidere se valeva la pena parlarne, poi mi raccontarono di come, secondo loro, il corpo di Luke era stato preparato ad ospitare lo spirito del Re dei Titani, dopodiché mi spiegarono come erano andati dalla madre del ragazzo e di come intendevano usare lo stesso metodo per sconfiggere Crono.
«Un bagno nello Stige?» domandò Astrid, incerta. «Non ci sono benedizioni del genere, nel mondo Asgardiano.»
«In realtà sì. Bere l’acqua della fonte di Mimir, situata nelle Terre dei Giganti, dà grande saggezza; la fonte di Urdr, custodita da Idunn consente a coloro vi si immergono, di diventare immortali, inoltre da poteri divini, se bevi dalle sue acque. Infine, vi è il fiume di latte di Heidrunn che attraversa il Valhalla dona grandi capacità rigenerative. Avere una benedizione del genere dà grande potenza in battaglia, ma nessuno osa farlo perché se non si è preparati, c’è il rischio che la potenza dei fiumi che ho citato strappi l’anima dal corpo» elencai, ricordando tutte le leggende nordiche.
Tutti mi guardarono.
«Cos’ho detto?» chiesi, rispondendo con un’occhiata perplessa ai loro sguardi.
«Lo sai che, certe volte, mi ricordi Annabeth?» fece Percy, ridacchiando.
Anche Astrid e Nico stavano cercando di trattenere le risate. Arrossii.
«Scusate, ogni tanto la parte di Odino che sovrintende alla saggezza ha il sopravvento su di me.»
Il figlio del mare scosse la testa.
«Andiamo, se volete venire, seguiteci con un viaggio d’ombra.»
 

Non fu facile parlare con la madre di Percy, soprattutto se stai dicendo: “Salve, abbiamo bisogno della sua benedizione in modo che suo figlio si getti in un fiume che, se non lo rende immortale, lo disintegrerà, ma le assicuriamo che lo facciamo per il bene di tutti, perché c’è sempre la possibilità che lui venga ucciso da Crono!”
Insomma, l’avete capito. Mentre osservavo la donna stringere convulsamente il bicchiere di limonata, mi tornò alla mente mia madre, poco prima che partissi per gli Stati Uniti una seconda volta.
Quanto coraggio doveva avere una madre per lasciare che il figlio vada incontro alla morte? Per quanto nobile fosse la causa, lei avrebbe voluto difendere il figlio, come mia madre avrebbe voluto fare con me. Mi resi conto di quanto io e Percy eravamo fortunati ad avere una madre che, nonostante le difficoltà, ci volesse bene e ci attendesse a casa, nonostante i pericoli.
Ogni anno sia Sally che Dana ci vedevano partire per chissà quali pericolose avventure, senza sapere se mai saremmo tornati. E se ne erano fatte una ragione, ma non avevano mai smesso di pregare che noi tornassimo vivi. Alla fine, però, sembrò arrendersi, nonostante sembrasse sul punto di piangere.
«Percy… io… ti do la mia benedizione» annunciò, accarezzando la guancia del figlio.
Distolsi lo sguardo: non volevo pensare a mia madre, probabilmente preoccupata. Chissà cosa stava facendo. Chissà se stava bene.
«Ci siamo» dichiarò Nico, annuendo. «È ora.»
Io e Astrid ci guardammo, avevamo entrambi brutte, bruttissime sensazioni riguardo a quell’evento, ma d’altro canto, che potevamo fare? C’era in gioco la sopravvivenza stessa dell’Olimpo. Mentre uscivamo, Sally Jackson si avvicinò al figlio con gli occhi lucidi, dandogli un cellulare.
«Se dovessi sopravvivere al duello con Crono… mandami un segnale.»
«Mamma… lo sai che mezzosangue e cellulari sono…»
«Lo so.» Fu la replica pronta. «Ma… andrebbe bene qualunque segnale. Uno che si possa vedere da qualsiasi parte di Manhattan, per farmi sapere che stai bene.»
«Come Teseo. Per far sapere che era vivo doveva alzare le vele bianche» aggiunse Paul, il patrigno di Percy che, nonostante tutto, mi stava simpatico. Almeno non mi aveva dato del criminale incallito, come tutti i prof che mi vedevano.
«Qualcosa di blu» concordò, infine, il figlio di Poseidone, abbracciandola.
Ebbi paura che quello, per entrambi significasse “addio”, ma io ero convinto che Percy ce l’avrebbe fatta. Non ero venuti fin lì per veder morire un amico.
 

Poco dopo eravamo a Central Park, davanti ad un ammasso roccioso che Nico aveva chiamato Porta di Orfeo. Io non ci vedevo nulla di strano, ma Astrid sembrava strizzare gli occhi, osservando qualcosa che io non vedevo.
«Probabilmente la percepisci anche tu» le aveva spiegato il figlio di Ade, mentre Percy faceva qualcosa con quello che lui chiamava legame empatico. «Anche tu hai un profondo legame con i Regni dei Morti, ma come ero più debole io nei tuoi Inferi, lo sei anche tu ora che ti trovi qui, nel territorio greco.»
Lei annuì e andò a sedersi poco lontano, mentre Percy continuava a concentrarsi su solo lui sa cosa ed io la raggiunsi.
«Allora? Cosa ne pensi di quello che stiamo per fare?» chiesi, avvicinandomi alla figlia di Hell che era stata silenziosa per tutto il tempo.
«Non saprei. Una parte di ma ha ancora voglia di prenderti a calci fino a farti tornare in Norvegia, un’altra non fa altro che dire che abbiamo fatto bene a venire. Senza di noi non hanno possibilità» rispose Astrid, dandomi un pugno sulla spalla.
Sorrisi, almeno mi dava fiducia.
«Non so fino a che punto saremo utili. Siamo pochi, molto pochi e senza le altre Orde e i nostri dèi, non sarà facile. Ma ormai siamo qui, la prossima sarà una battaglia difficile e noi faremo di tutto per vincerla» la rassicurai, cingendole le spalle con il braccio.
«Lo spero» borbottò, sospirando, appoggiandosi a me.
Ok, Percy e Nico erano abbastanza lontani, non c’era nessuno nelle vicinanze e la Signora O’Leary stava scavando una trincea in mezzo al parco. Il momento era perfetto. Stavo per aprire bocca, quando improvvisamente un satiro uscì da sopra l’albero, finendo di testa proprio davanti a noi.
Mi chiesi come mai Freyja ce l’avesse così tanto con noi da non farmi dire mezza parola. Le avevo fatto qualcosa di male? O lei si divertiva a mettermi in imbarazzo?
«Voi chi siete? Non credo di avervi mai visti» ci fece notare il ragazzo dalle zampe caprine, mentre si rimetteva in piedi.
«Grover!» Percy lo interruppe, abbracciandolo. «Loro sono dei miei amici
Dopodiché spiegò la nostra provenienza e quello che era accaduto un mese prima, mentre lui dormiva ignaro tra le radici di un albero di Central Parck. Fu una specie di rimpatriata: Percy raccontò di noi Norreni, dell’impresa che aveva compiuto al nostro fianco e di come noi fossimo venuti in loro aiuto e in quel momento le forze del Campo Nord fossero accampate nel Campo Mezzosangue, pronte a dare man forte ai semidei Greci. Quando venne a sapere che erano passati due mesi sbiancò.
«Impossibile! Mi sono seduto qui appena per riposare.»
«Grover, sei via da quasi due mesi! È Agosto! Juniper era preoccupatissima per te» esclamò il figlio di Poseidone, prendendolo per le spalle e scuotendolo piano, quasi temesse stesse per addormentarsi di nuovo.
Il satiro strinse le palpebre, come per concentrarsi, poi iniziò a raccontare di come avesse tentato di affrontare una divinità di nome Morfeo che, a quanto pareva, era dalla parte di Crono e di come questi l’avesse fatto sprofondare in un sonno profondo.
«Beeeeeeeeeee… Certo che ne accadono di cose, in due mesi» commentò Grover, emettendo il verso caprino che avevo già visto fare a molti dei suoi compagni satiri. Gli strinsi la mano.
«Così, sei tu il capo degli spiriti della natura?»
«Magari… Il Concilio mi ha letteralmente buttato fuori» borbottò il satiro, abbassando lo sguardo sconsolato.
Eppure vidi una grande forza in lui perché, nonostante il rifiuto dei suoi superiori, lui aveva continuato a combattere per la sua causa.
«Non dire così, ragazzo-capra! Sei forte, e poi dai, affrontare il dio del sonno non è roba da poco, anche se sei stato battuto» lo tirò su Astrid, dandogli una pacca di incoraggiamento sul braccio.
«Grazie. Sono felice che siate qui con l’intenzione di aiutarci. Il pericolo, però, è terribile. Se è vero che le forze di Crono hanno ricevuto rinforzi dal Nord, allora significa che le cose si metteranno male. Inoltre, vista la presenza di Morfeo, qui…»
«L’invasione è assicurata»  completammo noi quattro, guardandoci preoccupati. Ora più che mai avrei voluto che tutte le Orde si fossero unite a noi.
«Possiamo farcela. Dobbiamo» conclusi, stringendo l’elsa di Excalibur, sentendola pesante più che mai. All’improvviso mi sentii il peso della profezia di Helen che pesava su di me. Una spada che spada non è mi avrebbe ucciso per mano di un guerriero dal grande potere. Il potere dell’antica lama non mi avrebbe salvato. La mano di Astrid si strinse sulla mia e vidi nei suoi occhi il riflesso delle mie stesse paure.
«Allora, non abbiamo tempo da perdere. Grover, abbiamo bisogno di te» annunciò Percy all’improvviso, riscuotendomi dai miei pensieri.
I due semidei greci si rivolsero all’amico satiro e spiegarono come mai lo avessero chiamato. Quando lo seppe, quello sbiancò per lo spavento e ci guardò come se fossimo pazzi – cosa piuttosto vera.
«Negli inferi? Non di nuovo… vi prego, no!» supplicò il satiro, guardandoci preoccupatissimo.
«Non ti sto chiedendo di accompagnarmi» lo rassicurò subito Percy. «Ma ci serve, comunque, un po’ di musica e io non ci tengo a dar prova delle mie abilità canore.»
«Nemmeno io… Non dopo l’ultima volta che, mentre cantavo sotto la doccia, ho quasi rotto un vetro» borbottai, incrociando le braccia. Di certo tra i doni di mio padre non c’era il canto.
«Davvero canti sotto la doccia?» domandò Nico, perplesso.
Arrossii e risposi: «Questione personale.»
Astrid scoppiò a ridere, mentre io mi sentivo un po’ stupido, ma cavolo, non si poteva avere un hobby un po’ strano, mentre si faceva la doccia? Intanto, Percy, era tornato a parlare con Gorver.
«Avanti amico, ti chiedo un favore. Nel nome dei vecchi tempi?»
«Se non sbaglio ai vecchi tempi rischiavamo sempre la vita» – non l’avrei mai detto di un semidio – «Ma farò del mio meglio» sospirò il satiro.
Si portò il flauto alle labbra e iniziò a suonare un motivetto acuto e vivace. Ci volle un attimo per vedere le rocce aprirsi su uno stretto corridoio che portava verso il basso con dei gradini. Mi ricordava di un mese prima in cui ero sceso nell’Hellheim. Quella galleria mi stava dando la stessa identica sensazione.
«Peeeeercy, ti auguro buona fortuna la sotto, radunerò gli spiriti della foresta. E andrò da Juniper» disse, raddrizzando la schiena con aria decisa. Molto coraggioso, nonostante soffrisse d’ansia.
«Buona fortuna, amico mio» lo salutò Percy abbracciandolo, prima di lasciarlo andare.
Nico, intanto, si era voltato verso di noi, con un sorrisetto che non mi diceva nulla di buono.
«Allora, dato che abbiamo visitato i vostri Inferi, vi va di fare una gita nell’Ade?»
Ok, stavo cominciando a stancarmi di scendere negli Inferi di ogni mitologia esistente.

koala's corner.
Puntuali come un orologio svizzero, siamo qui con un nuovo capitolo! Il POV di Einar era molto atteso, speriamo vi abbia soddisfatto :3
Alex, poveretto, non gode dei favori di Freyja: ogni volta che prova a parlare con Astrid viene interrotto.
Dopotutto, per lui, abbiamo piani diversi *si sorridono complici*
Un piano stronzetto che non so se avrei avuto il coraggio di inserire, senza di lui.
Ritorna Grover! A me dispiace un sacco che non compaia più spesso, ci ero affezionato :/ La battuta di Einar su Frigg è nata in uno sclero in video-chat, perché uno dei diversi modi per scrivere il suo nome è Frigga, ma è così orribile che è impossibile non scherzarci su.
*Water ride al ricordo di quando è saltata fuori quella battuta*
Per il prossimo capitolo: state attenti a "una vita per una vita" *sorriso maligno* Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto e che volgiate dircelo con una recensione, un grazie a tutti e alla prossima!

Soon on VdN: POV Astrid, la prima battaglia contro Crono dopo il bagno nello Stige. Pensavate di essere abituati ai momenti critici? Vogliamo che vi ricrediate.

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Capitolo 6
*** ASTRID • Un voletto verso la morte ***


Un voletto verso la morte
♦Astrid♦

Scendemmo per il passaggio aperto dalla musica di Grover, addentrandoci negli Inferi greci, camminando in una galleria buia che puzzava di zolfo. La Signora O’Leary aveva faticato ad entrarci, ma ora era in testa a battere la strada. Alex e Percy avevano tirato fuori le spade, che gettavano lievi bagliori sul pavimento e sul muro. Nico era l’ultimo della fila, non troppo entusiasta di guidare il gruppo, eppure ci stava dietro. Aveva proposto lui il bagno nello Stige, si stava forse tirando indietro?
Poi, pensai a come si dovesse sentire. Aveva convinto Percy, uno dei suoi migliori amici, a immergersi nelle acque di un fiume che avrebbe potuto ucciderlo, nel peggiore dei casi. Probabilmente, si doveva sentire un po’ colpevole. Perdonai subito i suoi dubbi; li avrei avuti anch’io, al suo posto.
La Signora O’Leary abbaiò forte, scodinzolò e fece un balzo, rivelandoci finalmente il regno di Ade. A destra, lo Stige attraversava la pianura con i suoi flutti tumultuosi; a sinistra, invece, era possibile vedere un’imponente porta nera – l’Erebo, illustrò Percy – che conduceva al Palazzo del dio della morte.
«Passiamo da là» propose Nico, indicando il luogo presidiato da Cerbero.
Era una specie di Gramr greco, solo molto più grande, con tre teste da rottweiler, che ora stava annusando il sedere della Signora O’Leary. Percy fece una faccia schifata, che non potei non condividere. Mi piacevano i cani, solo potevano evitare di, be’, avere certi comportamenti.
Seguii il figlio di Ade, passando accanto a un numero improponibile di anime in coda. La scritta “corsia veloce”, che contrassegnava una determinata via, era intasata. Quel giorno nel pompe funebri dovevano aver lavorato parecchio.
Ciò che mi colpì, subito dopo, fu la distinzione tra Campi della Pena o Asfodeli e gli Elisi. Percy e Annabeth mi avevano già spiegato che cosa corrispondeva a Valhalla e altri dettagli, ma non immaginavo di trovarli nello stesso luogo. Se eri nell’Hellheim, era già bollato come criminale incallito, assassino, stupratore, psicopatico, non c’era una corsia che recitava “ehi, se non sei così male, ecco la via per il paradiso, tesoro”. No, quando entravi nel regno di mia madre, eri già spacciato.
I greci avevano scelta, a differenza dei norreni. Potevi ancora vedere la luce. Quella sottospecie di chek-in era il momento durante il quale coloro che avevano compiuto cattive azioni riuscivano a incontrare i più buoni, potevano ancora pensare di salvarsi. Nell’Hellheim, era tutto diverso, era morta persino la speranza.
Oltrepassammo l’Erebo, entrammo negli Asfodeli, dove alberi neri che sembravano avere l’artrite punteggiavano la landa. Percy era nervoso, scoccava a Nico occhiate che volevano dire “perché non ci siamo già fermati prima? Perché continuiamo ad andare avanti?”
La Signora O’Leary era l’unica che appariva tranquilla e spensierata, andava matta per gli Inferi. Gettai un’occhiata ad Alex, che capì al volo. Lasciò andare avanti Nico e Percy, così noi rimanemmo indietro, in modo da poter discutere tranquillamente.
Era da quella mattina che cercava di dirmi qualcosa, ma ogni volta veniva interrotto. E io volevo sapere cosa doveva confessarmi. Speravo con tutta me stessa che si trattasse di una cosa in particolare.
«Allora» iniziò, umettandosi le labbra. «Volevo dirti che…»
Un grido stridulo sovrastò la sua voce. Tre figure scesero in volo verso di noi, lanciando altre urla spacca-timpani. Erano delle donne, ma avevano ali da pipistrello e arti deformati. Una di loro teneva in una mano una borsetta e nell’altra una frusta infuocata, una delle più strambe combinazioni che avessi mai visto. Percy la fissò dritto negli occhi, guardandola con astio.
«Jackson» salutò.
«Percy» si intromise Alex. «Chi è quella?» domandò, perplesso.
Il figlio di Poseidone fece una smorfia. «La mia prof di matematica» spiegò.
«Aspetta…La tua prof era già morta quando insegnava?» chiesi io, non capendo il collegamento.
Come poteva quella cosa insegnare in una scuola?
«No» intervenne Nico. «È una delle tre Furie, sono tutte sorelle. Lei è Alecto.»
«Oh» esclamai. «Ora capisco.» Mi sentii una stupida, perciò arrossii lievemente e nascosi il rossore lasciando ricadere sul davanti i capelli.
«Io non capisco perché sono qui, invece» riprese Percy.
Alecto rise. «Oh, caro, è chiaro: il tuo amico figlio di Ade ti ha tradito.»
Tre paia di occhi si puntarono su Nico, che fece un passo indietro e mormorò: «Mi dispiace, ma…»
«Ti dispiace?» gridò Percy, sguainando Vortice. «Tu… tu mi hai ingannato! Nico, mi fidavo di te e tu mi hai pugnalato alle spalle!»
«Perché l’hai fatto?» si intromise Alex, burbero.
«Mio padre aveva promesso… mia madre… io» farfugliò, sempre più in difficoltà. Guardò le Furie, che sibilarono e risero.
«Li prendiamo, Nico?» chiese conferma Alecto.
«Non fate loro del male» si raccomandò. «Mi dispiace» aggiunse, chinando il capo.
La Furia-insegnante di matematica disarmò Percy, poi lo afferrò per le spalle e si alzò in volo. Altre due vecchiette si avvicinarono a noi, squadrandoci come se fossimo un piatto prelibato.
«Non opponete resistenza, cari» disse una. «Se vi avessi voluto morti, vi avremmo già ucciso. Poi, i nostri ordini sono altri.»
Abbandonai la mia idea di resistere. Nico ci aveva tradito, era vero, ma non credevo volesse farci del male. Non capivo perché l’avesse fatto, ma noi dovevamo essere una sorta di ostaggi. Alex puntò Excalibur contro la Furia che aveva parlato, però, quando vide che mi stavo consegnando loro volontariamente, abbassò la spada.
I suoi artigli si agganciarono alla mia maglietta, pungendomi la pelle. Ero troppo presa dal formulare ipotesi sul perché Nico avesse architettato tutta quella storia, per rendermi conto che la Furia mi avrebbe trasportato in volo. Vidi il suolo allontanarsi dai miei piedi e lo stomaco si attorcigliò. Mi agitai sotto la presa ferrea degli artigli, ottenendo solo di graffiarmi.
«Cazzo, cazzo, cazzo» mormoravo come una litania, cercando di ricacciare indietro il senso di nausea.
La Furia rise di me, emettendo poi uno strano verso stridulo che non compresi.
«La piccina ha paura di volare» ridacchiò, come se fosse una battuta molto divertente.
Storsi la bocca a quell’appellativo. «La piccina ti spaccherà il muso, quando la rimetterai a terra» minacciai, ma non risultavo molto convincente in quelle circostanze.
Cercai lo sguardo di Alex, trasportato dall’altra Furia, ma lui fissava un punto davanti a sé. Mi morsi il labbro.
«Oh, la piccina vuole andare dal suo amichetto?» intuì la Furia, continuando a usare quell’odioso nomignolo.
Non ebbi tempo di ribattere, perché lei fece una brusca virata con le sue ali di pipistrello, compì una mezza piroetta e raggiunse la sua compagna. Mi portai una mano alla bocca, sforzandomi di ricacciare indietro la bile che mi bruciava la gola. L’unica nota positiva era che mi trovavo più vicino ad Alex, quella negativa era che, probabilmente, gli avrei vomitato in faccia.
«Non è divertente» ringhiò il ragazzo all’indirizzo delle due Furie che, invece, scoppiarono a ridere.
Lanciai una ventina di maledizione contro di loro, quando, finalmente, ci depositarono a terra. Percy era già arrivato e osservava il giardino in cui ci trovavamo, dove strane piante mai viste crescevano rigogliose. Con i piedi al suolo, il mio stomaco si distese, ma ero ancora piuttosto scombussolata.
«Tutto ok?» mi chiese Alex, avvicinandosi.
Annuii, senza troppa convinzione. Il figlio di Odino mi cinse la vita con un braccio, un normale gesto da amici che si aiutano l’un l’altra, se non fossimo invischiati una situazione diversa. Lo scostai con delicatezza, mettendomi alla giusta distanza. Stava cercando di riportare il nostro rapporto a com’era prima? Dubitavo ci sarebbe riuscito.
Alcuni scheletri ci condussero all’interno del palazzo, portandoci alla sala del trono, dove Nico osservava due troni. Uno era d’argento, l’altro d’avorio, ma erano entrambi di magnifica fattura. Quel luogo emanava un forte potere che, se fossimo stati nell’Hellheim, avrei potuto sfruttare a mio piacimento per fare praticamente qualunque cosa.
Dal nulla apparvero tre figure: un uomo e due donne. Le ultime due avevano entrambe capelli scuri e occhi castani, ma la prima era più giovane e dall’aspetto più gentile, l’altra più severo. L’uomo, invece, era palesemente Ade: portava una veste dove volti di anime gemevano e si contorcevano in modi orribili. Sospettavo sarebbe piaciuta un sacco a mia madre. Nico si inginocchiò e noi lo imitammo.
«Padre, ti ho portato Percy Jackson come volevi» esordì Nico. «Ora voglio le informazioni su mia madre.»
Ade fece una smorfia. «Tua madre era una splendida donna…» Si interruppe, perché la giovane ragazza – Persefone, intuii – lo guardò male. Il dio deglutì. «Splendida per essere una mortale» specificò.
Nico alzò un sopracciglio. «E…?» lo invitò a continuare.
«E basta.»
«Padre, avevi promesso» gli ricordò.
Persefone intervenne nella discussione. «Forza, caro, digli quello che vuole. È meglio se finisce in fretta l’argomento che riguarda i figli che hai avuto da una tua amante e non da me
Ade sembrò impallidire ancora di più, fatto un po’ impossibile, visto che aveva già un colorito cadaverico.
«Va bene» sospirò. «Maria» – Persefone fece un gesto stizzito quando sentì pronunciare il nome, come se stesse pensando perché suo marito se lo ricordava ancora – «era italiana, di Venezia, ma suo padre lavorava a Washington. La incontrai lì. Fu una storia intensa, finché Zeus non la uccise.» Al pronunciare quella frase, strinse le mani in pugni. «Così, decisi di mettervi al sicuro nel Casinò Lotus, era uno dei pochi posti sicuri.»
«Perché avevi infranto il patto» disse Nico.
«Esattamente» confermò Ade. «Non era un bel periodo per i figli di Ade. Dovevate uscire da lì al momento opportuno.»
«E l’avvocato che ci ha fatto uscire dal Casinò? Chi era?» chiese Nico.
Alecto, che assisteva a quel dialogo, ripiegò le ali da pipistrello sulla schiena e si contorse, finché non assunse le sembianze di un uomo con valigia ventiquattrore. Ci sorrise.
«Mi vengono particolarmente bene insegnanti e avvocati» commentò, compiaciuta.
«Al momento opportuno?» domandò Percy. «E quale sarebbe il momento opportuno
«Questo, ovviamente» replicò Ade, non molto contento che il figlio di Poseidone lo avesse interrotto.
Mi chiesi i due si fossero già incontrati in passato. Ciò che era evidente, era che tra i due non scorreva buon sangue.
«È impossibile che tu sia il semidio della Grande Profezia. Nico è quello giusto, anche se adesso non sembra. Tra quattro anni, però, sarà all’altezza del compito che gli spetta. Se sua sorella Bianca fosse ancora in vita sarebbe tutto diverso… ma, sfortunatamente, non è così.»
«Qualche anno?» ripeté Percy. «La guerra contro Crono è adesso! Marcerà contro di te e ti sconfiggerà, non c’è tempo!»
«Tsk.» Ade lo liquidò con un gesto della mano. «Crono non ce la farà mai, io sono diverso dagli altri dèi, sono più forte e ho schiere di anime al mio servizio.»
«Non credo» replicò Percy, aspro. «Di sicuro non con l’aiuto di Loki.»
Al pronunciare di quel nome, il dio si fece attento e scuro in volto. Si avvicinò a noi, ignorando i due greci.
«Ora che mi hai ricordato di quella noia di Dèi Norreni» cambiò discorso, «non posso fare a meno di notare la compagnia che ti porti dietro.»
Soppesò Alex con un’occhiata, poi passò ad analizzare me. Mi si pose davanti, scrutandomi con odio. Non indietreggiai, forse per volontà, forse per la paura che mi paralizzava le gambe. Che voleva da me? Potevo sentire il suo potere alimentare tutti gli Inferi, non dubitavo che mi avrebbe potuto togliere di mezzo muovendo solo un dito.
Assottigliai lo sguardo: forse stava valutando la figlia della sua controparte nordica, magari voleva vedere di che stoffa ero fatta. Be’, gli avrei dimostrato che non era così facile intimorirmi. Mi rivolse un sorriso sghembo. Poi, mi afferrò il mento e strinse, chiudendo le sue dita lunghe e affusolate come una morsa.
«Mi ricordo di tua madre, sai?» sibilò. «Dovrei dire che è stato un piacere incontrarla, ma non è andata così.»
«Io non sono lei» scandii con fatica.
«Persefone, cara» si rivolse a sua moglie, senza lasciarmi. «È meglio se mi aspetti in giardino con Demetra.»
Persefone provò a protestare, ma la madre la prese a braccetto e insieme scomparvero in una nuvola di cereali.
«Bene» disse, puntando i suoi occhi su di me. Brillavano come fiamme, un fuoco che mi avrebbe potuto disintegrare da un secondo all’altro. «Ora posso occuparmi di te con tranquillità.»
Non mi piacque per niente come pronunciò quella frase. Mollò la presa, destabilizzandomi tanto da farmi cadere a terra. Mi rialzai su un gomito, fissando il dio con astio.
«Non sono Hell» ripetei, dura.
«No, hai ragione» confermò Ade. «Sei molto meglio. Sei sua figlia, che non è immortale.»
«Prova ad ucciderla e io…» minacciò Alex, stagliandosi innanzi al dio con aria minacciosa.
«Tu cosa farai?» lo prese in giro. «Non puoi niente, semidio. Sei debole
Alex divenne rosso per la rabbia, ma Ade si era già girato verso Percy, che fissava la scena col fiato sospeso.
«Portalo alle prigioni» ordinò alla Furia. «Se tutto andrà bene, uscirà tra cinquantina o sessantina d’anni.»
Percy si frugò in tasca, ma Vortice non era ancora ricomparsa. Scoccò un’occhiata di fuoco a Nico, che si fece piccolo piccolo.
«Non…» iniziò, ma Alecto lo artigliò per le spalle e lo trascinò via contro il suo volere.
«Nico» chiamò il figlio, che quasi sobbalzò. «Nella tua camera.»
«Ma…»
«In camera tua» intimò Ade, facendolo scomparire con un gesto fluido del polso.
Ci rivolse un sorriso sghembo, che voleva dire “chi dei due si offre volontario per volatilizzarsi per primo?”. Avrei tanto voluto sputargli in faccia o strappargli la veste con le unghie. Indicò me, poi Alex, e contò a mezza voce “ambarabà ciccì coccò”. Alla fine, il suo dito si posò su di me.
«Addio» salutò.
Dal suo palmo, scaturì una fiammata. Avvertii il suo calore sulla pelle, così rovente da bruciarmi. Chiusi gli occhi, stringendo le palpebre. Non riuscivo a credere che stavo morendo. Ironico: la figlia della dea norrena della morte che viene uccisa dal dio greco della morte direttamente negli Inferi.
Un grido – mio? – e il calore si allontanò da me. Riaprii gli occhi, ancora accecata. Davanti a me, la lama di Excalibur brillava fulgida e fumava, l’acciaio che sibilava. Mi guardai le mani, le braccia, le gambe; controllai di avere tutte le parti del corpo attaccate. Ero ancora viva. Viva. Ed Alex mi aveva salvato, reagendo prontamente.
Strisciai all’indietro, mi rimisi in piedi e rivolsi un sorrisetto antipatico ad Ade, che era livido di rabbia. Con uno schiocco di dita, un plotone di scheletri in divisa militare desertica si fece avanti.
«Potete non morire oggi, ma lo farete sicuramente domani» disse, prima di scomparire.
Gli scheletri avanzarono verso di noi, al primo plotone se ne aggiunsero altri, e si chiusero su di noi.
 

Sbattei la spalla contro il muro. Sentii il dolore irradiarsi dal punto colpito e ripercuotersi per tutto il corpo. Mi lasciai cadere a terra, dalle labbra mi sfuggì un gemito.
Se c’è una cosa che odio, sono le prigioni: piccole, claustrofobiche, un luogo dove si può solo morire. Io avevo bisogno di spazio, di essere libera o, almeno, avere la sensazione di esserlo. Quella in cui mi aveva rinchiuso Ade era minuscola, l’aria sarebbe bastata per un’ora, ma non di più.
Mi chiesi come stesse Percy. Doveva sentire il tradimento di Nico molto più di noi, probabilmente si sentiva responsabile per essere finito in questa situazione e aver trascinato anche noi. Mi alzai, presi un respiro e mi schiantai di nuovo contro la parete.
Il dolore sembrò annientarmi per un attimo, poi riuscii ad avere di nuovo il controllo del mio corpo. Era inutile che continuassi così, ma cosa potevo fare? Non c’erano vie di fuga. Mi strinsi la spalla, percorrendo avanti indietro quella prigione.
Mi sembrò di udire un tic ritmico. Mi fermai e tesi l’orecchio.
Tic, tic, tic.
Cercai di capire da dove proveniva, ma non ce ne fu bisogno. Un piccolo rettangolo di muro si separò dalla parete e ricadde a terra con un tonfo. Mi avvicinai al buco, scrutai l’altra stanza.
«Astrid?»
La voce di Alex era appena un sussurro. Pochi istanti dopo, il suo occhio grigio guardò oltre il varco.
«Oh mine guder!*» esclamai.
Sentii lacrime di sollievo pungere dietro gli occhi, ma le ricacciai indietro. Trovavo immensamente stupido piangere quando succedeva qualcosa di bello.
«Astrid» mormorò Alex, sollevato.
«Alex» sussurrai il suo nome, sorridendo nell’ombra.
Cercai di infilare la mano nel rettangolo che il figlio di Odino aveva ricavato, ma ci entravano solo due dita. Lui, comunque, me le strinse. Parte dell’angoscia che avevo provato fino a questo momento scomparve.
«Come hai fatto?» domandai, alludendo al buco.
«Un po’ di magia runica e l’aiuto di Excalibur» spiegò. «Non ero sicuro funzionasse, non volevo rischiare di sprecare troppa energia se l’incantesimo non avesse funzionato. Ade è stato stupido a lasciarmi armato.»
«Credeva che non saremmo mai riusciti ad uscire da qui» osservai. «Lo credevo anch’io.»
«Come?» fece Alex, sorpreso. «Non hai pensato ad andartene con un viaggio d’ombra?»
«Guarda che…» replicai, ma mi bloccai. In effetti, l’unico motivo per cui non ci avevo riflettuto era che avevo già escluso che i miei poteri funzionassero nel regno di un altro dio dei morti. «Non credo sia sicuro» riassunsi.
«Puoi provarci» ribatté Alex.
«Se sbaglio, potremmo finire in Cina» gli feci notare, piccata.
«Be’, almeno ci finiremmo in due» replicò. «Saremmo insieme» aggiunse, sottovoce.
Feci finta di non sentirlo. «Stringi forte la mia mano» raccomandai.
Chiusi gli occhi e mi concentrai solo sull’oscurità. Quando mi sentii pronta, tenni stretto Alex e compii quel salto nelle tenebre. Li riaprii subito, per capire dove diavolo eravamo andati a finire. Con mio enorme stupore, riconobbi le celle dove ci avevano trascinato e rinchiuso gli scheletri comandati da Ade.
Sentii una scossa percorrermi la mano e, quando la guardai per capirne il motivo, vidi che era intrecciata a quella di Alex. Il figlio di Odino mi sorrise, assumendo quell’aria da “lo sapevo che potevi farcela, sei forte”.
«Cavolo» commentai, sentendomi la bocca secca.
«È tutto quello che riesci a dire? Sei stata fantastica» replicò Alex, entusiasta.
Senza nemmeno accorgermene, mi ritrovai stretta nel suo abbraccio. Ripensai a ciò che mi aveva detto Annabeth: “se Alex non ti dirà che è innamorato di te, vorrà dire che ha deciso di saltare i preliminari e passare direttamente allo stadio successivo”. Era davvero così? Aveva ragione la figlia di Atena?
Non ebbi il tempo di scoprirlo, perché qualcuno tossicchiò alle mie spalle. Mi staccai immediatamente da Alex, pronta all’attacco. Con stupore, notai che si trattava di Percy e Nico.
«Usciamo da qui» disse il più grande, e noi non esitammo a seguirlo.
 

Poco dopo, stavamo correndo per gli Asfodeli. Percy si trascinava dietro Nico, semi cosciente. Per uscire dalle prigioni, aveva usato i suoi poteri per addormentare le guardie-scheletro, ma lo sforzo l’aveva reso esausto. La Signora O’Leary ci raggiunse non appena ci vide, abbaiando e scodinzolammo felici.
Non appena lo Stige si rese visibile, mi sentii sollevare da un enorme peso. Ade si sarebbe accorto presto della nostra fuga e sarebbe venuto a riprenderci, non avevamo molto tempo. Percy fece stendere Nico sulla spiaggia di sabbia lavica, si ficcò una mano in tasca e tirò fuori dell’ambrosia un po’ sbriciolata. La porse al figlio di Ade, gli diede un paio di schiaffi e questo sembrò riprendersi.
«Dimmi cosa devo fare, in fretta» disse, sbrigativo.
«Non farlo.»
Mi girai di scatto, cercando subito le mezzelune per fronteggiare il portatore della voce. Con mi stupore, mi trovai davanti un uomo giovane e allenato, i capelli rasati corti e una freccia che gli spuntava dal tallone. La sua immagine tremolava un po’ e la sua aura emanava chiaramente morte. Anche se non faceva parte della mia mitologia, sarebbe stato impossibile non riconoscere Achille.
«Non farlo» ripeté. «Ho avvisato l’altro di non farlo, ora avviserò te.»
«Cosa? Luke è stato qui?» domandò Percy.
Achille annuì.
«Probabilmente era l’unico modo per non morire, accogliendo Crono nel suo corpo» intuì Alex.
«Non è un buon motivo per fare un bagno nello Stige. Ti renderà potente, ma allo stesso tempo anche debole. Sarai il più audace in battaglia, ma le tue debolezze andranno di pari passo» continuò Achille, severo.
«Intende che… ehm… anch’io avrò un tallone d’Achille?» chiese il figlio di Poseidone.
Il fantasma si guardò il piede da cui spuntava la freccia.
«Il tallone è solo la mia debolezza fisica, semidio. Ciò che veramente ucciso è stata la mia arroganza. Ripensaci!» lo mise in guardia.
Percy abbassò gli occhi, riflettendo. Non era una cosa da niente mettere in pratica quello che lui aveva intenzione di fare, ma era anche un suo dovere, se voleva salvare il Campo Mezzosangue.
«Devo farlo» replicò Percy. «Altrimenti, non avrò nessuna possibilità.»
Achille chinò il capo.
«Io ti ho avvertito, eroe, che voi altri mi siate testimoni. Se devi farlo, concentrati sul tuo punto mortale, su una parte del tuo corpo che diventerà il tuo tallone d’Achille. Ma attento a non sottovalutare la tua parte spirituale» lo istruì.
«Sarebbe comodo se ci dicesse il punto mortale di Crono» provò Alex, ma Achille gli scoccò un’occhiataccia e scomparve.
«Percy» lo chiamò Nico. «Se non te la senti…»
«Ti ricordo che l’idea è stata tua» gli fece presente Percy, piccato.
«Lo so, ma ora che stai per farlo…» si difese il figlio di Ade, debolmente.
Percy sbuffò, gli diede le spalle e fronteggiò lo Stige. Ci camminò dentro, un primo passo, seguito da un secondo, e poi cadde di faccia. Mi sfuggì un gridolino di spavento. Non avevo idea se fosse doloroso, ma dava l’impressione di esserlo davvero molto.
Avvertii la testa farsi più pesante e venni colta da un capogiro. Sentivo l’aura vitale di Percy affievolirsi, perdere d’intensità. Cercai di trattenerla, ma era come afferrare un filo invisibile.
«Cosa sta succedendo?» domandò Alex, allarmato.
«Percy» farfugliai, concentrandomi per non perdere il contatto che avevo stabilito con la sua anima. «Sta morendo.»
«Cosa!?»
Alex mi afferrò per le spalle e mi scosse, tentando di cavarmi qualche informazione in più. Poi, all’improvviso, avvertii l’aura di Percy rinvigorirsi. In quel momento, il figlio di Poseidone si trascinò fuori dallo Stige, subito aiutato da Alex.
«Stai bene?» domandò il figlio di Ade, trafelato.
Le braccia di Percy fumavano.
«Credo di sì» rispose l’altro, mettendosi seduto.
«E ti senti, come dire, più forte?» chiese.
Percy sembrò voler dire qualcosa, ma la Signora O’Leary abbaiò e lui gridò: «Laggiù!»
Guardai dove indicava, dove Ade capeggiava un esercito di fantasmi da una biga e si dirigeva a tutta velocità contro di noi. Trasformai immediatamente i miei orecchini in mezzelune, Alex sguainò Excalibur. Percy chiuse gli occhi un secondo, poi le acque dello Stige esplosero e travolsero la prima fila di soldati.
Senza neanche una pausa, ci lanciammo all’attacco. Mi sembrò di rivivere ciò che era accaduto nell’Hellheim, tutti quegli scheletri, il martello di Thor, l’ansia di non riuscire ad uscire… Deglutii, combattendo con l’ansia che mi mordeva le viscere.
Decapitai un soldato francese, compii una mezza piroetta su me stessa e mi voltai, già pronta a trafiggere il prossimo nemico. Ma non c’era nessuno. In quel brevissimo lasso di tempo, Percy aveva sbaragliato più della metà di quell’enorme esercito e ora stava bloccando con un ginocchio a terra Ade.
Sgranai gli occhi. Percy aveva atterrato un dio? Ero incredula.
Lo sentii ringhiare, minaccioso: «Potrei farti molto male, adesso, ma sono una brava persona.»
Gli occhi di Ade fiammeggiarono, dopodiché lui scomparve. Il figlio di Poseidone aveva la maglietta arancione stracciata, bucata da colpi di moschetto e fendenti di spade, ma lui era indenne.
«Dobbiamo andarcene» disse; sia io che Alex annuimmo. «La battaglia contro Crono è imminente e noi dobbiamo aiutare gli altri. Alex, Astrid, andiamo.»
«E io?» fece Nico, un’espressione delusa sul volto.
«Sei più utile se rimani qui» rispose Percy, poi addolcì il tono. «Puoi convincere tuo padre a fornirci dell’aiuto, se l’unico su cui possiamo contare per questo compito.»
«Ma…» protestò Nico.
«Ci parlo io» intervenni, mettendogli una mano sulla spalla e allontanandomi di un po’ dagli altri.
«Lasciami» ringhiò il figlio di Ade, scostando malamente il mio braccio da sé. «Non sei mia sorella.»
«E menomale perché, da quello che ho capito, lei è morta. Io ci tengo alla mia vita» replicai.
«Va’ al Tartaro» imprecò.
«Senti, non sono qui per farti da mammina premurosa, non sarò delicata.»
«Allora non m’interessa» replicò, dandomi le spalle.
«Posso aiutarti» cercai di suonare persuasiva, ma i miei rapporti umani lasciavano decisamente a desiderare. «E ti posso assicurare che non hai deluso Percy.»
L’ultima frase catturò la sua attenzione. Si sedette su un masso e si prese la testa tra le mani.
«Come puoi dirlo?» sussurrò. «Lui è Percy Jackson, il più grande semidio di questo secolo e mio amico. E io l’ho tradito.»
«Tutti commettiamo degli sbagli» gli feci notare.
«Menti» mi accusò, lanciandomi un’occhiata. «Sai perfettamente che non è così, che ci sono persone che sbagliano sempre. Tu sei una di loro.»
Mi sentii punta intimamente e, per un momento, mi venne voglia di tirargli un pugno e urlargli di starsene zitto. Ma ciò che aveva detto era vero, non potevo negarlo. In silenzio, mi complimentai con il suo spirito d’osservazione.
«Mettiamola così, allora» ripresi. «Io, che sono una persona che sbaglia sempre, mi sono mai arresa? Mi hai mai visto lamentarmi a terra, senza fare nulla per rialzarmi?»
Nico si morse l’interno della guancia. «No» rispose, titubante.
«No, esatto» confermai. «Anche tu devi farlo, sono sicura che sei abbastanza forte per farcela. Sei il figlio di uno dei Tre Pezzi Grossi, dopotutto, no?»
Nico annuì. Gli misi una mano sulla spalla.
«Il regno che comanda tuo padre non è tutto nero, tu non sei completamente nero. C’è ancora speranza, qui. Non sprecarla. Non abbatterti, se pensi di aver deluso il mitico Percy Jackson. Anzi, convinci tuo padre ad unirsi agli altri dèi e dimostragli che puoi rimediare ai tuoi errori.»
Nico alzò gli occhi su di me, e io cercai di infondergli quanto più coraggio e stabilità possibile.
«Va bene» accettò infine.
Gli sorrisi prima di allontanarmi. Dopo qualche passo, lo sentii chiamarmi per nome. Mi voltai.
«Grazie» disse semplicemente.
«Di niente» replicai.
Poi, gli diedi le spalle e raggiunsi di corsa Alex e Percy. Avevamo ancora molto da fare.

*oh mine guder! = oh miei dei!
koala's corner.
Anche se con un giorno di ritardo, ecco qui il capitolo! Passiamo subito allo sclero di questi due ^^"
*si inginocchia* Ok, ok, in teoria è solo un ritardo. In teoria. In pratica, voi stavate aspettando questo angolino con le fruste spianate per condurmi da Ade. Quindi, chiedo umilmente perdono.
A me non importa una ciofeca se wolfie ha ritardato, perché lei è sempre nel mio cuore :P
Per questo hai il cancro xD Anyway, vi è preso un colpo quando Ade ha tentanto di uccidere Astrid?
Per fortuna, non è ancora arrivato il momento killer, ma non dovrete aspettare molto.
Come avevamo già annunciato in precedenza, "Venti del Nord" ripercorre le vicende de "Lo Scontro Finale", quindi molti dialoghi sono presi pari dal libro, così come le situazioni che ri-narriamo.
Ovviamente, condendo il tutto con tanto sugo Alrid *-* Spero che la scena della prigione vi abbia fatto fangirlare a dovere. Alcuni avevano chiesto un confronto Astrid/Nico/Hellheim/Tartaro e alla fine di questo capitolo ci stava bene, quindi... Ho anche mostrato un mio headcanon, ovvero che prima della ormai famosa frase "I had a crush on you", Nico abbia ammirato Percy perché lui è l'eroe con la E maiuscola.
Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto, rimediamo presto a rispondere alle meravigliose recensioni che ci lasciate ogni volta! :3

Soon on Venti del Nord: POV Alex, preparativi per la battaglia di Manhattan!
 

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Capitolo 7
*** ALEX/PERCY • Ci prepariamo a combattere (argh)! ***


Ci prepariamo a combattere (argh)!

•Alex•
 
Se c’è una cosa che mi piace degli Inferi di qualsiasi posto è che sei felice di andartene. Astrid mi fece uscire con un viaggio ombra e crollammo insieme sul prato del Campo Mezzosangue, spaventando due naiadi che stavano passeggiando tranquille ai limitari del boschetto. Appena spuntammo fuori dalle ombre, lanciarono degli urli spaventati e si smaterializzarono in un paio di nuvolette di clorofilla verde.
«Andiamo, dobbiamo informare gli altri!» dissi, dando una mano ad Astrid a rialzarsi.
Per un attimo le nostre mani indugiarono l’una nell’altra. Ero davvero tentato di dirle tutto, ma poi lei la ritrasse, abbassando lo sguardo, indicando, con gli occhi, un punto alle mie spalle.
«Ehi!»
Mi voltai, riconoscendo un certo Malcom, uno dei fratelli di Annabeth, richiamando la sua attenzione.
«Cosa c’è?» chiese, vedendomi.
«Le forze di Crono stanno per attaccare New York, dobbiamo avvertire tutti e prepararci allo scontro» lo informai, forse con un tono più preoccupato del dovuto, dato che lui sgranò gli occhi grigi.
«Vado… vado ad avvertire Chirone» balbettò, con l’aria di chi vorrebbe scappare.
Come dargli torto? Gli avevo appena detto che stavamo per morire tutti.
«Andiamo» mi incoraggiò Astrid, indicando l’arena.
Mentre passavamo notai i guerrieri di Ares seduti intorno alla loro casa con a capo Clarisse che, stranamente, non mi lanciò un occhiataccia – forse grata per essermi messo a suo favore nell’ultimo consiglio –, mentre, tutti gli altri erano all’arena e ai vari campi per allenarsi.
Appena arrivai vidi i figli di Thor e Tyr che si allenavano…. Be’, diciamo pure che se mai doveste vederli allenare, cercate di vederla nella loro ottica: erano terribilmente seri, in certi allenamenti e, probabilmente sembravano impegnati in una sanguinosa battaglia, ma per loro erano amichevoli pacche sulla spalla, nonostante si stessero dando dei colpi di ascia che avrebbero disintegrato un gigante.
Gli altri semidei, sia norreni che greci si tenevano prudentemente lontani dalla rissa, occupandosi di altre attività. I figli di Atena avevano trovato una grande sintonia con i figli di Ullr e si erano messi in un angolo ad ideare nuove strategie. I figli di Skadi erano presi ad allenarsi con i figli di Apollo scoccando valanghe di frecce, tanto che i bersagli sembravano dei porcospini.
I figli di Loki si erano messi a parlare con i figli di Ermes, probabilmente escogitando qualche altro scherzo per le altre Case. I figli di Freyja erano in un angolo a conversare di gossip con quelli di Afrodite, anche se alcuni dei primi si allenavano – dopotutto erano anche figli di una Dea della guerra.
Nora e Bethany stavano con Chirone, ai limiti del Campo, interessate alla magia di protezione che circondava il campo greco.
«Ehi, Alex!» mi salutò Kinnon, il figlio di Heimidallr che aveva individuato il pegaso di Percy. «Hai un’aria devastata… Sei andato a massacrare mostri senza di noi?»
«Credimi, sarebbe stato meglio. Raduna tutti, stiamo per scendere in battaglia» risposi, riprendendo fiato.
«Finalmente!» esclamò lui, facendo passare la voce.
La notizia fu accolta in modo diverso da tutti. In particolare i semidei greci sobbalzarono e si spaventarono al sentirla, nonostante ciò si prepararono al meglio. I miei compagni, invece, furono fin troppo entusiasti. La notizia della battaglia imminente fece lanciare un urlo di guerra a tutti i semidei del nord, che corsero a prepararsi.
«Dici che dobbiamo andare a New York? Ne sei sicuro? Dove siete stati voi con Percy?» indagò subito Annabeth, marciando verso di noi con l’aria di chi si sta rodendo dalla preoccupazione.
«Sarebbe troppo lunga da spiegare… ma sappiamo che Crono marcerà sulla città ‘sta notte» spiegai, correndo verso la Cabina Tre che Percy mi aveva offerto, insieme a Danny, Nora e Petra. Lei non sembrò molto contenta, ma corse ad organizzare i suoi fratelli, mentre Nora e Chirone mi raggiungevano di corsa.
«Allora è vero? Stiamo per essere attaccati?» chiese il centauro, agitando nervosamente la coda.
«Sì, e a quanto pare non ci saranno solo mostri greci. Anche mostri del nord verranno a farci visita. Sarà meglio prepararci» risposi, raccogliendo tutta la mia collezione di rune.
Chirone annuì, facendo sbattere più volte lo zoccolo sul terreno.
«Capisco. Sarà una dura battaglia, ma vi auguro di farcela. Intanto cercherò di radunare i miei simili per aiutarvi.»
«Grazie. Spero che arrivino altri rinforzi dal mio Campo» borbottai, mentre Astrid e Annabeth parlavano animatamente, davanti alla Cabina Sei.
«Me lo auguro anche io» disse il centauro, per poi correre ad una velocità incredibile, oltre le difese del campo.
Mentre Astrid si preparava, mi diressi all’arena per radunare i semidei greci che si stavano infilando le armature e prendevano le loro armi. In un angolo vidi Silena e Beckendorf che litigavano.
«Ti prego, no! È troppo pericoloso e tu sei ancora ferito!» stava urlando lei, indicando la gamba ancora fasciata e che il suo ragazzo muoveva a fatica.
«Devo farlo! È anche la mia guerra, non posso rimanere al Campo a riposare sapendo che tu e i miei fratelli state combattendo» replicò il figlio di Efesto con decisione. «Ma s-se ti succedesse qualcosa… io… ecco… hai rischiato troppo sulla Principessa Andromeda! No-non voglio… non voglio che tu sia in pericolo.»
Il tono della figlia di Afrodite mi sembrava un po’ strano, come se sapesse qualcosa di importante. Mi avvicinai facendo sobbalzare entrambi.
«C’è qualche problema?» chiesi con fare noncurante, come se non avessi sentito nulla.
Silena si voltò verso di me con lo sguardo colmo di una paura.
«Ti prego, fallo ragionare. È ancora ferito, non può combattere in guerra!»
«Non posso legarlo qui. Se te la senti, Charlie, vai. Ma sappi che le tue ferite ti saranno di intralcio» dissi, dopo un attimo di silenzio.
Nonostante fosse messo male, era un tipo tosto e si era rimesso in fretta dalle ferite.
«Diavolo, non siete i miei genitori!» sbottò lui, alzandosi in piedi per poi barcollare, subito dopo, sotto il peso della gamba ferita.
«Lo sappiamo, ma sei ferito. Facciamo così, ti portiamo con noi, però tu rimarrai nelle retrovie e organizzerai i tuoi fratelli senza esporti troppo» proposi in tono conciliatorio.
«No, lui non viene e basta!» scattò Silena, guardandomi malissimo.
«D’accordo…» borbottò, invece, il figlio di Efesto, sospirando.
Il patto non sembrò far felice la sua ragazza, ma capivo il desiderio di agire di Beckendorf.
«Amico, non preoccuparti!» intervenne Kinnon, il figlio di Heimdallr che li aveva salvati. Era già in tenuta da battaglia, con un grande scudo a torre sulla spalla e una lancia in mano. «Ci rivedremo alla fine di questa battaglia e potrai dire di essere sopravvissuto. Sono certo che ti farai valere.»
«Grazie» disse il figlio di Efesto. «Non ti ho ancora ringraziato per averci visti in tempo. Credo di doverti la vita.»
«Allora mi offrirai da bere, quando saremo tornati entrambi vivi da questa battaglia» propose il mio compagno, dandogli una vigorosa pacca sulla spalla.
«Allora vedi di rimanere vivo» accettò Charlie, sorridendo di rimando, mentre Silena continuava a torcersi le dita dalla preoccupazione.
Nonostante il disordine i gruppi si stavano formando: eravamo pronti a dirigerci a New York, anche se non avevo idea di come diavolo facesse un Titano a far marciare un esercito di orribili mostri attraverso una delle più popolose e importanti città del mondo, senza farsi vedere da nessun mortale. Di certo aveva escogitato qualcosa.
“Non sentivo presenza di mortali: solo semidei.” Le parole di Helen mi colpirono come un maglio e subito mi detti dell’idiota. Era ovvio che Crono e i suoi alleati avrebbero trovato il modo per allontanare i mortali, anche se ancora non sapevo cosa.
Mi avvicinai alla Casa Grande, dove mi aspettavano Nora e Helen, che stavano parlando con la figlia di Ecate sotto la stretta sorveglianza di Sain, figlio di Thor.
«Qualche novità?» chiesi, osservando la figlia di Frigg che si teneva cautamente all’ombra per non bruciarsi.
«Nulla. A parte che continuo a voler triturare Loki per aver messo nel sacco nostro padre» borbottò mia sorella di parte divina, stringendo così tanto la sua lancia che temetti di vederla spezzarsi.
«Non preoccuparti. Me la caverò» replicai, senza convinzione.
Stavo cominciando a pensare che la gente volesse farmi sentire in colpa per farmi tornare al Campo Nord.
«Io avrei delle informazioni» si intromise Helen, alzando gli occhi di un rosso inquietante. «Ho fatto un sogno, ‘sta notte. Era diviso in due parti.»
«Allora che aspetti? Racconta!» la esortò il figlio di Thor, interessato, come tutti noi.
«All’inizio ho sentito solo una strana presenza… Credo fosse Hell e un esercito di non-morti del nord che marciava su New York, e la nostra dea della morte che marciava al fianco di un Titano. Penso, almeno, che lo fosse. Poi il sogno si è spostato su qualcos’altro: il consiglio dei nostri Dèi. Sembra che alcuni spingano per venirci in aiuto» illustrò, inarcando le sopracciglia con aria pensosa.
«La prima parte sembra proprio una predizione. A quanto pare dovremmo vedercela anche con i nostri più mortali nemici» commentai, sentendo uno strano gelo, mentre pensavo con ironia che sarebbe stata proprio la dea della morte a portarmi nel suo regno.
«Però la seconda parte non sembra male. Cosa dicevano i nostri genitori? Stanno discutendo se aiutarci o no?» domandò mia sorella, speranzosa.
«Alcuni: Thor, Freyja, Freyr, Njordr, Eir, Ullr, Idunn e Viddar sono favorevoli all’intervento in nostro aiuto. Odino e tutti gli altri, però, sono contrari. Inoltre Loki fa di tutto per tenerli divisi e impegnati a discutere, come se volesse distogliere lo sguardo di nostro padre, tenerlo lontano dall’America» spiegò  Helen, stringendo le spalle.
«Perché Thor dovrebbe avere a cuore il destino dei greci? Scusate se mi intrometto, ma non dovrebbe essere uno dei nemici di Zeus e Ares?» chiese la figlia di Ecate, intromettendosi piano, silenziosa fino a quel momento.
«Mio padre è un tipo onorevole. Probabilmente si sente in debito per il suo martello, un mese fa. Vuole pareggiare i conti con i Greci» spiegò Sain con una calma che lo distingueva parecchio dai suoi fratelli, molto più irascibili.
«Capito. Forse potrebbe c’entrare mia madre, comunque, per quel che riguarda i mortali. Lei è la Dea della Foschia, potrebbe infittirla intorno alla città» disse la ragazza, stranamente collaborativa.
Mi guardava in modo strano, probabilmente grata per averla difesa da Clarisse, quando eravamo tornati al Campo.
«Questo non spiega l’assenza di mortali nella mia visione» le fece notare Helen, sempre più accigliata.
Lei era fatta così, rifletteva tantissimo, soprattutto sulle sue visioni che aveva da quando era nata. Nonostante questo, sottovalutarla era un grave errore: con la katana era capace di affettarti.
«Chi se ne import. Spaccheremo la faccia ai non-morti e ficcherò la mia ascia nel sedere di qualche gigante, così farò felice mio padre» replicò Sain, stringendo l’arma con l’aria di volerla sperimentare – speravo non sulla mia testa.
Osservai Helen, che si massaggiava le tempie pensierosa.
«Altri incubi?»
La figlia di Frigg si limitò ad annuire, per poi alzare lo sguardo su di me.
«Più ci avviciniamo alla battaglia, più i miei sogni mi fanno vedere il peggio. Ho visto molti dei nostri compagni morti. Lo sai anche tu che è difficile affrontare le mie premonizioni.»
Mi inginocchiai e le asciugai una lacrima che le rigava il volto. Provavo una gran pena per lei, costretta dalla discendenza a vedere morire i suoi amici prima della loro dipartita. Non riuscivo nemmeno ad immaginare la sua angoscia.
«Ehi… Ce la faremo, Helen. Ricorda, su di me puoi contare» sussurrai per rassicurarla, mentre le stringevo la mano.
«Grazie, scusami, ma non è facile» disse, riprendendo il suo solito contegno e afferrando la sua katana. «Farò di tutto per non vedere avverate le mie visioni.»
«Così si parla!» esclamò Nora, dandole uno scherzoso pugno sulla fronte. «Sei forte. Noi, che siamo fratellastri, dobbiamo rimanere uniti» asserì, abbracciandola.
«Avete ragione. Grazie, senza di voi sarebbe difficile sopportare questi incubi.» Sorrise, alzandosi, abbassando il cappuccio del vestito. «Vado anche io. Ci vediamo sul campo.»
«La seguo e finisco di prepararmi» aggiunse mia sorella, ammiccando.
Battemmo i nostri pugni l’uno con l’altro e lei se ne andò. Mentre loro andavano, mi rivolsi a Sain, che continuava a tenere la nostra prigioniera sotto controllo. La figlia di Ecate non aveva nemmeno tentato di fuggire. Se ne stava seduta, a gambe incrociate, lisciandosi, ogni tanto, la maglietta nera o i jeans scoloriti.
«Allora, amico, sei pronto?» chiesi, osservando la sua ascia che mandava scosse elettriche.
«Al, sono figlio di Thor. Io sono sempre pronto. Insegneremo ai mostri greci a temere la furia del Nord. E poi ti devo coprire le spalle, come ai vecchi tempi, quando io, tu e Lars ci nascondevamo nei cassonetti» mi ricordò lui, con un sorriso, posandomi la sua forte mano sulla spalla.
Già. Come dimenticare che, in passato, noi tre eravamo una squadra. Scappato a sette anni, un mese dopo li incontrai. Avevamo la stessa età, eravamo tutti e tre inseguiti ed eravamo pronti a tutto per sopravvivere. Anche se Astrid era la mia migliore amica, Sain e Lars mi avevano sostenuto parecchio. Pregai che rimanessero in vita.
«Di lei che ne facciamo?» domandò, all’improvviso, indicando la figlia di Ecate, che continuava a rimanere in silenzio, osservandomi.
«Dipende. Tu che vuoi fare?» le chiesi, rivolgendomi direttamente all’interessata.
«Che potrei fare?» borbottò, sospirando. «Crono sarà già stato informato del mio tradimento, dubito che mi vorrà ancora con sé. Giuro sullo Stige di non ostacolarvi» concluse, abbassando lo sguardo pensierosa.
«Non preoccuparti. Noi i patti li manteniamo, e vinceremo questa battaglia» la rassicurai, infine, dandole una mano per alzarsi.
«Lo spero» sospirò la figlia di Ecate, mentre seguiva me e Sain verso il grande assembramento di semidei che c’era davanti alla Casa Grande.
Astrid si affiancò a me e provai a prenderla per mano, per sentire la sua sfuggire la mia, come se avesse timore di essere avvelenata. Che avesse paura di me? Forse era risentita per il fatto che non le avevo risposto? O aveva paura che io la abbandonassi, morendo in battaglia?
In ogni caso, era meglio rimandare i nostri problemi al momento in cui non mi sarebbero più arrivati elmi a forma di cinghiale addosso. Questo perché Michael Yew e Clarisse stavano litigando di nuovo, sotto gli occhi di Lars.
«Che succede? Stanno ancora discutendo?» chiesi, osservando la figlia di Ares che si teneva il carro.
A quanto pare i ragazzi di Apollo avevano ceduto l’osso, ma dedussi che quelli di Ares si erano intestarditi.
«Secondo te? Stano litigando. E sembra che quella lì non voglia sentire ragioni» borbottò il figlio di Eir, scuotendo la testa con la sua solita rigidità.
Sembrava un comandante di un esercito pronto a scattare e a dare ordini. Mi chiesi come mai non avesse voluto sfidarmi per il comando.
«D’accordo. Ci provo io» sospirai, avvicinandomi ai contendenti con Astrid a fianco ed Einar che borbottava qualcosa sulla “testardaggine dei figli di Ares”.
Avevo un evidente livido sull’occhio sinistro, come se gli avessero tirato un cazzotto. Poco lontano da lui Sarah stava ridendo.
«Ti ho ridato il Carro. Ora, per Zeus, smettila di prendertela! Abbiamo bisogno di te!» sbottò il figlio di Apollo, battendo i piedi per terra.
«Già, solo adesso che vi servo mi ridai il carro, vero!? Be’, è troppo tardi! Hai offeso il mio onore, non combatterò per te, né per nessun altro» ringhiò, Clarisse, alzando fieramente la testa.
«Ora basta!» esclamai, usando il tono più autoritario possibile. «Ti ho sostenuta per riavere il carro, non intendo ignorare tuo padre, ma adesso è troppo! Non puoi continuare a fare i capricci come una bambina, hai ottenuto ciò che volevi!»
Lei mi guardò malissimo, ma non cercò di infilzarmi di nuovo.
«Non prendo ordini da te, figlio di Odino. Avete insultato il mio onore. Nessuno della Casa di Ares si unirà a voi.»
«Allora sei scema! Non capisci che dovete rimanere uniti?» scattò Astrid, al mio fianco, pronta a prendere di nuovo a pugni la sua testarda avversaria.
«Stai zitta, piccoletta! Non sono affari tuoi!» la aggredì, di scatto, quella, puntandole contro la lancia.
La figlia di Hell stava per rispondere a tono, quando Silena si fece coraggiosamente avanti. Non riuscivo a capire come potesse essere amica di quell’orchessa sotto mentite spoglie.
«Clarisse, abbiamo bisogno di te. La tua Casa potrebbe fare la differenza, così rischi di far cadere anche tuo padre» la pregò la figlia di Afrodite, con un tono incredibilmente convincente.
Probabilmente, la maggior parte dei maschi si sarebbe inchinata, sbavante, davanti a lei. La sua amica sembrò sul punto di cambiare idea, poi, però, scosse il capo.
«Mi dispiace, Silena, ma non posso ignorare l’onore di Ares. Non ci uniremo a questa battaglia. Vedremo quanto vi sarà utile l’aiuto dei norreni, senza di noi.»
Detto questo marciò rapida verso la sua casa e sbatté la porta. Silena Beauregard abbassò lo sguardo sconsolata.
«Scusate… è colpa mia. Non riesco nemmeno a convincerla a combattere.»
«Non dire sciocchezze!» Le detti una leggera pacca sul braccio. «Non ha neanche provato ad ucciderti, direi che è un miracolo. Almeno ci hai provato.»
Lei scosse il capo e si avvicinò a Beckendorf, che la rassicurò, dandole un leggero bacio sulla guancia. Il loro rapporto mi spinse a pensare ad Astrid che, ancora, stringeva i pugni furiosa. Sospirai. Se solo avessi potuto avere un po’ di tempo per parlare in modo più… intimo. Scossi la testa: avevo altro da fare, tipo guidare un gruppo di semidei in battaglia ed organizzarmi.
Annabeth si avvicinò a me, questa volta in tenuta da battaglia, con l’armatura e l’elmo sottobraccio. Accanto a me anche Astrid sembrava pronta e vidi che, ormai, la maggior parte dei miei compagni aveva indossato la corazza ed erano tutti decisi a combattere.
Notai con piacere che alcuni si erano affiancati ai greci, dandosi pacche sulla spalla e incoraggiandosi a vicenda. Ottimo. Un rapporto di reciproca fiducia poteva essere d’aiuto in momenti come questi.
«Come andiamo in città?» chiese, all’improvviso, Travis Stoll, inarcando le sopracciglia.
«Già. Senza Chirone, Argo non lascerà mai alle arpie la guida dei furgoncini» protestò Katie Garden, della Casa di Demetra, che si era offerta di riunire nella sua cabina i figli di Freyr.
«Nessun problema» li interruppi, prendendo dalla tasca la nave ripiegata. Non avevo idea di cosa avesse dato Einar per quella, ma ci sarebbe tornata molto utile. «Useremo la Skidbladinr.»
«Non sarebbe meglio un viaggio a terra?» domandò Michael Yew, dubbioso.
«Rilassati» risposi semplicemente, lanciando la nave verso la pianura, dove quella si espanse fino a raggiungere le dimensioni necessarie ad ospitarci tutti.
Alcuni greci strillarono, preparandosi alla scossa che lo scontro di una drakkar con il terreno avrebbe provocato e Annabeth mi lanciò un’occhiataccia terribile. Ma subito si trasformò in stupore, quando si rese conto che la nave stava letteralmente galleggiando sulla terra, come se quest’ultima avesse la consistenza dell’acqua.
«Dii Immortales! Questa poi! La vostra nave è… wow, fantastica! C’è qualcosa che non sa fare?» chiese, esterrefatta, mentre si avvicinava con l’aria di una bambina che vedeva il suo giocattolo preferito in vetrina.
«Be’, non sa volare, ma la Skidbladnir può viaggiare su qualsiasi terreno, con qualsiasi pendenza su qualsiasi elemento che non sia l’aria. Potrebbe scalare una parete di pendenza novanta gradi, solo che non è consigliato per chi viaggia a bordo della nave stessa» risi, mentre i miei compagni salivano a bordo entusiasti.
Non avevo idea di cosa avrebbero visto i mortali, ma lasciatemelo dire: quando c’è di mezzo la Foschia, meglio non farsi troppe domande.
«Alex, siamo tutti a bordo!» mi informò Nora, con un sorriso rassicurante in volto.
Nonostante Excalibur pesasse come un macigno, terribile ricordo di quello che stavo per affrontare, non potei non fare a meno di notare come i miei compagni non sembrassero affatto preoccupati. Avevano trovato un certo affiatamento con i greci, forse dovuto al fatto che questi non ci vedevano più come terribili nemici, ma come alleati. Sentii la dolce mano di Astrid poggiarsi sulla mia spalla, come per mantenermi aggrappato alla realtà. Avrei voluto così tanto abbracciarla in quel momento.
 
♠Percy♠

Quando me li vidi arrivare tutti davanti… Be’, diciamo che a New York se ne vedono di mezzi strani, ma vedere una nave vichinga che solca le strade come l’acqua, ancora mi mancava. Avevo chiesto ad Astrid di mandarmi direttamente nel centro di New York per organizzare meglio la difesa, così potevo osservare il loro arrivo.
La Skidbladnir era parcheggiata davanti all’Empire State Building e faceva scendere tutti i mezzosangue, greci e norreni, entrambi in assetto da battaglia. Per un attimo mi chiesi come fosse possibile che non fossimo stati attaccati: un numero così grande di semidei era per i mostri un grande cartello che diceva: “venite a mangiare che si fredda”.
Ma dall’aria che si respirava c’era ottimismo: l’arrivo di Alex ed i suoi aveva dato una scossa positiva al nostro Campo e, nonostante le poche possibilità di sopravvivenza, il morale era alle stelle. Con mio disappunto vidi che anche Alex e Charlie erano insieme al gruppo, cosa che non mi piacque per niente: il primo perché sapere cosa stava rischiando mi faceva sentire terribilmente in colpa; Il secondo, invece, era ancora debole dopo le ferite subite sulla Principessa Andromeda.
Alex si stava comportando come un amico leale e un comandante coraggioso ed esemplare, e suo padre, addirittura, lo condannava. Mi venne voglia di prendere a pugni Odino. La gamba di Charlie era ancora fasciata e ogni tanto lui barcollava, come se fosse sul punto di svenire. Avrei voluto dire ad entrambi di tornare a casa, ma dubitavo fortemente di poterli convincere. Nonostante i miei sospetti, feci un tentativo e mi avvicinai ad Alex.
«Non sei costretto a rimanere, sarebbe stato meglio che tu rimanessi al Campo» proposi, cercando di essere conciliante.
Lui sorrise mestamente e mi appoggiò la mano sulla spalla. «Sei un amico, Percy. Un mese fa sarei morto nell’Hellheim, se tu non mi avessi coperto le spalle. Voglio ricambiare il favore. Non mi ritirerò.»
«Rischi troppo, non mi devi così tanto» ribattei, deciso e allo stesso tempo preoccupato.
Perché cavolo dovevano essere le persone migliori a rischiare la vita?
«Ti sbagli. Io te lo devo eccome. Non me ne frega un fico secco se i nostri genitori si odiavano, secoli fa. Insieme, il mese scorso, abbiamo formato una squadra inarrestabile. Possiamo farlo ancora e non intendo fermarmi solo perché mio padre non ci vede nemmeno dal suo unico occhio» concluse il figlio di Odino, avviandosi verso i suoi, lasciandomi con l’amaro in bocca.
Mi sentivo come se stessi portando lui e tutti gli altri verso la morte. I miei occhi indugiarono su ogni mio amico, vecchi e nuovi: prima tra tutti Annabeth, così bella, anche in tenuta da guerra. Michael Yew era in testa ai suoi fratelli di Apollo, i fratelli Stoll, che stavano facendo a gara di barzellette e freddure con Alyssa e Einar. Katie Gardner, Silena Beuregard, Charlie, Polluce, Astrid, Denny. Lars, Sarah, Nora, Helen, Sain.
Tutti pronti a rischiare la vita. I miei occhi indugiarono un attimo sui capelli di Petra che, con quel colore blu mare, mi ricordava mia madre che mi preparava ogni sorta di cibo blu. Fui invaso da un senso di preoccupazione. Non volevo immaginare cosa stesse facendo, in quel momento, era sicuramente in ansia.
Unito questo pensiero alla sensazione di preoccupazione per i miei amici, non capivo nemmeno come facessi a non mettermi ad urlare al cielo.
«Ci siamo, Alex ci ha detto tutto» mi disse Annabeth, avanzando verso di me con aria preoccupata.
«Sì, venite. Abbiamo un appuntamento importante» risposi, indicando l’atrio.
Dovevo ammettere che sembravamo il più folle e assortito gruppo di semidei mai visti. Alex si era messo di nuovo Skidbladnir nel retro dei pantaloni – cosa che continuavo a trovare fantastica. Avrei voluto anche io una macchina così, almeno non avrei avuto problemi di parcheggio.
Non provai nemmeno a immaginare cosa vedessero i mortali al posto di un drappello di quasi cento semidei armati. Avevo imparato che la Foschia era capace di tutto. Probabilmente vedevano un grosso pullman di qualche gita scolastica, oppure un camion con su scritto “Trasporto Speciale”. Ma la cosa aveva poca importanza.
«Andiamo in piccoli gruppi, l’ascensore può portare solo una decina di persona alla volta.» Poi mi venne in mente una cosa. «Ehm… Forse è meglio se tu, Alex, e i tuoi non venite.»
Non era mia intenzione essere maleducato, ma considerati i precedenti, non mi piaceva l’idea di portarli sull’Olimpo con il rischio di scatenare l’ira degli Dèi su di loro. Fin ora potevano averli ignorati perché erano, comunque, rimasti al Campo, ma non avevo idea delle reazioni, in caso li avessero beccati sull’Olimpo.
«Che ne dici di farci salire soltanto? Potremmo venire con voi senza entrare nel palazzo dei vostri Dèi» propose, con tono conciliante, il figlio di Odino, notando gli sguardi disapprovanti dei suoi compagni, probabilmente sentitisi un po’ esclusi.
«D’accordo. Spero non faranno caso a voi, vista la presenza di Tifone» concordai, infine, dopo averci pensato.
Non serviva essere figlio di Atena per capire che, comunque, era sempre meglio rimanere uniti. Una decina alla volta salimmo sull’Olimpo, usando l’ascensore. Durante la salita i miei occhi indugiavano sul bel corpo perfetto di Annabeth, mentre la musica di Stayin’ Alive mi faceva affiorare alla mente la terribile immagine di Apollo con pantaloni a zampa e camicia di seta attillata, che suonava l’omonima canzone. Speravo di non doverlo mai vedere in quello stato.
Se Annabeth non abitasse nella Casa Sei, l’avrei scambiata per una figlia di Afrodite. I bellissimi capelli biondi, lunghi e mossi, le ricadevano sulla schiena come un mantello, il corpo magro, tonico e allenato sembrava quasi esaltato dalla stretta corazza che indossava e sembrava una dea della guerra, con quell’aria crucciata, sicuramente segno che stava cercando di elaborare ogni possibile strategia per difendere la città.
«Cosa c’è?» chiese, all’improvviso.
«Come “cosa c’è”?»
«Mi stai guardando in modo buffo.»
Ignorai il commento e feci un finto colpo di tosse. L’apertura delle porte sul seicentesimo piano mi salvò dallo sguardo indagatore di Annabeth. In poco tempo fummo tutti radunati sulla grande città sospesa a duemila metri sopra New York.
I ragazzi norreni erano davvero colpiti e un paio di ragazzi di Thor si misero a fare una gara a chi faceva cadere più in fretta la loro saliva. Il che era abbastanza disgustoso.
«Che cavolo» sussurrò Annabeth, accanto a me, mentre passava accanto ad una statua di Era.
«Cosa c’è?» chiesi, seguendo il suo sguardo. «Ce l’ha ancora con te?»
«Niente di particolare. Solo che… il suo animale sacro è la vacca, no?»
«Giusto.»
«Be’, mi ha messo le vacche contro. E adesso continuo a trovare i loro ricordini ovunque.»
Il nostro drappello proseguì lungo la strada principale, passando davanti alle grandi ville dei servitori e degli spiriti più vicini agli Dèi, fino alla grande dimora dei nostri genitori. Un gigantesco palazzo di colonne di bianco e candido marmo. Era una visione bellissima, ma tutto, lì, dava l’idea di una tristezza vicina. L’Olimpo era silenzioso: non c’era musica, non c’erano voci, non c’erano risa.
«Ok, ragazzi, rimaniamo qui» ordinò Alex, strappandomi dai miei pensieri.
Osservai i norreni borbottare contrariati, ma compresero la necessità di non indispettire le nostre divinità.
«Però uno o due di noi dovrebbero venire con voi» protestò Danny, nervoso.
Probabilmente lo erano tutti: il timore che i nostri Dei li fulminassero sul posto doveva essere, per loro, una prospettiva ben poco felice, ma ero certo che non sarebbe successo. Gli Dèi erano troppo impegnati.
«D’accordo. Andremo io ed Astrid, se a Percy non dà fastidio» propose il figlio di Odino, voltandosi verso di me.
Annuii e Alex dette alla sorella il comando dell’Orda per poi incamminarsi al fianco di Astrid, nel Palazzo degli Dèi insieme a me e ai miei compagni greci.
 

koala's corner.
Buonssssera tutti! Dal prossimo capitolo inizierà la battaglia!
Ci sarà da divertirsi *risata malvagia* La Skidbladnir può veramente navigare sulla terra ferma figa le navi norrene eh Alex ovviamente viene interrotto di continuo, Astrid si farà ancora filmini mentali...
Abbiamo davvero poco tempo, quindi questo angolino-sclero sarà ridotto. Grazie a tutti coloro che ci seguono, un bacio e alla prossima!

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Capitolo 8
*** ASTRID • Ermes ci dà tre dritte prima di mandarci a combattere ***


Ermes ci dà tre dritte prima di mandarci a combattere
 
♦Astrid♦
 
La sala del palazzo era enorme e, anche se ero già stata ad Asgard, mi sembrò comunque magnifica e imponente. Dodici troni disposti a U erano posti più in fondo, ma nessuno era occupato.
I nostri passi e le nostre armi rimbombavano per tutto l’ambiente. Mi sentivo a disagio, come quando sei in biblioteca e ti squilla il cellulare, sepolto chissà dove nella borsa, e tutti ti fissano con sguardi accusatori finché non lo spegni.
Gli Dèi Olimpici potevano anche essere occupati a combattere Tifone, ma ero certa che non avrebbero saputo resistere alla tentazione di schiacciare qualche semidio norreno venuto nella loro sala del trono. E sarebbe stata la seconda volta in meno di ventiquattr’ore.
In una palla di vetro, un mostro mucca metà serpente si spiaccicò sul vetro e muggì: «MUUUU!»
«Ehi, Bessie! Come va?» fece Percy, sorridendo a quella strana bestia, che rispose con un altro muggito felice.
«Perché deve avere sempre amici così… originali?» chiesi ad Alex, sottovoce.
«Li avrà incontrati nelle sue imprese. Sarà l’effetto del successo.»
«Ah-ah» replicai. «Ti farò un fischio, se ti vedrò familiarizzare con mucche-serpenti in palle di vetro, ok?»
Il figlio di Odino sorrise, ma non rise: la situazione era troppo tesa per questo. Giunti vicini ai troni, ci trovammo davanti a una donna vestita con un semplice abito marrone, gli occhi che scoppiettavano come fuoco. Percy e Annabeth si inchinarono, seguiti a ruota da tutti i greci, così lo feci anch’io.
«Divina Estia.»
La dea soppesò il figlio di Poseidone con i occhi che sembravano braci. «Vedo che hai messo in atto il tuo piano e hai assunto il peso della maledizione di Achille» esordì.
Molti dietro di noi mormorarono frasi come “cos’ha detto?” e “che c’entra adesso Achille?”. Forse era meglio se non sapevano della nostra gita negli Inferi.
«Sii prudente» avvisò Percy. « Sei sulla buona strada, ma sei ancora cieco alla verità più importante. Potresti dare una sbirciatina» lo stuzzicò, poi guardò me e Alex. «Anche tu, Alex Dahl. Sei più importante di ciò che pensi.»
Alex si irrigidì, dopodiché rispose: «Ne sarei onorato, divina Estia.»
La dea annuì in segno di approvazione. «Allora, concederò questo onore anche alle vostre due compagne.»
Mi sentii risucchiare dallo sguardo di Estia e, pochi attimi dopo, non ero più sull’Olimpo, ma in un vicolo buio tra due alti edifici; un’insegna recitava FABBRO DI RICHMOND. Due mezzosangue stavano accovacciati tra le ombre: uno era una ragazzo di circa quattordici anni, biondo e alto, l’altra una semidea di dodici dai corti capelli neri. Mi resi conto che si trattava di Talia, ma era molto diversa dalla persona che conoscevo io. Avevano entrambi un’aria affamata e trasandata. Cercai di capire chi fosse l’altro ragazzo, e lo compresi solo quando la Talia della visione lo chiamò per nome.
«Sei sicuro, Luke?» domandò, giocherellando nervosamente con la lancia.
Luke era armato di un coltello di bronzo celeste. «Sì» rispose, annuendo alla questione. «Lo sento. Là c’è qualcosa.»
Un boato risuonò nel vicolo, come se qualcuno avesse fatto cadere qualcosa sua una lamiera. I due semidei si alzarono e si avvicinarono a una piattaforma di carico, dove si trovava una pila di vecchie casse. Una lamiera ondulata tremolò, come se ci fosse nascosto un gatto. Talia guardò Luke, che mimò con le labbra “uno… due… tre!” Arrivati a quel numero, il mezzosangue strappò via la lamiera, mentre una bambina gli si scagliava contro armata di martello.
«Ehi!» esclamò Luke. Le afferrò il polso e l’arma le cadde dalle mani.
La bambina alzò i suoi occhi grigi sul ragazzo. Aveva ricci capelli biondi, tutti spettinati, e indossava solo un pigiama di flanella. Era così piccola – non avrà avuto più di sette anni – che mi fece un’immensa tenerezza, ma ero certa che avrebbe colpito Luke senza esitazione, se non si fosse fatto trovare preparato.
La bambina si dimenò e scalciò, gridando: «Basta mostri! Andate via!»
Luke faticava a tenerla ferma, tanto quella si dibatteva come un’anguilla. «Va tutto bene!» provò a calmarla, poi si girò verso Talia e disse: «Ritira l’egida, la stai spaventando.»
La cacciatrice annuì e fece ritornare il suo scudo in una forma innocua.
«Tranquilla» tentò la ragazza. «Non vogliamo farti del male. Mi chiamo Talia, mentre lui è Luke.»
«Mostri!» li accusò la piccola.
«Assolutamente no» garantì il mezzosangue. «Noi li combattiamo i mostri.»
La bambina sembrò calmarsi e smise di lottare, anche se continuava a fissarli imbronciata, valutandoli con i suoi occhi grigi e intelligenti. Mi erano familiari, come lo sono certi passanti che giureresti di aver conosciuto, anche se non è così.
«Siete come me?» domandò, sospettosa.
«Sì» confermò Luke. «Siamo…» si interruppe. Evidentemente, non era ancora a conoscenza dell’esistenza degli dèi. «Non importa, ma combattiamo i mostri. Dov’è la tua famiglia?»
«La mia famiglia mi odia» replicò la bambina. «Loro non mi vogliono. Allora, sono scappata.»
Talia e Luke si scambiarono una lunga occhiata. Sapevano perfettamente cosa intendeva dire la piccola.
«Come ti chiami?» chiese Talia.
«Annabeth.»
La saliva mi si bloccò in gola, minacciando di strozzarmi. Quella era Annabeth? L’Annabeth che era scappata di casa, prima di arrivare al Campo Mezzosangue? Dovetti concentrarmi per stare al passo con la visione. Luke sorrise.
«Un bel nome. Ti voglio dire una cosa, Annabeth: sei parecchio feroce, e noi avremmo bisogno di una guerriera come te.»
«Davvero?» La bambina strabuzzò gli occhi.
«Oh, certo» affermò Luke. Capovolse il suo coltello e offrì ad Annabeth il manico. «Ti piacerebbe ricevere la tua prima arma ammazza-mostri? Questa qui è di bronzo celeste, funziona molto meglio di un martello.»
Forse non esattamente educativo regalare un coltello a una bambina di sette anni, ma per i semidei non ci sono regole se non: sopravvivi in tutti i modi. Annabeth afferrò l’elsa, studiando il pugnale.
«I coltelli sono solo per i guerrieri più rapidi e coraggiosi» spiegò Luke. Sentii, contemporaneamente alla voce del ragazzo, anche quella di Annabeth che vi si sovrapponeva. Aveva imparato quelle parole a memoria. «Non hanno la portata né la potenza di una spada, ma sono facili da nascondere e riescono a trovare i punti deboli nell’armatura del nemico. Ci vuole un guerriero intelligente per usare il coltello. Io ho la sensazione che tu lo sia.»
Lo sguardo di Annabeth era pieno di ammirazione. «Sì!» pigolò.
Talia sorrise. «Sarà meglio andare. La nostra casa sicura si trova sul fiume James, là ti troveremo dei vestiti e qualcosa da mettere sotto i denti.»
«Voi n-non mi riporterete dalla mia famiglia?» chiese Annabeth. «Promesso?»
Luke le mise una mano sulla spalla, che sembrava così fragile. «Fai parte della nostra famiglia, adesso. Perciò, prometto che non lascerò mai che ti sia fatto del male. Io ti abbandonerò come hanno fatto i nostri genitori. Affare fatto?»
«Affare fatto!» rispose la bambina, contenta.
La visione cambiò bruscamente. Non eravamo più nel vicolo, bensì in un bosco, dove tre semidei correvano. Dovevano essere trascorse settimane, se non mesi. Avevano tutti un aspetto malconcio, come se ne avessero trascorse tante di avventure, dal loro primo incontro. Annabeth aveva nuovi vestiti: jeans e un giubbotto dell’esercito che le stava grande. Talia stava in retroguardia, brandendo l’egida per respingere il loro inseguitore. Zoppicava sulla gamba sinistra.
«Ancora un po’!» gridò Luke, e afferrò Annabeth quando questa inciampò in una radice.
Si arrampicarono sul bordo di un’altura e guardarono giù, osservando una villetta bianca. Luke si terse le fronte sudata.
«Va bene» disse. «Entro di nascosto e prendo un po’ di cibo e medicine. Voi due restate qui.»
«Luke, sei sicuro?» domandò Talia. «Avevi giurato che non ci saresti mai tornato. Se lei ti scopre…»
«Non abbiamo scelta!» ringhiò il semidio. «Il nostro rifugio più vicino è bruciato. Devi medicarti la gamba ferita. Devo ritornarci.»
«Quella è casa tua?» chiese Annabeth, sbigottita.
«Era casa mia» borbottò Luke. «Credimi, se non fosse per un’emergenza…»
«Tua mamma è davvero così orribile?» domandò Annabeth. «Possiamo vederla?»
«No!» replicò il mezzosangue di scatto.
Annabeth si fece piccola piccola, quasi che quella rabbia la sorprendesse.
«Io… scusa, mi dispiace» si affrettò a rimediare Luke. «Aspettate qui e non preoccupatevi. Vi prometto che andrà tutto bene.»
Una luce dorata illuminò il bosco, facendo urlare i tre. Una voce maschile tuonò: «Non saresti dovuto tornare.»
La visione si dissolse bruscamente, lasciandomi ansimante per tutto ciò cui avevo assistito. Mi tremavano le ginocchia, e scoprii che non solo io mi sentivo spossata, ma anche Alex e Percy. Soprattutto Annabeth. Sembrava sul punto di scoppiare in lacrime da un momento all’altro e si appoggiava al figlio di Poseidone come se fosse l’unico che potesse sorreggerla in quel momento. La capivo: aveva rivissuto momenti che aveva condiviso con una persona importante che ora non c’era più, che era passata dalla parte di Crono, che era Crono. Era tutt’altro che facile. Qualcuno, dietro di noi, tossicchiò, ricordandoci il motivo per cui eravamo andati lì.
«Ehm…» balbettò Percy. «Divina Estia, siamo venuti qui per una questione urgente. Dobbiamo assolutamente vedere…»
«Lo sappiamo» lo interruppe una voce.
Rabbrividii, perché era la stessa dell’ultima visione. Il dio comparve scintillando al fianco di Estia. Dimostrava sui venticinque anni, aveva i capelli ricci e brizzolati e lineamenti elfici. Indossava una divisa da pilota dell’aeronautica, con piccole ali piumate sul casco e gli stivali di pelle nera. Appoggiato a un braccio c’era un bastone, dove su serpenti si arrotolavano, intrecciandosi l’un l’altro. Intuii si trattasse di qualche postino divino, magari vestito con una tutina da supereroe tipicamente americano. Prima che potessi chiedergli qualcosa di sconveniente, Alex mi sussurrò: «È Ermes, messaggero degli dei.»
«Come fai a saperlo?» bisbigliai.
«Il caduceo» rispose, indicando il bastone.
«Ciao, Percy» salutò Ermes, ma aveva la fronte aggrottata, come se fosse arrabbiato con lui.
Sperai non volesse incenerirmi perché avevo partecipato a una visione dove c’era anche lui o, meglio, la sua voce. E pregai anche che non fosse arrabbiato con me.
«Il mio momento è finito» si congedò Estia, prima di scomparire.
Percy si inchinò, imitato presto da tutti. «Divino Ermes.»
Una voce nasale mi rimbombò nella testa. «Certo, eh, nessuno che ci saluta mai.»
«Ciao, George» disse Percy. «Ben ritrovata, Martha.»
«Mi hai portato un ratto?» chiese George, e mi stupii di capire che si trattava di uno dei serpenti che si attorcigliavano sul caduceo. Ero indecisa se sbuffare o mettermi a interrogare il figlio di Poseidone sul perché avesse degli amici così strambi. E perché dovesse farmi venire dei colpi quando li incontrava.
«Smettila!» lo apostrofò Martha. «Non vedi che Percy è occupato!»
«Troppo occupato per i ratti?» fece George, seriamente stupito. «Che tristezza.»
«Uscite fuori dalla mia testa!» sbottai.
I due serpenti emisero delle esclamazioni stupite, ma chiusero il becco. Sospirai, massaggiandomi le tempie.
«Ehm, divino Ermes» cominciò Percy. «Dobbiamo parlare con Zeus, è importante.»
Ermes lo fissò con due occhi di ghiaccio, duri e freddi. «Sono il suo messaggero, puoi dirlo a me.»
La situazione non stava andando esattamente per il verso giusto.
«Ragazzi» esclamò Percy. «È meglio se ci aspettate fuori insieme ai norreni. Noi altri arriveremo tra un po’.»
«Buona idea!» lo supportò Annabeth, che si era un po’ ripresa dalla visione. «Connor, Travis, a voi il comando!»
Nessuno dava mai loro il comando, non erano molto affidabili, ma pensai che la figlia di Atena volesse metterli in risalto nei confronti del padre. Qualcuno provò a protestare, ma abbandonò i suoi progetti e uscì dalla sala del trono con gli altri. Ora che eravamo rimasti in quattro, mi sentii in piena balia di quel dio dalla luna storta. Sapevo fin troppo bene quale tipo di idee venivano loro in mente, quando non erano di buon umore, il che accadeva abbasta spesso.
«Mio signore» riprese Annabeth, quando tutti se ne furono andati. Grazie al trucchetto di Travis e Connor, Ermes le avrebbe dato sicuramente ascolto. «Crono attaccherà New York. Sono certa che voi ne avevate già il sospetto e che mia madre avrà previsto qualcosa.»
«Tua madre» brontolò il dio. Non sembrava molto impressionato. Feci una smorfia. «È colpa sua se sono qui, anche se Zeus voleva tutti al fronte. Ma lei “no, no, è una trappola, un diversivo” e bla bla bla. Voleva venire lei di persona, ma ovviamente la prima stratega del signore degli dèi non poteva allontanarsi troppo da Tifone. Allora, naturalmente, ha mandato me.»
Da come aveva sottolineato i due avverbi, capii che era piuttosto scocciato di esseri qui a parlare con noi. Era palese che non gli piaceva sempre il suo ruolo di messaggero, essere spedito da tutte le parti come una pallina da ping-pong.
«È più che probabile che si tratti di una trappola» prese parola Alex. Non sapevo da dove tirasse fuori il coraggio. «Senza l’aiuto degli Dèi… anche con noi qui, la situazione non è rose e fiori.»
Ermes lo fulminò con gli occhi, usando il tipico sguardo assassino da Alex-Dahl-figlio-di-Odino-come-hai-anche-solo-osato-pensare-di-parlare-in-mia-presenza-eh.
«Non siamo degli stupidi e sappiamo ciò che sta accadendo» replicò, secco. «Per questo abbiamo preso delle misure di sicurezza. I venti di Eolo non permetteranno a nessuno di salire sull’Olimpo volando, lo ricaccerebbero giù. Anche per il migliore dei combattenti, seicento piani non sono una passeggiata. Se vogliono arrivare, dovranno prendere l’ascensore.»
Mi figurai l’immagine di un esercito compresso dentro l’ascensore, le facce crudeli e le armi affilate apposta per noi, mentre come sottofondo c’era Stayin’ Alive. Mi trattenni dal ridere.
«Forse basterebbe che uno di voi tornasse» suggerì Percy.
«Tu non capisci, Percy Jackson. Tifone è il nostro peggior nemico e sta devastando l’America» replicò Ermes, scuotendo la testa impaziente.
«Credevo che il vostro peggior nemico fosse Crono» mi lasciai scappare.
Mi sentii immensamente stupida, ma non potevo fare nulla per rimediare. Desiderai scomparire. Forse seicento piano non erano poi così male.
«No» mi contraddisse infatti il dio. «Non so quanto una norrena conosca della nostra mitologia» pronunciò norrena come se fosse un insulto, così rialzai la testa e cercai di mostrarmi fiera, come per dimostrargli che i miei dèi non erano affatto delle mezze calzette. «Nei tempi antichi, Tifone riuscì quasi a rovesciare l’Olimpo. Noi eravamo più potenti di oggi, ma ci siamo quasi fatti sconfiggere. È il marito di Echidna, il padre di tutti i mostri.»
«L’ho conosciuta a St. Louis» borbottò Percy, ricordando chissà quale delle sue imprese. «Una personcina adorabile.»
«Dobbiamo rallentarlo, stiamo facendo progressi» riprese Ermes.
«Progressi?» fece Percy.
«Ammetto che abbia quasi distrutto delle città, ma solo la metà del Kentucky. Sta rallentando e perde potenza» disse, con una voce che sembrava voler convincere anche lui stesso.
«La prego, Ermes» intervenne Annabeth. «Ci dica dei messaggi di mia madre riguardo a Crono.»
«Atena ha detto che siete soli, che dovete difendere Manhattan senza l’aiuto degli Dèi. Oh, ma i norreni saranno molto d’appoggio, statene certi. Uno di loro ha modificato la Grande Profezia.» Fissò Alex, poi riprese a parlare, senza spiegare altro. «Secondo, ordina di attiva il piano ventitré. Ha aggiunto che tu, Annabeth Chase, sapessi come fare.» La figlia di Atena annuì, ma si morse il labbro, preoccupata. «Ultimo, un messaggio per Percy. Ha detto “ricorda i fiume” e qualcosa che suonava come “sta’ lontano da mia figlia”.»
La frase inaspettata mi colse impreparata, così mi scappò una breve risatina. Alex fu molto più bravo di me a contenersi, ma sorrideva così tanto che sembrava si fosse fatto il botulino. Percy aveva tutte le carte in regola per vincere un premio come Faccia Più Simile A Un Pomodoro o Pomodoro A Forma Di Faccia Più Grande D’America.
«È tutto?» chiese Annabeth.
«Sì» confermò il dio.
«Grazie, divino Ermes» disse lei. «Io… io volevo anche scusarmi per Luke» aggiunse, piano.
«Non avresti dovuto toccare questo tasto» replicò il messaggero degli dèi a denti stretti, l’espressione del viso indurita.
«Pensavo di doverle delle scuse» gli fece notare, nervosa.
«Le scuse non bastano!» gridò Ermes, e sentii George e Martha sussultare. Il dio trasformò il caduceo in un bastone che scintillava come se fosse attraversato da corrente elettrica.
«Avresti dovuto salvarlo quando ne avevi avuto l’occasione. Eri l’unica che avrebbe potuto farlo» ringhiò.
Percy cercò di intervenire. «Di che cosa sta parlando? Annabeth no-»
«Non difenderla, Jackson!»
Ermes puntò contro di lui il bastone elettrificato. Sentii la paura attorcigliarmi l’intestino e legarlo con un bel fiocco. Non potevo intervenire, altrimenti sarei rimasta uccisa, ma non potevo rimanere lì a guardare che ammazzasse Percy.
«Forse non sono le persone giuste quelle contro le quali se la sta prendendo.»
Fissai Alex. Provai l’impulso di saltargli addosso e tappargli quella bocca, però, al tempo stesso, l’ammirazione mi costrinse a rimanere ferma al mio posto. Perché doveva sempre difendere gli altri? Era nobile, altruista e troppo stupido: dov’era finito lo spirito di autoconservazione? Perché si poneva in situazioni che mettevano sempre a rischio la sua vita? Mi morsi l’interno della guancia. Quelle sue caratteristiche erano le stesse che me lo facevano piacere, le stesse che mi avevano salvato più volte. Prima che Ermes potesse usare il suo bastone-laser, George e Martha strisciarono verso il suo orecchio e gli sussurrarono qualcosa. La rabbia del dio sbollì, ma il suo volto era ugualmente truce.
«Percy Jackson e Alex Dahl, poiché avete un ruolo troppo importante perché io vi uccida, vi lascerò nelle mani delle Parche. Ma tu» puntò l’indice verso il figlio di Poseidone «non rivolgerti mai più a me in questo modo, sia chiaro. E tu» lo spostò su Alex «non sei il benvenuto sull’Olimpo. Ti sconsiglio di rimetterci piede senza invito.»
Dopodiché, sparì in una luce dorata. Mi accorsi di aver trattenuto il fiato, così inalai un grosso respiro. Annabeth aveva gli occhi pieni di lacrime, ma aveva un autocontrollo davvero notevole. Lei e Percy uscirono per primi dalla sala del trono, mentre io mi trattenevo dal squagliarmela. Avrei fatto volentieri a meno di incontrare gli Dèi per i prossimi dieci anni.
Fuori, Connor Stoll ci venne subito incontro e annunciò: «Dovete venire a vedere una cosa, adesso.»
Dal tono si capiva che non era una buona notizia. Ci affrettammo a seguirlo, notando che quasi tutti i figli degli dèi greci si erano riuniti ai giardini ai bordi del monte Olimpo e guardavano giù.
Era possibile vedere l’Hudson e l’East River tagliare la forma di Manhattan, i grattacieli e l’immensa zona verde di Central Park. Connor ci condusse verso uno dei binocoli panoramici e inserì una dracma, poi fece spazio a Percy. L’espressione del suo viso cambiò varie volte in ripetizione, fece osservare anche Annabeth, e i due si scambiarono uno sguardo preoccupato.
«Cosa c’è che non va?» chiese Alex, perplesso.
«Non si sente nulla» rispose Percy. «New York non è mai silenziosa, mai. Adesso… non c’è nessun rumore.»
«Il traffico si è fermato» continuò Annabeth. «E tutti i mortali sono svenuti, accasciati sui marciapiedi a occhi chiusi.»
Guardai Alex e insieme recitammo le parole di Helen. «Non sentivo la presenza di umani
«Cosa?» fece Percy.
«La figlia di Frigg che è venuta con noi ha il dono della preveggenza. Ha detto quella frase riguardo a uno dei suoi sogni. Ha predetto ciò che sta accadendo ora.»
«Come nella Grande Profezia» ricordò Annabeth. «E mentre in un lungo sonno il mondo piombar vedrà…» citò.
Gli occhi di Percy si illuminarono. «Morfeo!» esclamò.
Connor alzò un sopracciglio. «Che c’entra Morfeo con la Grande Profezia?»
«I mortali non sono morti, ma addormentati. Morfeo li ha fatti cadere tutti in un sonno profondo.»
«Ma non è riuscita ad addormentare noi» notai. «Nessun semidio norreno o greco si è addormentato all’improvviso.»
«Perché siamo meno facili da soggiogare» spiegò la figlia di Ecate, comparendo alle spalle di Alex. «Questo incantesimo è di dimensioni gigantesche, ma per i mortali basta uno strato di magia più sottile. I semidei sono più difficili da addormentare.»
Il figlio di Odino le sorrise, come a voler dire “sapevo che mi saresti stata utile”.
«Questo significa che l’invasione è iniziata» disse Annabeth, nervosa. «Dobbiamo scendere dall’Olimpo e riorganizzarci, non possiamo venire colti impreparati.»
 
Dopo aver ripreso l’ascensore, ci ritrovammo tutti ai piedi dell’Empire State Building. Annabeth si fece consegnare da Beckendorf uno scudo lucido, apparentemente uguali a tutti gli altri. Si concentrò, e la superfice rifletté l’immagine della Statua della Libertà.
«Un’idea di Dedalo» spiegò la figlia di Atena. «L’ho fatto costruire a Beckendorf, e lui è riuscito a riprodurlo perfettamente. Se viene colpito dalla luce del Sole o della Luna in modo naturale, ti consente di vedere letteralmente qualunque cosa.»
Dalla Statua della Libertà, la visuale si spostò su Central Park, poi il ponte di Brooklyn, arrivò sopra di noi.
«Cavolo!» esclamò Alex.
«Anche noi abbiamo i nostri trucchetti» replicò Annabeth, fiera di mostrare qualcosa capace di stupire come Skidbladnir. Be’, un po’ meno di Skdbladnir. La nostra drakkar era il massimo.
«Perlustra il perimetro dell’isola» disse Percy.
Lo scudo mostrò la baia di Long Island, mostrando decine di motoscafi guidati da semidei che solcavano le acque in direzione di Manhattan. Degli strani incroci tra cani e foche, simili ai delfini, se non osservati bene, li accompagnavano. Bandiere viola con lo stemma di una falce nera erano mosse dal vento. La visuale si spostò ancora, facendo vedere la Jersey Shore, dove un carrarmato attraversava il Lincol Tunnel, scortato da giganti, due draghi sputafuoco, e diversi ciclopi. Sembrava un paesaggio surreale.
«Dove sono tutti i mortali al di fuori di Manhattan» domandò Percy.
«Non credo che tutta New York stia dormendo» disse Annabeth. Fece cambiare il riflesso dello scudo, mostrando le autostrade che portavano in New Jersey. Le macchine si muovevano a un chilometro all’ora. «Crono sta rallentando il tempo, il suo raggio d’azione è meno efficace man mano che ci allontaniamo dall’Olimpo» disse.
«Dobbiamo difendere Manhattan» affermò Percy, deciso.
«Ma è enorme» gli feci notare.
«Non molto, se vi aiutiamo noi.»
Mi voltai di scatto e sorrisi. Talia e le sue Cacciatrici erano arrivate ad aiutarci, accompagnate da lupi e falchi, mentre le faretre erano colme di frecce. Mi venne voglia di abbracciarla.
«Talia!» esclamò Percy.
«A rapporto» disse lei, avvicinandosi allo scudo. «Allora, come ci disponiamo?»
Il figlio di Poseidone le rivolse un gran sorriso, poi attirò l’attenzione di tutti i semidei su di lui.
«Michael Yew e la Casa di Apollo al ponte di Williamsburg. Katie Gardner e le figlie di Demetra prendono il Brooklyn-Battery Tunnel. Connor e metà della sua Cabina si occuperà del ponte di Manhattan. Travis e gli altri suoi fratelli penseranno a quello di Brooklyn. Silena, tu condurrai la tua Casa al Queens-Midtown Tunnel. Figli di Efesto, prendete l’Holland Tunnel. Il ponte della Cinquantanovesima Strada è per la Casa di Atena. Mettete in atto il piano ventitré. Talia, il Lincol Tunnel va a te. Io mi occuperò delle barche. Chiaro?»
Tutti i greci gli risposero battendo le armi sugli scudi. Avrebbero difeso la loro città dando il loro meglio.
Alex tossicchiò, poi divise in gruppi la sua Orda e li dispose affinché andassero con i greci nei vari punti da difendere.
«Vieni con noi, Astrid?» mi chiese Talia, visto che Alex mi aveva lasciata libera di scegliere.
Mi morsi il labbro. Non volevo lasciare da solo il figlio di Odino, non dopo che la prima parte del sogno di Helen si era avverata.
«Certo che viene con voi» disse per me Einar, passandomi accanto. Talia mostrò il pollice alzato. «Ci penso io a tenere d’occhio Alex» mi sussurrò il figlio di Loki, ammiccando e sorpassandomi.
Lo afferrai per la maglietta. «Promettilo.»
«Lo prometto» giurò.
Lo lasciai andare. Sperai con tutta me stessa che non permettesse che non gli accadesse nulla. Sospirai e mi voltai per seguire le Cacciatrici.

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Non disperate <3

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Capitolo 9
*** ALEX • Mi butto nella mischia: sono cavoli amari (a me non piacciono i cavoli) ***


Mi butto nella mischia: sono cavoli amari (a me non piacciono i cavoli)
 
•Alex•

Vesa atterrò in quel momento, proprio non appena finimmo di dividerci in gruppi, in modo da coprire meglio qualsiasi entrata alla città. Insieme a lei anche le viverne di Nora, Lars e Sarah che salutarono i loro cavalieri con delle affettuose pacche del muso, ricevendo in cambio un caldo respiro soddisfatto che scompigliò i loro capelli. Sorrisi ed accarezzai il muso di Vesa, sapendo che lei mi sarebbe stata accanto.
«Molto bene, amici! Ci siamo divisi. Io e gli altri rimarremo in quota, in questo modo potremmo dare il nostro supporto ai fronti che lo chiedono e, allo stesso tempo, controllare la situazione dall’alto. Viaggeremo a bassa quota, in questo modo gli Spiriti del Vento, a guardia dell’Olimpo, non ci attaccheranno» dissi, rivolgendomi ai miei guerrieri, ormai pronti a gettarsi nella mischia.
Molti di loro sorridevano, e tutti erano eccitati all’idea di mettersi in mostra in una vera battaglia.
«Non dimenticate chi siamo! Noi siamo i guerrieri del Nord! Il nostro valore è grande e, anche se gli Dèi ci hanno voltato le spalle, non temiamo i nemici! Mostreremo loro cosa significa mettersi contro di noi! Li ricacceremo oltre il ponte e li distruggeremo! Che i venti del nord si abbattano su di loro e che portino rovina! Per l’Olimpo e per Asgard!» annunciai, levando Excalibur, che brillò, quasi fosse animata di volontà propria.
Il mio urlo fu accolto con calore e l’Orda urlò e batté gli scudi, rispondendo all’incoraggiamento. Ormai eravamo in ballo e li conoscevo bene: non si sarebbero mai tirati indietro.
Vidi tutti allontanarsi, unendosi ai greci, tutti pronti allo scontro, ma, mentre il mio sguardo seguiva i figli di Loki che seguivano i Connor e Travis, notai Einar avvicinarsi.
«Ehi, capo! Vengo con te? Avrai bisogno di qualcuno che ti copre le spalle» disse, allegro, con il suo solito sorriso sghembo, osservando Vesa.
L’idea di averlo a fianco era allettante, ma lui era al comando dei figli di Loki ed avevo bisogno di lui sui fronti principali se non volevo rischiare.
«No, guida i tuoi fratelli, sarà meglio che tu rimanga con loro. Questo è un esercito di mostri, ho Excalibur a difendermi. Le tue illusioni saranno più utili altrove» suggerii, dandogli una pacca sulla spalla.
Il suo sorriso vacillò un po’, cosa che mi sembrò strana, dopodiché aggiunse: «Certo, ma… ecco… ricordi la profezia di Helen? Vorremmo evitare di perdere il nostro comandante in battaglia.»
«Starò bene, non preoccuparti. Assicurati che i tuoi fratelli non facciano cavolate» sentenziai, con un sorriso tirato, nonostante tutto ero nervoso.
Einar non protestò, ma sembrò molto preoccupato. Mi augurò buona fortuna e si avviò verso i suoi fratelli.
Mentre i ragazzi si disperdevano, io, Sarah, Lars e Nora ci unimmo a Percy ed Annabeth, che stavano discutendo qualcosa sulle barche.
«Bel discorso, anche i miei fratelli se sembrano incoraggiati. Speriamo che il tuo ottimismo non sia mal riposto» mi sorrise Annabeth, che controllava una moto per assicurarsi che fosse a posto.
«Se proprio vuoi saperlo, non sono così ottimista, ma spero comunque che mio padre cambi idea. Temo che, senza di lui e senza rinforzi, questa battaglia sarà persa» replicai, mestamente, mentre osservavo la direzione che avevano preso le Cacciatrici.
In realtà avrei voluto avere Astrid con me, al mio fianco, ma temevo il peggio. Le Cacciatrici erano il gruppo più numeroso e più abile. L’avevo lasciata libera di scegliere sperando che si unisse a Talia, visto che erano amiche, ma anche perché potesse essere al sicuro. Non sopportavo l’idea di perderla.
«Speriamo, allora. Io e Annabeth abbiamo da fare. Ci occuperemo delle barche di Crono. Voi dirigetevi verso i ponti, non devono essere presi!» ci esortò Percy, prendendo una moto caduta ad un motociclista mortale che russava poco lontano.
Il figlio di Poseidone ostentava sicurezza, nonostante fosse lui quello più in pericolo. La Grande Profezia riguardava lui, e la parte sull’”orrida lama” non era molto felice. Mi chiesi cosa intendesse dire Ermes quando aveva accennato a “uno dei norreni ha modificato la profezia”. Ma che importava? C’erano cose più a cui pensare adesso.
«Muoviamoci!» gridai, salendo in groppa a Vesa, seguito a ruota dai miei compagni.
Ci appollaiammo sul tetto di uno dei grattacieli della città, osservando gli sforzi dei nostri compagni. Stavano preparando trappole e trabocchetti ovunque.
I figli di Thor, che avevo sparso un po’ ovunque, stavano creando una linea compatta a fianco dei figli di Tyr, che affilavano le armi. I figli di Heimdallr, a fianco di quelli di Apollo, avevano creato un'unica fila di scudi dietro cui i tiratori si potevano riparare.
I figli di Skadi erano, insieme a quelli di altre divinità, sparsi un po’ su tutti i fronti, posizionati in punti elevati e i figli di Loki erano intenti a preparare trappole. Il tunnel dei figli di Afrodite, occupato anche dai figli di Freyja, era invaso da una nuvola rosata di profumo firmato così intensa che mi bastò avvicinarmi in volo per sentirmi soffocato – ma dove cavolo avevano trovato tutto quel profumo!?
Dalla Runa Ansuz mi venne un rapporto dai figli di Efesto e Vidarr, che stavano preparando trappole nell’Holland Tunnel. Insieme a loro i figli di Ullr avevano preparato una buona dose di esche.
Anche Petra e Denny si stavano preparando. Ognuno dei loro fratelli era stato assegnato ad un ponte, in modo da poter evocare i poteri del fiume contro le armate di Crono, anche se questo, per loro, non era facile: eravamo in pieno territorio greco e i nostri poteri erano davvero messi male.
Uno dei motivi per cui né io né mia sorella avevamo usato troppe rune. Troppo pericolose da usare in quel momento e rischiavamo di usare troppa energia.
«Allora ci siamo» sussurrò Lars, strizzando gli occhi verso un punto oltre il fiume.
«Avanti, fratello, ci hai guidati bene. Vinceremo questa battaglia con o senza i nostri genitori» mi incoraggiò Nora, con gli occhi che scintillavano.
Strano a dirlo, ma i combattimenti non ci facevano paura. La nostra discendenza ci aveva donato una sorta di “immunità” al terrore, il che ci dava una mano. Certo, non tutti erano così resistenti e il panico ci prendeva, in certi casi. Ma almeno nessuno scappava urlando.
«Lo sappiamo. Mostreremo a Crono che non abbiamo bisogno di Dèi per prenderlo a calci!» sentenziò Sarah, entusiasta, come al solito.
«Dobbiamo stare attenti e ricordate che, comunque, in queste esercito, ci sono mezzosangue. Contro di loro evitiamo i colpi letali» raccomandai, stringendo la spada che tenevo appesa al fianca.
In realtà non riuscivo a togliermi dalla testa la visione che la Dea Estia mi aveva mostrato su Luke, Talia ed Annabeth. All’inizio non conoscevo bene la figlia di Zeus e nemmeno il ragazzo che aveva ospitato il Titano, ma non credevo che avessero avuto una vita così difficile.
Mi venne in mente la mia storia, anche se ero fuggito proprio per proteggere mia madre. Anche io mi ero sentito abbandonato dai miei genitori ed anche io ero stato in fuga dai mostri e da altre creature che volevano divorarmi.
Mi ricordavo bene la paura che avevo provato mentre mi nascondevo in un magazzino abbandonato, alla ricerca di un pezzo di pane ammuffito per poter arrivare a domani. Sospirai.
Mi venne in mente quanto Luke mi somigliasse. Alla fine lui voleva salvare i suoi stessi compagni. Solo che si era spinto troppo oltre, aveva fatto le scelte sbagliate e si era lasciato consumare dall’odio. Aveva tentato di agire nel modo giusto, ma alla fine voleva fare la differenza. Forse, nei suoi panni, anche io avrei fatto i suoi errori.
«Arrivano» annunciò Lars, indicando luci e plotoni di mostri che avanzavano verso Manhattan, accompagnati da un cupo corno da guerra. Dalle nostre linee si levò un urlo di battaglia e lo scontro ebbe inizio.
«All’attacco!» urlai, lanciandomi con Vesa giù dal palazzo, in picchiata.
Accompagnato dalle urla dei miei compagni e i ruggiti delle altre viverne, iniziai a sorvolare il campo di battaglia, assicurandomi che tutto andasse bene. Sorvolammo un attimo il ponte di Brooklyn e lì attaccammo dall’alto le forze nemiche.
Assistendo i figli di Ermes che combattevano, aiutati da alcuni figli di Loki, Skadi e Sif, i quali massacravano dracene, Lestrigoni e segugi infernali. Atterrai in mezzo allo schieramento nemico.
Vesa schiacciò sotto le sue zampe un’intera linea di mostri ed io approfittai per trafiggere un paio di donne serpente. Una loro compagnia mi lanciò un giavellotto, ma quello fu deviato da uno schermo invisibile. I poteri di Excalibur mi proteggevano.
Per qualche altro secondo rimasi fisso, abbattendo un Lestrigone, mentre Vesa azzannava un povero segugio infernale, dopodiché riprendemmo il volo, allontanandoci dal ponte prima che le frecce venissero scagliate.
La nostra incursione, però, aveva fatto guadagnare tempo prezioso ai figli di Ermes, che avevamo portato al sicuro i mortali. Le forze dei mostri erano in rotta, lì. Poco lontano vidi i fiumi ingrossarsi, ingoiando le forze navali di Crono. A quanto pare Percy aveva usato i suoi poteri di figlio di Poseidone per distruggere le barche.
Lars mi passò accanto, lanciando un grido di battaglia, piombando su un gruppo di demoni alati che tentavano di volare a bassa quota, massacrandoli tutti in poco tempo. Poco lontano, sua sorella stava aiutando i figli di Atena a tenere a bada un’armata di Lestrigoni, abbattendone a decine, mentre i figli di Skadi la coprivano.
Osservai dalla massima altezza possibile lo scontro: sembrava tutto a posto. Nonostante la loro superiorità numerica, i nemici incanalati sui ponti erano gestibili. Vidi diversi fulmini abbattersi su diversi fronti di mostri, segno che i figli di Thor stavano facendo un gran bel lavoro.
Danny stava aiutando Einar e Travis sul ponte di Manhattan, facendoci cadere acqua, accecando o facendo scivolare i nemici sull’asfalto bagnato. Petra surfava, aiutando i figli di Apollo e quelli di Heimdallr, colpendo i nemici con la sua fiocina.
All’improvviso la mia runa di comunicazione si illuminò. Brutte notizie in arrivo, avevano bisogno di aiuto, da qualche parte. Presi la piccola pietra levigata e la avvicinai al viso. Da essa uscì la voce di Bethany, che avevo mandato con Silena e i suoi fratelli.
«Alex, abbiamo bisogno di aiuto! Qui ci sono dei troll e dei goblin!» urlò, spaccandomi i timpani.
Imprecai a mezza voce per non farmi sentire, poi risposi subito: «Arrivo!»
Ordinai a Vesa di compiere una lunga virata e mi avvicinai a Nora che aveva appena sbaragliato una squadra di telchini, che aveva tentato di marciare sulla terra ferma.
«Il tunnel dei figli di Afrodite ha dei problemi! Occupati tu dei ponti!» le urlai, prima di volare di nuovo via.
Non sentii la sua risposta, ma mi sembrò che dicesse “Gli spaccherò il culo!” Mi precipitai all’interno del tunnel invaso da una nuvola di profumo firmato che, per poco, non mi fece venire la nausea. Feci del mio meglio per ignorare tutte quelle essenze.
Lasciai Vesa all’entrata e corsi più veloce che potevo. Non fu difficile individuarli. I figli di Afrodite facevano davvero del loro meglio per difendere il tunnel. Silena e una sua sorella stavano parlando in modo strano, che mi fece venire qualche giramento di testa.
Cercavano di convincere i mostri a ritirarsi o ad abbassare le armi, mentre li colpivano con delle spade. I loro fratelli tenevano la posizione. Ipotizzai che stessero usando i poteri della madre – Percy mi aveva accennato alla Lingua Ammaliatrice, che aveva poteri simili alla Parola Ingannatrice dei figli di Loki, o la Voce dei figli di Frejya – ; questi ultimi erano poco lontano e molto più agguerriti.
Dopotutto la loro madre era anche una Dea della guerra e, nonostante avessero dei cuoricini disegnati sul viso, avevano, comunque, un aria agguerrita e spietata. Bethany stava affrontando da sola un troll che brandiva una gigantesca clava.
La figlia di Frejya impugnava due asce ad una mano, i capelli rossi tenuti legati in una coda e saltava con l’agilità di un felino. Il suo corpo era avvolto in una specie di piccola cupola luminosa, una magia di protezione, che sembrava deviare i giavellotti e le frecce che le si avvicinavano. La nuvola di profumo sembrava disorientare i mostri, ma, nonostante questo, la loro avanzata non rallentavano.
Alla fine il troll crollò a terra si si sciolse in neve. Bethany si rifugiò dietro un auto. Sembrava provata, ma non per questo si sarebbe arresa.
«Com’è la situazione?» chiesi, osservando l’armata nemica che affrontava una sorta di muro invisibile, che permetteva ai figli di Afrodite di indietreggiare.
«Come vuoi che sia: ci sono molti nemici. Alcuni sono mostri del Nord e il nostro problema è un wyrm che avanza. Abbiamo provato ad affrontarlo, ma siamo solo riusciti a rallentarlo» spiegò lei, indicando la figlia di Ecate che ci eravamo portati dietro. «Se non fosse per lei, quel coso mi avrebbe schiacciata.»
Lou, così si chiamava quella ragazza, teneva gli occhi fissi sui mostri e sembrava lei a mantenere attivo il muro di energia che li respingeva.
«Eccolo!» esclamò Silena, indicando un’enorme lucertola squamosa con il muso che ricordava quello di una viverna.
«Ok, fatemi spazio! Quello è mio!» urlai, facendomi avanti.
I figli delle due divinità mi lasciarono spazio aperto e il wyrm avanzò verso di me. Un mese prima ne avevo affrontato uno, ma quello era ancora può grosso e cattivo. Sibilava e ringhiava nella mia direzione, accartocciando auto e altri veicoli.
«Ehi, cucciolo!» lo schernii, facendo dondolare la spada davanti a lui che ringhiò. «Lo sai? Il mese scorso è ammazzato uno dei tuoi cuginetti. Vuoi provarci tu, oggi?»
Lui sembrò capire e i suoi gialli occhi da rettile mi squadrarono, pieni di odio. Si lanciò su di me, ed io alzai la mano.
«Hagalaz!» urlai, mentre sul mio palmo appariva un simbolo luminoso che rappresentava due linee verticali unite da una obliqua.
All’improvviso tutto il tunnel fu avvolto da una calotta di ghiaccio che imprigionò diversi mostri. Il wyrm scivolò, caracollando a pochi metri da me. Sentii parte delle mie forze scivolare via, ma non molte. Presi un paio di respiri e mi scagliai contro il mostro, ancora un po’ stordito.
Prima che rialzasse la testa mi aggrappai ad essa e il mostro iniziò a ruggire, dimenandosi, mentre i ragazzi di Afrodite e Frejya abbattevano i nemici immobilizzati nel ghiaccio. Il wyrm continuò a dimenarsi fino a che non lo colpii in mezzo agli occhi con Excalibur, mandandolo trasformandolo in una montagnetta di neve.
«Bel colpo!» si congratulò Bethany, dandomi una pacca sulla spalla
In poco tempo tutto il tunnel era stato liberato.
«Ottimo» dissi, riprendendo fiato.
Se fossi stato in territorio norreno non mi sarei stancato così tanto, ma senza l’aiuto di mio padre e lontano dal suo territorio, i miei poteri erano molto deboli.
«Rinforzate la posizione e tenetevi pronti. Non voglio rischiare altri problemi qui.»
«Nessun problema. Sembra che si siano ritirati, ma terremo gli occhi aperti» mi rassicurò la figlia di Freyja, mentre radunava i suoi.
C’erano molti feriti, ma nessun morto, per ora, il che mi rassicurò. Mentre mi avviavo verso l’uscita, Silena mi fermò.
«Aspetta. Posso parlarti un attimo?» domandò, nervosa.
Pensai fosse in ansia per Beckendorf, ma qualcosa mi sembrava strano in lei.
Annuii. «Che sia breve, però, non posso fermarmi troppo.»
«Sì lo so… ma… sai cosa sta succedendo all’Holland Tunnel? La casa di Efesto è lì. Se fosse successo qualcosa a Charlie… io…»
Le parole le morirono in gola, e sembrò sul punto di piangere. Notai le unghie morsicate e intuii che la sua ansia era tantissima e, forse, non dovuta solo alla possibilità di perdere il suo ragazzo. Sembrava imbarazzata per qualcosa, come se stesse cercando di mantenere un importante segreto, ma che le costasse fatica. Le appoggiai una mano sulla spalla.
«Sono certo che lui sta bene, non è uno sciocco. Contatterò il tunnel appena potrò e ti dirò come sta.»
Lei si morse nervosamente il labbro inferiore; sembrò sul punto di dirmi altro, ma poi si trattenne, limitandosi ad annuire piano, come se volesse autoconvincersi.
«Buona fortuna, Alex… e grazie dell’aiuto» mi salutò, mentre tornava alla sua Casa per organizzare nuove difese.
Appena fuori notai che i fronti erano stabili. Tutti i ponti erano stabili e le posizioni mantenute. Per un attimo mi sembrò che il ponte di Manhattan stesse per cedere, ma poi vidi Einar brandire una testa con i serpenti al posto dei capelli. A quanto pareva aveva ucciso Medusa – di nuovo.
Avvicinandomi notai che nessun semidio sul ponte era stato trasformato in pietra, tranne una statua di Einar stesso che, però, si stava dissolvendo. Capii che il mostro aveva aggredito prima una delle illusioni del figlio di Loki e, tutti gli altri, accorgendosi del pericolo, si erano messi al riparo riparando il viso dal letale sguardo di Medusa.
Einar doveva averla uccisa, e adesso stava usando il suo sguardo contro i nemici, trasformando intere colonne di mostri in statue. Di morti non se ne contavano, ma c’erano diversi feriti.
Sul ponte di Williamsburg le cose sembravano messe un po’ peggio: notai un segugio infernale ghermire un figlio di Apollo, ma, prima che questi fosse trascinato via tra le file dei mostri, Kinnon sopraggiunse trafiggendo il mostro e portando il ragazzo ferito al sicuro.
Notai che già Percy che si stava dirigendo là, isnieme ad Annabeth, così gli volai accanto. Vesa e Blackjack rimasero perpendicolari nella loro rotta, in modo che potessimo parlare.
«Come va Alex?» mi chiese il figlio di Poseidone, osservando la sua destinazione: proprio la Casa di Apollo.
«Tutto a posto. Un Wyrm ha cercato di sfondare le difese, ma l’ho ributtato nel Ginnungagap. Altri ponti hanno subito degli attacchi, ma li teniamo» risposi, mentre sorvolavo il ponte di Brooklyn, notando Alyssa che pugnalava alle spalle un Lestrigone, mentre questi inseguiva una sua illusione.
«Ottimo. Medusa è apparsa sul Ponte di Manhattan, per fortuna Einar l’ha scovata prima che pietrificasse qualcuno dei nostri. Eravamo lì a dare una mano, ma non serve più» mi informò Annabeth, osservando il figlio di Loki che teneva la testa puntata verso lo schieramento nemico.
«Informazioni dagli altri Tunnel?» chiesi, sperando di non dover fare la spola per tutta la città a chiedere di Beckendorf.
«Sono andato a controllare. Sono stati toccati pochissimo, a parte quello dei figli di Demetra, ma lì Sain e Helen hanno aiutato fin troppo. Non c’è nessuna perdita e gli ingressi sono bloccati da così tante piante che sembrano una palude. L’Holland Tunnel non ha avuto problemi, Charlie non ha combattuto molto, ma ha preparato così tante trappole che dubito ci sia un mostro capace di superarle.» Esitò. «Il Lincoln Tunnel è al sicuro, Talia mi ha mandato un messaggio. Non ci sono stati molti mostri lì, a parte il carrarmato… Astrid è salva.»
Senza rendersene conto, Percy aveva appena toccato un tasto dolente, ma almeno ero sollevato. Il timore che Astrid fosse in pericolo non mi piaceva, motivo per cui l’avevo mandata con Talia che era una sua fidata amica.
Lei l’avrebbe protetta e tenuta al sicuro. Almeno quello mi era di conforto. Ma allo stesso tempo non potei non pensare al fatto che lei non sopportava che fossero gli altri a decidere per lei alle sue spalle. Mi dispiaceva, ma se le fosse successo qualcosa, non me lo sarei mai perdonato.
Sospirai, seguendo Percy nel suo volo verso il Minotauro che marciava furioso verso la casa di Apollo. Atterrammo tutti insieme accanto a Michael Yew, che aveva tutta l’aria di divertirsi un mondo.
«Ecco il Testa di Manzo» borbottò Percy, osservando con rabbia il mostro mezzo toro mezzo uomo che avanzava con un ascia bipenne in mano. «Michael, va tutto bene?»
«Per ora male, però sono felice di vedervi. Dove sono i rinforzi?» chiese il capo della Casa di Apollo.
«Per ora siamo solo noi» rispose il figlio di Poseidone.
«Allora siamo morti» commentò, incoccando una freccia.
Stava per scagliarla, quando un potente ruggito squassò l’aria, facendo tremare i ponti e rompendo le finestre di tutti gli edifici sulla costa. Tutti, mostri e semidei, si fermarono. Ci fu un silenzio interminabile, finché una gigantesca ombra non coprì la luna ed una profonda, cupa, roca e potente risata non si fece strada, dritta dritta dai più profondi recessi dell’Hellheim.
Un drago nero, lungo quindici metri e con un apertura alare almeno doppia si accucciò sul lato del fiume occupato dai mostri.
«Mi ero dimenticato quanto i mortali potessero essere divertenti. Per me sarà un onore essere il distruttore dell’Olimpo!» annunciò con una voce così possente che mi sorpresi quando i mortali non si svegliarono per poi fuggire in preda al panico.
Il corpo completamente nero del mostro era gigantesco. Avrei potuto costruire una casa sulla sua schiena. Le zanne affilate facevano capolino da dentro la bocca e avevano l’aria di poter competere con Excalibur per mortalità. Le unghie profonde scavavano l’asfalto producendo profondi solchi. Gli occhi erano quelli di una tigre e squadravano con aria di sufficienza i semidei asserragliati sui ponti, come se li stesse paragonando a delle pulci da schiacciare.
Dopodiché alzò lo sguardo sull’Empire State Building e si lanciò. In pochi secondi superò le nostre linee e si lanciò contro l’Olimpo. Pensai che gli Spiriti del Vento l’avrebbero abbattuto, ma invece quello sembrò solo rallentato. Nonostante i venti lo fermassero, il Drago non precipitò e, anzi, continuò il suo attacco senza abbattersi.
«Come mai gli Spiriti del Vento non lo distruggono?» esclamò Annabeth spaventata, mentre le urla di vittoria dei mostri riempivano la città.
«È un Drago Nero anziano. Quel mostro è così potente che servirebbero tutti gli Spiriti del Vento degli Stati Uniti per abbatterlo! Possono solo bloccarlo, perché i suoi poteri magici sono terribili, sarebbe in grado distruggere da solo una città» spiegai, mentre osservavo le truppe del minotauro avvicinarsi.
Dovevamo agire in fretta.
«D’accordo. Alex, io mi occupo dei ponti, tu ferma il drago prima che distrugga l’Olimpo» mi propose Percy, con lo sguardo furioso.
Odiava non poter affrontare un nemico così potente e, allo stesso tempo, così vicino da poter mandare in fumo ogni nostra difesa.
«Va bene. Sarà dura, ma faremo di tutto per fermarlo» assicurai, salendo in groppa a Vesa.
Sfrecciai rapido verso il mostro, che continuava a scagliarsi contro le difese dell’Olimpo. Gli Spiriti del Vento continuavano a colpirlo senza sosta, cercando di abbatterlo, per farlo precipitare, ma quello sembrava a sua volta avvolto da una specie di nebbiolina scura.
Una protezione magica che impediva ai protettori del vento di frenarlo. Al mio fianco arrivarono Sarah, Nora e Lars che, a bordo delle loro viverne, si spinsero contro il drago, pronti ad attaccare.
«Finalmente questa battaglia si fa interessante!» esclamò la figlia di Eir, sguainando la sua spada.
«Io lo distraggo, voi mirate alla testa!» urlò, di rimando, mia sorella; serrò le dita sulla lancia per poi dirigersi verso il muso della creatura.
Appena il drago si accorse di noi, iniziò ad ignorare gli Spiriti del Vento e ci attaccò. Le ore successive furono un tremendo susseguirsi di giri mortali e virate degne delle più vomitevoli montagne russe. Non avevo mai spinto Vesa a manovre così difficili, ma era necessario per evitare gli attacchi del drago.
Il suo respiro tossico mi sfiorò un paio di volte, facendo sfrigolare la mia armatura di cuoio come se l’avessi immersa nell’acido. Lars rischiò di essere colpito dalla coda del mostro, irta di spine, ma riuscì a sottrarsi all’attacco, ferendosi, però, alla spalla.
Sarah e Nora continuavano a colpire il drago al muso, provando a cavargli gli occhi, ma quello scherniva i nostri sforzi, cercando di allontanarci con le ali e di abbrustolirci con soffi acidi o di fuoco.
«E così voi sareste i figli del Grande Odino… siete solo negli insetti fastidiosi! Toglietevi di mezzo!» ringhiò l’enorme drago, soffiando fiamme dalla bocca contro di me.
Continuammo a colpire incuranti del pericolo, evitando i suoi attacchi e i suoi morsi. Excalibur penetrò due volte la spessa corazza del mostro e, per un attimo, mi parve di scorgere sulla sua groppa un cavaliere in armatura, ma non ebbi il tempo di accertarmene, perché dovetti subito evitare una zampata.
Fu allora, mentre viravo per evitare l’attacco successivo, che vidi cosa stava succedendo sul ponte, dove avevo lasciato Percy. Là vi era un ragazzo biondo, dagli occhi luminosi, che portava l’armatura da guerra tipica dei greci. In mano teneva una falce e il mio amico era circondato da un gruppo di semidei traditori, Annabeth era stesa a terra.
La casa di Apollo si era ritirata alla base del ponte, insieme a Kinnon e i suoi fratelli. Crono si era fatto avanti di persona, nel corpo di Luke.
Dannazione. È in pericolo, devo aiutarlo, pensai disperatamente, mentre osservavo il potente drago che ruggiva di trionfo alle mie spalle.
Mia sorella mi vide e dovette intuire i miei pensieri, perché gridò: «Vai ad aiutarlo! Ci occupiamo noi del vermone troppo cresciuto!»
Non ero certo che ce l’avrebbero fatta, ma erano i miei migliori compagni d’armi. Li avevo visti affrontare molti mostri e potevo fidarmi di loro. Cambiai rotta e diressi Vesa in picchiata contro il Re dei Titani.
Il mio arrivo fu inaspettato e questo mi permise di prendere di sorpresa la sua scorta: la mia viverna atterrò pesantemente sul ponte e con la coda spazzò via il terreno, abbattendo ogni semidio ostile, facendolo crollare dalla parte nemica del ponte.
Solo Crono rimase in piedi, saltando la coda e impugnando la falce, mentre io mi lasciavo cadere a terra con, in pugno, Excalibur. Percy non perse tempo e approfittò del momento per issare Annabeth al sicuro, sulla groppa di Blackjack, che volò via.
«Siamo due contro uno, Crono! Lascia andare Luke e non ti distruggeremo!» urlai, puntandogli contro la mia spada, più per darmi coraggio che per spaventarlo.
Lui rise di gusto, una risata fredda, scura e crudele che mal si addiceva al giovane corpo che aveva occupato.
«Figlio di Odino, Loki mi aveva avvertito della tua presenza. Sei solo uno sciocco se pensi di poterti opporre a me. So che sei qui da solo, il tuo codardo padre non ha il coraggio di sfidarmi e tu sei solo, destinato a cadere negli Inferi. Ritirati e avrai salva la vita.»
Sbuffai, non mi piaceva per niente il suo tono.
«Forse non posso ferirti, ma non è nemmeno detto che sia tu a colpire me!» lo sfidai, attaccando all’improvviso, puntando al tallone.
Ok. Era un’idea stupida, ma sperai che lui avesse deciso di puntare sul classico. Quando la lama rimbalzò sulla sua pelle dalla consistenza d’acciaio, lui sorrise freddamente.
«Davvero credevi fossi così stupido?»
«Ci ho provato» dissi semplicemente, prima di ripartire all’attacco.
La mia spada si incrociò con la sua falce e Percy partì. Insieme affrontammo il signore dei Titani che roteava la sua arma con una maestria impareggiabile. La sua lama era veloce e sembrava muoversi ignorando l’attrito dell’aria.
In poco tempo, la nostra danza di spade si trasformò in un’unica tempesta di metallo e lame che roteavano. Non ero mai stato così concentrato in vita mia. Mi sembrava che ogni mio senso fosse focalizzato sullo scontro, escludendo tutto il resto.
Tutti gli attacchi e tutte le mosse del mio avversario erano al centro della mia attenzione. A mala pena riuscivo a parare la falce che mi volava a pochi centimetri dal corpo e ogni mio fendente andava sempre a vuoto. Eppure non mi arrendevo.
Io e Percy eravamo fianco a fianco in posizione di stallo contro il Re dei Titani, ma, nonostante lui fosse inattaccabile, non riusciva a farci indietreggiare. Per quanto roteasse la sua falce in ogni direzione, Excalibur o Vortice erano sempre lì a parare l’attacco.
Dopo quelle che mi parvero ore, un ruggito alle mie spalle mi distrasse e, per poco, non venni colpito, ma riuscii ad evitare il pericolo e rotolai via, mentre il Drago Nero che aveva attaccato l’Olimpo si ritirava con l’icore dorato che colava dalla spalla sinistra. Il sole, intanto, si alzava nel cielo, facendo levare grida di vittoria dagli altri ponti.
«Ora basta. Questo duello finisce qui» ringhiò Crono, guardandoci con odio puro con i suoi occhi scintillanti.
Sia io che Percy attaccammo allo stesso tempo, ma proprio in quel momento, notai che il mio compagno era paralizzato, come bloccato. Intorno a me si formò una specie di guscio trasparente, che mi avvolgeva da capo a piedi, e notai che le rune sulla lama di Excalibur si stavano illuminando.
Il Titano sorrise e mi attaccò. Fu un attimo: mi resi conto che era troppo veloce per me e senza l’aiuto di Percy non sarei riuscito a batterlo. Mi ritirai, mentre mi parve di vedere Kinnon e Michael correre verso di noi per aiutarci. Parai un paio di fendenti di falce, ma Excalibur si era fatta pesante ed ero dannatamente stanco.
Sbagliai una parata, poi un’altra. Fui ferito ad una gamba e al fianco, ma non cedetti. Percy stava ricominciando a muoversi, ma poco lontano vidi i semidei di Crono tornare all’attacco. Dovevamo fermarli e solo il figlio di Poseidone poteva farlo. Mi lanciai in un ultimo attacco contro il Signore dei Titani, ma, ormai, la mia presa si era fatta stanca. La sua lama roteò disarmandomi e facendomi crollare sull’asfalto.
«Muori!» ringhiò Crono, brandendo la falce verso di me.
L’adrenalina sembrò quasi far rallentare il tempo intorno a me. Tentai con un ultimo sforzo di sottrarmi all’attacco, ma un dolore atroce mi attraversò il viso, come se mi avessero appoggiato addosso una lastra di metallo incandescente.
Un urlo mi morì in gola, mentre il rosso del sangue mi copriva la visuale. Mi accasciai al suolo, spossato, mentre sentivo la mia anima abbandonare il mio corpo. Intorno a me un sacco di rumori sconosciuti, urla e voci.
Un esplosione…
Una voce che mi chiamava…
Poi riuscii a mettere a fuoco un viso familiare.
Astrid, pensai, riconoscendo il bel viso e gli occhi scuri, così attraenti.
«CHIAMATE AIUTO!»  stava urlando disperatamente a qualcuno che non riuscivo a vedere.
Ma a me non importava. Sentivo il freddo del regno di Hell che mi invadeva il corpo.
Così, è andata come doveva. Sto morendo… ma almeno ho mantenuto fede alla parola data, riuscii a pensare, nonostante anche i miei pensieri si stessero spegnendo come candele esposte al vento.
Avevo una sola cosa da fare. Con tutte le forze che mi rimanevano, alzai il braccio e accarezzai il morbido viso di Astrid, cercando di imprimermi nella mente quel contatto così bello da farmi passare la paura di ciò che sarebbe successo dopo la mia dipartita. Lei si avvicinò a me, cercando di rassicurarmi, ma io non la ascoltavo.
«A-Astrid… la… r-risposta… è… sì» riuscii a sussurrare così piano che temetti non mi avesse sentito.
Forse era crudele, ma volevo che lei sapesse che l’amavo, prima di andarmene. I suoi occhi si spalancarono per la sorpresa.
Prese a chiamarmi e la sentii provare a rianimarmi, ma ormai non ce la facevo più.
La vista mi si oscurò.
La mia pelle perse ogni sensibilità.
Il mio udito si spense.
E caddi nel buio.

koala's corner.
Tan-tan-tan, ecco qui il nono capitolo! C'è tanta battaglia e, be', c'è anche morte.
Ok, non uccidetemi. Altrimenti, come farò a scrivere gli altri capitoli?
Poi muore già tanta gente, eh xD
Come avrete visto, ci sono sia mostri norreni che mostri greci. Ho resuscitato Medusa perché mi sembrava strano che dopo cinque anni
non si fosse ricomposta.
Einar non mantiene la promessa, anche se ci ha provato. E Astrid gli farà il culo. Sempre che sia capace di farlo, visto ciò che è successo ad Alex uwu
Grazie mille per seguirci e, per favore, se avete avuto un heart attack per questo finale chiamate un'ambulanza e non rimaneteci sulla coscienza ^^" Alla prossima!

Soon on Venti del Nord: avete presente l'angst? ecco.

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Capitolo 10
*** ASTRID/ANNABETH • It's too cold outside for angels to fly ***


It's too cold outside for angels to fly

♦Astrid♦
 
Lo sparo del carrarmato mi trapanò i timpani, rendendomi impossibile udire chiaramente per qualche secondo. Giusto in tempo per sentire un ciclope arrivarmi dietro, voltarmi e scagliare una mezzaluna, che si conficcò dritta nell’unico occhio, riducendo il mostro in polvere.
Controllai la direzione dov’era indirizzato la palla di cannone, trovando un solco profondo parecchi metri non troppo distante da me. Per fortuna, nessuna Cacciatrice si era fatta trovare impreparata.
Quel dannato affare da guerra costituiva il maggior problema, e non era per niente semplice abbatterlo. Talia ci aveva scagliato contro un fulmine, ma il carrarmato si era fermato per appena cinque minuti. Ora, la figlia di Zeus stava fronteggiando un gigante e… oh merda.
Scattai nella direzione e tranciai la clava che stava brandendo un troll, intenzionato a colpirla alle spalle. Lo ferii al petto, aprendo la sua difesa, gli tirai un calcio e affondai la mia arma nel suo costato.
«Grazie» disse Talia, dopo aver spedito nel Tartaro il gigante.
«Di niente» replicai.
Una morsa mi chiuse lo stomaco all’improvviso. Mi portai una mano alla pancia e mi chinai in avanti, tossendo. Talia mi mise una mano sulla spalla, preoccupata.
«Sei ferita?» chiese subito, in ansia.
Scossi la testa e mi costrinsi a rimettermi in posizione eretta, facendo respiri lenti e regolari.
«Qualcuno a me caro sta male» risposi dopo un po’. «Posso sentire la sua energia vitale abbandonare il suo corpo attraverso il legame che abbiamo stabilito.»
Gli occhi blu elettrico di Talia si adombrarono. «Percy?» domandò. «Annabeth?»
«Non lo so, mi dispiace» mi scusai.
«Puoi scoprirlo?»
«Dovrei seguire la scia lasciata dalla vita fino ad arrivare alla persona cui appartiene» spiegai.
E se mi portasse da Alex?, mi domandai. Implorai Talia con lo sguardo, e la Cacciatrice capì all’istante.
«Raggiungila, ci pensiamo noi qui» acconsentì. «Crono non prenderà mai il Lincol Tunnel.»
Alzai il pollice in segno affermativo. «Ne sono certa» affermai.
Talia mi strizzò l’occhio. Le sorrisi, prima di iniziare a correre. Superai l’enorme buco creato dalla palla di cannone, evitai di inciampare sulle crepe formatesi nell’asfalto.
Oltrepassai le Cacciatrici, eliminando i mostri che mi bloccavano il passaggio. Più mi allontanavo dal Lincol Tunnel e dalla zona della battaglia, più la strada si faceva sgombra di ostacoli, e io potevo correre a maggiore velocità. I capelli, lasciati liberi da lacci o elastici, mi finivano in faccia, ma non ci facevo caso.
Li sentivo appiccicarsi dietro la nuca per colpa del sudore. Trovai un ritmo nel passo, regolai il respiro e procedetti spedita in avanti, guidata dalle sensazioni che mi inviava la pancia.
Mi era sempre piaciuto correre – poter scappare via sulle proprie gambe, andare il più lontano possibile – e percorre una New York addormentava sembrava una scena surreale da film fantascientifico o video musicale.
I mortali erano accasciati dove capitava, le macchine semi-accostate e altre che si erano fermate di colpo, facendo un incidente e creando un gorgo per le vie. Il cuore mi batteva contro la cassa toracica e potevo sentirlo pompare sangue nello orecchie, quasi il suo rumore fosse stato amplificato all’improvviso.
I miei piedi volavano sull’asfalto, passando da isolato a isolato con incredibile velocità. Non riuscivo a calcolare quanto distante fosse la persona che cercavo, ma mi stavo muovendo verso Williamsburg. Le gambe incominciarono a farmi male, però non rallentai il ritmo.
Non potevo permettermi di arrivare in ritardo, non quando c’era in gioco la vita di qualcuno che amavo. E avevo paura di scoprire a chi appartenesse, così mi concentrai unicamente sulla corsa. Immaginai i miei muscoli tendersi e rilassarsi, il fiato uscire ed entrare dai miei polmoni.
Una fitta mi colpì a tradimento mentre ero in movimento, facendomi sbandare paurosamente verso destra. Sbattei con il fianco contro il cofano di un’automobile e finii a terra. Provai a rimettermi in piedi, usando le mani per tirarmi su, ma dal palmo sinistro si irradiò un dolore acuto. Lo apri e lo richiusi, stringendo i denti.
Schegge di vetro mi si erano conficcate nella carne quando ero caduta a terra, esattamente sopra i cocci del parabrezza rotto della macchina. Presi un grosso respiro.
Ok, dovevo solo tirarli via. Non avrebbe fatto poi tanto male, rispetto ad altre ferite. Optai per toglierli in un sol colpo. Afferrai i bordi del primo pezzo e lo estrassi in fretta. Mi salirono le lacrime agli occhi, che ricacciai indietro sbattendo le palpebre.
Poco male un corno. Ma ormai avevo iniziato e dovevo finire. Con uno sforzo ben maggiore, tolsi anche la seconda scheggia. Gridai, ma nessun umano fece caso a me.
Muoviti, mi dissi. Smettila di frignare come una mammoletta. Mi strinsi la mano ferita al petto, sentendo il sangue bagnarmi la maglietta, e mi rimisi in piedi. Il fianco protestò, ma mandai all’Hellheim il dolore e ripresi a correre. Rinunciai a tenere lo stesso ritmo precedente, però non rallentai troppo.
Non avevo mai provato un dolore così forte legato alla perdita di una vita. Sapevo che, molto probabilmente, era perché il legame che avevo stretto con la sua era più intimo, ma non volevo crederci.
Non si trattava di lui, no. Me lo ripetei come una cantilena per tutto il tragitto, auto-convincendomi che non era di lui che dovevo preoccuparmi. Poi, svoltai a sinistra, percorsi un isolato e mi ritrovai a Williamsburg, nella postazione assegnata alla Casa di Apollo.
Mi feci strada tra i semidei, arrivando al fulcro della battaglia. Individuai Crono nel corpo di Luke, che combatteva contro Percy, protetto dalla maledizione di Achille.
E vidi il Signore dei Titani che calava la falce sulla
faccia
di
Alex
che cadeva a
terra
e restava

inerme.
Il dolore esplose dentro il mio petto con prepotenza, minacciando di gettarmi in ginocchio.
Il mio cervello riprese a funzionare un nanosecondo dopo. Mi ritrovai accanto ad Alex e mi sentii gridare: «CHIAMATE AIUTO!»
Guardai il suo volto e mi salì un conato di vomito, che si strozzò in gola, minacciando di soffocarmi. C’era troppo sangue. Zampillava in continuazione da un taglio all’altezza delle sopracciglia, denso e così scuro da sembrare nero, come un grumo. Scivolando verso il basso, formava lacrime rosse sulle sue guance.
«AIUTO!» strillai. «HO BISOGNO D’AIUTO, CAZZO!»
Qualcosa di tiepido mi sfiorò la guancia. Pensai si trattasse di me che piangevo, ma era la mano di Alex. Me la strinsi contro il viso, accarezzandola come se ne andasse della mia stessa vita. Aprì la bocca, e il sangue gli invase la gola, rendo la sua voce un gorgoglio così diverso dal suo tono normale.
«A-Astrid… la… r-risposta… è… sì.»
Sgranai gli occhi.
Astrid.
«QUALCUNO MI AIUTI! STA MORENDO!»
Astrid.
«Non ti azzardare a morire, figlio di Odino» intimai.
La risposta è sì.
«C’È QUALCUNO CHE MI ASCOLTA!? DOBBIAMO SALVARLO!»
Sì.
«Oh, non provare a fare scherzi, Alex Dahl. Troverò la tua anima nell’Hellheim e la prenderò a calci finché non ritornerà da me.»
Sì.
Mi buttai su di lui e premetti le mani contro il suo petto, obbligando il suo cuore a battere. Perché doveva farlo. Doveva. Doveva doveva doveva doveva!
Ti piaccio in-quel-senso?
La risposta è sì.
Non ti libererai facilmente di me, figlio di Odino. Ricordatelo bene.
Io sarò dalla tua parte. Sempre? Sempre.
«Alex…» sussurrai. «Non lasciarmi… ti prego…»
La mia vista si offuscò a causa delle lacrime. I rumori sembrarono spegnersi attorno a me. Non sentivo più l’asfalto sotto i miei piedi. Qualcuno portò via Alex da me, spegnendo il contatto tra i nostri corpi. E, allora, sperai che anche il mio cuore potesse spegnersi così, smettendo di bruciare nel mio petto come se fosse avvolto dalle fiamme.
 
Bip. Bip. Bip.
Un macchinario segnava i battiti del suo cuore, contrassegnandone ognuno con un “bip”. Accanto ad esso, una flebo collegava una sacca al suo braccio. Questa era diversa da quella che avevano portato dentro i figli di Eir durante l’operazione, non conteneva sangue per una trasfusione. Nonostante ciò, la sua pelle era ancora pallida, quasi giallognola.
Bip. Bip. Bip.
Mi faceva male il coccige per essere rimasta seduta tutto quel tempo ad osservarlo senza muovermi. La mano mi pulsava, ma non era la ferita più dolorosa che mi fossi procura. Almeno, sapevo che si sarebbe rimarginata completamente, potevo vedere la pelle riformarsi sotto il mio sguardo. Al contrario del dolore diffuso in tutto il petto, che pesava come se avessi ingoiato una radio intera. Se ne stava lì, occupando ogni minuto dello scorrere del tempo, testimone di quello che era successo.
 
Bloccai Lars e lo guardai fisso negli occhi, cercando di cavargli fuori qualche informazione.
«Tu sai cosa gli state facendo. Dimmelo» lo pregai.
Il figlio di Eir scosse la testa. «Lo sai anche tu, Astrid.»
«No che non lo so» ribattei.
Sospirò, passandosi una mano tra i capelli biondi. «Io e i miei fratelli stiamo facendo il possibile per salvarlo, lo sai. Anche gli altri ci stanno aiutando, hanno donato del sangue per Alex, visto che ne ha perso troppo. Pensiamo, però, che abbia buone speranze di sopravvivere.»
«Io sento il contrario.»
«Senti male» tagliò corto.
«Sono la figlia di Hell, sono la ragazza che potrebbe vivere tra i morti se solo volesse. So cosa si prova, quando un’anima sta abbandonando questo mondo» replicai.
«Dacci fiducia, per gli Dèi!» sbottò Lars, oltrepassandomi, diretto verso la stanza che i figli di Eir avevano adibito a sala operatoria d’emergenza.
«Lars!» lo richiamai.
«Non ho tempo da perdere, devo salvare la vita del mio amico» mi stroncò, secco.
«Ti prego» piagnucolai.
Lars si fermò, si voltò verso di me e mi accontentò: «Salviamo il salvabile, ma potrebbe perdere un occhio. Non siamo sicuri che si risveglierà, però Alex è forte.»
«Si-significa che andrà in coma?» ripetei.
«Significa che devi pregare gli Dèi e avere fiducia, Astrid. In noi e in lui.»
Terminò così il dialogo e si infilò dietro la porta, chiudendo a chiave.
 
Bip. Bip. Bip.
Bip del cazzo! Io sapevo già che il suo cuore batteva! Lo sapevo da ore, lo sapevo da quando questo dannato macchinario di cui nemmeno conoscevo il nome ripeteva il suono in continuazione da quando era stato attivato! Volevo che aprisse gli occhi. Volevo che si svegliasse. Volevo che vedesse che ero lì. Volevo che si accorgesse che l’avevo aspettato, che ero sempre con lui, come aveva fatto lui con me.
Ma ogni volta che desideravo qualcosa non potevo ottenerla.
Sbuffai. Qualcuno bussò alla porta, poi entrò. Nora mi notò subito e abbozzò un sorriso, che di felice aveva quanto i Rolling Stones in Shakira. Camminò all’altro lato del letto, sfiorando le lenzuola con le dita, finché non incontrò la mano di Alex. Provai una fitta alla vista di quel tocco, ma tenni il mio disappunto per me.
«Da quanto tempo sei qui?» domandò senza guardarmi.
«Un paio d’ore» risposi, sentendo il palato secco per non aver né bevuto né mangiato nulla.
Corrugò la fronte.
«Ok, quasi cinque ore» mi corressi.
«Hai dormito?» chiese.
«E tu?» replicai.
«Non molto» ammise, rendendosi conto da sola di quale fosse la risposta per me.
Rimanemmo in silenzio per un po’, fissando entrambi il corpo adagiato tra le coperte bianche. Nora alzò gli occhi su di me e propose: «Perché non mi lasci qui con mio fratello e vai a riposarti? Sembri parecchio stanca.»
Certo che lo sono. E no, non lascio Alex. «Buona idea» accettai.
Mi alzai dalla sedia, sentendo tutti i muscoli protestare per la forzata immobilità. Rigida, camminai fino alla porta e uscii. La richiusi alle mie spalle e mi ci appoggiai contro, sospirando. Non era normale che fosse così difficile accettare di lasciare qualcun altro a vegliare su Alex per un po’, giusto per riposarmi dopo la battaglia. I bisogni che avevo soppresso fino a quel momento si fecero sentire, per prima la fame, visto che il mio stomaco brontolò sonoramente.
Decisi che la prima tappa sarebbe stata per mettere qualcosa sotto i denti. Andai a destra, percorrendo i corridoi dell’edificio a casaccio. Tanto, prima o poi, avrei raggiunto un distributore automatico o un semidio che mi avrebbe detto dove avevamo radunato il cibo. Mi muovevo come un fantasma, schivando i mezzosangue prima che mi finissero addosso. Feci mente locale: Percy doveva essere con Annabeth, che era ferita; sarei dovuta andare da lei.
Appena finii di pianificare le azioni successive, riconobbi un ragazzo che camminava nella direzione da cui venivo. Sentii la rabbia montare prepotentemente e non mi disturbai a domarla. Marciai verso di lui, lo afferrai per la maglietta e lo sbattei priva di delicatezza contro la parete.
«Einar» ringhiai.
Il figlio di Loki mi squadrò con i suoi occhi scuri. Non tentò di buttare lì una battuta, né fece il finto tonto. Sarebbe stato inutile.
«Senti, io volevo…» iniziò, ma lo interruppi.
«Avevi detto che gli avresti guardato le spalle» lo accusai.
«Non mi ha…»
«L’avevi promesso.»
«Lo so!» sbottò, opponendo resistenza alla mia presa. «E credi che non mi senta in colpa per quello che è successo ad Alex!?» gridò.
«Dovevi proteggerlo. Non hai mantenuto la promessa. Io mi fidavo di te» sibilai.
«Be’, forse c’è un motivo se nessuno ripone fiducia nei figli di Loki!»
Lo schiacciai contro il muro, sollevandolo da terra di qualche centimetro con entrambe le mani. La benda che mi avvolgeva la sinistra si bagnò.
«Cos’hai intenzione di farmi, mh? Uccidermi?» fece Einar.
«Lo meriteresti, bastardo» ringhiai. «Non eri lì nemmeno quando Crono l’ha ferito a morte, c’ero io. E tu non hai la minima idea di quello che io sto passando.»
«Oh, ma fammi il piacere.»
Mi afferrò il polso sinistro e mi schiuse le dita, finché non mi schiacciò i tagli sul palmo. Tentai di resistere al dolore, ma alla fine fui costretta a lasciarlo andare. Mi morsi la lingua pur di non gemere o gridare, dandogli questa soddisfazione.
«”E tu non hai la minima idea di quello che io sto passando”» mi scimmiottò, facendomi salire il sangue alle tempie. «’Fanculo. Non sei l’unica che soffre, Astrid. Non esisti solo tu con i tuoi problemi, non sei la sola semidea che sembra sempre attraversare momenti difficili. Ci sono anche tutti gli altri. Lars, Nora, Percy, io. Sei egoista e cieca, Astrid.»
«Non hai il diritto di parlarmi così!» urlai, infuriata. «Tu n-»
«Io cosa?» scattò Einar. «Apri gli occhi! Guarda chi ti sta intorno! Ma posso capire che sia difficile, per te.»
«Come ti permetti di farmi una ramanzina adesso?» replicai a voce sempre più alta. «È solo colpa tua se Alex non si sveglia!»
Einar agganciò il mio sguardo, mi scrutò senza tentennare. Si umettò le labbra. «Vedi, è proprio questo il punto» ribatté, nascondendo sotto calma apparente la rabbia. «Io so di aver sbagliato, se tu a credere il contrario.»
Sorrise e si voltò, le mani in tasca. Mi accorsi che tutti i semidei nel corridoio mi stavano osservando, così scoccai un’occhiata di fuoco a una ragazza qualsiasi giusto per chiarire che nessuno di loro doveva fiatare. Mi girai e ripresi la mia ricerca di cibo, massaggiandomi il palmo della mano.
Che Einar dicesse pure quello che voleva, che pensasse anche di potermi mettere in scacco con qualche bella frasetta ad effetto. Ormai, a me, di lui non importava più niente.
 
 
«Percy» lo chiamai, facendolo sobbalzare.
I capelli ricci e neri sembravano un nido d’aquile, e dagli occhi traspariva quanto fosse provato, ma mi sorrise ugualmente. Percy riusciva sempre a trovare un motivo per cui sorridere, scovava in tutti delle qualità che potevano renderli suoi amici.
«Ehi, Astrid» salutò.
Ricambiai con un cenno del capo. «Posso parlare con Annabeth?» domandai, mordendomi poi il labbro inferiore. Avrei capito, se mi avesse detto di no. Probabilmente, l’avrei fatto anch’io.
«Sì» rispose la diretta interessata dal divanetto dov’era sdraiata.
Percy guardò nella sua direzione e sembrò chiederle con gli occhi se era sicura. Dopodiché, la salutò baciandole la fronte e si allontanò, sfiorandomi la spalla. Mi avvicinai alla figlia di Atena, inginocchiandomi accanto a lei. Era pallida e aveva le labbra un po’ screpolate, ma per il resto era piuttosto in forma, per essere stata ferita di recente da una lama avvelenata.
«Come stai?» le domandai.
Annabeth sorrise. «Come se mi avessero accoltellato.»
Gli angoli della mia bocca si sollevarono. «Bene» commentai.
«E tu?» fece la bionda.
Non risposi. La figlia di Atena sembrò capire, così cambiò argomento, chiedendomi perché ero venuta a trovarla. Era troppo intuitiva per non aver indovinato che non ero lì solo per informarmi sulle sue condizioni.
«Hai ancora il cellulare con te? Mi servirebbe per una chiamata.»
Annuì. «Nella tasca destra» spiegò, provando a prenderlo da sé, ma muovendosi la sua bocca si trasformò in una smorfia.
«Faccio io, tranquilla» mi affrettai a dire, sfilandole il vecchio modello di telefonino dai jeans.
Mi alzai e me lo feci ruotare tra le mani. «Grazie» dissi.
«Di niente» replicò lei.
Feci per andarmene, poi mi ricordai di doverle dire un’ultima cosa. «Alex mi ha rivelato che è innamorato di me, prima che…» mi interruppi. «Questo significa che, se lui ha mosso il primo passo, Luke può ancora essere salvato» conclusi.
I suoi occhi grigi si fissarono su di me, cercando di capire se dicevo la verità. Per un momento, sembrò ancora la calcolatrice figlia di Atena di un mese prima, decisa a smascherarmi. Poi, si sistemò meglio sul lettino e mormorò: «Ne sono convinta.»
Uscii dalla stanza. Mi diressi verso le scale di servizio e presi quelle che salivano, giocherellando con il telefono. Dopo la terza rampa, le gambe incominciarono a protestare perché ero troppo stanca ed ero stata per troppo tempo immobile. Salii di altri quattro piani, poi abbandonai le scale e varcai la porta di una suite privata.
Non c’era nessuno che si aggirava lì, potevo telefonare senza essere né disturbata né notata. Ignorai il letto rifatto e il divano di pelle, aprendo la porta finestra che conduceva su uno stretto balcone. Mi rannicchiai, portandomi le ginocchia al petto, e guardai in basso.
L’Hotel Plaza non era un edificio particolarmente elevato e io non ero molto in alto, ma la vista era ugualmente affascinante. Ero abbastanza sicura che non sarei caduta in strada, quindi le mie vertigini non mi interruppero, mentre osservavo New York dormire. La luce del sole era riflessa dai vetri dei grattacieli, i raggi scaldavano la mattina estiva.
Ritornai a fissare il cellulare, indecisa se usarlo o meno. Sarebbe stato normale chiamare il proprio padre, ma non per me. Mi ero creata a forza la mia indipendenza, contro la sua volontà, ed eravamo costantemente in conflitto.
Ma aveva il diritto di sapere che ero ancora viva, di sentirmi un’ultima volta, nel caso fossi morta durante la guerra.
Sospirai e composi il numero. Mi portai il telefonino all’orecchio, aspettando che rispondesse.
Tu. Tu. Tu.
Era un numero sconosciuto, probabilmente l’avrebbe ignorato.
Tu. Tu. Tu.
Che ore erano a Oslo? Perché non avevo pensato al fuso orario?
Tu. Tu. Tu.
Cosa lo sto chiamando a fare? Non risponderà. Sarebbe meglio se chiudessi la chiamata adesso.
Prima che potessi farlo, la voce di mio padre rispose all’altro capo.
«Pronto?»
Aveva un tono basso, roco, regalo del fumo e delle troppe sigarette sin da ragazzo.
«Ciao, Rupert.»
Imprecò. «Astrid, cazzo! Adesso chiami? Dannazione, potresti smetterla di chiamarmi per nome? Sono tuo padre!» Sospirò e potei immaginarlo passarsi una mano sul viso. «Ti pare quello il modo di rispondere a un messaggio? Margarete era venuta a cenare da noi e voleva vederti, era importante» riprese, moderando il tono, che rimaneva comunque palesemente irritato.
«Lo sai che non m’importa nulla della tua cara fidanzata Margarete» replicai, dura.
«Potresti almeno dire “mi dispiace”» osservò.
«Tanto sai che mentirei» gli feci notare.
Ed era vero. Detestavo quella rossa tinta che entrava nel mio territorio e faceva la carina con me solo per ingraziarsi mio padre.
«Non voglio litigare con te, Astrid, ma sembra impossibile! Cosa c’è che non va in te?» sbottò.
Mi rimangiai una risposta acida. «Vuoi sapere dove sto o no?» feci. «Non ci metto niente a chiuderti in faccia la telefonata.»
«Ok» accettò di malavoglia. «Dove sei finita, questa volta?»
«Sto a casa della mia amica Annabeth. Mi ha invitato il giorno in cui mi hai inviato il messaggio e non potevo rifiutare» mentii, ma tanto lui non se ne sarebbe accorto.
«Diciamo pure che non volevi» specificò.
Infatti.
«Fa lo stesso» sbuffai.
«Quando ti degnerai di tornare a casa?» domandò.
«Non lo so. Quando avrò voglia. Magari quando vedrò un asino volare fuori dalla finestra» risposi.
«Non è divertente» replicò Rupert all’altro capo del cellulare. «Non puoi andartene in giro così, come e quando ti pare. Sei una minorenne e sei sotto la mia custodia.»
«”Sei una minorenne e sei sotto la mia custodia”» scimmiottai. «L’unica cosa che tieni in custodia è una pistola. E ti sarei grata se la usassi per sparare a Margarete.»
«Astrid» ringhiò.
«Se vuoi ci penso io» proposi, dando una sfumatura stucchevole e zuccherosa alla mia voce, rendendola odiosa oltre ogni misura.
«Non scherzare su queste cose» mi sgridò, ma tanto le sue parole non avevano effetto su di me.
«Ah, già, giusto. Tu sei il poliziotto e non devo scherzare con te, perché sei figo, rock e incorruttibile.»
«Non ti permettere.»
La sua voce era così bassa da sembrare provenire dalle profondità dell’Hellheim.
«Oh, ma tranquillo. Un sacco di poliziotti sono corrotti, non solo tu. E tu sei fantastico, quando si tratta di ricevere soldi. Oltre che droga e vagine.»
«Astrid!» urlò.
«Adieu, Rupert» salutai, chiudendo la chiamata.
Sospirai. Sarebbe stato molto meglio se non avessi chiamato. Avrei dovuto sapere che sarebbe finita così, a rivangare sul suo passato. Be’, un motivo ci doveva pur essere, se Hell si era invaghita di lui. E una storia con un poliziotto corrotto doveva averla stuzzicata non poco.
Non era facile trovare una persona come Rupert Jensen: in polizia da diversi anni, aveva accettato una prima mazzetta per coprire la scomparsa di un carico di droga sequestrato a un cartello, e poi non era riuscito ad uscire dal giro.
Ma lo voleva? Il denaro comprava tutto. Per questo, e perché nessuno avrebbe creduto a una ragazza orfana di madre che rifiutava la fidanzata del padre, nel caso avesse testimoniato contro il suo genitore rimasto. E Rupert era dannatamente bravo a nascondere o eliminare le prove della sua collaborazione a tutti, sarebbe stato quasi impossibile raccoglierne di schiaccianti.
Se non l’avessi colto in fallo una volta, non avessi scovato banconote sospette e non avessi controllato il suo conto in banca e notato cifre un po’ troppo alte per il suo stipendio di dipendente pubblico, non avrei sospettato nulla. Forse sarebbe stato meglio così.
Mi alzai e richiusi la porta finestra. Mi strofinai gli occhi, sentendoli pungere. Avevo bisogno di dormire. Ripercorsi la strada a ritroso, sentendomi stanca e spossata come mai prima d’ora. Mentre scendevo l’ultima rampa di scale, andai quasi a sbattere contro Lars.
Il figlio di Eir aveva il fiatone e l’espressione stravolta, fatto che mi fece preoccupare non poco, visto come riusciva sempre a mantenere la calma.
«Astrid» esclamò. «Ti stavo cercando.»
Persi un battito. «Cos’è successo?» domandai, in ansia.
La su laconica risposta fu: «Alex.»
 
♣Annabeth♣

Silena mi tergeva la fronte con un panno fresco, amorevole come possono esserlo solo le madri e le figlie di Afrodite. Percy entrò nella terrazza e percorse in poche falcate la distanza che ci separava. Mi squadrò con aria preoccupata, e fece una smorfia quando Will svolse la benda attorno alla mia spalla, rendendo visibile la ferita. Trattenni un sorriso timido. Percy aggrottava la fronte in un modo tenero, quando era in ansia.
«Annabeth…» esclamò.
«Un pugnale avvelenato» borbottai. «Che stupida, eh?»
Will Solace sospirò di sollievo, interrompendo il nostro dialogo. «Non va tanto male, Annabeth. Il veleno non ha ancora oltrepassato la spalla, siamo arrivati in tempo. Resta ferma e non ti preoccupare» mi istruì. «Passatemi del nettare.»
Il figlio di Apollo mi pulì la ferita e non potei trattenermi dal gemere per il dolore, ma restai il più immobile possibile. Percy mi strinse la mano e ricambiai con forza, accettando grata il suo aiuto. Dopo aver finito di mormora una preghiera in onore di suo padre, disse: «Così dovrebbe andare, però ci servirà anche qualche medicina mortale.»
Agguantò una carta intesta dell’albergo e buttò giù qualche appunto velocemente, poi lo consegnò a uno dei miei fratelli.
«C’è una farmacia sulla Quinta Strada. Normalmente non ruberei, ma…»
«Io sì, nessun problema» si offrì volontario Travis Stoll.
Will gli scoccò un’occhiataccia, ma lo lasciò andare, raccomandandosi che lasciasse almeno qualche dollaro o delle dracme sul bancone. Si portò dietro anche altri semidei, lasciandomi sola con Percy e Silena, che mi premette nuovamente il panno sulla fronte. Gliene fui grata, era un’ottima infermiera.
«Dovrei fare di più» mormorò. «Questa situazione non sarebbe così se io mi fossi impegnata di più…»
«Sei fantastica, invece» disse Percy. «Sei la nostra migliore cavallerizza e vai d’accordo con le persone. Credimi, chiunque riesca a fare amicizia con Clarisse ha un vero talento.»
«Non sono nemmeno riuscita a convincere Charlie a rimanere al sicuro al Campo» protestò lei, poi si illuminò. «Però posso provare a far venire Clarisse! La Casa di Ares ci serve e solo io posso smuoverla.»
«Sei sicura? Voglio dire, se ance riuscissi a uscire da Manhattan, Clarisse è molto testarda, soprattutto quando si arrabbia.»
«Ti prego» insisté la figlia di Afrodite. «Posso prendere un pegaso e fare in fretta. Lasciami tentare.»
Percy mi guardò. Silena aveva già dato un grande aiuto a tutti noi, i motivi che usava per sostenere che non aveva abbastanza erano un po’ deboli. Dopotutto… Ares era il dio della guerra e Clarisse sarebbe stata un buon comandante. Ricambiai l’occhiata di Percy.
«E va bene» acconsentì il figlio di Poseidone.
Silena gli gettò le braccia al collo, poi si allontanò e mi chiese scusa con lo sguardo. Ecco. Non che mi dispiacesse se qualcun’altra abbracciava Percy, ma non facevo i salti dalla gioia. Di Silena, però, non c’era da preoccuparsi.
«Grazie! Stai sicuro che non ti deluderò» promise, uscendo dalla stanza.
Percy si inginocchiò accanto a me, mi tastò la fronte e assunse di nuovo la sua tipica espressione crucciata.
«Sei carino quando sei preoccupato» mormorai. «Aggrotti le sopracciglia in modo buffo.»
Tentò di capire come dovesse apparire, assumendo un’aria così tenera da far male.
«Non morirai proprio adesso che ti devo un favore. Perché ti sei presa quella coltellata?» replicò.
«Tu avresti fatto lo stesso per me» affermai, decisa.
Il suo sguardo si incupì un attimo. «Come facevi a saperlo? Come conoscevi il mio» abbassò la voce, anche se non c’era nessuno, «tallone d’Achille?»
Scossi la testa, provando a ricordare perché mi fossi messa in mezzo, prendendomi la coltellata diretta a lui. «Non lo so, Percy. Ho avuto la sensazione che tu fossi in pericolo. Dove… dov’è il punto?»
In teoria, non sarebbe stato sicuro rivelarlo a nessuno, ma io avevo condiviso con lui imprese mortali di ogni genere. Sapeva che poteva fidarsi di me.
«In fondo alla schiena» rispose infatti.
Sollevai una mano e posai le dita sulla sua spina dorsale. Toccare la sua pelle mi dava una sensazione strana, come se fossi stata percorsa da una lieve scossa elettrica. «Dove? Qui?» domandai, stando attenta a non far trasparire null’altro che curiosità dalla mia voce.
Me la prese e la fece scorrere fino all’unico punto che gli permetteva di rimanere in vita, e il suo dorso fu attraversato da un brivido.
«Mi hai salvato» disse. «Grazie.»
Scostai la mano, ma Percy continuò a tenerla tra le sue.
«E così mi devi un favore» rimuginai a bassa voce. Ridacchiai mestamente. «Sai che novità.»
Osservammo insieme il sole che sorgeva sulla città. Il traffico sarebbe dovuto essere inteso già a quell’ora, ma non c’era nessun rumore di motori in funzione o clacson, né persone accalcate sui marciapiedi. Era palese che fosse strano. La vista, però, era comunque suggestiva. E il dettaglio che Percy fosse lì con me non era indifferente. Mi domandai, in contemporanea, quante persone stessero piangendo per il motivo inverso.

koala's corner.
In orario - sottolineamo in orario - ecco l'atteso (?) capitolo per scoprire se Alex era morto davvero oppure no.
Io ho cercato di essere molto angst, però non so se ci sono riuscita. AxXx dice di sì, quindi...
Sì, per me ci è riuscita :) A me è piaciuto il suo capitolo
A me piacciono i tuoi hahah xD Anyway, passiamo alle spiegazioni. Il titolo del capitolo fa schifo, però thanks to Ed Sheeran per le sue parole. E anche alle 183923802 canzoni che ho ascoltato per scrivere questo capitolo. Il padre di Astrid doveva attrarre Hell, che non ha proprio niente di buono, quindi, guardando tanti telefilm polizieschi, è uscito questo. Secondo - o terzo? o.o - Astrid fa il culo ad Einar e viceversa. però, in sostanza, amate il figlio di Loki *-*
Ma, soprattutto, cosa intenderà Lars con la risposta "Alex"? E' vivo? E' schiattato? Starà a voi scoprirlo!
Grazie mille per le 11 recensioni che ci avete lasciato, siete fantastici! *distribuisce eucalipto* Speriamo che questo capitolo vi sia piaciuto, alla prossima!

Soon on Venti del Nord: Un altro POV di Einar e un po' di ragni.

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Capitolo 11
*** ALEX/ EINAR / PERCY • Due ragazzi, un non-morto e un ragno ***


Due ragazzi, un non-morto e un ragno

•Alex•

Ero certo di essere morto. L’ultima cosa che ricordavo era il bel viso di Astrid che diventava sempre più sfocato e lontano. I rumori erano attutiti e distanti, come se mi trovassi in un tubo e tutti fossero venuti da un punto a miglia da lì.
Poi, a poco a poco, la luce si fece più chiara, la mia pelle tornò ad avere sensibilità e presi una lunga boccata d’aria.
Cavolo se mi sentivo male… Avevo la sensazione che Vidarr stesse lavorando una spada usando il mio cranio come incudine. Le mie orecchie fischiavano e avevo una strana visione, come se mi tenessero una mano sull’occhio sinistro. Ma almeno ci vedevo.
Il corpo mi faceva male, come se mi avessero investito con un treno almeno una decina di volte di seguito. Mia sorella stava parlando con Lars di qualcosa, ma non sembravano preoccupati, o almeno non lo erano più.
«Ehi, Alex! Finalmente ti sei ripreso, te la sei vista proprio brutta» mi salutò lei, con un sorriso tirato.
Aveva la lancia a tracollo e il braccio fasciato, oltre che un leggero taglio al viso.
«Io vado ad informare gli altri. Cerca di non farlo sforzare, non voglio che svenga di nuovo» brontolò il figlio di Eir, uscendo.
Guardandomi intorno, notai che avevano trasformato un appartamento di un hotel in una sala operatoria improvvisata, con tanto di un macchinario per le letture vitali e del battito cardiaco. Mi inquietava il fatto che ci fosse parecchio, forse troppo, sangue e il mio peggior timore era che fosse mio.
«Per questa roba ringrazia Alyssa e tutti i figli di Loki che hanno… preso in prestito tutto da un ospedale in città» mi informò Nora, sedendosi accanto a me.
«Dèi… Che Hell è successo… Credo che un gigante si sia seduto su di me…» mugugnai, irritato dal farro che la mia lingua fosse ancora impastata e si muovesse appena.
«Più o meno. Un titano ti ha messo al tappeto. Direi che sei stato molto stupido ad affrontare un tizio che non poteva essere ferito, anche se tutti dicono sia stato spettacolare» spiegò mia sorella, guardando fuori dalla finestra.
Doveva essere almeno mezzogiorno, ma non c’era nessun suono che veniva dall’esterno. Era un’immagine surreale e suggestiva: vedere una gigantesca metropoli completamente avvolta da quel sonno magico e noi, solo noi semidei, testimoni di quell’artificio così affascinante, inquietante e magnifico.
«Ci hai fatto prendere una bella paura, sai?» disse, all’improvviso, Nora. «Tutti ti credevano morto, ma quando Sarah ci ha detto che avevi una possibilità abbiamo praticamente fatto una colletta per raccogliere sangue sufficiente per farti sopravvivere. Ognuno ha donato quel che poteva e abbiamo anche fatto dei prelievi veloci a dei mortali. Per fortuna i figli di Eir riescono ad intuire i gruppi sanguinei. Sei vivo per miracolo.»
«Sai che notizia» risposi, senza staccare gli occhi dalla finestra, mentre la mente tornava ad un mese prima, quando avevo usato il Mijolnir per respingere Hell e le sue armate.
Non era molto diverso da allora: il potere del martello mi aveva prosciugato di ogni energia, ma ero stato terribilmente fortunato, tanto da sopravvivere. Questa volta c’ero andato fin troppo vicino.
Mi grattai la testa e, solo allora, notai che c’era qualcosa che non andava: non riuscivo ad aprire l’occhio sinistro. Anzi. Non lo sentivo proprio.
Un terribile pensiero mi attraversò la mente e anche mia sorella se ne dovette essere accorta perché, senza dire una parola, provò a guadagnare l’uscita, ma io la fermai.
«Aspetta un attimo, che mi è successo!?» chiesi, cercando ancora di aprire l’occhio che non sentivo.
Avevo una brutta sensazione e sperai che non fosse vera. Nora sembrò molto dispiaciuta e mi mise una mano sul braccio.
«Ascolta… Lars, Sarah e i figli di Eir hanno provato di tutto per salvarti, hanno tentato l’impossibile, usando di tutto: l’idromele, le pozioni, l’ambrosia greca e le medicine mortali… Ma era troppo grave, non hanno potuto farci nulla, è già stato un miracolo che tu ti sia salvato.»
«Ma, per gli Dèi, che mi è successo!?»
Lei non rispose ed aprì un armadio per gli abiti con uno specchio integrato. Mi pietrificai.
«Ora capisci?» domandò mestamente. «Non volevamo traumatizzarti, ma… hai perso l’occhio sinistro.»
Quasi fossi in trance, mi avvicinai allo specchio, per poi toccare con la mano la benda chirurgica che copriva le mie palpebre e le ferite che ancora dovevano rimarginarsi.
Miei Dèi, pensai, sotto shock. Non ci potevo credere: sembravo la versione mora e ringiovanita di mio padre. Mi sentii il mondo crollarmi addosso: non solo per la perdita fisica, ma anche per la consapevolezza di aver perso parte dei miei punti di riferimento.
Non avrei visto molto meno, ma sarei stato comunque molto più vulnerabile e avevo molti più punti ciechi. Anche il mio equilibro ne risentiva e me ne stavo accorgendo. Senza metà vista non riuscivo a vedere parte degli ostacoli e non riuscivo a poggiare bene la gamba sinistra, concentrando molto più peso sulla destra, che non andava affatto bene.
«Non è possibile» borbottai, sedendomi sul letto, ignorando le tracce dell’operazione appena fatta.
«Stai calmo, fratello. Molti guerrieri del nostro passato combattevano con delle menomazioni ed erano fortissimi. Tu riuscirai a superarla. Affinerai gli altri sensi e avrai noi a fianco» mi rassicurò Nora, sedendosi accanto a me, dandomi una pacca sulla spalla.
«Sì… hai ragione» borbottai, mentre cercavo di risollevarmi.
In quel momento sentii un rumore secco e sulla porta si stagliò la figura di Astrid. Alzai l’unico occhio rimastomi ed incrociai il suo sguardo. Aveva l’aria stanca, di chi ha pianto e non ha dormito. I capelli scompigliati e gli occhi pieni di tristezza, speranza e sollievo. Fu un attimo e lei mi si fiondò addosso, tempestandomi il petto di pugni.
«STUPIDO! STUPIDO FIGLIO DI ODINO! COME TI SEI PERMESSO DI FARMI PREOCCUPARE IN QUESTO MODO!» strillò, con voce strozzata, mentre sentivo la maglietta che indossavo inzupparsi di lacrime calde.
Mi sentii il cuore spezzato nel sentirla così triste. Sapevo che lei mi voleva bene ed io l’avevo fatta soffrire, seppur volendo aiutare un amico. Non riuscivo a darmi pace, vedendola in quello stato.
Alzai un attimo lo sguardo su Nora, che capì al volo e uscì, dopodiché alzai le braccia e strinsi Astrid a me, con tutta la delicatezza che riuscivo a trasmetterle. Lei tremò a quel contatto e smise di colpirmi per stringersi ancora di più a me, allacciando le mani dietro la mia schiena.
«Mi dispiace, Astrid. Non volevo farti preoccupare» sussurrai, avvicinandomi al suo orecchio, cercando di confortarla.
«Però l’hai fatto. Credevo… credevo che fossi morto» disse tra un singhiozzo e l’altro, con un tono che tradiva una paura profonda, come se temesse di evocare la mia morte.
«Ma non lo sono» replicai subito, accarezzandole i capelli lisci e morbidi, come un mantello di seta.
Lei non rispose e si accoccolò al mio petto, quasi avesse paura che morissi se mi avesse lasciato andare. Rimanemmo lì, abbracciati, cullandoci a vicenda, muti, mentre intorno a noi un silenzio sembrava creare una barriera che ci isolava dal resto del mondo.
Ero dannatamente felice di riaverla accanto. Ero stato così vicino alla peggiore delle morti, ma mi ero reso conto che non era Hell che mi spaventava, né il dolore della battaglia e nemmeno l’ira di mio padre.
Era stato il desiderio di rivedere Astrid che mi aveva tenuto legato alla vita. Era stata lei a richiamarmi dall’oscurità del regno dei morti. Io volevo rivederla. Lentamente, alzai una mano, poggiandola sul suo mento e la attirai a me. I suoi occhi erano pieni di stupore, ma anche trepidazione.
«Astrid, per quanto riguarda quello che ti ho detto sul ponte… la risposta è davvero sì» dissi piano, avvicinandola a me, poggiando le mia labbra sulle sue morbide, calde, che sapevano di frutti di bosco, così lontane dal freddo del regno che sua madre dominava.
Lei sembrò stupita per un attimo, quasi non credesse a quello che stava succedendo – e anche io avevo qualche difficoltà a realizzare che nessuno ci avesse interrotti –, ma poi si sciolse, lasciandosi trasportare da quel sentimento che, sia lei che io, avevamo per tanto tempo tenuto sopito.
Le sue mani si strinsero di più a me, come se non ne avesse abbastanza di baciarmi ed io, sinceramente, non volevo staccarmi. Non avrei mai creduto che il mio primo bacio fosse così bello.
Io l’amavo e basta. Astrid era dolce, sensibile e sincera. Lei diceva spesso di essere egoista, ma per me non era vero. Un mese prima l’avevo vista pronta a sacrificare se stessa per salvare me, Percy, Annabeth, Nico ed Einar, quando al Campo Nord avevamo rischiato di essere catturati. Lei era stata costretta dagli eventi a pensare solo a se stessa, ma io la consideravo la ragazza più coraggiosa e bella del mondo.
Quando ci staccammo potevano essere anche passati millenni, ma a me non importava. Lei si strinse a me, appoggiando la fronte nell’incavo del mio collo e sospirò.
«Dèi di Asgard, Alex, quanto ho aspettato questo momento» sussurrò, senza sciogliere l’abbraccio. «Lo sai che siamo in mezzo ad una battaglia e potremmo morire domani, vero?»
Ci pensai su, ma non me ne preoccupai molto: lei era al mio fianco e con lei potevo farcela. Forse mi ero imbarcato in una missione suicida, ma ormai c’ero dentro, non potevo più tirarmi indietro.
«Ce la faremo, Astrid. Vinceremo questa battaglia e torneremo a casa insieme. Che mio padre vada all’Hellheim, tu sei più importante» risposi, sorridendo, anche guardandola negli occhi che, per la prima volta, vidi tranquilli e sereni.
Per tutta risposta lei mi dette un ultimo leggero bacio sulle labbra e si sdraiò accanto a me, rannicchiandosi come un gatto, addormentandosi, senza, però, lasciare la mia mano.
 
∫ Einar ∫
 
Almeno era vivo. Dovevo dargliene atto, era un tipo resistente, visto che aveva perso un occhio. Ma non tutti erano così fortunati. Dopo la sfuriata di Astrid che, nonostante fosse parecchio esagerata, aveva un minimo di ragione, mi diressi nell’atrio dove Danny e Petra stavano confortando una figlia di Apollo. Poco lontano, il corpo senza vita, avvolto in un drappo, di Michael Yew.
Durante lo scontro lui e Kinnon si erano diretti verso Alex e Percy per aiutarli contro Crono, ma un gruppo di mezzosangue nemici avevano messo mano agli archi e, nonostante il ragazzo fosse molto agile, non era riuscito ad evitarne due che l’avevano colpito al petto, uccidendolo sul colpo; Kinnon si era salvato, riparandosi dietro il suo ampio scudo.
Sospirai e mi avvicinai alla salma, circondata da alcuni suoi fratelli. Eri un coglione, Michael. Il mese scorso sei stato davvero poco ospitale, ma ti rendo atto che eri un bravo arciere e un ottimo capo. Mi mancherai, faccia da furetto… mancherai a tutti i tuoi fratelli. Possa la tua anima raggiungere il Valhalla o qualsiasi sia il vostro paradiso, gli augurai, guardando il telo dorato che copriva le sue spoglie.
Mi chiesi se sua madre fosse viva e lo aspettasse, o se aveva qualcuno che teneva a lui. Era strano che fossi proprio io a pensare a certe cose visto che, teoricamente, sarei dovuto essere l’incarnazione del menefreghismo.
Ma la verità era un’altra: a me interessava eccome, ma sentivo nel mio cuore il peso che ogni figlio di Loki si portava sulle spalle.
L’inganno. Il desiderio di raggirare, di non interessarsi e di fare ogni cosa possibile per rendere la vita peggiore e pensare solo a divertirsi. Cavolo, non lo volevo, ma era come opporsi alla fame: alla fine devi soddisfarla, così come io dovevo soddisfare il mio desiderio di ingannare, mentire e divertirmi.
La maledizione di Loki. Così si può dire, era la peggiore delle cose, perché la nostra discendenza era la peggiore. Gravati dal peso di una profezia che ci indicava come coloro che avrebbero messo in difficoltà gli Dèi, e poi c’era il legame di sangue con il nostro caro paparino, tanto amorevole che sceglieva appositamente i nostri genitori, giusto per essere sicuro che noi avremmo vissuto in una situazione difficile.
Sospirai e mi allontanai dal gruppo dei figli di Apollo, che continuavano a tenere almeno uno di loro vicino al corpo del loro fratello, mentre tutti gli altri prestavano cure, insieme ai figli di Eir. Passai nell’atrio dell’Hotel Plaza, che avevamo scelto come quartier generale, nell’attesa e trovai molti semidei che si rinfrescavano o mangiavano o, in generale, cercavano di riprendere le forze.
Alcuni dormivano, ma altri uscivano in ricognizione, proprio come me. In realtà, io non andavo proprio in ricognizione, dovevo solo ricevere un rapporto da un mio informatore. Tanto meglio, avevo bisogno di rimanere da solo e di pensare.
Mentre uscivo mi ritrovai a sbattere, però, contro una figura imponente che rientrava con aria arrabbiata: Charlie Beckendorf avrebbe potuto essere scambiato per un treno, in quel momento, ma non fu così scortese da non scusarsi, quando mi travolse.
«Cavolo, amico, che faccia! che è successo?» chiesi, sorridendo, mentre lui mi dava una mano.
Il figlio di Efesto abbassò le spalle in un espressione mesta e esasperata.
«Silena… È da quando sono tornato dalla missione che si comporta in modo strano: sembra quasi che si vergogni a parlare con me, o che abbia paura. Adesso è partita, vuole tentare di convincere la Casa di Ares ad unirsi a noi.»
Lo so perché si comporta così, credimi, meglio che tu non lo sappia, pensai, mentre gli davo una pacca sulla spalla.
«So che è una brava cavallerizza, passerà senza problemi. Epoi comprendila: la Casa di Afrodite non è molto… come dire… adatta alla guerra, probabilmente si sente inutile in questo momento e vuole fare la differenza. Non preoccuparti e occupati dei tuoi fratelli» lo rassicurai, cercando di imprimere un minimo dei miei poteri nelle mie parole.
Non che volessi ingannarlo, ma solo per dargli un senso di sicurezza che, in quel momento, non aveva. Sembrò funzionare, dato che lui rilassò le braccia e sospirò.
«Forse hai ragione. Spero che torni presto» borbottò, incerto.
Probabilmente aveva capito che, in parte, non erano solo quelle le motivazione per cui la sua ragazza si comportava in quel modo, ma non voleva indagare. Io annuii e uscii dal Plaza, dirigendomi verso il ponte di Brooklyn.
Avevo lasciato la sacca con la testa di Medusa a mia sorella Alyssa, anche perché non avevo voglia di portarmela dietro. Insomma, è piuttosto macabro andare in giro con la testa di un mostro come se fosse un pallone da calcio.
Percorsi la strada silenziosa, mentre, poco lontano, vedevo i figli di Thor, Vidarr ed Efesto creare una barricata di aiuto intorno all’entrata dell’Empire State Building in vista di un più potente e terribile attacco del nemico. Stavano facendo del loro meglio, ma avevamo ogni possibilità a nostro sfavore e, con l’arrivo di Tifone le possibilità calavano.
Perché lo fai, capo? Cosa ci guadagni ad aiutare queste persone? A fare l’eroe?, mi chiesi mestamente, conoscendo già la risposta. Alex non voleva guadagnarci: lui era troppo stupido per pensarci, o forse ci pensava ma si ignorava da solo.
Lui voleva aiutare perché era nella sua natura. Si era preso a cuore il Campo Mezzosangue perché già immaginava una possibilità di aiuto reciproco. Cercava sempre di far andare tutti d’accordo, credeva nella pace e nel darsi una mano l’un l’altro. Aveva riversato tutto quello in cui credeva in quella possibile alleanza.
E potevo capirlo: unire due Campi di semidei avrebbe reso entrambi più sicuri e i mostri sarebbero stati molto meno pericolosi. Solo che c’erano gli Dèi che non si sopportavano. Sospirai e raggiunsi il ponte e notai un negozio di poltrone e articoli per il relax e decisi di attendere lì il mio piccolo informatore.
Mi buttai sul divano più comodo, prendendo una merendina dalla tasca e me la mangiai. Ero così rilassato che quasi non mi accorsi di essermi addormentato. Ma, ovviamente, essendo un semidio, non posso fare a meno di sognare immagini da schifo.
 
Ero nella sala del banchetto degli Dèi, con Odino a capotavola e tutti i suoi fratelli e figli seduti intorno. Una volta c’ero stato, al banchetto divino, dove i nostri genitori discutevano, mangiavano e si divertivano. Mi ricordavo di un’atmosfera di festa e allegria senza fina, con l’idromele che scorreva a fiumi e l’odore della carne allo spiedo che aleggiava nell’aria. Ma quello che vidi non era affatto come lo ricordavo.
Gli Dèi scrutavano con aria sospettosa Thor, riconoscibile dal rosso mantello e dal martello che teneva sollevato, mentre finiva di pronunciare il suo discorso.
«… Ecco perché dobbiamo intervenire! I nostri figli rischiano la vita, noi non possiamo ignorarlo o la nostra forza rimarrà incatenata dietro le nostre alte mura! Al diavolo la rivalità! La vittoria dev’essere nostra comunque!» incitò, con aria orgogliosa e feroce, mentre i suoi occhi azzurri mandavano scintille.
Nonostante il discorso infervorato, ben pochi accolsero la sua richiesta. Molti di loro scossero la testa contrariati e mio padre, seduto in fondo, sorrise perfido.
«Fratello, nostro padre ha dato ordini precisi. Dopotutto, noi non abbiamo dimenticato che, duemila anni fa, subimmo un grave affronto da Zeus e i suoi. Loro non meritano il nostro aiuto. Ed io non ho certo intenzione di immischiarmi» rispose con voce viscida e tranquilla.
«Da quanto non ti immischi in certe situazioni?» chiese Foreseti, guardandolo in malo modo, senza, però, farlo vacillare.
Loki era troppo bravo per farsi fregare al suo stesso gioco.
«Padre Odino! Forse vostro figlio Alex vi ha ignorato, ma vi prego di ripensarci. In effetti, i nostri figli sono in pericolo. Dovremmo aiutarli, almeno. Siamo sicuri che Crono possa meritare fiducia come gli Dèi Olimpici?» tentò Idùnn, alzandosi dal suo posto, tenendo ben stretta la sua cesta di mele dorate.
A sentir pronunciare il nome del figlio del marito Frigga si accigliò, stringendo i pugni. Il marito, rendendosi conto del nervosismo della moglie si affrettò a tranquillizzarla – come se potesse, con tutti i figli mortali che aveva avuto nel tempo.
«Calmati, tesoro, sai bene che, comunque, è stata solo… una svista» borbottò, cercando di apparire convincente.
Del tutto inutile, dato che lei si voltò dall’altra parte, arricciando il naso in un’espressione terribilmente antipatica.
«Madre, stiamo parlando se aiutare i nostri figli o no. Possiamo pensare dopo a come incenerire quel ragazzo» la calmò il suo più bel figlio: Baldr, dio della luce.
Ovvio che il cocco di mamma tentasse di tranquillizzarla. Per un attimo, Odino sembrò cambiare idea, ma poi i suoi occhi incrociarono l’oscurità di quelli di Loki e scosse il capo con movenze quasi meccaniche.
«No, ho preso la mia decisione» sussurrò, abbassando il capo.
Thor strinse i pugni e lanciò un urlo di rabbia, picchiando i pugni sul tavolo, provocando due profondi solchi sull’oro. Subito gli Dèi a lui avversari iniziarono a redarguirlo, mentre mio padre osservava compiaciuto il caos del consiglio divino.
 
«Ehi, sveglia!»
Qualcuno mi buttò malamente giù dal divano, facendomi cadere di faccia. Alzai un attimo lo sguardo e riconobbi una certa cacciatrice bionda, molto carina.
«Ciao, Karen! Come va?» chiesi, esibendomi nel mio più smagliante sorriso che mi venne in quel momento.
Lei sbuffò, ovviamente, ma non mi spaccò il naso.
«Smettila di provarci con me. Sono in missione e devo tornare da Talia per consegnarle un messaggio.»
«Ferma, anche io devo aspettare un mio informatore. Facciamoci compagnia, finché non arriva» provai a suggerire, mentre uscivamo dal negozio, con il sole che, ormai, stava iniziando la sua ascesa. Dovevano essere circa le undici.
«No, grazie, e non voglio sapere chi ti informa» sbottò la ragazza, voltandosi furiosa verso di me.
Anche se avessi prestato attenzione, non mi sarei comunque spaventato. Ma non lo ero, dato che mi accorsi di quello che aspettavo. Una piccola creatura che zampettava sull’asfalto: una tarantola di medie dimensioni.
«Eccoti, Larry» lo salutai, mentre si avvicinava a me.
«Ehilà, capo! Ce l’hai una zanzara? Le zanzare sono buone» disse il ragno, con il suo verso a malapena udibile, ma per me era facile capirlo, dato che il regno era l’animale sacro di mio padre.
«Più tardi, amico, prima dimmi che hai scoperto» proposi, prendendoli in mano.
Karen fece un verso disgustato e mi guardò malissimo.
«Non dirmi che ci stai parlando! E per di più hai chiamato un ragno Larry!»
«Che ha la pazza contro il mio nome, capo? A me piace» sibilò il mio adorato ragnetto, iniziando a percorrermi il braccio per poi infilarsi in una delle tasche della mia giacca.
«Lascia perdere, bello. Torniamo dagli altri, intanto dimmi che hai scoperto» suggerii, per poi rivolgermi a lei. «Non provare più a prendere in giro il mio ragno, è molto permaloso.»
«Sai quanto ne può fregare a me» sbottò la Cacciatrice, tornando al Plaza a grandi falcate.
Sorrisi: non poteva fare a meno di me.
 
♠Percy♠

Avrei voluto rimanere con Annabeth, ma, ovviamente, lei aveva bisogno di riposare, così la lasciai da sola, in modo che potesse dormire in pace e non l’avrei svegliata. Mentre io scendevo, Malcom mi fermò, informandomi che Grover era di sotto e, con lui, anche Talia ed Einar mi stavano aspettando.
Appena sentii quelle parole, mi precipitai nella zona ristoro dell’Hotel Plaza, dove trovai Grover intento a mangiarsi una poltrona, mentre Einar faceva fuori un pacchetto di patatine e, accanto ai due, Talia e una sua Cacciatrice: Karen.
«Amico, abbiamo preso in prestito questo posto» feci notare al mio compagno satiro, mentre lui iniziava a sgranocchiare un bracciolo. «Non possiamo mica mangiarcelo.»
Lui alzò il viso sporco di imbottitura su di me. «Lo so, ma io mangio sempre mobili quando sono nervoso. E poi è un Luigi XVI delizioso.»
«Allora, quali notizie hai?» domandai, sperando in qualcosa di buono.
Speranza vana, ovviamente. Grover iniziò a descrivere gli scenari peggiori: a causa del Drago Nero del Nord, diverse creature volanti erano riuscite a superare le difese indebolite degli Spiriti del Vento. Diversi draghi greci, probabilmente guidati dal loro più potente ed intelligente cugino norreno, erano atterrati un po’ ovunque, bruciando decine di alberi.
Le Driadi avevano fatto di tutto per fermarli e, alla fine, ci erano riuscite, ma a costo di un alto numero di vittime. La maggior parte delle piante dei quartieri alti erano stati bruciati e con loro gli spiriti che li abitavano. Harlem era stata colpita duramente, ma i satiri erano riusciti a reggere il colpo.
Mentre parlava, Talia chiese il permesso di andare a trovare Annabeth e lasciò la sua luogotenente ad ascoltare il resto del resoconto. Quando tornò, Grover arrivò alla parte peggiore.
«Abbiamo perso più di trenta satiri a Fort Washington. Siamo stati attaccati da una razza di giganti terribilmente pericolosa. Sei, più o meno, ed erano feroci e aggressivi. Di solito i giganti iperborei sono lenti e mansueti, questi, invece, hanno attaccato senza sosta e solo con l’aiuto degli spiriti del fiume siamo riusciti a sconfiggerli.»
La stanza fu invasa da un silenzio tombale, mentre Grover gemeva disperato per la perdita dei suoi compagni. Anche noi avevamo perduto Michael. Molti erano feriti e le cose destinavano a peggiorare.
«Non hai colpa, Grover» disse, all’improvviso, Einar con sguardo compassionevole. «Quelli non erano giganti iperborei, ma Jotun, i nostri giganti del ghiaccio, pericolosi e aggressivi. Avreste potuto perdere molti più combattenti, credetemi.»
Talia annuì e si mise l’arco a tracolla.
«Percy, le forze di Crono si stanno radunando all’ingresso di ogni ponte e galleria e lui non è da solo. Karen» – ed indicò la sua luogotenente – «ha individuato un enorme guerriero in armatura greca dorata che irradia potere come solo un dio o un Titano può fare.»
Mi tornò in mente il Titano dorato che avevo visto sul monte otri e rabbrividii. Avrei tanto voluto che le notizie fossero finite, ma, ovviamente, mi sbagliai, perché Einar rese vane le mie speranze.
«Non è tutto. Fonti attendibili mi dicono che al fianco delle truppe del Titano ci sono centinaia di orchi, goblin e troll, mostri norreni in quantità, oltre che nutrite schiere di non-morti provenienti dall’Hellheim. Hell si è unita a Crono e ha mandato le sue armate per aiutarlo. Inoltre, ci sono almeno una cinquantina di Jotun che marciano al fianco delle forze dei Titani. Alla guida c’è Prymr, Re di Jotunheimr. È il signore dei giganti del nord, così scaltro da essere riuscito a rubare il martello di Thor» aggiunse il figlio di Loki, con sguardo dispiaciuto.
«Come fai a saperlo?» chiese Malcom, sorpreso.
Anche io lo ero. Come cavolo faceva a sapere tutte quelle cose sullo schieramento avversario? Lui sorrise sghembo e alzò la mano destra, mostrano un ragno, una tarantola, per la precisione. Il figlio di Atena urlò e saltò all’indietro, mentre io mi accigliai.
«Sai parlare con i ragni?» domandai, sorpreso.
«I ragni sono l’animale sacro di mio padre. Così, come tu parli con i cavalli, io parlo con i ragni» spiegò semplicemente, mentre si metteva il ragno in tasca.
Tornai a concentrarmi sulle cose importanti. Proprio una situazione favorevole. Se tutto era vero, forse non saremmo nemmeno sopravvissuti a domani. L’attacco della notte prima era stato solo una leggera carezza, al confronto di quello che avremmo sopportato dopo.
«Qualche buona notizia?» chiesi, speranzoso.
Talia si strinse nelle spalle. «Be’, per quel che vale abbiamo chiuso tutti i tunnel. I figli di Viddarr ed Efesto hanno collaborato con le mie migliori esperte di trappole e abbiamo riempito quei buchi di bombe e mine. Alcuni li abbiamo fatti crollare, ma ci siamo assicurati che i mortali fossero al sicuro. Inoltre sembra che Luke… volevo dire: Crono abbia bisogno di tempo per rigenerarsi dopo ogni battaglia. Forse, non si trova a sua agio nel suo corpo e ha bisogno delle sue energie per rallentare il tempo intorno alla città.»
Grover annuì. «E poi la maggior parte delle sue creature sono più forti di giorno.»
Magra consolazione, se era vero, c’erano molte creature troppo pericolose, ma cercai di rimanere lucido. Se impazzivo era finita.
«Notizie dagli Dèi?» mi informai.
Talia scosse la testa. «Nessuna. So che la Divina Artemide sarebbe qui, se potesse. E anche Atena, ma Zeus ha voluto tutti al fronte. Tifone è sempre più vicino e, se continua di questo passo, dovrebbe raggiungere gli Appalachi tra poco, forse a mezzogiorno.»
«Quindi, se va bene, ci restano ancora due giorni prima del suo arrivo. Einar, notizie dalle vostre divinità?» chiesi, speranzoso.
Ade, se erano testardi, anche gli Dèi Norreni. I loro figli erano in guerra e loro non muovevano un dito.
«Nulla. So che Thor e altri Dèi sarebbero qui, se potessero, ma anche Odino ha dato ordini precisi: l’Orda del Drago è rinnegata, combatteremo da soli e moriremo da soli, per loro. Ci concederanno solo il Valhalla, nulla di più. Per ora non muovono un dito» rispose mestamente il figlio di Loki, stringendo i pugni.
Sapevo che si sentiva in colpa perché quella era opera di suo padre che, con le sue parole intriganti, teneva gli Dèi Nordici separati.
«Un momento» protestò la figlia di Zeus. «Se Odino ha dato ordine di immischiarsi, perché Hell è qui? Come mai sta disubbidendo agli ordini?»
«Perché Hell è come Ade» intuii, ricordandomi che anche il nostro dio dei morti se ne stava seduto in panciolle, senza far nulla.
«Che vuol dire…?» chiese Talia.
«Vuol dire che Hell non risponde ad Odino. Anche Ade, in questo momento, non sta facendo nulla. Così, Hell può scegliere da che parte schierarsi indipendentemente da quello che il Re degli Dèi ordina o no» spiegò Einar, con un sorrisetto triste.
In quel momento, Charlie Beckendorf si schiarì la voce.
«Dovremmo anche parlare di come Crono sia apparso sul ponte di Williamsburg, come se sapesse che saresti stato lì. Inoltre, ha riposizionato le truppe, dopo l’inizio dell’attacco. Ha spostato le sue forze nei nostri punti deboli e, anche se abbiamo perso solo Michael, hanno spinto sulle nostre forze più vulnerabili.»
«La spia» intuii, stringendo i denti.
«Quale spia?» domandò Talia.
Le raccontammo del ciondolo a forma di falce e della possibilità della spia, motivo per cui avevamo persino rischiato di morire, sulla Principessa Andromeda.
«Male…» commentò. «Molto male.»
«Potrebbe essere chiunque» intervenne il figlio di Efesto. «C’eravamo tutti quando Percy ha dato gli ordini.»
«Ma che possiamo fare?» chiese Grover. «Perquisiamo ogni semidio, fino a che non troviamo quel maledetto ciondolo?»
Tutti mi guardarono, tranne Einar, che si era messo a canticchiare. Si aspettavano una decisione da me. Ero sempre convinto che i figli di Loki sapessero qualcosa, ma non potevo torturarli o estorcere loro informazioni, inoltre non potevamo farci ossessionare da quella spia.
Presi un respiro profondo per calmarmi: tutti contavano su di me e non potevo mostrare quanto fossi nel panico, anche se la situazione era disperata.
«Continueremo a combattere» risposi, fermamente. «Non lasceremo che la paura di questo infiltrato ci attanagli, se ci sospettiamo a vicenda, rischiamo di dividerci e, ora come ora, l’unione è ciò che ci dà forza. Ragazzi, parlo sia a quello greci che ai norreni, oggi siete stati tutti eccezionali, non potrei chiedere dei compagni migliori. Organizzeremo turni di guardia e riposeremo, finché possiamo. Ci aspetta una lunga notte.»
Un mormorio di approvazione accolse le mie parole e tutti i presenti annuirono, per poi andarsene per la propria strada: chi a dormire, chi alla ricerca di medicine, chi a cercare cibo e chi a fare il proprio turno di guardia.
Mentre salivo le scale incrociai Danny e Petra, che salutai. Stavano mangiando delle patatine. Mi invitarono ad unirmi a loro, ma non avevo fame. Ero così stanco che, appena trovai una stanza libera, mi fiondai sul letto e mi addormentai di botto.

 
koala's corner.
Ok, finalmente potete tirare un sospiro di sollievo definitivo. Alex è vivo. A meno che questi due non decidano che la sua ferita faccia infezione e lui muoia in modo atroce, infido e bastardo.
*risata malvagia in sottofondo*
Credevate che Alex fosse morto, eh? Tutti trollati.Ho ripreso il POV Percy, perché l'avevo lasciato troppo indietro. Dopotutto, se i capitoli di adesso sono incentrati sulla Alrid, quelli che verranno sulla Percabeth
Già. E... just... ugh... E' forse anormale fangirlare per una tua stessa coppia, scritta dal tuo compagno, ma, ehi, è così. Io sclero ajsksjska *-*
*coff* Non qui. Non ora. *coff*
Ssssh. Amate Larry.
Grazie mille per undici recensioni dello scorso capitolo! Abbiamo già superato le 100 recensioni, tutto grazie a voi, ed è un bel traguardo :D
Alla prossima

Soon on Venti del Nord: Un'ambasciata molto speciale, che di neutrale e ambasciata ha ben poco.



 
 

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Capitolo 12
*** ASTRID • Le famiglie sono un disastro. E le famiglie divine sono un disastro eterno. ***


Le famiglie sono un disastro. E le famiglie divine sono un disastro eterno.
 
♦Astrid♦
 
Quando mi svegliai, era tardo pomeriggio. Lo capivo dalla luce che filtrava dalla finestra, mentre la città era ancora immersa nel silenzio. Mi misi a sedere sul letto, sentendo tutti i muscoli gridarmi “non alzarti, non ancora, ti prego!” Sfortunatamente, non potevo accontentarli.
Mi accorsi di Alex solo quando mi sfiorò la mano, facendomi sobbalzare. I ricordi di questa mattina tornarono a farsi sentire, inondandomi delle sensazioni che avevo provato baciando il figlio di Odino. Oh miei Dèi. Sì. Era successo davvero. Alex mi aveva baciata.
Mi trattenni dal mettermi a cantare a squarciagola saltando sul letto come un’indemoniata. Non ero una ragazzina assuefatta dal sesso, io.
«Ciao» lo salutai timidamente, sorridendogli.
Aveva le spalle appoggiate al muro e mi guardava. Mi domandai che aspetto avessi, non mi ero nemmeno cambiata dopo la battaglia. Probabilmente dovevo sembrare un procione fuggito da una discarica o qualcosa di simile.
«Ben svegliata» rispose, sorridendomi di rimando. «Lo sai che sei carina, quando dormi?»
«Davvero?» feci. «Sono sicura di non russare. Almeno.»
Mi toccai la faccia, cercando di trovare i segni lasciati dal sonno. Alex annuì. «Abbandoni la tua aria guerriera e lasci intravedere la tua parte più fragile e delicata» aggiunse.
«Dovrò incominciare a bere più caffè» commentai.
«Avanti, non dirmi che non hai mai sognato un principe azzurro che apprezzava anche questo lato di te» replicò.
«Veramente no. Ho sempre preferito i principi mori e con gli occhi grigi.»
Rise, avvicinandosi al mio volto. «Be’, sei stata accontentata.»
Sorrisi sulle sue labbra. «Di solito il principe bacia sempre la principessa. Non vorrai rovinare la favola.»
Prima che potesse baciarmi, la porta si spalancò dietro di noi. Talia emise un verso strozzato. «Ops. Momento sbagliato» esordì. «Molto sbagliato» sottolineò.
Arrossendo fino alla punta dei capelli, mi allontanai da Alex e mi rivolsi verso di lei. «Aehm… tranquilla, n-non era niente di importante» balbettai. Come no.
«Cosa volevi dirci?» intervenne Alex, decisamente più pratico, anche se rosso in viso.
Sulla soglia, comparve anche Percy. Aveva l’aria un po’ stanca, ma ci rivolse comunque un grande sorriso. Fece l’occhiolino ad Alex. «Ti trovo bene, amico» salutò.
Il figlio di Odino alzò il pollice. «Credo che il mio difetto mortale sia far credere a tutti di essere morto.»
Scoppiammo tutti a ridere, spezzando la tensione. Talia tossicchiò.
«Un Titano vuole vederci per negoziare. Ha un messaggio da parte di Crono ed è accompagnato da Loki e una donna che non riconosciamo. Probabilmente è norrena» annunciò.
Feci un segno affermativo col capo. «Ok. Vado con voi.»
Non appena misi giù i piedi dal letto, Alex si intromise. «Vengo anch’io» sentenziò, deciso.
«Cosa?» feci, bloccandomi.
«Voglio venire con voi a incontrare il Titano. Sono anche pronto a combattere» rispose, determinato.
Emisi una risatina isterica. «Divertente. Stai scherzando, vero?»
Il mio “vero” sembrava molto un pugnale, tanto la mia voce era dura e priva d’allegria. Dall’occhiata che mi rivolse Alex, capii che non avrebbe cambiato idea facilmente. Assottigliai lo sguardo fino a ridurre gli occhi a due fessure.
«Non puoi venire con noi» replicai, lapidaria.
«Astrid ha ragione» intervenne Percy. «Sei ancora debole, è meglio se ti riposi, finché puoi.»
«Sono il comandante di quest’impresa, devo guidare la mia Orda» ribatté.
«Lo so, amico, credimi. Ma è meglio se recuperi appieno le tue forze, altrimenti non sarai in grado di combattere come vuoi» osservò il figlio di Poseidone, mantenendo un tono conciliante.
Alex borbottò qualcosa di incomprensibile. «Va bene» brontolò. «Detesto il ruolo del convalescente» aggiunse.
Un magone lasciò il mio stomaco. Raggiunsi Talia ma, prima di lasciare la stanza, mi rivolsi a lui in norvegese, in modo che nessuno mi capisse. «Prova a muoverti da qui e ci penserò io a mandarti all’Hellheim.»
Quando ormai ero fuori dalla camera, mi gridò dietro: «Ti voglio bene anch’io, Astrid!»
«Più testardo di un ariete» borbottai.
Talia mi mise una mano sulla spalla. «Se ti stuferai di stargli dietro, ci sono sempre le Cacciatrici.»
Risi. «Perché i ragazzi devono sempre fare queste scenate da bambini?» chiesi.
«Ehi» protestò Percy, offeso. «Guardate che anch’io sono un ragazzo.»
Io e la figlia di Zeus ci scoccammo un’occhiata complice. «Infatti, Testa d’Alghe» disse lei.
«Grazie per averlo fatto ragionare, Percy» aggiunsi, sincera. Probabilmente, se non ci fosse stato lui, sarei stata costretto a legarlo ad una sedia per farlo rimanere all’Hotel Plaza.
«Di niente.» Percy scrollò le spalle.
Uscimmo dalla porta principale del nostro quartier generale, dove raggiunse subito Grover, unendosi al gruppo che avrebbe accolto il Titano. La bandiera bianca che segnalava il suo arrivo pacifico si vedeva a un chilometro di distanza. La sosteneva un gigante iperboreo alto dieci metri, la pelle blu elettrico e i capelli grigi come il ghiaccio. Davanti a lui, camminavano cinque figure: un mezzosangue in armatura, un demone empusa con vestito nero e capelli infuocati, Loki, un uomo alto in smoking con una donna al fianco. Avvicinandoci, notai che l’empusa non sembrava molto contenta della vicinanza tra questi ultimi.
«L’elegantone è il Titano?» chiese Percy.
«Sì» confermò Grover, nervoso. «Somiglia a un mago, e io odio i maghi. Di solito hanno dei conigli.»
Il figlio di Poseidone lo guardò, stupito. «Hai paura dei coniglietti?»
«Beeee-bee! Son dei gran prepotenti. Sempre a scroccare il sedano ai satiri indifesi!»
Talia tossicchiò. «Dovremmo occuparci della tua conigliofobia più tardi. Sono già qui.»
Aveva ragione. Si fece avanti il Titano vestito elegante. Era alto circa due metri e dieci, portava occhiali tondi e scuri. I capelli erano neri e legati in una coda, ma ciò che attirò più la mia attenzione, furono le cicatrici che gli deturpavano il viso. Era come se fosse stato attaccato da un branco di gatti inferociti, che l’avevano graffiato perché non aveva dato loro abbastanza pesce.
«Percy Jackson» esordì con voce melliflua. «È un grande onore incontrarti.»
«Aloha, Jackson» fece Loki con un sorriso finto, prima di tirare fuori il cellulare come un adolescente in crisi d’astinenza da internet.
L’empusa lo salutò con un sibilo. Poi, si fece avanti la donna. Era alta quasi quanto il Titano, i capelli lucidi e scuri le arrivavano fino alla cintola. Indossava un vestito nero dal sapore vintage, di quelli che mettono solo le persone appena uscite da una capsula di congelamento per preservare il proprio corpo nel tempo. Un capellino con retina le copriva la parte destra del volto, la cui pelle sembrava marcia. Un brivido mi percorse la schiena.
«Ho sentito molto parlare di te, figlio di Poseidone» disse. Aveva una voce bassa, ma non roca; ricordava, piuttosto, lo strisciare dei serpenti tra le foglie secche. «Peccato che non ti sia fermato molto nella mia dimora, il mese scorso. Sono così dispiaciuta. Spero che niente ti abbia indotto a scappare a gambe levate.»
Strinsi le labbra e serrai la mascella. «Hell» ringhiai.
Lei si sistemò il cappellino. «Credo di essermi persa quest’ultima moda di chiamare i genitori per nome, Astrid. Preferirei se mi chiamassi “madre”. »
«Puoi anche scordartelo» replicai.
Sentivo gli occhi di Talia, Percy e Grover puntati su di me, e potevo capirli. La mia adorata mamma divina aveva deciso di farsi vedere giusto prima che morissimo tutti.
 
Vedere mia madre davanti a me, seduta su un ampio tavolo da picnic a New York, era un’immagine surreale. Hell non usciva praticamente mai dall’Hellheim. Però era pronta a farlo anche subito, se significava divertirsi a rovinare l’esistenza di sua figlia e intrattenersi a osservare greci e norreni morire in modi orribili.
«È ora di tornare agli affari. Io sono Prometeo» disse il Titano, tendendo la mano a Percy, che non la strinse.
«Il tizio che ha rubato il fuoco? Quello incatenato alla roccia e torturato dagli avvoltoi?»
Prometeo trasalì e si tastò i graffi sul viso. «Ti prego, non menzionare gli avvoltoi. Comunque sì, ho rubato il fuoco agli Dèi e l’ho donato ai tuoi antenati. In cambio, il sempre compassionevole Zeus mi ha fatto incatenare a una roccia e torturare per l’eternità.»
Mia madre ridacchiò. «Che punizione intrinseca di crudeltà e originalità. Zeus mi è sempre stato simpatico per questo» commentò.
Roteai gli occhi. Poi mi chiedevo perché i semidei mi guardassero male, quando dicevo loro che ero figlia di Hell.
«Ma come hai fatto a liberarti?» domandò Percy.
«Ci ha pensato Ercole, secoli fa. Così, come vedi, ho un debole per gli eroi. Alcuni di voi sanno essere molto civili» spiegò Prometeo.
«A differenza di certa gente che ti piace frequentare» osservò il figlio di Poseidone, scoccando un’occhiata truce al mezzosangue in armatura.
Il Titano non ci fece molto caso. «Dopo queste presentazioni, Percy Jackson, negoziamo.»
Si sporse verso di lui e incrociò le dita; aveva un’espressione saggia e benevola, nonostante le cicatrici. «Percy, la tua posizione è debole. Sai che non potrai fermare un altro assalto.»
«Vedremo» ribatté.
«Oh» esclamò Hell. «Adoro i semidei che combattono sempre fino alla fine. Pensano che non moriranno, invece, un colpo di spada, e la loro testa vola via. Sei fortunato ad aver ricevuto la maledizione di Achille.»
Strinsi le mani in pugni per impedirmi di ribaltare il tavolo. Mia madre non era certo la casalinga dolce e gentile che preparava una crostata per gli amici di sua figlia. Se mai avesse deciso di preparare un dolce, ci avrebbe infilato dentro del cianuro, come minimo. Davvero premurosa a tenere lontano le cattive amicizie.
«Percy, io sono il Titano della preveggenza. So cosa succederà» riprese Prometeo.
«Sei anche il Titano dei consigli subdoli. E sottolineo “subdoli”» intervenne Grover.
«Ehi» intervenne Loki, lo sguardo fisso sullo schermo del cellulare. «Nessuno inganna meglio di me.»
Prometeo si strinse nelle spalle. «Te lo concedo, satiro. Ma nell’ultima guerra ho sostenuto gli Dèi. Ho detto a Crono “non hai abbastanza forza, perderai”, e avevo ragione. Perciò, come vedi, sono bravo a schierarmi con il vincitore. E questa volta appoggio Crono.»
«Perché Zeus ti ha incatenato a una roccia» fece notare Percy.
Prometeo scoccò un’occhiata ad Hell prima che potesse fare un altro dei suoi commenti. «In parte, sì» rispose. «Non nego di cercare vendetta. Ma non è l’unica ragione per cui sostengo Crono. È anche la scelta più saggia. Sono qui perché forse saprai dare ascolto alla ragione.»
Tracciò una mappa sul tavolo con un dito e, dove toccava, comparivano linee dorate. «Questa è Manhattan. Abbiamo delle armate qui, qui, qui e qui. Conosciamo i vostri numeri. Per quanto possiate essere valorosi, vi superiamo di venti a uno» mostrò.
«Vedo che la vostra spia vi ha tenuto aggiornati» commentò Percy, asciutto.
«In ogni caso, Crono attaccherà stanotte e voi sarete sopraffatti. Avete combattuto con coraggio, ma non riuscirete mai a difendere l’intera Manhattan. Sarete costretti a ritirarvi sull’Empire State Building e lì sarete distrutti. Ho visto tutto. Succederà.»
«Quante parole dispensate per far intendere che moriranno, Prometeo» osservò mia madre.
«Potresti smetterla di evidenziare la nostra morte? Non è detto che succederà» sbottai.
«La morte è l’unica certezza nella vita» cantilenò Hell.
«Molto ironico, detto da una dea che è immortale» replicai.
«Stai incominciando a diventare ottimista, Astrid? Forse dovrei ricordarti che Alex Dahl è sopravvissuto solo per soffrire di più.»
Quando pronunciò il suo nome, strinsi i pugni così forte che temetti le unghie potessero penetrare nel palmo. La mano ferita protestò, ma non ci feci caso. «Non osare parlare di lui» sibilai.
Mia madre mi rivolse un sorriso sghembo. Desiderai colpirla in faccia, ma non potevo.
«Io non permetterò che Crono vinca» mi sostenne Percy.
Prometeo sospirò. «Dovreste cercare di comprendere. State combattendo la nuova guerra di Troia dalla parte dei troiani. E sapete com’è finita, vero?»
«E così volete infilare un cavallo di legno nell’ascensore dell’Empire State Building? Buona fortuna» ribatté, facendomi sorridere come un’idiota.
«Sarebbe una foto fantastica per il web» commentò Loki.
«Troia è stata completamente distrutta, Percy» chiarì il Titano. «Puoi far sì che New York possa essere risparmiata, e anche il tuo esercito. Mi occuperò personalmente di garantire la tua incolumità. Lascia che Crono prenda l’Olimpo. Tanto, Tifone distruggerà gli Dèi comunque.»
«Ah-ah. E io dovrei credere che Crono risparmierà la città?» replicò.
«Tutto ciò che vuole è l’Olimpo» giurò Prometeo. «Il potere degli Dèi è legato ai loro troni. Hai visto cos’è successo a Poseidone dopo che il suo palazzo sottomarino è stato attaccato.»
Percy trasalì, mentre Prometeo riprendeva. «Potete solo rallentarci, perché Tifone arriverà entro dopodomani. Allora, né voi né gli Dèi avranno scampo.»
Talia picchiò un pugno sul tavolo. «Io sono al servizio di Artemide. Le Cacciatrici combatteranno fino all’ultimo respiro. Percy, non vorrai dare ascolto sul serio a questo verme schifoso?»
Loki alzò un attimo gli occhi dal telefono, ma quando si rese conto che l’insulto non lo riguardava, ritornò a farsi gli affari soi. Mi aspettavo che Prometeo la fulminasse, invece si limitò a ribattere: «Il tuo coraggio ti fa onore, Talia Grace.»
Talia si irrigidì. «Quello è il cognome di mia madre. Io non lo uso.»
«Come desideri» rispose Prometeo, ostentando indifferenza, ma intuii che l’aveva ferita profondamente. «A ogni modo» proseguì. «Non dobbiamo essere nemici. Sono sempre stato il paladino dell’umanità.»
Mi scappò una risata. «Non dobbiamo essere nemici? E ti porti dietro quella? Complimenti.»
«I tuoi problemi famigliari non sono rilevanti» tagliò corto. Mi venne voglia di mandarlo in posti non molto carini.
«Questo è un gran mucchio di letame di Minotauro» intervenne Talia. «Quando l’umanità ha fatto il suo primo sacrificio agli Dèi, li hai convinti con l’inganno a darti una porzione migliore. Ci hai donato il fuoco per irritarli, non perché ti importasse di noi.»
Prometeo scosse la testa. «Tu non capisci. Io ho contributo a plasmare la vostra natura.»
Un grumo di argilla palpitante gli comparve tra le mani, e lui lo modellò come un pupazzetto, con gambe e braccia, ma senza occhi, così brancolava attorno al tavolo. «Sussurro all’orecchio dell’uomo fin dal principio della vostra esistenza. Rappresento la vostra curiosità, il vostro senso di avventura, la vostra inventiva. Aiutami a salvarvi, Percy. Fallo, e porterò l’umanità a un dono così grande da farvi fare un balzo in avanti inimmaginabile sotto il controllo degli Dèi. Questa potrebbe essere la nuova età dell’oro.»
«Oppure…» disse mia madre, e conficcò le lunghe unghie smaltate nel pupazzetto d’argilla e strappandone fuori il cuore di terra. L’empusa che Prometeo si era portato dietro sorrise, mostrando le zanne.
«Sai bene che non tutti i Titano sono malvagi, Percy. Hai conosciuto Calipso» continuò Prometeo.
«È diverso» balbettò Percy, arrossito all’improvviso.
«Quanto diverso? Anche lei è figlia di Atlante, non ha fatto nulla di male, eppure è stata esiliata a Ogigia. Non siamo nemici, non lasciare che accada il peggio. Ti offriamo la pace» supplicò.
Sbuffai, spostandomi un ciuffo dagli occhi. «Non pensavo che il pacchetto pace comprendesse anche mia madre e morti dolorose.»
«E un figlio di Nemesi» aggiunse Percy. «Immagino che tu detesterai quest’offerta» si rivolse direttamente al semidio.
«Non so cosa alludi» rispose lui.
«Non è vendetta, quella che vuoi?» incalzò.
«Io voglio soltanto rispetto, Jackson» lo fulminò. «Un rispetto che gli Dèi non mi hanno mai dato.»
«Dovremmo rispettare la vendetta?»
«Nemesi significa equilibrio! Quando le persone hanno troppa fortuna, le abbatte.»
Io questa la chiamo dimostrazione dell’essere stronzi, pensai, ma Percy rispose prima di me: «Ed è per questo che ti ha preso un occhio?»
«È un baratto» ringhiò il semidio. «In cambio, mi ha promesso che sarò io l’ago della bilancia del potere.»
«Una mamma fantastica.»
«Almeno è di parola. Paga sempre i suoi debiti, nel bene e nel male.»
«Già. Perciò io ti ho salvato la vita, e tu mi hai ripagato facendo risorgere Crono. Questa si che è giustizia.»
Il mezzosangue afferrò l’elsa della sua spada, ma Prometeo intervenne, dicendo: «Su, su. Siamo in missione diplomatica.»
Il Titano studiò Percy. «Quello che è accaduto a Luke ti turba» stabilì. «Estia non ti ha mostrato tutta la storia. Forse, se tu capissi…»
Tese il braccio verso di lui. Talia gridò di stare attento, ma prima che potesse mettersi in mezzo, Prometeo gli toccò la fronte con l’indice.
 
Pochi istanti dopo, Prometeo tolse il dito dalla fronte di Percy, riportandolo alla realtà. Sapevo per esperienza che aveva potuto vivere una visione molto più lunga, rispetto al tempo trascorso veramente.
«Percy? Che… che è stato?» domandò Talia.
Il figlio di Poseidone si guardò, accorgendosi che era madido di sudore e la mano destra gli tremava un po’. La strinse, obbligandola a stare ferma. Prometeo annuì con partecipazione.
«Spaventoso, vero? Gli Dèi conoscono il fato, tuttavia non fanno nulla, neppure per i loro stessi figli. Quanto ci hanno messo, Percy Jackson, a dirti la tua profezia? Non pensi che tuo padre sappia cosa ti accadrà?»
Il figlio di Poseidone era troppo sbigottito per rispondere.
«Peeercy, ti sta manipolando. Sta cercando di manipolarti» lo mise in guardia Grover.
«Già» confermò Loki. «È bravino… diciamo da C+.»
Il Titano continuò. «Puoi davvero biasimare Luke?» chiese al figlio del dio del mare. «E che mi dici di te? Ti lascerai controllare dal fato? Crono ti offre un patto migliore.»
Percy rialzò lo sguardo, fissandolo in quello di Prometeo, mostrando un’aria decisa e determinata. «Ti propongo io un patto. Di’ a Crono di fermare l’attacco, di lasciare il corpo di Luke Castellan e di tornarsene negli abissi del Tartaro. Così forse non sarò costretto a distruggerlo.»
«Come vuoi. Nel caso cambiassi idea» disse il Titano, «ho un dono per te.»
Un vaso in stile greco comparve sul tavolo. Era alto poco meno di un metro e largo trenta centimetri, decorato con motivi geometrici bianchi e neri. Il coperchio di ceramica era sigillato con un laccio di cuoio. Mia madre sogghignò quando lo vide, come se assaporasse le sventure che il vaso avrebbe portato. Talia rimase a bocca aperta, mentre Grover mugolò.
«Non sarà…» iniziò la figlia di Zeus.
«Sì» confermò Prometeo. «Ecco il vaso di Pandora, mia cognata.»
Mi salì un groppo in gola. Il mito di Pandora era uno dei più famosi, e ora comprendevo perché Hell ne fosse tanto attratta. Anche ci Loki si interessò.
«È proprio quel vaso?» chiese Percy.
Prometeo annuì. «Per la precisione, si tratta di un pithos, un capiente vaso da dispensa. Ma, comunque, si tratta del vaso della leggenda. Pandora lo aprì, liberando la maggior parte dei demoni che ora perseguitano l’umanità.»
«La paura, la fame, la malattia, la morte» elencò mia madre, assaporando quelle parole come se fossero una bevanda rigenerante.
«Non dimenticare me» intervenne l’empusa, orgogliosa.
«Giusto. Anche la prima empusa era intrappolata qui, e fu liberata da Pandora» concesse Prometeo. Diede un colpetto sul coperchio del pithos. «Solo uno spirito rimase nel vaso, dopo che Pandora lo aprì.»
«La speranza» disse Percy.
«Esatto. Elpis, lo spirito della speranza, non volle abbandonare l’umanità. La speranza non se ne va, se non le viene dato il permesso di farlo. Può essere liberata solo da un figlio dell’uomo.»
Lo allungò sul tavolo, verso di noi. «Lo dono a te, Percy Jackson, per ricordati come sono fatti gli Dèi» concluse. «Tieni pure Elpis, se lo desideri. Ma se deicidi di averne abbastanza di distruzioni e inutili sofferenze…»
Mia madre sbuffò. «Sofferenze inutili» ripeté. «Di grazia, da quando le sofferenze sono inutili?»
«Dicevo» riprese Prometeo, schiarendosi la voce. «Se ne hai abbastanza, apri il vaso e libera Elpis. Abbandona la speranza, e io saprò che ti sei arreso. Ti prometto che Crono sarà indulgente. Risparmierà i superstiti.»
Percy fissò il pithos, come tutti noi. I semidei non erano bravi a lasciare in pace le cose, erano iperattivi, e le tentazioni non sono mai state il nostro forte.
«Non lo voglio» ringhiò il figlio di Poseidone.
«Troppo tardi» replicò Loki. «Il dono è stato consegnato, non lo puoi restituire. E poi…» Disegnò un cerchio sul coperchio del vaso con le lunghe dita. «Non sarebbe intrigante aprire questo pithos? Anche solo per provare, per curiosità. Puoi farlo persino adesso. Nessuno ti biasimerebbe.»
La sua voce era melliflua, aveva assunto un tono decisamente convincente. Troppo convincente. Diedi un pizzicotto sulla spalla a Percy, che si riscosse.
«Sta usando la lingua ingannatrice su di te» lo misi in guardia.
Il figlio di Poseidone sbatté due volte le palpebre. «No, grazie dell’offerta» rifiutò.
Loki scrollò le spalle, poi si alzò dal tavolo da pic-nic, imitato subito dal resto del gruppo.
«Ci rivedremo presto, Percy Jackson» assicurò Prometeo. «In un modo o nell’altro.»
«A presto, figlia mia» cinguettò Hell, rivolgendomi un sorriso tutt’altro che rassicurante.
Il gruppo dei negoziatori si allontanò con calma lungo il vialetto di Central Park, come se fosse una domenica pomeriggio di sole come tante altre. Sì, come no.
Le famiglie sono un disastro. E le famiglie divine sono un disastro eterno.

 
koala's corner.
Buonasera lettori! Un altro venerdì, un altro capitolo. Praticamente ormai è meglio direi che i giorni di aggiornamento di Water_wolf sono giovedì/venerdì.
Aaaah, già. Perdonatemi *si inginocchia* Se pensavate che Astrid e Alex non venissero più interrotti, be', non disperate! C'è sempre qualcuno pronto per loro.
In questo caso Talia che, tra l'altro è una Cacciatrice.
Molti avevano chiesto di un dialogo madre-figlia tra Hell-Astrid, e ora l'avete vista. Hell non è proprio gentile, anzi. Non esce praticamente mai dall'Hellheim, quindi parla in modo besueto come Zoe Nightshade.
Loki è uno stronzetto, ma come direbbe la mia compare: amatelo comunqueeee!
Hahahah sì, esatto ^y^
Grazie mille per seguirci sempre! Alla prossima :D

Soon on Venti del Nord: POV Percy La battaglia ricomincia, questa volta male.

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Capitolo 13
*** PERCY • Ricominciamo a combattere (e questa volta va male) ***


Ricominciamo a combattere (e questa volta va male)

♠Percy♠

Dopo l’incontro con Prometeo e Loki mi ero gettato sul letto ma, dopo gli incubi che passai, fui quasi felice di svegliarmi sbattendo la testa contro uno scudo.
«Scusami» disse una voce, che subito riconobbi come quella di Annabeth. «Stavo proprio venendo a svegliarti.»
Sentirla vicina mi fece subito stare meglio, soprattutto dopo le terribili visioni dell’ultimo sogno: Crono che iniziava a sospettare del mio Tallone d’Achille e la visione di May Castellan, povera donna, costretta a vedere sprazzi del futuro più doloroso del figlio dalla maledizione che Ade aveva lanciato sull’Oracolo.
«Percy? Tutto a posto?» mi chiese Annabeth, con lo sguardo preoccupato, vedendo la mia espressione.
«Niente» mentii. «Cosa… cosa ci fai in armatura?»
«Oh, sto bene. Alex è messo peggio e il nettare e l’ambrosia mi hanno rimesso in sesto» spiegò, nonostante fosse ancora pallida per il veleno.
«Non puoi! È troppo pericoloso perché tu venga con noi fuori a combattere» sbottai, prendendola delicatamente per le spalle.
Ero preoccupato per lei, non volevo che le succedesse qualcosa.
«Percy! Hai bisogno di ogni guerriero disponibile e già Alex non può combattere, non possiamo perdere anche me. Devo aiutarti» replicò decisa.
Sbuffai: era troppo testarda per poterla convincere. Inoltre le sue condizioni non erano gravi come quelle di Alex e non avevo scuse per trattenerla.
«D’accordo…» borbottai contrariato. «Novità?»
«Ho appena visto lo scudo» disse lei. «Sono diretti a…»
«Central Park» completai, ricordando il sogno in cui Crono discuteva di strategia.
Le spiegai dei miei sogni e di quello che avevo visto, anche della parte in cui Ethan sembrava avere dei sospetti sul mio Tallone d’Achille, ma omisi le visioni di May Castellan e della possibilità che Luke fosse ancora vivo e che si stesse opponendo a Crono. Non volevo darle false speranze.
«Pensi che sospetti il tuo punto debole?» chiese, Annabeth, ansiosa.
«Non lo so. Ma se dovesse arrivarci, gli darò una botta in testa più forte» borbottai, per poi cambiare discorso. «Idee sulla “sorpresa”, di cui ha parlato Crono?»
Lei scosse la testa. «Non ho visto nulla, nello scudo. E non mi piacciono le sorprese.»
«Idem.»
«Allora…» continuò Annabeth. «Intendi litigare per non farmi venire con te?»
«No, tanto l’avresti vinta tu.»
Lei rise, e mi fece bene al cuore. In quella situazione, sembrava un angelo e se Crono avesse deciso di bloccare il tempo con noi dentro non mi sarebbe dispiaciuto. Peccato che non potevamo stare lì per sempre, così presi la spada e la seguii in corridoio.
«Promettimi solo una cosa» dissi, bloccandola, mentre scendevamo.
Annabeth si voltò e mi guardò perplessa.
«Promettimi che starai attenta.»
Non mi sarei perdonato se le fosse successo qualcosa. Lei mi sorprese, abbracciandomi.
Stai tranquillo, Testa d’Alghe. Starò attenta.»
Dopodiché si staccò da me, scese e se ne andò, lasciandomi per un attimo inebetito. Talia, i capigruppo, Lars, Astrid, Nora ed Alex, ancora convalescente, ci stavano attendendo davanti al Reservoir. Le luci della città scintillavano del crepuscolo e intuii che dovevano essere a timer automatici, visto che i lampioni baluginavano intorno agli argini del lago.
«Stanno arrivando» confermò Talia, dopo aver parlato con una sua Cacciatrice. «Mi riferiscono che hanno appena attraversato l’Harlem River. Non c’era modo di fermarli. Sono troppi.»
«Li bloccheremo nel parco» replicai sicuro, mentre osservavo Annabeth ed Alex, che mi avevano riferito di avere un piano.
«Grover, sei pronto?»
Lui annuì con decisione.
«Prontissimo! Se gli Spiriti della Natura possono fermarli, sarà qui.»
«Sì! Li fermeremo!» affermò un’altra voce.
Era Leneo, uno dei Satiri del Consiglio. Era grasso e goffo ed inciampava sulla sua stessa lancia, ma gli Spiriti della Natura ubbidivano a lui ed averlo dalla propria parte era una carta in più, dato che, finalmente, si era schierato con noi.
«Ottimo. Annabeth, Alex, allora, qual è il piano?» chiesi, mentre osservavo una mappa di Central Park, presa da una delle tante edicole circostanti.
Alex si fece avanti barcollando, anche se il suo unico occhio grigio mandò bagliori, come se si stesse scatenando una tempesta.
«Le forze di Crono arriveranno sul lago. È il posto migliore per attaccarli. Per procedere dovranno dividersi in due colonne strettissime ed avanzare ai lati, separandosi. A quel che mi hanno detto, gli Jotun passeranno sul lato destro, mentre gli altri mostri sul sinistro. I figli di Atena e i figli di Thor, i più abili nella lotta contro i giganti, occuperanno il lato destro del lago, immobilizzandoli e distruggendoli. Talia e le sue Cacciatrici potrebbero posizionarsi sull’altro, dove, dalla zona elevata, potranno tirare meglio e gli alberi daranno copertura. Con loro ci saranno Kinnon e i suoi fratelli di Heimdallr, che difenderanno le Cacciatrici dai dardi e abbatteranno qualsiasi nemico si avvicini. Petra e Danny saranno sul lago e faranno da rinforzo a chiunque ne abbia bisogno.»
Il piano sembrava perfetto, ma c’era sempre il piccolo problema che eravamo pochi. Sperai che bastasse, però, perché non avevamo altro e sapevo che Annabeth aveva approvato quel piano, così come Talia e tutti gli altri.
«D’accordo. E se arrivasse anche quel Drago?» domandai, ricordandomi della facilità con cui aveva abbattuto le nostre difese.
«A quello ci penseremo io, Lars e Sarah. Voleremo sulle nostre viverne e lo faremo scendere dalle nuvole» rispose sicura Nora, dandomi una pacca rassicurante sulla spalla – che he mi slogò il braccio.
«Va bene. Tutti voi altri? Vi siete scelti un ponte?»
Tutti annuirono, anche se la tensione era palpabile. Questa volta saremmo stati soverchiati, lo sapevamo bene, ma non potevamo arrenderci. Io non potevo arrendermi. Appena si furono schierati, notai, profondamente contrariato, che anche Alex era sceso in campo, nonostante gli avessi detto di rimanere al Plaza, dove sarebbe stato più al sicuro.
«Ehi!» lo chiamai, mentre mi avvicinavo. «Che ci fai qui?»
Lui intuì quello che stavo per dire e mi fermò subito. «Lo so cosa vuoi dirmi. Ne ho già parlato con Astrid. Non posso permettermi di rimanere steso a letto, ma nemmeno di rischiare troppo, perciò abbiamo fatto un accordo.»
«Spero che sia un buon accordo. Non intendo vederti morire mentre combatto» replicai con un sospiro.
Dèi se era testardo! Non capiva che cercavo di tenerlo in vita?
«Dato che non potrò scendere in campo di persona, posso, però, usare le mie rune. Mi terrò a distanza di sicurezza e con la magia indebolirò i mostri. Starò dietro le vostre linee e non mi avvicinerò al pericolo attivo» spiegò, scrutandomi con il suo unico occhio rimasto.
Cavolo se faceva impressione.
«Astrid? Che ne pensa, lei?» chiesi, curioso, visto che lei, prima di chiunque, si era preoccupata di tenerlo al sicuro.
«Ne ho già parlato con lei ed è d’accordo… Anche se è stata dura convincerla» borbottò, massaggiandosi la benda chirurgica.
Avevo la malsana curiosità di alzargliela e di guardare ciò che era rimasto del suo occhio, ma mi trattenni, dato che, probabilmente avrei vomitato tutti i pasti dei tre giorni precedenti.
«Ok, ma sappi che se ti dovesse succedere qualcosa, be’, ti legherò ad una sedia e ti rispedirò in Norvegia a calci insieme ad Astrid!» minacciai.
Lui sorrise e mi dette una pacca sulla spalla.
«Guardati le spalle anche tu, amico.»
Detto questo si posizionò alle nostre spalle, sorridendo prima a me e facendo l’occhiolino ad Astrid. Sospirai. Quello era peggio di me.
 
Li sentimmo ancora prima che arrivassero. Il frastuono da loro provocato era tale che, ancora una volta, mi sorpresi della potenza del sonno di Morfeo. All’estremità settentrionale del lago, l’avanguardia nemica irruppe fuori dal bosco, proprio come previsto.
Alla sua guida vi erano il Titano Dorato, forte, nella sua armatura, alla testa di un battaglione di giganti Lestrigoni, ed una figura poco più bassa di lui che gli camminava a fianco. Era un uomo alto e massiccio, ma l’elmo mi impediva di vederlo in faccia. Indossava una pesantissima armatura di Acciaio Asgardiano e teneva in mano uno spadone.
Alle loro spalle, fecero la loro comparsa centinaia di mostri di tutti i tipi e di tutte le provenienze. Gli Jotun si differenziavano dai Giganti Iperborei per la loro velocità. Al contrario dei loro cugini asgardiani, i secondi erano lenti e goffi, mentre gli altri erano feroci, svelti e molto precisi.
Alla loro testa c’era il tizio barbuto più grosso che avessi mai visto. Aveva la testa sproporzionatamente grande rispetto al corpo, sulla quale torreggiava una corona fatta d’oro e ossa umane. Aveva indosso un armatura di cuoio, ricucita con diverse placche in acciaio Asgardiano, ed in mano teneva una grossa spada di ghiaccio. Era il gigante più alto e possente e, appena avvistò i figli di Thor, emise un urlo di guerra che si sentì in tutta Manhattan.
Ancora più indietro, c’erano altre due figure, una delle quali incappucciata, ma l’altra la riconoscevo: Hell. Si era tolta il completo vintage e adesso indossava un’armatura di cuoio nero piuttosto aderente. Sarebbe stata anche bella, se non fosse stato che tutta la parte destra del suo corpo era in via di decomposizione.
Sulla testa vi era una strana corona che continuava a deformarsi, assumendo le sembianze più mostruose e nei suoi occhi ardeva un fuoco nero in cui vedevo scene di morte violenta, distruzione e le punizioni eterne dei dannati nella mitologia nordica. Distolsi lo sguardo prima di impazzire del tutto.
«In posizione!» gridò Annabeth, mentre guidava i suoi fratelli e quelli Asgardiani insieme a Sain.
Il piano era semplice: avevamo scelto apposta quel terreno perché era favorevole e, all’iniziò, sembrò procedere secondo i piani. Il nemico si divise e procedette lungo gli argini in strette colonne. Quando furono a metà strada, le nostre difese li presero d’assalto.
La pista da jogging esplose, imprigionando i mostri nel fuoco greco, incenerendone diversi, mentre altri rimasero a girarsi goffamente su se stessi nel tentativo di sfuggire alle fiamme. I ragazzi di Atena, a quel punto, mentre i giganti erano distratti, lanciarono degli uncini da arrembaggio contro di loro, trascinandoli a terra, mentre i figli di Thor li finivano.
Dall’altro lato, le Cacciatrici scagliarono una pioggia di frecce d’argento sullo schieramento di mostri, abbattendo una trentina di dracene che, però, furono subito rimpiazzate da altri mostri. Alcuni segugi infernali si staccarono dallo schieramento cercando di raggiungerle, ma i figli di Heimdallr, guidati da Kinnon e Astrid, serrarono gli scudi e li bloccarono.
Un fulmine piovve dal cielo esplodendo in mezzo allo schieramento, distruggendo diversi nemici ed intuii che Talia stava usando i suoi poteri sa figlia di Zeus. Al fianco di Annabeth, Sain ed i suoi fratelli iniziarono a scagliare saette contro i giganti e alcuni crollarono a terra, ridotti in grossi cumuli di neve.
Grover si portò il flauto alla bocca e suonò un rapido motivetto. Un boato irruppe dal bosco e, da ogni albero, roccia e cespuglio uscì uno spirito. Satiri e Driadi levarono le armi e si lanciarono contro i mostri, mentre gli alberi prendevano vita, strangolando i nemici in avvicinamento.
Alex, dietro di noi iniziò a pronunciare una lenta litania, e riconobbi il linguaggio runico che solo i figli di Odino possono conoscere. Il suo potere sembrò pervadere ogni cosa intorno a lui, tanto da rinvigorirci, calmando i nostri sentimenti di paura, facendo riaffiori rare il coraggio e la determinazione di difendere le nostre case. Nello stesso istante, le linee nemiche parvero cadere in una sorta di confusione e le loro armi arrugginirono di colpo.
Alcune si disintegrarono in mano ai mostri, mentre altre divennero di gomma. Alcune frecce nemiche si incenerirono in aria ed altre ribalzarono sui tronchi e sui corpi delle Cacciatrici stupite. Mi unii ad Annabeth e insieme abbattemmo un gigante del ghiaccio che stava per schiacciare un suo fratello, mentre, poco più in là, Sain sparava un fulmine dalla sua ascia bipenne centrando in piena faccia uno Jotun.
A poco a poco il nemico sembrò indietreggiare, ma proprio in quel momento, le cose presero la piega sbagliata. Il guerriero in armatura che si trovava accanto al Titano piantò lo spadone nel terreno e alzò le mani iniziando a recitare una cantilena molto simile a quella di Alex, ma dal tono molto più basso e aggressivo. Le armi danneggiate dei nemici tornarono ad essere perfette ed alcuni si ricomposero. Alcuni mostri, anche se colpiti a morte, rimanevano in piedi e alcuni alberi iniziarono a bruciare, distruggendo le Driadi a loro legati.
Danny e Petra uscirono dal lago e iniziarono a spegnere le fiamme, ma, per qualche ragione, quelle non sembravano molto collaborative. Il figlio di Odino si accigliò sorpreso e continuò con la sua litania, mentre strani segni luminosi sospesi in aria, ballavano intorno al suo corpo, teso nello sforzo di mantenere il suo incantesimo, ma sembrava molto più debole del suo improvviso avversario.
Né io né Alex riuscivamo a crederci: solo un suo fratello poteva usare quel tipo di magia e sembrava proprio che uno fosse schierato con Crono, ma chi? Al Campo Nord avevo incontrato solo Alex e Nora, ed entrambi erano con noi. Inoltre non avevo visto nessuno di così massiccio, al loro Campo.
 
I miei pensieri furono interrotti da Annabeth, che stava indicando qualcosa sul lago. Il Titano dorato, che prima si trovava accanto al guerriero norreno in armatura, si era spazientito e, invece di attendere l’avanzata delle sue truppe, si era lanciato lui direttamente in avanti, camminando sull’acqua.
«Iperione!» disse Annabeth, sgomenta. «Il Signore della Luce, Titano d’Oriente.»
«Brutta notizia, immagino» borbottai.
«Già. Dopo Atlante, era il più potente guerriero dei Titani. Quando ancora dominavano, c’erano quattro Titani che dominavano sui quattro angoli del mondo. Iperione era l’Est ed era anche il padre di Elio, il primo Dio del Sole.»
Non fa una piega, pensai, facendomi roteare in mano Vortice.
«Lo terrò occupato.»
«Percy, nemmeno tu puoi…»
«Tu pensa a tenere unite le nostre forze» la interruppi.
Senza aspettare la sua replica, mi misi a correre verso di lui camminando, anche io, direttamente sull’acqua. Già, non era l’unico a conoscere questo trucchetto. Quando mi ritrovai a sei metri di distanza, il Titano sollevò la spada e mi squadrò con i suoi occhi dorati. Erano proprio come nel sonno, splendenti come quelli di Crono, ma più luminosi e vivi, seppur sempre crudeli e malvagi.
«Il marmocchio di Poseidone!» mi schernì divertito. «Sei tu che hai riportato Atlante sotto il peso del cielo?»
«Non è stato difficile» replicai. «Voi Titani non brillate certo per intelligenza, visti gli alleati che vi scegliete.»
Iperione ringhiò: «Brillare, dici?»
Il suo corpo esplose in un cono di luce e calore, costringendomi a distogliere lo sguardo. Nonostante questo, mi accecò lo stesso per qualche istante. Istintivamente alzai la spada e per questo non venni centrato da quella del Titano, che aveva vibrato astutamente contro di me, mentre ero distratto. L’impatto delle nostre lame provocò un onda d’urto con un cono d’acqua alto tre metri.
Mi concentrai mentre trattenevo la sua spada, ordinando all’onda di marea che avevamo provocato di cambiare direzione. Un attimo prima dell’impatto, io saltai verso l’alto, sfruttando la spinta di uno spruzzo, sottraendomi all’acqua che, invece, colpì il Titano dritto in faccia.
«Aaaaaaaaah!»
Sommerso dalle onde, la luce si spense ed io atterrai sulla superficie dell’acqua incolume. Il Titano si alzò con gli occhi spenti e lo sguardo assassino. La sua armatura era grondante d’acqua.
«Brucerai, Jackson!» ruggì, slanciandosi contro di me.
Riprendemmo il duello e l’aria si riempì dell’odore dell’azoto. Intorno a noi la battaglia infuriava. Sulla destra, Annabeth stava guidando la carica dei suoi fratelli e i figli di Thor contro i giganti. Sul fianco sinistro, Grover e i suoi Spiriti della Natura si stavano radunando di nuovo, intrappolando i nemici in un groviglio di arbusti, erbacce e cespugli velenosi.
«Basta giochetti!» ringhiò Iperione, ad un certo punto. «Combattiamo sulla terra ferma.»
Stavo per rispondere con un intelligentissimo commento tipo “No!”, quando il Titano urlò. Un muro di forza mi scaraventò in aria: era lo stesso trucco che aveva usato Crono contro di me, sul ponte. Volai all’indietro per due o trecento metri e mi schiantai a terra. Se non fossi stato invulnerabile, mi sarei rotto ogni singolo osso del corpo.
«Quanto odio questa cosa di voi Titani» borbottai, mentre mi alzavo, gemendo per il dolore.
Mi aspettavo di vedere il mio avversario caricarmi, ma, invece, Iperione aveva iniziato a combattere contro altri due avversari. Mi senti un brivido corrermi lungo la schiena.
«Petra, Danny!» urlai, riconoscendo i due figli di Njordr, che attaccavano con le loro fiocine il Titano. «Non potete sconfiggerlo!»
I due, però, erano troppo concentrati sul loro avversario per sentirmi. Lui sembrava più divertito che infastidito, e continuava a parare i colpi dei due con una facilità assurda. Petra continuava a surfargli intorno, cercando di colpirlo alle caviglie, mentre il fratello puntava alla testa, tentando di accecarlo. Iperione, però, non sembrava interessato a quegli attacchi, anzi, se la rideva alla grande.
Intorno a noi la battaglia imperversava: Alex continuava il suo duello magico contro il suo presunto fratello malvagio, mentre dai ruggiti e dagli schianti che venivano dal cielo, intuii che il Drago che aveva attaccato la notte prima era tornato.
Mi lanciai di nuovo all’attacco, affiancando i figli di Njordr, ma subito mi resi conto che il Titano ci era superiore, nonostante fossimo in tre e nel nostro elemento naturale. Lui era velocissimo e forte e attaccava con prepotenza. Continuammo per alcuni minuti, sentendomi sempre più debole.
Poi un urlo. Accanto a me, Petra si tenne il fianco ferito, mentre l’acqua ai nostri piedi si tingeva di rosso.
Iperione rise di gusto, mentre alzava la spada insanguinata contro la ragazza, che cercò di ritirarsi. Io e Danny provammo a distrarlo, ma il Titano non era così stupido: nel vedere la possibilità di diminuire il numero dei suoi aggressori, si concentrò su di lei. Petra parò debolmente due fendenti e tentò ad allontanarsi. Mi accorsi subito, però, che ormai non sarebbe riuscita a scappare.
Il Titano affondò e lei non aveva più la forza di difendersi. Provai frappormi tra i due, ma, prima che potessi muovere un muscolo, Danny mi anticipò.
La lama trafisse il suo corpo, mentre lui difendeva con se stesso la sorella ferita. I suoi occhi, così simili ai miei, si sgranarono per il dolore e io rimasi paralizzato sul posto, con la fredda risata di Iperione che mi riempiva le orecchie, mentre ritraeva la spada dal corpo del ragazzo.
Danny indietreggiò, mentre l’acqua iniziava a farlo affondare, mano a mano che le sue forze si indebolivano. Per un attimo tutto sembrò sospeso, quasi nemmeno il tempo volesse credere a quello che era successo.
Io ero inorridito. Forse non erano figli di Poseidone, ma quando ero al Campo Nord e poi, con il loro arrivo al Campo Mezzosangue, Danny si era rivelato un ragazzo simpatico ed energico, e la somiglianza dei nostri poteri e del nostro carattere mi aveva persino fatto pensare a lui quasi come un fratello.
Il mio cuore si fece pesante, mentre lo vedevo tenersi la ferita mortale. Poi ci fu uno scossone. Con le sue ultime forze il figlio di Njordr evocò il potere del lago, tanto che mi sorpresi dell’energia che riuscì a sprigionare lontano dai domini di suo padre. Il lago eruttò, come se fosse esplosa una bomba e l’acqua travolse Iperione, spingendolo fino in fondo al lago.
«Danny!» urlai, afferrandolo per le spalle e riportandolo a terra, insieme alla sorella ferita.
Sentivo la sua energia vitale scivolare via, come la sabbia in una clessidra. L’acqua del Nord avrebbe potuto sanarlo, ma nel territorio di mio padre, una ferita del genere era fatale anche per lui.
«Danny… No… Non mollare… Possiamo curarti!» gridò sua sorella, con la voce spezzata dal dolore.
Il suo fianco sanguinava ancora, ma sembrava disinteressata alle sue condizioni, mentre osservava suo fratello morente.
«Petra… Non credo di poter fare nulla» sussurrai, mentre gli occhi del ragazzo si facevano sempre più vuoti, mano a mano che si avvicinava la sua ora.
Lei lanciò un lamento strozzato e si accasciò sul fratello, piangendo disperata, mentre io osservavo furioso il centro del lago dove sapevo che Iperione lottava contro la forza dell’acqua che Danny aveva scatenato.
«Percy…» mi sentii chiamare.
Gli occhi di Danny erano puntati su di me, mentre con le sue ultime forze mi parlava.
«Puoi farcela, Percy… Non ho rimpianti. È stato un onore conoscerti e combattere con te… vinci questa guerra…» mi incoraggiò, con la bocca invasa dal sangue cremisi, per poi rivolgersi alla sorella, che aveva alzato lo sguardo colmo di lacrime su di lui. «Addio, Petra… Ti voglio bene.»
I suoi occhi divennero vitrei e capii che lui se n’era andato. Strinsi i pugni, infuriato, mentre il Titano riemergeva, ruggendo. Urlai tutta la mia rabbia e mi scagliai su di lui, evocando il potere dell’acqua. Concentrai tutta la mia frustrazione, per la perdita di Danny su Iperione ed iniziai a menare diretti e fendenti, più veloce di quanto io stesso pensavo possibile. Lui sembrava non riuscire a mandare a segno nemmeno un colpo, e poco a poco, lo respinsi.
«Percy! Ma come fai?» mi chiese Grover, appena passammo lì accanto, nel corso del duello.
Io ero troppo concentrato per rispondere, ma appena abbassai un attimo lo sguardo, intuii cosa voleva dire: ero circondato da un mio piccolo uragano personale. Il vento continuava a sbilanciare Iperione, spingendolo a seconda di come lo volevo io e l’acqua continuava a finirgli negli occhi, impedendogli di accenderli come prima, per accecarmi. Lui tentava di rispondere, ma ora ero spinto da tutta la mia rabbia e riuscivo a tenergli testa, anche se non sapevo per quanto avrei potuto reggere quel ritmo.
«Percy, qui!» esclamò, ad un certo punto, Grover, affiancato da Leneo, che indicava un ampio spazio vicino al lago.
Capii che non potevo reggere ancora a lungo, così, con le me ultime forze, sollevai il Titano con il mio vortice e lo feci volare verso lo spiazzo dove erano radunati i satiri.
«Nessuno può trattarmi come una specie di burattino!» tuonò Iperione.
Riuscì a rimanere in piedi, ma subito, Grover si portò il flauto di canne alle labbra e cominciò a suonare. Leneo si unì alla musica e ogni satiro intorno alla radura fece altrettanto. Era una melodia irreale, come un ruscello che fluisce sul terreno sassoso. Il terreno eruttò ai piedi del Titano e delle robuste radici ritorte gli avvolsero le gambe, immobilizzandolo.
«Basta!» gridò, ma sembrava più preoccupato che minaccioso. «La tua magia dei boschi non è all’altezza di un Titano!»
Più si divincolava, più le radici lo avvolgevano e crescevano rapidamente. Si attorcigliarono intorno al suo corpo, crescendo ed indurendosi, sviluppando la corteccia. L’armatura dorata del titano sembrò quasi sciolta, fusa con quella della foresta, diventando parte di un grosso tronco.
La musica continuò e le forze del Titano si ritiravano sbigottite, man mano che il loro capo veniva avvinto da quella prigione di legno e foglie. Solo gli Jotun continuavano a combattere contro i figli di Atena e Thor, ed Alex, che continuava il duello magico contro il suo avversario.
Il Titano stese le braccia e queste divennero possenti rami, da cui spuntarono ramoscelli più piccoli che misero subito le foglie. L’albero divenne sempre più grosso finché un volto non comparve in mezzo al tronco.
«Non potete imprigionarmi!» tuonò il Titano. «Io sono Iperione, io son-»
Poi la corteccia si chiuse sul suo volto. Grover si tolse il flauto dalla bocca, ansimando per lo sforzo.
«Sei proprio un bell’acero.»
Diversi satiri svennero per lo sforzo, ma avevano fatto un ottimo lavoro: il potente Titano era incastonato in un acero enorme. Il tronco misurava almeno sei metri di diametro ed era molto alto, quasi fosse lì dalla nascita del parco.
L’esercito di Crono iniziò a ritirarsi e dalle nostre fila si levò un grido di vittoria, mentre anche l’avversario di Alex abbandonava il conflitto. Mentre se ne andavano, mi avvicinai a Petra che si era medicata il fianco e rimaneva muta, a fianco al corpo del fratello.
Il figlio di Odino, lì vicino, pronunciava con voce rotta una specie di preghiera. Quando vidi una lacrima scivolare lungo la guancia destra, capii che stava piangendo, anche se cercava di non darlo a vedere, e non potevo dargli torto. Mentre osservai il mio amico chiudere gli occhi del figlio di Njordr sentii in gruppo formarsi nella mia gola. Sapevo che sarebbe stato difficile, ma non mi sarei mai abituato a veder morire gli amici in quell’inutile guerra.
«È morto da eroe» sussurrò Alex, con voce distante, quasi gli fosse difficile parlare. «La sua anima sarà accolta nel Valhalla.»
Sperai che il loro paradiso fosse un bel posto. Danny se lo peritava: era venuto in nostro aiuto e si era sacrificato per salvare la sorella. Questo doveva pur valere qualcosa per i loro Dèi.
«Dobbiamo… dobbiamo tornare» intervenni con voce spezzata, mentre osservavo le nostre forze riposizionarsi. «Presto Crono…»
Non riuscii a finire la frase perché, in quel momento, un urlo, che mi ricordava il gesso grattato sulla lavagna, spazzò tutto il parco. Osservai Hell che alzava le mani, mentre i suoi occhi si accendevano di un brillio folle.
«Bel teatrino» ci schernì, con la sua voce amplificata, quasi avesse un bocca un megafono. «Ma la vostra resistenza finisce qui. Ora tocca a me!»
Appena pronunciò quelle parole, l’aria intorno a lei si contrasse ed ogni essere vivente nel raggio di cinquanta metri da lei morì. Le piante seccarono istantaneamente, facendo sparire le ninfe urlanti in nuvole di clorofilla verde, i mostri si disintegrarono sul posto e un paio di mezzosangue, che avevano la sfortuna di essere troppo vicini, rotearono gli occhi e crollarono a terra, morti sul colpo.
Intorno ai piedi della dea norrena, si creò un cerchio di terra secca e arida, mentre l’erba diventava polvere e una gigantesca crepa si aprì nel terreno davanti a lei. L’apertura si ampliò, fino a diventare lunga almeno cinquecento metri e larga dieci. Un miasma fetido si spanse dall’apertura, mentre un esercito infinito di zombie e scheletri in avanzato stato di decomposizione, si alzavano, seguiti da ragni dell’Hellheim, mastini degli abissi e serpenti giganti che avanzavano lenti, come un onda di marea.
Erano tantissimi, troppi, per noi. Guardai Alex, che era rimasto a bocca aperta, nell’osservare quell’orrendo spettacolo e capii che stava ripensando a quando, un mese prima, ci eravamo trovati a fronteggiare un battaglione simile, nel regno di Hell. Annabeth e Talia mi mandarono dei segnali e io capii al volo: non saremmo riusciti a tenere testa ad un’armata del genere.
Avrei voluto dare qualche ordine adatto alla situazione, ma proprio in quel momento, Crono sguinzagliò la sorpresa di cui aveva parlato nel sogno.
«RIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIT!»
Grover impallidì, mentre lo strillo riecheggiava per tutta l’isola.
«Sembrerebbe… ma no… è impossibile» balbettò, atterrito.
In quel momento, una gigantesca creatura rosa sorvolò il lago: un incubo aerostatico con le ali, che aveva superato le difese aeree degli Spiriti del Vento, grazie al Drago Nero, che ancora combatteva in cielo, contro Nora, Lars e Sarah.
«Una scrofa!» esclamò Annabeth. «Riparatevi!»
Tutti i semidei si sparpagliarono, mentre una gigantesca femmina di maiale con le ali atterrava in mezzo al parco buttando giù gli alberi, affiancando l’esercito della morte, facendo la stessa figura di un sacchetto di patatine in mezzo al tavolo dei dolci. Dalla sua bocca usciva una nube di gas velenoso e i satiri corsero via, per mettersi al riparo, mentre le ninfe si ritiravano, sparendo dentro i loro alberi.
«Non dirmi che quella cosa viene dalla mitologia Greca!» dissi, stupito, mentre vedevo quel… qualsiasi cosa fosse, che avanzava emettendo il suo minacciosissimo verso.
«Temo di sì» confermò lei. “La Scrofa di Crommione. Terrorizzava le cittadine della Grecia, ai tempi.»
«Chissà che prosciutti ci facevano, con lei» borbottò Alex, allibito, mentre osservava il mostro. «Chi l’ha uccisa? Ercole?»
«No. Non è mai stata uccisa» lo corresse subito Annabeth.
«Perfetto» commentai, mentre strappavo un uncino da arrembaggio ad uno dei suoi fratelli.
Avevamo poco tempo prima che l’armata di Hell ci fosse addosso e non potevamo permetterci di rimanere nel caos. Dovevo assolutamente fermare quella scrofa. Non potevo vedere come se la cavavano le Cacciatrici, ma ora l’armata di non morti si trovava tra noi e loro. Qualsiasi cosa stesse succedendo, non potevo aiutarle.
«Mi occupo io di quel maiale! Voi altri, tratteneteli!» ordinai, mentre mi preparavo all’attacco.
«Ma, Percy, se non ci riusciamo?» mi chiese Grover.
Era molto stanco, come tutti: avevano combattuto con un coraggio che superava ogni aspettativa e la magia li aveva prosciugati. Non volevo abbandonarli, ma quella scrofa era il nemico più pericoloso: avrebbe distrutto tutto, seppellendo i mortali addormentati sotto le macerie.
«Ritiratevi, se è il caso» dissi. «Cercate di rallentarli, ma non rischiate troppo. Tornerò appena possibile.»
Detto ciò, mi scagliai contro scrofa. Nello stesso istante, Alex estrasse Excalibur e si lanciò verso l’armata di Hel, intenzionato a superarla, per raggiungere le Cacciatrici e Astrid.

koala's corner.
Evviva! Ce l'ho fatta in orario, nonostante avessi solo tre giorni! Io sono puntuale, non come Water_Wolf, a cui, però, voglio benissimo! *Bacino* ♥
Aw
E' tutta colpa della pubblicità del canone che dice "siate ritardatari, non evasori". Ecco, questo è ciò che succede quando i media influenzano la popolazione.
Nonsense. Per il resto, posso dire che la battaglia è ricominciata...
Ma va? xD
...e che spero non mi uccidiate se faccio morire qualche figlio di Njordr e qualche semidio, vichingo innocente - siamo in guerra, gente.
Vi avevamo avvertito: una vita per una vita. Questo è per la vita di Beckendorf.
Sì, Danny è morto sul serio. Niente salvataggi, questa volta ^^'
RNV (Riposa nel Valhalla)
Ultimo ma non meno in portante: fate tutti gli auguri ad AxXx, che è diventato zio! *scoppiano fuochi d'artificio* Alla prossima - si spera non in ritardo!

Soon on Venti del Nord: Mai affrontare una ragazza innamorata con il ciclo (cit. AxXx) Riunioni di famiglia peggio che a Natale.

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Capitolo 14
*** ASTRID • Veniamo attaccati dalle olive ***


Veniamo attaccati dalle olive
♦Astrid♦

Per capire il paesaggio che mi trovavo di fronte, basta immaginare una pizza, un’enorme pizza di quelle su cui si possono aggiungere tutti gli ingredienti che più ti piacciono. Ecco, sarebbe carino se un amico regalasse a un suo compagno una pizza del genere, no?
Certo che sì. Purché i cibi aggiunti siano di gradimento del destinatario e che a consegnare il cartone non sia un troll. Scegliendo il primo caso, è facile capire la sensazione di trovarsi davanti una pizza meravigliosa ma con ingredienti che ti fanno storcere il naso.
Cosa fare? Togliere i cibi non graditi. Semplice, veloce, risolutivo. Se le olive, i capperi, le acciughe, i carciofi potessero ribellarsi, sono sicura lo farebbero.
I mostri che ci venivano contro erano gli ingredienti incriminati, noi quelli che cercavano di eliminarli tutti. Solo che loro erano più numerosi, più riposati e più incazzati per non essere riusciti a ucciderci tutti subito.
Mi costrinsi a smettere di pensare al cibo, altrimenti, sarei finita con l’odiare la pizza e le olive. Talia era al mio fianco e scrutava l’altro capo del ponte; dietro e intorno a noi, le Cacciatrici di Artemide e gli altri semidei. Alex non era con me, ma stava nelle retrovie dello schieramento di Percy. Al pensiero che fosse in battaglia, mi salì il sangue alla testa e mi costrinsi a formulare solo immagini felici di fiori e cuccioli di koala.
Mi ha incastrato con le labbra, pensai. Maledette le sue labbra. Maledette le sue armi seduttive. Maledetta la sua intelligenza da figlio di Odino. Maledetto lui e basta.
Avrei dovuto non lasciarmi convincere a farlo venire. Era ancora convalescente, rischiava troppo. Poteva morire, io potevo morire. Ma aveva le sue ragioni e, be’, anche l’astuzia di accostarsi a me e calmare il mio fiume di rabbia con un bacio.
Mi pulsò una vena sulla tempia. Idiota. La prossima volta – se ci sarebbe stata, una prossima volta –, non mi sarei fatta fregare così facilmente. Era tutta colpa di quella nuova sensazione che si aggirava dentro di me e che mi faceva sorridere al pensiero che qualcuno provasse per me qualcosa di diverso dall’odio.
Era lo stesso sesto senso che mi faceva pensare che avevo più paura per l’incolumità di Alex, piuttosto che per la mia. Forse era perché ero la figlia della dea della morte e vivevo la possibilità di perdere la mia vita in modo sereno, o forse perché le persone che avrebbero sofferto per me si potevano contare sulle dita di una mano.
Alex, Percy, Talia, magari Annabeth e una manciata di altri mezzosangue. Se fossi morta, avrebbero conservato di me quelle poche memorie belle che avevano e sarebbero andati avanti. Ma se a non farcela fosse stato Alex, sarebbe stato tutto più complicato: in primo luogo, la fine quasi certa della nostra impresa; poi, il dolore di sua sorella, di sua madre, di Lars, di tutti i suoi amici e forse anche di Odino.
Non lo avrebbero dimenticato. Io non avrei dimenticato. Io mi sarei ricordata per sempre che era colpa mia, se era morto, perché gli avevo permesso di venire a combattere.
Scrollai il capo, scacciando via quei pensieri boriosi. Qualunque cosa sarebbe accaduta, l’avrebbe fatto non appena sarebbe iniziata la battaglia. Era inutile fare supposizioni sul futuro.
Il frastuono che accompagnava l’armata nemica si sentiva anche se era lontana, ma, ormai vicina, riuscivo a distinguere la figura di mia madre – che aveva abbandonato il completo vintage, preferendo un abbigliamento di pelle più adatto alla battaglia – che si stagliava algida al di sopra delle truppe. Talia si girò a controllare le Cacciatrici, poi gridò: «Incoccate!»
Le mezzosangue preparano gli archi e assunsero la posizione di tiro.
«Puntate!» ordinò la figlia di Zeus.
Le corde si tesero e le punte aguzze si fissarono sui nemici.
«Scoccate!»
Le frecce fischiarono nel cielo, compiendo una parabola, prima di ricadere verso terra e mietere vittime. Dall’esercito provennero delle grida, ma non li destabilizzammo di molto. Talia ordinò che scoccassero nuovamente, non dando troppo tempo ai mostri di riprendersi.
«Salva di rimessa!» gridò, avvisando i guerrieri.
Si accostò a me e alzò l’egida sopra le nostre teste per proteggerci. Le frecce nemiche fischiarono, mentre noi ci appiattivamo, cercando di non essere colpiti. Un sonoro stunc accompagnò un dardo che aveva colpito lo scudo di Talia. Il braccio della figlia di Zeus tremò per la botta ricevuta, ma non si abbassò. I suoi occhi erano fissi sull’avversario e rispecchiavano la sua concentrazione assoluta.
Quando la scarica di frecce terminò, scostò l’egida e io sgusciai fuori. Cercai lo sguardo dei semidei norreni, ne agganciai quello di Kinnon e urlai: «Via, via, via!»
Dando l’esempio, mi lanciai per prima contro la schiera di nemici davanti a noi. Due secondi dopo, ero accerchiata dai figli di Heimdallr e molti altri. Strinsi la presa sulle mezzelune, assaporando l’ondata di adrenalina che mi percorse il corpo. Un attimo dopo, avevo decapitato una dracena quasi senza che questa se ne accorgesse.
Affrontai il secondo mostro che mi si parò davanti, non badando se appartenesse alla mia mitologia o a quella greca. Alla fine, dovevo solo farne fuori il più possibile. Le Cacciatrici si unirono a noi gridando, dandosi la carica. Erano delle temibili arciere, ma anche delle guerriere provette, se costrette a combattere a distanza ravvicinata.
Scorsi Karen, la luogotenente di Talia, trapassare un gigante e far fuoriuscire di cinque centimetri la lama della sua spada. La strattonò, ripassando il mostro, che scomparve in una nube di sabbia. Mi si dipinse un sorrisetto sulle labbra al pensiero che, se volevo, potevo fare di meglio. Guerre e armi erano strettamente legate alle armi, se non le avessi sapute maneggiare con una certa disinvoltura, sarei stata io quella morta e trapassata.
Mi scontrai con il prossimo avversario, che fu seguito da un altro, poi un altro e un altro ancora. Non c’era quasi tempo di respirare. I mostri ci avvolgevano come una coperta, arrivavano subito a prendere il posto del compagno morto, non importava di che razza fosse.
Avevo paura di guardarmi attorno e vedere il nostro numero diminuito bruscamente, invece che sempre uguale o maggiore, come il loro. E avevo la certezza che mia madre non fosse ancora intervenuta nel conflitto, altrimenti, saremmo già stati spazzati via.
«Astrid!» sentii esclamare.
Mi voltai, trovando Kinnon a fronteggiare una ragazza vestita interamente di nero, un mantello avvolto intorno alle spalle. Mi assomigliava tremendamente, e sapevo bene perché. Non il figlio di Heimdallr, però, dal momento che le chiese perché fosse dalla parte sbagliata del campo di battaglia rivolgendosi a lei come se si trattasse di me.
Uccisi un mostro piantandogli le mezzelune in faccia, poi mi diressi velocemente nella direzione di Kinnon. Quando mi vide, il ragazzo impallidì.
«T-t-tu…» balbettò.
«Sì, sì» lo interruppi, trafelata. «Faccio le presentazioni. Kinnon, ecco la mia gemella malvagia Kara. Kara, questo è Kinnon.»
Il figlio di Heimdallr ammutolì, cercando di mettere assieme i pezzi. In effetti, era ragionevole. Anche io pensavo che Alex l’avesse uccisa, un mese prima, nell’Hellheim, ma l’erba cattiva è difficile da estirpare. Lo dimostrava il cerchio che si formò attorno a noi, visto che i mostri sapevano che Kara era al di sopra di loro e voleva dare la caccia da sola alle sue prede.
«Ciao, sorellina» mi salutò.
«Pensavo che fossi morta» ribattei, ignorando il nomignolo.
Scrollò le spalle. «Mi dispiace deluderti.»
«Sei sempre in tempo per rimediare. Per esempio, potresti buttarti giù dal ponte o qualcosa di simile» replicai.
Rise, divertita. «Oppure, potrei lanciare te giù e, intanto, ammazzare il tuo amichetto.»
«Lui non è il mio amichetto» sbottai in risposta, storcendo il naso.
Kinnon mi scoccò un’occhiataccia. «Grazie.»
«Scusa.» Gli sorrisi incoraggiante. Mi trattenni dall’aggiungere: “ lo so che la verità fa male”. Non volevo un altro avversario, in quel momento.
Kara catturò la luce con il filo della sua spada bipenne. «Allora, ci muoviamo? Non ho tutto il giorno per farti fuori.»
«Gentile, da parte tua, aspettare così tanto.»
Con un mezzo ringhio, mi scagliai contro di lei, brandendo le mezzelune. Mia sorella rimase immobile finché non le fui praticamente addosso, poi scattò e puntò di piatto la sua lama contro la mia testa. Mi abbassai e scivolai sull’asfalto, consumando le suole delle mie scarpe ed evitando lo scontro di forza, conscia che non l’avrei vinto.
Mi rialzai e voltai, pronta a lanciarmi in un nuovo attacco. Ero la Babbo Natale killer di quella riunione di famiglia non programmata. Kara, però, aveva rivolto le sue attenzioni sul figlio di Heimdallr.
Kinnon non si era ripreso del tutto e sbagliò a parare il primo fendente, calcolò male il secondo e al terzo si vede volare via la spada. Mi salì un grido alle labbra, ma non avevo nella voce il potere di cambiare la situazione, solo nelle gambe.
Avevo in mente di afferrarla da dietro e bloccarle le braccia, ma il figlio di Heimdallr si ritirò a destra e Kara mi vide con la coda dell’occhio, quando si spostò per seguirlo. Alzò il gomito e mi centrò in pieno viso. L’impatto mi gettò a terra, la schiena mi inviò una stilettata di dolore dal coccige insù. Nulla paragonato a quello che provavo al volto.
Mi colava sangue dal naso e non sarei stata gentile, se avessi scoperto che me l’aveva rotto. Ipotesi decisamente troppo probabile, per i miei gusti.
Poi, un grido mi distolse dalla contemplazione delle mie ferite. Guardai oltre mia sorella e vidi Kinnon steso sul cemento, ormai incapace di difendersi. Con un sibilo, la spada bipenne affondò con macabra lentezza nel suo ventre, facendogli provare ogni sfumatura di dolore possibile. Osservai la mia gemella trafiggerlo, lui gemendo e lei godendo, finché il figlio di Heimdallr si irrigidì e i suoi occhi divennero vitrei.
I lembi del mantello di Kara svolazzarono, quando si girò verso di me. Mi pulii in fretta il sangue, che continuava a colare, e afferrai le mezzelune, che mi erano cadute accanto.
«Ti va di fare la stessa sua fine?» ammiccò al cadavere di Kinnon, mantenendo il tono di una commessa del McDonald’s mentre ti domandava quale menù sceglievi.
«Sei una bastarda» mi uscì in fretta di bocca.
Non le diedi neanche il tempo di ridere, calpestai il suo mantello e la feci cadere a terra. Desideravo che sbattesse la testa contro l’asfalto e si spaccasse il cranio, ma non fu così, perché riuscì a frenare la caduta rovinosa con mani e braccia.
Mi rialzai, pulendomi ancora dal sangue. Kara mi scoccò un’occhiata infuocata, che accese di un bagliore nuovo i suoi occhi. Si mise in piedi, si liberò del mantello e stese davanti a sé la spada bipenne. Scattammo quasi nello stesso momento, dando davvero inizio allo scontro.
Mi ricordavo bene della sua abilità con le armi, le scene del combattimento erano impresse nelle mia memoria. Un mese prima, c’era Alex ad aiutarmi. Adesso, invece, ero da sola e in condizioni ben diverse, per certi versi più sfavorevoli. Ero anche più sicura, però, e sapevo come confrontarmi con mia sorella. Senza contare che aveva ucciso Kinnon davanti ai miei occhi e il figlio di Heimdallr meritava di essere vendicato.
Nel rispetto della mia gemella, i mostri non si intromettevano e favorivano a creare una lizza in movimento. Pensieri come la preoccupazione per Alex, la domanda su dove si trovasse Talia e il dubbio che Percy riuscisse effettivamente a sconfiggere Crono si ridussero a urgenze destinate ad essere ignorate.
Avevo altro a cui pensare, dovevo preoccuparmi per me stessa e concentrarmi sul combattimento, se non volevo commettere un passo falso. La stanchezza, però, non si fece attendere molto. Avevo perso la cognizione del tempo, immersa nel duello e nella battaglia. Potevano essere passati minuti o ore, non lo sapevo. Kara sembrava fresca e riposata, a differenza mia, che non avevo dormito molto in quei giorni.
In ogni caso, non mi sarei permessa di perdere. Impugnai meglio le mezzelune, sfruttai il momento più adatto e mi lanciai in un’offensiva. Mia sorella mise la sua spada di mezzo, facendo stridere le due lame. Opposi resistenza, facendo pressione e riuscii a far breccia nella sua difesa. Le avrei tagliato il collo, se lei non avesse lasciato cadere repentinamente l’arma, mi avesse afferrato il polso, sbilanciandomi, e mollato un pugno.
La nuova esplosione di dolore mi rese più lucida, ma giurai che gliel’avrei fatta pagare cara. Potevi colpirmi alle gambe, alle braccia, squarciarmi la pancia o la gola, ma la faccia… no, la faccia no. Probabilmente era una mania stupida, ma se mi ferivi al viso, firmavi la tua condanna.
Con uno strattone, liberai il mio polso, compii un mezzo giro e affondai la lama della mia arma dalla spalla fino al gomito. Il suo urlo mi regalò una malsana sensazione di piacere. Nonostante avesse impugnato la spada con la mano destra, e il braccio che le avevo ferito fosse lo stesso, Kara recuperò la lama e la brandì con la sinistra con altrettanta sicurezza.
Riprendemmo a duellare, spingendoci verso il lato sinistro del punto. Cercavo di sferrare attacchi che l costringessero in posizioni scomode, se voleva parare o schivare, in modo che, anche se non la colpivo, soffrisse ugualmente. In più momenti, desiderai avere una spada per poterla raggiungere quando era fuori portata per le mezzelune.
Kara fendette l’aria davanti a sé, continuando a combattere a distanza più ravvicinata. Così era più difficile, per lei, schivare i miei attacchi. Perché si era portata volontariamente in svantaggio? Lo capii solo quando fece una finta, cui abboccai, mi disegnò una linea di sangue parallela alla clavicola, mi colpì in mezzo alle costole con il pomello della spada, facendomi indietreggiare così tanto da andare a sbattere contro l’ultima barriera che separava il ponte dell’acqua sottostante.
Mi mancava il respiro per l’ultima seria di ferite subite, non riuscivo a reagire prontamente ai suoi attacchi successivi. Non fui in grado di evitare che mi afferrasse per la maglietta e mi spingesse fuori per metà dalla protezione che correva parallela a tutto il ponte. Sentivo l’aria congelarmi il sudore sul collo. Se Kara mi avesse lasciato andare, sarei caduta.
Mi si strinse lo stomaco, al pensiero che avrei compiuto un volo di più di dieci metri, prima di affondare nell’acqua e annegare. Sentivo il cuore battermi nelle orecchie. Oh, no, non sarebbe andata così. No.
«Grazie…» ansimò Kara. «Grazie per il suggerimento del ponte, sorellina.»
Gli occhi scuri le rilucevano di un brillio folle, la bocca era distorta in una pallida imitazione di un sorriso. Sembrava malvagia, assomigliava molto a Hell. Questo voleva dire che anch’io ero come lei. Rabbrividii.
«Non mi perderò in chiacchere» riprese, «ma voglio darti un’unica certezza, prima che tu muoia.»
«Ce l’ho già» replicai.
Kara sbuffò, sollevandosi un ciuffo di capelli dal viso. «Immagino sia quella che Alex Dahl ti ama.»
Mi sentii punta intimamente ed emisi un basso ringhio, come se fossi un cane che mette in guardia l’intruso riguardo all’entrata nel suo territorio.
«Niente è per sempre, Astrid, il vostro amore meno di tutti. Solo morte e vita si susseguono in un cerchio infinito» disse, redarguendomi come si fa con i bambini. «Per questo, voglio avvisarti che la fortuna gira, e Alex non camminerà su queste terre per molto tempo ancora. Quando arriverà nell’Hellheim, stai certa che riceverà un trattamento speciale.»
Poi, mi spinse al di là del bordo e mollò la presa sulla mia maglietta. Ma potevo ancora fare qualcosa. Mi allungai e le afferrai il polso, aggrappandomi a lei e trascinandola giù con me. Kara spalancò gli occhi e aprì la bocca, strillando per la sorpresa.
Scivolammo giù dalla recinzione insieme. Avevo le sue unghie conficcate nella pelle. Sentivo già il vento fischiarmi nelle orecchie, l’ultimo rumore che avrei sentito prima dell’impatto con l’acqua. Formulai una preghiera agli Dèi nella mia mente. Forse mi avrebbero ascoltato, visto che gli avevo fatto il favore di scomparire.
Uno strattone, e l’improvviso dolore mi riportò alla realtà. Qualcosa – qualcuno – mi aveva afferrato per la caviglia, ed ora era sporto oltre il bordo per tenermi.
«Lasciala andare!» gridò Helen. «In due siete troppo pesanti!»
«No!» urlò Kara.
«Sì, stronza!» feci io, colpendole le dita, facendole mollare la presa a forza.
Mia sorella gridò, scivolando verso il basso, finché non si sentì solo l’impatto con l’acqua. Helen grugnì per lo sforzo, tirandomi su lentamente. Ondeggiare in quelle condizioni precarie non era esattamente il massimo, ma non dubitavo della figlia di Frigg. Infatti, riuscì a issarmi di nuovo dalla parte giusta del ponte.
«Grazie» dissi, sentendo il palato secco.
«Di… di nulla» replicò lei, piegata sulle ginocchia mentre cercava di riprendere fiato.
«Astrid!»
Alex mi venne addosso e, in una frazione di secondo, mi ritrovai stretta in un abbraccio, il naso che premeva contro la spalla.
«Ahi» mi lamentai, ma lui non accennò a lasciarmi andare. «Ahi, ahi, ahi!»
Con una certa fatica, riuscii a staccarmi dal figlio di Odino. Mi squadrò da capo a piedi, controllando le mie condizioni in modo frenetico.
«Sei ferita» esclamò.
«Ma va? Mia sorella mi ha quasi ucciso!» sbottai.
Alex fece scorrere l’indice sul mio mento, guardando il viso, e si incupì. Notò anche il sangue che mi bagnava la maglietta dal taglio parallelo alla clavicola.
«Dèi» mormorò, stringendomi nuovamente a sé, questa volta stando attento a non farmi male. Mi carezzò i capelli, forse più per se stesso che per me. «Stavo venendo a cercarti, dopo la battaglia dall’altra sponda, e ho visto che stavi cadendo e non riuscivo a correre più veloce e pensavo che…»
«Va tutto bene» lo interruppi. «Va tutto bene» ripetei.
Sospirò, e mi resi conto solo allora di una cosa. Mi allontanai, guardandolo dritto in faccia – senza un occhio, era difficile inquadrare subito il suo sguardo.
«Stavi combattendo?» domandai, cauta.
«Ero in retroguardia, non correvo nessun pericolo, era un semplice duello magico» rispose, evasivo.
«Un duello magico, certo» soppesai quelle parole. «Non era pericoloso. Non potevi scomparire all’improvviso. No, vero?»
Alex si morse il labbro, ma non gli lasciai il tempo di scusarsi o replicare.
«Ti avevo detto di rimanere in disparte» alzai la voce, «di non partecipare attivamente e di non metterti in alcuna posizione scomoda. Invece che hai fatto? L’esatto contrario! Ma allora quello che dico non serve a niente!» gridai. Emisi uno sbuffo furioso, girandomi dall’altra parte.
«Non posso andare in guerra e non partecipare, sarei inutile!» osservò Alex con una certa dose di irritazione. «Non sono un bambino, so quanto posso spingermi avanti, se sono ferito!»
«Non importa! Avevi detto, ti avevo fatto giurare, che non avresti rischiato!» lo rimbrottai.
«Il solo essere qui è rischiare!» sbottò lui.
«Lo so!» urlai, voltandomi ad affrontarlo. «Non per questo, però, dobbiamo prendere tutti gli altri pericoli sottogamba!»
«Non sto prendendo i pericoli sottogamba, Astrid!»
«Oh, sì, se lo stai facendo! Non te ne rendi nemmeno conto, non ascolti ciò che gli altri ti dicono» lo accusai. «Vuoi davvero che ti leghi ad una sedia?»
«Lasciamo perdere» sbuffò, esasperato. «Se fosse per te, dovrei nascondermi in un bunker e rimanere lì a girarmi i pollici mentre voi altri combattete.»
«No, noi non lasciamo perdere! Non devi non fare nulla, ma neanche sacrificare la tua vita così facilmente!»
«Smettetela!» si intromise Helen, frapponendosi tra noi due.
Guardò Alex e disse: «Tu non devi prendere tutto alla leggere, e sì, lo stai in parte facendo. E tu» puntò gli occhi su di me «non devi controllare ogni sua mossa. È il comandante di un’Orda, sa pensare a se stesso e agli altri.» Ci fulminò entrambi, giusto per chiarire che non c’era possibilità di intervenire. «Ora, baciatevi e fate la pace, da brava coppietta felice.»
«Questo succede solo nei film» brontolò Alex.
«Scadenti» aggiunsi.
Helen fece un finto sorriso raggiante. «Vedete? Già vi trovate d’accordo.»
Fissai il figlio di Odino. «Io non ti bacio, adesso. Mi hai già ingannato una volta, così, non mi farò fregare ancora.»
«Acida» borbottò lui.
Gli feci la linguaccia.
«Ragazzi!» ci chiamò Talia, raggiungendoci di corsa. Perse qualche attimo a respirare, poi annunciò: «Chirone è arrivato con dei rinforzi. Forza, seguitemi.»

 
koala's corner.
Di nuovo, pubblichiamo di notte.
La Water_wolf qui presente è una pazza sclerata e anche un po' pervertita - lui gemendo e lei godendo - ma a me piace così ♥
Anche perché, folk, sono andata a vedere Divergent. E ho letto i libri. E Theo James è da stuprare, oltre che essere un bravissimo attore. So.... aasdjahdjasdhsd *-*
*coff* parla del capitolo *coff* sei qui per questo *coff*
Sì, certo, ovvio. Faccio una piccola prolessi, ma Kara non è morta, sorry. E' già sopravvissuta nell'Hellheim, e lei è come gli scarafaggi: sopravvive pure alle esplosioni nuclerai la stronza Anyway, io ho qualche problema per quanto riguarda il titolo dei capitoli e non so bene il perché di alcune cose che ho scritto, ma va tutto bene (y) Annabeth adesso si è ripresa del tutto, quind arriverà un capitolo tutto suo, perché non possiamo abbandonare la nostra figlia di Atena ♥
La morte di Kinnon segna ancora la nostra vena malvagia, uccidere è il nsotro sfizio *risata malvagia*
Grazie mille per le recensioni - risponderemo a tutte al più presto -, alla prossima!

Soon on Venti del Nord: POV Percy, arrivano i Party Pony!
Pubblicità occulta di Water che non è tanto occulata: VOI DOVETE ANDARE A VEDERE DIVERGENT, CHIARO? ECCO, ANCHE SOLO PER SFIORARE L'ORGASMO GUARDANDO THEO JAMES. O SOLO PERCHE' VE LO DICO IO, CHE SONO NESSUNO, MA VABBE'. SCLEEEERO: AJSJAHJSASJASLASJALK *-*
 

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Capitolo 15
*** PERCY/ EINAR • Chirone dà una festa ***


Chirone dà una festa
♠Percy♠
 
Direi che la prossima volta prenderò la metropolitana. Sì, sicuramente. Molto più sicuro di prendere un maiale volante gigante. Ero stato sballottato ovunque, come un giocattolo e, anche se mi dispiaceva un po’ per la scrofa, non potei fare a meno di pensare a quanto fossi sollevato, nel ritrovarmi con i piedi per terra – e a quanti panini avrei potuto farmi con lei, se i leoni non l’avessero divorata.
Blackjack mi raggiunse al volo, letteralmente, e tornammo a Central Park, dove la battaglia si stava facendo sentire. Mentre volavamo, però, per poco una viverna non ci investì. Vidi Nora e la sua cavalcatura precipitare rovinosamente verso terra, inseguita da Sarah, mentre Lars, ancora in aria, combatteva da solo il Drago Nero, che continuava a sputare acido e fuoco, cercando di incenerire il figlio di Eir.
«Blackjack, insegui quella viverna!» ordinai, deciso ad aiutare le due ragazze in difficoltà.
«Subito, capo!» rispose il mio amico cavallo, scendendo in picchiata.
Nora era precipitata in mezzo a Time Square. La sua viverna aveva un’ala spezzata, la sua armatura in parte sciolta e un braccio ferito molto profondamente. Accanto a lei, Sarah la stava aiutando, curandole le ferite con veloci formule curative e facendole trangugiare alcune pozioni. Avevano entrambe l’aria stravolta, ma la figlia di Eir sembrava star bene.
«Cos’è successo?» chiesi, smontando velocemente ed inginocchiandomi accanto alla figlia di Odino.
Il volto era pallido, bianco e smunto, ma non sembrava ferita mortalmente, anche se il fianco destro aveva assunto una sfumatura rossastra e morta, come se stesse bruciando. Cosa che, probabilmente era vera.
«Sono… stata incauta» borbottò, con un filo di voce. «Mi sono avvicinata troppo al muso di quel bestione, lì… mi ha centrato una fiammata e la mia povera amica si è rotta un ala…»
Sobbalzò non appena Sarah le posò sul fianco un panno imbevuto di una specie di liquido argenteo, ma cercò di non far trasparire il dolore per quella sensazione. Doveva farle davvero male.
«Lars può farcela anche da solo, è il nostro miglior combattente aereo. Percy, torna a Central Park, la situazione sta degenerando» mi rimproverò velocemente la figlia di Eir, mentre si occupava dell’amica.
«D’accordo. State attente» raccomandai, prima di tornare da Blackjack. «Forza, andiamo, amico!»
«Certo, capo!» disse, mentre si alzava in volo, velocissimo.
Sopra di noi, Lars e il Drago Nero continuavano a combattere volando, cercando di aiutare il primo e di distruggere il secondo le difese degli Spiriti del Vento. Il figlio di Eir era abilissimo e guidava la sua viverna in evoluzioni pericolosissime e dannatamente spaventose. Voleva intorno al muso dell’avversario, infilzandolo con la spada, quando quello veniva distratto da uno spirito o mancava il colpo.
Avrei voluto aiutarlo, ma intuii che Blackjack non l’avrebbe fatto nemmeno se gliel’avesse chiesto Poseidone. Inoltre sapevo bene che dovevo essere in un altro posto. Volammo su Central Park, che, ormai, era diventato teatro di guerra.
Decine di Mezzosangue e di spiriti della natura stavano combattendo ovunque e in piccoli gruppi contro i mostri, cercando di rallentarli. I giganti del ghiaccio avevano dato il via ad una grande opera di disboscamento. Il loro re urlava inferocito contro le Driadi, che gli lanciavano ghiande. Intorno a loro Sain e i figli di Thor sparavano fulmini – molto più efficaci delle ghiande – e attaccavano con asce, martelli e spade.
I ragazzi di Efesto stavano affrontando un gruppo di dracene guidati da Backndorf, che incitava i suoi compagni. La sua presenza possente intimidiva i mostri, ma quelli continuavano ad arrivare. Le Cacciatrici, Alex ed Astrid si erano ritirati sulla Trentasettesima, tenendo la posizione, circondati da gruppi di orchi alti quasi due metri, ma reggevano.
I figli di Heimdallr tenevano la linea poco più in là, affrontando una linea di non-morti. Altri non-morti procedevano veloci contro Malcom, che guidava un gruppo di statue di vari personaggi famosi e divinità contro il nemico.
I figli di Tyr, guidati da Finn, un ragazzone alto, dai capelli neri e gli occhi castani-azzurri, stavano travolgendo, tra grida di guerra e armi spianate, una linea di mezzosangue nemici che scappava a gambe levate, invogliati dal fatto che i loro avversari continuavano a correre brandendo armi dall’aria tutt’altro che amichevole. Tuttavia altri mostri vennero a rimpiazzarli e i figli di Tyr decisero di abbassare tutti i nemici di una testa d’altezza… cosa che riusciva loro molto bene.
Ad ovest, Grover e i figli di Demetra avevano trasformato la Sesta Strada in un groviglio di arbusti, erbacce e rovi, imprigionando altri semidei. Poco lontano, i figli di Freyr avevano provocato un acquazzone su tutta Central Park, trasformando il parco in una palude fangosa, intrappolando le fila dei mostri e dei non morti in un pantano che impediva loro i movimenti, mentre gli spiriti della natura attaccavano facilitati da quelle condizioni.
I figli di Frejya ed Afrodite, aiutati da Marcus e i suoi fratelli di Foreseti, stavano cercando di fermare l’avanzata nemica da sud, mentre i figli di Ullr e Skadi affrontavano un avanzata di non-morti e ragni dell’Hellheim sulla Trentatreesima.
Era una scena spettacolare: non avevo mai visto così tanti mezzosangue e spiriti della natura combattere fianco a fianco, ma ciò acquisiva ancor più importanza vista la presenza di Alex e dei suoi compagni, che erano stati a lungo nemici degli Dèi dell’Olimpo. Mentre pensavo a dove andare, un boato distolse la mia attenzione e, abbassando lo sguardo, vidi il figlio di Odino in prima linea.
Il suo corpo era avvolto in un bozzolo di fuoco e ogni volta che mulinava la spada, emetteva elettricità che andava a spazzare via intere linee di non morti e mostri, mentre le Cacciatrici lo coprivano. Stava usando i suoi poteri al massimo, nonostante fosse ancora dolorante e ferito.
«Dobbiamo andare dove c’è bisogno di noi» affermai, mentre mi guardavo intorno.
«Come dire: ovunque» precisò Blackjack, e aveva ragione: i mostri erano ovunque e, nonostante l’impegno dei semidei e degli spiriti della natura, sembravano non finire mai.
All’improvviso, un scintillio argenteo catturò la mia attenzione, non lontano dal centro del parco: era un vessillo con sopra ricamata una civetta argentea. Il simbolo della Casa di Atena. Annabeth aveva posizionato il quartier generale logistico dei figli di Atena ed Hoenir in quella posizione, solo che erano stati attaccati da un gruppo di guerrieri giganti ed ora erano accerchiato.
«Là!» urlai a Blackjack, che si lanciò in picchiata contro il gigante più vicino, che Annabeth e i suoi fratelli stavano cercando di trattenere con delle corde da arrembaggio.
Volai giù dalla groppa del mio amico e atterrai sulla testa del gigante, picchiandogli lo scudo sull’enorme naso blu, facendogli uscire sangue. Quello ringhiò di dolore e rabbia e soffiò nel punto in cui stavo atterrando. La temperatura precipitò velocemente e l’asfalto si ricoprì di una patina ghiacciata che ricopriva ogni cosa, rendendomi impossibile stare in piedi. Scivolai e battei la testa, benedicendo la mia immunità alle ferite.
«Ehi, brutto ceffo!» gridò Annabeth.
Sperai che si rivolgesse al gigante, non a me. A quanto pare, però, il bestione aveva percepito l’insulto come se lo riguardasse e si voltò ruggendo, dandomi il tempo di alzarmi. Alzai la spada e lo colpii al polpaccio. Il gigante ruggì di dolore, cercando di dimenarsi ma, dal punto in cui l’avevo colpito, si diramò del ghiaccio che, a poco a poco, lo avvolse completamente. Divenne la più grande statua di ghiaccio mai vista per pochi secondi, prima che delle crepe non lo avvolsero disintegrandolo in polvere di ghiaccio.
«È fatta. Percy, dov’è la Scrofa?» chiese Annabeth, ripulendo il suo pugnale, mentre i suoi fratelli abbattevano gli altri giganti.
«In braciole. Qual è la situazione?»
«Siamo messi male. Questi maledetti mostri ci stringono e le forze di Hell sono anche peggio» spiegò, mentre altri due giganti avanzavano.
«Posizione!» urlò un figlio di Hoenir, guidando i suoi fratelli in formazione contro i giganti.
Mi affiancai a loro insieme ad Annabeth, che mi lanciò un’occhiata di intesa. Stavamo per lanciarci contro i nemici, quando Helen apparve alle loro spalle, insieme a Sain. Il figlio di Thor saltò sulla schiena del primo Jotun, colpendolo con un urlo alla schiena, mandandolo letteralmente in pezzi.
La figlia di Frigg, invece, passò sotto le gambe dell’altro, tagliandogli con un solo fendente entrambe le gambe all’altezza del polpaccio con la sua katana. I due giganti crollarono a terra, disfacendosi in neve.
«Finalmente, vi cercavo» disse Helen senza rallentare la sua marcia.
Deglutii. Non ero per niente abituato a vedermi davanti una mezzosangue albina e gli occhi rossi della ragazza mi facevano impressione. O forse era la sua abilità con la katana che mi faceva temere pur sapendo di essere invulnerabile.
«Che succede? Sembri preoccupata» osservò Annabeth, molto più calma di me.
«Be’, sì, ma ve lo spiegherò più tardi. Innanzitutto, ho buone notizie: Talia è riuscita a mettersi in contatto con Chirone. Il vostro amico centauro sta arrivando con dei rinforzi, se riusciamo a resistere per qualche ora» spiegò la figlia di Frigg, rinfoderando la sua arma.
«Almeno è una buona notizia. Speriamo solo di riuscire a resistere per qualche ora» borbottai, contrariato.
«Allora, faremo meglio ad impegnarci. Abbiamo ancora un sacco di mostri da uccidere» precisò Annabeth, sistemandosi l’elmo.
Aveva ragione: nelle ore seguenti affrontai così tanti mostri di così tante mitologie che persi il conto e anche la cognizione del tempo. Io ed Annabeth andavamo ovunque ci fosse bisogno di noi, ma i nemici sembravano non finire mai. Anche Alex ed Astrid correvano qui e lì, aiutando in ogni modo possibile.
Astrid passava dietro le linee nemiche tramite veloci viaggi d’ombra per colpirli alle spalle. Lo stesso faceva Annabeth, ogni volta che usava il berretto magico per passare alle spalle dei nemici e pugnalarli da dietro.
Alex correva in ogni parte, evocando magia così potenti da disintegrare intere linee di mostri, mentre lui, avvolto in vortici di fuoco e fulmini ne faceva a pezzi molti altri. Le lance e le frecce delle creature si infrangevano contro le difese di Excalibur, senza ferirlo, mentre i suoi compagni tenevano impegnati i mezzosangue nemici, unici che potevano essere una minaccia per la sua incolumità.
Di mio, cercavo di fare del mio meglio per rallentare i mostri. Correvo da una parte all’altra del campo di battaglia, approfittando della mia invulnerabilità per fare a pezzi tutti quei maledetti che pensavano di poter distruggere la mia città. Spesso mi ritrovavo a combattere al fianco di un mio amico, disintegrando decine di dracene, Lestrigoni, orchi giganti e altri mostri di vario tipo.
Una volta mi ritrovai accanto a Talia, che tratteneva i mostri con il suo scudo, l’egida, mentre le sue Cacciatrici tiravano. L’attimo dopo ero al fianco di Grover, che distribuiva bastonate in testa alle donne serpente. In altri momenti finivo in mezzo ai figli di Loki che, con le loro illusioni, spingevano i mostri ad attaccarsi tra di loro, mentre loro tiravano frecce o li pugnalavano alle spalle.
Due secondi dopo guidavo una carica dei figli di Efesto, mentre, dall’altra parte, i figli di Tyr, guidati da Alex e Finn, abbattevano un’intera linea di non morti. Stavamo combattendo al massimo delle nostre capacità, ma non bastava.
Ad ogni mostro che abbattevo un altro ne prendeva il posto e io non avevo il dono dell’ubiquità. Finimmo con l’indietreggiare, poco a poco, isolato dopo isolato, fino a trovarci a qualche centinaio di metri dall’entrata dell’Empire State Building, dove un piccolo gruppo di semidei e spiriti della foresta si stava radunando per l’ultima difesa.
«Ci siamo quasi, ancora un po’, Chirone arriverà!» ci incitò Talia, che teneva gli occhi fissi contro i nemici.
Il suo sguardo aveva una nota di panico. Nessuno credeva che il nostro centauro preferito ci avesse abbandonati.
«Tenete la posizione!» urlò, da qualche parte, Katie Gardner.
Il problema era che, ormai, non c’era poco o nulla da tenere. Poco lontano vidi una luce strana che si avvicina. Per un attimo pensai fosse l’alba, ma poi mi resi conto che era Crono: si avvicinava su un carro dorato, con una dozzina di giganti Lestrigoni, che lo affiancavano con le torce accese, e due giganti del ghiaccio che tenevano alti i suoi stendardi neri e porpora.
Il Signore dei Titani aveva un’aria fresca e riposata, all’apice del suo potere, circondato dalla sua guardia d’onore. Al suo fianco Hell e Prymr si godevano lo spettacolo di noi mezzosangue che venivamo massacrati dai loro sudditi. Se la stavano prendendo comoda, dandoci tutto il tempo di sfiancarci e di morire.
Annabeth si materializzò al mio fianco. «Dobbiamo ritirarci all’ingresso e difenderlo a tutti i costi!»
Aveva ragione. Mi voltai verso Alex, che aveva abbattuto l’ennesimo gigante. Nonostante avesse perso un occhio, era ancora un guerriero temibile e lo stava dimostrando. Anche lui era stanchissimo e intuii che stava per dare l’ordine di ritirata.
Ero sul punto di fare altrettanto, quando un corno da caccia risuonò fra gli edifici di Manhattan. Lanciai un’occhiata a Talia che, però, scosse la testa.
«Non sono le Cacciatrici, siamo tutte qui» mi assicurò confusa.
«Ma allora chi…?»
Non feci in tempo a formulare la domanda che i corni si fecero più forti. A causa dell’eco non riuscivo a capire da dove venissero, ma sembrava un intero esercito. Per un attimo temetti che fossero altri rinforzi nemici – come se Hell non fosse già abbastanza.
Poi, però, alla nostra sinistra, un gruppo di mostri levò un grido di terrore, mentre un gruppo di guerrieri a metà tra cavalli e uomini lanciava grida di guerra. I centauri, finalmente. Dalle loro fila si levò altri suoni di corno e notai che, sulle groppe dei centauri, c’erano dei ragazzi ognuno sembrava avere non più di vent’anni, armati di archi e fucili da soft-air, circondati da strane lucine azzurre.
«E VAI BELLO!» gridò una voce. «È QUI LA FESTA?»
Un nugolo di frecce disegnò un arco sopra le nostre teste e si abbatté sul nemico, disintegrandone centinaia. Alcune frecce volavano producendo forti fischi. Alcune avevano delle girandole incorporate, altre ancora con dei guantoni da pugilato al posto della punta.
«Finalmente. Lo sapevo che non mentiva!» esultò Talia, sollevata.
«Centauri!» esclamò Annabeth.
«Grande, ma quelli chi sono?»
«Elfi, i nostri spiriti della natura!» gridò Astrid, mentre uno dei guerrieri che cavalcavano i centauri scendeva al volo, impugnando una lancia, trafiggendo un Lestrigone.
In poco tempo i rinforzi misero nel panico i mostri e l’esercito dei Titani si disperse, facendo dietrofront. Solo i non-morti di Hell mantennero la posizione, ma, in inferiorità numerica, vennero travolti e distrutti.
«Fermi, sciocchi!» tuonò Crono, tentando di mantenere l’ordine nei ranghi. «Restate ed att… AAAAAAAAAAAAH!»
La conclusione imprecisata fu dovuta dal fatto che un gigante gli si era seduto addosso, inciampando all’indietro, poco prima di essere colpito da una raffica di frecce che lo distrusse, in modo che il Signore del Tempo finisse sotto una montagna di neve.
Per diversi isolati li incalzammo, finché Chirone non urlò: «Fermi! Avete promesso, FERMI!»
Non fu facile, ma, alla fine, l’ordine raggiunse tutti i ranghi e i centauri cominciarono a ritirarsi, insieme agli elfi ed ai mezzosangue, lasciando che il nemico fuggisse.
«Chirone è scaltro» commentò Annabeth, asciugandosi il sudore dal viso. «Se li seguiamo, rischiamo di disperderci. Dobbiamo ricompattarci.»
«Ma il nemico…»
«Non è sconfitto» concordò lei, bloccando la mia protesta, poggiando due dita sulle mie labbra, facendomi scorrere un brivido. «Però sta arrivando l’alba. Almeno abbiamo guadagnato un po’ di tempo.»
Non ero contento di ripiegare, ma sapevo che lei aveva ragione. Osservai gli ultimi telchini tagliare la corda e poi mi ritirai verso l’Empire State Building.
 
Allestimmo un perimetro di difesa su due isolati, non avendo molti guerrieri su cui contare. Dopo aver riportato l’ordine tra i ranghi, Chirone ed il capo degli elfi di rinforzo, Ishir, ci raccontarono come mai si trovavano lì.
Ishir, poco dopo la partenza di Alex, aveva deciso di seguirlo ed aveva radunato tutti gli elfi che potevano unirsi a lui, deciso ad aiutare il figlio di Odino. Con una magia era riuscito a viaggiare velocemente attraverso l’oceano, usando il Bifrost che Heimdallr aveva aperto per loro di nascosto, mentre Odino discuteva con gli altri Dèi. Il dio guardiano del Ponte dell’Arcobaleno ci appoggiava e aveva fatto in modo che i rinforzi arrivassero.
A nord di New York avevano incontrato Chirone ed i centauri che, per un attimo, avevano scambiato per nemici. Fortunatamente si erano chiariti ed i centauri avevano offerto loro un passaggio contro le difese di Crono.
In tutto avevamo radunato duecento elfi, cinquecento centauri che si univano ad un centinaio di satiri ancora in buona forma, diverse decine di statue ancora in grado di combattere ed una settantina di mezzosangue, ancora in grado di combattere. Numeri alti, ma che non bastavano a coprire più di una manciata di isolati.
«Come avete fatto a superare le difese magiche?» domandò, Annabeth, alla fine.
«Ci hanno rallentato un po’, per questo sono arrivato tardi, ma non ci hanno bloccato. Suppongo che Crono abbia concepito queste difese solo per tenere fuori i mortali. Non vuole certo che loro intralcino la sua gloriosa vittoria» ipotizzò Chirone.
«Perciò, forse, anche i nostri altri rinforzi riusciranno a passare» commentai speranzoso.
«Forse, ma il tempo è poco» replicò Ishir, squadrandomi con i suoi occhi, verdi come una foresta assolata. «Crono si riorganizzerà e questa notte abbiamo vinto solo grazie alla sorpresa.»
Già, era vero. Ormai non c’era più nulla che potessimo fare, se non resistere più che potevamo. Impossibile che Crono fosse rimasto schiacciato, anche se ci avevo sperato.
«E Tifone?» chiesi.
Il volto di Chirone si rabbuiò. «Gli Dèi sono stanchi. Dioniso è fuori combattimento da ieri. Èda qualche parte sugli Appalachi e nessuno l’ha più visto da allora. Anche Efesto è fuori combattimento. È atterrato in West Virgina, creando un nuovo lago. Guarirà, ma non in tempo utile. Sono riusciti a rallentarlo, ma è inarrestabile. Domani sarà a New York e avrà unito le forze con Crono e sarà impossibile fermarli.»
«Allora che possibilità abbiamo?» replicai, abbattuto. «Non possiamo reggere ancora.»
«Dobbiamo» intervenne Talia. «Io mi occuperò di disporre nuove trappole.»
Ishir annuì. «Io organizzerò i miei fratelli, ed andrò a trovare Alex, così potremmo dare una scossa ai nostri amici.»
Io sospirai e accompagnai Annabeth a fare un giro di pattuglia. Non che ci fosse molto da pattugliare, ma almeno avevo una scusa per restare con lei.
«Potrebbe essere la fine» borbottò lei, pulendo la lama del coltello con aria pensierosa.
«Ehi, non dirlo nemmeno» dissi, poggiandole una mano sulla spalla. «Non devi abbatterti, la Speranza è ancora con noi, ricordi? Non la lascerò andare, finché sarai con me.»
Lei sorrise, cosa che mi fece stare meglio. Ci sedemmo insieme sui gradini dell’Empire State Building e lei mi cinse i fianchi con il braccio.
«Senti… Ho una brutta sensazione. Anche con i Centauri…»
La fermai. «Lo so, ma possiamo farcela.»
Sorridemmo entrambi e, nonostante il dolore di quei giorni, mi sentii in pace, con lei a fianco.
 
∫ Einar ∫
 
L’arrivo degli elfi era una fortuna insperata e benedii Heimdallr per il suo aiuto. Alcuni elfi dei boschi indossavano la maglietta rossa del Campo Nord, altri maglie di vari parchi nazionali ed altri ancora erano a petto nudo. Tipico degli elfi dei boschi che avevano un comportamento giocoso ai limiti dello stupido. Di certo non erano come i loro fratelli: gli Elfi Alti – che alcuni chiamavano Elfi Luminosi – che erano protetti dal dio Baldr ed erano regali, altezzosi e rompiballe.
«Alex! Che ti è successo? Ora sembri Odino!» esclamò Ishir, correndo incontro al suo vecchio protetto e dandogli una pacca sulla fronte.
«Solo un piccolo problema, sai com’è, ferite di guerra» spiegò lui, in imbarazzo, massaggiandosi la benda.
«È stupido!» intervenne Astrid, al suo fianco, manco fosse una guardia del corpo. «Gli avevo detto di stare indietro, ma si è voluto spingere oltre comunque.»
«Ah, sempre il solito: non sai proprio quand’è il momento di scappare» rise Ishir, cingendogli le spalle con un gesto amichevole. «Dopotutto, questo pugnale ne è la prova» aggiunse, estraendo un coltello dalla cintura.
Era un’arma semplice, di buona fattura, con dell’Acciaio Asgardiano. Alex sorrise e lo soppesò guardandolo con nostalgia, quasi gli mancasse un ricordo.
«Il mio primo mostro…» sussurrò mestamente.
Ah, ecco la famosa arma con cui il figlio di Odino aveva compiuto il suo primo atto di coraggio: tutti conoscevano la storia. Quando Alex arrivò al Campo era con altri due mezzosangue: Lars e Sain, accompagnati da Ishir, che li aveva trovati a vagare per le strade di Oslo.
Quando i quattro partirono attirarono l’attenzione di uno Jotun che iniziò ad inseguirli fino ai confini del Campo. Ishir, allora, era ad uno dei suoi primi incarichi da Elfo Cercatore e, nel nervosismo di seminare il gigante, aveva preso una strada più lunga e, capendo il pericolo, aveva detto ai tre di scappare mentre lui tratteneva il mostro.
Ishir sarebbe morto se Alex, preoccupato per il nuovo amico, non fosse tornato indietro armato di un coltello che l’elfo gli aveva dato. Così, colpì lo Jotun alla schiena, distraendolo, permettendo ad Ishir di ucciderlo con un perfetto tiro alla testa. Salvare un figlio di Odino gli fruttò una buona fama tra gli elfi e questo doveva avergli permesso di radunare tutti quei guerrieri.
«Be’, è bello vedere che siamo ancora tutti uniti per rischiare la vita» commentò Ishir, mentre si avviavano verso l’Empire State Building, dove gli elfi aveva allestito un accampamento insieme ai centauri.
Non fu facile osservare i corpi dei nostri compagni caduti. Kinnon aveva ancora un’aria dolorante stampata sul viso, mentre Alex gli chiudeva gli occhi, mormorando una preghiera nell’antica lingua norvegese.
«Mi dispiace, Alex… Non ho potuto fare nulla» mormorò Astrid, distogliendo lo sguardo.
«Non è colpa tua, Astrid. Pensavamo fosse morta» sussurrò il ragazzo, posandole una mano sulla spalla.
Mi avvicinai al suo corpo e lo osservai tristemente.
«Almeno è morto da eroe» commentai mesto. «Sarà accolto nel Valhalla.»
Seguimmo diversi corpi che erano caduti in battaglia ultimo, ma non ultimo, Danny, con l’ombra dell’ultimo sorriso, ancora dipinta sul volto.
«Be’, dobbiamo riposare» concluse, infine, il figlio di Odino, asciugandosi le lacrime. «Dobbiamo aspettare il prossimo attacco e abbiamo bisogno di recuperare le forze.»
Gli altri ragazzi annuirono e se ne andarono. I figli di Eir si radunarono con i figli di Apollo per allestire un ospedale da campo e curare i feriti. I figli di Vidarr si unirono a quelli di Efesto e si diressero rapidi ad al perimetro, per rinforzare le difese.
Eravamo tutti stanchi morti, ma facemmo del nostro meglio per migliorare la nostra situazione. Rinvigoriti dall’arrivo dei rinforzi, cercammo di darci da fare. Io, di mio, ero distrutto dopo il duecentesimo mostro ucciso e avevo assolutamente bisogno di una dormita. Salii fino al terzo piano, dove sapevo esserci stanze libere e ne trovai una e mi ci infilai dentro.
Mi guardai: ero sporco di melma di mostri, polvere e neve sporca, sudato e con i vestiti stracciati. Sbuffai. Avevo bisogno di una doccia. Mi tolsi l’armatura, allentando i lacci di pelle e me la tolsi.
Dopodiché entrai nel bagno ed aprii l’acqua. Fortuna che l’incantesimo di Crono non aveva bloccato l’acqua corrente. Sbuffai e mi tolsi i vestiti, buttandomi sotto il getto d’acqua della doccia.
Non la occupai molto, semplicemente mi lavai un po’, dato che non avevo molto tempo. Chissà quanto tempo avevo per me, prima del prossimo attacco. Sospirai, asciugandomi i capelli e mettendomi un asciugamano sui fianchi ed uscii, andando nella stanza adiacente.
«COPRITI MANIACO!»
L’urlo mi fece sobbalzare e fui ancora più sorpreso quando mi accorsi che a lanciarlo era stata Karen, bella come sempre che, rossa come non mai, si era coperta gli occhi.
«Ehi, bellezza. Sei entrata per vedermi senza vestiti» dissi, sorridendo come solo io potevo fare, mentre mettevo una mano sull’asciugamano, come se volessi toglierlo.
Cosa che sapevo l’avrebbe messa ancor più in imbarazzo. Infatti lei si girò dall’altra parte.
«Copriti! E SUBITO!» urlò. «Altrimenti ti taglio il…»
«Sì, ho capito… Tutte le ragazze a cui piaccio mi minacciano di castrazione, sai?» chiesi, con un sorrisetto, tornando in bagno, indossando i pantaloni.
«TU NON MI PIACI!» sbottò, girandosi, ma arrossendo di nuovo, quando si accorse che non indossavo la maglietta. «Quindi, smettila di tormentarmi!»
«Certo. La smetterò, quando accetterai di uscire con me» risposi, sornione, sedendomi sul letto.
«Aaaaaah! Sei peggio degli insetti. Ci penserò se usciamo vivi da qui» ringhiò, andando a sedersi sul divano.
«Me lo ricorderò» assicurai, senza togliermi il sorriso dalla faccia.
Sapevo che la irritava. Karen sbuffò indispettita, ma non mi dette la soddisfazione di prendersela.
«Comunque, ero qui perché cercavo un posto dove riposare» spiegò.
Io annuii e mi sedetti sul divano accanto a lei che, per reazione, si alzò rabbrividendo, quasi fossi ricoperto di melma radioattiva.
«Ottimo!» esclamai. «Ora posso cederti il letto, visto che hai abbandonato il divano, su cui mi sistemerò io.»
«Cosa?»
«Perché credevi che mi fossi spostato? Certo, se tu volessi, mi divertirei volentieri a coricarmi al tuo fianco, ma dubito vorrai» spiegai semplicemente, stendendomi sui cuscini.
Erano morbidi, adatti a me, di sicuro migliori del letto di casa mia.
«Dormire nella tua stessa stanza? Sei matto!?» domandò la Cacciatrice, schifata.
«Mica ne approfitterò» risposi, chiudendo gli occhi.
 
Mi ritrovai di nuovo nella sala del Banchetto degli Dèi. Erano tutti riuniti, ma, adesso, c’era un atmosfera più triste e distesa. Heimdallr stava fissando un punto imprecisato lontano fuori dalla finestra ed intuii che stava osservando noi, con la sua vista incredibilmente acuta.
Njordr era in disparte e aveva l’aria pensierosa. Che stesse pensando a suo figlio? Danny era uno dei suoi figli più abili e lui si era messo contro all’idea di venire in nostro aiuto. Solo che adesso, forse, stava cambiando idea.
Thor era in piedi, davanti al padre che stava tenendo qualcosa in mano: una piccolissima sfera che, mi resi conto, essere l’occhio destro di Alex.
Che schifo, pensai, mentre osservavo gli Dèi che, pensierosi, attendevano il verdetto del loro signore.
«Così… ne siete sicuri? Loki si trovi a New York e sta facendo accordi con Crono ed i suoi?» chiese il Re degli Dèi ad uno corvo, che intuii essere Mugin.
Quello gracchiò in risposta ed Odino si incupì.
«Siamo stati ingannati di nuovo» borbottò Tyr, battendo i pugni sul tavolo.
«Allora dobbiamo correre!» esclamò Thor sollevando il martello, in segno di approvazione.
«E sia. Mugin, vai al Campo Nord e informa Hermdor di mettere i semidei in allarme. Fratelli e figli miei, prendete le armi! Abbiamo un affare da risolvere con Loki» ordinò Odino, alzando la lancia.
Alla buon’ora!, pensai sollevato, mentre Hemidallr iniziava ad armeggiare con i comandi del suo trono, che controllavano il Bifrost. Finalmente arrivavano i rinforzi. Sarebbe stato bellissimo, se non fosse che, ad un certo punto, il dio del Ponte si fermò accigliato, osservando i comandi che emettevano delle scintille preoccupanti.
«Dannazione, qualcuno ha sabotato i comandi!» imprecò il dio, dando un pugno sul trono dei comandi. Grandioso. Ed io sapevo bene di chi era la colpa. Potevo quasi vedere mio padre che se la rideva mentre esclamava: «LOL! Vi ho trollati tutti!»
«Dannazione!» urlò Thor, furioso. «Non abbiamo altri mezzi?»
«Non in tempo utile, se vogliamo salvare i nostri figli» borbottò Freyr, preoccupato.
«Allora mi metterò a lavoro subito!» esclamò Viddar, mettendosi ad armeggiare con il trono.
Be’, cercate di fare in fretta!, avrei voluto urlare, ma, ovviamente, essendo un sogno, non potevano sentirmi.
Appena mi svegliai mi accorsi che non potevano essere passate più di un paio d’ore. Karen stava ancora dormendo, ma non avevo tempo da perdere. Dovevo informare tutti che avevamo una possibilità. Dovevamo solo aspettare.

 
koala's corner.
Ok, ragazze, partiamo dal fondo. Perché, cioé, io so che non volevate Einar in asciugamano. Direttamente naked.
Sì, era programmato che Einar senza vestiti facesse sclerare. O che ci provasse. Cooomunque, mi sono divertito un sacco a scrivere questo capitolo. Shippate Einar con chiunque Einico Come vedete, Odino si sveglia e decidere di dare una mano, ma Loki trolla tutti (LoL)
Poi vorrei parlare di Alex avvolto dalle fiamme. Immaginatevi 2 cose: 1) Astrid che cuoce una pizza stile marshmallow acconto al suo fuoco 2) Sempre Astrid che gli sta accanto e grida "Smettila di giocare a fare il mangiafuoco!" e rivolta a se stessa "adesso capisco cosa prova  Foreseti"
Ishir è un mio personaggio originale, preso da un'altra mia storia.
Grazie mille per le recensioni dello scorso capitolo, speriamo che anche questo vi sia piaciuto! Alla prossima!

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Capitolo 16
*** ANNABETH • Guido un elicottero ***


Guido un elicottero
♣Annabeth♣
 
Con l’arrivo dei rinforzi, la nostra situazione era cambiata. Eravamo circa settanta semidei, tra greci e norreni, a cui si aggiungevano una centinaia di satiri, duecento elfi – che avevano l’aria di saperci fare, in battaglia, ed erano molto più freschi e riposati di noi – e cinquecento centauri al seguito di Chirone, tutti i Party Pony che si erano uniti a lui.
Il che, facendo due conti, portava alla conclusione che, adesso, affrontavamo Crono in rapporto di dieci a due invece che dieci a uno.
Poi, Einar aveva fatto irruzione insieme a Percy nella stanza dove mi stavo riposando, entrambi parecchio su di giri per una nuova notizia. Avevamo radunato in fretta i capogruppo e avevamo chiamato Alex e Astrid, accompagnati anche da Ishir, dopodiché Einar aveva spiegato a tutti il motivo di tanta eccitazione: gli Dèi del Nord sarebbero venuti in nostro aiuto.
O meglio: in auto dei loro figli, esclusivamente perché Loki si era rivelato con le mani in pasta in questa faccenda, non perché fossero stati travolti da un’ondata di clemenza e bontà. Avevano anche ordinato che le altre Orde si unissero alla nostra battaglia, e dall’espressione di Alex capii che i semidei in arrivo erano molti.
Gli unici, per nulla insignificanti, problemi erano che: in primis, gli Dèi non potevano usare il Bifrost per colpa di un trucco di Loki; in secundis, le Orde avrebbero impiegato alcuni giorni ad arrivare e oltrepassare le barriere magiche che avvolgevano New York, senza contare che non avevano un mezzo veloce tanto quanto Skidbladnir, e non avremmo resistito ancora un giorno al massimo. Poi, Tifone ci avrebbe spazzato via, o Crono avrebbe raggiunto l’Olimpo.
In sostanza, se i norreni non avrebbero fatto in fretta, sarebbero arrivati solo per riportare i cadaveri dei loro compagni in Norvegia. La situazione non era così critica come prima, e la speranza aveva rianimato tutti, ma la fortuna non ci sarebbe bastata. Ci saremmo dovuto organizzare per resistere agli attacchi, trovare un modo per arginare l’arrivo di Tifone o pregare che gli Dèi Olimpi lo rallentassero ancora per un po’.
L’aiuto dei norreni mi sembrava come una fialetta antipulci applicata al cane dopo che aveva già accolto sotto il suo pelo le pulci. Utile, certo, sempre che i parassiti non fossero ormai in stadio troppo avanzato per essere eliminati.
La notizia era girata in fretta, la voce era corsa velocissima di bocca in bocca, e tutti volevano sentirla più volte per essere certi di non essere in un sogno. Notai che i semidei norreni scoccavano occhiate sospette ai figli di Loki e facevano commenti sul loro padre divino.
«Come se fosse colpa nostra» brontolò Alyssa, che stava parlando con Einar e Ishir. «Mica l’abbiamo bloccato noi il Bifrost.»
«Già» osservò Ishir, mentre mi avvicinavo a loro. «Però è sempre stato così, non dovresti stupirti. Le azioni di vostro padre influiscono sempre su di voi, spesso negativamente.»
Einar fece un sorrisetto divertito. «Nel caso di Alyssa, dovresti specificare quale dei due padri.»
«Sappiamo tutti a quale si riferiva» sbuffò la ragazza.
«Aspettate» li interruppi. «Due padri? Come puoi avere due padri?» mi rivolsi alla diretta interessata.
«Oh, è vero!» esclamò Einar. «Annabeth non lo sa.» Ghignò, e temetti che la spiegazione non mi sarebbe piaciuta per niente.
Alyssa gli scoccò un’occhiataccia, come se quell’osservazione la mettesse in imbarazzo e la facesse contemporaneamente arrabbiare parecchio.
«Ho due papà, è vero» confermò. «Uno è umano, l’altro è Loki. Solo che Loki ha, diciamo… attratto il mio padre mortale in una forma diversa dal solito.»
«Quanto diversa?» incalzai, curiosa.
«Molto diversa» rispose Alyssa. «Loki può assumere molti aspetti. Nei miti è diventato una giumenta, anche una mosca. Con mio padre è diventato una donna.» Un brivido mi percorse la schiena, mentre lei continuava: «E, be’, poi lui si è rivelato, ma io sono nata da lui-donna, quindi ho due padri.»
Mi presi del tempo prima di rispondere, per scegliere le parole adatte. «Questo è, err, molto diverso.»
«Scommetto che stavi per dire “inquietante”» mi punzecchiò Einar.
Lo fulminai con una dei miei migliori sguardi stai-zitto-io-sono-una-figlia-di-Atena-so-quel-che-dico, che funzionò ben poco.
«Guarda che lo sanno tutti che Loki è anche inquietante» riprese infatti. «Basta solo farci l’abitudine. Nemmeno agli Elfi dà fastidio. Non è così, Ishir?»
L’elfo alzò le spalle.
«Ok» dissi, sentendomi imbarazzata e fuori posto. Non pensavo che sarebbe stata quella la spiegazione. Non pensavo nemmeno che Loki potesse diventare una donna. «Credo… credo che andrò a cercare Percy. È scomparso dopo l’annuncio.» Mi ritrovai tre paia di occhi puntati su di me. «Ciao» balbettai, prima di allontanarmi abbastanza da potermela dare a gambe.
 
Trovai Percy che passeggiava sulla Quinta Strada. Lo raggiunsi, accelerando il passo, e mi misi al suo fianco.
«Ehi» salutai.
«Ehi.» Mi squadrò, dopodiché domandò: «Perché ho l’impressione che tu sia fuggita da qualcosa?»
«Qualcuno» precisai, facendo una smorfia.
«Chi?» incalzò, incuriosito. Mi sorrise, e i suoi occhi brillarono, quando catturarono la luce di un raggio di sole. «Sai che posso affrontare chiunque, con questa storia dell’invulnerabilità.»
Sbuffai e distolsi lo sguardo, nascondendo al meglio il fatto che il mio stomaco si era contorto e rilassato troppo velocemente a quella frase. I miei pensieri andarono a Luke, ma mi costrinsi a ignorarli. Dovevo smetterla. Non c’era più Luke Castellan, solo Crono. Crono, Crono, Crono.
«Non dovresti prendere la maledizione di Achille così alla leggera» lo rimbrottai, notando con piacere che la mia voce non aveva assunto toni compromettenti.
«Lo so» borbottò Percy. «Allora? Cosa c’è, Sapientona?»
«Informazioni inquietanti su Loki» risposi; bloccai con la mano ulteriori indagini. «Meglio di no. Se vuoi sapere di più, chiedi ad Einar o Alyssa.»
Corrugò la fronte, poi scrollò le spalle. «Va bene.»
Continuammo a passeggiare, senza parlare d’altro. Sarebbe stato inutile chiacchierare di argomenti futili, visto quello che poteva succedere, e discutere della battaglia ci avrebbe solo fatto preoccupare di più. Mi misi le mani dietro la schiena e stirai le spalle, guardando il cielo che sfiorava l’asfalto. Percy si fermò, fissandomi come per accertarsi che fossi vera.
«Che c’è?» chiesi, accigliata.
«Ehm… niente, credo.»
Fece vagare lo sguardo altrove, osservando le macchine. Studiò un’automobile blu e s’immobilizzò. Scattò, precipitandosi in fondo alla strada.
«Percy!» gridai. Ma cosa gli era preso? «Dove stai andando?»
Non mi ascoltava, così gli corsi dietro. Raggiungemmo la macchina blu. Al suo interno, riconobbi il fidanzato di Sally Jackson svenuto alla guida, Paul, mentre la madre di Percy gli russava accanto.
«Sarà… sarà colpa dell’incantesimo di Morfeo» disse.
Dalla sua voce traspariva quanto fosse mortificato, e potevo intuire il perché. Da quando erano iniziate le offensive da parte di Crono ed Hell, non aveva mai rivolto pensieri alla sua famiglia, che poteva essere in pericolo come tutti gli altri umani, e questo non era esattamente il comportamento di un figlio nei confronti della madre, specialmente se i due erano legati come Percy e Sally Jackson.
«Devo tirarli fuori» decise, incominciando a strattonare la portiera per aprirla, che però era chiusa.
«Percy» lo chiamai dolcemente, sfiorandogli la spalla.
«Non posso lasciarli qui!» esclamò. Parlava con furia, come un pazzo. Picchiò i pugni sul parabrezza.
«Io devo spostarli. Devo…»
«Percy, aspetta.» Feci un cenno a Chirone, che stava parlando con alcuni centauri in fondo all’isolato. «Possiamo spingere la macchina in una stradina laterale, va bene? Se la caveranno.»
Gli tremavano le mani. Probabilmente la vista dei genitori, dopo tutto quello che era successo, lo stava facendo crollare. Provai un moto improvviso di tenerezza, pena e compatimento, che mi sarebbe tanto piaciuto poter assecondare con un abbraccio. Nonostante ciò, non feci nulla. Chirone ci raggiunse al galoppo.
«Cosa…?» iniziò, poi vide Paul e Sally. «Oh, misericordia. Capisco.»
«Stavano venendo a cercarmi» disse piano Percy, senza staccare gli occhi dall’automobile. «Mia madre deve aver percepito che c’era qualcosa che non andava.»
«È molto probabile» commentò il centauro. «Ma ce la faranno. La cosa migliore che possiamo fare per loro è rimanere concentrati sul nostro compito.»
Percy annuì, spostando lo sguardo sui sedili posteriori della Prius. Mi venne un colpo. Adagiato là dietro, c’era un pithos greco bianco e nero alto più o meno un metro, con il coperchio chiuso da un laccio di cuoio. Era il vaso di Pandora.
«Non ci credo» mormorò.
«Ma è impossibile! Non l’avevi lasciato al Plaza?» esclamai, premendo la mano sul finestrino.
«Chiuso in cassaforte» confermò.
Chirone studiò il vaso, impallidì e sgranò gli occhi in rapida successione. «Quello non è…»
«Il vaso di Pandora» completò Percy. «Un regalo di Prometeo. Dopo il primo giorno di scontri è venuto qui per incontrarci e proporci di arrenderci.» Gli raccontò brevemente cos’era successo.
«Allora il pithos è tuo» affermò Chirone, incupitosi. «Per quanto proverai ad abbandonarlo, lui ti seguirà tenterà di convincerti ad aprirlo e liberare Elpis. Comparirà nei tuoi momenti di maggiore debolezza.»
Come ora, pensai, e scoccai un’occhiata preoccupata al vaso, Paul e Sally Jackson. Percy parve riflettere un secondo, quello dopo aveva già sguainato Vortice e incideva il finestrino del guidatore, attraversandola come se fosse burro. Mi obbligai a rimanere quasi impassibile. Ogni volta che vedevo un’arma o avevo la sensazione che si potesse scatenare un conflitto, scattavo all’erta prima ancora di potermi accertare del nemico. Era frustante essere così in ansia.
«Mettiamo la macchina in folle» disse Percy. «Poi li spingiamo via da qui. E riportiamo quello stupido vaso sull’Olimpo» aggiunse, leggermente scocciato.
«Un buon piano» accettò Chirone, annuendo. «Ma, Percy…»
Qualunque cosa volesse dire, non fece in tempo a finire la frase, perché si bloccò. In lontananza proveniva un rullio metallico regolare, che si faceva via via sempre più forte. Sembravano le eliche di un elicottero. Questo era impossibile, a meno che non fosse guidato da semidei immuni alla magia di Morfeo. Quell’improvviso rumore era ancora più strano e fuori posto, dopo due giorni di silenzio.
A pochi isolati di distanza, verso est, l’elicottero si rese visibile, accompagnato da grida e ululati dell’esercito dei mostri. Era un modello civile color rosso scuro, con un vivace logo verde che spiccava parecchio. Ci misi un po’ a decifrarlo, ma si leggeva: DARE ENTERPRISES. Strinsi i pugni e assottigliai lo sguardo. Avrei potuto giurare che la mia faccia fosse stata rossa quanto l’elicottero.
«E lei che ci fa qui?» sputai la domanda. «Come ha fatto a oltrepassare la barriera?»
«Chi?» domandò Chirone, un’espressione sorpresa stampata in faccia. «Quale mortale sarebbe così folle da…»
All’improvviso, l’elicottero si inclinò pericolosamente in avanti, e il centauro abbandonò la frase precedente.
«L’incantesimo di Morfeo!» esclamò. «Quello stupido di un pilota mortale si dev’essere addormentato.»
Percy osservava la caduta del mezzo sulle file di palazzi inorridito, mentre io provavo una gioia malsana al pensiero che chi c’era dentro si sarebbe spappolata o rotta ogni singolo osso del corpo. Questa morte piacerebbe parecchio a Hell, mi ritrovai a pensare, sentendomi a disagio con quelle stesse riflessioni, che non riuscivo a bloccare. La parola morte risvegliò in me l’orrore per quello che stavo augurando ai passeggieri.
Fischiai, richiamando Giudo, l’amico pegaso di Blackjack, che spuntò dal nulla.
«Muoviti, Percy» ringhiai. «Dobbiamo salvare la tua cara amica» diedi fin troppa enfasi all’ultima frase.
 
Rachel gridava da dentro l’abitacolo e questo mi dava un piacere perverso, che non era né sano né mi aiutava a pensare a un piano per salvare la sua miserevole vita. Per qualche strana ragione, lei era sveglia, mentre il pilota era accasciato sui comandi e la cloche gli stava finendo nel naso. Il mio cervello lavorava velocemente.
«Qualche idea?» mi chiese Percy.
Fissai l’elicottero. «Dovrai prendere Giudo e allontanarti» risposi.
«Ma tu che intenzioni hai?» domandò, lasciando trasparire l’incertezza nella voce.
Invece di farmi sciogliere, questo alimentò la rabbia che covavo dentro di me. Questa volta non sei tu quello che ha inclinazioni suicide, pensai.
In tutta risposta, gridai all’indiana: «Iih-ah!» e feci calare Guido in picchiata.
Il vento mi fece volare via i capelli da tutte le parti, mentre mi finiva in faccia così forte da farmi quasi lacrimare gli occhi.
«Giù la testa!» strillai, quando passammo a pochissimo dal rotore e le eliche fendevano con forza l’aria. Sfrecciamo sul fianco dell’elicottero, mi sporsi di lato e afferrai lo sportello. Poi le cose si misero male, non seguendo il piano.
Guido sbatté un’altra contro la fiancata dell’elicottero e precipitò giù con Percy in groppa, lasciandomi a penzoloni sul mezzo. Strillai per lo spavento e la sensazione di non avere nulla sotto i miei piedi. Percy e il pegaso scomparvero dalla mia vista, mentre due braccia mi afferravano e mi tiravano dentro.
Mi rialzai, ansimante e con la cute che mi pizzicava. Davanti a me, c’era Rachel Elisabeth Dare. Aveva i capelli rossi scarmigliati, le mani tremanti e gli occhi che gridavano aiuto. Era terrorizzata e, be’, lo ero anch’io. Reazione normale e calcolata, visto che mi trovavo su un elicottero in procinto di schiantarsi su New York.
«Perché sei salita?» gridò per sovrastare il rumore delle eliche.
«Aiutami a spostare il pilota» replicai, ignorando la domanda.
Non sembrava convinta, ma liberammo la postazione di comando. Pulsanti, levette e luci colorate erano dappertutto. Per un attimo, temetti che ciò che avevo pensato non avrebbe funzionato. Poi mi diedi della stupida, perché le figlie di Atena avevano sempre un piano.
«Sai guidare un elicottero?» domandò Rachel, riportandosi nervosamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Oh, certo, prendo lezioni ogni domenica» risposi, imprimendo nella frase una grande dose di sarcasmo.
Mi concentrai sui comandi, sedendomi al posto del pilota. Provai a domandarmi cosa fare, e mi sforzai di ricordarmi ciò che diceva mio padre sull’aviazione. Mi vennero in mente alcuni progetti volanti di Dedalo. Così, mi lasciai andare all’istinto, pregando di non peggiorare la situazione.
Sollevai due levette con le dita in rapida successione, afferrai la cloche e la strattonai in avanti, ma sembrava bloccata. O forse non stavo facendo la cosa giusta.
«Stiamo precipitando!» Rachel mi strillò nell’orecchio.
Era vero: i tetti dei palazzi erano pericolosamente vicini e, se non ci fossimo fermate subito, ci saremmo affondate dentro.
«Lo so!» sbottai in risposta, come se fosse tutto perfettamente normale.
Tirai la cloche verso di me, mentre la rossa ribatteva: «Ma come puoi essere così calma!? Sei pazza!»
«Per gli Dèi, chiudi quella bocca!» ordinai e, in un moto di rabbia, impressi più forza nella presa e l’elicottero mi obbedì.
Frenammo bruscamente, riprendendo quota. Lentamente, quasi ci stessimo impiegando una vita, atterrammo con un tonfo nel bel mezzo della Quinta Strada. Percy mi guardò attraverso il vetro dell’abitacolo e strabuzzò gli occhi. Ero troppo stressata e smaniosa di uccidere Rachel Elisabeth Dare per sorridergli.
La ragazza aprì lo sportello e trascinò giù il pilota, il viso aveva assunto una sfumatura verdognola. Mi alzai, massaggiandomi la spalla ferita. Scesi per ultima e fui accolta da Percy, affiancato da Rachel, cui riservai un’occhiataccia subito dissimulata.
«Non sapevo sapessi guidare un elicottero» commentò il figlio di Poseidone, sbigottito.
Provai una certa gioia nell’averlo stupito così tanto e profondamente. Mi appuntai mentalmente, come una ragazzina nei film: Dare 0, Chase 1. Mamma, implorai, conscia che non mi avrebbe sentita, Atena, ho bisogno della tua intelligenza e pazienza.
«Nemmeno io» replicai. «Mio padre è un maniaco dell’aviazione, e Dedalo aveva qualche appunto su alcune macchine volanti, nel portatile. Ho tirato a indovinare.»
«Quindi potevamo morire» intervenne Rachel. «Ma grazie per avermi salvato la vita, Annabeth.»
Storsi il naso e flettei la spalla ferita. «Già, be’… basta che non diventi un’abitudine.» Tipo quella di Alex nel fingersi morto, pensai distrattamente, prima di riprendere, in tono più acido: «Che accidenti ci fai qui, Dare? Che ti è saltato in mente di volare in zona di guerra?»
«Io…» Rachel mi lanciò un’occhiataccia – ah, si era sicuramente accorta dell’1 a 0 – «Dovevo venire. Percy era nei guai.»
Percy è sempre nei guai! La uccisi venti volte nella testa. Poi, mi imposi la calma. Non dovevo fare così, probabilmente sarei scoppiata. Detestavo queste situazioni, si ripetevano troppo spesso. Un mese prima, Astrid aveva baciato Percy. Ora, Rachel Elisabeth Dare veniva a dare il suo contributo.
«Su questo non ci piove» brontolai. «Be’, se volete scusarmi, ho alcuni amici feriti di cui occuparmi. Grazie per la visita, Rachel.»
«Annabeth…» tentò Percy.
Mi allontanai impettita. Fortunatamente, c’era Guido a cui pensare e molto altro, perché non avevo la minima intenzione di stare un secondo più del necessario con la mortale. La sentii piagnucolare dietro di me.
«Mi dispiace, Percy. Non volevo… faccio solo un gran casino.»
Il primo passo è l’accettazione, miele, pensai. Ma sarebbe molto meglio se i prossimi ti portino lontano da qui. E da Percy.

 
koala's corner.
Di nuovo aggiornamente notturni! Dopotutto, le vecchie abitudini sono dure a morire.
In primis: questo capitolo è cortissimoooo, però volevo fare qualcosa completamente Annabeth, e lei non sta a sentirsi tutto il dialogo con Percy né fa altro e allora argh, basta. E' così, mi inginocchierò davanti a voi etc.
Nonostante questo capitolo sia corto, è comunque interessante perché si scoprono cose carine su Loki, come il fatto che si sia trasformato in una donna e partorito*ghigna*
Noi due abbiamo l'headcanon di Annabeth molto gelosa, che tiene lontanto le altre ragazze da Percy, quindi i pensieri
omicidi abbondano.
E questi ti riescono bene
Giàà, io sono molto omicida hahah
Grazie mille per le recensioni, speriamo che questa full immersion (?) in Annabeth vi sia piaciuta, alla prossima!

Soon on Venti del Nord: POV Percy/Einar Loki e sua moglie. Sì, è sposato.

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Capitolo 17
*** PERCY/ EINAR • La moglie di mio padre ***


La moglie di mio padre
♠Percy♠
 
Nonostante la preoccupazione fosse pressante, la speranza rimaneva viva nei nostri cuori, soprattutto con il tanto sospirato arrivo degli Dèi Norreni. Certo, questo non ci aiutava molto, dato che Loki aveva furbescamente deciso di metterci in difficoltà manomettendo il ponte dell’arcobaleno. Me lo immaginavo ad aggeggiare con i comandi, distruggendo ogni circuito tecnologico o magico che aveva sotto mano, con l’aria da scienziato pazzo.
Ma non avevo molto tempo per pensarci, dato che dovevo occuparmi anche di Rachel. Il suo racconto era inquietante e mi faceva venire in mente le terribili immagini di May Castellan che urlava al secondo piano della Casa Grande al Campo. Avrei voluto che Rachel non avesse delle visioni del genere.
A peggiorare le cose, era arrivato Chirone che sembrava fin troppo interessato. Decisi di lasciarla alle sue cure, mentre io mi avviavo all’Empire State Building, dove si erano radunati i semidei.
Nell’atrio era stato allestito un ospedale da campo dove i figli di Eir e di Apollo si occupavano dei feriti. Will Solace si stava prendendo cura di Katie Gardner, che aveva la fronte fasciata come se si fosse presa una bella botta. Poco più in là, Connor si studiava la gamba sinistra che era stata fasciata con cura.
Lars non aveva riportato ferite contro il Drago, ma stava dando una mano a Nora, che aveva ancora il viso pallido e il corpo debilitato dalle ustioni da acido.
Eric, un figlio di Baldr, era disteso senza sensi su una branda, mentre, alla sua destra, Bethany veniva medicata per via di una profonda ferita al fianco. Ero felice di vedere che molti di noi erano ancora vivi, ma, nonostante questo, non potevo non soffermarmi sulle dieci salme che gli altri semidei avevano disteso poco lontano dalle tende ospedale.
Alcune erano nascoste da i drappi, ma i norreni non coprivano i loro porti. Quando vidi il volto di Danny mi sentii come se mi avessero pugnalato. Potevo essere invulnerabile, certo, ma non ero riuscito a difenderlo. Forse era questa la parte più terribile della maledizione di Achille: vedere tutti i tuoi compagni e amici morire in battaglia, mentre tu, per quanto forte, non puoi fare nulla per aiutarli.
Accanto a Danny c’era un drappo dorato ed uno rosso fuoco: un figlio di Efesto e uno di Apollo. Non sapevo chi ci fosse sotto e non volevo nemmeno saperlo. Ancora accanto c’era il corpo di Kinnon, vegliato da Beckendorf.
«Ehi, amico» lo chiamai, avvicinandomi.
Aveva l’aria stanca, i capelli arruffati e il volto sudato.
«Percy» rispose, con voce atona. «Scusa. Stavo…»
«Non importa. Capisco.»
«Già. Avrei potuto aiutarlo… ma non ce l’ho fatta. Gli dovevamo la vita» borbottò, osservando il figlio di Heimdallr che Kara aveva ucciso.
Sapevo a cosa si riferiva: se Kinnon non ci avesse avvistati, alcuni giorni prima, Alex e i suoi non ci avrebbero mai soccorso sulla Principessa Andromeda. Crono, probabilmente, ci avrebbe uccisi.
«È morto da eroe. Il modo migliore per onorarlo è vincere questa battaglia. Possiamo farcela» dissi piano.
«Hai ragione, Percy. Non è morto invano. Fermeremo Crono e faremo capire che non sono venuti qui per niente» affermò il figlio di Efesto, alzandosi in piedi.
Annuii e mi allontanai. C’era troppo dolore in quella zona, per i miei gusti. Avevo bisogno di riprendermi. Avevo fame, sete ed ero sporco di melma di mostro. Decisi di farmi un giro e raggiunsi una zona ristoro, dove i miei amici si stavano rifocillando.
A parte me, erano stati tutti feriti almeno una volta e tutti avevano in bella vista fasciature, bruciature e cicatrici. Mi incamminai verso un tavolo dove Ishir, Grover, Alex ed Astrid stavano mangiano roba venuta dal più vicino McDonald’s, tranne l’elfo, ovviamente, che aveva optato per qualcosa di più sano e naturale e squadrava esasperato i suoi amici.
«Ehi, ragazzi» li salutai, mentre mi accomodavo accanto a loro, rubando un hamburger ad Alex.
«Ciao, Percy» mi salutò Astrid, arrossendo.
Intuii che, forse, stava pensando a quando, un mese prima, mi aveva salvato la vita in modo molto… particolare. Ora, invece, si era messa con Alex, alla fine. Anche se era un figlio di Odino senza un occhio, sperai che non la ferisse, altrimenti gli avrei fatto assaggiare il Bronzo Celeste.
«Come va?» chiesi, addentando il panino.
«Abbastanza bene: il morale si è sollevato, con le nuove notizie» rispose Ishir, allegro, mentre giocava con la forchetta di plastica.
«Già…» borbottò il figlio di Odino, pensieroso.
«Cosa c’è? Ti preoccupa qualcosa?» domandai interessato.
Di solito, se era preoccupato, c’era un motivo e volevo saperlo, soprattutto se ci metteva in pericolo. Astrid, invece, sbuffò, come se i suoi timori fossero un altro motivo per cui temere per le sorti del suo ragazzo. Non potei fare a meno di pensare che lei ed Annabeth si somigliavano: ce la vedevo la mia figlia di Atena a preoccuparsi per le persone che amava, tanto da temere per la sua sorte.
«In effetti, c’è qualcosa che mi preoccupa. Loki, non capisco il suo piano» sussurrò Alex, mangiando, distrattamente, un panino con del pollo.
«Lo sai che gli piace metterci in difficoltà. Vorrà solo divertirsi» ipotizzò, Ishir, stringendosi le spalle.
La spiegazione dell’elfo sembrava buona, ma il figlio di Odino non sembrava soddisfatto.
«Lo so, ma mi sembra strano. Cioè: a che scopo coinvolgere i Titani? Se davvero volesse la loro alleanza, avrebbe proposto loro qualcos’altro. Crono e i suoi fratelli, anche se volessero combattere con Loki, sarebbero in difficoltà al di fuori del territorio greco. Quindi è un’alleanza piuttosto inutile per Loki» replicò, pensieroso.
In effetti aveva ragione. Il mese scorso ci avevano spiegato che il mondo era diviso in due parti: quella Greca, che corrispondeva agli Stati Uniti, e quella Norrena, che equivaleva all’Europa del nord e alla Russia.
Il resto del mondo era territorio di confine, dove i poteri delle due divinità erano uguali, motivo per cui erano anche zone piene di disordini e disastri naturali. All’interno dei territori delle altre divinità, quelle della parte avversa, erano in grande difficoltà e i loro rispettivi poteri erano molto inferiori. Questo doveva valere anche per i Titani e la cosa aveva senso.
«Sentite» ci interruppe Astrid. «Stiamo già rischiando la vita, non c’è bisogno di pensare ad altri modi per facilitare la nostra morte.»
«Hai ragione. Scusami» rispose Alex, sorridendole, anche se sapevo che era solo un modo per non farla preoccupare.
Mentre mangiavamo, potei notare come il morale si era alzato con l’arrivo di alleati e, con loro, anche la possibilità che gli Dèi Norreni ci aiutassero. Gli elfi e i satiri non sembravano odiarsi particolarmente, e Chirone stava parlando ancora con Rachel, che Annabeth squadrava come se volesse strangolarla con la mente. Dopo qualche secondo, mi venne in mente una cosa che volevo chiedere.
«Ishir, scusa, posso farti una domanda?» chiesi, finendo il panino.
«Sì?» “
«Come mai tu sei… diverso dagli altri elfi che ho visto? Anche i tuoi compagni. Il mese scorso sono finito al tuo Campo, ma avevo visto elfi differenti da te» spiegai, sperando di non aver premuto un tasto dolente.
Invece, lui non sembrò offeso, anzi si mise a ridere.
«Quelli che hai visto erano Elfi Alti, detti anche Elfi Luminosi e sono molto più regali e simili a Divinità Minori. Noi siamo Elfi dei Boschi, siamo degli spiriti della natura, come le fate, e siamo simili ai Satiri» illustrò, facendo distrattamente crescere una piantina rampicante sulla gamba del tavolo.
«Capisco» dissi, pensando al fatto che, forse, avrei dovuto chiedere, se non fossi morto quello stesso giorno, ad Alex di ragguagliarmi sulla mitologia norrena.
Dopo qualche attimo, Rachel si unì a noi, cosa che Annabeth non prese molto bene, e si sedette con i suoi fratelli di Atena. Insieme alla rossa c’era anche Helen, albina e inquietante quasi quanto Alex senza un occhio.
«Ehi ,ragazzi!» ci salutò Rachel, accomodandosi accanto a me, cosa che non mi dispiacque per nulla.
Lei si guardò intorno e salutò Grover, che già aveva conosciuto e le presentai Ishir ed Astrid.
«Che ti è successo alla faccia?» chiese, ad un certo punto, indicando Alex senza un occhio.
«Smettetela di farmelo notare. Non l’ho fatto a posta» brontolò il ragazzo, esasperato.
«Crono gli ha cavato l’occhio con la falce» spiegò, Astrid, lanciandogli un’occhiata come per dire: “la prossima volta che provi a farmi venire un colpo del genere, ti chiudo in un bunker anti attacchi di Titani”.
«Be’, Rachel ha sconfitto Crono con una spazzola blu. È più forte di te» raccontai, facendo arrossire la diretta interessata, mentre il figlio di Odino scuoteva la testa, sorridendo esasperato.
«Allora, che ti ha detto Chirone?» domandai, mentre Rachel mangiava una mela.
Aveva ancora lo stomaco sottosopra per il volo.
«Solo che non sono obbligata a fare nulla. Mi ha spiegato qualcosa sulle mie visioni, ma non credo ci sarà molto d’aiuto per adesso» rispose, evasiva, mentre il suo sguardo si faceva triste.
Stranamente, Helen si fece avanti e le poggiò una mano sulla spalla.
«Ti ci abituerai, vedrai» disse, con un sorriso incoraggiante.
Avevo intuito a cosa si riferiva, ma questo non faceva altro che farmi pensare alla signora Castellan, impazzita per le visioni di un Oracolo imprigionato per volere di Ade in un corpo morto, destinato a far uscire di testa chiunque provasse a prenderne il posto. Pregai che Rachel non ci provasse. Sarebbe stato troppo pericoloso.
«Sentite, io non sto più in piedi, ho bisogno di riposare» borbottai, mentre mi alzavo.
Non mi piaceva lasciare sola Rachel – soprattutto con Annabeth nella stessa stanza –, ma avevo bisogno di un buon bagno e di dormire.
«Ci sono diverse stanze libere al terzo piano» mi informò Astrid.
«Grazie.»
Mentre andavo, incrociai Talia ed Einar che stavano discutendo su qualcosa che riguardava una Cacciatrice.
«Ehi, ragazzi!» li chiamai, correndo verso di loro.
«Percy, sei in forma per uno che non si è fermato per tutta la notte» commentò la figlia di Zeus.
«Certo» ribatté il figlio di Loki. «Bara: usa la Maledizione di Achille.»
«Smettetela, dài, non è così facile: sono stanco morto. Volevo sapere come va la situazione» sospirai.
«Per ora tutto a posto. Le mie Cacciatrici stanno controllando il perimetro. E, Percy… anche con gli elfi e i centauri…»
«Lo so. Ma dobbiamo avere fiducia. Se resistiamo, mio padre e gli Dèi Norreni arriveranno in nostro aiuto» la rassicurai, cercando di essere positivo.
«Non temete» affermò Einar, giocherellando con la sigaretta elettronica. «Sono certo che gli Dèi arriveranno presto, è solo questione di tempo.»
«Certo, ma arriveranno in tempo per salvarci o per seppellirci?» chiese, sarcastica, Talia.
«Lasciamo perdere. Senti, Einar, cos’è che avete detto ad Annabeth per farla scappare da voi?» indagai, cercando di cambiare argomento.
Non ne avevo proprio voglia di deprimermi ancora.
«Oh, niente. Le abbiamo solo spiegato che nostro padre è anche nostra madre, per alcuni di noi. Come per Alyssa… che Loki ha partorito» spiegò il ragazzo con un sorriso sornione.
«Oh capi– Cosa!?»
«Stai scherzando, vero?» domandò Talia, con un sorriso che voleva dire: “di’ che è uno scherzo, ti prego, prima che mi venga il voltastomaco”.
«Oh, no, dolcezza. Tremila anni fa mio padre si trasformò in una giumenta, si accoppiò con un cavallo e partorì Sleipnir, uno stallone ad otto zampe che donò ad Odino» disse Einar, con un sorriso strafottente stampato in faccia.
«Potrei vomitare» sentenziò Talia, dopo un secondo di silenzio attonito.
Da parte mia ero alquanto sorpreso. Immaginai un dio pazzo come Loki che sopportava il travaglio di una gravidanza che, a quel che sapevo, era anche piuttosto doloroso. Il padre di Alyssa doveva essere un gran bel pezzo d’uomo se aveva convinto Loki a sopportare il parto.
«D’accordo. Io vado a dormire» dissi, incamminandomi su per le scale.
Non sapevo che fare, ma avevo bisogno di una bella dormita e di qualche visione del campo di Crono per non avere incubi su Loki versione donna incinta, che partoriva un cavallo ad otto zampe. Era qualcosa di orrendo, persino per un dio.

 
∫ Einar ∫
 
Dopo aver lasciato Percy che se la squagliava e Talia che correva in bagno per la mia rivelazione improvvisa, decisi di tornarmene a letto. Avevo lasciato ad Alyssa il comando dei miei fratelli e avevo ordinato a Larry di andare a spiare i movimenti di Prymr insieme ai suoi amici ragni ad otto zampe – questo dopo aver assalito il tavolo dei figli di Atena.
Infatti, dopo qualche secondo si sentirono delle urla terribili provenire dalla mensa e, entrando, mi ritrovai davanti ai figli di Atena che correvano da tutte le parti, mentre i ragni si dileguavano nelle fessure e negli scantinati tra le risate generali degli altri semidei.
«Aiuto!»
Annabeth, al contrario dei suo fratelli, era saltata su una sedia e non sembrava molto intenzionata a scendere, dato che, sotto di lei, c’era l’unico ragno rimasto nella sala.
«Ehi, capo! Questa ragazza è proprio forte, sto morendo dalle risate, guarda!» sentii dire a Larry, mentre quello si avvicinava di pochi passi alla ragazza, che lanciò un urlo spaventato saltando sul tavolo.
«TOGLIETEMI QUESTA BESTIACCIA DA DAVANTI!» urlava, con gli occhi spaventati.
«È troppo forte! Voglio una zanzara per ogni urlo che lancia» commentò Larry, che se la rideva.
«Dai, Annabeth! Affronti ogni mostro che c’è, ma quel ragnetto ti spaventa?» chiese, ad un certo punto, Rachel, avvicinandosi e prendendo in mano come se niente fosse Larry.
«Anche questa rossa mi piace, capo. Puoi chiederle se mi dà una zanzara?»
«Dopo te la do io» gli dissi, mentre mi avvicinavo a Rachel, mettendole una mano sulle spalle, con il mio solito sorrisetto.
«Tu sei Rachel, vero? Sei proprio carina, Percy ha buon gusto.»
Sapevo che Annabeth mi stava lanciando un’occhiata di fuoco, perché, indirettamente, avevo permesso alla sua avversaria di pareggiare i conti.
«Sì… Tu devi essere Einar, Alex mi ha parlato di te» borbottò, allontanandosi da me.
«Capito. So che non sono figo quanto Percy, ma, se vuoi, io sono libero per uscire a cena con te, dato che ancora la mia altra spasimante non ha accettato» proposi, sorridendo furbo.
Annabeth sbuffò esasperata, allontanandosi da me e, soprattutto, da Larry che se la fuggiva, andando a svolgere il suo compito. Rachel, invece alzò gli occhi al cielo contrariata.
«Non sei il mio tipo, spiacente» disse in fretta.
«E se non la lasci in pace, ti cavo gli occhi» aggiunse, all’improvviso, Helen, che si era avvicinata con una calma incredibile.
«D’accordo. Hai vinto tu, tesoro» dissi in fretta, dileguandomi.
Ehi, che ci potevo fare: le ragazze e i ragazzi carini sono una mia pertinenza, soprattutto se non mi sopportano – come Rachel o Sarah –, soprattutto se sono vietate – come Karen –, soprattutto se hanno sofferto molto – Nico.
Uno dei lati positivi di essere un figlio di Loki è proprio questo: hai una visione molto ampia dei rapporti personali. Nonostante potessi rimanere a fare il cascamorto con ogni ragazza che mi capitava a tiro, decisi che non ne valeva la pena e mi incamminai verso la mia stanza – e quella di Karen che, stranamente, non se n’era andata. Si vedeva che era pazza di me.
Avevo ancora sonno e riposare mi aiutava a non pensare al fatto che, probabilmente, quell’idiota di mio padre mi avrebbe ucciso. Ma ovviamente un semidio può avere un sonno rilassante? Certamente no.
Infatti, mi svegliai di nuovo nella sala dei banchetti degli Dèi. Il trono di Heimdallr era smontato e Vidarr stava facendo di tutto per riparare i comandi del Ponte dell’Arcobaleno. Borbottava qualcosa che intuii fossero maledizioni contro Loki, mentre Heimdallr marciava avanti e indietro.
«Loki ci deve spiegare cosa sta succedendo… cosa starà tramando» bofonchiava il dio del Ponte, preoccupato.
«Solamente uno dei suoi scherzi. Lo riporteremo indietro e non combatteremo a meno che non siamo costretti» sentenziò Odino, soppesando Gungnir.
Grazie, Odino, sempre così gentile e felice di unirti a noi nella lotta. Soprattutto visto che erano tutti in armatura, come se dovessero scendere in guerra da un momento all’altro.
«Bah, qualsiasi cosa vogliate fare, non si andrà da nessuna parte, se non riparo questo aggeggio. Per me stesso, perché non ho aggiornato il sistema!?» ringhiò Vidarr, mentre ricollegava due cavi provocando un’esplosione che riempì la sua faccia di fuliggine.
«Il mio trono non è un aggeggio!» lo redarguì Heimdallr, con aria contrariata. «E se non andiamo per combattere, perché ci portiamo dietro le Orde?»
«Perché in caso ci attaccassero, avremo i nostri figli ad aiutarci. E magari per convincere il mio e i suoi a tornare indietro» spiegò Odino, contrariato.
Be’, almeno qualcosa di buono. Se fossero arrivati durante un attacco di Crono, allora sarebbero stati costretti a combattere.
All’improvviso, il sogno cambiò e ci trovavamo davanti alla piazza del palazzo delle Nazioni Unite. C’erano centinaia di mostri accampati, lì intorno. Alcuni affilavano le asce, altri riparavano armi e armature in fornaci di fortuna.
Appesi su delle picche c’erano i macabri trofei del nemico: pezzi di armature di semidei sconfitti. Poco più in là, il Drago Nero che Loki aveva convocato stava dormendo, quasi fosse estraneo a tutto. Al centro, Crono stava facendo roteare la falce intorno a se stesso con aria furiosa, mentre squadrava il luogo con disprezzo.
Accanto a lui, Ethan Nakamura giocherellava nervosamente con le cinghie del suo scudo, mentre quel bastardo-finta-copia-di-mio-padre Prometeo se ne stava impettito nella sua armatura greca, tranquillo come sempre.
Poco lontano, Hell stava in piedi con una frusta di fuoco legata al fianco, mentre Loki – quello vero – canticchiava indifferente, come se si trovasse ad una festa.
«Einar! Che ci fai nel mio sogno?» mi sentii chiamare da Percy.
Aveva l’aria evanescente di un fantasma e capii che stavamo avendo un sogno condiviso, cosa piuttosto tipica, per due semidei.
«Teoricamente è anche il mi. Sono appena uscito dalla sala dei banchetti dei nostri Dèi» spiegai, sedendomi accanto a mio padre, divertendomi a strangolarlo per finta.
Il figlio di Poseidone sbuffò, come se non fosse sorpreso.
«Sono appena uscito anche io dal Giardino di Ade. Non è una bella vista.»
Annuii, non volevo approfondire, soprattutto perché avevo la sensazione che a lui non avrebbe fatto piacere. Così ci decidemmo ad ascoltare la conversazione tra Crono ed i suoi sottoposti.
«Le Nazioni Unite… Come se gli uomini potessero essere “uniti” quando nemmeno i loro Dèi riescono a stare uniti. Ricordatemi di distruggere questo posto, una volta che avrò vinto» ringhiò il Titano, compiendo con la falce un ampio semicerchio, facendo tenere tutti a distanza.
«Certo, Signore. Ci occupiamo anche delle stalle di Central Park? So quanto odia i cavalli» disse pacatamente Prometeo.
«Non prenderti gioco di me! Quei centauri pagheranno per essersi intromessi, così come gli elfi! Li darò in pasto al Drago, per primo quello smidollato di mio figlio Chirone!»
«Che fine affascinante» commentò Hell, allegramente.
La parola “morte” l’aveva risvegliata all’improvviso. In quel momento, una luce baluginò in mezzo al gruppo e lì in mezzo apparve una bella donna, sulla trentina, con corti capelli scuri, un abito semplice, ma allo stesso tempo molto ben curato. Gli occhi erano verdi e dolci, come quelli di una madre, ma erano anche induriti dalla rabbia.
«Tesoro!» esclamò Loki con un sorrisone, attirando tutti gli occhi su di sé. «Come mai qui?»
«Tesoro?» chiese Percy, osservando sbalordito Loki che si beccava un bel ceffone dalla dea appena apparsa.
«Sì. Lei è sua moglie» spiegai, ghignando.
Non sopportavo Sigyn, ma adoravo quando se la prendeva con mio padre. Erano la coppia più impossibile del mondo.
«Loki, perché devi sempre cacciarti nei guai?» strepitò la dea, agitando le braccia isterica.
«Perché mi diverto» rispose lui semplicemente.
«Sei matto?» hiese furiosa. «Gli altri Dèi hanno scoperto che tu ti sei unito a questo… pazzo.»
«Io non sono pazzo!» ringhiò Crono, che, però, non ebbe il coraggio di attaccarla.
«Non preoccuparti, tesoro. Me la caverò come sempre» la rassicurò Loki, con un sorriso che sembrava quasi vero. Abbastanza da tranquillizzare la Dea.
«E sia. Ma sappi che non accetterò di aiutarti di nuovo» sentenziò Sigyn con un sospiro.
Dopodiché fisso Hell con astio e sparì in una colonna di luce.
«Come la odio» borbottò la dea degli Inferi, ringhiando come un lupo furioso.
«È pur sempre la tua mamma adottiva, saccottino. Non dovresti odiarla» la redarguì scherzosamente Loki, con un sorriso.
«Come fa quella dea a sopportare Loki?» mi chiese Percy, mentre Hell e Loki si dilungavano in un futile discorso su quanto Sigyn odiava i figli adottivi del marito – che erano taaaaaaaaaanti.
«Credimi: mio padre è una bomba a letto» risposi, ghignando. «Altrimenti come farebbe a tenersi in sposa la dea della fedeltà?»
«Dea… della fedeltà!?»
La faccia di Percy Jackson era impagabile: ricordava quella di un pesce fuor d’acqua che cercava ancora di capire come raggiungere di nuovo il liquido per lui vitale.
«Oh sì. La dea della fedeltà, Sigyn, è la moglie del dio degli inganni e dei tradimenti. Che bella coppia, eh? Immagina quant’è contenta lei di doversi sorbire tutti quelli come me: i figli illegittimi del suo bel maritino» dissi, ironico, mentre pensavo a quando lei aveva punito mia madre per la mia nascita.
Avrei voluto strangolarla, ma un po’ la capivo: Loki peccava come marito, come padre e come amante.
«Non è il momento!» sbottò, ad un certo punto, Crono, furibondo. «Nakamura! Libera il dragone.»
«Sì. Al tramonto, mio signore?»
«No, subito! I paladini dell’Olimpo sono stanchi e feriti e dobbiamo cogliere l’occasione prima che arrivino Odino e i suoi smidollati fratelli. Se avremo ottenuto la vittoria, loro se ne andranno, accettando l’atto compiuto, riportandosi i corpi dei loro figli a casa. Non potranno mai battere questo dragone. Ora basta cianciare! Eseguite i miei ordini, voglio l’Olimpo in macerie entro il tramonto!»
«Mi piace» commentò Hell sorridendo, con il suo volto sfigurato.
Ah, la mia dolce e cara sorellona divina.
«Ma, mio signore…» provò a protestare Ethan. «La sua rigenerazione…»
«TI SEMBRA CHE IO ABBA BISOGNO DI RIGENERARMI?» urlò il Titano, paralizzandolo istantaneamente.
Appena fu libero, il ragazzo crollò a terra, per poi correre via spaventato.
«Presto questa forma non sarà più necessaria ed io potrò rivelarmi nella mia vera forma. La vittoria è così vicina!» esultò il Titano, facendo roteare la falce.
«È pericoloso, mio signore» lo avvisò Prometeo, da buon leccapiedi. «Non sia impaziente.»
«Impaziente? Dopo tremila anni passati a marcire nelle profondità del Tartaro mi chiami impaziente? Da che parte stai? Forse ti stanno mancando i tuoi amichetti, gli Dèi. Vuoi unirti a loro, per caso?»
Il Titano minore impallidì. «Assolutamente no, mi sono spiegato male. I suoi ordini saranno eseguiti.»
«Bravo cagnolino» disse mio padre, ghignando, mentre prometeo gli lanciava un’occhiataccia.
Da qualche parte, dietro il complesso dell’ONU, un ruggito furioso scosse la città. Il dragone sembrò sollevarsi come un’ombra. Una bestia grande quasi quanto il Drago Nero del Nord che si svegliò e, soddisfatto, ruggì. Il loro verso combinato scosse la città, provocando una scossa tellurica, che svegliò sia me che Percy: eravamo nei guai.

 
koala's corner.
Scusate se ho ripetuto un po' di cose che aveva già detto la mia wolfie qui accanto virtualmente. Loki è veramente sposato con Sigyn, lo dice la mitologia.
That's why we love it!

E come potrete immaginare Einar e Sigyn non vanno d'accordo, un po' come suo padre. Solo che la dea della fedeltà ce l'ha a morte come lui.
Grazie mille per le recensioni - risponderemo a tutti, lo giuriamo sull'Isola di Foreseti -, speriamo che il capitolo vi sia piaciuto, alla prossima!

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Capitolo 18
*** ASTRID • Ammazziamo un dragone e ci regalano una video-clip ***


Ammazziamo un dragone e ci regalano una video-clip
♦Astrid♦
 
Nelle ore di tregua che ci concedevano Crono ed Hell, si svolgevano principalmente due attività: la prima, occuparsi di sistemare la situazione, curando i feriti, contando i morti e fornendo tutto ciò di cui si aveva bisogno svaligiando i negozi; la seconda, dormire.
Quando non conosci il momento in cui potresti riposarti ancora, ne approfitti. Ti sceglievi un posto appartato, dove potevi stare abbastanza comodo e dove nessuno ti avrebbe scovato per darti qualche ordine da portare a termine. Io mi ero incastrata tra il muro e un distributore automatico vuoto per tre quarti; i semidei mangiavano parecchio.
C’erano delle camere libere, al terzo piano, però non volevo approfittarne. C’erano mezzosangue più stanchi di me che avevano bisogno di riposarsi tra lenzuola e cuscini, io potevo accontentarmi. E, per quanto assurdo potesse sembrare, stare rannicchiata lì, come se stessi provando una posizione yoga particolarmente complicata, non era affatto male.
Quando un ruggito squarciò l’aria e mi svegliò, la mia postazione non mi sembrò più tanto comoda. La memoria del corpo mi suggerì di mettere i piedi giù dal letto, ma non c’era nulla da cui scendere, così caddi su un fianco.
«Dritt» imprecai a denti stretti, pungolandomi sui gomiti e stirando la schiena.
Mi misi a gambe incrociate, uscendo dal mio nascondiglio-letto e posizionandomi in mezzo al corridoio. Mi passai una mano tra i capelli, che erano ricci come non mai. Gli uccelli ci avrebbero volentieri fatto un nido. Cercai il nastro che avevo al polso e li legai in una coda alta, cercando di limitare che si vedessero tutti quei nodi. Solo in quel momento, mi resi conto che mi aveva svegliato un ruggito. Di un drago.
«Dritt» imprecai di nuovo.
Feci forza sulle gambe e mi alzai, grugnendo. Femminile come sempre, commentai nella mente. Erano pensieri che formulavo più spesso del normale, in quei giorni. Precisamente, da quando io e Alex ci eravamo dichiarati apertamente i nostri sentimenti.
Probabilmente era colpa sua, perché avere un ragazzo significava essere dolce e carina per lui. Sicuramente, invece, era un problema mio, perché Alex si era innamorato proprio della stronza vestita di nero che nessuno voleva, e non di una ragazzina che si domandava se era femminile oppure no. Cercavo di sopprimere quei pensieri sul nascere, ma alcuni mi attraversavano la mente ugualmente.
Ero immersa in queste considerazioni stupide, mentre mi dirigevo verso le scale che portavano al terzo piano e mi imbattei in Lars. Era visibilmente stanco e spossato, come tutti, però conservava comunque la sua aria imperturbabile e seria.
«Hai sentito?» domandò.
Mi trattenni dal rispondergli di qualcosa di acido come “no, cosa? La mia sveglia non è il ruggito di un drago.” «Sì. Vado io a chiamare Alex.»
«Ok.» Il figlio di Eir, passandosi una mano tra i capelli.
«Ehi» dissi, addolcendo il tono. «Riuscirai ad ammazzarlo anche da solo, quel Drago Nero. Prima o poi.»
«Lo so» replicò. «Succede tutto, prima o poi
Rabbrividii. Era come se stesse dicendo “so che riuscirò a uccidere quel mostro, ne sono capace, ma tanto qualcun altro mi ucciderà dopo e non avrò scampo”.
«Mmh.» Silenzio. «Vado da Alex» ripetei a mo’ di congedo, e imboccai le scale.
Trovai la stanza dove si stava riposando – o dove l’avevo costretto a riposarsi – quasi subito. Il figlio di Odino si sarebbe anche offerto di dare una mano, ma io gliel’avevo impedito.
Era ancora convalescente, anche se non voleva esserlo, e non avrebbe dovuto partecipare alla battaglia, nonostante mi avesse promesso che sarebbe rimasto nelle retrovie. Forse poteva raccontare agli altri che si sentiva bene e che era in forze, ma vedevo da piccoli dettagli – il portamento, il modo in cui si toccava la benda sempre più spesso – che non era così.
E mi sembrava giusto esercitare il mio diritto di obbligarlo a dormire e non fare niente, se non voleva che lo tramortissi. Sapeva che ero capace di usare la forza, forse meglio delle maniere dolci e gentili da infermiera. Chissà come faceva Dana Dahl a sopportare la cocciutaggine di suo figlio.
Bussai alla porta della stanza ed entrai, trovandolo che si allacciava meglio Excalibur al fianco. Si voltò e mi sorrise. La voglia di baciarlo e salutarlo con un “buongiorno” sulle labbra mi colpì a tradimento.
Non potevo farlo. Non dopo che avevamo passato la maggior parte della nostra relazione a urlarci contro frasi come “Sono un comandante! Devo dimostrarmi presente, dannazione!” e “Se non fai come ti dico sarai un comandante morto!” Perciò, rimasi sulla soglia e mi dondolai sulle gambe.
«Ciao, Astrid» mi salutò, ed era incredibile come sembrasse bello il mio nome nella sua bocca. Non aveva nulla della rabbia o della cupezza che assumeva, se a pronunciarlo era mio padre o mia madre. «Si incomincia di nuovo, eh?»
«Mi piacerebbe che iniziasse solo per me» replicai, brontolando.
«Non hai una corda» osservò, uscendo dalla stanza e mettendomi un braccio attorno alle spalle.
Inarcai un sopracciglio. «Allora?»
«Allora» spiegò, camminando con me per il corridoio, «non devo preoccuparmi che tu mi costringa con la forza a rimanere legato a una sedia per tutta la durata della guerra.»
Non era divertente, non per me, ma risi comunque. «Cosa ti fa pensare che abbia bisogno di una corda per farmi ubbidire da te?» domandai.
«Uhm.» Si picchiettò le labbra con l’indice. «Forse il fatto che è l’unica arma che hai contro di me, al momento?»
Mi fermai prima che potessimo scendere le scale. «Ho alcuni assi nella manica» replicai, ponendomi davanti a lui.
«Davvero? Tipo?» chiese, scettico.
«Tipo questo» risposi, decisa a dimostrargli che disponevo di trucchi in grado di raggirarlo.
Azzerai la distanza tra noi due con un passo, gli infilai una mano nella tasca dei pantaloni e misi l’altra sul suo petto, facendo scorrere le dita sul suo torace fino ad arrivare al bacino. Gli sorrisi, maliziosa, appoggiai la mia fronte sulla sua e sfiorai le sue labbra con le mie.
«Baciami» sussurrai.
Alex non si fece pregare. Era un modo scorretto per dimostrargli che avevo ragione io, ma era anche l’unico che avevo per estorcergli un bacio senza ignorare i nostri litigi. Non avevo voglia di staccarmi, ma mi ordinai di farlo.
«Vedi? Mi hai ubbidito» sentenziai, dandogli gli spalle.
«È scorretto!» esclamò Alex. «Hai barato. Mi stavi chiedendo troppo. Sai che non posso resistere a questo
Liquidai l’argomento con un gesto della mano. «I baci non sono sempre così dolci, possono essere sfruttati a proprio favore» dissi, ricordando come lui aveva usufruito di questo stratagemma. «E adesso che ho reso Freyja orgogliosa di me, forse deciderà di concentrarsi su altre coppie. Vero?» chiesi al soffitto, sperando che la dea in questione fosse in ascolto.
Alex rise. «Non credo sia tutta colpa di Freyja se…» iniziò, ma due ruggiti lo interruppero.
Ci scambiammo un’occhiata preoccupata, prima di correre giù dalle scale e uscire dall’Hotel Plaza alla velocità della luce. Trovammo Lars, Percy, Annabeth, Einar e parecchi altri semidei già lì. C’era chi guardava il cielo e chi la terra, ma nessuno sembrava felice. Ed era facile intuirne il motivo.
Il Drago Nero del Nord era diretto in volo verso di noi, pronto a un nuovo assalto. In più, però, c’era ad accompagnarlo un altro lucertolone che non apparteneva alla mitologia norrena. Era grosso, e quando calpestava il terreno si sentiva una vibrazione scuotere l’asfalto.
«Dritt» imprecai per la terza volta in meno di mezz’ora.
 
Chirone ci raggiunse al trotto, con Rachel – l’amica di Percy che aveva rischiato di schiantarsi insieme all’elicottero su cui era arrivata – in groppa. Non avevo mai visto un centauro dare un passaggio a qualcuno, mai una mortale oltretutto, quindi supposi che la rossa fosse in qualche modo speciale.
«Che cos’è quello?» domandò Alex, alludendo al drago.
«Un dragone» rispose. «Un dragone della Lidia, per l’esattezza. Il genere più pericoloso e antico» specificò. Scoccò un’occhiata a Rachel, dopodiché si rivolse al figlio di Poseidone: «La tua amica ha intuizioni interessanti, Percy.»
La ragazza arrossì. «Sono solo delle cose che ho visto nella mia testa.»
Come Helen, pensai. Forse anche Rachel aveva il dono della preveggenza, ma era improbabile, dato che era una semplice umana, non una semidea.
«Come facevi a saperlo?» indagò Percy, guardandola sbigottito.
«Non ne sono sicura» ammise. «Ma questo dragone ha un destino particolare: sarà ucciso da un figlio di Ares.»
Annabeth incrociò le braccia. «E tu come fai a dirlo? È impossibile. La Casa di Ares non è qui.»
«L’ho visto. Non te lo so spiegare» si difese l’altra.
«Be’, speriamo che ti sbagli» intervenne Einar. «Perché siamo un po’ a corto di figlio di Ares, e, se davvero ce ne serve uno, siamo fritti.»
«Lo siamo già» replicai. Mi guardarono tutti male, così alzai le mani e mi schermii: «Ehi, sto solo dicendo la verità.»
«Forse hai sognato il figlio di un dio della guerra, non per forza greco» ipotizzò Alex. «Magari è un norreno.»
«Mmm» fece Rachel, pensierosa, non totalmente convinta.
Percy imprecò all’improvviso in greco antico.
«Che c’è?» gli domandò Annabeth.
«La spia» risposi. «Crono ha detto che ci avrebbero mandato un mostro che non saremmo stati in grado di sconfiggere. La spia l’ha tenuto aggiornato, dato che Crono sa che la Casa di Ares non è con noi. Ha scelto di proposito questo dragone.»
Talia si scurì in viso. «Se trovo questa spia, se ne pentirà amaramente.»
«Forse potreste mandare un altro messaggio al Campo…» propose Lars.
Chirone scosse la testa, avvilito. «Già fatto. Un pegaso è in viaggio. Ma se Silena non convince Clarisse, dubito che riuscirà a…»
Un ruggito scosse il terreno, segno che il dragone si stava avvicinando sempre di più.
«Rachel, va dentro» disse Percy, rivolto all’amica.
«Voglio restare» obiettò lei.
Il Drago Nero volò così alto da oscurare il Sole per un momento, mentre il dragone della Lidia lanciava un verso così potente da infrangere tutte le finestre sul fianco di un grattacielo.
Rachel sbiancò e, con voce improvvisamente diventata flebile, disse: «A pensarci meglio, mi troverete dentro.» Scese dalla groppa di Chirone e si allontanò in direzione dell’Hotel Plaza.
Mi voltai verso Alex, cercando di intuire cosa pensasse della premonizione di Rachel, ma lui scrutava in un’altra direzione.
«Forse potremmo usare la testa di Medusa per fare una statua» propose Annabeth. «Einar, ce l’avevi tu, giusto?»
«Non più. L’ho prestata a Lars, per aiutarlo a sconfiggere il Drago Nero» spiegò il figlio di Loki. «Lars?»
Lars si grattò il collo, nervoso. «Il Drago Nero se l’è mangiata. Mi dispiace.»
«Perfetto» sbottò Annabeth, sbuffando sarcastica.
«Non ti preoccupare, amico, la testa di Medusa non è l’unica arma che possiamo usare» lo rassicurò Percy, anche se il figlio di Eir non sembrava molto convinto.
«Finché non abbiamo notizie da Silena, comunque» riprese Chirone, «dobbiamo bloccare l’avanzata dei due mostri. Sono sempre stati il problema più grosso.»
Alex scoccò un’ultima occhiata alle schiere nemiche, poi decretò, grave: «Al dragone ci penso io.»
Mi fischiarono le orecchie. «Cosa?» La voce mi uscì sottile come un filo, così ripetei: «Cosa?»
Il dragone avanzava, il Drago Nero compiva cerchi nel cielo, aspettando di piombare giù e distruggere qualcosa, i Party Pony erano già sotto attacco, i semidei uscivano in armatura o quasi del Plaza, e io avevo occhi solo per Alex.
Sentii distrattamente Annabeth sussultare e domandare: «Ne sei sicuro, Alex?»
«Esistono i draghi, e poi ci sono i dragoni» si aggiunse Percy. «Ci hanno insegnato come combatterli, al Campo, ma non puoi essere sicuro contro di loro.»
«Esatto. I dragoni sono svariati millenni più antichi dei draghi e molto più grossi. Somigliano a serpenti giganti. Per la maggior parte non hanno le ali, né sputano fuoco ­– per fortuna, anche se alcuni lo fanno. Tutti sono velenosi e immensamente forti, hanno scaglie più dure del titanio. Possono paralizzarti con lo sguardo, un po’ come Medusa» illustrò Annabeth, mettendo su una lezione di storia nel bel mezzo di una battaglia.
«Lo so» replicò il figlio di Odino. «Se vogliamo essere precisi, i draghi greci discendono da quelli nordici, mentre i dragoni nordici dai greci. Per noi norreni, i draghi sono più antichi; al contrario, i dragoni sono più vecchi, per voi» specificò.
Annabeth lo guardò a lungo, probabilmente comunicandogli con gli occhi qualcosa come “dopo tutto questo, dovremmo metterci a studiare insieme.”
«Ti prego, no» lo supplicai.
«Al dragone ci penso io» sentenziò ancora lui. Fece un passo verso di me e mi riportò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, poi mi sussurrò, non senza una certa punta di divertimento: «Scommetto che adesso desideri una corda.»
«Cretino» sbottai, ignorando la discrezione. «Non è il momento giusto per fare dell’umorismo.»
«È sempre il momento giusto per fare dell’umorismo» mi corresse Einar, con un tono simile alla cantilena.
«Chiudi quella bocca» abbaiai.
«Ehm» tossicchiò Percy. «Non potreste sbrigarvi? Il dragone ci sarà addosso tra meno di un minuto.»
Fissai Alex negli occhi, e lui ricambiò lo sguardo. «Lasciamelo fare. Accettalo. Per favore.»
Tanto lo faresti comunque, vista la mia grande importanza per te, pensai, con uno sbuffo mentale.
«Va bene» sospirai, e vidi il suo unico occhi sgranarsi. «Ti guarderò le spalle.»
«Perfetto!» esclamò Percy. «Perché il serpentone è arrivato, e credo che a Lars serva un compagno aereo per sconfiggere il Drago Nero. Se voi vi occupate del dragone, io prenderò Blackjack e lo aiuterò.»
Annuimmo. Percy fischiò, e il suo pegaso nero lo raggiunse subito in picchiata. Montò in groppa e fece per partire, ma Annabeth gli si avvicinò e si raccomandò: «Sta’ attento, Testa d’Alghe.»
Percy arrossì lievemente, senza accorgersene, e ribatté: «Dovrei essermi abituato a rischiare di morire. In più, sono invulnerabile.»
La figlia di Atena fece un cenno del capo, e il ragazzo spronò il pegaso e partì. Mi munii delle mie mezzelune e squadrai il lucertolone grande quanto un pulmino scolastico che dovevamo affrontare.
«Ok» fece Einar. «Ci sarà addosso tra tre, due…»
Alex non aspettò l’“uno”e si fiondò all’attacco, brandendo Excalibur. Sbuffai. Guardargli le spalle – ovvero evitare che rischiasse di morire di nuovo, in un altro modo orribile, nel giro di pochi giorni – si stava presto dimostrando più difficile del previsto.
 
I semidei crescono sapendo che ci sono mostri che potrebbero ucciderli in un nanosecondo, ma ci sono mostri e mostri.
Il dragone della Lidia era quel tipo di nemico che non ti augureresti mai d’incrociare. Mai. Più o meno per questo motivo, sai che la sfiga ti colpirà di sicuro, e fai di tutto per prepararti al meglio. Non che serva molto, alla fine.
La Signora O’Leary – che si era schierata con noi all’ultimo momento – latrò e si fiondò sul dragone. Era uno spettacolo sensazionale e terrificante, considerata la stazza del segugio infernale; ma non sembrava che un cucciolo, in confronto al serpentone.
Graffiò invano le scaglie del mostro e lo azzannò alla gola, ma non servì nemmeno a scalfirlo. Il suo peso lo sbilanciò soltanto, facendolo inciampare mentre incedeva. Il dragone cercò inutilmente di azzannare la Signora O’Leary.
Il veleno schizzò ovunque, liquefacendo diversi centauri e anche un gran numero di mostri, ma il segugio infernale svicolò dietro la testa del serpente e continuò a mordere e graffiare. Deglutii a fatica. Io dovevo difendere Alex da quell’ammasso di squame terrificante. Come ci sarei mai potuta riuscire, se già sembrava difficile salvare me stessa?
«YAAAH!» gridò Alex, conficcando Excalibur nell’occhio sinistro del mostro, fino in fondo. Il faro giallo si spense.
Il dragone sibilò paurosamente e si impennò come un cavallo imbizzarrito, pronto a colpire di nuovo. Stavo per urlare “giù!”, ma Alex mi precedette, scansandosi di lato e rotolando via, mentre il mostro si portava via un pezzo di asfalto grande come una piscina.
In un angolo distratto della mia mente, si formulò il pensiero che, se non fossi stata uccisa in un’offensiva, sarei morta per un infarto causato dai colpi che mi procurava il figlio di Odino.
La Signora O’Leary fece del suo meglio per distrarre il mostro e lasciare il tempo ad Alex di allontanarsi.
«Non va bene» esclamò Annabeth, materializzandosi accanto a me. «Stiamo indietreggiando verso l’Empire State Building.»
Mi guardai attorno, constatando che era vero. Stavamo perdendo terreno. I centauri erano andanti nel panico, le magliette arancioni o rosse erano sempre più sporadiche e difficili da individuare nel mare di mostri, frecce e fiamme sibilavano da una e dall’altra parte dello schieramento.
«Dobbiamo sbrigarci a eliminare il simpaticone» dissi. «Idee?»
Annabeth mi sorrise, facendomi l’occhiolino. Si infilò un berretto degli Yankees, quello che usava per diventare invisibile. Afferrai il suo piano a volo. Corsi all’ombra proiettata di un edificio, e compii un viaggio d’ombra che mi avrebbe portato alle spalle del mostro.
Quasi in contemporanea, io e Annabeth affondammo le nostre lame nelle carni del dragone, nelle fessure lasciate dalle squame. Il dragone ruggì, si attorcigliò su se stesso e ci disarcionò. Non appena toccò terra, la figlia di Atena si portò via dalla traiettoria del mostro. Alex mi raggiunse un attimo prima che il serpente, srotolandosi, mi schiacciasse insieme al lampione sotto il quale mi trovavo.
«Grazie» dissi.
«Non dovevi essere tu a guardarmi le spalle?» fece.
Arrossii. «Sì, be’… GIÙ!» completai.
Questa volta fui io a salvare lui. Gli diedi uno spintone, mentre le fauci del mostro si chiudevano con un sonoro schiocco nel punto dove prima si trovava la mia testa. «Eccoti accontentato.»
La Signora O’Leary distolse l’attenzione del mostro, abbattendosi sul suo muso con tutto il corpo, permettendoci di toglierci di mezzo. Alex sembrò sul punto di ribattere, ma un rombo proveniente da sud catturò la sua attenzione. Soffermandomi sul suono, capii che si trattavano di ruote di carri.
La voce di una ragazza tuonò: «ARES!»
Al richiamo, una dozzina di bighe greche si lanciarono nella battaglia, con lo stendardo della casa del dio della guerra greco tenuto alto. Erano circa una trentina di guerrieri – più le cavalcature – freschi e riposati.
«I figli di Ares!» esclamò Annabeth, sbigottita. «Come faceva Rachel a saperlo?»
«Non importa» rispose Alex. «L’importante è che ora possiamo uccidere questo dragone.»
Non riuscivo a crederci. Al comando c’era una ragazza con un’armatura di tutto punto, il volto coperto da un elmo a forma di testa di cinghiale. Clarisse in persona era venuta a prestare soccorso. Ordinò a metà delle bighe di caricare l’esercito nemico, mentre sei di esse si dirigevano dritte verso di noi.
Nel frattempo, il dragone si impennò e riuscì a disarcionare la Signora O’Leary, che andò a sbattere contro il fianco dell’edificio e uggiolò. Provò a rialzarsi, ma aveva una zampa che sanguinava, e rimase indietro.
Intanto, il mostro aveva paralizzato con il suo unico occhio due auriga, che sterzarono verso una fila di automobili. Il dragone sembrò soddisfatto, spalancò le fauci e ruggì. Una decina di giavellotti di bronzo celeste gli si conficcò in gola. Questa volta, strillò di dolore, con verso acutissimo e sibilante.
Mi diedi un’occhiata intorno, notando che l’arrivo delle bighe aveva risollevato i Party Pony e aveva mandato in confusione i nemici, che si aspettavano meno di noi l’arrivo di altri guerrieri. Alex mi rivolse un sorriso, poi anche noi ci slanciammo di nuovo contro il dragone.
I figli di Ares l’avevano circondato con i carri e, insieme, conficcammo le nostre armi nella pelle del serpente. Quest’ultimo cercò di investirci col veleno, ma noi fummo abbastanza pronti da scansarci e riprendere l’opera da dove l’avevamo lasciata. Sembrò andare bene per un po’, però poi il dragone inghiottì un semidio intero, ne scaraventò via un altro e spruzzò veleno contro un terzo, che fuggì con mezza armatura che si liquefaceva.
Alex, in un moto di rabbia, balzò sopra la groppa del mostro e aprì un taglio a zig-zag tra le squame del mostro, regalando un attimo di respiro alla Casa di Ares. Prima che venisse disarcionato, saltò giù ed evitò per un soffio di essere colpito da uno spruzzo di veleno. Mi ritrovai immediatamente accanto a lui, controllando che stesse bene.
I figli del dio della guerra scagliarono altri giavellotti tra le fauci del serpente, che fu costretto a masticare legno per liberarsene più in fretta. Dove la bava corrosiva colava, l’asfalto sfrigolava.
«Riprendiamo» ordinò Alex, dopodiché gridò verso Clarisse: «Puoi farcela! Un figlio di Ares è destinato a ucciderlo!»
Anche con l’elmo, riuscii a scorgere i suoi occhi, che sembravano leggermente… spaventati. Clarisse non aveva mai avuto quell’espressione.
«Per Ares!» gridò, con voce stranamente acuta.
Abbassò la lancia e attaccò a testa bassa il mostro.
Mi resi subito conto che non era la mossa adatta. «Ma che cosa sta facendo?» mormorai, sgomenta.
«Aspetta!» urlò Alex, correndo verso di lei.
Ma il dragone guardò Clarisse, quasi con disprezzo, e le sputò il veleno direttamente in faccia. La capogruppo strillò e cadde. Scambiai un’occhiata con Alex, così puntai verso Clarisse, mentre lui saltava sulla schiena del serpente e conficcò Excalibur tra due scaglie del mostro. Continuò ad attaccare con ferocia, guidando i figli di Ares.
Trascinai via Clarisse dalla zona di battaglia, ritirandomi verso il marciapiede. Sentivo il bronzo sfrigolare, mentre la testa di cinghiale si disfaceva, corrosa dal veleno. Immaginai cosa sarebbe accaduto alla pelle, se fosse entrata in contatto con il siero, e mi salì un conato di vomito. Mi affrettai a slacciarle l’elmo, ma era difficile, considerando che non volevo liquefarmi le dita.
Una ragazza mi corse incontro e si accasciò sul cemento. La guardai, sbattendo le palpebre.
«Clarisse?» chiesi, confusa.
Compresi, allora, che la semidea colpita non era la figlia di Ares. Era più esile e meno esperta, aveva la voce più acuta, ma non me n’ero accorta perché non la conoscevo bene.
«Sì, stupida figlia di Hell! Sono io Clarisse» mi apostrofò, gli occhi lucidi. «Lei è Si… Silena» singhiozzò.
Guardò il veleno che stava corrodendo la sua amica e gridò, straziata dal dolore: «NO! NO! PERCHÉ?»
Mi ricordò me stessa, mentre cercavo di rianimare Alex, appena colpito da Crono.
«Aspetta, aspetta…» tentai di sfilarle l’elmo, mentre la figlia di Ares urlava “perché?” e la stringeva a sé.
Il mostro ruggì, e Clarisse guardò nella sua direzione con il viso gonfio di lacrime. Aveva un’espressione feroce e determinata, di rabbia mista a dolore, e odio, tanto odio; lo stesso astio che provavo nei confronti di mia madre. Si alzò in piedi, recuperò la lancia dall’armatura di Silena e fronteggiò il mostro.
«VUOI LA MORTE?» gli urlò contro. «ACCOMODATI!»
Alex cercò di raggiungerla per aiutarla, ma Clarisse fu più veloce: schivò con un salto l’attacco del mostro, che polverizzò il pavimento, e gli balzò sulla testa. Quando il dragone si impennò, gli conficcò la lancia elettrica con tanta forza da spezzare l’asta che aveva tra le mani, rilasciando così tutto il potere dell’arma.
L’elettricità disegnò un arco attorno alla testa del mostro, che fu scosso da brivido. Poi collassò. Tutto il suo corpo divenne polvere – così tanta che avrebbe potuto essere una spiaggia –, e sull’asfalto tintinnarono le scaglie. Clarisse saltò giù e mi raggiunse, insieme agli altri semidei, che erano tutti un po’ sbigottiti per la velocità con cui aveva ucciso il dragone della Lidia.
Ero riuscita a slacciare l’elmo dalla faccia di Silena, ma i suoi lineamenti da bella figlia di Afrodite erano sfigurati. Avrebbe potuto essere Alex, pensai, avvertendo un sollievo colpevole al pensiero che lui non si era ferito.
«Che cosa ti è saltato in mente?» gridò Clarisse, appoggiandosi la sua testa in grembo, con un fare dolce e quasi materno che non avrei mai sospettato avesse.
Silena cercò di deglutire. «N-non mi avrebbero… ascoltato. I ragaz-zi avrebbero seguito… solo te.»
«Così mi hai rubato l’armatura!» esclamò la figlia di Ares. «Hai aspettato che io e Chris uscissimo in pattuglia, mi hai rubato l’equipaggiamento e hai finto di essere me.» Guardò i suoi fratelli. «E nessuno di voi se n’è accorto?»
I figli di Ares mostrarono un improvviso interesse per i propri anfibi.
«Non prendertela con loro» rantolò Silena. «Volevano… volevano credere che fossi t-tu.»
«Tu, stupida figlia di Afrodite» singhiozzò Clarisse. «Hai attaccato il dragone! Perché
«È tutta colpa mia» rispose Silena, con una lacrima che le rigava il viso ed evaporava per effetto del calore emanato dalla carne viva. «Il dragone… la quasi-morte di Charlie… il Campo in pericolo…»
«Basta!» la interruppe Clarisse. «Non è vero.»
Silena scosse la testa e aprì il palmo della mano. C’era un ciondolo d’argento a forma di falce, il simbolo di Crono.
Trasalii. «La spia» mormorai, incredula. Silena non mi era mai sembrata dalla parte di Crono. Era sempre così disponibile e gentile…
«Ragazzi.» La voce di Einar mi riscosse. «So che tutto questo è molto commovente e interessante, ma c’è una cosuccia che dovreste vedere al più presto.»
Aveva un cellulare di ultima generazione in mano – probabilmente rubato. Armeggiò con il touch-screen, finché un’immagine in movimento non si proiettò sui vetri di un edificio, come un ologramma o un proiettore gigante. Dubitavo che un telefono potesse avere della capacità del genere, quindi supposi che fosse incantato.
Partì un video. La faccia di Loki era quasi spiaccicata contro l’obbiettivo, e lui borbottava tra sé: «L’ho acceso? Sì, penso di sì. Sì. È in registrazione. Oh, dritt. È già partito.»
Si ricompose, posizionandosi in piedi a una distanza più ragionevole dallo schermo.
«Salve, semidei!» salutò. «Come sta andando?» Si picchiettò l’indice contro il mento. «Che domanda sciocca. Come dice mia figlia Hell: “è così evidente che stanno per morire tutti, che è ancora più divertente assaporare la loro paura”» citò. «Mmm, non biasimatela, è leggermente fanatica di cosucce carine come depressione e morti dolorose. Non è vero, Astrid Jensen?»
Il fatto che si rivolgesse a me, anche solo per ironia, mi immobilizzò. Era un dio, ma come aveva previsto che avrei guardato quel video?
«Fottiti» ringhiai.
Quasi in risposta al mio insulto, Loki fece uno dei suoi sorrisi ambigui. «Comunque, so che una vostra cara amica – anche nostra, a dir la verità – è stata ferita a morte.»
Voci registrate si disperarono, come in un talkshow.
«Mi dispiace molto. Era così carina.»
«È!» gridò Clarisse. «È così carina! È ancora viva
«Comunque, ho una proposta da sottoporvi. Che ne dit-»
Un gigante iperboreo inciampò e cadde fragorosamente al suolo, rischiando di schiacciare Loki sotto il suo peso. Il dio si scansò appena in tempo, balzando via come un gatto. Qualcuno fuori campo strillò come una donnicciola in preda al panico. Loki soppesò il mostro con disprezzo, prima di riprendere a parlare.
«Stavo dicendo, prima che mi interrompessero, che ho un patto da proporvi. Ora come ora, non avete i mezzi per curare la nostra bella spia, che è in pericolo di vita. Ma» diede parecchia enfasi alla frase, «si dà il caso che io ho la soluzione che fa al caso vostro. Sono un dio e il mio sangue può salvarla. Ve lo posso donare.»
Il suo sorriso sghembo si allargò. «A una condizione, però. Altrimenti, sarebbe troppo facile.»
«Sapevo che era troppo bello per essere vero» commentò Annabeth.
«Vi darò il mio sangue, solo se il vostro miglior guerriero combatterà contro di me e mi sconfiggerà.»
Si umettò le labbra, un gesto decisamente avvenente, non come le parole che stava pronunciando. Loki domandò, suadente, ma anche con una certa fretta: «Allora, accetti la sfida, Alex Dahl?»
 

koala's corner.
Dopo ere pubblichiamo. Più o meno come sempre, è colpa di Water, che è partita per Pasqua in un posto senza connessione e non ha potuto collegarsi.
Già, questa volta non la posso scusare :P
Ok, introdurrò la proskinesis, così mi inchinerò davanti a tutti e mi scuserò sempre e comunque LoL
Parlando del capitolo, Water è stata brava a interpretare la parte di Loki mezzo imbranato con la tecnologia e che sfida Alex.
Cliffhanger tan-tan-tan!
Piccoli momenti Percabeth e momenti più spaziosi per la Alrid, che rimarrà sempre la canon di questa storia <3
Io e la qui-presente-virtualmente Wolfie siamo parecchio stronzi, perché non sappiamo ancora se salvare Silena o no.
A me starebbe benissimo che morisse, tanto per dire hahaha :')
Grazie mille per seguirci comunque, un abbraccio koalico a tutti!

Soon on Venti del Nord: POV Einar - salveremo o meno Silena? Daremo un futuro alla Silena/Beckendorf?
Pubblicità non tanto occulta di AxXx: Crossover tra le Cronache del Nord e le Kane's Chronichles, scritto da AxXx e aiutato da Lilium, perché Water non le ha lette e non ha intenzione di farlo. Link ----> http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2565709&i=1

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Capitolo 19
*** EINAR • Amichevole conversazione padre-figlio ***


Amichevole conversazione padre-figlio
∫ Einar ∫

Passo uno per la nostra morte: fatto.
Ora che c’erano anche i figli di Ares saremmo tutti morti allegramente insieme, da bravi amici sfigati, se quegli idioti degli Dèi non si affrettavano. Peggio ancora: era il tramonto e, appena il sole sarebbe scomparso, Crono sarebbe tornato a farci la festa.
I Party Pony e gli elfi si stavano riorganizzando, ma eravamo allo stremo. Avremmo opposto un ultima disperata resistenza, facendo felice Hell, che non vedeva l’ora di vedere molte budella di semidio sparse sulla strada.
Ad ogni modo, adesso avevamo un problema che, sul momento, era urgente.
«Non potete dire sul serio!» sbottò Clarisse, trapanandomi un orecchio, mentre afferrava Travis per la maglietta arancione, scolorita dai combattimenti e dalla polvere di mostro.
Dopo che Silena si era battuta con coraggio contro il dragone, finendo per lasciarci quasi le pelle, ci eravamo radunati tutti in fretta e furia. Mentre la maggior parte dei capigruppo si era precipitata dai loro fratelli per riorganizzarli, Travis, Finn, Charlie, io, Clarisse, Lars, Sarah, Alex, Astrid, Percy e Annabeth ci eravamo raggruppati intorno al corpo esanime di Silena.
Sarah la stava tenendo in vita con i suoi poteri di figlia di Eir, ma ci aveva avvisato di non poter trattenere la sua anima a lungo. Ormai era praticamente già morta. Solo Beckendorf si rifiutava di lasciarla andare: aveva pregato tutti di fare qualcosa e, alla fine, la ragazza, impietosita, si era avvicinata alla figlia di Afrodite per tenerla in vita.
Poi c’era la proposta di papà. Ed era a questo punto che, dopo appena un minuto, si era alzato un polverone: vale la pena rischiare per tenere in vita una traditrice?
«Lei vi ha venduti» borbottò Finn, ad un certo punto. «Non basta affrontare un drago, per scusarsi.»
«Basta e avanza, invece!» strepitò la figlia di Ares, avvicinandosi a lui, mostrando quanto fossero fisicamente vicini. Sembravano due bisonti pronti a caricarsi.
«Non capite che era manipolata! Pensava di fare del bene, all’inizio! Voleva aiutarci, a modo suo… Si trovava tra due fuochi ed ha agito nel modo migliore che poteva!»
Non avrei mai pensato di sentire la voce di Clarisse incrinarsi o di vederla sul punto di piangere. Doveva tenere molto alla sua amica di Afrodite.
«Anche se fosse vero, vale la pena rischiare?» chiese, ad un certo punto, Travis, indeciso.
Era questo il problema: come comportarsi. Sapevo per esperienza che le spie si trovano in una posizione scomoda. Una parte di me pensava che sarebbe stato misericordioso lasciarla andare.
«Certo che ne vale la pena!» esclamò Beckendorf, stupendo tutti con le sue parole.
«Ti ha quasi ucciso!» gli ricordò il figlio di Tyr.
«Ma non voleva. Crono la stava manipolando. La conosco: non mi avrebbe mai ferito. Vi sto chiedendo di rischiare per una persona meritevole…»
Il suo tono era supplichevole e capii quanto profondo fosse il suo legame con Silena. Sospirai. Avrei davvero voluto aiutarli, ma la parte più oscura di me mi diceva di lasciar correre. Cosa che io, in tutta franchezza, non ero in grado di fare.
Silena mi faceva anche un po’ pena. Non potevo negare che lei si era ritrovata tra due fuochi, ma la parte più meschina della mia mente, mi suggeriva maligna che lei aveva sempre avuto una scelta: avrebbe potuto confessare prima.
Ma poi mi chiedevo come avrebbero reagito gli altri, e allora capivo: lei aveva paura di perdere le persone che amava. Un comportamento umano. Un comportamento da mezzosangue.
Sospirai di nuovo e concentrai la mia attenzione su Annabeth, che stava parlando con Lars riguardo alla cura proposta da Loki: non capiva come si potesse rilegare un’anima al proprio corpo se già, ormai, trapassata.
«Si tratta di una pozione. Noi possiamo prepararla, ma c’è un problema. La pozione è un segreto dei figli di Eir. Nessuno, a parte noi, conosce gli ingredienti. Il più importante, però, è il sangue: il sangue di un dio donato di propria spontanea volontà. Per questo è una formula che nessuno utilizza mai. Solo Eir la usò una volta, per riportare in vita un uomo e, comunque, dobbiamo somministrargliela entro il calar del sole, altrimenti la sua anima trapasserà completamente» spiegò il ragazzo, senza scomporsi.
Certo, vallo a chiedere tu il sangue ad un dio. Avevi circa il 2% di possibilità di morire sul colpo. L’altro 98% era che morivi dopo un’infinità di torture che ti venivano inferte dalla divinità in questione per avergli chiesto qualcosa del genere.
Il che ci dava, al massimo, un’oretta e mezzo. Dopodiché, saremo morti tutti, in un modo o nell’altro. Valeva la pena?
Sì, mi dissi.
Non potevamo lasciarci sfuggire un’occasione di evitare una perdita solo perché potevamo evitarcela.
«Accetto» disse Alex, all’improvviso.
Lui era rimasto seduto davanti a Charlie, con Astrid che gli accarezzava la spalla per tutto il tempo, da quando avevamo ricevuto il messaggio di mio padre. Quelle furono le prime parole da quasi due minuti.
«Hai sentito, Loki!?» urlò ai quattro venti. «So che ci sei! Accetto la tua sfida!»
Sapevo che era in ascolto e, nonostante le occhiate scettiche di tutti, mio padre apparì davanti a noi con in sottofondo I’ve Got the Power sparato a tutto volume. Indossava un paio di jeans neri strappati, una maglietta scura aderente ed i lunghi capelli neri legati in una coda di cavallo, che gli dava un’aria effeminata.
«Ah! Sapevo che avresti accettato, Alex! Sei il solito nobile idiota che farebbe di tutto per salvare gli altri. Tu vuoi proteggere tutti, e ti concedo questa possibilità» sghignazzò, squadrandoci tutti ad uno ad uno.
Clarisse e Finn trovarono pace nel loro battibecco: a quanto pare il loro desiderio di ficcare le loro armi giù per la gola di Loki era un incentivo abbastanza forte. Percy strinse l’elsa di Vortice sussurrando uno “stai in guardia” al capo, che annuì.
Astrid strinse i pugni fino a farli diventare più bianchi di quanto già non fossero e Annabeth dilatò le narici, come per prendere una lunga boccata d’aria prima di un’immersione. Solo Lars era impassibile, fermo e guardingo come sempre.
«Allora, Loki, giuro di attenermi al patto. Combattiamo!» dichiarò Alex, sguainando la spada.
Fu allora che mio padre sferrò il suo attacco a sorpresa, trollando tutti in un millisecondo.
«Chi ha parlato di duello di spade?» chiese, serafico, come se stesse parlando del tempo.
«Aspetta. Hai detto un duello. Non puoi tirarti indietro!» strepitò Astrid, pronta a lanciarsi contro il dio, nonostante fosse tale.
«Oh, ma un duello ci sarà… ma di magia, mia cara» rispose lui, sempre più serafico.
Ci irrigidimmo tutti. Loki era il Dio della Stregoneria. Tra le tante avventure genitrici di mio padre, si racconta come fu proprio lui a partorire la prima strega, dopo aver mangiato un cuore mezzo cotto di donna in un calderone – e continuavo a chiedermi cosa l’avesse spinto a mangiare un cuore di donna, per di più mezzo cotto. Era davvero così alla frutta?
Ad ogni modo, in un duello di magia sarebbe stato avvantaggiato, ma anche Odino era un Dio degli Incanti. Un suo figlio avrebbe potuto tenergli testa.
«Parla, allora! Non tenerci sulle spine» disse Alex, stringendo l’elsa di Excalibur.
Era nervoso e sudava. Si era reso conto di essere cascato in un tranello.
«La gara è questa, ingenuo ragazzo: io sarò ad un raggio di un kilometro da te e tu dovrai trovarmi. Se ci riuscirai, ti darò una goccia del mio sangue. Se no, dovrai unirti all’esercito di Crono ed aiutarci.»
Ci bloccammo tutti, come se il Signore dei Titani ci avesse immobilizzati in una bolla atemporale. Alex aveva giurato e questo l’avrebbe portato a mantenere la parola data. Se avesse perso, si sarebbe schierato contro l’Olimpo. Non sapevo quanti l’avrebbero seguito e, nelle mie elucubrazioni, pensai che, nonostante avessimo legato un po’, con quelli del Campo Mezzosangue, almeno una metà di noi l’avrebbe seguito. Astrid di sicuro.
Ma io no.
Io e i miei fratelli non ci saremmo piegati alle parole di nostro padre, però il pericolo era che lo facesse il nostro miglior combattente.
Avrei voluto uccidere mio padre.
Peccato che era un dio e non potevo.
In quell’istante Astrid, Annabeth e Percy mi strapparono dal fluire dei miei pensieri, prorompendo in una sequela di imprecazioni talmente fitta e intensa che capii a mala pena gli epiteti che Loki stava ricevendo. Ma lui dovette essersene fatto un’idea, perché sorrise e concluse.
«Bene, ci siamo intesi. Che la sfida abbia inizio!» annunciò, trasformandosi in un moscone, per poi, sparire in pochi nanosecondi.
«Non ci credo! Siamo stati fregati! Se gli metto le mani addosso, io…» iniziò Clarisse, cominciando ad elencare tutti i possibili modi per torcere il collo a mio padre.
«Non ha senso preoccuparsi ora. Solo… Dèi, è una sfida impossibile» considerò Annabeth. Riuscivo quasi a vedere gli ingranaggi lavorare nel suo cervello. «Anche contando solo mille metri, ci sono i grattaceli e le fogne. Potrebbe essere ovunque, lì, sotto la forma di un insetto. Potrebbe persino passarci davanti senza che ce ne accorgiamo! Ci ha fregati, non possiamo vincere!»
Alex strinse i denti. «Dobbiamo tentare! Ho giurato di affrontarlo, ma non che sarei stato solo. Se lui vuole manipolare i giuramenti, lo farò anche io. Avremmo più possibilità, se ci dividiamo.»
Capii subito che il suo era unicamente un piano disperato per aumentare le sue poche possibilità, ma era una cosa ovvia che, anche così, avremmo avuto poche speranze.
«Alex, ti prego, ripensaci!» lo supplicò Astrid. Ci fu un intenso gioco di sguardi tra i due, poi la figlia di Hell sospirò.
«D’accordo! Dividiamoci!» decretò Lars, ma subito fermato da Alex.
«Tu rimani qui e prepara la pozione. Appena avrò il sangue, te lo porterò» ordinò il figlio di Odino, cercando di essere fiducioso.
Nonostante qualcuno fosse contrario, nessuno ebbe il coraggio di dirgli in faccia quanto fosse disperato. Ci dividemmo, setacciando ogni singolo vicoletto, ma nulla. Per quasi un ora non smettemmo di cercare, osservando preoccupati il sole che calava. Appena avesse superato l’orizzonte, saremmo stati spacciati.
Forse una parte di me fu così disperata da mettersi a pregare, o forse me lo immaginai e basta. Sta di fatto che, nonostante non avessi mai creduto al fatto che una risposta dagli Dèi potesse arrivare, non fu così.
Fu un attimo e non mi trovavo più lì.
Ero in uno dei giardini laterali del castello di Asgard. Un melo si innalzava alto e ben curato, al centro. Alla mia destra, un muro che sembrava fatto di mitra, fucili e lance. Era il palazzo di Odino, costruito con le armi dei più valorosi guerrieri del mondo.
Davanti a me, seduto davanti ad una fontana, c’era un dio a me ben noto: Thor, che indossava una tenuta militare da ufficiale ed un elmo alato in testa. I lunghi capelli biondi erano sciolti e si lisciava la barba pensieroso. Il martello a lui tanto caro era appoggiato ai suoi piedi, e ogni tanto ci lanciava un’occhiata, come per assicurarsi che fosse ancora lì.
«Divino Thor» dissi, inchinandomi.
Era uno dei più potenti Dèi di Asgard e anche se uno di quelli che mio padre sopportava di meno, era sempre prudente essere rispettosi.
«Einar Larsen. Avrei preferito Alex, o anche Astrid, oppure mio figlio Sain, ma devo dire che i greci sanno il fatto loro, in quanto a magia. Le loro barriere mi hanno impedito di essere preciso» annunciò, sollevando gli occhi azzurri, color del fulmine, su di me.
«Grazie per la fiducia» borbottai, senza farmi sentire.
«Ad ogni modo, abbiamo un problema: Odino non è ancora convinto. Non lo direbbe mai ad alta voce, ma il sacrificio che mio fratello sta facendo verso i Greci lo ha sorpreso. Vuole aiutarvi, ma il suo orgoglio lo porta a diffidare. Se adesso, però, Alex si portasse dalla parte di Crono, allora perderemo il supporto di Odino. Quindi, devi trovare quella serpe di Loki.»
«Con molto piacere. Ma non abbiamo idea di dove sia» risposi, alzando gli occhi al cielo. Stavo anche perdendo tempo.
«Però noi sì. Heimdallr, con la sua vista, l’ha individuato su una dei grattacieli intorno all’Empire State Building. Dovete andare a sconfiggerlo. Se c’è qualcuno che può sconfiggere un dio, quello è Alex. Dopotutto… ha sconfitto anche me» ammise Thor, osservando una cicatrice che aveva sul braccio.
«Allora le voci sono vere! Nella sua prima impresa, si diceva che Alex ti avesse sconfitto in duello» esclamai, prima che la mia lingua si fermasse. Avrei dovuto stare zitto.
Fortunatamente il dio non sembrò molto furioso. Si limitò a fare spallucce.
«Non lo nego. Alex Dahl è forte. Molti di noi hanno spesso pensato che fosse troppo pericoloso. Ma, per ora, non ci ha dato veri motivi per dubitare di lui. Anche quella volta, tutto si risolse senza perdite particolari. È una risorsa importante, per Asgard. E io apprezzo il valore dei guerrieri come lui. Sono il loro dio protettore, figlio di Loki. Ora va’ e digli dove trovare chi cercate!»
Detto questo, ebbi un’immagine perfetta del luogo dove si trovava mio padre e tornai esattamente dove mi trovavo due secondi prima. Capii che Thor aveva usato qualche incantesimo e mi aveva portato lì per pochi istanti, tanto che Alex, pochi passi davanti a me, non si era neppure accorto della mia assenza.
«Dannazione, dov’è…?» stava borbottando lui, frugando tra la spazzatura, alla ricerca di quell’idiota di mio padre.
«Scusa, Alex, ma ho da fare» dissi.
Non sapevo perché, ma avevo la sensazione che, questa volta, sarei dovuto andare da solo. Anche perché avevo un’idea per costringerlo a rinunciare. Solo che era una questione personale.
Mi misi in cammino, seguendo la visione che il Dio del Tuono mi aveva inviato. E infatti, lo trovai sul tetto di un palazzo non lontano dal luogo dello scontro. Dava una bella visuale sul campo di mezzosangue feriti e la barricata di macchine che avevamo eretto per difenderci. Stava scattando fotografie e chattando sul cellulare. Accanto a lui, Sigyn stava leggendo un libro di cucina.
Tipica famiglia felice.
Mi schiarii la gola, per far capire che ero presente.
«Mh?» Mio padre si voltò. «Oh, ciao, saccottino! Mi aspettavo Alex. Come mai non c’è lui?»
«Ha avuto un contrattempo. Ti ho trovato, adesso dammi quello che hai promesso» risposi senza giri di parole.
Mettersi a sproloquiare con mio padre era un pericolo. C’era il rischio di non uscirne.
«Mh? Se non ricordo male non avevo fatto il patto con te, Einar» osservò mio padre, con un ghigno.
Come se fosse così facile, lo conoscevo: dovevo batterlo al suo stesso gioco.
«D’accordo, padre. Non hai fatto il patto con me, ma, se non ricordo male, mi avevi promesso una cosa, un mese fa. Una promessa che non hai mantenuto» rammentai, sentendo un sordo dolore farsi strada nel petto.
Non volevo ricordarlo. Troppa gente aveva rischiato per il mio errore.
«Ah, già. Ti avevo chiesto di rubare il Martello di Thor» disse Loki, quasi avesse letto il mio pensiero. «Sì, sei stato bravo. L’hai consegnato a Kara come ti avevo detto.»
«Appunto» risposi, stringendo i pugni. Non potevo non dimenticare che parte di quella situazione fosse colpa mia. «Ma tu avevi promesso di guarire mia madre.»
«Oh, vero. Devo essermene dimenticato.»
«Guarire? Da cosa? La mia maledizione? Quella puttana se l’è solo meritato! Tu sei mio marito!» scattò, a quel punto, Sigyn rivolta al marito.
«Quella puttana è mia madre! E vorrei farti notare che è stato mio padre, a sedurla!» ringhiai furioso.
Quella dea da strapazzo non si doveva permettere di insultare l’unica cosa che rimaneva della mia famiglia mortale.
«Einar, piccolo caro, ti ricordo che lei è effettivamente una prostituta. E che io non l’ho sedotta, l’ho pagata. Pensa un po’, non valevi nemmeno cento euro» mi schernì mio padre, con il solito sorriso finto.
Mi salì il sangue al cervello, aggiunto ad una malsana idea di strangolarlo seduta stante e, già che c’ero, castrarlo.
«Non siamo qui per discutere di lei» tagliai corto, con le mani che mi tremavano dal desiderio di riempire di cazzotti quel muso spavaldo. «Non hai mantenuto la promessa. Quindi, diciamo che faremo un altro accordo.»
Loki sembrò interessato, tanto che non mi guardò con la solita aria di sufficienza. «Parla. Ti ascolto.»
«Diciamo che ti considererò pari se mi darai ciò che hai promesso ad Alex senza chiedere nulla in cambio. In pratica, dovrai aiutarci. In questo modo, avrai ripagato il tuo debito. Anche gli Dèi devono mantenere le promesse giurate sull’Isola di Foreseti, no?» proposi.
«Interessante» borbottò Loki, pensando. «Potrei anche farlo.»
«Sì, fallo. Almeno non dovrò togliere la maledizione a quella donna» intervenne Sigyn, dando una manata al braccio del marito.
Di regola non mi sarei mai trovato d’accordo con lei, ma in quel momento mi stava aiutando. Inoltre, c’era il fatto che non c’erano garanzie che Loki mantenesse la sua promessa. Se invece mi dava il sangue, doveva farlo subito. Soprattutto se giurava sull’Isola di Foreseti.
«Mmmmmh… d’accordo» concluse, dopo qualche minuto di riflessione. «Tieni! Giuro sull’Isola di Foreseti che questo è il mio sangue e che te l’ho dato volontariamente.»
Detto questo, si mise una mano in tasca e ne estrasse una fialetta contenente un liquido dorato e luminoso: l’Icore Divina.
«Bene. Così anche questo moccioso si potrà togliere dai piedi» bofonchiò la Dea della Fedeltà, squadrandomi con l’aria di tu-sporca-macchia-figlio-di-Loki-che-rovini-la-mia-vita-familiare-muori. Senza rendersi conto che la sola presenza di mio padre tendeva a rovinare qualsiasi famiglia.
«Grazie dell’aiuto» ringraziai, afferrando la fialetta e soppesandola.
Aveva giurato, quindi era vero, ma possibile che mio padre fosse così arrendevole? Meglio non sprecare l’occasione.
Quando, però, mi avviai verso la porta, mi resi conto che le cose non stavano così: infatti quella non si apriva.
«Sai, Einar… Ho detto che ti avrei dato il sangue, non che non ti avrei ucciso» mi rammentò papà, avvicinandosi dietro di me.
Fortuna che l’addestramento a Campo Nord fosse così duro, perché, altrimenti, non sarei stato in grado di trasformare la mia sigaretta elettronica in spada e deviare l’affondo diretto ad un punto inesatto all’altezza della mia vita.
«Dovevo immaginarlo» borbottai, mettendomi in posizione. Non che mi aspettassi di batterlo, ma magari sarei riuscito a scappare. «Sembra che tu ti sia preparato ad uccidermi. Perché?»
«Be’, avrei preferito Alex. Lui è troppo pericoloso. Uccidendolo mi sarei tolto una spina nel fianco al mio piano, ma mi accontenterò di te. Dopotutto, sei molto fedele a lui» spiegò, muovendo la sua spada avanti e indietro.
«Cosa c’entra lui con Crono?» Se fossi riuscito a fargli dire qualcosa, forse, sarei riuscito, anche a dare una mano ai Mezzosangue.
«Crono? Lui è solo uno stupido. Verrà sconfitto prima di domani mattina. Lo so. Odino arriverà e lo schiaccerà, così come Tifone» disse, con un ghigno.
Ecco, questo era strano. Dovevo saperne di più.
«Allora perché aiutarlo nell’attacco? Perché hai chiesto ad Hell di richiamare la sua Compagnia di Eroi Caduti?» chiesi, cercando di allungare un po’ la conversazione.
Intanto il sole si faceva sempre più vicino all’orizzonte. Insomma, un paesaggio romantico per uccidere tuo figlio con stile.
«Per eliminare quanti più mezzosangue possibile, ovvio. Siete dei vermi, ma dei vermi pericolosi. Ora, se vuoi scusarmi…»
«Aspetta!» lo bloccò Sigyn.
Per un attimo mi parve di vedere una scintilla di compassione, nei suoi occhi. Ma dovevo essermelo immaginato.
«Non sarebbe giusto. Dopotutto, hai promesso di dare il tuo sangue per curarla. Se lo uccidi sarebbe come infrangere la promessa.»
Fu, forse, la prima volta che parteggiai per quella santarellina maltrattata, ma, ovviamente, quante possibilità avevo di spuntarla? Vi rispondo subito: meno di zero.
«Anche se morisse, gli altri lo troveranno e potranno avere il mio sangue. Ma, per gli Dèi, ho deciso. Ho già detto troppo. Ora, figlio mio, preparati ad unirti agli Einherjar. Sigyn, va’ via, per favore. Voglio evitare di mostrarti l’indegno spettacolo» rispose, con calma mortale. Una serietà che non gli apparteneva.
Per un attimo sperai che la Dea della Fedeltà mi aiutasse, anche se mi odiava, ma subito smentì le mie speranze, quando scosse la testa e disse: «Molto bene. Uccidilo pure.”
E, con quelle parole, sparì, insieme alla mia speranza di salvezza.
«Ultime parole, piccolo mio?» chiese, facendo roteare una spada in semplice Acciaio Asgardiano.
«Sì» risposi, preparando la mia arma. «Non ti risparmiare.»

Tendenzialmente, mio padre è noto per molte cose: si racconta che abbia creato la rete, partorito un cavallo ad otto zampe, fatto nascere un serpente gigante, un lupo ed una donna che per metà è un cadavere, oltre che per i suoi innumerevoli inganni e tranelli.
Ma non pensavo proprio che fosse uno spadaccino così abile.
Certo, me lo sarei dovuto aspettare. Aveva uno stile molto diverso dagli altri guerrieri Asgardiani. Era rapido, veloce e, soprattutto, astuto. Mentre combatteva, non la smetteva di parlare. Avrei voluto imbavagliarlo, ma non avevo tempo. Ogni sua parola era oro colato e mi distraeva, impedendomi di mettere a segno un solo colpo.
Anzi, non riuscivo a combattere.
«Arrenditi!»
Non ascoltarlo! Concentrati.
«Inutile resistere. Stai solo posticipando l’inevitabile.»
Non ascoltarlo! Sta solo cercando di distrarti!
«Perché resistere? Morirai presto.»
Ha ragione… Potrei… no! Devo resistere!
Alla fine, però, la sua lingua ingannatrice fu più forte di me. Era come se mille miei fratelli mi stessero distraendo, concentrandosi tutti insieme. Credetemi quando vi dico che tre di noi bastano a sopprimere la volontà di un uomo completamente. Su di me fu come se fossero molti di più. La voce di mio padre si infiltrava nella mia difesa mentale, inibendo i miei pensieri e miei sensi.
Alla fine, bastò un solo, piccolo movimento sbagliato e la lama mi scivolò dalle mani e mio padre mosse velocemente la lama, ferendomi alla gamba destra, strappandomi un grido di dolore e facendomi crollare in ginocchio.
«Visto? Non mi sono risparmiato.»
Non risposi. In qualche modo, mi sentivo sollevato: avevo fatto il massimo per aiutare, anche se, alla fine, avevo fallito. Si dice che prima che la morte arrivi si vede tutta la propria vita davanti. Mi sarebbe piaciuto tornare a casa, da mia madre, per proteggerla, prima che dai mostri, dagli uomini. Ironico.
Avrei dovuto pensare a me stesso, ma io no. La mia famiglia era più importante.
E mio padre non ne faceva parte.
Osservai mio padre che mi puntava la lama lanciandogli un ultimo sguardo di sfida.
«Muori» ghignò, alzando la spada, pronto a finirmi.
Ci sono modi peggiori che morire per mano di un dio. Anche se è tuo padre.
Ma la mia sorpresa fu incredibile quando un clangore metallico sostituì la sensazione dell’acciaio nella carne.
«Alex» esclamai, riconoscendo il volto, ormai sfregiato, del mio comandante.
«Einar, la prossima volta che scappi o rubi un martello a Thor, potresti informarmi?» domandò con pungente sarcasmo, mentre faceva forza con Excalibur, spingendo indietro Loki.
«Guarda chi si vede. Figlio di Odino, sei venuto a morire con il tuo amico?» chiese il dio con un ghigno.
«Ti sbagli, Loki. Sono venuto solo per salvare Einar, tutto qui. Nessuno può permettersi di toccare i miei amici!» replicò, spingendomi indietro.
In passato mi aveva più volte chiamato “amico”, ma credevo fosse una sorta di scherzo o una battuta per aiutarmi. Eppure in quel momento, però, mi resi conto che lui mi considerava davvero tale.
«Un amico? Mio figlio ha rubato il Martello di Thor, un mese fa, ha voltato le spalle al Campo Nord e a causa sua sei quasi morto» lo canzonò Loki.
Stavo per rispondergli per le rime, ma Alex fu più rapido di me: «Vi ho ascoltati. So perché l’ha fatto. Cercava di aiutare i suoi cari, e lo capisco. Probabilmente, in una situazione simile, avrei fatto lo stesso. Puoi dire che i tuoi figli sono simili a te, ma ti sbagli: io li conosco. Einar è un mio amico fidato e, come tutti i miei amici e tutti i ragazzi del Campo, per me, sono la mia famiglia. Miei fratelli e compagni d’armi. Nulla di ciò che dirai mi farà cambiare idea.»
Loki sembrò quasi sorpreso, ma non si lasciò sorprendere. «Quindi, vuoi aiutarli fino in fondo? Molto bene. Lascerò che sia Crono a distruggervi. Anche perché non posso trattenermi» disse, alzando lo sguardo verso il sole, pericolosamente vicino all’orizzonte. «Non posso mica sparire troppo dal campo di quell’imbecille.»
Quando sparì, lasciai uno sospiro di sollievo.
«Grazie, comandante» sussurrai, osservando il mio sangue che scorreva sul cemento del tetto. «Ho la fialetta, prendila e vai. Non hai molto tempo.»
«Non dirlo nemmeno. Io non ti lascio certo qui» ribatté subito, avvicinandosi.
Ancora più alta fu la mia sorpresa, quando mi afferrò e mi aiutò a sollevarmi, usando le sue spalle per sorreggermi, stando, però, attento a non peggiorare le mie condizioni.
«Che stai facendo? Ti sto rallentando! Abbiamo solo mezz’ora per consegnare questa fialetta» gli feci notare, mentre scendevo le scale zoppicando.
Ogni gradino era una fitta di dolore, ma poteva andarmi molto peggio.
«Senti, Einar. So che l’hai fatto per la tua famiglia e credo che l’avrei fatto anche io, al posto tuo. La verità? Io ho sempre vissuto al Campo e, per quel che mi riguarda, ho avuto, tutto sommato, una buona vita, per un mezzosangue. Per me, che ho avuto solo metà di una famiglia, il Campo Nord è la mia famiglia. Tu, Astrid, Lars, Nora. Tutti voi. Ed io non lascio i miei famigliari in pericolo.»
«Ma ti ho tradito. Ho mentito per salvare mia mamma…  E poi, Loki non ha nemmeno tenuto fede alla parola data» risposi con un filo di voce, mentre una fitta di rimorso mi trafiggeva il cuore. Più dolorosa di qualsiasi ferita.
«Einar, hai agito al meglio, nei tuoi panni. Probabilmente io non avrei avuto né il coraggio né la volontà di fare ciò che hai fatto tu. Hai rischiato molto per la tua famiglia. Questo, per me, ti rende un eroe migliore di me» disse, affaticato, mentre raggiungevamo il pian terreno, e da lì, la piazza davanti all’Empire State Building.
Non parlai molto, anzi, forse fu una delle prime volte che non parlai proprio.
Lars preparò la pozione e la somministrò a Silena, sotto lo sguardo preoccupato di tutti. Ammetto che mi sarei aspettato qualcosa di meglio: tipo il corpo della ragazza che veniva avvolto dalla luce. Invece non successe nulla di particolare. Il figlio di Eir si limitò ad annuire.
«Dovrebbe essere salva» disse, piano. «Ma avrà bisogno di un po’ di tempo per riprendersi.»
«Posso confermare: non è in pericolo di vita» aggiunse Astrid, osservandola.
«Grazie, Alex, e anche tu Einar» ci ringraziò Beckendorf, sollevando la sua ragazza ancora incosciente. «Avete rischiato parecchio.»
«Come se non rischiassimo sempre parecchio. Non preoccuparti, amico. Non lasciamo indietro nessuno» rispose il figlio di Odino.
Percy e Annabeth sembravano preoccupati, ma erano anche sollevati dal fatto che una loro amica non fosse morta. Almeno questo potevo concederglielo.
«Alex» disse il figlio di Poseidone. «Noi andiamo un attimo sull’Olimpo. Abbiamo da fare.»
«D’accordo» annuì lui, guardando verso la schiera di mostri. «Solo fate in fretta. Potremmo aver bisogno di aiuto.»
Già. Stavamo per ricominciare. Ma almeno eravamo tutti insieme.
 

koala's corner.
Prima di tutto, facciamo un appunto: quando Thor racconta ad Einar di una sconfitta con Alex. Fa parte di un prequel che non abbiamo ancora scritto.
So don't worry se non vi ritrovate.
Secondo: gli Einherjar sono i Morti Glorioso, i caduti che vengono portati nel Valhalla al cospetto di Odino. Comunque sono piuttosto dispiaciuto che ci siano state così poche recensioni la scorsa volta.
Io no, ho dovuto scrivere pochissimo! Sì sì, certamente, I agree, sì sì. Perché questo capitolo è meraviglioso? Sì, vabbè, abbiamo salvato Silena, ma è sorpassabile -3-
Come avete visto in questo capitolo siamo riusciti a mostrarvi le corde più sensibili e più profonde dell'animo di Einar, corde che il padre Loki sa suonare molto bene. anche se poi viene una musica di merda
Soooo, ora avete tutto il diritto e il dovere di amare Einar Larsen.
Manca poco alla fine di questa storia - massimo due o tre capitoli. Tenteremo di fare una rush finale, ma sarà da vedere, considerando gli impegni scolastici e universitari. Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto e vogliate dircelo con una recensione!

Soon on VdN: POV Annabeth. Sfogherò la mia voglia di sangue muahahahah (?)

 

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Capitolo 20
*** ANNABETH • Rivalità (im)mortali ***


Rivalità (im)mortali

♣Annabeth♣
 
Salire sull’Olimpo, questa volta, aveva ottenuto buoni risultati. Primo, ci eravamo liberati del vaso di Pandora, affidandolo a Estia; secondo, Poseidone sarebbe sceso in battaglia contro Crono, abbandonando il conflitto contro Oceano. In più, Rachel aveva chiarito che pensava di essere attratta da Percy, ma, in realtà, lui era solo una porta aperta verso il nostro mondo. Le sue parole mi avevano fatto gongolare non poco. Non c’era più bisogno che chiarissi la mia posizione di ovvia superiorità, visto che la rossa l’aveva capito da sé, che Percy non era il ragazzo giusto per lei. Ma era la persona adatta per qualcun’altra.
Sarebbe stata una conclusione di giornata perfetta, se Crono stesso non stesse guidando la sua armata personalmente, deciso a schiacciarci definitivamente. Sempre che ci fosse riuscito.
Quando arrivammo in strada, era troppo tardi. Le nostre ultime forze erano state sbaragliate, e ora l’esercito dei Titani circondava l’edificio. In testa al gruppo, c’era Crono, affiancato da Hell e Ethan Nakamura. Non riuscii a individuare Loki, né vidi Prometeo. L’unico ostacolo che si parava davanti al Signore dei Titani era…
«Chirone» esclamai, scambiando un’occhiata veloce con Percy, sbalordito quanto me.
Il centauro aveva una freccia incoccata, puntata sul volto di Crono. E di Luke. La mia schiena fu percorsa da un brivido. Era una scena che aveva del paranormale, Chirone che minacciava una persona che si era tanto preoccupato di allenare e amare. Gli occhi dorati del Titano si spostarono su di me e Percy un attimo, ma sentii i muscoli irrigidirsi.
«Fatti da parte, figliolo» disse, di nuovo rivolto a Chirone.
Pronunciò “figliolo” con disprezzo, come se fosse un insulto, e faceva uno strano effetto udire uscire quelle parole dalla bocca di Luke.
«Temo di no» replicò Chirone, con il tono calmo e inflessibile che assumeva solo quando era davvero arrabbiato.
La regina delle dracene sbuffò e si agitò, impaziente.
«Chirone!» esclamai, cercando inutilmente di muovermi. «Attento!»
Il mostro attaccò, ma fu ricompensato da un’asta piantata in fronte, prima di scomparire. Il centauro cercò un’altra freccia da incoccare, ma non ne trovò, così sguainò la spada. Storsi la bocca in una smorfia. Chirone detestava combattere con quell’arma; era un altro segno che eravamo alla frutta.
Crono ridacchiò e avanzò di un passo. La metà equina di Chirone si agitò sulle zampe posteriori, mentre la coda frustò l’aria.
«Sei un maestro» lo schernì Crono, «non un eroe.»
«Luke era un eroe» ribatté Chirone. «E bravo, anche, finché tu non l’hai corrotto.»
«Sciocco! Gli hai riempito la testa di promesse vuote.» Non erano vuote, pensai con rabbia. «Dicevi che gli Dèi tenevano a me!»
«Me» notò Chirone. «Hai detto “me”
Crono sembrò confuso, e capii immediatamente perché: quello che aveva parlato, in quel momento, era Luke. Il Luke che pensava di non essere amato da Ermes. L’aria che avevo nei polmoni scomparve, lasciandomi senza fiato. Luke era ancora lì, insieme al suo corpo usato a mo’ di manichino. E Chirone attaccò.
Era un’ottima mossa – una finta seguita da un affondo diretto al viso –, ma Crono era veloce e conservava tutta l’abilità di Luke. Schivò la lama con violenza e gridò: «Indietro!»
Una luce bianca e accecante esplose tra lui e il centauro. Chirone fu scaraventato via contro il fianco del palazzo con una forza tale che il muro cedette e gli crollò addosso.
Il miei polmoni si contrassero in uno spasmo di dolore, ma non riuscii a obbligarmi a respirare. N-non era possibile che fosse accaduto. Chirone che attaccava Luke, che voleva ferirlo, ucciderlo, e poi… poi…
«No!» gemetti, sentendo la mia voce assomigliare al guaito di un cane.
«Sì!» esclamò Hell, battendo le mani come allo stadio. Si voltò con foga verso l’esercitò e domandò, in uno stato di eccitazione altissimo: «L’avete visto? E avete sentito il rumore delle ossa frantumate? È tutto così meraviglioso!»
Udii Astrid ringhiare qualcosa di decisamente poco carino nei confronti di sua madre, qualcosa che somigliava abbastanza a “sarà tutto meraviglioso quando te ne ritornerai nell’Hellheim, puttana!”, ma la mia attenzione era completamente focalizzata su Chirone.
Talia e Percy – l’incantesimo di immobilità si doveva essere rotto – tentarono disperatamente di levare le macerie dal corpo del centauro, mentre orribili risate serpeggiavano per l’esercito nemico. Ridevano. Fui assalita dalla rabbia. Crono aveva usurpato il corpo di Luke, l’aveva spinto a colpire a morte una delle persone che più lo amava, e aveva provocato divertimento nei suoi ranghi. L’aveva trasformato in un mostro. Meritava di più di essere tagliato a pezzettini. Meritava di soffrire di quelle atroci pene della religione cristiana, o di subire i trattamenti delle leggende nordiche, ma con la passione l’inflessibilità di quelle greche.
Mi rivolsi verso Crono. «TU!» Lurido figlio di cagna, aggiunsi nella mente, ma tremavo così tanto per la rabbia che non riuscivo a mettere insieme bene le parole. «E pensare che io… che io credevo…»
Detestavo perdere il filo, così sguainai direttamente il pugnale.
«Annabeth, no!»Percy cercò di afferrarmi per un braccio, ma lo scrollai via.
Non avevo mai avuto il coraggio di prendere una seria posizione contro il Signore dei Titani, ma era arrivato il momento. Luke era dentro di lui, ne ero certa; questo, però, non doveva fermarmi. Se non potevo riavere la mia famiglia, Crono non l’avrebbe usata contro di me né contro nessun altro. Non aveva il diritto di fare di Luke una marionetta, non ce l’aveva mai avuto; non poteva strappargli via l’anima e togliergli il suo futuro da eroe. Non gliel’avrei permesso.
Attaccai Crono, mentre il sorriso spavaldo del Signore dei Titani scompariva. Conficcai il pugnale tra le spalline dell’armatura, sotto la clavicola. Mi aspettavo che la lama penetrasse nel petto, invece rimbalzò via. Il contraccolpo arrivò subito, tanto potente da farmi piegare in due e farmi stringere la pancia, mentre anche la spalla destra bruciava.
Percy mi scostò un attimo prima che Crono fendesse il punto dove mi trovavo prima. Cercai di divincolarmi dalla sua presa, stringendo il pugnale. Ero così, così furiosa che dovevo trovare il modo per buttare fuori ciò che provavo, prima che implodessi.
Scansai Percy e gridai: «TI ODIO!»
Mi accorsi di stare piangendo, perché le lacrime mi portavano il sapore delle polvere unito al loro gusto salato sulle labbra.
«Sono io quello che deve battersi con lui» mi disse il figlio di Poseidone.
«È anche la mia battaglia, Percy!»
Era vero. Se Astrid poteva dire il contrario per se stessa e Alex, io no. Io ero parte di quella guerra. Ci ero da prima di tutti, da quando Luke era passato dalla parte di Crono, era diventato parte di lui. Il Signore dei Titani rise.
«Che spirito! Capisco perché Luke ci tenesse tanto a risparmiarti. Purtroppo, non sarà possibile.»
Sollevò la falce, ma l’ululato di un cane squarciò l’aria da qualche parte alle spalle del nemico. Il viso di Percy si distese vistosamente.
«Signora O’Leary?» chiamò.
Le forze nemiche si agitarono, inquiete. Poi, senza che ne capissi il perché, cominciarono a farsi da parte, aprendo una strada. Ben presto si liberò un corridoio per la Quinta Strada. Lì, in fondo, si stagliavano la Signora O’Leary e una piccola figura in armatura nera.
«Nico?» esclamò Percy.
«BAU!» rispose il segugio infernale, saltando nella sua direzione, incurante delle circostanze.
Nico avanzò con calma, a piedi. I mostri portati da Hell lo annusavano, incuriositi, anche se non ero sicura che un figlio di Ade avesse lo stesso odore di quelli della dea nordica. Da dietro la maschera del suo elmo a forma di teschio, sorrise.
«Ho ricevuto il tuo messaggio. È troppo tardi per unirsi alla festa?»
«Figlio di Ade» ringhiò Hell, arricciando il naso. Sembrava indecisa se sputare per terra o meno. «Ami così tanto la morte da volerla sperimentare di persona?»
«Non credo che qualcuno possa innamorarsi di te» ribatté Nico. «Ad ogni modo, la vostra morte» e indicò Crono ed Hell «sarebbe una gran bella esperienza.»
«Io sono immortale, sciocco!» lo rimbrottò Crono, precedendo la dea norrena, ancora in uno stato di incredulità. «Sono sfuggito dal Tartaro. Non sono affari che ti riguardano e non hai alcuna possibilità di sopravvivere.»
«Già. Almeno quanto tuo padre ne aveva di sconfiggere me, ai tempi» rincarò Hell.
Nico sguainò la sua spada, novanta centimetri di ferro affilato dello Stige, nera come ossidiana, ma molto più letale.
«Non sono d’accordo» commentò, pacato.
La terra tremò. In strada, sui marciapiedi, sui fianchi degli edifici comparvero delle crepe. Delle mani scheletriche ghermirono l’aria, mentre i morti risorgevano nel mondo dei vivi. Erano a migliaia, e, durante la loro emersione, i mostri del Titano si innervosirono.
«Mantenere la posizione!» ordinò Crono. «I morti non reggeranno mai il nostro confronto!»
«E che cosa ne dici dei vivi, bello?»
Alzai la testa di scatto, mentre ragazzi che non avevo mai visto facevano capolino da tutte le parti. Notai che Alex sembrava vicino a un collasso psico-fisico, comportamento che mi fece intuire che si trattassero delle altre Orde, appena giunte dalla Norvegia. Il figlio di Odino lanciò un urlo di battaglia, e tutti gli altri risposero allo stesso modo, riproducendo una cacofonia assordante.
Poi, il cielo si scurì all’improvviso. Risuonò un corno di guerra. Mentre i soldati morti si allineavano e i nuovi norreni si univano a noi, un carro enorme – decorato con ossidiana, oro, e scene di morte funesta – percorse la Quinta Strada fino ad affiancare Nico. Alle redini c’era Ade in persona e, dietro, lo accompagnavano Demetra e Persefone.
Indossava un’armatura nera come quella del figlio e un mantello color del sangue appena versato. L’elmo dell’oscurità si stagliava sul suo cranio pallido: una corona che irradiava terrore puro e che cambiava forma in continuazione, passando da una testa di drago a un cerchio di fiamme nere, a un serto di ossa umane. Ma non era questo a incutere terrore.
L’elmo si insinuò nella mia mente e vi proiettò i miei peggiori incubi, le mie paure più segrete. Mi toccai un braccio per assicurarmi che non ci fossero seriamente dei ragni pelosi. Il potere di Ade stava mettendo in crisi le schiera di mostri di Hell, che non sapevano come comportarsi con un dio che trasudava morte tanto quanto la loro signora.
«Tu» ruggì quest’ultima, facendo in modo di sembrare più alta e incutere più terrore possibile.
«Speravo di non doverti più incontrare, mia cara» salutò Ade.
«Mia cara?» fece Persefone, stizzita.
«Taci» scattò Hell, sorridendole in modo decisamente inquietante. «Non vedi che non è il momento, passerotto? Il tempo di cantare è terminato.»
Persefone incrociò le braccia, lanciando uno sguardo di fuoco all’altra dea.
«Salve, padre.» Ade sorrise freddamente a Crono. «Hai un’aria… giovane.»
«Ade» ringhiò Crono. «Mi auguro che tu e le tue signore siate venuti a giurarmi fedeltà.»
«Temo di no» sospirò il Signore dei Morti. «Mio figlio, qui, è convinto che forse dovrei fare un po’ d’ordine nella mia lista dei nemici. Stabilire delle priorità.» Lanciò un’occhiata disgustata a Percy. «Per quanto trovi sgraditi certi semidei parvenu, non mi conviene che l’Olimpo cada. Mi mancherebbero i battibecchi con i miei fratelli. E se c’è una cosa su cui siamo tutti d’accordo, è che tu sia stato un padre terribile
«Vero» borbottò Demetra. «Nessun riguardo verso l’agricoltura.»
«Madre!» gemette Persefone.
«Se è di vostro gradimento, posso fare io un po’ di salutare mietitura» propose di Hell. «Di vittime» aggiunse poi, ridacchiando tra sé.
Mi chiesi quanto folle dovesse essere il padre di Astrid per innamorarsi e mettere al mondo dei figli con una dea del genere. Ade sguainò la spada, una lama di ferro dello Stige a doppio taglio, decorata con incisioni d’argento.
«Ora, battiti contro di me, Crono! Perché oggi gli Inferi saranno chiamati salvatori dell’Olimpo!»
Hell emise un gorgoglio strozzato. «Cosa vai blaterando, Ade?» domandò, incredula. «Vuoi incrociare la tua lama con la sua? Ti stai forse prendendo gioco di me? Mi stai ignorando? Non vuoi duellare con me, la tua rivale da secoli?»
«Fammici pensare» disse Ade. «Credo proprio di sì, mia cara.»
«Non ho tempo per uno stupido battibecco» ringhiò il Signore dei Titani.
Colpì la terra con la sua falce, aprendo uno squarcio in entrambe le direzioni, accerchiando l’Empire State Building. Un muro di forza scintillò lungo il perimetro della fenditura, separando l’avanguardia di Crono, parecchi semidei e me dal resto del grosso dei due eserciti.
«Che sta facendo?» chiese Percy.
«Ci sta chiudendo dentro» rispose Talia. «Sta facendo crollare le barriere magiche attorno a Manhattan…»
«… tagliando fuori solo l’edificio, più noi» conclusi.
La figlia di Zeus annuì. Al di fuori della barriera, infatti, i mortali si stavano risvegliando e fissavano attoniti i morti e gli zombie che si trovavano di fronte. Non sapevo cosa avrebbe mostrato loro la Foschia, ma sicuramente non qualcosa di carino.
«No» disse Percy. «Non…»
Guardava fisso in una direzione, così seguii il suo sguardo e notai Sally Jackson e Paul Stockfis che scendevano dalla Prius, incrociavano lo sguardo del figlio di Poseidone, e ci venivano incontro. La signora Jackson poteva vedere attraverso la Foschia, e sembrava aver capito che la situazione era critica. Percy sembrava sul punto di gridare, ma era come se non ci riuscisse, o si stesse trattenendo per non attirare l’attenzione sui suoi genitori.
Se questo era il suo intendo, Ade creò una distrazione che gli fece comodo. Attaccò il muro di forza, però il suo carro si schiantò invano contro la parete e si rovesciò. Il dio si rialzò subito in piedi, imprecano, e bersagliò il muro di magia nera, nonostante questo reggesse. Hell rideva dell’impotenza del Signore dei Morti.
«ALL’ATTACCO!» ruggì quest’ultimo, ignorandola, non senza un certo sforzo. Dopotutto, la sua peggiore nemica si stava prendendo gioco di lui spudoratamente.
Le armate dei morti si riversarono contro le forze del Titano, facendo esplodere il caos più assoluto nella Quinta Strada. Demetra, facendo un gesto con la mano, trasformò una fila di giganti in un campo di grano. Persefone tramutò le lance delle dracene in girasoli. Nico, nel frattempo, si faceva strada tra i nemici a colpi di spada, cercando di proteggere i pedoni. La signora Jackson, insieme a Paul, correva verso suo figlio, schiavando mostri e zombie.
«Nakamura» chiamò Crono. «Scortami. Giganti, occupatevi di loro. Hell, sai contro chi devi combattere.»
«Certamente» replicò la dea, umettandosi le labbra.
Indicò me e Percy, dopodiché si tuffò nell’atrio. Percy rimase un attimo sbigottito. In effetti, avevo previsto con una certa probabilità che i due avrebbero duellato. Poi, un gigante iperboreo lo attaccò, riscuotendolo a forza.
Un secondo si voltò verso di me, alitandomi contro brina, ma Grover mi scansò in tempo. In quel momento, mi accorsi che ero più malconcia di quello che credevo. Attaccare direttamente Crono con un coltello non era stata una grande mossa. Non era un piano degno di una vera figlia di Atena. Non avrei dovuto farmi prendere tanto dall’emozione, visto che portava sempre a comportamenti avventati, ma era stato impossibile trattenermi.
Talia si arrampicò sul gigante iperboreo, incrociò due coltelli da caccia e gli staccò la testa di netto. Rivolsi l’attenzione a ciò che accadeva al di là della barriera, e vidi Sally Jackson frugare nell’auto della polizia, mentre Paul Stockfis trafiggeva una dracena con una spada.
«Paul?» esclamò Percy, stupito.
Il fidanzato di sua madre si girò e gli sorrise. «Spero di avere appena ucciso un mostro. Al college recitavo Shakespeare, ho imparato un po’ di scherma!»
Percy stava per replicare qualcosa, invece gridò: «Mamma!»
Sua madre si voltò, sparando un colpo di pistola contro un Lestrigone, che la stava assalendo alle spalle. Lo fece finire dritto infilato sulla spada di Nico.
«Brava» esclamò Paul.
«Quando hai imparato a sparare?» domandò Percy.
Sua madre si soffiò via una ciocca di capelli dal viso, squadrando la pistola. «Più o meno due secondi fa. Percy, noi ce la caveremo. Vai!»
La ammirai, per questo. Non era da tutti i genitori lasciare andare via così il proprio figlio, sapendo che si gettava in guai ben peggiori, oltretutto cercando di sopravvivere durante una battaglia in corso.
«Sì» concordò Nico. «Ci pensiamo noi all’esercito. Tu devi sconfiggere Crono!» Gli fece l’occhiolino, come a voler dire “terrò d’occhio anche loro, promesso.”
«Muoviamoci, Testa d’Alghe!» incitai, vedendolo tentennare.
«Va bene» disse. «Signora O’Leary, ho un compito per te. Ti prego, tira fuori Chirone da sotto le macerie. Solo tu puoi farcela.»
Pensare a Chirone, là sotto le macerie, era un pensiero troppo orrendo perché ci rimuginassi sopra più di un secondo.
«Ci siamo anche noi!» esclamò Alex, accodandosi; Astrid gli stava alle calcagna. «Le Orde sanno come comportarsi, e non vedono l’ora di far fuori un bel po’ di mostri.»
Percy annuì. «Perfetto.»
Anche con Talia e Grover, corremmo tutti verso gli ascensori.
 
Il ponte dell’Olimpo si stava dissolvendo. Uscimmo dall’ascensore, posammo i piedi sul vialetto di marmo bianco e subito comparvero delle crepe.
«Saltate!» esclamò Grover.
Facile a dirsi, per lui, che era una mezza capra, invece che una mezzosangue figlia di Atena che aveva compiuto un attacco semi-suicida contro il Signore dei Titani. Grover balzò sulla lastra di marmo successiva, mentre le nostre già si inclinavano paurosamente.
«Oh Dèi, quanto odio le altezze!» urlò Talia, cercando di imitare il satiro.
«Non dirmelo!» strillò in risposta Astrid, che, se non avesse avuto al suo fianco Alex, dubitavo ce l’avrebbe mai fatta.
Le due ragazze si scambiarono uno sguardo che esprimeva tutto il loro odio contro le altezze e i ponti che si sgretolavano in momenti decisamente poco opportuni. Ma se loro avevano almeno una possibilità di riuscita, io no. Provai a saltare, ma sentii i miei muscoli indeboliti protestare e non eseguire correttamente l’ordine.
Inciampai e gridai: «Percy!»
Il peso delle gambe mi trascinava giù, e il figlio di Poseidone mi afferrò nel momento esatto in cui il marmo cedeva, sgretolandosi in polvere. La spalla destra, quella che più mi doleva, stava comunicando al cervello tutto il suo dolore. Le mie dita scivolarono via di un po’. Sgranai gli occhi, cercando di riacciuffare disperatamente quelle di Percy.
Grover e Talia lo afferrarono per le gambe, dandogli modo di issarmi su. Ci stendemmo entrambi su una lastra, ansimando e tremando insieme.
«Tutto ok?» domandò Alex, qualche metro più avanti.
Talia gli mostrò il pollice alzato. All’improvviso, mi resi contro che ero proprio abbracciata a Percy. Mi irrigidii.
«Ehm, grazie» balbettai.
«Oh, ehm, già» farfugliò lui.
«Non vi fermate!» ci spronò Grover, tirando Percy per una spalla.
Io e Percy ci sciogliemmo dall’abbraccio e ci slanciammo su per il ponte celeste, mentre le pietre dietro di noi si disintegravano e cadevano in basso. Arrivammo ai margini della montagna un istante prima che l’ultima sezione crollasse. Mi voltai indietro a guardare l’ascensore, che era ormai irraggiungibile. Erano solo due eleganti porte di metallo sospese a seicento piani sopra Manhattan.
«Siamo bloccati» constatai.
«E soli» aggiunse Astrid.
«Beeeee!» commentò Grover. «Il legame fra l’Olimpo e l’America si sta indebolendo. Se cede definitivamente…»
«Gli Dèi non si trasferiranno in un altro Paese, stavolta» disse Talia. «Sarà la fine dell’Olimpo. L’ultima fine.»
«Può ancora non accadere» replicò Alex, fiducioso.
Chissà se lo era veramente o se, dentro di sé, si stava chiedendo se c’erano davvero ancora possibilità. I capi mentivano spesso, per motivare la truppa, e Alex era un ottimo comandante. Corremmo per le strade, incontrando sul nostro percorso ville che bruciavano, statue capovolte, alberi ridotti in bastoncini per giocare shanghai. Era sicuramente un lavoro fatto dalla falce di Crono.
Seguimmo il sentiero che conduceva al palazzo degli Dèi. Non mi ricordavo che la strada fosse così lunga – forse Crono stava rallentando il tempo –; probabilmente era perché ogni falcata mi sembrava uno strazio.
La cima della montagna era ridotta in macerie, con edifici e giardini un tempo splendidi annientati. Una manciata di divinità minori e spiriti della natura avevano cercato di fermare Crono, ma invano. I loro resti giacevano sparsi per la strada: armature infrante, spade e lance spezzate, vesti strappate.
Da qualche parte davanti a noi, ancora in lontananza, il Signore dei Titani ululò: «Fino all’ultimo mattone! Questa era la mia promessa: demolirlo fino all’ultimo mattone!»
Un tempio di marmo bianco, con una cupola d’oro, esplose all’improvviso. La cupola saltò in aria come il coperchio di una teiera, infrangendosi poi in un miliardo di pezzi, che si disseminarono per tutta la città.
«Quello era un tempio in onore di Artemide» brontolò Talia. «Pagherà per questo.»
Stavamo correndo sotto un portico, decorato con enormi statue di Zeus ed Era, quando l’intero monte Olimpo gemette e traballò, come l’inizio di un terribile terremoto.
«Attenti!» strillò Grover.
Il portico cedette e crollò. Sapevo per i miei studi che, trovandomi in quel punto, sarei finita schiacciata in meno di una manciata di secondi insieme a Percy. Una statua di Era piuttosto corrucciata ci sarebbe piombata addosso. Se Talia non ci avesse scansati in tempo, sacrificandosi al posto nostro.
«Talia!» gridammo io e Grover.
Quando la polvere si diradò e la montagna smise di ondeggiare, la trovammo ancora viva, ma con le gambe bloccate sotto la statua. Provammo a spostare le macerie – un lavoro da ciclopi – e Talia strillò di dolore.
«Sopravvivo a tutte le battaglie» ringhiò, «e vengo sconfitta da uno stupido pezzo di roccia!»
«È quella str-» mi bloccai appena in tempo. «È Era. È tutto l’anno che ce l’ha con me. La statua avrebbe ucciso me, se ti fossi messa in mezzo.»
Talia fece una smorfia. «Be’, non restate lì impalati! Me la caverò. Andate!»
«Non ti lasciamo qui, da sola» obiettò Alex.
«Non è il momento adatto per i gesti di altruismo. Se non fate subito qualcosa, Crono distruggerà l’Olimpo!»
Astrid si torturava le labbra, come se fosse sull’orlo di un baratro o dovesse compiere una scelta tremendamente difficile. Intuii cosa voleva fare nel momento stesso in cui dichiarò: «Rimango io con lei. Ho un’idea per tirarla fuori.»
«Sicura?» le chiese Percy, ammiccando ad Alex. «Non è che…»
«Chiudi il becco. Ho preso la mia decisione» lo stroncò sul nascere, consapevole che sarebbe bastato pochissimo per farla ritornare sui propri passi.
«Astrid…» provò Alex, guardandola con l’occhio che brillava, come si fa solo con le persone che si amano o si ammirano.
«In quanto a te» lo interruppe lei, «sei abbastanza grande da poter vivere senza baby-sitter. Non farti ammazzare, ok?»
«Ok.» Alex le sorrise.
E si baciarono. Uno di quei baci da bollino rosso, vietati ai minori di quattordici anni. Alex le strinse i fianchi e la figlia di Hell gli si aggrappò alla maglietta, premendo con passione le proprie labbra sulle sue. Si baciarono come se volessero fondersi in una cosa sola, come se si stessero annientando uno nell’altro.
Era uno di quei momenti di coppia che avevo sognato di avere con Percy. E con Luke. Sentii dell’amaro in bocca e distolsi brevemente lo sguardo. Quando si staccarono, i loro petti viaggiavano un po’ più veloci.
«Se non ti vedo tornare da me, brucerò tutto ciò che mi ostacola il cammino e ucciderò Crono con le mie stesse mani.»
«Mi offenderei, se non lo facessi.»
«Eh-ehm!» Grover proruppe nel peggior attacco di tosse finta della storia; era rosso fin sopra le corna. «Dobbiamo andare.»
I due norreni si staccarono, vagamente imbarazzati. Si erano isolati dal mondo esterno. Cosa alquanto ardua, quando il mondo in questione era sul baratro di una catastrofe epica.
«Torneremo» assicurò Percy.
Io e lui, insieme ad Alex e Grover, ci precipitammo verso il palazzo, lasciandoci le due ragazze alle spalle.

 
koala's corner.
Buonasera a tutti! Per prima cosa, vogliamo dire che: NON AVEVAMO IDEA DI CHE TITOLO DARE A QUESTO CAPITOLO.
*coff* Non era questo il primo punto... *coff*
Ah, giusto. Ci avete lasciato tante recensioni, quindi siamo davvero contenti :D
Questo capitolo doveva essere più lungo, perché doveva includere anche la morte di Luke, ma ho fatto davvero i salti mortali per scrivere fino a qui ed Ax è così contento di avere a che fare con un altro duello... E poi, dettagli non trascurabile: non avrei avuto la più pallida idea di che titolo dare ^^"
Non preoccupatevi, Percy sarà il duellante perfetto, Alex avrà dei... contrattempi. La relazione tra Ade ed Hell era già piazzata da tempo, e la mia collega l'ha resa davvero bene (y)
Hell è sempre carina *^* Pooooi, qualcuno aveva chiesto perché il rating arancione: be', violenza, e scene di coppia. Qui c'erano le scene di coppia u.u
Grazie mille per seguirci sempre, alla prossima!

Soon on VdN: POV Percy - faccia a faccia con Crono.
Achtung: I qui presenti autori stanno scrivendo una raccolta di momenti Alrid (e di altri semidei), sparsi per tutte le Cronache del Nord (e non solo, sono previste AU), e sarebbe carino se qualcuno di voi aderisse a questa "sfida". Lanciateci un prompt da sviluppare, una canzone da inserire, una citazione, un headcanon... qualsiasi cosa! Noi saremmo felici di vederci alle prese con queste cosucce :3

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Capitolo 21
*** PERCY • Di titani incazzati e dèi traditori ***


Di Titani Incazzati e Dèi Traditori
(Di calci in faccia e spiedini alla Alex)
♠Percy♠

Ormai sembravano ore che correvamo, ma ero abbastanza sicuro che non fossero passati più di dieci minuti. La strada principale era deserta. Rimanevano solo muri distrutti e i resti di coloro che avevano tentato di opporsi a Crono senza successo: frammenti di lance, pezzi di armatura, spade abbandonate, vesti stracciate e resti di cenere.
Il Signore dei Titani, a quanto pareva, aveva deciso di attardarsi, buttando giù diverse decine di abitazioni e palazzi secondari. Eppure, mi parve che ci fossero ancora dei superstiti che si nascondevano. Passammo accanto al campo medico che Lars ed i suoi avevano creato con l’aiuto di quelli di Apollo. Non sembrava essere stato attaccato, dato che non c’erano tracce di sangue o di morti. Probabilmente Crono non li aveva considerati un pericolo vero e proprio, così tirammo avanti.
Alla fine, raggiungemmo le porte del Dodekateon, il palazzo degli Dèi, ancora aperte, che davano sull’ingresso da cui provenivano grida e urli di trionfo: Crono ci aveva preceduti.
«D-dobbiamo scappare?» chiese Grover, speranzoso, tremando come una foglia.
«Non abbiamo altra scelta che combatter. Andiamo!» dissi, facendomi avanti, prima di sentire la mano di Annabeth fermarmi.
«Aspetta… guarda!» mi consigliò, indicando qualcuno appoggiato ad una delle colonne.
Vidi Alex digrignare i denti: quella figura non potevo non riconoscerla. Benché l’avessi visto poche volte, una faccia del genere, ormai, si era già piazzata in cima alla classifica delle divinità a cui spaccare la faccia con gusto. Loki.
Indossava abiti moderni, jeans strappati e maglietta. In mano, aveva ancora il cellulare e sembrava molto preso. Che stesse chattando con i suoi amici o inviando foto intitolate “La Caduta dell’Olimpo”?
«Dannazione, non l’abbiamo notato, ma, probabilmente ha seguito Crono fin qui» rifletté sottovoce il figlio di Odino, stringendo Excalibur.
«M-motivo in più per andarcene» osservò Grover.
Povero satiro, doveva avere una paura folle.
«Non ce ne andremo» dissi, fermamente. «Non permetteremo che l’Olimpo venga distrutto!»
Tutti i miei tre compagni annuirono.
«Vado io per primo, proverò a distrarlo» propose Alex, squadrando Loki in modo malevolo.
Ad osservarlo non sembrava nemmeno che stesse facendo la guardia, ma, ormai, avevo imparato che con lui l’apparenza inganna.
«Ok. Noi ti siamo dietro. Appena sembra il momento giusto, andiamo dentro» lo incoraggiò Annabeth, ancora bianca in viso per il dolore.
Fui colto da un moto di paura nei suoi confronto e anche… gelosia. Una parte di me avrebbe voluto cancellare Luke totalmente dalla faccia della Terra, combattere fino all’ultimo, e distruggerlo. Annabeth avrebbe cercato di risvegliarlo, richiamarlo. E questo mi faceva rabbia. Mista al fatto che Crono avrebbe potuto ucciderla, mi spaventai.
«Forse è meglio se rimani indietro» protestai debolmente, ma la sua occhiata carica di rabbia e determinazione bastò ad estinguere ogni mia protesta.
«Andiamo» concluse, fermamente, mentre ci avvicinavamo al Dio degli Inganni.
Loki era ancora impegnato nel suo gioco e sembrava non averci notato mentre salivamo le scale. Non dette segno di averci visti nemmeno quando ci fermammo, lasciando andare avanti il figlio di Odino, che si piantò davanti al dio che, però, sembrava non volerlo calcolare. Se dava l’impressione di non considerarci nulla, ci stava riuscendo proprio bene.
Alex sembrò sorpreso ed, inizialmente, provò ad attirare l’attenzione, ma ancora nulla.
«Ehi, Loki!» sbottò ad un certo punto.
Come se fosse davvero interessato, per poco il dio non fece cadere il cellulare, borbottando qualcosa in norvegese.
«Ma insomma, per gli Dèi! Cosa volete?» chiese, con aria falsamente innocente.
«Nulla» rispose Alex, puntandogli contro la spada. «Fatti da parte.»
«Ottimo» sorrise Loki, facendo un cenno alla porta. «Andate, non intendo fermarvi.»
Stupore.
Non ci bloccava? Si era alleato con Crono e non faceva niente per fermarci? Sentivo puzza di trappola, ma a che scopo? Intrappolarci? Era un dio, se avesse voluto, avrebbe potuto assumere per pochi secondi al sua vera forma e disintegrarci. Perché non lo faceva?
«A che gioco stai giocando?» domandò Annabeth, facendosi coraggiosamente avanti.
Ebbi l’impulso irrazionale di legarla e di nasconderla da qualche parte.
«Aspetta, te lo dico subito» rispose, Loki, osservando un attimo lo schermo. «Candy Crush, molto bello. Vuoi provare? Forse riesci a battere il mio record» aggiunse, lasciando tutti a bocca aperta.
«Non capisco… Cosa diavolo stai facendo!?» chiese, infine, il figlio di Odino, catturando la luce con la spada per ricordargli che fosse lì, senza ottenere nessuna reazione.
«Non sto facendo proprio nulla. Teoricamente dovrei sorvegliare l’entrata, ma non ne ho voglia. Entrate pure» ci sorrise il dio, tornando a concentrarsi sul suo videogioco.
Più confusi di prima, entrammo nel Dodeckateon. Crono stava roteando la sua falce, poco lontano dal trono di Zeus, quasi assaporando il momento in cui avrebbe fatto a fettine gli Dèi dell’Olimpo. Ethan Nakamura si teneva prudentemente a distanza dall’arma del Signore dei Titani, mentre l’Ofiotauro nuotava in silenzio nella sua vasca, cercando di non attirare l’attenzione.
Appena iniziammo ad avanzare alla luce delle torce, il figlio di Nemesi ci vide.
«Mio signore!» avvertì.
Crono si voltò e fu come se un pugno mi avesse centrato in pieno petto. Il suo sorriso era quello di Luke, eccetto che per gli occhi dorati. Eppure, non potevo non riconoscerlo: era il ragazzo che mi aveva accolto al Campo, quando ancora non sapevo chi fosse mio padre. Quando pensavo di aver perso mia mamma. Al mio fianco, Annabeth emise un gemito dolorante: per lei, Luke era stato un fratello maggiore. Doveva essere terribile affrontarlo.
«Distruggerò te per primo, Jackson?» chiese il Titano. «E questa la scelta che farai? Ti opporrai fino alla fine inutilmente?»
Ignorai la provocazione. «Luke combatterebbe con la spada, ma suppongo che tu non sia altrettanto abile.»
Crono fece un verso di scherno e la sua falce scintillò, assumendo la forma di una spada di circa ottanta centimetri con un filo in acciaio e l’altro in bronzo celeste. Vipera.
«Percy!» Annabeth mi bloccò. «La lama… l’anima dell’eroe, l’orrida lama strapperà.»
Avrei voluto farle notare quanto quelle parole non mi stessero incoraggiando, ma prima che potessi dire qualcosa, il Signore dei Titani mi fu addosso.
«Aspetta!» tentò Annabeth, ma Crono mi assalì.
I miei istinti ebbero il sopravvento e, senza pensare, parai il colpo, e risposi con un fendente per poi rotolare via. Alla mia destra, Alex provò un affondo, ma era come se stessimo affrontando un centinaio di spadaccini tutti in una volta sola.
Ethan, rimasto immobile fino a pochi secondi prima, si tuffò di lato per prenderci alle spalle, ma Annabeth lo fermò ed iniziarono a duellare. Grover portò il flauto alla bocca, cominciando a suonare un piacevole motivetto che mi raggiunse subito, facendo scemare la paura, trasmettendomi immagini di campi verdi e giornate serene, lontano dalla guerra e dalla morte.
Nonostante tutto, però, Crono riuscì a colpire Alex con il manico della falce, facendolo crollare a terra, per poi darmi una spinta, portandomi con le spalle contro il trono di Efesto: una specie di poltrona reclinabile con degli ingranaggi in bronzo ed argento. Sferrò un colpo e fui costretto a saltare sul sedile, facendo attivare il trono.
«Modalità difensiva attivata!» annunciò, mentre sentivo dei meccanismi segreti avviarsi.
Intuendo che, qualsiasi cosa stesse accadendo, non era nulla di buono, mi detti la spinta e superai il capo del Re dei Titani, mentre dalla poltrona venivano sparati dei raggi di elettricità. Uno colpì Crono alla testa.
«Aaaaaaaaaaaaah!» urlò, mentre le scosse passavano sulle braccia e sulle gambe, facendogli mollare la presa sull’arma.
Intanto, Alex si era portato alle spalle di Ethan, buttandolo a terra, dando la possibilità ad Annabeth di avvicinarsi a me.
«Luke, ascolta!» gridò, provando a muovere qualche passo verso di lui.
Avrei voluto fermarla, ma prima che potessi farlo, Crono alzò la mano e lei volò contro il trono di sua madre, crollando a terra come un burattino senza fili.
«Annabeth!» urlai, cercando di raggiungerla, venendo, però, bloccato da Ethan, che si stava ritirando da Alex, il quale stava avendo la meglio.
Aveva notato il corpo esanime della figlia di Atena e voleva usarla per vincermi. Ed io non potevo affrontarlo senza voltare le spalle a Crono.
Grover passò ad una musica dai toni più concitati. Cominciò a muoversi verso Annabeth, mentre io ed Alex tenevamo il figlio di Nemesi sotto tiro, cercando di anticipare la sua mossa, pur sapendo che se lui si fosse avvicinato alla mia amica, non sarei riuscito a fermarlo. Seguendo la musica del satiro, intanto, il pavimento della Sala del Trono si crepò ed iniziò a crescere dell’erba.
Crono, intanto, alzò la mano, cercando di richiamare l’arma senza che questa rispondesse. Aveva i capelli ancora fumanti ed il volto e la maglietta piene di bruciature elettriche.
«Nakamura!» gemette. «Dimostrami quanto vali, è il momento! Tu sai qual è il punto debole di Jackson! Uccidilo, e sarai ricompensato oltre ogni misura!»
Mi resi conto che Ethan aveva abbassato lo sguardo sulla mia schiena. Lui sapeva. Alex mi fissò, come se cercasse conferma dei suoi timori, ma non potevo rispondere. Anche se non mi avesse sconfitto, il figlio di Nemesi avrebbe potuto semplicemente dirlo a Crono e, a quel punto, non avrei avuto scampo.
«Ethan! Non fidarti!» urlò Alex, strizzando i suoi occhi. La sua voce era ferma, ma si leggeva un’autorevolezza che gli avevo sentito usare solo con i suoi stessi compagni. «Non avrai mai niente da uno come Crono. Ti userà come una pedina, proprio come fanno i tuoi Dèi! Io lo so, non è diverso da noi. Puoi solo fidarti degli altri semidei!»
Il figlio di Nemesi alzò lo sguardo su di lui, come se fosse arrabbiato o adirato, ma con uno scintillio di comprensione negli occhi.
«Guardati intorno!» dissi. «La fine del mondo. È questo che vuoi? La caduta della civiltà occidentale? Distruggerai tutto, anche le cose buone!»
Grover aveva quasi raggiunto Annabeth, ma aveva bisogno di tempo e non poteva correre e suonare insieme. Le radici avevano raggiunto quasi i trenta centimetri, come cespugli ispidi.
«Non c’è un trono per Nemesi» mormorò Ethan. «Non c’è mia madre…»
«Esatto!» Crono cercò di alzarsi, ma barcollò, inciampando su alcune radici che iniziavano ad avvolgerlo. «Annientali! Meritano la distruzione!»
«Hai detto che tua madre è la Dea dell’Equilibrio» gli rammentai. «Hai ragione: gli Dèi minori meritano di più! Ma quello che Crono ti offre è solo cenere. Vuole solo distruzione totale! Non Equilibrio! Crono non costruisce… distrugge e basta!»
Alex mi guardò indeciso su attaccare o no. Ethan stava ancora osservando il Trono di Efesto che sfrigolava. Seguiva, dondolando con i piedi, la musica di Grover che, ormai, si era portato vicino ad Annabeth. Sembrava che con la mente non fosse lì, come se stesse pensando ad un luogo lontano dalla guerra, lontano dalla sua sofferenza. Il suo unico occhio si inchiodò a quello di Alex, poi osservò me.
E attaccò.
Ma non contro di me.
Mentre Crono era ancora in ginocchio, il figlio di Nemesi alzò la spada e la calò sulla sua gola con l’intenzione di decapitarlo.
Ma prima che potesse farlo, Loki apparve alle sue spalle e lo pugnalò alla schiena.
«Conosco i traditori» ghignò, gettando Ethan a terra.
Corsi al fianco di Nakamura, sorpreso e furibondo. Provai ad aiutarlo, ma la ferita era profonda. Alex era al mio fianco e fissavamo impotenti il volto pallido del figlio di Nemesi.
«Meritano di più…» boccheggiò, con il sangue che gli colava dalla bocca. «Se solo… avessero dei troni…»
La sua voce si spense, mentre gli ultimi rantoli uscivano faticosamente dalla sua bocca, lasciandolo esanime a terra.
«Maledetto!» urlò Alex, puntando la spada contro Loki, provando a colpirlo, senza riuscirci, dato che il dio si era allontanato.
«Morite!» gridò Crono, a quel punto, ripresosi completamente e lanciandosi contro di noi.


Mentre combattevo, i miei pensieri corsero ad Annabeth. Non potevo permettere a Crono di toccarla. Non gliel’avrei mai concesso finché avessi avuto vita. Alex si era gettato contro Loki, nel tentativo di vendicare Nakamura. Solo che io non potevo aiutarlo. Il Signore dei Titani mi teneva sotto tiro ed io non avevo più la forza di resistergli. Anche se le radici continuavano ad avvolgere le sue gambe, non erano altro che un fastidio, per lui.
Annabeth, per gli Dèi, scappa!, pensai, mentre approfittavo di pochi secondi di tregua per osservarla, mentre Grover la imboccava con dell’ambrosia. Avrei voluto correre da lei, ma, a quel punto, tanto valeva consegnare a Crono l’Olimpo.
Mentre combattevamo, vidi Alex tranciare a metà un bracciolo del trono di Ares e la cosa, ammetto, non mi dispiacque, ma non ebbi il tempo di ammirare la ristrutturazione istantanea che mi ritrovai di nuovo con le spalle al muro contro il trono di mio padre.
«Questo brucerà bene, nel mio nuovo fuoco» ghignò Crono, alzando la spada.
Eh no, amico! Il trono di mio padre te lo sogni!, pensai, mentre alzavo la spada, parando il colpo. La vicinanza con esso mi dava la forza dell’oceano.
Le nostre spade si incrociarono provocando una pioggia di scintille. Per un attimo fui sul punto di cedere, ma, con tutta la mia forza, detti una spinta finendo per spingere indietro Crono.
Menai un altro fendente, squarciandogli l’armatura, mentre poco lontano, Alex era riuscito a rifilare un pugno sul naso di Loki, facendogli uscire delle gocce di icore dorato.
Stavo per attaccare di nuovo, quando il Signore dei Titani batté il piede per terra. Di nuovo, mi ritrovai a camminare come se fossi immerso in un mare di miele, dando a lui il tempo di indietreggiare con tutta calma.
Nello stesso istante un urlo di dolore squarciò l’aria: Alex aveva colpito un Loki illusorio, mentre quello vero si era portato alla sua destra. La spada del dio l’aveva trafitto alla spalla passandolo da parte a parte, inchiodandolo al Trono di Zeus, poco lontano da me.
Strinsi i denti, frustrato. Non potevo accettare che Crono o Loki raggiungessero Annabeth. Ormai ero certo che l’Olimpo fosse spacciato, ma se avessi fatto perdere tempo ai due Dèi, forse, avrei permesso a lei e Grover di scappare.
«Jackson, è finita!» urlò Crono, indicando ciò che rimaneva del fuoco di Estia.
Le braci brillarono e da esse emerse del fumo, che si addensò fino a creare un’immagine, come se fosse un messaggio Iride. Su di esso apparve la situazione ai piedi dell’Empire State Building. I miei genitori e Nico si erano affiancati agli ultimi difensori dell’Olimpo, guidati da Clarisse, i quali difendevano la porta d’accesso al palazzo.
Su un fianco le Orde, guidate da Hermdor, avevano iniziato a premere, ma non abbastanza da fare la differenza. Sullo sfondo, Ade ed Hell stavano duellando, riversando entrambi migliaia di zombie e scheletri ambulanti sulle rispettive forze. Ma era chiaro che Ade, nonostante fosse nel suo territorio, fosse svantaggiato a causa dell’alleanza con i mostri greci.
La scena cambiò nuovamente e, se pensavo non potessi vedere nulla di peggio, dovetti ricredermi.
Tifone era ormai alle porte di New York e nella scena anche Poseidone si era unito allo scontro, eppure non bastava. Zeus stava combattendo ai limiti delle sue capacità, così come i suoi figli e fratelli, ma era impossibile frenare l’avanzata del gigante.
«Ma che mostro è quello!?» chiese Alex, quasi si fosse dimenticato che una spada lo stava tenendo inchiodato al trono di Zeus.
In effetti, Tifone era un mostro spaventoso. Il suo volto sembrava cambiare forma, diventando sempre più brutto e orribile ad ogni secondo che lo guardavo. Il suo corpo era vagamente umanoide, ma era orribilmente deforme, pieno di croste bruciate. Le mani erano anch’esse umane, ma munite di artigli d’aquila e le gambe ricordavano quelle di un rettile o di un drago.
«Ah! Guarda, Jackson! Nemmeno con tuo padre, gli Dèi possono vincere!» ghignò Crono, puntando la falce verso l’immagine.
In quell’istante, Annabeth si fermò davanti a lui, puntandogli contro il pugnale.
«Fermo!» intimò, con un coraggio che non avrei mai immaginato, nemmeno da lei.
Crono sembrò sorpreso della sua azione e, per un attimo barcollò sul posto, ed io mi sentii, stranamente, più libero, come se le parole di Annabeth lo avessero reso più debole.
«Fatti da parte!» urlò il Titano, alzando la falce, che, però, lei parò con abilità. Solo un maestro avrebbe potuto ripararsi con il coltello da un fendente simile.
Provai a muovere qualche passo, ma era come cercare di muoversi con il peso del cielo sulle spalle – e, credetemi, so di cosa parlo. Alla mia destra, Alex si stava sfilando la spada dalla spalla senza attirare l’attenzione, ma non era facile senza urlare di dolore ad ogni centimetro di acciaio che usciva dal proprio corpo.
«Luke!» Annabeth era allo stremo, eppure, nonostante le ferite, nonostante fosse messa malissimo, riusciva a tenergli testa. «Ora capisco. Devi… devi fidarti di me.»
Stava piangendo, impossibile dire se di tristezza o di rabbia. La lama di Crono era a pochi centimetri dalla sua gola ed io tremavo, mentre vedevo l’orrenda immagine di lei che veniva fatta a pezzi davanti ai miei occhi. Cercai di ricacciare indietro le lacrime che mi rigavano il volto, sapendo di essere impotente di fronte a quella scena. Persino Loki e Grover, che avrebbero potuto fare qualcosa, erano paralizzati, mentre Tifone avanzava inarrestabile.
«Tua madre aveva previsto il tuo destino» gli ricordò Annabeth, mentre la mano le tremava.
«IO TI SCHIACCERÒ» urlò infine il Signore dei Titani, riuscendo a disarmarla completamente.
Con un solo colpo della mano libera, la colpì, facendola cadere a terra. Lei crollò con il sangue che le colava da un angolo della bocca. Il mio cuore perse un battito.
«Siamo una famiglia, Luke. L’avevi promesso» gemette debolmente, con gli occhi colmi di lacrime. Vederla in quello stato era per me come sentire un coltello piantato nel petto che continuava a rigirarsi nella ferita.
Fu allora, che Crono vacillò e io riuscii a liberarmi.
«Ho… promesso» disse.
Questa volta, la voce era di Luke.
Di nuovo, sussultò e la sua presa si rinsaldò su Vipera, ma per pochi secondi, perché crollò subito annaspando, come se non riuscisse a respirare.
«Annabeth… sei ferita» ansimò, avvicinandosi piano.
Non persi tempo e mi gettai contro di lui, disarmandolo. La lama volò tra le ceneri di Estia e, per un attimo, fui certo di aver vinto.
«No, Percy!» urlò Annabeth, sorpresa.
Crono riemerse e mi buttò a terra. Mi ero dimenticato che anche lui era invulnerabile.
«Loki! Aiutami!» gridò, avanzando verso il braciere. La sua mano provò a chiudersi sull’elsa di Vipera, ma urlò di dolore e fu costretto a mollarla.
Fissai il Dio degli Inganni che, per tutto il tempo, non si era mosso, se non per bloccare il figlio di Odino.
«Non credo» disse infine, con un sorriso divertito, quasi fosse estraneo a tutto.
«Cosa!? Hai fatto un patto! Se non mi aiuterai, io non aiuterò te!» ringhiò Crono, provando ad essere minaccioso.
Solo che, questa volta, era Loki ad avere il coltello dalla parte del manico. Il dio si stagliò sul Titano con un sorriso crudele e malvagio, mentre la sua mano si stringeva intorno a Vipera, che assunse di nuovo l’aspetto di una falce. L’Ingannatore la fece roteare un paio di volte come per saggiarne la leggerezza, poi si rivolse al suo ex alleato.
«Sai, Crono, io ti avevo promesso un aiuto a raggiungere l’Olimpo… non ho mai detto che ti avrei fatto uscire, né vivo.»
Detto ciò, gli rifilò un calcio in faccia e, proprio mentre lui spariva e le porte si aprivano rivelando Astrid e Talia di nuovo libere, nell’immagine le cose cambiarono.
Tifone aveva appena messo piede nell’Hudson, quando un corno squarciò l’aria con tale potenza che non riuscii a capire se venisse dalla visione o direttamente dall’esterno del palazzo.
Per primo si fece avanti Thor, alla guida di un carro trainato da due enormi capri che sbuffavano fumo nero dalle narici. Urlava tenendo Mijolnir alzato. Al suo fianco, il padre Odino montava un imponente cavallo nero che aveva ben otto zampe. Dietro di loro, tutti gli Dèi Nordici al gran completo apparivano da quello che, a quel che vedevo bene, era un arcobaleno: il Bifrost si era finalmente aperto.
Il mostro sembrò sorpreso dell’arrivo dei rinforzi.
Nello stesso istante, Zeus scagliò la Folgore, a cui si affiancarono Gungir e Mijolnir. L’esplosione fu tale che l’onda d’urto si propagò fino alla Sala del Trono, dove eravamo noi.
«PER ASGARD!» gridarono gli Dèi Nordici, avventandosi sul gigante.
Nello stesso istante, il mare esplose e centinaia di ciclopi a cavallo di altrettanti ippocampi, armati di pesanti catene di bronzo, emersero dal mare e Poseidone si lanciò contro Tifone con tutta la sua potenza.
«ORA, FRATELLI!» urlò con una voce così potente che mi parve di sentirne l’eco. «COLPITE! PER L’OLIMPO!»
I ciclopi, comandati da Tyson, scagliarono le loro catene contro il mostro, che ancora barcollava con mezza faccia devastata dalle potenti armi degli Dèi.
Artemide colpì con il suo arco un occhio del mostro, mentre suo fratello puntava all’altro. Ares, affiancato da Tyr, infilò la spada su per il naso di Tifone, mentre Thor continuava a colpirlo in testa, con Zeus e Odino che bombardavano di colpi. Il tridente di Poseidone fendette l’aria, provocando una profonda ferita al ventre del gigante.
A poco a poco, Tifone fu trascinato lontano dall’Olimpo. Combatteva per liberarsi, ma i ciclopi lo tenevano stretto. Pian piano iniziava ad affondare, mentre le onde lo avvolgevano come un bozzolo. Nonostante quello si dibattesse, facendo schiantare le onde contro i palazzi e gli edifici, non riusciva a rimanere a galla, soprattutto quando mio padre aprì per lui un canale subacqueo. Uno scivolo che avrebbe portato il Gigante nel Tartaro.
«No! NO!» urlò Crono, ormai disarmato e sconfitto.
«È finita, Crono!» disse Alex, mentre Astrid lo liberava dalla spada che lo teneva fermo. «Anche se ci ucciderai, non potrai vincere contro l’alleanza con gli Dèi Asgardiani! Verrai sconfitto!»
Il Signore dei Titani ringhiò e provò ad avanzare verso Annabeth.
«Vi distruggerò tutti! MI VENDICHERÒ!» strepitò furibondo, gettandosi su di lei.
Io la trascinai via, mentre Talia bloccava Crono.
«Luke, ti prego, fermati!» lo pregò la figlia di Zeus.
Ancora una volta, sembrò che il mio vecchio amico avesse sconfitto il Titano, ma inutilmente. La Cacciatrice fu sbalzata all’indietro e crollò anche lei a terra. Il mio unico pensiero era difendere Annabeth che, però, si divincolò, facendosi avanti contro Crono.
«Luke, hai promesso!» esclamò, abbracciandolo.
Sentii una strana fitta di gelosia irradiarsi dal mio petto. Questa volta, il Titano si accasciò, con Annabeth che lo tratteneva.
«Io… sì… l’ho promesso» sussurrò, mentre si guardava intorno.
«Percy» mi chiamò lei, mentre Grover aiutava Talia ad alzarsi. «Il mio pugnale.»
Solo allora mi accorsi che al mio fianco era caduto proprio il coltello di Annabeth. Lo presi e avanzai verso Luke, spingendo via Annabeth, deciso a difenderla in caso Crono avesse avuto di nuovo la meglio.
«Aiutami…» mi implorò Luke, mentre i suoi occhi lampeggiavano.
Mi parve di vederlo brillare, ma non ci feci caso. Osservavo solo la sua mano che si faceva più vicino a me. Alle mie spalle, sentii Annabeth gemere, ma ormai era incapace di dire qualsiasi cosa, anche se non sapevo se era a causa dell’angoscia del momento o per le lacrime che ormai versava senza più nessuna vergogna.
Avrei potuto ucciderlo. Era questo il piano.
Ma esitai.
«Lui… si opporrà» gemette Luke, come se mi avesse letto nel pensiero. «Se ci provi tu… lui si opporrà. Solo io posso… posso tenerlo sotto controllo.»
Fu allora che capii il senso della profezia. Era capovolta, come se, all’improvviso, tutto si fosse fatto più chiaro.
Gli porsi il pugnale.
Grover impallidì e protestò: «Ehm, Percy… sei…»
Pazzo, folle? Forse. Lo osservai, ma non sembrava voler fermarmi. Talia era incapace di dire nulla e quando fissai Alex, capii che lui non si sarebbe opposto. Mi avrebbe sostenuto fino all’ultimo. Astrid osservava Annabeth.
Con quello che parve uno sforzo terribile, Luke si slacciò le cinghie laterali dell’armatura. Adesso brillava davvero e capii che mancava poco prima che Crono avesse il sopravvento su di lui completamente. Ora, però, vedevo chiaro un lembo di pelle scoperto. Il figlio di Ermes strinse forte il manico del coltello e si pugnalò.
Non era una ferita profonda, ma l’urlo che emise fu terribile, mentre da esso si spandeva una luce dorata, che mi costrinse a chiudere gli occhi. Fu una mia impressione, ma, dietro il suo ululato agonizzante, mi parve di sentire la voce di Crono, che, ormai sconfitto, se ne tornava nel Tartaro.
Dopo pochi istanti, aprii di nuovo gli occhi.
Il Fuoco Sacro dell’Olimpo era tornato a risplendere come prima. Tra le fiamme, il viso di Estia mi apparve soddisfatto. Astrid e Alex erano abbracciati poco lontano, Talia stava aiutando Grover a rialzarsi e dietro di me Annabeth si metteva in piedi a fatica. Poco lontano da me, il corpo di Luke giaceva esanime.
La guerra era finita.
Ma io non mi sentivo soddisfatto.
Avrei voluto piangere.
Avevo perso un amico.

 
koala's corner.
Siamo felicissimi di annunciare che questo è il terzultimo capitolo prima della fine!
Chiedo perdono per aveer modificato la scena finale, ma era necessario, anche se ho comunque mantenuto gli avvenimenti principali: Percy e Annabeth sconfiggono Crono, Ethan Nakamura muore, mentre Alex se ne sta bellamente infilzato al trono di Zeus.
Scena che, per quanto mi riguarda, mi ha fatto sganasciare LoL Per chi se lo stesse chiedendo, il sottotitolo-sclero era d'obbligo u.u
Potete ancora darci i vostri prompt - ovunque e come volete - per la raccolta <3
Siamo quasi arrivati a 200 recensioni, e vi sarei grato se ci faceste arrivare a questo grosso numero :3
Come ami il successo hahah sostanzialmente perché io sono una stronza di merda senza sentimenti hahah
Grazie mille a tutti, alla prossima!

Soon on VdN: POV Annabeth/Astrid, the best underwater kiss ever
 

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Capitolo 22
*** ASTRID • Il gioco dei troni ***


Il gioco dei troni
(cogliete la fandom reference!)
♦Astrid♦
 
Nell’ultimo anno, in Europa e non solo, si era diffusa la voce di una serie televisiva americana tratta da romanzi, che avevano venduto in tutto il mondo, intitolata Game of Thrones. L’avevano tradotta anche in norvegese, ed era diventata piuttosto popolare, facendo guadagnare anche alle librerie, visto che tutti i nuovi fan comparavano i libri.
Avevo visto qualche puntata, giusto per provare. C’era parecchio sangue, morti dolorose e teste mozzate – una tizia capelli platino e abiti discutibili si era persino mangiata il cuore di un cavallo crudo; fatto che mi riportava alla mente Loki, il quale creò la prima strega ingerendo il cuore mezzo cotto di una donna.
Quando io e Talia facemmo irruzione nella Sala del Trono e mi vidi Alex infilzato a quello di Zeus come uno spiedino, il collegamento tra la scena e Game of Thrones fu praticamente immediato. Mi venne quasi da ridere. Quasi. Probabilmente, se l’avessi fatto, mi sarebbe uscito una sorta di lamento di cammello morente isterico.
Possibile che Alex riuscisse a cacciarsi sempre e comunque in situazioni mortali? Evidentemente, sì. Superata la sorpresa, dovetti sopravvivere a un colpo apoplettico. Per tutti gli Dèi, Alex doveva proprio rischiare di rimetterci la pelle e farmi venire un ictus?
Talia sussultò al mio fianco e mi sussurrò: «Guarda», indicando un punto distante da noi.
Era l’immagine di ciò che stava accadendo ai piedi dell’Empire State Building. Si vedevano gli Dèi greci combattere contro Tifone – un essere che, a prima vista, sembrava troppo orribile e terrificante per avere qualcosa a vedere con noi, semplici semidei. Dietro, venivano le mie divinità: Odino, Thor, Tyr…
Erano qui. Per davvero. Avevano riparato il Bifrost. Mi bloccai. Avevo sperato così tanto che venissero a portarci il loro aiuto che, a trovarli lì, visibili ai miei occhi, mi riusciva difficile crederci. Erano stati un sogno, qualcosa di irrealizzabile, invece… invece, non ci avevano dimenticato. Be’, non avevano dimenticato tutti gli altri semidei. Perché Hell si ricordava benissimo di me, dopotutto, aveva mandato la sua figlia prediletta a uccidere l’altra.
Osservai, mentre la bocca mi si apriva, trasformandosi in una O, gli Dèi nordici e greci collaborare, facendo in modo di sconfiggere Tifone. Il Gigante venne risucchiato dalle acque; ormai, era una minaccia debellata.
«No! NO!» gridò Crono.
Mi riscossi. Il Titano era ancora lì; Percy, Alex, Annabeth e Grover non avevano completato la loro missione. Anche se eravamo rimasti inchiodati a guardare l’immagine riflettere l’azione, c’era altro da portare a termine. Alex, più degli altri, era letteralmente inchiodato.
Diedi un colpetto alla spalla di Talia e le dissi: «Vado da lui.»
Nonostante non l’avessi nominato, la figlia di Zeus capì a chi mi riferivo.
«È finita, Crono!» disse Alex, mentre gli esaminavo la ferita. «Anche se ci ucciderai, non potrai vincere contro l’alleanza con gli Dèi Asgardiani! Verrai sconfitto!»
Il Signore dei Titani ringhiò e avanzò verso Annabeth.
«Vi distruggerò tutti! MI VENDICHERÒ!» strepitò, furioso, slanciandosi su di lei.
Percy la trascinò via, mentre Talia entrava in azione e bloccava Crono.
«Ehi» salutai Alex, estraniandomi dalla battaglia.
«Ehi» ricambiò il figlio di Odino.
Mi astenni dal fare domande idiote tipo “fa tanto male?”, a cui, se fossi stata in lui, avrei risposto con un sonoro insulto. Mi limitai, invece, a chiedere: «Preferisci che te la sfili tutta d’un colpo o lentamente?»
«Più veloce è, meglio è» rispose.
«Non essere troppo rigido» mi raccomandai, afferrando l’elsa della spada.
Alex non si mosse. «Ok.»
Assicurai meglio la presa, e tirai. La lama si sfilò completamente, grondando sangue, che iniziò subito a picchiettare rumorosamente contro il pavimento. Chissà se Zeus avrebbe gradito il tocco passionale del rosso sul suo arredamento. Alex gridò, ma si morse la lingua, soffocando il resto e spendendosi in una sequela d’imprecazioni.
«Ricordami di dirti che il tuo futuro da infermiera è meglio che sia troncato di netto» disse.
Gli sorrisi, pronta a ribattere, ma il mio sguardò catturò una delle scene più singolari della mia vita:  Annabeth che abbracciava di slancio Crono.
«Luke, hai promesso!» esclamò.
Ammutolii. Avrei potuto sfoggiare un’ampia varietà di battute intrise di sarcasmo, ma non lo feci. Sapevo di Luke, conoscevo i sentimenti che Annabeth provava per lui, sarebbe stato ignobile ironizzare sulle sue emozioni. Anche se abbracciare il Signore dei Titani era un gesto un tantino estremo. Crono crollò in ginocchio, con le braccia di Annabeth ancora avviluppate attorno al corpo. Sembrò all’improvviso più fragile.
«Io… sì… l’ho promesso» mormorò.
«Percy» chiamò Annabeth, con voce incolore. «Il mio pugnale.»
Percy obbedì, raccolse il coltello, che era caduto al suo fianco, e si avvicinò a Crono. Forzò Annabeth a staccarsi, proteggendola dietro di sé.
«Aiutami…» biascicò il Signore dei Titani.
O Luke. O chi dei due stava avendo la meglio, perché, se Crono fosse stato davvero presente, non avrebbe né chiesto aiuto né si sarebbe ricordato di una promessa fatta ad Annabeth. Mi girò la testa per un attimo. La figlia di Atena gemette, quando Percy porse il pugnale dalla parte del manico a Luke.  Esitò per un attimo, cercando di comprendere appieno la situazione.
«Lui… si opporrà» buttò fuori Luke/Crono, allo stremo delle proprie capacità. «Se ci provi tu… lui si opporrà. Solo io posso… posso tenerlo sotto controllo.»
«Cos…?» mormorò Alex, mentre una serie di espressioni diverse gli passavano sul viso.
Grover intervenne: «Ehm, Percy… sei...»
Luke/Crono afferrò il pugnale che il figlio di Poseidone gli tendeva, impassibile. Guardai Annabeth, che per prima aveva suggerito quella soluzione, ma non riuscii a notare altro che ansia e dolore. Ha detto a una persona che ama di uccidere un’altra persona che ama, realizzai, rendendomi conto di quanto ciò dovesse esserle costato.
Luke si slacciò le cinghie laterali dell’armatura, faticando a mantenere sotto controllo i movimenti delle mani e delle dita, che scivolavano tra vari passanti. Aveva un lembo di pelle scoperta, probabilmente il suo tallone d’Achille. Strinse l’impugnatura del pugnale tra il palmo sudato e si pugnalò.
E mentre il suo ululato straziante rimbombava per la Sala del Trono, capii. Compresi che quello era Luke – il Luke Castellan di Annabeth, il figlio di Ermes che era la sua famiglia – e che stava uccidendo sia se stesso che Crono. Il suo corpo brillò con sempre più intensità, tanto che socchiusi gli occhi. Alex mi abbracciò, impedendomi di vedere altro.
Qualche istante dopo, rialzai le palpebre. Poco lontano da Percy, Luke giaceva esanime. Talia aiutò Annabeth ad alzarsi, anche se, per la figlia di Atena, sembrava un’impresa impossibile. Aveva il viso devastato da scie salate di lacrime.
«È finita» sussurrò Alex al mio orecchio. «È finita.»
Persi un battito. La guerra era finita. La stessa che mi aveva quasi portato via il mio ragazzo, quella dove molti altri non erano stati altrettanto fortunati, era terminata. Il team dei Buoni aveva vinto, sconfiggendo i nemici, come accadeva nei cartoni animati. E qualcosa mi bagnava la maglietta, appiccicandosi al mio collo.
«Alex» dissi. «Mi stai sanguinando addosso.»
«Oh, ehm, scusa» farfugliò, anche se non ero sicura che ci si potesse scusare per una cosa del genere.
In quel momento, si udì un frastuono. Voltammo tutti il capo, scontrandoci con gli Dèi Greci al gran completo. Poseidone osservò la scena, poi puntò gli occhi su suo figlio.
«Percy» esclamò, sgomento. «Che… che significa?»
«Ci serve un drappo» replicò il figlio di Poseidone, non curandosi di rispondere. «Un drappo per il figlio di Ermes.»
 
 
La Sala del Trono era stata devastata dallo scontro, ma gli Dèi la ripararono nel tempo che impiegava la medaglia d’oro delle Olimpiadi a correre i cento metri. Fecero lo stesso anche con il ponte che collegava il monte Olimpo all’ascensore – permettendo ai semidei di raggiungere la vetta –, e molto altro.
Percy chiese a Zeus di illuminare la punta dell’Empire State Building di blu, in modo che sua madre sapesse che era salvo e che la guerra era finita. Tutti gli altri avrebbero pensato a uno scherzo pirotecnico. Ermes baciò suo figlio sulla fronte, mormorando “addio”. Clarisse ricevette una camionata di complimenti da Ares, che la salutò con un rombante “Ecco la mia ragazza!” Nico e suo padre, Ade, vennero accolti come eroi.
Annabeth svenne tra le braccia di Percy, che assunse l’espressione di chi ha appena mangiato un limone, prima di strillare, guadagnando un’ottava nella voce: «Ha bisogno d’aiuto!»
Ridacchiai, scuotendo la testa, mentre Apollo giungeva in loro aiuto.
«Vado a cercare Nico» annunciai ad Alex. «Per favore, non morire nel frattempo.»
Lo dissi con ironia, anche se si insinuò il dubbio che potesse davvero trovare un modo per ammazzarsi o ferirsi di nuovo.
«Non è colpa mia» bofonchiò.
Mi allontanai da lui, mentre le trombe dell’esercito di ciclopi squillavano. Non ci misi molto a trovare il figlio di Ade, dato che indossava ancora l’armatura.
«Nico» salutai.
Il ragazzino sussultò lievemente. «Astrid» esclamò. «Mi stavi cercando?»
«Solo per dirti due parole» risposi.
Nico annuì.
Mi schiarii la voce. «Ti ricordi della nostra chiacchierata vicino allo Stige? Quando Percy è diventato invulnerabile?»
Il figlio di Ade fece un cenno del capo, invitandomi a continuare.
«Ecco, volevo solo farti notare che non hai deluso nessuno.» Bloccai le sue parole con un gesto della mano. «Non hai deluso né gli Dèi né tuo padre né Percy. Anzi, hai dimostrato di avere fegato. Pensa a questo, quando ti senti giù, ok?»
Gli occhi di Nico brillarono, forse per effetto della luce, forse per la commozione. «Ok» mormorò.
Istintivamente, gli sorrisi e gli scompigliai i capelli, nonostante fossi poco più che una conoscente.
«Være stolt av deg selv» dissi.
«Che cosa significa?» domandò, confuso.
«Sii fiero di te stesso» tradussi.
Stava per dire qualcosa, quando sentii una presenza alle mie spalle. Emanava morte e potere.
«Tu non dovresti essere qui, figlia di Hell.» Non era una domanda, quanto più un’accusa.
«Può darsi» squittii, avvertendo lo stesso disagio che si sente quando ci si accorge che la propria maglietta è vistosamente sudata e si è in pubblico.
«Non avresti neanche dovuto fuggire dalle mie prigioni» ringhiò. «E nemmeno quel fusto là, il figlio di Odino.»
«Ehm…»
«Padre…» tentò Nico.
«Fratello!» gridò Ade, e una decina di teste si voltarono a guardarlo.
«Che c’è?» chiese Poseidone, intento a parlare con Percy.
«Due figli dei nostri cari amici norreni sono nella nostra Sala del Trono!»
Gli occhi di Zeus lampeggiarono. Mi sentii sollevare da terra, mentre spire di vento si avvolgevano attorno alle mie gambe, busto e braccia. Non era esattamente il massimo, dopo una battaglia. Sperai ardentemente di riuscire a non vomitare sulla testa di Ade.
«Davvero?» fece Zeus, scoccando un’occhiataccia ad Alex, nella mia stessa situazione. «Allora… FUORI DI QUI!»
E fu così che venimmo congedati con onore dalla Sala del Trono e che le nostre natiche toccarono dolcemente terra.
 

«Questo è imperdonabile!» tuonò Odino. «Trattare mio figlio in questo modo!»
«Lasciarci fuori dal consiglio!» aggiunse Thor.
«Per giunta, dopo che abbiamo fatto il lavoro per loro!» sbottò Tyr.
«Ho riparato il Bifrost in tempo record per riuscire a fermare Tifone, e adesso siamo bloccati qui!» rincarò Vidarr, appoggiato pienamente da Heimdallr.
Alzai gli occhi al cielo, sbuffando. Certo che se gli Dèi si mettevano a discutere tra loro, non avrebbero portato a termine nulla, come al solito. Non che i greci fossero stati carini a lasciarci tutti fuori ad aspettare. Perlomeno, Lars era subito accorso da noi e aveva fermato l’emorragia di Alex.
«Ehm-ehm» tossicchiò Einar.
Gli occhi di tutti gli Dèi si putarono su di lui, chi incenerendolo, chi studiandolo con curiosità.
«Parla, figlio di Loki» lo incalzò Foreseti, incrociando le mani dietro la schiena.
«Volevo solo suggerire» iniziò Einar, cauto, «che questa soluzione può essere risolta facilmente grazie a un proverbio.»
«E quale?» indagò Freyja, che si stava cambiando d’abito in cerca dell’outfit perfetto. «Detesto rimanere sulle spine. Solo io posso farlo, per quanto riguarda una storia d’amore» puntualizzò.
«Si chiude una porta, si apre un portone» citò Einar.
Odino cominciò: «Figlio di Loki, è evidente che non hai ricevuto il dono della saggezza, perché al–»
«Aspetta, padre» lo interruppe Thor. «Credo che abbia ragione.»
Non sapevo quale tipo di intesa ci fosse tra di lui ed Einar, né capivo l’insinuazione di quest’ultimo. Thor fece volteggiare un paio di volte Mijolnir, studiando come usarlo al meglio. Rabbrividii, pensando che sarebbe entrato e avrebbe dato inizio a una battaglia sanguinosa tra divinità. Invece, lo abbatté con potenza contro le porte del Dodeckateon. Una, due, tre volte. Scardinò il portone, creando una via d’accesso alterativo.
«Forza, ragazzi!» incitò, dando l’idea di uno che si stava divertendo un mondo. «Andiamo!»
«Ho paura» mormorai, facendo scoppiare a ridere Nora, che mi stava di fianco.
Le scoccai un’occhiataccia. «Seriamente, gli Dèi greci non saranno contenti di questo.» Indicai il portone abbattuto.
«Avanti, Astrid, non ci uccideranno tutti.» Nora liquidò l’argomento con un gesto della mano, varcando la soglia, al seguito delle nostre divinità.
I nostri passi rimbombarono per le pareti, annunciando da subito la nostra presenza. Gli Dèi, seduti sui loro troni, ci fissarono con astio. Zeus aveva rinunciato a concludere un pomposo discorso su prodezze, eroi eccetera eccetera, e sembrava arrabbiato. Ma Zeus sembrava sempre arrabbiato, o, almeno, ne aveva l’aria.
«Volete spiegarmi» disse, enfatizzando la frase, «perché siete qui? Nella nostra meravigliosa Sala del Trono?»
Si fece avanti Odino. «Perché» rispose, «abbiamo contribuito a garantirvi un’altra epoca di comando, quando avremmo potuto osservarvi morire dalla Norvegia, non senza piacere.»
Atena – la riconobbi per gli occhi, che aveva in comune con la figlia – si sporse in avanti, dopodiché chiese: «E si può sapere perché non avete semplicemente bussato, invece di abbattere le porte?»
La domanda ci spiazzò. Thor spostò il peso da una gamba all’altra, l’aria vagamente colpevole, anche se non sembrava pentito, anzi, era piuttosto orgoglioso.
«Vi porgiamo le nostre scuse» intervenne Foreseti, indossando le sue vesti da diplomatico. «Ma troviamo equo, se non addirittura d’obbligo, che noi tutti partecipassimo a questa seduta. Credo che, analizzando la situazione, vi troverete d’accordo con noi.»
Si diffuse un mormorio generale, un brusio che andava salendo.
«Divino Zeus.» Percy si espose. «Posso parlare a nome di tutti i semidei greci, quando dico che, senza le Orde, non ce l’avremmo fatta. Il Campo Mezzosangue intende intercedere per loro.»
L’approvazione dei mezzosangue non si fece attendere.
«E va bene» brontolò il dio, dissimulando una smorfia. «Accordiamo il permesso per restare.»
«Per quale motivo?» domandò Odino.
Ci fu un intenso scambio di sguardi. «Perché dobbiamo… ehm… ringraziarvi per… l’aiuto che ci avete… offerto» ringhiò Zeus, pronunciando quelle parole come se gli stessero andando a fuoco i pantaloni.
«E…?»
«E sarebbe stato difficile…»
«Difficile?» Odino aveva un’espressione finta dispiaciuta o stupita, ma intuivo chiaramente che stava assaporando quel momento in ogni dettaglio.
«Impossibile» precisò il Signore degli Dèi. «Sarebbe stato impossibile ottenere una vittoria definitiva contro Tifone.»
«Perfetto!» esclamò Odino. «Credo che ora possiamo accomodarci.»
Schioccò le dita, e il suo trono comparve esattamente davanti a quello di Zeus. Il dio ci si sedette, sfilando tra i semidei greci.
«Odino» ringhiò la sua controparte, da dietro.
«Sì?» fece l’altro, fintamente innocente.
«Mi stai oscurando.»
«Oh. È vero» osservò Odino. «Pensavo ti fossi abituato all’idea di rimanere sempre nascosto all’ombra della mia fama.»
Schioccò ancora le dita e, questa volta, il suo trono si posizionò accanto a quello di Zeus, che sembrava sul punto di scoppiare. Heimdallr ripeté il gesto, e una dozzina di sedie di fattura più o meno mediocre comparvero nella Sala del Trono.
«Cosa sono?» domandò Afrodite – riconoscibile per l’aspetto strabiliante –, storcendo il naso.
«Mobilio Ikea» rispose Heimdallr, scrollando le spalle. «Sono facili da reperire.»
«Ma sono brutte» notò la dea.
«L’essenziale è invisibile agli occhi*» replicò Freyja, stizzita, andandosi a sedere vicino a lei.
Mi parve di cogliere il sottointeso “soprattutto se gli occhi sono i tuoi”, ma probabilmente me l’ero immaginato.
«Bene» tirò le somme Zeus. «Credo che adesso si possa incominciare a…»
«Chi è che incomincia senza di me?»
Loki apparve dal nulla, sollevando un coro di “tu” piuttosto minacciosi. Alex si irrigidì al mio fianco.
«Fammi indovinare» sussurrai. «È lui quello con la passione per gli spiedini umani?»
Il figlio di Odino grugnì un “sì” irritato.
«Loki» ruggì Odino, e pronunciò il nome del dio come se si trattasse di una bestemmia.
Loki si fissò le braccia e il torso, come controllando che fossero ancora al loro posto. «Sì, sono io.»
«Hai tradito tutti noi, alleandoti con il nemico e contribuendo con tua figlia a uccidere brutalmente la nostra progenie, danneggiando anche volontariamente il Bifrost» lo accusò Odino. «Cos’hai da dire a tua discolpa?»
Loki fece una risatina, che non spezzò affatto la tensione. «Ma, Odino, non dirmi che ci sei cascato!» esclamò, fingendo sorpresa.
Il padre di Alex sollevò un sopracciglio. L’angolo destro della bocca del dio degli inganni si allungò verso il basso.
«A quanto pare, sì, invece» constatò. «Lasciate che mi spieghi. Io non ho mai avuto intenzione di stare dalla parte di Crono, affatto. Lo stavo raggirando, dandogli la certezza che avrebbe vinto, così da renderlo più spavaldo e meno prudente. Infatti» puntualizzò, «nella battaglia che si è svolta qui, sono stato io a impedire a Crono di recuperare la sua falce, in un momento critico, quando Percy Jackson sarebbe potuto essere sconfitto. E ho ucciso Ethan Nakamura, altro soggetto pericoloso.»
Si guardò attorno in cerca di assensi, ma regnava solo un gran silenzio.
Allora, si rivolse al figlio di Poseidone: «Non è così, Jackson?»
«Hai infilzato Alex al trono di Zeus» ringhiò il mezzosangue.
«Tu… cosa!?» Zeus divenne paonazzo.
«Tranquillo, basta un po’ di candeggina per mandare via la macchia» disse Loki. «Comunque, è stato un danno collaterale. Nulla di che.»
«Stai affermando il vero?» chiese Foreseti, scrutando Loki.
«Ma certo!» ribatté quello, in un tono allegro che non c’entrava nulla con la situazione. «Dubitavi?»
Alex sbuffò sonoramente, la fronte corrugata su cui si poteva leggere la frase: “datemi un’ascia, vi supplico.” Gli strinsi la mano.
«Risolverete questi disguidi più tardi» intervenne Atena. «Questo consiglio non è stato indetto per giudicare le azioni di Loki, ma per premiare il coraggio dei nostri figli.»
«Esatto» confermò Zeus. «Più tardi. Ora, è il momento di ringraziare i nostri più valorosi eroi. Per cui» lasciò la frase in un’attesa studiata «Talia Grace, figlia mia, fatti avanti!»
Zeus le ripromise di aiutarla a infoltire le schiere delle Cacciatrici, mentre ricevette numerosi complimenti da quella che intuii fosse Artemide, che tenne a far presente che tutte le sue seguaci meritavano l’Elisio subito.
Talia si inchinò, poi venne il turno di Tyson, il fratello ciclope di Percy. Fu promosso generale delle armate dell’Olimpo e ricevette anche l’arma che desiderava di più, un temibile bastone. Sperai che nelle mani di un ciclope fosse più di un rametto.
«Grover Underwood dei satiri!» chiamò il Signor D; saltò gran parte dei convenevoli, riassumendoli in un “bla bla bla”, e disse: «Gli Dèi ritengono opportuno nominarti membro del Consiglio dei Satiri Anziani.»
Grover svenne seduta stante.
«Oh, magnifico» sospirò Dionisio. «Portatelo via, prima che incominci a blaterale ringraziamenti.»
Delle naiadi intervennero in aiuto del satiro, che gemette nel sonno: «CIIIIIBO
Almeno, si sarebbe svegliato con una delle cariche più ambite, per i satiri. Sorrisi senza nemmeno accorgermene.
Atena annunciò: «Annabeth Chase, mia figlia.»
Annabeth diede una stretta al braccio di Percy, poi si inginocchiò ai piedi di sua madre, la quale le sorrise.
«Tu, figlia mia, hai superato ogni mia aspettativa. Hai usato il tuo ingegno, la tua forza e il tuo coraggio per difendere questa città, la sede del nostro potere. Ci è stato fatto notare che l’Olimpo è… be’, ridotto male. Crono ha causato molti danni, ai quali bisognerà porre rimedio. Potremmo ricostruirlo per magia, naturalmente, ma pensiamo che la città possa migliorare. Prenderemo questa situazione come un’opportunità. E tu, figlia mia, progetterai questi miglioramenti.»
Annabeth alzò lo sguardo, sbigottita. «Mia… mia signora?» tentennò.
Atena le rivolse un sorriso ironico. «Sei un architetto, non è vero? Hai studiato le tecniche di Dedalo…»
«… visitato lo splendore di Asgard…» tossicchiò Thor, ma la dea procedette spedita, ignorando il commento.
«Chi meglio di te potrà riprogettare l’Olimpo e trasformarlo in un monumento in grado di durare per un altro millennio?»
«Volete dire c-che posso progettare tutto quello che voglio?» domandò, incredula.
«Tutto ciò che il tuo cuore desidera» confermò la dea. «Costruisci una città che rimarrà nella storia.»
«Purché ci siano molte statue del sottoscritto» aggiunse Apollo.
«E mie, ovviamente» concordò Afrodite.
«Ehi, e io chi sono?» intervenne Ares. «Voglio delle statue enorme con delle spade micidiali e…»
«Un cervello visibile» completò Tyr, scoccando un’occhiata in cagnesco al suo storico rivale.
«Va bene!» lo interruppe Atena, salvando la situazione al limite dello scoppio di una lite. «Annabeth ha afferrato il concetto. Alzati, figlia mia, ora architetto ufficiale dell’Olimpo.»
Annabeth si rimise in piedi in stato di semi trance e ritornò al suo posto; sembrava stesse fluttuando. Era completamente rimasta senza parole, fatto abbastanza notevole per lei. Balbettava qualcosa riguardo a progetti, piani, matite.
«PERCY JACKSON!» annunciò Poseidone, facendo riecheggiare il nome per tutta la sala.
Mentre si avvicinava al trono e si inchinava, tutti ammutolirono, puntando gli occhi su di lui.
«Alzati, figlio mio» disse Poseidone.
Sorrideva, accentuando le rughe attorno agli occhi verde mare. Percy obbedì, imbarazzato.
«Un grande eroe dev’essere ricompensato» continuò. «Qualcuno dei presenti può negare i meriti di mio figlio?»
Mi aspettavo che qualcuno si facesse avanti, anche solo per dispetto. Gli Dèi non si trovavano quasi mai d’accordo, figuriamoci due intere schiere di divinità rivali da secoli. Eppure, nessuno fiatò.
«Il Consiglio è concorde» disse Zeus. «Percy Jackson, riceverai un dono dagli dèi.»
Percy esitò. «Un dono qualsiasi?»
Zeus annuì, cupo. «So già cosa chiederai, lo farebbero tutti. Vuoi il dono più grande di ogni altro. Sì, se lo vorrai, sarà tuo. Gli Dèi non elargiscono questo dono a un eroe mortale da molti secoli, ma… Perseus Jackson, se lo desideri, diventerai un dio. Immortale. Giovane per sempre. Servirai come luogotenente di tuo padre per l’eternità.»
Fissai Zeus come se fosse pazzo. Cosa che non era stata confutata.
«Uhm, ehm, ah, be’, ecco … dio?» fece Percy, sfoggiando una grande eloquenza.
Odino ridacchiò, guadagnandosi un’occhiata penetrante da parte di Poseidone. Zeus alzò gli occhi al cielo.
«Un dio un po’ lento, a quanto pare. Ma sì. Con il consenso unanime del Consiglio, possiamo renderti immortale. E poi dovrò sopportarti per sempre.»
Ares commentò: «Mmh. Se questo significa che potrò ridurlo in poltiglia tutte le volte che voglio e lui continuerà a rigenerarsi, ci sto.»
«Anch’io approvo» disse Atena, nonostante stesse guardando Annabeth.
Spostai il mio sguardo sulla ragazza, che era improvvisamente pallida. Mi misi al suo posto, immaginando Alex a cui veniva offerta l’immortalità. Vederlo rimanere sempre giovane e vigoroso, con schiere di sottoposti ai suoi piedi, un dio minore che avrebbe sposato qualcun’altra, mentre io invecchiavo o morivo in battaglia… Sentendomi vagamente colpevole, provai sollievo che non si trattasse di me. Perdere una persona cara così era tremendo.
«No» disse Percy.
Gli Dèi non parlarono, trattenendo il fiato. Si guardarono accigliati, come se non avessero capito bene.
«No?» ripeté Zeus. «Tu sai rifiutando il nostro più che generoso dono?»
C’era una nota di pericolo nella sua voce, come un ammonimento.
«Sono onorato e… sì, insomma, eccetera» tentò di spiegarsi il figlio di Poseidone. «Non fraintendetemi. Solo che… ho ancora molta vita da vivere. Non voglio restare fermo qui.»
Loki scoppiò a ridere. «Molto da vivere?» scimmiottò. «Ragazzo, devi essere parecchio suonato, se non hai ancora afferrato il concetto che i semidei non hanno mai “molto da vivere.”»
Percy lo guardò in cagnesco. Annabeth, invece, aveva gli occhi lucidi e si era coperta la bocca con le mani. Freyja e Afrodite confabulavano, indicando prima una e poi l’altro; l’argomento le trovava d’accordo.
«Però voglio lo stesso un dono» continuò il figlio di Poseidone. «Promettete di esaudire il mio desiderio?»
Zeus ci pensò su. «Se è in nostro potere…»
«Sì» confermò. «Non è nemmeno difficile, ma ho bisogno che lo giuriate sullo Stige.»
«Che cosa?» strepitò il Signor D. «Non ti fidi di noi?»
«Una volta, qualcuno mi ha detto che bisogna sempre pretendere un giuramento solenne» replicò, guardando Ade.
«Quel qualcuno ha assolutamente ragione» intervenne Loki, sorridendo. «Ed è un figo.»
Ade tossicchiò, e il dio degli inganni smise di sorridere.
«Pensavo stessi parlando di me» borbottò.
Alex sorrideva per la situazione, ma sembrava comunque in vena di fare la pelle a Loki. Trattieniti, pensai, non ficcarti in situazioni pericolose proprio ora.
«E va bene!» scattò Zeus. «A nome del Consiglio, giuriamo sullo Stige che esaudiremo la tua ragionevole richiesta a patto che sia in nostro potere.»
«Da ora in poi, voglio che riconosciate adeguatamente tutti i figli di tutti gli dèi» disse Percy.
Le divinità greche si agitarono sui loro scranni.
Poseidone chiese: «Percy, che cosa intendi, esattamente?»
«Crono non sarebbe potuto risorgere se non fosse stato per decine di semidei che si sentivano abbandonati dai loro genitori» spiegò. «Erano arrabbiati e risentiti, non si sentivano amati e non avevano tutti i torti.»
«Osi accusare…» iniziò Zeus, dilatando le narici.
«Basta figli indeterminati» procedette il figlio di Poseidone, acquistando coraggio. «Voglio che promettiate di riconoscere tutti i vostri figli semidivini, entro il tredicesimo anno di età. Non resteranno più abbandonati nel mondo, soli e alla mercé dei mostri. Voglio che siano riconosciuti e portati al Campo, in modo che siano addestrati e possano sopravvivere. In più, gli Dèi minori, come Ecate, Nemesi, Morfeo, Giano, Ebe… tutti loro meritano un’amnistia generale e un posto al Campo Mezzosangue. I loro figli non devono essere ignorati. Anche Calipso e gli altri figli pacifici dei Titani dovranno essere perdonati. E Ade…»
«Mi stai forse dando del dio minore?» abbaiò il dio dei morti.
«Assolutamente no, mio signore» si affrettò a rimediare Percy. «Ma i tuoi figli non devono essere esclusi. Devono aver una casa al Campo, come ha dimostrato Nico. Basta semidei non riconosciuti e stipati nella cabina di Ermes, e a chiedersi chi sono i loro genitori. Avranno le loro case, per tutti gli dèi. E niente più patti fra i Tre Pezzi Grossi, tanto non hanno funzionato. Dovete piantarla di sbarazzarvi dei semidei potenti. Li addestreremo e li accetteremo, invece. Tutti i figli degli dèi saranno accolti e trattati con rispetto. Questo è il mio desiderio.»
Non avevo detto nulla, ma mi sentivo la bocca secca. Ciò che chiedeva Percy era… il Valhalla per i semidei greci in terra. Ma, come sottolineò Poseidone, stava avanzando una richiesta molto complessa. Forse troppo.
«Ho la vostra parola» replicò Percy, però.
Gli Dèi greci non sembravano molto felici al riguardo, mentre quelli nordici stavano ridendo sotto i baffi per come si erano fatti raggirare.
Fu Atena a parlare. «Il ragazzo ha ragione. Siamo stati incauti a ignorare i nostri figli. Si è rivelata una debolezza strategica in questa guerra e ha quasi causato la nostra distruzione. Percy Jackson, avevo dei dubbi sul tuo conto, ma forse…» lanciò uno sguardo ad Annabeth, poi ammise, la voce diventata più cupa, «forse mi sbagliavo. Voto in favore del tuo piano.»
«Uff» protestò Zeus. «Prendere ordini da un moccioso… ma suppongo…»
«Chi è a favore?» chiese Ermes.
Tutti gli dèi alzarono le mani, lasciandoci sbalorditi.
«Ehm, grazie» disse Percy, congedandosi.
Zeus si passò una mano sul viso; aveva l’aria stressata. «Abbiamo finit–»
«Non dirlo nemmeno, Zeus!» lo stroncò Odino. «Ora ci sono i nostri figli.»
Il dio si trattenne dal ruotare gli occhi, acconsentendo passivamente.
«Per primo, mio figlio, Alex Dahl!» annunciò a gran voce.
Gli diedi una spintarella, sussurrandogli: «Avanti, eroe.»
Alex si fece strada, chinando lievemente la testa per l’altro Signore degli Dèi, poi a suo padre, che gli sorrise.
«Hai dimostrato di avere le doti di comandante necessarie per guidare la tua Orda in battaglia, il coraggio di affrontare un nemico più potente di te, la lealtà che ti lega ai tuoi compagni e la… ehm… giusta dose di sfrontatezza e avventatezza che servono per prendere decisioni critiche. Per questo, io ti donerò ciò che hai perso.»
Schioccò le dita, facendo comparire nl suo palmo una pietra dalla forma rotonda, probabilmente si trattava di quarzo.
«Questo non il tuo occhio, ma è meglio: ti permetterà di dissipare le illusioni, di vedere ciò che è nascosto, di guardare al di là di un incantesimo. Inoltre, sarai in grado di osservare di nuovo il mondo con due angolazioni.»
Chiuse il palmo, facendo scomparire il quarzo, che ricomparve al posto della cavità vuota e delle bende.
«Grazie, padre» disse Alex, alzandosi barcollando.
Ritornò al suo posto, ancora senza parole. Lo fissai, cercando di abituarmi a quella vista. Non era esattamente un occhio di vetro, né uno normale, solo una pietra dalla consistenza dura e vagamente traslucida. Mentre anche Nora veniva chiamata, mi concentrai su Alex, tentando di capire se il cambiamento mi piacesse o meno. Per il momento, non ne avevo idea.
«È giunto il momento di lodare mio figlio» intervenne Eir. «Lars Nilsen, fatti avanti.»
La dea aveva gli occhi verdi che brillavano, le spalle ritte da guerriera e i capelli biondi tagliarti corti sotto le orecchie, pratici. Ma sembrava davvero una mamma orgogliosa del proprio bambino, quando posò lo sguardo su Lars, leggermente in imbarazzo. Gli sorrise.
«Sei stato uno dei migliori combattenti. Ti sei battuto con il Drago Nero, una delle specie più pericolose da abbattere, e l’hai fatto in più di un’occasione da solo. Per questo, tutti gli Dèi ti rendono grazie per il tuo fedele servizio.»
«È stato un onore» replicò Lars, chinando ancora di più il capo, prima di andarsene.
«Einar Larsen!» annunciò Loki. «A te, l’esercito greco deve molto, dal momento che hai contribuito a salvare una vita che apparteneva a loro. Per questo ti saranno debitori, e un mio figlio sa sempre come sfruttare ciò a suo vantaggio.»
Njordr chiamò sua figlia, Petra, e Thor fece lo stesso per Marcus; entrambi premiarono e lodarono i loro figli.
Mi aspettavo che i ringraziamenti fossero terminati, invece, con voce quasi svogliata, Odino aggiunse: «Ultima, ma non meno importante, Astrid Jensen.»
Mi sarebbe piaciuto svenire all’istante come Grover. Invece, rimasi in piedi come uno stoccafisso, rigida come un cadavere.
«Astrid Jensen?» ripeté Odino, leggermente irritato che qualcuno non avesse risposto subito alla sua chiamata.
«Vai» mi incitò Alex, pungolandomi col gomito.
«Ma… io… no…» obiettai.
«Forza!»
Camminai verso il trono del Signore degli Dèi nordici, desiderando ardentemente scomparire. Stavo sicuramente avanzando con un’andatura strana, non ero certo attraente o accettabile, in quel momento, né incutevo terrore come una vera combattente. Mi sentivo come il succo d’uva, che nessuno beveva. Mi inchinai, pregando che il pavimento mi risucchiasse. Cosa che non accadde.
«Grazie per dimostrare che la tua fiducia è riposta in noi e che sarai sempre pronta a offrire la tua vita per noi, figlia di Hell, invece che cedere alle tentazioni di tua madre. Tutti noi ci auguriamo che il tuo cammino proceda come ci si aspetta da te.»
Preferii non dire nulla, perché avrei balbettato qualcosa d’insensato e imbarazzante. Oltretutto, le parole di Odino sembravano quasi voler sottintendere: se non farai ciò che piace agli Dèi, scegliendo di preferire tua madre, noi ti inceneriremo. Il che era rassicurante quanto una pistola puntata alla tempia.
Fui estremamente sollevata di rifugiarmi accanto ad Alex.
«E con questo, abbiamo terminato» dichiarò Odino.
«Finalmente» sbottò Zeus. «Non se ne poteva più.»
«Cosa intendi insinuare?» ribatté l’altro, già sul piede di guerra.
Non mi presi la briga di ascoltare la risposta. Sperai soltanto che qualcuno li fermasse prima che fosse troppo tardi. Alex mi agitò la mano davanti agli occhi, riscuotendomi.
«Ehilà, c’è qualcuno?»
«Mh?» feci.
«Ti ho chiesto come ti sentivi» si spiegò il figlio di Odino.
«Ehm, bene, credo» risposi. «Cioè, sono stanca, ma tutto ok.» Mi sforzai di sorridere.
La verità era che non lo sapevo. Erano cambiate così tante cose insieme che, ora, mi sentivo spossata e avrei voluto potermi appisolare nella Sala del Trono. Invece, abbracciai Alex e respirai il suo odore, facendo scomparire i problemi attorno a me. Avrei pensato a tutto più tardi.

* cit Piccolo Principe, Saint-Exupery
koala's corner.
Di nuovo - anche se dopo un po' di tempo  - ritorniamo con i nostri mitici aggiornamenti notturni/diurni/albici.
Io mi scuso - di nuovo - per non aver scritto un capitolo che mi soddisfi, perché sto tipo morendo sotto il peso di materie oscure come Latino e Scienze, che potrebbero decretare il mio futuro D:
Perdono Water_wolf perché sappiamo entrambi che è un periodo di merda. La perdono anche per non aver messo il bacio subacqueo, perché lei è più brava di me in certe cose ^^"
Voi invece non perdonatemi, perché avrei potuto fare meglio çwç Comunque questo capitolo è lunghetto, principalmente perché il discorso di Percy ci è sembrato importante oltre che la fandom reference a game of thrones che era indispensabile e abbiamo deciso di inserirlo tutto.
La Odino Enterprises regala un nuovo occhio ad Alex, che così può guardare Astrid a 360°
...occhio ai prezzi, però!
Tralasciamo queste battute sottili. In questo capitolo ce ne sono già abbastanza -3-
Il prossimo capitolo sarò l'ultimo - e lungo -, narrato dai tutti e tre POV dei maschietti.
Alla prossima, folk, possa la fortuna essere sempre a vostro favore!

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Capitolo 23
*** PERCY/ ALEX/ EINAR • Tante coppie alla fine ***


Tante coppie alla fine

♠Percy♠

"Sette mezzosangue alla chiamata risponderanno.
Fuoco o tempesta, il mondo cader faranno.
Con l’ultimo fiato un giuramento si dovrà mantenere.
Alle porte della morte, i nemici armati si dovran temere.
Contro l’Ingannatore, antichi odi si sopiranno
E alla fine dei tempi i semidei il destino decideranno."



Ecco cosa sentii, quando Rachel crollò davanti a me dopo aver accettato lo Spirito di Delfi dentro di sé. Dopo aver avuto le scuse di Ermes, aver parlato con Atena, visto mia madre sana e salva, credevo di non dover più temere nulla. Invece, finii con avere un nuovo attacco cardiaco.
La mia amica mortale aveva appena enunciato la prossima Grande Profezia, che avrebbe segnato il destino del mondo intero ed io non potevo non pensare che quella profezia non mi riguardasse. Avevo un groppo alla gola che cercai di sciogliere e non solo per il fatto che, fondamentalmente, Rachel mi aveva scaricato.
«Percy, non preoccuparti. L’ultima Grande Profezia su di te ci ha messo quasi settant’anni per compiersi. Questa potrebbe anche avverarsi dopo la tua morte» provò a rassicurarmi Apollo, che si era presentato al Campo giusto per ufficializzare il fatto che Rachel sarebbe stata il suo prossimo oracolo.
«Lo so…» borbottai riluttante. La verità era che avevo una paura folle che quella riguardasse proprio me, invece. «Solo che… quella roba del fuoco o della tempesta che faranno crollare il mondo… non suona molto bene.»
«Hai ragione!» confermò Apollo in tono allegro. «Sarà un Oracolo perfetto!»


 
I ragazzi sopravvissuti tornarono alla spicciolata da New York. Chi in biga, chi in pegaso, chi in macchina. Alcuni arrivarono a piedi. Alex arrivò con tutte le Orde a bordo della Skidbladnir, ma alcuni dei suoi arrivarono a piedi, accompagnando i miei amici.
Ci prendemmo cura dei feriti al meglio, approfittando anche che fossero arrivate le altre orde, cercando di mettere ordine nelle nostre fila. I figli di Eir e di Apollo ce la misero tutta per curare chi era sul punto di non farcela. Persino i figli di Loki fecero la loro parte, riuscendo a racimolare, chissà dove, medicinali e bende.
Quella sera, prima di andare a cena, celebrammo i riti funebri. Tutti i caduti ebbero un drappo e anche Ethan ne ottenne uno – di seta nera, con il simbolo di due spade incrociate sotto una bilancia. Sperai che sapesse che non era morto inutilmente e che, alla fine, i suoi fratelli avevano avuto il rispetto che meritavano. Anche per Michael Yew ci fu un drappo. Mi sentii salire un groppo alla gola, quando vidi i loro corpi bruciare.
Per l’occasione, i tessuti greci furono incendiati sulla spiaggia, dove i nordici stavano celebrando il loro rito funebre. Per certi versi era simile al nostro: i corpi dei loro caduti vennero adagiati su delle barche che, per la loro forma, ricordavano una drakkar. Insieme a loro, vennero messi degli oggetti. Notai dei CD musicali, dei fumetti e dei libri; immaginai si trattasse delle cose che loro preferivano. Dopodiché dettero loro fuoco e le spinsero sull’acqua.
«Unitevi, fratelli e sorelle.
Unitevi agli Eiherjar, contro le ombre del Caos,
Unitevi alla schiera di Odino.
Gioite, per non aver avuto la Morte di Paglia*.
E non temete, perché un giorno,
Noi ci riuniremo a voi,
Nelle sale del Valhalla.
»
Quelle parole furono dette da tutti i nordici, anche se sottovoce. Capii che era una preghiera. Una sorta di lamento funebre per i loro caduti.
Sul pelo dell’acqua, intanto, le fiamme dei ragazzi che erano morti al mio fianco bruciavano come paglia e mi parve di vedere delle figure femminili che fluttuavano in aria sopra di loro, raccogliendone le ceneri, anche se non ne fui sicuro.
Feci del mio meglio per ignorare il dolore che mi attanagliava il cuore. Non volevo che andasse così. Quella non era la loro guerra, non sarebbero dovuti venire.
«Non è colpa tua» disse Petra, dietro di me, con voce strozzata, mentre si asciugava le lacrime. Aveva capito cosa mi affliggeva.
«Ma… se non foste venuti, forse tuo fratello sarebbe ancora vivo» protestai debolmente, mentre drappi e imbarcazioni venivano consumati dalle fiamme, separandoci dai nostri amici per sempre.
«E allora?» chiese lei, riacquisendo un tono pacato. «Noi siamo venuti qui volontariamente. Eravamo consapevoli dei rischi, Alex ce l’aveva detto. Però noi siamo stati felici di affrontarli. Forse i nostri genitori non sono d’accordo, ma a me non importa. Se noi semidei non possiamo contare su i nostri simili, di chi dobbiamo fidarci? Gli Dèi ci considerano strumenti, i mortali dei pazzi, i mostri cibo. Siamo mezzosangue, indipendentemente da quali divinità ci abbiano fatto nascere. Dobbiamo aiutarci a vicenda. Ed io intendo farlo.»
Sorrisi, sorpreso da quel discorso. Mi guardai intorno e vidi che tutti i semidei nordici, per quanto addoloranti, non sembravano pentiti di averci aiutati. Potevamo contare davvero gli uni sugli altri. Forse i nostri Dèi erano contrari, ma ormai i nostri campi erano uniti.
Quella sera la cena fu silenziosa e mesta. Fu spenta, a causa delle perdite, anche se i nordici festeggiavano con noi. A causa del gran numero di componenti delle orde, gli altri si erano radunanti all’esterno del padiglione. Ciononostante l’Orda del Drago ed Alex furono invitati a rimanere all’interno da Chirone, per ringraziarli formalmente del loro aiuto.
Il figlio di Odino sedeva con il Signor D – che non sembrava molto contento –, Chirone, Nico, Astrid e Lars al tavolo principale, ma nessuno sembrò trovarli fuori posto. L’unico momento emozionante fu quando Juniper placcò Grover con un gridolino.
A poco a poco, tutti si allontanarono. Molti andarono a letto, ma altri, come Clarisse e Chris, si riunirono a cantare intorno al falò. Silena e Beckendorf si tenevano alla larga dal gruppo e parlavano con Einar. Nessuno aveva menzionato la parola traditrice. Fui felice che fossero sopravvissuti entrambi.
Accanto al falò Alex ed Astrid si tenevano per mano. Tutti si divertivano a prenderli in giro, ma non sembravano scontenti del fatto di stare insieme.
«Ehi!» mi chiamò Annabeth, all’improvviso, scivolando sulla panca accanto a me. «Buon compleanno.»
Teneva in mano un grosso pasticcino informe con la glassa blu.
«Che?» chiesi, mostrando ancora una volta le mie grandi capacità oratorie.
«Sai che oggi è il diciotto Agosto? Il tuo compleanno, no?»
Ero sbigottito. Avevo effettivamente compiuto sedici anni quel giorno, quando avevo consegnato il pugnale a Luke, compiendo la mia scelta. Eppure, l’idea di arrivare vivo a quel momento non mi aveva sfiorato. Mi sembrava quasi un sogno.
«Esprimi un desiderio» continuò, portandomi il dolce sotto il naso.
«L’hai fatto tu?» chiesi.
«Mi ha aiutata Tyson.»
«Ecco perché sembra un mattone» commentai. «Con il cemento.»
Ci mettemmo a ridere. In effetti, in quel momento, un desiderio ce l’avevo. Soffiai sulle candeline. Dividemmo il pasticcino in due e ce lo mangiammo con le mani. Era così bella, ora che era tranquilla, lontano dalla guerra. Mentre mangiavamo, notai che le era finito un po’ di dolce sul naso e glielo portai via con il dito. Mi parve di vederla arrossire.
«Hai salvato il mondo» esordì, come se fosse una cosa normalissima da fare tutti i giorni.
«Abbiamo, salvato il mondo» precisai.
«Giusto. E Rachel è il nuovo oracolo… il che significa che non potrà avere un ragazzo» commentò.
«Non sembra che ti dispiaccia» replicai, non riuscendo a non ghignare, mentre la vedevo arrossire di nuovo.
«È uguale» borbottò, per poi fissarmi, inarcando le sopracciglia. «Hai qualcosa da dirmi, Testa d’Alghe?»
«Probabilmente me le suonerai.»
«Sai che lo farò.»
Mi spolverai le briciole dalle mani, cercando le parole giuste.
«Sai… quando ero sullo Stige e stavo per diventare invulnerabile… Nico mi disse di concentrarmi su qualcosa, una sola cosa, che mi tenesse legato alla vita…»
Spiai Annabeth, ma lei aveva deciso di tenere gli occhi fissi sull’orizzonte.
«Sì…?»
«Ecco… sì… e quando…ecco…»
La mia voce si ruppe ed iniziai a partire con una serie di ricordi di quando ero tentato dall’immortalità. Le sue labbra si inarcarono verso l’alto.
«Stai ridendo di me!» mi lamentai.
«Non è vero.»
«Be’, non mi stai rendendo le cose facili» borbottai.
Poi, però, mi ritrovai ad arrossire come un semaforo rosso, mentre stavo con Annabeth appiccicata che mi teneva le mani intorno al collo.
«Io non ti renderò mai la vita facile, meglio se ti ci abitui» soffiò a pochi millimetri dalla mia bocca.
Poco a poco, con una lentezza che trovavo esasperante, le sue labbra si allacciarono alle mie. Non ero sorpreso, e nemmeno impacciato. Semplicemente il mio cervello si sciolse dalla felicità, mentre mi stringevo a lei.
«ERA ORA!»
Prima ancora che mi potessi separare completamente da lei, io e Annabeth ci ritrovammo sollevati da terra da un gruppo di mezzosangue capitanati da Clarisse..
«Eddai!» protestai, senza lasciare la mano della mia adorata figlia di Atena. «Che fine ha fatto la privacy?»
«I piccioncini hanno bisogno di una rinfrescata!» esclamò Clarisse, contenta.
«Al laghetto delle canoe!» urlò Connor.
Con un grido di esultanza, fummo trasportati sulle spalle di tutti, avvicinandoci al laghetto. Ciononostante, non lasciai mai la mano di Annabeth. Anche quando cademmo in acqua tra l’esultanza di tutti non la lasciai.
Dopo un attimo, la abbracciai di nuovo. Ancora sott’acqua, creai una bolla sul fondo del laghetto e la baciai di nuovo. I nostri amici dovettero aspettare un bel po’, prima di vederci riemergere. Dopotutto non si può mettere fretta ad un figlio di Poseidone.
E quello fu, probabilmente, il bacio subacqueo migliore di tutti i tempi.
 
•Alex•

Il giorno dopo la fine della battaglia, le altre orde abbandonarono il Campo con il Bifrost, ma Hermdor e l’Orda del Drago rimasero presenti. Volevamo concludere quell’estate in bellezza, con i nostri nuovi amici. Inoltre, avevamo un sacco di cose in mente.
Innanzitutto, furono due settimane fantastiche. Io le passai con Astrid, lontano da sguardi indiscreti, cercando di passare più tempo possibile con lei. Dovevo ancora abituarmi ad avere di nuovo la vista doppia. Mi sentivo strano, inoltre, ogni tanto, il mio occhio magico mi faceva brutti scherzi quando, senza volerlo, attivavo il suo potere, finendo con distrarmi.
Intanto, aiutavamo il Campo a riorganizzarsi. L’orda dette una mano a costruire, per quanto possibile, le nuove abitazioni per i mezzosangue degli Dèi Minori e per Ade. Nuovi semidei greci spuntavano ovunque, anche in Europa e in altri Paesi, così il Campo Nord si era offerto nel dare una mano a radunarli. Operazione che fu facilitata dal nostro direttore Hermdor, nonostante faticasse parecchio a parlare con Dioniso.
Insieme a me, Chrione progettò un possibile programma di scambio tra i due campi in modo da infittire i rapporti e mi consigliò anche di portare con me alcuni ragazzi del Campo. In particolare, mi suggerì Silena e Beckendorf.
«Non è solo per il programma di scambio» mi confidò un giorno, mentre Hermdor e il Signor D non c’erano.
Stava fissando l’esterno, dove dei ciclopi, guidati da Tyson, stavano impilando dei mattoni magici per la Casa di Ecate. Sarebbe bastato che uno solo toccasse terra e ci saremmo trasformati tutti in alberi.
«Immagino riguardi Silena, vero?» intuii, cercando di non pensare a quei mattoni.
Sapevo che Talia era diventata un pino, ma non ci tenevo a fare la sua stessa esperienza.
«Già» commentò il centauro, sospirando. «Beckendorf ha… litigato con suo padre. Non vuole lasciare Silena e l’ha giustificata davanti al Consiglio. La cosa non è piaciuta ed Efesto ha maledetto la sua stessa Casa. Non voglio sembrare duro, ma trovo sia meglio che lui si allontani dal Campo. Forse, così, la maledizione si dissiperà.»
«Capisco» commentai, pensieroso.
La cosa non mi dispiaceva. Beckendorf era un bravo ragazzo e la figlia di Afrodite, a mio parere, non poteva essere considerata più traditrice di molti altri. Mi ritrovai a considerare che anche io, per Astrid, avrei fatto lo stesso.
«E per la loro scuola? I loro genitori? Il collage?»
«Loro hanno già informato le loro famiglie. Hanno tutti confermato che, per loro, era la cosa migliore da fare. Per un anno, stare lontani dal territorio greco ed attendere che gli animi degli Dèi si plachino. Dopodiché, penso di poter dire che potranno tornare senza troppi rischi» spiegò il centauro, tornando a fissarsi su di me.
«Può contare sul mio aiuto. Per quel che mi riguarda, si potranno aggregare all’Orda del Drago» dissi, scrollando le spalle.
Sarebbe stato molto bello, finalmente, avere gente nuova. Il primo passo per dissipare le ostilità e inaugurare una collaborazione tra i due campi.
L’ultima sera di permanenza al Campo Mezzosangue, dopo una partita di caccia alla bandiera particolarmente movimentata, durante la quale Clarisse mi aveva fatto un bell’occhio nero e Einar aveva fatto cadere Annabeth in una buca, mi ritrovai sul pugno di Zeus, dove c’era anche Astrid. Era una notte serena. Il cielo era terso e si vedevano le stelle come non si poteva fare in città.
«A cosa stai pensando?» chiese lei, abbracciandomi, mentre ci stendevamo su una roccia liscia abbastanza comoda.
«Non lo so. Sai, domani si torna a casa. Ma una cosa è certa» affermai, voltandomi un attimo. «Io penso sempre a te.»
Sorrise, mentre mi accarezzava la cicatrice lasciata dalla falce di Crono. Mio padre mi aveva ridato l’occhio, ma non aveva tolto le tracce della lesione.
«Lo sai che non ti sopporto quando fai il romanticone» sussurrò lei, fingendosi arrabbiata.
La verità, però, era che sorrideva.
«Lo so, lo faccio apposta per farti arrabbiare» soffiai, mentre mi avvicinavo.
Poco prima che lei mi baciasse, mi parve di vedere Percy ed Annabeth, seduti poco lontano, stretti l’uno all’altra, ma a me non importava molto, dato che sentii le labbra di Astrid sfiorare le mie. Era inebriante, non mi sarei mai stancato di averla tutta per me.
Il suo corpo caldo, premuto contro il mio. I suoi capelli lisci che si aprivano come acqua, mentre li accarezzavo. Sarei potuto rimanere con lei per tutta la vita.
«Hai scelto la via più difficile.»
Sobbalzammo entrambi e Astrid si lisciò imbarazzata la maglietta, nascondendo il rossore con i suoi capelli, mentre mio padre, seduto su una roccia sopra di noi, ci guardava severamente.
Indossava un paio di pantaloni fino al ginocchio, un paio di scarpe da tennis ed un giaccone. Ricordava uno di quelli che andava in giro per il mondo a piedi, facendo quelle lunghe camminate, spesso attraversando a piedi interi stati. Aveva l’aria di un quarantenne e l’occhio di meno era coperto da una benda chirurgica.
Gungnir, la sua arma magica, era ridotta ad un semplice bastone da viaggio moderno. Sulle sue spalle Hugin e Mugin ci fissavano con aria truce ed erano silenziosi.
Maledissi l’abitudine degli Dèi di apparire SEMPRE nei momenti meno opportuni.
«Divino Odino» mugugnai, sentendomi vagamente imbarazzato e arrabbiato.
Doveva proprio interrompere una serata romantica con la mia ragazza? Lui, però, non sembrò farci caso, anzi, sembrò quasi soddisfatto della sospensione.
«So cosa stai pensando. Ma io non approvo voi due.» Il suo unico occhio lampeggiò minaccioso contro Astrid e io le strinsi la mano, quando la vidi sussultare. «Lei è una figlia di Hell, si unirà alle forze del male durante Ragnarock e non sono affatto convinto che lei si manterrà fedele a noi.»
«Padre!» sbottai, alzandomi in piedi, sfidandolo.
Non lo sopportavo quando faceva così: era rimasto fuori dalla mia vita per dieci anni e poi si permetteva di dirmi cos’era meglio per me.
«Non mi interessa cosa pensi. Di certo non ho bisogno di te, per decidere della mia vita!»
Per un attimo, squadrai il dio che era mio padre con durezza, ancora una volta, pronto a sfidarlo. Astrid, dietro di me, mi strinse il braccio, come ad avvertirmi di tenere a freno la lingua.
«Non ne dubito» concesse Odino, dopo qualche attimo. «Comunque, non sono qui per interferire con voi due, ma voglio parlare con te, Alex. Tu hai scelto la via più perigliosa.»
«Che vuoi dire?» chiesi, stringendo l’elsa di Excalibur, soprattutto perché avevo bisogno di stringere qualcosa che non fosse la mano di Astrid, dato che avrei potuto romperle qualcosa.
«Nell’istante stesso in cui noi siamo accorsi qui per salvare gli Dèi Olimpici, nell’istante stesso in cui tu hai dato loro una mano, hai legato il fato di Asgard al loro. Se dovessero cadere, noi cadremo con loro. In futuro, io non so cosa accadrà con certezza. Ma ho visto che, se procederai su questo cammino, allora, questo si rivelerà pieno di insidie» mi avvisò il Re degli Dèi, con sguardo duro.
Abbassai gli occhi. Avevo paura. Sì, ero un comandante norreno, eppure avevo paura. Non tanto per me stesso, ma per Astrid, per mia mamma, per Einar, per Lars e per tutti coloro che si fidavano di me. Se avessi fallito, loro sarebbero stati uccisi. Ma ormai avevo intrapreso una strada. Non ero abituato a fermarmi. Non potevo farlo, proprio ora che potevamo davvero essere uniti.
«No. Continuerò per questa strada. Riuscirò a portare a compimento questa alleanza, che tu e gli altri Dèi lo vogliate o no» ribadii, deciso. Non mi sarei tirato indietro.
Mio padre non sembrò sorpreso, solo addolorato. «E sia. Io sono anche io Dio dei Viaggi, figlio mio, non dimenticarlo. Hai la mia benedizione. Che il tuo viaggio, per quanto irto di insidie, possa portarti alla meta che cerchi.”
Detto questo, sospirò e sparì in una colonna di luce, lasciandoci soli, io ed Astrid. Lei mi si avvicinò e mi abbracciò. Ispirai il suo profumo, che sapeva di autunno. Come una foresta, bella nei suoi mille colori.
«Alex, non hai paura?» mi chiese, dopo un secondo, mentre le sue mani, intorno al collo, mi trasmettevano brividi.
Ci pensai.
«Sì. Ho paura per te, per la mia famiglia, per la mia casa. Io non sono invincibile. Non riuscirò mai a farcela sempre. Tutti si aspettano così tanto, da me. Ho paura di deluderli. Ho paura di non farcela.» Sussurrai, stringendole la vita. Borbottai qualcosa su mio padre che rompeva la magia del momento, facendola ridere.
«Mio caro figlio di Odino. Forse deluderai gli altri, ma so che, qualsiasi cosa farai, ce la metterai tutta. Io mi fido di te. Mi fiderò sempre di te» rispose dopo un attimo, dandomi un dolce bacio sulle labbra.
Ed io avrei voluto solamente che rimanessimo così per sempre. Perché ero davvero felice, con lei.
 
∫ Einar ∫

«NEMMENO PER SOGNO!» sbottò, dopo l’ennesima volta che le ero spuntato davanti.
«Avevi promesso! Se fossimo usciti da quella situazione, mi avresti concesso un appuntamento» le rammentai, con un sorrisetto.
Karen si tirò i capelli esasperata. «Basta! Ho detto che forse ci avrei pensato! Il che significa NO! Lo vuoi capire!? Smettila di seguirmi! Smettila di tormentarmi! SMETTILA DI TORTURARMI!»
«Oh, così mi spezzi il cuore» mi lamentai, senza smettere di ghignare.
«Magari te lo potessi spezzare veramente!» sbottò lei, furiosa.
Aveva provato a scacciarmi a colpi di freccia, ma avevo buoni riflessi, non mi sarei fatto fregare.
Sospirai, fingendomi addolorato. «D’accordo. Ti concedo un altro po’ di tempo per riflettere, poi capirai che io sono molto meglio.»
Mentre mi allontanavo, lei lanciò un grido a metà tra il liberatorio e l’esasperato. L’avevo beccata mentre era separata dal gruppo, nella stalla dei pegasi. Le Cacciatrici si erano fermate al Campo per riposare dopo la battaglia e dare una mano, con il benestare di Artemide. Ed ovviamente, io non avevo fatto altro che cercare il mio obbiettivo primario: far impazzire Karen.
Alla fine, quel giorno, ero riuscito a scovarla da sola e avevo flirtato con lei. Dopo tre frecce mandate a fuoco, due pugnali incastrati nel legno ed un arco d’argento scheggiato, si era dovuta arrendere e ascoltare le mie avances. Sapevo che non avrebbe ceduto, ma quell’aria da ragazza carina con l’ulcera era qualcosa di impagabile.
Mancavano poche ore alla partenza e, sinceramente, una parte di me era dispiaciuta di doversene tornare a Campo Nord. Al Campo Mezzosangue c’erano Connor e Travis da fregare o con cui progettare scherzi alle ragazze di Afrodite. C’erano le Cacciatrici da spiare mentre si facevano il bagno e c’erano un sacco di persone interessanti.
Ma che ci potevo fare? Casa mia era in Norvegia.
Sospirai, dirigendomi verso la spiaggia, dove la Skidbladnir torreggiava alta e imponente, dopo che Alex l’aveva tirata fuori. Mi guardai intorno e vidi molti nordici salutare i greci. Si scambiavano mail, numeri di telefono, indirizzi Facebook. Era un buon risultato per due cerchie di divinità che non si potevano vedere dall’alba dei tempi.
Ad un certo punto, la mia attenzione fu attirata da una macchia scura che fissava il panorama dall’alto, come se volesse tener d’occhio la situazione senza essere coinvolta.
«Nico!» lo chiamai, riconoscendo la chioma corvina che la leggera brezza marina muoveva come fumo.
Lui sobbalzò, quasi non si aspettasse la mia presenza o che sperasse che nessuno l’avesse notato. Ma non conosceva i potenti figli di Loki.
«Come mai qui? Non dovresti essere con i tuoi compagni per partire?» mi chiese, indicando con il capo Alex e Percy che si davano il cinque per poi stringersi in un abbraccio fraterno. Il capo stava proprio bene con l’occhio finto.
«Mancano ancora un paio d’ore alla partenza. Così ho pensato di salutarti. A parte Astrid, non sei stato molto interessato a noi» gli feci notare, dandogli una pacca sulla spalla.
«E a chi dovrei interessarmi? A te?» domandò acido, cercando di sviare il discorso.
Ghignai. «Non ti è dispiaciuto, quando ci siamo rivisti e ti ho baciato.»
Improvvisamente, il colorito pallido di Nico divenne rosso fuoco, da competere con le colorazioni del Bifrost quando si apriva. Avevo colto nel segno. Un punto debole di Nico.
«Non… non è vero» provò a protestare, debolmente.
«Dai, non è un male, se ti piace Percy Jackson» scherzai, sorridendo.
Ma questa volta preferii mostrarmi per davvero. Quel ragazzetto di tredici anni mi faceva anche un po’ pena. Da solo, senza nessuno che si occupasse di lui, con la sola guida di suo padre che, diciamocelo, non è proprio uno stinco di santo. Un po’ mi ricordava me.
«Ecco… io…» arrossì ancora di più e distolse lo sguardo. «Non dirlo a nessuno, ti prego.»
Sorrisi e mi sedetti accanto a lui, cosa che trovò molto strana, data la faccia che fece. Probabilmente erano ancora tutti rimasti all’idea che io fossi un mentitore bastardo che pensava solo a se stesso. E, forse, era meglio che continuassero a pensarlo.
Ma Nico mi piaceva. Non solo perché era un bel ragazzetto, ma anche perché vedevo in lui un forte dolore. Un dolore che, per la prima volta in vita mia, non volevo accettare.
«Non temere. Non intendo dire a nessuno quello che mi hai detto oggi. Lo giuro sullo Stige, sull’Isola di Foreseti, e su quello che vuoi. Solo che non capisco perché non ne vuoi parlare» risposi, noncurante, fissando il cielo azzurro.
«Ecco… perché… non è facile essere gay» borbottò, imbarazzato, diventando rosso come un peperone. Era davvero carino.
«Omosessuale, prego, non me ne importa nulla. Io sono bisessuale e non ho paura di dire che mi piacciono anche i maschietti» replicai, dandogli una pacca sulla spalla.
Quando lo vidi sorridere per la prima volta, mi sentii stranamente bene, come se avessi fatto qualcosa di importante. La prima volta che mi sentivo vicino a qualcuno che non fossero i miei fratelli.
«Be’, sei anche figlio di Loki» mi ricordò, con un tono più leggero, mentre osservava il via vai di semidei.
«Cosa c’entra? È vero, alcuni di noi sono bisessuali o, addirittura, omosessuali, a causa della nostra discendenza. Ma non c’entra nulla. Davvero vuoi farti condizionare dalle origini?» chiesi, inarcando le sopracciglia.
«Perché… ah, al diavolo poi… » Improvvisamente, si fermò e fece un passo all’indietro rispetto a me. «Aspetta, tu quel giorno che mi hai…»
Ghignai di nuovo, questa volta solo perché ero divertito. Ogni tanto la gente non voleva proprio capire.
«Ci sei arrivato, finalmente?» domandai, avvicinandomi a lui, facendolo indietreggiare.
Alla fine, Nico inciampò all’indietro, finendo con il sedere per terra. Provò a rialzarsi, ma mi chinai al suo fianco, con un sorrisetto, tenendolo a terra con una mano, mentre con l’altra gli scostavo una ciocca di ricci che gli era finita sugli occhi. La sua carnagione pallida era diventata rosso fuoco e lui deglutì rumorosamente.
«Cos’è, hai paura?» sussurrai, ghignando, a pochi centimetri dal suo viso.
Al contrario di lui, io non provavo imbarazzo. Ero solo divertito e affascinato da quegli occhi, profondi come pozze di catrame. Proprio come i miei.
Eravamo due mali necessari. Alla fine, dovevamo esistere entrambi.  Lui era la morte, io il male necessario. Una buona coppia, non mi sarebbe dispiaciuto.
«La verità è che non hai fiducia in te, Nico di Angelo» mormorai al suo orecchio, ritirandomi.
«E che dovrei fare!?» sbottò lui, improvvisamente arrabbiato. «Non me la sono passata bene, sai. Mia madre è morta, e anche mia sorella! Come posso avere fiducia in me stesso, se non sono riuscito nemmeno a fare nulla per la mia famiglia
Per un attimo, rimasi interdetto. Poi capii quanto, in un certo senso, seppur per dolori diversi, Nico fosse simile a me. Mi tolsi la maglietta, facendolo arrossire di nuovo, ma non pensate male. Era qualcos’altro che volevo mostrargli. Sul mio petto, all’altezza del cuore, vi era un segno, una sorta di tatuaggio. Una sorta di simbolo della pace, ma senza il cerchio. Poco sopra di esso vi era un ragno, che fissava la runa.
«Sai cos’è questo?» chiesi, con un sorriso mesto.
Nico scosse la testa, ancora imbarazzato, ma curioso allo stesso tempo.
«Questo è il simbolo degli assassini codardi, coloro che uccidono alle spalle con l’inganno» spiegai, accarezzandomi il simbolo con cui Loki mi aveva marchiato.
«L’abbiamo fatto tutti, abbiamo ucciso un sacco di mostri» asserì Nico, perplesso.
«Oh, è vero, dimenticavo di precisare: il simbolo di chi ha ucciso uomini
Mi misi a raccontare. Gli parlai di mia madre, che era solo una prostituta di uno squallido quartiere alle periferie di Oslo. Di come, nonostante vivesse male, mi avesse tirato su e della maledizione di Sigyn che le imponeva di provare un acuto dolore al posto del piacere, quando aveva un rapporto sessuale. Infine, di quando un uomo provò a violentarla e io, usando un coltello da cucina, lo colpii alle spalle, uccidendolo.
«Mi… mi dispiace» sussurrò Nico. «Non pensavo che…»
«Non scusarti» lo interruppi, rivestendomi. «Voglio solo dirti che, qualsiasi dolore provi, non devi mai perdere la speranza che le cose possano migliorare. Io sono stato male per giorni. Avevo solo undici anni, eppure sono stato abbastanza folle da affondare un coltello nella schiena di un uomo. Non sarò mai abbastanza pentito. Ma il futuro mi riserva altro. Guarda avanti, Nico. È l’unico modo che hai per non impazzire.»
Lui mi scrutò in modo strano, inquietante anche per me. Sembrava stesse cercando di trapassarmi l’anima, ma sostenni il suo sguardo.
«Be’, grazie per il consiglio» disse, alla fine, tendendomi la mano. «Amici?»
Gliela strinsi. «Amici.»
Mi avvicinai. «E forse qual cosina in più.»
Così, veloce come un’ombra, gli schioccai un bacio sulla guancia e mi incamminai verso la Skidbladnir.
Mi guardai intorno, mentre salivo la passerella che mi avrebbe riportato a casa. Salutai Percy e Annabeth. Nico mi fissava dall’alto della collina con un sorriso. Mentre osservavo la costa americana allontanarsi, osservai il Campo Mezzosangue.
«Qualcosa non va Einar? Sembra che tu abbia già nostalgia» mi disse Lars, avvicinatosi a me, con il suo solito passo marziale.
«Oh, no, bella statuina» risposi con un ghigno soddisfatto. «Le cose si sono evolute. In meglio.»

 
*Morte di Paglia: Espressione vichinga che significa morire da codardi, sul proprio letto di paglia, è la morte dei guerrieri senza onore.
koala's corner.
Siamo arrivati all'ultimo capitolo! *urletto da koala felice i koala urlano?* http://24.media.tumblr.com/44b8c4b292c885b8ed94cb8f0a4e3730/tumblr_mzz0q19pQj1rtkmz3o3_250.gif
Questo capitolo è pieno di momenti Percabeth/Alrid/Einico ad alto contenuto fangirl, come Water testimonia.
Sì, perché voi non capite. AxXx ha scritto yaoi. YAOI. Capiamoci: non lo fa mai. Poi, vabbè, ci sono i piccoli amori het che *w* e :Q_____
Solo per il semplice motivo perché questa coppia davvero carine e Einar e Nico stanno bene insieme.
*urlo indistinto dal fondo*
E' Water che fa rituali per annunciare agli dèi questo avvenimento storico, non bate a lei.
Dite la verità, poi, tutte avete pensato male quando Einar si è tolto la maglietta? u.u
*urlo della prociona in calore*
Comunque... Cosa abbiamo in mente per il futuro?
Fino ad Agosto, più o meno, non aggiungeremo nulla di corposo alle raccolte riguardanti le Cronache del Nord. Primo, perché questo è un periodo merdoso; secondo, perché durante le vacanze sia io che Water andremo all'esterno.
Two weeks in NYC bicthes
Ma non temete! Ci sarà la "rivisitazione" di Eroi dell'Olimpo, di cui vi lasciamo solo il piccolo spoiler: Alex vs. Jason.
Un GRAZIE enorme alle 25 preferite, i 22 seguiti e i 7 recordati. Siete favolosi!
E da infarto https://31.media.tumblr.com/06b91936ae19b1ad6b0c133c97e953ff/tumblr_n5sc6vXKRR1sphm6so1_250.gif Oggi ce l'ho tanto con le gif, scusatemi hahah
Un abbraccio koalico a tutti voi, alla prossima!


 

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